Skyfall

di Slytherin_Eve
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Discorso ***
Capitolo 2: *** 02. Osservazione ***
Capitolo 3: *** 03. Amicizia ***
Capitolo 4: *** 04. Impulso ***
Capitolo 5: *** 05.Passato ***
Capitolo 6: *** 06.Cambiamento ***
Capitolo 7: *** 07. Sonno ***
Capitolo 8: *** 08.Innocenza ***
Capitolo 9: *** 09. Verità ***
Capitolo 10: *** 10. Consapevolezza ***
Capitolo 11: *** 11. Buio ***
Capitolo 12: *** 12.Ruolo ***
Capitolo 13: *** 13. Promessa ***
Capitolo 14: *** 14. Lacrime ***
Capitolo 15: *** 15. Wakanda ***
Capitolo 16: *** 16. Wakanda pt.2 ***
Capitolo 17: *** Speciale - A Very Turing Christmas ***
Capitolo 18: *** 17. Famiglia ***
Capitolo 19: *** 18. Stelle ***
Capitolo 20: *** 19. Stasi ***
Capitolo 21: *** 20. Drone ***
Capitolo 22: *** 21. Echi ***
Capitolo 23: *** 22. Guerra ***
Capitolo 24: *** 23. Memoria pt.1 ***
Capitolo 25: *** 24. Memoria pt.2 ***
Capitolo 26: *** 24. Condanna ***



Capitolo 1
*** 01. Discorso ***


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ATTO PRIMO: DISCORSO


"They'll try to push drugs,

to keep us all dumbed down

and hope that we will never see the truth around."

Muse


Settembre 2015


Quando il taxi si fermò, l'autista emise un fischio ammirato. Non le interessava sapere se fosse dovuto all'armonica struttura in vetro, incastonata nel verde e che brillava al sole di inizio autunno; o alla bella donna dai capelli vermigli, sciolti in morbide onde lungo le spalle, che stava in piedi sul ciglio della strada. Aspettandola, un sorriso enigmatico sulle labbra e le braccia icrociate sul petto, sopra alla morbida giacca di panno verde militare.

"Avvisatemi, la prossima volta che cercate personale in questo posto!" Commentò smaliziato l'indiano, voltandosi verso i sedili posteriori con un ghigno divertito.

Elle rispose con una smorfia sorniona, pagando la cifra indicata sul tachimetro in silenzio, una mano portata al viso per scostare i lunghi capelli biondi dagli occhi. Scese dall'auto in silenzio, trascinando leggermente la gamba sinistra e trascinandosi dietro il fedele borsone nero, compagno di tanti viaggi .

Natasha Romanoff era molto cambiata dopo gli ultimi eventi che l'avevano vista tra i protagonisti di non una, ma due probabili fini del mondo. I capelli si erano allungati, rispetto al taglio corto che portava solitamente, e l'espressione si era indurita maggiormente, rispetto a come la ricordava all'inizio della loro conoscenza. Gli occhi scuri, di una particolare tonalità di verde, erano leggermente stanchi. La fronte diafana era solcata da alcune sottilissime rughe d'espressione, quasi come se il temperamento disincantato della donna avesse trovato un modo per esprimersi attraverso quelle pieghe quasi impercettibili.


Non erano mai state persone da saluti espansivi: bastò uno sguardo, da sopra la spalla, appena accennato. Quasi come due sconosciute che si vedono ai due lati di una strada. Se non fosse stato che, quella strada, le due l'avevano percorsa insieme. Stiracchiò le labbra in un sorriso pigro, mentre l'amica apriva il baule della vettura gialla, estraendo il primo di due pesanti scatoloni.

Due uomini in uniforme blu arrivarono alle loro spalle, preceduti dal rumore dei loro passi decisamente non felpati, a prelevare gli oggetti della donna. Li guardò per un secondo, ammettendo con sé stessa che era troppo tardi per cambiare idea, e che una buona parte dei suoi averi stavano in quel momento viaggiando verso la stanza che le era stata assegnata all'Avengers Facility.

Natasha seguì con lei il percorso dei suoi sottoposti, senza emettere un fiato. Attirò la sua attenzione con un leggero tocco al braccio, facendole strada verso l'ingresso del grande complesso. Le aprì la porta con i fianchi, facendo un ampio gesto con il braccio. "Elle Selvig, benvenuta al Quartier Generale degli Avengers."

Elle fece un fischio di ammirazione, voltandosi a guardare oltre le vetrate il prato ben curato ed, oltre questo, il bosco che circondava tutta la struttura.

"Anche tuo padre ha molto apprezzato la costruzione..." Commentò sarcasticamente la rossa, guardandosi attorno con aria vaga.

"Non cominciare, Natasha. Sono appena arrivata."

Nell' ampia hall, animata da un via vai di agenti in divisa e personale di varia natura, le due si affiancarono. Natasha alzò una mano, mimando un gesto di resa. Elle sospirò, sorridendole. "Dopo la sede dell'FBI, questo posto mi sembrerà un resort."

Natasha ridacchiò, facendole segno di seguirla verso l'interno dell'edificio.

"Ti piacerà: palestra, uffici con l'aria condizionata, piscina interna e un meraviglioso parco. Se decidessimo di cambiare settore, potremmo aprire un albergo di lusso."

Elle si guardò intorno, leggermente infastidita da tutto il chiacchericcio della Hall, dalla confusione generata dalla mente vigile di un centinaio di persone, tutte attorno a lei. Si sofferò a guardare l'architettura dell'edificio, illuminato da ampie vetrate, le colonne in acciaio che formavano uno strano ed accogliente contrasto con il banco in legno.

"Tienilo a mente per la nostra vecchiaia. Ci starebbe anche un ricovero per i randagi, vista la presenza di questo immenso parco." Rispose automaticamente Elle, indicando dietro di loro con un gesto del capo. Nat accennò una smorfia divertita, cominciando a salire delle ampie scale.

"Di qui ci sono gli uffici." Indicò un lungo corridoio al primo piano, dritto dopo le scale. "Il tuo dovrebbe essere prima del settore blu, in fondo."

Proseguì poi lungo un mezzo piano esposto sull'ingresso. "Di qui si va alla mensa comune..." Fece un ampio gesto verso destra. "E da queste scale, si arriva agli alloggi. Terzo piano, sei tre camere più in giù di me." Elle fischiò di nuovo, sapendo di dare fastidio all'amica, che infatti si voltò con le labbra strette in una smorfia.

"Sono vicino agli alloggi dei celebri Avengers!" Esclamò, fingendosi entusiasta la bionda. "Spero di essere la vicina di stanza di Tony Stark!" Natasha la guardò con un sorriso sarcastico, senza assentire né negare, lasciando l'esclamazione dell'amica a cadere nel vago. Elle, fermatasi a pochi passi, si voltò lentamente verso di lei, gli occhi socchiusi e le mani giunte davanti al viso.

"Non c'è Anthony, vero?" chiese con un'espressione funebre. Natasha scoppiò a ridere. "Se vuoi ti lascio il suo indirizzo di Malibu..."


xxx


"La signorina Selvig starà con noi per diversi mesi. E' qui per una mia direttiva, e chiunque verrà chiamato a colloquio da lei è obbligato a presentarsi, come se a chiamarlo fossi stato io."

Fury aveva pronunciato quel discorso nell'interfono, a reti unificate. Nei corridoi vuoti, nella grande mensa comune, nella hall piena di operatori, era sceso un silenzio glaciale. Tutti potevano immaginarsi la sua espressione dura, il modo in cui il suo occhio sano si era acceso, la postura rigida tipica di quando l'uomo dava un comando, non aspettandosi di essere disubbidito. Mai.

Lo sguardo accigliato di Fury andò a posarsi sull'individuo che aveva davanti, l'unico che era stato chiamato per assistere dal vivo al suo messaggio. Tolse il dito dal tasto del microfono, allontanandosi dalla scrivania lentamente, l'aria accigliata.

"Questo vale anche per lei, Capitano. E per la sua squadra." Il suo occhio buono si assottigliò ancora di più, mentre Steve Rogers rispondeva alla sua occhiata, mantenendosi intespressivo. "Elle Selvig è una dei migliori agenti dell'FBI. Ha collaborato più volte con lo S.H.I.E.L.D., una volta anche con quella che a suo tempo era la squadra Strike, affiancando Rumlow nella sua ultima missione." Rogers annuì appena. "Intuisco il perché sia stata l'ultima, Rumlow era...difficile anche quando sembrava uno dei nostri."

Fury appoggiò un gomito sul piano di vetro della scrivania, e si tenne la testa con la mano. "Se avesse intuito qualcosa dell'Hydra allora, non sono sicuro che sarebbe venuta a riferirmelo. Nonostante questo dubbio, ha la mia piena fiducia. Le ho chiesto favori molto grossi, negli ultimi anni. E non mi ha mai deluso.". Allungò la mano libera sulla scrivania, facendo strisciare la cartella di cartoncino, misura standard e con il simbolo dell'ex S.H.I.E.L.D. verso l'altro. Rogers fece un passo avanti, prendendola in silenzio. Arretrò, iniziando a sfogliarla lentamente, le sopracciglia aggrottate. Fury rimase a guardarlo, mentre la sorpresa si faceva largo sul volto del Capitano.

"Elle ha svolto lavori anche per NSA, e per la Marina. Ha effettuato alcune complesse operazioni in territori molto caldi. Iraq. Sud-Est Asiatico. Corea. Di solito accompagna una squadra di Special Air Service, la Sessantaseiesima."

Rogers pensò che Sam avrebbe emesso uno dei suoi fischi sorpresi-ma-positivamente, se fosse stato con lui a leggere quella cartella. "Perché non i Navy Seals o qualcuno dei nostri?" chiese spontaneamente.

"Selvig odia gli americani. Ci trova grossolani." Commentò Fury tranquillamente, quasi ghignando. Rogers alzò gli occhi di scatto, dal faldone a Fury, incredulo.

"Lei è svedese, nata e cresciuta là con la madre. Si è trasferita qui solo quando questa è morta, per raggiungere il padre che era docente alla Culver Univesity."

"Erik Selvig... quello di Loki." Esclamò improvviamente Rogers, alzando istintivamente gli occhi su Fury, che annuì appena con il capo.

"Esatto, Capitano. Lei è la figlia."

Rogers deglutì. Aveva visto recentemente Erik Selvig proprio lì al quartier generale, ma non poteva non ricordarlo come un uomo molto confuso e molto trascurato per un incantesimo della gemma della mente. Uno scienziato pazzo, insomma. Nonché il collega della fidanzata di Thor. Si appuntò di chiedere al dio, la prossima volta che lo avresse incontrato, se magari gli avesse accennato ad una figlia.

"Per quale motivo una donna si sporcherebbe le mani con lavori di questo genere?" Chiese curioso, guardando il fascicolo. Dopo Natasha, non avrebbe più dovuto stupirsi di certe cose. Ma il suo spirito Vintage era duro a morire. Incontrò degli occhi azzurri che lo scrutavano, senza una particolare espressione. La foto ritraeva il viso di una ragazza molto pallida, con i capelli di un biondo molto chiaro e le ciglia dello stesso colore. Gli occhi erano gli stessi del dottor Selvig, di un azzurro quasi irreale, sormontati da delle sopracciglia molto decise. Aveva un naso dritto, piccolo e molto a punta, al centro di un viso piuttosto scavato. Guardava dritta nell'obiettivo, con un'espressione molto professionale e poco informativa.

"Elle è specializzata in indagini, anche di guerra, e nella negoziazione e recupero di ostaggi civili. " Fury riprese la cartella che l'uomo gli stava ritornando, con un sospiro. "L'ultimo favore che le ho chiesto, un'indagine particolare, le ha quasi fatto rischiare la pelle e non potrà tornare sul campo per diversi mesi. Qui si occuperà di questioni puramente d'ufficio, sedute terapeutiche e valutazioni del personale. In particolare, spero riesca a rintracciare se vi sono altri agenti Hydra rimasti fra le nostre fila. Abbiamo reclutato parecchia gente dall'Ex S.H.I.E.L.D."

Rogers lo guardò, in attesa. Fury alzò gli occhi al cielo. "Visto che era sotto alle mie direttive quando è incorsa in quell'incidente, dovevo trovarle qualcosa da fare durante la riabilitazione. Inoltre, penso che stare vicino agli Avengers possa essere utile ad entrambi."

Rogers fece uno sguardo interrogativo, ma Fury lo fermò subito con una mano.

"Ora vada a spiegare al resto della squadra quello che le ho detto, Capitano." Concluse Fury, alzandosi improvviamente, i palmi appoggiati alla scrivania.

Questa interruzione secca del discorso, da parte di un uomo come Nick Fury, non presagiva niente di buono. Rogers decise che avrebbe approfondito più tardi, e con la sua squadra. Si alzò, mimò un saluto formale ed uscì dalla stanza, valutando velocemente la situazione nella sua testa.


xxx


Quando le era stato proposto da Fury un lavoro a New York, fisso, Elle aveva accettato subito. Prima di tutto, perchè era vicino a casa, anche se durante la settimana avrebbe dovuto soggiornare alla base. In secondo luogo, perchè la Selvig non aveva molte amicizie. Qualche collega, qualche conoscenza in giro per il mondo. Ma, quelle poche persone con le quali si sentiva a proprio agio, erano proprio in quell'edificio. In primis, la sua amica del College, Maria. Le due avevano diviso la stanza per tre anni, e dopo erano rimaste spesso in contatto. Poi, Natasha. Un'amica che la aveva accompagnata, da pochi anni a questa parte, durante alcune delle peggiori missioni. Ora che la rossa aveva bisogno di lei, anche se non lo avrebbe mai ammesso, Elle non si sarebbe tirata idietro per nessun motivo dal suo fianco.


Maria Hill non le lasciò nemmeno un secondo di pace durante la sua prima sera nella nuova sistemazione.

La sala mensa era molto grande, con lunghi tavoli di metallo ed altrettanto lunghe panchine, un bancone che dava sulla cucina ed un grosso scaldavivande posti lungo la parete ad est. Non dava sull'esterno, e la luce al neon faceva sembrare tutti più emaciati e smunti di quanto non fossero in realtà.

Maria le stava raccontando il favoloso After Party da Stark qualche mese prima, la festa durante la quale si era palesato Ultron: i bicchieri di cristallo, la vista sulla città dalle mille luci, i robot assassini. Li aveva trovati particolarmente decorativi.

Le parlò dei nuovi arrivi nella squadra, in particolare di un tizio piuttosto inquietante di nome Visione e della sua amica, che dalle parole di Maria sembrava uscita da un film di Dario Argento.

"E così Nosferatu arriva da me e mi fa con un terribile accento da est Europa: Noi siamo abituati ad abbattere i muri!" Maria si mise a ridere da sola. Elle la guardò interrogativa, senza nemmeno un guizzo divertito negli occhi. "Maria, dovresti sapere che non è facile abituarsi ad una nuova sistemazione, soprattutto quando sei in una base militare dall'altra parte del mondo."

"Era una storia fantastica, raccontata agli altri. Non dai soddisfazione, ti hanno programmata senza senso dell'umorismo." Esclamò Hill, prendendo un bel sorso dalla sua bottiglietta.

"Maria, ho fatto un viaggio quasi eterno da Londra, sono stata a casa due ore scarse e parlato della mia sistemazione con Fury per quasi tre... A vederti così, poi, mi sembra di essere tornata al dormitorio Ovest..."

Elle sogghignò, l'amica che la guardava con espressione arcigna. "Ricordi la prima volta che ti hanno relegato in stanza con me? Nessuna del nostro anno voleva condividere la camera con un'attaccagrane come te."

"E così anche Hill ha dei lati oscuri!" Natasha si sedette con un movimento aggraziato sulla panca vicino ad Elle, appoggiando un braccio alla spalla dell'amica.

"Mi sento un po Burton adesso..." Elle osservò la posizione che avevano, ridacchiando.

"E' bello vedere un po di facce amiche..." Affermò poi la nuova arrivata "Non trovo nessun altro che mi sopporti, là fuori. Maledetta deformazione professionale." Sorrise timidamente alle due, le guancie che avevano preso una leggera sfumatura rosata.

"Adesso sei a casa." Commentò Maria, indicando ciò che le circondava con la forchetta. Elle, quasi in risposta, sbadigliò sonoramente. “Casa, eh?”. Sbadigliò di nuovo.

"Jet Lag. Mi ritiro nella mia magione. Stanza. Cella.Sov så gott! " Si alzò con una smorfia, tenendosi una mano sulla schiena. "Välkommen tillbaka!" Sorrise Natasha, voltandosi a guardarla con un sorriso. Elle annì, sorridendo, e si diresse verso il fondo della stanza, sperando di non perdersi in quel labirinto di corridoi e androni.

"Non so tu..." Commentò Natasha ad Hill, prima di alzarsi anch'ella. "Ma mi è sembrata ancora più magra dell'ultima volta che l'ho vista. E..." Indicò la direzione in cui era sparita l'amica con l'indice, unghie smaltate di nero. “Zoppica ancora.”

Maria fece un sorriso tirato. "Non so quale è stata la sua ultima missione. Ma si muove in modo strano. So che è stata a lungo ricoverata.”

Natasha prese il vassoio dell'amica per andarlo a svuotare. "E non hai visto le foto del referto..." commentò triste, allontanandosi.


xxx


Il terzo giorno della settimana era sempre il peggiore.

Si sfregò una manica della felpa grigia sul viso, asciugando il sudore caldo, che diventava freddo appena toccava l'aria frizzante di settembre. L'altra mano andò automaticamente al fianco destro, dove sentiva un dolore sordo e palpitante, un bruciare sopportabile, che sapeva per certo non essere dovuto alla milza fin troppo allenata agli sforzi di una corsetta mattutina.

Il boschetto intorno al Quartier Generale degli Avengers stava iniziando a diradarsi, seguendo il sentiero di terra brulla e sassosa; così lei aveva deciso di fermarsi in un punto dove questo era più largo, ma vi erano ancora alberi a coprirla dal cielo aperto. Come se potessero esserci dei cecchini sul tetto, i fucili imbracciati a minacciare il suo cammino. Era proprio una stupida.

Alzò le braccia e tirò verso l'alto finché riusciva, sentendo le cosce ed i polpacci bruciare e tendersi seguendo le ossa sottili. La coda di cavallo che le teneva lontani dal volto tutti i capelli biondi dondolava ad ogni suo movimento, accarezzandole la schiena. Le ossa delle scapole, eccessivamente magre, sembravano poter bucare la pesante felpa accollata, lo stemma dell'FBI ben visibile sul petto. Una provocazione, tanto per avvicinarsi ai nuovi colleghi. Sospirò, respirando ampie boccate di aria fredda.

"Mi hanno detto che correte nella foresta per trentacinque chilometri, quando fa bel tempo."

Sentì arrivare la battuta prima che questa uscisse effettivamente dalla bocca dell'uomo, che arrivava a buon passo dal sentiero dietro di lei. Afroamericano, stazza normale,sulla trentina, occhi vispi ed un sorriso piuttosto amichevole.

Elle strizzò gli occhi, a metà fra essere offesa per il tono sarcastico, quasi come a voler svalutare le sue capacità, oppure contenta che la voce si fosse già diffusa fra i corridoi della Facility. Si piegò in avanti, tenendosi la caviglia sinistra, fingendo di pensare alla sua affermazione. "Solo durante la selezione SAS. E le selezioni sono solo per maschi fino ai 32 anni."

"E' vero, negli uffici dell'FBI sono tutti piuttosto in carne a dire il vero." Ridacchiò lui, indicando la sua felpa con un gesto della mano.

"In America sono tutti piuttosto in carne. A dire il vero." Sentenziò lei, passando con le braccia verso la destra, con una smorfia.

'Che caratterino.'

Come se lo avesse urlato, il pensiero di lui si conficcò nella sua mente. Elle sospirò, rialzandosi, e isolandosi dal vortice di voci circostante. Non sapeva ancora spiegarsi se fosse un desiderio di dare a chiunque la sua privacy, oppure se fosse perchè, in realtà, non le importava poi molto di cosa pensassero gli altri. In generale.

"Piacere, Elle Selvig." Disse, allungando una mano all'uomo, che ancora la fissava tenendo le mani sui fianchi.

"Samuel Wilson." Rispose lui, gioviale, guardandola dritta negli occhi. Fece per aprire la bocca, ma lei lo anticipò.
"Si, mio padre è l'astrofisico, Erik Selvig." Esclamò automaticamente lei. Lui la fissò accigliato. "Sicuramente stavi per chiedermelo, ci sono abituata." Si schermò lei, facendo un sorriso di circostanza e guardandosi intorno. "Invece no!" Ammise lui ridendo, le braccia alzate in segno di resa.

Sembrava simpatico, l'uomo che correva. Senza volerlo, Elle si distrasse.

'Rogers l'ha descritta come un mostro bolscevico, ma davanti a me vedo una ragazzina timida.'

Elle faticò a non ridacchiare, piegando una gamba all'indietro e tenendola con la mano, facendo tendere il muscolo della coscia.

Così Captain America era già bendisposto nei suoi confronti? Bene, perché la simpatia per il bambolotto americano era corrisposta.

"Oggi verrai a vedere gli allenamenti degli Avengers?" Chiese lui improvvisamente, allungando prima un braccio e poi l'altro sopra il capo, con i piedi ben piantati a terra.

"Sto già vedendo gli allenamenti degli Avengers, perché sei un Avenger, no?" Rispose prontamente lei. In fondo, quel ragazzone le sembrava simpatico.

"Comunque penso di si. In giornata. Speravo che sarebbe venuto Fury, con me, ma pare che dovrò affrontarvi tutti da sola."

"Tranquilla, non abbiamo ancora mangiato nessuno."

La voce arrivò da dietro di lei, profonda e poco amichevole. Elle sapeva chi era anche prima di girarsi a verificare. Osservò da capo a piedi l'uomo che era appena sbucato dal sentiero, t-shirt sportiva aderente ed espressione accigliata. Aprì la mente, mettendosi sulla difensiva.

'Che ragazzina minuscola.'

Ancora c'era gente che la valutava secondo la sua altezza? Oltretutto, Elle si valutava di un'altezza medio-alta, un metro e settanta. Statisticamente non era lei quella minuta, era quel Rogers ad essere fin troppo alto. E muscoloso.

"Immagino che ti sarei indigesta. Ti davano latte e steroidi, all'asilo?" Chiese scocciata lei, alzando il viso per affrontarlo.

'Che occhi glaciali che ha questa ragazzina.' Lei strizzò le pupille in due fessure, quasi in risposta.

Rogers strinse le labbra, facendo un passo avanti verso di lei. "No, ma immagino che a te abbiano dato il latte inacidito. Visto il caratterino."

Elle quasi scoppiò a ridere. Se voleva offenderla, avrebbe dovuto impegnarsi decisamente di più.Quegli insulti non avrebbero offeso nessuno nemmeno negli anni '20.

'Questi due fanno scintille insieme.' Samuel interruppe lo scambio di gentilezze, frapponendosi fra i due con le braccia aperte.

Time-out, ragazzi! Palla al centro.”

Elle abbassò lo sguardo su di lui, con un sopracciglio alzato, l'irritazione che trapelava in modo palpabile.

"Fasiken! Sono stufa di dover difendere il mio operato solo perché sono una donna, e perchè non sono pompata come il tuo amico lì dietro." Affermò con tono glaciale facendo un gesto verso i due. Samuel la guardava, le labbra dischiuse dalla sorpresa, mentre l'altro, dietro di lui, si guardava intorno, la mascella contratta. Riportò gli occhi su dilei, mentre questa rilassava le spalle, lo sguardo sempre arrabbiato. "Non sottovalutatemi. Voi fate il vostro lavoro, ed io farò il mio."

Girò i tacchi e ripartì verso il quartier generale, correndo ad ampie falcate.

"Cosa hai combinato, Steve?" Chiese Samuel, incredulo."Non ti ho mai visto così maldisposto." Rogers si strinse nelle spalle, girando su sé stesso e ripartendo correndo nella direzione opposta, in preda al nervosismo.

"Sei stato un vero stronzo!" gli urlò dietro Wilson, agitando le braccia.

"Ecco." sospirò, rimanendo nella radura da solo.

xxx

Capitolo riformattato e corretto in data 27/01.

Grazie ad Electricsoul, su Tumblr Rise-Doe, per il bellissimo banner!

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Capitolo 2
*** 02. Osservazione ***


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ATTO SECONDO: OSSERVAZIONE

"See how I leave with every piece of you,
Don't underestimate the things that I will do.


There's a fire starting in my heart
Reaching a fever pitch
And its bring me out the dark."

ADELE



Settembre 2015


Nella stanza risuonava la risata sguaiata di Samuel Wilson, mentre Natasha Romanoff stava comodamente accomodata in un angolo, sull'ampio tavolo da lavoro, smontando, pulendo e rimontando le sue pistole Beretta. Wanda, di fronte a lei, la guardava attentamente, senza avere il coraggio di sfiorare l'arma che aveva di fronte, le mani appoggiate in grembo. Visione, in piedi vicino all'ampia vetrata, osservava Rhodes e Rogers che combattevano corpo a corpo su un grande ring, posto al centro dell'ampio ambiente riservato solo a loro. Agli Avengers.

Rogers atterrò ancora l'uomo, con una scivolata improvvisa, e lo bloccò con il suo corpo, un ginocchio contro il collo dell'avversario e le braccia che trattenenvano quelle dell'uomo a terra. Gli disse qualcosa, probabilmente un rimprovero, per poi lasciarlo andare con uno sbuffo.

"Si, ma io ho passato i quaranta..." Sbottò Rhodes, aprendo le braccia. Rogers lo guardò appena, sorridendo. "Ed io quasi i cento..." L'uomo lo guardò male. "Non è la stessa cosa."

"Stark sapeva combattere anche senza armatura. Per questo era così forte."

"Io non sono Stark." Sbottò l'altro, sedendosi a terra con un asciugamano sulle spalle.

Natasha lanciò ai due un'occhiata furiosa. "Basta beccarvi, signori, ci sono ospiti nel pollaio."

Elle si fece avanti, maledicendo mentalmente l'amica. Si diresse verso i due litiganti, facendo segno a Rhodes di alzarsi. Questi la guardò un attimo storto, appoggiandosi prima sulle corde e poi alzandosi, senza commentare. La donna levò le scarpe basse, restando con i calzini scuri, e senza emettere un suono si issò sul ring sotto gli sguardi perplessi dei presenti, passando fra la seconda e la terza corda. Avvolse le maniche della camicia azzurra sui gomiti, i capelli chiari legati con cura in uno chignon dietro la nuca. Fece un cenno a Rhodes, che si avvicinò guardingo.

"Basta che metti un po' più indietro la gamba..." Disse, mostrandogli la posizione, le gambe leggermente divaricate e un braccio piegato sul busto. "E vedrai che, anche se l'avversario è più forte, lo puoi atterrare. Avrai più slancio." Gli mostrò come effettuare una leva con il braccio destro, per sbilanciare l'avversario, sorridendo incoraggiante mentre l'altro la seguiva provando la posizione. Rogers si allontanò, dando loro le spalle e strofinandosi il viso con un asciugamano. Quando tornò ad attaccare, l'altro riuscì ad atterrarlo una volta su tre, anche se per pochi secondi, mentre Elle li guardava come un arbitro piuttosto di parte ad un incontro clandestino.

"E' molto capace per essere così giovane." Commentò sorridendole Rhodes alla fine dello scontro, con il fiato grosso, appoggiandosi alle corde. "Con chi ho il piacere..."

"Elle Selvig.” Lei gli strinse la mano con forza. L'uomo si portò galantemente alle labbra il dorso, stampandogli un bacio. Elle represse una smorfia, irrigidendosi.

"E' qui a vedere i famosi Avengers?" Le chiese poi Rhodes, gonfiando il petto. La svedese si voltò a guardare Natasha, sfregandosi la mano offesa sui pantaloni. L'amica rossa alzò gli occhi al cielo. Wanda, vicino all'altra, fece un sorriso divertito.

"Sono io che mi occuperò delle vostre valutazioni fino all'effettiva entrata in servizio." Ammise poi Elle, girandosi verso l'uomo che fece un'espressione sorpresa. “Mi occupo del sostegno psicologico dei lavoratori del centro operativo. Inoltre devo esaminare tutti i fascicoli per vedere se ci sono ancora filo nazisti dell'Hydra tra coloro che sono arrivati dall'ex S.H.I.E.L.D.." Si strinse nelle spalle, con un sorriso di circostanza.

"Ovviamente, sarò io a mettere la prima e l'ultima parola sul vostro livello di addestramento e su quando inserirvi in una missione." Gelidamente, Rogers si avvicinò ai due. Elle dovette ammettere a se stessa che, in tutta la sua stazza e soprattutto quando era infastidito, incuteva un certo timore.

"Devi essere ben referenziata per un lavoro del genere." Ammise Rhodes, scrutandola da capo a piedi, un asciugamano sulle spalle. Elle si passò le mani sui pantaloni scuri, lisciando una piega immaginaria, senza rispondere.

"E' fin troppo referenziata..." esclamò Samuel, avvicinandosi al gruppo dall'ingresso. "E' l'unica donna che conosco che abbia mai partecipato a delle selezioni SAS." La indicò ammirato. Wanda li guardò storta, senza capire. “Cos'è il SAS?”

“Lo Special Air Service, praticamente i Navy Seals britannici.” Rispose Rogers, voltandosi verso le due donne ancora sedute.

"Elle è molto competente..." Natasha lanciò all'amica un'occhiata divertita, per poi proseguire ciò che stava facendo, senza guardarli. Elle sorrise a quel complimento: Nat stava cercando di metterla a suo agio. O di avvertire i presenti di non infastidirla troppo. Difficile dirlo.

Rogers fece un'espressione esasperata, osservando prima lei e poi la rossa. "Si, certo, è molto brava, ma è qui per riprendersi da un infortunio molto grave. Non parteciperà attivamente agli allenamenti." La scrutò un attimo, il viso una maschera di irritazione. “Però puoi assistere, se non rallenterai i nostri ritmi.”

Colpo basso, tirare in ballo la sua temporanea invalidità. Elle lo scrutò con una smorfia sarcastica. “Lo farò sicuramente.”

Quel Rogers era anche più antipatico di quanto avesse immaginato vedendolo in televisione; anche poi di persona, anche se non ascoltava il tono dei suoi pensieri. Era un bambolotto impagliato.

Elle fece un cenno alla compagnia e si diresse verso il bordo del ring, più impettita che poteva, cercando di non trascinare la gamba sinistra. Per un attimo, le era tornato in mente il suo infortunio. Strizzò gli occhi e scosse la testa, avvicinandosi al bordo del ring per scendere, il viso teso per l'irritazione.

Capiva che Captain America non amasse che persone sconosciute bazzicassero intorno alla zona Top Secret degli Avengers. Ma lei doveva fare il suo lavoro.

Quel Rogers era un idiota. Un idiota capace, probabilmente, ma pur sempre un idiota.


xxx

Passarono un paio di settimane, e lui e Selvig non facevano altro che contestarsi, litigare, insultarsi e darsi spallate nei corridoi.

Spallate per modo di dire, perché quella ragazzina gli arrivava a malapena al petto, e non pesava più di cinquanta chili. Però si ostinava a dire ed a fare il contrario di quello che diceva lui. Era quasi peggio di Stark, con l'unica differenza che non poteva sfidarla ad una lotta all'ultimo sangue.

Normalmente, lui era il primo ad ascoltare sempre quello che tutti avevano da dire. Ma aveva notato già altre volte come spesso i membri della sua squadra preferivano potare avanti i loro piani senza avvisarlo, in una continua spirale di ammutinamenti e fraintendimenti e cose non dette.

Prima con la squadra di Rumlow: quello era stato semplice da spiegare a sé stesso, dato che erano adepti dell'Hydra. Era successo con Natasha, che però seguiva gli ordini diretti di Fury: quando avevano attaccato la nave dove Batroc aveva preso degli ostaggi, lei aveva altri compiti da svolgere.

Poi però era successo con Ultron: Stark e Banner lo avevano progettato e realizzato di nascosto, divisi fra il crederlo troppo ignorante per capire cosa stessero ideando e la convinzione che li avrebbe accusati di giocare a fare Dio.

Poi con Thor, che se ne era andato proprio nel momento di maggior crisi degli Avengers, senza fornire nessuna spiegazione veramente valida.

Infine, quando si era opposto alla creazione di Visione: lì, era stato un bene non riuscire a fermare i tre compagni di squadra. Ma questo lo faceva comunque sentire ridicolo. Lui era sempre quello che arrivava dopo, ad opera compiuta, a rimettere insieme i cocci. Ora, dirigere una squadra, gli sembrava quasi impossibile. Ma era un pensiero che teneva per sé, gelosamente custodito al limite della sua coscienza. Gli era stato dato un compito, e lui non aveva nessun diritto di sottrarvisi.

La sola presenza di Selvig, osservatrice poco silenziosa, lo portava però ad essere insensibile alle critiche e ancora più duro negli allenamenti. Lei era tremendamente saccente e snervante, ed il suo discutere ogni sua direttiva spesso lo portava a desiderare di lanciarla di peso contro il muro. Più volte.

Il vecchio Steve sarebbe inorridito davanti a così tanta ira nei confronti di una donna, per di più sottile come un giunco e piuttosto acciaccata.

Nessuno della squadra aveva osato chiedergli il perché di quel cambiamento di umore, anche se lui stesso riteneva piuttosto evidente il motivo di tanta acredine. Si aspettava una strigliata da Wilson, oppure qualche commento malizioso di Natasha. Ma le sue previsioni non si erano ancora realizzate.

I suoi compagni si limitavano a parlottare in maniera divertita del Periodo del Terrore di Rogers, dove ad ogni errore nel combattimento bisognava eseguire trecento flessioni a terra.

Aveva passato diverso tempo osservando la Selvig attentamente, chiedendosi se ci si potesse fidare. La svedese aveva in amicizia poche persone al quartier generale, e probabilmente era una persona riservata anche nella vita normale. Sembrava amica di vecchia data di Maria Hill, cosa che aveva stupito non poco tutti, visto che in sua presenza Maria era ancor più sarcastica e rideva.

Elle scambiava sguardi e commenti incomprensibili anche con Natasha, facendole guadagnare il nomignolo di Elle Barton in Romanoff. Samuel sosteneva addirittura che le due avessero dormito insieme per diverse notti, dato che aveva visto Elle uscire dalla camera della russa, posta di fronte alla sua, in tuta e stropicciandosi gli occhi in più di una occasione. Anche Samuel trovava stranamente simpatica ed insisteva che, conoscendola, migliorava.

Rhodes faceva spesso diversi commenti galanti alla bionda, invitandola a cena, o in qualche locale, senza successo. Elle sembrava infastidita, nonostante tutti sapessero che quello di Rhodes era più un divertimento che una malcelata ammirazione.

Il principale motivo della preoccupazione di Steve, a prescindere da tutti gli altri Avvengers, era l'amicizia che Elle aveva instaurato con Wanda.

A dire il vero, era viceversa: Wanda aveva cercato spesso la compagnia di Elle da quando questa era arrivata. Non solo per motivi di Ladies Assemble, come le prendeva in giro spesso Samuel quando le vedeva tutte insieme a confabulare a mensa o nei corridoi.

Le due si aggiravano spesso anche per il cortile, dove parlavano per lunghe ore, spesso seguite da Visione. A Steve dava molto fastidio vederla fare breccia nella sua nuova squadra più di quanto riuscisse a fare lui, che non aveva ancora ben legato con quei nuovi elementi.

Visione era troppo enigmatico. Rhodes lo trattava come un cuginetto. Con Samuel era troppo legato per poter essere veramente una figura autorevole, e lo stesso per Natasha, che oramai lo conosceva meglio di quanto non si conoscesse lui.

Wanda era ancora un mistero per Steve: alternava momenti in cui lavorava sodo, si allenava nel combattimento e si applicava in maniera ineccepibile ad attimi di totale inettitudine. Come in quel preciso momento.

“Wanda, solleva di più quella gamba quando colpisci!” Sbottò, tenendo il paracolpi alto davanti al busto. La ragazza emise un sospiro strozzato, i capelli che sfuggivano dalla coda alta. Aveva il pugno violaceo a causa dei colpi che aveva dato prima. “Non sei ancora in grado di mettere bene le fasciature sulle nocche?” Commentò Rhodes passandole vicino con tono critico. Wanda gli lanciò uno sguardo perso.

“L'America non è ancora un regime militare, Rogers.” Commentò Samuel dalla panca per il sollevamento dei pesi.

“Qui, Maximoff. Se stessimo combattendo, saresti già morta.”

Wanda si morse un labbro, dando un altro calcio al paracolpi. Steve nemmeno sentì il colpo.

“Cosa stai facendo? Questo non ti aiuterà mai a salvarti.”

Wanda fece un passo indietro, tenendosi la mano offesa.

“Saresti già morta, devi essere decisa.” Rincarò Steve, guardandola con le sopracciglia leggermente aggrottate, il tono sempre calmo. Wanda socchiuse le labbra. “Ho la magia, non sarei morta!”

“Se tu non fossi, per qualche ragione, in grado di difenderti con la magia?” Wanda non seppe rispondere.

“Non puoi andare bene per tre giorni e poi non riuscire a fare nulla per due!” Steve abbassò il paracolpi. “Devi essere sempre pronta. Non sai quando ti servirà tutto questo.”

Samuel appoggiò con uno sbuffo il bilanciere ai sostegni. “Steve...”

“Non puoi difenderla, Samuel. Non ci sarà sempre qualcuno a difenderla.”

“Cosa stai sostenendo, Capitano?” Wanda si irrigidì, i pungi serrati. Steve la guardò, il paracolpi ancora tra le mani. “Che non sei in grado di difenderti da sola. E non c'è Barton a proteggerti, ora, e nemmeno-”

“-nemmeno Pietro? Questo vorresti dire?” Steve annuì. Wanda emise un sospiro strozzato.

“Credimi, lo so benissimo che Pietro non è più qui.” Sputò fra i denti, torcendosi le mani.

I due stavano fermi, al centro della palestra. Nessuno fiatava. Samuel li guardava da seduto, le gambe aperte ai lati della panca da pesi, gli occhi sgranati. Rhodes era impalato vicino alla porta dello spogliatoio, immobile come una statua di sale.

“Che succede? Sembra un funerale qui.” Natasha ed Elle entrarono nella stanza, avanzando fino al tavolo da lavoro. “Scusate l'intrusione, ho lasciato delle carte qui...” Esclamò Elle, cercando qualcosa sul tavolo ingombro. Si voltò verso Wanda e Steve, che si fronteggiavano in silenzio. Una lacrima cadde sul pavimento, mentre la ragazza si abbassava sulle ginocchia, respirando a pieni polmoni. Elle mollò tutto quello che stava facendo, correndo a fianco della donna, mentre Natasha si fermava dietro di loro, a braccia conserte. “Che è successo qui?”

Elle prese la mano che Wanda teneva in grembo, che era ormai violacea. “L'hai fatta allenare senza protezione?!” Sbottò, voltandosi con gli occhi sgranati verso Steve. Questo buttò il paracolpi a terra, imprecando fra i denti. Fece un passo indietro, dandole le spalle. Rhodes avanzò fra i due.

“Non aveva le protezioni fatte bene, deve imparare-”

“Cosa?!” Elle si alzò, trascinando la sokoviana per il braccio. “Cosa deve imparare? Come può imparare se si infortuna?” Sputò fra i denti in faccia a Rhodes, gli occhi ancora rivolti verso Rogers.

“Tu!” Sbottò contro all'uomo, che le dava la schiena. “Sei qui per dirigere ed insegnare. Hai visto?”

Steve si girò, mentre Elle teneva in bella vista la mano contusa di Wanda. Questa scosse la testa.

“Non è nulla, devo imparare a farmi un bendaggio alle nocche fatto bene...” Elle si girò a guardarla, furibonda. “Se non lo sai fare è perché nessuno si è dato la pena di insegnarti!”

Rogers gonfiò il petto, i pugni chiusi. “Cosa staresti insinuando, Selvig?”

“A me, in Inghilterra, è stato insegnato a combattere molto meglio. E da soldati semplici, non da bambolotti impagliati pieni di super-sieri o super-cose!” Elle ormai urlava, lasciata la mano dell'amica. Aveva fatto due passi avanti, fronteggiando Rogers senza nessuna ombra di paura negli occhi azzurri.

“Dobbiamo ancora vederlo, come sei stata addestrata. Sei sei ferita così gravemente, evidentemente non sei brava quanto pensi.” Natasha trattenne il respiro, tenendo una mano sul braccio di Wanda, mentre Samuel si alzava, osservandoli con ansia. Elle fece per voltarsi, respirando a fatica dalla rabbia. Steve la guardava, la mascella contratta e lo sguardo serio.

Con un guizzo, Elle torse il busto e lo colpì con il dorso del pugno alla base della gola, mozzandogli il respiro.

Il colpo non era forte, ma era esattamente sopra la trachea: Steve fece un passo indietro, tenendosi la gola offesa, trattenendo il respiro. Scosse un attimo la testa, mentre Samuel si metteva fra i due, Elle ancora ansante in posizione di guardia, con le braccia a proteggere il busto, e Steve che si teneva una mano sul petto, sibilando. I due si guardavano in cagnesco dai due lati di Samuel, che cercava di riportare la calma. Steve era sconvolto: non solo l'aveva colpito, ma lo aveva anche temporaneamente indisposto. Ora lo guardava dritto negli occhi, con quei fari cerulei che aveva sul viso scarno, le labbra strette in una smorfia. Si voltò di scatto, avvicinandosi a Wanda.

“Andiamo fuori, devi essere medicata. Ci servono bende ed analgesico. E magari un calmante.”

“Ma io non sono agitata...” Mentì Wanda, seguendola, voltandosi verso i presenti che le fissavano ancora allibiti.

“Non è per te...” Sibilò Elle, uscendo a passo di marcia. Dal corridoio, sentirono la sua voce canticchiare. “One of these days, I'm going to cut you into little pieces."


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"Dovresti sfogarti. Oppure, alla tua età, potrebbe venirti un embolo." Commentò Natasha, precedendolo sul sentiero pieno di foglie morte. Steve calciò un grosso sasso, facendolo volare fuori dal loro campo visivo. Natasha lo seguì con lo sguardo. Si stavano dirigendo alla solita radura, poco lontano dal sentiero, dove spesso andavano nelle loro passeggiate solitarie, o nei loro momenti di confidenze.

“Aveva ragione. Lo so.” L'amica annuì. “Hai esagerato con Wanda. Sai che non si è ancora abituata all'assenza di suo fratello...” Steve sospirò.

“Devo farvi rimanere in vita.” esclamò. “Come faccio, se non spingendovi al massimo?”

“Per ora, la situazione è sotto controllo. Abbiamo tempo.” Lo rassicurò Natasha, appoggiandogli una mano candida sul braccio. Steve cercò di sorriderle, facendole una smorfia poco convincente. La rossa ridacchiò.

“So che ti senti in dovere di farci da amico, da padre, da allenatore e da mentore. Ma a noi serve solo qualcuno che sappia cosa fare.”

“E se io non sapessi, cosa fare?” Sbottò lui. Lei sorrise, rassicurante.

“Sei un uomo buono. A noi serve questo.” Indicò con un ampio gesto la base. “Ci fidiamo del tuo giudizio.”

“Non mi sembra proprio che tutti vi fidiate di me...” Commentò lui, appoggiandosi ad un tronco d'abete, le braccia incrociate. Natasha sorrise, guardandosi la punta degli stivaletti marroni.

“Elle è molto particolare. Se si arrabbia, vuol dire che, a suo modo, ci tiene.”

“Sembra che sia qui solo per darmi sui nervi!” Natasha lo fissò, le labbra che trattenevano un sorriso. “Effettivamente, non ho mai visto Elle così alterata. Anzi, giurerei che prima di conoscerti, non l'avevo mai vista alterata e basta. Quel colpo, poi...”

“Colpisce forte, la tua amica del cuore.” Commentò lui, funereo.

“Però ti ha messo in difficoltà. Il grande Captain America.” Natasha ridacchiò. Steve la gelò con lo sguardo, ma ormai la russa lo conosceva troppo bene per crederlo capace di farle del male per orgoglio. A dire il vero, era certa che non le avrebbe mai fatto del male e basta.

"Elle fa il suo lavoro con molta serietà. Le è stato assegnato per alcune particolari qualità che possiede. E che la rendono molto poco incline ad essere cortese con la maggior parte delle persone. Inoltre...” Si avvicinò all'amico, dandogli un colpetto sul braccio, le belle labbra tese in un sorriso.

“Come tu per lei, Elle Selvig sembra essere l'unico essere umano al mondo in grado di farti infuriare.” Steve la fissò con un'espressione eloquente.

“Dovrebbe essere una fortuna, questa?” Chiese sarcastico. Natasha rise.


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"Alla fine, facciamo quasi la stessa cosa." Esclamò Wanda con un ampio sorriso, mentre Elle stava piegata sulle ginocchia davanti a lei, fasciandole con cura la mano appena pulita. Aveva tamponato un paio di piccole escoriazioni con del mercurio cromo, sotto lo sguardo attento di Visione, che le seguiva ogni suo più piccolo movimento con gli occhi azzurri, da un angolo della stanza. Elle sorrise: Visione non lasciava mai Wanda da sola con qualcuno. Avrebbe giurato che l'androide passasse ogni notte fuori dalla porta della stanza della sokoviana, visto che probabilmente non poteva dormire. Era una cosa veramente dolce, anche per una persona fredda come lei.

Wanda aveva scoperto da tempo di non poter accedere ai pensieri di Selvig nemmeno usando al massimo i suoi poteri. Elle stessa aveva provato poi a leggere nella sua mente, concentrandosi, con gli occhi strizzati ed un'espressione curiosa sul viso. Ma non aveva ottenuto nessun risultato.

Le due erano sorprese, e si guardavano in maniera curiosa, come due specie aliene che si incontrano per la prima volta.

Visione scosse la testa. "Elle può accedere ad i pensieri degli altri, mentre tu vedi per immagini cosa stanno pensando." Spiegò. "Se fosse necessario, Elle potrebbe guidare una persona in un luogo conosciuto vedendo quello che vedono gli occhi di questa. Invece tu vedresti le immagini della sua mente, le sensazioni." Elle lo guardò curiosa, Wanda interrogativa.

"La prima volta che hai cercato di leggere i miei pensieri, hai visto la fine della terra. Elle avrebbe sentito il mio pensiero, ovvero che sapevo che il mondo sarebbe finito ma non desideravo che accadesse in quel modo o in quel tempo." Elle annuì alle parole dell'androide, fermando con del nastro la fasciatura.

"In più, tu puoi mostrare immagini e alterare la percezione della realtà." Indicò Wanda, per voltarsi poi verso Elle. "Tu invece sei in grado di innestare un pensiero nel profondo dell'inconscio, se non sbaglio."

"L'ho fatto solo due volte..." Elle si strinse nelle spalle, l'enorme felpa blu che aveva appena indossato che le copriva le mani a pugno "Non lo trovo corretto. E' disgustoso."

"Hai salvato tante vite." Visione sorrise alla ragazza. "Hai fatto la cosa giusta. Nemmeno io volevo uccidere Ultron... ma era necessario." Elle annuì.

Visione si riferiva ad un episodio di diversi anni prima, che Elle aveva narrato per spiegare come poteva utilizzare il suo potere, avvenuto in Medio Oriente: un appartenente ad una cellula terroristica ormai distrutta si era chiuso in un orfanotrofio, minacciando di farsi esplodere con tutti i bambini presenti. Quello che solo Natasha, Fury ed i due amici presenti sapevano di Elle, era che dopo aver provato a contrattare per quasi dodici ore, Selvig si era introdotta nella sua mente, ed aveva sepolto nel suo inconscio un'idea. Il suo suicidio.

"Una volta che un'idea si è impossessata del cervello è quasi impossibile sradicarla...un'idea pienamente formata, pienamente compresa, si avvinghia, da qualche parte.” La voce di Wanda catturò l'attenzione dei due. Visione la guardò sorpreso. Elle alzò un sopracciglio.

"...Inception?" chiese, sorpresa la bionda.

"Che c'è, anche in Sokovia proiettano i film hollywoodiani." Esclamò Wanda, alzando le braccia al cielo in segno di resa. Le due scoppiarono a ridere, sotto lo sguardo perplesso dell'androide.


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"Coraggio, Wanda..."

Elle si portò al centro del tappeto, dondolandosi sulle gambe asciutte. Dopo ciò che era successo all'allenamento del giorno prima, Elle e Natasha avevano deciso che si sarebbero turnate per allenare la giovane, a cominciare da quel pomeriggio. Steve stava seduto al tavolo da lavoro, lucidando con una pezza lo scudo in vibranio, osservandole con la coda dell'occhio.

Fuori dall'ampia vetrata, la giornata settembrina stava volgendo al termine; il cielo era plumbeo, e e un vento gelido sibilava dagli alberi. Le luci aranciate della palestra avvolgevano tutto in un'atmosfera quasi invernale.

Elle, nonostante la grossa felpa blu che la copriva fino a metà coscia, risultava comunque una ragazza eccessivamente mingherlina; Natasha si era fatta sfuggire che quella magrezza era recente. Prima Elle era comunque meno formosa della rossa, ma non sembrava ancora uno sticky man.

Le braccia sottili mostravano evidenti muscoli, e le vene blu scorrevano sotto la sua pelle come uno strano tatuaggio indiano. Elle si legò i lunghi capelli in una coda di cavallo, e fece segno a Wanda di avvicinarsi.

La ragazza, avvolta in una tuta scura, corse verso l'avversaria, facendo per colpirla con un calcio allo stomaco. Elle scartò di lato, afferrandole la caviglia e facendola cadere un metro più lontano. Wanda si alzò, togliendosi i capelli dal viso, e attaccò nuovamente con un pugno. Elle si fletté sulle gambe, spazzando il terreno con una gamba tesa e trovandosi alle sue spalle. Colpì in mezzo alle scapole, facendo cadere di nuovo Wanda in avanti.

Samuel applaudì, in bilico su un lato del ring, mentre Elle aiutava Wanda a rialzarsi e le sorrideva. "Devi solo allenarti e concentrarti." La consolò la bionda.

"Non eri quella infortunata, tu?" Borbottò la sokoviana, osservando l'amica. "Non posso fare molte delle cose che farei di solito, sono un po' arrugginita, diciamo..."

"Quanto sei rimasta all'ospedale dopo l'incidente?" Chiese Samuel, lanciando alle due due asciugamani.

"Un mese e mezzo." Elle si strofinò l'asciugamano sul viso, ringraziando l'altro con un cenno.

"E' una degenza bella lunga. Che ti è successo?" Chiese Rogers, cercando di sembrare disinteressato. Wanda lo guardò con gli occhi sgranati come se avesse appena beelato. Samuel ghignò.

"Top Secret." Commentò Elle senza degnarlo di uno sguardo, prendendo la bottiglia d'acqua che Samuel le stava porgendo. L'altro incassò il colpo in silenzio, ritornando a lucidare lo scudo con un sospiro.

“Mai visto qualcuno di così piccolo zittire qualcuno di così grosso." commentò Samuel, ridacchiando. Wanda si strinse nelle spalle, sorridendo timidamente. Un poco si sentiva in colpa per il gelo che regnava fra quei due. Elle le sorrise rassicurante, salendo sul ring.

“Dovremmo chiedere a Fury di procurarci un frigo per le birre ed una macchina per i pop-con.” Ridacchiò Samuel, sedendosi scomposto di fianco all'amico. Le due iniziarono ad affrontarsi, ridacchiando come due ragazzine. “Ne vedremo delle belle, qui dentro, d'ora in poi.”


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Capitolo riformattato e corretto in data 27/01. 

Grazie ad Electricsoul, su Tumblr Rise-Doe, per il bellissimo banner!

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Capitolo 3
*** 03. Amicizia ***


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ATTO TERZO: AMICIZIA


"Doubt is alive and you know:

you were once led to believe,

you were young and so naive

and now is no longer."

ALTER BRIDGE





Ottobre 2015


Era su un treno, in mezzo alle montagne. Non ricordava come ci fosse arrivato, e non poteva nemmeno essere sicuro che fosse veramente un treno. Lo sentiva, e basta. Dallo sferragliare delle ruote sui binari, sulla luce che entrava intermittente dalle minuscole finestrelle alte ai lati di quella grande cassa di metallo.

Sentiva anche che era successo qualcosa di terribile, ma non riusciva a ricordare cosa. Aveva freddo, dalle punte dei piedi alle mani arrossate.

Vedeva, davanti a lui, sua madre. Ma era irriconoscibile: aveva profonde rughe e stava in un letto con le sbarre ai lati. I capelli, ancora mossi in ordinati boccoli grigi, le incorniciavano un volto a dir poco scavato. Il treno proseguiva, cigolando sui binari. Era confuso.

"Mamma?" chiese, avvicinandosi alla donna. "Mamma, che ci fai qui? Dovresti essere all'ospedale." Appoggiò una mano sulla spalla della donna, che si girò a guardarlo. Ed ebbe un sussulto.

Sua madre era morta di malattia, quando lui e lei stessa erano ancora giovani. Era morta di tubercolosi, nel 1940. Iniziava a ricordare.

"Steve? O mio dio, Steve. Tu sei vivo!"

Lei allungò un braccio verso di lui, mentre si portava l'altra mano alla bocca.

Le sue labbra, una volta carnose e rosse di vita, erano ora due grige linee spente, aperte dalla sorpresa. Gli occhi, una volta determinati e fermi, si riempirono di lacrime. Erano coperti da una patina bianca, lattiginosa.

"Oh, Steve. Oh dio. Non pensavo saresti mai tornato da me!" Biascicava lei, sputacchiando. Le mancavano moltissimi denti. Il viso, visto da vicino, aveva un aspetto pergamenoso.

Lei gli prese la mano, e lui ebbe un moto di disgusto. Se ne vergognò subito, sentendosi talmente in colpa da abassare il capo più di quello che il suo collo avrebbe potuto fisionomicamente fare.

Strinse la sua mano, scheletrica e rugosa, fra le sue.

"Peggy... sono tornato." Disse, sedendosi su una sedia, che prima non aveva notato.

"Resterai con me, ora?" Sussurrò lei, strizzando gli occhi per vederlo nella scarsa luce.

"Sono qui." Annuì lui, osservandola con un sorriso tirato. La luce mancò per un attimo. Sentì stritolare la mano in una presa di acciaio.

"Resterai con me fino alla fine, Steve Rogers?"



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"Steve! STEVE!"

Qualcuno lo stava scuotendo con forza, tirandogli delle pesanti sberle.

"Porca puttana, svegliati!" Sentiva la voce di Samuel che lo chiamava. Arrivò un'altra sonora sberla, mentre l'uomo strizzava gli occhi scuri, cercando di mettere a fuoco la figura scura illuminata dalla luce gialla della abat-jour.

"Sono sveglio, sono sveglio, che ore sono?" Scostò dalla sua faccia la mano dell'amico, alzandosi seduto su quello che riconobbe essere il suo letto. Era completamente madido di sudore ghiacciato, ed il lenzuolo era malamente arrotolato attorno alla sua gamba destra. "E' successo qualcosa?" Biascicò, coprendosi gli occhi dalla luce . Fece per ributtarsi sul letto.

L'amico glielo impedì, dandogli un colpo sulla spalla.

"Hai gridato come un pazzo per più di un quarto d'ora! Ha fatto venire l'angoscia a tutti i tuoi vicini di stanza."

Steve si sedette sul bordo del letto. Aveva la tachicardia, lo sentiva, e gli girava la testa. Non rusciva a mettere a fuoco i suoi stessi piedi. Voleva alzarsi ma Samuel lo spinse giù.

"Non ci provare, se svieni a terra non riesco a trascinarti sul letto."

"Ma devo andare in bagno."

"Aspetti!" Sbraitò l'amico, passandosi una mano sul viso. "Mi ha detto la povera vecchietta della lavanderia che sta nella stanza in fondo che questa cosa succede almeno una notte ogni due!". Samuel camminava avanti e indietro per la stanza. Guardarlo gli faceva venire la labirintite.

Wanda è venuta a chiamarmi correndo in vestaglia! Povera ragazza!” Mise a fuoco solo in quel momento l'amico, in canotta e pantaloni del pigiama a righe blu e azzurre. Portava delle grosse pantofole in spugna rosso acceso.

Cosa sono quelle?” Chiese, grattandosi la testa. Samuel lo guardò con sguardo assassino.

Le mie ciabatte da camera. Dopo una giornata di allenamenti, serve qualcosa di comodo per far riposare il piede... Da quanto va avanti questa storia?”

Le ha scelte Cynthia, vero?” Commentò Steve con un sorriso. Samuel alzò gli occhi al cielo. Il suo amico era troppo dolce, non era in grado di arrabbiarsi con lui.

Perché non me lo hai detto?” Si sedette accanto a lui sul letto, tenendo in mano il cellulare. “Stavo per chiamare Nat... Posso aiutarti, perché non me ne hai mai parlato?”

Steve si passò una mano sul viso sudato. “Finiranno appena avrò trovato Bucky...” Samuel si irrigidì un pochino. Non gli andava a genio il quasi-fratello macchina assassina del suo migliore amico. Forse era un poco geloso. Sbuffò, i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani giunte.

Ne sei sicuro?” Disse con poca convinzione. Steve annuì.

Okay.” Samuel si alzò, afferrando il copriletto dal pavimento, dove era caduto mentre si agitava.

Si sedette sulla poltrona vicino al cassettone, sospirando. Steve lo guardò perplesso.

Che fai?”Samuel si sistemò meglio, mettendo il cellulare sul ripiano e stendendo le lunghe gambe sul pavimento. “Dormo qui. Sono solo le quattro, non vorrai disturbare tutta la base.” Commentò, coprendosi con il copriletto di cotone pesante. Steve rimase allibito a fissarlo, gli occhi arrossati per la stanchezza. “Non devi farlo.”

Ti ho guardato dormire per una settimana dopo Washington. Non penso che stare su una poltrona tre ore in più possa essere più scomodo.” Steve annuì, stendendosi.

Dormi, Capitano. La guardia la faccio io.” Sussurrò Samuel, più a se stesso che all'amico. Ormai Steve era già profondamente addormentato.



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Quando si svegliò alle sei, era tutto anchilosato e ricoperto da una patina di sudore freddo. Aveva mal di gola, probabilmente a causa del fatto che aveva urlato nel sonno. Più del solito.

Si guardò allo specchio, appena uscito da una doccia bollente che non lo aveva aiutato ad esorcizzare i suoi pensieri sconnessi. Uscì dalla stanza con l'asciugamano in vita, senza preoccuparsi per Samuel. Lo aveva visto in condizioni peggiori, anche se Steve rimaneva sempre il ragazzino pudico che si vergognava di farsi vedere in canotta.

Samuel, comunque, dormiva ancora profondamente, russando in maniera rassicurante. Steve gli stese sopra anche la sua coperta, sentendosi in colpa. Quella notte era troppo sconvolto e stanco per accorgersi dell'amico che si era piazzato sulla poltrona, e che sicuramente non stava propriamente comodo, la testa a ciondoloni sul petto.

Si infilò degli abiti sportivi, prese un asciugamano e si diresse verso la palestra, sperando di trovare un po' di pace dal suo inconscio in tumulto.

Camminò con passo lento, godendosi il silenzio e l'aria misteriosa che solo un immenso complesso in orario di chiusura poteva avere. A quell'ora del mattino, la mensa era ancora chiusa e tutti dormivano. Gli piaceva il clima ovattato, la sensazione che quel posto fosse tutto per lui. Nessuno che lo osservava, o che si aspettava da lui ordini, o sussurrava qualcosa al suo passaggio.

Si stupì di vedere, dal corridoio, le luci della palestra accese.

Si fermò sulla soglia, osservando curioso la scena. Imprecò fra sé e sé.

Elle Selvig stava davanti ad un sacco da boxe, colpendolo con dei calci alti, tenendosi in equilibrio sulla gamba sinistra e flettendo velocemente la gamba destra. Si era legata i capelli in una coda alta, che ondeggiava ad ogni suo movimento. Teneva le braccia sottili strette al busto.

Doveva essere lì da molto, vista la canotta grigia con degli ampi aloni di sudore. Aveva due auricolari infilati nelle orecchie, collegati ad un dispositivo che doveva essere infilato nell'elastico dei pantaloni elasticizzati blu.

Steve si perse un secondo a fissare con quanta violenza quella ragazzina colpiva un sacco due o tre volte più grande di lei. Sbuffò: sperava in un momento privato, solo lui e i suoi attrezzi. In più, lui e la Selvig non parlavano dall'incidente della settimana prima, con Wanda. Aveva pensato spesso di andarla a cercare, di chiederle consiglio o di scusarsi. Ma non aveva mai avuto il tempo – o il coraggio. La verità era che Elle non lo trattava con più riguardo di un qualsiasi collega di lavoro, non cercava di adularlo o di addolcirgli la pillola. Lo trattava come avrebbe trattato una qualunque persona che le stesse antipatica a pelle. E questo lo spaventava.

Stark lo aveva preso sempre in giro, ma Elle... Elle smontava qualsiasi cosa lui dicesse in minuscoli pezzi per poi esaminarli minuziosamente uno a uno ed elencarne i difetti.

Il solo suono che si sentiva era il cigolio della catena al quale il sacco era appeso, ed il respiro affannato di Elle. Le mani, avvolte in due bende scure, partirono a colpire sicure con un pugno.

Non poté che dirsi impressionato. Elle sembrava arrabbiata, il viso a punta corrucciato, un ciuffo ribelle sistemato alla meglio dietro l'orecchio.

Steve si appoggiò allo stipite della porta, le braccia conserte sopra la maglietta attillata. Elle gli lanciò uno sguardo freddo, attraverso la superficie riflettente dello specchio, senza fermare il suo esercizio, in equilibrio sulla gamba destra, mentre la sinistra colpiva il sacco con dei calci precisi. Sotto alla canotta, sulla spalla sinistra, si vedeva un complicato intreccio di inchiostro nero, probabilmente ripassato di recente. Il tatuaggio si snodava per tutta la spalla, sparendo sotto la spallina spessa. L'uomo si chiese che cosa rappresentasse, osservandola appoggiare il piede a terra. Avrebbe voluto avvicinarsi e chiederle di mostrarle quel simbolo scuro, ma non lo fece.

Elle si diresse verso la panca, togliendo una cuffietta dall'orecchio, senza dire una parola. Steve fermò il sacco con una mano, osservandola di sottecchi.

Non sei fatta per il lavoro d'ufficio.” Commentò, osservandola prendere una borraccia verde e bere avidamente, le labbra pallide per lo sforzo appena compiuto. Per tutta risposta Elle appoggiò il contenitore sulla panca, stringendosi nelle spalle.

Sai combattere in modo molto intelligente, soprattutto visto che sei una ragazza, e non molto forte.” Esclamò poi Steve, cercando di guadagnare la sua attenzione. Elle lo trucidò con lo sguardo, un sopracciglio alzato fin quasi all'attaccatura dei capelli, le mani fasciate appoggiate sui i fianchi. L'uomo represse un'imprecazione.

Donne due, Steve Rogers zero.

Elle lo superò, dirigendosi verso il sacco,e lui fece un passo indietro per farla passare, completamente inerme. Chiunque lo conoscesse avrebbe riso a quella scena.

Lei tirò un gancio destro, per poi voltarsi, frustando l'aria con la lunga coda di cavallo dorata, e colpire con il gomito sinistro poco più in alto. Steve si diresse verso i paracolpi, preda di una momentanea illuminazione. Prese un grosso scudo di gommapiuma blu, avvicinandosi. Si mise di fianco al sacco, in posizione di difesa, il grosso cuscino davanti al busto ed al fianco destro. Elle fermò il sacco, togliendosi la seconda cuffietta dalle orecchie, lasciandole penzolare ai lati del collo. Si sentiva la musica piuttosto dura che stava ascoltando, un ronzio forsennato che non riusciva a coprire il loro silenzio.

Fai sul serio?” Fece una smorfia, mentre Steve annuiva, un leggero sorriso. Aveva attirato la sua attenzione. Elle tirò un pugno secco in alto, per poi colpire in basso con una ginocchiata piuttosto forte. Steve indietreggiò quasi, stupito. Annuì sorridendo, spingendo il paracolpi verso di lei. Elle afferrò con le due mani la superficie, colpendola con un'altra forte ginocchiata e saltando indietro in modo piuttosto sciolto, anche se non aggraziato. Torse il busto, slanciando la gamba sinistra in un alto calcio.

Dovresti proteggere meglio il collo del piede.” Commentò Steve, prevedendo la mossa e afferrandole la caviglia. Elle fece un cenno stupito con la testa, alzando il mento, mantenendo l'equilibrio. Steve le lasciò la gamba, torcendoi la mano ora libera. La pelle di Elle era molto morbida, e fredda.

Elle si esibì in una complicata serie di pugni frontali e ganci, sospirando pesantemente, mentre Steve la osservava in silenzio, cercando di spostare in modo imprevedibile il paracolpi. Combatteva in maniera meno raffinata di Natasha, più brutale ma allo stesso tempo seguendo una danza che veniva dal cervello, non dal cuore. Non era impulsiva: semplicemente, attuava delle strategie molto complesse per sopperire alla mancanza di forza fisica. Non c'era da stupirsi che avesse potuto aiutare Rhodes.

Elle si lasciò sfuggire un sorriso, all'ennesimo colpo che aveva sferrato quasi contro l'uomo, prevedendo le sue mosse con lo scudo. Steve sorrise in risposta, un sorriso molto più pieno e dolce. Si stava divertendo, ed Elle era particolarmente brava. Si ritrovò a studiare con attenzione il volto della giovane, gli occhi di quel colore straordinario che aveva notato dal loro primo incontro. Gli occhi del padre, Erik, ma con una sfumatura molto più accesa.

Steve si sentì perso un secondo, in tutto quell'azzurro quasi fosforescente.

Elle fece per colpirlo, quando i due avanzarono entrambi. Elle lo fissò negli occhi, mentre si scontravano incidentalmente, di petto. Elle cercò di evitarlo, afferrandolo per un braccio. I due caddero a terra come due pesi morti, affiancati, con il paracolpi in mezzo. Elle emise un lamento.

Mi dispiace tanto!” Esclamò Steve, alzandosi sul braccio, mentre Elle si raggomitolava a riccio con una smorfia dolorante sul viso. Lui si alzò sulle ginocchia, voltandosi verso di lei quasi ridendo. Le allungò una mano.

"No. Ce la faccio da sola." Borbottò Elle, allontanando la sua mano con un gesto stizzito e cercando poi di sollevarsi anch'essa sulle ginocchia. Fece una smorfia, ricadendo con il sedere per terra. Il sorriso morì sul viso di Steve quando si rese conto che la ragazza aveva assunto un colorito rossastro sul viso, gli occhi che lacrimavano.

"Sei ferita?" Chiese lui. Lei guardò nella direzione opposta, una mano che stringeva spasmodicamente il tessuto della canotta sopra il fianco sinistro, le dita sottili quasi esangui per la forza della stretta. Steve sgranò gli occhi, piegandosi sulle ginocchia. "Fai vedere."

"No." La voce di Elle uscì soffocata. Steve la guardò con apprensione, mentre Elle si mordeva le labbra e guardava il soffitto. Le tolse gentilmente la mano dal fianco, appoggiandola a terra. Sollevò con attenzione la canotta, deglutendo a fatica.

Una grossa cicatrice rossa seguiva le fibre muscolari del fianco sinistro della ragazza. La sutura era irritata in più punti e dalla cicatrice partivano piccole vene viola. Era una grossa cicatrice da taglio, eseguita da qualcuno con molta forza con un oggetto evidentemente di fortuna. Il segno proseguiva fin sotto al reggiseno sportivo, distendendosi per quasi venti centimetri.

Maledizione!” Steve appoggiò un dito sulla linea infiammata, passandole un braccio sotto la schiena.

"Chi ti ha fatto questo?" chiese allibito, cercando lo sguardo della ragazza. Elle guardava nel vuoto, nella direzione opposta, gli occhi annebbiati dal dolore. "Non dovresti allenarti con una ferita del genere." Sbottò stizzito. “Ha ragione Fury a dire che sei infortunata! Non dovresti assolutamente allenarti con una ferita del genere! Non dovresti nemmeno essere al lavoro!" esclamò irato.

Più ricordava gli allenamenti con Wanda, o le volte che si erano incontrati facendo jogging intorno alla base. Represse un'imprecazione, passandole un braccio sotto le ginocchia e sollevandola come se fosse stata una bambina.

Elle si voltò stupita, e rimasero per un secondo immobili. Steve aveva lo sguardo perso fra i giganteschi occhi azzurri della ragazza e quella terribile cicatrice slabbrata, in un continuo spostamento del capo. Cercò di sorriderle, la mascella tesa dal nervosismo.

Elle lo guardò sconvolta. Aprì un paio di volte la bocca, evidentemente non sapendo cosa dire. Steve appuntò mentalmente di esultare, più tardi: Elle era, per la prima volta in tutta la loro conoscenza, senza parole.

Ti porto in infermeria.” Commentò lui, godendosi la sua espressione sbigottita. Elle annuì appena, senza abbassare lo sguardo da quello di lui.



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Erano nel corridoio principale, ed erano le sette del mattino. Ogni persona che incontravano, ogni segretaria, lavandaia o soldato, si faceva da parte osservando la scena come se stesse passando un'intera carovana del circo, invece che Steve Rogers con in braccio Elle Selvig.

Elle cercava di stare più lontano possibile dal petto dell'uomo, ma non riusciva a tenere in tensione gli addominali senza provare le stesse piacevoli sensazioni di una pugnalata.

Cosa hanno tutti da guardarci?” Sbottò, carbonizzando i presenti con lo sguardo. "Faccio un lavoro per il quale è normale rimanere feriti!" Steve sorrise, sapendo che lei non lo stava guardando, le braccia conserte e la pelle d'oca su tutto il corpo. I corridoi erano freddi, e l'infermeria era dalla parte opposta dello stabile, vicino all'hangar dei veicoli. Steve aveva caldo, e sistemò meglio Elle contro di sé, perché sentisse meno freddo. Sapeva di darle fastidio, ma provava un piacere masochistico nell'indispettirla. Elle infatti voltò appena la testa, gli occhi ridotti a due fessure.

Nessuno si aspettava di vedermi con te in braccio, mentre ti porto in infermeria.” Commentò lui, osservando il ventaglio di spettatori che lo circondavano. Sembrava che mezza New York fosse entrata al quartier generale solo per imbarazzarli. “Non è proprio il modo di mandarti in infermeria che tutti si aspettavano.”

Elle negò con il capo. “Tutti si aspettano mosse del genere, da te. Sei una specie di mascotte della gentilezza americana.” Borbottò lei. “Tutto buone maniere e fedeltà alla patria.” Steve ridacchiò ad un ritratto così caricaturale ma positivo da parte sua. Erano quasi arrivati in infermeria, e Steve si trovò a pensare che la avrebbe voluta più lontano, per esempio dall'altra parte del bosco. Sorrise leggermente.

"Non dire nulla a Fury, ti prego. Non sei tu a decidere quanti giorni di sospensione dovrei fare!" Lui la appoggiò senza fiatare sul lettino, mentre una ragazza con un camice azzurro veniva verso di loro. Elle si allungò sul materasso ricoperto di carta scricchiolante, senza riuscire a nascondere una smorfia. Steve la fissava dall'alto, tenendole una mano dietro le scapole.

Elle sospirò, passandosi una mano sul ventre piatto, perdendosi in un sussurro, gli occhi che fissavano il vuoto oltre le sue scarpe da ginnastica.

"Arga katter får rivet skinn!"

Cosa?” Chiese Steve, prendendole la mano e allontanandola dalla ferita, mentre l'infermiera faceva cenno che sarebbe arrivata subito.

I gatti cattivi hanno la pelle graffiata! Lo diceva sempre mia madre.”

Steve ridacchiò, appoggiando la mano libera sul materassino e piegandosi in avanti leggermente. “Non sei cattiva. Sei insopportabile, non cattiva.” Elle rise sottovoce con lui, interrompendosi in una smorfia dolorante.

L'infermiera si mosse verso di loro, osservandola severamente.

Perché è in tuta, signorina Selvig? Si stava riprendendo così bene... Non sarà andata in palestra?”

Elle alzò le spalle, voltandosi verso Steve e sorridendo come una bambina che ha appena combinato un guaio, ed è stata beccata. Un vero sorriso, dolce e rassicurante, quasi divertito.

Dovresti andare...” Commentò. Alzò la mano, che lui ancora stringeva. Steve la lasciò subito, arrossendo leggermente. “Mi dispiace.” Elle si strinse nelle spalle, nascondendosi dietro il suo ormai conosciuto ghigno.

"Dovresti segnare una cosa sul tuo taccuino, Capitano. Le molestie sul luogo di lavoro."

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Natasha Romanoff era sempre stata una donna molto perspicace.

Aveva pochissime amicizie, cosa abbastanza comprensibile vista la sua brillante carriera nello spionaggio ed il poco tempo libero del quale disponeva, e ancor meno erano le persone di cui si fidava.

Seduta su quella poltrona scura, osservava la sua terapeuta con sguardo inquisitorio, le labbra carnose nascoste dietro le dita decorate da unghie vermiglie. Elle sospirò, appoggiando un taccuino sul tavolo.

"Sai che non devi parlarmi per forza di tutto. Non qui. Fury però pensa che dopo che Banner è scomparso, tu...ecco..."

"Non sono quel tipo di persona che si strugge per una love story andata male." Commentò prontamente Natasha, stendendo le gambe davanti a sé. Riportò lo sguardo sull'amica, che aveva abbandonato la sua scrivania di vetro per sedersi sul divano di fronte a lei. Dove sarebbe dovuta stare la rossa. Ma a Natasha le convenzioni non erano mai piaciute.

"Lo so." sorrise Elle, lisciandosi la gonna nera con le mani. "Per questo volevo chiederti, c'è qualcosa di cui mi vuoi parlare? Facciamo finta che sia una seduta.".

"Volevo farti una domanda." Nat appoggiò il gomito sul bracciolo della sedia, ed il viso sulla mano, i ricci vermigli che scivolavano fra le dita.

"Che cavolo hai fatto a Rogers stamattina?".

Elle agitò un braccio, alzando gli occhi al cielo. "E' per questo che ti sei presentata qui con quella brodaglia che qui dentro spacciano per caffè?"

La svedese le piantò uno dei suoi migliori sguardi esasperati negli occhi, agitando il bicchiere di carta pieno della bevanda scura, mentre l'amica sorrideva sardonicamente.

Metà quartier generale fra le braccia di Rogers. Sono già partite le scommesse su di voi, a mensa.” La rossa ghignò ancora di più. “Ero indecisa se puntare su te o su Sharon Carter.” Elle alzò gli occhi al cielo.

"Smettila di cambiare discorso. Siamo qui per te. Chiamo Barton?" borbottò la psicologa, estraendo il cellulare e sventolandolo sotto il suo naso. Nat sorrise ancora più malignamente.

"La situazione deve essere davvero grave se vuoi tirare dentro un terzo elemento esterno.".

"Non è successo niente, Nat. Non ci siamo ammazzati, non c'è stata nessuna rissa, non ci siamo nemmeno toccati." Nat sghignazzò apertamente.

"Non è quello che mi hanno detto." Elle la guardò esasperata.

Mano nella mano davanti all'infermiera. Davvero mi credi una spia così poco capace?” Nat fece un broncio offeso. L'amica la fulminò con lo sguardo, nascondendo il viso dietro una mano, fingendo di grattarsi il naso. “Lo avrebbe fatto anche con te.”

Natasha strinse le spalle all'evidenza di quella frase.

Forse sarebbe stata una cosa diversa.” Si passò un dito sul labbro inferiore, pensierosa. "Rogers è stato di eccellente umore tutto il giorno. Nemmeno Samuel è riuscito a scucirgli qualcosa. Però è venuto a chiedermi delle informazioni sulle molestie sul lavoro..."

"Quell'uomo pecca proprio di senso dell'umorismo."

"Elle..."

"Ok, ha visto la mia ferita. E, com'è giusto che sia, è rimasto sconvolto. Schifato. Raccapricciato. Anche senza ascoltare cosa pensasse, mi è bastato vedere la sua espressione per farmelo capire. Era talmente spaventato che mi ha trascinato di peso in infermeria, dove l'unica cosa che possono fare per me è riempirmi di analgesico o morfina." Elle si prese il volto fra le mani, lasciando trapelare un po' di stanchezza, gli occhi arrossati per le troppe ore trascorse in ufficio.

Natasha sospirò. Era settimane ormai che vedeva l'amica dolorante. Non aveva ancora avuto occasione di chiederle cosa fosse successo. Era un po' gelosa del fatto che Rogers avesse visto la spaventosa cicatrice prima di lei: Nat le faceva sempre vedere i nuovi segni sul suo corpo come delle medaglie, e si sentiva tradita dall'amica che non aveva fatto lo stesso. Elle riebbe la sua attenzione con un profondo sospiro.

"E per fortuna Rogers non sa chi o cosa mi ha procurato quella ferita..."

Nat si coprì il viso con la mano, sospirando. La situazione difficilmente poteva complicarsi ancora. Di più. No?

"Perché, chi è stato?" Chiese con tono funereo.

Elle si alzò, con una leggera smorfia, ed andò a chiudere le tende dell'ampia finestra del suo ufficio.

"Promettimi di non dirlo a Rogers..." disse, estraendo dal cassetto ed accendendo un dispositivo per criptare la traccia audio delle telecamere nella stanza. Nat non si aspettava tutta quella segretezza, e si sedette con la schiena rigida, in attesa.

"Già è difficile lavorare con lui ora, se sapesse tutto sarei costretta ad andarmene."

Nat annuì, e Elle cominciò a raccontare.



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Il Giorno dopo, Elle non si recò in palestra.

Fece il solito giro di corsa mattutino, stando ben attenta a non incontrare soggetti indesiderati, e a non fare movimenti strani con il fianco, fasciato come se portasse un ingombrante kimono. Non aveva la minima intenzione di ripassare mezza giornata in infermeria.

Natasha approvava la sua soluzione al problema Rogers - ovvero fingere che non fosse accaduto nulla- e l'aveva informata di una coincidenza fortuita. Quel giorno, avrebbe fatto visita alla base Clint. Senza nemmeno bisogno di chiamarlo.

Nat aveva finto di non sapere, o di non capire, quale motivo portasse un agente fuori servizio con tre figli piccoli a mollare la sua comoda e rassicurante fattoria- anche se a causa dei continui lavori di ristrutturazione, Nat la chiamava il cantiere- e passare un'intera giornata al quartier generale.

Barton era arrivato verso le nove del mattino, sventolando foto del nuovo nato mentre mangiava omogeneizzati insipidi o mentre gattonava goffamente in mezzo alle costruzioni di legno. Elle si era sperticata in commenti entusiasti, ma appena aveva incontrato lo sguardo di Nat si erano scambiate un ghigno. Lei e Nat non avevano molta attitudine per i neonati. Soprattutto Nat. Anche se vedeva spesso l'amica in atteggiamenti piuttosto materni, Natasha sosteneva che non sarebbe mai stata una buona figura di accudimento. Elle sapeva che si sbagliava.

La Selvig conosceva Clint da diversi anni, tramite Natasha. Aveva conosciuto la rossa durante la sua prima visita allo S.H.I.E.L.D., e successivamente Fury le aveva costrette a lavorare assieme spesso, sperando di creare una sostituzione di Banner per Natasha. Elle sveva avuto occasione di vedere Clint contento. In ansia. In fuga.

Ma non lo aveva mai visto sentirsi inadeguato. Lei sapeva perché lui era li, ovvero vedere con i suoi occhi come stava Natasha dopo il post-Banner. Qualcosa era cambiato in lei, ma Clint vedeva ancora un fondo di speranza sul fondo dei meravigliosi occhi scuri della Russa. Ed era terrorizzato che il crollo dell'amica fosse fuori dal suo controllo.

"Nat..." Barton si sedette vicino a lei, a cavalcioni sulla panca della mensa. Nat masticava una mela, guardandolo storto. Lei lo vide cercare le parole, masticandosi il labbro inferiore. Quando Clint non trovava le parole, la rossa diventava inquieta. Clint sapeva sempre cosa dire. L'uomo imprecò.

"Non avrai deciso di lasciare Laura?" Chiese con gli occhi sgranati la rossa, dopo un paio di minuti di silenzio stampa.

"Ma ti prego, Nat. Sono qui per te, non per me!" sbottò l'agente, agitando le mani.

"Bel lavoro, Barton. Per fortuna avevi promesso di essere discreto..." commentò Elle, sedendosi davanti ai due. Nat sbuffò sonoramente.

"Il discorsetto me lo ha già fatto Mr. Captain America." commentò. "Siete arrivati tardi..."

Elle alzò un sopracciglio. "Dubitavo che Captain Microcefalo fosse capace di sentimenti complessi come l'empatia." fischiò sorpresa.

Clint la additò, leggermente stupito. Natasha sospirò.

Lui si comporta da idiota ed Elle è scorbutica come il vecchietto di Up.”

Banner sogghignò, voltando il capo verso la bionda.

"Non dovresti essere così acida. Tu e Rogers sembrate fatti con lo stampino, dai retta ad uno che se ne intende." Elle rimase a bocca aperta, fissandolo senza parole.

"E tu." disse Barton, indicando Natasha "Dovresti usare gli amici che hai. Non so se temere che tu abbia il cuore a pezzi o essere terrorizzato dall'idea che tu non abbia ancora somatizzato il colpo."

"Che delicatezza, Barton." Elle si ridiede un contegno. Il suo sguardo passò dall'uomo alla sua amica, a metà fra il preoccupato e l'interrogativo.

"Lo so. Lo apprezzo. Ma io sto bene." Nat si alzò di scatto, lasciando la mela sul tavolo con un sospiro. Osservò gli amici, le labbra strette. “Tornate a fare quello che stavate facendo prima di preoccuparvi inutilmente. State solo sprecando tempo ed energie.” Frettolosamente, Natasha sgattaiolò via fra la confusione che solo una mensa ad orario di pausa pranzo può ospitare. I due rimasti si guardarono, sospirando.

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Maledizione, Barton, rallenta!”

Elle stava seguendo l'amico, che fingeva di non essere preoccupato per Natasha, in giro per la nuova base Avengers. Rogers gli correva dietro, dovendo far parte della comitiva che lo accompagnava a visitare la nuova sede. In realtà, aspettavano tutti e tre che Natasha si facesse viva. L'uomo fermò il suo passo nervoso, sbuffando.

"Così, ti trovi bene qui Elle?" chiese Clint con voce annoiata, sporgendosi dalla ringhiera del mezzanino verso la grande hall dell'ingresso. La luce naturale entrava abbondantemente dalle ampie pareti di vetro, nonostante fosse ormai autunno. "Sono tutti simpatici con te? Non vorrei venire a sapere che hai eviscerato qualcuno." si informò, scrutando lei e Rogers che cercavano di stare il più lontani possibili. Lui ogni tanto si girava a guardarla, con uno sguardo simile a chi si trova davanti un enigma complesso. Sembrava un bambino che guarda un goffo prestigiatore: vorresti vedere il prossimo trucco, ma possibilmente senza farti del male. Gli dava un po' di fastidio vedere l'amica guardata così, ma capiva che avere a che fare con la Selvig e non piacergli doveva essere un vero disagio.

"Dev'essere difficile rispetto all'FBI. Qui non c'è la stessa... trasparenza." commentò l'uomo, mentre Elle si appoggiava di schiena al parapetto. Rogers si mise sull'altro lato dell'arciere.

"Se ti riferisci a Fury, è cristallino come l'acqua dell'Hudson. Nel tratto dopo le fabbriche di materiali industriali, hai presente?" disse sarcasticamente. "Ti ricordi come lo chiamavamo?".

Clint ridacchiò, guardando Rogers. "Lo chiamavamo Dogs of War. Come la canzone, hai presente?"

Rogers negò di aver capito. "Non conosci i Pink Floyd?" chiese esterrefatta Elle, guardandolo per la seconda volta nella loro conoscenza senza astio o rassegnazione. Era solo sorpresa.

Steve fece di no con la testa. Elle e Burton canticchiarono, spalla a spalla, senza guardarsi.

"The dogs of war don't negotiate... The dogs of war won't capitulate... They will take and you will give... And you must die so they may live." Verso la fine, il sorriso di Elle si spense, mentre lo sguardo di Barton era più rassegnato.

"Molto appropriato." commentò Rogers "Ma Fury ci tiene ai suoi, e non è uno sciacallo."

Barton annuì, e mise una mano sulla spalla di Elle. "Sono d'accordo con il Capitano. Ti puoi fidare di queste persone..." fece un ampio gesto, indicando tutto.

"E di quest'uomo." indicò Steve, che per un secondo sembrò prendere più colore sul viso. Elle si guardava le mani pallide, sbuffando. Barton sogghignò, dando un colpo alla spalla di Rogers.

"Giurami che ti prenderai cura di questo zuccherino. Fa tanto la dura, ma anche lei si fa male. Come me e Nat, tutti hanno bisogno di qualcuno che ti copra le spalle. E, conoscendovi, vi vedrei bene."

Sorrise ad entrambi, mentre Steve scrutava Elle dalla testa ai piedi con incredulità, le labbra leggermente arricciate nello sforzo di pensare ad una Selvig che non continuasse a insultarlo o ad evitarlo. Lei non aveva intenzione di guardarlo in viso, concentrandosi sulla punta dei sui stivali neri. Barton sogghignò, voltandosi verso Elle.

"Ora, Rogers, lasciaci soli... c'è un certo incidente di cui mi hanno parlato del quale devo sapere tutto." Elle diede le spalle ai due, sospirando e sporgendosi con il busto dalla ringhiera. Steve fu costretto a salutare ed andarsene proprio quando veniva fuori un discorso che avrebbe tanto voluto ascoltare.



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"Non penso sia appropriato." Samuel, per la prima volta nella loro conoscenza, cercava di trattenerlo dal fare quello che stava per fare.

Ovvero entrare nell'ufficio della Selvig, che non era chiuso a chiave, e curiosare in giro. Cercando qualcosa che motivasse la reticenza di Fury nel lasciarsi scappare informazioni sulla nuova arrivata.

"Dovresti mettertela via, è un mese che lavora qui e lavorerà qui per ancora diverso tempo." Samuel sembrava esasperato "Se non fa nulla di sospetto, perché dobbiamo interferire?".

Rogers scosse la testa, senza ammettere che forse l'amico aveva ragione. Selvig era solo terribilmente bipolare: prima lo odiava, poi sembrava aprirsi un po', poi lo odiava di nuovo. E lui stava esagerando. Ma, dopo Ultron, gli sembrava che dietro ad ogni angolo ci fosse un nemico. O peggio, un amico pronto a tradirlo...

Samuel era una manna dal cielo: schietto e sincero, lo avrebbe seguito ovunque. Si sarebbero coperti le spalle a vicenda. Gli ricordava quasi il rapporto che aveva con Bucky.

Scosse il capo, confinando quel pensiero pericoloso nell'angolo del suo cervello dove conservava le cose disturbanti. Doveva seguire il piano.

L'ufficio di Elle era sul lato Est dell'edificio. Nonostante fossero le cinque del pomeriggio, era già molto buio.

Vi era una libreria, quasi spoglia -dopotutto era una sistemazione temporanea – con pochi tomi di psicologia. Un ripiano era occupato solo da schedari di test attitudinali o test standard di intelligenza.

"Matrici di Raven...Roscharch... mi sembra tutto normale." commentò Samuel, che sicuramente capiva più di lui. Prese un libro sul trattamento del PTSD, leggendo la quarta di copertina.

"Dovrei chiederle di prestarmelo." esclamò sogghignando. Steve lo fulminò.

"Guarda il computer." ordinò lapidario. Samuel ripose il libro.

Sulla parete della porta d'ingresso, vi erano appesi molti quadri a formare una caotica ma apprezzabile opera con spunti della vita di Elle Selvig.

La cornice più grande era occupata dalla laurea in psicologia datata 2001. Poi vi erano almeno quattro attestati di master in trattamento dei disturbi d'ansia, specializzazioni in Trattative e Contrattazioni per la liberazione di osteggi, un documento del SAS che confermava la loro collaborazione. Samuel fischiò ammirato, seguendo lo sguardo dell'amico.

"Ma dove ha trovato il tempo di fare tutto questo?" commentò ammirato. Guardò la laurea della ragazza, facendo dei rapidi calcoli. “Si è laureata a vent'anni?” esclamò, le dita della mano ancora aperte per essere sicuro di non essersi sbagliato.

Steve si avvicinò a guardare meglio una delle poche fotografie che ritraevano la ragazza.

Elle, leggermente più scura di carnagione, vuoi per il sole del medio oriente vuoi per la polvere che le sporcava il viso, portava una tuta verde da paracadutista. Era piegata sulle ginocchia, sorridente come non l'aveva mai vista, vicino ad un bambino vestito solo di stracci. Vicino a lei, altri due uomini con la stessa uniforme, ridicolmente più grossi in confronto alla ragazzina, ridevano. Uno teneva in braccio una bambina, mentre l'altro cercava di nascondere all'obiettivo della macchina fotografica una mitraglietta semiautomatica. Entrambi gli uomini e la Selvig sembravano stanchi e sporchi, ma la loro espressione tradiva una felicità quasi simile all'euforia.

Sulla spessa cornice della foto, una targhetta in oro diceva "Who Dares Wins".

"Missione di pace in Iraq nel 2010." commentò una voce, entrando. Barton squadrò i due, sospirando.

"Avevo capito che non ti piaceva Elle, ma da qui a questo..." guardò Rogers negli occhi, deluso.

"Devo potermi fidare dei miei uomini." commentò, cercando di nascondere all'amico il senso di colpa.

"Se ti fidi di me, e di Natasha, puoi fidarti anche di Elle. Lei non faceva parte di un'organizzazione nemmeno quando tutti eravamo nello S.H.I.E.L.D..."

Un mercenario...”

Uno spirito libero.” Lo corresse Barton. “Elle cerca solo di aiutare e difendere. Non farà mai del male a qualcuno, se può evitarlo.”

Samuel si schiarì la voce, richiamando l'attenzione su di lui. "Il computer è troppo protetto. Non posso aggirare questo software."

"Lo ha creato Stark per Natasha." commentò Clint. "Adesso andatevene, prima che vi veda Elle."

Samuel si alzò di scatto, avviando lo spegnimento del computer.

I due fecero per uscire, ma Barton prese per un braccio Rogers.

"Fury vuole che Elle vi stia attaccata perché pensa che potrebbe entrare negli Avengers."

"E perché vuole farla entrare? Per controllarci?" Rogers guardò duramente negli occhi Barton.

"Dovresti chiederlo a lei, perché dovrebbe entrare negli Avengers.” Barton rispose piccato. “Ti consiglio di pensarci sopra, Capitano." Mollò il suo braccio e si diresse verso la finestra, chiudendo il discorso.

Steve guardò un secondo il suo amico, poi uscì chiudendosi la porta alle spalle.

"Per fortuna sono in pensione..." commentò Barton, sospirando.



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"Selvig!"

Elle accelerò il passo, facendo finta di non aver sentito.

Era stata una giornata lunga, erano le dieci di sera passate e lei aveva dovuto esaminare le schede di mezzo personale ex S.H.I.E.L.D. per individuare altri adepti dell'Hydra. Aveva dovuto interrogare almeno mezza dozzina di persone, scrutare nelle menti di quelle più sospette, discuterne con Fury e poi risistemare tutte le scartoffie. Per non parlare dell'ora passata a parlare con Barton.

Aveva solo fame.

"Elle!" una mano, grande almeno due volte la sua, la fermò saldamente per la spalla.

Aveva dimenticato che un passo di Rogers equivaleva ad almeno tre dei suoi. Avrebbe dovuto mettersi a correre.

Sospirò, strizzando gli occhi.

"Mi dica, Rogers." mugugnò, cercando di evidenziare il suo sconforto.

"Ti ho disturbata? Dove stavi andando?" le chiese lui, più che gentilmente. Elle aprì gli occhi, alzando un sopracciglio.

"Mi chiedi se mi stai disturbando dopo avermi placcata nel mezzo del corridoio?"

Il sarcasmo era tangibile. Rogers deglutì. Elle, sforzandosi per non ascoltare la sua mente, cercò di ricordare come ci si comportasse gentilmente e gli sorrise.

"Stavo andando alla mensa." Riprese il passo senza degnarlo di uno sguardo. Rogers la seguì.

"Posso venire con te?" chiese velocemente. Elle sgranò gli occhi, guardandosi la punta degli stivali.

"Certo. Non hai ancora mangiato?" Elle non poté fare a meno di sorridere. "Voi finite gli allenamenti alle cinque tutti i giorni... A meno che non sia successo qualcosa?" Chiese, improvvisamente preoccupata. Fu tentata per un attimo di leggere nei suoi pensieri se fosse arrivata qualche informazione sensibile agli Avengers. Ma aveva passato tutto il pomeriggio con Fury, se ne sarebbe accorta se fosse successo qualcosa.

"No, abbiamo finito al solito orario." Rogers si passò una mano fra i capelli biondi. Lei lo stava mettendo con le spalle al muro. Lo guardava con gli occhi sgranati, ed erano anche più azzurri del solito, il mento alto per riuscire vederlo in viso nonostante stessero camminando.

"Sei abituato a cenare tardi, Rogers?" commentò Elle, facendo una smorfia. Rogers sbuffò.

Fece un passo più lungo e le bloccò la strada.

"Chiamami Steve, per favore." disse, guardandola direttamente negli occhi. "Io posso chiamarti Elle?" chiese, facendo un mezzo sorriso. Elle sgranò gli occhi ancora di più, totalmente impreparata, guardandolo negli occhi. Per un secondo le parve di sprofondare in tutto quel blu. Desiderò avvicinarsi, per studiarne le sfumature più da vicino. Mentalmente, si maledisse per aver perso il filo del discorso. Rispose di getto, spostando lo sguardo verso la trama del pavimento scuro.

"Ok, Steve... adesso andiamo, muoio di fame!" Cercò di sorridergli, probabilmente facendo una smorfia inquietante, e ripresero a camminare fianco a fianco verso la mensa.

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Capitolo riformattato e corretto in data 27/01.

Grazie ad Electricsoul, su Tumblr Rise-Doe, per il bellissimo banner!

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Capitolo 4
*** 04. Impulso ***


03
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ATTO QUARTO: IMPULSO


"With all the green belts wrapped around our minds,

and endless red tape to keep the truth confined."

MUSE



Ottobre 2015


Erano almeno cinque giorni che Steve, tutte le sere alle nove, aspettava Elle alla fine del corridoio del primo piano, dove lei aveva l'ufficio, per accompagnarla a cena.

Dopo la prima sera, dove erano stati oggetto di sguardi a metà fra il curioso ed il preoccupato -fino al giorno prima, quei due rischiavano di picchiarsi ogni volta che si incontravano- ormai la cosa era stata digerita dalla maggior parte degli avventori della mensa.

"Da come ne parlano tutti, sembra che voi vi siate messi a copulare su uno dei tavoli della mensa!" Samuel rideva di gusto, mentre i due amici riponevano la tuta di Falcon in un apposito armadio. Super tecnologico, pieno di pulsanti e codici, ma pur sempre un armadio.

Steve si girò a guardarlo, la mascella contratta e lo sguardo infastidito, incrociando le braccia in un muto rimprovero. Samuel scoppiò a ridere  ancora più  forte.

"Si, sono sboccato, certo." guardò l'amico negli occhi. "Ma lei ti piace."

"Non siamo due ragazzini al liceo." borbottò Steve, allontanandosi di un passo. "Siamo due persone che condividono il posto di lavoro."

"E che si strapperebbero volentieri i vestiti di dosso. Ah, come dev'essere difficile con la tutina di Capt!" Samuel rise ancora di più, mimando di tirare il tessuto dei Jeans sul sedere. Steve sospirò. "Sei incorreggibile, Samuel."

"Vi ho visti litigare prima di chiunque altro. Facevate scintille!" Samuel ormai aveva preso il via, come un fiume in piena, ed era impossibile fermarlo. Steve rimase a fissarlo, sperando che finisse presto. "E' carina, non c'è dubbio. Ma è troppo scheletrica, per me...e pensavo, anche per te." Ammise l'amico ridendo ancora di più. "Negli anni cinquanta non vi piacevano le donne formose? E poi va in giro come se fosse la regina acida dei ghiacci. Una volta parlavamo di volare in alta quota, sai, ed ha detto che il freddo tanto non le aveva mai dato fastidio."

Steve alzò il sopracciglio in modo interrogativo. “Se era una citazione, non l'ho colta..” Esclamò, dandogli le spalle.

Samuel rimase a fissarlo, perplesso, scuotendo leggermente la testa. “Frozen?” Steve alzò gli occhi al cielo, facendo capire di non aver inteso il riferimento.

"Se lo sapesse Cynthia ti farebbe vedere Frozen almeno dodici volte. Eretico." Steve fece un passo indietro, guardandosi intorno guardingo. Si avvicinò all'amico, parlando a bassa voce.

"Elle Selvig è una nostra collega. E solo perché mi piace la sua compagnia, non vuol dire che ci sia qualcosa di più. Le donne di questo secolo sono complicate, e io non sono intenzionato a sposarmi o a mettere su famiglia." Sospirò. "Siamo solo stati a cena insieme. A mangiare. Hai presente?!” Esclamò infine il biondo, acidamente.

Samuel lo guardò con un sorriso eloquente, gli occhi castani che lo fissavano maliziosi. Steve non riuscì a trattenere un sorriso, cosa che con Samuel gli capitava piuttosto spesso. L'amico piegò il capo verso di lui, mulinando le sopracciglia sugli occhi scuri. Alla fine cedette. 

“Ok. E' interessante. Non dirò altro."

Samuel si girò, esultando in giro per la zona comune, agitando le braccia in modo comico. Steve scoppiò a ridere, guardando l'amico comportarsi come un liceale.

Steve Rogers si è preso una sbandata!” Strepitò l'amico, alla fine, affiancandolo di nuovo.

Sono Captain America, ripeto, non un ragazzino al primo anno di scuola.”

Un rumore ovattato fece girare entrambi gli uomini, Samuel con un ampio sorriso e Steve con espressione interdetta e imbarazzata.

"Ciò non ti impedisce di avere un interesse amoroso..." commentò Wanda, che era arrivata silenziosamente dietro di loro, pronta per il suo allenamento pomeridiano. Steve si coprì il viso con una mano, borbottando qualcosa sulla sua privacy perduta e su un accogliente ghiacciaio. Wanda proseguiva imperterrita, con un sorriso comprensivo.

"Le donne di questo secolo non vogliono solo marito e figli. Né tanto meno Elle. Lei è-"

Steve la interruppe subito con una mano. Lanciò un'occhiata storta a Wanda e Samuel, che la aveva affiancata ridacchiando, le mani incrociate dietro la schiena. "Ma non lavorate mai voi, che avete avuto tutti tutto questo tempo per chiacchierare con la Selvig?!" sbottò Rogers. Samuel e Wanda si guardarono, l'espressione complice.

"Non si può decidere di non essere coinvolti sentimentalmente con altre persone."

Visione spuntò da un corridoio,dirigendosi verso di loro. “Nessuno può scegliere. E' una questione biologica. Non una possibilità. Soprattutto con certe combinazioni di persone." Wanda gli sorrise dolcemente, annuendo. L'androide rispose allo sguardo della ragazza con un'espressione serena, facendo distogliere gli occhi ai due amici presenti. Samuel scambiò uno sguardo eloquente con Steve, mentre Wanda tornava a guardare il loro leader.

"Visione ha ragione, si può solo decidere come comportarsi di conseguenza." Commentò, incrociando le braccia e stringendosi nella grande maglietta azzurra. Steve cercò di fulminarli tutti con lo sguardo, ma non riuscì a sembrare minaccioso. Si sciolse anche lui in un sorriso davanti ai suoi nuovi Avengers, dando loro le spalle e fingendo di guardare qualcosa dal portatile sul tavolo da lavoro.

Dovevamo diventare un'agenzia matrimoniale, altroché Avengers...” Borbottò, mentre Samuel e Wanda lo guardavano, divertiti.


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"Allora abbiamo fatto centro!" Natasha lo raggiunse alla fine degli allenamenti, in abiti borghesi e con un sorriso malizioso.

"Di cosa stai parlando, Romanoff?"

"Addirittura il cognome intero, dev'essere grave." commentò, seguendolo nello spogliatoio. Quando Natasha Romanoff puntava la preda, non c'erano speranze per il malcapitato. Lo avrebbe seguito fino in capo al mondo. In quel caso, nel particolare...

Steve le indicò le docce, imbarazzato. "Un po' di privacy..."

"Siamo quasi morti insieme. Più volte. Spogliati ed entra il quella doccia, Capitano." Commentò lei, sbrigativa, accomodandosi sulla lunga panca che occupava lo spogliatoio, in mezzo fra due pareti piene di armadietti di lamiera grigia.

Imbarazzato, Steve si tolse la maglia e le scarpe e afferrò l'asciugamano. Tirò con un gesto secco la tenda della doccia, scocciato.

"Allora hai rivalutato la mia Elle?" Esclamò lei, sistemandosi meglio sulla panca, le gambe toniche fasciate dai pantaloni neri distese davanti a lei. Si guardò nello specchio appeso alla parete, sistemandosi i capelli. Stavano crescendo troppo, per i suoi gusti, le sfumature rosso Tiziano che diventavano più chiare verso le punte. Riportò il suo sguardo verso le docce, dove la figura imponente dell'amico cercava di spogliarsi in un ambiente troppo piccolo, nascosto dalla tenda scura. I pantaloni della tuta grigi volarono oltre il tessuto in plastica e caddero a meno di un metro da Nat, che li guardò con le labbra arricciate. “Non ti lascerò stare finché non mi avrai detto tutto, Rogers.”

Hai fatto tutta questa scena da interrogatorio del KGB anche a lei?” Chiese Steve, risentito. Natasha negò con il capo, ridacchiando fra se e se. “Scherzi, se ci provo Elle mi smembra e poi mi dà in pasto ai cani.”

Steve scoppiò a ridere. “Fa più paura un mucchietto di ossa biondo che Captain America. Ho veramente toccato il fondo.” Aprì l'acqua della doccia, mentre Natasha scoppiava a ridere. Restarono in silenzio un poco, Nat a fissare il vuoto appoggiata agli armadietti da palestra e Steve che si frizionava i capelli a spazzola. Spense l'acqua per insaponarsi il corpo, riflettendo.

"E' una persona particolare..." Commentò infine lui, tenendosi sul vago. L'amica emise un sospiro strozzato.

"Rogers, quando passa ti casca la mascella." Esclamò esasperata. "E per una volta che non sta succedendo niente, che il mondo non sta finendo o che mezzo Shield non cerca di ammazzarci, cerca di lasciarti andare."

"Natasha..." Rogers riaccese l'acqua, buttandoci la testa sotto. La estrasse. "Lei è così... evasiva. E' difficile essere suoi amici." Alzò la voce per farsi sentire dall'amica. Natasha ridacchiò. Steve infilò la testa fuori dalla tenda della doccia.

Perché ci tieni tanto a farci mettere insieme?”

"Penso solo che sarebbe bello vedervi entrambi felici, e per economia è più comodo spingervi l'una verso l'altro che cercare una terza ed una quarta persona.” Natasha si strinse nelle spalle, mentre lui la fissava incredulo e tornava sotto il getto caldo. La rossa proseguì, gli occhi rivolti verso il soffitto. “Per non parlare del fatto che siete due persone impossibili; pensa a cosa hai combinato con la povera Sharon."

Steve rimise la testa fuori dalla tendina per un attimo, lanciandole un'occhiata torva. Con uno sbuffò, tornò sotto la doccia. Natasha si lisciò la maglietta rossa con le mani, sussurrando fra se e se. "L'unica cosa che ti piaceva di Sharon è il cognome... La poveretta ancora bacia la tua foto prima di addormentarsi."

Steve, appoggiato alla parete della doccia con un braccio sotto il getto bollente, sospirò esasperato.

Ti posso sentire.” Biascicò ad alta voce. Nat ridacchiò. “Dimentico sempre che sei un super soldato imbottito di steroidi.” Incrociò le braccia sentendo il verso indignato di lui.

Con Sharon ci ho parlato forse due volte.”

Natasha fissò il soffitto, sorridendo leggermente pensando alla povera Agente 13. Non è da tutti venire eclissati dalla zia ricoverata in ospizio. Era un peccato, perché la ragazza era particolarmente intelligente e dai modi molto concreti. Nat non dubitava che, lasciata da sola con il Capitano, si sarebbe fatta avanti senza troppe cerimonie.

Steve uscì dalla doccia, avvolto in un accappatoio bianco. Si frizionò i capelli con un asciugamano, davanti allo specchio appannato, guardando con la coda dell'occhio l'amica attraverso il riflesso.

Nat guardava ancora il soffitto, lo sguardo perso e le belle labbra strette in un'espressione pensosa.

"Barton era preoccupato. Io sono preoccupato. Come ti senti?" Chiese improvvisamente lui. Lei si morse un labbro, ritornando alla realtà e voltandosi verso l'amico.

"Sono contenta di non essere da sola." concluse, stringendosi nelle spalle. Steve sorrise, sedendosi accanto a lei, braccio a braccio. Lei sospirò, appoggiando la testa sulla sua spalla.

Pensavo sarebbe passata più in fretta.” Sbatté le ciglia, Steve che la ascoltava con attenzione. “Ogni tanto, fa ancora un po' male.”


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Erano le otto e quarantacinque, e lei era dannatamente in ritardo.

Talmente in ritardo che avrebbe voluto lanciarsi dalla finestra, per arrivare prima. Si infilò di fretta i jeans scuri, saltellando per la sua stanza in maniera comica. Portava un morbido maglione color panna, decisamente troppo grande, che le scivolava giù dalla spalla coperta solo dalla spallina della canotta rossa. I capelli erano ancora umidi dalla doccia che l'aveva ospitata per quasi mezz'ora, e dalla quale era uscita maledicendo qualsiasi divinità conosciuta -o ancora sconosciuta – guardando l'orologio digitale che aveva appoggiato sul lavello.

Hill l'aveva tenuta nel suo ufficio per tre ore. Tre ore passate a discutere, sfogliare cartelle su cartelle, schede su schede, confrontando orari, turni, frequentazioni fra colleghi, cercando di cavare un ragno dal buco meglio costruito nella storia della civiltà moderna. L'Hydra era veramente un'organizzazione ben piantata. Per ogni bastardo che Elle individuava, spuntava un altro bastardo. O altri due. La cosa iniziava a diventare oltremodo seccante, per una donna come lei, abituata a svolgere lavori meno strategici.

Scosse il capo: doveva imparare a non portarsi il lavoro a casa, come diceva sempre Natasha. La regola non scritta dell'amica era di non pensare mai ai problemi di lavoro, per esempio ad una missione particolarmente dura o a qualche collega che ci aveva rimesso le penne, quando finiva il turno.

Elle doveva solo svagarsi un po', cosa difficile al quartier generale, dove dopo le otto di sera rimanevano soltanto agenti, personale di servizio e Avengers. Era come un piccolo villaggio, che si riuniva ogni serva all'orario della mensa. Le novità erano sempre ben accette, fra una folla abbastanza poco coesa di spie che non avevano una normalità a cui tornare, alla fine delle ore di lavoro.

Era ormai una settimana che cenava con Rogers: chiacchieravano di vecchie missioni, di vecchi film o di musica. Elle si divertiva a sentirlo descrivere Tony Stark con termini coloriti, oppure a vederlo raccontare dei passaggi della battaglia di New York che lo avevano colpito. In effetti, era stupita da quanto parlasse quell'uomo: sembrava che nessuno mai lo avesse ascoltato, negli ultimi tre anni dal suo risveglio. Probabilmente, tutti avevano qualcosa da consigliare o da ordinare di recuperare, da un passato che veniva dato per scontato. Nessuno aveva mai chiesto a lui cosa valesse la pena salvare, dei suoi anni di pace o di quelli in cui imperversava la guerra mondiale.

Così i due rimanevano seduti su quelle scomode panche per delle ore, lui a parlare e lei a spiluccare cibo guardandolo, presa dal discorso, rispondendo ogni tanto o leggendo a bassa voce descrizioni di eventi o innovazioni dall'applicazione di  Wikipedia sul cellulare, cercando di fargli recuperare eventuali passaggi fondamentali.

Elle si riscosse dalle sue riflessioni, infilandosi le vecchie Clarks scucite. Non sapeva perché l'idea di arrivare in ritardo da Rogers la urtasse così tanto, vista la mondanità dei loro discorsi. Scosse la testa, chinandosi ad allacciare una delle scarpe. Era piuttosto semplice, la linea dei suoi pensieri: voleva arrivare in tempo e basta.

Fece per varcare la porta, quasi correndo, quando istantaneamente ricordò che stava dimenticando il telefono. Si voltò di scatto, imprecando, e istintivamente allungò la mano. Con un tremore, l'iPhone schizzò dal comodino sul quale era appoggiato fin nel suo palmo, dal quale rischiò di cadere. Elle lo riprese con la mano libera, senza riflettere. Si girò frettolosamente, come se  nulla fosse successo. Poi si fermò, paralizzata sul posto. Riguardò il telefono. Lanciò uno sguardo nella sua stanza ormai buia.

Aveva appena usato la telecinesi?


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Ormai pensava che Elle non si sarebbe più presentata.

Gli altri giorni, la ragazza non era mai stata in ritardo. Steve ormai seguiva sempre la stessa routine. Andava nella sua stanza, leggeva un poco o ascoltava un po' di musica. Aspettava le otto. Poi si metteva dei vestiti normali.

Si cambiava almeno tre volte, sentendosi sempre inadeguato, e finalmente scendeva verso il primo piano. Si era sentito più a suo agio in quelle quattro cene con lei che a molte altre con tutta la squadra, e la cosa lo stupiva non poco, visti i loro trascorsi non particolarmente rosei.

Lui amava vedere tutti riuniti, adorava passare il suo tempo con quelli che ormai erano degli amici. Ma vedere una persona sola, poterle parlare tranquillamente, chiacchierare di cose futili... Soprattutto quando questa era Elle, lo faceva sentire un uomo normale. Lei non si faceva problemi a trattarlo come se fossero due normali amici, era insolente e particolarmente testarda e non temeva di offenderlo. Assolutamente, non si faceva problemi ad urtarlo.

Avevano parlato di film, di musica, degli amici. Aveva tenuto a mente tutte le sue preferenze, e poi le aveva scritte sul suo ormai celeberrimo taccuino. Una cosa che Natasha avrebbe definito diabetica.

L'unico pensiero che lo disturbava era quello di essersi aperto fin troppo, davanti a quegli assurdi occhi azzurri. Davvero, non si spiegava quel colore inquietante e bellissimo allo stesso tempo. Si sentiva talmente a suo agio che temeva di abbassare la guardia. Di rivelare troppo di sé.

Tuttavia, non avevano mai parlato di quello che era successo quella mattina in palestra. Era ancora presto per chiedere di nuovo spiegazioni: sapeva che il loro era un rapporto molto fragile. Quando non la vide arrivare, quindi, non ne fu stupito. Si sentì un po' uno stupido, ma non uno stupido preso alla sprovvista. Cercò di non fare caso agli sguardi dei dipendenti che passavano vicino a lui, impalato in quel corridoio lontano da qualsiasi punto di interesse. Era palese perché fosse li, e la cosa lo metteva leggermente a disagio.

Guardò ancora l'orologio, sbuffando leggermente. Fece per voltarsi, quando sentì qualcosa caracollarsi lungo il corridoio, e voltandosi, scoppiò a ridere, senza riuscire a trattenersi. Una risata di cuore, con il suo tono basso, come non si sentiva ridere da tempo. 

Elle, per la prima volta da quando la conosceva, aveva i capelli sciolti. Arrivavano fino ai fianchi, incredibilmente lunghi e leggermente mossi. Era in vestiti comodi, con un maglione beige di almeno tre taglie più grande della proprietaria e che le arrivava quasi alle ginocchia. Si sentì stupido per essersi preoccupato così tanto per quale camicia indossare: non sembrava il genere di donna che avrebbe fatto caso a queste cose. I suoi occhi azzurri erano diretti al suo viso, le pupille dilatate per il moto e lo sguardo dispiaciuto.

Frenò la sua corsa davanti a lui, scusandosi in mille modi per il ritardo, con le guance arrossate ed i capelli svolazzanti lungo la schiena, una spalla scoperta dall'ampio collo del maglione. Non potè fare a meno di ricordare, e dare ragione, a ciò che aveva detto Samuel: era proprio carina. Quasi bella. Lei si portò una mano al viso, grattandosi il naso. Sembrava agitata.

"Oggi ho una fame da lupi." Disse frettolosamente, afferrandogli un braccio e tirandolo lungo il corridoio. "Andiamo, su, Rogers!”

Steve ridacchiò, lasciandosi trascinare verso la mensa. Sentiva il braccio marchiato a fuoco, mentre lei cercava di stringere le dita sottili abbastanza da non perdere la presa.


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Quindi in realtà sei Captain Irlanda?”

Elle si stava quasi strangolando dalle risate, mente Steve le agitava l'indice sotto al naso.

Sono nato in America, quindi sono americano!” Cercò di fingersi offeso, ma alla fine scoppiò anche lui in una sonora risata. “Era Bucky quello super americano: suo padre lavorava in una vecchia fonderia..”

Proprio folkloristico. E il tuo?” Chiese Elle, portandosi una cucchiaiata di minestra alle labbra e soffiandoci sopra. Steve si strinse nelle spalle. “Si chiamava Joseph. E' morto abbastanza presto, per una polmonite. Lavorava in una miniera, prima che i miei si trasferissero qui.”

Elle rimase con il cucchiaio a mezz'aria, presa dal discorso. “Quanti anni aveva?”

Trentacinque, ma per l'epoca erano come i cinquanta adesso.”

E tua madre?” Chiese Elle, guardandolo curiosa. “Se posso chiedere, ovvio.” Chiese, temendo di averlo offeso chiedendogli domande troppo personali. Steve era stupito: non lo guardava con pietà o in modo dispiaciuto. Era solo curiosa.
“Sarah.” Le rispose lui, afferrando una fetta di pane. Elle sorrise. “Sicuramente era una donna bellissima.”

Steve annuì. “Era un'infermiera, passava almeno dieci o dodici ore al lavoro tutti i giorni. Era molto dolce. E avevo una sorella, Maria.”

Elle sorrise senza riuscire a trattenersi. “Ho sempre voluto una sorella, o un fratello.”

Sei figlia unica?” Chiese Steve sorpreso. “Ai miei tempi era assolutamente impensabile, avere un solo figlio, non avere fratelli.” Elle si strinse nelle spalle. “Siamo comunque arrivati al tracollo demografico, quindi non devi preoccuparti di questo.” Steve ridacchiò.

Tua madre? Vive ancora in Svezia?”

Elle mise in bocca il cucchiaio pieno di zuppa, senza rispondere. Sembrò riflettere un secondo, prima di deglutire sonoramente. “Si chiamava Annette. E' morta.”

Le labbra di Steve si incurvarono leggermente verso il basso. “Mi dispiace.”

Anche tua madre è morta. Non devi dispiacertene, tu puoi capire.”

Sono passati ottant'anni.” Commentò lui, scuotendo il capo. Elle arricciò un secondo le labbra.

E' la stessa cosa.” Esclamò, sicura. Steve scosse la testa. “Sei giovane, hai solo...”

Ventisei anni.” Concluse Elle, rimescolando la minestra. “Sono abbastanza grande per aver capito come funziona. Si nasce, si muore. Punto.” Gli sorrise incoraggiante, ma Rogers la guardava perplesso. Elle gli sorrise.

Non stare a crucciarti per me, Capitano. Non sono finita in mezzo ad una strada a vendere fiammiferi, ero già un'adulta!” Elle cercò di alleggerire l'aria, gonfiando il petto. Lui giocherellò con la saliera, ridacchiando.

Davvero? Quanti anni avevi?”

Sedici.” Rispose prontamente lei. Lui sorrise. “Allora non eri un'adulta. Andavi ancora a scuola. A quell'età, io vagabondavo ancora per il quartiere a vendere giornali.”

Elle annuì. “Avevo quasi finito le superiori, in realtà. Mancava solo un mese al diploma.” Steve arcuò un sopracciglio. “Eri una secchiona.”

Ero intelligente!” Esclamò lei con tono offeso, alzando le braccia in segno di resa. Lui annuì, portandosi un pezzo di pane alle labbra. “Però ti sei laureata a vent'anni!” Commentò, prima di mangiarlo.

Il gelo calò sul tavolo. Lei lo fissò in silenzio, il cucchiaio a mezz'aria perfettamente immobile e lo sguardo improvvisamente serio. “E tu come lo sai?” Steve andò un secondo nel panico, guardandola con gli occhi sbarrati. “Me lo ha detto Natasha.”

Elle lo fissò un secondo. Voltò la testa verso il corridoio, nella direzione verso la quale si arrivava al suo studio. Per un secondo Steve sudò freddo, pensando che avesse capito. Infine si girò nuovamente verso di lui, sorridendo. “Avessi conosciuto prima Nat! Invece poi qui al college mi è capitata Maria.” Sospirò, guardando l'amica diversi tavoli più avanti.

Che scuole hai fatto?” Chiese poi lei. Lui ritornò a respirare. “Accademia di Belle Arti.”

Elle lo guardò a bocca aperta. Sbatté un paio di volte le palpebre. “Cosa scusa? Tu?” Steve annuì.

Non per vantarmi, ma sono un ottimo disegnatore.” Elle era basita.

Avrei detto qualsiasi cosa. Ma non questo.” Allungò una mano verso le sue, sfiorandole con le dita sottili. Alzò lo sguardo verso di lui. “Posso?” chiese. Lui annuì, curioso, sperando di non essere rabbrividito. Elle aveva le mani ghiacciate.

Lei alzò una delle mani dell'uomo, che era grande il doppio della sua, e la osservò bene portandosela davanti agli occhi. Steve poteva sentire il suo respiro contro il palmo, mentre gli occhi cerulei osservavano attentamente le rughe della mano. La appoggiò sul tavolo, davanti al suo vassoio, tracciando con l'indice linee sconosciute lungo il suo palmo, fino al polso. Lui ebbe un brivido, e lei smise subito, riprendendo il cucchiaio dalla ciotola. Lui sospirò, ritirando la mano e  guardandosi attorno.Tu che scuola hai fatto?” 

Elle rispose con la bocca piena. “Liceo Scientifico, indirizzo Tecnologico e della Ricerca.”

Steve sogghignò. “Secchiona.” Elle lo fulminò con lo sguardo. “Deve essere stato molto fiero, tuo padre. E' un fisico, no?” Elle annuì svogliatamente, portandosi un'altra cucchiaiata alle labbra. La zuppa doveva ormai essere fredda. Steve proseguì, guardandola curioso da dietro le mani giunte, i gomiti appoggiati sul piano del tavolo.

Sai, tuo padre è molto amico di Thor, l'asgardiano. Lui me ne ha parlato qualche volta.” Elle si strinse nelle spalle, guardando un punto imprecisato dietro di lui. Per un secondo considerò l'idea di chiederle se il padre si era ripreso dopo la battaglia di New York e la possessione da parte di Loki. Accantonò l'argomento. “Sarà molto fiero di dove sei arrivata con gli studi. Sicuramente ne avrà parlato con Thor...”

Mio padre se ne era già andato quando ho cominciato il liceo.” Lo interruppe secca Elle. “Non ho scelto di fare ciò che faccio per gratificarlo, anzi la mia scelta di studiare Psicologia è stata per lui l'ennesimo smacco. Non penso parli di me ai suoi amici, tanto meno alieni, e dubito che il tuo amico Thor sappia che esiste una Selvig Eriksson.” Steve la guardò senza commentare.

Non parlo con mio padre da almeno quattro anni, se non per qualche telefonata di auguri. Non sa nemmeno che lavoro per lo S.H.I.E.L.D, oppure sarebbe stato ancora più deluso.”

Steve la guardò un secondo, alla ricerca di un segno di tristezza. Elle invece si portò la scodella alle labbra, finendo la zuppa senza emettere un fiato.

Steve le sorrise timidamente. “Sono sicuro che qualsiasi cosa stia facendo, tuo padre pensa sempre a te.” Elle si strinse ancora più nelle spalle, con un ghigno. “Se lo dici tu, Capitano.”

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Stava finendo Ottobre, ed il clima era freddo e piovoso. Tranne quel giorno, in cui erano spuntati dei testardi raggi di sole e le due ragazze, Wanda ed Elle, stavano sedute sull'erba umida, avvolte in pesanti giacche. Il quartier generale era incastrato in una bella radura erbosa, ricca di alberi. L'aria era pulita, ed il posto era riservato.

"Elle Selvig, era prevedibile che i tuoi poteri psichici fossero più della mera lettura del pensiero." commentò Visione, guardandole dall'alto al basso.

Elle aveva appena raccontato ai due del suo insospettato dono di richiamare i telefoni verso di sé. Wanda la guardò un attimo, curiosa. "Chissà perché i tuoi poteri si stanno risvegliando così tardi." commentò a voce bassa. Visione scosse la testa. "Io ho qualche ipotesi."

"La vicinanza con tanti soggetti con poteri inumani sta facendo evolvere le capacità di Elle. Per autodifesa. Inoltre..." Si girò a guardare verso l'ingresso "L'impulso emotivo può aver risvegliato la forza più istintiva di Elle. Dopotutto, lei è una mutante." Commentò, girandosi verso le due e indicandola.

"Mutante?" Elle sgranò gli occhi, ignorando il resto della frase. Visione annuì.

"Hai mai visto un fenotipo genetico che renda gli occhi del tuo colore?" Commentò lui tranquillamente. Elle guardò Wanda, che annuì.

"Si, devi essere una mutante." esclamò ridendo la ragazza, passandosi le dita fra i capelli mori. Elle era sconvolta, gli occhi sgranati fissi nel vuoto.

"Sai che Fury ti ha fatto venire qui solo per spingerti ad entrare negli Avengers, vero?" Wanda si spostò dal viso un altro ciuffo di capelli, guardando il cielo. "Lo so..." ammise Elle. “Ma non so nemmeno dove sarò domani, ho delle responsabilità e-”

Wanda le mise una mano sul braccio, sorridendole. "Sono convinta che tutti insieme, come squadra, potremmo fare del bene, anche sfruttando il tuo potere."

"Non è un potere, non sono come te, o come Visione." Elle spostò lo sguardo fra l'amica e l'androide "E' più come un arto, un muscolo..."

Visione si avvicinò alle due, porgendo loro due margherite. Elle la prese fra le dita, sorridendogli. "Sei più simile a me che a Wanda, Elle Selvig. Devi ancora capire cosa si muove dentro di te. Qualunque decisione tu prenda, saresti la benvenuta fra noi." disse l'androide.

"Sei già sotto osservazione, comunque..." Commentò Wanda prima che Elle potesse ringraziare l'androide per le sue parole gentili. I tre si girarono verso l'ingresso della struttura, dove Steve Rogers in uniforme da Captain America e Samuel stavano parlando fra loro. Steve la fissava, con lo sguardo un po' aggrottato, rispondendo a qualcosa che aveva detto l'amico. Lei ricambiò, curiosa. La ruga che si era formata fra gli occhi di lui, quella che aveva associato alla  preoccupazione, si distese leggermente. Le sorrise.

"Elle, fra te il Capitano..." chiese Wanda, richiamando la sua attenzione. Era strano per Wanda, non sentire nessun pensiero provenire dall'amica. Forse proprio per questo le piaceva parlarle.

"Non c'è nulla." sospirò Elle, stringendosi le ginocchia al petto.

"Non lo pensi sul serio..." Ridacchiò la mora, alzandosi. Elle la osservò di sottecchi.

Rogers si era diretto verso il trio a passo svelto, lo scudo già sulla schiena.
"Preparatevi, andiamo a fare un giro." disse a Wanda ed a Visione. I due, senza scomporsi, si alzarono e salutarono Elle con un cenno. Lei rimase seduta, un po' stranita. "E' successo qualcosa?" Chiese, guardando la schiena dell'amica che si allontanava.

"No, però dobbiamo andare a fare un sopralluogo verso l'Alaska. Sono arrivate delle strane trasmissioni." disse lui, guardando un punto fisso verso l'orizzonte. Elle si alzò, passandosi le mani sui jeans scuri. “Maria ha parlato di alcuni impulsi elettromagnetici.” Proseguì l'uomo, a voce bassa.

"Allora non ti aspetterò per cena." Ridacchiò nervosamente lei, calcando le mani nelle tasche del giaccone. Lui la guardò serio, poi si fece scappare una smorfia simile ad un sorriso. "Si, non penso farò in tempo." 

"Cosa ti preoccupa?" chiese Elle, avvicinandosi appena ed osservandolo in volto. Lui si passò una mano fra i capelli a spazzola, sospirando. "Niente."

"Ci vediamo almeno un'ora tutti i giorni da quasi un mese." Sogghignò lei. 'In più posso leggerti nel pensiero, se voglio.' Aggiunse mentalmente. Ma non era l'occasione giusta per sparare fuori un'informazione del genere. Lui la guardò serio.

Elle si guardò la punta delle scarpe, riflettendo. Poi alzò lo sguardo sull'uomo.

"Se torni presto potremmo guardare City Lights insieme. O qualche film di quando eri giovane."

Lui le sorrise ancora, ma anche questo sorriso non arrivava agli occhi. Elle era un po' agitata, le sembrava che il Capitano fosse in ansia. Decise di ripiegare velocemente in territorio amico. Si era scoperta già abbastanza per quel giorno. 

"Ok, vado a salutare Natasha e Samuel. Tu ed Iron Patriot, o War Machine o come preferite voi, non picchiatevi per quello più patriottico. Tutto questo blu e rosso fa venire l'orticaria." Ridacchiò poco convinta. Gli diede un pugnetto sulla spalla, abbassando lo sguardo, interrompendo lo scambio di occhiate.

Ed il pensiero la colpì come un pugno in pieno viso.


Vide se stessa mentre si allontanava di un passo. Lui, improvvisamente, la afferrava per un braccio, come la prima volta che le aveva chiesto di accompagnarla a cena. Lei si girava a guardarlo, con gli occhi sgranati per la sorpresa. 

Era stano vedersi da fuori: le gote rosse, pochi ciuffi che uscivano dalla treccia ordinata, lo sguardo perso. Era veramente così, ai suoi occhi?

Lo vide avvicinarsi a lei, con uno sguardo curioso e leggermente agitato. Lei alzava il viso per vederlo meglio, con un'espressione preoccupata. Lui la stringeva contro di sé, fissandole le labbra rosee, e poi gli occhi. Lei sembrava irrigidirsi, ma non si spostava di un millimetro. Poi, senza preavviso, lui abbassava il capo e poggiava le sue labbra sulle sue, stringendola per i fianchi. Lei appoggiava una mano sul suo viso, mentre il bacio si approfondiva. Lui allontanava il viso, sorridendo sulle sue labbra, e stringendola forte. Lei lo guardava, la testa inclinata verso l'alto, lo sguardo sconvolto.

"Non sai quando ho desiderato questo momento." Le sussurrava lui, viso a viso. E lei appoggiava il capo sul suo petto, senza aggiungere nulla, il sorriso nascosto contro la sua uniforme.


"Selvig?"

Rogers la guardava, preoccupato. Era comprensibile: stava impalata davanti a lui, con il respiro accelerato, guardandolo con gli occhi probabilmente iniettati di panico. "Devo andare!" Biascicò con tono appena udibile, girandosi di scatto.

"Elle!" la chiamò lui, facendo un passo verso di lei.

"Anche tu dovresti andare!" rispose stizzita lei, accelerando il passo.

Steve la guardava, preso alla sprovvista. "Ci vediamo, quando torno?" esclamò interrogativo.

"Si, certo." Elle si voltò un secondo, facendogli un cenno con il pollic alzato, senza incontrare il suo sguardo perplesso. Ripartì a passo di marcia, diretta verso l'ingresso. Sentiva uno sguardo blu che le perforava la nuca. Fece finta di nulla, ma la sua mente era in subbuglio.

E il suo cuore minacciava di risalire l'esofago e scapparle fuori dalle labbra.


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Il vecchio laboratorio era ormai spoglio. Era stato fatto malamente esplodere da qualcuno, probabilmente al solo scopo di distruggere delle prove che risultavano in ogni caso evidenti.

Le pareti, ghiacciate dalla brina, stavano cedendo alla notevole quantità di neve che aveva già fatto sprofondare il soffitto di tegole in amianto.

Maledette tattiche naziste.” Commentò Samuel, scendendo dal Quinjet avvolto in una grossa giacca termica. Erano in uno degli spiazzi più nevosi ed esposti al vento del nord dell'Alaska, in un tentacolo peninsulare che dava direttamente sull'oceano. Sentivano anche dall'alto dei novanta metri della scogliera il gorgogliare delle acque scure sotto di loro. Steve lo seguì, stringendosi anche lui in una grossa giacca nera, gli stivali di Captain America che sprofondavano nella sostanza ghiacciata. Wanda uscì dallo stabile abbandonato, mentre Visione seguiva ogni suo movimento con attenzione. Era l'unico che non sembrava nemmeno accorgersi del freddo polare, mentre i denti di Wanda battevano violentemente. La ragazza, i capelli stranamente legati in una coda bassa che usciva goffamente tra il cappello e la coperta argentata che la avvolgeva, si voltò verso i due uomini.

Capitano!” Urlò a pieni polmoni. Steve si girò, vedendola fare ampi gesti con le mani. “Abbiamo trovato qualcosa!” Iron Patriot atterrò poco distante. “Non c'è nulla nel raggio di chilometri, Capitano.” Riferì, la voce alterata dalla maschera di acciaio. Steve annuì. “Tornate nel Quinjet dalla Vedova. Tutti tranne Samuel.”

I due entrarono nel complesso, seguendo le indicazioni di Wanda dal trasmettitore, la voce profonda della donna che tremava leggermente per la temperatura artica. “Ora guardate in basso. C'è una grossa botola.”

Bingo!” Esclamò Samuel. Steve lo guardò, annuendo. Diede un paio di calci alla porta in lamiera, sfondandola. Samuel fece un ampio gesto con la mano. “Prima gli anziani.”

Steve lo fulminò. “Posso sempre lasciarti qui a congelare un po'.”

Scese nell'apertura, sentendo l'aria pesante. Era in un tunnel poco profondo; le pareti, anche in quel punto riparato, ghiacciate. Samuel atterrò malamente vicino a lui.

Porca Puttana, le catacombe dell'Alaska mi mancavano.” Biascicò, togliendosi lo sporco dai pantaloni. Steve gli fece cenno di stare in silenzio.

Dove siamo?” Sussurrò fra se e se. Un Bip alquanto fastidioso risuonava per tutto il tunnel. Lo stesso segnale che avevano captato alla base. Samuel rabbrividì.

Immagino che adesso dirai che dobbiamo andare a vedere...” Sussurrò l'amico, spalla a spalla. Steve annuì.

Allora andiamo.” Esclamò l'uomo, seguendo la sagoma dello scudo del suo Leader nell'oscurità.

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Capitolo 5
*** 05.Passato ***



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ATTO QUINTO: Passato

"Icy roads beneath my feet,
Lead me through wastelands of deceit.
Rest your head now, don't you cry,
Don't ever ask the reason why."

OPETH



Maggio 2012

Elle stava correndo per la strada, avvolta in una nuvola di polvere. Ovunque attorno sentiva boati, il rumore degli edifici che si sgretolavano, i versi strozzati delle persone costrette a terra ed uccise da esseri vagamente antropomorfi, più simili a lucertole che a uomini.

Tutto intorno a lei stava crollando. L'aria sembrava ovattata, mentre correva, come non aveva mai corso, cercando di capire come uscire da quella situazione irreale.

Si abbassò a sporcarsi il viso di polvere, come avrebbe fatto in zona di guerra; davanti a lei un cadavere dal viso deformato da un forte colpo, probabilmente proveniente da qualche genere di arma da fuoco ustionante. Elle represse un conato, avvicinandosi a studiare la ferita che trasudava sangue e una sostanza purulenta che non le premeva verificare. Vide una di quelle creature sparare contro un uomo a pochi metri da lei, tramite un grosso fucile simile ad uno scettro. Il raggio scuro colpì l'uomo all'addome, facendolo volare all'indietro per diversi metri, in una cascata di sangue. Elle rimase pietrificata, guardando l'uomo crollare a terra inerte.

Potevano essere armi al fosforo? Che tipo di nemico stava affrontando?

Escluse qualsiasi tipo di terrorismo: quelle creature non erano sofisticati costumi. Erano vive, pensanti. Non erano nemmeno Cyborg. Si abbassò per evitare uno di quegli esseri ed il suo mezzo volante.

Quella mattina, non si era svegliata preparata a questo. Aveva messo delle scarpe eleganti ed una camicetta color cipria, pronta ad affrontare un colloquio per un lavoro normale. Aveva deciso, avrebbe lasciato la vita da mercenario, errante fra i vari corpi dell'esercito che l'avevano ospitata fino ad allora. Aveva fissato un incontro per entrare nella New York State Psychological Association con il dottor Carmichael al Presbyterian, nel reparto psichiatria. Era in centro solo per qualche commissione veloce,prima di dirigersi dal suo referente sulla trentanovesima. Ed era lì che aveva trovato una zona di guerra, a migliaia di chilometri dalla sua ultima missione in Medio Oriente.

Si levò le scarpe eleganti che non le permettevano di andare più veloce e si appoggiò con le spalle al muro dell'edificio che svoltava sulla strada principale. La polizia sparava all'impazzata contro quei cosi, senza nemmeno scalfirli. Elle continuò a correre, trattenendosi dal cercare volti familiari nella polvere. Cercò mentalmente di concentrarsi sul colloquio che avrebbe dovuto avere: sperò che arrivare in ritardo a causa di un attacco alieno non l'avrebbe svantaggiata. Emise un suono che ricordava una risata isterica, scavalcando con un salto il cadavere di un agente. Si abbassò, prendendo la pistola dalle mani rigide a causa del rigor mortis. Doveva essere a terra da quando era cominciato l'attacco, circa un'ora e mezza prima.

Nel cielo, un gigantesco buco dava l'idea che il mondo stesse per finire. Si vedeva lo spazio viola, attraverso quella voragine spaventosa. Elle si abbassò di colpo, sentendo un'esplosione vicino a lei. Vide passare qualcosa di non identificato davanti al suo viso, mentre una donna passava correndo davanti a lei, tenendosi le orecchie insanguinate con le mani sporche di terra. La avvicinò, prendendole le mani fra le sue, imbrattate di sporco.

Stanno combattendo, laggiù!” Disse la donna, indicando verso il centro di Manhattan.

Ci sono degli uomini che combattono! E Tony Stark!” Esclamò ancora questa. Vedendo il suo sguardo perso, la lasciò indietro, correndo nella direzione opposta.

Le fischiavano le orecchie, mentre si guardava attorno, respirando profondamente nonostante la polvere.

Aveva del sangue che colava da un taglio sulla fronte. Passò la mano a raccogliere il liquido che le colava dalla ferita prima che scivolasse nell'occhio. Una creatura si avvicinò, emettendo un sogghigno inumano. Elle la guardò togliersi una specie di museruola dal volto, ringhiando contro di lei. Per risposta, non riuscì a trattenersi dal mostrargli il dito medio. La creatura portò davanti al corpo la strana arma, avanzando con passo pesante.

Elle fece un salto in avanti, afferrando con entrambe le mani lo scettro e lanciandosi con il corpo contro la creatura, le ginocchia serrate. Il colpo la fece barcollare indietro, mentre Elle tratteneva lo scettro con le braccia toniche. Colpì la base del polso alla tempia, schivando un colpo alla testa. Un pugno quasi la colpì al costato, mentre Elle lasciava la presa sullo scettro e si lanciava in un'aggraziata capriola all'indietro. Trovò l'equilibrio, i piedi nudi sporchi di terra e feriti dalle schegge di vetro. La creatura lasciò cadere lo scettro, gorgogliando una risata. Fece per afferrarla per un braccio, mentre Elle rotolava dietro la sua schiena e poggiava i piedi alle sue spalle con un salto. Afferrò con le mani la testa, per poi lanciarsi a lato e storcerla con un verso selvaggio. Il collo della creatura fece uno scricchiolio sinistro, gli occhi vuoti che la guardavano sconvolti. Elle si asciugò il sangue che colava dalla fronte, voltandosi.

Altre due creature la guardavano, correndo nella sua direzione. Elle afferrò lo scettro, piantandolo a terra con forza. Vi si aggrappò, colpendo una delle due creature con entrambe le gambe. La placcò a terra in una morsa con le ginocchia, mentre il compagno cercava di colpirla con il fuoco dell'arma. Elle smise di contorcersi, sollevando a fatica un arto della creatura per parare il colpo. Questa ululò per il dolore.

Elle si alzò, estraendo l'altro scettro dal terreno e usandolo per parare un colpo di lama della creatura. Si voltò, infilzando quella che era a terra.

Sentì un singhiozzo e si voltò di scatto. La creatura la colpì alla nuca con l'arma, guardandola rantolare a terra. Elle rotolò di lato, evitando i colpi di taglio dello scettro. Si alzò con un colpo di reni, il sangue che colava dal labbro inferiore spaccato. Con un ringhio, estrasse la pistola dell'agente dalla cintola dei pantaloni e sparò tre colpi dritti al centro della fronte della creatura. La sostanza celebrale schizzò dietro, mentre l'essere si accasciava alle sue spalle. Elle sentì ancora il singhiozzare sommesso, alle sue spalle, e si voltò di scatto.

Avanzò verso quel rumore, il viso completamente imbrattato di sporco e sangue. Estrasse l'arma aliena dal terreno, sforzandosi con una strizzata d'occhi a salire su un cumulo di macerie. C'era una bambina, a meno di sei metri da lei.

Una bambina, il viso contornato da una chioma di ricci scuri castani, in piedi ed in lacrime, con ai suoi piedi una donna. Una donna con una voragine nel petto. Una creatura si avvicinava, gorgogliando. Puntò la sua arma verso la bambina, e questa emise una flebile luce blu.

Elle trattenne il respiro, alzando una mano verso l'arma, d'istinto. Questa, con un sibilo, si spense.

Elle ridacchiò istericamente,mentre la creatura sbatteva l'arma contro il cofano di una macchina, confuso. La donna avanzò piano, scendendo dalle macerie con passo malfermo. La bambina si voltò a guardarla, la pelle scura del viso sporca di terra e solcata dalle lacrime.

La creatura lanciò lo scettro contro la piccola con un grugnito. Elle mosse con forza la mano, e l'arma di conficcò a terra, a pochi passi. Come se fosse rimbalzata sul muro.

Elle sgranò gli occhi, allungando l'altra mano, la sinistra, verso la bambina. Questa la guardò, gli occhi gonfi. Doveva avere circa tre anni, tre anni e mezzo.

Vieni qui...” Sibilò Elle, facendole un cenno. La bambina la guardò spaventata. “Dai, piccolina.” Questa la guardò un attimo, poco convinta. Elle strizzò gli occhi. Non ci sapeva proprio fare con i bambini.

L'alieno prese un sasso dal terreno, lanciandoglielo contro. Elle si voltò di scatto, mentre l'oggetto rimbalzava contro una corrente azzurrognola. Elle sgranò gli occhi. L'alieno raccolse l'arma, avvicinandosi alla bambina.

Elle si lanciò, mettendosi davanti alla piccola ed abbracciandola, una mano istintivamente a tenerle il capo e l'altra con il palmo alzato, rivolto contro l'essere. Chiuse gli occhi.

'Questa volta è finita sul serio...'

La creatura sparò contro di loro, la bambina che piangeva a pieni polmoni. Elle sentì un boato. Aprì gli occhi, tenendola con un braccio dietro di sé.

Una patina azzurra le avvolgeva. Una sfera, di pura energia pulsante, di un pallido azzurro. Il colpo dell'alieno era volato indietro per il contraccolpo, spargendo i suoi resti tutt'intorno alle due. Un odore di bruciato, e di morte, le fece venire un conato.

Elle non si fece tante domande. Prese in braccio la bambina e cominciò a correre lontano dal centro di New York.

Quando arrivò a casa, aveva i piedi feriti in maniera molto grave. I pantaloni scuri erano strappati in più punti, e la camicetta era completamente irriconoscibile. I capelli puzzavano di sangue.

Aveva percorso gran parte della strada statale vuota, a piedi, con la bambina di colore attaccata al collo, carezzandole i capelli ricci e sussurrandole cose rassicuranti. Vicino a lei, centinaia di altre persone camminavano nella stessa direzione, tutti in silenzio. Qualcuno piangeva.

I volti segnati dallo sporco e dal sangue, zoppicanti e assordati dalle esplosioni. Ma vivi.

Arrivò a casa, un appartamento a Riverdale che aveva affittato per l'occasione. Si guardò allo specchio, sotto choc, con una bambina in braccio.

Andò dritta nel bagno, dove appoggiò la piccola nella vasca e si precipitò sul water, vomitando senza controllo, gli occhi che lacrimavano. La bambina si riebbe, scoppiando a piangere a dirotto.

Elle la riprese in braccio, cullandola, trattenendosi dal crollare a terra. Aprì l'acqua calda nella vasca, entrandovi con tutti i vestiti e tenendo la piccola in grembo.

Rimasero vestite, con l'acqua che si sporcava di polvere e sangue, senza parlare, gli occhi pieni di orrore e il cuore ghiacciato dalla paura.


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Ottobre 2015


"Ciao Loretta..."

La vecchietta sistemò gli occhiali sulla punta del naso, mettendo a fuoco la donna fuori dalla sua porta.

"Oh, Elle cara!" Si fece da parte, facendole segno di entrare "Finalmente sei arrivata! Ho appena tirato fuori il pasticcio di carne dal forno!"

Elle strinse il naso, entrando nel piccolo ingresso, le pareti coperte da pannelli in legno scuro e le scale che davano al piano superiore che cominciavano poco dopo la porta di casa. La signora West non era una cuoca particolarmente abile, e l'odore che impregnava l'aria non era esattamente invitante, ma era a casa
"Come stai?" chiese, appoggiando un grosso sacchetto a terra, nell'ingresso, e togliendosi la giacca di pelle scura. "Non c'è male, non c'è male. Ero un po' preoccupata per River, ma ora sta meglio anche lei."  Elle fece un sospiro di sollievo, appoggiandosi allo stipite dell'arco che portava alla piccola cucina, il bancone che dava direttamente sul soggiorno, dove stava anche il tavolo dove mangiavano. Loretta, il grembiule slacciato e l'aria contenta, estrasse con due presine il grosso involto dal forno, appoggiandolo sul ripiano del fornello. 

"La febbre è scesa ed ha smesso di grattarsi. Devo ringraziarti ancora, l'assegno della pensione è arrivato tardi questo mese e..." La vecchietta abbassò lo sguardo, toccandosi e ginocchia con aria stanca.
"Non devi sentirti in debito, Loretta. Sai che basta telefonare." Elle sorrise, appoggiandole le mani sulle spalle. "Vai a sederti in poltrona, mancano ancora due ore a mezzogiorno." L'anziana scostò un boccolo scuro dal volto, guardandola con le labbra strette in un sorriso. "Gradisci una tazza di the?"  
Elle si allungò a prendere il bollitore, riempiendolo nel piccolo secchiaio, mentre Loretta andava ad accomodarsi in poltrona. "Per fortuna ti hanno dato una giornata libera, finalmente!" Commentò con un sospiro l'anziana. "Quando pensi di sistemarti, signorina? Non mi piace vederti correre per il mondo a metterti in pericolo. Sei così carina."  

Elle sorrise. "Fra pochi anni, magari. Sarai la prima a saperlo, quando avrò trovato il compagno giusto."

Una bambina di colore, dai lunghissimi capelli castani molto ricci, corse verso di lei come una scheggia impazzita, planandole fra le braccia, mentre Elle la allontanava dal bollitore facendo un passo avanti.

"Ranocchietta!" La chiamò Elle, stringendola fra le braccia e stampandole  tanti baci rumorosi sul viso, mentre la piccola rideva, nascondendo il viso contro la sua clavicola. "Come sta la mia piccola peste?" chiese, facendola sedere sulla penisola. Iniziava ad essere pesante, per essere tenuta in braccio a lungo.  

"Perché non rispondi ad Elle, River?"  La incoraggiò Loretta, dalla sua poltrona, la tv che mandava una vecchia soap opera Argentina. River rimase compostamente in silenzio, seduta con i piedini a penzoloni, mentre il bollitore iniziava a fischiare ed Elle recuperava con calma tre tazze dall'acquaio. Le riempì, la pace della casa che la pervadeva, la sua bambina che la guardava sorridendo appena e Loretta che borbottava qualcosa contro i personaggi che scorrevano sullo schermo. Mise le bustine nelle tazze, River che giocava immergendo e ritirando la bustina, tenendo lo spago di cotone fra le piccole dita scure. 

"Mi hanno detto che qualcuno qui ha ricevuto un sacco di regali di compleanno, Mercoledì a scuola!" Esclamò Elle, sorridendole. River annuì convinta, allungando un braccio. Qualche compagna le aveva fatto un braccialetto di perline, il suo nome in caratteri neri in mezzo a tutte quelle minuscole biglie colorate. "E' bellissimo!" Esclamò Elle, avvicinando il viso per guardarlo meglio. Inidicò poi con un cenno del mento il grosso sacchetto rosso che aveva appoggiato vicino al divano. "Non so se il regalo che ti abbiamo fatto io e Natasha può competere..." 

River fece un sorriso smagliante, due dentini davanti che mancavano all'appello, mentre Elle si allungava a prenderla e la appoggiava con i piedi a terra. La babina corse verso il pacco, inginocchiandosi a terra.
"Felice compleanno, River." Commentò  Elle, portandosi la sua tazza alle labbra,  mentre la bambina scartava con foga il pacco ed estraeva una grande bambola dalla pelle scura.

River la guardò con un enorme sorriso, senza parlare. Elle si abbassò sulle ginocchia, abbracciandola dolcemente e  schioccandogli un bacio sulla nuca. “E' anche da parte della zia Nat.” Esclamò, sforando con le dita pallide il vestito di pizzo verde chiaro della bambola. "Ricordati di ringraziarla quando la vedi."  River annuì, prima di correre a far vedere la bambola alla nonna.

Sei sicura di non poter essere contagiata dal morbillo?” Chiese l'anziana donna, la pelle scura del viso increspata in un sorriso. Elle si strinse nelle spalle

Non temo un semplice morbillo, e poi deve esserle passato, sta molto meglio della scorsa settimana.” La signora ridacchiò, mentre River correva su per le scale, verso la sua stanza, probabilmente a guardare i vestiti che poteva far indossare alla bambola. 

Allora, come sta Natalia?” Elle ridacchiò. “Molto bene. Adesso che lavoriamo insieme, vedrai che passerà più spesso.”

Nessun bell'uomo all'orizzonte?” La signora West arricciò le labbra, sospirando. “Alla vostra età, andavo fuori ogni sera con un bell'imbusto diverso.” 
Si alzò lentamente, le braccia che reggevano il suo peso contro il braccioli, e si diresse ciabattando verso la cucina. Elle ridacchiò, , incassando il colpo. “Non vi capisco...” Proseguì la donna. “Siete così delle belle e deliziose ragazze, non può essere che nessuno vi chieda di uscire.” Elle fece un gesto ampio con le braccia, dopo aver appoggiato la tazza sul bancone. “Il destino.”

Non esiste il destino, coccola mia. Esiste solo chi non ha tempo per prestare attenzione alle cose veramente importanti.” Le agitò contro una mano, mentre Elle sorrideva timidamente.

E Natalia? Vede ancora quel bel dottore di cui parlavate?”

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L'odore acre di quel posto faceva lacrimare gli occhi.

Steve si abbassò, per passare da una porta sfondata, mentre Samuel dentro di lui pestava rumorosamente dei calcinacci, una mano sul volto a coprire il naso.

Steve...” L'uomo si girò, vedendo l'amico piegato sulle ginocchia. Si avvicinò.

Guarda...” Samuel si alzò, spazzando con il piede un oggetto sul pavimento scheggiato.

Un grosso bisturi sporco di sangue. Rogers strizzò gli occhi, inquieto.

Quindi questo sarebbe-”

Un laboratorio dell'Hydra.” Visione spuntò dietro di loro, galleggiando pigramente a venti centimetri da terra. Indicò una parete, e Samuel puntò contro questa una torcia.

Volevano fabbricare qualcosa...” Commentò Sam.

O qualcuno.” Esclamò tetramente Steve. “Venite a vedere.”

Una grossa gabbia occupava un quarto della stanza a fianco. Dentro, un corpo marcescente, i avanzato stato di decomposizione. Visione lo osservò bene, avvicinandosi.

Era un uomo.” Esclamò poi. Steve aprì le labbra, improvvisamente il cuore pieno di terrore.
“No, non era in sergente Barnes.” Concluse l'androide. “Questo ragazzo aveva meno di vent'anni. Basta guardare...” Indicò un ammasso di ossa. “...Il calco dei denti.”

Steve avanzò un poco. Un grosso tavolo operatorio, oberato di piante rampicanti e mezzo fuso dall'esplosione, occupava parte della sala.

Non voglio immaginare cosa hanno fatto qui.”

Steve...” Samuel era andato nella direzione opposta, e gli dava le spalle, i muscoli rigidi.

Cosa hai trovato, ora?” Esclamò Rogers, voltandosi.

Devi venire a vedere.” Sentì Sam cercare qualcosa nelle tasche. Estrasse il cellulare.

Guarda...”

Davanti ai due stava un grosso sarcofago, in stagno, con una semplice finestra sopra la parte alta. Steve rabbrividì, mentre Sam cercava una foto sullo smartphone. Gli passò la torcia, levandosi un guanto con i denti. Iniziò a scorrere la galleria immagini, la maggior parte delle quali ritraevano una bimba sorridente, prima senza un incisivo, poi con un vestito da principessa in chiffon rosa. Si fermò su un'immagine, completamente fuori contesto in mezzo alle foto che Steve sapeva fossero di Chyntia.

Qui è dove è stato svegliato l'ultima volta.” Sussurrò Samuel. Steve osservò l'immagine che gli stava mostrando l'amico. Faceva parte del faldone del Soldato d'Inverno, e ritraeva Bucky in quello stesso sarcofago. Steve emise un respiro strozzato.

Qui è dove è stato portato prima che gli venisse ordinato di ucciderti.”

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Dopo aver finito di sistemare tutte le stoviglie, Elle si sedette con River sul tappeto a giocare con la bambola, facendola ballare e bere da un minuscoo servizio da thè.


Per cena era andata a comprare della pizza per tutte e tre. Avevano mangiato, chiaccherando del vicinato, e poi guardato i cartoni in televisione. La signora West si era addormentata sulla sua poltrona dopo dieci minuti di
The Powerpuff Girls, russando sonoramente, mentre Elle stava sul tappeto, la testa di River in grembo, passandole le dita fra i capelli scuri e  ascoltando il suo respiro.
 L'orologio della cucina, a fantasia di colibrì, fischiò le dieci di sera. La donna rovesciò la testa indietro sulla seduta del divano, sospirando.

Sentendola muoversi, River si strinse leggermente ai suoi jeans. Elle soffiò una rassicurazione, abbassandosi a baciarle la nuca. River sospirò, tornando a respirare profondamente. Era ora di tornare alla solita vita, quella dell'ufficio. 

Delicatamente, se la sollevò fra le braccia, alzandosi lentamente. La strinse un po' a sé, stampandole ogni tanto un bacio sulla fronte. Si avvicinò a Loretta, facendole un buffetto con la mano libera. L'anziana si riscosse, facendole un cenno. Elle sorrise.


Vai pure a dormire, la metto a letto io, poi chiudo la porta con le mie chiavi.” Loretta accettò, alzandosi lentamente e sporgendosi per  baciarla su entrambe le guance e dirigendosi al piano di sopra.

Elle rimase un secondo di più nel piccolo soggiorno, le pareti che lei e Nat avevano verniciato, i mobili che avevano scelto tutte insieme, tenendosi il dolce peso della bambina, di sua figlia, fra le braccia.  Lasciare quel posto la faceva sempre diventare malinconica, ma se voleva dare un futuro alla bambina che teneva fra le braccia, doveva stringere i denti e continuare. Stava lottando per un mondo migliore, un mondo dove nessun bambino dovesse soffrire a causa della politica e del potere. Stava facendo del suo meglio.

Si avvicinò alle scale, sistemandosi meglio River addosso, quando suonarono alla porta. Con la bambina allacciata al collo, tenendola con un braccio sul fianco buono, si avvicinò alla porta e guardò dallo spioncino.

Natasha, le sopracciglia aggrottate e le belle ciglia che toccavano gli zigomi pronunciati, osservava lo zerbino con insolito interesse. Elle aprì un poco la porta, con uno sbuffo per il peso di River. Le due donne si sorrisero, ed Elle non poté non notare la stanchezza sul viso dell'amica.

"Che ci fai qui? Potreste già essere a casa. A fare una doccia calda.”

"Fury mi ha detto che ti eri presa la giornata, ho immaginato che tu fossi qui per il compleanno di River." Sorrise la rossa, con un pacchettino in mano. Accarezzò la nuca della bambina con la mano libera, mentre Elle si sporgeva leggermente oltre l'uscio. Natasha proseguì, facendole l'occhiolino. "Siamo passati a prenderti."


Elle la guardò sorpresa. Con Natasha c'erano anche Samuel e Rogers. Il secondo la guardava, appoggiato all'auto con le braccia incrociate, un sorriso stanco sulle labbra. Samuel, le braccia distese sul tettuccio del Suv scuro, le fece un cenno con la mano.

La svedese rabbrividì, stringendosi meglio River addosso.

La metto a letto ed arrivo." disse, facendo cenno a Natasha di entrare. La rossa scivolò in casa, senza emettere un fiato. Elle la scrutò un secondo, prima che salissero le scale di legno, emettendo scricchiolii ad ogni passo.

Sei ferita?” Sussurrò Elle, tenendo con la mano la nuca di River. Natasha negò con il capo. “Non ci sono stati scontri.” Sussurrò. Elle sospirò di sollievo.

Non dovevi venire fin qui. Si vede che siete stanchi.” Natasha annuì.

Mi sono lasciata sfuggire con Rogers che saresti tornata a casa in taxi. Ha insistito lui.” La rossa si strinse nelle spalle con un sorrisetto malizioso. Elle rabbrividì, arrossendo.


Sai bene che sarebbe più in pericolo il tassista, che io.” Natasha sollevò le coperte, mentre Elle appoggiava la bambina con delicatezza sul materasso foderato di rosa.
Non è una questione di sicurezza. Si chiama riguardo.” Commentò piano Nat, sollevando il lenzuolo e le coperte. Ci passò sopra le mani, lisciando la superficie sopra la bambina. Elle le rimboccò sotto il materasso, così che River non si scoprisse i piedi muovendosi nel sonno.
Nat si piegò a baciare la bambina sulla fronte, lasciando un pacchettino sul piccolo comodino.

Sono le scarpe nuove per la bambola, quelle belle." commentò la rossa, ridendo piano. "Non ho resistito, quando le ho viste.” Elle alzò gli occhi al cielo, con un sorriso, mentre Natasha usciva dalla stanza. Elle baciò la piccola ed uscì, lasciando la porta socchiusa e la luce del corridoio accesa. Si fermò davanti alla porta della signora West per sussurrarle che stava partendo, ma la risposta fu un profondo russare. Elle e Nat si guardarono ridacchiando sottovoce.

Capisco perché sono venuta.” Commentò Natasha, guardando Elle indossare la giacca e la grossa sciarpa rosso scuro. “Avevo bisogno di questo..” Indicò attorno a sé, la vecchia casa.

Ricordi quando abbiamo riverniciato tutto?” Ridacchiò Elle, e Nat annuì con una linguaccia.

Anche io avevo bisogno di questo...” Elle spense la luce del soggiorno, mentre Nat apriva la porta d'ingresso. Elle la seguì fuori, chiudendo con attenzione la porta con il mazzo di riserva. Samuel era già seduto al posto di guida, mentre Steve le aspettava ancora appoggiato alla portiera del passeggero posteriore. Aprì la portiera per le due donne, aspettando che Nat si fosse accomodata sul sedile del passeggero anteriore per chiuderle la portiera. Elle lo guardò un secondo, facendo il giro ed aprendosi la portiera dal lato opposto al marciapiede. Steve sorrise della irremovibilità della collega, ma non disse nulla.

Samuel partì, senza dire molto, mentre Nat ed Elle seguivano la sagoma della casa con lo sguardo. Elle si riscosse, quando i suoi occhi incontrarono quelli dell'uomo al suo fianco sul sedile posteriore. “Come è andata la missione? Cos'era quella trasmissione?”

Macchinari. Qualcuno li ha attivati perché li trovassimo... Ed abbiamo trovato dell'altro.”

Hydra?” Sibilò Elle, strizzando gli occhi nella penombra dell'abitacolo, la luce intermittente dei lampioni che si rifletteva sui capelli dorati. Nat annuì, voltandosi appena. Steve sospirò.

Non ti piacerà, cosa abbiamo trovato.

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Ehilà!

Come promesso, ecco il nuovo capitolo.Appena arrivata a casa da lezione, sono corsa a pubblicarlo! Finalmente un pò di azione!

Si iniziano a vedere un po' di personaggio nuovi, ed approfondiamo un poco le dinamiche fra quelli che già conosciamo. Abbiamo avuto occasione di vedere Elle in forma smagliante, e poi un po' di squarci di vita quotidiana. Tra poco, si inizia a ballare seriamente.

Come al solito, suggerimenti, consigli e insulti sono sempre ben accetti nelle recensioni! Scrivetemi, anche solo per dirmi che non vorrete leggere mai più nemmeno una riga scritta da mois! :P

Informazioni di servizio: Ho curato un attimo la formattazione dei primi capitoli, che lasciava un poco a desiderare. Ora potrò togliere "Revisionata!" dalla trama. Il prossimo aggiornamento sarà LUNEDI'12!

Grazie ancora a Delta per accompagnarmi passo passo in questa storia! Davvero, leggere le tue recensioni mi fa venire voglia di rendere questa storia lunga come la Divina Commedia. Deltaworld è vicina!

Buon Lunedì a tutti!

Eve

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Capitolo 6
*** 06.Cambiamento ***


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Atto 6: Cambiamento


"Come and hold my hand, I wanna contact the living;

I'm not sure I understand

This role I've been given."

ROBBIE WILLIAMS



Ottobre 2015


"Lonely, I'm Mr. Lonely, I have nobody for my own..."

Samuel teneva un gomito appoggiato sulla portiera, l'altra mano intenta a manovrare il volante. Aveva attaccato il suo lettore musicale all'impianto del suv, cantando tranquillamente, l'espressione un po' meno sbattuta dei suoi colleghi. Natasha lo guardò, la fronte appoggiata sulla mano, sospirando.

"Can't believe I had a girl like you , and I just let you walk right out of my life..."

Elle guardò l'amica, un sopracciglio alzato, affossata nel suo posto sui sedili posteriori, mentre Steve sbuffava, battendosi una mano sulla coscia, imbarazzato.
"...after all I put you through , you still stuck around and stayed by my side..."

Elle si mise una mano sul viso per nascondere una risata sconcertata, mentre Samuel, decisamente poco intonato, proseguiva la sua performance. Natasha si strinse nelle spalle, voltandosi verso Samuel e, dietro di lui, Elle, e unendosi all'amico.

"...what really hurt me is I broke your heart, baby!" La rossa fece un ampio gesto con le braccia, facendo scoppiare definitivamente a ridere Elle. Steve sogghignò.

"You were a good girl and I had no right, I really wanna make things right!"

Samuel svoltò dalla via principale verso la strada statale, agitando la testa a ritmo, Nat che agitava la testa senza ritegno.
" 'Cause without you in my life girl, I am so lonely..."

"Fanno sempre così?" Sogghignò Elle, sporgendosi verso Rogers. Lui seguì il suo movimento, appoggiando la schiena al sedile più verso la ragazza. "Dovevi vedere quando c'era anche Stark. Sembrano le Boswell Sisters." Elle fece un cenno negativo con la testa, i grandi occhi cerulei che lo fissavano senza capire.

"Un quartetto vocale, andava forte nei '40." Esclamò semplicemente lui. Lei ridacchiò, ritornando sul suo sedile, le braccia strette attorno al busto. Rabbrividì.

"Hai freddo?" chiese Nat, sporgendosi dal suo sedile. Samuel allungò la mano sulla consolle del cruscotto ad accendere il riscaldamento. Elle fece un cenno negativo con la testa, stringendosi ancora di più nelle braccia.

"Tieni..." Steve le passò la giacca di pelle, gli occhi bassi. Elle sorrise, prendendo la grossa giacca ed avvolgendosela attorno alle spalle. "Grazie, Rogers."

L'uomo si strinse nelle spalle, le mani strette al sedile. "Figurati."

"Allora, volete aggiornarmi o...?" Chiese la svedese a voce alta, trattenendo un altro brivido.

Samuel spense la radio, mentre Natasha cercava Steve con gli occhi attraverso lo specchietto laterale. L'uomo annuì leggermente, gli occhi socchiusi.

"Abbiamo trovato la base Hydra." Cominciò Samuel. "Stavano svolgendo degli esperimenti."

"Di che genere?" Elle si pentì subito della domanda, vedendo Nat sospirare e Steve strizzare gli occhi blu. "Su esseri umani. Tipo Wanda e suo fratello." Steve si passò una mano sul viso, mostrandosi per la prima volta dal loro incontro, stanco e vulnerabile. Elle trattenne la curiosità, studiando il comportamento dei suoi compagni di abitacolo.

"Barnes?" Chiese alla fine, senza riuscire a trattenersi. Natasha fece un cenno di negazione con il capo, mentre anche Samuel cercava il volto dell'amico attraverso lo specchio retrovisore.

"No, niente Barnes." Rispose poi l'uomo, tornando a guardare la strada che scorreva davanti a loro. "Però abbiamo motivo di credere che sia stato svegliato dal coma indotto proprio lì, in Alaska."

Elle annuì. "Avevano distrutto tutto?" Steve annuì, agitandosi sul sedile. Appoggiò le mani sulle ginocchia, il respiro pesante.

La ragazza allungò timidamente una mano, sfiorando con le dita pallide le sue. L'uomo si voltò a guardarla, sinceramente sorpreso. Elle sorrise da dietro il bavero della sua giacca.


"Lo troveremo." Strinse leggermente la presa sulla sua mano. "Sicuramente sta bene. Sa badare a se stesso." Allontanò la mano, mettendola nella tasca della giacca. Steve rimase a fissarla per un secondo, nella penombra dell'auto, mentre lei fissava le luci intermittenti dei lampioni in silenzio.

~

"Quindi hai una figlia?"

Elle quasi non si strozzò con la bottiglietta d'acqua che aveva appena comprato alle macchinette del primo piano. Era in pausa, aveva appena finito di ultimare un colloquio con un agente per accertarsi che non fosse compromesso a causa della morte accidentale di una donna durante una missione. Elle aveva passato l'ultima ora a consolarlo, decidendo alla fine di esonerarlo dal servizio per due settimane. La seduta l'aveva lasciata leggermente spossata, quindi aveva visto il provvidenziale arrivo di Samuel e Rogers come una piacevole distrazione.

"Come potrei avere una figlia di colore?" sorrise verso Samuel "Sarebbe almeno mulatta."

"Non ci ho pensato. E' che sembravate così..." Samuel fece un gesto vago, facendo ridacchiare Elle e Rogers, in piedi davanti a lui.

No, non è mia figlia. Nemmeno mia parente.” Samuel la guardò perplesso, mentre Steve era solo leggermente curioso. Aveva già provveduto ad interrogare Natasha quella mattina, in merito alla bambina che Elle cullava la sera prima.

"Ho trovato River durante la battaglia di New York." spiegò infatti lei. “I suoi genitori erano già morti e non abbiamo rintracciato parenti in vita, a parte la nonna, la signora West.”

Samuel la guardò sorridendo dolcemente. “Sei stata molto altruista a prenderla con te.”

Elle negò. “Nessuno avrebbe fatto diversamente. River è speciale.”

Ti capisco. Anche se è mia figlia, Cynthia non è come le altre bambine della sua età. Lei è-”

Per la seconda volta, Elle quasi si strozzò con l'acqua, bagnandosi la camicetta azzurra.

Tu hai una figlia?

Samuel annuì, ridacchiando sotto i baffi. Steve si avvicinò ad Elle, battendole leggermente sulla schiena mentre questa tossiva. “Tutto bene?”

Elle lo guardò con gli occhi sgranati, le labbra esangui per lo sforzo. Bevve una decisa sorsata d'acqua, senza dire nulla. Samuel aspettava, ridendo a braccia incrociate.

Ovviamente, pochi sanno di Cynthia. Io e sua madre siamo divorziati da poco prima che lasciassi l'esercito.” Elle lo guardò un secondo, imbronciandosi leggermente.

Mi dispiace, Sam...” Lui fece un cenno negativo con la testa.

No, Elle, mi sono meritato di perdere Lisa. Sono fortunato...” Si guardò attorno, leggermente a disagio. “Non mi impedisce mai di vedere nostra figlia. Lei è la cosa più bella...” Elle annuì dolcemente. “Ti capisco. River ha cambiato tutto.”

Samuel le sorrise, mentre Steve li guardava curioso. “In che senso?”

Elle lo guardò un secondo, sovrappensiero.

Prima volevo solo partire per la missione seguente, non volevo mai restare a casa. Non riuscivo a rilassarmi, non restavo mai nello stesso posto più di due giorni. Avevo ancora il materasso imballato, nell'appartamento che avevo affittato a Riverdale.”

Bella zona...” Commentò Samuel. Elle annuì.

Dopo l'arrivo di River, ho capito che stavo buttando anche quel poco di vita che mi era rimasta. Non ho maturato abbastanza anni di servizio per andare in pensione, ma appena avrò guadagnato abbastanza per mantenerci e pagarle il college, andremo a vivere insieme in un posto più tranquillo." Fece ai due un cenno, ed andò a sedersi sulle scale. Samuel si accomodò vicino a lei, allungando le gambe.

Steve le sorrise. "E' un bel piano." Elle annuì, mordendosi l'unghia del pollice. Samuel le diede un colpetto sulla spalla. “Anche io sto lavorando per pagare il college di Cycy. Lei però per ora vuole fare la principessa...” Elle ridacchiò, mentre Samuel apriva una lattina di Pepsi.

Visto che hai una figlia, forse mi puoi aiutare.” Samuel tenne fra le mani giunte la lattina, il capo chino, mentre Steve ascoltava attentamente, un piede alzato sullo scalino sotto quello sul quale erano seduti i due.

Elle si passò una mano sul viso."Durante la battaglia, suoi genitori sono stati ammazzati davanti a lei. E lei non parla più." Samuel le diede una leggera spallata, riflettendo in silenzio.

Steve si sedette vicino a lei sullo scalino, sospirando. “Mi dispiace.”
"I bambini non dovrebbero vedere certe cose." Esclamò Samuel. “Uno psicologo infantile, magari? Qualcuno specializzato in traumi?” Elle annuì. “Hanno detto che serve tempo. Non può fare terapia finché non parla, quindi per ora mi limito a farla andare da una logopedista.” Samuel annuì. Elle appoggiò il capo sulla spalla dell'amico, Steve che la guardava dispiaciuto.

"L'hai presentata a tuo padre?" chiese, sperando di alleggerire l'atmosfera.

"Non c'è mai stata occasione. Lui se ne è andato da qui prima che assumessero me." ridacchiò nervosamente lei. “Non lo sa.”

Steve si guardò le scarpe, le ciglia che toccavano gli zigomi. “Mi sarebbe sempre piaciuto poter parlare con mio padre, da adulto.”

Te l'ho detto, mio padre se ne è andato quando avevo sei anni e...”

Ed i miei poteri si sono sviluppati. Per un secondo, Elle pensò che fosse il momento giusto per sputare fuori quella verità scomoda.

'Stai, Steve, io se mi concentro posso leggere nella mente delle persone. E posso anche spostare gli oggetti, anche se fatico ancora come se dovessi fare un incontro di boxe.'

"Vedrai che chiarirete." commentò Steve, guardandola con un sorriso.

Elle alzò il viso, fissandolo negli occhi per un secondo, in silenzio.

Uhm Uhm...” Samuel si alzò, cercando di fare più rumore possibile, mentre i due distoglievano gli occhi imbarazzati. Elle si mise una mano sul collo pallido, la treccia di capelli appoggiata alla spalla, allontanandosi leggermente dal Capitano. Dal canto suo, questo fulminò l'amico con lo sguardo.

Devo tornare in palestra... dovevo aiutare Rhodey a...” Sam fece un ampio gesto con le mani. I due amici lo guardarono allontanarsi senza emettere un fiato, Elle che si grattava il collo e Steve che fissava la punta delle scarpe.

Penso sia meraviglioso quello che fai per River.” Ammise improvvisamente lui, appoggiandosi alle braccia, voltando il viso verso di lei. Lei gli sorrise timidamente, stringendosi nelle spalle sottili.

Conoscendoti, pensavo fosse più probabile che i bambini li mangiassi, non li aiutassi...” Elle ridacchiò, dandogli un pugno contro la gamba. Steve scoppiò a ridere con lei.

Scherzo.”

No, hai ragione, sono stata imperdonabile con te nel mio primo mese qui.” Lei alzò gli occhi al cielo, un sorriso sghembo. “Lo facevo apposta, a farti imbestialire. Non ti sopportavo.” Ammise in un sussurro. Steve non poté trattenersi dal ridacchiare ancora.

Non posso darti torto, ero intrattabile.” L'uomo avvicinò il capo a quello della ragazza, sospirando.

Dopo Sokovia, e prima ancora il Triskelion...”

Non devi giustificarti con me, hai tante responsabilità, Capitano...”

Elle si sporse leggermente verso di lui, studiando quelle iridi così scure alla luce del corridoio. Per un secondo, pensò di allungare la sua mente verso quella di lui, vittima di un'insana curiosità. Voleva vedere cosa aveva visto lui, durante il crollo della città in Sokovia o quando aveva affrontato per la prima volta Natasha.

Lui si avvicinò ancora, con uno strano sorriso. Lei sentì il suo respiro sulle sue labbra, senza riuscire a distogliere lo sguardo. Steve le guardò le labbra, un secondo, il viso leggermente più rosato del solito. Se lo avesse visto da fuori,Elle probabilmente avrebbe riso per il suo imbarazzo. Ma era lì, davanti a lei, e l svedese era ancora più imbarazzata dell'oggetto delle sue osservazioni.

Lui era Captain America, e lei e lui battibeccavano tutto il giorno tutti i giorni da quando si erano visti la prima volta. Forse non si odiavano, ma di sicuro non erano due dolci colombe che tubavano su un cavo dell'alta tensione.

Lui allungò una mano verso il suo viso, fermandosi un secondo prima del contatto. La guardò intensamente, come per chiederle il permesso, ed Elle si ritrovò ad annuire senza emettere fiato.

Lui passò le dita sul viso diafano, saggiandone la morbidezza con i polpastrelli ruvidi. Lei aveva socchiuso gli occhi, beandosi del calore della sua mano.

"Elle..." sussurrò lui, avvicinandosi leggermente. Lei annuì, senza pensarci.

"Tu scotti." commentò lui, allontanandosi un poco ed appoggiandole il palmo di una mano sulla fronte in modo pratico. Elle strizzò gli occhi, contando fino a dieci.

Come, scusa?” Chiese, sperando che lui le stesse facendo uno scherzo.

Penso tu abbia preso una brutta influenza. Scotti.” Steve le saggiò la pelle della guancia con le dita, annuendo. “Sei bollente.”

Elle sgranò gli occhi, maledicendo ogni divinità conosciuta o sconosciuta.

"Ehm... hai la faccia piena di pallini rossi." Specificò Steve.

Elle si allontanò dall'uomo, strisciando indietro sullo scalino sul quale era seduta ormai da mezz'ora.

Hai ragione. Per fortuna dovevo lavorare su delle scartoffie, oggi. Vado in ufficio a prenderle e me le porto in stanza.” Esclamò, alzandosi e scendendo sul pianerottolo. Steve si alzò di scatto, istintivamente. “Ti accompagno.”

Elle fece cenno di no, sorridendo imbarazzata. “Vai dagli Avengers. Nat si starà chiedendo dove sei.” Lui annuì, guardandola serio.

Vai a farti vedere in infermeria, dopo.” Si raccomandò, guardandola dall'alto. Lei arrossì leggermente, salendo i due scalini che li separavano ed alzandosi sulle punte. Gli schioccò un timido bacio sulla guancia, sorridendo imbarazzata. “Non preoccuparti, Rogers.”


~


Ad eccezione di un insopportabile prurito, di un terribile mal di testa e della gola estremamente gonfia,Elle stava bene. Aveva solo trentanove di febbre, e si rigirava pigramente nel suo letto da quattro ore.

Maria era passata prima, affacciandosi solo dalla porta. Elle le aveva detto di essere solo stanca. In realtà, temeva di aver contratto probabilmente il morbillo o qualsiasi cosa avesse trattenuto River a letto per una settimana; non aveva fatto entrare nessuno per assicurarsi di non avviare una pandemia in tutta la base.

Così, quando poi, alle undici della sera, la bionda era strisciata in bagno ed aveva rigettato ciò che aveva mangiato in una vita intera, nessuno sapeva che lei stesse male a parte Rogers.

Rogers! Lo stesso che quel pomeriggio aveva baciato. Sulla guancia.

Con un rantolo, Elle si spostò dal sanitario, tirando lo sciacquone. Sarebbe rimasta in quel bagno in eterno, pur di non incontrare più i dolcissimi occhi blu del suo supposto capo.

Captain America! Si era messa in un bel casino, questa volta. Perché lui le piaceva.

E non come piaceva a Nat il dottor Banner -quello probabilmente era amore!- o come piaceva a Maria il lunedì mattina -quello sicuramente era amore- o come piaceva a lei, Elle, la cioccolata al latte inzuppata nel tea caldo fino a farla sciogliere.

Le piaceva come se lo avesse conosciuto da sempre, ed allo stesso tempo come se ogni volta che si incontravano fosse la prima.

La ragazza si trascinò nel letto, avvolta in una grossa coperta multicolore di lana grezza, regalo di Loretta. Aveva il naso che colava, e la pelle scottava in modo insopportabile.

Mandò un messaggio a Natasha per dirle che non ci sarebbe stata a cena, si accoccolò fra gli scomodissimi cuscini e si diede al sano zapping, fermandosi a guardare una vecchissima edizione di Casablanca con una delle sue attrici preferite, Ingrid Bergman. Una donna bellissima, piena di talento, e per di più svedese.

Chissà, se non avesse avuto il suo dono, come lo chiamava sua madre, cosa sarebbe diventata. Magari il padre sarebbe rimasto con loro. Strizzò gli occhi, passandosi un fazzoletto sotto al naso, mentre Sam cantava per Ilsa.

'You must remember this, A kiss is still a kiss, A sigh is just a sigh , the fundamental things apply...'

Elle spense con un gesto secco lo schermo. Cercò di scacciare i pensieri che la tenevano vigile, assopendosi in un sonno agitato molto prima di quanto si era aspettata.

~

Quando il giorno dopo Wanda entrò correndo in palestra, mentre Natasha e Steve si allenavano sul ring, lei che cercava di costringerlo a terra e lui che voleva liberarsi ma temeva di farle male, la rossa capì subito che qualcosa non andava.

Samuel era in libera uscita, probabilmente da Cynthia. Rhodes era in città a ultimare delle modifiche alla sua armatura con Stark. Visione era temporaneamente sparito. A dire il vero, Nat supponeva che l'androide fosse con Wanda, prima di vederla caracollarsi nella stanza con il fiato corto.

Dovete venire subito in infermeria!” Biascicò la ragazza, appoggiandosi al tavolo per prendere fiato. Natasha si alzò di scatto.

Che succede, Wanda?” Chiese Steve, osservandola preoccupato.

Elle... Selvig... E' stata ricoverata. E' svenuta mentre era con Maria...”

Natasha si lanciò giù dal ring, addosso solo il body sportivo e gli Yoga Pants fin troppo aderenti. Steve la seguiva a ritmo sostenuto.

Ieri aveva un po' di febbre...” Esclamò l'uomo, congelato dallo sguardo furibondo di Natasha. “Non me lo hai detto!”

Steve sbottò. “Elle è adulta, non devo fare un comunicato stampa perché ha la febbre!” L'uomo la seguì, quasi correndo per il corridoio affollato, la gente che si voltava a guardarli la rossa, i boccoli vermigli al vento e il corpo sudato. Anche lui portava una maglietta abbondantemente vissuta ed attillata, ma per ovvi motivi non faceva lo stesso effetto.

Spero che non sia nulla di grave...” Esclamò lei. “Oppure sarò molto arrabbiata con entrambi.”

Entrarono a passo di marcia nell'infermeria, dove Maria stava a braccia conserte, le labbra strette in una smorfia, a guardare oltre un vetro. Fury era vicino a lei, un'espressione tesa.

Bene, ci siete tutti.”

Steve non commentò quell'intrusione improvvisa nelle cerchie ristrette della Selvig, limitandosi ad annuire. Fino al giorno prima, nessuno si sarebbe sentito in dovere di contattare lui fra gli amici della Svedese. Nat fece un gesto spazientito, avvicinandosi al vetro ed osservando nella stanza.

Elle stava distesa, il corpo ricoperto di una patina di sudore, le dita delle mani che si flettevano a causa degli spasmi, il viso scavato di un colore tendente al grigiastro. Steve deglutì, riportando lo sguardo a Fury.

Che le sta succedendo?”

Maria si voltò, gli occhi leggermente arrossati. “Ieri Elle aveva una leggera febbre... In questo momento, la sua temperatura interna ha superato i quarantasei gradi centigradi.”

Natasha emise un verso secco con la gola, portandosi una mano alla bocca. Steve le prese un avambraccio con la mano, spostando lo sguardo da Maria e Fury.

Questa temperatura rende impossibile la vita biologica umana...” Commentò Fury, osservando il Capitano e la Vedova guardarlo agghiacciati. “La verità è che, diamine, non capiamo come possa essere viva.”

Servirebbe Banner.” Commentò Maria, passandosi una mano sul viso. “E' il più esperto bio-organista in circolazione.”

Non potendo contattare Banner, mi sono preso la libertà di chiamare la dottoressa Cho da Seul.” Concluse Fury, riportando lo sguardo nella stanza oltre il vetro. Steve sospirò, mentre Natasha faceva un passo verso il vetro, le dita intrecciate fra i capelli sciolti. “Quando arriverà?” Chiese Rogers, guardando l'amica davanti allo specchio, gli occhi pieni di terrore.

Tra tre ore. Abbiamo mandato una scorta d'eccezione.”


~

Insomma, avete rimodernato bene qui.”

Stark prese in mano un vaso dalla scrivania del medico della base, il dottor Spencer. Questi lo guardò, leggermente a disagio, mentre la dottoressa Cho digitava alacremente al suo computer. Steve non rispose nemmeno al suo amico, seduto sul divanetto dello studio, la testa appoggiata al palmo della mano. Natasha, vicino a lui, scriveva al cellulare.

Insomma, gente, un po' di allegria.” Stark si avvicinò, osservandoli dall'alto con le mani infilate nelle tasche dei jeans. “E' solo un po' di febbre. La tua amica si rimetterà presto, Malpelo.”

Natasha gli lanciò un'occhiata assassina, senza smettere di digitare sul cellulare. Steve sospirò.

Mi sembri piuttosto preoccupato, Capitano.” Commentò l'uomo, guardando l'amico. “Non è che questa signorina...”

Taci, Stark.” Steve gli ringhiò contro, alzando la testa. Cho fece un verso strozzato che attirò l'attenzione dei tre. “Stark...”

L'uomo corse alla scrivania, guardando preoccupato lo schermo.

Deve esserci un bug nel programma...” Cominciò lui, esterrefatto, iniziando a prestare i tasti del computer in malo modo. Cho lo guardò, gli occhi sgranati. “No, Stark. Ho già guardato. E' tutto vero.”

Cosa, è tutto vero? Che avete visto?” Sbottò Steve. Stark aprì e chiuse la bocca un paio di volte, senza emettere un suono. Natasha li guardò, i muscoli rigidi per la tensione.

Avete presente che i geni codificano le proteine, per farla semplice?” Chiese la donna asiatica ai due. Natasha annuì.

Alte temperature modificano la struttura delle proteine stesse. Le denatura.” Natasha si prese il capo fra le mani, i gomiti appoggiati alle cosce.

Ieri è stato fatto un test genico per eliminare la possibilità che si trattasse di una malattia tardiva, per esempio un'anomalia cromosomica. Tipo la Corea di Huntington.”

Natasha annuì. Steve li guardava, cercando di capire il nocciolo del discorso.

I risultati erano talmente strani che abbiamo deciso di ripetere il test...”

E cosa avete trovato?” Chiese spazientito Steve. Stark fece un sorrisetto sardonico.

Non solo che la tua amica non è del tutto umana, Capitano, ma oltretutto, è in piena mutazione Frame-Shift.”

Natasha fece un respiro strozzato. “Cosa vuol dire?” Chiese Steve, passandole un braccio attorno alle spalle. Stark riguardò il computer, mordendosi le labbra. Alzò di nuovo lo sguardo sui due.

Che è in piena mutazione genica. Il DNA, beh, sta shiftando completamente avanti di una base azotata, modificando tutto il corredo genico. Il suo DNA sta cambiando.”


xXx


Ehilà!

Oggi, lunedì 12, è giorno di pubblicazione del capitolo!

(Ma no, Eva, non è vero. Questo è solo un parto della tua immaginazione malata, questo capitolo non esiste.)

Capitolo abbastanza calmo, e fluffoso, fino alla fine che... capirete alla fine di questa settimana!

Grazie a chi segue, a chi ha messo la storia fra le preferite – siete i miei cuoricini batuffolosi.

Piuttosto, fatemelo sapere se la storia diventasse troppo noiosa o pesante. O se semplicemente facesse schifo, ecco ;)

Mi dispiace di aggiornare la sera, purtroppo però il Lunedì l'aggiornamento sarà sempre circa alle nove. Motivi scolastici :P

Il prossimo aggiornamento sarà VENERDI' 16 e pensò sarà l'ultimo del venerdì. Per esigenze lavorative, dalla settimana dopo dovrei essere costretta ad un solo aggiornamento alla settimana. I capitoli, però, si dovrebbero allungare! Fra poco sarà finita la parte introduttiva, ed arriverà un muro solido di azione e, perché no, qualche momento più soft per i cuori meno intrepidi.

Mi piacerebbe moltissimo sapere cosa vi aspettate e cosa vi piacerebbe vedere in questa storia! So che siete timidi/non avete tempo/non avete voglia ma, ricordate sempre che, una recensione salva un autore! ;) Prendete tutti esempio dalla meravigliosa Delta, oramai il mio feedback su questa storia! A parte che rispondere alle tue recensioni mi mette sempre di buon umore, davvero, grazie! C'è un capitolo, un capitolo speciale, che porta già il tuo nome!

Al prossimo capitolo,

Eve


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Capitolo 7
*** 07. Sonno ***


Note Pre Capitolo:

Ehilà!

Sapendo che domani avevo degli impegni improrogabili, ho deciso di pubblicare oggi (Giovedì 15). Meglio in anticipo che in ritardo!

Ringrazio ancora tutti voi lettori silenziosi per affrontare ad ogni capitolo la mia follia.

Spero che vi piaccia!

Eve

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Atto 7:Sonno


"And I will stay up through the night
And let's be clear, I won't close my eyes.
And I know that I can survive
I'll walk through fire to save my life."

SIA



Fine Ottobre 2015

Era tre giorni che Elle non apriva gli occhi.

Dopo le prime ore, dove nessuno aveva ricevuto il permesso di Fury ad entrare nella sua stanza – un protocollo standard per evitare il contagio, non sapendo la causa del malessere della donna– Maria e Natasha si erano date il cambio a turni di sei ore, senza mai lasciare l'amica sola. Nemmeno Rogers si assentava se non per farsi una doccia o andare al bagno, cosa che era appena avvenuta.


Elle non muoveva nemmeno un muscolo. Le dita erano cianotiche, il viso diafano. Quando le avevano aperto una palpebra per vedere la risposta della pupilla, avevano trovato l'iride di un azzurro quasi fosforescente.

Steve stava seduto vicino a Natasha da un quarto d'ora. La rossa non aveva detto una parola, da quando lui era tornato, i capelli ancora umidi per la doccia veloce che si era concesso. La donna si limitava a tenere la mano della Svedese.


"Hanno avvisato il padre?" Chiese lui, alzandosi lentamente, le giunture che scricchiolavano per aver mantenuto la stessa posizione per troppe ore nei giorni precedenti.

"Fury lo ha chiamato..." Natasha spostò lo sguardo su di lui. "Non so cosa abbia risposto." L'uomo non disse nulla, la mascella leggermente contratta.


"C'è una canzone che Elle canta sempre a River..." Esclamò Natasha. "Ovviamente, a lei ed alla signora West non ho detto nulla di... Questo." Strinse un pò di più la mano dell'amica.

"TI disturbo se canto un po'?" Chiese la rossa. "Mi aiuta a somatizzare..."

Steve si strinse nelle spalle, sorridendo stanco. Natasha si avvicinò al viso dell'amica, respirando profondamente.


"Down by the river by the boats, where everybody goes to be alone, where you won't see any rising sun, down to the river we will run..."

Steve si fermò ad ascoltare con quanto affetto Natasha canticchiava per l'amica, profondamente addormentata. Le teneva la mano stretta fra le sue, le labbra leggermente screpolate per lo stress, i capelli sommariamente legati sulla nuca, gli occhi segnati da profonde occhiaie.

"...Down by the water the riverbed, somebody calls you somebody says, swim with the current and float away, down by the river everyday..."

Stark si era fermato sulla soglia, appoggiato di peso allo stipite della porta. I loro sguardi si incrociarono dietro la schiena di Natasha. Tony sembrava preoccupato, con un fascicolo in mano, gli occhi pesti per il poco riposo. Guardò Natasha, che per una volta aveva posato la sua imperturbabile maschera di controllo per farsi vedere inquieta.

"...I walk to the borders on my own, to fall in the water just like a stone, chilled to the marrow in them bones, why do I go here all alone..."

Clint mise la testa nella stanza, sorprendendo anche Stark. In un paio di falcate, fu accanto a Natasha, che si strinse sul suo ventre, senza emettere un verso. L'uomo le passò le dita fra i capelli, abbassandosi vicino al suo viso sussurrando cose rassicuranti, mentre la rossa abbassava lo sguardo umido.

"Non anche lei, Clint... Non anche lei...Porca Puttana..."


"Vedrai che andrà tutto bene... La dottoressa Cho sa quello che fa, ed anche Stark, vero?" Esclamò l'arcere, voltandosi a guardare il diretto interessato mentre strisciava i piedi a terra.

"Non possiamo dire niente di certo. Io non sono un medico, Barton. Sono qui per assistere con i macchinari." Clint sospirò silenzioso, prendendo l'amica per un braccio.

"Usciamo. Devi prendere aria." Natasha fece per ribattere, ma l'uomo la trascinò fuori, irremovibile.

~

L'aria era rarefatta e schifosamente appiccicosa.

Elle sentiva i polmoni pieni di acqua, mentre cercava di alzarsi per respirare meglio.

Sentì l'impulso partire dal profondo della sua psiche, mentre i muscoli restavano testardamente fermi, ghiacciati in posizione supina.

Il panico la raggiunse subito, una pugnalata ghiacciata nella sua tranquillità già compromessa da quando aveva quasi ripreso coscienza. Gli occhi fissavano un punto nel vuoto, nel buio.

Non sentiva nulla, se non un dolore accecante. I legamenti ed i tessuti erano rigidi, e le dita delle mani e dei piedi prudevano in modo insopportabile.

Sentiva qualcosa di caldo appoggiato vicino al suo braccio morto, qualcosa che si muoveva ritmicamente. Cercò di concentrarsi, aprendo la sua mente nella stanza. Nonstante avesse sempre proiettato la mente al di fuori di sé, cosa che poi aveva scoperto essere parte del suo potere – e probabilmente della sua natura – ad Elle sembrava di essere sia nel suo corpo bloccato che nell'aria, sopra di esso. Era un fenomeno autoscopico, un'esperienza extracorporea estremamente complessa. Poteva vedere e sentire il proprio corpo, sdraiato sotto di lei. Le sembrava di galleggiare nell'aria.

Sentiva dei pensieri concitati, mentre Stark guardava le sue analisi al computer, una grossa tazza di caffè nero in una mano.

'Hanno chiamato Stark. Incredibile.' Elle cercò di andare lungo il corridoio, rimbalzando fra le menti dei frequentatori della struttura. Il dottor Qualcosa stava dormendo su una branda da ambulanza, nel corridoio fuori dal suo studio. Maria era accasciata su una poltroncina, la divisa leggemente sgualcita. Non sentiva nessuna traccia di Natasha.

Allungò un tentacolo mentale verso la persona che stava accasciata sul suo materasso, con la testa appoggiata sulle braccia incrociate. Quando si accorse che era Rogers, avrebbe voluto alzarsi di scatto, o almeno poter assumere un'espressione sorpresa. Il suo corpo rimase supino, freddo come una tomba ed allo stesso tempo stretto in una morsa dolorosa.

Il dolore era un pò più sopportabile, se si distraeva. Allo stesso tempo, sentiva di non riuscire a controllare bene il suo muscolo mentale, che si distendeva pigramente verso l'uomo, quasi come una nebbia immaginaria. Elle si ritirò nella sua mente, come un animale ferito che si nasconde nella tana, il petto ricolmo di ghiaccio bollente ed il respiro spezzato da lamenti involontari.

Sentiva i tessuti e le cellule del suo corpo mutare, lentamente, cellule nuove che rimpiazzavano le cellule morenti. Una vera guerra civile, interna, senza possibilità di fuga.

Come aveva dedotto Visione, stava affrontando un cambiamento notevole.

Prima era arrivata la lettura del pensiero, alla sua nascita. Ed andava tutto bene.

Poi era rimasta sotto un buco nero, senza fare una piega, per gran parte dell'attacco di New York. Il suo potere si era rafforzato.

Era andata ad abitare in un posto pieno di mutanti, ed era arrivata la capacità di manipolare gli oggetti...

Per cambiare ancora, però, il suo corpo doveva morire. E questo la spaventava, sentendo ogni cellula che lottava per la vita e si spegneva in un lago ghiacciato di nulla. Emise un mugugno acuto all'ennesima stilettata di dolore lungo la spina dorsale, già ipersensibile. Stava da sola, nel nulla, accasciata a terra, le ginocchia strette al petto ed il respiro pesante.

"Is there anybody out there?" Canticchiò piano, cercando di isolarsi da quel dolore totalizzante.

'Elle?'

~

Era al buio. C'era il buio più totale, di fronte ed intorno a lui. E sapeva di essere nel pieno di un sogno. Avanzò a tentoni, temendo l'ennesimo incubo. Temendo Bucky.

Camminava di soppiatto, stando attento a dove metteva i piedi. Sentiva un respiro affannoso, vicino a lui, ma non capiva da cosa provenisse.

Si abbassò leggermente, allungando la mano verso qualcosa che si agitava sul pavimento.

'Elle?' Non dovette nemmeno concludere il pensiero, che due occhi luminescenti lo fissavano nel buio, scrutandolo.

'Sto sognando?' Chiese lui esterrefatto. La prese per le spalle, stringendola leggermente.

'Cosa sta succedendo? Cosa ti sta succedendo?'

Elle emise un verso strozzato, crollando sulla schiena mentre lui la guardava inorridito. La prese per le braccia, facendola distendere sulla schiena. Elle gli prese un polso, stringendolo con una forza inumana, gli occhi che non lo abbandonavano, terrorizzati.

'Sono una mutante. Sto mutando.' Sussurrò lei, con tono confuso, senza smettere di stringergli compulsivamente il polso. Lui la guardò, cercando un modo per farla calmare.

'Lo so.Le tue analisi...'

'Mi dispiace tanto, avrei voluto....'

'Pensavamo di averti persa.' La interruppe lui, senza lasciare la presa sulle sue braccia, scivolando lentamentesul pavimento ghiacciato di quel luogo oscuro. Elle, senza pensarci, appoggiò il viso sulle sue gambe, i denti stretti per trattenere un singhiozzo. Steve le accarezzò i capelli, cercando di confortarla.

'Giuro che non ho paura.'

'Ti sveglierai fra poco, ne sono certo.' Sussurrò lui piano, cercando di tranquillizzarla. Elle tremava come una foglia. 'Ti tireremo fuori da qui... C'è Stark, e la dottoressa Cho...'

Elle alzò il viso stremato, guardandolo, anche se non poteva realmente vederlo in quel buio totale. Lui le sorrise, passandole il pollice sulla guancia. Abbassò un poco lo sguardo, preoccupato, e poi le diede un goffo pizzicotto. 'Così sai che non stai sognando. Sei viva.'

Elle sorrise leggemente, riabbassando la testa, rannicchiata come un animale addomesticato. Respirò profondamente.

'Tu sai dove siamo?' Chiese lui in un sussurro.

'Nella mia testa, temo. Non riesco a controllare i miei poteri...'

Lui la strinse al petto per non guardarla negli occhi. 'Quindi è questo, il tuo potere.'

Elle ebbe uno spasmo.

'E' quello che so fare. Io posso manovrare le menti. Leggere il pensiero...' Ebbe uno spasmo più forte. '...E' solo una parte.'

Sentì che la ragazza stava perdendo consistenza, fra le sue braccia.

'Ci sarai al mio risveglio?' Supplicò lei, guardandolo spaesata. Lui annuì, senza sapere cosa dirle per farla calmare. Lei fece un respiro strozzato, tenendosi una mano sul petto. 'Probabilemente questo non è nemmeno reale.'

'Io so che è reale.' Sussurrò lui. 'Io sarò li, quando ti sveglierai. Ti aspetto per cena.' La rassicurò, guardando impotente mentre Elle perdeva il contatto con la realtà, stremata. Lei si accasciò su di lui, con un sospiro profondo, mentre anche lui sentiva di essere vicino al risveglio.

'Non è nulla, non è nulla. Anche se sento di annegare, non è nulla.'

~

Il viso di Elle era viola.

Non come una persona che rischia il soffocamento. Nemmeno come una persona prossima al congelamento. Le labbra bluastre erano immobili in un sorriso rilassato, le ciglia chiare che accarezzavano gli zigomi sporgenti.

Immobile sul lettino, le braccia distese lungo il busto, il battito quasi del tutto assente ed il petto immobile, era quanto di più stano e meraviglioso Steve avesse mai visto.

Era viva: gli aveva parlato. Il messaggio lo aveva colpito come una stilettata dritto nel cervello, e vederla così stremata e spaventata lo aveva fatto sentire inutile. Ma era viva.

I capelli sembravano ancora più chiari del solito, e senza accorgersene si ritrovò a scostarglieli dal viso sudato. Samuel entrò nella stanza, ancora vestito e con le chiavi della sua auto fra le mani. "Come sta?" Chiese, avvicinandosi al lettino. Ebbe un sussulto, guardando la ragazza nel suo colorito insolito.

"E' normale che sia di questo colore?" Chiese, spostando lo sguardo su Steve.

Questo si appoggiò con uno sbuffo allo schienale della sedia, scrutando il viso della donna incoscente di fronte a lui. "Penso di si." Ammise soltanto, guardandola concentrato.

"Cosa diavolo sei, Elle Selvig?"


~

Fury girò sulla sua sedia di pelle scura, guardando attentamente l' ex agente Romanoff, seduta davanti a lui con espressione assente.

Quindi, abbiamo a che fare con una nuova mutante.”

Tu sapevi...” Fury appoggiò i gomiti alla scrivania, le mani giunte davanti al viso. Fece un secondo di pausa, valutando la sua risposta. “Sospettavo.”

Natasha lo guardò di sottecchi, mentre Fury scriveva qualcosa con la sua calligrafia minuta sulla cartella di Elle.

Quello che mi interessa, è che non sia pericolosa.”

Non sappiamo nemmeno se si sveglierà.” Sussurrò Natasha, passandosi una mano sugli occhi stanchi. “Ormai è quattro giorni che non dà risposta ai test.”

Stark e la dottoressa Cho stanno lavorando notte e giorno per capire come aiutarla.” Fury cercava di essere rassicurante, senza successo. “Il mio problema è: quando si risveglierà, sarà pericolosa? Potremo controllarla?” Natasha lo guardò gelidamente.

E' Elle.”

Sei sicura che sarà Elle quella che si alzerà da quel letto?” Fury unì gli indici delle due mani davanti al viso, scrutandola.

Sappiamo che Elle ha poteri da quando è entrata nel radar S.H.I.E.L.D.. Mi chiedevo solo cosa tu stessi aspettando a chiederle di aggregarsi a noi.”

Mi piace giocare a carte scoperte.”

Questa mi è nuova.” Commentò esasperata Natasha. “E comunque, dubito che Elle voglia mettersi un costume ed andare in giro ad esibirsi in trucchetti solo perché tu glielo chiedi, Nick Fury.”

Per questo supponevo che glielo avresti chiesto tu, Vedova.”

Natasha sospirò. “Perché credi che glielo chiederò?”

Fury non rispose, guardando la donna seduta di fronte a lui e la cartelletta che le aveva messo di fronte. Natasha, seduta dall'altro lato della poltrona, prese la scheda e le diede un'occhiata veloce, senza soffermarsi sulla foto della sua amica.

"Assumendo che i parametri che mi chiedi siano gli stessi di quando cominciai a valutare i soggetti per il primo progetto Avengers, Elle non sarebbe idonea. Scarse informazioni sulle sue capacità, che lei stessa non utilizza al massimo della loro forma. Affiliazione dubbia. Sai che Elle pensa con la sua testa, non si farà manipolare da nessun politicante e non è nemmeno una spia. E'...è Elle, signore." Natasha sorrise stancamente. "Ma ora ci occupiamo di inumani. Abbiamo mutanti, alieni, androidi..."

Fury strizzò l'occhio sano. "Non siamo più un servizio di Intelligence, più un servizio di vigilanza..."

Nat annuì. "In base a questo, si può proporre ad Elle di unirsi alla squadra, ovviamente solo nel caso si svegliasse e si ristabilisse in maniera adeguata." La rossa sottolineò l'ultima parte, guardando Fury di sottecchi. L'uomo si rilassò sullo schienale della poltrona, sorridendo enigmaticamente.

"Rogers ancora non sa?"

"Temo abbia qualche sospetto, ormai. Sono piuttosto intimi."

Rogers non aveva mai lasciato il capezzale della sua amica negli ultimi quattro giorni, se non per andare a farsi una doccia veloce. Aveva mangiato al piccolo tavolo della stanza, ogni tanto in compagnia di Samuel. Aveva rifiutato di uscire a prendere aria, o di andare a dormire su qualcosa che non fosse la sedia di plastica per le visite. Natasha sorrise fra sé e sé, sperando di poterlo raccontare presto ad Elle. Sarebbe stata imbarazzatissima, sicuramente, ma era la prova schiacciante che Steve teneva a lei.

"Le voci su quei due vanno dal tentato omicidio al desiderio di comprare un villino a schiera in comunione dei beni..." commentò Fury, appoggiando il volto sulla mano, il gomito pigramente puntellato sul bracciolo della sedia. "Il potere di Elle potrebbe essere molto prezioso per noi... potrebbe aiutarci a gestire Rogers."

Natasha non fece in tempo a commentare la frase di Fury che Steve entrò con area funerea nella stanza."In che modo Elle Selvig dovrebbe servire ai tuoi scopi, Fury?" La voce di Rogers tagliava come una lama affilata. Guardò il suo ex capo con sguardo gelido, la mascella contratta dalla rabbia. Fury sospirò, tentennando un secondo.

Si avvicinò con passo marziale, sbattendo il pugno sul piano di vetro della scrivania di Fury. Samuel, dietro di lui, cercò di mettergli una mano sulla spalla per fermarlo, restando alla fine fermo contro lo stipite della porta. Natasha si passò le mani sulle tempie, massaggiandole con movimenti circolari, lo sguardo stanco.

"Elle Selvig ha dei poteri inumani."

Natasha lo sputò fra i denti, alzando lentamente lo sguardo in quello dell'amico.

"A parte quello di far infuriare San Rogers?"

Samuel sorrise da solo alla sua battuta. Steve rimase immobile, gli occhi in quelli dell'amica.

"Elle legge nel pensiero. Ed è telecinetica." sputò fuori dai denti la russa. "E' una cosa che sa controllare. Te lo voleva dire, molte volte, ma..."

Steve emise un mugugno strozzato. "Lo ha appena fatto."

Natasha annaspò nel suo stesso respiro. “E' sveglia?” Chiese, alzandosi di scatto. Steve negò con il capo. “Mi ha parlato. Nella mia testa. Quasi come...”

Wanda...” Terminò una voce calda, alle loro spalle. "Elle è capace di una connessione di diverso genere." Visione entrò nella stanza, in un luccichio dorato. "Inoltre è l'unico essere nell'universo conosciuto capace di manipolare a livello cellulare la materia. Non riesco a capire l'origine del suo potere, e lei non lo controlla ancora in maniera cosciente." Visione sorrise a Steve, mentre Natasha si copriva il volto con una mano. "Quando manipola la mente, lo fa ad un livello inconscio, fisico."

Natasha lo guardò, sospirando. “Neurotrasmettitori?” Visione annuì.

"Tu, sapevi?" chiese Rogers guardando l'androide, la voce secca. Gli occhi lampeggiavano di angoscia. "Quanti sapevano?"

Natasha annuì, e Samuel si grattò la nuca. "Sospettavo." Visione sorrise ancora "Io e Wanda ne abbiamo parlato spesso con Elle, ed abbiamo approfondito ed esaminato con molta attenzione le capacità della nostra amica. Per avere un quadro più completo dovrei accedere a tutti i suoi referti medici dalla nascita, e parlarne con il dottor Selvig perché-" Samuel gli fece cenno di interrompersi, mentre Steve andava verso la parete finestrata, con una mano fra i capelli a spazzola, lo sguardo adombrato. "Dannazione..."

"Le mie supposizioni si sono dimostrate vere nel momento in cui si è alzata la temperatura, ed il suo DNA ha iniziato a mutare." Concluse Visione, impermeabile al clima generale che stava diventando teso.

Natasha fece un passo verso il Capitano, un braccio teso per raggiungerlo. Steve si voltò, scartando la sua presa. Lei lo guardò, ferita.

"Rhodes?" chiese infine lui con un verso strozzato. "No, ti prego, Rhodes non ne sa nulla!" commentò Natasha, con un tono di voce irritato "Ti pare?"

Steve si voltò verso l'uomo con la benda sull'occhio. Ricordò quando Clint ed Elle avevano espresso il loro giudizio su Fury, su come aveva sostenuto il contrario.

"Fury, tu hai ancora dei segreti. Questo non mi piace."

"Sono una spia, ma sono solo il custode di questo segreto. Tutti sanno che era mio desiderio che Elle si unisse agli Avengers." si alzò l'altro, allargando le braccia. "Ho solo sfruttato la sua momentanea invalidità e quindi la sospensione per avvicinarla a voi. Lei mi ha chiesto di mantenere il riserbo sulla sua natura."

"Sei un manipolatore."

"Nessuno potrebbe manipolare la mente di Elle Selvig." Visione fece uno sguardo incredulo "Dopo di me, è la forza mentale naturale più potente del quale disponiamo. Dubito che potrebbe essere manipolabile, anche in questo suo momento di debolezza fisica."

Steve lo guardò arcigno, girandosi lentamente. Respirò un secondo, cercando di calmarsi. "Intendo che Fury l'ha plagiata per farle prendere la decisione che voleva lui. O peggio, ha eseguito i suoi ordini con molto scrupolo."

"No, no... Steve!" Natasha si sentiva sprofondare, mentre lo prendeva per il braccio. "Non ci pensare nemmeno per un secondo! Elle non ha mai usato i suoi poteri su di te, o per essere tua amica."

"Come puoi dirlo!" sbraitò il Capitano contro la sua vice "Non possiamo saperlo!"

"Io lo so." ammise Natasha, fronteggiandolo. "Io la conosco."

"Me lo avrebbe detto prima...Se non le fosse tornato utile il contrario." commentò amareggiato lui.

"Per farti pensare esattamente quello che stai pensando?"

Elle, con i capelli malamente legati in una buffa coda alta, le guance arrossate dalla febbre e la divisa dell'infermeria, rimase sull'uscio della stanza. La pelle era tornata diafana, ma gli occhi rimanevano di un azzurro accecante. Steve e Natasha si voltarono, la rossa ancora attaccata al braccio dell'uomo con le unghie.

Non c'eri, quando mi sono svegliata.” Ammise piano lei, gli occhi bassi. “Non ho mai voluto nasconderti questo. Sei circondato da eroi. Volevo che mi vedessi come una persona normale Almeno tu..” La ragazza si strinse nelle spalle, avvolta nella grossa felpa rossa che aveva messo per tenersi al caldo, probabilmente di qualcun altro. Le arrivava alle ginocchia, coprendo i pantaloni del pigiama.

Mi dispiace di averti causato un dispiacere.” Ammise, gli occhi leggermente lucidi. Rimase a guardarlo dritto negli occhi per un secondo, ignorando tutti i presenti, le labbra dischiuse come se volesse aggiungere altro. Schioccò la lingua, voltandosi.

Sparì dietro Clint, che li guardava tutti da dietro di lei, le sopracciglia aggrottate.

Sveglia da cinque minuti e già nei casini. Questo è un record anche per Elle.” Borbottò, mentre Natasha gli passava accanto con uno spintone, seguendo l'amica.

xXx

Eccoci alla fine anche di questo capitolo!

E' uno dei primi che sono stati scritti, e forse per questo non è mai stato davvero all'altezza delle mie aspettative. Mi aspettavo molto di più da me stessa - sono una persona molto pignola. Era arrivato però il momento della pubblicazione, quindi mi sono data alle ultime modifiche e poi ho deciso di buttarmi e pubblicarlo. Importante: La canzone cantata da Natasha è "Riverside" di Agnes Obel. La canzone che cita Elle è "Is there anybody out there?" dei Pink Floyd. \m/

Elle si è svegliata, ma ancora non si sa se sia un bene o no. Non stava meglio quando era incosciente?

Grazie a Delta, come sempre, per accompagnarmi in questa avventura. Sei la recensitrice migliore che un'autrice possa desiderare, giuro! Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensi di questo capitolo, è stato veramente complesso da scrivere, e vedrai il prossimo! E poi voglio sapere come va a Deltaworld.

Rilancio un appello pro recensioni: anche solo per un saluto, un'opinione veloce, un no secco. Fatemi sapere cosa vi piace, cosa non vi piace, se volete vedere Elle impalata in giardino, oppure se Rogers vi ha fatto venire l'orticaria..

Una recensione salva un autore.

Sperando di avervi intrattenuti anche oggi, ci vediamo Mercoledì 21 Ottobre per il prossimo capitolo, Innocenza.

Eve

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Capitolo 8
*** 08.Innocenza ***



Ehilà!
Intanto, grazie a tutte le meravigliose persone che hanno inserito la storia fra le preferite e le seguite. GRAZIE, vecchi e nuovi.
Spero che vi piaccia anche questo capitolo, pubblicato addirittura in anticipo. Cioè, non accade tutti i giorni! Ci vediamo in fondo al capitolo, anche se dubito che vorrete ancora vedermi alla fine. :P
Buona lettura
Eve

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ATTO 8: Innocenza


"I Just don't care if it's real

That won't change how it feels."

MUSE



Elle stava seduta sul lettino che l'aveva ospitata per ben quattro giorni e mezzo, dondolando pigramente le gambe, le cuffiette dell'iPod infilate nel profondo dei padiglioni auricolari. Stark la guardava curioso da poco distante, le maniche della maglietta del tour del 1975 dei Led Zeppelin sollevate fino ai gomiti e le sopracciglia aggrottate, mentre la dottoressa Cho le puntava una piccola torcia negli occhi, guardandone il riflesso pupillare. Elle sospirò.

Due giorni e dodici ore dopo la dichiarazione del decesso, eccoti qua.” Stark si avvicinò, tenendo una penna fra le mani e muovendola con la punta delle dita. “Hai battuto ogni record, Ikea.”

Elle lo guardò assorta, senza togliere gli auricolari, mentre Cho lo fulminava con lo sguardo. “Lasciala stare.”

Non avrà contratto danni celebrali, vero? Oppure Captain Pilates potrebbe decidere di farmi la pelle. Per somatizzare il dolore della sua perdita, sai.”

Le puntò contro la punta della biro, guardandola. “Ricordi cosa è questa?”

Smettila di prenderla in giro, Stark.”

Elle alzò gli occhi al cielo, facendo appello a tutta la sua pazienza.

Ehi, signorina!” Stark fece mulinare una mano davanti al viso della svedese, insofferente alla sbuffo della dottoressa Cho. “Ricordi chi sono io?”

Elle si tolse una cuffietta con un gesto secco. “Mi piacerebbe davvero tanto non riconoscerti, Stark, ma purtroppo sei l'unico uomo che ancora porta il pizzetto a quel modo.” Elle sospirò, la testa piegata di lato. “A parte i tuoi ex amici Narcos, ma dopo tutte le armi che hai venduto loro, non mi stupisce che vogliano omaggiarti imitandoti.”

La Cho ebbe un sussulto, nascondendo una risata dietro alla mano. Stark alzò un sopracciglio, facendo un passo indietro.

La prosopagnosia è un problema serio. Non c'è nulla da ridere.”

Con uno scatto, Stark abbatté il pugno chiuso contro la coscia della ragazza, le sopracciglia aggrottate. Elle ebbe un sussulto per la sorpresa, mentre Cho indietreggiava con gli occhi sgranati. La biro era piantata per sei centimetri abbondanti della sua coscia,

Che stai facendo?” Elle abbassò lo sguardo, gli occhi sgranati.

Il processo deve essere stato a dir poco distruttivo. Non sente più il dolore.”

Sicuramente è temporaneo.” Commentò la Dottoressa, fulminando Stark con lo sguardo e avvicinandosi con uno stetoscopio. Elle si strinse nelle spalle, guardando la Biro infilzata con espressione aggrottata. La prese nel pugno, mentre la dottoressa dietro di lei sollevava felpa e maglietta e le appoggiava il recettore gelido sulla schiena, provocandole un brivido. Elle la estrasse con una smorfia, guardando il grumo di sangue che penzolava fra la penna e la ferita, di un colore scuro. La Cho seguì il suo sguardo.

Il tuo sangue è quasi del tutto deossigenato. Sei rimasta senza respirare per quasi due giorni.” Elle la fissò sconvolta, le labbra socchiuse e la biro insanguinata ancora a mezz'aria. Stark si avvicinò, tenendo una pinza con della garza imbevuta di disinfettante in una mano e una grossa forbice per tessuti nell'altra. Le prese delicatamente la coscia con una mano, tagliandole una porzione di pantaloni della tuta.

Cosa ti rende così assorta?” Chiese, fingendosi disinteressato, appoggiando le forbici sul lettino e tamponando con attenzione il foro nella coscia della ragazza. Elle, tenendosi puntellata sulle braccia, i palmi contro la superficie di carta del lettino, si strinse nelle spalle.

Non fare l'offesa. Sapevo di non farti male.”

Elle strinse le labbra, gli occhi che non abbandonavano i suoi. Stark stirò la bocca in una smorfia, fissando con insolito interesse il ginocchio della ragazza, la forbice pinza a mezz'aria.

Okay, c'era una minima possibilità che io mi sbagliassi, ma non è successo.”

Elle gonfiò le guance, pronta ad urlargli contro. Stark lanciò la pinza sul carrellino lì a fianco.

Esagerata!” Alzò le braccia, guardandola con un ghigno. “Vedrai che al ghiacciolo sotto steroidi passerà presto l'arrabbiatura.”

La vera domanda, Stark, è quando passerà ad Elle.”

Maria entrò in uno sbuffo di profumo, l'uniforme di nuovo perfettamente stirata e i capelli stretti in una crocchia severa. Solo gli occhi tradivano una certa stanchezza dovuta alla settimana che si stava concludendo.

Stark le sorrise leggermente, dirigendosi verso la scrivania. Elle prese con una mano la garza che lui le passava, fissandola con dello scotch medico alla gamba, senza degnarli di una risposta. Scese dal lettino con un salto, andando verso la porta, il passo leggermente pesante. Maria la guardò un attimo, leggermente in ansia. Stark fece un gesto vago con le mani.

Non vedo perché fare così tante storie quando-”

Taci, Stark.” Esclamò secca la dottoressa Cho, sedendosi pesantemente sulla poltrona e abbandonando il capo all'indietro, facendo scorrere la sedia sulle rotelline con un cigolio.




-


"As strong as you were, tender you go...I'm watching you breathing for the last time..."

Il calcio colpì il letto abbastanza forte da farlo cozzare contro la parete dietro l'anonima struttura in legno scuro. Crollò sul materasso di schiena, le mani a colpire il viso.

Per un secondo, pensò di chiamare suo padre. Poi scosse la testa, coprendosi gli occhi con le mani.

"A song for your heart, but when it is quiet, I know what it means and I'll carry you home."

Afferrò un cuscino, urlandoci dentro, fuori di sé dalla rabbia, agitando le gambe sollevate, tutto il peso appoggiato sul bacino.

Ci urlò dentro fino a quando non le venne da tossire, lanciandolo poi dall'altra parte della stanza contro l'amica che lo prese al volo, e restando a fissare il soffitto.

"...And they were all born pretty in New York City tonight, and someone's little girl was taken from the world tonight, under the Stars and Stripes..."

Maria, ti prego. Manca solo James Blunt...”

Maria sogghignò, sedendosi accanto a lei sul materasso, le dita che scioglievano la crocchia nella quale aveva stretto tutti i bei capelli scuri.

Allora, devo procurarmi una vasca di gelato? Una tisana?” La mora diede un colpetto alla coscia della ragazza, che si era rannicchiata in posizione fetale.

Vuoi che contatti la Culver University?”

Lo avete chiamato?” Sussurrò Elle, strizzando gli occhi. Interruppe Maria prima che questa potesse rispondere, facendo un gesto sbrigativo con la mano. “No, non penso di volerlo sapere. Mi basta un rifiuto al giorno, grazie...”

Gli abbiamo detto che avevi contratto un virus infettivo, e che gli avremmo fatto avere tue notizie se la situazione fosse cambiata...” Elle la guardò da dietro le sottili dita delle mani.

Sembrava... preoccupato.” Commentò la donna, sorridendole leggermente. “Mi ha detto di avvisarlo appena la situazione fosse mutata.”

Elle sospirò. “Non dovrei aspettarmi nulla di diverso.” Rotolò sulla schiena pigramente. “Alla fine, non gli sono mai andata a genio.”

Non poteva capirti.”

Aveva paura.” Elle sbottò, picchiando un pugno sul materasso. “Era terrorizzato!”

Le due donne si fissarono, in silenzio. Ad Elle sembrava che la sua mente potesse fare abbastanza confusione per riempire tutta la stanza.

Non era colpa sua se era nata così. Non capiva cosa ci fosse di così terribile in lei da portare tutte le persone ad allontanarsi, terrorizzate, urlando al mostro.

Rivide la faccia di Rogers, nell'ufficio di Fury, la mascella contratta e gli occhi blu socchiusi in un'espressione delusa, e si vergognò per non averglielo detto subito.

Probabilmente non sarebbero mai andati a cena. Avrebbero litigato ancora ed ancora, e lei non avrebbe mai potuto prenderlo in giro perché lui aveva frequentato l'accademia d'arte. Non lo avrebbe più visto fuori dal suo ufficio, con il bicchierino in plastica del caffè dell'ufficio, a picchiettare con la punta del piede contro lo stipite. Non sarebbe più scoppiata a ridere, vedendolo perplesso mentre lei digitava velocemente al portatile.

Elle si passò le mani sul viso, mordendosi il labbro.

Probabilmente, se lei avesse parlato subito, lui la avrebbe evitata. Perché lei poteva manipolarlo.

Bussarono a alla porta. Elle alzò il capo, emettendo un mugugno.

Istintivamente sperò che fosse Rogers, sollevandosi sul busto. Maria sibilò un Avanti poco convinto. Un ciuffo di capelli rossi, illuminato dalla luce che proveniva dal corridoio.

Elle...” La donna la guardò dall'alto, il viso infilato fra la porta e lo stipite.

Elle sospirò, chiudendo gli occhi stanchi. Maria si sdraiò su un fianco, accanto alla bionda, facendo un gesto verso la rossa, che entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Si fermò davanti al letto con un sospiro.

Elle, sono preoccupata-”

Se persino Natasha Romanoff è preoccupata, dovresti iniziare a farti delle domande, Elle.”

Natasha fulminò Maria con lo sguardo, sbuffando. “Non sono l'unica ad essere preo-”

Non osare dire che Rogers è preoccupato. Non osare.” Elle la guardava dal basso, gli occhi accesi e la voce roca.

Non ha lasciato il tuo capezzale nemmeno per andare in bagno!” Esclamò Maria, scalciando le scarpe oltre il letto. Strinse fra loro le gambe avvolte dai collant scuri, sfregando fra loro i piedi. Elle sospirò.

Questo valeva forse prima che sapesse...”

Sapesse che non sei del tutto normale? Penso se ne fosse già reso conto.” Natasha entrò nel cono di luce diretta della lampada del comodino, un'espressione esausta e una vecchia tuta di ciniglia blu buttata addosso.

Elle sospirò, le mani a coprirle il viso. “Non fatemi sperare. Vi prego.” Le implorò. Natasha si sdraiò accanto alla bionda, guardando seria Maria. Questa annuì.

Non diremo nulla, allora.” Ammise la donna, accarezzandole la testa. “Non è importante, ora. Devi pensare a riprenderti.” Maria annuì.

Non devi distrarti dietro ad un bell'uomo. Devi pensare solo a stare meglio.” Elle sospirò.

Io sto bene. Devo solo... Riprendermi. Ho sonno.” Si sfregò gli occhi con il pugno.

River?” Chiese stancamente, guardando Natasha. Questa le sorrise, annuendo. “Stanno bene. Ora dormi.”

Sono un mostro, mi sono dimenticata di River...” La bionda dondolò sui fianchi su secondo, le mani ancora a coprirle il volto. “Tutto questo per star dietro ai cambi di umore di Rogers.”

Elle si raggomitolò, dando le spalle a Natasha, che la abbracciò da dietro, guardando preoccupata Maria, che le appoggiò una coperta sulle spalle.

Andrà tutto bene, tesoro...” Sussurrò la donna, guardando le amiche.

Film e maschera facciale?” Esclamò poi la rossa, appoggiando il mento sulla spalla di Elle. Maria scoppiò a ridere, annuendo. “E una bottiglia di vino.”


-


Steve passò il giorno seguente a osservare gli allenamenti che non ingranavano.

Wanda lo fissava arcigna. Visione fissava il vuoto fuori dalla finestra. Natasha stava sul ring, raccontando la storia del Soldato d'Inverno a Rhodes. Samuel avvitata e svitava più volte la stessa vite su una delle due ali meccaniche.

Sembrava che un manto di tristezza coprisse tutto lo stabile. Passando, Steve era sicuro di aver visto Maria che scarabocchiava mestamente dei fogli, nel suo ufficio. Fury se ne era andato dopo la loro discussione, il giorno prima.

Che allegria, gente.” Stark fece il suo ingresso nella sala, perfettamente vestito con un completo blu, la giacca aperta sul petto, e una maglietta degli Ac/Dc. “Posso darvi la buona notizia che Elle Selvig è perfettamente in salute e non ha riportato danni dal suo coma. I supi esami sono curiosi, ma non presenta nessun deficit.”

Natasha sospirò, portandosi una mano al petto. Wanda si sedette vicino a Samuel, decisamente sollevata. Anche Steve sembrò ritornare a respirare, mentre Stark li guardava.

Allora, siete pronti a tornare nel mondo di Oz, ora che la vostra collega si è ristabilita?” Chiese poi, appoggiandosi al ring. Natasha lo guardò, perplessa, mentre Steve fece un'espressione scocciata. Non voleva dare soddisfazione a quel megalomane, ma cedette, visto che aveva appena salvato l'amica. “Spiegati.”

Con piacere.” Commentò l'uomo. "Tu sei Dorothy." Indicò Steve.

Samuel e Rhodes scoppiarono a ridere, mentre Visione li guardava. "Dorothy?"

Steve fece una smorfia, guardando l'androide.

"Il Meraviglioso Mago di Oz. Un racconto per bambini." contestualizzò, guardando gli occhi dell'amico. Poteva quasi vedere questo mentre scaricava le informazioni a riguardo da Internet.

"Allora, guardiamo bene cosa ho davanti..." Stark lo indicò con un dito, ridacchiando.

"...un biondissimo Dorothy di quasi due metri;"

Indicò Rhodes "...un vecchio leone spelacchiato, in un'armatura rubata da me;"

Si voltò verso Visione e Samuel. "...un paio di scimmie volanti, delle quali una androide e l'altra con un terribile gusto in fatto di occhiali da sole;"

Ehi, gli occhiali di Falcon sono una produzione limitata!” Commentò offeso Samuel, smettendo di colpo di ridere.

"... un'inquietantissima strega dell'est in pieno PTSD... ah, e poi ci sei tu, Natasha. Sempre bellissima." Natasha lo guardò arcigna, mentre Wanda piegava la testa di lato, le sopracciglia aggrottate sui begli occhi scuri.

... adesso avete nei pressi anche una spaventapasseri telepate che ha passato metà dei suoi respiri a dimostrare di essere intelligente. Di avere un cervello. Non mi farei sfuggire l'occasione.” Stark fece l'occhiolino a Steve, che voltò la testa, indignato.

"...Dovresti essere contento, Steve, sembrate appena scesi dal palco di Wicked. Manca all'appello solo l'uomo mezzo di latta." Stark si stava ammazzando cercando di trattenere le risate, mentre Samuel guardava Steve, sperando che questo non perdesse la calma. Lui stesso doveva sbollire un po' l'idea di essersi appena sentito dare della Scimmia Volante.

Vedrai che troveremo Barnes in tempo per la prima. Dovresti fare la pace con Selvig, lei lo ha già trovato una volta, non sarà difficile farlo di nuovo.” Concluse il miliardario, indicando Steve con l'indice.

Il gelo scese nella stanza.


-


"Don't listen to a word I say..."

Elle stava sulla scala antincendio, il vecchio maglione beige che la teneva ad una temperatura quasi normale, le gambe sottili avvolte nei fouseaux neri ed ai piedi le vecchie clarks scucite. Teneva la piccola chitarra acustica appoggiata sulle cosce, strimpellando pigramente.
"...The screams all sound the same..."

Era una canzone che aveva sentito recentemente, e la stava canticchiando senza troppo interesse, con la voce più bassa di mezza ottava, guardando le corde che pizzicava con la mano destra vibrare.
"...Though the truth may vary..."

Steve uscì spingendo il maniglione antipanico con entrambe le mani, abbastanza forte da far sbattere la porta contro il muro. Samuel, dietro di lui, lo trattenne per il braccio.

"...This ship will carry our bodies safe to shore..."
Elle, presa dai suoi pensieri, non fece caso ai due che la guardavano dal basso, attraverso la grata degli scalini. Samuel cercò di mimare il gesto di calmarsi a Steve, con le mani. Invece l'uomo osservò un secondo la ragazza, la mascella contratta.

"...You're gone, gone, gone away...I watched you disappear...." Elle cambiò accordo, osservando il cielo che si scuriva sopra le cime degli alberi sopra la sua testa, le nuvole che si raggruppavano poco lontano. Entro poco, sarebbe scoppiato un temporale.
"...All that's left is the ghost of you. Now we're torn, torn, torn apart, there's nothing we can do...." Canticchiò con voce limpida, le ciglia chiare che sfioravano le guance arrossate.
"...Just let me go we'll meet again soon...Now wait, wait, wait for me...Please hang around..."

Steve prese le scale a passo di marcia, seguito dal povero Samuel che cercava di prenderlo per il braccio. Inchiodò davanti ad Elle, sul pianerottolo, osservandola poco convinto, le spalle rigide, i tendini del collo leggermente sporgenti contro la t-shirt attillata bianca. Elle alzò lo sguardo, un sopracciglio alzato. Era chiaro che fosse poco lucida, lo sguardo leggermente arrossato ed assente. Si strinse nelle spalle.
"...I'll see you when I fall asleep."

Intonò, concludendo la canzone con un accordo stonato. Steve la guardò, incrociando le braccia.

Tu dovevi uccidere Bucky.”

Elle annuì.

Che altro non so? Oltre al fatto che sei una mutante, che hai poteri telepatici e che dovevi ammazzare il mio migliore amico?”

Elle si irrigidì, la chitarra appoggiata in orizzontale sulle gambe sottili. Alzò lo sguardo in quello dell'uomo. “Suono la chitarra, il mio gruppo preferito sono i Pink Floyd.”

Steve lasciò vagare lo sguardo verso l'orizzonte, respirando profondamente.

Intendevo qualcosa che mi potesse interessare.”

Mi pareva ti interessasse.”

Prima di sapere che mi avevi mentito. Prima di sapere che dovevi uccidere Bucky.”

Si, dovevo uccidere Bucky.” Lo scimmiottò la ragazza, appoggiando la chitarra allo scalino.

Ma non lo hai fatto.” Samuel si mise fra i due, le braccia spalancate come se temesse che si accapigliassero. La tensione era palpabile. “Visto? E' tutto a posto.”

Samuel la guardò con la coda dell'occhio, voltandosi leggermente, la bocca socchiusa. “Non l'hai ucciso, vero, Elle?”

Elle si alzò schioccando la lingua. “Non è affar vostro.”

Samuel sospirò, mentre Elle lo superava senza emettere suono, la chitarra tra le mani. Steve afferrò la ragazza per il braccio, quando Elle provò a passargli vicino. “Quello che succede a Bucky è affar mio.”

Ma non è te che è venuto a cercare. O sbaglio?” Elle lo guardò, assottigliando gli occhi. “Non è tornato dal suo gentilissimo, ottimo miglior amico.”

Steve la lasciò, come se lei lo avesse scottato. “Non devi essere stato un amico così migliore, se non è tornato da te.” Elle fece un passo contro di lui, guardandolo con astio dal basso del suo metro e settantacinque, il mento alzato per affrontarlo e gli occhi azzurri puntati in quelli dell'uomo.

Non sei un bravo amico, Steve Rogers. Non sei una brava persona. Ti giudichi migliore degli altri. Ma non sei diverso da quelli che tanto ti disgustano.” Si alzò sulle punte, sussurrando contro le sue labbra. “Sei un mostro tanto quanto lo sono io.

Samuel aprì la bocca, sconvolto, mentre Steve e Elle si fronteggiavano, i visi a pochi centimetri. Steve le guardava le labbra con gli occhi blu, la fronte aggrottata, mentre Elle lo fissava negli occhi, il labbro inferiore che tremava in maniera impercettibile.

Steve si avvicinò lentamente, boccheggiando senza sapere cosa ribattere. Improvvisamente, Elle fece un passo indietro, come se si fosse scottata con un oggetto arroventato, le spalle strette e le braccia aperte rivolte contro l'uomo.

Io. Non. ho. Ucciso. James. Barnes.” Sillabò la ragazza, voltandosi di scatto contro Samuel, che ebbe un sussulto. La voce della giovane era gelida.

E se avete pensato anche solo per un secondo che avrei potuto...” Elle gli passò di lato, mentre Steve guardava nel vuoto, senza respirare. “...Vuol dire che non sapete nulla, di me.”

Fece un paio di passi lungo le scale, il respiro mozzato.

A ben pensarci, Rogers, tu non sai nulla e basta.” Elle non si voltò, dandogli le spalle, mentre i due uomini la fissavano senza emettere un fiato.

Non sai nulla del buio... Non sai nulla del dolore.. Tu sei sempre e solo migliorato, no? Sempre buono, sempre gentile... Dimmi, Rogers...”

Gli occhi di Elle avevano assunto una tinta cerulea accesa, mentre dietro di lei il sole tramontava. I due non potevano vederli, brillare di quella luce azzurra innaturale. Il vento fece muovere gli alberi, sibilando. La giovane chiuse gli occhi, senza rilassare le spalle, le braccia abbandonate lungo i fianchi.

Ogni tanto penso che forse sei tu, quello che porta la maschera più pesante di tutti, qui dentro.”

xXx

Eccomi!
Spero di evitare il linciaggio. Purtroppo, le cose semplici e carine a noi non piacciono! Serve un pò di movimento, e ne avrete, oh se ne avrete. Aspettatevene delle belle!
Non penso di dover aggiungere altro riguardo al capitolo, che parla già da sé. Non vedo l'ora di leggere la prossima recensione di Delta, dove presumo mi insulterà in aramaico per poi bandirmi a vita da DeltaWorld! Riesco a farti piacere il Capt, per poi maltrattarlo così! Sono proprio una Serpeverde!
Prossimo aggiornamento sempre MERCOLEDI' 28. Anche se, come oggi, potrei sempre aggiornare leggermente in anticipo. Il capitolo è qui, nel mio computer, che aspetta solo di essere adulato per uscire dalla cartella e piombare su EFP.
Come sempre, recensioni, commenti e suggerimenti sono sempre ben accetti.
A presto,

Eve



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Capitolo 9
*** 09. Verità ***




Questo capitolo è IL capitolo, ed è dedicato come promesso alla meravigliosa Delta98 e, soprattutto, alle sue meravigliose recensioni.




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ATTO 9: Verità


"You shuld never come this way,

to test the hands of fate.

You don't belong here."

ALTER BRIDGE



Aprile 2015


La stanza fatiscente puzzava di acqua ferma. Le vecchie assi in legno stavano marcendo, e grossi buchi si erano formati nelle pareti sottili incrostate dall'umidità. Il soffitto esponeva ora la struttura portante dell'abitazione coloniale, una volta ricca di fascino e ricchezza, ora un guscio vuoto come l'uomo che l'aveva abusivamente occupata.

Intorno, aperta campagna per chilometri e chilometri, e solo qualche salice ad interrompere l'orizzonte, ridotto ad una linea scura fra il verde delle coltivazioni di tabacco e l'azzurro del cielo.

Dio solo sapeva cosa aveva portato lì James Barnes. Nel profondo sud degli Stati Uniti, in Louisiana, a migliaia di miglia di distanza dall'unico amico che lo aveva seguito docilmente nel nuovo secolo, senza fare domande, chiedendo solo di restargli accanto. Il clima era caldo, anche nella notte azzurrognola.

Elle aveva guidato per giorni, in una vecchia berlina scura, il braccio fuori dal finestrino per godersi quell'insolita aria calda che non le apparteneva, il sedile accanto al suo pieno di carte e documenti e mappe. Aveva parlato con molte persone, più o meno collaborative, e finalmente l'aveva trovato. In un moto d'orgoglio, Elle aveva pensato di essere veramente la migliore nel suo campo, l'unica che era stata in grado di sbrogliare la matassa degli indizi confusi che il Soldato d'Inverno aveva abbandonato dietro di sé.

Ora, stava a lei mostrare il frutto anni di studio in psicologia, permettendole di uscire viva dal rifugio di un uomo vecchio di cent'anni, riprogrammato come macchina assassina, pronto ad uccidere nel caso si fosse sentito minacciato. Un lavoretto alla Freud, avrebbe detto il suo professore. Un interessante modo per suicidarsi, avrebbe detto invece Natasha.

Si era aspettata una fiera in fuga, qualcuno che l'avrebbe subito attaccata e che avrebbe messo alla prova cinque anni di durissimo addestramento. Fury non la contava come uno dei pezzi importanti della sua ormai disfatta organizzazione: era una pedina sacrificabile.

Così era entrata ricolma di buone intenzioni, ma con la beretta argentata stretta fra le mani e le orecchie tese.

Nessun pronostico avrebbe predetto in maniera esatta cosa sarebbe successo. Tre giorni dopo, Elle stava seduta sul pavimento lercio di quella che probabilmente era una sala da pranzo, aspettando. E non era sola.

Un proiettile l'aveva colpita di striscio ad un braccio. Aveva una fasciatura di fortuna, fatta con un pezzo della maglietta dell'uomo che era con lei. L'uomo che avrebbe dovuto uccidere. L'assurda situazione in cui era, prevedibile solo in minima parte, prevedeva uno stallo alla messicana e un'alleanza con la macchina assassina meno assassina che Elle avesse mai conosciuto.

Fury, quasi un mese prima, quando le aveva commissionato quell'assurda caccia, era stato chiaro. "Se lo trovi e non accetta di essere ricondotto al quartier generale, sparagli dritto in fronte e lascialo li. Non possiamo permetterci colpi di testa. James Barnes è pericoloso."

Quando era arrivata alla fine della sua ultima pista, però, Elle aveva trovato solo un uomo spaventato a morte e sofferente. Un'ombra del Soldato d'Inverno tanto paventato dal comandante. Non una macchina assassina, ma una vittima innocente.

Aveva passato le prime ore cercando di convincerlo che lo S.H.I.E.L.D. non esisteva più, che l'Hydra era morta con lui; Barnes aveva ghignato in modo grottesco, negando che ciò fosse possibile, seduto in modo rilassato nel pavimento di quella stanza in cui lei si trovava ora. Le aveva detto di andarsene, che era pericoloso, che non avrebbe mai dovuto cercarlo. La Svedese aveva cercato di convincerlo a seguirla, arrivando a minacciarlo con una pistola, senza risultato.

Poi, Elle aveva scoperto che Bucky aveva ragione.

Erano accerchiati: qualcuno aveva seguito la sua pista, probabilmente a causa sua, di Elle, che dava per scontato di non riuscire a trovare un fantasma. Talmente per scontato da non aver coperto con troppa cura le sue tracce.

Da allora, Elle aveva passato i successivi tre giorni dormendo solo quattro ore in totale, cercando di dare il cambio al suo inaspettato compagno di prigionia. Stava appoggiata alla parete marcescente, senza più emettere versi schifati per la muffa sulle pareti o per l'evidente tubatura in piombo che faceva gocciolare acqua piovana sulle loro teste. Aveva sparato meno di cinque colpi, riuscendo ad uccidere solo uno dei sette uomini appostati in un perimetro mobile attorno alla casa.

James era stato poco più fortunato, riuscendo, con una carabina da caccia che si era procurato chissà dove, a colpire due uomini. Il conto scendeva a quattro.

Il braccio meccanico del Soldato d'Inverno, senza cure, iniziava a provocargli una forte irritazione alla spalla sinistra. Elle aveva estratto dal suo zaino, quello che portava in ogni missione, una grossa siringa di cortisone e del mercurio cromo.

Aveva medicato con attenzione l'attacco fra l'acciaio e la spalla dell'uomo, sfiorandolo appena con la punta delle dita sottili, reggendo un kleenex imbevuto del liquido giallo.

"Perché fai questo per me?" Aveva chiesto lui, appoggiato alla parete, gli occhi incavati che la guardavano. Elle si era stupita del grigio profondo che aveva trovato in quelle iridi tormentate, e cercava di evitare il suo sguardo con tutta la sua volontà d'animo. Anche ora, seduti ai due lati di quella stanza che ormai conosceva a menadito, Elle cercava di non guardarlo. Perché aveva l'ordine di ucciderlo, e sapeva che non ne sarebbe mai stata in grado.

L'uomo si scostò i capelli castani, sporchi e lunghi fino ad oltre le spalle, con la mano libera. L'altra reggeva una beretta semiautomatica.

"E' colpa mia se ti hanno trovato." Ammise Elle. Fissò ancora per un secondo il vuoto, per poi decidersi a guardarlo negli occhi. Lui non aveva problemi a guardarla direttamente. “Non avrei dovuto ascoltare Fury e cercarti.” L'uomo la fisso, sospirando.

Mi avrebbero comunque trovato. Mi troveranno sempre.”

Elle gattonò sul pavimento, cercando di spiare da un'asse tarlata incassata nella finestra la situazione. “Faremo in modo che non ti trovino più, allora.”

"Non mi merito tutto questo riguardo." Elle rivedeva in lui lo stesso sguardo che probabilmente aveva lei, quando si era resa conto di aver ucciso per la prima volta. La sua mente era pura, come quella di un bambino. Nonostante l'età, quell'uomo non aveva ricordi veramente suoi. "Io sono un mostro."

Elle schioccò le labbra, appoggiandosi vicino a lui.

"Non lo sei. Non è colpa tua, tutto quello che è successo. Se fosse per te, scommetto che adesso giocheresti con i tuoi nipoti in una comoda casa." gli sorrise.

Invece sei qui, e sicuramente moriremo. Non vorrai passare le tue ultime ore a piangerti addosso?” Cercò di sdrammatizzare lei. Lui sorrise leggermente, i capelli che erano già scivolati di nuovo sul viso. “A quante missioni sei sopravvissuta, ripetendo che tanto saresti morta?” Elle sogghignò. Allora il fantasma era anche spiritoso.

Si batté una mano sul petto. “Io sono sopravvissuta a molte missioni, Sergente Barnes.”

L'uomo trasalì, stringendosi inconsciamente nelle spalle possenti. Elle si rese conto subito di aver esagerato, stringendo le labbra incolori in una smorfia.

"Sei stato usato. Posso solo immaginare come ti senti. Ma c'è qualcuno che ti sta aspettando, là fuori."

"Scommetto che avevi l'ordine di uccidermi."

"Perché tu non mi hai ucciso?" Lui stirò pigramente le labbra, quasi sorridendo.

"Chi mi sta cercando? L'uomo sull'Elicarrier?"

Elle scosse la testa. "Chi?"

"L'uomo con lo scudo. Quello che mi conosceva."

"Steve Rogers." comprese lei. Lui la guardò, trattenendo impercettibilmente il respiro. “Lo conosci?” Elle scoppiò a ridere. “No, assolutamente. Ma tutti in America devono sapere tutto su di lui. Secondo me, lo chiedono persino al momento di conferire la cittadinanza.”

"Lui è buono?" Chiese di getto lui, senza realmente capire il suo sarcasmo. Elle annuì, poco convinta. "...E ti sta cercando come un dannato, dicono."

Uno sparo colpì uno dei bordi dell'asse sopra la sua testa, interrompendo la conversazione. Polvere del soffitto cadde sulla testa dei due, mentre James alzava istintivamente il braccio bionico, coprendo la ragazza. I cigolii delle assi si interruppero, così come la leggera pioggia di calcinacci. Elle lo ringraziò con un cenno del capo.

"E se usciremo da qui interi, ti giuro che se vorrai ti porterò da lui. E ti aiuteremo." Altri colpi si abbatterono sopra le loro teste teste. La situazione si stava facendo tragica. Lui la guardò, senza farle capire se era contento o angosciato della sua promessa.

"E' molto attraente, oltretutto, il tuo amico con lo scudo. Dicono." Buttò li Elle, per alleggerire un po' l'atmosfera.

"Non sei il suo tipo." Ammise con sicurezza lui. "Troppo pallida e poco formosa."

Elle scoppiò a ridere, leggermente isterica, mentre James si portava una mano alle labbra, stupito delle sue stesse parole.


~


Novembre 2015


Steve scostò un ramo carico di brina, permettendo alla donna dietro di lui di passare indenne attraverso il varco nella vegetazione fitta.

Si soffermò un secondo a guardare il contrasto che la chioma dell'amica creava con il verde quasi plumbeo delle foglie cariche di umidità e ghiaccio, mentre lei spazzava leggermente il terreno con la punta degli stivali di cuoio opaco.

Nonostante l'esercito, la guerra, la sofferenza che aveva visto e provato, nonostante il senso di perdita cocente che stava dentro di lui, Steve sapeva di avere l'anima di un artista.

Se ne rese conto nel momento in cui desiderò ardentemente dei colori ed un foglio, distinguendo la sfumatura rosso Tiziano dei capelli di Natasha.

Sentiva ancora un peso, all'altezza dello sterno, presente da anni ma leggermente più pesante, mentre raggiungeva la donna e si affiancava al suo passo nervoso.

"Vuoi davvero sapere cosa ha causato quella ferita ad Elle?"

I due camminavano nel tratto di boschetto dove si dirigevano sempre per parlare in intimità. Natasha si guardava attorno. La condensa cadeva dagli alberi, nonostante fosse appena cominciato Novembre già minacciava di nevicare. Del tutto fuori stagione.

Steve si aspettava che Natasha avrebbe tirato fuori l'argomento. Non aveva sfiorato il discorso, sapendo di indispettirla. Ormai era un esperto in Vedove Nere Furiose, e sapeva che l'amica si sarebbe tradita più facilmente da arrabbiata, lasciandosi scivolare informazioni che non avrebbe voluto.

"Bucky Barnes..." sussurrò lei, stringendosi nel piumino nero. Steve emise un respiro strozzato. "Bucky?"

Le immagini del suo vecchio amico, capelli lunghi e braccio bionico, che cercava di ucciderlo durante la caduta degli elicarrier, invasero la sua mente, prendendo il posto di tutto il resto.

Com'era possibile che tutti i tasselli della sua vita dovessero sempre ricomporsi, formando scenari apocalittici? Il mondo era davvero così piccolo da spingere la sagace, e dolce, Elle Selvig contro il suo miglior amico dalle pulsioni omicide? Il fato era davvero così crudele con lui?

"Ordini di Fury. Trovarlo e portarlo da noi. Oppure...”

Oppure ucciderlo.” La anticipò lui. Capiva la decisione di Fury, da capo a capo. Bucky era pericoloso, e doveva essere ricondotto dove poter essere aiutato.

Lei lo ha trovato. E lui la ha attaccata.”

"Lei dice che sono stati degli agenti dell'Hydra... parlava di Rumlow. Ma Rumlow è morto quando è crollato il Triskelion. Ne sono sicura. L'ho visto."

Steve scosse la testa, passandosi una mano sugli occhi.

Elle non mi sembra il genere di persona da scambiare un uomo per un altro.” Guardò l'amica. “Non penso che avrebbe mai attuato una strategia di Coping del genere, sostituire Rumow a Bucky. Non lo conosceva nemmeno, James.”

Natasha sogghignò “Da quando ti interessi di Psicologia, Steve?”

L'uomo prese leggermente colore, glissando educatamente sulla domanda. “Potrei essermi fatto imprestare qualche libro da Elle, prima.”

Elle non è nuova a situazioni del genere. Non sarebbe mai incappata in un errore di attribuzione del genere. Se ha visto Rumlow, deve esserci stato Rumlow. Ma, per quanto riguarda chi l'ha colpita...”

"C'era solo Bucky con lei..." Natasha annuì alla conclusione dell'amico.

Deve essere stata una colluttazione veramente agguerrita. Ho visto la ferita di Elle.”

L'immagine di quella mattina, in palestra, lo colpì quasi dolorosamente. Sentiva ancora il peso del corpo della ragazza, mentre la portava in infermeria, battibeccando. Era incredibile, Elle non riusciva a non essere sarcastica nemmeno in un momento del genere, barricata dietro il suo muro di indifferenza. Era quasi dolce, quando arrossiva per l'imbarazzo al primo gesto cortese. Non poté fare a meno di chiedersi se fosse così impacciata solo con lui o se fosse una reazione standard per le attenzioni di qualsiasi uomo. Si grattò un attimo, accanto al naso. Non era sicuro di voler sapere il resto.

Non hai visto come era ridotta subito dopo, quando è stata ricoverata.” Natasha chiuse gli occhi. “Ho visto le foto... persino a me sono venuti i conati.”

Cosa hanno scritto nel referto riguardo alla ferita? Come è stata inflitta?”

"Un pezzo di lamiera. L'ha pugnalata con quello e poi ha tirato verso l'alto." La rossa sussurrava, gli occhi leggermente socchiusi a difendere le iridi scure dall'ultimo sole dell'inverno. "Asportazione della milza, danni all'intestino e persino all'osso del bacino. Diaframma spappolato."

Steve guardava in basso, le mani appoggiate sul tronco vicino ai fianchi. "E l'aveva mandata Fury..." ripeté fra sé e sé.

"Con l'ordine di riportarlo od ucciderlo. E' stata l'unica in grado di trovarlo. Ma poi si è rifiutata di ucciderlo. Quando l'hanno svegliata, ancora ripeteva che c'era stato un errore." Sorrise fra sé e sé. "Secondo me, sai che è successo? Ha provato ad aiutarlo. Sono rimasti per tre giorni in una vecchia fattoria abbandonata. Poi lui ha avuto uno dei suoi attacchi omicidi alla 'Soldato d'Inverno'..."

Steve si era fermando, ascoltando avidamente. "Si è rifiutata di obbedire, quindi?"

Natasha annuì. "E poi è successo quel che è successo."


~


"Se ne stanno andando?"

Avevano fame. Erano disidratati, e feriti. Diede un calcetto al fianco di Barnes, che si riscosse con un sibilo, le labbra secche e spaccate. Lui doveva aver vagabondato per più tempo di lei, ed era sfinito, gli occhi pesti e cerchiati da profonde occhiaie violacee. L'uomo strisciò verso di lei, le palpebre che si chiudevano a scatti.

"Impossibile." chiese lui con un bisbiglio, spiando dalla finestrella ormai crivellata. Poi impallidì.

"E quello chi è?" chiese Elle, spiando anche lei. Un uomo, con capelli scuri a spazzola ed una divisa nera, provvista di giacca antiproiettile, veniva verso di loro con un grosso fucile a canne mozze.

"Quello ci crivella come un groviera..." ammise lei.

"Vado io..." Barnes fece per alzarsi. "Non ci provare!" Elle lo tirò per una mano, facendolo sedere di nuovo. "Non stiamo parlando di chi va a buttare la spazzatura. Usiamo il cervello."

Ok, calmati, nanerottola.”


Pochi minuti dopo, Elle aveva estratto dallo zaino una maglietta bordeaux, molto ampia.

"Questa era tua?" chiese Barnes, sfilandosi la maglia bianca che indossava e che era sporca ed insanguinata. "Di un collega..." rispose secca lei. "Non mi sembra il momento di fare gossip, Barnes"

"Allora...io lancio lo zaino con la tua maglia. Lui lo crivella di colpi. Tu fai il giro e lo disarmi. Poi scappa! Lo distrarrò." Elle lo guardava seria, scrutando quegli occhi grigi. "Non tornare indietro. Ti cercano. Ti tortureranno." Lui annuì, lo sguardo che tradiva una buona dose di angoscia. "Non pensare a me. Se mi vedi spacciata, scappa." Estrasse un mazzo di chiavi, mentre l'uomo la guardava, le labbra piegate verso il basso e gli occhi sgranati.

"Queste sono le chiavi di un rifugio sicuro a Washington." indicò due grosse chiavi "L'indirizzo è nel cassetto del cruscotto della berlina blu scuro in fondo al viale..." indicò la chiave con il telecomando il plastica. “Non voltarti indietro. Io me la caverò. Vai, Barnes." Sorrise, cercando di essere incoraggiante. Si appoggiò al busto dell'uomo, stringendolo con il braccio ancora buono, le labbra che sfioravano la sua spalla. "Trova il tuo amico. Ti prego..." prese la mano naturale dell'uomo "...Sopravvivi." Lui annuì, deglutendo.

"Grazie, Nanerottola. Non dimenticherò." Le baciò la mano, rispolverando un galateo di altri tempi. Si sorrisero.

Barnes strisciò verso un grosso buco nel muro, dove avrebbe dovuto esserci uno scivolo per il pattume, dall'altra parte della stanza.

Elle si concentrò, le ginocchia strette al petto, allungando un tentacolo mentale verso lo strano colosso che puntava un fucile verso la sua schiena. Aveva una mente scura, plumbea come una notte senza stelle. Metallica.

"Vattene..." Sussurrò, piano. Ma l'uomo prese ad avanzare imperterrito verso di lei.

"...Vattene..." Questo pensiero si scontrò su un muro di convinzione, e di sofferenza. Elle scosse la testa, delle gocce di sudore che le facevano sbattere furiosamente le palpebre. La vista si sfocava, mentre cercava di sfondare la sua mente. Non sembrava nemmeno un essere umano, i neuroni lisi ed anneriti a causa di qualcosa. Elettroshock.

Era stanca. Guardò l'uomo avanzare verso di loro, e lanciò il suo zaino, camuffato con la maglietta di Barnes, oltre la voragine che avrebbe dovuto ospitare la porta d'ingresso. Istintivamente, l'uomo scaricò una cartuccia contro il fantoccio, due colpi grossi come noci. Elle vide Barnes strisciargli alle spalle e colpirlo con il braccio d'acciaio, barcollando leggermente.

L'uomo scuro cadde a terra, sulle ginocchia, guardando dritto contro il punto in cui era nascosta Elle, il viso che spuntava dal grosso buco nella parete. E lei lo riconobbe. "Rumlow?!"

L'uomo era irriconoscibile, il viso martoriato da un'ustione immensa. Nella sua mente c'era solo un ombra della persona che aveva conosciuto durante le sue visite allo S.H.I.E.L.D. .

E nonostante non fosse mai stato l'amore della sua vita, il Rumlow che aveva davanti era peggio. Molto peggio.

Elle imprecò.

L'uomo sembrava non provare dolore, girandosi nonostante i calci del Soldato, e alzandosi fluentemente con un colpo di reni al primo momento di tregua di Barnes. Prese a colpire, con uno stile ben conosciuto ad Elle, un James già conciato male, al viso e nello stomaco. I suoi colpi erano secchi e precisi. Usava ancora le tecniche del Mossad apprese nell'esercito, ma qualcosa nei suoi colpi colpì Elle. Sembrava allo stesso tempo preda dell'istinto e perfettamente a suo agio, come un robot.

La situazione per Barnes si stava mettendo male, ed Elle si sentiva sempre più in trappola.

"Steve..." rantolò l'uomo, girandosi sulla schiena. Rumlow sghignazzò.

"Sentitelo, chiama il suo compagno di merende." Prese per il collo Barnes, alzandolo di peso dal terreno. "Andrò a cercare lui, dopo di te. E gli dirò che lo chiamavi, mentre ti uccidevo."

Elle imprecò. Uscì allo scoperto, il respiro mozzato, tenendo le braccia alzate, in posizione di difesa, la testa incassata in mezzo alle spalle tese. L'uomo scoppiò ancora di più a ridere, guardando quella ragazzina che lo minacciava con una beretta quasi scarica.

Elle sospirò, decidendo di utilizzare anche lei la sua ultima cartuccia.


~


Steve era immobile, appoggiato sul tronco abbattuto, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans scuri. Guardava nel vuoto, sospirando.

"Ed Elle ha poteri mentali. Anche lei." scosse il capo "E' da pazzi."

"Parla quello che ha una squadra di supereroi..." commentò Natasha, appoggiata accanto a lui. "Forse dovresti immaginare cosa l'ha spinta a non parlartene."

Natasha estrasse dalla tasca un pacchetto di sigarette, porgendoglielo. Steve negò con il capo, le labbra arricciate. “Non dirlo ad Elle.”

Non penso che ci sarà occasione per un po'.” Ammise lui, guardandola mentre portava la sigaretta alle labbra ed inspirava soddisfatta.

"L'avresti vista come quella in grado di manipolarlo." commentò improvvisamente la rossa, sfregandosi le mani tra loro, la sigaretta stretta fra le labbra "Non so molto della sua famiglia, ma pare che suo padre se ne sia andato proprio a causa del suo dono."

"Non vuol dire che tutti lo debbano fare. E' anche una psicologa, dovrebbe arrivarci da sola."

Natasha emise una nuvola di fumo, che condensò contro l'aria gelida. Ebbe un brivido.

"E' un essere umano disgustato dagli altri esseri umani. Per lei tutti sono come dei libri aperti: non può concedere il beneficio del dubbio." Spiegò con voce strascicata, gli occhi bassi. "E' disillusa. Come me. Ma non ne è più consapevole di quanto non sia io."

Rimasero in silenzio qualche minuto, lei con la sua sigaretta, lui con i suoi pensieri, entrambi rigidi per il freddo. Fu Natasha a rompere il silenzio, gettando la sigaretta a terra e schiacciandola con la punta dello stivale sotto lo sguardo di disapprovazione di Steve.

"E' da anni che non la vedevo sorridere come nelle ultime settimane." Lui scosse il capo, capendo dove li stava portando quella conversazione. E lui non era pronto.

"Ora che è speciale non ti piace più?" Chiese Nat, le belle labbra imbronciate e gli occhi tristi.

"Entrerà negli Avengers." Ammise lui, guardandosi i piedi. “Entrerà nella squadra e non potrl farci nulla.”

"E allora? Cosa hai detto a Banner, alla festa di Stark, ricordi: Non infrangete nessuna regola." Steve aprì la bocca per replicare, guardandola serio.

"Come posso mettere in pericolo in una missione una persona con cui ho una relazione? Devo essere un leader. Non dovete pensare che ci possano essere favoritismi. Rischieremo la vita: non posso scappare a salvare Elle se ci sono più probabilità di salvare Wanda, o Rhodes." Natasha scosse il capo, mentre lui estraeva le mani dalle tasche per agitarle nervosamente. “Devo essere lucido. Non posso essere lucido.”

Tu faresti così per chiunque.” Sussurrò Nat, carezzandogli il viso con il palmo della mano pallida, facendolo rabbrividire per il freddo. “Sei l'amico più caro che ho, dopo-”

-Dopo Clint, lo so.” Ridacchiò lui. Lei si unì alla sua risata.

"Non ci sarà sempre una missione, Steve.” Esclamò mestamente, sedendosi di nuovo accanto a lui sul tronco, appoggiando il capo sulla sua spalla.

C'è qualcosa oltre questo gigantesco casermone di calcestruzzo, oltre questo bosco." sussurrò, più a se stessa che a lui. "Hai amato e perso una volta. Carter.”

Steve ebbe un sussulto, chiedendosi come facesse l'amica a sapere. Poi si ricordò dell'orologio, che portava sempre con sé, con la foto della donna.

Credimi: se ci fosse un modo per riportare qui Banner, di sua volontà, se sapessi come farlo tornare, non ci sarebbero altre missioni per me."

"Non vi darei mai compiti pericolosi se non fosse strettamente necessario. Valeva soprattutto con Banner." commentò piano Steve. "Ogni tanto temo che sia colpa mia. L'ho fatto sentire un'arma."

"Sei un Capitano, Rogers..." sussurrò Natasha, sedendosi accanto a lui sul tronco. "E noi siamo tutti delle armi, ai tuoi ordini."


~


"Vieni qui e preditela con me."

Il pensiero volò oltre il muro della cascina. Intercettò la mente confusa di Rumlow, passò sotto le cicatrici, nel cranio, attraverso i tessuti danneggiati dall'elettroshock del condizionamento al quale era stato sottoposto e si incuneò nell'amigdala. L'uomo si fermò di scatto, dando tregua all'uomo che giaceva a terra con il viso tumefatto. Ebbe una scarica di adrenalina. Paura.

Si girò verso la casa, incontrando lo sguardo azzurro acceso di una ragazza minuta avvolta in una camicia di lino blu, sgualcita e sporca di una sostanza scura, un bendaggio lercio avvolto alla meglio attorno alla spalla destra. Stava in piedi dietro l'uscio di quella casa, lo sguardo spaventato ma deciso, le labbra strette. I lunghi capelli biondi erano legati in una coda alta, lasciando libero il viso scarno. Teneva il braccio dal lato offeso appoggiato contro il busto, il pugno leggermente alzato davanti al viso. L'altro braccio, teso davanti a sé, puntava la pistola dritta contro di lui.

Rumlow superò con un lungo passo l'uomo disteso a terra, il cuore che pompava ad una velocità folle. Le pupille si dilatarono oltre misura. Respirò lentamente, le narici ben dischiuse, come un lupo prima della caccia.

Era stata un'idea stupida. Molto stupida. Ma era l'unica per salvare Barnes. Lui doveva essere salvato.

"Vattene!" urlò all'uomo dal braccio bionico, riverso a terra, che la guardava attraverso una patina di sangue e polvere. Lui rotolò sulla schiena con un grugnito, afferrando la prima cosa che le sue mani raggiunsero, un sasso, e colpendo con questa lanciata di slancio Rumlow alle spalle. L'uomo incassò, senza rallentare il passo marziale. "Vattene!" urlò di nuovo Elle, le braccia che si agitavano e lo sguardo sconfitto.

"Zuccherino, vieni qui." Rumlow era completamente irriconoscibile. La sua voce rimbombava per le stanze vuote, mentre Elle cercava di salire le scale senza emettere nessun rumore. Qualsiasi cosa cigolava in quella vecchia stamberga. Elle guardò dalla finestra del primo piano, contenta di non vedere più Barnes laggiù.

"Eccoti, dolcezza." la mano dell'uomo l'afferrò per il collo, sbattendola contro il muro. Elle rantolò.

"Ti ho già vista. Non ricordo dove." Istintivamente, Elle aprì la bocca per rispondere, il viso ormai cianotico. Elle alzò con le ultime forze il braccio, puntandogli la pistola alla tempia.

"Sicuramente un appuntamento andato in bianco, vedendo quanto fai lo stronzo." Barnes colpì l'uomo alla testa con una grossa asse. Rumlow fece cadere Elle a terra, mentre tossiva compulsivamente.

Barnes la afferrò per un braccio, tirandolo con forza. Sentì uno scricchiolio sinistro, mentre la trascinava verso le scale traballanti dello stabile. Elle sgranò gli occhi,rantolando.

"Al braccio ci pensiamo dopo, corri!" esclamò Barnes. Elle lo seguì.

"Non si può scappare da Crossbones. L'Hydra vince sempre, non lo sapete?" Urlò Rumlow scendendo le scale. Elle e Barnes erano entrati in una vecchia stanza di servizio, appostati al muro, appiattiti come se ci fosse stato un terremoto.

Queste frasi da propaganda non sono da te, Rumlow.” Esalò Elle, cercando di capire in che direzione stesse arrivando l'uomo. Barnes la guardò interdetto, il viso completamente tinto di rosso.

Non sono Rumlow.” Urlò questo tirando un calcio alla parete alla quale erano appoggiati, facendoli indietreggiare. La cartapesta cedette, facendo passare l'uomo che li inseguiva.

Barnes si parò davanti ad Elle, mentre questa teneva un braccio attorno alla sua vita, guardando Rumlow da sopra la spalla dell'uomo.

"Chi ti manda?"

"L'Hydra."

"Voglio i nomi." Elle cercava di rimanere attiva, nonostante il braccio fatturato e il volto esangue. Il collo era decorato da un grosso livido ancora pulsante, violaceo come le labbra dischiuse. Barnes era teso come una molla, tenendola dietro di sé, il volto tumefatto ed il naso piegato in modo innaturale.

"Io voglio te, bambolina." Barnes aveva un'espressione sconvolta: erano venuti a cercare lui. Come mai ora cercavano lei?

In un balzo, Rumlow lo scaraventò di lato, attraverso la parete della stanza, con un boato e in una pioggia di calcinacci. Barnes perse conoscenza, sbattendo violentemente nella stanza che li aveva visti sopravvivere per tre lunghi giorni. Elle camminava lentamente all'indietro, mentre Rumlow ghignava, una leggera schiuma sanguigna sulle labbra a causa dei colpi ricevuti.

Elle si teneva il braccio, piegato in una posizione innaturale. Rumlow si piegò a raccogliere qualcosa da terra. Un grosso pezzo di lamiera, arrugginito e sbeccato. Elle sperò che facesse in fretta, a ucciderla. Era esausta, non c'era modo di uscire da quella situazione. Aveva perso la pistola nella colluttazione. Non poteva sperare di difendersi da un nemico che quasi sicuramente aveva assunto chissà che tipo di steroidi e droghe.

Il pensiero della piccola River le offuscò la mente, mentre Rumlow la afferrava per la spalla ferita, spingendo le dita nel foto del proiettile, facendola cadere a terra urlando a pieni polmoni. Mise un piede, gli scarponi sporchi di fango e polvere, sul braccio fratturato, mentre lei cercava di afferrargli la caviglia.

Tenendo ben salda la lama nella mano, facendola sanguinare, Rumlow fece un affondo sul suo bacino, a sinistra.

L'urlo agghiacciante di Elle risuonò nella stanza fatiscente, mentre la lama sbeccata trapassava l'epidermide, distruggendo organi ed ossa, e sbatteva con forza contro il pavimento. Sentì Barnes ululare, dietro di lei, mentre afferrava Rumlow dal pavimento, da lei, e lo strattonava verso di sé. Aveva le orecchie tappate, gli occhi strizzati nell'espressione più sconvolta della sua vita, il viso imperlato di sudore ghiacciato.

Rumlow tenne stretta la lama, e questa si fece largo fra le carni della ragazza, strappando e squarciandole il fianco. Elle rantolò, un sottile filo di sangue che le scorreva dalle labbra. Se fosse riuscita ad alzare lo sguardo, avrebbe visto il vero Soldato d'Inverno che colpiva con il braccio argenteo l'uomo al viso. Rumlow smise di muoversi, se non per qualche spasmo, il viso contratto sotto una maschera di sangue.

Barnes si piegò su di lei, gli occhi pieni di lacrime.

Elle...” La donna afferrò la sua mano, annaspando, gli occhi azzurri resi rossi dai capillari rotti a causa delle sue urla. “Devo estrarre la lama.”

Elle annuì, singhiozzando. “Sbrigati...” Sussurrò, stringendo la mascella. Barnes le passò le dita sporche di fango e sangue sul viso, asciugandole le lacrime. Le slegò in fretta la cintura di cuoio marrone.
“Andrà bene...” Esclamò, guardando Rumlow steso a terra, sotto un cumulo di macerie di mattoni e tegole, e afferrò la lama con una mano. Le mise la cintura fra i denti, già stretti fra loro. “Pronta?” Elle annuì.

Con un gesto secco, prese la lama sbeccata e la estrasse, sentendo con disgusto il rumore del ferro che strisciava sull'osso del bacino della ragazza. Elle urlò a pieni polmoni, i denti che si stringevano contro il cuoio fino a far quasi slogare la mascella, il viso che improvvisamente perdeva completamente ogni colore. Ogni parvenza di vita.

Lui la prese fra le braccia, sentendosi mancare, appoggiandosi meglio sulla gamba meno indolenzita. Doveva portarla via. L'uomo vestito di nero si sarebbe alzato. E la sua furia cieca non sarebbe più bastata.

La stradina di campagna era vuota e silenziosa, mentre James Barnes la percorreva lentamente, tenendo fra le braccia la ragazza incosciente. Il sole stava calando, illuminando di un rosso sanguigno i campi che costeggiavano il percorso sterrato. Un passo alla volta, riuscì ad arrivare alla strada principale. Sullo spiazzo dal quale partiva la strada che stavano percorrendo, sotto un grosso salice, vi era una vecchia berlina blu scuro.

Arrivò all'auto indicata da Elle, e la depose sull'asfalto, pregando di non aver perso le chiavi dell'auto durante la colluttazione. Le ritrovò in una delle tasche dei pesanti pantaloni cargo, ed aprì la portiera del sedile del passeggero. Caricò la ragazza, ormai esangue. Un mucchietto di ossa rotte e vestiti lerci.

Mise in moto, correndo come un pazzo per la strada statale, asciugandosi il viso dolorante con la manica della maglietta rossa. Allungò timidamente una mano a stringere quella della ragazza, sentendo i suoi rantoli farsi sempre più flebili. Provava a chiamarla, ma non riceveva risposta.

Entrò al pronto soccorso della piccola cittadina di Mandeville con Elle ormai morta. La affidò a dei medici, e poi uscì, sedendosi sul muretto che costeggiava il pronto soccorso.

Sapeva che avrebbero chiamato la polizia, vedendo un giovane uomo simile ad un vagabondo che entrava portando una ragazza pugnalata a morte.

Guardò il sole calare dietro il grande policlinico, attendendo con ansia che portassero Elle in una stanza. Supponeva la stessero operando, viste le sue ferite.

Sperava che quella nanerottola bionda ce la facesse.


Quando Elle si svegliò, dopo quattro giorni di coma farmacologico, lo fece urlando dal dolore.

Era completamente paralizzata dalla vita in giù a causa del farmaci, e sopra sentiva solo dolore. A svegliarla, era stata la sirena di un allarme. Un'infermiera corse a controllarla, dicendo con aria concitata che qualcuno era entrato nella sua stanza, rendendo incoscienti le due guardie poste davanti alla sua porta.

Elle voltò il capo verso il comodino, tramortita da tutta quella confusione.

Qualcuno aveva appoggiato un grosso fiore di campo giallo sul suo comodino, avvolto in un fazzoletto di carta. Su un altro fazzoletto, vicino al primo, c'era una scritta a penna, leggermente sbavata, in una grafia elegante e piuttosto grande per un uomo.

Elle sapeva già di chi si trattava.

'Grazie, Nanerottola.'


~


Anche se ormai era Novembre, e faceva anche più freddo di un Novembre normale, Elle stava seduta sul tetto del quartier generale. Si godeva gli ultimi, pallidi raggi di sole, riflettendo sulle ultime due settimane. Quasi le girava la testa, pensando a tutto quello che era successo.

Sentì l'uomo arrivare molto prima del momento in cui lui si mise di fronte a lei, in piedi, oscurando il poco sole che Elle cercava di assorbire come un serpente.

Mi rubi il sole.” Ammise pigramente, alzando lentamente lo sguardo sull'uomo.

Grazie di aver aiutato Bucky.”

Aiutare qualcuno dovrebbe essere la prassi fra esseri umani, Capitano.” Era solo un sibilo, ma nel silenzio del tetto risuonò come un urlo. Il rumore del vento che passava fra gli alberi e faceva cadere le ultime foglie secche riempì lo spazio vuoto lasciato dalle loro voci.

Posso parlare con te?” Sussurrò lui, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans scuri e lo sguardo rivolto verso l'orizzonte. I capelli, seppur corti, si muovevano leggermente al vento.

Non hai più freddo?” Chiese ancora, per spezzare il silenzio.

Non hai più paura che possa entrare nella tua testa?” Lo scimmiottò lei, puntandogli gli occhi azzurri nei suoi. Steve sospirò.

No, non ho più freddo. La mia temperatura si è stabilizzata, circa sui trenta gradi, e la mia frequenza cardiaca a riposo è di quaranta battiti al minuto. Sai cosa vuol dire, questo?”

Steve le tese una mano, per aiutarla ad alzarsi. Lei la guardò un secondo, per poi guardare di nuovo lui, le sopracciglia aggrottate. Si sollevò sui talloni e poi in piedi, ignorando la mano che lui le tendeva.

Vuol dire che sono diventata un animale a sangue freddo.” Sussurrò. “Ho bisogno del sole.”

Per tutta risposta, Steve scartò di lato, lasciando che l'ultimo sole della giornata la colpisse dritta sul viso. Elle mugolò, soddisfatta, il viso strizzato in una smorfia comica.

Grazie.”

Natasha mi ha detto...” Elle non aprì gli occhi, e non voltò nemmeno la testa verso di lui.

Mi ha detto che pensi di aver visto Rumlow.”

Forse si... Forse no...”

Steve sospirò, guardandola innervosito. “Sto parlando seriamente, Selvig.”

Anche io, Rogers.” Aprì un occhio, voltandosi verso di lui. “Sono ancora sotto farmaci. Non devi disturbare la mia degenza. Potrei denunciarti al tribunale del lavoro per aver sfruttato la mia temporanea inabilità.”

Steve sogghignò, senza riuscire a trattenersi. “Temporanea?”

Elle aprì di scatto gli occhi, guardandolo sconvolta. Poi scoppiò a ridere.

Finalmente vedo il tuo lato oscuro.” Strizzò gli occhi, portandosi una mano davanti al viso per proteggersi dal sole. “Ammetto di aver infierito su di te per vedere quando avresti risposto.”

E ti è piaciuto quello che hai visto?” Chiese lui, il volto basso e una smorfia divertita sul viso. Elle si imporporò, glissando su quel malcelato flirt. Annuì leggermente, indietreggiando.

Elle...”

Le prese delicatamente il polso, mentre lei cercava di allontanarsi.

Non rendere tutto questo ancora più difficile, Steve.” Elle sussurrò appena, lo sguardo basso. “Tu non capisci, Elle...” Sussurrò lui, guardandola rassegnato.

Portò una mano al suo collo, il pollice appoggiato con un'innaturale delicatezza nella fossetta della giugulare, le dita tiepide a contatto con la sua pelle ghiacciata.

Potevi manipolarmi. Troppe persone dipendono da me, ora.”

Elle fece un passo avanti, una mano istintivamente portata al collo, appoggiata sulla sua. Premette con forza il pollice nella fossetta, deglutendo. L'uomo ebbe un brivido.

Anche tu potresti uccidermi.” Lo guardava dritto negli occhi, il viso a meno di trenta centimetri dal suo. “Ora.”

Istintivamente Steve rafforzò la presa dell'altra mano sul suo braccio, tirandola leggermente verso di sé, il respiro leggermente accelerato. “Potresti stringermi così forte da non farmi più respirare.” Elle ormai sussurrava. “Sei molto più forte di me.”

Non vuol dire che lo farò.” Sussurrò lui, avvicinando il suo volto a quello di lei. Elle sospirò sulle sue labbra, abbassando lo sguardo.

Non vuol dire che l'ho fatto.” Mormorò, puntandogli lo sguardo ceruleo dritto negli occhi. Steve ebbe un brivido. “Io posso leggerti nella mente. Posso costringerti a fare cose.”

Si strinse leggermente nelle spalle, allontanandosi leggermente con il busto. “Non vuol dire che lo farò mai.”

Non posso crederti sulla parola.” Sospirò lui. Elle chiuse gli occhi, espirando seccamente. “Sarai costretto.”

Steve la fissò accigliato, la mano che scivolava dal suo braccio mentre lei indietreggiava.

Lui le strinse il polso con forza. Elle si morse il labbro, guardandolo di sottecchi, come per valutare la sua prossima mossa. Steve le accarezzava la pelle del polso sottile con le dita, guardandola angosciato. Elle deglutì ancora.

Ho deciso di accettare l'offerta di Fury.” Fece per allontanarsi. Lui la tenne stretta, impedendoglielo, gli occhi blu carichi di tristezza, la mascella rigida. Elle si girò a fronteggiarlo, emettendo in un sospiro la frase che lui temeva di più.

Entrerò negli Avengers.”

xXx

Ehilà!
Come promesso eccomi qui, a tediarvi con un altro intervento dell'autrice. Si, lo so che vi sono mancata!
Purtroppo non posso fermarmi molto, è una settimana complicata, ma non voglio lasciarvi andare senza ringraziare Bagabu28 per la recensione! Spero di sentirti presto, e di sapere cosa ne pensi del capitolo nuovo! E poi, ovviamente, Delta :) questo è il famigerato capitolo che avevo promesso ti avrei dedicato, e spero che ti piaccia tanto quanto è piaciuto a me leggere le tue recensioni.. Grazie, il mio ego ti è debitore a vita! Deltaworld, festa con Loki ubriaco, arrivo!
Ringrazio anche tutti quelli che hanno inserito la storia fra le preferite e le seguite, e invito caldamente chiunque abbia consigli, suggerimenti o insulti a recensire. razie anche a tutti quei lettori silenziosi, che danno senso a tutto il tempo che passo per scrivere.
Comunicazione di servizio: penso che nelle prossime settimane mi adopererò per un restyling dei capitoli, in quanto vi sono ancora diversi problemi di formattazione. Mi dispiace, sono una vera frana con il computer!
Noto con dispiacere che molti lettori si sono fermati dopo il primo capitolo, e da donna di scienza quale sono non ho potuto fare a meno di notare la correlazione. ;) Inoltre, se qualcuno avesse particolari doti grafiche o voglia di cimentarsi, pensavo di cambiare il banner dopo il quindicesimo capitolo. Se dovesse nteressarsi qualcuno di questa poveretta con nessuna capacità informatica, scrivetemi in messaggio privato e provvederò a contattarvi.
E' così terribile il primo capitolo? Se qualcuno volesse darmi consigli a riguardo, posso riscriverlo in maniera più accattivante! Ci sono più di cento letture di differenza fra il primo ed il secondo. Ed io voglio raggiungere il moooondo...... muahahahah
Vi lascio con l'ultima informazione: il prossimo capitolo sarà pubblicato Mercoledì 4 Novembre!

A presto, Besos

Eve


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Capitolo 10
*** 10. Consapevolezza ***


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Atto 10: Consapevolezza


When comfort and warmth can't be found
I still reach for you.
But I'm lost, crushed, cold and confused
With no guiding light left inside.”

MUSE



Novembre 2015


Colore preferito?”

Elle guardò quella giornalista con occhi sconvolti.

Come, scusi?”

Qual'è il suo colore preferito.”

In che modo questa domanda è pertinente al discorso?”

La donna si strinse nelle spalle, mettendo un punto di domanda con la penna rossa su un

elenco, che teneva in mano.

Si sente più Svedese o Americana?”

Elle ebbe un singulto. Cercò lo sguardo di Maria, che però era impegnata a battere a computer dietro la donna, che la fissava in attesa.

Io sono Svedese. Sono nata in Svezia.” Disse piano Elle, cercando di capire dove fosse l'inghippo. La donna sospirò, spuntando un altro punto.
“Lei è del 1989, giusto?” Elle annuì. “Ha solo ventisei anni, non le sembra presto per entrare in questo tipo di organizzazione? E' abbastanza giovane per rischiare la sua vita?” La Svedese si morse il labbro, contando fino a dieci nella sua testa.

Natasha Romanoff è poco più vecchia di me.” Commentò, stirando le gambe avvolte nei collant scuri. Natasha l'avrebbe uccisa, per quell'affermazione. “Ci sono tanti giovani uomini che entrano volontariamente nell'esercito, ai quali nessuno chiede se non sia una decisione avventata. Soprattutto qui in America...

La donna ebbe un sussulto. “Lei è contro il tipo di propaganda messa in atto per avvicinare i giovani alla vita militare?”

Elle sorrise. “Propaganda è la parola giusta per descrivere il bombardamento mediatico messo in atto dal governo Bush. Io ero appena arrivata, quando i militari giravano per i luoghi di ritrovo dei giovani per convincerli ad arruolarsi.”

Maria si alzò, sbattendo con un gesto secco una cartelletta sulla scrivania. “Penso che qui abbiamo finito...” Si interruppe bruscamente prima di richiamare l'amica per nome, guardandola con le labbra tese in una smorfia. La giornalista sorrise, sperando in un passo falso dell'agente.

A questo proposito, è convinta di non voler divulgare il suo nome? La popolazione americana lo vedrebbe come un atto di fiducia.”

Elle la guardò incredula. “Non vorrei mettere a rischio coloro a cui tengo, puntandomi contro refettori che non ho mai cercato.” La indicò. “Questa cosa è stata voluta da Fury.”

La giornalista le fece un sorriso tirato. “Magari, fra qualche anno?”

Elle sospirò, annuendo. “Se cambiassi idea, sarà la prima a cui lo farò sapere. Ma già il fatto che la squadra rischi la propria vita per salvaguardare la popolazione, dovrebbe essere un'argomentazione sufficiente per considerarci degni di fiducia.”

La donna fece una smorfia insoddisfatta. “Non c'è molta trasparenza, in questi ambienti abitati da inumani.”

Disse il popolo del caso NSA:” Elle alzò un sopracciglio, il capo leggermente chinato in avanti, sorridendo divertita. Maria si schiarì la voce. “Penso che abbiamo finito.”


Elle si alzò di scatto, lisciandosi la gonna beige con le mani sottili. La giornalista rimase seduta, guardandola di traverso. Elle aspetto che capisse che il loro colloquio era finito e si alzasse, per tenderle la mano. La donna esitò un secondo, prima di stringerla.

Se sarà fortunata-”Concluse Elle sorniona “-ci sarà un prossimo Wikileaks e allora, probabilmente, saprà il mio nome.”
Maria si passò una mano sul viso, incredula.

~


Qualche giorno prima

Fury aveva sogghignato appena, all'annuncio di Elle. La donna stava in piedi al centro del suo ufficio, mentre Rogers stava contro il muro, nell'ombra, in fondo alla stanza. Non toglieva gli occhi dalla nuca della ragazza, mentre la donna non faceva minimamente caso alla sua presenza. Probabilmente fingeva, in modo molto abile.

La donna stava dritta, impalata come un fuso, a fissarlo con quegli inquietantissimi occhi azzurri, che a Fury ricordavano sempre le vittime dell'incantesimo di Loki.

"Sei sicura, Selvig?" chiese infine l'uomo , intrecciando le dita delle mani, i gomiti appoggiati davanti a lui sulla scrivania di vetro. Elle annuì.

"Farò un allenamento intensivo con Visione sfruttare al meglio le mie capacità. Nel frattempo, sarebbe il caso di trovare uno psicologo o psichiatra per sostituire il ruolo che già ricoprivo."

Dietro di lei, Rogers teneva le bracca incrociate, lo sguardo fisso, emanando un'aura di negatività quasi palpabile. Fury annuì.

"Abbiamo già un paio di nomi in lizza, appena avrò deciso glielo presenterò, e potrete passarvi tutta la documentazione." Rispose alla ragazza, che annuì decisa.

Elle si tolse i capelli dal viso, portandoli dietro le orecchie con un gesto nervoso, gli occhi che guizzarono al limitare del suo campo visivo, resistendo alla tentazione di voltare il capo. L'ex agente a capo dello S.H.I.E.L.D. sorrise divertito. "Se è tutto io vado."

In realtà, dovremmo discutere anche della ricerca delle origini del tuo potere. Pensavo di affidare il compito a Romanoff. Come tua amica e confidente, penso che sarebbe la soluzione migliore. Ovviamente, gli serviranno dei recapiti dai quali partire quando sarà giunto il momento di spostarsi ad indagare in Nord Europa.”

Ovviamente.” La leggera tensione nella voce della bionda non era nascosta abbastanza bene da non essere captata dai due uomini presenti. Entrambi stettero in silenzio.

Allora, puoi andare, Selvig.” Commentò infine Fury, facendole un gesto ampio con la mano.

Elle mimò un saluto militare, uscendo con la velocità di un razzo dalla stanza.

Nell'ufficio di Fury piombò un silenzio tombale.

"Sei davvero convinto a lasciarglielo fare?" Chiese sarcasticamente la versione Phantom of the Opera di Rogers. "Potrebbe fare mille altre cose. Cose normali."

"L'ultima parola spetta a te, Capitano." commentò Fury alzando le braccia in segno di resa. "Io mi occupo della gestione del personale. Sta a te approvare o no il suo ingresso nella squadra."

Steve si staccò dal muro, prendendo un respiro a pieni polmoni. "Non penso di avere scelta. Sembra che la squadra butterebbe fuori me pur di avere Selvig."

Fury rise. "Elle sceglie con attenzione i suoi amici, e con attenzione condivide le sue informazioni. Ma immagino che di questo te ne sarai accorto..." Steve quasi gli ringhiò contro, la mascella contratta dal nervosismo.

L'ex Agente si appoggiò allo schienale della sedia. "Elle è addestrata, è pienamente in grado di adempiere a questo ruolo anche senza poteri. Mi chiedo dove ci porterà l'emergere di queste sue doti sopite. Non so se sperare che Visione esageri nel parlarne."

Steve iniziò a passeggiare nervosamente per la stanza, l'espressione di un leone in gabbia.

Ci serve un soggetto come Elle, soprattutto mentre Maximoff ancora non è pronta ad una missione complessa.” Commentò ancora Fury. Steve digrignò i denti. “Wanda sta ancora soffrendo per la perdita del fratello.”

E tu, Capitano?” Fury si sporse verso di lui, l'occhio sano che lo scrutava, quasi a voler dedurre tutti i suoi più profondi pensieri. “Elle ha già trovato il Sergente Barnes una volta. Potrebbe essere la chiave di volta per la sua... Per il suo ritrovamento.”

Steve si voltò a guardarlo, ricordando tutte le volte che l'uomo con cui stava parlando aveva agito alle sue spalle. Sempre pensando di fare il bene, certo.

Elle somigliava più a Fury che a lui o a Natasha. Questo lo spaventava: non gli serviva un altro proiettile vagante nella sua squadra. Non gli serviva un altro proiettile vagante nella sua vita. Ma Fury aveva ragione: gli serviva una Elle. Qualcuno che sapesse sempre cosa fare. Una scaltra ragionatrice. Anche se aveva notato che, in sua presenza, Elle era molto più spontanea. Non sembrava ragionare: lo insultava e basta. A volte lo baciava sulla guancia.

Fosse stato anche solo per non vederla sparire nel nulla, Steve decise cosa rispondere all'uomo di fronte a lui.

"Allora, sia. Abbiamo una nuova Avenger."


~


Elle stava sdraiata sul ring, nell'area personale degli Avengers, le braccia aperte ed i capelli sparsi attorno al viso, come una coperta sulla quale appoggiare il capo durante una scampagnata estiva. Visione, seduto al suo fianco, un ginocchio alzato e il busto puntellato sul braccio destro, fissava fuori dalla finestra sorridendo enigmaticamente. Elle non poteva smettere di fissarlo, quasi senza sbattere le palpebre dalla concentrazione.

"Mi stai fissando..." le chiese lui, tenendo fra le dita della mano libera una moneta.

"Come faccio a non fissarti se tu ti presenti...così!" Elle lo indicò con entrambe le mani, spostando lo sguardo sul soffitto per l'imbarazzo.

Visione si soffermò un attimo sul suo riflesso nel vetro della finestra. Aveva un aspetto umano, la pelle di un colore chiaro, gli occhi azzurro ghiaccio ed i capelli color nocciola. Era ancora molto alto, quasi quanto Rogers, e portava una maglietta scura attillata, imprestata da Samuel.

Lo ammetto, ho pensato a te per il colore degli occhi. Volevo qualcosa che vi ricordasse che non sono umano.”

E mi hai pensato, che carino...” Borbottò Elle, sarcastica. Lui le sorrise, mentre lei squoteva il capo. “Non lo capisci ancora il sarcasmo, vero?” Lui la guardò con uno strano sorriso.

Se per questo anche il Capitano. Ma questo non vuol dire che non sia umano.”

Elle scoppiò a ridere senza riuscire a controllarsi, sotto lo sguardo divertito dell'androide.

Ho una pessima influenza su di te, Visione.” Lui sorrise ancora, guardandola.

Non dimenticare che sono una creatura di Stark.” Elle annuì, asciugandosi gli occhi.

"Ancora non capisco, però. Perché questo aspetto?"

"Volevo essere un po' più simile a voi."

"Per nasconderti?"

"Per capirvi." Visione le sorrise, tornando a guardarla. "Sembrare umano mi rende più facile comprendervi." Elle annuì, un'espressione poco convinta. “E' solo un corpo, Visione.” Commentò piano, riportando lo sguardo sul soffitto bianco. L'androide la guardò con un leggero sorriso.

"Tu, invece, sembri fare di tutto per allontanarti dal tuo lato umano."

Elle si strinse nelle spalle. "Sono una mutante. Lo hai detto anche tu."

Questa consapevolezza l'aveva accompagnata da quando Visione l'aveva nominata per la prima volta. Mutante. La sua pelle era impallidita, i suoi occhi si erano accesi di un azzurro sempre più forte, i suoi capelli e le sue ciglia erano sempre più chiari. Non se ne rendeva del tutto conto, ma era come se la natura stesse riprendendo possesso del suo corpo, costretto in un aspetto umano da quando aveva memoria, per renderla ciò che doveva essere. Si sentiva sempre più consapevole, di quello che era, di quello che poteva essere.

Visione carpì i suoi pensieri, annuendo. "Dobbiamo capire da dove proviene il tuo potere. Rischiamo di non saperlo gestire." Elle annuì, chiudendo gli occhi. “Sono come una bomba artigianale di un bombarolo molto creativo.” Visione la guardò interrogativo, mentre lei sbuffava.

Dai, prova a sollevare a moneta come ieri.” La incitò lui, facendole vedere il quarto di dollaro che teneva fra le dita. Elle voltò il viso nella sua direzione, gli occhi piantati nei suoi.

Avvolta da una leggera ed improvvisa luce blu, la moneta si sollevò lentamente, traballando nell'aria per un secondo. Girò intorno alla nuca di Visione senza incidenti e tornò sul suo palmo. L'androide sorrise, lanciandola un secondo in alto e riprendendola.

Elle, proviamo una cosa.” Visione la guardò un attimo, portandosi la mano con dentro la moneta al mento, in una posizione riflessiva. “Tu riesci a vedermi nella mia forma normale, anche se sto utilizzando questa illusione?”

Elle aggrottò le sopracciglia. “Vedo un bagliore sulla tua fronte, ecco.” Ammise poi. Lui sorrise. “Nessuno dovrebbe riuscire a battere le illusioni della gemma della mente.”

Elle si strinse nelle spalle. “Diventi anche leggermente più rosso...” Gli occhi della ragazza diventarono di un incandescente azzurro, lo sguardo estremamente concentrato.

Visione le sorrise, l'espressione carica di aspettative. Elle aggrottò ancora di più la fronte, trattenendo il respiro. Il sorriso di Visione si allargò.

Ci sei riuscita!” Esclamò. Elle lo fissò ancora, gli occhi che quasi si incrociavano per lo sforzo. La ragazza scoppiò a ridere. “Ti vedo normale! Sembra quasi... Una doppia esposizione... Ma ti vedo!” Serrò gli occhi di scatto, mentre Visione la guardava leggermente preoccupato.

Ok, basta per oggi...” Esclamò, alzandosi sui talloni. Elle fece un respiro affannato, mettendosi le mani sulle palpebre chiuse. “Mi brucia la testa...” Borbottò, senza muoversi dal ring. Visione strinse le labbra sottili. “Forse era troppo presto per questo, ma ora abbiamo un indizio importante...”

Ovvero?”

Wanda entrò nella stanza, i capelli scuri sciolti attorno al viso, le braccia incrociate su una grossa felpa con il disegno

"E quella?" chiese ridendo Elle, mentre Wanda inchiodava fuori dal ring, fissando Visione.

"Che ti è successo?" Chiese, sconvolta.

Elle alzò il busto puntellandosi sui gomiti, guardandola. "E poi sembravo io, quella della reazione esagerata..." Biascicò. “Quando ti ho visto non ti ho nemmeno riconosciuto.”

Visone si alzò con un movimento fluido, avvicinandosi al bordo del ring. "Volevo essere più simile a voi." commentò, un sorriso radioso. Wanda non poté non rispondere al sorriso, le labbra dischiuse dalla sorpresa.

"Mi trovi attraente?"

La schiettezza di Visione era seconda solo a quella della ragazza di Sokovia.

"Ti trovavo bellissimo anche prima." Commentò placidamente questa, gli occhi accesi di una luce insolita. Elle sospirò, ridacchiando. "Quando avete finito di brillare come due alberi di Natale, perché non fate una passeggiata insieme e ne parlate?" I due si girarono a guardarla, sconvolti. "Di cosa?" Chiese Visione, sinceramente curioso. Elle crollò di nuovo distesa, mormorando un udibilissimo "Non ci credo..."

"Quindi adesso chi si occuperà dei nostri amici infiltrati dell'Hydra?" chiese Wanda, salendo sul ring e passando fra le seconda e la terza corda, i lunghi capelli scuri che oscillavano.

"Arriverà un nuovo psichiatra. Si chiama Nalsson." rispose Elle, battendo una mano sul tappeto per farle cenno di sedersi vicino a lei "Viene anche lui dal nord Europa. Norvegia."

"Non distrarre Elle, Wanda." Le richiamò dolcemente Visione, guardando la ragazza mora. Elle alzò gli occhi al cielo. Visione scese dal ring, indicandole.

"Adesso, Elle, solleva Wanda."

Elle sgranò gli occhi mentre Wanda si lamentava di dover fare la cavia.


"Sta migliorando ogni giorno." commentò Natasha, guardando la scena dal corridoio. Steve annuì, restando immobile a fissare le due donne che si sistemavano meglio sul tappeto del ring. Natasha proseguì, sperando di avere la sua attenzione.

"Le ho detto che indagherò sul suo passato. Ha detto che va bene." Steve annuì di nuovo, senza rivolgerle nemmeno un'occhiata, lo sguardo fisso su Elle che rideva .

"Pensi di parlarle prima o poi?" sbottò Nat.

"E' consapevole dei suoi poteri, ora. Tra poco il suo equipaggiamento sarà pronto, sarà allenata...”

Hai paura.” Concluse Natasha, appoggiandosi accanto a lui sullo stipite del corridoio.

E' un'odiosa saccente, ma sa il fatto suo.” L'uomo si strinse nelle spalle, con una smorfia. “Farà paura alle persone. Guarda cosa ha combinato con la giornalista..."

"Già non mi sembra ci adorino... siamo quelli ai quali piace far crollare le città..." Commentò la russa, mentre Steve annuiva.

"Non ho idea di cosa ci possa riservare il futuro..." Natasha si grattò il mento. Wanda, a gambe incrociate, rideva, sollevata a quasi un metro da terra, un bagliore violetto che la circondava. “...Conto sul fatto che Elle riesca a farsi benvolere, e non ci spedisca tutti alla gogna.” Steve sospirò, senza risponderle.

"Stanno succedendo delle cose strane in Francia... spariscono delle persone... altri mutanti, forse." continuò lei. Steve annuì. “Ho visto il rapporto dall'Europa.”

"Hanno visto un uomo, ben addestrato, vestito di nero... il viso ustionato..." Proseguì lui, voltandosi verso la russa.

Natasha si morse il labbro. "Rumlow..." Wanda tornò a terra dietro di loro, una luce strana negli occhi. Disse qualcosa alla svedese, che si alzò con un ghigno.

"Dobbiamo trovare Barnes..." I due si voltarono, ritornando a guardare Elle,che teneva le mani tese in avanti, le dita macchiate una luce azzurra. Wanda si avvicinò, sprigionando un'energia rossastra dai palmi delle mani, aperti davanti a lei.

"Ehi, voi due!" Strillò allarmato Samuel, spuntando dallo spogliatoio con le mani fasciate, pronto per fare un po' di boxe. Elle e Wanda si avvicinarono, tentando di prendersi le mani.

Il boato spaventò Steve e Natasha, che si abbassarono a terra, un braccio di Captain America a proteggersi il volto, il busto voltato cercando di coprire l'amica con la sua figura.

Una nuvola di energia spedì le due donne in due direzioni diverse. Elle sbatté come una bambola inerte contro il muro in uno schiocco, mentre Wanda volava verso la vetrata, recuperata prima di una rovinosa caduta da Visione, tornato nella sua forma rossa.

"Non vi capirò mai, voi umani. Talmente curiosi da mettere a rischio la vostra stessa vita." Commentò l'androide, severo, appoggiando Wanda a terra. Questa si massaggiava gli avambracci, il viso strizzato in un'espressione di dolore. L'altro le prese le mani, sfiorandole i polsi sottili con le dita.

Natasha e Steve si rialzarono lentamente, mentre Elle scoppiava a ridere, un rigolo di sangue che scendeva da un taglio sulla fronte. "E che eravamo al minimo della nostra forza..." Commentò, puntellandosi sui gomiti. Steve si alzò, coprendosi il viso con una mano, mentre Natasha correva verso l'amica. Samuel stava sdraiato al centro della stanza, le mani sul viso, immobile. Steve si avvicinò, dandogli un colpetto con il piede.

Sam?”

Dimmi che hanno finito.” Commentò l'uomo, aprendo solo leggermente le dita della mano. Steve ridacchiò. “Si, e non lo faranno mai più.”

Elle si alzò, appoggiandosi a Natasha. “Mi fischiano le orecchie.”

Wanda la guardò un secondo. “Che hai detto scusa?” Urlò, facendo scostare infastidito persino Visione. Steve si abbassò vicino all'amico. “Stai bene?”

Samuel tolse le mani dal viso. Alzò lo sguardo, incontrando quello di Elle.

Ma siete stupide?!” Chiese, urlando. Elle fece un passo, lasciando Nat, e si abbassò vicino a lui, sedendosi a terra con un tonfo. Si stese con il capo vicino a Samuel, mentre questo cominciava a ridere. “E io che credevo di conoscere la prima bionda intelligente!”

Lei guardò un attimo Steve, che cercava di trattenersi dal ridere.

Si, probabilmente siamo stupide, Sam.” Sospirò. “E comunque, conosci un'altra bionda intelligente.”

Natasha scoppiò a ridere, mentre i due uomini la guardavano interdetti. “Chi?” Chiese Samuel, voltando leggermente il capo verso di lei. Visione si avvicinò, tenendo Wanda per la vita. Guardò Elle un secondo, prima di sorridere a pieno viso e spostare lo sguardo verso Samuel.

Steve Rogers, ovvio.”

~


L'urlo le uscì dalle labbra prima che avesse il tempo di riprendersi.

Le lenzuola attorcigliate attorno alle gambe, la pelle sudata e fredda, gli occhi che bruciavano.

La gola le doleva come se avesse urlato per delle ore intere. Elle si alzò con il busto, di scatto, gli addominali che le dolevano per gli allenamenti. Ebbe un brivido, mentre si stringeva le coperte attorno alle spalle scarne, i capelli incollati sul viso madido.

Lanciò uno sguardo alla sveglia, girandosi con un grugnito. Era appena mezzanotte e mezza.

Il viso di sua madre la guardò sorridendo dalla cornice argentata che la ospitava, sul comodino. Elle scrutò il viso sereno, la pelle pallida come la sua, gli occhi scuri che lei sapeva essere grigi, le labbra piene stirate in un sorriso enigmatico. Si passò una mano sul viso, senza distogliere lo sguardo da quello della fotografia.

Un bussare concitato la ridestò dai suoi pensieri, facendola sussultare. Si alzò, tremando leggermente per il freddo e per lo choc, i capelli che le sfioravano ad ogni passo il fondo della schiena coperta da una canotta grigia. A pieni nudi, gli occhi strizzati nel buio, raggiunse la porta.

Chi è?” Biascicò, girando la chiave. “Sono io.” Natasha la chiamò sommessamente.

Che succede?” Elle si sporse leggermente, gli occhi traumatizzati dalla luce al neon sempre accesa del corridoio. Natasha e Rogers la guardavano, preoccupati.
“Stai bene? Ti abbiamo sentito urlare.” Chiese lui immediatamente. Elle alzò leggermente il capo, grattandosi la testa. Mugugnò un si, tremando per il freddo.

Hai avuto un incubo. Stavo tornando in camera e ti ho sentita urlare.”

Io la stavo accompagnando.” Specificò Steve. Elle li guardò, confusa. “Mi spiace di avervi fatto preoccupare.” Si strinse nelle braccia.

Ma sei in mutande?” La riprese la rossa. Elle abbassò lo sguardo, intontita. Portava delle culottes nere. Arrossì improvvisamente, mentre Rogers distoglieva lo sguardo, prendendo leggermente colore sul viso. “Ero così stanca... Mi sono spogliata e mi sono messa a letto.”

Beh, allora io me ne vado a dormire.” Borbottò Natasha poco convinta. Elle annuì, i capelli che le coprivano parte del viso, gli occhi sgranati. La rossa la guardò, sorridendole enigmatica, e fece un passo indietro. “Buonanotte.”

Elle e Steve risposero al saluto, lui mettendosi le mani in tasca, Elle mezza nascosta dietro la porta della sua stanza. La donna si allontanò, seguita dallo sguardo dei due amici.

Beh, quindi, ti capita spesso di svegliarti urlando?” Steve la guardò, il capo leggermente chino. Elle arrossì leggermente. Annuì.

Anche a me...” Sospirò lui. “Sono sicuro che Samuel piantoni la mia stanza, nel terrore che io rompa qualcosa nel sonno.”

I due ridacchiarono silenziosamente nel corridoio deserto.

E' bello sapere che non sono l'unica a fare degli incubi.”

Penso che molti di quelli che vivono qui dentro abbiano qualcosa che li perseguita la notte...” Commentò lui, guardandola negli occhi. “E comunque grazie.”

Per cosa?” Elle lo fissò stranita.

Per non aver detto qualcosa come 'Se Captain America ha incubi, allora...'.”

Elle scosse il capo, spostandosi i capelli dietro all'orecchio. “Sai che non lo direi mai...”

Lo sguardo incredulo che ne seguì li fece scoppiare nuovamente a ridere.

Si, probabilmente sarei capace di dire cose anche più cattive...” Elle si asciugò una lacrima dall'occhio, mentre Steve si appoggiava sullo stipite della porta. “Hai insegnato persino a Visione a prendermi in giro.” Lei si strinse nelle spalle, sfregandosi le braccia per il freddo. “Dovere.” Commentò, guardandolo un secondo. Riportò subito lo sguardo a terra.

Non abbiamo più parlato, ultimamente...” Elle annuì, gli occhi stanchi che non abbandonavano i piedi dalle unghie tinte di cremisi. “Lo so.”

Ti trovi bene nella squadra?” Chiese lui, seguendo il suo sguardo. Dovevano essere uno spettacolo curioso, entrambi piegati a guardare la moquette marrone ed i piccoli piedi di Elle. La donna annuì, stringendosi nelle spalle.

Mi dispiace, probabilmente ti sto tenendo sveglia e tu vorresti solo andare di nuovo a letto, è che...”

Una porta si aprì con un cigolio sinistro. Una vecchia signora, l'addetta della lavanderia, mise fuori la testa.
“Potete spostare la vostra chiacchierata in un altro posto o ad un altro momento?” I capelli stretti in una retina ed il viso cosparso di una crema biancastra. Elle e Steve si voltarono, guardandola con espressioni terrorizzate, come due adolescenti beccati dopo il coprifuoco. Elle fece un timido gesto con la mano. “Mi spiace signora Phillips.”

La donna la guardò severamente per un attimo, per poi sciogliersi in un sorriso, rientrando nella sua stanza bofonchiando una 'Buona Notte' appena accennata. Elle si guardò attorno, per il corridoio deserto.

Vieni dentro.” Sussurrò poi, aprendo la porta con i fianchi e fermandola con il proprio peso. L'uomo la guardò allibito.

Sicura?”

Non penso di riuscire a dormire di nuovo serenamente. E anche tu rischi di fare dei sogni poco piacevoli. Possiamo farci compagnia.”

Steve abbassò lo sguardo, sorridendo. “Ne sei sicura?”

Elle annuì, senza incontrare i suoi occhi. “Sei già in tuta.”

Lui scrutò i vestiti che indossava. “Da quando siamo qui sono praticamente sempre in tuta, Elle.” Lei sorrise, annuendo. “Ci terremo svegli a vicenda tutta la notte, così nessuno dei due farà rumori molesti e disturberà la quiete pubblica.” Steve le sorrise, grattandosi la testa.

Potrebbero parlare.”

Elle emise una risata strozzata, alzando il capo con fare sarcastico. “Davvero credi che mi importi?” L'uomo ridacchiò. “So che non ti importa.”

A te importa?” Elle lo guardò negli occhi improvvisamente, facendogli perdere momentaneamente il fiato. Scosse la testa. “No.”

Su allora, entra.” Tenendo le mani sprofondate nelle tasche, Steve si fermò un attimo sulla soglia, di fronte a lei. La guardò, leggermente sovrappensiero. “Sicura?”

Elle sbuffò. “Non fare la ragazzina, non ti mangio.” Rogers ridacchiò, alzando lo sguardo su di lei. Inconsciamente, si umettò le labbra.

Promettimi che non parleremo di cose importanti.”

Elle lo spinse leggermente in dentro, sorridendo. Richiuse la porta dietro di lui.

Ma ti pare. Guardiamo un film.”

Che film?”

Qualcosa che ci tenga svegli.”

Elle fece un sorriso malvagio, dirigendosi verso la piccola libreria appoggiata vicino alla porta del bagno. Steve scrutava curiosamente la stanza, quasi a voler imprimere nella memoria ogni oggetto, ogni dettaglio che completava un tassello nel puzzle che era Elle.

Le piccole cornici fotografiche sparse sul cassettone, l'iPod buttato malamente sulla poltrona sopra ad un cumulo di vestiti, i collant che penzolavano dal pomello della porta del bagno.

"Non aspettavo visite.”
La ragazza si diresse verso l'armadio, ignorando il fatto che era in intimo, e afferrò una grossa felpa. Se la buttò addosso, mentre accendeva il televisore. Steve si sedette sul bordo del letto, guardandosi timidamente intorno.


Elle inserì il Dvd di Terminator e si buttò sul letto, avvolgendosi nella coperta. Si appoggiò al cuscino, tamburellando sul materasso accanto a lei perché Steve si avvicinasse. L'uomo sorrise, appoggiandosi alla testata del letto, sopra le coperte. Fece partire il film, in silenzio, tirandosi le coperte fino al mento.

Era contenta di avere qualcuno che le facesse compagnia in quella notte insonne, nonostante fosse la persona che aveva appena smesso di popolare i suoi incubi.

xXx

Ciao a tutti! E' la vostra Eve che vi parla. 

Spero che vi siate divertiti a leggere questo capitolo, almeno quanto mi sono divertita io a scriverlo!
Dopo tutti gli avvenimenti dell'ultimo, qui rallentiamo un poco e prendiamo fiato. Tenetevi forte, dal prossimo capitolo si balla.
E quando dico che si balla, intendo che si balla. Sarà parecchio violento.
Quindi ho preferito lasciarvi in sospeso, ma con qualcosa di dolce....
E' un capitolo di passaggio, anche perchè sono stata impegnata nella revisione e formattazione di tutti gli altri capitoli - dateci un'occhiata ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate! Sono molto in asia, perchè è puramente di intrattenimento! :D
Grazie ancora a Delta, che mi deve una festa con un Loki ubriaco, e alla gentilissima Bagabu!
PS Avevo promesso a Delta che avrei aggiornato ad un orario umano, peccato che per una studentessa universitaria l'orario umano sia questo. Chiedo venia! Non bandismi da Deltaworld!
Aspetto con molta ansia le prossime recensioni, soprattutto perchè ho inserito in questo capitolo un indizio abbastanza difficoltoso da trovare a proposito del prossimo personaggio che comparirà nella storia, e che sarà particolarmente importante.
Buona serata e buona notte a tutti, come sempre ci vediamo Mercoledì prossimo, ovvero l'undici novembre. :)


Eve!


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Capitolo 11
*** 11. Buio ***


Ciao a tutti! E' Eve che vi parla. 

Piccola nota pre lettura: Con questo capitoletto un pò di passaggio, superiamo - di già - le cento pagine World di Skyfall! Yuppi!

Inoltre, questo capitolo ha una struttura particolare: si alterna presente e passato, come nel capitolo Verità. Se dovesse essere troppo intrecciato, fatemelo sapere ed eviterò di scriverne altri con questa struttura.

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Capitolo 11: Buio


"I, I did it all
I owned every second that this world could give,
I saw so many places, the things that I did.
With every broken bone, I swear I lived.
"

ONE REPUBLIC


inizio Dicembre 2015

Dicembre era arrivato con passi felpati, le foglie sugli alberi ormai non ombreggiavano più il sentiero nel boschetto durante la corsa mattutina, facendola sentire meno protetta da un cielo troppo vasto.

Non che ce ne fosse bisogno: il sole faceva capolino poche ore al giorno, facendola rabbrividire per il resto del tempo avvolta negli abiti più pesanti ed ingombranti che aveva. Al mattino, però, godeva degli ultimi raggi della stagione facendo jogging per otto chilometri, correndo dietro a Rogers e facendosi inseguire da Samuel.

Poche cose erano soddisfacenti come sbraitare dietro al povero ex pararescue “A sinistra!” nei momenti meno opportuni, per esempio sorpassandolo dopo una curva, o dopo averlo silenziosamente tapinato per qualche secondo. Allo stesso modo, però, Steve spesso li superava entrambi, con un sorriso soddisfatto, senza nemmeno uno sbuffo di stanchezza. Elle aveva provato e tenere un passo simile al suo, ma si era trovata ferma ad un albero, tenendosi la milza con una mano e con il cuore che minacciava di usare le sue costole come xilofono. Samuel si era fermato giusto il tempo per sghignazzarle dietro senza pudore.

Il resto della mattina passava fra allenamenti di aerobica, flessioni con la palla medica da sei chili e combattimento corpo a corpo, sempre contro il povero Samuel, a volte con Natasha.

Sapeva che l'amica era stata incaricata di scavare nel suo passato, o meglio, nel passato dei suoi genitori, per trovare il bandolo della matassa che era il suo Dna.

Nulla che Elle non avesse provato a fare già da sola.

La madre era una pista poco prolifica: genetista, si, ma che aveva lavorato per decenni all'università di Uppsala come insegnante. Nessun risultato importante, nessun segno di un'ambizione tanto sfrenata da creare lei. Elle.

Natasha brancolava nel buio.

Il potere di Elle non era frutto di un elaborata programmazione genetica in modo simile a quello di Wanda, che discendeva direttamente dagli studi sulla gemma della mente. Wanda era eccezionalmente forte quando Visione le era vicino, attingendo molte delle sue energie psichiche da lui. Elle sembrava essere di una sostanza diversa, naturale come l'acqua e l'aria. Non c'era inganno nella sua potenza, meno malleabile di quella dell'amica ma dalla potenza esponenzialmente maggiore. Elle era stata creata da qualcuno che voleva esattamente quel risultato.

La svedese aveva smesso di porsi da tempo le domande che invece interessavano tanto a Fury, e si era gettata in un allenamento a ritmi serrati per imparare ad utilizzare i suoi poteri al massimo della loro diffusione, senza sconti. Sollevava oggetti sempre più pesanti e manipolava a livello molecolare piccole piante, facendole germogliare od appassire.

La sera crollava a letto stanca come non lo era mai stata, e il mattino rotolava fuori dalle coperte prima che la sua sveglia personale iniziasse ad urlare istericamente.

Allora, ti sembra l'ora per alzarsi dal letto?!” Maria, perfettamente vestita e pettinata, senza un'ombra di stanchezza sul viso, appoggiò un caffè sul suo comodino in malo modo. Elle emise un grugnito, tirandosi le coperte fin sopra alla testa. “E' sabato, Maria.” Borbottò. La donna alzò un sopracciglio, confusa. “Da quando facciamo la settimana corta?”

Elle mise fuori un occhio, seguito dal naso leggermente a punta. “Da quando sono nella squadra che si allena tutti i santi giorni.”

Maria andò verso il fondo del letto. Elle la seguì con lo sguardo. “Non oserai.” Sibilò la bionda.

L'amica le prese le coperte con due mani, iniziando a tirare nella direzione opposta. Elle tenne con forza le coperte, tirandole verso di sé.

Con un rumore inquietante, il tessuto beige si strappò a metà, facendo cadere Maria a terra con un tonfo sordo.

Elle si guardò le braccia, avvolte da una maglia bianca attillata. Il muscolo era teso, leggermente troppo evidente per i suoi gusti. Fece una smorfia, mentre Maria si rialzava sui tacchi, una ciocca di capelli che era sfuggita all'acconciatura che portava.

Forse hai ragione, Elle, ti sei allenata abbastanza. Decisamente.” Raccolse con le mani la coperta, guardando lo strappo con espressione perplessa. La bionda si sedette con un mugugno sul materasso, i piedi nudi che toccavano il pavimento gelato. “Fra poco batterò a braccio di ferro Samuel. O Rogers.” Esclamò, sarcastica. Maria le sorrise. “Punto su di te. Non farmi perdere soldi, o non ci saranno nascondigli in questo mondo o su altri, dove non verrò a svegliarti.” Prese la tazza dal comodino e gliela mise in mano in modo sbrigativo. “Bevi il tuo caffè e preparati. Ci aspetta una giornata lunga.”

Elle la guardò, sbuffando. Si portò la tazza alle labbra. L'amica fece per uscire, fermandosi un attimo vicino al mobile dove stava la televisione, uguale in tutte le stanze. Prese una piccola confezione nera, alzandosela davanti agli occhi. Elle sbiancò.

Terminator?” Chiese, voltandosi verso di lei con un sopracciglio alzato e le labbra leggermente curve in un sorriso malevolo. “Pensavo di avessi più gusto per il cinema.”

Elle si strinse nelle spalle, guardando il soffitto. “Volevo qualcosa di leggero. Me lo ha prestato Rhodes.”

Non guarderesti mai questo film da sola.” Elle si strinse nelle spalle. “Non ho mai detto che lo guarderò da sola.” Maria sgranò gli occhi, avvicinandosi. “Parla.”

Elle sorrise, negando con il capo. “Dobbiamo andare a lavorare, o no?”


~

Quindi lui è venuto dal futuro.”

Commentò Steve, portandosi una mano al mento inconsciamente. Faceva sempre così, quando non riusciva a capire qualcosa. Qualcosa di poco importante: se era preoccupato, la mascella di contraeva e gli occhi blu si assottigliavano.

Invece, appoggiato in una posa rilassata su un braccio, la testa vicino alla sua, con la luce del televisore che lo illuminava a sprazzi, sembrava assolutamente normale.

Quindi lui è stato mandato dal figlio di lei.” Proseguì, sorridendo imbarazzato. Elle inclinò il capo, ridacchiando. “No, da suo figlio.”

Kyle.” Esclamò Steve, esitante. Elle represse un'altra risata. “No, John.”

Il figlio di Sarah.” Concluse lui. Lei sorrise, annuendo. “Lei.”

Lui è un androide. Come Visione.” Commentò indicando Terminator mentre irrompeva in una discoteca. Elle annuì, voltandosi verso lo schermo. Il rumore di urla e spari le fece aggrottare le sopracciglia. La donna allungò una mano verso il telecomando, abbassando leggermente il volume.

Veramente è un Cyborg.” Lo corresse lei. Lui si voltò, gli occhi leggermente sgranati. “Come Ultron.”

Elle fissò il soffitto, mordendosi il labbro. “Non è stata una grande idea, questo film. Macchine che cercano di conquistare il mondo. Sono veramente una stupida. ”

Ma c'è un eroe che viene dal futuro.” Sussurrò incoraggiante lui. Lei evitò il suo sguardo. “Risolverà tutto, vedrai.”

Morirà.” Elle scosse la testa. “Morirà per salvare tutto.”

Steve sorrise triste, appoggiandosi meglio sul gomito. Elle alzò le ginocchia al petto, appoggiandoci sopra il mento. “Mi spiace, Steve.”

Lui scosse il capo. “Sono abituato a farmi anticipare i finali. Sai, come con la storia degli ultimi settant'anni...” Elle ridacchiò, mettendosi le mani sul viso stanco. “Mi dispiace tanto, davvero. Pessima scelta cinematografica.”

Mi piace.” Commentò lui. Lei lo guardò con la coda dell'occhio, senza arrischiarsi a voltare il capo. “Davvero?”

Lui annuì, passandosi una mano sul mento, pensieroso. “Sarebbe tutto più comodo, se qualcuno venisse dal futuro a dirci cosa sta per succedere e come fare per evitarlo.” Si strinse nelle spalle. Elle lo guardò. “Beh, sei arrivato tu.”

Da settant'anni prima. Che cosa potevo scongiurare? Ormai i problemi del mio mondo non esistono più.”

Da persona che negli ultimi quattro mesi ha dovuto setacciare le ceneri dello SHIELD per trovare le ultime briciole di Hydra, vai a quel paese, Rogers.”

Steve stirò le labbra in un sorriso poco convinto. “Hai presente le leggi dell'economica? Keynes?”

Elle era tornata a fissare lo schermo, il mento ancora sulle ginocchia e le luci della televisione che si riflettevano nei suoi grandi occhi azzurri. Annuì distrattamente, non capendo dove la voleva portare la sua domanda.

Ogni tanto penso che siamo noi che abbiamo avviato questo scambio di Domanda ed Offerta. Come pensa la gente, là fuori.” Elle aggrottò leggermente le sopracciglia, voltandosi appena. Lui le sorrise, leggermente triste, lo sguardo che andava a posarsi sul copriletto con il quale stava giocando con la mano libera. La Svedese aspettò che lui continuasse.

E' vero, abbiamo salvato spesso il mondo. Ma, pensaci. Se Thor non fosse venuto, Loki non avrebbe messo gli occhi sulla Terra, per esempio.” Sollevò la mano, alzando un dito, come per contare. “Se Tony e Banner non avessero creato Ultron, non ci sarebbe stato bisogno di abbattere Sokovia. Sempre per esempio.”

Se non avessi distrutto lo SHIELD...”

Saremmo tutti morti.” Concluse Elle, spazientita, voltandosi verso di lui. “Io sarei morta. Quando Natasha ha messo tutto online, tutto il progetto Insight. C'era anche il mio nome su quelle liste, Steve.”

L'uomo si accasciò sulla schiena con un sospiro. “Dovevo immaginarlo.”

Elle lo guardò dall'alto, una leggera increspatura divertita sulle labbra. “Dovresti curarti di meno di quello che pensano gli altri. Devi combattere per le loro vite, non per le loro opinioni.” Si strinse nelle spalle. “Oppure avresti dovuto darti alla politica.” Scoppiarono a ridere entrambi, guardandosi.

Mi è mancato parlare con te, Elle.” Esclamò lui ridendo. Elle si sdraiò, buttando il capo vicino al suo, i capelli biondi di lei che sfioravano la nuca di lui in un groviglio dorato.

Quando mai?” Ridacchiò sarcastica. “Sempre.” Ammise lui, serio. Elle sorrise, restando a fissare il soffitto, il film con un audio ai limiti dell'udibile che proseguiva nonostante loro stessero galleggiando nei loro pensieri, affiancati.

Sei sempre così melodrammatico?” Ridacchiò lei, sarcastica. Lui si coprì il volto con una mano. “Sono troppo sensibile per questo secolo.”

Elle annuì, ancora ridacchiando.


~


Stai attenta, Elle.”

La giovane sbuffò, proseguendo la sua passerella sui tetti degli edifici che costeggiavano Ayolalawall street. Il sole era cocente, e il riverbero del lago che dava il nome alla città le dava fastidio agli occhi chiari.

Dietro di lei, una figura scura planò dolcemente sul tetto, osservandola accucciata sul parapetto con un sopracciglio sollevato dietro le lenti polarizzate.

Senti qualcosa?” Elle si voltò, negando leggermente con il capo. “Nulla, niente.”

Allungò la mano ad indicare il porto, le mani coperte da guanti di pelle scura. “Scommetto che sono nei container, Sam.” L'uomo annuì, portandosi una mano all'orecchio. “Sentito, Steve?”

Dieci piani sotto di loro, Captain America sbuffò infastidito, voltandosi verso Natasha. “Samuel: controlla dall'alto. Modalità Stealth. Elle...” Alzò lo sguardo dal vicolo in cui si trovava, osservando preoccupato la fetta di cielo azzurro fra i due edifici. “...Niente colpi di testa.”

Elle si mise in spalla il borsone che aveva mollato a terra, sospirando.”Ricevuto. Proseguo verso il porto dai tetti.”

Non puoi scendere e prendere l'auto come tutti?” Borbottò Steve. Natasha, dietro di lui, scoppiò a ridere, aprendo la portiera del SUV scuro.

Elle? Seriamente, Steve?” L'uomo le lanciò un'occhiataccia, montando sulla sua moto. Natasha si sedette al voltante, Wanda seduta sul lato passeggero. I due veicoli si infilarono nel vivace traffico del quartiere Somulu, proseguendo a velocità normale in direzione del lago.

Elle, Sam, novità?” Chiese Rogers.

Con tutto il rumore che fa quell'aggeggio che chiami moto, Rogers, non capisco quello che dici.” Esclamò Elle, con il respiro leggermente affaticato. La donna prese la rincorsa, superando la fessura fra due edifici, del quale il secondo di un piano più alto. Si tenne alla grondaia, issandosi con le braccia sottili, appesantita dal grosso borsone.

Pensa a non cadere da quel tetto, Selvig.” La riprese divertito Falcon, passando poco sopra di lei, proiettandole sopra la sua ombra. Elle grugnì in risposta.

Ti serve una mano, signorina?” Rise ancora l'uomo con le ali. Steve si portò una mano all'orecchio, l'altra che teneva stretta la manopola del manubrio. “Elle? Stai cadendo da un tetto?”

La Svedese si issò sul parapetto, senza emettere un fiato. Lanciò a terra il borsone scuro.

Colpa dell'equipaggiamento.” Sospirò, passandosi una mano sulla fronte sudata per lo sforzo ed il caldo. “Piuttosto che farmi aiutare da Wilson, imparo a volare anche io.” Lanciò un'occhiataccia all'amico, che alzò le mani in segno di resa, quattro metri più in alto rispetto a lei. “Sei solo invidiosa, biondina.” “Taci.”

Smettetela, voi due!” Li interruppe dal basso Steve, passando sotto di loro con la moto. Vedeva Samuel sospeso sopra al tetto. Non poteva vedere Elle. Fermò la moto nel primo posto libero lungo il marciapiede. Sbottò irritato.

Siamo in missione, non è una gita ricreativa al Museo di Storia Naturale.”

Mi sembrava di non vedere le siepi potate a forma di dinosauro, qui.” Commentò Natasha, scendendo dall'auto ed affiancandolo. Erano alla fine della strada, sotto un imponente edificio grigio, e di fronte a loro stavano delle cabine da portineria vuote e due sbarre rosse e gialle, abbassate per impedire alle auto di entrare ed uscire. “Che facciamo, ora?” Chiese la rossa, sistemandosi la giacca di pelle marrone.

Siamo venuti fino a qui.” Rogers si strinse nelle spalle, voltandosi verso la moto. Sganciò lo scudo, coperto da un panno nero, dal muso della Harley.

Elle, tieni il perimetro verso Arobadade Street. E non lasciar scappare nessuno nemmeno da Unity Street.”

Ricevuto.” Elle si piegò a terra, aprendo il borsone. Samuel atterrò accanto a lei, piegandosi sulle ginocchia. “Lo sai montare uno di questi aggeggi, Marksman?”

In questo caso Sniper, prego, Pararescue dei miei stivali.”

La svedese estrasse con cura i vari pezzi contenuti nel borsone, sollevando le sopracciglia. “Rogers ha autorizzato queste armi?” Guardò un attimo Samuel, che esitò. “Non pensavo gli piacessero le armi pesanti.”

Elle estrasse con attenzione il treppiede del fucile, mentre Samuel estraeva l'M21 con sguardo perplesso. Elle prese la canna dalle sue mani, incastrandola con uno schiocco sul sostegno. “Avevi ragione, Samuel. Marksman.”

Deve avere davvero paura che tu possa rimanere coinvolta nello scontro per mandarti in giro con questo.”

Magari è di Rumlow che ha paura.” Elle si strinse nelle spalle, mondando con attenzione il mirino. Samuel picchiettò sulla fondina che teneva sul petto.

Questo non spiega come mai io abbia soltanto una Sig Sauer. E Natasha una beretta.”

Anche io ho due berette.”Commentò Elle, mostrando le fondine sotto alle braccia, allacciate al petto.

Falcon, io e Natasha entriamo, ho bisogno che tu faccia perlustrazione dall'alto.”

Certo Capitano.” Commentò l'uomo. Si allontanò leggermente da Elle, che si sistemava sul parapetto dell'edificio, inginocchiata a terra e con il fucile ben impugnato fra la mano sinistra e la spalla destra.

Tu sei a posto?” Chiese sbrigativo. Elle annuì, alzando un pollice. L'uomo le sorrise.

A dopo Selvig. Stai attenta.”

Arretrò all'indietro fino alla fine dell'edificio, lasciandosi cadere di schiena. Elle sbuffò, rivolgendo le sue attenzioni alle figure dei suoi amici che entravano nel deposito del porto di Lagos.

Allora, ti sei spaventata, Selvig?” Chiese ridendo Samuel nell'auricolare.

Sei un cretino, Wilson.” Commentò placidamente Elle, tornando a scrutare Rogers e Nat che vagavano fra i container. L'uomo si voltò leggermente, facendo un segno nella sua direzione. Elle rilassò un attimo le spalle, mentre Falcon percorreva avanti e indietro lo spazio aereo sopra la distesa di container.



(Marksman – un soldato particolarmente addestrato al tiro di precisione ma che agisce in una squadra.)

(Sniper – cecchino, agisce in una posizione isolata rispetto al resto della squadra.)

(M21, Beretta e Sig Sauer sono tutti nomi di armi. Il primo è un fucile di precisione semiautomatico, le altre sono pistole semiautomatiche. Sono tutte armi dell'esercito americano. n.d.A.)


~


Elle si svegliò in un lago di sudore, aprendo gli occhi di scatto e alzandosi con un colpo di reni. Le braccia erano già in posizione di difesa, mentre l'incubo scivolava lentamente fuori dalla sua mentre ed anche dalla sua memoria.

Sbatté le palpebre un paio di volte, respirando profondamente, mentre istintivamente si portava le ginocchia al petto, cercando di riprendere un ritmo di respirazione normale.

Una figura accanto a lei emise un borbottio, prima di muoversi leggermente nella sua direzione. Elle ebbe uno scatto, spostandosi di lato con un singulto prima di distinguere nella flebile luce del televisore il Capitano Rogers. Si avvolse lentamente nel lenzuolo, sentendo il freddo dell'alba che le si appiccicava addosso. Il sole stava timidamente sorgendo dietro le imposte automatizzate della base, illuminando a piccoli sprazzi il volto dell'uomo che dormiva accasciato sul copriletto accanto a lei.

"...Leave me out with the waste, this is not what I do..."

Elle aveva cominciato a canticchiare la prima canzone di dubbio gusto che le era passata in testa, come faceva ogni volta che l'ansia non le permetteva di respirare adeguatamente. Si mise una mano sul basso ventre, immaginando di sentire il suo diaframma mentre cercava di regolarizzare il respiro.

"...It's the wrong kind of place, to be thinking of you..."

Avrebbe voluto allungarsi a prendere il telecomando, ma per farlo avrebbe dovuto scavalcare la figura di Rogers. O abbandonare le coperte calde.

Si distese di nuovo, fissando il soffitto bianco sopra di lei mentre si colorava delle prime luci del mattino. Le giornate si stavano accorciando, e entro poche settimane al suo risveglio avrebbe trovato solo il buio del bosco intorno alla base. Voltò leggermente il capo nella direzione di Rogers, sdraiato con la testa appoggiata sul cuscino ed una mano sul ventre.

"...It's the wrong time, for somebody new, It's a small crime, and I got no excuse..."

Qualcosa di caldo le prese la mano, che teneva appoggiata sul fianco.

Elle, tutto ok?” Le chiese con voce impastata lui. Elle sorrise al soffitto, senza avere il coraggio di voltarsi ed incontrare i suoi occhi. Temeva quello che sarebbe potuto accadere. Temeva sentirsi così felice, solo perché la sua mano era stretta in quella più grande e più calda di lui. Lei chiuse gli occhi, facendo finta di dormire.

Il respiro si era regolarizzato dopo il suo incubo, del quale non riusciva a ricordare nemmeno un particolare. Ma il suo povero cuore, ora, batteva all'impazzata.

Sentì il materasso cigolare, mentre l'uomo si allungava a prendere il telecomando nella penombra della stanza. Spense lo schermo, rimettendolo a posto. Si alzò su un fianco, puntellandosi con la mano libera, mentre l'altra teneva ancora la sua.

Controllò l'ora sul cellulare di lei, appoggiato sul materasso. Sbuffò, mettendo anche l'iPhone di Elle sul comodino.

Restò un attimo a guardarla, ed Elle serrò le palpebre e finse di respirare profondamente, pregando di essere convincente.

Lo sentì piegarsi leggermente in avanti, e strinse ancora di più le palpebre.

Steve sorrise leggermente contro la sua fronte, stampandole un leggerissimo bacio sulla pelle candida.

Lo so che hai avuto un incubo.” Sussurrò al suo orecchio. Elle rabbrividì. “E che non vuoi parlarne.” Lei voltò leggermente il capo, senza guardarlo.

Sono qui per questo.” Sussurrò ancora, nel buio. Lei sospirò, mentre lui si allontanava con delicatezza, sdraiandosi accanto a lei. Elle lo sentì sospirare, nel buio della stanza. “Grazie.” Rispose in un sussurro. Anche nel buio, poteva giurare che stesse facendo uno dei suoi sorrisetti.


~


Elle! Elle, maledizione, apri!”

La donna ci mise un secondo a rendersi conto che era nel suo letto, appoggiata a qualcosa di caldo che le circondava le spalle, abbracciandola. Con uno scatto, si liberò dal braccio di Rogers e rotolò giù dal lato opposto del letto.

Rogers! Steve, svegliati!” Borbottò, lanciandogli contro un cuscino. L'uomo emise un mugugno irritato, voltando il capo nell'altra direzione. Elle corse verso l'ingresso, sentendo Samuel continuare ad imprecare. Aprì uno spiraglio della porta, guardando il volto arrabbiato dell'amico.

Ti pare l'ora di svegliarti?! Ti ho cercato dappertutto e sei qui, in mutande, a dormire!” Elle alzò le mani in segno di resa, arrossendo leggermente.

Non trovo Rogers, hai idea di dove si sia cacciato?”

Elle si irrigidì, mentre l'uomo apriva la porta senza troppe cerimonie. Senza pensarci, si diresse verso il letto, dove l'amico lo guardava, il viso porpora.

Rogers! Abbiamo trovato Rumlow!”

Steve si alzò di scatto, ancora in calzini e pantaloni della tuta. Samuel si interruppe bruscamente, restando a fissarlo. Si voltò a guardare Elle.

Allora? Dov'è Rumlow?” Esclamò Steve, abbassandosi ad infilarsi le scarpe. Con uno scatto, lanciò la sua felpa ad Elle, che stava impalata al centro della stanza con una canotta di cotone e delle coulottes nere. Samuel distolse lo sguardo, tornando all'amico.

Ho interrotto qualcosa?”

xXx

Ciao a tutti! Di nuovo!
Nota velocissima: spero che l'orario vada meglio.
Molto di questo capitolo è stato scritto poco prima della pubblicazione: ho dovuto fare delle leggere modifiche per delle cose che volevo aggiungere dopo. Spero che, anche se mancava un po' di azione, vi sia piaciuto. Finalmente entriamo un po' di più nell'ottica militare!
Ringrazio come sempre Delta e Bagabu per le recensioni - fatevi avanti, gente, fatevi avanti!
Temo ci metterò un poco a rispondere ai messaggi, così come pubblico al volo questo capitolo, causa ho mille cose da fare e poco tempo per farle!
Ringrazio tutti voi che seguite e recensite o semplicemente leggete la storia!
Ci vediamo la prossima settimana; non sono sicura di poter aggiornare Mercoledì, quindi nel dubbio pubblicherò il nuovo capitolo Martedì 17 Novembre.

Eve

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Capitolo 12
*** 12.Ruolo ***


12 Salve gente! Come potete vedere, ho cancellato l'avviso della scorsa settimana per sostituirlo con questo. Il capitolo tanto promesso. Quello che spero vi farà saltare sulla sedia. Più volte, magari. Perchè da qui in poi sarà un casino. Per questo, mi sono presa una settimana in più per essere sicura che fosse tutto come volevo. Ringrazio come sempre tutti voi che seguite questa storia, sia le anime pie che hanno recensito, sia coloro che leggono silenziosamente. Non mi scuserò per l'attesa: volevo che le cose fossero esattamente come immaginavo.

In più, oggi è finalmente uscito il trailer di CIVIL WAR che alla fine sarebbe cronologicamente alla fine di questa storia, per certe cose in contemporanea. Ma non ci saranno spoiler, non temete. Se non avete visto nulla, ancora, nemmeno vi accorgerete dei riferimenti.
Ho solo dovuto apportare alcune modifiche alla storia, che mi hanno ritardato l'aggiornamento di oggi.
P.s.:Hype alle stelle per quella meraviglia che è il trailer di C.W.. Cioè, parliamone.

Eve


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Capitolo 12: Ruolo

"All I ever wanted,

Secrets that you keep.

All you ever wanted,

The truth I couldn't speak.

Cause I can't see forgiveness,

And you can't see the crime.

And we both keep on waiting

For what we left behind"

LINKIN PARK


Dicembre 2015


Steve Rogers non pensava di essere un tipo superstizioso.

Non aveva mai creduto che entrare in una stanza avanzando con il piede sinistro o aprire l'ombrello in casa per farlo asciugare dopo una giornata sotto la pioggia Newyorchese fossero azioni con conseguenze negative.

Tuttavia, quando si era alzato dal suo sedile accanto alla cloche del Quinjet ed aveva aperto il suo orologio da taschino per sincronizzarsi con i compagni di squadra, non era riuscito a trattenere un fremito di gelo.

La foto di Peggy sorrideva ammiccante da un lato del guscio di metallo; osservò la curva delle belle labbra, che lui sapeva essere scarlatte, ma che sulla carta erano di un grigio leggermente più scuro; si lasciò un attimo sprofondare in quegli occhi espressivi che sembravano scrutarlo nel profondo, stretti in un'espressione enigmatica, che lo spronavano ogni giorno a dimostrarsi come lei lo voleva, generoso e attento.

L'altro lato dell'orologio, un semplice quadrante con incisi in scuro i numeri arabi, lo fissava nel suo abbagliante smalto bianco, quasi prendendosi gioco della sua sicurezza. Le lancette stavano immobili, talmente sottili ed appuntite da sembrare spilli pericolosi. Persino quella dei secondi si ostinava a restare ferma a fissarlo, diretta verso un punto indefinito fra il due e il tre. Era talmente distratto dai suoi stessi pensieri, durante il viaggio verso la Nigeria e forse anche prima, da non essersi accorto prima dell'interruzione del ticchettio che ormai da anni, da prima del suo risveglio dal ghiaccio, lo accompagnava ovunque.

Quando, dopo lo scongelamento, gli erano stati riconsegnati i suoi averi, Steve aveva fatto riparare il suo orologio speciale, il suo portafortuna, senza la quale si sentiva quasi a disagio. Come se gli mancasse una componente essenziale del suo abbigliamento, o come se avesse perso un vecchio amico. Un altro.

Sbuffò, chiudendo l'orologio con un gesto secco.

Non sarebbe ora di aggiornarsi?” Chiese Wanda, sorridendo forzatamente. Si sfregava le mani fra loro, seduta su un altro sedile accanto a Natasha, che stava impostando lo spegnimento del veicolo. Elle stava aiutando Samuel ad indossare l'armatura da Falcon, stringendogli una cinghia sul petto con forza.

Devo respirare, qui sotto.” Borbottò infatti l'uomo. Elle lo fulminò con lo sguardo, nascondendo un sorriso. Steve rimise l'orologio nella tasca dei pantaloni normali, voltandosi verso Natasha. “Quanto abbiamo?”

L'ultimo rilevamento della geo-localizzazione è a dieci chilometri da qui.” Indicò un puntino verde su una mappa di Lagos, verso il quartiere Somulu.

Si sono attivati parecchi sistemi S.H.I.E.L.D meno di tre ore fa. Più l'immagine della telecamera di sorveglianza di un bancomat vicino a Ayolalawall street.”

Natasha si girò sulla poltrona, guardandoli dal basso. Anche Steve si voltò, per poterli vedere tutti in viso.

Non abbiamo con noi Visione e nemmeno War Machine.” Sospirò. “Ma è la nostra occasione di prendere Rumlow e capire per cosa lo stanno organizzando. Dalla testimonianza di Elle-” Indicò con un cenno del capo la ragazza. “-Sappiamo che è stato molto probabilmente deprogrammato, in modo simile al Sergente Barnes.”

Il soldato d'Inverno...” Sussurrò Samuel in risposta allo sguardo perplesso di Wanda. Steve annuì, voltandosi verso Elle.

Io e Natasha faremo un sopralluogo in abiti civili. Avremo poche armi ed un limitato raggio d'azione. Io andrò con la Harley...” Elle sospirò con un sorriso, mordendosi il labbro per trattenere la risata. “Natasha mi seguirà con il Suv. Prima lascerà Elle lungo la via principale.” Si diresse verso una rastrelliera e buttò in un borsone una serie di canne e munizioni. “Elle, tu daresti troppo nell'occhio, qui. Resta sul tetto, come cecchino, e avvisami di eventuali movimenti lungo la strada o nel porto. Falcon: intervieni solo se ti viene detto espressamente. Sorvola la zona e tieni gli occhi aperti. Wanda...” Si voltò verso la ragazza, seduta compostamente sulla panca in acciaio, con le mani giunte in grembo. “Resterai nel Suv di Natasha. Non scendere. Non farti notare. E soprattutto, niente magie.” La donna annuì, distogliendo lo sguardo.

Non voglio fare scalpore. Deve essere una cosa pulita. Niente morti inutili...” Si voltò, lanciando uno sguardo severo verso Natasha ed Elle. “Siamo qui per prendere Rumlow, perché questa scia di sangue abbia fine. Ma non sono ancora disposto a trasformarla in una guerra. Voglio provare a parlarne.”

Elle sogghignò. “Buona fortuna, Capitano. Quell'uomo è perso.” Lo affrontò a viso aperto, avvicinandosi a lui e fronteggiandolo con la testa leggermente sollevata per osservarlo negli occhi. “E se io dico che non può essere salvato, è grave. Se lo riterrò pericoloso per voi o per i civili, non mi farò problemi a fare fuoco. O peggio.”

Niente poteri.” Ripeté Rogers, lo sguardo duro.

Solo in caso di estrema necessità.” Ribatté Elle. Lui sospirò.

Mi fido del tuo giudizio. E' della tua paura che non mi fido. Non ti ho mai vista in missione.”

Non farò nulla che possa rivoltarsi contro di noi.”

L'uomo la guardò un attimo, perplesso. Elle si sfregò le braccia, lasciate nude dalla maglietta nera. Natasha aprì il portellone, alzandosi poi elegantemente dal sedile di pilotaggio. Sfiorò Elle con una mano, passandole accanto, prima di dirigersi verso la rastrelliera dove stava la sua borsa ed estrarre le pistole.

Steve la seguì, afferrando un borsone e prendendo delle componenti di un fucile dalla rastrelliera. Rimase a soppesare il caricatore un secondo in più, voltandosi verso Elle. “Hai già esperienze come Sniper?”

Elle annuì. “Ho un'ottima mira. Anche se non come Nat.”

Allora andiamo.” Commentò Steve, buttandogli in braccio il borsone con un cenno sbrigativo del capo. Elle si trattenne dallo buffare per il peso, passandoselo su una spalla.

Nat sarebbe più capace di me in questo compito. Io sono più utile sul campo.”

L'uomo non si voltò nemmeno a risponderle, mentre Falcon da dietro aprì le braccia in segno di resa. La precedette, sorridendole. “E' lui il Capitano.”

Steve scese, aspettandoli fuori dal velivolo. Samuel si infilò gli occhiali da sole, Natasha si passò velocemente un filo di rossetto di un delicato rosa antico, Wanda si buttò sulle spalle la giacca scura, lanciando uno sguardo quasi rassegnato all'interno del Quinjet, sicuro e rassicurante nella sua asetticità, prima di scendere dalla rampa.

Elle si stava sistemando la coda di cavallo, le sopracciglia aggrottate verso il suo riflesso, mentre valutava con un sospiro il suo abbigliamento.

Avevano optato per abiti civili. Ma, come sosteneva sempre Natasha, Elle possedeva quasi solo abiti per il lavoro. In quel caso, la sua mise da giorno comprendeva una maglietta nera, pantaloni militari ed una serie di cartucce avvolte tra la spalla ed il fianco. Due pistole stavano nella fondina sotto le braccia, mentre delle imbottiture dal semplice telaio in metallo proteggevano le spalle, la schiena e parte del busto. Abiti Civili, proprio.

Si sentiva una specie di automa, un robot. Non sentiva più il peso della colpa, l'agitazione prima della battaglia, l'adrenalina che entrava in circolo le non le permetteva di agire con calmo raziocinio. Ora, erano solo lei e la sua missione.

Elle, dobbiamo andare.” Steve si sporse dalla rampa del Jet, guardandola con la mascella leggermente tesa e gli occhi socchiusi. Elle sorrise, sistemando l'ultima beretta perfettamente lucidata nella fondina di sinistra. “Sono pronta.”

Lui la aspettò guardandola attraverso la rampa, sorridendo teso.

Vedrai che andrà tutto bene.” Cercò di rassicurarlo lei, scendendo ad ampie falcate. Lui sospirò, l'ombra di una smorfia sulle labbra.

Dovrei essere io a sostenervi. A dirvi che andrà tutto bene.” Elle alzò gli occhi al cielo. “Non puoi fare tutto tu. Qualcuno dovrà sostenere il sostenitore.”

Tu?” Chiese lui, con un sorriso malizioso. Elle abbassò lo sguardo, fermandosi davanti a lui, sul cemento della pista erano atterrati. “Forse.”

C'è un vento gelido.” Ammise Elle, guardando il portellone chiudersi. Steve guardò un attimo la giacca di pelle marrone che teneva fra le mani. Gliela mise in mano.

Lei fece per ribattere, quando lui si tolse la felpa blu, lo scudo appoggiato alla moto.

Le appoggiò la felpa sulla spalla libera, trattenendo un sogghigno. Riprese la giacca di pelle, indossandola. “Non avrai mica pensato che ti lasciassi la mia giacca da moto.”

Elle, ammutolita, sorrise leggermente. “No, scherzi.” Infilò la felpa senza fiatare, mentre Natasha arrivava dietro di lei con l'auto. Suonò il clacson, impaziente.

Fece per voltarsi, quando lui le prese un polso, con fermezza, facendole alzare immediatamente lo sguardo. “Stai attenta.”

Mi hai messa in cima ad un tetto. L'unico rischio che corro è che un pellicano decida di farmi il nido addosso mentre vi aspetto.” Sogghignò. “Siete voi che dovete stare attenti. Dovrei venire con voi.”

Non riprovarci. Ci serve un cecchino.” Elle si strinse nelle spalle, sorridendo. “Allora avrete un cecchino, capitano.”

Si diresse verso il Suv, aspettandosi qualche richiamo da parte di Natasha, seduta al posto di guida, o qualche battuta di Samuel, che stava fermo a guardarli poco distante, come tutti gli altri.

Steve stava per salire sulla moto quando Elle lo richiamò, seduta nei sedili posteriori. “Hey tu, Rogers!”

Lui si voltò, alzandosi il bavero della giacca in pelle marrone, lo scudo agganciato alle larghe spalle. “Dimmi, Elle.”

Stai attento anche tu. Devi ancora finire di ascoltare la discografia dei Pink Floyd.”

Lui le sorrise, mentre Elle si imporporava leggermente, fissandolo.

Contaci, Selvig.” Le fece un cenno con la mano. “Appena Rumlow sarà in una cella a marcire. Mi avevi promesso anche una maratona di Star Wars.”


~


Le vie della città erano ricolme di gente che si destreggiava fra il vivace traffico cittadino ed il caos generato da un attivo scalo marittimo. Il lago Lagos si estendeva fin dove era possibile guardare, e l'immenso Third Mainland Bridge tagliava l'orizzonte da parte a parte, dividendo la terra dei vivi dal cielo terso.

C'erano con una discreta maggioranza persone di etnia africana, e per il resto caucasici e qualche sparuto europeo non troppo settentrionale.

Natasha spiccava come un fiocco di neve in mezzo alle foglie di un albero scuro, ed Elle non poté fare a meno di capire che una delle fondamentali ragioni per non metterla direttamente sul campo era quella di non farsi notare troppo. Un uomo europeo poteva essere un commerciante o un giornalista. Una donna, invece, avrebbe decisamente dato nell'occhio. Con il suo incarnato quasi opalescente ed i capelli biondo cenere, lei avrebbe attirato ben più attenzione di quanta non ne servisse per mandare a monte un'operazione già di per sé delicata.

Aveva passeggiato sui tetti di Lagos per diverse decine di minuti, battibeccando con Falcon e godendosi finalmente una temperatura più che accogliente per il suo corpo raggelato.

Stesa su un ginocchio, le sopracciglia aggrottate per difendere gli occhi dal sole, Elle osservava ogni movimento che attirava la sua attenzione attraverso il mirino del fucile di precisione, prendendo ampi respiri.

Teneva sempre sott'occhio la chioma fiammeggiante di Natasha, mentre lei e Rogers si aggiravano in un labirinto di attracchi, bitte e container.

Verso Nord-ovest.” Esclamò Falcon, solo un'ombra nascosta dietro il riverbero del sole. Elle controllò sul tablet la bussola ed una panta satellitare, reggendo il fucile con una mano. Natasha, un centinaio di metri sotto e davanti a lei, controllò sul palmare, mentre Steve la guardava in attesa. Lei indicò in una direzione, mentre Elle imbracciava nuovamente il fucile e li precedeva con lo sguardo verso una zona dismessa del deposito dei container.

Vedo del movimento verso il limite ad ovest, ma non riesco ad identificarlo. Potrebbe essere un animale selvatico.” Elle cercò di aumentare lo zoom del mirino, mordendosi un labbro.

Vedeva un'ombra scura correre da un container all'altro. Era veloce, ma soprattutto era troppo lontano. Non riusciva a mettere a fuoco quella figura.

Questa si avvicinò, zigzagando fra i vari scheletri di metallo, al punto in cui erano Steve e Natasha, che a loro volta andavano nella sua direzione.

Problema: vi state venendo incontro a vicenda. La nostra ombra si sta avvicinando...”

Steve si voltò, guardandosi le spalle, mentre Natasha appoggiava una mano sul suo braccio, estraendo con l'altra mano la pistola che teneva al fianco. Elle deglutì, cercando forsennatamente la figura che si era fermata dietro un grosso container, fuori dalla sua vista.

Per arrivare così lontano con la sua mente, doveva per forza concentrarsi. Per concentrarsi, doveva distrarsi dal mirino, dalla scena che stava osservando.

Strizzò gli occhi, cercando di decidere in fretta, mentre si dirigeva con il pensiero verso i suoi amici.

Falcon, rapporto.” Sibilò Steve, portandosi una mano all'orecchio, sull'auricolare. “Elle, cosa vedi?” Chiese quasi subito, facendola distrarre. Natasha si voltò a guardarlo.

Non rispondono.” Commentò infine la russa, tenendo la pistola dritta davanti a sé.

Si sentiva osservata, spalla a spalla con Rogers, ma nessuno dei due vedeva nemmeno un'ombra o sentiva un bisbiglio.

Tornate indietro.” Esclamò improvvisamente Elle. “Non c'è nulla lì.”

Steve fece per obiettare, ma Nat lo precedette. “Come?”

Falcon ha preso un abbaglio. Dovete andare verso est, verso il mare. Allo scalo marittimo abbandonato.” Concluse Elle asciutta, lo sguardo puntato attraverso il mirino a pochi metri dai due. “Falcon sta già raggiungendo la zona. Ma c'è un disturbatore di onde radio.” Steve tirò un calcio ad un pezzo di ferro a terra, sollevando un mulinello di polvere. “Dannazione.”

Non so se se ne è già accorto.” Espirò Elle, brutale. “Correte.”

I due cominciarono a correre nella direzione opposta, Natasha con l'arma stretta nella mano sinistra e Steve con l'ansia negli occhi. Elle si rilassò stancamente contro il fucile, senza togliere lo sguardo dal mirino.

Nell'apertura tonda, al centro di una X disegnata con scanalature nere, leggermente sfocato, stava una figura familiare, appoggiata di spalle alla parete di lamiera.

Elle imprecò. Davanti a lei, ansante e coperto di polvere, stava Bucky Barnes.


~


Elle?” Steve si portò una mano all'orecchio, la mascella contratta. Natasha si voltò leggermente, guardandolo con la coda dell'occhio.

Sa cavarsela. E' al sicuro. Ora andiamo.”

I due proseguirono lungo la strada sterrata, in mezzo alle grosse scatole di lamiera, l'uno che guardava le spalle all'altra. Avanzavano a passo di marcia, il sole cocente africano che batteva ardente sulle loro giacche. Videro un'ombra oscurare il sole, e Steve si voltò di scatto, seguendone la traiettoria.

Samuel precipitò davanti a loro, sbattendo contro un container con un rumore di lamiera spezzata e un tonfo sordo. Un'ala sembrava danneggiata, graffiata da profondi tagli.

Rogers corse verso di lui, inginocchiandosi al suo fianco, mentre Natasha controllava nella direzione dal quale era arrivato, tenendo l'arma carica puntata davanti a sé.

Non abbiamo mai visto niente del genere, Capitano...”

Natasha dopo aver controllato che le vie che portavano a loro fossero libere, si voltò verso i due, osservandoli dall'alto. Steve appoggiò una mano sulla spalla dell'amico, aiutandolo ad alzarsi sul busto. Un grosso taglio gli lacerava il tessuto metallico dell'uniforme, sul fianco.

Cosa, Samuel?”

Ho riconosciuto la voce... Ma non ricordo il nome o la faccia. Quel bastardo è avvolto in una specie di armatura-”

Stark?” Chiese incredulo Steve. Samuel negò con il capo. “E' tutta nera, piena di pistoni... Non è opera di Stark.”

Natasha voltò il capo, una mano sull'auricolare. “Elle, vedi una specie di Robot Nero?”

Una voce concitata rispose dall'altro capo. “No... Non mi pare di aver visto niente, ma dal tetto vedevo solo fino a mezzo miglio...”

Elle, cosa stai facendo?” Steve aggrottò le sopracciglia, le labbra strette in una smorfia.

Sto scendendo dal tetto.” Ammise semplicemente lei. Sentirono un tonfo sordo.

Scendendo? Ti sei lanciata giù?”

Grondaia.”

Erano venti piani.” Esclamò secca Natasha. Steve scosse la testa. “Non azzardarti ad entrare nel porto, Elle. Stai fuori. Cerca Wanda e portala con la macchina al Quinjet.”

Sentì un sospiro esasperato dall'altro lato. “E voi? In tre su una moto?”

Steve fece una faccia esasperata. “Preferisci prendere un Taxi?”

Prendo la moto.” Esclamò Elle. Steve fece per dire qualcosa, quando Elle interruppe la comunicazione. Guardò Samuel interdetto. Questo si strinse nelle spalle. “C'è un'altra cosa..”

Natasha e Steve lo guardarono. Quest'ultimo gli fece segno di continuare.

Sul petto. Aveva un disegno. Un teschio.”


~


Elle si fece largo a strattoni fra la gente. Aveva abbandonato sotto ad un cassonetto il borsone con tutte le sue armi e le munizioni, tenendo solo le due beretta. Aveva recuperato una grossa felpa blu, che per caso aveva portato con sé fino al suv, e ora si faceva largo a spintoni fra la gente di Lagos con il cappuccio ben calato sul viso e gli occhi socchiusi. Raggiunse la rete metallica che delimitava la periferia del deposito abbandonato, guardandosi attorno.

Le persone evitavano accuratamente di avvicinarsi. Evitavano persino il marciapiede che costeggiava la recinzione. Elle vide un grosso ratto guardarla da dentro un grosso tubo il lamiera, buttato sulla terra battuta. Sospirò.

Doveva sbrigarsi: al loro ritorno, Rogers Natasha e Samuel dovevano trovarla al Quinjet con Wanda. E la moto.

Estrasse il cellulare e fece un numero, guardandosi attorno senza apparentemente prestare particolare attenzione a nulla attorno a sé.

Trenta metri dietro di lei, lungo la via, un cestino del pattume esplose con un boato.

Elle fece tre passi indietro, mentre tutti accanto a lei si voltavano ed iniziavano a correre via dalla strada, temendo un attacco terroristico. Una persona, vicino al cestino, rimase seduta a terra senza emettere un verso. Un uomo aveva un sottile taglio sulla fronte. Nessun altro sembrava ferito.

Con una corsa veloce, Elle si issò sulla rete, sentendo il reticolato tagliarle leggermente i palmi delle mani. Si gettò dall'altro capo, atterrando con una capriola, e rotolando dietro una grossa lamiera sbeccata e corrosa dalla ruggine. Spiò sulla strada dietro di sé. Nessuno sembrava essersi accorto della sua esibizione, nel trambusto generale. Abbassò di nuovo il cappuccio sui capelli sommariamente legati al capo con una smorfia.

Si voltò sui talloni. Anche dietro di lei, nessun movimento. Il deposito era un territorio insidioso, pieno di nascondigli. Strizzò gli occhi, ancora piegata sulle ginocchia.

Tre container più avanti a lei, due a sinistra, a destra di altri cinque. Non stava correndo. Cercava qualcosa. O qualcuno. Ma ad Elle non sembrava ci fosse nessun altro in quel labirinto di latta.

Si alzò e cominciò a correre.


~


Il proiettile passò a pochi centimetri dalla guancia destra di Romanoff, sbattendo contro la parete di lamiera di un container e rimbalzando indietro. Steve le mise una mano sulla spalla, facendola abbassare in tempo per evitare il proiettile vagante, che andò ad infrangersi contro una macchina abbandonata nello spiazzo che avevano davanti.

Sei uomini, in tenuta nera, con armi e tenute da sicari, li bersagliavano di colpi a bassa gittata ma perforanti. Steve teneva davanti a sé lo scudo che aveva portato sulla schiena mentre vagava per il deposito, portandolo davanti a lui ed all'amica. Natasha sibilò, aspettando che scaricassero i caricatori quasi in simultanea. Uscì con il braccio, spiando da oltre lo scudo, e colpendo due dei sei alla spalla ed al fianco, costringendoli a terra. Samuel, appoggiato a terra nel container dietro di loro, imprecò.

Non vedo il tuo uomo, Falcon.” Esclamò secca Natasha.

Non so se sia un bene.” Borbottò Steve. “Elle?”

Samuel provò ad avviare la comunicazione. Scosse il capo. “Nemmeno Wanda percepisce la sua presenza.”

Maledizione.” Steve si passò una mano fra i capelli, mentre Natasha sparava ad altri tre soldati. Samuel intanto ricaricò la sua pistola, lanciandola alla donna appena questa si voltò. Natasha fece cadere la beretta e affettò la Sieg senza battere ciglio, sparando agli ultimi soldati rimasti.

Sei Hydra in meno.” Commentò senza emozione. Steve sospirò.

Cerchiamo di portare fuori Samuel.”

Ripieghiamo?” Chiese la rossa, un sopracciglio alzato. Rogers annuì, rimettendosi lo scudo sulle spalle. “Ripieghiamo.”


~


Hai ancora la mia maglietta.”

Elle si fece avanti da dietro un container, guardando l'alta figura in piedi al centro di un piccolo spiazzo scoperto. I capelli erano ancora più lunghi, fino alle spalle, e il braccio che lei sapeva essere di metallo era coperto dalla manica della maglia leggermente consumata ma pulita. L'altra manica era sollevata fino al bicipite scolpito, un paio di piccole cicatrici ben visibili sulla pelle coperta da una leggera peluria scura. L'uomo si voltò, guardandola con una smorfia.

E quella non è la tua felpa. A chi rubi tutti questi abiti maschili?”

Elle si strinse nelle spalle, restando a distanza. “Ho molti amici.”

Dovresti presentarmeli. Visto che porto i loro vestiti.”

Alcuni li conosci già.”

L'uomo sospirò, socchiudendo gli occhi nocciola. Si grattò con la mano normale la leggera peluria che ricopriva la guancia. “Sei entrata negli Avengers?”

Elle annuì, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Lui sospirò.

Ti piace proprio la sensazione di morire?”

Non mi piace che la provino gli altri.”

Allora dovresti odiarmi.”

Ne abbiamo già parlato, Bucky...”

Non osare chiamarmi Bucky!” Urlò lui. Elle alzò le braccia in segno di resa.

Va bene, Sergente Barnes.” Esalò Elle con molta enfasi. Vedeva che era teso, la spalle rigide.

Vieni con me. Risolveremo tutto.”

Non ti hanno detto che c'è un mandato di cattura per me?”

L'Hydra vuole catturarti.”

Il mondo vuole catturarmi.” Esclamò ad alta voce lui. “Per delle cose che mi hanno costretto a fare.”

Esatto. Possiamo provare la tua innocenza, possiamo..:”

Sarò morto prima di un eventuale processo. Sempre che per le bestie come me valgano le leggi degli uomini. E va bene così.”

Sputò fuori le parole come fossero una pastiglia amara, una ruga di tristezza che ormai non abbandonava più il viso scuro. Elle rimase a guardarlo, il dolore nei suoi occhi che la colpiva come uno schiaffo in pieno viso.

Ma prima macchierò ancora le mie mani nel sangue di coloro che mi hanno costretto ad uccidere degli innocenti.” Proseguì lui. Elle negò con il capo.

Non è più tuo dovere uccidere.”

Vedere James Barnes era come vedere la versione disillusa di Steve Rogers. Erano fatti della stessa sostanza, come fratelli, erano uguali.

Allo stesso tempo, però, l'ambiente li aveva divisi. Aveva reso ciò che era buono un'ombra di se stesso, e ciò che era debole inflessibile. Elle era incredula di ciò che avevano dovuto passare i due uomini.

E' l'unica cosa che so fare. L'unico motivo per cui sono vivo.”

Elle cercò di avvicinarsi, muovendo pochi passi verso l'uomo.

Non sono Fury. Non ti dirò di volgere le tue capacità contro altri. Non ti farò credere che uccidere è veramente l'unica cosa che sai fare.”

L'uomo la guardò a capo chino. Elle notò che nel braccio bionico teneva una mitraglietta. Deglutì, piegandosi sulle ginocchia.

Che fai?” Chiese lui.

Elle tolse la fondina dalle spalle, appoggiandola a terra. Fece un passo indietro.

Puoi essere meglio di così. Posso proteggerti... Finché il mondo non capirà chi sei.”

L'uomo rise nervosamente. “Il mondo... Ancora aspetti di essere compresa? TI pensavo più intelligente di così, Elle.”

La ragazza sorrise. “Sono una all'antica.”

Piaceresti ad un mio amico...” Ridacchiò lui nervosamente, senza riuscire a trattenersi, alzando lo sguardo su di lei.

Il silenzio scese fra i due, talmente teso da essere tangibile. Elle lo guardava fisso, dritto in viso, mentre lui tornava ad osservare la polvere che ricopriva i suoi stivali.

Perché sei qui, James?”

Seguivo l'Hydra.”

Ti ho visto. Seguivi Rogers.”

L'uomo alzò lo sguardo, le sopracciglia aggrottate. “Non penserai che avessi intenzione di attaccarli.”

Elle sbuffò. “Li avresti tranquillamente attaccati, se tu avessi voluto. Eri in vantaggio.”

L'uomo si voltò verso di lei. “Lui sa, allora.”

Elle sorrise enigmaticamente. Aspettò un secondo. Poi emise un sospiro sconfitto.

No, non sa.” L'uomo la guardò incredulo. “Non gli ho detto nulla, se non che doveva andare ad est.”

Perché?”

Volevo parlarti.” Ammise lei. “Siamo circondati da nemici. Non era pronto.”

Tu tieni a lui.”

Elle glissò sulla domanda. “Vieni con me. Ti prego.”

L'uomo la guardò un attimo, con lo sguardo grave che Elle si era ormai abituata a riconoscere. “Non posso. Ti metterei in una situazione pericolosa.”

Elle sbuffò platealmente. “Sono già in una situazione pericolosa. Rogers è in comando, ed io ho prima mentito e poi disubbidito.” Barnes scosse il capo.

Non capisci, tutti mi vogliono morto. Tutti. Uccideranno qualsiasi cosa si muova che sappia della mia esistenza.”

Elle incrociò le braccia. “Posso difendermi.”

River no.” Sospirò l'uomo. Elle rimase impietrita, a fissarlo, mentre lui ricambiava lo sguardo, la testa incassata nelle spalle e le labbra strette.

Come...”

Non c'è tempo.” L'uomo la prese alla sprovvista, avvicinandosi con due passi a lei. La prese per le spalle, la mitraglietta che dondolava dalla tracolla che portava sulla spalla. “Devi andare ora, Elle. Ma prima...”

Si abbassò leggermente, abbracciandola goffamente. Elle rimase impietrita.

Devi fare una cosa per me.” Le sorrise tristemente.

Anche se ancora non ho capito perché ti ostini ad aiutarmi, ho un'ipotesi.” La teneva ancora per le spalle, allontanandosi leggermente.

Devi dire a Steve che ti ho attaccata. Devi convincerlo che sono fuori controllo. Che non sono più Bucky Barnes.” La abbracciò di nuovo, calmo, mentre Elle era immobile, una statua di terrore.

Deve pensare che non sia rimasto nulla del suo amico. Deve pensare che io sia una minaccia. Una volta che avrò finito, con l'Hydra, convincilo a lasciare che mi prendano. E che mi uccidano.”

xXx

Eccomi qui, alla fine di queste nove pagine di World. Ho dovuto tagliare il capitolo a metà, perchè volevo lasciarvi con la suspance. Cosa farà Elle? Cosa dirà Steve? Chi cavolo è quel cretino in armatura che ha osato picchiare Falcon? Perchè Bucky è diventato un emo depresso? 

Ho solo un paio di interrogativi per voi, per chi avrà la voglia e la pazienza di rispondermi. Mi si sono aperti due scenari ipotetici: dove far muovere Elle e gli altri personaggi, dopo il trailer di Civil War. Preferireste più parti con Bucky o più parti con Steve? 

Grazie ancora all'ego di Delta ed alla dolce Bananacambogianachiquita per le recensioni o per essere semplicemente passate a fare un saluto da queste parti ;)

Spero che non mi abbiate eliminato dalla vostra vita causa avviso ("Questa faccia da culo invece che aggiornare ha messo un avviso! Bruciamole la casa!" Cit.) perchè 
sono una persona perezionista e penso che siano meglio le cose arrivate in ritardo ma fatte bene che pubblicate in tempo ma di fretta.

Buona serata a tutti! 

Eve




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Capitolo 13
*** 13. Promessa ***


AVVERTIMENTO: Capitolo con diverse scene violente. Resta assolutamente nel Rating Arancione a mio avviso, ma se dovesse essere fuori luogo fatemelo sapere e provvederò a mettere il Rating Rosso.

P.S.: Ci saranno capitoli a Rating Rosso, più avanti nella storia. Ma provvederò sempre a segnalarvelo.

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Atto.13: Promessa

And I’m left in the wake of the mistake, slow to react
So even though you’re so close to me,
You’re still so distant and I can’t bring you back.

LINKIN PARK





Convincilo a lasciare che mi prendano. E mi uccidano.”

Gli occhi di Elle erano talmente sgranati da sembrare due biglie di vetro.

Rimase immobile, le labbra strette, le mani di Barnes che la reggevano per le spalle quasi di peso, fissandolo senza espressione.

No.”

Selvig, ti prego.” L'uomo scosse il capo, la voce come sempre ferma e bassa. “Dovete restare uniti. Rogers può rifarsi una vita, qui, ora. Ma non con me.”

Elle scosse il capo. “Tu non hai capito niente. Anche se le tue mani fossero sporche di sangue, anche se tu nuotassi in un lago di sangue, anche se fosse realmente colpa tua. Capirebbe che la tua è una resa. Una resa per il suo bene. E ti vorrebbe ancora più bene per questo.”

Barnes abbassò lo sguardo, stringendola più forte per le spalle. Elle sentì la gelida mano metallica premere contro la sua pelle, ma non emise un suono.

Non so cosa ti abbiano fatto. Davvero, non mi interessa. Io ho appena scoperto di essere saltata fuori da una provetta!” Esclamò la donna, raddrizzando il capo e agitando concitatamente le braccia. “Ma non per questo mi nascondo in un angolino aspettando la morte!Qualunque cosa succeda morirai, James Barnes. Oggi o fra cent'anni. Devi fare in modo che la tua vita sia valsa qualcosa, non la tua morte.”

Tu non hai capito, Elle.” L'uomo scosse il capo, allontanandosi di un passo e lasciando la sua presa sulla donna.

Siete proprio uguali, tu e Rogers. 'Devo portare il peso del mondo sulle mie spalle', bla e bla...” Sbottò ancora lei, guardandolo allontanarsi con astio. “Non dipende tutto da voi. Non capisco ancora se sia altruismo o egomania...”

Io-”

Una nuvola di polvere precedette il boato che li lanciò a una decina di metri, lei contro la parete di un container, lui a terra.

Elle emise un singulto, sentendo le ossa doloranti. Barnes si rialzò su un braccio, quello artefatto, con una leggera escoriazione sulla fronte.

Una gigantesca ombra nera si proiettò su Elle, che aprì a fatica gli occhi impastati di pulviscolo e terra. La figura era strana, piena di sostegni e con un macchinario che usciva dalle spalle. Elle distinse a malapena il disegno bianco sul petto, tracciato quasi da un bambino o da un pazzo, una X bianca graffiata più e più volte con quello che poteva essere un gessetto su quella corazza di acciaio.

Il volto era coperto da una maschera nera, anch'essa colorata con quel bianco polveroso.

Elle si rialzò con un colpo di reni, raggiungendo James poco più avanti e porgendogli un braccio. L'uomo si appoggiò al suo gomito, alzandosi di scatto.

Sembra che il destino voglia impormi voi come prova, come vittime sacrificali per testimoniare la mia mutazione.”

Elle si irrigidì, la schiena perfettamente dritta, cercando il Soldato d'Inverno con lo sguardo. Questo rimase raggelato, ricambiando la sua espressione persa. Lei si voltò lentamente, un braccio teso istintivamente davanti all'uomo, poco dietro di lei.

Cosa ti hanno fatto?” Chiese con un filo di voce, le sopracciglia tese sugli occhi sgranati.

Possiamo parlare di Cyborg.” Commentò l'uomo dentro l'armatura, sospirando. 
“Quello che Stark non ha avuto il coraggio di fare.”

Stark ancora possiede un minimo di amor proprio.” Ribatté Elle. Una risata gutturale uscì da dietro la maschera, dove il respiro e la voce filtravano da dietro delle scanalature simili ai denti esposti di un teschio. Barnes lanciò uno sguardo alla sua mitraglietta, che durante la caduta era finita a due metri di distanza. Diede un colpetto con la mano destra al fianco di Elle, tornando a fissare l'altro. Elle rimase immobile, captando il pensiero dell'amico. Lasciò libera la mente, cercando di raggiungere quella cosa che aveva davanti. Doveva distrarlo.

Allora, Rumlow, hai voglia di parlarmi di cosa ti ha spinto a farti ridurre ad una versione Punk di Darth Vader?”

Fece un passo verso di lui, indicandolo con una mano aperta. Sotto la corazza, la risata gutturale si ripeté. “Non fare la strizzacervelli con me, Selvig.” Elle fece una curva larga, guardandolo dal basso. Il Cyborg fece un passo nella direzione opposta, quasi seguendo un cerchio immaginario. Barnes arretrò lentamente, guardandoli.

Dove lavoro ora, nessuno ha bisogno di letterati del tuo genere.”

Non posso dirmi d'accordo.” Elle sorrise sarcasticamente, indicandolo. “Sei pazzo.”

Non mi sembra che la protesi del tuo amico laggiù ti diano lo stesso fastidio.” Replicò lui, ghignante. La sua voce era impastata, roca. Sembrava sotto effetto di qualche droga. Elle cercò di capire il flusso dei suoi pensieri, ma vedeva soltanto sé stessa, in una luce vermiglia. Tremò leggermente, senza riuscire a trattenersi. Aveva combinato un guaio, con la sua mossa di diversi mesi prima. Un grosso guaio. Ora l'unico pensiero di Rumlow era ucciderla.

Si, mi ricordo di te, Soldato d'Inverno.” Racchiò fuori fra i denti l'uomo. Elle lanciò uno sguardo all'altro, che aveva raccolto l'AK-47 da terra. “Ho sentito cosa volevi che facesse Selvig...” Schioccò la lingua. “Ma non sarà necessario. Ti ucciderò, e poi trascinerò il tuo cadavere nel fango, fino a che non sarà sotto gli occhi del tuo grande amico.” Sputò l'ultima parola come fosse un insulto. Barnes strinse l'impugnatura del fucile con la mano sana, fino a farsi sbiancare le nocche, guardando Elle. Questa gli fece gesto di calmarsi, con una mano dietro la schiena. Rumlow era chiaramente sotto effetto di droghe. Oppiacei, probabilmente per sopportare il dolore di tutte quelle protesi che sfregiavano il suo corpo.

Guardati, il glorioso Soldato d'Inverno, il servo più fedele dell'Hydra...” Lo indicò con una mano robotica. Barnes strinse i denti, la mascella contratta. “Che si fa dare ordini da una donna. Sei caduto, la tua fama è infangata, e con la tua anche quella dell'Hydra ha rischiato di macchiarsi...”

Senza preavviso, la maschera che copriva il viso di Rumlow si alzò, esponendo al sole la pelle ustionata e mal ricucita dell'uomo. Elle rimase immobile. Aveva già visto i danni sulla sua faccia, l'ultima volta che si erano incontrati. La pelle era pallida, segno che quella maschera lo stava accompagnando da tempo, a tratti livida attorno alle labbra ed agli occhi. Ghignò verso Barnes, le pupille strizzate a causa della luce che passava a tratti fra le gru del deposito dei container ed i grattacieli della città alle sue spalle.

Ma è tempo di evoluzione, e il forte deve abbattere il debole...” Si voltò nuovamente verso Elle.

Quanto a te, bambolina, ho l'ordine di portarti dal Generale.”

Il generale chi?” Chiese la donna, facendo un passo indietro. Rumlow la ignorò.

Comunque non ti avrei uccisa...” Proseguì il suo monologo a voce bassa, strizzando gli occhi per vederla. “...Sarebbe uno spreco.”

Elle rabbrividì. Lanciò uno sguardo a Bucky, che puntava la mitraglietta contro Rumlow. “Ora!”

Il Soldato d'Inverno iniziò a sparare a raffica contro l'androide. Con un sospiro annoiato, Rumlow riabbassò la maschera e si voltò, accompagnato da una serie di cigolii e rumore di metallo.

Patetico.” Esclamò, la voce di nuovo ovattata dal teschio disegnato. Elle afferrò la pistola, mirando all'attaccatura del collo. Il Cyborg tuonò.

Siete degli illusi, siete degli ammassi di carne!” Corse verso Barnes, che cercò di evitarlo scartando di lato. Gettò a terra la mitraglietta scarica, guardandolo con disgusto. Rumlow si voltò di scatto, con un sibilo, e lo colpì dritto al petto.

L'uomo fece una capriola all'indietro per ammortizzare il colpo, per poi rialzarsi con un urlo furioso. Lo distrasse con un calcio laterale, per poi prendere la testa avvolta nel casco scuro e spingerla verso il basso, facendolo crollare sulle ginocchia meccaniche. Elle lo prese per il collo da dietro, mentre Barnes lo colpiva al volto con una poderosa ginocchiata. Rumlow fece per prendergli la caviglia, ma James saltò sulla sua mano e si allontanò con una capriola all'indietro. Elle emise un fischio, allontanandosi di due passi, guardando l'amico con il fiato corto.

Spetsnazvityaz?” Chiese ammirata. Bucky annuì, mentre Rumlow si alzava lentamente sui sostegni meccanici.

Barnes si gettò a terra, con un movimento simile ad un'onda, per evitare il calcio di Rumlow. Elle si avvicinò, deviando un pugno di ferro con un calcio alto. Colpì sotto l'ascella con un gancio, per poi prendere un destro in pieno viso. Arretrò, pulendosi il sangue che usciva dal naso con una manica della felpa.

Barnes si puntellò sulla gamba sinistra, girando su se stesso e colpendo Rumlow sulla spalla. Questo ringhiò.

Tutto qui quello che sapete fare?”

Elle raccolse una lamiera per terra, tenendola come un pugnale. Si lanciò con un urlo furioso contro la schiena dell'uomo, cercando di perforare l'armatura nei punti che le sembravano più deboli. Barnes cercò di prenderlo per le spalle e si lanciò per tirargli una testata. Elle si frappose fra i due, trascinandolo indietro.

Ma sei impazzito?!” Sibilò. Lui abbassò lo sguardo. “Non puoi prenderlo a testate!” Rumlow corse verso di loro, mentre Elle si lanciava appoggiata con una mano sulla sua spalla e cercava di strappargli il casco. Con uno scrollo, Rumlow la gettò a terra, le mani insanguinate.

Barnes lo raggiunse, saltando e colpendolo con un pugno sul capo. Rumlow lo afferrò per il busto, schiacciandolo fra le braccia meccaniche.

Elle espirò, facendo due passi indietro. Prese una breve rincorsa e gli saltò alle spalle, aggrappandosi con le mani ad una serie di tubicini. Doveva stare attenta ai suoi movimenti, rischiando in ogni momento di farsi schiacciare una mano od un piede tra le piastre dell'armatura. Contemporaneamente, doveva reggersi con le gambe attorno alla vita dell'uomo. Fece leva con i gomiti contro le sue scapole di metallo, cercando di rompere o scollegare qualsiasi cosa si trovasse sotto alle dita.

Rumlow cercava di muoversi a scatti, tentando di farla cadere. Mollò Barnes a terra. “Non puoi competere con il silicio, Selvig!”

Le afferrò una caviglia, lanciandola come un sacco vuoto dall'altra parte dello spiazzo incolto. “Non costringermi a rovinarti, Selvig!”

Si rialzò, incontrando lo sguardo di Barnes a pochi metri da lei. La risata di Rumlow riecheggiò fra i due. “Cosa facciamo?”

Elle sospirò. Si portò una mano all'orecchio, riaccendendo l'auricolare.

Steve!” Esclamò con un gemito dolorante, inginocchiandosi a terra. Barnes la guardò con gli occhi sgranati, voltandosi poi lentamente verso Rumlow. L'uomo veniva verso di loro a passi misurati. Era sicuro che li avrebbe annientati.

Elle!” Sentì l'uomo sospirare di sollievo, dall'altra parte della comunicazione. “Dove sei? Stai bene? Abbiamo sentito degli spari.”

Elle emise un gemito di dolore, cercando di rimettersi in piedi. Sicuramente, sul lato destro, che aveva impattato con il suolo, si stava formando un grosso ematoma violaceo. Barnes le tese una mano, aiutandola ad alzarsi.

C'è Rumlow...” Esalò lei, una mano all'orecchio, l'altra che stringeva il braccio sano di Barnes. 
Sentì il respiro di Rogers accelerare. Stava correndo. “Tu stai bene? Ti sei nascosta?”

Sentì il bisbiglio di Natasha, accanto a Rogers. Sapeva che avrebbe rintracciato la comunicazione.

Ci ha attaccati.” Emise lei, flebilmente. “Negativo. Non posso nascondermi.”

L'uomo emise un respiro strozzato. “Elle, scappa!”

Non posso.” Sussurrò lei. “Devo distrarlo.”

Elle!” Avrebbe sentito l'urlo anche senza auricolare. Rumlow si fermò, voltando leggermente la testa nella direzione da cui proveniva la voce di Rogers.

Barnes si irrigidì, guardando Elle con terrore.

Sarà un vero piacere assistere a questo teatrino...” Commentò Rumlow. “Vedere in diretta il volto del Capitano quando arriverà qui e troverà la persona a cui tiene di più ridotta in poltiglia.”

Elle si mise davanti a Barnes, che le mise una mano sul fianco. La donna sussurrò, Senza voltarsi.

Ha detto che mi vuole viva. Finché sarò davanti a te, non sparerà.” Gli strinse la mano. “Posso distrarlo finché non arrivano gli altri, tu scappa.” Rumlow ghignò nella sua direzione.

Vai a Seattle. Cerca Valentina Tremonti, a Capitol Hill.” Non poteva vedere lo sguardo angosciato di lui. “45778, sulla 10th Avenue.”

Strinse la mano dell'uomo ancora più forte. “Dille che ti mando io. Mi deve un favore.”

Non posso lasciarti qui.”

Devi.” Sussurrò lei. “Non sarò da sola.” Sorrise leggermente.

Ciao, nanerottola.”

Ciao, Bucky.”

Uno scudo azzurro sbatté con un clangore metallico contro il braccio alzato di Rumlow, mentre Elle si sbilanciava all'indietro contro James.

Lui la strinse leggermente, sorridendole contro l'orecchio.

Ti contatterò io.”

Elle annuì. Con uno scatto, si tolse la felpa azzurra. “Mettiti questa, non farti vedere in viso da nessuna telecamera. Su Ayolalawall street, sotto il terzo cassonetto da destra, c'è un borsone. C'è un dispositivo mimetico per il viso.”

Grazie.”

Elle annuì, ignorando l'urlo frustrato di Rumlow. Si girò di scatto. “Ora vai!”

Quando Steve entrò correndo nello spiazzo, James Barnes non c'era più.



~



Elle!” L'uomo si slanciò con furia contro la testa del robot, afferrando il suo scudo da una crepa nel braccio e sbattendolo ripetutamente sul capo dell'avversario.

Elle li raggiunse correndo, parando un colpo dell'altro braccio bionico e torcendolo dietro il suo busto. “Stai bene?” Chiese ansante lui, guardandola dall'altro capo delle spalle di Rumlow. Questo emise un ringhio.

Capitano, ci rincontriamo.” Steve lo ignorò. “E le tue prime parole sono per questa ragazzina?”

Elle annuì, sorridendo leggermente. Fece leva sul braccio, facendogli emettere un mugugno furioso. “Cosa ne facciamo?”

Steve si voltò, tirando un forte pugno al petto dell'uomo. Questo emise un respiro strozzato, ma l'armatura pettorale resistette al colpo.

Ti avevo detto...” Con uno scossone, Rumlow si liberò. Entrambi gli avenger fecero un passo indietro. Elle si sbilanciò su una gamba, tirando un calcio al capo dell'avversario. Questo le prese la gamba, mentre Steve lo caricava con lo scudo. Elle girò su sé stessa con un salto, colpendolo al viso con l'altro piede. Atterrò e si voltò. Rumlow spinse Rogers indietro e si voltò per colpirla con un pugno. Elle si spostò leggermente di lato, il braccio meccanico che passava ad un soffio dal suo viso. Deviò leggermente la direzione con l'avambraccio, colpendolo al collo con il pugno chiuso. Rumlow si piegò leggermente in avanti, mentre Elle congiungeva le mani dietro il suo collo e lo colpiva con una ginocchiata nella scanalatura fra le gambe ed il petto dell'armatura.

...Ti avevo detto 'Niente colpi di testa'” Esalò Rogers, voltandosi e richiamando a sé lo scudo. Lo lanciò contro il volto di Rumlow, che lo deviò con un braccio. Diede un colpo a mano aperta ad Elle, che indietreggiò tenendosi una mano sulla guancia che andava assumendo un colore violaceo.

Steve gli andò incontro, bloccandolo con una gamba in avanti ed il busto, costringendolo ad abbassarsi con il suo peso. Gli tirò un forte pugno all'addome.

Non. Permetterti. Di. Toccarla.” Sillabò, tirandogli dei forti pugni per esprimere meglio il concetto. Elle fece due passi indietro, mentre Natasha entrava correndo nello spiazzo urlando il suo nome.

La rossa estrasse con un gesto fluido entrambe le pistole, lanciandone una all'amica. “Allora, chi abbiamo qui?” Chiese con voce annoiata.

Steve emise un grugnito, mentre i due si colpivano a vicenda con calci e pugni. Elle ebbe un leggero capogiro, piegandosi a sputare un grumo di sangue a terra. Natasha la guardò.

"Stai bene?" chiese, osservandola. Estrasse i morsi della vedova dagli schienali. Elle si piegò un secondo sulle ginocchia, il fiato corto.

"Ho ancora tutti i denti..." commentò guardandola rassegnata, sorridendo.

"Effettivamente... ti manca un pezzettino di incisivo, Elle..."

Elle emise un respiro strozzato, portandosi una mano alla bocca. Natasha alzò le braccia, i bastoni elettrificati che ronzavano.

"Ti ho cercata, sai? Te e il tuo amichetto bionico. Hai rubato il fidanzatino al tuo capo, qui!" Rumlow sembrava più allucinato del solito. Sferrò a Steve un calcio al ventre, facendolo piegare in due. Elle gli ringhiò contro. "Mi hai spaccato un dente."

Rumlow aprì le braccia, guardandola. "Non hai idea di cosa ho immaginato di farti quando ti prenderò, puttanella." La scrutò da capo a piedi. "Spererai di non essere mai andata a cercare quel mostro difettoso."

Elle alzò la beretta e fece fuoco, colpendolo sul collo scoperto. Il proiettile lacerò la carne di striscio, lasciando una scia cremisi. Rumlow la guardò sghignazzando.

"Sei proprio impazzito, Rumlow." Commentò Elle, abbassando l'arma con un sospiro. Steve rotolò sul terreno, alzandosi con un colpo di reni. Lo colpì pesantemente alle spalle con le mani intrecciate, facendolo inginocchiare a terra. Rumlow fissava Elle senza sbattere le palpebre, facendole venire un brivido di terrore. Fece sei passi di corsa, colpendolo con il calcio della pistola alla fronte e con un ginocchio alzato al mento. Girò con una piroetta attorno alla sua testa, evitando di essere afferrata al polpaccio. Steve le prese un braccio, tirandola dietro di sé con un gesto esasperato. Colpì Rumlow alla schiena, facendolo sdraiare a faccia a terra. Rumlow emise un grugnito.

"Cosa succede, Capitano? Geloso della ragazza? "Si girò a pancia in su, la maschera sollevata, il ghigno coperto di sangue ed ancora più evidente. Steve fece per colpirlo con un pugno, ma Rumlow lo parò con le mani e lo spinse indietro, alzandosi seduto con un colpo di reni. Strinse il pugno di Steve con forza, facendolo grugnire dal dolore. Elle gli si affiancò, colpendolo con il palmo aperto sotto il naso, che emise uno scricchiolio sinistro. Rumlow scoppiò a ridere.

"Restituirò tutto, bambolina. Vedrai, ti piacerà."

Steve urlò, liberando il suo pugno e colpendolo allo sterno. I due rotolarono a terra, intrecciati in uno scambio di colpi.

Una serie di spari colpirono il terreno attorno a loro, mentre Natasha retrocedeva tenendo Elle per la maglietta. “Stanno arrivando dei soldati, dobbiamo andare!” Urlò a Rogers, che si staccò immediatamente dall'avversario, lasciandolo a terra. Rumlow continuava a ghignare, alzandosi con difficoltà a causa del peso dell'armatura.

Natasha cominciò a correre per il labirinto di container. Elle la seguiva, la pistola in una mano. Rogers correva dietro di loro, ansante e con uno sfregio sul viso.

Una ventina di mercenari li stavano inseguendo, e sentivano il clangore dei passi di Rumlow da una decina di metri di distanza. Steve afferrò Elle per l'avambraccio.

Perché eri li?”

Avevo visto Rumlow.”

Una crivellata di colpi di mitraglietta li fece abbassare a terra, piegati sulle ginocchia. Elle si sporse dal container, procedendo a terra, sparando ad un soldato in divisa nera poco distante con un' AK-47.

Non ti saresti lanciata contro Rumlow senza nessuna carta da giocare.” Commentò Steve, sporgendosi con il capo sopra di lei per spiare la strada, appoggiandole una mano sulla schiena. Elle lo ignorò. Dietro di loro, Natasha aveva assalito un soldato con i morsi della vedova, facendolo accasciare a terra in preda alle convulsioni.

Elle si alzò lentamente, sentendo i passi di Rumlow dietro di loro. Corse allo scoperto contro un soldato, ignorando l'urlo di Rogers. Si lanciò contro l'avversario, colpendolo con un pugno deciso alla nuca. L'uomo, massiccio quasi quanto Rogers, si voltò con un ghigno senza nemmeno una smorfia di fastidio.

Cosa ci fa una bambolina come te in mezzo a queste brutte facce?” Chiese sarcastico, con un pesante accento slavo, voltandosi. Elle lo squadrò con un ghigno.

La misoginia è richiesta nel curriculum o sono io che incontro sempre gli uomini sbagliati?” Sospirò, imbronciandosi. Si voltò leggermente, colpendo con un calcio alto l'uomo al collo. Questo si accasciò su un ginocchio, mentre il calcio Thai si trasformava in una potente ginocchiata al volto. L'uomo rimase a terra, il volto una maschera di sangue. Elle gli puntò la pistola in faccia, mentre Rogers appoggiava a terra un altro soldato esanime, a qualche metro di distanza.

La guardò, le sopracciglia corrucciate. Non stava a lui decidere se Elle dovesse uccidere o no il nemico. Non lo avrebbe ascoltato, in ogni caso. Lo aveva ammesso a sé stesso molte settimane prima. Per questo l'aveva fatta andare su un tetto, lontano dalla mischia.

Elle sospirò, le pupille dilatate e la canna della pistola piantata sul viso dell'uomo incosciente. Il paradigma del doppio colpo. Se si fosse alzato, non si sarebbe fatto nessun problema ad attaccarla alle spalle e spezzarle il collo. Doveva ucciderlo prima che riprendesse coscienza. Elle sospirò ancora, fissandolo, cercando di mantenere un'espressione indifferente. Sentiva lo sguardo di Rogers perforarle la nuca.

Rimise la pistola nel fodero, allungando una mano verso Natasha. “Dammi una funicella.”

La donna le passò un laccio di gomma senza dire una parola, ed Elle si abbassò sempre senza emettere un fiato a legare le braccia dietro la schiena al colosso. Steve sorrise guardandola. Natasha gli fece un cenno divertito.

Perché non lo hai ucciso?” Chiese lui quando Elle riprese la strada, guardandosi attorno in quel labirinto di lamiere e sabbia sporca. Elle si strinse nelle spalle.

Hai una pessima influenza, Rogers.”

L'uomo annuì debolmente, un sorriso che non se ne andava dalle sue labbra.

Smettila di sorridere, Rogers. Sembri vittima di un colpo apoplettico.” Sbottò sarcasticamente Elle dopo un paio di secondi.

Pensavo fosse finito il tempo del Rogers.” Sospirò lui, ironicamente. Elle non rispose, procedendo in allerta fra un sentiero e un altro. Un soldato si sporse daun angolo, sparando ad altezza d'uomo contro i tre. Steve estrasse prontamente lo scudo, coprendo Elle. I due si abbassarono quasi in sincrono, un braccio di lui che teneva lo scudo davanti al suo viso, e l'altro che si era appoggiato al suo fianco, stringendola contro di sé. La Svedese sperò di non essere arrossita come una dodicenne.

Natasha, dietro di loro, sospirò platealmente. Elle si sporse appena il soldato terminò il caricatore, sparandogli ad una spalla. L'amica emise un fischio ammirato.

La tua mira è migliorata.” Commentò con un ghigno. Si alzò con un gesto fluido, passandosi una mano fra i capelli vermigli e superandoli con uno sguardo indispettito. Si diresse verso il soldato a terra, guardandosi attentamente attorno.

Elle e Steve erano ancora accucciati dietro lo scudo, lei immobile con la schiena dritta ed ancora la beretta in pugno, fumante.

Si voltò lentamente, incontrando gli occhi blu del leader della squadra, che con un braccio ancora la stringeva al petto. Elle sgranò gli occhi, umettandosi le labbra per l'ansia.

Cosa ho in faccia?” Chiese debolmente, sapendo che le mancava un pezzo di dente e che tutto il lato sinistro del suo volto era gonfio e violaceo. Lui le sorrise.

Erano anni che non passavo una nottata così tranquilla come quella di ieri sera...” Ammise con un sorriso tirato, le guance leggermente imporporate. Era strano vedere un uomo, anzi, un superuomo di quasi cent'anni e con la forza di una dozzina di uomini imbarazzato. Ma Elle non trovava un aggettivo migliore. Imbarazzato.

Volevo solo dirtelo, ecco.” Concluse, scostando lo sguardo. Elle rimase imbambolata a fissarlo, chiedendosi se magari non era stata catturata e drogata da Rumlow o qualche altro affiliato dell'Hydra. Sarebbe stato più probabile che assistere a quella conversazione.

Anche io sono stata bene.” Sussurrò, la testa incassata fra le spalle e lo sguardo che saettava sulla parete del container dall'altra parte del sentiero sterrato. I due fecero per alzarsi nello stesso momento, strusciandosi malamente addosso.

Fecero per guardarsi, entrambi rossi in viso. Elle aveva voglia di mettersi a ridere.

Natasha spuntò da oltre l'angolo, guardandoli impalati, stretti in una porzione di spazio minima. Scoppiò a ridere.

Non vorrei interrompervi, ma siamo in pieno territorio nemico, abbiamo ancora una probabile ventina di agenti addestrati Hydra che ci sta cercando, Rumlow sembra essere diventato una scultura fatta con il Meccano e non sono nemmeno sicura che abbiamo i permessi per un'operazione qui in Nigeria.” Li indicò esasperata, mentre Steve guardava Elle rammaricato e faceva un passo indietro, rigido come una statua. Elle si grattò un attimo il capo con la mano libera, indicando verso est con la pistola. “Di là?”

Natasha annuì, cercando di nascondere un ghigno. Elle si avviò in silenzio, seguita da Steve che teneva lo scudo davanti al petto.

Torniamo sulla strada principale.” Commentò quasi interrogativa Natasha, guardando il suo leader. Steve annuì debolmente, la mascella contratta.



~



Ayolalawall Street era piena di gente a quell'ora della tarda mattinata.

Era una delle vie più moderne di tutta Lagos, sulla quale si affacciavano immensi grattacieli, alberghi per uomini d'affari in viaggio per lavoro, uffici di diverse ditte di trasporto marittimo e di consulenze bancarie.

Tutte le merci che si dirigevano verso l'interno del paese passavano da quella strada, costantemente intasata di taxi, camion, pullman di operai che si dirigevano alla baia o di marinai che tornavano alle loro navi per partire per il viaggio successivo.

Wanda era ferma dentro il SUV scuro. La temperatura era elevata, sia dentro che fuori. Stava seduta sul sedile anteriore, quello dal lato del passeggero, le gambe che penzolavano sopra il marciapiede e la portiera aperta.

Dietro di lei stava Samuel, sdraiato sui sedili posteriori, massaggiandosi la spalla.

Aveva preso un brutto colpo cadendo contro un container, ma tutto sommato si sentiva bene. Non si sarebbe allontanato senza i suoi compagni di squadra. 
Elle avrebbe dovuto raggiungerli almeno un'ora prima, ma di lei non c'era traccia.

Samuel scalpitava per arrampicarsi, anche a mani nude, sul tetto dove aveva lasciato l'amica. Una delle sue ali aveva subito diversi danni, e lui era abbastanza ammaccato da non potersi permettere un'arrampicata di venti piani. A dire il vero, non era nemmeno sicuro che sarebbe riuscito ad arrivare all'auto se Steve non lo avesse portato su una spalla, quasi di peso.

Quindi, quando sentì un boato a qualche isolato di distanza, verso il deposito del porto, dovette soffocare l'impulso di correre in quella direzione.

Wanda saltò istintivamente giù dall'auto, scostandosi i capelli che il vento le aveva portato sugli occhi. Emise un sibilo.

Cosa succede, Wanda?” Chiese lui, alzandosi con una mano che teneva il poggiatesta del sedile anteriore. La donna non rispose.

Wanda, maledizione, cosa succede?”

La donna si voltò. “Resta qui.”

Cosa?” Esclamò spazientito lui. Wanda cominciò a correre in senso contrario alla folla, che sembrava scappare da qualcosa, verso l'entroterra.

Samuel si accasciò nuovamente sul sedile con un sospiro rassegnato.

Abbandonato come sempre.” Borbottò con tono melodrammatico.

Un altro boato fece tremare l'asfalto e l'auto sulla quale era, mentre la gente cozzava malamente sopra i finestrini o la carrozzeria per scappare.

Si sporse con un gemito a chiudere la portiera anteriore prima che qualcuno pensasse di entrare, strisciando sul sedile del guidatore.

Non potrò volare...” Ammise ad alta voce, le sopracciglia corrucciate. Alzò le spalle, indifferente. “Ma almeno mi hanno lasciato l'auto.”

Con uno stridio, partì sulla strada, suonando il clacson a più non posso per far spostare la gente dal suo percorso.



~



Una camionetta stava aspettando i mercenari in nero mentre questi uscivano, trascinando i feriti, dal porto. Avevano abbattuto con una granata il recinto spinato, colpendo con i calcinacci sparsi a terra in quella mezza discarica diversi feriti tutt'intorno. Un signore piuttosto anziano stava passeggiando proprio su quel marciapiede, ed ora giaceva a terra in una pozza scura.

Elle avanzava a bocconi sul tetto di uno dei container, guardando un soldato correre da solo verso l'apertura. Gli saltò addosso, sbattendogli il capo contro la parete di lamiera dall'altra parte del passaggio. Prese la mitraglietta, uscendo.

Natasha uscì dal sentiero a destra del suo, i morsi della vedova davanti al viso.

Si strinse nelle spalle, guardando gli uomini vestiti di nero correre verso il furgone.

Elle allungò le mani verso di loro, gli occhi che assumevano una tinta più chiara. Steve si avvicinò, abbassandogli con un gesto sbrigativo la mano.

Non qui.”

Indicò con un cenno del capo un gruppo di curiosi e dei passanti bloccati dietro il furgone, che li guardavano impauriti. Elle lo guardò di sbieco, mordendosi il labbro inferiore.

Capitano, non pensavo che la fuga fosse nella tua natura.”

Rumlow uscì allo scoperto, ogni passo verso di loro che muoveva un mulinello di polvere nell'aria. Elle si mise in posizione di difesa, spostandosi davanti a Rogers.

Fai evacuare i civili. Lo tengo impegnato.”

Steve la guardò senza espressione. “Lo faccio io. Tu vai dai civili.”

Elle negò con il capo. “Ha detto che mi vuole viva. Non mi farà troppo male.” Commentò con un ghigno. Steve annuì in silenzio, facendo un cenno a Natasha.

Elle fece un paio di passi avanti, il capo alzato e le spalle dritte, i pugni chiusi lungo i fianchi. “Rumlow.”

Il Capitano è caduto proprio in basso se ha così paura da mandare avanti te.” Commentò con voce gracchiante l'uomo nell'armatura. Elle poteva vedere la ferita che gli aveva inferto sul collo sanguinare, da tanto che erano vicini.

Sono io che scelgo dove andare, Rumlow.” Commentò tesa lei, gli occhi che fissavano quella maschera inespressiva. “Nessuno mi dice cosa fare.”

Una risata roca uscì dalle feritoie sulla bocca.

Riuscirò ad ammansirti, prima di portarti dal Generale, bambolina.”

Il pungo partì in direzione del capo della donna, che si piegò su un lato, schivandolo e prendendogli il braccio con forza sopra il polso. Gli girò alle spalle, tirandogli una ginocchiata sulla schiena per farlo piegare in avanti per poi costringerlo ad abbassarsi in ginocchio, un piede che faceva pressione sulla spalla e la mano che teneva immobilizzato il braccio .

Natasha intanto si era lanciata contro i soldati, che la stavano circondando. Steve urlava alla gente di andarsene, ma alcuni mercenari si voltarono, le armi puntate contro le persone inermi.

Wanda arrivò da dietro gli uomini, prendendone uno per le spalle e spezzandogli il collo con un gesto secco. Un altro si voltò, ma la donna con un calcio gli fece cadere di mano il fucile. Si voltò, prendendolo per un braccio e torcendoglielo dietro la schiena. Un mercenario le sparò contro, colpendo il compagno dallo sguardo terrorizzato.

Steve corse verso di lei, voltandosi e scalciando con una sforbiciata in aria le armi di mano ad un altro avversario. Questi cadde in ginocchio tenendosi il polso, probabilmente spezzato, mentre Steve correva verso Elle.

Natasha sparò gli ultimi due colpi, colpendo gli ultimi due mercenari che non erano fuggiti.

La prima cosa che fece Steve fu tirare un pesante calcio all'addome di Rumlow, mentre questo rideva istericamente. Elle sapeva che, se avesse voluto liberarsi, ci sarebbe riuscito con ben poco sforzo.

Perché siete qui?”

Lei cercò di attirare la sua attenzione, ma Steve aveva occhi solo per Rumlow, inginocchiato a terra, la maschera alzata, una bava di sangue che colava dalla bocca piegata in un ghigno.

L'uomo sogghignò senza rispondere. Steve gli tirò una manata al viso, la mascella contratta e lo sguardo gelido. Elle lo guardò senza emettere un fiato, limitandosi a tenere Rumlow. Steve si abbassò sulle ginocchia, prendendo per la maschera l'uomo. “Allora, vuoi dirmi perché sei qui?”

L'uomo rispose con un'altra risata, mentre Rogers gli teneva il capo sollevato. Lo mollò senza troppe cerimonie, alzandosi ed allontanandosi di un passo.

Con un guizzo, tornò indietro e calciò Rumlow al viso, facendolo cadere nella polvere sotto lo sguardo sconvolto di Elle, che rimase immobile a guardare l'uomo che rideva a terra, iniziando a sollevarsi su un braccio.

Finalmente hai tirato fuori gli attributi, Rogers...” Biascicò l'uomo. “Iniziavo a dubitare che ci fosse qualcosa sotto quella tutina.” Un altro calcio lo prese al volto deforme, facendogli sputare altro sangue. La risata proseguì, mentre lentamente l'uomo nell'armatura si alzava.

I due si lanciarono l'uno sull'altro, in un agglomerato di membra e metallo, sferrandosi colpi al collo o al ventre, mentre Elle li guardava immobile, inorridita.

Natasha arrivò ansante, affiancandola, i morsi della vipera che vibravano di corrente elettrica alzati davanti al viso. “Rischio di colpire il Capitano per sbaglio.”

Ammise, guardandoli inorridita.

Rumlow spinse lontano Rogers, che si alzò con un colpo di reni. Rumlow rotolò contro le due donne: Natasha lo scartò di lato, mentre la mano meccanica trascinava Elle a terra.

La Svedese emise un rantolo, mentre l'uomo si inginocchiava contro il suo busto, tenendola a terra. Si abbassò, tenendole i polsi a terra con una sola mano, le braccia tese sopra la testa. Elle sentiva il suo alito sopra al viso ustionato, le pupille dilatate a causa dei farmaci. Piegò il capo di lato, mentre l'uomo si abbassava sul suo orecchio.

Hälsar din mamma, Elle Selvig.” Elle voltò subito il capo, gli occhi sgranati che cercavano comprensione in quelli scuri dell'avversario. Questi si abbassò, premendo la sua lingua contro le sue labbra e sferrandole un pugno al fianco. Elle emise un gemito di dolore, cercando di liberare le mani istintivamente, con uno spasmo. La sua mente si schiantò contro quella dell'uomo, cercando immagini della madre, mentre con i denti lacerava quello che restava delle labbra di Rumlow. Sentiva solo disperazione correre nelle sue vene e le sue labbra erano ormai macchiate di sangue, suo e non.

Natasha era immobile a un metro di distanza, guardando allucinata Rumlow. Aveva sentito tutto.

Rogers prese per le spalle Rumlow con un urlo furioso, sollevandolo di scatto con il volto contratto in un'espressione spaventosa. Rumlow abbassò la maschera sul viso sghignazzando.

"Temo di averti battuto sul tempo, Capitano. Lei è mia."

Rogers lo sbattè contro la parete di un container con un urlo rabbioso, facendogli sbattere la testa. Rumlow invertì le posizioni, alzandolo di peso e chiudendolo contro la parete.

"La prenderò. Non potrai farci nulla." Rogers fece per sferrargli un pugno, mentre Rumlow alzava il suo. Dal braccio usciva una lama acuminata, sporca di sangue. Istintivamente, Steve girò il capo verso Elle, ancora stesa a terra, che li guardava con sguardo vitreo. Il fianco aveva una profonda lacerazione. Natasha era corsa al suo fianco, cercando di tamponare il foro provocato dalla lama con le mani, i Morsi di Vipera abbandonati a terra nella polvere. Rumlow seguì il suo sguardo, smettendo di sogghignare.

"Volevano usarla per creare qualcosa di nuovo. Qualcosa di bellissimo. Se tu non ti fossi accanito, se tu mi avessi immobilizzato-"

Sbattè contro la parete Rogers, mentre questi so voltava con un'espressione gelida verso l'avversario.

"-E ne saresti stato in grado, lei ora starebbe bene."


Nessuna ferita fisica poteva fare del male a Steve Rogers come quella frase.

"Passerai molto tempo a piangere i tuoi amici, Capitano." gli ghignò in faccia Rumlow, alzando la maschera.

"Si era ricordato di te, sai?" Gli alitò in faccia, sporcandolo con una goccia della sua saliva impregnata di sangue scarlatto. "Il tuo amico...Il tuo camerata...Il tuo Bucky."



xXx


Ehilà a tutti! E' Eve che parla. 
Eccoci con il capitolo! Spero che vi sia piaciuto, è un po' crudo, forse.

Allora, oltre alla solita richiesta a tutti voi lettori se vi va di farmi sapere che ne pensate, ho un'altra domanda.
Io e la pazientissima Electricsoul stiamo lavorando ad un nuovo banner! E vorremmo sapere il vostro Fancast per Elle Selvig! 
Ogni proposta sarà valutata, sia che lo scriviate nelle recensioni che se mi mandate un messaggio privato. Attendiamo con ansia il vostro consiglio! (Io soprattutto con molta ansia visto che la mia selezione comprendeva almeno 157mila facce, povera Marta ;)) 
Grazie come sempre a Delta, mio supporter ufficiale per questa storia, ed alla dolce D Laila per le recensioni. E' grazie a voi che ancora pubblico questa storia, ormai al tredicesimo capitolo! 
Spero di sentirvi numerosi, il prossimo aggiornamento sarà sempre Mercoledì 9 Dicembre, probabilmente la sera tardi visto che ho una lezione importante fino alle sei. 
Buona settimana a tutti! 

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Capitolo 14
*** 14. Lacrime ***


Con questo capitolo, Elle diventa ufficialmente l'eroina più tramortita, malmessa e sfasciata della storia.
Dedicato a tutti i lettori silenziosi che ogni mattina si svegliano sperando di avere una giornata migliore di quella della povera Selvig.


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Atto 14: Lacrime


"Wipe away those tears of blood again."

MY CHEMICAL ROMANCE



Natasha si riscosse di colpo, assordata dal suo urlo furioso.

Un clangore metallico le fece alzare di nuovo gli occhi su Steve Rogers, il ragionevole e controllato Steve, che colpiva senza controllo l'uomo accasciato a terra, a meno di due metri di distanza. Abbassò lo sguardo, tramortita, vedendo le sue mani lorde di sangue scuro.

Elle stava a terra, gli occhi vitrei che fissavano il nulla, il volto pieno di polvere, immersa in un lago putrido.

Rumlow non provò nemmeno a difendersi dai colpi incontrollati dell'avversario. Rogers afferrò la lama che usciva dal braccio bionico dell'avversario e la spezzò con un gesto secco.

"Rogers!" Urlò Natasha, alzandosi lentamente. "Steve!" Urlò con voce stridula la russa. Rogers si girò lentamente, le nocche delle mani spellate e i palmi che sanguinavano per i pungni troppo stretti; le unghie si erano conficcate nella carne.

L'uomo fece un passo indietro, rimanendo con la schiena dritta, le braccia abbandonate lungo i fianchi, il respiro affannato ed il mento alzato, fissando il corpo esanime che giaceva a terra.

I capelli di Elle erano ormai più simili a quelli della spia russa, impregnati di sangue. Gli occhi non brillavano più. L'uomo non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi.

"Elle!" Un urlo strozzato arrivò dalla strada, vicino alla camionetta che avrebbe dovuto portare via i mercenari assoldati per la squadra di Rumlow. Wanda si avvicinò, stringendosi le braccia attorno al busto. La matita scura che portava sugli occhi iniziò a colare lungo la linea della palpebra, mentre si avvicinava vicino alla donna a terra. Natasha la guardò senza espressione.

"Quando si affronta l'Hydra, non si torna indietro." Rumlow guardava Steve con sguardo assente.

"Non permetterti di guardarla!" Prese Rumlow per entrambe le spalle, lanciandolo con un mugugno sulla strada, ad almeno quattro metri di distanza, contro un'auto posteggiata. Rumlow emise un grugnito di dolore, incastrato fra le lamiere.

Un grosso SUV nero si avvicinò, insieme ad un altro schieramento di soldati in nero. Wanda era impietrita, in mezzo alle persone accalcate che guardavano il corpo dell'amica. Natasha provava a copirlo con il suo, ma era sfiancata dal combattimento, dal viaggio, dalla vita. Provò a sollevare Elle fra le braccia, ma riuscì solo a farla capovolgere a faccia in giù contro il suolo. Emise un singhiozzò, cercando di rigirarla.

Wanda si voltò, dando le spalle alle due ed a Rogers, ed emise un sospiro, coprendosi gli occhi con i pugni chiusi. Emise un lungo gemito, sentendo la poca serenità che la aveva accompagnata nelle ultime settimane sgretolarsi dentro di lei insieme con la coscienza dell'amica. Sembrava non esserci più nulla di vivo, nel corpo di Elle Selvig. Era un cumulo di vestiti e tessuti abbandonati nella polvere, in un deposito portuale.

"Cosa avete da guardare?!" Urlò alla folla di visi sconosciuti che restavano immobli, con le bocche spalancate dall'incredulità, a fissarli senza emettere un fiato.

"Vi è piaciuto lo spettacolo?" Urlò ancora la sokoviana, gli occhi che si imporporavano. La sua pelle iniziò a brillare di un rosso cremisi, mentre la massa iniziava a mormorare e muoversi sommessamente. "Ne volete ancora, piccoli avvoltoi?" Chiese con fare isterico, agitando le braccia. I lampioni spenti sopra le loro teste esplosero in una pioggia di vetro. "Allora, avete paura del mostro?!

Qualcuno urlò qualcosa, e una lattina vuota volò contro il petto della donna. Con uno scatto, fece per muovere le mani verso la folla.

"Wanda..." La chiamò da dietro una voce familiare, quella di Natasha, assottigliata dal pianto.

La donna scaricò a terra tutte le energie con uno schiocco, lasciando un cerchio bruciato sull'asfalto attorno a sè. Si voltò, incontrando lo sguardo della russa, che teneva la testa di Elle sulle ginocchia, senza un singhiozzo, gli occhi pesti.

Rumlow si alzò in un clagore metallico, mentre i suoi soldati li accerchiavano. Steve fece cadere lo scudo a terra, senza emettere un fiato, dando le spalle ai soldati dell'Hydra.

"Siete proprio patetici, tutti, non solo il famoso Soldato d'Inverno." Commentò Rumlow. "Stavo per ricredermi, ma è bastato colpire la biondina per mandarvi tutti al tappeto."

Steve si voltò, tenendo le mani dietro alla testa. "Non fare stronzate, Rumlow. Le donne non c'entrano niente, lo sai. E' me che vuoi, no?"

Rumlow sogghignò. "Vederti soffrire è sempre un buon passatempo, ma non credere che mi beva il tuo bluff."

Natasha e Wanda si scambiarono un'occhiata decisa. Wanda allungò una mano, mentre Natasha estraeva la pistola di Elle dalla sua fondina ed iniziava a sparare all'impazzata.

Una vecchia familiare verde scuro si sollevò in una luce cremisi, abbattendosi su Rumlow e su cinque dei suoi uomini, mentre gli altri rispondevano al fuoco contro Rogers e Natasha, che sparava trascinando il corpo di Elle dietro un container. Steve corse verso di loro, afferrando la svedese per un braccio e caricandosela in braccio, dietro lo scudo. Era fredda come il ghiaccio.

"E' andata, Steve." Sussurrò Natasha, continuando a sparare. L'uomo resse lo scudo con una sola mano, portando l'altra sul volto della giovane.

Aveva un'espressione tesa, anche da esanime. Accarezzò con le dita la linea della mascella fino al mento a punta, sentendosi in colpa per i polpastrelli delle mani, troppo ruvidi per quella pelle diafana. Si aspettava di vedere uno spasmo tracciare il sorriso involontario dell'amica, mentre questa allontanava la sua mano con uno sbuffo imbarazzato. Niente impedì però alla sua mano di arrivare al collo chiaro.

Un rumore di lamiera lo ridestò dai suoi pensieri. Seguì lo sguardo di Natasha.

Rumlow aveva sollevato l'auto sopra la sua testa con le braccia meccaniche, il viso già di per sé irriconoscibile rigato di sangue e ferite, l'espressione distorta in una furia inumana.

Si mosse talmente in fretta che Steve non fece in tempo nemmeno ad urlare.

L'ammasso di lamiere che prima era un'auto saettò nell'aria, compiendo una parabola che a Steve sembrò di una lentezza esasperante, contro Wanda e, dietro di lei, la folla di curiosi imprudenti. Le urla di Steve non servirono a nulla: Wanda si gettò a terra, evitando per un soffio di venire come minimo decapitata. L'auto colpì la folla alle sue spalle, con uno schianto aghiacciante di metallo ed ossa e corpi ed urla.

Un ragazzo stava guardando proprio Steve, con la sua amica morta in braccio, prima di essere colpito.

Si voltò verso Rumlow, senza espressione, sconvolto da quel gesto inumano.

Una macchia nera si abbattè contro l'avversaio. Un SUV scuro e familiare.

"Sono arrivato in ritardo?" Esclamò Samuel, sporgendosi dal finestrino e guardando Rumlow schiaciato sotto le ruote, finalmente incoscente.

La folla iniziò ad urlare, a cercare di muoversi da quella strada senza vie d'uscita, un vicolo cieco verso il porto. Si calpestavano tra loro, schiamazzando e piangendo per uscire. Wanda si avvicinò per aiutare.

"Vattene, strega! Hai già fatto abbastanza!" Tuonò un uomo, grande quasi quanto Rogers, avvicinandosi minaccioso. La folla era in tumulto.

"Dobbiamo andarcene, Steve." Supplicò asciutta Natasha. "Non possiamo aiutare. Dobbiamo andarcene."

Steve annuì, dirigendosi verso l'auto. Natasha richiamò Wanda.

"Allora, Capitano, alla fine chi è stato a stendere quello grosso? Falcon!" Esclamò Samuel convinto, fancendo una mossa da Basket con le braccia, lo sguardo divertito.

Appena Steve aprì la portiera posteriore e Samuel vide che cosa reggeva fra le braccia, dietro lo scudo, raggelò.

"Che le hanno fatto?" Sussultò, allungando la mano per prendere il polso della donna. Ritirò la mano sotto lo sguardo di Rogers, che stringeva Elle al petto, seduto dietro. "E' andata." Rispose solo l'uomo, mentre Wanda e Natasha salivano a bordo in fretta e furia. La folla iniziava a lanciare sassi e bottiglie contro l'auto.

"Andiamocene." Commentò Samuel, ingranando la marcia.

Ma attraverso lo specchietto retrovisore, per tutto il viaggio, non potè vedere altro che il suo migliore amico che stringeva la donna che amava fra le braccia.



~



Quando aprì gli occhi, sentì chiaramente che qualcosa nel suo corpo non andava.

Sentiva una curiosa pressione su ogni centimetro di pelle, mentre cercava di muovere le dita della mano. Lentamente, mosse prima l'indice, ticchettando su qualcosa di morbido e filamentoso. Respirò profondamente, indecisa sa aprire o no gli occhi.

Erano tutti vivi? Avevano catturato Rumlow? Erano tornati a New York?

O magari era stata tramortita, e si sarebbe svegliata in una cella, con soldati dell'Hydra che guardavano ogni sua mossa. Magari Rumlow la stava fissando.

Si sentiva osservata. Strinse le labbra, un'espressione corrucciata sul viso. Decise che, ovunque si fosse trovata, non valeva la pena perdere altro tempo con gli occhi serrati, a contemplare il nulla.

Sapeva di essere all'aperto, ma non sentiva il vento. La pressione era strana. Sentiva una sorta di elettricità che aleggiava nell'aria. Come una pellicola sulla pelle esposta, sul viso e sulle mani.

Sentì la temperatura, più fredda rispetto a quella della Nigeria. Temette il peggio.

Quando si sollevò sul busto, le gambe distese davanti a lei, il suo primo pensiero fu un'imprecazione.

Davanti a lei si distendeva un paesaggio impossibile. Sotto al suo peso vi era un'erba quasi rossastra, mentre il cielo era nero come la notte, ma trapuntato di stelle, di una grandezza che non aveva mai visto. Vedeva almeno sei pianeti nel cielo, grandi come la luna durante il plenilunio ed anche di più.

Suo padre sarebbe impazzito per vedere anche solo uno scorcio di quel cielo che illuminava fiocamente il paesaggio che aveva davanti.

La roccia attorno a lei era anch'essa nera, e poteva scorgere in lontananza un orizzonte violaceo.

Sotto di lei, sotto quella che sembrava una scogliera, vedeva un mare scuro dalle alte onde che si schiantavano schiumando contro la roccia simile ad arenaria.

Istintivamente le venne in mente una gita fatta quando era piccola, con ancora il padre Erik, sulla costa di Bohuslän.

Scosse il capo, cercando di tornare a quella che sembrava proprio essere la realtà.

Era furiosa. Era stata mandata al tappeto per ben due volte, dallo stesso stronzo.

Ed ora era da qualche parte con l'erba rossa e delle costellazioni che non aveva mai visto. E non aveva la minima idea di come ci era arrivata.

Fondamentalmente, il fatto che probabilmente fosse morta e quello fosse l'aldilà era l'unica spiegazione plausibile.

Se non fosse stata così avventata da modificare i pensieri di Rumlow in modo da fargli desiderare di ucciderla, lui non avrebbe passato il suo tempo libero a pianificare mille modi con cui torturarla. Ma probabilmente l'avversario non si sarebbe nemmeno distratto abbastanza da permettere a Barnes di fuggire.

Era palese che se Rogers avesse pensato a immobilizzare Rumlow invece che a fare l'idiota schizzato, lei ora sarebbe stata comoda comoda sul quinjet a chiacchierare con Natasha.

Come poteva Steve Rogers passare dalla bontà più esagerata alla violenza più assoluta restava un mistero anche per lei. Fiutava forse odore di Bucky nell'aria?

Se mai esisteva la possibilità di rivederlo, Elle giurò a sé stessa che lo avrebbe preso a schiaffi. Ripetutamente. Ma non era la sua priorità, in quel momento.

Si guardò bene: non aveva ferite. Era in piedi, i pugni stretti lungo i fianchi, probabilmente lo sguardo corrucciato di quanto era furiosa, ma non aveva nemmeno un graffio.

Si toccò il fianco, dove avrebbe dovuto esserci il foro della pugnalata di Rumlow. Niente. Nemmeno il fianco, che le doleva da mesi a causa dell'altra cicatrice di Rumlow, le dava la stessa sensazione di fastidio di quando si era ritrovata al suolo in un lago di sangue. Quanto era passato? Giorni? Settimane?

Portava una curiosa divisa, piuttosto attillata e di pelle nera e blu cucita insieme. I capelli erano finemente intrecciati lungo le tempie e stretti in una coda alta. Si tastò l'acconciatura, dubitando di essere stata lei a farla. Sapeva a malapena farsi una treccia normale, nonostante avesse quasi un metro di capelli.

Nel migliore dei casi era in coma, e doveva prepararsi ad un doloroso risveglio in infermeria.

Qualche settimana prima aveva passeggiato per Tribeca con Samuel, alla fine di una giornata stranamente leggera, e l'amico le aveva raccontato di aver cominciato ad avere il Disturbo di Steve Rogers, descritto comicamente come il terrore di svegliarsi non sapendo dove, come, ma soprattutto quando.

Si riscosse dai suoi pensieri quando una figura scura si mosse da un lato del suo campo visivo. Elle si voltò di scatto, le braccia tese in posizione di difesa, l'espressione del viso tesa.

Un uomo molto alto, quasi più di Rogers, avanzava verso di lei. La prima cosa che notò fu il viso molto a punta e le labbra sottili sollevate in un sorriso. Gli occhi erano dorati, e la guardavano in modo strano, quasi soddisfatto. Portava una strana tunica nera e blu con impegnativi ricami dorati, lunga fino alle ginocchia. Sotto portava dei pantaloni scuri.

"Elyon!" Tese le mani verso di lei, che lo guardava con gli occhi sgranati. "Aspettavo il tuo risveglio."

"Sapevi che Rumlow mi avrebbe infilzata come uno spiedino?" Sbottò lei, scrutandolo. Lui aggrottò le sopracciglia, prendendole una mano fra le sue, il tono di voce fin troppo studiato per le orecchie della donna. "Cosa?"

Elle fece un gesto vago con la mano libera, lo sguardo sconvolto. "Dove siamo?"

"Alfheim." Lui la affiancò, senza lasciarle la mano. Lei lo guardò un attimo, ritirando la mano. "Fammi indovinare: vengo da qui e adesso mi spiegherai perché ho i miei poteri e mi mostrerai la mia vera famiglia."

"Sei strana, Elyon. No, non provieni da qui. Sei terreste, in realtà."

Elle, scocciata, gli fece ancora cenno di proseguire. Lui strinse le labbra, cercando di non ridere. "Non mi chiedi chi sono?"

Elle scrutava il cielo. Non voleva dargli la soddisfazione di chiedergli quello che lui voleva. In più, la sua mente era un muro impenetrabile L'uomo fece schioccare le labbra, guardando in basso e ridacchiando. “Elyon, Elyon, Elyon... Ora che finalmente sei qui davvero non so da dove cominciare.” Fece un sorriso radioso, guardandola con gli occhi quasi spiritati.

Elle lo guardò storto. "Perché mi chiami Elyon?".

"Elle ti è stato dato da tua madre, ma il tuo nome reale è Elyon. Io lo so. Era dipinto sopra la tua culla, ricordi?".

Elle ebbe un flash della sua stanza in Svezia, quando era bambina e poi adolescente. Non si erano mai trasferite, lei e la madre, nonostante Annette guadagnasse piuttosto bene ed Elle studiasse grazie ad una borsa di studio.

Per un attimo rivide il condomino prefabbricato, di evidente natura sovietica, o come si usava dire quando era bambina, socialdemocratica. Ricordava le stanze dipinte di un bianco accecante, e la mancanza di quadri alle pareti. Aveva sempre sospettato che la madre si sentisse a suo agio solo in laboratorio, e quindi cercasse di riportare a casa le stesse condizioni che la circondavano al lavoro.

L'unico tocco di colore era un grande simbolo dipinto a mano libera con una vernice blu scuro. Era formato da tre cerchi concentrici ed una stella a nove punte al centro, con due sole punte in alto ed in basso che raggiungevano il perimetro del cerchio più esterno. Sopra e sotto a queste due punte, stavano tre punti equidistanti.

Elle aveva spesso chiesto spiegazioni alla madre, che aveva sempre evitato il discorso. La Svedese non credeva al sovrannaturale, solo alla scienza pura, e quindi non si era mai interessata di quell'unica stranezza della madre.

Oltretutto, dovrebbe essere vietato dal regolamento di quasi ogni organizzazione per la quale hai lavorato portare tatuaggi.” L'uomo schioccò le labbra, sorridendole complice. Elle lo guardò storta.

E tu quando avresti visto il mio tatuaggio?” Si sfiorò istintivamente il collo.

Quando la madre era morta, Elle aveva sedici anni e stava per partire per un paese straniero.

Dopo la fine dei suoi esami, aveva detto al padre che sarebbe tornata più tardi per festeggiare con i compagni. Era una bugia: Elle non aveva amici.

Era entrata nello studio piuttosto losco di un tatuatore di Göteborg e si era incisa il simbolo che le aveva lasciato la madre sulla schiena, in mezzo alle scapole ossute.

Solo pochi sapevano dell'esistenza di quel tatuaggio. Elle si premurava di tenerlo sempre coperto. Quando era capitato di non poterlo nascondere, per esempio le rare volte che aveva avuto avventure con qualche ragazzo o quando andava nuotare, lo copriva con una buona dose di fondotinta o, nei casi più delicati, con un innesto di finta pelle.

"Quando sei comparsa, ti ho lavato nel fiume che affluisce dal ghiacciaio della luce. Le tue ferite sono state sanate. Ti ho messo degli abiti adatti al tuo nome ed alla tua posizione e, aspettando che ti risvegliassi, ti ho acconciato i capelli come si conviene per un incontro così importante."

Elle lo guardò, interdetta. Aprì e chiuse la bocca diverse volte, immaginando quell'uomo che le intrecciava i capelli -immagine piuttosto comica - prima di risolversi a sussurrare un ringraziamento poco convinto. L'uomo, in risposta, le sorrise.

Aveva un viso strano, molto magro e dai tratti molto sottili. Le ciglia erano lunghe, e nella poca luce che proveniva dalle stelle, dalle lune e dai pianeti di quell'assurdo cielo, vedeva che sulle sue guance vi era qualcosa di simile alle lentiggini.

"Io sono Vali, il principe di questo pianeta.” Esclamò con fare sicuro, guardandola egli occhi in un modo che ad Elle sembrava fin troppo sicuro. Si chiese se dovesse fingersi stupita. L'uomo proseguì.

Mia madre è la governatrice, anche se la maggior parte delle decisioni politiche avvengono ad Asgard." Ammise con tono annoiato. Elle aggrottò le sopracciglia.

"Asgard." sussurrò Elle. Si accese una lampadina. "Thor!"

L'uomo osservò Elle dritta negli occhi, sorpreso "Conosci il nostro principe ed erede al trono?"

Elle sogghignò. "Abbiamo degli...Amici in comune." Pensò a Steve e Natasha. A Lagos. Sperava che stessero bene. Era preoccupata, ma aveva evitato di pensarci: era bloccata in quel luogo. Un problema alla volta.

"Quando tornerò sulla terra? Perché sono qui?" Il principe sospirò, sedendosi su un masso. Le fece cenno di sedersi accanto a lui, ed Elle si accomodò con un tonfo.

"Sei qui perché desideravo parlarti. Posso spiegarti la natura del tuo potere: ti ho osservato dalla tua nascita, e tua madre prima di te." Elle si morse un labbro. Lui la osservò in silenzio, sotto le lunghe ciglia. Si umettò le labbra.

"Sei terrestre perché nata sulla terra, come ti ho detto prima. Tuttavia...” Le prese un polso fra le mani. Elle si rese conto in quel momento di come doveva essere fredda la temperatura esterna, e di come la tuta che portava la tenesse alla giusta temperatura. Vali aveva le mani calde, nonostante i vestiti leggeri.

"Sei nata in un laboratorio, questo già lo sai. Il tuo codice genetico è stato programmato partendo da quello dei tuoi genitori, Erik e Annette Selvig. Ma una parte sostanziale del tuo genoma è stato influenzato dall'aura della gemma dello Spazio, che stavano studiando in contemporanea." Elle si prese la testa fra le mani, sospirando. “Inoltre, Elyon... Hai mai sentito parlare della gemma dell'Anima?”

Elle strizzò gli occhi, mordendosi il labbro. Negò con il capo, senza alzare lo sguardo sull'uomo.

La gemma dell'Anima non era nei suoi piani. Dubito che sapessero anche solo della sua esistenza. Siamo stati noi di Alfheim a infonderla in te, solo per alcune fasi della gestazione. La lettura della mente, il controllo sulle persone, sulla loro memoria e sulla loro stessa natura... Ci serviva che tu avessi delle capacità specifiche.”

Elle rimase immobile. “Tu mi hai fatto diventare così?”

Principalmente, sei frutto di molteplici variabili. Visto che eri già un essere potente, ho pensato di darti uno scopo. Ma la maggior parte del lavoro sporco è stato fatto da tua madre e dalla sua equipe.”

Mia madre era dell'Hydra.” Esalò Elle, tenendosi il capo fra le mani. L'uomo annuì, senza troppa enfasi, come se la donna al suo fianco stesse semplicemente constatando l'ovvio.

"Il giorno della tua nascita, ci fu' la più spettacolare e terribile eclissi della stella al centro del nostro universo, ed i pianeti assunsero una particolare conformazione." Indicò con un dito sottile la sua schiena.

I tuoi poteri si stanno risvegliando mentre parliamo, mentre sei esposta alla vastità dell'universo. Hanno cominciato il loro disgelo quando il vostro mondo ha cominciato a rendersi conto di non essere l'unico provvisto di vita cosciente.”

Elle era basita. Lo guardò, mordendosi un labbro, incapace di dire alcunché.

Sentiva le punte dei piedi e delle dita delle mani che formicolavano, mentre insieme a quell'uomo sconosciuto vestito in modo strano osservava quello strano cielo.

Rimasero diversi minuti in silenzio, lei a rimuginare, lui ad attendere.

Quindi sono un'arma.” Disse lei, sbattendo le palpebre dalle ciglia chiare. L'uomo annuì, sorridendole. “Una delle più potenti dell'universo.”

E Annette Selvig mi ha creata.” Ripeté poi, guardandolo sempre negli occhi.

Si, è tua madre.”

Vali sorrise, trovando l'espressione tesa di Elle divertente.

"Tu non sei figlia del caso. Hai un compito, in questo universo." Commentò con ancora una smorfia sulle labbra. “Non tutti sono così fortunati in questo universo.”

Elle lo guardò interdetta. Prima che potesse fare altre domande, il formicolio alle mani aumentò. Elle sfregò le punte delle dita della mano fra loro.

Vali le prese le mani fra le sue, senza minimamente fermarsi a chiederle il permesso. Elle lo guardò scocciata, anche se si sentiva troppo scossa per rispondere a tono.

Stai per svegliarti.” Esclamò sorridendole, senza lasciarle le mani. Elle alzò un sopracciglio, interrogativa. “Qualcuno è venuto a prenderti.”

A pochi metri da lei, sospeso nell'aria, comparve un volto familiare.

Elle.”

~


Si riebbe con uno scossone, senza fare troppo rumore, sentendo ancora una strana pressione nell'aria. Non sapeva se aprire o no gli occhi.

Dove si sarebbe trovata, ora? Sulla luna?

Sentiva qualcosa di molto caldo vicino a lei, e sotto di sé una sistemazione scomoda e dura.

Una barella. Era su una barella.

Aprì gli occhi, riconoscendo la mente che stava a fianco della sua.

Wanda era accovacciata su un fianco, il viso nella sua direzione, gli occhi impastati di pianto e trucco e una mano che stringeva un lembo della sua maglietta.

Aveva i vestiti impastati di sangue e polvere. Sentiva un gran prurito alla pancia, ma quando sollevò la maglia per grattarsi, sgranò gli occhi, passandosi le dita sulla pelle liscia.

Non aveva più nessuna cicatrice. Nemmeno una delle varie testimonianze di attacchi da parte di Rumlow alla sua vita. Nulla.

Si sentiva bene come non stava da anni. I muscoli erano scattanti, e sentiva il potere scorrerle nelle vene. Si alzò sul busto, tenendosi sollevata con un braccio.

Poteva persino giurare di essere diventata ancora più bianca.

Si sollevò leggermente, sentendosi osservata. Di nuovo.

Sentiva Natasha e Samuel parlare, alla cloche di comando del Quinjet. Davanti a lei, seduto con i gomiti appoggiati alle cosce e lo sguardo sconvolto, Steve Rogers la stava fissando. Senza dire una parola.

Elle aprì le labbra, ma poi stette zitta. Non ricordava nulla, dopo essersi trovata Rumlow avvinghiato addosso.

Non farmelo mai più.” Sussurrò lui, sfregandosi le mani sugli occhi blu. Elle alzò un sopracciglio, interrogativa.

Non mi morire davanti, o tra le braccia, o vicino, per i prossimi cento anni.” Spiegò lui. Elle si morse il labbro. “Mi dispiace.”

Sai, Elle...” Commentò l'uomo, raddrizzandosi sulla schiena ed appoggiandosi alla parete del velivolo dietro di lui. “Pensavo di essere indistruttibile, prima di conoscerti.” Le sue labbra si piegarono leggermente all'insù, ed anche se era più una smorfia che un sorriso, Elle si accontentò.

Si alzò dalla barella, stiracchiandosi. Fece per dirigersi verso un armadietto in lamiera dall'altra parte del Quinjet. Steve si alzò, seguendola.

Vado solo a cambiarmi.” Commentò lei, guardandolo interdetta. Lui la fissò negli occhi per un tempo indefinito, senza rispondere. Poi si strinse nelle spalle, indicando la direzione in cui stava andando. Elle sospirò.
Tanto non sarai il primo che mi vede nuda oggi...” Commentò sottovoce.

Cosa?” Chiese Steve, piegandosi leggermente verso di lei. Elle sorrise.

Niente. Pensavo che, vista la tua reazione, spero che Nat non mi spari. Ha guardato decisamente troppi episodi di The Walking Dead.



~


Quando scesero dall'aereo, in Wakanda, Natasha ancora rifiutava di parlarle.

Io nemmeno sapevo dell'esistenza di questo Wakanda!” Commentò solare Wilson.

Quando aveva visto Elle muoversi per l'aereo, prima aveva preso un mezzo infarto. Poi le era saltato al collo, stringendola in un abbraccio a dir poco commovente.

Steve si era sentito un po' invidioso: anche lui avrebbe voluto stringerla fra le braccia e non liberarla più dal suo abbraccio. Ma lui era Steve Rogers, e lei era Elle Selvig, ed i due si erano rivolti poche parole. Anche in quel momento, mentre la svedese spiegava a Samuel che il Wakanda era un piccolo stato circa fra il Kenya e l'Etiopia, i due si fissavano da un lato all'altro dell'amico.

Non mi è chiaro, anche, perché siamo qui.” Commentò ancora lui. Steve sospirò, guardando la schiena impettita di Natasha. Si vedeva che era stanca, ma si era costretta a fare strada, essendoci già stata.

Il reggente di questo stato ci ha chiesto udienza qualche settimana fa, e visto che non potevamo tornare subito negli U.S.A...”

Perché non potevamo?” Chiese Elle, in tono seccato. “Cosa è successo dopo che sono... svenuta, ecco?”

Natasha si voltò con un gesto fulmineo, fronteggiandola con la mascella contratta.

Morta, Elle, morta. Non svenuta. Morta.”

Elle la guardò impassibile. “Cosa è successo dopo che sono morta, Natasha?”

Sono morti dei civili.” Wanda si mise fra le due, l'espressione di chi si sta contenendo da troppe ore. Il volto era ancora segnato fra il sonno e il pianto.

Elle annuì con il capo. “Ok, sono morti dei civili. Rumlow?”

L'ho investito.” Commentò semplicemente Samuel, stringendosi nelle spalle. Elle lo guardò con la bocca spalancata.

Dopo che lo avevamo picchiato, gli avevamo sparato, e gli era stata lanciata addosso una macchina.” Borbottò Steve, lanciando un'occhiata di sbieco all'amico.

Elle li guardò un secondo, poi scosse la testa.

Pensiamo a T'Chaka ora.”

I cinque infatti erano scortati da una decina di funzionari del governo, uno dei quali stava discutendo animatamente con Natasha. Lei si voltò verso i compagni.

Non è facile essere ammessi qui. Una leggenda narra che coloro che minacciano il paese o il popolo che vive qui vengano attaccati da una divinità sotto forma di giaguaro.”

Pantera, prego.” Commentò una voce dietro di loro. Un giovane uomo, circa dell'età di Elle, si fece avanti da una grande porta intagliata con scene di caccia nella foresta equatoriale. Il giovane, dalla carnagione poco più chiara di quella di Samuel e dalle labbra carnose, si avvicinò a loro con un sorriso di circostanza.

T'Chaka, incantato.” Il giovane, fasciato in una camicia bianca che aderiva con il suo fisico atletico, prese la mano di Natasha e se la portò galantemente alle labbra. La rossa lo guardò con un mezzo sorriso, mentre Samuel si sporgeva dietro di lei. “Si, damerino, ed io sono Samuel Wilson.” Esclamò con tono seccato. Steve gli diede un colpo al piede, guardandolo stupito. Da quando Samuel era così geloso della squadra?

Tu devi essere il famoso Captain America, è un onore.” Il giovane ignorò Samuel e accettò la stretta di mano del biondo.

Perdonami...” Natasha richiamò la sua attenzione con tono studiato, appena tutti ebbero finito con i convenevoli. “Ma pensavo che T'Chaka fosse un uomo più... Anziano.” Commentò con tono interrogativo. Il ragazzo le sorrise.

Sono il figlio del sovrano, sono stato mandato a ricevervi. Perdonerete se l'inglese di mio padre non sarà buono come il mio. Io ho avuto occasione di studiare in Europa.” Prese la rossa sotto braccio, dirigendosi poi verso la stanza dal quale era uscito poco prima affiancato anche da Rogers.

Non mi piace.” Commentò Samuel all'orecchio di Elle. La svedese si strinse nelle spalle. “Non ha nulla che non va. Te lo giuro.”

Ed infatti aveva studiato subito la mente del ragazzo, trovandolo molto più facile che in passato. Era più potente, ora.

Samuel si voltò verso Wanda, che confermò con uno sbuffo esasperato. “E' a posto il ragazzo.”

Entrarono in una meravigliosa sala decorata con pannelli di legno intagliato e decor dorati; il tappeto era di un tessuto rosso scuro e il soffitto era affrescato con i colori della foresta. La stanza era rinfrescata da delle vasche ai lati che ospitavano pesci del luogo e piante autoctone.

Ecco qui, gli Avengers...” Commentò una voce stanca. Un uomo si alzò dal muretto di una delle due vasche. Portava una ampia tunica con il colletto stretto gialla con decorazioni nere, ed era scalzo. Steve dovette ammettere che il figlio somigliava davvero tanto al padre, che era solo di statura più bassa e dai capelli più grigi.

Si fece avanti, abbassando il capo. “I miei omaggi, T'Chaka... Mi dispiace che arriviamo solo ora, ed al termine di un'azione controversa qui, nel vostro meraviglioso continente...”

Capitano, mi dia del tu.” L'uomo si avvicinò all'americano, sorridendo leggermente. Steve sospirò. “Non volevo mancarla di rispetto.”

Trovo gli uomini che usano troppi formalismi e formule di cortesia più inclini alla menzogna. Non sei d'accordo, Steve Rogers?” L'altro annuì, sorridendo impercettibilmente.

Vi vedo provati, e stanchi. Se siete sicuri che non sarete rintracciati, potete fermarvi per un paio di giorni, riprendervi da questa brutta battaglia, e poi-” Indicò Steve con un cenno del mento. “-Poi potremo conferire insieme, Capitano. Ci sono diverse cose che vorrei chiederti, ed altre che vorrei dirti.”

Steve annuì, abbassando il capo. Era incerto, e spaventato. “Siete molto generoso ad offrirci un riparo.”

Un riparo sicuro.” Aggiunse il figlio di T'Chaka, facendo un passo avanti. “Non è una trappola, Capitano. Posso giurarlo sulla mia vita.”

Il padre guardò sorridendo il figlio. “Il mio primogenito è precipitoso, ma questa volta devo dire a ragione. Vi sono rimasti pochi amici, Capitano. Ma noi sappiamo cosa state affrontando.”

Natasha si avvicinò a Rogers. “Il Quinjet è senza carburante.” Sussurrò all'uomo. “In più, dovremo comunque parlare con lui. Ci ha chiamati urgentemente. Propongo di restare.”

Il Quinjet è rintracciabile?” La rossa fece una smorfia triste.

Nemmeno Stark è in grado di rintracciare i suoi velivoli quando è attivata la tecnologia invisibile. Su nessun radar. Io lo so bene.”

Se entrambi pensarono a Banner, nessuno dei due lo diede a vedere. So voltarono verso gli altri, che fecero tutti gesti di assenso.

Accettiamo il suo invito.” Esclamò Steve voltandosi. Abbassò il capo. “Grazie.”

Mi ringrazierai dopo che avrete provato la mia ospitalità.” Commentò l'anziano monarca, sorridendo. “Benvenuti in Wakanda.


xXx

Ciao a tutti! E' Eve che vi parla!
Piccola premessa FANCAST!
Ho ricevuto ancora poche indicazioni per Elle. Intanto vi dò le mie per VALI, ovvero Eddie Redmayne in quella schifezza che è stato Jupiter Ascending.Ma lui è fantastico sempre! Vorrei caricare un'immagine ma immagino che tutti voi abbiate google. Per quanto riguarda Black Panther, l'attore che lo interpreterà in Civil War, sappiamo che sarà Chadwick Boseman.
 
Fine del discorso Fancast. Ringrazio come sempre Delta e D Laila per le bellissime recensioni e vi invito, come sempre, a farvi avanti anche solo per un saluto! 

Una recensione salva un autore! ;)

Il prossimo aggiornamento sarà Mercoledì 16 Dicembre! Anticipazioni: Nessuna. E che, questa volta, mi sembra di non avervi lasciato troppo sulle spine... 

Non abbastanza.

Eve


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Capitolo 15
*** 15. Wakanda ***


Eccoci qui! Solo per soddisfare il vostro bisogno di Rogers, ecco a voi 14 e dico QUATTORDICI pagine di Word! Breve nota pre capitolo: verranno spiegate un po' di cose, che nello scorso capitolo erano lasciate all'oscurità ed al dubbio... Ma non tutto! Questo capitolo infatti è solo una prima parte di un capitolo molto più lungo, che ho quindi preferito spezzare. E' un po' più calmo, prima di ricomiciare con l'azione che regnava sovrana la settimana scorsa. Spero che vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me scriverlo!

Eve


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Atto 15: Wakanda

parte 1

ovvero quello che succede quando una banda di super eroi disadattati vengono esiliati temporaneamente.


Dedicato ai Baristi di tutto il mondo, ed alle persone che devono sopportare.

"And everything under the sun is in tune
But the sun is eclipsed by the moon.
There is no dark side of the moon really.
Matter of fact it's all dark."

PINK FLOYD

Svezia, 1996

Dove vai, papà?”

L'uomo si voltò lentamente, gli occhi leggermente infossati che evitavano di posarsi in basso, sul viso della bambina che lo stava tenendo per un lembo dei pantaloni scuri.

Appoggiò la pesante valigia a terra, sospirando. Nel soggiorno, solo a un tratto di corridoio ed una porta più in là, una bellissima donna dai capelli dorati stava scrivendo al computer. Lei si interruppe, sfilandosi gli occhiali attaccati ad una cordicella azzurra e lasciandoli cadere sul petto. Emise un sospiro anche lei, l'espressione rassegnata.

Devo andare via per lavoro, solo una settimana.” Esclamò l'uomo, piegandosi sulle ginocchia, una mano che scostava l'impermeabile chiaro mentre l'altra restava sulla maniglia della valigia. Il suo volto era quasi allo stesso livello della bambina, sette anni appena compiuti ed i denti splendenti in un sorriso malandrino.

Erano proprio quei denti ad aver costretto Erik a riflettere.

Non erano gli occhi di un colore impossibile, o il modo del tutto appropriato di parlare che sua figlia usava da quando aveva tre anni. Non era il suo sguardo penetrante, o il fatto che spesso diceva le cose contemporaneamente al suo pensiero.

Erano quei denti. Perché in sette anni, da quando era corso in ospedale dalla moglie e l'aveva trovata con quell'esserino fra le braccia, avvolto in una coperta rosa, sua figlia aveva sempre avuto un accenno di denti. Che poi erano cresciuti, in anticipo di almeno un anno e mezzo. Annette aveva detto che era normale, dato che Elle non era mai stata allattata. Poi verso i due anni i denti erano ormai formati.

Erik li aveva guardati bene, aveva provato per gioco a muoverne uno. Ma si era reso conto con orrore che quelli non erano denti da latte. Erano denti normali. Da adulto.

Annette aveva cominciato ad agitarsi. Ma Erik Selvig, nonostante non fosse un biologo od un medico, non era uno stupido.

E poi, pochi giorni prima, era corso a scuola a prendere la figlia che aveva uno dei suoi consueti attacchi di febbre. Normalmente sarebbe andata Annette: andava sempre Annette. Erik ricordava di essere rimasto solo con Elle meno di una decina di volte in sette anni. Non le aveva mai cambiato un pannolino, o messo un pigiama. Lo aveva sempre fatto sua moglie, e per quanto sembrasse strano, lui lo aveva associato ad una forma di pudicizia. Sapeva che Annette aveva avuto una vita difficile, prima del loro matrimonio. Che aveva avuto problemi con il patrigno. Quindi non si era fatto troppe domande, ed aveva assecondato la donna che amava.

Quando era tornato a casa con la figlioletta febbricitante fra le braccia, l'unica cosa che gli sembrava sensata era diminuire la sua temperatura corporea.

Imitando la moglie, aveva spogliato la bambina e la aveva messa nella vasca da bagno, nell'acqua leggermente tiepida. Dopo un quarto d'ora, la febbre era scesa notevolmente, ed Elle nonostante le labbra violacee e la pelle color neve, giocava tranquilla con l'acqua. Erik, seduto sul freddo pavimento in piastrelle chiare,un braccio appoggiato al bordo della vasca, la guardava sorridendo. Elle sembrava leggermente stranita. Lo guardava di sottecchi, per poi scostarsi appena lui ricambiava lo sguardo.

Ieri la maestra mi ha dato tre adesivi sorridenti...” La vocina della bambina risuonava per la stanza vuota. Erik sorrise contento. “Per cosa?”

Matematica!” Esclamò Elle, battendo le mani sul pelo dell'acqua. L'uomo parò gli schizzi con una mano. “Sei stata bravissima, allora!”

Elle abbassò la testa, agitando le spalle. “Mi ha detto che è normale che io sia brava. Perché tu sei un astrologo.”

Erik rise. “Astronomo, Elle. Un astrologo è quello che scrive gli oroscopi.”

Oroscopi.” Ripeté Elle, annuendo. “Le ho detto che si sbagliava.”

Erik scosse la testa, sorridendo ancora. “Perché si sbagliava?”

Si sentiva un po' ansioso. I bambini di quell'età dicono cose che non sanno, e per un secondo immaginò una scena in cui Elle diceva che lui non era suo padre. Non avrebbe saputo cosa risponderle.

Perché tu sei un Astrofisico. Non un astronomo.” Esclamò Elle, come se fosse una cosa ovvia. “Per quello sei così bravo con la matematica. Anche io da grande voglio essere brava con la matematica!” Concluse Elle, con un ampio sorriso. Erik si allungò a farle un buffetto dietro l'orecchio. “Sei già bravissima, a me non hanno mai dato tre adesivi!” Si mise sulle ginocchia. “Ultimi cinque minuti, poi fuori dalla vasca. Non vorrai diventare una ranocchietta?” Esclamò ridendo. Elle si agitò nell'acqua, con un broncio. “E poi sta diventando troppo fredda.” Concluse lui, ignorando l'espressione delusa della bambina. “Poi starai nel lettone al caldo, e se farai la brava posso leggerti qualcosa.”

Mi leggi uno dei tuoi libri?” Chiese Elle, guardandolo con gli occhi sgranati. Erik sorrise. “Sono troppo complicati, pieni di numeri.”

Il broncio tornò sulle labbra della piccola, che strinse le braccia al petto. L'uomo sospirò. “Okay, okay, ti leggerò quello che sto scrivendo ora.”

Elle sorrise radiosa, stringendosi le ginocchia al petto. “Quando sarò grande voglio anche io vedere le stelle.”

Erik aprì la bocca per rispondere, ma un rumore lo distrasse. Il rumore della porta di casa che si chiudeva.

Erik?” Sentì la moglie chiamarlo, e dal tono capì che c'era già qualcosa che non andava. Afferrò l'asciugamano appeso sul calorifero dietro di lui. “Erik, mi hanno chiamato dalla scuola.”

Forza ranocchietta, salta fuori dallo stagno.” Il tono era più ansioso di quello che avrebbe voluto. Elle si alzò in piedi nella vasca, tendendo le mani per farsi prendere in braccio. E Erik si sentì precipitare nel vuoto.

La pancia di Elle era all'altezza dei suoi occhi. E non aveva l'ombelico.

La pelle proseguiva dritta sullo stomaco, e scendeva fino all'inguine senza una grinza. Nemmeno una fessura. Il segno di dei punti di sutura. Niente.

Deglutì un paio di volte, lo sguardo che passava dal punto in cui avrebbe dovuto esserci il nodo del cordone ombelicale ed il viso della figlia, che lo guardava senza capire. Sentì i passi della moglie avvicinarsi al bagno.

Si alzò di scatto, avvolgendo nell'asciugamano la figlia e prendendola in braccio.

Annette aprì la porta della stanza, guardandolo con le sopracciglia aggrottate e le labbra serrate in una smorfia. Elle si strinse alla sua camicia con le mani.

Mi hanno chiamato dalla scuola...” Ammise lui, quasi a doversi scusare. Annette lo guardò inespressiva.

Sai che a me non fanno problemi, se esco dal lavoro per Elle.” Esclamò, gelida. “Non c'era bisogno che ti prendessi la mattinata libera.”

Lui si strinse nelle spalle. “Non è un problema, non avevo lezioni.”

Il pomeriggio lo passò a letto con Elle, a leggerle la bozza per il suo libro. La bambina lo guardava, bevendosi ogni sua parola, gli occhi sgranati per la meraviglia.

Il giorno dopo, però, Erik si era preso veramente la mattinata. Ed era andato con il treno veloce fino a Göteborg, all'ospedale civile dove era nata sua figlia. Dove non aveva trovato nessun certificato di nascita con il nome di Elle Selvig.

Il viaggio di ritorno verso Uppsala lo aveva passato formulando ipotesi su ipotesi.

Alieni. Malattie. Sostituzioni con un clone.

Finché non aveva capito.

Tutti quegli anni di interferenze, sua moglie che non vuole fargli passare del tempo con la figlia, i denti, gli occhi, la gravidanza inaspettata sette anni prima.

Annette lavorava sulla ricerca genetica, quando era nata Elle.

Quando era arrivato a casa, si era avvicinato alla bambina per esaminarla. Annette si era schiarita la voce, chiedendo ad Elle di andare in camera perché doveva parlare con il padre.

Ed aveva appoggiato sul tavolino una semi automatica, senza emettere un fiato.

Per questo ora era inginocchiato davanti alla porta di casa, con tutto quello che era riuscito a mettere nella valigia, guardando Elle negli occhi. E sapendo che le stava mentendo.

Quando torno ti porto in piscina, a nuotare.” Le promise, sorridendo impacciato. Elle annuì contenta, e lui si rialzò, baciandole il capo. Lei gli cinse la vita con le braccia. “Torna presto, papà.”

L'uomo si guardò attorno, il cuore stretto in una morsa gelida. Si piegò ancora, all'altezza dell'orecchio di Elle. “Stai attenta, Elle.”

La bambina lo guardò perplessa. Lui si voltò, e con un sospiro uscì dalla porta di casa, senza voltarsi indietro. Oppure Annette avrebbe ucciso la bambina. Avrebbe ucciso sua figlia.


~

Wakanda, Dicembre 2015


Elle si alzò di scatto con il busto, espirando tutta l'aria che aveva nei polmoni. Rotolò su un fianco, ancora immersa nel mondo onirico in cui Rumlow la stava attaccando con uno dei suoi pugni metallici e il cielo era un telo scuro con stelle conosciute sospese sopra ai suoi occhi.

Fu il cozzare con il pavimento freddo ed il verso strozzato che usciva dalla sua stessa gola a svegliarla di soprassalto, le mani che avevano trascinato nella caduta le preziose lenzuola scure.

Scosse il capo, intontita, senza riconoscere dove si trovava. Ci mise un secondo a ricordare le ultime ore prima di essersi buttata sotto le coperte.

Il viaggio verso il Wakanda. T'Chaka. Una doccia lunga quanto una vita intera, e lei che diceva a Steve che no, non sarebbe scesa per la cena, e non le importava niente di offendere una persona che ci aveva accolto in modo così cortese, grazie tante. Lei aveva corso come una disperata, salvato un uomo quasi centenario da una probabile morte orribile, affrontato un pazzo schizzato avvolto in un'armatura di metallo, per poi farsi pugnalare, per poi trovarsi nello spazio a parlare con il principe di un pianeta dal nome impronunciabile, scoprendo che la madre in realtà era una genetista pazza nazista, per poi ritrovarsi su un Jet diretto in un paese dalle temperature equatoriali. Una giornata leggera, insomma.

Si issò a fatica sul letto. Anche se le ferite erano guarite, tutte, sentiva i muscoli che dolevano per l'affaticamento del giorno prima. La cosa più affaticata, però, stava dentro la sua cassa toracica.

Aveva portato dentro di sé il ricordo di quella donna un po' fredda, che correva in giro per tutta Uppsala per comprare regali di natale che fossero perfetti per tutti i loro amici, portandola con sé sul sedile posteriore della sua berlina scura. La stessa donna con il quale faceva il bagno da piccola, o che le faceva annusare i profumi che possedeva per scegliere quale indossare per una cena importante. Ricordava distintamente la volta che la madre l'aveva ripresa per essere tornata a casa in moto con un ragazzo due ore dopo il coprifuoco. La faccia che aveva fatto quando si era messa per la prima volta lo smalto nero. Lo sbuffo divertito quando Elle era stata lasciata dal primo ragazzo e si era chiusa in camera ad ascoltare i Pink Floyd a volumi insopportabili.

Era difficile far coincidere l'immagine della madre che aveva amato, e con la quale era cresciuta, con quella della genetista affiliata ad un gruppo terroristico.

Si rialzò lentamente, mettendosi a sedere su quel letto troppo morbido, i gomiti appoggiati alle cosce e le dita infilate fra i capelli, respirando lentamente.

'Non è successo niente, sono sempre io.' Cercò di rassicurarsi, tremando per l'aria notturna ed umida che le si appiccicava addosso. Si sfregò le braccia fra loro, guardandosi attorno spaesata. Sentiva il suo corpo in maniera diversa: era più freddo e distante. In quel momento, capì lo sguardo di Erik Selvig quando l'aveva vista nella vasca da bagno, vent'anni prima. Ancora adesso, dopo tutti quegli anni, Elle si sentiva sempre guardata in quel modo. Come si guarda un mostro.

Un bussare leggero alla porta la riscosse. Si alzò, incurante di essere in culottes e con una maglietta nera presa a caso prima di scendere dal Quinjet. Si diresse verso la porta, strisciando i piedi scalzi sul pavimento di pietra, probabilmente più costoso di tutta la sua casa sua. Ci avrebbe scommesso una mano, nonostante non si fosse ancora soffermata a guardare la stanza dove alloggiava. Non era importante, in quel momento.

Aprì uno spiraglio nella porta, vedendo uno sguardo familiare. Natasha si scostò nervosamente un boccolo rosso dal viso, mordendosi un labbro. Alzò lo sguardo su di lei, accennando appena una smorfia. Portava una canotta bianca, con sopra una semplice maglietta verde giada che faceva sembrare i suoi occhi più chiari. Era stanca: il viso era leggermente segnato dalle lenzuola. Alzò un braccio, facendo un cenno con il capo alla borsa nera che teneva in alto, per la tracolla imbottita.

Non riuscivo a dormire, così ho pensato di andare a controllare il Quinjet. Quando siamo scesi eri parecchio..” Cercò una parola che non fosse troppo strana.

...Provata, e non sei tornata a prenderlo. Così ho pensato di portartelo.”

Elle teneva le braccia strette al petto, i capelli che le coprivano parte del viso. Annuì senza espressione, allungando una mano a recuperare la sua borsa da viaggio.

Grazie.” Sussurrò appena. Il gelo scese fra le due.

Non riuscivi a dormire, eh?” Chiese Elle, appoggiandosi allo stipite della porta, con le braccia incrociate e il borsone che penzolava dalla spalla. Natasha la guardò appena, annuendo. “Anche tu, vedo.” Elle sorrise appena, stringendosi nelle spalle.

Come hai fatto a guarire?” Chiese fra i denti la russa, scrutandola da capo a piedi. Elle si irrigidì. “Storia lunga. C'entrano un alieno, un androide e un pianeta lontano lontano.”

Natasha sospirò, nascondendo una risata dietro una mano. “Dovevo immaginarlo.”

Si avvicinò alla bionda, stringendola in un abbraccio. Elle rispose stringendola con un braccio dietro alle spalle. Le due dondolarono leggermente sul posto, ridacchiando come due ragazzine. “Domani mi spiegherai tutto.” Commentò la rossa. “Adesso andiamo a dormire.” Elle annuì, staccandosi dalla sua stretta e facendole cenno di entrare nella stanza. Natasha fece per chiudersi la porta alle spalle.
“Facciamo una nottata come ai vecchi tempi, un paio di sigarette e i peggiori canali che offre la TV del Wakanda.”
Elle ridacchiò. “Hanno addirittura il satellitare.”


~


Un'ombra si proiettò sulle sagome di Elle e Natasha che dormivano profondamente.

Steve dovette trattenere una risata, vedendo Elle che muoveva il viso infastidita dal braccio di Natasha appoggiato contro il suo viso. Si avvicinò lentamente, piegandosi sulle ginocchia vicino alla testa della bionda. “Elle.”

La svedese borbottò, spostando con una mano il braccio della russa. Voltò il capo dall'altro lato rispetto a Steve, schioccando la bocca impastata dal sonno. L'uomo si sporse un secondo, dandole un colpetto sulla spalla. “Elle.”

La donna voltò il capo, aprendo gli occhi chiari, le sopracciglia aggrottate. “Rogers?” L'uomo annuì, le labbra tese in una smorfia divertita. Appoggiò un fagotto scuro sul letto, accanto a lei.

Alzati e vestiti, ci vediamo nella palestra. Primo piano, zona est.” Commentò spiccio. Elle lo guardò perplessa, alzandosi sul busto. Annuì ancora, guardandolo uscire silenziosamente dalla stanza.

Scostò Natasha, voltandosi per scendere dal letto, tremando quando i piedi nudi toccarono il pavimento gelido. Afferrò l'involto che aveva portato Rogers, che si rivelò essere un paio di pantaloni della tuta neri ed una maglia blu. I suoi anfibi erano stati ripuliti ed appoggiati accanto alla porta di ingresso. Scosse il capo, vestendosi in silenzio. Non voleva veramente allenarsi, il giorno dopo una battaglia, vero?


Quando arrivò nella palestra, però, dopo aver scoperto che erano solo le sette del mattino e dopo aver chiesto indicazioni ad una cameriera, Rogers si stava sistemando le fasciature sulle mani, seduto su una panca. Elle andò subito davanti a lui, tenendo le braccia incrociate. Lui alzò lo sguardo, sorridendole.

Non sarai serio.”

L'uomo si alzò, facendola sentire ancora una volta bassa come una bambina, e le girò attorno, allontanandosi dall'area degli attrezzi della palestra. Raggiunse una parte vuota, davanti ad una specchiera. Lei lo seguì con lo sguardo. Lui si voltò, indicando con un cenno del mento le fasce appoggiate accanto a dove era seduto poco prima.

Elle si sedette, fasciandosi in pochi secondi le mani. Lui la attendeva in silenzio, stendendo le braccia. Quando fu pronta, si posizionò di fronte a lui. Alzò i pugni davanti al viso in posizione di difesa, i capelli stretti in una coda alta che dondolava lungo la sua schiena.

Davvero vuoi fare questa cosa?” Chiese lei mentre i due iniziavano a girarsi intorno, squadrandosi a vicenda. Lui sorrideva divertito, le braccia stese lungo i fianchi. “Non mi hai lasciato molta scelta.” Commentò, un angolo delle labbra alzato in una smorfia. Elle alzò un sopracciglio, schioccando le labbra. “Cosa intendi?”

Hai deciso tu di correre dietro alle persone più pericolose che ci siano in circolazione.” Commentò lui. “Se affronti tipi come Rumlow, devi essere preparata.”

Elle ridacchiò irritata. “Cosa ti dice di essere un degno avversario?” L'uomo lasciò perdere la provocazione, continuando a squadrarla. “Ho tutto il giorno libero, sai?”

La donna fece una smorfia. “Anche io.”

Con tre passi Rogers le fu addosso, le gambe divaricate e le braccia aperte. Fece per colpirla al fianco, scartando il suo calcio con una torsione del busto. Elle si allontanò di un passo, fermando un pugno dell'uomo con gli avambracci incrociati. Emise un verso dolorante. “Giochi pesante.” Commentò facendo un passo indietro.

Steve annuì. “Non puoi riprendere magicamente vita tutte le volte.” Fece un passo verso di lei, che arretrò ancora. “Ieri non pensavo ti saresti rialzata.”

Elle si strinse nelle spalle. L'uomo proseguì. “Non so cosa sia successo mentre eri incosciente. Non voglio saperlo finché non vorrai dirmelo tu.” Alzò le braccia, i palmi rivolti verso di lei, in segno di resa. “Ma non posso sperare in un intervento divino ogni volta che vai in missione.” Elle si strinse nelle spalle. Rogers non sapeva quanto aveva ragione. Scosse il capo.

Non succederà più.” Lasciò che Steve si avvicinasse. “Sono d'accordo.” Rispose lui, muovendosi contro di lei e colpendola all'addome. Elle si piegò all'indietro con una smorfia, lanciandosi in una capriola e colpendolo con un calcio sotto al mento.

Andarono avanti per diversi minuti, a dare e ricevere colpi in modo serrato, guardandosi in cagnesco. All'ennesimo colpo che Rogers le rivolse, Elle allungò le mani, i palmi in avanti, parandolo con uno scudo di luce bluetta che lo spedì a terra, la schiena contro la specchiera.

Si interruppero quando sentirono qualcuno battere le mani a pochi metri da loro.

T'Chaka Junior li guardava divertito, il suo applauso che risuonava per la stanza vuota. Guardò Elle, sollevando le sopracciglia. “Complimenti per lo scudo di energia, comunque.” La indicò con una mano, sorridendo. Elle si voltò verso di lui, ansimando per la stanchezza. Si scostò un ciuffo di capelli dal viso sudato con una mano, guardandolo interrogativa. Rogers si alzò con un colpo di reni, la maglietta esageratamente attillata macchiata di sudore. Si avvicinò a T'Chaka, dandogli la mano. Il ragazzo strinse vigorosamente l'avambraccio che gli porgeva l'altro.

Spero che abbiate trovato la sistemazione confortevole.” Chiese il principe, rivolgendosi alla donna. Elle sorrise leggermente, mentre Steve si faceva avanti. “Era da parecchi anni che non dormivo in una stanza così comoda.” Commentò gioviale. T'Chaka annuì convinto. “Mio padre ti aspetta nel suo ufficio durante le celebrazioni, per parlare dei recenti avvenimenti. Ma prima...” Si rivolse di nuovo alla Svedese, che stava sciogliendo le bende attorno alle sue mani. “Dobbiamo festeggiare. Oggi occorrono i cinquant'anni di regno di T'Chaka figlio di T'Chaka.”

Elle alzò lo sguardo, stupita. “Non ne ero al corrente.” Ammise alzandosi. “Provvederò a fare le mie congratulazioni al sovrano.”

T'Chaka le sorrise. “Come esponente del governo e della monarchia Svedese, prendo molto a cuore le tue congratulazioni.” Elle annuì con un sorriso di circostanza, allontanandosi.

Non era questo, comunque, che volevo chiederti.” La ragazza si voltò, tenendo le bende che aveva appena tolto fra le dita, l'espressione confusa. “Mi dica.”

Tu sei Elle Selvig, figlia di Erik, Selvig?” Chiese con un sorriso radioso. Elle sbatté un paio di volte le palpebre, cercando lo sguardo di Steve. L'uomo stava pochi passi più indietro del principe T'Chaka, e sembrava perplesso anche lui. Elle annuì lentamente. “Si, è mio padre.”

Oddio...” L'uomo di fronte a lei si guardò attorno, annuendo con convinzione, un sorriso aperto sulle labbra carnose. “Io... Io mi sono Laureato in Fisica ad Oxford.” Spiegò con entusiasmo. “Ho studiato sui libri di tuo padre, ed ho assistito a molte delle sue conferenze.” Elle annuì ancora, mordendosi il labbro inferiore per non ridere in faccia al principe. “Non sapevo avesse una figlia.”

La Svedese si strinse nelle spalle. “Immagino non facesse parte del programma, la sua vita privata.” Il giovane abbassò lo sguardo, imbarazzato.

Non avrei mai detto che fossi laureato in fisica.” Commentò Elle, cercando di spezzare il silenzio gelido che era calato. “Relatività o Stringhe?” Chiese con un sorriso complice, lanciando le bende nel borsone aperto di Rogers. L'altro stirò le labbra in un sorriso. “Ho ceduto al fascino delle Stringhe. Colpa dell'università inglese.”

Elle gli fece un occhiolino. “Un'ottima università, comunque.”

Si, mio padre ha voluto farmi frequentare delle scuole occidentali.” Elle annuì, sovrappensiero. “Anche io ho frequentato l'università in un altro stato.”

Rogers si avvicinò, tenendo il borsone appena recuperato su una spalla. “Elle, dovremmo andare a prepararci.” La svedese annuì, facendo un cenno di saluto al principe.

Grazie per la palestra.” Commentò semplicemente Rogers, facendo passare la bionda davanti a sé. “Ci vediamo dopo, T'Chaka.”


~


Elle entrò nella grande sala silenziosamente, ammirando tutti i particolari che le erano sfuggiti la sera prima. Gli intagli dei pannelli in legno delle pareti, i complicati ricami degli arazzi che riprendevano scene della foresta, o di caccia: tutto richiamava la natura stessa di quel popolo. La Svedese si era messa il vestito che le avevano consegnato in stanza quando era tornata dalla palestra, e aveva cercato di darsi un tono con i pochi cosmetici che portava nella sacca da viaggio. I capelli erano stati raccolti alla meglio con un elastico nero, sperando che nessuno si accorgesse di lei.

Aveva deciso di mostrarsi per la prima volta per quella che era, un po' per necessità ed un po' per esasperazione: la pelle completamente candida, le ciglia degli occhi bianche come fili di cotone. Niente mascara, niente fard: solo la vera Elle. Il vestito era di un curioso verde acqua, con i tipici ricami dorati a fantasia di fogliame che contraddistinguevano quasi tutto nel palazzo di T'Chaka. Sarebbe stato facile mimetizzarsi con l'arredamento. Quando vide Natasha in mezzo alla folla, sorrise vedendo che il suo vestito aveva gli stessi ricami, ma era in un color porpora che donava particolarmente al suo incarnato.

Si avvicinò, appoggiandole una mano alla base della schiena. La russa teneva un bicchiere fra le dita affusolate, e stava parlando con il principe.

Stavo giusto dicendo...” La donna si voltò verso l'amica, scostandosi un boccolo rosso dal viso. “Non mi capitava da anni di svegliarmi e stupirmi di essere da sola in stanza.”

Elle si mise una mano davanti al viso, soffocando una risata. Natasha si finse offesa, portandosi il bicchiere alle labbra. “Pensavo succedesse solo con i ragazzi, non anche con le amiche di vecchia data.”

Non so che genere di uomo possa aver mai abbandonato una bellezza del genere fra le lenzuola.” Commentò galantemente T'Chaka. Elle lo affiancò, lanciando uno sguardo divertito all'amica, che piegò le labbra in una smorfia.

Samuel si avvicinò ai tre, picchiettando sulla spalla di Elle con un sospiro. Portava una camicia bianca, ricamata di nero con delle tigri dai denti sguainati. La ragazza sorrise, mentre l'amico le metteva un bicchiere di champagne in mano. Elle alzò un sopracciglio. “Alle una del pomeriggio?” Chiese, indicando con un cenno del mento il bicchiere colmo di ghiaccio e chissà che altro alcolico che Wilson teneva in mano. L'uomo si strinse nelle spalle, guardando T'Chaka che sussurrava qualcosa a Natasha, i visi vicini e il sorriso divertito della rossa. Nat infatti scoppiò a ridere, appoggiando una mano sull'avambraccio del principe.

Usciamo, ti va?” Chiese Samuel, portandosi il bicchiere alle labbra con fare seccato. Bevve una generosa sorsata, lo sguardo sempre fisso sull'amica. Elle schioccò le labbra, annuendo e allontanandosi dall'amica.

Allora, ti va di raccontarmi cosa è successo ieri? Quando sei morta, per esempio.”

Elle annuì, mentre lui la prendeva gentilmente per un braccio e la conduceva fuori dalla grande sala. Si sedettero su una panca vicino alle porte intagliate del salone.

Elle accavallò le gambe, sospirando, mentre Samuel la guardava, in attesa.

L'ultima cosa che ricordo è Rumlow che attacca Steve.” Cominciò Elle. Samuel annuì. “Poi sono svenuta. Nero. Blackout. E quando riapro gli occhi, la prima cosa che vedo è che l'erba è rossa ed il cielo è nero.” Samuel sussultò, il bicchiere in mano. “Meno male che sono le una del mattino.” Commentò, portandosi il bicchiere alle labbra.

Mi alzo, e c'è questo tipo che mi fissa, Vali.” Prosegue la bionda. “E mi dice di avermi guarito immergendomi in un fiume... Si, lo so, è strano.” Rispose allo sguardo scioccato di Samuel. “So solo che mi sono svegliata e non avevo più nemmeno un graffio. E questo Vali mi dice di essere il principe di quel pianeta... E mi dice cose che nessuno sa, su di me, sulla mia famiglia...” La ragazza si piegò in avanti verso l'amico. “Mi ha detto delle cose su mia madre... Sui miei poteri...”

Samuel si piegò verso il suo viso, le sopracciglia corrucciate. “Tua madre?”

Si, lei era...”

Samuel! Elle!” Wanda spuntò dal fondo del corridoio, in un abito nero con un colletto orientale e le spalle avvolte da uno scialle rosso fuoco. Accanto a lei, Steve si sistemò nervosamente i polsini della camicia alla coreana blu oltremare. Elle intercettò il pensiero di lui, capendo il suo fastidio riguardo ai ricami in fili dorati su tutti gli orli. La parola che pensava Rogers, nello specifico, era Vezzoso. Elle fece fatica a non scoppiare a ridere: solo Rogers poteva pensare parole del genere.

Lui infatti guardò Elle di sottecchi, sorridendo. Elle si alzò di scatto, lisciando con le mani il vestito. “Stai molto bene.” Ammise lui, indicandola con una mano. Elle sorrise. “Anche tu. Il blu ti dona. Anche i dettagli dorati...” Lui le lanciò uno sguardo torvo.

Come stai?” Wanda si avvicinò alla svedese, prendendole un braccio. Elle le sorrise, mettendo una mano sopra quella della donna. “Sto bene, Wanda. Mi dispiace per tutto quello che è successo.” Wanda scosse il capo, le labbra piegate all'ingiù. “Non sono riuscita ad impedirlo.” Le due si voltarono, per tornare nella sala affollata. Steve le seguì, facendo un cenno a Samuel. “Dov'è Nat?”

A civettare.” Rispose Samuel caustico, prima che Elle potesse precederlo. Steve spostò lo sguardo dall'amico alla donna, un sopracciglio alzato in un'espressione sorpresa. Elle scosse il capo.

Samuel si portò il bicchiere alle labbra, finendone il contenuto. Steve lo guardò interrogativo. “Alle una del pomeriggio?”

L'amico si strinse nelle spalle. “Non hanno la birra.”


Elle cercò di distrarsi dai sogni che l'avevano tormentata quella notte, e dai discorsi di Vali su di lei e su sua madre. Avrebbe dovuto cominciare ad indagare. Cos'era la gemma dell'Anima? Perché gli abitanti di Alfheim pensavano le sarebbe serviti poteri telepatici? Chi era Vali?

Un penny per i tuoi pensieri.” Commentò improvvisamente Samuel. Elle si voltò verso di lui, notando che avevano seminato Wanda e Steve, catturati da un gruppo di politici chiaccheroni. Elle si voltò verso di lui. “Prima dimmi cosa hanno detto Maria e Fury del casino a Lagos.”

Samuel sospirò. “Come lo sai?” Elle sorrise. “Tu e Steve avete un'aria da funerale. Nat dà corda alle avances di un principe africano. Wanda ancora non sa...” Si voltò a guardare l'amica che, avvolta nel suo scialle, guardava a intervalli loro o Steve. L'uomo parlava tranquillo con i tre uomini dalla pelle scura, sorridendo nervosamente. Ad una persona che lo conosceva meglio, però, sembrava seccato.

Non possiamo rientrare in America almeno fino a domani. Alle Nazioni Unite si parla di un protocollo. Mezzo mondo ci vuole in prigione. Perché agiamo senza un controllo dall'alto.” Sintetizzò abilmente l'amico.

Se ci fosse un controllo dall'alto, non saremmo più fuori dagli interessi politici mondiali.” Commentò Elle. Samuel annuì. “Vorrebbero farci servire come un corpo militare, sotto il controllo diretto del presidente.”

Elle scosse il capo. “Non sono nemmeno Americana, non agirò per conto del vostro presidente. E' roba da Steve.” Sospirò. L'uomo, probabilmente sentendosi nominare – il super siero gli aveva amplificato anche l'udito? Elle non lo sapeva per certo. - si voltò a guardarla. Aveva la mascella contratta, mentre cercava di spiegare qualcosa agli uomini di fronte a lui. I due si guardarono un secondo, gli occhi azzurri di Elle che sondavano il blu di quelli di lui. Istintivamente, Steve sorrise, voltandosi e ricominciando a parlare meno concitatamente. Elle piegò il capo in avanti, arrossendo leggermente. Samuel sospirò.

Tu non sai l'effetto che hai su quell'uomo. Può sembrarti una roccia, ma da quando sta con te sta mettendo in discussione tutto quello che ci circonda. Non penso aderirà a questo accordo con il presidente.” Elle si voltò a guardarlo, sorridendo appena. “Esageri, Samuel. Steve Rogers è sempre stato uno che ragiona con la sua testa. Cosa, ammetto, assai rara per un militare. Doveva solo ritrovare l'equilibrio.”

Samuel la guardò eloquentemente, aprendo le braccia in un gesto vago. “Ora tocca a te rispondere. A cosa pensavi con aria così afflitta?”

Elle lo guardò un secondo. Non aveva rivelato la verità a nessuno, nemmeno a Natasha. Non sapeva perché, ma sentiva che il suo segreto doveva rimanere fra pochi.

Mia madre. Era dell'Hydra. Questo volevo dirti prima. Ed io sono frutto di un letale mix fra un esperimento nazista, un'azione divina da Alfheim e l'influsso della gemma dello spazio.” Commentò in fretta, il viso vicino all'orecchio dell'amico. Samuel la guardò con occhi sgranati. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, senza sapere cosa dire. “Penso di avere bisogno di un altro drink.”

Si diressero verso la zona bar. Samuel disse qualcosa al cameriere, che sorrise e gli porse due bicchierini colmi di liquido trasparente.

Vodka?” Chiese Elle ridacchiando. L'amico le fece l'occhiolino. “Penso che ne avremo bisogno per arrivare alla fine di questa giornata.” Elle rise.

Se tu fossi uno dei miei ragazzi del centro veterani, ti chiederei come ti senti.” Commentò ancora lui, intercettando due sgabelli liberi. Si sedette con un tonfo, battendo la mano sulla seduta di fianco a lui. Elle si alzò sulla punta dei sandali, sedendosi con ancora il bicchierino in mano.

Mi sento uno schifo, ecco come mi sento.” Appoggiò poco raffinatamente i gomiti al bar. Samuel dava le spalle al barista, appoggiato con la schiena al piano di legno scuro, lo sguardo che vagava per la stanza. Elle, a quel punto di quell'assurdo ricevimento, supponeva stesse cercando una chioma rubino di loro conoscenza. “Non sono una persona, Sam, sono solo una serie di geni assemblati in modo da formare... Non so nemmeno io cosa, un'arma presumo.”

Ingollò il bicchierino di vodka, facendo un cenno al barista. Questo si avvicinò, riempiendolo di nuovo con un sorriso di cortesia. Samuel avvicinò il capo al suo orecchio. “Non dirlo nemmeno per scherzo. Tu sei Elle Selvig. Sei una mia amica.” Commentò a bassa voce. “E sei la probabile futura ragazza del mio migliore amico.”

Elle alzò gli occhi al cielo, e fece per ribattere, scocciata, ma una mano picchiettò sulla sua spalla. Lo sgabello accanto al suo si era liberato, ed ora una figura familiare le si era compostamente seduta accanto. Elle sospirò.

Samuel mi ha detto tutto della situazione in America e con le Nazioni Unite.” Commentò, voltandosi verso Rogers. Questo fece un cenno al barista, che si avvicinò, probabilmente stufo delle richieste dei settentrionali che ormai occupavano metà del bancone. “Mi dispiace, Steve. Torneremo a casa presto.”

Il problema...” Sussurrò l'uomo, voltandosi verso di lei e avvicinando il viso al suo orecchio, così che solo Elle potesse sentirlo. “...E' cosa succederà quando torneremo.”

Elle sospirò, guardando il contenuto del suo bicchiere. Sentì sospirare anche Rogers. “Davvero non avete della birra? Non importa, tedesca o americana o spagnola, della birra.” Il cameriere scosse il capo, scusandosi. Samuel, dall'altra parte della ragazza, girò sullo sgabello con un funereo “Te lo avevo detto, Steve.”

Wanda si avvicinò, sorridendo nervosamente. Samuel le cedette lo sgabello prima che si offrisse di farlo Rogers. Elle sentì la risata cristallina di Natasha, ma prima che avesse il tempo di voltarsi per cercarla fra la folla, l'attenzione di tutti fu' richiamata da uno degli uomini con i quali stava parlando Steve poco prima. Stava facendo tintinnare contro il calice di champagne vuoto un cucchiaino.

Signori, posso permettermi di essere il primo a congratularmi formalmente con il nostro sovrano. Che possa il suo regno durare ancora cinquant'anni, e possa il suo occhio vedere più lontano di quanto non possiamo noi tutti.” Si voltò verso Steve, che ricambiò lo sguardo, gelidamente. “Possa la sua saggezza guidarci ancora a lungo in questi tempi difficili. Il nostro è l'unico regno Africano dove regna ancora la pace, e quello dove è perdurata più a lungo.” Un uomo, vestito con i tipici abiti da guerriero Tuareg, annuì con convinzione al discorso. “Altri cinquant'anni!” Richiamò. Tutti risposero, per poi urlare un tipico richiamo di guerra. Anche il principe si unì al richiamo, sotto lo sguardo divertito di Natasha, mentre il Re T'Chaka faceva il suo ingresso nella sala, sorridendo a tutti.

Grazie, amici miei. Non merito né ritengo necessari tutti questi festeggiamenti.” Commentò placidamente. “Ma voglio che i miei nemici sappiano quanto siamo uniti e quanto non temiamo la bufera che sta per arrivare da nord.”

Elle ebbe un brivido. Steve voltò istintivamente il capo, fissandola con sguardo interrogativo, ma la donna fece finta di non notarlo, guardando il sovrano dritto davanti a sé.

E' con piacere che vedo volti familiari, amici di una vita, e nuove conoscenze.” Indicò nella direzione di Natasha, che sorrise cordiale. Elle cercò di trattenere una smorfia. “Propongo di indulgere ancora per un poco nella danza, per poi procedere con il banchetto cerimoniale, durante il quale conferirò singolarmente con tutti coloro che ne hanno desiderio.” Lanciò uno sguardo eloquente a Steve, che annuì fra sé e sé. “In previsione di ciò, buon appetito a tutti.”

Per un momento nella sala calò il silenzio, poi furono intonati dei canti tipici, mentre le coppie per le danze in onore del sovrano andavano formandosi. Nessuno si stupì di vedere Nat fare coppia con il principe, nonostante le molte donne che lo circondavano. T'Chaka si piegò a sussurrarle ancora qualcosa nell'orecchio, facendola ridere. Si allontanò di pochi passi, guardandola sornione, e afferrò un fiore da uno dei vasi posti ad adibire la sala. Tornò dalla russa, ponendo dietro il suo orecchio, fra i capelli vermigli, un meraviglioso ibisco dello stesso colore. Natasha sorrise, facendosi guidare verso le danze.

Se non la conoscessi potrei quasi crederci” Commentò Elle, sistemandosi lo chignon con fare annoiato. Samuel rispose con uno sbuffo, voltandosi verso il bancone e richiamando un esasperato barista.

Per fortuna ci pensa Natasha a partecipare attivamente alla cerimonia.” Commentò Wanda, guardando le coppie che danzavano. “Se dovessi mettermi anche a ballare, penso che prima devasterei la sala e poi costringerei tutti ad uscire in maniera composta per tornarsene a casa.” Elle trattenne il riso. “Tu si che sai come animare una festa, Maximoff.” La mora si voltò con un sorriso divertito.

Tu devi essere Elle Selvig.” Commentò una voce profonda dal marcato accento africano. La bionda si voltò, cercando di fingersi interessata e cordiale. Alla fine, erano ad una festa, e non sapeva quanto si sarebbero dovuti trattenere in Wakanda. “Sono io. Con chi ho l'onore di parlare?”

Colonnello K'Phini, esercito del Wakanda.” Rispose l'uomo, affabile. Era circa sui quarant'anni, pelle color ebano, origini probabilmente dall'Africa profonda. Portava i vestiti di una tonalità di blu poco più scura dell'abito di Elle. “Tuareg?” Chiese infatti la ragazza, riconoscendo anche i tatuaggi scuri sul viso e sulle mani scoperte. L'uomo sorrise stupito. “Esattamente. La tua reputazione ti precede.” Commentò gentilmente. Elle sorrise. “E' più il suo aspetto che precede lei, ma in questo siamo simili. Non potrò mai fingere di essere una Masai. Al massimo, posso barare fra Svezia, Finlandia e Norvegia.” I due scoppiarono a ridere.

Un colpo di tosse palesemente recitato fece voltare Elle verso il suo fianco sinistro, dove Steve li guardava a braccia incrociate.

Colonnello, forse ha già avuto occasione di conoscere Steve Rogers, il comandante della mia squadra d'azione.” I due annuirono, squadrandosi a vicenda.

Ho già avuto questo piacere.” Commentò K'Phini, mentre Steve semplicemente annuì. Il silenzio scese fra i tre. Il Colonnello si voltò di nuovo verso Elle.
“Non sarà un problema per la sua squadra se la sottraggo alla loro compagnia per una danza; è un vero peccato vedere bellezze del genere relegate al bancone delle bevande.” Elle cercò di nascondere un sorriso divertito.

Non si vedono tutti i giorni donne del genere da queste parti, e vedo che anche la sua collega si sta godendo la nostra piccola riunione.” Proseguì l'uomo, indicando nella direzione di Natasha, che apparentemente si stava divertendo come non succedeva da tempo.

Elle si soffermò un secondo sulla pelle candida dell'amica, che la rendeva simile ad una mosca bianca in mezzo a tante persone scure. “Il nostro sole farebbe appassire donne così candide in fretta. Ma oggi mi è concessa questa rara visione.” Le tese la mano, guardandola con sicurezza. Elle stirò le labbra in un sorriso, facendo per accettare.

Veramente, Elle, mi avevi promesso un giro di pista.” Commentò Rogers, a voce bassa. Elle alzò un sopracciglio, voltando appena il capo.
“E' vero.” Esclamò Samuel dall'altro lato della bionda, senza alzare il capo dal suo bicchiere mezzo vuoto. Wanda emise una risata, prima che l'amico le tirasse un calcio allo sgabello.

Ah.” Esclamò solo la svedese. Guardò con aria dispiaciuta l'uomo, che attendeva ancora che lei lo seguisse. Fece un gesto vago con la mano. “Magari questo pomeriggio.” Commentò imbarazzata. Steve, accanto a lei a braccia incrociate, si schiarì la voce. “Questo pomeriggio dobbiamo conferire con il sovrano e poi richiamare alla base per informarci su un nostro possibile ritorno.” Si voltò a guardare l'uomo, che ancora era piegato verso l'amica. “Non penso ci sarà tempo per le danze.”

Allora...” Commentò Elle asciutta. “Non ti dispiacerà se concederò una danza al gentile Colonnello. Alla fine” Replicò asciutta, alzandosi e prendendo la mano che K'Phini le porgeva “Si tratta del mio tempo.”

I due si diressero verso i ballerini, mentre Elle sentiva lo sguardo di Rogers perforarle la nuca, provocandole un buco fumante al centro del capo. Faticò a trattenere una risata, mentre si lasciava condurre nelle danze.

Il Capitano Rogers ti è molto affezionato.” Ammise a malincuore il suo accompagnatore. Elle si strinse nelle spalle. “E' molto teso in questi giorni. Non vuole perderci d'occhio.” L'uomo negò con il capo. “E' una spiegazione troppo semplice. E' troppo intelligente per crederci.”

Elle sorrise all'uomo, cercando nel contempo di non pestargli i piedi. “Non sono ancora riuscita a ringraziare il vostro Sovrano come si conviene, per l'ospitalità. Ci ha trattati come amici di vecchia data. Non sono sicura che meritassimo tutta questa comprensione.”

L'uomo la strinse leggermente, alzandola da terra per farle compiere un giro. La appoggiò delicatamente, riducendo nuovamente il contatto a quello fra le loro mani. “Non tutti possono comprendere quello che fate.” Commentò l'uomo. “Di certo non quelli che non hanno capito con che nemico subdolo avete a che fare. Non ho problemi a capire perché il Capitano non si fidi più di nessuno, dopo quello che è successo con lo S.H.I.E.L.D.” Si separarono leggermente, eseguendo una figura con gli avambracci intrecciati, girando su loro stessi. Elle vide per un secondo Natasha, poi tornò a concentrarsi sulla conversazione con l'uomo. “Inoltre...” Proseguì infatti questo “Penso che la sua calorosa accoglienza sia in parte dovuta all'interesse per la vostra squadra da parte dell'erede al trono.”

Elle si irrigidì, affrontando il suo interlocutore con lo sguardo. “Il giovane T'Chaka è interessato ad entrare negli Avengers?” Commentò in un sussurro.

Non so se hai sentito la leggenda della pantera.” Suggerì con un sorriso enigmatico l'uomo. Elle emise un respiro strozzato.

Penso sia arrivato il mio turno.” Una voce li interruppe. Il Colonnello le prese la mano, appoggiandola su quella già aperta di Rogers. “E' stato un onore, ed un piacere.” Concluse con la giovane. “La sua reputazione è all'altezza del suo intelletto. Sono certo saprà ricollegare i pezzi.”

Elle annuì con un sorriso, seguendolo con lo sguardo mentre si allontanava. Steve sospirò, richiamando la sua attenzione. “A cosa si riferiva?” Chiese scocciato. Elle ritornò sull'amico, con uno sguardo enigmatico. “Etologia. Parlavamo di pantere.”

Rogers scosse la testa, mettendole una mano sul fianco e seguendo il movimento di tutti gli altri ballerini. Elle sapeva che stavano dondolando, rigidi come dei tronchi d'albero. Nessuno dei due voleva dare all'altro la soddisfazione di aprire un discorso. Sentirono la voce divertita di Natasha, poco lontano.

Sembra che si stia divertendo.” Commentò asciutto Steve. Elle si strinse nelle spalle. “E tu?” Lo indicò con un cenno del mento. “Non ti facevo un tipo da ballo.”

Steve sorrise. “Invece ai miei tempi andavo forte!” Scherzò ridendo. Elle lo seguì nella risata, pestandogli per sbaglio un piede. “Dovrei smettere di sottovalutare le tue doti nascoste, Re delle Piste da Ballo.” Rogers scoppiò a ridere, spostandola quasi di peso per evitare di farsi pestare una seconda volta il piede,.

Non ho dimenticato che disegni.” Ammise lei in un sussurro. “Mi piacerebbe vederti all'opera, qualche volta.”

Ho ritratto Nat.” Rispose subito lui. “Ma non ho più quel disegno. Era per un amico.” Il gelo scese nuovamente tra i due.

Banner.” Commentò freddamente lei. Steve fece un sorriso di scuse. “Ci teneva a lei.”

Abbastanza da fare delle scenate da sociopatico quando qualcuno la invitava a ballare?” Borbottò la svedese. Steve distolse lo sguardo, fingendo di concentrarsi sul ballo. Elle lo seguiva meccanicamente, senza particolare entusiasmo, fissando un punto indefinito dietro la spalla di lui.

Sei stata brava, all'allenamento, stamattina.” Rogers provò ad intavolare nuovamente una conversazione. “Non penso di avertelo detto.”

Elle sorrise. “Anche tu non te la cavi male.”

Steve sorrise divertito. “Ieri, mentre eri incosciente, o morta, non voglio saperlo, hai chiamato tua madre.” Commentò asciutto. “Almeno, penso fosse tua madre. Annette, giusto?” Elle fece una smorfia.
“Non è un argomento da danza.” Ammise, delusa. Sperava che Rogers cercasse la sua compagnia per motivi un po' meno materiali che informazioni sulla sua miracolosa ripresa del giorno prima. “Non è decisamente un argomento da danza.”

Restarono alcuni minuti in silenzio, lei che cercava di non pestargli i piedi, lui che la conduceva senza troppo sforzo lungo la sala.

Scusa se sono così... Intrattabile.” Sussurrò lui. Elle lo guardò sorpresa. “Avevamo promesso di trattarci meglio, mesi fa, ti ricordo. Nonostante le nostre controversie.” Borbottò lei, alzando lo sguardo contro il suo viso. Vide che l'uomo fissava un punto indefinito sullo sfondo. Pensò che la conversazione sarebbe finita in quel momento.

Temevo di averti perso per sempre.” Proseguì invece lui, senza guardarla, ma stringendola leggermente di più a sé. Elle, stranamente a suo agio, appoggiò il mento sulla sua spalla, sospirando. “Lo so.” Commentò semplicemente.
“Temevo che non avrei più sentito la tua risata, il tuo tono sarcastico, l'odore dei tuoi capelli quando li raccogli e tutto il loro profumo si concentra in un raggio di poche decine di centimetri...” Lui abbassò lo sguardo, sentendo il respiro di lei contro il collo, il suo mento sottile appoggiato sulla sua spalla. “Perdonami se per almeno qualche giorno mi comporterò da sociopatico. Non voglio mai più provare quello che ho provato tenendoti a peso morto fra le braccia.” Lei alzò lo sguardo sul suo viso. Lui si era allontanato leggermente, sempre senza guardarla.

Non erano mai riusciti a stare così vicini, in mezzo a tanta gente, senza essere interrotti o senza essere in una situazione di pericolo. Sembrava quasi una situazione normale: una donna ed un uomo che ballano ad una festa. Elle si godette il momento, inspirando il suo odore così familiare, così terribilmente suo. Rimase a fissarlo, cercando i suoi occhi, mentre lui la teneva stretta a sé, le labbra a pochi centimetri di distanza. Steve abbassò gli occhi su di lei, cogliendola a fissarlo senza pudore. Elle sorrise appena,

E visto che siamo in vena di confidenze...” Proseguì lui, lo sguardo che andava dai suoi occhi alle sue labbra chiare “...Sei da togliere il fiato, oggi”

Elle aggrottò le sopracciglia, divertita. Lui scosse il capo, ridendo.

Ovviamente sei sempre fantastica, anche quando sei in tuta, o quando o quando ti svegli con i capelli dritti in testa come una scopa di saggina...” Continuò a briglia sciolta. “Ma devo dire che il Ciano Scuro su di te è incredibile.”

La donna gli lanciò uno sguardo divertito. “Ciano Scuro?” Steve sogghignò. “Liceo Artistico, ricordi?”

Elle annuì leggermente, sistemandogli con le dita fredde il colletto della camicia.

Anche tu stai bene così...” Commentò con un sorriso sghembo. “Anche se devo dire che ti preferirei senza camicia, nonostante questa abbia un taglio che ti dona particolarmente.”

Elle parlò senza pensare, o meglio, la vodka parlò attraverso Elle. La giovane cercò di sembrare sicura di quello che stava dicendo ad un Rogers sconvolto, benedicendo mentalmente il cameriere che stava richiamando tutti nella sala attigua per il pranzo cerimoniale. Prese l'altro per mano, dirigendosi in quella direzione, ignorando l'espressione a metà fra il soddisfatto e il confuso del suo accompagnatore. 

xXx

Speravate che finisse tutto rose e fiori, invece... Dovrete aspettare la prossima settimana! Però ho delle sorprese in mente per voi, durante le mie vancanze natalizie. Potrei pubblicare più spesso! Potrei, eh ;)
Eccoci qui con questo bel capitolo sostanzioso, spero :)
Ringrazio le dolci pulzelle Giulietta_Beccaccina, la celeberrima Delta e D Laila per le bellissime recensioni ed i messaggi, spero di trovarvi numerose anche al termine di questo capitolo, anche solo per frullare un pochino (si usa anche da voi frullare?) per le nostre due colombelle.
Piccole precisazioni: non voglio che Elle venga presa come una che "Si, ok, sono morta, sono un esperimento, mia madre era dell'Hydra, ok!". Qui deve ancora rendersene bene conto. Intanto, spiegando a Sam si è già aperta un poco . Nel prossimo capitolo vedremo la vera reazione della Elle Selvig essere umano tormentato. Stay Tuned! ;)
Grazie per i mille suggerimenti per il fancasting! Presto vi darò altre News. Il prossimo aggiornamento sarà sempre Mercoledì 23, e poi ne farò uno speciale per Natale, penso. Ho un capitolo particolare...

Buona Settimana a tutti voi!
Eve

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Capitolo 16
*** 16. Wakanda pt.2 ***


Per questo capitolo ringrazio Giulia Beccaccina perché... gli Stelle? Davvero?

E fu subito Ship.

Ci vediamo alla fine, gente ;)


Atto 16: Wakanda parte 2


Help me to decide,

Help me make the most

Of freedom and of pleasure.

Nothing ever last forever.

Everybody wants to rule the world.”

TEARS FOR FEARS



25 Dicembre 1937, Brooklyn

Il primo ristorante etnico di New York aveva aperto da poche settimane quando arrivò il Natale.

Non che prima non ci fossero mai stati ristoranti che proponevano piatti dall'estrema Asia o dall'Africa – semplicemente erano locali per borghesi in vena di sperimentare, e non per due ragazzetti di Brooklyn. Steve aveva anche lavorato come lavapiatti per qualche tempo, in uno di quei ristoranti per gente per bene.

Per due giovani, figli di operai, già la West Coast sembrava lontana quanto la luna: il vecchio continente, o di cosa stava ad est o a sud di questo, nemmeno riuscivano ad immaginarlo.

Steve stava seduto sui gradini della scala davanti a casa sua, avvolto in una coperta, a lucidare un vecchio paio di scarpe eleganti, ma malmesse, quando il suo migliore amico gli aveva lanciato contro una palla di fogli di giornale. Aveva risposto con uno sguardo torvo, mentre il bellimbusto sorrideva ad alcune ragazze di passaggio, diversi metri più in basso. Queste scapparono con un risolino, voltandosi più volte. Bucky si appiattì i capelli sulla testa con attenzione, voltandosi di nuovo ed alzando il capo per vederlo.

Mamma ci è rimasta molto male che tu non sia venuto a pranzo dopo la funzione, oggi.” Esclamò teatralmente, sistemandosi le bretelle con uno schiocco. “Aveva preparato da mangiare per un esercito. Sai come reagisce quando non finiamo tutto quello che c'è in tavola. Sto esplodendo.”

Steve si strinse nelle scarne spalle, senza alzare il naso dal lavoro che stava facendo. “E' due settimane che non lavoro. Non potevo permettermi di portare niente per ringraziarla.”

Bucky sospirò sonoramente. “Lo sai che non lo fa per avere qualcosa in cambio. Lo fa perché sei di famiglia, ormai.” Avanzò di un paio di gradini, mettendosi in piedi davanti all'amico. “E si mangia in famiglia, a Natale.”

Steve irrigidì la mascella, alzando lo sguardo. “Preferivo stare solo.”

Nessuno preferisce stare solo a Natale!” Commentò l'altro, esasperato. “Smettila di raccontarmi frottole. Sarai rimasto a deprimerti al tavolo della cucina, succhiando una forchetta.”

Steve ebbe un fremito di rabbia, alzando finalmente lo sguardo sull'amico. “Smettila di inferire, Bucky.”

Io...” L'amico sbottò, guardandolo seduto a terra, in mezzo al lucido da scarpe ed alle spazzole. “Io non ti capisco!”

L'altro si strinse ancora nelle spalle, iniziando a mettere da parte tutti i suoi attrezzi. Bucky alzò gli occhi al cielo, sospirando. “Stasera però non mi scappi, teppista.”

Steve rientrò in casa senza emettere un fiato. “Va bene, va bene, rompiscatole.”

L'altro lo seguì in casa, come per essere certo che non sarebbe caduto in qualche fessura del pavimento o sparito dentro un armadio. La casa era gelida, la stufa spenta, e spoglia dei mobili non strettamente necessari.

Dove vorresti andare, sentiamo?” Chiese con tono rassegnato Steve. Bucky si riscosse, sorridendo da un orecchio all'altro. “Hanno aperto una di quelle bettole da quattro soldi, ma dove servono cibo indiano! Pare che il tipo sia appena emigrato e non capisca una parola.” Steve alzò gli occhi al cielo. “Non vorrai andare a sfottere un povero indiano che non capisce nulla?”

Bucky sogghignò, scuotendo la testa. “Voglio andare a provare. La cucina, dico.”

Steve mise il cappotto in silenzio, avviandosi verso la porta. Bucky lo fermò con un braccio, afferrando una pesante sciarpa di lana appoggiata ad una sedia. “Dove vuoi andare senza sciarpa? Poi per forza ti ammali.” Commentò come se fosse una cosa ovvia. Steve lo scrutò un attimo, nel suo completo elegante anche se economico, con un cappotto marrone scuro e sicuramente più elegante che caldo.

Certo, certo.” Commentò. Bucky si allungò verso l'armadio, lasciando perplesso l'amico. Afferrò un involto e glielo lanciò. “Bucky, ma sei pazzo? Io con questo non ci esco.”

Oh si invece.” Commentò l'altro, prendendogli il berretto dalle mani e calcandoglielo sulla testa bionda. Gli sistemò meglio la sciarpa, finché solo il naso e gli occhi furono scoperti. “Adesso possiamo uscire.” Esclamò soddisfatto. Steve mugugnò. “Si, a fare una rapina. Non mi faranno nemmeno entrare, nei locali pubblici.” Bucky uscì dalla porta, sogghignando e sistemandosi ancora i capelli sulla testa. “Non capisco cosa ti spinga a ungerti i capelli con quella roba.” Lo prese in giro il piccoletto. Bucky si voltò, guardandolo con teatrale perplessità. “Cosa hai detto, scusa? La lana filtra tutti i suoni, non penso di riuscire a capire...”

Steve gli tirò uno spintone, e Bucky finse che fosse più forte di quanto non era, sbandando di qualche passo sul marciapiede ghiacciato. “Piano, teppista!” Commentò ridendo. Steve guardò il suo migliore amico, che lo scortava verso un posto dove sicuramente avrebbero contratto qualche stana malattia batterica. Ma non gli importava, perché da quando era comparso il suo migliore amico, il natale finalmente aveva riacquistato parte del suo senso. Era in famiglia.


~

Dicembre 2015, Wakanda


Steve osservò con sguardo curioso il riso dal colore radioattivo che aveva nel piatto di fronte a sé. Era di un arancione quasi fosforescente, e l'odore di spezie era già abbastanza piccante da fargli prudere gli occhi. Guardò Samuel che se ne serviva una generosa porzione, probabilmente per stemperare alla gran quantità di alcool che aveva bevuto come aperitivo.

Natasha, che era rimasta in silenzio da quando si era seduta a tavola, si portò con un gesto elegante la forchetta alle labbra. Sorrise.

Non è piccante, Steve, puoi mangiarlo.” Confermò con un sorriso. L'uomo annuì in risposta, assaggiando. Elle rise alla sua espressione.

Cumino, coriandolo, cardamomo... Cannella...” Ammise l'uomo, sorridendo a Natasha. Si aspettava uno scherzo da parte della rossa. Invece, Natasha era troppo impegnata a guardarsi intorno con fare strano – se non l'avesse conosciuta così bene, Steve avrebbe giurato che era imbarazzata.

Non sopporti i cibi piccanti?” Chiese Wanda, guardando il contenuto del suo piatto, perplessa. Steve annuì. “La prima volta che ho mangiato indiano, il mio amico ha riso fin quasi a strangolarsi.”

Il ricordo di quel natale lo colpì come un masso di ghiaccio nel petto. Fece finta di nulla, ritornando a guardare la sokoviana. “Ho scoperto allora di essere troppo sensibile alla...Alla...”

Capsaicina.” Lo aiutò Elle, portandosi poi un boccone alla bocca. Lui le sorrise appena. “Quella.”

Il Capitano che non sopporta la Capsaicina....” Lo prese in giro Samuel. Wanda ridacchiò un attimo, prima di assaggiare qualcosa con sguardo attento.

Elle si sporse verso Sam per dirgli qualcosa, ma si interruppe di colpo guardando dietro di lui, gli occhi azzurri assottigliati che sondavano a figura dietro di lui.

Signor Rogers, Capitano.” Lo chiamò un militare, in piedi dietro di lui. Steve si voltò leggermente a guardarlo. “Mi dica.”

Re T'Chaka vorrebbe parlare con lei, se per lei va bene.”

L'uomo si tamponò con il tovagliolo di raso la bocca, annuendo. Lanciò uno sguardo a Nat, che annuì impercettibilmente. Elle lo guardò inespressiva, tenendo una mano sulla spalla di Samuel mentre questo biascicava qualcosa. Steve ignorò la ruga di preoccupazione in mezzo alla sua fronte e si alzò lentamente, seguendo l'uomo che era venuto a chiamarlo.

Attraversarono la sala in tutta la sua lunghezza, ignorando i tavoli occupati da chiassose e colorate comitive, arrivando ad una pesante porta placcata in oro, con un motivo di figure che attingevano acqua ad un fiume. Entrò nella stanza, le braccia dietro la schiena e la camicia, troppo vistosa per i suoi gusti, leggermente sbottonata sul collo.

Captain America.” Lo chiamò la voce calma che lo aveva accolto il giorno precedente.
T'Chaka stava seduto dietro un'ampia scrivania, i vestiti sontuosi ma non esagerati, ed un sacco di carte che sommergevano il piano di legno scuro sotto alle sue braccia, mollemente appoggiate.

Era un uomo basso, probabilmente da giovane molto prestante, ma ora consumato dall'età e dalla preoccupazione. Sorrise al suo ospite, nonostante l'aria angosciata, e Steve apprezzò quel gesto di umana cortesia. Si avvicinò, restando in piedi davanti all'anziano.

Mi ha fatto chiamare.” Commentò. Il sovrano del Wakanda annuì. “E' da tempo che desidero parlarti. Accomodati”

Ora sono qui.” Incalzò allora Rogers. “Preferisco restare in piedi, grazie.”

Non era un politico, non lo era mai stato. Era diventato un militare per un senso di coscienza, per aiutare. Non sapeva nulla di manovre, macchinazioni e voci. Avrebbe preferito avere Natasha, accanto a lui. Ma era solo, in quello studio scuro e fresco, con un anziano signore che sembrava avere una grande urgenza di parlargli.

Sai come si fa a mantenere in pace un paese piccolo come il nostro, in una zona di guerra e tumulti come l'Africa centrale?” Chiese l'uomo, con tono profondo. Steve si portò una mano al mento, riflettendo. “Come la Svizzera?” Chiese poi, istintivamente. L'anziano sorrise, annuendo lentamente. “Si, come la Svizzera. Tutta questa celebrazione, queste persone che sorridono e brindano alla mia vecchiaia...” L'uomo si interruppe per una breve risata roca, passandosi una mano sulla pelle leggermente pergamenosa del volto. “Non è difficile tenere fuori dai conflitti un paese ricco, e con amici potenti. Amici potenti che sono interessati solo ad una cosa...”

Vibranio.” Commentò a bassa voce Steve, allarmato. T'Chaka annuì.

Sono tutti grandi amici, finché hai qualcosa che loro non hanno, e della quale hanno bisogno. Siamo stati sciocchi: abbiamo venduto al miglior offerente, senza guardare chi fosse in realtà.” Steve affinò lo sguardo, nella penombra. “Hydra.”

Sei un giovane perspicacie. Mi dispiace che tu sia costretto a fare questo. Uccidere. Difendere. Salvare.

Faccio solo ciò che mi viene comandato.”

Sei tu il tuo comandante, ora.” L'anziano puntò un dito contro di lui. “So che non sei più sotto lo S.H.I.E.L.D.. So che vi siete messi in proprio.”

Steve si irrigidì leggermente, pronto a mettersi sulla difensiva. L'anziano gli sorrise, inspirando profondamente.

Lo S.H.I.E.L.D. era marcio. Ma la bestia dentro di lui...” Scosse la testa, l'espressione angosciata che tornava fra le rughe del viso. “L'Hydra deve essere fermata. Per anni mi sono chiesto se ciò fosse possibile. Vedo te, vedo voi, oggi, e inizio a pensare che forse sarà possibile.” Sorrise leggermente. “La mia defunta moglie, la mia spalla, lei era l'unica a non indorare la pillola. A dirmi che non ero saggio, a trattare del materiale con questi uomini vestiti di nero e con il ghiaccio al posto del cuore. All'inizio, pensavo fossero vaneggiamenti, sai, vaneggiamenti da donne.” Steve represse una smorfia a quell'ultima frase. Avrebbe voluto vedere la risposta di Natasha, o di Elle.

Ahimè, aveva ragione. Ora mi vogliono morto, presumo. Sono venuti, diverse volte, a contrattare. Da quando è scomparso Ulysses Klaw, povero pazzo, il mercato nero è sprovvisto di Vibranio. Sono venuti direttamente alla fonte, e temo per ciò che faranno al mio paese dopo la mia morte.”

Succederà suo figlio, a lei.” Commentò Steve, senza capire. “Se lo hai educato bene, sarà un ottimo sovrano.”

Mio figlio è troppo impegnato a sognare di essere come voi.” Commentò T'Chaka. “Non gli interessa regnare, non gli interessa il suo retaggio; vuole solo servire la sua gente, vuole riportare in vita la Pantera...” Steve lo guardò, senza capire del tutto quello che sembrava un vaneggiamento. Lo guardò.

Chi è che può desiderare una vita come la nostra?” Chiese in un sussurro.

Chi è pazzo, o cerca gloria, per i motivi sbagliati. Chi è saggio, e vuole difendere, per i motivi giusti.” L'anziano sorrise. “Tu sai da che parte stare. Devi essere saggio nelle tue decisioni, Steve Rogers. La tua squadra ti seguirà, giuste o sbagliate che siano.”

Rogers rimase in silenzio. Non c'era molto da aggiungere a quella conversazione criptica fra due centenari. Annuì semplicemente.

Mi dispiace per la situazione. Come le ho detto, non tutti possono capire. Proverò a fare pressione alla casa bianca. Ma siamo solo un piccolo paese, in un continente sottovalutato, alla fine del mondo.” Esclamò l'anziano con un sospiro. “Spero che riesca a riportare in alto l'umore della sua truppa. Soprattutto dell'uomo che non può vedere la figlia, e della donna innamorata.” Commentò piano. Steve alzò un sopracciglio. “Come fa a sapere di Cynthia? E chi è innamorato?”

L'uomo scoppiò in una bassa, roca risata. “Abbiamo parecchi informatori, per essere un piccolo paese alla fine del mondo.”


~


Elle scoppiò a ridere all'ennesimo complimento di Samuel ad uno dei poveri camerieri. Sam aveva apprezzato il Pilau, il riso speziato; adorato il Chapati, il sostituto tipico del pane nell'Africa centrale; ed infine aveva quasi pianto di emozione quando era stata servita la carne Nyama Choma.

Afferrò con le dita un po' del riso dal piatto, osservando e cercando di imitare gli abitanti del luogo, che mangiavano appunto con le mani. Natasha le lanciò uno sguardo perplesso.

Sta tornando.” Commentò Wanda, indicando con un cenno del mento Rogers che usciva dall'altro lato della sala, la mascella tesa e le spalle rigide. Elle seguì senza accorgersene il suo sguardo.

Come vi sembra?” Chiese in un sussurro. Rogers si voltò verso di loro, distogliendo subito lo sguardo quando questo incontrò quattro paia di occhi che lo fissavano. Si fermò un attimo, scuotendo il capo nell'altra direzione. Sospirò visibilmente, per poi dirigersi verso di loro. Natasha fece una smorfia, schioccando le labbra, mentre Samuel aggrottava le sopracciglia. Steve passò accanto al tavolo, senza degnarli di uno sguardo, procedendo fuori dalla sala, lungo il corridoio deserto. Samuel si passò una mano fra i capelli ruvidi, per poi sbuffare. “Non buono.”

Elle si morse il labbro. “Non buono?” Chiese conferma. Natasha serrò gli occhi, passandosi una mano sul volto esasperato. Allungò una mano sul piatto, prendendo del riso con la mano nuda. Elle la guardò sorpresa. “Meglio che mi abitui.” Commentò la rossa. “Dalla sua espressione, non andremo via tanto presto.” La rossa si riempì la bocca di chicchi speziati. Wanda sospirò.

Vado a parlarci.” Esclamò Elle, pulendosi con una salvietta le mani. Samuel negò con il capo. “Lascialo solo. Immagino che debba sbollire: oppure sarebbe tornato qui.” Wanda confermò. “Meglio lasciarlo stare, giusto un paio d'ore.”

Elle si stizzì un poco. “Non avrete mica paura di Rogers.” Natasha sogghignò. “Anche le persone buone, ogni tanto esplodono.” Wanda mimò un gesto di conferma con le spalle, guardandosi attorno.

La svedese si strinse nelle spalle. “Non ha nemmeno mangiato.” Disse, indicando i piatti che erano stati riempiti per l'amico, e che giacevano sotto delle cupole d'argento. Samuel le diede un buffetto sulla spalla, sorridendo comprensivo. “Si, ma rischi che mangi te, signorina.” Commentò mestamente. Elle si alzò in silenzio, una mano appoggiata sulla sua spalla. “Io vado.”

Buona fortuna!” Esclamò Wanda, mentre Nat annuiva. Elle ridacchiò, raggruppando un po' di cibo in un unico piatto. Prese anche una forchetta, e un bicchiere di Tej, il liquore tipico che era stato servito durante il pranzo. Guardò gli amici un'ultima volta, ridendo a Samuel che sventolava teatralmente il suo tovagliolo, prima di dirigersi verso il fondo della sala.

Per intuito, immaginava che la versione tormentata del suo leader fosse fuori, su uno dei tanti terrazzi che davano sulla città. Dove il caldo sarebbe stato soffocante, soprattutto per lei, e nessuno lo avrebbe mai seguito. 'Bella speranza, amico.'

Superò delle ampie tende, che davano su una scalinata di pietra scura. Tutto era curato in ogni dettaglio: non sembrava l'Africa tribale, se non in qualche scorcio di foresta. Il Wakanda viveva, per quello che poteva vedere, nel lusso.

Trovò Steve seduto sulla scalinata, sotto il sole cocente delle tre del pomeriggio, a fissare l'orizzonte. Si avvicinò di soppiatto, sapendo che la avrebbe comunque sentita. La baraonda del ricevimento arrivava ovattata, e nessuno schiamazzo li avrebbe disturbati.

Elle si avvicinò, proiettando su di lui la sua ombra.

Natasha, io non ho voglia di parlare, ora.” Commentò l'altro, senza degnarla di uno sguardo. “Pensavo avessi fame.” Commentò placidamente la bionda, appoggiando con attenzione il piatto sullo scalino sopra a quello dove lui era seduto. Steve la guardò, ancora perso nei suoi pensieri. Elle gli sorrise incoraggiante, piegata sulle ginocchia di fronte a lui. “Qualsiasi cosa sia successa dentro quello studio, la risolveremo.”

Steve annuì vago, sospirando. Era sempre così melodrammatico. Lei si rialzò con un sospiro. “Torno a controllare che Samuel possa ancora salire sul Quinjet, per il viaggio di ritorno, sai. C'è un limite di tre tonnellate per riuscire a decollare.”

Steve sogghignò, mentre Elle si avviava verso l'interno del palazzo, uno scalino alla volta, tenendo l'orlo del vestito alzato fin quasi alle ginocchia. “Elle!” La chiamò lui, voltando il capo nella sua direzione.
La Svedese si voltò, i capelli che brillavano come oro al sole, sorridendo dolcemente. “Dimmi, Steve.”

Risolveremo tutto. Insieme.” Ripeté semplicemente. Elle annuì, scostandosi un ciuffo di capelli che era sfuggito all'elastico a causa del vento. Sorrise divertita.

Si, insieme.”


~


Pronto?”

Elle uscì sul terrazzo illuminato dalla luna, respirando a pieni polmoni l'aria della notte africana. La temperatura era scesa ad un livello sopportabile, e la testa le doleva leggermente per i troppi alcolici consumati da quella mattina.

Si era tolta appena aveva potuto il vestito, ed ora stava seduta sulla grondaia del terrazzo che percorreva tutto il frontone del palazzo di T'Chaka, stretta in una felpa nera, il cappuccio calcato in testa, e con dei semplici pantaloncini grigi del pigiama che aveva trovato in fondo alla sua borsa. Aveva tenuto gli anfibi ai piedi, ed ora guardava i lacci penzolare pigramente nel vento della sera, i piedi che dondolavano nel vuoto.

Elle Selvig.” Commentò la voce, sconosciuta ed allo stesso tempo familiare. “James. Come hai avuto il mio numero?”

Ehi, sono pur sempre il Soldato d'Inverno.” Commentò afflitto lui. “In più, non fai nulla per mascherare questo numero di cellulare. Dovremo trovare un soprannome, comunque. Non puoi chiamarmi così, non in mezzo agli Avengers.” Commentò Barnes, dall'altro capo del telefono. Elle sospirò.

Dove sei? Stai bene?” Si morse il labbro un secondo, pensierosa. “Ho avuto paura che ti avessero ripreso. O peggio...”

Il tuo diversivo ha funzionato bene. Mi hai salvato, ancora.” Lei sorrise fra sé e sé, il telefono incastrato fra la spalla e l'orecchio. “Dove sei ora, Jimmy?”

James emise una risata roca. “Su un mercantile. Dovrei essere sulla West Coast fra dodici giorni. Ho scambiato due settimane di lavoro con il passaggio ed un po' di privacy. Poi, da lì, arrivare a Seattle non dovrebbe essere un problema.”

Non per te. Ti ricordi l'indirizzo?” Chiese lei, guardando il cielo con aria assorta.

Valentina Tre-” Elle lo interruppe. “Non ripetermelo. Non so nemmeno se questo è un canale sicuro.” Sentì uno schiocco di labbra, dall'altro capo. “Certo che è un canale sicuro, per chi mi hai preso?!” Commentò l'ex Soldato, quasi offeso. Elle non riuscì a trattenere un sorriso. “Più che altro, come mai ti ho trovata sveglia? Lì dovrebbero essere le...”

Le tre del mattino. Quasi.” Commentò lei. Lui sospirò. “Non hai dormito?”

Giornata pesante. Settimana pesate. Vita, pesante.” Sussurrò lei. Lui sospirò.

Ho un'ora libera. Vuoi parlarne?” Elle esitò, mentre dall'altra parte sentiva che il suo interlocutore fuggitivo si sistemava meglio, probabilmente appoggiato alla balaustra della nave, a giudicare dal rumore del vento sferzante. “Non sei costretta. Voglio solo ricambiare i favori.” Commentò asciutto, reagendo al rifiuto implicito nel suo silenzio. Elle scosse il capo. “No, non è per quello. Mi fido più di te che di molte persone che ho intorno.”

Sciocca.” Commentò l'uomo. “Con tutte le persone delle quali potresti affezionarti, hai scelto un fuggitivo ex assassino ricercato da mezzo mondo.”

Perché sei innocente.” Argomentò lei, asciutta. “Mi piace pensare che se fosse successo a me, se dovesse succedere a me, qualcuno farà lo stesso.”

A proposito di questo...” Proseguì l'altro. “Non ho dimenticato. Sei saltata fuori da una provetta?”

Storia recente. Recentissima.” Commentò lei. “Prima vado in coma. Il mio DNA cambia nel giro di tre giorni. Poi Rumlow riesce quasi ad uccidermi una seconda volta...” Sentì distintamente lo schioccare della mandibola dell'amico. “E mentre sono di nuovo in coma, arriva un principe a dirmi che mia madre era dell'Hydra. E che io sono un esperimento genetico su dei determinati fenotipi.”

Elle, se avessi saputo...” Elle lo interruppe con un sospiro. “So che non sapevi. Per questo so che sei innocente, ora più di prima.”

So cosa si prova, ad essere un esperimento.” Concluse lui. “Spero che un giorno potremo sederci in un cafè a bere qualcosa di caldo e parlarne.” Elle sorrise.

Grazie, Jonny.” Una risata soffocata la fece quasi scoppiare a ridere. “Jimmy, ti prego. Almeno sii coerente, oppure penseranno che ti accompagni con più uomini.” Elle alzò gli occhi al cielo. “Questi preconcetti così retrò.” Ridacchiarono insieme, ai due capi del telefono.
“Certe cose sono dure a morire.” Commentò lui, semplicemente, a bassa voce.

A proposito di cose che sono dure a morire... Lui, come sta?

Elle sapeva che Bucky aveva aspettato di farle quella domanda da quando aveva composto il numero, forse anche prima. C'era la concreta possibilità che le avesse telefonato proprio per porle quella importante, difficilissima domanda.

Sta... Bene. Fisicamente. Ti ha cercato. A lungo.” Elle ripensò a tutte le volte che era sorto il discorso Soldato d'Inverno, ed allo sguardo determinato ma sofferente di Steve. “Gli manca il suo Buddy.” L'uomo ridacchiò tristemente.

Sai, mi odiavo per non riuscire a ricordare.” Commentò lui. “Ho vagato senza meta, senza memoria e senza una casa per mesi, detestandomi perché non riuscivo a ricordare. Ma ora che ricordo, ora che posso vedere chiaramente... Mi odio ancora di più. Per aver fatto quelle cose. Per sentirmi sempre sporco. E, soprattutto, incompleto.

Eravate come fratelli.” Sussurrò lei, lo sguardo che vagava nel cielo nero. “Avete vissuto in simbiosi fin da quando eravate piccoli, nonostante tuo padre non volesse vederti frequentare quel figlio di immigrati irlandesi...Per fortuna poi ha cambiato idea... Per forza, direi, nessuno poteva conoscere Sarah ed avere ancora tutti quei pregiudizi sugli irlandesi.”

Ci fu un breve attimo di silenzio. Sentì un respiro sorpreso. “Come sai tutte queste cose?”Chiese malizioso. Elle sgranò gli occhi. Colta in flagrante.

La mostra. Allo Smithsonian.” Commentò in fretta. Lo sentiva sogghignare anche a un continente di distanza. “Sono stato a quella mostra e, nonostante lo Choc di vedere la mia faccia appesa ovunque – e nemmeno le mie foto migliori, aggiungerei – sono del tutto certo che non ci fosse scritto niente, a riguardo.”

Elle si morse il labbro, restando in silenzio. “Te lo ha detto lui!” Commentò entusiasta l'altro. Lei non ammise né smentì nulla, restando in religioso silenzio, un sorriso idiota sulle labbra. “Tu e lui! Questo spiega perché mi vuoi aiutare!”

La svedese scosse il capo, conscia che comunque non avrebbe potuto vederla. “Nemmeno lo conoscevo, la prima volta che ho salvato il tuo culo di latta da quello schizzato di Rumlow!”Esclamò, offesa. Barnes continuò a sogghignare. “Sentila, come si mette sulla difensiva!” Lo sentì distintamente dire. “Da quanto va avanti? Sono geloso.” Elle sbottò, imbarazzata. “Non c'è nulla fra me e lui, niente, niet, ingen!” Il silenzio scese fra i due.

E comunque...” Concluse lei. ”E' inquietante sapere che sei geloso. Non si capisce se sei geloso di me, di lui o di entrambi.” Insinuò lei. Lui rise.

Non puoi salvare altri uomini al di fuori di me, Babe. Finchè Rumlow non ci separi.” Commentò smaliziato. ”E lui è il mio migliore amico.”

Elle?” Una voce la chiamò da diversi metri più indietro, da una delle portefinestre che davano sul terrazzo. Elle riprese il telefono con la mano, l'altra che si teneva alla balaustra mentre si voltava verso Rogers. L'uomo la guardò sorpreso. ”Che ci fai qui fuori a quest'ora?” Elle indicò il telefono.

Il silenzio dall'altra parte della cornetta le fece capire che Barnes aveva sentito la voce del suo amico. ”Devo andare, Jimmy.” Commentò Elle mestamente. Sentì James sospirare. ”Stagli vicino anche da parte mia. Quando sarò in pieno oceano, non potrò chiamarti. Ci sentiamo fra una settimana circa, forse qualcosa di più. Non preoccuparti per me.” Concluse lui, afflitto . ”Ciao, nanerottola.”

Ok. Riguardati e fammi sapere quando sei arrivato. Buon viaggio.” Rispose lei, stringendosi nelle spalle. Con un click, quasi in contemporanea, chiusero la chiamata. Steve aveva atteso, poco lontano, appoggiato ad una delle colonne del terrazzo. Elle gli sorrise, facendo un cenno con il capo, il cellulare già al sicuro nella tasca della felpa.

Chiamata notturna?” Esclamò lui, constatando l'ovvio. Elle annuì, mentre l'uomo, in pantaloni della tuta e t-shirt bianca, si appoggiava con i gomiti al parapetto.

Non sapevo avessi un ragazzo.” Commentò imbarazzato, guardando insieme a lei le stelle. Elle scosse il capo, perplessa. ”Cosa?”

Jimmy.” Commentò lui, brusco. Elle scoppiò a ridere. ”E' un mio amico.”

Steve fece una smorfia, abbassando lo sguardo su di lei. ”Non si resta svegli fino a quest'ora per augurare Buon Viaggio ad un semplice amico.”

Elle rimase basita. ”Hai origliato!” Commentò con un sibilo. Steve abbassò lo sguardo, imbarazzzato. ”Comunque, ero sveglia per caso, quando mi ha telefonato. Ho visto la chiamata e sono uscita a prendere aria.” Steve annuì, sospirando leggermente. Sembrava sollevato. ”Un'altra brutta nottata?” Commentò, scrutandola. Scrutandola in modo diverso dal solito, come a voler cogliere delle sotttili differenze sul suo viso, o nel suo sguardo.

Elle sospirò. ”Wanda ti ha raccontato tutto di Vali.” Commentò piano, ritornando a guardare il cielo. Steve prese un'ampio respiro, mentre lei tornava a fissare il vuoto, ragionando ad alta voce.

Non può essere stato Samuel. Ma Wanda ha letto tutta la conversazione nella sua mente, prima che voi arrivaste.” Steve sorrise leggermente, annuendo. ”Non volevamo impicciarci. So che erano confidenze fra amici. Ma lei ha sentito, e ha pensato fosse materiale importante...”

Elle annuì. ”Te ne avrei parlato. Se ce ne fosse stata occasione.”

Lo so.” Ammise lui, guardandola dritta nel viso. La svedese ricambiò lo sguardo, senza un'ombra di rabbia o risentimento.

Se ti può consolare, so cosa vuol dire essere un esperimento.” Elle sussultò, riconoscendo la frase. Era la stessa che le aveva detto Barnes meno di mezz'ora prima. Sorrise, pensando a quanto quei due fossero uguali.

Grazie, Steve. Immagino che dopo un poco, semplicemente, ci si faccia l'abitudine.” Esclamò, stringendosi nelle spalle.

Rimasero in silenzio, semplicemente, a fissare il cielo nero delle tre di notte, Elle appollaiata sulla balaustra del terrazzo, e Steve appoggiato alla stessa con entrambe le mani, a pochi centimetri di distanza.

Dovresti andare a dormire. Almeno, a provarci.” Sussurrò lui, lo sguardo che vagava nel vuoto. Elle scosse il capo. “Per svegliarmi ricoperta di sudore, con il corpo dolorante e la testa piena di terrore?” Commentò asciutta, abbassando lo sguardo sulle sue ginocchia.

Ho dormito, fra le una e le una e mezza. Poi mi sono svegliata in preda all'angoscia, con i conati e tutti i nervi accavallati...” Ammise, stirandosi la schiena in modo simile a quello di un felino. “Mi dispiace.” Commentò lui.

Domani mattina ho promesso a Samuel di aiutarlo a chiamare con il notebook di Natasha sua figlia. Spero di non addormentarmi sulla tastiera.” Disse semplicemente Elle, sorridendo appena. Steve le diede un leggero colpo con la spalla, sorridendo anche lui.

Cosa tiene sveglio Captain America, invece?” Chiese Elle, ancora con le labbra increspate verso l'alto. Scavalcò il parapetto, voltandosi verso il palazzo, ed il terrazzo sulla quale erano. Diede le spalle al paesaggio scuro, per poter fronteggiare l'amico viso a viso.

Lui si strinse nelle spalle, la maglietta come sempre esageratamente attillata sopra ai muscoli troppo tesi per la sua irrequietezza.

Troppe cose a cui pensare. Qui, a casa, ovunque...” Abbassò lo sguardo, contemplando il nero del ferro battuto del parapetto. Elle fece una smorfia.

Proprio per questo. Meriteresti il Sonno dei Giusti...” Commentò. Lui voltò leggermente il capo, incontrando il suo sguardo. Si soffermò un secondo in più sulle sue labbra, ancora piegate in un'espressione rassegnata.

Invece sono qui a farti compagnia. Non sei l'unica che viene perseguitata dal passato, nel sonno.” La schernì dolcemente. Elle strinse le spalle, lo sguardo perso nel vuoto. “Non sono sicura...” Iniziò piano, per poi interrompersi sotto il suo sguardo indagatore. Riprese, scuotendo la testa. “Sai qual'è la cosa peggiore?”

Lui negò, con il viso ad un palmo dal suo viso. Elle prese un respiro profondo, sprofondando in quelle iridi che sapeva essere blu, ma che nel buio della notte sembravano nere come la pece.

La cosa peggiore è che non ricordo. Mi sveglio tutte le notti terrorizzata, e dolorante. Ma non ricordo mai che cosa ho visto, nel sogno.”

Rimasero a fissarsi un secondo, l'uno negli occhi dell'altra, in silenzio. Lui avvicinò leggermente il viso, sentendo il respiro di lei contro la sua pelle. Elle dischiuse le labbra, senza distogliere lo sguardo.

Deve essere... angosciante.” Commentò lui. Elle rimase a fissarlo, con gli occhi sgranati. “Lo è.” Commentò semplicemente.

La notte aveva perso il suo mantello nero, ed ormai il cielo iniziava a macchiarsi di un leggero azzurro zuccheroso. Il primo raggio di sole colpì Elle in pieno viso, riflettendosi nei suoi occhi chiari come pozze d'acqua. Steve si prese un momento per contemplarli, l'azzurro che per una volta non assumeva tinte assurde, ma restava un brillante ma normale azzurro limpido. Elle sembrava solo una ragazza, molto pallida e con i capelli chiari stretti in una crocchia severa ma pratica, il cappuccio della felpa nera sollevato per cercare di coprirla dal vento violento che spazzava il Wakanda alle quattro e trentacinque del mattino. Alzò una mano, lentamente, sempre guardandola negli occhi, come avrebbe fatto con un'animale pericoloso e selvatico. Le sfiorò con la mano il viso, appoggiandola poi sul suo braccio. “Devo chiederti una cosa...” Sussurrò, il capo leggermente abbassato per parlarle ad altezza di orecchio. Elle annuì, sbattendo le palpebre sugli occhi stanchi.

Quando torneremo a New York...” Steve si maledisse in tutte le lingue che conosceva. Non aveva problemi a lanciarsi in machiavelliche imprese con una banda di supereroi di dubbia sanità mentale, e si buttava senza troppe cerimonie ad affrontare un uomo che conosceva che si era sottoposto all'impianto di delle protesi meccaniche del tutto insane, e poi non riusciva a trovare lo spirito per chiedere alla ragazza che aveva davanti, e che lo stava guardando senza nessuna paura, che non lo trattava come un oggetto proveniente da una collezione vintage ma come un uomo, di uscire per fare una passeggiata assieme. Magari cenare, assieme. Magari tornare a casa, assieme. Magari passare la vita, assieme.

Sono troppo sensibile per questo secolo. Si ricordava di averlo detto, e mai come ora gli tornava in mente quanto questo fosse vero. Elle lo guardava, aspettando di sentirlo finire la frase. “Quando saremo tornati a New York...”

On the day the wall came down / They threw the locks onto the ground / And with glasses high we raised a cry for freedom had arrived .”

Cazzo.” Commentò platealmente Elle, sentendo la suoneria del suo cellulare. Lo prese dalla tasca, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi. “Pink Floyd, A Great Day For Freedom... Nat ha trovato divertente mettermela come suoneria per i numeri dello S.H.I.E.L.D. Sai, da quando non possiamo tornare...” Commentò, imbarazzata. Steve non riuscì a trattenere una smorfia divertita. “Scelta appropriata.” Commentò semplicemente. Elle lanciò uno sguardo al display. “E' Maria. Devo rispondere. Potrebbe essere importante.” Sussurrò sulle sue labbra, guardandolo negli occhi. Steve sospirò, avvicinandosi ancora. “Dovresti rispondere.” Ammise lui. Quasi si sfiorarono, viso a viso, l'uomo sprofondato negli occhi dell'altra.

Devo rispondere.” Commentò ancora Elle come un automa. Si riscosse, allontanandosi con il busto dal viso di Rogers. “Devo rispondere sul serio.” Esclamò, imbarazzata. Steve sembrò ridestarsi improvvisamente, allontanandosi di un passo, grattandosi la nuca con una mano, il respiro corto. Elle lo guardò persa, per poi dirigersi nella direzione opposta. “Qui Elle Selvig.” Rispose, con la voce roca.

Ah,devo aver sbagliato numero, ho chiamato l'oltretomba...” Commentò stizzita Maria. Elle sospirò, mentre l'amica proseguiva. “Abbiamo appena finito il meeting e ci sono delle novità.” La voce le arrivò lontana, mentre Steve si appoggiava di schiena al parapetto, guardandola di sottecchi. “Che novità?” Chiese, funerea.

Hanno accettato di riammettervi negli States, non potevano fare altrimenti, Fury ha minacciato di mobilitare tutta la stampa ed i politici internazionali e l'ONU e chissà chi altri... “ Elle sorrise appena. “Però?” Chiese, aspettando la fregatura.

Per agire, d'ora in avanti, dovrete firmare tutti un trattato. Idea del Generale Ross.. E' ancora in fase di scrittura, e ci vorrà qualche mese. Ci sta lavorando Stark. Ci sono dei senatori che vogliono le vostre, le nostre teste. Si sono messi in testa che i mutanti siano pericolosi, si parla di una legge per far riconoscere ogni mutante da tutta la comunità a vista...” Elle emise un respiro strozzato. “Una stella di David...” Commentò, funerea. Maria sospirò. “Esatto. Per pacificare tutto ci serve Rogers. E non è la cosa peggiore...”

Cosa può esserci di peggio, Maria?” Chiese, attonita. L'amica schioccò le labbra.

A Lagos hanno fotografato Barnes. Il Soldato d'Inverno.”

Elle si irrigidì. “Maria, dimmi solo questo: hai visto le foto?” L'amica sospirò.

Se ti riferisci al fatto che si vede chiaramente che lo stai aiutando, beh, quelle foto sono già sparite. Non esistono più, nemmeno risalendo al satellite di Stark. Le ho distrutte appena le ho viste. Monitorando l'operazione.”

Elle riprese fiato. “Grazie, Maria.”
“Useranno Barnes come capro espiatorio, per quello che è successo. Lo vogliono sulla forca.” Elle imprecò fra sé e sé.

Intanto ti ho salvata dal finire sulla forca con lui, ma devi dirlo a Rogers. Qui si parla solo di quante persone ha ucciso Barnes e di quanto sia pericoloso. Ti prego...” Commentò Maria, a voce bassa. “Parlagli prima che arrivi qui. Se firmate, avrete l'ordine di catturarlo. Steve forse no,non sono ancora così barbari...” Prese un attimo per riprendere fiato. “Ma tutti voi, gli altri Avengers, si. Tu compresa.”

Ok, ricevuto.” Elle annuì, anche se l'amica non poteva vederla.

Ripartite dal Wakanda quando avrete le idee almeno un po' chiare: qui sarà l'inferno. Vogliono smantellare tutta la base, se non state all'accordo. Per Natale sarà già un capannone deserto.” Elle si voltò verso Steve, che la guardava passeggiare nervosamente avanti e indietro lungo il terrazzo.

Elle, tuo padre è furioso.” Commentò poi l'amica, sospirando. “Si è sistemato nella tua stanza e minaccia di non andarsene finché non ti vede tornare. Dice che ti riporterà in Svezia...” Elle sospirò. “Ho ventisei anni, mio padre non può semplicemente prendermi e spedirmi in giro come faceva quando ne avevo sedici.”

Maria non rispose. “Grazie, Maria. Ci vediamo presto.” Anche se non poteva vederla, era sicura che Hill avesse annuito.

Selvig...” La richiamò l'amica, mentre la svedese si voltava verso Steve, che la aspettava con le mani nelle tasche dei pantaloni sportivi. Tenne il cellulare vicino al viso, guardandolo inespressiva. “Dimmi, Hill.”

Dovete essere coraggiosi. Dillo anche agli altri, da parte mia.”

Elle annuì piano, abbassando lo sguardo. “Grazie, Maria. Glielo dirò.”

L'amica schioccò le labbra. “Vado a vedere che tuo padre non sia stato rapito dal Consiglio Mondiale per la Sicurezza...” La svedese si strinse nelle spalle. “Tienilo d'occhio, con Ross in giro non si può mai sapere.” Maria assentì, per poi chiudere la comunicazione.

Steve si avvicinò, guardandola. “Aggiornamenti?”

Elle annuì. “Niente di buono. Dobbiamo tornare.” L'altro annuì. “Vado a svegliare Samuel e Natasha.” Esclamò l'uomo. Elle lo interruppe con una mano.
“Vado io da Nat.” Disse semplicemente. Steve la guardò, perplesso.
“Non è da sola in stanza, temo.” Commentò Elle, stringendosi imbarazzata nella felpa nera. Steve si irrigidì.

Non fare quella faccia, Rogers.” Esclamò lei, dandogli le spalle per entrare nella sua stanza. “E' una donna adulta, del tutto padrona della sua vita personale e, soprattutto, sessuale.” Borbottò senza guardarlo.

Mai detto il contrario. E' lui che non mi piace.” Commentò vago Steve. Elle si strinse nelle spalle, fermandosi sulla soglia della sua stanza.

Ero sicura che ti andassero a genio gli uomini che si mettono divise discutibili e si auto-eleggono a difesa di un'intera nazione...” Sussurrò lei. Lui scosse il capo. “Cosa?”

Entrambi sapevano che lui aveva chiaramente sentito. Ma ripeterlo, sarebbe stata una conferma ulteriore. Elle glissò. “Vado a svegliare le ragazze. Poi torno a cambiarmi.”

Ci vediamo alle sei nell'Hangar per fare il pieno di carburante.”

Elle si voltò, sorridendogli appena. “Certo, Capitano.”


~


Elle bussò diverse volte alla pesante porta di legno scuro, sbuffando.

Sentì delle risate soffocate provenire dall'interno. Bussò ancora.

Sono Elle.” Esclamò, contenta di non aver lasciato a Rogers quell'incarico. “Se non vuoi che venga Rogers, aprimi.”

Sentì dei passi ovattati raggiungere la porta, e pochi secondi dopo l'amica la fissava con sguardo truce. “Cosa vuoi, Elle?” Chiese in un sospiro.

Elle si stupì per quell'atteggiamento ostile. Sgranò gli occhi, guardandola senza proferire parola. Dietro di lei, nel letto dell'amica, il principe T'Chaka le fece un cenno imbarazzato con la mano, coprendosi dalla vita in giù con il lenzuolo.

La Svedese si riscosse. “Alle sei all'hangar. Torniamo a casa. Ti aggiorno in volo.”

Natasha annuì, pratica, voltandosi verso la poltrona nella sua stanza. “Ho già il borsone pronto.” Commentò solo. Elle scosse il capo. “Ok, allora ci vediamo dopo.”

Girò i tacchi e si diresse verso la stanza di Wanda, con un sospiro. Natasha si chiuse la porta alle spalle.

Non avresti dovuto essere così dura con lei.” Commentò l'uomo, voltandosi su un fianco verso la rossa. Natasha, avvolta in un accappatoio bianco, si voltò con espressione scocciata verso di lui. “Chi ti ha chiesto un parere sulla mia vita personale?”

L'uomo alzò le mani con un ghigno, in segno di resa. “Non tratterei così i miei amici.”

Forse lei non è mia amica.” Commentò Natasha, scrutandolo senza opinione. L'uomo sorrise, divertito. “Ho visto la sua espressione. E quando siete arrivati, continuavi a guardarla con gli stessi occhi che aveva lei ora.”

Ha scelto di avere dei segreti. Ed anche io.” Rivelò piano lei, levandosi senza pudore l'accappatoio. “Ci siamo sempre dette tutto. Ed ora, so che nasconde più di quello che vuole dare a vedere.” Si diresse verso la doccia, senza degnarlo di un'occhiata. “Ci vuole del tempo. Di assestamento.”

L'uomo si alzò con uno sbuffo, avvolgendosi il lenzuolo alla vita, sotto alle fossette degli addominali scolpiti. Nat lo guardò un attimo, godendosi lo spettacolo, per poi sparire sotto la doccia. Lui la seguì, appoggiandosi allo stipite della porta del bagno.

Sai..:” Disse, con tono più forte per farsi sentire dalla rossa, sotto al getto di acqua calda. “...Il fatto che abbia dei segreti non vuol dire che possano riguardare anche te.” La donna aprì leggermente i vetri appannati. “Quando fai il lavoro che faccio io, sai che nessun segreto è privato. Tutto riguarda tutti.” Lo guardò, sorridendo maliziosamente, una mano appoggiata al vetro chiaro. “Piuttosto che parlare di cose così deprimenti, perché non vieni a salutarmi un'ultima volta, prima della partenza?” Sussurrò, facendogli segno di avvicinarsi con l'altra mano. T'Chakala guardò un secondo, ammaliato, per poi lasciare il lenzuolo a terra ed avvicinarsi alla compagna. “Chi ti dice che sia un saluto?


~


Elle si avviò a grandi falcate verso il Quin Jet, tenendo la manichetta del carburante fra le mani avvolte in grossi guanti neri.
Si era messa un paio di Jeans piuttosto rovinati, mentre aveva tenuto la felpa aperta e la canotta che aveva usato come pigiama. Infilò nel bocchettone del serbatoio la manichetta, facendo cenno a Samuel di avviare la pompa del carburante.
“Ringrazi ancora il sovrano per il carburante, e l'ospitalità. Cercheremo di ricambiare quanto prima.” Disse Steve, voltandosi verso il militare che lo stava accompagnando al velivolo. L'uomo annuì, sorridendo cordiale. “Gli porterò i vostri saluti ed i vostri ringraziamenti.” Mimò un saluto militare a Steve, che rispose con altrettanta cortesia. “Fra quando possiamo partire?”

Venti minuti.” Esclamò Elle, scostandosi con il gomito un ciuffo di capelli dal viso, mentre teneva con l'altra mano la manichetta ferma. Samuel si avvicinò.

Wanda è già sopra. Manca solo Nat.”

Per me possiamo partire lo stesso.” Borbottò Elle, agitando il capo. Samuel la guardò come se fosse pazza. “Cosa?”

Scusa, Elle.” Commentò la rossa, avvicinandosi. Le fece un sorriso dispiaciuto, gli occhi da cucciolo già sfoderati da quando era entrata nella stanza. “Sono stata scortese.”

Elle le lanciò uno sguardo rassegnato. “Certo che se per non essere acida ti mancava solo scop-” Steve le mise di getto una mano sulla bocca, zittendo la svedese. Natasha alzò le mani in segno di resa.

Non dire cose delle quali sicuramente a mente lucida ti pentiresti.” Commentò Samuel verso la bionda tetramente, lanciando uno sguardo sconvolto a Steve. L'altro rispose con un'occhiata chiaramente confusa.

Natasha si strinse nelle spalle, andando verso la rampa del Jet senza una parola.
“Ma che ti è preso?” Commentò Steve, togliendo la mano dal volto della donna. Questa lo guardò, furibonda. “Non azzardarti mai più, Rogers.” Esclamò, lasciando in mano a Samuel la manichetta. Si diresse verso il Jet, tirando una spallata al Capitano, che sospirò.

Questo viaggio sarà un massacro.” Commentò Samuel, guardando perplesso il tubo che aveva in mano. “Come si capisce quando ha finito?” Chiese con un sospiro. Steve si strinse nelle spalle. “Non ne ho idea.”

Un uomo con una tuta di pelle nera si diresse verso di loro, un borsone sulla spalla e un casco dalle vaghe forme feline sottobraccio. “Capitano!” Lo chiamò da dietro. Steve si voltò, dando le spalle a Sam. “T'Chaka. Cosa ti porta qui a quest'ora del mattino?”

Voglio partire con voi:” Commentò semplicemente il principe. Steve sospirò. “Perché?”

Difendo il mio paese da quattro anni, ormai. Sono pronto per aiutarvi. A difendere il mondo.” Commentò semplicemente l'altro. Steve scosse il capo. “Non se ne parla.

Il sorriso del principe si spense, mentre aggrottava le sopracciglia. “Cosa?”

So che per un principe sarà difficile da capire, ma non sei stato accettato nella squadra.” Commentò Samuel, guardandolo inespressivo. “Il Capitano ha detto no.”

T'Chaka fece un passo indietro, guardandolo non senza un lampo di sorpresa negli occhi scuri. “Sono capace, sono intelligente, ho già dimostrato di essere in grado di compiere missioni delicate e voi avete un gran bisogno di una mano.” Esclamò senza scomporsi. Steve scosse il capo. “Ho detto no.”

Hai parlato con mio padre.” Commentò l'uomo, sospirando. Steve annuì.
“Sta per andarsene, che sia fra un giorno o cent'anni, e tu devi guidare e proteggere questo paese.” T'Chaka schioccò le labbra, guardandosi attorno, infuriato. “Proteggere il Vibranio, vorrai dire.” Commentò disilluso. “Per me puoi prenderlo tutto, Rogers, e chiuderlo nel posto più sicuro che ti viene in mente.” Esclamò con tono disperato l'altro. Steve scosse il capo, con aria grave.

Figliolo, il tuo popolo e tuo padre hanno bisogno di te. Hai tanto da perdere.”

Nat, Wanda ed Elle si erano sporte dalla rampa, sentendo i due uomini discutere animatamente. Natasha lo guardò, una riga di preoccupazione in mezzo ai suoi meravigliosi occhi verdi. Elle le sfiorò la mano, guardandola tristemente.

Torna a fare il principe, T'Chaka.” Concluse Steve, dirigendosi verso la rampa del Jet senza aggiungere altro. Gli mise una mano sulla spalla. “Mi dispiace. Capirai.”

Salì nel QuinJet fra gli sguardi degli altri, mentre T'Chaka guardava Natasha, umiliato. Elle scese dal Jet, in silenzio, spegnendo la pompa del carburante.

Scusa, Sam.” Sussurrò prendendo la manichetta dalle mani dell'amico. Questo annuì, fissando ancora con sguardo impietosito il giovane. “Lo fa per il tuo bene...” Commentò semplicemente, passandogli accanto.

Quando partirono, Natasha ed Elle ai comandi e gli altri seduti dietro, T'Chaka era ancora nell'hangar, e fissava con espressione vuota il cielo chiaro del mattino.


~


Natasha lasciò i comandi per buttarsi senza energie sulla panca più lontano dai due uomini, abbandonandosi ad un sonno profondo. Elle chiacchierava con Wanda, sperando di sembrare tranquilla almeno alla vista.

Steve si avvicinò alle due, rispondendo con difficoltà al sorriso della sokoviana. Elle gli lanciò uno sguardo mesto. “Scusa per come ti ho risposto prima.”

E' stata una settimana difficile.” Commentò semplicemente lui, senza un tono particolare. Elle temette di averlo offeso, per poi sentire la mano dell'uomo appoggiarsi sulla sua spalla. “Non sapevo sapessi pilotare.” Commentò lui.

E' meno difficile di quello che pensi. Ora siamo in automatico.” Rispose lei, alzando il capo per vederlo in viso. Steve sorrise divertito alla sua posizione strana, dandole una breve carezza sul collo, senza pensarci. Elle sorrise appena.

Volete provare a pilotare?” Chiese la svedese. Wanda la guardò perplessa, mentre Steve incrociava le braccia. “E' contro il regolamento – ed è pericoloso.”

Siamo in modalità Stealth.” Rispose Elle, alzando le sopracciglia. “E comunque siamo già nei guai.”

Il ragionamento di Elle non faceva una grinza. Wanda scosse il capo. “Io no, grazie tante. Ma sarebbe utile che qualcun altro fosse in grado di pilotare, fra noi.” Ammise, guardando Steve. Questi si strinse nelle spalle. “Va bene, dimmi cosa devo fare.”

Elle gli sorrise, mentre Samuel da dietro emise un urlo divertito. “Evviva, finalmente ti rendi utile, vecchietto.” Commentò ridendo. Steve gli lanciò uno sguardo gelido, mentre Elle iniziava ad illustrare i comandi della consolle a lui ed a Wanda.

Propulsione primaria, secondaria, Flap, Ipersostentatore... Carrello...” Indicò i vari tasti sul dispositivo, lo sguardo dei due che la seguiva attento. “Adesso, la Cloche.” Esclamò piano, disattivando il pilota automatico. “Non potete capire finché non provate.” Commentò semplicemente, prendendo quota.

Controllate sempre il radar. Non possiamo essere individuati in questa modalità di volo, quindi dovete essere voi ad evitare gli altri.” Spiegò piano. Si fece un po' di lato, facendo un cenno a Wanda che scosse il capo. “Dai, vedrai che non è difficile.” La incitò la svedese, sorridendole. Wanda si avvicinò, intimidita.

Elle le passò la Cloche, inginocchiandosi accanto al sedile di comando. Wanda ridacchiò, tenendo dritto il velivolo. “Visto?” Sorrise Elle. L'altra ridacchiò “Sto comandando un aereo, gente.” Commentò con aria vittoriosa. La Svedese scoppiò a ridere. “Puoi dirlo!”

Riprese la Cloche dalle mani dell'amica, stando in piedi, mentre Wanda abbandonava la poltrona e tornava vicino a Samuel. “Capitano...” Commentò la bionda. Steve si avvicinò, titubante. “Sei sicura?” Chiese, sorridendo impacciato. Elle gli fece un cenno verso la poltrona, il sorriso ancora sulle labbra. Gli passò la cloche, spostandosi dietro lo schienale e tenendo le mani appoggiate ai suoi avambracci, pronte ad intervenire in caso di pericolo. Steve la guardò appena, scrutando con un po' di angoscia il cielo di fronte a lui ed il radar.

Sto pilotando un Jet.” Commentò piano. Elle sorrise, annuendo. “Attento, ora.” Indicò un aereo che stava passando accanto a loro, un velivolo civile. Lo spostamento d'aria fece sussultare il Jet. Steve tenne stretta la cloche, mentre Elle si sporgeva a pigiare un tasto in consolle. “Ho impostato un'ulteriore stabilizzatore, fra poco dovremo scendere. Te la stai cavando bene.”
Steve sorrise, guardando dritto davanti a sé. “Cosa ci aspetta a casa, Elle?”

La donna si spostò al suo fianco, sull'altro sedile, guardandolo attentamente. “Una guerra.” Commentò piano. Gli raccontò della telefonata di Maria, del Consiglio Mondiale per la Sicurezza, e del Generale Ross. Quando parlò di Stark e dell'Atto che stava preparando, sospirò. “Stark fa sempre un buon lavoro. Vedrai che risolverà tutto.” Elle si strinse nelle spalle. “Facendo questo lavoro, impari che tutto riguarda sempre tutti. Appena atterriamo, andrò da Stark.” Commentò semplicemente la bionda. Steve annuì.

Una scia gialla le ferì gli occhi, mentre Steve mollava la consolle con un “Dannazione!” che fece svegliare anche Natasha. La rotta del Jet si inclinò verso il basso, mentre Elle si allungava ad afferrare la Cloche, piegandola verso il basso. Steve la prese per i fianchi, tenendola saldamente. Natasha, attaccata ad una maniglia sulla parete del Jet, si avvicinò infuriata.
Che cosa sta succedendo?!” Urlò, gli occhi contratti in un'espressione furiosa.

Ci hanno sparato addosso un missile.” Esclamò Steve, mentre Elle rimetteva in asse orizzontale il Jet. “Siamo appena entrati in territorio americano.” Commise Elle con un sospiro tetro. La svedese si accasciò sul sedile di comando, prendendo ampi respiri. “Non so come ha fatto a non prenderci in pieno.”

Natasha si sedette nel sedile a fianco, guardando preoccupata Rogers che stringeva ancora Elle, che gli era crollata addosso. La rossa sospirò, prendendo un ricevitore. “Comando Avengers, Upstate, New York?” Chiamò con la voce roca dallo spavento. Elle guardò Steve imbarazzata. “Mi dispiace di esserti caduta addosso.” Sussurrò, perché Natasha non sentisse. L'avrebbe presa in giro a vita. L'uomo sorrise appena, una ruga di preoccupazione sulla fronte. “Non dispiacerti troppo.” Commentò lui, voltando lo sguardo verso il cielo.

Non osate sparare un altro missile, siamo noi!” Esclamò ancora Nat, probabilmente in risposta a chi aveva appena cercato di abbatterli. “Tu che hai sparato il missile, verrò a cercarti e te ne farò pentire.” Commentò gelida la russa. Elle e Steve ridacchiarono, mentre lei cercava di alzarsi, una mano puntellata sul ginocchio di lui.

Natasha attivò il viva-voce. “Sono contento che verrà a cercarmi, Romanoff. Desidero proprio parlare con te.” Disse una voce bassa ed autoritaria. Natasha spostò lo sguardo su Elle, mentre questa guardava il cielo, mordendosi il labbro. “Generale Ross.” Esclamarono le due donne, quasi in sincrono. “E' un piacere averti di nuovo fra noi, Selvig. Anche se tuo padre non la pensa allo stesso modo.”

Bastardo, hai quasi abbattuto mia figlia!” Disse una voce meno profonda, e con uno strano accento. Elle sospirò, prendendole il ricevitore che Nat teneva in mano. “Papà.”

Elle, stai bene?” Sentì l'uomo avvicinarsi all'apparecchio. “Stiamo tutti bene, papà. Anche se non ho capito come-”

Una sagoma rossa ed oro comparì fuori dal vetro, facendo ampi gesti con le mani. Visione le lanciò uno sguardo preoccupato. Elle vide Wanda riflessa nella sua mente, come se la ragazza fosse davanti a lei. 'Sta bene.' Pensò intensamente, guardando la sagoma che volava davanti a lei.

Ok, ho capito, ora.” Commentò Elle, nel ricevitore. “Proseguiamo con l'atterraggio nell'Hangar della Base Avengers.” Esclamò la donna. “Parleremo quando sono scesa.”

Puoi contarci.” Fu il commento di Erik Selvig. Natasha chiuse la comunicazione.

Non mi avevi detto che ci sarebbe stato tuo padre.” Elle si strinse nelle spalle. “Eri troppo impegnata, quando ho saputo...” Commentò semplicemente la svedese. Natasha si strinse nelle spalle. Steve si alzò, lasciando il sedile ad Elle, che prese il suo posto ed inserì la cintura di sicurezza. Guardò Nat. “Portiamo a casa questo aggeggio.” Commentò semplicemente la russa. Elle annuì, mentre Steve andava a sedersi su una delle panche munite di cinture, di fronte a quella occupata da Wanda e Samuel, entrambi pallidi e perplessi. “State bene?” Chiese Rogers. Samuel annuì, mentre Wanda scrutava fuori dal vetro, davanti ai comandi, dove Visione stava guidando Elle e Nat attraverso la tempesta che si stava abbattendo per tutta New York.


~


Scesero dall'aereo in un silenzio irreale, circondati da una folla di militari e politici, volti conosciuti e sconosciuti. Lei e Steve scesero per primi: lui perché era il leader, e lei per sondare la massa e prevedere un probabile attacco. Dietro di loro, Samuel riprendeva con lo sguardo Wanda, che lanciava alla folla armata sguardi sprezzanti. Natasha scese per ultima, una mano sulla fondina appesa al fianco, cercando di sembrare più sicura di quello che era in realtà.

Alcuni fra coloro che li fissavano immobili, tenevano le armi imbracciate e cariche, pronte a puntarle contro di loro al minimo segnale di fuga. Elle trovò subito, in mezzo a quel pubblico silenzioso, lo sguardo limpido di suo padre che la seguiva, carico di apprensione, accanto a Fury.

La Svedese non riuscì a reggere il confronto ed affondò le mani nelle tasche dei pantaloni, il borsone che pendeva dalla spalla, cercando nel contempo di concentrarsi nel sondare le intenzioni della folla. Più che agguerriti, sembravano indecisi. Ciò non rassicurò la donna: una massa di persone così carica di energia avrebbe risposto al minimo stimolo. Erano divisi fra lo spavento e l'ammirazione, come quando si guardano delle bestie feroci allo zoo cittadino.

Lanciò un'occhiata da oltre la sua spalla a Steve, sperando di trovarlo abbastanza calmo da rassicurare anche lei. L'uomo teneva la schiena ben dritta, la mascella contratta come ogni volta che era nervoso, e gli occhi saettavano da un lato all'altro del corridoio che era stato lasciato libero per il loro passaggio. Si scambiarono uno sguardo preoccupato, mentre dietro di loro Samuel si avvicinava, guardandosi attorno perplesso. “Sembra di essere ad un funerale.” Sussurrò, la testa piegata in avanti. Steve abbassò lo sguardo, raggiungendo la porta che conduceva alla hall ed agli uffici. “Si...” Commentò, guardando prima la ragazza e poi l'amico. “...Il nostro.”

xXx

Eccoci qui con le consuete note dell'autrice! 

Spero e mi auguro che vada tutto bene nella formattazione, in quanto questo capitolo verrà pubblicato molto di corsa appena riesco a mettere piede a casa!

Ringrazio tutte le meravigliose ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo! Giulia, D Laila e Delta! Per fortuna ci sono loro, che mi pongono delle domande alle quali nemmeno io spesso so dare una risposta precisa, e che poi posso sviluppare nei prossimi capitoli! ;) 

Se volete farmi un regalo di natale, per l'anno nuovo o anche per il mio compleanno - che cade in questi giorni ;) - Scrivetemi anche solo un saluto ed io sarò contenta e felice :)

Ringrazio chi ha messo la storia fra le seguite e fra le preferite, e i lettori silenziosi: siamo tutti una grande famiglia felice, e per chi il 25 non sarà sintonizzato per la sopresa, TANTI AUGURI! Il prossimo capitolo vedrà la luce del sole Mercoledì 30 Dicembre.

Ho solo un'ultima domanda per tutti voi - per solleticare la vostra curiosità e le vostre recensioni: Preferite che la Storyline di Bucky fino a CW resti dentro questa storia, e quindi spezzettata per ogni capitolo, o preferite una storia a parte, aggiornata una volta ogni due settimane o giù di lì, solo per il nostro amato Soldato di Latta

Fatemi sapere e ancora Buon NATALE! 
Vostra, 

Eve

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Capitolo 17
*** Speciale - A Very Turing Christmas ***


NAT

Questo è il mio piccolo, oscuro regalo per voi, lettori silenziosi, recensitrici accanite e persone che seguono Skyfall in generale.

Sicuramente avrete ricevuto qualcosa di meglio, oggi, anche solo un po' di affetto. Ma non volevo farvi mancare un piccolo presente, un mini capitolo di Natale, sereno e tranquillo, senza combattimenti o litigi. Solo un po' di festa, per addolcire ancora di più la vostra giornata. 
Piccola quest: Chi indovina il perchè del titolo si vedrà dedicato un capitolo, e non un capiolo a caso, IL CAPITOLO. 


Tanti auguri a tutti voi!



A Very Turing Christmas

24 / 25 Dicembre 2015, New York


Quando si svegliò, ci mise qualche secondo a rendersi conto di essere all'Avengers facility. Erano quasi le undici del mattino, e l'ultima addetta della lavanderia stava percorrendo con l'auto il viale che portava alla strada principale. Si sarebbe ritrovata a casa entro le due del pomeriggio, pronta a passare i giorni di festa che li attendevano con la sua famiglia, forse degli amici o dei figli.

Wanda rimase a fissare il vuoto per diversi minuti, avvolta nelle coperte che la sovrastavano, i capelli scuri stesi accanto a lei sul cuscino, come una macchia d'inchiostro sul cotone bianco.

Non era triste. Per lei, non era nemmeno natale. Il sei gennaio, il giorno in cui si festeggia il natale ortodosso, sarebbe stata un'altra storia.

Sarebbe stato il primo natale senza Pietro. L'inizio del primo anno dopo che se ne era andato. Il primo anno senza di lui.

Sospirò, guardando la sua mano sollevata davanti agli occhi, nella pallida luce che filtrava dalle imposte. Una foschia vermiglia la avvolse, facendola sorridere e rabbrividire allo stesso tempo. Quella era lei, ora.

Si alzò svogliatamente, sapendo nella sua mente che non ci sarebbe stata anima viva in giro per il complesso in cemento. Si sforzò di infilare un paio di jeans ed un vecchio maglione sdrucito, prima di uscire dalla sua stanza, accarezzando con le mani le pareti spoglie.

Si diresse verso l'ingresso, la mente che si beava del silenzio dato dall'assenza di anima viva. Sentiva solo un paio di menti, e tutte troppo distanti per essere identificate.

Passò le mani sul corrimano del mezzanino, osservando stranita la grande Hall completamente vuota. Nessuna segretaria che correva da un angolo all'altro, nessun agente a controllare i cartellini. Solo un grande spazio vuoto ed asettico.

"E' strano vedere tutto così vuoto, vero?" Commentò una voce alle sue spalle. La sokoviana si voltò, sorridendo mestamente all'uomo che le veniva incontro.

Annuì, voltandosi di nuovo ad osservare ciò che stava sotto al parapetto. "Non è male un po' di quiete, aiuta a pensare senza avere nessun altro per la testa." Rivelò lei, sapendo che lui poteva capire. Visione, infatti, annuì comprensivo.

"Non ti ho ancora ringraziato per l'altro giorno... Il missile e tutto quanto." L'uomo le sorrise dolcemente, gli occhi chiari che si assottigliavano seguendo le rughe del viso. "Non dovete ringraziarmi. Ve la sareste cavata anche da soli." Wanda alzò un sopracciglio, con una smorfia seccata. L'uomo lasciò vagare lo sguardo per l'ampio spazio. "Magari non per il missile, ecco." Wanda si voltò, al suo fianco, a guardare nel vuoto. Era settimane che non si trovavano soli, e così vicini, e la sua assenza le aveva chiarito molte cose. Cose che non voleva vedere, e cose che non si sentiva pronta a sentire. Leggermente imbarazzata, si allontanò di poco dal compagno, mentre il silenzio si faceva teso.

"Cosa non va, Wanda?" Chiese lui, voltandosi verso di lei con una ruga di preoccupazione fra le sopracciglia chiare. La donna si strinse nel maglione. "Domani sarà festa, qui. Ancora." Commentò, guardandosi attorno. "E quest'anno sarà ancora peggio."

L'uomo la guardò con un sorriso triste, immobile. "Non ci sarà più Pietro." La sokoviana annuì, cercando di mantenersi inespressiva. La presenza di Visione la rendeva quasi più incline a quegli sciocchi sentimenti che avevano condannato suo fratello. Si sentiva un controsenso vivente: agiva per istinto, ma temeva i sentimenti che creavano l'istinto stesso. Sospirò.

"Noi festeggiamo a gennaio, è vero. Però, sapere che non lo vedrò mai più entrare nella nostra stamberga con le braccia cariche di cibo rubato per noi e per i bambini del vicinato...” Visione alzò un sopracciglio, perplesso, facendola scoppiare a ridere.

Pietro aveva una concezione tutta sua della proprietà. E avevamo fame, e freddo. E non avevamo ancora nessun potere, non eravamo speciali...” Si appoggiò alla balaustra, fissando il vuoto, mentre Visione la guardava, bevendosi ogni sua parola. “Eravamo solo due gemelli sopravvissuti ad una guerra. Soli. Senza nessun altro al mondo. Ma riusciva sempre a festeggiare, in qualche modo. Era lui che mi faceva sentire veramente speciale.”

Avrei voluto conoscerlo meglio...” Commentò pacatamente l'androide. “Mi è dispiaciuto averlo visto solo per quelle poche ore.” Wanda si strinse nelle spalle, annuendo appena.

Non vorrebbe vederti così, ne sono sicuro. Così triste, in una grande caserma vuota, ad osservare il nulla.” Ammise lui, sicuro. Lei lo guardò sorpresa.

Sai, Visione...” Ammise, iniziando a scendere le scale per il pianterreno, mentre l'altro la guardava dal mezzanino. “...Inizio a pensare che, dalla morte di Pietro in poi, tu stia diventando sempre più umano, ed io sempre più androide.”

Si allontanò verso la mensa, decisa a prepararsi una sostanziosa colazione. L'androide la guardò allontanarsi. “Non lo permetterei mai, Wanda.


¤


Spiegami di nuovo perché siamo qui.” Commentò Natasha, svoltando con il SUV scuro verso il parcheggio del supermercato. Steve sospirò. “Domani sera saremo tutti alla base. E Visione ha proposto-”

Visione?” Chiese scioccata la russa. Steve la guardò scocciato. “Si, Visione. Hai presente, alto, biondo, opera di Stark, androide?” Chiese sarcasticamente. L'altra gli fece una linguaccia. “Ho capito, mi chiedevo solo come fosse venuto in mente a Visione di festeggiare il natale. Insomma, è un'androide!” Commentò stupita. Steve si strinse nelle spalle. “Voci di corridoio sostengono che lo voglia fare per Wanda.”

Natasha annuì fra sé e sé. “Questo spiegherebbe molte cose.” Commentò, parcheggiando l'auto. “Siamo un gruppo di sei persone, non puoi dire semplicemente Voci di Corridoio!” Si lamentò, divertita. Steve fece un gesto vago. “Non saprai mai chi ha detto cosa, Romanoff.”

Rogers, io ottengo sempre le informazioni che voglio. Prima di uscire da questo supermercato con le tue mele, la tua farina e il tuo fottuto latte condensato saprò chi ha detto cosa.” Steve sbuffò.

Presero un carrello ed entrarono nel locale affollato, Natasha che scrutava i festoni e le lucette intermittenti natalizie con aria tetra. Steve non poté non sorridere all'espressione infastidita dell'amica che, avvolta in un piumino verde scuro, si arricciava i boccoli vermigli sulle dita delle mani, aspettando che lui si ambientasse in mezzo alla confusione della vigilia.

Sapeva che era venuta fin li, nonostante fosse notoriamente il giorno più affollato dell'anno, e nonostante non avessero più avuto modo di parlarsi dal ritorno dal Wakanda. Solo perché glielo aveva chiesto lui, lei si era vestita ed aveva preso l'auto. Per accompagnarlo.

Allora, Rogers, non abbiamo tutto il giorno. Domani mattina ho un impegno.”

Steve sospirò. “Porta pazienza, Nat, purtroppo non riesco a trovarmi, in questi posti...” Nat gli prese la lista cartacea fra le mani. “Farina.” Alzò lo sguardo sulle corsie. “Terza corsia a destra. Qualche preferenza? Integrale, auto-lievitante, di farro?” Chiese spiccia. Steve la guardò perplesso. “Farina.”

Nat alzò gli occhi al cielo. “Ok, vado io. E prendo anche il lievito. Lo zucchero?”

Quello a velo.” Commentò lui, mentre la rossa iniziava a spingere il carrello in mezzo alla confusione. “Tu vai nella quinta corsia a destra, a prendere le spezie per il prosciutto.” Lui annuì convinto, lasciando con la mano la sponda del carrello, al quale si stava tenendo stretto da quando erano entrati ed aveva visto la mole di gente. Natasha lo fermò prendendolo per la maglietta.

Hai presente tutte le volte che in missione ti dico che dovremmo separarci per fare prima e tu affermi che è solo più pericoloso e preferisci che stiano 'tutti vicini per un'ora, che preoccuparti per mezz'ora' ?” Steve annuì.

Ecco, questa è una delle rare volte in cui hai torto. Dopo vai a prendere la frutta e la verdura, in fondo a destra.” Commentò spiccia, tenendo la lista fra le mani. “Ci ritroviamo davanti al banco della carne per prendere il prosciutto e guardiamo di avere tutto. Chiaro?” Concluse lei, guardandolo dritto negli occhi. Lui annuì, serissimo. Nat scoppiò a ridere. “Non pensavo fosse così divertente darti ordini; dovrei farlo più spesso!” Steve le lanciò uno sguardo teatralmente offeso. “Forza, prima cominciamo prima finiamo.” Commentò, osservando la lista.

Ah, Nat?” Chiese lui, facendola voltare di nuovo con aria seccata. “Perché siamo venuti fino a questo supermercato? Non ce ne erano di più vicini alla base?”

Nat si strinse nelle spalle, la giacca aperta sul davanti. “E' il primo che mi è venuto in mente, perché è vicino a casa.”


¤


Teneva fra le braccia un sacchetto di mele, mentre con la mano reggeva una rete di asparagi e un sacco di patate da tre chili. Non era tanto pesante, come carico: tuttavia era ingombrante, e fastidioso. E non trovava Natasha.

Si guardò intorno in mezzo alla calca della vigilia di Natale, spazientito. Appoggiò le mele a terra, cercando il telefono nelle tasche dei jeans. Niente.

Era proprio uno di quei vecchietti che si perdevano negli immensi Mall. Avrebbe dovuto andare all'assistenza clienti e far chiamare Natasha dall'interfono. La russa lo avrebbe preso in giro a vita. Scosse il capo, infastidito da tutti quei motivetti natalizi, e da tutte quelle persone che lo spintonavano in tutte le direzioni.

Quando rialzò lo sguardo dalla sua spesa, sospirando.

Steve?”

Alzò lo sguardo istintivamente, mentre i suoi occhi incontravano quelli azzurri di una persona che conosceva fin troppo bene.

Non vedeva Elle da tre giorni, da quando erano tornati dal Wakanda. Dopo lo scontro con il Consiglio per la Sicurezza, Elle si era semplicemente volatilizzata.

Ed ora era davanti a lui, con una camicetta bianco latte e lo sguardo perplesso, appoggiata ad un carrello e con un braccio teso verso l'ultimo scaffale in alto. Rimase interdetto due secondi, Elle ancora in quella posa innaturale, finché non scoppiarono entrambi a ridere. Ma poi, come ci era finito nel settore dei detersivi?! “Ti serve quello?” Chiese semplicemente lui, indicando un fusto di detersivo che la ragazza non era riuscita a raggiungere, nonostante la sua altezza di tutto rispetto. Elle annuì, abbassando lo sguardo sugli stivali neri. “Che ci fai qui?” Chiese di getto lei, pentendosene subito dopo. Forse era stata scortese. Guardò il carico di Steve, mezzo sul suo braccio e mezzo appoggiato a terra. “Non ci starà mai tutta quella roba sulla moto. C'erano supermercati più vicini alla base, ma ti serve comunque una macchina.”

Natasha.” Commentò lui, appoggiando il fusto di detersivo in polvere nel suo carrello, mentre lei gli prendeva gli asparagi dalle mani e li metteva nel carrello. “Sto facendo la spesa per la cena di domani sera.” Commentò, mentre Elle gli faceva cenno di mettere le cose nel suo carrello. La bionda annuì, tirando il collo per vedere dietro di lui. “E Nat?” Chiese, confusa. Lui voltò il capo, imbarazzato.

Non ti sarai perso?” Chiese lei, portandosi una mano alla bocca per nascondere il riso. “Persino River è in grado di ritrovarmi.” Commentò, indicando con il mento dietro di lui. Steve si voltò, vedendo la bambina dalla pelle scura correre verso di loro in un cespuglio di ricci castani. Ignorò Steve, allungando le braccia verso Elle. Teneva in mano una scatola di pastelli a cera. Elle si piegò sulle ginocchia. “Sei riuscita a scegliere, alla fine?” Esclamò, prendendo il pacchetto in mano. “Convinta?” Chiese, con espressione divertita ed un sopracciglio alzato. La bambina annuì, mentre Elle si rialzava, guardando di nuovo Steve. L'uomo le prese i pastelli con le mani, chiedendo il permesso con lo sguardo. “River, questo è Steve. Steve, questa è River.” Fece le presentazioni Elle, impacciata. River si avvicinò all'uomo, guardandolo dal basso. Steve si abbassò sulle ginocchia, imitando Elle poco prima. “Sono degli ottimi colori.” Commentò, facendo per passarglieli. La bimba gli prese la mano, scuotendola con decisione.

Piacere.” Parafrasò Elle. River sorrise all'uomo, tornando dalla donna. Si mise fra la bionda ed il carrello, i piedi incastrati sulle sbarre sopra alle ruote. Rogers si rialzò, ridacchiando, e mise i pastelli nel carrello delle due.

Elle iniziò a spingere il carrello, mentre Steve la affiancava. “Cucinerai tu allora domani? Per questo sei a fare la spesa?” Cercò di fare conversazione lei. Lui avrebbe voluto chiederle molte cose, anche se non si vedevano solo da tre giorni. In quei tre giorni,era successo il finimondo.

Ma c'era River, ed era quasi Natale. Sospirò, guardandola. “Si, ci penso io con Wanda mentre Samuel e Visione addobbano.” Elle fischiò ammirata. “Io e Nat arriveremo verso le cinque per aiutare...” Commentò, accarezzando la testa della bambina. “Non prima.”

Immaginavo che tu fossi tornata a casa, dopo il colloquio.” Esclamò lui. Elle annuì, stringendosi istintivamente alla bambina. “Non avevo poi molta scelta. Ma sono felice.” Ammise la donna, guardandolo. “Per quanto la addobbiamo, una base militare non sarà mai una casa.” Steve annuì, pensieroso. “Quindi, una vita normale. Sei a fare la spesa, con la tua... Bambina...” Esclamò lui, cercando di nascondere il tono leggermente mesto. River alzò gli occhi su di lui, scrutandolo. Elle annuì. “Ho un paio di colloqui nelle prossime settimane, ma per ora mi godo River.”

Tuo padre?” Chiese lui, leggermente teso. Elle lo guardò, sorridendo appena. “E' ripartito.” Si strinse nelle spalle allo sguardo infastidito di Steve. “Doveva vedere Jane Foster. Lo capisco.” Accarezzò il capo della bimba. “Io ho lei, e la signora West, e Natasha... E voi, alla base...” Commentò, piano. “Lei non ha nulla se non un fidanzato alieno che non c'è, e mio padre. E so per certo che uno dei due è una presenza statisticamente deludente.” Ridacchiò piano. Steve le appoggiò una mano sulla spalla, fermandosi. “Ti vuole bene, si vede.” Elle annuì, sorridendo, senza incrociare il suo sguardo.

Ho visto Nat, vado a farle uno scherzo. “Commentò la svedese, abbandonando il carrello. Steve la guardò perplesso. “Guarda River. O meglio...” Si voltò verso la bambina. “Non perdere di vista Steve, o potrebbe perdersi di nuovo. Come minimo, incontrerebbe Odino.”

La bambina allungò le gambe giù dal carrello, mentre afferrava la manica dell'uomo. Annuì convinta alla donna, che sorrise divertita ad entrambi. Steve sbuffò, voltandosi verso la bambina. “Così, ti piace disegnare.”

River lo guardò senza timore, annuendo leggermente. Lo indicò, mettendo poi le mani davanti, incrociate. Uno scudo. Steve annuì. “Si, sono io.”

La piccola si allungò sul carrello, afferrando la scatola dei pastelli a cera che aveva scelto. La aprì, mentre Steve seguiva con lo sguardo Elle che lanciava la sua lista della spesa appallottolata contro la nuca dell'altra, impaziente davanti al reparto della carne. Nat si voltò, furibonda, ed Elle la prese alle spalle. Le due fecero un po' di confusione, cercando di placcarsi a vicenda.

Sentì qualcosa tirargli la manica, e abbassò di nuovo lo sguardo. River lo guardò, prendendogli la mano. L'uomo guardò la bambina, curioso, ed aprì la mano a palmo in su. Lei allungò una mano, appoggiandogli un pastello rosso Tiziano proprio al centro. Capì subito, seguendo il suo sguardo, che era il colore dei capelli di Nat.

River armeggiò ancora un secondo con i pastelli, prendendone uno azzurro cielo. Steve si voltò di nuovo verso le due amiche, che chiacchieravano venendo verso di loro. Elle alzò lo sguardo cercando la bambina, e quando lo vide guadarla gli sorrise dolcemente. Abbassò di nuovo lo sguardo su River, che lo guardava seria, appoggiando sul suo palmo anche il secondo pastello. Gli chiuse le dita della mano con entrambe le sue, ridicolmente più piccole e delicate. Steve la guardò con occhi sgranati, mentre la piccola River non distoglieva lo sguardo.

Si, non permetterò che si facciano del male.” Sussurrò alla bambina. Le sue labbra si aprirono in un sorriso, mentre si allontanava dall'uomo e correva verso Nat. La rossa la abbracciò, ridendo. “Scimmietta, non ci vediamo solo da due giorni, cos'è tutto questo affetto?” Chiese sarcasticamente, voltandosi poi a sbuffare verso Steve. “Sei riuscito a perderti.”

Elle lo affiancò, riprendendo il carrello, mentre andavano tutti verso il banco dove avrebbero dovuto scegliere un prosciutto per la cena del giorno dopo. Nat avanzò, tenendosi River aggrappata addosso come un panda al suo eucalipto. Steve spintonò leggermente Elle mentre le seguivano, sorridendole. La bionda alzò gli occhi al cielo.

Per fortuna.” Sussurrò lui fra sé e sé. Elle lo sentì, e abbassò lo sguardo, arrossendo divertita.


¤


Entrò nella cucina sollevando le maniche della camicia, seguito da Wanda. La mora era ancora imbronciata: quella mattina Steve l'aveva costretta ad alzarsi ed ad andare con lui a sentire la messa in un quartiere vicino ad Harlem, da un lontano parente di Samuel che era un Reverendo.

Erano rimasti fra le ultime file, guardando la figlia di Samuel, Cheryl, che scalpitava impaziente di uscire a giocare. Steve le fece qualche faccia buffa, vedendola aggrappata al petto del padre con il viso appoggiato sulla sua spalla. Anche Wanda aveva riso, per poi ritornare nel suo ruolo di fanciulla offesa per la sveglia mattutina.

Allora, prosciutto, spezie, casseruola, dado da brodo...” Iniziò ad elencare, guardando le cose prese il giorno prima, e che aveva sistemato in modo ordinato per seguire la ricetta. Wanda ascoltava attenta. “Bene, ora cominciamo. Wanda, inizia a pelare le patate.”

La mora gli rivolse uno sguardo gelido. “Avevamo detto secondo chef.” Commentò sarcastica, afferrando il pelapatate. Steve si strinse nelle spalle. “Quindi, essendo che sono il primo chef, e poi non c'è nessun altro, secondo chef diventa immediatamente lavapiatti tuttofare.” Wanda sospirò. “Sapevo che c'era la fregatura. Non è come con i ruoli militari.” Steve sogghignò, negando con il capo.

Cominciarono a lavorare in silenzio, godendosi la pace di una giornata quasi normale. Lei avrebbe potuto far fare tutto agli oggetti, da soli, grazie alla telecinesi. Ma aveva bisogno di libere la mente, e quel lavoro ripetitivo era perfetto . Steve ogni tanto si avvicinava per complimentarsi per il suo lavoro – Bella forza, doveva solo pelare delle patate! - e dopo i tuberi arrivarono le cipolle, poi tagliò gli asparagi e, infine, si trovarono insieme a pelare le mele per la Apple Pie.

Natasha comparve verso le cinque, rubando con un dito della crema dalla ciotola che Steve stava mescolando da diversi minuti, perché se non la monti a mano, la crema non è altrettanto buona. Aveva scattato qualche foto incriminante a Wanda con il naso sporco di farina ed a Steve che indossava un improbabile grembiule lillà con le rouches, probabilmente lasciato da qualche signora della mensa. Poi anche la rossa era sparita.

Steve, posso chiederti una cosa?” Sussurrò la ragazza, mentre finiva di pelare un'altra mela. Steve le prendeva sbucciate ed iniziava a tagliarle a fettine. L'uomo la guardò, annuendo. “Secondo te, perché Visione ci ha salvati? L'altro giorno?”

L'uomo si fermò un secondo, e sospirò. “Perché siamo suoi amici. E non ci avrebbe lasciati morire in un modo così stupido.” Alzò lo sguardo su di lei, sorridendo leggermente. “Perché me lo chiedi?” La mora si strinse nelle spalle.

Se però...” Commentò l'altro, iniziando a disporre le fettine di mela sulla torta. “Tu mi stessi chiedendo se avrebbe agito così velocemente se non ci fosse stata una certa persona sul quinjet...” Si interruppe appena, osservando l'amica che lo guardava con gli occhi sbarrati. “E' piuttosto evidente che ci tiene a a te. Ti è sempre stato affezionato: penso che sia per questo motivo che è venuto qui, invece che rimanere con Stark.”

Siamo molto legati.” Commentò appena la donna, abbassando lo sguardo. Steve sorrise. “Non c'è nulla di male.”

Lui è un androide.” Commentò lei. Lui sorrise serenamente, fermandosi e guardandola. “E' Visione.” La corresse. “Ed è stato la tua ombra da quando sei arrivata qui.”

Wanda lo guardò senza rispondere. Steve ricominciò a disporre le fette di mela sulla torta, sorridendo fra sé e sé. Wanda ricominciò a sbucciare le mele.

Ti consiglio solo...” Esclamò lui, prendendola alla sprovvista. “...Pensaci.”


¤


Elle spinse con quanta forza aveva il fondo del grosso vaso, cercando di farlo passare attraverso la porta che dalla stanza della squadra dava sul cortile. Una semplice porta anti incendio, di quelle grigie e con una grossa maniglia arancione.

Manca poco!” Urlò Samuel, che tirava il povero abete dalla punta, i piedi puntellati ai lati, sugli stipiti della porta. Elle emise un grugnito. “Portarlo dall'ingresso no, vero, facciamo troppa strada, rischiamo che Wanda ci veda...” Scimmiottò l'amico. Samuel cercò di guardarla attraverso i rami e gli aghi della pianta. Rinunciò quasi subito. “Che tu sia maledetto, Samuel Wilson.”

Natasha sospirò, guardandoli come due bambini che litigano forsennatamente. Appoggiò lo scatolone delle decorazioni, il cui contenuto era scritto con calligrafia illeggibile sul cartone, e si avvicinò a Sam. “Non passa?”

Deve passare.” Commentò lui, astioso. Nat gli scoccò un'occhiata perplessa. “Non passa.”

Natasha, invece che rimanere lì a conversare con quel maledetto piccione, perché non ci dai una mano?” Esclamò Elle, che in effetti era all'esterno dell'edificio, e non sentiva più le dita dei piedi. Natasha sospirò teatralmente, mentre Sam mollava la presa. “Come mi hai chiamato? Piccione?” Esclamò offeso. “Falcon sta per Falco, non so se ti è chiaro questo, straniera.”

Elle ringhiò da oltre la massa di aghi verdi.

Vado a chiamare Rogers se non vi calmate!” Li mise in riga la rossa. Si avvicinò a Sam, che riprese l'albero, e afferrò il tronco anche lei. “Al tre...”

L'albero entrò con un tonfo nella stanza, atterrando Sam e Natasha sopra di lui. Elle rimase in piedi, immobile, le braccia ancora tese in avanti.

State bene?” Chiese piano.

Samuel alzò lo sguardo, incontrando quello verde e perplesso di Natasha. Per la prima volta nella sua vita, fu sicuro di essere arrossito. Sentiva le mani dell'amica appoggiate sul suo petto, e il suo respiro contro le labbra. La guardò un secondo, con un brivido. “Si, penso che stiamo bene. Anche se lo choc ha causato a Sam la perdita della parola.”

Elle fece rotolare il povero abete, ormai parzialmente spoglio, e tese una mano all'amico. Nat si rialzò, sotto lo sguardo incredulo della svedese. Davvero non se ne accorgeva?

Samuel accettò la sua mano, alzandosi a fatica. “Non chiamarmi mai più piccione.” Commentò solo. Elle gli diede una spallata. “Agli ordini.”

Iniziarono ad allestire la stanza, appendendo festoni dorati e prendendosi in giro a vicenda per chi aveva meno gusto in fatto di addobbi. Nat ad un certo punto estrasse dal borsone una bottiglia di vino rosso, ed i tre cominciarono una festa privata, chiedendosi che fine avessero fatto gli altri.


¤


Erano le otto quando Steve si diresse, seguito da Wanda, verso la palestra degli Avengers. Sapeva che gli altri avevano portato un tavolo, ed era piuttosto in ansia. Sapendo che tutta la serata era stata organizzata per l'amica, aveva spedito Wanda a mettersi degli abiti puliti, e la sokoviana lo seguiva in silenzio avvolta in un caldissimo maglione nero, tenendo fra le braccia il grosso piatto delle lasagne.

Steve spinse con la schiena la porta della palestra, facendo entrare prima l'altra.

Wanda si guardò attorno sorpresa: fili dorati penzolavano ovunque, ed il tavolo da lavoro dove di solito facevano la manutenzione delle armi o delle tute era stato coperto con una tovaglia beige. Sopra, erano stati messi tanti candelabri con candele rosse, e poco più in là brillava un albero coperto di lucine intermittenti.

Aprì e richiuse la bocca più volte, sospirando. “E' meraviglioso! Per chi è questa sorpresa-”

Si interruppe, vedendo che Elle, Samuel, Natasha e Visione la stavano guardando, sorridenti. “Per me?” Chiese in un sospiro. Nat annuì, mentre Samuel mulinava le sopracciglia e indicava con un cenno della nuca Visione, che la fissava nella sua forma umana.

Elle tirò un calcio a Samuel, avvicinandosi e prendendogli i piatti da portata dalle mani. Li appoggiò sul tavolo, in silenzio, mentre tutti si avvicinavano.

Davvero avete preparato da soli tutto questo ben di dio?” Esclamò Samuel, guardando interdetto l'amico. Steve, per tutta risposta, prese dal un festone una palla di plastica verde e gliela lanciò contro.

Si sedettero tutti a tavola, mangiando e chiacchierando come una normale banda di colleghi di lavoro. Anzi, amici.

Wanda non poteva credere che fosse stato fatto tutto per lei. Afferrò il bicchiere che le porgeva Steve, rispondendo con un sorriso, e alzò il calice insieme a quello di tutti gli altri. “Buon Natale, Avengers!” Commentò ridendo Samuel.

Natasha ed Elle si spazzolarono via senza troppi complimenti un quarto di torta alle mele, sotto lo sguardo compiaciuto del cuoco. Sam aprì un'altra bottiglia, parlando con Visione, che però sembrava distratto.

Dopo il discorso con Steve, Wanda si sentiva in imbarazzo anche solo ad incrociare il suo sguardo, chiaro e limpido come quello di un bambino. Come poteva essere un androide? Come poteva una macchina avere quello sguardo? Quello sguardo pieno di attesa, pieno di amore. Wanda si strinse nel maglione, imitando Samuel e prendendo una grossa sorsata di vino. Sam le fece l'occhiolino, indicando Visione che si era allontanato verso il corridoio vuoto. Le riempì di nuovo il bicchiere, sorridendo enigmatico, per poi lanciarsi in una conversazione con Steve.

Si alzò, incerta, dicendo a Natasha che doveva andare al bagno. Scusa classica, come agente faceva proprio schifo. Uscì in silenzio dalla stanza, torturandosi le mani.

Ti piace la festa?” Chiese piano una voce dietro di lei. Si voltò di scatto, sbattendo proprio contro l'uomo che stava cercando. Alzò il viso, ringraziando la penombra in cui erano immersi. “Si, molto.”

Visione le sorrise, “Ti vogliono tutti bene. Nonostante tu abbia cercato di uccidere praticamente metà di loro.” Scoppiarono a ridere sottovoce, quasi nascosti rispetto al mondo, ed alle persone che chiacchieravano tranquille nella stanza a fianco.

Ti ho fatto una cosa... E' solo un pensiero.” Ammise lui. Lei lo guardò, sorpresa. “So che qui si usa fare regali in questo periodo. In realtà, era da tempo che avevo questa cosa, ma non avevo ancora trovato l'occasione giusta.” Tornò un secondo nella stanza, dove aveva lasciato il soprabito, per poi raggiungerla di nuovo.

Le mise in mano una piccola scatola di raso viola, sorridendo.

Tony mi ha permesso di usare il suo laboratorio per farti questa...” Lei aprì la confezione con la punta delle dita, come temendo che dentro ci fosse l'anima dell'altro, pronta a fuggire dalla sua presa.

Un piccolo pendaglio triangolare era occupato per metà da una pietra color granato, e per l'altra metà da un freddo opale di un pallido azzurro. “Così ti ricorderai che, ogni volta che ti guardi allo specchio, vedi anche lui. Pietro. E' sempre qui, con te...” Wanda alzò lo sguardo, presa in contropiede. “Visione...”

Rimase diversi secondi a bocca aperta, senza sapere cosa dire. “Come puoi essere un androide?” Chiese, senza fiato. Lui sorrise. “Non sono nulla che puoi etichettare così facilmente, Wanda. Hai il mio affetto: ti basti sapere questo.”

L'altra, lentamente, lo abbracciò, passandogli le braccia oltre le spalle. Lui la cinse leggermente per la vita, come spaventato dalla sua fragilità. Wanda sospirò.

Non capisco che Stark possa aver creato una creatura così meravigliosa.” Visione le sorrise appena, sfiorando con le labbra la fronte della ragazza. “Anche il Capitano Rogers crede ad una creatura sovrannaturale, terribile e senza pietà, e che questa abbia creato l'umanità. Forse è destino che le creazioni superino il loro creatore in quanto a bellezza.”

Modesto.” Ridacchiò lei, rilassandosi nel suo abbraccio. Visione la seguì nella sua risata. “Tony non è malvagio quanto pensi. E' solo umano, e spaventato. Dovresti comprenderlo. “

Wanda si strinse nelle spalle. “Lo siamo tutti. Non per questo creiamo armi, o distruggiamo città.” Visione rimase in silenzio. Wanda non riuscì a capire se era un tacito assenso o un tacito rifiuto. Sentirono ancora risate, dalla stanza accanto. Era arrivato Rodhes, probabilmente entrando dalla porta sul retro, e si stava servendo da bere chiacchierando con Elle. Natasha e Samuel ballavano ridendo e scoppiando tubi di coriandoli contro Steve. L'uomo era l'unico ancora seduto, e guardava Elle che parlava concitatamente a War Machine.

Dovremmo entrare.” Commentò pacatamente Wanda. Visione la strinse più forte per un secondo, per poi lasciare la presa. Lei gli mise fra le mani la scatola. “Puoi aiutarmi?” Chiese, voltandosi e tenendo i capelli alzati. L'altro annuì, mettendole la collana con un sorriso. “Andiamo?”

Wanda gli prese la mano, e si alzò sulle punte degli stivali marroni. Gli lasciò un leggero bacio sull'angolo della bocca, facendolo sorridere incredulo. “Andiamo.”

Entrarono per mano, per poi dividersi fra gli amici, sorridendosi però da un lato all'altro della sala per tutta la serata. Nessuno di loro poteva immaginare quanto poco sarebbe durato quel momento di quiete prima della tempesta. 

xXx

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Capitolo 18
*** 17. Famiglia ***


Ultimo capitolo del 2015! UHUUUU
Quindi, bando alle ciance che è già tardi. Capitolo non betato!


Atto 17: Famiglia


"I wondered through fiction to look for the truth,
Buried beneath all the lies.
And I stood at a distance,
To feel who you are,
Hiding myself in your eyes."

GOO GOO DOLLS



Dicembre 2015


Elle entrò nella sala conferenze come una furia, fronteggiando uno Stark che stava spaparanzato su una delle poltrone in pelle nera, masticando uno stuzzicadenti con fare annoiato. Lei poteva vedere chiaramente come lui stesse fingendo una sicurezza che in realtà era a malapena superficiale. Come se Stark fosse seduto un un grande palcoscenico, pieno di luci e costumi sgargianti, recitando imbellettato il ruolo dell'eroe impavido.

Elle spintonò le sue gambe giù dal tavolo di vetro, prendendogli un polso e costringendolo a voltarsi a guardarla. Gli occhi della donna erano due tizzoni incandescenti di un azzurro quasi doloroso da guardare.

Allora, hai già detto al generale Ross che saremo i suoi soldatini?” Sussurrò sarcastica. L'uomo si irrigidì, mentre la ragazza lo lasciava andare sotto lo sguardo attento di Samuel. “Lascialo stare, Elle.”

Siamo sulla stessa barca, poteri o non poteri.” Commentò Stark. Elle lo guardò torva. “Dobbiamo farla funzionare, Selvig, questa cosa.” La svedese si voltò, esasperata, cercando la figura di Wilson, sulla soglia, che alternava occhiate preoccupati tra il corridoio la stanza, indeciso su quale situazione fosse la peggiore.

Comunque, contento che tu stia bene. Perché ti sono stato dietro, quando sei stata in coma, te lo ricordi, vero?” Chiese caustico. “Ero io quello con i macchinari e che capiva cosa stesse succedendo, non Rogers che piangeva al tuo capezzale.”

Elle sbatté i pugni davanti a lui, guardandolo dritto negli occhi. “Dolce, Stark, ma non abbastanza da non farmi desiderare di calpestarti.”

Elle...” Sussurrò Samuel, guardandoli con tono di rimprovero. “Dobbiamo almeno sembrare uniti, stanno arrivando anche gli altri.”

La svedese si sedette senza emettere un fiato lungo il tavolo, di fianco a Stark.

L'uomo si voltò verso di lei, guardandola senza quella scintilla divertita che lo accompagnava sempre. “Ti prometto che cercherò di far andare le cose per il meglio, Selvig. Non dimenticarti che anche Pepper dopo Extremis è considerata una mutante.” Elle avvicinò il suo capo a quello dell'uomo, decisamente più calma, senza distogliere lo sguardo dalla porta. “Allora usa tutte le tue doti oratorie e tiraci fuori da questo pasticcio, Stark.”

Facile a dirsi. Potevate fare meno casino a Lagos: quello sarebbe stato davvero d'aiuto.”

Si allontanarono l'uno dall'altra giusto in tempo per vedere sfilare dentro la stanza Rogers, Romanoff e uno stuolo di militari e politici. Erik Selvig si fermò sulla soglia, a disagio, per poi dirigersi deciso verso di lei, guardandosi attorno con sguardo perso . “Che ci fai qui, papà...” Sussurrò lei quando lui si avvicinò, con le sopracciglia aggrottate. L'uomo le si sedette accanto, voltando la sedia nella sua direzione e prendendole le mani, sotto lo sguardo di tutti. “Tu che ci fai qui, Elle. Dimmi che non è vero. Che non sei entrata negli Avengers.” Commentò sottovoce con tono irato. “Papà, non qui.” Esclamò lei. Lui scosse la testa, voltandosi verso il generale Ross.

Generale, signore, come lei sa la signorina è mia figlia, e non ha la cittadinanza americana... Non può quindi essere inclusa nei vostri trattati, e chiedo di poterla portare fuori da questa stanza.” Selvig Senior si torse le mani fra loro, la camicia marrone con una discutibile fantasia scozzese leggermente tesa sulla pancia. “Papà, ti prego, no...” Sussurrò Elle, appoggiandogli una mano sulla spalla. Lui appoggiò la sua mano su quella della figlia, voltando appena il capo.

Rogers si voltò verso i due. “Accordato.”

Capitano, non ha nessun potere in questa sede.” Cercò di riprenderlo Ross. Steve lo fulminò con uno sguardo che avrebbe fatto rabbrividire chiunque.

Accordato.” Ripeté gelidamente l'uomo. “Selvig e Selvig, uscite da questa stanza.”

Ross fece una smorfia. “Vi faremo richiamare, se dovesse rendersi necessaria la vostra presenza. Ovviamente, non potrete lasciare la base fin a nuovo ordine.” Erik annuì con forza. Elle guardò Steve con un misto di preoccupazione e rabbia. Aveva capito cosa voleva fare: appena aveva avuto l'occasione di sganciarla da quella situazione servita su un piatto d'argento, l'aveva colta. Uscì a testa bassa, il padre che non la perdeva di vista un secondo.

Che ti è preso?!” Esclamò infatti appena furono nel corridoio vuoto. Elle sospirò, chiudendosi la porta alle spalle.

Pensavo fosse una fase adolescenziale, quella delle moto e dei cattivi ragazzi e della scuola di arti marziali. Hai ventisei anni!” Urlò l'uomo, voltandosi verso di lei.

Dovresti avere un ufficio, e magari sposarti e mettere su famiglia! Avere una vita!” Un torrente in piena di parole usciva dall'uomo, che si passava le mani fra i radi capelli biondi, la camicia che segnava il fisico segnato dall'età e dal lavoro sedentario. “Si, per poi scappare. Come te.” Elle annuì, fingendosi convinta. “O peggio, entrare in qualche organizzazione terroristica filo-nazista.” Erik si immobilizzò in mezzo al corridoio.
“Quando pensavo alla nostra vita in America, per portarti via da tutto ciò che anche solo lontanamente aveva a che fare con tua madre, non parlavo del fatto che saresti diventata la migliore amica di Captain America, maledetto me”

Mamma era dell'Hydra, si o no. Rispondimi.” Elle lo fermò, la mano aperta davanti al suo viso per interromperlo. Erik sospirò. “Non so a che organizzazione facesse riferimento, so soltanto che ti voleva assassina o assassinata, maledizione!”

E tu mi hai lasciato là!” Urlò la ragazza, sconvolta. “Perché non avevo scelta! “Le urlò in faccia il padre. “Mi ha giurato che se mi avesse rivisto ti avrebbe uccisa, ed io avrei dovuto fregarmene, perché tu non eri veramente mia figlia, o avrei dovuto accorgermene prima, ma lei era così intelligente, così astuta...” Le diede un attimo le spalle, gli occhi lucidi e le mani premute sulla bocca. “Mi sono trovato esiliato in un paese non mio, con il cuore spezzato non una, ma due volte!” Sussurrò lui.

Elle rimase dritta, dietro di lui, lo sguardo perso nel vuoto, e gli occhi così simili ai suoi, ma allo stesso tempo così pieni di rabbia e solitudine. L'uomo non aveva il coraggio di voltarsi a fronteggiarla, non dopo aver incontrato quegli occhi.

Ci sono stati momenti in cui ho progettato, pianificato, di venirti a riprendere, di rapirti; e poi mi sono trovato con un'altra bambina aveva bisogno del mio aiuto e...”

Elle emise un gemito strozzato. “Non dirmi che non mi hai più considerata per crescere Jane Foster.

No, lei era già grande quando suo padre è morto...” Ammise lui. “Però mi mancavi meno. Quando tua madre è morta, però, sono corso da te. TI ho portato via. Ma avevo paura, e non ti capivo. Sono stato indeciso troppo a lungo, se amarti o odiarti. E quando mi sono reso conto di riavere finalmente mia figlia, la mia bambina, era troppo tardi e ormai ti avevo già perso.”

Elle rimase immobile, mentre il padre si voltava verso di lei, lentamente, guardandola veramente per la prima volta da vent'anni a quella parte. “Pensavo stessi avendo una vita, una vita normale, lontano da tutto questo... Non aveva senso dirti che non eri veramente mia figlia, anche perché non avrei avuto tutte le risposte, e avevo paura di dove saresti arrivata per cercarle...” Si avvicinò alla figlia, prendendole le braccia con le mani. “So che forse mi odi, e di sicuro non temi il mio giudizio. Ma, Elle, queste cose sono più grandi di te e di me!” Indicò la stanza dalla quale erano usciti. “Ho visto la tua cartella: non sapevo nemmeno che tu fossi stata nell'esercito!” Esclamò piano. “Ma sappi che io non ho mai voluto questo per te. Non so cosa pensasse Annette, quando ha deciso che sua figlia sarebbe stata un'arma. Non so come abbia fatto a renderti così. Ma va bene così, sei qui e stai bene.” Le appoggiò una mano sulla spalla, mentre lei voltava il capo, gli occhi pieni di lacrime. Lui ormai aveva le gote completamente umide, e gli occhi sembravano pozze d'acqua limpida.

Sei una donna meravigliosa, e puoi avere un futuro radioso. Hai ancora molte esperienze da fare, posti da visitare, persone da conoscere. Non immolarti per niente e nessuno, se non sei sicura che ne valga la pena. Ti prego, ripensaci.”

Steve e Natasha uscirono giusto in tempo per vedere Elle piangere. Si era portata una mano al volto, reprimendo senza successo un singhiozzo. Erik si avvicinò per abbracciarla, ma la donna fece un passo indietro. Lo guardo del padre divenne ghiaccio liquido, mentre guardava la figlia scuotere il capo.

Elle, l'espressione sconvolta, si portò una mano al volto, abbassando poi lo sguardo sulle sue dita umide di lacrime. Lo alzò di nuovo, guardando prima il padre, le braccia ancora tese verso di lei, e poi gli amici appena fuori dalla porta della stanza.

Scosse il capo, correndo via da quel corridoio, come se potesse lasciarsi tutti quei discorsi e quel dolore alle spalle.


~

Avete agito indisturbati per troppo tempo, e non siete in grado di controbattere alle minacce che si stanno avvicinando. Dobbiamo essere oggettivi: Captain America e la sua squadra non sono stati in grado di debellare l'Hydra.”

Thunderbolt Ross era l'unico in piedi, davanti ad una folla silenziosa ed attenta. Si chinò leggermente verso Rogers, seduto in borghese ad uno dei capi della tavolata.

A prescindere da quanti nemici sono stati abbattuti dall'inizio del progetto Avengers, le vittime civili ed i danni collaterali sono stati esageratamente ingenti. Agite senza controllo, senza criterio e senza giurisdizione.” Steve rimase in silenzio, la mascella contratta e lo sguardo fermo che cercava quello di Natasha. La rossa, invece, aveva la sedia girata verso Stark, e le braccia incrociate sulla camicia scura.

Non è stato tutto vano, però. Spero che sia possibile salvare lo spirito della squadra. Ma, nonostante il mio dispiacere-” La sua espressione era tutto tranne che afflitta, una smorfia sotto i baffi chiari. “-mi trovo costretto a congedare dal comando il Capitano Rogers con azione immediata per conflitto di interessi.”

Samuel si alzò di scatto, la sedia che cadeva a terra, mentre Natasha si voltava con sguardo scioccato. Wanda trattenne il respiro, mentre Visione e Stark rimanevano impassibili, scambiandosi uno sguardo d'attesa.

In conflitto di interessi rispetto a cosa?!” Chiese Samuel, gonfio d'indignazione.

Ross sogghignò, estraendo da una cartelletta delle foto e lanciandole sul tavolo in un gesto teatrale.

Steve e Natasha stavano camminando nel deposito dei container, a Lagos, lei con le armi in pugno e lui con lo scudo appeso al braccio. Si stavano guardando attorno, e ne avevano motivo.

Steve rimase a fissare la foto, basito, mentre nella stanza scoppiava il caos.

E' quell'assassino, quello dell'Hydra.” Natasha rimase immobile, le dita che artigliavano il tavolo, un lampo di paura negli occhi verdi.

Solo una cosa passava per la mente di Steve, momentaneamente ghiacciata dalla sorpresa.


Tornate indietro.” Esclamò improvvisamente Elle. “Non c'è nulla lì.”

Falcon ha preso un abbaglio.” Sentì Elle emettere un respiro profondo. “Dovete andare verso est, verso il mare. Allo scalo marittimo abbandonato.”

James Barnes li stava osservando da dietro un container, nel magazzino portuale di Lagos. Sempre James era in mezzo alla folla in tumulto, con una felpa blu che gli copriva il capo ed una borsa regolamentare dell'ex S.H.I.E.L.D. sulle spalle. Era la sua felpa blu. Era quella che aveva lasciato ad Elle, prima di quella maledetta missione. Ma soprattutto, si soffermò sugli occhi dell'uomo. Contratti dal panico, pieni di dolore.

Erano gli occhi del suo Bucky.


~



Il nostro amico comune non vorrebbe vederla così.”

Steve, si sedette sulla fredda panca di ferro, davanti all'uomo che stava quasi accasciato sul tavolo in metallo. Erik Selvig alzò lo sguardo, lanciandogli un'occhiata torva e portandosi il bicchiere colmo di liquido trasparente alle labbra. “Non chiedermi come ho fatto a farmi dare della Vodka in una base spionistica.”

Steve fece un ghigno, appoggiando i gomiti sul tavolo. “Non è il primo che torna qui con qualche problema da affogare.” Commentò, indicando il bicchierino. Erik lo guardò appena, facendo un cenno ad una delle signore dietro lo scaldavivande. “Berenice, cara, portami un altro bicchiere per il mio amico.”

Un donnone imponente in un grembiule lilla andò verso i due, appoggiando con fare rude un bicchierino di vetro, rigato dai molti lavaggi in lavastoviglie, lanciando uno sguardo raggelante ad entrambi. Steve le sorrise cordialmente, poco convinto, mentre Selvig faceva un gesto vago con la mano. “Grazie, Berenice.”

Erik sollevò il braccio, versando una generosa dose di vodka a Rogers. “Alla tua.” Commentò, svuotando il suo bicchiere. Steve ringraziò e bevve un piccolo sorso.

Cosa ti porta da queste parti, Capitano?” Sputò fra i denti lo svedese, senza alzare lo sguardo. Steve sospirò, appoggiandosi con un braccio al tavolo e voltando il busto verso l'ingresso della grande sala. “Sua figlia le somiglia davvero tanto, sa?”

Erik gli lanciò uno sguardo poco convinto. “Non ci giri intorno, Capitano. Non dimentico che è lei che la mette in pericolo.”

Steve scosse il capo. “Conosce abbastanza sua figlia da sapere che non si mete in situazioni di pericolo se non lo ritiene strettamente necessario.”

Ora lo so.” Rispose sottovoce l'uomo. Steve sospirò.

Elle non era l'unica ad avere dei segreti, almeno questo l'ho capito.” Esclamò il giovane, sollevando di nuovo il bicchiere. Erik lo guardò. “Non ti verrò a raccontare tutti gli affari miei, ragazzo.”

Steve ridacchiò. “Non oserei mai..” Bevve un sorso dal bicchiere, strizzando il viso in un'espressione disgustata. “...Vorrei solo che non giudicasse troppo duramente sua figlia. Lei vuole solo fare del bene, come tutti noi.”

Erik lo guardò un secondo, un mezzo sorriso sulle labbra sottili. “Ripeto, perché sei qui, ragazzo?”

Elle è testarda, e nelle ultime settimane ha subito parecchi colpi bassi-” Steve pensò che fosse il caso di glissare sulle diverse ore in cui la figlia dell'uomo davanti a lui era rimasta morta. “-Cerchi di capire la sua reazione di oggi.”

Erik lo guardò un attimo, perplesso. “Pensavo sarebbe venuta Hill a farmi questo discorso. Oppure la rossa che le è corsa dietro.” Riempì di nuovo il bicchiere di entrambi. “Non pensavo sarebbe venuto Captain America in persona.”

Steve abbassò lo sguardo. “Elle meritava di avere le sue amiche vicino. Non l'ho mai vista così scossa. Lei di solito è quella più controllata, sostiene sempre tutti. In più...” Osservò perplesso il contenuto del suo bicchiere. “Natasha avrebbe giudicato questa vodka come imbevibile, un vero affronto alla cultura russa.”

I due scoppiarono a ridere, ai due lati del lungo tavolo. Selvig lo guardò, gli occhi assottigliati in una smorfia divertita. “Thor teneva in grande considerazione la tua opinione, spero tu lo sappia.” Steve sorrise. “Anche io ogni tanto vorrei potergli chiedere delle cose. Mi manca il suo parere, su molte questioni.”

Quel ragazzone manca sempre a tutti. Non si sa mai quando parte o quando possa tornare.” Asserì Selvig. Steve annuì.

Volevo assicurarle che Elle sarà al sicuro, qualsiasi cosa decida di fare dopo oggi...” Esclamò Steve, guardandolo deciso. “Sia che resti nella squadra, sia che decida diversamente... Le sarò sempre vicino. E' sagace in modo quasi doloroso. Ed è più testarda di un mulo. Ma è una delle persone più generose, e sensibili, e intelligenti che io abbia ma conosciuto. Non permetterò a nessuno di farle del male.” Concluse, accorato.

Oh dei...” Sussurrò Selvig, allontanandosi dal piano del tavolo, le braccia tese.

Non so nemmeno se darti del tu o del lei, alla fine sei parecchio più vecchio di me.” Biascicò l'uomo, guardandolo di sottecchi. “In più, devo impormi in qualche modo, visto che sei chiaramente invaghito di mia figlia.”

A Steve andò di traverso la vodka, mentre Selvig rideva fra sé e sé. “Jane che scappa con Thor, ed adesso Elle e Captain America..” Scolò tutto d'un fiato l'ennesimo bicchiere, sbattendolo sul tavolo.

Steve scosse il capo. “Sono affezionato a sua figlia, voglio che stia bene. Non c'entra nulla il fatto che io possa essere o non essere innamorato di lei.” Commentò, imbarazzato. Selvig alzò gli occhi al cielo. “Sai che questa frase vale come una conferma? Avresti potuto direttamente dire 'Si, signore, vorrei chiederle la mano di sua figlia'.” Steve alzò il capo di scatto. “Si usa ancora?” Chiese di getto.

No!” Esclamò ridendo nervosamente Selvig. “E comunque, qualsiasi risposta possa darti, Elle farà sempre quello che le pare, e tu non sei tipo da farti spaventare da un povero vecchio. Il primo passo, ragazzo, in ogni caso, è ammetterlo.”

E' una questione di rispetto, non di muscoli.” Controbatté Steve. “Elle la rispetta. Magari non le ha mai mostrato affetto, ma so che ci tiene a lei. Le vuole molto bene.”

Come fai a dirlo?” Chiese l'altro con un borbottio. Steve gli sorrise. “Perché me lo ha detto. Magari non a parole. Ma mi ha parlato spesso di lei.”

L'uomo lo guardò per un lungo momento dritto negli occhi. Steve si stupì di quanto fossero simili, lo sguardo acceso e le sopracciglia decise. Bevve un altro sorso di quella vodka terribile, sorridendo fra sé e sé.

Sono contento.” Esclamò improvvisamente Erik. Steve lo guardò, sorpreso. “Di cosa?”

Che Elle abbia una persona come te che le vuole bene. Qualcuno che la sostenga.” Commentò l'altro. Lo indicò. “Qualcuno che faccia quello che avrei dovuto fare io.”

Steve non si espresse, guardandosi attorno. Erik fece per alzarsi.

E' ora per me di andare a parlare con mia figlia, e poi ripartire.” Steve si irrigidì.

Non dica a sua figlia di questa conversazione, per piacere.” Chiese, guardandolo dal basso. Selvig ridacchiò. “Il tuo segreto è al sicuro con me, Romeo.” Gli lasciò la bottiglia di vodka, sospirando. “Ti consiglio di farti avanti, in ogni caso. Elle ha sempre avuto un debole per gli uomini sbagliati: un bravo ragazzo manca, nella sua vita.”

Steve alzò un sopracciglio, ma prima che potesse chiedergli altro, l'uomo lo interruppe. “Spero che mi vorrà parlare. Comunque, io faccio il tifo per te, ragazzo.”

Selvig fece il giro del tavolo, battendogli una mano sulla spalla. Si allontanò, leggermente storto ed a passi incespicati. Steve sospirò, osservando la bottiglia che aveva davanti. Si versò un altro bicchiere, riflettendo sulla conversazione appena avuta con l'uomo.

Capitano!” Lo chiamò dal fondo della sala Selvig. Steve si voltò. “Mi dica!”

Posso chiamarti genero, allora!” Urlò l'altro, da un lato all'altro della sala.

Steve si appiattì sul tavolo, sentendosi arrossire fino alle orecchie. Selvig uscì ridendo a gran voce, mentre Steve svuotava il suo bicchiere di vodka alla goccia, sorridendo imbarazzato.


~


Sa perché è stata convocata qui, Signorina Selvig?”

Elle rimase immobile, seduta sulla scomoda poltrona in pelle gelida, con davanti a sé sei uomini in completi costosi. Il generale Ross stava dritto davanti a lei, fissandola senza nemmeno sbattere le palpebre. Se voleva intimidirla, doveva fare di meglio. “No, non mi è stato spiegato perché sono stata privata delle mie ore di riposo per essere portata qui in grande fretta e, probabilmente, all'insaputa di Fury e del Capitano.”

Lei era psicologa qui, fino a poche settimane fa, quindi oltre che agente operativo sul campo, rimane anche un'osservatrice di prim'ordine sulla funzionalità della squadra.” Elle annuì.

Non essendo cittadina americana, e non essendo nemmeno nella lista per ottenere una cittadinanza, non posso costringerla ad un giuramento. E nemmeno farle firmare un probabile accordo.” Elle annuì ancora, annoiata.

Quindi...” Sondò le menti di coloro che stavano di fronte a lei. “Perché sono qui.”

Perché voglio un suo rapporto, sincero, sul ruolo del Capitano Rogers nella squadra Avengers.”

Elle si espresse con uno dei suoi migliori sguardi perplessi. “Davvero pensa sia necessario?”

Ross annuì, infastidito. Elle si schiarì la voce, pensando.

Dopo Charles Xavier, Steve Rogers è l'unico che è riuscito a fornire una guida morale ad un gruppo di persone con capacità straordinarie. Tutti guardano a lui, non solo come ottimo combattente e stratega piuttosto dotato, ma sopra a qualsiasi altra dote, come uomo giusto. Se Steve Rogers prende una decisione, è probabilmente quella moralmente più sofferta. Senza di lui, tutti coloro che sono nella squadra sarebbero senza uno scopo, dei talenti sprecati. E, probabilmente, sarebbero delle persone sole.”

Ross aprì un fascicolo, e lanciò davanti ad Elle una foto che ritraeva evidentemente Bucky Barnes. “E, a proposito di questo?”

Elle deglutì. Chiese un bicchiere d'acqua, fissando nel frattempo la foto di un James con addosso la sua felpa, che fuggiva dall'area merci del porto di Lagos.

Devo supporre che si tratti di Barnes.” Commentò, vaga. Il Generale Ross annuì.

Le nostre fonti sostengono che Barnes stia tornando tra le fila dell'Hydra. Lei si è già scontrata una volta con questa bestia...” Elle alzò gli occhi sull'uomo, lo sguardo gelido. “Barnes è stato vittima di un lavaggio del cervello, ma abbiamo motivo di supporre che si stia riprendendo bene e sia sconvolto da ciò che gli è stato ordinato di fare. Ho già stilato un rapporto sul nostro precedente incontro, e non ho nulla da aggiungere a riguardo se non che Barnes deve essere ritenuto innocente, e non usato come capro espiatorio per i fatti causati da una cellula terroristica che non siete stati in grado di controllare.” La stoccata fece storcere il viso al generale.

Per quanto riguarda Rogers, se toglierete lui dal comando, non avrete più una squadra. E non parlo di qualche trafficante di armi, o dell'Hydra. Parlo dell'invasione aliena di New York. Non ci sarà nessun fronte unito a difendere la terra. Quindi...”

Si alzò lentamente, accorgendosi in quel momento di quanto era stanca. “...Ricordate sempre che noi non siamo delle pedine, e nemmeno un commando. Siamo una famiglia di reietti della società, che ancora si ostinano a lottare per il meglio. Si, ci sono state delle vittime civili...” Si portò una mano al petto. “Nelle mie missioni, ho sempre visto morire più innocenti di quanti sarebbe stato equo. Noi siamo una famiglia, e come tale ci proteggeremo. Sempre.”

Li guardò uno ad uno, cogliendo i loro pensieri mentre si agitavano febbrilmente dietro a quelle espressioni di circostanza. Sorrise appena.

Steve non sarà mai un soldato perfetto. Perché è un leader. E la fiducia in lui è l'unica forma di controllo che potete vantare sulla squadra. Io non firmerò mai nulla, e non sottosterò a nessun atto, o contratto, con voi governo americano. Ma sarà sempre un Avenger, e come tale rispetterò sempre gli ordini di Rogers. Perché di lui mi fido, anche se non avrò firmato nulla. Non sarò un'altra delle vostre pedine ora, come non lo sono stata in passato.”

Si alzò lentamente, sfidandoli con lo sguardo. “Ora, se volete scusarmi, ho parecchie ore di sonno arretrato ed un disturbo acuto da Stress che mi aspetta appena sarò sola e realizzerò che uno come Rumlow mi vuole morta.”

Uscì dalla stanza ad ampie falcate, in uno sventolio di capelli biondi, mentre i vari senatori e militari si voltavano a parlare fra loro.

In un angolo, dietro due grassi politici si lamentavano dell'arroganza della giovane, Steve Rogers incrociò le braccia, sorridendo fra sé e sé.


~


Elle si strinse nel maglione grigio, guardandosi attorno, incantata dal rumore del vento fra i rami degli alberi spogli, il buio che precipitava oltre l'orlo del tetto sulla quale era seduta da qualche ora, appoggiata con i palmi delle mani al cemento ghiacciato del pavimento.

Sorrise appena, lo sguardo alto nel cielo privo di stelle dell'ultima ora prima di un'alba invernale.

Sentì la porta della scala aprirsi e richiudersi, ma non si preoccupò di voltarsi a guardare. Solo una persona sapeva che frequentava abitualmente il tetto della base. Infatti, l'uomo si sedette accanto a lei senza emettere un fiato, ed Elle lo ringraziò mentalmente per il suo silenzio.

Alzò lo sguardo sul suo polso, strizzando gli occhi per vedere il quadrante del suo orologio. Sospirò. Le quattro del mattino.

And I feel life for the very first time, love in my arms and the sun in my eyes....”

Canticchiò piano, stringendosi le braccia intorno al busto e sfregando leggermente per scaldarsi. “I feel safe in the 5am light, you carry my fears as the heavens set fire.”

Steve la guardò sorridendo. “Canti sempre nei momenti più strani.”

Elle piegò le labbra in una smorfia. “Respirare con il diaframma aiuta a calmarsi.”

Perché?” Chiese l'uomo. “Eri agitata?”

Non è stata una giornata semplice...” Lo indicò con una mano. “Per entrambi, suppongo.”

Ho provato a bussare alla tua stanza, e quando non hai risposto ho immaginato che tu fossi qui.”

Elle ridacchiò. “Magari stavo dormendo.”

Tu che dormi di notte?” L'uomo si unì alla risata. “Sarebbe fantascienza. E poi, abbiamo un tacito appuntamento su tetti e terrazzi ogni volta che succede qualcosa di eccezionale.”

Elle scoppiò a ridere. “Allora, tanto vale trasferirsi qui.” Esclamò fra una risata e l'altra, coprendosi la bocca con una mano. Steve annuì. “A questo punto. Ho portato anche...” Si voltò a prendere qualcosa che aveva appoggiato dietro di lui.

Le passò una birra, sorridendo sconsolato. Elle la afferrò, sorridendogli riconoscente. “Sei partito preparato, Captain Irlanda.”

Steve si strinse nelle spalle, senza dire nulla. Elle la stappò con i denti, per poi passargli quella aperta. Gli prese l'altra dalle mani, facendo la stessa cosa sotto il suo sguardo sorpreso. Elle sospirò, ridacchiando.

Cosa non si impara, al college.” Si interruppe, bevendo una generosa sorsata.

Steve estrasse un involto in cuoio marrone. Lo aprì su una pagina nella quale era infilata una matita. Il vecchio quaderno, anche nella luce flebile dell'illuminazione esterna, sembrava vecchio e malmesso. Steve piegò una gamba, appoggiandosi alla coscia per scrivere con una calligrafia minuscola con la matita. Elle si rilasso, tornando ad osservare l'orizzonte,

Non vi ho nemmeno chiesto cosa vi siete detti oggi, con Ross...”

Steve si strinse nelle spalle. Valutò per un secondo di chiederle di Bucky. Poi la vide così stanca e provata, e la giornata che li attendeva sarebbe stata anche più lunga della precedente. “Non molto. Siamo solo esonerati dal servizio, diciamo, finché non ci saranno date ulteriori direttive.” Elle lo guardò perplessa. Sapeva che lui voleva dirle dell'altro, ma non volle indagare oltre.

Pensi davvero di stare fermo fin a quando non avranno deciso come vincolarci?”

Steve la guardò con un sopracciglio alzato. “Secondo te?”

Elle si morse l'unghia del pollice, ghignando. “Dovremo solo essere discreti.” Commentò lui. Lei lo guardò, nascondendo un'altra risata. Lo indicò con il collo della bottiglia. “E' proprio la tua. Essere discreto.”

Qualcosa contro la mia uniforme come al solito, Selvig?” Steve fece un gesto con le braccia, come ad indicarsi. La svedese lo guardò, le sopracciglia sollevate ed il sorriso ancora sulle labbra sottili. “Anche senza uniforme, non è che passi inosservato.” Steve la guardò sorpreso.

In che senso?” Elle sollevò teatralmente le spalle, guardandolo divertita. “Sei un bell'uomo, Steve. E sei molto gentile, cosa che nel nostro secolo non è così scontata.” Steve la guardò divertito, mentre Elle beveva un altro sorso. La prima luce del sole li colpì leggermente, nel cielo terso di dicembre.

Steve la guardò un attimo, per poi iniziare a schizzare a matita qualcosa sul suo quadernino. Elle lo guardò perplesso. “Non mi sento a mio agio se so che mi stai ritraendo.” Commentò, appoggiando il mento ad un ginocchio alzato. Steve sorrise.

Dovrai abituarti, temo.” Disse piano lui, sorridendo appena. “Mi piace la forma del tuo viso, e il tuo sguardo. Vorrei essere in grado di coglierne le varie sfaccettature.”

Elle ridacchiò, guardandolo di sottecchi. “Arrabbiata. Molto Arrabbiata. Isterica.

Steve scoppiò a ridere di cuore, puntellandosi con una mano al pavimento ed appoggiando a terra il diario. “Anche pensierosa. Oppure quando ridi, per esempio quando sei con Maria. Sono i tuoi sorrisi migliori” Commentò lui, guardandola mentre fissava il vuoto con un leggero sorriso imbarazzato. “Ogni tanto guardi me, ma non è lo stesso tipo di sguardi che scambi con Maria. Vorrei essere in grado di fotografarti. Hai gli occhi che brillano, e le tue guance diventano rosa. Ti spunta una rughetta intorno al naso, e poi tendi le labbra in un sorriso. Appena accennato. Ma non distogli lo sguardo. Mai per prima.”

Elle rimase interdetta, voltandosi appena verso di lui, una cortina di capelli candidi che la proteggeva dal suo sguardo indiscreto. “E' così evidente?” Chiese in un sospiro.

Steve le fece un gesto con il capo, appena accennato, e la ragazza si avvicinò a lui, appoggiandosi con il busto al suo petto. Steve le passò un braccio dietro la schiena, mentre lei si sistemava meglio, con l'orecchio appoggiato sopra al suo sterno. Rimasero in silenzio, a guardare il sole che sorgeva sulla base.

Spero solo che tutto vada al suo posto ...” Commentò lui, appoggiando la fronte alla sua nuca, respirando l'odore del quale i suoi capelli erano impregnati a pieni polmoni, mentre Elle sospirava mestamente.  

xXx


It's quiet now, and what it brings is everything.
Comes calling back a brilliant night, I'm still awake.
I looked ahead I'm sure I saw you there.
You don't need me to tell you now that nothing can compare.
REM



Ciao a tutti!
Questo è un capitolo di passaggio, abbiamo diversi confronti Selvig-Selvig,  Steve-Selvig, e possiamo vedere anche la prima reazione all'inizio dei problemi pre CW.
Taglio corto, così potrete leggere pirma il capitolo ;) Scusate anche l'ora tarda - speravo di postare entro il tardo pomeriggio.
Ringrazio come al solito Giulietta - alla quale devo una dedica ;) - ed al sua magnificenza Delta. Buona serata, e soprattutto, BUON ANNO.
Eve

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Capitolo 19
*** 18. Stelle ***


Ciao a tutti! E' Eve che vi parla.
Questo capitolo, beh, lo capirete dal titolo. Godetevelo, è bello lungo - 22 pagine di Word! Perchè la settimana prossima non potrò aggiornare.
Vi lascio alla fine con i commenti, così non spoilero niente.
Questo capitolo è dedicato alla gloriosa Giulietta Becaccina, perchè ha indovinato l'arcano del capitolo di Natale e, inoltre, ha inventato lei gli Stelle. Cioè, voglio sentire le ovazioni! Visto che io, come la cara Delta, con i nomi delle Ship sono negata.
Anche questo capitolo non è stato - purtroppo - Betato. E, come sempre, ci sono degli errori di battitura. È quasi certamente almeno un congiuntivo è sbagliato - l'ho visto con i miei occhi! D: . Domani in giornata correggo i particolari.p, scusatemi ancora. Buona Lettura!
Eve


Atto 18: Stelle


If there is a light, You can always see;
And there is a world, We can always be.
If there is a dark, That we shouldn't doubt;

And there is a light, Don't let it go out.”

U2


Gennaio 2016


Selvig, di qui!

La voce familiare la fece voltare istintivamente verso il lungo corridoio scuro, le vecchie porte in lamiera divelte dai loro cardini arrugginiti, e dei rigoli di muffa scura che colavano lungo le pareti umide.

Corse verso la voce familiare, anche se ancora non riusciva ad associare un volto a quel tono basso e rilassato. Sentiva che qualcosa non andava, lo sentiva nell'eco scuro dell'edificio, nel clima ovattato che la circondava completamente, quasi fosse immersa in una sostanza gelatinosa che la separava dalla realtà.

Seguì la voce conosciuta, un rigolo di sudore freddo che le colava lungo la schiena. Portava la divisa mimetica del S.A.S., e teneva fra le mani un pesante fucile da assalto. Alzò la canna del fucile, dirigendosi verso la poca luce che entrava fiocamente dall'ultima porta aperta, dietro lo svincolo di quel corridoio che le sembrava eterno. Restò sulla porta un secondo, prima di entrare con passi leggeri nella stanza, l'arma levata davanti al viso. Non sentiva i suoi poteri scorrere dentro di lei, non sentiva nulla nella sua testa a parte il palpitare del suo cuore. Entrò guardandosi attorno, per poi dirigersi verso uno scheletro rosso ed oro a terra. Mollò il fucile a terra, un urlo ghiacciato nella gola, quando vide gli occhi castani di Tony Stark spalancati, senza vita, senza nemmeno una scintilla di quella sagacia che aveva imparato a sopportare nel corso dei loro, sempre più frequenti, incontri.

Si gettò a terra, sulle ginocchia, premendo le mani sul grosso foro al centro del petto dell'uomo, cercando di impedire al sangue scarlatto di fluire fuori dal corpo martoriato.

Stark!” Gli diede un leggero colpo al viso, sperando di vedere un guizzo in quegli occhi vitrei, un cenno verso il suo viso contratto in un'espressione terrorizzata. Ritornò a fare pressione contro il suo petto, con entrambe le mani, anche se nella sua mente si stava facendo largo la realtà. L'uomo davanti a lei era morto.

Ho dovuto.” La voce familiare la fece voltare, mentre lei istintivamente si portava le mani ai capelli, imbrattandosi la fronte di sangue, le dita fra i capelli in un gesto disperato. Qualcosa colpì il terreno vicino a lei, rimbalzando quasi comicamente fra la polvere di quello stanzone in rovina. Elle istintivamente seguì il piccolo oggetto metallico con lo sguardo, riconoscendo il piccolo reattore dell'armatura di Iron Man.

Stark non era più collegato al reattore quando era solo Tony, ma lo era quando era Iron Man.

Il cerchio insanguinato non dava segni di vita, nemmeno un breve lampeggiare che potesse darle speranza. Si voltò verso l'uomo che avanzava verso di lei, senza espressione.

Cosa hai fatto, James?


~


Si svegliò ricoperta di sudore, senza riconoscere per un secondo la stanza di Natasha a casa di River e della signora West. Si alzò di scatto, guardandosi le mani con aria sconvolta, incredula di non trovarle luride di sangue sopra la grossa coperta patchwork, probabilmente regalo di Laura alla partner del marito. Respirò profondamente, le mani che andavano istintivamente a intrecciarsi nei capelli chiari.

Elle, tutto ok?” Natasha aprì un occhio, la voce impastata e River addormentata contro il suo petto. Elle annuì appena, prendendo ampie boccate d'aria. “Un incubo.” Nat annuì.

Meglio o peggio dell'ultima settimana?” Chiese sarcasticamente, passando una mano sui riccioli della bambina che le solleticavano il naso. Elle si strinse nelle spalle, sdraiandosi di nuovo con il volto rivolto verso l'amica. “Domani dobbiamo proprio andarci al meeting?” Chiese stancamente. La russa annuì.

Non possiamo mancare. Stanno parlando del nostro futuro.” Sussurrò, gli occhi verdi che la guardavano senza timore, viso a viso. Elle si passò una mano sul volto. “Chi ce l'ha fatto fare, Nat...” Commentò piano. La rossa sospirò, un leggero sorriso sulle labbra. “Sarà la millesima volta che facciamo questo discorso. Sai bene perché lo facciamo.” Si strinse meglio contro la bambina, coprendole con una mano l'orecchio. “Ricordi quando sono tornata da quella missione in Medio Oriente e mi hai spazzolato i capelli per tre ore finché non mi sono calmata?” Chiese piano Nat, le belle labbra carnose strette in un'espressione discreta. Elle annuì appena.

Avrei dovuto fare lo stesso, prima di arrivare in Wakanda, e quando eravamo li. Non ho rispettato il nostro patto.” Sussurrò appena, abbassando lo sguardo.

Elle le sorrise. “Siamo adulte, e tu eri spaventata. Non devi sentirti in colpa.”

Tu mi hai sempre fatto da cuscino, in tutte le cadute più rovinose.” Esalò appena la rossa. “Sei una delle poche persone delle quali mi fido... Anche se so che non mi stai dicendo tutto, riguardo a quanto è successo in Wakanda.”

La Svedese sospirò appena. “Nat...”

La rossa la interruppe con uno sguardo. “Maria probabilmente sa. Lei ti affiderebbe anche la sua stessa vita... Ma qui c'è qualcosa di più importante di noi, in ballo.”

Indicò con il mento la bambina, sempre coprendole l'orecchio. “Cerca di ragionare con la testa, Elle. Stai coprendo un criminale.”

Elle rimase in silenzio, guardandola senza espressione, la coperta che la copriva fino al mento. Passò una mano sui capelli della bambina, evitando lo sguardo diretto dell'amica.

Lo troverò.” Commentò Nat. “E forse prima riuscirò a salvarti. Ma, ti prego, ragiona.” La voce dell'amica era diventata un sussurro quasi inudibile. “Quando sono tornata da quella missione in Medio Oriente, era stato il Soldato d'Inverno a spararmi.” Elle alzò lo sguardo, annuendo all'amica. “Lo so.”

River alzò una mano, prendendo quella della donna e tenendole due dita strette nel piccolo palmo. “Spero solo che tu sia sicura di quello che stai facendo.”

Elle e Nat rimasero a fissarsi ancora qualche secondo, scambiandosi un tacito abbraccio. Elle sospirò. “So quello che sto facendo quasi quanto te. E non ti impedirò di fare il tuo lavoro, se pensi che sia la cosa giusta. Ma...” Si strinse nelle spalle, accarezzando con le dita la mano della bambina. “...Perdonami se non posso essere d'accordo.” Rialzò lo sguardo in quello verde smeraldo della russa. “In ogni caso, ti voglio bene. Per quello che vale.”

Nat annuì, sorridendo appena, mentre si rilassava contro il materasso. Elle la guardò scivolare in un sonno esausto, profondo e senza sogni, per poi spostare lo sguardo sul soffitto bagnato dalle luci della strada. Rabbrividì nella coperta, il sogno dal quale si era da poco destata che riprendeva il controllo della sua immaginazione. Si passò una mano sul viso, sperando di riuscire ad addormentarsi prima del suono della sveglia, che le avrebbe riportate ai due lati del tavolo delle trattative.


~


Steve si sentiva un animale in gabbia, passeggiando nervosamente avanti ed indietro nella stanza, lungo la parete d'ingresso; e ripiegando continuamente le maniche della giacca marrone scuro e riabbassandole a pochi passi di distanza. Cercava di sincronizzare il suo respiro con la camminata, ignorando lo sguardo perplesso di Samuel che, seduto su una delle sedie in pelle, il gomito comodamente appoggiato al bracciolo e la testa inclinata di lato, lo guardava rassegnato.

Va bene che la situazione è difficile...” Commentò sospirando. “Ma non abbiamo ancora bisogno di scavare una trincea ai lati del tavolo. A meno che tu non tema il lancio di una ventiquattr'ore.”

Steve si fermò di colpo, incrociando le braccia. “Quando arrivano gli altri?”

Samuel guardò uno dei fogli sul tavolo con sguardo assente. “Elle e Nat dovrebbero arrivare a momenti. Oggi sono le uniche convocate, come tutti gli altri giorni.” Scosse il capo. “E' assurdo che non vogliano Wanda. O Visione.”

Ritengono la signorina Maximoff troppo imprevedibile.” Commentò una voce acuta, mentre i due uomini entravano nella stanza. Steve sorrise fra sé e sé, voltandosi verso la nuova arrivata. “Cosa ti porta da queste parti, Sharon?” Chiese cordialmente. Lei non riuscì a trattenere un sorriso. “Fury ha pensato che aveste bisogno di una mano. Qualcuno di obiettivo.”

Natasha entrò, guardandola perplessa, dopo aver sentito tutto il discorso. “Obiettiva, eh?” Commentò sarcasticamente, osservando da oltre il bavero della giacca di pelle lo sguardo perso che la bionda lanciava all'amico. Steve la ignorò.

Buongiorno, Nat. E' stata una buona idea tornare a casa, stanotte?” Chiese, avvicinandosi all'amica. Samuel si sporse verso i due, facendo scorrere la sedia lontano dal tavolo. “Vuole sapere se Elle è arrivata con te.” Commentò in un ghigno. Si sporse verso Sharon, che aveva osservato lo scambio con sguardo perso. “Samuel Wilson, comunque.” Commentò, dandogli la mano. La donna la strinse, sorridendogli. “Sharon Carter.” Samuel annuì. “Immaginavo. La tua fama ti precede, Sharon.” La donna arrossì leggermente, sistemandosi i capelli lisci dietro l'orecchio. Tornò a guardare Steve, che guardava l'amico con una mezza smorfia esasperata sulle labbra.

Allora, a chi pestiamo i piedi, oggi?!” Chiese una voce tranquilla. Tutti si voltarono verso l'ingresso, dove Elle stava entrando con un grosso scatolone di cartone fra le braccia sottili, avvolte in una camicia azzurra. Steve in due passi fu accanto a lei, prendendole lo scatolone dalle mani con un sorriso. Elle ricambiò appena, la pelle del viso che diventava leggermente rosata. “Dove lo appoggio?” Chiese Steve. Nat e Samuel si guardarono divertiti, mentre Sharon si mordeva un labbro, le sopracciglia contratte.

Non so, qual'è il lato oscuro oggi?” Chiese la svedese, indicando il tavolo. Steve fece una mezza risata, lo scatolone comodamente appoggiato fra il braccio ed il fianco. “Anche se ancora non abbiamo visto Star Wars, ho colto la citazione.”

Elle si sfregò le mani arrossate dal freddo fra loro, scoppiando a ridere. I due girarono attorno al tavolo. “Steve Rogers: nonostante il disgelo, riesce ad aspettare che facciano un settimo capitolo della saga prima di recuperare gli altri sei. Hai ancora quel taccuino?” Si misero all'altro lato del tavolo rispetto a Nat e Samuel.

Steve annuì alla ragazza, mentre Natasha si schiariva la voce, divertita. “Ragazzi...”

Elle e Steve si voltarono in contemporanea, lui con il taccuino a mezz'aria e lei che stava per afferrarlo. Elle si accorse della figura alta e longilinea che la fissava con aria agghiacciata.

Tu devi essere la famosa Selvig.” Esclamò con tono rassegnato la donna. Elle annuì, sporgendosi lungo il tavolo verso di lei. L'altra fece lo stesso,porgendole la mano. “Sharon Carter.”

Entrambe si strinsero vigorosamente le mani, Elle con una minuscola ruga di preoccupazione in mezzo alle sopracciglia definite. Annuì appena, aspettando che l'altra mollasse per prima la presa ed allontanandosi dal tavolo.
“Parente di quella, Carter?” Chiese, indicando Steve con un dito. L'uomo rimase impalato, cercando con lo sguardo Nat o Samuel. I due si guardavano, sogghignando. Mancavano solo i popcorn.

Si, lei è la nipote di Peggy.” Rispose piano Steve, grattandosi un punto indefinito sul collo con la mano libera. Elle si voltò sorridendo verso una Sharon immobile, a metà fra il confuso ed il terrorizzato. “E' un onore conoscerti! Sarà veramente utile averti qui con noi!” Esclamò entusiasta, indicandola con entrambe le mani.

Sharon cercò lo sguardo di Steve, confusa. L'uomo mise una mano sulla spalla della svedese, facendola voltare verso di lui. Le mise in mano il taccuino di pelle liso. “Almeno qualcuno sembra di buon umore prima di questa ennesima giornata passata seduti a discutere del nulla.” Commentò Natasha, incredula, cadendo a peso morto su una sedia accanto a Samuel.

Elle si appoggiò sul tavolo con la piccola agenda fra le mani, Steve puntellato con una mano sul tavolo accanto a lei che alternava sguardi tra l'agenda e il volto della donna. Elle indicò un paio di voci, ridendo con una mano davanti alle labbra.

Sharon si sedette in silenzio accanto a Natasha, lo sguardo perso contro i due che confabulavano poco lontano. “Da quanto va avanti?” Chiese in un sospiro. Nat le appoggiò una mano alla spalla, sorridendo rassegnata. “Non è ancora cominciata, in realtà.

~



L'ennesima mattinata passata a discutere il nulla.

Steve non aveva mai capito la politica. L'unico momento interessante era quando Elle aveva esposto le loro cartelle di idoneità al servizio, quelle che aveva compilato al suo arrivo nel quartier generale. Non c'erano parole di particolare stima nei suoi confronti, e questo aveva fatto involontariamente sorridere entrambi, ma veniva giudicato una persona ragionevole ed attenta, del tutto valida a guidare la squadra. Aveva anche esposto una serie di test di intelligenza e di personalità, cercando di inculcare in quelle teste affamate di potere che i suoi compagni erano del tutto in grado di gestire il problema mutanti.

Soltanto un certo Senatore Johnson aveva messo in dubbio la validità di quei test, in quanto la stessa relatrice era una mutante, ed Elle aveva preso una ampio respiro prima di rispondergli. “...Anche il suo medico è un essere umano. Mette per questo in dubbio il suo parere?” Steve aveva cercato di nascondere un sorriso a quell'affermazione. Quando era stata risentita ancora sul caso Barnes, Elle aveva dato le stesse risposte che le cinque volte precedenti: James Barnes andava curato. E non sarebbe pericoloso, finché l'Hydra non lo avesse ritrovato.

Aveva notato, come le altre cinque volte, uno stano movimento delle mani, un minimo segnale di incertezza che soltanto lui, e Natasha che lo fissava dall'altra parte del tavolo con sguardo torvo, sembravano aver colto.

Si era segnato di chiedere spiegazioni ad entrambe il prima possibile, ma sul momento aveva istintivamente appoggiato una mano sul ginocchio dell'amica, quando questa si era seduta, stremata da quell'interrogatorio serrato. Elle gli aveva sorriso appena, il tavolo davanti a lei ingombro di carte e cartelle.

Appena avevano dichiarato quella seduta conclusa, quando Elle aveva raccolto tutto e si era volatilizzata in una macchia azzurra e bianca. Anche Sharon era sparita in fretta, affermando di dover tornare in città. Lo aveva guardato per un paio di secondi, prima di salutarlo con un cenno del capo.

Allora, Capitano...” Samuel lo affiancò, mentre si dirigevano pigramente verso la mensa. “Pensi di deciderti o no?”

Steve alzò lo sguardo sull'amico, le sopracciglia arcuate. “Cosa?”

Le chiedi di uscire o no?” Esclamò esasperato. Steve scosse il capo. “Non mi sembra il momento adatto per parlare di questioni amorose. “

Samuel sbuffò infastidito. Natasha si avvicinò ai due. “Non eri tu quello che 'Bisogna cogliere il momento!'” Lo scimmiottò divertita. Steve si voltò a guardarla male. “Direi che abbiamo fin troppe cose a cui pensare, ora. Non c'è bisogno di aggiungere altro carico, né ad Elle né a me.” Commentò piano, guardandosi attorno. Natasha fece per ribattere, ma lui la zittì alzando una mano davanti ai due. “Non vuol dire che non lo farò mai. Ci sono ancora delle cose da sistemare, prima.”

Natasha alzò gli occhi al cielo. “Ci saranno sempre cose da sistemare. O hai paura di essere rifiutato?”

Impossibile.” Esclamò Samuel, sarcastico. Steve si voltò di nuovo verso Nat, senza dire nulla. La rossa sospirò. “Ho capito, ci vuole uno dei miei interventi.”

I due uomini la presero per le braccia in contemporanea. “Non ci provare nemmeno, Nat!” Esclamò Steve, mentre i tre scoppiavano a ridere.

Entrarono nella mensa ridendo fra loro, mentre tutti i pochi impiegati rimati si voltavano a guardarli sorpresi. Elle stava in un angolo, ala fine di un lungo tavolo quasi completamente vuoto, insieme con Wanda. Stavano chiacchierando tranquillamente, ma si vedeva che si erano messe in quella posizione lontana da tutti a causa degli sguardi spaventati che venivano lanciati loro. Samuel sospirò, mentre i tre si dirigevano in quella direzione.


-


E lui dov'è, ora?” Chiese Elle, passando la forchetta sopra allo sformato di patate che veniva servito quel giorno. Wanda, il mento appoggiato alla mano, sorrise raggiante. “Ha detto che doveva andare da Stark. Per aiutarlo a finire il progetto per la tua divisa.”

Ah, la divisa.” Si ricordò Elle, guardando ancora più svogliatamente il piatto. “Stark mi farà una cosa da pornodiva, ne sono sicura.” Wanda rise. “Per quello è andato Visione. Ha il disegno che gli hai fatto fare, verrà esattamente come la vuoi.”

Elle fece un gesto vago con la mano. “Ma non stavamo parlando di me! Sei tu quella che ha avuto un Natale notevole.” Wanda arrossì. “E delle vacanze altrettanto interessanti.”

Sono solo un paio di baci! Per fortuna quel pomeriggio ho parlato con Steve, altrimenti non mi sarei mai decisa.”

Steve?” Elle era stata presa in contropiede. “Steve Rogers? Il nostro Steve?”

Wanda annuì. “Mi ha fatto tutto un discorso sul fatto che dovevo pensarci.” Commentò piano. “Anche se, a quanto vedo, anche lui potrebbe darsi una svegliata.”

Elle la guardo sconvolta, mentre da dietro arrivavano gli altri tre compagni di merende. Nat si scostò i capelli vermigli dietro la testa con un gesto stizzito, mentre prendeva posto accanto all'amica. Samuel guardò Wanda, mulinando le sopracciglia. “Ciao, Giulietta.” Commentò galante. La Sokoviana quasi non si strozzò con il boccone che stava masticando. Steve le diede un paio di colpi sulla schiena, guardando seriamente Samuel. “Lasciala stare almeno per un poco, Sam.” Commentò esasperato. Natasha indicò il biondo con il dito. “Solo perché hai paura di essere il prossimo?”

Steve la guardo sconsolato, mentre Elle faceva finta di nulla, lo sguardo fisso sul contenuto del suo piatto. “Piuttosto, se non andasse avanti con gli Avengers, potresti mandare il curriculum per lavorare nella mensa.” Commentò la bionda. “Qualsiasi cosa sarebbe meglio di questa poltiglia.” Steve sogghignò, guardandosi intorno.

A questo proposito, questo pomeriggio vado in città...” Proseguì Elle. “...A qualcuno serve un passaggio?”

Dove vai?” Chiese subito Rogers. Elle finì di masticare, con il tovagliolo di carta davanti alla bocca. “Stark Tower.” Commentò senza specificare.

Per l'uniforme?” Chiese ancora Steve. Elle annuì, versandosi un bicchiere d'acqua. “Vengo con te, ho bisogno di parlare direttamente con Stark.” Elle annuì pensierosa. “Basta che non sia mentre mi minaccia con un ago.”

Wanda si alzò, sorridendo. “No, grazie, penso che non uscirò oggi. Ho un allenamento con Nat alle tre.” Commentò, mentre la rossa annuiva. Samuel si strinse nelle spalle. “Vengo ad assistere!” Esclamò divertito. “Ovviamente, faccio il tifo per Wanda.” Anche Natasha e Samuel si alzarono, in tempo perché la russa gli tirasse un colpo al braccio. I tre si allontanarono, mentre Elle ancora stava finendo di mangiare. Steve si spostò di fronte a lei, appoggiandosi con i gomiti al tavolo.

Ricordi i bei vecchi tempi? Quando cenavamo assieme parlando delle nostre famiglie e degli amici.” Chiese lui, rilassandosi. “Passavamo le ore a parlare di sciocchezze.”

Elle sollevò la forchetta davanti al viso. “Non erano sciocchezze. Era la nostra vita.”

Steve le sorrise, annuendo. “C'è una cosa che volevo chiederti.”

La svedese lo guardò, curiosa, ed annuì. Lui prese un respiro, guardandosi attorno. Si sporse verso di lei, gli occhi blu che saettavano sul suo viso alla ricerca di indizi. Elle rimase immobile, gli occhi chiari che scrutavano i suoi con curiosità.

Davvero, quel giorno a Lagos, non hai visto Barnes?”


~


Elle emise un sospiro strozzato all'ennesima punzecchiatura di ago.

Era rimasta un'ora nel SUV con Steve, in silenzio religioso. Nessuno dei due aveva aperto più bocca da quando l'uomo le aveva posto la domanda. Silenzio per la strada. Silenzio nell'ascensore. Silenzio quando Stark si era assentato un attimo per rispondere al telefono.

La donna stava in piedi, al centro del laboratorio di Stark, a guardare il vento di gennaio, fuori dalla grande vetrata, spazzare impetuoso i tetti di New York. La luce al neon illuminava in modo freddo la stanza, ed evidentemente non permetteva a Stark di vedere chiaramente cosa stava facendo. Il risultato era che l'uomo sghignazzava, continuando a pungerla con il grosso ago con il quale stava imbastendo i pezzi di pelle morbida della sua nuova divisa. Nemmeno lui sembrava in vena di chiacchiere come di solito. C'era uno strano clima di pesantezza, spezzato solo all'ennesima puntura, emise un sibilo infastidito.

Steve, a braccia conserte vicino alla parete interna, sospirò.

"Potresti evitare di pungerla?" sputò fra i denti, scocciato. "Ci serve intera."

"Tranquillo, Capitano..." Stark sogghignò "...non te la sciupo troppo."

Stark fiutava certe cose da una distanza inimmaginabile, ed il fatto che Rogers stesse impalato a due metri da lui a guardarlo fare lavori di sartoria da almeno un'ora e mezza era un indizio troppo succoso per non prenderlo un po' in giro.

"Allora, Elle." La ragazza mugugnò. “Pensavo che sarebbe carino fare una bella rimpatriata qui alla torre. Sai, per festeggiare degnamente la tua entrata negli Avengers." La ragazza bionda alzò gli occhi al cielo. "Arriva al punto, Stark."

"Vorrei che tu venissi ancora alla Stark Tower. Per analizzarti." Sputò senza troppi giri di parole Stark, alzando appena lo sguardo dal lavoro che stava facendo. "Ovviamente niente sezionamenti, il nostro bio-organista di fiducia ha deciso di prendersi una meritata vacanza..." Steve strinse ancora di più le braccia al petto, lo sguardo serio che saettava fra i due. Elle sospirò.

Ce ne vuole di fegato, perché tu decida di sezionarmi da viva. Me lo aspetterei solo da te.”

Si era aspettata una domanda del genere da Stark, nel momento stesso in cui era entrata in quel laboratorio. La situazione fra i due uomini era tesa, ma allo stesso tempo Elle immaginava che di Stark ancora ci si potesse fidare.

Le venne in mente il sogno della notte prima, facendola rabbrividire. Lo sguardo andò subito al miliardario, che la guadava dal basso con espressione divertita.

Sono convinto che a Banner saresti piaciuta molto. Hai un caratterino.” Commentò l'uomo, prima di mettersi l'ago fra le labbra. Strinse fra le dita i due lembi che si univano sulla coscia, riprendendolo fra le dita.

"Per questo Nat ti gira al largo." Esclamò Elle, il momento di empatia verso Stark che si era già dissolto. "Perché parlo di Banner?"

"Perché giri il coltello nella piaga. Non sono tutti felici come te e Pepper." Steve precedette la ragazza, esasperato. Stark si strinse nelle spalle, ricominciando a cucire. "Beh, pensavo che si sarebbe consolata con questo bel fusto dietro di me..." Indicò con il pollice Rogers, alle sue spalle.

Elle rimase immobile, rigida come un manichino, fissando fuori dalla finestra.

Steve e Natasha? Sul serio?

Steve alzò gli occhi al cielo. "Io e Natasha siamo ottimi amici." si avvicinò ai due, fissando Elle con sguardo deciso. "Siamo solo ottimi amici."

Stark fischiò. "Lei mi ha raccontato di averti baciato, sai, quando hanno sparato a Fury."

Elle rimase pietrificata. Si ricordava i racconti dei tre, Steve Nat e Samuel, che combattevano insieme contro l'Hydra e il suo leader, Pierce.

Aveva apprezzato quei racconti, ovviamente, ma in quel momento avrebbe voluto solo scendere da quello sgabello e colpire entrambi gli uomini davanti a lei con un paio di pugni ben assestati. E poi andare a chiedere spiegazioni all'amica.

"Era per sviare gli agenti dell'Hydra che ci stavano pedinando." Steve guardò con astio Stark, che sogghignava sotto i baffetti. “Immagino lo sforzo mentale per riuscire a sopportare quell'onere.”

Steve sospirò esasperato, mentre Elle incrociava le braccia e fissava fuori dal vetro, in silenzio. “Abbiamo quasi finito. Poi, dovrò darti una mano a levarla. Giusto perché tu non faccia saltare i punti dell'imbastitura.”

Steve si schiarì la voce. “Non può aiutarla qualcun altro?”

Tipo tu?” Stark sogghignò, mettendo l'ultimo punto. Elle scese, facendo qualche passo avvolta da quella pelle scura. Si diresse verso la stanza dove aveva lasciato i suoi vestiti, seguita da Stark. Steve sospirò, appoggiandosi ad un tavolo da lavoro ingombro di attrezzi. Sarebbe stato un pomeriggio lungo.

Elle uscì in canottiera e jeans, i capelli che le cadevano su una spalla e lo sguardo contratto dal nervosismo. Non si avvicinò nemmeno, lanciando il borsone a terra vicino alla porta ed estraendo il cellulare dalla tasca posteriore.

Selvig, Selvig, Selvig... Torna domani, e lavoreremo a quello del quale abbiamo parlato.” Esclamò Stark, mulinando le sopracciglia. Elle sbuffò, senza staccare gli occhi dallo schermo dell'iPhone. “Magari potremmo raccontarci cose interessanti. Un segreto in cambio di un segreto, sai...”

Rogers lo fulminò con lo sguardo, mentre Elle ricominciava a battere sulla tastiera senza degnarlo di un'occhiata.

"Nonostante i miei poteri, del quale sei al corrente da forse un mese, non sono abituata a farmi gli affari degli altri. Devo supporre che la tua vita sia così monotona da dover parlare delle mie scarse avventure amorose?"

Steve ridacchiò. “Colpito!” Stark sogghignò.

"Beh, se ti interessano veramente gli aneddoti della mia vita privata, posso raccontartene giusto uno accaduto due notti fa quando io e Pepper siamo riusciti a vederci dopo una sua riunione in Francia. Sono volato fino al suo albergo e..."

"Stark, ti prego!" borbottò Steve, allontanandosi con le braccia dal tavolo da lavoro con espressione schifata. Stark guardò eloquentemente Elle, che, anche se era ancora abbastanza furiosa, non poté trattenersi dal ridacchiare.

Quando salirono nell'auto, per tornare a casa, Elle si voltò verso Steve, che stava inserendo la cintura di sicurezza. Mise la prima, guardandolo. “So che non ci conosciamo molto. E che non sono sempre stata una chiara, con te. Ma, per quanto riguarda Barnes, devi fidarti di me.” La bionda scosse il capo, cercando di comunicargli con lo sguardo tutta la sicurezza che poteva. Rogers rimase a fissarla per un secondo. Elle prese un ampio respiro. “Fidati di me. E' al sicuro.”

Steve rimase immobile, mentre Elle non riusciva a sostenere il suo sguardo, picchiettando nervosamente con le dita sul volante. Steve sorrise appena.

Ok.”

Elle si voltò a guardarlo, torturandosi il labbro inferiore. “Ok cosa?”

Ok, mi fido di te.”

La svedese sorrise appena, uscendo dal parcheggio e imboccando la strada principale. Steve rimase appoggiato a guardare fuori dal finestrino, sorridendo fra sé e sé.


~



Natasha uscì dalla doccia in una nuvola di vapore, infilandosi un accappatoio verde scuro e frizionandosi con decisione i capelli. Dopo una giornata di allenamenti, era pronta a mettersi dei vestiti comodi per scendere alla mensa, e passare la serata a letto a fare zapping.

Vide una figura scura seduta sulla sua poltrona, nella penombra della stanza, e quasi non sobbalzò prima di riconoscere il profilo familiare di Steve.

"Rogers, che ci fai nella mia stanza a quest'ora?"

"Stark oggi ne ha combinata una delle sue.” Lei alzò gli occhi al cielo, mentre l'altro si appoggiava esasperato allo schienale della poltrona. “Elle tornerà domani mattina da lui, e non oso pensare a cosa ha in mente."

Natasha si sedette sul letto, mettendosi le mani sul viso. "Che ha fatto? O peggio..." Osservò con attenzione l'espressione di Rogers, dopo essersi chinata ad accendere la luce del comodino.

"Ha detto ad Elle che io e te ci siamo baciati." Natasha emise un sospiro esasperato. “Stark è sempre Stark.”Gli posò una mano sul ginocchio, incerta se mettersi a ridere o a piangere.

"Devi cercarla e parlargli. Sarà a rimuginare chissà dove.”Steve ridacchiò. “Sul tetto, presumo. Anche se, vedendo la sua espressione, pensavo sarebbe corsa da te.”

Magari è andata da Maria?” Chiese la rossa, scostandosi i capelli dal viso. Steve negò. “Maria torna domani, aveva due giorni di permesso.”

Furono distratti da alcuni colpi alla porta. “Nat! Mi hanno detto che sei in camera, posso entrare?”

Natasha guardò Steve con un sorriso enigmatico, mentre si alzava per andare ad aprire all'amica. Le due avanzarono nella stanza, mentre Natasha rifaceva il nodo dell'accappatoio, preparandosi velocemente un discorso mentale. Elle si sedette sul letto, come se fosse la sua stanza. Non sembrava arrabbiata, solo pensierosa.

"Sono stata da Stark, oggi..." Cominciò la svedese, con tono piatto.

Natasha si girò, volendo invitare Steve nella conversazione. Ma l'uomo era sparito.

Scrutò il pavimento, incredula, cercando nel contempo di non farsi notare dall'amica. Un angolo dello scendiletto era piegato, vicino al suo comodino. Natasha alzò gli occhi al cielo.

"Lo so che Stark è una spina nel fianco..." Commentò Elle, interpretando il suo gesto. A Natasha veniva da ridere, ma si trattenne con una smorfia. L'amica si sdraiò, appoggiandosi con i gomiti al materasso.

"Mi ha raccontato delle cose..." Natasha sentì muoversi Rogers sotto il letto e dondolò il piede per tirargli un calcio. Ma poi, come faceva Captain America a nascondersi in così poco spazio? Avrebbe voluto stendersi a terra per vedere quello spettacolo di persona.

"Mi ha detto che tu e Rogers... A dire il vero, non ho capito bene." commentò Elle, voltando il busto verso di lei. "Più o meno quando spararono a Fury, non avevo più tua notizie... Ricordo che Maria mi parlò di una messinscena..."

"Perché non hai semplicemente letto nella sua mente?" Natasha si spostò i capelli dietro l'orecchio, scrutandola. "Potevi vedere direttamente dalla mente di Steve cosa era successo. Senza arrovellarti per, quanto? Un'ora?" Guardò l'amica con un sorriso divertito.

Elle scosse la testa. "Non ho mai letto nella mente di Rogers e non comincerò ora."

Natasha poteva giurare di aver sentito il sollievo di Rogers pizzicarle i piedi nudi. Si strinse meglio nell'accappatoio, pettinandosi i capelli con le dita.

"Non usi mai i tuoi poteri qui dentro?" Elle fece di no con la testa, chiudendo gli occhi.

"Ogni tanto vi cerco, ma non ascolto mai cosa state pensando... Di solito di notte, quando mi sento sola... Per sapere se state bene."

Natasha si sdraiò accanto all'amica. "Lo fai anche con Rogers?"

Elle arrossì leggermente, rilassandosi nel tepore delle confidenze. "Soprattutto, con Rogers."

Natasha sorrise dolcemente. “Sono così contenta per te.” Elle si strinse nelle spalle, voltandosi a guardare il soffitto. “Chissà.”

"Allora non c'è nulla che devo sapere su..." Chiese conferma la svedese.

Assolutamente no!” Natasha alzò gli occhi al cielo. “Non penso che ci possa essere una persona meno adatta a me in quel senso di Rogers!”

Elle le lanciò un'occhiata poco convinta, alzandosi. "Scusa, non ti eri nemmeno cambiata..."

"Come se tu non mi avessi mai visto con o senza accappatoio!" Rise la rossa. Elle annuì.

"Tipo dopo Nuova Dehli..." Le due evidentemente si capirono, perché scoppiarono a ridere, guardandosi. Natasha la indicò con entrambe le braccia. "Eri a pezzi! Sei rimasta nella vasca da bagno per tre ore, ho dovuto cambiarti l'acqua per scaldarti almeno sei volte!" Elle la seguì nella risata, avviandosi verso la porta. “Allora ci vediamo dopo, Nat.”

Uscì senza fare quasi nessun rumore. Nat crollò sul letto, emettendo un respiro strozzato.

"Steve, puoi uscire." borbottò. "Abbiamo appena fregato una delle menti più potenti dell'universo."

L'uomo rotolò fuori dal suo nascondiglio, il viso arrossato per l'imbarazzo. “Da quando tu ti nascondi sotto i letti?” Chiese la rossa, squadrandolo. Steve si strinse nelle spalle. “Se devo essere sincero, non lo so...”


Quella sera, tutti videro Steve Rogers aggirarsi per la mensa comune con un sorriso simile ad una paresi facciale. Era sempre stato un uomo gentile, il tipico bravo ragazzo. Il nuovo secolo lo aveva un po' inquinato, facendogli imparare modi più burberi. Ma quella sera, Steve sembrava essere tornato agli anni quaranta.

Ormai, tutti al quartier generale avevano capito che polarizzare l'umore di Captain America riusciva soltanto ad una persona, una ragazzetta di ventisei anni dai capelli chiarissimi e dagli occhi quasi fosforescenti.

Elle Selvig però non si fece vedere, passando circa tre ore chiusa nell'ufficio di Maria con quest'ultima e Stark, cercando di sistemare il modello per la sua armatura.


~


Erano le tre del pomeriggio di una chiarissima giornata di Gennaio inoltrato. Una luce abbagliante entrava dalla vetrata, mentre tutti gli Avengers e Fury si trovavano nella grande sala al piano terra dell'edificio, la palestra dove si allenavano.

Doveva essere la presentazione di Elle, con armatura e tutto il resto, alla squadra.

Rogers stava avvolgendo le maniche della camicia blu scuro, sotto lo sguardo sornione di Samuel, alla quale la conversazione origliata il giorno prima era stata riferita con poche ore di ritardo. Steve aveva passato quasi un'ora, chiuso in camera con Natasha, a discuterne ed a chiederle consiglio.

Il pensiero di Elle Selvig e Natasha Romanoff che fanno il bagno insieme dopo una battaglia aveva perseguitato anche Samuel, che aveva suggerito di correre subito da Fury per investire in un paio di vasche da bagno per le ragazze.

In quel momento, Natasha e Wanda arrivarono insieme. Wanda si accostò a Visione, sussurrandogli qualcosa nell'orecchio. Samuel gli diede un colpo leggero sulla spalla, mentre Natasha si avvicinava.

"Sono quasi pronti... Stark ha fatto delle modifiche dell'ultimo secondo..." Fury, a braccia conserte, attendeva in silenzio. Rhodes si sfregò le mani, sorridendo a trentadue denti. Ogni lavoro del suo amico lo rendeva sempre entusiasta come un bambino.

Maria entrò nella stanza, il volto impassibile, le labbra leggermente sollevate in un sorriso. Si mise fra Fury e Steve, annuendo vigorosamente. "E' uno dei migliori lavori di Stark!"

Stark entrò nella stanza, fermandosi sulla porta. Guardò i presenti.

Premessa: sono sicuro che questo sarà uno dei miei lavori migliori. A meno che qualche creatura ultra dimensionale non venga a reclamare il copyright."

Si avvicinò alla porta, prendendo la mano di Elle, ed accompagnandola teatralmente verso il centro della sala.

Elle guardò i presenti, imbarazzata da tutte quelle attenzioni. Maria l'aveva aiutata ad intrecciarsi i capelli, che già dalle tempie si dividevano in tante elaborate trecce per poi sciogliersi nella coda di cavallo. Si grattò la testa, arrossendo un poco.

La tuta progettata da Stark seguiva l'immagine di quella che le aveva messo Vali durante la sua visita imprevista ad Alfheim. Era di pelle, blu scura con inserti neri sul ventre, sull'esterno delle braccia e sull'interno delle cosce. Aveva un pugnale fissato sopra al ginocchio destro e due fondine sotto le ascelle munite di due pistole beretta, come da abitudine per l'agente. Le maniche finivano sui polsi sottili, e poi portava dei guanti neri che finivano a mezzo dito, utili per chi impugnava molte armi, e che proteggevano le nocche. A differenza della tuta di Natasha, quella di Elle aveva un leggero colletto ed aveva la chiusura a zip sulla schiena. Sulla spalla sinistra, il simbolo con la A degli Avengers era argentato. Portava dei grossi anfibi neri, con un altro sottile pugnale infilato accanto al collo del piede.

"La cosa che preferisco, a parte la mia atletica modella-" cominciò Stark, avvicinandosi alla sua creazione sotto gli sguardi divertiti dei presenti "-è questo." Alzò la mano di Elle, la destra, facendo vedere a tutti il palmo. Sottili linee argentate scorrevano dai polsi, andando poi sotto alle nocche rinforzate dei guanti. Sul dito indice , correva un grosso anello d'acciaio, simile ad un'armatura e con la punta appuntita, ad artiglio. Stark le lasciò il braccio. "Elle, prego..." Indicò un grosso sasso, che probabilmente avevano portato dentro apposta per quella dimostrazione. Elle sorrise, indicandolo con il solo dito metallico, . Un fiotto di luce blu colpì il sasso, che si sgretolò in tanta polvere grigia, vorticando in maniera simile ad una cometa. Elle sorrise, ed un nuovo fiotto di luce lo colpì, facendolo tornare un un crepitio alla sua forma normale. Wanda fece un urlo, applaudendo. Samuel la seguì con una risata, mentre Natasha diede una spallata a Steve, ridendo.

"Ci sono altre mille trucchetti da circo, che la nostra amica sa fare." commentò Stark "Ma questo è uno di quelli che preferisco."

E' semplice manipolazione della materia: dopo qualche esperimento, abbiamo capito che la mente di Elle può, tramite semplici operazioni, modificare lo stato delle cose a suo piacimento. Un misto di fisica, biologia e roba da alieni. Si trattava solo di riuscire a incanalare l'energia attraverso un punto di proiezione, come ad esempio le dita. ”

Maria si avvicinò ed estrasse una pistola. Steve fece per obiettare, ma Stark lo fermò con una mano sulla spalla, mettendosi vicino a lui. "Penso che sia in tuo onore, Capitano..."

Maria puntò la pistola contro Elle, che le diede il fianco. La bionda annuì, mentre Maria premeva il grilletto.

Con un ampio gesto della mano, una membrana rotonda si sviluppò dalla punta delle sue dita. Il proiettile penetrò nella superficie lucente, rallentando dentro di essa e cadendo a terra. Partì un altro scroscio di applausi, mentre Steve sentiva i polmoni riprendere a funzionare.

Tutti si avvicinarono ad Elle, dandole pacche sulle spalle e toccando il tessuto della tuta. Lei sorrideva a tutti i volti che incontrava, mostrando il guanto a Wanda o parlando delle cuciture sulla schiena con Samuel.

Fu con piacere che Steve la vide cercare il suo sguardo fra quello degli altri, un po' persa in mezzo a tutte quelle attenzioni. Fu solo quando Rhodes percorse un un dito le cuciture sul fianco, complimentandosi con Stark per la sutura della pelle scura, che Steve decise di avvicinarsi. Fulminò l'amico, mettendosi di fronte alla ragazza. Natasha, che lo aveva notato parlando con l'amica, si allontanò ghignando. Elle si girò di scatto, con un sobbalzo.

"Stark..." esclamò lui, guardandola negli occhi. L'uomo si avvicinò, appoggiandosi alla sua spalla. "Dimmi Capt."

"Hai fatto un eccellente lavoro. Mi resta solo una domanda..." Elle alzò il mento, guardandolo con un sogghigno. "Quale sarà il tuo nome in codice?"

Elle si guardò le mani, un secondo. Tutti si zittirono. “Nome in codice? Non ci avevo pensato.”

Visione si avvicinò alla ragazza. "Eclipse." disse poi, guardando Elle negli occhi. "Deve essere Eclipse."

Elle capì subito cosa intendeva l'androide, ricordando la sua conversazione con Vali.

"Il giorno della tua nascita, ci fu' la più spettacolare e terribile eclissi della stella al centro del nostro universo, ed i pianeti assunsero una particolare conformazione." Visione puntò un dito verso l'alto, ed Elle annuì sorridendo.

"Eclipse sia." commentò Stark, dando una manata alla schiena a Steve. "Ora però andiamo a toglierla, così possiamo festeggiare. Offro io."


~


Ovviamente il locale proposto da Stark sarebbe stato fuori portata per tutti loro. Era buio, claustrofobico e pieno di superfici riflettenti. La musica era a dir poco assordante, i drink stranamente non mancavano di alcool e tutti, dopo i primi due, si sentivano decisamente più a loro agio.

Seduti ad un tavolo, su un mezzanino dal quale si poteva vedere la pista da ballo, Samuel faceva girare la bottiglia di birra corona appena finita sostenendo che avrebbe baciato chiunque fosse uscito. Quando la bottiglia indicò un dubbioso Steve, seduto in mezzo fra Stark e Natasha, quasi si soffocò con la sua seconda birra. Ritirò la scommessa, facendo sghignazzare Rhodes e Stark. “Io ti avrei baciato, Rogers.” Commentò Stark, appoggiandosi alla sua spalla. Natasha alzò gli occhi al cielo.

Visione aveva assunto la sua forma umana, e si guardava attorno curioso. Anche Wanda era piuttosto sorpresa -non c'erano locali del genere, in Sokovia. Per un secondo sorrise, toccandosi la collanina, e pensando che sarebbe piaciuto a suo fratello.

Elle si era tolta l'uniforme, infilandosi un semplice vestito verde giada, i capelli ancora raccolti ed intrecciati. Maria ne prese una ciocca fra le dita, sorridendo. "Come fate voi europee ad avere i capelli così lunghi e morbidi!" indicò anche Wanda, i cui capelli erano quasi più lunghi di quelli della bionda.

Elle si strinse nelle spalle, bevendo un sorso di Mojito. Wanda passò davanti all'amica con il busto, sussurrando qualcosa a Maria, che rise.

"Nat!" la chiamò Maria. La rossa si voltò. "Andiamo a fare un giro in pista? E' mesi che programmiamo un'uscita, ma non riusciamo mai a combinare nulla." Wanda, dietro di lei, stirò le labbra in un sorriso quasi inquietante. Natasha si alzò, prendendo il suo drink rosa ed abbassando con l'altra mano la gonna del vestito scuro. Fece un cenno di assenso con il capo, la cannuccia fra le labbra.

Wanda si alzò, traballando leggermente, un po' per colpa dell'alcool un po' a causa dei tacchi degli stivali. Elle la seguì. "Andiamo, prima che non mi senta più i piedi." Borbottò, capendo di non avere voce in capitolo. Le quattro si allontanarono, prendendosi a braccetto fra loro e ridendo come un normale gruppo di amiche. Samuel e Steve le seguirono con lo sguardo, il primo ancora con la birra fra le mani. "Invidio le ragazze. Sono così... vive." commentò piano, portandosi la bottiglia alla bocca. Stark le indicò con un cenno del capo. "Io ho ancora energie, fra poco le raggiungo." Rhodes scoppiò a ridere. "La festa non prosegue senza Tony Stark!" Esclamò, tirando un pugno alla spalla dell'amico.

"Piuttosto..." Stark era decisamente ebbro, mentre si appoggiava di peso a Steve.

Non capisco come questo bell'uomo, con una rispettabilissima reputazione ed un lavoro avventuroso, non sia ricoperto da ragazze adoranti.”

Rogers fece un'espressione esasperata, cercando aiuto nello sguardo di Samuel.

"Andiamo a ballare, Steve..." comprese l'amico, alzandosi. "E' troppo tempo che non vengo in un club come questo per non sfogarmi un po'..." Steve lo seguì di malavoglia, la birra in mano. Stark dietro di loro scoppiò a ridere. “Vai a caccia anche per me, Capiscle!”

"Stark è andato." commentò Samuel, guardandolo. "E' sempre stato così?"

"Anche peggio." commentò Steve, appoggiandosi alla parete. Samuel ghignò.

"Si stanno proprio divertendo..." commentò Samuel. Maria e Natasha ballavano ridendo, mentre Elle cercava di non perderle di vista. Qualcuno evidentemente provò a sollevarle l'orlo della gonna, ma fu gettato in malo modo in mezzo alla folla. Wanda le sussurrò qualcosa nell'orecchio, a disagio, per poi retrocedere verso le scalette che portavano al bar. Raggiunse i due uomini, sospirando. "Decisamente non è posto per me. Vado da Visione..." Commentò sorridendo. Steve la guardò con una smorfia divertita. "Avete chiarito?"

Wanda arrossì, annuendo. Gli diede le spalle e andò a sedersi vicino all'androide, che le circondò la vita con un braccio, dopo un secondo di esitazione. Steve e Samuel li guardavano, sorridendo come due ebeti.

"C'è troppo amore da queste parti..." Stark passo dietro a Samuel, appoggiandosi al muro accanto a Rogers. "Dove sono finiti i miei cuori solitari?"

Samuel sghignazzò. "Conta pure su di me. Dopo il divorzio, ora l'unica donna per me è Cynthia."

Stark lo fissò un secondo. "L'amante?"

"La figlia." commentò piccato Steve, mentre Samuel sghignazzava ancora.

Il vocalist del locale fece un appello a tutti, mentre il DJ cambiava canzone. Stark si buttò nella mischia, raggiungendo Natasha e coinvolgendola in un ballo scatenato. Vicino a lei, Elle e Maria scoppiarono a ridere. Maria teneva ancora in mano il bicchiere, quando notò un gruppo di ragazzi che conosceva.. Si avvicinò a loro, sotto lo sguardo rassegnato di Elle, che le prese istintivamente il bicchiere dalle mani. Non fece in tempo ad appoggiarlo su uno dei cubi a lato della pista che Stark la prese da un fianco, beandosi di ballare con ben due ragazze. Samuel rise.

"Stark è esattamente come lo avevo immaginato." commentò, appoggiando la birra su un tavolino sospeso, appeso ad una colonna. Dietro di questa, una coppia si baciava appassionatamente, e Steve voltò lo guardo imbarazzato. Rhodes si avvicinò agli amici, ballando con Nat.

"Coraggio, buttati!" Samuel lo guardò, ridendo, ed iniziò a scendere verso la pista con fare sicuro. Steve lo seguì di malavoglia, le orecchie che gli ronzavano per la troppa confusione. Tutti si strusciavano in modo piuttosto imbarazzante: era piuttosto diverso dai locali dove si ballava Blues nei suoi anni. Una donna si appiccicò alla sua camicia, strofinandosi contro di lui lasciva. La scostò delicatamente, prendendola per le spalle ed ignorando la sua espressione sconvolta, proseguendo verso gli amici.

Elle e Natasha avevano ripreso a ballare fra loro, ridendo e stando vicine. Si vedeva che condividevano anni di conoscenza: ballavano in modo piuttosto coordinato, e probabilmente non era la prima volta che uscivano insieme.

Samuel, vicino a lui, le fissava divertito. Natasha li guardò con un sorriso sornione, muovendosi sinuosamente. "Non pensavo di aver preso i pantaloni di una taglia in meno..." Disse Samuel, tirando la cintura con il pollice. Steve gli tirò una spallata, rimproverandolo con lo sguardo.

Le due ridevano come delle ragazzine. Maria lasciò il gruppo di conoscenti e tornò dalle amiche, prendendo le mani di Elle ed alzandole in alto. Natasha si mise in mezzo, ed iniziarono ad oscillare, ridendo.

"Hanno decisamente bevuto." commentò Steve, muovendosi pigramente a ritmo. Stark si avviluppò alle ragazze, sghignazzando.

Rhodes prese Elle per mano, facendola allontanare di un passo dalle amiche. Lei lo seguì, lanciando uno sguardo eloquente a Wilson e Steve. Wilson sospirò.

"Certo che Rhodey è testardo." Steve incrociò le braccia.

Rhodes fece per appoggiare le mani sui fianchi di Elle, che sorrise imbarazzata. Steve pote' giurare di averla vista arrossire da quella distanza. L'uomo la strinse a sé, mentre lei gli metteva le braccia sul petto e sussurrava qualcosa. Lui rise.

"Cosa intendi?" borbottò Steve. Samuel ghignò. "Tutti sanno che Rhodes trova attraente Elle. Dicono anche che le abbia chiesto di uscire."

Steve li guardò un secondo, prima di fare due passi nella loro direzione, e picchiettare due colpi sulla spalla di Rhodes. Questo lo guardò, ridacchiando, e fece un passo indietro a braccia alzate. Elle si morse il labbro, guardando in un'altra direzione mentre Steve le passava un braccio intorno alla vita.

"Hai bevuto troppo. Usciamo un attimo." Disse lui, strizzando gli occhi. Elle annuì, senza guardarlo, e camminò verso l'uscita. “Sei già stata qui?” Chiese, cercando di sovrastare il rumore del locale. Elle scosse il capo. “Questi posti sono tutti uguali.”

Steve allungò un braccio, prendendole la mano per non perderla.

Rhodes e Natasha si scambiarono un ghigno, da un lato all'altro della pista.


~


Elle sospirò, strisciando seduta sulle scalette del club.

Steve camminava avanti ed indietro davanti a lei, le braccia appoggiate sui fianchi.

"Stai per farmi una paternale?" Chiese lei, stirando le gambe pallide e guardandosi la punta delle scarpe nere che Natasha l'aveva costretta ad indossare.

"Cielo, no." commentò lui, voltandosi un secondo a guardarla. Poi riprese a camminare. Lei sbuffò.

"Ho fame..." borbottò la donna. "E freddo."

Era gennaio, e portava solo il sottile vestito verde giada, attillato e con due sottili maniche traslucide. Si strinse nelle braccia.

Steve la guardò un secondo, poi si sedette vicino a lei, circondandole le spalle con un braccio, cercando di non incontrare il suo sguardo per non mostrarle quanto era imbarazzato. Elle trattenne il respiro. La mano che lui aveva stretto le prudeva da morire, come se avesse stretto un tizzone infuocato fra le mani. Ora anche tutte le spalle avrebbero formicolato per ore. Ma ne valeva la pena. Lo sentì sospirare, mentre affondava nella sua stretta, benedicendo il tasso alcolico che le circolava nel sangue e che la rendeva così tranquilla. Steve sorrise contro la sua nuca. “Sei più calma del solito. Normalmente, mi avresti mandato al diavolo e saresti tornata a prenderti la giacca.” Elle si strinse nelle spalle, rabbrividendo ancora.

"Tanto domani succederà qualcosa, scoprirai qualche altro potere o ti racconteranno chissà cosa su di me, sentirai che la tua fiducia è stata tradita e mi mancherai per un altro mese, se non di più..." sussurrò lei. Steve si irrigidì, stringendola leggermente di più. “Meglio se mi godo il momento.” Concluse lei, raggomitolandosi ancora di più contro di lui, che per risposta le baciò la testa, sui capelli biondi.

"Forse possiamo trovare un modo per evitarlo." esordì lui. "Siamo adulti, possiamo parlarne."

"...l'ultima volta non mi sembravi nelle condizioni. Pensavo avresti scannato me, o Fury, o entrambi." Steve annuì sui suoi capelli, sorridendo.

"E tu sei scappata come una ladra..." Commentò piano. Lei sospirò. "Mi avevi abbattuta."

"E guarda cosa ne è uscito...Eclipse..." Commentò lui, allontanandosi leggermente per guardarla in viso. Elle guardava la parete fatiscente dell'edificio dall'altra parte del vicolo, come se sopra vi fosse scritta in graffiti una verità universale. L'uomo sospirò.

"Tu e Natasha... ballate spesso?" ridacchiò Steve, per spezzare il clima teso.

"Perché?" Chiese Elle ghignando "Abbiamo urtato la tua sensibilità?"

Steve si grattò il mento con la mano libera. "Diciamo che eravate interessanti da osservare." Elle rise. "E' Nat, è lei quella disinibita."

"Anche tu eri... piuttosto convincente."

"Io sono abituata a picchiarli gli uomini, non a sedurli." Commentò spiccia lei, guardandosi imbarazzata i piedi. "Non è uno spettacolo che si ripete spesso."

Lui rise. "Per fortuna! Stavate facendo venire un infarto a metà degli uomini in sala." Elle arrossì, mentre il silenzio scendeva di nuovo.

"Ci hai più ripensato?" chiese a bruciapelo lei. "A quella notte che abbiamo dormito insieme." Lui annuì.

"Non dormivo così serenamente da anni." ammise lui. Lei sorrise mesta.

"Puoi venire a dormire da me quando vuoi, Capitano." Disse alzandosi, fingendosi sicura. Lui la guardò sorridendo.

Elle pensò che voleva prenderlo, urlargli in faccia che non capiva. Se lui volesse essere suo amico, o se provava qualcosa, come lei lo provava per lui. Se anche lui avrebbe voluto prenderla e baciarla anche in quel momento, in quel vicolo disabitato. Ma nessun indizio arrivò da Rogers, che rimase a fissarla con quella smorfia sorridente. Gli avrebbe volentieri tirato un pugno per spaccargli tutti quei bei denti bianchi. Invece sbuffò, insofferente."Ho voglia di biscotti.."

Lui la guardava dal basso, ancora con le braccia aperte. "Elle..."

"O magari di ciambelle. Con glassa alla banana." proseguì lei imperterrita, guardando verso la strada. Lui non pote' fare a meno di sorridere: Elle stava con le braccia stese attorno al busto, con quel vestito attillato e le scarpe alte, la coda di cavallo leggermente sfatta e gli occhi stanchi. E comunque la trovava bellissima.

"Andiamo a casa." Propose, alzandosi. “O da qualche altra parte. C'è freddo, e questo posto è troppo...”

...Troppo da Stark.” Concluse lei, annuendo. Lui le prese la mano, facendole un cenno verso l'ingresso. "Andiamo a prendere le giacche." Lei la guardò, come se stesse soppesando la sua proposta. Steve fece un'espressione comicamente esasperata.

"E tornando ci fermiamo da Dunkin' Donuts a prendere da mangiare." Subito Elle sorrise, senza riuscire a trattenersi. La donna fece un saltello verso di lui, che allungò una mano. Lei la prese senza pensarci, facendo attenzione ai gradini.

Quando Wanda e Visione li videro prendere le giacche e la borsa di Elle dalle loro sedie, li guardarono interdetti.

"Per fortuna sono venuto con la moto..." Commentò Steve, asciutto. "Visione, Wanda, noi andiamo alla base, ci vediamo domani. Dì a tutti che domani facciamo vacanza: è domenica. E ci meritiamo un po' di pace."

Wanda probabilmente non aveva ascoltato nulla; il suo sguardo passava da Steve all'amica, che la guardava da dietro il bavero del cappotto con sguardo imbarazzato. La mora annuì lo stesso, voltandosi verso Visione che a sua volta sorrise a Rogers. "Sarà fatto, Capitano."

Steve si voltò, dirigendosi verso l'uscita. Allungò una mano, in mezzo alla confusione del locale, cercando con le dita quelle fredde e sottili della ragazza.

Elle si voltò appena, facendo in tempo a vedere Wanda mimarle un 'Ne Parliamo Domani'. Strinse di più la mano dell'uomo, che per risposta si voltò a sorriderle.


~


Elle si sedette sulla moto, usando una mano per tenere abbassata la gonna. Steve sganciò dal manubrio un casco a scodella nero, guardandolo un attimo. Si voltò verso di lei, mettendoglielo sulla testa: le stava enorme, abbassandosi fino a coprirle gli occhi.

"Tu usi il casco?" Commentò Elle, cercando di non scoppiare a ridere. La sua espressione era talmente comica che, invece, scoppiò a ridere lui.

"Quando non sono in missione, per non attirare l'attenzione. Andare in moto senza casco è illegale." commentò lui. "E poi..." proseguì salendo sul mezzo. "Quando mi capita di portare una bella ragazza con me, devo avere un casco." Elle arrossì, allacciandosi la cinghia sotto il mento con uno sbuffo.

"Ti capita spesso di cadere?" Mugugnò sarcastica. "Nel caso, potrei guidare io..."

Lui scoppiò a ridere, prendendole le mani e mettendosele nelle tasche imbottite del giubbotto di pelle scura. Elle rimase – per l'ennesima volta -stupita. Non le estrasse, le tasche erano calde e morbide e lei era senza guanti. Mandò al diavolo la sua coscienza, che le ripeteva che senza alcool e adrenalina, il giorno dopo, si sarebbe pentita di tutta quella disinibizione. Scivolò avanti sul sellino e si strinse forte alla vita dell'altro, appoggiando il mento sulla sua spalla. "Dove andiamo?" Sentiva le mani nelle sue tasche premere contro il ventre rigido. Si chiese se Steve stesse tirando gli addominali per fare colpo su di lei o se fosse involontario. Ridacchiò. Doveva aver bevuto un bel po'.

"Ti porto a fare un giro; vivo a New York da molti più anni di te, alla fine."

Elle rise ancora più forte. "Un centinaio, circa!" Steve abbassò il capo, chiudendo la cavalletta della moto con un sogghigno.

La vicinanza di lei aveva una pessima influenza su di lui: da quando Steve Rogers sogghignava, con tono vagamente malefico?

"Ho di sicuro più esperienza di tutti i ragazzi che puoi aver avuto fin ora..." La guardò con la coda dell'occhio, mettendo in moto. Elle era basita: stava flirtando con lei? Steve Rogers?

Girò il viso, sfiorandogli la mascella con il naso, vicino all'orecchio. "Dici?"

L'uomo ebbe un brivido, che lei avvertì chiaramente. "Dico." Mise la prima marcia, accelerando leggermente. Arretrò con la moto fino alla strada. "Stanotte sei mia: nessuna Wanda o Natasha o Samuel o mutazioni genetiche che ci possono interrompere." Elle rise. All'improvviso non era più assonnata. Però aveva ancora fame. "Sia. Andiamo, Capitano." sussurrò nel suo orecchio.

Natasha li vide uscendo dal locale. Sorrise a Samuel, che si stringeva le mani, commosso.

"Forse è la volta buona che arriva un piccolo Captain Svezia." mugolò, gli occhi luccicanti, un misto di emozione e alcool nella voce. Natasha scoppiò a ridere, convulsamente, colpendolo con un pugno allo sterno.

"Direi che è meglio se vi chiamo un taxi!" commentò Stark poco lontano, tornando dentro il locale.


~


Le luci di natale illuminavano ancora le vie di Brooklyn quasi a giorno. Nonostante l'ora tarda, le strade erano ancora affollate e Steve aveva paura di perdere Elle fra la calca di gente che lo spintonava in tutte le direzioni. Continuava a ripeterselo, nonostante sapesse che era solo una scusa per non lasciarle la mano ghiacciata. Elle aveva estratto dalla borsa una grossa sciarpa di lana, e con il cappotto scuro di peltro sembrava del tutto a suo agio nonostante il freddo pungente. Si guardava attorno, indicando qualsiasi cosa e sorridendo. Non sembrava nemmeno la stessa persona che aveva visto al quartier generale, allenarsi e combattere. Si girò saltellando alla vista di un furgoncino che vendeva bibite calde. Steve non pote' non ridere a quella vista.

"Elle Selvig, agente speciale e Avenger, che saltella per una cioccolata calda!" Commentò tirandola verso di se. Estrasse il cellulare che gli aveva dato Stark, avviando la fotocamera. "Sorridi!"

Elle alzò la sciarpa fino agli occhi. "Ho il naso rosso." Steve la strinse a se'. "Non è vero."

"Faccio questa foto solo se la fai con me." Contrattò lei. Lui ridacchiò, avvicinando un passante.

"Potresti farci una foto?"

Il giovane, avvolto in una pesante felpa rossa, rimase momentaneamente interdetto. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte, chiedendosi dove avesse già visto quell'uomo. Elle notò il disegno della maschera di Iron Man sulla felpa e scoppiò a ridere. Il ragazzo accettò.

Steve tornò verso Elle, passandole un braccio attorno al fianco. Elle si appoggiò a lui, che le abbassò delicatamente la sciarpa con la mano libera. Il ragazzo scattò mentre i due si guardavano, e li osservò imbarazzato. Steve si avvicinò leggermente ad Elle, baciandole il naso arrossato dal freddo.

"Adesso il tuo naso è rosso." Commentò, allontanandosi per prendere il telefono. Il ragazzo lo guardo. "Tu sei Captain America?" Chiese entusiasta. Steve ridacchiò, grattandosi la testa. "Si, ma non dirlo in giro." Si guardò attorno, leggermente preoccupato. Il ragazzo fece un saltello. "No lo dico a nessuno, ma possiamo fare una foto insieme?" chiese esultante. Steve annuì, voltandosi per vedere la folla.

"Posso chiedere alla tua ragazza di farcela?" chiese, estraendo l'iPhone dalla tasca

frontale della felpa. Steve arrossì fino alla punta dei capelli, voltandosi verso Elle con sguardo colpevole. Forse si aspettava di ricevere uno schiaffo o qualcosa di peggio. Elle invece sorrise al ragazzo, avvicinandosi. Prese il telefono e li inquadrò, facendo due passi indietro. "Steve, sorridi." Esclamò lei con tono divertito, guardandolo. Steve sorrise in camera, tenendo un braccio sopra le spalle del ragazzo. Elle scattò un paio di volte, sorridendo. Porse il telefono al ragazzo, facendogli segno di fare silenzio, sorridendo con un dito sulle labbra. Lui guardò la foto, entusiasta, salutandoli. "Grazie, e complimenti, hai trovato proprio una bella ragazza!" Commentò il giovane. "Spero di trovarne una anche io un giorno!"

Steve si voltò a guardare Elle, sorridendole. "Sicuramente."

I due ripresero a camminare, imbarazzati. Elle aveva infilato le mani nelle tasche del cappotto. "Allora, quella cioccolata?" Steve indicò il furgone. Elle sorrise, dirigendosi in quella direzione.

Il furgone era dall'altro lato della strada da dove stavano arrivando, in mezzo ad un incrocio a T che dava sulla strada principale. Tutta la viabilità era stata bloccata, e scoprirono che tutto il viale che dava sull'Hudson era stato riempito da una infinita serie di bancarelle. Brooklyn era diventata una zona alla moda di NY, si era riempita di Hipsters alla quale piaceva produrre cianfrusaglie o comprare oggetti vintage. Elle sorrise, guardando tutto quel via vai di gente, alle due di notte, con le luci appese sulla strada che si riflettevano nell'acqua del fiume. Si girò a guardarlo, gli occhi lucidi per tutta quella luce. "Tu lo sapevi?" Steve annuì. "Lo fanno ogni sabato sera di Gennaio. E' il genere di confusione che mi piace."

Si avvicinarono al furgone. L'uomo si sporse per vedere anche Elle, sorridendo ad entrambi. "Cosa posso offrirvi, signori?" Steve ordinò un caffè lungo con il caramello. Elle si alzò sulle punte, nonostante i tacchi. "E per la graziosa signorina?" "Una cioccolata calda con panna, grazie." Elle si riabbassò, estraendo il portafoglio. Steve gli mise una mano sopra, facendo cenno di no con il capo.

"Faccio io." Elle protestò "Non è gusto, mi sentirò in debito." "Dovremo tornare un'altra volta, così potrai sdebitarti." Commentò lui, facendo una smorfia divertita. Elle lo guardò, annuendo piano. Si morse un labbro, voltandosi per lasciar passare i ragazzi in fila dietro di loro. Steve afferrò i due bicchieri da asporto, seguendola.

"Allora tu vieni da qui..." Commentò lei, sedendosi sul muretto che costeggiava le sponde del fiume. Lui si appoggiò vicino a lei, passandole il bicchiere con la scritta H.C. a pennarello nero sul lato. Lei lo prese fra le mani, stringendolo per scaldarle.
"Da me, questa temperatura c'è a Ottobre." ridacchiò lei.

"Da quanto non torni in Svezia?" chiese lui, prendendo un sorso di caffè bollente. "Anni. Ogni tanto Erik va a controllare la vecchia casa... Ma io di solito non vado." Alzò lo sguardo su di lui, che guardava verso il vuoto. "Nemmeno io sono mai tornato nella mia vecchia casa." Si strinse nelle spalle. "Non vorrei mai andarci da solo."

Elle annuì. "E' qui vicino?" Lui annuì. "Circa tre isolati da qui."

Abitavo qui quando facevo la scuola d'arte." Elle quasi si soffocava con la cioccolata calda. "Captain America faceva la scuola d'arte. Non mi abituerò mai." Steve la guardò.

"Non Captain America. Steve Rogers." Elle capì e si scusò con un sorriso. "Non l'avrei mai detto,comunque."

"Ogni tanto disegno ancora. Mi hai visto. Ma..." Le pizzicò il caso fra le dita, ridacchiando. "Non te li farò mai vedere. Non dimentico che sei anche una psicologa..." Elle agitò le braccia, implorandolo. Una goccia di cioccolata bollente le macchiò la mano, facendola imprecare.

"Ti sei scottata?" chiese lui, smettendo di ridacchiare. Appoggiò il suo caffè sul muretto, prendendole la mano. Elle sospirò. "Sarò anche una super eroina, adesso, ma di certo sono la super eroina più goffa della storia della categoria." Steve ridacchiò.

Le prese la mano, sollevandola verso di lui. La guardò un attimo, prima di avvicinare le labbra e catturare la goccia di cioccolata colpevole della scottatura con la lingua. Elle sgranò gli occhi. Improvvisamente aveva un gran caldo. Rimase a fissarlo, mentre lui sorrideva per la sua espressione sconvolta e le baciava la zona scottata. L'uomo riprese il suo caffè con nonchalance. "Andiamo a fare una passeggiata?"

In quel preciso momento, Elle dubitò di poter arrivare viva a fine serata. Si sarebbe sciolta sul pavimento, se lo sentiva.


~


Elle si era diretta decisa verso una bancarella, dicendo che aveva visto un oggetto che sarebbe piaciuto a River. Steve la guardò allontanarsi, una figura sottile avvolta da un enorme cappotto nero. Sorrise, estraendo il cellulare. Cercò la foto che avevano scattato prima, sentendosi un adolescente pieno di ferormoni. Lui e Elle erano stretti in un abbraccio, e si guardavano da vicino, entrambi avvolti in abiti invernali e sotto le luci di natale. Nella foto dopo, era chinato a baciarle in naso. Elle aveva gli occhi chiusi, il volto strizzato in una risata, mentre lui sorrideva con le labbra contro il suo naso arrossato. Selezionò la foto, e la mandò a Natasha. Il messaggio che ricevette per risposta non aveva nessun senso, e suppose che l'amica avesse proseguito la festa in via privata, alla base. Sperò che non facessero troppo casino, ma in quel momento gli importava poco.

Alzò lo sguardo, e vide Elle chiacchierare con una signora piuttosto anziana, vestita in stile Hippie ed avvolta in una grossa sciarpa colorata. Le due ridevano.

"Che combini?" Chiese, avvicinandosi. Elle gli fece un sorriso a trentadue denti.

"E questo bel giovanotto chi è?" Domandò la signora, guardandolo dalla punta delle scarpe alla punta dei capelli. Elle rimase immobile, guardandolo. "Lui è..." Socchiuse un secondo gli occhi, mentre Steve la guardava ridacchiando. Non aveva mai visto Elle così in difficoltà con le parole. "...Lui è Steve." Concluse, indicandolo. Steve la abbracciò da dietro, lasciandosi andare all'impulso del momento e stringendola a sé. "Salvata in calcio d'angolo..." Sussurrò al suo orecchio. Elle ridacchiò. "Ma è vero, tu sei Steve..."

La signora della bancarella si era allontanata per seguire degli altri clienti, rendendo inutile quello scambio di battute. Elle indicò con l'indice una scatola a carillon, foderata internamente di stoffa rosa con una ballerina che ballava Il Valzer dei fiori di Tchaikovsky.

"Cercavo qualcosa da regalare a River..." si strinse nelle spalle. "Qualcosa per farmi perdonare." "Per cosa?" chiese Steve, allungando una mano per toccare la scatola con le dita. Il tessuto era liscio. Elle lo guardò sconsolata.

"Avevo promesso di mollare i lavori pericolosi. Ed ora entro nella squadra di super eroi del pianeta..." Guardò in basso. "Le avevo promesso che avrei smesso di fare la guerra per poter stare con lei." La Svedese sorrise fra sé e sé. “E' difficile mentire a quegli occhi.” Steve fece una smorfia triste. “Andiamo, voglio farti vedere una cosa.”

La prese per mano, allontanandosi dalla folla. Elle si lasciò guidare, osservando la testa bionda di Rogers mentre la portava chissà dove.

Steve si fermò davanti ad un monumento, una di quelle sculture in bronzo che raffiguravano qualche personaggio famoso del passato. Fece sedere Elle sul piedistallo della statua, sospirando. Si vedeva tutta la Skyline della città, ed Elle sapeva che ogni luce era una persona che in quel momento stava lavorando, stava con i suoi cari o pensava a qualcuno. Stavano vivendo.

Si voltò verso di lei, prendendole le mani.

"Una volta, qualcuno mi ha detto che fingevo di poter vivere senza la guerra." La guardò negli occhi, serio. "Ho lottato con quelle parole, nella mia mente, per mesi. Cercando di convincermi che non fosse vero, anche se non avevo un vero motivo per cui lottare.” La guardò, riprendendo fiato e cercando di trovare le parole giuste. Elle attese, in silenzio.

Finché, un giorno, non ho visto una donna aprire la porta di casa con una bambina in braccio." La donna sgranò gli occhi. "Ho pensato a tutte le volte che sono andato a correre, e vedevo i bambini giocare al parco. Se noi non avessimo combattuto, per esempio, l'Hydra o peggio, i Chitauri, quanti di questi sarebbero vivi? Quanti sarebbero orfani?" Le lasciò le braccia, aprendole e indicando tutto quello che avevano intorno con un ampio gesto. "Quanto sarebbe rimasto di tutto questo?" Elle lo guardava, le labbra socchiuse. Steve, avvolto nella giacca di pelle scura, con una sciarpa blu e i jeans neri, si guardava attorno, a braccia spalancate. Se qualcuno li avesse visti da fuori, avrebbe giurato che stavano litigando. E non avrebbero potuto avere più torto.

"La verità è che è vero, non posso vivere senza guerra; finché ci sarà un motivo per cui combattere, combatterò." Indicò Elle.

Vorrei qualcosa di diverso per te, Dio solo sa se vorrei saperti sempre al sicuro. Ma anche tu sei così: finché avrai una River da proteggere, o finché ci sarà un Rumlow in circolazione, pronto a ferire o ad uccidere persone innocenti, tu avrai sempre le mani sporche di sangue. Ed io probabilmente avevo bisogno di qualcuno come te, che mi mostrasse ogni giorno perché vale la pena combattere." Si piegò sulle ginocchia davanti a lei, prendendole le mani. "Tu vuoi solo che il mondo sia un posto al migliore, che sia al sicuro." Si portò le mani della ragazza al viso, baciandole entrambe. "Non ti piace la violenza: sei solo in grado di sopportarla." Elle si portò la sua mano al viso. Steve sorrise, rialzandosi. Rimasero in silenzio diverso tempo, appoggiati al marmo freddo della base della statua, ognuno digerendo le proprie rivelazioni. Steve spezzò il silenzio, facendole un buffetto sulla testa. "Sono le tre e mezza. Forse dovremmo tornare a casa."

"Alla base, vorrai dire." Esclamò Elle, alzandosi con calma. Si stirò le braccia, aprendole. "Casa." Replicò lui. Lei sorrise, alzando le mani in segno di resa. "Casa."

Lui fece un passo verso la strada, mentre Elle lo guardava di sottecchi. Allungò la mano a stringere la sua, afferrandola con la punta delle dita, stupendosi come sempre di quanto le mani dell'altro fossero calde, e grandi in confronto alle sue.

Steve si girò a guardarla, calmo, aspettando che lei parlasse.

Elle tirò verso di sé la mano, e l'uomo attaccato a quella mano. Non era abbastanza forte da poter veramente pensare di riuscire a trascinare un uomo della forza di Steve Rogers di peso. Sicuramente aveva accompagnato il suo movimento. Si era arreso a lei, a qualsiasi decisione lei avrebbe preso. Si era scoperto per primo, e tanto bastava ad Elle per sapere cosa fare. Quando lui fu' di fronte a lei, Elle si alzò sulle punte per guardarlo in viso.

"Sono contenta che tu sia rimasto congelato per settant'anni.” Steve ridacchio, mentre Elle cercava di guardarlo in viso, fingendo un'espressione seria. “E sono contenta che tu ti sia messo al comando di un'organizzazione non governativa che adesso rischia di diventare governativa." Lui la guardava negli occhi, l'aria densa di aspettativa e di un accogliente silenzio.

La svedese gli mise le braccia al collo, sorridendo timidamente. Steve le passò le braccia attorno alla vita, sorridendo. "E con questo?"

Elle si avvicinò, piano, toccando le sue labbra con le proprie. Respirò un secondo, sentendone la morbidezza e, soprattutto, il calore. Lei era fredda come il ghiaccio, le dita che gli sfioravano il collo e che gli provocavano dei brividi simili a quando una goccia di pioggia passa attraverso il collo di una maglietta durante un temporale primaverile. Lui invece era caldo e morbido, come il primo morso di una torta familiare ma che resta sempre la preferita.

Steve la strinse piano contro di sé, nascondendo malamente la sorpresa. Elle gli sorrise contro le labbra, allontanandosi un poco ed appoggiando i talloni a terra.

E' la prima volta in tutta la mia vita che devo alzarmi sulle punte per riuscire a baciare un ragazzo.” Commentò, imbarazzata.

Steve la guardò un secondo, le pupille dilatate e le labbra schiuse. Teneva ancora la sua mano fra le proprie, e la tirò verso di sé istintivamente, ripiegandosi a reclamare un altro contatto. Elle si strinse a lui, schiudendo le labbra, sentendo il sapore del caffè amaro che aveva appena bevuto e l'odore del lisciante che avevano usato per stirare la sua camicia. Gli mordicchiò leggermente il labbro inferiore, mentre lui sorrideva sereno. Elle si lasciò avvolgere dalla sua stretta, sparendo un secondo fra le sue braccia.

Lui nascose il viso nell'incavo del suo collo, ancora leggermente stordito. "Sei minuscola."

"Spero ti sia venuta la gobba." Replicò pigramente lei, nascondendo il viso contro la pelle morbida della sua giacca. Lui ridacchiò, le braccia che si stringevano ancora di più attorno alle spalle della donna. Si guardò un attimo attorno, stupendosi di come le cose avessero improvvisamente cambiato colore.

"Mi verrà presto, temo..." Sussurrò, abbassando lo sguardo. Elle lo fissava, il viso parzialmente nascosto dietro la pesante sciarpa, gli occhi azzurri che scintillavano di euforia. Non riuscì a trattenersi, e cercò di nuovo le sue labbra, dolcemente.


xXx



Eccoci con i commenti finali! 

Sappiate che per questo capitolo mi aspetto messaggi, recensioni, piccioni viaggiatori e quant'altro. Ci sono degli approfondimenti nel rapporto fra Nat ed Elle, ci sono comparsate di Samuel, finalmente inizia a vedersi Sharon - Notare bene la tempistica di questa povera donna - e soprattutto ci sono gli Stelle! 

Voglio sentirvi fremere come ragazzine per questa overdose di fluff, oppure voglio sentire gli insulti se trovate i personaggi OOC, voglio sapere qualsiasi cosa, anche solo un "Bella, sto seguendo!" o un "Fai schifo!" E' ben accetto. Io vi ho scritto un papiro di capitolo, ricambiate con anche poche righe per farmi capire come vi sembra. Sono qui per imparare, e voi siete i miei professori, il mio pubblico, il mio target! 

Ringrazio come sempre Delta - mi dispiace, ancora niente Svedese ;) - e Giulietta Beccaccina - mi dispiace, ancora niente Jimmy :P - per la pazienza e per il tempo che mi dedicano. Spero di trovarvi numerosissimi il 20 Gennaio
Eh si, purtroppo per impegni lavorativi non potrò pubblicare fino ad allora, quindi avete tempo per darmi qualche consiglio o spunto o farmi qualche domanda. Come possono testimoniare le mie dolci pulzelle, non mangio nessuno, anzi, sono fin troppo logorroica! ;) 

Una buona Epifania a tutti, 

Eve


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Capitolo 20
*** 19. Stasi ***


Ciao a tutti! E' Eve che vi parla.
Parto innanzi tutto scusandomi per il ritardo di ieri. Purtroppo, eventi su consegne su cose si sono sommate ed eccomi qui. Ma, prima di desiderare la mia morte, guardate in basso ed ammirate il nuovo banner, direttamente da Electricsoul, su Tumblr Rise-doe! Ovazioni a questa dolce pulzella, che ha sopportato la rottura di scatole che è avere a che fare con la sottoscritta.
Questo è un capitolo di passaggio, dopo i mille eventi dello scorso capitolo. Pochi personaggi, situazioni tranquille... E ci rivediamo alla fine!
Buona lettura!




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Atto Diciannovesimo:  Stasi

"It's a sin that somehow,
Light is changing to shadow
And casting it's shroud
Over all we have known.
Unaware how the ranks have grown
Driven on by a heart of stone
We could find that we're all alone
In the dream of the proud."

PINK FLOYD


[...E' un peccato che in qualche modo, la luce si tramuti in ombra, e getti il suo velo su tutto quanto sappiamo. Inconsapevoli del crescere dei ranghi, guidati da un cuore di pietra. Potremmo scoprirci ben soli, in un sogno d'orgoglio.]

On the Turning Away – Pink Floyd


Gennaio 2016


Si rigirò pigramente fra le coperte, sentendo un rumore fastidioso e martellante che interrompeva il silenzio pacifico che regnava nella stanza. La testa le doleva leggermente, ma nulla di ingestibile. Passò una mano sulla fronte, che pulsava a causa del circolo sanguigno velocizzato dall'alcool assunto la sera prima, dal conseguente restringimento dei vasi sanguigni. Qualcosa di caldo sotto di sé si mosse, e istintivamente la donna si strinse meglio a quel cuscino umano.

Pronto?” Rispose con voce roca Rogers. Lei sbuffò, mentre lui scivolava contro la testata del letto, appoggiando il mento alla sua nuca. Lei sentì la voce di Fury provenire dall'altro capo del telefono, e voltò il viso contro il petto di lui, sospirando.

Steve assentì un paio di volte, chiudendo la comunicazione. Appoggiò il telefono sul comodino, cercando di non muoverla troppo, un braccio che le cingeva le spalle sottili. Elle si stiracchiò appena, affondando il viso ancora di più contro di lui. Steve sorrise. “Sei sveglia?”

Lei alzò appena il viso, sorridendo con gli occhi impastati dal sonno. Si mise una mano davanti alla bocca, sbadigliando sonoramente. “Che ore sono?”

Steve allungò di nuovo il braccio verso il telefono, e lo inclinò verso di lei, senza commentare. Elle strizzò gli occhi, percorrendo un paio di volte con lo sguardo la distanza fra il viso di lui ed il telefono. “Le sei e mezza?!” Chiese, esasperata. Gli cinse la vita con le braccia, nascondendo di nuovo il viso contro l'altro. Lui la strinse per le spalle, ridacchiando contro i suoi capelli. “Elle, devo andare.”

La svedese alzò appena il viso da sotto le coperte, gli occhi aperti in un'espressione dispiaciuta. “Ma sono le sei e mezza!” Pigolò. Lui scoppiò definitivamente a ridere, scuotendo anche lei che gli era appoggiata contro.

Dovrei svegliarti più spesso al mattino presto.” Commentò, guardandola un attimo, completamente aggrappata a lui, avvolta in una sua maglietta. Elle sbuffò, alzando lo sguardo con espressione arcigna. “Provaci, e scoprirai cos'è il dolore.

Scoppiarono di nuovo a ridere, entrambi. Elle lasciò la presa, mentre lui scivolava fuori dal letto e si dirigeva verso il bagno, grattandosi la nuca. La donna rimase un secondo a guardare il profilo della schiena nuda, che terminava sopra ai pantaloni della tuta grigi con due adorabili fossette. Si strinse meglio nel lenzuolo, rabbrividendo. Lo vide chiudere con un ghigno la porta del bagno dietro di sé, e alzò gli occhi al cielo. “Tranquillo, Capitano Rogers, non attenterò alle sue virtù.” Disse con il suo normale tono di voce, sapendo che lui sarebbe riuscito a sentirla senza problemi anche attraverso la parete. Infatti, appena prima che si aprisse il getto della doccia, l'uomo scoppiò a ridere.

Si alzò a sedere lentamente, gli occhi ancora pieni di sonno, ma giurò che non si sarebbe riaddormentata prima che lui fosse uscito. Aveva una gigantesca maglietta blu scura, di una qualche squadra di qualche sport americano non ben definito. Osservò sorridendo la stanza, cercando di non ridere. I vestiti di Rogers erano ben piegati, e riposti sopra al cassettone perfettamente impilati.

Elle invece si era cambiata mentre già il sonno stava prendendo possesso del suo corpo, ed i vestiti della sera prima erano stati lanciati in malo modo sulla poltrona.

Lo sentì uscire dalla doccia, e dopo pochi secondi aprì la porta, un asciugamano legato in vita e lo spazzolino da denti in mano. Il suo sguardo andò subito verso il letto, come per controllare che non fosse scappata nei cinque minuti in cui era rimasto sotto il getto della doccia. Elle sorrise, indicando i vestiti della sera prima con il mento. “Se non dovesse andare con gli Avengers, hai un futuro come commessa.”

Steve scosse le spalle, lanciandole uno sguardo a metà fra l'esasperato ed il divertito. Elle notò in quel momento il suo vestiario, o meglio, quello che mancava, ed arrossì, scostando lo sguardo di lato, fuori dalla finestra. Steve trattenne appena una risata.

Ti metto in imbarazzo?” Disse, tornando in bagno a sciacquarsi la bocca dal dentifricio. Elle scosse le spalle, appena lo vide riapparire con il busto fuori dalla porta. Steve si avviò verso il cassettone, perfettamente a suo agio, ed iniziò ad impilare un cambio pulito di vestiti. La svedese sospirò, sdraiandosi di nuovo e coprendosi il viso con il lenzuolo. “Mi sembrava di aver letto nel tuo curriculum che hai fatto parecchie missioni con battaglioni di soli uomini.” La prese in giro lui, tornando in bagno. Elle arrossì ancora di più, ringraziando di essere nascosta dal lenzuolo candido. “Spero che tu sappia che non è la stessa cosa.” Borbottò, una mano tesa a tenere il lenzuolo alzato e l'altra sul viso. Si grattò il naso, sbadigliando ancora. Avevano dormito forse due ore. Faticava a tenere gli occhi aperti.

Steve uscì dal bagno, la canottiera ancora in mano, e scoppiò a ridere vedendo Elle ancora nascosta in quella tenda improvvisata. Si sporse sul letto, appoggiandosi con un ginocchio ed appoggiando vicino il fagotto di vestiti. Scostò leggermente il lenzuolo, scoprendole il viso. “Lo so, non è la stessa cosa.” Commentò piano. Si abbassò, stampandole un leggero bacio sulle labbra. “Ora devo andare.” Elle annuì appena, stirando le braccia verso l'alto e sorridendogli. “Buona giornata, Capitano.” L'uomo si infilò la canotta, voltandosi per prendere una camicia pulita dall'armadio. Si voltò, chiudendosi i polsini, e sorrise.

Elle era già crollata in un sonno profondo, raggomitolata contro il suo cuscino, con i capelli stesi intorno al capo e le labbra schiuse in una smorfia comica. Nessuna ruga di preoccupazione sulla fronte candida, le sopracciglia ben distese in un'espressione serena. Steve si voltò, cercando qualcosa nell'armadio. Pochi secondi dopo, le distese sopra una seconda coperta, sistemandola meglio sopra alla prima ed al lenzuolo, che coprivano la giovane. Le accarezzò la testa, lasciandogli un altro bacio sui capelli profumati. Rimase un paio di secondi a guardarla, ancora diviso fra l'euforia e l'incredulità. Poi il cellulare ricominciò la sua fastidiosa litania, e Steve uscì dalla porta in fretta, fermandosi solo per afferrare la giacca.


~


La sera precedente...


"Perché stiamo entrando come se fossimo delle spie? Non mi sembra ci sia un vero e proprio coprifuoco."

Elle si guardò attorno, l'espressione di una persona vicina all'addormentarsi, ma che deve rimanere vigile, le sopracciglia aggrottate sopra agli occhi chiari che scrutavano lungo l'ingresso della base.

"E' per Natasha?" Chiese ancora Steve. La ragazza annuì appena, sospirando. "Sono le quattro e mezza..." Commentò lui, sereno, seguendo Elle nella direzione delle scale. Fece un cenno rassicurante all'uomo della reception, che li guardò passare con attenzione, lo sguardo che li seguiva, un lampo di preoccupazione negli occhi. Rispose al Capitano con un gesto impacciato, mentre questi svoltavano l'angolo.

Elle camminava rasente al muro, le spalle dritte e il labbro inferiore tormentato dai denti. "Perché non usi la telepatia e la cerchi?" Chiese Steve, sbuffando divertito. Elle lo fulminò. "Così è più divertente." Si strinse nelle spalle. "Se siamo fortunati non è tornata a casa da sola." Steve sgranò gli occhi. "Natasha?"

"Non è che perché Banner se ne è andato, lei deve mantenere il nubilato." Sbottò la bionda, stringendosi nelle spalle.

Il ragionamento era giusto. Steve annuì appena, mentre Elle allungava la testa, spiando il corridoio deserto. Steve fece lo stesso, poco sopra di lei.

"Visto? Non c'è nessuno." Commentò, appoggiandole una mano sulla schiena. Sembrava che si fossero sempre toccati, che fossero sempre stati così intimi. Elle lo guardò dal basso, sorridendo.

Avanzarono per il corridoio, illuminati dalle luci al neon. Elle si tolse le scarpe alte, tenendole per le cinghie fra le dita sottili. Allungò l'altra mano, cercando la sua.

"Cosa farai domani?" chiese lui, mentre si avvicinavano alla sua stanza. Elle avrebbe dovuto proseguire fino al settore degli ingegneri, dove si era fatta spostare dopo il loro litigio, diversi mesi prima.

"Pensavo di andare da River, visto che ci hai dato la giornata libera..."

La donna si interruppe, mordendosi il labbro, l'espressione concentrata. Avrebbe voluto chiedergli se voleva venire con lei, ma forse sarebbe stato inappropriato: era difficile capire a che tipo di relazioni Rogers era avvezzo, dopo la fine degli anni 50.

Lui annuì lentamente, voltando di scatto il capo verso il corridoio, prima ancora che Elle potesse percepire lo stesso rumore che sentiva lui. Samuel uscì sghignazzando dalla camera di Natasha, avviandosi a passo strascicato verso la sua porta.

"Te l'ho detto che non dormivano ancora!" Sibilò Elle, schiacciando Steve contro il muro, all'angolo fra i due corridoi. Aspettarono che Samuel entrasse nella sua stanza, al terzo tentativo di passare il badge, bofonchiando tra sé e sé. Steve rise.

"Perché ti agiti tanto?" Chiese, ancora ridendo davanti alla porta finalmente chiusa dell'amico. Si piegò verso la ragazza, che guardava verso il corridoio, respirando a pieni polmoni, le labbra schiuse e l'espressione ancora concentrata. Le prese il mento e voltò il viso verso di lui.

"Ellie." La chiamò, sorridendo. Elle si rilassò un secondo. "Scusa, è che..." Si strinse nelle spalle, le mani nelle tasche del cappotto. "Non ho mai letto il regolamento, in realtà.” Steve la guardò, senza capire.

Non voglio essere espulsa da Fury." Spiegò lei, abbassando lo sguardo sui piedi scalzi, l'espressione imbarazzata. Per l'ennesima volta, Steve scoppiò a ridere.

"Se ti avessi messo nei guai, non saremmo qui. Te lo giuro. Gli Avengers non hanno un regolamento interno, a parte lo statuto di segretezza.”

Elle alzò appena il capo, ancora poco convinta, il bavero del cappotto che le copriva il viso quasi fino al mento.

Non ti metterei mai nei guai con Fury. E ti conosco abbastanza da sapere che non è quello, il problema.” La ragazza alzò gli occhi al cielo, divertita. Sollevò entrambe le mani in un gesto di resa, scarpe comprese, la schiena appoggiata al muro.

Ho aspettato un momento dove tu fossi da sola per settimane. Sola, e possibilmente non troppo depressa o arrabbiata."

Elle si avvicinò leggermente a lui, con un sorriso sorpreso. "Aspettavi che io fossi sola?"

"Volevo vedere se avevi il coraggio di trattarmi come uno zerbino anche in quel caso, lo ammetto."

"Io non ti trattavo come se-" Steve la tirò verso di lui, abbassandosi a baciarla con trasporto. Elle gli morse un labbro, in risposta a tutta quell'irruenza. Lui emise un sospiro strozzato, come a intendere che se lo aspettava.

La Svedese si allontanò, ridacchiando, mentre l'altro la seguiva, restando piegato contro la donna, il respiro corto e l'aria carica di cose non dette. Era una situazione da pazzi: erano le quattro di notte, metà Avengers erano ubriachi, l'altra metà innamorati. Elle lo seguì in silenzio fino alla porta della sua camera, e si appoggiò al muro con il fianco, i capelli ancora legati e le orecchie coperte della sciarpa.

Lui aprì la porta con la sua tessera, rimuginando per un secondo, per poi voltarsi a guardarla. "Arrivato...” Commentò piano, senza abbassare lo sguardo.

Elle si alzò sulle punte e lo baciò di nuovo. "Non si sa mai, con te. Magari domani mattina ti svegli e fai finta di non conoscermi..." Steve alzò gli occhi al cielo, mentre lei faceva un passo indietro, danzando leggera sulle punte dei piedi. "Non succederà."

La ragazza si voltò, la borsetta che sbatteva sul fianco, e fece per incamminarsi nella direzione opposta, sorridendo fra sé e sé. Steve sospirò, appoggiato allo stipite con la schiena, osservandola mentre si allontanava barcollando, un po' per il freddo ed un po' per la stanchezza.

Elle!” La richiamò dopo un secondo, maledicendosi. La giovane si voltò lentamente, la testa inclinata sulla spalla. “Dimmi, Steve.”

Lui si guardò attorno, imbarazzato. Si rimise dritto, le mani che sprofondavano nelle tasche della giacca marrone. “Potresti restare, ecco.”

La ragazza lo guardò, corrucciando le sopracciglia. “Potrei restare?” Chiese, sorpresa. Steve annuì, impacciato. “Potresti fermarti qui, con me. Oppure...”

Fece un paio di passi nella sua direzione, chiudendosi la porta della stanza buia alle spalle. “...Ti accompagno alla tua stanza.”

La Svedese sorrise appena, guardando un punto imprecisato dietro di lui. Riportò lo sguardo sull'uomo. “Non capisco se è un'idea fuoriuscita della tua cortesia anni quaranta o se vorresti che stessi con te ma non riesci a chiedermelo direttamente.”

Non è una proposta indecente.” Commentò subito lui, mettendo le mani avanti. “E' solo che...”

Va bene, Steve. Mi fermo a dormire da te.” Esclamò Elle, guardandosi timidamente intorno. Steve sorrise appena, piegando leggermente il capo di lato, leggermente a disagio. “Non sei costretta.”

Lo so.” Esclamò lei, voltandosi e tornando indietro lungo il corridoio. Lui ripassò il Badge nella porta, aprendola con un gesto teatrale. Elle mise la testa nella stanza, guardandosi attorno. "Posso?" Chiese sussurrando. Lui annuì, accendendo la luce con un gesto secco.

Elle entrò lentamente, guardandosi attorno con curiosità. "Non sono come te: non troverai armi sotto al letto o cose del genere." Commentò lui, schernendola.

Lo scudo di Vibranio brillava, appoggiato sul copriletto. Elle sospirò divertita. “Non sai quanto si può capire dalle persone, guardando le loro stanze.” Steve entrò, chiudendosi dietro la porta. “Mi sono già pentito di averti fatta entrare.”

"Sai, Rogers..." Elle sfiorò lo scudo con le dita. "Quando ti ho conosciuto, pensavo che tu fossi solo un bambolotto pompato al servizio di Fury o di chi per lui." L'uomo sospirò, avvicinandosi ed aiutandola a levarsi il cappotto, appendendolo all'attaccapanni. L'attenzione di Elle tornò allo scudo, al quale girò intorno, osservandolo da diverse angolazioni.

"Lo pensano in molti, Elle." commentò lui, levandosi la giacca. "Grazie per la schiettezza, in ogni caso."

Elle si strinse nelle spalle. "So che lo pensano in molti. Però..." Si piegò sulle ginocchia, passando le dita sulla superficie gelida del vibranio, sorridendo fra sé e sé. "Sono contenta di essermi sbagliata." Sussurrò, un sospiro appena udibile. Steve rimase a guardarla, le braccia conserte e lo sguardo sereno, appoggiandosi allo stipite della porta del bagno, iniziando a sbottonare i polsini della camicia.

"Se tu avessi letto nella mia mente avresti risparmiato quattro mesi."

"Tanto poi te la sei presa lo stesso..." Commentò lei, lanciandogli un'occhiata divertita. Lui sorrise, alzando le mani in segno di resa.

"Vero. Ho sbagliato. Mi dispiace."

Elle si rialzò, lisciando il vestito verde con le mani, le scarpe già abbandonate a terra vicino alla poltrona. Lui fece un passo verso di lei, rimuginando.

"Ci ho pensato molto... e tu avevi detto più volte di dovermi parlare." Alzò le mani, facendole vedere i palmi. "Sono stato avventato. Ero troppo abituato a dovermi proteggere, per credere che tu non avresti sfruttato un vantaggio del genere." Elle sorrise timidamente, guardandolo. “Ne abbiamo già parlato: il fatto che una persona sia in grado di fare qualcosa, non vuol dire che lo faccia per forza.”

Steve annuì, abbassando lo sguardo. “Pace fatta?” Elle si allungò appena, stringendogli la mano. “Pace fatta.”

Rimasero un secondo a guardarsi, ognuno perso per i suoi pensieri ed allo stesso tempo uniti in quel confortevole imbarazzo di quando, per la prima volta, ci si trova scoperti di fronte a qualcuno. Quel senso di essere inermi, vulnerabili, ed allo stesso tempo invincibili ed esaltati. Una specie di febbre di vita.

Elle si piegò in un lampo, afferrando lo scudo e passandoselo attraverso le cinghie sul braccio. Si avvicinò all'uomo, tenendolo davanti a sé per coprirsi il fianco.

"E' pesante." Sussurrò sorpresa. Lui si mise dietro di lei, sistemandole meglio lo scudo, come se davanti ci fosse un ipotetico nemico.

"E' fatto per me." Sorrise appena, guardando come il suo braccio si stancava. Passò una mano sotto lo scudo, dandole una mano a reggerlo.

Elle si allontanò di un passo, la schiena rigida a causa del respiro dell'altro sul collo, e sollevò lo scudo fino al petto.

"Sono il paladino americano, esempio di perfezione, virilità e correttezza!" Esclamò, cercando di fare la voce grossa, una scintilla di divertimento che attraversava gli occhi chiari."Nonostante la tutina attillata come una muta." Steve la guardò male, dandole le spalle. Sfilò il telefono dalla giacca, e lo appoggiò su uno dei comodini, vicino alle chiavi della moto. Elle sbuffò divertita, rimettendo a posto lo scudo e guardandosi attorno. “Non smetterai mai di prendermi in giro, vero?”

Dovrei?” Chiese, divertita, iniziando a sbrogliare l'acconciatura, davanti allo specchio della cassettiera. Lui si voltò appena, guardandola attraverso il riflesso. “No, non farlo mai.” Commentò solo, lasciandosi cadere sul letto a peso morto. Elle si sedette accanto a lui. "E' esattamente come me la aspettavo." Indicò la stanza. "Pulita, sobria, un po' anonima."

"Passo poco tempo, qui." Commentò l'altro, guardando il soffitto, le mani appoggiate accanto ai fianchi. "Ero troppo impegnato a pedinarti per venire a cena con te per arredare la stanza."

Elle scoppiò a ridere fragorosamente. "Mi chiedevo come mai tu aspettassi sempre le nove per cenare!" Lui si coprì il volto con una mano, sospirando rassegnato. "In realtà, andavo a cenare anche prima, con gli altri Avengers. Poi ti aspettavo!" Elle rise ancora di più, buttandosi di schiena sul letto, tenendosi la pancia per i crampi.

Sono proprio un caso disperato...” Commentò lui, il viso nascosto sotto la mano, le guance leggermente imporporate. Elle, sdraiata al contrario, gli fece un buffetto sulla mano libera. “Sei una delle persone più gentili che io abbia mai conosciuto, Steve.” Lui tolse la mano dal viso, voltandosi a guardarla. “Davvero?”

Elle annuì. “E' proprio questo che non sopportavo di te.” Commentò, scherzando.

Un grosso sbadiglio la colse nel mezzo del sorriso, facendo di rimando ridacchiare lui. “Dovremmo andare a dormire...”

La Svedese vide qualcosa che luccicava sul comodino, mentre lui ancora la guardava. Si allungò, mentre Steve si alzava per andare a sciacquarsi il viso in bagno. Quando rientrò nella stanza, la bionda teneva fra le mani un orologio a cipolla, dorato. Stava osservando la foto della bella donna dalle labbra scarlatte all'interno della piccola cassa, dall'altro lato del quadrante, il vetro leggermente scheggiato.

"Ehi..." Steve si intristì, uscendo il canotta e con un asciugamano per il viso fra le mani. Si sedette vicino ad Elle, osservando l'oggetto. Lei notò la sua reazione, guardandola curiosa. "E' tua madre?" chiese piano, temendo di urtare un tasto sensibile.

Steve scoppiò a ridere, immaginando l'espressione che avrebbe fatto Peggy davanti a quella ragazza sconvolgente. Rise per diversi minuti, mentre Elle lo guardava confusa.

"Elle, lei è Peggy Carter." Elle lo guardò, interdetta. Una scintilla di comprensione le illuminò gli occhi azzurri. “La tua Peggy Carter? Parente di Sharon Carter?” Concluse Elle, accarezzando la foto.

"Se fossi rimasto nel mio secolo, probabilmente ci saremmo sposati. E avremmo avuto dei bambini, penso." Elle aprì e chiuse le labbra un paio di volte, interdetta dalla sua osservazione. Si morse il labbro, non sapendo cosa dire.

"Poi è successo quello che è successo..." Concluse lui. "Ed io sono qui, e lei sta morendo di vecchiaia.” Le prese le mani, piccole e pallide, fra le proprie, chiudendo l'orologio fra esse. “Devi capire che, da quel ghiacciaio non è uscita la stessa persona che ci è finita dentro.”

"Mi dispiace, Steve. Non volevo offenderti. Io..." Elle lo guardò sconsolata, e per un secondo il Capitano temette che volesse andarsene. Invece, la Svedese strizzò gli occhi in un'espressione dispiaciuta.

"Noi non studiamo la storia dello S.H.I.E.L.D., in Svezia. Sappiamo a malapena chi sono gli Howling Commandos! Ovviamente so cosa ha fatto Carter per lo SHIELD, e poi ho conosciuto Sharon, ma non avevo idea di che aspetto avesse Peggy! Mi aspettavo una specie di Margaret Thatcher americana, non una Pin-Up dalle labbra carnose! "

Lui scoppiò a ridere, appoggiando l'orologio sul comodino ed abbracciandola di slancio, mentre Elle era ancora interdetta, temendo di averlo offeso.

Tu la amavi, e io ti ho chiesto se era tua madre.” Borbottò imbarazzata, nascondendo il viso contro la sua clavicola. Steve rideva ancora, un braccio che la stringeva a sé. "Te l'ho detto, Elle, sei l'unica che non mi tratta come se io fossi il presidente." Lei rimase appoggiata a lui, un po' meno imbarazzata, chiudendo gli occhi in un sospiro.

Si allontanò leggermente da lui, iniziando a districare le piccole trecce che le partivano dalle tempie, i capelli morbidamente appoggiati sulla spalla destra. Lei indicò il vestito con un cenno del mento. "Puoi imprestarmi qualcosa?"

Entrambi si alzarono, raggiungendo l'armadio di Rogers. La prima cosa che Elle vide fu una camicia a quadretti marroni. "E questa da dove esce?" sbottò, ridacchiando. Steve la guardò male. "Invece che frugare in giro, trovati una maglietta ed andiamo a dormire." Elle afferrò una maglietta a caso, ed andò in bagno per rinfrescarsi.

Steve si sdraiò a letto, sospirando. Era stata una lunga giornata, ed iniziava a sentire anche lui la morsa del sonno. Più che fisicamente, era stanco emotivamente. Gli sembrava di aver vissuto cinquant'anni in un paio d'ore.

Non fece in tempo a prendere un profondo sospiro, che Elle piombò nella stanza in intimo, la maglietta di lui ancora tra le mani.

"Steve!" Chiese, mentre lui si voltava. Il viso gli diventò paonazzo, mentre rischiava la una sincope istantanea. Elle portava solo un bustier con il ferretto, di pizzo bianco, e delle culottes dello stesso colore, i capelli arruffati e sciolti, lasciati liberi di muoversi attorno al viso struccato.

"Posso usare il tuo spazzolino?" Biascicò, stropicciandosi gli occhi con la mano libera.

Era talmente esausta da non fare caso a quando fosse indecente, mezza nuda al centro della sua stanza. Steve assentì, ringraziando gli occhi pesanti della ragazza, che altrimenti lo avrebbe visto diventare bordeaux. Prese un ampio respiro, aspettando che Elle uscisse e lo raggiungesse. Sarebbe stata una lunga notte.

Si sentiva inquieto, a saperla così vicina a lui e così scoperta. Sentiva caldo al basso ventre solo a ricordare come era uscita dal bagno pochi minuti prima. Era una sensazione strana.

Elle ciabattò fuori, lanciando qualcosa -che Steve immaginò essere il reggipetto – sulla sua poltrona. Si infilò sotto le coperte, mentre lui spegneva la luce. Lei si raggomitolò sul suo petto, avvolgendo le gambe attorno alla sua coscia destra, e non fece in tempo a dire ancora qualche sciocchezza prima di addormentarsi come un sasso. Steve le baciò la fronte, sentendola respirare profondamente. Si addormentò poco dopo, tenendola stretta fra le sue braccia.


~


Quando Elle aprì gli occhi, ci mise due secondi scarsi a ricordare tutto quello che era successo nelle precedenti dodici ore. Il giorno prima era stato pieno di novità. Era un vero Avengers, ora. Era una persona con uno scopo. Era nel letto di Steve Rogers.

Si alzò di scatto dal materasso, trovandolo vuoto. Ovviamente.

Avvolta dalle coperte ancora calde, si stiracchiò leggermente, notando che sopra di lei era stata adagiata un'altra coperta scura. Sulla poltrona accanto al letto, ripiegati in maniera ordinata, vi erano il suo vestito, i collant e – arrossì- il suo reggiseno. Le scarpe che le aveva imprestato Nat erano di fianco. Stette ancora qualche minuto nel tepore delle coperte, respirando l'odore familiare delle lenzuola dove avevano dormito.

Infine, scivolò fuori dal letto, infilandosi i pantaloni della tuta di Steve. Fece quattro risvolti in fondo, per non rischiare di inciampare. Afferrò i suoi vestiti e la giacca e si avvicinò alla porta, pronta a fuggire senza dare nell'occhio.

Stava per aprirla, quando qualcosa di colorato appoggiato sul cassettone attirò la sua attenzione. Appoggiò tutto l'involto a terra e tornò indietro, attratta dall'incarto familiare.

Vi era appoggiato sopra un sacchetto ed un piccolo cartone con due caffè da asporto. Uno era stato finito, e stava appoggiato lì accanto. L'altro era ormai freddo, ma Elle lo bevve avidamente comunque. Vicino al caffè, un sacchetto di Dunkin' Donuts . Lo prese fra le dita, tremando come se quell'innocuo sacchetto potesse contenere una bomba.

Dentro,invece, c'erano soltanto due ciambelle glassate alla banana. Sorrise, incredula.

Si erano scontrati per quattro mesi – ma ne era valsa la pena.


~


Quella mattina si era svegliato troppo presto.

Era rimasto sotto le coperte finché aveva potuto, godendosi Elle che si stringeva a lui cercando calore. Ma, alle otto, era già a Manhattan con Fury.

Gli era stato spiegato solo che dovevano andare a discutere con un politico, un senatore di quelli che avevano partecipato ai meeting alla base Avengers, e che aveva proposto un disegno di legge che impedisse ai mutanti di fare uso dei loro poteri in tutti gli U.S.A.. Fury era furibondo, mentre Steve voleva prima capire meglio cosa intendesse questo Abrham J.Jones.

Entrando nell'imponente studio, aveva visto un ometto con pochi, radi capelli tinti di scuro, un completo costoso e lo sguardo spaventato. Li aveva guardati entrare, le due guardie del corpo ben vicine, e aveva fatto loro cenno di accomodarsi nel lato più distante da lui del costoso tavolo in legno, ben lucidato e spoglio.

Jones li fissò per qualche altro secondo, sudando freddo, lo sguardo che passava da Fury a Steve. Deglutì.

"E' inutile che mi faccia vedere il suo soldatino, Fury. Queste persone, questi Inumani, sono fuori dal suo controllo. Basti pensare a quanto successo a Lagos, e prima ancora in Sokovia." Jones estrasse delle foto, lanciandole in malo modo sul tavolo: un uomo in un lago di sangue, tre persone che estraevano un uomo urlante da una lamiera, dei passanti inorriditi.

Fu lì che lo vide di nuovo, dopo quasi una settimana dalla riunione che si era conclusa in uno scontro Selvig contro Selvig.

Bucky, i capelli lunghi e la barba sfatta, guardava terrorizzato verso di loro, con il braccio bionico coperto dalla felpa. La sua felpa. Il viso era parzialmente coperto dal cappuccio, ma avrebbe riconosciuto l'amico anche se avesse portato una maschera -cosa che in effetti era successa. Steve indicò la foto, guardando l'uomo. "Quando è stata scattata questa? Da chi?"

Jones lo guardò con occhi sgranati. "Non so chi le ha scattate! Non è questo il punto!" Steve batté il pugno sul tavolo. "Io devo trovare quest'uomo."

Fury lo ammonì con lo sguardo, mentre Jones sbraitava. "E' proprio questo il punto, Capitano. Non mi importa quale sia la sua missione, la consideri interrotta. Non lavora più per gli Stati Uniti." Lo indicò con un dito puntato verso il suo petto. "Farò emanare questa legge, fosse l'ultima cosa che faccio!" Fury sospirò allontanandosi dal tavolo, le braccia tese davanti a sé.

"Se invece proponessimo qualcosa in tutela delle persone non mutanti?"

Stark entrò nella stanza, perfettamente a suo agio in completo scuro. Steve alzò gli occhi al cielo: era la terza volta che lo vedeva in tre giorni, ed aveva già superato la sua dose settimanale di Stark.

"Tipo uno schedario." Propose l'ometto, voltandosi verso il nuovo arrivato.

"Non siamo dei criminali da schedare." Commentò Rogers. Stark lo guardò di sottecchi. "Pensavo più ad un...registro, ecco. Come per il porto d'armi."

"Sarebbe come schedare le persone per il colore della loro pelle: è sbagliato. Le persone nascono mutanti, ed è loro diritto mantenersi nell'anonimato"

Fury appoggiò i gomiti sul tavolo, me mani giunte davanti al viso. “Però potrebbe calmare la situazione.”

"E' incostituzionale!" Sbottò Steve, assottigliando gli occhi. Non capiva a che gioco stava giocando Tony.

"Non toglieremo diritti a chi ha caratteristiche inumane..." Jones sembrava persuaso dall'idea di Stark. "Semplicemente, renderemmo loro più difficile non rispondere dei loro crimini."

"E più facile rintracciarle per gli scopi del governo." Steve era furibondo. Stark gli lanciò un'occhiata da dietro Jones. "Dobbiamo raggiungere un compromesso."

"Abbiamo qualche idea. Prendiamoci il nostro tempo per fare la scelta più saggia." Commentò Fury alzandosi, seguito da Jones. Steve li guardò un secondo, incredulo.

"Non so quanto sappiate di storia, ma non è mai stata la scelta più saggia, ghettizzare una parte della popolazione."

Jones si strinse nelle spalle, sistemandosi i capelli con una mano. "E' mio dovere occuparmi della popolazione umana." Lo guardò un secondo, senza incontrare il suo sguardo. "Gli Avengers vanno sciolti."


~


Natasha non tornò del tutto cosciente fino al secondo caffè della giornata.

Elle era entrata in un McDrive per la disperazione, afferrando il bicchiere di cartone e mettendoglielo fra le mani.

"Nat.. Su..." Le diede una piccola scossa, e la rossa si voltò a guardarla, gli occhi serrati e l'espressione intontita. "Che è successo?" borbottò. Elle la guardò, esasperata.

"Ieri sera. Siamo usciti. Hai bevuto. Sei crollata a dormire vestita. Sono venuta a recuperarti alle dieci, per andare da River. Abbiamo la giornata libera, parola di Rogers."

Natasha scrollò il capo, ridestandosi improvvisamente. "Rogers. Sei andata via con Rogers stanotte!"

Elle emise un sospiro rassegnato, tornando a guardare la trafficata Forest Queens tipica della domenica mattina. Le due rimasero in silenzio, mentre la svedese svoltava per la via di casa della signora West, parcheggiando lungo il marciapiede affiancato da case tutte simili, basse e vecchie. Il tetto era in tegole scure, e le pareti rosso mattone erano ritoccate in più punti con una verniciata frettolosa. Lo steccato alto che recintava il cortile sul retro stava reggendo alla prova del tempo, e gli scalini del porticato cigolavano in modo sinistro, ma per Elle quella era casa. L'unica che si era potuta permettere, ma anche l'unica che aveva mai desiderato. Estrasse una cassetta degli attrezzi dal baule, sorridendo mentre Natasha percorreva il vialetto ed andava alla porta, suonando il campanello.

River corse ad abbracciare la rossa, attaccandosi alle due gambe. Nat la sollevò, portandola all'altezza del suo viso. "Come sta la mia principessa?" La bimba le sorrise come solo i bambini sanno fare, le orecchie piegate sotto i pesanti ricci scuri. Dietro di lei, la signora West le guardava, un canovaccio fra le mani probabilmente sporche di farina, il grembiule pieno di impronte di piccole mani.

Le quattro donne pranzarono insieme, chiacchierando amabilmente come una normale famiglia ad un pranzo domenicale. Fuori faceva un gran freddo, e alcune tegole del tetto stavano marcendo, seppur avvolte nel ghiaccio invernale.

Elle si era infilata una salopette di jeans, aveva indossato una grossa felpa rossa con la zip aperta e recuperato i guanti da lavoro che usava per tutte le riparazioni di casa. Natasha aveva riso, ovviamente, paragonandola a Clint.

Elle non poteva sopportare che ci fosse qualcosa di fuori posto nella casa che aveva creato per la bambina e per la anziana, amabile signora. Ogni tubo, ogni infisso, ogni verniciatura era stata fatta da lei, e non permetteva a nessuno di intromettersi fra lei e i lavori da fare. Anche se sosteneva che fosse per non spendere soldi che potevano andare nel conto per l'educazione di River, Natasha sospettava che molta di questa voglia di riparare e ricostruire fosse parte del carattere stesso dell'amica. Elle non sopportava i lavori fatti male, e si sentiva sempre in dovere di riparare tutto ciò sulle quali le era possibile mettere le mani, per quanto disperata quell'impresa fosse. Era questo che la Russa temeva, quando aveva sentito l'amica difendere Barnes. Ma, quella domenica, la voglia di riparazioni di Elle si era limitata a farla salire sul tetto, issandosi dalla piccola balconata del primo piano e facendosi passare la scatola degli attrezzi e le assi di ricambio.

Nat era poi tornata al piano terra, iniziando a lavare i piatti ed a pulire il ripiano della cucina, canticchiando sottovoce canzoni di quando era più spensierata, se mai lo era stata. La signora West era già in poltrona, e dormiva saporitamente. River stava giocando sul tappeto con la sua bambola. Era la sua domenica perfetta, l'aria statica tipica delle situazioni familiari. Elle sapeva che non si sarebbe mai stancata di tutta quella normalità, condensata in un solo giorno, poche ore di quiete prima della ripresa della tempesta.


~


Quando si fermò sotto casa della signora West, tremava ancora di indignazione.

Avrebbero sciolto gli Avengers. Senza sapere i pericoli in cui l'essere umano si era cacciato negli ultimi cinque anni. Senza contare tutte le vite umane salvate. E non era comunque la cosa peggiore.

Lui sarebbe stato lasciato libero? Gli uomini e le donne della sua squadra?

Immaginò il momento in cui Elle e Wanda sarebbero state prese. Le avrebbero considerate pericolose? E Visione?

Lanciò il casco a terra, reprimendo un ruggito, i pugni stretti . Quella situazione doveva essere risolta, o avrebbero dovuto darsi tutti alla macchia. Sparire.

Avrebbero più avuto una vita normale?

Era ancora in sella alla sua moto, dietro al SUV nero che usavano per gli spostamenti ordinari, quando vide un lampo azzurro provenire dal tetto. Sganciò il borsone dal retro della moto, appoggiandolo a terra. Vide un altro lampo.

Aggrottò la fronte, avvicinandosi al porticato di legno consunto. Non si era reso conto, quella sera che erano venuti a prendere Elle, di quanto la casa fosse vecchia, la copertura rosso mattone che stava cedendo in più punti. Diede un colpetto alla colonna, e vide un sottile filo di polvere scendere dal soffitto.

Dentro sentiva la televisione che andava, probabilmente viste le voci grottesche si trattava di un cartone animato. Fece un passo sull'ultimo scalino, sentendo ancora rumori provenienti dal tetto.

Si aggrappò con un salto alla balconata e si sollevò con le mani, issandosi contro la ringhiera che scricchiolò in modo inquietante. Steve la scavalcò in fretta, sperando che non cadesse nel vuoto. Era veramente mal messa, con il legno dei paletti pieno di buchi da tarlo, ma niente muffe. Qualcuno lo aveva regolarmente passato con la carta vetrata, per evitare il sedimentarsi dello sporco. Elle.

Si aggrappò al tetto, e con una spinta di lato riuscì a salire sulle lastre di laminato scuro che coprivano il tessuto isolante.


~


Elle prese un profondo respiro, continuando a scrostare alcune tavole con della carta vetrata per constatare il danno. Sapeva che ci sarebbe stato troppo freddo per chiunque altro, su quel tetto esposto al vento sferzante di gennaio, ma doveva riflettere, e quelle tegole andavano comunque sistemate.

Avrebbe dovuto chiedere consiglio a Clint, per molte cose che andavano rappezzate nella sua casa. Trovava le case americane erano troppo poco solide e fatte di troppi materiali diversi, e doveva ancora imparare a fare in modo adatto manutenzione. Ciò non le impediva di dedicare lo stesso una parte del suo giorno libero alla battaglia contro il tetto di casa sua.

Us and Them...” Intonò sommessamente, incurante dei rumori della strada. Prese la prima asse nuova, un chiodo infilato dietro l'orecchio e l'alto fra le dita sottili. Alzò il martello, calandolo verso il basso. “...And after all we're only ordinary men.”

Prese il secondo chiodo, avvicinandolo all'altro lato dell'asse scura. “Me, and you...”
Colpì anche il secondo chiodo, continuando a cantilenare sommessamente i Pink Floyd. “God only knows it's not what we would choose to do...”

Elle si portò i capelli dietro l'orecchio, sbuffando. “Forward he cried from the rear...
Si alzò in piedi, i palmi rivolti verso le vecchie assi. Chiuse gli occhi, che avevano assunto una tinta più accesa. “
...and the front rank died....” Un getto di luce azzurra colpì le assi, che cominciarono a germogliare fra loro, saldandosi in modo innaturale. “And the General sat, as the lines on the map... moved from side to side...

"Non dovresti usare i tuoi poteri allo scoperto. Non con così tanta leggerezza."

Elle si voltò di scatto, le braccia già in posizione di difesa. "Volevo solo usare un metodo meno convenzionale per rattoppare la casa." Commentò, cercando di nascondere il sollievo. L'altro le sorrise, grattandosi la nuca con una mano. "Perchè saresti salito sul mio tetto, comunque?"

Steve scrollò le spalle. "Ero qui vicino, ho pensato di fare un salto."

La svedese alzò appena lo sguardo, chinandosi di nuovo sul lavoro che stava facendo, in mezzo ad una serie di strumenti da lavoro di vario tipo, con la mano puntata contro una lastra di legno. "Farò finta di crederci." Commentò appena, abbassando lo sguardo.

Aveva un buffo berretto di lana rosso, e una salopette da idraulico. Non riuscì a non scoppiare a ridere.

"Ridi, ridi, Rogers!" gli puntò contro un martello. "Quando avrai una casa, verrò di notte a schiodarti le lastre del tetto." Lui rise ancora più forte, mentre Elle, le gote gonfie per l'irritazione, si voltava verso l'asse che stava saldando. Puntò contro la mano destra, il guanto di Stark stranamente presente, e un lampo di luce azzurra colpì l'asse. Questa iniziò a germogliare, legandosi alle assi sottostanti. Steve emise un fischio ammirato.

"Spero che non verrai a sabotarmi casa. Io mi limito ad usare chiodi e martello." Elle si strinse nelle spalle, sorridendo leggermente. "Si fa quel che si può, Rogers."

E' tua abitudine cantare durante i lavori di falegnameria?”

Lei si voltò a guardarlo un secondo, mentre lui si voltava a valutare lo stato del resto del tetto e la via sottostante. Ebbe un lampo della sera precedente, i loro abbracci ed i loro baci. Arrossì, ritornando a concentrarsi sul lavoro.

"Questa vecchia casa è messa male." Commentò ancora Steve, tirando un piccolo calcio ad una lastra. Questa scricchiolò. Elle annuì. "E' quello che posso permettermi, purtroppo. L'altra scelta era mandarle a vivere in Svezia, a casa dei miei." Fece un cenno con la testa. "Non mi sembrava giusto portare via River da quello che conosce. Non da sola."

L'altro annuì, inginocchiandosi vicino a lei ed infilando le mani sotto una vecchia asse.

Ti farai male, senza guanti.” Commentò lei pigramente, guardandolo con sufficienza. Quando lui mosse l'asse, con uno scricchioli, lo fissò un secondo, interdetta. Sorrise fra sé e sé. Steve tirò l'asse verso di sé, e questa si staccò, apparentemente senza il minimo sforzo. “Okay, ti concedo di aiutarmi con i lavori sul tetto.”

Esclamò, fissando il sorriso intenerito che l'altro stava facendo, agitandole la vecchia asse sotto il naso con fare supponente.
"Certo, certo. Anche se... sarebbe meglio che tu ti mettessi già degli abiti civili: come spiegherò ai vicini che Captain America mi sta aiutando a rappezzare il tetto?"

"Non mi noterebbero nemmeno, se tu non illuminassi di blu mezzo isolato." Ribatté lui, ridendo. Elle si strinse nelle spalle. "Prima finisco, prima posso scendere da River. Cosa mi importa, cosa penseranno i vicini dei miei poteri?"

Steve ripensò alla riunione, solo un'ora prima, e agitò il capo. "Dovremo parlare anche di questo." Elle annuì, poco convinta.

"Allora..." lui prese l'asse nuova, sistemandola al posto di quella vecchia. Elle si avvicinò, con la scatola dei chiodi in mano. Ne posizionò uno ad un angolo, tenendolo fermo fra le dita. Allontanò la mano, ed il chiodo rimase in equilibrio. Steve si voltò a guardarla, un'espressione eloquente. Elle, con gli occhi azzurri che brillavano, gli fece una linguaccia divertita. “Potrei quasi abituarmi a questo goffo equilibrio...” Sussurrò, guardando l'altro che, stretto nella sua giacca marrone, alzava il suo martello con un sorriso.

Lo calò con un unico gesto sulla testa del chiodo. L'asse si sgretolò, mentre il chiodo sprofondava nel tetto e cadeva al piano di sotto.

I chiodi caddero dalle mani di Elle, mentre questa fissava l'asse ridotta il trucioli, sconvolta.

Steve mollò il martello come se scottasse, imprecando mentalmente. Elle scoppiò a ridere.

"Per fortuna il quartier generale è in calcestruzzo..."


~


Natasha si era addormentata in poltrona, con River seduta sulle ginocchia ed appoggiata con il viso al suo busto, un ciuffo di capelli vermigli stretti fra le piccole dita. La signora West probabilmente si era ritirata nella sua stanza, come faceva quasi tutti i giorni dalle due alle quattro e mezza del pomeriggio. Elle entrò di soppiatto, facendo cenno a Steve di seguirla. Indicò una porta, in fondo al corridoio. "Puoi cambiarti lì."

Steve annuì, sparendo nel bagnetto di servizio. Elle strisciò fino al salotto, facendo un buffetto sul braccio a Nat. Questa si svegliò, aprendo leggermente gli occhi. "Che ore sono?"

"C'è qui Rogers." Nat la guardò sconvolta. "Cosa?"

"Hai capito." Elle andò verso la piccola cucina, divisa dal soggiorno solo per un bancone da colazione, dipinto di verde acqua proprio dalle due donne circa un anno prima. Nat si alzò, appoggiando la bambina sulla poltrona marrone a coste. River teneva il pollice sinistro fra le labbra, i ricci leonini che circondavano il volto sereno. Emise un piccolo sbuffo, accoccolandosi meglio contro la poltrona.

"Non mi hai raccontato di ieri sera, come posso sapere perché è qui?" Elle estrasse dei bicchieri, risciacquandoli meglio. "Ci siamo baciati." esclamò, allungando il collo per vedere che l'oggetto dei loro discorsi fosse ancora in bagno. "E siamo andati in giro per mezza Brooklyn a fare le colombe."

Natasha si appoggiò al bancone di fianco a lei, mulinando le sopracciglia. “Voglio i dettagli piccanti, Selvig.” Elle sbuffò.

"Si, abbiamo dormito insieme. No, non è successo nient'altro." sintetizzò Elle, le guance arrossate dall'imbarazzo.

"E stamattina?" Elle si strinse nelle spalle. "SI è svegliato presto, aveva un appuntamento." Nat sbuffò.

"Non ci sa proprio fare con le donne..."

"Era andato a comprare la colazione! Si è ricordato persino il gusto di ciambelle che preferisco." Esclamò Elle, alternando sguardi allarmati fra l'amica e il corridoio dietro di lei, mentre Natasha faceva un sorriso eloquente. Elle spostò lo sguardo sulla punta delle Converse bianche, sospirando.

"Non lo trovi inquietante?" Chiese piano, mentre Nat spiava nel corridoio. La serratura del bagno scattò. "No, penso solo che sia dolce." Steve uscì dal bagno, vedendo Elle tirare uno scalpelletto all'amica. "Non dire mai più una cosa del genere!" "Ma è vero!"

"Ciao Natasha!" Steve si abbassò per passare dall'arco che divideva l'ingresso dalla zona giorno. Nat lo guardò, sorridendo in maniera inquietante. "Dammi il borsone, lo appoggio sul divano. River sta dormendo, quindi..." Lanciò un occhiata ad entrambi, ghignando sotto i baffi "...fate piano."

Il cucchiaio di legno della cucina volò, girando su se stesso, fino a colpire il palmo della rossa, che lo aveva preso senza troppe difficoltà. "Elle, devi decisamente migliorare la tecnica di lancio."

Sparì in soggiorno, appoggiando il borsone sul divano e sedendosi sul tappeto con una rivista di moda. Elle la osservò da dietro il bancone, senza sapere cosa dire.

"Cosa è successo stamattina?" Chiese, mentre Steve si appoggiava di spalle vicino a lei. "Avevo un impegno..." Elle scosse la testa, sorridendo. "Non per quello. Quando sei arrivato, mi sembravi... Inquieto."

"Hai letto nella mia mente?"

"Non ho bisogno di leggere nella tua mente per capire cosa ti passa per la testa." Replicò lei sovrappensiero, un bicchiere di acqua fra le mani. Steve le sorrise. "Probabilmente hai ragione."

Incrociò le braccia, osservando con innaturale interesse le decalcomanie a forma di girasole che avevano appiccicato sulle ante dei mobili della cucina. "Dovevo andare ad una riunione con Fury... Vi spiegherò meglio domani, con tutti presenti."

"Brutte notizie?"

Steve chiuse gli occhi, inclinando il capo. Elle, preoccupata, si allontanò dal ripiano per avvicinarsi, ed osservarlo più da vicino. "Non voglio rovinarvi questa giornata." Sussurrò piano lui, abbassando lo sguardo negli occhi di lei. "Devi promettermi solo una cosa."

Elle lo guardò, aggrottando le sopracciglia, facendo cenno di continuare con il mento. "Non utilizzare i tuoi poteri in pubblico. A meno che non sia strettamente necessario." Elle aprì la bocca per replicare, ma lui la zittì appoggiandole l'indice sulle labbra. "Prometti."

Elle sgranò gli occhi, vedendolo preoccupato.

"Principessa, ben svegliate!" La voce di Natasha li riscosse. Elle fece un passo indietro, mentre Steve infilava le mani nelle tasche dei jeans. "Elle, vieni qui, River ti cerca."

Elle passò davanti a Steve, che da solo occupava quasi un quarto dello spazio della cucina, e costeggiò il bancone, una ruga di preoccupazione fra gli occhi celesti.

Si avvicinò alla poltrona, abbassandosi con il busto. La bambina si aggrappò al suo collo, facendosi prendere in braccio. Nascose il viso nell'incavo della clavicola, mentre Elle si voltava sorridendo dolcemente, una mano a sostenerle la schiena.

"Abbiamo ospiti..." Sussurrò all'orecchio della bambina. Questa annuì.

"Vuoi prima a fare la pipì ed a cambiarti per cena?" La bambina annuì ancora, passandosi i pugni sugli occhi ancora gonfi di sonno. Elle sorrise, mettendosela meglio addosso. Si avviò verso le scale, dando le spalle a Natasha e Steve. River alzò il capo, osservando l'uomo da dietro la spalla della donna, i capelli riccissimi castani sparati in tutte le direzioni. Alzò una mano, indicando Steve, mentre gli occhi castani scintillavano di una luce dorata. Allungò ancora la mano, mentre Elle si fermava sentendola muovere. Indicò Steve.

"James!" Esclamò la bambina.

Elle rimase immobile ghiacciata sul posto. Natasha sgranò gli occhi. "Cosa, principessa?" La bambina la guardò e indicò Steve, come se stesse dicendo qualcosa di ovvio. "James!"

Elle si voltò lentamente, lo sguardo terrorizzato. Natasha si avvicinò. "Vuoi che la prenda io?" Elle fece un cenno negativo. Steve, rigido come un'asse di legno, guardava alternativamente le due donne. Elle riprese a respirare, salendo di fretta le scale, la bambina stretta addosso, e due occhi blu che le perforavano la schiena.


~

La poca luce che entrava nell'ambiente filtrava attraverso una finestrella, malamente chiusa da alcuni pezzi di cartone tenuti insieme dallo scotch da pacchi. L'aria era malsana, carica di fuliggine. Il pavimento, ingombro di carcasse.

L'uomo sistemò il bavero della giacca, respirando l'aria putrescente a pieni polmoni, la schiena dritta, conseguenza di un lungo addestramento, gli stivali ben lucidi che stonavano con la sporcizia di quel suolo imputridito.

La donna davanti a lui si voltò a guardarlo, le braccia strette dietro la schiena, attaccate a pesanti catene di ferro arrugginito che le avevano lacerato i polsi. Portava una divisa blu, di una plastica setosa, sporca e strappata in diversi punti. Il collo era pieno di lividi da iniezione. Le ginocchia nude erano a terra, facendola sembrare un martire di qualche dipinto rinascimentale. L'uomo le prese il mento fra le dita guantate, gli occhi stretti in due fessure scure. Le alzò il viso, guardandolo senza espressione.

Nemmeno questa volta sembra aver funzionato.” La donna esalò un respiro sibilante, i denti e le labbra pregni di sangue scuro.

Ci serviranno anni per replicare i risultati dei potenziati di Strucker.” Ammise una donna avvolta in un camice candido, alle sue spalle, gli occhiali spessi dalla forma retrò appoggiati elegantemente sulla punta del naso. Si abbassò sulle ginocchia, tenendo fra le dita lo stetoscopio. Auscultò la prigioniera, che emetteva solo deboli rantoli. “Generale, ci servono più dati su cui lavorare. Genomi, statistiche, biopsie.” La voce di lei era gelida quasi quanto il suo sguardo.

Avrà quello che le serve.” L'uomo guardò la donna accasciarsi di nuovo a terra, schifato. La tastò con la punta dello stivale sul ventre, ma la prigioniera non emise nessuna risposta.

La Dottoressa Gonall la guardò, senza espressione. “Questa non ci serve più a nulla.” Due uomini in tute scure entrarono, sganciando le pesanti catene. Uno dei due estrasse una siringa, iniettando una bolla d'aria nelle vene della prigioniera, sul collo. Questa ebbe un debole spasmo.

Ci servono dati.” Commentò il Generale. Si strinse nelle spalle, uscendo dalla stanza fatiscente. “Richiamate Crossbones.”


xXx



Eccoci qui, gente! 

Come sempre, attendo con ansia tutte le vostre recensioni, i vostri improperi e commenti, e vi lascio con qualche interrogativo per invogliarvi a dirmi la vostra. Come sarebbe il vostro Captain America? 

Non posso dare scadenze precise per il prossimo capitolo. Idealmente, dovrebbe arrivare per Giovedì prossimo, massimo Venerdì 30 Gennaio, causa impegni di lavoro. Sperando di leggere molti dei vostri pensieri e delle vostre riflessioni, buona settimana a tutti!

Eve






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Capitolo 21
*** 20. Drone ***


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ATTO VENTESIMO: DRONE


"War, war just moved up a gear,
I don't think I can handle the truth.
I'm just a pawn, and we're all expendable,
Incidentally, electronically erased
By your Drones!"

MUSE




Attraversò la strada, guardandosi attentamente intorno, il cappuccio della felpa blu calcato sulla testa e lo sguardo perplesso. Nessuno notò la sua presenza, fermo sul ciglio del marciapiede con le braccia distese lungo i fianchi, le pupille leggermente dilatate. Aspettò in silenzio che il traffico rallentasse, che il semaforo diventasse verde; le persone accanto a lui lo schivavano, senza degnarlo nemmeno di un'occhiata superficiale. Un normale uomo, con normali vestiti e una normale vita, probabilmente di ritorno da un banale lavoro. Che schiocchi.

Come un branco di pesci, attraversarono tutti la strada, ordinati in entrambe le direzioni, evitando di scambiarsi sguardi, l'attenzione fissa su qualsiasi cosa che non fosse condivisa con i loro simili.

Tenne fermo con la mano guantata il borsone scuro che lo accompagnava dall'Africa, insieme con i vestiti, logori ma puliti. Con l'altra, quella che lui considerava sana, estrasse il cellulare satellitare che aveva rubato quando avevano attraccato sulla East Coast.

Non ricordava di averne mai posseduto uno, ma allo stesso tempo aveva già una conoscenza più che approssimativa di come funzionasse quell'aggeggio. Senza pensarci, cercò con gli occhi la linea rossa che indicava la direzione da percorrere. Era quasi arrivato. Dietro di lui, sullo sfondo della metropoli, lo Space Needle illuminava la Skyline di Seattle.


Percorse la lunga scala esterna, quella utilizzata in caso di incendio, voltandosi ad ogni angolo con il braccio teso ed il fucile carico. Salì lentamente fino al quinto piano, le sopracciglia contratte e la mascella leggermente tesa. Arrivato alla finestra dell'appartamento che aveva osservato con attenzione per diverse ore, ruppe con il calcio del fucile il vetro ed inserì il braccio metallico, alzando lentamente il pannello della finestra. Entrò lentamente nella stanza, scostando le tende leggermente ingiallite e scavalcando il termosifone che stava sotto alla finestra.

Non riusciva a ricordare l'ultima volta che era entrato in una stanza normale, di una casa normale, senza il pensiero di dover uccidere i suoi occupanti o cercare informazioni. Era in una cucina, il mobilio piuttosto consunto, in compensato color miele, una brutta luce al neon che illuminava un tavolo dello stesso materiale con sopra un computer e qualche piatto sporco. Un vecchio divano consunto, con sopra dei curiosi cuscini rosa pesca che non c'entravano nulla con l'ambiente circostante. Prese un ampio respiro, incerto se chiamare subito Elle da quel telefono od aspettare il ritorno della persona dalla quale era stato mandato. Lentamente, rimise il fucile nel borsone, lasciandolo accanto alla finestra, pronto nel caso di una fuga improvvisa. Guardò i cocci di vetro sul pavimento, sospirando. Li raccolse con la mano metallica, con una leggera difficoltà in quanto non riusciva a sentirli fra le dita fredde. Gettò fuori dalla finestra quelli che riusciva a prendere, calciando con un piede gli altri sotto il tappeto a fantasia floreale che occupava il pavimento davanti al piano della cucina. Si guardò attorno, sentendosi in colpa. Stava violando la privacy di quella donna, quella Valentina Tremonti amica di Elle, inserendosi nella sua vita e nella sua casa senza possibilità di scelta. Si stava imponendo, sgradito fantasma del natale passato, pretendendo da una terza persona di riportagli la normalità che era stata rubata a lui per primo. Ma non aveva scelta: avrebbe dovuto fingersi sicuro, arrogante. Era la sua unica via d'uscita, l'unica pista disponibile. Sperava solo che quella donna fosse in grado di aiutarlo. Oppure, non avrebbe davvero saputo che fare.


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Valentina si scostò un ciuffo del caschetto corvino dietro l'orecchio, guardando con sguardo assassino il suo coinquilino da sopra la pesante giacca a vento nera.

Come sarebbe a dire che hai perso le chiavi di casa, Ethan?”

Il biondone, avvolto in un vistoso gilet di morbido piumino verde mela, scosse le spalle, guardando lo schermo del cellulare. “Le ho perse. Dovrei controllare a casa di Matt, ma non ho intenzione di tornarci, dopo ieri.”

La donna prese un ampio respiro, voltandosi verso di lui con le labbra schiuse e le sopracciglia tese sugli occhi castani. “E' proprio finita fra voi due?”

L'altro sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Evidentemente, un semplice commesso di un negozio di dischi non era abbastanza.”

Valentina sospirò, abbassandosi sulle ginocchia e iniziando a cercare nella borsa le chiavi del loro appartamento. “Non possiamo rifare la serratura e tutte le chiavi. Domani vai a farti una copia.” Commentò pratica, sventolandogli le sue sotto il naso, il pupazzetto di una giraffa che dondolava pigramente. “Ma dovrai accettare il fatto che il tuo ex boyfriend possa entrare in casa nostra come e quando gli parrà comodo.”

Entrò in casa, lasciando cadere la borsa sul pavimento di fianco alla porta e voltandosi a togliersi la giacca per appenderla su uno dei ganci a forma di animali che stavano nell'ingresso. “Io non ti uccido per aver perso le chiavi, ma mi spetta il primo turno di doccia.” Commentò, voltandosi di poco verso la grande stanza che era sia la cucina che la sala da pranzo che il soggiorno del loro piccolo, e vecchio, appartamento in affitto. Indicò con le dita la divisa azzurra di Walmart che portava da quel mattino. Si passò le dita sui capelli, raddrizzando la schiena stanca. “Val...”

Che hai adesso, Etty?” Commentò, ancora ad occhi chiusi, la donna. L'altro si schiarì la voce. “Aspettavamo visite?”

La mora scosse il capo. “A parte il tuo ex con la tua copia delle chiavi? No.”

Il biondo le picchiettò una mano sulla spalla. “Allora, perché c'è un barbone che dorme sul nostro divano?”

Val si voltò di scatto, seguendo lo sguardo del suo amico. “Che cazzo...

Effettivamente, non era uno stupido scherzo di Ethan. C'era effettivamente un uomo, sul loro divano, che dormiva scomposto appoggiato ai cuscini, una felpa di un blu scolorito addosso ed un berretto da baseball calcato fin sopra agli occhi. Un leggero accenno di barba, un solo guanto di panno scuro. Ethan afferrò un ombrello, nascondendosi dietro di lei, che avanzava appena.
“Val, stai attenta, sai... L'Ebola...”

Sei un cretino, Ethan.” Commentò lapidaria lei. “E' solo un barbone. Penso.”

Si avvicinò, toccandolo appena su una spalla. “Ehi tu!”

L'uomo rantolò, voltando ancora di più il capo contro il divano. “Ehi, bellimbusto?” Valentina lo scosse di più, facendolo rialzare di soprassalto. L'uomo si rialzò seduto con un colpo improvviso, guardandoli con gli occhi grigi sgranati come si fosse appena risvegliato da un incubo, il braccio guantato teso a proteggere il viso. “Ehi, ehi, calmo!” Commentò Vale, mentre dietro di lei Ethan abbassava l'ombrello. L'uomo si alzò, facendo fare ai due due passi indietro.

Sei Valentina? Valentina Tremonti, 45778, 10th Avenue, Capitol Hill.” Ripetè a memoria. La ragazza annuì appena, un sopracciglio alzato. “Sono io, non c'è bisogno che mi dici anche il mio codice di previdenza sociale. Chi sei?”

Mi ha mandato...” L'uomo si piegò sulle ginocchia, a metà strada fra il divano e la finestra rotta, lo sguardo perso nel vuoto. “Mi ha mandato...”

Chi ti ha mandato?” Chiese lei, avvicinandosi cautamente, lo sguardo preoccupato che saettava dalla finestra rotta al tizio accasciato nel suo soggiorno.
“Mi ha mandato...” L'uomo alzò appena lo sguardo, il cappello blu che cadeva a terra. “Mi ha mandato Elle. Elle Selvig.” Sussurrò, con tono appena udibile. “Ha detto che avresti potuto aiutarmi.”

Valentina prese un ampio respiro. Se c'era di mezzo Elle, non poteva stupirsi nemmeno di trovare un uomo mezzo morto nel suo soggiorno.

"I was gonna clean my room until I got high...." Un ritmo reggae ruppe il clima teso che regnava nella stanza. Valentina si voltò verso il coinquilino, spaventata. "Ethan!"
"I was gonna get up and find the broom but then I got high..."
Il biondo iniziò a tastarsi le tasche dei pantaloni, gettando a terra l'ombrello, lo sguardo sempre perso verso il loro inaspettato ospite. "Scusate, il telefono."

"Ethan!" Sbottò la donna, sconvolta. L'altro le sorrise. "E' Matt! Vado in camera."

"Non puoi lasciarmi qui con uno sconosciuto!" Commentò lei, scocciata. Lui si strinse nelle spalle. "Tanto è un amico di una tua amica, no?"

"Elle Selvig non è mia amica!" Esclamò la mora, lanciandogli uno sguardo assassino. Ma l'amico era già sparito nella sua stanza, cicalando al telefono con tono melenso.

"Non volevo..." Cominciò l'uomo, ma Valentina lo zittì con un gesto. "Alzati, vai a fare una doccia, poi mangiamo e mi spieghi."

L'altro rimase immobile, guardandolo leggermente perso. "Ok."

"Ok." Rispose lei, guardandolo un secondo. Era alto, quasi quanto Ethan, con delle belle spalle larghe ed un bel viso. Era curiosa di sapere come si era ridotto così.

"Non so se mi posso fare una doccia..." Ammise lui, restando sul posto.
"Se pensi che dicendo così verrò nella doccia con te, non hai idea di quanto sbagli."

L'uomo si tolse la felpa, mostrando solo un attimo di esitazione prima di sfilarla del tutto e lanciarla sul divano. "Porca puttana!" Urlò Val, facendo un passo indietro, una mano sulla bocca. "Che cazzo è successo al tuo braccio?"

L'uomo spostò lo sguardo sulla sua protesi meccanica, la mascella tesa. "Lo hanno sostituito."

"Vedo..." Si avvicinò appena. "Posso?"

L'altro la guardò appena, annuendo con il capo. Valentina si avvicinò leggermente, il viso rotondo stretto in un'espressione a metà fra la curiosità e il terrore, come quando si guarda un'animale pericoloso. Con un dito, toccò appena il metallo freddo.

"Chi ti ha fatto questo?"

"L'Hydra, la divisione scientifica nazista, nel 1944..." Commentò automaticamente lui.

L'altra sgranò ancora di più gli occhi. "Quindi tu hai..."

"Novantatrè anni." Commentò lui, lo sguardo che vagava per la stanza. Val deglutì.

"Okaaay... E perchè Elle ti avrebbe mandato qui?"

Scosse il capo. "Non ne ho idea. Mi ha dato il tuo nome, ed il tuo indirizzo. Pensava che tu mi potessi aiutare?"

"Coprire." Lo corresse lei. "Io non sono più una psicologa, Elle lo sa bene." Commentò, più a sé stessa che a lui. "Comunque, ripeto, prima una doccia e un pò di cibo, poi ne parliamo." Si avvicinò ai mobili della cucina, aprendo un cassetto ed entraendo un rotolo. "Valentina, che tipo di psicologa eri?"

La donna tornò accanto a lui, osservando attentamente il braccio. Prese la pellicola trasparente, inizando a girarla attorno alla spalla dell'uomo. "Mi occupavo di problemi della memoria. Lavoravo con gli amnesici." Ammise lei, semplicemente.

"Come conoscevi Elle Selvig?"

"Compagna di studio." Rispose automaticamente. "Quando c'è stato lo scandalo delle staminali, mi ha aiutato a non finire in prigione."

L'altro finse di capire. In realtà, non aveva la minima idea di che cosa stesse parlando, quella donna bassa dai capelli scuri. Ma, se avesse pensato che lui sapeva, sarebbe stata più trattabile. "E tu, invece?" Chiese lei, finendo di girare la pellicola attorno al braccio dell'altro.

"James Buchanan Barnes, nato a Shelbyville nel 1922-"

"Okay, okay, ho capito." Commentò velocemente la mora. "Adesso, sempre che tu non lo sappia già, visto che sei stato in casa mia chissà quante ore, la porta in fondo al corridoio. Ti porto un cambio appena hai finito." Fece un gesto impaziente con la mano. "Gli asciugamani sono sulla rastrelliera, Robot."

Aspettò che l'uomo si avviasse, prima di richiamarlo. "Ehi, James, Robot!"

L'uomo si voltò, le spalle leggermente curve le lo sguardo spento, senza stare alla sua battuta. Sembrava che la sua acredine gli scivolasse addosso, senza scalfirlo. Probabilmente, perchè ormai il danno era talmente radicato in lui, che nessun insulto avrebbe risvegliato la coscienza di quel poveretto. "Hai modo di contattare la cara Elle?"

L'uomo estrasse un cartoncino dalla tasca dei jeans, passandoglielo. Era stato scribacchiato a penna, su un cartoncino lurido, ma era un inzio.

"Ok, grazie James." Commentò, sorridendogli. Chissà quanto tempo avrebbe dovuto passare, con quel giovane uomo, attraente e misterioso, ma senza anima, in casa. Sospirò, sprofondando fra i cuscini del divano, rigirandosi il cartoncino fra le dita.


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Elle salì gli scalini due a due, cercando di ignorare lo sguardo terrorizzato di Natasha e quello incredulo di Steve attraverso i paletti del corrimano della scalinata. Entrò a passò di marcia nella stanza della bambina, appoggiandola delicatamente sul letto e chiudendo accuratamente la porta bianca, piena di disegni appesi sopra.

Prese un ampio respiro, inginocchiandosi davanti alla piccola. La bambina, senza fare una piega, scese e trotterellò fino al bagno, riaprendo la porta. Elle rimase inginocchiata a terra, mentre sentiva la figlioletta tirare lo sciacquone e lavarsi le mani. La porta si riaprì e River tornò nella stanza. "River, tesoro..."

Elle fece cenno alla bimba di sedersi davanti a lei, guardandola negli occhi.

"Dove hai sentito il nome di James?" River sorrise, alzandosi sulle punte. Toccò il petto di Elle, al centro, senza dire nulla.

"Ehm..." Elle scosse il capo. "Alla televisione? Hai visto il signore che c'è giù con un certo James?"

River fece di no con la testa, indicando di nuovo il suo petto, le sopracciglia leggermente corrucciate, come se alla donna sfuggisse qualcosa di ovvio. Elle inclinò il viso, di lato. "Te lo ha detto un uomo grande, con i capelli castani?"

River fece cenno di no con la testa, di nuovo, leggermente spaventata. Elle si riscosse, sospirando. "Scusa, tesoro. Non volevo spaventarti." Appoggiò il capo sul grembo della piccola, che per risposta le passò le mani fra i capelli biondi.

Elle respirò, rilassandosi al tocco della bambina, lo sguardo che vagava per la cameretta che lei e Natasha avevano dipinto di bianco, le pareti di un delicato rosa pesca, i giocattoli ordinatamente riposti e la scrivania piena di libri da colorare e fogli sparsi. Sopra alla scrivania, come sopra alla porta, vi erano appiccicati disegni di ogni tipo. Animali, stelle, qualcosa che somigliava ad un auto ritratto della bimba mentre volava fra le stelle. Uno, in particolare, attirò l'attenzione della svedese, che si alzò lentamente, le labbra socchiuse.

Era uno sticky man, un cerchietto rosa con sopra dei capelli stilizzati gialli ed il corpo azzurro. Aveva un qualcosa di rotondo, con una stella rossa a centro, in mano. Vicino a lui, uno sticky man tutto rosso sparava dei tratteggi gialli. Elle deglutì.

River salì sulla sedia, dipinta di bianco, indicando il disegno. Poi ne indicò un altro.

Un uomo tutto nero, con solo un cerchio rosa come testa e una chioma castana, stava lottando? Con l'omino rosso. A terra, lo sticky man vestito di azzurro. Elle prese un ampio respiro, staccando il disegno.

Tesoro...” Sussurrò Elle, guardandosi attorno. “Come ti è venuto in mente di disegnare queste cose? Hai visto qualcosa in TV?”

La piccola rise, indicandosi gli occhi castani e stringendosi nelle spalle. Elle fece un respiro strozzato. River prese il secondo disegno, dalla quale Elle non riusciva a staccare gli occhi, e lo spinse verso di lei. "E' per me?" River annuì. Elle indicò l'uomo in azzurro, sdraiato a terra. “River, questo è l'uomo che c'è giù?”

River annuì appena, scendendo dalla sedia.

"Grazie, tesoro." Commentò Elle senza fiato, ripiegando il disegno ed infilandoselo insieme al primo nella tasca davanti della salopette. Si sedette a terra, vicino alla bimba, e se la tirò in grembo, abbracciandola più che poteva.

Natasha mise la testa nella cameretta, trovandole sedute a terra. Dietro di lei, Elle sapeva che c'era Steve.

"Stiamo bene..." Commentò Elle, prima che potessero dire qualcosa, baciando la fronte della bambina. "Stiamo bene..."


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Si sdraiò sul letto, sospirando.

Le pareti della sua stanza, dipinte di un delicato color verde latte e menta, sembravano vicine a collassarle addosso. Si passò le dita fra i capelli, il respiro affannato.

Che cavolo stava succedendo?

Sentiva i muscoli intorpiditi, mentre calciava via le scarpe da ginnastica con un gesto secco, senza preoccuparsi di fare cadere con un tonfo sul pavimento di laminato scuro. Si strinse fra le braccia, la pelle d'oca che decorava la pelle lasciata scoperta dalla canotta. Serrò gli occhi, tirandosi i capelli con le mani.

Elle...” Steve socchiuse appena la porta, bussando leggermente con le nocche vedendola nella penombra. “Ho sentito un tonfo.”

Elle piegò appena il capo, senza muoversi dalla sua posizione, abbandonata sul letto, lo sguardo perso nel vuoto, nella sua direzione, gli occhi lucidi di stanchezza.

L'uomo entrò, chiudendosi piano la porta alle spalle. Avanzò fino a lei, osservandola con un misto di preoccupazione e attesa. Si abbassò sulle ginocchia, accanto al materasso, portando il viso alla sua stesa altezza. La guardò ancora un secondo, aspettando.

Elle, cosa c'è?”

La giovane voltò il capo, prendendo un ampio respiro. Aveva la voce di James nelle orecchie, immaginava il sollievo che avrebbe provato l'uomo che le stava accanto sapendo che il suo amico era al sicuro. Sentiva sotto pelle quella gioia effimera. Quel momento di euforia che lo avrebbe colto, sapendo che la persona alla quale teneva di più era salva.

Ma non poteva dirglielo. Non senza mettere a rischio l'effettiva riuscita del suo piano. Quindi deglutì rumorosamente, coprendosi il volto con le mani. Steve si sedette sul pavimento con un sospiro, appoggiando la schiena al materasso, un ginocchio piegato ed il braccio morbidamente appoggiato ad esso. Non fece nulla per rompere il silenzio che regnava nella stanza, l'aria che vibrava soltanto a causa del vento che passava fra le assi del tetto. Rimasero in silenzio, senza guardarsi, per minuti interi. Forse quasi un'ora.

Fu solo alla fine delle sue elucubrazioni che Elle prese una decisione. Si piegò su un fianco, osservando il profilo della nuca e delle spalle dell'altro nella scarsa luce che proveniva dall'esterno. Lui era ancora fermo, probabilmente preso dai suoi pensieri. Non poteva vedere i suoi occhi, ma poteva giurare che fossero assorti, contro la parete di fronte. Allungò un braccio, lentamente, appoggiandolo contro la sua spalla e percorrendo con la punta delle dita la linea del muscolo, fermandosi contro la sua mascella con una carezza quasi intangibile.

Per quanto lui fosse forte, le sue ossa salde e i suoi muscoli allenati, ad Elle sembrava che il minimo movimento sbagliato avrebbe potuto ferirlo, come un taglio maldestro con una scheggia di vetro, o come quando una punta di legno penetra per sbaglio nella pelle. L'uomo inclinò il capo verso la sua mano, respirando contro il suo palmo e stampandogli un breve bacio. Elle sorrise fra sé e sé, mentre lui si rilassava, distendendo i muscoli contratti delle spalle e sistemandosi meglio con la schiena contro il suo appoggio. Alzò un braccio, prendendole la mano con la sua, intrecciando le dita con quelle fredde e sottili della donna, un sorriso sulle labbra sottili. “Ne stanno succedendo di tutti i colori. Ne usciremo. E' solo un periodo.”

Elle sospirò appena, guardando le loro mani intrecciate. “Dimmi, hai avuto periodi di pace lunghi più di due settimane, da quando ti sei svegliato?”

Steve ridacchiò appena, scrollando le spalle massicce. “Negli ultimi tre anni? Intendi fra il Triskelion e la Sokovia?” Elle sogghignò, annuendo appena, sapendo che lui avrebbe sentito il suo viso sfregare contro il copriletto grigio.

Vorrei solo sistemare le cose. Poi, non so cosa farò.” Elle rimase in silenzio, guardando con occhi curiosi la sua nuca. “Vuoi lasciare il servizio militare?”

Steve scosse il capo, confuso. “Ross ha ragione. Non possiamo andare avanti agendo senza nessun controllo.”

Non puoi neanche lasciare i nuovi Avengers nelle mani della politica Americana.”

Steve negò. “Non lascerei mai in mano ad un solo uomo una squadra come la nostra. Pensavo...” Si voltò leggermente, appoggiando le loro mani sul materasso e guadandola con i profondi occhi blu. “Un organismo al di sopra delle nazioni.”

Le Nazioni Unite?” Chiese Elle, appoggiandosi con il gomito ed alzando il capo. Steve fece un gesto vago con la mano libera. “E' un inizio.” Commentò con un sussurro. Elle annuì appena. “Alla fine, dopo Sokovia, è diventato un affare mondiale. E dopo Lagos...”

Pensavo...” Steve sollevò appena le loro mani, giocando con le sue dita. “Non c'è modo di contattare quel tizio che hai incontrato durante il coma?”

Vali?” Chiese perplessa Elle. “Perché?”

Potrebbe aiutarci a capire da dove vengono i tuoi poteri...” Ammise, sussurrando appena lui, guardandola. Elle fece un sorriso nervoso. “Non è esattamente quel genere di persona alla quale telefoni. Comunque, ci sono tantissimi mutanti, anche solo a New York. Giusto ieri Loretta mi ha raccontato di un tizio che spara ragnatele qui, a Forest Queens.” La giovane si strinse nelle spalle. “Parlano anche di un uomo che fa fare alle persone quello che vuole, parlando.” Ebbe un brivido. “Non penso di valere tutte queste ricerche, Steve.”

L'uomo la guardò negli occhi, serio. “Per me, vali tutte queste ricerche. Voglio essere sicuro che non possa esserci una degenerazione dei tuoi poteri. Potresti farti male, sforzandoti troppo.” La indicò con il mento. “Vedo che sei stanca.”

Devo solo abituarmi al lavoro degli Avengers. Anche se...” Elle scosse il capo, lo sguardo che vagava per la stanza. “Non penso mi faranno restare a lungo. Penso che dovrei chiamare l'FBI prima che straccino il mio contratto.”

Steve annuì. “Pensi che Ross ti caccerà?”

Ne sono sicura.” Sussurrò lei. “Finché non faccio quello che dice... Non può licenziare Stark, o te, ma io non sono né famosa né importante.” Steve sospirò, passandosi una mano sul viso. “La squadra è mia. Posso oppormi.”

Continuerò a combattere con voi, Steve. Ma ci licenzieranno.” Indicò la porta con il mento. “Io devo mantenere un mutuo, ed una famiglia.” Districandosi capelli con le dita, Elle sospirò. “Bisogna fare la spesa, comprare vestiti nuovi, pagare le bollette...”

Steve annuì. “Non penso che rimarrò alla base, se te ne andrai.”

Elle lo guardò appena, sorpresa. “Dove andrai?”

Mi troverò un appartamento. Magari qui vicino...” Elle sorrise, senza riuscire a trattenersi. “La base inizia a starti stretta?” Steve sospirò, le labbra tese in un sorriso stanco. “Devo avere almeno un posto dove poter essere tranquillo. Dove poter dormire, sentendomi sicuro che nessuno entrerà provando ad uccidermi. Preferisco andarmene io, prima che mi caccino.” Elle annuì appena. “Nel frattempo...”

Lasciò la mano dell'uomo, battendo un paio di colpi leggeri sul materasso, sorridendo. “Non posso aiutarti a trovare una casa ora, ma possiamo recuperare qualche ora di sonno arretrata.” Steve annuì, alzandosi lentamente. “Che ore sono?”

Le una di notte. Una e mezza...” Elle guardò con gli occhi strizzati lo schermo del cellulare, allungandosi poi per metterlo sul comodino. Si stese sopra le coperte, senza avere la forza per rialzarsi e infilarsi nel letto. Steve si appoggiò dall'altro lato, esitando un attimo prima di stendersi. Elle si voltò contro di lui, guardandolo di sottecchi. Lui sorrise appena, pensieroso.

"...Is it getting better, or do you feel the same..." Elle ridacchiò, incassando il viso arrossato fra le spalle. "...Will it make it easier on you now, you got someone to blame..." Steve aprì le braccia, un invito ad avvicinarsi, ed Elle non esitò, ridacchiando ancora, la testa appoggiata sul suo bicipite e l'altro braccio che la cingeva delicatamente per la vita. Si strinse contro di lui più che poteva, sentendolo sospirare.

"Da quando Captain America conosce gli U2?" Gli punzecchiò il petto con l'indice, scoppiando a ridere senza riucire a trattenersi. "E' il tuo retaggio irlandese, che parla?"

"Zitta, sveglierai tutti!" Sussurrò lui, stringendosela contro, fingendo di volerla soffocare contro di lui. "E comunque gli U2 non sono l'unica cosa che ho recuperato. Adoro anche i Led Zeppelin."

Elle alzò il capo, baciandogli la punta del naso. "Bravo Steve, sono fiera di te." Rimasero a fissarsi per un secondo, occhi negli occhi. "Non puoi considerarla vita, prima di aver ascoltato i Led."

Steve piegò leggermente il capo, cercando le sue labbra. Elle sorrise, prima di concedergli un bacio. L'altro mugugnò appena, quando lei si staccò con un ghigno.

"Devi dormire, Capitano..." Lui fece un'espressione esasperata, mentre Elle sprofondava meglio fra le sue braccia. "Solo perchè hai ragione, Svedese..."

Elle sogghignò, mentre i due si addormentavano abbracciati, stretti contro il buio della notte, e soprattutto, dei loro pensieri.


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Ci mise un secondo a svegliarsi, ed a capire dove si trovava. Ormai, era un'abitudine per Elle, quell'attimo di insicurezza e di paura prima di contestualizzare dove si trovava e perchè. Riconobbe la sua chitarra, in un angolo, e il grande armadio in legno chiaro, lo stesso della struttura del letto. Le pareti erano di un delicato verde menta, e sopra vi erano appese mille fotografie e poster di varia natura. Steve era già sveglio, le braccia incrociate dietro la testa, e si guardava intorno con un sorriso dolce.

"Da quanto sei sveglio?" Chiese lei, stiracchiando le braccia, il capo appoggiato alsuo petto. "Circa mezz'ora." Sussurrò lui, indicando con il mento il poster del tour del '77 dei Led Zeppelin. Lei ridacchiò, abbracciandolo stretto.

"Dobbiamo andare alla base, Elle." Commentò lui, baciandole la nuca. "Secondo te Natasha è già partita?"

Elle scosse le spalle. "Non saprei. Devo alzarmi, per vederlo..."

Fece per sollevarsi, ma lui la trattenne contro di sè. "Aspetta un secondo, ancora, sono solo le sette..."

"Capitano, Capitano..." Elle gli sfiorò il naso con l'indice, ridendo. "Ho una pessima influenza su di te."

Stettero ancora un secondo, abracciati, mentre Elle rimuginava in silenzio. Alzò appena il capo. "Steve?"

"Dimmi, Elle."

"Posso chiederti di James?"

Steve sospirò, abbassando il mento per vederla, gli occhi azzurri ancora impastati di sonno ed il cappuccio della felpa nera che copriva, in parte, i capelli chiarissimi.

"Cosa vuoi sapere?" Chiese piano, chinando il capo su un lato. Elle si appoggiò con le braccia al suo petto, sdraiandosi a pancia in giù contro di lui. "Gli vuoi bene?"

"Certo." Commentò subito. Poi si fermò un attimo a pensare. "C'è una cosa che devi sapere di me, Elle." La giovane rimase a fissarlo, vedendo per una frazione di secondo tutte le cose che lui aveva visto, e provato, negli ultimi cento anni. Anche senza il periodo nel quale era stato congelato, Steve era comunque, fra i due, quello vecchio, e saggio. L'uomo riprese fiato, ragionando. Poi riprese il discorso, carezzandole la guancia.

"Elle, se mi chiederai di andarmene, me ne andrò per sempre e senza fare rumore. Ma, se mi chiederai di restare, devi sapere che non lascerò mai il tuo fianco. Non importa cosa succederà, quanto saremo distanti o quanto potremo essere in disaccordo, sarò sempre accanto a te." Elle sorrise appena, piegando il capo contro la sua grande mano. "E questo io l'ho imparato da Bucky. Lui c'è sempre stato per me, soprattutto quando nemmeno io ci sarei stato, per me stesso." I due ridacchiarono appena, avvolti dal clima ovattato che solo una mattinata passata abbracciati poteva creare. "Lui mi è stato vicino più di chiunque altro, e se sono la persona che sono, se tutti voi guardate a me come un uomo leale, e buono, è anche e soprattutto merito suo."

"Allora non è assolutamente quel drone senza anima che preoccupa tanto Ross." Commentò Elle, prendendo un ampio respiro. Steve annuì appena, lo sguardo perso ul vuoto. "Ottimo, allora."

Lei si avvicinò al suo viso, con un bacio carico di sollievo. Poi, come era arrivata, sgusciò dalle sue braccia, sparendo nel corridoio animato dal vociare di un'anziana signora che preparava la nipote per la scuola, e di due bellissime donne che si preparavano per un'altra difficile giornata di lavoro.

A quella confusione, forse, avrebbe potuto abituarcisi.


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Pronto, Elle Selvig.”

La donna uscì dalla sala conferenze, il cellulare stretto in una mano e nell'altra un grosso bicchiere di caffè. Era stufa di tutte quelle chiacchiere, stufa di sentir parlare persone che il pericolo non lo avevano mai visto nemmeno da lontano, persone che sembrava fossero lì solo per racimolare un po' di consenso dal popolo spaventato.

Cosa ci fa un barbone metallizzato accampato nel mio soggiorno?”

Ah, ciao Val...” La voce della sua ex compagna, per meglio dire rivale, del college le fece odiare ancora di più quella giornata che non voleva accelerare. Non poté negare a sé stessa, però , il sollievo di sapere Barnes vivo e vegeto, ed al sicuro. Sospirò, appoggiandosi con la schiena al muro. “Allora è arrivato.”

Ieri.” Rispose brevemente l'altra. “Pensavi di avvertirmi?” Borbottò la bionda, grattandosi una tempia con un dito con la mano che reggeva il bicchiere.

Sai che non posso più esercitare!” Commentò con astio la donna, dall'altra parte della cornetta. Elle sospirò. “E lui non può andare da una normale terapeuta, a fare una normale parcella.”

E' pericoloso?” Elle esitò un attimo “Potrebbe.”

Cazzo, Elle, io ho una vita normale, adesso!” Sbottò l'altra. Elle restò zitta a sentire i suoi improperi. “Si, una vita normale, dove a quasi trent'anni hai un part time da Walmart e vivi con uno che si è sbattuto mezza Capitol Hill!”

La mia vita lavorativa o la vita sessuale del mio coinquilino non sono affari tuoi!” Esclamò con astio Valentina. Elle sospirò. “E tu non dovresti spiarmi!” Finì la mora, con tono acuto.

Ti stavo tenendo d'occhio, spiare, non usare parole grosse. Val, Val ascoltami...”

Elle si guardò attorno, allontanandosi verso il corridoio. “Tu eri la migliore con i pazienti amnesici. Io lo so.” L'altra rimase in silenzio. “Non l'ho mandato da te perché saresti l'ultima persona alla quale mi collegherebbero, ma perché eri la migliore dottoressa del centro disturbi della memoria e cognitivi....E' per questo che ho trovato le prove per scagionarti, quando il professor Dalton ha combinato quel casino con le staminali. Nemmeno Strange a neurologia avrebbe potuto fare un casino simile...”

L'altra sembrò pensarci, restando in silenzio, solo il suo respiro che passava attraverso il cellulare. Elle sorrise. Quando riuscivi a zittirla, Valentina Tremonti era anche simpatica. Questo si dicevano i suoi compagni di corso, dietro alla nuca mora della ragazza più bassa, e più antipatica di tutto il corso.

Cosa gli hanno fatto? Per quanto devo tenerlo?” La riscosse l'oggetto dei suoi pensieri, con voce quasi annoiata.

Gli hanno praticato un condizionamento, e lo hanno sottoposto ad Elettroshock continui... Tutto il sistema limbico...”

Penso si possa recuperare. Temevo la lobo.”

No, gli serviva ammaestrato ma cosciente. In grado di agire.” Elle si accucciò a terra, appoggiando il bicchiere del caffè. Si passò una mano fra i capelli, la camicetta azzurra con le maniche ripiegate fino ai gomiti.

Okay, vedrò cosa posso fare, Selvig, ma non voglio nessuna responsabilità. Se si butta giù da casa mia...”

Puoi dire che è entrato e ha cercato di derubarvi. Quello che vuoi.” Commentò a bassa voce Elle, guardandosi attorno. “E verrò subito a ripulire.”

Brava ragazza.” Commentò l'altra. “Tra FBI ed esercito, ti hanno raddrizzata proprio bene. Te lo passerei, ma...”

Elle vide un movimento, con la coda dell'occhio, e si voltò di scatto. “No, no, non passarmelo. Devo andare. Però...” Rimase un attimo in silenzio. “Salutamelo tanto. Preditene cura, ti prego, Valentina.” Concluse, con tono supplichevole.

Ci tieni proprio a quest'uomo. Non è che ti piace?”

E' il migliore amico del mio... Di... Di un mio amico.” Commentò stancamente lei.

Si, Selvig, un amico...” L'altra la prese in giro, con tono saccente. “Chiama quando vuoi. Tanto c'è solo lui, sempre a casa. Il numero è questo.” Elle annuì. “Me lo salvo. A presto, e grazie, Val.”

L'altra riattaccò, mentre Elle si appoggiava con la nuca alla parete, respirando ampie boccate, sollevata. Chiuse appena gli occhi, dischiudendo le labbra.

Da dietro l'angolo del corridoio, appoggiato alla parete con le spalle, Steve sorrise fra sé e sé. Aspettò un attimo, vedendola nel riflesso di una vetrata mentre beveva una generosa sorsata di caffè, probabilmente ormai freddo. Samuel lo raggiunse con in mano una scatola di cartoncino, guardandolo serio.

Stamattina sono andato al Bureau di New York a prendere le cose che mi hai chiesto...” Steve alzò lo sguardo, le sopracciglia contratte. “E...”

Ha riavuto il suo posto. Può cominciare quando vuole. Anzi...”

Prese la scatola sotto il braccio ed estrasse un tablet. “Siamo già richiesti.”

Siamo?”

Io come Agente Avengers. Penso sia la nuova trovata di Ross e Stark. Comunque, hanno assegnato me ed Elle come partner di indagine.”

Steve alzò un sopracciglio. “Perché non ne sono stato informato?”

Tu sei con Natasha.” Commentò solo Sam, stringendosi nelle spalle. “Gli altri sono fuori, per ora.” Steve annuì appena, ritornando a guardare Elle. “Almeno qualcuno qui avrà le spalle coperte.”

Anche se ti ho dovuto fare da galoppino, è stato un bel gesto.” Commentò Samuel, sorridendo all'amico. Steve sorrise in risposta, abbassando lo sguardo. “A cosa siete stati assegnati, se posso chiedere?”

Sam gli passò il tablet, in silenzio. Steve lesse i files, per poi alzare lo sguardo sconvolto sull'amico. “Non sei abituato a queste cose, Sam.”

L'altro indicò Elle con un cenno del meno. “Lei si, però. Ho visto i suoi files. E' veramente una psicologa!”

Sam...” Lo riprese il capitano. Sam si strinse nelle spalle. “Ora però devo andarla a chiamare. Tu torni dentro?” Indicò la sala riunioni. “Si, almeno sarò con Nat e Sharon.”

Attento, Capitano...” Lo prese in giro Wilson. “Non sarai circondato da troppe belle donne per concentrarti su una sola?”

Steve lo guardò esasperato, sistemandosi il maglione in cotone bordeaux. Si diresse verso la porta. “Dopo, riferitemi tutto.” Disse solo, lanciandogli uno sguardo significativo. Samuel fece uno dei suoi sorrisi ghignanti. “Certo, Capitano.”


xxx


Sarai la mia Scully, la mia partner di indagine, insieme riusciremo a svelare ogni arcano, a smascherare ogni malvivente, a....”

Ti prego, Sam.” Lo implorò lei, sorridendogli dolcemente. “Ti ringrazio ancora per aver recuperato il mio distintivo, e soprattutto recuperato il mio lavoro, ma adesso, taci.”

I due avevano parcheggiato sotto ad una palazzina in stile coloniale nel Chelsea, a Manhattan. Samuel prese un ampio respiro, prima di scendere dall'auto, la giacca che portava che lo faceva sentire una specie di clown serioso. Elle aveva insistito: come agenti, dovevano avere un certo decoro. Lei aveva tenuto i pantaloni neri e la camicia azzurra, sotto al solito cappotto. L'unica aggiunta che aveva fatto era la doppia fondina che teneva sotto le ascelle, nascosta dal cappotto nero.

Si avvicinarono al palazzo, dove c'era un gran via vai di curiosi, abitanti del complesso ed agenti. Elle estrasse senza commentare il distintivo, sotto lo sguardo compiaciuto di Samuel. Si fece largo lungo la scalinata, sentendo il vociare tipico degli agenti di polizia di NY. Arrivò al terzo piano, dove la porta era aperta e degli agenti stavano uscendo dall'appartamento. Un poliziotto controllava l'identità di chi entrava, e la svedese gli mostrò ancora il badge, guardandolo inespressiva.

Elle Selvig, FBI. Questo è Samuel Wilson, dalla divisione Avengers.” L'amico non disse nulla, mentre l'uomo in divisa si faceva da parte. Elle si abbassò, passando sotto al nastro giallo della polizia di New York. Un agente passò loro di fianco, tenendosi la fronte con una mano. “Nemmeno ad Hell's Kitcken si vedono queste cose..” Commentò con voce flebile. La donna lo fece passare, scostandosi lungo il corridoio malamente illuminato.

Nel soggiorno dell'appartamento, una carcassa giaceva scomposta sul pavimento, in una pozza di sangue scuro. Samuel si portò una mano alla bocca, reprimendo un conato, la mano che andava istintivamente sulla tasca dove teneva il cellulare. Elle si avvicinò, scura in volto, le sopracciglia aggrottate. Prese dalla borsa di una agente della scientifica un paio di guanti sterili, piegandosi sulle ginocchia a fianco della donna, i capelli di un castano chiaro legati sotto la cuffia bianca. Samuel rimase al limitare della stanza, in mezzo agli altri agenti. “Direi che è morto.”

Ottima osservazione, Sam.” Esclamò Elle, sarcastica. “Dimmi anche che non è morto per cause naturali. Non è abbastanza ovvio.” Sfiorò una grossa lacerazione, lanciando uno sguardo alla collega. “E' stato...smembrato?”

E' morto dissanguato. Si, gli arti sono stati strappati.” Avvicinò una luce al taglio, percorrendo con una stecca di legno la seghettatura della lacerazione. “Dovevano essere in due uomini molto forti per fare un lavoro del genere.”

Elle rimase immobile, lo sguardo a mezz'aria. Si voltò leggermente verso l'ingresso, scrutando il pavimento. “O uno solo...”

Samuel la guardò, perplesso. “Elle, cos-” La svedese si alzò, facendosi largo fra gli agenti che guardavano la scena, borbottando. L'altra la guardò, perplessa. “Non può essere stato un solo uomo, avrebbe dovuto avere un'apertura delle braccia di quasi tre metri.”
“Fuori tutti, ORA!” Urlò la bionda, agitando le braccia. Samuel scosse il capo. “Coraggio, ragazzi, tutti fuori!” La assecondò, facendo ampi gesti con le mani, mentre l'amica restava piegata a terra, spingendo dietro le ginocchia di un poliziotto con il braccio, i guanti insanguinati ancora addosso. L'agente della scientifica le passò una torcia, in silenzio, mentre Elle percorreva avanti e indietro il perimetro del salotto. Sam spinse fuori dalla porta l'ultimo poliziotto. “Che succede?” Le chiese poi, spazientito.

Stiamo cercando.” Commentò asciutta la donna castana, vedendo che l'altra non rispondeva. “Comunque, sono l'agente Mallory, Scientifica.” “Samuel Wilson. Lei è Elle Selvig.” La bionda annuì appena, facendo un gesto di saluto. Si inginocchiò a terra, indicando qualcosa, l'altra mano a palmo aperto davanti al viso dell'agente. “Polvere.”

Mallory si avvicinò con la borsa, mentre Samuel la seguiva, confuso. Le due donne si misero a spazzolare con una polvere biancastra la moquette. L'agente mise in mano all'uomo una torcia violetta, piegandola verso il basso. “Cosa cercate?”

Sam, chi ti viene in mente dei nostri compagni di merende, che ha un'apertura delle braccia di quasi tre metri, con un aiutino da parte della riserva scientifica nazista?” Sam restò a labbra schiuse, guardandola con occhi sgranati. “Tira la tenda.” Ordinò Elle dopo pochi minuti. L'altra annuì, alzandosi e tirando con una mano la pesante tenda di cotone scuro. Il buio, ad eccezione della luce che reggeva Sam, prese possesso della stanza.

Oh cielo.” Commentò Mallory, guardando la scena.

Una serie di strane impronte, quasi esagonali, per la maggior parte incomplete correvano per il pavimento del soggiorno, probabilmente fino all'ingresso. La lampada mostrava gli schizzi di sangue, che arrivavano fino al soffitto, e molteplici impronte di mani sulle pareti.

Elle si piegò verso un'impronta, più definita delle altre. “Metro.”

Mallory ci mise un secondo a scostare lo sguardo, afferrando qualcosa dalla sua ordinatissima borsa da lavoro. Le passò il metro, giallo fosforescente, in silenzio.

Cinquantasette centimetri.” Samuel scosse il capo, avvicinandosi. “Il nostro colpevole è Big Foot?” Ridacchiò nervosamente, lo sguardo che andava dall'impronta allo sguardo della donna.

Elle scosse il capo, alzandosi. Scostò la tenda, facendo tornare la luce del sole nella macabra stanza. “Chiama Steve.”
“Perché?” Chiese Samuel, sbattendo le palpebre. Elle sospirò.

Rumlow si è fatto una nuova corazza. Oramai, potremmo quasi parlare di Cyborg, o drone. ” Esalò appena, indicando con il mento il pavimento. “Sta testando le sue capacitàcon dei soggetti di minore importanza. E' arrabbiato.” Agitò le braccia, spostandosi verso il corridoio più interno. Percorse dei lunghi tagli nella carta da parati, a quasi due metri da terra. “...Molto arrabbiato. Abbastanza da rischiare di incastrarsi nel corridoio.”

Con chi è arrabbiato?”

Spero di sbagliarmi...” Commentò Elle asciutta, entrando nel piccolo bagno, un solo lucernario che illuminava i mulinelli di polvere nell'aria statica. Si tolse i guanti, lasciandoli nel lavello. Alzò lo sguardo, serrando subito gli occhi, le mani che sfregavano le palpebre. Si sentiva improvvisamente stanca, la stanza che si muoveva attorno a lei.

Mallory, portami la macchina fotografica quando hai finito in soggiorno.”

La donna appoggiò un altro cartoncino numerato, fotografando un'altra impronta. “In bagno?” Chiese l'agente, scettica.

Elle percorse con le dita tremanti il contorno dello specchio.

Sam si sporse nel minuscolo servizio, cercando di non toccare nulla. “Elle, che...”

La testa dell'uomo smembrato in soggiorno giaceva nella vasca da bagno, la nuca coperta di capelli scuri che galleggiava nell'acqua vermiglia, il viso del tutto sommerso sotto il pelo del liquido.

Un coltello era infilato nello scalpo, a fare da fermacarte ad un plico di fogli bagnati e sporchi di sangue. Samuel raggiunse il water, piegandosi a rigettare tutto il pranzo. Indicò appena la vasca ed il suo contenuto, prima di piegarsi di nuovo, preda di un altro conato.

Sei tu.” Esalò appena, prendendo ampi respiri. Elle annuì, stringendo il bordo del lavandino con le dita sottili. Il suo viso guardava in camera, nella foto che occupava un riquadro a colori del modulo, scaricato da internet.

Elle Selvig. Psy. D. in Psicologia, Culver University. “ Lesse a bassa voce.

Era la sua scheda di servizio dell'FBI. Probabilmente, tutta la sua storia e la sua carriera erano state stampate. Università, S.A.S., F.B.I.. Un agente entrò nel bagno, guardandoli sconvolto, il viso pallido che assumeva tinte verdastre. “Signori...”

Mallory fece per zittirlo, ma Elle fece un gesto vago. “L'uomo era un militante di un gruppo neonazista anti-mutanti.” Commentò l giovane, guardando con uno scatto la testa galleggiante. “Dì là sono stampati anche la scheda di Scarlet Witch e del Capitano.” Commentò appena. Elle abbassò lo sguardo sui fogli, mentre Samuel ricollegava i tasselli.

Elle, solo la tua scheda è qui.” Indicò gelidamente, con un cenno del capo. La svedese tornò a guardare nello specchio, gli occhi persi su delle righe nel vetro, qualche accenno di sangue rosso nei tagli precisi fatti con una lama. Percorse con le dita le scheggiature, sospirando. “Solo la tua scheda è infilata nella nuca di questo tizio.”

Qualcosa che non sia ovvio, Wilson.” Commentò lei, mentre lui seguiva il suo sguardo.

Elle abbassò gli occhi sul suo dito indice, osservando un leggero taglio che si era formato sulla pelle diafana. Samuel ebbe un fremito, mentre Mallory spostava lo sguardo su di lei, raggelata. “Mi devi un favore.” Lesse sommessamente, la scritta incisa sul vetro con rabbia, le aste delle lettere passate e ripassate, formando un carattere scomposto.

Apertis verbis...” Sussurrò Elle fra sé e sé, chiudendo di nuovo gli occhi.

Agente, è arrivato un altro tizio che dice di essere della squadra Avengers.”

Esclamò un'agente, avvicinandosi agli altri due alla soglia della porta del bagno. Elle si voltò appena. “Rogers? Romanoff?”

I due negarono con il capo. “Uno che non abbiamo mai sentito, dice di essere...”

Sono il nuovo psichiatra della base operativa di Upstate.” Disse una voce, profonda, con tono mellifluo. “Mi hanno detto che potevo trovarti qui, Selvig.”

Elle lanciò un'occhiata a Samuel, che stava in piedi, a pochi passi da lei. Si voltò, osservando l'alta figura che stava sorpassando con sguardo infastidito Mallory e gli altri due agenti. Elle lanciò uno sguardo alla donna della scientifica, sospirando. “Potete lasciarci, ragazzi. Vi richiamo io.”

I tre si allontanarono, tornando a pendere i calchi in salotto. Elle si fermò un attimo ad osservare il collega: alto, capelli scuri, mascella decisa ed occhi sottili. Portava un elegante cappotto lungo, di sartoria, ed una sciarpa color sabbia, probabilmente di seta. L'uomo le lanciò un'occhiata divertita, scrutandola da capo a piedi come se stesse valutando un prezzo, per un'asta. Elle rispose allo sguardo con altrettanta energia.
“Allora, adesso che mi ha trovato ed ha interrotto il mio lavoro, posso sapere con chi ho il piacere-”

Nari Nalsson, psichiatra, laureato ad Oxford.” La guardò con aria di sfida, mentre Elle si lavava le mani nel piccolo lavello, cercando di ignorare l'avvertimento graffiato a viva forza sul vetro. Si voltò, dopo essersi asciugata le mani sui pantaloni neri, sotto lo sguardo piuttosto schifato dell'altro, e gli tese la mano. Lui non la strinse, guardandola con un sopracciglio alzato. Indicò la testa nella vasca da bagno con un cenno del mento. “Sembra che qualcuno ce l'abbia con lei, signorina Selvig.”


xxx




Eccoci con il capitolo! Spero di non avervi disturbato con il reminder. In ogni caso, spero che questo capitolo ricco di avvenimenti e di azione vi abbia ripagato dell'attesa!

Ci sono tantissimi Easter Egg in questo capitolo, ma veramente tanti. Canzoni, luoghi, cose. E iniziamo a tirare le fila degli eventi: River, Rumlow che è tornato in città, il Norvegese! Elle e Steve iniziano a trovare un equilibrio, si svelano piano piano a vicenda. BUCKY è tonato, ma non al massimo della forma. Samuel invece è rinato come una farfalla dal suo bozzolo (?).

Beh, nonostante i problemi che ci sono stati con le recensioni - diverse di voi mi hanno detto che non sono mai arrivate, maledetti gufi messaggeri! - spero che abbiate voglia, e tempo, di farmi sapere cosa ne pensate. Attendo con ansia!

Grazie alle solite Delta e Giulietta per la compagnia e, soprattutto, per sopportare i miei scleri telematici!

Buona notte, o buon giorno, a tutti! ;)


Eve

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Capitolo 22
*** 21. Echi ***


Dove eravamo rimasti...

Gli Avengers stanno affrontando una delle crisi politiche più insidiose della storia internazionale. Nessuno vuole cedere campo a nessuno, finendo quindi per distrarre l'attenzione dal vero pericolo, l'Hydra.
Il corpo terroristico si sta infatti riformando, cercando nuovi alleati e nuove risorse, come Steve Rogers ha appreso in Wakanda.
Il Generale 'Thunderbolt' Ross sta prendendo pian piano possesso degli organi politici più vicini alla squadra, iniziando a seminare dissidi fra i componenti.
Elle Selvig è stata la prima ad essere formalmente licenziata dalla squadra, ed ha riavuto il suo ruolo di Agente dell'F.B.I.. Insieme con Samuel, trova sulla scena di un
omicidio particolarmente efferato, le prove che Brock Rumlow, ora Crossbones, è ancora sotto l'Hydra e sta ripulendo New York da tutti i componenti dei più convinti gruppi anti-mutanti.
Dopo Lagos, l'opinione internazionale è particolarmente sensibile al tema, e l'attenzione generale sulla squadra è molto alta, mettendo alla prova l'amicizia di Elle e Natasha.

Nel frattempo, Steve Rogers ha compreso che Selvig sa qualcosa riguardo allo scomparso Soldato d'Inverno. Nonostante le prove che Elle ha incautamente lasciato al loro ultimo incontro, decide di non affrontarla direttamente, proseguendo le sue ricerche con Samuel Wilson.
Captain America ha nel frattempo intrapreso una relazione con Elle, nonostante i segreti di entrambi ed i problemi che devono affrontare. Elle vive un momento di profonda
angoscia quando la figlia adottiva, River, affetta da una forma psicologica di mutismo infantile, chiama il nome di James vedendo Steve Rogers.
Elle scopre così che la figlia è a conoscenza di qualcosa, ma ancora non riesce del tutto a spiegarsi il fenomeno.
James Barnes è invece arrivato a Seattle, seguendo le indicazioni di Elle, ed ha trovato asilo in casa di una ex compagna di università di Selvig, Valentina Tremonti la quale è stata una delle maggiori ricercatrici nel campo della Psicologia della Memoria.

Ed eccoci qui, prendetevi del tempo, un paio di pacchi di fazzoletti, cioccolata ed altri generi di conforto. 

Skyfall è tornata, bitches!



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ATTO VENTUNESIMO: ECHI

Capitolo dedicato alla dolcissima Giulia, detta anche Giulietta Beccaccina,
che oggi compie 22 anni! Una bella dose di Stellecky, al momento giusto!

"And no one showed us to the land,
And no one knows the wheres or whys.
But something stirs and something tries
And starts to climb towards the light
"

PINK FLOYD



Febbraio 2016


L'ampia stanza era riempita solo dai lamenti soffocati dei soggetti, malamente legati da catene di ferro alle pareti spoglie, macchiate dall'umidità e da una muffa nera come pece. L'aria era satura di odori nauseabondi; qualcuno dei prigionieri sembrava immobile, ghicciato dal fredddo invernale che entrava nella stanza dal tetto poco solido e dalle finestre, malamente rattoppate con pannelli di cartone.

L'unico ambiente illuminato era una tenda da lavoro, il bianco iridescente ed asettico che stonava contro il nero putrido delle pareti. Un uomo uscì con passo deciso dall'unico ingresso di quell'oasi candida, il clangore metallico che risuonava ad ogni passo. I prigionieri evitavano il suo sguardo, schiacciandosi gli uni contro gli altri in un groviglio silenzioso.

Era come loro, ed allo stesso tempo era intriso di un senso di superiorità, di invincibilità. Non sentiva più il dolore delle lacerazioni, dei tubi che uscivano dalle sue spalle e dalla schiena, delle macchie violacee laddove erano stati inseriti gli innesti. Sentiva la pelle tirare in modo strano, una specie di lamento cutaneo continuo alla quale si era presto abituato.

Mosse il braccio, e con esso tutto l'apparato metallico che aveva inziato a percepire come la sua salvezza, il suo modo per innalzarsi al livello dei suoi nemici.

Non aveva paura, non provava dolore. Nessun sentimento. Osservò, dall'alto delle protesi che sostituivano i suoi piedi, la massa nuda di soggetti che cercavano di coprirsi dalla sua vista, accalcandosi fra loro e nascondendo il viso con le braccia o contro le schiene degli altri. Li guardò, schifato.

Lui non era stato un semplice esperimento. Un test. Era una fenice, il risultato di un lungo percorso fatto di dolore e sacrificio. Per la causa. Per migliorare sé stesso. Per l'Hydra.

Era stato forgiato dal fuoco, che aveva distrutto i suoi lineamenti. Aveva distrutto chiuque lui fosse stato, prima della caduta di tutto ciò che conosceva, e che era solo un ricordo lontano. Un ultimo sprazzo di luce, cocente, che gli bruciava la pelle e fin dentro le ossa, prima dell'ombra rassicurante del buio, e del gelo.

Ora, importava solo chi era diventato. Crossbones. E la sua missione.


xxx


Elle prese un'ampia boccata di quell'aria pungente, ghiacciata, guardando il sole sorgere, i muscoli distesi e un'espressione rilassata. La luce avanzava, illuminando timidamente il bosco e la base operativa al centro di esso, i raggi che colpivano di spieco la cima degli alberi, producendo contro la neve candida intrappolata fra i rami un riverbero iridescente che la faceva sentire a casa. In lontananza, in una giornata più limpida, avrebbe potuto vedere il profilo della città di New York, la neve che ancora ricorpiva tutti gli edifici e le strade. Invece, una nebbia irreale copriva con il suo manto ghiacciato tutto ciò che la circondava, tutto ciò che andava oltre la balausta di quel tetto pano, rendendo ciò che vedeva ancora più irreale.

La tormenta era stata sorprendentemente violenta, quest'anno, e lei era sgusciata malvolentieri fuori dalle coperte tiepide, cercando quasi istintivamente la sagoma del suo Capitano. Però era a casa, dove aveva preferito rifugiarsi tutte le sere di quella settimana che andava concludendosi. Era Venerdì: questo voleva dire pace; poche ore ancora e sarebbe finita anche la sua esperienza come galoppina di Fury.

Lunedì aveva riavuto il suo distintivo dell'FBI, ed aveva ricevuto il suo primo incarico. Martedì era arrivata la sua lettera di dimissioni dalla squadra Avengers, firmata direttamente dal Generale Ross. Il resto della settimana, lo aveva passato fra una base e l'altra, tra una riunione e un tentativo di indagine, tra la sua nuova scrivania in mezzo ad un'ufficio affollato ed una sosta nel suo studio alla facility.

La sua lista delle cose da fare in quei giorni era stata pressochè eterna, e non sapeva quale delle varie note sarebbe stata quella che le avrebbe dato il colpo di grazia. La stoccata finale.

Teneva un piede sul cornicione, il ginocchio alzato, e le braccia rilassate lungo i fianchi. Il vento le scompigliava in modo fastidioso i capelli, che si erano allungati ancora. Non aveva tempo nemmeno di andare a farseli tagliare, e oramai le sfioravano le vertebre lombari. Se li scostò contro il collo, infilandoli con un gesto pratico nel bavero della giacca scura.

"Selvig."

Si voltò appena, riconoscendo nella fioca luce del mattino il profilo inconfondibile del miliardario più famoso della città. Annuì appena, facendogi cenno di avvicinarsi.

"Un uccellino mi ha detto che oggi hanno deciso di sciogliere completamente la squadra. Tu..." Elle rispose con un gesto vago con il capo. "Ho già riavuto il mio vecchio incarico, non preoccuparti per me."

Stark annuì, rabbrividendo nella costosa giacca firmata, nera con sottili righe grige. Si sistemò la cravatta rossa con un gesto nervoso, allentandola appena. "Un problema in meno."

Elle annuì, lo sguardo che tornava contro il panorama. "Mi mancherà tutto questo verde."

"Dobbiamo pensare al nostro comune amico." Esclamò nervosamente lui, riportandola al presente. Elle gli lanciò uno sguardo rassegnato, prima di infilarsi le mani nelle tasche. "Cosa succederà?"

"Chiederanno di votare un nuovo capo per la squadra che verrà a formarsi."

"Cosa hai in mente?" Stark si passò una mano sul pizzetto, schioccando le labbra. "Quello che faccio sempre quando non so cosa fare." Elle rimase in attesa, senza guardarlo, le labbra tese in una smorfia. "Prendere tempo." Concluse infine l'uomo.

"Come." Disse lapidaria lei. Lui sospirò. "Ci sarà una votazione. Per eleggere un nuovo capo per gli Avengers. Una votazione a due..."

"Ovvero tu, e..."

"Tu." Commentò Stark, sorridendole maliziosamente. "Solo noi due, a deliberare in una stanza. Ovviamente sorvegliata. Ross non ci vuole allungare il guizaglio, ma l'ho convinto che sei la persona giusta. Tu devi solo stare al mio gioco."

"Non penso di volerti dare il comando di una legione di mutanti. Sono gli stessi che vorresti far schedare."

"Devi fidarti di me. Fai il mio nome. Vedrai che non sarò io a predere il comando, non oggi."

Elle lo scrutò appena. "Stark, non costringermi a leggerti nella mente per capire a cosa stai pensando."

"Non prenderò il comando degli Avengers. Non prima di aver avuto occasione di parlare con il Capitano." Elle prese una boccata d'aria. "Allora, siamo dalla stessa parte?"

Stark scosse il capo, le spalle rigide. Non aveva più quell'espressione strafottente che sembrava accomagnarlo sempre. Era fragile. Elle se ne rese conto, vedendo come teneva le mani in tasca, e come il suo sguardo vagava con un accenno di angoscia nel cielo aperto, che lei trovava così rassicurante.

"Non penso siamo dallo stesso lato della barricata, Selvig. Diciamo che sei la persona più affidabile, fra le linee nemiche." Elle annuì appena. "...Nemiche."

Stark si guardò attorno, prendendo un'ampia boccata d'aria. "Incredibile, io che cerco di proteggere il mondo da Rogers..."

Elle si sedette sul cornicione, battendo il palmo della mano sul muro di fianco a sé. L'uomo la guardò un secondo, prima di sedersi anch'egli, scostando la giacca con un movimento elegante. Estrasse un pacchettino dalla tasca della giacca. "Arachidi?"

Elle fece un'espressione combattuta, prima di allungare la mano. L'uomo lasciò cadere con un gesto calmo un paio di frutti sgusciati, guardandola appena. "Grazie, Stark."

Rimasero a masticare in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri. Stark si strinse nelle spalle, rimettendo la sua maschera di incoscienza. "Pensavo mi avresti buttato giù dal tetto."

Elle fece un gesto vago. "Mi hai offerto del cibo, sarebbe scortese."

Stark si strinse nelle spalle. "Ho appena detto che voglio salvare il mondo dagli affetti malriposti del tuo Romeo, Ikea."

Elle scostò lo sguardo, con una smorfia divertita. "Avevo capito anche prima, Stark." Fece un gesto vago, prima di infilarsi le ultime arachidi in bocca con un unico gesto. "Barnes sembra pericoloso, ma tu cosa faresti se potessi aiutare qualcuno che tutti ritengono pericoloso ma che in realtà non lo è?"

L'uomo sorrise appena, lanciandole uno sguardo divertito, gli occhi nocciola illuminati dal sole che aveva quasi superato la linea degli alberi.

"Se parli dell caso Felpa Blu, ce ne siamo accorti solo in pochi..." Elle sbattè le palpebre, maledicendosi in tutte le lingue che conosceva. "Capt compreso. Anche se..." Appoggiò il mento sulla sua mano, arricciando le labbra. "Questo è un punto che non mi è chiaro."

"Perchè?" Replicò scocciata Elle, guardandosi la punta degli stivali neri. "Se ci fosse stato Rhodey, al posto del Soldato..." Fece un gesto vago con la mano libera, le sopracciglia aggrottate. "Ti avrei presa e sbattuta in giro fino a che tu non avessi parlato." Elle lo guardò perplessa, le labbra schiuse dalla sopresa. Stark scoppiò a ridere. "Non il quel senso, Barbie. Non sei decisamente il mio tipo, e io sono un uomo impegnato."

Elle riprese a respirare. "Intendi che mi avresti torturata, ecco..." Borbottò, sollevata. Stark scoppiò a ridere. "Almeno abbi la decenza di nascondere il sollievo, ho un'autostima! E comunque..." Mulinò le sopracciglia. "...Dubito che con Capitan Ghiacciolo tu veda un po' di azione."

Elle scoppiò a ridere, dandogli una spallata e alzando lo sguardo, imbarazzata. "Questi non sono affari tuoi." Stark la seguì nella sua risata. "Lo so, ma è troppo divertente immaginarlo mentre tenta di-" Elle fece finta di spingerlo giù dal tetto, facendolo scoppiare di nuovo a ridere. "Non sei divertente."

"Non è vero, e lo sai." Commentò lui, rilassandosi, le gambe aperte e le mani appoggiate sulle gnocchia. Sembrava un normale uomo d'affari, su un tetto alle cinque del mattino a chaccherare con una donna in maniche di camicia.

"Comunque, Elle, non so che dirti. Barnes è pericoloso. Se dovessi sapere che sai dove è in questo momento, e non lo hai rivelato al Consiglio Mondiale, sarebbe alto tradimento."

Si grattò appena la tempia. "Non ho dubbi sul fatto che vada catturato, ma se, anzi, quando Ross darà l'ordine di ucciderlo..." Elle fece per alzarsi, scuotendo la testa. Tony la prese per il braccio, spingendola di nuovo seduta. "Devo rispondere a degli ordini. Dobbiamo rispondere a degli ordini." Elle lo guardò, l'espressione tesa. "Dimmi chi sei e che ne hai fatto di Tony Stark." L'uomo scosse il capo, un finto sorriso sulle labbra sottili.

"Selvig..." Aspettò che lei si voltasse a guardarlo. "Tutti devono crescere, prima o poi. Noi non siamo un corpo militare diverso dagli altri. Dobbiamo rispondere a degli ordini. Prima erano gli ordini del Capitano, ma ora.."

"Ora sono gli ordini di Ross." Commentò lei asciutta. Lui annuì, l'espressione improvvisamente contratta. "So che Ross non vincerà mai il Nobel per la pace. Non hai idea di cosa mi farebbe Banner se sapesse che..." L'uomo scosse il capo. "Ma è un inizio."

"E Steve?" Chiese Elle, sospirando. Stark scosse il capo. "Rogers non è più la persona che ho conosciuto quando siamo saliti su quell'elicarrier, tre anni fa." Commentò asciutto. "E da quando è comparso Barnes..." Elle sospirò. "E' il suo amico."

"E' uno psicopatico pluriomicida a piede libero."

La svedese si morse il labbro inferiore, riflettendo. "Uno psicopatico pluriomicida che non ha ancora ucciso nessuno."

"Lagos. L'omicidio del nazistoide, dove sei andata lunedì. Daranno la colpa di tutto a Barnes."

Elle represse un verso disgustato, alzandosi. "Tu sai che non è stato lui."

"Ha ucciso i miei genitori." Commentò asciutto. Elle lo squadrò, da un paio di passi di distanza. "Ne sei sicuro?" Stark fece un verso sconsolato, aprendo le braccia.

"Alla gente serve sapere che sappiamo chi è stato. E che ci stiamo muovendo per prendelo. Oppure, invece che a Barnes, daranno la caccia a tutti noi. Tutti." Esclamò con tono agitato lui. Elle sbattè un piede a terra, furibonda. "A te serve sapere che hai sotto mano l'uomo che ha ucciso i tuoi. Ucciderete l'uomo sbagliato, solo per usarlo come capro espiatorio! Per non fare la fatica di indagare sugli uomini veramente colpevoli!"

Stark alzò il capo, guardandola come un padre guarderebbe la figlia adolescente ribelle. "Selvig, cerca di capire. L'altro giorno un bambino ha fatto vedere alla sua maestra che poteva far levitare dei fogli di carta, comandando delle correnti ascensionali. Uno sbuffo d'aria." Abbassò lo sguardo, prendendo un ampio respiro. "La maestra ha chiamato l'antiterrorismo e sono intervenuti persino i servizi segreti. Quel bambino è stato in commissariato, in una cella, per dodici ore prima che lo rilasciassero, capendo che non voleva fare del male a nessuno."

Elle rimase in silenzio, senza poter dire nulla, lo sguardo perso in quello del miliardario, i pensieri che correvano a mille nella sua testa, senza darle un secondo di tregua.

"Continueranno ad accadere casi del genere, se non calmiamo le masse. E, se Barnes è un uomo onorevole anche solo la metà del suo amico in tutina azzurra, lo capirà da solo."

Elle rimase in silenzio, mentre Stark si alzava, appoggiandole una mano sulla spalla. "Non è una scelta che spetta a noi, decidere cosa è giusto e cosa non lo è. Dobbiamo scendere a compromessi, prima che si arrivi ad una guerra civile." Elle annuì appena, guardando il pavimento in cemento del tetto, senza espressione. Stark si avvicinò appena al suo orecchio, sospirando. "Più che di Barnes, preoccupati di Rogers."

Si allontanò verso la porta, estraendo le mani dalle tasche del completo elegante. Si fermò solo un secondo sulla soglia, riallacciando la cravatta e stringendola contro il colletto della camicia di sartoria.

"Uno è un Soldato, e l'altro è un Capitano. Ma devo ancora capire chi dei due stia seguendo l'altro, verso il baratro." Esclamò, guardandola con espressione grave. Elle voltò appena il capo, i capelli che scivolavano fuori dalla giacca e tornavano a coprirle il viso. Stark restò a fissarla, alzando un pollice e cercando di sorridere nel modo più finto che gli riusciva.

"Ricordati: vota Stark."

Quello sarebbe stato un giorno decisivo.


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"...Allora, tu stai studiando come una matta da due anni per entrare nell'Eqipe di ricerca di questo professore, no?" Val fece una smorfia, agitando le mani,presa dal racconto che stava facendo al suo ospite, i capelli tenuti lontani dal volto rotondo da una fascetta azzurra. Era una settimana che James viveva sul loro divano, e quella serata si era svolta come le precedenti: avevano guardato un po' di televisione, seduti sul divano. Il suo coinquilino era uscito, come la maggior parte delle sere, e probabilmente non sarebbe tornato a casa. Quando Valentina si era svegliata per andare a bere, cosa per lei insolita, si era accorta prima ancora di arrivare ciabattando nel soggiorno che qualcosa non andava.

James si agitava violentemente sul divano, la coperta stretta fra i denti ed i capelli aggrovigliati attorno al viso sudato.

Per la prima volta da quando era arrivato, Val ne aveva avuto paura. Perchè il suo volto era in tutti i notiziari, e tutti sostenevano che avesse ucciso un uomo a New York. Nonostante Barnes fosse già a casa sua, al momento dell'omicidio, Valentina non poteva non chiedersi se fosse giusto, se fosse sicuro tenerlo nascosto nel suo appartamento. Se non avrebbe potuto rivelarsi pericoloso.

Poi, improvvisamente, James si era alzato a sedere sul divano, gli occhi sgranati ed il fiato corto, e l'aveva guardata come un bambino quando si perde al centro commerciale. Non aveva detto nulla, nè aveva versato una lacrima: aveva preso ampie boccate di aria, scuotendo il capo come per scacciare via anche gli ultimi echi lontani dei suoi incubi.

Val era rimasta sullo stipite della porta, chiedendosi se fosse il caso di entrare o meno. Indecisa, i piedi nudi che facevano sfregare a terra le ciabatte a fantasia muccata, ritmicamente. James evitava il suo sguardo, la maglietta bianca di Ethan che gli stava decisamente troppo attillata sulle spalle rigide.

Valentina non aveva, in quel momento, nè la concentrazione nè le energie per consolare l'altro. Si era mossa lentamente attraverso il salotto buio, la grossa felpa che si era infilata che la faceva assomigliare ad un grosso involto scuro, ed aveva messo due tazze d'acqua nel microonde. Era rimasta nella pallida luce a neon della cucina, appoggiata al ripiano, a guardare le tazze girare attraverso il vetro, senza voler infrangere il momento privato di James.

Aveva buttato due bustine di infuso nelle tazze, e si era avvicinata lentamente, aspettando di vederlo voltarsi verso di lei, con lo sguardo un po' perso che lo aveva accompagnato dall'inizio della loro convivenza forzata.

L'uomo invece stava chinato in avanti, con i pugni stretti appoggiati al viso, in una posa di evidente disperazone.

Val dubitava di poter alleviare tutta quell'ombra che lo pervadeva con una semplice tazza di camomilla. Ma, se fosse tornata a dormire facendo finta di nulla, avrebbe dimostrato a se stessa di essere una persona ancora più misera di come già si considerava.

Così si era seduta, sul lato più distante dall'uomo di quel divano, comprato a poco in qualche mercatino, e aveva cominciato a parlargli di lei, di come conosceva la Selvig, e di come era arrivata lì, a Seattle, a lavorare come cassiera in un Walmart.

Cercando di esorcizzare i pensieri che riempivano di angoscia la mente di lui, nascosta nell'ombra della notte, gli aveva rivelato con schiettezza ciò che perseguitava lei.

"E improvvisamente nella tua classe di psicologia cognitiva arriva questa, diciotto anni, alta, bionda, occhioni da cerbiatta, voti perfetti... Una che potrebbe essere presa in qualsiasi progetto di dottorato, no?" James fece un gesto di assenso con il capo, iniziando a distrarsi, appoggiandosi con la schiena al divano, le sopracciglia aggrottate. "E invece vuole proprio andare li, dal professor Dalton, a fare ricerca sulla memoria. E io sbavavo dietro a quel progetto da quando ero alle superiori, da quando mia nonna si era ammalata di Alzheimer, cinque anni prima. Sai cos'è l'Alzheimer, vero?" L'altro annuì appena. In realtà non aveva idea di che cosa stesse parlando la donna, ma sembrava di vitale importanza stragica non interromperla. Avrebbe potuto attaccarlo alla gola, infervorata com'era dal suo discorso.

"Io passo le settimane, i mesi, gli anni china sui libri. Vedo tutti i giorni gli altri studenti uscire, Selvig compresa, sempre con quella sua coinquilina, quasi fossero una coppia, sempre fuori a divertirsi. Ed io invece resto nella mia stanza, a studiare, fino a degli orari assurdi. Sputo sangue, per raggiungere i miei scopi." Portò una mano al capo, grattandosi i corti capelli neri con un gesto nervoso, gli occhi che scrutavano la tazza quasi vuota appoggiata sul tavolino di fronte a lei. Prese un respiro, proseguendo con tono più basso il suo racconto, l'espressione di una persona che si sta confessando in chiesa.

"Ero così vicina al mio obiettivo. Ero andata a ricevimento dal professore, uno dei maggiori leader della ricerca in Psicologia Cognitiva, Philip Dalton. Sono un fascio di nervi, mi ripeto che mi sto giocando la mia grande occasione, e ad un certo punto entra lei. Elle Selvig. E lui ricomincia a spiegarci cosa dovremo fare, ma la guarda, la chiama per nome, le sorride. Lei è una maschera di indifferenza, mentre io mi agito sulla sedia e mi torco le mani. Ed è lì che capisco, okay, che il posto in realtà è già suo. Che il Professore non deve veramente scegliere, ha già scelto, nel momento in cui Selvig è entrata dalla porta. E lei lo guarda, inespressiva, finchè lui non si interrompe un attimo, estraendo i moduli delle nostre candidature. Ed in quel momento..." James pendeva dalle sue labbra, seduto sul divano, le braccia appoggiate alle ginocchia e la testa voltata nella sua direzione, l'improbabile maglietta bianca che lasciava scoperte al freddo di febbraio le braccia, i capelli puliti e ora legati in una coda bassa. Vera guardò un attimo la tazza, prendendola e tenendola tra le mani giunte, raggomitolata con le ginocchia al petto contro il divano. Scosse un attimo il capo, lo sguardo perso nel vuoto.

"Non so dirti che cazzo è successo, a dire il vero. Lei lo ha guardato, non è che lo ha guardato, lo ha fulminato con lo sguardo. Come se lui avesse appena estratto un suo set fotografico in costume, o se le avesse fatto qualche commento inappropriato. Lui alza lo sguardo, lei è ancora lì, con ancora quell'espressione tesa. Si alza, tende la mano verso il professore, e con tono glaciale dice 'La ringrazio per la sua offerta, ma non penso che sia il giusto percorso per la mia carriera.'." Vel scosse ancora il capo, prendendo una sorsata di thé.

"Non ho mai veramente capito... Non me lo sono mai veramente chiesta. Dopo, sono stati i sei mesi più soddisfacenti della mia vita. Ho dimenticato Selvig, e tutto quello che era successo a quel colloquio. Stavamo trovando una nuova cura per le persone affette da amnesia, un farmaco che avrebbe potuto salvare milioni di vite condannate al vuoto. Parlavo con i pazienti, facevo sedute, test, il mio lavoro insomma. Ero felice." La ragazza alzò lo sguardo sull'uomo, che la stava pazientemente ascoltando, le labbra schiuse per l'attenzione. "Poi, un giorno, si scopre che le staminali per quella cura vengono estratte dai bambini al commercio degli organi... Brasile...Thailandia...Sangue, polpa dentale, adipe...Non solo i cordoni ombelicali."

Barnes restò basito, ghiacciato sul posto dal tono di lei, un misto di raccapriccio e innocenza rubata. "Mi dispiace." Sussurrò solo, riportando lo sguardo sul tavolino. Afferrò l'altra tazza, ancora piena, bevendone una generosa sorsata. Val annuì appena, senza guardarlo.

"Ho perso tutto. Abilitazione. Credibilità. Stavo per finire in prigione. Ma..." La ragazza alzò le sopracciglia scure, con un sorriso sghembo, mentre lui riportava lo sguardo su di lei. "....Fatalità, mentre io diventavo un'assassina senza nemmeno saperlo, lei era entrata nell'FBI. Mi chiamò, e si prese carico di aiutarmi. Il perchè, lo sa solo lei. Ma io, da allora, ho sempre ripensato a quel colloquio. Non sono mai riuscita a togliermelo dalla testa. Elle Selvig sapeva."

Barnes le prese la tazza vuota dalle mani, alzandosi senza dire nulla. Aveva sempre avuto dei dubbi, su come Elle fosse stata in grado di trovarlo la prima volta. Sul comportamento di Rumlow. Ma soprattutto, su come la sua anima lorda di sangue non la avesse fatta fuggire. Elle aveva visto qualcosa, in lui, qualcosa che la aveva portata a difenderlo, a costo della sua stessa vita. Qualcosa che la aveva convinta subito, appena i loro occhi si erano incontrati, forse già mentre scrutava quella vecchia casa immersa nel nulla, più di sei mesi prima.

Allungò la mano, stringendo leggermente quella della donna in un gesto comprensivo, e poi le prese la tazza dalle mani, allontanandosi e riponendola nel secchiaio della piccola cucina insieme alla sua. Val lo ringraziò, sistemandosi meglio sul divano e voltando il capo per vederlo meglio anche attraverso la piccola penisola della cucina. "Ora che sai praticamente la storia della mia vita, parlami di te. Da quello che mi ha detto Elle, sembri uscito da una specie di progetto MK Ultra..."

Barnes la guardò un attimo, perplesso, avvicinandosi al frigorifero. Estrasse una fiala, prendendo poi da un cassetto una siringa confezionata. Era solo una settimana che aveva cominciato la cura, ma aveva già preso dei ritmi precisi. Vera diceva che fosse a causa del sentimento di smarrimento dato dalla prolungata assenza dell'elettroshock, di come la sua mente fosse affamata di scadenze precise, di regole. Dopo ogni risveglio, di solito al mattino, ed alla sera prima di dormire, doveva prendere un concentrato di Diazepam e altri inibitori della colinesterasi. Dopo aver sognato ancora l'uomo con lo scudo, era sicuro che non sarebbe riuscito a prendere nuovamente sonno.

Tornò sulla poltrona, mentre Val si sporgeva a stringergli il bicipite del braccio sano con un laccio emostatico. "Se ti dovessero fermare, penserebbero che fai uso di droghe. Anche se..." Indicò l'altro braccio, che brillava di luce riflessa. "...Presumo che smetterebbero di preoccuparsi dopo aver vistro l'altro."

James sorrise divertito, mentre Val riempiva una siringa, picchiettandola con uno schiocco di dita. "Mi inquieta come Elle riesca a procurarsi queste cose dalla sera alla mattina, da un lato all'altro del continente." L'altro sorrise appena, lo sguardo vacuo.

"So che non sei esattamente..." L'altro riportò l'attenzione sulla ragazza. "Cosa?"

"Sei depresso, James. Hai un chiaro disturbo post-traumatico da stress." Concluse Val, crudemente, infilando l'ago nel suo braccio sano. James fece una smorfia. "Se mi agito troppo, temo che..."

"Selvig non mi ha spiegato cosa facevi prima, e perchè ti hanno ridotto così."

"Mi hanno addestrato ad uccidere." Esclamò piano lui. "Ero un sicario."

Val deglutì, spingendo lo stantuffo. "Immaginavo..."
"E mi hai lasciato comunque restare a casa tua?" Chiese sorpreso lui. Val alzò appena lo sguardo, un lato delle labbra sollevato in una smorfia. "Certo."

Fermò con un dischetto di cotone l'ago, estraendolo con calma. "Immaginavo che tu non fossi un tecnico di laboratorio, per finire conciato così nel mio salotto. Inoltre..." Estrasse tutto l'ago, sorridendo fra sé e sé. "Un tecnico non avrebbe certo tutto quel ben di dio, sotto la maglietta."

James, dopo anni di congelamento, di fughe e di angoscia, arrossì. Val quasi scoppiò a ridere. "Con quel muso, non avrei mai potuto buttarti fuori di casa! E, come hai sentito..." Si alzò appena, iniziando a incartare la siringa e la confezione del farmaco. "...Non sei l'unico assassino, qui dentro."

James sorpirò, guardandola alzarsi. "Non è la stessa cosa. Tu non sei un'assassina, Valentina. Non lo sapevi."

"Nemmeno tu, da quello che mi pare di aver capito." Commentò piano lei, sorridendo, mentre lui lasciava la presa.

"Domani faremo la tua prima seduta, con Elle collegata e tutto. Sarà una giornata lunga, sempre se arriveremo entrambi in fondo. Ora, riposati." Concluse la donna, guardandolo mentre si stendeva sul divano, un cuscino rosa shocking sotto alla testa e una coperta a fantasia di nuvole e aereoplanini sopra. Lo guardò un attimo dalla soglia del soggiorno, prima di spegnere la luce, sentendo ancora lo sguardo dell'altro addosso.

"Buonanotte, James."

"Buonanotte, Val."


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Uscì con passo deciso nella stanza, le maniche della camicetta bianca arrotolata ai gomiti ed i capelli ben legati in una treccia alla nuca. Stark era dietro di lei, un braccio piegato contro la spalla e la giacca elegentemente tenuta fra le dita della mano, in una posa quasi costruita.

Come predetto da Stark, Ross aveva deliberato per il congedo di Elle dalla Facility a causa di un deliberato conflitto di interessi. Steve si era quasi alzato dalla sedia, ma lo sguardo dell'altra, da un lato all'altro del tavolo, lo aveva spinto a rimanere seduto.

Elle era stata riassegnata al tavolo delle trattative come 'testimone presente al momento dei fatti di Lagos', e come 'esponente del reparto analisi comportamentale' dell'FBI. Aveva trovato ridicolo il ragionamento di Ross, per il quale farla spostare da un lato all'altro del tavolo avrebbe influito sulla determinazione dei suoi compagni alla causa, ma aveva obbedito in silenzio.

Steve le aveva sorriso un secondo, mentre Elle prendeva posto. L'unica cosa che non le era del tutto andata a genio era vedere Sharon spostarsi sulla sua sedia, piegandosi per suggerire qualcosa all'orecchio del Capitano. Aveva dissimulato l'espressione infastidita, appuntandosi il cartellino dell'FBI al bavero della giacca da ufficio.

Quando Ross aveva esclamato che avrebbero tolto temporaneamente il comando a Steve, Natasha si era guardata attorno leggermente a disagio, mentre Samuel si alzava di scatto, Wanda che sgranava gli occhi, mettendogli una mano sul braccio e facendolo nuovamente sedere. Era stata nominata una commissione per decidere chi sarebbe dovuto intervenire a comando della squadra, e quindi era finita in una stanza da interrogatori, chiusa insieme a Stark, a recitare un copione già deciso.

Quell'uomo era un attore nato: rispetto a quella mattina, sembrava un'altra persona. Sicuro, strafottente, deciso. L'aveva guardata sogghignando, estraendo una confezione di cracker dalla giacca. "Dobbiamo riempire la prossima ora, Selvig."

Elle si era guardata attorno, sedendosi sulla sedia storta e guardandolo con sguardo provocatorio. "Fammi indovinare, ci guardano ma non possono sentirci?"

Stark annuì. "Forse solo il tuo gentile consorte, visto il Super Udito. Ma nemmeno la gemella può leggerci nel pensiero." Si avvicinò allo specchio, sapendo che dietro almeno una dozzina di persone li stavano fissando con il fiato sospeso. Picchiettò sopra con le nocche. "Uno dei miei migliori progetti."

Avevano parlato del più o del meno, sempre cercando di non mostrare il labiale a coloro che stavano fuori. Avevano giocato ad 'Io non ho mai' fingendo di litigare, ed ad un certo punto Elle aveva persino sbattuto la cartelletta dei file degli altri Avengers sul tavolo, fingendo di non essere d'accordo. Alla fine, avevano bussato per uscire.


La Svedese rientrò nella sala riunioni, facendo un cenno a Wanda. La donna nascose un sorriso dietro la mano, mentre Visione li guardava perplesso. Samuel sembrava seduto su una sedia chiodata, e si agitava cambiando posizione ogni due minuti. Natasha era ghiacciata sul posto, le mani giunte davanti alle labbra pallide. Non alzò nemmeno lo sguardo su Elle, che deglutì appena, angosciata. Si sedette accanto a Stark, che invece sembrava nato per essere seduto a quel tavolo, il petto all'infuori e lo sguardo acceso di vivo piacere. Sembrava sguazzare nel disagio di quella stanza, allungando un braccio sopra lo schienale della sedia di Elle, facendo irrigidire Steve, che lo fissava truce. Sharon si guardò attorno, imbarazzata, il cartellino che recava la scritta CIA appuntato in malo modo sul piumino, i capelli accuratamente stirati che le incorniciavano il viso a cuore. "Dicevamo.." Esordì, senza attirare l'attenzione di nessuno.

La porta si spalancò. "Ben arrivato, ex direttore Fury." Commentò Ross, squadrandolo in modo poco amichevole. "Si stava bene, all'inferno?"

"Benissimo..." Rispose l'uomo in nero, avvicinandosi ad affrontarlo, faccia a faccia. Maria lanciò uno sguardo accigliato ad Elle, che annuì impercettibilmente, facendo un minimo cenno verso Stark. Maria sorrise appena, rilassandosi. "...Mi hanno detto che le tenevano un posto in caldo." Concluse Fury, cercando lo sguardo di Steve. Questi gli lanciò un'occhiata di sbieco. "Scusate il ritardo, non ero stato informato di questo meeting."

"Che disdetta..." Commentò uno dei tirapiedi di Ross, un uomo in completo nero, il viso inespressivo. Fury lo gelò con lo sguardo, restando in piedi, a braccia conserte, accanto al generale.

"Allora, Anthony Stark ed Elle Selvig sono stati sorteggiati per deliberare chi sarà il temporaneo sostituto a capo degli Avengers, finchè Steve Rogers non sarà ritenuto di nuovo idoneo a questo compito."

Steve strinse i pugni, scostando lo sguardo dal viso baffuto dell'uomo a capotavola. Sharon allungò una mano, facendogli un buffetto. Elle fece finta di nulla, prendendo un'ampio respiro, mentre Natasha la guardava preoccupata.

"Prima le signore..." Commentò appena Stark, dandole un leggero colpo sulla schiena. Elle lo guardò torva, alzandosi lentamente, le mani che stringevano una bottiglietta d'acqua.

"Elle Selvig, agente speciale di sesto livello dell'FBI, esponente per il reparto analisi-" "Sappiamo tutti chi è, signorina." Commentò Ross, sedendosi e facendo un gesto con la mano. "Vada al sodo."

"Il mio voto per l'assegnazione del comando del progetto Avengers e della squadra speciale ad esso legata va ad Anthony Stark."

Il gelo scese nella stanza, mentre Elle si sedeva di nuovo. Sapeva a che gioco stava giocando, quando era scesa in campo seguendo il piano strampalato di Stark. Sentiva lo sguardo bruciante di infamia di Sharon, quello sconvolto di Natasha, quello perplesso di Fury, e soprattutto, quello deluso di Steve Rogers. Alzò appena lo sguardo, il chiacchericcio che si diffondeva per la stanza, mentre Steve rimaneva a fissarla, la mascella contratta e gli occhi immobili in un'espressione raggelata. Elle provò a fare qualche espressione, un cenno, per fargli capire che faceva tutto parte di un piano, ma Sharon gli sfiorò la spalla, e l'altro si voltò a sentire cosa gli stava dicendo l'agente Carter. Elle sprofondò nella sedia, sentendo il petto riempirsi di ghiaccio. La partita non era ancora finita, ma a lei ora spettava solo il ruolo di spettatrice.

"Allora è deciso." Esclamò divertito Ross, girando sulla sedia verso il lato del tavolo dove sedevano gli Avengers. Nessuno osò fiatare, finchè una voce forse ancora più divertita non interruppe quel clima teso.

"Il mio voto quindi non conta, Generale?" Chiese Tony, appoggiandosi al tavolo con i gomiti, le mani aperte in un gesto infastidito. "Se mi avete fatto venire fin qui solo per dirmi che sono il nuovo Capitano..." Elle si irrigidì, mentre tutti rabbrividivano a questa provocazione. Steve rimase immobile, lo sguardo che fronteggiava quello di Stark. "...Potevate fare una telefonata, invece che darmi tutto questo disturbo. Ci vuole mezz'ora in auto per arrivare qui."

Fury alzò una mano sul viso, coprendosi gli occhi con una smorfia. Maria li guardava, sconvolta. Ross si voltò verso l'uomo, lentamente, guardandolo con un sopracciglio alzato.

"Sappiamo tutti che il suo voto andrà a sé stesso, ma se vuole la soddisfazione di dirlo ad alta voce, prego." Commentò, facendo segno di accomodarsi con le mani.

"Grazie, Generale." Rispose Stark, fintamente servile. Si alzò lentamente, sistemando i polsini della camicia, leggermente piegato in avanti. Elle appoggiò il gomito al tavolo, guardandolo esasperata. Lui le fece l'occhiolino.
"E' un piacere vedervi qui tutti, oggi." Iniziò, mentre Steve sospirava platealmente e si allontanava con le braccia aperte dal piano del tavolo, scostando lo sguardo da quel teatrino.

"Io, Anthony Stark, come primo ad essere stato scartato dall'originale progetto Avengers - a proposito, grazie, Natasha..." Mandò un bacio alla rossa, che prese un ampio respiro, alzando gli occhi al cielo. "Come finanziatore del progetto, per aver messo a disposizione le strutture e come salvatore della terra dal disastro alieno..."

Elle si prese la testa fra le mani, immaginandosi il probabile seguito. Perchè si era fidata di Stark? Come era stata così stupida? Perchè si fidava sempre di tutti?

"Nomino Elle Selvig come comandante del progetto Avengers e della squadra."

Elle rimase immobile, un secondo, le spalle rigide come una scultura di marmo. Cosa aveva appena sentito?

"Non sia stupido, Stark, Elle Selvig è appena stata esonerata dal lavoro alla Facility."

"Non vuol dire che non possa avere il comando." Commentò Stark, indicandola. "E' una mutante, ha le competenze adatte, inoltre ha già effettuato una missione con la squadra. Risponde a tutti i requisiti richiesti."

"Non è legale." Ross guardò i suoi assistenti, perdendo il filo della discussione per un secondo. "Non è americana!"

"Per questo, con Selvig al comando, la giurisdizione sulla squadra non sarebbe più sottoposta a lei, generale, o al presidente." Stark si strinse nelle spalle. "Passerebbe tutto sotto-"

"Le Nazioni Unite." Commentò Natasha, riprendendo colore. Steve si raddrizzò, iniziando a capire il piano. Wanda annuì, facendo un'espressione soddisfatta. Elle si guardò attorno, cercando di nascondere tutta la paura che provava in quel momento, dietro un muro di indifferenza. Stark si sedette di nuovo, avvicinandosi leggermente. "Sii come me, Selvig." le sussurrò appena. Elle guardò Steve, sprofondando di vergogna in quegli occhi di un blu fin troppo profondo. Avrebbe potuto annegare, in tutta la confusione e l'irrequietezza che contenevano. Rimase immobile, a fissarlo, come ipnotizzata.

"E come si diventa come te, Stark?" Commentò, un sibilo appena tangibile. L'uomo si appoggiò alla sua spalla, guardando Ross e Fury che discutevano.

"Ignora tutti i loro echi. Sai già chi vale davvero la pena ascoltare." Rispose il miliardario, attirando il suo sguardo e indicandole la fronte candida con un dito. Elle si allontanò dal tavolo con il busto, lo sguardo basso.

"Penso che ci serva una pausa." Commentò Fury, attirando la loro attenzione. Tutti li stavano guardando, gli sguardi a metà fra il furibondo e l'incredulo. "Il comandante non si sente bene, temo."

Elle alzò lo sguardo, vedendo che tutti la fissavano. Deglutì.

"Penso che dovremmo schiarirci tutti le idee, si." Disse solo, alzandosi di scatto, la sedia sche scorreva sulle sue rotelle dietro di lei. "Riprendiamo tra tre ore, dopo il pranzo."

Disse con tono deciso, intimidita da tutti i loro sguardi. Girò sui tacchi, passando dietro a Wanda ed uscendo come un fantasma dalla stanza, prendendo al volo la giacca da ufficio, buttata su uno scaffale dietro a dove era seduto Rogers.

Steve la guardò sfilare davanti a lui, senza voltarsi per vederla uscire, lo sguardo angosciato. Natasha si avvicinò lentamente, fulminando Sharon con lo sguardo e piegandosi verso di lui. "Penso che dovresti raggiungerla. Ross lo sta facendo apposta, per cercare di dividerci tutti. Stark ha trovato una soluzione elegante: solo Elle e Wanda non hanno la cittadinanza."

L'uomo annuì, la mascella contratta e lo sguardo teso. Si alzò lentamente, senza rispondere, ed uscì dalla porta.


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"Elle!" La rincorse per il corridoio, vedendola camminare con passo stanco verso le scale. La donna non si scompose, senza emettere un fiato, senza nemmeno voltarsi verso la voce che la chiamava, con tono feroce, alle sue spalle.

"Elle!" Urlò ancora, avvicinandosi - anche correndo, lei non sarebbe mai stata in grado di seminarlo, e questo la giovane lo sapeva - e afferrandola per il braccio. Elle spinse verso il basso istintivamente, facendo leva con l'altra mano, il polso sottile che sgusciava tra le due dita. "Non ti permettere, Rogers." Commentò lei, guardando il manipolo di persone che stavano uscire dalla loro stessa stanza. "Non permetterti mai più di sfiorarmi anche solo con un dito."

L'uomo la guardò, lo sguardo sconvolto, le braccia ancora tese verso di lei. Abbassò il tono di voce. "Bastava dirmelo, Selvig." Sussurrò lui, mentre lei riprendeva il cammino. La seguì verso le scale. "Se avessi saputo del tuo piano, io non avrei mai..."

"Stai zitto, Rogers." Commentò lei, senza guardarlo. Indicò con il pollice alle sue spalle, senza degnarlo di un cenno. "E' bastato quello, per farti dubitare di me."

"Come avrei potuto sapere che-"

"Non potevi." Sussurrò Elle, appena furono sulle scale. Lo spise dalle spalle spalle contro al muro, l'espressione tesa. Steve per un secondo rimase stupito: anche se si era lasciato spostare, Elle stava diventando sempre più forte. Doveva essere curioso da vedere, una ragazza sottile come lei che teneva al muro un uomo grande il doppio. "Io e Stark ci siamo accordati stamattina." Commentò asciutta Elle, guardandolo con lo sguardo più raggelante della loro conoscenza, un braccio appoggiato contro il muro di fianco a lui e il capo alzato. La pelle efebica, decorata solo dalle linee blu delle vene, sembrava ancora più bianca della camicia candida che portava, e che le stava leggermente grande. "E' bastata un'ora in una stanza con Stark, a farti mettere in dubbio la mia integrità morale." Sussurrò lei, incredula, portandosi dietro l'orecchio un ciuffo biondo che era sfuggito alla coda. "Dopo tutto quello che è successo negli ultimi giorni, è bastata un'ora..."

Steve non seppe rispondere, restando in silenzio, il capo chino vicino al suo. "Non pensavo che sarebbe successa una cosa del genere, Elle. Non ero preparato."

"Io mi sono fidata di te, Steve Rogers." Scosse il capo. "Ma, a quanto pare, non mi sono guadagnata la tua, di fiducia."

"Ti sei fidata di me?" Commentò lui, con tono duro. "E in quale particolare momento, fra quello in cui mi nascondi il mio migliore amico e quello in cui ti allei con Stark, tu ti saresti fidata di me?"

Elle trattenne il respiro, mentre l'altro si pentiva subito della sua domanda retorica, trattenendo il fiato. Elle fece un sorriso triste, annuendo appena con il capo, il corpo che si allontanava istintivamente dal suo.

"Io mi sono sempre fidata di te, Steve. Ho fatto un patto con l'essere più incostante del mondo conosciuto perchè non ti cacciassero, e non ti togliessero lo scudo. Ho nascosco il tuo amico perchè, sai, forse fra un assassinio e l'altro, nonostante un ex agente pazzo che ci vuole entrambi morti, è anche mio amico! Forse perchè io l'ho mandato dove può essere aiutato, e non dove non è al sicuro." Esclamò Elle, il viso contratto dalla rabbia. "Mi sono fidata abbastanza da mettere in gioco il mio lavoro, la mia reputazione, per te!" Urlò ancora più forte. "Ora sapranno tutti che sono negli Avengers e sono una mutante, e questo senza aver ottenuto nessun risultato, espondendo la mia famiglia , mia figlia, al pericolo! Per te!"

Si guardò attorno nervosamente, mentre Steve era basito, le labbra dischiuse e la fronte distesa. Elle prese un ampio respiro. "Se ti avessi voluto morto o prigioniero, lo saresti già. Invece ti ho portato nella mia casa." Sussurrò, un pugno appoggiato alla fronte e gli occhi chiusi.

"Elle..." Sussurrò appena lui, allungando una mano verso il suo volto.

Elle fece un passo indietro, guardandolo senza espressione. "Non dire nulla."

"Ragazzi..." Natasha aprì lentamente la porta, mentre Elle si allontanava, camminando all'indietro verso la scalinata. "Ragazzi, vi si sente urlare... Dovremmo andare a mangiare, che dite?" Esclamò, con tono fintamente neutro, la voce che tremava appena. Samuel, dietro di lei, si sporse leggermente. "Che succede? Steve?"

L'uomo alzò un braccio, facendosi vedere dall'amico. "Elle?"

La bionda aveva dato le spalle a tutti e tre, un braccio appoggiato al corrimano. "Devo andare." Disse solo, dirigendosi verso le scale che scendevano. Natasha la guardò ancora, chiamandola. Elle alzò appena il capo, gli occhi azzurri che sembravano brillare anche nella fioca luce della scalinata. "No, Natasha." Commentò semplicemente, fermandola con la mano. "Lasciami stare."

La guardarono scendere le scale con passi veloci, avvolta solo nella camicetta bianca, nessuna giacca e nessun cappotto a coprirla dal vento di quel gelido febbraio. Fuori dalla base aveva ricominciato a nevicare. Stark si sporse, osservando Steve che stava in piedi in mezzo al pianerottolo, i pungni chiusi e le braccia tese, abbandonate lungo i fianchi. Lo guardò un secondo, le sopracciglia contratte. "Guai in paradiso, Rogers?"

L'altro gli lanciò un'occhiata furibonda, passandogli accanto con una spallata.


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Elle uscì nel cortile inanimato, sfregandosi le braccia fra loro nella neve alta che turbinava attorno a lei in mulinelli, che poi formavano un tappeto compatto ai suoi piedi.

Rimase un attimo immobile, tremando leggermente, per poi proseguire attraverso un sentiero già lasciato da un'auto, cercando di non imbrattare troppo gli stivali neri nel manto ghiacciato.

Sospirò, cercando di riprendere un minimo di autocontrollo. Sentiva il cuore tamburellare nel petto a ritmo irregolare, e per un secondo sperò che si fermasse in quel momento, e la lasciasse a terra, a ghiacciare nella tormenta.

"Non succederà." Commentò una voce sconosciuta, dietro di lei. Si voltò appena, riconoscendo il profilo longilineo dello psichiatra. Nalsson. Lo guardò un secondo, prima di distogliere lo sguardo. "Di che parli?"

"Non sarai inghiottita dalla terra, o non ti verrà una sincope istantanea, o qualsiasi cosa possa liberarti all'istante dalle catene che ti sei imposta." Commentò semplicemente lui, il cappotto sbottonato nonostante la tempesta che imperversava, la neve che scendeva, turbinando in mulinelli nel vento. "Puoi concentrarti finché vuoi, ma non succederà." Elle non riuscì a nascondere una smorfia infastidita, rabbrividendo. "Perché mi dici questo?"

"Ho visto occhi come quelli molte volte, Selvig."

"Non fare lo psichiatra con me, Nalsson." L'uomo si strinse nelle spalle. "Come vuoi, Selvig. Ma vagare in una tormenta di neve con addosso solo una camicetta bianca..." La scrutò, leggermente perplesso, una nota di divertimento negli occhi di uno strano verde. "Non mi sembra un comportamento da persona normale, soprattutto qui sulla... A New York."

Elle si coprì il petto con le braccia, il suo fiato che produceva un sottile filo di vapore. Guardò un attimo il suo interlocutore, perplessa. I capelli scuri erano legati dietro la nuca, e avrebbe quasi potuto giurare che era alto quanto Rogers. "Non hai freddo?"

L'uomo, il cappotto aperto e l'immancabile sciarpa al collo, sempre di seta ma quel giorno di un verde bosco, la guardò con le sopracciglia alzate. "Sono norvegese, per me questo freddo è a malapena una brezza." Si levò la sciarpa, guardandola un secondo con rammarico, prima di passargliela svogliatamente. Elle se la passo come uno scialle attorno alle spalle. Anche il tessuto della sciarpa, nonostante fosse stata al suo collo, era fredda.

"Grazie." Mugugnò lei, alzando lo sguardo verso il cielo bianco. L'altro si strinse nelle spalle. "Hai ancora spesso degli incubi?"

Elle si voltò accigliata, mettendosi istantaneamente sulla difensiva. "E questo dove lo avresti letto?"

L'uomo indicò le leggere occhiaie sotto ai suoi stessi occhi, con un ghigno. La svedese alzò gli occhi al cielo. "Dimentico che sto parlando con qualcuno che ha fatto studi simili..." Disse, con una smorfia. L'altro aprì e braccia, sorridendo maliziosamente. "Benvenuta."

"E' una cosa piuttosto semplice: faccio questi incubi, e so di vedere sempre la stessa cosa, ma non riesco mai a ricordarmi cosa ho visto."

L'altro la guardò intensamente, il viso leggermente teso. Le sembrava addirittura più pallido, i bei lineamenti distorti in una smorfia angosciata. Rimasero a fissarsi qualche secondo, scrutandosi a vicenda. Elle notò che l'uomo teneva fra le mani un libro, e lo indicò in una muta richiesta.

L'altro glielo cedette senza troppe cerimonie, ricominciando a camminare nella neve. Elle lo prese, le dita arrossate dal freddo.

"Baudelaire?" Chiese, stupita. L'altro continuò a camminare, senza prestarle attenzione. Elle lo raggiunse in quattro passi, affiancandolo con gli occhi socchiusi per il vento. Aprì di nuovo il libro al punto in cui era segnata la pagina con un biglietto della metropolitana di New York. "Ma questo è il mio libro! Lo hai trovato nel mio ufficio!"

L'altro glissò. "Non mi era mai capitato di leggere poesia."

Elle lo guardò con tanto d'occhi. "Non hai mai letto della poesia?!"

L'altro la guardò infastidito, dirigendosi verso l'ingresso. Elle aprì il libro ad una delle pagine più consumate, un angolo piegato come segnalibro.

"Nulla al mondo esiste di più orrendo, della fredda crudeltà-"

"-di questo sole gelido, e di questa notte immensa come il caos." La precedette lui, con uno sguardo infastidito. Elle lo scrutò, sorpresa.

"Quella l'ho già letta." Esclamò lui, mentre entravano sotto il porticato coperto prima dell'ingresso. Spazzolò la neve dalle spalle e dal cappotto, mentre Elle sbatteva i piedi fra loro. L'altro si fermò a guardarla, sovrappensiero.

"Che c'è?" Chiese Elle, quando notò il suo sguardo. L'altro si strinse nelle spalle, indicando con un cenno del mento la sciarpa, umida di neve.

"Adesso che ho immolato uno dei miei capi di abbigliamento preferiti, avresti voglia di accompagnarmi alla mensa? Non so come funziona."

Elle lo guardò storto. "E' una normalissima mensa aziendale. Vai, Prendi il cibo. Lo mangi."

L'uomo fece un gesto vago con una mano. "Accompagnami."

Elle alzò le braccia in segno di resa, osservandolo con aria infastidita. Lui ghignò, annuendo.

"Tanto non puoi scappare da Rogers tutto il giorno, tanto vale che entri con me e mi aiuti ad ambientarmi."

La Svedese rimase un attimo a guardarlo, poi annuì con un sospiro. "In cosa mi sono cacciata... Ok, andiamo."

Si avvicinò, sorridendo appena all'espressione soddisfatta del collega. "Hai trovato il mio studio confortevole?"

"Si, anche se è piuttosto piccolo. Mai come la stanza." Fece un'espressione schifata, aprendole la porta dell'ingresso. Elle scoppiò a ridere senza riuscire a trattenersi. "Sei abituato a sistemazioni più lussuose? E' una base militare."

L'altro avanzò con nonchalance in mezzo alla confusione della hall.

"Elle!" Sia la svedese che il norvegese si voltarono di scatto, mentre Rhodey si avvicinava alla donna. Stark li guardava da poco lontano, scrutando lo psichiatra.

"Abbiamo annullato il meeting di oggi pomeriggio. Ci aggiorniamo lunedì."

Elle annuì, sorridendo all'amico. "Fantastico, guadagniamo tempo. Ma..." Indicò Stark, che ancora scrutava Nalsson a braccia conserte e con gli occhiali da sole, nonostante fosse una nevosa giornata di febbraio. Rhodes alzò gli occhi al cielo. "Non gli piace lo psichiatra nuovo."

Stark fece cenno ad Elle di avvicinarsi. "Cosa ci fai completamente bagnata con addosso la sciarpa di quel tipo?"

Elle gli lanciò uno sguardo scocciato. "Che problema hai, Stark?"

"Non mi piace vederti tornare da una romantica passeggiata in giardino in compagnia di quel tizio. Avrà cinquant'anni, Elle!"

La svedese lo guardò accigliata. "Smettila di rovesciare le tue insicurezze sugli altri, Stark." Si voltò a guardare Nalsson, che la aspettava qualche metro più in la, sistemandosi il bavero della camicia bianca sotto il cappotto. Lui le lanciò un'occhiata insofferente. "Avrà trentacinque anni!" Esclamò a bassa voce la svedese. Stark scoppiò a ridere. "Uscire con Rogers ha decisamente influito sul tuo modo di vedere l'età delle persone, Ikea."

La donna alzò gli occhi al cielo, dandogli un buffetto sulla spalla. "Vai a casa, Stark. Fatti un bagno, dai una festa, costruisci un reattore, qualsiasi cosa, ma stai calmo."

"Elle..." Stark abbassò appena gli occhiali da sole, sorridendole. "Ricordati che ora siamo in comando. Se succede qualcosa, cercheranno anche te." La donna prese un ampio respiro. "E' solo un week-end. Non succederà nulla."

Stark si strinse nelle spalle. "Ricordatelo, e non buttare il telefono da parte se dovesse succedere che vedi il Capitano e..."

Elle gli diede una spallata, passandogli accanto. "Ne dubito, Stark, ne dubito."

Tornò da Nalsson, sorridendogli gentilmente. "Scusa l'attesa, andiamo in mensa o preferisci uscire a mangiare qualcosa di commestibile in centro?"

L'altro sorrise cortesemente. "A New York, dici?"

Elle annuì, le mani sui fianchi. "Si, in macchina sono solo trenta minuti."

Nalsson sembrò pensarci su, prima di annuire appena. "L'ultima volta che sono stato in città, non ho avuto decisamente il tempo per visitarla, sempre che ci sia qualcosa che valga la pena vedere..."

Elle alzò gli occhi al cielo. "Andiamo solo a mangiare, e a parlare di lavoro. Ho una macchina, non un pullman della city-seeing..."

L'altro annuì, poco convinto. Elle sospirò, tastandosi le tasche dei pantaloni. "Devo tornare su a recuperare la mia borsa e la giacca. Penso di averla lasciata sulle scale..." Fece per togliersi la sciarpa, ma l'altro la fermò con le mani gelide. "Non penso sia il caso... Elle."

La donna lo guardò perplessa. "Volevo solo restituirti la sciarpa."

"L'effetto della tua camicia bianca con l'umidità della neve rende il tuo abbigliamento indecoroso per una donna, in un ufficio." Specificò Nalsson, con un ghigno malizioso. Entrambi abbassarono gli occhi sul petto della ragazza, scoppiando a ridere. "In più, il tuo compagno ci sta guardando dall'altra parte della stanza."

Elle si voltò di scatto, trovando in mezzo alla folla il profilo di Steve Rogers, che spiccava fra tutti per quasi una decina di centimetri. Li stava guardando senza espressione, le sopracciglia tese e una coperta fra le mani. Elle si strinse nella sciarpa, sospirando.
"Andiamo... Nari, giusto?"

L'altro annuì appena, mentre si allontanavano verso le scale. Steve rimase immobile un secondo, prima di allontanarsi, lasciando la coperta con un gesto rude fra le mani di Natasha.


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"Venerdì dodici febbraio duemilasedici..."

Val sistemò meglio la videocamera, mentre Barnes si guardava attorno, sdraiato sul divano, le mani intrecciate sullo stomaco.

Il portatile di Val si illuminò, producendo un 'pop' che fece sussultare l'uomo.

"Valentina?"

"Elle!" Esclamò, avvicinandosi al computer. La donna gli sorrise, entusiasta. "Jimmy! Come stai? Come va il braccio? Come-"

"Basta con le smancerie!" Sbottò Val, passandosi la mano nel caschetto scuro. Si leccò il labbro inferiore, guardandosi attorno. "Manca qualcosa?"

Elle le lanciò un'occhiata infastidita attraverso allo schermo, mentre l'uomo allungava una mano, appoggiandola al monitor. "Elle!"

"Sto bene, Jimmy. Sto bene." Sorrise lei, piegando il viso su una spalla e guardandolo. Lui sorrise appena, cercando i segni familiari attraverso l'immagine leggermente sgranata. "Dove sei?" Chiese lui, scrutando lo sfondo dietro di lei. Elle si strinse nelle spalle.
"Mi sono fermata alla base dell'FBI. A quest'ora, ci siamo solo io, la donna delle pulizie e il portiere." Val la guardò con occhi sgranati, perplessa, e fece cadere le braccia lungo i fianchi in un gesto stizzito.

"Sei ben nascosta?" Chiese, con tono scocciato. Elle fece una smorfia.
"Se mi stai chiedendo le credenziali di decriptazione, Valentina, temo che qualsiasi cosa possa dirti non la capiresti."

Barnes ascoltò lo scambio fra le due, incassando la testa fra le spalle, piegato sui talloni davanti al computer. "Rimettiti sul divano, James."

"Valentina..." Elle la chiamò appena. "Aggiornami."

"Grazie al tuo pacchetto, che è stato recapitato tre ore dopo la nostra chiaccherata, James ha assunto una volta al giorno 5 milligrammi di Donepezil cloridrato prima di dormire, e due volte al giorno Rivastigmina sotto forma di compresse da due milligrammi."

"Bene." Elle annuì, scrivendo qualcosa su un foglio davanti a lei. "Possiamo cominciare. James, per la tua sicurezza e per quella di Valentina, devi lasciarti legare al divano."

Val la guardò con le sopracciglia aggrottate, mentre l'altro annuiva convinto. "Penso che sarebbe il caso."

"Come supponi che io riesca a legare un uomo di un metro ed ottanta e passa e con novanta chili di muscoli ad un divano?"

"James non peserà più di settantasette chili, forse ottanta." La corresse Elle sovrappensiero, tornando a leggere quello che aveva davanti. Val sbuffò, mentre James attirava la sua attenzione con un cenno. "Ti aiuto io."

"Mi aiuti a legarti?" Chiese, esterrefatta. James annuì. "Prendi due cinture di cuoio."

La donna sparì nella zona notte, mentre James si sedeva sul divano, guardandosi nervosamente intorno.

"Come stai, straniero? Vedrai che andrà tutto bene. Non facciamo nulla che non sappiamo fare, James..."

L'altro sospirò. "Non posso farti del male attraverso uno schermo, nanerottola." Scoppiarono entrambi a ridere, sottovoce. "Inoltre, la tua amica è particolarmente irritant-" Qualcosa volò contro la nuca di James, mentre Valentina gli urlava contro delle parole irripetibili.

"L'eroe di guerra messo sotto da una commessa di Walmart. Quanto vorrei venire lì a vedervi litigare." Commentò Elle, sospirando.

"Sei la benvenuta, e magari te lo porti anche via." Commentò Valentina, lanciandole un'occhiata attraverso allo schermo. "Vado a prendere il tuo composto di benzodiazepine..." Esclamò sottovoce Val, guardando Elle attraverso lo schermo. "Hai dieci minuti per chiaccherare con il tuo amico, Selvig, poi cominciamo. Non ho tutto il giorno."

La svedese sorrise a quel tentativo di Val di non infrangere la loro intimità, di dargli un po' di tempo per parlare, finalmente faccia a faccia. Seppur con i sui modi rudi.

"Valentina non mi lascia uscire." Esclamò piano James, scivolando con la schiena contro lo schienale, lo sguardo sul portatile, appoggiato su uno sgabello dall'altra parte del tavolino.

"Sei indagato per omicidio. Tra qualche ora, la tua faccia sarà su tutti i notiziari." Sospirò Elle, guardandolo.

"Cosa?" Chiese lui, ritornando serio. "Di chi?"

"Un nazistoide, uno della mobiltazione anti mutanti. Mi hanno assegnato l'indagine, e tanto per cambiare l'assassino è-"

"Rumlow." Affermò sicuro l'altro. Elle annuì.

"Ero arrivata in ufficio con Steve; mi hanno chiamato nel primo pomeriggio per un caso difficile ho avuto subito paura che fosse lui..."

"Tu eri con Rogers?" Elle alzò gli occhi al cielo. "Ti parlo di un omicidio e mi chiedi se ho dormito con il tuo Best Friend Forever?"

L'altro rise, avvicinandosi con il busto e prendendo delicatamente il computer tra le mani, appoggiandolo alle gambe per vedere meglio l'amica, le guancie arrossite. "Scusa, è che... Ricordo che Rogers fosse..."

"Non ho fatto sesso con il tuo amichetto." Commentò Elle, asciutta. "Perchè me lo chiedete tutti?"

"Sai..." James stette in silenzio un secondo, l'espressione maliziosa. "...Il supersiero... Vorrei sapere se la mia immaginazione è abbastanza fervida."

Lui fece una smorfia divertita, mentre Elle sospirava. "Non avevi perso la memoria, tu?"

"Ho dei momenti di lucidità. Sto leggendo un sacco. Poi Valentina mi fà stare un sacco su internet, ha messo persino un controllo per non farmi vedere non ho capito cosa... Ma non interferisce con le cose che cerco, sai, per provare a recuperare..." Tenne il pc con una mano, l'altra che andava a grattare la nuca.

"Sei sicuro di voler recuperare tutto?"

"Se voglio il mio passato, devo avere tutto il mio passato." Elle annuì fra sé e sé, sospirando. "Pensavo solo, che forse certe cose è meglio che restino nell'oblio..."

"Ho trovato qualcosa come trenta omicidi insoluti, compiuti a persone considerate potenti o pericolose, insomma..."

"Eri un sicario, Jam-Jimmy..." Elle si allontanò dallo schermo con le braccia, la camicia sbottonata fino alla clavicola e gli occhi tristi. "Non sei il mandante, e non hai nemmeno guadagnato qualcosa da quelle morti. Eri un'arma. Nessuno si sognerebbe di dire che Hiroshima è colpa della bomba atomica in sè..."

James la guardò un attimo con gli occhi strizzati, prima di capire. "Hiroshima! Sei Agosto 1945!" Sorrise alla ragazza, alzando un pugno. Elle ridacchiò, sorridendogli dolcemente. "Si, Jimmy. Hiroshima."

James si rasserenò un attimo, riappoggiandosi al divano. "Ho fatto una lista, di quei nomi che mi sembravano familiari..." Esclamò dopo un paio di secondi di silenzio James. Alzò un foglietto, scritto in calligrafia ordinata ma minuta. Elle strizzò gli occhi, mentre James lo girava verso di lei. "Jimmy, me lo farai spedire da Val, non riesco a vederlo così..."

"C'è solo un nome che non riesco a togliermi dalla testa, da quando l'ho letto. Vorrei che tu mi dicessi se-"

Elle alzò il capo, curiosa. "Quale?"

"Stark." James scosse il capo. "Ho paura di aver ucciso l'amico di Rogers."

La svedese prese un ampio respiro, mentre James abbassava il capo, mordendosi il labbro inferiore. Elle avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere lì, ed abbracciarlo. "Non è stata colpa tua, James." Sussurrò, troppo piano perchè l'amico potesse sentirla.

"Bene..." Valentina entrò con una siringa fra le mani, sorridendo malignamente allo schermo. "E' ora."

"Aspetta, Val!" Elle abbassò lo sguardo su James. "Devi dirmi una cosa, ho bisogno di saperla, James."

L'uomo alzò il capo, lo sguardo terribilmente serio, la mascella contratta. Elle si ritrovò a pensare che sembrava Rogers, quando faceva quell'espressione. "Quando ci siamo incontrati a Lagos... Come sapevi di River?"

James scosse il capo, confuso. Era l'ultima domanda che si aspettava, e anche quella alla quale avrebbe dato meno importanza.

"Ho fatto delle ricerche. Volevo sapere chi eri, e perchè mi avevi salvato. Sei quasi morta per salvarmi, Selvig. Non è esattamente una cosa alla quale sono abituato. Penso."

Elle lo osservò bene, sondando la sua espressione con occhi attenti, prima di rilassarsi contro lo schienale della sedia, distendendo un poco le gambe sotto alla scrivania. "Non sei mai venuto a New York, allora?"

"Solo nei pressi della citàà, quando ha attraccato la nave con la quale ho attraversato l'atlantico." Commentò veloce lui. Elle prese un ampio respiro. "Una settimana fa, si sono incontrati River e Steve, e-"

"Le cose sono già così serie?" Chiese Barnes, sorridendole sornione, i capelli che coprivano il volto chinato in avanti. Elle fece un'espressione corrucciata. "Jimmy..."

"Scusa, scusa..." Esclamò l'altro. "Dicevi?"

"River non parla. E' affetta da una forma psicosomatica di mutismo infantile. Ma quando ha visto Steve, la bambina si è messa a parlare."

James scoppiò a ridere, senza riuscire a trattenersi.

"Non pensavo fosse anche in grado di fare i miracoli, Rogers."

Elle non riuscì a non sorridere, nonostante la tragicità della situazione. Capiva come doveva essere stato James ai suoi tempi, prima della guerra - guerra che per lui era durata settant'anni. Conoscendo Steve, James doveva essere una panacea, una boccata d'aria fresca in tutto quell'inferno.

"Diceva solo il tuo nome. Ho pensato che tu fossi venuto qui, che tu le avessi parlato. Sono morta di paura." Elle scosse il capo, correggendosi subito. "Non per te, ma perchè qualcuno avrebbe potuto averti seguito fino a casa mia."

James la guardò, sovrappensiero, portandosi una mano al mento.

"No, non sono venuto a casa tua. Sei sicura che parlasse di me?" Commentò serio l'altro. Elle si grattò il naso, cercando di non sprofondare nel panico che l'aveva sorpresa una settimana prima, quando era accaduto tutto. Lanciò uno sguardo al cassetto chiuso a chiave della sua scrivania. Aveva nascosto il disegno della bambina lì dentro, in mezzo a carte inutili e sbobinature di vecchie testimonianze. James riattirò la sua attenzione, passandosi le mani fra i capelli.

"Ammetto che vedere qualcuno che urla il mio nome davanti a Rogers dev'essere stato inquetante." Attimo di silenzio. "Lui come l'ha presa?"

"Steve non ha fatto grosse domande. Gli ho detto che la piccola aveva visto un documentario, a scuola."

"Mi dispiace interrompere la rimpatriata di X Files, ma dobbiamo proprio cominciare."

Elle annuì, mentre James aiutava Val a legargli mani e piedi con le cinture, guidandola a bassa voce. La donna lo aiutò a sdraiarsi meglio sul divano.

Si voltò verso la videocamera, facendo partire la registrazione. Elle si schiarì la voce.

"Sono Elle Selvig, Agente di livello Sei dell'FBI. Sono in collegamento con Valentina Tremonti, che sarà la mia assistente in questa procedura."

Valentina sospirò, avvicinandosi al braccio di James, disinfettando la piega del gomito e iniettandogli la soluzione.

"Al soggetto, con gravi deficit di memoria sia retrogradi che anterogradi, stiamo somministrando una soluzione calmante a base di oppioidi e benzodiazepine per indurlo ad uno stato di rilassamento profondo."

James si sistemò meglio, guardandosi attorno leggermente disorientato. "Sono pronto per il sonnellino, nanerottola."

Elle alzò gli occhi al cielo, anche per via telematica.

"Il soggetto in questione è James Buchanan Barnes, e soffre di amnesia globale. E' stato sottoposto ad un qualche tipo di terapia di deprogrammazione, supponiamo usando droghe e sedute di elettrostimolazione sistematica. Inoltre, è stato sottoposto ad un potente condizionamento, e indotto al coma farmacologico più di dieci volte in sessant'anni, forse settanta."

Elle prese un respiro, sfogliando qualcosa sulla scrivania, mentre Val estaeva dalla sua borsa uno stetoscopio e si avvicinava a James. "Dobbiamo aspettare ancora un poco, tu finisci." Commentò la mora, senza voltarsi. James la guardò negli occhi, cercando di nascondere la paura che gli attanagliava le viscere. Val gli fece un buffetto sul petto, togliendosi lo stetoscopio.

Elle proseguì, con voce atona.

"James fatica a creare ricordi dal suo ultimo risveglio, e fatica a ricordare gli eventi sia del suo passato remoto che delle precedenti esperienze fuori dal coma indotto. Abbiamo già escluso cause quali Tubercolosi, HIV, Sifilide, Diabete o problemi tiroidei..."

"Sifilide, eh?" Commentò biascicando James, iniziando a perdere coscenza delle sue parole. "Magari. Non mi hanno mai lasciato la serata libera, i miei ricordi lo confermeranno."

Val ridacchiò appena, senza spostarsi dal suo posto, inginocchiata di fianco al divano. Elle nascose un sorriso.

"Barnes è sempre stato un tipo... goliardico. Presumo dalle testimonianze dei suoi amici, anzi, del suo amico, che questo era spesso un modo per mascherare le sue emozioni."

James fece una smorfia. "Questo Steve non lo direbbe mai, io-"

Val gli coprì la bocca con una mano, cercando di trattenersi dal ridere.

"...Il fatto che questa strategia di coping sia tornata, adesso che non è più sottoposto a deprogrammazione, è un indice di miglioramento. Inoltre, il Capitano Rogers nel suo rapporto sosteneva che forse gli esperimenti che sono stati compiuti su Barnes, durante la sua permanenza nelle mani dell'Hydra e prima della battaglia di Azzano, possano aver avuto conseguenze simili alla somministrazione del Siero di Erskin, sia in termini di plasticità sinaptica che in quanto a resistenza fisica. Per questo, le normali dosi sono state aumentate in rapporto al fisico del soggetto."

Elle riprese fiato un secondo, mentre Val costringeva James a seguire il suo dito con gli occhi, controllando il livello di attenzione.

"Per questo, basandoci anche sugli effetti in termini cognitivi visti su Rogers, possiamo sostenere che ci siano ampi margini di miglioramento per James Barnes. Ora, possiamo procedere con il colloquio."

Val annuì alla donna, tirando un leggero schiaffo a Barnes. Elle sospirò.

"Ecco perchè ti hanno tolto l'abilitazione."

L'altra le lanciò uno sguardo offeso, alzando le spalle. "James, puoi rispondere?"

L'uomo annuì appena. Val fece un gesto convinto con il viso. "Quando sei nato?"

"Dieci Marzo, 1917."

Elle e Val si guardarono, prendendo un ampio respiro. Val estrasse un'altra boccetta dalla mano, guardandola. "Elle, sei sicura?"

La Svedese la guardò un attimo, poi annuì. "E' l'unico modo, Val."

"Non è mai stato testato, Elle."

"Mi fido. Sei una delle maggiori esperte in biochimica dell'Ippocampo. Non è legale, è vero. E non è nemmeno sicuro. Ma io mi fido."

Entrambe voltarono lo sguardo verso la telecamera. Elle sospirò. "Questo, poi, magari, taglialo."


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Immagini. Volti. Luoghi.

Gli sembrava di vorticare in mezzo ad una parata, la confusione che lo avvolgeva e lo inghiottiva in una macchia di rosso vermiglio.

"Dove sono?" Biascicò, sentendosi soffocare da un'intorpedimento invisibile.

"James, sono Elle." Sentiva la voce della donna, lontana come se lo stesse chiamando dall'inferno. "Vicino a te c'è Val, ricordi?"

Sentì qualcosa di caldo stringergli la mano. Allora, non era del tutto perso in quel groviglio di pensieri.

"Cosa mi sta succedendo?"

"Abbiamo attivato il tuo ippocampo..." Sussurrò Val, vicino al suo orecchio. "E' la zona del cervello dove vengono smistati i ricordi. Era bloccato, per questo non riuscivi a ricordare."

Agitò il capo. "E' tutto rosso..."

"Descrivimi cosa vedi, James..." Elle lo richiamò alla realtà. "Parlami."

"E' tutto rosso, ci sono delle persone a terra, è il mio incubo... Vedo armi abbandonate, e persone che mi guardano, e sento l'elettricità, fa male..."

Fece per portarsi le mani al capo, che improvvisamente sembrava bruciare di fuoco vivo. Vedeva un viso sconosciuto ma familiare, un viso di donna, accartocciato in una maschera cremisi, accanto ad un uomo con dei curatissimi baffetti in stile inglese, un rigolo scuro che scendeva dal naso mentre lo guardava vacuo. Vedeva un uomo vestito semplicemente, con una ventiquatt'ore e dei progetti sotto braccio, un grosso buco nel petto che sanguinava. Vedeva un uomo con una tuta da elicotterista, da pilota, gli arti completamente ritorti da qualche ingranaggio o grossa ventola...

"Val, passagli qualcosa di umido sul viso..."

Iniziò ad urlare, sentendo che non riusciva a muovere nè le braccia nè le gambe, trattenute da qualcosa di duro. Si dibatteva, sentendosi prigioniero.

"VALENTINA! Mettigli qualcosa in bocca!" La voce di Elle arrivava sempre più lontana, come un eco dal fondo di un lungo tunnel cremisi.

Sentì qualcuno che cercava di mettergli un panno fra i denti, e iniziò ad urlare più forte. Non voleva dimenticare tutto, non voleva provare di nuovo tutto quel dolore, non voleva sentire di nuovo la sua mente che si volatilizzava come un vapore sconosciuto. Fece per tirare una testata alla persona che lo stava toccando, ma un urlo dalla cassa audio del computer lo precedette e la ragazza lo scartò, cercando di tenerlo fermo mettendosi a cavalcioni su di lui. "James! Cazzo, calmati!" Val gli aprì un occhio con una mano, l'altra che gli tamponava il viso con un panno. "James! Cosa vedi!"

"E' Pierce il capo dell'Hydra! E' lui che mi ha svegliato!" Urlò il giovane. Val fece per dire qualcosa, ma Elle si schiarì la voce, zittendola.

"Che altro ricordi, James?" Chiese Elle.

"Oddio... Oh mio dio..." James iniziò a dibattersi meno, mordendosi il labbro, gli occhi strizzati in un'espressione disperata.

"Steve! Ho ucciso Steve!" Si accasciò sulla superfice, smettendo di muoversi, sentendo ancora il fuoco e vedendo ancora il sangue che lo circondava. Ma ora, tutto stava diventando blu. Il suo cuore era pesante come un macigno, e sembrava avrebbe perforato la schiena e sarebbe caduto a terra, come un meteorite, seguendo la legge di gravità. Il gelo invase le sue vene, risalendo dal muscolo cardiaco lungo il collo e pervadendo le vene di gelo.

Non aveva più senso restare vivi, respirare, se aveva ucciso il suo amico, il suo fratello. Non aveva più senso il cuore che batteva, non aveva senso la sensazione del lenzuolo sotto di sè, il calore dell'amica che gli stava tamponando la fronte con qualcosa di freddo. Non aveva senso la sensazione della gola, riarsa come un uomo disperso nel deserto. Se davvero Steve era morto, se davvero era colpa sua, e solo sua, a prescindere dagli ordini, dal dolore, dalla sua identità che oramai non esisteva più, non aveva più senso stare al mondo.

"James..." Dolcemente, Elle lo richiamava dallo schermo. Val era immobile, ancora sopra di lui, ma decisamente più spaventata ed attenta. "James..."

Una lacrima uscì da sotto la sua palpebra, scendendo lungo la tempia fino ai capelli scuri. Val rimase in rispettoso silenzio, smettendo pian piano di tamponargli il viso, con sempre meno convinzione. "Jimmy..."

"Ho ucciso Steve Rogers. Lui mi è stato fedele fino all'ultimo respiro, e io l'ho ucciso. L'ho lasciato cadere..."

"James..." Elle lo chiamò a voce un po' più alta. "James è vivo. Sta bene. Te lo giuro..." L'uomo voltò il viso verso lo schermo, gli occhi arrossati, cercando di mettere a fuoco il sottile viso pallido che lo fissava, gli occhi iniettati di preoccupazione. "James... Credimi, io..."

La vide agitarsi sulla sedia. Elle. La nanerottola. La donna cercava freneticamente dentro qualcosa che teneva in grembo, borsa o una valigetta, probabilmente. Estrasse un telefono, uno di quelli sottili e neri. La vide trafficare sulla tastiera. Val la guardò arcigna.

"Non mi pare il momento di messaggiare, Selvig."

Elle le lanciò un'occhiata raggelante, per poi alzare il cellulare contro la telecamera della webcam.

"Questa è di una settimana fa, James."

L'uomo strizzò gli occhi, guardando sullo schermo sgranato. La foto era semplice. Elle stava vicino ad un uomo, e stava ridendo, avvolta nel suo cappotto nero. Accanto a lei, chinato a baciarle il naso, c'era il suo Steve. Alto, i capelli biondi tenuti leggermente più a spazzola, e meno ordinati, e dei vestiti contemporanei, sempre con il suo gusto semplice.

James prese una grossa boccata d'aria, senza staccare gli occhi da quella foto, continuando a passare gli occhi tra l'espressione di lei, che illuminava tutta la fotografia, e lo sguardo adorante di lui. Non riusciva a distogliere l'attenzione dal suo amico, vivo, felice.

Nessuna persona respirò con tanta intensità quantò James Barnes, dopo aver visto il suo amico vivo. Nessun apneista, nessuno scalatore, nessun corridore o saltatore o nuotatore. Gli sembrò di sentire fisicamente la vita che tornava a scorrere dentro di lui. La voglia di vivere, di esserci, di fare la differenza. Perchè il suo amico era vivo, e stava lottando anche per lui. E, come aveva detto un piccoletto di sua conoscenza, chi era lui per fare di meno di quell'uomo?

Val scoppiò a ridere, una risata non acida come le sue solite, ma leggera come un lenzuolo nel vento d'estate, carezzevole. Rilassò le spalle, tenendo con una mano la cintura che stringeva le sue, e con l'altra scompigliandosi i capelli scuri. Anche Elle, scostò la foto dallo schermo, appoggiando il telefono sul piano della scrivania e prendendo un'ampio respiro, seguendo nella risata Valentina. Anche James, dopo un paio di secondi di spaesamento, guardò in volto le sue ragazze, le due che si odiavano, ma che avevano messo in gioco tutto per lui. Per il suo pensiero. Per la sua memoria.

Scoppiò a ridere, scuotendo tutto il divano e con esso Val, che agitava le braccia in segno di vittoria.

Non si accorsero del rumore del chiavistello, nè delle borse che Ethan fece cadere sull'uscio di casa, ritirando il capo dalla sorpresa. Il suo sguardo passò dalla videocamera, a James legato con le cinture, fino a soffermarsi su Val che gli stava sopra, il volto arrossato dalle risate.

"Ah." Disse solo, infilandosi le chiavi nelle tasche del piumino verde mela. Aggrottò le sopracciglia, alzando le mani in segno di resa. "Non volevo disturbare... Val, potevi avvisarmi... Vi lascio al vostro..." Indicò la videocamera con un cenno del capo, e fece per voltarsi.

"Oppure, se vi serve un terzo-"

"ETHAN!" L'urlo di Val risuonò per tutta la tromba delle scale, mente il ragazzo scappava a gambe levate dal suo appartamento, gongolando mentalmente per la fortuna della sua amica.


xxx


Elle si rilassò contro la sedia, chiudendo il portatile con un tonfo.

James sembrava stare bene. Le aveva parlato un poco, a bassa voce, prima che i farmaci facessero nuovamente il loro effetto, e le sue palpebre si facessero pesanti, e le parole sempre più difficili. L'uomo si era addormentato con il computer ancora aperto davanti, e Val aveva faticato per toglierglielo dalla mano bionica senza danneggiarlo. Le due avevano scambiato poche parole, tutte sull'operazione appena conclusa, niente sul passato, nessun rancore. Erano riuscite ad aiutare una persona, alla quale oramai entrambe tenevano.

Era ormai notte inoltrata, quando iniziò a riporre le sue cose. Il fuso orario aveva agevolato entrambe, date le tre ore di scarto fra le due città: lei perchè poteva chiamare da un posto sicuro e loro perchè avrebbero potuto fare confusione senza essere troppo notati.

Ora poteva andarsene a casa, e dormire per due giorni filati, dopo l'angoscia che aveva appena provato.

Si allontanò, facendo scorrere la sedia a rotelle, dalla scrivania ingombra di carte. Distese le gambe e allungò le braccia, facendo schioccare qualche vertebra scontenta a causa della posizione mantenuta per lungo tempo.

Guardò il cellulare, sbloccandolo. Erano le tre e mezza della notte, di sabato sera. E aveva ancora l'immagine di lei e Steve aperta, come quando l'aveva mostrata a Barnes. Sospirò.

Litigare dopo una sola settimana di frequentazione non era un vero record: aveva rotto con altre persone per molto meno, e dopo molto meno.

Il messaggio di Natasha, arrivato all'incirca a mezzanotte, recava una sola parola, scritta a caratteri cubitali, senza emoji o null'altro che non quelle lettere maiuscole. "Chiamalo..." Lesse piano la svedese, sorridendo fra sé e sé.

Si allontanò dalla scrivania, iniziando a mettere il cappotto. Il giorno dopo, lo avrebbe chiamato. Avrebbe dato retta alla sua testa, come suggerito da Stark.

Il telefono iniziò a vibrare contro il piano del tavolo, rimbombando in maniera inquietante per tutto l'ufficio. Elle si girò piano, quasi spaventata. Chi poteva chiamarla alle quattro del mattino?

Si voltò, afferrando il cellulare e rispondendo, con il fiato sospeso.

"Non pensavo avresti risposto così in fretta..."

Elle si accasciò appoggiata al muro. "Dimmi, Sam."

"Capitano..." Samuel ridacchiò un secondo, prima di proseguire. "Siamo attesi da Fury, rapporto entro mezz'ora."

"Che è successo?"

"Hanno trovato l'ultima base Hydra. Andiamo tu, io, Rhodes e Rogers."

Elle si strizzò gli occhi, sbadigliando sonoramente.

"Spero che tu abbia dormito, perchè non sarà un viaggio di piacere."

"Lo so, Sam. Ci vediamo lì."

Addio al suo week-end di riposo. Entro due ore, sarebbe stata su un Quinjet verso l'Alaska, sosta a Juneau e poi dritti verso il picco di Denali.

Compose un messaggio per Natasha.

'In missione con Rogers, Sam e Rhodey. Non so quando torno. Baci a te, River e Loretta. '

La risposta non si fece attendere.

'Almeno passerai il Week End con Rogers. Divertiti.'

"Stronza..." Commentò divertita Elle, alzando gli occhi al cielo.

xxx


Eccomi tornata!

Come al solito, la vita si è messa in mezzo, e quindi eccomi qui! Dopo lavoro, esami, cani da portare a passeggio, corse mattutine per smaltire tutte le festività appena passate e le schifezze da conforto pre esame, ecco ben ventisei - dico, VENTISEI - pagine di Skyfall!

Ce ne sarebbero di cose da dire su questo capitolo. Me le ero segnate tutte, ma ho perso il file. Quindi, lo lasciamo al suo stato brado, così com'è.
Non è stato corretto, quindi spero che non ci siano troppi strafalcioni grammaticali - più che altro, problemi di battitura. E di formattazione, questa sconosciuta.
Molte cose le ho risistemate dopo il MERAVIGLIOSO, UNICO, INIMITABILE spot del Super Bowl che io e Giulietta_Beccaccina abbiamo intercettato in modo molto professional.

Ringrazio infinitamente HORANge_carrot che è stata così gentile da farmi un saluto - non hai idea di quanto sia stato provvidenziale, stavo perdendo le speranze, davvero. Autostima a pacchi, proprio. Davvero, grazie grazie e grazie!
Ovvio e dovuto ringraziamento a Delta per il sostegno emotivo, sono proprio un caso disperato. Sia benedetto il corso di primo soccorso, spirituale o meno. Altro ringraziamento all'infinito per Rise-Doe, e per il banner, che è stato veramente apprezzato! :D

Se dovessi mai avere del tempo libero, potrei fare un trailer della storia. Sappiate che ci sto pensando. Voi, che canzone mettereste?
Visto che il toto fancast è andato così bene, attivo il toto canzone! Io pensavo a "Until We Go Down" di Ruelle.

Mi scuso per l'attesa, ma volevo che fosse perfetto, che di fosse tutto quello che doveva esserci, che fosse speciale.
Per un capitolo pieno di JIMMY mi aspetto una pioggia di recensioni, petali di fiore, barrette di cioccolato...  Fatevi sentire, amiche del nostro Bucky!
Anche in questo capitolo ci sono molti riferimenti nascosti, ma questa volta sono nascosti davvero, davvero bene...

Solito reminder: Una recensione salva un'autrice!
E come direbbe Giulia un capitolo salva un lettore, ma meglio fare le cose fatte bene, no? ;)
Al prossimo,

Eve, che in questo momento dovrebbe studiare, ma non ha resistito al richiamo della scrittura.








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Capitolo 23
*** 22. Guerra ***


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ATTO VENTITUESIMO: GUERRA


"Fear and panic in the air
I want to be free
From desolation and despair
And I feel like everything I sow
Is being swept away
Well I refuse to let you go."

MUSE



Marzo 1944


Sbuffò appena quando il suo sguardo incontrò quello grigio dell'altro, dopo aver alzato gli occhi da quello scempio che stava a terra, gettato nel fango, quasi indistinguibile a causa della melma che li ricopriva interamente.

"Non dovresti trattare così gli stivali della divisa." Commentò, alzando le sopracciglia in un cenno di disappunto. James, sdraiato sulla sua branda, giocava con una pallina da baseball, lanciandola e riprendendola pigramente. Gli lanciò un'occhiata scocciata, senza interrompere il suo passatempo.

"Domattina si parte un'ora prima dell'alba. Datti una ripulita." Commentò solo Steve, voltandosi verso l'esterno della tenda, lo sguardo che vagava per il campo. James rimase un attimo fermo, la maglietta verde mezza sbottonata e la barba sfatta da giorni. Ghignò fra sé e sé, prima di lanciare con un guizzo la pallina bianca contro la nuca dell'amico, che si voltò con un gesto istintivo a prenderla fra le mani. Steve fece un'espressione esasperata.

"Che hai, Buck? E' settimane che sei scontroso come tua nonna durante la quaresima..." James alzò gli occhi al cielo, sorridendo appena.

"Inizio a chiedermi quando finirà questa maledetta guerra...." Si sistemò meglio contro la branda, le braccia aperte dietro al capo. "Voglio tornare a casa, al mio letto. Questi sono dei sassi ricoperti di stracci..."

"Sapevi di non partire per una vacanza. E comunque, puoi chiedere il congedo in qualsiasi momento." Commentò scocciato Steve, lanciandogli di nuovo la palla bianca. "Siamo qui per combattere contro quelli che ti hanno catturato e torturato."

James rimase in silenzio, guardando la palla di pelle chiara, evitando lo sguardo dell'amico. "Ora mi chiamerai codardo."

Steve scosse il capo, entrando nella tenda e sedendosi sulla branda vicina a quella dell'amico. Allungò una mano sotto alla sua branda, estraendo una scatola.

"Saresti stupido ad non avere paura." Replicò serenamente, allungandosi a prendere uno dei due stivali buttati sotto al letto dell'altro. "Tutti hanno paura."

James rimase un attimo in silenzio, prima di alzare di nuovo lo sguardo su Steve. "Anche tu, quando ti facevi picchiare nei vicoli, avevi paura?"

Il biondo ridacchiò appena, estraendo una spazzola scura. "Tra un pugno e l'altro? Si, certo..." Iniziò a strofinare energicamente sulla pelle morbida la spazzola, con gesti esperti. "Morivo letteralmente di paura."

James rimase a guardarlo. "Una volta dovevo correrti dietro per evitare che tu perdessi qualche dente." Steve annuì, divertito, mentre l'altro proseguiva, preso dal discorso. "Ora, invece, sembra che io non possa fare nulla senza averti alle spalle."

"Non è una gran sensazione." Convenne Steve. "Ma almeno posso restituirti il favore."

"Che favore!" Sputò fra i denti James, voltando il capo a guardarlo negli occhi. "Io lo facevo perché non volevo trovarti in qualche cassonetto."

"Io non voglio trovarti in qualche fossa." Commentò l'altro. "Voglio tornare a casa anche io, Buck. Ma non posso, non finché non avrò aiutato a sconfiggere il regime che sta distruggendo l'Europa. Semplicemente, non posso." Sospirò appena, ricominciando a spazzolare lo stivale. "Tu non ci sai proprio fare con la pelle di vitello, lasciatelo dire. E' tutta rovinata."

"Beh..." James fece un ghigno. "Avevamo convenuto che mi avresti lucidato le scarpe, se fossi venuto a vivere con me. Consideralo un anticipo. Mia madre chiede sempre di te, in ogni lettera. Ha visto tutti i film!"

"Geloso, Barnes?" Lo punzecchiò Steve, prima di scoppiare in una risata. "Aspettavo da anni di dirlo!"

"Ah Ah Ah." Barnes gli lanciò uno sguardo fintamente offeso. "Sto morendo dal ridere."

"Dai, Buck!" Commentò Steve, estraendo il lucido dalla scatola in latta. "Alla fine, mi sono fatto riempire di siero per poterti raggiungere sul fronte."

"Stavo più tranquillo sapendoti a casa..." Biascicò James.

"Saresti morto, se non fossi venuto a salvarti."

"Molto più tranquillo, ok?" James ritornò a guardare la palla da baseball, come se sopra potesse esserci incisa una verità universale. Rimasero in silenzio, solo lo strofinare della spazzola sul cuoio e il rumore della pioggia che delicatamente colpiva il tessuto della tenda. Un angolo leggermente bucato della tenda faceva cadere grosse gocce d'acqua gelida in un catino, disposto appositamente qualche ora prima. Steve era passato al secondo stivale, rispettando il suo silenzio, sapendo che l'amico aveva solo bisogno di sentire la sua presenza al suo fianco. James, infatti, fissava il vuoto, la testa reclinata su una spalla.

"Sono contento di averti qui, anche se sei un cretino." Esclamò, spezzando il silenzio. Steve fece un mezzo sorriso, alzando appena lo sguardo dal lavoro che stava facendo, il barattolo del lucido aperto appoggiato accanto a lui sulla branda. "E' il minimo, se tua madre avesse visto lo stato di questi stivali ti avrebbe buttato fuori casa, idiota. E poi, te lo avevo detto..."

Gli puntò contro la spazzola, le labbra che si distendevano in un sorriso. "...con te fino alla fine."


xxx


Aprì gli occhi sentendo per prima cosa il rumore fastidioso delle eliche dell'elicarrier, un sibilo ripetitivo che sembrava volergli entrare nel cervello a forza. La seconda cosa che percepì fu che era sdraiato su una serie di sedili, e che era in una posizione estremamente scomoda, le gambe abbandonate oltre l'ultima seduta e un braccio sopra al capo, a coprirgli gli occhi dalla luce del vetro oltre la cloche. Samuel stava chiacchierando appena con Elle, che aveva preso la guida appena era arrivata, vestita ancora come quella mattina e con l'aria decisamente sbattuta. Rhodes stava facendo gli ultimi controlli sul pannello touchscreen posto sul guscio della sua armatura, contando munizioni ed eventuali modifiche dell'ultimo minuto di Stark.

"Insomma, alla fine hanno ragione entrambi." Concluse Sam, voltando appena lo sguardo. Steve serrò gli occhi, fingendosi addormentato. Sentì l'amico sospirare. Elle premette qualche pulsante, per poi rilassarsi meglio contro la poltrona scura. "Steve e Tony sono due persone abituate a dividere il mondo in bianco e nero. Invece, il mondo è una scala di grigio. Nemmeno le persone dalla quale stiamo andando, sono del tutto cattive. E né Steve né Tony sono soggetti alla banalità del male. Sono tutto tranne che banali." Samuel annuì, mentre Steve riapriva gli occhi, voltandosi silenziosamente per vedere meglio i due.

"Sono entrambe delle buone persone, davvero. Ma non è una scelta sulla base delle persone coinvolte..."

"Tu hai già deciso." Commentò appena Sam. Elle sorrise appena, scostandosi i capelli dal viso, senza rispondere. "Sono contento per voi, Elle."

"Non sono nemmeno sicura che esista un noi, dopo oggi." Sussurrò lei, stringendosi nelle spalle. Rhodes si alzò in piedi, avvicinandosi appena ai due.

"Elle, si vede da lontano un miglio. Non fingere di essere obiettiva..." Commentò a bassa voce. "...Non qui, non serve."

La bionda alzò gli occhi al cielo. "Su una cosa siamo sicuri, basta fingere." Si alzò lentamente, lanciando un'ultima occhiata ai comandi. "Sono veramente esausta, ho bisogno di queste tre ore fino all'Alaska per dormire."

Rhodey le sorrise, sedendosi al suo posto. "Fai sogni sereni, Capitano."

Elle si voltò per fargli una smorfia, mentre si avvicinava alla brandina dall'altra parte del jet, sotto ai sedili sul quale era sdraiato. Steve rimase fermo, guardandola di sottecchi mentre lanciava la camicia azzurra in un angolo e si accasciava sul telo di cotone, in canotta e jeans, il volto rivolto dall'altro capo ed i capelli legati in modo frettoloso dietro la nuca. La sentì sospirare, prima che il sonno prendesse il sopravvento ed i respiri rallentassero fino al sonno. Solo allora, delicatamente, si alzò e afferrò la sua felpa, fino al momento appallottolata a fargli da cuscino. La stese un attimo con le braccia, prima di abbassarsi sulle ginocchia e appoggiargliela delicatamente sopra, sfiorando con le dita la pelle candida della donna. Le scostò una ciocca di capelli chiari dal viso, prima di alzarsi e dirigersi verso la cloche. Samuel gli lanciò un sorriso malizioso, prima di voltarsi di nuovo a fissare il cielo scuro della notte.


xxx


Scrutò con attenzione la mappa olografica della montagna, i burroni ed i pendii scoscesi che conducevano all'anfratto dal quale si accedeva alla base.

Non sapevano quanti uomini ci sarebbero stati lì dentro. O meglio, chi ci sarebbe stato. Ma c'erano dei documenti da cercare, e delle prove da trovare, che forse avrebbero scagionato Bucky. Quella era la speranza che cercava di nascondere agli sguardi attenti che la scrutavano. Forse, avrebbero potuto catturare qualcuno con delle informazioni importanti.

Rhodey proiettava la mappa dal suo orologio da polso, sicuramente opera di Stark, restando fermo a guardarla con espressione corrucciata. Samuel ci girava intorno, scrutando con attenzione ogni cunicolo.

Steve si portò una mano al mento, cercando un passaggio, un sentiero qualsiasi che fosse scoperto dall'occhio dell'Hydra. La neve aveva coperto ogni cosa, ed il picco di Denali, il monte più alto d'America, era una terra coperta di neve e senza alberi che proteggessero il cammino.

"Se salissimo con il Jet, per poi scendere con l'attrezzatura?" Chiese, voltando il capo verso Elle. Rodhes scosse il capo, schioccando le labbra.

"Intendi paracadutarti contro una montagna innevata, con una pendenza dell'ottanta percento, approssimativamente?" Elle lo indicò con un cenno del capo, le braccia incrociate sul petto sopra alla pesante felpa blu scuro. "Ha ragione, è da folli. Causeremmo una valanga, e verremmo scoperti."

"Potremmo scendere io e Rodhes, volando." Commentò Samuel. "Voi scendete dal Jet e ci raggiungete a piedi."

Elle fece un'espressione scioccata. "Saremmo troppo lenti, senza contare che con il cielo limpido vi vedrebbero subito." Steve immaginò che il secondo, fondamentale motivo per il quale Elle avesse scartato l'ipotesi fosse l'idea di una passeggiata di tre ore nella neve fino alle ginocchia Scosse il capo, dandole mutamente ragione. Elle gli lanciò uno sguardo veloce, prima di tornare a guardare la mappa, lasciando le braccia lungo i fianchi.

"Potreste sempre usare lo scudo come slittino." Ridacchiò Sam. Steve nascose un ghigno, cercando di mantenere un contegno davanti agli agenti che li guardavano sbalorditi da dietro il vetro dello stanzino degli interrogatori, l'unica stanza disponibile in quell'ufficio di provincia.

"Supponiamo che ci siano delle spie anche fra questi agenti, essendo questa la stazione di polizia più vicina alla base Hydra." Elle riprese la parola, appoggiandosi con la schiena al muro, leggermente indietro rispetto a Rogers.

"Sicuramente, fra poche ore, sapano che siamo qui. Sicuramente lo sanno già, anzi." Samuel si voltò appena, lo sguardo che vagava sullo specchio monodirezionale. "Bisogna entrare dal basso, essere veloci, ed individuare il panello di apertura delle porte."

"Stark entrerebbe a cercarlo con l'armatura e-"

"Non c'è Stark, qui." Elle interruppe Rhodey, asciutta. "Qui ci sono io, e sono in comando solo fino a lunedì, se i dei mi assistono., Ed è solo Venerdì notte."

Cercò di non pensare che per lei, per tutti loro, era il secondo Venerdì notte in ventiquattr'ore. Maledetto fuso orario.

"Cosa hai in mente?" Steve si avvicinò appena, guardandosi intorno, evitando il suo sguardo.

"Rhodes, pensi di riuscire a farti mandare da Friday una scansione dal satellite della base Hydra?" L'uomo annuì appena ritirando la mappa ed alzando il braccio sulla quale portava l'orologio. Si voltò, mormorando qualcosa contro il quadrante. Sam si diresse verso la porta, accendendo la luce.

"Sam, tu pensi di riuscire a portare Rogers giù dal Jet con le tue ali?"

Wilson incrociò le braccia, guardando l'amico, divertito. "Se non ha fatto abbuffate di recente, dovrei riuscirci."

"Rogers..." Elle strizzò appena gli occhi, cercando di tenere un tono di voce imperscrutabile. "Pensi di riuscire a memorizzare la mappa che ti mostrerà Rhodey?"

L'uomo annuì appena, puntando lo sguardo verso di lei. "E tu, Selvig?"

"Ho un piano per entrare. Non ammetto discussioni." Si diresse verso l'uscita, fermandosi appena un secondo al suo fianco. "Non ti piacerà, il mio piano."

"Ci sono tante cose che non mi piacciono, Elle." L'uomo sospirò appena, mentre Rhodes e Samuel si voltavano nella direzione opposta, ignorandoli per quanto possibile. Dandogli un po' di privacy.

"Non vuol dire che siano le cose sbagliate."

Elle annuì appena, fra sé e sé. Abbassò la cerniera della grossa felpa che aveva rimediato sul quinjet, e che aveva un odore familiare, stringendosi nelle spalle. "Allora andiamo."

Uscì dalla porta seguita dai tre, scrutando con attenzione tutti quegli agenti che li fissavano, fingendo di non averli spiati fino a mezzo minuto prima, attraverso lo specchio monodirezionale.

"Sergente." Urlò la svedese, facendo vagare il suo sguardo più truce da un lato all'altro della stanza. Un ometto più basso di lei di almeno venti centimetri si fece avanti, avvolto in un pesante giaccone marrone, e con una stella appuntata al taschino. "Mi dica, Agente Eclipse."

Elle alzò gli occhi al cielo. Missione per gli Avengers, nomi da Avengers.

"Può procurarmi una tuta da sci bianca ed una tavola da snowboard?" Chiese lei, atona. Steve, mezzo metro più indietro, alzò un sopracciglio, confuso. Samuel nascose un ghigno, abbassando il capo. Aveva capito esattamente il piano di Elle, ed era geniale. Assolutamente imprevedibile. Si avvicinò appena a Selvig, mentre il Sergente assentiva convinto, allontanandosi in fretta verso quello che probabilmente era il deposito dell'attrezzatura.

"Steve odierà il tuo piano con ogni supercellula del suo supercorpo, lo sai?" Sussurrò Wilson, divertito. Elle fece una smorfia, annuendo.

"Se ti può consolare, penso sia uno dei migliori piani di sfondamento che io abbia mai visto architettare. Ci sai fare, biondina."

Elle alzò gli occhi al cielo, sorridendo. "Faccio questo lavoro da prima di te, pararescue. E comunque..." Si voltò, lanciandogli uno sguardo divertito. "Ora

sono il tuo capo, Falcon. Non osare chiamarmi biondina... Almeno fino a lunedì."


xxx


"E' un pessimo piano!" Urlò Steve, sovrastando il rumore delle turbine del Quinjet. "Non posso lasciarti andare da sola dentro una base Hydra, scivolando su una tavola lungo un pendio del genere! Non arriverai nemmeno vicino al portone!"

Elle alzò gli occhi al cielo, levandosi i jeans senza fare un fiato. Samuel stava seduto su uno dei sedili di pilotaggio, giocherellando con la cerniera della sua tuta da Falcon. Rhodes pilotava il jet verso la montagna, l'armatura che lo attendeva nel guscio fissato poco dietro al sedile.

Steve le dava le spalle, mentre Elle iniziava ad infilarsi la tuta di Eclipse. Con la coda dell'occhio, vide Rhodey voltare appena la testa all'indietro.

"Rhodes, se non giri subito quella testa...." Esclamò, arrabbiato. L'altro strinse le labbra in un ghigno, voltandosi di nuovo verso la cloche. Elle si alzò, stirando le spalle. "Puoi girarti, Rogers. Sono coperta, ora."

L'uomo arrossì appena, fronteggiando di nuovo la svedese. "Non ti lascerò andare da sola giù per una cresta rocciosa coperta forse da mezzo metro di neve, Elle."

L'altra alzò un sopracciglio. "Non puoi darmi ordini, Rogers-"

"Certo che posso!" Esclamò lui, in maglietta a maniche corte, la parte superiore della divisa in mano. "Sono un Capitan-"

Elle fece due passi avanti, il meno alzato e l'espressione strafottente. "No, Rogers." Schioccò le labbra, divertita. "Sono io il Capitano, oggi."

Steve rimase allibito, guardandola con la mascella rigida per il nervosismo. Elle si strinse nelle spalle.

"Aiutami con la cerniera..." Sussurrò poi, dopo un attimo di incertezza, dandogli le spalle. Steve appoggiò sulla panca l'involto che aveva in mano, avvicinandosi alla donna. Elle teneva le spalle rilassate, le ossa delle scapole che si intravedevano sotto la pelle candida, il volto leggermente voltato, come a non perderlo di vista. Prese un respiro profondo, spostandosi i capelli con un braccio su una spalla, lasciando il lembo di schiena sotto la cerniera completamente scoperto. Steve rimase un attimo fermo, a studiare il contrasto fra la pelle morbida e bianca della donna e il tessuto duro e scuro della divisa, prima di prendere il piccolo cursore nero fra le dita. Le sfiorò un secondo la pelle con i polpastrelli, in una timida carezza, prima di sollevare la lampo.

Abbassò il braccio, percorrendo la linea della sua spalla con la mano, avvicinandosi fino ad avere il viso piegato vicino al suo orecchio fino a farle sentire il suo respiro. "Ti prego, stai attenta."

Elle rimase immobile un secondo, prima di abbassare appena il capo ed indietreggiare in modo impercettibile, appoggiando la schiena contro il suo petto, quasi al contrario d un abbraccio. "Anche tu."

"Elle..." Sam richiamò la loro attenzione, facendoli schizzare in direzioni opposte, il viso leggermente arrossato. Elle si diresse verso l'amico, mentre Steve infilava in fretta l'ultima parte della divisa. "Penso che siamo quasi arrivati. Sei sempre sicura che..."

"Si, Sam. Fidati di me, so quello che faccio. Non ho lavorato solo in Medio Oriente, negli ultimi cinque anni. Non è la prima volta che scendo da una montagna in Snow board..."

Rhodey la guardò un attimo, le sopracciglia aggrottate. "Fai in modo che non sia l'ultima. Quanto ci vorrà prima che tu riesca ad aprire le porte?"

Elle si voltò, prendendo i pesanti pantaloni da neve ed iniziando ad infilarli sopra alla divisa. Fece schioccare le bretelle, mentre fuori dal vetro sopra la cloche scorreva un paesaggio innevato, con creste di roccia scura a perdita d'occhio. "Se non vedi le porte aprirsi entro quindici minuti, vieni ad aiutarmi." Elle infilò il casco, gli occhiali incastrati sopra alla fronte coperta, e finì di legare le armi in sicura sotto alla pesante giacca. Con attenzione, Steve le passò lo zainetto contenente altre munizioni e un ricevitore d'emergenza, tenendoglielo sollevato mentre lei infilava le braccia negli spallacci. Era una cosa che lo tranquillizzava, aiutare le persone a cui teneva a prepararsi prima di una missione. Elle lo lasciò fare, vedendo che il compito riusciva nell'intento del sollevarlo da un po' di quell'angoscia che traspariva dal suo sguardo.

La svedese prese la tavola, passandosela sottobraccio, mentre Rhodes planava leggermente verso la cresta scura della montagna.

"Samuel, tu resti fuori dalla base."

Wilson si voltò, lo sguardo corrucciato, lanciando uno sguardo a Steve. "Io seguo lui, non resterò fuori ad aspettarvi con dell'Eggnog caldo e qualche coperta."

Elle alzò una mano, l'anello di Stark che scintillava nella penombra del Jet. "Tu resti qui perché ci servi come riferimento, e perché le tue ali nei condotti della base sotto la montagna sarebbero solo d'intralcio."

"Posso combattere anche senza!" Esclamò Samuel, cercando con lo sguardo quello di Steve. Captain America lo guardò un attimo, prima di annuire.

"Elle ha ragione, ti metteresti solo che in pericolo per nulla. Ci sei più utile qui, a coordinarci. La mappa di Friday?"

Rhodes sospirò, annuendo. "E' già in tutti i vostri satellitari."

Elle annuì appena, infilandosi i grossi guanti bianchi, come tutta la sua tuta. "Allora, signori, prendo congedo." Si diresse verso il portellone, chiudendo con la mano libera il giaccone ed abbassando gli occhiali. Steve la seguì, tenendosi contro una sbarra del velivolo. "Ci vediamo dentro."

"Steve..." Elle abbassò il capo, ed il tono di voce, mentre l'uomo si avvicinava, guardandola con evidente angoscia. "Se oggi dovesse andare male, c'è una cosa che devi sapere."

"Puoi ancora ripensarci-" Elle lo zittì, alzandosi sulle punte e sfiorando le labbra dell'uomo con le sue, con delicatezza, il fiato caldo che la faceva sentire immediatamente più tranquilla. Steve sospirò appena, quando lei fece un passo indietro.

"Mi dispiace per averti tenute segrete delle cose. Ma ricordati questo: per te, James è un tassello, una battaglia. Ma per lui..." Elle spinse con una manata il pulsante per aprire il portellone, sorridendo appena dietro alla sciarpa ed ai grossi occhiali. "...Per lui, tu sei l'intera guerra."

Elle si lanciò fuori dal portellone, in un turbine di neve, lasciandolo solo, inerme, davanti al baratro dei suoi pensieri.


xxx


Intorno solo il bianco candido della montagna, nessuna interruzione a quell'orizzonte pallido che faceva riverberare la luce del sole, un sole luminoso ma freddo come solo quello della montagna sapeva essere.

L'aria sferzante le colpiva il viso a ritmo irregolare, mentre inspirava a pieni polmoni attraverso la sciarpa che le copriva tutto il viso, guardando la cresta rocciosa che stava sotto di lei. Stava cercando il percorso migliore per scendere verso l'apertura della base, la tavola agganciata allo zaino. Prese degli ampi respiri, sistemando meglio il ricevitore all'orecchio e raddrizzando il casco. Sentiva ancora l'elicottero in lontananza, mentre girava in tondo per sorvegliarla, abbastanza in alto per non essere visibile dalla base, ma vicino abbastanza da poterlo vedere, una macchia nera nel cielo terso. Ascoltò un attimo i battiti del suo cuore, cercando di sincronizzarli con il respiro, prima di riaprire gli occhi. "Pronta."

"La prossima volta, ti mettiamo una GoPro e ti facciamo sponsorizzare dalla Red Bull." Commentò nell'interfono Samuel. "Buon fortuna, Elle."

Scivolò fino alla prima cresta di roccia, fermandosi sul ciglio di una discesa frastagliata coperta da una coltre bianca. Tre metri la separavano dall'attacco della pista, tre metri di vuoto da ammortizzare con la tavola.


Con una spinta, si lanciò nel vuoto, tenendo la tavola perpendicolare al terreno, pronta all'impatto, una mano guantata che teneva un'estremità. Iniziò a scivolare lungo il pendio scosceso, trattenendo il fiato, l'adrenalina che entrava in circolo. Fece una curva lenta, spostando il peso verso l'interno, liberando un piccolo torrente di neve lungo il pendio. L'ingresso del tunnel era tre chilometri più in basso. Tre chilometri di rocce e planate scoscese.


"Non volevo chiederlo mentre era qui, ma..." Rhodey voltò appena lo sguardo verso Samuel e Steve, il primo seduto accanto a lui ed il secondo che si teneva ad una sbarra, il busto leggermente piegato in mezzo ai due sedili.

"...Da quando Elle fa Snowboard Freestyle?" Commentò, guardando la scia bianca che si allontanava lungo la montagna. Samuel si strinse nelle spalle. "Alla fine, viene dal nord. Io mi sarei schiantato alla prima roccia. Immagino che la abbiano messa su un paio di sci prima ancora di imparare a camminare."

Steve deglutì. "Mancano ancora parecchie rocce al tunnel, Samuel..."


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Non riuscendo ad aprire la porta del tunnel nemmeno con i pass, sottratti alle cinque guardie che l'avevano vista piombare dentro l'ingresso nella montagna in modo estremamente sgraziato, Elle si era fermata qualche secondo a riflettere, guardando dritta nelle telecamere di sorveglianza, grattandosi il mento.

Attorno a lei giacevano i corpi inanimati, due che avevano malamente ricevuto la tavola da snowboard fra i denti e le altre tre seccate rispettivamente con due proiettili e un'elegante testata contro la parete in calcestruzzo.

Afferrò la tavola e la infilò tra la fessura delle due porte in ferro, facendo leva con tutta la forza che aveva.

"Serve una mano?"

Rhodes calò con tutta calma dietro di lei, con un clangore metallico. Elle si voltò con un sorriso, abbassando la sciarpa, mentre lui faceva alzare la maschera dal viso. "Mai stata così contenta di vederti, Rhodey."

"Quanto mi dai se apro la porta al primo tentativo?"

Elle alzò con un gesto sbrigativo gli occhiali da neve sul cappello, il casco già agganciato allo spallaccio dello zaino. Rhodes contemplava la tavola incastrata nella porta con aria perplessa.

La svedese aprì la cerniera del giubbino, tenendosi con una mano le bretelle dei pantaloni tecnici. Con l'altra estrasse il portafoglio dalla tasca posteriore dello zaino e lo aprì con un gesto spiccio. "Se vuoi ho venti dollari, una tessera magnetica dell'ex S.H.I.E.L.D. per le spese e un paio di corone svedesi."

Rhodes sogghignò, lanciando uno sguardo da oltre la sua spalla. "E una foto di Natasha, vedo. E quello è un ritaglio..."

Lei lo fulminò con lo sguardo, riponendo il portafoglio nella tasca dello zaino. "...sicuramente non di un articolo su come farsi gli affari propri."

Rhodes si voltò con un sorriso sornione verso la porta, puntandole contro i guanti dell'armatura. Elle si passò la tracolla della mitraglietta AK-47 sulla spalla, puntandola contro la porta. "Comunque, se la sfondi entro trenta secondi, ti regalo tutto il portafoglio."

Rhodes sparò un colpo da uno dei cannoni sulle spalle, indietreggiando appena per il contraccolpo. Elle venne sbalzata all'indietro, cadendo mezzo metro più lontano.

"Non vedevo l'ora di provare i nuovi giocattoli di Stark."

"Dovevamo entrare inosservati." Commentò Steve, correndo verso di loro avvolto in una tuta termica uguale a quella di Elle. L'altra si alzò con colpo di reni, facendo schioccare la lingua. Si voltò, mimando un'espressione dispiaciuta. "Ho provato a suonare il campanello, ma non mi hanno voluto aprire. "

"Che scortesia." Rispose appena Rhodes. "Ma ora avremo da fare."

Elle fece due passi, affiancando l'altro e iniziando a sparare contro i soldati in nero che si dirigevano verso di loro. Steve si parò con lo scudo, mentre Rhodes si alzava da terra e li precedeva nel buio del condotto, illuminandolo con la luce dell'armatura.

"Dovremo dividerci, dalla mappa questo posto mi sembrava immenso."

"Per questo vi servo anche io."

Elle alzò gli occhi al cielo, voltandosi verso l'esterno. Davanti alla luce che entrava dall'esterno, stagliando un'ombra nera sullo sfondo bianco, Samuel alzò una mano, il pollice all'insù.

"Dove hai lasciato il Quinjet?"

"Ho parcheggiato in doppia fila." Commentò l'uomo, estraendo un fucile e puntandolo oltre la spalla di Steve. "La multa la addebitiamo a Stark."

Elle lasciò cadere la mitraglietta contro il fianco, sistemandosi la coda di cavallo. "Ok, allora vieni con me."

Steve fece per obiettare, ma Elle gli prese lo scudo dalle mani, usandolo per colpire una granata che qualche mercenario aveva lanciato contro di loro. Si piegò sulle ginocchia, mentre Steve si piegava contro di lei e Samuel contro i due, attutendo a fatica il contraccolpo della detonazione. Steve aprì lo zainetto di Elle, mentre questa spiava Rhodes nascosto dietro la lamiera della porta, aspettando direttive. Gli fece un cenno con il capo. "Hai fatto, Rogers?"

Steve appoggiò a terra una pistola ed una torcia, richiudendo lo zainetto con una mano. "Grazie, Selvig."

"Sei il benvenuto." Commentò appena questa, mentre l'altro lanciava oltre le macerie un lacrimogeno. Un paio di soldati caddero a terra, storditi dal gas sedativo. Elle allungò una mano dietro le sue spalle, e Rogers le passò la torcia. "Tu e Rhodey andate dritti. Io e Wilson a destra. Teniamoci in contatto."

"State attenti." Commentò solo Steve, mentre si alzavano. Elle si voltò appena, annuendo. Fece per passargli lo scudo, ma lui lo spinse leggermente contro di lei. Elle lo guardò, con un sopracciglio alzato. "Prendi il tuo scudo."

"Tenetelo voi." Replicò Rogers. Sam e Rhodes si scambiarono uno sguardo perplesso.

"Non fare il cretino, ti serve lo scudo." Esclamò Elle. L'altro si strinse nelle spalle. "Posso usare Rhodey." Lo indicò con un cenno del capo, senza distogliere lo sguardo dagli occhi di lei. "Grazie..." Commentò appena l'amico. Elle spinse di nuovo lo scudo contro di lui.

"Prendi questo scudo e vattene."

Steve rimase un secondo a fissarla, la mascella contratta e gli occhi stretti in un'espressione dura. "Ok."

Riprese lo scudo, mentre Elle accendeva la torcia e scavalcava un cumulo di macerie. "Rhodes, ricordati che ti devo venti dollari."

"No..." Commentò affiancandola l'uomo nell'armatura. "Mi devi tutto il tuo portafoglio, comprese la foto di Nat e il ritaglio con la foto di Rogers."

Elle roteò gli occhi verso di lui, con un'espressione omicida. Steve li guardò, stupito. "Lei-"

"Non è il momento, usignoli miei." Commentò Samuel, parandosi davanti a lui e sparando ad un uomo a cinque metri di distanza, che strisciava perfettamente mimetizzato nel buio. Gli altri tre rimasero a guardare, a bocca aperta.

"Voi lo avevate visto?" Sussurrò Rhodes, voltando appena il capo verso Elle, la maschera dell'armatura che si abbassava.

"Samuel viene con me." Ripetè piano Elle, mentre l'uomo gongolava.


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"Posso farti solo una domanda?" Samuel la raggiunse, tenendo alto il fucile, mentre Elle teneva la torcia puntata davanti a sé, sopra alla sua pistola. "Dimmi, Sam."

"Perché sei scesa in Snowboard se poi siamo entrati tutti insieme?" Elle sorrise appena. "Era solo un modo per fare colpo su Rogers?"

Lei alzò gli occhi al cielo, sorridendo appena. "Vedrai...."

Un gruppo di soldati corse nella loro direzione, mentre Elle prendeva la rincorsa, abbassando la pistola ed estraendo il coltello dalla manica. Si voltò a tirare un poderoso calcio al primo mercenario che le capitò sotto tiro, colpendolo alla mascella. Girò su se stessa, piantando il coltello nella spalla di un altro, afferrandolo poi per il giubbotto antiproiettile e accompagnandolo a terra con uno sbuffo. Sentì Samuel imprecare, e si voltò giusto in tempo per vederlo mentre colpiva con il calcio del fucile il volto del malcapitato di turno.

"Vengono tutti da quella direzione...." Commentò Samuel, alzando lo sguardo dall'uomo a terra sull'amica. Elle alzò le sopracciglia, aprendo la bocca per parlare, ma non disse nulla. Scrollò le spalle e proseguì in quella direzione, rinfoderando la pistola e riprendendo il coltello dalle carni del poveretto steso con la schiena contro il muro, che mugugnò. Lo pulì sui pantaloni da neve, tenendo la torcia fra i denti bianchi.

"Ovvio, vengono tutti da lì, dobbiamo andarci!"Commentò funereo Samuel, seguendola con sospiro rassegnato. Scavalcò l'uomo che aveva atterrato, affrettando il passo per raggiungerla. Elle alzò un braccio, fermandolo. "Mi è venuta un'idea diversa."

"Prevede una morte gloriosa ma dolorosa?"

"Ovvio."

"Bene, allora andiamo." Concluse Sam, imbracciando il fucile, mentre la svedese gli sorrideva da oltre la spalla.


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"Bene, eccoci qui. Finalmente faccio la conoscenza di questi famosi Avengers."

"Perdonami se non ti stringo la mano."

Steve fece qualche passo avanti, gli occhi che saettavano da quell'uomo del tutto normale, avvolto da una stretta uniforme nera, le braccia abbandonate lungo i fianchi e le dita pallide delle mani intrecciate sopra al ventre, quasi fosse già pronto a lasciarsi deporre in una bara. Gli occhi castani, invece, brillavano di una scintilla sinistra, quasi rossastra nella pallida luce al neon. Rhodes, accanto a lui, ripiegò dalle spalle dell'armatura le armi, alzando la maschera per vedere con i suoi occhi l'uomo che gestiva l'ultima cellula Hydra sul pianeta.

"No, non sono interessato alla sua stretta di mano, Steve Rogers. Soprattutto ora che non è più il Capitano." L'uomo dal pesante accento tedesco si strinse nelle spalle, stringendo le labbra in una smorfia divertita. "E' bastata una donna a farla deporre. Deve essere stato uno spettacolo pietoso, nevvero."

Rhodes sospirò. "Ora deve venire con noi. Qualsiasi cosa dirà sarà registrata." Commentò atono, facendo due passi in avanti. L'uomo alzò appena le braccia, la mani aperte. "Non sono sicuro di voler tornare in America con voi, Maggiore Rhodes."

Si strinse nelle spalle, lo sguardo che vagava. "Anche se la mia curiosità riguardo alla vostra squadra è incontenibile. Avete già trovato i miei uomini nella vostra città, prima di venire a scomodare me in persona?"

Rhodes si fermò, alzando lo sguardo, attento. "Parla di Brock Rumlow?"

Le labbra dell'uomo si piegarono su un lato, gli occhi piccoli che vagavano tra i due uomini. Fece un gesto scocciato con la mano, muovendo le sopracciglia in modo quasi comico. "Non solo Rumlow. Ma, il vostro nuovo Capitano non ve lo ha detto?"

Si guardò attorno. "E chissà dove è ora. L'unica donna in questo continente a sapere dove è Barnes." Scoppiò in una risata acuta, alzando il capo, lo sguardo che si fermava in quello blu di Rogers. "Una conoscenza preziosa, di questi tempi, non trova, Rogers?"

"Non ascoltarlo, Steve, vuole solo farti arrabbiare." Commentò Rhodes, senza staccare gli occhi dalla figura sottile dell'uomo.

"Peggio..." Replicò questo, con un sorriso divertito. "...Stavo solo prendendo tempo."

Si voltò senza esitazioni, dando loro le spalle, mentre una cinquantina di uomini entravano nella stanza, accerchiando i due uomini. "E voi siete stati abbastanza sciocchi da permettermelo." Li guardò, annoiato, voltandosi verso uno dei suoi soldati.

"Cosa me ne faccio di un'armatura di Stark e di un altro uomo con il supersiero?"

Steve alzò le sopracciglia, mentre Rhodes arretrava al suo fianco, guardando i caschi dei soldati attorno a lui come a volerli contare. Erano un intero commando, in perfetta tenuta da guerra, armati fino ai denti e con il volto coperto.

L'uomo in divisa li guardò un attimo, lasciando trasparire il suo disappunto. "Noioso. Io volevo l'androide, o se proprio entrambe le mutanti. Invece ho voi." Si strinse nelle spalle. "Dovremo trovare un modo per farvi tornare utili."

Steve fece una mezza risata, lo scudo stretto in mano, guardandosi attorno. Non c'era traccia di Elle e Sam, ma almeno non erano stati presi. "Non farmi credere di non voler replicare il siero di Erskin?"

"Il tuo maggior difetto è sempre stato considerarti di un valore di mercato maggiore di quello che sei in realtà." Commentò con tono rassegnato l'altro, scuotendo il capo. "Ci sono centinaia di altri mutanti, abbiamo centinaia di altri adepti che portano avanti il lavoro di ingegneria genetica iniziato dal Teschio Rosso. Tu ormai sei una goccia nel mare. Ora..." Alzo appena lo sguardo sui due. "Ci serve qualcosa che non possiamo trovare su questa terra. Qualcosa che è arrivato da oltre. E che ci appartiene."

"Elle..."

"Io e sua madre eravamo amici di vecchia data. Avrebbe voluto vederla al sicuro, sotto la mia protezione, invece che a vivere in una catapecchia americana, con amicizie discutibili." L'uomo scosse il capo, sembrando sinceramente affranto. "Non approverebbe tutto questo pericolo, nella vita della figlia. E nemmeno un uomo che non ha nemmeno il coraggio di combattere per lei. Seriamente, ti piace mandare alla guerra le persone che ami?" Concluse, scuotendo il capo. Steve rimase senza parole, fissandolo con la mascella contratta e le labbra schiuse per la sorpresa.

"Tu conoscevi la madre di Elle?!"

L'altro ignorò la sua domanda, mentre Rhodes cercava di richiamare l'amico. "Ti sta prendendo in giro, Rogers!"

"Scegli con molta attenzione i tuoi amici, Steve Rogers. Te lo concedo." L'uomo fece per voltarsi, stringendosi nelle spalle. "Sembra che li selezioni a partire dalla nostra lista dei desideri."

Steve lanciò lo scudo contro l'uomo, pieno di rabbia. L'altro lo scartò senza troppa fatica, con un passo a lato, facendolo cadere diversi metri dietro di lui. Si avvicinò, appoggiandoci un piede sopra. "Peccato, Steve Rogers. Che belle conversazioni avremmo potuto fare, sui tempi che furono."

Steve rimase a fissarlo, respirando profondamente, gli uomini sul perimetro della stanza che lo guardavano dietro le loro maschere vuote. Rhodes si mise alle sue spalle, riabbassando la maschera.

"Ehi, signorina!"

Un colpo sfiorò di striscio il braccio dell'uomo in divisa, al centro della stanza, il proiettile che staccava un getto di sangue scuro. Steve e Rhodes abbassarono lo sguardo, mentre tutti gli uomini ai lati facevano un passo verso il loro comandante, piegato sul suo braccio con un sorriso malevolo sulle labbra sottili. Fermò i suoi uomini con un braccio, voltandosi verso Samuel, all'altro capo della stanza, che imbracciava il suo fucile, un sorriso divertito sulle labbra carnose.

"Sei per caso ferito?" Commentò sarcastico, alzando il mirino verso di lui.

"L'uomo con le ali..." Sussurrò con una smorfia, rialzandosi e raddrizzando la schiena. "Sai cosa è successo ad Icaro quando si è avvicinato troppo al sole?"

Samuel fece un ghigno ancora più divertito, indicando con il mento una corda che portava legata in vita, e che proseguiva verso le travi del soffitto.

"Anche se non sono un damerino come te, non sono del tutto ignorante. Ma..." Fece un cenno con il capo, schioccando le labbra. "Non sarò io a caderti addosso, oggi."


"In cosa mi sono cacciata..."

Ripiegata con le ginocchia al petto, Elle si lanciò contro il vetro della stanza sopraelevata dalla quale aveva osservato tutto lo scambio, planando con la grazia di Sokovia dopo l'intervento di Stark sopra all'uomo in divisa, afferrandolo per le braccia e lanciandolo contro il muro grazie alla forza di inerzia.

Questo finì in mezzo alle sue truppe, accasciandosi con un mugugno sofferente. Samuel, per il contraccolpo, volò contro la parete opposta, colpendo un paio di uomini. Elle dondolò, appesa alla corda, estraendo la mitraglietta e iniziando a sparare alla cieca, mentre Steve si lanciava a recuperare lo scudo. Si alzò in tempo per afferrare fra le braccia la svedese, che si era sganciata e lasciata cadere nel vuoto.

"Non avrei mai detto che nelle basi Hydra potessero piovere belle donne." Commentò, esultante. Elle arrossì appena. "Grazie, ma ci starebbero sparando addosso." Commentò lei, voltando il capo per guardare Rhodes che recuperava Samuel, pochi metri più indietro. Prese la pistola dal cinturone di Rogers, iniziando a sparare ai tubi dell'illuminazione al neon.

Si ritrovarono al centro della stanza, assordati dal rumore delle pallottole che vagavano, nel buio. Samuel alzò lo sguardo sulla ragazza, gli occhiali che emettevano una leggera luce rossa.

"Rhodes, ci vedi?" Chiese Elle, sentendo subito la risposta di assenso dell'amico. Samuel emise un verso di assenso, mentre Steve la stringeva contro il suo fianco, coprendola con lo scudo. "Anche io vedo un poco." Mugugnò, percorrendo continuamente il profilo del suo braccio, temendo di perderla nel buio. "Potevi chiedermelo prima di sparare all'unica fonte di luce."

"Cazzo!" Elle sentì qualcosa passarle a fianco, mentre una sagoma scura si appoggiava alla sua spalla. Passò un braccio sotto il braccio di Sam, sostenendo il suo peso con uno sbuffo. "SAM!"

Lasciò subito Rogers, percorrendo con le mani la figura dell'amico, sentendo qualcosa di umido e caldo macchiarle i vestiti e una mano. Si irrigidì subito, tirandogli un leggero schiaffo. "Sam, ascoltami, resta sveglio!"

La svedese lo sentì caderle di peso addosso. "Cazzo, cazzo, cazzo..." Commentò, mentre Steve afferrava un revolver che lei gli aveva sottratto e rispondeva al fuoco nemico.

"Rhodes, puoi trascinarci tutti fuori volando?" Chiese Elle, tendendo una mano verso l'alto. Una cupola azzurrognola coprì i quattro, mentre i colpi rimbalzavano contro la barriera invisibile, cadendo a terra. Rhodey annuì, mentre Elle, resa cieca dal buio, cercava con un braccio di sostenere l'amico, la mente impegnata a creare quella debole corazza.

"Posso farlo, se vi tenete tutti a me. Ma serve una vita d'uscita."

"Tieniti pronto." Commentò la svedese. Steve lasciò vagare lo sguardo lungo la stanza, vedendo i soldati che sparavano, alcuni che scappavano vedendo nell'ombra gli occhi traslucidi di Elle e la luce emessa da quella bolla indistruttibile. Intravide nell'ombra lo sguardo dell'uomo in divisa, circondato dai suoi uomini, ferito, ma con i denti bianchi che splendevano nella pallida luce del potere di Elle, gli occhi sgranati dall'estasi e pieni di desiderio. Steve deglutì, mentre la donna richiamava la sua attenzione urlando. Si avvicinò, prendendosi un secondo per percorre il profilo del viso della donna che amava, ignara di tutte quelle attenzioni, interessata soltanto a tenere cosciente il suo amico, accasciato con gli occhi socchiusi. Per un secondo, solo per un secondo, le parole di quell'uomo, del nemico, fecero breccia nella sua mente. Elle forse meritava davvero di meglio. Una vita al sicuro, lontano da tutta quella polvere e da quel sangue. Poi, l'ennesimo urlo della svedese, un urlo che conteneva il suo nome in mezzo a diversi insulti - insulti che in una situazione normale gli avrebbero fatto accapponare la pelle - lo fece ritornare alla cruda realtà, cruda quasi quanto i suoi pensieri. Prese Samuel da sotto le ascelle, stringendoselo addosso.

Elle borbottò qualcosa con Rhodey, estraendo un telecomando. Lo guardò per un secondo, come per soppesare le probabilità che avevano di uscirne vivi.

Alzò lo sguardo su Steve, che sorreggeva Samuel dall'altro lato.

"Rogers, tieni stretto Sam!" Commentò Elle, passando il giaccone sulle spalle dell'amico ferito. Steve annuì, aiutandola a infilare il braccio di Sam nella manica. "Se usciremo, ed usciremo, devi tenerlo al caldo. Non importa se ci perdiamo nel volo."

Steve scosse il capo. "Volo?!" Elle gli lanciò uno sguardo angosciato, stringendosi fra le braccia, avvolta nella tuta di pelle. "Tieni stretto Sam, ed al caldo."

Rimase un secondo a guardare gli occhi blu del capitano, mentre passava dall'altro lato di Rhodes. "Al tre premo."

L'uomo nell'armatura annuì. "Meglio tutti sotto la montagna, che loro fuori."

Elle annuì, premendo l'interruttore.

Un boato scosse tutta la base, e la montagna sotto di essa. Per un secondo, solo poca polvere scese dal soffitto, mentre tutti si fermavano.

Poi, i mercenari iniziarono a fuggire dalla stanza, che andava via via crepandosi.

"Pronti?" Chiese Rhodey, tenendo con una mano il busto antiproiettile dell'armatura di Steve, sollevandosi da terra di pochi centimetri. Elle annuì, mentre afferrava il suo avambraccio.

"Andiamocene." Commentò, quando il primo crostone di soffitto e roccia cadde davanti a loro, e la neve che entrava mulinando. Rhodes le strinse meglio il polso, partendo come un razzo verso l'alto, Steve e Sam solo una sagoma indistinta dall'altro lato.


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Si rianimò tossendo, sentendo i polmoni pieni di polvere ed il fianco che doleva come se stesse bruciando sotto una fiamma.

"Ehi, ehi, ehi..." Qualcosa le diede una leggera pacca sul petto, mentre apriva gli occhi, infastiditi da una luce innaturale. "Respira, coraggio..."

"Non dirmelo..." Mise a fuoco il viso sporco di Steve, la mascella decisa, gli occhi blu che la fissavano angosciati. "...Abbiamo seguito i cattivi fin sotto alla montagna."

"Siamo usciti." Commentò appena lui. "Sei svenuta appena hai smesso di emettere quella bolla..." Era sdraiata sugli scomodi sedili del quinjet. Si voltò, sentendo la mano di lui che la reggeva per la vita, mentre sputava ancora polvere e calcinacci. Ebbe un fremito di freddo. "Cosa..."

Steve le diede qualche leggero colpetto alla schiena, accarezzandola poi con la mano. Per coprirle tutte le spalle e giù, fino al bacino, sarebbero bastate tre mani di Rogers. Si stupiva ogni volta di quanto fosse enorme rispetto a loro, persone normali.

"La pressione. Non sei abituata a volare, non a certe altezze, senza casco, né ossigeno..." Sorrise appena. "Abbiamo scoperto finalmente qualcosa che non puoi fare."

Elle fece per alzarsi di scatto, sentendo un giramento di testa improvviso sbalzarla in avanti. Si tenne la testa fra le mani, guardandosi attorno. "Come siamo arrivati sul Jet, io..."

"Sam lo aveva lasciato su una cresta. Lo abbiamo recuperato giusto in tempo, non è stato facile, portandovi a peso morto."

"Sam!" Elle si tenne ad una sbarra, mentre l'altro si alzava, passandole con naturalezza un braccio attorno alla vita. "Non dovresti andare tanto in giro, Elle. Sei stata svenuta per quasi mezz'ora."

"Sam." Esclamò solo la svedese, riconoscendo l'angoscia che cercava di nasconderle dietro un'espressione fintamente serena. "E' stabile."

"Rhodey?"

"Ben svegliata, Elle. Almeno questa volta non sei morta e risorta." La salutò l'uomo, senza distrarsi dai comandi. Elle sospirò. "Ti serve un copilota."

"Riposa." Commentò solo l'altro. "C'è Friday ad aiutarmi."

Elle lanciò uno sguardo all'adesivo vicino alla cloche, che recitava 'Jarvis is my co-pilot.'. Avrebbe decisamente voluto Visione, accanto. Aveva mille domande, e sentiva il cuore in gola. Steve aspettò che ritornasse al presente, guardandola scuotere il capo e tornare a fissarlo. "Sam."

Steve scavalcò l'armatura di Rhodes, abbandonata con il suo scudo e il casco a terra. "Vieni..." La aiutò a superare gli ostacoli, facendola sentire un po' ridicola. Normalmente, li avrebbe saltati senza nemmeno degnarli di attenzione. Ma tutto attorno sembrava ovattato, le orecchie le fischiavano e continuava a vedere gli interni del jet vorticarle attorno.

Raggiunsero la barella dove stava Samuel, immobile, avvolto in una coperta di alluminio isotermica, un tubo di fisiologica che usciva da sotto il piano e raggiungeva una flebo. Steve continuò a sostenerla, mentre si allungava con l'altra mano a controllare la sacca di liquido. Elle passò una mano sul viso leggermente verdognolo dell'amico, mordendosi un labbro. "Sam... Non ne valeva la pena..."

Steve la osservò un attimo, mentre lei sgusciava dalla sua presa e si appoggiava al tavolo con le braccia.

"Questa operazione è stata del tutto inutile." Commentò con aria tetra, passandosi una mano libera fra i capelli impregnati di pulviscolo. Si abbassò sul tavolo, appoggiando il capo sul petto dell'amico, sentendo il battito debole ma regolare.

"Invece è stata estremamente utile. Sappiamo il volto di chi comanda l'Hydra, da dietro quello che era Pierce... Sappiamo che controlla Rumlow, che sa che è a New York... Sappiamo cosa stanno cercando..."

"Me. E Wanda." Commentò Elle, sospirando, il capo ancora abbassato sulla barella. Steve annuì appena. "E sappiamo anche una cosa più delicata, ma fondamentale."

"Conosceva mia madre." Commentò lei, stringendo le dita pallide sul bordo della barella. Fece per alzarsi, sentendo le ginocchia che cedevano sotto il suo peso.

"Madre o no, devi mangiare qualcosa, oppure sarò costretto ad attaccare anche te ad una flebo."

"Non vorrei mai provare le tue doti da infermiere da cosciente, grazie." Commentò sarcastica lei, mentre lui si abbassava leggermente a passarle un braccio sotto le ginocchia. La sollevò senza sforzo, lanciando uno sguardo all'amico.

"Starà bene, vedrai. Il proiettile è uscito. Appena arriviamo la dottoressa Chang lo metterà in quel suo acquario..."

Elle lo guardò, sospirando. "Sono stata un capo agghiacciante. Per fortuna manca solo un giorno e potrò liberarmi di questo fardello. Non so come fai, ma capisco come mai eri acido come un novantenne quando sono arrivata...Ah, aspetta, tu sei un novantenne."

Steve sorrise appena, tenendola stretta al petto ed avanzando lungo il Jet. Raggiunse la panca, sedendosi con uno sbuffo di stanchezza.

"Invece sei stata un ottimo capitano..." Commentò, appoggiandosi allo schienale. Elle si puntellò sui palmi delle mani, restando sul suo grembo. Lo guardò, poco convinta. Lui annuì, stringendosi nelle spalle. "Hai preso delle decisioni che io non avrei mai avuto il coraggio di prendere."

Elle lasciò andare il capo all'indietro, infastidita dai capelli che si appiccicavano sulla tuta in pelle. "Tipo buttare giù mezza montagna?"

"Questo spiega perché andavi così a zig-zag..." Sussurrò divertito lui, lanciandole uno sguardo ammirato. "Non ci avrei mai pensato, alle cariche esplosive."

"Sempre avere una via di fuga. Se non puoi avere una vita di fuga..." Elle sollevò un angolo delle labbra pallide. "...Distruggi la via di fuga degli altri. Terza regola di Barton. Secondo te, il damerino si è salvato?"

"Difficile ma possibile." Steve rilassò le braccia, la divisa attillata rovinata in più punti. Se lei aveva i muscoli indolenziti, non osava immaginare lui.

"Steve..." L'uomo voltò il capo sporco di polvere verso di lei, un braccio che la tratteneva dal cadere da quella comoda pozione, le dita aperte sul suo fianco. Appoggiò il capo alla parete dietro di lui, sospirando. "Dimmi, Elle."

"Forse..." La ragazza tentennò un attimo. "Forse proprio perché non hai il coraggio di dare certi ordini, sei un buon capo." Alzò appena lo sguardo su di lui. "Se dovessi seguire una squadra... Vorrei averti come capo. Mi fido del tuo giudizio."

Si sorrisero, mentre volavano verso casa.


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Tutti coloro che avevano dovuto lavorare a compiti delicati con Elle sapevano che la svedese, da brava nordica, era abituata a somatizzare gli eventi negativi stando per ore chiusa nella doccia, senza emettere un fiato, solo lasciando scorrere su di sé il getto di acqua calda, i capelli che si appiccicavano sul viso ed il vapore che la avvolgeva come un manto.

Fissava inespressiva le mattonelle bianche, simili a quelle di un ospedale, asettiche nella loro anonimità. L'acqua ai suoi piedi era rossa, mentre il sangue colava fuori dall'ennesima lacerazione della sua pelle, sul costato, sotto il braccio destro.

Si fissava le mani, luride di sangue. Sangue non suo.

Una lacrima scappò dalle ciglia bianche, mischiandosi con l'acqua che le scorreva sul viso teso. Si mise le mani sul volto, sporcandolo di rosso. Rimase sotto il getto, in silezio, gli occhi serrati sotto le dita sottili, i muscoli delle gambe e delle braccia doloranti per lo sforzo.

Avevano caricato Samuel su una barella dell'infermeria appena arrivati alla base, estraendolo dalla coperta isotermica, Elle che faceva pressione con le mani sul grosso buco che lo trapassava da parte a parte. Steve, doveva ammetterlo, aveva fatto un lavoro egregio nel tamponare l'emorragia con un ottimo Drenaggio di Mikulicz. Insieme con il rubare le auto, era entrato nella top ten delle doti segrete di Captain America. Elle era rimasta fino all'ingresso nella sala operatoria, i vestiti imbrattati di sangue dell'amico e il cuore a pezzi.

Quando entrò nel bagno dello spogliatoio, dopo averla aspettata seduto nell'area comune per mezz'ora, Steve rimase un attimo immobile a guardarla.

In qualsiasi altro momento e con chinque altro si sarebbe sentito imbarazzato e sarebbe uscito dilungandosi in mille scuse. Ma non con Elle, la persona con il quale sentiva di essersi esposto di più dal risveglio nel ventunesimo secolo. L'unica che sapeva come si chiamasse sua madre, o che amava il disegno, e senza averlo letto su un file secretato.

Anche se non la aveva mai vista così, nuda e inerme, gli sembrava di aver sempre conosciuto la forma del suo corpo. Come se l'avesse sempre disegnata, nella sua mente. L'assenza dell'ombelico, le linee del costato, l'ombra leggera della grande cicatrice sul fianco e i mille piccoli sfregi, quasi invisibili dopo il Wakanda, che raccontavano la sua storia. Anche se erano pressochè invisibili, lui li sentiva e vedeva come se fossero stati dipinti in colori sgargianti. Alle vecchie cicatrici che solo i suoi occhi avevano imparato a riconoscere, si erano aggiunti i nuovi segni dell'ultima missione. Si era chiesto come Elle avesse superato tutti i soldati posti sulla strada per quel punto di comando dalla quale si era lanciata, infrangendo una parete di vetro.

Un grosso livido viola occupava metà della coscia destra. Un altro, più piccolo ma tendente al rosso, marchiava il ginocchio sinistro.

Elle si passò le mani sul viso, scostandosi i capelli appiccicati alla pelle diafana, mostrando entrambi i gomiti offesi. La mano destra era gonfia e leggermente livida.

Si voltò di scatto, senza sembrare del tutto sorpresa. Rimase semlicemente a fissarlo, gli enormi occhi azzurri che lo guardavano vacui, le labbra secche e spaccate al centro. Stranamente, il naso era integro, e anche gli occhi non erano stati colpiti. Rimasero a fissarsi per diversi minuti, lei completamente inerme sotto il getto della doccia, immobile con le mani dietro il collo sottile, senza sentire il bisogno di coprirsi dal suo sguardo. Lui stava al centro dello spogliatoio, le braccia lungo i fianchi e l'espressione stanca. Si voltò lentamente verso il suo armadietto, prendendo un grosso accappatoio bianco.
"Dovresti uscire. Devi farti medicare." Sussurrò, avvicinandosi alla tenda ancora raccolta della cabina. Portava ancora l'uniforme, lacerata in più punti. Sentiva i muscoli indolenziti dallo sforzo, l'acido lattico entrato in circolo, le dita di mani e piedi che formicolavano per il freddo patito fuori. Elle rimase a fissare il vuoto, nel punto in cui era lui pochi momenti prima. "Elle?" La richiamò l'uomo.

La donna voltò il viso, abbandonando le braccia lungo i fianchi sottili, sfiorandosi la linea formata dalle ossa del bacino sopra le pelvi. Alzò lentamente lo sguardo su di lui, che la aspettava con l'accappatoio aperto fra le mani.

Gli occhi erano rossi e lividi. Vide una lacrima uscire dall'angolo del suo occhio, scivolando fra le altre gocce. Elle si appoggiò con la schiena alla parete fredda, con un singhiozzo, e scivolò lentamente a terra, tremante.

Steve affisse l'accapatoio ad un gancio, accanto alla tendina. Fece un passo indietro, sospirando. Capiva come si sentiva Elle: in colpa. Lei era il capo, ed il capo ha il dovere di riportare tutti gli uomini a casa, ed in salute. Il dovere morale, anche quando non era realistico pensarlo.

Elle alzò lo sguardo su di lui, i capelli ancora incollati al viso, gli occhi arrossati.

Restò un attimo a guardarla, seduta sul pavimento della doccia, avvolta dal vapore, scossa da singhiozzi che cercava senza successo di trattenere. I capelli le coprivano il seno, seguendo tutta la sua figura fino al bacino. Aveva abbandonato la testa contro la parete, guardandolo. Sembrava lo sguardo di qualcuno mentre sta annegando.

E lui cedette, perchè lei era Elle e, per la prima volta da quando si conoscevano, per la prima volta da quando poteva avere il privilegio di starle accanto, e il dovere di sostenerla, era lei ad aver realmente bisogno della sua presenza.

Si tolse con una smorfia di dolore la maglia della sua uniforme, una costola leggermente incrinata. Scalciò via gli stivali, e tolse con attenzione i pantaloni, cercando di non farli sfregare sul suo nuovo taglio, che segnava la coscia per una decina di centimetri.

Entrò in silenzio nella cabina della doccia, nonostante i boxer ed i capelli sporchi di polvere. Si inginocchiò davanti alla donna, facendo da schermo per il getto bollente che si infrangeva ora sulla sua schiena dolorante. Le alzò il viso con le dita, perdendosi sempre in quegli occhi azzurri come il cielo estivo. L'unica cosa che comunicavano era dolore.

Elle si sporse lentamente verso di lui, aggrappandosi alle sue spalle con tutta la forza che aveva, le braccia sottili che sembravano ancora più incosistenti rispetto ai muscoli guizzanti della sua schiena. I sussulti finirono, mentre si aggrappava, con la stessa urgenza di qualcuno che sta precipitando. Lui la strinse con un braccio, affondando il viso nella sua clavicola, respirando a pieni polmoni. Voltò leggermente il capo, le labbra che le sfioravano il collo.

"Ho avuto paura." Sussurrò lui contro la sua pelle. Lei si strinse ancora di più a lui, il petto stretto al suo in una morsa, i muscoli delle braccia rigidi per lo sforzo di tenersi aggrappata. "Ho avuto paura di averti perso. Ho avuto paura di avervi perso." Le passò una mano sotto la schiena, aiutandola ad alzarsi in piedi. Lei si teneva con le braccia lanciate contro al suo collo.

"Lui starà bene. Staremo tutti bene." Sussurrò lui contro le sue labbra. Elle emise un debole lamento, chiudendo gli occhi. Lui se la strinse al petto.

"Non potevi fare di più. Non potevamo fare di più."

Elle sospirò. "Non è stato abbastanza." Aveva la voce bassa, impastata, leggermente rauca. Steve si allontanò leggermente, mentre Elle lo guardava angosciata, gli occhi di nuovo spalancati. Di nuovo sofferenti.

Lui si abbassò sui talloni, passandosi una mano fra i capelli. Allungò il capo verso il suo ginocchio, tenedolo con una mano, costringendola ad alzarlo leggermente.

"Questo per me è già abbastanza." Sussurrò guardandola. Si chinò a baciare il livido rossastro.

Elle lo guardò scioccata, le labbra dischiuse. Lui sorrise leggermente alla sua sorpresa, alzando di poco il capo.

"Questo per me è abbastanza." Ripetè, posando le labbra sulla sua coscia segnata. Elle sospirò debolmente, le mani appoggiate sulle sue spalle, guardandolo senza dire nulla. Si alzò di poco, sfiorando con la bocca la cicatrice ancora sanguinante sul costato, macchiandosi le labbra di scarlatto. "Questo per me è abbastanza."

Le prese i polsi con le mani, stupendosi per l'ennesima volta di quanto fossero sottili e minuscoli, accarezzandoli con le dita. Allungò la mano a sfiorare i gomiti sfregiati. Elle ebbe un sussulto, nascondendo caparbiamente una smorfia di dolore. Lui alzò lo sguardo nei suoi occhi, portandosi la mano destra alla bocca, baciandola con dolcezza. "Hai fatto tutto quello che potevi. Ed abbiamo salvato Samuel."

Lei lo guardava, le labbra strette, le mani ancora abbandonate fra le sue.

Era strano vedere Elle così, inerme, completamente abbandonata alla situazione. Nonostante Steve non potesse negare di averci pensato piuttosto spesso, vederla davanti a lui, in una nuvola di acqua e vapore, i lunghissimi capelli appiccicati al corpo allenato, gli occhi che brillavano come due fari azzurri, le labbra dischiuse...

Elle era straordinaria, lo era davvero. Combatteva con eleganza, era più intelligente di lui – cosa che non mancava mai di fargli notare – ed era premurosa. Era una perona complicata, la sua stessa vita era un caso irrisolto. Ma era anche una persona meravigliosamente bella, ai suoi occhi. Spigliata e irriverente. Sarcastica quasi quanto Stark, ma allo stesso tempo dolce. Soprattutto con lui.

Le sfiorò le braccia con dita tremanti, maledicendosi per aver accettato, quel mattino di diversi mesi prima, di farla entrare nella sua squadra. Le mani di entrambi erano ruvide, il corpo spinto allo stremo delle loro forze e cosparso di ferite. L'uomo nella divisa aveva ragione. Questo non era quello che avrebbe voluto per lei.

Con un sospiro, si abbassò lentamente a sfiorare le sue labbra con le proprie. Si sentì l'uomo più fortunato del mondo, nonostante tutti lo volessero morto e il suo amico fosse in una barella, quattro corridoi più in là, nonostante le labbra che sentiva sotto le proprie fossero fredde e screpolate dal vento. Perchè quando aprì gli occhi, un secondo dopo quel casto bacio, Elle era appoggiata contro il suo petto, sotto il getto di acqua bollente, con gli occhi ancora chiusi ed un leggero sorriso sulle labbra.

Lei voltò leggermente il capo, appoggiando le labbra sul suo petto, lasciando una serie di baci distratti, lo sguardo di quando era persa in un ragionamento complesso. "Maledizione..." Borbottò leggermente, senza alzare lo sguardo. Lui si irrigidì un secondo, un braccio che la sosteneva per la vita. "Cosa?"

"Potrei, forse, essere innamorata di te." Ammise lei, alzando timidamente lo sguardo, quasi trattenendo il fiato. L'uomo sgranò gli occhi, completamente spiazzato. "Dici?"

Elle si alzò leggermente sulle punte, gettandogli le braccia al collo. Si abbattè sulle sue labbra, facendogli mancare il fiato. Istintivamente, sapendo che erano entrambi doloranti e probabilmente stanchi – quest'ultimo fatto del quale non era più particolarmente sicuro – alzò il braccio dietro la sua schiena, sostenendola, mentre la sua bocca rispondeva con trasporto. La spinse leggermente indietro, contro la parete della doccia, con un mugugno. La mano che non era impegnata a sostenerla, aperta alla base della schiena liscia, le sfiorò delicatamente il fianco, inizialmente incerta. Quando lei lo strinse ancora più forte, prese un po' di sicurezza in più e si concentrò ancora di più sulle sue labbra, godendosi la sensazione della sua lingua contro la propria, e del seno della donna contro il suo petto.

Elle lasciò con un respiro le sue labbra, tornando ad appoggiare i piedi a terra, le mani che scendavano di nuovo ad appoggiarsi sul suo petto. Ridacchiò, appoggiando la nuca al muro ricorperto di piastrelle.

"Non mi hai detto nulla..." Commentò, gli occhi che lo scrutavano come a voler leggere nella sua mente. Steve riprese fiato, senza allontanare le mani dal suo corpo.

"Leggimi nel pensiero." Esclamò, una smorfia divertita sulle labbra. Lei lo guardò incredula. "Ora?"

Lui annuì. "Voglio che tu capisca, cosa mi sta succedendo. Cosa mi stai facendo."

Elle si morse il labbro, pensierosa. Scosse la testa.

"Sarebbe troppo facile. Dimostralo."

Senza aggiungere altro, Steve abbassò velocemente il capo, cercando di nuovo la sua bocca. Elle rispose con un ringhio, inizialmente mordendogli il labbro, poi schiudendo le labbra e lasciandosi condurre senza opporre resistenza. Completa resa.

Lui le prese le gambe, sollevandola senza apparente sforzo mentre lei si teneva con le braccia alle sue spalle, senza lasciare la sua bocca, la schiena premuta contro la parete.

Nessuno dei due si chiedeva cosa stava succedendo. Erano quasi morti, poche ore prima, e la consapevolezza che avevano rischiato di tornare a casa l'uno senza l'altra o viceversa non permetteva loro di pensare a separarsi nemmeno per un respiro.

Istintivamente lui premette il bacino contro quello di lei, sospirando. Elle appoggiò le labbra sulla sua clavicola. Lui si fermò un attimo, guardandola, godendosi il momento.

"Sei stanco?" Chiese lei, il viso arrossato, accarezzandogli un braccio. Si scostò un ciuffo di capelli dal volto, che teneva leggermente basso. Lui sorrise nel vederla così imbarazzata. Avrebbe dovuto essere lui, quello imbarazzato. Invece si sentiva a suo agio come non capitava da diversi decenni.

"Potrei tenerti in braccio per una vita intera, Elle." Commentò lui, appoggiando il mento sula sua fronte. "Sei una piuma, per me." Lei si strinse a lui, sorridendo contro la sua pelle.

"Sei talmente sottile e fragile che probabilmente sarei riuscito a sollevarti anche prima del siero." Elle ridacchiò. "Esagerato..."

Lui sorrise ancora, quasi cullandola, tenendola ancora stretta a lui con le braccia, le gambe di lei appoggiate sulla linea del suo bacino.

"Non penso ci saranno mai battaglie che mi impediranno di stare così, con te." La strinse leggermente contro di se, pelle contro pelle. "Ma..."

Elle alzò un sopracciglio, alzando divertita gli occhi al cielo. "Ma?"

"Ma non voglio che succeda così."

"Per questo sei entrato nella doccia con i boxer?" Ridacchiò Elle, guardando in basso. Lui arrossì, seguendo il suo sguardo. "Non mi sembrava appopriato entrare completamente nudo mentre tu eri in quelle condizioni, Elle. Non pensavo certo che saremmo finiti a...."

Si interruppe, sorridendo maliziosamente, muovendo le sopracciglia in modo comico. Elle scoppiò definitivamente a ridere.

Alzò appena il capo, stampandogli un bacio sulle labbra.

"Non attenterò alla tua virtù, Capitano..." Fece un sorriso malizioso. "Non fino a quando non sarai tu a chiedermi di farlo." Steve arrossì ancora di più, mentre Elle si stringeva contro di lui con le gambe, stiracchiandosi placidamente.

"Non sono fatto di marmo, Elle. Non mettere alla prova il mio auto controllo."

La donna ridacchiò. "Non sono sicura della tua prima affermazione." Commentò lei, alzando lo sguardo lungo il bagno, imbarazzata . Lui diventò di una insolita tonalità di rosso. "Elle!"

Lei si trattenne dal ridergli in faccia. "Dai, mettimi giù e spogliati." L'uomo rimase interdetto, facendo un passo indietro, mentre lei si scastrava da quella posizione compromettente. "Cosa?!"
"Sei sporco lurido. Di polvere. E sangue. E..." Gli passò una mano fra i capelli, con una smorfia. "Non voglio sapere che altro. Non esiste che dormiamo insieme con te in questo stato."

"Non mi sembrava dispiacerti fino a poco fa..." Commentò lui. Lei si strinse nelle spalle con un sorriso enigmatico, mentre lui la appoggiava con delicatezza a terra, tenendola per le natiche.

Elle si stiracchiò appena, allungandosi verso l'armadietto sul muro, appeso appena fuori dalla doccia, accanto alla tenda raccolta che non aveva tirato a tempo debito. Prese un flacone e tornò sotto il getto, mentre il compagno si spogliava, imbarazzato. Elle sorrise nel vederlo così intimidito dalla situazione, ma allo stesso tempo lo capiva piuttosto bene. La sessualità è un argomento difficile in un mondo estraneo.

Si alzò sulle punte, spremendogli dello shampoo sulla nuca. Steve emise un verso indispettito, mentre lei gli massaggiava la testa, in bilico sulle punte dei piedi.

"Sei stato molto dolce. E' un peccato che non vi abbiano congelati in più di due, dagli anni cinquanta." Steve la guardò con disappunto, cercando di trattenersi dal ridere.

"Devo dire che questo ventunesimo secolo non è male." Elle si strinse nelle spalle. "Saremmo stati bene in ogni epoca, immagino." Steve la guardò dolcemente, frizionandosi i capelli sotto il getto d'acqua. "Non avrei mai pensato che ci saremmo stati in due, in questa doccia." Commentò, guardandosi attorno. Elle ridacchiò, passandogli una spugna sul petto.

Con delicatezza, le accarezzò il viso. Elle sembrava decisamente più serena. Sapere che era stato merito suo, delle sue attenzioni, lo faceva sentire importante. Felice.

Le passò le dita fra i lunghissimi capelli, con attenzione, districando i nodi di sporco che si erano formati durante il crollo. Elle sorrise, sfioradogli il naso con la spugna.

"Hai ragione, Elle. Saremmo stati bene in ogni epoca." Commentò lui, senza distrarsi dal suo compito, proseguendo con la ciocca successiva.

"Se c'è bisogno di una guerra, per farci incontrare, allora ne è valsa la pena."


xxx


Salve a tutti! Come sempre si pubblica ad orari decenti ed umani, nevvero.

Beh, spero vi siate goduti il capitolo... Si inizia a vedere un po' di azione, in tutti i sensi!

Il trailer procede bene, soprattutto grazie all'aiuto di Giulietta Beccaccina che mi sta sopportando in maniera egregia - anzi, ha creato delle GIF e delle immagini veramente notevoli sui nostri adorati Stellecky!

Per questa volta, poco Jimmy, ma presto recupereremo. Iniziate a prepararvi al minestrone: tra poco torneranno tutti. E dico TUTTI.
Grazie alla dolcissima HORANge_carrot per la recensione! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto come i precedenti! E ovviamente grazie per la recensione anche a Giulia e grazie a Delta per il supporto morale giornaliero - e per il gossip spietato ;). Adottate tutti una Delta come consigliera di vita!

Craggio gente, fatevi avanti, non mangio nessuno, anzi! Sto cercando di migliorare ad ogni capitolo - ovviamente, ripetizioni a parte, che ormai temo facciano parte del mio stile di scrittura nevrotico. Ricordatevi, soprattutto ora che siamo tra gli ultimi dieci capitoli: Una recensione salva un autore! Soprattutto una povera ragazza come me che ci tiene tantissimo non solo alla storia, ma a migliorarsi e migliorare il suo modo di raccontare il mondo. Attendo i vostri pareri con ansia! E le vostre domande!
Sono la regina delle rivelazioni sussurrate, delle cose non dette e soprattutto, della pulce nell'orecchio. ;)

Al prossimo capitolo!
Eve

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Capitolo 24
*** 23. Memoria pt.1 ***


Ciao a tutti!
Si, sono VIVA! Sono dispiaciuta per l'attesa eterna. Purtroppo, questa volta oltre all'uscita di Civil War si sono messe in mezzo cause di forza maggiore.
Non voglio farvi attendere oltre, ma ci tengo a mostrarvi innanzi tutto il lavoro di due compagne di letture.
Prima di tutto, la bellissima copertina di Giulietta_Beccaccina, ormai compagna inseparabile di fandom, ispirata allo scorso capitolo.

Attenzione! Immagine a contenuto esplicito.
http://i.imgur.com/Ttu1c3R.jpg

E a seguire l'altra immagine, fatta dalla gentilissima Janeisa!

http://i.imgur.com/weTO5Fp.png

E ora, vi lascio al capitolo. Non è stato riletto molto bene, nè betato, quindi mi scuso per eventuali orrori ortografici - nel caso, non trattenetevi dal segnalarmelo in modo esplicito. Per esempio, lanciandomi contro un mattone. Altro commento: E' un capitolo lungo, ma pieno di avvenimenti. Rating direi giallo, a parte qualche scena forse leggermente cruda ma non è nulla rispetto a cosa ho in serbo per voi. Nel prossimo capitolo vedremo scene decisamente ROSSE e di tutti i tipi e generi. Restate sintonizzati! ;)

Atto ventiduesimo: Memoria

prima parte


"And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand.
When everything's made to be broken,
I just want you to know who I am."

GOO GOO DOLLS

Aprile 2016


Entrò nella stanza con le mani sprofondate mollemente nelle tasche della felpa scura, senza nessuna espressione sul volto leggermente scavato, la barba sfatta da più di una settimana.

Al suo ingresso, il passo leggermente strascicato e gli occhi arrossati dalla stanchezza, nessuno si voltò nella sua direzione. Non ci fù nemmeno un minimo vuoto d'aria, un movimento intangibile che mostrasse che qualcuno si era accotto del suo arrivo. Natasha si avvolgeva nervosamente un ricciolo scuro sull'indice della mano destra, la schiena dritta contro lo schienale della sedia da ufficio, una gamba appoggiata alla sedia di fronte e lo sguardo perso sulla schermata del portatile, appoggiato al tavolo di vetro.

Samuel, i movimenti rallentati dall'ingombrate fasciatura al petto, alzò appena il capo, una scintilla che illuminava gli occhi scuri. Era seduto su una sedia uguale, davanti allo stesso tavolo, le braccia che dodolavano oltre i braccioli in una posa priva di energia.

"Notizie?" Chiese con voce appena udibile. Lo sguardo saettò subito contro la parete alla sua sinistra, dove Visione stava in piedi, il viso rivolto contro il muro, le mani giunte dietro la schiena in una posa quasi rilassata.

Tony Stark non entrasse le mani dalle tasche. Alzò appena lo sguardo, prima su Falcon e poi verso l'andoide che lui stesso aveva creato, le labbra strette in qualcosa di simile ad una smorfia.

"Non ho ancora rintracciato il segnale." Ammise a bassa voce, i pugni che si chiudevano sotto il tessuto scuro. "Non ho trovato nemmeno una briciola di pane."

Visione emise un sospiro intangibile, senza voltarsi. "Non usano un sistema che si aggancia al loro IP... Semplicemente, il segnale video rimbalza sui server di mezzo mondo, prima di arrivare qui. Potrebbero essere in uno a caso di quei possibili indirizzi."

"Non possono essere andati lontano, nei due giorni prima dell'arrivo del video!" Esclamò una voce profonda, mentre Barton entrava nella stanza a passo di carica, lanciando la giacca sul tavolo. Stark estrasse una mano, grattandosi la testa con un gesto nervoso.

"Ho tracciato una mappa di dove sarebbero potuti arrivare. E l'ho incrociata con la localizzazione dei Server." Commentò con voce leggermente roca. "Arriviamo a qualcosa come diecimila possibili indirizzi. Solo a portata di strada."

"Ed io ho controllato gli edifici abbandonati nel raggio di dieci chilometri... Fabbriche, centri commerciali, ville..." Commentò Barton, annuendo al discorso di Stark. "Non c'era niente."

"Non possono essere spariti." Commentò piatto Samuel, abbassando lo sguardo sulla cartina, aperta sul tavolo davanti a tutti loro. C'erano un paio di punti segnati in rosso.

"Fino a quando non avremo altre informazioni, sono bloccato. Devo aspettare la prossima trasmissione, sperando che si tradiscano in qualche modo." Stark mormorò le fase, come se temesse la reazione delle persone accanto a lui. Natasha, infatti, lasciò cadere le braccia, calciando la sedia di fronte a lei, che si mosse con un cigolio sulle sue ruote.

"Davvero vuoi aspettare la prossima trasmissione, Stark?" Biascicò, gli occhi strizzati in un'espressione sconvolta. Barton, ancora affiancato a Stark, alzò un braccio verso l'altro, temendo la reazione della russa. "Nat, stiamo facendo tutto il possibile. Stark sta facendo il possibile. E' ovvio che non voglia vedere di nuovo..." Si interruppe, mentre Stark abbassava appena il capo. "Mi dispiace di non poter fare di più."

Barton lanciò uno sguardo emblematico a Natasha, che abbassò appena il capo, stringendosi le mani in grembo. "Scusa, Tony..." Sussurrò, le labbra che si muovevano appena.

Anthony annuì rigidamente, quasi più per se stesso che per rispondere all'amica. Alzò di nuovo lo sguardo su Samuel, che aveva assistito allo scambio con espressione tesa. Cercò di fare una smorfia simile ad un sorriso, con risultati scadenti. Stark schioccò le labbra, infilando nuovamente le mani nelle tasche. "E lui, come sta?"

Samuel si strinse nelle spalle, con una smorfia. Si passò una mano sul fianco ferito, lisciando con le dita la maglietta, lo sguardo basso.

Stark annuì appena, intuendo il sentimento dietro al silenzio dell'amico. "Non penso sia il caso di passare a salutarlo..."

Natasha si alzò, puntellando le mani sul tavolo. "Lascialo stare, Stark." Barton annuì. "Non penso che tu sia nella lista delle persone che vuole vedere. Non dopo martedì scorso."

Stark incassò in silenzio, voltandosi appena verso l'uscita, lo sguardo contratto sul viso amimico. Alzò appena il capo, incontrando con le pupille dilatate dalla penombra la figura di Visione, ancora voltato contro la parete. Fece un passo verso la porta, un debole eco di risolutezza. "Per quello che vale, mi dispiace." Esclamò prima di uscire, le parole leggermente strascicate, e dirette verso la sua creazione migliore.



~


Aprile 2016...una settimana prima


"Sei ancora qui."

Steve stiracchiò le gambe sotto al letto dell'infermeria, rialzando il capo con un mugugno. Non avrebbe saputo dire quante ore aveva passato sotto le luci al neon di quella stanza, cullato dal rumore dei macchinari, mentre Samuel restava in un profondo sonno causato dall'anestesia. "Nat."

La rossa si avvicinò al letto in un paio di passi veloci, gli stivali marroni che tacchettavano sul pavimento lucido. "Sono venuta appena ho potuto."

Steve annuì fra sé e sé, sistemandosi meglio le maniche arrotolate della maglia. "Avevi il week-end libero."

Natasha sospirò, avvicinandosi all'amico sdraiato e prendendo fra le sue una delle mani, appoggiate sul materasso, lungo i fianchi. "L'operazione?"

Steve si rilassò contro la scomodissima sedia della stanza, studiando con lo sguardo l'amica. "Hanno tolto due pallottole, una da una costola e una dal fegato. Nulla di irreparabile, la dottoressa Chang l'ha messo nella culla della vita dopo venti minuti di sala operatoria." La rossa annuì appena, senza distogliere lo sguardo dall'uomo. "Per fortuna..." Sussurrò, quasi fra sè e sé. Si sedette sul ciglio del materasso, tenendo ancora una mano su quella dell'altro. "Ho incontrato Rhodey, fuori..." Cominciò con calma la rossa, lanciandogli un'occhiata oltre le spalle coperte da un maglioncino beige.

"...Mi ha detto che vi è quasi caduta la montagna addosso. Hydra?"

Steve sogghignò, appoggiando i gomiti al materasso, senza alzare lo sguardo. "Elle."

Natasha ebbe un singulto, portandosi una mano davanti alle labbra. Steve alzò appena lo sguardo. "Non saprei ancora decidere quale dei due sia più distruttivo." Commentò, alzando le sopracciglia. Natasha gli lanciò un'altra occhiata divertita.

"Non sarebbe stata un buon capo... Se non ci avesse fatto cadere addosso una montagna... Mi sembra ovvio..."

I due si alzarono di scatto, avvicinandosi al viso dell'amico, che sussurrava a bassa voce. Lanciò uno sguardo ad entrambi, il collo ancora rigido e delle grosse occhiaie attorno alle orbite. "Chi ve lo fa fare di restare qui anche oggi?"

Nat, ancora seduta sul materasso, leggermente piegata su di lui con il busto, fece un'espressione perplessa. "E' un giorno di lavoro."

Samuel stirò appena le labbra in un sorriso. "Non è un giorno di lavoro, Natasha." Alzò lo sguardo in quello verde della donna, che rimaneva saldamente ancorata alla sua mano, gli occhi fissi nel vuoto. L'uomo sorrise fra sé e sé.

"Ho un sesto senso per i giorni festivi."

Steve ridacchiò, allontanandosi verso la porta. Nat rimase con il sopracciglio sollevato, le labbra che si piegavano lentamente in un sorriso. Sam le fece un occhiolino. "Scherzo, c'è scritto sull'orologio sopra alla porta che è il ventisette. E io mi ricordo tutte le domeniche."

"Ho avvisato io tua moglie, che non potevi andare a prendere tua figlia, oggi." Commentò Steve, sfregandosi le mani fra loro. Natasha gli lanciò un'occhiata ancora più confusa. "Ex moglie." Si corresse l'uomo a bassa voce, il busto già praticamente fuori dalla stanza. "Vado... Ad avvisare i medici." Lanciò uno sguardo ai due, che ancora si guardavano in silenzio, Nat con una ruga di preoccupazione in mezzo alle sopracciglia e Sam che ancora si sentiva confuso e dolorante. "Vado ad avvisarli che sei sveglio."


~


Aveva chiesto ad un poliziotto di aiutarla con il disegno.

L'identikit era pronto. Lo aveva inserito nel programma, ed effettuato una ricerca sul database dell'FBI, senza essere troppo convinta. Poi, aveva risposto a Maria Hill, che voleva chiederle come stava dopo Denali. Elle aveva accennato con l'amica alla sua ricerca, e l'altra le aveva chiesto incuriosita di mandarle il disegno.

La seconda chiamata di Maria non si era fatta attendere, ma la risposta che ricevette non era confortante. Non poteva dire di non esserselo aspettato. Ma saperlo per certo, esserne consapevoli, era sempre peggio.

Cercava di distrarsi dalle parole del generale Hydra. Parole che aveva accuratamente appuntato appena aveva avuto un secondo di pace, dopo essere tornata a casa quel sabato.

Ma l'idea di non presentarsi a quell'appuntamento, quel lunedì pomeriggio, non l'aveva sfiorata per nessun motivo. Se avesse voluto ucciderla, se avesse voluto ucciderli tutti, quell'uomo - o qualsiasi cosa fosse - avrebbe potuto farlo in svariate occasioni.

Elle si accomodò meglio sullo sgabello, sistemandosi il colletto della camicia con un gesto nervoso.

Il locale era pieno di persone, tutte radunate a chiaccherare davanti ad un drink dopo una giornata di lavoro. Un gruppo di uomini, probabilmente usciti da Wall Street - vista la divisa ingessata e le cravatte leggermente allentate - occupava il tavolo alle sue spalle. Poteva sentirli parlare di indici e rialzo anche da quella distanza, mentre i suoi occhi vagavano pensierosi fuori dal vetro dell'ingresso, verso le persone che passeggiavano sul marciapiede. Fuori stava smettendo di piovere, e i primi ombrelli comiciavano a chiudersi. Dietro ad uno di questi, un uomo si sistemò meglio la sciarpa ed avanzò a passo sicuro dentro a quel marasma confuso, dirigendosi verso lo sgabello sulla quale Elle aveva appoggiato il cappotto.

"Selvig." Commentò soltanto l'uomo, levandosi il soprabito con un gesto elegante. Elle si voltò verso la barista, che le appoggiò davanti il suo drink senza degnarla di uno sguardo, troppo presa a rimirare l'uomo che si stava accomodando con nonchalance accanto a lei. Questi fece un sorriso malizioso, indicando con due dita il bicchiere colmo di ghiaccio ed un liquido ambrato. "Quello che ha preso lei."

La ragazza annuì, sparendo dietro al bancone. Elle fece una smorfia divertita. "Nari."

L'uomo rise, aprendo le braccia. Era veramente alto, anche appoggiato sullo sgabello con fare annoiato. "Direi che possiamo smettere questi formalismi, Selvig."

"Loki." Ripetè lei, fingendo di salutarlo per la prima volta. Il ghigno dell'uomo si distese ancora sul volto sottile, mentre una scintilla di follia si rianimava sul fondo degli occhi chiari, come se si fosse riaccesa, sentendosi chiamare per nome.

"Adesso, prima che decida di chiamare anche solo uno dei nomi che vantano il privilegio di avere la tua morte violenta nella loro Bucket list, posso avere l'onore di sapere solo perchè."

L'uomo allentò appena la cravatta scura sul completo, allontanandosi dal bancone con il busto. Gli occhi saettarono attraverso la stanza, come per osservare dall'esterno una biosfera di scimmie in pieno caos. "Volevo verificare l'investimento di Vali."

Elle prese un ampio sorso dal suo bicchiere, sentendo l'alcool bruciarle la gola. "Vali..."

"Abbiamo interessi in comune." Commentò solo l'asgardiano, mentre prendeva fra le lunghe dita il suo bicchiere. "Potevi aspettarmi, comunque." Lo alzò un poco, il ghigno ancora sul volto. "Salute."

"Che tipo di interessi?" Commentò semplicemente Elle. L'uomo perse un attimo la sua scintilla di malizia, abbassando lo sguardo sul suo bicchiere.

"Hai degli incubi. Ma non ricordi nulla a parte-"

"-un dolore straziante. Si. Ma non penso che tu ti sia scomodato per farmi una terapia del sonno. A meno che..." L'altro si portò il bicchiere alle labbra, senza commentare nè alzare lo sguardo, mentre Elle aggrottava le sopracciglia, una mano appoggiata al mento. "A meno che anche tu non abbia questi incubi."

L'uomo si strinse nelle spalle. "Forse."

"Solo che tu ricordi." Proseguì imperterrita lei. Lui bevve un'altra sorsata.

"Forse io ricordo perchè ho già visto."

Elle si rilassò contro lo schienale dello sgabello, giocherellando con la condensa ghiacciata sul bicchiere. "Posso sapere qualcosa in più, o è una partita fra voi due e io sono finita in mezzo per sbaglio?"

"Fra noi due?!" L'uomo quasi non si strozzò, alzando uno sguardo incredulo su di lei. "Questa cosa investirà l'intera galassia."

Elle chiuse appena gli occhi, grattandosi una tempia. La follia si era impossessata di nuovo degli occhi di Loki, mentre questi tornava ad appoggiarsi, quasi afflosciato, su un fianco. "In realtà, si potrebbe quasi dire che io ci sia finito in mezzo."

"Oh, povero Loki..." Commentò Elle, senza sentimento. "Hai solo ammazzato centinaia di persone, ma che valore hanno le vite umane agli occhi di un immortale?"

"Non sono qui per farmi compatire." Commentò asciutto l'altro, tornando sulle sue.

"Tra quelle persone che hai ammazzato c'erano i genitori di mia figlia." Sbottò Elle, senza riuscire a richiamare la sua attenzione. L'altro non si scompose, fissandola senza nessuna incertezza negli occhi. "Se loro non fossero morti, lei non sarebbe tua figlia."

Commentò, logico, alzando appena le spalle, le labbra quasi piegate in un ghigno. Elle rimase atona, gli occhi sgranati, non riuscendo a credere alla sua totale mancanza di sentimenti. Quell'uomo era completamente folle, un sociopatico pronto ad esplodere in qualsiasi momento.

L'oggetto delle sue riflessioni lasciava vagare lo sguardo per il locale, ragionando, come se stesse valutando la mossa successiva. "Sono qui solo perchè avevo bisogno del posto più sicuro dell'universo, e si dà il caso che sia nelle tue vicinanze."

Elle quasi non si strozzò con il drink, alzando uno sguardo tra l'impietosito e l'allucinato. "Al mio fianco?"

"C'è un motivo per il quale Vali ha posato gli occhi sugli studi di tua madre, trent'anni fa."

"Ventisei." Commentò Elle piccata. L'uomo alzò gli occhi al cielo. "Ventisei."

"Beh, Dio mio, hai sbagliato i tuoi calcoli. In questo momento, c'è mezza divisione scientifica nazista alle mie spalle e mezza davanti che vuole uccidermi o comunque menomarmi pesantemente." Scosse il capo, la treccia bionda che ondeggiava pigramente oltre la spalla. L'uomo la osservò un secondo, come perplesso, le labbra strette in una smorfia scontenta. "Non mi preoccupo di questi vostri problemi terrestri."

"Dovresti." Elle si portò il bicchiere alle labbra, finendo anche gli ultimi rimasugli di drink. "Uno dei miei si è preso due pallottole non meno di due giorni fa."

"Pallottole..." Ripetè lui, con tono annoiato. "Io non devo preoccuparmi delle vostre misere armi mortali. E, come ti sarai accorta, nemmeno tu..."

Elle allungò una mano, prendendogli il bicchiere da davanti al naso. "Essersene accorti un minuto prima..." Tracannò con un paio di sorsate anche il contenuto del suo bicchiere.

"Per essere l'arma tanto decantata da Vali, mi sembri ancora un po' troppo umana." Commentò l'altro, osservandola con aria interessata. Elle non si scompose, la schiena rigida e una smorfia sul viso.

"Per essere il dio degli inganni, sei un pessimo bugiardo."

L'uomo sorrise appena, richiamando con un gesto scortese la cameriera, che portò via i bicchieri vuoti con un sorriso. Elle era rimasta ferma, le braccia appoggiate al marmo freddo del banco, e lo sguardo perso a studiarne le nervature. Loki avvicinò appena il capo, come per voler provare a vedere cosa trovava di tanto interessante la giovane in quella vista. "Anche la maschera più perfetta dopo millenni inizia a pesare."

"Dopo millenni, dovresti essere in grado di crearti nuove maschere." Commentò immediatamente Elle.

"Iniziamo a capirci." Concluse lui, afferrando i due drink che la cameriera aveva portato. Ne mise uno fra le mani della sua accompagnatrice. "Alla nostra neonata... Comprensione."

Elle afferrò il bicchiere e lo guardò un secondo, cercando di autoconvincersi, per un secondo, della sanità mentale dell'individuo che aveva di fronte. Loki era una maschera di atteggiamenti fastidiosi e sarcasmo, con un fuoco di follia in fondo al tunnel della sua mente contorta. Non avrebbe mai potuto fidarsi di quell'uomo decisamente instabile che le stava di fronte.

"Pensavo che dopo quanto successo qui tre anni fa... Beh, che tu non avessi particolare desiderio di tornare." Esclamò Elle, cercando di fare conversazione. Se quel pazzo le doveva girare intorno ancora a lungo, era meglio cercare di farselo amico.

"La nostalgia non è nella mia natura." Commentò appena lui, senza alzare lo sguardo dal contenuto del suo bicchiere. 'Bugiardo.' Pensò Elle, trattenendosi dal dirlo ad alta voce. Il suo tentacolo mentale cercava di raggiungere la coscenza di quell'uomo, ma trovava solo un baratro scuro. Un pozzo senza fondo.

"E comunque..." La bassa voce dell'altro interruppe i suoi tentativi. "...Questo è solo al terzo posto nell'indice dei posti che odio."

Elle alzò entrambe le sopracciglia, in un'espressione esasperata. "Che onore. Chissà cosa ha meritato il primo posto."

L'uomo ghignò appena, riprendendo il bicchiere dal banco davanti a sé, la testa leggermente voltata nella sua direzione. "In realtà, sai già cosa ha meritato il primo posto. E' un luogo che frequenti tutte le notti, Elle Selvig."


~


Lasciò cadere il bilancere a terra, accompagnandolo fin quasi al suolo, prima che il rumore metallico riempisse momentaneamente la stanza.

Si passò una mano sul viso, respirando con un sospiro dovuto alla stanchezza. Con un gesto goffo, era riuscito a legarsi i capelli troppo lunghi dietro la nuca. Poi aveva iniziato ad allenarsi, i vestiti presi in prestito da Ethan, così come gli attrezzi e l'intera camera. Il ragazzo non era sembrato particolarmente dispiaciuto da quel prestito, anzi, era stato fin troppo disponibile. Non era abituato a tutta quella gentilezza.


Riacquistare pian piano i ricordi non era piacevole. Valentina gli aveva spiegato che la memoria era ricostruttiva, che andava a formarsi pian piano, in maniera interconnessa con le sue sensazioni ed il contesto che lo circondava. Ed ecco come era rimasto chiuso nell'appartamento nei giorni seguenti alla seduta, senza possibilità di uscire nemmeno per una passeggiata. Il mondo era troppo diverso, troppo nuovo, e lui sarebbe stato bombardato dai ricordi degli ultimi decenni. E non erano bei ricordi.

Dormiva ancora male la notte, e questa in particolare non stava andando meglio delle altre. Si era svegliato in preda al terrore, la sensazione del ghiaccio che gli riempiva i polmoni mentre veniva spinto dentro un grosso contenitore. Criogenesi.

Aveva lavato via dal viso con l'acqua gelida quella sensazione di soffocamento, cercando di non svegliare Val con tutta la confusione che un grosso uomo con un braccio meccanico poteva creare incespicando per il minuscolo appartamento di notte. Aveva staccato dal muro la sbarra di ferro alla quale erano appesi gli asciugamani, impregnati di un odore dolciastro. Aveva cercato di appoggiarla a terra, facendo meno rumore possibile. La verità era che svegliare Val poteva essere più pericoloso di una missione in mezzo agli appalachi, circondati da soldati nemici ed armati solo di un cucchiaio da minestra sbeccato.


Aveva atteso le sei del mattino, orario del tutto ragionevole per cominciare una routine di allenamento, dato che era costretto in quelle quattro stanze. Dopo aver insistito in modo piuttosto debole per uscire, era giunto alla conclusione che non voleva. Nonostante le frecciatine di Val sul fatto che era costretta a mantenerlo, e la voglia di sentire di nuovo l'aria fresca addosso, il calore del sole sulla faccia o rivedere con occhi consapevoli il colore del cielo. Tutte quelle piccole cose che avevano significato brevi sprazzi di lucidità, fra un orrore e l'altro, fra un congelamento e l'altro.

Tra quelle semplici mura, tra i mobili di recupero e le pareti dai colori improbabili, iniziava a sentirsi abbastanza a casa.


Si passò una mano sul viso madido, osservando seccato la canottiera nera del ragazzo che gli risultava decisamente troppo attillata. E fastidiosa.

Se la sfilò con un'altra imprecazione, a malapena trattenuta fra i denti quando tirò con troppa forza la spallina con il braccio argentato. Un rumore di strappo confermò la sua sensazione. "Maledizione..."

"Ma ti pare l'ora di entrare qui dentro e metterti a fare ginnastica?!" Val, i pantaloni del pigiama a fantasia di facce di Kermit la rana e una grossa maglietta dell'università di Culver, entrò a passo di marcia, gli occhi strizzati dal disapputo e le labbra strette in un'espressione assassina.

James abbassò il capo, stringendo leggermente le spalle. "Sono le sei. E' un orario più che ragionevole per-"

"Forse in un campo militare, brutto imbe-" La ragazza si morse il labbro, trattenendo una serie di improperi irripetibili. "...Io mi devo svegliare tra tre ore, pezzo di-" Si portò un pugno alla bocca, le nocche bianche da quanto le stringeva.


Era buffa, Velentina. Il fisico minuto, leggermente abbondante, il caschetto nero che, se non fosse stato per i fianchi decisamente femminili, l'avrebbe fatta confondere per un ragazzo fra la folla. James cercò di distrarsi dallo sguardo inquietante delle rane che lo fissavano dai pantaloni del pigiama. "Scusa, Val."

"Perchè sei sveglio?"

"C'è un pensiero... Un ricordo... Qualcosa che è successo e che continua a tornarmi quasi alla mente. Ma poi, appena cerco di definire cosa può essere, mi sfugge."

La donna gli lanciò un'altra occhiata, un po' meno infervorata, soffermandosi un attimo sul suo petto. "Cosa ci fai mezzo nudo?"

James si diede un'occhiata veloce, maledicendosi mentalmente. Era sudato come un bracciante, alle sei del mattino, con un bilancere da chissà quanti chili appoggiato ai lati dei piedi scalzi. Alzò appena lo sguardo, sorridendo appena. Imbrazzato.


Era difficile etichettare tutti i sentimenti che iniziava a provare da quando era libero. Poeticamente, la parte Bucky della sua mente sosteneva che fosse impossibile etichettare con dei nomi tutte le emozioni che sembrava capace di provare di nuovo. Cercava di godersele tutte, anche le più negative, conoscendo bene il manto freddo e scomodo dell'indifferenza. Un lato che non faceva parte nemmeno del Soldato d'Inverno.

Una sola cosa era certa, in James: non era mai stato una persona senza emozioni, nemmeno quando lo avevano costretto. Aveva provato affetto, anche quando non c'era nessuno per cui provarne. Aveva trovato sprazzi di felicità nelle cose più impensate, come un bicchiere di qualcosa di caldo dopo il freddo della steppa russa, oppure lo sguardo triste di qualche medico del quale ricordava appena il colore chiaro, cristallino.

"James!" Val lo riscosse dai suoi pensieri, tirandogli un leggero colpo al viso con la mano, le sopracciglia corrugate in una smorfia perplessa.

"Val..." James, guidato da un sentimento primordiale di gratitudine, si abbassò appena, sfiorando le labbra carnose della donna con le proprie, con delicatezza, senza nessun fervore. Si allontanò appena, dopo un paio di secondi. Lei lo fissava con sguardo basito e le labbra dischiuse, una mano appoggiata sul suo petto. James sorrise appena, facendole un buffetto sulla guancia con la mano che considerava sana. "Grazie, Val."


La donna rimase ancora un secondo immobile, ghiacciata sul posto da quel gesto del tutto inaspettato. Prese un respiro, cercando di posare lo sguardo su qualcosa che non fosse il petto dell'altro, i suoi occhi o le sue labbra. Qualcosa di innocuo.

"Di niente, James..." Commentò appena, con voce ancora scossa. "Anche se ho il sospetto che questo sia più Bucky, dai tuoi racconti."

Fece un passo indietro, scostandosi i capelli scuri dalla fronte con un gesto nervoso. Fece una mezza smorfia. "Torniamo a dormire, ora, per favore. Che io domani devo andare al lavoro, oppure..."

"Oppure non avremo più da mangiare." Proseguì divertito James. "Spero di poterti restituire tutto, un giorno."

"Non importa." Commentò spiccia Val, ancora in subbuglio, le guance che si arrossavano ogni volta che voltava il capo verso l'altro. "Solo, James..."

L'uomo alzò lo sguardo su di lei, che si era voltata sul ciglio della porta. "Cerca di ricordarti di non ringraziare chiunque ti faccia un favore così, okay?" Esclamò, indicandosi le labbra. James la fissò un attimo, ammutolito, mentre Val gli dava le spalle, proseguendo per la sua camera, gongolando fra sè per essere riuscita ad avere l'ultima parola, anche questa volta.

"Non vorrei doverti pagare anche la cauzione per molestie..."


~


"Le persone spesso ricordano cose che non sono mai successe, trasformano cose che non hanno mai davvero vissuto in fatti, convertono intimi pensieri impliciti in commenti espliciti..."

Elle scosse il capo, alzando lo sguardo dal libro che teneva davanti a sè, le ginocchia alzate a sostenerlo e un braccio appoggiato allo schienale del divano. La vecchia tuta che aveva infilato le stava grande, ma non tanto quanto sei mesi prima. Nonostante il gran casino che regnava nella sua vita, e del quale cercava di comprendere almeno un particolare, rimirando uno ad uno i vari pezzi del puzzle, Elle si sentiva finalmente a casa. In un posto dove poteva nascondersi dal resto del mondo.

"Walter Lippman sosteneva che noi non vediamo, per poi definire cosa abbiamo visto. Bensì, definiamo prima di comprendere cosa abbiamo davanti agli occhi. Questo influenza il nostro modo di ricordare."

Strizzò gli occhi, cercando di concentrarsi meglio sulle piccole scritte sulla pagina. Erano le otto della sera, e la sua giornata stava volgendo al termine. Dopo quel folle appuntamento che aveva sconvolto il suo pomeriggio, Elle voleva solo rintanarsi nel suo divano, un bel libro a farle compagnia, che la distraesse da vecchi e nuovi pensieri.

Sugli scalini dell'ingresso aveva trovato Steve e River che mangiavano un gelato, mentre lui le raccontava aneddoti di quando era piccolo. Era incredibile quante cose Steve ricordasse con precisione di quel periodo: Elle aveva solo ricordi piuttosto fumosi di gran parte della sua infanzia, e della sua adolescenza. Ricordava quando se ne era andato suo padre, e quando era morta sua madre. Gli eventi fondamentali. Ma, dopo due minuti ad origliare Steve che raccontava il suo settimo compleanno, soffermandosi sul vestito che portava sua madre o sul tipo di colori a pastello che la donna gli aveva faticosamente regalato, Elle si era sorpresa a cercare di ricordare qualcosa del genere, qualche particolare che aveva messo in un piccolo angolo della sua mente, un'immagine che in qualsiasi altro momento le era sembrata privo di importanza.

"Come va la lettura?" Chiese Steve, richiamandola dai suoi pensieri. Elle alzò lo sguardo, di scatto, incontrando la sua figura appoggiata allo stipite del salotto. Sorrise appena, stirando le braccia verso l'alto, cercando di scioglere le scapole doloranti per colpa della posizione che aveva mantenuto per lungo tempo. "Non riesco a concentrarmi." Ammise, appoggiando la nuca sul divano. "Troppo computer, oggi al lavoro. Mi fanno male gli occhi."

'Anche il colloquio con l'alieno isterico, o la paura di veder spuntare quel tizio in divisa inquietante di Denali, non aiutano.' Pensò appena, cercando di scacciare subito quell'idea. Era a casa.

"Tony mi ha consegnato una cosa." Riprese Steve, avvicinandosi con calma.

"Missione? Dove?" Chiese appena Elle, mentre l'altro si sedeva sul divano, oltre le sue ginocchia ripiegate. La svedese non si fece attendere, allungando le gambe in braccio all'altro, che sorrise appena, appoggiandosi con la schiena al divano. "Intanto, stiamo cercando di rintracciare..."

"...Quelli che sono sopravvissuti." Commentò asciutta Elle. "Sopravvissuti a Denali."

Steve annuì appena, lo sguardo fisso sul libro che lei teneva aperto, in grambo.

Elle sospirò. "Vorrei venire con voi quando andrete a prenderli." L'altro alzò lo sguardo calmo, convinto che avrebbe ricevuto questa richiesta. "No. Sarai fuori da questa missione."

"Lui conosceva mia madre." Commentò lei, a bassa voce. "Conosceva anche me. Non so come..." Scosse appena il capo. "L'ho capito da come mi guardava."

Steve non rispose, guardandola negli occhi, cercando di non tradire nessuna espressione. Elle però lo conosceva abbastanza da capire che ricordava.

"Per questo preferisco tenerti fuori, questa volta. Preferiamo."

Elle emise un sospiro. "Rhodes ha registrato tutto." Steve annuì.

"Se è te e Wanda che vuole, di certo non vi manderemo da lui con un simpatico biglietto di scuse. Ci dispiace per aver distrutto la vostra base." Continuò l'uomo, a voce bassa. Si guardarono intorno, in silenzio.

"Lo sai che quello che hai detto era da Stark, vero?" Commentò appena la svedese. Steve fece un mezzo sorriso, senza rispondere.

"A questo proposito..." Estrasse dalla tasca una busta, passandogliela con un gesto veloce. Elle la aprì senza proferire parola, prima di emettere un sibilo infastidito.

"In pratica mi stai dicendo che, mentre io cerco in tutti i modi di nascondermi nel mio buco di casa, Stark pensa bene di buttarmi dentro il suo maledettissimo circo?"

Elle abbassò il foglio di carta pregiata, l'inchiostro elegante nero che si stagliava sullo sfondo avorio. Steve sospirò appena, mentre Elle ritirava le gambe e si metteva seduta, le mani intrecciate fra loro, la busta fra le dita.

"Pensa che sia una buona idea. Mostrarci come... persone normali. Vuole fare un'ultimo tentativo prima che i fogli di Ross inizino a girare per i governi di mezzo mondo..."

La svedese scosse appena il capo, cercando di prendere aria, rovesciando poi la testa contro il divano. "E' più importante che venga Natasha."

"Lei verrà sicuramente." Steve annuì appena. "Natasha è il nostro asso nella manica, in queste situazioni."

"La Potts?" L'uomo alzò un sopracciglio. "Non pervenuta."

Elle si strofinò gli occhi arrossati dalla stanchezza con i pugni chiusi, piegando appena le spalle contro quelle dell'altro. "Non ho voglia distringere altre mille mani..."

"Ellie..." Steve le passò un braccio sulle spalle sottili, sentendo il suo capo che si appoggiava sotto il suo mento. "...Dobbiamo fare almeno un tentativo."

"Non servirà a nulla." Commentò Elle, sospirando. "Non voglio che tutti sappiano di me... Non voglio che le persone si nascondano al mio passaggio, come Wanda, o Visione..."

"Per non temere qualcosa bisogna conoscerlo." Steve sorrise appena contro i suoi capelli. "E comunque facevi paura anche prima di iniziare a sparare fiammelle azzurre."

Scoppiarono a ridere, mentre Elle fingeva di tirargli dei pugni al costato.

"Io ho veramente bisogno di averti con me..." Commentò piano lui, quando si furono entrambi calmati. "Le cose non stanno andando molto bene alla base... Io e Stark non parliamo molto..."

"So che me ne pentirò." Esclamò solo Elle, guardandosi attorno.

"Non dovrebbero darmi problemi al lavoro se ci sono di mezzo gli Avengers..." Calcolò piano la svedese, allontanandosi appena dall'altro, un braccio che si allungava verso la borsa, abbandonata sul tavolino del soggiorno.

"Elle, se tu non volessi venire come rappresentante dei mutanti..." Steve rimase un attimo a fissarsi le mani, mentre Elle estraeva l'agenda e iniziava a scorrere le pagine sui giorni successivi, annotando gli impegni da cancellare. "...Potresti venire con me."

La svedese alzò un sopracciglio, confusa. "Pensavo andassimo già insieme."

"Intendo..." L'altro si passò una mano sul viso arrossato. "...Non posso dire di essere io il tuo accompagnatore, perchè tutti sanno chi sono... Ma se tu venissi senza specificare cosa sei, come mia accompagnatrice?"

Elle assottigliò lo sguardo. "Odio i compromessi."

"Lo so. Ma River e Loretta sarebbero al sicuro."

Elle richiuse con un gesto veloce l'agenda, appoggiandola accanto a sé sul divano. "Dovrei essere la tua assistente? Per caso, l'unica agente dell'FBI a non avere la cittadinanza americana? Quella che si occupa del caso Rumlow?"

"Anche Wanda non ha la cittadinanza ma..." Steve scosse il capo, imbarazzato. "Potresti venire come la mia ragazza."

Elle alzò appena lo sguardo, lo sopracciglia sollevate in modo comico. "Quindi sarei la tua ragazza? Hai cent'anni, fra poco. Giusto per ricordartelo."

Steve scoppiò a ridere ancora, senza riuscire a trattenersi. "Elle, puoi essere quello che vuoi, basta che stiamo assieme."

Elle ridacchiò, coprendosi appena le labbra con la mano. "Finalmente vedo l'arte del compromesso, Steve. Sei pronto per il gala di Stark." Si morse un labbro, cercando di trattenenere le risate. "Odio questi trucchetti, ma va bene." Steve sorrise appena, prendendole con leggerezza la mano.

"Allora, verrai al ballo con me?"

Elle alzò gli occhi al cielo per l'ennesima volta. "Pensavo che questa sciagura finisse al liceo."

"Io non ho mai avuto un'accompagnatrice." Commentò casualmente lui, lasciandosi andare sul divano. Elle si appoggiò al suo petto, sorridendo appena. "Non sapevano cosa si perdevano."

Steve arrossì appena, aggrottando la fronte. "Comunque, volevo chiederti se Wanda se domani può passare la giornata qui. Non voglio che resti da sola alla base." Elle annuì, sorridendo. "E' un piacere. Lasciale pure le tue chiavi, ci sarà Loretta a casa."

"Le mie chiavi?" Chiese Steve, aggrottando le sopracciglia. "Loretta oggi mi ha imprestato le sue e-"

Elle si sporse dal divano, raggiungendo con le dita la borsa, vicino al tavolino. Se la tirò vicina, iniziando a rovistare con un ghigno, spostando il cellulare spento, l'identikit ripiegato di Loki, l'agenda piena di post-it riguardanti Jimmy e il tizio impomatato che ora dirigeva l'Hydra. Estrasse con il sorriso una piccola scatola azzurra, porgendogliela senza dire nulla. Steve la tenne fra le mani qualche secondo, rigirandola appena, come per soppesarne il contenuto. Elle aspettò con calma, a braccia conserte, che Steve aprisse il pacchetto, estraendo un mazzo di chiavi, alla quale era appeso un ridicolo pupazzo a forma di alce svedese. Steve rimase in silenzio un secondo, tenendole in una mano.

"Sono per te. Finchè non avrai tempo di iniziare la tua ricerca, ovviamente, e non vorrai stare alla base. Non puoi sempre rubare le chiavi agli altri."

Steve si piegò sul busto, accarezzandole il viso con una mano. "Sei sicura?"

Elle annuì, convinta. "Altrimenti, non sarei andata a cercare il portachiavi giusto."

L'uomo si sporse a baciarla con un gesto impaziente, le labbra ancora piegate in un sorriso. Elle gli passò le braccia dietro al collo, rispondendo con eguale foga.

Elle gli prese le chiavi dalle mani, appoggiandole a terra insieme al suo libro, mentre le mani di lui scendevano ad accarezzarle i fianchi sotto alla grossa felpa. Si voltò con un mugugno, stringendosi contro il suo petto, mentre lui la sistemava meglio tra le sue braccia.

"E' bello... Essere a casa." Commentò appena lei, il viso alzato per incontrare i suoi occhi. Steve sorrise, abbassandosi a sfregare il naso contro il suo collo. "Lo è."

Elle gli lanciò un'occhiata divertita, distogliendo il viso da quello dell'altro. Steve si raddrizzò appena, recuperando il libro che rimasto a terra. Lo aprì con una mano, mentre l'altra la teneva per la vita. "Dove eri arrivata?" Chiese, mentre Elle indicava con il dito la riga alla quale era stata interrotta. Steve si appoggiò meglio contro il divano.

"Arriviamo quindi al punto dove definire la memoria non è più funzionale: vengono ricordate cose che non sono avvenute, ed allo stesso modo le persone dimenticano cose che sono successe realmente, e azioni che loro stesse hanno compiuto."


~


Aprì gli occhi di scatto, sentendo qualcosa di viscido colarle sul viso, qualcosa che sembrava scottare, sciogliendo l'epidermide e sprofondando verso gli zigomi, distruggendo con uno sfrigolio tutto ciò che trovava sulla strada del suo percorso lento.

Ci mise qualche secondo a rendersi conto del dolore cieco, teribile, che attanagliava il suo volto contratto. Aveva i denti serrati, gli occhi strizzati dal male sordo che la faceva tremare come una foglia.

Si sfrozò di aprire gli occhi, ancora intatti, sul buio che la circondava. L'unica luce che illuminava i massi sulla quale stava, immobilizzata da catene intangibili, era quasi viola e faceva male allo sguardo. Sapeva che avrebbe dovuto vedere le stelle, invece vedeva solo quel buio angosciante che la opprimeva a terra. Un altro rigolo di quel liquido si infranse contro il suo collo, facendola urlare. Sperò di morire presto, di sfuggire a quel dolore agghiacciante. Scosse il capo, sentendo minuscole gocce macchiarle il petto e le braccia, corrodendo il tessuto della sua tuta scura. I capelli erano sciolti, impigliati in lunghe ciocche nella pietra dura sotto la sua nuca.

Sentiva un mugungo dolorante, un rantolio continuo e sospirato, da diversi metri sopra di lei.

Cercò di alzare il capo, sentendo il dolore dei tendini mentre compiva quel semplice movimento, cercando di trattenere il respiro mozzato. Gli occhi faticarono a mettere a fuoco l'ombra scura, parzialmente piegata in avanti, i vestiti scuri con dei particolari che sembravano scintillare nella luce flebile. Rimase a fissare la figura, riuscendo finalmente a contraddistinguere le braccia, il busto, il capo.

C'era un foro, dietro di lui, nella parete. L'uomo sembrava attaccato alla parete, le braccia contro il busto, e il capo indistinguibile nel buio, completamente corroso dalla sostanza. Il foro, dietro la sua nuca, fece un rumore singhiozzante.

Elle sgranò gli occhi, prima di vedere la sostanza che colava nuovamente fuori dalla fessura, sul capo dell'altro, che emise un verso strozzato, prima di avere la nuca completamente cosparsa, il fluido che colava sulle spalle producendo un rumore sinistro.

Elle rimase immobile, senza fiato, mentre il liquido colava anche su di lei, sul volto, sotto agli occhi sgranati, che fissavano l'uomo sopra di lei, il volto strizzato dal dolore. Sconvolta, il corpo che si contorceva dal dolore, Elle trovò appena il fiato per richiamare l'altro, il viso familiare. Loki la fissava, lo sguardo sconvolto dalla sofferenza, il volto che lentamente si scioglieva sotto l'acido.

All'ennesimo getto, Elle non riuscì a trattenere l'urlo di dolore che le risaliva la gola. Il panico aveva preso possesso di ogni sua cellula, nel momento in cui la sua mente provata si era resa conto che era già stata li, e che ci sarebbe ritornata ancora. Che quel supplizio non sarebbe mai finito. Mai.


~


La scosse per le spalle, sollevandola dal materasso con un gesto secco. Continuava a chiamare il suo nome, ma l'unica cosa che lei riusciva a fare era urlare. Sembrava che il viso le stesse bruciando, le palpebre strizzate, le mani contorte dal dolore.

"Elle!" La chiamò ancora, mentre lei apriva di scatto gli occhi nel buio. Il suo viso era solcato da lacrime bollenti, mentre cercava di muovere il collo e le spalle. Le mani corsero sulle guance, iniziando a sfregare con foga, come se dovesse lavarsi da qualcosa. Steve gliele abbassò, sentendola fare resistenza con forza. "Elle, calmati!"

La donna spostò lo sguardo su di lui, le pupille completamente dilatate, artigliandosi con le dita sottili alla sua maglietta, la bocca aperta dalla sorpresa. Lui alzò un braccio, dandole un leggero colpo. "Elle?"

Alzò il capo, incontrando il suo sguardo sgranato nella penombra. "Steve!"

"Che succede?" Chiese, preoccupato. Lei scosse appena il capo, le mani che si fermavano sul viso, asciugando con delicatezza le lacrime. Abbassò lo sguardo, perplessa. "Sto piangendo?"

La guardò, interdetto. "Stavi urlando." Elle rispose con uno sguardo sconvolto. "Oh."

"Stai bene?" Chiese di nuovo. Lei annuì appena, scostandosi i capelli dalla spalla. Evitando il suo sguardo.

"Ho sete." Rimase immobile ancora un secondo per poi scostarsi, lentamente. Sembrava acciaccata, dolorante. Si mise silenziosamente in piedi, seguendola come un'ombra mentre Elle percorreva il corridoio buio, seguendo la parete con la mano. Entrò nel bagno, accendendo la luce sopra lo specchio del lavandino con un gesto nervoso. Lui entrò lentamente, chiudendo la porta dietro di sé. Elle si scrutava allo specchio, il busto piegato in avanti e le mani che tastavano la pelle diafana.

"Che stai facendo?" Chiese piano, guardandola con attenzione. Elle sembrò riscuotersi in un attimo, tornando a fissarlo, senza parole, come se fosse più confusa di lui.

"Niente..." Commentò piano, lo sguardo che saettava di nuovo verso la superfice riflettente. Aprì l'acqua con un gesto veloce, infilandoci sotto le mani e iniziando a schizzarsi il viso. Doveva essere gelata, visto che rabbrividì visibilmente. Sembrava leggermente agitata, il respiro ancora irregolare ed i movimenti rigidi. La vide portarsi le mani a coppa alla bocca, bevendo avidamente. Lui le passò l'asciugamano in silenzio, mentre i loro sguardi si incrociavano solo un secondo prima che affondasse il viso nel telo. Rialzò lo sguardo poco dopo, riappendendo l'asciugamano.

"Prima che tu me lo chieda... Non ho idea di che cosa sia successo."

Steve non rispose, limitandosi a prenderla per mano. Tornarono alla camera in silenzio, senza avere il coraggio di guardarsi tra loro. Steve si chiuse la porta alle spalle con un sospiro, mentre Elle si inginocchiava sul materasso, tornando a distendersi in posizione fetale sotto al lenzuolo.

"Elle..." Si avvicinò cautamente, straiandosi accanto a lei. Le accarezzò un braccio, delicatamente, cercando il modo di farle tutte quelle domande che gli ronzavano in testa. "Cosa ricordi?"

La svedese scosse il capo. "Faceva male. E c'era qualcuno, con me."

"Chi?"

"Non lo so." Rispose subito lei, raggomitolandosi contro il suo petto. "Non ricordo. Non riesco a ricordare. Avevo paura, paura da impazzire."

Le lasciò un bacio sulla fronte, cercando di confortarla. "Capiremo. Te lo prometto." Commentò piano lui. Elle annuì appena.

Rimasero in silenzio, lei immobile, e lui che la stringeva, sperando di riuscire a calmarla. Sembò passare un'eternità, prima che lei alzasse il capo verso il suo viso.

"Quanto starete via? Dopo la festa, quando partirete tu e Natasha..." Chiese solo. Steve la guardò negli occhi, facendo una smorfia con le labbra. "Tre giorni? Quattro? Chi lo sa..." Sospirò. "Devo trovare quell'uomo. Devo capire chi è, e cosa vuole. Da me, da te, da Buck..."

Elle alzò appena il capo, quasi un singulto. Steve non distolse lo sguardo. "So che sai dov'è James..."

Elle annuì, senza emettere una sillaba. Steve abbassò lo sguardo. "Posso tenerlo al sicuro. Posso aiutarlo. Posso aiutare tutti voi."

La svedese abbassò il mento, stringendo le braccia attorno alla sua vita. "Non puoi tenere tutti al sicuro."

"Posso tenere al sicuro le persone che amo." Esclamò lui, come per convincersi. Elle aveva uno sguardo triste, ma era risoluta. "E' al sicuro."

"Stark ha paura di lui." Steve proseguì, seguendo il suo discorso. "Tutti hanno paura di lui."

"Non tutti..." Sussurrò Elle, appoggiando il capo sul suo petto. "E Stark ha paura anche della sua ombra..."

"Non posso aiutare Tony." Commentò l'altro. "Non posso aiutare qualcuno che non vuole farsi aiutare."

"A volte..." Elle gli mise una mano sul volto, costringendolo a guardarla. "Penso che tu sia troppo duro con Stark. Lui.... Fa quello che può. Come tutti noi."

Non seppe cosa rispondere, e rimase a guardarla, cercando di usare le parole dell'atra per cicatrizzare la ferita che si stava aprendo tra lui e Anthony.

Elle riguadagnò la sua attenzione, alzandosi appena sulle braccia e baciandolo delicatamente. "Devi essere meno duro anche con te stesso. Non puoi salvare tutti."

"E' una parte del nostro lavoro che fatico a digerire."

Lei sospirò appena. "Certe cose succedono, e semplicemente non possiamo fare nulla per impedirle."


~


"Stark, non esiste che io metta quella cosa."

Natasha alzò gli occhi al cielo, voltandosi con un gesto elegante verso l'ingresso. La voce della coinquilina era arrivata forte e chiara come se l'avesse avuta davanti.

Invece, Elle era al piano di sopra, mentre lei era davanti al portone, gli occhi che correvano continuamente all'orologio. Allungò una mano a fermare quelle di Rogers, che non smettevano di tormentare i polsini della camicia. Poi si voltò verso il soggiorno, sorridendo a Wanda che sedeva sul bordo del divano, guardandosi attorno a disagio.

"Ragazza mia dovresti coprirti di più, è pericoloso oggigiorno per una signorina girare per il Queens." Loretta spuntò dal cucinotto, facendola sobbalzare.

Una delle creature più potenti della terra, intimidita da una signora e un vassoio di biscotti. Steve si guardò la punta dei piedi, cercando di non ridere.

"Signora West, non si preoccupi, ero accomp-"

"Chiamami Loretta, cara." La donna appoggiò il grosso piatto sul tavolino davanti al divano. Wanda annuì, le labbra strette in una smorfia preoccupata. Natasha si avvicinò, appoggiando una mano sullo schienale del divano, dietro di lei.

"Tranquilla, passerai una serata tranquilla. Non volevamo lasciarti da sola agli appartamenti, qui sarai al sicuro."

La Sokoviana annuì ancora. Natasha le sorrise appena.

"Dobbiamo andare!" Steve fece un passo avanti, il piede destro appoggiato sul primo gradino. "Arrivare in ritardo non è proprio il modo migliore per farci benvolere."

"Due minuti!" Urlarono in coro Stark e Selvig, dal piano di sopra. Tutti nella zona giorno si guardarono tra loro, la stanza immersa in un silenzio curioso.

Natasha si voltò verso la porta un secondo prima che il campanello suonasse, aprendola con un gesto nervoso. "Usciamo quando siamo pronti-"

Il ragazzo del corriere espresso fece un'espressione sconvolta, facendo due passi indietro. Poi deglutì rumorosamente. Spostò lo sguardo su Steve, che si era affacciato da dietro Nat.

"Ho una consegna per... Selvig."

"Firmo io." Esclamò Natasha, prendendogli dalle mani il tablet. "Lei in questo momento è impegnata. Ad essere in ritardo."

Il ragazzo annuì, lasciando il grosso scatolone nero tra le mani della rossa. Rimase un secondo imbambolato, fissando la scatola, la donna e poi l'uomo dietro.

"Ti devo qualcosa?" Chiese la rossa, insofferente. Il ragazzò negò, augurò a tutti una buona serata e se ne andò.

Natasha si appoggiò al corrimano, aprendo il biglietto incastrato nel fiocco verde. Poi scosse il capo.

"Lo porto su. Aspettami."

Steve annuì, aggrottando le sopracciglia. La osservò salire le scale, una ruga sulla fronte chiara. Poi, con un sospiro, andò verso il divano, rispondendo allo sguardo disperato di Wanda.


"Stark, scannerizzami questo coso." Natasha appoggiò la consegna sul letto di Elle, mentre questa e Stark stavano in piedi davanti alla cabina armadio di lei. Stark si voltò con espressione sconvolta verso la russa.

"E' possibile che una donna con così buon gusto non abbia saputo contagiare la sua compagna di merende in anni di convivenza?" Elle incrociò le braccia, guardandolo con le guance gonfie.

"Stark, io giuro che..."

"Stark, il pacco!" Esclamò Natasha. Tony si voltò. "Dritta al sodo, eh?"

Osservò un secondo la scatola, gli occhiali da sole che brillavano in modo appena diverso. "Niente di sospetto. Possiamo aprirlo." Commentò.

"Anzi... forse ci ha salvato la serata."

Elle si avvicinò, tenendosi sul sedere la grossa maglia grigia che portava come pigiama. Afferrò il bigliettino fra le dita, osservando la calligrafia elegante.

" Se devi conquistare un popolo, almeno fallo con stile."

Elle lesse a bassa voce, le sopracciglia contratte. Scosse appena il capo. "Spero di non trovarci delle corna, qui dentro..." Commentò, in un bisbiglio appena udibile.

Stark intanto aveva scartato il grosso pacco, sollevando il contenuto tra le mani con un fischio ammirato. "Is this the real life? Is this just fantasy?"

Elle alzò gli occhi al cielo. "Zitto, Stark, e dammi una mano ad abbinarci delle scarpe."


~


Il sole del pomeriggio entrava pigramente dalla finestra aperta, quella che dava sulla scala antiincedio e che Val aveva fatto riparare quanto prima.

James stava sdraiato sul divano, scorrendo immagini su internet, la televisione accesa davanti a lui e qualche giornale sul pavimento. Aveva anche un cellulare, sopra la pila di fogli, e un quadernetto nero che Val gli aveva gentilmente prestato per appuntare i suoi ricordi. Ancora non poteva uscire.

"Stasera alla sede delle Nazioni Unite di New York si terrà un Gran Galà pieno di celebrità internazionali. Sarà presente anche Anthony Stark, il celebre inventore e alter-ego di Iron Man. Insieme con il miliardario, saranno presenti anche altri Vendicatori, in quella che sembra una dimostrazione di amicizia verso i paesi della convenzione."

L'uomo alzò il capo, ascoltando con attenzione la speaker del telegiornale. Appoggiò il pc a terra, accanto ad un ritaglio di un articolo su Captain America.

"Pare che all'evento sarà presente anche il comandante dei Vendicatori, Steve Rogers. Indicrezioni dicono anche che abbia comunicato di essere accompagnato. Speriamo di poter confermare quanto prima la notizia: finalmente il nostro eroe nazionale si sarebbe accasato."

Bucky non riuscì a trattenere la risata, osservando con aria convinta la donna mentre proseguiva con le altre notizie del giorno. Riprese il computer, cercando divertito il nome di Elle sul server. Aveva cercato mille volte quello di Steve, ed anche il suo. Ma non aveva mai pensato di googlare l'amica.

Il primo risultato era il profilo Linkedin della donna. Il secondo, la pagina Wikipedia di Erik Selvig, astrofisico.

L'aprì senza troppo interesse. I primi paragrafi parlavano del suo lavoro, dei suoi studi. Poi, vide la foto.

L'uomo, parecchi anni più giovane, stava accanto ad una donna, talmente bionda da non lasciare spazio a dubbi nemmeno in bianco e nero. Annette Selvig.

Il nome lo colpì come un pugno.

Un cartellino su un camice. Fiale. Luci bianche. Due occhi azzurri che lo fissavano. Una voce acuta che gli poneva domande in russo. Una mano sottile che, mentre lo tenevano fermo, lo pungeva con una siringa direttamente nel collo.

Afferrò il cellulare, cercando di mantenere il respiro ritmato, come gli aveva insegnato Valentina. Le mani gli tremavano, mentre vedeva la donna bionda guardarlo, oltre il vetro. Appuntare con grafia elegante su un quaderno rosso. I suoi occhi che, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, si riempivano di rimorso.

Annette Selvig era la donna che era riuscita a replicare il siero.


~


Elle sorrise, mentre Steve le apriva la portiera dell'auto. "Sei bellissima."

"Anche tu non stai male..." Commentò solo lei, abbassando lo sguardo. Allungò una mano a sistemargli il papillon scuro.

"Mi sembra di avere un cappio al collo... Non un farfallino. E' ridicolo."

"Ti prometto che appena entriamo puoi toglierlo." Commentò Stark, voltandosi a guardarli, mentre il motore si accendeva con un rombo sordo. Natasha ridacchiò.

"Piuttosto, non ti chiedi chi sia il misterioso ammiratore?" Commentò Tony. Steve sospirò. "Nalsson."

Elle emise un sospiro strozzato. Steve le sorrise. "Si vede da lontano un miglio che quell'uomo ha un interesse per te."

"Non quel genere di interesse." Elle non sapeva se scoppiare a ridere o a piangere. "Fidati."

Sentì qualcosa muoversi nella pochette, attirando l'attenzione di tutto l'abitacolo.

Estrasse il cellulare con fare nervoso. Solo una persona poteva chiamarla in quel preciso momento.

Sullo schermo, solo l'emoji a forma di diavolo. Jimmy.


xXx

Sono molto in ansia per questo capitolo- per entrambe le parti.
Ringrazio Giulia_Beccaccina per il supporto continuo, per tutti i momenti di fangirling spregiudicato, i messaggi quotidiani e per avermi spronato a scrivere quando pensavo che non sarei riuscita a metter giù nemmeno una riga. Vi consiglio assolutamente la sua nuova storia, nella categoria Captain America, Shameless! Anche solo per vedere quanto è cazzuta un'aspirante avvocatessa. Non ci sarebbe questo capitolo, senza di te.
Ringrazio Janeisa per i messaggi, per aver ripreso a scrivere e perchè voglio che questo capitolo, il mio ritorno, le dimostri che anche dalla crisi più nera può uscire, forse, qualcosa di sensato. Correte tutti a leggere la sua storia su Chris Pine, Per Aspera ad Astra, perchè troverete un esempio di come si scrive una storia su un fandom di un attore rispettando l'attore stesso e chi gli sta intorno. E come si effettuano ricerche spionistiche ;)
Grazie a Bagabu aver riletto praticamente tutto e a GiuliaDirectioner1D per il dolcissimo messaggio. Spero di sapere cosa ne pensate :)
Adesso pubblico, e chi sé visto sé visto. Spero di non aver fatto una brodaglia troppo illeggibile.
Mi spiace se ho dimenticato qualcuno ma qui si naviga nel disagio! ;)
Eve

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Capitolo 25
*** 24. Memoria pt.2 ***


Salve!
*Si abbassa per schivare i vegetali che nell'ultimo mese sono ammuffiti*
La mia vita è ufficialmente diventata un circo e non sono riuscita ad avvicinarmi al computer fino a questo week-end. Se lavoro un altro pò mi ricoverano, se studio un altro pò pure. Portate pazienza, ma la sessione estiva ha colpito ancora.

Oggi è il 4 LUGLIO, in quale altro giorno poteva nascere Steve Rogers? E come festeggiarlo se non pubblicando? :D
Non c'è molto da dire di questo capitolo se non che ho dovuto tagliare in tre parti invece che in due il capitolo MEMORIA perchè era troppo lungo. E poi, volevo dare una gioia a questi poveretti degli Stellecky.

Non dico nulla sul capitolo e ci ritroviamo alla fine :D
P.S.: Capitolo direi giallo/arancione! Non dovrei dirlo, ma speravo di farlo più Rosso ma ciò non è avvenuto perchè sono una maledetta educanda con evidenti problemi di commozione cerebrale.

Ringrazio Giulietta_Beccaccina (una vera colonna portante di Skyfall, se non ci fosse lei arriverebbe un capitolo all'anno, davvero!) e vi consiglio la sua SHAMELESS, Janeisa e correte tutti a leggere PER ASPERA AD ASTRA - soprattutto visto che tra poco esce il nuovo Star Trek! , Yvanna 97 e ovviamente Tenth <3, GiuliaDirectioner1D per l'iniezione di autostima in questo periodo veramente assurdo - grazie grazie e grazie e non vedo l'ora di sapere cosa ne pensi!, e infine Principessadolce98 per avermi dato una svegliata finale ;).

Okay, dopo questo ennesimo sproloquio vi lascio al capitolo, senza ulteriori indugi.


Atto ventritresimo: Memoria

Seconda Parte


"Bring me home in a blinding dream,
Through the secrets that I have seen.
Wash the sorrow from off my skin,
And show me how to be whole again."

LINKIN PARK



Aprile 2016


Odiava tutta quella luce.

Continuavano a puntarle contro fotocamere, microfoni, altri aggeggi elettronici di varia natura. Strizzò appena gli occhi, tenendo stretta la borsetta tra le mani, cercando di mantenere un'espressione rilassata.

Al suo fianco, Natasha sorrideva in modo ammaliante ad un giornalista, ascoltando l'ennesima domanda sul perchè avevano accettato di intervenire quella sera. Le labbra scarlatte non persero nemmeno per un secondo l'espressione, gli occhi scuri che saettavano attraverso la telecamera, sicuri e rassicuranti.

Era talmente bella che anche Elle avrebbe voluto estrarre una macchina fotografica,

Invece, imbarazzata da tutta quell'attenzione indiretta, raddrizzò appena le spalle, voltandosi leggermente verso il cameraman. Qualcuno scattò l'ennesima foto.

"Siamo qui per cercare un dialogo con la commissione delle nazioni unite, delegata all'accordo che presto sottoscriveremo. Siamo nostro malgrado sottoposti all'attenzione politica, nonostante sia nel nostro interesse solo la repressione di eventuali minacce all'intero pianeta."

Si strinse leggermente nelle spalle, le labbra che si inclinavano in un sorriso di circostanza.

"Venire qui, stasera, oltre che un grande onore, è un modo per dimostrare che siamo aperti anche in questa direzione."

Elle si voltò verso Stark, qualche metro dietro di lei, il quale stava sostenendo un discorso pressochè identico, solo ad un'altra emittente. Per un secondo, all'ennesimo flash, capì perché l'uomo portava sempre quegli inappropriati occhiali da sole.

"E lei invece, Elle? Sappiamo che è qui in veste di accompagnatrice, ma non è nuova a situazioni sensibili."

Elle si riscosse appena, cercando di imitare l'amica. Situazioni sensibili. Sorrise. "Si, ho un passato militare." Si fermò, senza sapere cosa aggiungere.

Fece per mordersi il labbro, fermandosi sotto allo sguardo di Natasha. "Elle è un'agente molto capace, e il suo lavoro ha aiutato molte persone. Ha lavorato come psicologa per la squadra Avengers."

"E' così che ha conosciuto Captain America?" Commentò il giornalista, mentre la telecamera tornava su di lei. L'uomo sembrava sperare in una qualche storia più avvincente di un semplice incontro sul luogo di lavoro. La svedese annuì, spostandosi un ciuffo di capelli dietro all'orecchio. "Si, ci siamo conosciuti sul lavoro."

La smorfia dell'uomo la fece quasi scoppiare a ridere, prima che Nat le desse un colpetto con il piede.

"Signorina Selvig, lei è figlia del famoso astrofisico, Erik Selvig?"

Elle annuì ancora, mentre l'uomo incalzava. "Cosa pensa suo padre, un accademico, della sua movimentata carriera? Si definirebbe una mercenaria?"

La donna si irrigidì un attimo, gli occhi fissi in quelli del giornalista. Natasha storse le labbra, gli occhi che saettarono verso l'amica lì accanto.

"Elle ha cercato di essere sempre dove poteva esserci bisogno di lei."
Steve le passo un braccio attorno alla vita, rivolgendo uno sguardo severo all'uomo. "E' la prima cosa che mi ha colpito di lei."

Rimasero un secondo tutti in silenzio, mentre di fronte a loro una folla di fotografi faceva il loro lavoro. Elle distolse lo sguardo, voltando il capo contro l'altro. "Grazie..." Sussurrò appena, mentre lui sorrideva. "Dovere."

"Ora, se ci volete scusare..." I tre fecero un cenno di saluto, alontanandosi verso l'ingresso della sala.

"Non cambiano mai, gli uomini della stampa. Dal '45, sempre le stesse domande." Esclamò Rogers con un sospiro rassegnato.

"Mea Culpa. Dovevo cancellare il profilo di Linkedin." Commentò solo Elle, voltandosi appena verso i due che le stavano ai lati. Natasha si portò una mano alla bocca, nascondendo un sorriso. "Cancellalo domani, prima che mieta altre innocenti vittime." Indicò con un cenno del capo Steve, che stringeva la mano ad un paio di senatori. Elle prese una boccata d'aria, sistemandosi con le mani delle inesistenti pieghe sul vestito scuro. Sarebbe stata una serata eterna.

~

Si scambiarono uno sguardo da un lato all'altro della sala, senza nessuna interruzione nei loro discorsi o nessun cenno particolare. Entrambi si congedarono, con voce pacata ma decisa, dai loro interlocutori e si allontanarono nella stessa direzione, uscendo dalla sala.

"Come sta andando?" Chiese uno, giocando con il papillon che aveva tolto e che teneva in una delle tasche del completo. Stark si tolse gli occhiali da sole, con un gesto meno teatrale del solito. Si grattò appena l'occhio.

"Sono tutti piuttosto arrabbiati, anche se hanno troppa paura per dimostrarlo apertamente."

Steve prese un respiro, sistemandosi il colletto della camicia con un gesto nervoso. "Magari sei stato scortese."

Stark alzò gli occhi al cielo, voltandosi con un'espressione dura verso l'altro. "Rogers, sono io quello che viene invitato alle feste e che deve sempre sorbirsi tutto questo processo alle intenzioni. Non tu, te lo ricordo." Steve si voltò appena, cercando di nascondere il nervosismo.

"Stark, calmati, dico solo che forse non hai la stoffa del politico."

"Ah, davvero?!" L'uomo si voltò, facendo per rimettersi gli occhiali, guardandolo dritto negli occhi per un secondo. "Perchè, tu si, ammasso di muscoli?"

Steve si strinse nelle spalle, abbassando lo sguardo. "No, nemmeno io. Ma sono meno..."

"Meno cosa, Rogers?"

"Meno impulsivo."

"Solo perchè io penso più in fretta di te." Replicò subito Stark. "...Vecchietto."

I due rimasero in silenzio qualche secondo, guardandosi in cagnesco, Steve appoggiato alla parete e Tony accanto a lui, lo sguardo stanco.

Stark distolse lo sguardo per primo, inforcando di nuovo gli occhiali e voltandosi verso l'arco che dava sulla sala. "Elle come se la sta cavando?" Chiese a bassa voce. Steve sorrise appena. "Bene. La metterà sul mio conto, questa serata..."

Stark annuì appena, appoggiandosi alla parete anche lui, le braccia incrociate. "Ti capisco. Forse."

Scose il capo, come a ricordare improvvisamente qualcosa. "In realtà, di solito è Pepper a costringermi ad andare a stringere mani."

Entrambi sorrisero, muovendosi appena dal muro quando una coppia passò loro davanti, guardandoli curiosamente. Steve guardò appena il papillon che teneva in mano. "A questo proposito, volevo chiederti da un po' come sta Pepper."

Stark non si mosse, senza alzare lo sguardo dal pavimento di marmo. Steve rimase un secondo in silenzio.

"...Pensavo che l'avrei vista stasera, così da chiederglielo di persona. E' un pò che non passa dalla base..."

"Mi trovo meglio lì a lavorare..." Commentò piccato Stark, prendendogli il papillon dalla mano con un gesto brusco. "Posso fare tutto il casino che voglio, senza disturbare nessuno." Fece una smorfia con le labbra, abbassando lo sguardo sul piccolo pezzo di tessuto pregiato.

"...Nessuno che non sia stipendiato da me, si intende."

Steve annuì, stirando le labbra in un sorriso stanco. "Effettivamente, passi talmente tante ore nel laboratorio che a volte ci chiediamo se tu non dorma anche, lì dentro."

Stark schioccò le labbra, scuotendo il capo. Fece cenno a Steve di alzare il capo, mentre questi richiudeva l'ultimo bottone della camicia, sul collo, con un gesto talmente rapido da sembrare indispettito.

"Per fortuna ho fatto inamidare le camicie, o a forza di giocarci l'avresti stropicciata tutta." Commentò il miliardario, alzando un sopracciglio. "E questo nonostante tu debba essere abituato alle uniformi."

Steve ridacchiò, mentre si passava il tessuto scuro intorno al colletto della camicia. "E' la compagnia alla quale non sono abituato." Stark si avvicinò appena, iniziando a rifare il fiocco del papillon con gesti secchi. "Hai Elle..." Commentò solo. "E' venuta solo per accompagnare te, ed evitarti la figura del monaco."

Steve fece un respiro esasperato, senza riuscire a non sorridere. "Grazie, Stark. Sei sempre un amico."

Stark si strinse nelle spalle, allontanandosi di un passo, guardandolo. "Adulatore."

Estrasse da una tasca un biglietto, mettendoglielo nel taschino. Poi raddrizzò appena il papillon, guardandolo con un sorriso vagamente inquietante. "Ho quasi ultimato gli appartamenti per tutta la squadra, vicino alla facility. Sono più comodi, spaziosi, e soprattutto più... Intimi."

Steve rimase un attimo a fissarlo,con un sopracciglio alzato. Perplesso. Stark fece un gesto vago con la mano.

"Se tu volessi fare un giro, dopo questa pagliacciata, i tuoi dati biometrici e quelli di Selvig sono già stati inseriti. Ci sono tre piani di stanze da esplorare..." Mulinò appena le sopracciglia. Steve rimase a fissarlo, una scintilla di comprensione negli occhi scuri, indeciso fra lo scoppiare a ridere o il dargli un pugno direttamente sul sorriso strafottente. "Ah."

"Domani partirai, e sia tu che Selvig meritate un po' di... Distrazione." Steve rimase scioccato, mentre l'altro gli dava un colpo sulla spalla, spingendolo verso la sala dalla quale usciva un chiacchericcio concitato.

"Adesso, Capitano, penso sia il caso di rientrare. Non distrarti troppo dall'obbiettivo. Non ancora."

~

Elle si scostò appena dal gruppetto, sorridendo appena allo sguardo disperato di Natasha.

Aveva spento - con un buon aiuto da parte dell'alcool - il suo scanner mentale; gli occhi però funzionavano ancora bene ed erano sgranati dalla sorpresa.

"Scusate, ho visto una persona che devo assolutamente salutare." Esclamò, calcando la voce in modo quasi ridicolo. Le altre signore, tutte sulla cinquantina e fornite di graziosi completi in tinta pastello e collane di perle, ridacchiarono appena, facendole cenni con la mano, per poi richiudersi su Natasha. "Non stia via troppo, Ellen!" Commentò una di queste, con voce dolorosamente acuta. Elle annuì appena, facendo un cenno con la mano e cercando di nascondere contemporaneamente il ghigno divertito che le era spuntato all'ennesima storpiatura del suo nome. "Certo, Mrs. Adams."

Si allontanò, sfiorando appena con le mani le schiene di un paio di persone, cercando di evitare di pestare qualche piede. Distingueva chiaramente quegli occhi in mezzo alla folla, dirigendosi verso il volto che aveva associato solo ad un nome. L'uomo alzò appena una mano davanti alla sua faccia, prima che lei potesse dire qualsivoglia cosa, in un gesto scortese.

"Nalsson, stasera." Commentò solo. Lei sbuffò, lanciandogli uno sguardo esasperato.

Lui ghignò appena, abbassando il braccio.

"E' inutile che mi guardi così, Elle Selvig." La indicò con il mento. "Se non fosse per me, non saresti mai arrivata a stasera. Non così."

"L'ho trovato un gesto vagamente inquietante." Commentò lei, scostandosi i capelli dalla spalla. Si guardò attorno, afferrando due bicchieri dal vassoio di un cameriere. "Togli pure il vagamente. Però, grazie."

Gli passò un calice, cercando di essere cortese. Lui annuì, soddisfatto. "Voleva essere un gesto amichevole." Lei annuì, indicando il vestito. "...Hai molto più buon gusto di me. Stark era disperato."

"Stark è sempre disperato." Commentò una voce più bassa, da dietro. Elle si voltò, sorridendo a Steve. Alzò appena il calice, annuendo. "Anche tu hai un'espressione non propriamente serena, se devo essere sincera."

Steve cercò di non soffermarsi troppo su Nalsson, appoggiando una mano sul braccio della compagna. "Questa festa sembra non finire mai. Se stringo ancora qualche mano, penso che perderò il braccio."

Loki, ovvero Nalsson, ghignò appena. Elle aveva i brividi, a vederli così vicini. Steve si voltò appena verso di lui. "Allora.... Dobbiamo ringraziare lei per il vestito. E' stato un arrivo provvidenziale."

L'altro si strinse nelle spalle, alzando un lato delle labbra. "Dovevo un favore alla signorina, e sono sempre contento quando posso essere d'aiuto."

"Vi conoscete?" Chiese Elle con un sorriso sforzato, il calice appoggiato alla guancia e gli occhi leggermente sgranati.

"Fury ci ha presentati..." Commentò Steve, senza distogliere lo sguardo da quello dell'altro. Il silenzio calò fra i tre.

"Che bello..." Commentò solo Elle, cercando di tamponare la conversazione. Si scosse un attimo, sentendo qualcosa vibrare nella borsa. Alzò appena lo sguardo.

"Scusate, devo assentarmi per qualche minuto." Commentò, guardando entrambi. Steve scosse il capo. "Certo, ti aspettiamo. Nel frattempo..." Si voltò verso Nalsson, tornando alla sua espressione consuetamente cordiale. "...Gradisce qualcosa di più forte da bere, Nalsson?"

Senza dire nulla, l'altro si voltò ad appoggiare il bicchiere vuoto. "Certamente, la seguo."

Elle lanciò un'occhiata a Nalsson, per poi tornare nervosamente alo schermo del cellulare. "Siate civili." Si allontanò in un paio di passi veloci, guadagnando l'uscita.

Steve si voltò verso Nari, aprendo appena le braccia. "Teme che io voglia infilarti nel frigo-bar." Commentò solo. L'altro, a fianco, sogghignò appena.

"Ma, non ce n'è bisogno, giusto?" Commentò Rogers, voltandosi appena nella sua direzione, un sopracciglio alzato in modo da risultare vagamente minaccioso, così come il tono della sua voce. Nalsson ghignò. "Mi ritengo un uomo impegnato, e comunque la signorina Selvig è fuori dal mio interesse sentimentale."

"Bene..." Steve sorrise appena. "Allora andiamo." Gli fece un cenno, mentre avanzavano verso l'affollato bancone dell'open bar.

~

"Jimmy, se non rispondo è perchè-"
"Elle, stai zitta un secondo e ascolta." James rispose con tono secco. Elle rimase in silenzio, ammutolita, appoggiata al corrimano delle scale di marmo chiaro. Annuì, anche sapendo che lui non poteva vederla.

"Tua madre era Annette Selvig? Occhi azzurri, capelli chiarissimi, lavorava in Svezia come genetista negli anni novanta?"

Elle assentì appena, mentre James riprendeva fiato. "Era dell'Hydra?"

"Si." Rispose solo Elle, istintivamente. Come se fosse un fatto ovvio, ed allo stesso tempo qualcosa con la quale il suo subconscio non aveva ancora fatto i conti. Un semplice dato.

Dall'altro capo della trasmissione, arrivò solo un sospiro.
"Allora, io la conoscevo."

La svedese rimase un attimo immobile, una mano appoggiata sul corrimano gelido, guardando le vene blu correre sul suo braccio e mischiarsi con le venature rosate del marmo sotto la sua pelle. Avrebbe voluto sparire contro quella superfice gelida. Invece rimase semplicemente immobile, l'orecchio teso contro il respiro congestionato dell'altro.
"Io mi ricordo di tua madre."

"Ok."

"Elle, penso che tu possa essere in pericolo."

Lei rimase ancora in silenzio.

"Lei lavorava per l'Hydra, e c'è solo un motivo per la quale avrebbe creato te."

La svedese scivolò verso il basso, sedendosi sulla scalinata, stringendosi tra le braccia, il viso quasi inespressivo, la mente che si stava allagando di panico, un dolore gelido e solo uno scoglio di lucidità. Quella pellicola di stabilità che aveva retto alla presenza impalpabile di Rumlow intorno a lei, che aveva subito un danno quasi irreversibile a Denali, ma che ancora la stava mantenendo obiettiva in mezzo a tutto quel caos che la stava inglobando.

"Potresti essere in pericolo. Potresti essere il pericolo." James riattirò la sua attenzione.

Elle annuì appena, come se la situazione non la interessasse, tra sé e sé. "Non posso dire di non averci pensato, negli ultimi mesi."

Sentiva il calore defluire dalla sua pelle, mentre sfregava la mano libera contro il tessuto troppo costoso di quel vestito troppo formale.

"Devi allontanarti da Rogers." Affermò appena l'altro. "E da tutti gli altri."

Anche questo era scontato. Se era veramente un essere creato a tavolino, se davvero era una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, allora il minimo che potesse fare era allontanarsi da tutti coloro che avrebbe potuto ferire.

"Avrei voluto qualcosa di diverso."

"Credi che per me non sia lo stesso?" Ribattè schiettamente James.

"Dove posso andare?" Chiese con un filo di voce la svedese.

"Dobbiamo trovarli, prima che loro trovino noi."

Non c'era molto da obiettare a quell'affermazione. Elle scosse il capo, appoggiando la fronte al marmo freddo del corrimano.

"Andarmene non sarà difficile. Domani partiranno tutti. Il difficile sarà trovarli." Commentò solo, guardando la punta delle sue scarpe.

"Il difficile-" Ribattè James "-sarà decidere cosa fare una volta che li avremo trovati. Loro sanno esattamente cosa farne di noi."

Elle sentì chiaramente che l'altro era rabbrividito. Ricordare doveva essere un incubo senza fine. Ma non ricordare la faceva sentire sporca, pericolosa, instabile; anche mentre stava accasciata su una scala di un palazzo sconosciuto, il respiro accellerato come prima di doversi gettare in un baratro.

"Domani, a casa mia, alle nove." Commentò solo. "Posso chiamare qualcuno che ci possa aiutare."

James scoppiò in una risata rassegnata. "Dubito che qualcuno ci possa aiutare."

Elle chiuse la chiamata con un gesto rassegnato, lasciando cadere il telefono sullo scalino, accanto a lei. Prese un respiro profondo, passandosi le dita tra i capelli, gli occhi serrati.

Era stufa di tutto quel rumore, di tutta quella gente. Ma sarebbe partita entro poche ore.

Quindi si alzò, sistemandosi il vestito, e tornando nella sala principale, cercando la persona con la quale avrebbe voluto passare gli ultimi momenti della sua vita.

Ma prima, doveva fare una telefonata.

~

Cominciò a infilare in un borsone ogni cosa che aveva conquistato nelle sue ultime settimane, quelle coscienti, quelle dove era stato finalmente libero.

Aveva senso per lui, ora, impacchettare quei pochi oggetti che possedeva, che aveva ottenuto attraversando gli stadi del dolore, della paura, della colpa, per andare a cercare coloro che lo avevano reso ciò che odiava.

Aveva senso andare incontro, senza guardarsi indietro, a una cricca di assassini, di politicanti e scienziati uniti solo da un'ideale di odio.

Era lo stesso proposito che lo aveva spinto ad arruolarsi, quando ancora era Bucky, il giovanotto di Brooklyn, quello spaccone ed irriverente, allo stesso tempo così igenuo e puro. Puro come il suo Steve, quel ragazzino che ricordava appena, ma al quale ricordo si ancorava nelle notti più buie. I due avevano fatto la stessa scelta, cinquant'anni prima, avevano preso una decisione non per loro stessi, ma per un ideale più alto, la giustizia.

Ma era ancora quella persona? Quel fascio di muscoli e irrequietudine, quel giovanotto sfacciato che non temeva il mondo?

O era il Bucky che si era diretto senza remore a Lagos, in cerca di nulla più che una truculenta e probabilmente suicidiaria vendetta contro coloro che erano solo mercenari, persone che probabilmente avevano convertito volontariamente la loro vita alla violenza, ma in base a chissà quali bisogni. Materiali, come una famiglia. Profondi, come un ideale. Qualcosa alla quale appigliarsi, bisogni che lo avevano accompagnato nei rari periodi di veglia, quando il sonno non era indotto da farmaci e poteva attardarsi a vedere le stelle, e cercare di ricordare se erano le stesse che avrebbe potuto vedere il Bucky di Brooklyn, se c'era ancora un uomo all'interno di quel corpo freddo.

Continuava a rimaneggiare gli oggetti, inserendoli ed estraendoli in un vecchio borsone, sotto lo sguardo attento di Valentina. Soppesando ogni oggetto, considerando quante possibilità future potevano esserci di averne bisogno.

Quaderni, fitti di una calligrafia minuta e precisa e di ritagli di giornale. Una confezione di barbiturici. Un paio di magliette. La felpa azzurra che Elle gli aveva lasciato a Lagos. Piccoli oggetti, piccoli tasselli alla quale dava un enorme significato perchè lo aiutavano a capire chi era, e perchè stava cercando quelle persone.

Non per lui. Non per vendetta, o per chissà che idea malata di contrappasso. Semplicemente, perchè lui aveva visto altri uomini, altre donne, alcuni ancora bambini, sottoposti ad esperimenti e a vite inumane, robotiche. Aveva visto altri ridotti allo stato dalla quale lui cercava con tanta prepotenza di uscire. Ma aveva visto umanità anche nelle persone che aveva sempre considerato i suoi aguzzini.

Aveva fatto un passo indietro, tra le mura di quella piccola, spoglia ma accogliente casa che era stata il suo rifugio e il suo ambiente controllato, prima di poter tornare nel mondo da uomo libero.

Aveva visto i due lati della medaglia, ed aveva capito perchè l'Hydra andava fermata. Perchè quelle persone andavano trovate, e possibilmente debellate. Non per odio, ma per servire e proteggere gli altri, coloro che erano stati o erano ancora vittime incapaci di opporsi a tutta quella violenza.

Voleva fare quello che avrebbe fatto qualsiasi uomo giusto.

Voleva fare quello che avrebbe fatto Steve.


"Potrei esservi utile."

Si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri, buttando l'ennesimo cambio di vestiti nella borsa.

"Non sei addestrata, e non posso pensare alla tua sicurezza."

Valentina mise le mani sui fianchi, assumendo una posa irata.

"Non devo per forza venire a pestare i cattivi. Posso seguirvi da lontano. Fare il palo."

L'occhiata incredula uscì a James dal profondo, mentre una parte della sua mente si godeva il piacere della sua stessa reazione spontanea. "Non saresti in grado di notare un caccia da guerra nemmeno se passasse nel vicolo tra la scala anti incendio e la casa di fronte."

I due rimasero un attimo in silenzio, prima di scoppiare a ridere.

"Perchè questo improvviso desiderio di partire?" Chiese lui, ritornando a guardare le sue cose appoggiate sul divano. Val si allontanò, verso la cucina, tenendo le loro tazze vuote fra le mani.

Rimase un secondo immobile, davanti ai mobiletti dal colore improbabile, prima di appoggiarle nel secchiaio con un sospiro. "Non sei l'unico, forse, ad essersi rifugiato qui dentro." Si strinse nelle spalle. "Pensavo che mi sarebbe andata bene questa vita, nonostante il fallimento della mia carriera e il fatto che il mio futuro è fatto di turni alla cassa di un supermercato..."

"E' sempre una vita..." James si passò una mano sul viso, per allontanare i capelli dagli occhi. Erano decisamente troppo lunghi. "...Potrebbero sempre capitarti altre occasioni in futuro."

"L'unica cosa inusuale che mi è capitata negli ultimi due anni sei stato tu." Commentò solo Val, senza voltarsi. "Non avevo più fiducia... Mi ero dimenticata per cosa avevo studiato, e lavorato. Iniziavo a sentirmi senza scopo."

"Sei una persona brillante."

Val alzò appena la testa, guardandosi attorno. "Non qui. Qui sono senza scopo. Senza un futuro, senza progetti." Gli lanciò un'occhiata seria. "Non verrei per te. Sappilo. E tantomento per Selvig."

Si guardò intorno, respirando l'aria tra quelle pareti sottili e dipinte malamente. "Verrei per me, e per me soltanto."

~

Entrò dalle porte a vetri senza nemmeno degnare i clienti di uno sguardo. L'uniforme infagottata sotto al braccio, e i capelli scuri incastrati sotto ad un paio di grossi occhiali da sole.

Dietro di lei, un uomo alto e piuttosto massicco si guardava attorno, ripiegando le maniche della felpa rossa in modo nervoso, la barba leggermente sfatta ed i capelli troppo lunghi tenuti dietro alle orecchie.

La donna si avviò verso le casse centrali, guardando un aria divertita tutte le colleghe che si voltavano a salutarla, per poi scrutare con aria curiosa l'uomo che la seguiva.

Val arrivò al desk, dove un signore piuttosto calvo si voltò a fissarla con aria scontenta, tenendo la cornetta incastrata tra il viso e la spalla. Annuì appena, arricciando le labbra in una smorfia.

"Devi aspettare." Commentò solo al cenno della mora. Val fece un ghigno, afferrando il fagotto della divisa e lasciandoglielo cadere davanti, sopra ad una pila di documenti, che iniziarono a cadere a terra, svolazzando.

"Cosa-"
"Mi licenzio." Disse solo la donna. Girò su sé stessa, afferrando un cappello da baseball da uno stand vicino al muro. Fece un cenno alla gente, mentre il capo la guardava sconvolto, iniziando ad imprecare. "Dovevi dare tre settimane di preavviso!"

Val si voltò appena, mostrandogli il dito medio. Con l'altra mano, calcò il beretto sopra alla testa di James, che la guardava confuso. "Addio!"

Imboccò le porte a vetri senza guardarsi indietro, prendendo un'ampio respiro, come se fosse rimasta in apnea per tanto tempo.

"Scusatela..." Borbottò James, vagando con lo sguardo fra i volti senza parole degli oramai ex colleghi di Val. "...Penso sia agitata e-"

"JAMES!"

~

Passò il pollice sullo scanner biometrico, entrando nella struttura, per la maggior parte ancora una massa di cemento a formare quelle che poi sarebbero state pareti, e stanze, e forse una casa sicura per tutti loro.

Già vedeva Wanda finalmente in una stanza, con tutti gli oggetti che normalmente popolavano gli spazi delle persone della sua età, con fotografie, poster e cuscini colorati.

Poteva immaginare Samuel disteso a guardare la partita in un ampio divano, in quello spazio vuoto che gli stava davanti, mentre l'amico lanciava contro Natasha noccioline che la rossa parava prontamente tra le dita, con uno dei suoi rari sorrisi rilassati.

Voleva vedersi in un posto che Stark avrebbe reso lussuoso per nessuna ragione se non perchè era il suo modo di dimostrare loro che ci teneva. Erano quasi una famiglia, e la convivenza era proseguita piuttosto bene, anche nella fredda base operativa, finchè non si era cominciato a parlare degli accordi.

L'idea degli appartamenti separati era venuta a Stark ed a Rogers, quando Wanda ancora si svegliava urlando il nome di suo fratello nel pieno della notte, ed intorno a lei trovava una anonima stanza di quattro metri per quattro, con mobili spartani e senza nessuna figura rasicurante o che le ricordasse chi era. Steve e Tony capivano bene quella situazione. Entrambi erano avvezzi alle sveglie notturne.

C'erano degli scatoloni, sparsi in giro, e la maggior parte delle stanze era ricoperta di mobilio da motare, ancora imballato. C'erano a malapena dei materassi ancora nella loro plastica contenitiva, e si vedeva nell'ampio spazio comune un abbozzo della cucina.


"Sembra che si debba trasferire Una scatenata Dozzina." Commentò Elle, ridacchiando.

Quando erano scesi dal Taxi, erano sollevati di essersene andati da quella festa fatta solo per mostrarsi umani al resto del mondo. Ma ora, da soli, dopo essersi congedati dalle occhiate maliziose di Natasha e dallo sguardo gongolante di Stark, i due erano liberi di comportarsi come meglio preferivano.

Elle si tolse con una smorfia le scarpe, mentre Steve si guardava ancora intorno meravigliato, accendendo uno ad uno i fari da lavoro rimasti a terra, pronti ad illuminare il cantiere il giorno successivo.

Lui prese un ampio respiro, sentendo odore di nuovo nell'aria. Era frizzante, nonostante il freddo non avesse ancora lasciato del tutto posto alla primavera. Elle si strinse appena nella giacca, guardandolo dolcemente mentre lui studiava ogni particolare di quella che, probabilmente, sarebbe stata la nuova casa del suo compagno. La casa della sua squadra.

Ed, all'occorrenza, avrebbe sempre potuto tornare a Forest Quenns per una notte. Le chiavi gliele aveva lasciate, e con quelle anche un sottointeso invito a far parte della sua vita nella misura che gli sarebbe riuscita più congeniale.

La vita del soldato è dura, e nessuno lo sapeva più di Elle che, da quando aveva memoria, aveva saputo fare quasi solo quello. Non sentiva il peso delle catene invisibili che di solito legano due normali persone che iniziano una relazione. Sentiva, e sapeva che la sensazione era ricambiata, che Casa sarebbe stata solo dove sarebbero potuti stare insieme, per poche ore o per anni.

La distanza, per chi vede il mondo come straordinariamente piccolo, ed il tempo, per chi vede gli anni correre alla velocità della luce, non diventano prioritari.

Steve si voltò, ridandole attenzione dopo il suo momento contemplativo. "Stark si è dato da fare."

Elle annuì, passando una mano sulla parete ancora di crudo cemento. "Tra il quartier generale e questo-" Indicò tutta la stanza con un cenno del mento."-Non capisco come faccia a dormire. E mangiare."

"Stark non segue i ritmi dei comuni esseri umani." Steve estrasse il papillon dalla tasca, dove era finito appena aveva messo piede fuori dall'ambasciata, e lo fissò un attimo, ricordando il loro scambio. "Stark è una cosa a sé stante."


Elle iniziò a vagare, scalza, incurante dei vetri e delle viti ancora a terra. Aveva un aspetto curioso, lo sguardo rassegnato e l'aria imperscrutabile, quasi eterea. Era come se non si stesse più curando di quanto sembrasse evanescente, un'ombra impalpabile che vagava per il cantiere grigio.

"Selvig..." La chiamò appena la vide sparire dietro un angolo, quasi angosciato di non riuscire a trovarla nel buio. L'altra si era mollemente seduta su una poltrona, ancora avvolta nel cellophane, il capo reclinato oltre il bracciolo e le gambe che dondolavano dall'altro lato.

Si avvicinò lentamente, mentre Elle non dava segno di averlo sentito, gli occhi ancora chiusi ed i capelli appoggiati su una spalla per non toccare il pavimento.

Si inginocchiò lentamente davanti alla poltrona, senza avere il coraggio di sfiorarla.

"Tu ti senti umano?" Chiese lentamente lei, senza muovere nulla se non le labbra pallide.

"Respiro." Commentò semplicemente lui. "E penso. E provo sentimenti, e bisogni."

"Come riesci a mettere ciò che è giusto di fronte a tutto questo?" Commentò appena lei, le ciglia ancora abbassate sugli occhi. "Neghi il tuo essere umano."

Lui alzò appena una mano, scostandole i capelli dietro all'orecchio, l'altra mano che le accarezzava un ginocchio. "Non sempre." Disse solo, abbassando lo sguardo dalla figura della donna, le dita che restavano appoggiate sulla sua tempia fredda.

Elle si alzò sul busto, passandogli le braccia attorno al collo, abbracciandolo in modo da tirarsi il suo capo in grembo. "Steven Rogers..." Sussurrò appena, stringendolo delicatamente. "Sei l'essere, umano o non umano, più buono che io abbia mai incontrato."

Lui alzò appena il viso, gli occhi appena socchiusi e la mascella rilassata. Elle si piegò leggermente, appoggiando le sue labbra contro quelle dell'altro, con delicatezza. Improvvisamente, lui la tirò contro di sé, mentre Elle affondava le unghie contro la sua giacca.

La lasciò appena un secondo, aprendo le braccia, mentre lei sfilava velocemente l'indumento, lasciandolo cadere a terra. Poi tornò a stringerla, un braccio che passava sotto alle ginocchia, mentre le dita di lei correvano al colletto della camicia, le labbra che non si staccavano se non per qualche sospiro poco elegante.

Lui passò la mano libera sulla sua schiena, più e più volte, scostandole i capelli dal collo pallido, guardando con sguardo quasi curioso la donna che si irrigidiva, gli occhi ancora chiusi, le dita che giocavano con l'asola del primo bottone, mentre rispondeva il modo quasi distratto al bacio. Si allontanò appena, separando le loro labbra, sentendola respiare contro la sua pelle.

L'indomani sarebbe partito. E non sapeva quando sarebbe tornato. Non sapeva se sarebbe tornato, nel peggiore dei casi.

Elle lo accarezzava sul viso e sul collo, in punta di dita, come se temesse di poterlo ferire con il solo tocco, sentendo i muscoli tendersi sotto al suo tocco. Le sue labbra sfioravano la linea della mascella con lentezza, sentendo il leggero ispido della pelle. Era meraviglioso, ed esasperante.

Affondò il viso contro la clavicola della giovane, che emise un mugugno sorpreso, mentre stringeva qualsiasi cosa riuscisse a raggiungere con le braccia sottili, infilando le dita tra i suoi capelli.

La tirò contro di sé con un gesto quasi rude, stringendola contro il petto. Elle rimase appoggiata alla sua spalla, gli occhi che lo guardavano senza nessuna malizia, semplicemente scrutando quel blu senza fondo. Era completamente soggiogato a quello sguardo, così come lei non riusciva a distogliere il suo.


Elle rimase immobile, completamente abbandonata alla situazione.

Era lei quella con più esperienza. Pensò appena a Carter, o alle donne con le quali Capt era uscito, e si chiese se avevano mai provato quello che stava provando lei in quel momento.

Non sapeva quando, e dove, fermarsi. Voleva avere tutto ciò che poteva avere, e dare tutto ciò che poteva dare. L'altro la stringeva, quasi cullandola, immerso anch'egli nei suoi pensieri, gli occhi che sembravano sondarla fino a poter contare tutti i demoni della sua anima. Si sentiva vuota, senza più nulla da dire che l'altro non potesse già sapere. Era allo stesso tempo estremamente felice ed estremamente insoddisfatta.

L'altro la guardò, persa nei suoi pensieri.

"Insegnami." Esclamò lui, improvvisamente. Elle scosse appena il capo.

"Come?"

"Mostrami come fare..." Sorrise appena, e se non fossero stati in penombra Elle avrebbe potuto giurare di vederlo leggermente più rosso. Ma non distoglieva gli occhi dai suoi.

"Steve, non dobbiamo per forza-"

L'uomo si alzò, tenendola ancora saldamente tra le braccia.

"Fidati." Disse solo lui.

Elle annuì appena, la sua forza di volontà che si infrangeva contro ciò che l'istinto le urlava da mesi. Lentamente, percorsero il breve tratto tra la poltrona e il materasso, ancora avvolto nel cellophane, scendendo lentamente a sdraiarsi sulla superficie fredda. Elle si stringeva ancora alle sue spalle, cercando conferma in quegli occhi così scuri. Lui rimase a fissarla negli occhi, mentre lei sbottonava la camicia candida, passandogli lentamente le mani sul petto. Sfilò lentamente la cintura, lanciandola alla cieca. "Non mi lascerai scivolare lontano da te?" Esclamò appena la svedese, alzando lo sguardo su di lui. L'uomo annuì, mentre toglieva la camicia. Elle si alzò appena sul busto, dandogli le spalle. L'altro si avvicinò, prendendo tra le dita la zip del vestito, scostandole i capelli con la mano. "Il nostro tempo non sta finendo." Proseguì lui, prima di abbassare la cerniera. Ricordò la prima volta che avevano dormito insieme, mentre scostava con entrambe le mani le spalline, facendo scivolare il vestito lungo la sua schiena. Elle si voltò di nuovo, sfilando del tutto l'indumento e facendogli fare la stessa fine della camicia.

Lo strinse contro di sé, mentre lentamente sprofondavano l'una nell'altro, sentendo dentro le ossa la fretta della partenza, la consapevolezza che quella sarebbe potuta essere la prima e l'ultima volta che potevano godersi il privilegio di stringersi l'un l'altra senza dover temere il mondo esterno.

~

"Quindi, è ora."
"Già..."

Elle abbassò appena il capo, stringendosi nell'impermeabile chiaro, lo sguardo basso. Steve rimase immobile davanti a lei, il viso leggermente arrossato, gli occhi che vagavano tra la piccola figura davanti a lui e la casa in legno scuro che stava dietro di lei.

Il sole stava appena sorgendo, illuminando pallidamente la scena. Natasha aveva abbracciato brevemente l'amica, guardandola con aria maliziosa. Elle aveva alzato gli occhi al cielo, ma dietro la schiena di Steve, mentre l'alto caricava il borsone nell'auto, aveva alzato entrambi i pollici, ridendo della risata trattenuta della russa.

"Stai attento." Disse, guardandolo con una mano a parare gli occhi dal sole. Lui annuì.

"Anche tu, non fare troppe cose mortali mentre non sono nei paraggi."

Elle avrebbe voluto scoppiare a ridere, invece rimase quasi impassibile. "Non posso prometterti nulla..."

Lui rise, voltando il capo. Elle cercò di mantenersi impassibile.

Lui non sapeva che pobabilmente era l'ultima volta che si sarebbero visti.

"Ti chiamo appena posso."

Elle si riscosse. "Non metterti nei guai, per chiamarmi."

Immaginò l'uomo in mezzo ad una base nemica, mentre faceva il suo numero parando proiettili con lo scudo. Ebbe un singulto.

"Dobbiamo andare." Lo richiamò Nat. L'uomo fece un passo avanti, lasciandole un bacio sulla fronte. Elle sospirò.


Aveva guardato la macchina dirigersi lungo la strada, rimanendo con le mani sprofondate nelle tasche e lo sguardo vacuo. Poi era andata, mestamente, a preparare il suo bagaglio.

~

Alle nove precise del mattino di quella giornata di fine Aprile, in una via traversa di Forest Queens, dietro uno degli imponenti condomini ad alveare che circondavano le case più vecchie, due donne intente a fare jogging iniziarono a fissarsi preoccupate, indicandosi a vicenda una datata berlina rossa. Dentro stava una ragazza, addormentata con la bocca spalancata e il viso schiacciato contro il finestrino mezzo abbassato.

Un uomo con una felpa leggermente usurata ed un solo guanto stava in piedi, appoggiato al cofano, lo sguardo grigio coperto da un berretto da baseball e l'aria di chi non ha dormito nemmeno un'ora in tutta una vita.

Elle mise il pesante borsone nel baule, svegliando Val di soprassalto. La mora si spostò a fatica nei sedili posteriori, mentre Elle occupava il suo posto in silenzio. James fece lo stesso al posto di guida, guardandola mestamente.

"E' ora."

Elle osservò il cellulare, che teneva in mano, il dito pronto a spegnere l'apparecchio. Avrebbe sovuto lanciare il telefono in qualche fiume, ma aveva ancora qualche miglia prima di potersene disfare. Guardava lo schermo senza apparente emozione. James non disse nulla, immettendosi nella strada.

"Mi dispiace." Esclamò solo, rompendo il silenzio. "Che sia successo a te."

Elle sorrise appena. "Sono quelle le cose che non puoi scegliere, no? I genitori ed i figli."

James non fece in tempo a ribattere che il telefono cominciò a squillare, CASA scritto in maiuscoletto sullo schermo. La svedese rispose subito, sentendo una serie di urla.

"Torniamo indietro!" Urlò, prendendo il volante dalle mani di James. Questi ebbe uno spasmo sorpreso, prima di assecondarla e dirigersi verso casa di Elle a tutta velocità.

"Che succede?" Chiese solo l'uomo. Elle estrasse la pistola dal cruscotto.

"Sono a casa mia." Elle inspirò profondamente, mentre James accellerava.  "Ho riconosciuto la sua voce." 


xXx





Eccoci qui! Allora, questo capitolo non è betato e non è stato riletto poi così bene. A dire il vero, non ne sono particolarmente soddisfatta, e mi riservo la possibilità di modificare qualcosa in futuro. Ma tanto non sono mai convinta su niente quindi non posso nemmeno lamentarmi!
Suggerimenti e consigli sono ben accetti! 

Come sempre vi invito a lasciare anche solo un commento o un saluto o un "Ti prego smetti di scrivere!" in area recensioni. E ringrazio tutte le recensitrici, le ragazze che mi hanno scritto in privato, chi ha messo la storia tra e seguite e le preferite e tutti coloro che mi dedicano un po' del loro tempo leggendo questa storia. Grazie!  

Vorrei potervi dire quando pubblicherò il prossimo capitolo, ma purtroppo non lo so nemmeno io. Quindi, restate sintonizzati. Cercherò di scriverlo qui quanto prima! 

Una stressatissima Slytherin_Eve









































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Capitolo 26
*** 24. Condanna ***


Ciao a tutti!

E’ passato un anno dall’ultimo aggiornamento. Lo so.

Purtroppo gravi problemi di salute mi hanno impedito anche solo di pensare a continuare ad aggiornare. Mi dispiace tanto. Spero solo che qualcuno ancora si ricordi di questa storia. Perché mi sono ripromessa di finirla, ora.

Non so come scusarmi, come spiegarmi. Sappiate solo che mi sto curando, quindi spero di riuscire a portare a termine tutto. Purtroppo, anche se non siamo super eroi, spesso ci troviamo a fronteggiare sfide molto più grandi di noi, senza nessuna arma se non un po’ di amore e di speranza. Bisogna solo stringere i denti, e cercare di rimanere aggrappati a quanto realmente siamo, senza lasciarci trascinare dal dolore, sia fisico che mentale.

Sono Slytherin Eve, e questo capitolo non avrebbe mai visto la luce se non fosse stato per Giulietta Beccaccina e Delta 98, che non hanno mai smesso di credere che sarebbe stato possibile per me continuare, un giorno. Amiche che non mi hanno mai lasciato andare.

Ringrazio infinitamente per le dolcissime recensioni dell’ultimo capitolo camillaperrystyles, Yvanna97, Sissi04. Per i messaggi Janeisa e GiuliaDirectioner1D. Grazie a tutte, ragazze!

 

 

Atto Ventiquattresimo: Condanna

 

 

“The word’s a funeral, a room of ghosts

No hint of movement, no sign of pulse

Only an echo, just skin and bone.

They kick the chair, but we,

We help tie the rope.”

BRING ME THE ORIZON

 

 

 

Loretta si avvicinò alla porta, sentendo bussare energicamente. Elle era partita da meno di cinque minuti, avvisando che sarebbe arrivato qualcuno a controllare che entrambe stessero bene ed avessero quello di cui avevano bisogno. Entro poche ore.

“Salve…” Esclamò esitante, aprendo appena l’uscio, una mano che teneva la catenella di sicurezza della vecchia porta e l’altra che puliva strusciando sul grembiule azzurro. “Siete colleghi di Elle?”

I due uomini, vestiti di nero, con grossi stivali scuri, la guardarono con espressione indecifrabile. Uno dei due annuì. Loretta rimase un secondo in attesa, indecisa sul da farsi. D’altro canto, i colleghi di Elle non li conosceva, a parte Natasha e Steven.

“Siete fortunati…” Sorrise apertamente, le labbra scure stese in un’espressione materna. “Ho appena preparato il thè freddo.” Fece per scostare la catenella, sotto lo sguardo impassibile dei due. “Gli amici di Elle sono nostri amici. Siete stati così carini a passare!”

 

xxx

 

Elle entrò con un calcio alla porta in casa, accostandosi con le spalle al muro d’ingresso, le labbra pallide, strette in una smorfia terrorizzata, così come gli occhi enormemente sgranati che scorrevano oltre il muretto della cucina, quello che lei e Nat avevano tinteggiato insieme. Fece pochi passi avanti, sempre strusciando contro la parete. Si avvicinò con uno scatto al soggiorno, sentendo gli stivali scricchiolare su qualcosa di appiccicoso sul pavimento. Una grossa macchia di liquido copriva il legno vecchio, facendogli emettere un suono ancora più agghiacciante, che permeava nelle ossa e le faceva accapponare la pelle pallida. Piccole schegge di vetro coprivano tutto il pavimento, fino al tappeto chiaro davanti al divano. Delle fette di limone schiacciate, sporche, giacevano inermi in mezzo al tutto. Elle soffocò appena un urlo, sentendo il rumore del telefono che continuava a suonare occupato, penzolando dalla parete azzurrina. Una striscia di sangue, l’impronta di dita vermiglie, scendevano fino al pavimento.

La testa era spaccata a metà da un colpo, preciso, alla nuca. La camicia bianca non aveva altre chiazze del colore originale se non sui fianchi, ancora stretti dal grembiule. La posa della donna era innaturale, le gambe quasi semi piegate e il viso contro il pavimento, la schiena coperta di brillanti di vetro, che rilucevano pigramente nella luce della finestra.

Lo sparo che aveva sentito al telefono aveva fatto il suo lavoro, il proiettile incastrato esattamente sopra alla base dell’apparecchio telefonico, distruggendo la maggior parte dei tasti.

Elle si avvicinò appena, un conato di vomito spontaneo a vedere la sostanza celebrale della sua ormai mamma adottiva sparsa per il pavimento. Appoggiò appena due dita tremanti sul collo dell’altra, sentendo il freddo permearla. Il terrore l’aveva completamente avvolta, mentre sentiva ogni traccia di speranza abbandonare il suo corpo in uno spasmo.

Non riusciva a respirare. Si alzò appena, dondolando quasi sui talloni, la testa che le girava, la stanza quasi impalpabile attorno a lei.

Aveva visto tanti cadaveri nella sua vita. Ma quando si tratta di persone che aveva vissuto, che hanno dato una forma alla vaghezza dei suoi giorni, che avevano accolto il suo essere così flebilmente attaccata alla vita, che le avevano fatto dimenticare il sentimento di essere uno spreco di pelle, di spazio, di aria.

Quelle persone che l’avevano fatta sentire parte di qualcosa di più caldo, più grande, più importante. Di una famiglia.

Il suo cuore continuava a implorarla di cercare di svegliarla, di prendere l’anziana stesa ai suoi piedi per le spalle, di non dirle addio, di non smettere di toccare la pelle ancora tiepida, di non smettere di cercare la sua voce rassicurante. Non voleva dire addio. Non voleva vedere l’unica persona che l’avesse amata disinteressatamente, che l’aveva accolta nella sua famiglia, morire per lei.

Soffocò un sospiro, una lacrima che cadeva solitaria lungo la guancia pallidissima. Si alzò appena, sentendo il pavimento del piano superiore scricchiolare. Il terrore, una sensazione quasi nuova in tutta la sua prepotenza, svaniva quasi nel tremore delle sue mani. Si diresse con pochi passi alle scale. Non aveva armi. Non aveva nessuna divisa da super eroe. I capelli chiarissimi stretti in una coda che dondolava silenziosamente ad ogni suo movimento, i passi ovattati contro il tappeto.

Cercò di usare la sua mente, quella sua preziosa alleata, quei poteri che le stavano facendo perdere la sua identità ma che allo stesso tempo la stavano ridefinendo. Ora li odiava.

Se non avesse mai deciso di impiegarli, se non avesse mai deciso di esporsi, ora Loretta sarebbe stata in piedi, a versare del The in grossi bicchieri colorati, facendo smorfie divertite alle sue affermazioni ciniche. Cercando di curarla dalla sua amarezza, dal suo rancore, dalla sua freddezza.

Era una giornata calda per essere maggio. Molto calda. Ma Elle sentiva solo il gelo scendere nelle sue ossa mentre saliva lentamente le scale.

Sentiva qualcuno rovistare nelle stanze al piano superiore. Lanciò un’occhiata oltre il corrimano del piano superiore, vedendo due figure nella stanza di Natasha, lanciare oggetti dappertutto.

Il carillon preferito dalla sua migliore amica giaceva sull’uscio della sua porta, completamente spaccato, gli ingranaggi mischiati con pezzi della piccola ballerina in porcellana.

Scostò appena il capo verso la sua stanza, dall’altra parte del corridoio. Un paio di piccoli occhi scuri la guardavano terrorizzati, il piccolo naso appena schiacciato contro lo spiraglio della porta.

River aveva un’espressione terribile. Quella che nessun bambino dovrebbe mai avere. Gli occhi erano arrossati, le labbra tremanti, le guance bagnate. Elle annuì appena con il capo. Doveva smettere di piangere su Loretta, e salvare la nipote. Sua figlia.

Allungò appena la mano verso la porta della stanza di Natasha, facendola chiudere con un tonfo rumoroso. I due uomini iniziarono subito a sbatterci contro, cercando di aprirla, mentre la svedese correva con lo scatto più veloce che i suoi muscoli indolenziti dal terrore le permettevano.

Si chiuse la porta della sua stanza alle spalle, appoggiandoci contro le spalle, scendendo appena con la schiena, sentendo le ginocchia molle. River scoppiò subito in un pianto disperato, mentre Elle cercava con una mano di farla stare in silenzio, passandole l’altra libera tra i riccioli ribelli. La bambina era scioccata, scossa da terribili tremiti. Elle sentì i due uomini arrivare con ampie falcate davanti alla loro porta, iniziando a colpirla con pesanti colpi.

Era stremata, le ossa ormai ghiacciate dal terrore, tutto quel potere che le avevano sempre attribuito sembrava improvvisamente sparito.

Allungò la mano verso la cassettiera, cercando con le poche energie che sentiva ancora dentro di sé di attirarla verso di sé. Ma non si mosse nulla.

Prese River in braccio, lasciando la porta e facendo due passi veloci verso il letto. Spinse la bambina sotto, mentre la porta veniva aperta con uno schiocco, sbattendo contro il muro. Elle rimase piegata a terra, osservando il viso della figlia contratto dal terrore. Iniziarono a tirarla per le gambe, mentre cercava di scalciare come un’animale selvatico. Piantò le unghie nel pavimento di legno, sentendole cedere con un dolore accecante. Fece per allungare la mano verso la gola di uno degli uomini, gli occhi che si scurivano appena, l’elettricità che le permeava i polpastrelli insanguinati. L’uomo mollò la presa sulle sue gambe, portandosi entrambe le mani al viso, emettendo respiri strozzati. L’altro afferrò la sua maglia, facendole sbattere la testa a terra, il controllo che per un secondo aveva sul suo potere perso in un lancinante dolore alla nuca ed al collo.

“Non dovresti essere così cattivella, Selvig.” La voce che sentiva sembrò arrivare da molto lontano. Un uomo, elegantemente vestito, le braccia appena conserte sopra un’elegante completo scuro, alzò un lato delle labbra sottili. “Ho aspettato per così a lungo questo momento, cara Elle.”

Un’altra figura emerse dalle scale in una nuvola rossastra. “Lasciatela stare, subito.”

I capelli scuri vorticavano intorno al viso, gli occhi vermigli sgranati, che saettavano tra l’uomo e l’altra. Elle emise un sospiro strozzato. “Wanda…”

L’altra non fece in tempo a rispondere. Un dardo volò nella sua direzione, colpendola direttamente al collo. Si portò una mano alla ferita, lentamente, mentre sul viso si dipingeva un’espressione sconcertata.

“Avevo ragione a pensare che la tua amica sarebbe corsa in tuo aiuto. Due piccioni con una fava…”

“Lasciatela stare.” Ringhiò Elle, digrignando i denti.

“Mi spiace dire che non è stato poi così difficile isolarvi. Il mio intelletto superiore…” Commentò l’uomo, con un sorriso così normale da risultare agghiacciante. “…Rende tutto così noioso. Prevedibile.”

Wanda cadde a terra con un tonfo, gli occhi ancora socchiusi, le labbra serrate in una smorfia di dolore. L’altro la colpì con un piede, come si fa con un oggetto trovato a terra. “Patetico.”

Si voltò di nuovo verso Elle, estraendo un altro di quei piccoli dardi avvelenati.Lo guardò quasi con affetto. “Tetrodossina.”

Si avvicinò lentamente alla ragazza bionda, mentre questa arretrava lentamente, seduta ai piedi del letto sfatto, gli occhi che saettavano tra l’amica e l’uomo.  “Basta una dose leggermente più alta di quella letale agli umani per rendervi così piacevolmente docili.”

Un calcio di uno dei due uomini di prima, quello che aveva cercato di soffocare, le fece mancare il fiato. Il capo, quello che aveva parlato, si piegò appena sulle gambe, conficcandole il dardo nel collo con un gesto veloce.

Lo spasmo arrivò quasi immediatamente, seguito da una sensazione di nausea, mentre tutto il suo corpo si tendeva con un dolore sordo, accecante. Sentiva una schiuma insapore uscirle dalle labbra serrate in una smorfia, mentre gli occhi si rovesciavano, incontrollabili.

L’uomo le sorrise appena, alzandosi. Si passò le mani sui pantaloni ben stirati, la piega ancora perfettamente inamidata, con sguardo soddisfatto.

“Prendetele ed andiamo.” Commentò solo.

 

xxx

 

Si avvicinò alla casa con una virata veloce. Wanda era sparita, e Visione aveva ammesso con semplicità che era andata a controllare se Elle fosse già partita. Non aveva saputo dirgli dove, però.

Una fila di macchine scure costeggiavano il marciapiede accanto alla vecchia casa di legno scuro, attirando la sua attenzione. L’armatura scintillava nel cielo mattutino di maggio, mentre si avvicinava appena.

Vide un’altra macchina rossa ferma, dall’altro lato della strada. Il suo casco segnava la presenza di due parametri vitali, di cui uno particolarmente curioso. Vide appena le altre sei persone ferme nelle auto davanti a casa della Svedese, mentre si avvicinava incuriosito.

Improvvisamente vide due uomini trascinare Elle per entrambe le spalle, i piedi della donna che strisciavano per terra sull’asfalto. Sembrava priva di sensi.

Mosse il capo tra l’amica e la macchina poco lontano, dove la figura dai parametri curiosi emetteva segni di agitazione. Vide un uomo scendere dal posto anteriore, un cappellino premuto sulla testa, i capelli castani appena alle spalle, e una maglia da baseball con solo una manica arrotolata al gomito. L’uomo era molto muscoloso, con un’apparenza quasi familiare per il miliardario.

Tony Stark vide appena l’altro uomo, quello vestito elegantemente, trascinare Wanda fuori dalla casa semplicemente tenendola da sotto un braccio, il corpo anormalmente rigido.

Improvvisamente l’uomo urlò qualcosa, avvicinandosi con passo veloce alle macchine, e uno scintillio metallico attirò la sua attenzione. Bucky Barnes correva verso di loro.

Non esitò un secondo. Sapeva cosa doveva fare.

Scese a terra con un tonfo metallico. Con tre passi, gli era addosso.

Sarebbe stato un piacere finalmente catturare il Soldato d’Inverno.

Per non parlare di quanto avrebbe fatto impazzire il Capitano perché gli restituisse il favore.

 

xxx

 

Un dolore accecante la fece svegliare, la pelle accapponata dal freddo gelido della stanza.

Era legata ad un letto, una serie di tubi che le uscivano dalle braccia, cavi attaccati a grossi monitor che non riusciva a mettere a fuoco, un grosso tubo vicino alla barella che sorreggeva diverse flebo.

Le girava la testa, impedendole di osservare qualcosa in quella stanza accecante senza provare una fortissima nausea. Un filo di bava le scendeva dalle labbra tumefatte, ma non riusciva a muovere le mani per asciugarsi il volto. Aveva gli occhi molto gonfi. I polsi erano trattenuti da pesanti legacci. Il freddo le entrava nella pelle attraverso la sottile camiciola da ospedale che le avevano messo, mentre era svenuta.

Un uomo entrò, un uomo familiare. Lo aveva già visto a Denali. Era Zemo. Ma dietro di lui, osservato dal primo arrivato con ammirazione, stava colui che l’aveva trafitta con il dardo.

“Bastardo…” Biascicò appena, vedendolo entrare, seguito da altri due uomini vestiti con completi militari neri. I due iniziarono a montare una pesante attrezzatura davanti al suo letto, mentre l’uomo le sorrideva, affabile. “Puoi chiamarmi Dottore.”

Elle iniziò ad agitarsi, cercando di divincolarsi dai legacci, sentendo ogni fibra del suo corpo tendersi dal dolore.

“Sei sotto una potente dose di Micotossine. Non morirai, e non dovrebbero causare danni permanenti…” Sorrise appena. “Ma la nausea dovrebbe impedirti di usare i tuoi poteri. O mi sbaglio?”

Elle lo guardò con odio, mentre l’uomo si avvicinava, accarezzandole con le dita pallide il braccio tartassato dai tubi. “No che non mi sbaglio.” Si rispose, sempre con tono affabile. Gli uomini si allontanarono appena da quella che sembrava una grossa telecamera, collegata ad un computer.

“Possiamo cominciare.” Commentò Zemo con voce decisa. Elle cercò di guardarsi attorno, mentre la spia verde si accendeva sul sistema di registrazione. “Il fascino della diretta.” Commentò appena il Dottore, sorridendo a tutti i presenti. Elle si agitò ancora. “Cosa vuoi da me, pazzo maniaco?!” Chiese, in preda al panico. “Dov’è Wanda?”

“Tua madre non avrebbe voluto che tu parlassi in questo modo, ma vedo che l’America ti ha insegnato a imprecare come uno scaricatore di porto, giovane Selvig.” Scosse appena il capo. “Annette sarebbe davvero delusa. La tua amica è ben sedata, non preoccuparti. Si sta facendo un… Un buon sonno ristoratore.”

Elle fece un verso isterico, continuando ad agitarsi tra i legacci, il viso pallido che scrutava attorno a sé, incapace di immaginare cosa le sarebbe successo. Doveva salvare Wanda. Doveva tornare a casa. River.

I polsi si macchiarono di sangue vermiglio, mentre continuava ad agitarli nei legacci, macchiando il lettino, il pavimento, il suo stesso abito. Il Dottore non fece un verso, osservandola con le sopracciglia corrugate e scuotendo le spalle. Si voltò verso la telecamera.

“Salve, Vendicatori. Sono un vostro vecchio ammiratore. Sono qui in pace, solo per raccontarvi una piccola storia. Non voglio che siate arrabbiati con me perché mi sono ripreso ciò che mi spetta di diritto.”

Elle scosse il capo, sentendo quelle parole e non riuscendo a trovarvi un senso. Vedeva la spia della telecamera accesa, immaginando i suoi amici, e soprattutto Steve, che osservavano quel video. Scosse il capo. “Non statelo a sentire!” Urlò appena. “Sto bene!”

L’uomo accanto a lei le tirò un colpò al viso, facendoglielo voltare dall’altro lato, un rivolo di sangue che colava dal labbro.

“Dominik…” Commentò seccato il Dottore, quasi guardandolo con rimprovero. “Non si trattano così le nostre giovani ospiti.” Estrasse una piccola pistola, mirando all’uomo e colpendolo dritto alla nuca. Elle emise un verso strozzato, vedendo l’uomo cadere a terra, gli occhi ancora sgranati in un’espressione di sorpresa. Il Dottore non sembrò farci caso, riponendo l’arma.

“Torniamo a noi.” Esclamò appena, sistemandosi i capelli scuri. Il viso, ora che Elle cercava di vederlo, era magro e pallido. Gli occhi erano verdi, acquosi. O forse era solo l’effetto delle droghe.

“Ho conosciuto Annette Selvig quasi trent’anni fa. Una donna fantastica, così piena di principi, di morale, di idee.” Sembrava quasi commosso dal suo racconto. “Eravamo in alto mare con il progetto di ingegneria genetica. Avevamo creato quasi una dozzina di soggetti errati, degli obbrobri della natura, davvero. Poi Annette è entrata nella nostra squadra, e ha progettato il soggetto supremo, quello che cercavamo da decenni. Non solo, ha utilizzato il suo stesso genoma, ma ha anche prelevato quello di un individuo altrettanto geniale.” Si voltò appena verso la ragazza. “Avevi le potenzialità per diventare una grande scienziata, Elle.” Rise della sua stessa battuta. “E’ uno spreco che tu ti sia data solo alla carriera militare, ma dopo tutto il lavoro fatto su di te e tutte le missioni alle quali hai adempiuto con successo, sarebbe stato strano il contrario. Ero davvero contrariato quando ci scivolasti tra le dita, dopo la morte di tua madre. La sua ultima azione fu un tradimento…” Scosse il capo, schioccando le labbra. “Un vero peccato.”

“Cosa…” Elle si sentiva sempre più confusa. “Cosa intendi?”

“Appena tu compisti sei anni, iniziasti il programma di allenamento degno della Red Room. Insieme con alcuni dei maggiori esperti del settore. L’Hydra si è presa molto a cuore la tua…” Sogghignò, cercando la parola giusta. “Istruzione.”

Elle ruggì di rabbia. “Tu menti!” Commentò, una vena di disperazione nella voce. Non voleva che i suoi amici la vedessero così, non voleva che sentissero quella storia, vera o falsa che fosse. Ma dentro di sé, sentiva che qualcosa quadrava, qualcosa in quel racconto stava riempiendo anni di ricordi frammentari e persi.

“Come pensi di essere sempre stata una così elegante combattente? Come pensi di aver imparato quell’istinto innato che ci rende l’ultimo livello della catena evolutiva? Tu sei un nuovo passo nell’evoluzione.”

Estrasse una foto, spiegazzata e vecchia. Una bambina, minuscola e spaventata, sedeva su una grossa sedia, dei magneti stretti alle orbite e un morso di cuoio fra i denti. La calligrafia di sua madre recitava, in modo telegrafico ma quasi ridicolo, come se stesse descrivendo la scena di un compleanno, Elle, otto anni.

“Sei stata programmata, ma tua madre ottenne di essere la sola a conoscere il codice. A tredici anni eri pronta, pronta per entrare in azione, sulla grande scacchiera geopolitica del mondo, per noi. Per l’Hydra.”

Elle scosse ancora il capo, lacrime brucianti che le scendevano sul viso ormai cereo, il sangue ormai secco che riprendeva colore a causa di quelle gocce salate.

“Ti abbiamo assegnato ad uno dei nostri migliori agenti, finché lo stesso, in un rimasuglio di umanità, non pensò che eri troppo piccola, troppo giovane per uccidere a mente fredda chiunque noi ti ordinassimo di eliminare. Fu riprogrammato, in modo che queste idee non potessero tornare di nuovo.

 Tua madre procedeva ad eliminarti la memoria, continuando a farti uscire e rientrare dal tuo stato di soldato e facendoti tornare una normale ragazzina. Per fortuna, tuo padre se ne andò in tempo per permetterci di sfruttare il tuo talento per anni, senza mai nutrire sospetti… Non si è mai nemmeno avvicinato alla verità.”

La Svedese sentiva un gelo attanagliarle il busto, i polmoni, il cuore. Sentiva con assoluta precisione i suoi denti che stridevano tra loro. I polsi doloranti. Le mani insanguinate e appiccicose. Stava per collassare. Non aveva il coraggio di guardare verso gli uomini, o verso la telecamera di fronte a lei. I capelli erano appiccicati al viso sudato. Sentiva la gola riarsa, la vista che andava e tornava a scatti.

“Abbiamo rischiato di perderti a causa del Soldato. Avevi solo quindici anni quando siete scappati insieme. Ma dubito che tu possa ricordare.” L’uomo scosse il capo, quasi un padre annoiato dal ricordo dei capricci di una figlia adolescente.

 

Elle ricordava. Un uomo con una motocicletta. Ricordava la sensazione di libertà, lo zaino sulla schiena. Ricordava la presa ferrea contro la schiena di qualcuno, mentre la madre scendeva sulla strada, avvolta nel cappotto, urlandole di tornare subito in casa. Ricordava il freddo, la neve che cadeva nella grigia periferia di Uppsala, le strade vuote, il calore di qualcun altro mentre la stringeva premurosamente sotto il suo stesso cappotto, un profumo maschile, un ciuffo di capelli scuri fra le sue dita mente una voce bassa le diceva cose che lei non poteva sentire, a parte Penso che siamo condannati.. Lo sguardo dolce, spento, gli occhi grigi che la scrutavano con angoscia.  

 

Non poteva credere alle parole dell’uomo. Anche se i suoi ricordi continuavano a vorticarle intorno, facendo le fusa al suono di quel racconto, confermandolo con silenziosa vergogna. Elle scosse il capo, terrorizzata, mentre strizzava gli occhi per far smettere quel filmato che girava in loop entro le sue palpebre serrate.

Cosa avrebbe pensato Steve? Sapendo che lei sapeva di James. Sapendo che lei sapeva di James molto più di lui, forse. Sapendo che erano fuggiti insieme. Sapendo che lei era un’agente dell’Hydra, la stessa organizzazione che aveva minacciato tutto ciò in cui credeva. Avrebbe pensato che lo aveva tradito? Avrebbe considerato tutto il suo lavoro una montatura?

“TI prego…” Biascicò appena, le labbra ormai pallide come la sua camicia ospedaliera candida. “Smettila.”

“Iniziamo a ricordare qualcosa, giovane Elle?” Sorrise appena il Dottore, avvicinandosi al suo viso con occhi curiosi. Elle scosse il capo, tremante.

“Quando tua madre decedette che era ora di smetterla con le missioni, eri ormai uno dei nostri migliori agenti sul campo. Non potevamo permetterglielo, capisci?”

Elle alzò appena il capo, cercando di trattenere una lacrima bollente, le braccia tese che le dolevano nei punti dove gli aghi perforavano la pelle e raggiungevano le sottili vene blu. Non voleva pensare…

“Bastò una dose poco più massiccia di radiazioni in laboratorio per costringerla nel suo sudario eterno. Ma…” Il Dottore schioccò le labbra in segno di disapprovazione. “Annette aveva cambiato il codice. Fu il suo ultimo, unico regalo per te.”

 

La madre, pallida e scheletrica, senza più nessuno dei suoi bellissimi capelli color platino, le labbra sottili strette in un sorriso dolorante. Elle, seduta al suo fianco, gli occhi ancora grandi e ingenui, che non lasciavano la punta dei suoi stivali alla caviglia, una grossa felpa nera dei Led Zeppelin, i capelli chiari stretti in una coda severa. Strusciava la mano libera, sudata, sui jeans strappati alle ginocchia.

La madre le sorrideva appena, gli occhi che cercavano quasi di rassicurarla, un braccio sottile che usciva da sotto le pesanti coperte, le mani strette in una piccola preghiera. Entrambe si scambiarono uno sguardo timido, prima di ritornare a fissare fuori dallampia finestra, la pioggia che bagnava i tetti della città.

 

“Ora che sai qualcosa, ora che i tuoi colleghi sanno chi sei, finalmente smetteranno di volerti nella loro cricca, e ci lasceranno in pace, figliola.” Commentò lui, sorridendo alla telecamera. “Ci lasceranno cercare di ripristinare questo legame a lungo dimenticato.” Elle emise un sospiro strozzato, cercando di liberarsi ancora, ed ancora. Agitò le gambe, cercando di fare leva per alzarsi. Zemo si avvicinò appena alla barella, ticchettando contro una delle flebo appese sopra di lei.

“Ora, Elle…” Il Dottore estrasse una piccola moneta dalla tasca. “Vorrei che tu sollevassi questa. Per me.”

Scosse il capo, i capelli ormai liberi e sparsi sul suo viso. Continuò a cercare di liberarsi, piantando le unghie nei pesanti legacci, le spalle scosse dalla nausea.

Una mano si avventò sul suo viso, afferrandole i capelli, tirando verso l’alto, costringendola ad alzare il mento in uno scatto doloroso.

LasciamiSubitoAndare…” Commentò appena, stringendo gli occhi in due fessure. Zemo sorrise appena, guardandola. “Perché, cosa pensi di poter fare?”

La moneta scattò dalla mano del dottore, schizzando nell’aria, invisibile. Trafisse il primo uomo nell’occhio, trapassandogli il cranio, mentre gocce rosse macchiavano l’aria. Passò attraverso la stanza, premendo nel petto del secondo uomo, all’altezza del cuore. Il terzo fu attraversato da un’orbita all’altra, una smorfia orribile che distorceva i lineamenti del viso. Elle urlò spaventata, mentre la moneta cadeva a terra, in una pozza di sangue. Zemo la guardò appena, mentre il Dottore sorrideva.

“Elle, Elle..” Scosse il capo. “Non era il caso di fare tutto questo caos.”

Si avvicinò alla giovane, colpendola con un manrovescio al viso.

“Ora devo farti capire che succede se non fai la brava ragazza.”

Si avvicinò ad un piccolo tavolo, sollevando un piccolo interruttore. Premette uno dei pulsanti, senza tradire uno sbuffo quasi divertito. Elle fece appena in tempo a sputare il grumo di sangue, prima che la scossa trafiggesse tutta la sua spina dorsale, le sue ossa. Costringendola ad inarcare la schiena, un urlo agghiacciante che le usciva dalla gola, con una voce quasi non sua. Tremava, l’elettricità che ancora contorceva il suo corpo, gli spasmi involontari che la facevano mugolare dal dolore, la gola ormai secca dalle sue urla. Potevano essere passati una decina di secondi, così come un intero quarto d’ora. I suoi pensieri erano sconnessi. Il suo corpo completamente avvolto dal dolore.

Doveva andarsene, correre, nascondersi. I suoi occhi fissavano il vuoto, mentre sentiva di perdere conoscenza, sparendo nel nulla del dolore.


 xxx


Steve emise un respiro strozzato.

Se fosse stato una persona diversa, sarebbe svenuto, avrebbe distolto lo sguardo, impedendosi di vedere quello spettacolo.

La pelle candida che la notte prima aveva accarezzato all’infinito, aveva baciato fino a farsi seccare le labbra, gli occhi che lo avevano guardato con amore, mentre si chiudevano lentamente, appagati e stanchi. La bocca che aveva cercato ancora, ed ancora, durante quelle poche ore che gli erano state concesse.

Elle era immobile, la pelle coperta di lividi e di sangue. Nello schermo, nitida e senza nessun filtro, la sua immagine non dava segni di respiro. Dopo le contorsioni, dopo i ricordi estratti a forza, dopo le urla. Era rimasto fino alla fine, al buio, a fissare quelle immagini raccapriccianti. Natasha, accanto a lui, si era portata le mani alle labbra, gli occhi improvvisamente arrossati. Erano tutti immobili. Stark aveva gli occhi totalmente sgranati. Sam aveva le labbra aperte in un’espressione confusa, scioccata. Maria era vicina al collasso, la bocca che tremava, la testa che continuava a voltarsi tra lui, gli altri e lo schermo. Come se non credesse che davvero tutti avessero appena visto lo stesso, sadico spettacolo. L’unica persona che avrebbe saputo attirare di nuovo la loro attenzione, l’unica che avrebbe emesso un verdetto d’azione e li avrebbe spinti fuori, a cercare di fermare quell’ecatombe, era dall’altra parte del vetro freddo.

Nessuno osava emettere un fiato.

La connessione si interruppe, lasciandoli nel buio della stanza. Senza emettere un suono, Steve si allontanò appena dal tavolo, alzandosi in piedi. Avanzò verso la porta, senza degnare di attenzione la voce spezzata di Stark che lo richiamava indietro.

 

 

 

 

 

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