Alla ricerca di Kurtz di Old Fashioned (/viewuser.php?uid=934147)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Giorno 1 - Effetti collaterali dei cocktail gamorreani ***
Capitolo 3: *** Giorno 2 - Giungiamo sul posto ***
Capitolo 4: *** Giorno 3 - Si procede ***
Capitolo 5: *** Rapporto 01 sulla missione ***
Capitolo 6: *** Giorno 4 - Primi contatti ***
Capitolo 7: *** Rapporto 02 sulla missione ***
Capitolo 8: *** Giorno 5 - Alla ricerca di informazioni ***
Capitolo 9: *** Giorno 6 - Verso la Fine di Tutto ***
Capitolo 10: *** Giorno 7 - Alla ricerca di un trasporto per Kamino ***
Capitolo 11: *** Rapporto 03 sulla missione ***
Capitolo 12: *** Giorno 8 - Questa sera dormiamo su Kamino ***
Capitolo 13: *** Giorno 9 - E il gioco ricomincia... ***
Capitolo 14: *** Rapporto 04 sulla missione ***
Capitolo 15: *** Giorno 10 - Di nuovo alla ricerca di informazioni ***
Capitolo 16: *** Giorno 11 - Finalmente qualche informazione ***
Capitolo 17: *** Rapporto 05 sulla missione ***
Capitolo 18: *** Giorno 12 - Kurtz! ***
Capitolo 19: *** Giorno 13 - L'Orrore... l'Orrore... ***
Capitolo 20: *** Rapporto 06 sulla missione ***
Capitolo 21: *** Giorno 14 - Saluti & Baci ***
Capitolo 22: *** Rapporto 07 (che però proviene dal Credito Coruscano) ***
Capitolo 23: *** Fine della fiera (degli imbecilli) ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Finito
il turno, due ufficiali stavano parlando fra loro mentre percorrevano
un corridoio della Morte Nera.
“Il
colonnello Waxen?” chiese incredulo il maggiore, “quel
Waxen?”
“Proprio
così,” confermò il capitano
compiaciuto, “me l’ha detto il
tenente Brown del reparto trasmissioni che ha intercettato la
comunicazione. L’eroe di Myrkr viene a farci
visita.”
“Ma
se è il Waxen che dico io ormai dev’essere un
vecchio
rincoglionito. Mi ricordo che stavano già discutendo di
metterlo a
riposo quando ero un cadetto!”
“In
effetti è lui, ed è anche completamente
rincoglionito, ma non ne
vuole sapere di andarsene in pensione.”
“Immagino
che lo metteranno a riposo d’ufficio,” disse il
maggiore, “ non
possono tenere in servizio uno con la demenza senile.”
Il
capitano replicò: “Non c’è
verso di mandarlo via, ci hanno già
provato un sacco di volte.” Poi, abbassando la voce,
aggiunse:
“Sembra che abbia amici influenti che lo proteggono. Si parla
addirittura di Sua Maestà
l’Imperatore…”
I
due ufficiali scomparvero lungo il corridoio parlando animatamente
fra loro.
Il
governatore Tarkin fissò i suoi collaboratori uno per uno,
con
deliberata e persecutoria lentezza. “Waxen è di
nuovo sulla Morte
Nera,” disse infine, “la missione diplomatica su
Gamorr, con la
quale speravamo di togliercelo dai piedi per almeno tre settimane,
è
durata tre ore e cinquantasette minuti. Ha litigato con
l’interprete
prima ancora di decollare da MPX e si è rifiutato di
partire.”
Un
mormorio di disappunto serpeggiò fra gli astanti.
“Inoltre,
è rientrato da meno di due ore e ha già
ricominciato a creare
problemi,” proseguì il governatore,
“poco fa mi è arrivato un
rapporto dall’armeria 12/B del terzo livello, pare che il
colonnello sia entrato di nascosto, abbia rubato un blaster e tenuto
sotto tiro l’intero corpo di guardia fino
all’arrivo del nuovo
turno. Era convinto di trovarsi nel bel mezzo della battaglia di
Sarmak.”
Gli
ufficiali presenti furono attraversati da un fremito di orrore ed
ognuno di essi cominciò a sperare ardentemente che Waxen non
fosse
assegnato al suo reparto.
Waxen,
infatti, un ormai ottuagenario colonnello della vecchia scuola, era
una mina vagante di inaudita pericolosità: iperattivo ai
limiti
della maniacalità, insonne, logorroico, affaccendato, era
affetto da
una forma particolarmente perniciosa di demenza di Alzheimer, che lo
faceva oscillare costantemente tra il rincoglionimento e la
caparbietà. Date e orari per lui non avevano alcun
significato, dal
momento che li dimenticava e li confondeva continuamente, deficit di
memoria e falsi riconoscimenti facevano sì che combinasse un
casino
dietro l’altro ed aveva la perversa abitudine di massacrare i
coglioni a chiunque gli stesse vicino con i lunghi e circostanziati
racconti delle missioni cui aveva partecipato durante la sua
carriera. Siccome la sua memoria era sconquassata e confusa come un
carrozzone jawas, il malcapitato interlocutore era capace di beccarsi
lo stesso racconto anche cinque volte nell’arco di una
giornata.
Generalmente,
la sua era un’assegnazione punitiva. Nel senso che quando un
ufficiale doveva ricevere una punizione esemplare per aver commesso
qualche grave mancanza si vedeva assegnare in qualità di
consulente
anziano l’arzillo ma indementito colonnello, che subito
cominciava
alacremente a massacrargli i testicoli con estenuanti aneddoti e
pericolosissime iniziative volte a migliorare l’efficienza
del
reparto.
Nel
silenzio sconcertato della sala si udì il ronzio di una
chiamata in
arrivo. Il governatore attivò la comunicazione video.
“Tarkin,”
disse rivolto verso lo schermo.
L’interlocutore
era un ufficiale della compagnia comando di Coruscant, che si
schiarì
la voce e con qualche esitazione disse: “La chiamo per il
capitano
Veers, signore…”
Il
governatore ebbe un fremito di rabbia, ci mancava anche quel dannato
capitano, che come al solito compariva col senso
dell’opportunità
di una ragade anale.
“Cos’ha
combinato stavolta?” ringhiò stringendo i pugni
ossuti.
“È
stato arrestato durante una rissa al Worrt Arrapato.”
“Arrestato?”
fece eco Tarkin con la voce tremante di fiero sdegno,
“Arrestato?
Questa volta ha veramente passato ogni limite! È inaudito!
Non ne
aveva abbastanza di quello che ha combinato finora! Doveva farsi
arrestare in una rissa! E cos’è poi questo Worrt
Arrapato?”
“Un
locale dei bassifondi di Coruscant,” si intromise una voce
euforica
proveniente dal fondo della sala riunioni, “Gestito da un
gamorreano che si fa chiamare Hoynk lo Sbronzo. Ci sono le
twi’lek
più troie della galassia e fanno dei cocktail che
stenderebbero un
gundark.”
Tutti
si voltarono sbalorditi verso il capitano Needa, che nel frattempo
era arrossito fino alla radice dei capelli.
“E
lei come lo sa, capitano?” gli chiese Tarkin fulminandolo con
uno
sguardo tagliente come un laser ad accelerazione fotonica.
“Ecco…
Io… Lo conosco per motivi di servizio,
s’intende.”
“Da
quando in qua un ufficiale della flotta ha a che fare per servizio
con i locali malfamati di Coruscant?”
Ma
per fortuna, prima che il capitano Needa si vedesse costretto ad
inventare su due piedi una scusa credibile, dal monitor giunse la
fatidica domanda: “Allora, che dobbiamo fare con Veers,
signore?”
“Questa
volta resta dov’è!” gridò
Tarkin dando un violento pugno sul
tavolo, “In cella, dove avrebbe dovuto finire da un bel
po’ di
tempo! Razza di delinquente depravato! La mia pazienza è
esaurita,
basta!”
“Ma
è il nipote del generale Veers,” intervenne
sottovoce il generale
Tagge al suo fianco.
“Non
mi interessa! Anche se fosse il figlio di primo letto
dell’Imperatore
in persona, questa volta resta dov’è,
imparerà a sue spese il
prezzo di certe bravate!” poi, nuovamente rivolto verso il
monitor,
proseguì: “Ha sentito: Veers rimane esattamente
dov’è, e spero
che si trovi nella più buia e sordida cella di tutta
Coruscant. E
che ci resti a lungo!”
“Ecco,
sembra che ci sia un piccolo problema…” rispose
esitante
l’interlocutore, dopo aver letto un foglio che nel frattempo
gli
era stato passato.
“E
sarebbe?” il governatore sentì una certa
apprensione che
lentamente lo pervadeva al posto della rabbia. L’esperienza
gli
aveva insegnato ad aspettarsi di tutto quando aveva a che fare con il
capitano Veers.
“Mi
hanno comunicato adesso che non è più in cella.
Supponendo che
voleste la procedura solita, il capitano è già
stato imbarcato su
un trasporto. Dovrebbe atterrare da voi entro breve.”
Tarkin
avrebbe voluto rispondere, perlomeno per dire senza mezzi termini
all’ufficiale ciò che pensava di lui e di tutta la
compagnia
comando di Coruscant, ma una comunicazione video di priorità
uno si
sostituì prepotentemente a quella in corso. Il governatore
strinse i
denti preparato al peggio: il canale a priorità uno era
riservato
alle comunicazioni di gravità eccezionale: sciagure,
invasioni,
epidemie e simili.
Sul
monitor apparve la faccia rugosa di un vecchietto con i capelli
bianchi e un bel paio di baffi dalla punta
all’insù.
Tarkin
soffocò un’imprecazione e disse: “Waxen!
Come mai chiama sulla
frequenza riservata?”
L’attempato
interlocutore si guardò intorno disorientato, come alla
ricerca
della provenienza della voce, poi finalmente fissò lo
sguardo su
Tarkin. “Ah, è lei giovanotto, è lei!
Stavo proprio chiedendomi a
cosa servisse questo pulsante rosso dentro la capsula di
vetro!”
Il
governatore spezzò involontariamente la matita che teneva in
mano.
Cercando di mantenere la calma, rispose: “Colonnello, questa
è la
frequenza riservata, la usano solo Lord Vader e l’Imperatore
in
casi del tutto eccezionali.”
“Due
ottimi elementi,” gli assicurò Waxen con
entusiasmo, “godono di
tutta la mia fiducia. Soprattutto quel Vader, anche se non capisco
perché si ostina a vestire tutto di nero. Mi ricordo quando
eravamo
di guarnigione su Tatooine, allora ero solo un giovane tenente alla
prima nomina…”
“Voleva
dirmi qualcosa in particolare, colonnello?” lo interruppe
Tarkin
con ira repressa.
“Veramente
no, giovanotto. Non era lei che voleva parlarmi? No? Davvero
bizzarro. Questa situazione a dir poco inconsueta mi ricorda un
episodio che mi capitò quando ero primo ufficiale su un
incrociatore, all’epoca della battaglia di Mahavamsa, se non
ricordo male. O era la battaglia di Tundu Kunaa? Be’, fa poca
differenza, in fondo. Ma cosa stavo dicendo…?”
Al
governatore sfuggì un sospiro che sembrava
l’ultima esalazione di
un rangkor morente.
A
quel punto, con molto senso pratico intervenne il generale Tagge
dicendo: “Signore, ma non dovevamo proporre al colonnello
quella
pericolosissima missione su Sullust?”
Anni
di delicatissimi colloqui diplomatici avevano addestrato Tarkin a
cogliere al volo ogni minimo appiglio per trarsi d’impaccio
in
situazioni del genere. Lo stato di prostrazione lo abbandonò
infatti
in un attimo ed egli prontamente rispose: “Certo, ma sono
sicuro
che il colonnello non accetterà mai. È troppo
pericolosa.”
Waxen
drizzò le orecchie ed i suoi baffi ebbero un fremito di
eccitazione.
Che
la missione fosse pericolosa era vero. Si trattava di andare su
Sullust, in mezzo a giungle intricate ed inospitali, alla ricerca di
una spedizione che era partita mesi prima e della quale dopo qualche
tempo non si era più saputo nulla. Ma sembrava anche
un’occasione
d’oro per togliersi finalmente dai piedi quel devastante
rompicoglioni. Con un po’ di fortuna avrebbe potuto
addirittura
fare la stessa fine della prima spedizione.
Stando
abilmente al gioco, Tagge ribatté: “In effetti
è vero, questa
missione è troppo pericolosa. Chi mai potrebbe avere
sufficiente
fegato per accettarla? Solo il colonnello Waxen, il cui coraggio
è a
dir poco leggendario.”
“Però
non possiamo rischiare di perdere un elemento prezioso come il
colonnello in una missione che è un autentico
suicidio.”
“No,
non possiamo proprio.”
I
due si voltarono lentamente verso il monitor, dal quale Waxen li
fissava bramoso, coi baffi che tremavano come quelli di un segugio.
“Signori,”
cominciò autorevole l’attempato ufficiale,
“quando il dovere
chiama non si può rimanere indifferenti. E del resto, chi
muore per
l’Impero vissuto è assai, come recita il motto
dell’Accademia di
Carida. O era un verso di una poesia? Be’, non importa,
accetto la
missione!”
“Ma
no, colonnello, non è il caso,” dissero i due per
pura formalità,
con l’entusiasmo di una segreteria telefonica automatica.
“Non
tollererò rifiuti. Io sono l’unico che ha
l’esperienza
necessaria per portare a termine una missione di questo genere. Sono
già stato su Sullust almeno tre volte. Conosco perfettamente
quella
giungla maledetta! Ho solo bisogno di un aiutante!”
“Un
aiutante?” fece eco Tarkin, preso in contropiede
dall’insolita
richiesta.
“Un
ufficiale esperto ed affidabile che mi affianchi nel corso della
missione. Ricordo che durante la battaglia di Thali avevo ai miei
ordini un giovane capitano estremamente brillante, mandatemi
lui!”
“Come
si chiamava, colonnello?”
“Veers,
Maximilian Veers. Davvero
un ottimo elemento.”
Non
si ricorda neppure dov’è il suo alloggio,
l’altra sera lo hanno
trovato a dormire nelle cucine del quinto livello, ma se deve rompere
i coglioni la memoria gli torna eccome, accidenti!
Pensò Tarkin.
“Colonnello,
non è possibile, non posso darle quel capitano,”
rispose.
“Come
sarebbe a dire che non è possibile?”
replicò l’altro
indispettito, “io mi offro volontario per una missione
pericolosissima e non ho neppure diritto a un aiutante? Devo
purtroppo constatare che nelle forze armate imperiali le cose sono
molto peggiorate in questi ultimi anni, giovanotto. Non è
questo il
modo di trattare un ufficiale dei reparti combattenti!”
Tarkin
sospirò nuovamente. Ora lo aspettava l’arduo
compito di convincere
il colonnello che il Veers del quale stavano parlando aveva smesso di
essere un capitano da quindici anni buoni.
“Colonnello,
Veers non è più…”
“Se
non mi date il capitano Veers non parto!” minacciò
Waxen con
veemenza. Dopodiché chiuse la comunicazione lasciando nello
sgomento
più cupo tutto l’uditorio.
Gli
ufficiali si guardarono smarriti. La loro unica possibilità
di
togliersi dai piedi il devastante rompicoglioni era sfumata. A meno
di non degradare Maximilian Veers a capitano per spedirlo dietro a
Waxen nella giungla sullustiana.
“Mi
scusi, governatore…” una vocetta astuta si
levò da un angolo
della sala.
Tutti
si voltarono in quella direzione. Il capitano Piett, con un ghigno a
dir poco mefistofelico, proseguì: “Il signor
colonnello non parte
senza il capitano Veers. Ora le farò una domanda: chi di noi
non
sarebbe felice di veder partire il capitano
Veers per una missione possibilmente senza ritorno dall’altra
parte
della galassia?”
Per
quanto Tarkin fosse un maestro nel rimanere impassibile di fronte
agli spettacoli più inusitati dell’universo, la
diabolica
genialità del ragionamento gli fece comparire sul volto un
sorriso
che a non andare troppo per il sottile poteva quasi essere definito
radioso. Ecco che dopo una mattina di beghe e fastidi, che sembrava
cominciata male e finita peggio, gli si presentava la
possibilità di
liberarsi in un colpo solo di Waxen e Veers. Se
questo è un sogno,
pensò, non
svegliatemi.
“Forse
possiamo prendere due bog-wing con uno scurrier,” disse
compiaciuto, “mandatemi questo Veers.” Poi, rivolto
al capitano,
aggiunse: “Davvero un’ottima idea, mi complimento
per il suo
acume.”
“Modestamente,
cerco solo di fare il mio dovere per l’Impero,”
rispose l’altro.
Che
Piett fosse un leccaculo arrivista era ben noto a tutti, ma il tono
della risposta risultò talmente grondante di untuoso
servilismo che
persino l’ammiraglio Ozzel gli rivolse uno sguardo
disgustato.
Piett fece finta di non accorgersene.
Poco
dopo arrivò un personaggio che fu presentato come il
capitano Veers.
Entrò
lentamente, affiancato da due guardie che però sembravano
avere il
compito di sorreggerlo più che di impedire una sua eventuale
fuga,
perché aveva un’andatura barcollante e piuttosto
malferma.
Indossava come unico indumento una vestaglia di seta di un rosso
postribolare lunga fino al ginocchio e aveva un paio di mutandine da
donna ornate di lustrini intorno al collo. Sulla sua tempia sinistra
era ben evidente un’ecchimosi prodotta da un tirapugni
rodiano.
Gli
alti ufficiali riuniti nella sala lo fissarono a dir poco
annichiliti, nel silenzio che regnava si sarebbe sentito cadere uno
spillo.
“Lei
sarebbe il capitano Veers?” domandò diffidente
l’ammiraglio
Ozzel.
“…In
persona…”
“Non
le hanno insegnato come ci si presenta a dei superiori?”
Latenza
di svariati secondi. “Mi pare di sì…
anzi, sono quasi sicuro…”
L’ammiraglio
represse un moto di rabbia.
“Che
fine ha fatto la sua uniforme, capitano?” chiese bruscamente.
Veers
abbassò lo sguardo sui propri abiti, dei quali
sembrò accorgersi
solo in quel momento. Li contemplò perplesso per un mezzo
minuto
abbondante, poi rialzò la testa e lentamente disse:
“Bella
domanda…”
Ozzel
lanciò un’occhiata smarrita a Tagge, che
però si strinse nelle
spalle con aria rassegnata. “Cos’ha combinato
stavolta,
capitano?” chiese quest’ultimo, con un tono di
quasi paterna
preoccupazione.
”Boh…
il Worrt Arrapato è come una sala operatoria: sai come entri
ma non
sai come esci. L’ultima cosa che ricordo è che mi
bevevo un
cocktail gamorreano nel camerino di Samyra la danzatrice dei
ventri…”
Tagge
scosse la testa sempre più rassegnato.
“Forse
queste mutande sono sue,” aggiunse Veers dopo un
po’, cercando
con movimenti maldestri di sfilarsi l’indumento femminile dal
collo, “di Samyra, intendo… ma perché
ce le ho io? E che fine
hanno fatto le mie?…”
“Basta
così, capitano,” intervenne Tarkin,
“credo che nessuno qui abbia
voglia di assistere al degradante spettacolo di un essere umano
abbruttito dall’alcool. Le comunico che è stato
scelto per una
missione su Sullust in qualità di aiutante di campo del
colonnello
Waxen.”
Il
capitano rimase silenzioso, segno abbastanza evidente che era
completamente sbronzo. Qualsiasi ufficiale in possesso del proprie
facoltà mentali avrebbe reagito ad una notizia del genere
quantomeno
con un attacco di panico.
“Vada
a farsi una doccia fredda,” aggiunse Tarkin,
“partirà fra poche
ore.”
“Una
doccia fredda? Come si vede che lei non si è mai sbronzato,
signore…” rispose Veers esibendo il consueto
sorriso disarmante.
“Portatelo
via!” ruggì il governatore, che di fronte a
quell’espressione di
noncurante serenità aveva sempre scatti d’ira
incontrollati.
Veers
fu trascinato fuori dalle guardie. Sul pavimento lucido della sala
riunioni rimasero, al tempo stesso provocanti e minacciose, un paio
di mutandine rosse i cui lustrini mandavano riflessi abbacinanti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Giorno 1 - Effetti collaterali dei cocktail gamorreani ***
Giorno
1 – Effetti collaterali dei cocktail gamorreani
La
prima cosa di cui mi accorgo è che ho della gente intorno.
Devo
essere sdraiato da qualche parte e tutt’intorno a me
c’è un
tramestio confuso. Provo anche ad aprire gli occhi, ma vedo solo
figure indistinte. E poi la luce mi fa aumentare il mal di testa.
“Si
sta svegliando,” dice una voce.
“Alla
buon’ora,” risponde un’altra.
Qualcuno
cerca di sollevarmi, ma devo essere floscio come una dianoga morta e
ricado sul letto. La testa mi gira come se stessi facendo acrobazie
sfrenate col TIE fighter.
“Ma
che ha?” chiede una terza voce, o forse una delle due di
prima, “è
ferito?”
“No,
ha vinto una gara di birra con un trafficante di spacca-cervello
trandoshan, ha scatenato una rissa da Hoynk lo Sbronzo devastandogli
il locale e prima finire in coma etilico nel camerino di Samyra la
danzatrice dei ventri ha fatto a botte con una squadra di cacciatori
di taglie rodiani. Una serata quasi normale, per Veers.”
Vorrei
chiedere cosa succede e dove sono, ma mi viene fuori una cosa che
più
o meno somiglia a
“…skfszxbf…?”
“Dannazione,
è ancora ubriaco fradicio,” dice una delle voci
con tono
costernato, “e deve partire tra meno di tre ore! Passami
quella
siringa!”
“No,
potrebbe farlo stare male!”
“Peggio
di così? E poi, questa roba non può essere
più pericolosa dei
cocktail gamorreani che si scola di solito.”
Mi
scoprono senza tante cerimonie una spalla e una mano delicata come
quella di un wookiee ci conficca una siringa da dewback. Mi sfugge un
gemito soffocato.
“Buono,
capitano, vedrà che ora si sentirà
meglio.”
“…fxzsk…”
“Molto
bene, ora le inietto il farmaco,” mi dice una voce dal tono
professionale.
Un
male porco alla spalla, tutto il braccio e mezzo torace.
“Ahia!!
Ma che cazzo è, acido solforico?” grido
sussultando costernato,
diabolicamente lucido e col braccio intorpidito fino alla punta delle
dita.
“Vedi?
Ha funzionato!”
La
situazione che mi si presenta è la seguente: sono nel mio
letto, ho
addosso una vestaglia di seta rossa e ho davanti un sottufficiale,
due soldati e un caporale della sanità. Sono perplesso.
“Mi
sono perso qualcosa?” mormoro guardandomi intorno.
“Sta
meglio, ora, signor capitano?” si informa cortesemente il
sottufficiale.
“Non
lo so ancora. Devo avere un ammutinamento in corso nel sistema
nervoso autonomo. Che razza di porcheria mi avete
somministrato?”
“Segreto
militare.”
“Però
ora è lucido, vigile ed orientato nel tempo e nello spazio,
signore,” interviene il caporale della sanità.
“Più
o meno. A cosa devo questa terapia d’urto?”
Il
sottufficiale mi dice: “signore, lei è stato
scelto per
accompagnare il colonnello Paul Waxen su Sullust in qualità
di
aiutante di campo.”
La
sconcertante rivelazione rischia di farmi perdere nuovamente i sensi.
Aiutante di campo di ‘Alzheimer’
Waxen su Sullust? Cazzo! Non mi passerà più!
“Perché?
Cos’ho fatto stavolta per meritare una punizione del
genere?”
chiedo smarrito.
“Ha
tempo, signore, o le faccio un riassunto?” risponde
l’altro
consultando un palmare.
“No,
fa lo stesso. Mi dica qualcosa della missione, piuttosto.”
“Signorsì.
Alcuni mesi fa una spedizione è partita per Sullust. Dopo
circa una
settimana di regolari comunicazioni, abbiamo smesso di ricevere
messaggi. Non è stato possibile neppure tracciare i
dispositivi di
ricerca automatica che i mezzi avevano in dotazione. È come
se
l’intero gruppo fosse sparito nel nulla. Dovete andare sul
posto
per cercare di scoprire cos’è successo.”
“Qual
era la loro missione su Sullust?” chiedo.
“Questa
informazione è top secret, signore. Le verrà
rivelata a tempo
debito.”
Ho
capito. Una spedizione imperiale è scomparsa su un pianeta
la cui
popolazione non è mai stata apertamente ostile ma neppure
particolarmente favorevole all’Impero, per metà
ricoperto di una
giungla fitta e piena di bestie schifose e per l’altra
metà un
deserto inospitale di pietra vulcanica dove si può vivere
solo in
cunicoli sotterranei. E per cercarla mandano un vecchio rincoglionito
che non riesce neppure a trovarsi il buco del culo con due mani.
Sarò
prevenuto, ma giurerei che l’intenzione sia più
che altro quella
di liberarsi del vecchio rincoglionito in questione. E possibilmente
anche del simpatico capitano che è stato scelto per
accompagnarlo.
Mi
alzo lentamente in piedi. Barcollo un po’, ma
fondamentalmente sono
a posto. I miracoli della chimica farmaceutica non smetteranno mai di
stupirmi.
Faccio
cenno ai miei simpatici ospiti di accomodarsi fuori e mi metto in
uniforme. Già che ci sono preparo anche lo zaino, se devo
andare in
missione potrei averne bisogno.
Poco
dopo, il solerte sottufficiale mi consegna il materiale informativo e
i documenti relativi alla missione, poi mi accompagna alla navetta
per la stazione orbitante MPX. Mi spiega che là
incontrerò il resto
della spedizione, cioè altri otto elementi, ivi compreso
l’aborrito
Waxen.
“Con
questo mezzo dovrebbe arrivare a MPX in tre ore.”
“Grazie,
sergente.”
“Ah,
un’altra cosa, signore,” aggiunge con fare
imbarazzato, “buona
fortuna. Ne avrà bisogno.”
“Siamo
incoraggianti, eh?”
Ma
l’altro non risponde e si allontana velocemente, lasciandomi
al mio
destino.
Mi
accomodo sul trasporto mentre una voce sintetica ma gentilissima
fornisce ai passeggeri alcune notizie sul tragitto. Nei sedili vicini
al mio ci sono alcuni inquietanti personaggi alieni, probabilmente
impiegati civili. Proprio di fronte a me siede un trandoshan
apparentemente ubriaco (a meno che l’odore di liquore
scadente e
l’aria rincoglionita non siano caratteristiche tipiche della
specie) che parla concitatamente dentro un com-link nella sua lingua
e di fianco ho una coppia di bothan, col che sfatiamo il mito che
lavorino solo per i ribelli.
Io
intanto consulto gli scarni dati che mi sono stati forniti. Ci sono
un profilo psico-attitudinale di ognuno dei membri della spedizione
precedente, una breve descrizione dell’itinerario percorso
dalla
squadra prima di scomparire, notizie generali su Sullust e poco
altro. Decisamente, non si sono sprecati. Con l’ultima
edizione
della guida “Lonely Galaxy” ottengo facilmente
tutte le notizie
che mi servono su Sullust compreso il prezzo medio di una troia
sullustiana e di sicuro una cosa di cui mi frega meno di niente sono
i profili pisco-attitudinali dei membri della spedizione precedente.
Bazzecole assolutamente marginali come contatti sul posto,
possibilità di comunicare con il comando ed eventuale
presenza di
forze ribelli o altri pericoli saranno una simpatica sorpresa quando
arriveremo a destinazione. Io vorrei proprio sapere chi è il
cazzone
che prepara il materiale informativo per le missioni.
Mentre
bestemmiando fra me e me consulto gli scarni dati, arriviamo a
destinazione. Raccolgo le mie cose e mi dirigo verso il centro di
smistamento militare. Comincio a guardarmi intorno alla ricerca dei
miei compagni di viaggio, anche se in mezzo a duemila militari di
tutte le armi non sarà facilissimo trovarli.
Ma
dopotutto, se abbiamo conquistato mezzo universo un motivo
c’è. Mi
sto aggirando irresoluto quando un capitano mi ferma e chiede:
“È
lei il capitano Veers?”
Ho
smesso di rimanere basito di fronte a questi sfoggi di marziale
efficienza. Gli rispondo di sì, lui mi invita a seguirlo.
Percorriamo un corridoio e giungiamo ad una stanza dove sono riuniti
alcuni umani e un paio di alieni.
Si
fa subito avanti un attempato colonnello, un ometto con i capelli
bianchi ed un bel paio di baffi dalle punte
all’insù, che mi
scruta con occhio critico. Questo dev’essere Waxen.
“Il
capitano Veers, signor colonnello,” dice
l’ufficiale che mi ha
accompagnato.
Il
vecchietto aggrotta le sopracciglia, mi squadra attentamente poi fa:
“La ricordavo più alto, giovanotto.” E
si attorciglia un baffo
attorno all’indice con aria perplessa.
“Veramente,
signore, io non l’ho mai vista prima,” rispondo
ingenuamente,
senza tenere conto della celeberrima demenza senile del soggetto.
“Che
sciocchezze, giovane capitano! La sua memoria è davvero
scarsa se
non ricorda che era il mio aiutante di campo durante la battaglia di
Thali. O era la battaglia di Okakwejo? Be’, fa lo stesso,
comunque
lei era il mio aiutante di campo.”
Faccio
mente locale e finalmente mi viene l’illuminazione:
“Ma signore,
quello che dice lei è mio zio, Maximilian Veers delle truppe
d’assalto. Io mi chiamo Roy Veers e sono nella flotta
imperiale.”
“Ah,
capisco,” risponde il colonnello perplesso. Poi, dopo una
lunga
pausa, mi chiede: “Ma perché poi ha cambiato nome,
giovane
capitano? Maximilian non le piaceva?”
“Oh,
merda…” gemo disperato.
“Figliolo,”
mi riprende subito Waxen, “che modo di esprimersi
è questo? Parli
come si conviene ad un ufficiale!”
Si
mette anche a sgridarmi come se fossi un dodicenne, siamo a posto.
“Signore,
io non sono Maximilian Veers!” insisto.
“Oh,
bella! E chi sarebbe allora?”
“Capitano
Roy Veers, della flotta imperiale.”
“Vuole
prendersi gioco di me, figliolo?”
Ma
prima che io possa rispondere, o anche solo avere una crisi isterica,
il colonnello mi fissa con aria critica e fa:
“Cos’è quell’abito
a dir poco pittoresco che ha indosso, giovanotto?”
Rimango
basito, anche perché stavolta il mio abbigliamento non ha
niente di
strano. “Signore, ma è l’uniforme
tropicale,” rispondo,
“stiamo per andare in un posto dove ci sono quaranta gradi e
il
100% di umidità.”
“Cos’è
questa sciatteria?” ribatte Waxen, “da quando in
qua un ufficiale
deve andare in giro vestito in questa ridicola maniera per colpa di
un po’ di caldo? Il mio stimato comandante, il
generale… il
generale… be’, mi verrà in mente prima
o poi, stava in uniforme
di servizio completa anche nel deserto dello Jundland ed era un
esempio per tutti i suoi uomini. Si cambi immediatamente!”
“Ma
signore, non siamo mica sul ponte di uno star destroyer!”
“Non
discuta, figliolo. Questo è un ordine!”
Forse
ho capito qual è la tattica da usare con
quest’uomo dal cervello
squinternato.
“D’accordo,
signore,” gli rispondo obbediente, “mi
metterò in uniforme di
servizio. Sa dirmi che ore sono, per favore?”
Colto
alla sprovvista dall’insolita domanda, il colonnello esita un
attimo, poi dice: “Le undici e trenta antimeridiane.
E… di cosa
stavamo parlando, giovane capitano?”
“Di
quanto è comoda e pratica l’uniforme tropicale che
mi ha appena
dato il permesso di indossare, signore.”
“Ah,
già. Certo, certo. Una scelta molto assennata, figliolo.
Soprattutto
tenendo conto delle condizioni climatiche che troveremo sul posto.
Su… quel pianeta con la giungla…”
“Sullust,
signore,” suggerisco.
“Ah,
certo, naturalmente. Sullust. Del resto, ricordo che anche un mio
stimatissimo superiore, il colonnello… o era un
generale?… Be’,
comunque diceva che non esistono cattivi equipaggiamenti, ma solo
cattivi climi. O era il contrario? Diamine!”
Lo
lascio a ragionare sull’architettura della sua citazione e mi
rivolgo nuovamente al capitano che mi ha accompagnato.
Questo
mi guarda con vago compatimento e dice: “Le presento gli
altri
membri della spedizione.”
Il
primo che chiama è un ufficiale medico dall’aria
cupa.
“Capitano
Evan Hyaskon,” si presenta.
Io
mi presento a mia volta e gli chiedo: “Senta, collega, non
è che
potrebbe far qualcosa per la demenza senile di quel dannato
colonnello? Io lo conosco da dieci minuti e ho già voglia di
ucciderlo, non posso neanche pensare di passarci insieme tutta la
missione.”
Con
voce lugubre, mi risponde: “E cosa vuole che faccia? La
demenza
senile è incurabile, non c’è
rimedio… sarà una missione
terribile…” poi mi gira le spalle rassegnato e si
allontana.
Rimango a fissarlo smarrito finché il mio accompagnatore non
attira
la mia attenzione.
“Il
Wookiee è il cameriere personale del colonnello,”
mi spiega,
indicando un bestione peloso alto due metri e venti, “il suo
nome è
troppo difficile da pronunciare, per cui tutti lo chiamano
Lothar.”
Lo
saluto, mi risponde con un grugnito.
“Qui
ci sono i suoi soldati,” prosegue il capitano,
“sono reclute
appena uscite dalla caserma di addestramento, ancora in attesa
dell’ID. Si chiamano Bud Wolfen, Ross Lawrence e Vic
Felsen.” Mi
indica tre soldatini dall’aria spaurita, che mi danno
l’idea di
essere imbranati come dei gungan mongoloidi.
Lo
guardo con aria interrogativa, ma si stringe nelle spalle senza darmi
spiegazioni. Torno a voltarmi verso i tre sfigati, che mi stanno
salutando militarmente.
“Come
ti chiami, soldato?” chiedo a quello di mezzo.
“Lawrence,
signore. Soldato semplice Ross Lawrence!”
“Si
saluta con la destra, Lawrence, non con la sinistra.” Se
queste
sono le truppe incaricate di proteggerci siamo messi bene.
Il
capitano mi presenta a questo punto una signora in borghese piuttosto
attempata e con un’aria decisamente arcigna. “La
professoressa
Ophelia Du Bal, docente di dialetti alieni
all’Università di
Coruscant.” Notando il mio totale smarrimento, aggiunge:
“È
l’unica umana in grado di parlare il sullustiano
correntemente.”
“Ma
non ci sono i droidi protocollari per questo?” azzardo
speranzoso.
“Non
ne avevamo di disponibili. Quello destinato a voi è andato
inaspettatamente in avaria ed era tardi per richiedere il droide
sostitutivo. Per fortuna la professoressa non aveva impegni.”
“Veramente
una bella fortuna,” rispondo, mentre la signora mi rivolge
uno
sguardo sussiegoso.
L’ultima
rimasta è una twi’lek azzurra che probabilmente
rappresenta
l’unico lato positivo di questa missione del cazzo,
perché è una
gnocca impressionante: alta quasi come me, con due tette che
insultano la forza di gravità con epiteti irriferibili, un
culo
spettacolare e la minigonna pitonata.
“Io
sono Fjo’ona, la segretaria del colonnello Waxen,”
sussurra
sfarfallando gli occhioni adorni di vistose ciglia finte.
“Segretaria?”
chiedo basito, “e da quando in qua gli ufficiali si portano
in
missione la segretaria?”
“È
per le pratiche figliolo!” esclama il colonnello sopraggiunto
nel
frattempo.
“Scusi,
quali pratiche?”
“Le
pratiche, perbacco, le pratiche! Ormai non possiamo più
sparare
nemmeno un colpo di blaster senza prima compilare un dannato modulo.
Ci stanno avvelenando la vita con questa roba, maledetti burocrati!
Siamo governati dai ragionieri!”
Sospiro
levando gli occhi al cielo, il colonnello pensa che lo faccia
perché
anch’io sono esasperato dalle pratiche.
Fatte
le dovute presentazioni, il collega che mi aveva accompagnato se ne
va lasciandomi in balia del branco di cialtroni.
Li
guardo sconcertato: la professoressa e la twi’lek stanno
già
litigando, le tre reclute stanno cercando disperatamente di seguire
un racconto di guerra del colonnello, che però ha
già ricominciato
la narrazione tre volte e tutte e tre le volte ha fornito una
versione diversa, il wookiee cammina su è giù
dondolandosi ed
emettendo bramiti e il capitano medico scuote la testa sospirando con
aria cupa.
Controllo
i dati in mio possesso. Secondo il mio palmare, dovremmo prendere
posto su una nave adibita al trasporto truppe che ci lascerà
a Mos
Eisley. Da lì proseguiremo per Pettah, a quanto pare la
città
principale di Sullust, con un trasporto più piccolo.
“Signor
colonnello,” comincio, distraendolo dal racconto di un
aneddoto di
guerra, “il nostro mezzo sta per decollare. Non pensa che
sarebbe
meglio avviarci?”
“Perché?
Dove dobbiamo andare?”
“La
prima tappa è Mos Eisley, ma siamo diretti a Pettah, signor
colonnello.”
“Pettah…
questo nome mi dice qualcosa. È su Sullust, vero? E che ci
andiamo a
fare, giovane capitano?”
“Non
mi dica che se l’è già
dimenticato.”
“Figliolo,
io non dimentico mai niente!” esclama il colonnello irritato,
“Chiaramente dobbiamo… dobbiamo…
insomma, abbiamo delle cose da
fare laggiù. Andiamo!”
Si
incammina risolutamente scortato da Lothar che muggisce seminando
pelame dappertutto e, a qualche metro di distanza, da tutto il resto
della truppa, professoressa e gnocca twi’lek comprese.
Io
lo seguo disperato, elencando mentalmente tutti i sistemi che conosco
per simulare un incidente mortale e ragionando su quale sia
più
opportuno usare.
Il
trasporto sul quale prendiamo posto può caricare
quattrocento tra
soldati e ufficiali e quando arriviamo noi è già
bello pieno.
Rimangono solo i nostri nove sedili, dislocati qua e là. Il
colonnello, sempre tallonato dal fedele wookiee, si accomoda di
fianco ad un maggiore delle truppe d’assalto e prima ancora
di
essersi allacciato le cinture di sicurezza comincia a devastargli le
gonadi con vari aneddoti di guerra. Scuotendo la testa con
rassegnazione, il capitano medico si posiziona vicino ai droidi
protocollari. Dopo aver rischiato di inciampare sulla rampa di
salita, i tre soldatini arrancano faticosamente lungo il corridoio
sbattendo gli zaini dappertutto e finalmente si siedono trafelati.
“Io soffro il mal di spazio…” mormora
uno dei tre, mi pare che
sia Felsen, assumendo un colorito verde pallido. A fatica lo
convinco che per avere mal di spazio bisogna almeno aspettare che
l’astronave sia decollata.
Fjo’ona
percorre il corridoio ancheggiando e tutti i presenti esclusi i
droidi protocollari e la docente universitaria tirano fuori un metro
abbondante di lingua. Giunta ai posti riservati agli ufficiali
superiori fa due moine e almeno tre generali di corpo
d’armata
cominciano a litigare per cederle il posto.
Rimaniamo
io e la professoressa Du Bal, che abbiamo due posti vicini verso il
fondo, proprio dove ci sono i cessi. Mi siedo rassegnato, mi
toccherà
di sorbirmi l’arcigna docente per tutto il volo.
La
nave, intanto, sta cominciando le manovre di decollo. Viene trainata
sulla pista e lì accende i reattori. Le navi militari non
sono
comode come quelle civili, per cui dentro tutto comincia a vibrare e
il sibilo delle turbine, almeno finché non vanno a regime,
è
piuttosto forte. La Du Bal mi fissa con riprovazione, come se la
colpa di tutto ciò fosse specificamente mia, io mi stringo
nelle
spalle e le rivolgo un sorriso disarmante. Le fa lo stesso effetto
che fa a Tarkin.
Un
attimo dopo, l’accelerazione ci schiaccia contro i sedili: un
tipico decollo militare, completamente scevro di quelle stucchevoli
premure che caratterizzano i voli civili, nei quali generalmente si
cerca di evitare che passeggeri paganti si mettano a vomitare o
abbiano attacchi di panico.
Sempre
più infastidita, la professoressa guarda fuori dal
finestrino poi mi
fissa severa negli occhi e con tono che non ammette repliche mi dice:
“Qui c’è qualcosa che non va: non si
alza.” E mi rivolge
un’occhiata carica di significato.
Io
mi astengo naturalmente dal chiederle se sta alludendo alle
prestazioni sessuali di suo marito e le rispondo: “Non si
preoccupi, è una procedura normale.”
“Io
ho preso decine di trasporti iperspaziali, mio caro,” mi
risponde
acida, “e questa non
è affatto
una procedura normale.”
“Signora,
questo è un mezzo militare. Non ha le procedure delle navi
civili.”
“Professoressa,
prego. E comunque non penso affatto che sia come dice lei. Qui
c’è
di certo qualcosa che non va. A meno che, naturalmente, il pilota non
voli a bassa quota perché ha deciso di farci ammirare il
paesaggio.”
“Professoressa,
eccellenza o come diavolo vuole che la chiami,” rispondo
guardandomi intorno nella vana ricerca di un altro posto libero,
“si
dà il caso che io sia un pilota militare, quindi se le dico
che
queste sono le procedure militari mi faccia il favore di prenderne
atto e basta.”
Sono
stanco e ho mal di testa, figurarsi se ho voglia di sopportare questa
rompicoglioni fino a Mos Eisley. Piuttosto mi chiudo nel cesso per
tutte le quattro ore di volo.
La
mia interlocutrice inarca le sopracciglia con aria di sarcastica
degnazione e ribatte: “Sarà come dice lei,
allora…” quindi
smette di darmi udienza e si immerge nella lettura di un testo in
geonosiano antico.
Io
provo a dormire, ma tra gli scossoni, la turbolenza, il casino che
fanno i soldati, i bramiti del wookiee e la professoressa che
fraseggia in geonosiano emettendo suoni che sembrano una padellata di
popcorn sul fuoco, la cosa si rivela alquanto difficile.
Tanto
per ingannare il tempo, mi metto a leggere i famosi profili
psico-attitudinali e le note caratteristiche dei partecipanti alla
spedizione dispersa. E qui imparo la seconda parte – quella
divertente – delle informazioni riguardanti il nostro
obiettivo: se
pensavo che questa fosse una missione di merda devo assolutamente
ricredermi, questa missione è senza alcun dubbio la
quintessenza
dell’apoteosi della merda; se devo immaginare qualcosa di
peggio mi
viene in mente solo un’esplorazione rettale a un rangkor
incazzato
con le emorroidi.
In
pratica, sembra che il capo della missione precedente, tale
comandante Jerec Kurtz, sia una congerie di disturbi psichiatrici,
tra i quali prevalgono patologie deliranti a sfondo mistico e
megalomanico, idee messianiche, disturbo antisociale di
personalità,
stati maniacali, psicosi paranoide, sadismo primario e altre cosette
di minore importanza. Tale inquietante personaggio, che fra
l’altro
appartiene ai reparti speciali ed è un soldato di
eccezionali
capacità, è stato mandato un discreto numero di
volte sotto corte
marziale per vari crimini, in particolare atti di crudeltà
gratuita
nei confronti di civili e prigionieri di guerra. Altrettante volte
è
stato ricoverato in ospedale psichiatrico in preda alla convinzione
di essere Dio e di avere la missione di riportare ordine
nell’universo.
Durante
la sua ultima spedizione, per l’appunto quella su Sullust,
dopo
aver lasciato dietro di sé una scia di massacri, stupri e
devastazioni da far impallidire una colonia di hutt, il comandante
Kurtz ha avuto una riacutizzazione del suo delirio
mistico-megalomanico, ma questa volta si è sottratto alle
cure
mediche, si è ammutinato ed è scomparso con i
suoi uomini. Secondo
fonti ufficiose ma attendibili, avrebbe istituito da qualche parte
nella giungla sullustiana una sorta di monarchia teocratica basata
sul terrore e sarebbe adorato come una specie di divinità
dagli
indigeni tam-hil, una razza di sullustiani feroci che vive nel folto
della vegetazione tropicale.
Noi
abbiamo il poco invidiabile compito di ritrovare questo bel soggetto,
avvicinarlo senza venire fatti a tocchi dai suoi scherani e
somministrargli o la terapia o, in via subordinata, un colpo di
blaster in mezzo agli occhi nel caso rifiutasse le cure
farmacologiche.
Se
non fossi consapevole del pericolo che stiamo correndo, giuro che mi
metterei a ridere. Dobbiamo catturare una belva assetata di sangue e
completamente folle, adorata come un dio da migliaia di selvaggi noti
per la loro inaudita efferatezza e chi siamo? Un vecchio idiota con
l’Alzheimer, un’arcigna docente universitaria, una
svampita in
minigonna, tre reclute imbranate, un capitano medico
dall’aria
lugubre, un grosso tappeto ambulante e il sottoscritto, che non alza
certo la media.
L’avvisatore
acustico segnala l’entrata nell’atmosfera di
Tatooine. Atterriamo
poco dopo nella zona militare dello spazioporto di Mos Eisley.
Scendiamo
poi a terra più o meno ordinatamente: Lothar si fionda
giù muggendo
e seminando il panico tra alcuni jawas che avevano già
cominciato a
palpeggiare con aria lasciva la nostra nave, i tre soldatini
imbranati escono lentamente vacillando: Felsen era quello che
soffriva di mal di spazio e durante il viaggio ha vomitato anche
quello che aveva mangiato sei mesi fa, ma gli altri due, per non
essere da meno, hanno pensato di farsi venire a loro volta il mal di
spazio e sono stati male come bestie. Hyaskon li visita al volo
direttamente sulla rampa e prescrive loro molti liquidi e
reintegratori salini, poi se ne va cupo come al solito.
La
professoressa Du Bal scende sbuffando con aria esasperata, mentre
Fjo’ona compare sul portello scortata dai due piloti. Ora mi
spiego
il perché della traiettoria di volo irregolare: altro che
turbolenza…
Da
ultimo, occhietto vispo e baffi frementi, scende con balzi atletici
anche Waxen, che mi si avvicina e dice: “Magnifico volo,
nevvero,
giovane capitano? Mi ha fatto ricordare i bei tempi, quando durante
la battaglia di Sur facemmo un attacco a volo radente attraversando
tre sbarramenti di… di cosa… come si chiama?
Quell’artiglieria
che spara ai caccia…”
“Contraerea?”
“Certo,
esatto! Intendevo proprio quella! Ma di cosa stavamo parlando,
figliolo?”
“Mi
stava raccontando di Sur, signore.”
“Perché,
che è successo a Sur?”
“Oh,
niente di importante, signore.”
“Volevo
ben dire. Dove dobbiamo andare adesso?”
Consulto
rapidamente i miei dati e rispondo: “Abbiamo un po’
di attesa
perché stanno preparando la navetta di classe Lambda per
arrivare a
Pettah. Suggerirei di dare una mezz’ora di libertà
agli uo… ehm,
volevo dire alla gente.” Abbiamo tre ragazzini, una signora,
un’aliena scosciata e due metri e venti di wookiee, direi che
qui
gli uomini sono in netta minoranza.
“Ottima
idea, figliolo, davvero ottima. Del resto, mi ricordo che anche nella
battaglia di Thali diede prova di un encomiabile senso
pratico!”
E
dai con la battaglia di Thali. Ormai l’ho presa persa, per
cui non
perdo tempo a spiegargli che io non sono mio zio e lo abbandono
sperando che vada a vedere troppo da vicino un reattore in
accensione.
Mentre
mi aggiro per la sala d’attesa della zona civile mi
intercetta
Fjo’ona, delusissima dalla profumeria che ha visitato al
duty-free.
Mi porge i polsi facendomi capire che devo annusarli nella loro
superficie palmare, poi mi dice: “Uno è Brivido
Lascivo
e l’altro è Sabipode
in Calore.
Lei quale sceglierebbe?”
“Dipende
se mi serve un insetticida o un disinfettante da cesso.”
“Uffa,
non dica così!” protesta la twi’lek.
Poi, abbassando la voce e
sfarfallando gli occhioni, aggiunge: “Io lo prendo per la
missione,
capisce cosa intendo?…”
“Allora
propenderei per l’insetticida. Per i cessi avrà
sicuramente
qualcosa il capitano medico.”
“Non
mi ricordo più qual è dei
due…” si lamenta Fjo’ona desolata,
ben lontana dal cogliere la sottile ironia appena accennata presente
nella mia risposta.
Stiamo
così ragionando di profumi quando passa un gruppetto di
civili
sullustiani verosimilmente diretto a Pettah con un mezzo di linea.
Fjo’ona li osserva incuriosita, con i piedi un po’
all’indentro
e un ditino vezzoso in bocca, poi fa uno strillo e ridacchiando mi
dice: “Guardi! Guardi quelle sullustiane!”
Io
guardo, ma mi sembrano normalissime. Mi volto verso la segretaria
particolare con aria interrogativa.
“Non
hanno le gambe depilate, che orrore!”
“Fjo’ona,
ma tu guardi le gambe delle sullustiane?” le chiedo
preoccupato.
Spero che non si tratti della tipica budellona zoccolante che tira a
farsi qualsiasi cosa si muova, altrimenti prevedo casini, e non solo
in senso figurato.
“No,
ma… ha visto che brutte? E dire che qualcuna sarebbe anche
carina
se si tenesse un po’.”
Mi
guarda di sottecchi aspettandosi che io le spari qualche complimento
su come invece sono perfettamente depilate e lisce come seta le sue
gambe, ma io me ne astengo accuratamente. Se dai corda a una
twi’lek
sei finito, diventa talmente appiccicosa che dopo per liberartene ti
tocca di buttarla in pasto a un rangkor.
“Lo
sai come si riconosce una sullustiana dal parrucchiere,
Fjo’ona?”
“No,
come?”
“È
l’unica che ha i bigodini nelle gambe.”
Mi
allontano lasciandola a riflettere su questa sconvolgente
rivelazione.
Poco
dopo ripartiamo alla volta di Pettah. Purtroppo il colonnello non
è
stato cotto da un reattore, la docente non è stata
ripetutamente
stuprata dal gruppo di Tusken che si aggira predace tra i passeggeri
civili e la twi’lek ha comprato una tanica di colonia che
puzza
come un bordello in fallimento. Per prima cosa cerca di aspergerne il
wookiee asserendo che fa odore di selvatico e la salviamo a stento da
un manrovescio che avrebbe staccato la testa a un gundark.
Le
tre reclute salgono a bordo con aria desolata. “Devo fare la
pipì…”
mormora Wolfen.
Sospiro.
“Wolfen, un soldato deve saper sfruttare i momenti opportuni
per
farla. Siamo stati due ore fermi in un luogo pieno di cessi.
Perché
diavolo non hai pisciato?”
“Io…
io non me la sentivo, signore. C’era delle gente che mi
guardava.”
“Come
facevi in caserma, Wolfen?”
La
recluta mormora qualcosa di inintelligibile che ritengo opportuno non
approfondire.
“C’è
il cesso della navetta. Usa quello e non rompere,” gli dico
severamente. Mi hanno dato delle reclute imbranate e per di
più con
la fobia dei cessi, non c’è limite al peggio.
Carichiamo
anche il capitano medico, poi viene chiuso il portello e decolliamo.
Io cerco di dormire, forse domattina mi sveglierò e mi
accorgerò
che tutto questo è solo un brutto sogno.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Giorno 2 - Giungiamo sul posto ***
Giorno
2 – Giungiamo sul posto
La
cruda realtà mi accoglie il mattino dopo con una turbolenza
sfrenata
come una danza gungan. Stavolta non è colpa di
Fjo’ona, perché la
vedo tranquillamente seduta, le gambe accavallate con mutanda ben in
vista, che si depila le sopracciglia.
Non
so che ore siano, perché a forza di cambiare sistemi astrali
ho
perso un po’ il conto. So in compenso che sono distrutto
dalla
stanchezza e, per quanto posso vedere, anche gli altri non sono messi
meglio di me: le tre reclute dormono ammucchiate l’una
sull’altra
in un angolo, il wookiee è steso lungo per terra a pancia
all’aria
e russa come un bantha con le adenoidi, la professoressa Du Bal ha
smesso di scoppiettare e si è addormentata sul suo testo in
geonosiano, Hyaskon sta rivivendo in sogno un’operazione che
non
dev’essere andata troppo bene e Waxen è fermo in
arresto
psicomotorio con lo sguardo perso nel vuoto.
Poco
dopo entriamo nell’atmosfera di Sullust fendendo nubi
compatte e
ricche delle più inusitate varianti di turbolenza.
Sobbalziamo
amabilmente mentre il contenuto degli armadietti crolla sui
dormienti. Nel frattempo mi sono accertato dell’orario
– è prima
mattina – e ho detto ai piloti di comunicare alla guarnigione
che
troveremo a terra che stiamo arrivando.
Finalmente
ci posiamo sulla pista e il portello viene aperto. Le truppe,
più o
meno sveglie ma ancora piuttosto rincoglionite, cominciano a scendere
con passo incerto. Fuori c’è un caldo umido
devastante e
tutt’intorno allo spazioporto lussureggia una giungla
impenetrabile.
Da
una costruzione poco lontana esce un ufficiale accompagnato da alcuni
soldati, ci raggiunge e si presenta: “Tenente Larsen della
Guarnigione di Sullust. Lei dev’essere il capitano Veers,
suppongo.
La stavamo aspettando. E dov’è il colonnello
Waxen?”
Mi
volto: Waxen è scomparso.
Proferisco
un paio di sentite imprecazioni e comincio a guardarmi intorno.
Larsen, che non sa nulla delle simpatiche peculiarità del
mio
superiore, mi fissa piuttosto stupito.
Considerando
che siamo nel bel mezzo di una pista di atterraggio e non
c’è
nulla nel raggio di trecento metri, vado a vedere se per caso
è
tornato a bordo. Lo trovo seduto al suo posto con tanto di cinture di
sicurezza allacciate. “Allora, vogliamo partire?”
mi chiede
perentorio, come se la navetta non stesse decollando per colpa mia.
“Partire?
Ma signor colonnello, siamo appena arrivati…”
rispondo basito.
“E
come siamo arrivati ripartiamo!” ribatte caparbio
l’altro.
“Questa non è Coruscant!”
“Infatti
è Sullust, colonnello. Ricorda? La missione, la spedizione
perduta…”
azzardo speranzoso.
“La
smetta di insinuare che io non mi ricordo le cose, giovane e sventato
capitano! Quando avrà la mia esperienza di guerra
potrà parlarmi
come un mio pari, ma per ora le consiglio di mostrare più
rispetto!”
Come
cazzo faccio a gestirmi costui per tutta la missione? Ci conosciamo
da poco meno di un giorno e ho già voglia di farlo a pezzi
con
un’ascia gamorreana. Non oso immaginare cosa
succederà quando
saremo nel fitto della giungla sullustiana con i tam-hil e il pazzo
paranoide da scovare.
A
questo punto si affaccia anche Larsen, che ingenuamente chiede:
“C’è
qualcosa che non va, signor colonnello?”
“Certo,”
risponde Waxen, “nulla sta andando come deve andare! Io mi
stavo
recando a Coruscant per un’importantissima missione
diplomatica,
dovevo conferire con Sua Eccellenza il Gran Conestabile gamorreano
Svyne III, e questo branco di incapaci mi ha scaricato qui
su… su…
come diavolo si chiama questo posto?”
“Ma
Svyne III non è più in carica da
vent’anni e a quest’ora sarà
già morto…” mormora Larsen senza
capacitarsi di quello che sta
succedendo.
“Ha
mai sentito parlare di demenza senile, tenente?” gli chiedo
mentre
Waxen sta ancora strillando inviperito.
Il
tenente mi fissa con la faccia a punto interrogativo, poi fissa
sconcertato il colonnello e dice: “Io… temo di non
capire…”
“Sarebbe
un po’ lunga spiegarle tutto quanto, tenente,” gli
rispondo, “le
basti sapere che al comandante della missione saranno rimasti
sì e
no un paio di centinaia di neuroni avariati. Sia gentile, mi mandi il
capitano medico.”
Larsen
scompare con gli occhi pallati. Poco dopo arriva Hyaskon. Gli indico
il colonnello che inveisce con gli occhi iniettati di sangue e i
baffi frementi e gli chiedo: “Non risponde più a
nessuna
sollecitazione. C’è modo di resettarlo?”
L’altro
lo fissa con aria professionale, poi tira fuori un siringone e dice:
“Signor colonnello, è l’ora della
vaccinazione.”
“Cosa?
Quale vaccinazione?” chiede Waxen diffidente.
“Contro
il Morbo
Bavoso,
endemico su Gamorr. Se deve andare a conferire con il Conestabile
gamorreano è obbligatorio, perché si tratta di
una malattia
altamente contagiosa.”
“Ma
io non mi sono mai ammalato in vita mia!” protesta il
colonnello.
“Vuole
farmi credere che un guerriero come lei ha paura di una
punturina?”
chiede mellifluo il capitano medico.
“Capitano,
le proibisco
di fare queste insinuazioni!” ribatte Waxen,
dopodiché gli porge
la chiappa. In meno di tre secondi, comincia a dormire come un worrt
satollo. Lothar se lo carica in spalla e lo porta a terra.
“Dove
eravamo rimasti, tenente?” chiedo a Larsen quando finalmente
siamo
tutti riuniti e dotati di effetti personali.
Fissando
ogni tanto di sottecchi Waxen collassato sulla spalla del wookiee, il
nostro ufficiale spiega: “Ora vi daremo uno sprinter con
equipaggio
locale, vi porterà a Negombo, dove troverete Mister
Beruwela, il
nostro agente locale più fidato. Sarà lui che vi
darà
l’equipaggiamento necessario alla missione.
Questo,” indica un
sullustiano grasso dall’aria pacifica,
“è Rani, la vostra guida.
Parla abbastanza bene la lingua corrente, per cui non avrete bisogno
dell’interprete.”
Finalmente
una bella notizia.
“Professoressa,
può anche tornarsene all’università di
Coruscant se proprio ci
tiene,” dico allegramente alla Du Bal, soddisfatto
all’idea di
disfarmi della sussiegosa rompicoglioni.
“Neppure
per sogno,” risponde la docente, di certo con
l’unico intento di
farmi un dispetto, “ora che sono venuta fin qui non
perderò certo
l’occasione di parlare il sullustiano con i
madrelingua!”
“Lo
dicevo per lei,” ribatto, “oltre ai madrelingua in
queste giungle
ci sono anche parecchi insetti disgustosi.”
La
docente ha un fremito di ribrezzo, ma risponde: “Io non ho
paura!”
“Lei
l’avrà,” vaticino funesto,
“Lei l’avrà…” E poi
la
lascio lì a chiedersi quali insetti orrendi si
troverà addosso nei
prossimi giorni.
Ci
dirigiamo tutti allo sprinter, un vecchio cassone sgangherato ma
abbastanza efficiente. Facciamo la conoscenza con il guidatore del
mezzo ed una specie di servitore tuttofare, entrambi sullustiani che
però parlano esclusivamente il dialetto della loro
tribù nativa.
La
professoressa Du Bal tenta di salutare gli indigeni nel loro idioma,
ma i due la ascoltano basiti, poi si guardano l’un
l’altro e
subito dopo si calano le brache porgendo i genitali alla docente, che
fa un salto indietro inorridita.
“Prof,
non è che per caso ha chiesto se volevano un pompino con
l’ingoio?”
Domando cercando di rimanere serio.
“Chi
è che vuole un pompino con l’ingoio?”
interviene Fjo’ona con
aria volenterosa.
“Buone
ragazze!” dico, “qui nessuno vuole pompini, almeno
per ora. Rani,
dì a questi due di tirarsi su i pantaloni,
c’è stato un
malinteso.”
I
due si ricompongono sconsolati.
“Che
cos’è un pompino con l’ingoio, signor
capitano?” mi chiede
Lawrence. Ha in mano un blocchetto e una penna.
Attimo
di smarrimento. ”Ma come, non lo sai?”
“Signornò.
Non l’ho trovato neppure sul manuale dei
regolamenti.”
“Lo
credo bene. Ricordami di dire a Fjo’ona di spiegartelo, lei
lo sa
perfettamente.”
“Grazie,
signor capitano.”
“Dovere,
figliolo.”
Finalmente
riesco a caricare tutti sullo sprinter, che parte sobbalzando. La
professoressa, che ha per il momento abbandonato le sue
velleità
linguistiche, guarda il paesaggio. Fjo’ona si depila le
sopracciglia e mostra orgogliosa i peli estirpati agli astanti. Le
tre reclute sono come sempre ammucchiate da una parte, Hyaskon ingoia
una compressa e pochi secondi dopo sta già ronfando
beatamente. Sul
sedile in fondo, lungo disteso, il colonnello Waxen se la dorme della
grossa. Di fianco ha un enorme mucchio di pelo che russa:
dev’essere
Lothar.
Io
sbadiglio e tento di adagiarmi su un sedile, sono stanco morto.
Riapro
gli occhi un tot di tempo dopo. Non so esattamente quanto ho dormito,
ma di sicuro il periodo di sonno è stato di gran lunga
insufficiente
rispetto alle mie necessità. Il gruppo assomiglia a un
documentario
sulle vittime dell’avvelenamento da monossido di carbonio,
sono
tutti collassati sui sedili con gli arti penzoloni.
Fuori
la vegetazione è molto fitta. Il nostro conducente guida lo
sprinter
in maniera assai sportiva, evitando i tronchi secolari con eleganti
sterzate e attraversando con disinvoltura cespugli dai quali si
levano nugoli di mynock inviperiti.
Dopo
una lunga serie di sobbalzi, inchiodate e curve a gomito, il sentiero
ci conduce a una radura dove si trova una specie di casa fortificata
con sullustiani di guardia tutt’intorno. È vero
che il sullustiano
medio non incute quel gran terrore, ma questi sono simpaticamente
armati fino ai denti, ed è una cosa che rende molto inclini
al
rispetto.
Ci
fermiamo sotto un albero e Rani mi fa cenno di seguirlo. Essendo il
colonnello steso come una tavola, l’ufficiale in comando
divento
automaticamente io, quindi tocca a me andare a conferire con quel
tale Mister Beruwela di cui parlava Larsen. Dovrò parlare
con
Hyaskon per vedere se riesce a tenermi il rompicoglioni in stato di
morte apparente per tutta la missione, così almeno evito che
mi
venga l’esaurimento nervoso.
Scendo
dunque dallo sprinter e dico al gruppo di non allontanarsi. Spero di
trovarli al ritorno, ma con elementi come Fjo’ona e la Du Bal
in
giro, dubito che accadrà. Rani mi accompagna
all’interno
dell’abitazione e percorriamo un inquietante corridoio
semibuio,
alle cui pareti sono appoggiati degli sgherri di varie specie aliene
che mi fissano diffidenti.
Io
lancio un occhiata a Rani, ma lui mi fa segno di non preoccuparmi e
procede disinvolto. Arriviamo ad una stanza piuttosto grande,
ingombra di mobili e suppellettili, dove regna una penombra
polverosa. Dal soffitto pende una ventola che gira cigolando.
Proprio
di fronte a noi, seduto ad un’enorme scrivania,
c’è un
sullustiano talmente laido e obeso che sulle prime lo scambio per uno
hutt. Ha addosso una specie di tunica e ci fissa imperturbabile
fumando il narghilè. Le volute di fumo salgono pigramente
nell’aria
viziata.
Il
momento non è dei più piacevoli. Francamente
questo personaggio mi
insospettisce non poco. Mi rendo conto solo ora che mi sono infilato,
come un perfetto idiota, in una situazione dalla quale potrei anche
uscire sotto forma di cibo per worrt e nessuno dei cretini
là fuori
se ne accorgerebbe neppure lontanamente.
Dopo
alcuni secondi di silenzio, il sullustiano seduto alla scrivania
lentamente dice: “Il capitano Veers, immagino.”
“Sì.
Lei è Mister Beruwela?”
“Può
darsi.”
Mi
fissa con aria annoiata mentre l’acqua gorgoglia
nell’ampolla del
narghilè.
Io
esito un po’ stupito. Mi avevano parlato di un agente fidato
al
nostro servizio, ma questo mi sembra più un gangster che un
agente.
E mi dà la stessa fiducia di un toydariano che cerca di
vendere uno
sprinter usato. I casi sono due: o quel Larsen è un fine
umorista o
è un completo imbecille. Una curiosità che penso
non riuscirò mai
a togliermi.
“Lei
è un imperiale,” prosegue l’altro
distogliendomi dalle mie
considerazioni, “non mi piacciono gli imperiali.”
Fuma
pigramente senza preoccuparsi di nascondere il crescente fastidio.
Ma
se pensa di essere l’unico infastidito qui dentro, si sbaglia
di
grosso. Per quanto mi riguarda, questa contrattazione è
già durata
anche troppo.
“Molto
bene,” rispondo, “a lei non piacciono gli imperiali
e non è
neppure sicuro di essere Mister Beruwela. È piuttosto
evidente che
la carta di credito Imperial Platinum Super Deluxe di Darth Vader in
persona non le interessa.” Nel dire ciò tiro fuori
dalla tasca la
tessera di plastica e gliela sventolo sotto il naso. I led luminosi
di cui è equipaggiata brillano come gemme mentre
l’ologramma del
casco di Vader assume tutti i colori dell’arcobaleno.
Il
laido sullustiano, dapprima sbragato nella sua poltrona a fumare, in
una frazione di secondo abbandona il narghilè e tende una
grinfia
inanellata e rapace verso l’oscuro oggetto del desiderio.
“Non
così in fretta,” gli dico sottraendo la carta di
credito alla sua
presa, “prima dobbiamo parlare con molta calma di quello che
pagherò con questo bel pezzetto di plastica. Sempre che gli
imperiali nel frattempo le siano diventati un po’
più simpatici,
naturalmente, perché in caso contrario non ho intenzione di
imporre
la mia presenza.” E faccio la mossa di andarmene.
“Ma
dove vuole andare, mio caro capitano?” risponde
immediatamente il
Beruwela, mellifluo come un prosseneta neimoidiano, “io stavo
scherzando, ovviamente. Tutti sanno che la mia fedeltà
all’impero
è pari solo al rispetto che nutro nei confronti dei suoi
rappresentanti. Venga, si sieda. Ora faccio portare qualcosa da
bere…”
“Mi
fa piacere che sia diventato così ragionevole, Mister
Beruwela,”
dico accomodandomi su una poltrona a portata di culo,
“perché ora
discuteremo l’ubicazione della base segreta di
Kurtz.”
Le
guance cascanti del mio laido interlocutore hanno un violento
sussulto e il narghilè crolla a terra spargendo
nell’ambiente fumi
psicotropi.
“Non
mi dica che non sapeva quale fosse la mia missione,”
proseguo,
“sapeva anche come mi chiamo, è evidente che ha
ricevuto un
comunicato dalla guarnigione.”
“Sì,
ma… Kurtz…” balbetta l’altro.
“Kurtz,
cosa?”
Silenzio.
“Senta,
d’accordo che la Imperial Platinum ha credito illimitato, ma
non le
pare che questa contrattazione stia diventando un po’
lunga?”
“Kurtz
è un pazzo sanguinario,” risponde Beruwela,
“se viene a sapere
che ho parlato con lei mi cuce dentro la pancia di un dewback morto e
mi lascia a marcire sotto il sole. Non c’è prezzo
con quello.”
Sto
per rispondere, ma il sullustiano aggiunge: “E se lei ha un
minimo
di buon senso si renderà conto che andare in cerca di
quell’individuo significherebbe una morte orrenda per lei ed
i suoi
uomini.”
Uomini
ne ho pochi, tutt’al più donne e ragazzini. E un
vecchiaccio con
l’Alzheimer. Ma non divaghiamo.
“Mister
Beruwela, io devo trovare questo tizio. O lei mi dà le
informazioni
che le ho chiesto e il materiale che mi serve, oppure vado da qualcun
altro. Non credo che lei sia l’unico fidato
agente dell’Impero
qui nei dintorni.”
“D’accordo,”
cede infine il sullustiano, “cinquantamila crediti
anticipati. Le
dirò quello che so e potrà scegliere uno sprinter
equipaggiato di
tutto il necessario, ma poi non voglio più sentir parlare di
lei.”
“Non
intendevo chiedere la sua mano,” rispondo,
“può stare
tranquillo.”
Gli
porgo la Imperial Platinum e lui la fa scorrere nel lettore, poi mi
racconta per filo e per segno una serie di orrori da gelare il
sangue. Kurtz si era presentato un giorno con addosso scalpi di
wookiee e collane di varie parti anatomiche asportate dalle sue
vittime. Asseriva di essere in contatto con le Divinità
Siderali che
gli parlavano tramite il suo blaster dandogli istruzioni e dicendogli
che lui era il Prescelto per riportare ordine nella galassia. Diceva
che i suoi nemici lo controllavano in continuazione con le microspie
e anche impadronendosi della volontà dei suoi uomini tramite
dei
meccanismi di controllo a distanza, per cui uccideva chiunque gli
destasse anche il minimo sospetto. Per purificare
la popolazione locale in attesa della sua rivelazione
all’intero
universo come Messia aveva compiuto stragi inenarrabili con sevizie
agghiaccianti, stupri e atti di cannibalismo. Infine era sparito nel
folto della giungla con i suoi uomini e lì aveva instaurato
il suo
regno del terrore.
Quando
Beruwela smette di parlare, per un bel po’ di tempo non si
ode che
il cigolio monotono della ventola. Francamente, non so chi me lo
faccia fare di andare alla ricerca di costui.
“OK,
adesso dove lo trovo?” chiedo.
“Ma
come, non le basta quello che le ho raccontato?”
“Potrebbe
anche raccontarmi che è un astemio con l’acne, ma
questo non
cambierebbe le cose: i miei ordini sono di trovarlo.”
“Encomiabile
senso del dovere.”
“Non
proprio, prima lo trovo e prima mi tolgo dalle palle il mio superiore
e torno al bar del circolo ufficiali a bere birra.”
Cosa
ne farò, poi, una volta trovato è affar mio. Se
butta male me ne
andrò senza disturbarlo, non vorrei che si alterasse e mi
scannasse
per poi farsi un paio di bretelle col mio intestino tenue.
“So
che aveva fatto costruire una fortezza sulla roccia di Sigiriya.
È
nel fitto della giungla, per raggiungerla ci vogliono tre giorni di
marcia, passando a Anuradhapura, Aukana e Polonnaruwa. Ci sono basi
imperiali in ognuna delle tre località, potete fare tappa
lì.”
Discutiamo
ancora un momento gli ultimi particolari tecnici, poi ci spostiamo in
una rimessa dove sono parcheggiati alcuni sprinter. Si tratta
perlopiù di mezzi imperiali adattati all’uso
civile ed
equipaggiati per ambienti estremi. Ne scelgo uno che mi sembra in
buone condizioni poi, sempre seguito dalla mia superflua guida
sullustiana, torno dai ragazzi.
Il
gruppo è disposto variamente sotto una tettoia. Tutti stanno
mangiando della frutta gentilmente offerta dai tirapiedi di Mister
Beruwela. Lothar ha la testa seminascosta all’interno di una
specie
di cocomero dal quale escono un rivolo di succo rossastro e rumori da
gregge che cammina in un pantano, la professoressa si guarda intorno
alla ricerca di una salvietta disinfettante, Fjo’ona si tiene
in
allenamento succhiando una banana, Hyaskon sta cercando di espugnare
un frutto ovoidale che però ha un consistente guscio marrone
e gli
resiste, Wolfen si è fatto un taglietto cercando di
sbucciare una
specie di mela e ora è in deliquio mentre Felsen e Lawrence
si
dibattono irresoluti tra disinfettante e cerotti senza sapere bene
che fare.
“Dov’è
Waxen?” chiedo.
Come
in risposta alla mia domanda, dall’interno dello sprinter una
voce
fa: “Che magnifica dormita!”
Subito
dopo, l’ottuagenario scassacoglioni balza fuori stirandosi.
Si
guarda intorno e dice: “Niente ristora più di un
bel sonno!
Giovane capitano, dove siamo finiti? Questa giungla mi ricorda la
campagna di… di… be’, non ha
importanza. Chi ha dato ordine
alle truppe di mettersi in libertà?”
“Io,
signore,” sospiro. Adesso comincerà a rompere
perché non l’ho
consultato.
“Gliel’ho
sempre detto, figliolo,” mi ammonisce infatti
l’attempato, “lei
prende troppe iniziative personali. Era così anche durante
la
battaglia di Thali. Non dico che le manchino le doti per essere un
ottimo ufficiale, ma le devo ricordare che qui il più alto
in grado
sono io!”
“Sissignore.”
Il
colonnello sembra soddisfatto della mia risposta.
“Ragazzaccio!”
dice dopo un po’ con tono indulgente, prendendomi per il
ganascino
come se fossi il suo bisnipote di cinque anni che ha fatto una
marachella. Mi lascia talmente allibito che rimango a guardarlo senza
neppure protestare mentre si allontana compiaciuto.
Dopo
questo imbarazzante episodio ci trasferiamo tutti sul nuovo sprinter
e partiamo alla volta di Anuradhapura. Il gruppo si rimette a dormire
variamente sbragato sui sedili.
Percorriamo
per alcune ore una giungla sempre più fitta e soffocante e
infine
giungiamo alla nostra meta. Si tratta di una base imperiale ricavata
dalle rovine di alcuni templi. La costruzione principale, una
monumentale cupola bianca con una guglia in cima, si chiama Sri Maha
Bodhi ed è ancora quasi intatta. È stata aggiunta
giusto una
parabolica per le comunicazioni intergalattiche in cima alla guglia,
ma da certe angolazioni, diciamo molto deflesse, non si nota quasi.
Tutt’intorno ci sono altri templi, o Dagoba, come li chiamano
da
queste parti. L’impressione generale è a
metà tra il romantico e
l’inquietante: viste con l’occhio
dell’artista, le rovine quasi
inghiottite dalla giungla sembrano molto attraenti e misteriose, ma
guardandole con l’occhio del militare di guarnigione la prima
cosa
che viene da chiedersi è: quali e quante schifezze a vario
grado di
pericolosità strisceranno fuori da quella vegetazione appena
cala il
sole?
Ci
presentiamo al cancello e poco dopo viene ad accoglierci un
ufficiale. Per evitare la solita scena di Waxen che si mette a far
casino gli vado incontro mentre Hyaskon distrae il colonnello
chiedendogli di raccontargli qualche aneddoto.
“Capitano
Sanders,” si presenta il nuovo arrivato, “sono il
comandante
della base. Benvenuti ad Anuradhapura.”
Mi
presento a mia volta e spiego qual è la mia missione.
Sanders
mi ascolta attentamente, poi dice: “Credevo che ormai
avessero
rinunciato a trovare quel pazzo omicida. Decisamente, capitano, o lei
è il soldato più massiccio della galassia, o sta
profondamente
antipatico a qualcuno nelle alte sfere.”
“Propenderei
per la seconda,” rispondo rivolgendo un fugace pensiero a
Tarkin.
Il
mio interlocutore dà ordine di far entrare il nostro mezzo,
il
gruppo scende schiamazzando: il wookiee mugola alla ricerca di un
albero contro cui pisciare*, Waxen è talmente occupato a
triturare
gli attributi a Hyaskon che praticamente non si accorge neppure che
siamo arrivati in una base imperiale, i tre deficienti riescono a
rotolare giù con tutti i loro copiosi bagagli formando un
mucchio
informe, Fjo’ona ancheggia sistemandosi la minigonna pitonata
e
provocando un allupamento collettivo nella guarnigione e infine la Du
Bal si fionda giù berciando: “Che magnifico posto!
Che atmosfera
suggestiva! Devo fare un acquerello per immortalare la
scena!”
Arraffa carta, pennelli e quant’altro e sparisce.
“Ci
sono nexu qui intorno?” chiedo speranzoso.
“Non
tanti,” mi risponde distrattamente Sanders, lo sguardo
inesorabilmente calamitato dal decolleté della nostra
twi’lek,
“ultimamente ci va bene: l’altra settimana ne
abbiamo uccisi solo
tre che ci avevano mangiato un paio di impiegati civili. Certo
bisogna evitare di uscire dagli alloggi di notte, ma del resto che
bisogno c’è di uscire di notte?”
“Non
ve la passate tanto bene, mi pare,” osservo preoccupato.
Nessun
problema se un nexu si pappa la Du Bal, ma non è una gran
libidine
saperli famelici e scorrazzanti proprio sotto le nostre finestre.
“Al
contrario,” mi risponde l’altro, “direi
che questo è un forte
piuttosto tranquillo, siamo fortunati rispetto agli altri avamposti.
Non ci sono molti tam-hil, ogni tanto fanno un attentato, è
vero, ma
è raro che ci siano vittime. A parte quella volta che
buttarono
delle granate dirompenti nella mensa, naturalmente. Ah, e due
settimane fa, quando hanno intercettato il convoglio delle salmerie.
Si sono mangiati tutto, se capisce cosa intendo, proprio tutto.
Abbiamo trovato solo qualche pezzo di armor. Bisogna stare attenti ai
bog-wing, qui sono belli grossi, e anche ai kaadu selvatici e ai
branchi di massiff. Ogni tanto arriva un acklay, ma l’ultimo
l’abbiamo fatto fuori più di due mesi fa. Certo ci
ha fatto dei
bei danni, prima che riuscissimo a stenderlo con un cannone
anticarro. E poi ci sono gli insetti velenosi, qui ne abbiamo sei o
sette specie, tutte mortali. Ma se uno sta ben attento e controlla il
letto prima di entrarci e l’uniforme prima di infilarsela
alla
mattina non succede nulla.”
“Cazzo,
e questo sarebbe un posto tranquillo?” chiedo inorridito.
“Certo,
e poi adesso non c’è neppure un gran pericolo di
inondazioni, la
stagione dei monsoni è quasi finita.” Si
interrompe per un attimo,
poi aggiunge: “E soprattutto non c’è
Kurtz.”
“Che
meraviglia…” mormoro a mezza voce. Questa missione
sta
continuamente peggiorando.
Ci
dirigiamo verso la sala principale, dove ci vengono assegnate le
camere, una tripla e tre doppie. Faccio un rapido calcolo, poi dico:
“Le reclute nella tripla, nelle altre tre io e Hyaskon, il
colonnello e il pelone e le due signore.”
“Io
con quella svampita senza educazione non ci dormo!” proclama
solennemente la Du Bal, che giunge dal folto della vegetazione con un
fascio di fogli da disegno sottobraccio. Le mie speranze che finisse
ingerita sono state vane: dev’essere troppo acida anche per i
nexu
affamati.
Dopo
qualche secondo di latenza per elaborare l’informazione, la
twi’lek
si mette le mani a brocca sui fianchi e risponde: “E allora
io non
ho nessuna intenzione di dividere la camera con quella vecchia befana
dalle tette cadenti!”
“Come
ti permetti, piccola svergognata?” ribatte la professoressa,
fremente di fiero sdegno.
Parte
una lite epica fra le due signore, che cominciano ad insultarsi con
veemenza incuranti dei nostri sguardi allibiti.
“Ferme
ragazze!” intimo, prima che si giunga allo scontro fisico.
Dopo
qualche tentativo, grazie anche all’aiuto del wookiee che si
piazza
tra le due, ottengo una tregua. Twi’lek e docente si fissano
ringhiando con sguardo iniettato di sangue.
“OK,
cambieremo la disposizione delle camere. Fjo’ona con il
colonnello,
visto che è la sua segretaria.”
“Segretaria?
Questa è davvero spassosa, figliolo! Da quando in qua
c’è bisogno
di segretarie in una missione militare?” interviene Waxen,
che fino
ad ora si era graziosamente astenuto dal triturarci gli attributi. Si
fa avanti, contempla dal basso verso l’alto la sua azzurra
collaboratrice poi chiede: “E questo bel pezzo di figliola
chi è?”
Io
non so se mettermi a ridere o a piangere. “È
Fjo’ona, signore.
Se l’è portata dietro lei, non ricorda? Ha detto
che le serviva
per le pratiche…”
“Dunque
è questa la scusa che ha usato, figliolo? Complimenti, lei
è
davvero un temerario. Neanche io ai miei tempi avrei avuto la faccia
tosta di fare una cosa del genere!”
“Prego?”
chiedo allibito.
“Via,
non finga di non capire,” dice Waxen dandomi una gomitata
nelle
costole con aria da cospiratore, “sto alludendo alla scusa
che ha
usato per portarsi dietro la sua fidanzata! Gran bella ragazza, fra
l’altro, complimenti!”
Da
uno a dieci, questo non ha capito un cazzo. Pazientemente, rispondo:
“Signor colonnello, io non ho usato nessuna scusa e questa
non è
la mia fidanzata…”
“Ah,
non è la sua fidanzata?” mi interrompe Waxen con
un sorrisetto
compiaciuto, “allora dobbiamo stare tutti zitti, nevvero,
giovane
capitano? Non dobbiamo dire nulla di questa segretaria
una volta rientrati alla base, eh?”
Prima
che io abbia il tempo di rispondere qualcosa, aggiunge:
“C’è una
bella camera doppia, tutta per voi!”
“Ma
signore…”
“Via,
non si faccia dei problemi, figliolo! Sono stato giovane
anch’io…”
altra gomitata nelle costole e sorrisetto di intesa.
Fjo’ona
mi scocca un’occhiata languida.
C’è
da fare a questo punto una piccola precisazione. La twi’lek
poco
incline alle libidini ha gli appetiti sessuali di un’umana
ninfomane, il che vuol dire che generalmente comincia a scaldarsi a
partire dal quinto gamorreano superdotato e può andare
avanti a
oltranza quando qualsiasi altra femmina aliena ha gli orifizi che
vanno in autocombustione per l’attrito. Questa simpatica
caratteristica, che può essere divertente nelle situazioni
da una
botta e via, diventa decisamente impegnativa
nell’imperscrutabile
durata di una missione in territorio nemico. Inoltre, la
twi’lek
tende ad essere morbosamente appiccicosa, cosa che alla lunga fa
desiderare un rangkor affamato al quale buttarla per potersene
finalmente liberare.
Questa
twi’lek in particolare, poi, che mi sembra piuttosto famelica
e
zoccolante, non la voglio a mano. Ho già Waxen e la Du Bal
da
sopportare.
“Mi
offro volontario per la tripla,” dico, “mi prendo
Fjo’ona ma
voglio anche…” esito guardandomi intorno,
“Lawrence! Vieni qua,
ragazzo!” Stasera lo piazzo fra me e la bagascia aliena e ho
risolto i miei problemi. Magari impara anche cos’è
una pompa con
l’ingoio.
Il
colonnello scuote la testa con l’aria di considerarmi un
pervertito. Poco male, tanto domani non si ricorderà
più nulla.
Ci
dirigiamo alle camere, caldo-umide e di arredamento piuttosto
essenziale, dove finalmente riusciamo a farci una doccia e a
sdraiarci su un letto. Incredibile quanto diventa comodo un letto
dopo 48 ore che non ci si stende in orizzontale.
Finalmente
riusciamo anche a mangiare – in effetti devono essere un paio
di
giorni che andiamo avanti a schifezze da nave spaziale –
benché
quello che ci viene somministrato sia a tutti gli effetti un pasto
nemico della libidine: riso puzzolente, salse disgustose e
ultra-piccanti, frutta in stato di decomposizione e soprattutto,
ciò
che mi getta nello sconforto più totale, niente birra.
Sanders
ci spiega che la base è dotata di un cuoco sullustiano che
cucina
solo porcherie locali e si astiene dal servire birra quando ci sono
feste religiose in giro. “E adesso c’è
una delle loro feste,”
dice, “sentite questi canti?”
In
effetti, fuori dal perimetro della base stanno salmodiando a man
bassa.
“Sono
tutti qui intorno,” prosegue il capitano, “venerano
Sri Maha
Bodhi. Ogni tanto i nexu se ne mangiano uno, ma loro vengono lo
stesso.”
“Motivo
di più per non uscire dagli alloggi stanotte,”
rispondo
immaginando gli occhietti di migliaia di sullustiani che brillano fra
le tenebre e la vegetazione. Poi, rivolto alla docente, aggiungo:
“È
chiaro, professoressa? Stasera non si esce alla chetichella per
ascoltare i canti sacri in sullustiano antico! Non vorrei trovarmi a
raccattare i suoi resti domattina.”
La
Du Bal mi rivolge uno sguardo sdegnoso poi alza le spalle e non mi
dedica ulteriori attenzioni. Io la mando mentalmente affanculo e mi
disinteresso di lei. L’idea di mettermi a raccogliere pezzi
di
cadavere di solito mi farebbe schifo, ma sento che per lei potrei
fare un’eccezione.
Finita
la tristissima cena ci disponiamo ad andare a dormire il sonno dei
giusti. Senza birra, con in pancia una compilation di schifezze
immangiabili e la prospettiva di passare la notte a stanare insetti
venefici dalle lenzuola.
“Un’ultima
cosa, capitano,” chiedo a Sanders incamminandomi verso i miei
appartamenti, “qui avete un sistema di spedizione merci
intergalattico?”
“Certo,
di solito riusciamo a mandare e a ricevere materiale dalla Morte Nera
nell’arco di un paio di giorni.”
“Anche
cartoline?”
Sanders
mi fissa stupito. “Cartoline? Certo, ma…”
“È
che devo mandare il mio rapporto sulla missione a Tarkin.”
Lascio
il capitano a porsi domande destinate a rimanere senza risposta sulla
mia salute mentale e me ne vado finalmente a letto.
*
È una risaputa caratteristica della specie: il wookiee
piscia solo
contro gli alberi. Infatti tutti quelli che si portano un wookiee a
Coruscant devono portarsi anche l’albero finto, altrimenti
c’è
un concreto rischio di ritenzione urinaria.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Giorno 3 - Si procede ***
Giorno
3 – Si procede
Sveglia
alle sette in punto. Era dai tempi dell’Accademia che non
venivo
sbrandato da un trombettiere, e devo dire che questa pratica mi
dà
lo stesso fastidio di allora.
Per
alcuni secondi in effetti ho quasi l’istinto di balzare in
piedi e
cominciare freneticamente a fare il cubo, ma riesco a controllarmi
con relativa facilità. Lawrence, invece, che è
fresco di campo di
addestramento, salta giù dal letto come un ossesso e si
mette a
rovistare freneticamente nel suo zaino spargendo oggetti qua e
là.
Io lo fisso con cortese interesse.
Fjo’ona
frattanto geme languidamente e si rigira nel letto abbracciata al
cuscino. Con i tappi nelle orecchie e la mascherina da attrice
isterica sugli occhi, sta praticamente facendo un’esperienza
di
deprivazione sensoriale e quindi lo squillo della tromba non
l’ha
minimamente turbata.
Il
soldato riesce finalmente a raccattare sapone e asciugamano e si
fionda in bagno. Si sente il rumore dell’asse del cesso che
viene
sollevata, alcuni secondi di silenzio e poi un urlo agghiacciante. La
porta del bagno si spalanca con violenza e Ross Lawrence esce in
mutande ululando.
“Qualcosa
non va, soldato?”
L’altro
mi fissa ansimante con gli occhi fuori dalle orbite.
“Allora?”
insisto.
“Signor
capitano, il soldato Lawrence riferisce…
cioè… io… volevo dire
che…”
“Calma,
ricominciamo da capo,” gli dico pazientemente, “ora
fa un bel
respiro e dimmi cosa succede.”
“C’è
un mostro.”
“Un
mostro? In bagno?”
Lawrence
accenna gravemente di sì con la testa.
“E
dove sarebbe?”
“Nel
gabinetto, signore. Mi guardava fisso con i suoi occhi gialli,
è
stato terribile.”
Se
sta dentro al gabinetto escludiamo automaticamente tutto ciò
che è
più grande di una scimmia-lucertola kowakiana, e questa
intanto è
già una cosa piuttosto rassicurante.
Raccomandando
a Lawrence di non muoversi, vado in bagno a vedere. Osservo
attentamente, sospiro e mormoro a mezza voce:
“Reclute…”
Torno
di là, dove il soldato mi sta aspettando con la
più totale
apprensione dipinta sul volto.
“Lawrence,
è meglio che cambi pusher,” gli dico,
“quella che ti guardava
dal cesso è una rana.”
Rispedisco
il soldato in bagno a lavarsi e vado a scuotere Fjo’ona, che
si
toglie mascherina e tappi e mi guarda con aria stranita.
“Sono
le sette passate,” le dico.
La
twi’lek aggrotta per un attimo le curatissime sopracciglia,
ma poi
si alza con mosse languide esibendo un baby-doll che farebbe salire
la pressione ad un blocco di grafite.
“Buon
giorno, Roy,” gorgheggia, quindi fruga un po’ nel
suo enorme
trolley ed allinea sul letto un perizoma delle dimensioni di un
francobollo, un push-up pizzuto e pieno di orpelli e un abitino
aderente con minigonna rasopelo. Tira fuori anche una paio di scarpe
col tacco alto e quattro dita abbondanti di zeppa dorata, poi si
volta verso di me e con estrema serietà mi dice:
“Ho preso solo
otto paia di scarpe e tre paia di sandali da spiaggia.
Basteranno?”
“Non
sono preparato a discutere argomenti di questa portata appena alzato,
Fjo’ona,” le rispondo gravemente, “devo
meditarci sopra,
rischierei di risponderti con troppa leggerezza.”
“È
bello sapere che ti prendi le cose così a cuore,
Roy,” proclama
con un sorriso vagamente ebete. Poi, estraendo dal trolley un beauty
case che da solo è più grande di tutto il mio
bagaglio, chiede:
“Ross è ancora in bagno?”
“Affermativo.
È un po’ che è dentro. Spero che non
sia svenuto, stamattina ha
trovato una rana nella tazza del cesso e gli è quasi venuto
un
infarto.”
“Una
rana?” fa eco la twi’lek mentre i lekku le si
stirano per
l’orrore, “che schifo! Io non entro in bagno
finché qualcuno non
la caccia via!”
“È
un bel problema,” le rispondo distrattamente, preparando la
mia
roba da toilette.
“Come?
Vuoi dire che non faresti questo per me?” segue uno
sfarfallamento
di occhioni che convincerebbe anche un mandaloriano a lasciare andare
la preda della sua vita.
“Ho
la faccia di uno che caccia via le rane?”
Fjo’ona
mi fissa incerta, dapprima cercando di cogliere i tratti somatici del
cacciatore di rane e poi francamente incredula di fronte al fatto che
evidentemente non ho intenzione di attivarmi per risolvere il suo
problema.
Finalmente
Lawrence esce dal bagno. Io mi infilo dentro al posto suo e vado
sotto la doccia, che peraltro è fredda gelata, tanto per non
farci
dimenticare che qui siamo in una base militare. Chissà che
sorpresona per la twi’lek, che sta già pensando al
bagno caldo di
mezz’ora con schiuma e sali.
Quando
ho finito, Fjo’ona si infila in bagno sdegnosa, decisa a
punire con
l’indifferenza il mio atteggiamento poco cavalleresco.
Il
soldato, nel frattempo, sta lottando con il suo zaino, che non ne
vuole sapere di chiudersi. Mi avvicino incuriosito, sul letto sono
disseminati gli oggetti più strani: fra gli altri abbiamo un
asciugacapelli agli infrarossi, mascherine antibatteriche sterili,
uniforme di gala, un assortimento di medicinali per ogni patologia
nota alla scienza medica, equipaggiamento da roccia, un certo numero
di manuali d’uso di attrezzature militari e un ewok di
peluche. “E
con questo che ci fai, soldato,” chiedo prendendo in mano il
pupazzetto, “il tiro a segno?”
“Io…
ecco… Ora mi prenderà in giro anche lei,
signore?”
“No,
ma te lo meriteresti. Cos’è tutta questa roba che
ti sei portato
dietro? Il novanta per cento di quello che hai lì
è completamente
inutile, ti appesantisce e basta.”
Ma
Lawrence non si vuole separare da nessuno dei suoi oggetti, unica
testimonianza di un mondo civile e rassicurante lontano da questa
giungla irta di pericoli, per cui gli ordino di sedersi sul suo zaino
strapieno mentre io cerco di chiudere le cerniere. Con qualche sforzo
ce la faccio, ma spero di non essere presente quando verrà
aperto.
Completate
tutte queste operazioni, andiamo in sala mensa a fare colazione.
Fuori c’è un primo assaggio di monsone tropicale:
piove a
catinelle col sole.
Sanders
ci raggiunge dopo un po’ e ci chiede quale sarà la
nostra prossima
destinazione.
“Dovremmo
arrivare ad Aukana verso mezzogiorno e spero che questa notte
riusciremo a pernottare a Polonnaruwa.”
Il
capitano tira fuori una mappa della zona e mi mostra alcune strade.
“Questa è bloccata, stanotte
c’è stata un’inondazione,” mi
dice indicandomi quella che sembra più grossa, “e
non proverei
neppure questa. Di solito diventa impraticabile per via del fango, e
allora i tam-hil ne approfittano, se capisce cosa intendo. Le
consiglierei la pista che costeggia il lago di Kala Weva, di solito
è
quella meno rischiosa.”
Lo
ringrazio e mi annoto le informazioni, al che Sanders mi chiede:
“Senta un po’, Veers, ma davvero ha intenzione di
andare a
cercare quel maniaco omicida di Kurtz?”
“Gli
ordini si eseguono e non si discutono, no?”
“Sarebbe
un sì?”
“Affermativo,
è un dannatissimo sì. Un giorno, magari, ci
troveremo a bere una
birra e le racconterò come mai io, un ufficiale pilota della
flotta
imperiale, sono finito in mezzo a questa fottuta giungla con
l’ordine
di recuperare Kurtz e somministrargli la terapia o un colpo letale di
blaster, ma adesso non ho tutto questo tempo.”
“Vede
quelle macchie che traspaiono sotto la tempera bianca,
Veers?” mi
chiede distrattamente Sanders indicando una parete della mensa,
“Quando Kurtz era qui diceva di essere il Censore Supremo
dell’universo e voleva che ci purificassimo dai cattivi
pensieri.
L’ufficiale medico ebbe l’idea di proporgli
un’iniezione di
sedativo. Kurtz ha scritto sulla parete non
prenderò più farmaci.”
“E
allora?”
“L’ha
scritto usando il cervello del capitano medico. Vede che ci sono
ancora le tracce di grasso? Gli ha fracassato il cranio proprio
sull’angolo del tavolino dove lei è
seduto.”
Appoggio
la fetta di pane imburrata che stavo per azzannare.
Sanders
aggiunge: “Prima di scomparire con i suoi sgherri ha donato
alla
posterità questa frase: Mi
ha detto di usare il cervello. Be’, l’ho fatto.
Solo che ho usato
il suo!”
“Mi
è passata la fame…” mormoro. Kurtz
inzaccherato di sangue e
materia cerebrale fino ai gomiti che ride con aria spiritata dicendo
quella battuta assurda è una scena che penso
ricorrerà d’ora in
poi nei miei peggiori incubi alcolici.
Mentre
siamo impegnati in questa piacevole conversazione entra Waxen a
braccetto con la Du Bal. “Ho trovato questa affascinante
signora
che passeggiava qui fuori,” mi dice tutto contento. Poi,
rivolto a
Sanders, con aria galante aggiunge: “Se mi avesse detto che
in
questa base c’erano dame così graziose mi sarei
organizzato per
restare più a lungo, capitano!”
Il
comandante della base mi fissa esterrefatto.
“Mai
visto un caso di demenza senile?” gli chiedo.
“Capitano,
la sua missione mi sembra sempre più strana,”
risponde scuotendo
la testa.
“Non
lo dica a me. Fino a due giorni fa io non sapevo neppure chi fosse
Kurtz, sono passato direttamente da una sbronza leggendaria ad una
missione nella giungla. Per diverse ore sono stato convinto che
quello che stava succedendo fosse un incubo dovuto
all’alcool. È
veramente brutto pensare di essersi presi la sbronza peggiore della
propria vita e poi scoprire che quello che si sta vivendo non
è
dovuto alla sbronza ma è la cruda
realtà.”
Poco
dopo ci prepariamo alla partenza. Nel frattempo ha smesso di piovere,
ma il cielo è coperto e promette di farci avere il resto
quando
saremo in qualche posto particolarmente impervio e privo di ripari.
Fjo’ona
è già seduta a gambe accavallate a bordo dello
sprinter e si sta
depilando accuratamente le sopracciglia. Hyaskon osserva che
probabilmente con questo tempo rimarremo bloccati da qualche parte e
suggerisce di caricare provviste di cibo e acqua potabile.
“Se poi
dovessimo cadere nelle mani dei tam-hil non deve
preoccuparsi,” mi
dice, “ho un cocktail di mia invenzione che procura una morte
indolore ed istantanea, così non ci tortureranno per giorni
e
giorni.”
“Che
culo…” rispondo toccandomi parti che non sta bene
nominare.
Le
tre reclute si presentano ordinatamente in fila, con
l’uniforme
stirata e degli zaini che sembrano cuccioli di bantha, con la
differenza che non camminano da soli.
“Wolfen.”
“Comandi?”
“Hai
il berretto alla rovescia.”
“Mi
scusi, signore.” E si sistema goffamente.
“Larsen.”
“Signore?”
“Chiudi
meglio la borraccia che hai appesa alla cintura, sembri un
incontinente.”
“Sissignore.”
“Lawrence.”
Sospiro.
“Signor
capitano?”
“Non
è che stamattina hai chiuso dentro lo zaino anche il
blaster, alle
volte?” gli chiedo soavemente, notando che nella fondina ha
un
giornalino a fumetti arrotolato.
“Signorsì,
certo, signore!” mi risponde la recluta con aria volenterosa,
“così
è più protetto e non rischia di
impolverarsi!”
“E
se arrivano i tam-hil che fai, Lawrence, li prendi a sputi?”
“I
tam-hil?” mormora il soldato sbiancando, “oh, santo
cielo…”
“Sali
a bordo, dai.”
Lothar
salta su con un grugnito e va a sistemarsi nel sedile in fondo. Ha
preso la pioggia e fa il tipico tanfo di wookiee bagnato, che
è una
via di mezzo tra il tappeto ammuffito e il tritarifiuti intasato.
Si
inerpica anche la Du Bal, che si siede senza degnare nessuno di uno
sguardo e si mette a leggere.
Da
ultimo, con passo ginnico e scattante, zompa su il colonnello, che
subito comincia a dire: “Che magnifica giornata! Non le pare,
giovane capitano? Mi ricorda le paludi di Kaafu, quando finito il
servizio si andava a caccia di dianoghe nei canali. Bei tempi! Dove
siamo diretti oggi?”
“Aukana
e poi Polonnaruwa, signor colonnello.”
“Molto
bene, molto bene. Non so davvero che farei senza di lei, figliolo!
Anche durante la battaglia di Thali mi è stato prezioso, del
resto.
Lei ha un notevole senso pratico, lo ricordo perfettamente.”
E
non ricordi altro,
penso, ormai rassegnato al fatto che Waxen è convinto che io
sia mio
zio.
Con
ampi saluti al capitano Sanders varchiamo i cancelli della base di
Anuradhapura e ci addentriamo nel fitto della giungla, percorrendo
una pista dissestata. I sullustiani che abbiamo in dotazione
discutono fra loro indicandosi l’un l’altro la
strada e non
sembrano molto soddisfatti di ciò che vedono. Naturalmente
evito di
chiedere alla Du Bal cosa si stanno dicendo, penso che otterrei
informazioni sicuramente fantasiose ma non certo utili.
Procediamo
in questo modo per un paio d’ore. Fjo’ona ha smesso
di depilarsi
le sopracciglia perché a causa degli scossoni del mezzo si
è già
infilata un paio di volte le pinzette in una narice rischiando di
farsi una lobotomia. Non che si noterebbe una qualche differenza
rispetto alle sue attuali capacità intellettive, ma magari
asportando determinate aree cerebrali perde la coordinazione motoria
necessaria a fare le pompe con l’ingoio e ci crepa soffocata
alla
prima occasione. Dovrò chiedere a Hyaskon se corriamo questo
rischio.
Le
tre reclute stanno guardando fuori con gli occhi tondi come se ancora
non riuscissero a capacitarsi di quello che sta succedendo. Felsen
decide di impiegare proficuamente il tempo e tira fuori il blaster
con l’intento di smontarlo e pulirlo, Wolfen e Lawrence lo
guardano
pieni di interesse. Io mi accerto da lontano che non ci sia il colpo
in canna poi li lascio fare, sarà uno spettacolo il trio che
cerca
di ricomporre la salma dell’arma dopo averla
coscienziosamente
smontata su un veicolo malfermo e traballante.
Il
wookiee russa in maniera devastante lungo disteso pancia
all’aria
sul sedile in fondo.
La
professoressa Du Bal è stata intercettata dal colonnello,
che
nell’arco di un’ora le ha già fornito
cinque versioni diverse
dello stesso aneddoto di guerra e le fa di tanto in tanto domande a
trabocchetto per vedere se sta seguendo la narrazione senza
distrarsi.
Arriviamo
poco dopo a un lago, che dev’essere senza dubbio Kala Weva.
Ci
fermiamo per sgranchirci un po’ le gambe.
Tutti
scendono dallo sprinter e passeggiamo lì intorno. Chi ha
l’olocamera
ne approfitta per immortalare qualche scorcio particolarmente
pittoresco.
Felsen
si avvicina con aria imbarazzata. In mano ha un fazzoletto annodato
per i quattro angoli. Ci guardo dentro: un assortimento di viti,
molle e rotelle.
“Soldato,
abbiamo appurato che sei in grado di smontare un blaster. Ora sorge
spontanea la domanda: sai anche rimontarlo?”
Felsen
va in confusione e comincia a balbettare.
“No,
aspetta,” lo interrompo, “forse è meglio
che ti fai aiutare da
qualcuno.” Mi guardo intorno desolato: escludo immediatamente
Fjo’ona e la Du Bal, Hyaskon non deve aver mai tenuto un
blaster in
mano in vita sua, Waxen è capace di prendere i pezzi e
tirarci fuori
un trapano a percussione, le altre due reclute non sono neppure in
grado di capire che quelli sono i pezzi di un blaster e io non mi ci
metto, ho già abbastanza da fare senza improvvisarmi armiere.
Idea:
generalmente i wookiee ne sanno a tronchi di cose tecniche.
“Lothar!”
Preceduto
da una zaffata di tappeto ammuffito, arriva il cameriere personale di
Waxen.
“Sei
capace di rimettere insieme questo blaster?” gli chiedo
mostrandogli il mucchietto di meccanismi assortiti.
L’altro
guaisce si mette le mani sulla testa con aria disperata. Nella sua
lingua ciò significa: “Cos’è
questo casino?”
“Suvvia,
Lothar, dà una mano al ragazzo,” insisto,
“non vedi che non sa
più cosa fare?”
Gli
wookiee non sanno resistere ad un cucciolo umano in
difficoltà, è
più forte di loro. Siccome Felsen ha l’aria
talmente spaurita che
intenerirebbe anche un commerciante di organi rodiano, Lothar prende
il fazzoletto con la salma smembrata del blaster, si carica in spalla
anche il soldato e sale sullo sprinter, dove comincia un seminario in
shriiwook strettissimo sulla manutenzione dell’armamento
individuale.
Facciamo
ancora qualche giretto lì intorno, contempliamo la
popolazione
locale che svolge le proprie attività quotidiane poi
ripartiamo. Io
tengo d’occhio le condizioni meteorologiche. Adesso non
piove, ma
ci sono dei bei cirrocumuli pronti per scaricarci addosso
l’inferno
idrico, e questa è una cosa per nulla rassicurante.
Procediamo
verso Aukana. Sanders ci ha consigliati bene e la strada è
dissestata ma percorribile. Rani, la nostra pleonastica guida, mi
spiega che Aukana è un tempio con una gigantesca statua
scolpita
direttamente nella parete di una montagna.
Percorriamo
un altro po’ di giungla poi cominciamo ad arrampicarci lungo
un’impervia strada in salita. Poco dopo arriviamo alla base
imperiale, situata su un’altura dalla quale si ha una buona
vista
della pianura circostante.
Ci
fermiamo davanti ad un cancello di filo spinato che peraltro sembra
non avere la minima intenzione di aprirsi.
Approfittando
del fatto che Waxen è assopito, scendo dal mezzo e mi guardo
intorno
alla ricerca di militari imperiali. Ai lati del cancello ci sono due
torrette dalle quali noto che mi stanno tenendo sotto tiro, il che
è
sempre una cosa simpatica e rilassante.
Sto
per rinculare verso lo sprinter quando si avvicinano due soldati che
mi squadrano diffidenti. Mi presento e chiedo di parlare col
comandante della base.
“Prima
mi dia i documenti relativi alla sua missione,” mi intima
bruscamente uno dei due, “per quanto ne sappiamo lei potrebbe
anche
essere un terrorista travestito da imperiale.”
“I
terroristi da queste parti hanno i bargigli e sono alti un metro e
mezzo, soldato, non essere ridicolo.”
L’altro
toglie la sicura al blaster.
“OK,
non ti scaldare, ecco i documenti!”
Gli
tendo i fogli attraverso il cancello. Il soldato me li strappa di
mano e si allontana lasciandomi lì come un idiota.
Mentre
sto meditando sul da farsi arriva un ufficiale in mimetica e anfibi:
un metro e novanta, palestrato, maniche rimboccate sugli avambracci
nerboruti, capelli a spazzola, occhi spiritati, blaster grosso come
la mia coscia a tracolla.
“Capitano
Niedermeier,” si presenta salutandomi militarmente,
“mi scusi per
tutte queste procedure, ma quei bastardi sono dappertutto.”
“Scusi,
quali bastardi?” chiedo, guardandomi intorno preoccupato.
“Ma
i Sally, naturalmente, i sullustiani. Quegli schifosi figli di
puttana sono qui intorno che strisciano!” si interrompe
intimandomi
il silenzio con un gesto, poi rimane in posizione di ascolto per
qualche secondo e sussurra: “Non li sente? Sono dappertutto,
ci
spiano, ci tengono d’occhio…”
“Niedermeier,
da quanto tempo è che non va in licenza?” mi viene
spontaneo di
chiedere.
“In
licenza?” ribatte l’altro con un guizzo negli occhi
gelidi, “qui
non si va in licenza, quei maledetti circondano tutta la base. Sono
sempre qui intorno, giorno e notte. Vogliono entrare nel loro fottuto
tempio! Si sono incazzati perché ci abbiamo fatto una base
imperiale, dicono che vogliono venerare quella!”
e indica una statua di almeno venti metri scolpita direttamente nel
fianco della montagna.
“Bella…”
“Bella?
Io la distruggerei con un turbolaser! Fottuti bastardi, maledetti!
L’unico sullustiano buono è un sullustiano
morto!” Nel dire
questo imbraccia il blaster e spara una scarica in un cespuglio. Si
sente un grido.
“Vede?”
mi dice, “Sono ovunque. Ovunque!”
Deglutisco
a vuoto. Niedermeier si rimette l’arma in spalla e ringhia:
“Li
odio, maledetti schifosi…”
Sto
per dire qualcosa quando il capitano si gira fulmineo verso di me e
fissandomi con uno sguardo agghiacciante sibila: “So che sta
cercando Kurtz.”
Faccio
un involontario passo indietro. Sto sudando e non è per il
caldo. “È
così,” rispondo.
“Kurtz
è un ottimo ufficiale,” ribatte, “ha
tutta la mia stima. Lui
aveva capito come si devono trattare questi bastardi. Dicevano che
era pazzo, ma lasci che le dica una cosa: quei cervelloni dello Stato
Maggiore dovrebbero venire un po’ a farsi il culo negli
avamposti
in mezzo alla giungla e le garantisco che cambierebbero idea!
Dicevano che faceva le stragi! Stronzate! Radere al suolo qualche
villaggio è l’unico modo per far capire a quegli
schifosi chi è
che comanda, e le garantisco che Kurtz ci era riuscito! La sua zona
era la più tranquilla, ci potevi andare a passeggio anche
disarmato…”
Tace,
un sorriso ferino gli stira le labbra sottili.
“E
come mai sta cercando il comandante Kurtz?” mi chiede poi,
trapanandomi con uno sguardo diffidente.
Rifletto
rapidamente. Riferirgli il vero scopo della missione sarebbe
decisamente inopportuno, quindi rispondo: “Ehm… il
comandante ha
ricevuto una decorazione, ma poiché risulta irreperibile non
c’è
modo di fargliela avere. Io mi sono offerto volontario per trovarlo e
consegnargliela.”
L’altro
mi squadra con occhio critico. “Lei? Un damerino da circolo
ufficiali con l’uniforme su misura? Scommetto che
è pure della
flotta imperiale.” Nota di disprezzo nella voce.
“Proprio
io. Diciamo che ero un po’ stanco della vita sedentaria. Come
ha
fatto a capire che sono della flotta?”
“Dal
salto che ha fatto quando ho steso quel bastardo nel cespuglio.
Voialtri non siete abituati ad ammazzare da
vicino.”
Volevo
far riposare un po’ i ragazzi, ma mi sembra il caso di
partire con
una certa urgenza, anche perché se Niedermeier non si beve
la storia
della decorazione stiamo per piombare in un mare di merda.
“Capitano,
devo proseguire per Polonnaruwa,” gli dico cercando di avere
un
tono di voce più normale possibile.
“Vuole
già andarsene?” mi chiede diffidente.
“Vorrei
arrivare là prima che venga buio. Non mi piace rischiare di
trovarmi
in questa giungla di notte.”
“Da
qui a Polonnaruwa ci sono tre ore scarse, capitano. Mi meraviglio che
lei non lo sappia.”
Lo
sguardo che mi rivolge è tutt’altro che
amichevole. Sicuramente
fiuta qualcosa di strano, ma per fortuna non deve avere ancora capito
cosa c’è che non va.
“Il
comandante di Anuradhapura mi ha detto che ci sono state delle
inondazioni,” rispondo mentre un brivido freddo mi percorre
la
spina dorsale, “ritengo sia più prudente partire
adesso. Già non
mi piace la giungla di notte, ma la giungla di notte e allagata
dev’essere una vera schifezza.”
“Certo.
Forse ha ragione,” dice lentamente, fissandomi dritto negli
occhi.
Accompagnandomi verso lo sprinter aggiunge: “Mi saluti Kurtz,
se lo
trova.”
Faccio
cenno di sì con la testa, ma il capitano mi appoggia una
mano
pesante sulla spalla e ringhia: “E veda che non gli capiti
nulla di
male, se vuole tornare a fare il damerino nel suo circolo
ufficiali.”
Alcuni
secondi di silenzio opprimente, poi rispondo: “Gli
suggerirò di
fare anche un bel check-up, già che ci sono, così
saremo ancora più
sicuri che rimanga in buona salute.”
Niedermeier
sta per rispondere quando vede il mio gruppo di sfigati che si fa
vento seduto all’ombra. Mi guarda come se mi vedesse per la
prima
volta e fa: “Capitano, è venuto con
quelli?”
“Affermativo.”
“Lei
è più cazzuto di quanto immaginassi.”
“E
questo è niente, dovrebbe venire a fare una gara di birra
con me per
vedere qualcosa di veramente cazzuto!”
“Io
non bevo mai alcool, rallenta i riflessi.”
“Contento
lei…”
Ci
muoviamo rapidamente per arrivare prima possibile fuori tiro, quei
soldati sulle torrette hanno l’aria di essere bastardi dentro
come
il loro comandante.
“Ma
come, andiamo via?” protesta costernata la twi’lek,
“io dovevo
fare la pipì…”
“Resisti,
cazzo! Questa è una missione militare, non una gita di
piacere.”
“Ma
anch’io devo fare la pipì, signore,” si
lamenta Wolfen.
“Tu
la puoi fare fuori dal finestrino!”
In
questo momento avrei disperatamente bisogno di una birra gelata. Gli
idioti non hanno la più pallida idea del rischio che abbiamo
corso e
pensano solo alla loro stupida vescica. Io, invece, penso che se
Niedermeier non si è ancora bevuto il cervello completamente
capirà
entro pochi minuti che la storia della decorazione conferita a Kurtz
è una cagata pazzesca: sarebbe più facile vedere
Tarkin in bermuda
e camicia hawaiana.
E
quando lo capirà comincerà ad inseguirci con
tutte le intenzioni di
usare i miei organi interni come esche per la caccia al nexu.
Niente
birra, comunque. Ci fermiamo giusto in un paesucolo per comprare
qualche genere alimentare, principalmente frutta da anoressiche, e
per dare il tempo ai nostri annessi sullustiani di alimentarsi
secondo le modalità della loro specie.
Ripartiamo
poi dopo aver scongiurato la morte per inedia ma con le budella
tutt’altro che appagate. Chi doveva mingere l’ha
fatto e quindi
speriamo di poter proseguire senza ulteriori rotture di palle fino a
Polonnaruwa.
Ma
naturalmente le mie speranze sono vane. Neanche un’ora dopo
la
strada scompare in un acquitrino con rane e piante acquatiche del
quale non si riesce a vedere la fine. Qua e là spuntano
alberi dai
cui rami pendono liane. Tutta la superficie dell’acqua
è ricoperta
di foglie tonde larghe circa un palmo tra le quali spuntano fiori
bianchi.
Lo
sprinter si ferma. I nostri indigeni parlamentano fra loro poi Rani
mi dice: “Grande palude. Prima c’era un sentiero,
ma le piogge
l’hanno cancellato. Sprinter non può
proseguire.”
La
notizia mi fa inorridire. “Cosa? Lo sprinter non
può proseguire? E
noi come cazzo ci arriviamo a Polonnaruwa, mandiamo la
twi’lek a
fare lo sprinter-stop mostrando la coscia?”
Imperturbabile,
il sullustiano mi risponde: “Acqua fangosa non buona per
motore. Se
sprinter andare, sprinter finire in scarico di cesso. Usare
bantha.”
“Bantha?
E che ci dovremmo fare con i bantha?”
“Acqua
buona per bantha. Tirare zattera con sprinter e portare di
là
persone.”
“Vada
per i bantha,” sospiro rassegnato, “dove li
troviamo?”
“Io
portare.”
Dice
qualcosa al conducente e ripartiamo prendendo un sentiero che
costeggia la palude. Poco dopo arriviamo ad uno spiazzo dove alcuni
bestioni pelosi pascolano con aria pacifica.
Sto
per spiegare al gruppo cosa dobbiamo fare quando Waxen esce dallo
sprinter, si guarda intorno e fa: “Oggi è una
magnifica giornata
per la caccia alla dianoga, giovane capitano! Del resto, qui su Kaafu
non c’è altro da fare, finito il servizio. Sono
pronte le barche?”
Sospiro
disperato. Vagli a spiegare adesso che non siamo su Kaafu e che non
si va a caccia di dianoghe.
Con
aria astuta, Waxen mi confida: “In uno dei canali principali
ce n’è
una particolarmente grossa e di colore scuro. Il
Bastardo Nero,
la chiamano. Nessuno è ancora riuscito a catturarla. Noi
dobbiamo
riuscirci, voglio farne un trofeo per il circolo ufficiali!”
“Signore,
non siamo su Kaafu. E non stiamo partendo per una battuta di caccia
alla dianoga.”
Il
colonnello mi fissa torvo. “Figliolo,” mi fa,
“io sono
piuttosto preoccupato. Non è la prima volta che la vedo
confuso sui
luoghi e sui nomi e devo purtroppo constatare che la sua memoria
lascia alquanto a desiderare. Se fossi in lei mi farei
vedere.”
“Adesso
sarei io quello che si deve far vedere…” mormoro
tra me e me
mentre seguo la nostra guida per andare a noleggiare i bantha.
Dopo
contrattazioni toydariane e grazie ancora una volta alla Imperial
Platinum di Vader, otteniamo quattro animali, due per trainare lo
sprinter e due per caricarci sopra la truppa. Con quella carta di
credito il bahout*
me li avrebbe anche venduti, ma ho già un cucciolo di
rangkor a
casa, poi magari litigano e mi fanno casino tutto il giorno.
Lascio
i sullustiani ad occuparsi del trasporto dello sprinter. A me spetta
un compito ben più sottile e diplomatico: convincere il
branco di
deficienti a salire sui bantha per attraversare la palude.
Per
prima cosa chiamo il colonnello e gli dico: “Signore, non ci
sono
barche, cacceremo la dianoga coi bantha. Vuole prendere il comando
del primo?”
“Magnifica
prova di spirito d’iniziativa, figliolo! Mi ricorda quando
nella
battaglia di Thali fece avanzare quegli AT-AT sul fianco destro per
coprire l’artiglieria! Molto bene, molto bene!” e
sale tutto
contento sulla sua bestia.
Cerco
poi il capitano medico. “Hyaskon, gli vada dietro. Se fa
casino lo
stenda con una delle sue vaccinazioni.
Se insiste per mettere giù una canna da dianoghe lo lasci
fare, si
accerti giusto che non ne prenda una per sbaglio.”
“Vedrò
quello che posso fare,” mi risponde il cupo ufficiale medico.
Ora
è la volta della Du Bal. “Professoressa, bisogna
salire sui
bantha.”
“Come
sarebbe a dire che bisogna
salire? Che bisogno ce n’è? Posso benissimo
rimanere sullo
sprinter.”
“Prof,
se i locali dicono di salire sui bantha significa evidentemente che
non si può rimanere a bordo dello sprinter.”
“La
sua mi sembra una deduzione piuttosto arbitraria. Inoltre,
giovanotto, lei gli ordini li darà ai suoi soldati, se
crede, non
certo a me. E ora mi siedo sullo sprinter, così finalmente
possiamo
partire.”
E
si dirige con sussiego al veicolo.
Di
fronte a tale insubordinazione mi viene un vorticoso giramento di
palle. Forse per colpa del colonnello mi sto immedesimando troppo in
mio zio Max. Agguanto la docente per la collottola e do ordine alla
zattera con lo sprinter di prendere il largo, poi dico: “Ora,
professoressa, lei ha due simpatiche opzioni: o resta qui fino alla
stagione secca e poi raggiunge Coruscant con mezzi suoi, oppure si
rassegna a salire su quel bantha. Anzi, ne ha anche una terza: ci
può
seguire a nuoto. Si decida, però, non abbiamo tutto il
giorno.”
Rivolgendomi
un’occhiata che incenerirebbe Mandalor il persona, fremente
di
fiero sdegno, la Du Bal mi gira indignata le terga e si dirige alla
bestia, sulla quale sale con l’aria della martire al patibolo.
A
questo punto chiamo la twi’lek e le dico: “Tesoro,
ora facciamo
una bella gita sul bantha.”
“Io
e te, Roy?” mi chiede sfarfallando gli occhioni.
“Negativo,
tu devi tenere compagnia alla professoressa.”
Fjo’ona
fa il broncio. “Io con Ophelia non ci vado!”
protesta.
Reprimo
un’imprecazione. Per fortuna non ho un blaster a portata di
mano,
altrimenti rischierei di ridurre drasticamente i nostri effettivi.
Da
vero bastardo, approfitto sconciamente della psicologia della
twi’lek
zoccola e con tono falsamente comprensivo le dico: “Ti
capisco, la
Du Bal non avrà le tue curve, ma è molto
più affascinante di te.”
“Cosa?
Come? È più affascinante
di me?”
“Sai,
la professoressa ha la cultura, i modi sofisticati,
l’esperienza.
Del resto, inconsciamente ne devi essere convinta anche tu,
perché
temi il confronto con lei…”
“Ora
ti faccio vedere io!” mi ammonisce Fjo’ona. Si
dà una passata di
rossetto, si aggiusta il push-up e sale sul bantha come se salisse
sul ring.
E
uno è pieno. Lo spedisco attraverso la palude prima che i
gitanti ci
ripensino.
Ora
il secondo.
Lothar
non è un gran problema, lo mando a bordo e lui obbedisce
senza tante
storie.
Poi
chiamo i tre soldatini.
“Io
non avevo mai visto un bantha…” mormora Felsen.
“Come
si fa a tenersi stretti?” chiede Lawrence.
“Io
ho paura,” si lamenta Wolfen.
Ma
tu guarda che razza di imbranati. “Attraversare una palude a
bordo
di un bantha non è una cosa naturale, ragazzo,”
dico al fifone,
“cerchiamo di farlo bene e godiamoci il panorama.”
Terminato
anche il secondo carico, cominciamo a guadare le acque torbide. Spero
che questi bahout sappiano quello che fanno, perché dopo
poco
l’acqua inizia a lambirci i piedi. Le signore si mettono a
squittire, Wolfen impallidisce e si avvinghia al mio braccio, il
wookiee mugola innervosito. Volevamo andare a caccia di dianoghe, ma
può darsi che tra breve saranno le dianoghe a cacciare noi.
La
traversata dura un’ora, ma è come se durasse una
settimana. Il
caldo soffocante, gli insetti e il casino dei miei simpatici compagni
di viaggio sono veramente terribili.
Ma
per fortuna, dopo aver turbato gli equilibri ecologici della zona
spaventando a morte diverse specie animali con grida e clamori vari,
giungiamo infine sulla terraferma.
Scendiamo
dai bantha, lo sprinter è pronto e ci aspetta già
in moto.
Waxen
mi raggiunge deluso e dice: “Queste paludi non sono
più come una
volta! Le dianoghe sono poche, piccole, non c’è
più
soddisfazione. E poi ne stavo per prendere una ma il capitano medico
me l’ha fatta scappare! Dannazione!”
Se
ne va incazzato a bordo dello sprinter e per un bel po’ si
rifiuta
di dare udienza.
La
Du Bal mi passa davanti col culo dritto senza degnarmi di uno
sguardo, tutti gli altri seguono in ordine sparso. Ripartiamo alla
volta di Polonnaruwa.
Giungiamo
sul posto un paio d’ore dopo stanchi, affamati, desiderosi di
fare
la doccia e tutti col culo quadrato a forza di stare seduti sugli
inospitali sedili del nostro mezzo.
La
base si trova in mezzo ad imponenti rovine, vestigia di una qualche
civiltà ormai scomparsa. Attraversiamo quella che doveva
essere una
grande città, con palazzi dei quali ormai rimangono solo i
basamenti
ornati di bassorilievi e qualche colonna che sta venendo lentamente
ricoperta dalla vegetazione lussureggiante.
Il
campo imperiale è stato costruito includendo nel perimetro
anche
qualche antico muro e a prima vista pare circondato da tre giri di
sensori multipli: movimento, vibrazioni, calore, attività
bioelettrica corporea.
Il
recinto principale è elettrificato e ad intervalli regolari
dotato
di torrette dalle quali soldati con visori SAD**
ci stanno già tenendo d’occhio.
“Ragazzi, non fate mosse
brusche,” raccomando ai miei.
“Capitano,
la vuole smettere una buona volta con i suoi atteggiamenti
autoritari?” protesta acida la Du Bal.
“Ovviamente
questo non vale per lei, professoressa,” ribatto,
“se ha voglia
di farsi impallinare non ho nulla in contrario.”
Non
si degna neppure di rispondermi.
Il
colonnello guarda fuori e dice: “Una bellissima base,
perdiana!
Molto ben organizzata! Mi compiaccio!” scende con il consueto
balzello ginnico, si stira e prima che io riesca ad intercettarlo
comincia ad avanzare con piglio risoluto verso il cancello.
Lo
fissiamo impotenti, già preoccupati al pensiero dei casini
che
riuscirà a combinare, ma ad un tratto lo vediamo irrigidirsi
e
abbattersi al suolo come un albero tagliato.
“Infarto?” chiedo
speranzoso a Hyaskon.
Seguito
da Lothar che sbraita lamentazioni in shriiwook, il capitano medico
va ad esaminare Waxen. Lo raggiungo e mi chino su quella che spero
essere la salma del colonnello.
“Allora?…”
“Tramortito
dai dispositivi neuro-umorali ad infrasuoni. Li vede? Sono alternati
ai rilevatori. Non vada oltre quella linea che vede per terra, se non
vuole fare la stessa fine.”
“Quindi
non è morto?”
“No.”
“Peccato.”
Alzo
gli occhi, il cancello dista ancora più di duecento metri.
Ci sono
rilevatori, aggeggi come quelli che hanno steso Waxen, filo spinato e
anche un bel fossato pieno d’acqua. Oltre naturalmente alle
torrette e al recinto elettrificato. Mi chiedo come faremo ad
entrare.
Come
in risposta alla mia domanda inespressa, sbuca dal terreno proprio di
fronte a noi un globo montato su un supporto che si orienta in modo
che il suo visore ottico ci possa inquadrare. Una voce metallica mi
chiede l’identificazione.
“Capitano
pilota Roy Veers della flotta imperiale.”
“Controllo
incrociato caratteristiche somatiche in corso…”
Si
ode un ronzio, poi la voce artificiale dice: “Controllo
somatico
positivo. Test retinico positivo. Disattivazione in corso. Passaggio
al controllo manuale.”
Mentre
mi chiedo se disattivazione
in corso
significa che verremo smaterializzati da un disintegratore, una voce
– questa volta umana – mi ordina:
“Capitano Veers, dichiari il
numero degli effettivi e lo scopo della sua missione.”
“Sei
militari e tre civili più tre accompagnatori locali.
Missione con
priorità uno, sono autorizzato a rivelare
l’obiettivo unicamente
al comandante della base.”
Ma
ovviamente ciò non basta. Sono costretto a snocciolare
all’occhio
elettronico nome e cognome di tutti i membri del gruppo, razza di
appartenenza, qualifica, professione. Devo discutere lungamente sui
miei sullustiani cercando di convincere il mio invisibile
interlocutore che mi sono stati assegnati direttamente dal comando
logistico di Pettah e non parliamo di wookiee e twi’lek, sui
quali
si apre un dibattito estenuante.
Infine,
la voce mi dice di attendere mentre vengono controllati i dati che ho
fornito.
Dopo
una buona decina di minuti, l’occhio si attiva nuovamente e
la voce
mi dice: “Capitano Veers, autorizzazione numero 662348/bis,
vettore
d’avvicinamento attivato, disattivazione sistemi di sicurezza
in
corso, ha novanta secondi da adesso.”
“Tutti
a bordo!” ordino, fiondandomi sullo sprinter. Hyaskon e
Lothar con
Waxen ancora collassato in spalla mi seguono di corsa. Agguantiamo
Fjo’ona che stava per andare a fare un giretto nei dintorni e
partiamo a tutta manetta. Varchiamo il terzo cancello, quello con la
blindatura in titanio, proprio allo scadere del tempo. Non voglio
pensare a quello che sarebbe successo se ci fossimo trovati un
po’
più indietro.
Ci
guardiamo intorno piuttosto straniti. Siamo all’interno di
una base
linda come una sala operatoria, ma dove non si vede nessuno. Ci sono
solo alcune telecamere a circuito chiuso che ci stanno tenendo
d’occhio.
Finalmente
una persona in carne ed ossa esce da quello che a pare un centro di
controllo. È un ufficiale dall’uniforme
impeccabile, con gli
occhiali cerchiati d’oro e l’aria a metà
tra il burocrate e
l’ingegnere.
“Maggiore
Kerr,” si presenta.
Attimo
di irresoluto silenzio. Il nuovo arrivato ha l’aria
amichevole come
una ginocchiata nelle palle. E soprattutto si capisce lontano un
miglio che gli stiamo dando un orrendo fastidio.
“Sono
il capitano Veers,” mi presento a mia volta.
“Lo
so. Ma in base ai dati in mio possesso non è lei il
comandante della
missione. Dov’è il colonnello Waxen?”
“Waxen
è ancora fuori servizio a causa di un incontro ravvicinato
con uno
dei vostri dispositivi neuro-umorali ad infrasuoni, maggiore. Mi
duole informarla che finché lui non rinviene il comandante
della
missione sono proprio io.”
“Capisco.
Farò inviare il colonnello in infermeria. Nel frattempo,
capitano,
mi comunichi l’obiettivo della missione, prego.”
“Trovare
il colonnello Kurtz e ricondurlo sulla Morte Nera. Qualora opponesse
resistenza, i miei ordini sono di eliminarlo.”
Kerr
mi fissa con un vago barlume di approvazione e dice:
“Auspicavo da
tempo un provvedimento del genere. Quel Kurtz usa metodi malsani,
sospetto non sia in possesso delle proprie facoltà
mentali.”
Non
è che sia l’unico matto da queste parti,
mi viene da pensare. Comunque rispondo: “Intendiamo
proseguire
domattina per Sigiriya, l’ultimo accampamento noto di Kurtz.
Se non
ha nulla in contrario, questa notte ci fermiamo qui.”
“Certo,
naturalmente…” mi risponde Kerr con una punta di
fastidio. Non so
se avesse programmato un’orgia leather con match di lotta nel
fango
e gara di scoregge infiammate che noi gli abbiamo appena mandato a
monte, ma comunque gli dobbiamo aver rovinato qualcosa, tanto che mi
sento in dovere di chiedergli: “Maggiore, la nostra
permanenza qui
le crea qualche problema?”
“Francamente,
capitano, qui a Polonnaruwa non amiamo gli imprevisti. La base
è
gestita da un computer centrale i cui sensori sono stati tarati in
maniera molto sofisticata. Basta che usciate dalle zone delimitate
che c’è il rischio di un crash di
sistema.”
“Staremo
attenti. Come mai ha fatto una cosa così
complicata?”
“È
l’unico programma affidabile per il controllo totale del
territorio. Traccia i movimenti di un sullustiano a cinque chilometri
di distanza. Abbiamo anche un sistema di puntamento
satellitare.”
“E
che ve ne fate?”
Il
maggiore è esterrefatto di fronte alla mia domanda.
“Ovviamente ci
serve per controllare chi si avvicina alla base,” risponde,
ancora
indeciso se considerare il mio atteggiamento stupido, provocatorio o
entrambe le cose.
Discutiamo
ancora qualche particolare logistico, poi Kerr ci fa accompagnare
alle stanze che ci ha assegnato. Per qualche cazzo di motivo finisco
di nuovo in camera con Fjo’ona, solo che stavolta non ho
neppure il
conforto di una recluta, dal momento che i tre imbranati vogliono
stare tutti insieme.
La
camera è carina, linda, con una bella vista.
C’è il divieto
assoluto di aprire la finestra perché altrimenti il
termostato va in
tilt. C’è anche un sensore che scatta attivando un
allarme se si
sta in due nel bagno o sullo stesso letto. Quel Kerr
dev’essere un
bel bacchettone.
Comunque
a me va bene, così evito il problema della
twi’lek. È vero che se
uno fosse motivato troverebbe altri sistemi che non implicano
l’uso
del letto o del bagno, ma io non sono motivato.
“Come
vorrei una bella birra gelata,” sospiro appoggiando lo zaino
sull’asettico letto.
“Ci
sono qui io, Roy…” mormora Fjo’ona
sfarfallando gli occhioni.
“Magnifico!
Proprio quello che speravo. Mi andresti a prendere una birra mentre
faccio la doccia?”
“E
poi?”
“Resta
nei paraggi, perché magari quando l’ho finita ti
mando a prenderne
un’altra.”
“Quindi
vuoi dire che tra una bella ragazza e una birra preferisci una
birra?”
“Ovvio.”
Poi
mi infilo in bagno di corsa evitando il lancio di scarpa con tacco e
zeppa dorata.
Ci
prepariamo e andiamo nella sala mensa per cenare. Kerr è
già seduto
a capotavola, rigido come se gli avessero infilato un bastone nel
culo. Non ha un barlume di vita neppure alla vista della nostra
scosciatissima gnocca twi’lek, il che mi fa sospettare che la
sua
libido sia ridotta come il deserto dello Jundland. Del resto, solo
uno sfigato cosmico con spiccati tratti ossessivi e gravi deficit
erettili avrebbe potuto inventarsi una complicazione perversa come
quella che vige in questa base.
Il
maggiore, in uniforme di servizio, mi fissa alzando un sopracciglio e
dice: “Capitano, ove possibile ritengo opportuno un
abbigliamento
che sia consono al contesto nel quale ci si trova.”
Ho
già capito dove vuole andare a parare, ma faccio lo gnorri e
rispondo: “In effetti, signore, direi che mi sono adeguato
perfettamente a questo principio: sono in mezzo alla giungla e
indosso l’uniforme tropicale.”
Silenzio
gelido e carico di riprovazione.
“E
comunque,” aggiungo prevenendo ulteriori lezioni di vita,
“non mi
sono certo tirato dietro l’uniforme di servizio in missione,
quindi
se questa divisa non le piace dovrò prendere parte alla cena
in
mutande.”
Il
maggiore si mette a mangiare senza più rivolgermi la parola.
Noi lo
imitiamo. Solite porcate locali. Anche qui, con tutta questa
organizzazione, non sono riusciti ad evitare il protervo cuoco
sullustiano, che sforna schifezze immangiabili.
Mentre
sono alle prese con il solito riso repellente e relative salse noto
un capitano che mi fissa con aria compiaciuta e mi strizza
l’occhio.
Visto che sono un ragazzo educato, gli sorrido a mia volta.
Frattanto
arriva di corsa un piantone che si avvicina al maggiore e gli dice
qualcosa a bassa voce. Kerr appoggia il tovagliolo e si fionda verso
la porta. Sulla soglia si ferma un attimo e mi dice: “Il suo
superiore, il colonnello Waxen, è nella sala controllo e sta
toccando tutto!” Ha l’aria di pensare che sia tutta
colpa mia
“Auguri…”
gli rispondo senza neppure smettere di mangiare.
Il
maggiore sparisce a gran velocità. Ora ha
l’occasione di parlare
col comandante della missione, se ci tiene così tanto.
Finiamo
la cena con calma e usciamo per goderci un po’ di fresco.
Kerr non
ricompare, segno che la devastazione compiuta da Waxen è di
notevole
portata. Trovo un posto per sedermi e mi metto a contemplare
tranquillamente le stelle.
“Una
birra, Veers?”
Mi
volto: c’è il capitano della mensa con due
bottiglie in mano.
“Volentieri,” rispondo facendogli cenno di sedersi
accanto a me.
“Capitano
Lessing,” mi dice, tendendomi la mano.
“Io
sono Veers, ma lo sapeva già, mi pare.”
“Sì,
ho guardato il suo file,” risponde. Poi, dopo una pausa, mi
fa:
“Kerr avrà gli incubi stanotte, lo sa? Quel
rompicoglioni! Era ora
che arrivasse qualcuno a mettere del casino nel suo ordine
ossessivo!”
“Rompe
molto?”
“Un
disastro. Ha il pallino delle procedure, pretende che applichi la
procedura anche per pulirti il culo.”
Mi
racconta qualche aneddoto divertente e ce la ridiamo al pensiero di
Waxen che sta devastando il santuario informatico del maggiore. Nel
frattempo secchiamo un paio di birre e passiamo senza soluzione di
continuità ad un liquore tipico del luogo che si chiama
Arak. Non è
un gran che, a dire la verità, ma dopo un paio di
bicchierini di
quello cominciamo a darci del tu e ad essere molto allegri.
“Senti,
ma davvero vuoi andare a cercare Kurtz?” mi chiede Lessing.
“Tutti
mi fanno la stessa domanda. Sì, ho l’ordine di
cercare e
possibilmente trovare Kurtz.”
“Allora
lascia che ti racconti una storiella per farti dormire meglio:
qualche mese fa Kurtz è passato di qua e si è
fermato con i suoi
esattamente come avete fatto voi. Durante la notte è saltato
addosso
ad un soldato, l’ha stuprato, l’ha ucciso con un
morso alla gola,
l’ha sbuzzato e gli ha mangiato il cuore e il fegato ancora
caldi.”
“Ma
perché ha fatto una cosa del genere?” chiedo
inorridito.
“Ha
detto che gli ricordava sua madre. Abbiamo cercato di catturarlo, ma
ha ucciso altri quattro soldati a mani nude e poi è
scomparso nella
giungla assieme alla sua banda di rinnegati. Mi risulta che sia
andato verso Sigiriya, ma non so se sia ancora là. I tam-hil
lo
venerano come un dio e gli offrono in sacrificio sullustiani e umani.
Pare che lui e i suoi banchettino con la carne delle vittime.”
All’edificante
racconto segue un lungo silenzio. Se Kurtz è ancora a
Sigiriya,
domani farò la sua conoscenza e saranno tutti cazzi miei.
Meglio non
pensarci.
“Penso
che me ne andrò a dormire,” dico alzandomi in
piedi.
Lessing
mi dice: “Lo sai, prima di incontrarti pensavo che il mio
fosse il
servizio più di merda della galassia. Grazie a te ho
scoperto che in
fondo non mi va così male: paragonato a Kurtz, il nostro
maggiore
Kerr è solo un rompicoglioni con alcune manie fastidiose. Ma
almeno
non si mangia i suoi subalterni, non li stupra e non li tortura per
giorni e giorni.”
“Felicissimo
di esserti stato d’aiuto,” rispondo incamminandomi
verso la
camera.
Quando
vi arrivo, Fjo’ona sta già dormendo equipaggiata
di mascherina,
tappi e baby-doll peccaminoso, per cui ho modo di meditare a lungo e
in solitudine sulle parole del mio simpatico collega.
*
Conduttore del bantha in sullustiano
**
Search and destroy
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Rapporto 01 sulla missione ***
Rapporto
01
Furibondo,
il governatore Tarkin camminava su e giù per il ponte
principale
della Morte Nera. I suoi subalterni lo fissavano di sottecchi in
silenzio mentre continuavano a sbrigare le loro faccende. Quando il
governatore era così arrabbiato diventava imperativo evitare
a tutti
i costi di attirare la sua attenzione. L’ultimo comandante
della
guarnigione di Kessel era stato scelto proprio con questo criterio:
l’aveva disturbato in un momento critico.
L’unico
che assisteva alla scena con calma olimpica era Darth Vader. Il
respiro calmo e regolare faceva capire che non era minimamente
turbato dall’ira del suo collega.
Tarkin,
intanto, come sempre quando era fuori di sé dalla rabbia,
esprimeva
i suoi pensieri a voce alta.
“È
inaudito, è inconcepibile!” diceva, passeggiando
nervosamente come
un nexu in gabbia, “Quel debosciato! Quel delinquente! Questa
volta
ha veramente passato ogni limite, sfacciato!”
“L’hai
detto anche l’ultima volta. E la penultima. E anche quella
prima,”
intervenne Vader.
“Ma
questa volta è andato oltre ogni possibile tolleranza! Gli
avevo
ordinato di mandare dei rapporti!”
“Mi
risulta che l’abbia fatto.”
“Mi
ha mandato… questa!”
gridò Tarkin con voce strozzata dall’ira.
Buttò sul tavolo una
cartolina. Vader la osservò: rappresentava una sullustiana
nuda e
procace su uno sfondo composto dalle immagini dei principali
monumenti di Sullust. Una scritta in sullustiano e in galattico base
recitava: Non
sai cosa ti sei perso non venendo su Sullust.
Dietro
c’era scritto: Stiamo bene, qui, stiamo tutti bene.
Voi come
state?
“Quel
Veers mi farà venire l’esaurimento
nervoso!”, sospirò Tarkin.
“Già,
certo. Ora devo andare. Hai per caso visto la mia carta di credito
Imperial Platinum da qualche parte? Non riesco a trovarla.”
Tarkin
scosse la testa. Aveva già abbastanza problemi per conto suo
senza
quella dannata carta di credito. Diede un’ultima occhiata
alla
cartolina, dalla quale la sullustiana ammiccava lasciva, e si fece
portare un bicchiere d’acqua. Prese la solita compressa per
la
pressione. La
compressa di Veers,
la chiamava.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Giorno 4 - Primi contatti ***
Giorno
4 – Primi contatti
Il
mattino è radioso e assolato, ma noi ci svegliamo
praticamente
surgelati: dopo il passaggio di Waxen in sala di controllo il sistema
di climatizzazione è andato in tilt e per tutta la notte
c’è
stata un’alternanza di caldo torrido e gelo siderale, con
gran
finale di freddo assassino verso l’alba.
Sono
andati in tilt anche diversi altri sensori e dappertutto è
un
fischiare di avvisatori acustici. Non so quanto ci metterà
Kerr per
sistemare tutto come prima, ma dal casino che c’è
penso che faccia
prima a disfare tutto e rifare da capo.
Tanto
per ristabilire una temperatura tollerabile, apro la finestra. Il
sensore anti-intrusione si mette a suonare come una sirena, ma uso un
trucco di cui mi servivo già in Accademia: un po’
di chewing-gum
masticato appiccicato nel punto giusto e la fotoelettrica registra le
imposte come perfettamente chiuse. Sistema utilissimo per rientrare
dopo il contrappello, fra l’altro.
Fjo’ona
si alza e va in bagno. Dalla porta fa: “Che dici, Roy,
sarà il
caso di lavare le scarpe?”
È
vero che è mattina e sono ancora rincoglionito, ma la
domanda mi
sembra un po’ strana.
“Prego?”
“Le
scarpe! Sono tutte sporche, ieri ho camminato a piedi scalzi in
camera e poi le ho indossate. Non vorrei che ci fosse andata dentro
della polvere.”
“Fjo’ona,
hai notato che la camera è praticamente sterile?”
La
twi’lek fissa pensosa il pavimento, probabilmente sta
cercando di
valutare l’area semantica dell’aggettivo
‘sterile’. Infine
rinuncia all’ingrato compito e tanto per lavare qualcosa va a
farsi
un’altra doccia.
Io
aspetto pazientemente che la mia compagna di stanza abbia terminato
la sua lunghissima e particolareggiata vestizione. Avrei una mezza
voglia di pisciare in una fioriera e andare a fare colazione, ma
scommetto che quel bastardo di Kerr le ha riempite di sensori
anti-piscia che si metterebbero a suonare come matti in caso di
minzione impropria.
Finalmente
Fjo’ona esce ed allinea sul davanzale un certo numero di capi
di
abbigliamento che ha lavato. Non so davvero come abbia fatto a
sporcare tutta quella roba in tre giorni, comunque comincio a pensare
che la psicologia delle twi’lek sia troppo complessa per
cercare di
interpretarla sulla base di criteri razionali e mi infilo in bagno
per prepararmi.
Arriviamo
in sala mensa, dove le vivande si stanno scaldando su fornelli da
campo perché i forni sono andati in tilt assieme al resto e
qualsiasi cosa gli si infili dentro espellono unicamente scorie di
fusione.
I
ragazzi sono già a tavola e stanno parlando del tipico
argomento da
quarto giorno di missione: la cacca. Discutono animatamente delle
rispettive evacuazioni descrivendone quantità e consistenza
con
grande ricchezza di terminologia. Hyaskon, cupo e pessimista come al
solito, dispensa consigli igienici e compresse antidiarroiche.
La
professoressa Du Bal mantiene un gelido riserbo, ma evita
accuratamente latte e derivati. Wolfen, che ha avuto la disgrazia di
capitare in camera con lei, mi confida che ha praticamente passato la
nottata appollaiata sulla tazza del cesso in preda ad un torcibudella
devastante e si è potuta sdraiare solo verso
l’alba, sudata,
esausta e con le gambe gelatinose.
Lothar,
che ha un certo tropismo per qualsiasi cosa commestibile, deve aver
esagerato coi cibi indigeni e anche lui durante la notte ha
praticamente intonacato il cesso. Non la tazza, quella è
roba da
dilettanti, si parla di tutte le pareti fino al soffitto.
Gli
altri due soldatini, che si trovavano in camera col capitano medico,
sono stati miracolosamente salvati da quest’ultimo con
adeguata
somministrazione di farmaci.
Giunge
a questo punto della discussione anche il colonnello, come sempre
ginnico e scattante. “Ragazzi, mi sento leggero come un
mynock!”
ci confida, “mi scusino le signore presenti, ma con rispetto
parlando la mattina è il momento migliore per la
defecazione!”
Sono
colto da un brivido di orrore al pensiero del cesso intonacato dalle
precedenti evacuazioni del wookiee, ma Waxen aggiunge: “E la
cosa
più bella è farla a contatto con la natura!
Quando posso vado
sempre nel verde, è una cosa più sana,
più naturale e sicuramente
favorisce la digestione molto più di quegli oscuri
bugigattoli
piastrellati dove la si fa di solito!”
Mentre
ascolto inorridito la descrizione delle abitudini evacuatorie del mio
superiore entra Kerr e mi saluta con sussiego, poi nota che Waxen
è
in piedi, si disinteressa di me e va da lui.
“Colonnello
Waxen? Ieri sera non ho avuto occasione di parlarle, ero troppo
indaffarato a cercare di rimediare a quel piccolo incidente della
sala controllo. Mi permetta di presentarmi, sono il maggiore Kerr,
comandante della base di Polonnaruwa.” E saluta militarmente.
“Polonnaruwa?”
fa eco l’altro stupito, “e cosa diavolo sarebbe
questo posto dal
nome ridicolo? Qui siamo al campo d’addestramento delle
truppe
speciali di Rangal!”
“Rangal?
Ma no, signore, questa è Polonnaruwa,” protesta
ingenuamente il
maggiore.
“Giovanotto,
non si dia delle arie con me! Questa è Rangal.
L’ho comandata per
degli anni, vuole che non la riconosca?”
Kerr
mi fissa completamente sbalordito.
“Ha
detto lei che voleva parlare col comandante della missione,”
dico
imperturbabile, sorseggiando il caffè.
“Ma
lei non mi ha detto che… che era pazzo!”
“Non
è pazzo, ha la demenza senile, come il nostro capitano
medico le
potrà facilmente confermare.”
“Ma
lei non me l’ha detto!” insiste Kerr.
“Lei
non me lo ha chiesto.”
“Le
pare che a qualcuno possa venire in mente di fare una domanda del
genere?” ruggisce il maggiore, che sta cominciando a perdere
il suo
contegno impeccabile.
“Le
do atto che ci vuole una bella fantasia.”
Kerr
assume un colorito rosso porpora royal guard e stringe i pugni.
“Insubordinato arrogante che non è
altro,” mi dice minaccioso,
mentre le giugulari gli si gonfiano come camere d’aria,
“lei non
mi piace, glielo dico chiaro e tondo! Se fosse uno dei miei ufficiali
le farei passare la voglia di comportarsi in questo modo
inqualificabile! Lei non ha alcun senso dell’ordine e della
disciplina, è un cialtrone debosciato senza spirito
militare!”
Tace
ansimando, a corto di epiteti irrispettosi.
Io
sospiro, poso il caffè e gli rispondo: “La sua
analisi è molto
acuta. In effetti, è ciò che mi sono sentito dire
dai miei
superiori fin dal primo giorno di Accademia.” E gli esibisco
il più
radioso dei miei sorrisi disarmanti, quello che generalmente fa
venire una crisi isterica a Tarkin.
Kerr
mi fissa come se volesse farmi a fette con un’ascia
gamorreana.
Io
continuo a fissarlo con il distacco dalle cose terrene di un maestro
Jedi.
L’altro
smette pian piano di sbuffare come un reek, per quanto lo sguardo gli
rimanga iniettato di sangue. Respira lentamente e distogliendo gli
occhi con ostentato disinteresse, dice: “Andrò a
rilassarmi nel
mio giardino di piante rare, forse la vicinanza con i fiori esotici
che ho personalmente coltivato con tanta fatica e abnegazione
riuscirà a farmi dimenticare la presenza della sua truppa di
mentecatti, capitano.”
“Non
è mia, è del colonnello Waxen,” gli
rispondo.
Ma
il maggiore esce a culo dritto senza degnarmi di ulteriori
attenzioni.
Passano
forse trenta secondi, poi sentiamo un urlo agghiacciante provenire
dal giardino: “Branco di delinquenti! Chi ha defecato sui
miei
rarissimi esemplari di Orchis
Fragillima Vitrea?!”
Mi
volto verso il colonnello.
“Erano
così belli bianchi ed invitanti quei
fiorellini…” dice
stringendosi nelle spalle.
La
prima cosa giusta che ha fatto Waxen da quando siamo partiti.
Poco
dopo ci apprestiamo a partire alla volta di Sigiriya. Nel frattempo,
ho sentito il bisogno di lasciare anch’io un mio piccolo
ricordo:
non ho fatto la cacca in qualche punto strategico, mi sono solo
infilato in sala controllo e ho sostituito tutti gli screen saver dei
monitor con una compilation delle immagini più bestialmente
volgari
che sono riuscito a trovare nelle versioni on-line di Playtwi’lek,
Gammoreane vogliose, Supertette, Grasse & Pelose, Klito Ride
e altre pubblicazioni del genere. Penseranno a me nei prossimi
giorni, garantito.
Kerr
non viene neppure a salutarci. Si presenta al suo posto quel gran
paraculo di Lessing, che ci dà le ultime raccomandazioni e
ne
approfitta per descrivermi altre due o tre orrende efferatezze
perpetrate da Kurtz, giusto per mettermi di buon umore.
Mentre
stiamo parlando vede passare la twi’lek e mi chiede:
“E quella
chi è, la tua ragazza?”
Di
nuovo con la storia della ragazza. Con un sospiro, gli dico:
“No.
Non so a che titolo, ma fa parte della missione. Se vuoi te la
lascio, così ti fa compagnia.”
Guardandomi
dritto negli occhi, Lessing mi risponde: “Ti ringrazio, ma
non è
lei che mi interessa.”
Comincio
ad avere un orrendo sospetto. La birra, i complimenti,
l’atteggiamento amichevole…
“Ehm…
si è fatto tardi…” dico,
indietreggiando verso lo sprinter.
“È
un vero peccato che tu debba già andartene, Roy,”
mi dice l’altro
avvicinandosi con aria da marpione, “mi sarebbe piaciuto
conoscerti
più
approfonditamente…”
“Se
senti uno sgocciolio è il mio cuore che sanguina,”
gli rispondo,
zompando in tutta fretta a bordo dello sprinter. L’avevo
giudicato
male: ieri sera ho rischiato grosso, maledizione! E pensare che zio
Max me l’ha sempre detto di non dare confidenza agli estranei.
Questo
episodio mi rende leggermente meno sgradevole la giungla intricata e
soffocante che ricominciamo a percorrere. Rani mi racconta nel suo
approssimativo galattico base che Sigiriya è un monolite di
seicento
metri che si innalza solitario sulla pianura. Già in tempi
antichi
un qualche re ci aveva fatto costruire sopra una fortezza
perché
dall’alto di quella roccia si domina tutta la zona.
Sarà simpatico
avvicinarsi di nascosto mentre gli scherani di Kurtz vigilano sul
territorio.
Mi
spiega inoltre che la salita è estremamente difficoltosa a
causa del
caldo torrido, del vento e della ripidezza delle scale di ferro,
unico sistema per arrivare in cima. “Non bene soffrire di
vertigini,” mi ammonisce, “uomo debole non deve
salire. Grande
sole, grande caldo. E quando guardare giù, vedere solo
vuoto!”
“Ma
secondo te c’è ancora Kurtz?” gli chiedo.
“Possibile.
Si si, possibile. Nessuno andare più là, nessuno
sapere. Può darsi
che noi arrivare e trovare uomini di Kurtz che ci catturano.”
Guardo
il gruppo, che sta cazzeggiando ignaro in tutta
tranquillità: c’è
Waxen che come sempre massacra i testicoli degli astanti con uno dei
suoi aneddoti, la Du Bal che legge uno dei suoi testi in linguaggi
alieni, Fjo’ona che si liscia sulle indescrivibili curve un
abitino
di lamé blu con una scollatura che sembra l’abisso
del peccato, i
tre soldati che parlano con nostalgia della loro caserma sulla Morte
Nera, Hyaskon che ronfa dopo aver ingerito una delle sue solite
compresse e Lothar che bramisce come un eopie in amore. Sarà
bellissimo andare alla conquista di una rocca imprendibile abitata da
un pazzo omicida e sadico con queste truppe.
Sto
così meditando quando mi sento battere sulla spalla.
È Wolfen che
mi dice: “Signore, io… ehm… dovrei fare
la pipì…”
Ma
è mai possibile che questo debba sempre pisciare e che
soprattutto
la debba fare nei momenti più inopportuni?
“Mi
scappa…” insiste vedendo che non mi sto dando da
fare per
risolvere il suo problema.
“Io
mi farei vedere da Hyaskon, se fossi in te,” gli dico,
facendo
cenno a Rani di far fermare lo sprinter, “pisci come un mon
calamari. Non è mica normale, sai?”
Appena
il veicolo apre il portellone la recluta si fionda giù come
un razzo
e sparisce nella boscaglia. Siccome è timido suppongo che si
addentrerà un bel po’. Speriamo che non si perda,
sarebbe una gran
rottura di palle andarlo a cercare con questo caldo.
Passa
una decina di minuti abbondante. Sta a vedere che l’idiota si
è
perso davvero. Gli altri, nel frattempo, ignari della tragedia che si
sta consumando si dedicano ad attività varie.
Fjo’ona si depila le
sopracciglia.
Io
guardo Rani che si stringe nelle spalle e scuote la testa.
“Che
sia il caso di andare a vedere dove è finito?”
azzardo.
“Molto
pericoloso. Qui bantha selvatici!”
“Cazzo!
E me lo dici adesso?”
In
quel momento balza fuori dalla boscaglia ululando il nostro soldato.
Rumore di rami spezzati e barriti tremendi non lasciano dubbi sulla
natura dell’incontro ravvicinato che deve aver fatto mentre
mingeva.
Uno
dei sullustiani apre il portellone e Wolfen arriva di corsa bruciando
ogni record galattico dei cento metri piani. Dietro di lui ci sono
almeno quattro bantha che corrono pancia a terra con tutte le
intenzioni di caricarci.
Fjo’ona
strilla e lascia cadere le pinzette, il wookiee latra e tutti gli
altri si agitano variamente. Solo Hyaskon permane nel suo stato di
coma farmacologico. Io agguanto Wolfen e lo tiro su, poi partiamo a
tutta manetta, con i bestioni che ci tengono dietro mugghiando a
testa bassa.
“Dei
bantha selvatici!” grida Waxen tutto contento. Poi, rivolto a
Felsen: “Attendente, il mio fucile di precisione! Voglio
mettere la
testa di quel grosso maschio sul camino del circolo
ufficiali!”
Mentre
il soldato si guarda intorno irresoluto, il colonnello si rivolge a
me: “Un magnifico safari, giovane capitano. Veramente
emozionante!
Mi ricorda le battute di caccia al nexu su Tatooine. No…
è
impossibile, i nexu non stanno su Tatooine. Allora forse era Thai.
Be’, mi verrà in mente prima o poi. Comunque
eravamo io e il
maggiore… il maggiore… non ricordo. So solo che
era un
eccezionale cacciatore…”
Il
racconto si perde nel nulla così come i bantha feroci, che
rimangono
a barrire all’orizzonte.
Wolfen
è ancora nella posizione in cui l’abbiamo buttato
quando l’abbiamo
issato a bordo di peso e sta ansimando con gli occhi pallati. Ci
vorrebbe qualcosa di forte da fargli bere. Lo faccio mettere seduto e
gli chiedo: “Come va, soldato?”
“…Bantha…”
mormora dopo una decina di secondi di latenza.
“Sì,
ho capito che c’erano i bantha,” rispondo
soavemente, “ma tu
stai bene? Sei ferito?”
“…Bantha…”
Cazzo,
sta a vedere che gli è venuto il blocco psicologico e da ora
in poi
dirà solo bantha
per tutta la durata della missione.
Poiché
mi sembra un caso di emergenza, strappo Hyaskon ai suoi paradisi
artificiali e gli chiedo di visitare la recluta traumatizzata.
Il
capitano medico studia accuratamente il soldato, lo osserva, lo
palpa, lo ausculta, lo percuote, ne valuta i parametri vitali, gli
prova la pressione e infine dice: “Già, certo. Un
caso tipico.”
“È
grave?”
“Disturbo
post traumatico da stress. Normalmente sono necessarie diverse sedute
di psicoterapia ad indirizzo espressivo associate ad una terapia
farmacologica ansiolitica ed antidepressiva.”
“E
come facciamo a curarlo in missione?” gli chiedo preoccupato.
“Oh,
non è un problema. Useremo un sistema empirico ma
efficace.” E
molla al soldato due sberle talmente potenti che per poco non lo
spedisce per terra a gambe all’aria.
“Ti
senti meglio, ragazzo?” gli chiede poi premurosamente.
“…Bantha…”
Altre
due sberle.
“E
ora come va, figliolo?”
“Mi
gira la testa…” mormora Wolfen un po’
stranito.
“Fatti
una dormita.” Poi, rivolto a me, aggiunge: “Ha
visto? È guarito.
I vecchi sistemi sono sempre i più efficaci. Torno a
dormire, mi
chiami se avesse ancora bisogno di me.”
Poco
dopo ci fermiamo in una piccola radura. Rani mi spiega che se
vogliamo avere qualche probabilità di arrivare ai piedi di
Sigiriya
senza che ci vedano da dieci chilometri di distanza dobbiamo rimanere
il più possibile nascosti nel fitto della giungla.
Faccio
parcheggiare lo sprinter in mezzo a delle frasche.
Waxen
scende col consueto balzello ginnico e mi chiede: “Che si fa,
giovane capitano? Perché siamo di nuovo fermi?”
“Dobbiamo
avvicinarci al monolite di Sigiriya a piedi, signore.”
“E
perché mai facciamo questa escursione al monolite? Abbiamo
forse
tutto questo tempo da perdere? Noi siamo in missione, giovanotto, non
in vacanza!”
“Signore,
è questo l’obiettivo della missione,”
sospiro.
“Non
faccia il furbo con me, figliolo! So perfettamente che siamo qui su
Chitwan per compiere una delicata missione diplomatica.”
Il
solito problema: come glielo spiego che questo pianeta non è
Chitwan
e che non dobbiamo compiere una missione diplomatica?
Idea.
“Colonnello, un gruppo di ribelli asserragliato su quel
monolite
terrorizza la popolazione locale. Pensavo che sarebbe stato un gesto
degno del suo leggendario coraggio stanarli e restituire la
tranquillità agli indigeni.”
Waxen
mi fissa diffidente lisciandosi i baffi, mi sa che stavolta
l’ho
sparata troppo grossa.
“Dei
ribelli, ha detto?”
“Signorsì.
Ma del resto, capisco che sia quanto meno avventato attaccarli con le
forze di cui disponiamo. Probabilmente i più capiranno che
la sua
non è codardia ma razionalità.”
“Capitano,
le proibisco di fare queste insinuazioni!”
“Non
sto insinuando nulla, signore. Certo che immagino già quello
che
diranno quando rientreremo alla base: aveva
la possibilità di attaccare e sgominare dei terroristi
ribelli e non
l’ha fatto.
Sa com’è la gente…”
Waxen
mi fissa paonazzo per l’ira.
“Ma
sicuramente i veri strateghi capiranno la sua scelta tattica. Peccato
per tutti gli altri, che la chiameranno Waxen
il Codardo
fino alla fine dei suoi giorni…”
“Basta!”
grida il colonnello, “Ora andremo a conquistare quel
monolite! E
poi vedremo se oseranno ancora chiamarmi codardo!” si calca
il
berretto sulla fronte si incammina risolutamente lungo un sentiero
nella boscaglia.
Gli
spedisco dietro dapprima la guida indigena e poi tutti gli altri,
chiude la fila Fjo’ona, piagnucolante e traballante su un
paio di
sabot pitonati.
Avanziamo
nella giungla, con il sole a picco e un caldo soffocante. Io sto
cercando di elaborare un piano che mi permetta di interagire con
Kurtz senza questa zavorra di cretini a mano. Non che io sia molto
meglio, ma almeno se riesco a lasciarli da qualche parte
dovrò
preoccuparmi solo di me stesso.
Sto
ancora elaborando intensamente quando arriva Waxen e fa:
“Ebbene,
figliolo, siamo pronti per un rapido colpo di mano? Propongo di
sfruttare la copertura della vegetazione e sorprendere i lestofanti
quando meno se lo aspettano!”
“Signore,
forse sarebbe meglio lasciare al sicuro almeno i civili,”
azzardo
sperando di togliermi dalle palle almeno la Du Bal, Fjo’ona e
lo
wookiee.
“Neppure
per sogno!” risponde il colonnello, “qui nessun
posto è sicuro,
giovane e sventato capitano! I civili vengono con noi, lei è
responsabile della loro incolumità!”
Proferisco
un paio di sentite imprecazioni, che mi valgono immediatamente
un’aspra reprimenda da parte del mio attempato superiore.
“Veers!
Ci sono delle signore presenti!”
“È
proprio per questo che impreco, colonnello. Non stiamo andando a fare
una scampagnata.”
Attimo
di smarrimento da senescenza sinaptica.
“Ah
no? Ma questa non è l’escursione culturale Antiche
Pietre e Civiltà Sepolte?
Che altro dovremmo andare a fare fin lassù?”
Sospiro
affranto e dico: “Ci sono i ribelli lassù,
signore.”
“I
ribelli? Impossibile.” E parte con passo spedito. La Du Bal
lo
segue rivolgendomi uno sguardo sdegnoso, Fjo’ona non ha
capito bene
cosa sta succedendo ma si incammina a sua volta scortata
dall’enorme
massa pelosa di Lothar.
Io
controllo che il mio DL-44 sia carico, non sarebbe la prima volta che
mi dimentico i caricatori di riserva da qualche parte e poi mi trovo
senza munizioni in momenti altamente critici. Già che ci
sono do
un’occhiata anche ai blaster E-11 dei tre imbranati,
soprattutto a
quello di Felsen, che è stato recentemente rimesso insieme
da un
cameriere wookiee.
Anche
Hyaskon ha con sé qualcosa che somiglia a un blaster, un
oggettino
leggero di piccolo calibro. Lo tiene in mano con la disinvoltura di
un ewok analfabeta che si appresta a calcolare delle coordinate
iperspaziali.
Piuttosto
diffidente gli chiedo: “Doc, lo sa usare quel coso?”
“Be’,
io… non dovrebbe essere particolarmente difficile,
direi…”
“Lasci
perdere i congiuntivi e i condizionali. Lo sa usare o no?”
“No.”
Gli
do due dritte, giusto per evitare che mi spari nel culo in un momento
critico, poi proseguiamo dietro agli altri. Rani ci accompagna con la
consueta aria pacifica, sembra che l’eventualità
di un incontro
ravvicinato col pazzo omicida non lo emozioni più di tanto.
“Abbiamo
un piano, Veers?” mi chiede il capitano medico mentre ci
facciamo
strada faticosamente tra la vegetazione.
“Andiamo
là e lo prendiamo. Non so ancora come, ma qualcosa mi
inventerò.”
“Non
ce la faremo mai.” Asserisce categorico l’altro.
Poi, dopo una
pausa meditativa, soggiunge: “per fortuna mi sono portato
dietro il
mio cocktail farmacologico per la morte istantanea, così
almeno non
sarò seviziato per giorni e giorni. Ce l’ho anche
per lei, se
vuole.”
“Sono
commosso da una tale premura,” rispondo toccandomi al solito
parti
anatomiche irriferibili.
Dopo
un po’ arriviamo ad uno spazio aperto con pochi alberi e
grandi
vasche rettangolari di mattoni.
“Questi
essere Giardini dell’Acqua Splendente,” ci spiega
Rani, “un
tempo molta acqua, ma ora abbandonati.”
C’è
un silenzio innaturale e in lontananza si vedono delle strane forme
scure che si stagliano sotto il sole. “Che piante sono quelle
là
in fondo, Rani?” chiedo incuriosito.
“Non
sono piante,” risponde Hyaskon dopo averle osservate col
binocolo,
“sono cadaveri di sullustiani impalati.”
Lancio
una fugace occhiata alla roccia di Sigiriya, che ora ci domina con
tutta la sua mole, e dico: “Facciamo presto, qui siamo allo
scoperto.”
Attraversiamo
velocemente i giardini, disseminati di carogne rinsecchite di animali
vari e pezzi di cadaveri umani e sullustiani. Nessuno apre bocca,
sembra che lo spettacolo abbia fatto ammutolire anche Waxen.
Sorprendiamo
il wookiee mentre cerca di appropriarsi di una coscia di eopie
semiputrefatta.
“Che
schifo, butta via quella roba!” gli dico,
“Possibile che devi
sempre pensare con lo stomaco?”
Mi
risponde con un bramito.
Le
tre reclute si stringono l’una all’altra come
dewback
infreddoliti.
Fjo’ona
è impallidita per l’orrore divenendo azzurrino
chiaro tendente al
livido, ha la pelle d’oca persino ai lekku.
La
professoressa avanza sussiegosa con un fazzolettino premuto sulla
bocca. “Davvero di cattivo gusto portarci qui,” mi
dice acida,
“ma da lei non potevo certo aspettarmi altro.” E si
allontana a
culo dritto distanziandomi di alcuni metri. Comincio a pregare che
lassù ci sia almeno un cecchino che si occupi di lei.
Giungiamo
infine ad una spaccatura tra due grandi rocce larga abbastanza da
farci passare in fila jawas.
“Questa
essere Entrata del Bantha,” spiega Rani, “passare
di qui se
volere salire. Ora cominciare scale.”
Ci
fermiamo un attimo per riprendere fiato, il sole picchia e
l’aria è
umida e soffocante. Per fortuna ogni tanto c’è un
po’ di vento,
altrimenti suderemmo come tusken. Il capitano medico si assicura che
beviamo a sufficienza. Vuole per forza controllare che io abbia
scorte di acqua, benché io gli ripeta che non ho la
benché minima
intenzione di lavarmi in una situazione così impegnativa.
Cominciamo
a macinare rampe e rampe di scale scavate direttamente nella roccia.
Mentre
andiamo, Hyaskon mi raggiunge e chiede: “Capitano, quando
abbiamo
attraversato quella specie di giardino ha osservato i corpi?”
“Meno
possibile, in verità. Erano piuttosto schifosi.”
“Io
invece sì.”
“Necrofilo.”
“Questo
non è il momento di pensare a divertirsi. Volevo solo
segnalarle che
quei corpi sono lì da parecchio tempo. Secondo me Kurtz
è andato da
qualche altra parte. Oppure gli piacciono le carcasse ben
frollate.”
“Hyaskon,
che schifo!”
Continuiamo
a camminare. Frattanto rifletto sulle parole del capitano medico e
penso due cose: la prima è che non voglio sapere come
trascorre il
tempo libero, la seconda è che probabilmente ha ragione e
Kurtz se
n’è andato da Sigiriya. Non posso negare che
questa eventualità
mi procuri un certo sollievo. Mi scoccerebbe parecchio ingoiare la
famosa morte
istantanea
di Hyaskon, non ho ancora esaurito le attrattive di questa vita.
Così
ragionando arriviamo alla fine delle scale, ora comincia una specie
di corridoio delimitato da pareti alte e lisce. Rani mi spiega che si
tratta del Muro degli Specchi. In effetti, l’intonaco
è talmente
lucido che riflette le nostre immagini. “Usavano questo per
vedere
nemici,” ci racconta, “corridoio molte curve, loro
dietro curve
ma vedere nemici che arrivare!”
“Che
cosa simpatica,” rispondo, aspettandomi un colpo di mannaia
ad ogni
giravolta del tortuoso percorso.
Da
lì passiamo direttamente alle Scale del Terrore. In
realtà non
hanno nome, ma sono due scale a chiocciola di ferro a strapiombo su
un baratro di quattrocento metri, e l’appellativo mi sembra
appropriato. Tutt’intorno c’è una
reticella che dovrebbe
impedire eventuali cadute, ma mi dà lo stesso affidamento di
un
droide riparato da un jawas.
Rivolto
in particolare alle reclute, severamente dico: “Ragazzi, non
fate
scherzi del cazzo! Che nessuno mi tiri fuori che soffre di vertigini,
abbiamo già abbastanza casini da risolvere senza metterci di
mezzo
anche le fobie!”
“Io
lì sopra non ci salgo!” proclama la Du Bal, con un
tono a metà
tra il categorico e il provocatorio.
Non
aspettavo altro. “D’accordo, prof. Ci attenda pure
qui.”
Pur
di non darmi soddisfazione, la docente si fa forza e si inerpica
sulla traballante scaletta. Praticamente striscia lungo i gradini
come un lumacone di Degobah evitando accuratamente di guardare in
basso, ma sale.
Tutti
gli altri, con più o meno disinvoltura, la seguono.
Arriviamo
a uno spiazzo piuttosto largo. Anche qui, carogne a man bassa,
patiboli, graticole, catene e tutta una serie di strumenti di tortura
talmente complessi che a volte non riusciamo neppure a capirne il
funzionamento. Deglutisco a vuoto e mi guardo intorno preoccupato. Se
per disgrazia questa rocca non è abbandonata stiamo per fare
un
corso accelerato di tortura applicata. No, non accelerato, mi
correggo: di estenuante lentezza.
Waxen
da un’occhiata in giro e perplesso dice: “Ma che
razza di posto è
questo, giovane capitano? Si direbbe un covo di ribelli!”
“Infatti
è così, signor colonnello,” rispondo,
felice che almeno abbia di
nuovo in mente cosa stiamo andando a fare.
“Vuol
forse dire che quei maledetti hanno preso possesso di un insediamento
archeologico del tour Antiche
Pietre e Civiltà Sepolte?
Lestofanti!”
Ci
rinuncio e gli do ragione. Non posso gestirmi due menti bacate alla
volta, ne ho già abbastanza di Kurtz.
Hyaskon
passeggia imperturbabile tra i corpi smembrati; talvolta si china per
osservarne qualcuno più da vicino. Spero solo che stia
procedendo a
rilevamenti scientifici e non ad appagamento di libidini
inconfessabili.
Le
mie feroci truppe, Lawrence, Wolfen e Felsen, si aggirano tremanti e
color verde pallido. Credo che Felsen, il più delicato dei
tre,
abbia già vomitato anche quello che aveva mangiato tre anni
fa.
Agguanto al volo Wolfen che sta per collassare su un cadavere
semidecomposto con grande assortimento di budella in bella mostra.
Lawrence piange sommessamente e dice che vuole la sua mamma. Lo
affido a Fjo’ona, così almeno si consolano a
vicenda.
Lothar
mugola come un cucciolo di rangkor rimasto orfano.
Dopo
aver attraversato lo spiazzo ci troviamo ai piedi dell’ultima
parete di roccia. Le scale per arrivare in cima passano tra due
enormi zampe di pietra, uniche vestigia di quella che anticamente
doveva essere una statua immensa. Rani ci spiega che si tratta della
Porta del Nexu e ci raccomanda di stare attenti nel salire,
perché
le scale sono strette e traballanti e tira un vento che non si sta
dritti. Ci rende inoltre noto che lui non ha la più lontana
e vaga
intenzione di accompagnarci su e si siede all’ombra. La Du
Bal e
Fjo’ona gli tengono immediatamente compagnia.
Guardo
in alto. O Kurtz ci sta aspettando sornione da qualche parte, o qui
davvero non c’è più nessuno.
È vero che è pazzo, per cui si
comporta per definizione in maniera imprevedibile, ma comincio a
pensare che ormai avrebbe già dovuto dare segno di
sé.
Decido
di andare a vedere cosa c’è in cima alla roccia di
Sigiriya. Devo
fare una cosa tattica però, perché il gruppo
è un mix micidiale di
imbranati e rompicoglioni, quindi se lo lascio seduto
all’ombra
assieme a Rani è meglio.
Però
francamente non sono tranquillissimo all’idea di salire
completamente da solo. In fin dei conti, potrei aver bisogno di
aiuto. Faccio un rapido esame delle risorse umane e aliene
disponibili: Waxen è fuori come un balcone, per cui
è meglio se
resta dov’è; la Du Bal non mi sarebbe di alcun
aiuto, potrei
portarmela su unicamente per tentare di buttarla giù;
Fjo’ona, in
miniabito di lamé e sabot pitonati, avrebbe una caviglia
rotta già
alla prima rampa di scale e dei miei tre soldati il più
eroico sta
dicendo che vuole la mamma. Rimangono un wookiee uggiolante e il
capitano medico, cupo, pessimista e in odore di necrofilia.
Come
se stessi dicendo la cosa più ovvia e normale del mondo,
dico a
Waxen: “Signore, vado a controllare cosa
c’è in alto. Lei non si
disturbi, stia pure seduto all’ombra. Porterò Il
capitano Hyaskon
e Lothar con me.”
Interrotto
nel bel mezzo di un aneddoto di guerra, il colonnello mi fa un cenno
di assenso con la mano e poi non mi presta più attenzione.
Seguito
dagli altri due, attacco i traballanti gradini. Come aveva detto
Rani, tira un vento bastardo e le scale sono fatiscenti e malferme.
Siccome sono di ferro traforato abbiamo anche una magnifica visione
dello spiazzo da cui siamo partiti che man mano diventa sempre
più
piccolo.
Do
un’occhiata verso il basso: il primo che mette un piede in
fallo
diventa una polpetta. Una polpetta pelosa, casomai si trattasse di
Lothar. Mormoro fra me e me alcune sentite imprecazioni e valuto
quanto sarà bello quando dovremo scendere.
Arriviamo
in cima dopo una salita improba e ci sediamo in un posto al coperto
per riprendere fiato. Si ode solo il sibilo del vento, per il resto
c’è un silenzio opprimente. Non una sola forma di
vita in giro.
Ne
approfitto per guardarmi intorno: ci troviamo su una superficie
grande più o meno come una piazzola d’atterraggio
per navi di
medie dimensioni. Lo spazio disponibile è occupato per tre
quarti da
un grande edificio. Un palazzo, o un tempio, a giudicare
dall’aspetto
monumentale e dagli ornamenti. Non so di che epoca sia, ma
dev’essere
molto antico. L’impatto è piuttosto spaventoso, ha
un’aria tetra
e decisamente poco accogliente.
Ci
guardiamo irresoluti. Nessuno di noi ha una voglia prepotente di
andare a scoprire se il comandante Kurtz è in casa oppure no.
Mi
viene in mente (meglio tardi che mai) che nel mio equipaggiamento
personale ho anche un rilevatore di movimento e lo tiro fuori. Non
che questi oggetti siano affidabilissimi – una volta il
display mi
dava ‘dewback che pascola’ e mi sono trovato
davanti dieci hutt
che stavano facendo un’orgia in una radura –
comunque lo attivo e
lo punto verso l’edificio.
L’apparecchio
rimane silente.
“È
sicuro che quel coso funzioni?” mi chiede Hyaskon dubbioso.
“No.
Da quando ce li hanno dati in dotazione non ne ho mai visto uno dare
una lettura corretta. Però generalmente il movimento lo
rilevano.
Questo adesso non sta leggendo nulla, neppure una miserabile
scimmia-lucertola.”
“Provi
con gli infrarossi.”
“Niente.
Se c’è qualcosa è immobile e
freddo.”
Sul
volto cupo di Hyaskon aleggia un inquietante sorriso.
“Potrebbe
essere anche un trandoshan in agguato,” aggiungo, tanto per
moderare il suo necrofilico entusiasmo, “i rettili hanno il
sangue
freddo e possono stare perfettamente immobili.”
“Già,
peccato. Che dice il rilevatore di energia bioelettrica?”
“Zero
anche quello. Niente forme di vita qui in giro, a quanto
pare.”
Saliamo
la scalinata del palazzo.
“I
muri sono molto grossi,” osserva il capitano medico,
“magari è
per questo che il suo strumento non ha dato letture positive.”
“Cazzo,
non ci avevo pensato,” rispondo, “quindi
lì dentro potrebbe
anche esserci Kurtz con tutta la sua ghenga che magari non ci ha
sentiti arrivare perché stava facendo la riunione di staff
settimanale?”
“Non
è escluso,” dice Hyaskon. Poi, dopo una pausa,
aggiunge: “Ah,
volevo darle questo.” E mi porge una fiala con dentro un
liquido
incolore.
“Cos’è?”
“Morte
Istantanea.
Stia attento che non le si apra in tasca, agisce anche per contatto
con la cute.”
“Che
bel pensiero…” rispondo un po’
preoccupato.
Entriamo
lentamente in un salone semibuio. Per terra ci sono alcuni oggetti
alla rinfusa commisti come al solito a parti anatomiche variamente
mummificate. Sul tutto c’è uno strato di polvere e
ragnatele.
Deglutisco
a vuoto. La sensazione che sto provando è terribile. Una
paura
fottuta, tanto per cominciare, ma anche orrore, disgusto e una voglia
prepotente di girare il culo e fuggire a gambe levate da questo luogo
spettrale.
Tiro
fuori il blaster e tolgo la sicura. Le mani mi tremano che è
una
bellezza.
Il
wookiee emette un grugnito che nella sua lingua significa
più o meno
“che schifo di posto”.
Procediamo
con cautela addentrandoci nel palazzo deserto. Dappertutto segni di
riti tribali e cruenti, simboli esoterici tracciati sui muri col
sangue, idoli mostruosi, feticci di organi umani.
Arriviamo
infine in una stanza senza finestre. Facendo luce con la torcia vedo
una specie di altare dal quale pendono ancora dei drappi di stoffa
mezzi strappati. Sopra c’è un trono di pietra.
Lungo le pareti ci
sono sostegni per le fiaccole e al soffitto sono appese gabbie di
ferro con dentro delle ossa.
Faccio
un passo nella stanza. Si ode all’improvviso una risata
spettrale e
una figura imponente si materializza sul trono. Io lancio un grido,
cerco di indietreggiare, inciampo su Hyaskon, cado travolgendolo, mi
sfugge la torcia che rotola via spegnendosi e vuoto mezzo caricatore
sull’apparizione. Rimango poi immobile al buio, ansimante, in
fibrillazione parossistica, completamente terrorizzato. Alzo gli
occhi e vedo la figura sempre immobile sul trono. Concludo che ho una
mira di merda e mi dispongo tremante ad aspettare le reazioni
dell’individuo misterioso.
Ma
ancora non succede nulla. Allora mi alzo lentamente in piedi e
osservo meglio la figura. “È un
ologramma,” mormoro, “ho
rischiato di morire d’infarto per un ologramma.”
Recupero
la torcia e ci avviciniamo incuriositi. Si tratta di un uomo
corpulento e calvo, di mezza età. È seduto a
testa china,
praticamente ripiegato su sé stesso. L’immagine
è molto scura,
per cui i lineamenti quasi non si vedono. Si nota solo il bagliore di
occhi grifagni dallo sguardo penetrante.
“È
Kurtz,” dico agli altri, “ha voluto lasciare un
messaggio prima
di sparire.”
La
figura comincia a parlare lentamente, la sua voce è bassa e
roca, fa
venire i brividi. Solennemente, dice: “Non ci sono
più le mezze
stagioni. La gente va tutta di fretta.”
Pausa.
“Corrono,
corrono, corrono. Ma dove vanno?”
Altra
pausa. Noi ascoltiamo piuttosto basiti.
Kurtz
riprende: “Si stava meglio quando si stava peggio. Non
avevamo
niente però avevamo tutto.”
Pausa.
“E
la gente cantava sempre. Adesso invece non canta più
nessuno.”
Lunga
pausa.
“Sono
sempre i migliori quelli che se ne vanno.”
Ci
guardiamo negli occhi piuttosto perplessi. Non riusciamo dare un
senso a queste frasi esoteriche.
Con
un guizzo, l’ologramma di Kurtz si raddrizza e ci mostra un
pugno
talmente stretto che le nocche sono bianche. A voce più
alta,
prosegue: “Rimpiango un mondo adulto!”
Pausa.
Gli si gonfiano le giugulari.
“Io
sono il Supremo Censore! Io sono l’Aurek e il Besh! Io sono
il
Prescelto che porterà ordine nella galassia!”
“Un
tipico caso di delirio mistico-megalomanico,” interviene
Hyaskon.
“Ma
il Grande Nemico mi osserva,” riprende Kurtz dardeggiando
occhiate
diffidenti,”il Grande Maestro degli Inganni che vuole rubarmi
i
pensieri. E tu… tu cosa stai facendo? Tu hai
l’Occhio, mi stai
rubando l’anima, maledetto! Ma non ci riuscirai, ti
ucciderò prima
che tu possa entrarmi nel cervello con la tua sonda mentale!”
Estrae
un blaster e spara. Si sente un grido, l’immagine scompare.
“Cazzo,
ha abbattuto quello che lo stava riprendendo con
l’olocamera,”
constato con una certa preoccupazione.
Lothar
emette un brontolio.
“Hai
ragione, è proprio suonato,” gli rispondo.
Usciamo
dal palazzo e ci disponiamo a raggiungere il resto del gruppo.
Io
sono piuttosto pensieroso. È vero che mi sono risparmiato la
degustazione di Morte
Istantanea,
ma siamo punto e da capo, il problema è solo rinviato.
“Kurtz
non c’è, possiamo rientrare alla base,”
dice Hyaskon con
espressione meno cupa del solito.
“Col
cazzo. La missione è trovare Kurtz, non trovare delle scuse.
Non si
rientra finché non l’abbiamo beccato, quindi
è opportuno che ci
spremiamo le meningi per cercare di scoprire dov’è
andato.”
“Lei
è davvero zelante, Veers.”
“Negativo.
Ho il senso del dovere di una dianoga in calore, ma so perfettamente
che i miei superiori non si accontenteranno di un ologramma. Vogliono
Kurtz o dei motivi plausibili
per cui non glielo posso portare. E siccome non ho voglia di passare
la vita su Sullust, prima lo troviamo e meglio è.”
Scendiamo
imprecando per via delle scale squinternate, raccogliamo gli altri e
torniamo al nostro veicolo.
Saliamo
sullo sprinter. Mi lascio cadere su un sedile: sono distrutto.
L’apparizione di quel fottuto ologramma deve avermi tolto
cinque
anni di vita.
Ho
approfittato del tragitto a piedi per conferire con Rani. Sembra che
l’unico posto dove possiamo riuscire a sapere qualcosa di
Kurtz sia
una città che si chiama Kandy situata ad alcune ore da qui.
Lungo la
strada troveremo una base imperiale che si chiama Dambulla dove
potremo fare tappa per risposarci.
Ci
mettiamo in movimento, nessuno ha voglia di rimanere a Sigiriya un
secondo di più del necessario: io ho già dato, la
Du Bal è ancora
convinta che l’abbia portata qui per farle un dispetto,
Fjo’ona
ha appena finito di singhiozzare in un lungo pianto liberatorio e
siccome ha tutto il mascara sciolto sembra che abbia preso dei pugni
negli occhi; le reclute probabilmente riporteranno danni permanenti
al loro delicato equilibrio psichico, Waxen vuole scrivere una
lettera al ministero dei Beni Culturali di Sullust per segnalare lo
stato di incuria nel quale si trova il sito archeologico di Sigiriya
e Lothar mugola. L’unico che si volta verso la rocca con una
vaga
nostalgia è quel pervertito di Hyaskon.
Mi
sveglio quando lo sprinter rallenta e si ferma davanti al cancello di
Dambulla. Devo essermi addormentato subito dopo la partenza. Ho fatto
un incubo orrendo: ho sognato che Kurtz mi arrostiva a fuoco lento.
Nel
riprendere i contatti con la realtà, che dopo tale
prestazione
onirica mi sembra bellissima e rassicurante, mi accorgo di essere
sudato fradicio. Constato che ho addosso una coperta.
“…Ma
cosa…?”
“Sono
stata io,” dice la twi’lek tutta soddisfatta,
“ho visto che
dormivi e non volevo che prendessi freddo!”
“Ma
Fjo’ona, qui dentro ci saranno trentacinque gradi.”
“Uffa!
Mi critichi sempre!” e fa il broncio.
Hyaskon
si avvicina e con un ghigno inquietante mi fa: “Dormiva
proprio
bene, capitano. Sembrava morto. Però adesso sarà
meglio che scenda,
perché il colonnello sta già andando a parlare
con il comandante
della base.”
Sento
un brivido corrermi lungo la spina dorsale. “Grazie,
Doc,”
rispondo alzandomi in fretta. Vorrei sbagliarmi, ma lo sguardo del
mio collega mi sembrava diretto verso la mia giugulare.
Balzo
giù dal veicolo all’inseguimento di Waxen,
riuscendo a catturarlo
prima che possa interagire con altri militari imperiali.
“Ci
penso io, signore. Non si disturbi,” gli dico.
“Grazie,
Maximilian, lei è veramente gentile!”
E
dai con Maximilian. Se zio Max viene a sapere che
c’è qualcuno
nella galassia convinto che io sia lui si evira per la disperazione.
Il
comandante della base, tale maggiore Powell, è un
personaggio
piuttosto anonimo, decisamente poco amichevole, che per prima cosa mi
chiede se abbiamo compilato il modulo AS-73/bis per l’accesso
alla
base.
“Non
è la prima cosa che chiederei a chi è uscito
incolume da uno dei
covi di Kurtz,” gli rispondo infastidito.
“Ha
ragione, le priorità vanno rispettate. Ha applicato la
procedura di
disinfezione sulla base di quanto stabilito nel manuale dei
regolamenti alla voce Allontanamento
da luogo a probabile contaminazione batteriologica?”
“Negativo.”
“Allora
non posso autorizzare l’accesso. Inoltre, noto che ha con
sé degli
NHA, Non
Human Aliens.
Devo vedere il certificato di compatibilità con la specie
umana.”
“Ma
sono un wookiee e una twi’lek,” rispondo con un
certo crescente
fastidio, “le twi’lek ce le scopiamo a man bassa
nei bordelli per
le forze armate, vuole che non siano compatibili?”
“Quello
che lei si
scopa,
capitano, non mi riguarda. Io devo vedere un certificato di
compatibilità con la specie umana, altrimenti non posso
autorizzare
l’ingresso,” risponde l’altro con
imperturbabile caparbietà.
Faccio
un tentativo: “Ma non può chiudere un
occhio?”
Il
maggiore Powell comincia a snocciolare una litania di procedure, ed
è
a questo punto che mi viene un’idea assolutamente diabolica.
“Signor colonnello,” chiamo, “sembra che
ci siano alcuni
problemi. Potrebbe venire lei a parlare col signor maggiore?”
E
adesso beccati il vecchio rincoglionito,
penso, così
vediamo se riuscirai a farti dare da lui il fottuto modulo AS-73/bis,
bastardo.
Torno
allo sprinter.
“Che
succede, non entriamo?” chiede Fjo’ona,
“io ho la pipì…”
“Tra
un quarto d’ora, tesoro. Powell non riuscirà a
resistere di più.”
Dopo
tredici minuti, vediamo Waxen che ci fa cenno di avanzare. La mezza
sega ha tenuto meno del previsto. Gli passiamo accanto mentre il
colonnello gli sta raccontando di un incidente di caccia verificatosi
sulla luna di Than-Zan. Il perché gli stia raccontando
proprio
quell’episodio è un mistero che a quanto pare
neppure Hyaskon, con
la sua profonda conoscenza del cervello sia sano che patologico,
è
in grado di svelare.
Passiamo
accanto ai due con grande disinvoltura. Lo sguardo di Powell rimane
vacuo e perso all’infinito anche quando lo saluto con la mano.
Ci
riposiamo per un po’, ci sgranchiamo le gambe e mangiamo un
po’
di frutta da anoressiche. Speravo che la mania delle procedure di
Powell fosse giunta fino a farsi assegnare un cuoco umano, ma
ciò
non si è verificato e anche qui purtroppo
c’è un cuoco indigeno.
Nessuno di noi ha voglia di porcate locali.
Poco
dopo, piuttosto insoddisfatti ma comunque appagati nelle
necessità
vitali, ripartiamo alla volta di Kandy. Uscendo recuperiamo il
colonnello, che sta ancora parlando con Powell. Mi chiedo se il
maggiore riuscirà a riprendersi dopo questa devastante
esperienza.
Sempre
piuttosto stanchi, maciniamo le ultime ore di strada. Il gruppo dorme
variamente sbragato sui sedili.
Giungiamo
infine alla nostra destinazione. Dopo alcuni giorni di giungla fa una
certa impressione trovarsi in mezzo a case, negozi e migliaia di
sullustiani indaffarati.
Attraversiamo
il caos vociante della città ed arriviamo poi ad una zona
residenziale, situata su una collina che domina tutta la zona. Qui
c’è la caserma della Guarnigione Imperiale di
Kandy, ricavata da
un vecchio palazzo coloniale e relativo parco.
Faccio
parcheggiare lo sprinter e scendiamo. Fjo’ona si aggira con
aria
svagata e anche un po’ ebete; le tre reclute si guardano
intorno
stranite; Lothar bramisce stirandosi ed emettendo sonori peti come
è
usanza della sua specie dopo una lunga e forzata immobilità;
la
professoressa, che si trova del tutto accidentalmente sulla
traiettoria dello sfintere wookiano, fa un aerosol alla merda che le
fa venire i sudori freddi; il lugubre Hyaskon osserva cupo la villa e
dice: “Non ci apriranno mai. Ci conviene cercare un alloggio
in
città.”
“Doc,
so di soldati imperiali che sono entrati nei mercati di Kandy interi
e ne sono usciti a dadini come pastura per dianoghe, secondo me
è
meglio che in questo posto evitiamo i contatti con gli
indigeni.”
Mentre
mi sto intrattenendo con il capitano medico, Waxen si dirige risoluto
verso l’entrata del parco. Gli sbarrano la strada due ceffi
che
farebbero accapponare la pelle a un rodiano: brutti, grossi e
tatuati, con addosso un’approssimativa uniforme imperiale e
un
assortimento di armi fuori ordinanza.
Il
colonnello li saluta militarmente e prosegue imperterrito.
Per
qualche secondo i due rimangono completamente basiti, poi si
riscuotono e si lanciano all’inseguimento con tutte le
intenzioni
di fare della pelle di Waxen un paralume per il circolo
sottufficiali.
Si
parano nuovamente davanti all’attempato ufficiale, questa
volta con
i blaster in mano. L’altro li guarda, osserva le armi e fa:
“Apprezzo l’idea di formare un picchetto
d’onore, in fin dei
conti sono un ufficiale superiore, ma devo purtroppo constatare che i
vostri blaster sono in uno stato di trascuratezza che non esiterei a
definire del tutto inopportuno per dei militari imperiali. Mi duole
informarvi che dovrò fare rapporto al vostro superiore
diretto.”
Le
guardie, due orrendi tagliagole reclutati con ogni
probabilità in
una bettola di Mos Eisley, si fissano l’un l’altra
senza
capacitarsi di ciò che sta accadendo. In effetti, sono
abituati ad
incutere terrore con la loro sola presenza.
Prima
che nei loro torpidi cervelli da picchiatori si faccia strada
l’idea
di porre fine all’inusitato episodio stendendo Waxen con un
colpo
di blaster, mi intrometto dicendo: “Capisco la vostra
legittima
diffidenza, forse il signor colonnello ha dimenticato di spiegare il
motivo della nostra presenza qui: siamo in missione con obiettivo a
priorità uno.”
Veramente,
non è che sia proprio una priorità uno, ma la
pubblicità è
l’anima del commercio.
“E
sarebbe?” chiede il più sveglio dei due.
“Ovviamente
possiamo rivelare certe cose solo al comandante della base,
soldato.”
“Il
comandante sta lavorando, non può essere
disturbato.”
“Che
combinazione, anche noi stiamo lavorando.”
Attimo
di silenziosa tensione.
“Come
li tenete lontani i bog-wing da queste parti?” interviene
Waxen
molleggiandosi sulle ginocchia con le mani a brocca sui fianchi.
“I
bog-wing?” chiede basito lo sgherro che non sta parlando con
me.
“Bestiacce
malefiche! Ricordo che quando eravamo di stanza su Weligama ce
n’erano a migliaia. Quelle dannate bestie si infilavano nelle
prese
d’aria dei reattori e creavano un sacco di problemi. Il
tenente
Saxon, un ottimo ufficiale in verità, fu costretto a fare un
atterraggio fuori campo proprio per colpa di una di quelle bestiacce
che si era infilata nell’ugello di scarico della navetta di
classe
Lambda. Quella navetta del resto era piuttosto sfortunata, bisogna
ammetterlo, perché anche qualche mese prima era stata
danneggiata
durante un passaggio a bassa quota…”
Waxen
continua a parlare, le due guardie mi fissano attonite. Vorrebbero
chiedere cosa c’entrano i bog-wing, chi è Saxon,
di quale navetta
stiamo parlando, perché il colonnello sta raccontando tutto
questo,
ma non riescono a stabilire la priorità delle domande.
“Allora,
questo comandante?” chiedo ancora una volta.
“Forse
è meglio che la accompagni, capitano,” dice uno
dei due,
probabilmente nella vana speranza che il colonnello venga con me.
Lo
seguo all’interno della villa, che è molto grande
e sfarzosamente
arredata. Sono un po’ stupito: generalmente le installazioni
imperiali sono molto più sobrie.
Ci
fermiamo davanti ad una porta chiusa. Lo sgherro bussa. Da dentro
giunge la seguente risposta: “Che cazzo
c’è? Ti avevo detto di
non disturbarmi!”
“Un
tipo che dice di far parte di una spedizione importante.”
“Che
vada affanculo! Sono impegnato!”
“Affanculo
ci va lei, se non sta attento,” intervengo, “non
vorrei dover
riferire a Tarkin come lei accoglie i suoi ufficiali.”
Anche
qui, la pubblicità è l’anima del
commercio.
Attimo
di silenzio, poi: “Porca troia! Sempre nei momenti peggiori.
E va
bene, fallo entrare, Rolf, così sentiamo che cazzo
vuole.”
Vengo
introdotto in una grande stanza ingombra di mobilio prezioso. Proprio
di fronte a me, sbragato su una poltrona dietro ad una monumentale
scrivania, c’è un orrendo panzone in canottiera
con la barba di
due giorni, il pelo sulle spalle e i capelli sudati incollati alla
fronte. Affogati nelle occhiaie lardose, i suoi occhietti da
gamorreano laido mi scrutano con fastidio.
Sto
per presentarmi quando da sotto la scrivania spunta una
twi’lek
verde che si pulisce la bocca. L’uomo la congeda con una
pacca sul
culo e si sistema i pantaloni.
“Così
lei sarebbe uno dei ragazzi di Tarkin,” dice lentamente, con
voce
strascicata, “quello è troppo teso. Non sa godersi
la vita. Non sa
sfruttare le occasioni che i territori occupati sanno
offrire.”
Io
lo fisso in silenzio, ho la sensazione che stiano per arrivare delle
rivelazioni interessanti.
“Quella
cosiddetta strage è stata tutta una montatura,”
prosegue infatti
il laido ciccione, “i sullustiani sono talmente bastardi che
si
attaccano a qualsiasi cosa pur di passare per vittime. Ne abbiamo
ammazzati una decina, è vero, ma solo per dare un esempio
agli
altri.”
Faccio
passare qualche secondo poi chiedo: “Domando scusa, di cosa
stiamo
parlando?”
L’altro
mi guarda stupito e poi fa: “Ma come, non è qui
per…?” si
interrompe rendendosi conto dell’errore commesso.
“Capitano
Veers della flotta imperiale,” mi presento approfittando
dell’attimo di smarrimento del mio interlocutore.
“Quindi
non è della polizia militare?”
“Ho
paura di no.”
“Bah.
Dovevo immaginarlo, con quella faccia,” risponde
rilassandosi. Si
versa da bere, mi passa la bottiglia e dice: “Io sono il
maggiore
Randall, mando avanti la baracca.”
“Molto
piacere.”
Alcuni
secondi di imbarazzante silenzio, poi l’altro prosegue:
“Se non
ci si arrabatta un po’, qui la vita è
insopportabile. Quei
sullustiani bastardi cercano sempre di fregarti, per farli rigare
dritto bisogna avere la mano pesante. Ieri sera ne abbiamo ammazzato
un gruppo che ci stava rubando del materiale. Figli di puttana. Gli
ho sempre detto che quando si fregano qualcosa mi spetta la
percentuale! E non la vogliono capire!”
“Prego?”
chiedo stupito.
“La
percentuale, cazzo! la fottuta percentuale!” risponde Randall
appoggiandosi all’indietro sulla poltrona, “come
fanno quelli del
bordello di minorenni e quelli del giro di spacca-cervello!”
Mi
verso da bere e butto giù una buona bicchierata di alcool.
Con
aria compiaciuta, il trippone sudato prosegue: “Questa
città è
mia. Controllo tutto. Droga, prostituzione, ricettazione, racket
degli organi. Non si fa nulla senza che io lo sappia. Hanno paura,
quei sullustiani bastardi, perché sanno che chi
sgarra… zac! Fa
una brutta fine.” E si passa la mano sulla gola a simulare
una
decapitazione.
“Ma
non aveva detto che non rigano dritto?” chiedo.
“Infatti.
Hanno paura, ma non abbastanza. Ogni tanto ne dobbiamo ammazzare
qualcuno per dare una lezione agli altri, poi lo facciamo passare per
un incidente, oppure per un attentato dei ribelli. Funziona,
sa?”
“Non
ne dubito,” rispondo, pensando alle decine di rapporti di
incidente
o rappresaglia verso la popolazione dei territori occupati che
arrivano giornalmente sulla Morte Nera.
Di
fianco a me ci sono due poltroncine. Ne scelgo una e faccio un passo
per sedermici sopra.
“No,
su quella no,” dice Randall precipitosamente. Poi, con un
sorrisetto lascivo, spiega: “Io e Bo’ona ci abbiamo
fatto dei
giochetti. È un po’… ehm…
appiccicosa.”
Osservo
attentamente l’altra, che però non sembra
contaminata. Mi siedo e
mi verso di nuovo da bere. Non so cosa sia questa roba, e fra
l’altro
non voglio neppure saperlo, ma direi che con un po’ di
ghiaccio
potrebbe quasi essere decente.
Grattandosi
pensosamente un’ascella, il mio laido interlocutore mi
chiede: “Ma
se non è venuto per quella questione dei sullustiani morti,
capitano, che ci fa qui a Kandy?”
Gli
descrivo brevemente l’obiettivo della mia missione.
“Kurtz,”
dice pensoso Randall dopo un lungo silenzio, appoggiandosi nuovamente
all’indietro e mettendo i piedi su un angolo della scrivania,
“Quello sì che era uno svitato. Veramente un
brutto soggetto,
pazzo e pericoloso. Anche Rolf ne aveva una paura fottuta.”
Rievoco
la figura dell’orrendo scherano tatuato e il mio sacro
terrore nei
confronti del maniaco omicida aumenta ulteriormente.
“Quel
Kurtz mi ha combinato un bel casino, sa?” riprende il
maggiore
distogliendomi da ulteriori meditazioni, “Siccome coi
giochetti
sadomaso ci sapeva fare un bel po’, ci eravamo portati qui la
mia
twi’lek e una recluta, un bel biondino tenero tenero di
quelli che
sembrano fatti apposta per essere brutalizzati …”
e si lecca le
labbra laidamente, con una lingua che farebbe venire un conato di
vomito a uno hutt.
Bevo
un altro sorso. Randall prosegue: “Insomma, sono uscito
giusto un
attimo e quando sono tornato li aveva fatti a pezzi, tutti e due. E
li aveva mischiati. E quando siamo andati per separarli ne mancavano
anche.”
“Cazzo,
che storia spaventosa,” mormoro francamente inorridito.
“Può
dirlo forte. In primo luogo, mi sono dovuto comprare un’altra
twi’lek. Lei non ha idea dei prezzi che hanno raggiunto. Per
quella
verde che ha visto prima, Bo’ona, che poi alla fin fine non
è quel
gran che, mi hanno chiesto una cifra assurda. Stavo quasi per
ripensarci e comprarmi una tusken. Sono delle gran gnocche sotto quei
paramenti, lo sa?”
“Così
dicono.”
“È
la pura verità. Dei gran figoni in guepiére
leopardata.” Fa una
pausa densa di fantasie erotiche, poi prosegue: “Per non
parlare
del casino con la recluta. Ha idea dei moduli che ho dovuto compilare
e soprattutto di quello che mi sono dovuto inventare per giustificare
il fatto che il pezzo più grande fosse lungo dieci
centimetri?
Finché crepa un sullustiano passi, nessuno ci fa caso
più di tanto,
ma se per sbaglio ci lascia le penne un soldato imperiale ci
massacrano di carte, mi creda.”
“E
come l’ha risolta?”
“Ho
le mie conoscenze nei posti giusti.”
“Non
ne dubitavo,” rispondo convinto. Passa qualche secondo,
Randall mi
fissa con aria compiaciuta. Io decido che ne ho abbastanza di sentire
i suoi intrallazzi e vorrei portare la discussione su un piano
più
concreto. Dopo un po’ gli dico: “Ma forse
è meglio che le
spieghi più approfonditamente il motivo della mia presenza
qui:
Kurtz non è più a Sigiriya e lo stiamo cercando.
Mi hanno detto che
qui a Kandy possiamo trovare informazioni su di lui. Fino a che non
le abbiamo trovate ci fermeremo in questa base.”
L’altro
mi lancia un’occhiata che sembra leggere direttamente quanti
crediti ho nelle tasche. Mi scruta pensoso e alla fine dice:
“Capitano, lei mi è simpatico, ma gli affari sono
affari.”
“Questa
è una base imperiale, lei non si può rifiutare di
darci alloggio.”
“Certo,
ma si può alloggiare molto
bene
o molto
male,
se capisce cosa intendo.”
Mi
torna in mente l’attività di commercio di organi
che il mio
interlocutore ha menzionato prima e rispondo:
“D’accordo. Cosa
vuole?”
Spero
che non si accorga della twi’lek, peraltro molto
più gnocca di
Bo’ona, e dei tre soldatini, teneri e indifesi come cuccioli
di
ewok. Dovrò organizzarmi per introdurli nella base chiusi
dentro a
dei sacchi, altrimenti questo schifoso marpione se li fa con tutti i
calzoni.
“Lei
che ha da offrire, capitano?” chiede l’altro con
voce lasciva,
mentre il suo sguardo si fa torbido come quello di uno hutt in
calore.
Gli
porgo immediatamente la Imperial Platinum, non vorrei che chiedesse
altre cose per me molto più sacre.
Randall
osserva la tessera di plastica, poi mi lancia uno sguardo allusivo e
dice: “Questa è la carta di credito di Darth
Vader. Strano che ce
l’abbia lei, dicono che ne sia molto
geloso…”
“Se
non le interessa possiamo anche andare a cercare un albergo in
centro.”
“Non
sia ridicolo, finireste fatti a tocchi e sareste venduti al mercato
come pastura per dianoghe in meno di ventiquattro ore.”
Sto
cominciando a perdere la pazienza, questo marpione laido e sudato ha
già ampiamente esaurito il suo bonus. “Senta, se
non le va bene me
la restituisca, ma tenga presente che non ho intenzione di proporle
altro,
spero di essermi spiegato.”
Lunga
pausa carica di tensione, poi il maggiore risponde:
“D’accordo.
Sono diecimila crediti. Poi mi spiegherà anche come mai ha
lei la
carta di credito di Vader.”
“Non
sono fatti che la riguardano.”
“Vorrà
dire che me lo farò raccontare direttamente da
Darth.”
Lo
spudorato bluff mi lascia freddo come un culo di wampa.
“Lei
gioca a sabacc, maggiore?” gli chiedo alzandomi.
“No.”
“Meglio
per lei.”
Sempre
accompagnato dallo sgherro, raggiungo nuovamente lo sprinter e per
prima cosa mi assicuro che le tre reclute e Fjo’ona non siano
visibili dall’esterno. La Du Bal la posso anche lasciare in
vista,
penso che nessuno sia interessato al suo stantio fascino. Waxen
dev’essere in giro a rompere i coglioni, se domani lo ritrovo
me lo
caricherò sullo sprinter, altrimenti lo lascio qui e ci
penserà poi
Randall a spiegare dov’è finito a chi di dovere.
Per quanto
riguarda Lothar e Hyaskon, c’è un limite anche
alla perversione,
quindi direi che non corrono rischi.
Nel
breve tragitto fino ai nostri alloggi infiliamo dentro a dei sacchi i
membri “appetibili” della nostra spedizione.
“Ce ne portiamo in
camera uno per uno,” spiego, “Lothar che
è grosso se ne porterà
due. Per chi lo volesse sapere, questi sono i nostri bagagli.”
“Secondo
me non se la berranno mai,” sentenzia cupo il capitano medico.
“Sarà
meglio che risultiamo convincenti,” rispondo, “in
questo posto
meno attiriamo l’attenzione e meglio è. Domani
andiamo in cerca di
informazioni e ce la filiamo appena possibile.”
“Ma
cosa le ha detto il comandante della base?”
“Poi
glielo spiego,” dico, agguantando un sacco e trascinandolo
giù dal
mezzo. Si ode un gemito soffocato.
Sotto
gli occhi stupiti dei militari della base, entriamo nelle nostre
camere. La Du Bal in testa con ombrello e trolley mastodontico,
Lothar con un sacco in spalla e uno trascinato a mano, io e Hyaskon
tirandoci dietro un sacco per uno. Queste reclute sembravano delle
mezze seghe ma pesano, accidenti a loro.
Waxen
è tuttora irreperibile.
Finalmente
in stanza, chiudo la porta e mi siedo sul letto sbuffando. Apro il
sacco: porca troia, è Fjo’ona, che salta fuori
come se uscisse da
una torta di compleanno.
“Mi
hai salvato la vita, Roy,” mormora sfarfallando gli occhioni,
“cosa
posso fare per sdebitarmi?”
“Se
non fosse che devi stare nascosta, ti direi di andarmi a prendere lo
zaino.”
Evito
di stretta misura il lancio di un sabot pitonato infilandomi in
bagno.
Poco
dopo scendiamo per la cena. Waxen permane irreperibile, Randall non
c’è e quando chiedo dov’è mi
vengono fornite risposte evasive.
Meglio non approfondire.
Mangiamo
con calma. La conversazione è piuttosto fiacca, anche
perché ho a
disposizione un wookiee che si esprime a muggiti, una professoressa
acida e il lugubre capitano medico, al quale passa un barlume di vita
negli occhi unicamente quando si parla di cadaveri.
Raccolgo
qualcosa per Fjo’ona e torno in camera.
La
twi’lek è una creatura godibilissima, ma quando ha
fame si ricorda
improvvisamente di avere in bocca una chiostra di denti che farebbe
venire i complessi di inferiorità a un wampa. Appena entro
in stanza
Fjo’ona si appropria con gesto rapace del piatto che le ho
portato
e si mette a mangiare con foga gamorreana. L’ultima visione
che ho
prima di piombare in un sonno lapideo è la pitonata che
spolpa una coscia staccandone dei brani ed ingoiandoli interi. Si
vedono i bocconi che le scendono lungo il gargarozzo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Rapporto 02 sulla missione ***
Rapporto
02
Il
governatore Tarkin entrò nel proprio alloggio con un sospiro
di
soddisfazione. Era stata una giornata perfetta: una base ribelle era
stata identificata e distrutta, nessuno gli aveva rotto le palle con
i soliti problemi idioti di logistica e soprattutto quel dannato
capitano era dall’altra parte della galassia assieme
all’altro
rompicoglioni.
Si
sedette sulla sua poltrona con l’intento di mettere i piedi
sulla
scrivania e rilassarsi fino all’ora di cena.
La
spia luminosa lo avvertì che c’era qualcuno alla
porta. Aprì col
comando a distanza.
Entrò
un soldato che si mise sull’attenti e disse:
“C’è un messaggio
per lei, governatore.”
“Metta
pure lì,” disse Tarkin con una vaga ombra di
affabilità,
indicando un angolo della scrivania.
Il
soldato posò ciò che aveva in mano,
salutò e uscì.
Il
governatore si adagiò più comodamente nella
poltrona e si fece
portare del caffè. Poi tirò fuori un buon
holo-libro e si mise a
leggere.
Qualche
tempo dopo si ricordò del messaggio, che frattanto era
rimasto
negletto sull’angolo della scrivania. Lo prese in mano e il
caffè
gli andò di traverso minacciando di soffocarlo: era una
cartolina
tutta nera con una scritta diagonale in rosso che recitava: Sullust
by night.
Dietro,
vergato in caratteri frettolosi e alquanto irregolari, c’era
il
seguente messaggio: Il
cibo fa schifo, c’è un caldo bastardo. Non abbiamo
ancora trovato
Kurtz. Firmato:
Veers.
“Quel
dannato insolente!” ringhiò Tarkin a denti
stretti, mentre la mano
che reggeva la cartolina gli tremava d’ira trattenuta.
Pigiò
un bottone dell’interfono. “Vader!”
gridò, “vieni qui
immediatamente!”
“Ho
da fare, Tarkin.”
“Adesso!”
“Uffa,
che pal…” Il governatore troncò la
comunicazione prima che Vader
potesse finire la frase. Subito dopo si alzò e
cominciò a camminare
in su e in giù come un nexu in gabbia.
Il
gigante nero arrivò poco dopo.
“Cosa
c’è stavolta?”
“Veers!
Riesce a farmi impazzire anche quando si trova a sei giorni di
iperspazio da qui, maledetto! Tu gli devi parlare! Gli devi dare il
fatto suo!”
L’altro
fissò imperturbabile Tarkin che ansimava di rabbia come un
reek e
lentamente rispose: “I problemi disciplinari non sono di mia
competenza.”
“Qui
non si tratta solo di disciplina,” ribatté
prontamente il
governatore, “quel Veers è un delinquente
debosciato, è uno
svergognato senza principi morali, è un cialtrone
irriverente e
ubriacone che combina solo disastri! Da quando lo conosco ho
l’ulcera
e la pressione alta!”
“È
così pericoloso?”
“Non
è affatto pericoloso,”
precisò l’altro con voce tagliente,
“magari lo fosse, almeno
servirebbe a qualcosa. È solo un insolente senza nessun
senso della
gerarchia e della disciplina. Non sa stare al suo posto, non ha
rispetto per i superiori. Guarda cos’ha mandato
stavolta!” e gli
tese la cartolina.
Vader
la prese in mano, la osservò e infine disse:
“Notevole, veramente
notevole.”
“Ti
sembrerà notevole
perché non devi averci a che fare tutti i giorni,”
rispose acido
Tarkin.
Tirò
fuori le compresse per la pressione.
“Prendi
di nuovo dei farmaci?” gli chiese l’altro.
“Esatto!
La compressa di Veers, la chiamo. Vuoi sapere perché la
chiamo
cosi?”
“Un’altra
volta, magari. Ora ho da fare.”
Detto
questo, l’inquietante signore dei Sith salutò e
uscì.
Tarkin
rimase a fissare l’imponente figura che si allontanava
solennemente
lungo il corridoio. Infine sospirò affranto e
andò a vedere se nel
bricco era rimasto del caffè.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Giorno 5 - Alla ricerca di informazioni ***
Giorno
5 – Alla ricerca di informazioni
Sveglia
alle 07:00. Ho dormito come un sasso. In verità, mi ero
ripromesso
di vegliare, perché questa cosiddetta caserma mi ispira la
stessa
tranquillità di un covo di hutt, ma gli stress di ieri hanno
avuto
il sopravvento e ho ronfato di brutto in barba ai possibili pericoli
notturni.
A
onor del vero, verso le cinque ho sentito delle urla agghiaccianti
provenire dai meandri del palazzo, ma francamente non saprei dire se
è stato un sogno o la realtà. So solo che quando
si è trattato di
andare a controllare ho pensato che in fondo non era il caso di
mettersi a curiosare in casa d’altri e mi sono
riaddormentato.
Fjo’ona
comincia a girare per la camera con il consueto baby-doll da infarto.
Ieri sera era in chiacchiera, ha provato disperatamente a raccontarmi
di quanto si era divertita con i suoi amici durante una vacanza su
6/Schel, ma io non le ho dato udienza perché ero stanco
morto,
quindi ci riprova stamattina mentre si prepara e si veste. Si
interrompe unicamente per mostrarmi orgogliosa un pareo decorato a
ysalamiri colorati. Io manifesto grande apprezzamento per la
raffinatezza dell’indumento, insistendo soprattutto sulla
sobrietà
della fantasia. La scosciata lo indossa e conviene che in effetti si
tratta di un disegno alquanto fine. “In fondo non sembra che
quelle
lucertole rosse e gialle siano lunghe un palmo, no?” mi
chiede, “E
poi lo sfondo blu elettrico armonizza fra loro i colori,
vero?”
Io
sono indeciso se guardarla indossando gli occhiali da sole, ma mi
dichiaro assolutamente d’accordo con la sua acuta analisi.
La
lascio a strapparsi sopracciglia mentre vado a mangiare. Prima le ho
astutamente spiegato che tutta la base pullula di stupende modelle
senza un filo di cellulite con minigonne da paura e questo ha fatto
subito comparire un bel mal di testa tattico con necessità
assoluta
di riposo in camera.
Poi
dovrò trovare un’altra scusa per convincerla ad
infilarsi
nuovamente nel sacco, ma intanto non rischia di essere intercettata
da quel laido di Randall.
In
sala mensa ci sono alcuni dei suoi scherani tatuati che si stanno
abbuffando rumorosamente. In un angolo vedo anche Hyaskon, Lothar e
la Du Bal, quest’ultima con aria profondamente disgustata. Mi
avvicino e li saluto. La professoressa si volta dall’altra
parte
con sussiego. Reprimo una potente imprecazione. Prima che finisca la
missione voglio trovare il modo di lasciare a questa stracciapalle
acida e fastidiosa un ricordo indelebile di me, così
finalmente avrà
un buon motivo per detestarmi.
Mentre
sono assorto in queste meditazioni sopraggiunge con il consueto passo
ginnico il colonnello Waxen. Ha l’aria piuttosto ciancicata,
sembra
che si sia rotolato in una discarica.
“Strani
letti da queste parti,” constata togliendosi una buccia dalla
tasca.
“Signore,
dov’era finito? È da ieri sera che la stiamo
cercando.”
In
verità, non è che ci siamo sbattuti molto per
cercarlo, comunque
sarei curioso di sapere cos’ha combinato durante la notte.
“Curiosa
questa
domanda da parte sua, giovane capitano,” risponde
l’altro, “come
lei sa ero l’ospite d’onore alla festa per la
vittoria di
Katagama organizzata da suo padre, il generale di corpo
d’armata
Leopold Veers. Ci siamo chiesti tutta la sera che fine avesse fatto
lei, figliolo. Poi abbiamo pensato che fosse da suo fratello Norman.
Anche se so che siete molto diversi. Nevvero, Maximilian?”
Scuoto
la testa disperato.
“Ha
visto che memoria?” insiste soddisfatto il colonnello,
“Tutto! Mi
ricordo tutto!”
“Sissignore,”
sospiro. Leopold Veers è mio nonno e Norman Veers
è mio padre. E
Maximilian Veers è mio zio, ma su questo proprio non ci
capiamo.
Quindi,
ricapitolando, probabilmente non saprò mai cos’ha
combinato
stanotte il vecchio fossile. Suppongo comunque che abbia girovagato
evitando chissà come le bande di delinquenti, tagliagole e
ribelli
che a quanto pare pullulando in queste zone e sia finito a dormire in
una qualche discarica a cielo aperto pensando che fosse il parco
della residenza coloniale di mio nonno Leopold.
Lo
lascio a raccontare agli altri i particolari della bellissima festa e
vado a scambiare due parole con il laido marpione che comanda la
base.
Randall
è come sempre sbragato in una poltrona. Quest’oggi
ha la twi’lek
verde e una rodiana con tette giganti che, una da una parte e una
dall’altra, gli stanno facendo un massaggio alle spalle.
Una
terza aliena, suppongo dalla guepiére leopardata che si
tratti di
una tusken senza paramenti, lo imbocca frattanto con frutti tropicali
e altre delicatezze.
“Ah,
Veers!” mi apostrofa l’orrido individuo, dopo aver
emesso un
rutto devastante e mollato una pacca sul culo alla tusken,
“Ha
dormito bene?”
“Sì,
certo. Anche se verso le cinque mi è sembrato di sentire
delle
strane urla…”
“Quei
dannati idioti!” tuona Randall con energia,
“Vogliono torturare
gli ostaggi di notte perché dicono che fa più
fresco e se ne
fregano se col casino che fanno sbrandano mezza caserma. In queste
condizioni non si può dormire! Ma io mi sono stancato, sa?
Gliel’ho
detto: o la piantano e torturano di giorno come tutti, o gli faccio
passare io la voglia di fare i furbi!”
“Oppure
potrebbero tagliare le corde vocali agli ostaggi,” interviene
Hyaskon, sopraggiunto nel frattempo senza alcun rumore alle mie
spalle.
“Sarebbe
una buona idea,” osserva Randall, “ma
d’altra parte è anche un
bene che i bastardi là fuori sentano cosa succede a chi non
rispetta
le regole. Così imparano a versarmi la percentuale nei tempi
stabiliti e non quando pare a loro, maledetti figli di
puttana!”
Noi
lo fissiamo in silenzio. Io sono anche un po’ allibito,
Hyaskon
invece sembra solo seccato perché il suo suggerimento non ha
avuto
successo.
Con
aria grave, Randall spiega: “Una volta uno di quei bastardi
ha
cercato di rifilarmi una partita di spacca-cervello tagliata con il
tybanio.”
Silenzio
carico di costernazione, poi prosegue: “Due dei miei uomini
l’hanno
provato e sono ancora in un recinto là fuori che si credono
dewback
nella stagione degli amori. Sempre ad ingropparsi a vicenda facendo
dei muggiti, una vera schifezza. Ci pensa a cosa sarebbe successo se
quello fosse riuscito a fregarmi?”
“Avrebbe
avuto una mandria di dewback arrapati al posto della sua
guarnigione?” azzardo.
“La
concorrenza mi avrebbe portato via un sacco di affari!”
strilla il
trippone laido dando un pugno sul tavolo. “Ma io li ho
beccati e
non gliel’ho fatta passare liscia,” aggiunge
compiaciuto, “e da
allora gli altri rigano dritto che è un piacere.”
“Direi
che vale la pena di sopportare qualche urlo di notte per ottenere dei
risultati così,” osserva Hyaskon con un sorrisetto
sadico che
metterebbe i brividi a un mandaloriano, “tanto più
che io ho
dormito benissimo lo stesso.”
“Lei
mi piace,” ribatte Randall, “ha molto spirito
pratico. Si sieda,
si sieda!” e gli indica una sedia accanto alla sua.
“Ah, si sieda
anche lei Veers! Non vorrà rimanere lì in
piedi.” e mi indica
un’altra sedia. La controllo, ma non mi sembra appiccicosa,
per cui
mi accomodo.
Il
nostro laido interlocutore ci fa portare la colazione.
Mentre
ci alimentiamo gli dico: “Maggiore, a noi servono delle
informazioni. La mia missione è di trovare Kurtz.”
“Auguri.
La maggior parte delle torture che usano i ragazzi me le ha insegnate
lui. Ma non sono le peggiori. Ha provato a descriverne qualcuna di
quelle toste, ma Rolf si è messo a piangere come un bambino.
Tenete
presente che la mia guardia del corpo è condannata a morte
su dodici
sistemi astrali per genocidio, strage, disastro doloso, vilipendio di
cadaveri, stupro di minorenni, contrabbando di schiave
twi’lek,
ricettazione e altri reati minori, quindi non è esattamente
un'educanda. Questo dovrebbe darvi una vaga idea del tipo che state
andando a cercare.”
“OK.
Ora mi dice dove lo trovo, per
favore?”
insisto.
“Capitano,
ha una così gran voglia di finire bollito vivo
nell’olio motore a
cominciare dalle palle e risalendo lentamente in un estenuante abisso
di sofferenza che può durare anche dei giorni?”
“Questa
è una delle torture che hanno fatto piangere Rolf?”
“Niente
affatto. Questa lo ha fatto sbragare dal ridere e l’ha voluta
subito mettere in pratica con un ricettatore che aveva cercato di
fregarlo. Quelle toste sono molto peggio. Non gliele racconto
perché
sta mangiando.”
Con
grande disappunto di Hyaskon, non insisto per avere ugualmente una
descrizione.
“Io
comunque non lo so dov’è Kurtz,”
riprende poi il maggiore a
bocca piena, sputacchiando pezzetti di cibo e grattandosi nel
contempo le palle, “e le dirò, non voglio neppure
saperlo. L’unico
che le può dire qualcosa, sempre se ne ha voglia,
è il Secco.”
“Chi
è il Secco?”
“Lo
chiamano anche Faccia di Titanio. È uno che sta nella
città
vecchia. Non l’ho mai visto di persona. Qualche volta ci ho
fatto
affari, meccanica di precisione e materiale elettronico,
perlopiù.
Un dannato osso duro, non gli andava mai bene niente. Però
sa tutto
di tutti. Se lo becca in buona può darsi che le venda
qualche
informazione. Si prepari a sborsare un bel mucchio di crediti,
però.”
“In
questa città andate tutti a gettoni?”
Ma
tu guarda che mi tocca di fare anche la parte del moralista. Questa
missione è veramente assurda. Ed è assurdo
soprattutto che io mi
stia dando da fare come un idiota per trovare un pazzo sanguinario
con l’hobby di praticare le torture più
abominevoli che una mente
perversa possa concepire. E fra l’altro lo devo andare a
cercare in
una giungla fetente e gremita di indigeni di crudeltà
leggendaria,
dove vive circondato dalle sue guardie, in confronto alle quali gli
indigeni di cui sopra sembrano dei jawas con la fobia sociale. Che
farò se per disgrazia lo trovo? O meglio, cosa mi
farà lui se per
disgrazia capito fra le sue grinfie?
“Che
brutto modo di definire un po’ di sano commercio,”
depreca
Randall costernato, distogliendomi dalle mie angosciose meditazioni.
“Qui cerchiamo solo di dare il giusto valore alle
cose.” E mi
osserva di sottecchi tamburellando sul piano del tavolo con le dita a
salsiccia.
Mi
astengo dal fare commenti e gli chiedo di spiegarmi come raggiungere
Faccia di Titanio.
Randall
mi fornisce alcuni dati approssimativi.
“Maggiore,
come faccio ad arrivare là se l’unica indicazione
che riesce a
darmi è che il posto è una stanza sopra a un
night club?”
“Ero
sbronzo…” si giustifica l’altro
emettendo un rutto che fa
tremare i vetri. O almeno spero che sia solo un rutto,
perché non ho
la maschera antigas a portata di mano.
“Ma
non ha detto che ci ha fatto degli affari?”
“Contratto
meglio quando ho bevuto.”
Segue
un lungo silenzio. Con questo non ho speranze di ottenere qualcosa di
utile.
“OK,
grazie lo stesso,” rispondo infine. Raccolgo la mia simpatica
comitiva, che nel frattempo ha finito di mangiare, prelevo la
colazione per la twi’lek e vado in cerca di Rani. Se
è vero che
Faccia di Titanio è così famoso lo
conoscerà anche lui, che
diamine.
Poco
dopo, siamo tutti sullo sprinter diretti verso il centro. Abbiamo
portato a bordo anche Fjo’ona e i soldati usando lo
stratagemma dei
sacchi. Li abbiamo un po’ sbatacchiati, è vero, ma
è sempre
meglio qualche spigolo delle bavose attenzioni di un pervertito laido
e sudato come Randall. O almeno suppongo che sia così.
Chiamo
a rapporto la guida e gli chiedo se sa qualcosa del misterioso
informatore.
Il
sullustiano mi ascolta attentamente, poi dice: “Io so dove
lui
stare. Io portare. Ma poi lasciare e tornare a prendere quando
finito, se voi chiamare.”
“Come
sarebbe a dire se
voi chiamare?”
“Voi
forse
morti, prigionieri, drogati per asportare organi…”
Lo
fermo con un gesto, non voglio sentire altro. In confronto a questo
bel posticino la colonia penale di Kessel sembra un luogo di
villeggiatura per mogli di ufficiali in congedo.
Ci
addentriamo in una zona piuttosto caotica e ricca di svariati alieni
dall’aria equivoca. Col consueto tono da guida turistica,
Rani mi
spiega che si tratta del quartiere dei contrabbandieri, situato
proprio accanto a quello dei bari, non molto lontano da quello dei
trafficanti di schiavi.
Lo
sprinter si ferma. “Tutti scendere, presto!” ci
dice il
sullustiano.
Guardo
fuori. Se mi perdo Waxen in questo posto non lo troverò mai
più. Lo
stesso dicasi per le tre reclute imbranate, per la Du Bal, per il
tappeto ambulante e per Fjo’ona. Hyaskon mi da già
più
affidamento, ma pensavo di tirarmelo dietro. Mi scoccia un
po’
andare proprio da solo.
“Negativo,
scendiamo solo io e il capitano medico,” rispondo.
La
professoressa si mette le mani a brocca sui fianchi e dice:
“Capitano, lei non può dare ordini a me!
Io scendo finché voglio!” e zompa giù.
Fuori
uno.
Waxen
guarda fuori. “Ah, il buon vecchio odore dei mercati
ughnaught,”
dice inspirando profondamente, “Era dai tempi di…
di… be’ mi
verrà in mente. Io vado a farmi un giro!”
Fuori
due.
Fjo’ona
si affaccia con cautela deponendo la pinzetta per le sopracciglia. Mi
guarda e fa: “Mi scappa la pipì, devo andare alla toilette.”
Fuori
tre.
Lothar
scende mugolando e sbuffando. Ha lo stesso problema di
Fjo’ona ed
ha appena adocchiato un albero.
Fuori
quattro.
Non
scende più nessuno.
Guardo
dentro e vedo le tre reclute ammassate l’una
sull’altra nel più
oscuro e nascosto recesso dello sprinter, tremanti come jawas buttati
nella fossa di un rangkor.
“E
voi non scendete?”
“Dobbiamo
proprio, signore?” chiede Lawrence con voce sommessa.
“No,
potete anche rimanere lì. Sapete come rientrare alla base
nel caso
noi non facessimo ritorno, vero?”
I
tre si guardano indecisi ma non osano muoversi. Meglio così,
tre
imbranati in meno da controllare.
Rani
mi chiama e con tono concitato dice: “Presto! Uomo saggio
andare,
non buono restare a cazzeggiare in vie malfamate.”
I
miei accompagnatori frattanto si sono già dispersi ai
quattro punti
cardinali. Alzo le spalle e mi metto a seguire la guida.
Chissà se
ne ritroverò qualcuno al mio ritorno.
Percorriamo
una serie di viuzze sordide sulle quali si affacciano locali
dall’aria equivoca. La sensazione di essere scrutati fino ai
precordi da occhi malevoli è fastidiosamente intensa.
Hyaskon mi sta
alle costole con un’espressione particolarmente lugubre.
“Non
usciremo vivi di qui,” sentenzia cupo.
Giungiamo
infine ad uno scantinato nel quale si trova un locale a metà
fra il
postribolo di ultimo livello e il bar di periferia, con dentro
qualche ubriaco di varie specie aliene, due o tre battone sgangherate
e un oste laido dall’aria truce. La comparsa di due ufficiali
imperiali sulla porta mette tutte queste stimabili persone di pessimo
umore e ci vengono rivolti degli sguardi in confronto ai quali quelli
di prima erano addirittura affettuosi. Cala un silenzio siderale.
Vorrei
essere amichevole, ma quello che mi compare sul viso
dev’essere
qualcosa a metà fra il sorrisino di circostanza e il trisma
tetanico.
Gli
sguardi si fanno ancora più ostili.
Evito
accuratamente di cedere all’impulso di mettere la mano sul
blaster,
non vorrei far avverare prematuramente la profezia di Hyaskon.
“Presto!
Venire, uomo saggio non perdere tempo!” Rani mi tira per la
manica
e mi fa cenno di seguirlo.
Ci
incamminiamo lungo un corridoio stretto e fiocamente illuminato, che
sembra fatto apposta per un agguato ribelle. Devo dire che non mi
sento molto a mio agio: è proprio in posti come questi che
gli
imperiali finiscono fatti a tocchi per essere venduti come pastura da
dianoghe.
Dal
corridoio passiamo ad una scala ripida e angusta e poi ad una specie
di anticamera, Rani ci fa cenno di attendere e scompare dietro ad una
porta.
Io
e Hyaskon ci guardiamo perplessi.
Passa
qualche angoscioso minuto, poi la porta si apre lentamente.
“Tu
venire,” dice la guida indicando me, “altro
aspettare. Lui vedere
solo uno.”
Lo
seguo senza esitare, non voglio perdere tempo a dare
l’estremo
saluto a Hyaskon o a pensare alla possibile cazzata che sto facendo.
Mi
trovo in una stanza piuttosto piccola, spoglia, con due sedie e una
scrivania alla quale è seduto un droide scheletrico dalla
faccia
piatta, con due occhietti luminosi ai lati della testa.
“Lui
8T-88, Faccia di Titanio,” dice Rani.
“Solo
88 andrà bene,” interviene il droide. La voce
artificiale ha un
timbro di glaciale cortesia.
“Prego,
si accomodi,” prosegue, indicandomi una delle due sedie.
Aspetta
che io mi sia sistemato, poi mi scannerizza con i suoi occhi
sintetici, tamburella con le dita metalliche sul piano della
scrivania e dice: “Un capitano della flotta imperiale, quale
insperato onore. A cosa devo una visita così
importante?”
“Ho
bisogno di informazioni che a quanto pare solo lei può
darmi.”
Il
droide fa un cenno accondiscendente con la testa e risponde:
“Ahimè,
temo proprio che sia così. Generalmente, capitano, ci si
rivolge a
me quando ogni altra possibilità è
esaurita.”
Si
interrompe per qualche secondo, ma prima che io possa intervenire,
prosegue: “Io so tutto di tutti, ho trecentomila terabyte di
memoria. Per questo motivo, le mie informazioni sono molto preziose.
Capisce cosa intendo, capitano?”
Sono
alquanto infastidito dall’ennesimo show di onnipotenza
narcisistica
che mi sta venendo propinato. Decido quindi di tagliare corto, questo
posto mi piace poco e il droide ancora meno.
“Se
ne fa una questione di soldi, si risparmi la contrattazione e usi
questa. Non ho tempo di stare a tirare sul prezzo.” E gli
porgo la
consueta Imperial Platinum.
Non
che mi aspettassi da un droide delle manifestazioni di
emotività
particolarmente intense, ma 88 inquadra rapidamente la tessera di
plastica, poi fa uno zoom sul mio viso e dice: “Tutto
qui?”
Mi
sento anche un po’ offeso. “Come, tutto
qui?” ribatto sdegnato,
“questa è la Imperial Platinum Super Deluxe di
Darth Vader in
persona!”
“E
con ciò? Se non fosse che la fatica supera ampiamente il
risultato,
gliela potrei clonare in dieci minuti.”
Sono
a dir poco annichilito. E adesso? Lo fisso inerme. Temo di non avere
assolutamente null’altro che possa interessare ad un droide.
“Allora,
capitano Veers, penso che questo ponga fine alla nostra
trattativa,”
conclude 8T-88, con la glaciale cortesia del suo apparato vocale.
“Come
fa a conoscermi?”
“Ho
in memoria le schede personali di ogni militare imperiale che abbia
ricevuto un codice di identificazione. Lei è un ufficiale
piuttosto
anticonformista,
oserei dire.”
“Faccia
di Titanio, questi non sono cazzi tuoi,” rispondo
bruscamente. La
mia missione è appena andata affanculo, non ho la minima
voglia di
sopportare anche i sarcasmi di questo mucchio di ferraglia
indisponente.
Il
droide emette un sinistro cigolio e lentamente sibila:
“Veers, lei
dovrebbe stare più attento quando parla. La
libertà con cui si
esprime potrebbe avere per lei conseguenze estremamente
spiacevoli.”
La
scheletrica mano metallica si allunga inesorabilmente verso un
pulsante, suppongo si tratti di un comando per far arrivare un
gruppetto di gamorreani pronti a farmi a fette con l’ascia.
A
questo delicato punto della trattativa, si ode un tramestio su per le
scale. Una vocetta melodiosa chiama: “Roy! Rooy! Dove sei
finito?”
È
Fjo’ona, naturalmente, che non so per quale imperscrutabile
motivo
è arrivata fin quassù.
Vede
il capitano medico che è rimasto fuori ad aspettarmi e fa:
“Evan,
dov’è Roy? È da mezz’ora che
lo sto cercando…”
Hyaskon
evidentemente le indica la stanza, perché dopo qualche
secondo si
sente bussare e la porta si apre. Nel riquadro compare la
spettacolare gnocca twi’lek che dice: “Roy,
quand’è che
andiamo via? Io ho la pipì…”
L’episodio
ha conseguenze a dir poco inaspettate: le membra metalliche del
droide hanno una contrazione e si stecchiscono come le zampe di uno
scurrier che sta tirando gli ultimi, l’autofocus
dell’occhio
bionico quasi va in avaria nel percorrere le curve mozzafiato
dell’anatomia di Fjo’ona. 8T-88 comincia a
balbettare frasi prive
di senso.
“C’è
qualcosa che non va?” mi informo con cortese interesse.
“Una
twi’lek azzurra…” mormora
l’altro.
“Sì,
e allora?”
“Com’è
bella…”
Faccia
di Titanio, solo mezzo minuto fa rigido e sussiegoso, si sbraga
ignobilmente di fronte alle tette celesti della scosciata e se
potesse si metterebbe anche a sbavare. Intravedo una nuova
possibilità di contrattazione.
“Roy,
io ho la pipì,” insiste Fjo’ona, al
solito serenamente ignara di
ciò che sta accadendo.
Il
droide la scannerizza ancora una volta con estenuante e morbosa
lentezza poi dice: “Come sarebbe bello farsi irrorare di
pioggia
dorata da una creatura così soave…”
Sospiro.
Cosa sono ridotto a fare per l’Impero.
“Si
può organizzare,” rispondo, “guarda caso
ho proprio una twi’lek
a disposizione. Certo, le costerà
qualcosa…”
“Tutto
quello che vuole, capitano,” ansima il droide, che tremando
di
eccitazione fa il rumore di un sacchetto di bulloni scrollato.
“Le
dico dov’è Kurtz, se vuole le do anche il suo
numero di com-link,
ma la prego, non mi faccia aspettare oltre, o andrò in
cortocircuito!”
Chiamo
la twi’lek e le spiego cosa si aspetta da lei
l’Impero.
“Capitano
Veers, io non sono quel genere di ragazza!” protesta sdegnata
l’aliena.
Sospiro
di nuovo, stavolta con una certa esasperazione. Ci sono momenti nella
vita in cui anche un uomo singolarmente tranquillo ed
accondiscendente può perdere la pazienza.
Bruscamente,
le rispondo: “Ma piantala, che come minimo prima di diventare
segretaria
avrai fatto la cubista in un locale fetish!”
“Era
un locale sadomaso, per tua norma e regola! E comunque io quella roba
lì non la faccio!”
“Fjo’ona,”
le sussurro delicatamente all’orecchio, “Il laido e
bavoso
comandante della base di Kandy sta cercando una twi’lek da
comprare
e paga anche molto bene. Tu cosa pensi che mi impedisca di svenderti
a lui a prezzo di realizzo e poi andarmi a fare una vacanza nel
sistema 6/Schel?”
“Ma
tu sei un ufficiale imperiale, non faresti mai una cosa del
genere!”
“Spiritosa.
Dai, piscia su questo droide e andiamo a casa.” Poi, rivolto
a
8T-88, aggiungo: “Le notizie che mi aveva promesso, prego.
Non
vorrei che l’esperienza della pioggia dorata le mandasse in
corto
la memoria centrale.”
Senza
un attimo di esitazione, il droide mi porge un supporto laser.
“Qui
c’è tutto quello che ho in memoria su Kurtz. Ma
ora… presto…”
Si
sdraia per terra e prende a contorcersi come un tentacolo di sarlacc
emettendo cigolii e rumori di ferraglia. Faccio un cenno a
Fjo’ona.
Con
aria decisamente professionale, l’aliena gli si posiziona
sopra a
gambe larghe, in modo da potergli mingere addosso stando in piedi.
Faccia
di Titanio vibra come un frullatore impazzito emettendo suoni
inarticolati.
Con
studiata lentezza, Fjo’ona si solleva l’aderente
minigonna
facendola scorrere sulle cosce. Noto che non porta mutandine, per
quanto nel suo bagaglio personale vi sia un’ampia collezione
di
tali indumenti.
Incuriosito
da questo fatto, le chiedo: “Ehi, come mai giri con la
passera al
vento?”
“Lo
faccio sempre,” mi risponde disinvolta, “la
biancheria intima mi
fa un gran caldo…”
Rievoco
il suo tanga, praticamente un francobollo tenuto insieme da tre fili,
e alzo le spalle rinunciando a comprendere i misteri della
termoregolazione twi’lek.
Uno
spettacolo a dir poco inquietante mi distoglie dai miei pensieri:
Fjo’ona comincia con la pioggia dorata, 8T-88 si mette a
guaire, a
squittire, a grugnire, giungendo infine ad emettere suoni che solo un
apparato vocale sintetico è in grado di proferire.
Tali
vocalizzazioni aumentano di frequenza fino a diventare un ultrasuono
trapanante. A questo punto, le membra metalliche del droide entrano
in risonanza e prendono a vibrare in maniera parossistica. Ad un
tratto, si ode un sonoro scoppio, dai lati della testa di 8T-88
sprizzano fuori delle scintille e dopo un’ultima contrazione
la
carcassa metallica si immobilizza. Un fumo biancastro comincia a
salire lentamente filtrando dalle fessure del rivestimento di
titanio.
“Oddio,
l’ho ucciso!” strilla Fjo’ona, mentre i
lekku le si stirano
dall’orrore.
Io
do un’occhiata al droide in avaria e rispondo:
“Tanto ci aveva
già dato tutte le informazioni che ci servivano. Dai,
adiamo.”
“Roy,
ma sei senza cuore!”
“L’ho
barattato con un pezzo di fegato. Con tutto quello che bevo mi serve
di più.”
Usciamo
dalla stanzetta e troviamo Hyaskon più cupo del solito.
“Nel
locale da basso stanno parlando di noi,” mi informa con tono
lugubre, “dicono che a loro non piacciono gli imperiali e che
appena torniamo giù sono cazzi nostri.”
“Che
notiziona,” rispondo ascoltando preoccupato i clamori
provenienti
dalla scala, “e non abbiamo neanche la nostra guida a
disposizione.”
“Per
quello che serve…” ribatte il capitano medico.
In
effetti, Rani non serve a un cazzo in situazioni normali, figuriamoci
cosa sarebbe in grado di combinare nel corso di una trattativa con
trenta delinquenti di varie specie aliene decisi a farsi uno
scendiletto con le nostre pelli.
Mi
guardo intorno ansiosamente. “Ma non c’è
un’uscita
posteriore?” mormoro speranzoso,
“c’è sempre
un’uscita posteriore nei covi degli
informatori…”
“Nei
racconti di serie B, forse, non nella cruda
realtà,” risponde
Hyaskon scuotendo la testa.
Cerco
un altro po’, ma riesco a trovare solo una specie di
guardaroba con
dentro alcuni abiti.
“Ehi,
guardate che cappotto strano!” non posso fare a meno di
constatare,
tirando fuori un’enorme palandrana col collo di pelliccia.
“Roba
da pappone gamorreano,” dice Hyaskon sprezzante dopo avergli
dato
un’occhiata.
Mi
si accende la lampadina.
“Ragazzi,
ho trovato il modo di andarcene!” esclamo, “Io mi
metto
quest’affare con il colletto tirato su fino alle orecchie e
faccio
il magnaccia, Fjo’ona fa la bagascia che tanto le viene bene
e lei
capitano… lei si mette quell’abito da femmina
tusken!”
“Prego?”
“L’abito
da tusken, così non la vedono in faccia! Ci scambieranno per
un
pappa con le sue puttane!”
“Veers,
le ha dato di volta il cervello?”
“Idee
migliori?”
Le
grida aumentano di intensità e si sentono anche rumori di
stoviglie
che vengono frantumate. Giurerei che stanno preparando colli di
bottiglia scheggiati per le nostre carotidi.
“Ma
non posso fare io il magnaccia?” azzarda Hyaskon.
Ma
tu guarda il deficiente. Fa rischiare la pelle a se stesso e a noi
solo perché si vergogna a mettersi l’abito da
donna tusken.
Insensibile
al suo imbarazzo, rispondo: “Nah, non avrebbe
l’aria disinvolta.
E ora si vesta, non abbiamo molto tempo.”
Sconfitto,
Hyaskon si infila nell’ufficio del droide e chiude la porta.
Ricompare dopo un paio di minuti. Avevo dimenticato che le puttane
tusken hanno il viso coperto ma girano in minigonna: complimenti per
le gambe pelose. A parte i wookiee, non avevo mai visto una cosa del
genere.
Fjo’ona
ha immediatamente un accesso di riso isterico, cosa che non
contribuisce certo a mettere a suo agio il capitano medico.
La
richiamo bruscamente e lei si ricompone chiocciando.
A
questo punto comincia lo show: mi calco un cappellaccio sulla fronte,
mi riempio di monili pacchiani e vistosi, sbottono la scollatura
della twi’lek in modo che trabocchi come una cornucopia e
cerco di
nascondere come posso le ipertricotiche estremità di
Hyaskon. Poi
cingo entrambi per la vita – Fjo’ona da una parte e
capitano
medico dall’altra – e mi dirigo verso la sala
ostentando la più
totale sicurezza. Se mai mi dovessero accoppare in questa situazione,
riporteranno a bordo della Morte Nera le mie spoglie in abito da
pappone gamorreano e la famiglia Veers farà un suicidio
collettivo
per il disonore.
Gli
alieni vocianti interrompono le minacce all’indirizzo degli
imperiali
bastardi
per fissarci meravigliati. Cadono parecchie mascelle mentre sguardi
libidinosi cominciano a percorrere avidamente le curve delle mie
ragazze.
Strabuzzando
gli occhi peduncolati, un gungan grida: “Ehi! Tu hai fighe
maxi-belle! Tettona blu e donna tusken! Quanto money tu
vuole?”
Faccio
un cenno di diniego per fargli capire che non se le potrebbe
permettere neppure smerciando la totalità delle sue
interiora ai
trafficanti di organi e continuo a camminare verso l’uscita.
“Guardate
la tusken!” grida qualcuno in fondo al locale. Io sento un
brivido
ghiacciato lungo la schiena, ma la voce prosegue: “La tusken
è uno
schianto! Ehi, bellezza, fatti vedere bene!”
Si
scatena un coro di apprezzamenti da caserma punitiva sulle villose
grazie del capitano medico. Ignorando completamente la spettacolare
gnocca twi’lek, tutti sbavano allupati
all’indirizzo della
tusken. Fjo’ona è talmente costernata che i lekku
le pendono come
dianoghe morte.
Tanto
per darle un po’ di attenzione e al tempo stesso per
interpretare
al meglio il pappone gamorreano, le do una bella manata piena sul
culo, ma la twi’lek è talmente avvilita che se ne
accorge a mala
pena. Ottimo culo, comunque.
La
tusken, intanto, è oggetto di attenzioni sempre
più morbose:
braccia, zampe e tentacoli, a seconda della specie aliena
considerata, si allungano bramosi al suo passaggio e qualcuno riesce
anche a palpeggiarla. Hyaskon si schermisce emettendo grugniti e
mollando sberle qua e là come una vera tusken incazzata.
Ogni
manrovescio scatena un coro di acclamazioni altamente irriferibili
nella folla di maschi allupati.
Alla
meno peggio, schivando fili di bava e schizzi di altri liquidi
organici, attraversiamo la sala giungendo in prossimità
dell’uscita.
Con sollievo comincio a pensare a come sarà bello varcare
quella
soglia.
Sono
così concentrato sulla contemplazione della salvezza che non
mi
accorgo del fremito di fiero sdegno che attraversa le curvacee membra
di Fjo’ona.
A
denti stretti, la twi’lek mormora: “Non
è possibile, io sono una
cubista e una olomodella, il mio corpo è perfetto e questa
lurida
gentaglia mi ignora per guardare questa…
questa…”
Non
riesce neppure a finire la frase, indecisa se scoppiare a piangere o
mettersi a pestare i piedi dalla rabbia.
Un
secondo dopo, cogliendomi completamente alla sprovvista, si svincola
bruscamente dalla mia presa e rientra con un balzo nel sordido locale
dal quale eravamo abilmente usciti. Si ferma con aria spavalda di
fronte agli avventori del locale e dice: “Branco di segaioli
laidi,
mi fate pena! Non sapete neppure riconoscere una bella ragazza quando
la vedete!”
Subito
dopo, con gesto repentino si strappa la camicetta. Ne escono un paio
di tette inaudite, che dopo un molle rimbalzo rimangono a sfidare la
forza di gravità come due remoti.
“Che
cazzo fai, deficiente!” grido inorridito.
“E
queste cosa sono, eh?” chiede Fjo’ona senza neppure
darmi
ascolto, “Cosa sono? Non avrete il coraggio di dirmi che la
tusken
ce le ha più belle delle mie…”
Una
marea grugnente e sbavante ci piomba addosso prima che possiamo anche
solo pensare di fuggire in qualche modo. L’ultima cosa che
vedo
prima di essere sommerso è la cretina che strilla mentre
alcuni
gungan superdotati se la contendono.
Ad
un tratto, mi sento afferrare per la collottola. Vengo issato di peso
e gettato in uno sprinter, subito dopo mi raggiungono la
twi’lek
ancora a tette fuori e Hyaskon senza il copricapo ma in minigonna.
Una voce baritonale ci chiede in shriiwook cosa cazzo abbiamo
combinato.
Mi
guardo intorno: ci sono i tre soldatini come al solito ammucchiati in
un angolo con aria tremebonda, Lothar che barrisce, la Du Bal che mi
fissa con riprovazione e Rani con la consueta aria tranquilla.
Lentamente
ci ricomponiamo ansimando mentre il nostro mezzo si allontana a tutta
velocità. Frattanto racconto quello che è
successo al wookiee.
“Avevo tutto sotto controllo finché quella scema
non ha deciso di
fare il suo numero,” dico alla fine, “è
proprio vero che
bellezza per intelligenza è uguale a costante.”
Fjo’ona
cerca di intenerirci scoppiando in lacrime, ma io e Hyaskon, che
abbiamo appena rischiato la vita o peggio per colpa sua, la fissiamo
indifferenti come dewback che pascolano.
Lothar
emette un bramito con intonazione interrogativa.
Io
gli rispondo: “Negativo, non ho la più pallida
idea di dove sia
Waxen. È uscito quando ci siamo fermati dicendo che voleva
fare un
giro nel mercato.”
“Nessuno
l’ha visto,” aggiunge arcigna la docente.
“Oh,
povero Polly,” singhiozza la twi’lek,
“chissà dov’è
finito!”
“Polly?”
chiediamo all’unisono io e Hyaskon basiti.
“Gli
piace tanto quando lo chiamo così…”
Io
e Hyaskon ci guardiamo sempre più basiti.
“I
soprannomi sono molto belli,” prosegue con aria compunta la
pitonata, “noi twi’lek abbiamo tutti un soprannome
che descrive
una nostra caratteristica particolarmente spiccata. Volete sapere il
mio?”
“Non
stiamo nella pelle,” risponde sarcastico il capitano medico.
“Rigatone.”
Proclama Fjo’ona trionfante. E ci fissa sorridendo, con la
dentatura appuntita in bella evidenza.
Se
mai ve ne fosse stato bisogno, ecco un motivo in più per
evitare
coinvolgimenti affettivi con la scosciata azzurra.
Ma
torniamo alla situazione contingente: Waxen è scomparso.
Tiro
un sospiro di sollievo, finalmente sembra che ce lo siamo tolto dalle
palle.
Sarà
perso da qualche parte. O morto. Poco importa. Troppo stantio per
cadere vittima dei cacciatori di organi, forse ben tritato va ancora
bene come pastura per dianoghe.
L’importante
è che non ci massacrerà più le gonadi.
A parte la cretina finché
non trova un altro vecchio fossile da vezzeggiare e lo wookiee,
nessuno in tutto l’Impero sentirà la sua mancanza,
questo è poco
ma sicuro.
“Sembra
che ci siamo liberati del vecchiaccio,” dico soddisfatto a
Hyaskon.
Poi
mi rivolgo agli altri e solennemente proclamo: “Il colonnello
Waxen
non è più tra noi.”
Varie
esclamazioni costernate.
“Ma
del resto,” proseguo, “chi muore per
l’Impero vissuto è assai,
dice il poeta, ed egli è caduto da prode nel corso di una
pericolosa
missione, lasciando a noi il compito di onorare la sua
memoria…”
La
professoressa mi interrompe dicendo: “Capitano, ci risparmi
questo
sfoggio di retorica militarista e fallocratica.”
“Non
glielo risparmio no, cara la mia docente,” le rispondo con
vaga
soddisfazione, “questa è una missione militare e
quindi è proprio
il posto giusto per fare sfoggio di retorica militarista e
fallocratica.” E le esibisco uno dei miei sorrisi disarmanti,
di
quelli che fanno imbestialire Tarkin.
Siamo
impegnati in queste fini schermaglie verbali quando vediamo un
capannello di sullustiani basiti intorno ad un individuo che si agita
come un forsennato in piedi su una cassetta.
Mi
viene un orrendo sospetto. Non può essere, eppure…
Quando
ci avviciniamo abbiamo la reale misura della tragedia: Waxen, baffo
fremente e molleggio ginnico delle ginocchia, sulla cassetta di cui
sopra sta proferendo reboanti esortazioni a quelle che probabilmente
ha scambiato per truppe schierate.
Con
sommo sdegno della Du Bal, mi lancio in una sequela di complicate
imprecazioni.
Non
ho idea di come cazzo abbia fatto ad arrivare fin qui dal mercato
eludendo malfattori e criminali assortiti, ma sta di fatto che
è
proprio lui, e al momento mi sembra anche fuori come un balcone.
Più
del solito, intendo dire.
Lo
guardo afflitto e d’un tratto mi viene l’idea di
ignorarlo e
proseguire. Perché no, dopotutto? Poi mando un olomessaggio
alla
base e dico che ce lo siamo perso da qualche parte ma non sappiamo
dove. Magari sono così contenti che perdono interesse al
ritrovamento di Kurtz e io posso finalmente tornare al bar del
circolo ufficiali a bere birra.
Come
se mi avesse letto nel pensiero, a bassa voce Hyaskon fa: “Ci
sono
un po’ troppi testimoni, non crede?”
In
effetti, il gruppo nella sua totalità è
affacciato ai finestrini
dello sprinter e fissa le evoluzioni del vecchio rincoglionito.
A
malincuore rinuncio ai miei propositi e faccio fermare il veicolo.
Parte la solita squadra, io, Hyaskon e il wookiee, per effettuare il
recupero del nostro comandante.
Già
da lontano sentiamo Waxen raccontare agli astanti la storia della
battaglia di Little Big Bantha su Tatooine: “…Ed
eravamo rimasti
io e un manipolo di cosi… come si chiamano…
quelli che si vestono
tutti allo stesso modo e portano le armi…”
“Soldati?”
suggerisce qualcuno.
“Certo,
naturalmente! Soldati! Insomma, eravamo io e un coso di cosi
e… che
stavamo dicendo?”
Facendoci
largo tra i sullustiani basiti, raggiungiamo il colonnello.
Il
vecchiaccio malefico mi vede e fa: “Ah, eccola lì,
giovanotto!
Cominciavo ad essere preoccupato, credevo che vi fosse successo
qualcosa.”
Sospiro
afflitto: l’imbecille credeva che fosse successo qualcosa a
noi.
“Comunque
sono contento che lei, nonostante l’inesperienza tipica della
sua
giovane età, non si sia cacciato in qualche
guaio!” prosegue poi
con un sorrisetto indulgente, “ma vedo che
c’è anche il nostro
bravo capitano medico. E quella grossa creatura pelosa che
cos’è?”
“Signore,
quello è il suo cameriere personale.”
Perfetto.
Adesso non riconosce più lo wookiee, che peraltro,
rendendosi conto
della faccenda, comincia a gemere e piagnucolare in shriiwook
cercando di avvicinarsi al rincoglionito.
“Via,
bestiaccia! Sciò, sciò!” grida Waxen,
cercando invece di tenerlo
lontano, “Veers, intervenga! Questo grosso tappeto ambulante
mi
vuole assalire!”
“Signore,
ma è il suo cameriere, si chiama Lothar!”
“Sciocchezze!
Nessuna persona di buon senso sarebbe tanto stupida da prendere un
essere di questo genere come cameriere, lascerebbe peli
ovunque!”
Dopo
un po’ di tentativi inutili mi rivolgo a Hyaskon chiedendo:
“C’è
modo di resettarlo?”
Il
capitano medico prepara la solita siringa da bantha, ma stavolta
Waxen nota la manovra e dice: “E non faccio nessuna
vaccinazione!
La mia salute è perfetta, non ho bisogno di sostanze nocive
che
turberebbero l’equilibrio del mio sistema immunitario! Del
resto,
ricordo che anche quando ero su Neisseria l’allora colonnello
medico… coso… be’, mi verrà
in mente… insomma, il colonnello
medico non ci fece fare la vaccinazione.”
“E
allora?” chiedo sperando di mandarlo in cortocircuito
neuronale con
la mia domanda.
“Ci
prendemmo tutti lo scolo. Era pieno di meretrici in quel dannato
posto! Mi ricordo che ce n’era una, la chiamavano…
Diamine, non
ricordo! Ha a che fare con le righe, Righetta,
Righella…”
“Rigatone?”
azzarda Hyaskon.
“Esatto!
Rigatone! Ma chi è che si chiama Rigatone? Che razza di nome
assurdo!”
Dal
che si evince in primo luogo che la demenza senile del nostro
superiore è giunta ormai a livelli critici, casomai ci fosse
ancora
bisogno di conferme in tal senso, e poi che Fjo’ona non
è un caso
isolato.
Testimoni
o no, ad un certo punto esaurisco il bonus. Che si fotta questo
dannato colonnello, mi ha già fatto scendere la catena, ora
andiamo
e se non vuole seguirci sono cazzi suoi.
Chiamo
Hyaskon e Lothar, poi mi dirigo risolutamente verso lo sprinter.
“Dove
va, giovane irresponsabile?” mi grida dietro Waxen.
“È
ora di partire, signore. Lasci perdere quel gruppo di sullustiani e
salti sullo sprinter.”
Se
mi fossi rivolto in questi termini a qualsiasi altro superiore mi
avrebbe come minimo infilato un ombrello nel culo e poi lo avrebbe
aperto. Il vecchiaccio, invece, rimane piuttosto indifferente. Uno
dei pochi vantaggi della sua demenza senile.
Si
ferma per qualche secondo a fissarci mentre ci dirigiamo al veicolo,
poi fa: “Non posso lasciarvi da soli, avete bisogno di una
guida
esperta.”
Sfiga
nera, salta giù dalla sua cassetta e viene con noi.
“E
ora dove si va?” chiede soddisfatto dopo essersi accomodato
nel suo
solito sedile.
“Torniamo
alla guarnigione di Kandy, signor colonnello.”
“Allora
dobbiamo fare un bel po’ di strada, figliolo. Sarà
meglio che ci
fermiamo per fare un po’ di approvvigionamento.”
“Signor
colonnello, la guarnigione di Kandy è praticamente dietro
l’angolo.”
Waxen
sospira con aria indulgente. “Se non ci fossi io, giovanotto,
lei
si perderebbe in un bicchier d’acqua,” mi dice,
“Qui siamo a
Taxa, praticamente dall’altra parte di Sullust! Che faceva
durante
le lezioni di topografia all’Accademia, giovane capitano,
pensava
alle belle ragazze?”
Faccio
un cenno d’intesa a Hyaskon e chiedo: “Signor
colonnello, da cosa
deduce che ci troviamo a Taxa?”
“Quel
bantha là in fondo! Quello con la macchia bianca sul muso.
Lo hanno
lasciato lì alcuni tusken prima che cominciasse la
battaglia.”
Di
quale battaglia stia parlando non è dato saperlo. Nessun
tusken, che
io sappia, ha mai messo piede su Sullust e quello che mi sta
indicando come bantha è un mucchio di rifiuti. Ma questi
sono
dettagli.
“Quale
bantha, signore?” domando con aria innocente.
“Ma
come fa a non vederlo? Quello là in fondo!” e si
sporge dal
finestrino per indicarmelo.
Non
appena è con la testa fuori, la siringa di Hyaskon cala
inesorabile
sulla sua legnosa chiappa, e in pochi secondi il colonnello si
affloscia profondamente addormentato.
“È
andato,” dico sospirando di sollievo, “credevo di
non riuscire
più a liberarmene.”
“Lo…
lo ha ucciso, signore?” chiede timidamente Wolfen.
“Ma
no, idiota! L’ho solo fatto dormire.”
Possibile
che questi tre soldatini scemi rimangano sempre ammucchiati in un
angolo e si attivino solo per proferire cazzate?
Felsen
interviene dicendo: “Se avessi saputo che saremmo arrivati
fino a
Taxa mi sarei portato dietro lo zaino.”
Possibile,
evidentemente.
Spiego
ai ragazzi che Taxa è un luogo che esiste unicamente nel
cervello
bacato del nostro comandante e che siamo a meno di dieci minuti di
strada dalla guarnigione di Kandy, poi mi disinteresso di loro e mi
metto a guardare fuori, anche solo per distogliere lo sguardo da
Fjo’ona, che sta ancora cercando un sistema per contenere le
tette
nei brandelli della sua camicetta. Paragonato allo spettacolo che ci
offre con i suoi infruttuosi tentativi, il pornazzo che ho visto
l’altra sera da Hoynk lo Sbronzo è un documentario
di economia
domestica per educande.
Come
a sottolineare questo concetto, Lothar emette un mugolio e prende a
fissare la twi’lek con aria sognante. Le tre reclute la
contemplano
con gli occhi sgranati e un’espressione di profonda
meraviglia sul
volto. La Du Bal, invece, si volta dall’altra parte
commentando:
“Che volgarità! Certi spettacoli sono veramente
tristi.”
“Lasci
perdere, prof, qui l’unica cosa triste è la sua
espressione
invidiosa,” le risponde Hyaskon, con tipica spietatezza
medica.
La
docente sdegnata punisce con l’indifferenza
l’irrispettoso
ufficiale.
Poco
dopo giungiamo nuovamente ai cancelli della caserma di Kandy. Mi
sovviene con una certa preoccupazione che tra una cosa e
l’altra ho
dimenticato di infilare nei sacchi i membri appetibili della mia
squadra, ma sembra che questo non sia un problema: in giro non
c’è
nessuno. Davanti ai portoni non ci sono neppure le cosiddette
sentinelle, abilmente sostituite da un paio di droidi da
combattimento alti due metri abbondanti e blindati come mezzi
d’assalto. I loro occhietti elettronici sono fissi su di noi,
ma
quello è il meno. Il problema è che sono fisse su
di noi anche le
molteplici canne delle due vulcan che i droidi imbracciano.
“E
adesso che facciamo?” chiede Hyaskon preoccupato.
“Tanto
per cominciare, ragazzi, non fate mosse brusche,” rispondo,
“quei
cosi si attivano col movimento e vi garantisco che sono pochissimo
inclini al dialogo e al confronto pacifico.”
“E
poi?”
“Temevo
questa domanda. Se come credo siamo già entrati nel loro
raggio
d’azione la cosa più ragionevole è
rimanere immobili finché
Randall o qualcuno dei suoi sgherri non spengono quegli
accidenti.”
“Potremmo
aspettare finché non esauriscono le batterie,”
propone Felsen
speranzoso.
“Figliolo,
i prossimi quindici anni preferirei passarli al bar del circolo
ufficiali a bere birra,” gli rispondo senza neppure voltarmi.
“Ho
paura, voglio la mia mamma…” piagnucola Lawrence.
“Mi
scappa la pipì,” si lamenta Wolfen.
Passano
alcuni angosciosi secondi poi, con molto senso pratico, Hyaskon
chiede: “Qualcuno ha modo di avvertire quelli là
dentro che ci
troviamo in questa scomoda situazione?”
Sarebbe
un’ottima idea, a parte il piccolissimo particolare che chi
ci
dovrebbe rispondere risulta irreperibile. Facciamo svariati
tentativi, ma abbiamo un bel da lanciare accorati appelli nei
più
inusitati codici imperiali: l’etere rimane silente.
Ci
guardiamo sconsolati. La prospettiva è quella di rimanere
qui
immobili finché da dentro non si accorgeranno di noi.
Rimpiango di
non essere all’entrata della base di Polonnaruwa, almeno il
tutto
sarebbe durato non più di trenta secondi. Qui, invece,
rischiamo di
passarci la notte, davanti a questo fottuto cancello.
Con
il consueto tono tra l’acido ed il sarcastico, la Du Bal mi
chiede:
“Capitano, ha intenzione di obbligarci a rimanere ancora a
lungo a
contemplare quei due insulsi macchinari?”
“Quegli
insulsi
macchinari,
professoressa, aspettano solo una sua mossa per crivellarla di
proiettili,” le rispondo, “Il che a dire il vero
non mi
toglierebbe il sonno se non fosse che al momento mi trovo a mezzo
metro di distanza da lei.”
“Io
non credo affatto che sia come dice lei,” ribatte la docente.
“Non
crede che la sua eliminazione fisica non mi toglierebbe il
sonno?”
“Lasci
perdere le sue battute di pessimo gusto. Io non credo che quei
droidi-sentinella si attiveranno per colpirci. Di sicuro il
comandante della base li ha programmati affinché ci
riconoscano e
quindi noi stiamo solo perdendo tempo qui davanti a causa della sua
ristrettezza mentale.”
“Una
dubbio che non ho intenzione di togliermi.”
Passano
altri lunghissimi secondi. Ci guardiamo irresoluti. Non sappiamo dove
siano finiti tutti, perché ci siano quei due droidi,
perché da
dentro non vengano a recuperarci. Rimaniamo lì immobili
mentre le
più fantasiose ipotesi si affollano nelle nostre menti.
Alla
fine, all’esimia docente scende la catena. “Ora
basta!”
proclama solennemente, “Io mi sono stufata. Visto che qui
nessuno
si muove, andrò io a chiamare il comandante della base,
così forse
riusciremo finalmente ad andare nelle nostre camere!”
Si
alza per scendere dal veicolo.
Immediatamente,
i droidi da combattimento si attivano e una cavernosa voce sintetica
ci informa che abbiamo trenta secondi per lasciare la zona.
“Cazzo!
via di qui!” urlo all’autista.
Il
sullustiano mi fissa imperturbabile. Avevo dimenticato che non parla
la lingua corrente.
Secondo
tentativo. Urlo a Rani: “Ordina all’autista di
spostare lo
sprinter immediatamente!”
Fedele
al suo ruolo di rompicoglioni, la Du Bal interviene dicendo:
“Capitano, il suo gretto autoritarismo è davvero
insopportabile!
Io scendo dallo sprinter!”
“Lei
non fa un cazzo!” urlo agguantandola per un braccio. Poi,
rivolto a
Rani: “E tu fa spostare questo bidone, porca troia!”
“Prego,
cosa significare troia?
Io curioso di sapere parola nuova,” dice la nostra guida, con
il
consueto sorriso ebete sul faccione.
Intanto
Fjo’ona strilla, le reclute frignano disperate certe che
moriremo
tutti, lo wookiee si agita mandando bramiti strazianti e Hyaskon ci
descrive l’orrendo spettacolo di un corpo crivellato di
proiettili.
Per una volta, l’unico che non fa casino è Waxen,
opportunamente
messo in coma farmacologico dal capitano medico.
…Veicolo
non autorizzato. Ora avete dieci secondi per lasciare la
zona…
“Rani!
Fa spostare lo sprinter, maledizione!”
Finalmente,
il torpido sullustiano sembra rendersi conto dell’urgenza
della
situazione. Conferisce brevemente con l’autista il quale, con
grandissima calma, mette in moto e si allontana di qualche centinaio
di metri.
Appena
in tempo. Sul punto dove ci trovavamo un attimo prima si abbatte un
uragano di fuoco che dura un mezzo minuto abbondante. Se fossimo
stati lì sarebbero stati acidissimi cazzi per tutti.
Ci
guardiamo sconcertati. Nel silenzio spettrale che è calato
si
sentono solo i piagnucolii di Fjo’ona, che nel trambusto si
è
rotta un’unghia.
“Merda!
Cos’è questo casino?” una voce irata
proveniente dall’esterno
ci fa trasalire.
Mi
affaccio e si offre ai miei occhi il seguente spettacolo: tra i fumi
che si levano dalle due vulcan, fiancheggiato dai suoi sgherri si
erge Randall, gambe larghe e mani a brocca sui fianchi. Ha il
berretto da ufficiale in testa, ma indossa solo un gilet di latex
nero lucido dal quale l’immonda trippa pelosa deborda
ignobilmente.
Le pudenda sono coperte da un tanga di pelle con vistosa cerniera sul
pacco. Calza gli stivali d’ordinanza e dal polso gli penzola
un
frustino.
Vorrei
dire qualcosa, ma non mi viene in mente nulla. Mi limito a fissarlo
con aria ebete.
“Che
cazzo c’è, capitano?” mi apostrofa
bruscamente, “ha visto un
fottuto fantasma?”
“Magari…”
“Insomma,
la smetta di dire cazzate. Che accidenti è successo
qui?”
“Me
lo spieghi lei, maggiore. Al posto delle sentinelle c’erano
questi
due cosi che ci hanno sparato addosso. Abbiamo rischiato di finire
come dei colabrodo.”
Randall
appare pensoso. Dopo una pausa risponde:
“Già… ehm… quei due
affari mi sono costati una fortuna, ma non c’è
niente di meglio
per tenere lontano i curiosi quando facciamo
l’orgia.”
Si
gratta distrattamente una chiappa. Il lardo del suo corpaccio obeso
tremola come un budino.
“L’orgia?…”
ripeto basito.
Infastidito
dalla mia scarsa perspicacia, Randall fa schioccare il frustino con
un movimento nervoso e spiega: “Qui ci si annoia di brutto,
Veers,
per cui ogni tanto per passarci il tempo facciamo un’orgia
leather-fetish. Ci procuriamo da bere, qualche ragazza, qualche
giocattolo e ci divertiamo un po’. Un innocente svago per far
sfogare gli uomini quando sono su di giri.”
Ora
mi spiego perché non c’era nessuno di sentinella e
alla radio.
Erano tutti a trombare di brutto vestiti di pelle nera.
Stiamo
così ragionando quando la Du Bal decide che si sente poco
considerata e ci raggiunge per partecipare alla discussione. Vede
Randall in tenuta sadomaso e quasi le casca la mandibola dallo
stupore. Contempla basita l’ufficiale per alcuni secondi, poi
chiede: “E questo personaggio abbigliato in maniera oscena
chi
sarebbe?”
Il
maggiore di rimando mi chiede: “Veers, questa vecchia befana
sta
cercando guai?”
“Oh,
è la sua specialità, signore,” gli
rispondo compitamente. Poi,
rivolto alla docente, proseguo: “Professoressa, le presento
il
maggiore Randall, comandante della guarnigione di Kandy.”
I
due si squadrano diffidenti per qualche secondo. Stanno per
riprendere lo scambio di piacevolezze quando, sempre reggendosi le
tette debordanti, sopraggiunge Fjo’ona.
“Roy,
io mi sto annoiando,” protesta facendo il broncio,
“quand’è
che mi porti in camera?”
La
Du Bal mi fissa con sdegno, certa che io sia solo un volgare marpione
che si approfitta delle fanciulle ingenue, Randall mi strizza
l’occhio con aria complice. Non provo neppure a chiarire
l’equivoco, otterrei solo di peggiorare la mia posizione.
“È
sua questa twi’lek?” si informa Randall
percorrendone l’anatomia
con sguardo bramoso.
“Negativo,
è del colonnello Waxen,” spiego,
“è una specie di segretaria.”
“Sì,
e io sono un jawa,” risponde il mio interlocutore,
“comunque
complimenti, è veramente una gran gnocca.”
“Roy,
mi porti in camera?” insiste la scosciata, lungi
dall’offendersi
per il greve apprezzamento.
“E
dai, se la porti in quella benedetta camera, Veers,” mi
esorta il
maggiore.
Sentendosi
finalmente presa in considerazione, Fjo’ona rivolge a Randall
il
suo sorriso più accattivante.
Grattandola
sotto il mento, l’ufficiale dice: “Che
c’è, piccola, il
capitano qui non ti fa divertire?”
Di
nuovo il broncio. “No. Io cerco di fare la carina, ma non mi
guarda
nemmeno. Siamo come fratello e sorella.”
Dopo
la grattatina sotto il mento scatta la manata sul culo. Squittio
divertito della twi’lek. Con aria comprensiva, il maggiore le
dice:
“Poverina. Quel rammollito non sa apprezzare il tuo talento.
Vieni,
ti presento i ragazzi.”
Le
cinge la vita con un braccio e se ne va disinteressandosi di noi.
Io
mi assicuro che i droidi da combattimento siano disattivati, poi
mando lo sprinter al parcheggio e faccio scendere i ragazzi. Lothar
si dirige nella sua camera con Waxen ancora collassato su una spalla.
Spedisco in stanza i tre imbranati, lascio che la Du Bal si aggiri
dove le pare nella speranza che finisca in un pozzo artesiano, poi mi
prendo dietro Hyaskon e vado in cerca di un computer per dare
un’occhiata al materiale che mi ha fornito 8T-88.
Ne
troviamo uno nell’ufficio di Randall, tra riviste porno,
bottiglie
vuote e altri reperti.
Lo
accendiamo e cominciamo a scorrere i dati contenuti nel laser-disc.
Si tratta di testimonianze di civili, copie di rapporti e
trasmissioni imperiali, immagini perlopiù agghiaccianti
delle
efferatezze perpetrate da Kurtz, mappe dei suoi spostamenti.
L’ultima
notizia in ordine cronologico è uno spezzone di
comunicazione
imperiale ad alta priorità nella quale un ufficiale
riferisce che la
sua unità è stata attaccata e praticamente
annientata da indigeni
tam-hil e imperiali rinnegati che portavano ornamenti tribali fatti
di membra umane. Il luogo del massacro è una zona selvaggia
detta
dagli abitanti del luogo la
Fine di Tutto,
situata a nord della città di Nuwara Eliya.
“Ha
letto, Veers?” mi chiede Hyaskon con un inquietante ghigno
sadico,
“qui dice che dopo averli ammazzati hanno banchettato con i
cadaveri. Guardi, c’è anche una
foto…”
“È
senza dubbio Kurtz,” rispondo inorridito, “domani
partiamo.”
“Non
ne vuole proprio sapere di lasciar perdere, eh?”
“Andiamo
solo a vedere se è ancora là. Se
c’è lo lasciamo in pace e
ripassiamo poi con alcune divisioni di truppe d’assalto, non
ci
tengo a finire nello stomaco dei tam-hil.”
“Non
sarebbe più pratico mandare dei droidi-sonda?”
“Qui
non ce ne sono, Randall deve esserseli venduti. Oppure li usa per
controllare che i suoi spacciatori non cerchino di fregarlo. Non
abbiamo il tempo di farcene mandare altri.”
“È
così urgente questa missione?”
“Direi
proprio di sì. Ho a mano la Du Bal che non si regge da
quanto è
pesa, Waxen che combina un casino dietro l’altro, tre reclute
imbranate che sembrano evase da un asilo infantile, una
twi’lek
ninfomane che gira sventolando tette e culo ovunque e un wookiee che
puzza come un dewback morto e lascia pelo dappertutto. Non vedo
l’ora
di mollare tutta questa gente e tornare al bar del circolo ufficiali
e bere birra.”
“Il
dewback morto non puzza poi tanto,” osserva Hyaskon dopo un
po’.
“Avevo
dimenticato il capitano medico necrofilo,” gli rispondo.
“Solo
di tanto in tanto,” ribatte l’altro leccandosi le
labbra con aria
nostalgica.
“È
proprio sicuro di non voler conoscere Kurtz? Avete un sacco di cose
in comune…”
Hyaskon
non risponde. Si limita a fissare con interesse la mia giugulare.
“Sarà
meglio andare,” dico precipitosamente, “i ragazzi
si staranno
chiedendo che fine abbiamo fatto.”
In
quel momento, sentiamo un urlo agghiacciante provenire dalle
profondità dai sotterranei. Dopo alcuni secondi di silenzio
si odono
altre urla inframmezzate da bestemmie e imprecazioni. La voce
è
quella di Randall.
Seguendo
i clamori, giungiamo ad uno stanzone dove uomini, donne e alieni di
vari sessi, tutti vestiti di cuoio, borchie, latex e catene, si
avvinghiano sul pavimento in accoppiamenti che sfidano ogni legge
della fisica e della biologia. Dappertutto frustini, manette e
giocattoli erotici dalle forme più inusitate. Una musica
metal
rodiana spacca le orecchie.
Randall
sta ancora bestemmiando con le mani premute tra le gambe,
Fjo’ona
si guarda intorno con aria estremamente imbarazzata.
“Fottuta
puttana cannibale!” urla il maggiore.
Capiamo
subito cos’è successo:
‘Rigatone’ ha colpito ancora.
“Un
po’ di garza e due cerotti e tornerà come nuovo,
signore,” gli
dice il capitano medico con aria professionale.
Il
ferito risponde con una salva di vituperi e contumelie
all’indirizzo
di Hyaskon, mio, di tutta la mia squadra e soprattutto della
twi’lek.
Fjo’ona
si mette a piangere, ma come al solito nessuno la caga.
Io
e Hyaskon ci guardiamo irresoluti, poi decidiamo che è
più
opportuno togliere il disturbo.
“Allora,
noi andremmo…” comincio.
“Sì,
vada, maledizione, vada!” rantola il maggiore a denti
stretti, “si
levi dai coglioni. E già che c’è, si
porti via il suo branco di
sfigati e questa dannata troia carnivora! Da quando è
arrivato non
ha fatto altro che darmi problemi, mi ha rotto le palle in ogni modo
possibile e come se questo non bastasse, quella bagascia maledetta mi
ha quasi staccato l’uccello con un morso!”
Vorrei
dirgli qualcosa, ma forse non è il caso. Seguiti dalla
twi’lek
ancora in lacrime, io e Hyaskon ci incamminiamo lentamente su per le
scale.
“L’ha
presa male,” osserva il capitano medico, “era
incazzato nero.”
“Già,
proprio male. Andiamo a mangiare? Ho voglia di una birra.”
“Ma
pensa sempre alla birra, lei?”
“No,
qualche volta anche ai cocktail.”
Sempre
discorrendo amabilmente, andiamo a recuperare il resto della comitiva
e ci dirigiamo verso la mensa per la consueta cena di schifezze
indigene.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Giorno 6 - Verso la Fine di Tutto ***
Giorno
6 – Verso la Fine di Tutto
Apro
un occhio verso le 06:30 e vedo Fjo’ona, con il suo solito
baby-doll peccaminoso, che rassetta l’enorme ammontare dei
suoi
vestiti. Li ha tirati tutti fuori dalla valigia, poi li spiega, li
scuote, li ripiega e infine li mette dentro un’altra volta.
Non so
che significato abbia questa pratica nella convoluta psiche
twi’lek,
sta di fatto che la ripete più o meno un giorno
sì e uno no. Dovrò
ricordarmi di chiederle perché lo fa, una volta o
l’altra.
“Buon
giorno, Roy,” gorgheggia l’azzannatrice di membri
virili notando
che sono sveglio.
Io
grugnisco cercando di tirarmi la coperta sulla testa, ma
Fjo’ona è
incontenibile: mentre rassetta, incurante del mio più che
evidente
desiderio di continuare a dormire, comincia a raccontarmi di quando
faceva l’olomodella per un catalogo di biancheria intima
sexy.
Ciarlando
vanamente mi descrive le scene di delirio collettivo che si
scatenavano al suo apparire vestita di succinti completini di pizzo,
gli agguerriti branchi di talent-scout che se la contendevano e la
terribile fatica delle sedute olografiche e dei rapporti con gli
ammiratori.
A
questo punto, io le chiedo: “Sessuali?”
“Cosa?”
fa la twi’lek colta alla sprovvista.
“I
rapporti con gli ammiratori. Mi hai descritto oceani di gente che ti
idolatrava, mi immagino lo sbattimento di scoparseli tutti.”
“Uffa,
Roy! Non mi prendi mai sul serio!” protesta la scosciata
facendo il
broncio.
Ma
non mi da un gran gusto infierire sulle miserrime capacità
intellettive di Fjo’ona, tanto ormai mi ha già
sbrandato, sono di
pessimo umore, fuori c’è freddo e il cielo
è coperto e ho una
gran voglia di tornare al bar del circolo ufficiali a bere birra.
Porconando, mi infilo in bagno per fare la doccia e tutte quelle cose
che una persona fa di prima mattina.
Mi
dirigo poi a fare colazione. La twi’lek dice che deve fare
una cosa
molto ma molto importante e che quindi mi
raggiungerà dopo.
Prima di uscire vedo con la coda dell’occhio che sta tirando
fuori
la solita pinzetta da sopracciglia.
Quando
arrivo in mensa si offre ai miei occhi uno spettacolo desolante: i
miei effettivi sono stati decimati da patologie assortite. Wolfen ha
la febbre e la tosse, Lawrence ha la febbre e si è storto
una
caviglia e Felsen tanto per cambiare ha la febbre ma anche il vomito.
Lothar deve aver mangiato qualche porcata indigena di troppo ed
è
stato confinato in bagno in preda ad una diarrea devastante. Hyaskon
è rannicchiato sulla sedia con la faccia di uno che caga
noccioli di
pesca, mi sa che non è tanto in forma neanche lui.
Gli
unici che stanno benissimo sono Waxen e la Du Bal. La mia solita
fortuna.
“Voglio
la mia mamma…” geme Lawrence con lo sguardo del
cucciolo di ewok
morente.
“Giovane
capitano!” mi accoglie Waxen, ginnico e scattante
più che mai, “I
ragazzi sono andati in libera uscita ieri sera, e guardi che guaio!
sono tutti ubriachi!”
“Signor
colonnello, stiamo parlando di tre imberbi astemi e di un wookiee.
Non sono sbronzi, hanno la febbre.”
“Giovane
e sventato capitano, le devo proprio insegnare tutto? Questi tre
bricconi l’hanno abilmente ingannata e sono andati a bere in
un
locale di malaffare, è evidente.”
Lancio
un’occhiata ai tre sfigati ammucchiati, tremebondi e adesso
anche
febbricitanti. “Voglio la mamma…” ripete
flebilmente Lawrence.
Gli altri due piangono in silenzio come orfanelli poveri di fronte ad
una vetrina di giocattoli.
Che
meraviglia, oggi si va alla Fine di Tutto con un lazzaretto
ambulante.
Mi
rivolgo al capitano medico, che stamattina è più
cupo del solito.
“Non li può rimettere in piedi in qualche modo,
Hyaskon?”
“Impossibile,”
risponde l’altro categorico.
Quando
un medico dice “Impossibile” sento sempre un
brivido giù per la
schiena.
“Come,
impossibile? Perché?”
“Flogosi
diffusa dell’orofaringe con blocco della clearance
muco-ciliare ed
edema secondario dei tessuti. Presenza di rantoli a grosse bolle ad
entrambe le basi polmonari e leucocitosi reattiva.”
Deglutisco
a vuoto. Ho capito un 5% di quello che ha detto, ma mi sembra una
cosa piuttosto cazzuta. Forse i soldatini stanno male veramente. E
chi se lo immaginava?
“È…
è grave?” chiedo esitante.
“Una
banale influenza.”
“E
che cazzo, doc! Mi ha fatto venire un accidente,” rispondo
sollevato, “non moriranno mica per un’influenza,
no?”
“Non
si sa mai.”
Dal
gruppetto di sfigati salgono lamentazioni strazianti.
Sospiro
infastidito e dico: “Ecco! Li ha fatti spaventare. Adesso ce
li
dobbiamo tirare dietro tutto il giorno in queste condizioni.”
“Ho
fatto solo il mio dovere di medico,” risponde cupamente
l’altro,
“è inutile illudere il paziente.”
Altra
salva di lamentazioni. Quel necrofilo bastardo mi ha appena creato un
bel casino.
Come
se tutto ciò non bastasse, interviene il colonnello dicendo:
“Signori, vi invito a non essere così
accondiscendenti nei
confronti di quel gruppetto di furbacchioni. Tutto ciò di
cui hanno
bisogno è una bella doccia fredda. Impareranno a loro spese
che non
si esagera con le bevande alcoliche in missione!”
E
dai con la leggenda metropolitana della doccia fredda come terapia
dell’ebbrezza etilica.
“Signore,
non sono ubriachi, hanno l’influenza,” spiego
pazientemente.
“Vero, Hyaskon, che hanno l’influenza?”
“Flogosi
delle alte vie aeree con rialzo febbrile, sì. È
quella che viene
comunemente definita influenza.” Conferma il capitano medico.
“Dunque
anche lei li sta coprendo?” ribatte imperterrito il
colonnello.
Poi, dopo una pausa, con aria comprensiva aggiunge: “Del
resto la
capisco: sono stato giovane anch’io e anch’io
tenevo le parti dei
miei soldati quando alzavano un po’ il gomito.”
Interviene
a questo punto la professoressa Du Bal, che effettivamente mancava
all’appello. Mi scruta con sussiego e fa: “Devo
purtroppo
constatare che sta cominciando a trasmettere le sue abitudini da
depravato anche a questi ragazzi. Lei è privo del
benché minimo
barlume di senso morale!”
“In
che senso, scusi?” odio chi fa discorsi troppo complicati di
prima
mattina.
“Ha
lasciato che questi giovani andassero ad ubriacarsi fino a stare
male. Io mi vergogno per lei.”
Faccio
un lungo sospiro e rispondo: “Professoressa, non ha sentito
il
capitano medico? Si tratta di influenza.”
“Che
il capitano medico tenga le sue parti è veramente una
sconcezza.
Dovrebbe cercare di preservare la salute, non di distruggerla con un
veleno come l’alcool.”
“Oh,
che palle!” sbotto, “le ho già detto che
è influenza. Se non è
convinta si faccia dare un termometro dal capitano medico, lo infili
nel culo di uno dei tre a scelta e controlli se la temperatura
è
superiore a 37 gradi Celsius o no. E adesso la finisca di rompere i
coglioni perché ha già esaurito il
bonus!”
Mentre
la docente inorridita indietreggia, Waxen severamente mi dice:
“Giovanotto, cos’è questo linguaggio
mentre si rivolge ad una
signora? Mi meraviglio di lei. La ricordavo molto più
educato.”
Per
un attimo vedo rosso come un reek infuriato e sto per lanciarmi alla
gola del colonnello o della Du Bal a scelta, poi ci penso, mi calmo e
decido di fottermene. Tanto oggi andiamo alla Fine di Tutto,
localizziamo Kurtz, gli mandiamo un paio di divisioni di truppe
d’assalto e fine della fiera. Se poi va di lusso, tra un paio
di
giorni sarò di nuovo all’agognato bar del circolo
ufficiali e non
vedrò mai più in tutta la mia vita né
Alzheimer Waxen né la
docente rompicoglioni.
Sopraggiunge
a questo punto anche Fjo’ona, come sempre scosciatissima e
pitonatissima, che passa ancheggiando davanti a tutta la compagnia e
si siede ad un tavolino accavallando le gambe fino a che non si offre
ai nostri occhi uno sconvolgente abisso di perdizione. Sul volto di
Waxen compare un sorriso vagamente ebete.
“Prima
o poi bisogna che ti decidi a mettere qualcuna delle innumerevoli
mutande che ti sei portata dietro,” le dico, notando che ad
eccezione della Du Bal tutti la stanno contemplando con gli occhi
vitrei e la mandibola appoggiata allo sterno.
“Sono
perizomi, non mutande!” ribatte
Fjo’ona sdegnata.
“Tu
mettiteli lo stesso,” rispondo, “così
evitiamo possibili
scompensi ormonali nelle truppe combattenti.”
“Perché
si scompensano?” chiede la twi’lek spalancando gli
occhioni.
Gentilissimamente,
le spiego: “Tesoro, perché tu vai in giro
sventolando la passera
di prima mattina. L’umano di sesso maschile in età
riproduttiva è
generalmente piuttosto turbato da questa pratica.”
“Perché
l’umano… quello che hai detto tu…
è turbato?”
“Mia
cara, perché gli viene voglia di saltarti addosso e scoparti
fino a
farti diventare ancora più blu di quello che sei.”
Salta
su a questo punto la Du Bal dicendo: “Voi uomini siete tutti
un
branco di sporcaccioni e lei, Veers, è il peggiore di
tutti.”
Con
aria rassicurante, le rispondo “Stia tranquilla,
professoressa, lei
può girare anche nuda, se ne ha voglia. Non corre
assolutamente
nessun pericolo.”
La
docente mi lancia uno sguardo inceneritore e mi gira sdegnata le
spalle.
Io
mi disinteresso di lei e mi verso un caffè. Facciamo
colazione in
silenzio, mogi come dei wampa su Tatooine. Fuori
c’è un tempo di
merda, tira vento e pioviggina.
Lasciamo
poco dopo la graziosa villa coloniale che dà alloggio alla
guarnigione di Kandy. Randall, tuttora incazzato nero per il rigatone
di ieri sera, non è neppure venuto a salutarci.
Probabilmente sarà
intento ad avvolgersi rotoli di garza intorno al pisello malconcio.
Con
l’aiuto di Rani, carico a bordo le febbricitanti truppe, la
gnocca
azzurra, la docente, il sempre più ginnico Waxen e il
lugubre
capitano medico, che ha già provveduto a rimpinzarsi di
compresse di
vari colori. Da ultimo sale faticosamente anche il wookiee, che
presenta inequivocabilmente la triade sintomatologia
dell’animale
malato: prostrazione, pelo opaco e sguardo spento. Per inciso, fa
anche una puzza che stenderebbe le mosche di una discarica a
cinquanta metri. In effetti, avere la diarrea con il culo
così
peloso dev’essere un problema non da poco.
Gemendo
e mugolando va ad accucciarsi in un sedile in fondo. Al suo passaggio
la Du Bal ha un mancamento e la twi’lek impallidisce
assumendo una
tonalità azzurrino-livido. Hyaskon valuta la possibile
durata della
patologia che affligge le budella di Lothar, ci pensa un po’
su poi
ingoia una delle sue compresse e pochi secondi dopo sta già
ronfando
beatamente, i tre soldatini subiscono in silenzio, troppo avviliti e
timidi per protestare. Solo Waxen non sembra particolarmente turbato.
Inspira a pieni polmoni e fa: “Ah, l’odore della
campagna! Era
dai tempi della battaglia di Vohs che non lo sentivo più. O
era la
battaglia di Holta? Diamine, non mi ricordo più…
Maximilian, lei
che è sempre così preciso, mi sa dire…
mi sa dire…” si
interrompe perplesso, poi grida: “Ehi!
Cos’è questo ributtante
fetore di escrementi?”
“Signore,
non ha detto che era l’odore della campagna?”
“Che
sciocchezze, giovane capitano! Questo tanfo vomitevole non ha nulla a
che vedere con l’odore della campagna, mi meraviglio di
lei.”
“Signore,
è stato lei a tirare fuori questa storia,”
rispondo aprendo il
finestrino, “a me sembrava normalissima puzza di merda
wookiee.”
“E
la smetta con questo linguaggio! È
un’indecenza!”
Mi
allontano prima di macchiarmi di un crimine da corte marziale.
Con
questo carico di sofferenza, ci dirigiamo verso Nuwara Eliya
attraversando una zona montagnosa e piena di vegetazione. Ogni tanto
ci sono anche dei campi con i sullustiani al lavoro, un quadretto
bucolico che spezza la monotonia della giungla.
“Cosa
coltivano qui?” chiedo a Rani.
L’autoctono
proferisce un irripetibile fonema nella sua madrelingua.
“E
sarebbe?”
Ripete
il suono di prima più lentamente, poi aggiunge:
“Erba buona per
fare spacca-cervello!” e mi guarda compiaciuto.
Guardo
di nuovo fuori. Altro che scenette bucoliche, questi sono
narcotrafficanti al lavoro!
“Buona
per spacca-cervello!” ripete Rani, “Ottima
qualità, sballo
lungo, viaggio buono, niente mostri!”
“Mostri?”
“Se
la sostanza non è pura si rischiano allucinazioni
estremamente
realistiche di creature mostruose. C’è gente che
ha perso la
ragione in seguito allo shock.”
Mi
volto con gli occhi pallati: chi ha parlato è la Du Bal.
“E
lei come lo sa, prof?”
“Ma…
ma è ovvio. Tutti lo sanno,” risponde la docente
imbarazzata.
“Non
è che durante le contestazioni universitarie si è
fatta qualche
canna con i suoi studenti?” le chiedo con aria complice.
“È
assolutamente ridicolo,” sbuffa indignata la professoressa,
“le
sue basse insinuazioni non mi sfiorano neppure!” Dopo una
pausa
sdegnosa aggiunge: “E poi lo sanno tutti che lo
spacca-cervello non
si fuma ma si ingerisce.”
“Ne
sa più di un pusher rodiano, vedo.”
“Lei
è uno screanzato ed uno zoticone,” conclude con
sussiego la Du
Bal, quindi cessa di darmi udienza e si dedica ad una delle sue
letture in una qualche lingua aliena.
Procediamo
per un po’, poi mi si avvicina Wolfen che timidamente
mormora:
“Signor capitano, mi… mi scappa la
pipì…”
“Mi
avrebbe stupito il contrario,” rispondo con un sospiro.
Troviamo
un bello spiazzo e ci fermiamo in mezzo alla natura ubertosa, ai
piedi di una graziosa cascata. Già che ci siamo, faccio
scendere
tutti e ordino un quarto d’ora di pausa.
Wolfen
sparisce in mezzo ai cespugli; Fjo’ona si aggira svagata
raccogliendo fiori. Senza allontanarsi troppo dal mezzo, Felsen e
Lawrence osservano incuriositi alcuni trafficanti di spacca-cervello
al lavoro in un campo; Lothar va a bere alla cascata uggiolando
pietosamente; Waxen salta giù dal mezzo, fa due o tre
molleggi sulle
gambe, inspira a pieni polmoni con le mani sui fianchi quindi si
mette a mingere contro la fiancata dello sprinter. Non so se abbia
capito che sta pisciando contro il suo finestrino, comunque lo lascio
fare: se lo distraggo è capace di girarsi di colpo con
l’uccello
in mano e farmi la doccia.
Non
si vedono Hyaskon e la Du Bal. Il capitano medico dev’essere
a
bordo che ronfa. Per quanto riguarda la docente, spero si stia
già
incamminando verso il duodeno di un nexu.
Sto
così ragionando tra me e me quando vedo Wolfen avvicinarsi
con passo
malfermo. Ha gli occhi pallati ed è bianco come un cadavere.
“Ehi,
che ti succede?” gli chiedo preoccupato.
Mi
fissa con aria assente, apre la bocca per rispondere ma prima di
poter emettere un suono cade in deliquio e se non ci fossi io a
prenderlo al volo si abbatterebbe al suolo come un albero tagliato.
Fjo’ona strilla come se le avessero piantato un forchettone
da
grigliata nel culo. Lawrence e Felsen si precipitano sul compagno
caduto, ma siccome sono due inetti non sanno bene che fare e mi
fissano irresoluti.
Come
sempre, strappo Hyaskon ai suoi paradisi artificiali e gli ingiungo
di accertarsi delle condizioni cliniche di Wolfen.
Con
aria annoiata, il capitano medico esamina il paziente, lo palpa, lo
ausculta, lo scruta e infine dice: “Già, certo. Un
caso singolare
ma abbastanza semplice.”
“Cos’ha?”
“Episodio
lipotimico legato ad atteggiamento fobico in personalità
immatura.”
“Me
lo traduca in imperiale, doc.”
“Mentre
pisciava gli è andata una sanguisuga sul pisello e lo shock
lo ha
fatto svenire,” risponde l’altro.
Dopodiché tira fuori un paio
di pinzette, traffica un po’ sul corpo del caduto e mi mostra
trionfante un vermiciattolo nero che dev’essere lungo a
occhio e
croce un centimetro e mezzo e largo non più di tre
millimetri.
“E
quel deficiente è svenuto per un affarino così
piccolo?” chiedo
incredulo. Ma non ho bisogno di attendere la risposta affermativa del
dottore: Lawrence e Felsen stanno fissando l’anellide con gli
occhi
dilatati dal terrore e il loro colorito sta virando verso il bianco
cadaverico. Li spedisco sul mezzo prima di doverli caricare su a
braccia.
Hyaskon
fa rinvenire Wolfen con la consueta somministrazione di schiaffazzi,
poi fa salire anche lui a bordo dello sprinter e ripartiamo.
Ricomincia
il susseguirsi di foreste e campicelli.
Vista
la monotonia del paesaggio, mi sistemo comodamente sul sedile e
chiudo gli occhi con l’intenzione di farmi una dormita. Passa
qualche minuto poi sento la voce della Du Bal che esitante chiama:
“Dottor Hyaskon…”
“Che
c’è?”
La
docente esita e tra le palpebre socchiuse la vedo lanciarmi una
rapida occhiata. Probabilmente vuole accertarsi che io stia dormendo.
Siccome odio deludere il prossimo, mantengo
un’immobilità totale e
attendo lo svolgersi degli eventi.
“Ecco,
vede…” comincia a bassa voce, “quando ci
siamo fermati mi è
occorso un incidente alquanto spiacevole…”
“E
sarebbe?”
“Io
sono andata… insomma, ho fatto… lei mi
capisce…”
“Veramente
non tanto,” la interrompe Hyaskon insensibile al suo
imbarazzo.
La
docente lo fulmina con lo sguardo e prosegue: “Ho avuto
necessità
di appartarmi per un’impellenza fisiologica e… mi
sono pulita con
delle foglie...”
Il
capitano medico la fissa con aria di cortese interesse.
“Io…
spero che non sia nulla,” prosegue la Du Bal, “ma
ora sento
pizzicare lì e avendo assistito
all’episodio della
sanguisuga non vorrei che…”
“Tutto
qui?” la interrompe Hyaskon, “faccia vedere,
forza!” E tira
fuori le pinzette.
“Cosa?
Qui davanti a tutti?” grida la docente inorridita.
“Vede
dei separé, per caso?”
“Ma
io… ma io non posso mostrare le pudenda a un uomo e per di
più
davanti a dei militari!”
“Se
vuole chiamiamo Fjo’ona.”
“Il
sessantanove è la mia specialità,”
interviene la twi’lek,
sicura che le stiamo per chiedere un duetto lesbo.
“Preferisci
stare sotto o sopra, Ophelia?” si informa cortesemente.
La
Du Bal boccheggia come un quarren. “Non se ne parla
nemmeno,”
ansima infine, “io non mostro le mie parti intime a
chicchessia e
non mi presterò alle sudice perversioni di
un’aliena dalla dubbia
moralità. Esigo un medico
donna!”
A
questo punto intervengo io dicendo: “Prof, sia seria. Dove
diavolo
la troviamo una dottoressa in mezzo a questa foresta?”
La
docente assume un colorito rosso porpora royal guard. “Lei ha
sentito tutto!” grida con voce strozzata.
“Sì.
È stato uno spasso.” Rispondo col consueto sorriso
disarmante.
“Lei…
lei è un pervertito senza principi
morali!…” ansima la Du Bal al
colmo dello sdegno.
“Già.
Non è la prima che me lo dice. Comunque ribadisco che
secondo me
sarà impossibile trovare un medico donna qui in
mezzo.”
“Lei
lo deve trovare!” grida la professoressa.
Dal tono di voce
direi che è pericolosamente vicina all’attacco
isterico.
Fortunatamente,
interviene Rani dicendo: “Io sa dove medico femmina. Io
portare!”
“OK,
portaci dalla dottoressa,” rispondo,
“così vediamo se la nostra
esimia docente si calma.”
L’esimia
docente mi lancia uno sguardo che incenerirebbe una paratia
antilaser.
Lo
sprinter fa una piccola deviazione e ci addentriamo per un viottolo
sterrato fino a raggiungere un grande edificio seminascosto tra gli
alberi. Davanti c’è uno spiazzo dove alcuni
sullustiani scaricano
sacchi pieni di foglie e poi li portano all’interno della
costruzione. Mi sorge un dubbio.
“Rani,
è quello che penso io?”
L’indigeno
fa un sorriso che mostra tutti i denti posseduti dalla sua specie
(ovvero pochi) e trionfante risponde: “Sissignore! Questa
grande
fabbrica di spacca-cervello! Qui entrare foglie, là uscire
belle
pillole colorate. In mezzo, luuunga lavorazione!” Si sbraccia
cercando di darmi un’idea della lunghezza della suddetta
lavorazione.
Sospiro.
Ci mancava anche la fabbrica di spacca-cervello. Cerco di immaginare
Waxen dopo l’assunzione di una dose e con un brivido di
orrore
decido di pensare ad altro.
“Qui
c’è una dottoressa?” chiedo basito a
Rani.
“Tu
seguire. Da lei ti porterò.” Ed entra nella
fabbrica.
Attraversando
tutte le fasi di lavorazione della droga, io e la docente gli teniamo
dietro fino ad una stanzina che evidentemente funge da ambulatorio.
Dentro c’è un ayuboa ithoriano, con un immacolato
camice bianco.
“Ecco
dottora!” proclama trionfante la nostra guida.
In
effetti, dei sei sessi ithoriani l’ayuboa è quello
che si avvicina
maggiormente al nostro concetto di femmina.
“Se
è uno scherzo, è davvero di pessimo
gusto…” mormora speranzosa
la docente. Segue un silenzio inquietante.
Il
lumacone di due metri e quindici fissa la paziente con sguardo mite e
proferisce qualche vibrazione a bassa frequenza, il che, in
ithoriano, corrisponde ad un saluto.
Io
esibisco alla Du Bal il consueto sorriso disarmante e dico:
“Ora
noi ci assentiamo e lasciamo voi signore a discutere per conto
vostro. Visto che è docente di lingue aliene, spieghi pure
alla
dottoressa che ha una sanguisuga nella passera e veda cosa le
consiglia. La torniamo a prendere tra una
mezz’oretta.”
Mi
allontano ghignando. Dalla porta la docente mi lancia lo sguardo del
naufrago che vede sparire all’orizzonte l’ultima
scialuppa di
salvataggio.
Mi
dirigo allo sprinter, dal quale spero ardentemente che nessuno nel
frattempo si sia allontanato.
Giunto
là trovo Hyaskon che dorme, Lothar che guaisce e i tre
soldati
intenti a parlare tra loro con aria concitata. Di tanto in tanto si
indicano a vicenda Fjo’ona, che sta vagando con andatura
malferma e
sguardo perso all’infinito e intanto canterella a bassa voce
una
specie di nenia nella sua lingua.
Non
vedo Waxen da nessuna parte, ma al momento è un problema
posticipabile: ora ho un orrendo sospetto a proposito della nostra
twi’lek.
“Ragazzi,
che ha Fjo’ona?” chiedo ai tre imbranati.
“Non
lo sappiamo, signore,” risponde Felsen cercando
maldestramente di
mettersi sull’attenti, “ha mangiato una caramella
rosa e poi ha
cominciato a fare cose strane.”
Il
sospetto comincia a concretizzarsi.
“E
dove l’ha presa la dannata caramella rosa?”
“Gliel’ha
data uno degli operai, signore.”
Proferisco
alcune sentite imprecazioni. Come immaginavo, la caramella rosa
è la
temutissima varietà di spacca-cervello detta
‘laguna di sogno’,
che dà una sensazione di immenso benessere, pace interiore e
armonia
col cosmo. La cretina se l’è mangiata e adesso
è in fattanza come
un balosar.
Raggiungo
la pitonata e le chiedo come sta.
“…Benissimo…”
mi risponde con aria sognante, “… sto
benissimo… qui è tutto
così bello… è meraviglioso vedere la
natura… i sullustiani che
lavorano… le piante… i
fiori…” si interrompe e dopo alcuni
secondi di contemplativo silenzio ricomincia a cantare la sua nenia a
bassa voce.
Torno
sacramentando verso lo sprinter. Adesso ce la dobbiamo ciucciare in
versione amore universale per almeno un giorno, poi andrà in
down e
per altri due giorni sarà intrattabile, acida,
rompicoglioni,
polemica e sarcastica. Tutto le farà schifo, tutti le
staranno sul
culo e starle vicino sarà piacevole come avere una
scimmia-lucertola
kowakiana attaccata alle palle.
Mi
volto verso le tre reclute e con aria severa chiedo:
“Voialtri non
avrete mica mangiato caramelle strane, vero?”
Sussultano
e deglutiscono a vuoto.
“Le
avete mangiate?”
“No…
nossignore.” Risponde Wolfen con voce tremula.
“Avanti,
date qua quelle che avete!” ordino.
Con
aria colpevole mi consegnano una quantità di spacca-cervello
in
grado di ribaltare un bantha adulto per una settimana.
“E
queste dove le avete prese?”
Si
guardano irresoluti.
“Non
dovreste accettare caramelle dagli sconosciuti,” li
ammonisco, “non
ve l’ha spiegato la mamma?”
Altro
scambio di sguardi preoccupati.
“Forse
è meglio che glielo dici,” consiglia Lawrence a
Felsen dopo un
silenzio imbarazzato.
“Non
era uno sconosciuto, signore. Era il signor colonnello,” si
decide
a dire quest’ultimo, “ha detto che i ragazzini
devono mangiare le
caramelle e non andare fuori a sbronzarsi. Perché ha detto
così,
signore? Noi non beviamo alcolici…”
Perfetto.
Adesso il vecchio fossile si mette a fare anche il pusher.
Con
un sospiro di esasperazione rispondo: “È una
questione un po’
lunga, figliolo. Non mangiate quelle caramelle, altrimenti andate
fuori di testa come dei gundark in calore. Anzi, andate a bordo dello
sprinter e aspettatemi lì.”
“È
arrabbiato con noi, signore?” chiede Felsen preoccupato.
“Abbiamo
fatto qualcosa di male?” insiste Wolfen.
“Negativo,
non ce l’ho con voi,” rispondo con
l’ennesimo sospiro. Non è
colpa vostra se siete scemi.
Con
animo funestato dai più cupi presentimenti, vado alla
ricerca del
colonnello.
Lo
trovo subito: nudo come una dianoga, sotto una cascata, in acqua fino
alle anche, sta cantando a pieni polmoni l’inno del suo
reggimento.
“Quelle
caramelle sono fantastiche!” mi grida fra una strofa e
l’altra,
“le ho provate tutte: rosse, gialle, verdi, rosa, blu,
viola…
sono buonissime! Mi hanno addirittura fatto andare via quel
fastidioso mal di schiena che mi portavo dietro da… quella
volta
che… Diamine! Non mi ricordo, ma che importa? Mi
verrà in mente!”
E ricomincia a cantare a squarciagola.
Mi
siedo su un sasso lì vicino. OK, Roy, esaminiamo
la situazione:
il capitano medico è collassato nello sprinter in fattanza
da
ansiolitici, il wookiee ha il torcibudella, le tre reclute,
già di
loro disperatamente idiote, sono febbricitanti, Fjo’ona si
sta
facendo un trip da Laguna di Sogno e tra un po’
arriverà anche la
Du Bal incazzata per lo scherzetto dell’ayuboa ithoriano.
Inoltre,
come se tutto ciò non bastasse, quel rincoglionito globale
di Waxen
si è mangiato tanto di quello spacca-cervello che se non gli
si
schiantano gli ultimi neuroni rimasti entro breve comincerà
a
emettere luce.
Mentre
sono immerso in queste dolorose meditazioni sopraggiunge proprio la
Du Bal, con la passera finalmente disinfestata. Ha le mani a brocca
sui fianchi ed è incazzata come se un rangkor le avesse
morsicato il
culo.
“Com’è
andata, prof?” le chiedo con un sorrisino di circostanza.
“Andiamo
via,” è l’unica risposta che si degna di
fornirmi.
“Impossibile.”
“Impossibile?
Come sarebbe a dire?”
Senza
aggiungere altro le indico Waxen, che intanto è passato
dall’inno
del reggimento alle canzoni sconce e nella fattispecie sta sbraitando
una strofa di inaudita volgarità su Ilona la Tettona che
apre le
cosce all’arrivo di Zorano il Gamorreano.
“Cos’è,
uno dei suoi scherzi di pessimo gusto?”
“Magari…”
Rimaniamo
entrambi in silenzio a contemplare l’agghiacciante
spettacolo.
Evidentemente, il cocktail di vari spacca-cervello che il colonnello
si è mangiato gli ha per prima cosa fottuto i circuiti
inibitori e
poi lo ha reso libidinoso come uno hutt nella stagione degli amori.
Cose molto tristi.
Dopo
un po’ l’esimia docente decide che ne ha abbastanza
e con tono
perentorio mi dice: “Capitano, io esigo
di andare via!”
“Lo
dica al colonnello. Stiamo aspettando lui, appena ha finito di fare
il bagnetto ce ne andiamo.”
Io
lo dicevo a scopo provocatorio, ma la Du Bal mi prende in parola, si
rimbocca la sottana e si dirige risolutamente verso lo specchio
d’acqua.
“Colonnello,
esigo di andare via!” gli dice con tono
perentorio.
“Bella
gnocca, vieni qui che ti do del salamino!” risponde Waxen
accompagnando le irrispettose parole con gesti inequivocabili.
La
professoressa ha un attimo di smarrimento, il colonnello ne
approfitta per farle avere anche la seconda salva: “Levati
quei
vestiti, culona, che ti spalmo di panna montata e ti lecco tutta come
un gelato!”
L’esimia
docente gli volta le terga e fugge a gambe levate.
“Quell’uomo è
un orribile pervertito e non è in possesso delle sue
facoltà
mentali!” si sente in dovere di informarmi passandomi accanto.
Rimango
solo a contemplare lo sfacelo neuronale del mio superiore e di nuovo
mi sovviene che alla fine non sarebbe poi così male mollarlo
qui in
fattanza e darlo per disperso.
Intanto
che io valuto questa possibilità, il colonnello segue con
uno
sguardo di nostalgia il deretano della professoressa in fuga poi fa:
“Vieni a lavarmi la schiena, biondino?”
“Ma
signor colonnello!” protesto, colto alla sprovvista.
“Ogni
buco è trincea, diciamo dalle nostre parti. Non sarai una
ballerina
twi’lek, ma io sono uno che si accontenta!”
Non
so se prenderlo come un complimento, comunque mi fa venire
un’idea.
“Non si muova,” rispondo, “visto che
è un estimatore del
genere, le mando una ballerina twi’lek!” e vado in
cerca di
Fjo’ona.
Essendo
la nostra aliena in pieno trip da amore universale, è ancora
più
facile del solito convincerla a fornire prestazioni sessuali. Le
spiego ciò che deve fare e finalmente, qualche tempo dopo,
possiamo
ripartire alla volta di Nuwara Eliya. Nel corso
dell’operazione il
colonnello dev’essere andato pericolosamente vicino
all’infarto
del miocardio, ma almeno adesso è esausto e non rompe i
coglioni.
Giungiamo
alla nostra destinazione nel primo pomeriggio. È una
cittadina
piuttosto cupa, con case in stile coloniale. Nulla di ciò
che
vediamo ci evoca una ‘Città della Luce’,
che a quanto mi ha
spiegato Rani sarebbe il significato in sullustiano di Nuwara Eliya.
Ci sono nuvole basse, tira vento e pioviggina. Indigeni poco
amichevoli ci rivolgono occhiate torve.
“Che
allegria,” commenta Hyaskon con tono lugubre.
“Credevo
che questo tempo le piacesse,” rispondo.
“Mi
fa cagare. Sarò anche un necrofilo, ma tra le mie
perversioni non
c’è quella di andare in giro bagnato fino alle
ossa con un freddo
bastardo che ti fa diventare le palle come prugne secche.”
“Hyaskon,
per caso si è mangiato anche lei dello
spacca-cervello?” mi
informo stupito.
“Negativo,
ma forse non sarebbe stata una cattiva idea.”
“Ogni
lasciata è persa,” commento con un sospiro. Nello
sprinter cala
nuovamente il silenzio.
La
base imperiale, che raggiungiamo dopo aver attraversato la ridente
cittadina, è accogliente come un convento B’Omarr
durante il
digiuno rituale: si tratta di un caseggiato grigio dall’aria
slavata e fatiscente circondato da alcuni giri di filo spinato
arrugginito. Una bandiera imperiale pende miseramente, floscia e
bagnata, dalla sua asta.
“Che
posto romantico…” sospira Fjo’ona
guardando fuori con
espressione trasognata e anche vagamente beota.
Non
facciamo in tempo a risponderle che il portone della caserma si
socchiude e ne sguscia fuori con circospezione un omettino macilento
dall’aria dimessa. Dato l’aspetto da derelitto,
sulle prime
pensiamo che sia una specie di impiegato civile, poi lo guardiamo
meglio e ci accorgiamo che non solo ha un’uniforme imperiale,
ma ha
anche i gradi di capitano.
“Sta
a vedere che ‘sto sfigato è il comandante della
base,” fa
Hyaskon.
Addossato
alla porta dalla quale è appena uscito, l’omino ci
guarda
strizzando occhi da miope e si intuisce chiaramente che ha una gran
voglia di fiondarsi di nuovo dentro e chiudersi a chiave.
“Mi
sa che ha ragione, doc,” rispondo costernato. Poi,
dopo’lcuni
secondi aggiungo: “Chissà come cazzo ha fatto
questo derelitto a
diventare un ufficiale imperiale. In ogni caso, sarà meglio
che vada
a parlargli.”
Dopo
il trattamento della nostra twi’lek il colonnello
è ancora in
stato soporoso, quindi vado a conferire col tizio senza dover perdere
tempo a distrarre il mio superiore.
Visto
da vicino, l’omiciattolo è di una tristezza
sconfortante: sono
indeciso se somiglia più ad un ewok spelacchiato o a un jawa
coi
capelli (pochi, peraltro). Ha le spalle spioventi, il colorito
malsano e lo sguardo sfuggente, sembra evaso da un opuscolo sulle
conseguenze nefaste della masturbazione.
“Capitano
Roy Veers della flotta imperiale,” mi presento, “ho
una missione
di priorità uno.”
L’altro
sussulta e risponde con voce tremula: “Priorità
uno? Santo cielo,
cosa potrà mai essere? Cosa potranno volere da noi? Siamo
solo una
piccola base, abbiamo pochi uomini, gli approvvigionamenti arrivano
con difficoltà, noi non possiamo…”
“Calma,”
lo interrompo, “stiamo solo cercando una persona.”
Non aggiungo
altro. Qualcosa mi dice che se nomino Kurtz questo tizio mi crepa
d’infarto senza passare dal via.
“Una
persona?,” ripete l’altro costernato,
“una persona? Ossignore,
oh santo cielo, poveri noi! E se poi questa persona non si trova? Che
succederà? Manderanno sicuramente un’ispezione,
vorranno
interrogarci sulla nostra inefficienza. E poi chi glielo spiega che
qui facciamo quello che possiamo, che siamo solo una piccola base che
a stento riesce a sopravvivere? Non ci crederanno mai, saremo
deportati tutti alle miniere di Kessel…”
Tace,
a corto di fiato e di argomenti. Mi fissa ansioso con la faccia di
uno che sta cagando noccioli di pesca.
“Ma
perché fa tutto questo casino?” gli chiedo con
sincera curiosità,
“Ci serve solo un alloggio per stanotte, non siamo mica
ispettori.”
“Un
alloggio, dice lei, un alloggio!” ribatte l’altro,
“Come se
fosse facile! Lei non ha idea dei problemi che abbiamo qui!”
E
ricomincia per la terza volta con l’elenco delle sue
disgrazie.
Contrattiamo
per un po’ e alla fine, tirando in ballo Tarkin in persona e
bluffando spudoratamente su una sua eventuale ispezione alla base di
Nuwara Eliya, ottengo ciò che mi serve: il capitano Feige ci
cede a
malincuore quattro stanze, nonostante l’idea che una
twi’lek e un
wookiee scorrazzino nella sua base sia sufficiente a riempirlo di
terrore. “Non dormirò stanotte, capitano
Veers,” mi confida con
aria afflitta, “E se quel bestione morde qualcuno? E se gli
uomini
perdono la testa per colpa di quella ballerina in abiti sconci? E se
i suoi novellini combinano qualche guaio? per non parlare di quella
docente! Una civile! Se le succede qualcosa di chi è la
responsabilità?”
“Anche
la twi’lek è una civile.”
La
mia banale osservazione lo manda in un parossismo di ansia, tanto che
sono indeciso se chiamare Hyaskon.
Mentre
sto ancora valutando questa eventualità, Feige mi chiede:
“A
proposito: dov’è la persona che state cercando,
capitano?”
“Il
posto si chiama La Fine di Tutto. A quanto ne so dev’essere
qua
intorno.”
Il
mio collega sbianca in viso, fa gli occhi pallati, spalanca la bocca
e si porta una mano al petto indietreggiando. Adesso cade
stecchito, penso. Immagino già la mia
comunicazione a Tarkin:
Governatore, abbiamo avuto un problemino qui a Nuwara Eliya,
il
comandante della base è morto d’infarto quando gli
ho rivelato
l’obiettivo della nostra missione. Che faccio?
Ma
Feige non cade stecchito. Ansimando, mi dice: “Capitano, lei
dev’essere impazzito! Lei non può andare
là, è pericolosissimo!”
Cercando
di apparire disinvolto, gli rispondo: “Via, che ci
sarà mai?”
La
risposta è un grido strozzato: “Kurtz!
C’è Kurtz! Quello è il
suo covo!”
“E
allora?”
“Sa
almeno di cosa sto parlando?”
“Direi.
È proprio lui che stiamo cercando.”
Forse
se l’avessi preparato con un po’ più di
tatto alla sconcertante
rivelazione sarebbe stato meglio. Incurante dello stupore che il suo
comportamento mi suscita, l’omino mi gira le spalle, si mette
le
mani sulle orecchie e rivolto a qualche misterioso interlocutore a me
ignoto, comincia a dire: “Alla Fine di Tutto! Vuole andare
alla
Fine di Tutto, questo qua. Si presenta con la sua faccia tosta nella
nostra base che già di suo ha i suoi problemi e sopravvive a
stento
e mi dice che vuole andare alla Fine di Tutto. Così, come
uno
direbbe che va a fare shopping in centro. Vuole andare da Kurtz. E
che ci va a fare da Kurtz? E se poi Kurtz si arrabbia e decide di
venire qui a fare una rappresaglia? Chi lo ferma? Io non voglio
finire squartato da quattro gundark o bollito vivo! Moriremo tutti!
No, non voglio. No…” la voce gli si affievolisce
in un mormorio
confuso.
Io
alzo le spalle perplesso e faccio cenno allo sprinter di avvicinarsi.
Credevo che il corpo ufficiali dell’Impero avesse raschiato
il
fondo del barile con il sottoscritto, ma evidentemente non
c’è
limite al peggio.
Ci
sistemiamo nella base, che è di uno squallore infinito, e
subito
dopo ci prepariamo alla spedizione. Ho dovuto lasciare in branda
Wolfen e il wookiee perché sono in condizioni pietose, ma
gli altri
me li tiro dietro. Se troviamo Kurtz posso sempre lasciare indietro
la Du Bal e Waxen per coprire la nostra ritirata, così
prendo due
bog-wing con uno scurrier.
Quando
sente che abbiamo effettivamente intenzione di partire, Feige quasi
ha un collasso. “Oh no, capitano, lei non può
andare là, lei non
ha la più pallida idea di quanto sia pericoloso! Senza
contare che
espone noi tutti al rischio di una terribile
rappresaglia…” si
interrompe e mi fissa speranzoso, ma io rimango impassibile.
L’altro
riprende: “E poi… il tempo è troppo
brutto! Sì, certo. Troppo
brutto. La strada non è percorribile.”
Io
guardo fuori e rispondo: “Sia serio, collega. Vengono
giù si e no
due gocce di pioggia.”
“Ma
c’è il pantano, la nebbia, le frane, le
inondazioni…”
“Senta,”
lo interrompo, “io ne ho le palle piene di Kurtz e di questo
pianeta di matti e ho un desiderio morboso di allontanarmi da tutto
ciò e tornare al bar del circolo ufficiali – dove
la temperatura è
confortevole e non ci sono insetti, peraltro – a bere birra.
Quindi, in sintesi, o lei mi spiega come faccio a raggiungere la
dannata Fine di Tutto, oppure accendo il navigatore satellitare dello
sprinter e ci vado per conto mio.”
“Non
con quello sprinter,” cede infine l’omiciattolo,
“è troppo
pesante. Le darò il nostro mezzo di servizio. Mi
farà venire le
palpitazioni, Veers.”
Poco
dopo partiamo alla volta della Fine di Tutto stipati
all’interno di
una specie di AT-ST leggermente più grande del modello
standard. Io
ho Fjo’ona sulle ginocchia, la Du Bal da una parte e Hyaskon
dall’altra e va di lusso che non c’è il
wookiee, se no me lo
trovavo sdraiato addosso tipo pelliccia.
Waxen,
Felsen e Lawrence sono alle mie spalle. Il colonnello, purtroppo non
più collassato, sta raccontando un complicato aneddoto di
guerra
alle due reclute superstiti. Anche se si è mangiato una
quantità di
spacca-cervello che avrebbe steso un plotone di sandrtrooper in
assetto di guerra non sembra molto diverso dal solito, segno che
neppure la potente droga riesce ad intaccare la sua perniciosa
demenza di Alzheimer.
Il
mezzo procede con sobbalzi e scossoni per un tempo indefinibile (in
queste condizioni anche un minuto diventa lunghissimo) e poi si
ferma. Uno dei piloti si gira e mi dice: “Da qui in poi
dovete
andare a piedi, signore, il terreno è troppo cedevole.
Rischieremmo
di ribaltarci.”
Un’altra
bellissima notizia.
“È
lontano?” chiedo cercando di scrutare fuori dalle feritoie.
“Non
lo sappiamo, signore. Nessuno è mai stato nel covo di Kurtz
ed è
tornato indietro per dire dov’era. Comunque
c’è un sentiero.”
Con
qualche difficoltà scendiamo dal mezzo. Il posto
è a dir poco
spettrale: siamo in una specie di brughiera ondulata e coperta di
erbe alte. Bestiacce gracchiano in lontananza. C’è
un vento che
non si sta dritti, ma nonostante ciò l’atmosfera
è piuttosto
nebbiosa. Misteri del clima di Sullust.
“Noi
vi aspettiamo qui, signore,” mi dice uno dei due piloti prima
di
sprangare il portello dell’AT-ST, “non ci teniamo a
finire
scorticati vivi o a trovarci un cavo dell’alta tensione
infilato
nel culo.”
“Sentito,
prof?” dico rivolgendomi alla Du Bal, “corrente
elettrica nel
deretano. Scommetto che con un trattamento del genere si metterebbe a
ballare persino lei.”
La
docente tace sdegnata e tutti ci incamminiamo sotto il cielo cupo.
L’unica che non è di umore plumbeo è
Fjo’ona, tuttora in
fattanza da Laguna di Sogno.
Durante
la marcia assistiamo all’ultima stravaganza del cervello
bacato di
Waxen: il colonnello si mette a raccogliere funghi. Si è
procurato
un sacchetto e ci mette dentro oggetti vagamente rotondeggianti che
trova per terra: sassi, tuberi, cacche di dewback e così
via. Il che
va benissimo, perché si allontana dal gruppo per cercare i
suoi
funghi e non rompe le palle. Basta solo che poi non si metta in testa
di farli in umido stasera.
Fjo’ona
passeggia con aria svagata e sguardo perso all’infinito,
talvolta
aiuta il colonnello nella sua raccolta, talaltra annusa un fiore o
insegue creaturine colorate che svolazzano ridendo come una scema.
La
Du Bal, che arranca ansimando, trova il modo di fissarmi severamente
e di dirmi che è uno scandalo che questo sentiero sia
così
dissestato, come se fosse colpa mia.
Lawrence
e Felsen, orbati del loro compagno, hanno l’aria ancora
più
spaurita e derelitta del solito, il che significa che
impietosirebbero un gundark affamato.
Al
mio fianco, cupo e pessimista come sempre, Hyaskon fa: “Ci
prenderanno e ci faranno a pezzi, vedrà.” Poi,
dopo una lunga
pausa, aggiunge: “A proposito, ce l’ha ancora
quella fiala di
morte dolce che le diedi a Sigiryia?”
“Come
potrei separarmene?” gli rispondo toccandomi parti
irriferibili. In
realtà si tratta di una menzogna immonda. La fiala
l’ho buttata
via con orrore non appena sono riuscito ad eludere la sorveglianza
dell’ufficiale medico.
“Vedrà
che la dovrà usare.”
“Negativo.
Non intendo esporre la squadra – o peggio la mia persona
– a
inutili rischi. Arriviamo in vista del campo di Kurtz, guardiamo col
binocolo se c’è formicolio di gente e in caso
affermativo ci
segniamo le coordinate per un attacco aereo. Fine della
trasmissione.”
“Veers,
anche un capitano medico come me capisce che il suo piano fa acqua da
tutte le parti.”
Devo
dire che qualche dubbio mi era venuto, comunque chiedo: “E
cosa ci
sarebbe che non va nel mio piano, secondo lei?”
“E
se non formicola nessuno perché sono tutti a fare la siesta
pomeridiana? E se quelli che vediamo formicolare non sono gli
scagnozzi di Kurtz ma degli innocenti civili? E se Kurtz si accorge
che arriviamo e ci cattura?”
“Insomma,
basta!” rispondo seccato, “ci avvicineremo di
soppiatto e
guarderemo con attenzione quelli che formicolano nella base. E se non
vediamo nessuno tanto peggio per loro. Ordineremo l’attacco
aereo
ugualmente, così imparano!”
Così
discorrendo arriviamo a un bivio. Un sentiero si addentra nella
brughiera e si perde nelle nebbie, l’altro, contrassegnato da
un
cartello con scritto “Fine di Tutto”, si infila in
una foresta e
sembra ricavato dal letto di un torrente in secca.
“Pare
che ci siamo,” dico, “da adesso in poi fate
silenzio e non
allontanatevi.”
Incontro
lo sguardo scettico del mio collega e mi rendo conto della cazzata
che ho appena detto: la Du Bal si sente immediatamente in dovere di
spiegarmi che lei va esattamente dove le pare nel momento in cui le
pare di farlo, Fjo’ona vaga qua e là canticchiando
e raccogliendo
fiori e Waxen percorre le colline piegato a novanta borbottando fra
sé e sé. Gli unici che mi stanno orribilmente
appiccicati sono
Lawrence e Felsen, che si sentono abbandonati e hanno tanta paura.
“Come
non detto,” proseguo, “andiamo a vedere
dov’è questo dannato
Kurtz. Ogni minuto che mi separa da lui mi separa anche dal bar del
circolo ufficiali.”
Procediamo
con cautela. Dopo un bel po’ di strada in salita la foresta
termina
bruscamente: di fronte a noi si apre uno spiazzo con alcuni edifici
malandati e subito dopo c’è un agghiacciante
strapiombo che a
prima vista direi sui settecento metri.
Ci
acquattiamo tra i cespugli, anche se il posto sembra non solo
completamente deserto, ma anche abbandonato da tempo.
“È
la Fine di Tutto,” dice Hyaskon alle mie spalle.
“Sicuro?”
“Non
si può andare oltre.” E indica il burrone.
Segue
un inquietante silenzio.
Metto
in azione i rilevatori di movimento, calore corporeo e balle varie,
ma gli strumenti rimangono silenti.
“Non
c’è nessuno,” osserva
l’ufficiale medico.
“Sembra
di no,” rispondo. Poi mi volto verso i due soldatini
tremebondi e
dico: “Ragazzi, che ne direste di andare a fare un bel
sopralluogo?
Se trovate Kurtz ci avvertite con il com-link.”
I
due sbiancano e mi fissano con occhi pallati dall’orrore.
“Scherzavo,
dai! L’ho detto solo per scuotervi un po’. Rimanete
qui e non
fate casino, andiamo io e il capitano medico.”
Le
reclute, che se la sono quasi fatta addosso dalla paura, annuiscono
con aria sollevata e strisciano sotto un arbusto dove si
raggomitolano diventando praticamente invisibili. Spero di ricordami
dove li ho lasciati, perché altrimenti ritrovarli
sarà un bel
casino.
Io
e Hyaskon ci incamminiamo con circospezione, anche se non mi sembra
ce ne sia particolare bisogno, dal momento che il posto è
frequentato come le serate di aggiornamento organizzate dal capitano
Piett.
Gli
edifici hanno l’aria di essere stati abbandonati in gran
fretta, il
mobilio è ribaltato e mezzo rotto, il pavimento e i muri
sono
schizzati di sangue.
“Una
battaglia?” mi chiedo perplesso.
“Direi
piuttosto una festa un po’ movimentata,” risponde
il mio collega
scovando un mucchio di bottiglie vuote.
“Alla
faccia della festa,” mormoro. Poi, guardandomi intorno,
proseguo:
“I covi di Kurtz sono sempre pieni di cadaveri, ma qui non ce
n’è
neppure uno…”
“Li
hanno buttati tutti giù per il burrone,” mi
risponde Hyaskon con
un sospiro.
“Che
spreco. Vero, doc?”
“Già.”
Proseguiamo
fino ad una costruzione più grande ornata di feticci e
porcherie
anatomopatologiche. Il vento fa sbatacchiare alcune ossa penzolanti
producendo un inquietante suono di xilofono.
“Qui
ci stava Kurtz,” afferma con sicurezza il capitano medico.
“Come
fa a dirlo?”
“È
quella che avrei scelto io.”
“Hyaskon,
che schifo!” protesto. Entrando nell’edificio cedo
il passo al
mio collega, averlo alle spalle comincia a darmi una certa
inquietudine.
Guardiamo
un po’ in giro, ma il posto è vuoto e abbandonato
come gli altri.
L’unico mobile intero che troviamo è una scrivania
coperta di
polvere. In un cassetto semiaperto c’è
un’autentica stranezza:
dépliant di agenzie di viaggi. Il primo ha in copertina una
kaminoana sorridente con gonna di rafia, collana di fiori e ukulele.
Una scritta di traverso recita: Kamino –
Life’s a Beach.
Un altro mostra una splendida veduta di atolli con spiagge bianche,
palme e capanne di paglia. Lo slogan è: Kamino
tropical paradise.
Ce
ne sono anche altri, tutti riguardanti Kamino e tutti ciancicati come
se fossero stati sfogliati centinaia di volte. Mi sorge un dubbio.
“Sta
a vedere che se n’è andato su Kamino,”
dico frugando nei
cassetti alla ricerca di qualche altro indizio.
“Via,
capitano, quello è un luogo di villeggiatura,”
ribatte Hyaskon, “a
un pazzo sanguinario come Kurtz non piacerebbe.”
“Già.
Dimenticavo che voi due avete un sacco di cose in comune,”
rispondo
pensoso. Fuori si sentono il sibilo del vento e lo xilofono osseo, il
tempo fa merda e la prospettiva per la serata è di mangiare
una cena
schifosa in una caserma di guarnigione di uno squallore
inimmaginabile. Questi sono i momenti in cui un ufficiale deve
prendere una decisione.
“La
base è abbandonata,” dico gravemente,
“Kurtz se n’è andato e
l’unico indizio che abbiamo a proposito della sua
destinazione sono
questi dépliant. Per come la vedo io, è nostro
dovere di militari
imperiali andare su Kamino per vedere se il pazzo omicida è
là.”
Nella
mia mente si materializzano immagini di tramonti tropicali, cocktail
colorati e spiagge coralline lambite da onde turchesi.
“E
se poi non c’è?” chiede Hyaskon dubbioso.
“A
questo punto pazienza, noi ci abbiamo provato.”
“Kamino
costa un sacco e non ci sono basi imperiali…”
“Ma
no, qualche base imperiale c’è. E poi non
è così costoso, ora
siamo in bassa stagione.”
“Non
è che si vuole fare una vacanza a spese delle forze armate
imperiali, Veers?”
“In
ogni caso, non sarebbe una vacanza,”
ribatto ostentando un
fiero sdegno, “bensì normale attività
ricreativa per le truppe
combattenti. Lei che è un medico dovrebbe sapere che lo
stress da
battaglia è sempre in agguato.”
Hyaskon
borbotta qualcosa di incomprensibile e poi tace.
Cerchiamo
un altro po’ negli edifici spettrali, ma si sta facendo buio
ed è
opportuno tornare alla base. L’idea di passare la notte tra
una
foresta piena di bestie assortite e uno strapiombo di settecento
metri mi alletta pochissimo.
Recuperiamo
quindi i nostri soldatini e ci accingiamo a rientrare, ma
c’è un
problema: né Waxen, né Fjo’ona,
né tanto meno la Du Bal sono in
vista.
Sulle
prime proferisco una consistente salva di imprecazioni, poi mi calmo,
ragiono e valuto gli aspetti positivi della faccenda: con un
po’ di
fortuna, i tre idioti si sono persi nella brughiera. Il che significa
che noi ce ne torniamo alla base, segnaliamo la scomparsa e mentre
domani proseguiamo alla volta di Kamino le truppe del capitano Feige
setacceranno la zona alla ricerca dei dispersi, i quali verranno poi
spediti indietro liberandoci in tal modo della loro molesta presenza.
Inoltre, devo confessare che l’idea della Du Bal che passa
una
notte all’addiaccio mi fa godere come un mynock.
“Andiamo,”
dico, “si sta facendo tardi.” E mi incammino
risolutamente.
Fissandomi
con espressione piuttosto eloquente, Hyaskon chiede: “E gli
altri?”
“Sono
grandi e vaccinati. Visto che hanno preferito andarsene in giro per i
fatti loro adesso si arrangiano e tornano all’AT-ST
autonomamente.
Io non sono una bambinaia.”
Senza
perdere altro tempo ci mettiamo in marcia e ripercorriamo
più
velocemente possibile l’impervio sentiero.
La
pia speranza di aver perso il colonnello in mezzo alla brughiera
svanisce non appena arriviamo a portata di voce dal mezzo.
“Professoressa, le ho mai raccontato di quella battuta di
caccia
grossa nella quale catturai un coso… come si
chiama… ha le
squame…” sentiamo da lungi.
“Maledizione.”
Ringhio a denti stretti. Come cazzo abbiano fatto quei tre a
ritrovare l’AT-ST essendo uno demente, una in fattanza e
l’altra
nata e vissuta unicamente su Coruscant è e
rimarrà un mistero,
fatto sta che adesso sono lì che ci aspettano e la Du Bal ha
anche
il coraggio di redarguirmi perché siamo tornati tardi.
Ci
pigiamo tutti nuovamente sul mezzo e tra scossoni e rumore di
ferraglia torniamo alla base prima del coprifuoco.
Giunti
sul posto, il nostro veicolo arranca fino ad un parcheggio fangoso e
lì si ferma. Non faccio in tempo a mettere i piedi per terra
che mi
piomba addosso il capitano Feige in un parossismo di ansia libera
fluttuante. “Capitano, è tornato per fortuna! Mi
stavo già
chiedendo che fine aveste fatto, ero preoccupatissimo! E il mezzo?
È
intatto? Deve esserlo, altrimenti sarò
obbligato a segnalare
gli eventuali danni al centro riparazioni e là diranno che
non lo
curo adeguatamente e me lo toglieranno e io non saprò
più come
fare, perché abbiamo solo questo, siamo una piccola base che
sopravvive a stento, abbiamo problemi di ogni
sorta…”
“Il
suo AT-ST è intatto, non si preoccupi,” riesco a
dire
approfittando dell’istante in cui l’altro si ferma
per riprendere
fiato.
“E
Kurtz?” prosegue il capitano, “Kurtz vi ha visti?
Vi avrà visti
sicuramente, lui vede tutto! E starà già venendo
qui! Dobbiamo
andarcene, dobbiamo evacuare la base, moriremo tutti!!”
“Calma!”
gli dico con decisione, agguantandolo per una spalla mentre si sta
girando per scappare, “Kurtz non c’è, la
base è abbandonata.”
“Non
c’è? Oh santo cielo! E dov’è?
Se n’è andato! Ora ci
toglieranno anche quei pochi approvvigionamenti che ci hanno mandato
finora, diranno che non c’è più bisogno
di una base a Nuwara
Eliya, ci manderanno ai quattro angoli della galassia, finiremo alle
miniere di Kessel…”
Sospiro
sconsolato, con questo qui non c’è speranza.
Abbandoniamo
il capitano Feige al suo attacco di panico e ce ne andiamo nelle
rispettive camere. Io sono di nuovo con Fjo’ona e
ciò comincia ad
essere seccante, anche perché la twi’lek non fa in
tempo a mettere
piede in camera che ha già sparso sul suo letto e su
metà del mio
il contenuto del beauty case e intende riordinarlo per
l’ennesima
volta. Io contemplo basito l’ammontare di boccette, profumi e
cosmetici vari in dotazione alla pitonata ed esco per andare a vedere
se Wolfen e il wookiee sono ancora vivi.
Li
trovo confinati in infermeria nella zona a rischio biologico, ma mi
sembra che stiano abbastanza bene, per cui li faccio uscire e li
mando nelle rispettive camere.
Feige
ci troverà di sicuro qualcosa da ridire, probabilmente
è convinto
che quella che gli ho spacciato per banale influenza sia in
realtà
un orrendo morbo subdolo e mortale, ma non posso certo star dietro a
tutte le sue paturnie.
Mi
dirigo poi a mia volta in camera, dove Fjo’ona sta
alacremente
riordinando i suoi effetti personali. Come un ectoplasma pizzuto e
luccicante, l’enorme ammontare dei suoi possedimenti sta
lentamente
pervadendo ogni piano d’appoggio presente nella stanza. La
twi’lek
si interrompe brevemente, mi saluta e si rimette a rassettare
gorgheggiando una canzoncina nella sua lingua natia. Io provo a farle
presente che non mi dispiacerebbe stendermi un po’, ma la
scosciata
mi spiega che non può as-so-lu-ta-men-te mettere in valigia
il
beauty case (che è sul mio letto) prima dei body di
lamè (che sono
sul suo) e si meraviglia che io non mi renda conto di una cosa tanto
ovvia. Rinuncio a discutere e vado a farmi una doccia calda, che
comunque è pur sempre una consolazione.
Dopo
un po’, io docciato e lei con la valigia in ordine, andiamo a
cenare.
Feige
sarà anche un ignobile scarto
dell’umanità, un omiciattolo misero
e repellente, un derelitto dall’aria malsana, ma rispetto a
tutti i
comandanti di guarnigione che ho finora incontrato su questo pianeta
assurdo ha un enorme pregio: il suo cuoco non è sullustiano.
E chi
non ha mai provato la cucina sullustiana non può capire la
gioia che
questo fatto mi procura.
Ci
mettiamo a mangiare molto soddisfatti e nel frattempo si parla del
più e del meno. Waxen insiste per raccontarci di quando su
Tatooine
cadde una granata sulla cucina da campo sterminando tutti gli addetti
al rancio. “L’unico cuoco che trovammo era un
tusken,” dice.
Poi fa una pausa ad effetto e prosegue: “Per prima cosa, si
arrabbiò perché gli proibimmo di cucinare i
caduti, poi si
intestardì che voleva fare il piatto tipico della sua
tribù:
interiora di bantha fermentate al sole!”
La
Du Bal fa una smorfia di disgusto e allontana il piatto.
“Quella
roba schifosa puzzava da morire,” continua imperterrito
l’attempato
ufficiale, “era un ammasso viscido e
grigiastro…”
Il
colonnello descrive con agghiacciante dovizia di particolari
l’orrore
del piatto tusken e le devastanti tragedie gastroenteriche che
seguirono alla sua assunzione. Con feroce stillicidio, uno dopo
l’altro allontaniamo schifati il piatto. Alla fine
l’unico che
continua a mangiare tranquillamente è il lugubre Hyaskon, il
quale
non sembra minimamente turbato e anzi si informa cortesemente del
perché di colpo siamo tutti inappetenti. La nostra risposta
lo
lascia alquanto perplesso.
Waxen
nel frattempo si è dimenticato di cosa stava parlando. Ci
vede
tentennanti di fronte al mangiare e fa: “Senza offesa per le
signore, ma voialtri siete troppo schizzinosi! Dei veri soldati non
arriccerebbero il naso come state facendo voi. Pensate che una volta,
quando ero di guarnigione su Tatooine, cadde una granata sulla cucina
da campo, e che io sia dannato se non sterminò tutti gli
addetti al
rancio! L’unico cuoco che trovammo era un tusken, per mille
bantha!
Il quale per prima cosa si arrabbiò perché gli
proibimmo di
cucinare i caduti…”
Ricomincia
da capo tutta la storia. A parte Hyaskon, che lo ascolta con aria
sognante, noi tutti ci alziamo e ci trasferiamo in una specie di
salotto.
Poco
dopo, con movimenti assai circospetti, ci raggiunge anche il
comandante della base, che si informa delle nostre intenzioni.
Sorseggiando
una birra (nessuna descrizione schifosa riuscirà mai a farmi
abbandonare una birra), gli rispondo: “Il nostro uomo si
è
probabilmente trasferito su Kamino. Andiamo a cercarlo.”
“Vuole
dire che intende andare su Kamino?” chiede Feige con voce
tremula.
“Dicono
che sia un gran bel posto.”
“Oh,
ma… ma lei non può andare là!
È pericolosissimo, è un pianeta
d’acqua, ci sono delle tempeste terribili, uragani, tifoni,
maremoti…”
“Solo
ogni tanto. Però ci sono anche le spiagge bianche, il mare
trasparente, i tramonti tropicali…”
Con
l’aria di non aver neppure sentito quello che ho detto, Feige
risponde: “Oh santo cielo, ma dove vuole andarsi a cacciare,
capitano? Kurtz se n’è andato, no? Lo lasci
dov’è, non vada a
disturbarlo, torni alla base finché è ancora
tutto d’un pezzo.
Lei non ha idea di ciò che è capace di fare quel
maniaco omicida…”
“Quello
che fa Kurtz non lo so, ma in compenso ho un’idea molto
precisa di
quello che mi farebbe Tarkin se rientrassi alla base senza
Kurtz.”
“Che
le farebbe?”
“Mi
manderebbe a cercarlo su Kamino senza neanche darmi il tempo di
andare al cesso. Il mio personale obiettivo è finire in
fretta
questa dannata missione per tornare al bar del circolo ufficiali,
quindi meno tempo perdo meglio è. Spero solo che quando
finalmente
ci tornerò abbiano della menta fresca.”
“Per
fare che?”
“Un
mojito, ovviamente.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Giorno 7 - Alla ricerca di un trasporto per Kamino ***
Giorno
7 – Alla ricerca di un trasporto per Kamino
Ci
svegliamo di buon mattino. La camera è fredda, si sente
l’ululato
del vento contro i vetri e per quanto posso vedere il cielo
è
grigio.
Come
se tutto ciò non fosse largamente sufficiente a mettermi di
pessimo
umore, Fjo’ona si trova in pieno down da Laguna di Sogno ed
è
talmente odiosa da far rimpiangere la Du Bal.
“Finalmente
ti sei svegliato,” mi dice acida, “credevo di dover
aspettare i
tuoi comodi fino a domani. Casomai non l’avessi notato, il
tempo fa
schifo.”
Mi
giro dall’altra parte con un grugnito, ma la pitonata
insiste:
“Guarda che posto di merda! Questa camera fa schifo, ed
è tutta
colpa tua!”
“Fa
tutto schifo stamattina?” le chiedo stirandomi.
“Sì!
Non ci voglio più stare qui, voglio tornare a Coruscant, in
un posto
dove i bagni hanno la vasca con l’idromassaggio e dove si
può fare
una lampada integrale! Non ne posso più di basi militari, di
soldati
e di posti pieni di insetti!” Si mette a singhiozzare
istericamente.
“Fjo’ona,”
le dico soavemente, “cerca di calmarti, su.”
“E
tu lasciami stare! Non mi hai mai voluto bene, mi hai sempre tenuta a
distanza anche quando io cercavo di fare la carina! Mi
disprezzi!”
“Ma
no, Fjo’ona, non è vero.”
“Invece
è vero! Tu non mi vuoi bene e mi disprezzi!”
Pianto isterico.
Sospiro
esasperato e rispondo: “D’accordo, non ti voglio
bene e ti
disprezzo. Adesso ti dispiace smettere di fare casino?”
“Ecco!
Lo vedi che lo ammetti anche tu? Sei un insensibile che preferisce
una birra a una bella ragazza! E non provare a negare, l’hai
detto
tu stesso!” Altro pianto isterico.
Comincio
a valutare l’eventualità di stendere la
twi’lek con un colpo di
blaster.
“Ora
vado in bagno,” riprende Fjo’ona, “e ci
sto quanto mi pare!
Tanto tu non meriti niente!”
Si
infila nel cesso e sbatte la porta talmente forte che dal soffitto
viene giù un calcinaccio. Questa sarà una
giornata molto lunga.
Non
passano cinque minuti che la pitonata esce dal bagno dicendo:
“È
impossibile stare in un posto così piccolo, non riesco
neppure a
darmi la crema rassodante guardandomi allo specchio. Non so davvero
chi me l’ha fatto fare di venire su questo maledetto
pianeta!”
“Già,
chi te l’ha fatto fare?” le chiedo incuriosito,
sperando che
finalmente mi sveli un mistero che mi tormenta dall’inizio
della
missione.
“Non
sono affari tuoi,” risponde bruscamente la twi’lek,
“e ora
lasciami in pace, sono già abbastanza nervosa senza che tu
ti metta
a rendermi la vita impossibile!” Voltandomi sdegnosamente le
terga,
si siede su uno sgabello e si mette a depilarsi freneticamente le
sopracciglia.
Io
alzo le spalle con indifferenza, vado in bagno, mi lavo, mi vesto e
vado a fare colazione.
Quando
arrivo in sala mensa vi trovo il resto del gruppo. La Du Bal sorbisce
un caffè con aria sussiegosa mentre Waxen le assicura, come
fa più
o meno tutte le mattine, che non si sarebbe mai aspettato di trovare
una signora tanto graziosa in una base militare. Allo scopo di
corteggiarla si mette a raccontarle aneddoti di guerra.
Hyaskon,
cupo e imbronciato come al solito, è seduto ad un tavolino
per conto
suo e si sta preparando un cocktail farmacologico per affrontare la
giornata.
Seduti
ad un altro tavolino, le tre reclute e il wokiee, tutti quanti
evidentemente ristabiliti, stanno mangiando i soliti toast con la
marmellata, che non saranno quel gran ché ma sono pur sempre
una
valida alternativa alle porcate locali.
Mentre
mangiamo sopraggiunge il comandante della base.
“Capitano,
al pensiero che lei vuole andare su Kamino non ho dormito per tutta
la notte,” mi confida sedendosi al mio tavolo.
“Ma
guarda un po’,” rispondo con cortese interesse,
“e mentre
vegliava ha mica trovato un momento per guardare
dov’è lo
spazioporto più vicino?”
“Ma
è proprio sicuro che vuole andare fin
là?”
“Sicurissimo.
Che mi dice dello spazioporto?”
“L’unica
è tornare a Pettah.”
“Non
esiste proprio. Pettah è a più di quattro giorni
di marcia da qui.
Voglio qualcosa di più vicino, non posso mica passare la
vita a
girare nelle giungle di questo fottuto pianeta, io ho da
fare.”
Altri
quattro giorni di viaggio a stretto contatto con questo branco di
devastati e la mia salute mentale finirà nello scarico del
cesso,
direi che non posso proprio permettermelo.
Feige
insiste che l’unica opzione disponibile è Pettah.
Si premura
inoltre di farmi sapere che comunque lui sconsiglia decisamente un
trasferimento su Kamino.
A
questo punto tiro fuori una cartina della zona in cui ci troviamo e
la stendo sul tavolo. Non che io sia mai stato gran ché a
leggere le
carte, all’Accademia in navigazione facevo cagare, comunque
ho
imparato che generalmente i tondini rossi con un nome accanto sono
centri abitati e i tondini blu con il simbolino
dell’astronave sono
spazioporti. “Ci sarebbe Galle,” dico dopo attento
studio della
mappa. È un tondino rosso bello grande con accanto un
tondino blu,
ciò mi fa supporre che si tratti di un grosso centro abitato
con
annesso spazioporto.
“Galle?”
fa eco Feige sconcertato, “Oh no, capitano, se lo tolga dalla
testa, lei non può andare là!”
Che
palle la gente ansiosa. “Scommetto che è
pericolosissimo,” gli
dico con tono sarcastico.
“Pericoloso?
Lei vuole sapere se è pericoloso? Ma lo sa a che cosa
rischia di
andare incontro?”
Scuoto
la testa. In effetti non ne ho idea.
Con
voce ansante e occhi pallati, il capitano spiega:
“L’unica strada
per arrivare a Galle passa per la foresta di Pinnewala,” e
nel dire
questo mi indica con un dito tremante una macchia scura sulla
cartina, “lì ci sono centinaia e centinaia di
bantha selvatici!”
Sospiro.
Ansioso del cazzo. Probabilmente una volta che ha fatto la strada per
Galle avrà visto un bantha impagliato nella vetrina di un
rigattiere
e l’innocente visione si sarà trasformata nel suo
inconscio
devastato dagli attacchi di panico in branchi di bantha selvatici.
“Saremo
prudenti, allora,” gli assicuro con aria di sufficienza.
“Sarete
morti, allora!” ribatte l’altro con foga,
“Quei bestioni
maledetti vi assaliranno e vi faranno a pezzi, non vi salverete!
Tutta la foresta ne è infestata e sono
ferocissimi!”
“Certo,
lo terremo presente.”
Feige
tace sconfitto, noi finiamo di mangiare e carichiamo la nostra roba
sullo sprinter. Rani, la nostra inutile guida, ci mostra tutto
soddisfatto un incursore anale che ha acquistato ieri sera in una
bancarella del mercato. “Quasi nuovo, usato poco
poco,” ci
confida compiaciuto, “questo buono per moglie.” Si
rivolge alla
Du Bal che lo sta fissando con riprovazione: “Tu provare,
signora?
Amore lungo-lungo! Tu dopo non più arrabbiata. Dopo sempre
ridere!”
Le porge l’ordigno, accessoriato con un fallo verde e
bitorzoluto
di dimensioni apocalittiche.
“Metta
via subito quell’orrore!” strilla inorridita la
docente.
“Non
piace cazzone verde?” chiede il sullustiano perplesso. Poi,
con
l’aria di chi ha avuto un’illuminazione, fa:
“Pugno gamorreano!
Tu vuoi pugno gamorreano! Io te lo
darò…” e comincia a rovistare
in uno scatolone dal quale escono oggetti che verrebbero rifiutati
con orrore da un pornoshop rodiano.
Lo
fermo prima che la docente abbia un collasso e lo convinco a mettere
via il suo nuovo acquisto, cosa che lui fa a malincuore.
Poco
dopo partiamo alla volta di Galle. Chiedo delucidazioni a Rani per la
storia dei bantha, ma lui è talmente preso
dall’incursore anale
che mi presta si e no attenzione. Dice qualcosa a proposito di alcuni
bantha che girerebbero nella zona e poi canticchiando si rimette ad
allineare su un sedile gli accessori dello strumento di piacere.
Procediamo
verso la nostra meta. Il tempo si è frattanto messo al bello
ed è
venuto fuori un caldo feroce con un sole che pela il sedere ai
gundark. Tutti sono immobili sotto i bocchettoni dell’aria
condizionata.
Dopo
un po’ che viaggiamo in questo clima di sbrago generale,
Wolfen si
alza, guarda fuori, fa gli occhi pallati e mormora:
“Bantha…”
Sulle
prime penso che abbia una ricaduta della sindrome che gli era presa a
Sigiriya, poi butto l’occhio all’esterno e mi si
rizzano i
capelli in testa: stiamo per infilarci in un avvallamento
letteralmente coperto di bantha: piccolini che sembrano dei peluche,
giovani che si prendono simpaticamente a cornate, matrone
dall’aria
solenne e grandi maschi che sembrano degli AT-AT col pelo. Ce
n’è
a perdita d’occhio. L’aria rimbomba dei loro
muggiti.
“Bantha!”
urlo inorridito, “Rani, ferma tutto!”
Lo
sprinter si arresta con uno scossone.
“Ecco
cos’era questa puzza disgustosa,” dice
Fjo’ona con aria
infastidita, dopodiché torna a depilarsi le sopracciglia con
impegno.
Le
reclute si rintanano tremebonde sotto un sedile certe di essere
prossime alla morte, la Du Bal si affaccia al finestrino, constata
che si tratta di stupidi animali e non li degna di
un secondo
sguardo, Hyaskon sta esplorando le potenzialità di un nuovo
ipnoinducente quindi non è accessibile al colloquio, il
wookiee
bramisce. In tutto questo rimescolio, Waxen si attiva, guarda fuori e
non crede ai suoi occhi. “Bantha!” esclama al colmo
della
soddisfazione, “branchi di bantha selvatici! A me il fucile
di
precisione! Voglio le corna di quel grosso maschio da mettere sul
caminetto del circolo ufficiali!”
“Signor
colonnello,” azzardo con ben poche speranze di essere
ascoltato,
“non abbiamo tempo di metterci a cacciare.”
“Che
sciocchezze, giovane capitano!” risponde l’altro,
“siamo qui
apposta! Questa tenuta appartiene ad un mio caro compagno
d’Accademia, il generale… il generale…
diamine, non ricordo.
Comunque appartiene ad un mio compagno di cosa…
di… in cosa
eravamo compagni, figliolo?”
“Se
non lo sa lei, signore…”
“Non
sia impertinente con me, giovanotto! E mi dia subito il mio fucile da
caccia grossa!”
“Qui
non ci sono fucili da caccia grossa, signore.”
Il
colonnello mi ascolta perplesso, ci pensa su per alcuni secondi poi
gli viene l’ideona: “Lei se
l’è venduto!” strilla,
“l’ha
smerciato a qualche trafficante d’armi
per…” esita “per
pagarsi quella!” e indica Fjo’ona, sempre intenta a
depilarsi le
sopracciglia con aria sdegnosa. “Con tutti i soldi che le
avranno
dato per quella mirabile arma poteva anche procurarsi una meretrice
meno volgare,” considera con spregio.
La
twi’lek si rende conto dell’affronto e la sorpresa
è tale che le
sfugge una tetta dall’ampio decolleté.
“Come
ti permetti, vecchio rimbambito!” protesta sistemandosi
nervosamente il reggipetto.
“Volgare
nell’aspetto e anche sboccata come un facchino
trandoshan,”
insiste caparbio Waxen, “decisamente nulla a che vedere con
una
vera signora.”
Oggi
Fjo’ona è in modalità odiosa, per cui i
due iniziano a litigare
furiosamente dicendosene di tutti i colori. Sulle prime cerco di
separarli, poi mi rendo conto che la situazione offre indubbi
vantaggi: Waxen e la scosciata azzurra sono talmente impegnati ad
insultarsi che non prestano attenzione a nient’altro.
Bisogna
saper cogliere l’attimo fuggente. “Avanti piano,
Rani,” ordino
all’inutile sullustiano.
“Tu
vuoi andare?” mi chiede perplesso il nostro accompagnatore.
“Sì,
mi sembra che quei bestioni non stiano facendo molto caso a
noi.” E
il vecchio rincoglionito non mi rompe le palle con la sua fottuta
caccia grossa – questo lo penso senza dirlo.
“Bantha…
- esita per cercare la parola – dispettosi. Sì,
loro dispettosi.
Non piace sprinter. Non piace rumore. Se noi passare, loro incazzati
neri.”
Il
mio entusiasmo si raffredda alquanto. In effetti, un bantha incazzato
nero è una cosa che non desidero assolutamente vedere se non
nel
corso di un documentario sulla fauna in via di estinzione.
“Che
facciamo allora?” chiedo a Rani, sperando che possieda
qualche
atavico rimedio derivante dalla saggezza millenaria della sua specie.
“Noi
tornare a Nuwara Eliya?” suggerisce la guida con
l’aria di avere
avuto un’ideona.
“Non
possiamo andare avanti?”
“Bantha
bastardi dentro! Loro prendono a cornate finché sprinter
tutto rotto
e noi polpette sanguinolente!”
Vorrei
chiedergli come mai si è astenuto dal rivelarci questi
aspetti
caratteriali del bantha selvatico quando eravamo ancora a Nuwara
Eliya, ma qualcosa mi dice che otterrei solo risposte non pertinenti.
Sospiro
al pensiero di altri quattro lunghissimi giorni di giungla con il
gruppo di rincoglioniti e rievoco i vari squinternati che
avrò la
fortuna di rincontrare nelle basi imperiali da qui a Pettah: Feige
che avrà immediatamente un attacco di panico, Randall che
sarà
ancora incazzato per il rigatone, Kerr che sarà imbestialito
per i
salvaschermo porno che gli ho lasciato andando via, Niedermeier che
ormai avrà saputo il vero obiettivo della mia missione e
vorrà fare
un paralume con il mio scroto e infine Sanders con la base gremita di
nexu e insetti velenosi. C’è di che spararsi nelle
palle.
“Dietro-front,”
ordino tristemente.
Dietro-front
un cazzo. Al culmine della lite con la pitonata, il colonnello salta
in piedi e grida: “Ora basta, meretrice di infima categoria!
Non ho
intenzione di tollerare oltre la tua presenza! Me ne vado!”
Prima
che io possa anche solo realizzare quello che sta succedendo, il
vecchio idiota allontana con una spinta il nostro guidatore
sullustiano, si piazza ai comandi e dà tutto gas. Lo
sprinter balza
in avanti rombando come uno star destroyer in decollo.
“Colonnello,
ma che sta facendo?” chiedo aggrappandomi al sedile per non
cadere.
“Me
ne vado! Non voglio vedere mai più quest’aliena
dalla dubbia
moralità!”
I
bantha si avvicinano.
“Ma
colonnello, non vede che l’aliena dalla dubbia
moralità è sul
trasporto con noi?”
“Sfrontata!”
e dà gas.
“Stiamo
andando ad infilarci in un branco di bantha selvatici, torni
indietro!”
“Macché
bantha, quelli sono dewback che pascolano!” Via a tutta
manetta.
In
pieno attacco di demenza senile, Waxen non è accessibile al
colloquio. Nel frattempo, il capitano medico se la dorme della
grossa, le reclute sono un unico mucchio terrorizzato sotto un
sedile, la pitonata inveisce perché nel casino le sono
cadute le
pinzette da sopracciglia, Lothar emette ululati strazianti e la Du
Bal ci ingiunge infastidita di stare zitti perché non riesce
a
concentrarsi.
Cerco
di impadronirmi dei comandi, ma il vecchiaccio è caparbio e
non li
molla.
Con
una prima sterzata seminiamo il panico in un gruppetto di cuccioli e
forse ne stiriamo anche un paio. La mamma, una specie di sandcrawler
peloso, comincia ad inseguirci a testa bassa emettendo muggiti.
Con
la seconda sterzata facciamo la fiancata ad un grosso maschio e
ciuffi del suo pelo ispido entrano dai finestrini aperti. Comincia ad
inseguirci anche quello.
Alla
terza obblighiamo un altro maschio di ragguardevoli dimensioni ad un
coitus interruptus. Anche quello si incazza come un
nexu e si
mette a inseguirci con impegno.
Quando
finalmente riesco ad allontanare il vecchio fossile dal volante
abbiamo svariati bantha incazzati neri che ci inseguono mugghiando a
testa bassa.
A
parte andare a tavoletta evitando gli alberi più grossi, non
so bene
che fare. Sul manuale delle forze armate imperiali
c’è un intero
capitolo dedicato al bantha e alle sue abitudini, ma
dev’essere
verso la fine. Il che vuol dire che non so neppure come si intitola,
perché l’unica volta che ho provato a leggere quel
dannato manuale
mi è scesa la catena verso pagina dodici, l’ho
piantato lì e sono
andato a bermi una birra.
“Rani!
Queste dannate bestiacce ci stanno inseguendo, che facciamo?”
Il
sullustiano mi fissa con la consueta flemma. “Io non
so.” E mi
rivolge un sorriso ebete aggrappandosi al sedile per non cadere
durante le brusche sterzate.
Dandomi
mentalmente dell’idiota per avere pensato che la nostra guida
potesse avere qualche suggerimento utile da fornire, continuo a
filare a tutta manetta sperando che ad un certo punto i bantha si
stanchino di correrci dietro.
“Lo
sa che si dice dalle nostre parti, giovane capitano?”
interviene a
questo punto Waxen, “nessuno è più
caparbio di un bantha che
carica. Diamine, una volta ne vidi uno inseguire uno sprinter per
almeno venti chilometri. Eravamo ad una battuta di caccia su Pardash
con il generale… il generale… come si chiamava il
generale,
figliolo?”
“E
io che ne so?”
Stiamo
andando talmente veloci che mi sembra di essere su una speeder bike.
Gli alberi che sto cercando di evitare hanno lo stesso diametro di
quelli di Endor e di certo non ho né il tempo né
la voglia di
interagire con la squinternata memoria del mio superiore.
“Dov’è
il mio fucile da caccia grossa?” chiede a questo punto il
colonnello.
“Oh,
che palle! Non c’è nessun fucile da caccia
grossa!”
“Impossibile!
Mi dica subito dov’è!”
“Non
c’è, dannazione!”
“Capitano,
le ho detto mille volte di non permettere alle reclute di toccare le
mie armi di precisione! Sicuramente uno di quei birboni
l’avrà
voluto provare, l’avrà danneggiato e poi nascosto
nella vana
speranza di evitare una giusta punizione.” Poi, rivolto al
mucchio
tremebondo formato dai tre soldatini, con aria severa chiede:
“Avanti, chi è stato di voi tre?”
Il
delirio del fucile da caccia grossa mi farà diventare matto.
“Li
lasci in pace, colonnello, le pare che quei tre si metterebbero a
toccare un fucile?”
“E
allora chi è stato?” ribatte caparbio
l’attempato rompicoglioni.
C’è
un bantha grosso come uno star destroyer affiancato allo sprinter,
così vicino che se allungo la mano fuori dal finestrino gli
palpo il
muso bavoso. Sto per rispondergli in maniera altamente irrispettosa
quando arriva Lothar a trarci d’impaccio: con un grugnito si
avvicina al colonnello e gli porge un blaster.
“Ah,
magnifico!” strilla il fossile, “ecco
dov’era finito! La mia
mirabile arma di precisione, fatta completamente a mano dai
più
abili armaioli ugnaught. Vuole vedere com’è
precisa, figliolo?”
e prima che io possa rispondere spara una blasterata in pieno al
bantha che ci sta galoppando di fianco. Il colpo non è
sufficiente a
produrre danni gravi, tuttavia il bestione si allontana infastidito
scrollando il testone e muggendo. Cerco di fuggire prima che
l’animale ritorni più incazzato di prima.
Il
colonnello, nel frattempo, si è fiondato al finestrino
posteriore e
da lì sta bersagliando i nostri numerosi inseguitori con un
uragano
di fuoco. Siccome spara ancora peggio di me, la maggior parte dei
colpi finisce in aria o per terra, ma almeno il rumore e il fumo
sembrano fare una certa paura ai bantha, tanto che riusciamo a
prendere qualche metro di vantaggio.
L’orrendo
casino sveglia anche Hyaskon, che si guarda intorno stranito,
sbadiglia, si stira e mi chiede: “Che succede,
collega?”
Gli
faccio un concitato riassunto della situazione.
Il
capitano medico mi ascolta con attenzione, poi guarda indietro e fa:
“Stanno nuovamente guadagnando terreno.”
“Lo
so. Già di mio come pilota sono un cesso. Inoltre, guidare a
tutta
manetta in mezzo a questi alberi è un vero casino.”
Noto
con la coda dell’occhio che Hyaskon sta frugando nella sua
borsa,
ma la cosa mi lascia del tutto indifferente finché non lo
vedo
tirare fuori una siringa. Prima ancora che io abbia il tempo di
realizzare quello che sta succedendo, me la pianta in una spalla con
la camicia e tutto. “Questo dovrebbe migliorare i riflessi e
i
tempi di reazione,” mi spiega imperturbabile.
Io
vorrei protestare, divincolarmi, imprecare, rifiutare il punturone,
ma ogni mia iniziativa in tal senso viene troncata sul nascere da una
botta di calore che mi vaporizza tutte le sinapsi comprese quelle del
sistema nervoso autonomo. Il Fuoco Malvagio trandoshan, uno dei
liquori più potenti della galassia, in confronto a questa
roba è
sciroppo per la tosse…
“Come
va, capitano?” questa dovrebbe essere la voce di Hyaskon, che
però
mi giunge distorta e ovattata.
“Una
merda. Che cazzo è successo?”
Ignorando
la mia pur legittima domanda, l’ufficiale medico mi chiede:
“Vuole
qualcosa da bere, Veers?”
“Con
qualcosa da bere allude a una birra
gelata?”
“Ovviamente
no,” risponde l’altro con aria quasi offesa.
“Allora
lasciamo perdere.”
Mi
guardo intorno. Siamo in una specie di radura, lo sprinter sembra
intatto, Rani se la dorme beatamente sui sedili assieme ai suoi due
tirapiedi, la Du Bal dipinge seduta su un sasso proteggendosi dal
sole con un ombrellino di pizzo, la Twi’lek si depila le
sopracciglia con aria infastidita. Tutt’intorno a me ci sono
le tre
reclute che mi fissano afflitte, Lothar che mugola e Waxen che sta
raccontando a tutti di quando perse il suo aiutante di campo in
seguito allo scoppio di una granata. “Il pezzo più
grande era
così,” dice mostrando con aria grave un sassolino,
“le esequie
più lunghe che io ricordi, per trovarli tutti ci mettemmo
una
settimana.”
“Cos’è
successo?” chiedo di nuovo, sperando che questa volta
qualcuno si
degni di fornirmi delucidazioni in merito.
“Non
credevo che quel farmaco sperimentale funzionasse così bene
sugli
esseri umani,” dice Hyaskon, “finora
l’avevamo provato solo
sulle cavie da laboratorio. Una cosa spettacolare, ha guidato come un
dio!”
“Se
penso a come sfiorava quei tronchi a tutta velocità ho
ancora la
pelle d’oca, signore,” mi assicura Wolfen
rabbrividendo.
“Non
ricordo nulla…” mormoro cercando di alzarmi. Tutto
ciò che mi
circonda gira come dopo una sbronza di birra gamorreana.
Hyaskon
mi aiuta a rimettermi in piedi e nel frattempo mi spiega
potenzialità
ed effetti collaterali del farmaco sperimentale che mi ha iniettato.
“Per fortuna che ce l’avevo con me,” dice
infine tutto
soddisfatto, “altrimenti quei bestioni maledetti ci avrebbero
tritati come hamburger.”
“Avevo
sentito dire che i ricercatori coscienziosi provano su sé
stessi le
sostanze sperimentali. Se è un composto così
efficace, non poteva
iniettarselo lei e mettersi ai comandi dello sprinter?”
“Ma
scherza? Quell’affare brucia i neuroni peggio di una fiamma
ossidrica! Non ci tengo a finire come Waxen,” risponde con
disinvoltura il segaossa.
“Hyaskon,
se non fosse che faccio fatica a mantenere la stazione eretta la
piglierei a calci in culo.”
Mentre
sto discutendo col capitano medico arriva la Du Bal, che ha finito di
immortalare il paesaggio. “Spero che si senta appagato dopo
la sua
esibizionistica dimostrazione di capacità di
guida,” mi dice
acida, “credevo che solo gli adolescenti problematici
sentissero il
bisogno di affermare la propria personalità con bravate di
questo
genere. Evidentemente mi sbagliavo.” Poi mi gira il culo e se
ne va
sdegnosa.
Subito
dopo tocca alla Twi’lek: “Con la tua stupida guida
sportiva mi
hai veramente fatto rivoltare lo stomaco,” protesta,
“del resto,
da te dovevo aspettarmelo, vista l’attenzione che hai per le
esigenze degli altri. Sei un bastardo egoista!” E anche lei
se ne
va sdegnosa.
“Lei
guida in maniera eccessivamente spericolata, giovanotto,” si
sente
in dovere di comunicarmi il colonnello, “uno di questi giorni
ci
lascerà le penne, vedrà! Senza contare che per
colpa delle sue
sterzate brusche non sono riuscito a prendere di mira neppure uno di
quei bestioni!”
L’orrendo
intruglio di Hyaskon mi avrà anche lasciato mezzo
rincoglionito, ma
di certo non mi ha tolto la capacità di reagire alle
angherie
gratuite, per cui mando affanculo i miei tre interlocutori senza
mezzi termini.
“Ehm…
è ancora intontito dal farmaco che gli ho
somministrato,” dice con
aria di scusa Hyaskon al colonnello, che al vaffa si è
voltato verso
di me con occhi di bragia.
“Non
sono affatto intontito,” protesto, “anzi, sono
lucidissimo. E
proprio per questo certi atteggiamenti mi fanno incazzare come un
gundark. Se non ci fossi stato io, quei bantha bastardi ci avrebbero
tritati con tutto lo sprinter!”
“Non
si dia delle arie solo per aver guidato uno stupido veicolo, giovane
capitano!” mi ammonisce Waxen, “tutto il lavoro
sporco l’ho
fatto io sparando a quegli animali dal sedile posteriore col mio
fucile di precisione!”
“E
basta con questo fucile di precisione, cazzo!”
Cautamente,
il capitano medico mi chiede: “Veers, non è che
con tutto questo
casino le è un po’ scesa la catena?”
“E
anche se fosse?” ringhio fissandolo con aria di sfida.
Ci
guardiamo negli occhi per alcuni secondi. Se il mio collega dice
un’altra mezza sillaba sono pronto a saltargli alla gola.
Tutti gli
altri assistono basiti alla scena. Del resto li capisco: quando un
cialtrone pressappochista e indolente si incazza offre se non altro
uno spettacolo inaspettato.
Hyaskon,
che probabilmente nella sua carriera di medico militare ha
già visto
ben altro, non si scompone e aspetta che io mi calmi, poi mi dice:
“Non è che ha voglia di farsi una dormita mentre
andiamo a Galle,
capitano?”
Incrocio
lo sguardo spaventato dei tre soldatini e sospiro:
“Già, mi sembra
il caso.”
Se
vado dietro a dormire lascerò la spedizione in balia del
vecchio
rincoglionito, ma al momento direi che la cosa mi interessa
pochissimo. Ci penserò quando saremo a Galle, se riusciremo
ad
arrivarci.
Probabilmente
il capitano medico ha vegliato anche sul colonnello, perché
dopo
qualche ora di viaggio riusciamo effettivamente ad arrivare a Galle.
La base imperiale è un po’ fuori dal centro
abitato e si trova in
un albergo di super mega lusso totale che è stato requisito
in
quanto situato in posizione strategica favorevole. O almeno questa
è
la scusa che è stata fornita al proprietario.
La
costruzione, una prestigiosa dimora patrizia del luogo, è
circondata
da palme, si trova in riva all’oceano ed è dotata
di un’enorme
piscina. Quando arriviamo è in corso un tramonto da romanzo
rosa che
fa quasi perdere il controllo degli sfinteri alla Du Bal.
Fjo’ona
invece, in pieno down da Laguna di Sogno, sbuffa
infastidita e
chiede dov’è il bagno.
Viene
ad accoglierci il comandante della base, un piacione palestrato in
costume da bagno con una tavola da surf sotto il braccio.
“Salve
a tutti,” ci dice disinvolto, “sono il capitano
Ransome, ma
potete chiamarmi Kyle.”
Sto
per presentarmi a mia volta quando si fa avanti Waxen, squadra il
nostro interlocutore dalla testa ai piedi e fa: “Veers,
chieda a
questo giovanotto coi calzoncini ridicoli dov’è il
comandante
della base.”
Attimo
di gelo.
“Ehm…
colonnello, questo è il comandante della
base. È il capitano
Kyle Ransome.”
“Impossibile.
Nessun ufficiale imperiale avrebbe un aspetto così assurdo.
Costui
mi sembra proprio uno di quegli stupidi perdigiorno che passano il
loro tempo a correre dietro alle ragazze in spiaggia.” Poi,
rivolto
a Ransome: “Avanti, giovanotto, veda di rendersi utile una
buona
volta e mi dica dove trovo il comandante della base.”
Per
quanto Kyle non mi dia l’idea di essere di intelligenza
prontissima, alla terza volta che il vecchio rincoglionito gli
dà
più o meno velatamente dell’idiota e gli chiede di
presentargli il
comandante della base, anche lui realizza l’affronto.
“Ehi,
nonno, ma perché non te ne vai
all’ospizio?” gli dice gonfiando
gli scolpiti pettorali con aria di sfida.
Waxen
si erge a sua volta in tutta la sua persona e si pone con le mani a
brocca sui fianchi e le gambe leggermente divaricate. Arriva
sì e no
alla spalla del suo interlocutore, ma ciò non gli impedisce
di
mettersi ad inveire come un sergente istruttore.
Prima
che scatti la rissa, intervengo dicendo: “Ehm…
è una Kamino
Extreme quella?”
Il
capitano Ransome si disinteressa immediatamente del colonnello
urlante, mi mostra orgoglioso la sua tavola da surf e risponde:
“Cazzo, è esatto! L’hai riconosciuta al
primo colpo. Fai surf
per caso?”
“Un
po’, quando vado in licenza su 6/Schel.”
“Su
6/Schel c’è l’onda lunga, è
un posto cazzuto. Io non mi trovo
tanto bene con l’onda lunga.”
“Oh,
è solo questione di abituarsi.”
“Kyle
Ransome,” si presenta solennemente tendendomi la mano,
“sono il
comandante della base e adoro fare surf. Di solito io e i ragazzi
usciamo di pomeriggio inoltrato, ci piace sfruttare la calma della
sera.”
“Roy
Veers.”
“Fantastico,
uno che fa surf! Vieni, Roy,” prosegue prendendomi per un
braccio,
“vieni che ti faccio vedere le onde! Sono un vero spettacolo!
Ti
faccio portare una tavola, scommetto che non vedi l’ora di
entrare
in acqua!”
Veramente,
nella scala delle attività sgradevoli pongo
l’entrata in acqua in
questo momento appena prima della sodomizzazione a secco,
però non
vorrei guastare l’atmosfera amichevole che sono riuscito ad
instaurare e cerco di guadagnare tempo fornendo al capitano risposte
evasive.
“Guarda
che onde!” mi dice, orgoglioso come se le avesse inventate
lui,
“guarda che meraviglia! Hai visto come si infrangono sulla
spiaggia?”
Mentre
mi sta mostrando l’oceano sopraggiunge con aria
più che mai
infastidita Fjo’ona. “Uffa che rottura,”
sbuffa, “si può
avere una camera da letto in questo posto? Io non ne posso
più…”
Immediatamente,
il piacione si disinteressa di me e del surf e si fionda a fare il
cascamorto con la twi’lek.
“Ma
chi è questa bella signorina?” le dice con aria da
marpione
cercando di farle il baciamano.
“Mi
lasci in pace immediatamente, specie di maniaco sessuale!”
protesta
la scosciata, “non si è mai mangiato il budino
insieme, io e lei!”
Normalmente,
alla vista di un tale fusto palestrato Fjo’ona si sarebbe
sciolta
come un gelato su Tatooine, ma oggi è in modalità
detestabile,
quindi si dimostra addirittura infastidita. Kyle mi guarda con aria
interrogativa, probabilmente è la prima volta in vita sua
che una
twi’lek gli volta le terga con le mutande ancora indosso e
senza
piegarsi a novanta gradi.
“Non
farci caso,” gli dico in tono rassicurante, “ieri
si è fatta una
dose di Laguna di Sogno e oggi è in
down. Le fa schifo
tutto.”
“Per
prima cosa, non c’è bisogno che vai in giro a
raccontare i fatti
miei,” interviene Fjo’ona, “e poi non
è perché sono una
twi’lek che voialtri maschi sempre arrapati potete
permettervi di
pensare che vada in giro a darla a chiunque!”
La
scosciata sta diventando francamente imbarazzante. Decido di
portarmela via prima che combini altri casini.
“Dai
Fjo’ona,” le dico, “raccogli la tua roba
che andiamo in
camera.”
“Vorrei
sapere sulla base di quale presupposto dai per scontato che io stia
in camera con te! E se non ci volessi stare?”
“Magari!
Scegli pure chi ti pare.”
“È
perfettamente inutile che adesso fai finta di non volermi per non
fare brutta figura!”
Sospiro
affranto. “Fjo’ona, va con chi vuoi basta che non
rompi le
palle.”
Con
fiero sdegno, la pitonata va a mettersi accanto al capitano medico.
“Questa sera sto con Evan,” mi dice con aria
provocatoria, “forse
lui mi darà la considerazione che merito!”
“Ne
dubito, finché sei ancora calda.”
Mi
volto di nuovo verso Ransome. “Dove eravamo
rimasti?”
“Hai
della gente davvero strana con te, Roy,” non può
fare a meno di
dirmi.
“E
non hai ancora visto niente.” Poi, rivolto al gruppo di
sfigati:
“Avete già stabilito la disposizione delle
camere?”
Le
tre reclute sono in una camera tripla. Nelle doppie ci sono Hyaskon e
la scosciata, Lothar con il vecchio fossile e… io con la Du
Bal. Io
che già mi rallegravo per l’assenza di
Fjo’ona, mi trovo in
camera con l’esimia docente. Sono cose molto tristi.
La
Du Bal mi fissa con aria severa. “Spero che si
comporterà da
gentiluomo,” mi dice con sussiego.
Con
un sospiro rispondo: “Le ho già detto che non
corre alcun
pericolo.” E mi avvio lentamente in camera. La professoressa
mi
segue trascinando il suo immenso trolley.
La
stanza è molto grande, con vista sull’oceano. Per
fortuna ha due
letti, altrimenti mi sarebbe toccato di dormire nel catino della
doccia. La docente si sistema, appoggia gli effetti personali e mi
dice: “Andrò a fare una passeggiata sulla
spiaggia, spero che il
contatto con la natura mi aiuti ad eliminare lo stress di questi
giorni.”
“OK,
a dopo.”
Non
appena la porta si chiude alle spalle della professoressa, mi libero
di bagagli e vestiti e mi sbrago sul letto in mutande. Dormo, faccio
la doccia, riordino un po’ la mia roba e infine realizzo che
ormai
è buio e la Du Bal non è ancora rientrata. Almeno
di questa mi
sarò liberato, penso.
Ma
come al solito non sono così fortunato. Poco dopo la porta
si apre
lentamente ed entra la professoressa sporca, ciancicata e grondante
d’acqua. Ha la sottana tutta strappata, i capelli ridotti a
una
matassa informe e le manca una scarpa.
“Ehi,
prof! Si può sapere che accidenti ha combinato?”
le chiedo non
appena riesco a parlare senza ridere.
“Voi
militari non siete mai presenti quando servite!” è
la secca
risposta.
“Nella
fattispecie?”
Con
l’aria di considerare tutto l’avvenimento una mia
precisa
responsabilità, la docente mi racconta che stava
passeggiando
tranquillamente sulla spiaggia quando è stata assalita da un
branco
di worrt. Poiché in giro non c’era nessuno a cui
chiedere aiuto,
ha dovuto fuggire verso le scogliere, dove si è presa in
pieno tutte
le ondate mentre i worrt le si attaccavano ai vestiti. Nei suoi
tentativi di fuggire dalle bestiacce è caduta, è
rotolata nella
sabbia, è finita in acqua e infine ha anche perso una scarpa.
Alla
fine del racconto mi devo infilare in bagno di corsa perché
non
riesco più a stare serio.
“Voi
militari non sapete comportarvi!” mi grida dietro la Du Bal.
Dopo
lo spassoso episodio andiamo a cenare. Ci accoglie Ransome in
pantaloni militari e camicia hawaiana aperta sul petto a mostrare i
soliti pettorali scolpiti.
Appena
mi vede comparire, mi chiama e dice: “Roy, vieni a mangiare!
Ho
mandato uno speeder a prendere un quarto di dewback alla compagnia
comando, il cuoco lo sta facendo alla griglia!”
Mi
avvicino e Kyle comincia a parlare di tavole da surf, descrivendomi
con toni reboanti le prestazioni della sua Kamino Extreme e
informandosi discretamente sul tipo di tavola che io preferisco. Gli
rispondo che la mia tavola preferita è quella su cui stanno
appoggiate le birre e ci mettiamo a discutere amabilmente anche di
malto fermentato.
Mentre
ci intratteniamo passa Fjo’ona con una minigonna da infarto.
“Ehi,
bellezza! Sono tutte tue quelle gambe?” le chiede Ransome.
Senza
rispondere, la pitonata passa oltre mostrando al capitano il dito
medio alzato.
“Io
lo so di cosa avrebbe bisogno quella,” dice Kyle seguendola
con lo
sguardo libidinoso, “di un bel sandwich!”
Lawrence,
che ha assistito all’episodio, alza gli occhi su di me e
chiede:
“Allora Fjo’ona è antipatica
perché ha fame, signore?”
“Il
capitano Ransome alludeva ad un altro tipo di sandwich,
figliolo.”
Lascio
il soldato a chiedersi quanti tipi di sandwich esistano nella
galassia e andiamo a tavola.
Il
tanto decantato barbecue in realtà non è un gran
ché. Il dewback
di suo non è eccezionale fatto alla griglia, inoltre il
cuoco di
Ransome è un autentico cesso e la maggior parte dei pezzi
sono o
duri o carbonizzati, tanto che ad un certo punto ho anche la
tentazione di impadronirmi della griglia, strumento il cui uso
rappresenta assieme alle gare di birra il totale delle mie
abilità.
Ma
prima che io possa tentare l’ardito colpo di mano, Kyle mi
blocca
dicendomi: “A proposito, Roy: non mi hai ancora detto cosa
fate da
queste parti.”
“Siamo
in missione. L’obiettivo è trovare
Kurtz.”
Sono
talmente abituato alle scene di terrore panico che la reazione di
Ransome mi lascia completamente esterrefatto: il capitano scoppia a
ridere e prima che sia possibile interagire nuovamente con lui
passano cinque minuti buoni.
“Cos’è
che vuoi fare?” mi chiede poi tra i singulti.
“Trovare
Kurtz.”
Altro
accesso di ilarità incontenibile.
“Kyle,
sei sicuro di stare bene?” gli chiedo preoccupato.
“E
tu chiedi a me se sto
bene?”
“Mi
sembrava una domanda pertinente.”
“OK,
non scherziamo,” ansima Ransome, “dimmi qual
è la tua missione.”
“Che
palle, devo trovare Kurtz e se ti metti a ridere di nuovo uso la tua
fottuta tavola da surf per fare il tiro al bersaglio!”
“Ma
hai una vaga idea del guaio in cui ti stai andando a
cacciare?”
“Affermativo,
ce l’ho. Conosco per filo e per segno ogni efferatezza
commessa da
Kurtz negli ultimi dieci anni.”
“Veers,
quelli che sono andati a cercare Kurtz prima di te avevano dietro due
divisioni di truppe d’assalto. Gli unici che sono riusciti a
tornare sono stati quelli che Kurtz ha lasciato vivere
perché
raccontassero che fine avevano fatto i loro compagni. E ti garantisco
che non è stato bello ascoltarli. Ora, non per sminuire le
tue
capacità guerresche, ma tu cosa credi di fare con quelli?”
e indica il branco di sfigati.
“Finora
ce la siamo cavata abbastanza bene.”
“Anche
perché finora vi siete trovati su un pianeta diverso da
quello su
cui sta Kurtz.”
“Sai
dov’è Kurtz?”
“Puoi
scommetterci, bello. È su Kamino. È partito
proprio dallo
spazioporto di Galle.”
Segue
il solito racconto: strage di civili, devastazione della
città, idee
mistiche e persecutorie, atti di crudeltà inimmaginabile,
esecuzioni, stupri, cannibalismo e balle varie. Non manca nulla.
“Forse
è il caso che mi faccia un’altra birra,”
dico alla fine.
L’idea
di andare su Kamino, fare una rilassante vacanza e poi riferire a
Tarkin che Kurtz è sparito chissà dove si
concretizza sempre più
nella mia mente. Tanto non credo che il governatore si prenderebbe la
briga di andare a controllare personalmente ogni singolo atollo del
pianeta.
Finiamo
di cenare. Nel frattempo Ransome ha fatto portare un’ampia
scelta
di bevande alcoliche, per cui le malefatte di Kurtz lasciano il posto
agli aneddoti divertenti.
“Hai
fatto l’Accademia di Carida?” mi chiede dopo un
po’ il
palestrato.
Annuisco.
“Che
corso?”
“Ne
sono molto fiero: sessantanove.”
“Ma
dai, allora dovresti conoscere un tale che ogni tanto passa di qui a
fare del contrabbando. Quando di ubriaca dice sempre che ha fatto
Carida e dovrebbe avere più o meno la tua età. Ha
con sé un
wookiee che non sta mai zitto.”
Vuoto
la birra, ne prendo un’altra e chiedo: “Come si
chiama questo
tale?”
“Han
Solo.”
Mi
sfugge una risata. “Ma certo che lo conosco. Il vecchio Han.
Pensa
che devo proprio a lui il fatto di essere diventato
ufficiale.”
Ransome
pare interessato. “Ti ha aiutato in qualche modo?”
“No,
faceva talmente schifo in tutte le materie che persino io al
confronto sembravo un genio. L’hanno cacciato con
ignominia.”
Il
palestrato alza un sopracciglio, anche lui dà fondo alla sua
bottiglia di birra. “Lui dice sempre che se
n’è andato per
salvare il wookiee,” butta lì.
Sorrido
fra me e me: tipico di Solo inventarsi queste cazzate per fare il
ganzo. “È una storia che ha messo in giro per
darsi un tono. In
realtà quando c’era l’ora di dewback gli
istruttori parlavano
alla bestia e non a lui, dicevano che capiva di
più.”
Dopo
queste sconcertanti rivelazioni intacchiamo la scorta di
superalcolici e ci raccontiamo qualche altra cazzata, poi il capitano
Ransome mi spiega come fare ad arrivare allo spazioporto di Galle e
mi da il nome di un tizio al quale devo dire che mi manda lui se non
voglio essere messo in lista d’attesa dietro le navette degli
indigeni e i cargo di guano.
Io
gli spiego che in quanto spedizione militare ci serviremo di un
trasporto imperiale, che conto di ottenere con estrema
facilità al
solito tirando in ballo la priorità uno della missione.
Quando sarò
rientrato sulla Morte Nera dovrò poi ricordarmi di chiedere
a Tarkin
se la missione era veramente a priorità uno o no, a questo
punto
sono curioso di saperlo.
“Comunque
di’ che ti manda Ransome,” insiste Kyle,
“a meno che tu non
abbia intenzione di passare una settimana a fare surf su questo
magnifico oceano.”
Mi
volto verso la vetrata. Fuori è buio e si sente il rumore
cupo delle
onde che si infrangono sulla spiaggia. “Negativo,”
gli rispondo,
“l’unico liquido per il quale in questo momento
provo un’insana
attrazione è la birra che servono al bar del circolo
ufficiali.”
Visto
che a forza di cazzate si è fatto tardi, a questo punto mi
alzo per
andare a letto. La Du Bal è già in camera da un
bel po’ e spero
che stia dormendo il sonno dei giusti, così non mi
romperà i
coglioni. Saluto e mi incammino lungo i corridoi.
Ho
fatto bene a bere, perché appena apro la porta della stanza
mi
accorgo di un’altra gradevolissima caratteristica
dell’esimia
docente: russa come un gamorreano ubriaco.
Grazie
all’alcool previdentemente ingerito riesco con qualche sforzo
ad
addormentarmi lo stesso. Sogno di essere nel bel mezzo di una
segheria di Endor.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Rapporto 03 sulla missione ***
Rapporto
03
Immobile
nella Camera di Meditazione, Darth Vader rifletteva intensamente.
Io
sono il Prescelto, colui che porterà ordine nella Forza.
Sì,
ma come? E cosa significa poi portare ordine nella Forza?
L’Impero,
forse essendo a capo dell’Impero. Se solo riuscissi
a… No. Lui
legge i miei pensieri. Ma ha previsto che sarò io a
distruggerlo. E
allora cosa succederà, sarò Io
l’Imperatore? Sarà questo il modo
in cui porterò ordine nella Forza? Strano, non riesco a
vedere
chiaramente. Ci sono troppe cose che mi disturbano, che mi
distraggono. I ribelli, ma anche presenze che non sentivo da tanto
tempo. E un tremito nella Forza che…
Il
corso dei suoi pensieri fu interrotto bruscamente da una serie di
lievi ma insistenti colpi metallici. Soffocando
un’imprecazione, il
signore dei Sith rimase in ascolto. Il suono si ripeté e
questa
volta egli poté identificarlo: qualcuno stava bussando
sulla
superficie esterna della Camera di Meditazione, e lo faceva anche con
una certa nervosa impazienza. Non ebbe neppure bisogno di usare la
Forza: c’era una sola persona in tutta la galassia che
avrebbe
osato fare una cosa del genere. “Cosa
c’è, Tarkin?” chiese
mentre la metà superiore della Camera di Meditazione veniva
sollevata.
Livido
di rabbia, il governatore gli tese una cartolina.
Vader
la osservò. Raffigurava una sullustiana obesa in abiti
succinti.
C’era scritto ‘Grossi’ saluti da
Sullust. Alcune righe
vergate frettolosamente sul retro dicevano qualcosa a proposito di un
trasferimento su Kamino. Alzò sul suo interlocutore uno
sguardo
interrogativo.
“Veers!”
ringhiò l’altro con voce tagliente,
“sempre lui, maledizione!
Hai visto cosa si permette di mandare al posto dei rapporti imperiali
standard? Io vorrei proprio sapere chi si crede di essere, accidenti
a lui!”
Ci
furono alcuni secondi di silenzio durante i quali Vader dovette
combattere l’impulso di mandare a cagare il suo irato
interlocutore.
Infine
gli restituì la cartolina e disse: “Tutte le volte
la stessa
storia? Non è mica la prima che ti manda, ormai dovresti
essere
preparato.” E prima che Tarkin potesse rispondere aggiunse:
“Ora,
se vuoi scusarmi, avrei da fare.”
Il
governatore fissò impotente la Camera di Meditazione che si
richiudeva con un lieve tonfo metallico. Rimase fermo con aria
irresoluta, la cartolina nella mano tremante, una filza di insulti
irriferibili all’indirizzo di Veers che gli ronzava in mente.
Andò
alla ricerca delle compresse per la pressione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Giorno 8 - Questa sera dormiamo su Kamino ***
Giorno
8 – Questa sera dormiamo su Kamino
Per
fortuna che ieri sera avevo bevuto con dovizia, perché tra
il
fragore delle onde e il russare della Du Bal c’è
stato un casino
tremendo per tutta la notte.
La
prima cosa che vedo quando mi sveglio è che il letto accanto
al mio
è vuoto. Poi mi accorgo che la porta del terrazzo
è spalancata. Mi
alzo a sedere, mi guardo intorno sbadigliando e nel fare ciò
rimango
annichilito: la Du Bal è sul terrazzo e sta facendo
ginnastica a
tette nude.
Lo
spettacolo è talmente inusitato che per realizzarne la
portata ci
metto alcuni secondi, durante i quali mi assale anche il dubbio di
avere veramente esagerato con l’alcool
ieri sera.
“Ehi,
prof! Ma le ha dato di volta il cervello?” le chiedo dopo
averla
osservata per un po’.
La
docente sussulta, strilla e si copre alla meglio con un asciugamano,
dopodiché si volta verso di me con sguardo omicida.
“Avevo sperato
che lei si comportasse da gentiluomo, ma ovviamente ciò non
è
accaduto,” constata mostrando somma indignazione.
“Abbia
pazienza, Du Bal,” le rispondo, “non è
che lei possa stare a
tette fuori sul balcone e pensare che nessuno ci faccia caso.”
“Lei
è un maniaco, mi stava fissando,”
insiste la professoressa.
Sospiro.
“L’avrei fissata se si fosse
trattato di Fjo’na, nel suo
caso mi è solo caduto l’occhio e sono rimasto
basito.”
Seguono
alcuni secondi di silenzio carico di tensione.
“Se
spera che io dorma ancora in camera con lei si sbaglia di grosso,
giovanotto!” mi ammonisce infine la mia interlocutrice.
Dopodiché
mi passa davanti a culo dritto certa di avermi inferto un colpo dal
quale difficilmente mi riprenderò.
Io
vorrei tanto pisciarle nella valigia, ma non si decide a lasciarla
incustodita.
Dopo
questo simpatico episodio scendiamo a fare colazione.
Ransome
non si vede, probabilmente starà ancora smaltendo gli
effetti della
mistura di porcate alcoliche che ci siamo scolati ieri sera.
Sarà
anche un asso del surf, ma come bevitore non vale una cacca di
scurrier.
Scende
frattanto dalle scale, procace e svampita, la nostra twi’lek,
finalmente uscita dal tunnel della droga e quindi non più
odiosa. Si
è messa in una gamba una calza lilla e nell’altra
una verde e ci
chiede quale delle due si intona maggiormente al reggicalze rosa. Si
alza la minigonna e ci mostra il suddetto capo di biancheria intima
per far sì che il nostro giudizio sia il più
obiettivo possibile.
Ignorando
le vibranti proteste della professoressa, io e il capitano medico
apriamo un dibattito sull’argomento. Cerchiamo di coinvolgere
anche
le tre reclute, ma gli imbranati assistono alla nostra discussione
con la faccia del bantha che pascola, quindi dopo un po’ ci
disinteressiamo di loro.
Stabiliamo
infine, dopo attenta disamina, che ci piace di più con la
configurazione attuale, cioè con una calza lilla e una
verde. La
twi’lek rimane perplessa. Si guarda le gambe, guarda noi e
infine
chiede: “E adesso cosa me ne faccio delle altre due
calze?”
Stamattina
ci sentiamo bastardi dentro, per cui le forniamo vari oculati
suggerimenti: buttarle via, usarle per fare bondage, metterci dentro
le conchiglie che trova in spiaggia, infilarsele in testa e andare a
fare una rapina, metterne una in ogni lekku per vedere che effetto
fanno e così via. Fjo’ona ci ascolta attenta. Ci
prega di parlare
lentamente perché ha paura di dimenticare qualcuna delle
idee che le
stiamo dando.
Sulle
prime ci divertiamo perfidamente, ma dopo un po’ il gioco ci
annoia: è come sparare sul carrozzone dei jawas.
Ci
disinteressiamo quindi anche della scosciata e ci rimettiamo a fare
colazione.
Mi
tormenta un po’ l’eventualità paventata
da Ransome ieri sera,
ovvero di essere messi in lista d’attesa dietro i cargo di
guano e
le navette indigene.
Una
volta finito di mangiare, i nostri scarsamente utili sullustiani
cominciano a caricare i bagagli sullo sprinter.
Siamo
in questa delicata fase delle operazioni, con la pitonata e la
professoressa che sorvegliano la sistemazione dei loro preziosissimi
trolley imbottiti di cianfrusaglie, quando ci raggiunge il comandante
della base.
Il
piacione è un po’ sbattuto, abbiamo già
appurato che regge
l’alcol come io reggo la compagnia del capitano Piett, ma
indossa
l’immancabile camicia hawaiana aperta sul pettorale scolpito.
Sottobraccio
ha la preziosa Kamino Extreme, debitamente incerata.
“Io
vado a fare surf,” mi annuncia. “Sicuro che non
vuoi venire?”
“Lo
farò su Kamino, se mi capita
l’occasione,” gli rispondo.
Ransome
mi fissa critico. “Allora non eri sbronzo ieri
sera?”
“Sì,
lo ero, ma che c’entra?”
“Intendo:
vuoi andare davvero su quel pianeta del cazzo? Ti avviso: è
un posto
dove le onde fanno schifo. E poi c’è
Kurtz.”
“Mi
sa che eri più sbronzo di me, se non ti ricordi che
è proprio Kurtz
che sto andando a cercare.”
L’altro
si stringe nelle spalle con l’aria di chi prende tristemente
atto
che il suo interlocutore è un cretino, poi mi fa:
“Se proprio ci
tieni, ti conviene andare a cercare il bastardo.”
“Ti
ho già detto che ci sto andando,” replico
vagamente spazientito.
“Non
quel bastardo,” precisa Kyle.
“Quello non avrai bisogno di
andare a cercarlo, sarà lui a trovare te.”
(toccata fugace di
attributi da parte mia). “Intendo Chandra il burlone, quello
che
gestisce i voli dallo spazioporto di Galle. Suo padre possiede tutto
lo spazioporto ed è ricco sfondato. Lui avrebbe
l’ambizione di
fare cabaret, ma il suo vecchio gli fa smistare le navette nella
speranza di insegnargli un mestiere. Uno strazio.”
“Dove
lo trovo?”
“Al
vecchio forte. Digli che ti mando io e ridi più che puoi
alle sue
battute, se non vuoi finire in lista dopo i cargo di guano.”
“Quali
battute?”
Per
tutta risposta, Ransome mi dice: “Io vado a fare surf, ci si
becca
in giro.”
E
se ne va piantandomi lì come un tubero di solanacea.
Io
rimango a chiedermi che genere di battute potrà mai fare
questo
famigerato Chandra. Dopo la collezione di devastati che ho incontrato
nel corso di questa missione, dovranno essere decisamente strane per
suscitarmi più di un’alzata di sopracciglio.
Come
a confermare la mia ipotesi, si presenta il colonnello, al solito
ginnico e vivace. Si molleggia sulle ossute ginocchia, quindi mi
chiede: “Stava parlando col fattorino, giovane
capitano?”
Rimango
perplesso. “Con chi?”
“Quel
tizio con la camicia ridicola e l’asse da stiro sottobraccio.
Abbiamo poi scoperto dov’è il comandante di questa
base? Ci terrei
a salutarlo.”
Mezz’ora
dopo siamo in viaggio diretti a Galle. L’inutile Rani, da me
interpellato sulle presunte battute di Chandra il burlone, non mi ha
saputo fornire alcun ragguaglio, cosa che peraltro non mi ha affatto
stupito. Si è limitato ad aprire le braccia e a rivolgermi
un
amabile sorriso.
Io
continuo a trovare strano che le navette imperiali vengano gestite da
un civile, ma ci sono misteri nell’Universo che probabilmente
non
sta a me risolvere.
Il
forte, al quale arriviamo dopo poco, è una costruzione di
qualche
epoca in cui mura spesse e torri con feritoie rappresentavano ancora
un modo intelligente per tenere lontano i cattivi.
Osservo
perplesso l’edificio, quindi mi guardo intorno alla ricerca
di
Hyaskon, che in tutto il gruppo di sfigati è
l’unico che mi dia un
minimo di affidamento.
Scopro
con disappunto che il capitano medico è collassato su un
sedile in
stato di morte apparente, spero a seguito dell’ingestione di
uno
dei suoi cocktail di farmaci.
La
Du Bal si è già sistemata con tanto di sedia
pieghevole e
cavalletto a immortalare la vetusta costruzione, Waxen è
sparito
chissà dove. Rimangono i tre sfigati, il wookiee e...
“Vengo
io con te, Roy!” esclama la pitonata con voce melodiosa.
“Devo
anche andare a fare la pipì.”
“Ma
Fjo’ona, non credo sia il caso...”
“Mi
scappa!” proclama categorica la twi’lek, e per
quanto la riguarda
il discorso è chiuso. Si mette al mio seguito senza la
più piccola
intenzione di allontanarsi da me fino a che non avrà trovato
un
bagno.
Consapevole
dell’inutilità della resistenza, preceduto da Rani
e con la
scosciata al seguito, varco la soglia del forte.
All’interno
c’è l’ormai consueto assortimento di
scagnozzi e tirapiedi che
ci guardano male. Io rivolgo sorrisi di circostanza a destra e a
manca, pensando che se proprio le cose si mettono al peggio posso
sempre proporre a tutti questi stimabili signori una bella gangbang
con la twi’lek.
Fjo’ona
ignara si aggiusta il push-up.
Arriviamo
infine ad una porta chiusa dietro la quale si percepiscono stralci di
musica. Ai lati di essa si trovano due ceffi che fanno sembrare tutti
gli scherani di prima dei jawas rachitici.
“Parola
d’ordine!” ringhia il più grosso,
tatuato e muscoloso dei due.
Pur
consapevole che sia un’idea del cazzo, mi volto verso Rani.
Il
sullustiano apre le braccia con espressione disarmante. “Io
non
sa,” proferisce, tranquillo come se gli avessi chiesto
l’ora.
Rivolgo
al guardiano l’espressione innocente di un cucciolo di
ysalamiri.
“Cosa potrebbe succedere nel caso uno non la
sapesse?”
Il
tizio imbraccia il blaster e me lo punta contro. “Ti sparo in
faccia,” mi informa.
A
quella vista mi congelo come gli attributi di un wampa. Di colpo
l’idea di rimanere qui a fare surf per una settimana intanto
che si
libera qualche posto in una navetta diretta a Kamino non mi sembra
poi così malvagia.
“Beh,
allora noi andremmo...” dico cominciando cautamente a
rinculare, ma
alle mie spalle la torma degli scagnozzi si è nel frattempo
compattata in un ostacolo invalicabile. Qualcuno sta già
soppesando
tirapugni e mazze chiodate, altri hanno in mano oggetti decisamente
più inquietanti, di forma cilindrica e con una
sovrabbondanza di
bitorzoli, che spero siano destinati alla mia accompagnatrice.
Insensibile
al dramma che si sta svolgendo, Fjo’ona piagnucola:
“Ma perché
andiamo via? Io ho la pipì...”
“È
meglio se la tieni,” le rispondo.
“Ma
mi scappa!”
Siamo
a questo preoccupante punto della discussione quando ad un tratto la
porta in fondo al corridoio si spalanca facendomi sussultare. Ne esce
un balosar che indossa un tuxedo di lustrini azzurri e strilla in un
microfono: “Ta-daaaaa!”
Applausi
in sottofondo.
Passano
almeno dieci secondi di silenzio. Io guardo Rani, che al solito fa un
sorriso ebete, guardo la twi’lek, che invece stringe le gambe
nel
tentativo di evitare la minzione, poi mi volto verso il tizio.
“Ta-daaa?” ripeto perplesso.
Il
balosar mi dà una pacca sulla spalla e mi fa:
“Sorridi! Sei su
Galactic Camera!”
“Ma
sorridi un cazzo!” protesto infuriato. “Stavano per
farmi fuori!”
“No,
macché farti fuori. Sono blaster finti! È per
fare un po’ di
scena!” E se la ride di gusto. “La vita
è uno show, no?” Gli
scherani si disperdono ridacchiando.
Altri
applausi, che provengono da un altoparlante appeso alla parete.
Comincio
a capire perché Ransome mi aveva messo in guardia sulle
battute di
costui. Dieci a uno che adesso tira fuori la stretta di mano con la
scossa e il fiore all’occhiello che spruzza l’acqua.
Ma
Chandra fa di meglio: si rivolge alla twi’lek e le chiede:
“Ehi,
signorina, che belle gambe! A che ora aprono?”
La
scosciata, però, causa una deplorevole carenza di materia
grigia,
rimane a guardarlo con la faccia del dewback che pascola. Solo dopo
alcuni secondi di latenza, perplessa proferisce: “In che
senso?”
Il
balosar si volta verso di me con l’aria di chiedermi
spiegazioni.
Io
mi stringo nelle spalle. “Con questa qui non
c’è speranza,”
gli dico con fare rassegnato.
Il
tizio la fissa un attimo perplesso, poi riprende il microfono e fa:
“Comunque, venite di là, ragazzi, così
mi dite quello che vi
serve!”
Ci
sospinge verso la porta.
Quando
entriamo ci troviamo su una specie di passerella con delle luci che
dal basso si dirigono precisamente contro le nostre facce. Alle
nostre spalle c’è una tenda con nappe e lustrini.
Realizzo che
siamo su un palcoscenico, e quando ho fatto più o meno
l’abitudine
alle lampade puntate in faccia noto che siamo
all’estremità di una
sala con tavolini e poltrone, peraltro più vuota della testa
del mio
superiore.
Dal
soffitto pende una palla di specchi che sembra l’abitacolo di
un
TIE fighter.
Torna
nel frattempo alla carica il balosar. Mi dà una seconda
pacca sulla
spalla, suscitando in me istinti omicidi degni di un signore dei
Sith, e poi mi fa: “E così sei un militare. Io
nell’esercito ero
il tecnico incaricato di far brillare le mine inesplose. Le lustravo
talmente bene che il sergente ci si poteva specchiare sopra!”
Io
sto già pensando di mandarlo in posti irriferibili quando mi
tornano
in mente le fatidiche parole di Ransome: Digli che ti mando
io e
ridi più che puoi alle sue battute, se non vuoi finire in
lista dopo
le navette di guano.
Mi
sto ancora concentrando su questo imperativo categorico quando
Chandra a bruciapelo mi chiede: “Cosa fanno due militari in
frigorifero?”
“Eh?”
faccio, colto alla sprovvista.
E
lui, trionfante: “La guerra fredda!”
Poi,
senza nemmeno darmi il tempo di abituarmi: “Come si dice di
un
sergente che corre? Urgente!”
A
ogni battuta segue un rullo di tamburo con percussione finale di
piatto.
Serenamente
insensibile a questo strazio, la twi’lek si lamenta:
“Roy, io ho
la pipì...”
Ci
sono momenti nella vita in cui un uomo deve dimostrare di possedere i
giusti attributi. “Basta così,” dico con
autorevolezza. Poi,
rimanendo miracolosamente serio, soggiungo: “Chandra, noi
staremmo
volentieri tutto il giorno ad ascoltarti, ma ho due problemi da
risolvere: il primo è che Fjo’ona deve andare alla
toilette, e il
secondo è che ho bisogno di una navetta che mi porti su
Kamino.”
“Ti
posso dare una bella canna da pesca,” risponde lui.
“È perfetta
per i pescatori in erba!”
Io
lo guardo con la faccia da Fjo’ona.
Il
balosar mi viene in soccorso: “Canna…
erba… Capisci?”
A
questo punto dovrei ridere. Sarebbe molto opportuno che lo facessi,
così ci liberiamo di questo ennesimo idiota e partiamo per
Kamino.
Comincio
a pensare a quando ho mandato in onda nella sala riunioni un porno
sadomaso con le gamorreane obese, oppure a quando ho liberato un
cucciolo di rangkor nel circolo ufficiali superiori della Morte Nera.
Dopo
un excursus di tutte le idiozie da me commesse negli ultimi tre anni,
faticosamente rispondo: “Oh, ehm. Ahahah. Molto spassoso. Del
resto
Ransome me l’aveva detto che eri un tipo
divertente.”
Divertente
come una rettoscopia.
Chandra
si illumina. “Mister Pettorali? Se si gonfia un altro
po’
comincerà a levitare, eh?” Gomitata nelle costole.
Poi,
di nuovo a bruciapelo: “Che cos’è il
culturismo? È una supposta
che va in vacanza!”
Rullo
di tamburo e piatto.
La
situazione suscita più lacrime di un documentario sul
massacro dei
cuccioli di ewok. Comincio ad augurarmi un interrogatorio dei
ribelli, piuttosto che questo.
“La
navetta, Chandra,” gli ricordo.
“E
la toilette!” fa la twi’lek alle mie spalle,
peraltro con una
certa concitazione.
Il
nostro simpatico interlocutore tira fuori tre buste, di colori
assortiti e piene di lustrini. “In una
c’è la navetta, in una ci
sono le indicazioni per andare al gabinetto.” Si interrompe e
ci
guarda sornione.
Ho
già capito com’è l’antifona.
“E nella terza?” chiedo
diffidente.
“Un
mezzo plotone di gamorreani superdotati e in astinenza forzata da tre
mesi.”
“Chandra…”
“Su,
scegli! Cos’è la vita senza un po’ di
suspense?”
Mi
porge le tre buste.
A
questo punto, però, la mia pur temprata pazienza si rifiuta
di
servirmi oltre. Estraggo il DL-44 e lo punto verso gli attributi del
mio interlocutore, quindi gli spiego: “Chandra, ora proveremo
un
po’ di humour imperiale: questo blaster non è
finto come quelli
dei tuoi scagnozzi alla porta. O salta fuori una navetta per Kamino
entro dieci secondi o ti sparo nelle palle.”
L’altro
risponde con una risata ed esclama: “Buona questa!”
Io
rimango immobile col DL-44 puntato contro le sue pudenda.
Il
sorriso di Chandra evapora come neve su Tatooine nel momento in cui
il suddetto si rende conto che lo humour imperiale tende ad avere
risvolti pericolosi per l’incolumità personale.
“Quindi
non ti interessano le tre buste?” si informa ad ogni buon
conto.
“Solo
se te le infili nel culo. La navetta per Kamino, forza.”
“E
un bagno!” strilla Fjo’ona disperata.
Usciamo
dopo un po’ con le nostre necessità soddisfatte.
Chandra, al quale
l’interazione col blaster ha conferito una pacatezza da
maestro
Jedi, ci ha consigliato di procurarci una sistemazione su Kamino
prima di arrivare là, dal momento che sul
posto c’è in
corso un magnifico monsone, e quindi la maggior parte degli alloggi
sulla terraferma sarà inagibile.
L’idea
che il pianeta d’acqua sia funestato da una pioggia
torrenziale mi
getta nello scoramento: le immagini di tramonti e spiagge coralline
che fluttuavano nella mia mente vengono brutalmente sostituite da
nuvoloni grigi, freddo umido e onde gelide.
Assumo
l’espressione afflitta di un ewok depilato.
Si
avvicina Rani, che nel frattempo aveva tatticamente abbandonato il
vecchio forte, e mi fa: “Tu trovato trasporto?”
Vorrei
tanto rispondergli ‘non grazie a te’,
ma temo che non
capirebbe nemmeno di cosa sto parlando. Opto per un più
neutro: “Sì,
tutto a posto.”
“Molto
bene!” mi risponde, con il consueto sorriso ebete sul
faccione,
“Ora noi va a sprinter!”
Mi
guardo intorno: in effetti il nostro potente mezzo non
c’è.
“Messo
in posto migliore,” mi spiega, in risposta alla mia muta
domanda.
“Ombra. Fresco.” Mima le fronde di un albero.
“Tu vieni.”
Ci
incamminiamo per un viottolo sterrato, con Fjo’ona che
piagnucola
traballando sui sabot pitonati. Ai lati del sentiero
c’è erba
alta, e qua e là si vede qualche albero stentato, le cui
foglie
probabilmente non farebbero ombra nemmeno a uno scurrier.
“Rani,
dove ci stai portando?” chiedo poco convinto, ben consapevole
delle
scarse capacità raziocinanti del soggetto.
“Sprinter!”
risponde lui prontamente. “Da lui ti porterò. Tu
vieni. Senza
pestare cacche.”
Immediatamente
si sente lo strillo della twi’lek: “Oh, no! Che
schiiiiiiiii-foooo!!”
Mi
giro e la vedo saltellare su un piede solo. L’altro piede
è nudo,
e il sabot che calzava è piantato quasi completamente in un
mucchio
di merda che sembra una torre geonosiana.
La
prima cosa che mi viene in mente contemplando questo dramma
è che
spero non chieda a me di recuperare la sua scarpa.
Fjo’ona
frattanto emette un grido di agonia e rovina al suolo, fortunatamente
evitando altre cacche. Lì rimane a piangere e a strofinarsi
il piede
scalzo con salviette disinfettanti.
Io
mi volto verso Rani, che si stringe nelle spalle e dice:
“Dewback.
Loro fare questo.”
“Vuoi
dire che hai portato lo sprinter in un pascolo di dewback?”
“Buono
per ombra.”
A
questo punto mi guardo intorno e localizzo il nostro veicolo sotto la
stentata ombra di un alberello. Al suo interno sono asserragliati i
tre soldatini in preda al terrore, Lothar che emette bramiti e la Du
Bal che agita un fazzoletto fuori dal finestrino e strilla:
“Sciò!
Sciò!”
Non
vedo Hyaskon, ma suppongo che sia su un sedile in coma farmacologico.
Waxen è tanto per cambiare irreperibile.
Intorno
allo sprinter, decisi a sfruttare la stessa macchia d’ombra,
ci
sono cinque o sei dewback pigramente sdraiati, che ruminano con
filosofia.
Schivando
le deiezioni mi avvicino al trasporto.
“Voi
militari non ci siete mai quando c’è bisogno di
voi!” mi
accoglie la professoressa, continuando ad agitare il fazzolettino
all’indirizzo dei dewback.
Rivolgo
alla docente uno di quei sorrisi che hanno il potere di mandare la
pressione di Tarkin fuori scala e le dico: “Madame, non ha
notato
che proprio accanto a lei ci sono ben quattro valorosi militari
imperiali?”
Le
tre reclute sono sotto altrettanti sedili. Lawrence ha addirittura
scavato fuori dai recessi del suo bagaglio l’ewok di peluche
e lo
sta stringendo come io stringerei l’ultima bottiglia di birra
rimasta sulla Morte Nera.
Hyaskon,
altro rappresentante delle forze armate imperiali, è
collassato in
un angolo.
“Non
faccia lo spiritoso!” protesta la Du Bal, “qui ci
sono animali
feroci che girano intorno al nostro trasporto e lei non fa niente per
allontanarli!”
“Il
dewback sta alla ferocia come io sto alla serietà,
prof.”
“Intende
dire, con questa battuta di dubbio gusto, che queste bestie orribili
non sarebbero pericolose?”
“Secondo
lei?”
Un
dewback emette da una parte un muggito e dall’altra un peto,
poi si
gira pigramente pancia all’aria e rimane così.
Si
avvicina a questo punto la twi’lek, che nel frattempo ha
recuperato
la calzatura contaminata, però continua a piagnucolare
perché ha
esaurito la scorta di fazzolettini disinfettanti ma il sabot
è
ancora sporco.
Vede
l’assortimento di dewback che circonda lo sprinter e i lekku
le si
stirano per l’orrore. “Ci sono gli animali
feroci!” strilla.
Non
ho voglia di ripetere tutta la questione della ferocia dei dewback,
per cui mi limito a salire a bordo.
Una
volta sullo sprinter mi guardo intorno con una certa soddisfazione:
il vecchio fossile non c’è. Interrogo i presenti,
ma nessuno l’ha
più visto da quando siamo arrivati al forte.
Mi
sento pervadere da un cauto ottimismo. Posso mandare un messaggio a
Ransome, che magari lo farà cercare se non è
troppo impegnato a
fare surf, e io intanto proseguo per Kamino senza di lui. Ci
sarà
Kurtz, ma almeno non avrò fra le palle il devastato.
Sto
per l’appunto fluttuando sulla mia nuvoletta rosa quando mi
si
palesa dinnanzi la rotondeggiante figura di Rani. Sono colto da un
orrendo sospetto.
Sospetto
che purtroppo si concretizza in cupa realtà quando il
nefasto
sullustiano mi dice: “Tu cerchi omino con baffi? Da lui ti
porterò.”
Per
un attimo valuto se rispondergli ‘ma no, non è il
caso’, poi il
mio celeberrimo senso del dovere e la presenza di troppi testimoni mi
spingono a replicare in altro modo.
Per
recuperare Waxen ci dirigiamo verso il mercato locale evitando
carretti e civili con fagotti in testa. Giunti sul posto, troviamo il
vecchiaccio che come al solito sta arringando gli indigeni convinto
che si tratti delle sue truppe.
I
sullustiani lo guardano basiti.
Mando
la gente a comprare derrate alimentari, ma Fjo’ona ha ancora
la
scarpa fuori uso, i tre soldatini sono tuttora rintanati sotto i
sedili e sopra i sedili c’è Hyaskon in stato di
coma
farmacologico. Gli unici che scendono sono la Du Bal e il wookiee,
che si addentrano nella folla vociante e vi scompaiono rapidamente.
Io
nel frattempo mi avvicino a Waxen e attiro la sua attenzione.
L’ottuagenario
mi zittisce con un gesto nervoso della mano e fa: “Dopo,
giovanotto. Non vede che sono impegnato?”
Sospiro.
“Signor colonnello, dobbiamo partire. Rischiamo di perdere il
trasporto per Kamino.”
Il
fossile mi squadra con fiero cipiglio. “Capitano,”
mi apostrofa,
“devo forse ricordarle il suo posto?”
Sarei
tentato di rispondergli che il mio posto lo conosco perfettamente ed
è il bar del circolo ufficiali, ma in quel momento succede
un
miracolo: comincia a piovere. Non una di quelle leggere pioggerelline
che si annunciano dapprima con qualche timida goccia e poi man mano
vanno intensificandosi e frattanto bruiscono leggiadre.
Nossignore:
un attimo prima non pioveva, un attimo dopo viene giù un
muro
d’acqua che riduce la visibilità a tre metri. Il
rombo che produce
è così forte che per parlarsi bisogna alzare la
voce.
I
pochi indigeni che stavano ascoltando le farneticazioni del mio
superiore si disperdono a raggiera alla ricerca di un riparo.
Rimaniamo in mezzo alla piazza io e Waxen, entrambi fradici come
aquariani, a guardarci nelle palle degli occhi. “Secondo me
è
meglio andare allo sprinter, signore,” propongo.
Stavolta,
nemmeno lui può darmi torto.
Ripariamo
dunque nel nostro potente veicolo. Lì ci raggiungono con
mezzi di
fortuna anche la professoressa e Lothar, che sono sì
completamente
bagnati, ma nel frattempo sono riusciti a fare la spesa, acquistando
un assortimento di granitiche noci di cocco e ovviamente nulla per
aprirle.
La
Du Bal, capelli penzoloni e scarpe grondanti, si strizza la gonna.
“Sarà contento, immagino,” dice, con un
tono che fa sembrare
l’acido fluoridrico una crema emolliente.
Le
rivolgo lo sguardo mite di un eopie che sta pascolando. “Per
cosa?”
“Lasci
perdere.”
Lothar
si scuote vigorosamente, infradiciando anche chi aveva avuto la
fortuna di rimanere asciutto.
Ripartiamo
con mestizia mentre la pioggia frusta i finestrini ed entra a rivoli
da quelli chiusi male.
Arriviamo
così ad un cortile sordido, disseminato di rottami. Da una
parte c’è
un edificio intorno al quale girano, incuranti delle precipitazioni,
numerosi individui armati.
Ma
com’è che su questo cazzo di pianeta non
c’è neanche un
cesso pubblico senza almeno dieci scagnozzi che lo pattugliano?
Una
domanda destinata a rimanere probabilmente senza risposta. Mi volto
comunque verso Rani e chiedo: “Cos’è
questo posto? Non mi dà
l’idea di essere uno spazioporto.”
“Infatti
non è,” mi risponde la nostra guida,
“questo posto di Mister
Amandeep. Lui lavorare per Mister Beruwela. Tu ricorda Mister
Beruwela?”
“Difficile
dimenticarselo. Cosa ci facciamo qui?”
“Lasciare
sprinter. Prendere posto di dormire per Kamino. E poi
salutare.”
Allarga le braccia come per suggerirmi di abbracciarlo. Considerato
che i sullustiani sono più bavosi dei lumaconi di Dagobah,
io faccio
amabilmente finta di non capire.
Portiamo
il veicolo sotto una tettoia e mentre viene giù il monsone
tropicale
i due aiutanti di Rani cominciano a scaricare la roba. Alla fine
c’è
un mucchio che sembra un bantha adulto.
Mentre
io mi sto chiedendo perplesso da dove diamine possa essere venuta
fuori una montagna del genere, una voce alle mie spalle fa:
“Non
possibile tutto questo su nave per Kamino. Non possibile.”
Vedo
Rani e i suoi aiutanti prosternarsi come adepti al cospetto del Capo
Eremita di Maryx Minor. Mi giro e vedo un sullustiano obeso, con una
tunica simile a quella di Mister Beruwela, un assortimento di anelli
alle dita e una generica aria sdegnosa che mi guata critico.
“Lui
Mister Amandeep,” mi sussurra la mia guida.
“Salve,”
lo saluto.
“Questa
troppa roba,” dice il tizio per tutta risposta.
“Metà lasciare
qui.”
“E
poi come facciamo a recuperarla?”
“Noi
vendere.”
Aggrotto
le sopracciglia. “No, un attimo, qui non ci siamo capiti. Voi
non
vendere proprio un cazzo della nostra roba. Non
senza il
nostro permesso, almeno.” E già penso al coro di
lamentazioni che
una notizia del genere susciterebbe tra i miei accompagnatori.
“Allora
voi non andare su Kamino.”
Sto
già pensando di scatenare il colonnello addosso a questo
borioso
grassatore quando mi viene in soccorso Rani: “Trasporto
piccolo,
non possibili grandi bagagli.”
“E
non si può avere un trasporto più
grande?”
Interviene
il grassatore di cui sopra, che con tono da trafficante di organi
toydariano mi fa: “Pagare.”
Tutto
qui? Tiro fuori la Imperial Platinum di Darth Vader e gliela mostro.
“Può bastare?”
A
quella vista, Mister Amandeep tende la grinfia rapace, ma ormai sono
diventato rapidissimo e gli sottraggo abilmente l’oscuro
oggetto
del desiderio. “Allora, può bastare?”
ripeto.
Il
sullustiano mi rivolge un sorriso untuoso, e in un Galattico Base
assolutamente forbito, mi dice: “Caro capitano, purtroppo la
nostra
interazione è partita con il piede sbagliato. Ne sono
davvero
desolato e faccio ammenda per il comportamento decisamente inurbano
che ho tenuto poco fa.”
Mi
prende per una spalla e mi sospinge verso l’edificio.
“Ma venga
ad asciugarsi un po’,” prosegue, “e anche
la sua famiglia,
ovviamente. Sua madre, suo nonno, i nipotini, la sua bella
fidanzata...” Lo fermo precipitosamente prima che possa
proferire
altro.
Poco
dopo siamo in viaggio verso lo spazioporto di Kolumbus, quello delle
navette di lusso, con uno sprinter-limousine completamente cromato.
Il veicolo deve essere stato usato di recente per qualche festino,
perché a seconda delle curve rotolano qua e là
sul pavimento
bottiglie vuote e in mezzo ai sedili rinvengo anche un reggipetto
abbandonato. Non posso fare a meno di sogghignare al pensiero di
quando Vader riceverà l’estratto conto della sua
carta, dove fra
le altre cose figurerà la voce ‘limousine cromata
a diciotto posti
con moquette e sedili antimacchia’.
A
questo punto si è fatta anche l’ora di mangiare, e
tutti
sogguardano con aria cupida e vorace il sacchetto con le noci di
cocco.
“Roooy...”
fa la Twi’lek, sfarfallando le ciglia.
“Hm?”
“Li
apri per noi?”
Questi
frutti hanno una simpatica caratteristica: ci potrebbe camminare
sopra un AT-AT e non farebbero una piega.
Io
considero sconsolato le palle marroni, che in effetti hanno
l’aria
di essere dure come tungsteno, ma in tutto l’abitacolo dello
sprinter, pur lussuosissimo, non c’è nulla che
potrebbe fungere
alla bisogna.
Idea.
Mi rivolgo a Rani, che ha deciso di accompagnarci nell’ultimo
tratto del viaggio per poterci salutare con comodo allo spazioporto:
“Ci sono templi Jedi da queste parti?”
Ci
pensa. Rumore di ingranaggi nella testa.
Infine
trionfante risponde: “Grande tempio qui vicino!”
“Ecco,
facciamo tappa lì. Hai mica dei vestiti borghesi
sottomano?”
“Eh?
Per fare?”
“Non
devo sembrare imperiale.”
A
questo punto si intromette il vecchiaccio, che nella mia
ingenuità
credevo dormiente: “Cosa sarebbe questa sciatteria, giovane
capitano? Un ufficiale è l’immagine stessa
dell’Impero. Non va
attorno con ridicoli paludamenti borghesi.”
Io
assumo l’espressione neutra del giocatore incallito di
sabacc. “È
una missione in incognito, signor colonnello,” rispondo
compunto.
“E
chi l’avrebbe ordinata questa missione?” replica il
fossile
indispettito. “Qui l’ufficiale in comando sono io,
mi pare.”
“Una
comunicazione del governatore Tarkin sul canale riservato, mentre lei
dormiva.”
“Io
non dormo mai, al massimo medito sulle tattiche da
adottare
nel corso della missione.”
“Mentre
lei meditava, mi correggo.”
Gli
rivolgo un sorriso innocente come un cocktail analcolico. Il
colonnello mi fissa critico. “E cosa dovremmo fare nel tempio
Jedi,
giovane e sconsiderato capitano?”
“Andrò
io signore. Non è necessario che lei si disturbi.”
Il
baffo ha un inquietante fremito d’ira. “Capitano! Esigo
di
sapere cosa andrà a fare nel tempio Coso… come si
chiama...”
Tiro
fuori una noce di cocco. “Vado a spargere qua e là
detonatori
termici.”
La
faccia di Waxen si distende. “Ah, molto bene!
Un’ottima
iniziativa, figliolo. Del resto mi ricordo che anche nella battaglia
di Thali diede prova di essere temerario e immaginoso.”
“Grazie,
signore.” rispondo compunto. “Ah,”
aggiungo poi alzandomi, “La
professoressa Du Bal adorerebbe ascoltare qualche suo aneddoto di
guerra, colonnello.”
“Ma
io devo venire a compiere la missione!”
“Vuole
deludere una signora?”
E
mi eclisso ghignando.
Il
tempio Jedi, nel quale entro con addosso un camicione di Rani e la
sacca di noci di cocco in spalla, è il solito assortimento
di sale
colonnate, fontanelle mormoreggianti, zone di addestramento e sobri
alloggiamenti. Qualche tizio col saio gira qua e là.
Attiro
l’attenzione di quello che mi sembra il più
giovane e scemo. “Ehm,
scusi...”
Il
ragazzotto si gira verso di me con una certa sicumera.
“Sì?”
Gli
rivolgo un sorriso disarmante. “Ecco, vede, io sono un
missionario
delle Venticinque Personificazioni della Virtù. In questo
momento ho
tanti bambini poveri a cui dare da mangiare, ma ho solo
queste.”
Gli mostro desolato le inespugnabili noci di cocco.
Il
tizio mi guarda con l’aria di non capire.
E
io, volonteroso: “Non so come aprirle. Non è che
me le taglierebbe
in due con la spada laser?”
Il
giovane Jedi si gratta la testa perplesso. Dieci a uno che durante il
suo addestramento non gli è mai stato prospettato un caso
del
genere.
“La
prego,” lo incalzo accorato, “I bambini hanno
fame...”
Tolto
quello che poi è diventato Darth Vader, Non
c’è Jedi che possa
resistere a dei poveri bambini sofferenti. Il tizio mi raccomanda di
stare indietro, estrae la spada laser e in men che non si dica i miei
cocchi sono pronti per la consumazione.
Me
ne vado profondendomi in ringraziamenti. “Che le Venticinque
Virtù
discendano su di te una dopo l’altra!” gli auguro
eclissandomi. E
la prima di esse sia l’intelligenza, penso appena
fuori dal
perimetro del tempio.
Ripartiamo
alla volta dello spazioporto. Io ho una certa premura di
allontanarmi, perché se per caso in effetti la
virtù
dell’intelligenza piomba davvero in testa al mio Jedi, tra un
po’
ce ne troveremo una frotta alle calcagna incazzati come rangkor.
Tutti
nel frattempo mangiano cocchi e disquisiscono della temperatura
dell’acqua su Kamino. Fjo’ona, assolutamente
convinta che si vada
a fare una vacanza balneare, ci narra con dovizia di particolari
quali e quanti costumi da bagno si è portata.
Allo
spazioporto ci dirigiamo verso l’area vip. La navetta che la
Imperial Platinum ha noleggiato è una Tydirium nuova di
zecca
taroccata e smarmittata, con le fiamme dipinte sugli scarichi e i
bordi d’uscita delle ali cromati.
Nella
parte inferiore ha un assortimento di LED blu.
Gli
interni sono tutti di velluto rosso fuoco, da una parte
c’è un
secchiello per il ghiaccio, il soffitto è sostituito da un
enorme
specchio. Adocchio subito una scatola piazzata in posizione
strategica: sollevo discretamente il coperchio e scopro una
collezione di preservativi praticamente per qualsiasi specie aliena
in grado di accoppiarsi. Mi affaccio nella cabina di pilotaggio e
noto due dadi di peluche che penzolano da un lato del vetro
anteriore. Il pomello della manetta del gas è un teschio
dorato con
dei brillantini rossi al posto degli occhi.
“Com’è
fine!” esclama la twi’lek salendo a bordo.
“Sembra di essere
nella reggia di Naboo.”
“Ci
sei stata?” le chiedo.
E
lei: “Certo, quando facevo la olomodella. Una volta dopo la
sfilata
ci hanno portate tutte alla reggia. Solo che non ho capito
cos’era
quell’insegna al neon con una donna nuda a cavallo di un
gamorreano
che c’era all’entrata...”
“Probabilmente
un’allegoria,” le rispondo.
“Ah,
certo. Porta allegria,” fa lei, e annuisce più
volte come a
significare che condivide l’idea.
Gli
altri intanto stanno salendo a bordo. Hyaskon, brutalmente strappato
al suo sonno farmacologico, si guarda intorno e fa:
“Cos’è, un
bordello?”
La
Du Bal, che era già sulla rampa, arretra precipitosamente.
“Io non
entro in un postribolo!” esclama.
Magnifico.
Mi affaccio al portello e le dico: “Ottima idea. Sappia che
in
cabina ci sono anche profilattici sparsi e macchie
dall’aspetto
strano. Fossi in lei rimarrei qui, pensi a quanta ginnastica a tette
nude potrà fare.”
“Potrebbe
avere il buon gusto di non alludere a certe cose!” protesta
la
professoressa, quindi, col solo intento di farmi dispetto, sale
sdegnosa a bordo.
I
tre soldatini entrano stupefatti, con l’aria di un ewok che
improvvisamente si trova nel centro di Coruscant.
Indifferente
agli arredi, Lothar sale a bordo emettendo bramiti.
Da
ultimo arriva su il colonnello, che si guarda intorno, poi mi strizza
l’occhio e mi dice: “Ha trovato un posticino con
delle donnine
allegre, giovanotto? Molto ben fatto, un soldato deve anche svagarsi
ogni tanto, se capisce cosa intendo. Quella bella figliola azzurra
è
molto carina, ma l’altra è un po’ troppo
stagionata, non le
pare?”
Per
fortuna, prima che l’esimia docente abbia modo di farsi
venire una
crisi isterica, salgono a bordo anche i due piloti, che sono un
weequay e un rodiano. I due ci riassumono brevemente le procedure di
sicurezza: “Niente sborrate sui sedili, i fazzoletti sono in
quell’armadio, da bere lo trovate nell’altro. Il
cesso è in
quella porta. Se la navetta cade attaccatevi alle palle.”
“Perché
alle palle?” chiede ingenuamente Wolfen
“Perché
non vi rimane altro posto dove attaccarvi.”
Poi
si chiudono in cabina.
Salutiamo
la nostra inutile guida sullustiana sventolando fazzolettini e
agitando mani, quindi la rampa si alza, il portello si chiude e
decolliamo alla volta di Kamino.
Il
viaggio ce lo dormiamo. Nonostante l’aspetto evocativo
dell’arredamento, a nessuno del gruppo viene voglia di darsi
a
copule pro o contro natura.
È
il weequay a svegliarci quando stiamo uscendo dall’iperspazio
nei
dintorni del pianeta d’acqua, e lo fa spruzzando dappertutto
un
insetticida pestilenziale.
Alle
mie rimostranze, il tizio replica: “È la regola
dei B’omarr.
Nessuna nave può atterrare se prima non è stata
disinfestata.”
“B’omarr?”
chiedo basito. “Non ci avrete mica portati a
Tatooine?”
Con
mio indescrivibile orrore, il pilota risponde: “La maggior
parte
dei kaminoani ha adottato la regola B’omarr.”
Vengo
assalito dallo sgomento. I B’omarr sono una setta di monaci
nemica
di qualsiasi stimolo, piacere, soddisfazione e simili, che per
liberarsi dalle tentazioni si fanno addirittura espiantare il
cervello e lo mettono a mollo in una boccia che pende da un droide
semovente. La vita dei B’omarr è quindi di una
tristezza
sconfinata, e ovviamente lo diventa anche la vita di chiunque abbia
la sfortuna di risiedere in un territorio dove si segue quella
religione.
“Non
si può tornare indietro?” azzardo.
“Il
Carburante non basterebbe.” E giù
un’altra spruzzata di
insetticida.
Poco
dopo ci posiamo sulla pista principale di Timira, che è una
delle
poche città sulla terraferma di Kamino. Appena vengono
aperti i
portelli della nostra navetta ci assale un caldo devastante, talmente
umido che in breve abbiamo i vestiti appiccicati addosso e il sudore
che gronda ovunque. La twi’lek ha le ciglia finte penzoloni e
il
trucco che le cola giù per le guance.
Si
affacciano dall’esterno un paio di kaminoani che dapprima ci
squadrano diffidenti, poi estraggono uno strumento rilevatore di
qualche genere e lo attivano. Il coso fa ‘bip-bip’
ed emette luci
verdi.
I
nuovi arrivati appaiono piuttosto scontenti del risultato. Tirano
fuori un altro strumento, più grande.
Neanche
a dirlo, dopo un po’ questa procedura mi genera una certa
irritazione nelle gonadi.
“Questa
è una missione a priorità uno!” li
ammonisco severamente, “State
ostacolando l’Impero.”
I
tizi mi guardano con la faccia del dewback che pascola e attivano il
secondo strumento, che di nuovo fa ‘bip-bip’ e luci
verdi.
“Sentite,
qui si sta facendo tardi,” ritento. “Siamo una
missione imperiale
a priorità uno.”
Rimangono
atarassici.
Poco
dopo viene fatto salire a bordo anche un worrt addestrato, che annusa
coscienziosamente ognuno di noi ma deve andarsene deluso.
I
kaminoani non si capacitano.
Si
rassegnano a farci scendere dalla Tydirium. Sulla pista il caldo
è
ancora più devastante. È buio pesto, ma si
intuisce che il cielo è
pesantemente coperto e ci troviamo nell’intervallo tra una
pioggia
monsonica e l’altra.
Io
sogguardo di tanto in tanto il colonnello sperando che perda la
pazienza e faccia una delle sue scenate, ma ovviamente quando
servirebbe il vecchio fossile rimane in stato comatoso.
Veniamo
condotti all’interno dello spazioporto, dove la temperatura
è
perlomeno leggermente più confortevole che
all’esterno.
Ci
accoglie una kaminoana simpatica come una scimmia-lucertola appesa
allo scroto, bardata con una mascherina sterile, che comincia a
rivolgerci domande insulse.
La
prima di esse è: “Come si chiama la nave su cui
alloggerete?”
Io
la fisso imperturbabile. “E secondo lei come faccio a
saperlo?”
“Avete
con voi i documenti?”
“Se
ci hanno fatti uscire dallo spazioporto di Kolumbus e non li abbiamo
buttati fuori bordo durante il volo, direi che li abbiamo,
no?”
Glieli
esibisco.
La
stronza vorrebbe replicare, ma un timbro imperiale rosso largo un
palmo è una cosa che rende decisamente inclini al dialogo.
Mi
restituisce i documenti con fare schifato, poi tira fuori un altro
aggeggio e passa anche quello su ognuno di noi. Nel frattempo,
però,
il wookiee si è stufato di tutte queste procedure (come noi,
del
resto) e ha solo voglia di andare a dormire. All’arrivo dello
strumento le fa un ruggito tonante ed esibisce una chiostra di zanne
che sembra quella di un nexu.
La
kaminoana decide che si può soprassedere con la rilevazione.
Ci
congeda.
Nel
frattempo, fuori si è scatenato l’inferno
meteorologico: viene giù
una pioggia torrenziale e tira un vento che rovescerebbe un bantha.
Ci scambiamo un’occhiata, guardiamo fuori, guardiamo anche la
kaminoana odiosa, e tutti di comune accordo ci sediamo sulle
rispettive valigie in attesa che uscire non comporti un serio rischio
di annegamento.
Tanto
per fare qualcosa di utile, tiro fuori il com-link e chiamo il
corrispondente locale, sperando ardentemente che il contatto che mi
ha fornito Mister Amandeep sia attendibile.
Passa
un tempo di lunghezza angosciante, nel quale riesco a figurarmi gli
scenari più foschi che la mia psiche sia in grado di
elaborare, poi
finalmente una voce assonnata dice qualcosa in una lingua
incomprensibile.
“Parla
il galattico base?” mi informo.
“Poco.”
Cominciamo
bene.
“Sono
Veers. Dovrebbe esserci una nave prenotata a mio nome.”
“Ha
perso nave? Che nave?”
Sillabando
attentamente, ripeto: “Sono Veers. C’è
una prenotazione a mio
nome.”
“Una
postazione?”
Penso
ai massimi sistemi.
“Manda.
Uno. Sprinter. Allo. Spazioporto.”
“Ma
lei chi è?”
Massimi
sistemi, motori primi e fini ultimi.
“Mandare.
Sprinter. Spazioporto. Adesso.”
“Uno
sprinter?”
“Sì.
Allo spazioporto.”
“Va
bene.”
Chiudo
la comunicazione. Hyaskon, che nel frattempo si è svegliato,
si
guarda intorno stranito e mi fa: “Veers, ma
com’è che tutt’a
un tratto e diventato afasico?”
“Parlare.
Con. Indigeni.” gli spiego.
“Ah,
ecco. Pensavo che le fosse venuto un ictus.”
Ad
ogni buon conto, mi tocco gli attributi.
Poco
dopo arriva anche lo sprinter, che per fortuna è coperto.
Fuori sta
ancora infuriando la tempesta. Pur con la sua deplorevole carenza di
materia grigia, la twi’lek ha capito che il tempo fa schifo,
e da
mezz’ora sta frignando disperata perché non
potrà indossare
nessuno dei centodue costumi da bagno che si è portata
dietro.
La
Du Bal sospetta che questo tempo abbia a che fare con qualche mia
capacità di manipolare, ovviamente a suo svantaggio, le
condizioni
meteorologiche. Lothar, che intanto è riuscito a
infradiciarsi,
puzza come un tappeto marcio.
Le
eroiche truppe, nel senso di Wolfen, Lawrence e Felsen, sono
ammucchiate in un angolo con aria derelitta.
Non
più comatoso, il colonnello, mustacchio fremente e mani a
brocca sui
fianchi, guarda fuori ed esclama: “Magnifico tempo, nevvero
giovane
capitano? Mi ricorda Aquaris. Quando ci fu la battaglia di…
Coso…
come si chiama?”
Si
volta verso di me in cerca di ispirazione, ma io mi stringo nelle
spalle.
“Lei
deve farsi vedere,” sentenzia allora l’attempato
ufficiale. “Non
ricorda mai niente, ragazzo mio. Non è normale.”
Per
fortuna l’arrivo dello sprinter (nel quale a onor del vero
non
speravo) distoglie il mio superiore dalle sue considerazioni e
instilla in ogni membro del gruppo una nuova speranza.
Dal
mezzo smonta un kaminoano dinoccolato, che viene verso di noi e con
voce soave chiede: “Chi Veers?”
Sperando
ardentemente che il colonnello non scelga questo decisivo momento per
mettersi a rompere le palle, mi faccio avanti.
L’indigeno
mi squadra, poi fa girare lo sguardo sul resto del gruppo e
finalmente chiede: “Nave? Mister Amandeep di
Sullust?”
Io
annuisco energicamente.
“Venire
con me.” dice il kaminoano.
Non
mi pare vero: qualcosa che funziona.
Raccogliamo
i bagagli, la twi’lek come al solito frigna perché
nessuno le
porta la valigia, la Du Bal si guarda intorno indispettita ma non la
considera neanche Lothar, per cui, ognuno con il proprio bagaglio,
raggiungiamo lo sprinter.
Dal
cielo sta venendo giù una cosa che definire pioggia sarebbe
penosamente riduttivo: è come se fosse stata aperta una diga
e noi
fossimo sotto. Il kaminoano, totalmente indifferente a ciò,
ci
indica con gesto ieratico il vano bagagli.
Sacramentando
carichiamo la roba e ci accomodiamo fradici e incazzati sui sedili.
Dopo
un po’ arriviamo a una specie di molo, sul quale stanno
aspettando
altri due kaminoani, a loro volta perfettamente insensibili alla
devastazione idrica che sta venendo giù. Uno anzi solleva
una mano
in un lento gesto di saluto.
Scendiamo
io e Hyaskon per andare a conferire con gli indigeni. Mentre io
grondando mi intrattengo, il capitano medico si allontana per
controllare il mezzo che ci è stato assegnato.
Dopo
un po’ torna con la faccia di uno che ha visto Tarkin in
calze a
rete e minigonna. Con voce atona mi fa: “Veers, è
una nave.”
“Sì,
beh, è quello che abbiamo chiesto, no?”
“Ma
questa è una nave-nave, mi
capisce?”
Lo
guardo perplesso. “In che senso?”
“Una
nave. Va sull’acqua.”
“Come,
sull’acqua? Non ha ali? Deriva? Reattori?”
“Niente
di tutto questo.”
Emetto
un sospiro sconsolato. Oh, merda. Una nave. Un’umida,
maleodorante
e traballante nave. L’unico lato positivo della faccenda
sarà
dirlo alla Du Bal.
Con
mia soddisfazione, infatti, appena vede il natante la professoressa
categorica dice: “Io non salgo su quella
cosa!”
“Magnifico!
Più spazio per noi,” le rispondo.
Spazio
in realtà ce n’è finché
vogliamo, perché essendo una nave
kaminoana è stata fatta per esseri alti due metri e mezzo ed
è
grande come una rimessa per AT-AT.
“Allora,
professoressa, lei si organizza per restare qui a Timira?” mi
informo. “Da quello che ho letto sulla guida, pare che ci sia
anche
qualche albergo decente, ovviamente non tenendo conto degli
insetti.”
“Gli
insetti?”
“Zecche
kaminoane, più che altro. Qui sono endemiche. Ma stia
tranquilla,
Hyaskon dice che con frizioni di zolfo, sterco di dewback e pesce
marcio si staccano e muoiono.”
Mentre
siamo impegnati in questa discussione si avvicina la twi’lek,
che
ormai tra la disperazione del non poter indossare i costumi, la
stanchezza e la valigia infradiciata ha i freni inibitori di un
gungan ubriaco.
Vede
la docente con la gonna grondante, le mani a brocca sui fianchi e i
capelli che le ricadono scomposti sulla faccia e ha immediatamente un
accesso di riso isterico.
Cerco
di richiamarla all’ordine, ma la pitonata, in piena crisi,
è
insensibile a qualsiasi stimolo. Continua a ridere sotto la pioggia
battente con tale frenesia che persino gli ieratici kaminoani le
rivolgono uno sguardo perplesso.
Mentre
Fjo’ona è in queste deplorevoli condizioni, si fa
avanti uno dei
tre soldatini. A occhio deve essere Wolfen, che paragonato agli altri
due è quello dotato di un adamantino coraggio. Il ragazzo mi
guarda,
poi lancia una fugace occhiata alla nostra nave che sobbalza sulle
onde trattenuta a stento dagli ormeggi. “Signor capitano,
sarà
pericoloso dormire lì dentro?” mi chiede
timidamente.
“Siamo
militari,” gli rispondo fissandolo con severità,
“Il pericolo è
il nostro mestiere.”
A
questa frase, Fjo’ona ha un accesso di risa particolarmente
incontenibile, strilla, singulta, saltella un po’ con le
gambe
serrate, infine lentamente si seda e mormora: “Mi sono fatta
la
pipì addosso...”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Giorno 9 - E il gioco ricomincia... ***
Giorno
9 – E il gioco ricomincia…
Secondo
l’ora locale dovrebbero essere le sette di mattina. Pur senza
l’ausilio di alcol (e soggiungerei purtroppo), ieri sera ero
talmente steso che non ho fatto molto caso a come si sono sistemate
le eroiche truppe a bordo della nostra nave.
Poco
male, farò un controllo più tardi.
Ora
ho un momento di beatitudine da assaporare: nessuno che mi rompe le
palle con ginnastiche naturiste o biancherie da rassettare. Pace.
Penombra. Vago sciabordio di onde proveniente dall’esterno.
Mi
stiro pigramente e mi rigiro fra le coltri. Ora ci vorrebbe qualcosa
da bere e poi potremmo quasi rasentare la perfezione.
Sono
in questa piacevole fase della mia esistenza quando mi rendo conto
che da fuori proviene anche un altro rumore: è qualcosa di
simile ad
alcune ventose sturalavandini utilizzate contemporaneamente e con
veemenza. In contrappunto a tale orribile suono si odono gemiti e
lamenti. Colgo un flebile ma inconfondibile ‘voglio la mia
mamma...’
Proferisco
un’orrenda sequela di imprecazioni, poi scendo cautamente dal
letto
a castello, che essendo kaminoano è a tre metri da terra, mi
rendo
presentabile ed esco in coperta: di traverso sulla murata, stesi come
pelli di ewok, ci sono i tre soldatini, fortunatamente con la faccia
rivolta dalla parte dell’acqua, che vomitano come dei
posseduti.
“Problemi?”
mi informo cortesemente.
Tra
un conato e l’altro, Wolfen riesce a balbettare:
“La nave...”
Felsen,
che dei tre è il più devastato, soggiunge:
“Il movi...” ma si
deve interrompere precipitosamente. Il mare di Kamino accoglie un
altro po’ dei suoi più intimi contenuti.
Lawrence
non dice niente, è solo collassato sulla ringhiera che
singulta e
ogni tanto ripete con voce flebile che vuole la sua mamma.
E
non simo nemmeno salpati.
Mi
guardo intorno: le onde sono di un’accattivante
tonalità
azzurro-cartolina, ma il cielo è grigio e piatto come
l’esistenza
di un monaco B’omarr.
A
parte me e i tre sfigati, in coperta non si vede nessuno. Parimenti,
il molo al quale siamo tuttora attraccati è vuoto come lo
scroto di
un eunuco.
“Dove
sono le vostre cabine?” chiedo genericamente ai tre.
Uno
alza un braccio tremulo e mi indica una scala che scende verso il
basso.
“C’è
anche il capitano medico là sotto?”
Conati.
Mi sa che dovrò scoprirlo da solo.
Scendo
sottocoperta e subito mi imbatto in Hyaskon, che sta correndo fuori
con l’occhio pallato e una mano sulla bocca. Ho come
l’idea che
dovrò tentare di risolvere il problema dei tre soldatini
autonomamente.
A
questo punto si apre un’altra porta e ne esce
Fjo’ona, costume da
bagno di lamè, sandali con zeppa di plastica trasparente,
telo da
bagno, flacone di crema, occhiali scuri e cappello di paglia fucsia
largo un metro. “Vado a prendere il sole,” mi
annuncia, e
scompare su per le scale.
Si
spalanca una terza porta. Ne esce la Bu Dal, che mi addita e strilla:
“Lei!”
“Lui,
veramente,” mi sento in dovere di correggerla.
Ma
la docente sembra non aver neppure sentito. “Lei è
un
delinquente!” bercia, “Avevo già capito
che era un depravato
senza moralità e senza educazione, ma non avrei mai creduto
che
riuscisse ad arrivare a questi livelli!”
Io
faccio la faccia a punto interrogativo. “Prego?”
“Le
e-sa-la-zio-ni!” sillaba la professoressa,
probabilmente
pensando di avere a che fare con qualche alieno che ha
difficoltà
con il galattico base. “Esalazioni di carburante, mio caro.
Tutta
la notte ho dovuto subire le esalazioni. Lei voleva
uccidermi!”
“Non
dico di non averci pensato, prof, ma se mai decidessi di farlo userei
senza dubbio un sistema più sicuro.”
La
Du Bal mi sorpassa indignata e se ne va a culo dritto. “Mi
dispiace
per lei, ma io là dentro non ci dormo!” la sento
inveire mentre a
sua volta scompare su per le scale. Come se ce l’avessi
mandata io,
peraltro. Dovrò informarmi di cosa è successo
ieri sera, mi sa che
è capitato un po’ di casino con
l’assegnazione delle cuccette.
Ad
ogni buon conto mi affaccio nella cabina della professoressa, ma le
uniche esalazioni che contiene sono quelle da lei stessa prodotte, in
effetti piuttosto impegnative.
Torno
in coperta anch’io. Incontro per prima cosa la
twi’lek, che sta
piangendo come se l’avessero buttata nella fossa di un
rangkor.
“Non c’è il sole!” si lamenta.
Il
che è sacrosantamente vero. Il cielo si è
ulteriormente incupito.
Un venticello umido si insinua negli interstizi.
I
vomitanti nel frattempo sono diventati quattro, sembra che nemmeno al
capitano medico piaccia il movimento della nave, e la professoressa,
tuttora convinta (non del tutto a torto) che io la voglia uccidere,
è
a prua con le braccia conserte e mi gira sdegnosamente le terga.
In
questo sfacelo, si apre la porta della cabina di fianco alla mia e ne
esce il colonnello scortato dalla sua fedele montagna di pelo.
Indossa come unico indumento una tutina da bagno a righe orizzontali
bianche e nere con tanto di simbolo imperiale sul petto e ha un
asciugamano sul collo.
“Eccola
qui, giovane capitano!” mi accoglie ginnico e scattante.
“Ottima
idea questo periodo di addestramento natatorio su Aquaris, le truppe
ne saranno entusiaste. Vogliamo fare il primo tuffo della
giornata?”
Un
brivido di orrore mi percorre la schiena. Per quanto azzurra, ad
un’osservazione più attenta l’acqua del
porto è piuttosto
torbida e ricoperta da chiazze di schiuma marroncina. Qua e
là
galleggia qualche rifiuto. Senza contare i quattro che ci stanno
vomitando dentro da mezz’ora. Il tempo, poi, invoglia ancora
meno.
“Veramente
dovremmo salpare, signore,” tento.
“Sciocchezze,
giovane e apprensivo capitano!” ribatte il fossile,
“un po’ di
sano e corroborante nuoto non rallenterà di certo le
operazioni.
Anzi, dica agli uomini di prepararsi, mi aspetto che entro due minuti
siano tutti in coperta con l’equipaggiamento
adeguato.”
Io
immagino i tre sfigati e Hyaskon, ma soprattutto me stesso, in
quest’acqua e con questo clima, e di colpo gli interrogatori
dei
ribelli cominciano a non sembrarmi poi così terribili.
Per
mia fortuna, mentre sto pensando a un sistema che mi consenta di
buttare a mare il mio superiore senza essere visto, si palesa con
movenze dinoccolate un kaminoano. Questi si avvicina, squadra
perplesso il colonnello in tenuta balneare, quindi si rivolge a me e
con voce soave annuncia: “Io sono Tani Du, secondo di
bordo.”
Non
appena il mio superiore realizza l’affronto, i mustacchi
fremono di
fiero sdegno ed egli si erge in tutta la sua statura, arrivando
più
o meno all’ombelico del nuovo arrivato. “Senta un
po’, lei,
specie di molleggiato spilungone!” lo apostrofa,
“Non le hanno
insegnato che ci si presenta al più alto in grado?”
Il
kaminoano non batte ciglio. Si guarda intorno come chi ha tutto il
tempo dell’universo e poi fa: “Chiedo scusa.
Dov’è?”
“Dov’è
chi?” replica il vegliardo.
“Il
più alto in grado. Di nuovo chiedo scusa per
l’errore.”
Waxen
mette le mani a brocca sui fianchi. “Sono io,
maledizione!
Non vede che sono un colonnello?”
Tani
Du si piega per osservarlo meglio. “Veramente no,”
conclude
infine. “Sono desolato.”
Ponendomi
strategicamente tra i due, mi rivolgo al mio superiore e gli ricordo
discretamente che non è in uniforme.
“Come
sarebbe a dire che non sono in uniforme?” strilla Waxen.
“E
questa che ho addosso cosa sarebbe allora?”
“Ehm…
un costume da bagno, signore?”
“Maximilian,
le ho già detto che nonostante sia un ottimo aiutante di
campo, non
gradisco che lei si prenda certe libertà nei miei
confronti!”
Nel
bel mezzo di questo scambio, attirata dai clamori, si presenta con
sussiego la Du Bal, che infastidita ci redarguisce:
“Abbassate la
voce, per favore. Sto cercando di rilassarmi.”
Il
colonnello si accorge della professoressa e subito un sorriso gli si
allarga sulla faccia rugosa. “Ma chi è questa
affascinante
signora?” chiede rivolgendole un galante inchino.
“Se avessi
saputo che a bordo c’erano dame così graziose, di
certo mi sarei
organizzato per riceverle in modo adeguato.” Poi prende
familiarmente sottobraccio la Du Bal e dice: “Ma venga con
me, mia
cara. Venga, le voglio mostrare tutte le particolarità di
questa
potente nave imperiale. Le ho mai raccontato di quando mi trovai a
comandare un incrociatore stellare perché tutti gli
ufficiali in
comando erano caduti in combattimento? Si trattava della battaglia di
Soth… o era quella di Tal’hai? Beh, fa lo stesso.
Allora, stavamo
dicendo...” scompare nei recessi del natante con la
professoressa a
braccetto.
I
kaminoani non sono famosi per la ricchezza e la complessità
delle
loro espressioni facciali, ma questo qui ha l’aria totalmente
basita.
“Il
signor colonnello ha qualche problema di demenza senile,” gli
spiego.
“Ma...”
comincia Tani Du, poi si interrompe. Come succede puntualmente di
fronte a certi spettacoli, l’interlocutore non riesce a
stabilire
la priorità delle domande da rivolgermi e va in confusione.
“Ci
sono basi imperiali qui?” gli chiedo per riportarlo alla
realtà
contingente.
“Sì,
una.”
“Bene,
andiamoci. Quando possiamo salpare?”
Il
kaminoano, che nel frattempo ha recuperato la sua compostezza, mi
risponde: “Quando arriverà il
comandante.”
“E
quando arriverà il comandante?”
“Presto.”
“Senta,
su Kamino non avete sistemi per misurare il tempo?”
Ci
pensa. “Sì, li abbiamo.”
Non
saprò mai quali sono. All’improvviso comincia a
piovere
furiosamente e non volendo infradiciarmi per l’ennesima volta
mi
fiondo nella mia cabina.
Da
lì guardo fuori attraverso l’oblò
mentre l’inferno idrico si
abbatte sul ponte di coperta. I vomitanti in qualche modo sono
riusciti a portarsi al riparo, la twi’lek passa stillando e
si
infila giù per le scale che portano alle cabine, il secondo
di bordo
svolge le sue faccende con la massima tranquillità. Nel
cielo
plumbeo volano con lenti battiti d’ala degli aiwha con dei
kaminoani in groppa.
In
questa tristezza sconfinata tiro fuori dai recessi del mio
equipaggiamento il palmare con i dati e comincio a spulciarlo alla
ricerca dell’identificativo della base di Kamino. Dopo un
po’
trovo solo un vecchio codice e qualche scarna informazione.
Sfidando
le intemperie raggiungo la plancia e convinco il secondo di bordo a
mandare una comunicazione alla base, ma non riceviamo alcuna
risposta.
Nel
frattempo sale a bordo un secondo kaminoano, che scopro essere Atama
So, il comandante. Facciamo le debite presentazioni, poi si scusa per
il ritardo: “Un commerciante Toydariano ci doveva consegnare
trenta
bottiglie di Tusken-Cola pagate in anticipo e si era reso
irreperibile.”
Tusken-cola,
bleah. Poco male se non arriva.
“E
a birra come siamo messi?” mi informo.
Il
comandante è addirittura stupefatto. “Ma
perché vuole bere acqua
sporca?” mi chiede.
Lo
sgomento si impadronisce di me. “Niente birra?”
Una
missione con la pioggia, su una nave galleggiante, con la gente che
ho al seguito, alla ricerca di Kurtz e niente birra? Vi prego,
uccidetemi subito.
“Niente
birra?” ripeto, col tono di ‘dai, non
scherziamo’.
“Noi
siamo devoti della regola B’omarr,” mi informa
Atama So, col tono
di voce soave tipico della sua specie.
La
notizia mi getta in una mestizia sconfinata, e se mai rende ancora
più imperativo portare a termine questa missione nel
più breve
tempo possibile.
Approfittando
del fatto che il mio ottuagenario superiore è ancora
chissà dove
con la Du Bal, spiego ai due il motivo della mia presenza sul loro
umido pianeta.
La
prima cosa che noto è una totale indifferenza
all’esecrato nome di
Kurtz. I due si guardano perplessi, poi guardano me come a dire
‘e
quindi?’
La
seconda è che i kaminoani esibiscono una flemma che fa
sembrare
iperattivi persino i torpidi sullustiani che ci hanno accompagnati
per la prima parte della missione.
“Possiamo
salpare?” sollecito i miei interlocutori.
Gentilissimo,
il comandante mi chiede: “Per dove?”
Penso
a cose molto rilassanti. “Per la base imperiale.”
“Oh,
lei vuole andare là.”
“Già.
Sì. È quello che avrei intenzione di
fare.”
“Ma
certo, naturalmente.” China la testa in segno di assenso.
“Ora
facciamo arrivare la nave cisterna per il carburante, poi pranziamo e
poi salperemo per la base.”
“Non
si potrebbe salpare subito?”
Mi
guarda come se gli avessi chiesto se sua sorella esercita la
professione di meretrice.
Mentre
vengono compiute le lunghe operazioni preparatorie alla partenza,
vado alla ricerca dei sofferenti di chinetosi, giusto per controllare
che siano ancora vivi.
Trovo
le tre reclute ammucchiate nella stessa cabina, evidentemente la
sofferenza ama la compagnia. I poveretti hanno vomitato fuori bordo
anche le interiora e adesso giacciono allo stremo delle forze buttati
alla rinfusa nell’enorme ammontare dei loro bagagli.
“Come
va, ragazzi?” chiedo.
Dal
mucchio sale un coro di lamenti. Con voce flebile, Felsen invoca la
sua mamma.
Wolfen
alza lo sguardo spento su di me e mormora: “Signor capitano,
moriremo?”
“Nessuno
è mai morto per un po’ di mal di mare,”
gli assicuro, anche se a
vedere lo stato pietoso dei tre qualche dubbio mi viene.
Lawrence
è direttamente collassato e giace floscio e verdognolo, con
ancora
il peluche di ewok sottobraccio.
Vado
alla ricerca del capitano medico e lo trovo qualche cabina dopo,
più
o meno nelle stesse condizioni.
Lo
chiamo: “Hyaskon?”
“Attendo
serenamente la morte,” è la pacata risposta.
“Prego?”
“Sì,
sono rassegnato. Ma non sia triste per me, sono in pace con me
stesso. Peccato solo che non potrò vedere il mio cadavere.
Sia
gentile, mi prenda la fiala di morte istantanea che
ho in
tasca, io non ho nemmeno la forza di alzare un braccio.”
“Hyaskon,
in quella borsa piena di intrugli che si porta sempre dietro
avrà
qualcosa per il mal di mare, no?”
Nessuna
risposta.
Afferro
la suddetta borsa e la apro. Dentro c’è un
assortimento di roba
misteriosa, che io osservo perplesso mentre il mio collega giace
inerte sul pavimento.
Tiro
fuori una fiala e gliela mostro. “Questo potrebbe andare
bene?”
Apre
un occhio. “No.”
La
metto da una parte.
“Questo?”
“No.”
“Questo?”
“No.”
“Questo?”
“No.”
Andiamo
avanti così per un po’, poi finalmente Hyaskon
mormora qualcosa di
inintelligibile.
“Prego?”
chiedo cortesemente.
“Bantha.”
Sulle
prime temo che abbia un attacco della malattia che aveva colpito
Wolfen, poi mi viene l’ispirazione: “Quello che mi
ha iniettato
quando eravamo inseguiti dai bantha? Il farmaco sperimentale che
brucia i neuroni peggio della fiamma ossidrica ma fa fare cose
spettacolari?”
“Sì.”
“Perfetto.”
Spero che fare le punture non sia troppo difficile.
Tiro
fuori una siringa, aspiro la fiala e gliela inietto nella prima parte
molle che trovo.
La
reazione è immediata. Hyaskon salta in piedi con sguardo
spiritato,
poi mi rivolge un’occhiata lasciva e fa: “Ehi,
biondino...”
Orrore
e raccapriccio. “No, no, no, calma un attimo!”
rispondo
indietreggiando. Ci manca solo che in piena fattanza il capitano
medico tenti di saltarmi addosso.
Lui
mi rivolge un ghigno predatorio. “Perché fai tutte
queste storie?
È un semplice sfogo tra commilitoni. È
normale.” E avanza
inesorabile.
Io
mi sposto strategicamente verso la porta. “Hyaskon, se vuole
sfogarsi c’è la twi’lek!” dico
precipitosamente.
La
cosa sembra interessarlo. “La twi’lek?”
ripete.
“Fjo’ona.
È zoccolissima, puttanissima, ha appetiti sessuali
insaziabili! È
lei la persona giusta.”
“Dov’è?”
mi chiede con sguardo iniettato di sangue.
Rinculo
rapidamente in corridoio e gli indico una porta.
“Lì dentro.”
Hyaskon
parte soffiando a testa bassa tipo reek che carica, entra nella
cabina di Fjo’ona e si chiude la porta alle spalle con un
tonfo.
Da
dentro giunge dapprima uno strillo, poi clamori che sarebbero
considerati indecenti persino in un bordello di Mos Eisley.
Sospiro
di sollievo.
Dopo
un bel po’ il capitano medico esce sudato, spettinato e con
gli
abiti discinti, fumando una sigaretta. “Se sono vive
è molto più
divertente,” proclama convinto.
“Adesso
che ha fatto questa bella scoperta, collega, ci sarebbero le tre
reclute.”
“No,
grazie, sono già a posto,” mi risponde con aria
appagata.
“Non
li deve scopare, li deve curare.
Sono stesi come
tavole, non hanno nemmeno la forza di stare in piedi.”
Hyaskon
recupera una parvenza di compostezza. “Ah, certo.
Naturalmente. Mi
porti da loro, capitano.”
Se
non altro, non mi ha chiamato ‘biondino’, mi sembra
un buon
segno.
Lo
spedisco a occuparsi dei tre sfigati e vado alla ricerca di Waxen,
sperando di scoprire che lui e la Du Bal sono stati divorati da
qualche mostro marino.
Incontro
nel corso della mia esplorazione Tani Du, il quale mi informa
cortesemente che il pranzo è servito e mi conduce in una
sala con
una tavola apparecchiata.
Lì
ci sono già l’ottuagenario, la docente e il
wookiee, tutti seduti
intorno al desco. Arriva dopo un po’ anche Fjo’ona
canticchiando
una nenia nella sua lingua. Mi vede e fa:
“Dov’è Evan?”
“Si
sta occupando dei soldati.”
“Vado
ad aiutarlo, avrà sicuramente bisogno di
un’infermiera.” Fa
dietro-front e scompare.
Quando
dicevo che le twi’lek poi diventano appiccicose…
“Qui
su Kamino ci sono dei rangkor?” chiedo a Tani Du, che si sta
avvicinando con un vassoio.
Il
dinoccolato alieno scuote la testa. “Sono desolato, non
abbiamo
animali così feroci qui.” Appoggia al centro del
tavolo quello che
teoricamente sarebbe il pranzo, e che con il suo solo aspetto
è in
grado di farmi rimpiangere la pur ignobile cucina sullustiana. Questa
è roba che dovrebbe uscire dal mio corpo, non entrarci.
Ci
serviamo comunque, pur senza capire cosa stiamo per mangiare, e il
primo assaggio conferma senz’altro che i kaminoani sono degli
esperti di manipolazione genetica ma decisamente non di cucina.
E
il tutto senza nemmeno l’ombra di una birra. Solo lurida e
dolciastra Tusken-Cola. La vita a volte sa essere veramente ingrata.
L’unico
lato positivo di tutto ciò è che appena terminato
il tristo
desinare finalmente salpiamo.
Il
nostro imperturbabile equipaggio, composto a quanto pare solo dal
comandante e dal suo secondo, molla gli ormeggi e la nave si mette in
movimento.
Arriviamo
dopo un paio d’ore in vista di un atollo da cartolina, con
tanto di
palme e sabbia candida. Ci sono alcune costruzioni e un traliccio con
delle antenne. Non si vedono altri movimenti a parte quelli delle
foglie agitate dal vento, visto che c’è in corso
una specie di
fortunale.
Dalla
plancia controllo con un binocolo, ma non riesco a vedere nessuno.
Mentre
sto osservando la base, compare Waxen alle mie spalle. “Che
sta
facendo, Maximilian?” si informa.
Io,
compunto, rispondo: “Signore, sto ispezionando il territorio
prima
di sbarcare.”
“Qui
su Mon Cala non è decisamente consigliabile sbarcare al di
fuori
delle basi imperiali, giovane e avventato capitano. Non lo sa che i
mon calamari e i quarren sono ostili all’Impero? Vuole forse
ritrovarsi ostaggio di quei mascalzoni?”
“Quella
che sto osservando è una base imperiale, signore,”
rispondo,
sperando che ciò sia sufficiente a placare il mio
squinternato
superiore.
Waxen
si fa consegnare il binocolo, osserva a sua volta.
“Impossibile,”
sentenzia infine. “Quello è un covo di ribelli.
Avvisi gli
artiglieri di tenersi pronti, faremo loro una sorpresa che non
dimenticheranno tanto facilmente.”
Perfetto.
E adesso chi glielo spiega che le uniche armi presenti a bordo sono i
nostri blaster e le flatulenze della Du Bal?
Infastidito
dalla mia scarsa prontezza, il fossile mi sollecita: “Allora,
capitano, devo forse ricordarle che stiamo combattendo una
guerra?”
“Signore,”
ritento, “forse è meglio fare prima una
ricognizione.” Poi, con
tono eroico: “Mi offro volontario.”
L’ottuagenario
emette un sospiro. “Se non ci fossi io a starle dietro,
giovane e
irruente capitano, non so davvero che fine farebbe. Faccia
cannoneggiare quella base di ribelli, non c’è
nessun bisogno di
ricognizioni rischiose e tatticamente inutili.”
Mi
guardo intorno alla ricerca di ispirazione, ma non
c’è neanche la
Du Bal nei paraggi, per cui sono abbandonato a me stesso.
Nel
frattempo piove furiosamente, rivoli d’acqua scorrono lungo i
vetri. Alzate dal vento, le onde fanno ballare la nostra pur robusta
nave come Samyra la danzatrice dei ventri quando è
particolarmente
ubriaca.
“Allora,
vogliamo allertare questi artiglieri?” mi richiama il
colonnello
con voce perentoria.
Mi
viene l’ispirazione: “Intende usare la stessa
tattica di cui si
servì nella battaglia della Miniera di Troniium?”
Il
vegliardo ha un attimo di smarrimento. “Miniera di
Troniium?”
mormora fra sé e sé. Poi, illuminandosi in viso:
“Ma certo!
Quella sì che fu una battaglia. Da una parte
c’eravamo noi
imperiali, con tre compagnie di Stormtrooper,” raggiunge il
tavolo
del comandante e comincia disinvoltamente ad allinearvi oggetti per
riprodurre la situazione tattica, “dall’altra
c’erano i cosi…
come si chiamavano? Ah, ecco: i ribelli. c’erano i ribelli
con dei
cosi… quelli coi cingoli… Ricordo che quello che
all’epoca era
il mio comandante, lo stimatissimo generale Maxir Tane, aveva uno
scurrier ammaestrato, al quale aveva insegnato a fare il saluto
militare e… di cosa stavamo parlando, Maximilian?”
Con
la massima disinvoltura rispondo: “Mi ha appena ordinato di
scendere su quell’isola e fare una ricognizione,
signore.”
“Quale
isola?”
Gliela
indico. “Quella là.”
Waxen
osserva col binocolo e fa: “Ah, perbacco. Sembra una base
imperiale. Beh, scenda subito a terra e dica ai nostri che li
raggiungeremo in men che non si dica. Giusto il tempo di far virare
questo cacciatorpediniere e portarlo verso il molo!”
“Certo,
signore.”
In
realtà ho più di un motivo per scendere a terra.
Anche se, poniamo,
il personale presente non fosse in grado di darci un trasporto per
raggiungere Kurtz, nelle basi imperiali non si segue ovviamente la
regola B’omarr, ci mancherebbe altro. Ci sono gli spacci e
negli
spacci c’è la birra. Ne compro una cassa e me la
porto a bordo, e
se Atama So ha qualcosa da dire lo butto a mare assieme al suo
tirapiedi.
Vado
alla ricerca di qualcuno che mi possa accompagnare. Il wookiee non lo
voglio perché poi si bagna e puzza di tappeto marcio, la Du
Bal me
la porto dietro solo se poi la posso lasciare là, le tre
reclute
sono stese come stuoini da cesso e Fjo’ona ha
l’utilità di un
droide guasto. Come al solito, il meno peggio è Hyaskon.
Scendo
sottocoperta a chiamarlo.
Lo
trovo nella sua cabina che sta cercando di riordinare la borsa dei
medicinali che io avevo disinvoltamente sparso sul pavimento per
salvarlo. Ha la twi’lek in braccio, e mentre lui lavora la
procace
aliena giocherella coi suoi capelli, gli dà bacetti e fa
risatine
idiote.
“Collega,
dobbiamo scendere a terra,” gli dico.
Fjo’ona
mi fissa sbattendo le ciglia e fa: “A terra? Ma certo, ho un
completino perfetto. Ora lo indosso.”
Prima
che io possa ribattere scompare nella sua cabina. Ne torna poco dopo
con top e minigonna a disegni mimetici tutti di paillettes.
“Sono
pronta!” annuncia.
Faccio
un lungo sospiro. “Fjo’ona, tu non
scendi a terra. Tu
rimani qui coi civili.”
“Oh,
no, no. Io vengo con Evan.” Prende il capitano medico
sottobraccio.
“Prometto che me ne sto buona buona.”
“Tu
rimani qui.”
La
twi’lek fa il broncio. Senza abbandonare il braccio di
Hyaskon
protesta: “Voglio venire anch’io! Perché
non mi fate venire?
Cosa c’è laggiù? Delle ragazze? Volete
fare qualcosa fra di voi e
non mi volete fra i piedi? Che schifo!”
L’ho
riconosciuta: è la tipica sindrome da adesività
twi’lek. Te le
scopi una volta e ti si appiccicano addosso tipo zecche kaminoane. E
sfortunatamente non abbiamo nemmeno un rangkor a cui
buttarla…
Nel
frattempo la scosciata si rivolge sensuale al capitano medico:
“Lascialo andare. Rimaniamo qui noi due, soli soli, a
guardare la
pioggia che cade...”
“Hyaskon,
le ricordo che lei è un ufficiale,” dico al mio
collega, tanto per
ristabilire le gerarchie.
Dopo
un po’ di insistenze riesco finalmente a scollare la pitonata
dal
braccio del capitano medico e mi trascino il collega in coperta.
Piove
e tira vento. Alla faccia del clima tropicale, c’è
un freddo che
sembra di essere su Hoth, solo che è più umido.
La
prospettiva è quella di calare una scialuppa e arrivare alla
spiaggia. Da lì, dopo esserci destreggiati dapprima tra i
frangenti
e poi sulla sabbia fradicia, attraversare una fangosa e grondante
giungla e raggiungere la base. E poi naturalmente conferire col
solito devastato psichico dimenticato dall’Impero che mi
troverò
davanti. Pensando alle casse di birra che mi procurerò,
stoicamente
do ordine che venga approntato il necessario.
Con
movimenti ieratici, i nostri due kaminoani calano lentamente una
specie di canotto argentato. Io lo guardo con disgusto: le onde lo
stanno già riempiendo d’acqua e ha la
stabilità di un gungan
ubriaco. “Chi lo porta?” chiedo, fissando
alternativamente il
comandante e il secondo.
Gentilissimo,
Atama So mi spiega: “Ci sono i comandi su quel
pannello,”
cortesemente me lo indica. “È molto
semplice.”
“Quindi
andiamo da soli?”
“Certo.”
Mi
viene un dubbio atroce. “Lothar!” chiamo.
Il
cameriere di Waxen si fa avanti con un grugnito.
“Lothar,
non mi interessa se poi puzzi di tappeto marcio. Sta qui e accertati
che non ripartano mentre noi siamo a terra.” Faccio una pausa
cercando di fissarlo negli occhi attraverso gli strati di pelo, poi
lentamente aggiungo: “Nemmeno se lo ordina il fos…
ehm… il
colonnello.”
Capace
che il vecchiaccio in una botta di Alzheimer dia l’ordine di
proseguire e noi rimaniamo qua come due cretini.
Ci
caliamo dunque con qualche difficoltà
nell’instabile scialuppa e
partiamo verso la terraferma. Il capitano medico, particolarmente
cupo per i postumi del punturone, brontola funesto: “Ci
rovesceremo
e annegheremo, vedrà.”
Io
non rispondo e calcolo mentalmente quante casse di birra si possono
caricare su questo malfermo natante.
Sono
ancora impegnato nei miei calcoli quando tocchiamo la spiaggia,
ovviamente fradici, infreddoliti e imprecanti. Tiriamo in secca il
canotto argentato e ci guardiamo intorno. “Non
c’è nessuno,”
constata Hyaskon.
“Già.”
“Senta,
io sono un capitano medico e non mi intendo molto di protocolli di
sorveglianza, ma mi sembra una cosa piuttosto strana.”
“In
effetti lo è.”
Attivo
i sensori di movimento, attività bioelettrica, cazzi e
mazzi, ma
nessuno di essi mi dà una lettura positiva.
A
parte il sibilo del vento e lo scrosciare delle onde,
c’è un
silenzio siderale.
Io
e Hyaskon ci guardiamo perplessi.
C’è
un sentiero che si addentra nella vegetazione, stretto e ingombro di
erbacce. Lo percorriamo sfidando fango e sterpi e sbuchiamo in uno
spiazzo occupato da una serie di edifici circondati da un recinto.
Scopro
a questo punto perché nessuno aveva mai risposto alle mie
chiamate:
la base è desolatamente abbandonata.
“Niente
birra,” è la prima cosa che mi viene in mente.
Dopo
questa avvilente constatazione, osservo meglio ciò che ci
troviamo
davanti: il traliccio dell’antenna, visto da vicino,
è arrugginito
e danneggiato in più punti. Una parabolica è
caduta e si trova a
qualche metro di distanza. L’asta della bandiera è
tristemente
vuota e il vento fa sbattere la sagola contro il palo di metallo
producendo un tintinnio irregolare.
Gli
edifici portano i segni delle intemperie, qualcuno sta venendo
lentamente ricoperto dalla vegetazione.
Notando
che il cancello è socchiuso, propongo: “Andiamo a
dare
un’occhiata.”
“E
se c’è Kurtz?”
“Se
i miei strumenti leggono correttamente, qui non
c’è nemmeno una
scimmia-lucertola kowakiana.”
“Sono
attendibili?”
“Di
solito sì.”
“È
quel ‘di solito’ che mi preoccupa. Vuole una fiala
di morte
istantanea? Ne ho un paio in tasca.”
“Grazie,
sto cercando di smettere,” gli rispondo, toccandomi con
discrezione
gli attributi.
A
una prima osservazione, sembra che la base sia stata abbandonata in
modo marziale, efficiente e organizzato. Non ci sono tracce di
devastazioni, rituali demoniaci ed esecuzioni sommarie, né
troviamo
feticci, pezzi di corpi o altre porcherie.
Tutto
è stato portato via con ordine, apparentemente senza fretta.
A ogni
buon conto faccio un giro nelle cucine per vedere se fosse mai
rimasta una cassa di birra, ma ovviamente non sono così
fortunato.
Entriamo
nell’edificio del Comando, ma anche lì
c’è il vuoto totale:
vecchi schedari, cartacce sparse, una sedia rotta.
Raccolgo
qualche documento, ma non è nulla che abbia a che fare con
Kurtz.
“Dà
l’idea che qui non sapessero nemmeno della sua
esistenza,” dico.
“È
possibile che arrivi uno che si mette a fare esecuzioni sommarie e
sacrifici umani e l’Impero non ne sappia niente?”
mi chiede
Hyaskon.
“Tenga
conto che nell’Impero c’è anche gente
come me, non sono tutti
soldati massicci come mio zio.”
“Già,
è vero.”
Gironzoliamo
un altro po’, ma invano. La base è vuota, tutto
ciò che poteva
avere un valore è stato portato via e le strutture rimaste
stanno
lentamente disfacendosi.
A
un certo punto, Hyaskon mi chiede: “Senta Veers, ma secondo
lei
perché tutt’a un tratto la twi’lek mi
sta così appiccicata?”
Lo
fisso stupito. “Ma come, non si ricorda?”
“Cosa?”
Gli
faccio un riassunto: mal di mare, punturone, proposte a me,
dirottamento verso la scosciata. “Mi ha persino detto che se
sono
vive è molto più divertente,” concludo.
“Dovevo
essere proprio fuori di me,” è la risposta.
Torniamo
a bordo avviliti come wampa su Tatooine. Nel frattempo ha smesso di
piovere e il nefasto Waxen si sta aggirando su e giù sul
ponte di
coperta. Quando mi vede arrivare si mette le mani a brocca sui
fianchi e fa: “Credevo di averla persa, giovane capitano. Qui
su
Cholganna le giungle sono infestate di nexu, non lo sa?” Poi
si
guarda intorno e soggiunge: “Certo che dev’essere
piovuto un bel
po’ ultimamente. Non mi ricordavo che ci fosse tutta
quest’acqua
quando facevamo le battute di caccia con il generale Kelen.”
Ovviamente
non avrebbe alcun senso cercare di spiegargli che non siamo su
Cholganna e che su tutto Kamino non c’è neppure un
nexu che non
sia frutto di esperimenti genetici, per cui mi limito a rispondere
“Sissignore” e vado nella mia cabina a togliermi i
vestiti
bagnati.
Hyaskon
mi tiene dietro. Ho un attimo di terrore pensando che voglia ritirare
fuori la storia del biondino, ma il capitano medico si limita a
chiedermi: “E adesso cosa pensa di fare, Veers?”
Sospiro.
“Temevo questa domanda. Al momento non lo so.”
“Si
potrebbe rientrare,” propone. “Kurtz non
c’è, fine della
storia.” Poi, dopo una pausa: “Così
almeno mi scollo di dosso
quella là.”
“Non
è così semplice. Io verrei rimandato a cercare
Kurtz senza avere
nemmeno il tempo di bere un paio di birre in pace, e lei se non trova
un rangkor affamato o qualche gamorreano superdotato può
scordarsi
di togliersi di torno la twi’lek.”
Come
a confermare la mia funesta previsione, sentiamo una vocetta
argentina che canticchia: “Tesoooro! Dove sei? Ho messo la
biancheria intima sexy per te.”
Poi
si affaccia Fjo’ona. La pitonata ha un baby doll di pizzo e
niente
sotto, una tenuta che sarebbe in grado di far rimpiangere a un monaco
B’omarr di essersi liberato del corpo fisico.
“Facciamo
una cosa a tre?” propone vedendomi mezzo spogliato.
“Questa
è una missione militare, Fjo’ona!” la
riprendo severamente.
E
Lei: “Ah, certo.” Pausa. “Vado a mettermi
il completino
mimetico di prima?”
Io
assumo l’espressione di un vecchio maestro Jedi che ha a che
fare
con venti padawan di otto anni urlanti e scalmanati.
Rintuzzo
comunque in qualche modo le libidini dell’aliena, la chiudo
fuori
assieme a Hyaskon e mi raccolgo in meditazione. Punto primo: questo
pianeta non mi piace, i miei compagni di missione non mi piacciono,
voglio tornare al circolo ufficiali a bere birra. Punto secondo: per
ottenere ciò devo trovare Kurtz. Punto terzo: se Kurtz sta
facendo
su Kamino quello che ha fatto su Sullust, qualcuno da qualche parte
deve essersene accorto.
Forte
di questa consapevolezza, vado alla ricerca del comandante della
nave.
Atama
So mi accoglie come sempre cortesissimo. Mi fa accomodare su uno
sgabello di dimensioni kaminoane, quindi mi trovo appollaiato con le
gambe penzoloni come un bambino di sette anni, e tanto per aumentare
la somiglianza col suddetto infante mi offre un bicchiere di lurida
Tusken-Cola. Fatto questo, si siede leggiadramente di fronte a me.
Gli
chiedo se ha mai sentito dire che su Kamino siano state instaurate
monarchie teocratiche basate sul terrore, effettuati sacrifici umani
(o kaminoani, in questo caso), praticato cannibalismo, ordinate
esecuzioni sommarie e cose del genere, ma ogni volta il mio
interlocutore scuote la testa.
“Neanche
qualche rituale demoniaco?” chiedo speranzoso.
Altro
cenno di diniego.
Gli
rivolgo lo sguardo del cucciolo di ewok morente.
“Il
fatto che io non ne sappia nulla non significa che non possa essere
accaduto,” mi suggerisce incoraggiante.
“Chi
può saperlo?”
Atama
So pondera con grande flemma la faccenda, infine suggerisce:
“Si
potrebbe andare a Derem. Lì si incontrano i piloti
commerciali di
tutto il pianeta e c’è un grande ufficio
informazioni.”
“Proviamo
anche questa,” sospiro.
Nel
frattempo si è fatta ora di cena, per cui Tani Du ci fa
accomodare
nel locale adibito a mensa. Trovo la Du Bal sussiegosamente seduta a
capotavola e Waxen che per l’ennesima volta le sta
assicurando che
mai avrebbe immaginato di incontrare una signora tanto elegante e
sofisticata su una nave di contrabbandieri corelliani. Il wookiee
è
lì di fianco che mugola.
Si
presentano a questo punto le tre reclute, pallide e barcollanti, ma
non appena vedono arrivare le pur tristi vivande fanno
l’occhio
pallato ed escono precipitosamente con una mano sulla bocca.
Buon
ultimo sopraggiunge il capitano medico, si accomoda tranquillamente e
si mette persino il tovagliolo sulle ginocchia. Mi siedo accanto a
lui e gli chiedo: “Dov’è
Fjo’ona?”
“Dorme,”
è la laconica risposta.
E
Io, ingenuamente: “Non viene a cena?”
“Non
credo proprio.”
“Mal
di mare?”
Hyaskon
fa un ghigno diabolico e risponde: “Ha presente la vaccinazione
che ho fatto al colonnello il primo giorno?”
“Capisco.”
“Stava
diventando eccessivamente appiccicosa.”
Io
annuisco e mi annoto mentalmente che non è il caso di dare
le spalle
a Hyaskon con troppa disinvoltura.
Nel
frattempo sta di nuovo piovendo con impegno e il moto ondoso fa
rotolare qua e là tutto ciò che non è
fissato a superfici solide.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Rapporto 04 sulla missione ***
Rapporto
04
Sul
ponte principale della Morte Nera, il capitano Piett si
voltò verso
il capitano Needa e lo fissò con fare grave. “Ha
sentito la
notizia, collega?” gli chiese. “Sembra che il
Governatore Tarkin
sia stato colto da un malore.”
Needa
assunse un’espressione allarmata. “Davvero?
Quando?”
“Poco
fa. Dicono che sia successo per colpa di una comunicazione che ha
ricevuto.”
Il
collega si fece ansioso. “Un attacco in forze dei
ribelli?”
ipotizzò.
Piett
si strinse nelle spalle. “Non si sa. Certo
dev’essere qualcosa di
molto grave, se addirittura un uomo della tempra del Governatore si
è
sentito male.”
Un
paio di livelli più in basso, nell’infermeria
27/B, un ufficiale
medico pazientemente ripeté: “Resti sdraiato,
Governatore. Le
succede spesso di avere questi sbalzi di pressione?”
“Veers!”
strillò Tarkin, cercando per l’ennesima volta di
alzarsi dal
lettino e subito dopo rinunciando all’improbo compito.
“Signore?”
“Quel
maledetto debosciato, delinquente, cialtrone e depravato del capitano
Roy Veers! Ma questa volta ha passato il limite! Questa volta lo
mando dritto dritto a tirare i carrelli nelle miniere di Kessel al
posto dei dewback!”
Il
medico annuì pazientemente, poi col tono che si userebbe con
un
bambino di cinque anni, disse: “Cerchiamo di non agitarci,
Governatore, altrimenti dovrò aumentare il dosaggio del
farmaco.”
Tarkin
lo fulminò con lo sguardo e ruvidamente ribatté:
“Si agiterebbe
anche lei se al posto dei rapporti militari le arrivasse roba di
questo genere!” Tirò fuori dalla tasca un
dépliant glitterato e
con gesto brusco lo porse all’ufficiale.
Questi
lo osservò: raffigurava una navetta Tydirium con le fiamme
dipinte
intorno agli scarichi e i bordi d’uscita delle ali cromati.
Il
mezzo aveva nella parte inferiore un assortimento di LED blu.
Sotto
l’immagine c’era una scritta: Pussy
Spaceship, le migliori
scopate nello spazio! E ancora sotto, più in
piccolo: Mille
crediti ogni ora, capienza massima venti umani. Altre razze a seconda
delle dimensioni. La pulizia dei sedili è inclusa nel
prezzo,
l’alcool no.
Voltò
il foglio: c’erano alcune foto degli interni, tutti di
velluto
rosso fuoco, la cabina di pilotaggio con dadi di peluche penzolanti e
pomello della manetta fatto a teschio con gli occhi di brillantini
rossi e qualche altra immagine che mostrava simpatiche orge
interspecie, come suggerimento d’uso per potenziali
noleggiatori.
In un angolo, vergata a mano, la seguente scritta: Non
disponibili
trasporti imperiali per Kamino. Ci siamo arrangiati. Firmato:
Veers.
P.S.:
Non abbiamo ancora trovato Kurtz.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Giorno 10 - Di nuovo alla ricerca di informazioni ***
Giorno
10 - Di nuovo alla ricerca di informazioni
Nonostante
la nave abbia rollato e beccheggiato tutta la notte con grande
impegno, mi sono fatto una magnifica dormita, senza gente che
russava, senza pitonate con la pretesa di riordinare il trolley
all’alba e senza reclute tremebonde da accompagnare in bagno
perché
timorose del buio.
Mi
stiro pigramente ponderando l’ipotesi di ronfare fino a
mezzogiorno, comunque si misuri il mezzogiorno su questo cazzo di
pianeta, e tanti saluti a tutti.
Sono
lì che mi rivolto fra le coltri quando, come sempre accade
nei miei
momenti di (forzata) sobrietà, si fa udire perentoria la
voce della
Coscienza. Roy! Mi richiama severamente, col tono
acido
dell’istruttrice di Educazione Sociale che avevo
all’Accademia di
Carida.
Comandi!
Non posso fare a meno di rispondere.
Del
resto si sa: quando la Coscienza chiama, chi è che da sobrio
riesce
a fare finta di niente?
Roy,
riprende la voce, sempre più severa, ti rendi
conto di quello che
stai facendo?
Questa
è una domanda che ha il potere di mandarmi in confusione
più delle
prodezze di Waxen: non riesco mai a capire a quale delle mie numerose
malefatte si faccia di volta in volta riferimento.
Ehm…
possiamo essere più precisi? Chiedo infatti,
giusto per sapere
che genere di reprimende devo aspettarmi.
La
voce della Coscienza assume una vaga nota di tristezza, direi quasi
di delusione, come se non si capacitasse della mia domanda. Roy,
quanto tempo vuoi rimanere su un pianeta senza birra?
La
folgorazione.
Non
nel senso che mi sono per sbaglio sparato in un piede con il blaster.
Intendo che la voce della Coscienza interviene per rimettermi in modo
brutale ma efficace sulla retta via. Non un
minuto di più
dello stretto necessario!
Rispondo mentalmente con veemenza.
E
allora alzati e va a fare il tuo dovere, Roy!
Dopo
questo severo monito la Coscienza si dilegua, è piuttosto
evidente
che non si trova particolarmente a suo agio nel mio cervello. Io
però
nel frattempo ho capito che poltrire fino a mezzogiorno non farebbe
altro che prolungare inutilmente la mia sofferenza psicofisica,
quindi abbandono le coltri, mi calo con circospezione giù
dalla
smisurata cuccetta e in un attimo sono operativo.
Sono
lanciatissimo: ora si salpa, si va al dannato spazioporto di Derem e
scopro dove si nasconde questo maledetto Kurtz, poi mando le
coordinate alla Morte Nera e fine della faccenda. Arrivano un paio di
star destroyer e al posto della monarchia teocratica basata sul
terrore rimane un cratere fumante.
Forte
di questa mia nuova risolutezza, vado alla porta della cabina e la
spalanco: mi trovo davanti il deserto dello Jundland.
Sul
ponte non c’è nessuno. Il tempo
è più uggioso che su
Dagobah. Il cielo è coperto, nubi plumbee si perdono
all’orizzonte,
l’acqua ha il colore della roba che mettono sugli AT-ST per
mimetizzarli da giungla.
Spira
il solito venticello umido, che fa sbattere tristemente le sagole
sulle aste delle bandiere.
A
parte questo, il silenzio è perfetto. Non si sente nemmeno
il
russare di Lothar.
“E
che cazzo...” proferisco basito.
Poi
comincio a elaborare le possibili ipotesi: che i nostri due
flemmatici kaminoani abbiano tagliato la corda durante la notte? Che
del cibo avariato abbia sterminato tutti tranne me? E perché
me no,
poi?
Inoltre
le reclute ieri sera non hanno mangiato, quindi neppure loro
dovrebbero aver subito gli effetti dell’eventuale
avvelenamento.
Saranno morte durante la notte a forza di vomitare? Magari mentre
erano piegate fuori bordo qualche bestia sottomarina le ha ghermite,
va a sapere…
Così
cogitando mi aggiro alla ricerca dell’equipaggio, che
peraltro
risulta irreperibile.
La
plancia è vuota, la cambusa pure. La sala macchine
è silente come
un deposito di droidi in avaria. Non vado a controllare nelle cabine
per decenza, un kaminoano nudo dev’essere uno spettacolo
tutt’altro
che piacevole, tuttavia appoggiando l’orecchio alle porte non
percepisco alcun rumore provenire dall’interno.
Se
c’è una cosa poco simpatica nella vita di un
ufficiale imperiale,
a parte trovarsi faccia a faccia con Kurtz, è essere nel bel
mezzo
di un oceano a bordo di un natante che ha la strumentazione
esclusivamente in kaminoano stretto.
Peraltro,
se per andarcene di qui dobbiamo fare affidamento sulle mie
conoscenze di navigazione, direi che siamo messi piuttosto male.
Per
non pensare a questa sgradevole eventualità, scendo
sottocoperta
alla ricerca degli altri membri della spedizione.
Sento
per prima cosa il russare devastante di Lothar: mi guardo intorno e
realizzo che proviene dalla cabina della professoressa. Busso ma non
ottengo risposta. Mi affaccio già preparato a ignobili
copule
interspecie, ma il wookiee è solo.
Busso
anche alla porta di Fjo’ona, ma di nuovo non ottengo
risposta.
Socchiudo l’anta con discrezione e vedo la twi’lek,
stesa come
uno stuoino, che ronfa pancia all’aria. Hyaskon
dev’esserci
andato giù pesante con la vaccinazione.
Mi
affaccio nella cabina delle reclute. I tre sono allineati tipo fossa
comune, da una parte c’è Hyaskon seduto su una
sedia nella
penombra che mi fa: “Ha visto quanto sono carini? Sembrano
morti.”
“Ehm…
che cosa fa in quell’angolo, collega?” gli chiedo
mentre un
brivido mi percorre la spina dorsale.
Con
un ghigno diabolico, l’altro risponde: “Controllo
le condizioni
cliniche dei pazienti.”
“E
come stanno?”
L’altro
sospira. “Sembrano morti, ma stanno solo dormendo,”
dice in tono
di rimpianto.
“Perché
non andiamo un po’ in coperta a vedere che fine ha fatto
l’equipaggio?”gli chiedo, ritenendo opportuno
distoglierlo da
quella inquietante contemplazione.
Hyaskon
alza gli occhi su di me. “Perché,
dov’è l’equipaggio?”
“È
quello che vorrei scoprire.”
“Ci
hanno abbandonati a noi stessi?”
“Per
ora sembra di sì.”
“Alla
peggio moriremo qui,” sospira alzandosi. “Nel caso
rimanessimo
isolati e fossimo condannati a morire di sete e di fame, sappia che
non soffriremo: ho fiale di morte istantanea per
tutti.”
“Ora
mi sento molto più tranquillo,” gli rispondo, al
solito toccandomi
i gioielli di famiglia.
Saliamo
in coperta, io davanti e Hyaskon a qualche passo di distanza. Non
faccio in tempo a fare il primo metro sul ponte che qualcosa mi
piomba addosso facendomi rotolare a terra e imprecare come un
facchino gamorreano.
“Giovane
capitano, è così che si sta
all’erta?” mi rimprovera una fin
troppo nota voce. “È così che si fa la
guardia contro i nemici
dell’Impero? Andando a spasso come se si fosse in
vacanza?”
Il
fossile, le consuete mani a brocca sui fianchi e il baffo ispido, mi
sta fissando con disapprovazione. “Non la ricordavo
così distratto
nella battaglia di Thali,” aggiunge scontento.
“È
stato lei a saltarmi addosso, signor colonnello?” chiedo,
rimettendomi faticosamente in piedi. Waxen appartiene a buon diritto
alla categoria ‘mezze seghe’, ma sono pur sempre
cinquanta chili
spigolosi che mi sono arrivati di peso sulla schiena.
“Certo,
dal ponte panoramico. Dovrebbe ringraziarmi, l’ho fatto per
lei,
per evitare che si imborghesisca.”
Il
ponte panoramico è a tre metri abbondanti di altezza. Il
vecchio
idiota è saltato giù, col rischio di fracassare
le sue e le mie
ossa, col dichiarato scopo di evitare il mio imborghesimento.
Proferisco
alcune orrende imprecazioni. Il colonnello, che come di consueto si
accinge a redarguirmi per il mio linguaggio scurrile, viene
intercettato da Hyaskon, il quale deve essersi accorto che la
situazione sta per evolvere verso la tragedia. Cose del tipo:
ufficiale con stress da battaglia strangola superiore nel
corso
della missione.
“Colonnello,”
dice il capitano medico con fare ossequioso, “sarebbe
così gentile
da donare alla Scienza un campione della sua urina?”
Waxen
lo fissa stupefatto. “Oh, bella!” proferisce poi.
“E per farne
che?”
“Siero
anti-imborghesimento da somministrare alle truppe.” risponde
pronto
Hyaskon.
“Con
l’urina?”
E
lui, serissimo: “Certo.” Poi aggiunge:
“Ora, se volesse
gentilmente seguirmi nella mia cabina, ho il contenitore
all’uopo
preposto...” Nel frattempo lo sospinge giù per le
scale.
Tempo
cinque minuti, e Hyaskon risale da solo. “L’ho
vaccinato,” mi
informa.
“Grazie.
Stavolta stavo davvero per annegarlo.”
Il
mio collega si appresta a rispondere quando notiamo che sopraggiunge
dalle immensità oceaniche il canotto argentato con sopra i
due
kaminoani e la Du Bal. Al traino del primo c’è un
secondo canotto
più piccolo.
La
docente siede con le braccia conserte fissando ostentatamente
l’orizzonte mentre i due kaminoani portano imperturbabili il
piccolo natante.
Noi
rimaniamo a guardare in silenzio, e sempre senza proferire verbo
assistiamo alle manovre di avvicinamento, al trasferimento della
professoressa sul ponte di coperta e all’aggancio delle due
scialuppe ai rispettivi paranchi.
A
questo punto, in un silenzio da monastero B’omarr, la docente
mi
fissa con sussiego e mi fa: “Volevo immortalare
l’alba in un
acquerello. È proibito, forse?”
Probabilmente
dovrei farle presente che in effetti la pratica è altamente
proibita, che non si prende una scialuppa senza permesso, che non ci
si avventura in mare aperto senza sapere dove si sta andando, che non
si scompare nel corso di una missione senza avvisare nessuno e
faccende del genere, ma l’unica cosa che mi viene da dire
è: “E
dove la andava a pescare l’alba? Non vede che il cielo
è
completamente coperto?”
“Lei
non capisce niente di arte,” è la risposta, dopo
la quale, come di
consueto, la Du Bal se ne va a culo dritto.
Sto
ponderando l’idea di farle lo sgambetto e spedirla a
ruzzolare giù
per le scale quando con andatura molleggiata si avvicina Atama So,
che con grande flemma mi augura il buon giorno.
Io
rispondo compitamente, quindi mi permetto di suggerire che forse non
sarebbe una cattiva idea salpare per Derem.
“Ormai
si sarà fatta una certa ora...” aggiungo, sperando
di ispirare con
questa frase sibillina il mio interlocutore.
Questi
alza la testa a scrutare il cielo plumbeo, pondera un po’ non
si sa
bene cosa e poi con la massima calma risponde: “Ma certo,
come
desidera. Ora prepariamo la nave, facciamo colazione, rassettiamo
tutto e poi si può salpare.”
Comincio
a capire come sia possibile che persone miti e buone, note ovunque
per la loro gentilezza e generosità, scelgano
tutt’a un tratto, in
modo apparentemente inspiegabile, la via del Lato Oscuro.
A
questo punto arriva sul ponte Lothar e mi bramisce di scendere
sottocoperta.
Lo
seguo preparato al peggio, ovvero che Waxen sia sveglio e
intenzionato a rompere i coglioni, ma gli unici tre che non stanno
dormendo sono gli sfigati. Sono pallidi, smunti e stanno in piedi a
stento, ma perlomeno hanno smesso di vomitare.
“Allora,
come va, ragazzi?” chiedo.
Felsen
mi informa che vuole la sua mamma, gli altri due mi rivolgono lo
sguardo del cucciolo di ewok orfano, storpio e abbandonato nel
deserto.
Faccio
un passo indietro e, pronto a fiondarmi in corridoio se le cose si
mettessero male, chiedo: “Ve la sentite di venire su a
mangiare
qualcosa?”
Conati
a man bassa. Fortunatamente hanno già da tempo vomitato
tutto quello
che avevano in corpo, quindi non c’è neanche
bisogno di pulire il
pavimento della cabina. “D’accordo, vi mando il
capitano medico,”
dico ai tre.
Faticosamente,
Wolfen singulta: “Signornò… il capitano
medico no, per favore.”
“Veniamo
su a mangiare,” mi assicura Lawrence, prima di accasciarsi di
nuovo
deliquescente al suolo.
“Perché?
Cos’ha che non va Hyaskon?” chiedo ingenuamente.
Nonostante
la devastazione gastrica, i tre si scambiano un’occhiata,
infine
Felsen, con voce tremula, proferisce: “È
strano...”
“Ci
fa stendere allineati uno di fianco all’altro e dice che
sembriamo
morti,” soggiunge Lawrence.
“Possiamo
venire a dormire nella sua cabina, signore?” chiede Wolfen.
Altro
sguardo da cucciolo di ewok, stavolta rachitico, indigente, con la
mamma malata e malmenato sadicamente da una banda di gamorreani
ubriachi.
Io
penso alla splendida quiete che finalmente ho conquistato e
ruvidamente rispondo: “Ma non se ne parla neanche! Siete
soldati
imperiali, che diamine!”
Pianto
collettivo.
“E
basta frignare!”
Pianto
dirotto.
“Ora
basta, se no chiamo il capitano medico e gli dico che vi siete
offerti volontari per i suoi esperimenti sul sesso
post-mortem.”
Silenzio
istantaneo. Felsen mi fissa inorridito e con voce incerta mormora:
“Oh, lei non lo farebbe mai, signore, vero?”
“Un
sacco di gente pensa che non farei mai quello che invece sto proprio
per fare,” gli rispondo criptico. “E ora, muovere
il culo e su in
coperta, marsch!”
Rassegnati,
i tre abbandonano la cabina e si incamminano su per la scala.
Finalmente,
dopo estenuanti preparativi, salpiamo in direzione di Derem. Mentre
siamo in navigazione, le nubi pian piano si diradano, facendo
comparire un sole al confronto del quale quelli gemelli di Tatooine
sembrano due lampadine sporche.
I
nostri kaminoani si fiondano immediatamente all’ombra, e
senza
muoversi da lì mi spiegano che sarebbe decisamente opportuno
che noi
facessimo lo stesso.
Hyaskon
fissa con odio l’astro e scompare sottocoperta brontolando,
le tre
reclute si rifugiano nella sala mensa e il wookiee, in quanto peloso,
corre al massimo il rischio di avere caldo.
Waxen
è tuttora non pervenuto, ma credo che un’eventuale
insolazione non
turberebbe particolarmente la sua situazione neurologica.
Con
gridolini di gioia, sorgono dalle profondità del natante la
twi’lek
rediviva e la Du Bal, entrambe con il tipico armamentario da
spiaggia: telo da bagno, cappello, occhiali da sole e libro.
Scompaiono
su per le scale della terrazza panoramica. Affacciandosi alla
ringhiera, la professoressa ci ammonisce severamente che da quel
momento e fino a nuovo ordine il luogo deve considerarsi interdetto
al genere maschile.
Rispondo
che ce ne faremo una ragione, la Du Bal sceglie di punirmi con la sua
indifferenza.
La
navigazione procede. Io mi sto godendo la brezza all’ombra
quando
sento l’ormai odiata voce proferire: “Che magnifica
dormita!”
La
prima idea che mi viene è quella di buttare giù
per le scale che
portano sottocoperta un detonatore termico e sbarrare la porta, poi
valuto che questo probabilmente porterebbe all’affondamento
di
tutta la nave con me sopra e con la fortuna che ho mi ritroverei
sull’unica scialuppa disponibile con la sola compagnia di
Waxen. È
vero che a questo punto potrei finalmente annegarlo senza testimoni,
ma non so se il gioco varrebbe il LED.
Si
presenta il malefico ometto e per prima cosa si stira facendo
scrocchiare le ottuagenarie giunture. “Una magnifica
dormita,”
ripete, “come non mi capitava da tanto. Anche se non capisco
come
mai sono tutto ammaccato. Devono essere state le onde che mi hanno
sballottato di qua e di là.” Poi, rivolto a me:
“Allora, giovane
capitano, li abbiamo seminati questi ribelli?”
Tra
le possibili risposte a una domanda del genere, cerco di trascegliere
quella che mi comporterà i minori problemi:
“Certo, signore. La
velocità di questo natante kaminoano non teme
rivali.”
Il
colonnello alza un sopracciglio e mi scruta arrotolandosi un baffo
intorno all’indice. Per un attimo penso di averla sparata
troppo
grossa, ma subito dopo il fossile mi fa: “Con quella
gentaglia non
si può mai sapere. Andrò a controllare di
persona!” Si dirige
verso la plancia con l’impeto di un reek che carica, arraffa
un
binocolo e subito dopo imbocca le scale che portano alla terrazza
panoramica.
“No,
signor colonnello!” gli dico precipitosamente, “non
salga!”
Come
prevedibile, il fossile si indispettisce. “Giovane e
insolente
capitano, come si permette? Devo forse ricordarle il mio
grado?”
Sogghigno
fra me e me. “Mi scusi, signore,” rispondo facendo
la faccia
contrita, “vada pure.”
“Ragazzaccio!”
mi redarguisce affettuosamente Waxen, quindi sale sulla terrazza
panoramica.
Tempo
cinque secondi e si ode un concerto di strida orrende. Il colonnello
scende di corsa inseguito dal lancio di sabot pitonati e romanzi
rosa.
“Ma
cos’è mai questo?” bercia indignato,
massaggiandosi la nuca
colpita dall’anzidetta calzatura, “un postribolo
galleggiante? Ci
sono femmine con le nudità esposte
lassù!”
“Signore,
sono Fjo’ona e la professoressa Du Bal. Stanno prendendo il
sole.”
“Chi?
È stato lei a farle salire a bordo, Veers?”
“Veramente
sono con noi dall’inizio della missione, signore.”
“Ancora
peggio!” sbraita il vecchiaccio. “Questo da lei non
me lo sarei
mai aspettato, Maximilian. Portare donne compiacenti in una missione
di guerra. Io non so davvero cosa mi trattenga dal deferirla alla
corte marziale.”
E
dopo questa spaventosa minaccia mi abbandona per andare a conferire
con Atama So, che è comparso sulla soglia della plancia
attirato dai
clamori.
Seguo
la conversazione – più che altro una lunga
requisitoria del
colonnello – da lungi. Il kaminoano ascolta perplesso, infine
si
stringe nelle spalle e dice qualcosa a Tani Du nel frattempo
sopraggiunto. Anche il nuovo arrivato si stringe nelle spalle poi
scompare in sala comando.
La
rotta subisce una brusca variazione.
Io
aspetto che Waxen si sia tolto dalle palle, poi vado dal comandante a
chiedere lumi. Soavemente, Atama So mi risponde: “Il
colonnello
vuole nuotare. Facciamo una deviazione per l’atollo di Baran
Wu.”
“Il
colonnello vuole che?” chiedo incredulo.
“Nuotare,”
mi soccorre l’altro, gentilissimo. “Ha detto che le
truppe devono
tenersi in esercizio.”
Perfetto.
A questo gli si è resettato il cervello un’altra
volta e adesso
pensa di nuovo di essere su Aquarian a fare addestramento.
Mi
faccio mostrare dal comandante la posizione di questo atollo, che
rispetto a noi si trova praticamente in Culonia.
Penso
con orrore a giorni e giorni di navigazione persi a inseguire
l’Alzheimer di un vecchio squinternato.
“Non
c’è niente di più vicino?”
chiedo.
Atama
So si raccoglie in meditazione. “Ci sarebbe un isolotto a
qualche
miglio da qui.” dice infine.
“Perfetto.”
“Ma
è solo una lingua di sabbia con qualche palma, non
c’è nulla
sopra.”
“Meglio,
così le truppe non si rammolliscono a causa delle eccessive
comodità.”
Arriviamo
a destinazione poco dopo. Trattasi di tipico paradiso tropicale da
cartolina (a proposito, se ne trovassi una…): il sole
splende con
impegno, l’acqua è turchese, la spiaggia
è bianchissima, le palme
si protendono sul mare. Ora ci vorrebbero una sdraio
all’ombra e
una birra ghiacciata e tutto sarebbe perfetto.
Ma
in questo pianeta di merda non c’è birra, e di
sdraio, con questo
branco di decerebrati da badare, neanche a parlarne. La vita sa
essere veramente infame, a volte.
Tanto
per ribadire questo concetto, si presenta Waxen di nuovo in costume
da bagno e asciugamano. “Forza, giovane capitano!”
bercia,
“scommetto che non vede l’ora di
tuffarsi!”
Subito
dopo si odono una serie di squittii e gridolini: le due signore hanno
scoperto che siamo presso una spiaggia e stanno sgomitando per essere
le prime a scendere a terra. Si sono debitamente costumate per
l’occasione, e non posso fare a meno di notare che la Du Bal
ha già
una tonalità magenta piuttosto intensa.
Già
pensando alle lamentazioni con cui ci massacrerà le palle se
si
ustiona, propongo: “Non si mette un po’ di crema,
prof?”
E
lei, sdegnosa: “Non ne ho bisogno.”
Assieme
alla twi’lek salta nel canotto argentato e Tani Du le
traghetta. Un
attimo dopo le due sono stese pancia all’aria sui rispettivi
teli e
non danno più udienza a nessuno.
Waxen,
in compenso, stavolta non si resetta. “Tutti con la tenuta
regolamentare!” sbraita correndo su e giù per la
coperta, “Entro
due minuti allenamento di nuoto!”
Faccio
del mio meglio per tergiversare, ma l’ottuagenario
è irriducibile.
“Forza, Maximilian, dia il buon esempio ai ragazzi!”
Ora,
tralasciando il fatto che io non mi chiamo Maximilian,
c’è da dire
che sono di pelle chiara, e normalmente mi basta pensare
al
sole per avvertire i primi sintomi dell’eritema. Per uscire
dalla
mia cabina con nient’altro che un paio di bermuda addosso
dovrò
ungermi come uno hutt.
Il
colonnello, frattanto, continua a imperversare. Spinge in acqua i tre
soldatini, che cominciano ad annaspare e devono essere ripescati da
Tani Du, quindi ordina anche al wookiee di tuffarsi. Fatto
ciò si
guarda intorno perplesso: ha il dubbio che ci sia qualche altro
membro della spedizione, ma non riesce a ricordarsi chi. Io taccio
scrupolosamente.
Il
vegliardo si volta infine verso di me con l’intenzione di
interrogarmi in proposito, ma lo sguardo gli cade inesorabilmente sul
mio costume da bagno a fiori di ibisco e pappagalli.
“E
quello cosa sarebbe?” chiede.
Assumo
un’espressione di rara innocenza. “Cosa,
signore?”
“Quella…
cosa che ha addosso.”
“Oh,
questa. È il costume che uso per fare surf, signore. Me lo
sono
portato nel caso capitasse l’occasione.”
“Se
lo tolga immediatamente!”
Mi
stringo nelle spalle. “Signore, mi sentirei in
imbarazzo.”
“Non
faccia lo gnorri con me, giovanotto. Lo cambi con qualcosa di
più
sobrio!”
“Questo
è il più sobrio che ho, signore. Volendo, ho
quello con i tramonti
tropicali, gli ananas e le twi’lek nude. Certo avrei
preferito
evitarlo per rispetto a Fjo’ona, ma se insiste...”
Il
colonnello non insiste.
Nonostante
ciò, ci tocca di sorbirci la rottura di coglioni del nuoto.
Fortunatamente il fossile è ottuagenario, per cui dopo un
po’ si
addormenta all’ombra di una palma e noi possiamo finalmente
uscire
dall’acqua.
Io
ho anche una certa premura di tornare a bordo, perché la
voce della
Coscienza continua a ricordarmi con fastidiosa pedanteria che su
questo pianeta non c’è birra, e che devo
abbandonarlo il più
presto possibile.
Raccolgo
la gente. Lothar si carica in spalla Waxen e procede a piedi verso la
nave, tutti gli altri vengono riportati a bordo dal canotto
argentato.
Dopo
ore sotto il sole cocente, la twi’lek è di un
colore azzurro
lievemente più scuro del solito e non sembra aver risentito
in altro
modo del trattamento. La Du Bal invece ha un colorito cinabro
tendente all’amaranto e una temperatura corporea piuttosto
vicina a
quella della fusione del piombo.
“Sto
benissimo!” asserisce categorica, quindi si infila nella sua
cabina, dimenticando che adesso è abitata da Lothar e dalla
sua
puzza di tappeto marcio. Esce inorridita.
Nel
frattempo viene approntato il pranzo. Mentre ci alimentiamo con la
tristezza tipica di Kamino, noto di sfuggita che la fosforescente
professoressa sta parlando con Atama So. I due sembrano impegnati in
una conversazione piuttosto animata e vedo il comandante della nostra
nave annuire più volte con aria consapevole.
Infine
le fa cenno di attendere, scompare nella sua cabina e torna dopo un
po’ con un contenitore che sembra una tanica. Lo consegna
alla
docente, che con qualche difficoltà lo solleva e si dirige
con il
suddetto sottocoperta.
Io
considero che quando la Du Bal non condivide il mio spazio vitale le
mie gonadi sono felici, quindi mi guardo bene dall’andarla a
cercare.
Interrogo
piuttosto Atama So, il quale soavemente mi spiega che la docente
voleva un rimedio per le bruciature. “In effetti aveva la
pelle un
po’ arrossata,” soggiunge.
Decisamente,
i kaminoani sono un popolo che ama la sobrietà.
Siamo
in navigazione per Derem da circa due ore quando mi imbatto in un
essere basso di culo e di statura, con le tette a sacco di farina,
completamente bianco e con un costume da bagno come unico
abbigliamento. Una kaminoana nana, penso
inorridito, poi
guardo meglio e mi rendo conto che è la Du Bal, su cui
apparentemente qualcuno ha steso una mano di vernice.
“Booh!”
mi fa la docente, come per spaventarmi, quindi fa una risata e corre
via. Io rimango a guardare la direzione in cui è scomparsa
con la
faccia a punto interrogativo.
La
Du Bal che fa ‘booh’ e scappa ridacchiando?
Pondero infine.
Qui c’è qualcosa di molto strano.
Vado
alla ricerca di Hyaskon.
Trovo
il capitano medico nella sua cabina, steso sulla cuccetta tipo bara,
nel buio più completo.
“Collega?”
lo chiamo.
Si
volta verso di me. “Spero per lei che sia
importante,” ringhia.
“La
Du Bal fa cose strane,” gli rispondo, ignorando il suo
ammonimento.
Hyaskon
non sembra impressionato. “Ha sempre fatto cose
strane,”
sentenzia.
“Tipo
correre per la nave dipinta di bianco ridendo in modo
incoerente?”
La
sconcertante descrizione spinge il capitano medico a mettersi seduto
e ad accendere la luce. “Cosa fa?” chiede
stupefatto.
Spiego
dettagliatamente il fenomeno cui ho assistito. Il mio interlocutore
mi fa da contrappunto con interiezioni sempre più allarmate.
Alla
fine, solennemente proferisce: “Veers, abbiamo un
problema.”
“Un
altro?” non posso fare a meno di chiedergli.
Lui
sospira con l’aria di chi prende atto
dell’ineluttabile e sa che
è inutile opporvisi. “I farmaci kaminoani sono
neurotossici per
gli umani,” spiega poi in tono lugubre.
“E
quindi?”
“E
quindi non so in che modo si manifesterà la
neurotossicità in
quella vecchia ciabatta, ma di sicuro adesso di squinternati ne
abbiamo due da gestire.”
“Potrebbe
morire?” chiedo speranzoso.
“No,”
è la cupa risposta.
Lascio
passare qualche secondo di raggelato silenzio, quindi chiedo:
“Non
si può fare niente?”
“Buttarla
fuori bordo quando nessuno sta guardando. Non saprei consigliarle
altro.”
Per
fortuna, mentre sto pensando di buttare fuori bordo me stesso onde
porre fine alle mie sofferenze, Tani Du ci avvisa discretamente che
lo spazioporto di Derem è in vista.
Saliamo
sul ponte. Il cielo, simpaticamente, è di nuovo coperto. Il
fottuto
sole è rimasto fuori giusto quel tanto che bastava per
mandare la Du
Bal fuori di testa e ustionarmi la schiena nonostante gli otto strati
di crema a protezione totale che mi ero spalmato, poi ci ha
ripiombati in una deprimente uggiosità.
Lo
spazioporto è un’enorme isola artificiale quasi
interamente
occupata da una costruzione dalle forme morbide e tondeggianti, color
alluminio satinato, molto minimal chic.
Tutt’intorno a
raggiera si dipartono i moli per i natanti, e sul tetto ci sono le
piazzole di atterraggio per astronavi di piccole e medie dimensioni.
Sulla terraferma ci sono quelle più grandi, per i cargo
iperspaziali.
Nonostante
la flemma degli indigeni c’è un gran viavai di
mezzi di ogni
genere e grado, tant’è che dobbiamo aspettare
parecchio
incrociando su e giù prima che si liberi un posto in un
molo.
Sulla
nostra testa, nel frattempo, entrano ed escono dalla coltre di nubi
navicelle provenienti da tutta la galassia.
Quando
finalmente riusciamo ad attraccare, chiamo Atama So e gli chiedo di
accompagnarmi a terra. Ora che non c’è
più il sole, Hyaskon è
tornato preda delle libidini della twi’lek, e fare
affidamento
sulle capacità di interpretariato della Du Bal mi sembra
ancora meno
auspicabile del solito, viste le condizioni in cui versa.
“Che
cosa cerca esattamente, capitano?” mi domanda cortesissimo il
comandante mentre mi accompagna lungo uno degli ampi e luminosi
corridoi dello spazioporto.
“Il
colonnello Kurtz. O informazioni su di lui.”
“Interessante.
È per caso un suo amico questo colonnello?”
Mi
viene da piangere. Cercando di mantenere
un’impassibilità
confacente del mio grado, inspiro profondamente e con misurata calma
rispondo: “Il colonnello Kurtz è un disertore e i
miei ordini sono
di trovarlo. Ho il fondato sospetto che si trovi qui su Kamino ma non
so dove, e considerato che il vostro pianeta ha un diametro di
ventimila chilometri, qualche informazione in più
restringerebbe
perlomeno l’ambito delle ricerche.”
Atama
So annuisce con gesto sobrio. “Capisco.” risponde.
Segue un
silenzio siderale.
“Quindi?”
lo sprono dopo un po’.
E
lui, gentilissimo: “Che cosa intende, capitano
Veers?”
“Come
facciamo a sapere qualcosa su Kurtz?”
“Io
credevo che lei volesse andare all’ufficio
informazioni.”
Non
so come sia punito l’omicidio su Kamino, ma potrebbe
cominciare a
valerne la pena.
“Non
c’è un bar da queste parti?” gli chiedo.
Si
piega addirittura verso di me assumendo una forma che ricorda
vagamente un bastone da passeggio. “Un bar?” ripete
perplesso.
“Dove
la gente beve,” chiarisco.
“Oh,
ma certo. Certamente. Le chiedo scusa per la mia scarsa perspicacia.
Venga con me.”
Si
incammina languido.
Raggiungiamo
in questo modo un luogo di una tristezza incommensurabile: una sala
bianca come un ambulatorio, con arredamento più che mai minimal
chic e giochi di luce soffusa. Alle pareti ci sono immagini
di
sassi impilati su sfondi indefiniti e foglie dai colori improbabili
roride di rugiada. Nell’aria depurata e microfiltrata risuona
una
rivoltante musica chill out a basso volume. Alieni
di ogni
specie siedono mesti con davanti bicchieri dal contenuto simile al
passato di verdura.
“Sono
morto e sono finito all’inferno,” non posso fare a
meno di
mormorare.
Il
kaminoano si piega di nuovo verso di me. “Vuole un succo di
frutta
o uno di verdura?”
“Niente
di tutto ciò,” rispondo inorridito.
“Preferisce
un infuso rilassante?”
Mi
astengo dal rispondere. Mi avvicino comunque al bancone e mi rivolgo
al mescitore di analcolici: “Parla il galattico
base?”
E
lui, con tono da hostess: “Ma certamente, signore.”
“Molto
bene. Ha mai sentito nominare un certo Kurtz?”
Il
tizio esita, si concentra e infine chiede: “Sta parlando di
quel
frullato depurante che si fa con le verdure arancioni e le radici del
kurtron?”
Un
brivido di orrore mi percorre la schiena. “Ehm…
no. Grazie lo
stesso.”
Rinculo
verso la mia guida, che nel frattempo è rimasta sulla porta
ad
aspettarmi. “Ha trovato quello che cercava, capitano
Veers?”
domanda premuroso l’indigeno.
“No.
Come fate da queste parti a raccogliere informazioni su
qualcuno?”
Come
sempre cortesissimo, Atama So mi risponde:
“Gliel’ho detto: c’è
l’ufficio informazioni per queste cose.”
“Io
non ho bisogno degli orari dei voli per Coruscant,” replico,
“Mi
servono notizie su uno psicopatico omicida che ha instaurato una
monarchia teocratica basata sul terrore.”
“Qui
su Kamino?” mi chiede stupefatto l’indigeno.
Comincio
a capire Kurtz e i suoi metodi.
Senza
rispondere mi raccolgo in meditazione: d’accordo che su
questo
pianeta sono rincoglioniti, ma come è possibile che arrivi
un
pazzoide con idee messianiche seguito da una torma di tagliagole,
cominci a massacrare indiscriminatamente, instauri un regno dove si
compiono rituali di abominevole crudeltà e nessuno lo noti?
“Avete
un esercito da queste parti?” chiedo.
“Sono
desolato, capitano. Li produciamo solo per
l’esportazione.”
“Polizia?”
“Che
cos’è la polizia?”
“Gendarmi?
Milizia?” L’altro si stringe nelle spalle.
Esasperato
insisto: “Insomma, come fate quando qualcuno commette un
crimine?
Chi se ne occupa?”
La
disarmante risposta è: “Qui nessuno commette
crimini. Perché
dovremmo?”
Ho
capito perché la base imperiale è abbandonata: si
sono suicidati
per la noia.
La
forza della disperazione mi fa accendere la lampadina:
“È
possibile che una nave arrivi su Kamino senza essere
rilevata?”
Atama
So scuote la testa. “Abbiamo un sistema di controllo molto
efficace.”
“Andiamo
all’ufficio informazioni.”
“Alla
buon’ora!” approva il mio accompagnatore.
Presentandomi
come ufficiale imperiale, tirando in ballo la solita faccenda della
missione a priorità uno, Tarkin e tutta la panoplia riesco,
con
grande pazienza e abnegazione, a scoprire alcune notizie
interessanti. Primo, nessuna nave ha effettuato atterraggi al di
fuori degli spazioporti negli ultimi mesi. Secondo, allo spazioporto
di Addu è stato registrato il passaggio di un tale J. Kurtz
proveniente da Sullust un paio di mesi fa, ma era su un volo di
linea, da solo e in borghese, possedeva dei documenti validi e non
manifestava alcun sintomo di squilibrio mentale.
“Un
normale turista,” conclude la voce sintetica del droide
addetto
all’ufficio.
“Cosa
aveva con sé?” gli chiedo.
Rumore
di criceti nella ruota. “Attrezzatura da pesca e
abiti,” giunge
infine la risposta.
“Non
aveva armi?”
“No
di certo!”
Vorrei
chiedere se aveva feticci, pezzi di organi interni disseccati, ossa
forate da usare come flauti o cose del genere, ma già il
sobrio
vocabolo ‘armi’ è stato in grado di
evocare sguardi di
costernata riprovazione in tutti i presenti, per cui decido di
soprassedere.
“C’è
un’immagine di questo tizio?”
Di
nuovo criceti.
Noi
attendiamo con pazienza.
Dopo
un bel po’ che i criceti corrono, la voce assume
un’inflessione
sinteticamente desolata. “Mi dispiace. Deve essersi
cancellata
durante l’ultima tempesta magnetica. Sa, le immagini lo
fanno, alle
volte.”
Mentalmente
rivolgo bestemmie irriferibili a tutte le divinità di cui
sono a
conoscenza, quindi creo sul momento alcuni pantheon e bestemmio
coscienziosamente anche quelli.
“Bene,
grazie per le informazioni. Ora torniamo a bordo,” ordino una
volta
terminato l’intermezzo mistico.
Atama
So annuisce in segno di garbato assenso. “Non vuole nemmeno
fermarsi per un frullato energetico di frutti rossi?”propone
cortesemente.
“Negativo,
è roba troppo salutare. Mi farebbe stare male.”
Perplesso
dal misterioso ossimoro, il mio accompagnatore non replica.
Torniamo
quindi al nostro simpatico natante, che nel frattempo ho scoperto
chiamarsi Iiaa. Faccio qualche tentativo di pronunciarlo, ma Atama So
con somma gentilezza ogni volta mi corregge: o non allungo bene le
vocali, o le modulo nel modo sbagliato, o non ci metto la giusta
intonazione. Dopo un po’ che miagolo come uno scurrier,
stabilisco
che il mio apparato vocale non è in grado di emettere questi
suoni e
rinuncio. Per consolarmi, il mio accompagnatore mi spiega che
l’Iiaa
è una specie di topo di mare con le pinne. Ecco che la vita
mi
sorride di nuovo.
A
bordo ci imbattiamo per prima cosa nella Du Bal ancora coperta di
crema. Schiacciata contro una parete bianca tipo ysalamiri su un
tronco sta cercando con scarsi risultati di mimetizzarsi. Appena ci
vede ci soffia contro posizionando le mani ad artiglio e scappa via
ridacchiando.
Non
faccio in tempo a voltarmi verso il mio accompagnatore che sentiamo
il tonfo di qualcosa di pesante che piomba in acqua.
Subito
dopo, la voce di uno dei tre sfigati chiede: “Signora,
è caduta?”
Dal
basso proviene qualcosa che somiglia a ‘fanculo’.
Vado
a vedere e trovo la professoressa che sta nuotando a dorso nelle
acque oleose dell’attracco. Controllo se nelle vicinanze
c’è
qualche grosso natante che sta per mettersi in moto, ma come al
solito non ho fortuna. Ci tocca di ripescarla.
Pongo
il problema ad Atama So.
Il
kaminoano guarda giù e per un po’ rimane a
contemplare la docente
che con gran starnazzi tenta di fare figure del nuoto sincronizzato,
poi chiama il secondo, che si presenta con una rete.
Berciante
e scalciante, la professoressa viene issata a bordo come un blutfish.
Sto già per chiamare Hyaskon per metterla a tacere quando
noto che
Tani Du prende in consegna tutta la rete con il suo rabbioso
contenuto e si allontana. Mi disinteresso della faccenda sperando che
il kaminoano stia andando a dare alla Du Bal il colpo di grazia.
Una
vocina mi distrae dai miei pensieri: “Signore...”
Mi
volto: i tre soldatini mi stanno fissando con gli occhi pallati.
Io
li fisso a mia volta. “Beh?” chiedo poi, visto che
nessuno dei
tre si decide a prendere la parola.
Wolfen,
che paragonato agli altri due è dotato di un indomito
coraggio, con
voce tremula mi domanda: “Signore, ma che cos’ha
la…?” Si
interrompe imbarazzato, scambia sguardi fugaci con gli altri due.
Felsen lo incoraggia: “Chiediglielo, forza.”
“Cosa,
soldato?” mi informo con la soavità di Atama So.
“Ecco,
signore, è che il colonnello ha detto
che…” deglutisce, assume
l’espressione di uno che sta per essere buttato dentro un
sarlacc.
“Ha
detto che…?”
“Che
la signora Du Bal ha il morbo bianco, che
è contagiosissimo e
incurabile, e che moriremo tutti fra atroci sofferenze.”
“Io
non voglio morire,” pigola Lawrence alle sue spalle.
Sospiro.
Dannato vecchio fossile. “Nessuno morirà,
ragazzi,” assicuro ai
tre sfigati. “La professoressa si è solo spalmata
addosso un po’
troppa crema kaminoana e questo non le ha fatto bene.
Dov’è il
colonnello, a proposito?”
Felsen
lo indica col dito. L’ottuagenario è seduto nel
canotto argentato,
opportunamente messo a traino con una cima. “La nave
è spacciata,
giovanotto!” annuncia vedendomi, “per il morbo
bianco non c’è
cura e noi ufficiali abbiamo il dovere di non esporci al contagio.
Venga qui con me.”
Visualizzo
l’immagine di me stesso e Waxen confinati
nell’angusta bagnarola
e sono colto da sudori freddi. Per salvarmi sono costretto a mentire
spudoratamente: con fare mesto, scuoto la testa.
“Ahimè, signore,
purtroppo seguirò lo stesso fato,” sospiro.
“Ho limonato tutto
il pomeriggio con Ophelia, quindi anch’io ho preso il morbo
bianco.”
Al
colonnello si drizzano i baffi per l’orrore.
“Cos’ha fatto?”
Mi
stringo nelle spalle. “Sa, la guerra… la
missione...”
“Ma
potrebbe essere sua madre, giovane pervertito! Non si
vergogna?”
“E
poi ho limonato anche con le tre reclute,” aggiungo,
“sono
condannate anche loro.”
Waxen
è scandalizzato. “Ma come ha potuto fare una cosa
del genere,
specie di depravato irresponsabile? Lei è una vergogna per
le truppe
imperiali! Non si azzardi ad avvicinarsi!”
Io
assumo l’espressione di chi si piega sotto il peso della
colpa e mi
allontano con aria afflitta.
Solo
quando sono fuori vista del fossile mi concedo un’esultanza
da
tifoso che vede la sua squadra vincere il campionato intergalattico:
Waxen a traino e la Du Bal avvolta in una rete e chiusa in una cabina
dell’equipaggio. Direi che stasera staremo in pace.
Molto
soddisfatto della mia performance teatrale, vado a cercare il mio
collega. Scendo sottocoperta e nel corridoio mi imbatto in
Fjo’ona,
che sta accarezzando con movenze lascive la porta della cabina di
Hyaskon e nel frattempo sussurra promesse di prestazioni erotiche
inenarrabili.
“Dov’è
il capitano medico?” le chiedo con aria innocente.
Lei
fa il broncio. “Qui dentro. Non vuole aprire.”
“Starà
dormendo.”
“No,
è sveglio. Evan?”
Da
dentro giunge una voce furibonda: “Brutta troia, se non te ne
vai
da lì entro dieci secondi giuro che ti stendo di nuovo, e
stavolta
per sempre!”
“Hyaskon?”
chiamo.
“Me
la tolga di torno, Veers!” sbraita lui da dentro. La voce ha
un
inquietante tono di esasperazione.
“Mi
faccia entrare un attimo.”
“Non
si azzardi a portare dentro quella!”
Fisso
Fjo’ona, che immediatamente si mette a piangere in modo
straziante,
e rispondo: “Tranquillo, entro solo io.”
“Ho
delle siringhe e non ho paura di usarle!”
“D’accordo,
Hyaskon, stia tranquillo. Ho detto che entro solo io.”
La
porta si socchiude. Ovviamente la twi’lek cerca di infilarsi
nel
varco, ma riesco a bloccarla in tempo. Appena sono dentro, il
capitano medico fa scattare la serratura. Da fuori, tra singhiozzi e
gemiti, Fjo’ona continua a ripetere: “Roy, digli di
aprire,
facciamo una cosa a tre. Facciamo il sandwich, facciamo anche il
girarrosto se volete...”
Mi
volto verso il mio collega, che scuote la testa e mi fa:
“È così
da quando è tornata a bordo. Va a finire che la ammazzo
davvero.”
Dall’altra
parte della porta, la pitonata strilla: “Allora lo vedi che
mi ami?
Mi vuoi uccidere perché a te piacciono morte! Ma io so stare
fermissima, vedrai, non ti accorgerai nemmeno che sono ancora viva.
Posso stare anche un po’ in frigo, se vuoi, così
sono fredda.”
A
quest’ultima uscita, Hyaskon prende la sua borsa e comincia a
frugarci dentro. Tira fuori una fiala, la aspira e poi mi sibila:
“Apra.”
Io
lo fisso con sguardo interrogativo e mi passo la mano sul collo nel
tipico gesto di tagliare la gola.
Lui
scuote la testa. “Nah, questa non me la scoperei nemmeno se
fosse
morta da una settimana. È solo un sonnifero.”
Una
volta stesa la pervicace aliena, racconto a Hyaskon l’esito
delle
mie ricerche e la tristezza del bar intergalattico che ho avuto la
disgrazia di vedere. Il capitano ascolta con crescente orrore la mia
narrazione, infine cupo proferisce: “Gliel’avevo
detto che questa
missione sarebbe stata terribile.”
“Un
po’ di sostegno non guasterebbe.”
“Moriremo
tutti.”
“Perfetto,”
rispondo sarcastico, “proprio quello che mi
serviva.”
“Kurtz
ci torturerà per giorni e giorni, vedrà. Ce
l’ha ancora la sua
fiala, vero?”
“Quello
che mi piace di lei, Hyaskon, è che è un
ottimista,” rispondo
alzandomi. “Ci pensa lei a spostare
Fjo’ona?”
L’aliena
giace ancora com’è caduta, di traverso sulla
soglia. Sospirando,
il capitano medico la prende per i piedi e la trascina fuori giusto
quel tanto da permettere alla porta di chiudersi.
“Fatto,” mi
dice, poi si ritira nelle profondità del suo alloggio.
Io
scavalco la pitonata e salgo in coperta alla ricerca degli indigeni.
Trovo
solo Atama So, che è in plancia a cosare cosi.
“Quanto dista da
qui Addu?” gli chiedo.
L’altro
consulta brevemente il computer di bordo, quindi con soavità
mi
risponde: “Un giorno di navigazione.”
“Bene,
andiamoci.”
Altra
consultazione del computer di bordo, poi il kaminoano, come sempre
gentilissimo, mi avvisa: “Non ci arriveremo entro
oggi.”
“Non
si può navigare di notte?”
Mi
guarda come se gli avessi chiesto se è possibile navigare
con uno
scurrier infilato nel culo.
“Possiamo
metterci in rotta, perlomeno?”
Ulteriore
consultazione. Infine giunge la risposta: “Ma certamente.
Però non
c’è niente di interessante da vedere
là, è solo un piccolo
spazioporto.”
“Se
fossi venuto su Kamino per ammirare le bellezze locali sarei in
bermuda e camicia hawaiana e avrei una tavola da surf
sottobraccio.”
“Capisco.”
Accende i motori.
Dopo
un po’ siamo in navigazione. Waxen è sempre al
traino, la Du Bal
permane irreperibile così come il secondo di bordo Tani Du,
tanto
che a servire la cena è Atama So in persona.
Non
deve faticare molto, comunque, perché a tavola ci siamo solo
io,
Hyaskon e le tre reclute. Fjo’ona è in qualche
paradiso chimico a
sognare gamorreani superdotati e Lothar è a poppa che
bramisce con
la più cupa disperazione rivolto a Waxen. Il vecchiaccio,
tuttora
timoroso del contagio, lo insulta e gli tira oggetti nel tentativo di
farlo allontanare.
Noi
superstiti ci alimentiamo, al solito con cibi di assoluta tristezza,
e beviamo ignobile e dolciastra Tusken-Cola, in grado di strappare un
sorriso di apprezzamento unicamente ai tre imberbi.
Fuori
nel frattempo il cielo è limpido e si vedono persino le
stelle.
“Peccato
che abbia steso la twi’lek,” dico a Hyaskon,
“si immagina? Voi
due a tenervi la manina, sulla terrazza panoramica...”
“Spiritoso,”
ringhia il capitano medico fissandomi torvo.
Non
insisto, certi sguardi di Hyaskon di solito preludono ad azioni che
sono certo di non voler vedere concretizzate. Anzi, per stare sul
sicuro vado nella mia cabina e mi di chiudo dentro, disponendomi a
dormire il sonno dei giusti.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Giorno 11 - Finalmente qualche informazione ***
Giorno
11 – Finalmente qualche notizia
Una
scoperta interessante che ho fatto nel corso della notte: con la
schiena ustionata e un caldo bastardo in cabina è
impossibile
dormire il sonno dei giusti. Si dorme quello degli sfigati, al
massimo, a periodi di circa trenta minuti intervallati da lunghe ore
di veglia a pancia in giù e bestemmie.
Forte
di questa consapevolezza, mi calo con circospezione giù dal
letto,
mi rendo operativo e mi affaccio all’esterno.
Fuori
c’è Fjo’ona, che appoggiata al parapetto
guarda l’orizzonte
con l’espressione del dewback che pascola.
La
saluto e le chiedo come mai si è alzata così
presto.
Lei
aggrotta le curatissime sopracciglia e fa: “Non lo so,
è da quando
siamo su questa nave che non sto bene, sono sempre
intontita...”
Sto
per rispondere quando ad un tratto comincia a risuonare
nell’aria
una strana nenia: somiglia alle cadenze che ci facevano cantare in
Accademia durante gli allenamenti. Rimango perplesso in ascolto e le
mie incolpevoli orecchie sono aggredite da quanto segue:
Sesso
alieno, sesso alieno
non
ne posso fare a meno!
Della
twi’lek la foresta
mi
fa perdere la testa!
E
del gungan la gran mazza
mi
fa scender la sbavazza!
Fjo’ona
si volta basita verso di me. L’unica cosa che dice, con tono
indignato, è: “Io non ce l’ho la
foresta!” E poi si alza la
minigonna, sotto la quale ovviamente è nuda come una lumaca
acquatica di Merakai, per dimostrarmi che non sta mentendo. Io
constato e le faccio cenno di riabbassare l’indumento.
Intanto
il ritmo della cadenza cambia, e ci viene elargita un’altra
strofa:
Su
e giù, su e giù!
Dammene
sempre di più!
La
voce che canta è femminile. Ora, considerato che a bordo ci
sono
solo due femmine e una è di fianco a me, il cerchio si
restringe.
La
canzone frattanto riprende col ritmo di prima:
Se
il gamorreano è brutto,
il
suo cazzo sfonda tutto!
Niente
sesso oral col wookiee
con
lui faccio altri giochi.
Di
Kamin non dico niente,
ma
il sorriso mio non mente!
Mi
viene un orrendo sospetto: cos’ha combinato la Du Bal nella
cabina
di Tani Du?
Mentre
sto cercando di non pensarci, mi raggiunge anche Hyaskon, che mi
chiede: “Veers, per caso c’è un
artigliere ubriaco a bordo?”
“Non
che io sappia,” gli rispondo.
“E
allora chi è che fa questo casino?”
Ci
spostiamo con cautela verso la provenienza degli orrendi vocalizzi e
scorgiamo la professoressa, non più bianca ma ancora
decisamente
squinternata, che sta facendo ginnastica a tette nude e nel frattempo
canta a squarciagola.
A
ogni passaggio di Tani Du, la docente si interrompe e gli rivolge
apprezzamenti di inaudita grevità, peraltro ricambiati con
calore
dall’altrimenti compassato indigeno.
Fjo’ona
ascolta per un po’ e poi mettendosi le mani sui fianchi
proclama
scandalizzata: “Io con quella sporcacciona non voglio avere
più
niente a che fare!”
Il
proverbio dice: se anche la bagascia twi’lek chiama
qualcuno
sporcaccione, è segno che stiamo annaspando nella
volgarità più
becera.
Persino
il sole, di fronte a questa scena ignominiosa, sceglie di scomparire
dietro una coltre di nubi e il cielo si fa come di consueto
grigiastro.
Mi
domando cosa possano trovarci i kaminoani (o chiunque altro) nella Du
Bal, ma la voce della Coscienza interviene ancora una volta
comunicandomi perentoria che non lo voglio sapere.
Rinuncio
alla mia curiosità, ma rimango comunque a chiedermi che
cazzo di
problema abbiano questi repellenti antropoidi astemi e biancastri,
estimatori di vecchie carampane, a loro agio su un pianeta la cui
disgustosa umidità è seconda solo
all’odio per la vita che riesce
ad instillare in qualsiasi creatura senziente dopo soli tre giorni di
permanenza.
A
questo punto, un urlo belluino fa tremare l’aria:
“Veers!”
La
voce è quella del fossile. Ci spostiamo a poppa, sperando
che
l’ottuagenario stia urlando perché la cima del
canotto si è rotta
e il suddetto sta andando alla deriva.
Ciancicato
e spettinato, i baffi più frementi che mai, Waxen
è in piedi a
gambe larghe, con le consuete mani a brocca sui fianchi.
“Maledetto
pirata!” mi apostrofa non appena entro nel suo campo visivo,
“Specie di delinquente di infimo livello, le garantisco che
questo
ammutinamento le costerà caro!”
Io
lo guardo esterrefatto. “Prego?”
“Non
faccia finta di non capire, ignobile canaglia! Lei si è
ammutinato e
mi ha confinato per tutta la notte su questo ridicolo natante, senza
cibo, esposto al freddo e agli assalti delle creature marine! Ma non
finisce qui, sa? Questa storia andrà a finire
dall’Imperatore in
persona!”
Emetto
un sospiro esasperato. Naturalmente non avrebbe alcun senso ricordare
al colonnello che si è rifugiato lui stesso nel canotto per
sfuggire
al cosiddetto morbo bianco.
“Ora
mi faccia tornare a bordo!” sbraita il vecchiaccio,
“E perlomeno
pretendo una cella degna di questo nome, visto che sono un ufficiale
superiore!”
Scambio
un’occhiata con Hyaskon e capisco che anche lui sta pensando
quello
che penso io: ma sai che non sarebbe per niente male tenerlo
in
cella fino alla fine della missione?
Il
capitano medico raffredda subito il mio entusiasmo. “Non
servirebbe
a niente,” dice in tono cupo, “tanto fra
mezz’ora si sarà già
dimenticato del cosiddetto ammutinamento.”
“Non
potremmo ricordarglielo di tanto in tanto? Giusto per tenerlo fuori
dalle palle?”
“Non
servirebbe.”
“Veers!”
sbraita frattanto il fossile, sempre in piedi e con le mani a brocca,
“Infame pirata, disonore della sua famiglia! Esigo
di
tornare a bordo!”
Dopo
un po’, ovviamente, i clamori attirano i tre soldati, che si
presentano scortati dal wookiee. Alla vista del fossile che
sacramenta, tutti rimangono basiti.
Sottovoce
dico a Lothar: “Sta al gioco.” Poi, con tono di
comando, alle
perplesse reclute: “Tirate qui il canotto.”
“Alla
buon’ora!” esclama Waxen, dando prova di un
equilibrio da
surfista mentre il suo natante viene trainato dagli imbranati.
Appena
arriva sottobordo, ordino al wookiee di tirarlo su. Waxen si ritrae
inorridito e strilla: “Che cos’è questo
ammasso di pelo?”
Con
gran cortesia gli spiego: “È il mio secondo, che
ha ordine di
staccarle le braccia se lei non collabora.”
“Cedo
alla violenza,” replica allora l’ottuagenario,
sempre fremendo di
fiero sdegno, e si lascia issare.
Fatto
questo, lo scortiamo alla sua cabina ricordandogli che è
agli
arresti e facendogli presente che il wookiee, noto appassionato
dell’amputazione traumatica di arti altrui, è
sempre in giro per
la coperta.
Una
volta conclusa la scenetta, comincio ad avvertire il pizzicore di
sguardi intensi sulla nuca. Mi volto e ci sono le tre reclute che mi
stanno fissando con una via di mezzo tra sbalordimento e terrore.
“Beh?”
li apostrofo.
I
tre fanno un passo indietro.
“Ma
dai, non ci avrete mica creduto?”
Silenzio
assoluto da parte dei tre sfigati.
Sospiro.
“Ragazzi, era una recita. Non c’è nessun
ammutinamento.”
I
soldatini non sono molto convinti, ma hanno evidentemente paura di
contraddirmi, per cui rimangono in silenzio a parte un flebile
sissignore mormorato da Wolfen, che ricordiamo
essere dei tre
quello dotato di indomito coraggio.
Io
a questo punto mi rivolgo a Hyaskon e noto una cosa che nel casino di
Waxen mi era sfuggita: non ha più la twi’lek
appesa agli
attributi. Gli chiedo il motivo del misterioso fenomeno.
Lui
mi rivolge un ghigno diabolico. “Nontromb Forte,”
mi spiega, “Per
fortuna che ce l’avevo con me. Lo usano per sedare i maschi
di
gundark quando le femmine vanno in calore. Una fiala e ti viene
voglia di scopare dopo un mese. Io per sicurezza gliene ho fatte
tre.”
Chi
è in grado di intendere e di volere va a fare colazione, il
che
significa che la Du Bal rimane a strisciare lungo le pareti facendo
finta di essere un Ysalamiri e Waxen se ne sta pervicacemente
confinato nella sua cabina convinto di essere agli arresti.
Noi
superstiti ci alimentiamo con tristezza kaminoana, serviti da un
assonnato Tani Du.
Fjo’ona
guarda fuori speranzosa, ma la coltre di nubi si è
addirittura
ispessita e spira l’ormai consueto venticello umido. Ci fissa
come
se fosse tutta colpa nostra, quindi imbronciata proclama che
andrà
nella sua cabina ad applicarsi una maschera rilassante. Si alza e si
allontana beccheggiando sulle zeppe dorate.
Lothar
bramisce qualcosa che nella sua lingua potrebbe corrispondere a
‘che
palle’, quindi raccoglie nel suo piatto tutto ciò
che è rimasto
di commestibile, compreso quello che noi abbiamo lasciato
lì, e
comincia a mangiare dimentico di tutto il resto.
Io
raggiungo Atama So in plancia e gli suggerisco che forse non sarebbe
una cattiva idea salpare per lo spazioporto di Addu.
Il
kaminoano pondera attentamente la faccenda, quindi con la massima
calma risponde: “C’è mare
grosso.”
“Ottimo,
così non ci annoieremo.”
“Ma
i suoi soldati soffrono il mal di mare.”
“Sono
guariti.”
“Non
c’è il sole.”
“Ce
ne faremo una ragione.”
Quando
Atama So ha esaurito la lista delle scuse, io sono ancora inamovibile
nel mio proponimento di salpare per Addu. Rassegnato, il comandante
chiama il secondo per le manovre, ma esso risulta irreperibile. Dopo
vari tentativi, Tani Du arriva trascinando i piedi e con vistose
borse sotto gli occhi. Dietro di lui compare per un attimo nel vano
della porta la Du Bal a quattro zampe, ci soffia facendo il gesto di
graffiare e poi si allontana sghignazzando.
Spero
che la neurotossicità delle medicine kaminoane sia
irreversibile,
sai le risate quando la riporterò sulla Morte Nera?
La
nave, comunque, nonostante la tenace resistenza passiva
dell’equipaggio, si mette alla fine in movimento alla volta
dello
spazioporto.
Ci
sono in effetti delle onde piuttosto alte, ma Hyaskon deve aver
somministrato a se stesso e ai tre imbranati qualche intruglio bello
potente, perché li vedo tutti tranquilli e impegnati nelle
loro
faccende.
Quello
che non trova pace è il wookiee. Si aggira muggendo per la
coperta e
non sta fermo un secondo. Dopo un po’ che si agita, gli
chiedo qual
è il problema.
La
risposta mi giunge immediata, ed è di disarmante
semplicità:
albero. Va bene anche una palma. Anche un bastone piantato per terra.
I
wookiee non la fanno spesso, la possono tenere anche un paio di
giorni, ma quando scappa, scappa.
Espongo
la questione al comandante.
Atama
So la pondera attentamente mentre Lothar saltella da un piede
all’altro come una versione pelosa e alta due metri e venti
di
Fjo’ona.
Ma
se la flemma dei kaminoani irrita me, si può immaginare
quanto
riesca a esasperare uno che si sta pisciando addosso e sente ovunque
rumore di acqua sciabordante. Lothar si appropinqua ruggendo al mio
serafico interlocutore e ciò lo convince ben più
di qualsiasi mia
argomentazione a trovare una lingua di sabbia con palme in tempi
possibilmente brevi.
Dopo
poco, in effetti, compare all’orizzonte il tipico profilo di
palmizi. L’acqua si fa più chiara, segno che il
fondale si sta
alzando.
Non
appena arriviamo nei pressi dell’atollo, Lothar comincia a
mugolare
come un forsennato, sperimentando sulla sua pelle, o meglio sul suo
pelo, quanto sia lungo un minuto quando devi disperatamente pisciare.
L’equipaggio
sta ancora ultimando le manovre per calare i canotti, ma il wookiee,
con decine di palme fruscianti sotto gli occhi, non ha alcuna
intenzione di aspettare. Salta in acqua come un blutfish e si dirige
a nuoto verso la battigia.
Una
volta arrivato a terra si scuote vigorosamente e corre come un razzo
verso la macchia di vegetazione, dalla quale sentiamo salire dopo un
po’ il tipico ululato di sollievo del wookiee che
è riuscito
finalmente a trovare un albero.
Io
penso già alla puzza di dewback morto che farà
asciugandosi.
Mentre
sono immerso in queste meditazioni, la Du Bal parte a testa bassa, si
butta in acqua con il tipico stile ‘hutt obeso’ e
pagaiando
scompostamente arriva in qualche modo a terra. Muovendosi
più o meno
a quattro zampe si dà alla macchia.
Io
rimango basito a osservare gli arbusti nei quali la docente si
è
infilata e come al solito non so se proseguire dimenticandomi
che l’abbiamo persa da qualche parte o raccattarla
perché se no mi
troverei a dover uccidere troppi testimoni.
“Non
si preoccupi, è un’isola,” mi rassicura
dall’alto la voce
soave di Atama So.
Mi
guardo intorno: tutti in coperta, maledizione, compresa
Fjo’ona che
si chiede perché Ophelia
sia
andata sulla spiaggia, visto che non c’è il sole*.
A
questo punto schizza fuori dalla vegetazione, correndo come se avesse
un sigaro acceso nel culo, il nostro wookiee, che muggendo e
bramendo si butta in acqua, brucia tutti i record galattici di cento
metri stile libero e salta a bordo. Sotto gli strati di pelo ha
l’occhio totalmente pallato.
Lo
fisso con aria interrogativa.
Lothar
si scuote energicamente, facendo sì che chiunque sia nel
raggio di
cinque metri imprechi con la stessa energia, poi mugola qualcosa che
nella sua lingua significa: “Quella là ha cercato
di saltarmi
addosso!”
“Può
solo peggiorare,” è il costruttivo commento di
Hyaskon,
sopraggiunto nel frattempo.
Lo
fisso inorridito: “Sarebbe a dire?”
“Bisognerà
abbatterla.”
“Non
dico che mi dispiacerebbe,” gli rispondo, “ma poi
cosa mi invento
con i miei superiori?”
“In
una missione militare possono succedere un sacco di cose, no?”
“In
effetti...”
A
questo punto però interviene Tani Du, che con tutto
l’entusiasmo
che la sua specie gli consente, ovvero quello che per noi
corrisponderebbe ad una tiepida approvazione, mi dice: “Vado
a
prendere la signora.”
Salta
nel canotto argentato e parte a razzo verso la spiaggia.
Mi
volto verso il capitano medico e sospiro: “Per questa volta
pazienza, aspetteremo un’occasione buona.”
E
lui: “Peccato, ci avrei tenuto a sezionare il suo cervello.
Chissà
che danni ha fatto la neurotossina kaminoana sul suo sistema
nervoso...” Si lecca le labbra come io farei di fronte a un
boccale
da un litro colmo di bionda e spumeggiante Imperial Lager.
Passa
un po’ di tempo, poi il Tani Du esce dalla vegetazione con la
docente attaccata addosso tipo balano. Tornano a bordo con il canotto
come se fossero sulla barchetta dell’amore dei luna park.
Vista
l’espressione di entrambi, direi che manca solo la sigaretta.
L’appagamento
delle libidini ci consente comunque di ripartire e per un po’
mette anche tranquilla la rincoglionita professoressa, quindi la
navigazione procede senza altri ostacoli fino allo spazioporto di
Addu.
Già
da lontano vediamo che è un posticino molto più
dimesso di Derem:
la struttura è piccola e non ha nulla di minimal
chic, dà
anzi l’idea di una costruzione tirata su alla meglio con i
tronchi
delle palme.
Ci
sono alcune piazzole di atterraggio piccole e medie nei dintorni, una
sola per grossi cargo, e qualche molo per i natanti. Ci sono
pochissimi mezzi parcheggiati, praticamente tutti locali.
Il
posto ha un’aria sonnolenta, quasi dimenticata.
“Ethnic
chic,” osserva il capitano medico,
“caruccio.”
Attracchiamo
senza difficoltà, vista la penuria di traffico, quindi
scendo a
terra portandomi dietro Atama So.
All’interno
dell’edificio c’è la solita triste
mescita di succhi,
frequentata perlopiù da kaminoani. Qualche alieno di altri
pianeti
siede avvilito in compagnia di orrendi bicchieroni di frullato.
Stavolta
non perdo tempo a interrogare il cosiddetto barista, vado
direttamente all’ufficio informazioni chiedendo notizie del
famigerato J. Kurtz che dovrebbe essere atterrato qui alcune
settimane fa.
Solita
storia, missione a priorità uno, Tarkin incazzato,
l’Impero in
tutta la sua sinistra potenza, indegnamente rappresentato dal
sottoscritto.
Veniamo
a sapere che il nostro J. Kurtz è in effetti atterrato, col
volo
settimanale da Sullust, due mesi fa, che aveva con sé
vestiti e
attrezzature da pesca e che non ha avuto nessun tipo di comportamento
strano per tutta la sua permanenza all’interno dello
spazioporto.
Siamo al punto di prima.
“Qualcuno
ha parlato con costui?” chiedo al droide
dell’ufficio
informazioni.
Si
ode il consueto rumore di criceti, poi giunge la risposta:
“Un
funzionario doganale ha controllato il suo bagaglio.”
“Perfetto!
Aveva armi di distruzione di massa e feticci confezionati con organi
interni?”
Il
droide accoglie la domanda con distacco. Controlla i suoi database e
risponde: “No, il funzionario voleva controllare che non
avesse con
sé bevande proibite.”
“E
le aveva?”
“Una,
ma gliel’ha prontamente sequestrata.”
Mentre
io e Atama So ci allontaniamo per andare a conferire con il
funzionario, penso che non vorrei essere nei panni di un doganiere
che va a sequestrare una bottiglia di birra a Kurtz. Non può
trattarsi del nostro Kurtz, perché
quello l’avrebbe come
minimo scuoiato vivo e si sarebbe fatto una valigia con la sua pelle,
per riempirla poi di birre.
Con
la mia solita fortuna, sarà un banale turista che ha lo
stesso
cognome, e io mi dovrò passare la vita a girare su e
giù per questo
pianeta deprimente e privo di alcol, dal quale magari il vero Kurtz
se ne sarà andato con disgusto dopo tre giorni.
Arriviamo
finalmente dal doganiere, che ci accoglie con la consueta flemma
kaminoana. Parla il galattico base, e questa è
già una gran cosa.
Gli chiedo di Kurtz.
Si
ricorda l’episodio, anche perché da queste parti
arrivano pochi
umani. Una tenue luce di speranza comincia a brillare nel deserto
della mia mestizia.
“Me
lo può descrivere?” gli chiedo.
Apodittica,
giunge la risposta: “Era un umano.”
“D’accordo,
un umano come?”
“Lei
distingue i kaminoani uno dall’altro?”
“Solo
dal colore dei vestiti.”
“Ecco,
appunto. Se le interessa, posso dirle che il Kurtz in questione
indossava una camicia dai colori molto sgargianti.”
Il
deserto della mia mestizia ripiomba inesorabilmente
nell’oscurità.
Faccio
un ultimo tentativo: “Sa dov’è andato
dopo?”
Lui
annuisce. “Sì, anche perché vanno tutti
lì. È andato da Ko
Paini.”
“Chi
o cosa sarebbe Ko Paini?”
“Un’agenzia
turistica.”
Ringrazio
e me ne vado. Sono avvilito come un toydariano che riesce a vendere
uno sprinter di sottomarca taroccato e appena l’acquirente
è
sparito scopre di essere stato pagato con crediti falsi.
“Andiamo
da Ko Paini?” mi propone Atama So incoraggiante.
Emetto
un sospiro da rangkor morente. “Proviamo anche
questa.”
L’agenzia
turistica, sempre in stile ethnic chic, ci accoglie
nella
persona di una graziosa hostess kaminoana, che ci saluta e ci chiede
su quale atollo di sogno vogliamo trascorrere la nostra luna di
miele.
Ci
sono rimaste poche cose in grado di imbarazzarmi nella Galassia, ma
mi sono appena imbattuto in una di esse.
Mi
giro basito verso il mio accompagnatore, che si stringe nelle spalle
e spiega: “Questo è un posto dove vengono spesso
le coppie in
viaggio di nozze.”
“Capisco.”
Chiarisco
l’equivoco alla solerte hostess, che ovviamente si scusa
innumerevoli volte rendendo ancora più profondo e cupo
l’imbarazzo,
poi spiego il vero motivo della mia presenza lì.
Ansiosa
di riparare alla gaffe di poco prima, la nostra simpatica
interlocutrice si appropria di uno dei terminali e lo consulta.
“Ma
certo,” risponde dopo un po’, “il signor
Jerec Kurtz. Me lo
ricordo perché era da solo.”
Il
nome corrisponde.
“Da
solo?” ripeto perplesso, “Non c’era
nessuno con lui?
Sullustiani? Umani brutti, grossi e tatuati?”
La
hostess scuote la testa. “Ha affittato una piccola isola a
Pheli
Doo.”
Sono
sempre più perplesso. “Un’isola
intera?”
“Ha
detto che gli piaceva la tranquillità. Ha noleggiato anche
una barca
per andare a pescare.”
Ci
facciamo dare tutti gli estremi del caso. L’isola
è assolutamente
sperduta, a ore di navigazione da qualsiasi cosa. Non
c’è neppure
una misera piazzola d’atterraggio, a malapena un molo per i
natanti.
Approfitto
dell’agenzia turistica per mandare la solita cartolina a
Tarkin e
poi torno a bordo nel più cupo sconforto.
Questo
non può essere il nostro Kurtz, penso frattanto, sarà
un
Kurtz qualsiasi, che per qualche strano caso si chiama esattamente
come il nostro. Arriverò a Pheli Doo dopo essermi frantumato
le
gonadi su questa maledetta bagnarola e mi troverò davanti un
impiegato del catasto di Coruscant che si vuole godere le meritate
ferie in pace. Dovrò ricominciare tutto da capo, senza
indizi e
senza birra.
Durante
la nostra assenza, Tani Du ha preparato da mangiare. Ha fatto un
po’
come poteva, perché con la Du Bal costantemente attaccata a
un arto
ha avuto qualche difficoltà logistica, ma più o
meno riusciamo ad
alimentarci.
Mentre
stiamo tristemente pranzando, il sole ha la cattiva idea di fare
capolino tra le nubi. Immediatamente, la twi’lek molla le
posate,
salta in piedi come un mandaloriano che ha azionato il jetpack e si
fionda in cabina. Prima ancora che possiamo realizzare cosa sta
succedendo, torna fuori con una bracciata di armamentario da
spiaggia, zompa giù dalla nave e traballando sui sabot corre
a
stendere l’asciugamano sulla derelitta lingua di sabbia che
circonda lo spazioporto, incurante di rottami e meduse morte.
“È
andata,” dice Hyaskon.
“Appena
finito di mangiare ripartiamo,” replico, cercando di mostrare
il
tipico cipiglio del rigido ufficiale imperiale.
“Sa
cosa mi piace di lei, Veers? Che è un ottimista.”
“Credevo
di piacerle per il mio fascino.”
“Adesso
non si allarghi troppo. Primo, è ancora caldo, e
poi…”
Non
sapremo mai cos’altro mi manca per far colpo sul capitano
medico.
La porta della cabina di Waxen si spalanca e sentiamo
l’aborrita
voce esclamare: “Che magnifica dormita! E che splendido
sole!”
L’ottuagenario
esce con il consueto molleggio ginnico, si affaccia alla murata e
soggiunge: “E chi è quella vezzosa signorina dal
delicato colore
celeste che ci sta mostrando le sue grazie?”
Nella
mestizia che mi affligge, ho appena deciso di rinunciare alle
spiegazioni. “Secondo lei chi è, signor
colonnello?” gli
domando, ben deciso a dargli ragione qualunque cosa dirà.
E
lui: “Ma per tutti i bantha, è chiaramente una
povera fanciulla
sperduta che ha bisogno del nostro aiuto! Veers, dia ordine di
approntare la scala, devo scendere a terra per salvarla!”
Perché
in una scosciata che prende il sole Waxen veda una fanciulla
bisognosa di aiuto è un mistero che solo Hyaskon, se ne
avesse
voglia, potrebbe chiarire. Io, più prosaicamente, chiamo
Atama So e
gli espongo il problema.
La
scaletta viene abbassata in men che non si dica e il fossile la
discende con altrettanta rapidità.
C’è
da fare a questo punto un’altra precisazione sulla convoluta
psiche
twi’lek: prendere il sole in spiaggia con costumini ridicoli
è
un’improrogabile esigenza della loro specie, un po’
come per i
wookiee fare la pipì contro un supporto solido. Ogni
tentativo di
distogliere la twi’lek da tale attività comporta
gravissimi rischi
per l’incolumità personale.
Io
rimango a seguire le mosse del colonnello per vedere se questa
è la
volta buona che riesco a prendere due bog-wing con uno scurrier.
Waxen
scende sul molo. Per prima cosa si arriccia i baffi, poi si sistema
il costume a righe orizzontali bianche e nere e tira in dentro la
pancia. “Gentile signorina!” proclama, raggiungendo
la scosciata
con passo aitante.
Fjo’ona,
tanga a filo interdentale, reggipetto inesistente e occhiali da sole
da Mon Calamari, unta come un gamorreano sudato, non gli dà
udienza.
“Mi
chiedevo, graziosa fanciulla, se avesse bisogno d’aiuto,
tutta sola
su questa spiaggia ostile.”
La
twi’lek finalmente si volta verso di lui. Si abbassa gli
occhiali
da sole per poterlo guardare in faccia.
“Cos’avrebbe che non va
il mio stile?” ringhia, ignorando che nel galattico base
esistano
vocaboli complessi come ‘ostile’.
“Il
suo stile è perfetto, mia cara,” le assicura
Waxen, facendo un
altro passo nella sua direzione. Nel movimento proietta la sua ombra
sulla pancia della pitonata.
Fjo’ona
afferra d’acchito la prima cosa che si trova a portata di
mano,
ovvero una medusa morta, e la lancia contro l’importuno
colonnello.
“Vada via, brutto sporcaccione!” strilla.
“Non vede che sto
prendendo il sole?”
Il
colonnello, i cui circuiti inibitori assomigliano allo spirito
d’iniziativa dei kaminoani, così brutalmente
respinto nelle sue
avances si inalbera immediatamente. “Come ti permetti, specie
di
meretrice da cinque crediti?”
Recupera
la medusa morta e gliela restituisce con gli interessi. Il
celenterato si spiaccica su una tetta della twi’lek con il
rumore
di un suicida dal terzo piano.
Brutalmente
distolta dalla sua attività elioterapica e convinta che si
stia
mettendo in dubbio il suo stile, Fjo’ona si inalbera a sua
volta.
“Vattene subito, sto prendendo il sole!” strilla,
quindi recupera
un paio di meduse, manciate di sabbia, un pezzo di legno e
probabilmente una cacca di worrt e tira tutto
all’ottuagenario, che
a sua volta si improvvisa artigliere e bersaglia la scosciata con
altrettanto pattume.
Io
seguo la scena appoggiato alla murata, guardandomi bene
dall’intervenire.
“Prima
o poi si stancheranno,” fa Hyaskon, appoggiato di fianco a me.
“È
quello che penso anch’io.”
Rimaniamo
assorti nella contemplazione, pensando ai massimi sistemi, ai motori
primi e ai fini ultimi. Manca solo una birra.
Man
mano che la lite procede, sempre più gente si appoggia alla
murata
per seguire la scena. Il wookiee dopo un po’ comincia a fare
il
tifo per il colonnello, sottolineando con lunghi barriti e un gran
mulinare di braccia ogni colpo che va a segno. Ci spostiamo per
evitare di beccarci qualche sberla.
I
tre imbranati seguono la rissa con espressione stupefatta.
La
Du Bal si affaccia per un attimo, poi miagola qualcosa e gattona via
sghignazzando.
Alla
fine, la pur tenace tempra dei due contendenti deve cedere alla
stanchezza. Ansanti, sporchi e sudati, i due si fissano torvi, ma
l’incazzatura ormai è sbollita e non hanno
più la forza di
riprendere a lanciarsi roba. Ostentando sussiegosa indifferenza, la
twi’lek recupera il suo telo da bagno, lo scuote per
liberarlo
dalla sabbia e lo stende con cura. Fa per sdraiarsi di nuovo, ma
miracolosamente il sole scompare. “Guarda che cosa hai
fatto!”
protesta esasperata, ma probabilmente è l’unica
situazione da
quando siamo partiti in cui il colonnello non ha assolutamente alcuna
colpa.
Reputandolo
vincitore della contesa, il wookiee dapprima lo acclama, poi lo
raggiunge festante e lo solleva di peso, portandolo a bordo in
trionfo. Waxen si dimena e sacramenta urlando di togliergli di dosso
il tappeto ambulante.
Il
sole è rimasto fuori mezz’ora scarsa, che
però è stata
largamente sufficiente per ustionarmi ogni centimetro di pelle non
protetto dai vestiti.
Hyaskon
mi fissa con interesse e mi propone: “Che ne direbbe di darsi
anche
lei la crema kaminoana? Così posso studiare il fenomeno
della
neurotossicità su due campioni invece che su uno
solo.”
“E
lei che ne dice di un cazzotto, Hyaskon?”
Il
capitano medico pondera la faccenda. “Dipende
dove,” dice poi.
“Prego?”
“Farsi
colpire i genitali in condizioni di moderata ipossia è molto
eccitante. Sono lusingato dalla sua offerta. Poi se ci tiene lo
faccio provare anche a lei.”
Mi
ritraggo un passo per volta, senza dargli le spalle. “Come se
avessi accettato, eh?” gli dico quando sono a distanza di
sicurezza, poi vado alla ricerca di Atama So per far ripartire la
maledetta bagnarola alla volta di Pheli Doo.
Quando
arriviamo in mare aperto, si comincia a ballare parecchio. Nemmeno i
più potenti farmaci di Hyaskon riescono a contrastare un
moto ondoso
così violento, con il risultato che lui e i tre soldati
scompaiono
nelle rispettive cabine.
Fjo’ona,
che si trova su un atollo tropicale ma non può prendere il
sole,
stabilisce che la sua vita è un orribile abisso di
sofferenza.
Annuncia che andrà a cambiarsi d’abito e a
truccarsi per
suicidarsi con stile e scompare a sua volta in cabina.
Il
colonnello mi racconta una complicata storia su una battaglia in cui
avrebbe combattuto contro un branco di gundark inferociti col solo
ausilio di qualche medusa morta e di un pezzo di legno trasportato
dalle correnti. Essendo completamente spossato dalla lunga lotta, mi
spiega, se ne andrà a dormire un po’. Mi cede il
comando
suggerendomi di chiamarlo in caso di bisogno. Gli assicuro che non
mancherò di farlo e penso frattanto se ci sia qualche
sistema per
inchiodare la porta della sua cabina una volta che è dentro.
Il
wookiee è alla ricerca di un corpo contundente. Scendendo a
recuperare Waxen ha trovato in un mucchio di pattume una noce di
cocco e ha tutte le intenzioni di mangiarsela.
Non
avendo Lothar trovato nulla di compatibile con le sue esigenze, lo
sorprendo mentre con tipica delicatezza wookiee sta sbattendo la noce
di cocco sulla capottatura del navigatore. Lo cazzio orribilmente e
lui se ne va mugolando.
In
tutto questo, rimane irreperibile la Du Bal, pur essendoci Tani Du
nei paraggi.
Stabilisco
che non me ne può fregare di meno e salgo sulla terrazza
panoramica
per vedere se Pheli Doo compare all’orizzonte.
Non
appena sporgo con la testa sulla terrazza, si para dinnanzi ai miei
occhi una visione a dir poco raccapricciante: l’orrenda Du
Bal si è
appropriata di una sdraio e ci si è abbandonata sopra a
pancia in
su, lasciando pendere braccia e gambe. È vestita come
Fjo’ona
quando è scesa sulla spiaggia, ma con molto più
lardo. Per
ripararsi dal sole tiene un telo sul viso tipo cadavere.
Trippa
e tette dondolano a seconda del moto ondoso.
Torno
immediatamente sul ponte facendo finta di non aver visto nulla.
Non
sapendo bene che fare (la navigazione di superficie, soprattutto se
il veicolo è portato da qualcun altro, è
noiosissima), scendo
sottocoperta a controllare come stanno le varie vittime del clima di
Kamino.
Hyaskon
è di nuovo steso a terra in posizione anatomica, sembra che
aspetti
l’autopsia. Mi accoglie con l’ormai consueta frase:
“Attendo
serenamente la morte.” Poi di nuovo, con tono rassicurante,
soggiunge: “Ma non si preoccupi, non ho paura.”
E
io: “Peccato solo che non potrà vedere il suo
cadavere, non è
vero, doc?”
Lui
sospira. “È quello che mi cruccia di
più.” Fa una pausa densa
di fantasie che non voglio indagare, quindi con tono sognante fa:
“Chissà come sarebbe scopare con se stessi da
morti? Ma se
scopassi con me stesso morto, sarei morto anch’io?”
Si gratta la
testa. “Eh sì, perché se no come
farebbe ad esserci il mio
cadavere, se non fossi morto? Ma se sono morto, come faccio a
scopare? E come faccio a rendermene conto?” Si volta verso di
me
con l’aria di chiedermi consiglio.
“Non
guardi me, Hyaskon,” gli rispondo, “più
che ammazzarla non posso
fare. Al resto deve pensare da solo.”
“Sarebbe
già qualcosa.”
Sto
per rispondere quando con la consueta andatura gommosa si appropinqua
Atama So. “Siamo in vista di Pheli Doo, capitano,”
mi annuncia
con tono da hostess.
“Finalmente!”
Salgo
in coperta, dove nel frattempo le nubi hanno ceduto il posto a un
sole spaccapietre. La mia già rosolata carnagione mi
comunica che
stare all’aperto è una pessima idea, e lo fa
virando verso il
rosso bandiera. Premuroso, Atama So mi chiede se ho bisogno di crema,
e per la prima volta mi sento di dover ringraziare la Du Bal, che con
il suo eroico sacrificio mi ha evitato di finire fuori di testa come
un dewback in calore.
In
tutto ciò, cominciano a susseguirsi atolli da agenzia di
viaggi,
quelli con palme, sabbia bianca, acqua turchese, cazzi e mazzi.
Attirata
dalla ricomparsa dell’astro, Fjo’ona rinuncia ai
suoi propositi
autolesivi e si fionda in coperta con tutto l’armamentario da
spiaggia. Comincia a saltellare e a indicare le spiagge dicendo:
“Voglio quella! Voglio quella là! No, voglio
questa!”
I
clamori attirano anche la professoressa, che senza fare né
tanto né
quanto scende dalla terrazza panoramica, vede una lingua di sabbia a
distanza compatibile e salta direttamente in acqua per raggiungerla.
“Dovrò
ricordarmi di legarla per un piede,” dico fra me e me
seguendola
con lo sguardo mentre approda sulla secca.
La
twi’lek la vede e considera che sul nudo isolotto non
c’è nulla
che potrebbe proiettare ombra su di lei. “Voglio andare
anch’io
con Ophelia!” esclama.
Viene
calata giù.
A
questo punto, visto che comunque siamo già a Pheli Doo,
stabilisco
che possiamo anche fermarci un po’ in un’isoletta.
Ne scelgo una
con palme e sedie a sdraio e faccio dirigere là il natante.
Scendiamo
tutti, compreso Waxen in tenuta balneare, che immediatamente comincia
a rompere i coglioni con le esercitazioni in acqua.
Siccome
stavolta c’è anche Hyaskon, che non ama che gli si
rompano le
gonadi quando vuole rilassarsi, in men che non si dica
l’ottuagenario
ronfa della grossa sotto una palma.
Passa
del tempo, cazzeggiamo, ci facciamo portare della Tusken-cola fresca,
che è schifosa ma pur sempre meglio dell’acqua.
Il
sole si avvia lento verso il tramonto.
A
un certo punto Lawrence, con la voce dell’innocenza, chiede:
signor
capitano, dove sono Fjo’ona e la signora Du Bal?
Mi
batto la mano sulla fronte come la nonna della barzelletta quando la
nipotina le chiede cos’è un amante.
Facendomi
ombra con la mano guardo in direzione dell’isolotto e vedo
due
zecche kaminoane che saltano come matte. Poi guardo meglio e mi
accorgo che sono Fjo’ona e la Du Bal, in preda a un attacco
isterico.
Sospiro.
So che appena andrò a recuperarle
cominceranno a far su un
casino tremendo. Non si accontenteranno di scuoiarmi vivo e bollirmi
nell’olio motore come farebbe Kurtz. No, andranno avanti con
un
estenuante lavoro di lima genitale per ore, e ore, e ore…
fino a
che io non mi trasformerò in un mandaloriano incazzato e
cercherò
di strozzarle, o finché non sarò costretto al
suicidio.
Pondero
seriamente l’eventualità di lasciarle
lì.
In
fin dei conti, a chi interessa nella Galassia se quelle due squinzie
rimangono lì qualche ora in più? Noi intanto
andiamo da quel
simpaticone di Kurtz, si fanno due chiacchiere e poi mando qualcuno a
prenderle. Non sono mica una bestia. Quasi mai, almeno. Il problema
è
che adesso sono troppo sobrio.
Ma
naturalmente non avevo fatto i conti con Tani Du, che vedendo la
procace docente e quella racchia della pitonata blu che strillano e
si agitano, parte immediatamente al salvataggio.
Torniamo
a bordo rassegnati.
Si
cominciano a sentire le strida quando il canotto è a circa
cento
metri di distanza. Divise in tutto nella vita, pitonata e
professoressa sono finalmente unite nelle rampogne al sottoscritto e
a chiunque abbia la sfortuna di attraversare il loro campo visivo.
Persino le tre reclute vengono ricoperte di insulti e tacciate di
ogni nefandezza.
L’incolpevole
wookiee viene inviato in posti irriferibili, così come il
colonnello, che prova a inveire di rimando, ma deve battere in
ritirata davanti al fronte compatto delle signore.
Io
spero che decidano di punirci con la loro assenza e si ritirino nelle
rispettive cabine, o in alternativa spero che almeno la Du Bal decida
di ripetere un’applicazione di crema kaminoana, ma purtroppo
in
nessuno dei due casi sono fortunato. La scosciata e la più o
meno
rinsavita docente continuano a rompere i coglioni con
alacrità.
Data
la situazione, prendo una decisione drastica. Fermo le lamentazioni
con un gesto autorevole e dico: “Ragazze, adesso avete
esaurito il
bonus.” Giro il culo e me ne vado nella mia cabina,
chiudendomi la
porta alle spalle.
Da
fuori si sente ancora qualche bercio, ma poiché tutti
imitano il mio
buon esempio, dopo un po’ il ponte di coperta assomiglia al
deserto
dello Jundland e le due simpatiche amiche, se vogliono litigare,
devono fare come i carcerati, ovvero arrangiarsi fra di loro.
Sulla
bagnarola cala un silenzio celestiale, rotto solo dal lieve
sciabordio delle onde e dal tintinnare lieve delle sagole sui pali
delle bandiere.
Mi
concedo un gustoso sonnellino.
Al
mio risveglio, la cena è pronta e non devo fare altro che
sedermi al
mio posto. Noto che ci siamo tutti, compresa l’oltraggiata
Fjo’ona,
ma manca la Du Bal. Sto per chiedere dov’è quando
la vedo
comparire con andatura più o meno quadrupede. Si siede al
suo posto
e comincia a leccare le posate, senza peraltro fare troppa
distinzione tra le sue e quelle degli altri. Con aria da nulla,
faccio discretamente sparire le mie sotto la tavola.
Poi
Atama So porta un piatto con sopra un intero blutfish. Io, che
credevo di aver già visto il peggio della squinternata
docente con
l’imitazione dell’ysalamiri e le cadenze sconce,
devo
assolutamente ricredermi: la nostra ex-sussiegosa, rigida e scostante
professoressa afferra la testa del pesce a due mani e comincia a
succhiarla come un gelato, emettendo rumori che fanno pallare
l’occhio anche al wookiee.
“Che
classe...” mormora Fjo’ona, ascoltando rapita.
Ma
non è tutto qui. Una volta succhiato il succhiabile, la
docente fa
il dito indice a rampino e comincia a scavare all’interno
della
testa del pesce, tirando fuori e mangiando ogni frustulo che riesce a
raccattare.
Il
tocco di classe ce l’ha estraendo un occhio del blutfish,
lanciandolo in aria e ingoiandolo al volo.
Poi
si pulisce alla meglio le mani, un po’ sul vestito e un
po’ sul
tovagliolo, che le rimane attaccato alle dita. Lei lo guarda, ride e
trionfante esclama: “Colla di pesce!”
E
scappa ridacchiando.
In
un silenzio da obitorio, i superstiti si lanciano occhiate intorno
alla tavola. Colgo il ghigno di Hyaskon e mi viene un dubbio.
“Mi
sembrava che la Du Bal fosse meno squinternata oggi
pomeriggio...”
butto lì.
“Infatti,”
mi risponde il capitano medico.
“Ma
non era irreversibile l’azione neurotossica dei farmaci
kaminoani?”
Lui
si stringe nelle spalle. “Lo credevo anch’io.
Quando l’ho vista
migliorare ho sostituito la sua crema doposole con quella kaminoana,
così ha ripetuto l’applicazione. Sono proprio
curioso di vedere
come reagirà il suo sistema nervoso.”
Lo
fisso basito. “Hyaskon, ha avvelenato deliberatamente la Du
Bal?”
Non so se ridere o essere spaventato.
Lui,
tranquillo come pochi, mi risponde: “La Scienza esige dei
sacrifici.”
Dalla
terrazza panoramica, la squinternata docente ulula alle lune (intorno
a Kamino ne girano un certo numero) come se non ci fosse un domani.
*
Nella psiche Twi’lek la spiaggia ha la sola e unica funzione
di
fornire un supporto per prendere l’abbronzatura.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Rapporto 05 sulla missione ***
Rapporto
05
“Governatore,
da Kamino è arrivato un messaggio per lei.”
Tarkin
fissa l’incolpevole piantone con uno sguardo che
incenerirebbe gli
scudi di uno Star Destroyer. “Lo porti da Lord
Vader,” sibila.
Il
povero militare deglutisce a vuoto. Nonostante la simpatica abitudine
del signore dei Sith di strozzare i subalterni a distanza quando
è
di cattivo umore, il gracile e scavato Tarkin lo spaventa molto di
più.
Batte
i tacchi, fa dietro-front e si dilegua più in fretta che
può.
Quando
è fuori dalla vista del tremendo Governatore,
però, lo Spirito
Pratico della Truppa interviene a consigliarlo: ma
perché andare
a disturbare Vader, che si arrabbierà perché
questo messaggio non è
diretto a lui e se la prenderà con te? Se va bene, te lo
farà
riportare a Tarkin, che si incazzerà
ancora di più e ti
manderà a fare da reggi-sputacchiera per i trandoshan alle
miniere
di Kessel, se no va a finire che ti tira il collo
finché non
assomigli a un gungan con l’esoftalmo. Dammi retta: trova una
soluzione per non rimetterci il culo.
Sebbene
non sia una persona particolarmente mistica, il piantone non trova
argomenti per contraddire lo Spirito.
Il
fosco signore dei Sith si sta aggirando solitario nella sua stanza.
Il suo camminare solenne e il suo cadenzato respiro sono gli unici
suoni che si sentono, accompagnati brevemente dal frusciare del
mantello quando il gigante nero si volta per tornare sui suoi passi.
Di
tanto in tanto, egli lascia indugiare lo sguardo sulle
immensità
silenti del cosmo, che si offrono a lui attraverso il grande
oblò
che si apre sulla camera.
Un
lieve rumore raschiante colpisce i suoi sviluppatissimi sensi. Si
gira brusco verso la porta e vede che un foglietto viene spinto
dentro dalla fessura sottostante. Passi precipitosi si allontanano.
Potrebbe
bloccare il misterioso fuggiasco con la Forza, ma percepisce che
è
un semplice piantone e non si dà pena di occuparsene.
È molto più
incuriosito dallo strano messaggio.
Si
china e raccoglie il cartoncino.
È
una cartolina. Mostra un deretano nudo che emerge dal mare come una
gobba di cetaceo. La similitudine è accentuata da un getto
verticale
tipo soffio di sfiatatoio. Sotto c’è scritto:
Kamino! Rilascia lo
stress, abbassa la pressione!
Sul
retro, nell’ormai ben nota grafia, legge: Non si faccia
ingannare
dalla cartolina, è un posto di m… Abbiamo trovato
un Kurtz, ma
secondo me è solo un impiegato del catasto di Coruscant che
si
chiama uguale. Mando notizie appena le ho. Saluti. Veers.
Lord
Vader sente un tremito nella Forza. Una presenza perduta, che non
sentiva da tempo… la Imperial Platinum…
È
tutto molto indistinto.
Pigia
un bottone dell’interfono. “Tarkin!”
chiama brusco.
Il
Governatore appare nel monitor. “Sono impegnato,
Vader.” Il
signore dei sith giurerebbe di cogliere un ghignetto soddisfatto nei
lineamenti altrimenti impassibili dell’ufficiale.
“Tarkin,
guarda qua!” ruggisce, voltando la cartolina nella sua
direzione.
L’altro
alza un sopracciglio. “Notevole, veramente
notevole,” proferisce
poi con distacco.
“Non
è il momento di scherzare!”
“Perché?
Sembrava che ti divertissero tanto i messaggi di Veers… A
proposito: ti faccio mandare un paio di compresse per la
pressione?”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Giorno 12 - Kurtz! ***
Giorno
12 – Kurtz!
Durante
la notte dev’essere piovuto, perché a un certo
punto ho sentito
provenire dalla terrazza panoramica, dove la Du Bal stava per
così
dire ammirando le stelle con Tani Du, un tramestio che non aveva
nulla a che fare con accoppiamenti interspecie, ma ricordava
piuttosto passi precipitosi lungo le scale.
Peraltro,
per non farci perdere l’abitudine alle brutture e ai fastidi,
il
cielo è coperto. Il malefico venticello umido che ormai ben
conosciamo si infila negli interstizi.
Come
al solito, non c’è nessuno. Passano ogni tanto
degli ahiwa sulla
linea dell’orizzonte, con tristi battiti d’ala.
Mi
appoggio alla murata e lascio vagare lo sguardo sulla desolazione che
mi circonda, chiedendomi perché mai ci sia gente disposta a
pagare
fior di crediti per venire in vacanza in questo posto senza birra e
con questo tempo merdoso. Chissà che cazzo gli è
preso, a Kurtz.
Posto che sia lui, ovviamente.
Poi
alle volte ci sarà anche il sole, non lo metto in dubbio, ma
la
birra continua a mancare.
Mentre
sono assorto nella contemplazione, un muggito del wookiee turba la
calma. Mi volto e vedo spalancarsi la porta della cabina di Waxen.
Dall’interno si sente la voce dell’ottuagenario che
fa: “Pussa
via, bestiaccia! Sciò, sciò!”
Lothar,
che non ha ancora ben capito il concetto di demenza senile, come
capita una mattina sì e una no non si capacita di venire
cacciato e
si lamenta in modo straziante. Il problema è che lo fa in
shriiwook,
visto che come tutti i membri della sua specie è
geneticamente
incapace di parlare altro. Emette barriti di intensità
proporzionale
al suo scoramento, che in questo frangente è enorme.
Dopo
un po’ tutti sono in coperta, compreso Hyaskon.
“Quest’affare
peloso ha già rotto le palle,” proferisce
scocciato il capitano
medico.
Io
mi volto verso la twi’lek, ma dopo la somministrazione di una
dose
massiccia di Nontromb la sua libido è scomparsa forse per
sempre,
facendo di lei una cretina con tette enormi ma spregiatrice di
qualsiasi approccio sessuale. Visto che ormai le passa un barlume di
vita negli occhi solo quando c’è da prendere il
sole, non possiamo
sperare in lei per calmare il wookiee.
Waxen
intanto ha serrato la porta e da dentro inveisce.
“Veers!” si
sente sbraitare, “mi tolga di torno questa specie di grosso
tappeto
ambulante!”
Nel
frattempo arriva la Du Bal, il cui cervello, al pari della libido di
Fjo’ona, sembra essere finito nello scarico del cesso in
maniera
irreversibile. Vede il wookiee che sbraita e batte contro la porta e
per qualche misterioso motivo comincia a imitarlo, col risultato che
dopo un po’ abbiamo un coro di ululati.
Il
colonnello assediato inveisce più che mai, promettendo corti
marziali ed esecuzioni sommarie.
Massaggiandosi
il mento con fare pensoso, Hyaskon studia la faccenda e ogni tanto
alza le sopracciglia dicendo: “Ma pensa un po’.
Curioso...”
“Lei
non è un ufficiale medico?” gli chiedo esasperato
dopo un po’.
“Fra
le altre cose,” risponde lui con fare sibillino.
“Allora
trovi il modo di sedare questi due!”
Hyaskon
estrae il blaster e toglie la sicura. Lo punta verso gli urlatori.
“Ma
che cazzo sta facendo?” esclamo, afferrandogli il braccio
appena in
tempo. Il colpo buca la bandiera imperiale issata sul pennone.
L’altro
si volta piccato verso di me: “Insomma, vuole che li faccia
smettere o no?”
“Non
così!”
“E
come faccio, gli canto la ninna-nanna?”
“Veda
lei, ma si ricordi che per abbatterli ha bisogno
dell’autorizzazione
imperiale, e in questo momento non
l’abbiamo.”
Hyaskon
rimette via il blaster brontolando qualcosa di incomprensibile.
Gli
ululati però continuano. Dopo un po’ si apre la
porta della cabina
e nel riquadro compare il vegliardo inferocito, con il blaster in
mano e lo sguardo omicida.
“Ora
basta, ignobile bestiaccia!” strilla. Vista la mala parata,
il
wookiee si gira di centottanta gradi e se la dà a gambe. La
Du Bal,
non si sa se per qualche residuo barlume di facoltà
cognitive o per
spirito di emulazione, lo imita.
L’ottuagenario
li insegue sparacchiando.
Incrocio
lo sguardo di Hyaskon. “A lui non dice
niente, però,”
protesta offeso. “Lui può
inseguire la gente col blaster
finché vuole.”
“Le
ricordo che Waxen è mio – e anche suo, fra
l’altro –
superiore.”
“E
siccome è un superiore può fare quel che
vuole?”
Io
lo fisso con riprovazione. “Senta un po’, per caso
ha trovato i
gradi nelle sorprese delle patatine?”
“Accademia
di Geona a pieni voti.”
“E
là c’erano capitani che davano ordini ai
colonnelli?”
Brontola
di nuovo cose incomprensibili ma indubbiamente poco gentili, poi si
disinteressa del dramma, mi volge le terga e torna nelle
profondità
della sua cabina.
La
traiettoria dei due fuggitivi, frattanto, incrocia quella di Atama
So. Il kaminoano paga cara la sua flemma: in un attimo viene
investito dal wookiee, carambola in aria, ricade sul colonnello e i
due rotolano per qualche metro prima che l’inerzia si
esaurisca.
Seguono
alcuni secondi di immobilità assoluta, nel corso dei quali
formulo
le più ottimistiche ipotesi sul destino del colonnello. È
vecchio, è incartapecorito, ha le ossa fragili,
l’alieno è alto
due metri e mezzo…
“Si
può sapere cosa credeva di fare, specie di maldestro
spilungone?”
Niente.
Neanche stavolta ho fortuna.
Il
kaminoano, per contro, è steso a pelle di dewback.
Mi
avvicino, sollevo un arto di Atama So e lo lascio ricadere: fa il
rumore di una bistecca buttata sul tagliere. Lo chiamo, ma
l’indigeno
non dà segni di vita. “Qualcuno mi porti qui il
capitano medico,”
dico.
Fjo’ona
parte alla ricerca.
Il
colonnello frattanto, già in piedi e più vispo di
prima, con la
caduta si è resettato e sta cercando ovunque il suo
cameriere. “Dove
sarà quella specie di fannullone?” si chiede,
guardandosi intorno
con le mani a brocca sui fianchi.
Torna
la twi’lek, che era andata a chiamare Hyaskon, e desolata fa:
“Ha
detto che non viene.”
“Cosa?”
“Ha
detto che visto che i suoi metodi non ti vanno bene, puoi fare da
solo.”
Perfetto,
il capitano medico permaloso mi mancava. Mi guardo in giro alla
ricerca di ispirazione e vedo i tre soldatini, che come loro
abitudine mi stanno fissando perplessi. “Voi! Andate a
chiamare il
dottor Hyaskon!” ordino.
I
tre si guardano, poi Wolfen balbetta: “Ma…
dobbiamo proprio,
signore?”
Respiro
profondamente. “Soldato, lascia che ti chiarisca il concetto
di
ordine: un superiore ti dice di fare una cosa e tu la fai. Ora, una
domanda difficile: tra un soldato semplice e un capitano, chi
è
superiore?”
“Il
capitano, signore,” risponde diligente Lawrence.
“Molto
bene, vedo che sei preparato. Io sono un capitano e ordino a voi
soldati di fare una cosa. Questo non vi suggerisce niente?”
Prende
la parola Felsen: “Che dobbiamo farla?”
“Perfetto.
Con soldati così l’Impero non avrà mai
nulla da temere. Ora vi
ripeto l’ordine, e vediamo se questa volta andrà
meglio: andate a
chiamare il capitano Hyaskon.”
Vanno.
È già qualcosa.
Dopo
un po’ arriva il capitano medico. “E adesso che
c’è?”
“Abbiamo
un problema con Atama So. Gli è arrivato addosso Lothar di
corsa,
poi è caduto addosso a Waxen ed è rimasto
così.”
L’ufficiale
si china e lo osserva. Ripete l’esperimento
dell’arto, che una
volta mollato fa di nuovo rumore di bistecca buttata sul tagliere.
“D’accordo,”
dice dopo aver concluso la visita, “mi dia una mano a tirarlo
su.”
“Lo
portiamo nella sua cabina?”
“No,
lo buttiamo a mare.”
“Hyaskon!”
L’altro
mi rivolge un’espressione esasperata. “Allora, la
bestia pelosa
no, questo qui no, la twi’lek no. Ma che cazzo, siamo in una
fottuta oasi faunistica? È diventato un esperto di
biodiversità? Si
interessa di specie protette?”
Oggi
dev’essere il giorno delle domande pleonastiche.
“Hyaskon,” gli
chiedo soavemente, “lei sa portare una nave
kaminoana?”
Lui
mi fissa quasi offeso dalla richiesta. “Certo che
no.”
“Le
dirò una cosa interessante, allora,” proseguo con
sempre maggiore
soavità, “non so farlo nemmeno io. Adesso comincia
a capire perché
mi interessa che questo tizio si rialzi sulle sue molleggiate gambe e
continui a svolgere i suoi doveri?”
Il
collega ci medita un po’ su. “Non avevo considerato
questo punto
di vista,” conclude alla fine. Poi, a voce più
alta: “Tu,
Zuccherino! Vammi a prendere la borsa.”
Si
fa avanti Wolfen. Hyaskon scuote la testa. “Ma no, tu sei
Biscottino. Zuccherino è il biondo.”
“Mi
scusi, signore,” dice Biscottino contrito.
“Non
preoccuparti, caro. Sta qui con Pasticcino mentre papà
rimette in
piedi questa seppia troppo cresciuta.”
“Sì,
signore.”
Io
fisso Hyaskon, che mi rimanda un’espressione di perfetta
tranquillità. “Chissà che graziosi
organi interni devono
avere...” mormora. Poi, tornando alla normalità
(per così dire,
naturalmente): “Va bene, mi faccia vedere questo kaminoano
incidentato.”
Si
china di nuovo sul caduto, stavolta con aria professionale.
Rimesso
in piedi alla meglio Atama So, andiamo tutti a fare colazione. La Du
Bal si è appropriata di un trancio di blutfish e se lo sta
rosicchiando in un angolo. Tani Du cerca di stanarla, ma
l’unica
risposta che ottiene è il lancio di una ciabatta nella sua
direzione.
Waxen
sta spiegando al suo peloso cameriere che stamattina si è
trovato un
estraneo in camera e l’ha dovuto cacciare a colpi di blaster
perché
l’importuno scocciatore non voleva saperne di lasciarlo in
pace.
“Probabilmente era uno di quei tizi che vendono le
enciclopedie
porta a porta,” conclude. “Davvero fastidioso, lui
e la sua
assistente. Certo che avresti anche potuto intervenire e mandarlo
via, un cameriere personale deve saper fare anche e
soprattutto
queste cose.”
Il
wookiee è contrito.
Mentre
stiamo finendo di alimentarci, le nuvole si disperdono ed esce il
sole. Immediatamente la twi’lek molla qualsiasi cosa, salta
in
piedi e si dirige come un fulmine nella sua cabina. Ne esce poco dopo
con la consueta bardatura da spiaggia, e poiché non ci sono
isolotti
in vista si fionda sulla terrazza panoramica.
Pur
squinternata, nemmeno la Du Bal riesce a resistere al richiamo
dell’abbronzatura, quindi segue Fjo’ona, butta via
tutti i
vestiti e si sdraia sul nudo pavimento a pancia in su. Per farsi
ombra alla faccia agguanta il primo indumento che le viene a portata
di mano, ovvero le mutande, e se lo mette in testa. Comincia a
russare subito dopo.
Come
al solito, tette e trippa oscillano spinte dal rollio.
Mentre
le signore si rosolano, io penso alla missione. Oggi dovremmo
arrivare dal famoso Kurtz. Nulla di questo apparentemente inoffensivo
Jerec Kurtz sceso allo spazioporto di Addu corrisponde a quello che
ho letto sul Kurtz che spaventava persino gentaglia come le guardie
del corpo di Randall. Sarà un omonimo? Sarà lo
stesso ritiratosi a
vita privata? Arriverò sull’isola e
troverò bande di tagliagole
che i bravi kaminoani hanno interpretato come un avvicendarsi di gite
scolastiche?
Capacissimi,
del resto, questi alieni gommosi e ignari dell’universo, di
arrivare nel covo di Kurtz e scambiarlo per un centro benessere dove
si fanno fanghi e ginnastica correttiva. O magari pensano che sia
l’ultima edizione di Giochi Senza Frontiere Galattico.
Mi
pongo anche il problema, visto che sono in argomento, di cosa fare se
mai il tizio dell’isoletta fosse veramente quel
Kurtz.
Perché
se lo fosse, e io putacaso arrivassi a disturbarlo in un momento
sbagliato, quello mi prenderebbe, mi farebbe a cubetti e mi
metterebbe in un secchio per usarmi come pastura la prossima volta
che va a pesca.
Ora,
io capisco che chi muore per l’Impero vissuto è
assai, ma proprio
schiattare così, senza neanche un’ultima birra, mi
darebbe un po’
noia.
Una
voce mi distrae: “Signore...”
Mi
volto. “Tu devi essere Zuccherino, giusto?”
Felsen
mi fissa imbarazzato e non proferisce verbo.
Dopo
un po’ decido di incoraggiarlo: “Ebbene, soldato,
dovevi dirmi
qualcosa?”
“Ecco…
perché il signor capitano medico ci chiama così,
signore?”
“Da
giovane faceva il pasticcere. Altre domande?”
“Nossignore.”
Congedo
il dolcetto e torno alle mie elucubrazioni.
Mentre
sto amabilmente ponderando, con la piacevolezza che lo
contraddistingue, il clima di Kamino subisce una brusca variazione, e
da sole orribile passa nell’arco di tre minuti a pioggia
torrenziale con vento di uragano.
La
nave comincia a ballare mentre le signore, sorprese nel bel mezzo
della elioterapia, strillano a pieni polmoni raccattando gli effetti
personali.
Si
sentono i passi precipitosi giù per la scaletta, poi il
ponte di
coperta rimane deserto e silenzioso. Dalla mia cabina guardo la
distesa di acqua grigio-piombo e impreco.
Passa
una buona oretta e le precipitazioni si mantengono sul livello
‘doccia dimenticata aperta’, che non è
‘tubo dell’acquedotto
bombardato’, ma ci si avvicina. Nemmeno i kaminoani, specie
notoriamente poco sensibile alla pioggia, si avventurano fuori.
Dopo
un po’ compare all’orizzonte una macchia
grigiastra. Sulle prime
lucido l’oblò scambiandola per una ditata di
qualcosa, poi mi
rendo conto che si tratta di un’isola.
Sfidando
il monsone, mi metto una cerata addosso e raggiungo la plancia.
“Eccola qui, capitano,” mi accoglie il flemmatico
Atama So.
“Mi
stava aspettando?”
“No,
eccola qui MAL-47, l’isola che stava cercando.” Mi
indica con
gesto ieratico dapprima l’isolotto all’orizzonte,
poi qualche sua
immagine satellitare che ha in memoria.
Sebbene
siamo ancora a rispettosa distanza dal luogo, sono colto da un certo
scoramento: là c’è un
Kurtz, resta solo da vedere se è il
mio o no.
Ecco
che nella mia mente lo scurrier del Senso del Dovere si trova a dover
fronteggiare il rangkor della Cialtronaggine.
Munita
di pop corn e bibita, la mia Coscienza siede in prima fila decisa a
non perdersi una sola mossa dell’epico scontro.
La
vocettina dello scurrier pigola: “Dobbiamo portare a termine
la
missione, dobbiamo controllare se quel Kurtz è il vero
colonnello
Jerec Kurtz, e poi dobbiamo fare rapporto e chiedere ordini.”
Risponde
il vocione del rangkor: “Ma sei scemo? Quello ci mette nel
tritacarne a partire dai piedi. E poi me ne voglio andare da questo
posto di merda senza birra e pieno di stronzi.”
“Ma
non possiamo! Siamo ufficiali imperiali!”
“Vuoi
un cazzotto, specie di mostriciattolo?”
Siamo
a questo punto della contesa quando del tutto casualmente passa per
di lì il Senso Pratico, che si ferma ad ascoltare le ragioni
dei due
e infine dice: “Lo sapete cosa succede se torniamo senza
Kurtz,
vero? Niente birra e veniamo rispediti qui a cercarlo finché
non
salta fuori.”
“Ma
dai, ci inventiamo una balla qualsiasi!” protesta il rangkor.
“E
poi quando viene scoperta finiamo tutti alle miniere di
Kessel.”
“Ma
figurati. Abbiamo combinato di tutto e non ci siamo ancora finiti.
Noi siamo nipoti di Maximilian Veers, e questa è una cosa
che ha il
suo peso.”
“Anche
Maximilian Veers si romperà le palle di pararci il culo,
prima o
poi,” ammonisce il Senso Pratico. Fissa con aria grave il
rangkor
della Cialtronaggine, che ritira la testa fra le spalle.
“È
meglio andare, date retta a me.”
“Io
l’avevo detto da subito!” interviene con la sua
vocetta a sega da
ferro lo scurrier del Senso del Dovere.
“Tu
sta zitto, 3P.”
“3P?”
fa eco lo scurrier.
“Piccolo
pitale peloso,” grugnisce il rangkor prima di andarsene
brontolando.
La
Coscienza annuisce sobriamente.
Al
concludersi della contesa, il sottoscritto è a bordo di un
canotto
argentato che sacramenta e si chiede per quale cazzo di motivo sia
lì
e non nelle asciutte comodità della sua cabina.
Questa
volta sono da solo, Hyaskon oggi mi dà poco affidamento e ho
deciso
di lasciarlo a importunare le reclute. A onor del vero, Biscottino ha
cercato in extremis di salire sul canotto, al grido di
‘meglio
Kurtz del capitano medico’, ma gli ho risposto che questa non
è
una gita adatta ai pargoli e l’ho lasciato a bordo.
Prendo
terra su una spiaggia battuta dalle onde e tiro in secca il mio
grazioso natante, poi lo occulto alla meglio sotto un cespuglio.
Attraverso
un breve tratto di foresta e arrivo a un giardino ben curato, con
pareti di rampicanti, aiuole bordate di sassi bianchi e ghiaia per
terra. Più avanti c’è una casetta assai
graziosa, fresca di
vernice, con le tendine alle finestre e il tetto di paglia. Arrischio
uno sguardo all’interno e vedo cimeli di pesca e arredamento
in
bambù. Alle pareti c’è qualche foto di
tramonti tropicali che
indubbiamente, visto il tempo che c’è di solito
qui, verranno da
un altro pianeta.
C’è
anche un molo con un attracco per una barca da pesca e una rimessa
per gli attrezzi. La porta del magazzino è socchiusa, quindi
do
un’occhiata all’interno: mi aspettavo di trovare
feticci,
strumenti di tortura e altre porcherie, ma rimango estremamente
deluso. Dentro ci sono solo una canoa, un banco degli attrezzi, reti
e galleggianti da pesca.
Poi
vedo qualcosa che mi fa letteralmente mancare il respiro: dietro un
pannello di legno, nascoste agli indiscreti occhi kaminoani, ci sono
svariate casse di birra.
‘Festaaaaaa!!!!’
grida nel mio cervello il rangkor della Cialtronaggine, e coinvolge
in una conga sfrenata lo Scurrier del Senso del Dovere, il Senso
Pratico, la Coscienza e altri ammennicoli come la Diplomazia, il
Senso dell’Opportunità e l’Horror Vacui
che passava per di lì.
Le
mie strutture psichiche sono messe a trenino e stanno cantando
‘Peppé
peppeppeppé!’ quando alle mie spalle una voce
profonda chiede: “E
lei chi è, giovanotto?”
Mi
giro di scatto e mi trovo davanti l’incarnazione di tutti gli
incubi che mi hanno devastato la mente nelle ultime dieci notti: in
piedi nel riquadro della porta c’è un uomo erculeo
col cranio
completamente rasato, grondante di pioggia e con la faccia coperta di
tinta mimetica verde.
Kurtz.
Ma
non un impiegato del catasto di Coruscant che si chiama uguale.
Proprio il nostro Kurtz, quello vero.
Mi
faccio precipitosamente indietro, inciampo in qualche suppellettile,
rovino a terra in mezzo a canne da pesca e galleggianti. Da
lì
rimango a fissare con occhi pallati il terribile Kurtz, ancora
più
incombente adesso che lo sto guardando dal basso.
Mentre
sono in questa scomoda situazione mi passa tutta la vita davanti agli
occhi: la prima sbronza, l’Accademia di Carida, quando ho
messo i
dadi da brodo nel liquido di raffreddamento del laser della Morte
Nera, quando ho distrutto il TIE-Fighter di Baron Fel cercando di
pilotare un AT-AT da ubriaco…
“Ha
perso la lingua, giovanotto?” mi apostrofa il nuovo arrivato.
Sussulto.
“Signorsì! Cioè, no… ma non
si senta in dovere di strapparmela
per questo...”
“Via,
che esagerazione. Vuole una birra?”
“Io…
veramente...” Il terrore travalica a tal punto le mie
capacità
raziocinanti che nemmeno la parola magica riesce a riscuotermi. Mi
rialzo adagio.
“Lei
è il garzone del droghiere?” chiede allora
pazientemente Kurtz. “È
venuto per incassare i sospesi?”
“Signornò.
Io sono un ufficiale imperiale.”
Mi
scruta più attentamente, piegandosi appena verso di me.
“Ah, già.
È vero. Avrei dovuto capirlo
dall’uniforme.” Poi, dopo una
pausa: “Anch’io sono un ufficiale Imperiale:
Colonnello Jerec
Kurtz.” Mi afferra la mano con una stretta poderosa e me la
scuote.
“Capitano
Roy Veers della flotta imperiale,” mi presento a mia volta
mentre
mi sta ancora shakerando.
“Allora,
questa birra?”
“Sissignore.”
Una birra non si rifiuta nemmeno in punto di morte.
“Ah,
molto bene. Venga in casa, così le prendo dal
frigorifero.”
Fa
strada con l’aria più tranquilla
dell’universo.
Io
lo seguo senza ribattere. Dopo lo shock iniziale sto cominciando a
rendermi contro che non sono in immediato pericolo di vita, o
perlomeno non rischio sevizie, mutilazioni o altre angherie. Mi
guardo intorno: una tipica casetta da vacanze, piccola e accogliente.
“Si
sieda, Veers,” mi giunge la voce di Kurtz dalla cucina.
Prendo
posto su un divano con l’aria di accomodarmi su una
fresatrice in
funzione. L’altro ricompare con due bottiglie in mano e
porgendomene una mi chiede: “E cosa ci fa un ufficiale della
flotta
imperiale qui?”
Cerco
di tergiversare, almeno fino alla fine della birra. “Sono in
missione segreta.”
Mi
scruta con lo sguardo grifagno che tante volte è comparso
nei miei
incubi astemi. “Ma adesso non è più
tanto segreta, non le pare?”
“Mi
hanno inviato dalla Morte Nera. Dicono che lei usa metodi malsani.”
“Usavo,
al massimo,” mi corregge Kurtz. Beve un lungo sorso.
Lo
fisso basito, mi sembra di essere Biscottino che guarda Hyaskon.
“Cosa?”
“Mi
sono ritirato a vita privata,” risponde tranquillamente.
“Alla
fine essere adorato come un dio è piuttosto stancante, sa?
Le urla
delle torture non conciliano certo il sonno, non le dico il fumo dei
roghi che effetto faceva sulla mia allergia. E poi tutti quei
sacrifici umani… uno alle volte ha anche voglia di mangiare
un
piatto di pastasciutta, no? E invece fegati e cuori tutti i giorni.
Dopo un po' vengono a noia, mi creda.”
Mi
affretto ad annuire.
“Quindi
mi sono creato questo piccolo rifugio,” prosegue, sempre con
il
tono dell’impiegato che racconta cos’ha fatto dopo
il
pensionamento. “Tranquillità, solitudine, una
barchetta per
pescare, qualche birra...”
“Le
birre,” vuole sapere il rangkor della Cialtroneria, e lo
chiede per
bocca mia. “Come fa a procurarsele?”
“Un
bravo toydariano me le recapita ogni settimana in un punto convenuto
dell’oceano. Io vado lì a pescare, lui emerge con
il suo mezzo e
il gioco è fatto.” Si interrompe un attimo, poi mi
fa: “Ma dica,
Veers, come mai ha quella faccia? Non le piace la birra, per
caso?”
“Io
mi berrei tutta la sua riserva in meno di dodici minuti, signore, ma
ecco… sono un po’ turbato dalla sua
fama.”
“Capisco.
Le hanno detto che quando comincio a parlare non smetto più,
vero?”
Deglutisco.
“Non esattamente.”
Kurtz
aggrotta le sopracciglia. “Senta, se è quella
stupida storia delle
scoregge silenziose, le dico subito che è una balla messa in
giro da
Tarkin. È lui che molla le loffe durante i consigli di
guerra, non
certo il sottoscritto.”
“Ora
mi sento molto più tranquillo, signore,” rispondo.
Passa
un po’ di tempo, poi il colonnello mi chiede:
“È qui da solo,
Veers?”
“Signornò.
Sono arrivato con una nave kaminoana. La spedizione imperiale
è
composta da nove membri tra militari e civili. In più
c’è
l’equipaggio locale.”
“Beh,
li faccia venire qui, forza! Questa sera facciamo una bella grigliata
sulla spiaggia!” Prende il com-link e chiama qualcuno,
cominciando
a ordinare ogni ben di dio da cucinare in graticola. Almeno sembra
che l’intenzione non sia quella di fare alla griglia il
sottoscritto.
“Una
bella grigliata!” ripete dopo aver chiuso la comunicazione.
La
prospettiva sembra rallegrarlo alquanto.
Si
alza e annuncia che andrà a lavarsi la faccia. Mi abbandona
lì con
la mia birra.
Io
la bevo, perlomeno se devo crepare accadrà con una birra in
pancia,
poi passo in rassegna con orrore i membri della mia spedizione e li
immagino nell’interazione con Kurtz.
Mezz’ora
dopo sono di nuovo a bordo della nave kaminoana. Pensavo che il
resoconto del mio incontro con il famigerato Kurtz avrebbe scatenato
episodi di isteria collettiva, ma mi sbagliavo di grosso.
I
due indigeni si limitano ad alzare un sopracciglio. Waxen fa la
faccia assorta poi dice: “Kurtz… Kurtz…
dove ho già sentito
questo nome? Ah, ma certo! Era un impiegato civile della base di
Kaloo che sapeva fare il ventriloquo. Alla fine del servizio ci
facevamo di certe risate! Peccato che poi fu centrato in pieno dal
piede di un AT-AT e fu ridotto peggio di una frittella. Facemmo una
bella fatica a scrostarlo, sa? Tutto negli interstizi, una faccenda
davvero complicata.”
La
Du Bal e Fjo’ona, visto che nel frattempo è
tornato il sole, sono
a rosolarsi e la faccenda di Kurtz non fa alzare loro nemmeno un
sopracciglio, i tre sfigati e la montagna di pelo fanno la faccia del
dewback che pascola.
L’unico
vagamente interessato è Hyaskon, che ascolta attentamente,
si fa
scuro in viso e dice: “Che delusione.”
“Le
dispiace che non mi abbia fatto secco, collega?”
“Tutto
quel talento, quell’arte...”
continua, apparentemente
senza neppure prestarmi attenzione. “Tutto sprecato, rovinato
per
sempre. Che tristezza.” Poi, col tono di chi prende una
decisione
drastica e irremovibile: “Non verrò a terra con
voi. Preferisco
ricordarlo com’era.”
“Hyaskon,
non faccia il melodrammatico.”
“È
inutile che insista, Veers. Sarebbe troppo doloroso assistere al
degradante spettacolo di un Kurtz bolso e imborghesito che fa
grigliate sulla spiaggia.”
“D’accordo,”
rispondo con distacco. “Allora lei ci aspetterà
qui, giusto?”
“Lo
spettacolo sarebbe di una tristezza assoluta.”
“E
questo l’ho capito. Io invece ho scoperto che in
quell’isola c’è
birra, quindi vado finalmente a berne un bel po’.”
“Non
è turbato dalla caduta del titano?”
s’informa Hyaskon ancora
incredulo.
“Francamente
no. Anzi, direi che mi fa quasi piacere sapere che non
rischierò di
essere la portata principale del banchetto.”
Dopo
una mezz’ora siamo tutti pronti per scendere a terra. Torvo,
le
braccia incrociate sul petto, Hyaskon ci guarda passare con
disapprovazione.
Per
l’occasione il colonnello si è messo la sua
migliore uniforme,
Lothar gli ha arricciato i baffi e per farli stare a posto glieli ha
fissati con un po’ di supercolla resistente a qualsiasi
solvente
conosciuto, col risultato che sono diventati simili alle zanne dei
gamorreani.
Se
Waxen si gira troppo in fretta rischia di fare seriamente male a
qualcuno.
La
Du Bal è nella fase balano e Tani Du se la porta in giro
come un
arto affetto da elefantiasi, cosa che perlomeno la rende abbastanza
inoffensiva.
I
tre sfigati sembrano al primo giorno di scuola. Sono convinto che non
abbiano nemmeno ben capito dove stiamo andando e a fare cosa. Il
solito Biscottino mi chiede se c’è pericolo.
“Al
massimo di indigestione,” gli rispondo. “Andiamo a
cena sulla
spiaggia.”
I
tre sono assaliti dal terrore al pensiero delle innumerevoli forme di
vita che sono in grado di formicolare su una spiaggia dopo il
tramonto.
Avendo
sentito le parole ‘festa’ e
‘spiaggia’, Fjo’ona ha tirato
fuori il meglio dal suo guardaroba, col risultato che ha un pareo di
lamè che manda riflessi abbacinanti e un push-up che le fa
arrivare
le tette sotto il mento. Per l’occasione ha indossato un paio
di
elegantissimi sabot in finto pelo di nexu con finiture in oro.
Prima
di scendere con il gruppo di squinternati cerco Hyaskon e gli dico:
“Nel caso succedesse qualcosa, comunichi lei con la Morte
Nera. Il
codice della trasmissione è Onnipotente.”
Il
capitano medico alza un sopracciglio. “Onnipotente mi sembra
banale,” replica. “Che ne direbbe di Apodittico?”
Scuoto
la testa. “Il codice è
‘Onnipotente’, se ne faccia una
ragione.”
“Io
credo che non renda adeguatamente la drammaticità del
momento.
Capisce, se devo fare quella chiamata significa che contrariamente
alle aspettative Kurtz vi ha uccisi e fatti a pezzi (espressione
sognante), quindi ci vorrebbe qualcosa di più tragico. Apoplessia?”
“Hyaskon...”
“Va
bene, va bene. Onnipotente. Qui la borghesia impera, vedo. Ci siamo
ridotti a dei miseri passacarte senza un minimo di iniziativa
personale, senza fantasia. Pensi a quel Kurtz, per esempio: una volta
era adorato come un dio, e adesso...”
Lascia
cadere la frase e se ne va scuotendo la testa.
“Onnipotente!”
gli grido dietro, tanto per essere sicuro che abbia recepito il
concetto.
“Siete
dei borghesucci!” fa in tempo a replicare Hyaskon, prima di
scomparire nelle profondità della sua cabina.
Scendiamo
finalmente a terra. Kurtz ci viene ad accogliere sul pontile, che per
l’occasione è stato decorato con fiaccole e
composizioni floreali.
Sono comparsi anche dei sullustiani grossi e tatuati, ma
probabilmente devono essere pensionati come lui, perché non
ci
degnano di un’occhiata.
Veniamo
condotti nel giardino, anch’esso illuminato da fiaccole e da
un bel
fuoco centrale, sul quale sono già pronte le graticole in
attesa che
si formino le braci.
Con
il sicuro intuito per l’alcol etilico che mi caratterizza,
individuo subito il secchio con le birre in fresco.
Presento
la forza al colonnello, che osserva basito il gruppo di squinternati
e mi fa: “Non mi aveva parlato di una spedizione
militare?”
“Ecco,
non proprio,” cerco di spiegare, ma il colonnello Waxen salta
su e
a pieni polmoni fa: “Ma guarda chi si rivede:
‘Polpetta’
Kurtz!”
“Maggiore
Paul Waxen?”
“Adesso
sono colonnello, ragazzo mio. Ma mi dica un po’,
cos’ha fatto
dopo che l’hanno trasferita alla guarnigione di
Brettna?”
“Oh,
le solite cose. Qualche missione operativa, qualche rastrellamento
quando gli indigeni non volevano collaborare...”
Si
scambiano aneddoti, si stringono calorosamente la mano, si danno
pacche sulle spalle. Infine Waxen scuote la testa e dice: “Il
vecchio ‘Polpetta’, chi se lo immaginava di
trovarlo qui?”
“Domando
scusa, signore,” gli chiedo, “lei conosce il
colonnello Kurtz?”
“Si
capisce,” risponde il vegliardo, con l’aria di
dirmi la cosa più
ovvia dell’universo. “Era uno dei miei ufficiali
durante la
battaglia di… aspetti, ce l’ho sulla punta della
lingua… quando
ero comandante della guarnigione di...”
In
quel momento gli passa di fianco la twi’lek scosciata e lui
dimentica immediatamente di cosa stava parlando. “Insomma, fu
una
bellissima festa,” conclude, “ci ubriacammo dal
primo all’ultimo
con il vino semovente di Koria.”
Annuisco
con fare consapevole, ho già capito che è
l’unico sistema per
interagire con il vecchio fossile.
Ci
accomodiamo tutti intorno a leggiadri tavolini illuminati da candele.
La cena è a base di creature marine locali, ma per fortuna
il cuoco
non è un indigeno e le portate sono commestibili. Poi
c’è anche
la birra, quindi io ho risolto la totalità dei miei problemi
alimentari.
Rimango
a considerare che è davvero strano che la prima birra che ho
bevuto
su questo ignobile pianeta me l’abbia offerta proprio Kurtz.
Dopo
aver formulato questo pensiero cerco il padrone di casa, ma non lo
vedo da nessuna parte. Mi guardo intorno mentre la mai sopita
diffidenza comincia a paventarmi scenari dei più terribili.
La
cenetta, il lume di candela, la birra… sta a vedere che tra
un po’
i sullustiani smettono la veste da camerieri e ritirano fuori quella
da scherani ammazzatori di inermi.
Sono
immerso in queste ansiogene elucubrazioni quando vedo Kurtz in
persona avvicinarsi al tavolo dove io e le birre ci stiamo godendo la
serata. Si sta trascinando dietro qualcuno per la collottola.
“Veers,
questo deve essere un suo collega,” mi fa, poi butta Hyaskon
su una
sedia.
Io
guardo perplesso il capitano medico, poi guardo lui.
“Ma...”
comincio, non sapendo bene cosa chiedere.
“La
timidezza va combattuta. Anch’io ero timido da giovane, sa?
Me ne
stavo sempre per conto mio, nessuno mi chiamava alle feste.”
Si
rivolge a Hyaskon: “Non si preoccupi, so cosa si
prova.”
Il
capitano medico, che dev’essere stato convinto a vincere la
sua
fobia sociale con metodi piuttosto energici, si limita ad annuire. Si
siede più comodo e con aria sognante fa: “Che
classe...”
“Di
cosa sta parlando?”
“È
salito su, mi ha agguantato e mi ha portato qui. Capisce?”
Pausa
densa di rimembranze. “Magnifico!”
Abbandono
Hyaskon alle sue innominabili fantasie erotiche e faccio scorrere lo
sguardo sulle eroiche truppe. Depauperata delle sue libidini, la
twi’lek guarda le lune, ma non sa più
perché. Ha la confusa idea
che una volta questa cosa avesse uno scopo, ma adesso l’unico
effetto che ha è farle venire male al collo.
In
vena di trasgressioni, i tre sfigati si sono spartiti una bottiglia
di birra, con il risultato che si sono ubriacati ignobilmente.
Pendono dalle rispettive sedie come le vittime di un attacco col gas
nervino, serenamente ignari di tutto ciò che li circonda.
Il
wookiee è nella tipica ‘fase pattume’,
un tratto distintivo
della specie: raccoglie qualsiasi cosa gli sembri commestibile,
compresi gli scarti lasciati dagli altri commensali, e felice la
ingerisce.
Il
nostro colonnello si è addormentato. Per fortuna mentre
crollava uno
dei baffi gli si è agganciato a qualcosa, conferendogli
l’inconfondibile aspetto di uno strofinaccio da cucina appeso
a un
gancio.
Nè
la Du Bal né Tani Du sono in vista, ma i clamori che si
odono fanno
chiaramente capire in che genere di attività siano impegnati.
Io
e Hyaskon, seduti a lume di candela, meditiamo in silenzio, lui
perché si aspettava di trovare il parco giochi dei simpatici
torturatori e invece è stato accolto da un tranquillo
pensionato che
si è anche preso cura della sua timidezza, io
perché ho davanti un
bel po’ di bottiglie di birra e sto mentalmente dialogando
con
loro.
La
notte kaminoana, con le sue lune sovrabbondanti, veglia su di noi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Giorno 13 - L'Orrore... l'Orrore... ***
Scusate
se posto con questo ignobile ritardo, ma il 20 ero in coma etilico
per il festeggiamento di una certa ricorrenza, e il 21 non ho avuto
un attimo di tempo^^
Giorno
13 – L’orrore… l’orrore...
Il
mattino dopo mi sveglio e scopro di essere in una foresta i cui
alberi hanno il tronco trasparente. Per un po’ rimango a
meravigliarmi della faccenda, poi realizzo che ho la testa sul tavolo
e che davanti ai miei occhi non ci sono tronchi d’albero ma
bottiglie di birra vuote.
Mi
compare sul volto un sorriso ebete: finalmente si ritorna alla
normalità. Non ne potevo più di sveglie alle
zero-sette-zero-zero e
altre eccentricità militari. Conto i cadaveri, ovvero le
bottiglie
di birra vuote, e realizzo che queste due settimane di angherie,
rotture di palle e astensione dall’alcol non hanno affatto
rovinato
la mia media.
Certo
non sono ai livelli delle gare con gli artiglieri della Morte Nera,
ma il buon vecchio fegato continua a fare il suo dovere.
C’è
il sole, il che su Kamino è una stranezza non da poco, e
c’è un
silenzio siderale. Solo qualche stormire di fronde di quando in
quando, o il tintinnio delle bottiglie vuote quando mi muovo.
Lo
scurrier del senso del dovere, notoriamente astemio e salutista, fa
udire nel mio cervello la sua vocetta lima-gonadi: “Dove sono
tutti
gli altri?”
Risponde
per me il rangkor della Cialtronaggine: “Chi se ne
frega.”
Mi
alzo dal mio tavolino e mi aggiro un po’ per
l’isola. L’unica
forma di vita che scorgo a parte le palme è Lothar, che
probabilmente per coazione a ripetere ha in mano un sacco e sta
raccogliendo il pattume lasciato dalla festa. Mi saluta con un
bramito e mi chiede se so dove sono i contenitori della raccolta
differenziata.
“Lo
ignoro, mio peloso amico,” gli rispondo. “Forse lo
sa Kurtz, ma
eviterei si svegliarlo dopo una notte di libagioni con una domanda
del genere. Come a te è venuto l’istinto di
riordinare, non vorrei
che a lui tornasse quello di massacrare.”
Lo
wookiee grugnisce un: “In effetti...” e torna a
raccogliere roba.
Continuo
la mia svagata ispezione. Sdegnosi come tutti i devoti
dell’odiosa
regola B’omarr, i nostri due kaminoani hanno rifiutato con
spregio
di unirsi ai festeggiamenti (a parte Tani Du quando
c’è stato da
alesare gli orifizi della squinternata professoressa, ovviamente.
Lì
pare che la regola B’omarr contempli eccezioni).
Li
trovo in plancia a culo per aria e fronte a terra che salmodiano. Per
un po’ pondero l’idea di andare a chiamare Hyaskon
e
sguinzagliarlo su tutto quel ben di dio (del dio B’omarr, per
la
precisione), ma non sapendo in che condizioni psicofisiche si trovi
il mio collega decido di lasciar perdere. Capace che me lo devo
portare sulla nave a braccia e una volta arrivato là gli
venga
l’orribile idea di rivolgere a me le sue
lubriche
attenzioni.
Arrivo
alla spiaggia. Al largo c’è un tizio che sta
pagaiando con impegno
su una specie di canoa. Da lontano si vede solo la sagoma, ma due
pseudo-zanne gamorreane ai lati della testa mi fanno subito capire di
chi si tratti. Mi occulto rapidamente dietro il tronco di una palma
onde evitare che al mio squinternato superiore venga voglia di
coinvolgermi nelle sue esercitazioni di canottaggio. Frattanto mi
chiedo se ci siano creature marine gigantesche e carnivore, su questo
scipito pianeta, e nel caso quale sia il modo per attirarle.
Vedendo
che Waxen sta prendendo il largo, decido di lasciarlo andare.
Chissà,
magari scomparirà nelle vastità oceaniche di
Kamino e quando lo
troveremo sarà già morto disidratato.
Arrivato
in prossimità della casetta leggiadra, comincio a sentire un
incalzante cicalare. Mi sposto con discrezione verso la terrazza che
dà sul mare, ovvero l’epicentro del casino, e si
offre ai miei
occhi la seguente scena: vestita da camerierina sexy, la
twi’lek
sta per l’appunto facendo la camerierina: ha un vassoio con
tazze
di caffè e altre cose e volteggia con grazia da un
commensale
all’altro. I commensali, nella fattispecie, sono Kurtz, la Du
Bal e
i tre soldatini.
“Un
altro po’ di marmellata, Buddy?” gorgheggia
l’aliena rivolta a
Biscottino. Poi, a Zuccherino: “Ross, tesoro, ora
Fjo’ona ti dà
una bella cioccolata calda, d’accordo? Così ci
mettiamo a posto il
pancino.” Poi, minacciandolo con un indice ammonitore:
“Quante
birre abbiamo bevuto ieri sera, ometto?”
E
lui, facendosi piccolo: “Cento...”
“Cento
birre?” lo interrompe Fjo’ona, mettendosi le mani
sui fianchi con
fare indignato. “Meriteresti proprio che ti facessi tò-tò
sul culetto!” Chiaramente l’aliena non è
consapevole delle più
elementari norme della fisica e della biologia, che rendono
incompatibile qualsiasi organismo umano con la quantità di
birre
menzionata.
“Veramente
sono cento millilitri, signorina Fjo’ona,”
chiarisce il soldato,
il cui colorito sta virando verso il porpora Royal Guard.
Pasticcino,
che sperava di averla scampata, viene catturato in extremis:
“E noi
abbiamo bevuto, piccolo Victor?” lo interroga la
twi’lek.
“Poco
poco, signorina Fjo’ona,” balbetta il soldato.
“Poco
poco,” fa lei,
imitando il tono del ragazzino, “E allora perché
ci hanno trovati
sdraiati a pancia in su sulla spiaggia? Volevamo prendere il
sole?”
Poi, dopo una pausa pregna di riprovazione: “Meriteresti che
ti
mettessi in castigo.”
Si
allontana ancheggiando sui tacchi e va al fornello, dove
canticchiando comincia ad aprire barattoli a caso. “E
comunque non
voglio vedere quelle facce scure!” proferisce.
“È una bellissima
giornata e ora andremo tutti al mare. Ce li abbiamo i costumini,
ometti?”
Io
mi guardo bene dal palesarmi. Una volta uccise le sue libidini,
l’istinto di darsi agli altri tipico della twi’lek
non si esplica
più in troiaggine ma di volta in volta in infermieraggine,
camerieraggine e stucchevole mammismo. Quest’ultimo in
effetti è
il più pernicioso, perché la porta a una tremenda
alternanza di
tenerezza e rimbrotti che farebbe montare l’incazzatura a una
segreteria telefonica.
Intanto
Fjo’ona torna dalla cucina. “Opheliuccia, vuoi un
bel caffè?”
cinguetta alla squinternata docente.
“Caffè...”
risponde la Du Bal, come se non avesse mai sentito prima il vocabolo.
“Ma
certo che lo vuoi, non è vero?” E le mette davanti
una tazza
fumante. La professoressa se la rovescia in testa e ride con aria
ebete.
In
tutto ciò, l’espressione di Kurtz si sta facendo
preoccupante.
“Perché non si siede un po’ con noi,
signorina?” propone alla
twi’lek con voce minacciosamente calma. “Io al
mattino ho bisogno
di tranquillità.”
“A
me invece la tranquillità mette una gran
tristezza,” risponde
ignara l’aliena. “Anzi, vogliamo intonare una bella
canzoncina?”
“No,
non vogliamo intonare nessuna canzoncina,” risponde Kurtz.
“Oh,
per favore. Quella dei jawa! Quella dei jawa è
bellissima!” E poi,
muovendo l’indice per dare il tempo intona: “Ho
visto un jawa che
si dondolava sopra un filo dell’alta tensione. Trova il gioco
molto
interessante...”
Non
sapremo mai cosa fece il jawa dopo aver trovato il gioco
interessante. Con un’imprecazione irripetibile, Kurtz si
alza,
agguanta la twi’lek a mezzo corpo e prima che la scosciata
possa
dire bah
la defenestra, dalla parte degli scogli.
Dal
basso giungono strida, il colonnello si limita a chiudere i vetri.
“Stavamo
dicendo?” chiede all’uditorio.
Segue
un silenzio siderale.
La
colazione prosegue in un’atmosfera da convento
B’omarr. Io,
chiaramente, evito di palesarmi. Procedo alla ricerca del capitano
medico, che è l’unico che manca
all’appello.
L’ultimo
ricordo che ho di lui è che era seduto di fianco a me mentre
io
bevevo birre e dialogavo dei massimi sistemi coi vuoti.
Visto
che non mi va di perdere tempo aggirandomi vanamente, attivo i
sensori di ricerca e li taro su ‘umano’, sperando
che per una
volta mi diano una lettura corretta. Cominciano subito a fare
bip-bip. Sul display compare un puntino luminoso decisamente lontano
dalla leggiadra casetta di Kurtz.
Vado
a vedere.
Dopo
un’improba camminata nella giungla, schivando rampicanti e
proferendo bestemmie, arrivo dall’altra parte
dell’isola.
Seduto
su uno scoglio, lo sguardo perso all’infinito,
c’è Hyaskon. Per
un po’ rimango a guardarlo, ma il capitano medico
è più immobile
di un TIE-fighter in avaria. L’unico movimento che si
concede, di
tanto in tanto, è un sospiro che sembra l’ultima
esalazione di uno
hutt morente.
Mi
avvicino con cautela. “Beh?” gli chiedo appena
arrivo accanto a
lui.
Silenzio.
“Collega?”
Alza
le spalle. Senza mutare la sua posizione, come se stesse parlando
alle inutili immensità oceaniche di Kamino, comincia:
“Io ci avevo
sperato, sa? Un pazzo sanguinario che ammazzava indiscriminatamente,
che squartava, torturava e scuoiava. Quando lei mi ha letto quei file
su Kurtz non credevo alle mie orecchie.” Tace, emette un
altro
sospiro di inaudita tristezza. “Ma io gliel’avevo
detto fin
dall’inizio che questa missione sarebbe finita tragicamente,
no?”
“Beh,
per tragicamente,
io intendevo essere catturati e seviziati da Kurtz, non scoprire che
è un tranquillo pensionato.”
“Lei,
Veers, non ha idea di cosa vuol dire vedere i sogni di una vita
infrangersi.”
“Perché,
secondo lei come ci sono rimasto io arrivando su Kamino e scoprendo
che c’era da bere solo della Tusken-Cola? Mi crede
così
insensibile?”
Per
un po’ rimaniamo a contemplare le onde.
Trascorrono
così lunghi minuti. Ahiwa passano sull’orizzonte
con lenti battiti
d’ala.
Contemplare
le onde, però, oltre ad essere orribilmente noioso, mette
una gran
sete, perlomeno a me, per cui dopo un po’ propongo:
“Collega, che
ne direbbe di una birra?”
“Ma
certo,” replica lui col tono amaro di un eroe tragico che fa
l’ultimo discorso alle truppe prima di una battaglia con
sproporzione di forze di dieci a uno a favore del nemico.
“Lei
risolve tutto con le birre. Molto comodo. Qualcosa non va? Una birra
e via, non ci si pensa più.” Poi, fissandomi negli
occhi: “Io
credevo
in quell’uomo.”
Sospiro
con aria paziente. “Dunque, Hyaskon,” chiarisco,
“io risolverei
tutto con le birre se ce ne fossero. Ma visto che finora
c’è stata
abbondanza di qualsiasi cosa, compresa la merda di scurrier
liofilizzata, ma non di
birra, trovo questa sua semplificazione della mia complessa
personalità a dir poco insultante e fuori luogo. Ora le
propongo due
opzioni: la prima è di restare qui a dolersi del
pensionamento di
Kurtz con davanti agli occhi la tristezza di una distesa di acqua
salata. La seconda è quella di fare la stessa cosa, ma con
davanti
agli occhi una birra. O un mojito, se preferisce.”
“Che
senso ha la vita?” è l’unica risposta
che mi giunge.
Non
essendo preparato ad affrontare argomenti di tale portata da sobrio,
decido di lasciarlo al suo destino e raggiungo la casetta di Kurtz.
Quando
avrà fame tornerà da solo, suppongo.
Nella
leggiadra casetta, intanto, le cose stanno procedendo. La Du Bal non
è più in vista, la twi’lek,
incerottata, zoppicante e con un
occhio nero, si è fatta passare in tempi brevissimi gli
afflati
materni e sta ben attenta a non entrare nemmeno per sbaglio nel
raggio d’azione del colonnello Kurtz. I tre soldatini, ancora
con
qualche postumo delle immani libagioni della sera prima, sono seduti
sul molo, ognuno con una canna da pesca in mano, ma a giudicare
dall’espressione sembrano totalmente ignari del funzionamento
dell’oggetto.
Il
nostro tranquillo pensionato sta armando la barca da pesca.
“Vado a
recuperare Culosecco,”
mi accoglie, “Altrimenti chissà
dov’è capace di andarsi a
cacciare.”
Lo
fisso stupefatto. “Culosecco?”
“Era
come chiamavamo Waxen alla guarnigione di Brettna. Aveva il culo
talmente ossuto che bucava i sedili degli AT-ST. Viene con me,
Veers?”
“Ecco,
io...”
“Ho
una cassa di birra fresca.”
“Volevo
dire che sono pronto, signore. Se c’è da salvare
Culosecc… ehm…
Waxen non sarò certo io a tirarmi indietro.”
Non
siamo ancora salpati che già abbiamo stappato la prima
bottiglia. Io
mi accomodo sul sedile imbottito che mi è stato offerto e
penso
all’assurdità della situazione: sono su una barca
a tu per tu con
il terribile Kurtz, uno che ha trucidato, squartato, devastato,
compiuto genocidi, si è fatto adorare come un dio, ha
effettuato
sacrifici umani e praticamente ha gettato nel terrore un intero
pianeta. E io sono qui che ci bevo una birra insieme.
Cominciamo
a cercare lo squinternato colonnello. Ormai è mattina
inoltrata e
l’oceano è una tavola blu con qualche vaga
increspatura. Dovunque
possa spaziare la vista, non c’è assolutamente
nulla.
Io
comincio a immaginare mostri orribili che emergono e fanno un solo
boccone della canoa, malori, improvvisi groppi di vento…
“Proviamo
al resort,” mi fa Kurtz. “Di solito quando trovano
qualcuno
disperso lo riportano là.”
“C’è
un resort da queste parti?”
“Più
d’uno, in realtà. Dove pensa che vadano a finire
tutte le
coppiette che arrivano su Kamino per trascorrere la luna di
miele?”
“Nei
resort?” propongo.
“Esatto,
anche se a volte mi fanno venire la tentazione di tornare alle
vecchie abitudini. Non c’è niente di
più fastidioso di quelle
coppiette che stanno sempre appiccicate a tubare.”
“Sissignore.”
“Le
scioglierei nell’acido, le scioglierei.” Poi mi
fissa. “Beva la
sua birra, se no si scalda.”
“Sissignore.”
Dopo
un’oretta di navigazione arriviamo al famoso resort, che
porta
l’evocativo nome di Tropical
Paradise.
“Guardi
un po’ che schifo,” mi fa Kurtz. “E
pensare che mi ero anche
procurato il dépliant di questo posto.” Poi, dopo
una pausa: “C’è
da dire che dopo un po’ che si sta nella base di Nuwara Eliya
comincia a sembrare bello anche il deserto dello Jundland.”
Io
osservo il villaggio vacanze: il primo spettacolo, per la
verità
abbastanza triste, che si offre ai miei occhi è una
compagine di
alieni assortiti in acqua fino alle anche (chi possiede gambe, se no
in acqua fino a metà corpo). I suddetti sono rigorosamente a
coppie,
tranne gli Ithoriani, che come è noto hanno sei sessi
diversi e
regole complicatissime per abbinarli, e quindi sono in gruppi di
dieci o quindici individui. Non voglio pensare al costo di una luna
di miele ithoriana.
Gli
alieni, dicevamo, sono in acqua e guardano tutti verso lo stesso
punto, ovvero una gentile signorina kaminoana con tanto di collana di
fiori e gonna di rafia che sta facendo fare aqua-gym al gruppo. Data
la flemma degli indigeni, la seduta somiglia più che altro a
un
corso di mobilizzazione per la terza età.
Io
mi volto verso Kurtz. Con un sospiro, il colonnello mi dice:
“Lo sa
che fine avrei fatto fare a questo branco di idioti ai miei
tempi?”
“Posso
immaginare, signore,” gli rispondo.
Lui
scuote la testa mentre sul viso gli compare un inquietante ghigno.
“No, Veers, non può immaginare, si fidi.”
Qualcosa
mi suggerisce che sia meglio non approfondire.
Stappo
un’altra birra mentre la nostra barca si avvicina lentamente
alla
spiaggia. Lo squallore del posto si palesa sempre più man
mano che
ci avviciniamo. L’acqua sembra lo scarico di un cesso
gamorreano,
inoltre vi brulicano forme di vita dall’aspetto decisamente
poco
invitante. Coppie aliene vanno su e giù lungo la spiaggia
mano nella
mano (o tentacolo nel tentacolo, chela nella chela, ventosa nella
ventosa. Sempre che non siano miste, e allora c’è
ogni possibile
combinazione di appendici che di intersecano con altre appendici). Ci
sono addirittura, tristezza somma, due mandaloriani. Costoro,
guerrieri terribili, sterminatori di nemici e assassini temuti da
chiunque nella galassia, girano tenendosi per manina, lei in bikini
coi coniglietti e lui in boxer coi cuoricini ma entrambi con
l’elmo
in testa.
Di
che fargli una foto e ricattarli per il resto della loro vita.
Attracchiamo
in un nugolo di battellini da pesca rosa e azzurri, poi scendiamo a
terra. La tristezza del posto aumenta esponenzialmente a ogni passo:
ci sono il centro massaggi, il ristorante, la spa, i giardini e
persino la birra, ovviamente tutto a profumato pagamento. Se no, noia
mortale.
Ci
stiamo così aggirando quando sentiamo
l’inconfondibile voce
raccontare: “...Ed eravamo tutti nell’acqua fino al
collo! Quella
dianoga miserabile, il Bastardo Nero, era riuscita a farci rovesciare
la barca e quindi stavamo sguazzando nel bel mezzo della palude, con
i bog-wing che ci svolazzavano intorno alla testa e le sanguisughe
che ci si infilavano nei pantaloni. Quand’ecco
che...” In quel
momento passa la mandaloriana in bikini, dotata di addominale
scolpito e culo di tungsteno. “Oh, buon giorno gentile
signora!”
La segue con lo sguardo assumendo l’espressione ebete.
“Quand’ecco
che… che...”
“La
dianoga?” propone qualcuno.
“La
dianoga? Che c’entrano adesso quelle bestiacce viscide e
puzzolenti? Stavamo parlando della battaglia di Surak, dove
c’era
un gruppo di cosi… come si chiamano? I cosi che
sparano...”
“Cannoni?”
“Ecco,
sì. I cannoni. Ma cosa c’entrano poi i cannoni con
le dianoghe?”
Io
mi volto verso Kurtz. “Provi un po’ a immaginare
dodici lunghi
giorni agli ordini di uno così...”
“Io
l’avrei fatto fuori a metà del secondo,”
mi risponde.
“Ci
ho provato disperatamente, ma o c’erano troppi testimoni, o
non
avevo le armi giuste sottomano. E comunque capitava sempre qualcosa
che al momento giusto mi mandava tutto a monte.”
“Peccato
che non ci siamo conosciuti prima, Veers. Le avrei insegnato un paio
di trucchi.” Poi si avvicina al colonnello e fa:
“Waxen, è
giunto l’ordine di evacuare la zona. Tra un po’ ci
sarà un
attacco di calamariani e lei come ufficiale superiore ha il dovere di
preservare la sua vita per la controffensiva.”
Il
baffo del colonnello, tuttora in stato di rigor cadaverico,
riesce comunque a fremere. “Un attacco!” esclama il
fossile, “Lo
dicevo, io! Quei maledetti dei calamariani scelgono sempre i posti
dove ci sono più civili inermi per attaccare! Specie di
luridi
cefalopodi senza onore né moralità!”
Poi, con voce stentorea,
rivolto alle coppiette dell’aqua-gym: “Avete
sentito? Tra un po’
ci sarà un attacco da parte di navi di Mon Calamari! Lo
sapete cosa
fanno i calamariani ai prigionieri? Per vendicarsi di essere sempre
trattati da seppie li tagliano ad anelli e li friggono!”
Ovviamente
la frase scatena il panico. L’acqua comincia a ribollire di
alieni
in fuga, che si calpestano gli uni con gli atri per allontanarsi
prima. L’animatrice kaminoana viene senza tanti complimenti
travolta, coppiette smielose, unite da eterno amore, si sgomitano in
bocca (o nel becco, nella proboscide, etc etc), maritini e
mogliettine si prendono a pugni, i più grossi menano i
più piccoli
senza tanti complimenti. Un mandaloriano (non quello coi boxer a
cuoricini) agguanta un ugnaught per i piedi e comincia a mulinarlo
per tenere lontani gli astanti.
La
scena di follia collettiva dilaga nel centro massaggi, nel
giardinetto rilassante e nella spa. Approfittando del casino, i
più
furbi prendono d’assalto il bar e fanno man bassa delle
costosissime bevande alcoliche. Un monaco B’omarr che passava
per
di lì non trova altro modo per salvarsi che arrampicarsi sul
soffitto e far finta di essere un’applique.
In
questo pandemonio, in piedi su un tavolo e miracolosamente illeso,
Waxen ulula: “Dove andate, codardi! Dobbiamo organizzare le
difese,
dobbiamo arruolare i maschi abili! Approntare un’infermeria
di
emergenza per le innumerevoli mutilazioni e ferite devastanti che ci
saranno! Recuperare armi di fortuna!”
Un
brulichio di alieni di varie forme prende d’assalto le
graziose
barchette e cerca con quelle di allontanarsi, non si sa dove
né
perché. Nell’appropriarsi dei piccoli natanti,
maritini
scazzottano mogliettine, giovani spose danno colpi di remo nel plesso
solare degli altrettanto giovani mariti, attempate coppie che
festeggiano nozze di vari metalli preziosi vengono senza tanti
complimenti affogate da chi è più giovane e
vigoroso.
Kurtz
porta debitamente al largo la barca da pesca, stappa una birra e si
siede su una sdraio a contemplare l’apocalisse. “Mi
sembra di
tornare ai bei tempi,” mi confida.
Io
rimango per un po’ a fissare la devastazione, poi ricordo al
colonnello che forse sarebbe meglio raccattare Waxen.
“Ah,
già. Culosecco. Con tutto questo cinema me n’ero
dimenticato. Vada
a prenderlo, Veers.”
Mi
volto basito verso di lui. “Eh?”
“Lo
prenda e lo porti qui. Io sto bevendo una birra.”
Ah,
sì? Stappo a mia volta una bottiglia, mi siedo su una sdraio
e gli
rispondo: “Anch’io sto bevendo una birra.”
Kurtz
mi fissa con sguardo inceneritore. “Rifiuta di eseguire i
miei
ordini?”
“Ci
può giurare. Lei non è più un
colonnello, è un tranquillo
pensionato molto simpatico col quale si fanno piacevolissime bevute,
ma non ha più alcuna autorità su un ufficiale
imperiale quale io
immodestamente mi pregio di essere.” Lo fisso con espressione
serafica.
Sull’isoletta
del resort, frattanto, è in corso una specie di rivoluzione.
Qua e
là cominciano a balenare i primi incendi, si approntano
barricate di
fortuna.
Sempre
in piedi sulla sua cassetta, Waxen arringa le folle.
Per
fortuna, dopo un po’ è il vecchio fossile che ci
cava d’impaccio.
Vede la nostra barchetta, contempla un’ultima volta
l’enorme
casino in corso sull’isoletta e si butta con elegante tuffo,
cominciando a pagaiare nella nostra direzione con il tipico stile
detto ‘a worrt’.
Lo
ripeschiamo.
“Sono
impazziti tutti!” ansima. “A un certo punto
qualcuno ha detto che
stavano arrivando delle navi dei Mon Calamari e la gente ha
cominciato a comportarsi in modo strano. Io vorrei proprio sapere chi
è stato.”
“Sicuramente
qualcuno che si era fatto una dose di troppo di
spacca-cervello,”
dice impassibile Kurtz.
L’ottuagenario
si volta, riconosce il mio accompagnatore e a pieni polmoni esclama:
“Ma guarda chi si rivede: ‘Polpetta’
Kurtz! Ma che bella
sorpresa ritrovarla qui, ragazzo mio! Non era alla guarnigione di
Brettna?”
“Veramente
è stato vent’anni fa, signore,” risponde
Polpetta, che forse non
ha ancora ben chiari i sintomi dell’Alzheimer.
“Vent’anni?
Impossibile! Me lo ricordo come se fosse ieri. Lei comandava un
gruppo di AT-ST. E mi dica, adesso dov’è
assegnato? Non sapevo che
qui su Aquarian ci fossero basi imperiali. E come sta
‘Cerotto’
Janrand? Non c’era esercitazione in cui non si facesse male
da
qualche parte, deve aver consumato più bende lui di un
intero
battaglione di assaltatori!”
Kurtz
mi fissa con l’aria di chiedermi aiuto.
Mi
rivolgo a Waxen: “Signore, che ne dice di tornare alla base?
L’abbiamo lasciata incustodita per troppo tempo, i nexu sono
sempre
in agguato.”
L’ometto
mi fissa con un brillio cupido negli occhi. “I
nexu?”
“E
i bantha, signore. Dicono che qui pascoli un maschio enorme, che
nessuno è mai riuscito ad abbattere.”
“Un
bantha che nessuno è mai riuscito ad abbattere? È
mio! A me il
fucile di precisione! Voglio appendere la sua testa sul caminetto del
circolo ufficiali!”
Io
rivolgo lo sguardo all’esterrefatto Kurtz e gli dico:
“Tanto tra
mezz’ora si sarà già
dimenticato.”
Rientriamo
a MAL-47. Nel frattempo è arrivato il consueto monsone e sta
venendo
giù l’inferno idrico. In giro non
c’è nessuno a parte la Du
Bal, che incurante della pioggia siede su una sdraio declamando versi
in lingue aliene che preferisco non approfondire (a meno che non stia
semplicemente dando sfogo a un’eccessiva aerofagia).
Considerato
che ha l’aria di trovarsi perfettamente a suo agio
dov’è, la
lasciamo scrupolosamente in pace.
Rintanati
in casa ci sono Fjo’ona incerottata ma in tenuta da cameriera
sexy,
i tre soldatini e il wookiee. Non si vede Hyaskon.
Chiedo
lumi alla twi’lek.
“È
andato a suicidarsi,” mi spiega lei, tranquilla come se mi
stesse
dicendo che è andato a fare la pipì,
“ha detto che la vita non
aveva più senso.”
“E
tu non l’hai fermato?”
“Gli
ho detto che il pranzo era quasi pronto, ma non mi ha dato
retta.”
Ha anche il coraggio di fare il broncio.
“Da
che parte è andato?”
“Ha
detto che andava sulla nostra nave a preparare la roba. Non so che
roba volesse, poi. Qui non c’è nessuna
festa.”
Mi
viene un dubbio: “Fjo’ona, lo sai cosa vuol dire
suicidarsi?”
E
lei: “Certo, per chi mi prendi? Vuol dire andare a una festa
con
dei vestiti completamente fuori moda e col trucco sbagliato, e dopo
tutti ti prendono in giro e non puoi più fare
l’olomodella. Non
sapevo che Evan fosse un olomodello, però.”
Tralascio
la risposta. Sfidando i monsoni vado sulla nave a controllare che ne
è stato del capitano medico. Con tutta la roba che ha nella
sua
borsa, sarà morto stecchito. Comincio a ragionare su quale
sia il
modo migliore per disfarmi del cadavere.
Mentre
sono immerso nelle mie necroforiche meditazioni, comincio a sentire
delle vocette infantili provenire dalla scala che porta alle cabine.
Alle vocette è associata una musichetta, il diminutivo
è d’obbligo
in quanto trattasi di canzoncina da asilo.
Basito
vado a vedere, scoprendo che i rumori provengono nientemeno che dalla
cabina di Hyaskon. Mi affaccio e vedo quanto segue: sdraiato sulla
cuccetta, il capitano medico sta guardando sul suo laptop una puntata
degli Astrotubbies, un orrendo programma per bambini ritardati dove
quattro alieni nani dicono cazzate con voce infantile.
Al
mio apparire, ieratico Hyaskon mi ammonisce: “Un
po’ di rispetto,
Veers: mi sto suicidando.”
“Con
gli Astrotubbies?”
“Lei
conosce forse un modo che causi maggiore sofferenza?”
Mi
raccolgo in meditazione. “Un palo rovente su per il
culo?”
propongo. Forse la vicinanza con Kurtz mi sta facendo male.
Il
capitano medico prende in considerazione la cosa e un vago sorriso
gli aleggia sul volto cupo. “Lei sa sempre come sollevarmi il
morale, Veers,” mi dice.
“Quindi
non si suicida più?”
Alza
le spalle. “Posso sempre farlo più tardi. A pagare
e a crepare c’è
sempre tempo, no?”
“Ecco,
allora spenga quella roba se no tra un po’ mi suicido
io.”
Scendiamo
a terra. Strada facendo gli chiedo: “Ma perché poi
voleva
suicidarsi, collega?”
Hyaskon
mi guarda con riprovazione. “Veers, se io non fossi un
eminente ed
entusiasta anatomopatologo, parlando con lei dovrei concludere che la
demenza di Alzheimer è contagiosa. Non più tardi
di stamattina le
ho spiegato dettagliatamente i motivi del mio stato
depressivo.”
“Insistevo,
Hyaskon, perché i suoi motivi di stamattina mi sono sembrati
– e
continuano a sembrarmi, peraltro – idioti dal primo
all’ultimo.
Volevo vedere se per caso era rinsavito.”
Il
capitano medico sta per prendermi a male parole quando Zuccherino, in
tutta la sua fanciullesca grazia, ci raggiunge e ci annuncia che il
pranzo è pronto. Hyaskon fa un sorriso ebete, dà
un buffetto sulla
guancia al soldato, lo guarda andare via e con un sospiro mi fa:
“Cosa stavamo dicendo?”
“E
poi sarei io quello con l’Alzheimer,” brontolo.
Oggi,
cucina twi’lek.
Devastata
da afflati di economia domestica, la nostra inutile
cubista-olomodella-segretaria-meretrice de-bagascizzata
dall’iniezione di Hyaskon, ha pensato bene di cucinare un bel
pranzetto.
Ora,
bisogna citare un assioma fondamentale: la twi’lek non sa
cucinare.
Niente, nemmeno far bollire l’acqua.
La
twi’lek sa prendere parte a un’apericena, sa andare
a un brunch,
sa mangiare gli stuzzichini, ma non possiede altre abilità
collegate al cibo.
Se
siamo fortunati, avrà cercato di cuocere una ciabatta della
Du Bal
dentro la catinella del bucato.
“Ho
fatto da mangiare!” ci annuncia trionfante. In tavola
c’è una
massa nera e fumigante che assomiglia a un residuo di fusione.
“Alla
fine non è affatto difficile. Basta prendere la roba e
infilarla in
quell’armadietto là.” Indica il forno.
“Che
cos’era quando l’hai messo dentro?” le
chiedo, non riuscendo a
cogliere nell’agglomerato alcuna forma conosciuta.
“Scatolette.”
“Scatolette
di cosa?”
Fa
il broncio. “Uffa, una si impegna per fare un bel pranzetto e
questo è il ringraziamento!” Va via a culo dritto.
Dall’indagine
necroscopica compiuta sul residuo di fusione scopro che
Fjo’ona ha
infilato in forno dei barattoli di pastura per blutfish senza nemmeno
toglierli dall’involucro di cartone.
Questa
missione ha una particolarità: ogni cucina, per quanto
pessima, fa
rimpiangere la precedente.
A
parte l’offesissima scosciata e la squinternata docente,
partiamo
tutti in delegazione verso la nostra nave, dove Atama So e il suo
socio hanno approntato una tavola che perlomeno offre cose
commestibili.
Nel
raccapriccio dei due indigeni faccio portare dal wookiee una cassa di
birra, il che rende il pranzo decisamente più piacevole del
solito.
Nel
pomeriggio torna il sole e la twi’lek abbandona ogni
velleità
domestica per fiondarsi su una spiaggia. Il colonnello è
riuscito a
incantonare Kurtz e gli sta massacrando le gonadi con sconclusionati
aneddoti di guerra. Generalmente si rivolge a lui chiamandolo
‘Polpetta’, ma ogni tanto vengono anche fuori
soprannomi come
‘Blaster Pazzo’, ‘Insaccato’,
‘Due Crediti’ e altri che
chissà in quali meandri della squinternata memoria del
fossile si
trovavano.
Stufi
delle attenzioni di twi’lek e capitano medico, i tre
soldatini si
sono rintanati nella loro cabina e come da antichissima tradizione
militare fanno abilmente finta di non esserci.
Il
wookiee ha trovato la dispensa e non dà udienza a nessuno.
Ostentando
un’aria di stoica sopportazione, i due kaminoani raccolgono
le
bottiglie di birra vuote con le pinze che si usano nelle fonderie per
maneggiare le siviere incandescenti, quindi le buttano in un
contenitore contrassegnato dal simbolo della contaminazione
biologica. Fatto questo, sigillano il recipiente e lo spingono fuori
bordo come se si trattasse di una testata nucleare.
Non
paghi di ciò, recuperano una sonda a emissione di raggi
gamma,
ultravioletti, argento attivo e cazzi & mazzi (quelli non
mancano mai) e la passano su tutta la sala da pranzo, per eliminare
ogni molecola di alcol rimasta.
Una
volta che il luogo è adeguatamente disinfestato, si
prosternano a
culo all’aria e fronte a terra e salmodiano lungamente.
Io
osservo tutta la procedura e concludo che la religione
B’omarr è
nemica di ogni libidine e può piacere solo a dei masochisti
dalla
vita avara di soddisfazioni come i kaminoani.
Scendo
dalla nave alla ricerca di birre, con tutte le intenzioni di
replicare l’effetto foresta di stamattina.
Vado
alla ricerca del frigo portatile, lo riempio adeguatamente di birre,
lo trasporto vicino a una graziosa sedia sdraio collocata
all’ombra
e mi accomodo nella più grande tranquillità.
Do
di piglio alla prima bottiglia, pensando come al solito ai massimi
sistemi, ai motori primi e ai fini ultimi.
Passano
le ore e le bottiglie.
Mentre
penso a vari concetti filosofici, trovo anche il tempo per ragionare
sul simpatico Kurtz. Teoricamente, avendolo trovato e avendo egli
orgogliosamente confermato tutte le sue malefatte, dovrei comunicare
le sue coordinate alla Morte Nera e chiamare qui un certo numero di
Star Destroyer per radere al suolo, o meglio per vaporizzare,
trattandosi di acqua, un raggio di cento chilometri intorno a questa
isoletta.
In
pratica, però, la faccenda è un po’
più complessa. Primo, è una
buona idea far arrivare un nugolo di Star Destroyer sul pianeta che
ci fornisce la metà degli eserciti? Tipo, magari se la
prendono e ci
fanno arrivare eserciti di jawas rachitici invece di spedirci cloni
dell’atletico Jango Fett.
Secondo,
Kurtz è un tranquillo pensionato che va a pescare e quando
è in
animo di grandissime trasgressioni fa arrivare un sottomarino con un
toydariano che gli recapita una o più casse di birra. Ha un
senso
muovere mezza flotta per una cosa del genere?
Quasi
quasi mi sento di dare ragione a Hyaskon: fa una profonda tristezza
vedere il terribile Kurtz col cappellino alla cretina e la canna da
pesca in mano.
Continuo
a bere, nella speranza che l’Oracolo del Malto e la Sibilla
del
Luppolo si degnino di portarmi consiglio.
Alla
fine, com’era prevedibile, è il Guru
dell’Alcol che ha la parola
definitiva. Pondera accuratamente tutta la situazione e mi fa: tu
dì che non c’è alcun bisogno di
intervenire perché Kurtz ha
smesso di essere un problema.
In
effetti, Kurtz non è più un problema, e direi che
intervenire qui
causerebbe più casino che altro. Come sempre, do ragione al
Guru
dell’Alcol, e per dimostrargli il mio apprezzamento gli
faccio
un’altra generosa offerta.
Il
Guru dell’Alcol si dimostra soddisfatto e già che
c’è mi
fornisce un paio di consigli di economia domestica, così,
tanto per
farmi capire quanto è felice delle mie offerte. Apprendo i
segreti
della cottura del sugo di Ysalamiri e il modo di stirare le uniformi
senza bisogno dell’asse.
Dopo
queste due perle di cultura, salgo sulla nostra nave e serenamente
incurante delle occhiate di orrore che i kaminoani rivolgono alla mia
birra chiedo: “C’è modo di comunicare
con la Morte Nera da
questa nave?”
Atama
So fissa la mia bottiglia come se fosse l’incursore anale di
Rani
che io mi appresto a usare su di lui.
Io
gli rivolgo lo sguardo pacifico del dewback che pascola e gli ripeto
la domanda.
“Sì,
ma… quella bottiglia...” mormora il kaminoano, con
l’atteggiamento di chi teme che dal suddetto recipiente
possano
uscire da un momento all’altro gas venefici, o tentacoli
pronti a
strangolarlo.
“Questa
bottiglia è la mia birra,” gli spiego
cortesemente, “e non si
allontanerà da me fino a che non sarà vuota. Ora,
per favore, sia
gentile: mi metta in contatto con la Morte Nera. Al resto
penserò
io.”
Mi
accerto che la camicia hawaiana si veda bene e mi dispongo a salutare
il simpatico Governatore Tarkin.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Rapporto 06 sulla missione ***
Rapporto
06
“Governatore,
un messaggio per lei sul canale a priorità uno,”
annunciò un
piantone.
Meccanicamente,
Tarkin si sistemò l’uniforme. La
priorità uno era riservata
all’Imperatore, a Vader e a poche altre
personalità, oppure a
messaggi urgentissimi provenienti da zone d’operazione
particolarmente pericolose.
Si
spostò davanti al monitor.
Sullo
schermo comparvero delle righe orizzontali, poi degli ananas, delle
twi’lek nude e dei tramonti tropicali.
Lo
sfondo arretrò rivelandosi la fantasia di una camicia. Una
mano che
stava regolando qualcosa di fianco al monitor si abbassò.
“Sono
in onda?” chiese una voce che Tarkin avrebbe riconosciuto fra
mille.
“Ma
certamente, capitano,” rispose con tono da hostess qualcuno
fuori
campo.
“Perfetto!”
Il padrone della voce si sistemò meglio su una poltrona.
Aveva una
camicia hawaiana che sembrava un brutto viaggio da LSD, gli occhiali
da sole e una birra nella mano sinistra. Salutò portandosi
due dita
della destra alla fronte.
“Salve,”
fece. Poi, al protrarsi del silenzio di Tarkin: “mi riceve,
governatore?”
“La
ricevo, Veers,” ringhiò l’altro.
“Ah,
perfetto. Sa, le comunicazioni da Kamino non sono proprio il massimo.
Volevo dirle che Kurtz non sarà più un
problema.”
“Come
sarebbe a dire che non sarà più un problema?
È un pazzo furioso.”
“Lo
era, direi. Adesso non vi darà più alcun
fastidio.” Pausa.
“Possiamo rientrare?”
Di
nuovo silenzio da parte di Tarkin.
“No,
perché qui è piuttosto palloso, per sua
informazione. Non c’è
birra, tanto per cominciare.” Mostra la bottiglia:
“Questa me la
sono procurata di contrabbando, per esempio, e non è stato
mica uno
scherzo, sa? Su questo pianeta di maniaci dei B’omarr
è più
facile trovare delle Ewok Lolite che delle banali birre.”
Il
governatore strinse i pugni. “Ha altro di militare
da dirmi,
Veers, o si è fatto sentire solo per parlare di birre e
Lolite?”
“Negativo,
volevo solo farle sapere che Kurtz non sarà più
un problema per
l’Impero.” Si interruppe un attimo, poi, con
l’aria di chi si è
ricordato una cosa importante all’ultimo momento, soggiunse:
“Il
colonnello Waxen sta benissimo, signore, casomai fosse preoccupato
per la sua salute. È ansioso di farle rapporto sulla
missione.
Allora noi possiamo rientrare, vero?”
“Negativo!
Non potete affatto rientrare. Non finché non mi
porterà delle prove
di quello che sta dicendo.”
“La
trasmissione è disturbata. Ha detto che dobbiamo rientrare
con il
gatto alle nove? E dove lo trovo un gatto?”
“Ho
detto che non potete rientrare! Negativo! Rimanga
dov’è fino a
nuovo ordine!”
Veers
si mise una mano a coppa dietro il padiglione auricolare e gli fece
segno che non c’era l’audio. Si strinse nelle
spalle e salutò.
La comunicazione si chiuse sul primo piano della birra.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Giorno 14 - Saluti & Baci ***
Giorno
14 – Saluti & baci
Veniamo
svegliati nel corso della notte da un tifone che imperversa
sull’isoletta. La nostra nave rolla e beccheggia come il
deretano
di Samyra quando invece di fare la danza dei ventri fa la danza delle
natiche.
Mi
alzo dopo essere stato shakerato nella cuccetta peggio di un
Cosmopolitan e stando ben attento ai tre metri di dislivello scendo
per scrutare attraverso un oblò.
Fuori
è buio pesto. All’incerta luce di un alogeno vedo
i due kaminoani
darsi da fare con ancore sussidiarie e altri mezzi per evitare
l’affondamento del nostro simpatico natante. La Du Bal,
aggrappata
come sempre al braccio di Tani Du, fa del suo meglio per rallentare
le manovre e intanto ride come un’ebete sotto la pioggia
battente.
Come
se la squinternata professoressa non bastasse a rompere i coglioni
all’equipaggio, esce dalla sua cabina anche Waxen, che
immediatamente si mette a stracciare a sua volta le palle fornendo
oculati consigli sul modo migliore di gestire una nave in preda ai
marosi. Peccato che sia un ufficiale di fanteria e finora abbia visto
il mare solo in qualche audiovisivo didattico.
Io
faccio un paio di calcoli: controllo la distanza dalla terraferma e
l’accessibilità delle uscite, dopodiché
stabilisco che in caso di
affondamento non sarà un problema abbandonare la nave e
raggiungere
la costa. Torno a dormire il sonno dei giusti.
Fuori
c’è un po’ di tramestio, a onor del
vero, ma col cuscino sulla
testa la cabina diventa quasi silenziosa. L’unica cosa di cui
mi
rammarico è di non essermi portato dietro due birre,
perché adesso
sarebbe il momento perfetto per berle. Anche se obiettivamente non
conosco un momento che non sia perfetto per bere una birra.
Il
mattino dopo stiamo ancora galleggiando, il che è una gran
cosa, dal
momento che dovremmo anche usare la nave per raggiungere un trasporto
che ci faccia rientrare sulla Morte Nera.
Dopo
tutta l’attività notturna i kaminoani sono un
po’ stazzonati, ma
in fin dei conti tenerci a galla è il loro lavoro,
esattamente come
il mio è badare al branco di rincoglioniti. Io non mi sono
mai
andato a lamentare con loro del mio sporco dovere, quindi mi aspetto
che nemmeno loro lo facciano con me.
Scendo
a terra e trovo Kurtz già bardato da pesca. “Viene
con me,
capitano?” mi chiede sventolando la cassetta delle esche.
“Negativo,
signore. Oggi ce ne torniamo sulla Morte Nera, Tarkin non vede
l’ora
di riabbracciarmi.”
“Le
è così affezionato?”
“Più
o meno...” rispondo evasivo.
Il
colonnello finisce di caricare la sua barca, poi mi chiede:
“Quando
intende partire, Veers?”
“Il
tempo di bere un caffè e andiamo. In questo posto ci sono
troppi
insetti, troppa pioggia, troppo caldo e poca birra. Non fa per
me.”
“Le
mancano le ragazze?”
“Negativo.”
Mi
fissa un po’ stupito dal mio risoluto diniego, poi chiede:
“I
ragazzi?”
“Di
nuovo negativo,” rispondo senza scompormi.
A
questo punto, Kurtz si toglie il tipico cappellino alla cretina da
pescatore, si gratta la testa e mi chiede: “Nè
ragazze né
ragazzi? Allora cosa le piace, Veers?” Dalla faccia
è chiaro che
si sta aspettando risposte tipo ‘i jawas albini’,
oppure ‘gli
ayuboa ithoriani’.
“Veramente
non sarebbero affari suoi,” rispondo, “comunque
sono bisessuale:
mi piacciono sia la birra che i cocktail.”
Kurtz
si rimette in testa il cappellino e considera chiuso
l’argomento.
Nel
frattempo il resto del gruppo sta scendendo a terra. Confuso da tanta
abbondanza, il wookiee peregrina di albero in albero lasciando poche
gocce sul tronco di ogni pianta per non far torto a nessuno.
Chiaramente,
dopo un po’ che effettua questa complicata manovra gli va in
blocco
la vescica e comincia a lamentarsi cercando invano di mingere.
Quando
gli ululati hanno raggiunto il livello ‘amplesso collettivo
di
dodici hutt in calore dentro a una caverna con
l’eco’,
impossibilitato ad abbattere il wookiee vado alla ricerca di Hyaskon.
Il capitano medico ascolta il problema, prepara uno dei suoi
punturoni e mi fa: “Si metta un impermeabile,
Veers.”
“Un
impermeabile? Perché?”
“È
un appassionato di blue shower?*”
“Mai
sentito. Non mi pare un cocktail.”
“Le
confermo che non lo è, a meno che lei non abbia delle
perversioni
decisamente inconsuete. Allora, questo impermeabile?”
“Per
fare?”
Hyaskon
sospira e comincia a parlare come se avessi la sindrome di Down:
“Quando fare grande punturone a wookiee, wookiee pisciare
peggio di
irrigatore da giardino. Impermeabile: a posto. Niente impermeabile:
annegato. Chiaro?”
“L’unica
cosa che non mi è chiara, Hyaskon, è
perché devo andare io
a fare il punturone al wookiee. Io le ho mai chiesto di pilotare il
TIE fighter al posto mio?”
“Solo
perché qui non ci sono TIE fighter,” brontola il
capitano medico.
Mi
defilo con eleganza lasciandolo alle prese con il suo dovere.
Nel
frattempo, tanto per impiegare proficuamente il tempo, vado alla
ricerca di Atama So. Non perché la sua compagnia sia
chissà che
raffinato piacere, ma perché vorrei cercare di prenotare un
trasporto che ci faccia arrivare in qualche posto meno umido di
Kamino ma più ricco di alcol.
Il
languido indigeno sta togliendo da un gancio quel che resta di un
casco di banane. Io osservo incuriosito, sia perché fino ad
ora
avevo visto i caschi di banane solo in ologramma e poi
perché mi
chiedo a cosa possa servire (a parte mangiare le banane, cosa che non
ho mai visto fare né ad Atama So, né a Tani Du).
Visto
che se lo chiedo a me non ottengo risposta, giro la domanda al
comandante.
Questi
mi fissa come se gli avessi chiesto a cosa serve il culo. Scopro
finalmente come si misura il tempo su Kamino: in banane.
Atama
So mi elargisce una complicata disamina il cui sunto, alla fine,
è
che quando un kaminoano deve fare qualcosa si procura un casco di
banane e ne stacca (e mangia, se è un vizioso) una ogni tot.
Quando
le banane sono finite, è finito anche il tempo per fare
quella
determinata cosa.
Noto
che le nostre banane stanno volgendo al termine, il che non
è certo
un male.
Culturalmente
arricchito, chiedo ad Atama So di procurarci dei posti su un
trasporto.
“Per
dove?” mi chiede cortesissimo il gommoso alieno.
Perché
girarci intorno? “La Morte Nera o qualsiasi pianeta non
B’omarr,”
rispondo.
“Temo
di non poterla accontentare, capitano,” sospira desolato il
mio
interlocutore. “Ai seguaci della regola B’omarr
è proibito
andare in posti dove non si segue la regola.”
“Scusi,
e se uno non segue la regola B’omarr ed
è ospite del vostro
pianeta come fa?”
Mi
rivolge un sorriso. “Potrebbe convertirsi,
capitano,” mi propone.
“Senza
offesa, piuttosto mi taglio le palle e le metto in
formalina,”
rispondo, mentre un brivido d’orrore mi gira su e
giù per la
schiena. Poi mi viene un’ideona.
“Tatooine?” propongo.
A
Tatooine seguono la regola B’omarr come io seguo la
disciplina
militare, potremmo anche sfangarla.
Mi
accenna di sì con la testa. “Quello va
bene,” approva. Io
sorrido fra me e me già pensando alle bettole di Mos Eisley
e ai
cocktail gamorreani che colà vengono serviti.
Tramite
il terminale della nave kaminoana mi procuro i biglietti. Per fortuna
che ho la Imperial Platinum qui con me, altrimenti sarei stato
costretto a vendere la twi’lek per pagare il trasporto.
Torno
a terra. Probabilmente i miei simpatici compagni di viaggio
percepiscono l’aria di partenza, perché tutto sta
lentamente
tornando alla normalità: per fortuna Fjo’ona ha
smesso di fare la
camerierina e giace sulla spiaggia in pieno sole unta come una
cotoletta. Il wookiee, finalmente libero di mingere come vuole, ha
smesso di emettere ululati e sta sistemando il tostapane di Kurtz.
Hyaskon
sta bevendo un caffè nero con lo sguardo perso nel vuoto.
Quando mi
vede arrivare, con tono cupo dice: “Vedrà che la
nostra nave si
schianterà da qualche parte.”
“Anch’io
sono contento di rientrare,” gli rispondo, prendendo posto
dall’altra parte del tavolo. Guardo il caffè con
poca convinzione,
poi mi dico che da qualche parte nell’universo saranno le
cinque di
pomeriggio e prendo una birra dal frigo.
Arrivano
a questo punto i tre soldatini, che si fermano a un metro dal tavolo
e rimangono a guardarsi con aria irresoluta. Capisco subito il
problema: a uno dei tre toccherà sedersi accanto al capitano
Hyaskon, e Zuccherino, Pasticcino e Biscottino non ne vogliono
sapere.
Il
lugubre dottore però li ha già puntati.
“Chi è che viene a
sedersi sulle ginocchia di papà?” chiede con un
sorriso
inquietante.
Ma
prima che uno dei fanciulli possa eroicamente immolarsi, entra la Du
Bal scarmigliata e ansante, emette qualcosa che potrebbe essere tanto
un saluto in geonosiano quanto un’aerofagia fuori controllo e
salta
a piè pari in braccio al capitano medico.
“Papà!” bercia, poi
gli stampa due bavosi baci sulle guance.
“Veers,
me la tolga di dosso!” esclama Hyaskon, cercando senza
successo di
arginare gli slanci affettivi della regredita docente.
“A
me pareva che lei avesse degli afflati paterni,” rispondo.
Sorseggio tranquillamente la mia birra.
“Via,
se ne vada!” protesta il capitano medico.
E
lei, imperterrita: “Papà!
Papà!” Continua a sbaciucchiarlo come
se non ci fosse un domani.
“Zuccherino!”
urla lui disperato, “La mia borsa!”
Intanto
che il soldato va a recuperare l’unica speranza di salvezza
di
Hyaskon, la Du Bal gli si mette cavalcioni sulle ginocchia e comincia
a saltellare. “Fammi il dewback, papà!”
esclama. “Corri,
corri, dewback!”
“Veers!”
ulula di nuovo il mio collega. “Questa carampana pesa come un
bantha! Me la tolga di dosso!” Annaspa disperatamente nella
mia
direzione.
Dal
momento che ho finito la birra, decido di fare la mia buona azione
quotidiana. Mi alzo, raggiungo la saltellante professoressa e la
agguanto a mezzo corpo con l’intento di tirarla indietro.
Appena
si sente afferrare, la Du Bal rinsalda la presa sul capitano medico e
comincia a strillare imitando le bizze della tipica bambina che
scioglierei volentieri nell’acido.
La
faccenda va avanti per qualche minuto, poi attirato dai clamori si
affaccia Waxen, e ai suoi occhi si offre il seguente spettacolo:
Hyaskon seduto sulla sedia, con la Du Bal in braccio che va sue e
giù
e io dietro, cavalcioni a mia volta sulle sue ginocchia, abbracciato
alla professoressa. Tutti e tre stiamo variamente urlando e
grugnendo.
Visto
da fuori, è un perfetto sandwich.
Poco
importa, naturalmente, che nessuno di noi abbia la minima voglia di
approfittare delle grazie della squinternata Du Bal, il quadro
è
quello di un threesome (siamo in tre) granny, fat (la Du Bal) uniform
(io e Hyaskon) e ci metterei anche anal, visto che nel sandwich
è
contemplata la frequentazione di entrambi gli accessi al piacere.
Il
colonnello dapprima rischia seriamente l’infarto. Poi, non
appena
si è ripreso dallo shock si mette le mani a brocca sui
fianchi e
comincia a sbraitare: “Veers! Che lei fosse un pervertito
senza
principi morali l’avevo capito, ma adesso ha veramente
passato ogni
limite! Copule a tre e contro natura davanti a dei
ragazzini!”
I
ragazzini sono Pasticcino e Biscottino, che in effetti stanno
seguendo la scena piuttosto basiti.
“Con
una signora che potrebbe essere sua madre, poi! Si vergogni!”
Poi,
dopo una pausa impiegata a scrutare Hyaskon: “E chi
è quel suo
laido complice con la faccia da beccamorto? Provo disgusto per
entrambi, sappiatelo!”
Mentre
Waxen inveisce con tutto il fiato che ha in corpo, riesco finalmente
a estirpare la Du Bal. Per quanto il colonnello abbia finalmente
davanti agli occhi la prova della nostra innocenza, ovvero patte dei
calzoni perfettamente chiuse e membri rintanati nelle
profondità più
segrete delle mutande, la faccenda non smuove di un millimetro la sua
determinazione: continua a berciare imperterrito minacciando corti
marziali e battaglioni punitivi.
La
docente, però, cui nel frattempo non è passato
l’afflato
parentale, tende le braccia verso di lui e urla:
“Nonno!”
Dopodiché lo carica a testa bassa, lo agguanta sollevandolo
letteralmente da terra e anche a lui stampa due bavosi baci sulle
guance.
A
questo punto è Waxen che comincia a ululare di essere
salvato.
Vado
a prendermi un’altra birra, e siccome in cucina
c’è un po’
troppo casino mi trasferisco all’aperto, su una delle sdraio
del
giardino.
Dalla
casa giungono le strida, ma fortunatamente non disturbano poi
più di
tanto.
Dopo
un po’ che sto bevendo in tutta tranquillità
arriva Kurtz. “Chi
è che sta urlando?” mi chiede.
“La
nostra docente di dialetti alieni,” gli rispondo,
“si è data la
crema solare kaminoana e pare che abbia avuto effetti neurotossici.
Si è rincoglionita.”
“Capisco.”
Prende posto a sua volta su una sdraio, noto che ha anche lui una
birra. “Non sarebbe meglio un colpo in testa e
via?” propone.
“Ci
avevo pensato, ma credo che sarà più divertente
sguinzagliarla
nella sala riunioni quando Tarkin sta facendo il briefing con gli
ufficiali superiori.”
Ci
riflette un po’ su. “In effetti...”
Continuiamo
a bere in silenzio. Nei rari momenti in cui Waxen e la Du Bal non
sbraitano come ossessi, la risacca e il vento tra le palme ci
accarezzano le orecchie.
“Ci
vorrebbe un buon bar e poi questo posto diventerebbe persino
accettabile,” dico dopo un po’. Poi, guardandomi
intorno alla
ricerca d un’altra birra: “Seriamente, colonnello:
ma che ci è
venuto a fare in questo posto?”
“Si
pesca bene,” è la laconica risposta.
“E…?”
lo incoraggio, ben lontano dal pensare che uno possa stare in questo
posto di merda solo perché si prendono dei pesci.
Kurtz
mi fissa. “Capitano, ricorda cosa ha letto di me quando era
su
Sullust?”
“Sissignore.”
“E
secondo lei, cosa mi impedisce di tornare alle vecchie abitudini con
lei?”
Deglutisco
a vuoto. “La mia simpatia?” propongo.
“E…?”
fa lui con lo stesso tono che ho usato io prima.
“La
mia rara sensibilità nell’evitare di insistere su
determinati
argomenti?”
“Vedo
che ci capiamo.”
Messaggio
ricevuto. Non saprò mai se Kurtz prende una tangente sugli
ordini di
eserciti che vengono fatti ai kaminoani o se ha una tratta di alcol
di contrabbando, ma penso che alla fine non sia compito mio svelare
tutti i misteri dell’Universo. A me basta solo sapere cosa
c’è
in fondo a ogni le bottiglia di birra che mi capita in mano, poi al
resto ci penserà qualcun altro.
In
ogni caso, a prescindere dalle informazioni riservate o meno che
potrei apprendere, il proverbio dice: non svegliare il
ragnkor che
dorme. Credo che sia opportuno ripartire verso lidi meno
pericolosi e lasciare ‘Polpetta’ Kurtz alle sue
attività,
qualsiasi esse siano.
Comincio
a caricare gente sulla nave. Con i tre soldatini è facile,
basta
dire loro di salire su e sono addirittura felici di abbandonare
questo luogo arcano, misterioso e pieno di bevante inebrianti.
La
tw’lek è ancora sulla spiaggia. Dopo breve
contrattazione e
minaccia di chiamare Kurtz (di cui da ieri ha un sacro terrore), si
trasferisce sulla terrazza panoramica e riprende la cura del sole da
dove l’aveva interrotta.
Hyaskon
è sempre seduto al tavolo esattamente come l’ho
lasciato, però
senza la Du Bal in braccio. Essendosi nel frattempo riappropriato
della sua borsa, sta costruendo uno dei suoi cocktail farmacologici
per affrontare il viaggio. “Sarebbe troppo triste morire e
non
poter vedere il mio cadavere smembrato,” mi spiega.
“Meglio non
rendersi conto di niente.”
“Capisco,”
gli rispondo. “Quindi il suo piano è salire sulla
nave, ingollarsi
quella manciata di pastiglie e dormire fino a nuovo ordine?”
“Esatto.”
“E
come conta di essere trasferito dalla nave kaminoana al trasporto per
Tatooine?”
“Supponevo
che qualcuno mi avrebbe portato.”
“Lo
sa cosa si dice, Hyaskon? La supposizione è la madre di
tutte le
cazzate. Se non vuole aprire un ambulatorio qui su Kamino, le
consiglierei di aspettare un po’ prima di drogarsi.”
Il
capitano medico lancia un’occhiata di nostalgia al mucchietto
di
farmaci, poi alza di nuovo lo sguardo su di me e mi fa: “Lei
sa
essere decisamente sgradevole quando vuole, Veers.”
“Detto
da un tossicodipendente necrofilo e con un insano appetito per i
ragazzini è quasi un complimento, Hyaskon.”
Abbandonato
il collega al suo destino, vado alla ricerca degli ultimi e
più
disastrati membri della spedizione, ovvero Waxen e la Du Bal. Non
tanto perché sia affezionato a loro, quanto piuttosto per
fare cosa
gradita al caro governatore Tarkin. Lui mi ha mandato a fare questa
missione di merda nel buco del culo dell’universo sperando
che io
ci rimanessi secco insieme a Waxen, il minimo che posso fare
è
riportargli Waxen sano e salvo e sguinzagliarlo per la Morte Nera
assieme alla rincretinita Du Bal.
La
coppia di squinternati sta passeggiando sulla spiaggia. Vorrei dire
mano nella mano, ma l’esimia docente si sta muovendo con la
sua
ormai consueta andatura pseudo-quadrupede e ogni tanto scava buche
nella sabbia, mentre il colonnello le sta raccontando un aneddoto
composto da spezzoni di ricordi relativi a cinque diversi episodi.
Sembra non abbia notato nulla di strano nella docente, anzi le
assicura come al solito che se avesse saputo che su questa sperduta
isola di Aquarian c’erano signore così
affascinanti si sarebbe
organizzato per rimanere di più.
“Signore,
siamo attesi sulla Morte Nera,” gli dico, sperando che il
richiamo
al dovere lo distolga dal fare il cicisbeo con la squinternata.
Ovviamente,
ciò non accade. Il colonnello mi fissa costernato e mi fa:
“Lei
non ha un minimo di classe, giovanotto. Non vede che sono in
compagnia di una signora?”
La
Du Bal sta grufolando in una delle sue buche a culo per aria.
Freddo
come gli attributi di un wampa, replico: “Colonnello, quando
il
dovere chiama, non c’è signora che
tenga.”
Scattano
le mani a brocca sui fianchi. “Ma guada un po’
questo ragazzino
con la bocca ancora bagnata di latte che si permette di venirmi a
insegnare come si fa l’ufficiale!”
Alzo
gli occhi al cielo.
“E
non faccia quell’espressione di sufficienza, sa?”
mi rampogna
Waxen. “Quando avrà la mia esperienza potremo
parlare da pari a
pari, giovane capitano, ma fino ad allora le consiglio di mostrare
più rispetto!”
Mi
guardo intorno. Non ci sono testimoni, a parte la Du Bal, e
l’idea
di portare il pestifero vecchietto a Tarkin sta prepotentemente
venendo soppiantata da un’altra idea. La mano scivola verso
il
blaster…
“Signor
capitano,” fa una voce da hostess alle mie spalle.
Porca
puttana. Atama So non ha mai messo piede, o qualsiasi appendice
abbiano i kaminoani sotto quella specie di sottana, a terra da quando
lo conosco, e quale perfetto momento sceglie per farlo? Questo.
Ma
ce l’hanno un pregio, questi alieni del
cazzo? Uno, eh. Non
ne voglio mica duecento. Me ne basta uno.
“Dica,
comandante.”
“Mi
chiedevo, capitano Veers, cosa preferirebbe per il pranzo di
addio.”
Sospiro.
“L’unica cosa che vorrei, comandante, è
anche l’unica che lei
non toccherebbe nemmeno con una gaffa.”
“L’acqua
sporca?” chiede il perspicace alieno.
“Già.”
“Non
so davvero cosa ci trovi di così gradevole,”
replica stringendosi
nelle spalle.
Non
perdo tempo a spiegarglielo. Gli dico di affidarsi al suo estro
culinario, il che è un po’ come dire a me di
affidarmi alla mia
puntigliosità, e poi lo congedo. Mi rivolgo di nuovo a
Waxen:
“Quindi, signore, io torno sulla Morte Nera da solo e quando
Tarkin
mi chiede di lei riferisco che ha preferito restare su un atollo
tropicale a tubare con una tardona?”
“Ma
certo che no! Cosa le viene in mente?”
Mi
stringo nelle spalle con aria innocente. “È stato
lei a dirmi di
non disturbarla con questioni di servizio perché era in
compagnia di
una signora...”
“La
sua grettezza da burocrate, capitano, mi colpisce negativamente. Non
riesce nemmeno a riconoscere l’attimo di romantico abbandono
che
coglie un guerriero alla vista delle grazie muliebri.”
Io
lo guardo con la faccia da droide e non favello.
“Lei
è il tipo peggiore di militare: quello freddo, attaccato al
regolamento, che non vede altro che il dovere...”
Pur
faticando per rimanere serio, continuo a fissarlo impassibile. Sta
per partire con un’altra requisitoria, ma io lo fermo
perentoriamente con un gesto. “Ora basta, signore. La
partenza è
alle zero-nove-zero-zero ora locale. Adesso sono le
zero-otto-tre-zero. Veda lei che esempio sta dando ai suoi
subalterni, che dovrebbero vedere in lei un modello a cui
conformarsi.”
Gli
giro il culo e me ne vado col passo rigido di un sodomita che ha
avuto un incontro a pi greco mezzi con un gungan superdotato.
Nonostante
lo sdegno e il fastidio, il colonnello si risolve a tenermi dietro, e
così fa la squinternata docente. Visto da lontano assomiglio
al
volontario di un’organizzazione benefica che porta a spasso
due
rincoglioniti.
La
simpatica nave kaminoana parte alla volta di Addu dopo baci e
abbracci con il colonnello Kurtz. L’ex delirante, genocida,
stupratore di inermi e antropofago rimane sul pontile a sventolare il
fazzolettino bianco mentre noi ci allontaniamo.
Io
saluto con ampi gesti, poi me ne torno in cabina a rimirare la cassa
di birra che mi ha regalato per il viaggio. La contemplo per un
po’,
poi un’orribile verità mi afferra le gonadi e le
torce come uno
strofinaccio bagnato: appena arrivo a uno spazioporto più
grande di
un foruncolo sul culo di un jawas, queste birre mi verranno
sequestrate!
Già
ho davanti agli occhi l’agghiacciante visione del doganiere
che
ghermisce schifato le bottiglie e le vuota nel cesso…
No!
questo non deve accadere.
Deciso
come un mandaloriano, mi dirigo da Atama So e gli chiedo:
“C’è
un atollo da bagno qui in giro?”
“Da
bagno?” fa eco stupito.
“Sì,
palme, spiaggia, quella roba lì. Voglio fermarmi un
po’.”
“Ma
capitano, rischiamo di perdere il trasporto!”
“Al
massimo prenderemo quello dopo,” replico noncurante.
“Dovrà
ricomprare i biglietti.”
Alzo
le spalle con indifferenza. Ormai l’ho talmente usata, la
Imperial
Platinum, che biglietto più biglietto meno…
“Trovi
un atollo, Atama So,” gli ingiungo, dopodiché vado
alla ricerca
del capitano medico.
Hyaskon
è rintanato nella sua cabina. Essendogli stato vietato il
paradiso
artificiale, è incazzato nero e più odioso di
Fjo’ona in down da
Laguna di Sogno. “Cosa vuole adesso, capitano?” mi
accoglie
acido, “vuole proibirmi anche si dormire?”
Scuoto
la testa. “Voglio che venga a bere qualche birra con
me.”
Il
necrofilo, che era già pronto a lanciarmi un’altra
bordata, di
fronte all’invito si commuove. “Davvero?”
“Sì,
ne ho una cassa intera. Troviamo una bella spiaggia con le palme e la
finiamo prima di andarcene a casa.”
“Che
pensiero carino.” Poi, dopo una pausa, con aria pensosa:
“Potrei
ubriacare uno dei ragazzini e portarmelo da qualche parte...”
altra
pausa, densa di fantasie inconfessabili. “Oppure un paio. O
anche
tutti e tre.”
“Hyaskon...”
“Che
c’è, ne vuole uno anche lei? Il biondino no,
però. È il mio
preferito.”
“No,
grazie. Anzi, ora uso la Forza e la convinco che nemmeno lei
vuole uno dei ragazzini.” Gli faccio delle mosse suggestive
davanti
agli occhi. “Funziona?” mi informo poi, vedendolo
in stato di
perplessità.
“Negativo.
Anzi, non si giri, Veers, perché lei non è
affatto male da dietro.”
“Ah,
ehm… buono a sapersi,” gli rispondo, rinculando
con cautela verso
la porta. “La aspetto su, eh?”
Mi
fiondo in coperta prima che a Hyaskon possano venire idee strane.
Nel
frattempo abbiamo scovato un bell’atollo da bevuta, con tanto
di
palme fruscianti, spiaggia candida e onde cristalline. Pur non
capendo la nostra predilezione per l’acqua sporca,
fedele
alla consegna Atama So sta già ormeggiando la nave.
Ovviamente
in coperta c’è già la twi’lek
che saltella con tutto
l’armamentario da spiaggia pronto. I tre ragazzini, ignari
del
pericolo, stanno ascoltando Hyaskon che descrive loro i rischi
derivanti dalle ustioni solari. Alla fine della concione, come
prevedevo, si offre di spalmarli di crema solare, soprattutto nelle
parti più delicate. Meno male che stiamo rientrando alla
base,
altrimenti tra un po’ dovrò cominciare a frugare
io nella sua
borsa per sedarlo con dei cocktail di farmaci.
Portiamo
fuori la cassa di birra e la carichiamo sul canotto argentato, poi
caliamo in acqua il natante. Mentre siamo impegnati nella delicata
manovra, si presenta Waxen e chiede: “Che sta facendo,
giovane
capitano?”
Stavolta
mi sono preparato la risposta. “Signore, esercitazione di
nuoto,”
gli rispondo compunto.
Il
vecchiaccio aggrotta la fronte. “Giovane capitano, ma
possibile che
sia così sprovveduto?” sospira.
“Dobbiamo prendere un trasporto
per rientrare sulla Morte Nera. Non le pare prioritario rispetto a
un’esercitazione?”
Ma
com’è che con questo vecchio fossile non ci prendo
mai? Ben deciso
a bere le mie birre in pace, insisto: “Signore,
c’è tutto il
tempo. Un po’ di nuoto prima di un lungo volo iperspaziale fa
molto
bene alle truppe, è ben noto. Vuole sentire il parere del
capitano
medico?”
Subito
Hyaskon, che ha già sottomano un bel flacone di crema solare
(che
per la verità somiglia in modo sospetto a un lubrificante),
conferma. “È la recente procedura per evitare
trombosi venose
profonde,” spiega dottamente.
Mi
volto verso il capitano medico: “Cioè, per evitare
la trombosi
alle reclute vorrebbe trombarsele? Non mi sembra una cosa molto
sensata.”
“Profano,”
è l’unica cosa che ritiene di rispondermi, poi mi
volta le spalle
con sdegno.
“Hyaskon,
non si giri così che mi fa venire certe idee,” gli
dico, sperando
di farlo fuggire come lui ha fatto prima con me.
Senza
neanche guardarmi, il capitano medico si limita a rispondere:
“Non
a secco, nel caso,” e mi passa il flacone di cosiddetta crema
solare. Io rimango lì come un cretino con il lubrificante
Kul-Rott
al muschio di Endor in mano e probabilmente anche con la faccia da
scemo.
Waxen
mi guarda, scuote la testa e fa: “Non sapevo che avesse certi
gusti, Maximilian. Ora si spiegano molte cose.”
Si
spiega cosa? Naturalmente non è dato saperlo.
Rinuncio
a rispondere, peggiorerei solo la mia situazione. La mia unica
fortuna è che probabilmente fra mezz’ora il
fossile si sarà
dimenticato tutto.
Il
lato positivo di tutta la faccenda è che scendiamo a terra.
La
twi’lek si fionda a prendere il sole, la Du Bal ricomincia a
scavare buche nella sabbia, Lothar si accinge a una delle sue
peregrinazioni di albero in albero.
Io
trovo un bel posticino all’ombra e finalmente riesco a
godermi un
atollo con la prescritta fornitura di birre.
Passa
qualche tempo, poi un po’ tutti cominciano a venire
all’abbeverata.
Dapprima il wookiee, che dopo tutto quello che ha pisciato ha una
gran sete, poi la Du Bal, che tanto peggio di così non si
può
ridurre. Anzi, magari con un po’ di birra migliora.
Alla
fine, sotto lo sguardo sdegnato dei kaminoani siamo tutti con una
bottiglia in mano.
Siccome
la tolleranza alla birra del gruppo è in generale molto
bassa, dopo
un quarto d’ora c’è un’ondata
di ubriachezza molesta
generalizzata. Stavolta ai soldatini ha preso la sbronza divertente e
i tre ridono a crepapelle di qualsiasi cosa, persino delle lubriche
spalmate di crema di Hyaskon.
Persino
la pitonata abbandona il telo da bagno in favore di una bottiglia di
birra.
Si
susseguono interessanti momenti ludici collettivi: la foto dei culi,
la piramide umana e la partita a football con una noce di cocco
trovata sulla spiaggia, il tutto sotto gli occhi stupefatti degli
autoctoni.
Quando
torniamo a bordo, ridacchiando e dandoci spinte l’un
l’altro, la
cassetta di bottiglie è desolatamente vuota e il sole si sta
già
avviando verso l’orizzonte.
“Merda,
è tardissimo!” esclamo tornando brutalmente alla
triste e
analcolica realtà.
Il
colonnello ridacchia. Si è appeso un paio di collane di
fiori ai
baffi tuttora irrigiditi e scrolla la testa facendole ondeggiare.
Sdraiata sul fondo del canotto, la Du Bal rutta soddisfatta anche
mentre il piccolo natante viene issato dal paranco.
Partiamo
pancia a terra alla volta di Addu, sperando di riuscire a beccare il
trasporto nonostante i cazzeggiamenti.
Mentre
la nave procede a tutta velocità sollevando tsunami di
spuma, nelle
varie cabine vengono recuperati i bagagli, che per qualche misterioso
motivo sono aumentati ancora di dimensioni. Fjo’ona, pitonata
e
leopardata in vista della partenza, trascina in coperta un trolley
fucsia dalle cerniere pericolosamente vicine al collasso, grondante
di orpelli e lustrini. Le tre reclute hanno altrettanti zaini
militari, stipati di ciarpame inutile fino alla massa critica. Lothar
spinge fuori dalla cabina di Waxen una specie di sacco da cadaveri
gonfio come se contenesse otto salme dimenticate al sole per una
settimana. La Du Bal, che aveva a sua volta un trolley grosso come un
bantha, si presenta a piedi nudi, con addosso una specie di vestito
bianco che somiglia molto a un sottanone kaminoano e in mano un
sacchetto di un supermercato locale. Alle sue spalle scorgo con
orrore Tani Du con addosso un suo vestito.
Non
voglio sapere cosa facevano questi due nel corso dei loro incontri
erotici.
Arriva
infine anche Hyaskon, tirandosi dietro un contenitore da trapianto di
organi utilizzato come valigia e l’immancabile borsa delle
meraviglie che tante volte ha salvato (o devastato) qualcuno.
Io
non ho gran che da portare, secondo il principio che tutto
ciò che
pesa e non è alcol serve a poco. Tolte alcune cose di
immediata
necessità come le camicie hawaiane, bastano i documenti e la
carta
di credito, meglio ancora se altrui come in questo caso.
Nel
frattempo compare all’orizzonte lo spazioporto. Atama So
abbandona
per un attimo il timone e dice qualcosa in un comunicatore.
Con
grande flemma, un’altra hostess gli risponde qualcosa.
L’indigeno
si volta verso di me e dice: “Dovete fare più
presto possibile, il
trasporto sta aspettando voi.”
Lo
fisso basito. “Aspetta noi?”
“Certo.
Sarebbe stato molto scortese da parte del comandante del volo partire
e lasciarvi qui.”
Kaminoani.
E non me lo poteva dire prima, cazzo? Avrei bevuto più in
fretta.
Sbarchiamo
allo spazioporto con tutta l’orrenda mole di bagagli e subito
guardiamo il tabellone con indicati i trasporti in partenza. Nel
nostro campeggia la dicitura ‘rimandato causa passeggeri in
ritardo’, così, giusto per non farci sentire in
colpa.
Dopo
sommari saluti ai nostri due kaminoani nautici, sospingo il branco di
rincoglioniti verso il nostro gate. La Du Bal naturalmente si attarda
in strazianti addii col suo gommoso amante, poi ci raggiunge alla
meglio inciampando nell’orlo del sottanone kaminoano, che
essendo
fatto per esseri alti circa un metro più di lei le risulta
un po’
lungo.
Fjo’ona
arranca sui sabot con la zeppa tirandosi dietro il mostruoso trolley,
che emette suoni di campanellini e sbrilluccica tutte le volte che
sobbalza su qualche asperità del terreno.
Dei
tre soldatini si vedono solo le gambe sotto altrettante
mostruosità
debordanti di ciarpame militare.
Waxen
è accomodato sul sacco da cadaveri con tanto di baffo irto e
braccia
incrociate sul petto. Lothar se lo tira dietro tipo slittino.
Il
capitano medico se ne va con la sua borsa di porcherie e la cassetta
termica da organo e io ho un modestissimo zaino militare, nel quale
non ho nemmeno occultato una birra.
Chiaramente
alle guardie doganali non pare vero di vedersi passare davanti tutta
l’abbondanza rappresentata dai nostri bagagli. Immediatamente
fermano la comitiva e pretendono di rovistare in ogni singola
valigia.
Cominciano
da quella di Fjo’ona e incautamente aprono la lampo che la
teneva
serrata. Assistiamo a un’esplosione di reggipetti, bikini,
scarpe
col tacco, cosmetici, boa di piume, baby doll, reggicalze, pizzi e
paillettes. Di fronte a quel disastro, l’aliena è
colta dal panico
e comincia a strillare mentre raccoglie freneticamente tutta la sua
roba. Per inseguire i rossetti rotolati per ogni dove si mette a
quattro zampe e comincia a girare su e giù così,
con la minigonna
che le sale a metà chiappa e le tette che strabordano fuori
dalla
scollatura. In breve tutte le sottane dei kaminoani e anche parecchie
patte di viaggiatori non indigeni cominciano ad assomigliare a delle
tende da campeggio. Qualcuno tira fuori lo smart-comlink e filma la
scena. Fjo’ona piagnucola raccogliendo cosmetici, ignara di
aver
appena causato circa duecento erezioni.
Per
evitare una gangbang aiutiamo la pitonata a recuperare la roba, poi
io mi siedo sulla valigia e Lothar la chiude. Il doganiere, nel
frattempo, avrebbe la pretesa di frugare nel sacco da cadaveri di
Waxen, ma un ringhio del wookiee lo convince che si tratta di una
pessima idea.
Riusciamo
a passare.
Sul
tabellone il nostro trasporto sta lampeggiando come il conto alla
rovescia di un detonatore termico. Ormai anche la pur tenace pazienza
dei kaminoani si sta sfaldando e siamo a rischio di sfanculamento da
un momento all’altro.
Frusto
il gruppo di rincoglioniti come se non ci fosse un domani,
fregandomene dei sabot pitonati, dei piedi nudi e degli zaini
pesanti. Saliamo sulla rampa in ordine sparso, chi lamentandosi e chi
imprecando, e ci lasciamo cadere sui nostri sedili con un sospiro di
soddisfazione.
Subito
sentiamo un ruggito del wookiee e la voce di una hostess kaminoana
(quindi praticamente una hostess al quadrato) che soavissimamente
dice: “Oh, mi dispiace tanto, sono desolata...”
Comincia
a picchiettarlo sulla testa con un fazzoletto.
Lotahr
grugnisce qualcosa che si potrebbe tradurre come ‘Tusken-Cola
di
merda’ e recupera il bicchiere che la hostess gli ha appena
versato
in testa.
Sebbene
l’aria condizionata sia gelida, il trasporto sia di una
tristezza
analcolica indicibile e il mio posto sia tra il finestrino e la
squinternata Du Bal, non posso fare a meno di sentirmi assai
sollevato: basta con Kamino, con i B’omarr e con Kurtz.
Sebbene poi
Kurtz avesse anche una bella collezione di birre, in fin dei
conti…
*
Come è ben noto, l’urina del wookiee è
azzurra (la usano per fare
la pubblicità degli assorbenti al posto di quella umana, che
essendo
gialla è antiestetica).
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Rapporto 07 (che però proviene dal Credito Coruscano) ***
Rapporto
07 (che però proviene dal Credito Coruscano)
“Tarkin!”
La voce irata del signore dei Sith fece tremare chiunque. Tutti
quelli che si trovavano sul ponte di comando della Morte Nera
divennero immediatamente impegnatissimi nei rispettivi compiti.
L’unico
a mantenere la tranquillità fu proprio il Governatore, che
con la
massima calma replicò: “Avevi bisogno,
Vader?”
“Se
avevo bisogno? Guarda qua!” Mostrò
all’interlocutore il palmare,
sul quale stava scorrendo una fila di cifre, tutte di colore rosso.
Tarkin
osservò i numeri con distacco, poi chiese: “Cosa
sono? Gli elenchi
delle vittime di qualche pianeta ribelle distrutto?”
“Magari
lo fossero. È l’estratto conto della mia Imperial
Platinum.”
L’altro
diede una seconda occhiata, sollevò le sopracciglia e disse:
“Però.
Per fortuna che hai credito illimitato, eh. Ma si può sapere
cos’hai
comprato con cinquantamila crediti?”
“Non
ho comprato niente, io. Qualcuno deve avermela
rubata!”
Il
Governatore diede un’altra occhiata. Di nuovo
sollevò le
sopracciglia al passare di una cifra particolarmente importante.
“Uhm. È chi è stato?”
“E
come cazzo faccio a saperlo?”
Tarkin
sogghignò, erano anni che sognava di dirlo: “Il
deprecabile
attaccamento che professi alla tua religione non ti dà la
chiaroveggenza necessaria a capire queste cose?”
“Vaffanculo,”
gli rispose spiccio il signore dei Sith, che di fronte alle questioni
finanziarie diventava sempre assai nervoso.
L’altro
fece spallucce. “Se non ci arrivi con la Forza, prova con la
logica. Hai visto dove sono state fatte le spese più
grandi?”
Vader
si costrinse a distogliere l’attenzione dalla mera immanenza
delle
cifre e la spostò ai luoghi ove tali cifre erano state
spese:
Sullust e Kamino.
Sullust
e Kamino… Sullust e Kamino…
“Veers!”
sbraitò infine il gigante nero. “Maledetto
cialtrone bastardo
infame ladro profittatore e schifoso!”
Tarkin
gli rivolse uno sguardo serafico. “Dà fastidio,
vero?” s’informò
pacato.
“Quell’ignobile,
disgustoso e lurido truffatore. Vado io, signore, non si alzi.
E mi ha sostituito la Imperial Platinum con la tessera
dell’olonoleggio! Ma non finisce qui, lascia che quel figlio
di una
meretrice tusken metta piede qui sulla Morte Nera e vedi che fine gli
faccio fare!”
Nello
stesso momento, sul trasporto per Mos Eisley:
“Che
c’è Veers, non si sente bene?”
“Non
lo so, Hyaskon. Un tremito nella Forza.”
“Nel
senso che deve andare al cesso?”
“Ma
no. Non sia sempre così prosaico,
dannazione. È come se ad
un tratto ci fosse qualcuno nell’Universo che inveisce contro
di me
e mi minaccia di cose orribili.”
“Ormai
non dovrebbe averci fatto l’abitudine alla gente che inveisce
contro di lei? E poi cos’è questa storia della
Forza tutto a un
tratto? Sarà mica una specie di Jedi? Nel caso, posso
prelevare un
campione del suo tessuto cerebrale?”
“No,
niente tessuto, e non sono nemmeno un Jedi. Però
è stata una
sensazione terribile, glielo assicuro. È come se sapessi che
qualcuno mi sta aspettando sulla Morte Nera con pessime intenzioni
nei miei confronti.”
“Detto
così non mi sembra nulla di diverso dal solito.”
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Fine della fiera (degli imbecilli) ***
Fine della fiera (degli imbecilli)
Mos
Eisley è sempre il solito casino. Scendiamo dal trasporto in
mezzo a
un caos di alieni di ogni specie. Ci sono i tusken che si aggirano
fra i viaggiatori nella speranza di isolare qualcuno, pestarlo e
depredarlo di ogni avere, i jawas sempre alla ricerca di qualche
pezzo meccanico da rubacchiare, gli hutt che con tracotanza cercano
di fermare qualche ingenuo, farsi passare per guardie o personaggi
importanti del luogo e compiere sul malcapitato ogni genere di abusi,
e insomma tutto il colore locale con il caldo soffocante, i fetori,
il clamori e soprattutto la birra in vendita ovunque alla faccia dei
B’omarr.
Qualche
pattuglia di Sandtrooper controlla che i vari ladri, manutengoli,
scippatori e truffatori rimangano nei limiti non tanto della legge,
quanto piuttosto delle regole non scritte dello spazioporto.
Raggiungo
un gruppetto di soldati imperiali e mi qualifico.
Il
capo della squadra, un sergente, mi guarda con la massima
tranquillità. Probabilmente, l’unica cosa strana
ai suoi occhi è
che sono un ufficiale della flotta e qui non ci sono basi di TIE
fighter o Star Destroyer. Il resto del mio gruppetto, ovvero il
vecchio rincoglionito, i tre scemi, il necrofilo e i civili, qui sono
banale routine. “Cosa posso fare per lei,
capitano?” mi chiede,
con la tipica deferenza informale del soldato che ha passato anni in
zone di servizio ‘calde’.
“Mi
servono un trasporto per la Morte Nera e un toydariano,
sergente.”
“Un
toydariano? Se deve comprare qualcosa sono meglio i jawas, signore.
Fregano lo stesso, ma perlomeno non tentano di narcotizzare i
potenziali clienti per venderli come schiavi agli hutt.”
Come
se non lo sapessi. “Non mi serve un toydariano qualsiasi.
Cerco il
vecchio Qirra Nabb, mi deve un favore.”
Il
sergente inclina la testa da una parte, tipico movimento del
sandtrooper o dello stormtrooper perplesso. Immagino che il bravo
sottufficiale abbia una gran voglia di chiedermi perché
conosco Nabb
e come faccio a trovarmi nelle condizioni di avere un credito presso
di lui, ma sa anche molto bene che ci sono domande che è
meglio non
porre, se non si è preparati a determinate risposte. Si
consulta con
uno dei suoi uomini, poi mi dice: “Sta nella parte vecchia
del
mercato, ha un magazzino di parti di ricambio.” Poi, dopo una
pausa: “Non serve che le dica di stare attento, vero,
capitano?”
“Non
si preoccupi, sergente, conosco il posto,” gli rispondo
disinvolto.
Il
sergente, al contrario, si preoccupa. Non credo per buon cuore nei
miei confronti, ma in previsione delle montagne di moduli e rapporti
che dovrebbe compilare nel caso il sottoscritto, ai suoi occhi un
azzimato damerino della flotta ignaro di qualsiasi cosa, si
volatilizzasse nelle profondità del mercato vecchio senza
lasciare
traccia.
“Le
mando dietro un paio di ragazzi?” propone.
“Figurarsi,
poi Nabb scompare come un droide se ci sono in giro dei jawas.
Conosco i miei bog-wing, sergente.” Indico la zavorra dei
miei
nefasti accompagnatori. “Piuttosto, se nel frattempo potessi
lasciare questi qui nella vostra postazione sarebbe una gran
cosa.”
Non
posso vedere la faccia del sandtrooper, ovviamente, ma lo sguardo che
si scambia con il suo caporale la dice lunga.
“Veramente...”
comincia.
Per
fortuna la twi’lek, che alla vista di tanta balda soldataglia
era
già a fare sfoggio di push-up e giarrettiere, al profilarsi
della
possibilità di finire in una bella caserma saluta con la
manina
adorna di Coruscant manicure e sfarfalla le ciglia.
“Ci
lascia anche quella, capitano?” si
informa il sergente.
“Certo.”
“Affare
fatto.”
Parcheggiati
gli inutili, mi addentro con libidine nei postacci più
luridi di Mos
Eisley.
Fa
un po’ strano, in effetti, un grigioverde ufficiale della
flotta
che si aggira in mezzo a bettole e botteghe di cianfrusaglie, tanto
che i numerosissimi grassatori sempre in attesa di vittime da
depredare non osano nemmeno avvicinarsi, temendo chissà
quale
raffinata trappola. Probabilmente pensano che io sia una specie di
esca, oppure che sia un soldato talmente massiccio che se si
avvicinassero li ospedalizzerei tutti quanti con mosse di arti
marziali o roba del genere.
Ancora
una volta, la pubblicità è l’anima del
commercio.
Mi
infilo nel mercato. Man mano che mi avvicino alla parte vecchia i
vicoli diventano più stretti e più tortuosi, le
botteghe più
sordide e i venditori più insistenti. Il clima torrido di
Tatooine,
non più mitigato da climatizzatori o altro, si fa sentire in
tutta
la sua pesantezza. Nell’aria aleggiano odori di cibi alieni e
dei
cumuli di rifiuti nei quali razzolano gruppetti di ugnaught.
Finalmente
arrivo al magazzino di Nabb, che è un enorme capannone
stipato di
pezzi meccanici di ogni genere, dalle paratie antilaser glitterate
per navi di lusso alle guarnizioni usate degli scarichi dei gabinetti
iperspaziali.
Vari
droidi vanno su e giù trasportando cose.
Qirra
Nabb svolazza in giro imprecando all’indirizzo dei droidi,
delle
cose trasportate, dei clienti, del clima, della sabbia,
dell’Impero,
dei ribelli e anche degli ugnaught che grugniscono contendendosi il
pattume.
“Ehi,
vecchio filibustiere,” lo saluto.
Il
toydariano si gira verso di me, stringe gli occhi scrutandomi con
diffidenza. “Io conosco te, ufficiale?” mi chiede.
Un
dubbio che non riuscirò mai a togliermi: perché i
toydariani non
sono in grado di parlare una forma grammaticalmente corretta di
Galattico Base? In ogni caso, gli rispondo: “Certo che mi
conosci:
sono Roy Veers.”
L’alieno
rimane per un po’ in silenzio, di nuovo mi scruta con
attenzione,
facendosi addirittura comparire una ruga di intenso lavorio mentale
sulla fronte. La sua tozza proboscide si muove nella mia direzione
per fiutarmi. Alla fine arretra come se fossi radioattivo.
“Oh!
Ah!” esclama inorridito, “Tu
‘disgrazia’ Veers. Tu stai
lontano da me!” Fa segni che nella sua cultura equivalgono a
scongiuri potentissimi contro malocchio, voodoo e peste nera.
“Che
brutto modo di accogliere un vecchio amico,” depreco.
“Tu
amico come attacco di emorroidi,” replica lo svolazzante
manutengolo, “tu ricordi cosa successo tua ultima volta
qui?”
“Ero
ubriaco. E poi non sapevo che il tybanio esplodesse così
facilmente.”
“Ah,
tu non sapevi? Mio magazzino
scoppiato, pezzi sparsi
per tutto il deserto dello Jundland, povero Qirra rovinato come un
rovista-pattume ugnaught.”
“Il
povero Qirra si è preso anche un
bell’indennizzo
dall’Impero, se non sbaglio,” replico, insensibile
al tipico
piagnisteo toydariano come Boba Fett alle implorazioni delle sue
vittime. “Inoltre ricordo bene, nonostante la sbronza, che
nel
magazzino scoppiato del povero Qirra sono venute fuori certe cose, e
un simpatico ufficiale imperiale ha fatto finta di non vederle, dico
bene?”
“Tu
simpatico come attacco di diarrea quando hai appuntamento con femmina
più bella della galassia,” risponde il mio
interlocutore.
“Noto
che comunque ti ricordi l’episodio.”
Segue
un momento di teso silenzio. Il toydariano mi scruta di nuovo
stringendo gli occhi, infine dice: “Vecchio Qirra non nato
ieri.
Cosa vuoi tu da me, ‘disgrazia’ Veers?”
“Ora
ti spiego.”
Espletata
la funzione toydariana, percorro il mercato in senso inverso,
passando dai posti più sordidi a quelli più chic,
di nuovo senza
venire nemmeno avvicinato dai vari ladri, scippatori, rapinatori,
stupratori di orifizi a prescindere e commercianti di organi. Torno
alla mia simpatica pattuglia di Sandtrooper.
Fjo’ona
sta tenendo banco. La squadra con cui ho parlato ha finito il turno,
quindi sono tutti in uniforme grigia ad acclamare l’aliena,
che sta
facendo un numero di lap dance intorno al palo che consente la
discesa rapida dal primo piano.
Il
colonnello Waxen sta raccontando un aneddoto di guerra a
un’armatura
collocata sull’apposito supporto, ed è molto
compiaciuto della sua
educazione e della sua pazienza.
I
tre soldatini, nonnizzati dai più anziani come si suole fare
in ogni
caserma dell’universo, sono chiusi dentro altrettanti
armadietti a
fare i juke-box, con la soldataglia da deserto (notoriamente la
peggiore dell’Impero) che butta dentro crediti attraverso le
fessure e chiede i brani più disgustosamente volgari di
tutto il già
trucido sottogenere delle canzoni soldatesche.
Hyaskon
finalmente è riuscito a ingerire la sua manciata di farmaci
ed è
steso in un angolo in stato di morte apparente.
Manca
la Du Bal.
Che
non è un gran problema, obiettivamente. L’unica
cosa che mi
dispiacerebbe, casomai si fosse persa da qualche parte, è
che non
potrò sguinzagliarla in giro per la Morte Nera.
Cerco
il sergente di prima, che sta compilando un rapporto su una vecchia
tastiera. L’ufficio in cui sta lavorando ha le pareti
intonacate di
color deserto e un ventilatore a pale che pende dal soffitto. La
temperatura evoca un altoforno a pieno regime di lavoro.
“Si
prenda una birra, capitano,” mi accoglie senza neanche
girarsi.
“Là, nel droide guasto.”
In
un angolo c’è un R2-D2 di cui è rimasto
praticamente solo
l’involucro esterno, debitamente isolato e riempito di
ghiaccio
secco.
Alzo
la calotta a semisfera ed estraggo una lattina.
“Sergente
Arvid,” si presenta il sottufficiale. “Tasti di
merda,”
prosegue poi. “Se deve comprare qualcosa, capitano, non vada
mai
dai jawas. Sono dei piccoli bastardi.”
“Ma
non avete le forniture imperiali?” chiedo perplesso.
Si
gira verso di me. “Ha mai provato a far funzionare un cf-19
in
mezzo a questa sabbia? Vanno in avaria dopo tre giorni.”
“Capisco.”
“Chi
inventa quella roba è gente abituata a starsene sul ponte di
comando
di uno Star Destroyer con l’aria condizionata e
microfiltrata. Cosa
vuole che ne sappiano? Senza offesa, eh.”
“Non
pervenuta.”
Passa
qualche minuto di un silenzio rotto solo dal lento ticchettare dei
tasti e da qualche imprecazione del sergente Arvid, poi il
sottufficiale termina il rapporto, lo spedisce e mi fa:
“Sbaglio o
mi aveva detto che le serve un trasporto per la Morte Nera?”
“Non
sbaglia, sergente. Devo fare rapporto sulla mia missione a Lord Vader
e al Governatore Tarkin.”
“Auguri.
Dicono che da ieri Vader sia inavvicinabile.” Poi, dopo una
pausa:
“È sicuro che lo vuole subito
il trasporto? Magari, sa come
vanno queste cose, ci potrebbe essere un’avaria, una carenza
di
personale… e intanto lassù si calmano le
acque.”
Comincia
a trafficare col terminale, bestemmiando di tanto in tanto per i
tasti che non vanno.
Pondero
l’eventualità: un po’ di Mos Eisley,
qualche cocktail
gamorreano, magari mi faccio prestare un’armor e me ne vado
un po’
in giro con questi tizi, che mi sembrano simpatici…
“Ah,
però.” La voce di Arvid mi distoglie dai miei
pensieri. “Lei fa
Veers di cognome, vero?”
“Affermativo.”
“Prenda
un’altra birra, vedo che la sua sta finendo.
C’è un trasporto a
priorità uno per lei.”
“Cosa?
priorità uno? Cioè, tipo l’Imperatore o
cose del genere?”
Nella
mia mente comincia a lampeggiare un’enorme scritta rossa: cazzi
orribili.
“Non
vanno in avaria le navette a priorità uno?” mi
informo speranzoso.
Arvid
scuote la testa. “Negativo, signore. P1 significa che il
primo
trasporto che va sulla Morte Nera è il suo, a prescindere
dal tipo
di navetta e dal carico che porta, fosse anche pattume
liofilizzato.”
Stappo
la seconda birra. “Pattume liofilizzato?”
“Per
la serra dell’ammiraglio Ozzel, signore. Concime naturale,
credo.”
Faccio
mente locale. Mi devo giocare bene la faccenda, altrimenti mi sa che
divento io il concime naturale della serra di
Baffetto.
“Mi
servono almeno due posti sulla navetta,” dico dopo un
po’.
Arvid
mi fissa perplesso. “Due posti?” Poi, con
l’aria di quello a
cui è sfuggita una cosa assolutamente logica: “Ah,
il colonnello,
certo.”
“No,
niente colonnello. Quello me lo mandate col trasporto dopo.”
Il
sergente è sempre più perplesso. “Temo
di non capire, signore.”
“Lo
so, non è per niente facile da capire. Ora io e lei andiamo
a fare
un’ispezione alla Dianoga in Piedi, se
c’è ancora, e mentre ci
beviamo un paio di pinte di Imperial Stout le spiego due
cosette.”
“Come
fa a conoscere la Dianoga in Piedi?”
“Io
ne ho viste, cose…”
§
§ §
Vader
passeggiava su e giù nervosamente. Arriverà,
quel maledettissimo
figlio di una bagascia tusken, pensava furibondo. Arriverà,
prima o poi.
Gli
addetti al pontile di atterraggio XR-44 si scambiarono uno sguardo
preoccupato, poi tornarono a fissare con estrema intensità i
monitor
che mostravano il vettore di avvicinamento.
“Torre
da Due Sette Sierra Bravo.”
“Sierra
Bravo, avanti.”
“Sierra
Bravo, decollato da Mos Eisley, in bound a pontile Xray Romeo quattro
quattro che stima ai tre cinque.”
“Avvisate
quando pronto per la procedura di atterraggio, Sierra Bravo.”
“Roger.”
Il
signore dei Sith, che in gioventù era stato un abile pilota,
seguì
con attenzione la manovra di avvicinamento. Lui era
lì, lo
sentiva.
Lui
e la Imperial Platinum, naturalmente.
Finalmente
comparve all’orizzonte il puntino di una Tydirium in
avvicinamento.
La navicella arrivò al limitare della rampa,
abbassò i pannelli
alari e si dispose all’atterraggio. Vader fece fatica a
trattenersi
mentre sulla piattaforma veniva ripristinata l’atmosfera.
Con
un leggero ronzio si aprì il portellone, subito dopo
uscì la
scaletta, poi non successe più nulla.
“Sierra
Bravo, qualche problema?” chiese la torre dopo un
po’.
“Negativo,
torre. I passeggeri stanno per scendere.”
Passarono
altri secondi. Continuava a non succedere nulla.
“Sierra
Bravo?”
Dal
portello uscì svolazzando un toydariano, che si
guardò intorno con
un’occhiata che sembrava direttamente calcolare il valore di
ognuna
delle strutture che lo circondavano. “Ah, bella
roba,” constatò
soddisfatto. “Questa vale molto money.”
Sogghignò e con due
delle tre dita che aveva in dotazione per ogni mano fece il gesto di
contare banconote.
Sulla
piattaforma era calato frattanto un silenzio siderale, rotto solo dal
lento respiro del signore dei Sith.
L’alieno
si girò verso l’inquietante personaggio e
frullò nella sua
direzione. “Bel posto!” apprezzò facendo
un movimento ampio e
circolare con il braccio. “Bello. Roba di prima classe. First
qualità. Tu signore Darth Vader, sì?” E
senza aspettare
risposta, soggiunse: “Io toydariano, con me trucchi di mente
non
funzionano. Quindi tu non muovere tua manina per strozzare.”
Mimò
il gesto nell’aria, casomai non fosse chiaro. “Va
buono?”
Subito
dopo si tolse da una delle borse che aveva in cintura un generatore
di ologrammi e lo attivò.
Comparve
il capitano Roy Veers, che si portò due dita della destra
alla
fronte in un informale saluto e disse: “Salve.”
Vader
fissò l’ologramma, che sembrava seduto al tavolo
di una bettola di
Mos Eisley e aveva davanti una pinta di birra. Alle sue spalle
lampeggiava un neon con una dianoga stilizzata e sotto la scritta
‘in
piedi’.
“Mi
riceve, signor Vader?” chiese l’ologramma. Poi,
dopo una pausa:
“Beh, consideriamo di sì. Allora, le spiego un
paio di cosette
sulla Imperial Platinum, d’accordo? È vero,
sì, diciamo che l’ho
presa in prestito per un po’. Ma avevo
intenzione di
ridargliela, giuro. Volevo solo comprare una bambola gonfiabile di
gamorreana obesa per Tarkin e fargliela recapitare durante un
briefing, tutto lì. Solo che prima che potessi riprendermi
dalla
sbronza qualcuno mi ha agguantato, infilato dentro
un’uniforme
tropicale e spedito a cercare Kurtz. E io, del tutto
accidentalmente, mi sono ritrovato la sua carta di credito in
tasca.”
Fece
una pausa, vuotò il bicchiere con un rispettabile sorso da
mezza
pinta, quindi disse: “Un’altra, cara.”
Una
twi’lek verde depose un bicchiere pieno sul tavolo.
“Grazie,
tesoro.”
Veers
tornò a voltarsi verso il registratore di ologrammi.
“Stavamo
dicendo? Ah, sì: la carta. Meno male che l’avevo
con me, signore.
Ha presente Sullust? Ecco, di basi imperiali non ce
n’è una che
funzioni per il verso giusto. Ci siamo dovuti pagare tutto. Lei ha
mai sentito parlare di un nostro contatto locale che si fa chiamare
Mister Beruwela? Ecco, cinquantamila crediti tutti anticipati per
trasporti ed equipaggiamento, se no si andava a dorso di
bantha.”
Altro
sorso di birra.
“E
diciamo due parole anche della guarnigione di Kandy, già che
ci
siamo,” riprese l’ologramma. “Diecimila
crediti per alloggiare
nella caserma, mi spiego? O diecimila o dormire in città col
rischio
di essere trasformati in pastura per dianoghe. Veda lei.”
Altro
sorso, fine del bicchiere, la twi’lek ne depose un altro.
“Potrei
andare avanti. Trasporti per Kamino, trasporti – molto
più
importanti – da Kamino, e così
via. In ogni caso, alla fine
di tutto questo casino abbiamo anche trovato Kurtz. Simpatico da
parte vostra, fra l’altro, farmi scoprire che razza di
personaggio
stavo andando a cercare solo quando sono arrivato su
Sullust.” Fece
una pausa, che utilizzò per vuotare il bicchiere, quindi in
tono
grave concluse: “Ora, se dopo aver sentito tutto questo ha
ancora
voglia di tirarmi il collo, devo pensare che abbia ragione Tarkin
quando la definisce un permaloso iracondo che sfoga la sua
frustrazione sugli altri perché…” Fece
un gesto soldatesco ed
inequivocabile sostenendosi un avambraccio con l’altro e
lasciando
penzolare la mano del primo.
L’ologramma
tremolò e scomparve lasciandosi dietro un silenzio in cui si
sarebbe
sentita una twi’lek pensare.
Nell’unanime
costernazione, il toydariano raccolse il generatore di ologrammi, se
lo infilò in saccoccia e disse: “Vecchio Qirra
Nabb ha fatto sua
parte. Ora ‘disgrazia’ Veers fa da solo.
Saluti.”
Svolazzò
verso la navetta in attesa e vi scomparve dentro.
Passarono
altri lunghi secondi, il silenzio permaneva inviolato.
Infine
il signore dei Sith vide una testa con tanto di berretto da ufficiale
che si affacciava circospetta dal portello della tydirium.
“Signor
Vader, posso uscire?” si informò Veers.
“È rimasto convinto dal
mio messaggio?”
Nessuna
risposta.
“Lo
prendo come un sì, signore?”
Mentre
i negoziati erano in questa delicata fare del loro svolgimento, si
presentò sulla piattaforma XR-44 il Governatore Tarkin in
persona.
Questi
apostrofò da lungi il circospetto capitano:
“Veers! La pianti di
giocare a nascondino e venga fuori. Pensa che possiamo permetterci di
perdere la giornata dietro le sue cialtronerie?”
“Beh,
ecco, cialtronerie fino a un certo punto, signore. Se posso
permettermi, naturalmente. Si tratta della mia pellaccia.”
“Venga
fuori immediatamente!”
Il
capitano uscì dalla tydirium.
Subito
Vader tese una mano verso di lui. Il capitano fece un passo indietro
con l’aria di chi è allergico alle rose e
tutt’a un tratto si
trova nel bel mezzo di un vivaio in piena fioritura. “La
Imperial
Platinum,” ordinò il gigante nero. “E
poi discuteremo di quello
che mi ha detto nel messaggio olografico.”
Veers
tirò fuori di tasca la targhetta di plastica, ma
arretrò fino al
bordo della piattaforma e da lì passò al supporto
dell’antenna,
una sottile passerella che si protendeva su un abisso profondo
più
di mille metri. Si passò un dito nel colletto
dell’uniforme. “Se
lei mi strozza, Vader, la carta di credito finisce con me nel
reattore principale.”
“Venga
qui, capitano.”
“Allora
che fa, mi strozza o no?” Allungò la mano che
reggeva la Imperial
Platinum sull’orrendo baratro. Dal basso proveniva una
corrente
d’aria che gli faceva sventolare le falde della giacca e
l’irriverente ciuffo biondo.
A
questo punto intervenne Tarkin: “Vader, lascialo
stare!”
Il
capitano circondò l’antenna con un braccio.
Guardò giù per un
attimo e fece l’espressione di uno che ha appena addentato un
limone, poi però disse: “Morto per morto, almeno
lei non si gode
nemmeno i punti Imperial Rewards.”
“Vader,
basta così! Ci deve ancora dire dov’è
Kurtz.”
Il
signore dei Sith abbassò il braccio. “Se
così desideri.” Poi,
dopo una pausa: “E comunque, tu ed io dobbiamo parlare di
certe
cose che vai dicendo su di me.”
“Eh?”
“Chiedilo
a quel tipetto là in fondo.” Indicò il
capitano, che stava
ritornando sulla piattaforma d’atterraggio con
l’aria di uno cui
è appena passata tutta la vita davanti agli occhi.
“Che
cosa dovrei chiedergli?”
E
Vader, di rimando: “E tu che cosa vai dicendo di
me?”
“Non
so di che parli.” Poi, rivolto all’ufficiale:
“Veers, venga
qui!”
“Al
tempo, signore. Un altro po’ e finivo per assomigliare a un
gungan
stitico.”
“Veers!”
“Mi
scusi, Governatore, ma il signore dei Stih, qui, ha la manina
piuttosto pesante.”
“Non
mi interessa la mano del signore dei Sith.”
Veers
fece un sorrisetto e sollevò un sopracciglio, tutti fecero
finta di
non notare.
Tarkin
insisté: “Mi dica subito quello che ha scoperto su
Kurtz. Cosa
intendeva quando ha detto che non sarà più una
minaccia per
l’Impero? È morto, forse?”
“Beh,
proprio morto morto no, signore. Ecco, non ancora.
Ma magari,
con un po’ di pazienza...”
“Si
spieghi meglio.”
“Il
colonnello Kurtz vive da solo su un’isoletta e passa le
giornate a
pescare, signore. Niente più monarchia teocratica, genocidi
e altro.
Solo pesca d’altura quando è in vena di
trasgressioni.”
“E
lei come fa a saperlo?”
“Me
l’ha detto lui, signore.”
Passarono
lunghi secondi di silenzio. Tarkin e Vader si scambiarono
un’occhiata.
Infine,
con voce tagliente il Governatore disse: “Io
non so come lei sia venuto in possesso di queste informazioni,
capitano. Posto che siano vere, naturalmente. Ma conoscendola sono
certo che avrà usato dei metodi indegni di un ufficiale
imperiale.
Voglio un rapporto completo sulla mia scrivania entro
un’ora!”
“Un
rapporto completo sulla sua scrivania?” fece eco Veers, che
un
volta scongiurata la morte era di nuovo tranquillo come se stesse
parlando del tempo. “Decisamente ha dei gusti inconsueti,
signore.
E poi non le sembra un po’ prematuro? In fondo non ci
conosciamo
poi così bene…”
“Non
quel
tipo
di rapporto!” si affrettò a rispondere Tarkin. Era
certo di essere
arrossito. Dannato Veers, lui e le sue battute idiote.
“Non
si deve sentire in imbarazzo se ha certi gusti, signore,”
rispose
il capitano imperturbabile, “tantissime persone molto a modo
hanno
tendenze particolari.”
“Veers,
la smetta! Io non ho tendenze particolari di nessun tipo!”
ribatté
il governatore, con voce forse un po’ troppo stridula.
“Mi
scusi se lo dico, signore, ma accettare se stessi è il primo
passo
per una vita serena…”
“Insomma,
basta! Io non devo accettare proprio nulla…”
cominciò Tarkin, ma
in quel frangente si avvicinò un piantone e si
fermò davanti a lui
sull’attenti.
“Ebbene?”
chiese il Governatore.
“Signore,
un messaggio per lei sulla frequenza prioritaria,”
annunciò il
soldato.
Tarkin
si avvicinò a un monitor e lo attivò. Comparve la
faccia rugosa di
un vecchietto con un bel paio di baffi all’insù.
“Wilhuff,
vecchio mio!” disse l’immagine, “Che
piacere rivederti!”
“Colonnello
Waxen,” fu la gelida risposta dell’altro.
“Come
te la passi?” proseguì l’attempato
ufficiale, del tutto
indifferente al tono glaciale dell’altro. “Hai
visto che siamo
pieni di navi nemiche?”
“Navi
nemiche, colonnello?”
“Ah
ah, sei proprio distratto! Tutti questi Mon Calamari che girano qui
intorno dove li vogliamo mettere? Li vogliamo lasciare liberi di fare
i loro comodi? Ma non ti preoccupare, ho già attivato il
laser: non
andranno lontano, quei lestofanti!” Ghignò
compiaciuto al pensiero
di quello che stava per succedere.
Tarkin
sbiancò. “Cos’ha fatto?”
“Il
laser, quello grosso. Tempo due minuti e facciamo piazza
pulita.”
Per
la prima volta da quando era ufficiale dell’Impero, Tarkin
proferì
un’imprecazione che lasciò basito chiunque si
trovò ad
ascoltarla. Persino dal bunker degli artiglieri, che si vedeva alle
spalle di Waxen, una voce commentò:
“Sticazzi.”
Subito
dopo il Governatore si buttò sul blocco di emergenza e
attivò
l’allarme generale. Sempre imprecando in maniera orribile
partì di
corsa lungo un corridoio.
Da
un passaggio laterale saltò fuori una donna scarmigliata con
addosso
un’approssimativa sottana bianca, berciò qualcosa
che poteva
somigliare a “Nonno!” e lo placcò
mandandolo a rotolare sul
pavimento.
Furono
necessari quattro stormtrooper per ridurla all’impotenza. Nel
frattempo una specie di azzurra estetista twi’lek
piagnucolava che
aveva bisogno di un bagno e non riusciva a trovarlo.
Nell’improvviso
casino, Veers e Darth Vader rimasero soli sulla piattaforma.
“Tutto
questo è opera sua, non è vero?” chiese
il signore dei Sith dopo
un lungo silenzio.
Il
capitano si strinse nelle spalle.
“È
qui da nemmeno venti minuti ed è già riuscito a
far partire un
allarme generale.”
“Non
ho fatto tutto io, signore,” si schermì
l’ufficiale. Il tono era
quello di chi è stato trovato su una pila di rangkor morti
con in
mano un temperino e si trova impropriamente attribuiti tutti gli
abbattimenti.
Ci
fu un altro lungo silenzio. Infine, Vader disse: “Io credo,
capitano, che lei abbia un talento per creare problemi, scardinare
gerarchie e suscitare confusione dove non ce ne dovrebbe
essere.”
“Signore,
lei mi lusinga.”
“È
riuscito a far bestemmiare Tarkin.”
“Solo
una grazie all’intervento del signor colonnello.”
Il
Sith tacque di nuovo. Nel cupo silenzio si udivano fievoli le
pittoresche imprecazioni di Qirra Nabb, che era nella tydirium e
protestava perché la navetta non stava decollando alla volta
di
Tatooine.
Alla
fine Veers alzò lo sguardo per fissare il suo interlocutore.
“Allora… io andrei?” propose.
Esibì uno dei suoi celebri
sorrisi disarmanti, in particolare la versione ‘OK,
è stato bello.
Allora ciao, eh?’
“Non
così in fretta, capitano,” disse però
Vader.
Il
sorriso disarmante si raffreddò alquanto, assumendo le
connotazioni
di un trisma tetanico. “Ehm…
c’è altro, signore?”
“Lei
cosa ne dice, Veers?”
“Beh,
signore, lei è di Tatooine, se non ricordo male, quindi
conosce il
proverbio: non chiedere a Chalmun se la sua birra è
buona.”
Vader
si piegò sull’ufficiale sovrastandolo con la sua
mole. L’altro
avrebbe volentieri fatto un passo indietro per sottrarsi a quella
nefasta influenza, ma era sul bordo della piattaforma e non poteva.
Con
tono minacciosamente basso, il signore dei Sith gli disse:
“Lei si
è impadronito della mia carta di credito e l’ha
usata a suo
piacimento, ha lasciato vivo un pericoloso criminale che le era stato
espressamente ordinato di uccidere, ha sbeffeggiato il suo superiore
in tutti i modi possibili, si è ubriacato ripetutamente in
servizio
e di certo mi sono dimenticato qualcosa. Se volessimo vedere la sua
situazione da una prospettiva strettamente militare, Veers, lei
adesso dovrebbe andare sotto processo per almeno diciotto crimini
diversi.”
L’ufficiale
deglutì. Aveva alle spalle un baratro di mille metri,
davanti Darth
Vader incazzato e come prospettiva la corte marziale.
Nel
silenzio siderale propose: “Immagino che non servirebbe a
niente
invitarla a riconsiderare la questione davanti a una birra?”
L’altro
abbandonò la posizione di minaccia ed emise un sospiro.
“Io devo
ancora capire, Veers, se lei è molto coraggioso o molto
stupido.”
Il
capitano sospirò a sua volta e si passò il dorso
della mano sulla
fronte imperlata di sudore freddo. “Ah, non lo so, signore.
Io
propenderei per la seconda. Ora posso spostarmi da qui, per favore?
Incomincio ad avere le chiappe un po’ strette, con rispetto
parlando.”
Vader
si fece da parte per permettergli di passare e in un fugace attimo si
sorprese a rimpiangere di non poter più bere birra.
“Quando è
stato l’ultima volta al bar di Chalmun?” gli chiese.
“Ci
ho fatto un salto proprio ieri, signore. Sa che ha cambiato il
bancone?”
“Ah,
non è più quello in resina di sarlacc?”
“Nossignore.
Adesso ne ha uno di pietra di Kashi. Quello prima gliel’ha
sfasciato uno hutt ubriaco che ci è caduto sopra.”
“Sull’altro
c’erano le mie iniziali…”
“Davvero,
signore?”
“Già.
Nell’angolo in fondo. Ha presente dove Chalmun teneva quel
punch
schifoso che smerciava ai contrabbandieri rodiani?”
“Ah,
ora ho capito. A e S, giusto?”
Vader
annuì. “Bei tempi.”
“Eh,
sì. Non si offenda, temo di averci anche vomitato sopra una
volta.
Ero sbronzo.”
“Cose
che succedono.”
“È
vero.”
Si
avviarono lungo il corridoio fianco a fianco. L’allarme
continuava
a suonare come impazzito, raggi laser senza controllo fendevano lo
spazio. Sotto i potentissimi colpi, ignari sistemi astrali venivano
disintegrati uno dopo l’altro.
PICCOLO
ANGOLO DELL’AUTORE:
Cari
lettori, care lettrici,
e
così abbiamo finito anche questa storia. Basta con imperiali
squinternati e avventure demenziali su e giù per le galassie.
Un
enorme grazie a tutti coloro che mi hanno seguito, a chi mi ha
commentato, a chi mi ha messo in qualcuna delle sue liste ma anche a
chi è passato, ha dato un’occhiata e se
n’è andato,
sperabilmente dopo aver fatto una risata.
Grazie
davvero a tutti, e ora vado a devastarmi di birra con Veers!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3622961
|