Cappuccetto Rosso e il Demone

di Tisifone1301
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Attacco al villaggio ***
Capitolo 2: *** Un ritorno inaspettato ***



Capitolo 1
*** Attacco al villaggio ***


NOTE AUTRICE
Questa volta vi lascio le note autrice all'inizio della lettura, giusto per darvi qualche delucidazione.
La seguente storia doveva partecipare al contest indetto da SuperSara "Raccontami una favola", ma purtoppo sono stata costretta a ritirarmi per due motivi. Il primo, perchè tra le regole del contest c'era il limite di 10.000 parole e per mia sfortuna, non sono stata graziata del dono della sintesi. Il secondo, perchè la mia mente si è messa a elaborare una storia che si è discostata molto dalla favola originale. 
Sarà una mini long, nulla di troppo impegnativo, 3 o 4 capitoli massimo (anche perchè il tempo scarseggia e ho già una long in corso).
Non vi scoccio più con le mie inutili parole. Vi lascio alla lettura.




 

 
 
 
ATTACCO AL VILLAGGIO



 
C’era una volta, a nord del Giappone, un piccolo villaggio situato ai bordi di una foresta, il cui nome era Goshinboku. Il borgo era abitato da umili contadini e allevatori, che vivevano in pace ed armonia tra loro da generazioni. Ma un giorno, con la comparsa di una misteriosa creatura, questo clima armonioso venne intaccato.
Qui viveva una giovane fanciulla di notevole bellezza, dai grandi occhi vispi e neri come un cielo notturno senza luna, lisci capelli color cioccolato che le ricadevano morbidi lungo la schiena, che incorniciavano un delicato viso dalla pelle diafana e due labbra rosee come le ciliege. Il suo nome era Rin. La ragazza era ben voluta da tutto il villaggio per i suoi modi gentili e per quel suo sorriso, sempre fanciullesco, che regalava serenità a chiunque la incontrasse. Le sue giornate erano scandite dalla solita consuetudine, ossia, accudire la nonna che viveva in una graziosa casetta nel cuore della selva, al centro delle tre secolari querce: Heiwa, Ai e Seikatsu.
A rallegrare le sue giornate, ci pensava il suo vecchio e caro amico d’infanzia…
 
 
 
***
 
 
 
Camminava con passo quieto e altero tra la boscaglia avvolta da una leggera foschia, che diventava sempre più fitta man mano che vi si addentrava; l’unico rumore udibile era il crepitio delle foglie secche sotto i suoi piedi.
Raggiunse un piccolo rifugio nella foresta, dove ad attenderlo, sullo stipite della porta, c’era una esile figura femminile.
- Mi chiedevo quando sareste arrivato, principe. – disse con tono calmo e serio la donna.
Il giovane la osservò serafico, avanzando ancora di qualche passo verso di lei.
- Voi avete qualcosa che mi appartiene. – rispose sdegnoso lui.
L'anziana gli riservò uno sguardo di rimprovero per quella mancanza di rispetto nei suoi confronti, ma non replicò, limitandosi solo a farlo accomodare in casa. Riluttante, il principe entrò nella modesta dimora della donna, cominciando a guardarsi intorno. L’attempata era sparita al di là di una piccola porta di legno e quando ritornò poco dopo, stringeva tra le mani un lungo fagotto che posò sul tavolo. Con estrema cura, sotto lo sguardo vigile del ragazzo, srotolò l’usurata stoffa di tela palesando al principe il suo contenuto.
- Vostro padre me le affidò quella terribile notte, quando morì, pochi minuti prima che il palazzo venisse attaccato. Mi ordinò di fuggire il più lontano possibile e mi chiese di custodirle, sicuro che un giorno voi sareste venuto a riprenderle… e finalmente quel giorno è giunto. – rivelò ella e un’espressione triste andò a formarsi sul suo volto solcato dall’età.
Il giovane osservò a lungo i due oggetti luccicanti sul tavolo, accarezzandone uno con le sue lunghe dita affusolate. Poi si rivolse alla donna, ammorbidendo lievemente il tono della voce.
- Prima di inspirare il suo ultimo respiro, mio padre mi fece il vostro nome. Siete stata l’unica di cui si è fidato, perché? –
- Ero in debito con vostro padre, lui salvò me e mia figlia da un atroce destino… Avrei fatto qualsiasi cosa per lui, anche sacrificare la mia stessa vita. – spiegò pacatamente lei – Voi sapete chi, vi sta ancora cercando e un giorno vi troverà, fino ad allora vi consiglio di restare qui… Sarete al sicuro. –
Il principe non rispose, si limitò a raccogliere i suoi averi e fece per andarsene, quando il ritratto di una giovane fanciulla attirò la sua attenzione.
Un sorriso materno si formò sulle labbra secche della donna.
- Lei è il mio bene più prezioso... Credete di poter esaudire la richiesta di una povera vecchia?  – chiese implorante.
Il giovane fece un cenno d’assenso col capo.
- Vi prego, quando lui arriverà, vegliate su di lei. Anche se non lo palesate, avete un animo onesto e gentile, come vostro padre. – concluse, incastrando i loro sguardi.
- Avete la mia parola. – la rassicurò lui dopo un attimo di esitazione; poi lasciò la casa addentrandosi nella fitta boscaglia.
La donna lo ringraziò, ma ormai del giovane principe non c’era più traccia.
- Tempi bui ci aspettano. – sussurrò tra sé e sé l’anziana, stringendosi nel suo scialle di lana.
 
 
 
***
 
 
 
Era una tiepida mattina autunnale e le foglie degli alberi posatesi sul terreno, creavano un tappeto variopinto dalle tonalità calde. Quel dì Rin si svegliò di buon umore, afferrò la mantella che era appesa vicino la porta di ingresso e uscì di corsa da casa per dirigersi dalla nonna. Pochi passi prima di imboccare il sentiero che conduceva al bosco, sentì una voce amica chiamarla.
- RIN! –
- Ciao, Kohaku. – rispose gioiosa la ragazza, andandogli incontro.
- Buon compleanno… Tieni, questo è per te. – disse euforico il ragazzo, porgendole un piccolo pacchettino avvolto in una semplice carta di riso bianca.
La fanciulla sgranò leggermente gli occhi, sorpresa.
- Grazie. – ribatté calorosamente, prendendo il regalo tra le mani.
Lo aprì facendo molta attenzione e quando i suoi occhi si posarono sull’oggetto nella scatolina, le s’illuminò lo sguardo. Al suo interno, era custodito un meraviglioso fermaglio d’argento a forma di libellula, nelle cui ali erano incastonate delle pregiate pietre rosse.
- Kohaku… ma è stupendo. – affermò estasiata, con un fil di voce.
- Era il minimo che potessi fare, non si compiono mica tutti i giorni diciotto anni. – ribadì lui impacciato, portandosi una mano dietro la nuca.
- Non ho parole… e solo che… - si interruppe lei abbassando il viso a disagio.
- Cosa? – la esortò a continuare il giovane.
- Ti sarà costato una fortuna. – esclamò la fanciulla, sentendosi stranamente in colpa.
- Non devi assolutamente preoccuparti di questo, la cosa importante è che ti piaccia. – cercò di tranquillizzarla lui, chinandosi leggermente fino al suo orecchio e sussurrandole un timido “Tu lo meriti”.
Rin dilatò sproporzionalmente gli occhi. Poi distolse lo sguardo arrossendo imbarazzata.
- Co…come? – farfugliò impacciata.
- Non cambierai mai. – la schernì Kohaku, scoppiando a ridere.
- E tu, non smetterai mai di prendermi in giro, vero? – ribatté lei, dandogli un colpo sulla spalla e mettendo su un finto broncio. 
- Credo proprio di no. – continuò canzonatore lui, con una risata cristallina che ammaliò totalmente l’amica.
- Ora devo andare Kohaku, la nonna mi aspetta. Grazie ancora per il bellissimo regalo. – lo salutò, dandogli un casto bacio sulla guancia.
Dopo un primo momento di smarrimento, il ragazzo ritornò in sé.
- Aspetta! – gridò raggiungendola.
L’amica arrestò il passo e si voltò a guardarlo interrogativa.
- Non puoi andare da sola. Ne abbiamo già parlato. Lo sai che si aggira qualcosa di strano nella foresta. – ribadì con tono fermo.
- Sono due mesi che setacciate la boscaglia e non avete trovato nulla. – lo apostrofò piccata – Sono stanca di essere controllata ovunque vada. –
- Non mi interessa. Io vengo con te. – ribatté ostinato, senza aggiungere altro.
- Come vuoi. – rispose Rin sbuffando sonoramente e prendendo a seguirlo.
 
 
Camminarono per la foresta in assoluto silenzio. Di tanto in tanto Rin lanciava qualche occhiata fugace a Kohaku, che pareva essere sempre sul chi va là. Stanca di quel mutismo che non le apparteneva, decise di rompere lei quel fastidioso silenzio.
- Finora non avete trovato nulla, non è così? Siete sicuri che ci sia davvero qualcosa di pericoloso nella foresta? Oltre ai lupi. – domandò curiosa.
Il ragazzo roteò leggermente la testa per guardarla e dopo un paio di minuti prese a parlare.
- Sicurissimi. Hojo l’ha vista anche se non chiaramente. Mentre era in perlustrazione, si è imbattuto in una strana creatura che non aveva mai visto prima. Mi ha raccontato che stava divorando un animale e quando gli ha sferrato contro una freccia, questa lo ha attaccato e poi è fuggita. Dice che è successo tutto così velocemente che non ha avuto il tempo di scoccare un altro dardo. – spiegò.
- Conoscendo Hojo, che vede cose strane ovunque, potrebbe trattarsi benissimo di un lupo o di un demone lupo. Si dice che questi ultimi siamo rapidissimi. – continuò lei.
- Per quello che è, Hojo è un ottimo sterminatore, sa distinguere un lupo da un’altra creatura. – l’ammonì con tono severo e riservandole un’occhiataccia – Ti posso assicurare che non sono né uno né l’altro. Il primo motivo, come tu ben sai, è l’accordo stretto tra la miko e i demoni lupo. Noi li lasciamo vivere in pace, finché loro non invadono il nostro territorio e viceversa. Secondo, la cosa che lo ha attaccato, era molto più grande di un lupo. In più, i morsi sulla carcassa dell’animale, sono identici a quelli delle altre bestie che abbiamo trovato... Sembra che la carne intorno alle ferite sia corrosa. – rivelò, accigliandosi.
La ragazza fece spallucce e proseguì a camminare seguitando ad osservare il ragazzo. Sembrava irrequieto. Continuava a vagare lo sguardo da una parte all’altra, come in allerta.
- Cosa c’è Kohaku? – chiese preoccupata – Sembri agitato. –
- Eh! Non ho nulla, tranquilla. Dai acceleriamo il passo, non vorrai far aspettare tua nonna. – esclamò sorridendole, prendendole una mano e accelerando il passo.
 
Qualcuno ci sta osservando” disse tra sé e sé, il giovane sterminatore.
 
 
Quando giunsero finalmente nei pressi della casetta, Rin cominciò a correre verso di essa, chiamando l’anziana a gran voce.
- Nonna! – urlò una volta giunta davanti la piccola porticina di legno.
- Entra pure mia cara, è aperto. – enunciò la voce della parente dall’interno.
La nipote aprì subito la porta e si precipitò ad abbracciarla.
- Buongiorno nonna, come ti senti oggi? – domandò con voce squillante.
- Per essere una vecchia di ottantasette anni, direi abbastanza bene. – rispose ironica – Vedo che non sei venuta da sola. – esclamò, spostando lo sguardo dalla nipote al suo accompagnatore.
- Buongiorno, signora Kaede. – salutò cordiale lo sterminatore, accennando un inchino.
- Buongiorno anche a te, Kohaku. – la donna ricambiò il saluto abbozzando un leggero sorriso rugoso.
- Non ha voluto farmi venire da sola. – spiegò subito la ragazza.
- Sei davvero un caro ragazzo. – ribadì l’anziana, facendo arrossire lievemente lo sterminatore.
- A proposito, tesoro mio… Buon compleanno. – esordì la vecchietta, abbracciando la nipote. Rin la ringraziò, ricambiando la stretta e dandole un bacio sulla guancia.
- Venite, vi preparo una tazza di thè. – esclamò l'attempata. Ma non fece in tempo ad alzarsi dalla sua sedia a dondolo, che venne bloccata dalla nipote.
- Lo preparo io, tu resta qui seduta insieme a Kohaku. – obiettò la fanciulla, correndo subito in cucina.
- Avete trovato ciò che stavate cercando? – chiese improvvisamente Kaede.
Il ragazzo scosse la testa, intuendo a cosa si riferisse la donna.
- Capisco… E con Rin? –
- Co… Cosa? – balbettò lui.
L’anziana sorrise.
- Solo lei non ha ancora capito quello che provi nei suoi confronti. Anche se ha compiuto diciotto anni, Rin è ancora molto acerba quando si tratta di sentimenti più profondi… come l’amore. Devi darle un po’ più di tempo. –
- Per lei sono disposto ad aspettare all’infinito. – confessò.
- Lo so. – rispose dolcemente.
Rin tornò dopo pochi minuti, stringendo tra le mani un vassoio con tre tazze fumanti.
- Ecco a voi. – disse, posando il portavivande sul tavolo.
- Mille grazie, tesoro. – la ringraziò la nonna, prendendo dalle sue mani una tazza e con lentezza se la portò alla bocca e dopo aver soffiato via un po’ di vapore, bevve un sorso di thè.
- Ci voleva proprio qualcosa di caldo. – dichiarò Kohaku.
La fanciulla sorrise loro e si accomodò sulla sedia accanto all’amico.
Sorseggiarono i loro thè tra una chiacchiera e l’altra, poi la ragazza mostrò alla nonna il regalo che le aveva fatto lo sterminatore.
- È un fermaglio davvero stupendo, come la persona che lo indosserà. Complimenti Kohaku, hai davvero buon gusto. – asserì Kaede, facendo un occhiolino al giovane.
- Gra…Grazie. – bofonchiò il ragazzo, rizzandosi sulla sedia.
- Ma che sciocca! La vecchiaia comincia a farmi brutti scherzi. – disse l’attempata alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso un logoro baule situato in un angolo della stanza.
- Che succede nonna? – domandò allarmata Rin.
- Stavo per dimenticarmi il tuo regalo. – rispose la vecchietta, tornando verso la ragazza e consegnandole un pacco.
- Ma non dovevi. – dichiarò.
- Sciocchezze. Su aprilo e vedi se ti piace. – la esortò la nonna.
Rin sciolse il laccetto di spago che teneva chiuso il fagotto e quando finalmente lo aprì, ne estrasse una splendida mantella con cappuccio di velluto rosso.
- Per tutti i kami, ma è incantevole. – affermò ammirandola con occhi luccicanti – Oh! Grazie nonna. –
- Avanti, provala, vediamo come ti sta. – la invitò l’amico.
Non se lo fece ripetere un’altra volta e con un movimento fluido la indossò.
Le donava moltissimo.
- Allora? Come mi sta? – domandò euforica, girando e rigirando su se stessa.
- D’incanto, gioia mia. Ho pensato che, visto che stiamo andando incontro all’inverno, una mantella nuova avrebbe fatto al caso tuo. – spiegò Kaede, ammirandola.
- Hai pensato benissimo. La adoro. – disse continuando a rimirare il soffice tessuto - E tu? Non dici nulla? – disse poi rivolta all’amico.
- Eh! Oh, sì. Ti sta molto bene. Infatti, credo di averti trovato un soprannome. – asserì Kohaku, divertito.
- Sarebbe? – indagò con tono curioso l’amica.
- Stavo pensando a Cappuccetto Rosso. – soffiò di colpo, scoppiando in una sonora risata, che coinvolse anche la nonna.
- Non osare o potresti pentirtene Kohaku. – lo minacciò, puntandogli un dito davanti al naso.
- È carino come soprannome. – affermò Kaede, accorrendo in soccorso del ragazzo.
- Ti ci metti anche tu adesso, nonna! – era più un’affermazione che una domanda.
- Cappuccetto Rosso. – infierì lo sterminatore.
- Smettila. –
- Vedi il lato positivo tesoro. Si abbina al fermaglio che ti ha regalato Kohaku. – affermò la nonna.
- È vero, non ci avevo pensato. – ammise il ragazzo, cessando di ridere all’istante.
Rin lo fissò con sguardo trionfante.
- Peccato che non potrò metterlo perché non indosserò questa mantella e non ho altro con cui possa abbinarlo. – esordì la ragazza con tono melodrammatico.
Kohaku la fisso sgomento – Stai scherzando? -
- No… A meno che… Tu non la smetta di chiamarmi con quel soprannome orribile. – affermò incrociando le braccia al petto e assottigliando lo sguardo.
- Va bene. Come vuoi. – disse il giovane, alzando le braccia in segno di resa – Lo trovavo un nomignolo carino. –
- Per niente. –
La vecchia Kaede li osservava con un peso in meno sul cuore, con la consapevolezza che quando i suoi giorni sarebbero finiti, la sua Rin sarebbe stata in buone mani.
 
 
 
***
 
 
 
Sulle alte cime del monte Hakurei, si ergeva un immenso palazzo in pietra, avvolto da una densa nebbia che nemmeno i flebili raggi solari riuscivano ad oltrepassare.
Un giovane dalla lunga capigliatura corvina legata in una treccia, percorreva a grandi falcate i lunghi corridoi del castello, diretto alla sala centrale. Arrivato a destinazione, aprì la grande porta di legno massello, sorvegliata da due possenti guardie.
- Hiten. Mio fidato servitore. A cosa devo questa tua visita inaspettata? – esclamò una melliflua voce femminile.
- Mia signora, finalmente ho trovato ciò che ardentemente cercavate. – rispose trionfante il ragazzo.
- Dici davvero? – strepitò incredula la donna di fronte a lui.
- Sì, mia signora. Si trova a nord, nei pressi di un piccolo villaggio... Goshinboku – espose con tono soddisfatto.
- Guarda un po’ che coincidenza. – un’espressione maligna le si disegnò sul suo bel volto – Tu lo conosci molto bene… Non è vero, mia cara? – disse rivolgendosi a una giovane donna in piedi alla sua sinistra.
- C’è solo un problema, la zona è protetta da una miko di nome Midoriko. – continuò il soldato.
- Troveremo il modo di liberarci di lei. Le risorse non ci mancano – enunciò, tamburellando le lunghe unghie laccate di nero, sul bracciolo della sedia di legno su cui era seduta.
- Non è tutto, mia signora. – aggiunse Hiten, attirando nuovamente l’attenzione della sua padrona che lo esortò a continuare.
- Si vocifera che una strana creatura si aggira nella foresta. Un testimone assicura che si tratta di un grosso animale dal manto bianco. – rivelò.
La sovrana esplose in una sonora risata che riecheggiò in tutta la sala.
- Deve essere sicuramente lui. – proferì la voce inespressiva della seconda donna.
- A quanto pare i Kami sono dalla nostra parte. Preparati, partirai con Hiten, dovrai svolgere un lavoretto per me. – disse la signora del palazzo rivolta alla ragazza.
- Ai vostri ordini, mia signora. – rispose piatta.
Gli occhi purpurei del soldato presero a fissare lascivi la figura della giovane, a cui non sfuggi quello sguardo.
- Osa avvicinarti a me e non esiterò ad ucciderti. – lo avvertì ella una volta usciti dalla grande sala.
Una quarta figura, rimasta in silenzio per tutto il tempo, aveva ascoltato attentamente ogni singola parola. Una ghigno di trionfo andò a formarsi sul suo viso malevolo.
 
Finalmente ti ho trovato” gioì tra sé e sé.
 
 
L’indomani mattina, a galoppo dei loro destrieri, il giovane soldato accompagnato dalla ragazza, si avviò alla volta del villaggio Goshinboku.
Cavalcarono come furie per tre interi giorni, senza mai fermarsi, fino a quando non arrivarono nella rigogliosa regione di Musashi.
- Siamo arrivati. – annunciò Hiten, arrestando la corsa del suo cavallo, imitato a sua volta da lei – Ciò che stiamo cercando, si trova oltre quelle colline.  –
Alla vista di quella valle verdeggiante, qualcosa nell'animo della donna si risvegliò, facendo riaffiorare nella sua mente lontani ricordi che fino a quel momento aveva mantenuto sottochiave.
- Allora sbrighiamoci. – proferì ella, esortando il suo destriero a riprendere la corsa.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Da circa due settimane, era scoppiata una sanguinosa guerriglia tra gli abitanti di Goshinboku e la tribù dei demoni lupo, gli Yoro più precisamente.
Kohaku, Hojo e altri tre sterminatori, erano andati in ricognizione nella foresta alla ricerca della misteriosa creatura che abitava la boscaglia da più di un mese. Lungo un sentiero, trovarono le carcasse di due lupi e il cadavere di un loro compagno, col ventre squartato e un braccio mozzato. Uno degli sterminatori si portò una mano alla bocca per bloccare un conato di vomito, mentre Kohaku corse subito verso il corpo dell’uomo a terra.
- È morto. – mormorò con tono affranto.
- È il quarto cadavere in una settimana. – inveì uno degli sterminatori.
- Quei dannati lupi. Non capisco perché la sacerdotessa Midoriko non li uccida tutti. – manifestò un altro uomo.
 - Ci accusano di averli attaccati per primi, quando invece sanno benissimo che sono stati loro. – aggiunse irato un altro.
- La miko ha parlato personalmente col Patriarca, assicurandogli che nessun abitante del villaggio ha ucciso alcun lupo. – intervenne prontamente Kohaku.
- Intanto quei bastardi continuano ad assalirci e massacrarci. – asserì un terzo sterminatore.
- Io penso che dietro queste aggressioni, si nasconda quella strana creatura. – ipotizzò Hojo, uscendo da dietro un albero.
- Ma i morsi sono quelli di un lupo. – constatò uno di loro.
- Io credo che la creatura abbia istigato i lupi ad attaccarci. – spiegò convinto Hojo.
- E come avrebbe fatto? – chiese un altro.
- Non lo so, la mia è una supposizione. – chiarì.
- Confesso che l’ho pensato anch’io. – ammise Kohaku – Abbiamo vissuto in pace per tanti anni. Da quando è comparsa, stanno succedendo parecchie cose strane. -
Tutti acconsentirono con un cenno del capo, d’accordo su quanto affermato dal più giovane di loro.
- Torniamo a casa e riportiamo la salma alla sua famiglia, così avrà una degna sepoltura. – dichiarò Hojo.
Per tutto il tragitto nessuno osò proferire parola. Quando giunsero alle porte del villaggio Rin, che attendeva con ansia il ritorno del suo migliore amico, si rincuorò nel vederli ritornare sani e salvi dalla perlustrazione. Ma si portò una mano alla bocca, quando scrutò gli ultimi due sterminatori portare in braccio il cadavere di un compagno. Immediatamente si precipitò verso Kohaku, per sincerarsi delle sue condizioni.
- Sei ferito? – chiese preoccupata, tastandolo con le sue piccole mani alla ricerca di qualche lesione.
- Sto bene. – le sorrise lui tranquillizzandola e bloccandole le mani.
Rin lo colse di sorpresa abbracciandolo – Se ti dovesse succedere qualcosa, non potrei sopportarlo. – disse con voce incrinata dal pianto.
Kohaku le posò una mano sulla testa, accarezzandola dolcemente.
- Ti prometto che tornerò sempre da te. – le sussurrò.
A quelle parole la fanciulla si strinse di più all’amico, che ricambiò stringendola maggiormente a sé.
- Venerabile Midoriko. – enunciò all’improvviso Hojo, inchinandosi al suo cospetto.
I due amici si staccarono dall’abbraccio, inchinandosi a loro volta.
- Un’altra vittima. – pronunciò con tono triste la sacerdotessa – Mi chiedo chi si nasconda dietro tutto questo. –
- Sono i lupi. – dissero gli sterminatori.
- Come ho già ribadito molte volte, credo che la causa di tutto questo è da attribuire alla creatura misteriosa.  – insistette Hojo.
La religiosa asserì affermativamente.
- È furba, sa nascondere bene le sue tracce. – intervenne uno degli sterminatori.
- Ma nessuno l’ha mai vista veramente. – si intromise Rin.
- Io sì, ti ricordo. – rispose sprezzante lui.
- Di sfuggita. – ribatté piccata la ragazza.
Hojo le rivolse uno sguardo carico di odio, che la ragazza ignorò palesemente.
Per quanto si sforzassero ad andare d’accordo, quei due non si erano mai sopportati.
- Purtroppo Rin, temo che abbia ragione. - ammise Midoriko.
- Ma non possiamo continuare così. Deve pur esserci una soluzione. – esclamò Kohaku.
- Proverò a riparlare col Patriarca. Troppe morti ci sono state da ambedue le parti. –
 
 
 
***
 
 
 
Due ragazzi, uno calvo con solo una folta cresta bianca e l’altro con corti capelli bianchi e un ciuffo nero sul davanti, correvano come dissennati nella speranza di arrivare il prima possibile dal loro capo. Quando finalmente lo raggiunsero, lo chiamarono disperati.
- KOGA! KOGA! – gridarono all’unisono.
Il ragazzo voltò lentamente la testa e li guardò con fare annoiato.
- Si può sapere cosa avete da urlare così tanto voi due? – chiese squadrandoli minaccioso.
- Koga… È… succ…essa… Una… Co…cosa… Ter…terri…bile. – annunciò Hakkaku, quello con la cresta bianca, cercando di riprendere fiato.
- Si tratta di Ayame. – aggiunse Ginta, quello col ciuffo nero – È stata aggredita. –
Koga spalancò gli occhi scioccato.
- Dov’è adesso? – domandò fuori di sé, afferrando Ginta per il suo gilet di pelliccia.
- È alla tana. Il Patriarca si sta prendendo cura di lei. – rispose con voce tremante per la paura.
- Come abbiamo saputo quello che era successo, siamo corsi a cercarti. – aggiunse immediatamente Hakkaku.
Il demone lupo non attese altre spiegazioni, ignorò apertamente i compagni e cominciò a correre come un fulmine. Il suo unico interesse in quel momento era la salute della sua compagna.
- Aspettaci capo! – gridarono i due lupi, inseguendolo.
Koga raggiunse in breve tempo la grande Ōkami, una roccia a forma di testa di lupo, da cui prendeva il nome la loro terra.
Il giovane capo della tribù Yoro, si fece largo tra i suoi simili, sopraggiungendo con ampie falcate l’ingresso della tana. Non appena oltrepassò la soglia, il suo cuore perse un battito alla vista di Ayame distesa su un letto di foglie, inerme.
- Ayame. – mormorò a fior di labbra.
Si avvicinò alla compagna con passo traballante, inginocchiandosi al suo capezzale e cominciò ad accarezzarle delicatamente la fronte, scostandole la folta frangia vermiglia.
- È stata attaccata mentre ispezionava la zona. – spiegò con voce triste il nonno della giovane, il Patriarca.
Koga digrignò i denti e serrò i pugni. Con la mente cercò un probabile colpevole, ma non lo trovò. Fino a quando la risposta non gliela fornì il protettore del Patriarca.
- È stata colpita a tradimento. Aveva questa conficcata alle spalle. – intervenne Royo, mostrando al giovane una freccia, lasciandolo sbigottito.
Non poteva essere… Quella era una freccia sacra.
- Non è tutto. – continuò il lupo – Chi ha attaccato Ayame, le ha inferto un taglio sul polso destro. –
Solo in quel momento Koga notò la fasciatura, distratto prima dal pallore della compagna. Prese delicatamente l’arto della ragazza e cominciò ad accarezzarlo.
- Perché? – sibilò freddo, non staccando gli occhi da Ayame.
- Non lo sappiamo. Non abbiamo idea del perché. – confessò il nonno.
- Me la pagheranno. Avevamo giurato di non attaccarli, finché né noi né loro, avremmo oltrepassato i rispettivi confini, ma ora… - pronunciò astioso il demone, alzandosi in piedi e serrando i pugni – Hanno oltrepassato il limite. –
- Cosa hai in mente? – chiese allarmato il Patriarca.
- Li ripagheremo con la stessa moneta. Attaccare Ayame è stato un affronto. –
- Mi pare giusto. Ci hanno mentito, sin dall’inizio. – esclamò rabbioso Royo.
Il Patriarca, lesse un odio smisurato nelle iridi azzurre del giovane Yoro e in quelle del suo protettore.
- Cerca di essere razionale Koga. Deve esserci una spiegazione. La sacerdotessa Midoriko ci ha protetti fino ad oggi, non avrebbe motivo di attaccare Ayame. Io più di te voglio scoprire chi ha aggredito mia nipote. – dichiarò il vecchio lupo.
- Ma cosa stai dicendo? Sei forse impazzito? – gli urlò contro Koga – Le prove parlano chiaro. Quella è una freccia sacra e solo le sacerdotesse sono in grado di scoccarle. E qui c’è solo una miko. –
Detto ciò il giovane uscì di corsa dalla tana e con un fluido balzo, salì su un masso.
- Miei fratelli. – cominciò, attirando l’attenzione dei suoi compagni – Quest’oggi abbiamo subito un grave torto da parte degli umani. Ci avevano giurato di non essere stati loro ad infrangere il patto stipulato molto tempo fa, ma ci hanno mentito. E ora hanno infranto anche la tregua che ci avevano chiesto e che noi per nostra clemenza gli abbiamo concesso. Sono solo dei luridi bugiardi. Hanno ucciso molti dei nostri fratelli e oggi hanno attaccato Ayame…- un mormorio si sollevò tra la folla - È arrivato il momento di fargliela pagare. –
Un forte ululare si protrasse per tutta la radura. L’ora della vendetta era giunta.
 
 
 
***
 
 
 
- Ehi! Hojo! Hai visto Rin? A casa sua non c’è. – domandò Kohaku all’amico, intento ad affilare la sua katana dinanzi un fuoco scoppiettante.
- Sarà a casa di sua nonna. – snocciolò indifferente, ignorando la lieve ansia nella voce dello sterminatore.
- Quella stupida. Le avevo detto di aspettarmi. – sbuffò il primo contrariato, sedendosi sul tronco accanto al compagno.
- Secondo me, ti preoccupi troppo per quella ragazza. Le sbavi dietro da anni e lei nemmeno se ne è accorta. – reiterò l’altro annoiato, continuando il suo lavoro.
Kohaku gli rivolse un’occhiataccia.
- È mia amica. – replicò digrignando i denti.
- Sì, certo. – rispose Hojo con tono scocciato.
- Cosa sta insinuando? – puntualizzò Kohaku, strattonandolo per un braccio.
- Che deve essere un tantino tonta… Oppure, che quello stupido sei tu. Te la potrei soffiare anch’io da sotto al naso e devo ammettere che per quanto non la sopporti, è la più carina del villaggio.  – lo provocò il compagno. Sapeva che Rin era il suo punto debole.
Adirato, Kohaku lo afferrò per il bavero della divisa e gli sganciò un pugno in pieno viso. Hojo gli rise in faccia divertito, sputando un po’ di sangue a terra.
- Cos’hai da ridere tanto? – sibilò lo sterminatore.
- Sei patetico. – lo beffeggiò divertito.
Spinto da un’irrefrenabile collera, Kohaku prese a colpire Hojo con violenza. Dopo una serie di pugni, l’altro cominciò a parare le percosse, prendendo a ferirlo a sua volta. Attirati dagli schiamazzi, un gruppo di sterminatori e qualche abitante, si avvicinarono ai due cominciando a incitarli a darsene di più.
- Colpiscilo più forte Hojo. – istigò un uomo.
- Non essere gentile Kohaku, massacralo. – urlò divertito un altro.
- Qualcuno li fermi o finiranno per ammazzarsi. – si intromise una donna.
- Nah! Sta zitta e facci godere lo spettacolo. – l’ammonì uno sterminatore, allontanandola bruscamente.
Allibita da quella assurda risposta, corse via a cercare aiuto.
- Che cosa sta succedendo qui? – risuonò una severa voce femminile.
- Venerabile Midoriko. – farfugliarono tutti, chinando il capo.
Qualcuno riuscì a dileguarsi prima di essere bloccato dalla sacerdotessa, mentre altri cercarono vane giustificazioni per il loro comportamento riprovevole.
- Dovreste vergognarvi voi due. – disse rivolta a Kohaku e Hojo, inginocchiati di fronte a lei – Con tutto quello che sta succedendo, vi attaccate a vicenda. E anche voi altri, invece di fermarli li avete incoraggiati a continuare. – continuò, questa volta rivolta agli altri sterminatori.
- Ci dispiace. Vi chiediamo scusa. – risposero imbarazzati. Infossando ancora di più il capo nelle spalle.
- Ma che belle parole. – esclamò divertita una voce fuori campo.
Tutti si voltarono nella direzione da cui era provenuta la voce, quando dall’oscurità si palesò la figura di Koga, seguito dai suoi fratelli.
- Il clan Yoro. – proferì spaventato un uomo del villaggio.
- Cosa ci fate qui? Vige una tregua tra noi. – l’ammonì la miko.
- Una tregua che avete violato proprio voi, mia cara sacerdotessa. – sibilò Koga, lanciando la freccia sacra ai piedi della religiosa.
Alla vista di quel dardo, il suo volto sbiancò.
Come aveva fatto il giovane lupo a esserne entrato in possesso?
- Come l’hai avuta? – lo interrogò sospettosa.
- Questo giochetto non funziona con me. – ringhiò, scricchiolando i suoi affilati artigli.
Alcuni sterminatori si disposero in semicerchio, per difendere la loro miko. Altri invece, impugnarono subito le loro armi pronti a colpire.
- Se fossi in voi, non lo farei. – li avvertì il demone, con un ghigno maligno.
Con un gesto della mano, intimò a un suo compagno di farsi avanti. Royo si manifestò, lasciando tutti attoniti.
- RIN! – urlò Kohaku, muovendo un passo verso di lei, ma venne fermato per un braccio da Hojo.
- Kohaku. – mugolò spaventata la ragazza.
Il lupo le teneva bloccati entrambi i polsi dietro la schiena e le premeva un affilato artiglio sulla giugulare.
- Non vorrete mica che questo bel fiorellino appassisca. – proferì cinico il capo dei lupi, sfiorando con il suo Goraishi, la guancia di Rin, rigata dalle lacrime che scorrevano copiose.
- Dannati! Lasciatela subito. – sbraitò l’amico della ragazza.
- La lasceremo a patto che voi ci consegniate la miko. – espose Koga con molta calma.
- È una follia. - protestò Hojo, serrando i pugni.
- Cosa vuoi da me, demone. – proferì Midoriko.
- Lo sai benissimo. – l’ammonì il lupo, fissandola astioso e riducendo gli occhi a due fessure.
- Davvero non so a cosa tu ti riferisca. – insistette lei, reggendo fieramente il suo sguardo.
- Vuoi giocare, sacerdotessa? Bene, sarai accontentata. –
La tensione era ormai alle stelle. Nel silenzio surreale che era venuto a crearsi, un lieve sfruscio fu in grado di scatenare l’inferno. Uno sterminatore, stanco di tenere in tensione il suo arco, scagliò accidentalmente un dardo.
Gli occhi di Koga bruciarono di un odio così potente che erompeva da lui a ondate. Le sue mani presero a tremare quando vide un suo compagno colpito, sorretto da due compagni.
- Maledetti! Pagherete anche per questo. Distruggete il villaggio e cibatevi delle loro carni. – urlò il giovane Yoro – Ma ricordate… La sacerdotessa è mia. –
I lupi partirono alla carica, mettendo in fuga molti degli abitanti di Gashimboku.
- Io comincerò da te. – enunciò divertito Royo, rivolto a Rin, scaraventandola a terra.
- Portate in un luogo sicuro la venerabile Midoriko… Voi altri invece, mettete al riparo le donne e i bambini. – ordinò Hojo, rivolto ai suoi uomini.
 
 
Una figura dagli occhi cremisi, nascosta tra gli alberi della foresta, osservava indifferente il massacro che si stava consumando a poche decine di chilometri.
Gli sterminatori e alcuni uomini più valorosi, combattevano contro i nemici senza sosta. I lupi avevano accerchiato l’intero villaggio, attaccando e uccidendo tutto ciò che si palesava dinanzi il loro percorso. Nessuno veniva risparmiato dalla loro furia, nemmeno i bambini. Le urla e i gemiti disperati degli abitanti, riecheggiavano in quella fredda notte senza luna. Il sangue scorreva copioso, andando a mescolarsi alla polvere della terra, tingendola di rosso.
- Ecco dove eri finita. – enunciò animoso Royo, afferrando Rin per i capelli e facendola urlare per lo spavento.
Nel trambusto, la ragazza aveva approfittato di un momento di distrazione del demone, per correre a nascondersi. Ma non aveva fatto i conti col loro olfatto sopraffino. Royo la tirò fuori dal suo nascondiglio, trascinandola per la lunga chioma, logorandole il kimono e procurandole alcuni tagli sulle ginocchia.
- Di’ le tue ultime preghiere. – 
- Ti prego, lasciami andare. – lo implorò lei, con voce malferma.
Royo scoppiò a ridere di gusto, estasiato dal panico che leggeva negli occhi della giovane ai suoi piedi.
- Spiacente, mia cara. Oggi non sono in vena di esaudire desideri. – la schernì beffardo – E adesso… muori. –
Sollevò in aria la spada che stringeva nella mano destra, pronto a colpire, ma una catena alla cui estremità era fissata una falce, lo bloccò.
- Kohaku. – sussurrò Rin, rincuorata nel riconoscere il volto dell’amico.
- Ma che diavolo… - Royo si voltò furente, pronto a fronteggiare chi aveva osato fermarlo.
- Allontanati da lei, subito. – lo avvertì minaccioso lo sterminatore.
- Bene, bene. Abbiamo un devoto al suicidio. – le sottili labbra del lupo, si incurvarono in un sorriso derisorio.
L’umano manteneva ancora saldamente imprigionata, con la sua Kusarigama, l’arma dell’avversario.
Con un movimento fulmineo, Royo lasciò cadere la sua katana che andò a conficcarsi nel terreno e si scagliò, con gli artigli ben in vista, contro Kohaku. Colto di sorpresa, lo sterminatore riuscì ad evitare per un soffio il colpo, facendo un balzo indietro. Non perse tempo e passò subito al contrattacco, richiamando a sé la sua catena e questa volta la lanciò direttamente contro Royo. Il lupo non si fece sorprendere, bloccando l’arma con un braccio.
Kohaku digrignò irritato. Tentò di riportare indietro la Kusarigama avvolta all’arto del nemico, ma con scarsi risultati. Stufo, decise di affrontare il demone nel corpo a corpo. Sapeva di essere in svantaggio, se paragonava la sua forza a quella del lupo, ma non aveva altra scelta. Con la coda dell’occhio, si assicurò che l’amica non corresse ulteriori rischi e, senza pensarci due volte, si avventò contro il suo avversario. Con uno scatto lo sterminatore raggiunse il demone, sferrandogli un destro che Royo parò senza alcuna difficoltà, sogghignando per quella mossa così scontata. Il lupo, lesto, contraccambiò assestando un calcio nel fianco dell’umano mozzandogli il fiato. Subito il demone tirò un altro colpo, ma questa volta il giovane parò il pugno incrociando le braccia all’altezza del viso. Era un susseguirsi di percosse e colpi parati. Con grande abilità, Kohaku riusciva a schivare i continui attacchi del nemico, lasciandolo stupito.
- Devo ammettere che non te la cavi affatto male, umano. – si complimentò Royo, sferrando l’ennesimo pugno.
- Risparmiami le tue lodi, lupo. – ribatté con tono aspro lo sterminatore.
Rin osservava impotente il duello, pregando i kami che l’amico ne uscisse vivo. Il ragazzo iniziava ad avvertire i primi segni di stanchezza, ma con una determinazione degna di uno sterminatore, continuava a parare i colpi dell’avversario. Nella colluttazione, non si accorse di una radice d’albero che fuoriusciva dal terreno e vi inciampò, cadendo rovinosamente al suolo.
- Sei finito. – esultò trionfante Royo, facendo scricchiolare i suoi artigli.
- NO! -
La fanciulla si alzò d’impulso e si frappose fra il demone e il ragazzo.
- Rin, che diavolo stai facendo? – imprecò Kohaku.
- Ti prego, risparmialo. – lo implorò lei, allargando le braccia e serrando gli occhi in attesa del colpo di grazia.
- Stupida ragazzina… Visto che ci tieni tanto a morire, ucciderò prima te. – esclamò il lupo divertito.
Ma nulla accadde.
Un’ombra, fulminea, sferrò un potente colpo a Royo, che lo scaraventò lontano nella boscaglia.
- Cos’è stato? – chiese stupefatto lo sterminatore.
La ragazza aprì lentamente un occhio e successivamente l’altro. Aveva avvertito solo uno spostamento d’aria, nulla di più. Poi si voltò verso l’amico, confusa.
- Non ne ho idea. -
 
 
Koga aveva raggiunto la sacerdotessa e gli sterminatori che sfortunatamente furono uccisi uno a uno dal giovane Yoro.
- Siamo rimasti solo noi due, sacerdotessa. È ora che tu vada all’altro mondo. – sibilò vendicativo il demone.
- Se pensi di spaventarmi, ti sbagli di grosso. – ribatté austera la miko – Te l’ho già detto, non sono stata io a colpire Ayame. –
Tendeva l’arco pronta a incoccare una freccia al primo passo falso del lupo.
- BUGIARDA! – gridò furioso Koga, al limite della pazienza.
Con un balzo si avventò contro Midoriko che lesta, scagliò il dardo; ma il ragazzo lo schivò agilmente e, quando si ritrovarono faccia a faccia, le conficcò senza pietà i suoi Goraishi dritta nell’addome.
Un’espressione di terrore comparve negli occhi della religiosa e il respiro le si mozzò in gola. Koga estrasse lentamente gli artigli intrisi di sangue, lasciando crollare al suolo la sacerdotessa ormai priva di vita.
Ululò in segno di vittoria e i suoi fratelli risposero al richiamo raggiungendolo in massa.
Giustizia era stata fatta.





Il significato dei nomi delle tre querce sono i seguenti:
- Ai/Amore
- Heiwa/Pace
- Seikatsu/Vita

Il significato del nome della roccia a forma di testa di lupo è il seguente:
- Ōkami/Lupo

 
 

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Capitolo 2
*** Un ritorno inaspettato ***


UN RITORNO INASPETTATO
 
 
 
 
 
Dopo la morte della sacerdotessa Midoriko, il villaggio di Goshinboku era sprofondato nel caos più totale. Per quanto si impegnassero, gli sterminatori non riuscivano più a tenere a bada i lupi, che non perdevano occasione di attaccare e uccidere gli infausti abitanti.
Dopo svariate settimane di sangue, a riportare la calma e la pace al borgo ci aveva pensato l’arrivo di una nuova miko, che giunse scortata da un aitante e giovane soldato. L’intero villaggio era rimasto piacevolmente stupito del loro arrivo, che non si aspettava minimamente. Ma rimasero altrettanto meravigliati dalla peculiarità dei nuovi arrivati. Notarono che la sacerdotessa non indossava la tradizionale veste rossa e bianca, bensì un largo kimono nero impreziosito da un rosario di perle verdi. L’indumento metteva in risalto la sua lunga chioma bianca come la neve, dove all’attaccatura centrale dei capelli – sulla fronte - era incastonata una piccola pietra d’oro a forma di conchiglia. Constatarono anche una certa vanità nella religiosa: il bel viso, dalla pelle diafana, era velato da una leggera quantità di trucco, gli incantevoli occhi azzurri erano messi ancor più in risalto da una sottile linea di colore glicine, mentre le labbra erano dipinte di una pronunciata tonalità di rosso.
L’accompagnatore, invece, indossava una singolare armatura; vestiva ampi calzoni bianchi, infilati in alti stivali a punta di pelle nera. La corazza di un intenso colore blu, che richiamava i toni dei suoi capelli, era impreziosita sugli orli da dei pregiati ricami dorati. Ma il dettaglio che attirava maggiormente l’attenzione su di lui, erano due grandi zampe di drago che gli cingevano le spalle. Sulla schiena teneva saldamente ancorate un paio di spade. La folta capigliatura era acconciata in una lunga treccia che gli arrivava a metà schiena. Altra particolarità di questo misterioso ragazzo, era una voglia azzurra a forma di rombo che spiccava in mezzo alla fronte, che andava in netto contrasto con i suoi occhi vermigli.
La venuta della religiosa fu una vera benedizione per l’intero il villaggio, che la accolse con infinita gioia. Anche se molti degli abitanti erano scettici sul suo conto, erano comunque convinti che ella li avrebbe protetti dai futuri attacchi del clan Yoro e dalla misteriosa creatura che si aggirava furtiva tra i boschi.
 
 
 
***
 
 
 
- Kohaku, dovrai essere la mia ombra ancora per molto? – domandò esasperata Rin.
- Dopo quello che è successo, sì. Non puoi andartene in giro da sola, nemmeno da tua nonna. – rispose secco, non ammettendo repliche.
- Ma adesso che è arrivata la nuova sacerdotessa possiamo stare tranquilli. Non si sono più verificati attacchi da quando è arrivata lei. – cercò di convincerlo.
Kohaku le rifilò uno sguardo che non consentiva scuse. Lui l’avrebbe seguita con o senza il suo volere.
Stavano percorrendo tranquillamente il sentiero che li avrebbe condotti alla casa di Kaede, quando un feroce latrato, seguito dall’urlo agghiacciante di una donna, li fece sobbalzare. Si guardarono sgomenti per un attimo. Rin aveva gli occhi pieni di terrore, mentre quelli del ragazzo erano un mix tra stupore e panico. Quello che avevano sentito, non era affatto il verso di un lupo e il giovane sterminatore lo sapeva. Kohaku agguantò la sua fedele kusarigama e si avviò impavido verso la direzione da cui era partito il grido, intimando all’amica di restare lì dov’era; ma lei non gli diede ascolto e lo seguì. Quando giunsero sul posto, a entrambi si gelò il sangue nelle vene. Rin si schermò dietro le spalle dell’amico, stringendogli leggermente un braccio. Per terra era riversa prona una figura femminile e a sovrastarla c’era un enorme e rabbioso cane bianco, che alla loro vista, si dileguò fuggendo nel folto sottobosco. Kohaku fece per inseguirlo, ma l’amica lo fermò ribadendo che la sconosciuta aveva bisogno del loro aiuto.
Quando le si avvicinarono, la prima cosa che notarono fu la piccola pozza di sangue che colorava il terreno sotto di lei e il suo kimono verde. Lo sterminatore si chinò per accertarsi che la donna fosse ancora viva e, quando le tastò il polso, si rasserenò nell’udire un debole battito. La ghermì per le spalle e la portò delicatamente in posizione supina. I lunghi capelli corvini della sconosciuta ricaddero scomposti sul suo viso celandole il volto e, quando Kohaku glieli scostò, rivelando la sua identità, il cuore di entrambi perse un battito. Il ragazzo voltò di scatto la testa, rivolgendo uno sguardo inquieto all’amica, notando che il suo volto era diventato di un pallore quasi spettrale. La vide accasciarsi a terra sulle ginocchia, come una bambola di pezza inanimata. Copiose lacrime presero a sgorgare dai suoi occhi.
- Non è possibile! Non può essere lei! – sussurrò con un fil di voce, portandosi una mano alla bocca nel vano tentativo di bloccare i singhiozzi.
- Presto! Non perdiamo tempo. Portiamola al villaggio. – enunciò Kohaku, prendendo in braccio la donna e spronando Rin a seguirlo.
Ma l’amica non accennava a muoversi.
- Rin! – urlò lo sterminatore – Non c’è tempo da perdere. –
La ragazza guardò prima lui, subito dopo la donna e dopo un attimo di tentennamento, lo seguì.
Raggiunsero il villaggio nel minor tempo possibile.
- Venerabile Tsubaki! Venerabile Tsubaki! La prego, ci aiuti! – urlò a gran voce Rin, quando giunsero dinanzi al tempio.
- Che cosa succede? Cosa sono tutti questi schiamazzi? – proferì la sacerdotessa quando uscì dal luogo di culto.
- Questa donna ha bisogno del vostro aiuto. – le spiegò prontamente lo sterminatore.
Quando la miko vide la donna ferita che stringeva tra le braccia, sgranò impercettibilmente gli occhi, intimando al ragazzo di portarla subito dentro al tempio.
Gli fece strada all’interno l’edificio, fino a quando raggiunsero una piccola stanza e ordinò al giovane di adagiare la sconosciuta sul futon nell’angolo.
- Sono stati i lupi? – domandò la sacerdotessa avvicinandosi per controllare le ferite.
- No, questa volta è stata la misteriosa creatura. L’abbiamo vista, venerabile Tsubaki. È un enorme cane bianco. Giuro di non aver mai visto nulla di simile in vita mia. – rivelò lo sterminatore.
La religiosa alzò di scatto il capo e incastrò i suoi occhi azzurri in quelli nocciola di Kohaku. Il giovane vi lesse una stana luce al suo interno, un frammisto di stupore e gioia, ma non seppe definirlo con precisione.
- Ryura. –
- Sono qui, venerabile Tsubaki. – rispose repentino il soldato.
Un ragazzo dai lunghi capelli blu, fece capolino nella stanza da dietro un paravento. Rin, che fino a quel momento era rimasta in silenzio sullo stipite della porta, lo riconobbe immediatamente come il giovane giunto insieme alla sacerdotessa. Sentendosi osservato, per un istante gli occhi purpurei del nuovo arrivato si posarono sulla fanciulla, facendola trasalire. Poi ritornarono obbedienti verso la miko.
- Dovrai intraprendere un viaggio. Dovrai andare a Sud, verso il villaggio di Hōrai. Lì troverai un cacciatore di grande fama, il suo nome è Naraku. Avremo bisogno dei suoi servigi per quella bestia. – lo istruì Tsubaki – La questione è più grave di quello che immaginavo. -
Ryura fece un cenno d’assenso col capo e si dileguò velocemente.
Rin si voltò a guardare nuovamente la donna sdraiata sul futon. Ignorando gli sguardi indagatori della miko, le si avvicinò e le si inginocchiò accanto. Scostò la frangia dai suoi occhi e prese ad accarezzarle delicatamente la fronte.
- Si riprenderà? – chiese con voce ansiosa e tremolante.
- Credo di sì. Le ferite non sono gravi. – rispose la sacerdotessa, osservando lo strano atteggiamento della ragazza – Siete arrivati in tempo. Se aveste tardato anche un solo secondo, sicuramente quella mostruosa creatura l’avrebbe uccisa. -
- Bene. – esclamò Rin alzandosi in piedi.
Fece un inchino e corse via, lasciando soli Kohaku e Tsubaki.
- Cosa l’è preso? –
- La donna ferita… È sua madre. – rivelò lo sterminatore, con tono triste.
 
 
Rin uscì dal santuario della sacerdotessa, sentendosi confusa e disorientata. Una marea di sentimenti contrastanti presero a vorticarle dentro come un violento uragano che spazza via tutto quello che incontra nel suo cammino, ma dove al suo interno, vige una calma apparente. La rabbia si frapponeva alla felicità.  La paura alla serenità.
Aveva intrapreso una corsa sfrenata verso la casa di sua nonna.
Il cielo plumbeo e minaccioso di pioggia, rispecchiava in pieno il suo stato d’animo, in quel momento. A ogni respiro che prendeva, l’aria fredda le trapassava i polmoni come aculei appuntiti. Per lo sforzo della corsa, le guance le si erano imporporate e la fronte le si era imperlata con piccole goccioline di sudore, facendo aderire alcuni ciuffi della frangetta. La sua lunga mantella rossa fluttuava nell’aria come fosse fuoco ardente.
Quando giunse davanti alla piccola abitazione, avvertì una fitta dolorosa al petto, che la bloccò sul posto.
Come avrebbe reagito sua nonna alla notizia?
Fissò la porta per alcuni minuti, indecisa sul da farsi. Alla fine, con mano tremante, bussò. La trovò seduta sulla sua sedia a dondolo, intenta a lavorare a maglia. Ma a lasciare Rin stupefatta, fu l’espressione abbattuta dipinta sul viso rugoso dell’attempata.
Che sapesse già?
- Bambina mia, per un momento ho pensato che non saresti venuta, oggi. – enunciò Kaede, guardandola con occhi tristi.
In quel momento, la fanciulla capì il motivo del suo stato d’animo.
- Mi dispiace per il ritardo, nonna… Ma… ma è successa una cosa inaspettata, stamane. – le rivelò la ragazza, distogliendo lo sguardo e voltando il viso in un’altra direzione.
La donna la osservò perplessa. Il comportamento di Rin era alquanto strano quel giorno. Era rimasta immobile sull’uscio come se non riuscisse a trovare il coraggio di fare un altro passo in avanti. Teneva il capo chino, col voluminoso cappuccio a schermarle il bel viso e le mani erano congiunte sull’addome, chiuse talmente strette da far sbiancare le nocche. Di consuetudine, invece, la nipote entrava sempre con un sorriso contagioso sulle labbra, le correva in contro per abbracciarla e la prima cosa che le domandava sempre era: “Come ti senti oggi, nonna?”.
- Rin. – la richiamò l’anziana con voce preoccupata.
La giovane, nell’udire il suo nome, sussultò come colpita da una scarica elettrica. E quando i suoi occhi si scontrarono con quelli piccoli e amorevoli della nonna, avvertì nuovamente il pizzicore di nuove lacrime.
- Vieni qui, bambina mia, avvicinati. – le disse Kaede, posando i ferri e allungandole un braccio.
Rin si sfilò tremante il mantello e lentamente le si avvicinò.
- Cosa ti turba? –
- Nonna… - fu l’unica parola che riuscì a pronunciare prima di scoppiare a piangere tra le sue braccia.
L’anziana la lasciò sfogare. Vedere Rin in quello stato, le procurava non poco dolore. In quel momento si sentiva impotente. Dopo svariati minuti, quando finalmente la ragazza si calmò, la pregò di raccontarle cosa le era successo. Gli occhi della sua amata nipote rispecchiavano di una strana luce, non sapeva se definirli tristi oppure speranzosi.
- Cosa è successo? Non ti ho mai vista in questo stato. – disse l’attempata, prendendo il viso della nipote tra le sue mani.
Rin la guardò a lungo, cercando le parole giuste per rivelare alla donna quello che era accaduto poche ore prima. Prese un profondo respiro e, adagio, iniziò a raccontarle cosa l’aveva turbata tanto. Kaede sgranò gli occhi, incredula nell’udire il racconto di Rin. Si lasciò cadere all’indietro sullo schienale della sedia a dondolo esausta, come se quelle parole l’avessero travolta come una valanga.
La sua amata figlia era ritornata… dopo tutti quei anni.
- Kikyo. – mormorò a fior di labbra, portandosi una mano sul cuore – È ferita gravemente? – chiese con apprensione.
Rin scosse la testa, rassicurandola con ciò che le aveva riferito la miko.
Kaede fu rapita da vecchi ricordi. Rammentava ancora adesso il giorno in cui la sua Kikyo se ne era andata, lasciandole solo un misero biglietto dove le chiedeva di occuparsi di Rin. Non si era sprecata nemmeno a spiegarle il motivo; nel cuore della notte aveva raccattato le sue cose ed era scappata, come una ladra. All’epoca, la nipote aveva non più di otto anni e soffrì molto per l’abbandono di sua madre.
Anche un altro ricordo riaffiorò limpido come l’acqua nella sua mente, ma questo era molto più recente. Aggrottò la fronte, accentuando ancor di più le rughe. Non era affatto convinta che fosse stato lui ad aggredire Kikyo. Era impossibile. Eppure il racconto di sua nipote lo confermava.
La ragazza la osservava ansiosa.
Le posò una mano sul braccio, come per richiamarla dal quel suo stato di trance e, infatti, l’attempata si voltò a guardarla.
- Rin, non sai perché tua madre è stata attaccata da quella creatura? – domandò ancora assorta.
- No, nonna. – confessò mestamente la fanciulla.
Kaede si sollevò dalla sedia e le sue vecchie ossa malandate scricchiolarono con un suono secco. Rin la seguì con lo sguardo, confusa.
- Prendi il mio mantello, andiamo al villaggio. – esclamò la nonna.
 
 
 
***
 
 
 
Kikyo si era svegliata poco tempo dopo che Rin era andata via. Quando riaprì gli occhi, ancora frastornata, l’unica figura che aveva trovato al suo capezzale era stata quella di Tsubaki. Dopo una breve conversazione con la sacerdotessa, rimase da sola nella stanza. Si sentiva irrequieta. Con un po’ di fatica si mise seduta sul futon e prese a osservare la camera intorno a sé, costatando che era spoglia di soprammobili, a eccezione di un piccolo settimino in legno di noce e di un separé di carta di riso su cui erano raffigurati dei rami di ciliegio. Avvertendo del fastidioso bruciore, chinò il capo portando l’attenzione sulle proprie mani e notò che sui dorsi erano presenti alcune escoriazioni. Poi, lentamente portò le dita sul fianco destro, sfiorandolo, e una smorfia di dolore le deformò il viso.
Ancora stordita, si accorse solo in quel momento che di fianco a lei c’era una piccola finestra, celata da una tenda di bambù, che si affacciava sulle strade del borgo. La scostò e notò che il villaggio era in piena attività; gli abitanti andavano e venivano indaffarati nelle loro faccende quotidiane.
Rimase ad osservarli inoperosa, rammentando di quando anche lei viveva lì. Un sorriso amaro si formò sulle sue labbra quando rievocò il lontano ricordo del suo amato Suikotsu.
 
 
Era di ritorno dal campo di riso dove lavorava suo padre, un umile contadino ben voluto da tutti. Correva svelta tra gli alberi della foresta; le sue gambette corte incespicavano nell’impazienza di arrivare il prima possibile al villaggio. Doveva raggiungere sua madre per assisterla mentre aiutava la miko.
Il suo più grande desiderio era quello di diventare un giorno una sacerdotessa.
Quando arrivò al tempio, trovò sua madre intenta ad accendere alcuni incensi, mentre la sacerdotessa sprigionava il suo potere mistico per purificare lo spirito di una donna. Kikyo rimase sull’uscio della porta immobile, trattenendo addirittura il respiro per paura di disturbare la sacerdotessa. Sua madre si voltò a guardarla e le rivolse un sorriso amorevole. La bambina contraccambiò felice, poi uscì.
Attese buona, seduta sotto al porticato, finché non ebbero finito.
Sollevò di scatto il capo quando avvertì il tocco delicato della mano di Kaede che le sfiorava i capelli.
- Cosa aveva quella donna? – chiese curiosa la bambina.
- Nulla di grave. Stava poco bene, ma grazie alla miko ora è guarita. –
- Un demone ha cercato di impossessarsi del suo spirito… non è così? – domandò scaltra Kikyo.
Kaede sgranò leggermente gli occhi, colpita dalla perspicacia di sua figlia. Fece solo un segno d’assenso col capo.
- Quando sarò grande, prenderò io il posto della venerabile Hitomiko e ucciderò ogni demone che incontrerò sul mio cammino. – affermò convinta la bambina.
- Ne sono più che convinta, gioia mia. Su, andiamo a casa, adesso. -
Il fato però, aveva scelto un destino differente per la piccola Kikyo.
Diversi anni dopo, in un giorno di primavera, un giovane forestiero di nome Suikotsu, era giunto al villaggio chiedendo ospitalità per qualche giorno in cambio dei suoi servigi di medico. Ma grazie alla sua bravura e alla sua disponibilità, si era aggiudicato un posto fisso nella piccola comunità di Goshimboku, sostituendo nel suo lavoro l’ormai anziano dottore Totosai.
Quando Kikyo lo aveva incontrato per la prima volta, era rimasta ammaliata dal suo portamento aitante e dai suoi modi educati e gentili; e anch’egli non era rimasto affatto indifferente al suo fascino etereo.
Un pomeriggio la ragazza si era presentata alla sua capanna, chiedendogli di parlare di una questione per lei importante.
- Qualcosa non va? Non ti senti bene? – le chiese apprensivo il medico.
- No, tranquillo, sto bene. – lo rassicurò subito lei – Ho una richiesta da farti, a dire il vero. –
Suikotsu arcuò un sopracciglio, meravigliato.
- Cosa posso fare per te, Kikyo? -
- Vorrei che mi permettessi di aiutarti con i tuoi pazienti. – gli rivelò.
- Oh! –
Il medico la fissò leggermente basito, non si aspettava una simile richiesta da parte sua. Ma pensandoci su, non gli sarebbe dispiaciuto avere una mano di aiuto, data la mole degli ammalati. Per cui accettò la sua offerta di buon grado.
Lo stare a stretto contatto tutti i giorni, la loro attrazione tramutò in amore in breve tempo. Si sposarono dopo pochi mesi e dalla loro unione nacque il frutto del loro sentimento, Rin.
Ma il destino si sa, è beffardo.
Una notte un gruppo di briganti aveva attaccato e saccheggiato il villaggio. Due uomini, armati di spade e lance, erano entrati prepotentemente nella loro capanna minacciando Kikyo e sua figlia. Suikotsu era intervenuto impetuosamente avventandosi contro i due banditi, intimando alla moglie di scappare e di portare in salvo la loro bambina che piangeva terrorizzata. Contro la sua volontà, Kikyo ubbidì, correndo via con Rin stretta tra le braccia.
Fuori dilagava il caos. Il villaggio stava letteralmente bruciando. C’era gente che urlava, alcuni che scappavano e altri ancora che cercavano disperatamente di difendere i loro averi e i propri cari. Nella calca aveva incontrato i suoi genitori che si stavano precipitando verso la sua capanna per prestarle soccorso. Senza proferire alcuna parola, aveva affidato loro la sua piccola e, prima di scomparire nuovamente tra la folla ignorando le proteste di sua madre, le aveva dato un rapido bacio sulla fronte.
Era corsa, lesta, verso la piccola armeria; aveva afferrato un arco e una faretra con delle frecce al suo interno, poi si era dileguata ad aiutare suo marito. Ma sopraggiunse troppo tardi. Suikotsu era riverso a terra, inerme, sull’uscio della porta in una pozza di sangue. Un urlo straziante aveva abbandonato la sua bocca, squarciando l’aria. Aveva preso a correre disperatamente verso di lui, lasciando cadere arco e frecce. Lo aveva ghermito tra le braccia, stringendolo a sé e iniziando a chiamarlo nel vano tentativo di riuscire a sentire ancora una volta la sua voce. Ma ciò non avvenne. Aveva preso a dondolarlo dolcemente, avanti e indietro, intonando una dolorosa cantilena col suo nome.
Dopo quella notte, la sua vita non aveva avuto più senso.
 
 
Un leggero bussare la ridestò dai suoi tristi ricordi.
- Avanti. – rispose serafica.
Quando la porta si aprì, un terremoto scosse l’animo di Kikyo. Due donne si palesarono dinanzi a lei, un’anziana signora e, al suo fianco, una giovane fanciulla che pareva la sua copia. Non le ci volle molto a capire chi fossero, ma nonostante ciò, mantenne un atteggiamento freddo e scostante.
- Kikyo. –
Quel nome uscì come un sussurro dalle labbra di Kaede, che fece un paio di passi incerti in direzione della figlia.
Rin, al contrario, rimase ferma sulla soglia della porta, non trovando la forza - o il coraggio - di fare un solo passo. Sentimenti contrastanti si agitavano nel suo animo. Era felice che sua madre fosse ritornata, ma dall’altra parte non riuscita a trovare una motivazione plausibile della sua ricomparsa dopo tutti quei anni.
Si fissarono a lungo, senza proferire una sola parola. Kikyo la rimirava constatando quanto fosse cresciuta e, soprattutto, quanto le somigliasse. Ma sostenere il suo sguardo le costò un’enorme sforzo. Quei occhi, quei meravigliosi occhi nocciola, erano la copia di quelli di suo padre.
- Sei tornata. – un suono quasi inudibile fuoriuscì dalla bocca di Rin.
Quelle due parole sembrarono aver sciolto un incantesimo, tanto che la fanciulla corse verso la madre lasciandosi cadere al suo capezzale, abbracciandola e affondando il viso nel suo ventre.
- Mi sei mancata così tanto. -
Kikyo sgranò gli occhi, attonita. Avrebbe voluto dirle che anche per lei era stato altrettanto, ma non riuscì a pronunciare nessuna parola di conforto. Si sentiva prigioniera dei suoi stessi sentimenti: rimorso, rabbia, risentimento, sensi di colpa.
Improvvisamente avvertì la sua veste inumidirsi delle lacrime della figlia.
- Alzati. – le disse con tono secco.
Ma Rin non accennò a muoversi, al contrario, intensificò l’abbraccio e strinse tra i pugni il kimono della madre.
- Ho detto alzati. – ripeté la donna imperiosa, afferrando le spalle della ragazza e sollevandola con forza.
Gli occhi pieni di lacrime di Rin si scontrarono col quelli gelidi di Kikyo e, una fitta di dolore colpì la giovane all’altezza del petto. In quel preciso istante, capì che sua madre non era ritornata per lei.
- Kikyo. – esclamò sconcertata Kaede.
La donna si voltò in direzione dell’attempata e con tono duro pronunciò:
- Credevate davvero che fossi ritornata in questo lurido villaggio che non ha nulla se non brutti ricordi? Beh, vi siete sbagliate. Nulla mi lega a questo posto. –
Nell’udire quelle infelici parole, Rin ricadde all’indietro boccheggiando.
Perché le stava facendo questo? Non le bastava il male che le aveva già fatto?
- Allora… per quale motivo… -
- Non è affare che vi riguarda. – tagliò corto Kikyo.
Col cuore a pezzi, la ragazza si alzò e senza aggiungere altro corse via.
- Figlia mia… Il tuo cuore si è indurito a tal punto? –
- Va via! Lasciatemi sola! – urlò irata contro sua madre.
 
 
- Rin! –
Kohaku era seduto sugli scalini del tempio e scattò in piedi quando vide l’amica passargli di fianco e correre in direzione della foresta.
Era pronto a seguirla, ma una mano gli afferrò una spalla, bloccandolo. Si voltò pronto a replicare, ma si bloccò, sorpreso, nel constatare che si trattava della vecchia Kaede.
- Lasciala andare, ha bisogno di restare un po’ da sola. –
- Ma… cosa è successo lì dentro? – domandò.
- Kikyo non è ritornata per sua figlia e questo ha spezzato nuovamente il cuore della nostra piccola Rin. –
- E allora, per quale ragione è ritornata al villaggio? –
Lo sterminatore era scioccato.
Kaede non gli diede nessuna risposta. Una lacrima solitaria scivolò lungo la sua guancia, mentre guardava sua nipote addentrarsi nella fitta boscaglia.
 
 
 
***
 
 
 
La porta si aprì con un lieve fruscio generato dalla carta di riso che la rivestiva. Diverse ore dopo, Tsubaki era tornata nella camera di Kikyo, seguita da una giovane ragazza che teneva tra le mani un piccolo vassoio di legno con la cena dell’ospite.
- Appoggialo pure lì, sul tavolino. – le intimò la sacerdotessa.
La ragazza fece come le era stato ordinato, poi lasciò subito la stanza.
- Non mi avevi detto che avevi una figlia… Per giunta così giovane e bella. – proferì la miko, rimirandosi in un piccolo specchio appeso sulla parete in un angolo della camera. Prese a delineare i contorni del suo volto col dito indice, come se fosse in cerca di una qualche imperfezione.
In un primo momento Kikyo si limitò solo ad osservarla, poi replicò:
- Non sai molte cose sul mio conto, Tsubaki. – rispose atona l’altra.
Un sorrisetto beffardo e malizioso si materializzò sul viso della religiosa, che si voltò a guardarla.
- Spero che questo inconveniente non interferisca con i nostri piani. Sai bene a cosa auspico, Kikyo, e non permetterò a niente e nessuno di intralciare i miei fini. Anche se… -
Kikyo aggrottò la fronte, scrutando attentamente l’altra donna.
- Cosa? –
La sacerdotessa incrociò le braccia al petto e portò una mano sotto il mento. Un pensiero le balenò nella mente; i suoi occhi azzurri brillarono di una luce sinistra e una risatina stridula abbandonò le sue labbra scarlatte.
- Rin… È così che si chiama, giusto? – la beffeggiò – Mi potrebbe tornare molto utile. -
Un brivido gelido attraversò la spina dorsale di Kikyo, squassandola fin dentro le viscere più profonde. Piccole goccioline di sudore presero a imperlarle la fronte. Un triste presagio la attanagliò, fin quasi a soffocarla. Con immensa fatica si rimise in piedi, fissando con astio la sacerdotessa.
- Lascia fuori Rin. Lei non c’entra nulla. Mi hai chiesto di aiutarti e continuerò a farlo, ma non osare avvicinarti a mia figlia. –
Tsubaki le riservò un’occhiata torva.
- Non credo a questo tuo ritrovato amore materno, Kikyo. Sbaglio, o l’hai abbandonata quando era solo una bambina? Quando aveva maggior bisogno di sua madre al suo fianco... E anche adesso l’hai respinta senza remore, senza lasciarle un barlume di speranza. –
- Non te lo ripeterò un’altra volta, Tsubaki… Stai lontana da Rin. – le intimò a denti stretti.
Con molta grazia la miko le si approssimò. Dai loro sguardi incrociati divampavano scintille.
- Mi stai forse minacciando? -  la derise, posandole repentina una mano sul fianco ferito.
A quel contatto, l’altra trasalì e una gocciolina di sudore le scivolò lungo la tempia sinistra.
- Prendila come ti pare. –
Un urlo squarciò la stanza.
Tsubaki aveva cominciato a premere con tutta la sua forza sulla ferita di Kikyo fino a farla risanguinare. La donna si accasciò a terra scossa da tremiti per l’acuto dolore. La vista le si annebbiò e la stanza prese a vorticare davanti ai suoi occhi. Avvertiva le forze abbandonarla.
La miko le si inginocchiò di fronte e le afferrò malamente il mento, costringendola a guardarla. Il viso di Kikyo era di un pallore lugubre.
- Non ti conviene metterti contro di me. –
Dopo quelle parole, Kikyo crollò al suolo priva di sensi.
 
 
 
***
 
 
 
Dopo il triste incontro con sua madre, Rin si era diretta nel suo luogo segreto nel cuore della foresta. Lo aveva scoperto per puro caso qualche anno addietro mentre perlustrava la selva.
Si trattava di una piccola radura nascosta alle spalle di due enormi massi. A prima vista, quei due macigni non presentavano nulla di insolito. Rin ne aveva visti diversi sparsi per tutta la boscaglia. Ma quando fu sul punto di andarsene, aveva avvertito un leggero alito di vento fischiare attraverso le pietre. Credeva di averlo solo immaginato, ma una ciocca dei suoi capelli l’aveva smentita. Così aveva preso a tastare la superficie ruvida del blocco di roccia, fino a quando non aveva scoperto un piccolo passaggio celato da lunghe e fitte liane.
Lo spettacolo che si era ritrovata dinanzi l’aveva lasciata senza fiato. In quella radura l’erba era folta e bassa, puntellata da profumati fiori variopinti. Un rettangolo lussureggiante che gli alberi cingevano di alte mura, simile a un lungo colonnato, mentre le fronde si protendevano verso il centro creando una cupola verdeggiante, che lasciava penetrare solo pochi raggi solari.
Al centro di quel luogo incantato, si ergeva un maestoso albero secolare, che ormai faticava a reggersi ritto sul suo tronco e pendeva coi suoi rami robusti verso terra; aveva salde radici e un larghissimo fusto. Nella corteccia, ad altezza d’uomo, vi era una grossa e profonda spaccatura. Buio e profondo, lo squarcio non lasciava intravedere nulla al suo interno.
Spinta dalla curiosità, Rin aveva preso a incamminarsi verso quell’arbusto. Passo dopo passo, mentre avanzava sul tappeto erboso umido e scuro, lo raggiunse posando una mano sul tronco rugoso. La ragazza aveva preso a domandarsi da quanto tempo quel vecchio albero si trovava lì, in quella radura misteriosa, dove nessun altro dei suoi simili aveva osato porre radice. Aveva stabilito che doveva essere molto più vecchio delle secolari querce che circondavano la casa di sua nonna. Cercava però di non darsi una ragione plausibile, o meglio, tentava di preservare inviolato l’enigma, poiché senza quell’alone di mistero la nuova scoperta avrebbe perso la sua magia.
Sin da ragazzina, si era sempre recata nella foresta per giocare o per ispezionarla, ma non si era mai imbattuta in un luogo mistico come quello.
Non aveva raccontato a nessuno di quel posto, né a sua nonna, né a Kohaku. Quello doveva rimanere il suo luogo segreto, un posto tutto suo dove rifugiarsi quando ne sentiva il bisogno, proprio come necessitava quel giorno.
Quando oltrepassò la spaccatura tra le due rocce, assorta nei suoi pensieri, Rin si lasciò cadere sull’erba ai piedi del grande albero. Appoggiò la schiena al tronco, portò la testa indietro e chiuse gli occhi, per allontanare quella baraonda di preoccupazioni che le affollavano la mente e il cuore. Si era ripromessa di non piangere. Trasse un sospiro e rilassò muscoli e nervi. La radura la rasserenava, le donava un senso di pace e di quiete in fondo all’anima. Era rimasta lì per un tempo inestimabile; quel luogo era capace di farle perdere la cognizione del tempo.
All’improvviso, una folata di vento la sorprese alle spalle. Pareva provenire proprio dalla crepa nel tronco. Scossa ovunque da brividi di freddo, Rin scattò subito in piedi e si voltò, osservando attentamente lo squarcio. Si strinse ancor di più nella sua mantella rossa, come a volersi proteggere.
La nera fenditura era terribilmente sinistra. Le aveva sempre trasmesso un certo timore, sin dalla prima volta. Una parte di lei era sempre stata curiosa di scoprire cosa si celasse al suo interno, ma l’altra parte, quella più saggia, aveva preferito mantenere il mistero.
Inaspettatamente, le parve di scorgere un luccichio fulgido al suo interno. Aggrottò la fronte, perplessa. Avvicinò lentamente il capo finché non fu completamente immerso e inghiottito dall’oscurità: di colpo la investì un’latra folata, più forte questa volta, accompagnata da un ruggito spaventoso, forse di una qualche creatura sconosciuta.
Si ritrasse immediatamente, scossa e impaurita.
Rimase a osservare l’apertura per un’altra manciata di secondi, poi girò i tacchi e si allontanò con passo spedito fuori dalla radura.
La ghiaia scricchiolava sotto i suoi calzari. Correva svelta senza voltarsi mai indietro, come se alle calcagna avesse il più spaventoso dei demoni. O il grande cane bianco.
Solo quando fu abbastanza lontana si fermò per riprendere fiato. Si appoggiò esausta a un albero. I polmoni le bruciavano e le gambe le dolevano. Si portò una mano davanti al viso, tremava come una foglia. Si voltò a guardare sopra la sua spalla, timorosa di veder sopraggiungere all’improvviso qualcosa o qualcuno.
Alzò il viso verso il cielo e scorse la luna appena sorta sopra l’orizzonte. Dentro al bosco, l’oscurità iniziava a divenire insopportabile, rischiarata a malapena dal tenue bagliore lunare. Il panico si impossessò di ogni fibra del suo corpo. Si maledisse per essere rimasta fino all’imbrunire nella radura. Avrebbe voluto che in quel momento lì con lei ci fosse il suo migliore amico. Prese un bel respiro profondo, si armò di tutto il coraggio che possedeva e riprese il suo cammino verso il villaggio. Doveva ringraziare Kohaku per i suoi insegnamenti se era in grado di orientarsi nella foresta anche di notte.
Velocizzò il passo, avvolta da un senso di inquietudine. Alcuni starni rumori la fecero voltare; sembravano provenire oltre gli alberi. Un ululato si disperse nell’ambiente in un attimo, seguito da altri richiami più forti.
La ragazza impallidì. I suoi occhi fissavano occhi lucenti di animali che si muovevano veloci tra la boscaglia.
Avevano seguito il suo odore, assodò con orrore.
Una decina di lupi comparvero dal nulla, accerchiandola. Rin vide prima i foschi occhi rossastri, poi le aguzze orecchie, i musi e infine i loro interi corpi. Il pelo era rizzato, dalle bocche grondava la bava, mentre le zanne sporgenti venivano mostrate come ammonimento.
La ragazza diede un rapido sguardo dietro di sé, in cerca di una via di fuga, ma con terrore, vide altri lupi uscire da dietro gli alberi e avanzare verso di lei. Era circondata. Un lupo guaì, poi, quel suono si trasformò in un ringhio sordo e prolungato.
 
Non fare mosse avventate, Rin.” mormorò tra sé e sé.
 
La sua attenzione fu catturata, per un momento, da un ramo spezzato a pochi passi da lei. Con estrema lentezza si avvicinò all’oggetto, mentre i lupi non staccavo un solo istante lo sguardo da lei.
Il capo branco aveva fiutato l’odore della paura.
I lupi attorniarono la loro preda; le fauci spalancate, ringhiando e ostentando le lunghe zanne affilate come rasoi, per far capire chi comandava.
Rin strinse forte la fronda tra le mani, puntandola contro il lupo più vicino. Alla minima mossa della belva, non avrebbe esitato a colpirlo, o almeno era quello che sperava di fare. Deglutì, ma non aveva più saliva in bocca. Sentiva la gola secca come se avesse smesso di bere da giorni.
I lupi avanzarono con lentezza, assediando sempre più la ragazza.
Rin prese ad agitare il ramo contro di loro nel vano tentativo di allontanarli, ma questo non fece che innervosirli ulteriormente, portandoli a scattare all’attacco. Un lupo azzannò il pezzo di legno scuotendolo da una parte all’altra con violenza, strappandolo con facilità dalle mani di Rin e facendola cadere rovinosamente a terra. Non fece in tempo a risollevarsi, che con un salto il capo branco le fu addosso. La ragazza venne investita dal suo alito caldo e le grandi zampe anteriori la ributtarono a terra. Il guaito dell’animale si insinuò nella sua testa, mentre le sue mani avevano afferrato il suo collo rigido. Il terrore aveva invaso l’animo dalla fanciulla, rendendola incapace di reagire. Nel tentativo di allontanare quella belva assetata di sangue dalla sua gola, il lupo le addentò un braccio. Avvertì quei denti aguzzi affondarle nella carne e il dolore fu così lancinante che le sue urla le parvero lontanissime, come un ricordo affievolito dal tempo.
Poi, accadde qualcosa di inaspettato.
All’improvviso, uno strano rumore attirò l’attenzione del gruppo di lupi. Il capo branco venne distratto per un attimo, che gli fu fatale. Una smisurata zampa bianca lo colpì in pieno muso, scaraventandolo con inaudita violenza contro un albero. Il lupo cadde al suolo rantolando privo di sensi.
Con un balzo, il grande cane bianco si frappose fra la ragazza e i restanti lupi. Voltò leggermente il capo verso di lei, ringhiando, come a volerle intimare di mettersi al riparo. Rin spalancò gli occhi, sorpresa. Tenendosi con la mano il braccio ferito, indietreggiò fino a un albero.
I lupi avanzarono minacciosi, col pelo ispido e indurito, verso il nuovo arrivato. Ma il cane non si lasciò intimidire, mostrando gli affilati canini che gli fuoriuscivano dalla bocca. Il branco si lanciò in avanti, attaccando come furie, ma il cane li respinse uno dopo l’altro con poderose spinte buttandoli a terra. Ma i lupi non si diedero per vinti, circondandolo nuovamente.
Rin osservava quel combattimento impotente. I movimenti, da entrambe le parti, erano rapidi e feroci. I fili d’erba si muovevano come impazziti aprendosi e piegandosi di lato, sotto il peso dei loro passi. I loro ringhi, gli ululati e guaiti, riecheggiavo spettrali per l’intero bosco.
Un lupo si staccò dal resto del gruppo e si scagliò contro la ragazza. Non appena il cane tentò di respingerlo, altri cinque lupi gli furono addosso, mentre un sesto approfittò della sua distrazione per affondargli i denti nella zampa sinistra posteriore. La mascella di quest’ultimo si muoveva facinorosa, lacerando la carne dell’arto. A quel punto, un altro lupo balzò molto in alto nel tentativo di azzannare la gola dell’animale, ma con uno strattone, il cane bianco riuscì a respingerlo.
All’improvviso, un’accecante bagliore verde avvolse il grande cane bianco. Rin si schermò gli occhi tanto era accecante. Udì soltanto i lamenti strazianti dei lupi e quando si scoprì di nuovo gli occhi, di loro non vi era più traccia. L’unica creatura dinanzi a lei, era l’essere che si aggirava nella foresta. Rimase a fissarlo a lungo, domandandosi perché la creatura che aveva aggredito sua madre quella mattina, era invece corsa in suo aiuto. Per quanto si sforzasse, non riusciva a darsi una risposta valida.
In quel momento il ricordo dei lupi che l’avevano attaccata, aveva abbandonato la sua mente. Quelle bestie non avevano nulla a che fare con quel cane di fronte a lei. Cautamente si avvicinò e quando gli fu sufficientemente vicina, allungò il braccio sano per accarezzarlo. L’animale si abbassò e la lasciò fare. Rin strinse tra le dita il manto bianco e rimase piacevolmente stupita della sua morbidezza.
Quando la ragazza alzò lo sguardo, i loro occhi si incontrarono per la prima volta e, quelli purpurei della creatura si schiarirono un pizzico. Gli sorrise dolcemente, continuando ad accarezzarlo. Nei suoi occhi vi lesse un barlume di umanità al di là del sul aspetto “spaventoso”: nella profondità delle sue pupille lesse dolore e solitudine.
Questo la rattristò.
Rin lo fissava quasi ipnotizzata. In quei pochi secondi, ebbe la strana sensazione di rivedere un giovane ragazzo che aveva avvistato furtivamente nella foresta quando era una ragazzina. Ricordava di essere rimasta tremendamente affascinata dalla sua bellezza. Al solo ricordo, il cuore le tamburellò impazzito nel petto.
- Sei ferito. – sussurrò.
Senza esitare, strappò un lembo della sua veste e fasciò con cura la zampa, incurante del fatto che anche la sua ferita al braccio aveva bisogno della stessa cosa.
- Almeno così smetterà di perdere sangue. –
Il cane fece solo un roco verso gutturale. Stremato, diede un ultima occhiata alla ragazza e poi si dileguò nella foresta.
- Aspetta! – urlò Rin, nel vano tentativo di fermarlo – Non ti ho ancora ringraziato. – mormorò.
Ma quell’ultima frase, si disperse nei meandri della foresta insieme a lui.
 
 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Buonasera a tutti. Chi non muore si rivede ^^’ (corre a nascondersi)
Mi scuso con voi per gli aggiornamenti molto lenti, ma purtroppo non sto attraversando un bel periodo e molto spesso la scrittura, per quanto mi diletta, mi risulta parecchio faticosa. Ma vi assicuro che porterò a termine le mie storie, spero solo che avrete pazienza di aspettarmi.
Ma veniamo al capitolo. Spero che sia stato di vostro gradimento. Sono successe un po’ di cosine. Lo avreste mai immaginato che Kikyo era la mamma di Rin? Mi auguro di avervi stupito almeno un pochino XD. E poi, cosa mai vorrà Tsubaki da lei?
Abbiamo avuto anche il primo incontro tra la nostra “misteriosa” creatura e Rin. Cosa ne pensate? Se vi va, fatemelo sapere. Mi fa sempre piacere leggere le vostre opinioni.
Ringrazio come sempre tutti quelli che mi seguono, in silenzio e non. Vi mando un bacio e a presto.
Tisifone

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