summer is almost over

di time_wings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1- Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** 2- Biscotti blu e capitani imbarazzati ***
Capitolo 3: *** 3- La svolta ***
Capitolo 4: *** 4- Novità e chiarimenti ***
Capitolo 5: *** 5- Incontri speciali e rifiuti d'oro ***
Capitolo 6: *** 6- Getti calcolati ***
Capitolo 7: *** 7- Coach irritabili e medicazioni di fortuna ***
Capitolo 8: *** 8- Punti di vista ***
Capitolo 9: *** 9- Festa di Halloween (Parte 1) ***
Capitolo 10: *** 10- Festa di Halloween (Parte 2) ***
Capitolo 11: *** 11 - Camicie nuove di zucca ***
Capitolo 12: *** 12 - Distruzioni e dichiarazioni ***
Capitolo 13: *** 13 - Materie difficili ed appuntamenti insoliti ***
Capitolo 14: *** 14 - Regali difficili e giochi pericolosi (PARTE 1) ***
Capitolo 15: *** 15 - Regali difficili e giochi pericolosi (Parte 2) ***
Capitolo 16: *** 16 - Un'idea spaziale ***
Capitolo 17: *** 17 - Un'avventura notturna. ***
Capitolo 18: *** 18 - Racconti e regali di un Natale alle porte ***
Capitolo 19: *** 19 - Idee sessiste e stupide ***
Capitolo 20: *** 20 - La bomba sganciata ***
Capitolo 21: *** 21 - Tavoli immacolati ***
Capitolo 22: *** 22 - Scoppio ***
Capitolo 23: *** 23 - Scoperta ***
Capitolo 24: *** 24 - Amici ***
Capitolo 25: *** 25 - Il Ballo (Parte 1) ***
Capitolo 26: *** 26 - Il ballo (Parte 2) ***
Capitolo 27: *** 27 - Un vecchio inizio ***



Capitolo 1
*** 1- Un nuovo inizio ***


Angolo dell’autrice: Ciao, amici. Ho iniziato questa storia a tempo perso e ho pensato di provare a pubblicarla qui. I primi capitoli saranno un po’ corti e non molto pieni di eventi, dato che, essendo AU, ho avuto bisogno di introdurre i personaggi nella loro vita e nelle loro abitudini, ma lentamente il tutto inizierà ad avere un senso (si spera). La storia avrà dei riferimenti al libro abbastanza velati, quindi non ci saranno spoiler. Ho una paura matta di non essere IC, ma prima o poi avrei dovuto trovare il coraggio per pubblicarla, quindi eccomi qui. Ho altri sette capitoli pronti, quindi dovrei riuscire ad aggiornare regolarmente.
Bene, credo sia tutto, ma sono sicura di essermi dimenticata qualcosa.
Vi aspetto in tanti nella sezione commenti. Buona lettura.
T_W




UN NUOVO INIZIO
 
La strada sfrecciava davanti agli occhi di Leo impedendogli di potersi soffermare su qualunque cosa vedesse. Le luci del tramonto davano alle colline messicane un colore rosso sbiadito rendendo tutto ancora più malinconico di quanto non fosse già. Era partito da non più di un paio d'ore e già sentiva nostalgia di casa, o meglio della sua vecchia casa.
Una nuova vita. Leo non faceva altro che chiedersi a cosa servisse. Era a stento riuscito ad avere degli ottimi amici in Messico. Amici che adesso doveva dimenticare. Nonostante odiasse darlo a vedere sapeva benissimo di non riuscire a capire al volo le persone: l'idea di conoscerne di nuove non faceva che tormentarlo e, per quanto non volesse ammetterlo, lo terrorizzava.
37 ore.
Erano davvero troppe.
Leo iniziò a tamburellare col piede totalmente immerso nei suoi pensieri.
 
Piper odiava aspettare. Più di tutto odiava aspettare Luke, il suo ragazzo. In tutto quel tempo era riuscita anche a comprare un regalo ad Annabeth, la sua migliore amica, per il suo compleanno ed a sedersi su una panchina presa da minuti e minuti in ostaggio da bambini con grandi gelati ed i loro nonni.
Dopo quasi un'ora di attesa Luke spuntò da un vicolo buio salutandola con la mano e con un sorriso strafottente in viso.
"Ciao!" La salutò sporgendosi per baciarla. Lei si scostò e prese a fissarlo imbronciata.
"Oh, ma dai, ho fatto tardi solo di qualche minuto." Piper inarcò un sopracciglio.
"E va bene. Allora vado un attimo a prendere il regalo per Annabeth. Torno subito." Piper roteò gli occhi al cielo e alzò la busta con un gesto eloquente.
"Aaah, Ti adoro." Luke prese il viso di Piper tra le mani e la baciò impedendole di spostarsi di nuovo.
"Vieni" riprese il biondo tra un bacio e l'altro: "ti porto in un posto." Disse quasi sussurrando, come fosse un segreto.
Piper sbuffò, poi sorrise: "E va bene. Ma ti conviene sia bellissimo."
"Vedrai." Il ragazzo le fece l'occhiolino e la prese per mano conducendola nel posto segreto sotto gli occhi curiosi della sua ragazza.
 
"Va bene" rispose un ragazzo sui diciassette anni, i capelli neri sembravano fondersi con l'oscurità.
"Ma spero per te sia roba buona. Non ho intenzione di fumarmi altra merda." aggiunse porgendo dei soldi al suo interlocutore, si girò e fece per andarsene, ma sentì una stretta forte saldarsi al suo braccio: "Percy?" Lo richiamò lo spacciatore: "Ti prego, non dire a nessuno che sono stato io a dartela."
"Sì, sì." lo liquidò noncurante il ragazzo: "Stai tranquillo. A domani, amico".
Percy uscì nella strada un po' più illuminata del vicolo dal quale era appena sbucato che si apriva sulla destra e camminò per qualche metro. Di fronte a lui due ragazzi che sembravano avere più o meno la sua età, iniziavano a spingersi con fare sempre più minaccioso. Vedeva cose del genere da anni, ormai. Era abituato al suo quartiere, ma ogni tanto gli piaceva alzare gli occhi al cielo per ricordarsi che poteva essere più limpido di così se solo avesse visto oltre le solite vecchie nubi che sembravano aver assorbito lo smog prendendone il colore. Perso tra i suoi pensieri, Percy non riuscì a fermarsi in tempo per evitare di scontrarsi con una ragazza dai capelli biondi che puntò i suoi occhi grigi nei suoi. "Scusa" balbettò lei abbassando lo sguardo. "Io..."
"Guarda dove metti i piedi." le rispose scontroso il moro interrompendola e superandola con una spallata.
 
 
All'improvviso un ragazzo sui diciotto anni, con un bel corpo snello, gli occhi azzurri ed i capelli biondi si fece largo nel bar senza passare inosservato agli occhi della ragazza che l’aveva visto entrare dall’altra parte del bar.
"Mhh, sembra carino." Commentò con un pizzico di malizia nella voce.
"Oh, ma dai, sembra appena uscito da un centro estetico!" Protestò il ragazzo al suo fianco, aveva corti capelli a spazzola e tratti asiatici non molto marcati.
"Frank, converrebbe anche a te farci un salto ogni tanto."
"Ehi, attenta alle parole, sono pur sempre il tuo migliore amico!" Disse Frank: "Il tuo unico amico, aggiungerei."
"Io vado a parlarci!" E, così dicendo, la ragazza si alzò e si avviò verso il bancone dall'altra parte del bar.
"No, aspetta, Hazel!" Tentò invano di richiamarla l'altro.
In quello stesso istante un ragazzo dai capelli neri e spettinati, coi vestiti perfettamente intonati al resto andò verso Frank con un sorriso stranamente stampato in faccia.
"Nico?" Disse sbalordito Frank: "T...tu sai sorridere?" Azzardò.
"Hazel ci sta provando con quello lì?" Domandò l’altro ignorando la domanda dell’amico.
"Sì, non sono riuscito a fermarla" replicò affranto l'altro.
"Oh, non preoccuparti. Non ce n'è bisogno"
"E tu come..." iniziò Frank. In quel momento la ragazza tornò indietro con un sorriso imbarazzato dipinto in volto.
"Ebbene, mia cara?" La incalzò Nico, col tono di uno che sembrava saperla lunga.
"È gay." Dichiarò asettica Hazel, tornando a sedere al tavolo.
"Oh, ma non mi dire!" Replicò il moro.
I due commensali lo guardarono confusi in attesa di spiegazioni, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di porre apertamente la domanda che era sorta ad entrambi e Nico, dal canto suo, non perse tempo a dare spiegazioni.
 
 
Nico prese le chiavi di casa pronto a raggiungere sua sorella ed il suo migliore amico al solito bar. Spense le luci ed abbassò la maniglia della porta. Non ebbe neanche il tempo di mettere un piede al di là della soglia, che si ritrovò davanti un ragazzo biondo che puntò i suoi splendidi occhi azzurri in quelli di Nico.
"Will" lo salutò lui indifferente, senza farsi spaventare dall’arrivo improvviso dell’altro: "Scusa, ma stavo uscendo."
"Io non credo proprio" replicò l'altro guardandolo con una strana luce negli occhi. Prima che Nico potesse rendersene conto, Will aveva già chiuso la porta alle sue spalle e l'aveva sbattuto al muro, mentre l’eccitazione cresceva facendo dimenticare a Nico il dolore che la botta gli aveva procurato alla base della schiena. Il nuovo arrivato abbassò lo sguardo sui pantaloni del moro e li guardò come fossero il suo più grande ostacolo. Tirò giù la zip senza troppe cerimonie ed iniziò a toccarlo. Nico si lasciò sfuggire un gemito sapendo che quello, per Will, equivaleva ad un silenzioso permesso di continuare, ma sapeva anche che la cosa non gli dispiaceva poi tanto.
Il biondo gli tolse delicatamente la maglietta nera e lo portò sul letto stendendosi sopra di lui ed iniziando a baciarlo su ogni centimetro di pelle che trovava sulla sua strada, poi riprese a toccarlo con più desiderio.
"Will... devo scend..." tentò Nico sapendo benissimo di non essere per nulla credibile.
"Mh mh" gli rispose distrattamente l'altro.
Nico si lasciò andare al piacere poco dopo, ma riuscì a riprendere possesso della sua vita solo dopo che il biondo ebbe finito di rivestirsi.
"Okay, ora puoi andare." Disse facendosi di nuovo serio.
"Ma, Nico..."
"Lo sai che è solo sesso, niente di più. Devo scendere e gli altri potrebbero insospettirsi." E, così dicendo, lo spinse fuori dalla porta richiudendogliela in faccia.
Nel momento in cui si ritrovò di nuovo solo si accorse che quell'evento inaspettato era stato tutto tranne che spiacevole. Un sorriso compiaciuto gli si dipinse irrimediabilmente in viso, insieme ad una sensazione vagamente simile al senso di colpa per averlo cacciato brutalmente via di casa.
Aspettò di riprendersi un po' prima di andare al bar da Hazel e Frank, sperando che fossero stati troppo impegnati a parlare d’altro per rendersi conto che Nico ci stava mettendo più tempo del previsto.

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Capitolo 2
*** 2- Biscotti blu e capitani imbarazzati ***


Angolo dell’autrice: Buooona domenica, cari lettori. Il capitolo di quest’oggi è l’unione del secondo e del terzo perché, detto fra noi, mi sembravano davvero troppo miseri e privi di eventi presi da soli. Per fortuna ne ho altri da parte, ma non so per quanto dureranno ancora dato che, vista l’imminente fine della scuola, ho davvero poco tempo per scrivere, sigh. Ma questo non vi interessa, quindi perché lo sto dicendo? Chissà. Vi lascio al capitolo, dove piccole cose ci faranno conoscere di più i nostri personaggi. Ah, Jason in questo capitolo sembra stare in due posti contemporaneamente, ma l'episodio con Leo accade ad ora di pranzo, dopo quello successivo nella storia con Piper. Ci tengo a chiarirlo perchè anch'io, rileggendolo, mi sono chiesta cosa diavolo avessi scritto. Va bene, adesso vado, lo giuro. BUONA LETTURAAA!
T­­_W

 
BISCOTTI BLU E CAPITANI IMBARAZZATI
 
Frank continuava a pensare a come per Hazel fosse naturale prendere coraggio ed andare a parlare con un ragazzo. Certo, per lei era sempre stato facile: aveva sempre saputo di essere una bella ragazza, i suoi occhi erano misteriosi ed interessanti, i suoi capelli ricci profumavano di vaniglia. Frank si era sempre sentito fuori luogo e la sua stazza non l'aveva mai aiutato a nascondersi nella folla. Faceva di tutto per non attirare l'attenzione su di sé; andava in giro vestito in modo semplice, colori scuri come il nero, il grigio, il blu erano gli unici presenti nel suo armadio. I suoi capelli gli conferivano un aspetto anonimo e, nonostante l'aria da duro che cercava e ci teneva a mostrare a tutti, era sempre stato un ragazzo fragile, come un magro legnetto che arde.
Per di più la sua migliore amica non lo aiutava per niente ad accettarsi. Hazel e Frank erano amici da anni, ma Hazel era sempre stata troppo interessata a cercare lontano qualcuno che l'amasse piuttosto che notare che qualcuno pronto a sostenerla e ad apprezzarla ce l'aveva sempre avuto davanti. Ebbene sì, Frank aveva sempre valutato la loro come un po' più di una semplice amicizia, ma lei era sempre stata troppo cieca per notarlo.
Frank camminava per le strade di Manhattan, con le cuffiette nelle orecchie e la musica a palla, ma non riusciva a non pensare a Hazel ed alla sua inadeguatezza.
Svoltò nel vicolo di casa di sua nonna e bussò al grande portone rosso fuoco che stonava nel paesaggio di case omologate che lo circondavano.
"Fai!" Sbraitò sua nonna aprendogli la porta: "dove sei stato per tutto questo tempo?" Frank prese il cellulare dalla tasca e notò, con sua sorpresa, che si erano già fatte le undici di sera.
"Al bar" rispose distaccato il ragazzo. Aveva proprio la testa altrove.
"Non rispondermi così!" Lo rimproverò nonna Zhang: "Ti rendi conto che ti ho aspettato per un'ora per cenare?"
"Scusa" si limitò a rispondere Frank: "vado in camera mia." Sentenziò salendo di corsa le scale e, prima che sua nonna potesse ribattere, entrò nella sua stanza e lanciò il cellulare sul letto. Prese il pc dalla scrivania e scrollò la home di Instagram annoiato. Una foto di una ragazza bellissima, dai capelli lisci e scuri e la pelle olivastra attirò la sua attenzione: "Piper McLean..." sussurrò leggendo il suo nome sopra la foto: "Perché ti conosco?". In quel momento lo schermo del suo cellulare si illuminò distogliendolo dai suoi pensieri e rivelando un messaggio di Hazel: “Frank? Puoi parlare?” Il solito ragazzo che le ha dato buca pensò seccato Frank. Collegò il cellulare all'alimentatore e prima che potesse fare altro si rese conto che il sonno si stava lentamente impossessando del suo corpo.
 
33 ore.
Dopo quattro ore di auto Leo era sfinito come se avesse appena corso la maratona a New York. Per di più sapeva che il fuso orario, seppur di due ore, l'avrebbe presto destabilizzato. Per lui erano ancora le nove di sera, ma sapeva che a New York erano già le undici. Dove si trovava di preciso? Bella domanda: non ne aveva idea. Che ore fossero? Probabilmente ancora le nove, era sicuro di essere ancora in messico. Le tre ore successive le passò a riguardare le foto dell'estate passata con i suoi amici, poi si rese conto che tutto ciò non faceva altro che renderlo più nostalgico della sua vecchia casa ed optò per un po' di musica rock. Staccò un fil di ferro preso dalle strane decorazioni che aveva applicato al suo zaino ed iniziò a giocherellarci sovrappensiero dandogli lentamente una strana forma.
Per il suo orologio biologico era già mezzanotte, ma Leo non si sentiva affatto stanco. Iniziò ad interrogarsi su cosa stessero facendo i suoi futuri amici in quel momento. Probabilmente si erano già addormentati da un pezzo, ma Leo confidava che qualcuno di loro fosse iperattivo come lui e magari anche un po' insonne e che quindi passasse la notte sveglio e non avesse la minima idea del fatto che il suo futuro migliore amico stesse già pensando a lui.
Le tre ore successive le passò un po' sonnecchiando, un po' giocando a scacchi sul cellulare (attività che trovava molto da nerd, ma che adorava e lo mandava in fissa da un po')
Mancavano 27 ore per l’arrivo a New York quando Esperanza Valdez, sua madre, annunciò che si sarebbero presto fermati per la notte.
 
Hazel non si era mai sentita così. Era rimasta al bar con il suo fratellastro, come spesso accadeva quando Frank aveva da fare il giorno dopo e si avviava a casa prima per non addormentarsi tardi, ma questa volta era totalmente diverso: da quando Frank era andato via sentiva una sensazione di vuoto allo stomaco, come quella che spesso si avverte sulle montagne russe. Sembrava che le mancasse qualcosa e non era in vena di conoscere persone. Hazel non era una ragazza facile, non voleva andare a letto con i ragazzi che amava conoscere al bar, non voleva neanche baciarli, in realtà. Hazel era cresciuta con sua madre e non aveva avuto un'infanzia felice. Sua madre l'aveva sempre trattata male, finché un giorno era tornata a casa da scuola ed aveva trovato un biglietto sul tavolo: “Me ne sono andata. Scusa.” Hazel si era sempre sentita odiata da tutti ed era semplicemente in cerca d'affetto. Frank non bastava, Nico neanche, ne voleva sempre di più.
Dopo essersi annoiata abbastanza al bancone tornò a sedersi accanto a Nico.
"Niente?" Domandò il ragazzo senza alzare gli occhi dal suo drink.
"Non sono in vena. Penso andrò a casa."
"Ehm..." in quel momento Nico iniziò a chiedersi se avesse effettivamente messo tutto in ordine dopo l'incontro con Will. "Vengo con te".
Una passeggiata muta li condusse a casa e, quando passarono per il vicolo in cui abitava Frank, Hazel non poté fare a meno di esitare con lo sguardo su quel portone rosso.
Arrivarono a casa e Nico si affrettò ad aprire il portone e fiondarsi in casa. Mentre Hazel entrava sentì suo fratello tirare un sospiro di sollievo.
"Che c'è?" Domandò sua sorella una volta entrata.
"Niente, devi essere stanca. Vai a dormire"
Hazel avrebbe davvero voluto chiedere cosa ci fosse di strano, ma il richiamo del sonno era troppo forte e si appuntò mentalmente di ricordarsi di indagare.
"Buonanotte" disse, avviandosi verso il letto.
"'Notte." Rispose frettoloso il ragazzo.
 
"Piper!" Urlò Annabeth al telefono facendo sobbalzare l’amica: "Hai presente quando ti innamori degli sconosciuti per strada?"
"Sono le otto del mattino! Stavo dormendo!" Si lamentò la ragazza infastidita: "e poi mi sorprende una chiamata così frivola da parte tua!" aggiunse sorridendo. "Allora chi è?"
"Non lo so" rispose Annabeth dall'altra parte del telefono: "ma devo concentrarmi sullo studio. Domani iniziamo."
"Non me lo ricordare. Devo godermi quest'estate fino all'ultimo giorno." Ribatté abbattuta Piper. "Ora devo scendere con Luke. A dopo!" Aggiunse con rinnovata felicità.
"Ciao!" Salutò Annabeth.
Nonostante la noia di rimettersi a studiare, Annabeth non poteva fare a meno di pensare che quattro giorni dopo sarebbe stato il suo compleanno. Come ogni anno, sapeva che le avrebbero organizzato una festa a sorpresa, ma Piper si ostinava ad organizzarla ogni anno sperando che Annabeth non fosse tanto furba da capirlo di nuovo.
Ovviamente ogni tentativo di Piper era sempre stato, anno dopo anno, vano, ma Annabeth l'aveva sempre apprezzato ed il pensiero di un’altra quasi-sorpresa da parte dell’amica le fece spuntare un sorriso speranzoso: magari quello sarebbe stato l’anno della svolta nella sua vita, forse la monotonia dei suoi giorni avrebbe lasciato il posto a nuovi amici, avventure indimenticabili, ricordi duraturi. Annabeth non vedeva l’ora di scoprirlo.
 
A Jason piaceva andare in bicicletta nel viale sotto casa sua. Era una delle poche cose che faceva per le quali non si sentiva costretto a dare il massimo, sforzandosi di essere un modello da seguire in tutto. Con i suoi capelli biondi, gli occhi azzurri ed un fisico perfetto doveva sempre essere all'altezza delle aspettative. Oltre ad essere il capitano della squadra di football aveva anche voti eccellenti a scuola, però qualche volta pensava che violare le regole sarebbe stato bello, gli avrebbe donato un brivido, l'avrebbe fatto sentire vivo. In quel momento un ragazzo della sua età, con i capelli scuri e spettinati e gli occhi verde mare gli passò davanti sfrecciando nella direzione opposta alla sua con il suo skate.
"Ciao, Jackson." Salutò con una punta di invidia nella voce. Lui si che era un ribelle e Jason trovava che fosse un perfetto idiota, ma faceva cose da capogiro. Peccato che si odiassero a morte. Percy Jackson era nella sua squadra di football e voleva, più d'ogni altra cosa, essere il capitano al posto di Jason. Tra loro, la competizione era alle stelle.
"Ciao, Grace" ricambiò il moro rallentando con un sorriso di sfida.
"Percy, spero..." ma l’altro era già sfrecciato via. "Che quest'anno andremo d'accordo. O almeno, che ci proveremo." Disse sottovoce Jason affranto.
 
24 ore.
 
Per la prima volta dopo tanto tempo il rumore assordante della sveglia di Annabeth si insinuò nei suoi sogni. Ci mise un po' prima di capire che quel suono proveniva dal mondo reale. Aprì gli occhi, ma subito dopo una luce accecante proveniente dalla finestra glieli fece di nuovo chiudere.
Dopo cinque minuti buoni riuscì ad alzarsi dal letto con la testa che girava e le labbra secche. Si sedette a tavola pronta per fare colazione, ma dopo aver scrollato la home di Instagram per un po' si rese conto che quei famosi 'cinque minuti buoni' erano stati, in realtà, venti.
Corse verso il bagno a prepararsi, si dimenticò di truccarsi e prese i primi vestiti che trovò nell'armadio.
Annabeth non era quel tipo di ragazza che teneva più di tanto al suo aspetto. Al contrario della sua amica Piper, Annabeth non aveva passato tutto il giorno precedente a cercare qualcosa da indossare per il giorno dopo: non ci teneva a dare una buona impressione il primo giorno di scuola visto che, come al solito, quello dopo tutti sarebbero ritornati i soliti sacchi appisolati e vestiti di stracci di sempre. 
Appena il citofono bussò, Annabeth si precipitò a dire che sarebbe scesa dopo due minuti e cercò in tutti i modi di preparare lo zaino e di infilarsi le scarpe in quel breve lasso di tempo.
"Alla buon'ora!" Esclamò Piper appena Annabeth si fece viva.
"Scusa, andiamo." Si affrettò a rispondere la bionda trafelata.
"E non ti sei neanche messa qualcosa di elegante addosso!" La rimproverò affranta l'amica.
"Piper, non è il momento." E insieme si avviarono a scuola parlando delle cose di cui parlavano da anni. Le solite vecchie cose che non finivano mai.
"Quindi vi siete lasciati?" Domandò Annabeth che non era riuscita a seguire a dovere il lungo monologo dell'amica a quell'ora del mattino.
"Ma mia ascolti? No! Abbiamo solo litigato. Solo che questa volta è diverso."
"Lo dici ogni volta" rispose scocciata Annabeth.
"Ma questa volta lo dico sul serio: è proprio diverso."
"Dici ogni volta anche questo" ribatté l'amica.
"Per fortuna siamo arrivate!" Esclamò Piper seccata: "non potevo sopportarti più!"
"Figurati io." rise Annabeth.
Si diressero nelle loro classi e la giornata che tutti temevano iniziò.
 
Leo non poteva crederci: era finalmente arrivato a New York. Per il suo orologio biologico erano ancora le sei del mattino, ma si sentiva troppo carico per avvertire il minimo sintomo del sonno.
La città gli passò davanti rapidamente e Leo si ripromise di farsi un bel giro per conoscerla meglio. L'auto virò in un vicolo, i palazzi in mattoni non permettevano alla luce di farsi troppa strada ed i lampioni posti ad intervalli regolari per il viale gli conferivano una luce inquietante: "è... è qui che vivremo?" Domandò Leo sperando in una risposta che negasse i suoi dubbi. Esperanza Valdez non ebbe neanche il tempo di rispondere, perché fermò la macchina facendo capire al figlio che quella sarebbe stata la loro nuova casa. "So che non è il massimo" ammise lei spegnendo il motore: "ma ci troveremo bene!" Leo sorrise poco convinto, ma non voleva che il suo entusiasmo fosse frenato da una notizia così sciocca.
All'interno la casa si presentava anche peggio di come ce la si potesse aspettare guardandola da fuori.
Qualche ora dopo, Leo e sua madre avevano già aperto qualche scatolone: "è ora di fare una pausa" annunciò Esperanza passandosi il dorso di una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore.
"Va bene, vado a farmi un giro."
"Ah Leo!" Lo fermò sua madre. Il ragazzo aveva già infilato la felpa rossa che usava come giubbino quando si bloccò girando il viso quanto bastava per vedere sua madre: "dopodomani inizierai la scu..."
"Mamma!" L'interruppe Leo: "ma dai! Sono appena arrivato! Dammi il tempo di ambientarmi!" Si lamentò lui.
"Ne abbiamo già parlato. Non rendere questo trasferimento ancora più stancante, ti prego." Leo ne era certo: sua madre si stava giocando la scusa della stanchezza e degli occhioni dolci per bloccare la sua parlantina.
"E va bene" rispose lui cedendo e regalandole un sorriso dolce. Esperanza iniziò a chiedersi quante ragazze avrebbe conquistato con quello sguardo vispo ed il sorriso sincero e soffocò una risata.
"Che c'è?" Domandò Leo confuso: "che ho fatto?"
"Niente, adesso vai!"
Qualche minuto dopo Leo si aggirava per le strade di New York cercando di non perdere il senso dell'orientamento e memorizzando punti di riferimento.
Una pasticceria dai colori sgargianti attirò la sua attenzione e ci entrò senza pensarci troppo.
"Salve!" Urlò Leo cercando di farsi sentire dato che non aveva visto nessuno.
Una donna coperta di farina sbucò da sotto il bancone: "Oh, ciao, dolcezza" gli disse con un sorriso a trentadue denti: "cosa desideri?"
"Io... beh..." solo in quel momento Leo si accorse di essere entrato senza una richiesta ben precisa. Per fortuna trovò qualche spicciolo nelle sue tasche ed iniziò a leggere i cartellini dei dolci, cosa che gli fu parecchio difficile essendo dislessico. "Leggi pure i nomi dei dolci che ti interessano di più" lo incalzò la donna.
"Ehm... questi blu sembrano..."
"Oh, si! Mio figlio li adora, ottima scelta!" Disse estraendo dei biscotti glassati di blu dalla vetrina.
Leo pagò, prese il biglietto da visita che la pasticciera gli mise tra le mani e lo ripose nella tasca della felpa. Fece, poi, per andarsene quando sentì di nuovo la voce della donna: "Sei nuovo qui, eh? Non ti ho mai visto da queste parti, sai, vedo tante persone!"
"Oh, si, sono appena arrivato." rispose imbarazzato il ragazzo.
"Bene! Allora ci vediamo, a presto!"
"A presto!"
Leo uscì dalla pasticceria aprendo la busta e scartando i biscotti: erano buonissimi, chiunque fosse il figlio di quella pasticciera Leo era sicuro dovesse essere parecchio fortunato.
Trovare la via di casa richiese un po' di tempo, ma Leo riuscì a rientrare per ora di pranzo.
"Ciao mamma!" Urlò chiudendosi la porta alle spalle. Un uomo biondo, alto e molto muscoloso lo salutò con un cenno della mano, al suo seguito un ragazzo altrettanto biondo, che doveva avere più o meno la sua età lo seguiva con aria scocciata senza degnarlo di uno sguardo. "Mamma?" Chiamò Leo quando i due furono passati.
"Oh, ciao Leo!" Lo salutò lei appena lo vide: "ho chiamato l'elettricista, abbiamo già qualche problema. Metti a posto questo?" Gli disse tutto d'un fiato mettendogli uno scatolone tra le mani ed allontanandosi: "hai comprato i biscotti? Offrine qualcuno al ragazzo". Leo storse il naso. Li aveva appena comprati e non voleva certo condividerli con uno sconosciuto, ma era troppo stanco per obiettare, così, dopo aver messo in ordine il contenuto dello scatolone si accasciò su una sedia in cucina e scartò la busta di biscotti. In quel momento il ragazzo biondo spuntò dal salotto e Leo si ritrovò costretto ad offrirgliene qualcuno.
"Ne vuoi uno?" Domandò timidamente.
"Oh, grazie!" Accettò il ragazzo. Leo non ne fu troppo felice.
"Certo, tu sei..." iniziò il messicano che non riusciva proprio a starsene zitto.
"Jason"
"Leo!" Trillò il ragazzo porgendogli una mano.
Cinque minuti dopo erano ancora seduti lì in silenzio a mangiare biscotti.
"Ehi amico, vacci piano" disse Leo per rompere il silenzio.
Jason non dovette gradire molto la battuta, perché gli rifilò un'occhiataccia e se ne andò.
"Oppure puoi piantarmi in asso così, certo!" Gli gridò dietro Leo che odiava essere ignorato.
Per ora di New York gli piacevano solo i biscotti.
 
Hazel uscì dalla sua classe e cercò istintivamente Frank nella folla di ragazzi che si era riversata fuori pronta per distribuire volantini di qualunque attività o festa che quei ragazzi che Hazel non aveva mai sopportato si affettava ad organizzare già il primo giorno di scuola.
"Levesque!" La salutò una ragazza bellissima andandole incontro.
"Piper, ciao!" Ricambiò Hazel sorridendo appena.
"Tra tre giorni ci sarà il compleanno di Annabeth e sto organizzando una festa a sorpresa." Iniziò felice Piper. A Hazel non era mai andata particolarmente a genio, non c'era mai stato un motivo preciso, Piper non era neanche una ragazza particolarmente popolare a scuola, nonostante fosse bellissima e solare, cosa che Hazel apprezzava, ma per qualche inspiegabile motivo la metteva un po' a disagio. Mentre questi pensieri le affollavano la testa, Hazel quasi si dimenticò dell'invito di Piper che però non si era accorta di nulla perché troppo presa a parlare: "Allora? Verresti? Puoi portare anche tuo fratello ed il tuo ragazzo."
"Il mio... ragazzo?" Tentennò Hazel pur sapendo a chi Piper si riferisse.
"Sì, quello lì che ti fissa non è il tuo ragazzo?" Indicò con gli occhi la ragazza.
Hazel si girò a guardare: "oh, no, siamo solo amici. Comunque ci saremo." L'imbarazzo che trapelava dalla sua voce e la velocità con cui pronunciò quelle parole fecero spuntare un sorriso sul volto di Piper che, però, decise di lasciar correre ed andare a cercare il capitano della squadra di football, Jason, per invitarlo alla festa di Annabeth.
"Ciao Jason!" Salutò Piper da lontano avvicinandosi a lui.
"Oh, ciao." Ricambiò lui arrossendo vistosamente: "volevi chiedermi qualcosa?" Domandò cercando di controllare le sue reazioni.
"Ehm... si" rispose la ragazza iniziando ad imbarazzarsi a sua volta e riprendendosi dopo qualche secondo di insostenibile silenzio: "Tra qualche giorno sarà il compleanno di Annabeth. Tu verresti alla sua festa a sorpresa?"
"Oh, tu mi stai... Sì!" sorrise entusiasta Jason guardandola negli occhi per troppo tempo. 
"Va bene, allora ci vediamo?" Domandò Piper che iniziava ad arrossire di nuovo.
"Sí, ciao." Rispose Jason riscuotendosi e scappando via.
A Piper non mancava più nessuno da invitare, così si decise a cercare Annabeth per passare del tempo con lei e non farla insospettire.
"Ciao!" Salutò Piper quasi urlando.
"Shh" la zittì la bionda avvicinandola a sé senza staccare gli occhi dal ragazzo che aveva davanti: "Quasi non ci credo. È lui!"
"Lo sconosciuto in strada?" Si informò Piper.
"Sì, devo sapere chi è. Non posso credere stia a scuola nostra!"
"Calma. Lo scoprirò."
Annabeth si riscosse ricordandosi di dover correre in classe e se ne andò salutando l’amica velocemente. Intanto Piper era rimasta a guardare il ragazzo davanti a lei mentre un'assurda idea iniziava ad insinuarsi nella sua mente.

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Capitolo 3
*** 3- La svolta ***


Note dell'autrice: Ciaaaaaao, amici. Il titolo del capitolo di quest'oggi è molto azzeccato, dato che dal prossimo le cose si faranno più intricate ed interessanti. Spero che troviate i personaggi IC e che la storia non vi abbia delusi. Le coppie non sono ancora molto facili da inserire, ma ho altri capitoli pronti e posso assicurarvi che ben presto anche la più piccola cosa vi sarà chiara. Non voglio anticipare nulla di più. Spero di trovarvi presto nella sezione commenti! Alla prossima!
T_W


LA SVOLTA
 
Il secondo giorno di scuola fu sicuramente traumatico per tutti, ma mai come il primo. Le attività di sempre iniziavano con un po' più di entusiasmo del solito. Jason, Percy e gli altri della squadra avevano già fatto il primo allenamento il primo giorno di scuola, nel tardo pomeriggio, ed il moro sembrava intenzionato ogni anno di più a rubare il posto a Jason.
Ciò che fu veramente traumatico, per Hazel, fu ciò che accadde quel pomeriggio, quando ad esitare sulla porta di Frank non furono i suoi occhi, come la sera prima, ma la sua mano.
Si fece coraggio e bussò. Uno stanco Frank aprì annoiato la porta per poi riscuotersi alla vista della ragazza: "Oh, ciao, Hazel. Volevi... ehm, dirmi qualcosa?" Il colore delle sue guance cambiò immediatamente tingendole di rosso.
Dal canto suo, la ragazza non era per niente a suo agio, ma riuscì miracolosamente a parlare: "Frank, ciao, in realtà non so perché sia qui, mi mancavi." Pareva impossibile, ma dopo quelle ultime due parole il rossore sulle guance di Frank aumentò ancora.
"Vieni, entra." Si limitò a dire facendole strada e dandole le spalle per cercare di riprendere il controllo del suo viso.
Appena entrata, Hazel notò la nonna di Frank con un sorrisetto furbo stampato in faccia, ma non potè indagare molto perché Frank era già salito e Hazel si ritrovò costretta a seguirlo. Frank richiuse la porta della sua stanza sedendosi sul letto: "Bene" sentenziò. Più che arrabbiato sembrava confuso.
Lo strano imbarazzo che tra loro non c'era mai stato, lentamente si diradò. Parlarono per un tempo che ad entrambi sembrò infinito, abbracciandosi distesi sul letto con la TV che elencava risultati sportivi da circa mezz'ora come sottofondo.
"Lo sai? Ti voglio davvero bene." Disse con leggerezza Hazel, quasi senza pensarci. Sotto di lei, sentì Frank irrigidirsi: "scusa" l'imbarazzo tornò a mostrarsi come quando era entrata e Hazel iniziò quasi a chiedersi come avessero fatto, fino ad allora, a stare così vicini.
"Anch'io. Tanto." Disse lui dopo un lungo silenzio: "a volte mi dispiace" continuò come se un vento fortissimo  iniziasse ad abbattere quel muro che aveva costruito dentro di lui: "mi dispiace perché tu sei sicura di te ed io molto di meno, perché sai come piacere alle persone, come comportarti con loro ed apparire simpatica e mentre lo fai, tu... tu non te ne rendi conto, ma io si, perché ti osservo da lontano, ma tu sei... insomma sei..." una lunga pausa imbarazzata interruppe le parole che Frank aveva sputato fuori troppo velocemente per poterle fermare. Frank non parlava mai così tanto, né si azzardava ad esprimere le sue emozioni e mettersi a nudo e Hazel non ebbe il coraggio di parlare, quindi rimase in silenzio aspettando che Frank continuasse con un'ultima parola dolorosa: "bellissima" continuò con una semplicità disarmante.
Hazel non sapeva cosa dire. Il suo istinto, invece, lo sapeva eccome.
Hazel non aveva mai dato il suo primo bacio, ma quando sfiorò le labbra di Frank con le sue le sembrò la cosa più naturale del mondo. Chiuse gli occhi ed assaporò la dolcezza delle labbra del ragazzo mentre le loro lingue si intrecciavano desiderandosi sempre di più. Potevano essere passati dieci secondi come ore intere quando Frank la liberò con un'espressione a metà tra l'estasiato e lo sconvolto, mentre lei iniziava a sentirsi in colpa per quel bacio ogni secondo di più. Non era sicura di provare per Frank quello che evidentemente provava lui per lei. Hazel si riscosse mormorando qualche scusa e alzandosi velocemente dal letto.
Il volto di Frank riprese l'espressione triste che la ragazza notò per la prima volta essere presente lì da sempre.
"Io..." Hazel ruppe il silenzio carico di tensione che si era creato: "credo di aver fatto un errore. Io, davvero, non sono sicura di ciò che provo per te. Non voglio rovinare la nostra amicizia."
Frank era triste, era evidente, ma sembrò capirla, d'altro canto lui era l'unica persona assieme a Nico a conoscerla davvero. In quel momento si rese conto che non poteva permettersi di perderlo. Lui aprì la bocca per parlare, ma lei riprese parlando al doppio della velocità: "Frank, sono seria. Io non posso perderti, sei una delle persone più importanti della mia vita, non posso permettermelo. Ho bisogno di te." Frank sembrò trarre un sospiro di sollievo: "Stavo per dirti che anch'io non ho chiaro ciò che provo per te, ma conto di scoprirlo insieme, non essendo lontani."
"Scusa." Hazel si voltò per andarsene, in balia dell'imbarazzo. Scese le scale che conducevano alla camera del ragazzo e superò la cucina uscendo, non trovando il coraggio per incorciare gli occhi curiosi della nonna del ragazzo. Frank la guardò allontanarsi dal viale e tornò indietro sconsolato, andando verso la sua stanza: "Fai!" Lo chiamò la nonna, che sembrava aver conservato quel sorrisetto da quanto Hazel era entrata fino ad allora: "che hai fatto con quella bella ragazza?"
"Hazel, nonna. È Hazel, la conosci."
"Si, si, Hazel. Che cambia? Allora?" Lo incalzò nonna Zhang.
"Vado in camera mia." Sentenziò Frank ignorando la domanda di sua nonna e dirigendosi verso la sua stanza.
"Fai!" Sbraitò ancora sua nonna: "Stai diventando un ragazzaccio maleducato." Lo rimbrottò lei. Ancora una volta Frank rientrò in camera sua sbattendo la porta e lasciandosi cadere sul letto dove pochi minuti prima era accaduto qualcosa alla quale ancora stentava a credere, ma che, come tutte le cose belle, era finita.
 
Piper voleva fare di tutto per rendere la festa a sorpresa di Annabeth perfetta. Peccato che il suo ragazzo, Luke, stesse diventando un peso insostenibile. Per una volta Piper aveva avuto ragione: quella volta era diverso. La loro litigata aveva lasciato uno squarcio irreparabile nel loro rapporto. Piper si sentiva ferita nel profondo: era sempre stata leale con Luke ma, a quanto pareva, lui aveva troppa paura di perderla per sapersela tenere. Piper era una bella ragazza e lo sapeva, ma sapeva anche che quella sua bellezza non volesse dire stare contemporaneamente con tutte le persone di sesso maschile con cui scambiava un paio di parole. Luke, invece, non la vedeva affatto così e Piper era stanca. Era sempre riuscita a sopportare quegli scatti di gelosia da parte del suo ragazzo, ma da un po' di tempo erano diventati troppi e lui aveva iniziato ad insultarla. Dovevano farla finita, di questo era certa.
Aveva studiato per ormai due ore e decise di potersi concedere qualche minuto di pausa. Afferrò il telefono e notò, ormai non più sorpresa, una sfilza di messaggi sotto il nome di Luke che continuava a preoccuparsi che in quelle due ore non stesse studiando affatto. Piper si decise. Gli disse di aver bisogno di parlare e gli diede appuntamento alla solita piazza senza fornire spiegazioni. Il ragazzo si presentò puntuale nel luogo stabilito una manciata di minuti più tardi.
"Allora..." iniziò lei.
"Vuoi dirmelo, vero? Vuoi dirmi che mi hai tradito?"
Quella frase bastò per farle perdere subito le staffe.
"No, voglio dirti che voglio rompere." Sputò fuori urlando. Piper sapeva che doveva aver esagerato, ma era troppo stanca per rimproverarsi e correggere il suo tono di voce.
"Mi stai lasciando?” Urlò a sua volta Luke: "Mi stai lasciando per un altro?" Piper notò che l'aggiunta di quelle ultime tre parole avesse peggiorato solo la situazione, ma lei non voleva certo che tutti i passanti fossero partecipi della loro conversazione, quindi non glielo fece notare.
"No, ti sto lasciando perché non sopporto più né te, né la tua gelosia." Il tono della ragazza era diventato più distaccato ed era agghiacciante, non lasciava trapelare nessuna emozione.
"Bene." Sentenziò lui.
"Bene."
"Stai facendo un grande errore" riprese Luke non ancora soddisfatto.
"Ne pagherò le conseguenze responsabilmente."
"Non pensi a me? A quanto male mi stai facendo?"
"Mi sorprende che tu non abbia notato quanto male hai fatto a me." Piper era sicura di sé e questo faceva intimidire Luke irritandolo non poco.
"Quindi dopo questa pausa tornerai di nuo..."
"Non è una pausa, Luke" l'interruppe lei, lo conosceva abbastanza da sapere benissimo dove volesse arrivare: "ti sto mollando."
"Tu molli me?" Disse Luke inarcando un sopracciglio: "Sono io a mollarti." Piper notò quanto quel ragazzo fosse infantile e capì di volersi liberare di lui il prima possibile: "E va bene, mi hai lasciata tu, contento?" Disse girandosi per andarsene, ma le dita di Luke si conficcarono nel braccio della ragazza impedendole di muoversi: "tu non vai da nessuna parte."
Il suo tono era quasi minaccioso.
Piper di stupì di quel gesto, ma lui sembrò rendersene conto e mormorò qualche scusa in preda al panico. Non voleva che lei avesse paura di lui.
"Meglio che vada." Disse Piper ritornando di nuovo fredda. Si girò per andarsene e, questa volta, Luke non la fermò.
Appena arrivata a casa si lasciò cadere sul letto stremata e compose il numero di Annabeth.
"Ciao!" La salutò raggiante l'altra dal telefono.
"Ciao." Salutò Piper mogia. Non era pentita della sua decisione, ma era un cambio radicale nella sua vita. Luke era stato il suo primo ragazzo, il suo primo amore e quella era la sua prima delusione d'amore. Era un momento importante.
"È successo qualcosa?" Domandò subito Annabeth che aveva riconosciuto dalla voce di Piper che qualcosa non andava.
"Hai presente quando ti ho detto che era diverso? Ecco, era proprio diverso. Io e Luke ci siamo lasciati." Sentenziò Piper.
Seguì qualche attimo di silenzio, ma Annabeth si limitò a dire: "Raccontami tutto." La ragazza si sfogò per un tempo che a lei sembrò interminabile, raccontandole com'era andata e tutto il tempo che aveva impiegato a capire di voler lasciare il suo ragazzo ed a trovare il coraggio per compiere quel gesto.
"Hai fatto bene. Secondo me ti sei liberata di un peso. Non mi era mai piaciuto quel ragazzo, ma una ragazza come te merita molto di più."
"Grazie Annabeth."
Per tutta la sera Piper parlò a telefono con la sua amica, come ai tempi delle medie. Si raccontarono di tutto: dal bel ragazzo per cui la bionda si era presa una cotta, alle imprecazioni contro i professori che avevano già fissato le prime verifiche.
Misero giù solo quando notarono che si era fatto molto tardi e che sarebbe stato impossibile svegliarsi il giorno dopo.
La mattina seguente, come previsto, Piper si alzò a pezzi e con gli occhi che a stento si aprivano. Riuscì appena a guardare l'orologio e si allarmò, un secondo dopo, ricordandosi che aveva dormito mezz'ora in più. Arrivò trafelata sotto casa di Annabeth che l'aspettava con l'aria di chi era lì già da un bel po'.
Per fortuna, era troppo stanca anche lei per fare storie e si avviarono silenziosamente a scuola, salutandosi solo quando i diversi corsi da frequentare le divisero in classi differenti.
 
48 ore.
Leo era a New York da appena quarantotto ore e già si trovava tra corridoi strapieni di ragazzi sconosciuti.

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Capitolo 4
*** 4- Novità e chiarimenti ***


Note dell’autrice: Sciaaao amici. Ciò che accade in questo capitolo è un po’ ciò che tutti ci aspettavamo accadesse a breve (anche perché sono sicura che tutti abbiate pensato che avessi confuso qualcosa, all’inizio) MA NON ANTICIPIAMO NULLA!
So di aver ridicolizzato un po’ il personaggio di Percy e che forse ad un certo punto sembra ancor più idiota del solito, ma posso giustificarmi dicendo che ci voleva un po’ di leggerezza in questo capitolo. Fatemi sapere se non sono stata del tutto IC (Sì, ormai è un terrore.)
Ci vediamo qui giù.
Adieu
T_W

 
NOVITÀ E CHIARIMENTI
 
Era il primo giorno di scuola per Leo e, nonostante fosse solo il terzo per tutti gli altri, le persone che si aggiravano tra i corridoi sembravano già attive da mesi. In Messico non c'erano scuole così: non che Leo avesse girato tutte le scuole del paese, ma ne aveva viste molte dato che era stato espulso da circa tre scuole, non che non fosse bravo, anzi, la sua predisposizione per le materie scientifiche lo portavano ad avere una media abbastanza alta. Il vero problema era che aveva accidentalmente combinato qualche guaio, come far saltare in aria il laboratorio di chimica provando un miscuglio che assolutamente non sapeva essere esplosivo o scassinare con i suoi marchingegni fatti con i fili di ferro gli armadietti degli studenti più sfacciati e popolari che non aveva mai sopportato per metterci dentro oggetti compromettenti di tutti i tipi. Insomma, non aveva una buona reputazione, ma aveva promesso a sua madre che avrebbe fatto il bravo in quella scuola e contava di trovare qualche amico per cui valesse la pena restare.
Si diresse nella classe di storia e trovò già tutti i suoi compagni seduti. Avevano lasciato un posto in prima fila ed uno all'ultima. Leo non esitò neanche un secondo e si diresse in fondo alla classe sedendosi imbarazzato. Il ragazzo biondo seduto accanto a lui lo guardò per qualche secondo e quando Leo finalmente se ne accorse l'altro gli sorrise incoraggiante. La professoressa entrò quasi lanciando la pesante borsa che portava alla mano. Una ragazza dalla pelle scura ed i capelli ricci entrò col fiatone mormorando qualche scusa e sedendosi all'unico posto libero: quello in prima fila. La professoressa sospirò da dietro la cattedra mentre scribacchiava qualcosa con uno sguardo confuso.
"Bene!" Esordì: "Da oggi Leo Valdez sarà un vostro nuovo compagno di classe" disse la donna indicandolo con un cenno della testa e mostrando un sorriso smagliante.
"Ciao." Salutò lui imbarazzato. Si sentiva patetico.
"Bene, Leo, ti piace la storia?" La donna disse ogni lettera di quella frase scandendola come se parlasse con un bambino. Leo capì immediatamente il problema. Certo che non si era per niente informata.
"Ehm... conosco l'inglese, non parlo solo lo spagnolo.”
"Oh, scusa! Io credevo... fa niente. Allora be', meglio procedere, no? Ti dispiacerebbe leggere il passaggio a pagina 30?"
Oh no; pensò il ragazzo. Non potevano farlo leggere il primo giorno di scuola! Si, mi dispiacerebbe; si disse. In quelle situazioni stressanti, non ci riusciva mai.
"Io sono... pff, fa niente." Fu imbarazzante, lo sapeva. L'ora passò con una lentezza angosciante e, appena suonata la campanella, si fiondò fuori dalla classe il prima possibile. La ragazza riccia arrivata in ritardo, però, gli si parò davanti studiandolo attentamente. Era davvero bella e Leo si sentiva doppiamente in imbarazzo, per questo: "Anche mio fratello è dislessico." Parlò dopo un po'.
"Oh be' si, succede a volte... immagino" Leo si maledisse. Cosa andava blaterando?
La ragazza, però, mutò il suo sguardo, cedendo ad un sorriso: "Hazel." Gli disse poi porgendogli la mano.
"Leo" rispose lui ricambiando la stretta di mano, ormai rosso in viso.
"Insomma sei messicano, eh? Da quanto sei qui?"
"Sono arrivato ieri... no, aspetta, non è vero, dev'essere stato due giorni fa."
L'imbarazzo di Leo era ormai evidente, ma Hazel non sembrò farci caso.
"Quindi posso dire di essere la prima persona che si avvicini di più ad un'amica qui, per te?"
"Oh, si, direi di sì!" Le regalò un sorriso.
"Bene, allora in qualità di tua nuova amica newyorkese ti invito alla festa di una mia amica, domani."
"Tu... cosa? No, no, aspetta, sarebbe imbarazzante e poi io..."
"Si, si." L'interruppe lei: "saresti onorato di venire. Alle 19:30" gli disse strizzandogli l'occhio e porgendogli un bigliettino su cui c'era scritto un indirizzo. Probabilmente l'indirizzo di Hazel.
 
"Ciao mamma, va..."
"Dove credi di andare? Devi finire di glassare questi biscotti per me, Percy!" Lo richiamò Sally. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo: "mamma, tu... tu lasciali lì. Giuro che appena tornerò li glasserò anche due volte ognuno." Pregò Percy con un gesto teatrale.
"Non lo so..."
"Ti prego!" Implorò ancora lui con quegli occhi che sapeva essere potentissimi nelle discussioni.
"Solo se mi abbraccerai!"
"Mamma..." obiettò lui scocciato. Ma Sally Jackson non si lasciò convincere ed allargò le braccia avvicinandosi. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e l'accontentò.
"Ti voglio a casa per le otto."
"Ma, mamma..."
"Sette e mezzo." Sorrise lei compiaciuta.
"Va bene, va bene, ho afferrato."
Disse il ragazzo avviandosi fuori dal negozio della mamma.
Perché stava andando lì? Luke l'aveva tradito, calpestato, trattato come un mostro e lui stava correndo in suo aiuto. Sua madre non faceva che ripetergli quanto la sua lealtà potesse essere un difetto, a volte, ma Percy non si sarebbe mai perdonato una cosa del genere: non poteva lasciare Luke da solo. Mentre milioni di pensieri gli affollavano la testa, non si rese conto che era vicinissimo alla piazza in cui si erano ripromessi di incontrarsi. Dopo qualche minuto arrivò dall'amico e gli assestò una pacca sulla spalla: "Andiamo a fare questa figura di merda." Esordì con uno dei sorrisi sarcastici.
"Grazie, amico." Gli rispose Luke avviandosi verso quello che sapeva essere un grande errore.
 
"Grazie di avermi aiutata in matematica, davvero, ma stiamo studiando da due ore! Non ne posso più!" Iniziò Piper che sperò di persuadere Annabeth a prendersi una pausa.
"E va bene." Replicò incredibilmente lei: "Ma che non duri troppo. Dai, che hai da magiare?"
Piper si diresse, senza farselo ripetere due volte, verso la cucina seguita dall'amica.
Aprì l'anta dell'armadietto subito sopra i fornelli e cercò a tentoni qualunque cosa avesse la forma di un'ottima schifezza calorica, quando il rumore di un sassolino sul vetro della finestra la fece quasi sobbalzare.
"Cos'è stato?" Domandò la mora richiudendo l'anta.
"Mhh, non lo so..." ripose Annabeth affacciandosi: "ehm... non ti piacerà."
"Cosa?" Ora il viso di Piper non aveva più tracce di stupore: aveva capito.
"Oh Dio..." sussurrò con Annabeth che sbirciava dalla sua spalla.
Qualche metro più in basso Luke la guardava con la tipica faccia da cane bastonato, con accanto un macchina sul cui tetto delle candele accese erano disposte a formare un cuore. Appoggiato sul fianco dell'auto c'era un ragazzo moro che fumava una sigaretta con un'aria stanca.
"Ti prego, scendi!" Urlò Luke guadagnandosi un'occhiataccia da Piper.
"Scendi, dai." L'incoraggiò Annabeth.
"Ma, io non voglio tornarci, sento di poter respirare di nuovo da quando non sto più con lui, perché dovrei farmi del male?" L'amica sembrò pensarci su.
"Be' allora mi sembra chiaro: devi scendere per chiudere questa storia una volta per tutte."
"Va bene... allora, devo prendere..." Piper non fece in tempo a finire la frase che il campanello trillò.
"Ti prego puoi..." iniziò la mora
"Sì, vado io." Concluse Annabeth.
Abbassò la maniglia e si ritrovò il ragazzo che prima era poggiato all'auto davanti. Non ci mise molto a riconoscerlo. Non riuscì a staccargli gli occhi di dosso per quelli che furono pochi secondi per il mondo ed un'infinità di tempo per lei.
"Mi hai sentito?" Domandò lui.
"C-cosa? Ehm... No, scusa."
"Scusami per il mio amico, ma vorrebbe che Piper scendesse... è una questione complicata, mi dice."
"Oh, sì. Piper..." in quel momento comparve una scocciata Piper che afferrò il cappotto al volo e si fiondò fuori dalla porta. Annabeth non la guardò in viso, ma poté ugualmente giurare che fosse molto arrabbiata.
"Che cosa vuoi, Luke?"
"Te." A Piper sembrò quasi che quelle parole fossero obbligate, ma non volle girare il dito nella piaga e parlare più di quanto già non volesse.
"Ascoltami, quando ti ho lasciato l'ho fatto non solo per come ti comportavi tu, ma perché sono cambiata anch'io e sento di aver bisogno di emozioni diverse, di persone diverse... non so se mi segui." Sembravano parole scontate, ma era la verità, ogni singola sillaba rappresentava ciò che Piper pensava già da un po' e, per quanto sapesse del dolore che potevano generare, non si sentì in colpa neanche quando incontrò gli occhi rassegnati del suo ex.
"Mi dispiace, ma non voglio cambiare idea."
"V... va bene. Ti voglio bene, Piper ed io sarò sempre qui per te. Sempre." Il biondo non aggiunse altro. Si girò e si allontanò per il vialetto senza girarsi indietro neanche una volta. Per un attimo la ragazza fu tentata di corrergli dietro, ma si rese subito conto che quello non era affatto quello che voleva. Rientrò in casa provando una strana sensazione di malinconia mista a libertà e curiosità di sapere cosa sarebbe successo poi.
"Annabeth, io... ma tu che ci fai qui?" Si era quasi dimenticata dell'amico di Luke che, a quanto pareva, era rimasto in casa sua senza alcuna ragione apparente.
"Ciao, sono Percy." Si presentò il moro. Dalle spalle del nuovo arrivato Annabeth l'indicò e mimò con le labbra: "è lui il ragazzo misterioso!" A Piper si illuminarono gli occhi: "oh, ma tu devi essere uno dei più grandi giocatori di football della nostra scuola!" Iniziò.
"IL più grande." Corresse lui orgoglioso.
"Sì, capisco, sei un pezzo grosso." Continuò Piper accompagnandolo alla porta ed allontanandosi abbastanza dall'amica per impedirle di ascoltarli: voleva assolutamente chiedergli di venire alla festa a sorpresa di Annabeth.
Tornò due minuti più tardi con una risposta positiva e cercò di dare a vedere la sua allegria il meno possibile.
L'ultima cosa che la bionda sentì dire da Pecy, però, fu qualcosa come: "Dannazione, adesso le devo spegnere io quelle maledette candele!"
"Bene." Disse Annabeth tornando a concentrarsi sull'amica con la tipica parola che pronunciava quando stava per iniziare un discroso molto lungo.
"Annabeth, sto bene, è quello che volevo fare da molto tempo e sono sempre stata troppo cieca per capirlo."
"Sei sincera?"
Piper annuì: "Molto. Mi dispiace di avergli fatto del male, ma non mi sento triste. Forse dovrei, ma non lo sono, quindi..." non concluse mai quella frase, ma le parole che avrebbe voluto dire erano chiaramente arrivate all'amica, che ora la guardava con una punta di sollievo nello sguardo.
"Quindi possiamo riprendere a studiare matematica."
"Oh, no..."
"Vieni, andiamo." L'incalzò Annabeth trascinandola in camera sua.

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Capitolo 5
*** 5- Incontri speciali e rifiuti d'oro ***


Note dell’autrice: Ciaaaaaaao, bella gente! La scuola è finalmente finita ed io ho più tempo per scrivere (sta a voi decidere se sia un bene o un male ehehe). Il capitolo di oggi è molto più lungo degli altri, ma gli avvenimenti importanti aumentano ed i nostri personaggi diventano via via più audaci. Qualcosa di nuovo ed importante sta succedendo e giuro che nel prossimo capitolo scoprirete già come andrà a finire la storia lasciata in sospeso alla fine di questo. Spero che il capitolo vi piaccia e conto di trovare le vostre opinioni nella sezione commenti qui sotto.
Adieu
T_W

 
INCONTRI SPECIALI E RIFIUTI D’ORO
 
Hazel non era un tipo da festa, nonostante Frank sapesse bene che le sfruttava per conoscere nuovi ragazzi. Quella volta, però, sembrava diversa. O meglio, Frank la guardava in modo diverso da quando si erano baciati. Si era accesa una scintilla di speranza. Per una volta le cose sembravano andare al meglio nella sua vita e Frank sapeva bene che avrebbe lottato e giocato sporco pur di non cambiare quella situazione.
Una cosa che rimpiangeva ancora, però, era il non essere riuscito a parlare con Hazel di quel bacio come avrebbe voluto. Certo, il tempo c'era ancora, ma Frank preferiva parlare di rimpianto per giustificarsi del fatto di non avere il fegato di farlo.
"FAI!!" Sbraitò sua nonna appena il ragazzo la superò per dirigersi verso la porta. "Dove stai andando, caro mio?" La sua voce tornò quella di una vecchia e dolce nonnina preoccupata. A Frank sfuggì una risata.
"Alla festa a sorpresa di Annabeth, nonna. Non so a che ora tornerò, non aspettarmi sveglia."
"Mhh, va bene."
Frank si avviò di nuovo verso la porta, ma si sentì di nuovo chiamare.
"FAI!!"
"Nonna, dimmi" riprese scocciato.
"Con quella ragazza... ho capito che ti piace, ma non buttarti giù. Ricorda che puoi essere ciò che vuoi." Quella frase non gli fu subito chiara. Colpa della vecchiaia, forse.
"Certo, nonna, io vado." Frank non lo dava certo a vedere, ma quella conversazione l'aveva messo non poco in imbarazzo.
Uscì nella strada buia di casa sua e percorse a passo svelto ma regolare il vialetto isolato che conduceva a quel portone rosso sgargiante. Si diresse a casa di Hazel ed esitò prima di bussare alla porta. Si passò una mano tra i capelli e cercò di dar loro una forma distinta. Lasciò perdere poco dopo credendo di essere troppo ridicolo e finalmente bussò al portone. Un ragazzo basso, con i capelli ed i vestiti scurissimi gli aprì la porta: "Ciao Frank." Lo salutò svogliato.
"Nico! Senti, c'è Hazel?"
"Oh, si, ma si sta preparando. Vuoi entrare lo stesso?"
Frank superò la soglia di casa di Hazel e si accomodò sul grande divano di pelle nera. Pochi minuti dopo la ragazza lo salutò con uno sguardo interrogativo: "Frank... ehi! Che ci fai qui?"
"Nulla di che, pensavo che andare insieme alla festa non fosse una cattiva idea." Replicò cercando di sembrare il più noncurante possibile.
"Oh, allora... va bene, andiamo insieme." Quello che a Frank era sembrato un semplice sguardo interrogativo, era più che altro paura. Sul volto di Hazel Frank notò una strana paura controllata, come se gli stesse nascondendo qualcosa che era sul punto di scoprire. La ragazza lasciò vincere Frank nel gioco di sguardi che si era appena aperto e salì di corsa le scale per finire di prepararsi.
Il ragazzo si lasciò cadere nuovamente sul divano aspettando Hazel. Pochi minuti dopo il campanello suonò di nuovo e Frank si alzò controvoglia per andare ad aprire. Improvvisamente si ritrovò Hazel davanti che l'aveva superato veloce come una scheggia: "Apro io." gli disse con un'occhiataccia.
 
Okay, era pronto.
Leo ci teneva molto a dare una buona impressione. Era importante, ormai ci credeva: poteva passare dallo strano ragazzino problematico allo strano ragazzino problematico e figo. Ce la poteva fare, lo sapeva.
Si vestì con il meglio che trovò, optando per un paio di jeans, una maglietta bianca piuttosto larga e la sua solita felpa rossa. Una giacca nera gli sembrò ottima per aggiungere un tocco d’eleganza. Si lavò i denti ed arruffò i capelli quel tanto che bastava per farli sembrare aggiustati.
"Wow, ma dove vai?" Lo fermò Esperanza prima che il ragazzo le sfuggisse irrimediabilmente dagli occhi.
"Alla festa a sorpresa di una ragazza che non conosco. Sembra interessante, vero?"
"Cosa? Leo, ti ho già detto che..."
"Mamma, non ne sto facendo una delle mie. Sono stato invitato da una ragazza che è in classe con me." L'ammonì il ragazzo prima che la madre iniziasse a pensare di nuovo male di lui.
"Mhh, una ragazza..." ora l'oggetto della conversazione sembrava essere cambiato parecchio.
"Mamma, ti prego, lasciami andare."
E così dicendo il messicano si lasciò la sua nuova casa alle spalle.
Era parecchio in anticipo, ma aveva considerato il tempo che ci avrebbe messo per chiedere in giro dove fosse la strada scritta sul bigliettino che teneva stretto in mano. Stava sudando troppo, sembrava un ragazzino al primo appuntamento anche se in realtà lo era, ma non era sicuro fosse esattamente un appuntamento.
I newyorkesi sapevano essere persone parecchio scortesi e fu costretto a chiedere a milioni di facce sconosciute prima di ricevere una risposta affidabile. Si diresse determinato alla porta di Hazel e bussò tre volte al campanello. Tre sembravano giuste e sensate, ma... che paranoie andava facendosi? Hazel non avrebbe mai contato il numero delle bussate e di certo questo non avrebbe determinato il grado di interesse che la ragazza provava per lui, ma quando la porta si aprí rivelando la sua nuova amica ed un armadio alto un buon metro e novanta... be' quello si che dava un'idea sull'interesse che Hazel provava per lui e non era un numero incoraggiante come quello in cui Leo sperava.
"Ciao!" Salutò arrossendo fino alla punta delle orecchie e spostando velocemente lo sguardo da una parte all'altra.
"Oh, ciao Leo, vieni, entra. Tra poco ci avviamo. Lui è Frank." Disse la ragazza senza la minima traccia di imbarazzo.
Salì di nuovo di sopra a prepararsi e lasciò i due ragazzi a guardarsi in cagnesco di sotto. Be', a dirla tutta, era solo Frank a guardare in cagnesco Leo, mentre il messicano se ne stava seduto a guardarsi intorno fingendo di non sentire lo sguardo pressante di Frank su di lui.
"Beeene." Iniziò al culmine del suo imbarazzo: "Frank, vero?"
Il ragazzo si limitò a rifilargli un'occhiataccia.
"Giusto, questo lo sapevo già... che stupido... Frank come?" Riprese Leo con una disinvoltura che serviva a mascherare male il disagio.
"Zhang."
"Oh, Zhang, bel cognome! Io sono Leo. Leo Valdez, è messicano. Oh, ma il tuo non mi sembra americano, mi sba...?"
"È cinese."
Frank stava spegnendo ogni tentativo di Leo di accendere un fuoco tra loro.
"Oh..." lasciò cadere il ragazzo: "un'ultima domandina, Zhang." Adesso a Leo iniziava a dare fastidio il comportamento di Frank. D'altro canto lui non gli aveva fatto nulla di male: si conoscevano da meno di cinque minuti: "Perché ce l'hai così tanto con me?"
"Senti" iniziò il più massiccio: "io non sono qui per..."
"Ragazzi! Andiamo?" L'interruppe Hazel scendendo le scale con un giubbino di jeans tra le mani.
Hazel indossava una semplice gonna nera con una camicia corta dello stesso colore con un motivo a fiori. Le calze nere si interrompevano poco sotto il ginocchio dove delle parigine andavano a scomparire negli stivaletti chiusi che aveva al piede.
Non era nulla di particolare, nulla da ballo scolastico dell'ultimo anno in cui il sospiro è quasi d'obbligo, ma quello bastò per mandare il cervello di Leo in corto circuito facendogli dimenticare di Frank, dell'ansia di una nuova scuola e delle aspettative da non deludere.
"Andiamo, Austin." gli disse Frank infastidito dalla sua reazione dandogli una pacca su una spalla.
"Austin è in Texas, non in Messico." Rispose distrattamente Leo.
"No, in realtà avevo dimenticato il tuo nome, ma è uguale, no?"
"Be' in realtà, non mi pare che..."
"Ragazzi! Vedo che avete avuto modo di conoscervi bene." Ironizzò Hazel intromettendosi: "Andiamo, dai."
I tre uscirono di casa, non prima che Frank e Leo si dessero un paio di spallate per chi dovesse uscire prima dalla porta al seguito di Hazel, il che andò a discapito di Leo che era molto meno massiccio di Frank.
 
"Va bene, ragazzi, qui mi sembra tutto pronto. Solo... quello striscione... come posso metterlo..."
"Più in alto?"
Piper sentì una voce familiare, ma che non le fu del tutto chiara immediatamente.
"Sì" rispose la ragazza girandosi, anche se lo striscione, per un attimo, sembrò non importare più a nessuno.
"Oh, Jason, giusto? Tu sei il capitano della squadra di football." Continuò riprendendosi dagli attimi di silenzio sembrati infiniti che avevano preceduto quella frase.
"Mhh, sì. Hai bisogno di aiuto con quello?"
"Ehm... sì, scusami." Cosa le stava succedendo? Piper non arrossiva mai così tanto col primo che provava ad aiutarla ad issare uno striscione.
"Figurati." Il ragazzo si allungò avvicinandosi a lei ed appuntò l'angolo superiore della scritta sul muro. Un lembo della sua maglietta si alzò rivelando una piccola porzione di pelle, che bastò a far vedere a Piper parte dei suoi perfetti addominali da atleta.
"Grazie." Bofonchiò lei: "Adesso io... vado, eh? C'è molto altro da fare." Le scappò un risolino nervoso.
"Certo, se hai bisogno di una mano fammi un fischio!" Disse sorridendo aspettando che la ragazza si volgesse e tornasse a fare ciò che aveva da fare.
"Fammi un fischio"? pensò ma che dico?
All'improvviso il campanello della porta trillò e Jason andò ad aprire; non voleva certo creare altri problemi a Piper. Una massa di capelli neri e spettinati sbucò dalla fessura della porta che Jason aveva aperto.
"Ehi, è qui la festa?"
"Ah, ciao Percy" salutò Jason cordialmente: "Entra."
Percy spalancò la porta con una mano rivelando la marmaglia di persone che era dietro di lui.  A Jason per poco non venne un colpo.
"Ma sei impazzito? Non so neanche perché tu sia qui, ma posso accettarlo. Questo mare di gente, però, è ingestibile!"
"Non preoccuparti: so gestire un mare in tempesta." Gli disse strizzandogli l'occhio: "Allora, dov'è questa Annabelle?"
"Si chiama Annabeth e non è ancora arrivata: è una festa a sorpresa."
"Grande, venite ragazzi!" Percy urlò schioccando le dita. A quel punto le proteste di Jason si confusero con le chiacchiere dei ragazzi che entravano.
"Jason ma che..." Piper non riuscì a finire la frase per la sorpresa. Dopo un attimo di troppo per realizzare, il volto di Piper divenne nero dalla rabbia: "Ma cosa ti è saltato in testa? Perché li hai invitati? Chi sono?"
"Io... ti giuro, ho aperto la porta ed era Percy, tutta questa gente, io non..." Jason era mortificato.
"Non fa niente, dov'è quel coglione?" Non aspettò la risposta del suo interlocutore e si tuffò in quel mare di gente. Piper sapeva bene di essere un'ottima manipolatrice e si preparò uno dei suoi discorsi più convincenti mentre spintonava tutte quelle persone per crearsi una strada.
"Percy!" Gli urlò appena lo identificò: "ma che fai? Tu non mi conosci nemmeno, come hai potuto portare tutte queste persone?"
"Infatti, non ti conosco nemmeno! Perché mi hai invitato?"
Già, perché l'ho fatto? Ma Piper non diede voce ai suoi pensieri: "Per me puoi anche restare, ma questa gente no. Quindi fai qualcosa subito, perché Annabeth sta per arrivare e, certo, non si sorprenderà di non trovarmi in lacrime come le ho fatto credere, ma non le piacerà questa situazione."
Percy si guardò intorno gesticolando esageratamente come a cercare di farsi sentire dalla folla di finti alternativi che aveva attorno: "Ci ho provato... non mi ascoltano." Lo sguardo di Piper, però, gli bastò ad aggiustare il tiro: "Senti, non puoi chiamare delle persone che sono appena entrate ad una festa e dire loro che devono andarsene, sii pronta al cambiamento e goditelo."
Piper non ne poteva più di quell'impertinente e lo liquidò con un gesto della mano ed alzando gli occhi al cielo. Bussarono alla porta e pensò che per quella volta sarebbe stato meglio andare ad aprire personalmente. Con suo grande sollievo vide entrare Hazel e Frank, al loro seguito c'era un ragazzo che non aveva mai visto ed il suo sguardo passò dal sollevato al nervoso di nuovo.
"Hazel, ti prego, chi è questo qui? Non può entrare."
"Oh, è Leo, il ragazzo nuovo, pensavo fosse carino provare ad inserirlo, sai, non conosce nessuno.”
Piper si sentiva quasi in colpa, era stata troppo brusca ed, al contrario, Hazel era sempre stata gentile e disponibile con lei e, a quanto pareva, lo era con tutti. Il suo sguardo si addolcì: “Scusatemi ragazzi, sono stressata e voglio che questa festa sia speciale… Piacere, scusa se siamo partiti col piede sbagliato, Leo, io sono Piper.”
“Sì, ma adesso dovresti andare a preparare il resto o sbaglio? Tu vai, ci penso io a tenere d’occhio…” Hazel non finì mai quella frase perché Piper aprì di più la porta facendole vedere il guaio che aveva combinato quel Percy. La proprietaria di casa colse egoisticamente l’occasione e salutò velocemente i nuovi arrivati lasciandoli sull’uscio della porta, ma non si sentì troppo in colpa perché aveva davvero troppo di cui occuparsi e le distrazioni erano state più che abbastanza.
Quando il citofono suonò cadde un silenzio incredibile dato il numero di persone in una stessa stanza. Piper corse ad aprire per paura che ricominciassero ad urlare e lanciare cose, ma non poté fare a meno di sorridere per il lavoro che stavano facendo Hazel, Jason, Frank, Percy e quel ragazzo nuovo. Annabeth finse di essere sorpresa, lo faceva ogni anno, ma era felice di ritrovarsi con i suoi amici, di credere che si fossero sforzati per fare qualcosa di bello per lei. Alla fine Piper si impegnava ogni anno per fare in modo che quel giorno fosse fantastico e Annabeth l’aveva sempre apprezzato, ma non si aspettava certo di trovare tutta quella gente.
“Piper, chi sono tutte queste persone?” Domandò, infatti, appena ebbe un attimo di tempo da sola con l’amica.
“Eh, già, chi sono? Chiedilo all’amore della tua vita che hai casualmente incontrato per strada.”
“C-c’è anche lui?” Annabeth era come pietrificata, non lo conosceva neppure, ma semplicemente guardandolo sentiva il suo stomaco esibirsi in un numero di ginnastica artistica.
“Certo che c’è, altrimenti che amica migliore sulla Terra sarei?” rispose con un sorriso stanco: “Ah, non provare a non parlarci che ti uccido!” Aggiunse con finta serietà.
La serata sembrò andare bene finché qualcuno (nessuno riuscì mai a spiegarsi chi) non tirò fuori una quantità d’alcol da far paura e se prima per Annabeth poteva risultare difficile trovare il coraggio necessario per avvicinarsi a Percy, ora che lui correva da una bottiglia ad un’altra per accaparrarsi un bicchiere, avvicinarsi era diventato vicino ad essere impossibile.
 
Leo voleva divertirsi, staccarsi di dosso quell’inadeguatezza che provava ogni volta che entrava in una nuova scuola e fece quell’errore, quell’errore che la maggior parte degli adolescenti si è concesso almeno una volta credendo fosse la scelta migliore: bevve finché Hazel non lo ripescò da una sedia, con un braccio da cui colava del sangue: “Leo, mi spieghi cos’hai combinato?”
“Cosa? Io? Ho solo bevuto un po’” biascicò le ultime due parole dando prova del fatto che fossero una grossa bugia, poi si lasciò scappare un sorriso: era felice che Hazel si fosse arrabbiata per questo, si sentiva parte di qualcosa, anche se non sapeva bene di cosa si trattasse.
“Non mi riferivo a questo, posso capirlo da sola che hai bevuto. Cos’hai combinato con quel braccio?”
“Oh, questo? Credo che quel ragazzo lì in fondo mi abbia, per sbaglio, rotto una bottiglia sul braccio, non è niente!” Hazel si allarmò e guardò subito nel punto che Leo aveva indicato per mostrarle il ragazzo: era biondo, il capitano della squadra di football, Hazel non lo conosceva di persona, ma a scuola era un tipo popolare ed il suo nome era conosciuto. Prese Leo per il braccio sano e lo trascinò in bagno, sotto lo sguardo attento, ma non del tutto lucido di Frank. Lo fece sedere sul bordo della vasca da bagno stando attenta che non ci cadesse mentre cercava ovatta ed acqua ossigenata, poi si sedette accanto a lui ed iniziò a medicarlo come meglio poté, Leo sembrava più lucido ed aveva preso ad osservare attentamente Hazel in ogni suo più piccolo movimento, ognuno perfettamente calcolato. Ringraziò di aver bevuto solo perché sapeva che quello che stava per fare era tutto tranne che calcolato, ma non gli importava, perché sapeva di volerlo davvero. Intrappolò le labbra di Hazel nelle sue e sentì i suoi muscoli irrigidirsi e le sue labbra esitare, sapeva che lasciarle il tempo di pensare avrebbe diminuito le sue probabilità di avere successo, così lasciò che la sua lingua si facesse spazio nella bocca di Hazel e sentì che, finalmente, lei stava ricambiando il bacio. Senza volerlo, Leo si ritrovò a volere di più: prese la ragazza in braccio e notò che il desiderio stava aumentando, i baci più grossolani cercavano qualsiasi centimetro di pelle che non fosse coperto, il messicano lasciò scivolare le mani sotto la camicia della ragazza che sentì un brivido causato dal contatto freddo dei polpastrelli di Leo che le accarezzavano i fianchi. Il ragazzo sentì l’eccitazione accumularsi nei suoi pantaloni ed emise un piccolo gemito che sfuggì al suo controllo. Questo riportò Hazel alla realtà e, nonostante la cosa l’avesse lusingata ed eccitata, capì che si stava spingendo troppo oltre e si alzò velocemente, gli occhi di Leo che la studiavano mogi.
“Non fraintendermi, sei carino, ma non ci conosciamo nemmeno e tu sei ubriaco e probabilmente lo stai facendo solo perché non ragioni bene, quindi…”
“Volevo farlo da quando sei entrata in ritardo nell’ora di storia.” Disse il ragazzo amaramente.
“Domani non te lo ricorderai nemmeno, ma… io si, capisci?” Leo non rispose, prese a fissare un punto indeterminato.
“Ne parliamo domani, va bene?” sorrise lei sperando di tirarlo su: “Ma solo se te lo ricorderai.” Finalmente la guardò di nuovo con entusiasmo e non si sentì così solo quando lei uscì dal bagno ridendo. Era sicuro di riuscire a ricordarselo, ma non voleva rischiare: prese il biglietto che gli aveva dato la pasticciera qualche giorno prima e scrisse il più possibile con la penna che trovò accanto alla settimana enigmistica su un mobile. Ripose il biglietto nella tasca interna della felpa e si avviò fuori cercando di non cadere quando un ragazzo dai capelli neri lo sorpassò velocissimo diretto verso il bagno.
 
Piper era stremata. Era riuscita a fare tutto e si sentiva soddisfatta per questo, ma era stato stancante. Appena poté si lasciò cadere sul divano, aveva lo sguardo più assente della maggior parte dei ragazzi in quella casa, ma non aveva toccato una goccia d’alcol. Pochi minuti più tardi Jason approfittò del posto libero e si accasciò accanto a Piper. Aveva gli occhi poco vispi, ma non sembrava stare molto male, sembrava solo più allegro.
“Piper!” Salutò mettendosi comodo: “Pensavo che qualche volta… sai a tempo perso, potessimo uscire insieme.” Piper inarcò un sopracciglio.
“Ma… come amici, io intendevo come amici.” Aggiunse del tutto rosso in viso. La ragazza scoppiò a ridere: “Sì, si può fare, sarebbe divertente.” Erano inspiegabilmente troppo vicini e Piper iniziò a sentirsi a disagio, si morse un labbro imbarazzata, mentre Jason distolse subito lo sguardo dai suoi occhi per concentrarsi sulla bocca della ragazza, erano sempre più vicini.
“Bene, fantastico, ci si vede.” Piper si alzò di scatto e si girò senza guardare più l’altro, fece finta di sgridare qualcuno per aver preso in mano un vaso antico e scomparve tra la folla. Non era pronta a buttarsi in una nuova relazione con un ragazzo che non conosceva a fondo, voleva fidarsi totalmente di una persona, essere sicura di quello che stava facendo, doveva pensarci un po’. Jason le piaceva, di questo era certa, non era, però, certa di poter riporre tutte le aspettative che aveva in un ragazzo del quale sapeva ben poco.
 
Percy l’aveva puntata, dalla prima volta che l’aveva vista aveva pensato che provarci con la migliore amica dell’ex di Luke fosse una buona idea e sperò che, quel giorno, l’alcol l’aiutasse almeno un po’.
“Ciao, pensavo che fosse carino vederci domani per una pizza, che dici?” Iniziò Percy con il suo solito sguardo da conquista sicura.
“Cosa? Non ci conosciamo nemmeno!” Annabeth era al settimo cielo, ma non voleva neanche essere una delle tante, aveva una dignità e voleva mantenerla. Percy sembrò colpito.
“E va bene” Disse cercando di riprendersi il più velocemente possibile da quella batosta, dimenticando lo sguardo da conquista: “Allora puoi darmi il tuo numero.” Propose.
“Certo, aspetta.” Percy sorrise soddisfatto: ce l’aveva fatta, prese il telefono dalla tasca e tese il braccio per permetterle di scrivere il numero. Inaspettatamente la ragazza raccolse uno dei tanti bicchieri disseminati sul tavolo, prese una penna dalla libreria accanto e ci scrisse sopra il suo numero, dopodiché raccolse tutti i bicchieri lanciati per terra e sui mobili e li pose nel sacco della spazzatura insieme a quello su cui aveva scritto il suo numero, lo scosse e lo chiuse con un nodo: “A te.” Annabeth consegnò sorridente il sacco al ragazzo che aveva di fronte; dalla faccia di Percy traspariva uno sguardo sconvolto e meravigliato insieme, la ragazza girò sui tacchi ed andò via lasciandolo con un sacco di spazzatura in mano. Percy sorrise: quella ragazza era un sfida, e lui adorava le sfide. Posò il sacchetto sotto il tavolo con l’intenzione di prenderlo più tardi e si accasciò sull’unica sedia rimasta libera: quella accanto ad un ragazzo massiccio dai tratti cinesi: “Ehi, amico, non fare quella faccia. Tutto bene?” Iniziò Percy, giusto per coinvolgere quel tipo. Frank non gli rispose, continuando a tenere lo sguardo fisso sulla porta che dava al corridoio: “Sei un chiacchierone, vedo.”
“Lasciami in pace” Sbottò quello senza degnare l’altro di uno sguardo: “Senti, sono ubriaco, puoi parlarmi di tutto: sarò sincero e domani l’avrò dimenticato. Cosa c’è di meglio?” Frank capì che l’unico modo per esser lasciato in pace era accontentarlo e poi sentiva di aver bisogno di un amico, oppure di essere ascoltato solo per cinque minuti: “La ragazza che mi piace è chiusa in bagno con quello nuovo.” Sentenziò senza lasciar trapelare alcuna emozione.
“Brutta storia.” Commentò Percy: “Beh, vai anche tu: più si è, meglio è, no?” Frank alzò un sopracciglio: “No, okay, scusa amico, scherzavo. Diglielo! Non puoi essere geloso di una cosa che non è tua e poi non è detto che stiano facendo… qualcosa.
“Ci siamo baciati qualche giorno fa, credevo significasse qualcosa, ma a quanto pare lo credevo solo io.”
“mhh, capisco, potresti…”
“shh” Lo zittì Frank.
“No, dico sul serio: potresti…”
“shh, è lei, zitto, sta venendo qui.”
Hazel si avvicinò ai due con uno sguardo attento dipinto in volto: “Frank, Leo ha bevuto troppo e ha vomitato. Ha anche un brutto taglio al braccio, torno subito, scusa se ti ho lasciato da solo. Vado a prendere dei cerotti.” mentì andandosene. A Percy spuntò un grande sorriso: “Visto? Va tutto bene! Però adesso devo andare a seguire quel Leo in bagno, mi spiace.” Sentenziò tenendosi la pancia. A Frank scappò una risata: “Vai pure e… grazie! Ci si vede a scuola.” Percy riuscì a stento a salutarlo con la mano prima di scomparire correndo nel corridoio.
 
La festa era finita, erano rimasti in pochi, tutti in attesa che qualcuno venisse a prenderli e, più la gente andava via, più Piper si rendeva conto che la casa era in uno stato peggiore di come sembrasse con tante persone dentro. Raggruppò tutti i sacchi dell’immondizia che trovò e scese per buttarli nel cassonetto, tornò poco dopo e continuò a mettere in ordine. Percy le si parò davanti col fiatone: “Dov’è il sacco che era sotto il tavolo?”
“Il sacco?”
“Sì, il sacco dell’immondizia, dov’è?” Era sempre più spaventato
“Ho portato tutti i sacchi di sotto, nel cassonetto.”
Percy salutò velocemente i rimasti e scappò via, si lanciò nella strada e fermò il camion che stava per prelevare i sacchetti. Non aveva idea di quale sacchetto fosse, ma riuscì ad identificare i sacchi della festa perché erano gli unici ad essere viola. Sarebbe stata una lunga nottata, ma non voleva perdersi d’animo.
 
“Ciao, Piper e grazie.” Salutò gentilmente Hazel uscendo dalla porta con Frank e Leo al seguito. Leo non stava ancora del tutto bene ed abbracciò Piper prima di varcare la soglia della porta, un bigliettino gli cadde dalla tasca della felpa. Piper ed Annabeth si guardarono divertite a causa del gesto di Leo e Frank colse l’occasione per raccogliere il biglietto ed uscire senza essere notato. Quando lesse cosa c’era scritto sopra, seppur in una calligrafia illeggibile, si bloccò sconvolto.

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Capitolo 6
*** 6- Getti calcolati ***


Note dell’autrice: Ciaaaaaao cari amici. Anche questa settimana ho il capitolo pronto per vooi (Sì, inutile vantarsi, dato che i capitoli che ho da parte sono davvero pochi, ormai). Insomma, qui iniziano a succedere cose ed i nostri sette sembrano avvicinarsi un po’ di più tra loro (o allontanarsi eheheh). In questa fic il tempo scorre abbastanza veloce dato che non posso certo raccontare ogni singolo evento di un anno intero. Qui, quindi, è già ottobre e sono passate due settimane dalla festa di Annabeth. Ci tenevo a chiarirlo. Sono abbastanza sicura di star dimenticando qualcosa, come al solito, ma me ne farò una ragione. Vi aspetto in molti nella sezione commenti!
Adieu
T_W

 
GETTI CALCOLATI
 
Erano passate già due settimane dall’inizio della scuola, ma già una sensazione di freddo e giorni gelidi iniziava ad insinuarsi nel cervello di Percy: lui odiava l’inverno; preferiva di gran lunga l’estate perché poteva finalmente concedersi una giornata da solo al mare, senza libri ingombranti nello zaino, né la consapevolezza di non poter lasciare sua madre da sola a gestire la pasticceria. Ricominciare la scuola significava immergersi nuovamente nella solita e vecchia immancabile routine. Per questo motivo, per lui, l’inverno aveva già iniziato a conficcare i suoi gelidi artigli nel mondo, bloccando tutti nel ghiaccio delle loro abitudini. Da due settimane si ritrovava puntualmente a rigirarsi un ormai accartocciato bicchiere di carta fra le mani senza trovare il coraggio di chiamare quel numero che, giorno dopo giorno, andava sbiadendo sulla sua superficie. Era persino arrivato ad imboccare strade nascoste quando vedeva una chioma bionda tra i corridoi della scuola.
Poggiò il bicchiere quasi con rabbia sulla sua scrivania e, capendo che in ogni modo non sarebbe comunque riuscito a studiare, raccolse il cellulare nascosto tra pagine e pagine di libri che non capiva e lo portò all’orecchio: “Ehi, ciao! Ti va di prendere un caffè?” La risposta fu affermativa, come previsto; Percy abbozzò un sorrisetto vittorioso e corse alla porta.
Dieci minuti dopo era seduto al solito tavolo accanto alla finestra del solito bar, con due caffè di fronte. Gli sembrò che quasi nevicasse e non si rese conto della figura che lo stava chiamando probabilmente da un bel po’, seduta dall’altra parte del tavolo: “Ehi, Frank.” Salutò fiacco: “Grazie di essere venuto.” Frank lo scrutò accigliato, ma solo dopo un po’ diede finalmente voce ai suoi pensieri: “C’è qualcosa che non va? Ti vedo… abbattuto.” Commentò preoccupato.
“Sarà una cosa di famiglia. Mia madre mi ha sempre detto che mio padre odiava la fine dell’estate, lo faceva sentire… vuoto.” Frank non rispose, sapeva che Percy odiava la pietà, sapeva che la gente che cercava di consolarlo con le solite parole sentite e risentite gli dava sui nervi, così aspettò che fosse lui stesso a parlare, che continuasse il discorso o lo cambiasse radicalmente: “Secondo me è per questo che ci siamo presi subito, io e te.” A Frank sfuggì una risata per il doppio senso e diede una pacca sulla spalla a Percy: “Andiamo, chiama quel numero.” Disse con tono autoritario, ogni traccia della risata che aveva preceduto quella frase sembrava svanita.
“Non ho il bicchiere con…”
“Oh, andiamo! Non vorrai farmi credere che dopo aver passato interi pomeriggi a fissare quel bicchiere vuoto tu non l’abbia imparato a memoria!”
Come poteva essere un libro così aperto? Percy continuava a chiedersi come avesse fatto un ragazzo che conosceva da appena due settimane a capirlo così bene. L’aveva, in più, conosciuto da sbronzo, alla festa a sorpresa della ragazza che gli stava facendo perdere la testa. Percy abbozzò un sorriso al pensiero di come l’amicizia potesse nascere in modi particolari: “Ma non ero io, quello che di solito sprona le persone a compiere gesti impulsivi?” Il suo sorriso si allargò: “Già, e non ero io, quello che si è legato ad una ragazza e non riesce a togliersela dalla testa? Adesso chiama!” Ribatté Frank sorridendo e porgendo il cellulare al moro che aveva di fronte.
Prima o poi dovrò farlo. Si disse Percy accettando il telefono e componendo il numero. Mentre attendeva che una voce si facesse viva dall’altra parte, non riuscì a fare a meno di pensare a quanto fosse lontano dal suo modo di essere il fatto di tenere così tanto all’opinione di una ragazza che conosceva a malapena.
“Ehi ciao, sono quel ragazzo che hai costretto a fare felicemente una radiografia ad ogni sacco dell’immondizia il giorno del tuo compleanno.” Iniziò sarcastico appena riconobbe la voce di Annabeth dall’altra parte del telefono. Il suo tono era in bilico su quella sottile linea che divide l’arroganza dalla simpatia, ma era il suo modo di eliminare l’imbarazzo e Frank non poté fare a meno di sorridere per l’inizio particolare del suo amico mentre lo incoraggiava gesticolando pollici alzati e sorrisi smaglianti: “Ti andrebbe di uscire qualche volta?” Chiese al massimo della sua sfrontatezza.
 
Hazel aveva raccontato sia a Jason che a Leo dell’incidente della bottiglia, il giorno dopo a scuola, aspettandosi che Leo reagisse male, ma la reazione del messicano spiazzò del tutto la ragazza: “Noo, ma sei un grande! Mi sei simpatico solo perché non è grave!” Disse sorridendo ad un Jason ancora più spiazzato di Hazel: “Quindi… non ce l’hai con me?”
“Beh… eravamo ubriachi e, credo, ti sia sfuggita di mano, quindi rilassati, amico, è tutto a posto.” Concluse il ragazzo sincero: “Aspetta un attimo!” Urlò come colto da un’improvvisa illuminazione: “Ma tu non sei il figlio dell’elettricista? Quello che mi ha rubato i biscotti? Questo si che sarebbe un buon motivo per odiarti!” Aggiunse Leo ridacchiando. Anche a Jason sfuggì una risata mentre iniziava a ricordarsi qualcosa del messicano: “E tu sei quello che mi ha intimato di mettere giù le mani dai suoi biscotti o sbaglio?”
“Beh…” Rispose Leo alzando le mani come a dimostrare la sua innocenza. Hazel tossicchiò come a ricordare ai ragazzi della sua presenza ed il messicano sembrò notarlo:
 “Allora, Hazel, è successo altro?” continuò per pura curiosità.
“C-cosa? Sì, cioè no! Era tutto, è tutto.”
“Mhh.” Gli occhi scurissimi di Leo studiarono la ragazza visibilmente imbarazzata che aveva di fronte: “Devo crederti?”
“Certo!” Urlò la ragazza, per poi tapparsi la bocca rendendosi conto del tono troppo alto della sua voce. Gli occhi del ragazzo lasciarono spazio allo sguardo divertito che gli si dipinse in volto: “Farò finta che questa sia la verità. Tu che dici Jason?”
“La pura e vera verità.” Sentenziò ironico il biondo.
Era in questo modo che Jason e Leo erano diventati amici e complici in due settimane.
 
“Wow, pensavo fossi più serio di così” Si poteva mai dire una frase del genere ad un ragazzo orgoglioso come Percy? Lui era convinto fosse ingiusto, ma se una parte di lui se l’era presa ed era stata ferita sull’orgoglio, un’altra parte non poteva fare a meno, per quanto lui cercasse di metterla a tacere, di amare quella sfida e volerci riprovare.
“Frank, ti va di farci un giro, stasera? Direi che potresti anche invitare Hazel, mi piacerebbe conoscerla.” Tentò il moro. Percy sapeva che l’argomento Hazel era difficile da affrontare per Frank; dopo aver trovato quel biglietto il ragazzo non sapeva se essere più arrabbiato con Hazel per averlo fatto illudere o con Leo, che aveva sicuramente lasciato cadere quel bigliettino per farlo andare su tutte le furie. A quel punto, Frank non era nemmeno sicuro che il messaggio del biglietto fosse vero.
Nonostante ciò, Frank continuava a non trovare il coraggio di allontanarla o di parlarle. Percy aveva anche provato a farlo ragionare dicendo che non era possibile un complotto del genere da parte di un ragazzo che a malapena conosceva e continuava a consigliargli di parlarne con lei perché, tenendosi tutto dentro, non si sarebbe risolto nulla, ma Frank sembrava non volerne sapere.
“Vada per un giro!” Concordò il ragazzo.
“Ma parlerai con Hazel?”
“Non lo so, dipende dalla situazione.” Percy sbuffò esasperato, sapeva che non avrebbe  potuto fare niente per far cambiare idea a Frank, quindi si limitò ad accordarsi con l’amico per un orario ed un luogo in cui vedersi e si salutarono. Percy osservò Frank svoltare verso il vicoletto che portava al portone rosso fuoco della sua casa, con un braccio impegnato a parlare al cellulare con Hazel e l’altro che perlustrava goffamente l’interno di tutte le sue tasche alla ricerca delle chiavi.
 
“Sì, mi piacerebbe venire!” acconsentì la ragazza dall’altro lato del telefono: “Solo… Frank, ti dispiace se viene anche Leo? Non sarebbe gentile escluderlo: siamo i suoi unici amici”. Frank si bloccò davanti al portone dimenticandosi della sua ricerca delle chiavi e sentì la felicità che aveva accumulato nel sentire Hazel trasformarsi in un sentimento ben diverso; una sensazione di rabbia incontrollata si impadronì del suo stomaco, indecisa se scoppiare all’esterno, o implodere, come ogni emozione di cui Frank non voleva lasciare tracce. No, non può assolutamente venire con noi, non lo sopporto. “Ma certo!” urlò esagerando del finto entusiasmo: “A dopo.” Sentì la voce di Hazel salutarlo soffusa, perché aveva già abbassato il telefono per attaccare. Si sfilò lo zaino dalle spalle sbattendolo a terra con un tonfo e sentì il rumore delle chiavi dopo l’urto, si mise a cercare praticamente svuotando lo zaino e aprì la porta. Corse furioso in camera sua, quasi ignorando la voce via via più lontana di sua nonna che sbraitava con una nuova ramanzina e sbatté la porta per ridurla a zero.
 
Leo non pensava che includere Jason fosse un gran problema dal momento che non voleva escluderlo dai suoi amici, visto che ne aveva già pochi, quindi al telefono con Hazel non si stupì dell’entusiasmo che la ragazza mostrò nello scoprire che lui ed il ragazzo che lo aveva praticamente accoltellato con del vetro rotto fossero amici: “Certo che può venire, mi farebbe piacere.” Ogni tanto Leo aveva paura che fosse pena quella di Hazel, che volesse essere gentile con lui solo perché doveva capire che essere “quello nuovo” poteva risultare difficile, ma il messicano preferiva non pensarci troppo o sarebbe arrivato a conclusioni indesiderate: “Senti, Hazel, pensavo che potresti invitare anche quelle tue amiche, no? Annabeth e Piper, che ne dici?” Propose Leo con gli occhi da cucciolo; sapeva bene che la ragazza non poteva vederli, ma il suo tono li includeva del tutto. Invitare Piper era stata un bella mossa e sapeva che Jason l’avrebbe apprezzata.
“Mi sembra una buona idea, siamo più in contatto ultimamente e credo ne sarebbero felici.” Accettò pimpante Hazel, a Leo sfuggì una risata ironica: “Benissimo, perfetto, allora a dopo.” Gongolò mettendo giù.
 
Hazel si preparò con mille paranoie in testa: perché Leo aveva voluto che ci fossero anche Annabeth e Piper? Aveva paura di competere con loro, era sicura che avrebbe perso, per non parlare del rapporto con Frank. Aveva capito che il ragazzo doveva essere arrabbiato con lei per aver fatto finta che quel bacio non fosse mai esistito, ma neanche lei sapeva come comportarsi al riguardo. Due ragazzi le confondevano i pensieri e sapeva di aver sbagliato a baciare entrambi, ma quello che provava per Leo era totalmente diverso da quello che c’era con Frank. Non era sicura che i sentimenti che nutriva per il migliore amico fossero di certo quelli tipici dell’amore: di Frank le piaceva la gentilezza più disinteressata, i modi da gentiluomo, i piccoli accorgimenti ed il fatto che non dovesse fingere di essere ciò che non era per cercare di apparire bella ai suoi occhi. Con Leo era diverso: quel ragazzo era particolare, intelligente, genuino e sveglio ed era anche parecchio sfacciato, era la via più semplice, avrebbe solo dovuto prendere coraggio, ma non aveva voglia di illuderlo, di prenderlo in giro o farne un passatempo. Era interessata indubbiamente a lui, ma non lo conosceva neanche da così tanto tempo da poterlo definire una garanzia. Sapeva che avrebbe dovuto aspettare e valutare, ma non era sicura di riuscirci. Il problema maggiore, in quel momento, era parlare con Frank ed assicurarsi che non scoprisse del bacio con Leo, ma, d’altro canto, il messicano se l’era dimenticato come previsto; il segreto restava solo suo.
Dopo circa mezz’ora Hazel era pronta. Aveva optato per un vestito a fantasia floreale che le arrivava al ginocchio ed una giacca vellutata nera, in caso di freddo. Si avviò verso la porta quando sentì la voce di suo fratello richiamarla dalla cucina: “Hazel, dove stai andando?” Domandò poggiandosi con la spalla sullo stipite della porta, la luce del soggiorno gli illuminava solo metà del volto, ma Hazel notò comunque un sorriso sarcastico sul suo viso.
“Vado in giro con i miei amici, non torno per cena.” Nico si limitò ad annuire e ritornò nell’ombra. Hazel sapeva che suo fratello poteva essere alquanto inquietante, ma lo conosceva, sapeva quanto avevano sofferto insieme e sapeva anche che quello che mostrava agli altri, proprio come l’aveva visto un attimo prima, appoggiato allo stipite, era solo la metà, se non di meno di quello che era sul serio e non riusciva nemmeno ad immaginare una vita senza di lui a sorreggerla nei momenti bui.
Uscì sicura di casa ed un vento fresco l’avvolse, facendola sorridere, quando arrivò a destinazione, la maggior parte dei componenti era già lì.
 
“Cosa diavolo ci fai qui, Grace?” ringhiò Percy nel momento in cui vide il biondo davanti a lui.
“Ascolta, cerca di stare calmo, non sapevo ci fossi anche tu, altrimenti non avrei neanche pensato di venire.” Ribattè Jason provocandolo.
“Va bene, va bene, va bene, plachiamo gli animi e mettiamo da parte i rancori per una sera… di qualunque tipo di rancori si parli.” S’intromise Leo, prima che Percy potesse ribattere. Era parecchio più basso di entrambi, ma ottenne la loro attenzione in un attimo ugualmente. Frank se ne stava poco più in là a guardare la scena incapace di fare qualcosa.
“Ehi” Lo salutò Hazel avvicinandosi: “Mi spiace per tutta questa gente, spero non ti dia fastidio.”
“Figurati, sarà divertente conoscere nuove persone.” La verità era che Frank non era proprio il tipo di ragazzo che si fa nuovi amici con facilità, dato che la sua timidezza gli impediva di abbattere quel muro che aveva costruito con gli anni e che lo divideva dal resto del mondo, ma non voleva neanche deludere Hazel o fare il solito guastafeste che boccia ogni nuova idea. Magari Jason poteva essere un ragazzo simpatico, anche se sapeva di non doverlo frequentare con Percy nei paraggi.
“Ehm… Hazel? Non mi permetterei mai di disturbare voi piccioncini.” Il volto di Frank divenne rosso in un secondo alle parole di Leo: “Ma non è che per caso puoi chiamare Annabeth e Piper? Sarebbe saggio muoverci di qui prima che questi due inizino a fare a botte!” A Hazel scappò una risata ed annuì cacciando il cellulare dalla tasca, ma il problema sembrava sparito: Jason e Percy avevano smesso di guardarsi il cagnesco e avevano esclamato all’unisono qualcosa come: “COSA?”
“Oh, ma sono un grande!” Esclamò Leo sorridendo vittorioso con le braccia alzate in aria: “Li ho placati! Non ci…” La frase gli morì in gola perché Jason lo trascinò lontano dalle orecchie degli altri tirandolo per la maglietta verde fosforescente che il ragazzo aveva scelto di sfoggiare in giro per New York: “Sei stato tu?”
“A fermarvi? Eh già!”
“No, Leo, hai chiamato tu Piper e Annabeth?” Domandò il biondo con i suoi occhi ghiacciati spalancati.
“Sì, ho pensato ti facesse piacere vederla, può essere un’occasione per conoscervi meglio, no?” Leo sorrise, gli fece l’occhiolino e gli mollò una pacca sulla spalla riportandolo dagli altri. La serata si faceva interessante.
Dopo circa mezz’ora le due ragazze arrivarono, la faccia di Annabeth lasciava facilmente intuire di chi fosse la colpa per quell’infinito ritardo, la sua espressione, però, lasciava intuire anche un certo disagio alla vista di Percy, in fondo al gruppo, che ricambiò con un sorriso sarcastico.
“Scusate” Esalò Piper con un filo di voce: “Ma tutto questo non si prepara certo in un minuto.” Continuò la ragazza, indicandosi la faccia.
“Certo, reginetta di bellezza” Ironizzò Leo: “Adesso andiamo” Annabeth gli regalò un sorriso d’intesa e si unì alla fine del gruppo per guardare meglio tutti.
“Ebbene” Salutò Percy affiancandosi alla ragazza, lei lo trafisse con i suoi occhi grigi e lui fu costretto ad abbassare lo sguardo, era certo di essere stato troppo ubriaco la prima volta per rendersi conto di quanto fossero micidiali: “Direi che alla fine hai ceduto e sei uscita con me.” Tentò Percy senza fare l’errore di guardarla di nuovo negli occhi; Annabeth, però, alzò gli occhi al cielo e rispose senza esitare: “Ti sbagli: sono uscita anche con te.” Lo corresse senza batter ciglio.
A Percy non era mai capitato di rimanere senza parole, quindi la ragazza colmò il silenzio per lui: “Certo che dev’essere difficile aspettare due settimane per comporre un numero.”
“Ti ricordo che quel numero l’ho dovuto pescare nell’immondizia.” Attaccò il ragazzo: “E poi sono dislessico.” Cercò di giustificarsi arrampicandosi sugli specchi.
“E questo c’entra perché…”
“E va bene, sono stato un coglione a non chiamare. Me la dai una seconda possibilità?”
“Mhh, vedremo.” Sorrise lei riaggregandosi al gruppo e lasciando Percy abbattuto, poco più in là: “Impossibile. È impossibile.” Commentò il ragazzo prima di unirsi a sua volta.
 
“Ebbene” cominciò Piper; un sorriso furbo iniziava già a dipingersi sul suo volto: “Ti ho dato ciò che mi hai chiesto.”
“Ciò che ti ho… cosa?” Domandò Jason accigliato, guardandola negli occhi scuri, Piper gli rispose stringendoli a causa del sorriso che non poteva fare a meno di celare: “Ma tu non avevi gli occhi verdi?”
“Cambiano a seconda della luce, ma… Jason, mi hai sentita?” A quel punto la ragazza smise di provare a nascondere il suo sorriso e le sfuggì una risata, cosa che fece distrarre Jason più di quanto già non lo fosse: “Cosa? Certo!” Esclamò il ragazzo sicuro: “Mi hai chiesto se… No, Piper, non ti stavo ascoltando. Cioè, non che non ti stessi ascoltando perché ti trovo noiosa, assolutamente, ma ti pare che potrei mai pensare che…”
“Va bene, va bene” Lo interruppe la ragazza, con una mano alzata ridendo di gusto: “Ti ho solo fatto notare che ho mantenuto la promessa: siamo usciti, da amici, come d’accordo.” Un sorriso amaro spuntò sulla bocca di Jason mettendo in risalto la cicatrice che aveva sul labbro: “E va bene.” Iniziò il ragazzo mentre un’idea iniziava a farsi strada nella sua mente: “Che ne dici se…”
“Jason, Jason!” Lo chiamò Leo strappandolo da quella conversazione: “Ho un’idea per… Insomma vieni con me!” Urlò il ragazzo afferrandogli il braccio e costringendolo a seguirlo. Jason chiese scusa con lo sguardo a Piper e si concentrò sulla follia che era certo avesse in mente l’amico: “Che c’è? Stavo per invitare Piper ad uscire con me!” Si lamentò il biondo: “Oh beh e perché non l’hai…” Il volto di Leo s’illuminò afferrando il problema: “Oh, scusa tanto, non pensavo fossi tanto folle da chiederglielo adesso.” Continuò noncurante il messicano.
“Aspetta, cosa? E perché non dovrei farlo?”
“Beh, Hazel mi ha detto che Piper è appena uscita da una relazione un po’ complicata con un biondo ossigenato e stronzo e non penso sia in vena di flirtare col primo biondo ossigenato che le fa la corte… senza offesa, ovviamente.”
“E quando pensavi di dirmelo?” Chiese Jason che adesso si sentiva un po’ in ansia all’idea di chiedere a Piper di uscire con lui.
“Beh, l’ho scoperto adesso.” Rispose semplicemente: “Ma non perderti d’animo; ti ho detto solo di andarci piano e vedrai che cadrà ai tuoi piedi prima che tu possa lavarteli.” Scherzò Leo tentando di tirare Jason su di morale: “Senti, non era una scusa quando ti ho trascinato via da Piper dicendoti che avevo un’idea: Vedi quelle fontane che spruzzano acqua a intervalli apparentemente irregolari?” Iniziò Leo, entusiasmandosi ad ogni parola che pronunciava: “Ecco, prima Frank e Hazel parlavano del fatto che Frank odia il cane di un’amica da cui la nonna va sempre a prendere il tè, sai quei cani bruttissimi che iniziano a tremare e…”
“Leo!” L’interruppe Jason alzando gli occhi al cielo: “Il punto. Arriva al punto.”
“Oh si, in pratica non sapevo che dire, quindi mi sono messo a guardare la fontana ed a contare i secondi che passano tra uno spruzzo e l’altro e mi sono reso conto che la parte di destra della fontana spruzza acqua prima ogni sette secondi, poi ne passano tre ed infine dieci tra uno spruzzo e l’altro.” Jason iniziava a guardarlo incredulo: “Leo! Il punto!” esclamò il biondo stanco della parlantina dell’amico: “Ma è questo il punto!” Gridò entusiasta il messicano: “Fammi finire. La parte di sinistra, invece, funziona nel modo opposto: passano prima dieci, poi tre e infine sette secondi tra uno spruzzo e l’altro.” Concluse Leo soddisfatto.
“E quindi?” Domandò Jason che ancora stentava a capire il senso del discorso dell’amico. Leo roteò gli occhi al cielo come se stesse tentando di spiegarsi ad un pollo: “Ma non capisci?”
“No.” Sussurrò Jason per non interrompere il discorso del messicano evitando di guadagnarsi un’altra occhiataccia.
“Adesso ci buttiamo tutti lì e facciamo casino, ma quando Piper si avvilirà perché avrà paura di bagnarsi il vestito tu la salverai perché sai quando si alza, basta solo tenere il conto.” Terminò Leo con un sorriso compiaciuto.
“Beh, ammetto che sarebbe divertente e che stasera faccia davvero caldo per essere a metà settembre. E va bene… mi sembra un tipo di approccio stupido, ma può funzionare.”
“Grande. Vado a chiamare Percy, perché mi sembra l’unico tanto stupido da iniziare un bagno sotto la fontana senza troppe spiegazioni.” Concluse Leo avviandosi verso il ragazzo in questione.
 
Nico era finalmente da solo a casa. Non che Hazel ci passasse molto tempo in quei giorni, ma al ragazzo capitavano sempre imprevisti al lavoro, o aveva sempre qualche impegno importante da non poter proprio rimandare, quindi era da molto che non aveva uno di quei suoi incontri con Will Solace. Così, quando Hazel uscì di casa, Nico non ci pensò due volte ed afferrò il cellulare che aveva lasciato sul divano come fosse l’oggetto più prezioso al mondo. Cercò il numero dell’altro nella sua rubrica dei contatti e lo chiamò notando quanto fosse lungo il tempo che passava tra uno squillo e l’altro: “Will, ciao! Senti, stasera ho casa libera perché Hazel è scesa con i suoi amici. Ti va… ehm… di venire qui da me, sai, per un po’?” Nico si sentiva sempre un po’ in imbarazzo a parlare con un tono seducente a Will, non era il tipo di ragazzo romantico che cerca di conquistare con cliché usati e riusati.
“Mhh, non lo so, non mi sembra una cattiva idea, ma… sai, dovrei ripulire la lettiera del gatto e…” Nico scoppiò a ridere, come a prenderlo in giro: “Ma… Will, tu non hai un gatto!”, al biondo sfuggì una risata che sedò prima che diventasse più fragorosa: “Arrivo.” Rispose riattaccando.
 
Circa cinque minuti dopo aver trascinato Percy di peso sulle fontane con l’espressione più confusa che gli amici avessero mai visto,  già tutti i ragazzi si erano lanciati sulle fontane scappando da ogni getto d’acqua che sistematicamente li investiva. Annabeth notò con piacere che la maglietta bianca che indossava Percy si era del tutto appiccicata al suo petto lasciando ben poco spazio all’immaginazione.
“Però!” Esclamò Piper avvicinandosi all’amica: “Non hai per niente scelto male.” Disse condendo il tutto con una risata.
All’improvviso le ragazze sentirono simultaneamente le piccole mani di Hazel che le spinsero senza preavviso proprio su un getto d’acqua, mentre Jason le osservava da lontano e Leo gli lanciava occhiate d’intesa o sorrisi di incoraggiamento.
Hazel, invece, dopo aver spinto le ragazze nell’acqua era scivolata rovinosamente sul suolo già scivoloso di suo per via dell’effetto dell’acqua e Frank non ci pensò due volte prima di andarla a soccorrere, notando lo sguardo attento di Leo puntato su di loro, che non sembrava più tanto rilassato e divertito: “Che c’è?” gli urlò con aria di sfida Frank, sotto lo sguardo di rimprovero di Hazel che si guardò bene dal non incrociare per non lasciar cadere le sue accuse tanto facilmente.
“’Che c’è’ cosa?” Gridò di rimando Leo dall’altra parte della fontana.
“C’è qualche problema?” domandò con una calma innaturale il più robusto, che non aveva più bisogno di urlare, dato che si era avvicinato di molto al messicano, mentre il resto del gruppo rimaneva a debita distanza per non peggiorare la situazione. Hazel era l’unica che si era avvicinata intimando a Frank di smetterla.
“Amico, non ho capito quale sia il tuo problema, ma dovresti darti una calmata.” Ribatté Leo che sotto lo sguardo sarcastico celava alla perfezione una strana sensazione di nervosismo.
“Te lo dico io qual è il problema.” Rispose sfilandosi dalla tasca posteriore dei pantaloni un bigliettino che, in condizioni normali, sarebbe passato inosservato agli occhi di chiunque.
“Ehi, quello è il biglietto da visita della pasticceria di mia madre!” S’intromise Percy, che aveva riconosciuto il pezzo di carta.
“Già, ma non penso che tua madre ci abbia scritto sopra questo. Ti è caduto dalla tasca due settimane fa.” Disse Frank consegnando il bigliettino nelle mani di Leo, la sua calma iniziava  a vacillare facendo spazio al nervosismo che aveva accumulato in due settimane. Leo accolse il biglietto tra le mani e la sua espressione sconvolta fece preoccupare tutta l’improbabile comitiva.
“I-io non ne sapevo niente, cioè, non me lo ricordo e… Hazel! Ti avevo chiesto se fosse successo altro!” Esclamò puntando i suoi occhi scurissimi su quelli della ragazza, che non disse una parola, si limitò ad abbassare lo sguardo come a scusarsi.
“Va bene, senti amico, mi spiace per essermi guadagnato il tuo odio per una ragazzata, ma, senza offesa, voi due non state insieme ed io, tecnicamente, non ho alcuna colpa se non quella di averti fatto soffrire e, mi dispiace, ma non me lo ricordavo neanche.” Continuò il messicano tutto d’un fiato ritrovando le parole.
“è successo altro?” Si limitò a domandare Frank.
“No!” Intervenne Hazel parlando, forse, ad un tono un po’ più alto di quanto volesse: “No.” Ribadì con più calma. Leo tirò un sospiro di sollievo.
“Sarà meglio che vada.” Disse Frank incamminandosi con Hazel e Percy al seguito e lasciando Leo a fissare un punto nel vuoto con il bigliettino in mano. Jason lo prese delicatamente dalle mani dell’amico e lesse cosa c’era scritto: “Merda.” Commentò senza aggiungere altro.
“Va bene, ragazzi!” Riprese Leo con un po’ troppa positività nella voce: “Qualcuno sa aiutarmi a tornare a casa da qui?”

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Capitolo 7
*** 7- Coach irritabili e medicazioni di fortuna ***


Note dell’autrice: Buoooona domenica, cari lettori. Continuiamo a plasmare il tempo a nostro piacimento ritrovando i nostri ragazzi alle prese con la risoluzione del problema dello scorso capitolo e la creazione di nuovi. Non ho molto da dire, solo che in questa settimana sono riuscita a scrivere un po’ più di quanto sia riuscita a fare nelle scorse e posso assicurarvi che nuove ed imbarazzanti cose stanno arrivando. Volevo chiarire la questione Solangelo, che è davvero poco presente. Vorrei dare davvero più spazio alla coppia (essendo, forse, la mia preferita), ma è abbastanza difficile incastrarla. Posso assicurare, però, che nei prossimi capitoli, quei due si faranno vedere eccome. Vi aspetto, come al solito qui giù. (Non so assolutamente concludere nulla nella vita. Come si saluta? Aiut)
T_W

 
COACH IRRITABILI E MEDICAZIONI DI FORTUNA
 
Jason non sapeva bene come comportarsi con Leo e non perché non riuscisse a tirargli su il morale, ma perché il messicano sembrava ancora più gioioso del solito.
Dal canto suo, Jason non riusciva neanche a capire se la sua estrema felicità fosse autentica o solo un modo per mascherare la tristezza. Così cercava di stargli vicino quanto più potesse senza far trapelare la preoccupazione che, ormai, non poteva fare a meno di provare.
 
Erano passate più di due settimane dalla serata del bagno nelle fontane, ma Leo non parlava con Hazel da quel giorno se non per salutarla o chiederle penne in prestito durante le ore di storia.
Quel giorno, però, decise che era arrivato il momento di interrompere quel ridicolo silenzio che era calato tra loro e di parlarle: “Ciao!” Salutò con la disinvoltura di chi non ha non parlato per più di due settimane con una persona. La ragazza si guardò per qualche secondo intorno, incerta se Leo stesse davvero parlando con lei. Una volta resasi conto che sì, il ragazzo stava davvero parlando con lei, gli si avvicinò con uno sguardo confuso e curioso di scoprire cosa avesse di così importante da dirle da rompere quel silenzio che durava, ormai, da giorni tra loro. In realtà, però, neanche Leo sapeva cosa dirle, voleva solo che ci fosse qualcosa da dire: “Io, beh… Mi ricordo poco di quello che è successo e mi dispiace.” Iniziò rincuorato dal fatto che era riuscito a dire qualcosa senza aver fatto l’errore di essersene stato tutto il tempo a fissarla, in cerca di qualcosa da dire.
“Figurati, meglio così!” rispose velocemente Hazel, che in quelle settimane aveva pensato molto a cosa dire a Leo, ma non avrebbe mai pensato sarebbe stato un discorso facile e scorrevole. Leo tirò un sospiro di sollievo, ma il pensiero di non riuscire a ricordare di aver baciato la ragazza che gli piaceva rischiava di farlo impazzire. Il silenzio che tanto temevano calò tra loro; Leo iniziò a fissarla come fosse sul punto di dire qualcosa quasi ogni secondo.
“Bene, Leo, sono felice che abbiamo chiarito, davvero. Ora devo andare da Frank.”
“Oh, Frank, senti, non è che adesso mi odia?” Domandò il messicano preoccupato, a Hazel sfuggì una risata: “Non penso ti odi, ma non sono neanche sicura tu sia la sua persona preferita.” Rispose la ragazza che, un po’ per il nervosismo, un po’ per la domanda di Leo, non riusciva a smettere di ridere: “Oh, va bene. Allora… ci si vede in giro?” Domandò passandosi una mano sul retro della testa imbarazzato.
“Certo.” E, così dicendo, Hazel si voltò per andarsene.
“Oh, Hazel!” La richiamò il messicano, rosso in viso: “M-mi dispiace di non ricordare quel bacio.”
“Già, me l’hai detto, non ti preoccupare, non mi sono offesa; eri ubriaco.” Rispose la ragazza che, ancora sotto l’effetto dell’imbarazzo di quel discorso, non doveva aver colto le parole di Leo.
“No, non intendevo quello, dicevo che mi sarebbe piaciuto tanto ricordarlo.”
“Oh” La verità investì Hazel in un secondo, lasciandola scossa per qualche momento: “Magari un giorno lo ricorderai.” Aggiunse andandosene. A Leo rimase un dubbio: intendeva che un giorno gli sarebbero riaffiorati i ricordi, o che avrebbe avuto un altro bacio da ricordare? Con quell’incognita si avviò verso la classe di letteratura, che aveva con Annabeth.
 
Jason aveva proposto a Leo di entrare nella squadra di football perché credeva che avere una squadra potesse aiutarlo a sentirsi meno solo.  Non era stato difficile farlo entrare dato che lui era il capitano e che un ragazzo era stato costretto ad abbandonare il gruppo dopo aver picchiato un avversario per avergli pesato il piede. Il coach, dal canto suo, poi, non vedeva l’ora di colmare il vuoto lasciato da quel Dylan con il primo ragazzo che si fosse offerto di far parte della squadra. Leo era, quindi, entrato senza aver mai provato a giocare a football prima e senza neanche conoscere bene le regole del gioco, dato che Jason non voleva proprio saperne di sentire un no come risposta.
Gli allenamenti erano stressanti dato che il coach non faceva altro che ripetergli quanto fosse scarso e paragonando la sua forza a qualunque nonna, zia grassa o iguana che avesse mai avuto. A guardarlo da lontano Leo avrebbe quasi detto che fosse un vecchio simpatico ed incapace di fare del male ad una mosca, ma più lo conosceva e più si rendeva conto che era totalmente pazzo.
Il messicano crollò a terra dopo che, con il più grande sollievo che avesse mai provato, il coach dichiarò che avessero fatto abbastanza addominali per quella mattinata. Leo non era mai stato portato per lo sport di qualunque tipo: preferiva gli indovinelli logici e matematici che trovava al computer o alla fine delle riviste di meccanica che leggeva la madre. “ALZATI, DISGRAZIATO!” Ringhiò il coach Hedge dritto nelle orecchie di Leo facendo volare via i timpani del ragazzo: “Ora ne fai altri venti!” Urlò puntandogli la mazza da baseball, che, in un certo senso, ricordava al ragazzo una clava e che portava inspiegabilmente sempre con sé sul petto. Leo imprecò a denti stretti ubbidendo agli ordini del coach.
“Ti sei divertito?” Domandò Jason nello spogliatoio all’amico che sembrava respirare a stento. Leo riuscì solo a regalargli un’occhiataccia mentre provava invano a pronunciare una delle sue solite battute sarcastiche.
“Leo!” Lo chiamò dal fondo dello spogliatoio una voce che il ragazzo non riconobbe subito: “Ehi ciao!” Disse un ragazzo dai capelli neri: “Ciao, Percy, dimmi.”
“Se sei qui per arrabbiarti con Leo da parte di Frank puoi anche andartene.” S’intromise Jason minaccioso.
“Jason, io non penso che…” Disse Leo confuso.
“Ma che cazzo vuoi?” Rispose Percy avvicinandosi al biondo e guardandolo in cagnesco: “Stavo parlando con Leo e, so che non è il tuo genere, ma volevo essere gentile.”
“Sì, certo, vaffanculo.”
“Ma vacci tu.” Rispose Percy afferrandolo per la maglia sudata.
“Va bene, ragazzi, calma.” S’intromise Leo, che non riuscì a catturare l’attenzione di nessuno dei due.
“Poi saresti capace di essere invidioso anche del fatto che ci sono lì io e non tu.” Rispose Jason provocandolo. A Percy si annebbiò la vista dalla rabbia e gli sferrò un pugno sullo zigomo, mentre Leo cercava in tutti i modi di fare qualcosa per fermarli. Jason reagì senza batter ciglio colpendolo sul sopracciglio, che iniziò a sanguinare copiosamente, mentre Percy diventava sempre più aggressivo.
“MASCALZONI!”  La voce del coach Hedge risuonò tra le grate degli spogliatoi: “JACKSON! COSA STAI FACENDO?” Urlò il coach mentre tirava via Percy da Jason, che aveva smesso di reagire facendo passare il moro per l’attaccabrighe di turno. “Adesso vieni con me in presidenza.” Gli disse tirandolo per le orecchie fuori dallo spogliatoio.
“Merda.” Borbottò il ragazzo maledicendo Jason con tutti gli insulti che il suo cervello riusciva a ricordare, mentre si dirigeva in presidenza con un viaggio tutt’altro che piacevole.
Il coach Hedge scaricò Percy su una delle sedie antecedenti l’ufficio del preside e lo lasciò preoccupandosi solo di mormorare qualcosa che sembrava diretta più a se stesso che al ragazzo. Percy mise una mano sulla guancia a reggersi la testa sbuffando, dato che sapeva per esperienza che il preside non l’avrebbe ricevuto prima di un bel po’. Se non altro pensò potrei essere così fortunato da perdermi buona parte dell’ora di storia.
Dieci minuti dopo, il ragazzo iniziò a sentire le palpebre pesanti e lottò con tutto se stesso per non abbandonarsi al sonno. Poté essere sicuro di aver vinto la sua battaglia quando una ragazza dai lunghi capelli biondi raccolti in una crocchia entrò nella piccola stanza, sgranando gli occhi alla vista di Percy. Il moro la salutò con la mano, mentre sentiva le punte delle orecchie iniziare ad andare a fuoco, un sorriso ebete gli si dipinse in viso e non poté fare nulla per mascherarlo.
“Ciao.” Lo salutò lei, con un tono interrogativo, omettendo la domanda che moriva dalla voglia di fargli da quando aveva messo piede in quella stanza.
“Annabeth, ciao! Siediti.” Le rispose come se la sedia fosse sua.
“Tu… Insomma, perché sei qui? E perché hai il sopracciglio che sanguina?”
“Ma non ti sfugge niente.” Replicò ironico Percy, che non aveva alcuna voglia di spiegarle che aveva fatto a botte con il ragazzo che ci provava con la sua migliore amica.
“Che hai fatto?” Chiese facendosi seria la ragazza e sedendosi sulla sedia accanto a quella di Percy.
“Niente, diciamo che c’è un ragazzo che non mi va troppo a genio e oggi ho esagerato.” Rispose amaro il ragazzo al massimo dell’imbarazzo.
“Mh…” Annabeth sembrò rifletterci su: “Quindi questo ragazzo che non ti va troppo a genio non è Jason.” A Percy sfuggì una risata: quella ragazza era piena di sorprese.
“E tu?” Domandò cambiando discorso: “Perché sei qui?”
“Voglio che il preside ci dia il permesso di fare una visita ai più famosi musei di New York.” Spiegò Annabeth con gli occhi che brillavano. In quel momento la porta dell’ufficio del preside si aprì di botto e Percy ne fu quasi contento dato che non era sicuro di riuscire a sostenere un discorso sulla storia e sui musei con una ragazza come Annabeth. L’espressione delusa del preside, però, gli fece quasi rivalutare quel pensiero: “Jackson” Iniziò il preside abbattuto, nella sua voce non c’era neanche l’ombra della rabbia che Percy si aspettava. Il ragazzo pensò che sarebbe quasi stato meglio uno sfogo come quello del coach, piuttosto che il senso di colpa con cui si stava trovando a fare i conti: “Entra e vediamo di chiudere questo discorso il prima possibile.” Percy entrò nella stanza con la coda fra le gambe sotto lo sguardo attento di Annabeth che doveva aver capito che era un ospite che si faceva vedere troppo spesso da quelle parti.
“Cosa hai fatto questa volta?” Gli domandò il preside scocciato mentre si accomodava sulla grande sedia nera di pelle. Percy richiuse la porta lanciando un ultimo sguardo ad Annabeth rincuorato solo dal fatto che l’avrebbe rivista dopo quell’incontro.
“Non ho fatto niente. Io e Grace ci siamo solo un po’ scaldati. Niente di più.”
“Lo vedo. Carino il sangue rappreso sul sopracciglio.” Commentò sarcastico il preside.
“Preside Chirone.” Iniziò Percy: “Mi dispiace davvero tanto per aver perso il controllo, ma si può sapere perché ci sono solo io qui? Insomma, il sopracciglio non me lo sono certo sfasciato da solo.”
“Perché evidentemente stai combinando così tanti guai che ormai sei diventato il capro espiatorio di tutti. Ti prego, non farmi arrivare a farti sospendere e promettimi semplicemente che ci penserai e non lo farai più.” Percy incrociò le braccia al petto ed abbassò lo sguardo senza proferir parola: “Tu cerca di tenerti lontano dai guai per un po’ e nessuno ti darà più tutta la colpa di niente.”
“Va bene.” Rispose alzandosi dalla sedia posta di fronte alla scrivania del preside: “Non può tenermi un altro po’ qui? Ho storia.” Disse recuperando di nuovo quella luce ironica negli occhi.
“Esci.” Disse ridendo e scuotendo il capo il preside.
Percy rivide, come si aspettava, di nuovo Annabeth e le sorrise raggiante: “È tutto tuo!” Le disse mentre la ragazza entrava nella sala di Chirone. Un’idea malsana iniziava a formarsi irrimediabilmente nella sua testa.
Infatti quando la ragazza uscì poco dopo fu sorpresa di trovare Percy appoggiato al muro con il suo solito sorrisetto stampato in volto: “Che ci fai qui?” Domandò la ragazza mentre un sorriso iniziava a farsi strada sul suo viso senza che lei potesse far niente per sopprimerlo.
“Ho pensato di aspettarti.”
“Io penso che tu debba andare in infermeria perché il sangue si è…”
“Sì, lo so, si è rappreso.” Disse Percy interrompendola ed alzando gli occhi al cielo: “Lo so, ma non voglio andarci. Mi odiano, lì.”
“Per tua fortuna” Iniziò la ragazza: “Piper mi ha lasciato acqua ossigenata, ovatta e cerotti nello zaino, prima.”
“E perché dovrebbe avere tutte queste cose?”
“Perché mette scarpe con tacchi vertiginosi che le fanno venire le vesciche.” Rispose ridendo la ragazza, mentre cercava nella borsa gli oggetti che gli aveva promesso.
Versò dell’acqua ossigenata su un batuffolo d’ovatta mentre Percy non riusciva a staccarle gli occhi di dosso sentendosi un po’ sotto pressione. Alzò lo sguardo incontrando quello verde mare del ragazzo e, alzando un braccio, iniziò a tamponare col batuffolo sul sopracciglio sbucciato. Erano più vicini di quanto fosse necessario, ma a nessuno dei due sembrò dispiacere troppo. Quando Percy le si avvicinò chiudendo gli occhi, pronto ad incontrare le labbra di Annabeth con le sue, lei si abbassò per prendere il cerotto dallo zaino, sotto lo sguardo attonito ed imbarazzato del moro, che si affrettò a mormorare qualche scusa.
“Non preoccuparti.” Rispose la ragazza applicando il cerotto: “Ma… Ora devo andare.” Continuò girandosi e scappando via senza fermarsi a notare neanche la reazione di Percy. Non sapeva perché l’avesse fatto, ma sapeva che quello non era semplicemente il momento giusto. Continuava a credere che, una volta ottenuto ciò che voleva, lui avrebbe ripreso a trattarla come avrebbe trattato qualunque altra ragazza che voleva solo far cadere ai suoi piedi.
 
“Dammene di più.”
“Lo sai che non va bene così tanta, non voglio certo che tu ti senta male.” Commentò amaramente il biondo.
“Ma se fossi io a volerlo?”
“Ma sono io quello che vende, quindi fuori dai piedi, Percy.” Gli rispose scacciandolo con quella che doveva essere ufficialmente una pacca sulla spalla, ma che sembrava più uno spintone.
Percy si recò velocemente a casa sua chiedendosi se anche quella sera avrebbe trovato sua madre a piangere in bagno senza poter fare niente per farla stare meglio. Chissà se anche quel giorno sarebbe scappato con una scusa stupida al bar per non vederla in quelle condizioni; sapeva che poteva sembrare egoista da parte sua, ma sentiva di non poter sopportare di vedere sua madre in quello stato e preferiva lasciarla da sola.
Come da programma, allo scatto delle chiavi nella serratura, sentì un singhiozzo sommesso. Percy agguantò velocemente qualche dollaro dal mobiletto che si trovava accanto alla porta mentre sentiva già le lacrime, prepotenti, riempirgli gli occhi. Sentì il groppo ed il bruciore alla gola che si provano quando si cerca di trattenere le lacrime. Soffocò un: “Torno tra poco.” e si affrettò alla porta con la speranza che il vento fresco di ottobre gliele asciugasse, mentre uno sguardo duro e pensieroso si dipinse sul suo volto.
Con sua grande sorpresa, arrivato al solito bar, intravide una figura massiccia al tavolo a cui si sedeva sempre: “Frank.” Salutò sedendosi accanto a lui non nascondendo la frustrazione che trapelava dalla sua voce. Solo in quel momento notò che l’amico manteneva uno sguardo basso e si intravedevano delle lacrime ormai asciutte sul suo viso: “Tutto bene?” lo incalzò il moro alzandogli il viso con una mano affinché potesse guardarlo negli occhi: “Sì, le solite cose: mia nonna che si infuria per cose di poco conto e finisce per lanciarmi addosso tutta la sua frustrazione fino ad incolparmi per… per la morte di mia…”
“Va bene, ho capito.” Lo interruppe Percy alzando una mano con gli occhi di nuovo illuminati da un’idea: “Qui ci vuole qualcosa di forte.” Disse mentre estraeva dalla tasca il pacchetto acquistato poco prima con un sorriso compiaciuto ad illuminargli il volto. Frank, in tutta riposta, ricambiò con uno sguardo sbalordito e preoccupato insieme: “Qui?” Domandò incredulo. A Percy scappò una risata: “Ma no!” esclamò: “Vieni, andiamo.” Lo incalzò mentre un cameriere si avvicinava al loro tavolo con un una penna ed un foglio accartocciato stretti in un’unica mano, ma Percy non perse tempo ed afferrò il braccio di Frank per portarlo via prima che il cameriere potesse parlare, mentre Frank, ormai a metà strada, si girava indietro per domandare perdono con lo sguardo al cameriere.
Percy lo condusse ad un campetto di basket isolato ed al buio, dove qualche pallone sgonfio era l’unica compagnia che avevano. Svuotò metà del contenuto della sua bustina su una cartina lunga e compose la canna con maestria sotto gli occhi insicuri di Frank: “Percy… Io non sono sicuro che…”
“Prova soltanto. Se non ti piace la fumo io.” Lo interruppe il ragazzo porgendogli la canna dalla quale aveva già fatto un paio di tiri. Frank accettò titubante e tossì quando fece il primo tiro sotto gli occhi divertiti di Percy.
Venti minuti dopo erano ancora lì; Percy tirava mancando di diversi metri il canestro con tutti i palloni sgonfi che si trovava accanto, mentre Frank era accasciato su una panchina stanco, anche se Percy aveva fumato molto più di lui. Il moro si fermò seguendo l’idea di Frank di sedersi sulla panchina: “Ma come fai ad essere così energico?” Gli domandò con tono stanco. Percy gli rispose quasi soffocando dalle risate: “Ma tu non hai praticamente fumato!”
“Senti” Iniziò Frank: “Ma tu con chi ci vai al ballo?” Domandò cambiando discorso.
“Ora lo chiedo ad Annabeth!” Dichiarò prendendo il cellulare dalla tasca e soffocando un urlo quando la luce del cellulare lo accecò.
“Io non penso sia una buona idea.” Sentenziò Frank cercando di fermarlo, ma il ragazzo aveva già avvicinato il telefono all’orecchio: era troppo tardi.
 
“Annabeth!” Chiamò Piper alzando il telefono in aria: “Ti sta chiamando quel Percy!”
“Cosa? Ma che vuole?” Rispose da un’altra stanza mentre si avvicinava all’amica: “Pronto?”
“Annabeth!” Urlò Percy biascicando: “Ci vieni al ballo con me?” Domandò con tono sfacciato.
“Percy? Sei ubriaco?”
“Non esattamente. Sono fatto, in realtà.” Precisò ridendo.
“Allora ne riparleremo quando sarai sobrio.” Ribattè chiudendo la chiamata e chiudendo anche il discorso.

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Capitolo 8
*** 8- Punti di vista ***


Note dell’autrice: Alloooora, ho qualcosa di importante da dire prima di lasciarvi al capitolo (Sì, sopportate il mio sproloquio). Non ho perso il calendario, so che oggi è lunedì, ma ieri non ho avuto modo di pubblicare il capitolo (giuro, non è una scusa. Era già pronto.) perché non sono stata a casa il fine settimana e la connessione non era certo dalla mia parte. Detto ciò si, finalmente un momento Percabeth nello scorso capitolo, ma non è stato poi così soddisfacente. Il titolo di questo nuovo capitolo, invece, è particolarmente implicito. Qualcosa di importante sta per succedere, ma non vi fermate alle apparenze, ottobre è ancora lungo e pieno di sorprese eheheh. Vi lascio, altrimenti mi linciate. Vi aspetto, come al solito, qui giù.
Adieu
T_W

 
PUNTI DI VISTA
 
“I club che sceglierete vi aiuteranno ad ottenere, alla fine dell’anno scolastico, un giudizio complessivo migliore. Spero la cosa vi interessi. C’è davvero una grossa scelta, non credo vi sarà difficile trovare qualcosa adatto a voi. Non vorrete farmi credere che non abbiate interessi o passioni. Vi invito a comunicare le vostre scelte ai vostri rappresentanti, che siano Reyna Ramìrez-Arellano o Jason Grace. Vi prego, inoltre, di non far passare troppo tempo.”
La voce irritante della professoressa di letteratura, di primo mattino, non aiutò in alcun modo Annabeth ad iniziare al meglio la giornata. Dall’altra parte della classe, poi, Leo se ne stava in fondo con le braccia incrociate sul banco a fargli da cuscino, gli occhi chiusi.
La campanella di fine lezione suonò poco dopo facendo tirare un sospiro di sollievo ad Annabeth. Lei odiava quella donna e non vedeva l’ora, ogni volta, di smettere di sentirla parlare. Le sue lezioni, però, erano parecchio interessanti e la ragazza aveva deciso che quelle sue ore valevano di più della persona con cui le trascorreva. Si alzò dalla sedia radunando tutte le sue cose e corse a svegliare Leo: “Tu che club frequenterai?” Domandò pimpante Annabeth, certa del fatto che il ragazzo non sapesse nulla di quella storia, avendo dormito per tutto il tempo.
“Io… cosa?” Domandò, come da programma il messicano.
“Vieni,” Esordì Annabeth tendendogli la mano con un sorriso: “Andiamo in biblioteca. Sceglieremo lì. Oh, se vuoi puoi chiamare anche gli altri.”
Leo accettò la mano della ragazza scuotendo la testa come a svegliarsi del tutto e si alzò prendendo di sfuggita lo zaino.
Mezz’ora dopo sette ragazzi generalmente rumorosi erano silenziosamente seduti ai grandi tavoli grigi della biblioteca con un foglio ciascuno nelle mani contenente le informazioni principali per ogni corso da seguire: “A me non dispiacerebbe scrivere per il giornalino della scuola!” Esordì entusiasta Annabeth.
“Ma perché non il club di pesca?” Rispose ironico Percy, dall’altra parte del tavolo, facendo ridere senza sosta Frank ed alzare gli occhi al cielo ad Annabeth.
“Io proverei ancora una volta il corso da cheerleader. Anche se non mi piace affatto che le ragazze che ne fanno parte vengano considerate belle, ma senza cervello.” Valutò Piper mesta, mentre Jason sgranò gli occhi e boccheggiò in cerca d’aria immaginandosi la ragazza in uno di quei vestiti succinti che portavano sempre le cheerleader.
“Io penserei di gestire il sito della scuola.” Propose Leo, che era sempre stato bravo ad armeggiare con computer e macchine simili: “Certo, magari potrei anche combinare qualche guaio… Come hackerare tutti i registri dei professori.” Disse, poi, condendo il tutto con un sorrisetto angelico. Sul tavolo calò il silenzio.
“Tu… Sai fare queste cose?” Domandò Frank, che non era stato in grado di trattenersi.
“Perché, hai qualcosa da nascondere, Zhang?”
“Beh…” Esordì Hazel ad alta voce per spezzare la tensione che iniziava via via a diventare più densa tra i due: “Che ne dite del corso di pittura? A me sembra interessante!”
“Hai detto bene!” Una voce sconosciuta ai ragazzi si inserì nel discorso: “Sono Rachel, a capo del progetto, spero sarai tra noi!” Disse una ragazza dai folti capelli rossi porgendole la mano.
“In realtà sto ancora decidendo, ma potrei valutare l’idea di farne parte.” Concluse Hazel girandosi a guardare la nuova arrivata.
Rachel, però, sembrava impegnata a fissare senza sosta Percy, dall’altra parte del tavolo.
“E tu?” Domandò infatti interpellandolo: “Non vuoi far parte del mio club? Sono sicura che te la spasseresti un sacco!” Propose civettuola ed entusiasta. Percy scoccò un’occhiata ad Annabeth che, però, li guardava divertita senza alcuna traccia di gelosia nello sguardo.
“Sai cosa? Penso sarebbe parecchio divertente!” Rispose Percy senza staccare gli occhi dalla bionda: era deciso più che mai a farla ingelosire. Dal canto suo, però, la ragazza non sembrava per niente infastidita e tornò a leggere i corsi sul suo foglio senza degnarlo più neanche dello sguardo divertito che gli aveva concesso in precedenza.
“Dico proprio che ci sarò!” concluse a voce più alta, come a farsi sentire dall’intero tavolo.
“Grandioso!” Squittì la ragazza: “Corro a segnarti sull’elenco!” Concluse scappando via per paura che il ragazzo cambiasse idea all’improvviso.
“Veramente vorrei partecipare anch’io!” Le urlò dietro Hazel, che sembrava la sola a non voler sfruttare il corso di pittura per conquistare: “Bene, allora lo faremo insieme?” Esordì di nuovo la ragazza, che, al contrario di Percy, sembrava aver notato l’amarezza che celavano gli occhi noncuranti di Annabeth.
“Ragazzi…” Chiamò mogio Leo: “Voi ci andate con qualcuno a quello stupido ballo?”
Annabeth lasciò che i suoi occhi si fiondassero sul moro dagli occhi verdi dall’altro lato del tavolo: moriva dalla voglia di sapere se si ricordasse qualcosa della sera in cui gliel’aveva chiesto, ma il ragazzo le concesse solo uno sguardo fugace, prima di proferir parola: “Beh… Non lo so, sapete…”
“C’è prima Halloween e sono abbastanza sicuro che Drew non perderà l’occasione di organizzare una delle sue feste… Le voci girano quando si è rappresentanti!” Esclamò Jason che non aveva alcuna intenzione di far parlare Percy di quante ragazze gli cadessero ai piedi con Piper nei paraggi.
“Chi è questa Drew? E cos’hanno di speciale queste sue feste? Cos’è, ci sono più ragazze del solito?” Si informò Leo.
“Drew è, probabilmente, la ragazza più popolare della scuola. Credimi, è talmente esuberante che non credo ti sarà troppo difficile riconoscerla. Per lei ogni occasione è buona per mettersi in mostra ed organizzare feste.” Spiegò Jason
“Ed è anche uno dei motivi per i quali potrei scartare l’idea di entrare tra le cheerleader.” S’intromise Piper.
“Ed è uno dei motivi per cui chiederò un posto tra le cheerleader.” Scherzò Leo.

“Oh, non hai capito.” Riprese Piper: “Quella ragazza è una iena. Non vorrei scoraggiarti, ma se anche ti dovesse mostrare un minimo di interesse, puoi essere sicuro che avrà un secondo fine. È una manipolatrice e ha sempre avuto in testa solo un ragazzo.” Concluse guardando in direzione di Jason, che arrossì vistosamente.

“Grande, fratello!” Esultò Leo assestandogli una pacca su una spalla, col solo risultato di far aumentare il rossore sul volto del ragazzo.

“Un uccellino mi ha detto che stavate parlando di me!” Esordì una voce frivola: “Sicuramente stavate parlando della meravigliosa festa di Halloween che darò a breve, a casa mia. Tu ci sarai, vero, dolcezza?” Domandò sussurrando all’orecchio di Jason e dandogli un pizzicotto sulla guancia, seguito da un risolino.

“Beh, veramente non so se potrò…” Iniziò il biondo guardando Piper, che sembrava essere parecchio tesa.

“Io non ammetto mai una risposta negativa.” Sentenziò Drew interrompendolo con tono calmo, ma deciso: “Allora… Ci sarai?” Il suo profumo di Natale era così inebriante e la sua voce così suadente che Jason si ritrovò ad annuire senza che avesse effettivamente consentito ai suoi muscoli di muovesi.

“Vi aspetto in molti.” Gongolò congedandosi: “E tu chi sei? Sei nuovo?” Domandò poi, un secondo prima di girare sui tacchi e andarsene.

“I-Io? Sono L-leo.” Rispose il messicano, che aveva invece smesso di opporsi all’effetto che il fascino della ragazza provocava; a dire il vero, non ci aveva nemmeno provato.

“Va bene, L-leo, aspetto anche te alla mia festa.” Rispose andandosene definitivamente.

“Ma cos’è stato, un raduno di civette oggi?” Commentò Hazel che, a differenza delle sue amiche, non era riuscita a nascondere il suo fastidio per la reazione di Leo.

La voce di Annabeth, che fino ad allora era stata a riposo, si levò. Si rivolse a tutti i suoi amici, ma tenne i suoi penetranti occhi grigi puntati su Percy: “Allora, avete fatto le vostre scelte?”

 
A Percy non piaceva Rachel. Era obiettivamente una bella ragazza, allegra e anche piacevolmente diversa dalle altre, ma Percy non riusciva a farsela piacere, nonostante tutti i suoi amici lo incitassero a provarci pur sapendo dei suoi dubbi. La cosa non gli dava poi tanto fastidio: sapeva che non avrebbe mai osato ferirla e sapeva anche che i suoi compagni di squadra semplicemente scherzavano.
Il peggio, però, accadde alla fine dell’allenamento di quel giorno.
Percy era più stanco del solito. La notte prima aveva dormito davvero poco e l’allenamento l’aveva stancato esageratamente. Quando finalmente tornò nello spogliatoio era quasi contento di vedere Jason, dall’altra parte della stanza. Si concesse una doccia calda e si rivestì velocemente con il coach Hedge che prendeva a bastonate tutti i ritardatari come lui. Miracolosamente riuscì a sfuggirgli sgattaiolando di corsa fuori lo spogliatoio imitando il comportamento furbo di Jason di qualche attimo prima. Continuò a tenere gli occhi fissi sulla porta, mentre la richiudeva alle sue spalle e muoveva i primi passi. La voce squillante di una ragazza lo costrinse a girarsi definitivamente.
“Iniziavo a chiedermi se ne fossi uscito vivo, da quella doccia!” Scherzò Rachel avvicinandosi pericolosamente al ragazzo ed iniziando a schiacciarlo contro la porta dello spogliatoio.
“Eh già!” Rispose Percy imbarazzato, passandosi una mano nei capelli ancora un po’ gocciolanti.
“Ad un certo punto mi sono quasi convinta ad entrare per verificare di persona…” Un sorriso malizioso comparve sul volto lentigginoso della ragazza, mentre una goccia cadde dai capelli di Percy per iniziare a viaggiare sul suo collo. Rachel, però, non lasciò alla goccia il tempo di continuare il suo percorso, perché l’arrestò con la sua lingua lasciando leggeri baci sul collo del ragazzo. Percy sospirò senza capire se volesse essere un sospiro di piacere o di fastidio, ma lasciò continuare la ragazza, che adesso esitava sull’angolo della sua mascella sempre più vicina ad intercettare le labbra del ragazzo.
“Jason!” Urlò una voce che Percy conosceva piuttosto bene: “Sono venuta a… Oh” Annabeth esitò sorpresa sulla soglia del grande portone verde che dava su uno degli anonimi corridoi della scuola, poi si riprese continuando a parlare col biondo e concedendogli tutta la sua attenzione: “Ti ho portato i fogli dei club. C’è il mio, quello di Piper e quello di Hazel. Spero sia tutto in ordine.” Jason guardò prima Percy e Rachel e poi si concentrò su Annabeth per cercare di comprendere come avesse realmente reagito a quella vista, ma non ebbe il tempo di rispondere alla ragazza, perché il coach Hedge diede una manata sulla porta dello spogliatoio facendo sussultare Percy e Rachel ed uscendo con l’aria di uno che non avrebbe ammesso discussioni: “JACKSON!” Tuonò nei timpani del ragazzo: “SEI PREGATO DI FARE IL PERVERTITO A CASA TUA!”
“Ma, coach!”
“VATTENEEEE” Urlò prendendo a bastonate il ragazzo che uscì fuori con la coda fra le gambe. Annabeth si concesse una misurata risata e si congedò velocemente da Jason per paura che il coach gli volesse riservare la stessa fine.
Tra i corridoi strapieni di ragazzi, Annabeth poté abbandonarsi a qualche amaro pensiero: la giornata era iniziata con l’irritante voce della professoressa di letteratura e stava procedendo gradualmente in un disastro.
 
“Hazel!” Chiamò una voce che la ragazza conosceva ormai troppo bene: “Oh, Frank! Dimmi tutto.”
“Ehm… Ti dispiace se… Possiamo parlare?” Domandò il ragazzo con il volto rosso d’imbarazzo.
“Certo, spara!”
Frank si guardò attorno, spinse l’occhio tra i corridoi più lontani che riuscisse a scorgere, dove milioni di studenti si addossavano simili a formiche. La paura per ciò che stava per dire lo assalì lasciandogli un senso di oppressione alla vista di tutte quelle persone schiacciate fra loro. Una goccia di sudore gli imperlò la fronte: “Non qui. Vieni con me.” Prese Hazel per mano non curandosi troppo del sudore che bagnava anche quella e si diresse verso il cortile per di più occupato da una grossa ed imponente rampa di ferro di scale antincendio. Lì, nessuno notava mai un piccolo corridoio reso ancora più stretto dai tubi blu scuro che si addossavano simili a serpenti gli uni sugli altri. Frank li schivò intimando a Hazel di non finirci contro ed un grosso spiazzo circondato dai palazzi si mostrò per la prima volta agli occhi della ragazza: “Non avevo idea esistesse questo posto!” Esclamò sorpresa.
“Ti piace?” Domandò Frank, speranzoso di fare conversazione perché non sicuro di essere pronto per dire ciò che aveva da dire.
“Direi che è molto… intimo.” Commentò Hazel, che iniziava a capire: “Frank? Dimmi ciò che devi dire.”
“Oh sì.” Convenne il ragazzo grattandosi la nuca: “Nulla di particolare, volevo scusarmi per come mi sono comportato con Leo, per aver pensato che fossi di mia proprietà dopo un semplice bacio, per aver, probabilmente, rovinato la nostra amicizia e per aver...”
“Frank” chiamò Hazel che iniziava a sorprendersi per la straordinaria parlantina dell’amico.
“No, davvero, ci tengo a dirlo, perché…”
“Frank” Riprovò dolcemente la ragazza.
“No, tu credi che io lo dica tanto per dire, che sbaglierò di nuovo, che…”
“Oddio” Commentò Hazel prima di fiondarsi sulle labbra di Frank come fossero acqua in tempi di siccità con un sorriso. Frank chiuse gli occhi incredulo, esplorando sensazioni nuove pur non essendo la prima volta, mentre la sua lingua si attorcigliava a quella di Hazel come in una danza disperata.
Hazel non era sicura fosse la via giusta, ma era indubbiamente una via e lei non vedeva l’ora di scoprire dove l’avrebbe condotta. Frank era una sicurezza. Leo era quasi uno sconosciuto ed in quel momento capì che riporre tutte le sue speranze in un ragazzo di cui non si fidava del tutto, non sarebbe stato saggio. Frank era sempre stato lì, le aveva sempre dimostrato lealtà ed amore e lei l’aveva sempre calpestato. Ma non quel giorno, quel giorno non voleva che sentire le sue labbra sulle sue e quelle del messicano sembravano, in quel momento, un dolce sbaglio, bellissimo, certamente, ma sbagliato ed era fiera di sè per averlo finalmente capito.
Frank sembrava quasi non riuscire a respirare quando si staccò dalle delicate labbra di Hazel. La sua espressione confusa ed estasiata insieme fece sorridere la ragazza. Per Frank, invece, la situazione era tutt’altro che chiara ed un grosso ed inarrestabile dubbio si fece largo nella sua mente.
“Hazel, ma quindi adesso io e te… Cioè… noi due, intendo…”
“Ehm… Se tu vuoi, per me va bene.” Rispose Hazel adesso pietrificata dall’imbarazzo. Ogni traccia della naturalezza dei secondi che avevano preceduto quelle parole sembrava svanita.
“Cosa? Oh sì. Certo che voglio! Io ero convinto che tu non volessi.”
“Certo che voglio!” Commentò troppo entusiasta la ragazza.
“Allora è perfetto!” Rispose Frank seguendo l’esagerato entusiasmo della ragazza.
“Frank…” Chiamò Hazel.
“Sì, ho capito.” Convenne, afferrando al volo in concetto della ragazza e ridendo dolcemente.
“Perfetto.” Rise di rimando Hazel, lasciandogli un leggero bacio a fior di labbra ed avviandosi con Frank per i corridoi ancora strapieni di ragazzi, che sembravano essere rimasti fermi, in un tempo congelato, mentre qualche attimo prima, in un cortile dimenticato, milioni di emozioni indecifrate si susseguivano scomposte nelle menti di due dei milioni di studenti che ogni giorno attraversavano quei corridoi.
 
Ci sono giornate da ricordare per sempre, cariche di emozioni positive, di sorrisi incontrollati.
Ci sono giornate da dimenticare, ricche di risentimento, di sensazione di fallimento, di amarezza.
Ci sono giornate inconsapevolmente fantastiche ed altre in cui il male è alle porte, proprio dove ci si aspetta di trovare un amico.
Annabeth camminava mischiandosi a milioni di ragazzi, per gli stessi corridoi nei quali Frank e Hazel si erano tenuti per la prima volta per mano. L’amarezza e la delusione si affollavano nel suo cervello.
Poco più in là Leo, inconsapevole delle novità dolorose, si avviava tranquillo verso la sua nuova casa.

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Capitolo 9
*** 9- Festa di Halloween (Parte 1) ***


FESTA DI HALLOWEEN (PARTE 1) 
 
La scuola era in preda al più totale delirio per la festa che Drew avrebbe dato quella sera. In giro non si faceva altro che parlare degli invitati, dei costumi succinti che Annabeth, guardandosi intorno, era certa avrebbe trovato. La parte peggiore era incontrare la proprietaria della casa per i corridoi: sembrava una diva di Hollywood. Milioni di domande venivano poste dai milioni di ragazzi che si affollavano attorno a Drew, mentre lei, con uno sguardo superiore, fingeva di disprezzare o di dimostrarsi poco interessata a tutte quelle attenzioni.
Annabeth odiava con tutta se stessa questo genere di cose, ma doveva ammettere che le feste di Drew Tanaka erano folli, sì, piene di stereotipi ed ideali da lei non condivisi, certo, ma se ne vedevano delle belle, bastava solo non farsi risucchiare dagli eventi e rimanere spettatori delle follie che si susseguivano come scene di un film di fantascienza.
“Ehi, hai visto che delirio?” Le domandò Piper che, chissà come, era riuscita a scorgere la sua amica nella marmaglia di studenti che invadeva i corridoi.
“Certo, è da pazzi, non me lo sarei mai potuta perdere.” Ridacchiò la bionda: “Tu da cosa ti vestirai stasera?”
“Non lo so, ma non voglio dare troppo nell’occhio. Qualche dente appuntito ed un po’ di pelle cadaverica credi basti?”
“Ci inventeremo qualcosa.” Ribatté titubante Annabeth entrando nella sua classe di biologia.
 
Percy non le sopportava, non sopportava tutte quelle oche che non provavano nemmeno ad essere intelligenti. Ancora di più, Percy odiava quelle ragazze davvero brillanti che si omologavano alla marmaglia di belle e senza cervello solo per essere accettate socialmente. Ovviamente lui era una sorta di calamita per questo genere di ragazze e detestava questa situazione.
“Ciao” Salutò seccato Percy sedendosi accanto ad Annabeth nella classe di biologia. Lei arrossì appena e ricambiò il saluto. Forse era per questo che Annabeth era diventata la sfida più importante per lui, da portare a termine. Era una ragazza intelligentissima, gentile ed era sicuro non le piacesse passare il tempo a cercare di piacere alle persone cambiando se stessa. Aveva solo paura di essersi fatto un’idea sbagliata su di lei ed aver idealizzato la sua persona per come l’avrebbe voluta e non per come veramente era.
Il professore iniziò a spiegare un fiume di cose interessantissime, ma che Percy non aveva voglia di ascoltare in quel momento.
“Pssst” Sussurrò annoiato alla ragazza che aveva accanto, che, al contrario, sembrava parecchio interessata alle parole del professore.
“Che c’è?” Domandò seccata.
“Io… non ci capisco nulla di biologia marina. Non è che qualche volta ti andrebbe di aiutarmi?” mentì il ragazzo. La biologia era l’unica materia in cui andasse bene, ma era anche l’unico corso che aveva con Annabeth, quindi l’unico in cui lei avrebbe accettato di dargli una mano senza insospettirsi.
“Io? Ehm… Va bene, per me. Dopo ne parliamo meglio.” Sussurrò la ragazza, chiudendo così il discorso.
Il tempo passò lentissimo e, a pochi minuti dalla fine, il professore sorprese i ragazzi consegnando i risultati dei compiti in classe che avevano fatto appena una settimana prima. Quando a Percy fu consegnato il foglio dove una “A” rossa svettava inconfondibile sulla carta bianca, il ragazzo, tossicchiò, si fiondò a riporre il foglio nello zaino per non farlo vedere ad Annabeth e si affrettò fuori dall’aula, sentendo appena un “Complimenti, Jackson” da parte del professore, mentre usciva.
Annabeth lo seguì confusa, fermandolo prima che potesse confondersi nel mare di studenti che si stava riversando fuori dalle classi.
“Ehi, aspetta! Perché il professore si è complimentato? Com’è andato il test?” Domandò sospettosa la ragazza.
“Cosa? Be’, visto com’è andato, l’ironia è l’unica soluzione.” Scherzò Percy attento a non farsi tradire dal nervosismo.
“Mh, è andato tanto male?”
“Be’, l’ennesima D” mentì il moro.
“Posso vedere cos’hai sbagliato? Magari partiamo da quegli errori per…”
“Noi… Cosa? Sarebbe fantastico, ma devo andare agli allenamenti di football. Conoscerai il carattere un po’… ehm, particolare del coach Hedge. Meglio non fare tardi.” L’interruppe il ragazzo: “Ma a te com’è andata?”
“Non il massimo, in realtà. Ho iniziato male con una B+” Disse Annabeth abbacchiata. Percy scoppiò a ridere: “Scusa ma io questi voti me li sogno.” Ormai mentire diventava più facile. Era sicuro che sarebbe riuscito a non far capire nulla ad Annabeth, che sembrava aver abboccato.
 
“Jason è un cretino!” Esclamò seccata Piper accasciandosi sul letto di Annabeth, che stava rovistando tra i vestiti di Halloween degli anni precedenti.
“Che ha combinato?” Domadò senza smettere di cercare.
“Allora” Iniziò Piper con un tono che Annabeth conosceva piuttosto bene: il racconto non sarebbe durato poco: “Io stavo camminando per i corridoi, mentre cercavo di raggiungere il mio armadietto. Sai, con tutta quella gente, sembrava un incontro di boxe…”
“Sono sicura che la storia durerebbe pochissimo se non la infarcissi di dettagli inutili.” S’intromise la bionda girandosi solo per gelare la sua amica con lo sguardo, che si limitò a sbuffare.
“Va bene. In breve ero davanti al mio armadietto quando mi sento chiamare. Allora mi giro e mi ritrovo Jason davanti che cerca di sovrastare il chiasso con la sua voce. Ovviamente non lo sento e gli faccio cenno di avvicinarsi al mio orecchio.”
“Be’, è proprio cotto.” Commentò ironica Annabeth
“Vuoi aspettare? Non è questo il punto.”
 
Jason si avvicinò goffamente all’orecchio di Piper e quasi gridò: “Tu ci vai con qualcuno stasera alla festa?” Poi si allontanò e prese a fissarla imbarazzato e, come Piper poté constatare, rosso in viso, in attesa di una risposta da parte della ragazza.
“Oh, in realtà no. Come mai?”
“No, in realtà…” Jason sentì sul serio di non potercela fare a continuare quella discussione, il suo viso sembrava non poter essere più rosso: “Non fa niente, davvero, lascia stare.” Quando Piper tentò di ribattere il ragazzo era già scappato via e la sua voce si confuse nella folla.
“Ehi, amico, tutto bene?” Domandò Percy vedendo Jason abbattuto rivestirsi di malavoglia dopo gli allenamenti.
“Ma che vuoi?” Rispose scontroso il biondo che l’ultima cosa che desiderava era sentirsi prendere in giro da Percy sulla sua assenza di sfrontatezza.
“Cercavo solo d’essere gentile.” Commentò semplicemente l’altro: “Si tratta di Piper, non è così?” Domandò dopo qualche secondo: era troppo curioso.
“Cosa? No!” Esclamò Jason. Percy sollevò un sopracciglio e Jason fu costretto ad arrendersi: “Ma tu che ne sai?”
“Non ci vuole certo un genio per capire che ti piace.” Rispose semplicemente l’altro.
“Il fatto è che non so come fare con lei. Non riesco nemmeno a parlarci.” Jason non era certo di fidarsi di Percy, ma, in fin dei conti, non stava dicendo nulla di male: “Non mi era mai successo prima.” Aggiunse come a volergli dimostrare che non era un pappamolle con le ragazze.
“Già, ti capisco.” Rispose amaramente il moro, raccogliendo le ultime cose dalle panche dello spogliatoio ed andandosene lasciando troppe parole in sospeso. Jason rimase, invece, per qualche minuto lì, nonostante fosse pronto da un pezzo ad andarsene, accasciato su una panca, ancora un po’ confuso e scosso dalla persona con cui aveva avuto quella conversazione, finché la voce del coach Hedge, da fuori lo spogliatoio, non gli intimò poco cordialmente ed ad un tono della voce fin troppo alto, di andarsene via di lì. Il biondo si ritrovò costretto ad obbedire, dato che non aveva alcuna voglia di ritrovarsi una clava stampata sul fondoschiena.
 
Leo era venuto a sapere di Hazel e Frank, ma preferiva fingere che non gli importasse, sperava che gli sarebbe presto passata, quindi si avviò, un po’ mogio, ma speranzoso verso la festa di Drew vestito da scienziato pazzo, costume che gli si addiceva davvero molto, a detta di sua madre.
 
Annabeth non era sicura di voler andare davvero a quella festa. Certo, sapeva che si sarebbe divertita con i suoi amici e che la gente esageratamente frivola le avrebbe offerto qualcosa da guardare, ma a lei non piaceva questo genere di cose, semplicemente non era il tipo. Ringraziava il cielo, però, perché l’anno prima, quella festa era stata stressante, dato che bisognava avere un accompagnatore e lei si era sentita parecchio in imbarazzo. Peccato, però, che tutti quei dubbi li avesse formulati entrando nel giardino che precedeva il portico dell’enorme casa di  Drew Tanaka.
“Tutto bene?” Le domandò Piper che doveva aver notato lo stato d’animo dell’amica.
“Cosa? Sì, certo. Entriamo.”
La festa era stata sicuramente organizzata per avere una scusa per bere. La stanza al buio, con la musica, piena di luci ed addobbata per una festa di Halloween che si rispetti, era effettivamente, solo  una. Il resto della casa, o meglio, quello che era chiaro essere il posto riservato ai ragazzi era illuminato e pieno di alcolici presenti ovunque si potesse spingere l’occhio.
“Wow” Commentò asettica Piper. Era difficile capire se la ragazza fosse piacevolmente senza parole o estremamente ironica. Annabeth decise di non indagare.
“Ciao, ragazze!” Salutarono Jason e Percy in contemporanea. Le ragazze fecero per ricambiare il saluto, ma i due ragazzi si guardarono sbalorditi e si esibirono in una particolare e abbastanza complessa stretta di mano, come fossero sempre stati amici, come a sottolineare la sorpresa nell’aver detto le stesse esatte parole contemporaneamente. Piper ed Annabeth si guardarono confuse per un bel po’: “Non ho capito… Voi due adesso andate d’accordo?” Domandò Piper incredula.
“Non andiamo d’accordo per niente.” Esclamò Percy urlando un po’ troppo.
“Ha bevuto un po’” Spiegò Jason, che non sembrava tanto più sobrio del suo nuovo compagno d’avventure: “Percy! Ci sono i biscotti blu!” Esclamò, indicando un vassoio di biscotti qualche metro più in là.
“Dove?” Domandò il ragazzo correndo via con Jason e lasciando le due ragazze ancora più confuse di prima.
 
Leo arrivò nella casa sconosciuta e vide due ragazzi che conosceva fin troppo bene correre verso la cucina. Senza pensarci due volte li raggiunse domandando dove andassero così di corsa.
“Ci sono i biscotti blu. Io adoro i biscotti blu. Allora, cosa hai intenzione di fare?” Domandò Percy.
“Be’, in realtà… Pensavo di riuscire a provarci…” Un intenso profumo di noce moscata e pini invase il naso del messicano facendogli perdere il filo.
“Ciao.” Salutò suadente una ragazza bellissima dai capelli neri ed i tratti asiatici: “Jason, sei davvero venuto.” Quell’intenso profumo di Natale sembrava far perdere l’attenzione a chiunque entrasse nel suo raggio d’azione.
“Oh, sì” Replicò imbarazzato il ragazzo in questione: “Ehm… Leo? Stavi dicendo qualcosa?” Disse Jason interpellando l’amico nella speranza che lo salvasse dalle attenzioni quasi inquietanti di Drew, ma Leo sembrava incantato a guardare la ragazza e Jason capì, con una geniale intuizione, che non gli sarebbe stato d’aiuto.
“Tolgo il disturbo, dolcezza” Rispose al posto di Leo la ragazza: “Ti aspetto più tardi, spero di incontrarti da solo la prossima volta.” Aggiunse maliziosa Drew andandosene.
“È… bellissima.” Commentò incantato Leo che sembrava avere gli ormoni particolarmente agitati, quella sera.
“Leo, ne abbiamo già parlato: va con chiunque per il piacere di scaricarlo.” Replicò razionale Jason. Percy era troppo impegnato a gustare i milioni di biscotti blu che aveva nel piatto per partecipare alla conversazione, ma ogni tanto offriva il suo contributo scrollando le spalle o annuendo.
“Sì, va bene, amico, ho afferrato, ma se proprio non vuoi provarci, tu che hai la fortuna, non perdere tempo e vai da Piper!”
“Io… Cosa? Leo!” Lo riprese il biondo rosso in viso: “Non vedi quanta gente c’è in giro? Qualcuno potrebbe sentirci!”
“Be’, io vado a provarci con la ragazza con la treccia lì in fondo.” Disse ignorando il rimprovero dell’amico ed avviandosi.
“Leo, aspetta! È la rappresentante! Lei…” Iniziò il biondo, ma Leo era già scappato via a passo spedito verso la ragazza: “Ti farà a fette.” Concluse più a se stesso che a Percy, che sembrava ancora assente.
 
“Ehi bellezza!” Iniziò Leo avvicinandosi con quello che doveva essere lo sguardo da conquista che sfoggiava per rimorchiare.
“Hai… Hai qualche problema all’occhio?” Domandò la ragazza.
“Cosa? No!” Esclamò il ragazzo offeso: “Io sono Leo.” Disse porgendole la mano con un sorriso smagliante stampato in viso.
“Reyna…” Rispose accettandola e constatando, suo malgrado, che la mano del ragazzo era sudata: “Sei inquietante.”
“Lo prendo come un complimento. Allora, che ne dici di ballare?” Disse cingendole la vita e guadagnandosi, come riflesso involontario della ragazza, un pugno nello stomaco: “Ahi…” mugulò il messicano: “Un semplice ‘no’ sarebbe bastato.” Continuò dolorante.
“Scusa” Gli disse dietro Reyna che sapeva d’esser stata un po’ troppo violenta, ma Leo si era già allontanato dalla ragazza dirigendosi nuovamente verso i suoi amici, che avevano assistito alla scena e adesso ridevano a crepapelle.
“Secondo me le piaccio.” Commentò ironico Leo, massaggiandosi la pancia.
“Lui ti aveva avvertito.” Disse Percy indicando Jason.
“Dai, non pensarci troppo,” Tentò, al contrario di Percy, che sembrava divertirsi ad infilare il dito nella piaga, di tirare su di morale l’amico: “bevi un po’ di questo.” Disse, poi, porgendogli un bicchiere di vodka alla pesca.
“No, no, no, no, no.” Ribatté Leo deciso: “Io non sono il tipo che fa queste cose, amico” Sentenziò.
“Cosa?” Disse in risposta Jason, scoppiando a ridere: “Ma se siamo diventati amici perché ti ho aperto un braccio mentre eri ubiaco!” Esclamò quasi non riuscendo a respirare per via delle risate e dell’alcol.
“Già,” Iniziò Leo con uno sguardo ironico: “ed è per questo che io non bevo.” Concluse. Il suo ragionamento, per quanto improbabile, sembrò logico nella mente di Percy: “Ha ragione!” Esclamò: “Io vado a cercare Annabeth.” Disse incamminandosi, prima di essere afferrato per il collo della maglietta da Jason ed iniziando a muovere passi a vuoto confuso: “In questo stato?” Domandò il biondo: “Meglio di no.” Concluse, quando Percy iniziò ad annuire con uno sguardo che poteva esprimere tutto, tranne lucidità.
In quel preciso momento, mentre Jason e Percy decidevano cosa il moro potesse o non potesse fare, con la dose di alcol che aveva in corpo, Leo fu distratto da due ragazzi che conosceva piuttosto bene che entravano nella casa un po’ intimiditi. Leo si soffermò sul vestito della ragazza, che non aveva nulla di particolare, ma che trovò starle benissimo.
“Jason,” chiamò, senza staccare gli occhi scuri dai nuovi arrivati: “Cosa dicevi riguardo quella vodka a pesca?”
“Io non credo sia una buona idea.” Sentenziò il ragazzo, che aveva seguito lo sguardo dell’amico individuando il problema, ma Leo sembrò non badare troppo a Jason e gli bastarono pochi secondi per individuare ed afferrare il bicchiere rosso che il biondo gli aveva offerto pochi minuti prima.

Note dell'autrice: Ciaooooo, amiciii!
T_W ha finalemnte imparato che le note è più saggio metterle alla fine, yay! So che è tardi, che sono un essere ignobile, ma ho davvero avuto tanto da fare e non volevo fare le cose male, pur di essere puntuale. Sì, bella scusa. Ma non perdiamoci in chiacchiere, dannazione. Allooooora, il capitolo di oggi è diviso in due parti perchè avrei anche potuto mettere roba come 16 pagine di capitolo, ma sarebbe stato poco bilanciato con il resto della storia. Il titolo molto fantasioso che ho messo vi ha già detto molto sul capitolo ed il contenuto mi sembra piuttosto scontato, ma mi serviva come scusa per far succedere molte delle cose che vedrete nei prossimi capitoli. Jason e Percy. Parliamone. La loro improvvisa amicizia non è campata in aria. Diciamo che dopo la conversazione nello spoigliatoio non erano sul piede di guerra, quindi, con l'alcol in circolo, sono diventati più vicini. Leo è il solito inopportuno e le povere Annabeth e Piper devono fare i conti con Jason, Percy ed i loro particolari metodi di rimorchio. Hazel e Frank hanno poco spazio, lo so, ma nella seconda parte ci saranno eccome. Così come Nico e Will, che potrebbero presto farsi vedere u.u.
Il mio sproloquio è terminato, 
Adieu.
T_W

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Capitolo 10
*** 10- Festa di Halloween (Parte 2) ***


FESTA DI HALLOWEEN (Parte 2)

Annabeth e Piper sedevano su un divano qualsiasi guardandosi attorno con una birra tra le mani. Avevano optato per la stanza al buio, dove si ballava e avevano giurato a loro stesse che, una volta finite le birre, avrebbero ballato e avrebbero provato a sentirsi meno in imbarazzo in quella situazione. Infatti, quando Piper lanciò la sua bottiglia nella busta nera che aveva vicino, si alzò di scatto facendo segno ad Annabeth di seguirla in pista. Dopo meno di cinque minuti, un ragazzo alto, biondo ed esageratamente magro si avvicinò a Piper cingendole i fianchi e trascinandola a ballare con lui sotto lo sguardo attonito dell’amica. In un primo momento Piper sorrise pensando fosse stato Jason, ma, dopo aver visto l’espressione dell’amica, assestò una gomitata nello stomaco allo sconosciuto e si allontanò dalla stanza con l’amica al seguito, che non negò un’occhiata assassina al ragazzo, prima di raggiungere Piper.
 
Leo era andato. Beveva veramente poco di tutto e non sembrava stare tanto male. Nei momenti in cui non beveva ci provava con qualunque ragazza che mettesse piede sulla sua traiettoria guadagnando due di picche sistematicamente anche quando la ragazza si dimostrava stranamente interessata. Colpa della sua parlantina e della sua capacità d’essere sempre fuori luogo anche senza volerlo. Jason e Percy si allontanarono dall’amico alla ricerca di Frank e Hazel, che non erano neppure riusciti a salutare per via delle infinite persone che occupavano quella casa. Prima che potessero mettersi a cercare, una voce si levò da un gruppo di ragazzi seduti attorno ad un tavolino da tè: “Jason, amico, perché non vi unite a noi?” Jason conosceva quel ragazzo. Chris Rodriguez era nella sua squadra di football. Aveva capelli neri, occhi scuri ed una stazza notevole. Percy e Jason si ritrovarono ad annuire senza bene sapere perché: “Loro sono Dylan, Ottaviano, Clarisse, capitano della squadra femminile di football, e Rachel” Disse mentre i ragazzi salutavano ad eccezione di Rachel, che si affrettò ad aggiungere con sguardo malzioso: “Be’, io Percy ci conosciamo piuttosto bene.”
“Io non direi così bene, abbiamo parlato qualche volta.” Disse imbarazzato mentre Rachel arrossiva vistosamente. In quel momento, però, Annabeth passò e Percy si affrettò ad aggiungere a voce più alta del normale: “Ma mi farebbe piacere conoscerti meglio.” Jason sembrava l’unico ad aver capito dove Percy volesse andare a parare.
 
“Io non lo sopporto.” Esclamò Annabeth dopo un po’: “Oggi mi ha chiesto  di fare biologia insieme credendo davvero che io non avessi capito che è il migliore della classe in biologia e poi si comporta così.”
“Uomini…” Si limitò a commentare Piper, che sembrava capire bene l’amica.
“Prendiamo qualcosa da bere?” Domandò la bionda desiderosa di smettere di parlare di Percy.
“Oh, sì…  Ma tu vuoi davvero tornare indietro?”
“Non posso certo limitare i posti che frequento per evitare quelli che frequenta lui. Dai, andiamo!” Disse Annabeth avviandosi al bancone della cucina che era stato prontamente trasformato in un bancone colmo di alcolici.
“Annabeth!” Gridò Jason invitandola con un gesto a sedersi con loro guadagnandosi un’occhiata poco gentile da Percy, che sembrava non aver capito il piano di Jason che non aveva più intenzione di vedere il suo nuovo amico fare l’idiota per fare ingelosire una ragazza che avrebbe preferito uccidersi pur di non palesargli la sua gelosia. Annabeth si guardò intorno desiderosa di trovare una qualunque distrazione che potesse offrirle una scusa per non sedersi accanto a Rachel, che sembrava essersi incollata a Percy. Poi, però, fece l’errore di guardare gli occhi sognanti e desiderosi di Piper di sedersi accanto a Jason e fu costretta a cedere. Ad Annabeth andavano a genio solo due dei ragazzi seduti lì. Clarisse la Rue sembrava essere pronta ad azzannare chiunque avesse provato a guardare il suo ragazzo, Chris, per più di due secondi. Non conosceva bene Dylan, ma sapeva delle voci che giravano intorno al suo posto nella squadra di football e quei sorrisetti sicuri che concedeva a chiunque la dicevano lunga sul suo essere pronto a lavarsi le mani da qualunque situazione difficile. A Rachel e Percy non voleva neanche pensare. Quell’Ottaviano, invece… Già il soprannome che aveva scelto la diceva lunga sulle sue probabili manie di grandezza. Per di più, dava l’impressione di essere una persona viscida ed approfittatrice tramite solo piccoli gesti.
Dylan sfoggiò il suo sorriso smagliante, era talmente luminoso da dare, in un certo senso, fastidio e si rivolse a Piper: “Continuo a chiedermi perché tu sia seduta lì e non qui accanto a me.” La sua sfacciataggine era inquietante e Piper si limitò a sorridergli nervosamente per poi distogliere lo sguardo: “No, davvero…” Continuò avvicinandosi.
“Amico, ti sta rifiutando con classe. Dacci un taglio.”  Disse una nuova voce. Leo si aggirava per la stanza in cerca di qualcosa da fare ed era consapevole di essersi guadagnato una rissa che non avrebbe saputo certamente vincere. Lo sguardo che Dylan gli riservò non fece che confermare le sue teorie: “Ehm… Ragazzi, avete visto Hazel e Frank?” Domandò cercando di cambiare discorso e girandosi per andarsene.
“Leo… Grazie” Il sussurro di Piper giunse appena alle orecchie del messicano, che si rigirò con un sorrisetto ironico sussurrando a sua volta un: “Ma figurati, reginetta di bellezza.”
Appena Leo se ne fu andato Ottaviano iniziò a rollarsi una canna e, ad opera finita, la porse a Percy, che fece appena un tiro sotto lo sguardo pressante di Annabeth, che prontamente la passò a Jason, arrivato il suo turno. Il biondo non aveva mai fatto cose del genere. Non era una cosa che credeva fondamentale nella vita, ma, sotto l’influenza di Percy, si sentiva pronto a fare cose che molti definivano ribelli. Sapeva di aver fatto un ragionamento infantile e stupido, ma non riuscì a fermare la sua mano, quando si portò la canna alla bocca e fece un gran tiro che lo fece tossire per un po’, sotto lo sguardo divertito degli altri.
Mezz’ora e qualche canna dopo, Rachel aveva preso ad essere più audace con Percy, scoccandogli qualche bacio che di casto aveva ben poco ed invitandolo ad appartarsi in una delle belle stanze della casa di Drew. Il moro, però, non aveva alcuna intenzione di seguirla se Annabeth non poteva vederli. Intanto Dylan non smetteva di importunare Piper.
All’improvviso una canzone dalla musica buffa partì a tutto volume e Jason ed Annabeth urlarono quasi nello stesso istante: “Adoro ballare questa canzone!” Il biondo sembrò sconvolto dalla rivelazione (ed anche un po’ dall’effetto delle canne) e scattò in piedi porgendo una mano ad Annabeth teatralmente. La bionda chiese il permesso con lo sguardo alla sua amica, che annuì ridendo: Piper conosceva quel ballo e sapeva quanto fosse imbarazzante. Annabeth balzò in piedi, ma la traiettoria della sua mano fu interrotta dal corpo di Percy (come aveva fatto a liberarsi di Rachel?), che si mise tra i due ed allontanò Jason dalla comitiva: “Ehi, ma che fa…” iniziò il biondo.
 
Percy condusse Jason lontano dagli occhi del gruppo: “Era questo che volevi, vero?” Gli domandò con aria di sfida: “Volevi fare l’amico e soffiarmi la ragazza?” Jason alzò gli occhi al cielo.
“Senti, amico. Prima di tutto non è la tua ragazza e poi non hai capito che tipo di ballo…”
“Ho capito benissimo.” Concluse assestandogli un pugno sullo zigomo.
“Ma sei scemo?” Gli domandò spingendolo abbastanza per spostarsi. Si avviò di nuovo al tavolo da tè, massaggiandosi la guancia.
Percy, però, complici forse l’alcol e le canne, non prese bene la spinta poco amichevole di Jason e la rissa continuò.
 
“Dici che…” Iniziò Annabeth puntando i suoi occhi preoccupati in quelli dell’amica.
“Ne sono certa.” Sentenziò Piper alzandosi di malavoglia e dirigendosi nella direzione presa da Percy solo pochi minuti prima.
Le ragazze conoscevano Jason e Percy abbastanza bene da sapere che se uno dei due aveva costretto l’altro a “parlare”, la discussione non doveva certo essere finita in modo amichevole.
Infatti, arrivate nell’ampia cucina di Drew, le ragazze non furono affatto sorprese di trovare i due ragazzi un po’… ecco… ammaccati. Piper intravide in un angolo Reyna, l’altra rappresentante, che guardava la scena da lontano scuotendo la testa.
“Siete impossibili.” Sentenziò Piper guardando Jason, seduto al bancone tenersi la testa fra le mani con aria stanca, si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi: “Vado a chiedere a Drew se ha qualcosa per farti tornare a casa senza che tuo padre ti faccia domande.”
“A mio padre non interesserebbe comunque. È troppo occupato a pensare a lavorare.”
Piper non aveva intenzione di cominciare una discussione sul padre di Jason, dato che il biondo non aveva certo una bella cera e troppo alcol gli girava in circolo: “Vieni.” Disse infatti tagliando corto e costringendo il ragazzo a seguirla in bagno.
 
Hazel e Frank non avevano certo pensato alle conseguenze, quando si erano chiusi in una stanza per parlare di Leo, dato che la ragazza non voleva ferirlo. Sapeva che il discorso non sarebbe piaciuto al suo ragazzo, ma voleva mettere a posto le cose nel modo migliore possibile. Peccato che Frank avesse travisato le intenzioni di Hazel quando lei aveva chiuso la porta della stanza sussurrando: “Non voglio creare situazioni complicate.”
“Neanch’io, ma la porta… Cioè, la porta l’hai chiusa tu. Se non vuoi…”
“Cosa?!” Lo interruppe sorpresa Hazel arrossendo fino alla punta delle orecchie. Se possibile, Frank, dopo aver compreso l’equivoco, era diventato ancora più rosso della sua fidanzata.
“Scusa.” Mormorò Frank, con la voce tremante dall’imbarazzo. Hazel abbozzò un sorriso: trovava Frank ancora più adorabile quando era imbarazzato, cosa che succedeva frequentemente.
“Di cosa volevi parlare?” Domandò il ragazzo tossicchiando un po’ prima di proferir parola per schiarirsi la voce e cambiare finalmente discorso.
“Volevo parlare di Leo, in realtà.” Iniziò Hazel, mentre il suo cervello iniziava a lavorare per creare un discorso sensato e ragionevole. Il cervello di Frank, al contrario, non sembrava parecchio disposto a lavorare dopo aver sentito il nome del messicano: “Oh.” Esalò senza neanche pensarci troppo, un po’ deluso: “Ho capito.” Continuò mentre una nuova paura si faceva largo nella sua mente radicandosi un po’ troppo nel profondo: “Lo sapevo fin dall’inizio, non c’è bisogno che me lo spieghi. Ho capito.” Continuò con la voce spezzata.
Hazel sorrise, posò una mano sulla guancia del ragazzo: “Non hai capito invece.” Continuò mentre il suo sorriso si allargava: “Non voglio lasciarti per stare con lui.”
Frank sembrò rilassarsi: “No?” Domandò con gli occhi pieni di speranza.
“No!” Garantì Hazel, che trovava assurdo il ragionamento che aveva appena fatto il suo ragazzo: “Volevo, in realtà, parlare del fatto che magari lui non lo dà a vedere, ma non è felice di questa cosa che c’è tra me e te. Insomma… È stato chiaro con me, quindi non credo che la cosa gli faccia piacere.”
“E quindi?” Domandò Frank che non stava prendendo bene quel discorso: “Cosa dovremmo fare? Lasciarci perché a lui non sta bene?”
“No, dico solo che so che a te lui non va a genio, ma cerchiamo solo di non ferirlo, sai, di non fargli pesare questa cosa.”
“Ho capito. Forse hai ragione.” Disse Frank, che, mettendosi nei panni di Leo, capì quanto potesse essere diffcile: “Allora…” Il ragazzo fu interrotto dal cigolio della porta che si apriva.
 
Leo non voleva origliare, ma era tutta la sera che cercava Hazel anche solo per scambiare due parole ed, una volta trovata, pensò che forse avrebbe potuto aspettare che finisse di fare ciò che doveva fare con Frank fuori la porta. Il resto era venuto da sé, non si aspettava certo che volessero parlare di lui. Decise che era veramente troppo quando si rese conto della pietà che provavano quei due nei suoi confronti. Odiava quel sentimento, l’aveva odiato dopo quello che gli era successo qualche anno prima, in Messico, e l’odiava ancora. Voleva solo andarsene e non sentire più ciò che avevano da dire. Peccato che alzarsi con troppo alcol in circolo non gli sembrò proprio un gioco da ragazzi e giurò che in quel momento sembrava ragionevole appoggiarsi alla maniglia della porta, per aiutarsi. Quando notò che la porta si stava aprendo, nonostante la testa che gli girava, corse verso le scale e le scese un po’ troppo velocemente, rischiando di cadere continuamente. Si lanciò tra la folla in cerca dei suoi amici.
 
Nico era stressato. Non poteva negarlo. Sua sorella faceva venire Frank continuamente a casa, non che gli desse fastidio, quel ragazzo gli piaceva e sapeva che dopo tutto quello che lui e Hazel avevano passato le ci voleva qualcuno che la facesse sentire amata, ma questo, per quanto, da un lato, lo riempisse di gioia, gli ricordava, dall’altro, che lui era più solo che mai, che Hazel sarebbe presto cresciuta, che era riuscita ad andare avanti, a superare le difficoltà. Nico sapeva che Hazel era riuscita a buttarsi il passato alle spalle ed a riconsiderare la validità della vita, a credere che magari, potesse essere migliore di così. Nico questa grandiosa bellezza della vita non riusciva a vederla da un po’, non la vedeva da quando passava le sue giornate nella sua piccola ma accogliente casa a Venezia, con suo padre e Bianca.
I pensieri rischiavano di schizzargli dalla testa e non era sicuro di essere capace di rimetterli a posto e tornare alla vita di sempre. Aveva bisogno di staccare. Se non poteva vedere le stelle per sempre, sperava di scacciare le nubi per un po’ e di vederle almeno per qualche attimo, per ricordarsi com’erano fatte davvero. Quasi come un riflesso involontario prese il telefono e compose il numero di Will  Solace. Capì davvero cosa stava facendo solo quando il ragazzo, dall’altra parte del telefono, gli rispose salutandolo felicemente. Nico non poteva vederlo, ma giurò che stesse sorridendo mentre attendeva la sua risposta… Oh, già! Doveva rispondere!
“Ehm… Ciao, Will. Mi chiedevo…” Iniziò, come ogni volta, timidamente il moro.
“Se potessi passare quanto prima.” Will finì la frase al suo posto. A Nico spuntò un sorriso.
Era assurdo come quel biondo riuscisse a farlo sorridere senza fare nulla di effettivamente divertente.
Smettila, si rimproverò Nico Non illuderti: sei solo il suo giocattolo
“In realtà avrei un esame abbastanza importante la prossima settimana. Ho davvero tanto da studiare.” Continuò Will declinando l’invito del moro, con un po’ di sconforto nella voce.
Nico si sentì deluso: se doveva esserci solo sesso, tra loro, sperava almeno che ci fosse l’unica cosa che gli spettava: il sesso, ma decise di lasciar perdere. Non poteva certo non far studiare Will se quello era un esame così importante come diceva: “Oh… Va bene. Scusa il disturbo.” Disse richiudendo la chiamata senza aspettare una risposta dall’altra parte del telefono.
Nico si accasciò annoiato sul divano e prese a fare zapping cercando un programma che fosse almeno guardabile e che non riguardasse qualche stupida conduttrice televisiva che si immischiava nelle vite sentimentali altrui. Si addormentò rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse stanco mentre pensava a quanto sarebbe stato imbarazzante ed irritante partecipare ad una di quelle stupide trasmissioni con Will.
Nico non fu capace di capire quanto tempo fosse passato prima che il suono del campanello lo svegliasse facendolo sussultare ed allarmare. Immaginò che Hazel si fosse dimenticata ancora una volta le chiavi. Sperò per lei che non fosse troppo tardi, altrimenti gliene avrebbe dette quattro su quanto fosse pericoloso tornare a casa da soli nel bel mezzo della notte. Qualche volta Nico era costretto a farle certi discorsi dato che non avevano degli adulti a sorvegliarli. La situazione era comunque imbarazzante se non comica dato che Nico, a ventidue anni, non aveva neanche dieci anni in più a lei.
Il moro aprì la porta assonnato, asciugandosi velocemente la saliva che doveva essergli sfuggita dalle labbra mentre dormiva e preparandosi mentalmente al discorso che avrebbe avuto con Hazel, ma si riscosse immediatamente alla vista di un ragazzo dalla folta chioma di capelli biondi e da un paio di magnetici occhi azzurri.
“Che ci fai qui?” Domandò Nico con un tono più acido di quanto volesse davvero. Il suo lato razionale sapeva che era infantile prendersela con lui per non aver accettato il suo invito, ma il suo lato irrazionale gli suggeriva che, magari, quella di Will era stata una scusa, che doveva aver capito che Nico iniziava a provare qualcosa di più di una semplice attrazione fisica per lui e che non aveva voglia di farci i conti.
“Ho finito di studiare prima, o meglio, mi sono lasciato qualcosa in più per domani.” Disse Will alzando un angolo della bocca in un mezzo sorriso: “Volevo vederti.” Sussurrò tornando serio e sperando che Nico non avesse davvero sentito ciò che aveva appena rivelato.
Quella frase, appena sussurrata, bastò a Nico per lasciare che il muro che aveva appena iniziato a costruire tra loro per non rimanere deluso di nuovo si sgretolasse miseramente. Era così che Will lo faceva sentire: felice di distruggere le sue certezze, tutte quelle cose che negli anni erano state sempre sicure, sereno nel rivalutare tutto nella sua vita. Senza dire una parola si sporse appena avvicinandosi pericolosamente alle labbra di Will, che si chinò in avanti per ricambiare il bacio. Appena il biondo giunse a qualche millimetro da ciò che in quel momento era l’unica cosa che davvero sembrava contare qualcosa al mondo, Nico mosse qualche passo all’indietro lasciando Will di stucco e costringendolo a seguirlo come un cane con un osso. Il moro richiuse la porta con un piede e guidò il biondo verso il suo divano sedendosi e facendo intendere a Will di fare lo stesso. Il biondo, invece, indugiò con lo sguardo sul televisore ancora accesso e trattenne una risata: “E quello cos’è?” Domandò lasciandosi andare ad una sonora risata: “È questo che il ragazzo tenebroso ama fare quando non fa sesso?”
Nico gli mollò un leggero pugno sul braccio: “Mi sono addormentato, Solace.” Replicò secco costringendo il biondo a guardarlo: “Non provocarmi, potrei costringerti ad andarci con me.”
“C-con te?” Domandò Will deglutendo rumorosamente: “Intendi… Come coppia?”
Nico sentì il sangue affluire ad imporporargli il viso: “Cosa? Io… Dimentica quello che ho detto, va bene? D-dove eravamo rimasti?” Cercò di cambiare discorso. Will non era stupido, ma decise che per quella sera aveva messo Nico in imbarazzo abbastanza e gli prese il viso tra le mani per impedire che il moro gli sfuggisse di nuovo, poi si chinò a baciarlo abbassando già la sua mano sul cavallo dei jeans del ragazzo, facendolo trasalire.
 
“Tu non vuoi portarmi da qualche parte a medicarmi?” Domandò Percy rivolgendosi ad Annabeth con un sorriso ironico dipinto il volto.
“Idiota…” Sussurrò Annabeth rivolgendosi più a se stessa che al ragazzo seduto con la schiena contro il muro che aveva di fronte. La folla sembrava essersi diradata in cerca di qualche altra allettante rissa: “Perché, invece, non ti fai medicare da quella bella rossa?”
“Sei gelosa, vero?” Domandò Percy con un sorrisetto vittorioso.
Ma che sfrontato! Pensò Annabeth: “No, mi spiace deluderti, ma non sono gelosa.” Disse girando sui tacchi ed allontanandosi.
“No, aspetta, Annabeth…” Cercò invano di richiamarla il ragazzo.
Pochi minuti dopo Percy era ancora lì con una ragazza dai folti capelli rossi e ricci che cercava di convincerlo ad alzarsi per trascinarlo in bagno con la scusa di cercare qualche cerotto.
 
Piper non stava fiatando. Cercava di rimediare al casino che aveva combinato Percy sul volto di Jason in silenzio.
“Ehi, Pips…”
“Non chiamarmi così. Ora togli la maglietta e fammi vedere dove hai sbattuto contro il bancone.” Jason decise di ubbidire in silenzio mostrando alla ragazza il graffio che aveva sulle costole. Piper doveva ammettere che Jason aveva un gran bel fisico, ma era troppo irritata per cedere. La ragazza sfiorò una porzione di pelle appena sopra l’ombelico, ben lontana dalla ferita. Jason abbozzò un sorriso ma, anche in quell’occasione, decise saggiamente di non parlare.
“Bene, bene, bene.” Una nuova voce risuonò alle spalle di Piper, che si voltò alla velocità della luce con uno sguardo ostile: “Ci stiamo dando da fare.” Continuò Drew Tanaka facendosi largo nel piccolo bagno.
“Drew… Ti prego…” Iniziò Piper che non aveva alcuna voglia di essere provocata in quel momento.
“Che c’è? Non mordo mica. Hai paura che ti rubi il ragazzo?”
“Non è il mio ragazzo.” Replicò Piper secca.
“Oh, allora non ti dispiacerà lasciarmi il posto qui, no?” Rispose Drew con il suo solito tono suadente.
“E perché mai?”
“Oh, andiamo, dolcezza” Iniziò Drew dando un pizzicotto gentile a Piper, che si tirò indietro regalandole un’occhiataccia che lei ignorò bellamente: “Jason è il capitano della squadra di football ed io sono la ragazza più popolare della scuola. Come potrebbe, uno come lui, volere una come te? Pensaci! Pensa che figura!” Concluse sghignazzando dopo aver detto le ultime tre parole. Piper non avrebbe mai giurato che le parole di Drew potessero avere effetto su di lei. Drew aveva fatto salire a galla una sua grande paura accompagnata dalle sue insicurezze. Piper era sempre stata una bella ragazza, ma questo non significava certo che fosse priva di insicurezze. Jason, dal canto suo, sembrava troppo stanco per prendere le difese di una o dell’altra. Il mix di droga, alcol e ammaccature non l’aveva certo lasciato nel pieno delle sue forze.
Piper non poteva lasciarsi abbattere, non in quel modo, ma iniziava a credere che Drew Tanaka avesse ragione. Lanciò un ultimo sguardo a Jason e si avviò fuori la porta. Si concesse comunque il lusso di fare una cosa che, fino a quel momento, nessuno aveva mai osato fare: “Vaffanculo.” Sibilò con tutto lo sdegno che riuscì a trovare dentro di sé ed uscì dal bagno a testa alta.
 
Si era fatto tardi e Nico lo sapeva, ma appena lo sfiorava l’idea che Hazel sarebbe tornata da un momento all’altro e che Will doveva andarsene quanto prima, le braccia del ragazzo attorno a lui lo incitavano a concedersi ancora cinque minuti. Nico e Will non si erano mai coccolati dopo aver fatto sesso. Will semplicemente andava via e, con uno sguardo provocante, gli prometteva che sarebbe tornato presto. Ma quella sera era cambiato qualcosa e fu ancora più palese dopo che il biondo ebbe rotto il silenzio con un: “Che ne diresti se una di queste sere ti portassi a cena fuori?” Nico non rispose, stava ancora metabolizzando l’invito, così Will aggiunse timoroso: “Così, giusto per fare qualcosa, ma se non vuoi non fa niente, non sei…”
“Sì.” Rispose atono Nico, poi si riscosse un poco: “Mi piacerebbe molto.”
 
Jason e Percy sembravano scomparsi. Leo li stava cercando da ore. Era andato perfino nel giardino. Si sentiva, in un certo senso, tradito e voleva solo scambiare due parole con Jason per non pensare ad Hazel e Frank. Stava rientrando dal giardino a testa bassa pronto per fare un altro giro per cercare i suoi amici, quando un ragazzo alto e mingherlino, dai folti capelli neri, per poco non lo fece cadere con una spallata: “Ehi amico, hai un accendino?” Domandò indicando la sigaretta che aveva in bocca. Leo frugò tra le sue tasche. Non fumava, ma sapeva fare qualche simpatico giochetto col fuoco e sperava di rimorchiare qualche donzella con uno dei suo trucchi. Accese la sigaretta al ragazzo e proseguì per la sua strada continuando a giocare con il fuoco.
Pochi metri dopo una ragazza, probabilmente ubriaca, andò a sbattere contro il messicano, rovesciando il suo bicchiere di vodka liscia sulla moquette di Drew Tanaka. Leo per poco non imprecò. Perché avevano deciso tutti di farlo cadere rovinosamente a terra, quel giorno? Peccato che a cadere, al posto del moro, fu il suo accendino, che infiammò la scia di vodka della ragazza
“Ops…” esalò Leo preparandosi al peggio. Qualche secondo dopo tutti i presenti strillavano al fuoco lanciando il contenuto dei loro bicchieri per spegnere il piccolo incendio col solo risultato di alimentare le fiamme: “Ragazzi, fermi! È alcol, non spegnerete mai le fiamme così!” Tentò di dire Leo.
Nessuno si fece male, ma tutti preferirono andarsene di corsa. Ovviamente Drew Tanaka, in seguito, ingigantì la faccenda, che fu ricordata come “La volta in cui Leo Valdez incendiò casa di Drew” per qualche fiammella.
Annabeth e Piper erano andate via molto prima, ma Jason, Percy, Hazel e Frank ricordarono per sempre la storia, che, tempo dopo, era diventata una specie di leggenda. Non persero occasione di ricordarla nemmeno al povero Leo, che era ormai stato bollato, nel suo nuovo gruppo di amici, come il combinaguai cronico.

Angolo dell'autrice: Ciaaaaaao amici! Ho fatto tardi anche questa settimana, mi scuso. Penso, anche, che non pubblicherò per un po' perchè devo partire e sarà difficle trovare il tempo per scrivere e la connessione per pubblicare. Ma non temete, El ha già idea di come continuerà tutta la storia e non vi lascerà soli a lungo!
Parlando del capitolo.
Jason che vuole fare il ribelle fa riferimento ad uno dei primi capitoli, quindi mi è sembrato giusto ricordare questi suoi pensieri. Tra lui e Percy non poteva durare a lungo, ma almeno adesso sanno che possono essere amici, qualche volta. C'è sempre un biondo che fa cose sbagliate: spaccia, ci prova con Piper. Chi sarà? Mi piace mantenere questo mistero. Lo so, Hazel e Frank hanno pochissimo spazio, ma dovevo creare altre piccole situazioni per il futuro, giuro che ci saranno. Annabeth e Piper devono continuare a fare i conti con quegli idioti di Percy e Jason. Leo non fa che combinare guai, ma lo amiamo per questo, no?
LA SOLANGELO, ho trovato un angolino per loro. Non sono una persona che sa scrivere o dire cose dolci, quindi per me il risultato è abbastanza fluffoso, spero abbiate apprezzato, ew. Aspettatevi presto un appuntamento u.u.
Il finale fa schifo, lo so, ma questo è il meglio che sono riuscita a fare (17 pagine erano proprio troppe)
Aspetto dei pareri e dei commenti. So che alcune cose sono assolutamente  messe a caso, ma presto tutto troverà un senso e anche il commento più stupido si rivelerà fondamentale. 
Grazie per aver letto ancora una volta!
Ci vediamo qui giù!

El

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Capitolo 11
*** 11 - Camicie nuove di zucca ***


CAMICIE NUOVE DI ZUCCA
 
Ottobre era ormai andato da un pezzo, lasciando che un novembre più gelido del solito affondasse i suoi artigli ghiacciati nella città. L’alba aveva iniziato ad avere quei piccoli riflessi che facevano sentire a chiunque la scorgesse anche solo da lontano la presenza ormai imminente dell’inverno. Percy odiava tutto ciò. Odiava doversi svegliare con il buio, le mattine piovose, odiava doversi riscaldare le mani soffiandoci sopra, nella speranza di non sentirle più pietrificate, odiava doversi vestire a strati ed odiava lasciare la sua casa riscaldata per lanciarsi nelle fredde strade di New York.
Percy non aveva mai apprezzato il suo spacciatore, ma aveva imparato a non farsi troppi problemi su che tipo di persona fosse. A lui serviva l’erba e se quel biondino poteva procurargliela andava bene così. Era indubbiamente un tipo strano, ma alcuni suoi comportamenti, quando l’aveva incontrato in occasioni diverse dal solito, non gli erano per niente piaciuti, specialmente le ultime volte.
Era per questo che quel giorno, complice anche il freddo, di vedere quel ragazzo, non aveva per nulla voglia.
“Ciao Jackson, di nuovo qui?” Domandò il biondo con un sorrisetto divertito: “Come sta Piper?”
“Togliti Piper dalla testa e limitati a fornirmi l’erba. Io e te non siamo amici.” Sibilò Percy prendendosi un sacchetto dalle mani del ragazzo e sbattendogli i soldi che gli spettavano sul petto.
“Oh, così mi offendi.” Rispose il ragazzo, il cui sorriso, ancora più divertito del precedente, non sembrava poi così coerente con la frase appena detta. Il moro, però, si limitò a girarsi ed allontanarsi senza fiatare.
“Ci rivediamo quando sarai di nuovo in astinenza!” Gli urlò dietro il biondo, lasciandosi andare ad una fragorosa risata quando vide il dito medio di Percy, che non si era neanche girato a guardarlo.
 
“Jason, mi dispiace per aver creduto… Insomma, che volessi provarci con Annabeth.” Percy aveva capito che forse Jason poteva essere qualcuno con cui parlare di tutto. Per un secondo aveva anche creduto che potessero essere grandi amici.
“Non preoccuparti, fratello, ma sappi che non sarò mai interessato ad Annabeth in quel senso.” Rispose sorridente Jason togliendosi la maglietta pronto per l’allenamento di quella mattina: “Solo… Posso dirti che sei un coglione?”
“Mi è stato detto di peggio.”
“No, davvero, questa cosa di far ingelosire Annabeth usando Rachel…” Iniziò Jason con la voce di uno che si ritrova a spiegare la matematica ad un bambino per la prima volta.
“Lo so, lo so. Dovrei fare qualcosa.”
“Perché non le chiedi di uscire?” Domandò il biondo assestandogli una pacca sulla spalla ed iniziando a sbottonarsi il pantalone.
“Certo!” Esclamò sarcastico il moro: “Così magari insieme ad una risposta negativa mi rifila anche un calcio dove nessuno lo vorrebbe.” Disse facendo scoppiare Jason a ridere, ma valutando seriamente il suggerimento dell’amico.
“Va bene, piccioncini!” Esclamò una nuova voce: “Perché invece di ridere alle battute che non fanno ridere di Percy non mi aiutate a scappare da Drew?” Domandò Leo guardando male i suoi amici: “Sono abbastanza sicuro che me le suonerà di brutto con quelle sue unghie laccate appena ne avrà l’occasione.” Sussurrò con uno sguardo terrorizzato che fece ridere i suoi amici.
“Non era un angelo venuto dal cielo, fino a qualche settimana fa?”
“Lo era!” Precisò il messicano prendendo a rovistare nel suo armadietto in cerca della divisa da football.
“Wow, Leo! Dovresti mettere in ordine quel povero armadietto! Sembra ci sia scoppiata una bomba!” Esclamò Percy. In effetti non c’erano parole per descrivere l’armadietto di Leo. Pezzi di cibo, magliette sporche e calzini appesi in ogni dove popolavano in grande quantità l’armadietto del ragazzo impedendo a chiunque ci ficcasse il naso di distinguere una mensola da un deodorante (che, per la cronaca, sembrava dover essere ancora inventato da quelle parti, visto l’odore piuttosto pungente che c’era). Leo, invece, guardando il suo armadietto, si limitò ad una scrollata di spalle e lo richiuse con un tonfo, facendo alzare gli occhi al cielo a Jason.
Quando i tre si decisero a raggiungere il coach nel campo, questo non perse tempo ed avvicinò il suo megafono alla bocca: “DISGRAZIATI!” Esclamò nell’orecchio di Leo, che prese a massaggiarselo dolorante ed a mormorare qualcosa come: “Perché sempre a me?”
“COSA STAVATE ASPETTANDO? UNA CARROZZA? CINQUANTA ADDOMINALI, FORZA!” Urlò con un sorrisetto soddisfatto, mentre i ragazzi protestavano: “VALDEZ!”
“Eccolo…” Sussurrò il ragazzo, pronto a tutto.
“Come dici, scusa?”
“Nulla.” Commentò alzando solo un angolo della bocca in un sorriso.
“Benissimo! TU TE NE BECCHI SETTANTA!”
Percy non osava immaginare che trattamento avrebbe riservato all’altra metà della squadra che era ancora negli spogliatoi.
Fu più o meno a metà allenamento, tra un urlo ed un altro del coach Hedge, che Percy notò una chioma bionda sugli spalti vuoti, alzò lo sguardo di scatto spostandosi i capelli bagnati dal sudore dagli occhi ed incontrò lo sguardo di Annabeth, alzò una mano per salutarla con un sorriso ebete dipinto in viso. Non aveva neanche notato Hazel e Piper sedute accanto a lei.
Il coach, però, riuscì senza problemi a riportarlo alla realtà, realtà in cui esistono clave piuttosto spiacevoli da ricevere sulla nuca: “Ahi…” Mugolò prendendo a massaggiarsi la testa mentre la bionda rideva divertita.
Fu l’allenamento più lungo che Percy avesse mai fatto, ma quando fu finito vide le tre ragazze avvicinarsi e pensò che avrebbe potuto anche farci l’abitudine, che si sarebbe preso tutte le bastonate e le urla amplificate dal megafono del coach Hedge se quella doveva essere la sua ricompensa.
Jason e Percy si avvicinarono alle ragazze sorridendo, mentre le tre ridevano di Leo che, poco più in là, era ancora a fare le flessioni tra le grinfie del coach.
“Ciao, Hazel!” Salutò Jason abbracciando la ragazza in questione. Leo fece il grande errore di girarsi di scatto perdendo la presa sulle braccia e cadendo proprio con la faccia sulle scarpe puzzolenti del coach. Il messicano cercò di dire qualcosa, ma il suono arrivò attutito.
“Di solito mi cadono solo pollastre ai piedi!”
Leo si alzò disgustato tossendo e mormorando qualcosa sul fatto che cadessero svenute per la puzza delle sue scarpe, ma il coach era troppo impegnato ad allontanarsi urlando al megafono: “RICORDATEMI DI NON PRENDERE PIÙ PIROMANI IN SQUADRA!”
“Oh, bene” Disse Leo avvicinandosi ai suoi amici spazzolandosi i vestiti: “La voce è arrivata anche a lui!” Esclamò sorridendo fiero: “Ciao ragazze!”
Ed insieme si avviarono agli spogliatoi ridendo per la maggior parte del tempo pensando a quanto fosse ridicolo Leo negli sport, mentre il ragazzo in questione campava in aria ragionamenti contorti su quanto questo aumentasse radicalmente il suo fascino agli occhi delle ragazze.
 
“Annabeth!” La ragazza si girò verso la voce che l’aveva appena chiamata mentre il suo cervello la associava in tempo record ad un volto.
“Ciao.” Si limitò a rispondere fredda. Annabeth non aveva alcuna voglia di sentirsi raccontare da Percy di tutti i rapporti sessuali che aveva avuto con Rachel fino a quel momento e fingere che non le importasse minimamente, così continuò a camminare verso la sua classe nonostante la campanella non avesse ancora avvertito i ragazzi della fine dell’intervallo.
“Che fai oggi pomeriggio?” Domandò il moro senza arrendersi appoggiandosi al primo armadietto sulla strada di Annabeth ed impedendole di procedere oltre. I loro visi erano separati da qualche centimetro.
“Quello che avresti bisogno di fare tu: studiare.” Replicò la ragazza puntando i suoi occhi grigi in quelli verdi del ragazzo con uno sguardo di fuoco.
“Risposta sbagliata.” La corresse Percy: “Ti andrebbe di fare un giro?”
“No.”
“Non capisco davvero come tu faccia ad avere dei voti così alti. Di nuovo, risposta sbagliata.” Replicò imperterrito il moro con un sorriso ironico e strafottente insieme stampato in viso: “Dai, non vorrai dirmi che sei gelosa.”
“Io?” Domandò la ragazza alzando la voce più di quanto volesse.
“Ah no?” Rispose Percy avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra: “Dimostralo uscendo con me.”
Annabeth sentì che il suo orgoglio stava per essere frantumato dal primo ragazzo con un bellissimo sorriso strafottente.
“E va bene. Alle 18:00 fuori scuola.” Accettò facendo sorridere il moro vittorioso: “Ma solo come amici.” Aggiunse superandolo e recandosi in classe, lasciando Percy lì dov’era a sorridere amaramente. Era un sfida? Era pronto a giocarsi le migliori carte.
 
Annabeth non era il tipo di ragazza che voleva far tardi per farsi desiderare. Fece venti minuti di ritardo perché aveva passato l’intero pomeriggio a studiare ed alle sei meno dieci aveva visto l’orario dopo ore.
Trovò Percy seduto su una panchina ad aspettarla, con la testa abbassata tra le ginocchia, il vento rendeva i suoi capelli neri ancora più in disordine del solito. Non era vestito in modo particolarmente elegante. Una semplice camicia nera era l’unico tocco di classe sui jeans e le sue scarpe sfondate. Annabeth, dal canto suo, aveva avuto davvero poco tempo per pensare all’abbigliamento. I suoi capelli erano ancora raccolti in una coda dalla quale usciva qualche ciuffo biondo. (Si appuntò mentalmente di tralasciare questa parte quando avrebbe parlato della sua uscita a Piper, che, per di più, non sapeva nulla di quell’appuntamento, visto che Annabeth non voleva essere spiata.) Questo bastò comunque, però, perché le pupille di Percy si dilatassero quando si accorse della ragazza.
“Oh, guarda!” Iniziò il ragazzo con un sorrisetto: “Siamo entrambi in anticipo.” Disse sarcastico.
“Almeno hai avuto abbastanza tempo per decidere il posto fantastico in cui porterai la tua amica.” Replicò Annabeth regalandogli una delle sue occhiatacce che Percy aveva imparato ad ignorare.
“Ti piace il mare?” Domandò con un luccichio nello sguardo.
 
Percy aveva pensato a tutto, ma non voleva che Annabeth lo capisse, voleva che tutto ciò che aveva organizzato passasse per un semplice regalo del caso.
Qualche autobus dopo si ritrovarono appoggiati ad un muretto a guardare il mare: “Ti presento l’oceano!” Esclamò Percy allargando le braccia sorridendo. Annabeth alzò gli occhi al cielo: “Va bene, era questa la tua grande idea? Portarmi al mare?
“Non esattamente.”
Dopo un giro sul lungomare e dopo che le loro mani si furono sfiorate accidentalmente almeno venti volte, Percy girò verso un molo al quale erano attraccate almeno dieci barche dall’aria parecchio costosa.
“Percy?” Chiamò Annabeth tentennando: “Stai salendo clandestinamente su una barca che non è tua o hai un padre particolarmente ricco di cui nessuno sa nulla?”
Il moro si rabbuiò solo un attimo prima di rispondere con il suo solito sorriso sarcastico: “Non preoccuparti, so quello che faccio.”
Annabeth alzò gli occhi al cielo, ma seguì comunque il ragazzo, pronta ad incolparlo di un potenziale furto nel caso in cui l’avesse ritenuto necessario. Si stupì parecchio quando Percy si avvicinò ad un uomo che aveva tutta l’aria di essere un cameriere: “Salve, c’è un tavolo libero per due?” L’uomo non fiatò, ma fece segno ai ragazzi di seguirlo conducendoli ad un tavolino particolarmente appartato dove la vista era strepitosa: “Wow” Esalò Annabeth guardandosi attorno, mentre Percy si concedeva un piccolo sorriso vittorioso.
Parlarono per tutta la prima metà della cena. Annabeth notò che, in fin dei conti, Percy non era un ragazzo così stupido come si poteva pensare guardandolo solo da fuori. Aveva notato, inoltre, che non doveva aver avuto un passato facile dato che non aveva accennato nemmeno a suo padre o alla sua famiglia, esclusa sua madre.
“E quindi la tua passione per il mare da dove salta fuori?” Domandò la ragazza tra un boccone e l’altro.
“Be’, vedi, mia madre mi ci portava sempre quando… Nei momenti difficili. Aveva un non so che di rilassante, sembrava andare tutto bene, almeno per un po’.”
“Oh, capisco.” Si limitò a rispondere Annabeth che non voleva infilare il dito nella piaga: “Io da picc…” La ragazza fu interrotta da uno scossone ed un rumore di motore in azione: “C-che cosa succede?”
Percy si limitò a sorridere. Mezz’ora dopo si erano di parecchio allontanati dalla costa e lo skyline di New York illuminata si stagliava davanti ai loro occhi, permettendo loro, però, di vedere comunque le stelle. Annabeth straparlava dei fantastici edifici visibili da lì. A Percy non interessava poi tanto il discorso, ma adorava vedere gli occhi della ragazza brillare mentre parlava delle sue passioni. Erano soli sul pontile e Percy decise finalmente di farsi coraggio.
“Annabeth,” Iniziò con la voce tremante. Non sapeva nemmeno lui perché, per la prima volta nella sua vita, desiderasse con tutto se stesso, ed al contempo aveva così paura, di dare un bacio, ma quella serata era stata perfetta e non avrebbe permesso a nessuno di rovinarla.
“Mh-mh” Rispose distrattamente la ragazza continuando a tenere gli occhi fissi sugli edifici in lontananza. Percy si avvicinò di più a lei e riprovò, quella volta con più sicurezza nella voce: “Annabeth”. La bionda si girò finalmente a guardarlo, mentre lui diminuiva la distanza tra loro sempre di più.
All’improvviso, però, Annabeth cambiò sguardo. L’orrore era particolarmente visibile nei suoi occhi: “P-Percy…”
Il ragazzo sbuffo ed aprì gli occhi, senza, però allontanarsi di un centimetro: “H-hai… un ragno sulla spalla!” Gridò allontanandolo di scatto e facendolo cadere su un vassoio di pasticcini glassati alla zucca alle sue spalle imbrattandogli la camicia.
Percy prese il ragno dalla sua spalla e lo lanciò a mare. Annabeth si fiondò verso di lui: “Oddio, scusa! Davvero, mi dispiace tantissimo, giuro che non volevo, è che… I ragni mi terrorizzano, io…” Riprese fiato: “Sono ridicola, mi dispiace tanto.”
Percy sorrise. Insomma, la camicia era l’ultimo dei suoi problemi. Ciò di cui si dispiaceva davvero era il fatto di aver rotto l’atmosfera precaria che si era creata.
Poco dopo erano fuori casa di Annabeth e stavano per salutarsi: “Ebbene,” Esordì Percy: “Possibile che debba rovistare nella spazzatura o diventare una spazzatura per avere il tuo numero e conoscere il tuo indirizzo?” Scherzò il ragazzo.
“Ehm… Mi dispiace.”
“Non preoccuparti. È stata una bella serata all’insegna del caso.”
Annabeth rise: “Il caso come il fatto di aver prenotato un tavolo di un bellissimo ristorante ed aver pregato il cameriere di farmi credere che fosse la prima volta che ci mettevi piede?”
Percy sbiancò un secondo ed il secondo dopo sentì il viso andargli a fuoco senza essere capace di proferir parola.
“Esci così con tutti i tuoi amici?” Gli domandò ironica, rientrando in casa senza aspettare una risposta: “Grazie.” Disse prima di richiudersi la porta alle spalle.
No, quella era tutt’altro che un’uscita tra amici.
 
Poco dopo, sulla chat di gruppo che Annabeth aveva con Hazel e Piper, ci volle tutta la calma della prima per placare la rabbia della seconda nei confronti della sua amica per aver rovinato l’atmosfera.
 
Note dell’autrice: Ciaaaao amici!
Sì, lo so, sono un essere ignobile, ma credo di essermi fatta perdonare dopo aver scritto i 9/10 del capitolo tutti oggi. CHI SARÀ LO SPACCIATORE? Ho da chiarire parecchie cose su questo capitolo e sulla storia in generale.
Prima di tutto volevo specificare che questa è una storia leggera, il mio obiettivo era creare un qualcosa di rilassante che la gente potesse leggere a fine di una giornata stressante. Quindi, sì, alcune delle storie personali dei personaggi (oggi avete avuto qualche assaggio di quella di Percy) non saranno proprio allegre, ma in generale la storia sarà una semplice storia di semplici adolescenti che affrontano problemi di poco conto per i quali siamo passati tutti. Non vi libererete di me facilmente, quindi chissà le prossime storie che temi avranno eheheheh. 
Volevo anche dire che Annabeth ha accettato di uscire con Percy perchè non voleva che lui capisse la sua gelosia, ma non si aspettava certo quello che ha fatto il nostro figlio di Poseidone, quindi, viste le intenzioni, si è addolcita un po' per capire a che punto volesse arrivare il ragazzo.
L’altra cosa che volevo dire era che questo è un capitolo Percabeth e che, quindi, gli altri sono un po’ in secondo piano, ma non temete, presto avrete ciò che bramate *coff coff* Solangelo. Ho una paura matta di pubblicare nuovi capitoli per paura che troviate la storia scadere lentamente. Spero di non avervi delusi e, si, mi dispiace per com’è andato a finire questo capitolo, ma abituatevi a questo mio tipo di sadismo eheheheh
Grazie a chi è arrivato fin qui (le note così lunghe non le legge nessuno, El!) e a chi sta mettendo la mia storia tra le preferite/ricordate/seguite, grazie a chi sta recensendo (mi riempite di gioia) ed anche a chi legge senza commentare.
Ci vediamo appena potrò (sto per partire di nuovo), non troppo tardi
Adieu,
 
El.

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Capitolo 12
*** 12 - Distruzioni e dichiarazioni ***


DISTRUZIONI E DICHIARAZIONI
 
Hazel non aveva per nulla voglia di andare in biblioteca per la ricerca di storia che il professore le aveva assegnato, ma non poteva davvero fare altrimenti.
Era l'ora libera che tutti i ragazzi avevano [1] e non poteva certo starsene con le mani in mano. Qualche giorno prima, però, aveva visto un interessantissimo libro sulle pietre preziose più rare trovate sulla Terra e, pensando che sarebbe andata esattamente dove l'aveva visto la prima volta, non poté resistere, una volta in biblioteca, all'idea di leggerne almeno un paragrafo. Così giurò a se stessa che avrebbe lavorato alla ricerca quella sera e che non si sarebbe fatta tentare proprio da niente.
Mentre indugiava con lo sguardo sui tavoli della biblioteca non poté fare a meno di imprecare mentalmente: perché gli studenti dovevano occupare tutti i tavoli pur essendo di gran lunga di meno del numero dei posti liberi? Per sua fortuna, però, vide un'inconfondibile chioma bionda china su un enorme libro di letteratura americana. Il viso era seminascosto dai capelli, ma non le ci volle comunque molto per capire di chi si trattasse. Hazel si avvicinò con un sorriso, ma, prima che potesse parlare, gli occhi grigi della ragazza si puntarono nei suoi: "Vuoi provare tu a dire a Piper che può sedersi qui con noi?" Domandò indicando con un cenno della testa la ragazza in questione due tavoli più avanti. Hazel non poté fare a meno di sorridere mentre si sedeva di fronte alla sua amica: "Ce l'ha ancora con te per la faccenda del bacio?" Domandò riferendosi chiaramente alla serata che Annabeth aveva passato con Percy qualche giorno prima e che era finita non proprio bene: "Sí, non ci vediamo da allora e Piper ha deciso di ignorarmi finché non andrò a parlarci. Puoi cercare di farla ragionare tu?" Domandò riprendendo a guardare il libro. La sua attenzione sembrava essere totalmente su di esso, ma stava chiaramente aspettando una risposta da Hazel: "Io credo abbia ragione. Dovresti parlarci." Sussurrò timidamente. Annabeth alzò lo sguardo di scatto: "Ovviamente la reazione di Piper è spropositata, ma sai benissimo cosa dovresti fare." Aggiunse la riccia, intimidita dallo sguardo gelido dell’amica.
Annabeth abbassò lo sguardo per poi alzarlo di scatto qualche secondo dopo prendendo a fissare l'amica che aveva di fronte con un misto di paura ed ansia nello sguardo. Hazel capì subito e si girò guardandosi alle spalle. Percy, Leo, Jason e Frank si stavano avviando proprio verso di loro. Piper sembrò abbandonare il suo punto per un po' e si avvicinò alle ragazze sedendosi accanto alla sua migliore amica, cercando di incrociare il suo sguardo per capire come avrebbe reagito. Loro si capivano sempre al volo, ma la bionda non si girò a guardarla e rimase con gli occhi fissi sui nuovi arrivati, mentre i ragazzi si sedevano nei posti liberi, lo sguardo indecifrabile. Annabeth ringraziò Leo con un’occhiata per essersi seduto nell'unico posto libero accanto a lei.
"Allora" iniziò Piper per diminuire la tensione che si era inevitabilmente creata tra loro: "Che ci fate da queste parti?"
"Abbiamo appena finito gli allenamenti" iniziò Leo, poi sembrò pensarci su: "Veramente io ho appena finito gli allenamenti, dato che il coach ha di nuovo pensato bene di farmi fare mezz'ora in più." Si corresse Leo sorridendo ironico.
"Io stavo venendo da Hazel e li ho incontrati nei corridoi." Disse Frank che si era seduto accanto alla sua ragazza e le aveva messo un braccio attorno alle spalle. Era da qualche giorno che sia Hazel che Frank avevano un sorrisetto dipinto continuamente in volto.
"Che ne dite se stasera venite tutti a casa mia? Mio padre ha da fare e mia sorella esce con le sue amiche." Propose Jason, che sembrava essersi leggermente rabbuiato accennando al padre, gli altri preferirono lasciar correre per non mettere il ragazzo a disagio.
Annabeth e Percy si fissarono per un attimo, non sembravano essere felici all'idea di passare di nuovo del tempo insieme, ma sapevano anche che avevano gli stessi amici e non potevano certo continuare ad evitarsi per sempre.
"Va bene" dissero nello stesso istante e tutti gli altri presero a fissarli. Era ovvio che anche Percy avesse parlato dell'appuntamento ai tre ragazzi. Leo sembrò sul punto di fare una delle sue solite battute, ma si trattenne quando vide la tensione che aleggiava sul tavolo, non riuscì, però, a trattenersi dall'alleggerire l'aria: "E va bene, distruggiamo casa di Jason." Sentenziò chiudendo il discorso.
 
“Ciao, nonna!” Salutò Frank entrando in casa e superando il piccolo atrio per recarsi in cucina, dove sua nonna sembrava piuttosto presa dalla verdura che stava tagliando. Con sua sorpresa, la donna alzò lo sguardo prendendosi un secondo per guardarlo in viso: un sorriso raggiante era dipinto sul volto del ragazzo. Nonna Zhang scosse la testa sorridendo e portò di nuovo tutta la sua attenzione sulle verdure: “Bella giornata?” Domandò con un sorriso ironico in volto.
“Sì…” Rispose vago Frank che, dopo anni, aveva imparato a riconoscere ogni sfumatura di significato delle parole della nonna e non gli piaceva a fatto la piega che stava per prendere quel discorso.
“Con quella ragazza… Hazel, vero?” Iniziò la nonna, alzando ancora una volta lo sguardo sul ragazzo solo per vederlo arrossire vistosamente: “Va a gonfie vele, mi sbaglio?”
“Ehm… sì!” Esclamò Frank, desideroso di cambiare discorso: “Oh, nonna! Stasera Jason mi ha invitato a casa sua, scendo tra po…”
“Frank!” Lo interruppe la nonna: “Avevi promesso che mi avresti aiutato con il negozio stasera!” Lo rimproverò. La nonna di Frank gestiva un negozio di cibo cinese. Alcuni dei prodotti che vendeva erano assolutamente impossibili da trovare in qualunque luogo d’America. Era diventato famoso nel quartiere, poi, perché occasionalmente la proprietaria preparava delle composte tradizionali cinesi. In quei casi, quindi, come quella sera, rimaneva spesso a casa a cucinare e suo nipote si occupava del negozio al posto suo.
“Lo farò domani, prometto.” Tentò il ragazzo, sapendo che non avrebbe in nessun modo fatto cambiare idea alla nonna.
“Non se ne parla. Ho fatto le composte proprio perché mi avevi assicurato che saresti stato al negozio.” Rispose nonna Zhang. Il suo tono non ammetteva repliche, nonostante Frank conoscesse abbastanza bene sua nonna da sapere che replicare sarebbe stato un tentativo vano.
“Avverto Percy.” Rispose infatti mogio Frank, avviandosi verso la sua stanza mentre sua nonna si lasciava scappare un piccolo ed appena accennato sorriso vittorioso non appena il ragazzo le voltò le spalle.
 
“Annabeth!” Una voce femminile gridò alle spalle della ragazza bionda che, per poco, non fece cadere i libri che teneva fra le braccia dallo spavento.
“Hazel, cos’hai?” Domandò Annabeth, che era riuscita a tenere tutti i libri di nuovo in bilico, mentre vedeva l’amica trafelata che tentava di parlare e riprendere fiato contemporaneamente.
“Per stasera… dici a Jason che non posso venire…” Iniziò ancora con il fiatone: “Devo lavorare alla ricerca di storia del professor Johnson. Studierò come minimo tutto il giorno. L’avevo dimenticato.” Concluse indicando col capo i tre mattoni di storia che aveva tra le braccia. Annabeth sospirò per poi lasciarsi andare ad un sorriso mentre lanciava un’occhiata ai libri ingombranti che Hazel teneva fra le mani: “Storia dell’antica grecia, eh?” Domandò alludendo alle immagini stampate sulla copertina del libro che si trovava in cima alla pila: “Credo di poterti aiutare. Potrei passare da te per le sei.”
“E la serata da Jason?” Domandò Hazel che, da un lato, non voleva far passare alla sua amica una serata chiusa in casa a studiare, dall’altro, sperava di avere dell’aiuto prezioso per finire la ricerca al meglio ed in poco tempo.
“Non è che mi importi molto. Ci saranno altre occasioni.”
“Non è che non t’importi. Qui mi sembra che qualcuno non voglia vedere un certo ragazzo dagli occhi color del mare…” Dichiarò Piper, inserendosi nella conversazione. Annabeth le regalò un’occhiataccia, ma si guardò bene dal ribattere. Hazel si lasciò sfuggire un sorriso: quelle due si trovavano sempre in disaccordo.
“Piper, perché non vieni anche tu?” Domandò iniziando a chiedersi come avrebbe preso la cosa suo fratello che non amava conoscere nuova gente. La ragazza fece spallucce, come a dire che la cosa le andava più che bene.
“D’accordo, ma dobbiamo studiare, non metterci a parlare e perdere la serata.” Dichiarò Annabeth osservando le amiche.
 
Hazel era al settimo cielo. Suo fratello le aveva concesso di invitare le sue amiche a patto che non invadessero la sua privacy, il che significava non entrare nella sua stanza. Era stato piuttosto vago sui suoi progetti per quella sera, ma aveva detto a Hazel che sarebbe uscito per cena senza sapere quando sarebbe rientrato con precisione. La ragazza sapeva bene che quello che poteva avvicinarsi di più ad un amico, per lui, era Frank, quindi non aveva idea di cosa o chi dovesse vedere quella sera, ma decise di non fare troppe domande. Le ragazze bussarono alle sei in punto ed Annabeth sembrava piuttosto determinata, il che assicurò a Hazel che avrebbero studiato ed il suo progetto non sarebbe andato male: “Ho avvisato Jason. Sembrava piuttosto dispiaciuto.” Buttò lì la bionda in attesa di una reazione da parte di Piper che sembrò sul punto di dire qualcosa per poi ripensarci senza lasciarsi sfuggire neanche un suono. Né ad Annabeth, né a Hazel la reazione della mora sfuggì, ma decisero, con uno sguardo, che quello non era il momento adatto per indagare.
Hazel invitò le ragazze ad entrare e mostrò loro la strada per la sua stanza, mentre prendeva qualcosa di fresco da bere. Piper si stese sul letto della ragazza ed iniziò, annoiata, a scrollare la home di Instagram in cerca di qualcosa di interessante o divertente da guardare, mentre Annabeth e Hazel, come da programma, lavoravano al progetto.
L’equilibrio che si era creato si ruppe verso le otto, quando la porta della stanza della padrona di casa si aprì silenziosamente. Qualche secondo dopo una voce maschile fece sussultare Annabeth e Piper, che si guardarono sorprese alla vista della testa di un ragazzo dai lunghi capelli corvini che faceva capolino dal corridoio: “Scusate l’interruzione.” Iniziò il ragazzo per nulla turbato dalla reazione delle ragazze. Sembrava esserci abituato. Puntò i suoi occhi neri prima in quelli di Annabeth e poi in quelli della sua migliore amica. Le stava studiando: “Hazel, sto scendendo.” Annunciò dando un’occhiata all’orologio a muro che la riccia aveva nella stanza: “Sono le otto. Fossi in voi mi sbrigherei a chiamare delle pizze. Tra poco le linee saranno tutte occupate.” Consigliò salutando Hazel e gettando un’ultima occhiata alle ospiti prima di richiudere la porta della stanza.
“È mio fratello.” Spiegò Hazel quando sentì il portone di casa chiudersi: “È un po’ inquietante, ma è tutta una copertura.” Disse sorridendo: “Allora… Chiamiamo queste pizze?”
Le tre ragazze si sistemarono sul tavolo della cucina di Hazel, mentre Piper tirava fuori dallo zaino un pacco di patatine in busta che la proprietaria di casa stentò a credere fosse stato davvero lì tutto il tempo, viste le dimensioni. Parlarono del più e del meno mentre Annabeth tagliava le pizze e le altre due ragazze imbandivano la tavola, poi un silenzio tombale scese fra loro mentre mangiavano. Erano troppo affamate per fermarsi a parlare, ma nessuna delle tre sembrò trovarsi a disagio. La situazione divenne tesa quando il cellulare di Piper trillò. Il nome che comparve sullo schermo non passò inosservato né a Hazel, né ad Annabeth: “È Jason.” Sentenziò Piper, le amiche presero a fissarla senza muovere un muscolo: “Vi dispiace se…”
La magia si ruppe e le altre due ragazze tornarono normali: “Oh, certo, fai pure!” Disse Annabeth tornando a concentrarsi sulla sua pizza. Piper si lasciò sfuggire una risata e lesse ad alta voce: “Perché non siete venute? Non hai idea di cosa stia succedendo qui.
 
Leo fu il primo ad arrivare a casa di Jason. Il biondo ne fu felice: non sapeva ancora come gestire al meglio Percy. Ogni volta che tentava di essere gentile, il moro fraintendeva le sue parole e le vedeva come una sfida. Jason, poi, dal canto suo, aveva sempre voluto essere amico di Percy ed, in un certo senso, avrebbe voluto una vita come la sua: senza regole, senza nulla da dimostrare, niente aspettative da deludere. Ormai, il loro, era un rapporto che Jason avrebbe potuto, senza troppe difficoltà e con una buona dose di collaborazione da parte di Percy, trasformare in amicizia.
Percy arrivò una mezz’ora dopo scusandosi per il ritardo e rivelando di aver avuto problemi alla pasticceria di sua madre.
“Cosa?!” Domandò sorpreso Leo: “Tua madre è la signora che fa i biscotti glassati di blu?” Continuò Leo incredulo riferendosi chiaramente al suo primo ricordo felice a New York.
“Ehm… sì” Ammise Percy: “Ma diciamo che la prima volta che te l’ho svelato eri occupato a ricordare cosa fosse successo la sera della festa a sorpresa di Annabeth.” A Jason sembrò che un velo di nostalgia passasse sugli occhi di Leo. Erano passati solo due mesi dal compleanno di Annabeth, ma per Jason sembravano un’infinità. In quel tempo si era preso una cotta per una ragazza che, a suo parere, era totalmente irraggiungibile, aveva messo a posto, almeno un po’, il rapporto con Percy ed aveva trovato un amico che avrebbe potuto, senza farsi troppi problemi, classificare come il migliore.
“Leo” Esordì Jason per cambiare discorso dopo aver visto Percy e Leo rabbuiarsi al pensiero di Annabeth e Hazel: “Le ragazze non sono qui perché Hazel aveva una ricerca importante da fare… Non siete nella stessa classe di storia?” Continuò il biondo non riuscendo a fare a meno di ridere.
“Il mitico Leo Valdez ha tutto sotto controllo. Ho ancora due giorni per farla. Ce la farò!” Sentenziò con sguardo sicuro. Quello dei suoi amici, però, non rivelava certo la stessa sicurezza, ma Percy si limitò ad una scrollata di spalle mettendo definitivamente un lucchetto a quella conversazione.
“E va bene. Ho trovato un nuovo videogioco ad un prezzo scontatissimo, non so se si possano collegare tre joystick alla mia vecchia console, ma…”
“Non preoccuparti” L’interruppe Leo con la stessa sicurezza nello sguardo di qualche attimo prima, il che fece sorgere qualche dubbio nella mente di Jason: “Ho passato intere giornate, in Messico, a riparare o migliorare attrezzi elettronici. So cosa fare.” Concluse condendo il tutto con un occhiolino.
Qualche minuto dopo Leo armeggiava con più fili di quanti si possa pensare servano per collegare tre joystick ad una presa mentre Percy e Jason parlavano del più e del meno. Di tanto in tanto Leo sbuffava affranto o dichiarava di essere il più geniale dei geni sulla Terra facendo girare i suoi amici verso di lui. Percy cercava di aiutare come poteva suggerendo idee, mentre Jason aveva rinunciato da tempo a rendersi utile conoscendo Leo abbastanza da sapere che quando era così concentrato (cosa che accadeva di rado) era impossibile farsi ascoltare da lui.
Una manciata di minuti dopo Leo alzò le mani in aria con un sorriso folle e radioso insieme urlando: “FATTO!”. Due secondi dopo si sentirono una serie di scoppi e qualche rumore poco incoraggiante provenienti dalla console, poi la stanza fu immersa nel buio: “Vuoi dire che hai fatto un casino!” Ironizzò Percy cercando a tentoni il suo cellulare per accendere la torcia. Jason si avviò verso il contatore ed abbassò la leva che monitorava la luce elettrica della stanza per poi alzarla di nuovo senza alcun risultato.
“Ehm… Forse so come farla funzio…” Iniziò Leo guardando dalla spalla di Jason le leve del contatore.
“Direi di no.”
“Ma sono bravo con queste cose, so come far tornare la luce!”
“Facciamo così: non ho molto in casa. Scendo e vado a prendere delle patatine fritte. Tu e Percy cucinate un po’ di pasta. Sapete cucinare della pasta… vero?” Domandò Jason non molto sicuro di voler sapere la risposta.
“Ma certo, amico, stai tranquillo. Ci pensiamo noi.” Lo rassicurò Leo guidando lentamente Jason verso la porta, una mano sulla spalla.
“Wow Leo, quando hai detto distruggiamo casa di Jason, oggi, dicevi sul serio.” Disse Percy che non sembrava in grado di rinunciare alla sua ironia quella sera. Leo si lasciò scappare una risata, ormai stava già richiudendo la porta di casa di Jason, quando sentì la voce di quest’ultimo un attimo prima che la porta si chiudesse: “E non provare a mettere le mani su quel contatore!”
Quando Jason tornò trovò la casa ancora più incasinata di quanto si aspettasse. Leo e Percy non erano stati particolarmente bravi a collaborare. Leo si era messo ai fornelli, Percy aveva riempito la pentola d’acqua e l’aveva messa a bollire. Nessuno capì mai come metà delle stoviglie andò a fuoco. Fortuna che Jason era riuscito a prendere una scodella di patatine fritte. Così i tre ragazzi si accomodarono al buio. L’unica fonte di luce erano le torce dei cellulari posizionate in modo strategico da Leo: “Mi aspettavo che, alla fine, avresti ceduto al mio fascino, Grace, ma non era così che immaginavo il nostro primo appuntamento.” Disse Percy con il suo solito sorriso ironico che, con la luce emanata dai telefoni, era, in un certo senso inquietante. Leo gli diede una gomitata affettuosa lasciandosi sfuggire una risata: “Zitto tu. Avresti fatto meglio a lavorare alla ricerca di storia, stasera.” Lo ammonì scherzando il proprietario di casa.
“E tu avresti un naso rotto, visto che sareste rimasti voi due soli.” Rispose pungente Leo.
Jason scosse la testa sorridendo e si allungò al centro del tavolo riprendendosi il telefono: “Ehi, amico, ma che fai?!” Lo riprese Leo mentre il suo migliore amico distruggeva l’improvvisata creazione del messicano. Jason ignorò l’amico e cliccò sull’icona dei messaggi e, trovato il nome che cercava tra i contatti, iniziò a scrivere il testo del messaggio: “Perché non siete venute? Non hai idea di cosa stia succedendo qui.”
 
Tornate nella stanza di Hazel, dopo alcuni tentativi di Annabeth di tornare a studiare, le tre ragazze si sistemarono sul letto. Ananbeth e Hazel tempestarono Piper di domande mentre, quest’ultima, tentava di essere vaga: “Invece di parlare di me, perché non ci racconti come mai in questi giorni tu e Frank avete sempre avuto questo sorrisetto stampato in faccia?” Domandò Piper, che aveva sempre avuto un certo fiuto per le faccende amorose. La domanda di Piper ebbe l’effetto desiderato perché Hazel arrossì violentemente ed iniziò a balbettare: “B-bè, scusa, ma non stavamo parlando di te?” Domandò poco convincente: “Dico bene, Annabeth?”
“Veramente vorrei sapere anch’io il perché di quei sorrisini.”
Hazel non seppe spiegare come, ma dopo una serie di risposte imbarazzate e sorrisi celati finì per raccontare alle amiche cosa era successo tre pomeriggi prima: “Frank aveva pensato di fare qualcosa di diverso dal solito e mi ha portata in un parco qualche isolato vicino casa sua. È piuttosto piccolo e lui dice che in tutte le volte che è stato lì avrà visto in totale tre o quattro persone. Il che è assurdo per una città popolosa come New York.” Iniziò Hazel.
“Non saranno certo delle notizie statistiche a farci smettere di fare domande.” S’intromise Piper spronando l’amica ad arrivare al punto: “E va bene, ci siamo seduti all’ombra di una quercia e abbiamo parlato per un sacco di tempo con della musica tranquilla come sottofondo. Poi non so come sia successo, ma mi ha baciata…”
 
Hazel aveva, ormai, baciato Frank tante volte, ma non si era ancora abituata alle sensazioni che il ragazzo le faceva provare. Esplorò le sue labbra finchè non iniziò a giocare con la sua lingua, mordendogli, talvolta, il labbro inferiore. Poi decise di farsi più audace sedendosi sulle sue gambe ed avvicinandosi pericolosamente al cavallo dei suoi pantaloni. Come per un riflesso involontario, Frank spinse il bacino verso l’alto facendo scontrare le loro intimità. Hazel sentì un brivido percorrerle la schiena e percepì i suoi muscoli irrigidirsi e la mente perdere lentamente lucidità. Frank divenne paonazzo mormorando qualche scusa che Hazel troncò prontamente con un bacio. I respiri si fecero via via più affannosi e le mani meno timorose. Frank trovò il coraggio di far scivolare le sue mani sui fianchi della ragazza, appena sotto la maglietta. La mente di Hazel collegò immediatamente quel gesto all’immagine di Leo, che scacciò con un pizzico di paura. Timorosa di associare di nuovo quell’eccitazione al messicano, non si rese nemmeno conto di star esitando con la mano sulla patta dei pantaloni del fidanzato. Prese coraggio e gli sbottonò il pantalone. Frank sentì la ragazza afferrare qualcosa che gli apparteneva e sentì il cervello scollegarsi del tutto. Riusciva a seguire solo il suo istinto e l’amore che era ormai sicuro di provare per Hazel. Mentre lei lo faceva impazzire, lui si guardò bene dal lasciare la sua ragazza senza attenzioni e fece scivolare una mano sotto la gonna di Hazel, che non riuscì a non farsi sfuggire un gemito.
“Sei sicura?” Domandò, nonostante una parte di lui non era sicuro che, in caso di una risposta negativa, sarebbe riuscito a fermarsi tanto facilmente.
Hazel annuì facendo cadere tutti i dubbi di Frank nel momento in cui scartò la bustina che aveva preso dalla sua borsetta in fretta e furia, guardandosi bene dal porgerla al suo ragazzo, che era totalmente in balia del desiderio.
 
“E poi?” Domandò Piper curiosa.
“E poi puoi immaginarlo. Insomma, posso ritenermi soddisfatta della mia prima volta.” Disse Hazel che, nonostante fosse ancora rossa in viso, era riuscita a sentirsi un minimo più a suo agio. Hazel non aveva ancora raccontato alle ragazze della sua storia, sapeva che non avevano la più pallida idea di cosa significasse Frank per lei, di quanto riuscisse a farla sentire completa nonostante nella sua vita mancassero parecchi tasselli, ma decise che, per quel momento, quanto sapevano era abbastanza e fu felice di aver raccontato della sua esperienza a qualcuno.
 
Percy si era divertito parecchio a casa di Jason, anche se non credeva avrebbe mai pensato una cosa del genere del capitano, ma non lo trovava poi tanto male. Frank gli aveva detto più o meno un miliardo di volte dove abitasse Hazel, quindi, quando passò proprio ai piedi del suo palazzo un’idea assurda iniziò a formarsi nella sua testa. Non voleva tornare a casa. Non voleva sentire sua madre reprimere le lacrime che uscivano prepotenti per tutto quello che avrebbe voluto dare al figlio, per le continue pressioni di Gabe, che non la lasciava respirare un momento. Quindi fu quasi un gesto automatico fermarsi di colpo, afferrare il telefono dalla tasca e comporre il numero di Annabeth: “Ehi” Lo salutò lei senza alcuna emozione.
“Io… ehm… volevo parlarti. Puoi uscire un attimo?”
“Percy, sono a casa di Hazel…”
“Lo so. Sono qui sotto.” L’interruppe lui sorridendo.
 
“SCENDI SUBITO!” Gridarono all’unisono Piper e Hazel costringendo Annabeth ad uscire di casa prima che potesse ribattere.
“Dimmi.” Gli disse appena lo raggiunse, sistemandosi imbarazzata una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
“Volevo dirti che non ce l’ho con te per la camicia, se la cosa ti preoccupa. Ah, e non credo neanche tu sia un disastro.” Iniziò, inspirando profondamente: “Insomma, sto cercando di dirti che qualunque cosa ti abbia fatto credere che allontanarti fosse la scelta giusta non è per nulla vera. Perché l’ultima cosa che direi di te è che sei un disastro e, l’ultima cosa che vorrei, è vederti andare via.” Disse Percy avvicinandosi pericolosamente alla ragazza, la quale sperò con tutta se stessa che l’oscurità celasse l’irrimediabile rossore sul suo viso. Ad Annabeth passò per la mente l’immagine di Rachel che baciava Percy in un modo tutt’altro che discreto. Pensò a tutte le ragazze che lui usava e poi gettava via come giocattoli, a tutte le altre ragazze a cui aveva detto, con molta probabilità, quelle parole prima di lei, ma mandò al diavolo, per la prima volta, tutti i dubbi che non avevano mai smesso di sorgere nella sua testa, quando lui poggiò le sue labbra sulle sue, mozzandole il fiato quando lasciò scivolare la sua lingua ad esplorare ogni angolo della sua bocca, facendola impazzire quando prese a morderle il labbro inferiore rendendolo irresistibile agli occhi della ragazza.
“Io… Mi staranno aspettando.” Dichiarò Annabeth guadagnandosi un’occhiata triste da parte del ragazzo: “Magari ti scrivo.” Tentò la ragazza mentre rientrava facendo di nuovo sorridere Percy.
 
La prima cosa che Percy notò quando tornò a casa fu il silenzio. Un campanello d’allarme si accese nella sua testa e corse impulsivamente verso la camera di sua madre, dove un televisore illuminava ad intermittenza la stanza snocciolando risultati sportivi. Sally Jackson lo guardò stupida da tanta paura nel suo sguardo: “Percy, tutto bene?” Domandò lei accigliandosi: “Cosa? Sì!” Esclamò il ragazzo notando che sua madre, stranamente, non aveva la voce incrinata dal pianto: “Tu… tu come stai?”
“Sai cosa? Per la prima volta dopo tanto tempo sto bene.” Sentenziò Sally col solo risultato di confondere Percy ancora di più.
 
Nico rientrò a casa dopo mezzanotte. Hazel dormiva già. Andò dritto verso la sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
[1] Nel modello di scuola americana tutti i ragazzi hanno diritto ad una “study hall”, ovvero un’ora libera in cui i ragazzi possono avvantaggiarsi con lo studio.
 
Note dell’autrice: DAN DAN DAN DAN El è tornata! Sì, lo so, sono imperdonabile, ma non ho avuto un attimo di tempo per scrivere ed il computer non mi ha certo aiutata facendomi riscrivere le stesse dieci righe almeno venti volte! Ma adesso sono qui!
Ovviamente ad inizio storia mi sono dimenticata di chiarire una cosa. Quindi sì, perché non chiarirla al dodicesimo capitolo? Mi sembra giusto. Ma abituatevi perché io sono così. Insomma, non vi ho detto che i nostri cari amici (solo i sette) sono al terzo anno di high school (quindi il penultimo secondo il modello di scuola americana). Sì, lo so che è terribile, ma mi serviva che avessero tutti la stessa età per una certa cosa che scoprirete alla fine della storiaaaa.
MA ADESSO PARLIAMO DEL CAPITOLO
Andiamo per punti:
  1. Volevo fare un capitolo leggero da un po’ in cui Percy e Leo distruggono cose (Eh sì, mi piace troppo l’idea di quei due che combinano casini) ma mi serviva una figura razionale che li controllasse (Chi meglio di Jason?)
  2. Visto che dovevo far raccontare ad Hazel quella cosa ed era assolutamente così che volevo la leggeste (raccontata) ho colto la palla al balzo per far vedere le ragazze da sole e parlare di questa cosa.
  3. So che vi ho fatto soffrire con Nico che non racconta com’è andato un certo appuntamentoooo, ma dovrete subire il mio sadismo fino al prossimo capitolo (forse)
  4. So che Frank è praticamente assente, ma doveva andare così.
  5. Percy e la sua storia personale iniziano a farsi un po’ più chiare. Chissà perché Sally si sentiva particolarmente felice quella sera…
  6. Jason è leggermente invidioso di Percy e del suo essere ribelle e bravo con le ragazze perchè non ha idea di quale sia la sua storia e non conosce i suoi problemi. Percy è a sua volta invidioso di Jason perchè è il capitano. Diciamo che ho dovuto fare in questo modo perchè nei libri sono rivali perchè entrambi leader. Non potevo certo ricreare una situazione simile, quindi ho pensato che l'invidia fosse il modo migliore di creare rivalità.
Spero che la Frazel non risulti affrettata (dovevo assolutamente far succedere ciò che è successo adesso) e che abbiate gioito nel vedere finalmente il bacio tra Percy ed Annabeth che tutti aspettavamo. Questo capitolo non mi soddisfa per nulla e ho trovato imbarazzatissimo scrivere quella scena tra Hazel e Frank. Ho una paura matta di non aver reso per nulla la scena. Scusate la nota lunghissima, ma fatemi sapere se vi ha fatto schifo, se la storia vi sta deludendo o se vi piace con una recensione. Grazie a tutti quelli che stanno mettendo la mia storia tra le preferite/ricordate/seguite (crescente a dismisura ed io vi adoro) ed un grazie speciale a Triptoaster per aver commentato lo scorso capitolo ed a Micina_miao per avermi scritto un pensiero ed un’opinione praticamente sempre (lo apprezzo tantissimo e mi aspetto di trovarti ancora)
Adieu,
 
El.

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Capitolo 13
*** 13 - Materie difficili ed appuntamenti insoliti ***


MATERIE DIFFICILI ED APPUNTAMENTI INSOLITI
 
Percy aveva sempre avuto problemi a mantenere alta l’attenzione, ma il fatto che si trovasse a scuola da poco più di sette ore ed il fatto che l’interesse che provava nei confronti della pittura non fosse poi tanto non contribuivano certo a diminuire la sua innata capacità di distrarsi. Gli alberi innevati davano al cortile della scuola un aspetto nostalgico che Percy faticava ad apprezzare. Come se alberi, stanchezza e pittura non bastassero, poi, i pensieri del ragazzo non facevano altro che convergere, quasi senza il completo appoggio da parte di Percy, in un unico punto che occupava gran parte della sua mente da qualche giorno: Annabeth.
Le cose con la bionda non andavano affatto male, a detta di Percy. Il punto era, però, che al ragazzo non pareva andassero neanche del tutto bene. Da quando si erano baciati Percy continuava ad avere troppa paura di rovinare il delicato equilibrio che avevano raggiunto. Annabeth non aveva un carattere facile: era logica, a volte fredda ed era solita riconoscere ogni più minima sfumatura di significato. Il moro, quindi, non sapeva cosa fosse meglio fare; poteva baciarla davanti ai loro amici? Poteva fare cose carine per lei come portarla al cinema o regalarle una scatola di cioccolatini? E lei? Voleva una relazione con lui?
Milioni di domande irrisolte si affollavano nella sua testa mentre osservava la neve cadere a fiocchi dall’aula di arte, quando un formicolio al braccio lo riscosse dai suoi pensieri: “Prendi ispirazione?” Sussurrò ironica Rachel all’orecchio del ragazzo. La mossa della rossa ebbe l’effetto desiderato dato che Percy sussultò nel sentire il fiato ed i capelli della ragazza solleticargli la guancia e l’avambraccio: “Ehm…” Iniziò il ragazzo cercando di scostarsi quanto più possibile dal viso della ragazza: “Diciamo di sì” Continuò con un mezzo sorriso. Gli occhi di Rachel si spostarono da Percy, al foglio bianco che aveva di fronte, per poi tornare veloci in quelli del ragazzo: “Se posso darti un consiglio… Per dipingere qualcosa ti converrebbe… ecco, dipingere.” Rispose dolce la ragazza, strizzandogli l’occhio.
“Oh!” Esclamò Percy, battendosi una mano sulla fronte: “Che sbadato, eh?” Rachel alzò gli occhi al cielo e continuò il suo giro tra i banchi dando dritte a chiunque ne avesse bisogno. Adesso che il piano facciamo-ingelosire-Annabeth poteva dirsi concluso, il corso di pittura non sembrava più un’idea geniale agli occhi del ragazzo. Una manciata di minuti dopo Percy si alzò radunando le sue cose: “Scusa Rachel, devo scappare. Io… beh, non mi sento tanto bene. Credo… sai, credo di dover… Io… vado, okay?” buttò fuori il ragazzo tutto d’un fiato uscendo dal laboratorio di arte. Rachel guardò velocemente il banco lasciato vuoto dal ragazzo dove c’era il foglio ancora bianco e si concesse un attimo per lasciare la classe da sola e raggiungere Percy bloccandolo con la schiena su uno degli armadietti: “La prossima volta, posso farti concentrare meglio io.” Disse con il tono più sensuale che riuscì a trovare nel suo repertorio. Percy si limitò ad un sorriso imbarazzato e riprese a camminare in direzione dell’uscita.
 
Correre per il centro di New York in skateboard non era del tutto facile: non era neanche l’orario che tutti tentavano di evitare, quella via di mezzo tra il pomeriggio e la sera durante la quale tutti finivano i turni di lavoro e le metropolitane diventavano asfissianti, ma per le strade c’erano comunque milioni di persone. Percy raggiunse casa di Annabeth in meno di mezz’ora e non poté non farsi sfuggire un sorriso ripensando al fatto che la prima volta che era stato da lei era con Luke e non aveva idea di chi fosse la ragazza che viveva lì.
“Annabeth?” Domandò quando sentì dei rumori indistinti dall’altra parte del telefono.
“Dimmi” Riuscì a sentire a stento il ragazzo.
“Mi chiedevo… se io mi trovassi casualmente a casa tua adesso e ti chiedessi un po’ di riparo dal gelo che fa qui fuori cosa mi risponderesti?” Domandò Percy. Annabeth non poteva vederlo, ma poté giurare che in quel momento il ragazzo avesse quel suo solito sorrisetto sfrontato: “Ti direi che è impossibile dato che non vivo in una strada trafficata e non si può passare casualmente per casa mia.”
“Oh, ma dai!”
“Sul serio, Percy sto studiando.” Rispose Annabeth avvicinandosi alla finestra quel tanto che bastava per vedere Percy seduto su uno skateboard.
“Sbaglio o qualcuno mi aveva promesso una lezione privata di biologia qualche tempo fa?” Percy sentì Annabeth ridere ed esultò mentalmente per il risultato: “E va bene. Citofono 22.” Disse la ragazza dopo una lunga pausa. Percy alzò lo sguardo sulla finestra dalle tende azzurre che suppose essere quella di Annabeth e sorrise certo che la ragazza lo stesse guardando.
“Lascia quello schifo fuori!” Sentenziò la bionda, indicando lo skate sporco di fango che Percy teneva in mano.
“Che cosa? Sei impazzita? Ho vissuto le mie migliori avventure con questo qui. Non permetterò che me lo rubino.”
“Ma chi penserebbe mai di prendersi quel… coso?” Ribatté Annabeth, ma Percy sembrava irremovibile: “E va bene” Iniziò la ragazza: “Ma lascialo sul balcone.” Disse spostandosi quel tanto che bastava per lasciarlo passare attraverso la porta. Percy, però, si chinò per baciarla e, sfruttando la sorpresa della ragazza, fece scontrare il suo skate con la gamba di Annabeth lasciandole una striscia di fango sui jeans chiari.
Annabeth guardò prima la sua gamba, poi Percy con uno sguardo gelido, mentre lui ricambiava con uno divertito. La bionda si avventò su di lui: “Che c’è? Non riesci a resistere all’irrefrenabile istinto di saltarmi addosso?” Scherzò il moro cercando di evitare l’ira della ragazza.
 
Leo era abbastanza sicuro che ormai fosse acqua passata.
Camminava per le strade di New York che ormai non erano più tanto sconosciute ai suoi occhi. Era arrivato in città da poco più di due mesi, ma riusciva ad orientarsi piuttosto bene tra le vie che percorreva abitualmente. Quella strada, poi, non era mai più riuscito a rimuoverla dalla mente. A malapena notò che le sue mani erano andate a cercare qualcosa sulla tasca inferiore del suo zaino. Il contatto col ferro freddo lo fece rabbrividire e, finalmente, abbassò lo sguardo sulle sue mani che avevano preso a giocare con i soliti fili di ferro che aveva applicato allo zaino. Costruire strani oggetti senza quasi rendersene conto era una cosa che faceva da sempre quando era troppo nervoso. Sentiva che tenere le mani occupate fosse un modo tutto suo per dissipare parte delle sue ansie.
Qualche minuto dopo, il ragazzo bussò alla porta di Hazel. Ormai si era arreso all’idea di non riuscire a stare fermo un secondo. Nonostante tutto, quando Hazel lo fece entrare, Leo si sentì quasi a suo agio. L’unica cosa che un po’ riusciva a turbarlo erano le saltuarie apparizioni del fratello inquietante della ragazza.
“Ti va qualcosa da mangiare?” Domandò Hazel mentre Leo sistemava il suo libro ed i suoi appunti di storia sulla scrivania della ragazza:
“Mh-mh” Rispose distrattamente il messicano mentre la sua attenzione si focalizzava sul monitor del computer che aveva di fronte che sembrava funzionare a scatti: “Perché fa così?” Domandò infatti indicando l’oggetto con un gesto del capo.
“Non ne ho idea. L’ho acceso una ventina di minuti fa e da allora fa così…” Rispose Hazel un attimo prima di scomparire dalla visuale di Leo per andare in cucina a prendere qualche snack.
Quando la ragazza tornò nella sua stanza il suo sguardo passò dal confuso al sorpreso in un secondo. Leo stava armeggiando con la quantità smisurata di cavi su cui Hazel aveva preferito non mettere mai le mani: “Ti dispiacerebbe prendermi un cavo rosso che ho nello zaino?” Domandò il ragazzo senza smettere di attaccare e staccare cavi.
Lo zaino di Leo era un casino. Sembravano esserci più fili ed oggetti strani che altro. Hazel rimase ancora più sorpresa quando notò un biglietto della pasticceria della mamma di Percy con una scritta sul retro. Non le servì leggerlo per capire cosa ci fosse scritto. Perché l’aveva tenuto? Hazel fu investita in un attimo dai ricordi di quella sera, le sensazioni nuove e bellissime che Leo le aveva fatto provare. Poi ripensò alla sera della fontana, al viso ferito di Frank e le venne quasi voglia di correre dal suo ragazzo e consolarlo, nonostante gli avvenimenti di quella sera fossero stati sostituiti da ricordi più belli, per Frank. Anche Leo sembrava essere andato oltre. Hazel si chiese se fosse proprio lei l’unica ad essere rimasta indietro. La voce del messicano sembrò interrompere quel suo flusso di pensieri: “L’hai trovato?” Lo sguardo di Hazel si posò su un cavo rosso inserito in una strana scatoletta nera con delle spie blu tutte spente: “Ehm… sì. Cosa devo fare con questo…?” Leo si girò di scatto a guardare la scatoletta nelle mani della ragazza e si lasciò sfuggire una risata: “Oh, staccalo. Quello era un… Diciamo che era un modo per scusarmi con Jason per avergli bruciato la console. Dovrebbe aumentarne la memoria e non farla surriscaldare troppo presto, di modo che possa… modificarla per fare cose grandiose.” Concluse Leo condendo il tutto con un occhiolino furbo mentre Hazel gli passava il cavo. Con un paio di forbici il messicano tagliò una parte di un cavo nero che Hazel aveva attaccato al computer ed inserì quello rosso estraendone uno identico, ma più sporco.
“Come nuovo, chica.” Disse strofinando le mani tra loro e riavviando il computer.
“Wow… Ma che altro sai fare?” Domandò Hazel, che non riusciva a contenere la sua sorpresa.
“Non c’è nulla che il grande Leo Valdez non sappia fare!” Esclamò Leo.
“Già… Tranne la storia.” Lo corresse la ragazza costringendo il messicano a sedersi accanto a lei e ad iniziare a studiare.
 
Nico non riusciva a credere che qualcosa stesse andando finalmente bene nella sua vita. Aveva paura di ammetterlo, continuava a credere che prima o poi sarebbe rimasto deluso, che uno come lui non poteva assaggiare la felicità, che quello doveva essere solo un modo per rendere tutto ancora più triste, quando le cose si sarebbero messe male. Una parte di lui, però, iniziò a credere che valesse la pena correre quel rischio se Will poteva farlo sentire così bene. Valeva la pena stare male, se si aveva un ricordo felice e prezioso con cui consolarsi.
Will aveva prenotato in uno di quei ristoranti costosissimi, in cui anche solo respirare poteva costarti un patrimonio, ma Nico non ne aveva assolutamente idea.
Non poteva immaginare in che posto lussuoso Will avesse prenotato quando era sceso con un baldo dal divano su cui si era addormentato notando che aveva già fatto dieci minuti di ritardo ed ancora doveva prepararsi.
Nico non sapeva quale divinità ringraziare quando si riscoprì pronto in poco più di venti minuti dopo l’orario stabilito. Gli bastarono solo altri dieci minuti per raggiungere la strada in cui si erano dati appuntamento. Arrivò con il fiatone e trovò Will seduto sul marciapiede, uno sguardo colpevole dipinto in volto.
“Ehi” Lo chiamò Nico sedendosi accanto al biondino: “Che c’è che non va?”
“Questi ricconi cancellano le prenotazioni per qualche minuto di ritardo.” Dichiarò deluso Will indicando con il braccio il ristorante lussuoso alle sue spalle. Nico, dal canto suo, era sconvolto: “Tu volevi portarmi… lì?” Domandò incredulo.
“Già…” Rispose Will abbacchiato.
Nico fissò un punto dall’altro lato della strada mentre un’idea iniziava inesorabile a formarsi nella sua testa: “Credo di avere una soluzione…”
Una manciata di minuti più tardi i due erano seduti su un muretto ad ingozzarsi di hot dogs presi al chiosco di fronte il ristorante in cui Will avrebbe voluto portare Nico.
 “Dai, questo non avresti potuto farlo lì dentro.” Disse il moro scoppiando a ridere. Effettivamente non era considerato del tutto educato mangiare e sedersi in modo scomposto e ridere sguaiatamente: “Vuoi altra birra?”
“Oh, ma certo, mio caro.” Rispose Will imitando un comportamento composto mentre alzava un mignolo per stappare la birra che Nico gli stava porgendo: “Grazie mille” Disse aggiungendo al tutto un accento inglese che quasi fece sputare a Nico il panino che aveva appena addentato.
Il biondo mandò giù un altro boccone con un sorso di birra quasi soffocando dal ridere per la reazione di Nico, ma in un attimo si fece serio, cosa che fece preoccupare enormemente il moro: “Che c’è?” Domandò infatti. Ogni traccia di felicità era sparita dal suo viso lasciando posto alla paura di aver sbagliato qualcosa.
“Nulla. Penso solo che dovresti ridere più spesso. Il tuo volto si illumina quando lo fai.” Disse Will completamente perso nei modi di fare del ragazzo che aveva di fronte. Nico pensò che il suo viso, più che illuminarsi, non potesse raggiungere una gradazione di rosso più alta di quella che aveva in quel momento, quindi non fu tanto credibile quando gli diede una gomitata nello stomaco balbettando qualcosa di simile ad un: “Zitto, Solace.” Ma non ebbe tempo di insultarlo in altri modi, perché poco dopo si ritrovò le labbra occupate a fare ben altro.
Il resto della serata lo trascorsero a ridere per ogni più stupida cosa ed a baciarsi. Nico non seppe nemmeno come si ritrovò sotto il portone di casa sua, più tardi.
Nico maledisse mentalmente sua sorella per aver portato le sue amiche a casa, quella sera: “Non ti invito a salire perché ho una marmaglia di ragazze a casa.”
“Va bene così.” Rispose il biondo scoccandogli un ultimo casto bacio sulla guancia prima di fondersi nell’oscurità di quella notte. A Nico scappò un sorriso. Ma cosa gli prendeva? Sperò vivamente che le amiche di sua sorella fossero ancora lì.
 
“Tu sei un genio in biologia.” Disse Annabeth facendo strada a Percy per portarlo nella sua stanza.
“E va bene, i miei voti non saranno poi tanto bassi, ma posso assicurarti che non ho bisogno di mentire per dirti che nelle altre materie non sono proprio una cima.”
Annabeth sembrò esitare per un attimo con lo sguardo su Percy, poi scosse la testa sorridendo: “Va bene, siediti.”
Un’ora dopo ad Annabeth sembrava assurdo che il livello di concentrazione del moro fosse ancora alto. Non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma adorava l’espressione concentrata di Percy. Non riusciva a staccare gli occhi dalle sopracciglia aggrottate e dal modo in cui il ragazzo si torturava il labbro inferiore mentre cercava di capire i principi della termodinamica. All’improvviso Percy fece scivolare la sedia appena un po’ più indietro dalla scrivania sbuffando dopo l’ennesimo esercizio apparentemente impossibile: “Secondo me mi hai insegnato abbastanza.” Sentenziò alzando gli occhi sulla bionda: “È ora che sia io ad insegnarti qualcosa.”
Annabeth non ebbe neanche il tempo di comprendere la frase che Percy aveva appena detto, che si ritrovò le labbra occupate. Non seppe nemmeno come si trovò sulle gambe di Percy qualche minuto dopo, ma il ragazzo non sembrava intento a smettere di morderle il labbro in un modo che faceva quasi dimenticare alla ragazza il suo nome.
Annabeth non aveva idea di cosa stesse succedendo, ma non era sicura di volerlo del tutto. I suoi dubbi aumentarono quando sentì che il corpo di Percy stava reagendo alla situazione, cosa che fece sussultare Annabeth. E se volesse solo questo per poi buttarmi via? Si domandò la ragazza inevitabilmente. Il suo corpo le diceva di continuare, di non dare peso ai pensieri almeno per quella volta, ma quella domanda continuava a martellarle un remoto angolino del suo cervello, impedendole di abbandonarsi alle emozioni.
Fu quasi sollevata, quindi, quando il suo cellulare iniziò a suonare rovinando l’atmosfera: “È Piper. Devo rispondere.” Dichiarò Annabeth allontanandosi dalla sedia di Percy.
Qualche minuto dopo la ragazza tornò in camera sua. Percy aveva già messo nello zaino la sua roba. Una parte di Annabeth era delusa.
“Sei tu?” Domandò il ragazzo prendendo una foto dalla scrivania cercando di contenere le risate. Nella fotografia Annabeth aveva mani e faccia ricoperte di cioccolato.
“Sì…” Rispose la ragazza coprendosi il viso con le mani scoppiando a ridere: “Non siamo ancora in quella fase del nostro rapporto in cui puoi guardare le mie foto imbarazzanti!” Esclamò la bionda ridendo. Percy sembrò tornare serio: “A-abbiamo un particolare… rapporto?” Domandò cercando di non mostrare troppo entusiasmo, ma Annabeth sembrò interpretare male la domanda, perché si affrettò a rispondere: “Cosa? No! Cioè intendo…” Balbettò arrossendo: “Ti accompagno alla porta.” Tagliò corto facendo strada ad un Percy piuttosto deluso.
 
Leo era riuscito a contenersi il più possibile con le battute stupide ed era anche piuttosto sorpreso dalla quantità di cose che aveva imparato quel pomeriggio. Per ricambiare, quindi, aveva spiegato a Hazel un argomento per la ragazza piuttosto difficile di fisica che, grazie all’aiuto del messicano, era diventato un gioco da ragazzi.
Il pomeriggio sembrò essere filato liscio finché alle sei non era arrivato Frank a fare una sorpresa alla sua ragazza. Uno sguardo ferito si dipinse sul viso del ragazzo, quando ad aprirgli la porta, fu Leo: “Tranquillo, amico. Stavo andando via.” Disse il messicano mettendosi la felpa rossa che aveva lasciato sul divano. Leo seguì lo sguardo di Frank e tentò immediatamente di chiarire ogni suo dubbio: “Stavamo solo studiando. Sono una frana in storia e Hazel aveva qualche problema in fisica. Ti ho detto che è acqua passata, puoi stare tranquillo.” Aggiunse poi. Frank sembrò sollevato. In quel momento Hazel scese le scale. Aveva sentito il discorso di Leo. Una parte di lei era felice che a Leo fosse passata, ma un’altra parte non poteva fare a meno di essere dispiaciuta per le parole del ragazzo.
“Va bene.” Disse Frank guardando la sua ragazza.
“Grandioso! Allora… be’…” Iniziò Leo piuttosto in imbarazzo: “Tolgo il disturbo.” Disse avviandosi verso la porta dove fu raggiunto da Hazel.
“Grazie per l’aiuto.” Gli disse abbracciandolo. Leo sentì il viso andare a fuoco: “Ehm… Grazie a te.” Rispose senza incrociare lo sguardo della ragazza e chiudendosi la porta alle spalle.
Lungo il tragitto per tornare a casa Leo non riusciva a smettere di chiedersi perché non riuscisse mai a controllare le sue reazioni quando c’era Hazel nei paraggi.
 
 
“Che cosa hai fatto?” Gridò Piper dall’altro lato del telefono.
“Te l’ho detto. Sta andando bene tra noi, ma non capisco se faccia così con tutte. Non posso essere una delle tante, Piper, resterei troppo delusa.”
Annabeth sentì Piper ridacchiare dall’altra parte del telefono: “Chissà come dev’essere stato difficile camminare per strada in… quelle condizioni.” La bionda alzò gli occhi al cielo. Conosceva Piper abbastanza da sapere che cercava sempre di sdrammatizzare con battute di poco gusto, quindi decise di cambiare discorso: “Tu? Qualche novità?”
“Nessuna… Se non contiamo quella serpe di Drew.” Dichiarò abbattuta.
“Che ha fatto?” Domandò curiosa la bionda.
“Oh, non puoi immaginarlo…”
 
“Percy?” Chiamò Sally Jackson quando sentì la porta di casa aprirsi ed infine richiudersi: “Stasera non cenerò a casa.” Dichiarò mentre sistemava all’orecchio un paio di orecchini d’argento che Percy non le vedeva da anni: “Ti ho lasciato un po’ di pasta in un piatto.” Aggiunse prendendo la borsa e scoccando un bacio sulla guancia del figlio.
“Ma dove vai?” Domandò il ragazzo notando che la madre era parecchio in tiro quella sera.
“Diciamo che… C’è una rimpatriata.” Rispose Sally vaga uscendo di casa e lasciando Percy con più domande di quante non ne avesse già dopo il pomeriggio passato con Annabeth.
 
Note dell’autrice: CIAAAAAAO AMICIIII.
Mi scuso infinitamente per il mostruoso ritardo, il mio computer è tornato a funzionare appena tre giorni fa, ma non vi ho abbandonati, prometto di riprendere con un ritmo umano.
Tra parentesi, ciò che è successo al computer di Hazel è parecchio simile a ciò che è successo al mio, ma purtroppo non ho un Leo.
Parlando del capitolo… meh, non sono molto soddisfatta. La Jasper è assente (nel prossimo mi farò perdonare) ed il risultato in generale non è dei migliori a mio parere. Tutto inizia e finisce con Percy. Ho voluto riprendere cose più o meno lasciate in sospeso negli scorsi capitoli. E si, Percy frequenta ancora il corso di pittura nonostante il suo obiettivo sia stato più o meno raggiunto. Per quanto riguarda Annabeth mi sembra piuttosto chiara la situazione: non vuole essere presa per i fondelli nonostante non riesca ad ammettere che i sentimenti che prova per Percy si stiano facendo più forti.
Questo momento Hazel-Leo era piuttosto importante per me. Volevo fosse chiaro che Hazel non è cambiata da un giorno all’altro del tipo: “Adesso sono fidanzata, addio Leo.”, ma dopo quello che è successo con Frank non vuole certo mettersi a pensare ad altri ragazzi.
Parlando di Frank, poi, lo so, prima era molto più presente, ma non voglio dargli spazio senza avere davvero nulla da dire. Presto, però, lo vedremo molto più attivo come agli inizi.
Sally, Sally, Sally, cosa stai combinando?
Per quanto riguarda Nico e Will, invece… Be’ non sono del tutto soddisfatta. Ho un rapporto difficile con il fluff (sì, lo so, non smetto di ripeterlo) e tutta la loro scena è stata un parto da scrivere. Spero il risultato non vi abbia delusi.
Posso dirvi, però, che mancano ancora una decina di capitoli alla fine. Perché lo sto dicendo? Non lo so, ma posso anche dire che, per il finale che ho in mente, potrebbe esserci un continuo. Non verrebbe fuori una fic così lunga, ma un qualcosa del tipo “Come le cose sono andate a finire”. Iniziate a farmi sapere se l’idea vi intriga o se volete vedermi sparire dalla faccia di EFP.
Vi ha fatto schifo? Vi ha lasciati indifferenti? Vi ha fatto impazzire? Fatemelo sapere con una recensione!
Ringrazio ancora chi sta mettendo la storia tra le preferite/seguite/ricordate ed a Micina_miao (sempre presente, mi motivi un sacco) ed a _viola02_ per la recensione dello scorso capitolo (spero di risentire presto un tuo parere)
Ci vediamo presto!
Adieu,
 
El.

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Capitolo 14
*** 14 - Regali difficili e giochi pericolosi (PARTE 1) ***


REGALI DIFFICILI E GIOCHI PERICOLOSI (PARTE 1)

“Che ne dici?” Urlò Piper un secondo prima di scostare la tendina del camerino.
“Stai benissimo, ma non capisco perché stiamo scegliendo adesso il tuo vestito per il ballo.” Si lamentò Annabeth reclinando la testa all’indietro sul muro di fronte il camerino al quale era ormai appoggiata da un tempo che la bionda giudicava decisamente troppo lungo.
“Perché” Iniziò Piper con lo stesso tono di voce che si usa per spiegare ad un bambino le divisioni a due cifre: “Non è conveniente aspettare tanto per poi ritrovarsi a fine aprile senza nulla da mettere.” Annabeth si sentì un pizzico chiamata in causa, ma preferì non aprire un discorso sul mese esatto in cui comprare un vestito per il ballo con la sua migliore amica: “E va bene, ma tua madre è una stilista… Avrà pur qualcosa da prestarti.” Piper sembrò rabbuiarsi per un secondo e la cosa sembrò non sfuggire ad Annabeth che era sul punto di chiedere alla sua amica cosa non andasse ma, prima che potesse anche solo aprir bocca, Piper si fiondò su un vestito rosa shocking che Annabeth sapeva non essere per nulla il suo genere: “Provo anche questo!” Commentò la mora richiudendo la tendina con più forza di quanto volesse.
Annabeth sospirò alzando gli occhi al cielo e si appoggiò di nuovo con aria annoiata al muro bianco estraendo il suo cellulare dalla tasca per controllare i messaggi.
“Questo come ti sembra?” Domandò Piper con rinnovato entusiasmo uscendo dal camerino.
“È un amore.” Commentò Annabeth ancora con gli occhi bassi.
“Oh andiamo! Non mi hai guardata nemmeno!”
“Sto parlando con Hazel. Dice che non può venire.” Si limitò a dire Annabeth, che non aveva affatto programmato la reazione dell’amica che si fiondò su di lei cercando di leggere i messaggi di Hazel: “Come sarebbe a dire? Non può non esserci!”
“Tranquilla, non può raggiungerci qui, ma stasera ci sarà.” Spiegò Annabeth che non riusciva a comprendere lo strano comportamento di Piper di quella sera.
 
Leo si guardava attorno ammirato. Era piuttosto sicuro di non aver mai visto nulla del genere neanche nei migliori film natalizi. Gli altri avevano ragione: New York a dicembre non era affatto come la presentavano nelle pubblicità, era nettamente più decorata. Leo era piuttosto certo che il numero di addobbi di un semplice palazzo a due piani newyorkese corrispondesse più o meno al numero di decorazioni dell’intero paese in cui era cresciuto in Messico. Jason si lasciò scappare una risata mentre faceva cenno a Percy di osservare il loro amico guardarsi attorno: “Leo, attento, potrebbero uscirti gli occhi dalle orbite.” Commentò Percy sorridendo: “Dai, ragazzi, avete visto che roba?” Sussurrò il messicano mentre si stringeva nel giubbino verde e strofinava le mani tra loro per scaldarle.
Nonostante Frank vivesse a New York ormai da anni, non faticava a comprendere lo stupore di Leo alla vista di tutte quelle luci e dell’atmosfera natalizia che aleggiava per la città già agli inizi di dicembre.
“Va bene, Frank e Leo sono andati persi. Ci toccherà scegliere da soli il regalo di natale di Hazel.” Disse Jason guardando Leo che non sembrava voler uscire dal suo stato di trace, per poi osservare Frank che, invece, sembrò risvegliarsi a quelle parole.
“Avete ragione.” Sentenziò: “Proviamo lì?” Suggerì indicando uno dei tanti grandi magazzini nei quali entravano un’infinita massa di persone da un lato per poi uscire con grosse buste e qualche manciata di minuti dopo dall’altro.
Leo annuì lanciando un’ultima occhiata alle strade per poi avviarsi a passo spedito nel negozio suggerito dall’amico.
Scendere insieme per aiutare Frank con il regalo prima di andare da Piper era sembrata una buona idea ai ragazzi, prima di scoprire la quantità di persone che aveva deciso di andare per negozi quel giorno. Non perdere gli altri era diventata una sfida da quando avevano messo piede nell’atrio di quell’immenso centro commerciale, anch’esso decorato con immancabili lucine verdi e rosse ad intermittenza e con qualche peluche gigante a forma di renna o pupazzo di neve sparsi qua e là.
“Il fatto è che non saprei neanche come far capire a Piper che sono interessato a lei. Insomma, siamo amici, sì, ma non ho mai avuto il coraggio di chiederle se stesse frequentando qualcuno… Secondo te frequenta qualcuno?”
“Può darsi,” Iniziò Leo guardandosi attorno come cercando chissà cosa, poi si girò a guardare l’amico e, visto il suo sguardo, si costrinse a rimediare all’errore: “Insomma, non ho detto che frequenta qualcuno al 100%, ho detto solo che è una probabilità.” Continuò, notando, poi, che lo sguardo preoccupato dell’amico non era cambiato di una virgola: “Ma è probabile anche che non frequenti nessuno, sì, naturalmente non frequenta nessuno.” Concluse Leo sperando di essere stato abbastanza convincente, ma Jason sembrò lasciar correre: “Dovrei provare a dirglielo?”
“Tecnicamente non puoi provare a dirglielo, puoi solo, credo, dirglielo o non…” Leo guardò Jason che ora sembrava pregarlo con lo sguardo di arrivare al punto: “Sì, potresti dirglielo.” Concluse il messicano che non si sentiva molto bravo con le parole.
“E a te come va?” Domandò il biondo.
“Ma… sai… le solite cose, mi cadono tutte ai piedi.” Rispose Leo con un’alzata di spalle che fece ridere il suo migliore amico: “andiamo a cercare gli altri.” Disse Jason, dopo qualche minuto di ricerca.
“Frena, frena, frena.” Leo tirò Jason per una spalla con gli occhi fissi su un punto che al biondo sembrava indefinito: “Vado a chiederle il numero.” Sentenziò il messicano avviandosi verso la commessa del negozio che indossava un cappellino rosso in perfetto stile natalizio. Jason alzò gli occhi al cielo: aveva davvero creduto anche solo per un secondo che Leo si stesse rendendo utile ed avesse trovato Percy e Frank? Si diede dello stupido: “Evita le figuracce!” Gli urlò dietro sapendo dell’inutilità del suo consiglio. Leo si girò a guardarlo continuando a camminare: “Sono il mitico Leo Valdez: non potr…” Disse andando contro la commessa e cadendo su uno scaffale di maglioni pesanti. Leo si rialzò con nonchalance appoggiando un gomito su una pila di maglioni con la stampa di una renna in sovrappeso e prese a parlare alla ragazza come se nulla fosse successo: “Scusa, non ci ho visto più per un attimo.” Disse sconvolto. La ragazza sembrò allarmarsi per un secondo: “Ero abbagliato dalla tua bellezza.” Disse, poi, con un sorriso ebete strizzandole l’occhio, mentre la ragazza alzava gli occhi al cielo e se ne andava guardandolo male: “Chiamami.” Sussurrò mimando un telefono con le dita, come se fosse in un film, peccato che la pila di maglioni su cui aveva poggiato il bracciò crollo scivolando al suo movimento. La ragazza si girò indietro solo per dirgli: “Adesso metti a posto tutto.” Leo giurò che la ragazza avesse anche sussurrato qualcosa di simile a: “coglione”, ma preferì interpretarlo come “amore”, mentre Jason lo raggiungeva e lo aiutava a piegare ed impilare i maglioni prendendolo in giro.
 
“Ebbene?” Domandò Annabeth a Piper dopo che furono uscite dall’ennesimo negozio senza comprare nulla: “Vuoi almeno raccontarmi cosa ti ha detto Drew?” Tentò la bionda dopo che Piper ignorò anche questa domanda cambiando discorso.
“Nulla di eclatante. Le solite cose.”
“Sarebbero?” Annabeth sapeva che se Piper non avesse voluto parlarne non l’avrebbe semplicemente fatto, ma voleva almeno tentare. Piper era sempre stata brava a nascondere insicurezze e paure sotto un sorriso sicuro e, per vederlo vacillare, la bionda sapeva esserci qualcosa di grande sotto.
“Perché ti interessa tanto? Sai che non m’importa di ciò che dice.” Rispose Piper agitando la mano in aria come a scacciare una mosca e cercando di sembrare quanto più noncurante possibile.
“In realtà sei stata tu a dirmi qualche giorno fa che Drew aveva fatto qualcosa a cui non avrei mai creduto, cosa che mi sa tanto di inizio di un racconto.” Considerò la bionda. Piper era sul punto di ribattere, quando Annabeth riprese la parola: “E poi ti vedo un po’… ecco, diversa e mi piacerebbe sapere che ti prende.”
Piper sembrò pesare attentamente le parole dell’amica. Sapeva benissimo che mentire o fingere con Annabeth sarebbe significato dare la conferma che qualcosa non andasse.
“Semplicemente” Iniziò con cautela: “sono tante cose che, messe insieme, mi stanno stressando. Niente di più.” Concluse guardandosi attorno: “Quello è il mio negozio preferito!” Sentenziò con un tentativo disperato, fiondandosi nel costosissimo negozio alla sua destra.
“Piper” Iniziò Annabeth con un tono improvvisamente calmo: “La prossima volta crederò all’ennesima scusa che mi darai. Sicura di volerti tenere tutto dentro?”
 
Will Solace aveva detto a Nico che per un po’ sarebbe stato preso dall’università. I tre esami di fila che avrebbe dovuto sostenere un mese dopo, quindi, non gli avrebbero dato molto tempo di uscire di casa se non per comprare cibo ed acqua. Dal canto suo, quindi, Nico si era accontentato dei pochi e sporadici messaggi di buongiorno e buonanotte che Will gli inviava quando non si addormentava troppo tardi o quando non si svegliava, di conseguenza, ad ora di pranzo dopo un’intera notte passata a studiare. Nonostante Nico capisse benissimo quanto il periodo che stesse attraversando Will fosse duro, la lontananza dal biondo rischiava di farlo impazzire ed il fatto di non avere qualcuno o qualcosa da incolpare e su cui sfogarsi era ancora più stressante. Era la terza volta che passava dieci minuti di fila ad aggiornare la pagina dei messaggi sul suo smartphone sperando in una risposta da parte di Will, era talmente preso che non si accorse nemmeno dei passi, leggeri, sì, ma perfettamente udibili, che provenivano dalle scale.
Hazel scese l’ultimo gradino con un balzo e girò la testa da un lato in confusione alla vista del fratello: “Qualche fanciulla ti fa perdere la testa?” Domandò sorridendo stappando una coca-cola appena presa dal frigorifero.
“Qualcosa del genere.” Rivelò Nico, troppo distratto per pensare alle parole migliori da dire. Hazel sgranò teatralmente gli occhi: “Ma non mi dire! Chi è la fortunata?”
Nico alzò finalmente gli occhi sulla sorella. Non era sicuro di voler affrontare il discorso. Hazel non sapeva proprio tutto di lui ed iniziò a chiedersi se non fosse il momento giusto per farle sapere qualcosa in più.
“Studia medicina.”
Hazel si rese conto della strana tensione che c’era fra loro e non riuscì a non apparire un po’ confusa per la risposta balbettata e sussurrata del fratello: “Ti andrebbe di prendere qualcosa al bar mentre mi racconti delle pene che questa persona ti sta facendo passare?”
Nico annuì e si diresse senza fiatare a prendere la sua giacca da aviatore che aveva lasciato sullo schienale del divano. Sebbene quella conversazione fosse iniziata e finita in modo del tutto tranquillo, la tensione si poteva tagliare con un coltello. Hazel scrisse velocemente un messaggio ad Annabeth per avvertirla del fatto che non sarebbe riuscita a raggiungerla per fare un giro per negozi.

Era da prima dell’inizio della scuola che Hazel non metteva piede in quel bar. Adesso che stava con Frank provava una sorta di tenerezza pensando a quei tempi neanche troppo lontani. Si ricordava di come cercasse di parlare con qualunque ragazzo carino che mettesse piede in quel bar tirandosi indietro non appena questo si dimostrasse altrettanto interessato. La verità era che si era sempre sentita sola, ma, una volta capito che Frank poteva davvero essere quello giusto per lei e, dopo aver trovato un gruppo di amici che la facevano sentire davvero bene, tutto quel bisogno d’affetto che sentiva di dover avere da sconosciuti era cessato all’istante.
Sedersi al solito tavolo del solito bar con una consapevolezza del tutto nuova faceva sentire Hazel piacevolmente strana, ma sapeva che al momento, c’era qualcosa di più importante a cui dare tutta la sua attenzione.
“Dicevamo?” Esordì con la stessa finta tranquillità di qualche minuto prima, quando era scesa di casa con suo fratello.
Se Hazel aveva capito di aver acquisito finalmente delle nuove sicurezze, dall’altra parte del tavolo Nico non poteva dire di sentirsi così sicuro. Hazel era la persona di cui si fidava di più e sapeva quanto la ragazza gli volesse bene, eppure un terrore immotivato continuava a stringergli lo stomaco.
“Ecco, a proposito di questa ragazza…” Iniziò Nico. Avrebbe tanto voluto trovare una di quelle frasi ad effetto per dirlo con stile, ma la sua mente era talmente offuscata in quel momento che non era nemmeno sicuro sarebbe riuscito a trovare una sola parola per iniziare il discorso, figuriamoci uscirne con stile.
“So che non parliamo di una ragazza, Nico.” Disse semplicemente Hazel prendendo un sorso dal caffè americano fumante che il barista le aveva appena messo davanti. Nico sgranò gli occhi sorpreso per poi distogliere lo sguardo chiaramente in imbarazzo.
“Tu… C-come lo…” Iniziò a balbettare.
“Ti conosco: non ti ho mai visto portare una ragazza a casa. So che non sei un tipo molto socievole, ma spesso esci usando scuse vaghe.” Spiegò la ragazza. A dire il vero non sapeva nemmeno spiegare come l’avesse capito. Forse erano più fratelli di quanto pensassero: “Piuttosto,” Continuò Hazel: “vorrei sapere cosa ti ha fatto questo…” Si bloccò in attesa che Nico rivelasse il nome.
“Will.”
“Will.” Concluse Hazel.
“Diciamo che lui non mi… ecco non mi coinvolgeva molto emotivamente” Disse arrossendo vistosamente e cercando di essere quanto più implicito possibile: “Però non mi scrive da tre giorni. Deve studiare per degli esami importanti, ma…” Nico lasciò la frase a metà e prese un sorso della cioccolata calda che non aveva ancora degnato di uno sguardo. Adesso, però, l’anonima tazza bianca sembrava avere tutta la sua attenzione, Hazel sembrò comunque capire più cose di quante non ne avesse capite Nico fino ad allora: “Ti piace.” Concluse semplicemente la ragazza cercando di intercettare lo sguardo del fratello: “Cosa? No! È solo… simpatico.” Concluse al culmine dell’imbarazzo. Nico aveva iniziato a notare che quello che aveva con Will stava diventando più importante per lui, ma non aveva ancora intenzione di dirlo ad alta voce.
“Va bene.” Disse Hazel, con un mezzo sorriso.
“Dico sul serio.”
“Lo so.” Disse semplicemente la ragazza. Nico continuava comunque a sentirsi sotto esame, così tentò di cambiare discorso: “E con Frank come va?”
 
No, Piper non era sicura di volersi tenere tutto dentro. Proprio per questo motivo Annabeth e Piper si trovavano adesso in uno dei bar dei grandi magazzini allestiti esageratamente per le imminenti feste natalizie. Piper iniziò a parlare dopo due grandi sorsi della sua cioccolata calda con una punta di caramello: “Il fatto è che sono un po’ nervosa…” Iniziò tentennando: “Insomma, so che è stupido, ma ho un po’ paura per stasera.” Annabeth annuì. Iniziava a mettere a posto i pezzi, ma non voleva concludere la storia per l’amica. Voleva che Piper si sfogasse.
“I miei non ci saranno stasera, quindi non dovrebbe essere un problema farvi venire a casa mia, ma ho paura qualcosa vada storto. I miei genitori potrebbero tornare prima del previsto o andarsene troppo tardi e sai quanti problemi avrei a quel punto…”
Annabeth era l’unica ad aver conosciuto la famiglia di Piper e sapeva anche quanto l’amica tenesse al fatto che lei rimanesse la sola.
“Drew fa le solite battute, dice che sono un’illusa, che me la tiro tanto, ma alla fine nessuno vuole stare con me. Sai che non m’interessa dei suoi commenti frivoli, ma ogni tanto penso al fatto che in un certo senso potrebbe avere ragione.” Annabeth scosse la testa, ma continuò a far parlare l’amica: “E so che ti sto facendo un discorso da ragazzina con autostima costantemente a terra, ma quei commenti, uniti al nervosismo per stasera, mi hanno un po’ buttata giù.” Concluse prendendo a fissare un punto indefinito alle spalle di Annabeth. La bionda sembrò pensare a tutte le parole che Piper non aveva avuto il coraggio di dire ad alta voce: “So che è inutile dirti di non farti troppi problemi su Drew ed i tuoi genitori, ma credimi se ti dico che non devi dare il minimo peso alle parole di quell’arpia. Lei vuole esattamente che le tue certezze vacillino e mi pare ci stia riuscendo troppo bene.” Disse cercando lo sguardo di Piper: “E tu sei troppo intelligente per darla vinta a quell’oca.” Concluse. Passarono alcuni minuti di completo silenzio in cui la mora pensò attentamente alle parole dell’amica.
“Piuttosto” Iniziò Annabeth decisa a tirare su il morale a Piper: “Come hai intenzione di far cadere Jason miseramente ai tuoi piedi?”
 
Frank aveva trovato il regalo perfetto per Hazel, ma aveva perso Percy all’altezza di un negozio di tavole ed abbigliamento da surf che non si addiceva per nulla al clima di quel periodo dell’anno. Quando tornò indietro a cercarlo, infatti, grazie al fatto che il negozio fosse ovviamente deserto, non ci mise molto a capire che Percy non era più lì. Non c’era copertura telefonica e, uscire dal centro per fare qualche chiamata, si era rivelato inutile dato che i tre ragazzi erano ancora nel negozio dispersi nella marmaglia di gente.
Quindi per poco non urlò dalla gioia quando vide Jason e Leo impilare maglioni dalla stampa discutibile. Corse verso di loro come se potessero volatilizzarsi, cosa possibile vista la folla, ma non poté fare a meno di chiedere cosa stessero facendo prima ancora di annunciare di aver perso il loro amico.
“Leo ha pensato di farsi notare dalla commessa.” Commentò Jason rifilando un’occhiataccia all’amico, che si limitò ad una scrollata di spalle.
“Non trovo Percy ed il cellulare non prende qui.” Annunciò Frank che non aveva intenzione di fare altre domande sulle avventure dei suoi amici. Jason poggiò l’ultimo maglione sulla pila e si alzò velocemente in piedi spazzolandosi i vestiti, era sul punto di proporre qualcosa da fare quando fu interrotto dall’entusiasmo di Leo: “Ho un’idea. Funzionerà per forza.” Sentenziò facendo capire agli amici con un gesto che avrebbero dovuto seguirlo: “L’ultima volta che hai avuto un’idea siamo finiti ad impilare maglioni.” Commentò Jason come se la cosa non fosse accaduta appena qualche minuto prima. Leo liquidò il commento dell’amico con un gesto della mano e si lanciò nella folla. A Jason e Frank non restava altro che seguirlo.
Il messicano si avvicinò ad una commessa dai capelli neri e gli occhi di ghiaccio. Jason intercettò lo sguardo dell’amico e lo tirò per un braccio prima che potesse avvicinarsi alla ragazza quel tanto che bastava per sentirli: “Leo, ti impedisco di terrorizzare un’altra povera commessa.” Leo scoppiò a ridere e guardò il suo amico come se fosse un alieno: “Ma che hai capito?” Rispose semplicemente sfuggendo dalla presa di Jason: “Salve” disse poi rivolgendosi all’impiegata: “Abbiamo perso un nostro amico. Posso fare un annuncio?” Disse indicando con un cenno della testa uno di quei microfoni che si usano nei grandi magazzini per annunciare offerte o orari di chiusura: “Certo.” Rispose noncurante la ragazza, porgendogli il microfono. “Grazie.” Ribatté Leo, rivolgendo uno sguardo furbo ai ragazzi dietro di lui. Adesso erano loro a guardarlo come fosse un alieno. Prima che potessero fermarlo, però, Leo avvicinò il microfono alla bocca e diffuse per l’intero negozio a quattro piani il suo annuncio: “Siamo alla cassa 3B, te lo dico anche se speriamo di non rivederti più.” L’annuncio sembrò andato bene. Troppo bene, conoscendo Leo. Il messicano, infatti, non poté fare a meno di aggiungere qualcosa che di certo non sfuggì alle orecchie dell’intero negozio: “Muovi il culo, Jackson” Aggiunse imitando la voce gracchiante del coach Hedge. La commessa sgranò gli occhi e Leo corse via prima che lei potesse dire altro trascinato da Jason e Frank. Riuscì, però, appena in tempo, a lasciare un bigliettino accanto al microfono della ragazza e sussurrare: “Chiamami.” per poi scomparire nella folla.
 
“Hai sentito?” Domandò Piper che non riusciva a fare a meno di ridere.
“Non dirmi che…”
“Era la voce di Leo.” Conclusero insieme le due amiche, mentre Piper rideva ed Annabeth si guardava intorno imbarazzata come se le persone attorno potessero sapere che lei conosceva quei pazzi che avevano appena parlato al microfono.

Note dell'autrice: Ciao, amici! MI dispiace di essere ancora una volta in clamoroso ritardo, ma è stato difficile conciliare gli impegni con la scrittura. Questa volta, però, ho già la seconda parte alla quale manca solo un finale. Questo capitolo doveva riguardare solo la festa da Piper, ma ormai mi conoscete e sapete quanto sia brava a perdermi in qualche discorso inutile. Ecco perchè ci sono due parti. Per quanto riguarda il capitolo... be' si inizia ad intravedere la storia di Piper e Leo combina guai. 
La scena tra Nico e Hazel doveva essere diversa, mi dispiace se vi ho delusi. L'idea è piuttosto simile al modo in cui Ian dice alla sorella di essere gay in shameless. Vedetelo, dannazione, è una grande serie. MA MI STO PERDENDO IN CHIACCHIERE.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ringrazio infinitamente _viola02_ per aver commentato ancora una volta. Conto di trovarti ancora qui. Ringrazio ancora una volta tutti quelli che stanno mettendo questa storia tra i preferiti/ricordati/seguiti. Ci vediamo presto!
Adieu,
El.

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Capitolo 15
*** 15 - Regali difficili e giochi pericolosi (Parte 2) ***


REGALI DIFFICILI E GIOCHI PERICOLOSI (PARTE 2)

Piper tornò a casa con Annabeth al tramonto. La giornata per negozi non era andata per nulla male, anche se la bionda non riuscì a fare a meno di notare che la sua migliore amica avesse comprato di tutto, tranne il vestito per il ballo che le aveva portate a finire nella folla, quel pomeriggio. Sorprendentemente Piper si era limitata all’acquisto di quegl’ultimi vestitini autunnali che iniziavano ad essere in super saldo, in quel periodo, e qualche felpa economica in vista della fredda stagione. Annabeth aveva promesso all’amica che l’avrebbe aiutata a sistemare la casa prima dell’arrivo dei loro amici e che l’avrebbe anche sostenuta nell’invitare gentilmente la madre di Piper ad uscire di casa prima dell’arrivo dei ragazzi. Per questo motivo, una ventina di minuti dopo la cioccolata calda che le ragazze si erano concesse al centro commerciale, Piper bussava insistentemente alla porta di casa sua sbuffando e mormorando qualcosa sul fatto che sua madre fosse terribilmente lenta. Si sentì una voce acuta gridare: “Arrivo, per la miseria. Arrivo!” dall’altra parte della porta, seguirono lo scatto di una serratura ed il rumore cigolante dell’uscio che si apriva.
“Ciao ragazze!” Salutò la signora McLean con esagerato entusiasmo. Afrodite era senza dubbio una donna bellissima oltre ad essere una rinomata stilista. Gli occhi azzurri e brillanti spiccavano sulla carnagione chiara insieme alle labbra naturalmente rosate. I capelli lunghi e bruni costantemente pettinati le incorniciavano il viso dai tratti morbidi. Nella sua naturale semplicità era senza dubbio bellissima. A guardare i tratti nessuno avrebbe mai detto Piper fosse figlia sua, ma non tenendo conto della carnagione e gli occhi scuri del padre non c’erano dubbi ed era facilmente intuibile che Piper avesse ereditato la naturale bellezza della madre: “Annabeth!” Disse la donna con gli occhi che brillavano: “Ti trovo davvero bene, cara.” Sentenziò sincera: “Avete fatto compere.” Notò prima che la bionda potesse anche solo salutarla a sua volta: “Sì, mamma. Volevo iniziare a cercare dei vestiti per il ballo.” Replicò Piper velatamente annoiata. La mamma di Piper si fiondò nel salotto facendo cenno alle ragazze di chiudere la porta e seguirla per poi afferrare le buste dalle mani della figlia ed affrettarsi a dare una sbirciata. L’espressione sul suo viso si trasformò presto in confusione: “Queste sarebbero le tue idee per il ballo?” Domandò con l’aria di una che non vuole mostrare troppo il suo orrore. Piper alzò gli occhi al cielo e sospirò: “No, non ho trovato ancora nulla per il ballo. Le ho prese perchè iniziava a fare freddo.” Iniziò indicando col capo una delle felpe che sua madre aveva preso con due dita come se nascondesse un nido di malattie fortemente contagiose.
“Va bene.” Disse semplicemente Afrodite: “Per quanto riguarda il ballo…” Iniziò la donna con rinnovato entusiasmo: “Dovrei avere qualcosa che fa al caso tu…”
“Ci penso io.” La interruppe fredda Piper chiudendo il discorso e lasciando la signora McLean piuttosto delusa. Annabeth non osava proferir parola. Sapeva che il rapporto tra Piper e sua madre non era del tutto semplice.
Circa mezz’ora dopo Piper e Annabeth avevano preparato il salone al meglio nascondendo qualunque oggetto che sapevano essere pericoloso nelle mani di Leo e, a detta delle ragazza, erano veramente innumerevoli: “Io toglierei la spillatrice.” Sentenziò Piper guardando l’oggetto incriminato sullo scaffale appena dietro la spalla della bionda. Annabeth l’osservò con le sopracciglia aggrottate per poi riservare uno sguardo confuso anche all’amica: “Andiamo, se Leo può essere pericoloso con una spillatrice dovremmo proprio lasciarlo fuori casa.” Sentenziò la bionda con un mezzo sorriso.
“È per Jason.” Specificò Piper con il solo risultato di confondere l’amica ancora di più: “Non ha un buon rapporto con le spillatrici.” Si limitò a rispondere sorridendo. Annabeth alzò gli occhi al cielo.
Proprio in quel momento Afrodite passò loro davanti e la bruna colse l’occasione per attirare la sua attenzione: “Mamma, i miei amici stanno per arrivare.” Disse sperando che la mamma capisse dove aveva intenzione di andare a parare. Afrodite, però, capì evidentemente tutt’altro perché riservò alle ragazze un’occhiata ammiccante: “Oooooh” Iniziò teatralmente: “Ho capito. E chi è questo bel ragazzo che deve arrivare?” Domandò ad entrambe non essendo sicura di chi delle due fosse interessata a questo ragazzo. Piper scosse la testa pronta per una nuova risposta acida, quando Annabeth intervenne diplomatica: “Sì, mi piace questo… questo ragazzo” Iniziò sotto lo sguardo confuso dell’amica: “Volevo chiederle un consiglio, ma credo non ci sia tempo dato che arriverà a momenti e lei sta chiaramente andando via.” Concluse la ragazza cercando di sembrare quanto più dispiaciuta possibile.
“Oh, capisco…” Dichiarò la donna altrettanto dispiaciuta: “Sarà per la prossima volta. Dovrai aggiornarmi sugli eventi di stasera.” Disse afferrando il cappotto ed uscendo frettolosamente di casa. Piper riservò all’amica un esagerato “GRAZIE” prima di sistemare le ultime cose.
 
Quando i ragazzi e Hazel bussarono alla porta il nervosismo di Piper non sembrava essersi del tutto diradato, ma quando Annabeth le domandò se tutto andasse bene, la ragazza le fece un sorriso rilassato e si affrettò ad aprire.
“ABBIAMO DELL’ALCOL!” Gridarono Percy e Leo insieme superando la soglia della porta. Leo sembrò, però, perdersi per un secondo nei suoi pensieri, sull’attenti come un falco a pochi passi dalla preda più gustosa. “Shh” Zittì tutti accompagnando al suono un gesto stizzito della mano. Poggiò le buste di alcolici sul pavimento di Piper con un tintinnio ed iniziò a muovere freneticamente il portone. I ragazzi lo guardavano confusi ed annoiati insieme, come per prepararsi ad una delle solite battutacce del ragazzo.
“Questa porta cigola un po’ troppo.” Sentenziò gravemente: “Più tardi te la riparo, se ti fa piacere.” Aggiunse con un largo sorriso rivolgendosi a Piper. Hazel sentì un’immotivata gelosia montarle nel petto. Sapeva che Leo non era minimamente interessato alla ragazza, o, almeno, non in quel senso e sapeva anche che, vista la sua relazione con Frank, non avrebbe dovuto avere motivo di essere gelosa di altri ragazzi. Hazel scacciò via il pensiero intromettendosi nella conversazione: “Dovremo vedere se sarai abbastanza sobrio da distinguere una porta da una finestra, più tardi.”  Disse lanciando un’occhiata alla busta di alcolici perfettamente in equilibrio sul pavimento a mattonelle bianche di Piper.
Hazel la raccolse con eleganza e si avviò verso il frigorifero in cucina. Lungo il tragitto, però, non poté fare a meno di fermarsi sconvolta a guardare una fotografia che ritraeva Piper da piccola con i suoi genitori: “Non ci credo. Tuo padre è Tristan McLean? Perché non ce l’avevi mai detto?” Domandò incredula fissando i suoi occhi su Piper, che, dal canto suo, iniziò a sudare freddo mentre cercava di zittire Hazel. Purtroppo non sembrò riuscirci perché per un momento la casa piombò in un innaturale silenzio se si considerava la presenza di Leo e Percy, poi le mille domande divennero indistinguibili mentre tutti prendevano parola. Piper si pentì immediatamente di aver invitato i suoi amici a casa sua. Per fortuna Annabeth arrivò in suo soccorso con la sua solita lingua tagliente: “Sì, suo padre è Tristan McLean. Vogliamo parlarne per tutta la sera o andiamo a mangiare la pizza?” disse alzando il tono di voce quanto bastava affinché tutti la sentissero.
“C’è anche blu per me?” Domandò Percy mentre tutti si dirigevano in cucina.
“Sì, certo!” Esclamò sarcastica la bionda. Percy, però, non diede l’impressione di aver colto l’ironia nel tono di Annabeth perché esclamò con esagerato entusiasmo: “È grandioso!”
 
Appena finito di mangiare le pizze non blu (con grande dispiacere di Percy) che le ragazze avevano ordinato, i ragazzi si radunarono nel salotto di Piper per decidere cosa fare.
“Per me va bene qualunque cosa, basta che non abbia a che fare con megafoni e microfoni per gli annunci: i miei vicini odiano il rumore.” Sentenziò facendo un chiaro riferimento all’annuncio che Leo aveva fatto nel centro commerciale.
Ciò che Piper non sapeva era il motivo per cui i ragazzi erano andati per negozi, quel pomeriggio. I quattro si gelarono sul posto, sembrava, per di più, che trattenessero addirittura il fiato.
“Ma di che parli?” Domandò curiosa Hazel.
“Oggi abbiamo sentito…”
“Sì, una manifestazione in piazza.” Disse Percy cercando di coprire le spalle a Frank. Si ritrovò, però, le parole di Leo che si accavallavano alle sue con un: “Il fruttivendolo sul furgoncino.”
“Cosa?” Domandò Hazel che faticava a comprendere il nesso tra un fruttivendolo ed una manifestazione.
“Sì.” Confermò Jason mentre il suo cervello lavorava per trovare dei punti in comune tra le scuse degli amici: “Sì” ribadì, mentre un’idea iniziava a prendere forma nella sua testa: “La vita dei fruttivendoli sta diventando difficile. Pensa che trovare un posto con il furgoncino sta diventando un’impresa degna di quelle omeriche, così i fruttivendoli di tutto lo stato hanno manifestato. La piazza era gremita.” Disse sapendo bene che nessuno stesse credendo alla sua storia. Frank, dal canto suo, sembrava del tutto senza parole.
“Cosa? No, oggi eravamo al centro…” Jason cercò di toccare Piper per farle capire di non aggiungere nulla, ma la sua mano si poggiò più o meno a metà della coscia di lei. Piper sgranò gli occhi e guardò in basso piuttosto sorpresa dal gesto del ragazzo.
“I fruttivendoli.” Ribadirono Leo e Percy contemporaneamente convincendo Hazel del fatto che non volesse più fare domande su quella storia: “Va bene,” Disse infatti la riccia cambiando discorso: “cosa facciamo?”
“Be’ mi pare ovvio: abbiamo dell’alcol, abbiamo un genio come me…” Iniziò con un sorriso furbo il messicano.
“Oh no, Leo, non stai davvero per proporre…” Iniziò Frank per poi essere interrotto dal continuo del discorso di Leo: “Un gioco alcolico!” Propose raggiante il ragazzo.
Piper, Annabeth e Hazel andarono a preparare i bicchieri avendo l’occasione di restare un po’ sole a parlare. Piper si voltò immediatamente verso la bionda:
“Non hai degnato Percy neanche di uno sguardo.” La rimproverò.
“Non è che non l’abbia neanche degnato di uno sguardo. È che non sono ancora sicura di cosa lui provi davvero per me.”
“Tu non sei sicura? A me viene da piangere se penso a Jason. Mi piace, ma non sono neanche sicura di essere pronta per una storia così presto.”
Hazel sembrò sul punto di dire qualcosa, quando Percy le chiamò urlando dicendo qualcosa sul fatto che non avevano da costruire i bicchieri.
 
Circa un’ora dopo i sette ragazzi erano già brilli seduti sul pavimento freddo con un tabellone al centro ed alcuni bicchieri pieni, vuoti o rovesciati posti casualmente tra loro.
“Annabeth, devi andare sulla casella numero 66!” Gridò con troppa forza Leo.
“Ma io non voglio cantare!” Esclamò la ragazza che ogni tanto ricordava agli altri di essere la più sobria dopo Piper e Jason. Piper, infatti, era stata troppo concentrata sull’incolumità della sua casa e sulla paura dell’arrivo dei suoi genitori per decidere di giocare, quindi se ne stava seduta in disparte bevendo Jack e coca saltuariamente, attenta che non fosse mai troppo. Jason, invece, aveva semplicemente avuto fortuna nel gioco e gli era capitato di bere solo un paio di volte.
“Se non cantiamo beviamo tutti.” La informò stancamente Frank. L’alcol che aveva bevuto iniziava a presentargli il conto.
I ragazzi si esibirono in un karaoke piuttosto penoso di canzoni tutte diverse. Jason, mentre intonava a bassa voce la sigla del suo cartone animato preferito, girò lo sguardo verso Piper, che ricambiò con una risata dovuta alla ridicolezza del momento. Quel semplice scambio di sguardi, però, creò uno strano legame tra i due. Jason si raddrizzò sul pavimento abbandonando la sua posizione mezzo stesa per guardare meglio la ragazza negli occhi.
“SONO UN DRAGOOOO!” Esultò Percy, dopo aver mosso di tre caselle il fagiolo che gli faceva da pedina. Il punto d’arrivo del tabellone, infatti, indicava la scritta appena esclamata dal corvino. Leo emise uno sbuffo di protesta, ma non riuscì a dire altro che un flebile: “Noi continuiamo a giocare!”
Annabeth alzò gli occhi al cielo e si alzò non senza qualche difficoltà dal pavimento dirigendosi in camera di Piper per controllare che il suo telefono fosse carico.
“69” Gridò Leo che sembrava aver ritrovato finalmente la voce: “Scegli due che devono baciarsi. Se non eseguono bevono.” Lesse mentre un sorriso furbo si faceva largo sulle sue labbra: “Hazel, che ne dici di ritentare? La prima volta non la ricordo per nulla!” propose il messicano biascicando.
“Tu… cosa?” Domandò Frank alzandosi ed avvicinandosi pericolosamente a Leo.
“Calma, calma, amico” ribattè alzando in aria i palmi delle mani in segno di resa: “Avrei scelto di bere!”
“Ma sei stato tu a proporre…”
“Sì, lo so, sono un grande amico.” Ribattè mandando giù mezzo bicchiere di un cocktail che Leo faticò a riconoscere, ma che non si fece problemi a bere.
Percy si alzò stancamente dal pavimento e camminò ciondolando verso il corridoio che portava alle stanze da letto, diretto al bagno. Lungo il suo tragitto, però, il ragazzo passò davanti alla porta aperta della camera di Piper. Il bagno era appena a qualche passo dalla stanza, ma i suoi piedi si inchiodarono quasi involontariamente sull’uscio. Annabeth era seduta sul letto di spalle alla porta e Percy riuscì a vedere una luce bluastra proveniente dal cellulare illuminarle un lato del viso. Una gelosia immotivata gli attraversò il corpo provocandogli un brivido: e se stesse parlando con qualcuno? Tecnicamente noi non stiamo insieme. Spinto da un’insana curiosità, il moro si fece largo nella stanza socchiudendo la porta e si lasciandosi cadere sul letto. Annabeth si girò a guardarlo, ma, prima che potesse anche solo pensare a cosa dire, si ritrovò le labbra incatenate a quelle di Percy che la stavano trascinando in un bacio umido.
Senza sapere come fosse successo la ragazza si ritrovò schiacciata tra il moro ed il materasso della sua migliore amica, ma non si sentiva messa alle strette, più che altro la sua testa aveva ripreso a girare, ma non era sicura se fosse colpa dell’alcol o dell’effetto che Percy faceva innegabilmente su di lei.
Il ragazzo prese ad accarezzarle un fianco scendendo con la mano sempre più verso la sua coscia destra. Come riflesso involontario, la bionda allacciò le gambe al bacino di Percy e gli sfilò la maglietta frettolosamente mentre il respiro le si faceva pesante ed i pensieri le si annebbiavano. Appena il moro lasciò le sue labbra per attaccare il suo collo, la ragazza lasciò scendere istintivamente una mano tra le gambe di lui facendolo sobbalzare mentre un gemito appena udibile gli sfuggiva dalle labbra. La ragazza sentì del calore scendere verso il basso, mentre qualcosa nella sua mano iniziava ad ingrossarsi. Percy trascinò la bionda in un altro bacio mozzafiato. Lei, però, sembrò tornare lucida per un secondo quando sentì la mano del ragazzo scivolare tra le sue gambe. Annabeth allontanò il moro con una spinta leggera: “Aspetta…” Iniziò mentre l’eccitazione negli occhi di Percy lasciava spazio alla delusione: “Non sono sicura sia il momento…” Disse ansimando. Il ragazzo sembrò essere piuttosto lucido per essere uno da poco arrivato alla fine di un gioco alcolico, perché annuì scostandosi quel tanto che bastava ad Annabeth per sgusciare via dal suo corpo: “Anche se prima hai avuto la conferma che sono un drago!” Scherzò tentando di tirare su il morale della bionda, che in quel momento sembrava troppo pensierosa.
“Non ti fidi di me, eh?” Domandò Percy dopo una manciata di silenziosi ed interminabili secondi, con un sorriso ancora una volta dipinto in volto, anche se adesso sembrava quasi amaro.
“Non è questo, è solo che…”
“Che secondo te sono il tipico ragazzo che scappa la mattina dopo.” Concluse per lei raccogliendo la maglietta dal pavimento ed infilandosela di nuovo sotto lo sguardo attento di Annabeth, che non sembrò perdersi neanche il più piccolo dei movimenti dei suoi muscoli.
L’ultima cosa che la ragazza avrebbe voluto era dare ragione a Percy, ma non riuscì a trattenersi dall’annuire. Non riusciva a mentire a quel ragazzo.
“Ho capito.” Concluse il moro, annuendo mestamente e lasciando la stanza con uno sbuffo.
Qualche minuto dopo la bionda uscì dalla stanza di Piper tornando dai suoi amici che l’accolsero con un fischio: “Bel livido” commentò Leo con un sorriso furbo: “Ti è caduto un Percy sul collo?” Domandò ironico alludendo al succhiotto che Percy le aveva da poco lasciato senza che lei se ne rendesse conto. Piper rideva. La mora era rimasta sobria, ma non immune all’entusiasmo generale.
Annabeth alzò gli occhi al cielo e raccolse il suo zaino da un angolo del grande salone: “Io torno a casa.” Annunciò infilandosi il giubbino ed uscendo.
“Ti accompagno.” Percy la seguì fuori prendendo il lungo cappotto al volo e richiudendosi la porta alle spalle.
“Non mi serve una guida. So come tornare a casa mia.” Disse stizzita la bionda, una volta in strada.
“Sei ubriaca.” Ribattè il moro senza batter ciglio. Annabeth alzò gli occhi al cielo: “Già, ma lo sei anche tu.”
“Be’…” Iniziò Percy: “Ci sono brutte persone in giro.” Tentò ancora.
“Come te, ad esempio.” Scherzò la ragazza. Percy stava esaurendo tutte le scuse.
“In tal caso” Riprese senza far notare alla ragazza la sua indecisione: “Devo accompagnarti perché è probabile che i fruttivendoli stiano ancora manifestando.”
Annabeth scoppiò in una risata cristallina che risuonò nel silenzio dei palazzi incantando totalmente Percy: “Vuoi spiegarmi questa storia della manifestazione?” Domandò la ragazza tentando di catturare di nuovo lo sguardo ebete con cui il moro la stava guardando. Non sarebbe stato un problema dire alla bionda che i quattro ragazzi si erano visti in un centro commerciale, quel pomeriggio, per aiutare Frank con il regalo di Natale di Hazel, ma Percy pensò che mantenere il mistero sarebbe stato di gran lunga più divertente: “Be’ sai… Cose da uomini.” Azzardò con lo sguardo di uno che sembrava saperla lunga, gli effetti dell’alcol ancora chiaramente distinguibili.
I due passarono il resto del tragitto parlando di scuola e scherzando sui loro amici fino a quando non arrivarono ai piedi del palazzo della ragazza. La bionda salì i tre gradini ed estrasse le chiavi dalla tasca per aprire il portone principale.
“Annabeth…” Percy la stava chiamando dalla strada. La ragazza si bloccò con le chiavi a qualche centimetro dalla toppa e si girò verso il moro: “Non sono quello che pensi… O meglio, lo sono, ma non ho intenzione di esserlo con te.”
Annabeth alzò il viso verso il cielo con uno sbuffo. Poche stelle erano visibili a causa dell’inquinamento luminoso della città: “A quante l’hai detto?”
Percy si rabbuiò stringendosi nel cappotto, del vapore gli sfuggì dalle labbra a causa del freddo.
“Pensala come vuoi. Buonanotte.” Disse abbassando il capo, girando sui tacchi ed allontanandosi dalla bionda. Annabeth rimase a guardarlo andar via per un po’, il senso di colpa facilmente identificabile ad agitarla, ma la ragazza era troppo orgogliosa per corrergli dietro e costringerlo a baciarla come avrebbe voluto.
 
Leo sospirò sfinito e si stese più comodamente sul pavimento, quando Jason gli rifilò un’occhiata veloce ed eloquente che costrinse il messicano, recepito il messaggio, ad alzarsi ed a congedarsi prima di uscire ciondolante dalla porta d’ingresso. Hazel e Frank lo seguirono con uno sbadiglio lasciando Piper e Jason soli in casa.
Tra i due ragazzi scese un silenzio imbarazzante finché Piper non parlò: “Vuoi qualcosa da bere?” 

Note dell'autrice: "Annabeth alzò gli occhi al cielo", eh già, non fa altro, a quanto pare, nella mia storia. Ce ne faremo una ragione...
SALVE AMICI; sì, fate bene ad odiarmi, sono un essere immondo, ma le vacanze di Natale mi daranno il tempo di scrivere, vero?
ma parliamo di questo capitolo. Sì, fate bene ad odiarmi ancora una volta per Percy ed Annabeth, ma deve andare proprio così. Mi scuso infinitamente per il mio essere una capra nello scrivere scene un po' più spinte, ma ehi, ci sto lavorando, questo non vuol dire ci stia riuscendo!
Sì, so che Hazel e Frank sono praticamente assenti, non mi sono dimenticata dello spazio che avevano all'inizio, devono solo succedre altre cose affinché succedano le cose che li riguardano ehehehehe (è uno spoiler?). Non so perchè ma mi sono divertita come una matta quando ho scritto la parte in cui Leo dice ad Annabeth: "Ti è caduto un Percy sul collo?" e boh, nella mia testa suonava più importante il dirvi quanto mi sia divertita di quanto non sia realmente. Comuuunque spero davvero che questo capitolo davvero brutto (eh, sì, secondo me è da eliminare, dato che doveva succedere anche un'altra certa cosa che accadrà all'inzio del prossimo. Spoiler, di nuovo) vi sia almeno un minimo piaciuto. Tempo fa vi parlai di una sorta di continuo dopo la fine di questa storia. Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti. Ringrazio troppo troppo troppo troppo tutti voi che continuate a leggere nonostante lo scandaloso e ormai continuo ritardo, in particolare _viola02_ che pazientemente commenta sempre (spero di rivederti anche qui giù) (Ecco il gioco alcolico a cui mi sono ispirata. Non bevete, ragazzzi 
http://www.gasparotto.biz/wp-content/uploads/2012/01/gioco-ubriaconi.jpg)
Ci vediamo (presto)
Adieu,

El.

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Capitolo 16
*** 16 - Un'idea spaziale ***


UN’IDEA SPAZIALE
 
Jason non era sicuro di poter sopportare quella situazione a lungo. Era seduto sul divano di casa di Piper e non riusciva a distogliere gli occhi dal quadro astratto che si ritrovava davanti. Non che ne avesse capito il senso o fosse in cerca di una personale interpretazione: non capiva niente di arte; gli piaceva guardare i quadri più famosi, gli piaceva cercarne un’interpretazione per vedere quanto la sua mente percepisse ciò che vedeva come quelle degli altri, ma in quel momento il fiume dei suoi pensieri si era prepotentemente appropriato di ogni sua possibile facoltà mentale e gli schizzi rossi e blu che aveva davanti agli occhi da quella che sembrava un’eternità facevano solo da sfondo ai suoi pensieri.
A dire il vero ciò che più spaventava il biondo, in quel momento, era il fatto che si trovasse a casa della ragazza per la quale era ormai chiaro avesse una cotta senza nemmeno uno dei suoi amici a fargli da spalla. La ragazza gli aveva offerto qualcosa da bere e lui non aveva potuto far altro che annuire: stare solo con lei gli faceva ancora più paura che stare semplicemente solo da lei.
Piper tornò dopo quelli che, per tutti, possono essere due minuti, ma che per il biondo erano durati ore. Non aveva bevuto molto, non era mai andato pazzo per l’alcol, ma mai come allora si era ritrovato a desiderare di aver bevuto un po’ di più; un po’ per la testa un po’ più leggera che in quel momento avrebbe voluto avere, un po’ per il coraggio che sembrava mancargli totalmente in situazioni del genere.
Percy saprebbe cosa fare si disse Jason lasciando che il pensiero del suo amico lo distogliesse per un attimo dall’ansia che sembrava prendersi lentamente gioco delle sue viscere. Piper, intanto, gli aveva lasciato il bicchiere d’acqua che era riuscito a stento a chiedere sul tavolino in vetro che aveva a due passi, mentre si sedeva accanto a lui con aria invidiabilmente rilassata.
“Bene, mh… Tua madre invece cosa… insomma cosa fa?”
Piper non poté fare a meno di alzare gli occhi al cielo e mandare giù un sorso veloce di una sostanza dal colore scuro che aveva nel bicchiere: Jason non era sicuro se fosse vino o semplice coca-cola.
“La stilista, vivere con lei non è facile se sei una ragazza, ti assicuro.” Jason si rese conto della noncuranza con cui Piper aveva parlato, per poi realizzare improvvisamente la quantità di soldi che la bruna doveva avere. Quel quadro che aveva fissato fino ad allora doveva valere una fortuna! Era ovvio che Piper non volesse darlo a vedere, quindi decise di non approfondire la questione e si limitò ad una risata veloce.
 
“E la squadra? Ti dà ascolto?” Qualche minuto più tardi Piper non aveva idea di come la situazione, imbarazzante com’era, si fosse trasformata in una tranquilla chiacchierata. La ragazza aveva sempre visto Jason come un ragazzo serio, rigido e parecchio attaccato alle regole, ma quella sera il biondo sembrava essersi aperto e le risate non erano affatto mancate. A dire il vero, Jason le era sembrato ancora più interessante di quanto non lo trovasse già: aveva conosciuto un nuovo lato di lui e qualcosa le diceva che non molti potevano dire di conoscerlo e di non vederlo solo come il capitano e lo studente dall’educazione perfetta.
“Sì, a dire il vero anche troppo. A volte ho paura gli altri credano che una parola di troppo possa darmi il permesso di rovinarli. Insomma, guardami, ti sembro uno che possa decidere le sorti di uno studente?” Disse lasciandosi andare ad una risata incredula. Piper notò quanto la sua cicatrice sul labbro fosse in risalto quando il ragazzo rideva.
“Be’, non mi pare che Percy si faccia molti problemi.” Constatò la ragazza cercando lo sguardo del biondo. Jason alzò gli occhi al cielo ed accompagnò un gesto della mano: “Lui è un caso particolare.” Rispose prontamente ridendo. Piper si limitò ad un sorriso. La situazione era di nuovo improvvisamente tesa senza che nessuno dei due avesse fatto effettivamente qualcosa per renderla così. La ragazza si chiese se anche Jason iniziasse ad avvertirla. La risposta, però, non tardò ad arrivare visto che, quando alzò lo sguardo, gli occhi del biondo si incatenarono ai suoi. A Piper sembrò quasi che quell’azzurro non le permettesse di guardare altro, il sorriso ormai scomparso dal volto di entrambi. Jason, dal canto suo, era totalmente paralizzato, il cervello offuscato e completamente vuoto. Non avere il controllo della situazione rischiava di farlo impazzire e l’impulsività non era esattamente il suo forte, anche se avrebbe voluto lasciare all’istinto la possibilità di scegliere cosa fare, in momenti come quello.
Piper non sapeva neanche come fosse successo, ma i loro visi erano spaventosamente vicini. Un brevissimo pensiero lucido riguardante i problemi che sarebbero nati passò per la sua testa prima di abbandonarla definitivamente quando la ragazza annullò quei pochi centimetri che li separavano per posare le sue labbra su quelle del ragazzo come a chiedergli il permesso. Fu un bacio corto e privo di qualsiasi desiderio. Sembrava pura curiosità. Piper guardò il ragazzo con aria nervosa, perfettamente consapevole del fatto che il rischio di rimanere ancora una volta imbambolata come un’idiota di fronte al suo sguardo di ghiaccio era spaventosamente alto.
Jason mandò al diavolo per la prima volta ogni paura e timore e si fiondò nuovamente sulle labbra della ragazza con molta più fame ed aggressività di prima. Piper fu costretta ad indietreggiare verso il bracciolo del divano mentre il ragazzo la sovrastava senza interrompere il bacio. Nel momento in cui la ragazza sentì il bracciolo sostenerla per la schiena, Jason approfondì il bacio con una dolcezza innaturale dato il desiderio facilmente percepibile tra loro. Piper afferrò il lembo della maglietta del ragazzo per poi lasciare che la sua mano scivolasse al di là di esso a sfiorargli gli addominali. Piper si accorse solo in quel momento, sorpresa, del fatto che avrebbe desiderato farlo dalla sera della festa di Annabeth, quando il ragazzo l’aveva aiutata con i festoni. Il bacio divenne ben presto più affamato e desideroso: nessuno dei due sembrava preoccuparsi dei denti e dei morsi, finché Jason non scese, con una scia di baci, dalle labbra alla mascella, fino ad arrivare al collo. Piper si sistemò meglio sul divano mentre il ragazzo si sistemava sopra di lei.
Jason era nervoso e si sentiva anche un perfetto idiota per questo. Perché la sua mania del controllo doveva rovinargli sempre i momenti più belli? Finire per baciare la ragazza che gli piaceva sul suo divano non era ciò che si sarebbe aspettato di fare, quando era sceso di casa, è vero, ma di certo la cosa non gli dispiaceva. No, non gli dispiaceva affatto. Per la seconda volta in meno di cinque minuti, mandò al diavolo ogni pensiero insistente e non adatto al momento e si staccò dal collo della ragazza giusto il tempo necessario a sfilarsi la maglietta, che era ormai diventata un inutile intralcio, per poi ripartire esattamente da dove aveva interrotto e finendo per scendere sempre di più. Il respiro di Piper aumentò notevolmente quando il ragazzo, acquisendo sicurezza, le tolse la maglietta lanciandola via. Jason scese con le labbra sempre più giù superando l’ombelico e notando, con un sorrisetto soddisfatto, la pelle d’oca sulla pancia della ragazza. Non si fermò molto a guardarla, però, perché Piper, impaziente e chiaramente meno intimidita di lui, si sfilò i pantaloni velocemente, per poi provare a fare lo stesso con gli slip. Il biondo, però, la fermò prima che la ragazza potesse fare molto e baciò la porzione di pelle appena sopra l’elastico per poi tirarlo giù con i denti. Piper sospirò impaziente, mentre il ragazzo le mordeva l’interno coscia con dolcezza, per poi passare a darle piacere come meglio poteva.
“Dio, c’è qualcosa che non sai fare?” Domandò Piper tra un gemito e l’altro. In condizioni normali Jason avrebbe risposto con un sorriso amaro, ma la ragazza lo stava facendo stare troppo bene per preoccuparsene. Si lasciò sfuggire, però, una risatina, prima di tornare a quello che stava facendo, dedicandovi tutta la sua attenzione.
 
“Ho in mente un’idea spaziale!” Urlò Percy mentre camminava con Frank per i corridoi. Un paio di ragazze ridacchiarono divertite per poi guardarlo sognanti, ma il moro non sembrava mai rendersi conto di tutte quelle attenzioni, o meglio, non sembrava importargli poi molto.
“Sì, l’avevo immaginato dal messaggio che recitava ‘ho in mente un’idea spaziale!’” Percy sorrise fiero.
“Amico, stasera vi farò divertire davvero. Dovete solo fidarvi di me. È una sorpresa.”
“È esattamente questo il problema.” Ribatté Frank perfettamente consapevole di quanto l’amico potesse essere imprevedibilmente pericoloso.
“Ci serve solo una macchina…” Disse Percy più a se stesso che a Frank.
“Ci serve… cosa? Ma dove…”
“Il fatto è che siamo sette ed io non ho la patente… Oh, Frank, tu guidi?”
“No, o meglio, ho la patente, ma mia nonna non mi lascerà mai la macchina.”
“Mando un messaggio agli altri.”
“Percy, cosa sta succedendo?”
“Frank, hai davvero bisogno di rivedere il tuo concetto di ‘sorpresa’.” Sentenziò il moro prima di entrare nella sua classe di fisica lasciandosi dietro un Frank piuttosto confuso.
 
Piper era seduta al solito tavolo della mensa e aspettava che Annabeth la raggiungesse impaziente di raccontarle ciò che era successo il giorno prima con Jason, quando sentì il telefono suonare avvertendola di un nuovo messaggio. Piper recuperò pigramente il cellulare dalla tasca: ‘Ho in mente un’idea spaziale!’ lesse confusa. In quell’esatto momento Annabeth poggiò con un tonfo il vassoio sul tavolo della mesa attirando l’attenzione della mora.
“Percy mi ha appena mandato un messaggio piuttosto ambiguo. Giuro che se vuole farmi…”
“L’ho ricevuto anch’io!” Disse Piper sperando che l’amica potesse darle spiegazioni.
“Oh” Esalò la bionda, un pizzico di delusione ad intristirle il viso. La bruna, dal canto suo, non si sarebbe mai data pace se non avesse colto quel piccolo momento di distrazione da parte di Annabeth per spingerla a non restare con le mani in mano.
“Qualcuno ci è rimasto un po’ male!” La canzonò con un sorrisetto furbo in volto. Tutto ciò che riuscì a guadagnare, però, fu un’occhiataccia da parte della bionda: “Oh, andiamo” continuò decisa a non lasciar correre: “Non puoi continuare a respingerlo.”
Annabeth alzò gli occhi al cielo: “Non lo sto respingendo. Poi, se per respingerlo intendi lasciare che metta le mani dove nessuno le ha mai messe prima…”
Piper sgranò gli occhi: “CHE COSA?” Adesso fu il turno di Annabeth di sorridere furbescamente, ma non proferì parola.
“Parla.” L’incalzò con gli occhi colmi di curiosità.
“Non è successo granché, in realtà. Stavamo…”
“Oggi. Alle 20:30. Cercate di non fare tardi.” Leo interruppe il racconto della ragazza sedendosi al loro tavolo e poggiando il vassoio colmo di cibo sul tavolo come fosse un trofeo. Accanto al vassoio di Piper, poi, poggiò un biglietto con un indirizzo scribacchiato frettolosamente e con una pessima calligrafia: “Già? Senza neanche invitarmi a cena?” Scherzò la ragazza, prendendo il bigliettino tra le mani.
“La mia compagnia ti farà dimenticare di dover mangiare.” Rispose il ragazzo, stando al gioco.
“Questo appuntamento ha qualcosa a che fare con l’idea spaziale di Percy?” Domandò Piper sorridendo alla vista di Leo che si cacciava in bocca una coscia di pollo addentandola come se fosse digiuno da mesi.
“Assolutamente.” Sentenziò il ragazzo pulendosi la bocca con il dorso della mano. Annabeth lo guardò storto: “Tu ne sai niente?”
“Assolutamente no. Provvedo solo a procurarci un mezzo.”
“Un mezzo? Quanto lontano è?”
“Vi ho detto che non so nulla.” Ribadì il messicano tra un boccone e l’altro.
“E come hai intenzione di trovare una macchina?”
“Lasciate fare a me.” Ribatté il ragazzo sorridendo appena.
 
Jason camminava verso il luogo dell’incontro mascherando con dell’indifferenza alternata a nervosismo la curiosità che lo stava divorando. Non vedeva l’ora di scoprire cosa i suoi amici stessero combinando ed il fatto di star facendo qualcosa di totalmente irrazionale ed imprevedibile, oltre a mandarlo fuori di testa, lo stava facendo sentire al settimo cielo. Jason sapeva che prevedere o organizzare momenti che per essere perfetti dovevano essere privi sia di previsione che d’organizzazione era sbagliato, ma finalmente la sua vita stava prendendo la piega che aveva da sempre desiderato e non poteva far altro che sentirsi emozionato. Poi un pensiero lo investì in pieno viso: Come devo comportarmi con Piper? Per lei è significato qualcosa o è normale fare… quello che abbiamo fatto senza impegno? Non parlavano dalla sera prima. Era stato imbarazzante salutarsi più o meno alle due del mattino ed il fatto di non essersi visti nemmeno a scuola non aveva fatto altro che peggiorare la situazione. Jason aveva davvero paura che lei non volesse più vederlo e, più di tutto, che lei fosse semplicemente la solita Piper, totalmente indifferente alle novità tra loro.
“Leo… Che cosa stai facendo? E perché sei conciato così?” Domandò Jason una volta arrivato poggiando una mano sul braccio del suo amico, che gli dava le spalle. Leo sussultò e si girò di scatto dandogli un pugno prima ancora di poterlo riconoscere: “Oh! Ehm… mi dispiace.” Disse il messicano togliendosi il passamontagna che portava. I suoi capelli ricci, ora, sembravano ancora più disordinati del solito.
“Per fortuna ero io, amico. Con quel pugno non avresti fermato neanche un bambino.”
“Sì, certo. Sono piuttosto teso.”
“Lo vedo, ma non mi hai ancora detto perché sei vestito di nero… né perché portavi il passamontagna.” Effettivamente Leo indossava un pantalone dalle tasche larghe nero ed una maglietta lurida dello stesso colore. Gli scarponcini marroni erano l’unico tocco di colore.
“Non vogliamo farci scoprire. Ho preso precauzioni.”
“Ma precauzioni per cosa?” Domandò Jason che capiva ancora meno la situazione da quando era arrivato lì.
“Aspettiamo gli altri.” Disse Leo chiudendo il discorso e continuando a guardarsi attorno come se stesse scappando da chissà chi.
Più o meno venti minuti dopo tutti i ragazzi avevano raggiunto Leo all’indirizzo che aveva dato loro. Quasi tutti. Tutti tranne uno. Tutti tranne…
“Percy, non era una tua idea? Non è stato facile far stare Leo calmo per altri venti minuti.” Disse Jason spostando di poco lo sguardo per osservare il messicano appena alle spalle del ritardatario.
“Perché Leo è così nervoso e…” Iniziò Percy, finalmente arrivato, girandosi e seguendo lo sguardo del biondo: “Leo, come ti sei conciato?” Domandò parecchio confuso.
“Se ci scoprono finisce male. Ve lo dico io.” Sentenziò con lo sguardo di uno che sembrava saperla lunga mentre si calava il passamontagna sul viso.
“Adesso vuoi dirci dove stiamo andando?” Domandò Hazel senza riuscire a nascondere un pizzico di curiosità. Percy sorrise furbo e si voltò di nuovo verso il messicano: “Leo, apri.” Ordinò entusiasta. Il ragazzo non poté che ubbidire. Si guardò intorno con sospetto un paio di volte, facendo sospirare i suoi amici, poi cacciò una piccola chiave di ferro arrugginita dalla tasca dei pantaloni ed aprì il lucchetto che teneva chiusa una saracinesca grigio scuro. Se non ci fosse stato il cartello lì vicino con scritto ‘Happy engines’ nessuno avrebbe potuto farsi un’idea di cosa fosse quel posto.
Leo alzò la saracinesca, aiutato da Frank, e sgusciò all’interno, appiattendosi sul muro ed invitando i suoi amici ad entrare rapidamente. Quando tutti furono dentro, il messicano chiuse all’istante la saracinesca, che scese con un tonfo che non sarebbe passato inosservato ai passanti e lasciò i sette ragazzi al buio. Piper, Hazel e… Percy gridarono dallo spavento. “Dannazione, Leo.” Disse esasperata Annabeth. Anche al buio era ovvio stesse roteando gli occhi.
Il messicano accese la luce rivelando un’officina male illuminata piena di attrezzi grondanti d’olio: “Mh, Leo, come ti sei procurato le chiavi di questo posto?” Domandò Frank che adesso sembrava quello più nervoso.
“La mamma di Leo è un meccanico. Deve essere la sua officina.” Rispose Jason al posto del messicano. Leo, intanto, era corso in una piccola stanza che riprendeva il colore giallo sporco del muro. Sarebbe stato piuttosto difficile notarla subito se non fosse stato per la piccola finestra che lasciava intravedere le mura azzurre dell’interno: “Merda.” Gridò Leo: “Da quando è venuto il proprietario di quella macchina” Iniziò indicando con la testa la macchina decapottabile rossa fiammante targata ‘number1’ che stava in un angolo dell’officina: “Mia madre porta sempre le chiavi di tutte le macchine che aggiusta con lei, per paura che qualcuno irrompa qui.”
“Come stiamo facendo noi?” Domandò Frank alzando un sopracciglio.
“Non proprio” Disse Leo uscendo dalla stanza e prendendo un’asta d’acciaio poggiata su un tavolo da lavoro: “Noi stiamo solo prendendo in prestito quel furgoncino.” Disse indicando un rottame alla sua destra. Piper storse il naso: “Vuoi… prendere quel coso? Ma è sicuro?”
Leo sorrise furbo: “Problemi, reginetta?” Piper sorrise.
“State parlando troppo. Dobbiamo muoverci.” Disse Annabeth prendendo l’asta d’acciaio dalle mani di Leo ed andando verso il furgoncino bianco. Posizionò l’asta tra il finestrino e la portiera: “Annabeth, aspetta, non sai…” Iniziò Percy, ma la ragazza spinse l’asta verso il basso e la portiera si aprì. Percy rimase a bocca aperta a fissarla. Quello che la bionda aveva appena fatto era stata la cosa più sexy che il moro avesse mai potuto pensare. Leo gli passò davanti ridendo ed entrò nell’abitacolo del furgoncino. Smontò un pannello posto al di sotto del volante e mise due fili a contatto. Il motore rombò nell’officina: “Mia madre l’ha messa a posto stamattina. Il proprietario verrà domani. Salite.”
“Percy mi spieghi perché non guidi tu visto che sei l’unico a sapere dove dobbiamo andare?” Domandò Frank, appena tutti salirono.
“Perché so guidare, ma non ho la patente e farsi beccare dalla polizia con una macchina rubata non è una grande idea.” Disse mettendosi comodo sul suo posto accanto a Frank con un sorriso.
“Be’, allora perché non hai la patente?” Il sorriso scomparve dal volto di Percy con la stessa velocità con cui era nato: “Non amo gli esami.” Sentenziò secco voltandosi a guardare la strada. Frank capì al volo che non era il caso di indagare. Almeno, non in quel momento.
 
“No, Frank, devi andare a destra, dannazione, a destra!” A mezz’ora dalla partenza la situazione stava iniziando ad essere complicata. Lo sterrato su cui Percy aveva intenzione di andare non era proprio adatto alle gomme vecchie del furgoncino e la sanità mentale di Frank rischiava di essere compromessa.
“A destra c’è un burrone, Percy, vuoi che faccia un salto lì?” Domandò il ragazzo. La situazione stava diventando irritante e confusa.
“Ovvio che no, all’incrocio, trecento metri fa. Non puoi tornare indietro?”
“In retromarcia?”
“Sì!” Esclamò Percy come se stesse spigando a Frank la cosa più facile al mondo e lui l’avesse appena capita. L’orientale strinse le labbra innervosito ed iniziò a tornare indietro.
“Ehm… ragazzi?” Chiamò Hazel intromettendosi nella conversazione e sperando di non essere aggredita: “La strada era in curva. Stiamo andando verso il burrone.”
Frank sgranò gli occhi fermandosi di colpo, Percy si mise le mani nei capelli disperato. Annabeth non ne poteva più, quella situazione era diventata ingestibile: “Va bene. Frank, scendi dal furgone.” Disse con un tono che non ammetteva repliche, cosa che, invece, il ragazzo provò a fare: “Aspetta, cerco di…”
“ADESSO.” Sentenziò la bionda aprendo la portiera e scendendo dal furgoncino. Frank uscì dall’abitacolo come se fosse stato appena arrestato e si diresse verso il posto che prima era della bionda, non riuscendo a sostenere lo sguardo tempestoso della ragazza appena lo incontrò.
“Annabeth, tu sai cosa…” Iniziò Percy, ancora una volta stregato da quanto la determinazione di Annabeth fosse sexy. Per tutta risposta la bionda sterzò velocemente a sinistra, dove file di alberi bloccavano la visuale e rendevano, di notte, quel piccolo boschetto piuttosto tetro. Trovò uno spazio tra due alberi dove infilare il furgoncino per poi fare la manovra che le avrebbe permesso di trovarsi nel verso opposto rispetto a prima. Uno stupore generale si diffuse nel furgoncino mentre Annabeth sorrideva soddisfatta. Arrivati all’incrocio la bionda svoltò immettendosi sulla strada che Frank aveva mancato, qualche minuto prima.
“A destra di nuovo.” Parlò Percy all’ennesimo bivio, gli occhi fissi sulla strada. Annabeth l’osservò di sottecchi mentre sceglieva di nuovo lo sterrato ed abbandonando la possibilità di tornare sulla strada asfaltata. Si chiese se Percy sapesse davvero dove si trovavano.
“Vi va un po’ di musica?” Domandò Leo per rompere il silenzio che si era creato. Durante il viaggio aveva ficcato il naso nelle cose del proprietario del furgoncino trovandoci dei dischi impolverati e senza più copertina. Il messicano non aspettò alcuna risposta e si sporse verso lo stereo della macchina inserendo il CD, alzando al massimo il volume ed aprendo i finestrini, lasciando che l’aria fresca di dicembre inoltrato gli arruffasse i capelli ricci. The Dock of the Bay partì a tutto volume, adatta al momento, calmando gli animi nervosi di tutti mentre saltellavano sullo sterrato.
“Adesso vai a sinistra.” Indicò Percy qualche minuto dopo, con un mezzo sorriso. Annabeth gli concesse un’occhiataccia delle sue: “Col cazzo.” Sentenziò la ragazza svoltando a destra e tornando sull’asfalto.
“Cosa… Ma perché?”
“Sei totalmente fuori di testa. Tu non hai idea di dove stiamo andando, non è così?” La calma nel suo tono era innaturale.
“No, so dove stiamo…”
Annabeth inchiodò in uno dei tanti posti vuoti di un parcheggio di una di quelle pompe di benzina che si trovano più o meno in ogni luogo dimenticato da Dio e spense il motore, lasciando il furgoncino e la strada attorno al buio.
“Mentre decidete cosa farne del nostro futuro io e Jason andiamo a prendere qualcosa da mangiare, vi va?” Domandò Piper cercando di diminuire la tensione. Jason sentì il viso prendere fuoco. La proposta della ragazza voleva forse dire che il loro rapporto non era cambiato in negativo? Forse stavano insieme e lui non l’aveva neanche capito? Non ebbe molto tempo per pensare che, per come stava vivendo la situazione, avrebbe preferito non restare solo con lei perché Piper lo trascinò fuori dal furgoncino dirigendosi verso l’area ristoro della pompa di benzina.
Una volta all’interno del negozio puzzolente e con i muri umidi a causa delle infiltrazioni, la ragazza andò diretta verso una serie di tramezzini farciti alla bell’e meglio prendendone una manciata piuttosto consistente e riversandola nel cestito a rotelle che aveva preso all’entrata. Jason si sentiva come un pesce fuor d’acqua. Piper era sicura e determinata mentre lui se ne stava lì con le mani in mano senza sapere come aiutarla.
Piper prese, poi, due scatole di birre da sei e due bottiglie di vodka alla pesca condendo il tutto con una bottiglia di sambuca che aveva miracolosamente trovato nel negozio meno conosciuto sulla terra.
“Buonasera da Pit e Stop. Avete diciotto anni?” Domandò la donna grassa e dal trucco troppo marcato che stava dietro la cassa. Il tono annoiato lasciava capire che una semplice bugia le sarebbe bastata e avanzata. Jason si gelò sul posto. No che non aveva diciotto anni!
Piper, dal canto suo, non sembrò intimidita dalla domanda della donna: “Certo.” Rispose col tono più sicuro che riuscì a trovare. La donna alzò gli occhi verso Jason, che cercava in ogni modo di non far notare quanto non fosse bravo con le bugie, poi prese i soldi che Piper le stava porgendo e li congedò con un cantilenante: “Buonasera e buon viaggio da Pit e Stop.” Disse con un tono per nulla entusiasta, nonostante la frase che era sicuramente stata costretta a dire prevedesse un po’ d’emozione.
Piper aprì le porte di vetro ridendo: “Non hai idea di che faccia hai fatto!” esclamò tra una risata e l’altra.
“Tu hai mentito per avere l’alcol che volevi! Non sapevo che fare.”
“Dovresti averlo imparato, Jason” Iniziò la ragazza, il tono sempre divertito, ma di gran lunga più seducente: “Prendo sempre ciò che voglio.” Disse alzandosi sulle punte per un lungo bacio sensuale che fece quasi sciogliere Jason sul posto. Piper si staccò dalle sue labbra e si incamminò verso il furgoncino con noncuranza lasciandosi un confuso ed estasiato Jason alle spalle.
“L’avete fabbricato voi il cibo? Ci avete messo un… uo-oh” Esclamò Leo alla vista dell’alcol: “Ragazzi, abbiamo qualcosa per tenerci caldi.”
“Cosa? Bere per due giorni di fila, ragazzi? Siete proprio sicuri?” Disse Annabeth.
“Oh, ma ti prego…” Rispose Percy che non voleva sentirsi la ramanzina anche dalla ragazza che gli piaceva. Qualche secondo, dopo, infatti, agguantò la bottiglia di sambuca dalle mani di Leo e prese due sorsi per nulla contenuti: “Adesso, per favore, bevi un sorso, rilassati e segui le mie indicazioni.” Annabeth si limitò a guardarlo male, mentre lui le tendeva la bottiglia con un sorriso strafottente stampato in viso.
“Percy, le tue indicazioni non sono davvero…”
“Ti perderesti uno dei posti più belli sulla Terra.” Disse con un sopracciglio alzato continuando a porgerle la bottiglia ed incitandola con lo sguardo: “E poi” continuò: “Dovresti darmi almeno una possibilità e fidarti di me.” Era chiaro non si riferisse più alla strada ed Annabeth sembrò capirlo. Dio, quel ragazzo riusciva sempre a fregarla. Accese il motore mettendo di nuovo i due fili a contatto e fece per partire, quando Percy la fermò: “Ah-ah” L’ammonì con la bottiglia ancora in mano. Annabeth alzò gli occhi al cielo e bevve un sorso per poi sbatterla senza neanche un minimo di dolcezza sul petto del ragazzo, che sorrise furbo.
Per la seconda volta in poco tempo la bionda fece inversione e si rimise, con un sospiro, sullo sterrato.
 
 
Note di El: Vi do il permesso di odiarmi, smadonnare, arrabbiarvi e lanciarvi pomodori per il ritardo più ritardoso di sempre e per avervi lasciati con un capitolo che di soddisfazione ne dà ben poca: la sorpresa non è chiara, Percabeth e Jasper fluttuano insoddisfatte e le povere Piper ed Annabeth non si sono ancora raccontate le scottanti novità (E c’è una ragione eheheh). Parliamo del capitolo osceno che è uscito. La scena arancione(?) che è uscita è peggio delle scene di questo tipo che ho già scritto (il che è preoccupante data la mia più totale incapacità). Questa parte in generale della storia, però, mi piace tantissimo, rappresenta quel genere di cose che fai da ragazzo e ti ricordi per sempre come assurdo (parlo come una novantenne). Comuuuuunque Leo con le paranoie ed il passamontagna è troppo da lui. Non volevo creare problemi seri ai ragazzi facendo rubare una macchina, ma volevo che la scassinassero perché… be’, perché si, okay? Non si capisce assolutamente nulla, questo perché mi sono persa abilmente in chiacchiere. Sono piuttosto soddisfatta, però, delle chiacchiere che riguardano Jason, volevo che apparisse così quindi, meh, fatemi sapere. La scena nel negozio la volevo trooooppo non odiatemi se ha reso la lettura noiosa. Oh e poi la scena finale nella macchina ed il doppio significato delle parole di Percy mi sembrava gaaasante. Seriamente, fatemi sapere perché ho davvero troppi dubbi non tanto sull’idea che voglio dare di questo e del prossimo capitolo, quanto più sul come sono sviluppati. In breve, fatemi sapere se sono noiosaaaa. Mi spiace per un'Annabeth rozza e per l'assenza di Frazel, presentissima nel prossimo capitolo. Per la solangelo... Aspettate ancora un po' ;) Ringrazio ancora tutti per star mettendo la storia tra i preferiti/ricordati/seguiti e quella santa di _Viola02_ per le recensioni (spero di ritrovarti qui!)
OH ULTIMA COSA SCUSATE SCUSATE SCUSATE: Per quei santi che leggono comunque nonostante il ritardo sto traducendo una raccolta di OS solangelo moooolto belle per colmare i momenti di ritardo che lascio, ecco il
link, (premete sulla parola “link”) passateci e fatemi sapere. (e sentite "Dock of the bay"!) A presto!
Adieu,
El

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Capitolo 17
*** 17 - Un'avventura notturna. ***


UN’AVVENTURA NOTTURNA
 
Percy sapeva avrebbe fatto tardi, ma non poteva farci assolutamente nulla. Sua madre aveva deciso di fargli un discorso piuttosto importante proprio mentre era sull’uscio della porta, pronto a regalare ad i suoi amici una serata indimenticabile. Non che ciò che sua madre aveva da dirgli non gli interessasse, ma andava di fretta ed aveva un’altra tappa immancabile da raggiungere prima di recarsi all’officina della madre di Leo. Con un sospiro Percy lasciò cadere lo zaino dalle sue spalle e si accasciò sulla sedia più vicina che riuscì a trovare.
“Be’…” Iniziò Sally Jackson in imbarazzo: “Non so se hai notato che ultimamente sono un po’… ecco di buonumore.” Iniziò. Percy si limitò ad annuire, mentre la curiosità, mista ad una strana paura, si stringeva lentamente a formargli un nodo allo stomaco: “Ecco, tu sai quello che Gabe ci ha fatto…”
Percy alzò un sopracciglio. Anche solo sentire quelle quattro lettere messe vicine gli procurava ogni volta un senso di disgusto terribile: “E che continua a fare.” Puntualizzò, la rabbia che lentamente si univa alla paura ed alla curiosità.
“Be’, sì, ma non è questo il punto. Il fatto è che per la prima volta vedo una speranza, una possibilità!” Continuò con gli occhi che le brillavano. Percy notò come il nome di Gabe non le riempisse più gli occhi di lacrime: “Qualche settimana fa un vecchio amico dell’università è venuto a comprare dei biscotti nel mio negozio. Quando mi ha riconosciuta ha iniziato a scherzare come ai vecchi tempi e… be’, poi mi ha chiesto di uscire.” Percy stava ascoltando il racconto di sua madre con uno sguardo indecifrabile. L’espressione felice sul viso di Sally si trasformò in un attimo in una leggera preoccupazione ed insicurezza: “Percy, se non vuoi che…”
“Ma no, davvero, sono felice di vederti così… serena.” L’interruppe rendendosi conto di quanto quelle parole fossero incredibilmente vere. Percy era solo un po’ confuso, o forse sorpreso e, in più, aveva davvero paura che quest’uomo non fosse diverso da Gabe.
“Ti andrebbe di conoscerlo, una sera?” La felicità sul viso di sua madre non poté che convincerlo: erano anni che non la vedeva così; a dire il vero, ricordava a stento l’ultima volta che il suo viso si era illuminato in quel modo ed era stato quando lei gli aveva parlato di suo padre.
 
“Non m’importa: devi darmi venti.”
“Ma non mi hai mai chiesto così tanto! Che amico sei?” Domandò Percy alzando le mani. Venti dollari per dell’erba neanche così buona? Poteva scordarselo.
“Amici? Quando mai siamo stati amici io e te? Non appena hai conosciuto quel gruppo di sfigati non hai esitato a dimenticarci.”
“Ma dai, siamo stati tutto il tempo insieme alla festa di Drew,”
“Zitto, Jackson.”
“nonostante il fastidio che hai dato alla mia amica.” Continuò Percy imperterrito. Su una cosa quel ragazzo aveva ragione: loro due non erano mai stati amici.
“Piper? Per la puttana che è si meritava di peggio. Non ha esitato a mettersi col capitano dopo…” Il moro strinse i pugni guardando con odio il biondo che aveva davanti a sé. Sapeva dove voleva arrivare, ma non gli avrebbe permesso di vincere così facilmente. Pensò ad Annabeth, a quanto si sarebbe arrabbiata se fosse andato da loro con uno zigomo viola ed il naso coperto di sangue rappreso. Pensò a sua madre, al fatto che adesso era felice e che non voleva rovinarle quel bel momento perché costretta a rimediare alle sue stronzate. Abbassò lo sguardo, mentre un sorrisetto strafottente gli si dipingeva in viso. Frugò nelle tasche tirandone fuori una banconota accartocciata.
“Solo per questa volta.” Concesse porgendo al suo interlocutore il pezzo di carta. Il biondo l’afferrò velocemente con il suo atteggiamento viscido e depose nelle mani del moro un sacchetto trasparente che Percy infilò velocemente nella tasca posteriore dei suoi jeans.
“A mai più!” Esclamò uscendo dall’oscurità e sentendo appena la risata fastidiosa del biondo.
“Certo.”
Doveva decisamente trovarsi un nuovo spacciatore.
 
Il furgoncino era un porcile: in condizioni normali Leo avrebbe raccomandato ai suoi amici di essere più cauti visto che avrebbero dovuto riportarlo integro all’officina entro la mattina successiva, ma il più casinista ed impacciato dei sette si rivelò essere proprio lui.
“Bene, Sapientona,” Disse Percy con la bocca piena lanciando ciò che restava del suo tramezzino sul cruscotto. Annabeth lo guardò disgustata per poi riportare lo sguardo sulla strada: “Come mi hai chiamata?” Domandò alzando un sopracciglio. Percy non avrebbe saputo dire se fosse offesa o divertita: “Gira a destra e poi vai dritto finché… be’, finché non puoi più.” Disse evitando accuratamente di rispondere alla sua domanda.
“Non ci farai cadere in un burrone, vero?” Percy non rispose, limitandosi a sorridere appena.
Pochi minuti dopo, Annabeth vide gli alberi aprirsi e sentì il terreno sotto le gomme cambiare consistenza: “Ma che…” Iniziò confusa: “Oh, no… Percy, non posso crederci. Tu hai una seria fissazione per il mare.” Disse alludendo al loro primo (ed unico, a dire il vero) appuntamento.
“Cosa? Questa non è una spiaggia qualunque! Le acque di questa spiaggia hanno il fondale ricco di Klamath e non è così comune, qui in America, si trovano solo nell’Oregon… e qui.”
“Percy… fammi capire bene…” Iniziò Jason accigliato dal sedile posteriore.
“Tu hai scelto questa spiaggia perché ci sono alghe rare?” Domandò Hazel al posto suo, quasi sul punto di scoppiare a ridere.
“Non sono alghe, ragazzi, sono, a dire il vero, una specie particolare di alghe. Meglio dire microalghe…”
“NO!” Sentenziò Piper categorica: “Risparmiaci la spiegazione scientifica.”
“Dai, ragazzi, secondo me è interessante!” Esclamò Leo entusiasta aprendo la portiera del furgoncino ed avviandosi verso il portabagagli per prendere i restanti tramezzini.
“Testa d’Alghe…” Commentò a voce bassa Annabeth seguendo Leo fuori dal furgoncino.
“Come mi hai chiamato?” Domandò Percy fingendo risentimento e riferendosi chiaramente alla domanda della ragazza di qualche minuto prima. Annabeth lo guardò sorridendo appena: “E comunque non sono alghe, sono Kla…” Iniziò di nuovo il ragazzo. L’espressione sul volto della bionda divenne annoiata in un momento, quindi si limitò a sbattere la portiera del furgone attutendo e poi annullando totalmente la voce del moro.
 
Ad intervalli regolari, un fascio di luce bianca illuminava la porzione di spiaggia su cui i ragazzi stavano mangiando i restanti tramezzini. Hazel si scostò appena dal suo ragazzo per girarsi indietro a guardare la fonte di quel fascio: “Qualcuno sa dirmi cosa sia?”
“Una discoteca, credo. Non ci sono mai stato di sera, qui; non l’avevo mai vista aperta.” Rivelò Percy seguendo lo sguardo della sua amica.
“Già, è anche piuttosto irritante, a mio parere.” Disse Annabeth alzandosi e dirigendosi verso il bosco dal quale erano arrivati. La bionda tornò indietro con qualche pezzo di legno, che depose al centro del cerchio che i ragazzi avevano formato sedendosi sulla sabbia: “Avanti, Leo: sei tu il piromane, qui.”
Leo alzò gli occhi e le braccia al cielo: “Ho appiccato un incendio solo una volta!” Si difese riferendosi alla festa di Halloween di Drew Tanaka.
“Ah si? Una sola volta? La mia cucina la pensa diversamente.”
“Oh no! Qui ti sbagli, Superman.” Ribatté Leo, sicuro: “Quella è stata colpa di Percy”
“Mia?” Domandò il moro: “Sei stato tu a mandare a fuoco una pentola impossibile da bruciare!”
“L’acqua bollente sulla mano è caduta per colpa tua.”
“Ragazzi, ma io dov’ero in tutto ciò?” Domandò Frank piuttosto confuso dai racconti dei suoi amici.
“Eri con tua nonna. Dovevi aiutarla al negozio.”
“Leo. Il fuoco.” Ricordò Annabeth gelando il messicano con lo sguardo. Leo si lasciò scappare una risata veloce e si alzò controvoglia prendendo un accendino dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni neri e mettendosi al lavoro.
Qualche minuto e parecchie imprecazioni dopo una fiammella insicura sgusciava fuori dai pezzi di legno sottili ma efficaci che Annabeth aveva trovato. Tra un morso di tramezzino e l’altro il tempo sembrò volare incurante su di loro, mentre il suono della risacca dava a tutti una sensazione di calma e tranquillità. Opinioni e battute su professori insopportabili, nonne troppo loquaci e ragazze che si davano decisamente troppe arie riempirono gli spazi vuoti tra una risata e l’altra. L’aria pulita che si respirava e la musica appena udibile dalla discoteca parecchi metri più avanti non facevano che rendere la situazione ancora più intima. A Leo sfuggì un impercettibile eppure vero sorriso. Non avrebbe mai immaginato di rivedere la bellezza in una macchina rotta senza sentire il bisogno di metterla a posto o di notare il calore in un luogo desolato e dimenticato da Dio. Non aveva assolutamente idea di quale sentimento fortissimo provasse per i sei ragazzi con cui stava condividendo quei momenti indimenticabili, ma gli sembrava impossibile che dopo soli quattro mesi dal suo arrivo a New York avesse già conosciuto delle persone fantastiche con cui condividere momenti del genere. Leo alzò lo sguardo verso il cielo. L’assenza di inquinamento luminoso aveva reso possibile vedere almeno un centinaio di stelle in più del normale. Gli venne in mente il Messico: lì poteva ammirare le stelle molto più spesso. Era un peccato che le cose avessero costretto lui e sua madre ad andarsene da lì, ma Leo non poteva fare a meno di pensare al fatto che esattamente quelle cose l’avevano portato su quella spiaggia, con quelle persone che non capiva assolutamente ed in nessun modo, come le altre milioni che aveva incontrato nella sua vita, ma che, al contrario, sembravano capirlo alla perfezione. Con un sospiro si alzò annunciando che avrebbe preso da bere e si avviò al furgoncino, aprendone la portiera. Si allungò verso il sedile posteriore cercando di non fare danni al furgone per raggiungere la busta bianca che cercava, quando il gomito cedette ed il ragazzo scivolò con un braccio sul cruscotto. Prima che potesse anche solo pensare ai possibili danni, il CD si azionò facendo partire Father and Son di Cat Stevens. Il testo lo pietrificò sul posto e gli occhi gli si gonfiarono inevitabilmente di lacrime. ‘All the times that I cried, keeping all the things I knew inside…’ Una sola lacrima solitaria si fece strada sulla guancia del ragazzo. Piper aprì il portello col viso ancora rivolto verso gli altri ridendo: “Leo, ma cosa stai facendo con… Ehi, che c'è?” Disse facendosi improvvisamente seria e prendendo posto accanto a lui richiudendo la portiera. Piper non aveva mai visto Leo in un modo che non fosse allegro o sereno. Il messicano, dal canto suo, fu sorpreso dalla dolcezza del tono di Piper, che era solita essere sarcastica e tagliente in pieno contrasto con i tratti dolci del suo viso.
“Oh… ehm, nulla.” Replicò Leo lasciandosi scappare una risatina imbarazzata e asciugandosi la guancia dalla lacrima che gli era sfuggita: “Sto benissimo. Mh, prendo le bottiglie e…”
“Aspetta, io… voglio aiutarti. T-tuo padre, insomma, hai avuto…” Iniziò Piper decisa a rendersi utile e ricordando il testo della canzone.
“È morto.” Sentenziò il ragazzo lanciando quella frase come una bomba in una piazza affollata. Aveva il tipico tono di chi cerca di ammettere verità dolorose fingendo di averle superate da molto: “So che ti dispiace,” Riprese un attimo prima che Piper iniziasse a parlare: “dite tutti così, ma non è colpa tua.”
“In realtà volevo chiederti se avessi lasciato il Messico per questo.” Rispose Piper con un mezzo sorriso che fece sorridere anche Leo, che la guardò stupito: “Mh, più o meno… No, in realtà no, è successo più di due anni fa, mia madre ha passato gli ultimi due anni a mettere da parte i soldi lavorando il doppio per trasferirci qui. La situazione, lì, era diventata…” Lo sguardo del messicano si perse nel vuoto per qualche secondo, come se davanti ai suoi occhi i ricordi stessero passando come le scene di un film: “insostenibile.” Concluse come se avesse finalmente trovato la parola adatta. Piper capì al volo che sotto doveva esserci qualcosa di più, ma se Leo non voleva parlarne lei non l’avrebbe certo costretto. Il ragazzo girò lo sguardo verso di lei, che sembrava persa nel racconto dell’amico. Era esattamente questo che voleva evitare con le persone: non voleva che lo vedessero triste, fragile; non voleva credessero che aveva bisogno di aiuto: “E tu, reginetta? La ricchezza ti è mai andata stretta?” Merda! Pensò il ragazzo nell’istante stesso in cui pronunciò l’ultima parola della frase che aveva appena detto. Voleva solo rendere di nuovo l’ambiente allegro in quell’abitacolo, non voleva offendere la sua amica. L’occhiata che Piper gli riservò non fece che preoccuparlo di più. “Se un padre assente ed una madre che ti vuole esattamente come lei non ti pesano non dovrebbe essere un problema.” Rispose la ragazza con un’alzata di spalle ed un mezzo sorriso.
“Scusa.” Si limitò a rispondere il ragazzo. Perché non poteva imparare ad usare anche solo un minimo del tatto che sembrava mancargli?
“Non preoccuparti. Comunque basta scappare dai commenti di mia madre sulle mie felpe poco femminili ed il gioco è fatto!” Commentò Piper ironica, che sembrava aver capito le difficoltà del suo amico nel capire le persone. Leo gliene fu immensamente grato: “Fa storie anche per una felpa?” Domandò Leo incredulo un po’ per diminuire la tensione, un po’ mosso dalla leggerezza che parlare di sè con qualcuno gli aveva fatto provare.
“E per molto meno. Non puoi capire l’imbarazzo che provo quando mi fa la ramanzina per le mutande che giudica troppo poco sexy. Non mi risparmia neanche il commento su un’eventuale vita sessuale.”
“Deve metterti a disagio.” Commentò il ragazzo.
“Infatti è così.” Rispose Piper riempiendo l’abitacolo della sua debole risata. Leo si girò verso di lei puntando i suoi occhi scurissimi in quelli della ragazza, che ricambiò lo sguardo con l’accenno di un sorriso dovuto alla confusione che quella situazione improvvisamente seria le stava procurando.
“Grazie.” Sussurrò il messicano. Piper allargò il suo sorriso e, prima che Leo potesse rendersi conto della situazione, si ritrovò le braccia della ragazza allacciate al collo, esortandolo a fare lo stesso. Leo ricambio l’abbraccio sciogliendolo appena i suoi occhi si posarono sulla busta bianca abbandonata sul sedile posteriore: “Ci sfondiamo?”
Piper annuì e, con un movimento agile e veloce, agguantò la busta e scese dal furgoncino con un balzo. Leo non poté fare altro che seguirla.
 
“Perché?” Domandò Jason sedendosi accanto a Percy, che fissava il mare fino al punto in cui la luce del fuoco che aveva alle spalle gli permetteva di distinguerlo dal cielo nero.
“Perché cosa?”
“Perché proprio qui?” Domandò Jason ancora, deciso ad avvicinarsi di più al ragazzo, a rendere la loro amicizia più sicura e non sempre a metà tra l’invidia e la simpatia.
“È importante.”
Jason non era sicuro se quello fosse un modo particolare per dire che portare delle persone in un posto importante le rendesse automaticamente altrettanto importanti, ma decise di non fare troppe domande per non rischiare che Percy smettesse di rispondere, così si limitò a respirare l’aria fresca della leggera brezza serale. Con grande sorpresa del biondo, fu Percy stesso a continuare: “Mio padre si occupava di queste Klamath e si batteva affinché venissero protette. Passavamo interi pomeriggi qui. È stato lui a farmi appassionare alla biologia marina.” Ci fu un solo attimo di silenzio prima che Percy iniziasse a ridere di gusto: “Si faceva chiamare Poseidone.” Jason gli fu grato per aver alleggerito l’aria con quella notizia: non sapeva mai come rispondere quando la situazione si faceva così tesa: “Poseidone? Come il dio?” Rise appena.
“Sì, era un grande… prima che abbandonasse me e mia madre.” Sentenziò atono lanciando un pugno di sabbia verso il mare: “E con Piper? Come va?” Si affrettò a cambiare discorso. La penultima cosa che voleva era la pietà. L’ultima era la pietà di Jason. Continuava a sentirsi irrimediabilmente inferiore al fascino ed alla sicurezza che mostrava il biondo.
“Oh bene, ieri abbiamo… Ehm, sai…” Jason sapeva che si sarebbe imbarazzato a parlarne. Avrebbe davvero voluto essere come Percy, che sembrava prendere le cose così come venivano, con leggerezza. Il moro lo guardò complimentandosi con lo sguardo e rifilandogli una gomitata nello stomaco amichevole, ma non per questo meno forte: “Ma non mi dire, avete fatto sesso?” Nonostante il buio Jason poté comunque intravedere un sorriso obliquo sul volto del suo amico.
“Non ancora ma… be’, sai…” Jason avrebbe voluto prendersi a calci per l’imbarazzo che stava dimostrando. Percy annuì come se la sapesse lunga: “Oooh, capisco. Com’è stato?”
Jason rise appena, guardandosi attorno per essere sicuro che Piper non fosse nei paraggi. Dietro di lui, però, c’erano solo Hazel e Frank che parlavano: “Bello, davvero.” Commentò.
Percy annuì appena, prima di rifilare al suo amico una pacca sulla spalla per raggiungere Annabeth, seduta a riscaldarsi vicino al fuoco: “Sei forte, amico.” Commentò congedandosi. Prima che Percy potesse allontanarsi del tutto, però, Jason lasciò scivolare nella tasca dell’amico un oggetto di piccole dimensioni. Il sorriso che Percy gli riservò sembrava dire qualcosa come: ‘ma dai, non lo crederai davvero’ e fu il turno di Jason di ribattere con un’espressione di uno che sembrava saperla lunga.
 
“Da qualche parte in Asia.” Disse Frank senza distogliere lo sguardo dal fuoco a qualche metro da lui. Hazel lo guardò accigliata: sembrava che il suo ragazzo stesse rispondendo ad una domanda che lei, però, non aveva fatto. Frank ricambiò il suo sguardo confuso con uno triste: “Non ne abbiamo mai parlato, no? O meglio, sono io che non ho mai voluto approfondire la faccenda. I miei genitori.” Spiegò in risposta alla confusione della sua ragazza: “Sono da qualche parte in Asia.”
Hazel sgranò gli occhi cercando di non mostrarsi troppo sorpresa dall’improvvisa apertura del ragazzo. Aveva provato a chiedergli una sola volta perché vivesse con la nonna, quando il loro rapporto si limitava ad una sofferta amicizia, ma Frank le era parso così disperato dalla semplice domanda, che Hazel capì che doveva essere qualcosa che lo faceva soffrire molto e che sarebbe stato disposto a rivelare solo al momento giusto. Finalmente quel momento era arrivato.
“Sono nell’esercito. Ogni tanto tornano. Succede raramente e per poco tempo, ma è per questo motivo che, in quei giorni, sono praticamente assente. Cerco…”
“Di aggrapparti ad ogni secondo.” Concluse Hazel, stringendosi un po’ di più a lui. Frank annuì.
“Vorrei riuscire a farti stare bene davvero.” Commentò la ragazza. Frank sentì il viso andare a fuoco. Quelle semplici parole fecero più effetto di qualunque smanceria schifosamente dolce che di solito le coppiette si scambiavano. Frank sentiva un legame più profondo ed intimo con Hazel; sapeva che forse dipendeva enormemente dall’atmosfera che la luce della fiamma ed il rumore della risacca del mare producevano, ma questo non cambiava il modo in cui si sentiva.
“Chissà cosa staranno tramando quei due.” Commentò Hazel, riferendosi a Jason e Percy, seduti di fronte a loro. La mente di Frank, però, vagava per altri mari e gli sembrò che tutto attorno sparisse quando trovò il coraggio per dire ciò che pensava davvero.
“Ti amo.” Sussurrò il ragazzo nell’orecchio di Hazel, prima che lei alzasse il viso per coinvolgerlo in un dolce bacio. Frank notò, con un pizzico d’insicurezza, che Hazel non aveva replicato.
 
“Benissimo, il momento delle confessioni è finito!” Gridò Piper staccando in malo modo Hazel e Frank: “Tutti attorno al fuoco!” Ordinò un attimo prima di sedersi sulla sabbia accanto ad Annabeth ed invitando gli altri ragazzi a fare lo stesso. Percy alzò gli occhi al cielo per un solo secondo, prima di regalare un sorriso ironicamente complice a Piper: un po’ di tempo da solo con Annabeth non gli sarebbe certo dispiaciuto e, dato che si era appena seduto accanto alla bionda, gli era sembrato quasi che il mondo remasse del tutto contro. Frank sembrò intercettare i suoi pensieri, perché gli rifilò una pacca sulla spalla mentre si sedeva accanto a lui invitando con un gesto Hazel a fare lo stesso. Jason li seguì e Leo, che sembrava felice come un bambino a Natale, non ci pensò due volte a fare lo stesso.
Mezz’ora e qualche bicchiere dopo, il silenzio notturno della spiaggia sembrava esser stato del tutto mandato al diavolo da sette ragazzi qualunque. Tra una chiacchiera e qualche risata nessuno era davvero ubriaco. L’alcol era servito solo a rendere le risate più facili e gli argomenti più scorrevoli.
“Ho preso qualcosa per voi…” Iniziò Percy con un sorriso sghembo: “Adesso potete giustificare il mio ritardo.” Il sussurro al quale la sua voce si era ridotta arrivò comunque limpido e chiaro alle orecchie di tutti mentre estraeva dalle tasche una bustina ripiegata più volte su se stessa.
“Cristo, Percy.” Disse Frank guardandosi attorno: conosceva le abitudini del suo amico e aveva già capito di cosa si trattava. A Percy sfuggì una risata: “Non c’è nessuno attorno, non verrai arrestato, tranquillo.” Disse scartando la bustina che aveva tra le mani. Annabeth si accigliò: “Davvero? Vuoi davvero farci fumare?” Domandò inarcando un sopracciglio.
Percy non rispose, ma si limitò a comporre la canna come meglio poteva nella semi-oscurità che il fuoco gli concedeva; poi l’accese e fece un tiro. L’aria attorno a lui si riempì di un odore che Annabeth conosceva, ma al quale non era mai stata troppo interessata. Percy ricambiò lo sguardo accusatore che sentiva su di sé aggrottando le sopracciglia: “Che c’è, Sapientona? Muori dalla voglia di provare?” Le chiese porgendole l’oggetto incriminato. Annabeth studiò la canna per qualche secondo, prima di prenderla tra le dita e fare un tiro. Una nuvola di fumo le si disegnò attorno mentre tossiva.
“È normale.” Si limitò a commentare Percy sorridendo. Annabeth porse disgustata la canna a Piper, che l’accettò con una scrollata di spalle sotto gli occhi attenti di Jason. Leo sembrò, invece, essere piuttosto soddisfatto della sua esperienza, perché non sembrava intenzionato a regalarla anche a Jason che, dopo un minuto che sembrò interminabile, provò con gli stessi risultati di Annabeth. Hazel, invece, decise di lasciar stare e passarla al suo ragazzo, che sembrò avere i risultati peggiori. Quando il cerchio si richiuse, a Percy non restò che qualche tiro.
“Penso proprio andrò a vedere quella discoteca. È arrivato il momento.” Annunciò sfiorandosi la tasca del jeans che indossava e puntando i suoi occhi in quelli azzurro elettrico di Jason. Sembrava un gesto qualunque, ma il biondo afferrò al volo il concetto e cercò di intavolare un discorso qualunque per attirare l’attenzione degli altri, cosa che non era del tutto sicuro di riuscire a fare.
“Bene, Leo, dato che hai bruciato la mia pentola potresti almeno degnarti di riempirmi il bicchiere.” Aveva optato per l’unica soluzione efficace: lasciare che quello più casinista del gruppo gli reggesse indirettamente il gioco.
“Ancora con questa storia? Non è colpa mia!”
“Oh, lo è eccome.”
“Ti assicuro di no!”
“Quello che mi chiedo è come tu abbia fatto a bruciare una pentola. È impossibile.”
“È perché non l’ho fatto!”
“Ti andrebbe di accompagnarmi?” Sussurrò Percy nell’orecchio di Annabeth. Non aveva usato un tono particolarmente convincente e l’odore d’erba non lo rendeva certo irresistibile. Ciononostante un brivido percorse inarrestabile la schiena della ragazza, che si ritrovò costretta ad annuire. Non che il teatrino di Jason e Leo fosse servito a qualcosa. Hazel li guardò alzarsi ed allontanarsi sorpresa, mentre Frank alzava gli occhi al cielo per la mancanza di fantasia e Piper inarcava un sopracciglio mente un sorrisetto si faceva strada sul suo viso. L’unico a non essersi accorto di nulla sembrò proprio Leo.
 
“Hai davvero preso una pallonata sul naso per colpa di Jason? Questo ti rovina il curriculum!” Scherzò Annabeth. La strada per la discoteca sembrava molta di meno, vista dal lato della spiaggia su cui avevano improvvisato quell’avventura.
“Sì, continuavo a sanguinare.”
“Immagino quell’imbarazzante voce nasale.” Rispose la bionda prendendolo in giro. Lui le riservò uno sguardo di sfida: “Io imbarazzante?” Domandò avvicinandosi al mare. La ragazza annuì sorridendo.
“Non quanto te adesso.” Sentenziò lanciandole addosso una Klamath e guardandola gridare dalla sorpresa.
“È viscida!” Commentò disgustata, mentre si scrollava la Klamath di dosso.
“È rara!” Ribatté Percy pronto a tutto pur di difendere il suo onore.
“Ma vaffan…” Iniziò la ragazza pronta a rifilargli un pugno. Percy, però, si scostò appena in tempo facendo sbilanciare Annabeth. Il moro l’afferrò al volo, prima che potesse cadere in acqua: “Ti ho presa.” Sussurrò.
Annabeth alzò gli occhi al cielo: “Cliché.” Commentò facendogli scivolare il piede d’appoggio e facendo cadere entrambi rovinosamente sulla sabbia dato che Percy, deciso a non mollare la presa, l’aveva trascinata giù con sé. Annabeth iniziò a ridere, mentre lo sguardo di Percy si faceva più serio: “Che c’è?” Domandò lei, l’ombra di un sorriso ancora sul suo viso. Il ragazzo, però, invece di rispondere alla domanda, incatenò le sue labbra a quelle della ragazza sistemandola meglio su di sé. Annabeth, dal canto suo, non oppose resistenza: era chiaro dove volesse arrivare con tutta la storia di Jason che parlava con lui davanti al mare e gli sguardi d’intesa prima che avesse improvvisamente la brillante idea di farsi un giro nella discoteca che non aveva mai visto fino ad allora e che probabilmente non avrebbe visto neanche quella sera. Quel bacio non aveva assolutamente nulla di dolce: il temperamento impaziente di Percy lo portava a non voler certo fare le cose con calma. Poi accadde tutto in un attimo, come se entrambi avessero sempre saputo cosa fare: Percy le alzò la maglietta fino alle costole prima che lei alzasse le braccia per aiutarlo a liberarsi di quell’indumento inutile e poi lo costrinse a fare lo stesso con la sua, mentre si strusciava appena sul cavallo dei pantaloni di lui, concentrato sul suo collo. Annabeth si fermò un attimo a guardarlo e notò distrattamente quanto fosse bello: la bocca semiaperta, gli occhi chiusi e le sopracciglia aggrottate dal piacere. Adorava il modo con cui le sue mani cercavano febbrilmente il gancetto del suo reggiseno facendole venire la pelle d’oca.
“Che aggeggio infernale è questo?” Domandò staccando appena le labbra dal suo collo. Il fiato caldo sulla sua pelle rischiava di farla impazzire.
“Be’, se non ti piace liberatene.” Disse Annabeth ridendo piano. Percy non se lo fece ripetere due volte e si concentrò sul gancetto. Dopo un paio di tentativi riuscì nel suo intento e lanciò il reggiseno della ragazza sulla sabbia per poi prendere a succhiare un suo capezzolo facendola gemere piano.
Annabeth portò le mani alla cintura di Percy slacciandola velocemente per poi abbassargli insieme jeans e biancheria e prendendo in mano qualcosa che gli apparteneva facendolo gemere di sollievo. I suoni che riusciva a strappargli non facevano che farle venir voglia di continuare a sentirlo gemere a causa sua.
“Okay, aspetta, ferma.” Iniziò Percy aprendo di scatto gli occhi ed inchiodandoli a quelli della ragazza: “Qui decido io.” Continuò con tono autoritario e, prima che Annabeth potesse rendersi conto di cosa stesse succedendo o trovare il tempo per protestare, si ritrovò schiacciata sotto il peso di Percy, che aveva già portato una mano alla zip dei suoi pantaloni. Il moro non perse tempo a finire di spogliarla ammirando il suo corpo nudo sotto di lui come se non avesse mai visto nulla di più bello. Si posizionò tra le sue gambe facendo scivolare un dito nella sua intimità e facendola fremere dal piacere. Percy non aveva idea del perché Jason avesse quel preservativo, né perché avesse pensato di darglielo, ma gli fu enormemente grato.
Il moro incatenò il suo sguardo a quello di Annabeth, quasi a chiederle il permesso, un misto di preoccupazione e desiderio nei suoi occhi, ma bastò che la bionda annuisse appena perché la preoccupazione svanisse via mentre la baciava. Percy si rese conto di come il suo nome, pronunciato da lei, in quel momento, fosse perfetto. Le preoccupazioni di Annabeth sulla fiducia che riponeva in Percy momentaneamente dimenticate.
Quello fu il loro momento perfetto.
 
Nessuno fece molto caso ai visi sconvolti dei due ragazzi di ritorno da quella che ufficialmente era “la visita alla discoteca”, ma che ufficiosamente era stata ben altro, anche se i capelli di Percy sparati in mille direzioni dovevano essere un chiaro segno. Il problema era che ai cinque ragazzi rimasti era dispiaciuto davvero tanto lasciare quelle bottiglie mezze piene e, all’assurda serata con alcolici assunti responsabilmente, bastò davvero poco per cambiare in assurda serata con alcolici presto volatilizzati. Per la prima volta Percy poteva dirsi il più sobrio del gruppo… era una sensazione nuova. Non che gli dispiacesse. Assolutamente. Aveva chiaramente avuto di meglio da fare.
“Va bene, smontiamo l’accampamento.” Scherzò il moro riprendendo dalle mani di Leo una bottiglia di sambuca quasi finita.
“Già, adesso che hai finito siamo tutti pronti!” Scherzò Leo biascicando ed alzando le braccia in aria.
“Esatto.” Ripose Percy aiutandolo ad alzarsi: “Ce la fai a camminare fino al furgoncino, si?” Domandò sicuro un attimo prima che Leo cadesse rovinosamente col viso sulla sabbia: “Immagino di no.” Constatò riprendendolo ed aiutandolo ad arrivare al furgoncino.
Una manciata di minuti e qualche sudata dopo erano tutti nel furgoncino.
“Percy, che fine ha fatto la storia del ‘non ho la patente, non posso guidare, soprattutto un furgone rubato’?” Domandò Piper, che si era seduta davanti dichiarando di non volersi sporcare gli abiti del probabile vomito che gli altri sembravano pronti ad espellere: “È andato a farsi fottere nel momento in cui avete pensato di sfondarvi.” Rispose Percy tenendo gli occhi sulla strada. Leo, intanto, sembrava il più esaltato dei sette e continuava a parlare a Frank di, più o meno, tutte le cose di cui non gli importava un accidente, vista la situazione mezzo-consapevole in cui riversava.
“P-Percy, accosta un attimo.” Disse Frank con voce stanca.
“Non posso, siamo sull’autostrada.” Commentò quasi sollevato: quello sterrato era diventato insopportabile.
“Sì, lo so, ma io…” Non ebbe il tempo di finire la frase, per fortuna il finestrino era aperto.
“PORCA TROIA, FRANK!” Gridò Leo in preda al panico: “La fiancata, cosa dico a mia madre, secondo te?”
“Cosa sta succedendo?” Domandò Hazel alzando appena la testa dal sediolino: le urla di Leo l’avevano svegliata.
“Frank sbratta dal finestrino.” Rispose Jason con un’alzata di spalle.
“Ah, okay.” Si limitò a replicare Hazel, tornando a rannicchiarsi sul sediolino.
Percy sospirò: sarebbe stato un lunghissimo viaggio.
 
“Grazie, amico.” Disse Leo dando una pacca sulla spalla a Percy e richiudendo l’officina. Pulire l’esterno del furgoncino era stato un gioco da ragazzi, ma la puzza all’interno non era ancora andata via del tutto.
“Grazie a te per aver trovato il mezzo di trasporto perfetto.” Rispose il moro salutando Leo con un cenno e dirigendosi verso casa, il sole che iniziava a fare capolino tra i palazzi inondando la città di una calda luce arancione.
 
Note di El: Eeeeed eccomi qui! In ritardo come al solito. Mi avete abbandonata, ma io non demordo!
Prima di tutto devo assolutamente dire che il titolo di questo capitolo, per quanto poco azzeccato, era inevitabile ed è un chiarissimo riferimento al mio amico G. Bene, adesso basta smancerie.
GIURO, BASTA ALCOL PER QUESTI POVERI RAGAZZI!
Il capitolo di oggi è mooolto più lungo del solito per due semplici motivi: il primo è che volevo farmi perdonare per i continui ritardi ed il secondo è che non potevo far durare questa gita per tre capitoli.
L’obiettivo principale era, chiaramente, far raccontare parte delle storie dei ragazzi. So benissimo che mancano quelle di Hazel, Annabeth e Jason, ma non potevo certo far passare le loro conversazioni per semplici scambi di storie. Su Hazel, poi, già sapete qualcosa e Jason ed Annabeth non hanno storie particolarmente drammatiche.
“Father and Son” è una delle canzoni più importanti e belle, per me, e doveva assolutamente fare la sua parte.
Annabeth e Percy… bricconcelli. Spero che la scena vi sia piaciuta, conoscete la mia totale incapacità. Da notare il fatto che cadono insieme… Coff coff, nessun riferimento…
Comuuuuuunque volevo la giusta dose si umorismo e dramma e spero di esserci riuscita. Nuovi indizi sullo spacciatore. E, ODDIO ASSURDO, nel prossimo capitolo ci saranno finalmente Nico e Will.
La scena tra Hazel e Frank, per quanto corta, sappiate che è molto importante, così come quella tra Jason e Percy. Che ne dite? Sono sulla giusta strada per essere amici o qualcosa andrà storto? Volevo, poi, che fosse chiaro quanto la loro amicizia sia diventata importante per tutti. Lentamente saprete i segreti e le storie di tutti.
Le alghe… (scusa, Percy, se le ho chiamate così) non avete idea di quanto ci abbia messo a trovarne di non molto comuni in America.
E nuuuuulla. Oh, mi raccomando, non mi abbandonate proprio adesso che ho in serbo tanta roba per voi. Per chi volesse lascio qui il link alla mia nuova raccolta di one-shots. Fateci un salto e fatemi sapere.
Alla prossima!
Adieu,
 
El.

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Capitolo 18
*** 18 - Racconti e regali di un Natale alle porte ***


RACCONTI E REGALI DI UN NATALE ALLE PORTE
 
Era da tempo che Nico non aveva incubi del genere. Erano anni che domava l’ansia come il migliore degli addestratori da circo, eppure questa qualche volta riusciva a sfuggire alla sua presa presentandosi ogni volta rafforzata dal periodo di quiescenza appena trascorso, come se avesse passato il suo tempo a ricaricarsi, pronta a colpire. I momenti in cui il panico prendeva posto nella sua calma piatta ed apatica erano pochi ma potenti e avvenivano quasi sempre di notte, attraverso i sogni. Disintossicarsi non era stato facile. Ogni volta che ci ripensava non poteva che maledire l’anima trapassata di suo padre. Se non fosse stato per Hazel, per quella ragazzina premurosa ed altruista che all’inizio si era trovato costretto ad avere tra i piedi, probabilmente, sarebbe stato ancora bloccato in quel circolo vizioso. Vedere la sua famiglia morire per mano di quell’uomo viscido che nemmeno conosceva era stato doloroso. Eppure riscoprire nei sogni quel momento, vederlo e rivederlo, senza preavviso, una notte come le altre, era quasi più stressante. Nel bel mezzo della notte, Nico si svegliò con un urlo in una pozza di sudore, il panico trionfante sulle altre emozioni, il respiro tremante: “Hazel…” Iniziò a chiamare alzandosi e dirigendosi, di corsa, in camera della sua sorellastra. I motivi per cui Hazel aveva un potere incredibilmente forte sulle sue crisi erano piuttosto semplici: vedere davanti a sé che almeno una delle sue sorelle stava bene gli faceva ricordare in un lampo che era stato solo un sogno a svegliarlo, facendolo tornare alla realtà con una velocità impressionante. In più la ragazza aveva sempre avuto un potere calmante su di lui. Nico spalancò la porta respirando a fatica e ciò che si trovò davanti lo pietrificò. Il letto era vuoto, perfettamente rifatto, i raggi lunari attraversavano la finestra riflettendosi sul tappeto ai piedi del letto di Hazel dando alla stanza una luce irreale. È con i suoi amici pensò ricordandosi improvvisamente i programmi della ragazza per la sera. Senza pensarci due volte tornò di corsa in camera sua agguantando il cellulare, non lasciandosi troppo infastidire dal getto di luce bianca che emanò in un attimo.
“Pronto, Nico, tutto bene? Sono le tre…” La voce impastata dal sonno di Will, dall’altro lato del telefono, bastò a convincere Nico a fare una serie di respiri profondi. Il moro puntò gli occhi sul soffitto, cercando di ritrovare la calma.
“Ehi, Nico, ci sei?” Domandò Will, la voce improvvisamente più attenta.
“Will…” Iniziò il moro con un sussurro: “Ti prego, puoi passare qui?”
Will non ci aveva messo molto ad arrivare. La curiosità e la preoccupazione l’avevano portato a vestirsi in meno di un minuto. Quando Nico gli aprì la porta di casa, fu sicuro che fosse successo qualcosa. Le occhiaie del ragazzo erano ancora più marcate del solito e la sua pelle bianca sembrava più pallida. Gli occhi rassegnati e spaventati insieme di Nico non gli dicevano nulla di buono. Il moro lo lasciò entrare senza dire una parola, si limitò a richiudere la porta dopo avergli fatto cenno di entrare: “Scusa se ti ho chiamato. Avrei dovuto aspettare. Sto molto meglio.” Disse dopo un po’: “Vuoi qualcosa?” Domandò come se non fossero state le 3:15 del mattino e Will fosse piombato all’improvviso a disturbare: “Un po’ d’acqua.” Rispose il biondo seguendolo in cucina e guardandolo versare l’acqua nel bicchiere. Il moro alzò gli occhi su di lui con uno sguardo interrogativo.
“Stai male?” Azzardò Will. Sapeva che Nico non voleva che gli chiedesse qualcosa su di lui. Tra loro non ci doveva essere un rapporto del genere. Nico aveva messo le cose in chiaro molto tempo prima. Eppure Will non poté fare a meno di pensare che se il moro l’aveva chiamato nel bel mezzo della notte, un motivo ci doveva essere stato. Nico lo guardò come pronto ad ucciderlo, poi il suo sguardo si addolcì, lasciando posto alla tristezza: “Sì.” Ammise con lo sguardo basso.
“Be’, qualunque cosa sia posso aiutarti. Studio per questo.” Rispose un attimo dopo Will. Nico si stava aprendo e la paura che il moro decidesse all’improvviso di smettere di rivelargli qualcosa su di lui lo stava divorando. Nico rise piano nel silenzio notturno della stanza: “Cristo, Will, sei un idiota. Non… insomma non sto male fisicamente. Non ho bisogno di un dottore.”
“Oh.” Si limitò a rispondere il biondo. La situazione si complicava. Le emozioni non erano un campo che conosceva bene. La medicina, per quanto continua ricerca, era una scienza. Le cose erano o bianche o nere. I fatti erano fatti, mai opinioni. Le infinite sfumature delle emozioni umane lo mettevano a disagio.
“Ti va… uhm… ti va di vedere un film?” UN FILM? Nico di Angelo lo aveva chiamato in preda al panico alle tre del mattino facendolo correre da lui per poi chiedergli di vedere un film sul suo divano?
“Va bene.” Accettò il biondo come se la sua risposta fosse stata perfettamente ordinaria.
“Nico… Vuoi dirmi che c’è?” Domandò Will più o meno dopo mezz’ora che la commedia stupida che il moro aveva scelto era iniziata. Nico alzò la testa dal suo petto per incatenare i loro sguardi, poi tornò a guardare lo schermo, come se Will non avesse parlato. Quando il biondo ebbe ormai smesso di sperare in una risposta fu sorpreso, per l’ennesima volta, quella notte.
“Mia madre e mia sorella sono morte quando avevo cinque anni. È così che ho scoperto che mio padre giocava d’azzardo. Quel viscido sconosciuto è entrato in casa, una notte, e le ha uccise, mentre papà non c'era. Non ho la più pallida idea di chi sia. Non l’ho mai saputo. Probabilmente mio padre aveva troppi debiti. Sono corso a nascondermi e non mi ha visto. Non le ho salvate.”
Una sensazione opprimente si diffuse improvvisamente nei suoi polmoni, impedendogli di respirare regolarmente. Nico sembrò notarlo, perché alzò di nuovo gli occhi su di lui. Will vide solo dolore e senso di colpa in quello sguardo: “Non è…” Iniziò. Non poteva sopportare la voce rotta del ragazzo.
“Non è colpa mia? Me l’hanno detto tutti.” L’interruppe Nico con una risata amara.
“Da quel giorno mio padre ha iniziato a bera. Incredibile quante dipendenze possa avere un uomo infelice. Ogni tanto partiva e stava via per mesi. Forse voleva solo allontanarsi da me, non mi sorprenderebbe. Non è più tornato da uno dei suoi viaggi. È morto di overdose. Ero di nuovo solo, per quanto l’odiassi mi mancava. Ho iniziato a giocare anch’io. Era un’ossessione.” Will sgranò gli occhi. Non l’avrebbe mai detto.
“Un giorno si presentò una ragazza dai capelli ricci e la carnagione scura. Diceva di essere la mia sorellastra. Mio padre, a quanto pare, girava solo per mettere incinte donne a caso. La odiavo. Metteva bocca nella mia vita e nelle mie scelte ed io non la volevo nemmeno tra i piedi. È stata la mia salvezza.” Nico non sembrò dire altro. La storia, a quanto pare, era finita e Will sentiva l’aria nei polmoni abbandonarlo ad ogni parola di Nico. Si addormentarono così, una sola lacrima solitaria che solcava la guancia di del moro.

La scuola era in subbuglio. Ragazzi che ripetevano ansiosi nei bagni della scuola prima delle temutissime presentazioni di progetti di fine trimestre, urla di gioia per l’ultima risposta dell’ultimo compito dell’anno ormai data. Si respirava aria di festa ed un forte profumo di Natale si diffondeva come un’epidemia tra i corridoi affollati. Ecco, a dire il vero Hazel non sapeva esattamente a cosa corrispondesse l’odore natalizio, ma era risaputo che esisteva eccome. Nonostante l’atmosfera piacevole che c’era in giro, Hazel era allegra per ben altre ragioni. Quando era tornata la sera prima a casa aveva trovato Nico e quello che doveva essere Will abbracciati a dormire sul loro divano. Non aveva idea del perché il biondo fosse lì, ma se la cosa aveva anche solo un minimo a che fare con gli incubi e gli attacchi di panico di Nico, be’, la ragazza non poteva che approvare il ragazzo. Certo, vedere Will svegliarsi e sgranare gli occhi non aspettandosi di trovarla a bere una tazza di latte, poggiata con la schiena sul top della cucina, era stato piuttosto imbarazzante: “Ciao, sono Hazel.” Aveva detto lei cercando di mascherare l’imbarazzo e l’entusiasmo. Doveva ammettere che Will era proprio un bel ragazzo e l’aria sconvolta dei suoi capelli lo rendevano particolarmente carino. Lui aveva sorriso a disagio: “Io… ehm, sono Will… Sono il… mh, il ragazzo di Nico, non so se ti ha mai parlato di me.” Disse indicando il moro addormentato sul divano: “Oh, sì! So di te.” Hazel aveva letto negli occhi del ragazzo quanto il fatto che Nico le avesse parlato di lui l’aveva sorpreso. Capiva benissimo perché. Nico era sempre stato parecchio riservato. Hazel si diresse verso il suo armadietto zigzagando tra un centinaio di studenti su di giri, aprì l’anta e cercò il suo libro di storia. Sebbene non fosse così inquieta come i suoi compagni di scuola, anche Hazel sentiva l’aria natalizia farsi spazio nella sua testa lasciandole ben poco spazio per pensare alla storia. Mentre controllava che tutti gli appunti presi nel corso del trimestre fossero al loro posto nel libro, la ragazza sentì qualcuno picchiettare sulla sua spalla. Quando si girò Frank le sorrise particolarmente imbarazzato, facendole aggrottare la fronte non appena le guance del ragazzo si imporporarono appena: “Ciao, Frank.” Salutò lei alzandosi sulle punte per lasciargli un leggero bacio sulle labbra. Frank ricambio con trasporto abbracciandola: “Io… mh, ti va se oggi pomeriggio vengo da te?”
“Certo!” Rispose la ragazza sorridendo, non capendo il motivo di tanto imbarazzo.
“Be’, allora a dopo.”
“A dopo!” Salutò Hazel, scuotendo la testa con una risatina, mentre il suo ragazzo si allontanava. Si girò per chiudere l’armadietto ed avviarsi nella sua classe quando gli occhi le si posarono su un pacchetto piccolo e colorato che era sicura non fosse stato lì, qualche minuto prima. Su di esso poggiava un biglietto decisamente troppo piccolo per la quantità di parole scritte. Sarei arrossito da matti se te l’avessi dato di persona… E poi così era più romantico! Hazel sorrise appena per poi scartare il pacchetto curiosa. All’interno c’era un ciondolo che replicava la forma di un fiocco di neve al cui centro era incastonato un piccolissimo eppure brillante rubino rosso. Frank doveva aver lasciato cadere il pacchetto nel suo armadietto di proposito quando l’aveva abbracciata. Hazel sorrise mentre un calore rassicurante si diffondeva nel suo petto. Quel pomeriggio gli avrebbe dato l’enorme orso di peluche che gli aveva regalato. Era senza dubbio una sciocchezza in confronto al regalo che il ragazzo aveva pensato per lei e non poté che chiedersi se non avesse sbagliato nell’optare per qualcosa di dolce e scherzoso.
Con un sorriso ancora più smagliante di prima ed una nuova catenina dal ciondolo particolare Hazel si diresse verso la sua classe di storia.
 
Percy, quel giorno, a differenza degli altri, sembrava piuttosto di cattivo umore mentre si avviava pigramente verso il suo armadietto, accanto al quale ci trovò un Frank più impacciato del solito: “Ehilà, come mai così ansioso?” Domandò il corvino con il solito sorriso ironico, mentre cercava di incrociare gli occhi del suo amico.
“Ho dato la collana a Hazel.”
“E…? Non le è piaciuta?” Indagò ancora Percy, questa volta più preoccupato.
“Non ne ho idea. Gliel’ho lasciata nell’armadietto senza che se ne rendesse conto.” Rispose Frank chiudendo l’anta del suo armadietto e poggiandovisi con la schiena: “Sono un coglione.” Esalò in un sussurro.
“Aaaaaw, che romantico!” Gridò Percy con un tono sarcasticamente acuto, che gli fece guadagnare un pugno nello stomaco dal suo amico: “Okay, okay,” Continuò il moro massaggiandosi la pancia, ma non resistendo a lasciarsi andare ad una sonora risata: “le sarà sicuramente piaciuta.”
“Hai regalato qualcosa ad Annabeth?” Domandò Frank tanto per cambiare discorso, mentre si dirigevano verso le loro classi.
“Mh, no. Avrei dovuto?” Il corvino sembrava genuinamente curioso.
“Dio, Percy. Io sarò schifosamente romantico, ma tu sei un disastro!”

Jason era, se possibile, il più impaziente di tutti, a scuola. Le vacanze natalizie gli avrebbero tolto via tutto lo stress che il progetto di geografia gli stava procurando. Erano giorni che lavorava alla presentazione che il professore aveva malignamente fissato per l’ultimo giorno di scuola e se, da un lato, la paura di non aver fatto un buon lavoro lo stesse divorando, la voglia di metterci finalmente una pietra sopra e non pensarci più era di gran lunga più forte. Le sue ultime sere le aveva passate a studiare, fare ricerche e scrivere velocemente ogni più minima notizia importante. Due sere prima Leo aveva pensato di passare per fargli una sorpresa e distrarlo un po’. Inutile dire che, paranoico com’era Jason, il messicano non era riuscito in nessun modo a convincerlo a staccare anche solo per cinque minuti e aveva finito per stravaccarsi sul suo letto a giocare alla playstation. Per fortuna, però, era talmente sicuro di sé, dopo quell’ultima sera, che, la sera dopo, aveva acconsentito senza troppi problemi al folle piano di Percy.
Finalmente il momento era arrivato. Jason sistemò la presentazione in Power Point sulla lavagna interattiva della sua classe di geografia e rilesse velocemente i suoi appunti. Dieci minuti dopo parlava ancora spedito e sicuro di sè al professore ed alla classe elencando i climi più frequenti nelle zone più disparate del globo.
“Le foreste pluviali si trovano, in genere, all’equatore.” Continuò Jason sicuro: “Da sola, la celebre foresta Amazzonica ricopre più della metà dell’intera estensione di foreste pluviali mondiali. Eccone una foto.” Ma, purtroppo per il biondo, al posto della bellissima immagine in HD che aveva faticato per trovare, comparve una slide che non aveva mai visto dallo sfondo nero ed una scritta in bianco che recitava: ‘Ciao, sono Leo e potrei essere nudo.’
Jason sussultò mentre l’intera classe scoppiava a ridere. Nonostante il breve momento di sorpresa il biondo dissimulò cambiando pagina e continuando la sua presentazione decidendo che, quella volta, Leo non ne sarebbe uscito intero.
 
“Grazie, bello.” Disse Percy, a voce bassa.
“Figurati. Solo, mi cogli di sorpresa. Credevo andassi sempre dallo stesso.” Disse Luke, aggrottando le sopracciglia.
“Sì, be’, dopo tutto quello che mi ha fatto credo sia arrivato il momento di allontanarmene.” Dichiarò Percy con un’alzata di spalle, come a dire che per lui il discorso era finito e che non c’era più molto da dire sulla faccenda. Luke annuì, come uno che sembrava saperla lunga sugli spacciatori: “E come mai fumi ancora? Non hai trovato nuovi amici con cui stare bene?” Il biondo non aveva risentimento nella voce, sapeva benissimo che quando Percy si era allontanato dal suo gruppo di amici era stato a causa di altre persone che non avevano nulla a che fare con lui.
“Continua a rilassarmi.”
“Ci vai piano?”
“Sì, mamma, come avrei potuto esagerare con i prezzi di prima?” Domandò ironico, ma, mentre Luke gli passava con disinvoltura una bustina di plastica nelle mani, la figura riccia che veniva verso di loro fece sparire ogni traccia di sorriso sul viso di Percy.
“Perchè lei è qui?” Domandò infatti agguantando la bustina in un lampo e nascondendola agli occhi verde brillante della nuova arrivata.
“Tranquillo, Rachel è a posto.” Lo rassicurò Luke, ma Percy non le risparmiò comunque un’occhiataccia.
“Ciao, Percy!” Salutò lei. Il ragazzo non seppe se non aveva semplicemente notato il suo sguardo che sembrava urlare un infinito ‘VIA DI QUI’, o se era stata semplicemente bravissima nell’ignorarlo: “Non ti vedo da un po’ al mio corso di pittura. Mi dispiace molto, avevi talento da vendere.” Disse sognante, avvicinandosi un po’ troppo, per i gusti di Percy. Evidentemente, però, non era stato solo Percy a notare quanto la ragazza avesse invaso il suo spazio vitale, dal momento che Luke si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito al quale il moro rispose con una nuova occhiata annoiata: “Avrò messo mano su un pennello, al massimo. Non hai neanche avuto il tempo di scoprire il mio incredibile talento.” Replicò sarcastico il corvino.
“Non è un problema. Ti aiuto io, so maneggiare i pennelli alla perfezione.” Rispose la rossa con sguardo chiaramente malizioso facendo aderire, ormai totalmente, il suo petto al corpo tonico di Percy, mentre Luke, dal canto suo, faceva di tutto per contenere le risate.
“Va bene!” Esclamò Percy staccandosi Rachel di dosso. Ne aveva avuto abbastanza: “Grazie, Luke, ci vediamo in giro.” Gli disse lasciandogli dieci dollari in mano e assestandogli una veloce pacca sulla spalla: “Qualche sera dobbiamo organizzarci per uscire!” Gli urlò dietro il biondo. Percy rispose alzando un pollice in aria senza girarsi a guardarlo.
Rachel sospirò appoggiandosi con la schiena al muro: “Chiaramente è cotto di me, ma l’imbarazzo lo limita troppo.” Luke non seppe dire se fosse stata abilmente ironica o totalmente cieca.
 
“E allora, tornato a casa, ho capito di aver perso il cellulare. Insomma non era da nessuna parte. Totalmente sparito.”
“Era nella tasca dei jeans, vero?” Domandò Piper divertita e totalmente presa da quella che si prospettava essere un’esilarante storia.
“Piper, ma che ti salta in testa? Era chiaramente in quell’orrendo e ridicolo passamontagna.” Scherzò Hazel.
“Senza ombra di dubbio.” Acconsentì Piper, stando al gioco. Annabeth si lasciò scappare una risata: “Fatelo continuare.”
“Adesso, casa mia ha questo corridoio dal quale partono tutte le stanze e mia zia mi stava chiamando perché è totalmente fuori di testa con questa storia che siamo…” Leo si gelò. Dopo la serata precedente Piper sapeva qualcosa della storia di Leo e dei motivi per cui era a New York, quindi ci mise qualche secondo a capire che il ragazzo doveva aver rivelato distrattamente qualcosa di doloroso: “Sì, okay, non ci importa del perché tua zia chiamasse, arriva al punto.” Disse Piper cercando di mettere a posto la situazione. Era ormai chiaro a tutti che sotto c’era qualcosa di più grande, ma nessuno si azzardò ad approfondire la questione e Leo ne fu grato: “Be’ sì, praticamente mi convinco che rispondere al telefono sia una questione di vita o di morte e corro per tutto il corridoio per rispondere, quando…”
“Non dirmi che sei caduto.” Si inserì Frank poggiando il suo vassoio sul tavolo della mensa.
“Eccome.” Esclamò Leo alzandosi la maglietta per scoprire il livido enorme che aveva sulle costole come fosse un trofeo. Hazel sussultò appena per la sorpresa per poi guardarsi attorno preoccupata. Per fortuna erano stati tutti troppo concentrati sulla ferita di guerra di Leo per accorgersene. Tutti tranne Annabeth, che la guardò capendo in un lampo. Hazel non seppe spiegare perché, ma lo sguardo della bionda la fece sentire giudicata. Sapeva che non c’era la minima traccia di giudizio nello sguardo dell’amica, ma non potè fare a meno di vergognarsi un po’.
“Tua madre ha detto qualcosa sul furgoncino?” Domandò quindi Hazel per non pensare a quanto era appena successo.
“Be’, ecco…”
“Non ci credo.” Disse Piper portandosi le mani alla bocca.
“Prima mi sono ritrovato sette chiamate perse da lei. Quando l’ho richiamata mi ha chiesto perché l’interno del furgoncino puzzasse di vomito, perché ci fosse un tramezzino schiacciato sul sedile posteriore e perché la fiancata sinistra fosse esageratamente lucidata in confronto al resto dell’esterno.”
“E tu?” Domandò Annabeth, che aveva ormai abbandonato lo sguardo ironico che aveva stampato in viso da quando Leo aveva iniziato a parlare per unirsi agli altri nelle risate.
“Io le ho chiesto che strane abitudini avesse l’uomo che gliel’ha portato. Lei mi ha fatto notare che lo straccio sporco con cui ho pulito l’esterno avrei potuto anche buttarlo, evitando di lasciarlo sulla scrivania.” Rispose Leo sorridendo e fissando Frank, che aveva sporcato la fiancata del furgoncino, la notte precedente. Il ragazzo si limitò ad uno sguardo colpevole, che smorzò un po’ il suo entusiasmo: “Tranquillo, amico. Mia madre è abituata a queste cose.” Disse assestandogli una pacca sulla spalla e risollevandogli l’umore: “Certo, non ti caccerei di certo se venissi a ripulire la mia stanza dagli odori letteralmente nauseabondi che il tuo…”
“Leo!” Lo richiamò Piper: “Stiamo pur sempre pranzando.” Aggiunse la ragazza accavallando le gambe con aria da finta altezzosa, cosa che fece ridere ancora una volta tutti.
“Cosa sta succedendo? Perché ridiamo?” Domandò Percy sedendosi al tavolo in elegante ritardo.
“Leo ci stava raccontando di sua madre e delle strane domande che gli ha fatto riguardo il furgoncino di ieri.” Rispose Annabeth, sorridendo internamente alla vista del ragazzo. Percy sgranò gli occhi.
“Spero non decida di farti il culo appena torni a casa.”
Leo stava per rispondere qualcosa riguardante il fatto che ne sarebbe abilmente uscito indenne, quando una nuova voce si unì al discorso.
“Non penso ci arriverà vivo a casa.” Disse Jason dando uno scappellotto al suo migliore amico, che si ritrasse dolorante: “Ti ucciderò io prima.” Continuò sedendosi.
“Com’è andata la presentazione di geografia?” Domandò Piper interessata. Jason sorrise appena, prima di concedere una veloce occhiata a Leo, che sgranò gli occhi spaventato, realizzando finalmente cosa intendesse Jason.
“Tu che dici, Leo, com’è andata la mia presentazione?”
“Io credo che…” Iniziò sorridendo appena, per poi guardare il modo con cui lo guardava il suo migliore amico: “Be’, dev’essere stata senza dubbio…” Jason inarcò un sopracciglio: “Interessante.” Concluse Leo con un’alzata di spalle. Gli altri ragazzi guardavano lo scambio di sguardi tra i due con un principio di sorriso.
“Oh, puoi dirlo forte.” Disse annuendo, prima di lanciare uno sguardo agli altri commensali: “Oh, Leo ha pensato bene di aggiungere una nuova ed interessantissima slide al mio progetto che recitava, cito testualmente, ‘Ciao, sono Leo e potrei essere nudo’.”
Sul tavolo scese un silenzio tombale. Il primo a romperlo fu Percy, che alzò una mano in aria, in direzione di Leo: “Sei stato un grande. Batti il cinque.” Da lì, le prime risate timide e via via più sguaiate, non tardarono ad arrivare. Jason si lasciò sfuggire un sorriso, mentre scuoteva la testa rassegnato alle follie del suo migliore amico: “Ho avuto una A, comunque.” Disse prima che tutti iniziassero ad urlare qualcosa riguardante il fatto che aveva fatto di una stupidaggine una questione di stato.
 
L’ultimo estenuante giorno di scuola era ormai finito e Hazel era felice di poter tornare a casa, quando si sentì afferrare per una spalla. Si aspettava che a raggiungerla fosse stato Frank, ma, con sua sorpresa, quando si girò, si ritrovò davanti un Leo, a giudicare dall’espressione, piuttosto imbarazzato.
“Io… mh,” Iniziò a disagio il messicano: “quando sono venuto a casa tua ho notato che avevi molti libri. Ho pensato ti piacesse leggere, quindi, so che è una cosa davvero davvero davvero davvero, insomma molto stupida, ma, visto che sei stata così gentile da aiutarmi in storia, ho pensato di darti questo.” Disse Leo tutto d’un fiato tirando fuori dalla tasca posteriore dei suoi jeans un segnalibro rigido con la faccia di Thomas Jefferson stampata.
Hazel sorrise prendendo il segnalibro e rigirandoselo tra le mani.
“Buon Natale.” Disse Leo sorridendo.
“Io non ti ho preso niente, mi dispiace, non credevo che ci saremmo fatti dei regali…”
“Oh, non preoccuparti.” L’interruppe lui: “Non è niente di speciale e poi non l’ho fatto perché volevo qualcosa in cambio, davvero.”
Entrambi si fissarono sorridendo per un tempo che a Leo sembrò infinito, poi si riscosse guardandosi intorno: “Be’, io vado, okay? A presto.” Disse prima di girarsi per incamminarsi verso casa, ma Hazel lo bloccò prima ancora che potesse muovere un passo: “Aspetta. Io… Grazie, Leo.” Disse coinvolgendolo in un abbraccio velocissimo che li lasciò imbarazzati. “Be’, sì… Ciao.” Salutò Leo riuscendo finalmente a scappare.
 
“Queste son davvero liete novelle!” Gridò Hazel lasciando lo zaino e la giacca all’ingresso di casa sua.
“Che cosa?” Domandò Nico strillando a sua volta dalla cucina. Hazel corse saltellando verso di lui, prima di ricominciare a parlare: “No, dico che sono felice per te.” Si limitò a dire appoggiandosi con i gomiti al tavolo della cucina e puntando gli occhi sulla schiena di Nico che cucinava.
“Che vuoi dire?” Domandò lui girandosi a guardarla.
“Intendo…” Iniziò Hazel andando verso di lui per guardarlo meglio: “Che stamattina ho conosciuto Will e mi ha detto l’assurda novità.”
“Be’ dev’essere davvero una gran bella novità se siete solo in due a conoscerla.” Ammise il moro arrossendo lievemente in zona orecchie: parlare di Will con la piccola Hazel lo metteva ancora un po’ in imbarazzo.
“Dai, non far finta che non lo sappia.”
“Giuro che non so di che parli.”
“Mi ha detto che state insieme.” Dichiarò Hazel alzando gli occhi al cielo. La reazione sconvolta di Nico, però, le fece riportare subito gli occhi su di lui. Se avesse avuto dell’acqua in bocca, la ragazza era sicura l’avrebbe sputata dalla sorpresa.
“Che cosa ha detto?” Domandò inquisitorio, la rabbia a lampeggiargli gli occhi.
“Non dovevo dirlo? Mi si è presentato come il tuo ragazzo.”
“Io quello lo uccido.” Sentenziò Nico lasciando la cucina e la cena a cuocere e sbattendo forte la porta della sua stanza.
“Ma allora è vero?” Gridò la ragazza guardando istintivamente verso il soffitto. Tutto ciò che ottenne come risposta, però, fu un verso frustrato che suonava solo lontanamente come ‘Will’.
 
Note di El: Eh, lo so. Due mesi. Sono passati due mesi. Mi dispiace enormemente, ma, sarò sincera, appena aprivo Word mi rendevo conto che non sapevo assolutamente che scrivere. Sia chiaro: so come finirà la storia e so che vicende devono ancora accadere, ho una sorta di scaletta (Che poi puntualmente non rispetto o che finisco per allargare divagando spaventosamente. Ma questa è un’altra storia), ma non riuscivo a darle vita.
ADESSO SONO QUI, quindi direi di non concentrarci su ciò che è passato e di parlare del presente (paraculaggio riuscito malissimo).
Allora
Abbiamo qualche dettaglio sulla storia di Nico (Io boh, dissemino dettagli, ma poi quando la racconto la storia intera? Boh, una delle incognite della vita.) e poi c’è Will. Come avrete intuito il legame nuovo che c’è tra i due è mooolto importante.
Hazel e Frank dovevano essere il momento fluffoso del capitolo. Momento chiaramente riuscito male perché io ed il fluff siamo distanti anni luce, ma vabbè, passiamo avanti.
JASON. Allora, questo capitolo doveva essere leggerissimo tralasciando Nico perché sì, perché finirete per odiarmi più avanti e quindi godiamoci questi momenti cretini che partorisce la mia mente malata. Ecco, parlando della mia mente malata sappiate che questo capitolo è un omaggio. La storia del ‘Ciao sono Leo e potrei essere nudo’ è veramente accaduta tra due miei amici, così come quella della caduta da ubriachi in cerca del telefono (il mio amico S. fa questo ogni volta, MA COME SONO FINITA A PARLARE DEI FATTI MIEI?)
Attenti a Percy, la scena stupida di oggi è da ricordare bene.
Leo è l’imbarazzo fatto messicano. Ho adorato scrivere quella scena. Sapevo esattamente dove mettere le mani e, per quanto riguarda la scena finale… Be’, è Nico. E nulla questo capitolo inizia con la Solangelo e finisce con la Solangelo. Mi avete perdonata almeno un po’?
Grazie davvero di cuore a tutti quelli che continuano a seguire questa storia nonostante i miei ritardi e la mia mente bacata. Grazie come al solito alla mia commentatrice numero 1 _Viola02­_, giuro che se ti trovo qui sclero, perché non aggiorno davvero da troppo.
Cercherò di esserci quanto primaaaaaa (non passeranno due mesi, è stato un caso, amici, dai)
Adieu,
 
El.

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Capitolo 19
*** 19 - Idee sessiste e stupide ***


IDEE SESSISTE E STUPIDE
 
“Devo davvero mettere la camicia?” Domandò Percy, cercando di intenerire sua madre con i suoi tipici occhi da cucciolo bastonato. Sally Jackson, però, non abboccò alla trappola di suo figlio. Non quella volta. Gli arruffò per bene i capelli corvini e girò sui tacchi, diretta alla cucina: “Sì, se non vuoi farmi fare una figuraccia. E tu non vuoi rovinare una serata tanto importante per tua madre, mi sbaglio?” Percy alzò gli occhi al cielo: “Non mi permetterei mai,” iniziò il moro sorridendo ironico: “ma non trovi che il codice che ti costringe a mettere, durante una cena in casa, una camicia ed un pantalone eleganti non siano altro che costrizioni sociali?” Domandò Percy appoggiandosi con i gomiti al top della cucina. Sally emise uno sbuffo, mentre controllava che l’aragosta cuocesse senza problemi: “No, davvero. Questo Paul non penserà certo che quando giro per casa metta la camicia.” Sally sorrise, dirigendosi verso la stanza di suo figlio: “Perché non resti in mutande, allora?”
“Ottima idea.” Disse Percy ridendo a sua volta.
“Dio, Percy, metti a posto la tua stanza. Sembra che qui sia scoppiata una bomba.” Sentenziò Sally prendendo una camicia dall’armadio del ragazzo e tirandogliela addosso. Percy rise sonoramente. Qualche secondo dopo il campanello trillò spegnendo ogni possibilità da parte del moro di replicare.
“METTILA. ADESSO. PERCY.” Sally Jackson corse alla porta mentre fissava il figlio armeggiare con la sua camicia con uno sguardo tutt’altro che dolce. Quando il campanello trillò di nuovo Percy stava ancora cercando di aprire gli ultimi bottoni per infilare quell’aggeggio infernale. Al terzo trillo, Sally alzò gli occhi al cielo e si preparò per aprire la porta, quando un pensiero le sfiorò la mente, congelanola sul posto; come aveva fatto a dimenticarsi di avvertirlo? Sarebbe stata più dura del previsto. “Percy?” Chiamò girandosi lentamente.
“Sì, ho capito, ci sto provando, dammi un momento.” Rispose il corvino senza alzare gli occhi dalla sua camicia.
“No, intendevo… Non dare di matto, okay?”
“Come sarebbe a dire? Che significa, ma…” Ma Percy non ebbe mai il tempo di finire quella frase, perché un attimo dopo si ritrovò seminudo, alla porta di casa sua (perchè non aveva pensato di andare in bagno, invece che rimare lì impalato?), davanti a Paul Blofis, il professore di inglese dei suoi amici.
“Cazzo… Cioè, voglio dire…” Paul alzò un sopracciglio, vagamente divertito: “accidentaccio… Io… Lei cosa ci fa, qui, professor Blofis? Abbiamo gente a cena.” Continuò Percy, deciso più che mai a mettere quella dannata camicia.
“Immagino di essere la tua gente, Percy.” La cosa non gli piaceva. Si prospettava una serata… particolare.
Qualche minuto e pezzo di aragosta dopo, l’argomento ‘scuola’ uscì fuori inevitabilmente.
“È assurdo che io e Paul ci siamo conosciuti solo quest’anno e nel mio negozio, non è vero? Voglio dire, sono venuta a scuola infinite volte.” Disse Sally non notando per niente la reazione di puro imbarazzo che aveva scatenato quella frase in suo figlio.
“Sì, conosco Percy. Lo trovo spesso fuori la mia classe, ad aspettare…” Il moro lo fulminò con lo sguardo. Sapeva benissimo che avrebbe iniziato a parlare di Annabeth. Non che non volesse che sua madre sapesse di lei, è solo che se avessero iniziato a parlarne come fosse la sua fidanzata avrebbero reso la cosa veramente seria e lui non era sicuro che le cose stessero proprio così: “i suoi amici.” Lo salvò Paul, con un’occhiata complice. Percy sentì un’ondata di gratitudine infinita verso il professor Blofis. Forse non era così male come credeva. Forse avrebbe potuto rendere felice sua madre. D’altro canto, Annabeth gli aveva parlato spesso di quanto il suo professore di inglese fosse un uomo immensamente intelligente, colto ed interessante.
“Allora, Percy,” Iniziò Paul, tanto per cambiare discorso, visto che Sally aveva già lo sguardo da cosa-mi-nascondete-voi-due: “com’è la professoressa Sprout?”
“Non male. Un po’ scoppiata, a volte, ma sarà l’età.” Si limitò a rispondere il corvino, piluccando la sua aragosta alla griglia. Paul si lasciò andare ad una sonora risata: “Ho sentito dire che è molto competente e a volte un po’ severa, ma mai che fosse una… be’ una scoppiata.”
“Di certo i colleghi non le avranno detto che a volte si trasforma in una pazza, professor Bl…”
“Paul, ti prego.”
“Paul, certo.” Si corresse Percy non del tutto certo che la sua stessa frase fosse priva di sarcasmo.
“Ad ogni modo immagino di no. Mi pare di capire, quindi, che siano le tue parole il giudizio unico e vero.” Disse Paul rispondendo al sarcasmo col sarcasmo. Percy alzò gli occhi e gli sorrise appena. Quel Paul non era niente male.
Dall’altra parte del tavolo Sally sorrise raggiante: “Preparo la frutta! Percy, perché non prendi quei dolci che ho preso oggi dal negozio?”
“Immagino di non potermi rifiutare.” Disse alzandosi e guadagnandosi un’occhiataccia da parte della madre. Paul, però, non sembrò turbato.
Il resto della serata sembrò procedere bene, salvo commenti inappropriati di Percy ed occhiatacce di Sally e Paul si esibì in infiniti complimenti per la cucina fantastica e che lasciava sempre tutti a bocca aperta di Sally.
“Grazie, Sally, era tutto buonissimo.”
“Grazie a te per essere venuto.”
“Non dirlo nemmeno. Sai che ci tenevo a conoscere tuo figlio.” Disse Paul arruffando i capelli di Percy. Il moro lo guardò confuso e leggermente infastidito: “Ti chiamo domani.” Promise mentre Sally apriva la porta: “Ci vediamo a scuola, noi due.”
“Non vedo l’ora.” Replicò Percy lasciando a Paul il dubbio se si riferisse all’andare a scuola o a lui, in particolare.
“Ciao.” Salutò ancora, prima che Sally chiudesse la porta d’ingresso.
“Allora?” Domandò impaziente lei seguendo il figlio nella sua stanza.
“Non è male. Sembra simpatico.” Rispose Percy sbottonando, finalmente, quella dannata camicia.
“Tutto qui?”
“Be’, sì, è il mio professore”
“Non è il tuo professore.”
“Okay, tecnicamente non lo è, ma…”
“Percy, ti prego, sii sincero.” Incalzò Sally, che sentiva tutta la gioia svanire in una manciata di secondi.
“Sei felice con lui?”
“Sì.” Rispose semplicemente lei, senza esitare.
“Lo sei davvero? Non come l’ultima volta che mi hai detto di essere felice?”
“Sì, lo sono davvero.” Ripeté decisa. Un largo sorriso si dipinse sul volto di Percy. Guardandolo, pochi secondi prima, Sally non aveva visto traccia di quel sorriso. La donna gli gettò le braccia al collo senza troppe cerimonie, coinvolgendolo in un abbraccio che esprimeva appieno tutta la gioia che era scoppiata in lei alla vista di quel sorriso: “Grazie.” Gli sussurrò all’orecchio prima di lasciarlo andare.
Quella sera, quando Percy si mise a letto, milioni di pensieri contrastanti si dibatterono nella sua mente, accompagnati dalla stanchezza che l’aveva condotto a mettersi a letto alle undici di sera, il che era piuttosto strano per i suoi standard. Era stato sincero con sua madre. Era davvero felice per lei e vederla gioire era stato come respirare dopo mesi di apnea, un’apnea pressante ed angosciosa che tornava a tormentarlo ogni volta che rientrava in casa e la sentiva reprimere i singhiozzi. Nonostante le sensazioni positive di quella sera, però, Percy sentiva una nuova ed urgente responsabilità. Se sua madre si fosse lasciata troppo andare alla gioia, se avesse creduto di aver superato definitivamente il dubbio continuo che continuava, giorno dopo giorno, a costringerla a chiedersi se il padre di suo figlio fosse morto o solo egoisticamente sparito per il troppo peso che un’innocente vita gli avrebbe messo sulle spalle, allora sarebbe stato compito suo assicurarsi che questo Paul venisse controllato. Non intendeva spiarlo, assolutamente no, non si sarebbe mai abbassato ai livelli di Gabe, questo era poco ma sicuro; ma sarebbe stato lui a conservare la diffidenza che sua madre aveva perso. Percy Jackson, quella notte, nel suo letto, dopo una giornata piena di sorprese, promise a se stesso che avrebbe protetto sua madre ad ogni costo. I pensieri nuovi lasciarono lentamente il posto alla stanchezza accumulata lasciando che le palpebre decidessero autonomamente di serrarsi per lunghi secondi, finché, un trillo deciso quanto fastidioso, squarciò il nuovo silenzio assonnato. Percy grugnì frustrato mentre la luce accecante del cellulare gli segnalava un nuovo messaggio. Ormai quel rumore l’aveva svegliato, tanto valeva leggerlo.

 ‘Non abbiamo il diritto di sapere?’
‘Sapere cosa, scusa?’
‘Se lo sapessi non chiederei, Hazel, ma qualcosa mi dice che questa storia ha qualcosa a che fare con il meraviglioso ragazzo dagli occhi verdi e quello che si ritrova tra le gambe.’
‘Aspetta, davvero?’
‘Non lo so, ma vorrei tanto saperlo.’
‘Be’, sì! Allora sono con te. Non abbiamo il diritto di sapere?’
‘Già, diglielo!’
Annabeth iniziava a stressarsi davvero. Il suo cellulare non era mai impazzito tanto. Tutto ciò che avrebbe voluto fare era studiare in santa pace, ma ignorare a dovere il suono delle continue notifiche era diventato impossibile.
Ragazze, sto cercando di studiare. E poi qualsiasi cosa sia successa non posso certo raccontarla qui.’
‘1. CHI STUDIA ALL’INIZIO DELLE VACANZE DI NATALE?’
‘Piper, lascia fare a me: 2. AMMETTI CHE SIA SUCCESSO QUALCOSA!’
‘Non è un problema vostro se voglio avere il resto delle vacanze libere e no, non ho detto nulla del genere.’
‘L’hai detto, invece. Allora è deciso: stasera serata donne da te.’
‘Pips, è sessista e stupida l’idea della serata donne.’
‘Allora non sarà imbarazzante raccontare tutto ai nostri amici, mi sbaglio? A tutti i nostri amici.’
‘Dannazione, Hazel, va bene. Tra mezz’ora qui.’
Annabeth alzò gli occhi al cielo. Erano incredibili, ma doveva ammettere che l’idea di passare una serata insieme le metteva un’innegabile felicità e continuare a studiare si era rivelato improvvisamente inutile e poco interessante. Nonostante ciò, però, la vita e le opere di Oscar Wilde restavano comunque l’unico modo per ammazzare il tempo (e per assicurarsi, magari, un buon voto del professor Blofis.)
‘Non ci crederai mai. Indovina chi è la nuova fiamma di mia madre?’
Al diavolo la letteratura. Ormai era chiaro che l’intero universo le stesse urlando di comportarsi come una normale adolescente.
‘Sentiamo.’
‘Il tuo amatissimo professore di inglese.’
‘…Stai scherzando.’
‘Gelosa? Credevo di piacerti più io.’
‘Continuo a non crederci.’
‘Continuo a non credere al fatto che tu non abbia confermato.’
‘Ma dici sul serio?’
‘Sì, dico sul serio.’

Il campanello trillò e Annabeth quasi cascò dalla sedia della sua scrivania tanto era presa dalla conversazione. Si avviò, infatti, ancora con il cellulare stretto in mano e quando aprì la porta alle sue amiche, le due la guardarono un tantino allarmate: “Tutto bene? Sembra tu abbia visto un fantasma.”
“Tutto a posto.” Confermò non accennando alla novità. Ciò che sapeva sulla vita di Percy era davvero poco, ma andare in giro a raccontare quel poco che sapeva e che era costato tanto al ragazzo le sembrò una scarsa prova di fiducia.
‘Sono arrivate Hazel e Piper. Devo andare,’ digitò velocemente, prima che Piper le si fiondasse addosso, strappandole il telefono di mano.
“Prima raccontaci tutto. Poi risponderai al tuo dio del sesso, qui.” Disse Piper con un sorrisino che non accennava a svanire presto.
“Dio del sesso? Ma cosa…”
“Oh, andiamo, per tenerti così attaccata allo schermo deve aver fatto qualcosa di molto, molto, molto…”
“Va bene!” L’interruppe Annabeth prima che la sua amica potesse andare oltre.
“Salve, signor Chase!” Salutò al vento Hazel come a far notare a Piper che non era il luogo né il momento per fare certe allusioni.
“È a fare la spesa, tranquilla.”
“Non servirà a molto. Abbiamo queste!” Disse Hazel estraendo da una busta tre pizze fumanti: “Andiamo di là?” Propose avviandosi verso quella che doveva essere la stanza di Annabeth, seguita da Piper. La bionda sorrise e si ritrovò costretta a seguire le sue due folli amiche.
“Ebbene? Non puoi più sottrarti, signorina.” Esordì Piper puntato la sua pizza mezza mangiucchiata verso Annabeth.
“E va bene.” Concesse la ragazza, prendendosi qualche secondo per guardare le due ragazze: “Diciamo che non siamo andati alla discoteca.” Sentenziò riferendosi alla serata della folle scampagnata alla quale Percy aveva costretto tutti a prendere parte.
“Ma non mi dire.” Disse Piper sarcastica, aspettando descrizioni più dettagliate dall’amica. Quando fu chiaro a tutti che Annabeth non avrebbe di nuovo aperto bocca di sua spontanea volontà fu Hazel a prendere in mano la situazione: “Sii più specifica.”
“Non c’è molto da dire. È successo quello che è successo.”
“Aspetta un attimo… Mi stai dicendo che l’avete fatto sulla spiaggia?” Annabeth annuì impercettibilmente, ma quel gesto bastò ad entrambe. Hazel spalancò la bocca sconcertata e lasciò cadere la sua fetta di pizza nel cartone, mentre Piper alzò un sopracciglio ironica: “Ma non mi dire. Hai capito la mia amica?” Disse assestandole una pacca sulla spalla.
“Com’è stato?” Domandò curiosa Hazel riappropriandosi della sua pizza.
“Non male, credo.”
“Ma come credo?” Domandò Piper.
“Non lo so, non ho termini di paragone.” Dichiarò Annabeth alzando le mani.
“Saprai se ti è piaciuto.” Intervenne Hazel.
“Dopo un po’ sì. All’inizio direi di no. Assolutamente no.” Ammise lei, mentre Hazel annuiva comprensiva.
“È normale. L’importante è che alla fine sia riuscito... insomma, a farti arrivare dove sarà certamente arrivato lui.” Disse quindi la riccia, un po’ in imbarazzo a chiamare le cose con il loro nome.
“Intendi dire…” Iniziò Annabeth, prima che Piper esasperata non la interrompesse con un pragmatico: “L’importante è che tu sia venuta.”
“Ah, voi intendete…”
Gli occhi di Piper minacciarono di uscirle dalle orbite: “Aspetta, vuoi dire che non ha…”
“No.”
“Ah.” Esalarono Piper e Hazel all’unisono. Annabeth le guardò preoccupata: “Tranquilla, era solo la prima volta.” La rassicurò Hazel.
“Sì, ma, comunque sia, il problema è che mi sono lasciata andare. Non so se posso fidarmi.” Iniziò Annabeth finendo la sua pizza. Il suo chiodo fisso tornato a disturbarla.
“Annabeth, Percy è cambiato.” Iniziò Hazel.
“E poi lasciarsi andare non è per forza un male. Tu pensi troppo, ragazza.” Aggiunse Piper.
“E tu chi saresti? Una specie di dea dell’amore?”
“A metà.” Disse Piper. Hazel ed Annabeth si lasciarono andare ad una sonora risata.
 
Ti è arrivata la notizia? Hazel, Annabeth e Piper si sono viste per una certa serata donne, ti rendi conto?’
‘Non capisco cosa ci sia di tanto assurdo, Jason. Stavo per addormentarmi.’
‘C’è di assurdo che noi non stiamo facendo lo stesso! Serata uomini da me. Adesso. Leo e Frank stanno già venendo.’
‘Jason, come ti ho già detto, stavo per addormentarmi.’
‘Dormirai quanto sarai morto. Vengo lì io se non ti trovo da me tra dieci minuti.’ Percy sbuffò e si alzò di scatto. La stanchezza gli intimava di lasciar perdere, ma quando l’innocente, legato alle regole, giovane Jason gli scrisse un semplice: ‘Porta dell’erba', il moro non potè fare a meno di cogliere l’occasione al volo.
 
“Ebbene?”
“Ebbene cosa?” Domandò Percy
“Vogliamo sapere cos’è successo la sera della mitica avventura con Annabeth.” Chiarì Jason premurandosi di utilizzare un tono palesemente ironico sulla frase: ‘mitica avventura’.
“Be’, nulla di che abbiamo solo…”
“Solo?” L’interruppe Leo troppo impaziente anche solo per lasciarlo parlare.
“Ah, al diavolo, non c’è ragione per cui debba tenervelo nascosto. Abbiamo fatto sesso.” Disse Percy ed un sorriso ebete gli comparve sul volto.
“Questo lo sappiamo, Percy, credo che Jason voglia più dettagli. Non che io sia della stessa idea, eh.” Si unì Frank piuttosto certo di non voler conoscere i dettagli della notte focosa che il suo amico aveva trascorso con la bionda.
“Non c’è molto da dire. È stato bello. Molto bello e lei è bellissima, davvero. Era perfetta, in ogni cosa.”
“Sei proprio innamorato.” Sussurrò Jason sorridendo sornione.
“Io… Cosa? No, è stata solo una gran bella scopata. Ecco tutto.”
“E sentiamo… Sei riuscito nel meraviglioso intento?” Domandò Leo curioso.
“Che intento?”
“L’hai fatta venire?” Aggiunse con lo sguardo di chi deve spiegare proprio tutto ad un bambino. Percy scoppiò a ridere: “Certo, Leo, è ovvio.” Disse alzando gli occhi al cielo.
“Be’ non è mica così ovvio. Io non ne sono mai stato sicuro con Hazel.” Si intromise Frank un po’ preoccupato.
“Credimi Frank, quando accade te ne accorgi eccome.” Disse Percy gonfiando il petto.
“Be’, se lo dici tu…”
“Lo dice lui, lo dice lui. Sei un grande, amico.” Si unì Leo assestando a Percy una sonora pacca sulla spalla, prima di aggiungere: “E adesso, chiarimenti fatti, credo sia ora che Percy apra il regalino che ci ha portato.”
 
“Visto che ci stiamo aprendo, credo di dover raccontare anch’io qualcosa a voi.” Iniziò Hazel visibilmente a disagio.
“Spara.”
“Prima dell’inizio delle vacanze di Natale anche Leo mi ha fatto un regalo.” Iniziò Hazel fermandosi per lasciare che le sue amiche commentassero. Il fatto che rimasero a fissarla senza fiatare, però, le fece capire che forse sarebbe stato meglio limitarsi a continuare a parlare: “Be’ niente di serio, eh, assolutamente. È solo che era molto in imbarazzo e, per qualche motivo, il suo comportamento ha imbarazzato anche me.”
“In che modo?” Domandò Piper che sembrò essersi ripresa dal suo periodo di momentaneo stupore per tornare all’attacco.
“Non lo so. Ma quando ha detto di avere qualcosa per me il cuore ha preso a battermi all’impazzata e ho iniziato a sudare. Come se…”
“Come se ti piacesse.” Concluse Annabeth per lei, sospirando solidale appena Hazel annuì impercettibilmente. Un silenzio carico di nervosismo scese tra loro, prima che la bionda si decidesse a portare i loro animi su ben più leggeri argomenti: “Be’, tocca a te, mezza-dea-dell’amore.” Scherzò Annabeth, alzando lo sguardo in direzione di Piper.
“Cosa volete sapere?”
“Con Jason?” Domandò Hazel, felice che non stessero più parlando del suo complesso triangolo amoroso.
“Tutto bene.”
“Ovviamente ci riferivamo ad altro.”
“Oh, non mi guardate così. Io qui sono l’unica casta e pura.”
“Che cosa?” Domandò incredula Hazel.
“Sono seria. Io e Jason abbiamo giocato un po’, sì, ma sono ancora intatta.” Disse Piper tradendosi appena le sue guance divennero un più rosate.
“Non capisco. E con Luke?” Domandò Hazel mentre Annabeth la guardò come se avesse appena detto una cosa tanto assurda quanto spaventosa.
“Neanche per sogno. Mai e poi mai!”
 
Poco più lontano da casa di Annabeth, Frank, Leo, Percy e Jason si godevano la tranquillità che l’erba del moro era stata capace di infondere in ognuno di loro. A parte la piccola gaffe di Leo prontamente salvata da Jason che lo vedeva protagonista di una quasi-confessione sui veri sentimenti che il messicano provava per la ragazza di Frank, la serata passò tranquilla. Gli argomenti di conversazione si spostavano velocemente tra le loro ragazze, la misera condizione sentimentale di Leo, qualche battuta amara sui loro familiari o sulla loro situazione personale ed i risultati delle ultime partite di football. Quando gli argomenti furono terminati ed un sonno generale si diffuse tra loro, Percy si alzò con un colpo di reni dal tappeto su cui si era steso ed annunciò ai suoi amici che quella era stata davvero una folle giornata e che aveva davvero bisogno di riposare. Frank e Leo dichiararono che sarebbero rimasti da Jason ancora un po’, prima di ritirarsi e Percy si decise a lasciare il bel caldo della casa del biondo per tornare al letto che gli era tanto mancato. Come previsto, le fredde strade di New York lo costrinsero a stringersi nel giubbino per cercare un po’ di calore ed a focalizzarsi sul momento in cui sarebbe stato sotto le sue coperte, al sicuro dal gelo che lo stava attaccando per le strade. La verità, però, è che le cose non andarono del tutto così. Mentre il moro era totalmente assorto nei suoi pensieri e, perché no, ancora un po’ intontito dall’erba che aveva fumato, un ragazzo alto e smilzo, dal volto nascondo dal cappuccio, gli passò vicino e non sembrò intento a proseguire per la sua strada. Al contrario fece dietrofront ed aumentò il passo per ritrovarsi Percy di nuovo di fronte. Prima che il moro potesse anche solo pensare a come reagire si ritrovò un pugno in pieno viso ed un secondo nello stomaco, che lo fece piegare in due. Lo stato di torpore della sua mente gli impedì di reagire per i primi due calci, ma quando il misterioso ragazzo si abbassò su di lui rivelandosi finalmente come Ottaviano, un ragazzo del gruppo di amici che frequentava appena un anno prima, Percy riuscì a trovare tutta la rabbia per contrattaccare e per assestargli un pugno sullo zigomo, non riuscendo, però, a schivare uno schiaffo: “Ma che problemi hai?” Iniziò il moro cercando di allontanarlo.
“Io? Adesso vai davvero a comprare da Luke? Credi che lui non porti rancore? Che non ce l’abbia con te per come l’hai abbandonato, appena hai trovato quegli sfigati che reputi migliori? Dio, te la fai con Grace. Non te la farò passare liscia, Jackson, sono stato fin troppo permissivo.”
“Trovati un passatempo, Ottaviano, ho di meglio da fare.” Disse Percy cogliendo l’occasione per rialzarsi a fatica e per allontanarsi dal suo ex-spacciatore.
“Conosco lati di te che non vorresti mai far vedere ai tuoi stupidi nuovi amici. Ti rovinerò.” E con questo, Ottaviano si allontanò, lasciando tornare a casa un Percy sanguinante e confuso. Il biondo non mentiva quando diceva di conoscere cose che il moro non avrebbe mai voluto far circolare troppo, ma era sicuro che, pianificando meglio le sue prossime mosse e fingendo indifferenza, le cose sarebbero andate meglio. Questo, almeno, era quello che credeva.
 
Note di El: Ciaaaaao amici, sono passati esattamente due mesi. Posso dire che la cosa sia ormai quasi precisa? Comunque sia in questo periodo sono liberissima e particolarmente motivata. Quindi chissà, potrei sorprendervi in poco più di una settimanaaaa. Alloooora, fondamentalmente questo capitolo ha di importante l’inizio e la fine. Il resto meh, pure sciocchezzuole. Mi spiego meglio. Il tono leggero, finchè la bomba non scoppierà (il che accadrà prima di quanto crediate) cercherò di metterlo ovunque potrò. Ecco perché. In più il capitolo è ricco di dialoghi perché mi piaceva far vedere così le cose, questa volta. Poche chiacchiere. Volevo segnalare due piccoli regalini sciocchi. La professoressa scoppiata di Percy, Sprout, è il nome originale della professoressa di erbologia Sprite di Harry Potter. È un segno? Un’inutilità? Un trailer? Un indizio? Potrei avere in programma una ff sul fandom incriminato nel futuro prossimo? Voi mi direte “E che ce ne frega?” Eh, niente, effettivamente, quindi passiamo avanti. Non sono riuscita a contenermi nel far dire a Piper di essere una mezza dea dell’amore e ho adorato far dire ad Annabeth e Percy le due opinioni contrastanti, ma non temente, Percy riuscirà ad ottenere ciò che crede già di aver ottenuto. Forse.
Ora passiamo alle cose importanti. Come avrete immaginato la parte iniziale era uno sviluppo fondamentale e necessario che ci fa capire qualcosa in più sulla storia di Percy. Per quanto riguarda Hazel e Leo non posso dire niente, ma non vi aspettate che questi sentimenti rimarranno qui sospesi. Parlando di Ottaviano (yeee ora sapete chi era lo spacciatore. Come dite? Era ovvio? Be’ si, lo era, uff) la scena a cui avete assistito è veramente veramente veramente importante. Forse il vero punto di svolta. I prossimi capitoli saranno colmi di folli cose e credo anche piuttosto lunghi. Ringrazio infinitamente ­_Viola02_ per aver commentato e spero vivamente di ritrovarla anche qui. Dopo altri due mesi. Ringrazio anche tutti i lettori silenziosi che continuano ad interessarsi a questa confusissima storia. A presto!
Adieu,
 
El.

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Capitolo 20
*** 20 - La bomba sganciata ***


LA BOMBA SGANCIATA.

 
Anni e anni. Anni da schifo, ma pur sempre anni. Si può davvero voltare le spalle ad un fratello? Ad uno che ha nuotato nel tuo stesso oceano lercio? Ad uno che ti è stato vicino, nonostante i problemi? È così che girano le cose? È così che funziona il mondo? Il ragazzo non voleva più saperne niente. Le risate sempre cristalline non erano mai state altro che ghigni amari, fantasmi di un giorno che era tramontato. Lo sapeva. L’aveva sempre saputo. Il loro tempo sarebbe scaduto. Stupido lui ad essersi lasciato andare, ad aver avuto fede. Il cappuccio in testa sembrava nasconderlo dalla vergogna, la pioggia coprire le lacrime che, salate, si facevano strada sul suo viso. Se ne sarebbe pentito. Di questo era certo, ma non era riuscito a trattenersi. Uno, due, tre respiri corti. Devi calmarti. Un lungo respiro, come a scacciare i problemi. Inspira col naso. Espira con la bocca. Va meglio, posso farcela. Un battito, seguito da una pausa, poi due battiti forti risuonarono nella notte. Uno spiraglio si aprì e la luce gialla della lampadina inondò la notte gelida: “Fallo, ti prego.”
 
Jason era finalmente felice. Non avrebbe mai detto che uno come Percy potesse essere, in realtà, così. Così. Ecco, non avrebbe saputo descriverlo a dovere. Gli aveva sempre dato l’impressione di non essere una bella persona. Credeva fosse un materialista, interessato solo al divertimento, nella sua forma più meschina. Credeva non fosse capace di vedere il bello, di emozionarsi. Jason doveva ammetterlo: Percy Jackson l’aveva stupito. Davvero. Erano sempre stati molto diversi, ma avevano qualcosa ad unirli, qualcosa che era cresciuta e si era sviluppata dentro di loro in maniera del tutto diversa, negli anni, ma era pur sempre nata dallo stesso seme.
“Dio, com’è successo, Percy?” Domandò Piper, preoccupata.
“Ieri stavo tornando a casa e… Nulla sono scivolato ed il telefono deve essermi caduto. Ero pur sempre vicino ad un tombino.”
Eppure Percy Jackson gli stava nascondendo qualcosa. Lo sapeva. E lo sapeva perché anche lui sentiva di dover reprimere una parte di sé, con l’unica differenza che quando era con i suoi amici o con Piper (ormai poteva considerarla la sua ragazza) quella repressione sembrava superflua, sbagliata, inutile. Percy, invece, sembrava accentuarla, incentivarla.
“Ehi, amico, tutto bene? Sembra tu abbia visto un fantasma.”
“Cosa? No, no, stavo solo pensando.” Si difese Jason dagli occhi inquisitori del moro.
“Be’, ti consiglio di evitarlo. Perdi tutto il tuo charme, così.” Ribattè Percy. Annabeth alzò gli occhi al cielo e rifilò una gomitata al corvino: “Mangia e fa’ silenzio.”
“Percyyyy, non farti dare ordini da Ann…” Iniziò Leo, prima che la bionda gli rifilasse un’occhiataccia che lo ammutolì.
“Fai paura quando fai così.” Brontolò Leo.
“Bene, dicevamo: che programmi avete per stasera?” Si intromise Frank, che non aveva alcuna voglia di portare Leo in infermeria.
“Perché non andiamo…” Ma la proposta di Piper fu interrotta da Ottaviano, che rifilò una spallata tutt’altro che gentile a Percy, facendogli rovesciare addosso il succo che stava bevendo: “Oh, scusa.” Disse il ragazzo con sguardo fin troppo finto: “Il bodyguard della tua mammina salterà fuori per darmi una lezione, adesso?”
Ogni traccia di colore svanì totalmente dal viso di Percy. Nessuno dei suoi amici l’aveva mai visto rispondere così ad una provocazione. Era più un tipo ironico e troppo spesso violento: “Come scusa?” Domandò con voce fin troppo calma. Non poteva aver sentito bene.
“Hai capito benissimo.”
“Va’ via adesso, perché potrebbe mettersi molto male.”
“Oh, no, non dire così. Tuo padre non sarebbe felice di vederti coinvolto in una rissa, non è così? O porti più rispetto per il professore?”
Jason non poteva più sopportarlo. Non sapeva di cosa il biondo stesse parlando, ma sapeva di dover aiutare il suo amico, stargli vicino. Si alzò dalla panca cercando di rendersi il meno ridicolo possibile: “L’hai sentito. Va’ via o ti giuro che…”
“Va bene, va bene. Non ho niente da dire. Per adesso. Buona fortuna, campione.” Si congedò con una pacca amichevole. Percy si girò verso Annabeth, chiaramente ferito: “Che cosa hai detto?” Aveva parlato ad una sola persona dell’uomo che sua madre frequentava, ebbene quella sola persona doveva aver parlato.
“Percy, io non ho…”
“Eri l’unica a saperlo, non mentire.” Disse cercando di non gridare. L’ultima cosa che voleva in quel momento era fare una scenata nella mensa della scuola. C’erano già troppe attenzioni su di lui: “E tu avevi paura di fidarti di me?” Si lasciò andare ad una risata ironica, tutt’altro che confortante: “Capisco.” Disse amaro, prima di alzarsi e dirigersi verso bagno. Annabeth li guardò sconvolta, prima di mormorare qualcosa di simile ad un: “Al diavolo il bagno dei maschi”, poi infilò la porta della mensa per seguirlo.
 
“Ma secondo te è una cosa seria, Jason?”
“Non ne ho idea.”
“Ma nooo, nulla che non si possa risolvere con una bella partita al bowling.”
“Frank, non ascoltare Leo, ha solo voglia di sdrammatizzare.”
“Guarda che sono serissimo, Pips. Ma perché fanno sempre così? Scappano quando vogliono spiegazioni. Sembra di stare in una telenovela. Se li costringiamo a parlare chiariranno. Dico bene, Hazel?”
Piper guardò la sua amica, pronta già a mostrare a Leo come fosse l’unico ad aver avuto un’idea tanto folle. Ritrovarsi tutti contro avrebbe spento ogni idea bizzarra del messicano. Ne era certa.
“Odio doverlo ammettere, ma sono d’accordo con Leo. Più passa il tempo, più il problema si ingigantisce.” Leo diede una gomitata amichevole alla ragazza, sfoggiando un sorriso infinto al resto del gruppo, che sembrava paralizzato dalla sorpresa: “Che vi dicevo? Le mie idee geniali ci…”
“Non ho finito.” Aggiunse Hazel, ammonendolo con un’occhiataccia e facendo rilassare gli altri.
“Sì, certo… Pff, lo sapevo.”
“Costringerli non è la scelta giusta. Non è che possiamo chiuderli in una stanza e aspettare che parlino.”
“Ah… no? Allora potremmo…” Iniziò Leo.
“Potremmo...” L’interruppe la ragazza: “farli venire entrambi al bowling. Se vorranno parlare bene, altrimenti sapranno scegliere da soli il momento adatto.”
 
“Non so neanche perché io abbia accettato. Sono una frana al bowling.” Iniziò Annabeth, che sembrava essere già partita con il piede sbagliato. Piper accennò un sorrisino: “Abbiamo finalmente trovato qualcosa in cui non sei eccezionale!”
Annabeth sembrò non aver ascoltato e Piper ne ebbe la conferma quando, dopo qualche secondo di silenzio, la bionda esordì con un semplice, ma diretto: “Pips, non ho detto niente in giro. Devi credermi.”
“Ti credo, davvero. Sono sicura che troverete un modo per parlare al più presto.” Iniziò Piper, cercando di tastare il terreno: “In più…” iniziò rianimandosi: “stare a casa a spremerti le meningi per trovare una soluzione non ti aiuterà in niente. Non parliamo di un problema di matematica, Annabeth, le relazioni sociali sono più complicate di così.”
“Dio, sono messa male se devo farmi dare consigli da te.” Scherzò la bionda, chiaramente grata alla sua amica.
“Ah-ah-ah, guarda che ho detto la stessa cosa a Leo e ha funzionato.” Dichiarò fiera la mora.
“Oh no, paragonarmi a Leo non aiuta di certo.”
“Non siete poi così diversi.” Ammise la ragazza lasciando che un tono palesemente ironico mascherasse la verità nascosta nelle sue parole. La bionda, però, sembrò coglierla.
“Almeno io sono perspicace, Leo…”
“Anche Leo è perspicace, donzelle.” S’intromise il messicano, comparendo apparentemente dal nulla e facendo sobbalzare le due ragazze.
“No, Leo è solo fastidioso.” Rispose Piper, tagliente, prima di aggiungere: “Dio, mi hai fatta morire.”
“Non sai quante mi muoiono dietro.” Disse Leo, lasciando che Annabeth sfoggiasse la sua specialità nell’alzare gli occhi al cielo: “Ma Hazel? Non doveva venire con voi?”
Annabeth e Piper si scambiarono un’occhiata d’intesa: “Mh, ha fatto tardi. Dovrebbe raggiungerci strada facendo o direttamente lì, al bowling.” Lo informò Piper, un po’ titubante. Leo annuì serio: “La chiamo. Vedo dov’è.”
“Ma non è necessario, dav…” Disse Annabeth, che iniziava a non capire il motivo degli strani atteggiamenti di Leo. Purtroppo, però, non ebbe mai il tempo di finire quella frase, perché Leo si era già attaccato al telefono, misurando gli squilli come se da loro dipendesse la sua serata.
 
“Non ci so nemmeno giocare al bowling… Fossi bravo ci penserei, ma…”
“Oh, avanti.” L’interruppe Jason, ironico e provocatorio insieme: “Hai paura di perdere contro di me?” Percy si lasciò scappare una risata: “Ti piacerebbe.” Disse varcando la soglia del locale. Era piuttosto piccolo ed intimo. Non sembrava una delle tante sale da bowling in cui Percy era sempre stato, ma sembrava confortevole e adatta ad una tranquilla serata tra amici. I due si diressero verso la loro pista, dove li stavano aspettando già tutti. Proprio tutti. Nessuno escluso.
“Molto divertente.” Ironizzò il moro, spostandosi verso l’orecchio di Jason mentre si avvicinavano ai loro amici: “Organizziamo una serata al bowling solo per far parlare Percy e Annabeth. Funzionerà. Ha senso.” Il ragazzo abbandonò qualunque sussurro, stando attento a farsi sentire proprio da tutti.
“Ehi, frena,” Iniziò Leo: “non è che veniamo tutti al bowling per farvi fare pace, cioè, non è che adesso siete il centro…”
“Lascia stare, Leo.” Lo richiamò Piper stroncando sul nascere ogni possibilità, da parte del ragazzo, di alleggerire l’aria tesa.
“Sei tu che non vuoi parlare. Ti comporti come un bambino.” Lo provocò Annabeth.
“Io? Be’, non sono certo io che vado a raccontare in giro i fatti degli altri.” Il suono della notifica di un messaggio fermò ogni possibilità da parte di Annabeth di dare voce ai milioni di insulti che avrebbe voluto urlare a Percy.
“Oh, sono arrivati Hazel e Frank. Andiamo a prenderli, non sanno qual è la pista.” S’intromise Piper, imbarazzata: “Leo? Jason? Andiamo?”
“Cosa? Ma ci hai detto già quale…”
“No, Leo, loro non lo sanno, andiamo.” L’interruppe perentoria la ragazza rifilandogli un’occhiata fin troppo eloquente.
“Ahhhhhh, sì, dobbiamo proprio andare. Hanno ricevuto il messaggio con la pista, ma non devono proprio averlo letto, perché se l’avessero…”
“Dio, cammina.” L’interruppe ancora Jason trascinandolo via.
“Okay, Percy, ragiona.” Iniziò Annabeth, alla quale il siparietto doveva aver calmato un po’ l’animo bollente: “Ottaviano ce l’ha con te. Ce l’ha palesemente con te. Non so cosa sia, ma c’è qualcosa che sa e che non dovrebbe sapere. Se io volessi distruggerti proverei ad allontanarti dalle persone che ami di più. Non lasciarglielo fare, ti prego.”
Le parole della bionda cancellarono ogni traccia della rabbia che lo stava avvolgendo per proteggerlo da ciò in cui crollò in quel momento. Dolore. Non ci pensò due volte prima di fiondarsi sulla ragazza abbracciandola come se fosse un solido ramo in una tempesta: “Non sono caduto, ieri.”
“Lo so.”
“Ottaviano mi ha aggredito e deve aver preso il mio telefono.”
“Così ha letto il messaggio che mi hai mandato.”
“Così ha scoperto di Paul.”
“Il professor Blofis.” Lo corresse lei: “Scusa, ma fa strano sentirti pronunciare il suo nome.”
Percy rise di gusto sulla spalla della ragazza. Era bello ridere così, dopo una giornata stressante. Si prospettava una serata tranquilla e serena. E pensare che Jason aveva dovuto pregarlo per farlo scendere di casa.
“Bel quadretto, non c’è che dire.” S’intromise un ragazzo dai capelli biondi, sorridendo malignamente. Una serata tranquilla e serena, aveva detto? Ottaviano stava decisamente rovinando i piani di Percy. Annabeth, dal canto suo, protesse istintivamente il ragazzo col suo corpo, come se il biondo stesse per attaccare fisicamente e come se lei avesse potuto davvero aiutarlo. In quel momento la ragazza si sentì del tutto impotente. Poteva davvero aiutare Percy? Ottaviano sembrava sapere molto più di quanto lei potesse immaginare. Poteva davvero proteggerlo? Voleva davvero proteggere qualcuno che le stava nascondendo qualcosa che sembrava avere tutte le carte in regola per essere piuttosto importante?
“Merda.” Imprecò Jason, che in quel momento era tornato, seguito dagli altri.
“Oh, non penso ci sia davvero qualcosa di cui preoccuparsi.”
“Amico, quando nei film dicono così c’è sempre da preoccuparsi.” Intervenne Leo, alzando gli occhi al cielo. Tutto ciò che riuscì ad ottenere, però, fu lo sguardo sprezzante che il biondo gli rivolse, senza dire una parola.
“Dico davvero: vengo in pace.” Disse Ottaviano avvicinando la mano alla tasca posteriore dei pantaloni: “La vostra pace.” Concluse afferrando un oggetto dalla forma rettangolare e lanciandolo nelle mani di Percy: “Ti dev’essere caduto ieri quando mi hai incontrato e mi hai aggredito.” Spiegò il biondo, in risposta allo sguardo sorpreso del suo nemico, che si sarebbe volentieri fiondato su di lui per dargli una lezione, se Annabeth non avesse intuito i suoi pensieri e avesse stretto la presa su di lui: “Non sono stato io ad aggredirti.” Si limitò a ringhiare Percy.
“Difficile a dirsi, quando si è confusi dall’effetto della droga.”
“Io non ero…”
“E dimmi, quella di Luke è meglio della mia?” L’interruppe il biondo.
Il tempo sembrò congelarsi. Non esisteva gioia, né dolce rilassatezza. La serata sulla spiaggia sembrava un lontano ricordo e la felicità contagiosa di sua madre sembrò ovattarsi contro il rumore assordante ed insieme silenzioso dei pezzi che crollavano inesorabili. Come aveva anche solo minimamente immaginato di poter iniziare una nuova vita se la vecchia continuava a ronzargli attorno come a ricordargli continuamente che lei era lì, che faceva parte di lui, che non se ne sarebbe mai liberato, che non gli avrebbe mai dato pace?
“Questo è…”
“Sì.” La voce di Annabeth non lo riportò alla realtà. Al contrario diminuì la chiara percezione delle cose alla quale ancora si stava attaccando, spegnendola totalmente. Era ferita. Non l’aveva nemmeno guardata in viso, conosceva benissimo quegli occhi. Li aveva visti quella mattina. Cercò di memorizzare gli ultimi istanti di quell’abbraccio riparatore. Quell’abbraccio che adesso sembrava tanto lontano. Quanto tempo era passato? Secondi? Minuti? Era necessario ricordarlo, perché non sarebbe mai più successo. Perché la verità stava venendo veramente a galla e la rabbia stava lasciando totalmente posto al dolore, al senso di colpa. Come aveva potuto non prevederlo? “Sì, è vero. Bravo, Ottaviano, hai vinto tu. Di’ loro tutto e facciamola finita.”
“Se compri da lui allora vuol dire che…”
“Non siamo amici.” La bomba non era scoppiata, ma era stata lanciata. Era impossibile disinnescarla. Ottaviano doveva aver trovato il modo per incastrarlo. Menzogne ed equivoci si sarebbero uniti all’imbarazzante verità. Il problema non era certo da chi comprava, ma le conseguenze che implicava, le bugie che quella serpe, che ora si trovava sorridente di fronte a lui, avrebbe inventato.
“Se per te questo significa non essere amici…” Incalzò Ottaviano estraendo dalle tasche il suo cellulare. Percy non aveva assolutamente idea di cosa stesse succedendo. Credeva che Ottaviano avrebbe puntato su altro, sulla sua famiglia, sulla sua storia, sulla sua passata amicizia con Luke, ma questo…
Il biondo fece illuminare lo schermo, mostrando l’icona di un messaggio registrato. Percy era più confuso che mai. Si stava forse incastrando con le sue stesse mani? Prima ancora che potesse trovare uno straccio di risposta alla sua domanda, questo iniziò, sotto gli occhi attenti dei suoi amici. L’audio non era dei migliori, ma le voci di Percy, Luke e Rachel erano facilmente riconoscibili.
“Grazie, bello.”
“Figurati. Solo, mi cogli di sorpresa. Come mai fumi ancora? Non hai trovato nuovi amici con cui stare bene?”
“Be’, dopo tutto quello che mi hanno fatto credo sia arrivato il momento di allontanarmene.”
“Ciao, Percy! Non ti vedo da un po’ al mio corso di pittura. Mi dispiace molto, avevi talento da vendere.”
“Avrò messo mano su un pennello, al massimo.”
“Non è un problema. Ti aiuto io, so maneggiare i pennelli alla perfezione.”
“Sì, mamma, va bene!”
“Qualche sera dobbiamo organizzarci per uscire!”
“Luke non è riuscito a fare altro, ma io ho qualche foto.” Concluse in bellezza Ottaviano, mostrando qualche fantastico e facilmente fraintendibile scatto di Percy con Rachel attaccata addosso. Il moro scoppiò in una sonora risata.
“Incredibile. È incredibile. Estrapoliamo dal contesto una manciata di frasi, montiamole in modo che sembrino ciò che volete che sembrino ed il gioco è fatto. Non crederete certo a questa follia, o sbaglio?” Esclamò Percy tenendo gli occhi fissi sul biondo. Quando non arrivò alcuna risposta, però, fu costretto a girarsi verso i suoi amici. Nessuno aveva il coraggio di guardarlo negli occhi per più di pochi secondi: “Sbaglio?” Domandò ancora. Ottaviano, intanto, se ne andava a passo spedito, con un sorrisetto dipinto il volto. “Tutto fatto.” Digitò, prima di infilare la porta.
“In effetti ultimamente non ti abbiamo visto molto, andavi sempre via prima e scomparivi all’improvviso.” Tentò Leo.
“Non vorrete farmi credere…”
“È il mio ex. Sarebbe stato carino anche solo sapere che lo frequentavi, o che mi hai fatto fumare la sua roba.” Si intromise Piper.
Ecco che verità e bugie si mischiavano alla perfezione. Quanto era stato furbo.
“E poi credi davvero che tutto il mondo si sia riunito per incastrare te? Foto false, vocali montati. Non sei al centro del mondo, Percy. Non c'è alcun complotto.” Parlò Annabeth, la voce appena udibile, ma abbastanza forte da fare male.
“Potevi dircelo che volevi allontanarti da noi.”
“Hazel, non è così, come potete pensare che…”
“Io l’ho sempre sentito che reprimevi qualcosa. Adesso so cosa.” Iniziò Jason. Tutta la stima che provava per lui svanì in un istante.
“Frank?” Chiamò Percy senza alzare gli occhi da terra.
“Io ti credo.” Il moro alzò improvvisamente gli occhi verso il suo amico. Una sola boa a salvarlo nella tempesta.
“Frank, come fai ad essere sempre così ingenuo?” Sbottò Hazel correndo infuriata verso l’uscita. Leo e Frank si guardarono per un solo istante, prima di inseguirla.
“Aspettate.” Gli urlò dietro Jason, afferrando la mano di Piper e portandola via.
A Percy non rimase che fissare la schiena di Annabeth, che stava seguendo gli altri fuori. Con sua grande sorpresa, la ragazza si girò, incatenando i loro sguardi.
La bionda sorrise, un sorriso amaro che non raggiungeva gli occhi: “La Sapientona aveva ragione, eh? Bingo.” Sussurrò prima di lasciargli le scarpette da bowling in mano e andarsene.
 
La casa era vuota. I tempi in cui rincasava e sentiva i singhiozzi di sua madre sembravano aver lasciato posto alla felicità. Quella sera, a piangere nel buio di una casa sola, ci sarebbe stato lui.
 
Note di El: Summer is almost over? Eh sì. È davvero quasi finita. Capitolo di dubbio gusto dopo un’attesa intensa. Nella mia testa suonava meglio. Come dite? Non dovrei dirlo? No, io invece metto le mani avanti. La mia unica gioia è quella di essere riuscita a far quadrare la conversazione tra Luke, Percy e Rachel. Ve la ricordavate, malandrini? Io ve l’avevo detto che era importanteeee. Le cose cambieranno un po’ nei prossimi capitoli, ma siamo davvero agli sgoccioli sgocciolosi. Cinque capitoli mi sembrano anche troppi, a dire il vero. Saranno di meno, o giusto cinque. Okay, okay, roba come 20 capitoli fa ho detto che ne mancavano una decina ma oh, non è colpa mia. Analizziamo. Il mezzo litigio di Annabeth e Percy mi serviva per fare quella struggente cosa del tipo tristezza-gioia-tristezza massima che abbiamo tutti provato una volta nella vita. Il resto è storia. Il resto esiste dalla notte dei tempi e finalmente l’avete visto. Non è perfetto, non è del tutto infiocchettato, ma diciamo che Percy sarà un po’ l’epicentro del nostro enorme terremoto. Per quanto riguarda Will e Nico… ognuno avrà il suo spazio, ma per adesso devo concentrarmi su ‘sta roba pazzissima. Metterò tutto a posto? Sono sadica? Sono cattiva? Un po’, chissà. Ah, nel piccolo pezzetto iniziale c’è un fatterello demente dei miei, di quelle cose che scrivo a caso e poi nei capitoli dopo non ha assolutamente influenza, ma mi piaceva così. A TEMPO DEBITO VE LA SVELERÒ!
In più... In questi giorni ho una nuova e pericolosa fissazione, comunemente conosciuta col nome di: Haikyuu!!. Voi direte: "E che ce ne frega?" E io vi dirò che influenza la mia scrittura! Insomma, per quelli di voi che lo conoscono Nishinoya è incredibilmente simile a Leo, quindi niente. Mi piace il fatto che cerchi di sdrammatizzare, fatemi sapere cosa ne pensate!
Ah, la percabeth che fa schifo a bowling... CHE FISSA.
Aggiornerò al più presto. Come al solito ringrazio tantissimo vecchi e nuovi seguaci e la mia commentatrice numero 1 (Sei l’unica, ma saresti numero uno comunque, eh) _Viola02_
Adieu,
 
El.

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Capitolo 21
*** 21 - Tavoli immacolati ***


TAVOLI IMMACOLATI
 
“Quell’Ottaviano me lo ricordo… ci ha provato con me alla festa di Halloween di Drew Tanaka, se non sbaglio.” Disse Piper guardando preoccupata il suo ragazzo, quella situazione non le piaceva per niente.
“Io sono stato a bere con lui, quella sera. Effettivamente era amico di Percy, ma non mi sono sembrati tanto affiatati.” Piper si lasciò scappare una risata nervosa: “Be’, difficile esserne sicuri in quelle condizioni.”
“Che intendi, scusa?” Domandò Jason, mentre un principio di sorriso si faceva strada sul suo viso.
“Intendo…” Iniziò Piper, lasciandosi contagiare da Jason: “che sia tu che Percy eravate totalmente andati. Ricordi com’è finita, poi?”
“No.” Scherzò Jason prima di chinarsi verso di lei per baciarla tra le risate.
“Dobbiamo fare qualcosa.” Disse, dopo un po’, Piper, tornando velocemente seria: “Il gruppo sta crollando.”
“Conosci Percy, quando si mette sulla difensiva.” Si giustificò Jason: “Non ho voglia di fare a botte con lui.”
 
La situazione andava di male in peggio. Annabeth non voleva più saperne di lui. Come darle torto? Pensò Percy, mentre raggiungeva Frank al solito bar. Il ragazzo era davvero rimasto l’unico disposto a dargli una mano. La sua presenza era diventata vitale per lui, era tutto ciò che lo teneva legato alla sua parte razionale, tutto ciò che lo fermava dal buttarsi nel calderone di degrado e tristezza che era il suo vecchio gruppo di amici.
“Ehi, ti stavo aspettando.” Lo salutò Frank, appena il moro raggiunse il bar.
“Scusa, ho…”
“Risparmiati le bugie. Non penso tu abbia davvero avuto molto da fare.” La sincerità del suo amico lo riscosse momentaneamente dal turbine infinito dei suoi pensieri. Lui era Frank, con lui non doveva mentire: “Sì, scusa. La verità è che mi sono trascinato fuori di casa.” L’altro annuì comprensivo: “Va bene.”
“E a te? Come vanno le cose?” Domandò Percy tanto per cambiare discorso. Non aveva assolutamente voglia di ammorbare il suo amico con i suoi problemi.
“Nessuna novità. Mia nonna continua ad urlarmi in testa, ma per fortuna oggi mi vedo con Hazel.”
“Oh, a proposito di questo… per caso hai sentito…”
“Percy.” Cercò di fermarlo Frank.
“O, se non tu, per caso Hazel ha parlato con…”
“Percy.” Ritentò il ragazzo riuscendo finalmente ad interrompere il suo amico: “Le serve tempo. Non starle addosso.” Continuò con dolcezza. Soffriva anche lui, nel vedere così il suo amico, ma sapeva per certo che fargli sapere cosa pensava Annabeth di lui gli avrebbe fatto solo male.
Percy fissò il poster sbiadito dei Rolling Stones che aveva davanti a sé. La celebre lingua spuntava dall’aurora boreale norvegese annunciando che il concerto si sarebbe tenuto il quattordici novembre del ’64. Non l’aveva mai notato, in tutte le volte che era stato lì, eppure adesso sembrava essere il perno attorno al quale ruotava l’intero bar, l’intero mondo. Scosse la testa, riscuotendosi dai pensieri vaghi e di dubbia utilità che si ritrovava spesso a dover scacciare, ultimamente: “Hai ragione, scusa.”
“Va bene.” Concluse Frank, fissando ancora il suo amico, come per accertarsi che stesse bene. E no, non sembrava star bene: “Io ora devo andare, va bene? Però puoi chiamarmi per qualunque cosa.” Disse poi, sinceramente preoccupato. Percy sorrise appena: “So badare a me stesso, grazie mamma Frank.”
Frank sorrise appena, prima di salutarlo con una pacca sulla spalla ed infilare la porta. Il fantasma di un sorriso era ancora chiaramente visibile sulle sue labbra, mentre guardava il suo amico, attraverso il finestrone del bar, farsi strada nel freddo newyorkese. Percy voleva davvero bene a quel ragazzo. Non gli aveva chiesto spiegazioni, ma si fidava di lui, gli credeva, gli era stato vicino e non l’aveva abbandonato. Si meritava la verità. In quel momento, in quel bar noioso e chiassoso a New York, Percy Jackson giurò a se stesso che avrebbe fatto di tutto per riavere indietro la sua ragazza ed i suoi amici e che avrebbe detto la verità, a tutti, a cominciare da Frank. Non immaginava, però, che, di lì a poco, quello stesso Frank avrebbe vissuto un brutto quarto d’ora.
 
Hazel era incredibilmente stressata. Attorno a lei tutto crollava sfuggendole irrimediabilmente via di mano. Nico si era chiuso in casa da qualche giorno e non vedeva più Will, ma con Nico era così: provare a chiedergli del biondo era totalmente fuori discussione, doveva essere lui ad aver voglia di parlare, chiedere non avrebbe portato a niente, tranne qualche battutina sarcastica di troppo ed una porta in faccia. Ad Annabeth, poi, serviva il suo spazio e Hazel lo capiva, lo capiva benissimo, ma aiutare qualcuno parlandoci poco stava rendendo la situazione insostenibile. La ragazza sapeva anche che lasciarla sola era ciò che la bionda le aveva espressamente chiesto, ma non poteva fare a meno di chiedersi se non stesse sbagliando tutto con lei, se quella fosse una strana ma palese richiesta d’aiuto. Per di più, neanche con Frank le cose sembravano girare per il verso giusto. O almeno, questo era quello che percepiva lei. Per il ragazzo la situazione sembrava normale, immutata, ma non sentiva più la stessa intesa con lui. Qualcosa si era spezzato e la ragazza l’aveva iniziato a notare la sera che più tardi avrebbero battezzato tra loro col nome di: “L’inferno al bowling”. Non che trovarsi in disaccordo col suo ragazzo l’avesse turbata, assolutamente, ma da quel momento aveva iniziato a notare certi atteggiamenti che proprio non le andavano giù, cose che aveva fino ad allora messo sempre a tacere, quando si presentavano fastidiose nella sua testa, cose che aveva giudicato di poco conto, irrilevanti, ma che adesso iniziavano a pesarle come un macigno. Quel giorno decise che gliene avrebbe parlato, che avrebbe deciso una volta per tutte se la loro storia era stata una decisione giusta o se era arrivato il momento di svelare i dubbi che aveva sempre nutrito. Il ragazzo si presentò con un po’ di ritardo alla sua porta, le guance rosse per il freddo: “Scusa il ritardo, stavo parlando con Percy.” Disse posandole un leggero bacio sulle labbra e superando la soglia della porta di casa.
“Figurati, è solo qualche minuto.”
“Ci vediamo un film?” Domandò Frank con un sorriso timido, improvvisamente stranito dalla tensione nell’aria e dall’esitazione negli occhi della sua ragazza. Non era tipo da fare proposte, ma sentiva di dover tastare il terreno.
“In realtà volevo parlare.” Annunciò Hazel sedendosi sul divano ed invitando Frank a fare lo stesso: “Mh, posso farti una domanda?”
“Sì.” Riuscì a stento ad articolare Frank, con la bocca improvvisamente secca.
“Okay. Tu… Cosa ne pensi di tutti noi? Uno per uno. Con sincerità.”
Okay, Frank si aspettava di tutto, davvero di tutto, ma non che la sua ragazza se ne uscisse con la richiesta di un commento personalizzato su tutti i loro amici e soprattutto… cos’era tutta quella gravità nel tono? Iniziò a credere che Hazel stesse cercando di fargli una domanda più specifica, ma non ne era poi così sicuro.
“Oh, mh, ecco… Jason è uno a posto, tranquillo, non mi ha mai dato problemi…”
“Mh-mh.” Annuì la ragazza, ma sembrava davvero poco interessata, sembrava aspettare molto altro. Adesso ne era certo. Non era certo un idiota e quella non era solo una strana sensazione.
“Hazel.” La chiamò quindi, invitandola ad alzare lo sguardo su di lui: “Perché vuoi sapere cosa penso di Leo?” Hazel arrossì vistosamente. Bingo.
“I-io… Non è che… Non mi piace come ti comporti con lui, sembra sempre che tu non veda l’ora che si azzittisca e quando non c’è sembri più tranquillo, ecco.” Silenzio. Silenzio interminabile, assordante, pesante distanziava i due.
“Perché stiamo parlando di lui?”
“Non l’abbiamo mai fatto.”
“Perché adesso?” Hazel non lo sapeva, non ne aveva idea: “Ti piace?”
“Cosa? No!” La risposta le era uscita di bocca in un baleno, ma anche questa volta la verità era che non lo sapeva, non ne aveva idea.
Frank la guardò insicuro ed incredibilmente triste: “Ti ha fatto un regalo a Natale, ti ha baciata alla festa di Annabeth, ti guarda ammirato… Mi sembra ovvio che abbia paura di lui, non ti pare?”
“Io sto cercando di salvare questa nostra amicizia.” Disse Hazel, con un filo di voce.
“Be’, non mi sembra stia dando buoni risultati.” Frank era stato… be’ non Frank, era stato tagliente.
“Non è colpa mia se Percy è uno stronzo.”
“Non è vero niente di quello che ha detto Ottaviano, come fate a non capirlo?”
“Come fai tu, ad essere così cieco?” Hazel non se n’era accorda, ma stavano ormai urlando e le lacrime le uscivano copiose dagli occhi: “Continui a scaricare la colpa su Leo, ma il problema è tra me è te. Lui non c’entra nulla. È colpa tua.” Sapeva di aver improvvisamente cambiato discorso, ma sentiva di dover dire quelle cose e di doverle anche dire immediatamente. Le ultime frasi sembravano aver ferito enormemente il ragazzo, che la guardò adesso seriamente preoccupato: “Che cosa stai cercando di dirmi?” Il tono della voce tornato ormai un sussurro.
“Che forse ho confuso l’amicizia con l’amore e ho sbagliato tutto.” Rispose la ragazza, con un soffio appena udibile, ma che giunse chiaro alle orecchie di Frank. La prima immagine che gli passò per la mente erano loro due, seduti sulla sabbia, davanti al fuoco crepitante. Lui le aveva detto che l’amava, lei l’aveva baciato, ma non gli aveva detto che l’amava a sua volta. Aveva preferito non pensare a quella scena per tutto quel tempo, ma in quel momento gli balenò in mente come un chiaro avvertimento. Si alzò dal divano, nonostante la paura che le ginocchia non lo tenessero. Doveva uscire dal tepore di quella casa, voleva stare al freddo, voleva non sentire più la punta del naso e le dita, voleva non sentire più niente: “È finita?”
“Mi dispiace, Frank, io…”
“Va bene, ho capito.” Rispose con un filo di voce, prima di aprire la porta e sentire appena il fievole sollievo del gelo sul viso.
 
Al diavolo le riconquiste, tutto ciò che voleva Percy era un po’ di pace. Luke gli aveva proposto di passare una serata insieme e lui aveva accettato. Non aveva di meglio da fare. Il problema della serata insieme era che non sarebbero stati soli e questo Percy lo scoprì troppo tardi. Eccolo di nuovo, il gruppo di folli che aveva sempre odiato, ma Luke era stato davvero gentile, aveva detto che dopo quello che aveva fatto Ottaviano gli aveva urlato di andarsene, di sparire per sempre dalla sua vista e Percy aveva ribattuto dicendo che anche lui l’aveva tradito, che aveva registrato la conversazione per girarla a suo favore e che aveva fatto domande specifiche. Luke aveva sospirato e poi aveva scosso la testa con un sorrisino. “Incredibile. È davvero incredibile. Non ho fatto nulla, io, deve aver trovato un modo per registrare quello che dicevamo, ma io non ho mai avuto nessuna nota vocale. Davvero.” Aveva detto il biondo tra un sorso di birra ed un altro. Percy gli aveva creduto. Luke gli stava vicino, gli era sempre stato vicino, nel bene e nel male. Sempre. Come aveva potuto abbandonarlo così? E quindi adesso Percy si trovava a casa di Clarisse con una nuvola di fumo attorno a lui, mentre rideva e beveva. Accanto a lui Rachel muoveva la testa nell’incavo della sua spalla. Al ragazzo venne da ridere. Sembra un gatto che fa le fusa. Pensò e non fu tanto sicuro di averlo solo pensato visto che la ragazza iniziò a ridere sguaiatamente, coinvolgendolo. Quando smisero di ridere Percy si rese conto che Rachel si era avvicinata tantissimo in poco tempo e adesso lo fissava con gli occhi grandi. I suoi occhi non erano affatto male, erano verdi, ma non come i suoi. Quelli di Rachel sembravano più del colore del muschio nei boschi dai tronchi d’albero scurissimi e molto poco simili a quelli del fondale marino. Provò l’impulso irrefrenabile di baciarla e si chinò verso di lei, le punte dei loro nasi si toccarono, ma all’improvviso, al posto di quel verde, il grigio di un cielo in tempesta gli si parò davanti. Si allontanò di scatto dalla rossa, il nuvolone di fumo lo stava soffocando col suo abbraccio stregato. Si alzò in un baleno, la testa gli girava, ma non gli importava, voleva un po’ d’aria. Si avvicinò alla finestra più vicina… no, era un balcone, si affacciò e New York gli si parò davanti col suo sguardo gelido e critico. Si sentì giudicato.
 
Agli occhi di tutti doveva essere stato piuttosto divertente, ma Nico non si era affatto divertito. Il suo ragazzo. Will l’aveva definito il suo ragazzo. Roba da non credere. C’erano milioni di problemi in questa definizione. Prima di tutto Nico avrebbe dovuto ammettere (almeno a se stesso) di provare qualcosa di vero per Will, qualcosa di forte che aveva davvero poco a che fare con del sesso occasionale. In più avrebbe dovuto ripercorrere tutto il loro rapporto, fino a quel momento, e legarlo alle persone più vicine a lui e questo significava una sola cosa: come l’avrebbe presa Hazel? Certo, la ragazza l’aveva, in un certo senso, già saputo da Will e si era dimostrata entusiasta, ma che conseguenze avrebbe avuto sulla loro vita se fosse stato vero? Il problema, però, era che per Nico Will significava già qualcosa: a causa sua era finito per parlare della sua omosessualità a sua sorella (okay, già lo sapeva, ma lui questo non poteva saperlo, no?), l’aveva chiamato durante un attacco di panico, per di più nel bel mezzo della notte e… maledetto Will, teneva davvero a quel ragazzo.
Sarebbe andato tutto a meraviglia se solo Nico non avesse rovinato di nuovo tutto con Will, per pura e semplice paura. Sì, perché spaventato dalle implicazioni necessarie dell’ammissione di Will con sua sorella e terrorizzato dal discorso che avrebbe dovuto affrontare col biondo, Nico aveva fatto la sola cosa che, a parer suo, gli era sempre riuscita a meraviglia. Affrontare i problemi? Prendere le cose di petto? Trovare una soluzione? No, Nico era scappato. Non rispondeva a messaggi, telefonate, videochiamate. Era scomparso con un messaggio breve e povero di spiegazioni che recitava un misero: ‘Meglio se non ci vediamo per un po’”.
Non che Nico volesse davvero non vederlo per un po’, ma Will stava entrando nella sua vita con una velocità allarmante e Nico non era sicuro di volere una nuova presenza nella sua vita, non voleva attaccarsi a qualcuno e rischiare di rimanere, un giorno, deluso.
Adesso, però, non ne poteva più. Will si meritava una spiegazione e… al diavolo le belle ragioni, Nico sentiva un bisogno disperato ed asfissiante di parlare con lui, di vederlo, di toccarlo…
Gli scrisse un messaggio. Un inutile ehi. Si sentiva uno stupido. Si aspettava davvero che dopo settimane di silenzio e terribile calma piatta Will volesse ancora parlare con lui? Sì, si aspettava davvero tutto ciò… o almeno lo sperava. Probabilmente si era già trovato un passatempo di gran lunga meno impegnativo e capriccioso. Nonostante tutto, però, il biondo gli rispose dopo qualche minuto, con un semplice ed ironico Bentornato tra i vivi. E Nico non potè fare a meno di sorridere. Qualche minuto dopo si erano già messi d’accordo per vedersi al solito vecchio bar. Dio, quante cose gli avrebbe dovuto spiegare.
 
Will entrò nel bar con un gran sorriso. Si aspettava già di vedere Nico seduto ad un tavolo, ma niente. In realtà il bar era tutto occupato. Bella fregatura. Neanche un tavolo libero. Poi, però, sembrò piovere dal cielo una soluzione, come se l’intero mondo si fosse mosso affinché i due si vedessero e parlassero. Non poteva essere un caso. Will non era tipo da vedere un segno in ogni evento, ma il ragazzo dall’aria triste e gli occhi verdi che si alzò da un tavolo ancora pulito ed inutilizzato sembrava essere piovuto dal cielo. L’angelo di Will abbassò la testa corvina imbarazzato ed il biondo poté giurare di averlo visto asciugarsi una lacrima dal viso, mentre apriva la porta del bar lanciandosi nel freddo pungente. Povero ragazzo pensò Will sedendosi al suo posto. Non sapeva chi fosse, ma a quanto pareva, quel tavolo, quel giorno, avrebbe assistito a gioie e dolori e Will sperò vivamente che le sue fossero gioie. Poco dopo, il suo… Be’ il suo Nico si presentò con un sorriso timido e colmo di sensi di colpa, lasciandosi cadere sulla panca, attento a non incrociare lo sguardo del biondo.
“Posso spiegare.” Prese coraggio il corvino, con voce timida.
“Non sono un giudice o un avvocato, ma ammetto che mi farebbe piacere.” Rispose Will con un sorriso ed un tono tutt’altro che offeso. Nico alzò di scatto lo sguardo su di lui, sorpreso. Allora non ce l’aveva con lui? Il biondo arrossì appena per l’improvviso contatto visivo: “Se vuoi.” Aggiunse, tremendamente spaventato dal fatto che Nico potesse averlo guardato così perché offeso.
“No, no, cioè sì, voglio. Mh, hai detto a mia sorella che...”
“Oddio, scusa, sono stato un idiota.” Tagliò corto Will, che aveva immaginato la storia fosse nata da questo: “So cosa mi stai per dire. Non… Be’ non voglio perderti, mi va bene una relazione basata solo sul sesso, davvero.” Nico arrossì vistosamente e gli intimò con un gesto di abbassare la voce, ma non riuscì ad interromperlo perché Will era troppo deciso a finire il suo discorso: “L’ho detto solo perché… Cioè credevo che quello della sera prima fosse stato un passo avanti e mi sono lasciato prendere perché mi piaci davvero e… Dio, sono davvero in imbarazzo, ma non avrò mai più il coraggio di dirtelo ed oggi è una bella giornata e mi sento positivo quindi sto dicendo tantissime cose a caso perché…”
“Will.” Lo fermò Nico approfittando del fatto che Will fosse umano e avesse bisogno di prendere fiato: “Non… non è questo il problema. È che ho avuto paura.” La frase riuscì a zittire l’altro del tutto. Nico giurò che se fosse stato un cartone animato Will avrebbe avuto in testa un grande punto interrogativo rosso: “Che vuoi dire?”
“Intendo che… Insomma sai cosa è successo alla mia famiglia. Non voglio legarmi a qualcuno se non posso proteggerlo e non voglio che… Insomma che mi abbandoni, quindi…”
“Frena, frena, frena, frena, frena, frena…” Will lo guardò fisso, tentando di elaborare i pensieri: “Frena.” Ribadì: “Mi stai dicendo che è davvero questo il problema? Vuoi negarti la felicità perché in passato hai sofferto? Fai prima a smettere di vivere e basta.”
“Mh, non mi sembra una cattiva idea.”
“Sono serio. Non puoi attaccarti a Hazel. Devi lasciarla libera, non sarà sempre lì per te.”
“E tu potresti?” Domandò Nico ironico.
“Sì.” Rispose Will con una fermezza sconvolgente: “Nico, quello che è successo alla tua famiglia è terribile, ma non è stata colpa tua. So che mi avevi detto di non dire frasi scontate come queste, ma a me sembra che tu sia convinto del contrario.”
“Ho anche avuto problemi…”
“Ne abbiamo avuti tutti.” Tagliò corto Will: “E poi non è certo l’etichetta a determinare il rapporto.”
“Cosa? Che… che intendi?”
“Intendo che hai deciso nel momento in cui mi hai chiamato che volevi che facessi parte della tua vita. La parola ‘fidanzato’ è solo un’etichetta e dovresti scrollartela di dosso. Siamo quello che siamo, io e te, non una stupida parola. Quella è… quella serve agli altri, non a noi.” Nico non sapeva che dire. Non era mai stato bravo con le parole, ma adesso non sembrava averne neanche una a dargli una mano. Will aveva ragione in tutto ed il bel discorso che aveva preparato sembrava sgretolarsi ai suoi piedi, senza logica. Si sentiva totalmente abbandonato dalle sue idee e pienamente d’accordo con quelle diametralmente opposte di Will. Alzò gli occhi sul biondo ed annuì impercettibilmente. Will sembrò notarlo perché sorrise, contagiando anche Nico. Il moro, però, si concesse un sorriso appena più malizioso: “Mh, ti va se continuiamo il discorso da me?” Domandò. Si sentiva un po’ in imbarazzo a parlare così, ma… d’altro canto Will era il suo ragazzo, ormai… per la società, be’… Sì, insomma, aveva afferrato il concetto.
“Volentieri.” Disse Will mettendosi il cappotto, alzandosi e porgendogli scherzosamente il braccio, come se Nico fosse stato un aristocratico da scortare fuori.
Per la seconda volta di fila, quel giorno, quel tavolo rimase pulito.
 
Note di El: Oh, troppo presto? Ripasso tra un mesetto? Be’, per una volta ho fatto primaaa. Sono una frana coi titoli, Dio mio, ormai dovreste averlo capito. Mh, che dire. Oh, ho citato Coco. Sì, tutti quei “frena” di Will… Nulla, volevo omaggiare quel film e Will ci stava troppo bene. Ah, allora partiamo con la fine? Va bene. AVETE AVUTO LA VOSTA SOLANGELO, ADESSO CUCCIA. No, okay, ho adorato scrivere quel flusso di pensieri, all’inizio. Mi piace lo stile confuso e incoerente e contrastante. Evviva, per una volta sono soddisfatta. Sì, di mezzo rigo, ma vabbè. Sappiate che questo non è Will. Cioè, sì, è Will, insomma lo sapete che è lui, ma tutto il discorso delle etichette è un’idea che appoggio tantissimo di un mio amico, che mi ha fatto vedere le cose sotto una nuova prospettiva e mi ha un po’ cambiata. E nulla, siccome quei due sono praticamente due gocce d’acqua in tutto ho pensato che Will dovesse esprimere il suo pensiero. Ecco, altro omaggio fatto. Oh, avete capito chi era il ragazzo che è uscito dal bar mentre Will entrava? Adoro questo genere di cose.
Ora, eh lo so che Percy si sta lasciando andare, ma mi serve che stia via per un po’, che sbagli, perché di errori ne facciamo tutti e non sarebbe realistico. Ah, scusate se spesso i suoi pensieri risultano stupidi e incoerenti e se New York ha avuto uno sguardo, alla fine del suo pezzetto, ma dovevo adattare lo stile alla confusione di quei momenti e di tutto quel fumo.
LA FRAZEL, mh, non mi posso esprimere troppo su di loro perché sono il tipo di persona che si fa scappare il regalo di compleanno in un discorso sui dinosauri perché è disattenta, quindi ho paura di anticipare qualcosa. Comunque sappiate che è dal capitolo 0 che doveva andare così. Ho tutto sotto controllo, giuro, anche se quando nei film lo dicono nulla è davvero mai sotto controllo.
Frank e Percy non passavano più molto tempo insieme per motivi di gruppo, quindi mi piaceva l’idea che Frank potesse essere l’unico dalla sua parte. Ha sorpreso anche me (Oh, no, così sembra che la storia mi sfugga di mano, dannazione).
Piper e Jason sembrano un po’ le pettegole della situazione ma ehi, uno alla volta.
Ringrazio tutti i folli seguaci e la mitica in tutto _Viola02_ (Ti piace anche Haikyuu CIOÈ TI ADORO).
Ah, scusate se Leo è assente… OH NO... BASTA ZITTA, EL. BEEEEEEE' Note finite. A presto (spero). Ciao.
Adieu,
 
El

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Capitolo 22
*** 22 - Scoppio ***


SCOPPIO

 
Il tempo stava passando, inesorabile. Marzo si preparava già a invadere New York col suo gelo e Annabeth non vedeva Percy da un pezzo. Certo, ce l’aveva ancora con lui, ma una parte di lei, la più nascosta, odiata e irrazionale parte del suo cervello, sperava davvero che, come in quegli stupidi film adolescenziali che plasmano la mente delle ragazzine sognanti, il moro sarebbe tornato da lei quasi in lacrime, con un mazzo di fiori ed una cena da consumare.
Non era successo. Non che ad Annabeth piacessero davvero quelle cose, no, ma si aspettava davvero una reazione, una spiegazione da Percy. Il fatto, in sé, non le appariva neanche poi così grave, ora che la rabbia era scemata lasciando posto al senso di abbandono. Ottaviano era un idiota, subdolo e cattivo, ma il solo fatto che Percy non avesse speso una sola parola per smentire quanto detto dal biondo portava ad una sola logica e dolorosa conclusione: Ottaviano diceva la verità. Per quanto scomoda, terribile, inaccettabile, quella era la verità. E poi c’era la storia di Rachel che, per la bionda, non era che un motivo in più per avercela con lui. Il gruppo si era smembrato. Hazel e Frank si erano lasciati, ma Hazel non sembrava più rilassata senza il suo ragazzo. Nonostante fosse stata una sua decisione, anzi, sembrava più tesa, preoccupata, a tratti triste, malinconica e pentita ed Annabeth conosceva i dettagli della sua lotta interiore.
I corridoi scolastici, col freddo e la loro aria abitudinaria, rendevano l’atmosfera più tetra e angosciante. Il rosso un tempo acceso degli armadietti sembrava spento e vecchio, forse aiutato dalla ruggine sui bordi. Il pavimento color panna dava un’aria triste all’ambiente, per non parlare delle luci bianche, che più che illuminare, regalavano un aspetto malinconico e sporco alla scuola, che ricordava più un ospedale di periferia. Se fosse il freddo o il suo umore, a causare queste sensazioni, la ragazza non seppe dirlo. Annabeth si stava avviando all’uscita, incredibilmente stanca, alla fine della sua giornata scolastica. Ancora un paio di svolte e la porta doppia della sua scuola le si sarebbe parata davanti, concedendole di lanciarsi nel freddo, con l’unica consolazione dell’imminente obiettivo: le coperte calde del suo letto e qualche film pilastro della storia cinematografica. Purtroppo, dopo la prima svolta, la bionda fu costretta a rivedere (o meglio ritardare) i suoi piani. Un gruppo di ragazzi più o meno folto stava ostruendo il passaggio e faceva un gran baccano, annullando qualsiasi tentativo da parte di Annabeth di parlare per chiedere di fare largo. Qualche secondo dopo, però, la bionda si pietrificò sul posto, come una statua di Medusa. Il gruppo si era radunato in cerchio attorno a due ragazzi, che discutevano in modo piuttosto animato.
“Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo, Jason. Fai l’amico e poi al primo problema scappi. Sei un codardo.”
“Io sarei il codardo? Tu sei fatto. A scuola. Da cosa scappi, Percy?” Lo provocò il biondo, con una punta di dispiacere nella voce, attenta a non prendere il sopravvento.
“Sì, perché adesso il problema è che mi faccio. Non mi pare ti facessi problemi a provarla anche tu, qualche tempo fa, o sbaglio?” Lo spintonò Percy, costringendolo ad indietreggiare verso gli studenti, che gli fecero largo come se toccarlo potesse causar loro una scossa elettrica. Annabeth scorse nella folla una testa riccia che urlava ai due di fermarsi, ma che non riusciva a farsi sentire in mezzo agli schiamazzi degli altri ragazzi. Lo raggiunse, spintonando gli altri studenti: “Cosa sta succedendo, Leo?”
“Secondo te? Hanno ripreso a litigare. È successo mentre uscivano dallo spogliatoio.”
“Percy, tu sei fatto a scuola. Hai idea di quanto la cosa possa crearti problemi?”
“Oh, giusto, dimenticavo.” Ringhiò sarcastico il moro. Più che tagliente, però, ad Annabeth sembrò folle: “Il santarellino, qui, è rappresentante. Cosa cerchi di fare, eh? Vuoi farmi espellere?”
“Oh, ti prego, sto solo cercando di aiutarti, idiota.”
“Be’, l’ho visto. Tu sì che mi sei stato vicino. Ha funzionato. Sei un grande, davvero.”
Jason ci aveva provato. Ci aveva provato davvero ad essere maturo e superiore, ma non resse. Scaraventò Percy contro l’armadietto alle sue spalle, prendendolo per il collo della maglietta: “Tu… Brutto…”
“Basta così.” Intervenne una nuova voce, facendosi largo tra i ragazzi.
“Oh-oh” Scherzò Ottaviano, che si trovava di fronte ad Annabeth: “Il tuo paparino ti rimette a posto, Jackson.” Iniziò il biondo: “Oh, scusa. Il tuo paparino non è più qui, o sbaglio?”
Jason lasciò la maglia di Percy, che aveva preso a fissare Ottaviano, minacciandolo con lo sguardo. Ora regnava il silenzio.
“Ho detto basta.” Ripetè il professor Blofis, avvicinandosi ai due: “Devi averci messo tutto te stesso per far arrabbiare Grace… Seguimi.” Intimò al moro, che lo obbedì, facendo cadere per una frazione di secondo lo sguardo su Annabeth, per poi girarsi verso il corridoio, come se non l’avesse vista davvero, mentre il suo sguardo si ammorbidiva fino a rattristarsi del tutto.
 
“Non è stato bello. Affatto.”
“No, scusa, ma tu l’hai visto?” Domandò Jason incredulo: “Non faceva che provocarmi.”
“Jason, non importa cosa ci abbia fatto. Sta chiaramente male, non puoi averlo preso così sul serio.” Continuò Piper, decisa a non lasciar cadere la questione.
“Dici la verità, lo difendi solo perché sta frequentando Luke. Sentir parlare di lui ti ha fatto provare qualcosa, vero?” Domandò velenoso Jason, totalmente fuori di sé dalla rabbia,
“Che cosa? Sei…”
“È di questo che parlate tu e Annabeth, vero? Hai dubbi su di me? Vuoi tornare da Luke?” L’interruppe lui.
“No, Jason, abbiamo sempre parlato di Percy, davvero.”
“Sì, già, non si fa altro che parlare di lui. Perché quello ribelle è l’eroe nazionale e deve stare al centro dell’attenzione, giusto? Ci ho provato a lasciarmi andare, ma non sono così.” Seguì un silenzio in cui il respiro pesante di Jason era l’unica eccezione. Piper collegò i pezzi. Comprese il vero problema tra quei due, capì cosa c’era sempre stato sotto, nonostante l’amicizia e le pacche sulle spalle. Capì su cosa si era sempre fondato il rapporto di tutti i suoi amici: su una banale finzione. Arrivò a pensare che quello che era successo, più che una tragedia, fosse stata una benedizione. Se c’era ancora qualcosa da salvare era un bene che tutto il castello di fantasie fosse crollato lasciando solo le fondamenta marce di una serie concatenata di rapporti malati, segreti nascosti, speranze inespresse. Dovevano partire da lì e Piper sapeva di essere l’unica abbastanza ferma mentalmente da poterlo fare, l’unica davvero ed innegabilmente sincera con tutti. In fin dei conti Annabeth aveva sempre tradito una forte diffidenza nei confronti del suo ragazzo, Percy aveva mostri nascosti, Jason invidie represse del tutto ricambiate, Leo speranze sfiorite, Frank gelosie malsane e Hazel dubbi pressanti. Tutti loro non erano del tutto sinceri eccetto lei. E lì, sul prato antecedente al loro istituto, Piper lo comprese appieno.
“Va bene, ho sbagliato prima, ma non ci ho visto più dalla rabbia. Succede anche a me, sai? A volte perdo anch’io il controllo.” Continuò Jason, dopo quel silenzio carico di rivelazioni. Era chiaro che lui l’avesse passato a rimuginare sulla confessione che si era lasciato scappare.
“Ehi, non ho detto che…”
“No, perché vi aspettate che io sappia sempre cosa fare, come comportarmi, come essere. La verità è che non lo so mai. Che le aspettative sono sempre più alte e io ho paura che un bel giorno mi sveglierò e capirò che non sono all’altezza della prossima sfida, che deluderò tutti.” Trasse un respiro profondo, pronto a dire la verità che bruciava: “È più facile quando nessuno si aspetta niente da te, quando sei l’eterno secondo. Puoi solo migliorare, sconvolgere tutti, essere acclamato, la grande rivelazione. Non fraintendermi, non m’importa nulla del successo, solo delle aspettative e Percy non ne ha. Lui non deve addossarsi la colpa se la squadra perde la partita, anzi può sfruttare quella frustrazione per dare la colpa al capitano che non dovrebbe essere lì, che è nel posto sbagliato. Può fumare, può sbagliare, può fare lo stronzo e io non posso. Io devo essere sobrio, elegante, giusto e non capisco perché nessuno prenda in considerazione l’età che ho, i sogni che ho io e non quelli che uno studente brillante dovrebbe avere. Se quello che volessi non fosse gestire un’azienda e passare la vita a incattivirmi nel mio ufficio? Se volessi viaggiare, vivere male, vivere alla giornata? So che sto sputando nel piatto in cui mangio e che gli altri farebbero carte false per stare nella mia posizione, so che Percy mi chiamerebbe ‘ingrato’, ma è troppo e io non lo reggo.” Un misto di tristezza e sconforto gli oscurò le scintille arrabbiate che bruciavano ancora fievoli nei suoi occhi ghiacciati, ad accentuargli la cicatrice sul labbro. Una strana tensione che non aveva bisogno di parole si creò tra i due. Non sembrava ci fosse frase che dimostrasse la comprensione di Piper, la voglia di mostrargli che anche lei si sentiva così ogni giorno con sua madre, schiacciata dalla pressione delle aspettative. Una strana tensione che, a poco a poco, fu sempre più chiara alla ragazza. Un’idea le illuminava ora la strada e sapeva essere quella giusta. Fissò la cicatrice del ragazzo davanti a lui, la tristezza nel suo sguardo aveva ora lasciato posto a qualcosa di diverso, di via via meno denso. Piper chiuse gli occhi e si fiondò sulle sue labbra assaporando con la lingua quel taglio in una danza sensuale e dolce al tempo stesso. Un bacio che sapeva di desiderio, ma anche di comprensione, di accettazione.
 
“Ehi, scusa, ma cos’è successo?” Domandò Hazel, comparendo dal nulla alle spalle di Leo, che guardava fisso il punto in cui Percy era stato portato via, giocherellando distrattamente con un paio di oggetti metallici che Hazel non seppe identificare: “Mi hai sentita?” Riprovò la ragazza, scuotendolo dolcemente per la spalla.
“Mh? Sì, voi americani siete drammatici.” Sentenziò il ragazzo mettendosi dritto e regalando un sorriso alla ragazza di fianco a lui: “Vero? Me lo dice anche mio fratello.”
“Non è americano?”
“Mh, no, è italiano. Non è… proprio mio fratello, ecco.” Rispose Hazel imbarazzata, non si era resa conto di aver rivelato troppo con una frase tanto innocua. Leo, però, si limitò ad annuire e non fece altre domande. Gliene fu grata. Magari Frank avesse lasciato perdere questioni simili. Con il suo voler sempre essere d’aiuto risultava opprimente ed asfissiante e… Perché metti a confronto Leo e Frank? Si ritrovò a domandare la ragazza, sempre più stressata dalla felicità e dalla semplicità che il suo rapporto con Leo le procurava. Era sempre stato così, ma si era sempre sentita troppo in colpa per avvicinarsi a lui. Adesso si sentiva decisamente più libera e, ahimè, sapeva che questa libertà aveva portato con sé un’innegabile attrazione che faticava ad ammettere di provare per il messicano.
“Vorrei conoscerlo bene, l’ho solo visto di sfuggita qualche volta, quando venivo a studiare storia da te. Ripensandoci… dovremmo rifarlo, la fine dell’anno si avvicina ed io non sono migliorato. Neanche un po’.” Hazel ci pensò su: “Hai da fare adesso?”
“No, in realtà. Andiamo.” Disse Leo, avviandosi. Hazel si fermò preoccupata a guardare la sua schiena allontanarsi. Aveva un brutto presentimento: “Vieni?” L’incalzò il messicano.
“Non se porti quel coso in casa mia.” Cercò di mascherare Hazel raggiungendolo e gesticolando verso gli strani aggeggi che Leo teneva tra le mani.
“Stai scherzando? Coso a lei? È una calcolatrice e la sto costruendo e programmando io.” Disse Leo fiero, guardando i pezzi di acciaio e metallo che aveva in mano come se ci vedesse davvero una calcolatrice.
“Dio, ne parli come se fosse una ragazza. Ma sei capace di affezionarti ad una persona?” Domandò Hazel ridendo.
“Certo.” Replicò deluso Leo, guardandosi i piedi, in evidente imbarazzo. Hazel si morse il labbro inferiore a disagio Dio, ho appena flirtato con lui? Per essersene accorto uno come Leo devo essere stata piuttosto eloquente: “Be’ e come potrebbe quella diventare una calcolatrice?” Domandò Hazel, cercando di nuovo di reindirizzare la conversazione su un piano tranquillo tra amici. Leo si illuminò tutto a un tratto.
“Vuoi davvero saperlo?”
“Ehm, non ne sono così sicur…”
“Praticamente il codice di programmazione è piuttosto semplice. Si programma in modo che ad un preciso impulso corrisponda una precisa risposta. È come il cervello umano. Solo che è più facile.” Leo rise appena: “Mooolto più facile. Il problema è trovare un modo per evitare i tasti, perché non ho i pezzi. Pensavo ad una rotella. Ogni angolo corrisponde ad un numero. Dovrebbe funzionare, ma devo occuparmi prima del corpo della calcolatrice. Vedi…” Il messicano indicò un paio di fili e avvallamenti nella rete di plastica nera che teneva in mano. Non che Hazel ci capisse molto, ma trovava tutti quei ragionamenti e pensieri davvero, davvero sexy. No, non aveva affatto un buon presentimento.
 
Il professor Blofis era riuscito a farlo cedere. Nessuna punizione pesante, nessuna espulsione o ore di detenzione. Doveva solo frequentare un club. Percy non ci aveva messo molto ad optare per quello di pittura. Avrebbe potuto fare quello che gli pareva e Rachel non l’avrebbe costretto a lavorare davvero, se lui glielo avesse chiesto molto molto molto gentilmente, ma c’era un aspetto che non aveva assolutamente considerato e se ne rese conto fin troppo tardi. Il corso era finito da ormai una decina di minuti. Percy doveva ammettere che era stata brava. Non se ne era reso conto, ma erano soli. Il corso di pittura era l’unico a tenersi di giovedì, quindi l’intera scuola era deserta, fatta eccezione per qualche professore ed il custode. Pessima situazione.
“Mi porti a vedere gli spogliatoi della squadra? Non li ho mai visti.” Domandò Rachel con finta innocenza. Gli spogliatoi li aveva visti e Percy lo sapeva benissimo. Deglutì attento a non fare troppo rumore: “Certo.” Disse avviandosi per i corridoi deserti, sperando che un’anima lo salvasse dal suo tremendo destino.
Appena la porta si fu chiusa dietro di loro, Rachel si avvicinò con velocità felina al moro: “Tutto bene? Mi sembri teso.” Disse massaggiandogli le spalle. Percy esalò un respiro tremante. Doveva ammettere che era teso e le attenzioni della rossa non erano poi così male: “Non è un periodo felice.”
“Stai meglio senza di loro, ma Ottaviano è stato crudele, davvero.”
“Alla fine non mi accettano per quello che sono. Loro non sanno niente di me.” Si sfogò lasciandosi andare su una panca. Le mani della rossa furono subito sul suo collo, per poi scendere verso la schiena: “Io so tutto e mi vai bene così.” Gli sussurrò la ragazza all’orecchio. Percy girò di poco il collo per guardarla. Di nuovo quegli occhi verdi così diversi dai suoi lo fissarono desiderosi ed intensi. Al diavolo. Pensò il moro, alzando gli occhi al cielo. Poi la baciò. Lo schiocco delle loro labbra risuonò forte negli spogliatoi vuoti facendo ridacchiare la ragazza. Rachel si mosse senza spezzare il contatto e si accomodò sulle gambe di Percy. I baci divennero più urgenti finchè la ragazza non si piegò in avanti fino a spingerlo con la schiena sulla panca, facendolo sussultare: “Dici davvero?” Domandò Percy, staccandosi da lei e guardandola negli occhi improvvisamente scuri. Le sue mani fredde erano sull’orlo della maglietta del moro, pronta a liberarsene: “Cosa?” Domandò confusa: “Dici davvero?” Ripetè Percy: “Vado bene così?” Domandò.
“Sì.” Rispose lei, sfilandogli la maglietta con un movimento fluido, per poi riprendere a baciarlo avidamente: “Vai bene così.”
 
 
 
Hazel lo sapeva. L’aveva sempre saputo: portare Leo a casa sua era stata una pessima idea. Non che non ne fosse felice, anzi. È che era sempre più complicato ammettere che Leo le faceva provare sensazioni che nessuno le aveva mai fatto provare, che aveva sempre cercato e che aveva trovato solo grazie a lui, in quei mesi. Ma Frank, il suo migliore amico, nonché ex, non faceva che rispuntarle in testa con quello sguardo triste e deluso: era come tradirlo. Non stavano più insieme, ormai erano passati quasi tre mesi, in cui si erano visti solo nei corridoi, evitando lo sguardo dell’altro come la peste. Meno di un anno fa, Hazel non avrebbe mai pensato che, qualche tempo dopo, non avrebbe più avuto Frank al suo fianco ogni giorno. Eppure era vero. Eppure le cose erano andate così. Col senno di poi, il fatto che il gruppo si fosse smembrato a causa di problemi diversi dalla rottura tra Hazel e Frank, regalava alla ragazza un leggero sollievo. Non che ne fosse felice, certo, ma così, almeno, aveva un senso di colpa in meno. Tornando a quel pomeriggio, però, Hazel era certa di una cosa sola: portare Leo a casa sua era stata una pessima idea per la sua costante indecisione. Perchè? Perché aveva avuto, come unico, prevedibile, risultato, quello di scioglierla come burro al sole. Nico non c’era ed erano soli. Due adolescenti attratti l’uno dall’altra (ahimè, lo iniziava a capire anche lei) da soli in una casa. Merda. Non che Hazel potesse lamentarsi, affatto.
Il pomeriggio era andato in modo strano. Avevano davvero studiato un po’ di storia, poi Leo si era distratto e aveva ripreso a parlare di ingegneria robotica. Questa volta Hazel non resse. Non resse per nulla. Lo chiamò un paio di volte, ma lui non rispose, troppo preso dal suo discorso. La terza volta trovò un modo migliore per attirare la sua attenzione: gli prese il viso tra le mani e lo baciò, assaporando le labbra calde del ragazzo come fossero un lusso proibito. Leo sbarrò gli occhi e ci mise un po’ per processare l’accaduto, poi li chiuse e si lasciò trasportare dalle sensazioni che vagamente ricordava, facendo scivolare la lingua tra le labbra umide di Hazel. La ragazza iniziò a soffrire la posizione scomoda e si alzò dalla sua sedia per andare a sedersi sulle gambe del messicano, che l’accolse senza troppe cerimonie. Il bacio divenne via via più affamato, la lingua di Leo che scivolava sensuale dentro e fuori la sua bocca. L’atmosfera si riscaldò in fretta, finchè Hazel non scivolò sulle cosce del ragazzo, facendo scontrare le loro intimità. Leo sussultò, mentre il respiro accelerava. Si fiondò sul collo della ragazza, succhiando la pelle sensibile e facendole scappare dei gemiti strozzati. La mano di Hazel scese sulla patta dei pantaloni di lui, abbassando la zip con una velocità che al ragazzo sembro considerevolmente bassa. Con le mani risalì sui fianchi magri di Hazel, per poi scendere ancora e poggiarsi sul lembo della sua maglietta, alzandola appena, come a chiederle il permesso: “Toglila.” Sussurrò lei. E a Leo bastò. Hazel, intanto, si occupò dei pantaloni verdi dalle tasche larghe del ragazzo, impossibili da abbassare, in quella posizione. Leo, infatti, lanciò la maglietta di lei sulla scrivania e si alzò con uno sbuffo, tenendola in braccio, dirigendosi verso il letto.
 
Ottaviano sogghignò. Il fascio blu del suo computer era la sola fonte di luce nella stanza buia, il che conferiva alla scena un aspetto più che inquietante. Gli occhi folli saettavano da una foto all’altra, da un elemento nuovo ad un altro. Non aveva idea di quanto lontano fosse disposto a spingersi, ma sapeva che tutto ciò che voleva era rovinare la reputazione e la felicità di Percy Jackson il più possibile. Voleva vendetta. Ecco tutto. Digitò il nome del complice velocemente, gli occhi che rischiavano di uscirgli dalle orbite per la frenesia: “Rachel mi ha detto tutto. Ha smesso di avere una doppia vita come quello stronzo del padre. Aspetta che lo vengano a sapere”.
 
Note di El: Cheeeee confusionee. Questi capitoli sono un parto. Devo far succedere tutto in poco tempo, incastrare gli eventi in modo preciso e spezzarli a dovere. Io. Io che mi se faccio ricerche su Einstein, mi distraggo e finisco a vedere documentari sui leoni marini. Io. LA VEDO MALE. Questo era pronto da una decina di giorni, ma c’era qualcosa che non mi convinceva proprio. Prendetelo così come viene. Comuuuunque, tralasciando le scemenze.
Sono particolarmente felice della strana deviazione che hanno preso Jason e Piper. Era necessaria. Ci voleva qualcuno con la mente fredda e perché non Piper? Piper che capisce le persone, Piper che sa curare le loro ferite con una parola, Piper che è vista da tutti come la stupida e che, invece, vuole riscattarsi. In una storia in cui tutti devono risolvere problemi con tutti, mi piaceva l’idea che sia lei a dare il via alla ruota degli eventi, partendo da se stessa e dalle sue rivelazioni. Jason, poi, doveva proprio farsi uscire la verità. Era ora.
Attenzioneh: Jason che parla di libertà di fumare erba non è un’incitazione a fumare, né sottintende una visione del tipo “fumare fa figo e ti rende libero”. È solo un adolescente arrabbiato con la sua vita che ricerca forme di ribellione. È solo una storia. Per giunta su degli adolescenti, che per definizione fanno stronzate. Ci tenevo a specificarlo.
Sappiate che i procedimenti della calcolatrice di Leo non sono buttati lì a caso del tipo: "Sì, faccio questo, poi, questo, e olè, ci siamo!", ma sono tutti veri. è possibile creare una calcoltrice che al posto dei tasti abbia una rotella come quella spiegata dal messicano. E lo so perchè il mio migliore amico è pazzo come Leo e l'esperimento è tutta opera sua e io sono abbastanza pazza da ascoltare tutti i suoi procedimenti e ricordarli a grandi linee.
Ora, non uccidetemi per Hazel e Leo. È una cosa che esiste dalla notte dei tempi e, vista la “singletudine” di Leo c’era da aspettarselo. O almeno, c’era da aspettarsi che avesse qualcosa da fare, accidenti. Volevo rendere la scena arancione più lunga, ma ho pensato che mi avreste uccisa se avessi continuato un rigo di più. Sono pronta per i pomodori. Lanciate, cecchini.
Rachel e Percy erano necessarissimi. Scusate scusate scusate, mi rifarò.
Ottaviano trama ancora, ma con chi? EHEHEHEHEHEH, chissà.
Detto ciò, io vi saluto e ringrazio tutti quelli che continuando a mettere la storia tra le ricordate/seguite/preferite, un ringraziamento speciale a _Viola02_ che continua a commentare nonostante i miei ritardi (nell’aggiornare e mentali) e grazie anche a te, lettore silente sintonizzato!
A prestoooo;
Adieu,
 
El.

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Capitolo 23
*** 23 - Scoperta ***


SCOPERTA
 
Piper ne era certa. Le cose potevano andare meglio. Il suo meraviglioso piano era iniziato da un pezzo e le cose sembravano girare bene. Certo, era riuscita a portare a termine solo la fase più facile, ma era fiduciosa e sapeva che da qualche parte bisognava pur cominciare. Tre mesi. Marzo inoltrato ricordava alla ragazza che erano passati ben tre mesi e che era giunto il momento perfetto per agire. Dopo tre mesi la rabbia doveva aver lasciato il posto alla nostalgia, ai rimpianti, alla voglia di riavvicinarsi. Era passato troppo poco tempo per non avere più voglia di fare ammenda, ma troppo tempo perché gli spiriti fossero ancora bollenti. La prima fase del suo piano l’aveva spinta a riavvicinare la parte del gruppo che non aveva problemi. Il che lasciava fuori Percy, perso ormai tra amicizie sbagliate ed una nube di errori, Frank, dato che Hazel aveva parlato a Piper dell’incontro ravvicinato che aveva avuto con Leo, ed il messicano stesso, che da qualche tempo si era allontanato da Hazel inspiegabilmente. La ragazza, infatti, le aveva raccontato che quello che c’era stato tra loro non era stato del tutto piacevole, che era stato strano, che non c’era stata intesa e che Leo, appena concluso, si era alzato a sedere confuso, dandole spalle, con la testa riccia tra le mani ed i capelli più incasinati del solito. Aveva pensato a cosa dire, ci aveva ragionato per un tempo che gli era sembrato infinito e poi si era arreso, deciso ad andare a braccio e a cercare di farsi capire il più possibile. Si era voltato e aveva appena aperto bocca, quando Hazel lo aveva fermato con un gesto della mano: “Sì, è stato un errore. Lo penso anch’io.” Leo aveva sorriso, in imbarazzo: “Il fatto è che… Già, non so bene…”
“Leo, non devi sentirti in colpa. Io e Frank non stiamo insieme.”
“Mi sembra che…” Iniziò Leo abbassando gli occhi, ancora in imbarazzo, ma questa volta non c’era l’ombra di un sorriso ad illuminargli il volto.
“Che?” Lo incalzò Hazel, quando notò che non continuava.
“Nulla, davvero. Vado.” Annunciò, prima di raccogliere le sue cose, esitando con lo sguardo sull’oggetto che aveva mostrato a Hazel, prima che gli saltasse addosso, decidendo, infine, di lasciarlo lì. Quel progetto non lo allettava più di tanto, ormai. Da quel momento in poi, almeno a detta della ragazza, Leo si era allontanato dal gruppo e parlava solo saltuariamente con Jason. Al biondo, però, non pareva stesse male, anzi, lo trovava più pimpante del solito. Secondo Piper, però, c’era ancora da indagare. Dopo la serata in spiaggia, aveva iniziato a capire il messicano un po’ meglio e le sembrò che troppa felicità fosse tutt’altro che un buon segno, nel suo caso.
Il secondo passo era stato convincere Annabeth a parlare con Percy, a chiarire e a confrontarsi. Non era stato troppo difficile per una sola ragione. Dopo i primi “Non se ne parla” della bionda, Piper aveva iniziato a capire che la sua unica arma era fare leva sulla razionalità della ragazza. La parte facile? Piper era nel giusto e la logica avrebbe portato Annabeth a darle ragione una volta per tutte, in onore della verità. Idealmente non sembravano, dunque, esserci difficoltà; praticamente era stato complicato, aveva dovuto formulare bene le frasi e scegliere con cura le parole. Alla fine, però, l’aveva convinta. Ecco perché in quel momento si trovavano davanti la porta degli spogliatoi maschili di football. Annabeth era poggiata allo stipite di una porta con aria annoiata, ma Piper la conosceva abbastanza da sapere che ogni sospiro scocciato tradiva un certo nervosismo. Non restava che sperare che Percy non vedesse l’ora di parlare e che fosse ben disposto, cosa di cui Piper dubitava fortemente, ma com’è che si dice? La speranza è l’ultima a morire.
 
Prima che Annabeth potesse ripensarci, la porta dello spogliatoio si spalancò e un’infinità di schiamazzi si riversò nel corridoio, come se quella porta avesse contenuto per troppo tempo tutto quel rumore e poi fosse esplosa. La risata di Percy risuonò cristallina ed il ragazzo spuntò dalla soglia, rivolto verso un suo compagno di quadra, Chris, che probabilmente gli stava raccontando qualcosa di parecchio divertente. Non vide subito la bionda di fronte a lui, ma quando si rigirò, la risata gli morì in gola e assestò una pacca sulla spalla al suo interlocutore, senza staccare gli occhi da Annabeth, intimandogli di andare avanti: “Vi raggiungo dopo.” Disse asettico. Annabeth si girò a guardare l’amica, ma non la vide. Era scomparsa tra la mandria di ragazzi che usciva dagli spogliatoi e, ora che questa si era diradata, c’era solo qualche ragazza che si affrettava ad uscire dagli spogliatoi della squadra di pallavolo.
“Volevo parlarti.” Iniziò Annabeth, fissando i suoi occhi grigi in quelli verdi del ragazzo. Percy aveva quasi dimenticato come ci sentisse ad essere studiati da quello sguardo gelido. Un’ondata di nostalgia gli attraversò lo stomaco, regalandogli una sensazione calda, ma al tempo stesso fredda e distaccata. Nonostante tutte le emozioni, però, il ragazzo non seppe decifrare il tono della bionda. Era arrabbiata? Era delusa? Era triste? Era stata costretta a parlargli?
“Dimmi.” Si limitò a dire lui, a metà tra l’intontito ed il curioso.
“Ecco, volevo dirti che forse avremmo dovuto parlarne. Tutti quanti. Le cose non sono andate bene, ma sono certa che ci sia stato uno stupido equivoco.” Percy annuì, quasi felice: “So che tu non sei così.” Aggiunse la bionda, che aveva captato le emozioni del moro e si stava lasciando trasportare dalla sua speranza. Percy, però, a queste parole, si irrigidì ed il sorriso involontario che non si era accorto gli fosse spuntato sul viso si dileguò, come se non ci fosse mai stato. Gli risuonarono in testa le parole di Rachel: ‘Vai bene così’ seguite dal bacio dolce che si erano scambiati, in cui lui aveva riversato tutta la sua disperazione. Vado bene così. Pensò il ragazzo, contraendo la mascella, mentre un flusso inarrestabile di rabbia si abbatteva su di lui: “Che cosa?” Domandò, il tono di voce basso.
“C’è… C’è qualche problema?” Domandò Annabeth. Non riusciva davvero a capire quale fosse il problema e gli sbalzi d’umore di Percy, nell’ultimo periodo, le facevano quasi salire il sangue al cervello.
“Il problema è che a te non va mai bene niente. Devi per forza cambiarmi, Annabeth?” Disse Percy, alzando la voce, con un sorriso amaro dipinto in volto.
“Non ho mai parlato di cambiarti.” Disse lei, tenendogli testa.
“Ah no?”
“No. Ho solo detto che so che non sei così.” Si difese la bionda.
“Il problema è che tu non sai niente di me. Come puoi dire che non sono così? Perché devi cambiarmi? Perché non posso andarti bene così come sono?”
“Sì, sai cosa? Hai ragione. Non posso saperlo e sai perché? Perché non so niente di te, so così poco che Ottaviano ha dovuto farmi il piacere di dirmi tutta la verità.” Buttò fuori Annabeth. Non lo pensava davvero. Ottaviano doveva aver manipolato le informazioni, doveva averle cambiate, Annabeth lo sapeva, doveva essere così, ma era arrabbiata e voleva ferirlo.
“Oh, quindi ci credi! Sei venuta qui con l’intenzione di ascoltarmi per poi andare dai tuoi amici e dire tristemente che è tutto vero? Che sono un essere orribile e che tu sei fantastica per aver sperato?” Okay, forse Annabeth aveva esagerato. Farlo arrabbiare non avrebbe portato a niente e non le avrebbe dato ragione: “Okay, senti, smettiamo di urlare. Sono venuta qui per parlare.”
“E mi pare non sia servito a nulla. Senti un po’, Annabeth, se io fossi davvero così? Se fossi terribile, viscido e sbagliato, cosa faresti? Ti andrebbe bene o cercheresti di migliorarmi?”
“Ma di che parli?”
“Rispondi.”
“Tu non sei così.” Percy si lasciò andare ad una sonora risata, che di gioioso non aveva nulla: “C’è chi crede che vada bene così.” Si limitò a dire lui, scrollando le spalle: “E io che ho passato tutto il tempo a farti capire che non eri una delle tante, che ci tenevo davvero.”
“E chi sarebbe, sentiamo? Rachel?” Domandò tagliente Annabeth, che aveva ignorato totalmente la confessione di Percy. Non poteva certo permettersi di passare il suo tempo facendogli cambiare idea e mostrandosi debole. Era fuori discussione.
“Rachel cosa?” Domandò Percy diffidente. Non aveva idea di quanto sapesse Annabeth, ma voleva davvero saperlo.
“Pensi che non lo sappia cosa avete fatto negli ultimi tre mesi? Neanche lei, immagino, sia una delle tante, vero?” Disse sarcastica Annabeth, con la voce spezzata. Prese un respiro tremante e Percy vide i suoi occhi smettere di essere lucidi e diventare freddi ed inespressivi: “Gliel’hai detto, Percy? O sei già passato al ‘ti amo’?” Continuò lei, la voce di tre toni più bassa.
“Lei, almeno, non tenta di cambiarmi. Sarai anche una delle studentesse più intelligenti della scuola, ma hai la mente chiusa nelle tue idee rigide.” Rispose lui, con la voce altrettanto bassa, superandola con una spallata leggera. Annabeth non si girò a guardarlo andare via, ma gli urlò dietro: “Sarai anche uno dei ragazzi più belli della scuola, ma sei un coglione.” Non arrivò nessuna risposta. Ripensò alla prima volta che l’aveva visto. Quella volta in cui lui non aveva ancora un nome ed una personalità da scoprire, per lei, in cui era solo il bel ragazzo che aveva visto per strada e che aveva scoperto frequentare la sua stessa scuola. Ripensò a quella volta in cui lui le aveva dato una spallata identica a questa e le aveva detto di stare attenta a dove metteva i piedi e non potè fare a meno di pensare che su una cosa lui avesse ragione. Forse doveva solo accettare la verità, accettare che Percy non era il ragazzo che credeva che fosse e che l’aveva delusa. D’altro canto se l’aspettava, no? Aveva basato la fiducia della loro intera quasi-relazione su questo. Si era difesa per tutto questo tempo da qualcosa che l’aveva sorpresa, nonostante l’avesse programmato. Che cosa le era successo?
 
“Assolutamente no. Lo vedi? L’universo intero si è mosso affinchè ciò non succedesse. Significa qualcosa, Hazel.” Urlò Nico dalla sua stanza. Davvero non sapeva come aveva fatto a farsi convincere. Quella maledetta aveva puntato sul senso di colpa, dannazione, come se non lo sapesse che era un suo punto debole. Nico non aveva davvero idea di come avesse fatto a trovarsi in quella situazione. Qualcuno, lassù, gli doveva volere sicuramente male.
“Che cosa ti ha detto Will?” Domandò quasi ridendo Hazel, mentre rovistava nei cassetti della sua scrivania.
“Dio, non avrei mai dovuto dirtelo.”
“Che cosa ti ha detto, Nico?” Hazel sentì una serie di parole sconnesse tra loro, provenire dall’altra stanza: “Non ti ho sentito.” Lo prese in giro la ragazza, che sapeva benissimo cosa Will gli avesse detto, qualche tempo prima.
“Anche solo il fatto che io te l’abbia detto è assurdo: urlarlo è fuori discussione!”
“Ah-ah” Esultò Hazel, mentre una montagna di cianfrusaglie troneggiava sulla sua scrivania. Si diresse a passo di marcia nella stanza buia di suo fratello, lanciandogli un paio di bretelle e scuotendo la testa per invogliarlo ad indossarle: “Il mio era un pettegolezzo in confidenza… tra fratelli.” Tentò l’italiano, con le bretelle ancora in mano: “Non dovevi usarlo contro di me.”
“E chi dice sia contro di te? Io lo faccio per te.”
“È imbarazzante.” Sentenziò Nico, rilanciandole le bretelle.
“È divertente, invece.” Ribatté la ragazza, alzandosi e prendendo le mani di suo fratello tra le sue, per poi lasciargli ancora una volta le bretelle. Per poco non scoppiò a ridere.
“Ahhhh, sei una vipera.” Disse Nico, uscendo dalla stanza e percorrendo il corridoio e le scale, per arrivare alla porta d’ingresso: “Come sto?” Domandò, con una mano sulla maniglia, mentre un paio di bretelle rosse spiccavano sul suo solito abbigliamento nero.
“Come uno che sta per avverare le fantasie sessuali del proprio ragazzo.” Commentò Hazel, questa volta scoppiando a ridere. Nico alzò gli occhi al cielo e uscì di casa. La ragazza si appoggiò allo stipite della porta e gli urlò dietro: “Divertiti!”, mentre Nico allargava le braccia esasperato, prima di girare l’angolo del vialetto sfuggendo alla vista della sorellastra.
Hazel tornò in casa sorridendo e si recò in camera sua per sistemare. Con un sospiro iniziò a smontare la montagna di cianfrusaglie e a disporre tutto nei cassetti nel modo più ordinato che le riuscì, finchè una piccola scatola non attirò la sua attenzione. Sgranò gli occhi incredula e l’aprì come se questa potesse morderla da un momento all’altro. Dentro ci trovò proprio ciò che temeva. Era la collanina che Frank le aveva regalato a Natale. La tirò fuori dal cofanetto, poggiando quest’ultimo sulla scrivania, mentre tutta la sua attenzione era rivolta al gioiello. Si andò a sedere sul letto mentre si rigirava il ciondolo a forma di fiocco di neve tra le mani, osservando il rubino che ricordava così bene. Fu girandolo, però, che scoprì qualcosa che non aveva mai notato prima. Sul retro del ciondolo, infatti, c’era un’incisione, che recitava: ‘F&R’. Hazel, la guardò perplessa, senza capire. Fu quando notò l’incredibile somiglianza tra la R e la H, che il cuore rischiò di scoppiarle di dolcezza. Frank l’aveva inciso da solo, probabilmente e quel risultato maldestro era la cosa più dolce che potesse immaginare. Quel ragazzo aveva fatto di tutto per lei, per conquistarla, per renderla felice ed erano i suoi gesti impacciati, ma venuti dal cuore che l’avevano fatta innamorare. Improvvisamente tutto le fu chiaro: Leo era carino, intelligente e simpatico, ma con Frank c’era qualcosa che non avrebbe mai saputo spiegare. Lo capiva e sapeva che lui le avrebbe affidato la sua vita, se avesse potuto. Si sentì improvvisamente in colpa per aver sempre dato per scontato l’immenso tesoro che aveva. Quanto tempo ancora le era rimasto, ora che la verità le si era parata davanti nella sua forma più chiara? Non voleva davvero che fosse troppo tardi. Non poteva credere di aver passato gli ultimi mesi essendo così cieca.
 
Percy aveva davvero poca voglia di stare con i suoi amici, quella sera. Era come se, parlando con Annabeth, avesse perso interesse in tutte quelle cose che fino a ieri lo intrattenevano alla perfezione. Luke era accanto a lui e non sembrava affatto condividere gli stessi pensieri. Stava ridendo ad una battuta di Chris e sembrava parecchio occupato. Percy, al contrario, sentiva di riuscire a mantenere l’attenzione su qualsiasi cosa per meno tempo del solito. Era come chiuso in una bolla e per quanto si concentrasse, qualunque informazione vagava sospesa senza riuscire a depositarsi nella sua memoria. Continuava a ripensare alla sua conversazione con Annabeth. Ora che si era calmato non faceva che chiedersi come sarebbe andata se avesse detto una frase al posto di un’altra. Ora che l’aveva rivista, che ci aveva parlato, gli occhi verdi di Rachel continuavano a ricordargli come non sentisse lo stomaco fare le capriole, quando incrociava il suo sguardo. Con Annabeth era diverso. Il suo stomaco si arrendeva, addirittura, e la sua pelle andava a fuoco se entrava in contatto con quella della ragazza.
Tu non sei così” Urlò Annabeth, nella sua testa. Lei non stava cercando di cambiarlo, cercava solo di riportarlo alla realtà. Il suo cuore si scaldò, ripensando al pizzico di gelosia che aveva tradito la sua voce, quando aveva nominato Rachel, finchè non ripensò alle frasi successive, prima che una nuova consapevolezza lo investisse.
“Luke.” Chiamò fissando il muro davanti a sé. Il biondo si girò con un sorrisetto e lo fissò, aspettando che parlasse: “Meglio se andiamo da un’altra parte, a parlare.” Considerò Percy, guardandosi attorno e, senza aspettare che il ragazzo acconsentisse, si alzò e si diresse nella stanza di Luke.
“Dimmi.” Lo incalzò il biondo, chiudendosi la porta alle spalle.
“Io... Insomma, ho detto solo a te che sono stato con Rachel.” Iniziò Percy, alzando lo sguardo su Luke, preoccupato.
“Sì, quindi?” Domandò questi, confuso. Percy si sentì uno stupido. Voleva forse rovinare tutte le sue amicizie? Eppure quel dubbio sarebbe solo cresciuto, col tempo. Tanto valeva scioglierlo subito: “Ecco… Come faceva Annabeth a sapere che sono stato a letto con Rachel?” Luke si lasciò andare ad una sonora risata.
“Ma cosa credi? Che tu l’abbia fatto da solo? Rachel l’ha detto a Ottaviano.”
“E perché Ottaviano l’ha detto a lei, scusa?” chiese ancora Percy.
“Perché gliel’ho chiesto io.” Rispose semplicemente il biondo, rilassato.
“Che cosa?”
“Beh, scusa, cosa hai creduto per tutto questo tempo? Che Ottaviano, che di certo non prova molta simpatia nei tuoi confronti, ti abbia fatto il favore di liberarti di quei falsi dei tuoi vecchi amici?” Percy, aprì la bocca un paio di volte, sconcertato, ma non riuscì ad emettere alcun suono: “Tu credevi che perdere i miei amici mi facesse bene?” Domandò, alla fine. Avrebbe voluto urlare e arrabbiarsi, ma tutto ciò che riusciva a fare non gli permetteva in nessun modo di sfogarsi a dovere.
“Certo che sì, guarda per cosa si sono rivelati...”
“Beh, se eri così convinto delle tue idee perché far fare a Ottaviano il lavoro sporco?” Ribatté Percy. Continuava a sembrare rilassato e tranquillo, forse solo un po’ sorpreso. Anche la sua stessa reazione gli parve frustrante.
“Perché non mi avresti capito. Non mi avresti lasciato fare.”
“Perché dirlo ora, allora?”
“Perché so benissimo che adesso hai capito, che ti si sono aperti gli occhi.” Quella frase riuscì a sbloccarlo: “Ma che cazzo hai fatto? Gli occhi mi si sono aperti, eccome, Luke. Mi si sono aperti adesso.”
“Che intendi, scusa?” Anche la calma del biondo, iniziava a vacillare.
“Che a te non importa nulla di me, della mia felicità, non è così? Io sono scappato dallo schifo che, in fondo, hai sempre odiato anche tu, no?”
“Ma di che parli?” Lo interruppe Luke, nervoso.
“Dico che hai visto un tuo amico uscire dalla merda e hai pensato bene di tirarlo di nuovo giù con te.”
“Cosa pensavi di fare? Di cambiare vita ed essere felice e di lasciarmi qui? E poi guarda tu che amici di merda che ti sei andato a pescare. Quello stronzo di Jason Grace vale meno di zero, ma, d’altro canto, sei caduto anche tu nella stessa trappola di Piper, non è così?”
“Che vuoi dire? Tutto questo non ha senso.”
“Sei diventato anche amico di quella stupida. Sei un ipocrita, Percy. Hai passato ore intere a parlarmi di quanto Grace ti irritasse e adesso vi vestite coordinati? Hai perso la tua strada, amico.” Concluse Luke, con un sorriso obliquo, a metà tra l’amaro ed il divertito.
“Tu hai passato ore intere a ideare un piano per separarmi dai miei amici, usando le mie debolezze, per giunta. Loro avrebbero appoggiato qualunque mia decisione, a patto che mi rendesse felice.”
“Oh, adesso sei diventato romantico?” Quel commento stupido lasciò Percy interdetto. Perché continuare a discutere con una persona che era deciso ad abbandonare lì per sempre? Con un sorrisetto, quindi, scrollò le spalle e si diresse verso la porta, aprendola.
“Se te ne vai adesso dico loro tutto.”
Percy si fermò, con una mano sulla maniglia della porta aperta, un piede sulla soglia. Quel pomeriggio aveva capito chi erano le persone che gli volevano davvero bene e per quanto avesse paura di rivelarsi per quello che era, di mostrare a tutti che Percy Jackson non era il ragazzo sfrontato che aveva sempre detto di essere e che aveva delle fragilità, sapeva bene che se doveva confidarsi con qualcuno, se doveva mettersi a nudo allora be’, che fossero le persone giuste e al diavolo le apparenze. Si girò sorridendo, per guardare in faccia quello che era stato per molto tempo il suo compagno di scorribande: “Fa’ pure. Nulla che non avranno già sentito.” Disse uscendo e richiudendo la porta della stanza, lasciandosi un Luke sconvolto e impotente alle spalle.
 
Piper era stanchissima e anche un po’ delusa. Annabeth le aveva raccontato tutto e non poteva credere che il suo piano fosse andato in fumo così. Ormai non sapeva più dove mettere le mani. Doveva solo accettare la verità: non tutte le cose belle durano. I ricordi felici di una serata in spiaggia sarebbero diventati nostalgici e pieni di amarezza. Avrebbe davvero voluto avere un asso nella manica per cambiare le cose, per sorprendere tutti all’ultimo, ma non aveva nulla. Non poteva fare nulla. Le cose erano rotolate e lei era impotente. Fissare il soffitto non la stava certo aiutando, ma cos’altro poteva fare?
Il suo cellulare vibrò, illuminando il soffitto della stanza in penombra, prima che ripiombasse nel buio. Piper si decise ad ignorarlo. Chi poteva davvero aiutare? Dopo qualche secondo, però, il telefono vibrò e si illuminò ancora e la ragazza si spazientì. Con un colpo di reni si alzò a sedere, sbuffando, per recuperare l’oggetto dal comodino. Sgranò gli occhi nel leggere l’emittente dei due messaggi che le erano appena arrivati: “Annabeth è arrabbiata con me.”, “Com’è giusto che sia. Sono stato uno stronzo.”. Prima che Piper potesse replicare, però, un nuovo messaggio aggiunse stupore allo stupore: “Vorrei parlare. Con tutti voi, se non è troppo tardi.”
Piper sorrise al telefono, soddisfatta, prima di digitare velocemente una risposta.
 
Note di El: Fiùùùù, un parto. UN PARTO, SIGNORI. Piper sembra una trafficante di droga, Jason, Frank e Leo non si vedono neanche col binocolo e solo per Leo ho una scusa. Il litigio tra Percy e Annabeth non mi convince, ma rendere IC due personaggi, fuori dal loro habitat, che non hanno mai, nei libri, litigi veri non era impresa da poco. Spero che il risultato non sia troppo brutto. Le cose si stanno lentamente mettendo a posto e spero che non troviate troppo banale il modo in cui si stanno evolvendo i fatti. La parte di Luke e Percy è stato un altro problema. Poi Percy che fa la cosa giusta è gia poco OOC di suo. Nah, è un bravo ragazzo. Per quanto riguarda la parte di Nico e Hazel mi sono divertita troppo a pensare ad un modo simpatico per arrivare alla rivelazione della ragazza. Spero vi sia piaciuto. Sarò sincera, ho tante idee e questa storia, adesso, mi pare solo una catena che mi porto dietro, quindi ho tagliato alcune cose. Tra qualche capitolo sarà tutto finito. Ringrazio ancora tutti quelli che continuano a leggere questa follia (e niente, io ci provo a fare le note corte, ma proprio non ce la faccio).
Adieu,
 
El.

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Capitolo 24
*** 24 - Amici ***


AMICI
 
Piper era sconvolta. Credeva sarebbero serviti mesi per trovarsi tutti a parlare. Sette persone che non avevano più voglia di stare l’una con l’altra erano davvero impossibili da riunire, eppure Percy era riuscito, con il suo repentino cambio di atteggiamento, a convincere tutti che una chiacchierata, in fondo, non avrebbe fatto davvero male a nessuno.
Ecco perché si trovavano, in quel momento, tutti seduti in cerchio… sui riquadri morbidi del pavimento del parco per bambini vicino casa di Jason. Certo un ristorante, un bar, perfino una panchina avrebbero reso la situazione più seria, ma il parco era sembrato una grande idea a tutti, finchè non ci si erano trovati, rendendosi conto che no, lo schiamazzo dei bambini non era un gran sottofondo per i loro discorsi.
“Ma questi bambini non vanno a dormire?” Domandò Jason, un po’ irritato. Leo lo guardò, sorridendo furbo: “Alle sei di sera? Wow, Jason, devi essere stato un bambino ribelle.” Disse sarcastico il messicano, cercando di rendere l’aria meno pesante. Odiava quel genere di atmosfera. Tutti ridacchiarono, più per lasciar sfogare il nervosismo, che per vera ilarità.
“Bene.” Iniziò Piper, che aveva capito di dover prendere la situazione in mano, se voleva che le cose andassero per il meglio: “Percy voleva parlarci.”
“Sì, nulla di serio, eh, solo…”
“Percy.” Lo richiamò Hazel, sorridendogli incoraggiante. Non sapeva bene cosa pensare di lui, ma era certa di volerlo ascoltare. Se sperava che Frank le desse una seconda chance, non poteva che concederne anche lei una, a qualcuno. Il moro sospirò, sentendo lo sguardo di Annabeth, qualche metro avanti a sé, bucargli il petto. Trasse un respiro tremante: “Sì, okay, okay. Volevo… spiegarvi cosa è successo.”
“Lo sappiamo benissimo, Percy.” Lo interruppe tagliente la bionda, guadagnandosi un’occhiata ferita dal ragazzo ed una annoiata da Piper, il che la fece quasi pentire di essere stata così irritante. Quasi, però.
“Voglio dire,” Ricominciò Percy, guardando Annabeth come per sondare il terreno. Quando lei si limitò a continuare a guardarlo, senza aprir bocca, continuò, quasi più sollevato: “ecco, be’, quello che è successo è stato… confuso, ecco. Luke non è una gran persona…”
“Oh, non ne parliamo.” Lo interruppe Piper, d’istinto, prima che potesse fermarsi a pensare: “Oh, scusa. Continua pure.” Percy annuì.
“Sì, è stato furbo. Ha usato le mie debolezze contro di me, mi ha ricattato. Ha usato Ottaviano come un burattino. Non ho mai pensato che voi foste degli sfigati che non meritavano la mia compagnia.” Ridacchiò, facendo una buffa voce grossa sulle ultime parole: “Sì, insomma, il messaggio audio era truccato, le foto erano estrapolate dal contesto e mi ha incastrato, ma non è per giustificarmi che sono venuto qui.”
“Aspetta, se tutto ciò non era vero, allora perché hai detto a Ottaviano di dirci tutto, di continuare a parlare, quando eravamo al bowling?”
“È proprio lì che voglio arrivare. Io non credevo avesse architettato tutto quel piano, credevo volesse raccontarvi cosa… sì, insomma, cosa mi è successo, chi sono.”
“Oh.” Esalò Annabeth. Percy la guardò quasi grato che partecipasse anche lei alla conversazione.
“Sì, insomma, ho sempre avuto paura di quello che avreste pensato di me, se vi avessi raccontato tutto, ma ho capito che siete gli unici che voglio che sappiano quello che penso, ecco.”
Frank si mosse a disagio. Per il bene del gruppo era venuto lì, quel giorno, perché ci credeva, perché se lui era riuscito a credere a Percy senza uno straccio di spiegazione, l’avrebbero potuto fare anche gli altri, con tutte le spiegazioni. Eppure, per rendere felice il suo amico, ancora una volta aveva oscurato le sue esigenze e adesso si ritrovava lì, in imbarazzo, a fissare irrimediabilmente Hazel, che ogni tanto si accorgeva del suo sguardo e gli lanciava occhiate veloci, imbarazzata a sua volta.
“Luke ed io siamo sempre stati amici, è vero, ma è perché avevamo entrambi qualcosa da dimenticare grazie a bravate e altre stupidaggini. Sì, ecco, mio padre è partito una mattina per una ricerca e non è mai più tornato.”
Hazel si coprì la bocca con le mani, mentre esalava uno sconvolto “oh”, mentre Frank la guardò dispiaciuto. Sentì il desiderio irrefrenabile di stringerla tra le braccia e consolarla. Si sentiva un idiota. Era Percy ad avere una brutta storia. Jason e Annabeth si limitarono ad abbassare lo sguardo, mente Leo alzava le sopracciglia a disagio, senza sapere bene cosa dire, continuando a guardarsi intorno in cerca di qualcosa con cui distrarsi, nonostante le sue mani stessero cercando di distrarsi il più possibile con l’ennesimo filo di ferro che non riusciva a prendere forma. Piper si morse un labbro dispiaciuta, ma Percy continuò imperterrito, come se non stesse parlando di nulla in particolare: “Da allora sono passati parecchi anni, i soldi erano sempre meno. Mia madre ha trovato questo Gabe. Un uomo violento e sudicio, di cui si è liberata. Il problema è che… lui non l’ha accettato, ecco, e…” Percy alzò gli occhi al cielo, lasciando la frase a metà e lasciando intendere agli amici come continuasse la storia: “Percy, se non vuoi parlarne va bene, noi…”
“No, no. Non è niente. È solo che avrei dovuto fermarlo io, capite? Avrei dovuto proteggerla e invece non sapevo che fare perché lui chiamava e chiamava e si presentava a casa e la… sì, insomma, alzava le mani e io non potevo fare niente. Solo questo. Non volevo che sapeste quanto fallito sono.” Disse con un sorriso strafottente, come a minimizzare ogni emozione. Annabeth si chiese quanto gli fosse costato: “Percy…” Iniziò Hazel: “No, lo so già. Vuoi dirmi che non è colpa mia? Non è una convinzione che posso controllare, ma adesso va tutto bene, il professor Blofis è okay e mia madre non piange più ogni notte per la frustrazione.”
“A me è sembrato un brav’uomo. Vero, Annabeth?” Domandò Hazel, evitando di continuare il discorso su quel tasto dolente. La bionda annuì, studiando il moro attentamente. Non sembrava troppo scosso: “Quella spiaggia…” Disse invece, collegando tutti i pezzi. Percy sorrise, alzando gli occhi al cielo, perché era certo di non poter sopportare lo sguardo della ragazza: “È stata l’ultima sera che abbiamo passato insieme, a parlare di biologia marina.” Confermò il ragazzo. A Hazel venne quasi da piangere, ma si contenne.
“Sei un grande, bello, lasciatelo dire da chi ha la famiglia infestata dai fantasmi.” Disse Leo, per smorzare la tensione, dopo un lungo silenzio riflessivo, prima di rendersi conto di essersi lasciato sfuggire qualcosa di importante.
Father and son?” Domandò Piper, riferendosi alla canzone e ricordandosi della lacrima solitaria sulla guancia del ragazzo, la notte della gita in spiaggia. Leo annuì: “Esplosione in officina. Non è una bella storia, ma la mia tia Callida non l’ha presa bene e ha pensato bene di accusare mia madre e dirle che avrebbe dovuto esserci lei. Troppo spesso chiama per ricordarci quanto siamo stati codardi a scappare dal Messico per sfuggire a quella che io etichetterei come una vera persecuzione.” Disse, se possibile ancora più incurante di Percy. Piper annuì, comprensiva, mentre Hazel avrebbe voluto comunicargli il suo dispiacere senza risultare eccessivamente ipocrita: “Ma per la serie ‘familiari pazzi’ non può mancare mia madre, che cerca di rendermi una specie di pornostar.” Ironizzò Piper, riuscendo finalmente ad alleggerire l’atmosfera.
“Mio padre era un alcolizzato e aveva il vizio del gioco, ha conosciuto mia madre e poi è scappato di nuovo. Lei era ambiziosa e credeva che io le impedissi di realizzare i suoi folli sogni. Un giorno è partita ‘per liberarsi’, ha detto che avrei capito. Mi diceva anche di cercare mio padre. Peccato che fosse morto. Io e Nico ci siamo salvati a vicenda.”
“Alla fine l’hai capito? Quello che intendeva tua madre, intendo.” Domandò Jason. Hazel lo guardò intensamente, poi sorrise divertita, rovinando l’atmosfera seria: “Assolutamente no.” Disse ridendo e scuotendo la testa.
“Bella merda.” Commentò Annabeth, che non sentiva di avere una storia tragica, come quella dei suoi amici.
“Linguaggio!” Disse Percy sorridendo. Credeva che Annabeth gli avrebbe rifilato un’altra delle sue rispostacce, invece sorrise a sua volta: “Oh, adesso corri a dirlo al professor Blofis?” Domandò scherzando.
“Frank?” Domandò Jason, che pure non aveva nulla da dire.
“Solo se vuoi.” Aggiunse Piper, rifilando un’occhiataccia al suo ragazzo.
“Solo se vuoi.” Si corresse Jason,
“Non c’è molto da dire. Mia madre e mio padre sono morti in guerra e vivo con mia nonna. Ero piccolo, non ricordo molto, solo la voce di mia madre, qualche volta. Ogni tanto mi capita di risentirla, ma, ovviamente, non è mai lei.”
Gli altri si guardarono indecisi su cosa dire. Frank era stato di una sincerità disarmante.
Senza una parola si alzarono dai quadranti, uno alla volta e capirono che in quel momento, quel giorno, qualcosa era cambiato. Era nato qualcosa.
Riuscirono a scivolare di nuovo in argomenti futili, ma le sensazioni erano tutte nuove. C’era una nuova verità anche nella stupida storia che Leo amava chiamare ‘quella volta che lo splendido Leo fece abbronzare i biscotti’ e che Piper preferiva definire ‘quella volta in cui quell’idiota di Leo ha bruciato i biscotti’. C’era una nuova verità nei sorrisi che Frank e Hazel si scambiarono quel giorno, perché per la prima volta in anni di amicizia sofferta lei gli aveva regalato la verità che gli aveva sempre nascosto e gli sembrava di riuscire a leggerla meglio, tanto che quei sorrisi sembravano un riavvicinamento. Frank non voleva illudersi, ma la parte irrazionale di lui gli diceva che c’erano buone probabilità che Hazel volesse tornare. Aveva notato gli sguardi tra lei e Leo, ma aveva davvero voglia di sapere cosa fosse successo nonostante sembrasse una questione più che archiviata? Non lo sapeva davvero.
C’era una verità anche nel sorriso caldo e rassicurante che Jason riservò a Piper, fiero di lei per essere riuscita a fare qualcosa di impossibile, per lui e c’era una verità anche nel modo in cui Percy percepiva la presenza di Annabeth, era come se il muro fosse passato dall'essere di cemento all'essere di cartongesso, anche se restava lì, alto e apparentemente inattaccabile. Sapeva che le parole non bastavano, ma sapeva anche che avrebbe cercato il suo perdono anche nell’oceano intero, se lei gliel’avesse chiesto. Era pronto a tutto pur di riconquistarla.
E soprattutto, c’era una verità nel modo genuino in cui le loro disavventure e storie comiche si succedevano come se non fosse successo niente, come se il loro rapporto si fosse congelato e adesso si stesse godendo il caldo sole estivo a sciogliere la freddezza e la rigidità di un tempo.
Sapevano di dover ingranare ancora, ma sapevano anche che ce l’avrebbero fatta.
“Piper.” La chiamò Leo, un po’ in imbarazzo, decelerando per far allontanare un po’ gli altri: “Tu… ecco, mi dispiace se mi sono allontanato un po’ anch’io, non è che ce l’avessi con Hazel, eh, affatto. È che…”
Piper lo guardò, un po’ confusa, effettivamente non aveva idea del perché il messicano si fosse comportato così, finora: “che mi sembra di aver approfittato della confusione di Hazel, quando… Insomma lo sai; e ho paura che così facendo mi sia fatto perdonare perché stiamo tutti perdonando tutti. È come se le mie scuse si fossero perse tra le scuse generali e…”
“Ma tu,” L’interruppe Piper, con un accenno di sorriso: “da quand’è che ti fai tutti questi problemi?”
Leo sbuffò sorridendo e alzando gli occhi al cielo, arrossendo imbarazzato da sempre, si rispose Piper, che iniziava a capirlo sempre di più: “Lei ti piace?”
“Mh, sì, cioè… Sì, ma so che è stato un errore, so che non è così che devono andare le cose, è come…” Leo si fermò a pensare, mentre gesticolava senza riuscire a trovare le parole giuste: “è come se cercassi di svitare una vite con un cacciavite a stella, quando dovrei usare quello a taglio, capisci? È un orologio con rotelle che non combaciano, è così e…”
Piper sorrise: “E tu le hai viste combaciare con un altro.” Concluse Piper, riferendosi a Frank, mentre Leo annuiva a testa bassa.
“Dillo a lei, non a me. Voglio dire, non devi rovinare un’amicizia per questo, anzi.”
“Oh, a questo proposito.” Iniziò Leo con rinnovato entusiasmo: “Ho visto che segui una certa 'Chione_Ice21' su Instagram e mi chiedevo se…”
“Lascia stare,” L’interruppe ancora Piper, alzando una mano e accelerando per raggiungere gli altri: “siete agli antipodi.” Concluse ridacchiando, lasciandosi un lamentoso e confuso Leo alle spalle.
 
“E se chiudessimo tutto dove tutto è iniziato?” Domandò, all’improvviso Hazel, che non aveva voglia di lasciar andare a casa i suoi amici. Era come se vederli varcare la soglia di casa significasse lasciare che l’incertezza prendesse il sopravvento su di lei. E se fosse tutto a posto, ma da domani non volessero più stare insieme? Sapeva che era un pensiero stupido e che, in ogni caso, anche se fosse stato così, non avrebbe certo potuto costringerli a recuperare i rapporti.
“Che intendi?” Domandò Jason confuso. La frase gli era sembrata piuttosto criptica.
“Dico che tutto è andato a rotoli la sera in cui siamo andati al bowling.”
“Ci stai chiedendo di andare al bowling?” Domandò Piper. Hazel annuì decisa: “Potevi anche usare una frase più fantasiosa. Che so: ‘Andiamo al bowling?’” Suggerì Percy ironico, comparendo alle spalle della riccia, che sorrise.
“Ragazzi, quando ho detto di essere scarso non era una scusa: lo sono davvero.” Aggiunse il moro.
“Già, anch’io.” Si accodò Annabeth timidamente.
“Cosa?” Domandò Leo, con un urletto acuto: “La studentessa modello, Annabeth Chase, non sa giocare a bowling?” Scherzò ancora, ricevendo dalla ragazza, in cambio, una leggera gomitata nello stomaco, alla quale Leo reagì molto più esageratamente di quanto fosse effettivamente necessario.
 
Percy ed Annabeth non scherzavano mica. Dopo dieci minuti dall’inizio del gioco il distacco tra loro e gli altri era già notevole, anche se vedeva Annabeth in penultima posizione. Jason, invece, non si stava facendo intimidire dagli sbuffi annoiati di Percy e volava, irraggiungibile, al primo posto. Piper e Frank, però, ce la mettevano tutta per superarlo. Hazel iniziava ad avere problemi. Il peso della palla le rendeva difficile indirizzarla dove voleva. I tiri al buio, però, si stavano rivelando utili, in assenza di tecnica. Per quanto riguardava Leo, invece, si può dire che la sola presenza in gioco di Percy ed Annabeth lo stesse aiutando ad evitare di essere fra gli ultimi. Aveva anche fatto i calcoli, ma la pista sembrava essersi messa contro di lui.
“Oooooh, ma non è possibile!” Aveva urlato frustrato Leo, prendendo posto accanto a Jason, che ridacchiava: “E non ridere, tu.” Percy si alzò dal suo posto per andarsi a sedere accanto agli amici: “Fai sfoggio delle tue incredibili capacità?”
“Oh, per una volta non sei sarcastico.” Lo prese in giro a sua volta Jason.
“Lo sono, invece.” Ribattè serio, il moro.
“Non si direbbe, tenendo conto della mia posizione in classifica e della tua.”
“Ci risiamo.” Commentò Leo sospirando e osservando l’ennesimo tiro sbagliato di Annabeth, che alzò gli occhi al cielo, nel suo tipico fascino. Quello che non notò, però, era il sorrisetto che sfuggì a Percy guardandola e pensando che fosse davvero carina, quando si innervosiva così.
Hazel le diede una pacca sulla spalla e guardò preoccupata la palla che stava per tirare. Si piegò per il lancio, ma prima che potesse muovere un altro muscolo sentì una mano forte stringersi attorno al suo braccio: “Così fai più fatica.” Le suggerì Frank con un sorriso timido: “Ecco, la palla ha tre buchi per un motivo.” Disse e, senza pensarci perché troppo occupato a stare attento che la sua faccia non prendesse fuoco per il rossore, posò una mano su quella della ragazza, facendola sobbalzare: “Scusa.”
“No, no, anzi, fammi vedere.” Si affrettò a rispondere Hazel, come se qualche secondo in più di attesa potesse bastare a farlo scomparire.
“Ehm, va bene. Questo…” Iniziò prendendo la mano della ragazza con una delle sue e usando l’altra per prendere la palla che la ragazza aveva lasciato perché troppo impegnata a guardarlo negli occhi, evitando, così, che le cadesse sul piede, rovinando l’atmosfera regalandole un molto poco piacevole livido: “Ecco, mettilo qui, in modo che il polso fa meno fatica e…” Hazel tirò abbattendo ben sei birilli. Si lasciò sfuggire una piccola esultanza, per poi abbracciarlo. Qualche attimo dopo sembrò ricordarsi dove fosse e lo lasciò andare con lo sguardo basso, scusandosi. Frank non sarebbe potuto arrossire di più, ne era certo.
Leo, seduto al suo posto, mentre Jason e Percy battibeccavano su chissà qualche questione, li guardò con una punta di tristezza e gelosia per qualche secondo, prima di sorridere, genuinamente felice.
La partita era ormai agli sgoccioli e vedeva Jason al primo posto, seguito da Frank e da Piper, che ce la stava mettendo tutta per distrarre il suo ragazzo ad ogni tiro, fallendo, però, ogni volta.
Annabeth stava per compiere uno degli ultimi tiri, quando Percy, prendendo esempio da Frank (si era davvero ridotto a seguire i metodi d'approccio di Frank?), si avvicinò con nonchalance alla bionda: “Ti serve una mano?” Annabeth alzò la testa sorpresa, guardandolo ironica: “Da te?”
“Beh, vedi qualcun altro altrettanto talentuoso e valido, qui?”
“Jason?” Domandò la ragazza, sorridendo.
“È un buono a nulla.” La bionda, in cuor suo, apprezzava il ritorno della vecchia autoironia che tanto amava di Percy. Una sensazione fastidiosa e calda le invase il petto. Non di nuovo pensò preoccupata Amici. Saremo amici.
“Faccio da sola.” Replicò Annabeth atona, superando Percy e lasciandolo lì, a chiedersi dove avesse sbagliato, ancora una volta.
 
La serata era stata un successo. Hazel era felice che le cose stessero di nuovo andando per il verso giusto ed era ancora più felice se pensava al passo avanti che aveva fatto quel giorno con Frank. Iniziava a vedere la fine del tunnel, iniziava a crederci, lì, sì, quella sera, sulla porta di casa sua, mentre vedeva i suoi amici allontanarsi per accompagnare tutti a casa, proprio quella sera iniziava a crederci sul serio. Si girò con un sorriso, infilando le chiavi nella toppa, quando una voce conosciuta la chiamò con un innocuo: “Ehi.”
“Leo.” Rispose la ragazza, un po’ preoccupata, chiedendogli con lo sguardo cosa l’avesse fatto tornare indietro.
“No, no, no, no, no.” Disse il messicano scuotendo la testa e mettendo le mani avanti: “Tranquilla, non voglio dirti nulla che crei di nuovo problemi.” Continuò. Piper aveva ragione: era stato inutile parlare di Hazel con lei. Doveva dirlo alla diretta interessata, per mettere finalmente le cose in chiaro ed eliminare ogni imbarazzo. Era pronto.
Hazel sospirò di sollievo e si appoggiò alla porta: “Dimmi.”
 
Note di El: Saaaaaalve a tutti, cari lettori. Finalmente sono di nuovo qui con un capitolo tutto incentrato sul gruppo! Spero che le cose non vi siano sembrate affrettate. Mancano ancora due capitoli, ma spero di aver fatto capire che le cose non sono totalmente a posto fra tutti. Diciamo che, però, parlare ha reso più inclini al perdono e ad un’eventuale chiacchierata. Spero anche non sia stato tutto scontato!
Insomma, vi dico solo che ho adorato scrivere quella scena tra Hazel e Frank e che ho adorato ancor di più far fare a Percy la stessa cosa!
Piper è ormai un idolo, paladina della giustizia e dei rapporti umani e per Leo ho cercato di sfociare il meno possibile nell’OOC, ma in momenti come questi è difficile renderlo il solito Leo.
Insomma, fatemi sapere che ne pensate e preparatevi perché il prossimo capitolo è nella mia scaletta (si fa per dire, mi dilungo sempre troppo) dagli inizi di questa ff (oh no, non voglio farvi credere di avere una gran cosa da farvi leggere e poi deludervi AAAAAA)
Grazie ancora a tutti quelli che ricordano/preferiscono/seguono la storia, a ­_Viola02_ che commenta rendendomi ogni volta più felice e a te, lettore silente, sintonizzato su queste frequenze disagiate che sono le mie note e le mie storie.
Adieu,
 
El.

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Capitolo 25
*** 25 - Il Ballo (Parte 1) ***


IL BALLO
 
Maggio era appena iniziato e l’aria fresca della primavera regalava un po’ di gioia e spensieratezza a tutti.
Le cose andavano ormai tranquillamente, nel gruppo, se non si contavano le battutine acide, ma in un certo senso dolci, di Annabeth nei confronti dei gesti carini di Percy, o il fatto che Frank e Hazel arrossissero praticamente per ogni fatterello che li vedesse coinvolti per più di quattro secondi. A proposito di Hazel, Piper era felice di poter dire che aveva dato un gran bel consiglio a Leo e, quella sera di fine marzo, il messicano era riuscito a dire una volta per tutte cosa pensasse davvero della ragazza. Era partito dall’inizio. Dal fatto che sì, lei gli piaceva, ma aveva anche capito che semplicemente non erano ingranaggi funzionanti, insieme. A modo suo le aveva spiegato delle sue paure, del fatto che quello che c’era stato tra loro non era stata un’occasione che Leo aveva colto per sfruttare un suo momento di debolezza. Hazel gli aveva sorriso e lo aveva rassicurato sul fatto che non l’avesse mai pensato, nemmeno per un secondo. La cosa sollevò un grande peso dal petto di Leo. Da allora i due erano grandi amici e, la gelosia che Frank di tanto in tanto si lasciava sfuggire, per Hazel non era altro che un incentivo a sperare ancora in una ripresa del rapporto.
Per quanto riguardava il suo rapporto con Jason, Piper era fiera di dire che procedeva a gonfie vele, nonostante gli sguardi annoiati di Luke nei corridoi e quelli tristi di Reyna, che a Piper sembrava una brava ragazza. Ma la grande notizia, che aveva fatto scoppiare a ridere il gruppo, era che quando Drew aveva chiesto a Jason di andare all’imminente ballo con lei, lui l’aveva elegantemente piantata in asso. Peccato che poi, il giorno dopo le divertenti battute, Percy aveva accettato il suo invito, certo che la bionda l’avrebbe tristemente rifiutato e lui ci teneva troppo a riconquistarla per sprecare così la sua occasione. Ecco come, quindi, il giorno prima del ballo, Annabeth si trovava con Hazel davanti all’armadietto di Piper, a sfogarsi sull’accaduto.
“Insomma, ti rendi conto? Drew Tanaka? Ma l’hai vista? Farebbe prima a venire a scuola nuda, risparmierebbe soldi e tempo.” Sbottò la bionda.
“Beh, c’è chi dice che sia molto più sensuale un velo trasparente che la sua totale assenza.” Considerò Piper, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Hazel, che s’intromise per evitare un’imminente rissa: “Questo vale per le statue, Piper.”
“Sì, ma il problema resta lo stesso. Se lui l’avesse chiesto a te tu l’avresti fatto tornare a casa con la coda fra le gambe.” Continuò Piper, che quel giorno sembrava avere una gran voglia di essere percossa dalla sua migliore amica: “Questo non è vero. Gli avrei detto di sì.”
“Lui questo non lo sa.” Ribatté veloce la mora. Hazel seguiva la conversazione come una partita di tennis, conscia del fatto che quando partivano per queste tangenti era meglio non intromettersi.
“Non lo sa perché ha accettato l’invito di Drew.”
“No, non lo sa perché ogni volta che ti rivolgi a lui sembra tu voglia ammazzarlo.”
“Questo non è vero!” Ripetè sconcertata Annabeth, guardando Hazel per avere conferma. Quando la ragazza scosse la testa timidamente, quasi timorosa di dare ragione a Piper, la bionda le guardò entrambe preoccupata per qualche secondo: “Lo è?” Le due annuirono in contemporanea: “Oh, merda.”
“Ecco perché devi starmi a sentire e…”
“Oh, andiamo. Lui me l'ha chiesto qualche mese fa!” L’interruppe Annabeth.
"Ma era fatto e tu gli hai detto che ne avreste riparlato!" Ribattè Piper. Per fortuna, Hazel intravide una testa riccia a qualche metro di distanza: era l’occasione perfetta per far smettere di battibeccare le due: “Ohi, Leo!” Chiamò la ragazza.
Il messicano sorrise e le raggiunse raggiante: “Ehi, donzelle, trovato il vostro cavaliere?”
Piper gli fece segno di tagliare corto, Annabeth lo guardò male e Hazel per poco non scoppiò a ridere. Leo si trovò un po’ confuso a guardare le diverse reazioni delle ragazze e, quando decise che no, non avevano alcun filo logico, pensò bene che ripetere la domanda fosse l’unica soluzione: “Dico: sapete con chi andrete al ballo, domani?”
“Oh, mio Dio!” Sbuffò Piper, alzando gli occhi al cielo, mentre Hazel lasciava finalmente libera la sua risata ed Annabeth replicava con un sussurro che a Leo sembrò tanto un “Non verrò con nessuno.” Il messicano si aggrappò alle uniche parole che gli sembravano sensate e scrollò le spalle tranquillo: “Oh, grande, neanch’io. Ci vieni con me o devo inginocchiarmi?” Propose il ragazzo. Annabeth scrollò le spalle a sua volta e accettò, inaugurando la coppia più disfunzionale del pianeta Terra.
 
Frank non era mai morto, ma era sicuro che quello che stava per fare l’avrebbe sicuramente messo su una soglia pericolosa. Eccola, Hazel era lì, davanti a lui, sola, gli dava le spalle perché si stava avviando in classe. Frank urtava alcuni ragazzi mentre camminava, ma a stento riusciva a sentirli. Hazel, però, sembrò sentire qualcuno imprecare contro di lui, perché si girò a guardarlo sorpresa, prima di regalargli un sorriso che lo dichiarò ufficialmente defunto.
Guardandolo in faccia, però, la ragazza sembrò notare il suo colorito preoccupante perché il suo sorriso lasciò subito posto ad uno sguardo preoccupato: “Che c’è? È successo qualcosa di grave?”
Quel po’ di buonsenso che gli era rimasto, suggerì a Frank di rispondere qualcosa che somigliava tanto a: “No, no, tutto a posto, volevo solo chiederti una cosa.”
“Ah, certo, dimmi pure.” Ecco. Doveva farlo.
“Io… ecco, sì, sai… Io pensavo…”
Hazel rise, cosa che non aiutò certo il ragazzo: “Frank, non hai detto una parola sensata.”
Vuoivenirealballoconme?” Sussurrò, velocissimo.
Hazel lo guardò per un attimo, confusa: “Cosa?”
Il ragazzo trasse un respiro profondo, prima di dire, davvero timidamente: “Vuoi… Ti andrebbe di venire al ballo con me, domani?”
Hazel lo guardò sorpresa per quelli che al ragazzo sembrarono secondi infiniti. Dopo un po’ si riscosse e cercò di correggere la sua frase: “Solo se vuoi, eh, l’ho detto così, tanto per dire, non devi sentirti…”
“Certo!” Lo interruppe entusiasta la ragazza. Frank trasse un sospiro di sollievo: ora gli bastava solo aspettare domani… forse.
 
“E quindi vai al ballo con Annabeth?” Domandò Percy, mentre andava verso casa di Drew con Leo, pronto, invece, a dirigersi dalla bionda.
“Oh, sì.” Replicò il messicano disinteressato, dando un calcio ad un sassolino per strada. Percy seguì il suo percorso con lo sguardo: “Senti, tu come la trovi Drew?”
“Una bomba!” Si affrettò a rispondere Leo.
“Quindi se facessi un solo ballo con Annabeth per te non sarebbe un problema ballare con lei?” Leo sembrò strozzarsi con la sua stessa saliva: “Puoi ballare anche tutta la sera con Annabeth, amico!”
“Beh, grazie. Davvero. Non so proprio cosa mi abbia fatto accettare.”
“Io ho qualche idea.” Disse Leo, più tra sé e sé che al suo amico e gesticolando verso il suo petto. Percy rise: “Sì, ma tralasciando quello, Drew non è altro che una riccona fastidiosa e arrogante.” Si sfogò il moro, che non sembrava poi tanto uno che stava portando al ballo quella ragazza, a sentirlo.
A quel punto Leo annuì deciso: “No, su questo non posso darti torto. È un atteggiamento che mi irrita. Ad esempio, uno dei miei più grandi sogni è sempre stato quello di farmi un bagno nelle piscine lussuose di una casa a caso.” Buttò lì il messicano. Percy lo guardò fisso negli occhi. Leo ricambiò lo sguardo, intuendo al volo.
 
Jason non voleva ammetterlo, né darlo troppo a vedere, ma l’idea di portare al ballo Piper lo rendeva felice e nervoso allo stesso tempo. Era terrorizzato all’idea di andare a prenderla a casa per due motivi. Il primo era che aveva fatto tardi perché ci aveva messo un’eternità ad infilare il vestito di suo padre, per paura di sporcarlo. Il secondo era che l’idea della mamma di Piper, pronta a scattare foto e fare battutine sporche, lo metteva a disagio. Gli avevano sempre detto che le foto del ballo erano folli ed esagerate solo nei film, ma, conoscendo la madre di Piper, Jason non era certo di essere del tutto al sicuro.
Arrivò trafelato a casa della sua ragazza. Stava iniziando a sudare, il che non era il meglio per il suo abito. Bussò alla porta col fiatone, quando sentì delle voci provenire al di là della porta.
“Piper, cara, non puoi aprire tu la porta. Devo farlo io!” Stava dicendo la mamma di Piper.
“Mamma, ma a chi vuoi che importi chi apre la porta?”
“No!”
“Ma dai.”
“Nooooooo.” Piper spalancò la porta, mentre sua madre si affrettava a raggiungerla, ma ormai era troppo tardi.
“Oh, ehi, Jason, portami via da lei, ti prego.” Lo salutò Piper, con un pizzico di ironia.
“Dovevi scendere le scale, graziosa e leggiadra.”
“Mamma, noi non abbiamo delle scale.”
Jason doveva ammettere di essere un po’ confuso, ma mai quanto lo fu quando Afrodite iniziò a guidarli verso il posto perfetto per fare le foto (a detta sua), ordinando pose ed espressioni e puntando loro la lampada della cucina in faccia in un rudimentale tentativo di imitare i fari professionali. Peccato che dopo il primo scatto, ahimè, mosso, il telefono di Jason squillò per la terza volta in due minuti, dato che la mamma di Piper gli aveva impedito categoricamente di interrompere la loro sessione fotografica. Jason sbuffò scusandosi e recuperò il telefono dalla tasca dei suoi pantaloni rivelando tre messaggi agghiaccianti da parte di Leo: “Oh, merda.” Esalò Jason, dimenticandosi momentaneamente di dove fosse e di cosa stesse facendo: “Devo andare. Piper, tu vai a scuola, ci vediamo lì tra mezz’ora.” Disse salutando distrattamente la madre della sua ragazza e chiudendosi la porta alle spalle.
In cucina, la mamma di Piper si avvicinò a sua figlia, con ancora la macchina fotografica tra le mani e, poggiandole una mano su una spalla, le disse: “Niente da fare. Gli uomini sono tutti uguali, figliola. Peccato, però, quella cicatrice sul labbro era davvero sexy.”
"Mamma!" Piper alzò gli occhi al cielo e finì di prepararsi per uscire.
 
Leo non aveva compreso appieno quando lui e Percy avevano deciso di irrompere nella casa di un riccone lungo la strada solo per farsi un bagno nella sua piscina lussuosa. O meglio, l’aveva capito dallo sguardo d’intesa che si erano scambiati quando l’idea era improvvisamente balenata nella mente di entrambi, ma non era certo di quando avessero deciso che l’avrebbero messa in pratica lì e subito. Decise che avrebbero dato come spiegazione la loro iperattività.
Doveva essere questione di un’oretta, poi si sarebbero recati con nonchalance al ballo e avrebbero concluso in bellezza la loro serata. Percy avrebbe ballato con Annabeth, conquistando finalmente il suo cuore diffidente e Leo… Oh, Leo avrebbe fatto colpo su Drew con il suo fascino ispanico. Sarebbe andato tutto a meraviglia se solo Percy non avesse scavalcato il muro saltando su un cassonetto e avesse visto che c’erano delle telecamere e che non c’era un altro cassonetto per tornare indietro senza entrare nella visuale degli occhi elettronici. Beh, per Leo non era certo un problema, ma doveva ammettere che, in quel momento, al buio, il pannello di controllo gli stava dando del filo da torcere. Per cominciare, non riusciva a distinguere i colori dei fili che aveva di fronte, cosa che, come insegnano i film di spionaggio in cui si disinnescano bombe, non è mai un bene.
Il suo cellulare prese a squillare all’improvviso, facendolo sobbalzare: “Pronto? Percy?”
“Leo, fa’ presto, dannazione. Qualcuno ha acceso la luce al secondo piano.”
“Ma come? Non hai detto che non c’era nessuno? Ma poi come facevi a saperlo?” La domanda gli sorse solo in quel momento. Dall’altra parte del telefono, Percy sbuffò: “Ero sicuro fosse casa di Rachel, una volta mi ha scritto un messaggio con il suo indirizzo, non saremmo mica entrati in casa di uno sconosciuto, Leo!” Percy non ricevette risposta. Controllò che il ragazzo fosse ancora in linea: “Leo… tu… Voglio dire, tu non credevi che saremmo entrati davvero in casa di un completo sconosciuto, vero?” Silenzio, ancora: “Leo?”
“Ma certo.” Il messicano si lasciò sfuggire una risatina isterica. Percy per poco non scoppiò a ridere: “Be’, Rachel non può essere tornata a casa?”
“Abbiamo sbagliato indirizzo, Leo.”
“Merda… Be’, cerca un’uscita.” Cercò di improvvisare, il messicano.
“Ma come faccio con le telecamere?”
“Ah, giusto. Mi metto al lavoro.”
Quando Percy si rese conto che Leo ci stava mettendo troppo e che presto lo avrebbero scoperto, ebbe la brillante idea di farsi dare una mano, ovvero di coinvolgere qualche anima innocente. Furono dieci minuti interminabili, in cui Leo gli scriveva ogni tanto per assicurarsi che stesse bene e per comunicargli che il tutto procedeva per il meglio, ma lentamente, perchè "il genio è un dono che richiede tempo".
“Percy.” Un sussurro alle sue spalle lo fece sobbalzare. Jason era in piedi sul cassonetto dell’immondizia, dall’altro lato del muro, a qualche metro di distanza, nella visuale degli occhi elettronici. Il moro riusciva a vedere solo il suo ciuffo biondo. Era quasi esilarante: “Jason! Sono qui.” Gli fece segno. Era tutto perfetto. Percy sarebbe corso verso di lui e Jason l’avrebbe tirato. Doveva solo stare attento alle telecamere.
“Ma che state facendo? È violazione di domicilio, questa.”
Percy sentì Jason sbuffare, mentre si arrampicava sul muro mormorando qualcosa di simile a: “Che cazzo ci fate qui?” Una volta seduto sull’orlo, il biondo guardò giù: almeno tre metri lo separavano dal prato sotto di lui. Poi, per sua fortuna, avvistò un mattone sporgente: "Jason, no!" Il biondo sbuffò ancora e spostò il peso sul piede che poggiava sul mattone. Peccato che questo cedette sotto il suo peso, facendolo cadere rovinosamente a terra e graffiandogli la gamba. Percy cercò di zittirlo, mentre gli faceva segno di raggiungerlo. Cercare di fermarlo era stato inutile. Bene, adesso erano bloccati entrambi. Percy, però, non riuscì a fare molto, dato che era scoppiato a ridere e sembrava non essere in grado di smetterla.
Il biondo si rialzò spazzolandosi i vestiti e cercando di darsi un contegno: “Mi sono graffiato, accidenti. Vuoi spiegarmi che ci facciamo qui?”
“Se te lo dico mi aiuterai lo stesso?” Jason non lo rassicurò con lo sguardo, anzi sembrava volerlo uccidere, ma Percy gli concesse comunque la verità: “Volevamo farci un bagno in piscina.” A questo punto, il biondo si esibì in una serie infinita di versi rabbiosi che cercavano di trovare un loro senso in parole incomprensibili. Percy lo guardò confuso, per un po’, ma, all’improvviso, gli arrivò un messaggio da Leo. La telecamera alla loro sinistra era ufficialmente fuori uso. Se solo avessero aspettato qualche secondo in più! Percy non ebbe neanche il tempo di rispondere che, un attimo dopo, un fruscio, al qualche seguì qualche tonfo accompagnato da alcune imprecazioni, fece voltare Percy e Jason. Con un balzo Leo atterrò accovacciato accanto ai ragazzi, si passò un braccio sotto il naso e commentò, come fosse una spia dei film americani: “Missione compiuta.”
“Tu che cazzo ci fai qui?” Domandò Percy terrorizzato.
“Sono venuto a guidarvi verso l’uscita. Non volevo perdermi la parte bella della fuga.”
“Non ce ne facciamo nulla della telecamera di sinistra fuori uso. Era la destra che dovevi disattivare, Leo, la destra, l’uscita è a destra.”
“Ah.” Commentò il messicano: “Beh, almeno adesso abbiamo la piscina tutta per noi.” Considerò, visto che nessuna telecamera avrebbe potuto impedirglielo, grazie al suo lavoro.
Jason alzò gli occhi al cielo, mentre Percy si illuminava: “Idea. Chiamo Frank. Gli dirai cosa fare a distanza e lui disconnetterà la telecamera.” Jason sapeva che era l’unica cosa sensata da fare, dato che spostare la telecamera alla loro destra a mano era totalmente fuori discussione, visto che ce n’era un’altra di fronte.

“Ma tu hai idea di che fine abbiano fatto gli altri?” Domandò Piper, mentre raggiungeva Annabeth, che versava del Punch nel suo bicchiere.
“Già, non c’è neanche Leo.” Considerò Annabeth, guardandosi attorno. Piper prese a fissarla, come a chiederle se facesse sul serio: “Che c’è?” Domandò infatti la bionda, che si sentiva sotto pressione.
“Non vorrai farmi credere che è Leo la ragione per cui fissi la porta della palestra più o meno ogni due secondi.”
“Che cosa? Non è vero!” Gridò Annabeth, grata della presenza delle luci soffuse a nascondere il suo viso ormai rosso.
“Ah, no?”
“No.” Concluse Annabeth, girandosi a guardare la grossa porta aperta. Piper si lasciò andare ad una sonora risata.
“Che c’è da ridere?” Domandò Hazel, intromettendosi nella conversazione, mentre Frank le salutava timidamente.
“Ragazze, avete idea di dove si siano cacciati gli altri?”
“No, ce lo stavamo giusto chiedendo.” Rispose Piper, guadagnandosi una gomitata del costato da parte della bionda, mentre Hazel ridacchiava. A Frank, invece, squillò il telefono. Si affrettò a leggere il messaggio che gli era arrivato.
“Oh, credo che stiamo per scoprirlo.” Considerò Frank, preoccupatissimo. Un attimo dopo, aveva infilato di corsa la porta della palestra, imprecando per non essere riuscito a passare una bella serata con Hazel, per colpa dei suoi stupidi amici. Chissà cosa avevano combinato, questa volta.
 
Note di El: Buonnnnnn Natale, vecchi miei! Sbaglio o sono in anticipo, per i miei standard? Torno tra poco?
Mi sono dilungata in cose dementi, come mio solito, tipo il mattone. Ed ecco che ho dovuto dividere il capitolo, prolungando di poco questa storia che ormai iniziate ad odiare, immagino. Beh, sappiate che dovevo far fare loro questa cosa dall’inizio, adoro l'idea di Percy e Leo che fanno cose stupide. Sappiate che questa sarà l’ultima grande avventura prima del finale. Il resto del capitolo è già pronto, quindi pensavo di pubblicarlo tra una settimana, per dare una parvenza di produttività verso la fine eheheh.
Fatemi sapere cosa ne pensate (anche se non è finito).
Ringrazio come al solito tutti ecc, ma un grazie speciale a ­_Viola02_ che continua a commentare imperterrita questa storia allo sbando. Grazie anche a te, lettore silente!
Ci vediamo davvero prestissimoooo!
Adieu,
 
El.

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Capitolo 26
*** 26 - Il ballo (Parte 2) ***


IL BALLO (Parte 2)

“Sono qui fuori, Percy, ma non ti vedo.”
“Ecco, non mi vedi perché io sono al di là del muretto.” Rispose Percy, dall'altra parte del telefono.
“Come sarebbe a dire?” Frank non sentì altro che qualche rumore indistinto: “Percy?” Lo chiamò. Ma che razza di scherzo era questo? Doveva essere la serata in cui avrebbe riconquistato Hazel e Percy lo sapeva benissimo.
“Ehi, ciao, hermano, vuoi farmi un favore?”
“Leo?”
“Sì, devi andare verso l’entrata. Non farti vedere da nessuno, per favore.”
“Ma perché?” Frank non poteva essere più confuso e Leo non lo stava certo aiutando a chiarire i suoi dubbi.
“Poche domande e più fatti. Va’ verso l’entrata. C’è il pannello di controllo. Devi disattivare le telecamere. Ti aiuterò io.”
Frank non potè fare altro che ubbidire. Non gli era del tutto chiaro come Jason, Percy e Leo si fossero ritrovati tutti e tre in una casa di uno sconosciuto la sera del ballo scolastico, ma era anche piuttosto sicuro che chiedere delucidazioni a Leo sarebbe stato come fare un buco nell’acqua, quindi si avviò verso il pannello grigio già scassinato, vicino all’entrata della casa: “Leo, ma come hai fatto a scassinare il…”
“Poche domande e più fatti!” Ribadì risoluto il messicano: “Ti basti sapere che il mio incredibile talento può portare…”
“Leo!” Frank sentì urlare Jason, dall’altra parte del telefono.
“Okay, okay, vedi come sono intrecciati in modo bizzarro i fili a destra del pannello?”
“Sì.”
“Ecco. È ciò che dobbiamo fare con tutti gli altri.” Frank trasse un respiro tremante. Non ci sarebbe mai riuscito.
 
“Niente.” Esalò Hazel sconsolata, dopo l’ennesima telefonata inutile che aveva fatto a Frank. Annabeth sospirò rassegnata, mentre, qualche metro più in là, Piper continuava ad agitare il telefono, cercando copertura telefonica.
“Qualcosa non va?” Domandò Drew Tanaka, avvicinandosi con il suo vestito rosa svolazzante.
“No, va tutto a meraviglia, grazie, ora puoi andare.” Sussurrò Annabeth, parecchio infastidita dall’atteggiamento superiore di quell’ochetta stupida.
“Aspetti che arrivi il mio cavaliere? Rassegnati, ha scelto me.” Hazel tremò. Annabeth aveva dovuto sopportare Rachel per tutto questo tempo e aveva seriamente paura per l’incolumità di Drew, in quel momento. La bionda, però, con grande sorpresa di entrambe, scrollò le spalle, alzando lo sguardo sulla mora di fronte a lei: “Povera te, in tal caso, piantata in asso al ballo.”
“Mi pare che anche quel rifiuto amico vostro non sia più arrivato.” Replicò Drew, irritata dalla calma della sua avversaria.
“Io, però, non sono convinta che lui mi ami.”
Drew storse il naso nervosa, alzò il viso indispettita, girò i tacchi e tornò in palestra. Annabeth sospirò e richiamò Piper. Presto sarebbe entrata la primavera, ma era ancora inverno e stare al freddo con abiti leggeri non le pareva la scelta più adatta. Odiava tradirsi con gesti stupidi, ma prima di richiudere le grandi porte della palestra alla sue spalle, non riuscì a trattenersi dal lanciare uno sguardo all’ingresso della palestra esterna da cui sarebbero dovuti spuntare i ragazzi. Un cipiglio deluso si dipinse sul suo volto quando lo vide ancora una volta vuoto.
 
“Percy, dannazione, che ci fai nella piscina?”
“Beh, era questo l’obiettivo iniziale, no? Tanto non ci sono telecamere e non sto facendo rumori. Inganno l’attesa.”
Jason alzò gli occhi al cielo e poggiò una mano sulla spalla di Leo, ancora al telefono con Frank. Il messicano gli mostro un pollice. Il tutto funzionava a meraviglia, o almeno questo era quello che Leo riferiva a Jason ogni volta che gli chiedeva aggiornamenti, eppure erano ancora bloccati lì.
“Frank, devi tagliarlo con quelle forbici rosse ed estrarre il filo di rame che ti ho detto. Le rosse, sì, le rosse, perché sono più precise.”
“Leo, amico,” Percy lo chiamò dalla vasca, con i gomiti appoggiati al bordo per riuscire a vederlo meglio: “ora che ci penso… che ci facevi con le forbici rosse precise e specifiche nascoste nel vestito del ballo?”
Leo alzò un angolo della bocca, in uno dei suoi sorrisetti furbi da folletto: “Non esco mai senza attrezzi. Adesso esci da lì e vestiti, ché ci siamo quasi.”
“Agli ordini.”
Frank era davvero determinato e anche se, all’inizio, non riusciva a spiegarsi perché, più andava avanti nella sua missione di salvataggio, più gli sembrava chiaro. Le cose andavano bene da tempo, ormai, a Leo voleva bene sul serio, ma c’era sempre stata una parte di lui che lo faceva sentire inferiore al messicano, un briciolo d’invidia che gli faceva credere che Hazel avesse fatto bene, anche solo per un secondo, a scegliere lui al posto dell’impacciato, ‘stupido’, Frank. Voleva dimostrare a sé stesso che anche lui poteva aggiustare cose come Leo, se avesse imparato. In questo caso, però, le cose le stava disattivando, a dire il vero, ma a Frank andava comunque bene.
“Fatto. Poi?”
“Grande, perfetto. Ora intreccia quello rosso che hai manomesso prima e fallo passare sotto il blu.”
“Ma perché devo farlo passare sotto il blu, avanti, è la stessa cosa!”
“Attutisce la scarica, altrimenti ti fai male.”
“Oh, okay.”
“Fatto?” Domandò il messicano dopo un po’. Frank confermò e Leo trasse un sospiro nervoso: “Speriamo bene.”
“Cosa?” Domandò Frank dall’altra parte del telefono: “Niente, niente. Ora devono fare contatto i due scoperti. Abbiamo finito. Attento a toccare solo lo strato isolante e mai i fili.”
Un attimo dopo, le luci lampeggianti rosse delle restanti telecamere si spensero in serie e Leo esultò, un attimo prima che Jason gli posasse velocissimo una mano sulla bocca, per impedirgli di urlare: “Andiamo a ballare con Dreeeew!” Sussurrò esaltato, non appena Jason lo liberò, esibendosi in un balletto imbarazzante: “Credevo fosse Percy ad andare al ballo con Drew.” Notò il biondo, mentre si avviavano al cancello: “Credevi anche che saresti andato tranquillamente al ballo, stasera e invece…” Iniziò Percy alzando le sopracciglia con lo sguardo di uno che sembrava saperla lunga. Leo lo imitò. Jason li fissò entrambi per qualche secondo: “Io eviterei di infilare il dito nella piaga.”
“Dio, sei così rigido.” Iniziò Percy. Leo gli sorrise complice prima di rispondere: “Ti direi io dove infilare il dito per…” Ma Leo non finì mai la frase, perché Jason gli rifilò uno scappellotto, per il quale lo sfortunato destinatario fu costretto anche a soffrire in silenzio, visto che gridare in quel momento avrebbe significato farsi scoprire. L’ultimo tratto furono costretti a percorrerlo in silenzio, per la felicità di Jason.
 
“Ma che fine avevate fatto?” Domandò Piper, mentre Annabeth e Hazel si avvicinavano. I quattro ragazzi avevano appena varcato la soglia della porta della palestra.
“Ecco…” Iniziò Jason, che aveva il pantalone rialzato fino a metà tibia, per evitare che un graffio sanguinasse sui vestiti di suo padre.
“Perché hai i capelli bagnati?” Domandò Annabeth confusa, a Percy.
“Ecco…” Iniziò Percy, deciso a riunire le idee senza sembrare troppo uno stupido. Purtroppo, però, vide avvicinarsi Drew, che sembrava più nera dalla rabbia, che felice di vederlo: “Merda.”
“Finalmente ti sei degnato di farti vedere e invece di venire da me, corri da quella sciacquetta?”
“No, io stavo…”
“Andiamo.” Sentenziò Drew, afferrandolo per il polso e tirandolo via dagli altri. Per un attimo Percy incrociò lo sguardo ironico di Annabeth, come a chiederle inconsciamente scusa. Mentre i due si allontanavano, gli amici poterono sentire distintamente Drew gracchiare: “Hai i capelli bagnati e puzzi di coro! Mi stai bagnando tutto il vestito!”
 
“E quindi abbiamo chiamato Frank, che ha disattivato le telecamere e ci ha fatto uscire di lì.” Spiegò Jason, seduto a terra, in uno dei corridoi della scuola deserta, mentre Piper e Hazel lo medicavano con quello che erano riuscite a trovare in infermeria e nei loro zaini. Frank, Leo ed Annabeth, invece, guardavano l’opera delle ragazze, sedute accanto al loro amico. Hazel sgranò gli occhi e si girò verso Frank: “Cosa? Sapevi disattivare le telecamere? Bravissimo.”
“No,” Ridacchiò Frank: “no, ero in chiamata con Leo che ha…”
“Sì, sapeva disattivare le telecamere.” Sentenziò in tono drammatico Leo, pronto a far fare bella figura al suo amico, davanti alla dama da conquistare. Seguì un silenzio teso, in cui Frank guardò ammirato l’eroico messicano, prima che Jason, assieme alle ragazze, scoppiasse a ridere sguaiatamente, trascinando anche i due protagonisti della recita: “Leo, tu hai…” Iniziò il biondo, che non riuscì a continuare la frase, perché anche solo il pensiero del gesto di Leo lo faceva ricominciare a ridere. I ragazzi si lasciarono andare alle risate ancora per un po’, ma Frank era rimasto davvero impressionato dal tentativo di Leo e pensò che forse, da quel momento in poi, l’avrebbe iniziato a vedere in modo del tutto diverso.
 
“Ehi, senti, mi chiedevo… Non è che ti andrebbe di ballare con Leo per un po’? Non vedeva l’ora di ballare con te.” Domandò Percy preoccupato. Il messicano era un suo grande amico e non era in nessun modo geloso, davvero, ma non vedeva l’ora di ballare con Annabeth, era tutto ciò che aspettava dall’inizio della serata.
“Cosa?” Gridò Drew, facendo girare un paio di coppiette vicino a loro ed attirando l’attenzione della bionda, poco più in là: “Mi stai piantando in asso per quella?” Domandò isterica, alludendo ad Annabeth.
“No, Drew, sto solo…”
“Sei uno stronzo!” Sentenziò lei, prendendo un bicchiere di punch dalle mani di un ragazzo riccio lì vicino, per versarlo sulla camicia di Percy. Poi scappò via. Percy fissò interdetto il vuoto, poi scrollò le spalle, si girò verso i suoi amici e disse: “Tanto sono già bagnato.”
La serata, però, proseguì ancora per poco e Percy non riuscì a trovare un momento per ballare con Annabeth, un po’ perché ormai stavano semplicemente tutti insieme, fatta eccezione per Hazel e Frank, che continuavano a ballare in pista, abbracciati, senza curarsi troppo del tipo di musica da coordinare alla loro danza, un po’ perché Annabeth non sembrava una fan del ballo e lasciava che Leo la trascinasse solo quando qualche canzone stupida li portava a divertirsi a ballare in modo buffo.
Ecco come Percy si ritrovò a tornare a casa col suo gruppo di amici, tra una risata e l’altra, ma col cuore un po’ pesante per le occasioni perse, finchè una nuova idea non gli balenò in testa, irremovibile. Hazel e Frank erano già andati via da un pezzo, ma erano ancora in troppi: decise di agire: “Annabeth, ti andrebbe se ti accompagnassi a casa?”
“Non lo stiamo già facendo? Perché hai bisogno di sussurrarmelo?” Non che volesse fare la finta tonta, ma aveva un po’ paura a restare da sola con Percy: quel ragazzo era capace di annullare qualunque sua forma di autocontrollo, anche se, a giudicare dalle sue rispostacce, nessuno l'avrebbe mai detto.
“Intendo… Se ci stacchiamo da loro e…”
“Oh.”
“Giuro che non sarò molesto.” Percy puntò sull’ironia, il che si rivelò un’ottima mossa, visto che lei ridacchiò e acconsentì, sebbene un po’ insicura. Dopo aver salutato gli altri, sotto gli occhi attenti e felici di Piper, i due si incamminarono. Parlarono tranquillamente del più e del meno, nonostante Percy si sentisse rigido e nervoso, cosa che non gli era mai capitata prima. La tensione, però, prese a salire visibilmente non appena si ritrovarono sotto la scala che conduceva al portone del palazzo di Annabeth: “Beh, grazie, allora io…”
“Annabeth.” Percy mandò tutto al diavolo, era il momento giusto: non sarebbero mai stati amici, tanto valeva essere rifiutati subito. Ora o mai più. Si chinò in avanti e la baciò. I primi secondi furono spaventosi, la tensione era alle stelle, ma Percy non riuscì a fare a meno di sorridere, quando Annabeth ricambiò il bacio. Le emozioni li investirono come un’onda inarrestabile mescolandosi e confondendosi tra loro, in una danza caotica, eppure strabiliante.
Percy non aveva idea di quanto tempo fosse passato, quando lasciò andare le sue labbra, ma tutto quello che riuscì a dire fu uno stupidissimo, eppure perfetto: “Qui ci siamo dati il nostro primo bacio.” Annabeth sorrise e alzò gli occhi al cielo: “Ci vediamo domani.” Disse avviandosi verso il portone, mentre Percy continuava a tenerle una mano sul fianco, finchè non fu troppo lontana e si ritrovò costretto a lasciarla andare. Aveva paura che interrompere il contatto l'avrebbe fatta scomparire per sempre: “Buonanotte.” Salutò lei infilando le chiavi nella toppa del portone, prima che lui salisse velocemente la rampa di scale e la coinvolgesse in un altro bacio, facendola ridere: “Davvero, devo andare.”
“Non me lo dici di nuovo?”
Annabeth capì al volo e gli sorrise: “Magari ti scrivo.” Disse varcando la soglia del portone, salutandolo come lo salutò quella sera di qualche mese prima, quando tutto era iniziato.
Percy rimase per un po’ a fissare il portone con un sorriso probabilmente stupido: era stata decisamente una serata incredibile.
 
Note di El: Beh, eccoci al vero penultimo capitolo. Incredibilmente ho anche mantenuto la promessa e quindi eccoci qui, una settimana dopo la prima parte. L’ultimo capitolo è già pronto (tranne una parte piccolissima, ma ho tutto sotto controllo), quindi dovrei riuscire a finire col botto e fingermi seria.
Beh, ecco, la Percabeth vola. Non è chiaro, ma il capitolo è ambientato a inizio maggio. Anche se è un dettaglio, ci tenevo a far legare Leo e Frank una volta per tutte e una battuta carina di Leo, con un po' di considerazioni di Frank mi sembrava un modo delicato per renderla al meglio.
La loro ultima, folle ed assolutamente insenstata avventura è avventua, mentre, per quanto riguarda il bacio sotto casa, mi piaceva riprendere il loro primo bacio e copiare qualche frase, per rendere il tutto ancora più mileloso, ecco. Sono una fan sfegatata dei parallelismi, quindi sappiate che non è affatto l'ultimo!
Grazie ancora a tutti, ora che ci avviciniamo alla fine. Grazie a chi continua a commentare, ma anche a chi continua a leggere.
Ci vediamo tra una settimana!
Adieu,

El.

 

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Capitolo 27
*** 27 - Un vecchio inizio ***


UN VECCHIO INIZIO
 
L’estate era quasi finita. Per la prima volta nella sua vita, Jason aveva davvero voglia di andare a gettare i rifiuti. Non che normalmente si sottraesse alla sua mansione, ma questa volta voleva usare la spazzatura come scusa per farsi un giro in bici e lasciarsi accarezzare dalla fresca brezza di fine estate. Quel giorno un temporale aveva fatto calare per un po’ le temperature e aveva regalato al prato il loro tipico odore di terreno bagnato che al biondo piaceva tanto. Gli faceva pensare all’estate appena trascorsa. Una delle più belle di sempre. Gli scappò una risata che risuonò forte e chiara nel silenzio della sera. Fu interrotta, però, qualche secondo dopo, dal familiare rumore di un quartetto di rotelle sull’asfalto: “Ehi, Grace, cos’hai da ridere?” Scherzò Percy.
“Io? Mah, nulla, pensavo alla tua faccia di culo.” Ribatté ironico Jason, scendendo dalla bici: “Ehi, ehi, ehi, vuoi rimetterci il naso?”
“Fammi vedere che sai fare.” Percy si lanciò contro Jason, ma un attimo prima dell’impatto si accasciò su di lui, stringendolo in un abbraccio, che il biondo ricambiò prontamente: “Come stai?” Domandò dopo qualche secondo Percy, che non vedeva il suo amico da un po’, per via delle vacanze estive.
“Bene, davvero, con Piper le cose vanno benissimo.” Il moro annuì genuinamente contento, prima che uno sguardo triste di Jason lo facesse accigliare: “Con Annabeth?”
“Oh,” Jason sapeva di aver toccato un tasto dolente: “siamo amici. Cioè, le piace autoconvincersi che sia così, ma ogni tanto si lascia un po’ andare.” Jason sorrise: “Ti stai riguadagnando la sua fiducia, vedo.”
“Me la sto sudando!” Esclamò Percy, che sapeva di essere ad un passo dalla vetta.
“Ma tu che ci fai da queste parti?” Domandò Jason, improvvisamente consapevole che quella zona non era per niente vicina a casa del suo amico.
“Domani inizia il nostro ultimo anno, amico. Sono venuto a prenderti per una birra con gli altri.”
 
Hazel non entrava in quel bar da un anno. Non che fosse passato poi chissà quanto tempo, un anno era poco, in fondo, ma diventava enorme se si soffermava a pensare a quante cose fossero cambiate, in quel breve lasso di tempo. L’anno prima si trovava seduta al tavolo a cui era seduta adesso, ma seduti attorno a lei non c’erano Piper, Jason, Annabeth; non c’erano neanche Leo e Percy, no, c’erano suo fratello Nico e Frank, il suo migliore amico Frank, il suo futuro ragazzo Frank, già, il grande uomo che la vedeva provarci con i ragazzi lì al bar senza mostrare il minimo segno di gelosia, solo per continuare a stare con lei e a sognare che lei, un giorno, avrebbe finalmente visto in lui ciò che lui aveva sempre visto in lei. Hazel era cresciuta moltissimo e aveva smesso di cercare l’affetto che le mancava negli sguardi vuoti dei ragazzi ubriachi seduti al bancone, aveva scoperto la vera cura a quel senso di vuoto che persisteva sempre e comunque, ma che adesso poteva combattere grazie ai suoi nuovi amici, che non avrebbe mai smesso di ringraziare. In quel momento capì che era estremamente ingiusto che lei e Frank continuassero a far finta di non cercarsi con lo sguardo, di non sfiorarsi le mani di proposito, mentre camminavano. In quel momento capì che alcune ferite non si ricuciono mai, è vero, ma che alcune cicatrici sbiadiscono.
“E allora mi sono detto ‘be’, fanculo, è arrivato il momento di prendere la patente'.” Sentenziò con aria superiore Percy. Leo saltò sulla panca come se fosse stato caricato a molla: “Che cosa? Quindi adesso puoi guidare?” Il moro annuì fiero: “Ma è fantastico! Ragazzi, domani, dopo scuola, dobbiamo assolutamente fare una scampagnata.”
“Da domani dobbiamo iniziare a studiare, Leo.” Gli ricordò Annabeth, prima che gli altri levassero in coro una serie infinita di buuuh.
“Allora è deciso?” Domandò Percy, dando di gomito alla bionda accanto a lui, che gli rifilò un’occhiataccia: “E va bene.” Acconsentì lei, alzando gli occhi al cielo: “Per gli altri?”
Tutti accettarono la proposta… tutti eccetto Hazel, che continuava da un po’ a fissare il vuoto: “Tutto bene?” Le domandò Frank preoccupata, cercando il suo sguardo.
“Cosa? Sì!” Rispose lei quasi gridando e alzando la testa: “Sì, ero solo distratta. Va bene. Frank, puoi venire un attimo sul retro del bar?” Hazel pronunciò l’ultima domanda, attenta a farsi sentire solo dal diretto interessato.
“Uhm… Sì.” Disse rauco Frank, che tossicchiò un po’, per liberarsi dall’improvviso nervosismo: “Sì.” Ripeté più deciso.
Frank borbottò qualche scusa a metà per gli altri, che finsero chiaramente di essersela bevuta e poi si avviò alla porta sul retro con Hazel, che lasciò elegantemente passare per prima. Poi richiuse la porta, la fissò per qualche secondo, come per trovare il coraggio di girarsi e affrontare quella conversazione. Trasse un respiro profondo e poi si girò: “Bene, cosa volevi dir…”
Non ebbe mai il tempo di finire quella frase, perché si trovò in un attimo le labbra di Hazel sulle sue. Non aveva idea di come fosse successo o di quanto fosse stata veloce lei, ma decise saggiamente di non porsi tali problemi in quel momento e rimandò le domande a dopo. Poggiò delicatamente una mano sulla piccola guancia di Hazel ed approfondì il bacio, respirando profondamente e avvicinando la ragazza a sè per i fianchi. Qualche secondo dopo, poggiò la sua fronte su quella di Hazel e la guardò negli occhi, mente con un pollice le accarezzava una guancia: “Non ce la faccio a dover essere in ansia anche questa volta.”
“Non voglio che vada a finire come la prima volta.”
“Neanch’io.” Convenne lui, prima di riprendere a baciarla.
I cassonetti lì a fianco non emanavano un buon odore ed il fumo proveniente dalla cucina del bar non contribuiva a rendere più pulita l’aria in quel vialetto secondario, ma per Hazel e Frank non c’era fumo, né cassonetto. Sembrava quasi che non ci fosse terra su cui reggersi. C’erano solo loro due.
 
Ci risiamo, pensò Leo. Il quarto ed ultimo anno al liceo era appena iniziato e già sentiva di odiarlo con tutto se stesso. Di nuovo storia. Era inaccettabile. Avrebbe voluto scappare, correre via e dimenticarsi della civiltà, ma qualcosa gli fece cambiare idea.
Un angelo doveva aver sbagliato classe, ne era certo. Quello era l’inferno, non certo il paradiso, cosa ci faceva lì? Una ragazza bellissima, dai capelli color caramello e dei vestiti decisamente strani ma eleganti, aveva appena varcato la soglia della sua classe di storia.
Leo scoprì, più tardi, che il nome di quell’angelo era Calypso e che veniva da molto lontano. Per tutta l’ora di storia non faceva altro che sentire altri ragazzi bofonchiare su quanto fosse strana, chiedendosi da dove venisse e come si vivesse lì. Leo non poté che provare una profonda comprensione per quella ragazza. Era difficile essere i nuovi arrivati e non sentirsi giudicati in tutto. Poi, però, si ricordò che il suo primo giorno di scuola americano, qualcuno l’aveva salvato dall’imbarazzo dell’inadeguatezza. Hazel era arrivata in suo aiuto. Non poté far altro che seguire i suoi passi e offrire il suo appoggio alla donzella smarrita. Ecco, quindi, che a fine lezione Leo si avvicinò con passo felpato alle spalle della ragazza, mentre lei riuniva tutte le sue cose nella cartella marrone che aveva. Un raggio di sole le illuminava i capelli, facendoli risplendere e rendendo il lavoro ancora più difficile al messicano: “Ehi, ciao.” Salutò lui, facendola sobbalzare e girare di scatto, mentre con una mano gli rifilava un ceffone e con l’altra gli puntava il beccuccio di uno spray al peperoncino sul viso: “Io lo sapevo che voi americani siete tutti pazzi.”
“Ehi, raggio di sole, io non sono né americano, né pazzo. Tentavo solo di essere gentile.” Replicò dolorante Leo, massaggiandosi la guancia e fissando inorridito lo spray.
“Come mi hai chiamata?”
“Insomma, io sono Leo. Leo Valdez.” La ragazza guardò diffidente la mano del suo interlocutore, prima di stringerla, guardandolo torva: “Calypso.”
“Bene, Calypso,” Riprese Leo, con rinnovato entusiasmo: “l’anno scorso ero nuovo anch’io, sai? Poi una persona mi ha dato una possibilità. Questo è il mio numero. Chiama se ti senti sola.” Disse fiero lui, porgendole un pezzo di fazzoletto, su cui c’era scribacchiato un numero di telefono.
“Oh, be’,” Balbettò la ragazza, presa un po’ alla sprovvista: “grazie, lo farò.” Disse, prima di girare i tacchi, salutarlo timidamente con la mano ed andare.
“Forza ragazzo, non abbiamo tutto il giorno qui.”
Leo si rese conto solo qualche minuto dopo che aveva passato un sacco di tempo a fissare come un ebete il punto in cui era andata via, senza muovere un muscolo: “Oh, sì, scusi.” Qualcosa di indecifrabile era scattato dentro di lui. Non aveva idea di cosa fosse, ma sentiva un piacevole calore al petto. E non gli dispiaceva affatto.
 
“Beh, gli altri stanno per arrivare.” Disse Percy nervoso, mentre si guardava intorno, chiedendosi dove si fossero cacciati i suoi amici.
“Hai intenzione di perderla subito questa patente, vedo.” Notò Annabeth con un sorrisetto. Percy interruppe la ricerca dei suoi amici con lo sguardo, per fissarlo sulla bionda: “Che intendi?”
“Che stai per portare sette persone in una macchina.”
“E chi ti ha detto che io ho una macchina?” Domandò Percy. Questa volta fu il suo turno di fare un sorrisetto: “Ricordi il furgoncino del cliente della mamma di Leo? Be’, alla fine lei l’ha riparato, ma il proprietario non è mai più tornato. È un catorcio, ma regge bene.” Disse il moro indicando ad Annabeth il furgoncino parcheggiato più in là. La ragazza sorrise, mentre si incamminavano verso l’auto, prima di lanciare qualche sguardo nervoso al ragazzo accanto a lei. Insomma, era inutile continuare a perdere tempo: non avrebbe reso vana la richiesta che aveva fatto poco prima ai suoi amici.
“Percy non verranno prima di mezz’ora.” Annunciò, dopo un respiro profondo.
“Cosa? Perché?”
“Perché gliel’ho chiesto io.” Percy la guardò perplesso: “Per parlarti.” Precisò lei, alzando gli occhi al cielo: “Non possiamo continuare a baciarci quando siamo da soli e fare come se nulla fosse successo il giorno dopo.”
“Pensavo che tu non volessi… Insomma, pensavo non volessi fare sul serio.” Si difese Percy, che non era mai stato capace di interpretare i segnali.
“Be’, io…”
“Ascolta,” la interruppe lui: “se la cosa non ti va bene, io… posso smetterla, davvero.”
“No, il problema è proprio questo, in realtà.” Percy la guardò confuso: non riusciva davvero a seguirla: “Io non…” Continuò la ragazza, per poi arrestarsi all’improvviso, arrossendo vistosamente ed iniziando a trovare sempre più difficile il contatto visivo con il ragazzo: “Tu cosa?” La incalzò lui, che non sapeva davvero che pesci pigliare.
“Io non voglio che tu la smetta.” Concluse lei, quasi in un sussurro, fissandosi le punte delle scarpe come se ci avesse trovato qualcosa di incredibilmente interessante.
“Oh.” Commentò lui, atono. Era sicuro di non aver sentito bene. Non poteva aver sentito bene. La felicità lo invase in un secondo, sciogliendolo dal suo stato di ansioso intorpidimento e facendogli spuntare uno stupidissimo sorriso, che era certo non gli sarebbe scomparso per le prossime sette ore, con un po’ di fortuna: “Annabeth,” pronunciò, con la voce tremante.
La ragazza, dal canto suo, non aveva preso benissimo l’esclamazione di qualche secondo prima di Percy. Ecco, ne era certa, aveva rovinato di nuovo tutto. Lei, sì, lei che si era protetta tanto dalle emozioni che il moro le aveva sempre fatto provare e che le avevano sempre fatto così paura, si trovava lì, a dover subire l’umiliazione del rifiuto.
“Annabeth.” Riprovò più deciso, Percy, che iniziava ad essere sempre più impaziente: “Dimmi.” Rispose lei, continuando a fissare la punta di quelle scarpe, che iniziava seriamente a detestare: “Guardami.” Oh, no, poteva accettare di essere rifiutata, ma non avrebbe mai sostenuto il suo sguardo, non in quel momento. Questa promessa, però, fu rotta qualche attimo dopo, quando la ragazza vide le scarpe di Percy entrare nel suo campo visivo. Nel giro di qualche secondo, il moro aveva colmato la distanza tra loro e l’aveva costretta delicatamente ad alzare il viso, per poi intrappolare le sue labbra in un bacio che sapeva di sorpresa e di ricordi. Era diverso da quelli degli ultimi mesi: era intriso di consapevolezza. La consapevolezza che qualcosa, tra loro, era finalmente cambiata ed era stata rinforzata da tutte le disavventure ed i problemi che avevano avuto. Percy approfondì il bacio, costringendola ad appoggiarsi con la schiena al furgoncino. Annabeth non seppe bene quando, ma Percy aveva decisamente riscaldato l’atmosfera, mentre il tempo che lei aveva per respirare diminuiva sempre di più. La bionda capì che Percy aveva decisamente perso il polso della situazione, quando lui fece scontrare i loro bacini, gemendo appena: “Quanto tempo hai detto che hai chiesto, agli altri?” Ansimò il moro.
“Mezz’ora, ma Leo sembrava piuttosto impaziente. E poi siamo nel parcheggio della scuola.”
“Fa nulla, il furgoncino è…”
“Ohi, ohi, ohi” Esclamò una testa riccia in lontanaza.
“Vedo che le cose vanno bene.” Disse Hazel, raggiungendo Leo.
“Scusaci, ho provato a farlo ragionare…” Iniziò Piper: “Tranquilla.” Ridacchiò Annabeth, che, per quanto impaziente, aveva ben presente dove fossero.
“Andiamo?” Domandò Frank, mentre tutti iniziavano a prendere posto nel furgoncino.
“Ragazzi?” Chiamò Leo, mentre Percy metteva in moto, ancora un po’ intontito dai precedenti minuti, e Jason abbassava i finestrini, sollevato dal fresco del vento nei capelli: “Mi sono innamorato.” Annunciò serio Leo, mentre Percy, immessosi sul vialetto che conduceva sulla strada, per poco non sterzò di scatto sorpreso: “Che cosa?” Domandò Piper, con un sorrisetto incredulo.
“No, sarà una delle tante modelle che ha visto sui giornali.” Scherzò Annabeth, ancora di buonumore.
“No, io…”
“Vuoi dire una delle attrici che ha visto sui siti porno.” La corresse Percy, interrompendo il messicano.
“Dio, Leo, perché devi essere sempre così volgare?” S’intromise Hazel, mentre Leo cercava in tutti modi di prendere parola.
“Poverino, è nato, così, non è colpa sua.” Disse Jason, fingendosi seriamente dispaiciuto.
“Vero, un po’ di clemenza per tutti.” Scherzò anche Frank, unendosi al coro.
“No, vi giuro che anche lei sa che esisto!” Sbottò Leo: “E no, non ho avvertito una pornoattrice della mia esistenza.” Continuò, azzittendo Percy, prima che potesse replicare: “Si chiama Calypso, è nuova ed è nella mia classe di storia.”
Percy fischiò: “Ma dai!”
“Be’, allora avanti tutta, marinaio!” Scherzò Piper, facendo scoppiare tutti a ridere.
 
“E tua sorella?” Domandò Will, varcando la soglia della porta della cucina, incredibilmente teso.
“In giro con amici, per rendere il primo giorno di scuola meno pesante, immagino.” Rispose Nico, lasciando vagare il cucchiaio di legno appena sopra la pentola, per girarsi a guardare Will, appoggiato allo stipite della porta. Nico doveva ammettere che quella camicia a quadroni blu e rossi gli stava un incanto, per non parlare dei pantaloni beige ed i capelli che gli ricadevano gentilmente sul viso, mentre la luce artificiale della cucina faceva sembrare quei ciuffi dorati: “Oh, capisco.” Si limitò a rispondere il biondo. Ora, Nico non sapeva se fosse per i pensieri poco casti che avevano preso pieno possesso del suo cervello, ma poteva giurare che quella nel tono del suo ragazzo fosse piena e sicura malizia: “Cazzo!” Gridò Nico, dopo che uno schizzo di sugo rovente cadde sul suo braccio, portandolo a sbattere le dita contro la pentola, anch’essa bella calda: “Oddio, ti sei fatto male?” Domandò Will, lanciandosi letteralmente verso di lui. Nico doveva ammettere che quel lato da crocerossina del biondo, oltre che irritarlo parecchio, gli faceva anche sciogliere il cuore di dolcezza, cosa che a sua volta, aumentava esponenzialmente la sua irritazione: “Sto bene,” Sbottò Nico, alzando gli occhi al cielo, senza, però, essere capace di trattenere un sorrisetto: “è solo una bruciatura.”
“Be’, non puoi certo dire sia ‘solo’ una bruciatura. Devi metterla sotto l’acqua corrente, altrimenti si gonfia.” Sentenziò Will, con un tono che non ammetteva repliche, mentre lo conduceva verso il lavandino, cosa che Nico non aveva certo voglia di fare: “Hai del Burn Free?” Domandò Will, esaminando la mano del ragazzo: “Che?” Will alzò gli occhi al cielo: “Del Citrizan?” Continuò Will, fissando Nico negli occhi, speranzoso: “No…” Rispose il corvino, che non aveva idea di cosa il biondo andasse blaterando.
“Dio, hai del dentifricio?” Domandò Will, esasperato: “Oh, finalmente hai ripreso a parlare la mia lingua.” Si complimentò Nico, palesemente ironico, senza, però, muovere un dito per rimediare al danno.
“Be’? Dov’è?” Domandò Will, allarmato, che voleva evitare che il suo ragazzo si ritrovasse delle antipatiche bolle sulle dita: “Dove può essere? In bagno.” Rispose Nico, non riuscendo a trattenere una risata. Will, dal canto suo, fermò il getto d’acqua, che ancora scorreva sulla mano del moro e gli ordinò di sedersi sul letto ed aspettarlo.
Nico obbedì, più perché non aveva nulla da fare che per altro ed aspettò che il biondo tornasse: “Faccio io.” Disse Nico, non appena Will si inginocchiò davanti a lui, esaminando ancora la sua mano e facendo per procedere all’applicazione del dentifricio.
“Ma come fai a farlo con la destra, scusa? Farai un casino.”
“Sono ambidestro.” Mentì Nico, pienamente consapevole che Will non se la sarebbe bevuta, ma riuscendo comunque ad impadronirsi del tubetto, prima che il biondo potesse replicare.
A Will non restò altro da fare che guardare il viso concentrato di Nico, mentre cercava in tutti i modi di spalmare il dentifricio con la mano destra. Lo trovò davvero buffo, oltre che incredibilmente sexy. Iniziò a perdere ogni facoltà mentale, però, quando Nico cacciò la lingua in un infantile e purissimo gesto di concentrazione. Prima che potesse rendersi conto di ciò che stava facendo, iniziò a baciare l’interno del ginocchio del corvino, risalendo sulla coscia.
“W-Will… Che stai facendo?” Domandò Nico irrigidendosi, quando notò che il biondo si era avvicinato incredibilmente al suo inguine.
“Mi tengo occupato.”
“Oh, certo.” Esalò Nico in un sussurro, cercando di rimanere concentrato sul tubetto di dentifricio e la sua mano, con scarso successo.
“Ti amo.” Sussurrò Will, che aveva smesso di ragionare nel momento in cui aveva abbassato la zip dei pantaloni di Nico.
“Cosa?” Esclamò il corvino incredulo, lasciando che un’ondata di preoccupazione e paura lo investisse. Cosa doveva fare? Dire che lo amava anche lui? Era vero? Cosa provava esattamente per Will? Dopo quanto si può dire ‘ti amo’? Diceva sul serio o era solo preso dal momento?
“Nulla.” Lo rassicurò Will, che l’aveva sentito irrigidirsi e si era maledetto per averlo detto così presto. Glissare, però, era una delle sue specialità, così abbassò in un attimo i boxer del suo ragazzo e prese, senza troppe cerimonie, l’erezione di Nico in bocca, rilassandosi non appena sentì il più piccolo gemere e posare una mano tra i suoi ricci biondi.
“Cazzo.” Ringhiò Nico: “Cazzo, cazzo, cazzo.”
Will ridacchiò: “Ehi, sei già così vicino?”
“No!” Sobbalzò Nico arrossendo e alzandosi di scatto: “Il sugo! Volevo preparare una cena carina!” Gridò varcando la soglia della porta della sua stanza ed imboccando il corridoio, prima di tornare indietro ed affacciarsi dallo stipite: “Anch’io,comunque...” Sussurrò appena il moro, ma Will l’aveva sentito e non poté che notare di non averlo mai visto così rosso in viso, in vita sua.
 
Erano partiti per la prima avventura del loro ultimo anno e la radio suonava proprio Father and son. Incredibile quanto i ricordi legati ad una canzone possano cambiare.
Mezz’ora dopo Leo guardava la strada sfrecciargli davanti agli occhi impedendogli di potersi soffermare su qualunque cosa vedesse. La luce del pomeriggio filtrava ancora tra i rami degli alberi della strada secondaria che Percy aveva imboccato. Una nuova vita. Leo iniziava a capire a cosa servisse. Era a stento riuscito ad avere degli amici in Messico, anche se forse non bisognerebbe accontentarsi degli amici che ci sono ‘a stento’. Nonostante odiasse darlo a vedere sapeva benissimo di non riuscire a capire al volo le persone, ma l’idea di averne conosciute di nuove e pensare che forse sarebbero state quelle che gli sarebbero rimaste vicine per sempre, non poteva che emozionarlo ogni volta.
8794 ore da quando il suo viaggio in macchina era iniziato, un anno esatto prima.
Leo iniziò a tamburellare col piede totalmente immerso nei suoi pensieri, questa volta in una macchina meno sola e decisamente sovraffollata.
 
Note di El: Eh, sì. Ho davvero fatto iniziare il capitolo col titolo della stroia, ma lasciatemi queste tristi soddisfazioni. Volevo farlo da una vita! Bene. In orario ma triste. Devo dire che questo genere di addii mi fanno sempre un grande effetto. È la consapevolezza di star facendo una cosa per l’ultima volta. Come quando sai che stai per vedere un’ultima volta un posto, sentire una canzone, guardare la zanzara che ti ha prosciugata prima di ucciderla. Questo genere di cose, insomma. No, cercherò di essere più seria, scusate. Il solo fatto di finire questa storia mi rende piuttosto fiera, perché sono una persona inconcludente. È un capitolo in generale molto nostalgico, ci sono molti riferimenti ai primi capitoli. Dal titolo all’ultima parte, che è addirittura uguale alla prima, nel primo capitolo, tranne per qualche parola. Mi è piaciuto scrivere questa storia, mi ha fatta crescere. Ho sempre scritto per me stessa ed è stata la prima volta in cui davo del tutto ad altri le mie parole. I primi capitoli sono molto semplici, scritti un po’ così, per gioco, ma sono cresciuta di capitolo in capitolo.
Sappiate, ad ogni modo, che non è finita. Ho in mente una storia lunghissima e molto particolare, che ho intenzione di scrivere tutta prima di pubblicare. Nel mentre, ho tante idee, prompt, contest che mi piacciono da portare su questo ed altri fandom. Insomma, tenete d’occhio il mio profilo, cari.
Devo davvero ringraziare chi è arrivato fin qui (sia della storia in generale, sia delle note, dannazione, sono prolissa, ma questa volta me lo dovete lasciar fare), soprattutto la mia assidua commentatrice numero 1 (anche l’unica) ­­_Viola02_! Grazie di tutto e a presto! ;(
Adieu,
 
El.

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