Corsa contro la Fine di Vago (/viewuser.php?uid=905411)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nail di Bluruvia ***
Capitolo 2: *** Squadra 6 ***
Capitolo 3: *** Terrore notturno ***
Capitolo 4: *** Troppe poche risposte ***
Capitolo 5: *** Pioggia e mare ***
Capitolo 6: *** Troppi feriti ***
Capitolo 7: *** Una nuova meta ***
Capitolo 8: *** Incubi reali ***
Capitolo 9: *** Progetti per il futuro ***
Capitolo 10: *** Tutto può peggiorare ***
Capitolo 11: *** Un degno rivale ***
Capitolo 12: *** Quasi fossi in famiglia ***
Capitolo 13: *** Una notte movimentata ***
Capitolo 14: *** Il peggiore degli incubi ***
Capitolo 15: *** Non più un caso ***
Capitolo 16: *** Fuga ***
Capitolo 17: *** Ciclanova ***
Capitolo 18: *** Schieramenti ***
Capitolo 19: *** Nome e Cognome ***
Capitolo 20: *** Ripartenza ***
Capitolo 21: *** 4/7 ***
Capitolo 22: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 23: *** Gelida carezza ***
Capitolo 24: *** Ferro e sangue ***
Capitolo 25: *** Dietro di te ***
Capitolo 26: *** Tempo di spiegazioni ***
Capitolo 27: *** Fosco ***
Capitolo 28: *** Linee sulla mappa ***
Capitolo 29: *** Spento ***
Capitolo 30: *** Monte Camino ***
Capitolo 31: *** Lui ***
Capitolo 32: *** Dimissione ***
Capitolo 33: *** Eredità ***
Capitolo 34: *** Scoperte e scuse ***
Capitolo 35: *** Incetta ***
Capitolo 36: *** Scontro impari ***
Capitolo 37: *** Dove ho sbagliato ***
Capitolo 38: *** Ho fatto un casino ***
Capitolo 1 *** Nail di Bluruvia ***
Un altro sfidante, anzi, lo stesso sfidante delle ultime tre lotte. Non ha ancora capito che non può battermi con quei pokémon, adesso? Può anche aver sconfitto gli altri quattro allenatori, ma io sono l’ultimo muro prima della sfida finale e mi sono meritato questo posto. Mi sono allenato con i miei compagni da quando ero bambino, da quando il professor Birch mi aveva convocato nel suo laboratorio per affidarmi il mio primo pokémon. Non mi ero mai risparmiato, avevo studiato tutte le tattiche, le combinazioni di mosse, gli effetti secondari, le abilità, i tipi con le diverse debolezze… e finalmente avevo raggiunto il mio obiettivo. Adriano era crollato sotto le mie mosse, il suo Milotic si era rivelato inutile. Finalmente anch’io, come mio padre, ero entrato nell’albo dei campioni della lega. Ma la mia avventura non era finita, anzi. Ero intenzionato a migliorarmi, ad imparare dai miei errori e a farmi guidare dai migliori. Per questo ero diventato allenatore in una palestra, così, magari, un giorno ne avrei potuta aprire una mia… magari riconosciuta dalla lega come palestra ufficiale… Ma non è il momento, questo, per sognare. Devo svolgere il mio lavoro. - Sei di nuovo qui per sfidarmi?- chiesi al ragazzino che mi si parò davanti. - Si. Questa è la volta buona! Ti sconfiggerò e potrò lottare contro il capopalestra di questa città!- - Va bene… vediamo cosa t’inventerai questa volta…- Mi alzai dalla sedia pieghevole su cui facevo scorrere le mie giornate e passai le dita sulle due lucide pokèball che pendevano dalla mia cintura. Come al solito… Tolsi la prima sfera dal supporto e la lanciai sul campo. Ne uscì il Meditite che la palestra mi aveva affidato. Un buon esemplare, dopotutto. Difesa elevata, proprio quello di cui avevo bisogno per la mia strategia. - Questa volta non mi sconfiggerai! Un mio amico mi ha mandato un pokémon uccello direttamente da Johto, non avrai possibilità contro di lui! Pidgey, tocca a te!- urlò il ragazzino. Anch’io, una volta, mi entusiasmavo così durante le lotte. - Non ti sei allenato molto, dal nostro ultimo incontro. Come credi di battermi se non migliori con i tuoi compagni?- - Non ho bisogno di allenarli tanto! Pidgey ha imparato a usare raffica, che come saprai è fortissima contro i tuoi tipi lotta!- - Vedremo.- gli risposi con sufficienza. - Voglio solo dirti che è giusto combattere con i propri pokémon preferiti e fare attenzione alle debolezze. Ma questo non basta.- - Non è vero! Adesso guarda! Pidgey, usa raffica!- Il mio Meditite resse benissimo il colpo, nonostante non ne fosse uscito del tutto illeso. Ma era su questo che si basava la mia tecnica. - Meditite, usa Contatore.- Il mio compagno restituì tutto il danno subito con gli interessi al povero avversario, che cadde a terra esausto. Contatore… una delle mosse che possono ribaltare totalmente una lotta… come flagello, insomma. - Come…- balbettò il ragazzino. - Non importa! Marill, scelgo te!- Un altro pokémon mal allenato. Così come il Kakuna, il Geodude, il Mudkip e l’Aron che lo seguirono. Non dovetti nemmeno scomodare il mio secondo pokémon… un Makuhita. - La palestra sta per chiudere. Se ascolti il mio consiglio, ti conviene usare questo tempo per allenare i tuoi compagni, capire i loro veri punti di forza e migliorare il tuo rapporto con loro.- Il ragazzino non mi rispose. Fece solo rientrare il suo ultimo pokémon nella sfera e se ne andò con la testa bassa verso il centro pokémon della città. Chissà se seguirà il mio consiglio… Un’altra giornata è andata. Ad ogni modo. Feci rientrare il Meditite nella sfera e m’incamminai verso il fondo della palestra, da dove si poteva accedere alla stanza riservata agli allenatori. Non era un granché, ma dopotutto doveva solo servire a custodire le sfere personali e quelle comuni della palestra. Lasciai i miei due pokémon “di servizio” all’infermiera di turno dietro il bancone, in modo da rimetterli in sesto per il giorno dopo. Era una nuova, sicuramente appena uscita dall’università. Con l’uniforme bianca troppo larga e i capelli bruni raccolti disordinatamente sotto la cuffia. Mi scappò un sorriso mentre i miei gomiti si andavano ad appoggiare sul piano in marmo del bancone. - Mi può dare il suo nome?- mi chiese rigida, prendendomi di mano le due pokèball. - Nail. N, A, I, L.- scandii. Il mio non era uno dei nomi più comuni di Hoenn, in fondo. - Sei nuova, è la tua prima esperienza da infermiera?- - Beh, in realtà si…- mi rispose riponendo le due sfere che aveva in mano sul transfer. - Si capisce così tanto?- - Giusto un po’.- Che strumento incredibile, il transfer, una macchina in grado di scomporre una pokèball e inviarla tramite l’etere al ricovero pokémon a cui è collegata, in questo caso al ricovero della palestra. Avevo sentito che il primo prototipo fu di un certo Bill di Kanto,
anche se, all'epoca, lui si stava concentrando maggiormente sul sistema dei Box. - Nail, hai detto?- - Si.- La neo-infermiera digitò il mio nome sul tastierino. In un lampo le due sfere che riposavano sulla piastra scomparvero, per lasciare il posto a sei pokèball consumate. La vernice si era opacizzata con il tempo, ma non avevo intenzione di cambiarle. Dopotutto ognuna di quelle sfere raccontava una storia. L’infermiera me le restituì, salutandomi. Ricambiai sorridendo e, infilata ogni sfera nel supporto attaccato alla cintura, feci per uscire dalla porta. Una mano callosa mi fermò. Merda. Adesso non ho voglia di sentire la paternale di Rudi. Ma tanto so già che non avrò nessuna via di fuga. - Nail. Dobbiamo parlare.- - Dimmi Rudi. Cosa c’è?- che domanda imbecille. Indovina, come mai il capopalestra mi ha fermato? Mi voltai con un movimento rigido verso il mio interlocutore. - Quel ragazzino di oggi, non ti sembra di aver esagerato con lui?- - No. Per niente. Non ho infierito, non l’ho deriso. Gli ho dato addirittura dei consigli su come battermi.- - Ricordati che quando tu arrivasti in questa palestra per la prima volta eri esattamente come lui. Ne più ne meno. Ora va, che domani dovrai di nuovo scontrarti con lui. E cerca di riposare questa notte.- Mi girai di spalle e uscii dalla porta sul retro della palestra. Non ero per niente così. Avrò accumulato decine di ore all’interno della Grotta Pietrosa, prima di osare avvicinarmi alle porte della palestra. Però… Ah, l’aria di mare! Penso che essere stato mandato come allenatore per la palestra di Bluruvia sia stato il più grande favore che la commissione della lega potesse farmi. Ero su un’isola! Cosa potevo volere di più? La gente era solare, l’albergo che mi ospitava era addirittura in riva la mare. Certo, ci sono quei fissati del Circolo di Bluruvia, ma basta non avvicinarsi alla loro sede e non sono poi così fastidiosi. Le onde si tinsero di rosso quando il sole cominciò a scendere sul mare, gettando lunghe ombre verso la lontana isola di Orocea. Come d’abitudine feci uscire i miei compagni di avventure dalle rispettive sfere. Il mio impiego alla palestra aveva un unico difetto, non mi lasciava molto tempo per i miei veri pokémon, quelli che ho allenato con fatica e con cui sono ritratto nella foto sul comodino di mia madre, scattata il giorno in cui battei il campione. Blaziken, Mightyena, Swellow, Gardevoir, Absol e, ultimo ma non per importanza, Umbreon. Erano stati miei compagni per tutto il mio viaggio, eravamo una squadra. Io mi fidavo di loro come loro di me. Sapevo che con quella squadra avrei potuto fare qualsiasi cosa. Chissà se questa notte sarei riuscito a dormire in pace. Avevo fatto la cazzata di andare a vedere il film horror dell’anno, l’incubo, e da quella sera non passava notte che l’immagine di Darkrai non mi perseguitasse. Quel film mi aveva decisamente segnato. Forse avrei dovuto prenotare una seduta da un bravo psicologo… Accarezzai la testa di Umbreon, che mi si era seduto in grembo. Mi era stato regalato da mia madre per aver conquistato la mia prima medaglia quando era solo un uovo. Poi, dopo tanto lavoro, proprio per la palestra di Verdeazzupoli, si era evoluto da Eevee. Lui, in coppia prima con Absol, poi con Mightyena, mi aveva assicurato la vittoria. Lo squillo del pokèNav ruppe la calma magica del momento. - Pronto?- dissi alzandomi in piedi e togliendomi la sabbia dai pantaloni. - Nail, sono Rudi. Cambio di programma. Dovrai rimandare il tuo incontro con quel ragazzino. Riunione plenaria tra un’ora a Iridopoli.- Il capopalestra riattaccò bruscamente. Doveva essere qualcosa di serio. Le riunioni plenarie dei capipalestra erano rare, e ancor più rare, quasi uniche, quelle a cui erano convocati anche gli allenatori come me. L’ultima di questo genere era stata indetta quando i leggendari Groudon e Kyogre erano stati risvegliati e la regione rischiava di scomparire. All’epoca erano riusciti a far fronte all’emergenza grazie all’intervento del terzo leggendario, il signore dei cieli Rayquaza. - Swellow, ho bisogno di te. Dobbiamo volare fino a Iridopoli. Tutti gli altri nelle sfere.- Il pokémon volante mi fece accomodare sul dorso e con un possente colpo d’ali si librò in aria. Volare, forse, è una delle cose più belle del mondo. Quando si è in cielo, soli con il proprio pokémon, si può non pensare ai problemi di tutti i giorni. Il mare sotto di noi scorreva veloce. Il mio Swellow non aveva nulla da invidiare in quanto velocità in volo a un Pidgeot. La sede della Lega era in gran fermento. La polizia aveva interdetto il passaggio a tutti gli aspiranti sfidanti, che non ne sembravano entusiasti. Atterrai davanti all’ingresso, mostrando il documento che mi qualificava come allenatore impiegato in una palestra all’omone che bloccava la porta. Non fece parole e mi lasciò entrare spostandosi quel tanto che bastava per farmi passare. Gli inconfondibili schizzi di un pistolacqua mi raggiunsero. Mi dispiacque per quei poveri agenti che si ritrovavano a dover fronteggiare un gruppo di allenatori incazzati appena usciti dalla via vittoria… - Per la riunione?- chiesi all’infermiera di turno. - Da questa parte, prego.- Mi accompagnò fino a una porta dietro il bancone dell’infermeria. Un cartello appeso recitava: “Sala riunioni centrale”. Qualcosa di serio… Doveva essere successo qualcosa di veramente serio… |
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Capitolo 2 *** Squadra 6 ***
Seduti intorno a un lungo tavolo c’erano i superquattro, Alghero, Ester, Frida e Drake, due alla destra e due alla sinistra del Campione Adriano. Poi Rocco, il grande allenatore specializzato sui tipi acciaio. Lo conoscevo per fama, essendo stato il Campione prima di Adriano. Ancora le nove sedie dei capipalestra, cinque delle quali erano già occupate. Mancavano solo Rodolfo, l’anziano capopalestra di Ceneride, Tell e Pat di Verdeazzupoli e Norman, di Petalipoli. Diversamente da cosa avevo immaginato, non c’erano tutti gli allenatori delle otto palestre, ma solo uno per ognuna. Rimasi onorato di essere stato scelto da Rudi, il massimo esperto sui tipi lotta, come rappresentante della sua palestra. Soprattutto perché io mi volevo specializzare nel tipo buio… e lui lo sapeva. Mi misi dietro la poltrona del mio mentore, in piedi. Ancora, oltre i capipalestra, erano sedute quattro persone. La prima, un uomo alto e decisamente muscoloso in alta uniforme. Doveva essere uno impiegato nelle alte sfere delle forze dell’ordine. I capelli ingrigiti gli conferivano un’aria vissuta. Il secondo era decisamente un ranger. Non mi era capitato di vederne molti, ma la divisa rossa era inconfondibile e l’apparecchio che riposava appoggiato sul tavolo, lo styler, mi sembra si chiami, confermava la mia idea. La terza, una donna già di una certa età, era probabilmente una rappresentante dell’organo sanitario, come dimostrava la croce rossa sull’abito candido. Il quarto era della commissione della lega, dell’organo che amministrava la lega pokémon e tutto quello che vi era collegato, come le palestre e gli allenatori che le occupavano. Erano stati loro a mandarmi a lavorare in quella di Bluruvia. Quell’uomo, tra l’altro, da qualche parte l’avevo già visto. Era anziano, sulla sessantina, con l’attaccatura dei capelli bianchi alta e un paio di folti baffi candidi che gli scendevano sul labbro superiore. La presenza di tutte quelle alte cariche della regione mi mise ancor più in allarme. Qualcosa di grosso stava accadendo. - È davvero così critica la situazione?- chiesi con un filo di voce a Rudi, che non mi rispose. Si. Era decisamente critica. La mano mi corse automaticamente alle sfere, in cerca di conforto. Arrivarono anche gli ultimi invitati. La riunione plenaria era iniziata. Come di rito Adriano si alzò, salutando i presenti. Poi il suo volto si fece cupo. - Ora passiamo al motivo di questa convocazione d’urgenza. Il Monte Camino sembra essersi svegliato, rappresentando così un pericolo per le città di Cuordilava ovviamente, Brunifoglia, Ciclamipoli e probabilmente Mentania. Inoltre, come se questo non bastasse, una tempesta sta flagellando Porto Alghepoli e Verdeazzupoli creando dei gravi disordini. Da un’attenta visione delle leggende e degli avvenimenti storici, queste situazioni anomale parrebbero essere causate dal risveglio dei due leggendari Groudon e Kyogre, ma non vi sono notizie certe. Il nostro compito è multiplo: far evacuare le città interessate, dirigendo gli sfollati verso città più sicure e, una volta messa in sicurezza l’area, trasferire il maggior numero possibile di persone nella regione di Johto. Dall’altra parte bisogna creare squadre di esplorazione che raccolgano informazioni sulla causa di questi disordini, siano queste naturali o meno. Tutti voi siete in possesso di un pokèNav, userete questo mezzo per comunicare con il centro di controllo attraverso linee sicure e frequenze garantite. Le forze dell’ordine, i capipalestra e tutti i membri della lega pokémon saranno impegnati nell’evacuazione delle città. È stato deciso che la commissione sarà impegnata nel centro di controllo, con il compito di inviare gli ordini e ricevere gli aggiornamenti. Sono stati convocati anche otto allenatori scelti per formare squadre miste con i ranger. Le coppie saranno le squadre di ricognizione, ma in caso di necessità dovranno essere pronte a venire impiegate per l’obbiettivo principale, ovvero l’evacuazione. Domande?- Nessuno parlò. Ovviamente. Non poteva essere stato più chiaro di così. I Leggendari Groudon e Kyogre stavano di nuovo combattendo. Il loro scontro aveva causato la formazione di Hoenn e avevo paura di quello che sarebbe potuto accadere questa volta. Poi mi resi conto di una cosa. Una cosa enorme. Avrei dovuto collaborare con un ranger. Un dannatissimo ranger in divisa che mena ai quattro venti il suo Styler splendente. Che buffoni. Non avevano nemmeno pokémon propri. Adriano sciolse il congresso con poche altre parole. I presenti si dileguarono silenziosi, con il capo chino, turbati dalle rivelazioni del campione. - Mi raccomando. So che sei un allenatore capace, anche se devi imparare ancora molto. Vedi di collaborare con quel povero ranger che ti sarà appioppato e non farlo impazzire.- Rudi mi guardò un attimo negli occhi pensieroso. - Fai in modo di trovare una causa più terrena a questo cataclisma, perché non vorrei trovarmi in mezzo a uno scontro tra titani.- Il capopalestra mi diede una pacca sulla spalla tanto forte da farmi barcollare. - Ci vedremo presto, Rudi.- - Perché lo dici? Pensi che uno dei due possa non ritornare?- - No. È solo che… niente. Ciao.- Rudi si allontanò sorridendo. Una mano sulla spalla mi fece trasalire. Mi voltai. Era Rocco, la giacca nera, i capelli grigi, nonostante fosse ancora abbastanza giovane… Perché mi ricordavano qualcosa? Poco importava, l’avrò visto in televisione durante un’intervista o qualcosa del genere. Dopotutto è uno degli allenatori più famosi della regione, figlio di un ricco impresario e Arceus sa solo quante altre cose, sarebbe strano se non mi fosse stato familiare. - Sei Nail, vero? Della palestra di Bluruvia.- - Si, sono io.- - Molto bene. Vieni con me, stanno per formare le squadre.- Era particolarmente calmo, il viso era rilassato e il sorriso appena abbozzato sembrava sincero. Come cazzo era possibile che in una situazione critica a dir poco riuscisse a non perdere la calma? Dannazione! Io ero quasi sul punto di vomitare il pranzo di due giorni prima! Comunque mi lasciai dirigere da quell’uomo singolare. In lui c’era qualcosa di dannatamente familiare, ma ero abbastanza sicuro di non averlo mai visto dal vivo, prima. Il capitano dei ranger, se quello era un capitano, stava impartendo gli ultimi ordini agli otto sottoposti che gli stavano davanti, in riga. Per la precisione erano cinque ragazzi e tre ragazze. Per mancanza di tempo le coppie allenatore-ranger vennero formate a caso. Poco male, non avevano neanche pensato di formare coppie solo femminili o maschili, no? Ovviamente, con tre ragazze su otto ranger, a me capitò un simpatico ragazzo dai capelli untuosi incollati alla fronte e la giacca che ancora puzzava di nuovo. Se c’era una categoria che detestavo più dei ranger, erano i ranger novellini che si muovevano tronfi nelle loro divise che non hanno visto nemmeno una settimana. Noi eravamo la squadra 6. Probabilmente Arceus stava ridendo a crepapelle in quel momento, guardandomi. E io dovevo contribuire a salvare la regione? Con quel tipo al mio fianco? Avrei fatto prima ad attraversare l’oceano sul dorso di un Magikarp paralizzato. - Non avendo nessuna informazione sull’origine di questi disordini vi lasceremo completa libertà di movimento. La priorità è comunque la regione di Hoenn, nel caso doveste spingervi in altre regioni vi prego di informarci al centro di controllo.- disse diplomatico l’anziano incaricato della commissione, facendo sobbalzare i suoi baffi candidi ad ogni parola. Ecco dove l’avevo visto, ho avuto il piacere di parlargli una volta soltanto, quando la mia formazione di allenatore professionista venne affidata alla palestra di Rudi. Notai con la coda dell’occhio un gruppo di Machamp trasportare all’interno della lega diverse scatole, probabilmente contenenti le apparecchiature per mantenere in contatto i diversi gruppi. Ognuno aveva il proprio compito. Era ora di partire…
Uno stormo di pokémon volanti si levò dalla piana di fronte alla lega, portando con sè decine di uomini pronti a fronteggiare l'emergenza al meglio delle loro possibilità. Ma noi eravamo ancora a terra. Dovevamo sbrigarci. Non volevo deludere le aspettative del mio mentore. Primo passo: almeno conoscere il mio compagno di disavventura. - Ciao. Sono Nail, della palestra di Bluruvia.- - Si… certo, certo. Hasi. Andiamo? O preferisci offrirmi un tè di Brunifoglia?- Fatto. Secondo: Tirargli un cazzotto su quella fogna che si ritrova al posto della bocca. No, vabbè. Partire. - Partiamo pure. Hai un pokémon volante tuo, oppure mi segui a nuoto?- - Io? Io?! Certo che ho un pokémon volante. Anzi. Un drago! La centrale dei ranger mi ha messo a completa disposizione il Dragonite di servizio. Potresti avere qualche problema a starmi dietro…- Lo sguardo ebete che gli si stampò sulla faccia quando il mio Swellow superò quel suo Dragonite sovrappeso penso rimarrà per sempre tra i miei ricordi migliori. Ad ogni modo, riuscimmo a raggiungere Albanova senza particolari intoppi, se non le forti correnti che, di quando in quando, ci tagliavano la rotta. Non tentai nemmeno di andare a salutare il professore nella sua casa in paese, tanto sapevo che non era nel laboratorio. Come al solito. Il Dragonite atterrò pesantemente, facendo volar via caoticamente uno stormo di Taillow che si era posato su un tetto, mentre una manciata di piume blu scuro caddero leggere come ultima traccia della loro presenza. Hasi scese pomposo da quel povero pokémon affaticato. - Allora. Andiamo? Perché ti sei già fermato?- Mi vennero in mente tanti insulti da poterci riempire un libro, ma mi trattenni. - Mi sono fermato per aspettarti. E poi, dove vuoi andare? Non ti ricordi che non sappiamo da dove cominciare?- - Come non sai dove andare? Io ti ho seguito perché pensavo sapessi cosa fare.- - Infatti, non sono venuto qua per niente. In questa città vive un professore, uno studioso che potrebbe darci qualche dritta sulla nostra meta. Ora fai rientrare quel Dragonite, che dobbiamo camminare per incontrare Birch.- - Questo Dragonite non può rientrare, non ha una pokèball.- - E allora ce lo porteremo dietro. Che vuoi che ti dica. Spero solo che con la sua delicatezza non spaventi i Ralts.- Contro ogni mia aspettativa non discusse. Tanto meglio per me. Accompagnati dai passi pesanti del pokémon drago, ci avviammo lungo il percorso che conduceva a Solarosa e da lì, senza neanche far visita al centro pokémon della città, continuammo verso nord, imboccando il percorso 103, dove Birch amava passare le sue giornate. Nulla sembrava essere stato turbato dagli eventi che sconquassavano la porzione settentrionale della regione, gli abitanti di Solarosa portavano avanti i loro compiti quotidiani con una tranquillità che gli sarebbe stato impossibile mostrare, se fossero stati a conoscenza di cosa stava avvenendo a pochi chilometri da loro. Riconobbi immediatamente, tra gli alberi, il suo camice bianco da scienziato sporco qua e là di terra. - Professore! Professore!- gridai, sventolando la mano per farmi vedere. Lui ci impiegò un attimo per riconoscermi, devo ammetterlo. Ma, in fondo, erano parecchi mesi che non gli facevo visita e chissà quanti starter aveva dato a ragazzini entusiasti come me, quel giorno lontano... - Ma… ma tu sei Nail! Vieni qua! Fatti vedere bene!- Dopo i vari convenevoli e saluti Birch si rese conto del mio compagno, o meglio sfortuna, di viaggio. - Dimmi, ragazzo mio, chi è il tuo amico?- - Vedi,- gli risposi un po’ imbarazzato - Questa purtroppo non è una visita di cortesia. Lui è Hasi, un ranger. Siamo una delle otto squadre formate dalla commissione della lega.- - La commissione della lega? Deve essere una cosa seria… questo non è il posto adatto per parlare. Che ne dite, andiamo al mio laboratorio?-
Seduti intorno a un tavolino rotondo, con una tazza di vero infuso di Brunifoglia fumante sotto il naso, continuammo la nostra discussione. - Quindi c’è di mezzo la commissione… che cosa è successo di così terribile?- riprese il professore, sporgendosi verso di me con sguardo serio. |
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Capitolo 3 *** Terrore notturno ***
- È strano che non ti abbiano informato, ma, in fondo, nemmeno le maggiori reti televisive ne hanno ancora parlato. Ti faccio un veloce sunto. Allora: il Monte Camino è rientrato in attività, qui non ve ne siete accorti poiché da diversi giorni il vento tira verso nord. Questo potrebbe essere considerato anche un fenomeno normale, se non si fosse scatenato in contemporanea con un violento e persistente maremoto nei mari compresi tra il Alghepoli e Verdeazzupoli. Mentre capipalestra e forze dell’ordine sono impegnate nelle evacuazioni dei civili, le otto squadre hanno il compito di trovare e verificare tutte le possibili cause per questi cataclismi.- - Capisco. E siete venuti da me per...- - Per chiedere il tuo parere. Vista la tua esperienza.- - Si. Capisco. Allora… Vabbè, sicuramente conoscerete la leggenda che riguarda Kyogre e Groudon… tutto quel che mi hai detto, sembrerebbe condurre a loro. Oppure potrebbe essere solo un caso, una coincidenza…- - Ma ci sono altre possibilità? Nel senso, cose come leggende, mutamenti climatici degli ultimi giorni… cose del genere.- - Beh, ci potrebbero essere centinaia di spiegazioni. Movimenti tettonici sotto la nostra regione, leggeri squilibri nello spazio nella parte alta di Hoenn… Arceus ha il mal di pancia… non so!- Mi scappò un sorriso a quest’ultima affermazione. - Comunque, secondo me, dato quello che mi hai detto, andrei a cercare la causa di tutto questo nell’operato dei pokémon leggendari. In particolare, oltre a quelli legati alle terre e agli oceani, andrei a studiare Dialga e Palkia, forse il trio dei cani leggendari, vista la presenza di Entei e Suicune. Lugia e Oh-ho sono da escludere, visto che i loro poteri sono volti alla conservazione dell’equilibrio, per questo Johto tende spesso ad essere una regione tranquilla. E poi, beh, il mitico Mewtwo, da quello che si racconta i suoi poteri psichici sarebbero in grado di causare tutto questo, il problema è che nessuno sa dove possa nascondersi.- - Si, certo. Perché degli altri si conosce la posizione… Sono leggendari, se si sapesse dove si trovano, non meriterebbero questo titolo, no?- - Beh, non è proprio esatto. Si sa per certo che il trio di cani leggendari si riunisce la prima notte di tutti i mesi nella Torre Bruciata, a Johto. E poi il centro meteorologico di Hoenn, in alcuni studi, ha scoperto alcune anomalie nel comportamento dei vulcani e delle correnti marine. È probabile che nell’epicentro delle linee anomale si nascondano Groudon e Kyogre. Infine il monte Corona, a Sinnoh, ospita i guardiani del tempo e dello spazio sulla sua vetta.- - Perché non lo sapevo?- - Perché è stato deciso così. I cani scappano, ma gli altri attaccano senza molti convenevoli. Molti hanno perso la vita cercando questi pokémon. È stato deciso che è più sicuro mantenere la loro posizione segreta per tutti gli allenatori.- - Capisco… comunque, vista la situazione credo sarà il caso di andarli a trovare. Dati gli eventi, penso che Sinnoh la lascerò per ultima. Lei cosa ne pensa?- - Penso che potresti aver ragione. Ma penso anche che adesso sarebbe il caso che tu e il tuo compagno riposiate. Non si può salvare il mondo in un giorno solo, no? E poi il sole sta tramontando, non è conveniente viaggiare di notte. Restate da me, per questa notte, avremo modo di discutere meglio domattina.- - Accetto volentieri.- Hasi tentò di controbattere, ma lo zittii con uno sguardo. Finché potevo, non volevo passare la notte all’aperto o su di un divanetto di un centro pokémon. Il professore mi mise a disposizione una stanzetta nel secondo piano del laboratorio. C’erano il letto, un gabinetto, uno specchio e il lavandino. Molto più di quanto sperassi. Mi stesi con gli occhi aperti. Avevo paura di addormentarmi. Volevo specializzarmi nei pokémon di tipo buio e avevo paura perfino di dormire. Mi vergognavo di me stesso. Ma la stanchezza ebbe il sopravvento. Crollai, come un bambino. Vidi mia madre e mio padre. Prima dell’incidente. Prima che sparisse. Sorridevano. Mi avvicinai a loro per abbracciarli ma mi sentivo pesante, rallentato, come se fossi stato immerso in un muk. Le braccia e le gambe sembravano essere diventate di pietra, mentre i miei genitori sfumavano via… poi mi accorsi di essere in una stanza, o almeno credo, nera. Completamente, totalmente nera. Mi comparve davanti una figura, via via sempre più nitida. Io l’avevo già vista… quello era senza dubbio Darkrai, il signore degli incubi. Mi guardava, sono certo mi stesse scrutando con quei suoi occhi luminosi incoronati dalla chioma bianca. Una voce terribile invase la stanza. - Dove sei? Dove sei?- continuava a ripetere quelle due parole. - Dove sei?- il pokémon nero piegò la testa di lato e allungò un braccio verso il mio viso. Mi sveglia urlando. Avevo il corpo madido di sudore, la maglia che mi copriva il torso zuppa al punto che dovetti togliermela. Accesi la luce e mi andai a sciacquare il volto. La prima cosa che vidi allo specchio furono le occhiaie nere che mi contornavano gli occhi. Non dovevo più andare a vedere certi film se mi facevano quell’effetto. Non riuscii a chiudere occhio per il resto della notte. Quando Birch venne a bussare alla mia porta mi sentii sollevato. |
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Capitolo 4 *** Troppe poche risposte ***
Il pokèNav squillò mentre stavamo facendo colazione. Alzai il volume in modo che tutti sentissero. - Giorno uno. I soccorsi sono efficaci. La popolazione è immediatamente spostata a Johto. Sembrano non esserci complicazioni.- gracchio lo strumento. - Squadre, rapporto sulla giornata di ieri. 1?- Rispose una voce lontana. - Ci siamo diretti a Verdeazzupoli. Stiamo studiando la tempesta in cerca di un epicentro. Per ora nessuna novità.- - 2?- - Siamo a Cuordilava. Abbiamo riscontrato un’iperattività dei geyser. Per il momento è tutto.- - 3?- - Siamo in collaborazione con le squadre 8 e 4. Noi ci stiamo dirigendo a Kanto, il nostro obbiettivo è quello di verificare l’assenza di strani fenomeni nelle altre regioni.- disse una voce femminile. - 4?- - Direzione Johto. Non ho altro da aggiungere.- - 5?- - …- - 5?- - …- ancora nessuna risposta. Si sentì una voce bassa. - Signore, abbiamo perso il segnale della squadra 5. Il pokèNav sembra non ricevere né inviare. Potrebbero essere semplicemente in una grotta.- - MI dicono che la squadra 5 non è al momento raggiungibile.- ricominciò lo speaker dal quartier generale. - 6?- Hasi era troppo impegnato a strafogarsi di biscotti per poter rispondere. - Siamo ad Albanova. Abbiamo chiesto a un esperto le possibili cause di questi disagi. Ora ci apprestiamo a studiare la nostra prossima meta.- - 7?- - Siamo al centro meteorologico, qui sostengono di aver individuato la posizione di Groudon. Stiamo andando a verificare.- - State attenti e se avete bisogno richiedete supporto. 8?- - In viaggio verso Sinnoh, signore.- quello era sicuramente un ranger. La chiamata fu chiusa. Bene. Sette squadre sparse che non sanno cosa fare e una scomparsa. Un buon risultato per il primo giorno. No? - Quanti giorni di viaggio ci sono per raggiungere Johto?- chiesi una volta salutato il professore. - Mah,- mi rispose lo studioso dal camice sporco. - in volo suppongo due giorni. Però è un massacro per il pokémon. Non ci sono isole su cui fermarsi a riposare, a meno di allungare il percorso…- - E adesso siamo a metà del mese. Dopotutto. I cani leggendari dovranno aspettare… squadre intorno al vulcano e alla tempesta ce ne sono, quindi…- continuai il discorso di Birch, facendo perdere il mio sguardo sulle pokèball al mio fianco. Il mio ragionamento fu interrotto dallo squillo del pokèNav. - Il livello della lava all’interno del cratere si sta alzando pericolosamente. Le squadre 2, 6 e 7 si rechino immediatamente a Cuordilava. Troverete qualcuno che vi dirà cosa fare.- - Squadra 2, ricevuto. Siamo già sul posto.- - Squadra 6, ricevuto.- risposi. - …- L’ultima squadra non diede risposta. Salutammo ancora una volta Birch, ringraziandolo per il suo aiuto, e uscimmo dal laboratorio. Presi la pokèball di Gardevoir e la feci uscire. - Ascolta: tieni la tua sfera e Teletrasportati a Mentania, da mamma. Finché questa situazione non sarà migliorata, sarà lei la tua allenatrice. Portala via dalla regione. Mi fido di te.- Gli occhi intelligenti del mio compagno dalle fattezze quasi femminili si puntarono sui miei, forse riuscii a distinguere un guizzo di paura o incertezza in quelle pupille che, ancora, dopo anni, non riuscivo a decifrare completamente. Avvertii una leggera pressione sulla mia coscienza, una carezza da parte dei poteri psichici di Gardevoir, poi, in un attimo, il mio pokémon scomparve. Mi sentii sollevato, sapendo che non avrei perso un altro parente. Volammo senza sosta fino a Cuordilava, il mio Swellow davanti, seguito dall’arrancante Dragonite di Hasi. In città regnava il caos. Pokémon e persone correvano disperatamente sotto un cielo sempre più nero. Della squadra 7 non c’era traccia, ma non ebbi il tempo di preoccuparmene. Passai la giornata a cercare di convincere vecchi testardi a lasciare le loro case, ma, soprattutto, quella dannatissima vasca termale che oramai bolliva, tanto i gas del vulcano la scaldavano. Come se la cenere che aveva ricominciato a cadere come neve non fosse bastata a buttarmi a terra il morale, il pokèNav squillò, con le ultime notizie. - Situazione della giornata. Squadra 1?- - …- L’apparecchio non diede risposta. - 2?- - Siamo a Cuordilava con la squadra 6. L’evacuazione sta procedendo bene. In città non rimangono che poche persone. Contiamo che nei prossimi due giorni la città sarà deserta. Non abbiamo notizie della squadra 7. - rispose un ranger seduto al mio fianco. - 3?- - Ancora in volo verso Kanto. Non posso dire di più.- - 4?- - In viaggio verso Johto. Contiamo di arrivare entro domani mattina.- - 5?- - …- Di nuovo la squadra non rispose. - 6?- - Siamo a Cuordilava. Non ho molto da aggiungere a quel che è già stato detto.- rispose Nail. - 7?- - …- Nessuna risposta. Di nuovo. - 8?- Dopo una serie di scariche elettriche si riuscì a distinguere una voce. - Signore , Sinnoh è nel caos! Il monte Corona è crollato come un castello di carte e i tre laghi si sono prosciugati!- - Ci sono feriti?- - Si. Molti. Come sono molti i morti. Nevepoli è irraggiungibile a piedi e la regione è divisa a metà dalle macerie!- Fantastico… questa situazione è veramente pietosa. - Restate sul posto e raccogliete indizi.- - Si, signore.- - Le squadre dislocate a Cuordilava possono continuare la missione originale. Tutti quelli ancora nella regione hanno l’obbligo di cercare tracce delle squadre scomparse.- La comunicazione venne interrotta. Appoggiai violentemente il palmo della mia mano sul tavolo del centro pokémon che ci stava ospitando. Maledizione! Non ci vuole un genio per capire che le squadre scomparse non sono andate a farsi una vacanza. I pokèNav hanno un segnale talmente potente da avere campo addirittura sotto terra. Cosa diavolo faccio adesso? - Hasi! Hasi! Vieni un attimo qua!- Quel pigro si era già sdraiato su uno dei divanetti che la struttura ci aveva messo a disposizione per la notte. - Oh? Che vuoi ora?- - Hai sentito almeno una parola di quello che ha detto?- - Si, certo… squadre scomparse, no?- - Dannazione! Non stiamo giocando! Ora ascoltami. Domattina partiremo presto, capito?- - Ah ah… capito.- - Allora. La squadra 1, all’ultima comunicazione aveva detto di essere a Verdeazzupoli. Poi è scomparsa. Ci dirigeremo lì per cercarli.- - Si… va bene. Fai cosa vuoi…- Il ranger si girò sul lato, addormentandosi quasi istantaneamente. Che persona inutile. Come poteva la regione del Fiore affidarsi a un inetto del genere? Chiusi gli occhi sulla poltrona, cercando di regolarizzare il mio battito cardiaco. La concitazione della giornata mi aveva stremato. Non ebbi nemmeno quell’attimo di felicità che poteva dare un bel sogno. Il fatto che fossi cosciente di essere all’interno di un sogno non mi fece comunque sentire meglio. Ero in una stanza di un albergo di Verdeazzupoli, ne ero sicuro. Ci avevo passato la notte prima di intraprendere il viaggio verso Ceneride. Non dimenticherò mai l’odore di muffa e mare che impregnava le pareti coperte da una carta da parati scadente. Per non parlare del continuo vociferio che si levava dalla stanza accanto. Maledetto gruppo della Game Freak, non potevate fare un viaggio di lavoro altrove? Ero incatenato a una sedia, talmente spaventato da non poter nemmeno girare gli occhi. Avevo sentito parlare di gente a Sinnoh che rimaneva imprigionata negli incubi, che potesse succedere anche a me? Davanti, mi comparve la figura nera che infestava le mie notti. Darkrai. |
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Capitolo 5 *** Pioggia e mare ***
Tentai inutilmente di muovermi, ma le catene che mi avvolgevano mi impedivano qualsiasi azione. - Dove sei?- Mi chiese. Restai cocciutamente muto. Non m’importava se quello fosse un incubo o qualcosa di più. Non mi interessava nemmeno perché volesse saperlo. Non gli avrei detto niente in nessun caso. - Dove vai?- - Non te lo dirò mai!- - Esci con me.- La stanza intorno a me sembrò dissolversi, per lasciare spazio alla fresca brezza e al rumore delle onde. Eravamo sull’uscio dell’hotel. Verdeazzupoli non era cambiata di una virgola da quando l’avevo visitata l’ultima volta… peccato non fosse rimasta immutata anche nella realtà. Appeso alla facciata dell’edificio un cartellone enorme, con tanto di luci colorate, recitava: Hotel Belvedere. La vista migliore su Verdeazzupoli. Bene. Ora sapeva dove sarei andato… E allora? Che cosa poteva farmi? - Verdeazzupoli…- disse il pokémon. Aspetta un attimo. Si, va bene, è un incubo. Questo oramai lo so. Ma i pokémon nei sogni possono parlare? Magari Darkrai si, dopotutto vive dei pensieri degli umani… Una luce si accese nel cielo, tanto luminosa da oscurare il sole. Darkrai si dileguò velocemente, mentre un pokémon leggiadro dalla coda arcobaleno scendeva in mio soccorso. Cresselia… Forse, e dico forse, il colpevole di causarmi gli incubi non è stato il film… Mi svegliai placidamente, nonostante l’incubo che mi aveva attanagliato fino a poco prima. Presi un respiro profondo e guardai l’ora sul pokèNav. Le sei e mezzo. Ottimo. Volevo partire alle sette. Dovevo solo svegliare quel pigro di Hasi e trascinarlo fino all’isola.
Dopo aver attraversato la tempesta che infuriava sulle acque dell’oceano riuscimmo ad atterrare fradici davanti al centro pokémon di Verdeazzupoli. Di fianco a noi il centro spaziale svettava maestoso. Negli ultimi anni la città si era espansa, diventando una piccola metropoli, rumorosa a tal punto da aver costretto i capipalestra gemelli Tell e Pat a spostare la loro palestra su un isolotto vicino, per non far sconcentrare gli allenatori. - E ora? Che vuoi fare?- Vedo che non hai neanche una briciola di spirito d’iniziativa, vero Hasi? Lasciamo stare… Devo fare due cose, ora come ora. La prima è ritirare un pokémon per sostituire Gardevoir, visti gli ultimi eventi è meglio avere una squadra al completo. La seconda è cercare informazioni sulla squadra 1… qualcuno li avrà pure visti, no? - Allora? Sai almeno perché siamo venuti qui?- mi chiese con quella sua voce fastidiosa il ranger unticcio. - Si. Lo so perché siamo qui. Ora tu devi solo stare zitto e seguirmi. Intesi?- - Ehi, stai tranquillo… che ti ho fatto?- Stai calmo… evita di picchiarlo. Entrai rapidamente nel centro Pokémon cittadino e ritirai una riserva. Sharpedo, per la precisione, un acqua-buio. Siamo su un’isola e probabilmente dovremo andare a largo, tanto vale avere un pokémon veloce in acqua e resistente. Fatto questo, mi concentrai sulla missione vera e propria. Sembrava che nessuno avesse fatto caso al passaggio di uno degli allenatori che si è meritato il titolo di Campione e di un ranger. Poi un miracolo. Un ingegnere aereospaziale mi disse di averli visti. E non solo. Gli avevano chiesto informazioni. Gli avevano chiesto da che parte, il primo giorno, era arrivata la tempesta. Lui li aveva diretti verso sud. - In teoria,- continuò l’uomo - c’è una fossa marina poco prima di Ceneride. È lì che gli allenatori di Relicanth si trovano per le loro battute di pesca. Si dice anche che ci sia una grotta, la sotto, ma io non sono mai riuscito a trovarla. Questo è tutto quello che ho detto ai vostri colleghi.- - Grazie per l’aiuto. Se vuole un mio consiglio, però, ora lascerei la città. Potrebbe essere pericoloso restare.- Lasciammo andare l’uomo, poi un’idea mi colpì. - Hasi, tu non hai un respiratore subacqueo, vero?- - Certo che ce l’ho. Mi hanno attrezzato con tutto quello di cui ho bisogno, cosa credi?- Spero per te che l’abbiano anche fatto controllare. Mi precipitai quindi sulla spiaggia, quasi completamente sommersa dai cavalloni che arrivavano regolari. Accesi il pokèNav e feci partire una chiamata per il centro di controllo. - Che fai?- mi chiese il ranger con sguardo ebete. - Zitto! Voglio evitare di rimanere bloccato sott’acqua!- Una voce al quarto squillo finalmente mi rispose. - Centro di controllo emergenze. Chi parla?- Tentai di non far trasparire dalla mia voce tutto l'odio che il ranger al mio fianco mi faceva provare per l'umanità intera. - Qui squadra 6. Ho chiamato per avvertirvi che siamo sulle tracce della squadra 1. Ora ci appresteremo a scendere nella fossa oceanica tra l’isola di Iridopoli e quella di Ceneride. Abbiamo sentito parlare di una grotta e riteniamo sia il caso di andare a controllare. Se nella verifica di domattina non risponderemo, chiedo di mandare rinforzi.- - Ho preso nota. Buona fortuna.-
Feci uscire Sharpedo dalla sua sfera e gli salii sul dorso, tenendomi ben salto alla pinna dorsale per non essere sbalzato in acqua quando lui partì al massimo della velocità verso il mare aperto. Hasi ci seguiva a stento sul dorso del suo Dragonite. E infine eccola, davanti a noi una striscia di mare più scuro, la fossa oceanica del percorso 127. - Dobbiamo immergerci! - urlai in direzione del mio compagno. - Scusa, eh, ma io non ho un pokémon d’acqua, come faccio a starti dietro.- - Ma tu lo sai qual è la linea evolutiva del tuo Dragonite? Si o no?- - Beh, no… ma questo cosa c’entra?- - Allora. Prima c’è Dratini, poi Dragonair e infine Dragonite. Guarda caso i primi due vivono nell’acqua, quindi quel tuo lucertolone arancione sa nuotare.- Ok, non avevo pensato a questo inconveniente. Sì che la linea evolutiva di Dragonite è quella, ma questo non fa di lui un pokèmon acquatico, il tempo che può rimanere sott'acqua è troppo limitato. Merda. Poi un'idea mi fulminò. Sono un coglione. Sono stato quasi più cretino di Hasi in tutta la sua inutile vita. - Ma, scusa. - Le mani mi tremavano di rabbia. Avrei voluto strangolare quel coso - Sei un fottuto ranger. Per cosa ti porti dietro quella macchinetta, se poi non la usi. Non serve a utilizzare i pokèmon che incontri? - - Beh, in realtà... - Il ranger si rigirò un aio di volte lo Styler tra le mani grassocce. - In realtà cosa? Dovrebbe essere il tuo lavoro usare quel coso! Sei pagato per risolvere i casini della tua regione con quello! - - Si, però io... non è che sia molto bravo ad utilizzarlo... cioè, io... - Il Dragonite si abbassò al punto che gli artigli che gli ornavano le zampe posteriori toccarono l'acqua su cui il mio Sharpedo galleggiava, portandomi il ragazzo che teneva sul dorso a portata di mano. Mossi il braccio prima ancora di rendermene conto. Avrei voluto tirargli un ceffone, ma mi trattenni, andando a strappargli solo lo strumento dalle mani. Non era un giocattolo troppo difficile da capire, almeno per le funzioni basilari. Due tasti e un grilletto, niente di che. Giocai con i due bottoni finchè il display non mi mostrò le informazioni di sistema.
- Proprietario: Hasi Gaffurd - Modello: St3Mk12 - Livello Styler: 4 - Batteria: 76% - Ore di utilizzo...
Aspetta. Che cazzo ho appena letto? - Che cosa vuol dire "Livello Styler: 4"? - Il mio sguardo gelido si fulminò il ranger davanti a me. - Ecco... Io ho sempre lavorato in squadra e... ho sempre lasciato caturrare agli altri i pokèmon che ci servivano... - - Vuoi dirmi che non sai usarlo? - - No, lo so usare. Solo che non ci riesco bene. - - Basta. Chiudiamo il discorso. Voglio sapere ancora solo una cosa. Ci sono solo otto ranger in tutta la regione del Fiore? Perchè, se così non fosse, non riesco a capire chi possa essere così coglione da scegliere te per un compito così importante come questo! - Stavo decisamente perdendo le staffe. Dovevo calmarmi. Respira Nail. - No, siamo parecchi, però Jack aveva preso ferie, Mary è al sesto mese di gravidanza, Call mi ha detto che sua madre è stata ricoverata, quindi, alla fine, ero rimasto solo io... - - Ah… ottimo! Ora riprenditi questo schifo di coso e vedi di prendere uno dei Wailmer che girano qua sotto. Se non ci riesci ti dovrò lasciare qui, non posso farti da balia per sempre.- Il condizioni normali mi sarei divertito un mondo, guardando quel ranger grassoccio tentare invano di catturare un lento Wailmer agitando quel suo affare, ma, in quel momento, non sembravo esserne in grado. Finalmente, l'anello luminoso tracciato dall'apparecchio riuscì a chiudersi intorno al pokèmon azzurro preso di mira, che, dopo un momento di smarrimento, risalì a galla. - Ce l'ho fatta! - Esultò il ranger. Non lo degnai di uno sguardo. Mi misi il respiratore e, senza più dire nulla, feci immergere il mio pokémon.
Lo ammetto, non è stata un’impresa facile, ma alla fine siamo riusciti a trovare quella maledetta grotta e, facendoci seguire dal Dragonite per un breve tratto sotto la superficie, riemergemmo all’asciutto. Sopra le nostre teste un piccolo gruppo di Golbat volò spaventato, uscendo dalla caverna attraverso una piccola apertura sul soffitto. Ottimo, non ci saremmo dovuti reimmergere per uscire. Non riuscimmo ad allontanarci più di qualche metro dallo specchio d’acqua da cui eravamo emersi, perché il buio più assoluto ci avvolse. Feci uscire dalle rispettive sfere Blaziken e Absol. Il primo lasciò scaturire dai polsi le sue fiamme, rischiarando così l’ambiente, il secondo ci precedette. Secondo una leggenda abbastaza diffusa, gli Absol sono in grado di avvertire l’avvicinarsi di un pericolo, e il mio ne ha già dato prova più di una volta. A tentoni riuscimmo ad arrivare in fondo alla caverna e quel che vidi illuminato dalle fiamme che ci mostra hanno il percorso fu indescrivibile. |
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Capitolo 6 *** Troppi feriti ***
Un pokémon enorme dalle squame blu zaffiro solcate da striscie più scure riposava quietamente in un enorme lago circolare. Mi avvicinai piano, per paura di scatenare la sua ira. - Cos’è quello?- mi chiese Hasi a debita distanza. - Lui è Kyogre, ne sono certo. Ho visto delle sue rappresentazioni su decine di libri, quando ero a scuola. E noi siamo nei guai fino al collo.- - Perché?- - Come perché? Guardalo, lui è in letargo, non può essere il responsabile dei cataclismi. Sicureamente non della tempesta!- - Ed ora cosa facciamo?- Hasi si permise qualche passo verso il leggendario. - Qui non c’è traccia della squadra 1.- Mi voltai verso il ranger alle mie spalle, dando le spalle all'enorme pokèmon che placido dormiva in quella pozza. Avrei dovuto farci una foto, un video o che so io. Dannazione! Avevo un leggendario davanti agli occhi e non riuscivo ad esserne meravigliato. - Non so dove possa essere finita. Per ora usciamo, dobbiamo fare rapporto.- Probabilmente i miei occhi si erano abituati alla luce soffusa che filtrava dal soffitto bucato della caverna, oppure fu una sagoma che scorsi con la coda dell'occhio, fatto stava che riuscii a intravedere uno stivale che sporgeva da dietro un masso. Mi ci avvicinai con cautela. Lo spettacolo mi fece rabbrividire. Un ranger e un allenatore erano stati trascinati dietro quella pietra imponente, come dimostravano le strisce scure di sangue secco che sporcavano il pavimento. I vestiti di entrambi erano stati tagliuzzati da piccole lame aguzze e l'allenatore aveva una brutta ustione che dal collo scendeva fino al gomito destro. Tutto intorno, sulla roccia, erano rotolate sei pokèball, alcune in parte coperte dal corpo di un Dragonite esausto al punto da essere a malapena in grado di respirare. - Merda…- Provai il battito a tutti e due e fui sollevato di sentire la lieve pulsazione. Con uno dei miei revitalizzanti feci riprendere il Dragonite che, obbedendo incredibilmente solo alle istruzioni di Hasi, si fece caricare sulla groppa uno dei due ragazzi privi di sensi, per portarli al centro pokémon più vicino dove, speravo, li avrebbero curati. Caricammo l’altro sul dorso del drago del mio compagno. Avrei portato Hasi sul mio Swellow, al ritorno. Il carico aumentato lo avrebbe sicuramente rallentato, ma ero sicuro che sarebbe riuscito comunque a portarci fuori da quel posto. Il secondo Dragonite varcò il buco sul soffitto sotto il mio sguardo attento, quando il ringhio di Absol attirò la mia attenzione su di lui. - Hasi, stai giù!- Ebbi appena il tempo di urlare il mio avvertimento che il ranger fu colpito in mezzo alle scapole da una Pallaombra. Hasi cadde a terra pesantemente. Feci velocemente uscire dalle sfere anche Umbreon e Mightyena. Swellow era la mia unica via di uscita, mentre Sharpedo non dava il meglio di sé al di fuori del suo elemento. Fu una battaglia da dimenticare. Mightyena fu il primo a cadere sconfitto, dopo aver ricevuto un lanciafiamme sul fianco sinistro. Absol, nonostante percepisse gli attacchi, non riuscì ad evitare la frana che si riversò su di lui dal soffitto. Mi stavo scontrando con un allenatore, per di più veramente bravo… ma dove si nascondeva? Un Fulmine fu seguito da quello che pareva essere un Geloraggio. Mi rannicchiai dietro un masso, cercando di trovare un modo che mi avrebbe permesso di uscirne vivo. Feci rientrare tutti i miei pokèmon, per evitare di ferirli ulteriormente, sostituendoli con il mio Blaziken. - Incendio! - urlai. Sapevo che era una tattica rischiosa, ma, nel peggiore dei casi, avrei comunque visto il volto del mio aggressore. La mia mano corse alla sfera di Swellow, fossi riscito a sconfiggere o anche solamente stordire l'altro allenatore, dovevo essere pronto a scappare con la coda tra le gambe. La temperatura nella stanza aumentò vertiginosamente quando Blaziken lasciò divampare le sue fiamme con forza distruttiva. Il suo becco e il suo piumaggio parvero splendere alla luce del fuoco dei suoi polsi. Nella stanza illuminata a giorno feci appena in tempo a vedere un’ombra scivolare dietro un masso dalla parte opposta della grotta. Se tutto quel casino che stavamo facendo fosse riuscito a svegliare Kyogre dal suo letargo sarebbero stati cazzi amari per tutti. Cercai di non pensarci troppo, concentrandomi sul presente. In quel momento non avevo né la squadra, né tantomeno il coraggio, di andare a controllare cosa esattamente quell’ombra fosse. Feci rientrare rapidamente Blaziken, stremato dalla mossa appena utilizzata, nella sua sfera. Swellow, intanto, appena era uscito dalla sua sfera aveva intrappolato Hasi tra i suoi artigli e mi planò vicino per lasciarmi salire. Nonostante la Pallaombra che ci colpì, il mio compagno riuscì a portarci fuori da quella maledetta caverna. Sentii un dolore lancinante alla gamba sinistra, là dove la mossa aveva impattato, ma cercai di togliermi dalla mente l’idea di guardare cosa mi fosse fatto. Quanto vorrei non esserci mai entrato lì dentro, cazzo! Ok… calmati! Non farti prendere dal panico. Sei ancora vivo, no? Allora… ragiona. Per prima cosa devi raggiungere Ceneride. È lì che i Dragonite hanno portato la squadra 1. Inoltre, ora come ora, con la squadra per lo più esausta anche un pokémon selvatico di media forza potrebbe rappresentare un pericolo. Lo ammetto, non mi sarei mai aspettato la cittadella così deprimente. L’incessante temporale aveva fatto innalzare il livello delle acque all’interno del candido cratere vulcanico a tal punto da sommergere non solo la palestra, ma anche il centro pokémon e il market, costringendo così le poche persone rimaste a spostare i macchinari sanitari principali sull’ultimo terrazzamento. Swellow atterrò bruscamente e si accasciò per terra, ansimante, con le ali aperte appoggiate al suolo. Quel colpo, nonostante non fosse stato grave, gli aveva procurato ingenti danni. Mi lasciai cadere di lato dal dorso piumato del mio compagno, tornando a sentire la mia gamba mandare ritmici segnali di dolore. Un’infermiera si staccò dal gruppo che, poco lontano, fissava una cellula asettica con aria preoccupata. Le sorrisi con il volto tirato appena la riconobbi. Era la stessa infermiera che avevo incontrato pochi giorni prima al banco della palestra di Bluruvia. Cercai di mettermi seduto. - Non pensavo di rincontrarti… di sicuro non qui.- le dissi. - Con l’arrivo di due feriti trasportati dai Dragonite dei ranger hanno richiamato una squadra medica in città per assisterli… Perfino Rocco Petri è venuto a verificare di persona le loro condizioni. Tu sei qui solo di passaggio? Il tuo pokémon non sembra in buona salute.- - Sono io che ho mandato qui quei due draghi.- le risposi, facendo una smorfia quando, distrattamente, spostai il peso sulla gamba ferita. Poi spostai un'ala di Swellow che copriva il corpo di Hasi - Anche lui non se la passa bene. È stato colpito alla schiena da una Pallaombra.- Ero calmo. Troppo calmo. Perchè? Era quella ragazza a darmi sicurezza? Oppure il fatto di essere scappato da una morte sicura mi aveva dato alla testa? - Oh mio Dio! Presto! Una barella!- urlò la ragazza, troppo vicina alle mie orecchie. - E tu? Scusa! Non pensavo che arrivassi da un posto così pericoloso! Hai bisogno di qualcosa? La tua… la tua gamba! Cosa ti è successo?- - No… i miei pokémon sono esausti, ma possono aspettare. Ed io… - guardai verso il basso, verso il mio arto dolente. Un profondo taglio si apriva nel polpaccio, sporco di sangue vermiglio. Strinsi i denti per evitare di imprecare ulteriormente. – Non è niente di grave. Prima pensate a quei poveracci…- - No, tranquillo. Le sfere dell’altro allenatore hanno già finito il trattamento. Se mi lasci le tue, posso riportartele tra cinque minuti.- - Va bene… allora grazie.- - Di niente! In fondo è il io lavoro! Per la tua gamba… cerco dei punti e una benda. - mi rispose lei con un sorriso smagliante, ma gli occhi mi sembrarono preoccupati come non mai. Che strano, dopotutto il mondo non stava mica per finire, no? Comunque, almeno lei riusciva ancora di sorridere, in quella situazione disperata… Un’infermiera più anziana mi raggiunse. - È lei quello che ha portato qui i due feriti, vero?- mi chiese acida, come se fosse colpa mia quel sovraccarico di lavoro. - Si sono io. E i feriti ora sono tre. Anche il mio compagno di squadra ha riportato dei danni seri.- le risposi a tono, distendendo la gamba e spargendo per terra il sangue che colava dal mio pantalone. - Il signor Petri mi ha detto di chiamarla. È dall’ingresso della Grotta dei Tempi. Scenda queste scale, supera quel ponte e…- - So dov’è la Grotta. Adriano mi ha già permesso di entrare, una volta. Grazie.- la interruppi. Non è colpa mia se invece di mandarla in pensione l'avevano spedita in un enorme bacinella, quindi non capisco perché mi sarei dovuto sorbire qual suo tono. Senza contare che sono io quello che ha rischiato di rimanerci secco in una grotta praticamente sconosciuta e inaccessibile, no? Mi alzai barcollante, cercando di appoggiare il meno possibile il mio peso corporeo sulla gamba ferita che pareva non aver intenzione di smettere di sanguinare, dirigendomi quindi verso la scalinata che mi avrebbe condotto dai terrazzi più bassi.
Rocco era seduto sotto la tettoia all’ingresso della Grotta, intento a fissare la superficie dell’acqua turbata dall’incessante cadere della pioggia. - Nail, vero?- Incredibile, si ricorda come mi chiamo. - Si, sono io. Mi voleva vedere?- Che domande idiote che faccio a volte. No, ha mandato un’infermiera incartapecorita a cercarmi ma non mi vuole vedere. - Si. Vieni pure qui sotto. Sei inzuppato, non vorrei mai che dopo quello che hai passato ti facessi abbattere da qualche malanno…- l’allenatore dai capelli grigi abbozzò un sorriso. - Immagino che voglia sapere cosa è successo laggiù…- - Anche. Prima, però, vorrei sapere dov’era Laggiù.- |
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Capitolo 7 *** Una nuova meta ***
Gli raccontai tutto. Dell’ingegnere che ci aveva indicato la meta, del viaggio, della grotta, di chi c’era nella grotta addormentato e di come avessimo trovato la squadra 1 priva di sensi, dell’attacco e della nostra, o meglio, della mia, fuga. Per tutto il tempo l’allenatore dai capelli argentei se ne stette in silenzio ad ascoltarmi. - Allora?- dissi per rompere il silenzio che era calato. Detesto i silenzi imbarazzanti. - Allora,- rispose - abbiamo un grosso problema. In primo luogo mi hai detto che il leggendario Kyogre è ancora assopito nel suo sonno, quindi non può essere lui la causa dei disagi legati alla pioggia e alle mareggiate. A questo punto mi trovo a dubitare anche del possibile coinvolgimento di Groudon negli ultimi eventi…- - A questo avevo pensato anch’io.- ammisi sedendomi sull’erba bagnata intrisa di fango, maledicendo la ferita che mi fece storcere il volto in una smorfia. - E poi c’è la questione dell’allenatore che vi ha attaccato… cosa mi sai dire di lui, esattamente?- - Ha sicuramente una grande esperienza alle spalle. Lo ammetto, non avevo con me una squadra equilibrata, in ogni caso è riuscito a sconfiggermi come se fossi uno di quei novellini che mi hanno sfidato nella palestra di Bluruvia… non aveva un tipo preferito… credo. Hasi è stato colpito da una Pallaombra, ne sono sicuro. Credo inoltre che la squadra 1 sia stata colpita da un Foglielama e da una mossa di tipo fuoco, viste le ustioni. Io, prima di scappare, ho ancora visto un Fulmine e un Geloraggio, prima di essere colpito a mia volta da un Pallaombra. Nonostante non potesse vedere i miei compagni, era abbastanza preciso, al punto che qualunque mossa andasse a segno faceva un danno non indifferente. Oh, si. Un’ultima cosa. Non voleva assolutamente farsi vedere. Si è nascosto appena l’Incendio di Blaziken ha illuminato l’ambiente.- - Capisco, purtroppo. Il tuo aggressore deve essere per forza uno dei membri del quartier generale. Non c’è altra possibilità.- - Come fa a dirlo!?- gli urlai quasi in faccia. Come poteva incolpare una delle più alte cariche di questo mondo di tutto quel che mi è successo? - Pensaci. Chi sapeva che prima la squadra 1, poi voi sareste andati nella grotta? L’ingegnere e il consiglio, a cui entrambi avete fatto rapporto. Supponendo che un ingegnere aereospaziale non abbia interesse nel distruggere il mondo, rimane solo il quartier generale. È possibile che ci sia qualche corrotto, là dentro. Detto questo si può anche arrivare a pensare che gli stessi che hanno attentato alla vostra vita siano la causa di queste calamità. In un modo o nell’altro… Ascolta, Rudi mi ha parlato molto bene di te, ma ora ho bisogno di sapere se te la senti di svolgere una missione per me.- - Cosa dovrei fare?- - So che sei rimasto da solo. Purtroppo non ho un compagno di viaggio da affidarti, ma ti chiedo di continuare la missione principale, solo…- - Solo?- la situazione non mi piaceva per niente, a parte il fatto di rimanere da solo. Non mi sarei più dovuto portare dietro quel peso di un ranger. - Solo, dovrai fare rapporto a me. Soltanto a me. So di chiederti tanto, ma è necessario per dimostrare la mia teoria. Ora hai due possibilità. Puoi fidarti di me ciecamente o no. In ogni caso la tua scelta comporta una certa dose di rischio.- - Se ti ascolto, potresti essere tu l’autore di tutto questo. Io non direi a nessuno quello che ho visto e tu potresti eliminarmi senza temere che qualcuno scopra il tuo segreto. In caso contrario io faccio rapporto e dico dove mi trovo, il corrotto mi scopre e viene a finirmi. Sbaglio?- - No, purtroppo. Ora la decisione sta a te.- Cazzo! E ora che faccio? Devo prendere una decisione. Questa è come una lotta… cosa posso fare? Aumento l’attacco, la difesa o la velocità? Attacco o mi rintano dietro una Protezione? Non mi sono mai trovato in una situazione così tanto di merda. Dannazione, però. Io sono sicuro di aver già visto la sua faccia, da qualche parte. Sono un idiota. Sono un totale coglione. - Mi fido di te.- L'allenatore dal completo nero sporco di fango parve stupito della risolutezza con cui gli risposi. - Perché?- - Perché mi sono ricordato dove ti avevo già visto. Mi voglio fidare, perché di te si fidava anche mio padre. Prima dell’incendio, avevamo una foto in casa. C’eravate voi due dopo una battuta di pesca, avevate in mano un grosso Mantine.- - Mi ricordo di quella volta… Una delle migliori battute di pesca nella regione di Sinnoh.- Rocco sgranò gli occhi, realizzando con chi fosse, quel giorno. - Quindi tu sei il figlio di Fosco?! Mi ha parlato così tanto di te, ma ti ho visto solo quand’eri nella culla… non avrei mai pensato che potessi essere tu…- Si, avere un padre così importante per molti sarebbe una benedizione, ma io non volevo essere riconosciuto per il suo nome. Specialmente dopo quell’incendio che lo uccise. È grazie a lui che ho ereditato la mia passione per il tipo buio. - Si. Sono io. Cosa vuoi che faccia?- - Sono felice di sentirtelo dire. Allora: tu continuerai la tua missione, ma non risponderai alle chiamate del quartier generale. Se ci saranno novità mi avvertirai, altrimenti non utilizzare il tuo pokèNav. Capito?- Il dubbio di non potermi fidare completamente dell’ex-Campione si fece strada tra i miei pensieri, ma lo scacciai immediatamente. - Capito.- - E se vedrai una… no, niente. Se non l’hai ancora incontrato non è un problema, non voglio darti altro a cui pensare. Sai già cosa farai?- - Adesso che la teoria di Kyogre e Groudon è crollata… penso che andrò a Sinnoh. Ho sentito che lì il Monte corona è collassato. E poi dubito che i cani leggendari possano avere un simile potere. No?- - Si può sempre provare. Dopotutto non sappiamo ancora niente. Abbiamo solo teorie. Sai dove andare a cercare?- - Il Professor Birch mi ha detto che i leggendari si possono trovare sulla vetta del Monte Corona, quindi sarà lì che andrò… sperando che le frane non mi impediscano di proseguire.- - Bene. Buona fortuna, allora.- - Per quanto riguarda le altre squadre scomparse?- - Me ne occuperò personalmente.-
Me ne andai poco dopo, rifugiandomi in una delle case non allagate, in attesa dell’alba per ripartire. Il pokèNav squillò. - Situazione della giornata. Squadra 1?- - …- Come potevano rispondere? - 2?- - Stiamo controllando le Cascate Meteora in cerca di anomalie.- - Terminato il vostro attuale compito, siete dislocati al trasporto dei civili verso Johto.- - Si, signore.- - 3?- - Raggiungeremo Kanto entro domani. Le condizioni metereologiche ci hanno rallentati.- - 4?- - Johto non presenta anomalie.- Come aveva detto Birch, Johto è calma. - 5?- - …- Di nuovo la squadra non rispose. - 6?- Bene, questa sarà l’ultima volta che sentiranno la mia voce. - Abbiamo raggiunto la fossa oceanica. Kyogre è stato avvistato e posso affermare che è in letargo, non può essere la causa delle maree. Ho inoltre recuperato la squadra 1 in condizioni gravi. Assieme al mio compagno di squadra stanno ricevendo cure mediche per via delle ferite riportate in seguito a un combattimento con un allenatore sconosciuto.- rispose Nail. - Ottimo lavoro. 7?- - …- Nessuna risposta. Di nuovo. - 8?- Dopo una serie di scariche elettriche si riuscì a distinguere solamente un basso ronzio di sottofondo. - …- La comunicazione venne interrotta.
Ero davanti alla stufa accesa, con la gamba sinistra tesa di fronte a me, cercando di togliermi di dosso quell’orribile senso di umidità, quando un’infermiera spalancò la porta di quella casa, lasciando entrare un vento gelido che mi fece rabbrividire fin nelle ossa. - Scusa… disturbo? Ho i tuoi pokémon di nuovo in salute, sono venuta a portarteli…- Che idiota! Mi sono fatto prendere dalla situazione e non mi sono ricordato di andare a recuperare le mie sfere! Mi darei un pugno da solo! - Grazie… avevo altro per la testa e non mi sono ricordato di passare. Sei fradicia, vuoi fermarti un attimo al caldo?- - No, grazie. Hanno adibito una palazzina come edificio sanitario, vado là ad asciugarmi.- mi rispose appoggiando il vassoio contenente le mie sei sfere per terra. – Ho portato anche i punti per il tuo taglio, ci impiegherò un momento a metterteli. – La ragazza dai capelli marroni si sedette davanti a me, spostandosi le ciocche bagnate dietro la nuca e sollevando la mia gamba per poggiarsela in grembo, mise quindi mano a una piccola borsa rossa, da cui trasse un pacco di punti per il primo soccorso. - Come stanno gli altri?- Le chiesi, distogliendo lo sguardo. - Bene… più o meno. Il tuo compagno non si rimetterà presto e gli rimarrà la cicatrice rotonda dell’ustione sotto le scapole, ma non è in pericolo di vita. Per quanto riguarda gli altri due, il ranger non è in condizioni troppo gravi, ha dei tagli superficiali, una frattura al braccio sinistro ed è disidratato, ma se la caverà. Comico, visto che il suo compagno era un allenatore di pokémon d’acqua, che rimanga disidratato, no? - le labbra sottili dell'infermiera si piegarono in un timido sorriso, mentre le sue dita premevano sui bordi del mio taglio. - Per l'allenatore della palestra di Rodolfo… se l’è vista brutta. L’ustione sul corpo è profonda e lui è debole. Probabilmente, non l’avessi trovato tu, sarebbe morto per un’infezione.- - Ora è ancora così critico?- - Lo teniamo in una cellula asettica, per quanto possibile. Per ora è stabile, ma ho paura che avrà bisogno di parecchi mesi per rimettersi del tutto… Se si rimetterà. Sicuramente la sua pelle non tornerà come prima. - L’infermiera strinse i denti, facendo combaciare i labbri della ferita in modo che le graffette facessero meglio presa sulla pelle. - Poveraccio… Scusa, ma in tutto questo non conosco ancora il tuo nome, era tutto più facile quando portavate il cartellino identificativo sulla divisa. - le risposi facendo una smorfia di dolore, quando sentii il muscolo tornare a rilassarsi, facendo tirare la medicazione. - Oh, beh, mi chiamo Mary.- mi rispose la ragazza dai capelli castani avvolgendo il polpaccio con spessi strati di garza sterile. – Io qui ho finito, buona notte!- - Buona notte anche a te, Mary. – le risposi sorridendo, per quanto mi fosse possibile. L’infermiera si richiuse la porta alle spalle con la stessa velocità di un ladro in fuga. Tornai a concentrarmi sul calore che la stufa emanava, accarezzando le sfere di fianco a me.
La notte la passai su un vecchio divano marrone castagna, con la pelliccia bianca di Absol che mi copriva la schiena e il suo respiro regolare vicino alla testa. Dovevo condividere la stanza con altri tre allenatori, richiamati in servizio attivo per proteggere le apparecchiature mediche da possibili inondazioni. Il più giovane tra loro avrà avuto quarant’anni più di me.
Mi sveglia alle sette meno qualche minuto e, prese le poche cose che mi ero portato dietro e fatto rientrare Absol nella sua sfera, uscii dalla casa, rimanendo sotto il cornicione a fissare sconsolato la pioggia battente. No. Non ho voglia di ripartire ora… non ho voglia di bagnarmi, viaggiare, far stancare i miei compagni per una semplice intuizione… Ma che cosa sto dicendo? Sono un’idiota. Ho un compito e devo portarlo a termine. Feci uscire Swellow dalla sua sfera e mi appollaiai sul suo dorso. Sinnoh… Non sarà un viaggio breve. Poi, una volta là, deciderò cosa fare.
Informazioni di servizio: Premetto che questa sarà l'unica volta in cui mi farò vivo tra questi capitoli, a meno di necessità impellenti. L'informazione che dovevo dare è la seguente: Per tutti coloro che sono giunti qui già conoscendomi per la mia serie "principale", ho cominciato la pubblicazione della terza e ultima storia, "Figli della Trama". Chiudo qui quest'angolo pubblicitario. Buona lettura a tutti. Vago
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Capitolo 8 *** Incubi reali ***
Il viaggio sul dorso del mio pokémon proseguì abbastanza tranquillo per tutta la sua durata. Di quando in quando incontravamo delle zone temporalesche che coprivano a macchie il cielo e il mare, che poi lasciavano il passo a un pallido sole sufficiente appena a rischiarare l’aria. Nulla a cui un buon allenatore non preparasse i suoi compagni. Poi arrivò l’inaspettato ed i miei incubi si fecero reali. Una voce si levò alle mie spalle. - Fermati!- Si, come no… ho visto cosa è successo all’altro gruppo. Solamente quando mi girai, però, capii quanto fosse critica la mia posizione. Darkrai si avvicinava velocemente da una zona d’ombra della tempesta, la sua criniera bianca sventolava come impazzita, in balia dei venti temporaleschi. Non sto sognando. Non posso star sognando, ora. - Vai giù!- urlai al mio Swellow, che si gettò in una picchiata mozzafiato. Sentii ogni organo del mio corpo venir risucchiato verso l’alto, insieme alla bile che cercava di farsi strada verso la mia gola. Strinsi i denti e mi concentrai sulla presa delle mie mani. Il signore degli incubi si avvicinava sempre di più, allungando nella mia direzione una delle mani artigliate. Merda, merda, merda! Non mi lasciò scelta. Feci rientrare Swellow nella sua sfera quando mancavano ancora diversi metri perché raggiungessi la superficie del mare burrascoso. Se sotto le onde ci fossero stati degli scogli sarebbe stata la fine, per me. Lasciai uscire Sharpedo dalla pokèball, sperando che avesse compreso quel che doveva fare. L’ultima cosa che riuscii a fare prima di impattare contro i flutti scuri fu assicurarmi sulla bocca il respiratore subacqueo. Poi un'onda mi travolse con tutta la sua forza, facendomi roteare più volte su me stesso. Le zanne di un pokémon squalo affondarono nella mia giacca impermeabile nuova. Forse non era quello il mio problema principale, ma non riuscivo a pensare ad altro, se non ai buchi e agli strappi che avrei trovato al mio arrivo. Banchi di alghe mi avvolsero, impedendomi di vedere quel che mi circondava. In poco tempo persi anche il senso dell’orientamento. Cominciai a non capire più quale fosse il sopra e quale il sotto, l’unica cosa di cui avevo la certezza era la costante forza che mi trascinava in una direzione precisa. Lo Sharpedo mi riuscì a tirare a sufficienza verso il fondale giusto un attimo prima che una mano d’ombra si tuffasse in acqua in cerca del mio corpo. Salvo… sono salvo. Il respiratore aveva sufficiente autonomia da permettermi di allontanarmi dal quell’incubo senza obbligarmi a riemergere. Feci una breve sosta su un isola non sommersa dalle maree, per poi ripartire con direzione Sinnoh. Evitai il cielo il più possibile, preferendo viaggiare sott’acqua, tra le correnti impetuose e i branchi di Staryu che si spostavano tra gli scogli. Quantomeno, le correnti che avvolgevano il mio corpo mi davano la sicurezza che non avrei incontrato dei Tentacool durante il mio viaggio.
Fu un viaggio terribile, sentivo il freddo fin dentro le ossa e l’acqua del mare aveva intriso qualsiasi cosa avessi addosso, per non parlare del mio corpo. Quando, finalmente, dopo due fottuti giorni in acqua, i miei piedi raggiunsero le rive di Pratopoli, il mio umore peggiorò solo. La pioggia batteva incessante e almeno un decina di centimetri di fango ricopriva ogni cosa, a stento si scorgeva il cartello, una volta colorato, della zona safari. Passai velocemente davanti alla palestra, i due battenti in legno erano chiusi a chiave e, in mezzo, un cartello insozzato era stato appeso. Sopra c’era scritto: Ogni incontro con il capopalestra sarà annullato fino al termine delle calamità, ci scusiamo per il disturbo. C’era davvero bisogno di un cartello del genere? Come si può pensare a una medaglia con tutto quello che sta succedendo? Il centro pokémon era aperto, gremito di allenatori dei tipi più diversi. L’odore di sigaretta si alzava da un angolo, dove un ragazzo neanche maggiorenne, due uomini e un infermiere parlavano animatamente. Uno di quegli uomini portava una giacca viola corta e un paio di pantaloni neri carbone, gli abiti caratteristici degli allenatori specializzati nel tipo veleno. Un angolo bar era stato allestito accanto alla parete opposta all’ingresso. Un tipo ubriaco mi prese di sorpresa con una spallata, l’odore di alcol nel suo fiato era talmente forte da far venire mal di testa. - Ehi, ragazzino, che c’è, ti sei perso?- Una cacofonia di risate scomposte si levò tutto intorno a me. Chiamarmi ragazzino, a me. Ho compiuto diciannove anni cinque mesi fa, non sono uno sbarbatello alle prime armi, porca troia. Provai a liberarmi dalla massa dell’uomo, ma quello mi diede un altro colpo. - Che c’è, la mamma ti ha detto di non parlare agli sconosciuti? Su, che ci fai in questa enorme pozzanghera?- - Sono stato mandato qui per cercare di capire cosa l’abbia provocata, questa pozzanghera.- - Tu? Ehi, avete sentito? Il ragazzino dice che è uno importante! Senti moccioso, tu forse non sai con chi stai parlando. Io sono il secondo miglior allenatore qui dentro, quindi abbassa la cresta.- - Ah, davvero? Allora facciamo così, risolviamo la cosa con una lotta, chi perde deve fare tutto quello che gli dice il vincitore.- - Non hai sentito quel che ti ho detto? Vuoi proprio farti del male, tu. Va bene, accetto.-
Al secondo piano una piccola folla si era radunata intorno al campo. Gli ultimi brandelli di cenere dell’ultima delle quattro sigarette si spensero sotto la suola dell’allenatore dei veleno. Avrei dovuto cambiare squadra. Prima di cominciare questa lotta. Sharpedo è messo male dopo la nostra traversata e non ho una squadra dai tipi variegati. Vabbè, mi piacciono le lotte difficili. Mandai in campo Blaziken. Graveler fu la scelta, imbarazzante, del mio avversario. - Davvero sei il secondo miglior allenatore, qui dentro?- - Si, hai qualcosa da ridire, ragazzino?- - Mi sembra di essere ritornato nella mia palestra. Allora, vediamo se riesco a spiegarti la situazione in modo che tu possa capirla. Qual è il tipo di Graveler?- - Smetti di parlare, marmocchio. Questa è una lotta, non una lezione.- Non riuscii a trattenere uno sbuffo. - Come preferisci. Blaziken, stramontante, per favore.- - Graveler, megapugno!- Come avevo calcolato, quell’ammasso di roccia non poteva competere con il mio pokémon. Lo stramontante lo colpì in pieno tra le quattro braccia prima ancora che quell'amasso roccioso riuscisse a fare un passo. Fu sufficiente la mossa super efficace, sommata alla corrispondenza di tipo tra la mossa e quello di Blaziken, a far andare KO Graveler. - Cosa hai fatto marmocchio? Scommetto che quel tuo pollo rosso sia dopato, o qualcosa del genere! Cambialo! Non vale!- Non feci nemmeno caso al vociare intorno a me. Avevo piena fiducia in ognuno dei miei compagni. - Blaziken, vieni qui. Puoi riposarti.- Dalla mia seconda sconfitta con i superquattro di Hoenn avevo preso l’abitudine di non richiamare nella sfera i miei compagni dopo la lotta, in modo che potessero assistere al resto dell’incontro che avevano cominciato. Blaziken mi si sedette alle spalle. - Vediamo… il prossimo da mandare potrebbe essere…- feci scorrere l’indice e il medio sulle sfere ancora piene, assaporando ogni tacca o graffio che il mio polpastrello incontrava. - Finiamola con le cazzate. Finiamo l’incontro al più presto, che ho il bicchiere vuoto. Facciamo una tre contro tre. Chi la vince ha vinto tutto. Quel tuo pollo è squalificato.- L’allenatore veleno si fece avanti. - Gastor, dove l’hai trovato il coraggio di parlare così? In fondo sei stato tu a perdere il primo round. Dovresti solo…- Interruppi l’uomo a metà del discorso, alzando la mano nella sua direzione. - Non importa. Lo posso battere in ogni tipo di battaglia possibile. Che tre contro tre sia. Voglio darti un altro vantaggio, sceglierò per primo i miei pokémon. Si continua finché non sono tutti e tre esausti, non si possono fare sostituzioni. Ti va bene?- - Certo moccioso.- Con Blaziken e Sharpedo che non potevano combattere la mia scelta non era molto ampia. Guardai il soffitto. Era ancora una sala lotta vecchio stampo, con il tetto basso rinforzato con travi d’acciaio. Era inutile con quel poco spazio a disposizione disturbare Swellow. Tre sfere volarono contemporaneamente. Ne uscirono Mightyena, Absol e Umbreon. L’uomo parve colpito da un dubbio, che però scacciò con un ultima boccata dal suo bicchiere, che si frantumò contro il muro alle sue spalle sotto gli occhi sgranati dei nostri spettatori. Tre sfere, tre ultraball per la precisione, lasciarono il loro posto dal borsello dell’uomo. Ne uscirono un Girafarig, un Rapidash e un Machoke. - Seriamente, - gli dissi – dopo aver visto la mia squadra al completo mandi in campo un Girafarig? Ma sei serio?- - Che c’è che non va?- mi chiese lui con un occhio socchiuso. - Non importa… lo capirai da solo.- Rapidash era l’unico vero problema di quella squadra, veloce com’era. Nessuno dei miei poteva competere, se non… vabbè, si vedrà. Machoke e, a maggior ragione, Girafarig non mi spaventavano per niente. - Se non cominci tu, lo farò io! - mi urlò l’uomo – Rapidash, fuococarica. Machoke, spaccaroccia. Girafarig, confusione!- Il fatto che non avesse indicato chi attaccare poteva essere indice di quanto fosse un pessimo allenatore o di quanto avessero provato questa combinazione in allenamento. In ogni caso per me non sapere da che parte sarebbe arrivato l’attacco era un problema. Calma, prendi tempo. Girafarig, finché usa mosse psico non è un problema. Tutta la mia squadra è immune. Proviamoci. - Su Machoke. Umbreon, psichico. Mightyena, turbosabbia. Absol, vai su Rapidash.- Tutto come programmato. Umbreon era il più lento del trio, ma turbosabbia mi avrebbe fatto prendere tempo. Il pokémon lotta, preso di sorpresa dall’attacco di Mightyena, ritardò di poco il suo spaccaroccia. Tempo sufficiente per farlo colpire dallo psichico e mandarlo al tappeto con una mossa superefficace. - Absol, continua così.- Rapidash dall’altra parte del campo aveva caricato il fuococarica e puntava dritto verso Umbreon. Il mio pokèmon dalla pelliccia bianca, intanto, continuava a mettersi sul suo cammino. Il Girafarig probabilmente continuava a lanciare il confusione, fallendo miseramente. Finalmente il Rapidash cambiò il suo obiettivo, puntando al pokémon dalla pelliccia bianca. - E… sbigoattacco.- Il pokémon di fuoco centrò pienamente Absol, o meglio, il suo miraggio, che si andò a scomporre. Due secondi di incertezza. Tutto quello che servivano a quello vero per colpire. - Rapidash ruotafuoco su quel Might-coso. Girafarig! Datti una svegliata! Morso!- Mightyena non poteva competere in velocità con quel pokémon… Va bene. - Umbreon pallaombra su Girafarig. Absol, protezione su Mightyena!- Il ruotafuoco impattò sullo schermo invisibile, senza andare a danneggiare il mio compagno. Che Girafarig venisse messo KO dalla pallaombra era scontato. - Mightyena, fossa.- Il mio pokémon scomparve nel suolo, lasciando dietro di sé una montagnola di terra. - Va bene! Tanto ora hai perso! Rapidash fuococarica su quell’Umbreon!- Avevo vinto. Umbreon resistette bene al colpo. - Umbreon, lucelunare.- mai avessi mancato il colpo non volevo che Umbreon venisse sconfitto al prossimo turno. - Absol… geloraggio.- non avevo molta scelta. L’altra mossa offensiva che conosceva era sbigoattacco, che funzionava solo se il pokémon veniva attaccato direttamente. Ma tanto il mio obiettivo era quello di ridurgli la salute, null’altro. Il mio sfidante proruppe in una risata sguaiata. - Cosa credi di fare?- Parla quello che ha utilizzato una mossa psico sui miei buio… Mightyena comparve sotto al ventre del Rapidash, colpendolo con gli artigli. Fine del match. - Come hai osato? Hai barato! È così ovvio! Come può un moccioso come quello battermi? Di sicuro ha barato!- Una rabbia bruciante mi riempì il cuore. Dovetti fare violenza su di me stesso per non ordinare a Blaziken di tirargli un calcio in faccia. Fanculo alla scommessa. Feci rientrare i miei quattro compagni, mi girai verso le scale e, a passo svelto, mi diressi al piano terreno. Dopo tutto questo tempo perso, Sharpedo è ancora esausto ed io sono ancora fradicio. |
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Capitolo 9 *** Progetti per il futuro ***
Salutai l’infermiere con un gesto della mano e gli porsi le sei sfere. Lui spense quel poco che restava della sigaretta nel posacenere e le mise nella macchina che riposava dietro al bancone. - Bel match, di sopra. Da dove hai detto che vieni?- mi chiese l’uomo, mentre la luce ultravioletta scannerizzava le sfere consumate. - Sono di Hoenn, della palestra di Rudi a Bluruvia.- gli risposi appoggiando i gomiti al marmo bianco del bancone. - Hoenn? Dici davvero? Non deve essere stato un bel viaggio, quello che ti ha portato fin qui ad Sinnoh. Tra l’altro sei ancora lercio, hai bisogno di cambiarti?- - No, questa notte farò asciugare i miei vestiti a Blaziken. Stia tranquillo.- - Se vuoi di là c’è la sala riservata al personale sanitario. Consideralo un premio per aver vinto.- L’infermiere mi restituì le mie sfere, per poi spostare la sua attenzione al pacchetto di sigarette per metà vuoto. - Grazie.- mi diressi al minibar e ordinai una tisana calda. Uno schifo mostruoso, praticamente acqua sporca. Chissà se per quando tornerò a casa esisteranno ancora piante di tè di Brunifoglia… - Non sei stato male, prima.- disse una voce alle mie spalle. Ancora scocciatori. Non avevo fatto in tempo a godermi l’assenza di Hasi che degli sconosciuti cominciano ad assillarmi. Mi voltai, facendo un piccolo sobbalzo appena misi a fuoco chi mi stava di fronte. Il mio campo visivo fu riempito da una giacca viola dai bottoni neri. Alzai lo sguardo verso un pizzetto e, sopra questo, due occhi nocciola che mi fissavano da venti centimetri sopra i miei. Sarà stato alto quasi due metri, il tipo. Non me ne ero reso conto prima. - Scusa, permettimi di presentarmi. Mi chiamo Jacob, come avrai capito mi sono specializzato nel tipo veleno. Tu invece ti chiami…- l’uomo fece una pausa, come per incentivarmi a continuare la sua frase. Sospirai, stringendo il bicchiere di plastica tra le dita. - Nail.- - Beh, Nail, hai tirato fuori una squadra particolare, là sopra. È stato rischioso, nel tre contro tre.- - Una parola sola: Psico.- - Beh, lo ammetto, ma io ho un’esperienza di anni, sul monotipo.- - Da qualche parte bisognerà pur cominciare, no?- - Mi piaci, ragazzino.- - Non chiamarmi ragazzino! Ho diciannove anni, sono impiegato in una palestra, non sono un ragazzino!- Forse mi sono fatto trascinare un po’… Cercai di rilassarmi, dopotutto aveva attaccato bottone solo per complimentarsi con me. - Scusa, hai anche ragione. Dimmi un po’. Cosa porta un allenatore come te in un’altra regione? È vero quello che hai detto a Gastor?- - Si, ma è una storia lunga. Ha a che fare con le frane del Monte Corona, con il diluvio di fango qui a Pratopoli e con le eruzioni e le tempeste a Hoenn.- - Capisco. Quindi fai parte del gruppo di quei due ragazzi che sono passati qui… meno di una settimana fa , vero?- - Quattro giorni fa, se ho contato bene. In realtà sono venuto qui per cercarli.- - Capisco. Beh, se posso darti un consiglio, ti direi di dirigerti verso Memoride. La trovi se prendi il percorso 212 fino a Cuorepoli, da lì prima sul 209 fino a Flemminia, poi segui il 210 verso nord. Lì sorge Memoride. Quei tuoi compagni volevano entrare nei tunnel del Corona dall’ingresso di quella città.- - Grazie. Perché mi sta dando tutte queste informazioni?- Presi un sorso di tè, cercando di ignorare il pessimo gusto che avvolse la mia lingua. Mi sarei dovuto procurare ancora un po’ di zucchero, per renderlo bevibile. - Perché ho bisogno di un compagno di viaggio che mi accompagni fin là.- Cosa?! - Cos…- non riuscii a finire la domanda che la bevanda calda mi andò di traverso -… Cosa? Perché mai avresti bisogno di un compagno di viaggio? Ammettilo, non sei un allenatore scarso. Trasudano allenamento quelle sfere che porti alla cintura.- - Lo ammetto, non sono un novellino. Però l’hai detto tu, basta un buon allenatore psico e non vado molto lontano.- - Durante una specie di apocalisse tu ti preoccupi di una sfida?- - Non una semplice sfida… vedi, da quando è iniziato tutto questo casino, qui, nelle maggiori città, si sono formate bande di rapinatori che attaccano chiunque viaggi solo per prendergli tutto. Capisci quanto non sia sicuro spostarsi da soli, di questi tempi.- - Com’è che qui ci sono così tanti problemi, mentre a Hoenn non succede?- - Sarà la diversa mentalità della popolazione, che vuoi che ti dica. D’altra parte, da quanto ho sentito, qui gli incidenti sono cominciati un paio di mesi prima che da voi.- Il pokèNav mi vibrò nella sacca. Bene, almeno l’acqua non è entrata nella sua custodia a tenuta stagna. - Lasciami solo questa notte per pensarci. Domani mattina ti dirò se voglio viaggiare con te. Va bene?- - Certo.- Mi rifugiai il più velocemente possibile nello stanzino del personale e tirai fuori il pokèNav. La voce lontana di uno dei centralinisti arrivò disturbata. - Situazione della giornata.- Bene, non hanno ancora cominciato. - Squadra 2?- - Come ordinato stiamo scortando i civili a Johto.- Vivi. - 3?- - Kanto sembra, per ora, non risentire delle condizioni in cui versano le altre regioni. Dopo aver raccolto sufficienti informazioni faremo ritorno a Hoenn. – Vivi. - 4?- - A Johto la situazione è stabile, la popolazione sta aiutando l’opera di accoglimento. Secondo alcune voci, sono stati avvisti i pokémon leggendari Lugia e Ho-Oh intenti a tenere a bada le condizioni atmosferiche anomale.- Vivi. - 6?- -...- Nail si limitò a non rispondere. - 8?- - …- Spero di ritrovarli ancora vivi. - Centro medico principale?- - Ci informano che la squadra 1, prelevata nella fossa oceanica, la squadra 7, ritrovata sul versante meridionale del Monte Camino, il ranger della squadra 6 e la squadra 5, rinvenuta nel grottino solare, stanno ricevendo le cure necessarie. Per ora nessuno ha ancora ripreso coscienza, ma le condizioni di tutti i sette pazienti non sono più critiche.- - L’allenatore della squadra 6 e la squadra 8 sono tutt’ora dispersi.- La comunicazione venne chiusa. Situazione merdosa. Non c’era un altro modo per descriverla. Senza contarmi, visto che ho intenzione di rimanere in salute, rimangono sei persone ancora in grado di svolgere il loro compito o di essere prese di mira da quell’allenatore fantasma che ci ha attaccati. Ora il secondo problema… Feci uscire Blaziken dalla sua sfera, sfilandomi i vestiti per poi appoggiarli su di una sedia vuota. Il mio compagno, non appena ebbi finito, permise a piccole fiammelle vivaci di scaturire dai suoi polsi, avvicinandoli con cura agli abiti grondanti d’acqua. - Grazie. – gli dissi, guardando fissi i suoi occhi scuri. Dicevo, il mio secondo problema. Quel tipo, Jacob. Perché dovrei viaggiare con lui? Sono più che in grado di raggiungere la mia destinazione da solo, bande o non bande. Certo, però, che avere uno del posto a farmi da guida potrebbe non essere poi così una brutta idea. Dovevo decidermi, la mattina seguente gli avrei dovuto dare una risposta. E non potevo nemmeno permettermi di perdere chissà quanto tempo fermo in un luogo. Quei due poveracci che sono stati qui prima di me erano partiti quattro giorni prima del mio arrivo in questo buco di città. Questo implicava che potevano essere stati attaccati o colti alla sprovvista da una frana da almeno due giorni. Avrei voluto evitare che morisse qualcuno, almeno per il momento, per lo meno. Sperai che la notte mi portasse consiglio. Mi sdraiai lentamente sulla brandina montata contro la parete, rendendomi conto di quanto fossi davvero stanco. Come avevo fatto ad arrivare fin lì con le mie sole forze? In quel momento non riuscivo nemmeno a sollevare un braccio dal materassino rigido. Non ebbi nemmeno il tempo di preoccuparmi se anche quella notte Darkrai avrebbe preso il sopravvento sui miei sogni, perché crollai addormentato come un bambino in fasce in braccio alla propria mamma. Un grosso cartello in legno si materializzò di fronte a me. Pioveva a dirotto, ma non sentivo né l’acqua colarmi addosso, né tantomeno il freddo penetrarmi nelle ossa. Mi avvicinai meglio al cartello, pulendo dal fango la scritta nera sopra di esso. “Memoride” Mi guardai intorno, ma i miei occhi caddero solamente sull’oscurità. Tornai a concentrarmi sul cartello, cercando altri particolari sul legno sporco, ma, quando mi fui voltato nella sua direzione, trovai di fronte a me la candida criniera fluttuante del signore degli incubi ad attendermi. Provai ad urlare, ma nei miei polmoni pareva non ci fosse un briciolo di aria da espellere. Le mie gambe si mossero in una fuga disperata, ma nessun terreno sotto le mie suole parve aver intenzione di assecondarmi. Una mano scura del pokémon si alzò verso il mio volto pallido, dirigendo le dita artigliate in direzione della mia guancia. Socchiusi gli occhi, tremante, incapace di far altro. Poi una luce dorata squarciò il cielo e le tenebre attorno a me. Darkrai si dileguò istantaneamente mentre i particolari di quel mondo a me circostante cominciavano a prendere forma. Erano segnali stradali, indicazioni, nulla più. Alcuni affissi su semplici paletti in legno, altri appesi su pali di ferro o muri privi di alcuno scopo apparente. Il mio sguardo corse su ogni scritta presente, da sinistra a destra, mentre la luce si faceva sempre più intensa. “Percorso 212” “Cuorepoli” “Percorso 209” “Flemminia” “Percorso 210” “Memoride” Perché erano comparse quelle indicazioni? Perché qui, nel mio sogno? Un imponente creatura dalla coda dei colori dell’arcobaleno scese nella mia direzione. Riuscii a cogliere dei suoni provenire dalla sua direzione, ma fu poco più di un flebile, indistinto sussurro. Il mondo intorno a me si frammentò come uno specchio contro cui è stato lanciato un masso, facendomi risvegliare di soprassalto nella branda sfatta dalla mia agitazione notturna. Posai i piedi nudi sul freddo pavimento in mattonelle, cercando a tentoni, sul muro, il tasto per accendere la lampadina che pendeva tristemente sopra la mia testa. Non appena i miei occhi poterono di nuovo distinguere le forme della poca mobilia, ripresi a vestirmi lentamente, con la mente ancora offuscata dalla stanchezza. Mi passai lentamente una mano sul volto, dando un rapido sguardo allo schermo del pokèNav. Le cinque e trenta del mattino. Sempre più presto. Quanto avrò dormito? Sette ore, forse. Mi si sarebbe sciolto il cervello, se avessi continuato di quel passo. Feci attenzione a non calpestare nessuna parte del corpo del mio Blaziken che dormiva rannicchiato tra le sue piume rosse, per terra, per poi tornare a sedermi sulle lenzuola accartocciate. Nascosi la faccia tra i palmi delle mani, cercando di scacciare lo sconforto che mi stava assalendo. Intanto, i muscoli del mio corpo cominciarono ad assorbire parte del tepore rimasto negli abiti asciutti. Sarei voluto morire. Una cosa veloce, indolore e che mi togliesse da quel casino. Sono un allenatore di pokémon, la mia ambizione più alta è quella di una vita tranquilla e la possibilità di aprire una palestra tutta mia, è così tanto difficile da esaudire, come desiderio? Sbadigliai, cercando di eliminare dal mio corpo la stanchezza residua che quelle poche ore di sonno non erano riuscite a scacciare. In quel momento Blaziken si mise a sedere, fissandomi con i suoi occhi scuri, forse aspettando che gli dicessi qualcosa. Le mie labbra si piegarono in un sorriso, mentre la mano destra cercava la sfera rimasta vuota durante la notte, trovandola sul comodino, esattamente dove l’avevo lasciata la sera prima. - Dai, forza. Dobbiamo andare. – Il raggio rosso colpì sul petto il mio pokémon, scomponendolo per permettergli di tornare nella sua, più pratica, ball. Uscii silenziosamente dallo stanzino, dopo essermi accertato di non aver scordato nessuna delle poche cose che mi ero riuscito a portare dietro e che non si erano rovinate durante la mia fuga in mare. Per essere mattina presto il centro pokémon era già in fermento. L’infermiere della sera precedente era già al suo posto, dietro il bancone, con una sigaretta mezza consumata tra le labbra e un paio di mozziconi ancora fumanti pestati nel posacenere. Una mezza dozzina di allenatori stavano ronzando intorno alla macchinetta del caffè, in attesa che i loro pokédollari venissero trasformati in bicchieri di plastica pieni di bevanda bollente. Solamente un paio di divanetti erano ancora occupati dai corpi riversi dei rifugiati che non si erano preoccupati di svegliarsi alle prime luci dell’alba. Non riuscii a trovare l’ubriaco che avevo umiliato la sera prima. Peccato, avrei voluto vederlo arrivare strisciando ai miei piedi per chiedermi scusa. - Allora? Qual è la tua decisione? – una voce alle mie spalle mi fece sobbalzare. Jacob stava lì, in piedi, con i suoi abiti viola indosso e una sigaretta appena accesa tra le dita, come se fosse pronto per partire. - Detesto ammetterlo, ma avere una guida velocizzerà solamente. Devo però avvertirti riguardo una cosa. C’è qualcosa che mi sta seguendo… credo sia Darkrai. – L’allenatore in viola scoppiò in una fragorosa risata, tanto forte da far voltare metà delle persone all’interno del centro. Già mi pento della mia decisione. Hai bisogno di lui, pensa solo a questo. Hai dannatamente bisogno di lui se vuoi andare da qualche parte. - Che c’è? Cerchi di spaventarmi per farmi cambiare idea? Avanti, sono nato e cresciuto a Sinnoh, me le raccontava mia madre da bambino le storie di paura su Darkrai. Non ti sembro un po’ troppo cresciuto per aver paura di quello spauracchio? – Lo sto cominciando a odiare. Quasi più di Hasi. - Io, no… Non era quello che… Lascia stare. Tra quanto sarai pronto per partire? – - Io? Anche subito. Ti devo dare giusto una dritta, prenditi un pokémon che possa nuotare con te sul dorso, ne avrai bisogno. – - Dobbiamo riprendere il mare? – - No, ma… lo vedrai con i tuoi occhi. – Un paio di minuti e già mi ero piazzato davanti alla porta del centro, pronto ad uscire e farmi assediare dalla pioggia incessante. |
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Capitolo 10 *** Tutto può peggiorare ***
- Avanti, andiamo. Non voglio trovarmi ancora nella palude a
mezzogiorno, con tutti quegli insetti che ci vivono ora. –
Jacob si era infilato addosso un lungo impermeabile giallo canarino,
decisamente più ridicolo di quegli abiti viola che indossava
sotto.
Ci addentrammo quindi nell’acquazzone battente, procedendo
lentamente tra il fango che minacciava di entrare nelle nostre scarpe
ad ogni passo e la densa nebbia che ammantava ogni cosa.
Il rumore delle migliaia di gocce di pioggia che cadevano negli
acquitrini riempivano l’aria con il loro frastuono.
In poco meno di un quarto d’ora, anche le ultime case della
periferia della città diventarono un lontano ricordo,
lasciandoci soli ad addentrarci su quel pantano immenso.
Sentii l’aria uscire prepotentemente dai miei polmoni quando
la mano dell’allenatore che mi guidava impattò sul
mio sterno, interrompendo il mio cammino.
- Che succede? – gli chiesi, retrocedendo di un passo nel
fango.
- Sarà il caso che metti mano alle tue sfere. È
arrivato il momento di usare surf. –
- Perché? Non vedo altro che fango, qui. –
Dannazione, mi ha fatto prelevare Sharpedo per nulla. Avrei potuto
utilizzare un altro dei miei pokémon in questa situazione
merdosa, invece no. Prendi un pokémon in grado di nuotare,
forza.
- Guarda. –
Jacob prese da una delle colline rocciose che spuntano dalla palude un ramo alto quasi quanto lui e, pulitolo dalla fanghiglia e dalle alghe
che gli coprivano un’estremità, lo immerse nel
terreno a poco meno di mezzo metro davanti a sé.
Il ramo affondò per buona parte della sua lunghezza, davanti
ai miei occhi increduli e al maledettissimo sguardo compiaciuto del mio
compagno di viaggio.
- Credo che questo risponda alla tua domanda. Ora forza, muoviamoci
finché ancora piove e non fa troppo caldo, altrimenti
rischiamo di essere assediati dai Beedrill, che nelle ore
più calde escono dagli alveari. –
Sharpedo cadde pesantemente nella palude, affondando tra le alghe
galleggianti e le zolle di terra che erano riuscite a conservare una
loro solidità.
Io e il mio compagno seguimmo la testa bulbosa del Tentacruel davanti a
noi, sulla quale Jacob sedeva a gambe incrociate, quasi comodamente.
Procedemmo lentamente, prima verso ovest, seguendo come punti di
riferimento le punte degli alberi che ancora riuscivano a rimanere
sopra la superficie, poi in direzione nord, puntando verso il tetto
insozzato di un’imponente villa.
Il muro di cinta che incontrammo sulla destra era appena visibile sopra
la superficie paludosa, ormai, serviva a ben poco, visto
che il giardino interno era completamente inondato dal fango,
così come il vialetto che immaginavo dovesse collegare il
cancello alla porta d’ingresso ormai irriconoscibilmente
sommersa.
Che schifo, non avrei mai immaginato che il livello di questa palude
potesse essersi innalzato così tanto solamente per via della
pioggia. Quanti metri sarà stata profonda, in quel punto?
Sette, otto. A sufficienza per far perdere le traccie di chiunque fosse
diventato parte di essa.
Lentamente, il terreno tornò a riconquistare
l’aria, fino a far ridurre lo spessore della fanghiglia a
pochi centimetri, in vista dei primi tetti della periferia di Cuorepoli.
Finalmente le mie suole tornarono ad appoggiarsi su qualcosa di
completamente solido. Asfalto. Buon vecchio grigio asfalto.
I tombini erano tanto inutili quanto un coltello con la minestra, i bordi
delle strade erano ormai più simili a torrenti che a
semplici scoli.
Una busta di plastica fermò la sua corsa sulla mia caviglia,
facendomi rabbrividire a quel contatto umido e molliccio.
Me ne liberai con un calcio, sollevando un ventaglio di schizzi che
ricaddero poco lontano, per poi ricongiungersi
allo strato trasparente che ricopriva la strada.
Da quanto mi avevano raccontato, Cuorepoli doveva essere la capitale
della moda e del buon cibo, non era raro che mettessero in
programmazione, su uno dei canali principali, una serata dedicata alle
loro gare di bellezza, non che quelle di Hoenn fossero da meno.
I famosi tetti verdi della città risultavano spenti e
sudici, non si vedeva un’anima per strada e solo i fievoli
bagliori di una lampadina dietro un’imposta chiusa mi
rassicuravano, suggerendomi che non fossi arrivato in una
città fantasma.
- Cosa pensi di fare, ora? – Chiesi a Jacob, scrollando la
parte bassa dei miei pantaloni, nel vano tentativo di far cadere il
grosso del fango rimasto attaccato allo spesso tessuto.
- Pensavo di andare a mangiare qualcosa nel centro pokémon e
di ripartire verso le quattro di oggi pomeriggio. Non vedremo il sole,
per oggi, ma, almeno, ci eviteremo decine di problemi. –
- Sarà… -
Dovemmo passare di fianco all’imponente cattedrale candida
della città per raggiungere il tetto rosso che, in
quell’occasione, sembrava un faro di salvezza.
Alzai lo sguardo da terra quando un lampo squarciò il cielo,
illuminando i resti dell’immenso rosone colorato che un tempo
aveva adornato la parete sul retro dell’edificio sacro. Ora
l’intelaiatura in ferro era l’unica cosa rimasta
per tappare il foro tra i mattoni e cercare di impedire
all’acqua piovana di farsi largo tra l’altare e i
banchi, per poi cadere sui colorati pezzi di vetro che erano sparsi sia
dentro che fuori dalla struttura.
- Forza, il centro non è molto lontano da qui. –
mi incitò il mio compagno di viaggio, costringendomi ad
allungare il passo per raggiungerlo.
La costruzione dal tetto rosso, al suo interno, era totalmente vuota,
come abbandonata.
Il marmo del bancone era fratturato e pericolosamente inclinato verso
l’interno, verso la macchina che dietro a questo riposava
aperta come un cadavere sezionato. Buona parte dei componenti
elettronici erano stati rubati e i cavi che erano stati
d’intralcio ora riposavano ammucchiati per terra.
Nell’angolo bar, l’unico distributore era stato
spinto a terra ed ora la sua struttura era circondata da
cartacce vuote e dai frammenti del vetro che una volta proteggeva la
merce al suo interno.
I divanetti rossi erano stati tagliati e svuotati della loro
imbottitura, così come le poche poltrone rimaste.
- Non credo riusciremo a far molto qui… - dissi con un filo
di voce, appoggiando il pollice sopra la prima sfera della mia cintura.
Umbreon.
- Forse è il caso che usciamo da questo posto. Piano. –
Lentamente, facendo attenzione a non calpestare nulla potesse produrre
rumore, tornammo a dirigerci verso la porta in vetro opaco da cui
eravamo entrati, sperando di entrare il prima possibile nella visuale
della fotocellula nera che comandava l’apertura delle due
ante.
Arrivammo fino quasi a battere il naso contro la superficie liscia, ma
la porta non dava segno di volerci lasciar uscire.
- Sarebbe un peccato, se avessi bloccato quella porta. –
Merda.
Passi lenti scendevano dal piano superiore lungo la scala mobile
bloccata.
Se fosse uno solo potremmo anche cavarcela senza molti problemi,
dopotutto non siamo proprio due allenatori alle prime armi.
Qualcosa per terra smosse i vetri infranti del distributore.
Feci appena in tempo ad abbassare lo sguardo per veder scattare verso
di me il corpo violaceo di una decina di Ekans.
Non era da solo quel pezzente che aveva parlato.
- Vi prego, non infastidite questi piccoli
pokémon… - l’uomo finalmente raggiunse
il pavimento del nostro piano, fermandosi a pochi passi da noi.
Gli abiti che portava addosso erano logori e ricoperti da macchie di
fango. Un grosso taglio circondato da sangue rappreso si apriva nel
tessuto della sua felpa verde, ma nessun segno di quella ferita
sembrava esserci sulla maglietta che portava sotto.
Che avesse rubato l'indumento al malcapitato?
Probabile.
Io, però, non voglio devolvere la mia roba in beneficenza,
sicuramente non ora.
- Non sapete che questa zona è il mio territorio? Forse
avete bisogno di una ripassata per imparare questa lezione. –
Una megaball rimbalzò per terra, aprendosi.
Doppiamente merda.
L’ombra di un imponente pokémon viola ci
sovrastò, il suo ringhio fu sufficientemente tonante da far
vibrare le ante di vetro alle nostre spalle.
Un Nidoking bello grosso ci stava puntando il suo corno in faccia,
coprendo dalla nostra visuale il suo allenatore.
Ai nostri piedi, intanto, gli Ekans continuavano a serpeggiare tra le
mattonelle.
Quanti erano? Non riuscivo a tenere lo sguardo fisso su di loro
sufficientemente a lungo da contarli.
I passi di quelle che potevano essere quattro persone riverberarono
sugli scalini metallici della scala mobile.
- Puoi tenere lontani gli Ekans per una manciata di secondi? –
La voce di Jacob arrivò al mio orecchio come un sussurro.
- Farò del mio meglio. –
- Preparati per scappare. – Furono le ultime parole
dell’allenatore al mio fianco. Il suo impermeabile giallo
ondeggiò appena quando la sua mano corse a una delle sfere
appese alla vita.
Umbreon comparve ai miei piedi, snudando le zanne candide in direzione
del Nidoking.
Qualcosa prese forma alle nostre spalle, ma non mi osai voltare per
vedere cosa fosse.
Forse avevo capito quale era il piano di Jacob, dovevo solo fare la mia
parte e sperare che non ci fossero troppe complicazioni.
- Quando vuoi. – mi disse ancora il mio compagno di sventura.
- Cosa state bisbigliando, là? – chiese
l’uomo con la felpa strappata da dietro il suo
pokémon. Due uomini sulla trentina, intanto, si stavano
avvicinando alla nostra sinistra.
- Umbreon. Neropulsar. –
Del pulviscolo nero si addensò intorno al corpo del mio
compagno, per poi essere violentemente rilasciato verso tutte le
direzioni, sbalzando indietro gli Ekans e impattando sul ventre
dell’imponente avversario viola.
- Breccia. –
Alle mie spalle, il vetro della porta si disintegrò in
centinaia di scaglie con un fragore che, per un istante,
coprì quello della pioggia.
- Corri. –
Mi voltai con il cuore in gola, superando con un balzo la montagnetta
splendente di quelle che, prima, erano le ante d’ingresso del
centro e cercando di stare al passo con l’allenatore che,
davanti a me, procedeva spedito per le strade cittadine.
Umbreon mi superò, sfrecciando con le orecchie basse sotto
l’acquazzone. Al mio fianco, un pokémon blu e
rosso saltava freneticamente per tenere la nostra velocità.
Superammo senza curarcene la cattedrale e le decine di case che
affollavano le vie, procedendo spediti verso est.
Accelerai ulteriormente il passo quando delle voci alle nostre spalle
raggiunsero le mie orecchie.
Superammo anche la guardiola che delimitava la città,
entrando così nel percorso 209.
La prima cosa che sentii fu il fragore dello scorrere impetuoso di un
fiume. I suoi flutti si muovevano rapidi verso sud, avvolgendo i
tronchi più robusti degli alberi che incontrava sul suo
percorso e trascinando con sé quelli che non erano
abbastanza forti da poter resistere al suo incedere distruttivo.
La pioggia sulle nostre teste parve volerci concedere un attimo di
tregua, riducendo la sua intensità.
Non che questo fosse una gran consolazione.
Ero fradicio, stanco, affamato e maledettamente incazzato con il tipo
che ci aveva inseguito per le strade di Cuorepoli.
Umbreon mi si avvicinò zoppicante.
Merda, ti prego, dimmi che non è una cosa grave.
Mi inginocchia e presi in braccio il mio pokémon. Strinsi le
dita attorno alla zampa ferita, facendo uscire un rigolo di sangue da
un taglio sul palmo.
Un frammento di vetro si era fatto strada tra i cuscinetti callosi,
arrivando fin dentro la morbida carne.
- Dobbiamo andarcene via immediatamente. – Mi disse gelido
Jacob, facendo rientrare nella sua sfera il suo Toxicroak poco davanti
a me – Non credo abbiano intenzioni di farci scappare
così facilmente. –
La bianca pinna dorsale di un Gyarados tagliò le onde come
una lama, annaspando controcorrente per dirigersi verso nord.
Io con quell’affare non voglio averci a che fare.
- Un attimo solo. –
Presi con cura il frammento traslucido tra i polpastrelli, sfilandolo
piano per non provocare ulteriore dolore al mio compagno, poi, appena
quel corpo tagliente fu completamente fuori, presi dalla mia borsa una
delle poche pozioni che si erano salvate dalla mia fuga da Darkrai,
spruzzandone il contenuto sulla ferita che smise quasi immediatamente
di sanguinare.
- Bene. – bofonchiai.
Bene davvero.
Feci rientrare Umbreon nella sua sfera, per poi avvicinarmi
all’allenatore coperto dall’impermeabile color
canarino.
- Flemminia non è molto distante. – mi disse con
voce assorta Jacob e lo sguardo perso tra le violente onde che
correvano davanti a noi.
Le due sfere rotearono nell’aria umida, per poi far cadere
pesantemente il Tentacruel e lo Sharpedo nelle acque burrascose.
Salii sul dorso del mio compagno lentamente, le mie suole non
riuscivano ad avere una buona presa sulle squame bagnate di quel corpo
stretto e l’unica sicurezza che potevo vantare era la pinna
dorsale che svettava davanti al mio petto.
Procedemmo piano, diagonalmente, cercando disperatamente di non farci
comandare dalla corrente e raggiungere il prima possibile la riva
opposta.
Per qualche istante, un urlo alle mie spalle riuscì ad aver
la meglio sul rumore dell’acqua.
In piedi, dritti sulla sponda dalla quale eravamo partiti, una mezza
dozzina di persone muovevano le braccia e le bocche nella nostra
direzione. Alle loro spalle l’imponente Nidoking ci osservava
da dietro il suo corno velenoso.
Un sasso cadde nelle acque a un metro e mezzo da noi, affondando tra i
flutti. Ma nessun lancio ci avrebbe raggiunti, ora.
Avrei voluto baciare il molle terreno quando questo tornò ad
essere una base sicura sotto i miei piedi.
- Non fermiamoci ora. È dall’inizio di questa
situazione che non metto piede a Flemminia, se anche quel paese
è stato preso da una banda rischiamo di farci trovare dalla
notte senza un tetto sulla testa. –
Il cielo scuro fu squarciato da un fulmine abbagliante, che si
andò a schiantare sulla sommità di
un’alta torre scura.
- E quella? – chiesi, indicando con un pollice la struttura.
- Quella? È la Torre Memoria. È il più
grande monumento della regione dedicato ai pokémon caduti.
–
- Se non ci fosse nessuno, non potremmo usarla come base? Almeno per
una notte. –
- Che diavolo di testa avete, voi di Hoenn? Dormire in un cimitero, sei
serio? –
- Non mi sembrava una così brutta idea, vista la nostra
situazione. Lascia perdere. Cambiando discorso… - Mi voltai
verso il mio compagno di viaggio, socchiudendo gli occhi. –
Dove sono i capipalestra della regione? So che Fannie, nonostante
l’età, è considerata come uno degli
allenatori più forti in assoluto, come può una
donna del genere permettere che una banda come quella che ci ha
attaccati di prendere possesso di una struttura come il centro
pokémon? –
Jacob sospirò, portandosi le mani alla nuca. – I
disordini, da quanto so, qui sono iniziati un paio di mesi prima,
rispetto ai vostri. Pedro, Gardenia, Fannie, Marzia e Bianca, i loro
cinque nomi sono stati incisi su una lapide commemorativa davanti alla
struttura della lega. Erano andati a controllare la situazione
all’interno dei tunnel del Monte Corona quando ci fu la frana
più violenta, che li travolse senza lasciare loro scampo.
Omar, Ferruccio e Corrado hanno cercato di mantenere l’ordine
per un mese, ma vennero raggirati da un gruppo di ribelli, che li
uccisero in un blitz alle porte di Giubilopoli. Una settimana dopo
che venne resa pubblica la dipartita degli ultimi tre capipalestra
rimasti, si persero completamente anche le tracce di Aaron, Terrie,
Vulcano, Luciano e Camilla. Si dice in giro che siano partiti per
cercare la causa di questi problemi, ma nessuno ha notizie certe.
–
- Mi stai dicendo che i tredici allenatori più forti della
regione sono tutti morti? Oh, merda... Porco Arceus. –
- Forza, noi siamo ancora fin troppo vivi. Andiamo.
– |
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Capitolo 11 *** Un degno rivale ***
Avevo visitato Sinnoh, da bambino.
Mio padre aveva portato me e la mamma per passare una settimana di
vacanza ad Arenipoli, facendoci visitare un paio di città
quando non eravamo in spiaggia. Flemminia, però ancora mi
mancava.
Rimasi deluso da quello che vidi.
Faceva schifo, esattamente come Cuorepoli e Pratopoli prima di lei, era
fangosa e parte della pavimentazione della strada che stavamo
percorrendo e degli alberi che delimitavano i confini del paese erano
stati trascinati via dall’inondazione che doveva essere
passata prima di noi. Nulla di nuovo sotto il pallido sole nascosto
dalle nubi.
Mi delusero le dimensioni del paese.
Il numero delle case superava di poco la cinquantina. Che poi, ci vuole
coraggio a chiamare questi ruderi case.
Dovevano essere state costruite tutte su di un piano solo,
prefabbricati di pessima fattura, a giudicare dal disastro lasciato dal
travolgente passaggio dell’acqua. Solo le fondamenta delle
costruzioni potevano suggerirmi dove fossero posizionate.
Solo due strutture erano rimaste in piedi. Erano edifici decisamente
vecchi, costruiti con la pietra di un monte vicino.
Sulla mia destra, sopra alla prima di queste, i pochi coppi blu rimasti
stoicamente attaccati mi sembravano troppo puliti per poter far davvero
parte dell’ambiente intorno.
- Vediamo se è rimasto qualcosa, là
dentro. – Mi disse Jacob, oltrepassando l’ingresso
senza porta del negozietto.
- Vuoi rubare? – gli chiesi sconvolto.
Menomale che sono io quello con la mente malata. Cercare riparo in un
cimitero è la peggior cosa che potessimo fare, ma,
ovviamente, è più che normale entrare nei market
distrutti per fare gli avvoltoi.
- Rubare? – mi rimbeccò l’allenatore
coperto dall’impermeabile giallo – Secondo te la
roba che c’è qui dentro ha ancora un proprietario?
–
Sospirai. Ancora poco e sarei arrivato a destinazione, smettendo di
aver bisogno di un compagno di viaggio.
Della porta automatica in vetro che doveva essere stata posizionata in
quell’ingresso, non era rimasta nemmeno l’ombra.
Poi vidi l’interno.
Non mi era mai capitato di vedere dal vivo gli effetti di
un’inondazione.
Gli armadi erano stati scaraventati contro i muri, a terra, immersi in
uno spesso strato di fango, potevo riconoscere i frammenti dei
contenitori delle pozioni e degli elisir, mescolati a brandelli di
stoffa che dovevano essere state le tende del market.
Sul bancone era crollata una travi del soffitto, rompendone il vetro.
Mi era tutto così familiare, così terribilmente
vicino.
Mi sentii male. Avvertii improvvisamente lo stomaco chiudermisi in una
morsa.
L’aria sembrò non aver intenzione di entrare
ancora nel mio corpo, facendomi annaspare come un pesce fuor
d’acqua.
Mi estraniai completamente, smettendo di vedere la desolazione che mi
circondava. Al loro posto vidi le lingue di fuoco lambire e divorare la
mobilia di legno e le pareti in mattone della casa.
Vidi le tende prendere fuoco, il soffitto diventare irriconoscibile per
via della cappa nera che lo oscurava e avvertii il calore sul mio viso.
Un mobile cadde a terra, spaccandosi in un boato spaventoso.
Papà! Aiuto, papà!
Lo vidi, davanti a me, con quel suo ciuffo rosso floscio sulla nuca
rasata.
Aveva lo sguardo spaventato.
Mi caricò in braccio, di corsa, puntando la porta
d’ingresso con tutte le forze che aveva.
Il soffitto scricchiolò sopra le nostre teste.
Al mio fianco vidi il mobiletto dell’ingresso, sul quale un
portafoto stava bruciando. A stento si riconosceva il Mantine appeso al
filo da pesca, i due uomini al suo fianco erano già stati
divorati dalle fiamme.
Vidi la mamma fuori dalla porta, che ci guardava con le mani davanti
alla bocca.
Urlava?
Non lo so. Non sentivo nulla.
Poi ci fu un altro scricchiolio nelle travi del soffitto.
Caddi a terra, con il pavimento che tremava e la polvere che mi
vorticava intorno.
Dov’era il papà? Perché non lo vedevo?
Alle mie spalle c’era solamente l’imponente trave
portante in fiamme, coperta da centinaia di chili di calcinacci.
Corsi verso la porta, zoppicando.
Mamma mi abbracciò.
Il fuoco che stava divorando la nostra casa fece gettare a qualcosa una
lunga ombra scura sul terreno. Un pokémon? Una persona?
Quando alzai lo sguardo era comunque già sparito.
- Nail… -
Papà?
- Nail. –
Cosa c’è?
- Nail! Arceus infame! Datti una svegliata! –
Mi riebbi improvvisamente.
Ero ancora nel market, immobile sotto l’ingresso. Potevo
sentire il sudore colare sulla mia fronte.
- Nail, ci sei? – A un palmo dal mio viso riconobbi gli occhi
di Jacob fissarmi.
- Si, certo. Scusami. –
- Ti eri imbambolato. Comunque qui dentro non c’è
nulla e, di sicuro, non possiamo passarci la notte. –
Presi un profondo respiro, per poi uscire di nuovo
all’esterno.
L’altro edificio ancora in piedi non era molto distante. Era
una semplice casa su due piani, completamente costruita in pietra.
Probabilmente, al suo fianco, una volta, doveva esserci un recinto,
come lasciavano intendere i tre pali che erano rimasti incastrati tra
il fango e il muro della costruzione.
La porta d’ingresso era chiusa, bloccata dalla terra che era
stata spostata dal fiume. Sul lato destro, però, da una
finestra era stata calata una scaletta a pioli di fortuna, talmente
esile da oscillare anche con la poca brezza che percorreva la nostra
stessa strada.
- Ehi! – urlai in direzione della finestra, attirando
l’attenzione del mio compagno di viaggio.
- Che stai facendo? – mi ringhiò contro Jacob
– Sei forse impazzito? E se ci fosse un’altra
banda, qui intorno? –
- Quale banda vuoi che venga a occupare questo buco? Lì
c’è una scala e dubito che l’acqua abbia
raggiunto il secondo piano di questa casa. Potrebbe esserci ancora
qualcuno o, se così non fosse, potremmo comunque aver
trovato un posto per la notte. –
- Se dovesse succedere ancora qualcosa, sappi che il mio primo pensiero
sarà quello di scappare. –
Bell’incoraggiamento .
Mi spostai ulteriormente verso la finestra. – Ehi!
C’è qualcuno? –
Una piccola sagoma comparve dietro il vetro sporco della finestra, per
poi scomparire.
Almeno avevo la certezza che qualcuno mi avesse sentito.
- Sono un allenatore professionista di Hoenn, impiegato nella palestra
di Bluruvia. Io e il mio compagno di viaggio avremmo bisogno di un
riparo per la notte. – urlai ancora in direzione della
finestra.
Il fatto di aver battuto il campione della propria regione ed essersi
così assicurati un posto nell’associazione degli
allenatori, normalmente, aveva sempre reso la gente più
bendisposta nei miei confronti.
Aspettai che qualcuno aprisse la finestra.
- Sono disposto a ricompensare la vostra ospitalità!
– aggiunsi.
Dovettero passare ancora una manciata di minuti, prima che le ante
sporche della finestra si aprissero. Dietro a queste un vecchio mi
osservava torvo.
- Cos’è che volete, esattamente? – mi
chiese con voce gracchiante l’uomo.
- Solo un posto per passare la notte. – gli risposi
– Posso pagarla per il disturbo. –
Il vecchio ci fissò truce, confabulando con qualcuno alle
sue spalle che non riuscivo a vedere dalla mia posizione. Sembravano
star litigando.
L’uomo tornò a rivolgersi a noi con aria stizzita.
– Venite su. Vi ospiteremo solo per questa notte, non di
più. –
Preferii non rispondergli, se mi fosse uscita una parola di bocca,
probabilmente, ci avrebbe cacciati. Ma Arceus sa cosa non avrei voluto
sputargli in faccia.
Come potevano delle persone, dei civili in questa situazione, fare le
preziose con gente che, comunque, sta lavorando per loro?
Come può anche solo pensare che facciamo parte di una
qualche banda, visto lo stato pietoso in cui siamo?
Risalii la scala di corda, con il viso di Jacob a meno di una spanna
dai miei piedi, entrando nella finestra dalla quale ci avevano risposto.
Il secondo piano era una soffitta, un’unica camera dal
soffitto spiovente. In un angolo, in fondo, la criniera fiammeggiante
di un Ponyta rischiarava il muro in legno, senza lambirlo o rovinarlo, e
le schiene delle cinque persone che ci stavano davanti.
Il vecchio con cui avevo parlato stava in piedi di fronte a me,
leggermente incurvato dagli anni, con un consumato maglione in lana
addosso. Alle sue spalle, una donna dai capelli bianchi aveva il volto
rugoso imbronciato con il marito, credo.
Accanto all’anziana c’erano due ragazzi che avranno
avuto almeno un paio d’anni in meno di me e una bambina
decisamente più piccola. Lei doveva essere la sagoma che
avevo intravisto dietro il vetro.
Fai finta di credere davvero a quello che stai per dire.
- Grazie per l’ospitalità. Se possiamo fare
qualcosa per ricambiare, fatecelo sapere. –
Ai miei piedi, intanto, una piccola pozza d'acqua si stava allargando,
alimentata dalle gocce che cadevano dall'orlo dei miei pantaloni.
- Non cadere dal pero, - mi rispose il vecchio con voce secca
– certo che dovrete guadagnarvi la notte. –
Un Marill comparve da dietro la schiena della ragazzina, emettendo quel
suo fastidioso verso acuto.
- Vincent, non credi che dovremmo lasciarli riposare un poco? Guardali,
sono esausti. – disse alle sue spalle l’anziana.
- Non voglio pesi in casa mia. Come vi chiamate? –
- Certo, che sbadati siamo stati. – gli rispose Jacob
scrollando leggermente le maniche del suo impermeabile dalle gocce
d’acqua che erano rimaste lì imprigionate
– Io sono Jacob Randam e il mio compagno di viaggio si chiama
Nail. –
Il vecchio sbuffò. - Andy, accompagnali di sotto, fagli fare
quello che serve. –
Il ragazzo più grande si allontanò da quella che
doveva essere sua nonna, facendoci segno di seguirlo.
Mi ritrovai a scendere una scala in pietra nascosta dietro una porta
del primo piano, i cui ultimi scalini si perdevano sotto un profondo
strato di fango e cianfrusaglie in parte affondate.
Le mie scarpe affondarono nel terreno, ma meno di quello che mi sarei
aspettato. Il fango aveva avuto abbastanza tempo per asciugarsi ed
assestarsi al punto da diventare una base sufficientemente sicura sulla
quale camminare.
Jacob estrasse una sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca,
stringendola tra le labbra e accendendola dopo un paio di tentativi con
l’accendino consumato che teneva nello stesso pacchetto.
Io mi guardai intorno, cercando di capire perché ci avessero
fatto scendere al piano terreno di quell’abitazione.
Accanto a una mangiatoia di fortuna, quattro Miltank riposavano
sdraiate sul terreno smosso. Contro la parete opposta, in dei nidi di
paglia intrecciata, sette Chansey si dondolavano, sfruttando la
rotondità del loro corpo.
Tra questi due gruppi, un piccolo alveare di Combee ronzava
sommessamente, accanto a due Bonsly e tre Burmy che
rimanevano immobili come fossero realmente alberi.
- Dovete scusare il vecchio. – disse all’improvviso
il ragazzo, raggiungendoci con un secchio di latta in mano –
Tende a non avere molto polso, quando si tratta di avere a che fare con
le persone. Per questo era mia nonna a stare dietro il bancone, mentre
lui gestiva la pensione vera e propria. –
- Questa era una pensione pokémon? – chiesi
stupito.
- Si… lo era. Ma ora, dopo l’inondazione, di tutti
i pokémon che stavamo allevando, nostri e di altri
allenatori, questo è tutto quello che rimane. –
- Mi spiace. – dissi sommessamente.
Cos’altro avrei potuto dire? Ovvio che “mi
dispiace”, è un’ovvietà.
Bisognerebbe essere dei bastardi senza cuore per rimanere indifferenti
a un casino del genere. Detto questo, però, non posso
fermarmi a piangere su qualcosa che è già
avvenuto, ad altri, per giunta.
- Cosa dobbiamo fare? – chiese Jacob, sfilandosi per un
attimo la sigaretta fumante dalla bocca.
- Io devo mungere le Miltank, voi potreste…. Prendere le
uova dalle Chansey, non dovrebbe essere troppo difficile, per voi.
–
Hai un’alta considerazione in noi, vero? Quanto
può essere difficile prendere un paio di uova?
Mi avvicinai ai nidi, studiando i sette pokémon rosa come se
dovessi catturarli. Mi sarei dovuto muovere in fretta.
Allungare la mano verso il marsupio, prendere l’uovo e
sfilarlo. Non sembra un compito così difficile.
Allungai la mano, lentamente, verso la prima Chansey, con le dita tese
verso la pallida e liscia superficie dell’uovo.
Uno schiaffetto dell’arto tozzo del pokémon mi
fece immediatamente ritirare il braccio.
Ritentai più velocemente, ma, di nuovo, lo schiaffetto
intercettò il dorso della mia mano.
Una risata proruppe alle mie spalle.
- Si vede che non sei un campagnolo, Nail. – disse Jacob con
le labbra serrate attorno alla sigaretta, per metà
consumata. – Sarai anche un allenatore promettente, ma non ci
sai proprio fare con la vita vera. Guarda e impara. –
L’uomo con l’impermeabile giallo si
chinò davanti al primo pokémon della fila,
porgendogli la mano con il palmo rivolto verso il soffitto.
Così rimase, immobile, in attesa di qualcosa.
La Chansey lo guardò, poi rivolse il suo sguardo verso di
me, quindi per tornare a concentrarsi sull’allenatore veleno.
Infine, il pokémon prese con gli arti tozzi il proprio uovo
dal marsupio, porgendolo all’uomo dai capelli scuri davanti a
sé con uno squittio, che gli sorrise in risposta e
accettò il dono.
- Visto? Dovresti viaggiare ancora un po’ finché
sei così giovane, potresti imparare parecchio vivendo per un
po’ in campagna o, comunque, a stretto contatto con i
pokémon non destinati alle lotte. –
Sbuffai, irritato.
Ci sarei arrivato anche da solo a farmi dare quell’uovo.
Mi avvicinai alla seconda Chansey, mi inginocchiai e gli porsi la mano,
guardandola fissa negli occhi.
E aspettai.
Aspettai per diverse decine di secondi, puntando quei suoi piccoli
occhietti neri che mi fissavano beffardi.
Ero disperato. Jacob aveva già recuperato il suo terzo uovo
ed io, ancora, ero a mani vuote.
Tornai a concentrarmi sulla mia rivale, cercando di non perdere mai il
contatto visivo.
Avanti, dammi il tuo uovo.
Allungai un poco il braccio verso di lei. Magari ero troppo distante.
Forza. Ho bisogno del tuo ovetto.
Merda, Jacob ne ha preso un altro.
Dai, porgimi il tuo uovo e facciamola finita con questa pagliacciata.
Gli occhi della Chansey mi parvero vuoti. Certo, mi stava guardando, ma
non sembrava essere particolarmente interessata a me.
Dai!
Crollai, qualcosa in me si spezzò. Nemmeno quando venni
sconfitto per la quinta volta dai superquattro della lega mi sentii
così tanto demotivato. Ero stato battuto, costretto alla
resa da un tondeggiante pokémon rosa con un uovo nel suo
marsupio.
Abbassai lo sguardo, in segno di resa.
Ti prego, dammi il tuo uovo! Per favore!
Mi sentivo avvilito.
Qualcosa di fresco venne appoggiato sul mio palmo.
Quando tornai a guardare verso l’alto, vidi le tozze braccia
della Chansey ritirarsi, lasciando a me il tanto agognato uovo.
Ci ero riuscito! Avevo l’uovo!
- Bene. – disse alle mie spalle Jacob – Ce
l’hai fatta. –
Accanto ai piedi dell’allenatore dai vestiti viola, riposavano
sei uova, accuratamente appoggiante sulla morbida terra, in modo che
non potessero rotolare via o rovinarsi.
- Certo, certo. C’è altro da fare? –
Non avrei mai ammesso davanti a nessuno di essermi ridotto ad implorare
un pokémon per il suo fottutissimo uovo.
- Non credo. – mi rispose Jacob, facendo cadere la poca
cenere rimasta per terra, per poi guardare sconsolato il mozzicone
– Appena Andy finisce con quelle Miltank, non dovrebbe
esserci altro da fare. –
Mi sedetti sul secondo scalino sopra al livello della terra smossa,
guardando l’uovo che mi ostinavo a tenere in mano.
Il ragazzo impiegò pochi minuti a finire di riempire il suo
secchio con quel latte appena munto, raggiungendoci ai piedi della
scala.
- Prendete tutte le uova e seguitemi, forza. – ci disse Andy,
aspettando che mi levassi dalla sua strada per poter salire fino al
piano superiore. |
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Capitolo 12 *** Quasi fossi in famiglia ***
L’acqua nella pentola cominciò a bollire
vivacemente sul fornello di fortuna che era stato montato sopra la coda
fiammeggiante del Ponyta, che, obbediente, rimaneva immobile.
L’anziana donna ripose il coltello che teneva in mano in un
cassetto al suo fianco. Nonna Catherine, così
l’aveva chiamata la ragazzina poco prima.
Mentre le poche verdure tagliuzzate caddero nell’acqua, una
bottiglia che, un tempo, doveva aver contenuto del vino si
riempì dell’acqua cristallina prodotta dal Marill.
Quel merdoso vecchio scorbutico mi diede una spallata, portando degli
altrettanto merdosi e vecchi piatti in ceramica verso il tavolo in
parte apparecchiato.
Non gli dissi nulla. Mi trattenni solo perché, se avessi
tolto i freni alla mia lingua, saremmo stati costretti a dormire fuori.
Sentii la manica della mia felpa venir tirata un paio di volte verso il
basso.
Cosa. C’è. Adesso?
Cosa diavolo c’è adesso?
Perché non posso essere lasciato in pace?
Voltai la testa con sguardo stanco. Forse, se gli avessi fatto pena, mi
avrebbero lasciato in pace, per questa sera.
La ragazzina mi stava guardando con quei suoi maledetti occhioni da
bambina.
Ti prego, non usarli con me…
- Ciao. – mi disse, spostandosi una ciocca sporca di capelli
dietro l’orecchio con la mano libera – Tu sei un
allenatore, vero? –
- Si. – le risposi.
Avevo appena firmato la mia condanna a morte. Avrei passato la serata a
fare la tata.
Mi chinai, in modo da portarmi alla sua altezza. – Dimmi, tu
hai un pokémon tutto tuo? –
La bambina scosse vigorosamente il capo, facendo ondeggiare la chioma
chiara.
- Come ti chiami? – le chiesi.
Mia madre aveva avuto la pessima idea di mandarmi un’estate a
fare da animatore a un campeggio dalle parti di Forestopoli.
Lì iniziai ad odiare profondamente i bambini, ma, per lo
meno, fui costretto ad imparare come farli divertire in modo che non mi
seccassero troppo.
- Tania. Mi fai vedere i tuoi pokémon? –
Non perde tempo la ragazzina…
- Va bene. –
Sospirai, portando la mano alle sfere appese alla cintura.
Sharpedo decisamente no. Un simpatico squalo con le squame cartavetrate
non è il miglior compagno di giochi per nessuno. Anche se
potrei farci un pensiero, ogni tanto.
Blaziken è fuori discussione. Se è possibile ha
un carattere peggiore del mio con gli estranei.
Per Mightyena vale quasi lo stesso discorso di Sharpedo. Che male
potrà mai fare un grosso cagnone con zanne affilate e una
mentalità da branco a una bambina.
I miei polpastrelli scivolarono sulle sfere opache, mentre la mia mente
continuava a riflettere su chi far uscire.
Swellow, Umbreon o Absol… Non sono troppo grossi,
per poter stare qui dentro senza fare casini.
- Voglio vedere questo! – mi esclamò in faccia la
bambina con quella sua vocetta immatura, quasi strappando il supporto
dalla cintura mentre le sue mani si affannarono a prendere la terza
sfera.
- Cosa vorresti… -
Impiegai un attimo a capire cosa aveva appena fatto la ragazzina.
Quale sfera aveva preso?
No… non quella. Tutte, ma non quella.
- Aspetta! – dissi, appena realizzai cosa era successo.
Troppo tardi. La sfera stava già volteggiando in aria, con
il led rosso dell’interruttore lampeggiante.
Il mio pokémon si materializzò al nostro fianco.
Il becco rosso si voltò prima in direzione del mio viso, per
poi puntarsi contro quello della ragazzina, aprendosi di qualche
centimetro.
Diverse fiammelle si levarono a sprazzi dai polsi bendati di Blaziken.
Le piume, sia quelle rossastre che quelle bianche, fremettero, mentre
gli occhi scuri scrutavano Tania, che sedeva rigida a quella vista.
Merda.
Provai a sporgermi in avanti, frapponendo il mio braccio tra il
pokémon e la bambina.
Di Blaziken potevo dire veramente tante cose, che fosse forte,
irascibile, inadatto al mondo al di fuori delle lotte, ma, sicuramente,
non avrebbe mai provato a nuocermi, anzi. L’avevo cresciuto
io, avevamo viaggiato insieme per degli anni, progredendo di pari passo
nelle nostre esperienze.
Non mi avrebbe fatto nulla.
Fiamme più alte si alzarono, scaldandomi la guancia.
Sarebbe bastato il mio braccio a trattenerlo?
No, l’avrebbe potuto aggirare.
Merda.
L’aria tornò a raffreddarsi.
Cosa?
Le ultime lingue di fuoco si esaurirono. Il pokémon
fiammeggiante, quindi, si sedette a terra, permettendo alla ragazzina
di appoggiare le sue mani tra le piume tiepide.
Grazie al cielo.
- Il mio fratellone ne aveva uno con le piume molto simili.
Però è tutto nero. –
- Chi è tuo fratello? Andy? –
- No! – esclamò lei, smettendo per un attimo di
accarezzare le piume rosse – Andy lavora solo per i miei
nonni. Chris è il mio fratellone. –
- Perché hai detto che ne aveva uno così? Non ce
l’ha più? –
La bambina tornò a scuotere la testa in maniera negativa.
– Aveva lasciato tutte le sue sfere a casa, quando siamo
venuti ad aiutare i nonni. –
Tania tornò ad accarezzare le morbide piume davanti a lei,
sotto lo sguardo serio del pokémon.
Appoggiai la mia mano sul polpaccio del mio compagno.
Per quanti giorni saranno stati bloccati qua dentro?
Avrei dovuto informarmi di più sulla loro
condizione… ma non da Tania.
La minestra calda venne versata nei sette piatti.
Immersi il cucchiaio nel brodo scuro, isolandomi per un attimo
dal mondo esterno mentre un pezzo di carota rimasto integro galleggiava
lentamente verso l’interno della posata che tenevo in mano.
Nessuno sembrava aver intenzione di aprir bocca ed io, di certo, non
sono il tipo adatto a iniziare un discorso.
- Ditemi, - l’anziana alzò lo sguardo verso me e
Jacob, seduti uno accanto all’altro a lato del tavolo
– cosa vi ha portati qui da noi, con un tempaccio del genere?
–
- Vengono a portar guai. Ecco cosa. – Borbottò suo
marito, con la fronte bassa puntata sul suo piatto.
- Vincent! – lo riprese la moglie, per poi tornare a
guardarci.
- Vedete… - dissi, appoggiando il cucchiaio a lato del
piatto – Hoenn ha cominciato da poco ad accusare gli stessi
sintomi di Sinnoh. Sono state create delle squadre per cercare le
possibili cause di tutto questo ma, finora, non abbiamo avuto molto
successo. – mi passai una mano tra i capelli, guardando il
mio riflesso nella minestra fumante – Non avevamo ricevuto
notizie o aggiornamenti da questa regione, quindi una delle otto
squadre è venuta a controllare di persona la situazione,
assolutamente impreparata per questi eventi…
è da una settimana che non abbiamo notizie di loro, per
questo sono corso fin qui da Hoenn . –
- Oh! Poveri ragazzi! – disse l’anziana, coprendo
con la sua voce lo sbuffo del marito – E
te… Jahkob? –
L’allenatore dagli abiti viola le sorrise in risposta,
appoggiando il cucchiaio all’interno della ciotola mezza
piena. – Jacob, ma non importa… Sono nato e
cresciuto a Giubilopoli e non ho nulla di speciale, assolutamente. Ho
ricevuto alcuni giorni fa un messaggio di un mio caro amico, mi ha lasciato scritto
di trovarci nella sua base a Memoride, solo che… sono
rimasto senza compagni di viaggio a Pratopoli, almeno finché
Nail non è piombato fradicio nel centro pokémon
in cui sostavo. –
Il discorso non ebbe vita molto lunga.
Dalle risposte frammentarie dell’anziana capii che i suoi due
nipoti sarebbero dovuti rimanere ad aiutarli nella pensione solamente per un paio
di settimane, prima di tornare in città, ma la piena del
fiume li aveva colti impreparati, costringendoli a barricarsi in quella
casa in attesa che le condizioni meteo migliorassero.
Per loro culo, la terra che era riuscita ad entrare al piano inferiore
gli aveva permesso di mantenere ancora qualche pokémon per
sostentarsi.
Certo che rimanere chiusi nella propria casa per tutto questo tempo non deve
essere la migliore esperienza che si possa sperare…
Quando le minestre furono consumate fino all’ultima goccia,
l’anziana Catherine si alzò dal suo posto,
raccogliendo le ciotole e richiamando a sé il Marill
perché l’aiutasse a lavarli.
- Posso aiutare? – chiesi, alzandomi a mia volta dalla sedia.
- Puoi asciugarli, se ne hai voglia. – mi rispose con un
largo sorriso che rimarcava le già profonde rughe
– Lo straccio è li. –
Mi avvicinai al cencio che mi aveva indicato, rigirandomelo per una
attimo tra le mani, mentre l’acqua cristallina prodotta dal
paffuto pokémon azzurro eliminava le tracce di verdura dalla ceramica.
Alle mie spalle, colsi con la coda dell’occhio Jacob
avvicinarsi alla finestra dalla quale eravamo entrati, per poi aprirla,
permettendo a una fresca e umida brezza notturna di entrare nello
stanzone.
Dal suo pacchetto venne estratta una sigaretta rovinata dal viaggio e
l’accendino.
Tornai a guardare l’anziana al mio fianco, mi
passò la prima ciotola gocciolante.
- Perché non avete provato a raggiungere un’altra
città, quando il temporale si attenuava? – le
chiesi, facendo scorrere lo strofinaccio sulla ceramica.
- Chi lascerebbe un posto così sicuro per trovare
chissà cosa? Appoggialo su quella mensola, quando hai
finito. –
Alle mie spalle sentii Jacob bofonchiare qualcosa.
Mi voltai, portando la ciotola verso l’armadio che mi era
stato indicato.
L’allenatore dagli abiti viola stava scuotendo vigorosamente
l’accendino che teneva in pugno, con la sigaretta ancora
spenta tra le labbra.
Chris, il nipote maggiore della coppia, gli si avvicinò,
porgendogli un rettangolo metallico, mentre l’altra mano era
impegnata ad estrarre una sigaretta da una scatoletta in latta.
Jacob gli disse qualcosa sorridendo, troppo piano perché io
potessi capire le parole, per poi prendere l’oggetto e
aprirlo con uno scatto, innescando una fiammella nella porzione
dell’accendino nascosta sotto il coperchio.
Ritornai alla mia postazione di fianco all’anziana, lasciando
i due fumatori alle loro chiacchiere.
- Vuoi andare a fargli compagnia? – mi chiese Catherine,
indicando con un cenno del capo i due uomini alla finestra –
Qui posso finire anche da sola. –
- No, grazie. Non fumo. – le risposi, riponendo
l’ennesima ciotola al suo posto.
- Fai bene. Quella roba non è per niente salutare. –
La mia felpa consumata venne tirata un paio di volte verso il basso.
Non che mi importasse particolarmente, in quel momento.
L’ambiente di quella casa, tolto il vecchio scorbutico, era
riuscito a farmi rilassare i nervi.
Guardai in direzione della cosa che mi tirava.
Tania era lì, a fissarmi con i suoi occhioni da bambina.
- Posso giocare con un altro dei tuoi pokémon? –
- Tania! – la rimproverò l’anziana al
mio fianco – Non disturbare il nostro ospite! –
- Scusa… -
- Non importa. – le risposi.
Blaziken aveva avuto una mezzora di buon cuore, prima di cena, ma non
avrei messo ulteriormente alla prova la mia fortuna.
Sarei andato sul sicuro, questa volta.
Sfilai la prima sfera e gliela porsi.
- Trattalo bene. – le dissi, per poi vederla correre via.
Umbreon comparve in un angolo dello stanzone, fissando come confuso con
i suoi occhi rossi la bambina che aveva lanciato la sua sfera.
Quando le sue pupille strette mi trovarono, gli feci un cenno del capo,
come per rassicurarlo.
Il pokémon si sdraiò quindi a terra, permettendo
alle piccole mani di Tania di appoggiarsi sul pelo scuro della sua
nuca, scompigliandogli i peli gialli e il cerchio che questi formavano.
Quando tutta questa faccenda sarebbe finita, mi sarei preso una pausa,
se fossi stato ancora vivo. Magari avrei anche seguito il consiglio di
Jacob, sarei andato da qualche parte in campagna, per stare un
po’ più vicino ai miei compagni e meno alle lotte.
- Sei un bravo ragazzo, Nail. – disse
all’improvviso Catherine, togliendo il largo tappo che
impediva all’acqua che riempiva il lavandino di proseguire il
suo percorso lungo la tubatura a stento nascosta dalla muratura.
- Se davvero fossi bravo, avrei già trovato la causa di
questo casino. – le risposi, riponendo lo strofinaccio dove
l’avevo preso.
- Non devi essere così duro con te stesso. I migliori
allenatori di questa regione sono morti cercando una risposta.
–
La mia borsa, ai piedi dell’attaccapanni sotto cui
l’avevo buttata, cominciò a vibrare.
Maledizione! Mi ero dimenticato del PokèNav!
- Devo fare solo una cosa per un attimo. Scusami. – dissi
rapidamente all’anziana, raggiungendo a passo veloce il mio
zaino.
Il vecchio mi guardò di storto quando gli passai accanto, ma
non avevo il tempo di riservargli la sua dose di rancore oraria.
Estrassi l’apparecchio rosso dalla sua sacca stagna, fissando
l’icona indicante la chiamata in entrata. Poi il mio pollice
premette il pulsante per rispondere.
Comunicazione di servizio
A causa della mia arretratezza con i capitoli delle mie storie e la mia
totale assenza la settimana prossima, il prossimo capitolo
verrà pubblicato sabato 19 agosto.
Grazie a tutti per essere qui a leggermi e buona continuazione.
Vago |
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Capitolo 13 *** Una notte movimentata ***
Abbassai il volume al minimo, prima di ascoltare la comunicazione in
ingresso.
- Situazione della giornata.- gracchiò la cassa
dell’apparecchio.
- Squadra 2?-
- Al momento siamo fermi di stanza a Johto con la squadra 4. Nonostante
la disponibilità degli abitanti, il numero di sfollati
è estremamente complicato da gestire. -
Sono ancora vivi.
- 3?-
- Stiamo navigando in direzione di Hoenn. Siamo stati investiti da un
temporale ma i danni sono stati ridotti al minimo. Chiudo –
Per ora vivi, ma tornando ad Hoenn potrebbero esporsi troppo a dei
rischi.
- 4?-
- La squadra 2 ha esposto la nostra situazione. Posso solo aggiungere
che è stato avvistato qualcosa che potrebbe essere Lugia
sulle coste meridionali della regione.
Vivi anche loro.
- 6?-
-...-
Non so se sto facendo bene. Se rispondessi, forse, potrei chiedere un
supporto…
- 8?-
- …-
Devo riuscire a trovarli. Vivi, possibilmente.
- Centro medico principale?-
- Tutti i feriti che sono stati recuperati si stanno riprendendo, fatta
eccezione per l'allenatore della squadra 1, che versa ancora in condizioni
critiche. È probabile che i meno gravi potranno fornirci
informazioni riguardanti ciò che gli è capitato
entro un paio di giorni.-
Non so se sia un bene.
Ipotizzando che Rocco abbia ragione e ci sia una talpa nei piani alti,
i ragazzi che si stanno riprendendo potrebbero essere in pericolo.
Non posso trovare la squadra 8 e raggiungerli in tempo utile. Quanto
meno, se qualcuno di loro dovesse morire in circostanze misteriose,
avrei la certezza che la parte che ho scelto è quella giusta
- L’allenatore della squadra 6 e la squadra 8 sono
tutt’ora dispersi.-
La comunicazione venne chiusa.
Male. Non so se la situazione stia migliorando o peggiorando, comunque
continua a fare schifo.
Riposi il PokèNav al suo posto con un gesto stizzito.
La coppia di anziani ci mise a disposizione un paio di brandine
decisamente vecchie per passare la notte.
La criniera fiammeggiante del Ponyta illuminava blandamente la parete
opposta, scaldando l’aria della stanza per portarla a una
temperatura piacevole.
Mi sdraiai, facendo cigolare la rete metallica che sorreggeva il mio
materasso.
Memoride non era troppo lontana dalla nostra posizione, mi aveva detto
Jacob. Entro l'indomani pomeriggio saremmo dovuti arrivare a destinazione.
Da lì in poi sarei rimasto di nuovo da solo.
Improvvisamente, quell’idea mi parve meno allettante di
quanto mi era sembrata inizialmente. Se avessi incontrato di nuovo
l’allenatore che mi aveva attaccato nella Fossa Oceanica?
Oppure se fosse ricomparso Darkrai?
Sarei dovuto rimanere estremamente cauto.
Chiusi gli occhi, cercando di regolarizzare il mio respiro.
Mi svegliai placidamente nello stanzone. Strano, era da molto che non
mi capitava.
Mi misi a sedere sulla branda, guardandomi intorno.
Non c’era nessuno, oltre a me. Né gli anziani,
né i ragazzi, né tantomeno Jacob o i
pokémon che avrebbero dovuto dormire con noi.
La luce del sole penetrava dal vetro sporco della finestra, illuminando
i vortici di polvere che riempivano l’aria.
Che fossero scesi al piano di sotto?
Aprii la porta che mi avrebbe condotto al piano inferiore, iniziando a
scendere la scala che si trovava dietro a questa.
I gradini si susseguivano infiniti, avvolti
nell’oscurità più totale, mentre lo
spesso strato di terra che aveva invaso il pian terreno non si decideva
ad arrivare.
Mi voltai, ma, alle mie spalle, non riuscii a scorgere la porta da cui
ero entrato.
Non di nuovo…
Continuai a scendere, un passo dopo l’altro, sempre
più in basso, finché il mio piede sinistro non
riuscì a trovare uno scalino sul quale appoggiarsi.
Caddi in avanti, precipitando nel nulla più assoluto.
Stavo roteando? Forse no.
Da che parte era il soffitto? Non ne avevo idea.
Le mie gambe si mossero, ma non incontrarono nulla ad ostacolarle,
così come le braccia.
Come la luce di una torcia, la criniera bianca di Darkrai si accese di
fronte a me.
Pian piano, lentamente, la sua figura divenne più definita
nell’oscurità che ci avvolgeva.
Svegliati! Svegliati! Svegliati!
- Con chi sei? –
Ha cambiato domanda. Non mi ha chiesto dove sono diretto.
Me ne stetti in silenzio.
- Chi ti segue? –
Tu mi segui, maledetto bastardo.
Il signore degli incubi avvicinò alla mia testa la sua mano
artigliata, toccandomi la fronte con le dita gelide.
Accanto a me comparve Jacob, immobile nei suoi vestiti viola,
come fosse una statua di sé stesso.
Darkrai si voltò alla sua sinistra, come attratto da
qualcosa, il suo sguardo dardeggiante, però, non si
allontanò da me per molto.
Era come se qualcuno gli avesse parlato o si fosse intromesso.
In ogni caso, io non avevo percepito nulla.
- Scappa! –
Scappa? Scappare da te? Non c’è bisogno che tu me
lo dica.
Una luce accecante cominciò a farsi strada
nell’oscurità, cancellando le ombre che mi
tenevano prigioniero e l’immagine di Jacob che si era formata.
Oh, forse non era un ordine per me, ma una cosa che tu avresti dovuto
fare.
- Scappa, su, forza. Scappa! – gli urlai, mentre il
pokémon dalla criniera bianca scompariva rapidamente.
Riuscii a scorgere per poco la figura di Cresselia, avvolta nella sua
aurea arcobaleno, poi aprii gli occhi.
Le mie narici vennero riempite da un odore piacevole, caldo, forse
familiare.
Schiusi completamente le palpebre, trovandomi a guardare il soffitto
pendente di quel sottotetto.
Ma quest’odore…
Mi alzai.
L’anziana Catherine stava in piedi, davanti al fornello
alimentato dalla coda fiammeggiante del Ponyta.
Sul piano cottura, due pentole stavano facendo scaldare il loro
contenuto.
Solo dopo un paio di secondi la padrona di casa si accorse del fatto
che mi fossi svegliato.
- Oh! Il tuo amico, Andy e mio marito sono scesi di sotto a controllare
i Combee. Dormivi così bene che non hanno voluto svegliarti.
–
- Dubito che gli sarei stato di qualche aiuto, comunque. – le
risposi, agganciando il supporto per le sfere alla mia cintura.
Tania e suo fratello stavano giocando sotto la finestra con un mazzo di
carte consumato e decisamente troppo piccolo per poter contenere tutte
le carte con cui era nato.
- Non preoccuparti. – ribatté Catherine con il
sorriso sulle labbra – Mio marito ti avrebbe trovato qualcosa
da fare, fosse stato anche solo potare i Bonsly. Intanto, visto che sei
sveglio, preferisci il latte delle Miltank o la tisana? –
- Quale miscela ha? –
La donna parve un attimo interdetta, poi il suo sorriso si
allargò ulteriormente. – Finalmente qualcuno che
si intende di tisane! Eccolo, senti tu. –
L’anziana mi piazzò sotto il naso una bustina di
plastica stropicciata, al cui interno brandelli di foglie erano rimaste
a seccare per chissà quanto tempo.
Inspirai profondamente.
La fragranza mi riempì i polmoni. Sapeva di miele e fiori,
con una nota che non riuscii a riconoscere.
Era buono, decisamente.
- Ti piace, vero? È una miscela di Giadinfiorito. –
- È ottima, davvero. –
Catherine si tornò a voltare verso il fornello, dove
l’acqua dentro la pentola di destra cominciava a riempirsi di
piccole bolle.
La miscela di erbe cadde dalle mani magre dell’anziana, per
tingere di un inteso color arancione il contenuto della pentola.
La sostanza calda scese rapida nella mia gola, scaldandomi il ventre.
Mi mancava questa sensazione.
Davanti a me, Tania stava addentando voracemente un pezzo di pane
scuro, coperto da un velo di miele appena visibile. Ad ogni morso,
decine di briciole dure cadevano sul tavolo, rimbalzando un paio di
volte sul duro legno su cui era appoggiata la sua tazza colma di latte
caldo.
Non so per quanto tempo potranno andare avanti così. Non
importa che possano sopravvivere per sempre grazie ai
pokémon che allevano qua sotto. Catherine e Vincent sono
anziani, questo non è il posto in cui dovrebbero vivere.
Chris e Andy dovrebbero essere a casa con i loro genitori, con i loro
pokémon. E Tania… dai, è una bambina,
dovrebbe stare tutto il tempo a giocare con i suoi amici e ad
immaginare il viaggio che intraprenderà non appena gli
verrà affidato uno starter.
No, devo mettere fine a tutto questo anche per loro. Devo.
Catherine prese dal tavolo le tazze vuote, appoggiandole
all’interno del lavabo vuoto.
Jacob si alzò dal suo posto, dirigendosi verso la finestra.
– Nail, ci sei? Andiamo? –
- Certo. – gli risposi, alzandomi a mia volta.
- Già dovete andare? – la vocina stridula di Tamia
mi colpì le orecchie.
- Si. – le risposi sorridendo – Altrimenti chi
farà smettere di piovere? –
Sul volto della bambina comparve una smorfia di tristezza, mentre le
sue piccole dita giochicchiavano con una briciola rimasta sul tavolo.
Jacob si mise indosso il suo impermeabile giallo per poi aprire la
finestra, facendo entrare nello stanzone una corrente d’aria
gelida e umida.
- Grazie per la vostra ospitalità. Buona fortuna.
– disse ancora l’allenatore veleno, rivolto ai
nostri ospiti.
Una mano ossuta si protese verso di me mentre mi muovevo per
raggiungere la finestra.
Vincent mi guardava con quei suoi occhi duri, così tanto
contrapposti a quella mano che aspettava di stringere la mia.
Rimasi un attimo interdetto, per poi stringere tra le mie dita il magro
palmo dell’uomo.
- Buon viaggio. – mi disse bofonchiando, per poi spostarsi
per fare altrettanto con il mio compagno di viaggio.
- Tieni. – non ebbi nemmeno il tempo di pensare alla finestra
e alla scala sotto di essa che la voce di Catherine mi fece voltare il
capo. Nella sua mano, tra il pollice e l’indice, teneva un
piccolo sacchetto in plastica trasparente, al cui interno potevo
riconoscere una manciata della miscela di quella mattina. –
Prendi questa, per quando potrai di nuovo far bollire un po’
d’acqua. –
Le sorrisi in risposta, prendendo la bustina per riporla con cura nel
mio zaino.
- Grazie. Grazie davvero. Quando questo finirà, magari,
potrei tornare a salutarvi. Potrei anche portarti un po’ del
nostro tè da assaggiare. –
- Come sei tenero. – le rughe sul volto
dell’anziana si fecero più profonde quando sorrise
– Non devi preoccuparti per dei vecchi come noi. –
Mi portai lo zaino sulle spalle, pronto a partire.
Il bordo della mia giacca venne tirato verso il basso.
Tania era lì, che mi fissava con gli occhi lucidi.
Davvero? Stava piangendo?
- Ciao. – mi disse velocemente mangiandosi le parole, per poi
scappare in direzione del Ponyta.
Era il momento di andare.
Jacob cominciò a scendere lentamente la scala, con la
sigaretta appena accesa stretta tra le labbra.
Feci un cenno del capo a Chris ed Andy che, in silenzio, ci guardavano
mentre ce ne andavamo, poi misi il piede sul primo scalino, iniziando
la mia discesa verso il terreno.
Cominciai ad avvertire quasi subito il picchiettare della pioggerella
sulla mia schiena, ma non era nulla di insopportabile.
Riprendemmo la strada che proseguiva verso nord in silenzio,
lasciandoci alle spalle il market distrutto e la casa dove avevamo
passato la notte, con i cinque proprietari che ci guardavano attraverso
lo sporco vetro della finestra.
Mi ero fatto spiegare velocemente da Jacob cosa avremmo dovuto superare
per arrivare, finalmente, a Memoride e la sua risposta non era stata
delle migliori.
Il sentiero originale serpeggiava ai piedi dei monti, attraverso basse
colline rocciose collegate le une alle altre da ponti in legno e corda.
Ponti che, sicuramente, erano stati spazzati via dalla furia del fiume
che, secoli fa, aveva scavato quelle insenature.
Impiegammo poco più di mezzora dalla nostra partenza per
raggiungere il bivio di cui mi aveva parlato il mio compagno di
viaggio. A destra, verso il mare, ci sarebbe stata Rupepoli ad
accoglierci. Procedendo dritti, invece, saremmo arrivati alla nostra
meta.
In mezzo a quel crocevia, come una lugubre lapide, rimanevano i ruderi
di una casa solitaria.
- Qui vendevano un ottimo latte… - fu il commento scarno di
Jacob, prima che riprendesse a camminare verso nord.
Ci addentrammo nel percorso 215, salendo sulla prima formazione
rocciosa che incontrammo in modo da avere una visuale migliore su
quello che avremmo incontrato più avanti sul nostro cammino.
Nubi scure, intanto, si stavano tornando ad accumulare sopra le nostre
teste, facendo inspessire la coltre d’acqua che ci cadeva
addosso.
Sarebbe stato un lungo viaggio, quello.
Ogni ponte di collegamento aveva ceduto e, alla base delle collinette,
il fiume scorreva impetuoso ben più in alto delle sue sponde.
- Superato questo, siamo arrivati. – mi disse
l’allenatore dall’impermeabile giallo al mio fianco. |
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Capitolo 14 *** Il peggiore degli incubi ***
Ogni mio passo rischiava di farmi cadere, le rocce erano viscide,
intrise della pioggia battente che cadeva dal cielo.
Svoltammo a sinistra, seguendo il profilo delle colline rocciose, per
trovarci di fronte a un precipizio che, una decina di metri
più in basso, cadeva sull’inizio di una cascata
scrosciante.
I resti di un ponte pendevano molli dalle due estremità
assicurate alla pietra.
- Ed ora? – chiesi battendomi le mani sulle cosce.
- Ed ora? – ripeté Jacob con voce calma
– Ora tira fuori il tuo pokémon volante e fatti
portare di là. –
- Ma… non si fa così! – Provai a
protestare, rendendomi conto di quanto fosse esile la mia ragione.
- Non è che volare sul dorso di un pokémon serva
solo a tornare a un centro pokémon quando ci si rende conto
di essere nella merda fino al collo con i pokémon selvatici
che ti assediano. Forza, ora muoviti. –
Un Crobat comparve davanti all’allenatore veleno, porgendogli
le zampe posteriori perché lui potesse aggrapparcisi. Con un
paio di violenti battiti d’ali il pokémon
pipistrello si alzò in volo, dirigendosi verso la sponda
opposta.
Sospirai.
Mi sembrava strano dover sfruttare Swellow per un tragitto
così ridicolmente corto.
Lasciai aprire la sfera, guardando prendere forma al mio compagno
piumato.
Impiegammo pochi secondi a superare il baratro. Sotto ai miei piedi
potevo distinguere chiaramente le punte aguzze degli scogli comparire e
scomparire, allo stesso ritmo con cui le onde li colpivano.
Feci rientrare il pokémon volante non appena tornai a
toccare il suolo con le mie scarpe.
Ci ritrovammo davanti a una ripida parete rocciosa, solcata appena da
decine di scalini in pietra.
- Ed ora? – chiesi guardando la parete.
- Saliamo. Memoride è appena oltre questa scala. –
Cominciammo la lenta risalita sotto un cielo leggermente più
clemente nei nostri confronti.
Le ginocchia cominciarono a dolermi, gli scalini erano alti e stretti
al punto da rendere quella risalita quasi una scalata.
Finalmente, con gli ultimi passi, arrivai alla cima della parete,
potendo guardare cosa c’era oltre.
Poche, sparute case svettavano nel pianoro racchiuso tra le montagne. Una
decina di abitazioni, non di più, tutte con più
di settant’anni di storia tra le loro mura.
Nonostante le costruzioni fossero ancora in buona parte integre, non
un’anima sembrava abitarle.
Eravamo decisamente arrivati in una città fantasma.
Jacob prese una sigaretta dal pacchetto, cercando di accenderla con
l’accendino quasi completamente scarico. Solo dopo diversi
tentativi una timida fiammella comparve per bruciare la punta storta
del cilindretto pieno di tabacco.
- Il tuo amico dovrebbe essere da queste parti, vero? –
chiesi, voltandomi verso il mio compagno di viaggio.
- Dovrebbe, ma non mi ha ancora inviato le indicazioni per raggiungere
la sua base. – mi rispose guardandosi intorno – Per
il momento, vieni, ti faccio vedere da dove si accede ai tunnel del
Monte Corona, sempre che ne sia rimasto qualcuno integro. –
Attraversammo il paese velocemente, osservando ogni finestra in cerca
di un segno di vita, inutilmente.
Uno stagno sporco riempiva il centro della piana e, al suo
centro esatto , si alzava per pochi centimetri un tetto appuntito in
legno marcescente.
- Là sotto c’è una caverna con delle
incisioni rupestri. – mi disse distrattamente Jacob
procedendo in direzione della catena montuosa – O, per lo
meno, c’erano. Non so cosa ne possa essere rimasto dopo tutto
questo. –
La mano destra dell’allenatore veleno davanti a me parve
spostarsi verso le sue sfere.
Sarà stato agitato. È normale, in fondo.
Siamo in un luogo totalmente abbandonato, dopotutto.
- Secondo te, cosa è successo agli abitanti? –
provai a chiedere.
- Non ne ho idea, erano tutti anziani. O, per lo meno, quasi tutti.
Spero per loro che abbiano raggiunto le loro famiglie in
città e non siano state le bande a scacciarli…
Comunque, l’ingresso per i tunnel del Monte Corona
è lì davanti. –
Proseguii nella direzione che mi aveva indicato, scorgendo solo dopo un
momento l’apertura che deturpava la parete.
Mi pareva strana, quella galleria. A poco più di un metro
dall’ingresso una pila di pietre occupava tutto lo spazio a
me visibile. Poteva però esserci uno spazio che, per colpa
della prospettiva, non riuscivo a vedere.
- Jacob, posso chiederti un ultimo favore, prima di salutarci?
– chiesi distrattamente mentre mi avvicinavo
all’apertura.
- Certo. Dimmi pure. –
- Potrei aver bisogno del tuo aiuto per spostare un paio di pietre.
–
- Va bene, nessun problema. –
Oltrepassai l’imbocco del tunnel, guardandomi intorno e
cercando, se non uno spazio per proseguire il mio viaggio, almeno delle
tracce della squadra dispersa.
Per un attimo, mi parve di vedere qualcosa di rosso sotto un masso. Un
pezzo di stoffa, forse.
- Jacob, credo di aver trovato qualcosa, puoi venire a darmi una mano
per tirarlo fuori? –
Mi chinai sul masso, prendendo tra le dita il pezzo di stoffa indurita
e tirando, cercando di strapparlo alla presa della frana.
- No. –
Mi voltai in fretta, cercando di capire quella risposta.
Vidi appena il Toxicroak colpire con il proprio pugno la
sommità già crepata dell’ingresso, poi
fui investito da decine di detriti di tutte le dimensioni.
Mi ritrovai a terra, frastornato. Sopra di me non vedevo altro che
roccia, sassi e polvere vorticante. Solo un tenue bagliore riusciva a
filtrare dall’esterno.
Sentivo dolore ovunque. Non riuscivo a muovere il braccio sinistro,
così come le gambe. Il braccio destro, invece, era premuto
contro il mio ventre.
Tossii un paio di volte, avvertendo ogni volta fitte lancinanti al
petto.
- Sai, - una voce ovattata arrivò alle mie orecchie
dall’esterno – non so se tu sia ancora vivo. Se lo
sei però, sappi che mi dispiace, mi eri diventato quasi
simpatico. Ma, sai, eri arrivato troppo vicino. Se non mi avessi
incontrato, forse, saresti anche riuscito a tirare fuori da
lì i cadaveri dei tuoi amici. Sarà per la
prossima volta, dai. –
Ne seguì solo il silenzio.
Provai ad urlare diverse volte, ma l’aria usciva a stento dai
miei polmoni e ancor più faticosamente ne entrava.
Sarei morto lì sotto. Ne ero sicuro. Non potevo uscirne in
nessun modo.
La mia mano poteva raggiungere le sfere, ma a quale scopo? Saremmo
morti entrambi, schiacciati l’uno contro l’altro.
E anche se fossimo riusciti a starci entrambi, nessuno dei miei compagni è in grado di utilizzare mosse in grado di sbriciolare tutte
queste pietre lasciandomi intonso.
Diverse lacrime mi rigarono la faccia, trasportando con loro la polvere
che si era posata sulle mie guance.
Forse Hasi non era così male come partner, in fondo.
Cominciai a singhiozzare, dapprima forte, poi sempre più
sommessamente, mentre la mia mente cadeva lentamente verso
l’oblio.
Meglio così, sarei morto nel sonno, senza accorgermi di
nulla.
Passarono le ore. Forse anche i giorni.
Sentivo le labbra spaccarsi per la disidratazione e la stanchezza farsi
sempre più avvolgende.
Le pietre si fecero sempre più opprimenti e distinte, per un
attimo mi parve di poterle contare.
Ero già morto?
L’odore di polvere e terra si era attutito, lasciando il
posto a qualcosa di diverso, irriconoscibile al mio naso.
I massi davanti al mio viso parvero allontanarsi e, nel loro
indietreggiare, lasciare spazio alla criniera bianca di Darkrai.
Sarei morto accompagnato da un incubo. Perfetto.
Ma, a questo punto, cos’avevo ancora da perdere.
- Dove sei? –
Ancora con questa fottuta domanda. Questa volta gli avrei risposto, non
avevo più nulla da proteggere, tanto.
- A Memoride, schiacciato da decine di massi. –
- Tu provi… - il pokémon parve incerto sulla
parola da usare – dolore? –
Era una domanda, quella?
- Si. Provo dolore. Ma durerà per poco, perché
sto per morire e tu non potrai più tormentarmi. –
- Memoride… Massi… -
- Perché stai ripetendo quello che ho detto? – gli
urlai contro, disperato.
Il signore degli incubi scomparve alla mia vista.
Riaprii gli occhi in preda a un dolore lancinante. Il mio braccio
sinistro pareva bruciare come se fosse stato appoggiato su tizzoni
ardenti.
Urlai, cercando invano di muoverlo.
Non volevo morire, non volevo morire così. Sarebbe stato
tutto inutile.
Avrei dovuto usare i miei ultimi respiri per avvertire Rocco, per
metterlo al corrente di quel che mi era successo, ma non potevo in
nessun modo arrivare al PokèNav, forse distrutto, nascosto
nel mio zaino.
Urlai un’altra volta di rabbia, piangendo disperatamente.
Mi parve addirittura di avvertire dei rumori provenire
dall’esterno, tanto ero disperato. Non era possibile che
Jacob fosse tornato indietro, le sue parole erano state cristalline.
Le pietre si aprirono sopra di me, schizzando in aria in tutte le
direzioni.
Incorniciata dalla luce serale, vidi la sagoma di un uomo dalla corta
barba incolta.
Impiegai diversi secondi per riuscire a metterlo a fuoco.
I suoi capelli erano lunghi e sporchi, la maglia scura e i pantaloni
volutamente strappati sulle ginocchia sembravano più adatti
a un concerto che a un viaggio.
Mi porgeva la mano.
Il suo volto tradiva preoccupazione.
Afferrai l’appiglio che mi aveva offerto, issandomi a fatica,
per poi perdere qualche secondo per verificare le mie condizioni.
I miei pantaloni si erano strappati in più punti, esponendo
alla luce i numerosi tagli e buchi che mi avevano provocato le rocce.
Il braccio sinistro pendeva floscio, rigato dal mio stesso sangue, che
cadeva gocciolante a terra, e ricoperto di escoriazioni profonde.
Non sarebbe mai tornato come prima, probabilmente.
Feci un passo avanti, incerto, verso il mio salvatore.
- Grazie… - borbottai con un filo di voce.
- Tu stai bene, vero? – la sua voce era limpida, quanti anni
avrà avuto? Una decina in più di me,
probabilmente.
- Sono vivo. – fu la mia risposta, facendo un passo avanti ed
uscendo dalla fenditura nella roccia.
Caddi a terra, cercando di spingermi con le gambe e il braccio sano di
nuovo verso il cuore della montagna.
Sarei morto, sarei sicuramente morto.
Accanto alla parete rocciosa, all’esterno, Darkrai mi stava
attendendo.
Non potevo più scappare.
- Stammi lontano! – provai ad urlare, disperato.
- Per favore, calmati. – provò a dirmi
l’uomo facendo un passo verso di me, ma subito lo allontanai.
Erano in combutta loro due, ne ero certo.
- Statemi alla larga! Tutti e due! –
- Nail, stai calmo! –
Mi bloccai un attimo, per poi cominciare a tremare di terrore.
– Come… come sai il mio nome? Chi sei? Cosa vuoi
da me? –
- Ascolta, Nail. Prometto che non ti faremo del male. Devi
però stare ad ascoltarmi. Sono settimane che ti sto
cercando. –
Strisciai ancora un poco indietro, ma la mia ritirata si
arrestò quando la mia schiena premette contro i massi che
bloccavano la via.
- Per favore, calmati. Non ho molto tempo. –
Dall’ingresso del tunnel comparve la sagoma nera di Darkrai,
imperiosa.
- Perché non mi lasciate stare? – piansi.
Uno schiaffo impattò sulla mia guancia seccamente, facendomi
voltare il capo di lato.
Rimasi in silenzio.
- Ascolta, ho poco tempo ancora a disposizione. Ci sono cose che devi
sapere assolutamente. –
Tornai a guardare il mio interlocutore con gli occhi gonfi.
- Guardami. Il mio nome è Karden Sain. Sono nato a Sinnoh
trentadue anni fa. So che farai fatica a credermi, ma sono il custode
di Darkrai. –
- Custode? – provai a chiedere, cercando di pulire la mia
mente e non pensare al pokémon che mi stava fissando dalla
mia unica via d’uscita.
- Capirai poi. Ora le cose importanti. Ti sto cercando da diverso tempo
per metterti in guardia, ma non sono riuscito ad arrivare
finché non è stato troppo tardi. Darkrai ha
provato a consigliarti di scappare, ma immaginavo non seguissi le sue
parole. –
- Perché io? – continuai, cercando di alzarmi in
piedi e riprendere un contegno.
- L’uomo che mi ha protetto dagli altri mi ha detto di
metterti in guardia, se fosse stato necessario, ma questo non
è importante. Ora devi capire. Sei di Hoenn, conosci
Ciclanova? –
Annuii leggermente.
La conoscevo per sentito dire. Una città laboratorio
abbandonata nei pressi di Ciclamipoli, erano anni che nessuno ci
metteva piede.
- Vai là. Capirai molte cose. –
Darkrai cominciò a guardarsi ansioso alle spalle, forse
impaurito, indietreggiando verso l’esterno.
- Devo scappare. Non fidarti di nessuno finché non sarai
arrivato là e non avrai capito. Ci rincontreremo quando
avrai compreso tutto. –
Karden si allontanò da me velocemente per aggrapparsi al
dorso del pokémon incubo e farsi trascinare da lui verso il
cielo, dove scomparve. |
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Capitolo 15 *** Non più un caso ***
Rimasi attonito, appoggiato ai massi alle mie spalle, sicuro che, senza
di loro, sarei collassato a terra.
Provai a mettere un piede avanti, poi l’altro, sorreggendomi
con la mano sana alla parete, tentando di raggiungere
l’esterno.
Non sarei più entrato in una grotta per molto tempo.
Uno scricchiolio di assestamento proveniente dalle crepe sulla mia
testa mi incentivò ad aumentare la mia andatura.
Mi lasciai infine cadere sull’erba fangosa, sotto la leggera
nebbia umida che era calata in quella piana.
Come potevo essere ancora vivo?
Ruotai su me stesso, utilizzando il braccio destro come perno, per
poter guardare il cielo.
Sentivo il fango molle colarmi addosso, inzaccherando qualsiasi ferita
mi fossi procurato, ma non mi interessava, non in quel momento.
Lontano, dietro al sottile strato di nubi che copriva il cielo, gli
astri dovevano star cominciando ad apparire ed io li avrei ancora
potuti vedere, in futuro, forse.
Mi permisi di sorridere. Un sorriso che si trasformò in una
risata stanca.
Non c’era nulla di divertente, ero ferito, con un braccio
inutilizzabile, immerso nel fango, eppure non riuscivo a smettere di
ridere.
L’euforia di quel momento scomparve lentamente, lasciando il
passo a un freddo pungente e a un sordo dolore. Probabilmente, se
l’aria fosse stata di dieci gradi più calda quella
notte, le ferite mi avrebbero impedito di muovermi.
L’aria gelida, per una volta, non mi era ostile.
Mi alzai dal pantano in cui mi ero lasciato cadere, trascinandomi a
piccoli passi dentro al Centro Pokémon deserto.
Le porte in vetro si aprirono silenziose non appena entrai nel campo
visivo della fotocellula.
Nulla sembra essere stato manomesso o rubato. Non c’erano
segni di lotta o effrazione, così come non c’erano
segni di vita.
Mi diressi verso la porta su cui era stata appesa la targa
“Bagno per il personale”, spingendola con le poche
forze che mi erano rimaste.
Cautamente, cercando di non far sostare per troppo tempo gli abiti
sulle ferite, mi spogliai ed entrai nella doccia linda.
L’acqua calda, per quanto l’avessi ardentemente
desiderata, mi fece urlare di dolore, costringendomi a ruotare
completamente il miscelatore nel verso opposto, facendo cadere dal
bocchettone una pioggia gelida.
Il piatto bianco su cui appoggiavano i miei piedi venne ricoperto da
uno strato di fango rossastro che, lentamente, si diresse verso lo scarico.
Quasi immediatamente smisi di avvertire il bruciore delle ferite,
là dove mi era stata portata via la pelle dalle rocce.
Resistetti meno di un minuto sotto quell’acqua ghiacciata, ma
questo fu sufficiente a lavarmi di dosso la polvere e la terra che
ricoprivano il mio corpo.
Ne uscii quasi rigenerato, nonostante il braccio sinistro non avesse
intenzione di tornare a muoversi e, anzi, stava gonfiando.
Mi guardai intorno.
Su di una parete era stata appesa una cassetta per il primo soccorso,
che subito feci mia.
Ne estrassi ogni benda e cerotto che conteneva, cercando di medicare al
meglio le escoriazioni più gravi che mi costellavano gambe e
torace. Il braccio cadente lo lasciai perdere, conscio di non poterci
far nulla in quelle condizioni.
Mi diressi quindi zoppicante verso una serie di armadi in alluminio,
sul lato opposto rispetto alla porta, cominciando a estrarne il
contenuto in cerca di qualcosa che potessi indossare.
Erano abiti leggeri, bianche divise da infermieri. Ne trovai una
leggermente troppo grande per me, ma non feci storie e me la infilai,
annodando la manica rimasta vuota per non vederla ondeggiare
continuamente al mio fianco.
Come ultima cosa, prima di tornare nella hall, appesi i miei abiti
sopra ai mobiletti, in modo che l’acqua che li aveva
assediati potesse uscirne.
Tornai dall’ingresso, per poi liberare tutti i miei
pokémon dalle loro sfere. Erano intonsi, per fortuna.
Ordinai a Blaziken di sfondare il vetro del distributore posto accanto
al banco, dal quale presi un paio di barrette energetiche e una
bottiglia d’acqua.
Non potevo permettermi di morire di fame. La città era
abbandonata, evidentemente, i suoi abitanti probabilmente erano finiti
sotto le macerie della grotta o sul fondo dello stagno che si era
creato.
Masticando energicamente estrassi dallo zaino il suo contenuto,
cominciando a contare le perdite.
Le poche Funi di fuga si erano strappate, diventando inutilizzabili.
Pozioni, Superpozioni ed Iperpozioni si erano rotte, rovesciando il
loro contenuto ovunque.
Il sacchetto con la miscela per la tisana era rimasto incredibilmente
intatto, magra consolazione visto il disastro che gli stava attorno.
Il PokèNav sembrava essere ancora acceso, ma lo schermo si
era spaccato in più punti, impedendomi di leggere le scritte
che dovevano esserci sopra. Un led giallo laterale lampeggiava
pigramente, ma non avevo idea a cosa si riferisse.
Provai a chiamare Rocco senza vedere i menù che selezionavo,
ma il tentativo fu vano.
Maledizione, avessi settato i tasti di chiamata rapida, ora, non avrei
tutti questi problemi.
Lasciai cadere l’apparecchio inutile sul pavimento,
dirigendomi verso il divanetto più vicino per sdraiarmici
sopra.
Sapevo che potevo contare sui miei pokémon, ne ero certo. Mi
concessi un attimo di pausa, chiudendo gli occhi e lasciando che la
stanchezza della giornata avesse la meglio.
Un ringhio basso mi destò diverse ore dopo.
Non avevo sognato nulla, quella notte. O forse erano stati il
tradimento di Jacob e il mio incontro con quell’uomo il vero
incubo?
Schiusi gli occhi faticosamente, intontito dalle poche ore di sonno che
mi erano state concesse.
Le ferite erano tutte presenti, così come le garze e i
cerotti che le coprivano.
Non avevo sognato quella disavventura, purtroppo.
Riuscii a muovere leggermente la spalla sinistra, ma farlo mi causo un
dolore lancinante. L’avambraccio era gonfio e violaceo.
Probabilmente a causa di una frattura.
Mi misi lentamente seduto.
I muscoli della mia schiena urlarono persino per quel minimo movimento.
Mi guardai intorno.
Umbreon era accovacciato ai piedi del divanetto, con il muso puntato
contro la porta d’ingresso e gli occhi rossi fissi oltre le
ante trasparenti.
Absol rimaneva ritto sulle quattro zampe, i canini leggermente snudati
e un verso vibrante che usciva leggero dalle fauci serrate.
Aveva avvertito qualcosa? O qualcuno?
Feci avvicinare a me Blaziken e Mightyena, facendo rientrare nelle
rispettive sfere Swellow e Sharpedo.
Se si fosse presentata la necessità di scappare, dovevamo
essere rapidi.
Attesi in silenzio, fissando la porta da dietro la muraglia che avevano
creato i miei compagni.
Che Absol si fosse sbagliato? Forse non c’era nessuno,
là fuori. Oppure aveva solo avvertito la presenza di un
pokémon selvatico errante.
Potevo non essere in pericolo. Dopotutto, durante il mio viaggio per la
regione mi era capitato più volte di dover passare la notte
sotto le fronde di un albero o dentro una grotta, alla mercé
dei pokémon selvatici.
Sarebbe andato tutto bene, mi dissi. Il peggio era passato.
Con un sibilo le ante si aprirono.
Merda.
Cosa avrei dovuto fare?
Incendio?
No, ci saremmo finiti tutti di mezzo, in uno spazio così
stretto.
Pallaombra, magari con un’Ombrartigli o un Geloraggio.
Subito, prima di vedere chi fosse?
Quanto sono disposto a rischiare per la mia sicurezza.
Potrebbe essere chiunque là fuori. Oppure potrebbe essere
Jacob.
Aprii la bocca per impartire il comando di attacco.
Quante possibilità c’erano che Jacob fosse tornato
indietro?
Strinsi la mano destra in un pugno fino a far sbiancare le nocche e
chiusi la bocca.
Avevo il respiro corto è il cuore impazzito.
Sperai unicamente di aver fatto la scelta giusta.
Un rumore di passi divenne lentamente nitido. Dapprima umido, poi
secco, quando quelle suole smisero di calpestare il fango e
cominciarono ad impattare sull’asfalto.
Non riuscii a più a far uscire l’aria dai miei
polmoni, trovandomi mio malgrado a trattenere il respiro.
Respira idiota!
Devi essere reattivo a dare un comando.
Respira!
Un ginocchio stretto in un pantalone nero comparve
dall’ingresso.
All’improvviso mi parve che il tempo fosse rallentato.
Quella gamba scura si muoveva lentamente, avanzando inesorabile mentre
si trascinava dietro il resto di quel corpo.
I miei pensieri si muovevano veloci. Troppo veloci.
Jacob. I suoi pantaloni. I pantaloni degli allenatori veleno di che
colore sono? Viola? Neri? Perché non me lo riesco a
ricordare?
Il ginocchio, è il suo? Si. No. Forse. Perché non
so com’è fatto il suo ginocchio?
La gamba comparve completamente.
Il pantalone è attillato.
Sono abbastanza sicuro che i suoi pantaloni non calzassero
così stretti.
Se li avesse cambiati?
E se non fosse davvero un allenatore specializzato nei tipi veleno?
Quanti suoi pokémon ho visto? Tentacruel, Toxicroak
e… basta. No, anche Crobat. Di che tipo è Crobat?
Volante e Veleno? O forse ha il Buio come tipo secondario. Come mai non
me lo ricordo? E poi lui poteva avere qualsiasi combinazione di tipi in
quelle altre tre sfere.
E l’allenatore nell’Antro Abissale? Poteva essere
lui? Là non avevo riconosciuto mosse veleno e lui ha detto
che non mi aveva mai incontrato, ma se avesse mentito?
Il polpaccio era magro, così come la coscia.
Una donna, possibile? Jacob non poteva essere in realtà una
donna, vero?
No, ora sto delirando.
Rimani un attimo concentrato!
Le forme di una donna apparvero oltre l’ingresso. La giacca
scura che indossava era stata resa lucida dalla pioggia che le era
caduta sopra e il cappuccio di questa le nascondeva quasi completamente
il viso.
- Chi sei? – chiesi ad alta voce.
Una scarica di dolore percorse tutto il mio braccio sinistro.
Ed io che pensavo che il modo di dire “Fa male solo quando
respiro” potesse essere solo tale…
Ripresi fiato, cercando di non dare a vedere la mia sofferenza.
- Nail? Sei vivo? –
Perché sembra che tutti conoscano il mio nome? E
perché sembra così tanto sorpresa che io sia vivo?
- Non fare un passo in più! – dovetti fare una
pausa per riprendere fiato, con il braccio che pulsava – Ho
quattro pokémon pronti ad attaccarti. Chi sei? –
Le mani coperte da guanti scuri corsero al cappuccio, lasciandolo
ricadere sulle spalle della donna. I lunghi capelli bruni le ricaddero
sulla giacca.
- Blaziken, placcala! –
Urlai senza pensare. Il mio istinto di sopravvivenza aveva preso il
sopravvento sulla ragione, sulla mia freddezza mentale, su tutto.
Il pokémon dal piumaggio rosso scattò in avanti
così velocemente che i miei occhi non riuscirono a seguirlo.
Prima che chiunque se ne rendesse conto, gli artigli delle sue mani
erano già stretti attorno alla gola della donna e la spinta
che aveva accumulato stava già spingendo la schiena della
sua preda verso il pavimento.
Fossimo stati in tempi normali, un’azione del genere mi
avrebbe fatto finire in prima pagina su tutti i giornali. Un mio
pokémon aveva appena bloccato a terra una ragazza, i
giornalisti avrebbero campato per settimane discutendo su quale tipo di
mostro io fossi.
Mi alzai lentamente, senza perdere il visto il volto della donna.
- Che cosa ci fai qui? – le chiesi avvicinandomi –
Cosa cazzo ci fai qui! –
- Ti stavo cercando… - mi rispose lei con un filo di voce.
Non riuscivo a credere ai miei occhi. Non riuscivo a credere a chi
avessi davanti.
Cercavo di capacitarmi di quel che stava succedendo.
Lei, cosa ci faceva lei qui?
- Perché sei qui? Come mi hai trovato? –
- Il tuo braccio, è rotto? –
- Prima rispondimi. –
- Se il tuo pokémon mi lasciasse andare, parlerei
meglio… -
- Ho detto, prima rispondimi. –
La donna sorrise, rilassando i muscoli tesi ed appoggiando la nuca a
terra. – Va bene, hai vinto. Ero in pensiero per te, visto il
viaggio in cui ti sei imbarcato. E poi non rispondevi al
PokèNav. Mi sono agganciata al suo GPS, sperando che ce
l’avessi ancora con te. Ora, vuoi farmi vedere quel braccio?
–
- No. Non ancora. –
Qualcosa ancora non tornava. Quella era la stessa infermiera che era
stata assegnata nella palestra di Rudi, la stessa che mi aveva medicato
a Ceneride. Incontrare due volte la stessa persona durante un viaggio
può essere considerato un caso, ma incontrarla tre volte
dopo aver addirittura cambiato regione comincia ad essere ridicolo.
- Cosa vuoi ancora, Nail? –
- Mary, se davvero ti chiami così. Tu non sei neanche
lontanamente un’infermiera. Come hai fatto ad agganciare il
mio GPS? Come sei arrivata fin qui? Ma, soprattutto, perché
mi stai seguendo? –
- Te l’ho detto, ero in pensiero per te… -
Feci un cenno a Blaziken, che aumentò la pressione
esercitata dal suo braccio.
- Puoi fare meglio di così. –
Non mi sarei mai comportato in quella maniera, normalmente. Ma, visti
gli ultimi avvenimenti, la mia vita aveva preso molto più
valore.
Mary tossì, cercando di liberare le vie respiratorie
compresse. – Va bene! Va bene! Ma sappi che potresti non
credermi. –
- Ho visto cose di tutti i tipi. Non mi dirai nulla di nuovo.
–
- Va bene. Ho un pokémon, qua fuori, se mi farai qualcosa
lui interverrà e la tua squadra non potrà far
nulla contro la sua ira. –
- Provane un’altra. Forza. –
- È la verità. Faccio parte di un gruppo di
ricerca che si è dovuto sciogliere. Non cercavo te,
all’inizio, ma un fuggitivo che si è opposto al
mio gruppo. Quando quel fuggitivo si è interessato a te, io
ho dovuto fare altrettanto. Nail, sono qui per proteggerti. Non so
perché quell’individuo ce l’abbia con
te, ma devi starci alla larga. È stato lui a farti questo?
–
A chi si sta riferendo? A Jacob? Oppure a quel tizio… Karden.
In ogni caso, è la terza persona che mi dice di non fidarmi
di nessuno. Prima Rocco, poi Karden ed ora lei.
Si conosceranno? No, non credo.
A chi devo dare ascolto io?
- No. O, almeno, non credo. –
- Mi lasci andare, ora? –
Avesse voluto uccidermi, lo avrebbe fatto settimane fa, quando non
sapevo ancora nulla.
- Prima devo farti un’ultima domanda. Quanti
pokémon hai con te? –
- Uno solo, quello che mi sta aspettando fuori. –
- E la sua sfera, dov’è? –
Mentre viaggiavo per conquistare le medaglie della regione avevo preso
l’abitudine di verificare immediatamente quante ball un
allenatore avesse con sè, in modo da poter valutare quanto
fosse pericoloso come avversario.
Lei mi aveva semplificato il compito. Abiti aderenti, nessuno zaino o
borsa in cui nascondere le sfere, non poteva avere pokémon
con lei. Come era arrivata fin lì, allora?
- Non ne ha una. Siamo amici e sta con me di sua volontà
– |
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Capitolo 16 *** Fuga ***
Avevo sentito di allenatori e pokémon che sviluppavano
un’amicizia prima della cattura, poteva capitare,
specialmente con dei Ralts o dei Lotad, creature estremamente docili e
amichevoli per loro natura.
Alla fine, però, quelle amicizie portano sempre a una
cattura facilitata, anche per comodità di movimento per
l’allenatore.
Dopotutto, se diventi amico con un Rhydon non puoi portartelo a spasso
nei vicoli cittadini o dentro i centri pokémon.
Che avesse con sé un Gardevoir o un Gallade?
Loro sono grandi quanto un umano, potrebbe essere arrivata fin qui con
un teletrasporto?
- Ora che ti ho risposto, potresti lasciarmi andare e permettermi di
guardarti quel braccio? – disse lei con la voce soffocata
dalla stretta ancora salda di Blaziken sul suo collo.
Feci un cenno con la mano al mio compagno, che immediatamente si
allontanò dalla ragazza di qualche passo.
Mary si rialzò lentamente, massaggiandosi la gola con il
palmo della mano.
Dopo qualche secondo, la donna mi si avvicinò, tenendosi il
più lontano possibile dal mio compagno dalle piume rosse.
- Forza, togliti quel camice, altrimenti non riesco a vederti bene il
braccio. –
Mi immobilizzai un attimo, preso dai ripensamenti. Volevo davvero
fidarmi di quella ragazza?
Presi un profondo respiro, cominciando a sfilarmi l’indumento
bianco che mi copriva il torso. Mai avesse provato a farmi qualcosa di
male, i quattro pokémon che mi circondavano mi avrebbero
sicuramente protetto.
Mary prese tra le sue dita il mio braccio sinistro, muovendolo appena
mentre i suoi occhi chiari studiavano i tessuti violacei.
Un dubbio mi fulminò all’improvviso.
- Tu non hai più di venticinque anni, vero? –
- E questo perché dovrebbe essere un problema? –
- Perché non è possibile che tu sia
un’infermiera laureata, se sei così giovane.
–
Le sue dita fini si strinsero sul mio avambraccio, facendomi lacrimare
gli occhi per il dolore.
- Ascoltami, ragazzino. Non pensare neanche lontanamente di potermi
conoscere. Ti ho detto che sono stata parte di un gruppo composto da
ricercatori, ci sono stata dentro per sedici anni, da quando avevo otto
anni. Ho una preparazione universitaria in campo medico superiore a
quella di una qualunque infermiera da centro pokémon,
conosco sufficientemente bene gli strumenti elettronici da poter
intercettare un segnale GPS e ti assicuro, queste non sono nemmeno la
metà delle mie competenze. Ora stattene zitto e immobile,
che devo immobilizzarti l’avambraccio. –
Ammutolii, privo di argomenti con cui ribattere.
Mary si allontanò da me con passo deciso, dirigendosi sicura
verso il bagno riservato al personale, dentro al quale scomparve per un
minuto abbondante.
Spostai il peso del mio corpo da una gamba all’altra,
cercando di non far cadere il mio sguardo sul braccio violaceo o sulle
garze che nascondevano le mie escoriazioni.
Come potevo essere ancora vivo con tutte quelle ferite addosso? Come
poteva essere possibile?
La voce dell’infermiera proruppe dal bagno. – Hai
utilizzato tutte le bende che c’erano per medicarti, vero?
–
Cosa potevo risponderle?
- Si… -
- Mi farò andar bene altro. – fu la risposta
stizzita della ragazza, che ritornò nella hall con la
cassetta del pronto soccorso depredata tra le mani, coperta da un
camice da infermiere ancora piegato.
- Rimani fermo, avrò finito tra un attimo. –
Mary strinse i lunghi capelli bruni in una coda dietro la nuca, per poi
prendere due stecche rigide dalla cassetta, stringendole attorno al mio
avambraccio e assicurandole con del cerotto adesivo l’una
all’altra, in modo che non potessero più muoversi.
Prese quindi il camice, tagliandolo con un paio di forbici mediche
lungo la tutta la sua lunghezza, per poi utilizzare le lunghe strisce
di tessuto per avvolgere le stecche e stringerle ancor di
più.
- È già la seconda volta che mi rimetti a posto.
– dissi timidamente mentre lei richiudeva la cassetta bianca
– Grazie. –
Come mi sarei dovuto comportare con lei? Non la conoscevo, dopotutto.
L’avevo conosciuta, per così dire, a Bluruvia,
senza sapere davvero chi fosse. Mi aveva ricucito il taglio alla gamba
a Ceneride e, di nuovo, non avevo idea di chi avessi davanti. Ed ora
era qui, a immobilizzarmi un braccio probabilmente fratturato.
Cosa so di lei, davvero?
È una donna che dice di chiamarsi Mary, non conosco nemmeno
il suo cognome. Ha… ventiquattro anni, più
o meno, se davvero è stata per sedici anni in quel gruppo e
ci è entrata a otto. Ha i capelli castani scuro, gli occhi
chiari, credo verdi, ed è poco più bassa di me.
Cos’altro conosco di questa donna?
Nulla.
- Di niente, dopotutto ho studiato per far questo. – mi
rispose lei con voce dura.
Mary si allontanò da me, diretta verso il bancone in marmo
del centro pokémon che ci ospitava per appoggiarci sopra la
cassetta.
Potevo considerarla una specie di alleata, almeno per il momento?
Dopo Jacob non so se riuscirò a vedere ancora le persone con
lo stesso sguardo di prima. Anche lei potrebbe tradirmi da un momento
all’altro per finire il lavoro.
Non credo di potermi permettere di abbassare la guardia.
È anche vero, però, che non posso isolarmi
completamente da mondo.
Dovevo scegliere con attenzione quali sfere aggiungere alla mia squadra.
Chi mi ha aiutato, finora, senza cercare poi di uccidermi?
Rudi, Rocco, quella palla al piede di Hasi, Mary, gli anziani della
pensione e i loro nipoti e quel Karden.
Rudi dovrebbe essere a Johto, ora, al sicuro.
Dovrei contattare Rocco, in teoria, se voglio fidarmi davvero di lui. A
quest’ora dovrebbe aver già trovato le altre
squadra scomparse, vive o morte che siano.
Hasi temo sia ancora in stato comatoso a Ceneride, lo spero per lui.
Per quanto sia grato a quella famiglia della pensione per la loro
ospitalità, non me la sento di chiedere loro qualcosa in
più di quello che già hanno fatto.
E Karden non lo conosco minimamente. Mi ha salvato, è vero,
ma non so quanto fidarmi di un uomo che gira con Darkrai al seguito,
specialmente se si volatilizza in un attimo.
Mary, al momento, è la mia unica possibilità di
non rimanere da solo.
- Ascolta… -
Cosa cazzo le potevo ancora dire? Non capisco nemmeno perché
se la sia presa con me. Sono stato ferito quasi mortalmente, lei
è piombata qui non si sa come e pretende anche che la tratti
con i guanti?
E poi lo stronzo sarei io.
Nail, per una volta ingoia la tua arroganza.
- Ti chiedo scusa, per prima. Non mi aspettavo di incontrare qualcuno,
qui. Poi, dopo quello che è successo, non riesco a non
essere diffidente. –
La ragazza non mi rispose. Girò sui tacchi per tornare da
me, tra le mani stringeva ancora un paio di lunghe bende. Me le
legò dietro il collo, appoggiandoci il mio braccio fasciato
sopra all’altezza del ventre.
- Non sforzarlo troppo, la mia è solo una fasciatura da
primo soccorso. Bisognerebbe ingessarlo il prima possibile. –
- Grazie… ancora. –
Lei, di nuovo, non mi rispose, lasciando che fosse il silenzio ad
assordarci.
Mi rimisi addosso il camice bianco da infermiere, in religioso silenzio.
Passammo così un paio di minuti, io seduto sul divanetto su
cui avevo dormito, lei su di una poltroncina lì a fianco,
con lo sguardo perso oltre il bancone in marmo.
Alla fine fui io a cedere.
- Posso chiederti una cosa? Davvero, perché mi stai
aiutando? –
- Te l’ho detto, l’uomo che sto cercando
è interessato a te e, se tu dovessi morire, perderei
l’unica cosa che mi lega a lui. –
C’era qualcosa di sbagliato in quello che mi aveva detto.
- Chi stai cercando di così importante? Hai trovato me
utilizzando il segnale di un PokèNav rotto, come fai a non
trovare lui? –
- È bravo a nascondersi e non ha con sé nulla di
rintracciabile. Finché non lo incontrerai, è
meglio per te che tu non sappia cosa rappresenta. –
Altre cose senza senso.
Che stia davvero parlando di quel Karden? Non mi sembrava,
però, uno così pericoloso.
- Dimmi solo una cosa. Può esserci lui dietro il casino che
sta succedendo? –
Non mi interessava altro se non far smettere questi disastri. Non mi
interessava davvero null’altro.
Avrei fatto smettere di piovere, avrei fatto tornare a dormire i
vulcani, avrei riabbracciato mia madre e sarei tornato nella palestra
di Rudi a battere quel marmocchio insistente finché non
avesse capito che doveva allenare quei suoi maledetti
pokémon.
Non volevo fare null’altro.
Non mi interessavano gli obiettivi di quel gruppo di ricercatori, non
mi interessava nemmeno vendicarmi su quel figlio di puttana di Jacob,
non mi interessava neppure scoprire il nome dell’uomo a cui
Mary sta dando la caccia.
Mary mi guardò con una nota di indecisione negli occhi
chiari, come se non fosse sicura della risposta da darmi.
Sperai solo che, alla fine, optasse per la verità.
- Non credo. – disse, dopo un attimo di silenzio incerto.
Mi farò bastare questa risposta, per il momento.
Questo, però, vuole anche dire che non ho nulla da spartire
con lei. Due allenatori hanno già cercato di farmi lo
scalpo, se continuo ad accumulare nemici potrei non essere
più così fortunato e finire come Hasi.
Giusto… Hasi, insieme a tutti gli altri. Devo portarli in un
posto sicuro, non voglio vedere altra gente morire.
Quanti saranno i feriti a Ceneride? Tre sicuramente, sono quelli che ho
portato io…
Rocco sarà riuscito a rintracciare le due squadre disperse?
Nel caso migliore, i feriti in cura dovrebbero essere sette.
Le due squadre a Johto dovrebbero essere al sicuro. Ce ne era una,
però, che stava tornando a Hoenn, l’ultima volta
che ho sentito gli aggiornamenti.
- Quanti sono i feriti a Ceneride? – chiesi ancora, sfilando
a una a una le pokèball dai loro supporti.
- Sei. Rocco Petri è riuscito a trovare le due squadre
disperse e le ha consegnate al comparto sanitario per farli curare.
–
- Come mai sono solo sei? Uno di quelli che vi avevo portato io
è stato dimesso? –
- No… L’allenatore che era impiegato nella
palestra di Norman è arrivato già morto. Non
gli era rimasto nemmeno un polmone sano. Viste le ferite, il medico
legale ha ipotizzato che abbia protetto con il suo corpo il ranger che
era con lui da un Foglielama. Probabilmente sapeva che non sarebbe
comunque sopravvissuto, dopo le altre ferite che aveva già
ricevuto. –
Foglielama, di nuovo. Potrebbe essere un caso, ma, a questo punto, ci
credo poco.
Mi alzai lentamente, dirigendomi verso il grosso macchinario lucente
che occupava buona parte dello spazio dietro il bancone.
Feci rientrare i quattro pokémon nelle loro sfere e le
appoggiai tutte e sei negli incavi a loro riservate sulla macchina.
Sarei ripartito molto presto e volevo avere la squadra al massimo della
forma.
Avevo visto gli infermieri farlo decine di volte, quanto poteva essere
difficile accenderla?
Premetti il grosso pulsante rosso sul fianco e, con un ronzio sommesso,
lo scanner cominciò a scorrere sotto le sfere, illuminandole
per poco più di un secondo di una vivida luce verde.
Trattenni per un attimo il respiro, con gli occhi fissi sulla rossa
vernice opaca delle sfere, in attesa che si illuminassero.
Risplendettero tutte per tre volte, irrorate dell’energia che
quel macchinario era in grado di generare.
Non era stato, poi, così tanto difficile. E non avevo
nemmeno chiedere nulla a Mary, non avevo intenzione di indebitarmi con
lei più di quanto già non fossi.
Raccolsi le ball, tornando a metterle ognuna al suo posto, al sicuro.
Oltrepassai quindi la soglia del bagno per i dipendenti, chiudendomi la
porta alle spalle e facendo scattare una volta la serratura.
Il mio sguardo corse rapido verso la doccia aperta, ponderando quanto
fosse facilmente raggiungibile il rubinetto. Avrei dovuto mettere un
piede all’interno del piatto per raggiungerlo, se mi avesse
utilizzato contro una mossa fuoco sarei dovuto essere reattivo per
raggiungerlo in tempo, la porta non ne avrebbe sopportato
più di uno.
Infilai i miei pantaloni sopra quelli bianchi della divisa che avevo
preso dall’armadio e la felpa sgualcita e scolorita che mi
aveva accompagnato in quel viaggio sopra il camice candido,
rabbrividendo al tocco di quei tessuti ancora leggermente umidi.
Infine, buttai la maglia intrisa di fango ed acqua dentro allo zaino
oramai vuoto per far compagnia al PokèNav inutilizzabile e
infilai il braccio sano all’interno della manica della giacca.
Mi sembrava di non essermi dimenticato nulla.
Tornai nuovamente nella hall, dove Mary non si era mossa di un
millimetro, fino a quel momento.
- Dove pensi di andare in quelle condizioni? – mi chiese
seccamente, alzandosi dalla poltrona.
- Lontano da questa merdosa città fantasma. Grazie per
avermi medicato e spero di non doverti più incontrare.
Addio, Mary. –
Non aspettai nemmeno la risposta che, comunque, non arrivò
mai.
Allungai il passo, per quanto le ferite sulle gambe me lo
permettessero, rallentando solo per dare il tempo alle ante di vetro di
aprirsi per lasciarmi passare.
Swellow uscì dalla sua sfera davanti a me e le sue piume
scure cominciarono subito a diventare umide per colpa delle gocce di
pioggia che le cadevano sopra.
Gli salii sulla groppa, stringendo i miei talloni contro i suoi fianchi
per non farmi sbalzare via dal primo, poderoso battito d’ali.
Non ero sicuro su cosa avrei fatto di lì in avanti. Non
sapevo bene dove sarei andato, non sapevo nemmeno di chi mi sarei
ancora dovuto fidare.
Sapevo solo che volevo lasciare quella regione di merda, lei, i suoi
fottuti cunicoli crollati, quella pioggia onnipresente e i cadaveri
della squadra dispersa.
Volevo tornare a Hoenn, la mia Hoenn.
Swellow si lasciò alle spalle quel centro pokémon
che si specchiava sul laghetto, sollevandosi in aria al punto da
ridurre le case a piccoli cubi dai tetti neri sulla terra scura.
La pioggia batteva lenta sul cappuccio ancora sporco di fango che mi
copriva il capo.
Direzione sud. Non provai nemmeno a cercare di distinguere le
città e i paesi che scorrevano sotto di me. Memoride,
Flemminia, Cuorepoli, Pratopoli. Mi sarei rifiutato di tornarci per
diverso tempo. |
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Capitolo 17 *** Ciclanova ***
Finalmente sotto il ventre di Swellow la terra lasciò il
passo alle alte onde sollevate dai venti temporaleschi.
Mi
chinai ancor più sul dorso del mio compagno, cercando di
proteggermi
dalla pioggia che continuava a cadere imperterrita sopra di noi.
Ora
che non dovevo più temere Darkrai, mi sarei potuto
permettere di
percorrere tutta la strada che mi separava dalla mia regione in volo.
Tre giorni di viaggio, non di più, poi avrei potuto mettere
di nuovo piede nelle città che conoscevo.
Cosa avrei fatto, però, una volta arrivato?
Dovevo riuscire a procurarmi un nuovo PokèNav, quantomeno
per riuscire a contattare Rocco.
E poi?
Appoggiai
la fronte contro le morbide piume nere che mi stavano di fronte,
concentrandomi sulle gocce d’acqua che mi colavano lungo il
naso, per
poi, da lì, arrivare fino al mento.
Non sapevo cosa fare della mia vita, ora.
I
temporali non sembravano volersi ridurre, il Monte Corona sembrava
fatto di cartone bagnato, il Monte Camino, a quest’ora,
avrà già
eruttato…
Potrei mettermi alla ricerca dell’allenatore della Fossa
Oceanica, ma come, senza uno straccio di indizio di partenza?
Sospirai,
esausto, e il braccio fasciato mi tornò a far male per
qualche secondo,
come per ricordarmi in che condizioni versasse.
Giusto, mi sarei anche dovuto far mettere un gesso. E avrei dovuto
portare le squadre sopravvissute in un posto sicuro.
Certo, un posto sicuro. Chi non ne ha uno?
Se mi fossi provato a fidare di quel Karden? Dopotutto mi ha salvato da
morte certa…
Ciclanova… ne avevo sentito parlare a Ciclamipoli. Era una
specie di progetto del capopalestra Walter, all’inizio.
Doveva
essere un punto di ricerca sull’energia elettrica, o forse
sulle
energie rinnovabili, non mi era mai interessato molto
l’argomento. In
fondo, il progetto fallì dopo non più di un anno.
Da allora quel
posto è rimasto quasi sempre chiuso, tolti i pochi
mesi in cui lo
utilizzarono per alcune ricerche sulle mosse pokèmon,
così dicevano i
telegiornali.
Però… quell’affare è una
specie di bunker. Se solo riuscissi ad entrarci, potrei utilizzarla
come base per muovermi.
Magari
potrei includere Rocco nel progetto. Voglio fidarmi di lui. Potremmo
portare lì i feriti, per lo meno sarebbero al sicuro per un
po’.
E se Karden mi stesse tendendo una trappola? Magari vuole usarmi come
esca.
Aveva delle pokèball con sé?
No, non credo di averne viste.
Posso quindi immaginare che Darkrai sia l’unica cosa che
può difenderlo. E Darkrai, dopotutto, è solo un
pokémon.
Solo un pokémon.
Uno Zigzagoon troppo cresciuto.
Il suo tipo, quale potrebbe essere?
Buio, credo. Non dovrebbe avere anche lo Spettro.
Va bene. Buio. È il mio campo, quello. Sono io quello in
vantaggio.
Cosa posso usare per metterlo in difficoltà?
Lotta, Coleottero e Folletto.
Blaziken
è sempre stato l’unico pilastro anti buio di cui
ho mai avuto bisogno…
Considerando che uno qualunque dei miei altri pokémon
può reggere
benissimo più attacchi di quel tipo, tolto Swellow.
Potrei essere in grado di metterlo in difficoltà, nel caso
si rivelasse anche lui ostile.
Va bene. Ciclanova.
Alzai o sguardo per guardare dove la rotta che stavamo seguendo ci
avrebbe portato.
Hoenn non si riusciva nemmeno a distinguere.
Il
vento continuava a ululare intorno a noi, trasportando nella sua corsa
la fitta pioggia, e il cielo, ogni tanto, si illuminava del bagliore di
un fulmine lontano.
Sarebbe stato un lungo viaggio.
Le spesse
nubi temporalesche parvero diradarsi un poco, sospinte dal vento verso
il mare, dandomi l’impressione che la luce della luna potesse
effettivamente riuscire a rischiarare un poco il terreno.
Alla mia
destra, a ovest, rossi lapilli di lava continuavano a fuoriuscire dalla
bocca del Monte Camino, rischiarando il cielo dove venivano sparati e
le pareti rocciose, dove le colate più dense scendevano.
Non dovette
passare molto tempo perché la cenere sprigionata dalle
continue
eruzioni ci raggiungesse, costringendoci ad abbassarci di quota.
Riconobbi
appena Brunifoglia quando la sorvolammo. Il terreno era ricoperto
interamente da cenere e nere pietre vulcaniche, al punto da non
lasciare nemmeno immaginare cosa potesse esserci sotto prima.
In
mezzo a quello spettacolo monotono, un fiume di scura lava rosseggiante
procedeva lento verso le Cascate Meteora, seguendo il letto naturale
che la natura gli aveva messo a disposizione.
Swellow virò verso est, in modo da tenersi a distanza di
sicurezza da quella fornace che non sembrava intenzionata a spegnersi.
Superammo
così Ciclamipoli e i suoi cantieri, ora abbandonati, che
avrebbero
dovuto renderla la città più avanzata di tutta
Hoenn, con i suoi tre
piani previsti nel progetto.
Poteva essere Walter a portare sfiga. Quel vecchio continuava a
sfornare idee destinate a fallire, in un modo o nell’altro.
Ciclanova, Ciclamare ed ora la modernizzazione della stessa Ciclamipoli.
Dovrebbero chiuderlo in un ospizio quell’uomo e smettere di
finanziare le sue imprese.
La
sopraelevata di asfalto e cemento che ospitava la pista ciclabile si
alzò improvvisamente dal terreno, procedendo verso sud e
scomparendo in
un mucchio di macerie ancora prima che io potessi raggiungere la mia
nuova meta.
Due chilometri, non sarà stata più lunga di
quello la porzione di pista ciclabile ancora intatta.
I
pilastri che ne sopportavano il peso dovevano aver ceduto, forse a
causa delle scosse prodotte dall’eruzione
dell’imponente vulcano lì a
fianco.
Riesco quasi ad immaginare quei pezzi di cemento cadere uno
dopo l’altro, trascinandosi dietro la maceria successiva come
le pedine
di un domino.
Swellow si abbassò ulteriormente, arrivando a
specchiarsi nitidamente sulla superficie del lago, turbata appena dal
piovischio che ci faceva compagnia nel nostro viaggio.
Il livello
dell’acqua si era sicuramente alzato, ma la pianura che
anticipava
Ciclamipoli aveva permesso all’acqua di defluire dal lago,
impedendogli
quindi di sommergere interamente l’isolotto su cui avevano
costruito
l’ingresso di quel laboratorio.
Perché diavolo dovrebbero aver
edificato un’entrata in un posto del genere? Tanto, costruire
per
costruire, potevano scavare sotto il sentiero che porta a Solarosa.
Swellow atterrò pesantemente sul terreno fangoso, cadendo a
terra sotto il suo stesso peso, stremato.
Gli avevo davvero chiesto uno sforzo abissale con quel viaggio, sarebbe
rimasto fuori gioco per diverso tempo.
-
Grazie, amico mio. – gli dissi, scendendo dal suo dorso per
inginocchiarmi al suo fianco e appoggiargli il palmo della mano destra
sulla nuca – Ora riposati, te lo sei meritato. -
Il laser rosso colpì le sue piume umide
all’altezza delle costole, richiamandolo
all’interno della sua sfera.
Ci
sarebbe voluta almeno una settimana perché potesse di nuovo
scarrozzarmi da una parte all’altra della regione. Nessuno
strumento da
pokémon market mi sarebbe servito, in questa situazione.
Mi alzai da terra, cercando di pulirmi il pantalone sozzo dal nuovo
terriccio che gli si era attaccato sopra.
Non
potevo perdere tempo, non ancora. Mi sarei permesso un attimo di riposo
solo quando anche i componenti delle altre squadre sarebbero stati al
sicuro.
Cercai di avanzare verso la spessa serranda metallica chiusa, lottando
contro il torpore che mi aveva avvolto le gambe.
Un
massiccio lucchetto d’acciaio teneva chiuso
l’ingresso, legando la
serranda al basamento di cemento su cui questa andava a battere. Sulla
superficie metallica sporca di fango, riuscii a distinguere i colori
sbiaditi di quello che doveva essere stato un murales.
Presi tra le dita il lucchetto, pulendo al meglio delle mie
possibilità la fessura dove la chiave si sarebbe dovuta
inserire.
Non avevo tempo da sprecare in puttanate del genere.
La
mia mano destra corse alla cintura, staccandone una pokèball
e
permettendo al pokémon che stava al suo interno di
fuoriuscirne.
Blaziken mi guardò con i suoi occhi intelligenti, in attesa
di un mio comando.
Sorrisi, lasciando ricadere il pezzo d’acciaio a terra.
- Distruggi il lucchetto. –
Il
mio compagno dalle piume rosse raggiunse la postazione che, fino a poco
prima, avevo occupato io, prendendo tra gli artigli aguzzi delle mani
il lucchetto.
Preferii fare un ulteriore passo indietro.
Fiamme
calde al punto da far evaporare istantaneamente le gocce di pioggia che
ci cadevano sopra vennero sprigionate dai polsi del mio
pokémon,
avvolgendo nelle loro lingue arancioni le sue dita e ciò che
esse
stringevano.
Quando Blaziken si allontanò dalla serranda con un balzo,
del lucchetto non rimaneva che un parallelepipedo sformato.
Sollevai
la serranda di un metro, in modo da passarci sotto senza dover
strisciare ed evitare che la pioggia riuscisse a invadere anche
l’ambiente che quei pezzi di metallo proteggevano.
Mi ritrovai davanti a un cunicolo dalla volta in metallo, solcata da
una colonna vertebrale di neon spenti.
Il
mio compagno lasciò nuovamente scaturire le sue fiamme dai
polsi,
questa volta sotto forma di tenui fiammelle danzanti, in modo da
illuminare il terreno su cui camminavamo.
Il tunnel continuava a scendere per un centinaio di metri, puntando
verso nord, oltre che verso il centro della terra.
La
porta d’acciaio che fungeva da termine del cunicolo si
aprì cigolando
sotto la pressione dell’unica mano che potevo permettermi di
usare.
Una
schiera di computer impolverati mi accolse in quella prima sala. Decine
di cavi, fili elettrici e led spenti costellavano le pareti e il
soffitto in cemento e travi d’acciaio.
Sulla sinistra, una porta in alluminio opaco era socchiusa, lasciandomi
intravedere cosa ci fosse da quella parte.
Due
alte capsule di vetro e metallo erano state piazzate contro la parete
opposta di quell’ingresso, circondate da una decina di spessi
cavi
legati assieme da fascette scure che, con il tempo, si erano crepate.
Entrai in quella seconda stanza guardandomi attorno, circospetto.
I
cavi che ero riuscito a riconoscere andavano a collegarsi a una lunga
console su cui i tre larghi schermi erano separati da tastiere
riportanti caratteri della lingua corrente, lettere Unown, numeri e
simboli che, vagamente, potevano ricordare il braille.
Soffiai sul
banco di lavoro, sollevando una nuvola di polvere grigia che
andò ad
imperlare le ragnatele che costellavano gli angoli.
Dalla parte
opposta, nascosta da una finta parete in compensato, erano stati
sistemati degli attrezzi da allenamento troppo recenti per essere
appartenuti all’ultimo gruppo di ricerca che aveva impiegato
quei
locali. Il tapis roulant che occupava buona parte dello spazio era
stato messo in commercio non più di dieci anni fa.
Qualcosa non mi tornava.
Due porte mi permettevano di proseguire nella mia esplorazione di quei
locali.
Guardai
per una attimo il soffitto, concentrandomi sulle lampade a neon su cui
erano stati avvolti buona parte dei cablaggi di quella stanza.
Fossi riuscito a trovare il generatore e a riattivare la corrente,
avrei sicuramente avuto meno grane.
Mi diressi quindi alle porte, soffermandomi sulle targhette appese
accanto agli stipiti.
La prima che lessi riportava la dicitura “Mensa, Dormitori,
Bagni”.
Nulla che mi interessava, in quel momento.
Avrei avuto modo in seguito di scoprire chi aveva utilizzato i locali
di Ciclanova per ultimo.
Lasciai perdere quella targhetta, passando alla seconda.
“Laboratorio B, Laboratorio C, Laboratorio D, Sala
Macchine”.
Era la mia strada, quella.
Il laboratorio A, probabilmente, era quello in cui mi trovavo io adesso.
Aprii quella seconda porta.
Uno
schermo imponente occupava l’intera parete di destra, mentre
quella di
sinistra era adibita ad ospitare tre postazioni computer.
Forse,
riattivando quelle macchine, sarei riuscito a scoprire qualcosa di
più
sul conto di quella stanza, come, del resto, su quello delle precedenti.
Proseguii a passo spedito, superando l’unica porta che
riuscii a vedere.
Rimasi sconcertato nel trovarmi davanti una stanza imponente si era
aperta oltre quell’ingresso.
A
terra erano stati tracciati in bianco le linee tipiche dei campi
destinati al combattimento tra pokémon, su cui erano ben
riconoscibili
i segni lasciati dalla potenza di mosse distruttive.
Il mio sguardo
percorse tutti i sette metri del campo, andando ad imbattersi nella
postazione da centro pokémon che era stata costruita alla
mia destra.
Mi avvicinai all’imponente macchina abbandonata a
sé stessa e al pc che gli stava accanto.
Avrei potuto usare quello per contattare Rocco, perfetto.
Il macchinario era nuovo e, probabilmente, era perfettamente
funzionante.
Con la coda dell’occhio vidi qualcosa.
La
stanza si allargava ancora alla mia destra, come per andare ad
abbracciare la sala da cui ero appena uscito. Qui, gelido e metallico,
un tavolo da sala operatorio rimaneva immobile, coperto appena da un
lenzuolo bianco. Al suo fianco, stipati negli armadi dalle ante di
vetro, erano state riposti decine di strumenti medici.
Mi allontanai quasi di corsa.
Dove cazzo ero finito?
Perché Karden voleva che io arrivassi fin lì?
Aprii la porta dalla parte opposta del campo di lotta, sperando di
trovare qualcosa di meno macabro dalla parte opposta.
Un ragno metallico mi accolse protendendo le sue zampe appuntite nella
mia direzione.
Caddi a terra, lasciandomi scappare un urlo di terrore.
Le
fiamme di Blaziken arrivarono a illuminare meglio quel mostro
splendente, rivelandolo per ciò che era davvero, non che
questo mi
tranquillizzasse molto.
Era un macchinario a misura di uomo. Quelle
che io avevo scambiato per zampe erano come delle barre di sicurezza
che, ruotando sui cardini a cui erano fissate, andavano ad assicurare
il malcapitato alla postazione che componeva la parte centrale di quel
macchinario.
A completare quel quadro inquietante, decine di sensori
ed elettrodi cadevano mollemente tutto intorno a quel macchinario,
pronti per essere fissati alla cavia di quell’esperimento di
cui avrei
preferito rimanere all’oscuro.
L’ultima porta, finalmente. Oltre a quella, in teoria, doveva
esserci il generatore.
La spinsi con una punta di incertezza.
Un
macchinario imponente occupava la maggior parte della stanza. Il rotore
era ricoperto di ragnatele e polvere, così come la
postazione di
controllo che gli stava a fianco.
Mi avvicinai a quel mostro di
metallo con un timore quasi riverenziale, come se quel generatore, in
realtà, nascondesse un pokémon leggendario al suo
interno.
Devi calmarti immediatamente, Nail! Non fare il coglione!
Ora vedi di accendere quest’affare, quanto potrà
essere difficile?
Nella postazione di comando non sembravano esserci né
scomparti per inserire una chiave, né codici da inserire.
I
miei occhi si illuminarono quando misero a fuoco la scritta sbiadita
che campeggiava sopra un grande, meravigliosamente vistoso, bottone
rosso.
“On/Off”.
Che parole meravigliose.
Lo premetti con forza, sobbalzando non appena il rotore si
avviò con un fragoroso ronzio.
Era fatta. Per una volta la buona sorte mi aveva sorriso.
Pochi
secondi dopo, le luci della sala si accesero, rischiarando le pareti
asettiche in metallo e i turbini di polvere che avevo alzato con il mio
passaggio.
Ottimo.
Ora non dovevo far altro che capire cosa dovessi farci io in questo
posto di merda.
Tornai
sui miei passi fino alla prima stanza che mi aveva accolto in quel
bunker, degnando appena di uno sguardo l'imponente monitor a parete del
Laboratorio B, ora acceso e fisso su quella che sembrava una mappa in
tempo reale della regione, precipitandomi invece ad accendere uno dei
sette computer che lì mi stavano aspettando.
Nessuna password mi impedì di accedere all’account
dell’ultimo utente.
Non c’era nulla che potesse interessarmi, almeno a una prima
e frettolosa vista.
Tabelle
riguardanti le spese di gestione, caselle di posta elettronica vuote,
copie elettroniche delle ricevute dei macchinari più comuni
che avevo
trovato nelle altre sale.
Nulla che mi interessasse davvero, dovevano essere le postazioni della
segreteria, quelle.
Superai
ancora una volta la porta sulla parete di destra, sedendomi sulla sedia
dietro il bancone collegato alle capsule, già in funzione.
I tre
schermi mostravano quelli che potevano sembrare parametri vitali, tutti
accompagnati dalla cifra zero. Riuscii a riconoscere nel marasma di
diciture una linea piatta che sembrava appartenere a un
elettrocardiogramma, immediatamente sopra a quello che mi parve essere
la misura di un termometro.
Misi da parte i rilevamenti, provando invece ad accedere ai file
salvati, trovandomi davanti a una decina scarsa di cartelle.
Soggetto codice H. – Chiuso
Soggetto codice L.. – Chiuso
Soggetto codice G. – Chiuso
Soggetto codice S. – Chiuso
Soggetto codice M. – Attivo
Soggetto codice T. - Chiuso
Soggetto codice ||| - Inizializzato
Mi passai una mano tra i capelli, cercando di capire quelle poche
cartelle cosa potessero rappresentare.
Posai
il polpastrello del medio sulla freccia verso il basso che la tastiera
mi metteva a disposizione, facendo calare il cursore dalla prima alla
seconda cartella, per poi passare alla terza.
Cosa potevano voler significare quelle diciture? Chiuso, Attivo,
Inizializzato…
Il cursore si fermò sulla quinta cartella.
Soggetto codice M. – Attivo
Cosa era attivo?
Premetti con forza sul tasto invio.
Sullo
schermo comparve un’ingombrante finestra accompagnata da una
casella di
testo vuota, pronta per essere riempita dalla password che mi veniva
richiesta dalla nota immediatamente superiore.
Provai con un’altra cartella, ma, nuovamente, la richiesta di
una parola chiave mi bloccò.
In
quel modo non sarei riuscito a capire nulla di quel luogo, avrei dovuto
andare a controllare cosa si nascondesse nei dormitori, forse,
lì,
avrei trovato qualche risposta alle mie domande.
- Sei venuto fin qui, alla fine. –
Mi voltai verso la porta d’ingresso.
Karden
mi stava guardando con uno sguardo soddisfatto negli occhi. Alle sue
spalle, incombente, fluttuava lo stesso Darkrai che mi aveva tormentato
notte dopo notte negli ultimi tempo.
- Si, sono qui, ma non ho ancora capito nulla. –
-
Cercherò di spiegarti qualcosa. – mi rispose
avvicinandosi a me,
incurante del Blaziken pronto ad attaccare che mi stava accanto. |
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Capitolo 18 *** Schieramenti ***
- Provaci pure a spiegarmi questa merda, perché non ho idea
di dove cazzo mi hai mandato. –
- Ti ho detto che sono quello che si può definire un
Custode. Un Custode è una persona legata a un
pokémon leggendario. –
Mi scappò un sorriso cinico.
- Legata a un pokémon? Hai una catena che te lo tiene
attaccato? –
- No. Io sono nato con il marchio di Darkrai. Io sono nato con il solo
scopo di proteggere questo pokémon anche a costo della mia
vita, come hanno fatto tutti i custodi di Darkrai nati prima di me. Li
vedi quegli affari in vetro lì davanti? Sono macchinari
creati con l’unico scopo di studiare i Custodi come se
fossero delle cavie, loro e i pokémon leggendari a loro
legati. –
Guardai un attimo le capsule collegate ai monitor su cui avevo appena
lavorato.
Non credo di aver capito bene.
- Facciamo finta che ti creda, visto che c’è
Darkrai là davanti. Tu saresti il suo custode, quindi sei
costretto a proteggerlo. Immagino che ci siano altri come te.
–
Karden fece un altro passo verso di me.
Mi sentii addosso una strana pressione. Il mio cuore
cominciò a battere sempre più forte, mentre
riuscivo a percepire la mia fronte imperlarsi di sudore.
Mi mancò il fiato, come se quelle pareti di metallo si
stessero stringendo su di me.
Perché quell’uomo, ora, mi faceva
quell’effetto?
- Ci sono altri come me. Ci sono sempre stati. I Custodi esistono da
quando Arceus creò Mew e, con esso, il primo Custode a lui
legato. –
Provai a calmarmi, invano, costringendomi a non abbassare lo sguardo da
quei duri occhi scuri.
- Va bene… Come fai a sapere di questo posto? Ti hanno
catturato? Hanno fatto esperimenti su di te… su di voi?
–
- No. Non sono mai riusciti a prendermi. Tutto quello che so lo devo
all’uomo che mi ha detto di scappare. –
- Karden, ascolta. Io non voglio essere un tuo nemico, ma ho bisogno di
sapere. Per quanto questa storia dei Custodi sia incredibile, non
è quella che mi interessa di più.
Perché mi hai seguito per tutto questo tempo? Sono
anch’io uno di questi custodi? –
- No, tu non possiedi il marchio. Io ti ho protetto perché
lo devo all’uomo che mi ha salvato. –
- Devi capire che non mi basta questa risposta! Chi era
l’uomo che ti ha salvato? Chi ti voleva catturare? Ho bisogno
di nomi! –
- Non conosco il suo nome, mi disse solo chi era il ragazzo che dovevo
proteggere. Tu. Da allora non lo ho più visto. –
Mi lasciai ricadere nuovamente sulla sedia, con le gambe che tremavano
vistosamente per l’agitazione.
Piegai il capo in avanti, nascondendo la faccia tra le mani.
Blaziken, a quel mio gesto, parve tranquillizzarsi un poco, rilassando
quasi impercettibilmente i muscoli tesi.
Che cosa volevano tutti da me?
- Ascolta. – tornai a dire dopo alcuni secondi di silenzio
– Ho bisogno di sapere una cosa da te. Cosa vuoi fare? Quali
sono i tuoi obiettivi? –
- Non morire e mantenere la parola che ho dato. Null’altro.
–
Cominciai a calmarmi un poco, tornando a ragionare lucidamente.
- Va bene. Sai se uno dei leggendari è implicato nel casino
che c’è là fuori? –
- No. Ma so che quelli che mi davano la caccia volevano replicare i
poteri dei pokémon leggendari. –
- Ascolta, Karden. Ti dirò tutto quello che so, per
dimostrarti la mia buona fede. Probabilmente qualcuno
all’interno della commissione della lega è
implicato e sta cercando di eliminare chiunque sia sulle sue tracce.
Ora ho intenzione di portare qui, al sicuro, tutti i feriti che si
è lasciato alle spalle. Se mi darai una mano, prometto che
ti aiuterò nel tuo tentativo di non rimetterci la pelle.
–
- Non sono interessato a queste cose. –
Il resto della frase di Karden si perse nel boato prodotto dalla mossa
che scaraventò a terra Darkrai.
- Cosa sta succedendo? – mi urlò contro Karden,
precipitandosi dal pokémon dalla criniera bianca per
proteggerlo con il suo stesso corpo da un eventuale secondo colpo.
- Nail, stai pure indietro. Ora ci penso io a lui. – Una voce
femminile, dura, rimbombò nella stanza e nel corridoio
precedente a questa.
Ora ci pensi tu a cosa?
Col cazzo che mi faccio mettere ancora i piedi in testa da qualcuno.
Qui ci penso io a tutto.
E già che ci siete, fottetevi tutti, che ne ho le balle
piene delle persone che si cercano di uccidere a vicenda.
La figura slanciata di Mary comparve oltre la soglia
d’ingresso, stretta negli abiti neri che le fasciavano il suo magro corpo atletico.
Non potevi rimanere ad interpretare il ruolo della crocerossina, vero?
Dovevi essere anche tu una pazza omicida.
Sembra essere diventata una mania, questa.
Alle spalle della donna dai capelli bruni, comparve il volto roseo di
un pokémon che avevo visto chiaramente solamente nei libri.
Cresselia.
Mi sentii dannatamente fuori posto, qui.
Non dovrei c’entrare nulla con tutta questa merda, eppure
eccomi qui, barricato dietro un muro di monitor impolverati.
No, fanculo.
Io non me ne starò ancora in disparte.
Pensa velocemente, Nail.
Mary continuò ad avanzare verso i suoi obiettivi con passo
certo, puntando con degli occhi dardeggianti Karden, che stava
disperatamente cercando di coprire il corpo del signore degli incubi.
Cresselia.
Vale lo stesso anche per lei, è solo un pokémon.
È solo un grosso Taillow rosa.
Il tipo?
Credo Psico.
Ottimo, sono in vantaggio. Ho solo bisogno di distrarla il tempo
necessario per mandare in campo uno qualunque dei miei
pokémon.
- Ti ho trovato, finalmente. Ne è passato di tempo
dall’ultima volta che ci siamo visti. –
- Non ho intenzione di lasciarvi Darkrai. Non voglio vendermi come hai
fatto tu. – le rispose il Guardiano dai capelli scuri, con la
voce rotta.
Guardai il soffitto.
Avevo trovato il mio asso nella manica.
- Blaziken. – borbottai per attirare l’attenzione
del mio pokémon, per poi indicargli con l’indice
la cupola d’acciaio che ci stava sovrastando.
Sperai solo che avesse intuito il mio piano.
La mia mano corse alle sfere appese alla cintura, staccandone una.
Avevo bisogno di qualcuno in grado di reggere un paio di colpi.
Lo stramontante del mio compagnò impattò
perfettamente al centro di una delle lampade al neon che illuminavano
la stanza, facendo cadere frammenti di vetro misti a scintille sul
pavimento.
Tutti gli occhi si spostarono per una frazione di secondo in direzione
di ciò che aveva provocato quel suono.
Ho vinto.
Umbreon comparve davanti a Mary e a quel suo Cresselia fluttuante, in
modo di frapporsi tra lei e Darkrai.
Non volevo attaccare nessuno, se non fosse stato necessario.
- Nail, non metterti in mezzo. –
- No, Mary. Ora mi spieghi cosa cazzo sta succedendo qui. Karden mi ha
salvato la vita, quindi non ti lascerò toccarlo. –
- Non ti deve interessare. Ora vattene da qui. –
- Ti ho detto di no. Mi spiace, ma ha preso più punti
lui. –
- Credevo di poter vedere in te un alleato. Mi dispiace. Cresselia,
Forzalunare. –
Merda. Ha quasi tirato giù Darkrai con una mossa…
ovvio, ha anche delle mosse di tipo folletto.
Attaccare, difendere, aggirare…
Una sfera di luce dal colore perlaceo nacque davanti al volto del
pokémon dalla pelle rosa, per poi partire in direzione del
mio Umbreon come un dardo.
Quanta fortuna ho ultimamente?
Troppa.
Spero di non averla sprecata tutta in quella lotta.
Lanciamo la moneta.
- Umbreon, Lucelunare! –
Il colpo impattò sul mio compagno, che resistette,
reggendosi a stento sulle quattro zampe tremanti. L’aura
baluginante che lo avvolse, poi, rimarginò la ferita che gli
era stata inflitta.
Ottimo, regge.
- Umbreon, continua ad usare Lucelunare: - dissi con calma, alzando lo
sguardo in direzione degli occhi di Mary, seccati.
Oramai io ero in vantaggio.
Feci cadere a terra due sfere, che rimbalzarono sul pavimento un paio
di volte, prima di lasciar uscire i pokémon in esse
contenuti.
Mightyena e Absol.
- Blaziken, vai da Karden, proteggili. – ordinai al mio
compagno dalle piume rosse, facendo un paio di passi verso la ragazza
dagli abiti scuri – Mightyena, Absol, isolate Cresselia.
–
Il mio starter si mosse rapido, saltellando sulle gambe potenti per
raggiungere il custode e il pokémon ferito dietro di lui.
I tre pokémon buio circondarono Cresselia, camminandoci
attorno come un branco che ha finalmente messo in trappola la propria
preda. La stanza venne pervasa dai loro tre ringhi.
- Ora, Mary, tu comincerai a parlare. Se quello che Karden mi ha detto
è vero, tu devi essere la custode di Cresselia e, come tale,
dovresti proteggerla. Ora, puoi buttarti là in mezzo e
venire morsa da uno dei miei tre pokémon mentre gli altri
attaccheranno la tua protetta, oppure puoi dirmi cosa cazzo vuoi da
Karden. –
La ragazza dai capelli bruni sbuffò infastidita, riuscivo
distintamente a vedere le sue pupille che saltellavano tra me e
Cresselia, che fluttuava nel centro del cerchio della morte che le
avevo creato attorno.
- Va bene. Qui dentro venivano studiati i pokémon leggendari
e i rispettivi custodi. Mi hanno cresciuta i ricercatori che qui
lavoravano, loro mi hanno insegnato tutto quello che so ora. –
- Karden cosa c’entra in tutto questo? –
- Otto anni fa gli scienziati che erano qui hanno cominciato a morire,
uno dopo l’altro. Tutto è iniziato il giorno in cui
Karden è sfuggito al gruppo inviato per arruolarlo tra le
nostre fila. –
- Tu davvero credi che sia stato lui ad ammazzarli? –
- Certo che non sono stato io. Finora credevo di averceli ancora
attaccati al culo. E poi, chi credi abbia cominciato a giocare con le
catastrofi, se non i tuoi cari ricercatori con le loro ricerche sul
potere dei pokémon leggendari? – urlò
Karden, intromettendosi nel nostro discorso.
- Sono tutti morti! Ammettilo, stai scappando perché sei
stato tu ad ucciderli! Ma non riuscirai a fare lo stesso con me. Chi
altri sapeva di quello che facevamo qui? –
Sentii chiaramente le vene sulla mia fronte premere contro la pelle.
Potevo non essere un genio, ma perfino quel pennuto sovrappeso del
Peeko del signor Marino, pace all’anima di
quell’uccellaccio, avrebbe capito che entrambi non avevano
chiara la loro situazione.
- Mary, fai finta che Karden non c’entri nulla. Qualcun altro
poteva avercela con voi? Magari un altro custode. –
- Sono l’unica custode della mia generazione, oltre a quel
bastardo là, che sono riusciti a rintracciare. Ed ora sono
anche l’ultima che sa a cosa serviva davvero questo posto.
–
- Però ci sono stati altri custodi, prima di voi. –
- Si, prima che si spostassero qui avevano un’altra sede, non
so dove. Ma parliamo di decine di anni fa e tutti quei custodi sono
stati seppelliti. –
- Ora, Mary. – volevo concludere quella conversazione nel
modo più veloce e unidirezionale possibile –Voglio
che tu ti faccia una sola domanda. Se Karden non ha mai incontrato i
tuoi ricercatori, come pensi abbia fatto a conoscere questo posto.
–
- Lo avrà scoperto in qualche modo! Magari glielo ha
rivelato uno di quelli che ha ucciso! –
- Davvero pensi che qualcuno di loro possa avergli dato
un’informazione tanto cruciale? –
Mary stette in silenzio, incapace di darmi una risposta.
Ottimo, l’ho portata in un vicolo cieco.
- Ti dirò io come fa a saperlo. Un uomo l’ha messo
in guardia, dicendogli di scappare. Se quello che mi hai detto tu
è vero, l’unico che può avergli detto
di fuggire doveva essere uno dei vostri. Ora facciamo una cosa, io
smetto di mettere pressione su Cresselia, ma voi due la piantate di
fare le teste di minchia e provate a non uccidere chi potrebbe essere
dalla vostra. –
Feci un cenno del capo ai miei tre compagni, che indietreggiarono
lentamente, fino a raggiungermi.
- Bene. Mary, per cortesia, hai un’iperpozione da dare a quel
Darkrai? –
La ragazza tremò, come colta da uno spasmo. Poi, lentamente,
sfilò dal piccolo borsello che portava attaccato alla coscia
il recipiente di vetro, porgendolo goffamente all’altro
custode, che in tutta risposta glielo strappò dalle dita.
Mi sedetti nuovamente alla console, fissando i tre monitor impolverati
e le cartelle bloccate che in questi erano rappresentate.
- Mary. Voglio lasciarti una sola possibilità. Sei con noi o
no? –
Lei parve stupita dal tono della mia voce, al punto da non riuscire a
rispondermi immediatamente. – Ti ho curato già due
volte, credo che questo possa bastare come risposta. –
Mi voltai di scatto nella sua direzione, con gli occhi furenti.
– Ho viaggiato per dei giorni con un tizio che mi ha parato
il culo un paio di volte e sai com’è finita? MI ha
fatto crollare una fottuta caverna sulla testa. Ora, si o no? Se non
vuoi aiutarci, per lo meno, esci di qui e non farti più
vedere, non voglio altri ostacoli sul mio percorso. –
- Voglio fermare tutto questo, ma soprattutto voglio scoprire chi ha
ucciso tutti i ricercatori. – fu la sua risposta risoluta.
–
- Bene. Sai cosa sono queste cartelle? –
- Contengono i dati ricavati dagli esami sui pokémon
leggendari. Quelle capsule servivano per tenerli in un ambiente
controllato. –
- Conosci la password? Magari dentro potremo trovarci qualcosa di
utile. –
- Si… -
- Bene. Inseriscila. Anzi, prima dimmi che cosa vogliono dire questi
nomi. –
Tamburellai le dita sul bancone, in attesa che Mary, finalmente, si
decidesse a muoversi.
Solo dopo alcuni secondi parve decidersi a fare qualche passo verso di
me, per poi appoggiare le sue dita sottili sulla tastiera Unown.
- Ti ho detto, prima vorrei sapere cosa vogliono dire quei nomi.
– |
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Capitolo 19 *** Nome e Cognome ***
Mary sollevò di qualche millimetro i polpastrelli dai tasti,
mal celando la sua tensione.
Non me ne fregava nulla se dentro quelle cartelle ci fosse registrato
ogni respiro che avesse fatto.
Non poteva importarmene di meno.
- Allora? – la incalzai, appoggiando il mio gomito destro sul
tavolo e sporgendomi verso di lei – Puoi iniziare da dove
preferisci. -
Il braccio rotto formicolò, ma provai a non farci caso.
- Come vi ho detto, in questo laboratorio si cercava di comprendere
quale fosse il legame che legasse un pokémon leggendario al
suo custode. Quella capsula è destinata al
pokémon, quell’altra all’essere umano. I
dati presi in considerazione erano i parametri vitali, i campi
elettrici e magnetici, i segnali cerebrali e i rilevamenti termici.
Dati salvati con intervalli di pochi secondi. Durante questi test i due
corpi venivano stimolati attraverso modifiche della temperatura,
scariche elettriche o variazione alla percentuale di ossigeno dei
respiratori. – Mary si passò una mano sul volto,
come per cercare far ritornare i suoi pensieri al presente.
- E queste cartelle? – continuai a chiedere. Non volevo
lasciarle un tempo morto che le lasciasse sviare il discorso.
- Ognuna di esse è dedicata a un leggendario e il rispettivo
Custode dell’epoca. –
- I titoli? A cosa si riferiscono? –
La ragazza dai capelli bruni sospirò, combattendo contro il
suo desiderio di non rispondermi.
- Noi Custodi eravamo chiamati soggetti e, ad ognuno di noi, era stato
dato un codice. La dicitura che segue i codici si riferisce allo stato
dei soggetti l’ultima volta che qualcuno ha avuto accesso ai
loro dati. Chiuso indica che il soggetto è morto, Aperto che
il soggetto è sotto esame, Inizializzato… beh,
che quel Custode è stato individuato e riconosciuto, ma che
non ha ancora preso parte al progetto. –
- Mi stai quindi dicendo che quelle cinque cartelle chiuse sono tutte
riferite a persone morte? –
Era inquietante come pensiero. Da quanto tempo portavano avanti questo
lavoro?
- Esatto. –
Rilessi velocemente la lista, scorrendo uno ad uno i titoli con le
frecce che la tastiera mi metteva a disposizione.
Infine mi decisi a premere invio.
Ne rimanevano solamente due, dedicate a persone ufficialmente in vita.
Se Inizializzato era riferito a qualcuno di solamente individuato,
Karden probabilmente, l’altra doveva essere quella di Mary.
Volevo sapere chi avevo davanti.
- Inserisci la password. – le dissi, porgendole la tastiera
in caratteri Unown.
Le mani della ragazza si strinsero a pugno, per poi rilassarsi pochi
secondi dopo.
Poteva detestarmi quanto voleva.
- Potrei darti un colpo su quel braccio rotto ed andarmene. –
mi disse, sollevando il capo per fissarmi negli occhi.
Il suo sguardo era duro, fisso. Non credo stesse scherzando e,
probabilmente, in altre circostanze lo avrebbe fatto.
Vista la mia condizione, sarei rimasto boccheggiante per
un bel pezzo se avessi ricevuto un colpo ben assestato. Cresselia,
potrebbe coprire una ritirata con mosse di tipo folletto e, seppur con
delle ferite, sarebbero riuscite a scappare. Non riesco ad immaginarmi
Karden inseguire Mary per fermarla.
Non mi sarei, però, lasciato intimorire.
Voglio provare a darle la stessa fiducia che ho riposto in Karden, come
ringraziamento per la fasciatura al braccio e i punti sulla gamba.
Non abbassai il mio sguardo.
- Però non lo farai, perché una volta che te ne
sarai andata, là fuori, sarai da sola contro chi ha ucciso
tutti i tuoi cari ricercatori. Ora inserisci la password,
così, magari, riuscirò a capirci
anch’io qualcosa in più. –
Le dita picchiettarono sui tasti, facendo crescere di pari passo gli
asterischi mostrati su schermo.
Infine, con un gesto liberatorio, Mary premette a sua volta il pulsante
invio.
Venni sommerso dalla mole di informazioni che la prima pagina del file
mi presentava.
Non erano soltanto resoconti medici, era la vita della persona che
avevo a fianco.
---> Codice_____________________________________Mary
---> Livello raggiunto_____________________________13
---> Legame____________________________________Cresselia
---> Livello legame_______________________________+4
---> Riscontri passati legame_______________________No
-> Caratteristiche fisiche
---> Altezza(ultima misurazione effettuata)____________178 cm
--->Peso (ultima misurazione effettuata)______________68 kg
---> Massa magra________________________________51.16 kg
---> Prestazioni (scala PF-SLM)______________________+24
-> Dati anagrafici
---> Nome Padre_________________________________Henry Ortia
---> Stato______________________________________Deceduto
---> Nome Madre_________________________________Rose Partan in -Ortia
---> Stato______________________________________Deceduto
---> Nome anagrafico_____________________________Juliet Ortia
---> Stato ufficiale_______________________________Deceduta a per
annegamento
---> Data di Nascita______________________________15 marzo
---> Età attuale (all'ultimo aggiornamento)____________17
---> Luogo di Nascita_____________________________Canalipoli (Sinnoh)
-> Relazione di laboratorio n° 01
Il soggetto si mostra in grado di comprendere i segnali inviati da
Cresselia, possiamo con buona parte di sicurezza affermare che
è effettivamente ciò che viene definito un
Custode. Si prosegue con un primo accertamento al fine di…
Smisi di leggere il referto, facendo scorrere il file verso il basso,
dove decine di righe affollavano lo spazio virtuale intervallate
sporadicamente da valori e grafici comparativi.
- Dunque non ti chiami nemmeno Mary. –
- Mary è quello che sono. Per te come per tutti gli altri.
Soggetto Mary, Custode di Cresselia. –
Le hanno fatto il lavaggio del cervello. Non riesco ad immaginare un
altro motivo per cui una persona possa decidere di abbandonare
completamente il suo nome per un… codice.
- Gli altri sono tutti come questo? – chiesi, tornando a far
scorrere verso il basso le pagine.
- Si. –
- Perché facevano tutto questo? Perché ci
volevano tutti qui? – chiese Karden con voce dura,
avvicinandosi al bancone.
Mary si voltò di scatto nella direzione del suo
secondo interlocutore. – Per proteggerci e per aiutarci a
capire la portata del nostro compito. –
- Non ho mai avuto bisogno di protezione e ho sempre saputo quale fosse
il mio dovere. –
- Voi due, smettetela! – sbottai ad alta voce, attirando su
di me tutti gli occhi presenti in quella sala – Non mi
interessa sapere quanto fossero brave persone quelli che lavoravano
qui. Mary, per ora ti chiamerò ancora così,
questi risultati servivano ad altro? –
- Io… non credo. – mi rispose incerta.
- Va bene. Farò finta di credere che sia effettivamente
così. C’è una lista con i nomi dei
ricercatori coinvolti nel progetto? –
- No… nessuno di loro era schedato e tutti avevano una vita
all’esterno di Ciclanova… Però so che
molti di loro erano persone di spicco di Hoenn… e che ora
sono tutti morti. –
- Questo non mi dà una gran mano. Pure mio padre
è morto, se è per questo… Per ora,
quello che sappiamo è che c’era un numero
imprecisato di ricercatori, qui, uno di loro si è preso la
briga di mettere in guardia Karden per farlo fuggire e, già
che c’era, dirgli di farmi da balia. Poi sono morti
tutti… Io non voglio fare quello che pensa sempre male, ma
non è possibile che uno di loro abbia ucciso tutti gli
altri? Magari perché non gli servivano più,
avendo trovato quello che cercavano in voi Custodi? –
- Non è possibile, anche io li conoscevo. Perché
non avrebbe dovuto provare ad uccidere anche me? –
- Forse perché non sai un cazzo del progetto che stavano
portando avanti… Dov’eri mentre tutti morivano?
–
- Mi avevano mandata a Kanto per completare il mio percorso di
formazione in medicina… Non capisco perché questo
dovrebbe essere importante. – Mary parve offesa dalla mia
domanda.
Non che me ne importasse più di tanto.
- Sapevano tutti di questo tuo viaggio? –
Cominciavo a vedere chiaramente un dubbio farsi strada nella mia mente.
Non avevo idea come mi sarebbe tornato utile verificarlo,
però in quel momento, non avevo altro da fare.
- Credo di sì, ero l’unica Custode rimasta, ogni
mio spostamento era prima concordato da loro. –
- Quanti ricercatori ti hanno però effettivamente detto di
andare a Kanto? –
- Uno solo, come sempre. –
- Quindi è possibile che lo stesso uomo che ha fatto
scappare Karden ti abbia allontanata apposta da qui. Se trovassimo il
suo nome, forse potremmo anche risalire a quello
dell’artefice della morte di tutti gli altri. Ora,
però, devo fare una cosa. Mary, ho visto un PC, un paio di
laboratori più in là, le videochiamate funzionano
da lì? –
- Si… l’ultima volta che lo ho acceso
funzionavano. –
- Ottimo. –
Mi alzai dalla mia sedia, evitando i due Custodi che mi ostruivano il
percorso e passando in mezzo ai due pokémon leggendari che
si guardavano in cagnesco reciprocamente.
Avrei chiesto il loro autografo più avanti, se fossi stato
ancora vivo.
Superai l’enorme schermo raffigurante la mappa della regione,
procedendo per la stanza successiva.
Aperta la porta, mi voltai verso destra, raggiungendo il macchinario da
Centro Pokémon e il PC che gli era stato montato a fianco.
Era un modello abbastanza recente, dopotutto. Avevo già
avuto modo di provarne un paio di quei modelli, durante il mio viaggio.
Aprii lo sportello che si presentava all’altezza delle mie
ginocchia, estraendone un cavo avvolto in uno spesso strato di
ragnatele, che piantai nell’apposito ingresso del mio
pokèNav.
Sullo schermo del PC comparve il menù che il mio strumento
si rifiutava di mostrare, visti i danni che aveva riportato.
Selezionai la rubrica, scorrendo tra i contatti fin quasi alla fine
della lista, per poi selezionarne uno.
L’icona di chiamata in uscita invase prepotentemente lo
schermo, accompagnando gli squilli cupi con il suo lento pulsare.
Il viso di Rocco comparve dopo una decina di secondi.
Aveva le occhiaie, le guance erano segnate da diversi graffi e i
capelli grigi gli ricadevano sporchi sulla fronte.
Sembrava star bene, però.
- Nail, non ho molto tempo ora. Hai novità? –
- Qualcuna, ma è meglio che ti aggiorni a voce. Per il
momento, ho trovato un luogo sicuro dove portare i componenti ancora
vivi delle altre squadre, prima che l’allenatore che ci ha
aggrediti tenti di finire quello che ha iniziato. Vorrei portarli tutti
qui il prima possibile… e coinvolgere anche la squadra 3,
l’ultima volta che ho sentito di loro stavano tornando a
Hoenn. –
- Non dirmi altro. Non voglio che qualcuno possa avere altre
informazioni. Troviamoci dai feriti alle quattro e mezza di domani
mattina. –
Lo schermo si spense di colpo, lasciandomi fisso a guardare un
menù anonimo.
Forse sarei riuscito a proteggere quei feriti, almeno.
Spostai quindi la mia attenzione sul sistema di memoria
pokémon.
Swellow aveva bisogno di riposarsi, non potevo continuare a portarmi
dietro la sua sfera con lui in quelle condizioni.
Cliccai sulla voce “Sposta pokémon” ma,
immediatamente, un messaggio di errore bloccò il mio
tentativo.
Errore 1436
Sistema di trasferimento pokémon offline.
Tirai un pugno contro la parete metallica che proteggeva i circuiti del
PC, seccato.
I cataclismi che si stavano verificando, probabilmente, bloccavano
tutto il sistema di invio dei pokémon attraverso
l’etere.
Non avevo modo di avere accesso ai miei box, in quella maniera. Quindi
non avevo nemmeno modo di prelevare un altro pokémon volante
per sostituire Swellow.
Presi una boccata d’aria, cercando di pensare a come avrei
potuto aggirare il problema.
Avrei dovuto chiamare lei, per quanto quello non fosse un buon momento.
Cercai di sistemarmi i capelli sfruttando il mio riflesso sul monitor.
Feci quindi partire la chiamata. |
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Capitolo 20 *** Ripartenza ***
Il mento di una donna comparve per riempire quasi interamente lo
schermo. Nei pochi punti in cui la pelle rosea non la faceva da
padrone, riuscivo ad intravedere un cielo coperto solo a sprazzi da
lievi nuvole grigie.
- Nail? Nail? Mi senti? –
Mi passai la mano destra sul volto, rassegnato a quella conversazione.
- Si, mamma. Ti sento. Potresti mettere il PokèNav
all’altezza della faccia, così non vedo solo il
tuo mento? –
Finalmente l’inquadratura si mosse, permettendomi di vedere
il viso di mia madre.
Non mi sembrava essere in difficoltà.
- Come stai? Non hai preso troppa pioggia, vero? Non vorrei che ti
prendessi un raffreddore. –
Se il mio problema fosse stato solo quello di prendere un raffreddore,
mi sarei considerato fortunato.
Forse non è il caso che scopra che hanno provato ad
uccidermi… due volte. E che la sto chiamando da un bunker
dismesso in compagnia di due perfetti sconosciuti e due
pokémon leggendari.
Prima o poi glielo dirò. Forse.
Sentii la porta alle mie spalle smuoversi, ma non ci feci caso.
Dover parlare con mia madre era il problema più grosso che
potessi avere in quel momento.
- Sto bene, dai. Qui stiamo lavorando ancora per sistemare tutto, ma
finiremo presto, tranquilla. –
- Non potevi rifiutare l’incarico? Preferivo saperti qui a
Johto. O almeno potevi venire qui a lavorare con i quattro ragazzi che
ci stanno aiutando. –
- Non potevo, mamma. Come state lì? La situazione
è stabile? –
- Si, certo… però non smette di arrivare gente.
L’altro giorno hanno cominciato a distribuirci le razioni.
Non so come pensano che uno può viverci con quella roba in
scatola che ci hanno lasciato. –
- Dai, mamma, la situazione non è proprio delle migliori.
Facciamo tutti del nostro meglio, ma le regioni colpite sono veramente
messe male. –
- Nail! Non sei ancora stato ingessato! Se aspetti ancora un
po’ rischi di far calcificare male l’osso!
–
Sbiancai nel sentire la voce di Mary pronunciare quelle parole. Pregai
solamente che le interferenze della videochiamata avessero distorto a
sufficienza le parole della ragazza dai capelli bruni.
Mi voltai di scatto verso la Custode, fulminandola con lo sguardo. La
mia mente, intanto cercava disperatamente una scusa convincente nel
caso mia madre avesse sentito bene quella frase.
- Nail? Nail, c’è qualcuno con te?
Perché dovresti farti ingessare qualcosa? Ti sei fatto male?
È successo qualcosa? –
Tornai a guardare il monitor, con un sorriso ad dir poco tirato.
- Ingessato? Per fortuna non devo farmi ingessare nulla. Lei
è Mary, lavora con me qui a Hoenn. – mi scansai un
poco, in modo da permettere alla videocamera di riprendere anche la
ragazza alle mie spalle – Stiamo lavorando a Ciclamipoli e la
pioggia ha riempito le strade, Mary è venuta solo a dirmi
che un altro tombino si è intasato e, se non lo svuotiamo in
fretta, il fango rischia di calcificarsi sopra e crearci
così più lavoro. –
- Ah, ok. Ma sei sicuro di stare bene? –
- Si, mamma. Sto bene, te l’ho già detto. Ascolta,
ti ho chiamata perché devo chiederti un favore. Ho bisogno
che fai tornare da me Gardevoir con la sua sfera… Swellow
è impegnato con alcuni lavori e il sistema di memoria non
sembra voler funzionare. –
- Va bene. La farò arrivare da te domani mattina. Le
dirò di teletrasportarsi a Ciclamipoli, così non
devi spostarti troppo. –
Detesto quando mia madre inizia con i suoi viaggi mentali.
- In realtà mi servirebbe avercela prima… non
potresti mandarla qui stasera? –
- In realtà l’ho prestata a una signora gentile di
qui. Le è scappata una cucciolata di Skitty e mi ha chiesto
se poteva usare i sensi di Gardevoir per ritrovarli tutti. –
Fantastico. Io sto combattendo contro la pioggia, i vulcani e gli
allenatori assassini e lei impresta i miei pokémon alle
vecchie gattare.
Mi grattai la nuca con la mano buona. Non me la sentivo di uscire da
Ciclanova di notte per avventurarmi in una città
praticamente disabitata.
E non mi sentivo nemmeno di chiedere a Gardevoir di teletrasportarsi
alla cieca in un luogo che non ha mai visto. Potrebbe finire sotto
qualche metro d’acqua, nel migliore dei casi, o
all’interno di una parete.
- Va beh… Senti un po’, per domani
troverò un passaggio. Appena la signora finisce con i suoi
Skitty, e ti restituisce il mio pokémon, dì a
Gardevoir di raggiungermi a Ceneride domani mattine verso le quattro e
mezza. –
- Così presto? Ne sei sicuro? Ma cominciate a lavorare
così presto? Non potreste svegliarvi un po’
più tardi? Non vi fa bene dormire poco. –
Maledizione, mamma! Smettila! Se ti dico una cosa, avrò
anche le mie buone ragioni!
Cazzo, sono maggiorenne, saprò pure cosa sto facendo.
- Domani faremo un’eccezione. Dobbiamo fare squadra con dei
ranger che iniziano a quell’ora. Mi raccomando, dille di
raggiungermi verso le quattro e mezza. –
- Si caro. E vedi di non metterti nei guai. Ciao. –
- Ciao mamma. –
Chiusi la chiamata con un sospiro di sollievo.
- Devo metterti a posto quel braccio immediatamente. –
Tornò a dirmi Mary, spostandosi a passo svelto verso il
tavolo operatorio coperto dal telo impolverato che ci stava a fianco.
- Non potevi aspettare un attimo per parlare del gesso? –
- Non avevo visto che stavi ancora parlando con qualcuno. E poi, a che
pro mentirle? Per quanto mi riguarda, non voglio lavorare con persone
che non sono nella condizione migliore possibile. Ora vieni qui.
–
Con un movimento rapido delle braccia, la ragazza dai capelli bruni
sollevò il telo, riempiendo l’aria della polvere
che questo aveva accumulato su di sé.
Mi diressi da lei con lo sguardo basso, poco convinto di quel che stavo
facendo.
- Karden, Darkrai e Cresselia? Dove sono? –
- Cresselia è andata a riposare nella stanza che le avevano
riservato. Gli altri due penso siano ancora nell’altro
laboratorio, se non sono già scappati. –
- Non scapperanno. Dovresti riporre più fiducia in
loro… o in chiunque altro. –
- Non mi serve fidarmi delle persone. Ora togliti quelle maglie,
così posso valutare il da farsi. –
L’ultimo strato del gesso, finalmente, si indurì,
lasciandomi libero di alzarmi dal freddo tavolo metallico.
Mary si spostò verso un armadietto minuto, tirandone fuori
una fascia di tessuto bianco, che mi legò dietro al collo
per creare un supporto su cui potessi appoggiare il braccio rotto.
- Non ci sarà nulla di commestibile, qui dentro, vero?
–
- Ho paura che tutto quello che è stato lasciato nella
dispensa sia andato a male, oramai. –
- Merda. – bofonchiai – Mi puoi mica, almeno,
indicare un letto? Ultimamente non ho dormito molto. E domattina
dobbiamo partire presto… alle tre, più o meno.
Che ore sono adesso? Comunque, bisogna dirlo anche a Karden. –
Forse riconobbi negli occhi della ragazza che mi stava davanti una
scintilla di compassione, ma subito svanì, facendomi credere
di essermi sbagliato.
- Si, d’accordo. Sei sicuro di poterti fidare di quel tipo di
prima? –
Mi ha spiato.
Però è strano che non conosca Rocco. Strano, ma a
suo modo incoraggiante. Il fatto che non lo avesse mai visto mi
dà un’idea di che tipo di vita ha avuto finora,
dopotutto è un personaggio di una certa fama. Ma vuole anche
dire che non poteva far parte dei ricercatori che hanno tirato su
questo posto.
vieni con me. Ti faccio vedere dove sono i dormitori. –
Mi sdraiai sul letto impolverato, cercando di non pensare a quanti
esseri viventi potevano vivere in quelle coperte.
Avevo provato a sbattere, certo, ma la lana sottile di cui erano
composte sembrava essere avida dello sporco che era riuscita ad
accumulare negli anni.
Chiusi gli occhi, esausto.
Dovevo fare ancora una cosa, prima di assopirmi.
Cercai di concentrarmi, concentrando tutte le poche energie che mi
erano rimaste nel cervello.
Mary mi aveva portato nel dormitorio, specificando fin da subito quale
degli ventiquattro letti a castello, posti uno sull’altro,
sei sulla parete destra e sei su quella sinistra, fosse il suo e,
impartendomi l’ordine assoluto di non aprire la porta opposta
all’ingresso, dietro la quale doveva esserci Cresselia a
riposare.
Non che mi importasse particolarmente di quel pokémon rosa,
in quel momento.
Karden…
Feci uno sforzo per rimanere ancora sveglio.
Karden non si era mosso dal Laboratorio A, era rimasto seduto sulla
sedia dietro ai monitor, spulciando informazioni dai file che dentro
quei computer erano stati salvati.
Darkrai gli era rimasto accanto.
Quel pokémon avrà bisogno di dormire?
Sospirai, ma non sapevo bene per quale ragione.
Sarei dovuto stare attento a quei due. Probabilmente il minimo
scompenso da parte di una delle due parti li avrebbe fatti esplodere.
Avrei dovuto fare qualcosa anche per loro…
Il sonno ebbe il sopravvento su di me, interrompendo il flusso di
pensieri che mi stava affollando la mente.
Qualcuno mi scrollò vigorosamente, strappandomi troppo
presto dal riposo.
Blaziken? Absol?
Schiusi gli occhi un poco, cercando di sopportare la luce accecante
prodotta dai neon sul soffitto.
No. Non poteva essere un mio pokémon. Erano tutti nelle loro
sfere.
Finalmente riuscii ad aprire completamente gli occhi.
Mary era a pochi metri da me, mi dava le spalle. E si stava
allontanando.
Poteva avermi svegliato lei? Perché mai…
Merda.
Saranno già le tre.
Mi alzai a fatica, provocando uno sbuffo di polvere dalle coperte.
La mia mano sfiorò per caso una ragnatela, che subito cercai
di allontanare da me con un gesto secco.
Sarebbe stata una lunga giornata.
Tra l’altro, mi resi conto, dovevamo ripulire completamente
quel posto, prima di poterci ricoverare i feriti. E Mary, con loro,
avrebbe avuto un bel daffare, essendo l’unica tra di noi con
qualche capacità medica.
Guardai il braccio ingessato sorretto dalla benda, sospirando.
Dovevo riuscire a non essere un peso per nessuno. Se le cose si fossero
messe male e non avessi avuto modo di scappare, sarei dovuto rimanere
indietro per dar tempo agli altri di scappare.
Uscii dal dormitorio, accedendo al Laboratorio A.
Al banco di monitoraggio, con gli schermi ancora accesi davanti, Karden
stava dormendo con la faccia premuta contro una tastiera. Darkrai, al
suo fianco, era vigile, sorvegliando i movimenti della stanza.
Mi sentii a disagio sotto quello sguardo.
Quello era un fottuto pokémon leggendario, non era per
niente l’ultimo degli Zigzagoon. Quanto avrò
rischiato, attaccando Cresselia con la mia squadra?
Cercai di scacciare l’inquietudine, aggirando il
pokémon dalla criniera candida per appoggiare la mano buona
sulla spalla del suo Custode, cercando di svegliarlo.
Il suo protetto non si degnò di muoversi al mio passaggio,
probabilmente non mi avrebbe attaccato, dopotutto avevano passato le
ultime settimane cercando di proteggermi.
Quando Karden, finalmente, sollevò il volto dalla postazione
di lavoro, mi spostai nel Laboratorio C, dove Mary, con Cresselia al
seguito, stava catalogando gli oggetti riposti negli armadietti
metallici che circondavano il tavolo operatorio.
- Mary… devo chiederti ancora una cosa. –
La ragazza dai capelli bruni si voltò di scatto, con un
pacco di guanti in lattice stretto in mano.
Ripresi a parlare dopo un attimo di indecisione. – Il mio
Swellow non è in grado di aiutarmi, ora come ora. Posso
lasciare la sua sfera qui? C’è un posto sicuro
dove metterla? –
- Hai già provato a rimetterlo in sesto con la postazione da
Centro Pokémon? –
- Non servirebbe a granché, ora. Non ha subito danni di
nessun tipo, è solo stremato dal viaggio. Gli bastano solo
un paio di giorni di riposo assoluto. –
- Oh… va bene. C’è un cassetto
blindato, sotto al bancone lì dietro. Puoi lasciarlo
lì. Il codice è 4611. –
- Grazie. – le risposi, dirigendomi verso il bancone per
lasciargli in custodia il mio compagno. Avere la sua sfera dietro lo
avrebbe messo inutilmente in pericolo, mi dissi.
Ci ritrovammo poco dopo dall’ingresso, con le giacche
addosso, pronti a partire.
Avere i due Custodi uno di fianco all’altro mi fece uno
strano effetto.
Mary aveva addosso vestiti tecnici, dalle giunture rinforzate da degli
spessori. Perfino la sua postura era militareggiante.
Karden, dal canto suo, sembrava essere un uomo scappato di casa. La sua
giacca era vecchia, raffazzonata, di almeno due taglie più
grandi. Il suo volto era scavato, caratteristica resa ancor
più evidente dalla nera barba incolta che gli infestava le
guance e il mento.
Ed io mi trovavo in mezzo a quei due fuochi pronti a divampare.
Cosa mai poteva andare storto?
- Sentite… io per l’andata avrò bisogno
di un passaggio. Ci dirigeremo a Ceneride, lì recupereremo
dei ragazzi che sono stati feriti e li riporteremo qui, per metterli al
sicuro… - presi un momento per riflettere –
Là incontrerò un uomo di cui mi fido, vi devo
chiedere, però, di non mostrarvi a meno che non sia
necessario. Qualcuno potrebbe aver ascoltato la nostra conversazione e
non vorrei che, se si fosse presentato, vedesse i vostri
pokémon. –
Mi stavano ascoltando.
Mi stavano davvero ascoltando.
Come mai lo stavano facendo?
Beh, questo mondo è anche la loro casa, suppongo che un
minimo loro ci possano tenere.
I due pokémon leggendari si alzarono in volo, mantenendo tra
di loro almeno quattro metri di distanza mentre si dirigevano verso il
lontano cumulo di nubi scure che nascondeva alla nostra vista Ceneride.
Se ancora esisteva Ceneride.
Comunicazione di servizio:
C'è la possibilità che nelle prossime settimane a
causa degli impegni che mi affollano la settimana non
riuscirò a portare un nuovo capitolo alla settimana.
In ogni caso, se dovessi essere impossibilitato a pubblicare, vi
avviserò con una settimana di anticipo. Grazie a tutti per l'attenzione e per essere qui. |
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Capitolo 21 *** 4/7 ***
Mi sarei voluto scattare una foto, in quel momento.
Stavamo sorvolando la fascia di mare in burrasca che divideva la
regione dall’isola di Ceneride.
I miei piedi pendevano verso il basso, venendo fatti oscillare dal
vento che ogni tanto ci raggiungeva.
Le mie braccia erano saldamente avvinghiate all’avambraccio
nero di Darkrai, i cui artigli stringevano la mia giacca.
Sul lato opposto del corpo di quel leggendario, Karden sembrava
tranquillo, con lo sguardo fisso verso est.
Davanti a noi era appena visibile il bianco cratere vulcanico che si
innalzava dalle onde.
La pioggia si fece sempre più battente man mano che andavamo
al largo.
Un baluginio chiaro, simile a quello di un arcobaleno primaverile, mi
lasciò immaginare dove potesse essere la Cresselia di Mary
in quel banco di nebbia notturno che ci avvolgeva.
Avrei voluto avere il PokèNav funzionante, in quel momento.
Mi sarei sentito molto più sicuro potendo comunicare in
qualsiasi momento con Rocco.
Dovevamo essere rapidi a prendere i feriti ed andarcene, non volevo
lasciare a nessuno il tempo di poterci fermare o attaccare.
Strinsi la mia presa sul corpo del leggendario che mi teneva sospeso,
cercando di non permettere alle gocce di pioggia di insinuarsi sotto le
mie braccia e farmi perdere quella poca sicurezza che avevo.
Il sole sarebbe sorto a momenti, per lo meno.
Gardevoir sarebbe arrivata a momenti, se mia madre non ha fatto casini.
Una volta arrivati Darkrai e Cresselia, assieme al pokémon
volante di Rocco avrebbero potuto portare tre squadre almeno fino a
Ciclanova. Gardevoir, con teletrasporto, avrebbe potuto portare una
persona per volta fino a Ciclamipoli, città comunque
più sicura di dove si trovano ora.
Avrei anche potuto far portare più persone per volta al mio
pokémon, ma si sarebbe stancata inutilmente e il carico le
avrebbe fatto rallentare il viaggio.
No, meglio molti viaggi rapidi con una sola persona.
Guardai verso nord, pur sapendo che con la luce quasi nulla della luna
non sarei riuscito a distinguere Rocco tra le nubi nemmeno per sbaglio.
Sorvolammo il largo cratere bianco, discendendo al suo interno quasi in
verticale.
I pochi lampioni che l’imponente gruppo elettrogeno riusciva
a mantenere accesi facevano riflettere la loro calda luce arancione sul
livello dell’acqua, che, ne ero quasi certo, era aumentato
dall’ultima volta che ero stato in quella cittadina.
I terrazzamenti erano vuoti, silenziosi.
La pioggia cadeva incessante, ma non particolarmente fitta, al punto da
non risultare particolarmente insopportabile.
Finalmente i miei piedi riuscirono a toccare nuovamente il suolo
fangoso.
Avevo le gambe intorpidite, le ginocchia mi si piegavano appena, ma
cercai di non farci troppo caso.
Guardai verso l’alto, verso il punto dal quale proveniva il
ronzio costante del gruppo elettrogeno e il bagliore freddo delle luci
che dovevano illuminare i corridoi del centro medico principale, la cui
struttura appariva arroccata sulla parete interna del vulcano.
Mi voltai verso i miei compagni di viaggio. Concedendomi qualche
secondo per osservare per bene i leggendari che li accompagnavano.
Non saremmo riusciti a passare inosservati in nessun modo. Quei due
pokémon non potevano non balzare subito all’occhio.
Sospirai, cercando di scrollarmi di dosso la stanchezza che mi
assaliva. Percepivo le palpebre volersi chiudere e la fronte pesante,
ma dovevo rimanere sveglio ancora per qualche ora.
Muovermi mi avrebbe fatto bene, decisi.
- Rimanete indietro e cercate di nascondervi il più
possibile. Rocco dovrebbe arrivare a momenti. Io, mentre lo aspettiamo,
vado a controllare la situazione all’interno del centro
medico. –
- Nail… - mi rispose Mary incrociando le braccia sul petto
– Non vorrei mai passarti davanti, ma ti vorrei ricordare che
ho lavorato per più di una settimana, qua dentro. Vado io,
prendo in consegna i tuoi feriti, ve li porto fuori e torniamo a
Ciclanova. –
- E Cresselia? – chiesi con un filo di voce, ammutolito.
- Lei sa cavarsela anche da sola. Non ha bisogno di qualcuno che le
stia continuamente attaccato. Io vado, ci vediamo dopo. –
Mary, si incamminò senza dire altro lungo la scalinata che
percorreva i terrazzamenti su cui era nata la città,
lasciando me e Karden, soli, nel punto in cui eravamo atterrati.
- Quindi, che vuoi fare, ora? – mi chiese l’uomo
dalla barba incolta, guardandomi con quei suoi occhi scuri.
Cazzo, avessi saputo cosa fare.
Mary aveva ragione, lei era la più indicata per andare a
recuperare i feriti, ma questo non mi faceva stare meglio o sentire
più sicuro.
Forse avevo viaggiato troppo da solo.
Avevo scelto poche persone di cui fidarmi, ma, in fondo, non riuscivo a
credere davvero in loro.
Perfino in questo momento Karden potrebbe attaccarmi e io non sarei
stato in grado di ribattere in tempo.
La mia mano corse alle sfere con un gesto automatico.
No.
Tu hai deciso di fidarti di lui.
- Per il momento aspettiamo che torni Mary. Poi sarà il
nostro turno di lavorare. –
- E il tuo amico? –
- Rocco? Dovrebbe arrivare a momenti. –
I minuti passavano rapidi, o, per lo meno così mi sembrava,
visto che le condizioni del mio stramaledetto PokèNav non mi
permettevano di controllare neppure l’ora.
Il bagliore rossastro del sole cominciò ad intravedersi tra
le nubi, riuscendo a superare la muraglia di roccia che ci circondava.
Le sette passate, probabilmente.
Mary ancora non era ricomparsa dal centro medico.
Rocco non era ancora arrivato e, in ogni caso, anche mi avesse provato
a contattare non sarei riuscito a rispondergli.
Gardevoir ancora non si era fatta viva. Sapevo che mia madre avrebbe
fatto qualche casino.
Ci eravamo nascosti in un piccolo corridoio tra i muri di due diverse
case, protetti in buona parte dalla pioggia grazie ai due tetti che
quasi si toccavano, sopra le nostre teste.
Lontano, in cima ai terrazzamenti, le porte antipanico del centro
medico principale si aprirono, lasciandoci intravedere la figura in
abiti scuri di Mary. La sua mano si alzò, facendoci un gesto
rapido che pareva un invito ad avvicinarci.
La Custode rientrò, per poi ricomparire pochi istanti dopo
spingendo un lettino ospedaliero su cui era adagiato il corpo di un
ragazzo dal viso coperto per metà da una garza bianca.
La raggiungemmo di corsa, salendo gli scalini a due a due, seguiti dai
due pokémon leggendari che fluttuavano a un metro di
distanza l’uno dall’altro.
- Perché ci hai impiegato così tanto? –
le chiesi non appena fu a portata d’orecchio.
- Non volevo che le infermiere mi facessero troppe domande. Ora datemi
una mano, che rimangono altri sei là dentro. –
- Cosa ne hai fatto del personale medico? – le chiesi senza
muovermi di un passo.
- Tranquillo, non li ho uccisi. Ho somministrato loro una dose di
sonnifero. Ora, ho bisogno di un aiuto per portare fuori gli altri sei
ragazzi e, già che ci siamo, dobbiamo trovare delle corde.
Per ora gli unici che possono portare via i feriti sono Darkrai e
Cresselia e, comunque, non possono farlo bene senza
un’imbragatura adeguata.
Lavorammo per diversi minuti, prima per assicurare i feriti e le
rispettive flebo alle barelle, poi i lettini tra di loro e, infine, il
carico ai due pokémon.
Per quanto mi fosse stato sul culo fin dall’inizio, provai
una nota di compassione per quell’Hasi deperito che mi
ritrovai davanti.
- Karden, - dissi rompendo il silenzio laborioso che si era creato
– vai con loro e comincia a sistemare i quattro feriti nel
Laboratorio C. Io e Mary aspetteremo qui il ritorno dei vostri due
pokémon e, spero, anche l’arrivo di Rocco.
–
- Sei sicuro? Sai che se mi dovessi trovare in pericolo i feriti
sarebbero il mio ultimo pensiero? – Il Custode dai pantaloni
strappati sollevò un sopracciglio in segno di confusione.
- Si, lo metterò in conto. Ma voglio credere che non sarai
costretto a scegliere tra voi o loro. Dai, vai. Noi ti aspetteremo qui.
–
Darkrai e Cresselia si alzarono al di sopra dell’anello di
pietra vulcanica che delimitava la città, scomparendo
velocemente nel cielo scuro con il loro carico.
Mancavano ancora tre feriti. Solamente tre feriti e poi mi sarei potuto
concedere una pausa.
- Stai giù! – mi urlò Mary, appoggiando
la sua mano sulla mia nuca per poi spingerla verso il terreno.
Pochi centimetri sopra di me, quattro aculei violacei si conficcarono
nel muro della struttura.
No, basta.
Non ne posso più di tutto questo!
Mary corse con la schiena bassa fin dietro al muro di una casa vicina,
sporgendosi oltre quella salda protezione quel tanto che bastava per
poter cercare di capire da dove fosse provenuta quella mossa.
Io la seguii, rimanendole appiccicato come la sua ombra.
Non sarei morto. Non avevo nessuna intenzione di farlo.
- Rimani qui. Dobbiamo capire dove si nasconde. –
- Ma tu non hai pokémon con te! – ribattei a bassa
voce, afferrando la giacca nera della ragazza che mi stava davanti.
- Non ho bisogno di pokémon per rendere inerme un
allenatore. –
Mary si liberò dalla mia presa, passando al muro contiguo,
cercando di muoversi nella direzione dalla quale erano arrivati i colpi. |
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Capitolo 22 *** Faccia a faccia ***
Feci
un passo avanti, verso la ragazza che si stava allontanando, ma mi
bloccai automaticamente poco prima che il muro alla mia destra
smettesse di coprirmi.
Non potevo permettermi di essere impulsivo.
Feci uscire tutti i miei pokémon dalle loro sfere.
Blaziken, Umbreon, Absol, Sharpedo e Mightyena. Cinque carte da giocare.
Tornai a guardare in direzione di Mary, che adesso era china dietro il
muretto che precedeva la fine del nostro terrazzamento.
Dovevo rimanere lucido, mi fossi lasciato prendere dal panico avrei
fatto solo casini.
Mary scattò rapida in avanti, superando con un salto il
muretto che la copriva, cadendo sul terrazzamento immediatamente
inferiore, oltre la mia visuale.
Maledizione!
Mi sarei dovuto muovere, per quanto Mary potesse essere sicura di
sé, si trovava di fronte ad un allenatore con almeno un
pokémon.
Sospirai, per poi riempire i miei polmoni d’aria.
Mi sporsi per una frazione di secondo oltre il bordo del muro che mi
proteggeva, per assicurarmi che non ci fosse nessuno a tenermi sotto
tiro.
Non vidi nessun pokémon.
Il muro dell’abitazione successiva era ad almeno sei secondi
di corsa da me.
Dovevo provarci.
Mi abbassai il più possibile correndo verso la mia prima
meta, seguito dai miei compagni.
Ancora non riuscivo a vedere Mary o il nostro nemico.
Non mi piaceva per nulla quella situazione.
Avvertii un rumore vibrante provenire da oltre la fine del
terrazzamento, ma il suono della pioggia mi rendeva impossibile capire
da dove provenisse o chi ne fosse la fonte.
Scattai ancora una volta in avanti, andando a ripararmi dietro
l’ultima casa del piano di Ceneride su cui ero in quel
momento.
Intravidi appena la nuca bruna di Mary, premuta contro il muro bianco
della prima casa del piano inferiore.
Il rumore vibrante, intanto, si fece più forte
nell’aria.
Absol, al mio fianco, cominciò a ringhiare, un verso
sommesso proveniente dalla sua gola. Era da molto che non sentivo quel
suono e non l’aveva mai prodotto se non in caso di pericolo.
Non che ci volesse il suo sesto senso per capire che eravamo tutti
nella merda fino al collo.
Il suono vibrante si fece più intenso, anticipando di pochi
secondi la comparsa di un grosso Beedrill dai colori sgargianti, i cui
occhi rossi pattugliavano il terreno sotto di lui.
Male, molto male. Ne ero sicuro.
Cercai di riportare alla mente le nozioni che avevo riguardo le
tipologie di pokémon.
Beedrill, cos’era? Coleottero, sicuramente, forse anche
veleno.
Quattro dei miei cinque pokémon erano deboli alle sue mosse.
Blaziken era la mia unica possibilità contro di lui, con le
sue mosse fuoco.
Non dovevo, però, scoprirmi subito.
Sperai solo che Mary non fosse troppo impulsiva.
Non ebbi il tempo di finire di formulare il pensiero che quel poco che
riuscivo ad intravedere della testa di Mary scomparve dalla mia vista,
attirando su di sé l’attenzione del
pokémon coleottero che pattugliava la zona.
Quel maledetto insetto le avrebbe dato filo da torcere. Era veloce,
dannatamente veloce e quei pungiglioni sono armi naturali ottime.
Dannazione, Arceus! Che cazzo avevi in mente quando hai creato un
insettone con tre fottuti pungiglioni?
Quantomeno, senza Beedrill nelle vicinanze, mi sarei riuscito ad
avvicinare in sicurezza al muretto.
Corsi, cercando di non scivolare sul fango che ricopriva il terreno,
per poi gettarmi ai piedi della costruzione in mattoni.
Con un gesto della mano, comandai ai miei compagni di rimanere immobili
dove li avevo lasciati.
Forse, tra tutti loro, solo Umbreon si sarebbe riuscito a nascondere
adeguatamente con me.
Ma non ne valeva la pena di rischiare.
In ogni momento, comunque, avrei potuto richiamare chi mi serviva
all’interno della sfera, per poi lasciarlo uscire al mio
fianco.
Loro, adesso, erano fuori solamente per intervenire nel caso io non
fossi riuscito a dargli un ordine.
Alzai leggermente il capo, sbirciando cosa stesse accadendo pochi metri
sotto la mia posizione.
Merda.
Un uomo stava ritto tra le case, incurante del ronzio prodotto dal
Beedrill che stava calando si quota.
Avrei riconosciuto a chilometri di distanza
quell’impermeabile giallo.
Porca puttana, Jacob. Non importa come, ma adesso vengo
lì e ti ammazzo io.
Ragiona ancora un momento, Nail.
Non credo lui sappia di me. Non può avermi visto.
Veleno e buio non sono deboli o forti reciprocamente, ma quel Beedrill
vanta il tipo coleottero.
Uno a zero per lui.
Io, però, posso schierargli contro Blaziken.
Uno a uno.
Che pokémon mi ha mostrato, mentre viaggiavamo assieme?
Tentacruel. Dovrebbe essere acqua e veleno, è in vantaggio
sul mio starter.
Poi?
Toxicroak, che ha utilizzato breccia a Cuorepoli. Merda, ho paura abbia
il secondo tipo lotta. Avessi ancora Swellow non sarebbe un problema,
ma l’unico che gli è superefficace è
ancora Blaziken.
E Crobat, con il secondo tipo volante, credo.
Per ora conosco quattro componenti della sua squadra.
Sono stato così coglione da non far caso a quante ball si
stesse portando dietro.
Mary scattò dalla tettoia sotto cui si era riparata,
correndo in direzione dell’allenatore veleno con le braccia
tese, pronte ad afferrarlo.
Se l’avesse stretto in una presa, il pokémon
coleottero non l’avrebbe potuta bersagliare con i suoi
pungiglioni per paura di colpire il proprio allenatore.
Forse, se Mary fosse valsa la metà di quel che diceva,
poteva anche funzionare. Dopotutto Jacob non mi è mai
sembrato molto forte fisicamente.
Trattenni il respiro, con i battiti del cuore che andavano a tempo con
i passi della custode.
Riuscii addirittura a vedere le sue dita lambire
l’impermeabile color canarino, poi un fulmine viola la
colpì al fianco, gettandola a terra tra il fango.
Accanto all’allenatore veleno, per nulla scosso, ora
saltellava il Toxicroak che avevo già avuto modo di
conoscere.
Merda.
Era arrivata così vicina…
Jacob le si avvicinò, con il suo Beedrill a poco
più di un metro sopra la sua testa, pronto ad attaccare il
nemico sconfitto al primo segnale del suo allenatore.
L’avrei dovuta salvare, in qualche modo.
Vidi la bocca dell’allenatore dagli abiti viola muoversi, ma
le sue parole non mi raggiunsero. Capii però perfettamente
come quella discussione finì.
Lui si voltò alzando la mano in direzione del suo
pokémon coleottero.
Ci fosse stata Cresselia, con noi, non saremmo stati così
tanto in pericolo.
E dov’è la mia Gardevoir? Mamma, porca puttana,
perché non riesci a fare le cose come dico io, per una volta?
Fui costretto ad agire d’impulso. L’istinto che
avevo sviluppato nelle lotte che ho dovuto affrontare mi
lasciò intuire cosa avrebbe fatto quel pokémon,
una stilettata in picchiata, precisa.
Con Mary a terra si sarebbe tranquillamente rivelata fatale.
Nessuno dei miei compagni sarebbe stato abbastanza veloce da
raggiungere quel combattimento, anche correndo al massimo delle sue
possibilità.
Avevo a disposizione mosse che potevano aumentare quella statistica,
anche solo temporaneamente, ma ciò poteva ridurre i quaranta
metri che mi separavano dalla ragazza dai capelli bruni.
Ebbi un’idea.
Un’idea che non avrei mai accettato di tentare in casi
normali, ma in quel momento era l’unica attuabile.
Strinsi una sfera tra le dita, facendo rientrare al suo interno il
pokémon che le apparteneva.
- Sbigoattacco. Poi portala via. - Sussurrai alla ball, fiducioso che
il pokémon al suo interno capisse le mie intenzioni.
Adesso arrivava la parte difficile.
Mi alzai in piedi, caricando il braccio destro all’indietro,
per poi lanciare il più lontano possibile la mia sfera.
Questa cadde a terra, rotolando per un secondo prima di aprirsi.
Non appena Absol si fu materializzato su quel terreno, piccoli
corpuscoli violacei si addensarono sul suo pelo.
Ottimo, la mossa si è attivata.
Con sbigoattacco sarei dovuto riuscire ad anticipare il colpo di quel
Beedrill e, anche se non gli avrei fatto alcun danno per via
dell’inefficacia dovuta ai tipi, avrei guadagnato tempo.
Il corno nero del mio compagno impattò sul ventre striato
del coleottero che aveva davanti che, in tutta risposta, lo
colpì con i pungiglioni che aveva al termine delle braccia.
Absol resistette.
Ottimo.
Rimasi immobile, in piedi, senza alcuna copertura, sperando che il mio
piano riuscisse anche in quell’ultima parte.
Le mascelle del mio pokémon dal pelo candido si serrarono
sulla giacca di Mary, trascinandola a falcate fin dietro la casa
più vicina.
Non sarebbe durata molto quella copertura.
Oramai mi ero scoperto, tanto valeva far guadagnare tempo alla custode,
sperando che si riprendesse il fretta.
Feci rientrare i quattro pokémon che mi erano rimasti, per
poi lasciarmi cadere sul terrazzamento inferiore.
- Jacob, figlio di puttana, non dovresti trattare così una
signora. Che c’è, non riesci ad uccidere me e ci
provi con chi è più debole? – urlai,
allargando il braccio destro.
Non avessi avuto il sinistro rotto mi sarei sentito molto
più al sicuro, ma mi dovevo far bastare quello che avevo.
Beedrill rimase immobile al suo posto, così come Toxicroak.
La mia mano, lentamente, si abbassò sulla prima sfera. Mi
avesse attaccato, Blaziken era la mia unica possibilità di
sopravvivenza.
Ringrazio solamente di aver lasciato nel set del mi starter anche una
mossa di tipo volante in caso di necessità, per quanto
baldeali sia rischiosa da usare.
- Nail? – chiese confuso Jacob, voltandosi nella mia
direzione. I suoi occhi si spalancarono, vedendomi – Nail!
Spero che tu non sia incazzato ancora per quella storia di Memoride.
Avanti, è acqua passata, no? –
- Certo. Ti ammazzo e siamo pari. –
Feci un passo avanti, poi un altro. Non volevo mostrare quanto avessi
paura di quello scontro in cui ero così tanto svantaggiato.
- Spiegami una cosa, se sei sopravvissuto a quella frana,
perché tornare qui? Non potevi scappare e darti per morto?
–
- Sarebbe stato troppo facile. Ora dimmi, sei tu che stai provocando
tutto questo casino? O lavori per qualcuno? –
- Mi piace pensare di essere un tassello del puzzle. Tu non hai idea di
cosa si stia prospettando all’orizzonte e qualche centinaio
di morti sono un prezzo equo da pagare. –
C’entra. Lui c’entra qualcosa.
Potrei provare a torturarlo in qualche modo, se mai riuscirò
a sconfiggerlo, magari mi dirà il nome di chi
c’è dietro a tutto questo.
Se riuscirò a sconfiggerlo.
E se riuscirò a sopravvivere.
Che situazione di merda.
- Sai Nail, mi dispiace davvero tanto di doverti uccidere, ma sai
davvero troppe cose. Quindi, ti prego, muori adesso e non tornare,
così non avrò più questo dispiacere.
Beedrill, forza, fai quel che devi. –
Non gli ha detto di usare una mossa precisa.
Merda.
Probabilmente userà di nuovo pungiglione, come prima.
Decisamente Blaziken è la scelta migliore.
I due aculei si conficcarono tra le piume rosse del mio starter, che
aprì il becco per poi schioccarlo a pochi centimetri dai
rossi occhi bulbosi del pokémon coleottero.
- Calciardente. –
Con così poco spazio a dividerli quel Beedrill non aveva
speranze di evitarlo.
Il piede del mio compagno venne avvolta da fiamme danzanti, per poi
andare ad impattare contro il torso del pokémon avversario,
sbalzandolo a terra a diversi metri dalla sua posizione originale.
Non è ancora diventato troppo esausto per lottare, ma non
credo manchi molto.
Devo essere pronto nel caso in cui mandi in campo un altro membro della
sua squadra.
- Bei riflessi. – mi disse tranquillamente Jacob, facendo un
passo nella mia direzione – Come mai quel Blaziken? Quel tuo
Swellow non è da combattimento? –
Non fargli capire la tua situazione, mi raccomando.
- Perché dovrei tirare fuori un pokémon del
genere quando sono a conoscenza di solo due dei componenti della tua
squadra. E poi Blaziken può tranquillamente batterti da
solo. –
Mi tremavano le mani, ma cercai di non darlo a vedere.
Senza Gardevoir non avevo una singola possibilità contro la
squadra di un buon allenatore del tipo veleno. Soprattutto ora che
Absol non è in condizioni ottimali. |
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Capitolo 23 *** Gelida carezza ***
- Tu davvero credi di avere qualche possibilità, ragazzino?
Io non sono quell’ubriaco di Pratopoli, non mi sottovalutare.
–
- Giusto. – gli risposi fissandolo con lo sguardo
più fermo che riuscii a trovare – Lui mi ha
affrontato senza farmi cadere addosso il soffitto di una caverna.
–
- Vorrà dire che questa volta me ne occuperò
personalmente. –
Jacob lanciò in aria una terza sfera, lasciando che il
pokémon al suo interno ne uscisse a poco meno di un metro
dal mio starter.
Chi? Chi hai scelto?
Le mie dita fremevano sul porta sfere.
Dovevo riconoscere il pokémon e scegliere la migliore
contromisura nella frazione di un secondo.
Umbreon, Mightyena e Sharpedo.
Forse avrei potuto utilizzare perfino surf su quella fanghiglia, avesse
tirato fuori un pokémon fuoco.
La fisionomia del pokémon appena richiamato si fece sempre
più chiara.
Crobat.
Veleno volante.
È superefficace su Blaziken.
Quali sono le mie condizioni di vittoria?
Blaziken sui tipi coleottero e Umbreon, con psichico, su quelli veleno.
Quella mossa poteva essere la mia salvezza sui tipi veleno, ma dovevo
usarla al momento giusto.
Qual è il suo pokémon più forte?
Credo Toxicroak, ma non posso dirlo con sicurezza.
Per di più Umbreon non ha un attacco speciale
così elevato, un solo attacco potrebbe non bastare per
metterlo fuori gioco.
Mightyena, ho deciso.
Presi la sfera e la lanciai, in modo che il mio compagno,
materializzandosi, si andasse a frapporre tra Crobat e Blaziken.
- Eterelama. Velenaculeo.– disse solamente
l’allenatore che mi stava di fronte.
Le lame prodotte dal battito delle ali del pokémon viola
impattarono sulla pelliccia del pokémon che avevo appena
scelto, senza poter arrivare al mio starter.
Ottimo.
I pungiglioni di Beedrill si conficcarono nuovamente nel corpo di
Blaziken, iniettandogli il suo veleno.
Il corpo del mio compagno tremò, quando le protuberanze
appuntite vennero estratte.
Merda, l’avvelenamento era l’ultima cosa di cui
avevo bisogno.
Non ho nemmeno cure per potergli levare quel maledetto status.
Devo sfruttare al meglio il tempo che mi rimane.
- Blaziken, baldeali su Beedrill. Mightyena, su Crobat, ombrartigli.
–
Entrambe le mosse andarono a segno.
Beedrill, però, non diede segni di cedimento.
Quanto cazzo vuole resistere quell’insetto?
- Basta giocare, mi sono stancato. –
Altre due sfere volarono in aria, per poi ricadere a fianco ai miei
pokémon.
Tentacruel e Drapion comparvero sul campo di battaglia, andando a
circondare la mia squadra.
Drapion? Davvero?
Adesso ho un’arma in più.
Posso vincere, visto che lui non mi sembra abbai altri tipi, oltre al
veleno.
Blaziken ha i secondi contati, voglio che faccia più danni
possibili.
- Mightyena, fossa su Drapion. Blaziken, inferno su tutto quello che ti
circonda. –
Tentacruel non ne avrebbe risentito, ma, forse, Beedrill ne sarebbe
uscito sconfitto.
- Beedrill, protezione. –
Merda.
Mightyena scomparve sotto al terreno del nostro terrazzamento un attimo
prima che l’aria divenisse rovente per le fiamme che il mio
starter cominciò a generare tutto attorno a sé.
Non riuscii nemmeno a vedere quale mossa mandò k.o.
Blaziken, in mezzo a quel turbinio di scintille. Lo vidi solo cadere a
terra, esausto.
Quattro carte rimaste al mio mazzo, anzi, tre e mezza.
Se dovesse costringermi a usare Absol, non credo che il mio
pokémon potrebbe reggere più di un colpo. Forse,
facendogli utilizzare protezione, potrei guadagnare un po’ di
tempo, ma comunque non abbastanza per evitare che venga messo alle
strette anche lui.
Per lo meno avevo mandato al tappeto Beedrill, un problema in meno.
- Nail, dimmi, chi dei due è in vantaggio ora? Tu, che hai
tolto dal campo un pokémon coleottero o io, che ho,
presumibilmente, eliminato il pokémon con cui,
più di tutti, hai un’intesa? Sai, ti ho osservato,
mentre viaggiavamo insieme. Per quanto tu sia incredibilmente negato
nel relazionarti con persone o pokémon, hai sviluppato una
buona amicizia con la tua squadra. Ma non ti servirà a nulla
se ti ucciderò, lo sai, vero? –
- Jacob, sei troppo sicuro di te. Se davvero credi di essere in
vantaggio, sei completamente fuori strada. –
Altro che fuoristrada.
Ha piazzato in campo cinque pokémon, dall’inizio
di questa battaglia. Beedrill, Toxicroak, Tentacruel, Crobat e Drapion.
Potrebbe avere ancora una sfera piena, sotto quell’orribile
giacca a vento gialla.
Dall’altra parte io ho mostrato Blaziken, Mightyena e Absol.
Io gli ho tirato giù Beedrill al costo di Blaziken e di
qualche ferita su Absol, l’eterelama su Mightyena posso non
considerarlo.
Tentacruel e Sharpedo non possono muoversi fuori dal loro elemento, ma
questo non gli impedisce di attaccare.
Sono in svantaggio e, per di più, perderei perfino con
Gardevoir al mio fianco. Psico è superefficace su veleno, ma
veleno lo è su folletto.
Sarebbe una gara di velocità tra me e lui.
Maledizione, porca puttana!
Karden tornerà tra delle ore, Rocco non si è
ancora visto e mia madre non mi ha ascoltato. Ora ci resto secco.
- Drapion, velenocroce su quel Mightyena appena appare. Toxicroak,
breccia su Nail. Chiudiamola qui. –
Breccia? Su di me?
Merda, mi ha messo all’angolo. O me o un componente della mia
squadra in meno.
- Absol! Protezione, qui! –
Per un po’ non potrò usare nuovamente protezione,
per lo meno, però, non sono dovuto scendere a patti.
Cercai di concentrarmi su quello che mi stava succedendo attorno.
La pelliccia bianca del mio compagno si muoveva nella mia direzione,
ondeggiando a ritmo con le sue falcate. Dall’altra parte
Toxicroak si stava avvicinando a balzelloni, con il braccio teso,
pronto a colpirmi.
Mightyena comparve sotto il ventre di Drapion, sferzandolo con i suoi
artigli.
L’altro resistette, rigirandosi e ghermendolo con le chele
appuntite.
Per fortuna non mi ritrovai con un altro pokémon avvelenato.
La mano uncinata del Toxicroak calò con violenza, andando a
scontrarsi con la forza invisibile prodotta dal mio pokémon
per proteggerci.
Buon turno, questo.
Ora questa maledetta rana viola mi è pure vicina.
Devo sfruttare l’occasione.
Feci uscire Umbreon dalla sua ball.
- Psichico, su Toxicroak, Mightyena, di nuovo, fossa su Drapion.
–
- Toxicroak, torna qui! – urlò Jacob.
Era paura, quella nella sua voce?
Spero di si, perché vuol dire che ho letto bene la sua
squadra e che quella rana è la sua punta di freccia.
In ogni caso non può evitare la mia mossa.
- Tentacruel, acquadisale su quell’Umbreon, Drapion,
pungiglione, Crobat, eterelama! –
Ha paura di me, ora.
Spero che Umbreon resista ancora per un po’, dopo questo
turno.
Non posso neanche rischiare di mettere in prima linea Umbreon, ora come
ora.
Mightyena scomparve sotto terra, in un attimo.
Toxicroak si blocco per un momento, scosso da un violento
fremito, ma non cedette, per quanto i suo salti si erano fatti incerti.
Merda!
I tre attacchi colpirono il mio compagno, che cedette sotto quei colpi.
Merda, di nuovo. Tra l’altro ha un’altra mossa di
tipo coleottero.
Feci rientrare rapidamente Umbreon.
Fosse resistito solo un minuto di più, sarei riuscito a
farlo curare con lucelunare… Non importa, quel Toxicroak non
resisterà a lungo.
Devo aspettare il momento giusto per mandare in campo Sharpedo. Una
volta schierato non potrà riposizionarsi da solo e la sua
abilità, cartavetro, si potrebbe rivelare estremamente utile.
Drapion dovrebbe cadere con il prossimo fossa che subisce.
Potrei ancora farcela.
- Non capisco perché mi sia preoccupato tanto. –
mi disse Jacob allargando le braccia – Non è forse
vero che quella mossa era l’unica psico nel tuo kit? Drapion
potrà anche cadere sotto la tua fossa, ma poi? Cosa pensi di
fare? –
Non potevo dar ragione a quel borioso.
Io avrei vinto e glielo avrei sbattuto in faccia.
Probabilmente non avrei avuto il coraggio di ucciderlo davvero,
nonostante tutto, ma avrei trovato una soluzione altrettanto gustosa
per ripagarlo di quel che mi ha fatto.
Mightyena sta per attaccare, devo pensare in fretta alle altre mosse.
Lui è l’unico che può portare un buon
quantitativo di danni, adesso.
Devo proteggerlo da almeno una parte degli attacchi.
Se mettessi Sharpedo nella linea di tiro di Tentacruel riuscirei a
parare tutti i suoi colpi, dandomi un leggero vantaggio.
Sì, può funzionare.
Lancia l’ultima sfera che mi era rimasta con attenzione
maniacale, in modo che il mio pokémon si materializzasse nel
miglior posto possibile.
Mightyena emerse dal terreno con le fauci spalancate, azzannando il
ventre del Drapion avversario, che non riuscì a sopportare
quel secondo colpo.
Devo essere più rapido di Jacob, ora.
- Mightyena, di nuovo, fossa su Toxicroak! –
Il mio avversario non provò a ribattere in nessun modo.
Che stia aspettando qualcosa?
Ma cosa? Anche avessi commesso un errore, cadendogli quella rana, a lui
rimarrebbero solamente Crobat e Tentacruel e la faccenda volgerebbe a
mio vantaggio.
Non capisco.
Che abbia deciso di perdere?
Mightyena emerse di nuovo, affondando i suoi artigli sui fianchi del
Toxicroak, che non cedette.
Com’è possibile che non sia andato al tappeto?
Umbreon l’aveva ridotto allo stremo!
Aspetta… Dannazione!
Jacob ha in mano la fottuta fialetta di una ricarica totale.
Mi ha fottuto.
Non ho più modo di vincere.
- Toxicroak, breccia. –
Forse, se fosse stato in condizioni perfette, il mio compagno avrebbe
potuto reggere quel colpo, ma, purtroppo, così non
è andata.
Il colpo di quel Drapion ha lasciato un bel segno ed ora ne pago le
conseguenze.
Cosa posso fare, se non arrendermi?
Spero almeno che Mary sia riuscita a scappare e mettersi in salvo.
Un brivido mi percorse la schiena, come se una mano gelida mi avesse
accarezzato la nuca. |
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Capitolo 24 *** Ferro e sangue ***
Conoscevo quella sensazione.
Gli rimangono in campo Crobat, Tentacruel e quel merdoso Toxicroak.
Dalla mia parte ho, invece, Absol malconcio e Sharpedo.
Riuscissi a eliminargli quella rana potrei farcela, devo solo prenderlo
alla sprovvista.
Il brivido lungo la mia schiena si fece più forte.
Era il momento.
- Sharpedo, surf su quel Crobat. – non sarebbe stato molto
efficace, anche considerando che ha a disposizione solo il fango che
c’è sul campo di battaglia, ma avrei cominciato a
danneggiarlo. Tentacruel, poi, dal canto suo non sarebbe stato un
problema insormontabile, avrei potuto semplicemente ignorarlo.
Presi un respiro, aspettando il momento giusto.
L’onda fangosa si alzò da Sharpedo, puntando verso
Crobat.
Bene. Fottuto.
- Gardevoir, psicoshock su Toxicroak! –
Finalmente era arrivata.
Potevo ancora vincere.
Crobat subì il colpo nello stesso momento in cui Gardevoir
comparve davanti a me e Toxicroak cadde a terra, esausto.
Mi permisi di sorridere, alzando lo sguardo sul mio avversario.
Vinto.
- Gardevoir, psicoshock su Crobat. –
- Toxicroak, velenocroce su Gardevoir. –
Cosa?
Toxicroak l’ho sconfitto.
Non può essere ancora in campo.
Come è possibile.
Guardai stralunato il campo di battaglia muoversi come al rallentatore.
Crobat cadde a terra.
Toxicroak fece un ultimo salto in direzione del mio compagno di tipo
psico, colpendolo con gli uncini che gli ornavano le braccia,
mandandolo al tappeto.
Guardai di nuovo Jacob che, impettito, mi mostrò il
revitalizzante che teneva tra le dita.
Avevo perso.
Crollai in ginocchio in mezzo al fango, disperato.
Non avevo più carte da giocare.
Uno scalpiccio di passi si fece strada tra il rumore della pioggerella
battente.
Voltai appena il capo per guardare cosa lo stesse producendo.
Mary stava correndo in direzione di Jacob con una spranga di ferro tra
le mani, incespicando ogni volta che toccava alla gamba sinistra
sorreggere il suo peso corporeo.
Cosa pensava di fare con quella?
- Toxicroak, attaccala. –
Cosa potevo fare se non tentare il tutto per tutto?
- Absol, sbigoattacco. –
Il mio compagno dalla pelliccia candida sporca di fango
cominciò a correre in direzione del pokémon
viola, affondando i propri artigli neri nel terreno solcato da
più e più segni della lotta.
Avrei attaccato per primo io, ma non sarei mai riuscito a fargli
abbastanza danni da impedirgli di attaccare Mary.
Gli artigli di Absol si fecero strada nei muscoli della schiena del
Tentacruel e lo slancio fu sufficiente per permettere al mio
pokémon di affondare i propri denti aguzzi nella spalla
dell’avversario.
Non riuscii a credere ai miei occhi.
Brutto colpo.
Un fottuto brutto colpo.
Non ne vedevo uno da una vita.
Vidi Toxicroak vacillare, per poi cadere sotto il peso schiacciante del
mio compagno.
Mary raggiunse Jacob, menando un colpo secco della spranga verso di
lui, colpendolo al volto e gettandolo a terra.
Per un attimo il tempo si fermò.
Vidi Jacob a terra, con il volto insanguinato e
l’impermeabile giallo inzaccherato di fango che non riusciva
a coprire per intero i vestiti viola che indossava, e Mary su di lui,
imperiosa con la sua barra di metallo in mano.
Un altro colpo venne vibrato, seguito da un terzo e un quarto.
Schizzi di sangue raggiunsero gli stivali della ragazza dai capelli
bruni con cui avevo viaggiato.
Non riuscivo a muovermi.
Riuscivo a stento a respirare.
Il mio cervello si rifiutava di capire, si rifiutava di elaborare
quello che aveva visto.
Non ero triste. Quel lurido bastardo si sarebbe meritato di peggio.
Non ero nemmeno felice. La sua morte non mi faceva in alcun modo
sentire meglio, né faceva rimarginare le ferite che mi aveva
procurato.
La spranga cadde a terra.
Mary si voltò verso di me, facendo qualche passo incerta,
per poi cadere faccia avanti per terra.
Non era ancora finita, probabilmente.
Mi avvicinai a lei, facendo rientrare man mano nelle loro sfere tutti i
miei compagni rimasti sul campo di battaglia, eccetto Absol. Ero certo
che lui mi sarebbe ancora servito.
Una chiazza scura si allargava sul fianco sinistro della ragazza dai
capelli bruni, impregnando i suoi abiti neri e il terreno sottostante.
Il colpo che aveva ricevuto da Toxicroak le doveva aver
aperto una ferita grave.
Non potevo far nulla, in quel momento, se non portarla in un posto
protetto dalla pioggia, in attesa del ritorno di Karden con Darkrai e
Cresselia.
Rocco, invece? Che fine aveva fatto?
Appena fossimo tornati a Ciclanova avrei provato a contattarlo, decisi.
Diedi un ultimo sguardo al cadavere dal volto irriconoscibile di Jacob,
per poi caricare il corpo di Mary, privo di coscienza, sul dorso del
mio compagno.
Non sapevo cosa avrei potuto farne di lui.
Lo odiavo, ma non riuscivo a portargli ancora rancore, nonostante tutto.
Probabilmente, fossimo stati solo io e lui, se avessi vinto lo avrei
risparmiato come un coglione, nonostante tutto.
Mi incamminai con Absol al mio fianco verso il centro medico, risalendo
lentamente gli scalini che collegavano i terrazzamenti per raggiungere
la porta automatica che mi avrebbe condotto all’asciutto.
Alzai nuovamente lo sguardo verso l’orologio appeso alla
parete che si muoveva lentamente davanti a me.
Avevo curato i miei compagni grazie al macchinario del centro medico,
portato i due allenatori e il ranger nell’androne
appena oltre l’ingresso e medicato al meglio delle mie
possibilità il taglio profondo che si apriva nel fianco di
Mary.
Sentivo la testa pesante e le palpebre che premevano per potersi
chiudere.
Avevo continuato ad avanzare nella mia missione per salvare le persone.
Non mi interessava null’altro, che si fottessero quelli della
commissione, gli scienziati di Ciclanova o quel bastardo che ha causato
tutto questo.
Ero andato avanti per salvare le persone e tutto quello che sono
riuscito ad ottenere era una persona ferita in più e un
pezzo di merda morto con il cranio spappolato.
Forse Hasi non se la stava passando così male, rimanendo in
coma.
La lancetta dei minuti scattò di una tacca avanti.
Mezzogiorno e ventitré minuti.
Rocco ancora non si era fatto vivo.
Sperai ardentemente che non gli fosse successo qualcosa.
La porta scorrevole si aprì, permettendo a un uomo di
entrare nella hall.
La mia mano destra corse immediatamente alle sfere al mio fianco,
mentre i miei occhi saettavano per riconoscere il nuovo arrivato.
Karden.
Abbassai la mano a terra, aiutandomi con essa ad alzarmi in piedi.
- Cosa cazzo è successo qui? – esordì
il custode dalla barba incolta, guardando il divanetto su cui avevo
adagiato Mary.
- Anche per me è bello rivederti sano e salvo. –
gli risposi – Siamo stati attaccati, ma, come vedi, siamo
ancora vivi. –
- Chi vi ha attaccato? È scappato? –
Una risata cinica mi scappò dalle labbra strette, mentre
alzavo lo sguardo verso il soffitto. – Mary gli ha spaccato
la faccia con una spranga di ferro. –
Lo sguardo di Karden mutò di colpo.
- Mi stai prendendo per il culo, vero? –
- Mi piacerebbe. –
- Merda… - sospirò il custode passandosi le mani
tra i capelli bagnati dalla pioggia.
- Non possiamo più farci un cazzo con quello, ora. Aiutami a
caricare questi disgraziati su Darkrai e Cresselia. –
- Non c’è posto per tutti. Uno di voi rimarrebbe a
piedi. . mi fece notare Karden, forse con una punta di preoccupazione
nella voce – E quel tuo amico, che fine ha fatto? –
- Non ne ho idea e il mio PokèNav si è rotto e
non mi lascia chiamare o ricevere, se non è attaccato a una
periferica. Comunque una volta che saremo a Ciclanova
proverò a contattarlo. Per il resto, non preoccuparti per
me, sono ritornato in possesso della mia Gardevoir, posso farmi
teletrasportare da lei a Ciclamipoli. –
Karden non mi parve particolarmente convinto della mia idea, ma non
protestò.
Uno degli allenatori, una ragazza dai corti capelli biondi,
l’avevo già vista durante il percorso che mi ha
portato nella palestra di Rudi.
Elly? Arette?
No, non credo. È passato troppo tempo da quando la
commissione mi aveva costretto a frequentare quell’inutile
corso. In realtà non sono davvero sicuro che sia lei, visto
che ha metà del viso ricoperto di bende.
Finimmo di assicurare i quattro feriti ai pokémon leggendari
in pochi minuti.
- Sei sicuro che non sia pericoloso per te rimanere da solo?
– Karden mi sembrò vivamente preoccupato.
- Si, tranquillo. E, poi, con il teletrasporto di Gardevoir,
arriverò sicuramente prima di voi. –
Vidi i due leggendari librarsi in volo, tornando a dirigersi verso est.
Se qualcuno mi avesse attaccato in quei pochi minuti che mi separavano
da Ciclanova, avrei avuto la certezza che il mondo ce l’abbia
con me.
Lanciai una sfera in aria, permettendo al pokémon al suo
interno di uscirne.
I suoi occhi intelligenti si posarono su di me. Non emise un singolo
verso, ma percepii chiaramente il tocco lieve della sua mente sulla
mia, che mi fece rabbrividire.
Era ora di andare, per fortuna Ceneride non aveva più nulla
per noi.
Presi la mano che Gardevoir mi porse, sorridendole.
Ero sopravvissuto a situazioni mortali, null’altro poteva
prendermi di sorpresa.
Mi sentii trascinato verso un abisso oscuro, guidato solamente dalla
presa del mio pokémon.
Il mio corpo non aveva peso, non vedevo nulla, non sentivo nulla,
nessun odore arrivava al mio naso.
Per un attimo venni avvolto dal terrore, al pensiero di quello che
sarebbe potuto succedere se avessi lasciato la presa in quello stato. |
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Capitolo 25 *** Dietro di te ***
Il
mondo mi ricomparve intorno.
Case, strade, portabici e aiuole.
Ciclamipoli, eravamo arrivati fin lì sani e salvi.
Ottimo.
Dovevamo solo riuscire a raggiungere Ciclanova e mi sarei potuto
prendere una pausa da quella follia. Me lo ero promesso.
Mi incamminai sulla strada che puntava verso sud, con Gardevoir che
procedeva silenziosa al mio fianco.
Le ero grato per esistere, in quel momento.
Mi sarei dovuto procurare una di quelle maledette megapietre, un
giorno. Per quanto le trovassi un trucchetto di basso livello da usare
in battaglia, non potevo negare che potevano dare un vantaggio non
indifferente.
Ci avrei fatto un pensiero, un giorno.
Superammo il casello della pista ciclabile a passo lento.
Dovevo fare ancora un paio di cose, prima di isolarmi dal mondo.
Dovevo chiamare assolutamente Rocco, poteva essergli successa qualunque
cosa.
Dovevo farmi dare da Mary un quadro generale delle condizioni di quei
poveri sfigati che ospitiamo.
Dovevo anche farmi controllare il braccio, il gesso si era schiacciato
in quella giornata merdosa e non avevo intenzione di trovarmi un
braccio storto a ricordarmi di quello stronzo di Jacob.
Raggiunsi quasi senza accorgermene le macerie che circondavano la
distesa d’acqua dentro la quale era stata costruita Ciclanova.
La pioggia continuava a cadere leggera, perturbando la superficie
piatta che mi si apriva davanti.
A ben pensarci, quando ero partito diluviava.
Il tempo sta migliorando.
Potrebbero non c’entrare i leggendari. A scuola ci avevano
fatto leggere quei tomi interminabili di mitologia e sono sicuro che
Kyogre fosse in grado di far piovere in eterno, fottendosene del
normale ciclo dell’acqua.
Magari è solo un caso.
Oppure un’arma costruita dagli uomini.
Non so. Non riesco ancora nemmeno a credere che tutto questo sia reale.
Feci rientrare Gardevoir nella propria sfera, soffermandomi un attimo
su quella ball.
Era lucida.
Digrignai i denti, frustrato. Mi madre doveva avergli dato una mano di
uno di quei suoi prodotti.
Dannazione, lo sapeva perfettamente che non volevo che toccasse le mie
cose. Mi piace sentire sotto le dita la vernice consumata
non… un prodotto di sottomarca scadente comprato
chissà dove.
Agganciai la sfera al suo sostegno, per poi recuperarne
un’altra.
Sharpedo comparve in acqua, tracciando rapidamente un cerchio tra i
flutti, prima di accostarsi alla sponda per farmi salire sulla sua
groppa.
In un attimo raggiungemmo l’isoletta.
La grata metallica era chiusa.
Non erano ancora tornati, ottimo. Avrei potuto parlare liberamente con
Rocco.
Feci rientrare Sharpedo, per poi rivolgere la mia attenzione a
quell’ingresso, che si aprì senza troppo sforzo.
Scesi velocemente lungo il corridoio, superando la segreteria e il
primo laboratorio, per raggiungere il prima possibile il pc al quale
collegare il PokèNav.
I feriti?
Li avrà portati nel dormitorio, suppongo.
Il menu principale del mio dispositivo comparve sul monitor che avevo
davanti.
Sei chiamate perse, tutte di mia madre, tranne una. Nulla di
irrecuperabile.
Una chiamata di Rocco alle sette di questa mattina.
Almeno fino ad allora era ancora vivo.
Feci partire la chiamata, guardando lo schermo pulsare ritmicamente con
un misto di speranza e paura per quello che sarebbe comparso.
La faccia incorniciata dai capelli grigi di Rocco comparve a schermo.
Lasciai uscire l’aria dai polmoni, sollevato.
- Dove sei? – gli chiesi.
L’immagine non mi permetteva di riconoscere parti
dell’ambiente circostante.
- Mi sono dovuto rintanare in una grotta a nord di Verdeazzupoli.
Volevo intercettare la squadra che stava rientrando prima di
raggiungerti, ma sono stato preso alla sprovvista da una tempesta. Voi?
Siete riusciti a prendere i feriti? –
- Si… hanno però provato a fermarci,
c’era un allenatore ad aspettarci a Ceneride. È
morto dopo il nostro combattimento. –
- Morto? Davvero? Dove posso raggiungervi? Non dirmi un luogo preciso,
dimmi una zona da sorvolare, non atterrerò finché
non ti vedrò. –
Sentii dei passi pesanti nella stanza accanto. Mary e Karden dovevano
essere appena rientrati.
- Sorvola la pista ciclabile, creerò delle fiammate ad
intermittenza. -
Il viso vissuto di Rocco si tese, mentre il suo sguardo si perse su
qualcosa. Non riuscii a capire se stesse guardando qualcosa sullo
schermo o al di là di quello.
L’allenatore dei pokémon acciaio
abbassò la voce, come se temesse che qualcuno sentisse le
sue parole.
- Nail, fai finta di niente. Hai qualcuno alle spalle. Non puoi
batterlo, cerca un diversivo e scappa da lì. Speravo non
dovessi mai scoprire quel mondo. –
Cosa? Di che mondo sta parlando?
Chi ho alle spalle?
La mia mano corse alla prima sfera della mia squadra.
Se mi avessero intercettato? Magari i suoni di prima non erano prodotti
da quei due guardiani.
Dannazione, sarei dovuto andare a controllare.
Mi voltai lentamente, sotto lo sguardo preoccupato di Rocco.
La sfera che stavo stringendo era quella di Blaziken.
Nel caso in cui la situazione si fosse fatta troppo drammatica avrei
potuto ricorrere ad incendio, con un po’ di fortuna
l’esplosione dei neon che ci stanno sopra mi avrebbe fornito
un’ulteriore copertura.
Il mio sguardo spazzo la sala, cercando la persona che aveva allarmato
così tanto uno dei migliori allenatori viventi.
Mary.
Porca puttana.
Mary.
Mi stanno cercando di fottere, vero?
Tornai a guardare lo schermo, incazzato.
- Rocco, che cazzo stai dicendo? Lei è Mary e mi ha salvato
il culo meno di due ore fa. Ora mi spieghi che cazzo ti è
preso. –
Mary mi si avvicinò con uno sguardo che non le avrei mai
associato. Era forse curiosità?
Cioè, la stessa Mary che ha spaccato il cranio a uno adesso
è una normale persona curiosa?
- È lui il tuo amico? –
- Si, stavamo parlando di come fargli raggiungere questo posto. Come
stanno i feriti? Riusciamo a non farne crepare nessuno? –
- Ce ne sono un paio in condizioni critiche, ma ho riadattato le
capsule di là in modo che possano funzionare da stanze
sterili. Gli altri stanno occupando i letti del dormitorio. Certo che,
avessimo uno staff medico a disposizione, potremmo controllarli tutti.
–
- Se tutto va per il meglio, li riporteremo fuori da questo buco tra
poco. Abbiamo ancora uno spazietto per noi oppure ci ritroveremo a
dormire per terra? –
- Letti liberi ce ne sono ancora. –
- Hai voglia di controllare se tutti i sistemi qui dentro funzionano?
Dopotutto sei l’unica che sa cosa dovrebbero fare. Io finisco
qui e ti raggiungo. –
Mary sbuffò in risposta, forse scocciata
dall’essere allontanata. Non disse però nulla,
scomparendo in direzione della stanza dedicata al generatore.
- Allora? – tornai a chiedere all’allenatore
dall’altra parte dello schermo.
- Quella donna è pericolosa! È stata addestrata
per essere impeccabile, devi tenere un occhio sempre fisso su di lei.
–
- Rocco, come fai a sapere queste cose? –
- Nail. Devo parlarti di alcune cose, ma non così. Ti
prometto che ti spiegherò un paio di cose, intanto fai
attenzione al soggetto vagante, ora che sei coinvolto. –
Coinvolto in cosa, porco Arceus?
Chi è il soggetto vagante?
Cosa dovrebbe spaventarmi ancora…
Se ho capito di che sta parlando, scoppio a ridere. Sarebbe troppo
ridicola la situazione.
- Soggetto vagante? Alto un metro e ottanta, capelli neri, vestiti da
metallaro e un Darkrai come cucciolo a seguito? –
Rocco rimase basito, immobile.
- L’hai incontrato? È lui quello che è
rimasto ucciso? –
Centro.
- No. Lui mi ha salvato il culo una settimana fa. Per fortuna
non sei mio padre, continueresti a contestare le mie amicizie.
–
Lo sguardo dell’allenatore si fece cupo.
- Sei sicuro che quel posto dove ti trovi è sicuro?
–
- Si. Se la situazione continua con questo tono, probabilmente ci sarai
già stato, tu. –
- Arrivo, mezz’ora e dovrei essere lì. –
- Mi farò trovare. –
La comunicazione venne interrotta.
Sospirai.
Sapevo che non sarei riuscito a riposarmi.
Non era più una semplice questione di pioggia o lapilli.
C’era qualcosa di più grosso, dietro.
Sperai che non c’entrassero i leggendari e non fossero
coinvolti altri guardiani. Non sarei riuscito a gestire altre pedine
così massicce all’interno del mio viaggio.
Mi avviai verso l’uscita, facendo un cenno di saluto a Karden
quando lo incrociai.
Sarei diventato un faro, di lì a poco. |
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Capitolo 26 *** Tempo di spiegazioni ***
Blaziken puntò il suo becco verso l’alto, verso il
cielo coperto dalle nubi temporalesche.
Forse avrei dovuto scollegare il mio PokèNav dal
pc, prima di andarmene… Vabbè, dubito che Karden
o Mary avrebbero avuto tempo per usarlo in qualche modo.
Mentre uscivo, avevo visto di sfuggita la porta per il dormitorio
chiudersi alle spalle di Mary. La situazione per i ragazzi che avevano
messo lì non sembrava così terribile, avremmo
avuto solo bisogno di parecchie bende e antidolorifici ad uso
veterinario, probabilmente.
Per Hasi e quell’altro allenatore sfigato la situazione
invece era un po’ più seria. Se Mary non mi avesse
detto il contrario, li avrei dati entrambi per morti, dentro quelle
bocce di vetro piene di quel liquido verdastro.
In ogni caso i loro parametri vitali erano costantemente tenuti sotto
controllo dal programma della consolle dalla quale avevo scoperto il
vero nome di Mary, fosse successa qualsiasi cosa ero certo che almeno
un paio di sirene ce lo avrebbero segnalato.
Cercai di tornare al presente.
Fossimo riusciti a fermare tutto quel casino in poco tempo, avremmo
potuto scaricare il problema dei feriti all’ospedale
più vicino e io me ne sarei potuto tornare alla mia vita
tranquilla.
Chissà se quel moccioso della palestra è riuscito
ad allenare i suoi pokémon, oppure neppure questa fine del
mondo di merda è riuscita a fargli cambiare idea.
Scrollai il capo.
Il presente, dovevo rimanere ben saldo sul presente.
Sentivo la fronte pesante e le palpebre che tentavano pian piano di
chiudersi.
Ero in debito di troppe ore di sonno e avevo ancora un gesso da far
controllare a Mary.
Sarebbe stata comunque una lunga giornata, quella che mi si prospettava
davanti.
- Forza, Blaziken. – dissi, sedendomi per terra, sul fango
che ormai mi rappresentava l’unica certezza di quel viaggio
- Inferno verso il cielo, finché non ti senti
troppo esausto per continuare. –
Avevo fatto i compiti a casa.
Inferno avrebbe creato lampi di fuoco estremamente accesi e il tempo di
ricarica tra un utilizzo e l’altro avrebbe creato degli
intervalli regolari tra i segnali.
La mia guancia destra venne scaldata improvvisamente dalla fiammata che
si aprì sopra le nostre teste.
Storsi la bocca, sovrappensiero.
Non avevo ancora nemmeno preso la sfera di Swellow dal cassetto in cui
l’avevo lasciata. Poteva anche non essere in grado di far
nulla, ma mi dava fastidio lasciare un mio compagno di viaggio a
prendere polvere, tra l’altro per un mio errore di
valutazione sullo sforzo da fargli fare.
Me lo sarei portato dietro, da lì in poi. Almeno
finché non avessi trovato un transfer che mi permettesse di
mandarlo al ricovero che mi era riservato, al mio Box. Lì si
sarebbe potuto rimettere in sesto in tutta calma.
Un boato alla mia destra mi fece tornare alla realtà.
Ero troppo stanco, mi resi conto, la mia mente continuava a divagare.
Voltai il capo in direzione della riva da cui era arrivato quel suono,
pronto ad affrontare qualsiasi cosa si fosse presentata, fosse Arceus
in persona.
La mia mano tornò a rilassarsi, lasciando la presa sulla
sfera sulla quale si era posata.
Era crollato un altro pezzo della pista ciclabile e i detriti si erano
riversati nell’acqua, sollevando numerose onde in direzione
dell’isoletta sulla quale ero seduto.
Nessuna battaglia in vista, per fortuna.
Il calore prodotto da un’altra fiammata mi investì.
Sarei rimasto fino al calare del buio lì seduto,
probabilmente.
Poggiai il palmo della mano destra dietro la schiena, puntellandomi su
di questo per distendere la schiena all’indietro. Tornai poi
a puntare il capo verso il cielo.
Le goccioline di pioggia tornarono a picchiettare debolmente sul mio
viso.
Non era poi così fastidioso, quel tempo.
Storsi di nuovo la bocca.
Non capivo se fosse solo la stanchezza o quel viaggio e gli avvenimenti
che si era portato dietro mi avessero effettivamente reso
più apatico.
Ero sempre stato uno stronzo, non ho mai provato nemmeno a negarlo, ma
almeno lo ero solamente con le persone che se lo meritavano. Adesso, mi
sembrava quasi che tutti quanti se lo meritassero…
Mi sarebbe piaciuta un’altra tazza di te bollente, in quel
momento. Forse quello mi avrebbe fatto star meglio.
Un’altra folata d’aria calda.
Probabilmente anche vedere il sole mi avrebbe fatto star meglio.
Bluruvia mi aveva abituato troppo bene alle temperature marine.
Provai a muovere distrattamente il braccio sinistro, cercando di
appoggiarlo a terra per sistemarmi meglio, ma una fitta di dolore mi
fece immediatamente salire le lacrime agli occhi.
Giusto. Ho un braccio rotto.
Come ho fatto a dimenticarmene?
L’inferno di Blaziken tornò ad illuminare il
cielo, ma la cosa non mi distrasse più di tanto dai miei
pensieri.
L’attuale divisione di allenatori in base al loro livello di
forza era obiettivamente una grandissima minchiata, mi resi conto.
Allenatori in erba, campioni della lega, impiegati in una palestra,
capipalestra, superquattro, campione. Cosa mi rappresentavano davvero?
Se io, dopo aver sconfitto Adriano, avessi deciso di non fare domanda
per entrare a lavorare in una palestra ma avessi preferito
un’altra carriera, magari che non centrasse direttamente con
le lotte, questo non avrebbe fatto di me un allenatore peggiore di quel
che sono ora.
Sono indubbiamente più forte di quel moccioso che tentava di
battermi per arrivare a Rudi, infatti riuscivo a batterlo pur usando
pokémon che non avevo allenato io.
Mi sono rivelato più forte di quello stronzo ubriaco di
Pratopoli.
Ma Jacob? Ero più forte di lui o no?
Sarebbero incredibilmente utili dei parametri numerici che descrivono
la bravura di un allenatore.
Se non ci fosse stata Mary, a Ceneride, tutto sarebbe andato in maniera
completamente diversa. Absol non avrebbe subito quel primo danno, Jacob
avrebbe avuto un solo avversario, non ci sarebbe stata quella spranga,
magari avrei vinto quella lotta, magari l’avrei
persa…
Un’altra folata di vento caldo.
E Rocco? Quale sarebbe il suo punteggio di potenza? Quanto è
un allenatore migliore di me?
E Adriano? Lui ha preso il posto di Campione quando Rocco si
è ritirato, lui quanto è forte quando usa la sua
squadra nelle vesti di allenatore e non di Campione che mette alla
prova chi arriva a sfidarlo?
Mi sarebbe piaciuto avere ancora mio padre al mio fianco. Non tanto per
affetto paterno o cazzate del genere, era occupato per sedici ore al
giorno alla lega, lo vedevo la sera e in quelle rare vacanze che gli
concedevano.
No, mi sarebbe piaciuto sfidarlo per poter valutare quanto ero ancora
distante dall’essere il miglior allenatore di tipo Buio che
ci fosse a Hoenn.
Qualcosa scintillò nel cielo, come se qualche cretino avesse
tirato una pietra in aria.
Quanto tempo poteva essere passato da quando ero uscito?
Avevo le mani e i piedi intorpiditi e, ormai, il colletto della maglia
che portavo sotto la giacca era fradicio.
Forse un’ora, un’ora e mezza al massimo.
Ero cautamente ottimista che fosse Rocco la causa di quello scintillio.
Scintillio che si ripeté, più vicino, questa
volta.
Era decisamente un pokémon che, dopo una larga curva, stava
scendendo verso di noi.
Mi rimisi in piedi, preparandomi a prendere una delle mie sfere in caso
di necessità.
Era comunque meglio non prendersi nessun rischio inutile, vista la
nostra situazione generale.
Uno Skarmory volava rapido nella nostra direzione.
Ancora non mi spiego come un affare del genere possa volare. La sua
corazza in ferro dovrebbe pesare, da sola, quanto una persona, almeno.
Sul suo dorso c’era un uomo.
- Basta così, Blaziken. – dissi a voce bassa.
Ero leggermente più ottimista di prima. Poteva essere
effettivamente Rocco quello che stava arrivando. Non abbastanza
ottimista, però da permettermi di respirare.
I miei polmoni sembravano non aver intenzione di rilasciare
l’aria che c’era in loro per la tensione del
momento.
Finalmente potei sospirare quando riuscii a riconoscere la zazzera
grigia dell’allenatore del tipo Acciaio farsi avanti sul
fango che ricopriva quell’isoletta.
Gli andai incontro, sorridendo di cuore. Per un attimo avevo temuto il
peggio.
Lui, però, non sembrava altrettanto rilassato vedendomi vivo.
- Nail, temevo che tu fossi qui. Stai bene? Non ti hanno ferito, vero?
Ti stanno controllando? Non ti hanno ricattato, vero? –
Bene, il concetto di paranoia aveva appena assunto un altro significato
nella mia testa.
- Rocco, calmati. Io sto bene e l’unico stronzo che ha
provato a uccidermi, adesso, ha la testa fracassata. Rilassati. Ora,
devi spiegarmi un paio di cose. Come fai a conoscere Mary? E Karden? E
su questo posto sai dirmi qualcosa? C’entravi anche tu in
qualche modo? Mary sembrava non averti mai visto prima. –
- Dobbiamo parlare. – mi rispose con un tono preoccupato
– Ma non qui. Dobbiamo trovare un posto sicuro. –
- No, al contrario. Lo faremo qui. Anzi, adesso scendiamo di sotto e
spieghi a tutti e tre questa faccenda. Siamo tutti coinvolti e abbiamo
il diritto di sapere che cazzo sta succedendo qua fuori. –
- Nail, non capisci… Quei tizi sono pericolosi, quella
ragazza, Mary, come la chiami tu, è pericolosa. –
- Si, lo so perfettamente. L’ho vista mentre uccideva un uomo
a randellate. Ma guarda caso la sua pericolosità mi ha
salvato il culo in quel momento e, mi spiace dirtelo, al momento sono
più grato a lei che a te. Quindi, vuoi entrare? –
Rocco parve realmente in dubbio sul da farsi. Probabilmente, se ne
avesse avuto modo, mi avrebbe steso per portarmi via di là.
Fortunatamente la sola presenza di Blaziken era un deterrente
sufficientemente forte a farlo desistere da quell’idea.
Lo Skarmory scomparve all’interno della sua sfera.
- Non sono per niente tranquillo per quello che stiamo per fare.
– ci tenne a farmi sapere Rocco.
Non che mi importasse molto sapere come si stesse sentendo.
Lo condussi per il corridoio d’ingresso, facendo richiudere
alla nostre spalle la serranda da Blaziken.
Avremmo usato il laboratorio con la mappa di Hoenn sullo schermo
attaccato alla parete, decisi. Piccolo e tranquillo.
Lì condussi Rocco, per poi lasciarcelo solo mentre io
tornavo sui miei passi per andare chiamare i due Custodi.
Mi stupii nel vedere Karden e Mary, ma soprattutto Darkrai e Cresselia,
pacificamente nella stessa stanza. Per un attimo mi venne il dubbio che
quello fosse solamente un sogno.
Si stavano prendendo cura di due ragazzi che, sembrava stessero
lentamente riprendendo coscienza, smaltendo gli effetti dei sedativi
che dovevano avergli somministrato al centro medico dal quale li
avevamo presi.
- Voi due. – dissi, forse in maniera troppo brusca
– Il mio “amico” è arrivato e
credo abbia qualcosa di interessante da dire a tutti noi. Venite con
me, poi torniamo qui per pensare a loro. –
- È davvero così importante? – mi
chiese Mary, sollevando il capo dal bendaggio che stava stingendo.
- Si. Ho paura che sia davvero importante. Ed ho anche paura che possa
avere a che fare con voi. –
A quelle parole un’aria di tensione si levò nella
stanza.
- Con noi? – mi chiese Karden, lasciando il letto del ragazzo
che stava seguendo.
- Di là c’è Rocco Petri. Uno dei
migliori allenatori della regione, se non il migliore, e sembra
conoscervi. Mary in maniera particolare. Potrebbe essere a conoscenza
di quello che stava succedendo qui dentro, se non qualcosa in
più. Non penso però che sia quello che ha ucciso
tutti i ricercatori implicati nella faccenda, Mary. –
- Ne sei sicuro? – mi chiese la ragazza dai capelli bruni.
- Abbastanza. In caso contrario, comunque, saremmo tre contro uno.
–
Ci avviammo con un passo quasi funereo nel Laboratorio B, dove Rocco ci
aspettava seduto su una delle poltroncine impolverate che riposavano
dietro i banchi di lavoro.
L’allenatore si irrigidì al nostro arrivo, non
tanto per noi, quanto per i due leggendari che ci seguivano a debita
distanza l’uno dall’altro, stringendo le dita sui
braccioli.
Al contrario, i due Custodi non parvero riconoscerlo.
Una serie di pensieri rapidi saettarono nel mio cervello.
Non era uno dei ricercatori che avevano cresciuto Mary.
Non era l’uomo che aveva detto a Karden di scappare e, di
conseguenza, non era l’uomo che aveva chiesto al Custode di
Darkrai di proteggermi.
Non sapevo se essere contento o meno di quest’intuizione.
Raggiunsi quello che avevo deciso sarebbe stato il mio posto, per poi
lasciarmi cadere sulla sedia che lì mi aspettava.
Mi permisi un respiro profondo per mettere insieme le idee frammentarie
che mi affollavano la mente, aspettando che anche Karden e Mary si
sedessero.
Non avevo idea di come quella discussione sarebbe potuta andare a
finire.
Il soffitto era relativamente basso, scomodo per muoversi per un
qualunque pokémon volante.
Le dimensioni della stanza e i banchi che la occupavano avvantaggiavano
forse i pokémon piccoli o quelli con attacchi speciali, i
combattenti corpo a corpo erano certamente svantaggiati.
Gardevoir era la più indicata della mia squadra ad
affrontare un’eventuale lotta, forse supportata da Umbreon.
Mi sarebbe però dispiaciuto finire il tutto con una lotta,
il maxi-schermo che avevo alle spalle e che continuava stoicamente a
mostrare l’immagine satellitare della regione in cui ci
trovavamo si sarebbe potuto rompere.
- Bene. Ora che ci siamo tutti, Rocco, comincia pure a parlare.
– dissi.
L’allenatore del tipo Acciaio deglutì vistosamente
un grumo di saliva che gli aveva occupato la bocca, per poi cominciare
a parlare.
- Da cosa devo cominciare? Il motivo per cui non sono riuscito ad
arrivare a Ceneride o di quello che so su questi due? –
- La seconda. Mi sembra sia quella più urgente. –
gli risposi.
Comunicazione di servizio:
A causa di grossi problemi tecnici, la prossima settimana non
verrà pubblicato il capitolo.
Le pubblicazioni dovrebbero riprendere sabato 2 dicembre.
Vago |
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Capitolo 27 *** Fosco ***
Rocco
prese fiato, per poi cominciare a parlare.
- Cercherò di spiegarvi tutto, dal principio, ma potrebbe
volerci parecchio tempo. Saprete ormai tutti cos’è
un Custode, o, meglio, un progetto Custode… -
L’allenatore dai capelli grigi si interruppe di nuovo,
deglutendo la saliva che gli aveva occupato la bocca. I suoi occhi
spaziarono per un secondo sul soffitto, mentre cercava di riordinare le
informazioni in suo possesso per poi proporle ai tre ragazzi che aveva
davanti.
- Vi spiegherò tutto, promesso. Però dovete
lasciarmi partire da lontano, molto lontano. Vi farò,
però, a versione corta. La creazione
dell’universo, le leggende vogliono che sia stata ad opera di
Arceus, il primo essere ad esistere, lui creò i leggendari
in un primo momento, perché governassero su ciò
che era stato creato. La terra, i mari, il cielo, le correnti, la vita
nelle sue sfaccettature, il tempo, lo spazio, l’ordine e il
caos, non andrò a farvi una lezione di teologia, tanto
queste cose bene o male le conoscete tutti. Da quel primo prototipo di
essere vivente, Mew, si generarono umani e pokémon. Gli
umani, con il loro crescere di numero cominciarono ad rivelarsi
pericolosi per i pokémon primevi, quelli che oggi chiamiamo
leggendari, non tanto per la loro natura, quanto per ciò che
si portavano dietro, in primis le guerre. Non si sa bene in che periodo
storico, non sappiamo nemmeno se sia stato per ordine di Arceus o meno,
ma ad ogni leggendario venne assegnato un umano che lo proteggesse, un
umano che sarebbe stato incapace di essere un allenatore. I Custodi.
Ora, c’è un legame tra un Leggendario e il suo
Custode, qualcosa di viscerale che viene impresso prima ancora della
nascita del nuovo umano che assumerà l’incarico
dopo la dipartita del suo predecessore, questo legame porta anche
quell’individuo ad assomigliare molto al pokémon
che dovrà proteggere, non potrete mai trovare un Custode che
sia in disaccordo con il proprio protetto. –
Rocco si prese una pausa, inumidendosi le labbra.
- Appurato questo, i leggendari sono stati creati da Arceus, tutti,
sono come frammenti di quel pokémon. Questo porta a un
problema logico, un uomo può essere simile a uno qualunque
dei Leggendari, ma non a tutti insieme, ciò comporta
l’assenza di un Custode legato, appunto, ad Arceus. Torniamo
ad oggi, o meglio, a qualche anno fa. I Custodi esistono da secoli,
alcune culture li chiamano Guardiani, altre Prescelti, poco importa.
È stato avanzato un progetto di ricerca su di loro, con lo
scopo di salvaguardare la loro incolumità e scoprire di
più su questi pokémon mitologici. Le ricerche
vennero condotte su due diversi fronti, quello scientifico e quello
sperimentale, il primo era portato avanti da un equipe dei migliori
ricercatori esistenti, l’altra da allenatori che si fossero
dimostrati tra i più bravi al mondo nel loro campo.
–
Mi sentii come costretto ad interrompere quel discorso, avevo una
domanda che premeva troppo sulla punta della lingue per essere
rimandata. – Tu facevi parte di quegli allenatori? –
Mi sentii liberato quando quelle parole mi uscirono di bocca.
- No. Me lo chiesero, ma rifiutai. Tuo padre ne faceva parte.
–
Mi sentii cadere il mondo addosso. Mio padre? Era davvero uno di quelli
che portavano avanti questo posto?
- Cosa è successo, qui? –
- Non lo so con precisione, ma Fosco mi disse qualcosa in confidenza,
un paio di volte. Negli ultimi anni il protocollo era cambiato,
c’era un solo progetto all’interno di Ciclanova,
Progetto Custode nome in codice Mary. Era entrata da bambina e, vista
in lei una grande potenzialità, non è stata
cresciuta, è stata addestrata, probabilmente sotto contratto
con qualcuno negli alti ranghi dell’esercito. Un soldato
legato a un pokémon leggendario, l’arma perfetta.
Fosco accettò di far parte di questo mondo tardi, a progetto
già avviato. Conoscevi tuo padre, non gli piaceva la roba
militare, come la chiamava lui. Sfruttammo le nostre battute di pesca a
Sinnoh e le informazioni che riusciva a trovare qui dentro per cercare
di individuare Karden prima dei suoi colleghi, in modo che non
potessero creare una seconda arma, un secondo Progetto Custode.
–
Karden si protese in avanti, con gli occhi socchiusi puntati su di
Rocco. – E poi? –
- E poi è successo qualcosa, non so bene cosa. Per un paio
di mesi tentarono di portare avanti un progetto parallelo, Iride si
chiamava, ma non so altro, poi i ricercatori cominciarono a morire uno
dopo l’altro e, finiti quelli, a scomparire furono gli
allenatori. Incidenti sul lavoro, incidenti domestici, nessun omicidio
confermato. Non appena Fosco comprese di essere in pericolo fece due
cose, la prima, per quanto io fossi fortemente in disaccordo,
contattò l’Università di Medicina di
Kanto perché il soggetto Mary terminasse lì la
sua formazione in un corso accelerato, costringendomi a fare da garante
per lei. Aveva deciso di mandare un’arma vivente a studiare
il corpo umano, giusto perché non era abbastanza
pericolosa… -
- Non sono un’arma vivente. – ribatté
secca Mary, alzandosi in piedi di scatto.
- Cosa saresti altrimenti? Nail mi ha detto che hai sfondato la testa
di un uomo. –
Probabilmente si sarebbero uccisi a vicenda, continuando di quel passo.
- Non mi interessa sapere se Mary è un’arma, un
medico, un’infermiera, la mia sorellastra o una raccomandata
del cazzo. Qual è la seconda cosa che fece mio padre?
–
Avevo la testa che pulsava per la stanchezza, l’ultima cosa
che volevo sentire erano dei litigi inutili su cose successe anni fa.
E poi, porca puttana, mio padre è morto ed io scopro solo
ora che, sapendo che sarebbe successo, ha sprecato il suo tempo a
salvare degli estranei.
- La seconda cosa che fece, - riprese l’allenatore dai
capelli grigi gettando un’ultima occhiataccia a Mary, che
stava tornando a sedersi – fu volare dritto a Sinnoh,
intercettare Karden, il soggetto vagante, per cercare metterlo in
guardia su qualcuno che lo poteva star seguendo. –
Ecco perché qualcuno doveva darsi il fastidio di pensare
alla mia incolumità.
- E così, più o meno, siamo arrivati a oggi.
– dissi – Sai qualcosa su chi possa aver ucciso
tutta quella gente? O, magari, hai qualche informazione su Iride?
–
- No e no. Purtroppo. – fu la risposta che mi
arrivò.
- Il fatto che hai mancato l’appuntamento che ci eravamo
dati? –
- Sono andato a nord, sperando di intercettare il volo della squadra
che era di ritorno, ma la tempesta mi ha colto alla sprovvista e mi ha
costretto a rifugiarmi in una grotta per tutta la mattinata. Ho paura
che i tuoi colleghi non torneranno mai a Hoenn, ho pattugliato il cielo
per chilometri e di loro non c’era traccia. -
- Va bene. Anzi, non va un cazzo bene… Io devo andare a
dormire, prima, però: Mary, ho bisogno che controlli il mio
gesso, ho paura che si sia rovinato troppo nella battaglia con Jacob.
–
Mi alzai e, trascinando i piedi sul pavimento, mi portai nel dormitorio.
Il materasso si piegò appena quando mi ci sedetti sopra,
protendendo il braccio sinistro avanti.
- Come stanno questi? – chiesi al volto nascosto dai capelli
bruni che mi stava davanti.
- Alcuni si potrebbero rimettere già domani, altri ne
avranno per delle settimane. – mi rispose lapidaria la
Custode.
Cosa potevo dirle, ancora? Quello che ci aveva detto Rocco era qualcosa
di enorme da mandar giù. Mio padre le ha probabilmente
salvato il culo mandandola a Kanto, ha messo in fuga Karden dicendo di
proteggerlo, è venuto a casa per morire in
quell’incendio e lasciarmi orfano. Stupendo.
Questo ci legava tutti e tre. Ed io in quel quadro non
c’entravo un benamato cazzo.
Grazie papà, grazie mille. Non potevi accontentarti del tuo
lavoro da superquattro, vero?
Porca puttana.
Sospirai.
Forza, Nail, cerca di fare conversazione.
- Come va la ferita al fianco? Ho provato a disinfettarla al meglio con
quello che ho trovato. –
- L’ho ricucita mentre eri fuori. Guarirà, prima o
poi. –
Tentiamo con altro…
- Non ti ho ancora ringraziato per bene, per prima. Non ci fossi stata
tu a Ceneride, forse non sarei riuscito a vincere. –
- Ho fatto quello che andava fatto. Questo gesso è da
cambiare. Rimani un attimo qui fermo, torno subito. –
Mary uscì dalla stanza a passo rapido, lasciandomi da solo
con i feriti.
Karden e Rocco che fine avranno fatto?
Non credo siano diventati migliori amici.
Mi sdraia sul letto impolverato, guardando il soffitto.
Distrattamente presi dal suo supporto nella cintura la sfera di
Gardevoir, cominciando a strofinare la superficie lucida con i
polpastrelli della mano destra, cercando di togliere la patina che mia
madre ci aveva spruzzato sopra.
Rocco ha messo troppa carne al fuoco.
Mio padre, questo posto, i ricercatori, gli allenatori, i
militari…
E poi il progetto Iride. Non ho visto niente con quel nome, quando ho
avuto accesso al pc. Domani dovrò chiedere a Mary di cercare
qualche informazione per me.
Un’arma… Mio padre deve aver pensato che non
avesse il cervello completamente fottuto dall’addestramento,
se ha deciso di mandarla a Kanto per allontanarla da tutto il casino
che c’è stato qui.
In questo momento devo solo ringraziarlo di averla fatta studiare da
medico e non da ingegnere, chi cazzo me lo avrebbe rimesso a posto il
braccio, altrimenti?
Sbadigliai, esausto.
Da quante ore ero sveglio? Dopo quante ore di sonno, per lo
più?
Se solo un paio di questi allenatori fossero in grado di reggersi in
piedi, nei prossimi giorni, sarebbe tutto più facile. Potrei
lasciarli qui a fare la guardia, togliendomi un problema.
Tanto le loro sfere e i loro stramaledetti styler sono tutti
ammucchiati in una sacca, da qualche parte. Dovremmo aver preso tutti i
loro effetti personali, quando li abbiamo rapiti dal centro medico.
Mi chiedo se Jacob fosse a Ceneride per noi oppure se fosse stato
mandato per eliminare questi poveri sfigati.
Sembrava stupito di vedermi, forse non mi hanno intercettato, alla
fine. Dopotutto per loro, chiunque siano, io ero morto sotto quelle
macerie a Memoride. E in teoria lo sono ancora, nessuno ancora in vita
mi ha visto dall’incidente in quella grotta…
La sfera di Gardevoir mi scivolò dalle dita, cadendomi sul
petto, ma non me ne accorsi nemmeno tanto il mio sonno si era
già fatto pesante. |
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Capitolo 28 *** Linee sulla mappa ***
Mi svegliai con uno strano peso sul braccio sinistro. Un gesso nuovo,
candido, mi avvolgeva l’arto.
Mi misi a sedere, sbattendo più volte le palpebre per
scacciare gli ultimi rimasugli di sonno che mi erano rimasti addosso.
Quando mi ero addormentato?
Non riuscivo a focalizza il momento esatto.
Il gesso me lo aveva cambiato quando ero ancora cosciente?
Non ne ero sicuro.
Sentivo ancora la testa appesantita dalla stanchezza, ancora non mi ero
rimesso in pari con le ore di sonno che avevo perso durante quel
viaggio.
Che ore erano?
Sperai di non aver dormito troppo, ma, soprattutto, sperai che non
fosse accaduto nulla a Ciclanova mentre non ero cosciente.
Mi guardai intorno, controllando i letti che affollavano quella stanza.
C’erano dei posti vuoi in più, rispetto alla sera
prima. Due, o forse tre, non ne ero certo.
Abbassai la mano destra sul materasso, incontrando qualcosa di esterno
a quel letto. La sfera di Gardevoir, doveva essermi caduta dalle dita
la sera prima.
Mi alzai a fatica, sentendo il braccio sinistro venire trascinato
pesantemente verso terra dal peso che gli stava attorno.
Quel gesso era più pesante del suo predecessore, ne ero
quasi certo. Avrei dovuto ritrovare una fascia da mettermi attorno al
collo per tenermelo in alto.
Non mi ero cambiato, prima di sdraiarmi, la sera prima ed ora i miei
vestiti erano irrigiditi dal fango che avevano raccolto e gelidi.
Mi sarei preso sicuramente un malanno, se avessi continuato
così.
La porta del dormitorio si aprì senza troppa fatica,
permettendomi di tornare nel laboratorio in cui le due capsule
mantenevano in vita Hasi e quell’altro allenatore.
Non c’era nessuno, né dietro ai monitor,
né accanto alle capsule.
Avvertii un leggero rumore metallico dal laboratorio contiguo, seguito
dal rumore ovattato di una sirena lontana.
No, ti prego. Fa che non sia una sirena di allarme, ti prego.
Presi in mano la prima sfera dalla mia cintura.
Blaziken. Non avevo variato l’ordine della mia squadra,
dall’arrivo di Rocco.
Appoggiai la mano buona sulla porta, facendo battere la superficie
della sfera contro il metallo dell’ingresso.
Presi un respiro profondo, pronto a tutto.
Dovevo essere sveglio, elaborare quello che mi aspettava
dall’altra parte di quella maniglia e reagire nella maniera
migliore.
Spinsi.
La porta si mosse silenziosa verso l’interno del secondo
laboratorio.
La prima cosa che vidi dallo spiraglio che si aprì fu lo
schermo perennemente acceso, illuminato ad intermittenza da una
brillante luce rossa.
La mappa di Hoenn, però, mi sembrava la solita.
Continuai a spingere.
Mary era china su uno dei computer, con alcune ciocche brune ribelli
che le ricadevano sulla fronte concentrata.
Cresselia fluttuava placida accanto a lei, indisturbata dal basso suono
intermittente della sirena e dalla luce lampeggiante che illuminava la
stanza di rosso.
Non vedevo nessun altro, là dentro.
Meglio così, forse.
- Mary? Che sta succedendo? –
La ragazza alzò lo sguardo, forse scocciata dalla mia
comparsa.
- Siamo ancora più nella merda di quanto non lo fossimo
ieri. –
Che risposta del cazzo era quella?
- Com’è possibile? –
- Guarda là. – mi rispose ancora, indicando con un
cenno del capo lo schermo che occupava il muro di fronte a lei.
Le sue dita corsero su di una rotella, facendola scorrere rapida.
La mappa di Hoenn si rimpicciolì lasciando posto per le
regioni vicine, Sinnoh, Johto, Kanto, tutte e quattro coperte da un
pesante velo grigio solcato da spesse righe curve che sembravano voler
disegnare cerchi quasi concentrici.
- Cosa vuol dire, quello? E questa sirena, non possiamo spegnerla?
–
- Non ne ho idea. Non ho mai visto una roba del genere, sto cercando
qualcosa negli archivi che sia ricollegabile a questo schifo.
–
- Rocco e Karden, dove sono? Di là, stanno spiegando cosa
sta succedendo ai due ragazzi che si sono svegliati
dall’anestesia. –
- Bene. Vado un attimo da loro. Se hai bisogno di qualcosa fammi un
fischio. –
- Non avrò bisogno. –
Sospirai, voltandomi verso la porta successiva, quella che mi avrebbe
portato nel laboratorio addobbato come una palestra.
Feci per aprire la porta che mi stava davanti, ma qualcosa mi
bloccò.
Per quanto Mary riuscisse ad essere una stronza, le dovevo qualcosa.
- Grazie per il gesso. Scusa se non sono riuscito ad aspettarti
sveglio. –
La ragazza dai capelli bruni mi indirizzò un gesto della sua
mano, come per incentivarmi ad andarmene.
- Si, si. Ti manderò la parcella. –
Non sarei mai riuscito a capirla, decisi procedendo nella stanza
successiva.
Quattro paia di occhi si spostarono su di me, mentre una frase
incompleta si perdeva nell’aria.
- Scusatemi… - riuscii solo a dire.
- Non ti preoccupare, qui avevamo quasi finito. – mi rispose
Rocco, dalla sua sedia.
Mi guardai rapidamente attorno.
Due sedie occupate da altrettanti ragazzi in camice ospedaliero erano
state disposte davanti a una terza, su cui era seduto Rocco, composto.
Dietro di loro, in piedi, con la schiena appoggiata contro il muro,
Karden li osservava in silenzio.
Guardai il guardiano, inarcando un sopracciglio, sperando che capisse
quale fosse la domanda che non potevo porgli ad alta voce.
Mi fece un cenno con il capo nella direzione della sala successiva, in
cui il generatore ronzava ininterrottamente da quando lo avevo acceso.
Aveva capito, ottimo.
Darkrai doveva essere in quella stanza.
Notai in quel momento che uno dei ragazzi incamiciati si era alzato,
muovendosi nella mia direzione. Quando mi fu davanti, mi strinse la
mano, sorridendomi.
- Quindi sei tu quello che mi ha estratto dalla grotta nella Fossa
Oceanica. Ti devo la vita. –
Estratto dalla grotta? Deve essere il ranger che ho trovato
là dentro quando sono stato attaccato da
quell’allenatore.
Oramai ho visto talmente tante facce diverse che non mi ricordo di
nessuna di loro.
- Non è stato nulla. Davvero. – gli risposi
imbarazzato – Rocco, non ti voglio rubare altro tempo,
finisci pure quello che stavi dicendo.
Non ascoltai nemmeno il resto del discorso, l’allarme che
riempiva il Laboratorio B occupava interamente i miei pensieri.
Cosa sarebbe potuto succedere, ancora?
Rocco finì la sua lezione senza che me ne accorgessi,
volgendo poi la sua attenzione nel restituire lo Styler al ranger che
avevo salvato e le sfere all’allenatore che si era ripreso
con lui.
Mi avvicinai a Karden, cercando di non farmi notare troppo dagli altri.
- Cosa ne pensi di Rocco. – gli sussurrai, senza staccare lo
sguardo dall’allenatore dai capelli grigi.
Sembrava sapere cosa stava facendo, con quei ragazzi. Aveva quasi le
stesse movenze che aveva avuto il professor Birch quando mi diede il
mio starter all’inizio del mio viaggio.
- Mi sta sul culo. – mi rispose secco il guardiano,
incrociando le braccia sul petto.
- Apprezzo la tua sincerità. In una classifica delle persone
che ti stanno sul culo come si piazzerebbe, lui? – continuai,
accennando un sorriso.
- Non ne ho idea. Quinto, quarto. Sicuramente sotto Mary e tuo padre,
non me ne volere per questo. –
- Non ti preoccupare. Mio padre è in uno dei primi posti
anche nella mia classifica personale. Tornando seri, cosa ne pensi
della sirena di là? –
- Che mi ha svegliato, questa è l’unica cosa che
so. Non ho idea di cosa possano essere quei segni sulla mappa.
–
- Siamo messi bene. – constatai.
- Avrei bisogno di bere qualcosa con un’alta gradazione
alcolica, adesso. – terminò il discorso Karden,
scomparendo nella stanza del generatore.
Non eravamo una squadra, per niente.
Per quanto odiassi ammetterlo, nemmeno io mi fidavo ciecamente delle
tre persone con cui stavo affrontando quella crisi.
Probabilmente, non appena tutto fosse tornato alla
normalità, se fosse mai tornato alla normalità,
ognuno di noi avrebbe ripreso la propria strada, cercando di
dimenticare questi giorni.
Abbozzai un sorriso a Rocco, quando questi alzò lo sguardo
verso di me.
Chissà perché lui e mio padre erano
così tanto legati. Da quanto mi ricordo, Fosco non era il
classico tipo da scampagnate e amicizie strette, me lo sarei visto
molto meglio in un bar cercando di abbordare qualche ragazza mezza
ubriaca.
Chissà quante cose della sua vita mi ha tenuto nascosto,
quello stronzo. Ed ora è morto, quindi non saprò
mai nient’altro su di lui.
Merda.
La porta accanto a me si aprì di scatto, sbattendo
fragorosamente contro il muro e costringendomi ad abbandonare i miei
pensieri.
- I segni sulla mappa sono cambiati. – disse Mary con voce
preoccupata – Ora abbiamo davvero un problema. – |
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Capitolo 29 *** Spento ***
La
sirena continuava a cantare la sua nenia incessantemente, accompagnata
dal ritmico accendersi e spegnersi della lampadina rossa del sistema di
allarme della stanza.
Le linee curve sul monitor si erano fatte più spesse e
definite, accostandosi le une alle altre per formare una serie di
cerchi quasi perfettamente concentrici che cercavano di chiudersi sul
Monte Camino.
- Quindi? – chiesi cercando di controllare il tono della mia
voce, mentre osservavo il monitor che mi stava di fronte –
Cosa sta succedendo là fuori? –
- Non lo so. – mi rispose Mary, tornando dietro la tastiera
che aveva utilizzato fino a poco prima – Nessuno dei dati che
sto ricevendo ha senso. Alcuni parametri sono associabili a un campo
elettromagnetico, altri a uno gravitazionale, avvicinandosi al centro
sembra che ci sia una dilatazione temporale dovuta a…
qualcosa. Se non sapessi che è impossibile, vi direi che si
è appena creato un buco nero stracolmo di
elettricità sopra la bocca del vulcano. –
- Un buco nero? – ripetei borbottando, mentre la mia mano
destra saliva meccanicamente per tamburellare sulla superficie candida
del gesso – Rocco, sai qualcosa di esperimenti a riguardo?
–
- Assolutamente no. Lo spazio è campo di ricerca della
stazione missilistica di Verdeazzupoli. Non credo però che
sia il caso che saliate là in cima, adesso. Se
l’intensità dei campi è quella,
potreste rimetterci la vita. –
- Non abbiamo molte altre possibilità. – gli
risposi senza voltarmi – Davvero non sai nulla sul progetto
Iride? Non potrebbe essere collegato? –
- Te l’ho detto, non so nulla a riguardo. Se,
però, tutti i ricercatori che erano coinvolti sono morti,
dubito che possa essere lui la causa, era agli albori quando
cominciarono a scomparire le persone che ci stavano lavorando.
–
Mi inumidii le labbra, cercando di riflettere.
Cosa poteva essere il progetto Iride?
Probabilmente aveva a che fare con il legame tra un leggendario e il
suo Custode. A questo punto mi viene da pensare che cercassero di
ricrearlo anche con tutti gli altri pokémon. Quelle onde
potrebbero essere provocate da qualcuno che cerca di legarsi e
controllare ogni pokémon esistente.
Devo tenere a bada i miei, in questo caso.
Se, invece, le ricerche che facevano in questo posto non
c’entrano nulla con questo casino, non ho idea a cosa sto
andando incontro.
Noi siamo in quattro in condizioni di combattere.
Non sono così coglione da pensare di potermi portare dietro
questi due moribondi, si tengono appena in piedi e avrebbero bisogno di
un paio di settimane di fisioterapia per tornare ad essere in
condizioni decenti.
Abbiamo anche due leggendari dalla nostra, per quanto questa cosa possa
valere.
Mi chiedo se l’allenatore che mi ha attaccato
nell’Antro Abissale sia il capo a cui si riferiva Jacob o un
altro.
Spero solo di non trovarmi una schiera di allenatori pronti a farmi la
pelle, quando arriverò là in cima.
Merda.
Mi passai una mano tra i capelli sporchi.
- Teniamo d’occhio i pokémon, nel caso comincino a
comportarsi in maniera strana. – dissi alla fine.
Mi voltai verso l’allenatore e il ranger, visibilmente
disorientati dalla frenesia che li aveva avvolti.
- Voi due, ve la sentite di rimanere qui per proteggere gli altri
feriti? –
I due si guardarono spaventati, accennando dei cenni di assenso con il
capo.
- Ottimo. Noi dobbiamo invece metterci in marcia. –
- Nail, fermati un attimo a pensare. – mi disse Rocco,
facendo un passo verso di me – Non sappiamo nulla a riguardo,
se si fosse davvero generato un fottuto buco nero, là sopra,
rischieremmo di morire senza concludere nulla. –
- Qual è il tuo piano, allora? Stare qui a pregare che non
ci succeda nulla? –
- No. Io propongo di aspettare fino a domani mattina, in modo da vedere
come si evolve la situazione. –
- Nail, detesto ammetterlo, ma il suo piano potrebbe avere un senso. Se
si è appena formato qualcosa, là sopra,
sarà certamente instabile, quindi più pericoloso.
Lasciamogli queste quindici ore per assestarsi, poi andremo a vedere
cosa possiamo fare per metterci una pezza sopra. –
Dannazione!
Il mondo sta finendo e mi dicono di aspettare e stare a guardare quello
che succederà.
Si renderanno conto della situazione?
Forse meglio di me.
Non lo so, forse sono stato troppo impulsivo, forse hanno davvero
ragione loro.
Forse.
- Va bene, aspetteremo. Ma domani vi voglio pronti per qualsiasi cosa
ci sia là sopra, stabile o instabile che sia. –
Io volevo solo la mia tranquilla vita da allenatore, non dover
fronteggiare buchi neri o quel che è quello schifo.
- Rocco, non hai dei contatti sicuri, là fuori, vero?
–
- No. Ho tagliato i ponti con chiunque. –
- Non importa. – sospirai – Riposiamoci
finché possiamo , non voglio crepare domani
perché uno di noi è troppo stanco. –
Sentivo dentro una rabbia bruciante.
Mi rendevo conto che aspettare era la cosa giusta da fare, ma non avevo
più voglia di vedere ogni mattina il sole sorgere su
maremoti ed eruzioni. Volevo solamente mettere un punto definitivo a
quel merdoso viaggio in cui mi avevano fatto imbarcare.
Mi diressi a passo veloce verso il macchinario ospedaliero della stanza
vicina, aggirandolo per raggiungere i cassetti che gli stavano sotto.
Tirai quello blindato, dove sapevo esserci riposta la sfera del mio
pokémon volante, rivelando il piccolo tastierino numerico
che lo teneva bloccato.
Qual era il codice, maledizione?
4621, provai a digitare, ottenendo in risposta un lampeggio rosso del
monitor su cui erano comparsi i numeri.
Maledizione. Eppure mi sembra fosse una cosa del genere.
Forse era questo… 4611.
La luce che si accese fu verde, accompagnata dallo scatto metallico di
una serratura che si apriva per me.
Aprii completamente il cassetto di spesso metallo, prendendo da dentro
la sfera consumata che, rotolando, pareva volersi avvicinare a me.
Me lo sarei portato dietro da lì fino alla fine di quel
viaggio, decisi. Poco importava che nemmeno un revitalizzante sarebbe
bastato per farlo tornare in grado di combattere.
Tornai quindi nel dormitorio, offrendo solamente un rapido sguardo ai
ragazzi che ancora non si erano svegliati, per raggiungere il mio letto.
Non mi sentivo particolarmente stanco, ma il solo pensiero che avrei
potuto passare le successive notti in bianco era sufficiente per farmi
desiderare quel materasso.
Il mattino successivo sarebbe stato sicuramente decisivo, in qualche
modo.
I miei pisolini vennero interrotti solo per i magri pasti che mi
vennero portati, cucinati con le poche provviste non scadute che Karden
aveva trovato nelle case vuote di Ciclamipoli.
Mi decisi ad alzarmi definitivamente poco prima del sorgere del sole.
Ciclanova era silenziosa, come un reliquario. Non riuscivo a
distinguere i ragazzi sedati da quelli che si erano rimessi, tanta era
l’immobilità del sonno che li aveva ancora tra le
sue braccia.
I neon sopra la mia testa erano spenti, lasciando la stanza avvolta nel
flebile bagliore dovuto alle luci di emergenza azzurre.
C’è silenzio.
C’è troppo silenzio.
Dov’è la fottuta sirena?
E le luci? Perché diavolo sono spente?
Cazzo.
Diedi due scrolloni a Mary, rischiando di farla cadere dal suo
giaciglio.
- Alzati. – le dissi. – Qualcosa non va. –
Diedi lo stesso trattamento a Karden, che riposava scompostamente nel
letto più vicino alla porta che ci fosse.
Il laboratorio A era silenzioso, avvolto da una malsana luce verdastra
proveniente dal sistema di sicurezza che manteneva attive le due capsule
in cui galleggiavano Hasi e quell’altro allenatore.
Merda. Merda. Merda.
Lo schermo del laboratorio B era buio, privo di quella mappa che ci
aveva mostrato fino ad allora.
Merda.
Fui preso dalla foga, gettandomi contro la porta successiva.
Il campo da combattimento del laboratorio C era a malapena visibile per
terra.
Corsi contro l’ultima porta, spalancandola malamente.
Alle mie spalle cominciarono a levarsi i primi borbottii, segno che
anche gli altri stavano metabolizzando la situazione in cui ci
trovavamo.
Il generatore era immobile. Un ammasso di inutile ferraglia che
occupava un’intera stanza.
Sentivo il cuore martellarmi nel petto come un martello pneumatico.
Mi avvicinai con passo pesante al grosso bottone d’accensione
del macchinario.
Il generatore era stato spento.
Perché?
Premetti con forza il pulsante, facendo avviare il rotore.
Una decina di sirene urlanti mi trapassò il cranio con il
loro suono lamentoso che permeava tutte le pareti.
Corsi sui miei passi, cercando di proteggermi le orecchie con
quell’unica mano che riuscivo a sollevare.
- Mary! Mary! – urlai disperato aprendo l’ultima
porta che mi separava dal laboratorio A – Spegni questo
schifo! –
- Ci sto lavorando! – mi rispose rabbiosa mentre passava da
una tastiera all’altra, battendo rapida una sequenza si
password e nomi utenti in decine di campi sul altrettante finestre
aperte.
Mi cominciarono a lacrimare gli occhi.
Non ce la facevo più a sopportare quel suono, a stento
riuscivo a sentire i miei stessi pensieri.
Quando le sirene si spensero, un fischio rimase a rimbombarmi sul
timpano.
- Che cos’era? – chiese in preda al panico Karden
avvicinandosi con Darkrai al seguito al bancone.
- L’allarme di manomissione dell’ingresso.
–
- L’abbiamo aperto decine di volte, perché
dovrebbe essere scattato adesso? – protestai, infastidito
dall’acufene che ancora mi assillava.
- Non è un antifurto che suona se qualcuno forza
l’ingresso. È un allarme salvavita. Deve essere
successo qualcosa all’impianto elettrico o alla struttura
dell’ingresso, non sarebbe scattato altrimenti. Il tuo amico?
Che fine ha fatto? –
- Il mio amico? Rocco? Sarà in giro che… - mi
bloccai.
Non avevo visto Rocco, quella mattina.
Possibile che lui ci avesse traditi?
Sperai vivamente di no. Sperai che fosse solo una coincidenza, quella.
Ci precipitammo tutti e tre verso l’ingresso, superando la
segreteria e risalendo il lungo corridoio che ci separava dalla
superficie.
Mi arrestai solamente quando, davanti a noi, si
parò la serranda che ci divideva dal mondo.
Il metallo era stato fuso da un calore decisamente troppo elevato, al
punto che le listarelle splendenti, colando, si erano fuse le une alle
altre, andando a creare un’unica parete con l’unico
scopo di ostacolare il nostro passaggio.
Per terra, ad attenderci, c’era una pagina strappata da un
qualche manuale utente di un macchinario di quel posto, su cui qualcuno
aveva tracciato poche parole.
- Voi bambini non dovreste giocare con queste cose. Lasciate che siano
gli adulti a risolvere la situazione. – lessi ad alta voce.
Cazzo, mi ha fottuto!
Perché?
Perché la mia strada deve essere costellata di stronzi?
- Prepariamoci a partire. Non voglio perdere altro tempo qui.- dissi,
rivolgendomi ai due Custodi. |
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Capitolo 30 *** Monte Camino ***
Non avevo molto da prendere. Le ultime cose che mi erano rimaste non
riuscivano a riempire nemmeno la metà del mio zaino sporco.
Artigliai con stizza la sfera che tenevo in mano, quando tornai ad
avvicinarmi alla serranda bloccata.
Non mi interessava nulla di quello che aveva lasciato scritto Rocco,
non mi interessava che mi considerasse un bambino, non mi interessava
nemmeno se ci fosse davvero un buco nero sulla vetta di quel fottuto
vulcano.
Avevano cercato di uccidermi fin troppe volte, per i miei gusti, e
avrei aperto il culo a chiunque si fosse messo sulla mia strada, a
costo di dare io stesso un’altra spranga in mano a Mary.
Porca troia.
Lanciai in aria la sfera consumata, facendola vorticare su
sé stessa.
Karden e Mary avrebbero fatto meglio a sbrigarsi ad arrivare. Per
quanto riguarda quei due, non possono fare danni qui dentro. Non troppi
per lo meno.
Blaziken mi guardò con i suoi occhi scuri, in attesa di un
mio comando.
Almeno qualcuno che mi da retta esiste ancora.
- Tira giù quella serranda, a costo di fonderla
completamente. –
Il mio pokémon appoggiò le sue mani artigliate
alla superficie metallica, facendo scaturire dai suoi polsi fiamme mano
a mano sempre più calde e ruggenti.
La serranda si fece dapprima incandescente, per poi cominciare a colare
verso il basso, generando un buco che si allargava a vista
d’occhio sotto la spinta del mio starter.
Un denso vapore si sollevò sul lato esterno, generato da
tutte le gocce di pioggia che cadevano incessantemente sulla superficie
bollente.
Attraversai il varco non appena si fu raffreddato.
Volevo partire, prendere a calci in culo un po’ di persone e
tornare alla mia vita.
Avvertii il fruscio delle suole di uno dei due guardiani sul fango alle
mie spalle, poco dopo l’inquietante mole del signore degli
incubi cominciò ad incombere su di me.
Mio padre davvero mi aveva affidato al protettore di un
pokémon del genere? Cosa cazzo gli era passato per la mente,
in quel momento?
Non riuscirò mai a capirlo, quell’uomo.
- E Mary? – chiesi senza voltarmi, mentre il mio dito premeva
sul pulsante della pokéball che avevo in mano, facendo
rientrare al suo interno Blaziken.
- L’ultima volta che l’ho vista stava trafficando
con le capsule di sotto, mentre parlava ai due ragazzi svegli.
–
- Merda. Spero che si muova a raggiungerci. – feci scorrere i
polpastrelli sulle sei sfere, distrattamente – Karden,
avrò bisogno di un passaggio, fino al monte Camino. Non mi
fido a far fare un teletrasporto alla cieca alla mia Gardevoir.
–
- Per me non c’è nessun problema. –
Cadde il silenzio.
Non sapevo che altro dire, per portare avanti la conversazione con lui.
Sospirai, mettendo la mano destra nella tasca dei pantaloni per
proteggerla dall’acqua.
- Karden, devo farti una domanda. Perché continui ad andare
dove decido io? La prima volta che ci siamo incontrati mi hai detto che
la tua maggiore preoccupazione è quella di proteggere
Darkrai. –
- Senti, Nail. Se pensi che ti stia attaccato al culo perché
me lo ha chiesto tuo padre, ti sbagli di grosso. All’inizio
era così, ma la mia intenzione era quella di mostrarti
questo posto, dirti quel paio di cose che dovevi sapere e scapparmene
in qualche angolo remoto di mondo. Non che tu non mi stia vagamente
simpatico, ma non vali quanto la mia vita. Il… problema
è la situazione in cui lo starti accanto mi ha infilato. Io
sarei dovuto fuggire da chiunque avesse a che fare con questo
laboratorio ed ecco che mi si para davanti quella psicopatica di Mary e
la certezza che qualcuno sta usando degli studi sui leggendari per fare
casino in tutte le regioni. Vi ho aiutato con i feriti, poi mi sarebbe
piaciuto andarmene, ma, ehi, non posso salvare Darkrai se un buco nero
si mangia il mondo. –
- Quindi rimani con noi perché non ha ancora trovato un
momento buono per dileguarti senza sembrare uno stronzo. –
- Si, è più o meno la mia situazione. –
Mary arrivò con un passo fin troppo lento, fermandosi a
guardare il buco nella serranda, prima di attraversarlo.
- Vuoi veramente andare là? – mi chiese poi,
appoggiando i palmi delle mani sui suoi fianchi.
- Si. E intendo anche ritornare qui da vivo. – risposi,
irritato dalla flemma che l’accompagnava.
- Come preferisci. Ma sappi che se c’è qualcosa di
troppo grande, lassù, io non rimarrò con voi a
suicidarmi. –
Cresselia e Darkrai si librarono tra le gocce d’acqua,
lasciandosi alle spalle l’isoletta fangosa dalla quale erano
emersi.
Non poteva esserci un buco nero, nella bocca di quel vulcano.
Non c’era modo che ci fosse.
L’avremmo visto, no?
O, almeno, avremmo visto delle rocce venire risucchiate.
Credo.
Dannazione!
Il monte Camino mi comparve davanti poco a poco, comparendo tra la
nebbia e le nubi temporalesche.
Non c’erano lapilli che illuminavano il cielo sopra di lui,
nessun fiume di lava scorreva sui suoi pendii, nemmeno il cielo cupo
sopra di lui non era illuminato dalla lava ribollente che sapevo
esserci all’interno di quel cratere.
Quel monte aveva forse smesso di essere attivo? Si era calmato,
finalmente?
Un dubbio terribile mi attanagliò la mente.
Diedi un colpetto sulla spalla di Karden, che stava seduto davanti a me
sul dorso del pokémon dal manto nero, per attirare la sua
attenzione.
- Senti, tu sai cosa potrebbe succedere se un pokémon
leggendario muore? –
- Non credo sia possibile che muoiano, dopotutto sono in giro da
centinaia di anni, no? –
- Si, lo so. Ma se qualcuno lo provasse ad uccidere e il suo guardiano
non fosse in grado di proteggerlo, cosa potrebbe succedere?
–
Karden rimase in silenzio, turbato.
- Credo… - riprese dopo qualche secondo, con una nota di
indecisione nella voce – Credo che ci accorgeremo subito
della sua dipartita, sempre ammesso che non saremo già
morti. Il tempo che non scorre, lo spazio che si appallottola su
sé stesso, i continenti che si disgregano, i mari che si
prosciugano. Questo è quello penso potrebbe succedere.
–
- Va bene. –
Forse l’inattività del monte Camino non
è dovuta alla morte del leggendario Groudon. Forse.
Questo però non mi consola più di tanto.
C’è qualcosa che non va, là.
Atterrammo appena fuori dal cratere, sulla fresca roccia lavica che
aveva sommerso il sentiero che avrebbe dovuto portare fino a Cuordilava.
- Cerchiamo di essere cauti, adesso. – disse Karden a bassa
voce., avanzando con la schiena bassa di qualche passo verso la bocca
del vulcano.
Meno di due metri di dislivello mi separavano dallo scoprire che cosa
aveva causato tutto quel casino. Probabilmente, là dentro
c’era la stessa persona che aveva cercato prima di uccidermi
e poi aveva mandato Jacob a finire il lavoro.
Strinsi la prima sfera tra le mani.
Ero fottutamente agitato.
Avanzai piano, finché i miei occhi non superarono quella
barriera di roccia che mi impediva di vedere l’interno.
I sentieri che una volta percorrevano tutto il perimetro erano
scomparsi, così come la stazione della funivia, di cui non
rimaneva nulla.
La scarpata scendeva ripida verso le viscere di quella montagna, fino
ad imbattersi in una piana di pietra.
Riconobbi almeno una decina di figure, immobili. Molte di queste
scintillavano.
Probabilmente Rocco era sceso fin là per combattere.
Poteva aver perso? Perché i suoi pokémon dovevano
essere fuori dalle loro sfere?
Non riuscivo a distinguere chiaramente nessuna delle sagome.
- Rocco potrebbe aver combattuto con qualcuno, là.
– dissi a bassa voce, timoroso che qualcuno potesse sentirmi
– Proviamo a scendere verso di loro, piano. –
Scavalcai la cresta che delimitava il cratere senza nemmeno aspettare
una risposta dai due Custodi, c’era qualcosa di grosso,
là sotto. Qualcosa di squadrato e metallico, non mi sembrava
per nulla un pokémon.
Forse un macchinario o qualcosa del genere.
Scesi piano verso la piana, cercando di mettere a fuoco le figure che
continuavano a sembrarmi sfocate.
Decisamente c’erano dei pokémon a terra,
là. Ne contai almeno cinque di tipo acciaio, quelli di
Rocco, presumibilmente.
L’allenatore dei capelli grigi, però, non riuscivo
ad individuarlo.
Il macchinario, poi, finalmente, si mostrò a me.
Era composto da una serie di anelli impilati l’uno
sull’altro e rinchiusi da quattro alti puntelli
d’acciaio. Era larga e tozza, la parte cava al suo interno
poteva probabilmente arrivare ad ospitare un Wailord di medie
dimensioni.
A cosa poteva servire una cosa del genere?
I due Custodi mi raggiunsero, seguiti dai rispetti pokémon a
cui erano legati.
- Mary, ti dice qualcosa quell’affare? – chiesi,
indicando il macchinario che occupava il centro della piana.
- No. Non ho mai visto una cosa del genere. –
Forse non aveva a che fare con le ricerche sui leggendari, quella
storia.
Nell’aria si spanse un suono vibrante, prodotto da uno
strumento a fiato dolce, forse un flauto o un clarino, non ne ero certo.
Le note parevano riverberare in tutto il cielo e la terra, senza avere
un’origine precisa.
- Scendiamo. Se là sotto c’è un
allenatore che ha dovuto affrontare Rocco, la sua squadra potrebbe non
essere nella migliore delle forme.
Forse potremmo riuscire a vincere anche una lotta.
Lo strumento smise di suonare, facendo ricalare il silenzio il tutto il
cratere.
Non successe nulla di visibile.
- Nail, sei sicuro? – mi chiese Karden.
- Non possiamo fare nient’altro, se non nasconderci e sperare
che non ci succeda nulla. –
- Allora andiamo. – disse alla mia sinistra Mary,
cominciando a scendere verso il macchinario.
Non potevo avere ripensamenti, non ora.
Seguii la ragazza che mi precedeva, pronto a combattere.
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Capitolo 31 *** Lui ***
Avanzammo lentamente, in fila indiana, fermandoci ogni due metri per
assicurarci di non aver attirato delle attenzioni su di noi.
Il macchinario sembrava spento, inattivo.
L’imponente generatore che gli stava accanto,
però, ronzava sommessamente.
Dannazione, avevo riconosciuto davvero i pokémon di Rocco.
Forse, tra l’altro, la macchia nera tra le pietre alla base
del cratere poteva essere l’allenatore che ci aveva
abbandonato a Ciclanova.
Dovevamo fare attenzione.
Fottutamente attenzione.
La macchia che stava accanto al macchinario aveva assunto fattezze
quasi umane. Stava in piedi e non sembrava avere pokémon
attorno a sé.
Una sola persona.
Potevamo farcela. Avremmo anche potuto prenderlo di sorpresa e metterlo
fuori gioco prima che riuscisse a lanciare una sola sfera.
- Ascoltate. – dissi piano, appoggiando una mano per terra
per saggiare quanto fosse dura la pietra che stavamo pestando
– Ho un’idea per chiudere la faccenda ora senza
altri casini. –
- Darkrai non andrà là. – disse duro
Karden, fissandomi.
Ovvio. Non potrò provare a chiedere loro di mandare in prima
linea i loro protetti.
- No. Non dovrai mandarlo là. Quell’uomo, lo
accerchieremo. –
Uno schiaffo mi colpì la guancia destra, lasciandomi
interdetto.
- Ma che cazzo… - provai a dire, voltandomi verso il
proprietario della mano che mi aveva colpito.
- Nail, non stiamo capendo un cazzo di quel che stai dicendo. Cerca di
essere chiaro. – mi riprese Mary, finendo di ritirare la mano.
- Oh. Allora, là c’è un solo uomo. Noi
possiamo accerchiarlo e, una volta che l’avremo fatto,
farò in modo che Mightyena lo raggiunga con fossa senza
farsi notare. Se tutto andrà bene quel colpo lo
metterà fuori gioco, altrimenti dovrà affrontare
un attacco da tutti i lati con una squadra probabilmente stremata.
–
Un cigolio metallico riempì l’aria.
Gli anelli del macchinario si sollevarono l’uno
dall’altro, lasciando tra loro mezzo metro di vuoto.
Dopo pochi secondi tutto si fermò, rimanendo immobile.
- Cosa è stato? – chiese Karden, abbassandosi
ancor di più verso il suolo.
- Non lo so. – gli risposi – Ma dobbiamo muoverci
se vogliamo avere… -
Venni interrotto da un ronzio acuto, un suono vibrante di metallo
contro metallo.
I quindici dischi avevano cominciato a ruotare rapidamente attorno al
loro centro, senza un apparente effetto.
- Nail, passa subito alla parte importante. Ho paura che stia per
incasinare di nuovo il campo gravitazionale. – mi disse Mary,
scostandomi con il braccio per ricominciare a scendere verso il fondo
del cratere.
Feci uscire il mio pokémon dalla sua sfera, guardandolo
fisso negli occhi scuri.
- Mightyena, usa fossa. Devi raggiungere quell’uomo e
metterlo fuori gioco in un solo colpo. Non sbagliare. –
Il mio compagno scomparve nella roccia lavica, scavandosi una via fin
sotto i piedi del suo obiettivo.
- Secondo te davvero ti capisce? – mi chiese la Custode senza
voltarsi.
- Ne sono sicuro. – le risposi, iniziando a seguirla nella
sua lenta discesa verso la nostra meta.
Era una roccia dura, quella che stavamo calpestando. Il mio compagno ci
avrebbe impiegato parecchio a raggiungere il suo obiettivo.
Forse il mio piano sarebbe fallito perché non avevo valutato
bene il terreno di battaglia.
Continuammo a scendere, con i due leggendari che ci seguivano a un paio
di metri di distanza.
Il macchinario, intanto, non accennava a volersi fermare, anzi, i
dischi giravano sempre più velocemente, illuminandosi di
un’intensa luce bianca.
Avevo già visto una cosa del genere, ne ero certo, ma non
riuscivo a collegare quell’effetto a una singola immagine
nella mia memoria.
Rocco.
Vidi Rocco a terra, sdraiato scompostamente e con la testa piegata
innaturalmente di lato.
Era morto al novantanove per cento, ma mi sarei preoccupato di lui in
un secondo momento.
Dovevo attirare la sua attenzione, ma non lasciargli il tempo di
mettere in campo una parte della sua squadra.
E Gardevoir era il mio biglietto per la fuga.
Una pallaombra di Umbreon sarebbe potuta andar bene.
Estrassi la sfera dalla cintura, alzandomi in piedi per raggiungere la
piana il più velocemente possibile.
Stava per succedere qualcosa, era una sensazione che avvertivo nelle
ossa. Una paura che non avevo mai provato mi trapassava il cranio,
urlandomi di fermarmi.
Mi sarebbe piaciuto incredibilmente tanto avere altri allenatori con me.
Il fatto che i Custodi non riuscissero a creare un legame con dei
normali pokémon era un handicap pesante per noi.
Pochi secondi mi separavano oramai dal pianoro e l’uomo
accanto al macchinario non pareva ancora avermi notato.
Non dovevo lasciare nulla al caso.
Un pokémon impiega circa un secondo per uscire dalla sfera e
materializzarsi completamente, prima che, poi, tocchi terra passa un
altro mezzo secondo.
Ora, Umbreon potrebbe lanciare una pallaombra ben mirata impiegando un
ulteriore secondo e mezzo.
Tre secondi da quando la pokéball si apre.
Quanto è distante da me?
Una ventina di metri.
Tre o quattro secondi per percorrerli di corsa, per Umbreon.
Sono troppi sette secondi, riuscirebbe a mettere mano alle sfere.
Devo tentare quello che ho già fatto con Jacob.
Raggiunsi il pianoro, incespicando per un attimo per via del cambio di
pendenza.
L’uomo, dovevo cercare di valutarlo.
Era di spalle, magro, la schiena leggermente ingobbita. I capelli
bianchi sulla sua nuca erano radi, lo potevo intuire anche da quella
distanza.
Strinsi la sfera che tenevo in mano.
Sperai di non fare una cazzata.
Lanciai la pokéball consumata con tutta la mia forza,
tendendo i muscoli fino a sentir male al braccio fratturato che mi
pendeva contro il petto.
La sfera percorse un buon tratto, aprendosi a mezzaria a circa tre
quarti del percorso che mi separava dal mio nemico.
- Umbreon! Pallaombra! – urlai con quanto fiato avevo in
corpo, facendo voltare l’uomo.
I suoi baffi candidi ondeggiarono appena a quel movimento del capo.
Merda.
Riconobbi in fretta quel volto, l’avevo già visto.
Era il tipo della commissione della lega, lo stesso che aveva
presenziato alla riunione.
Cazzo, certo che riuscivano ad intercettare i nostri spostamenti, era
in mano sua l’intero comparto delle comunicazioni.
Rocco sapeva che era coinvolto?
Non credo.
Perché, allora, sarebbe venuto fin qui, da solo, per lo
più?
Spero che quello stronzo non stesse cercando di proteggerci. Ne ho i
coglioni pieni di gente che si immola per me alle mie spalle.
Avanti, Umbreon, fammi vedere un bel colpo preciso.
Una palla di nebbia scura, densa, si formò davanti al muso
del mio compagno, per poi venire scaraventata contro il torace del
vecchio bastardo che mi stava di fronte.
Lo colpì in pieno, ma qualcosa lo trattenne dal cadere a
terra, sorreggendolo come se fosse una marionetta sorretta ancora da
dei fili.
Allora li vidi.
Decine di cavi comparivano da sotto la sua giacca costosa, correvano
tesi fino ad inserirsi nel macchinario.
Che cazzo sta succedendo?
Cosa vuole fare?
La sua mano raggiunse le sfere che gli pendevano dalla cintura,
strappandone due dai loro sostegni.
Forza Mightyena. Muoviti, cazzo.
La sfera lascò il suo palmo, roteando in aria tanto
lentamente che mi parve andare al rallentatore.
No! No! No, no, no!
Il terreno sotto i suoi piedi si deformò, anticipando la
comparsa di un paio di zampe artigliate pronte a fendere il loro
bersaglio.
Lui sarebbe sicuramente rimasto ferito dal mio attacco a sorpresa,
più ferito di quanto già non fosse. Il mio
compito era quello di rispondere nella maniera migliore al suo
contrattacco. Forse, con un po’ di fortuna, sarei riuscito a
mandargli al tappeto il pokémon che aveva mandato in campo
con un solo colpo.
Mi trattenni dal voltare lo sguardo nella direzione da cui ero arrivato.
Non dovevo dare indizi riguardo ai due Custodi.
Karden era troppo posato perché potessi riporre in lui
qualche speranza, ma Mary… Mary poteva essere il mio asso
nella manica.
Non so cosa sia, ma quel vecchio di merda, senza quel macchinario,
probabilmente non potrà far nulla se non arrendersi.
Un’onda d’urto mi scaraventò a terra,
facendo allontanare con la sua potenza i miei compagni
d’avventura dal nostro nemico.
La sfera in aria fu trapassata da una scarica elettrica, che le
impedì di aprirsi.
Una luce abbagliante si accese all’interno della macchina a
cui si era collegato il vecchio, diventando sempre più
intensa man mano che il tempo passava, come se lì dovesse
nascere un nuovo sole.
I dischi metallici tutt’intorno, comunque, continuarono a
ruotare implacabili.
Un’altra onda d’urto mi scaraventò ancor
di più verso il limitare di quella piana, facendomi urtare
contro la corazza dura di un Aggron privo di sensi.
Mi alzai in piedi il più velocemente possibile, socchiudendo
le palpebre per cercare di riconoscere qualche forma attraverso la nube
di polvere che si era sollevata.
Qualcosa di imponente campeggiava all’interno del
macchinario, ma non fui in grado di riconoscerne le fattezze.
- Mightyena! Umbreon! – provai a chiamare, timoroso di alzare
la voce.
Due figure mi si avvicinarono di corsa, con le orecchie premute contro
il capo e le code tra le zampe posteriori.
Qualcosa non andava assolutamente.
Una risata squarciò il cielo.
Merda.
Dovevo fare qualcosa.
Mi tolsi la benda che sorreggeva il gesso, appoggiandola a terra.
- Mightyena, mordimi il braccio. – ordinai.
Il mio compagno fece un passo indietro, allontanandosi dal mio arto
ancora sano, reticente.
- Cazzo Mightyena! Fallo! –
Sentii perfettamente le sue zanne farsi strada nelle mie carni per
qualche centimetro, per poi ritirarsi.
- Bravo ragazzo. –
Il mio sangue mi colò lungo tutto l’avambraccio,
arrivando fino alla punta delle dita dove, goccia dopo goccia, cadde a
terra.
Avessi avuto due braccia sane, probabilmente, avrei cercato
un’altra soluzione.
Portai il mio indice insanguinato sopra alla benda, cominciando a
tracciarci sopra lettere incerte.
S
C
A
P
P
A
T
E
- Umbreon, prendi questa e corri da Mary e Karden. Non tornare da me,
rimani con loro. –
Il mio pokémon strinse con attenzione la striscia di tessuto
tra i denti, per poi scomparire nel polverone che si era sollevato.
Merda, sono in difetto di nuovo di un pokémon.
E Sharpedo non mi servirà a molto.
Non posso permettere che Darkrai e Cresselia crepino qui.
Adesso che li ho sistemati, però, voglio capire quanto sono
fottuto.
Avanzai piano, cercando di puntare il macchinario.
- Sei ancora qui, allenatore? –
- Si. – gli risposi ad alta voce.
Quantomeno, sarei crepato solo io, se non si fosse accorto dei due
custodi.
Le me dita, si posarono sulla superficie lucida della quinta sfera che
avevo al mio fianco, sporcandola della mia linfa vitale.
Di certo non mi sarei fatto andar bene quella situazione.
- Sai, - ripresi, continuando a camminare verso il mio interlocutore
– questa è la quarta volta che provate ad
uccidermi. –
- Tu sei l’allenatore scomparso. –
- Credo proprio di sì. –
- Sei stato troppo fortunato, nell’Antro Abissale. In quel
momento non potevo permettermi di essere visto in volto. –
- Quindi eri tu, là. – finalmente cominciai ad
intravedere la sua sagoma. I cavi gli pendevano mollemente addosso,
staccati dalla macchina in piena funzione che gli stava accanto
– E sei tu che mi hai messo al culo Jacob, che è
morto, se non lo sai. –
- Lo immaginavo. – il vecchio mi venne incontro con passo
risoluto, troppo vivace per gli anni che dimostrava.
- Adesso, probabilmente, tu mi ucciderai. Ma voglio sapere se centri
con la morte di mio padre, Fosco. Pretendo di saperlo. –
- Tu pretendi? Non so se hai compreso in che condizione ti trovi.
–
- Avanti, rispondimi! – urlai – E già
che ci sei, spiegami qualcosa sul progetto Iride, almeno me
ne andrò sapendo perché sono morto! –
- L’ho ucciso io Fosco. Io ho dato fuoco a casa sua.
–
Sentii una rabbia bruciante stringermi il petto.
Quel fottuto bastardo ha davvero il coraggio di parlare così
dell’assassinio di mio padre?
- E il progetto Iride… Non so come tu ne sia venuto a
conoscenza, ma morirai per causa sua. –
Lasciai aprire la sfera tra le mie dita scivolose, liberando il
pokémon al suo interno.
- Punizione. –
- Cosa hai detto, bastardo? – urlai.
Cosa voleva dire, con punizione?
Una sfera di luce arancione si creò là dove
doveva esserci il macchinario, per poi dividersi in una serie di lampi
che mi puntarono direttamente.
Merda, sono morto.
Un corpo si frappose tra me e l’attacco, assorbendo il colpo.
Il mondo venne illuminato a giorno, come se un sole estivo avesse
cominciato a splendere in cielo.
Vidi Mightyena, davanti a me, esausto.
Vidi quel vecchio con la schiena dritta che mi fissava tronfio.
Vidi un enorme pokémon dal manto bianco rinchiuso
all’interno del macchinario, che mi fissava con uno sguardo
penetrante.
I ranger.
Collegai solo in quel momento cosa mi ricordavano quei dischi bianchi
che continuavano a ruotare.
Gli styler dei ranger creavano un effetto ottico simile, quando
prendevano un pokémon selvatico.
E quello era il fottuto Arceus.
- Portami via subito. – dissi, mentre riponevo la sfera
lucida al suo posto per prendere quella di Mightyena, per farlo
rientrare velocemente.
Il mondo intorno a me perse di consistenza, mentre la mano sicura della
mia Gardevoir mi portava in un posto più sicuro di quello.
Il fottuto Arceus.
Il dio della creazione.
E io ero davvero stato a un passo dalla morte.
Porco schifo.
Avviso dell'Autore:
Miei cari lettori, innanzi tutto, buon anno nuovo.
A causa di problemi logistici miei, la settimana prossimo non
riuscirò a portarvi il nuovo capitolo di questa storia.
Detto questo, però, mi sembra giusto darvi qualche
aspettativa.
Questa storia sta per finire, come avrete potuto capire. Per
l'esattezza, nella mia programmazione, mancano 3 capitoli, di cui uno,
l'ultimo, sarà un epilogo che chiuderà la storia
di questi personaggi.
Ancora buon anno nuovo e, a questo punto, buona epifania.
Ci ritroveremo qui sabato 13 gennaio.
Vago |
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Capitolo 32 *** Dimissione ***
Il mondo sfumato mi scorreva addosso viscoso, turbolento, come
se l’aria pesante si stesse contraendo attorno a me.
La mano di Gardevoir teneva saldamente la mia, inerme.
Il sangue continuava a colare dai fori sul mio braccio, cadendo nel
vuoto per ricomparire chissà dove nel mondo.
Il fottuto Arceus.
Non riuscivo a togliermi dalla testa l’immagine di
quel corpo imponente. Dannazione, era uguale alle sue fottute
rappresentazioni.
Potevo pensare di poter competere con un Custode fuori di testa, magari
accompagnato da uno di quei leggendari minori che nessuno si caga,
tolti quei due giorni di festa che le bancherelle itineranti gli
dedicano.
Non con il fottuto dio creatore e signore di tutti i fottuti
pokémon, l’alpha e l’omega e tutti
quegli altri titoli che gli hanno affibbiato.
Cosa avrei potuto fare contro quel coso?
Le tinte che coloravano l’aria si fecero più
definite, così come divenne più reale il terreno
su cui caddi violentemente.
Mi alzai in piedi, guardandomi intorno. La pioggia, intanto, era
tornata a cadere sulle mie spalle.
Dove ero finito? Dove mi aveva portato Gardevoir?
Maledizione. Non di nuovo qui.
Le alte pareti di bianca pietra lavica bloccavano la mia vista in tutte
le direzioni. In basso, ai piedi dei gradoni, Il lago salato veniva
continuamente perturbato dalle gocce che cadevano incessanti.
Porco Arceus, non di nuovo Ceneride.
Non voglio più vederla questa merdosa città.
Le tracce di sangue lasciate dalla mia ultima visita erano state lavate
via dal tempo inclemente, pronte ad essere sostituite dal rosso liquido
che continuava a colare dalle mie dita.
Qualche povero bastardo doveva avere avuto pena per il cadavere di
Jacob, visto che non se ne vedeva più la benchè
minima traccia da nessuna parte.
Il mio braccio destro si sollevò come da solo. Solo quando
abbassai lo sguardo mi resi conto che Gardevoir aveva fatto pochi passi
verso i gradoni più alti, cercando di portarmi con
sé.
La manica della mia giacca era ormai imbrattata di sangue e la ferita
che mi ero fatto infliggere ormai non sembrava nemmeno intenzionata a
richiudersi un minimo.
Il centro medico.
Gardevoir mi aveva portato lì perché
c’era il centro medico.
Ogni tanto i miei pokémon sono davvero più logici
del loro allenatore.
Mi mossi lentamente, salendo le scale che mi avrebbero portato
all’imponente struttura che ospitava il materiale ospedaliero.
Le nubi nel cerchio di cielo che riuscivo ad intravedere si erano tinte
di rosso, vorticando attorno a più centri in quella volta
celeste.
Sembrava un fottuto quadro impressionista, quel cielo.
Arrivai in cima quasi senza accorgermene, risvegliandomi dal mio
torpore mentale solo quando le trasparenti porte di vetro si aprirono,
sotto il comando della loro fotocellula.
- Un medico… per favore. – provai a dire, ma la
voce uscì più flebile di quanto temessi.
Caddi in avanti, sul pavimento lucido, sotto gli occhi una vecchia
infermiera dal camice bianco sporco di decine di diverse sostanze.
Porca troia se ero esausto.
E morto.
Sperai più esausto che morto.
Gli ultimi suoni che sentii furono il verso dolce di Gardevoir e una
serie di insopportabili rotelle che si spostavano sul pavimento lucido,
facendo un fracasso infernale. Poi, per fortuna, il mio organismo
smaltì gli ultimi rimasugli di adrenalina, permettendomi di
svenire.
Mi riebbi su una barella rigida, con una coperta fredda che appoggiava
direttamente sulla mia pelle sporca.
Vidi quasi per sbaglio una macchia bianco-verdastra muoversi accanto a
me.
- Gardevoir… - borbottai con le labbra asciutte.
Il verso del mio compagno mi risuonò nelle orecchie in
risposta.
Provai a mettermi seduto, ma qualcosa mi trattenne, costringendo il mio
braccio destro attaccato al lettino.
Dovetti sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco.
Un paio di spesse cinghie tenevano il mio arto saldamente attaccato
alla superficie bianca su cui mi avevano sistemati. Poco sotto il
gomito fasciato da uno spesso strato di bende, si insinuava
l’ago collegato da una canula trasparente alla grossa flebo
attaccata al supporto sopra la mia testa.
- Ehi! – provai a dire con voce roca.
Nessuno sembro sentirmi.
- Ehi! – ripetei, costringendomi ad alzare la voce.
Questa volta riuscii a creare un po’ di disordine in una
stanza accanto.
Un infermiere dalle braccia spesse raggiunse il mio capezzale dopo
mezza dozzina di minuti, scrutandomi come se fossi un ospite sgradito.
- Senti… - provai a dirgli, quando fui sicuro che si fosse
fermato – Io devo veramente andarmene da qua. E dovreste
farlo anche voi. –
L’uomo non mi rispose, lo sentii però prendere
qualcosa di metallico dal bordo della mia barella.
Le membra mi si contrassero involontariamente di paura.
Non voleva uccidermi. Mi dissi.
Non tutte le persone al mondo vogliono uccidermi.
- Il medico che ti ha preso in carico ha espressamente lasciato scritto
che hai bisogno di rimanere a letto in osservazione per almeno tre
giorni. –
Tre giorni?
- Sentimi, coso. So che non c’entri nulla, ma ho avuto una
pessima giornata, quando sono arrivato. Da quanto sono qui? –
Cercai di controllarmi, avrei voluto sputare su quella faccia squadrata
che mi sovrastava.
- Qui c’è scritto che sei entrato in osservazione
ieri pomeriggio. –
Qui c’è scritto. Dannazione, tu dove cazzo hai
passato le ultime giornate?
- Ok, ho già perso troppo tempo. Slegami da questa barella e
toglimi quell’ago dal braccio. Devo assolutamente andarmene.
–
- Non posso. Il medico ha lasciato scritto che… -
- Senti, sei inutile e, tra l’altro, stai risultando
pericoloso per metà delle regioni. Guardati accanto, quella
Gardevoir ha aperto il culo ad Adriano. Ora, se non vuoi passare un
brutto quarto d’ora vai a chiamare un medico che possa farmi
uscire di qui. Ora. –
L’infermiere parve indugiare fin troppo, ma fu sufficiente un
leggero movimento delle braccia del mio compagno per incentivarlo nella
giusta direzione.
Rimasi immobile a guardare il soffitto, in attesa che qualcuno con un
po’ più di cervello arrivasse a tirarmi fuori.
Doveva fare qualcosa, almeno per quei poveracci che ancora occupavano
quell’isola deserta. Gli avrei dovuto dire di scappare il
prima possibile.
I passi frettolosi di qualcuno dalle gambe corte finalmente parvero
voler venire verso di me.
- L’infermiere mi ha detto che non hai smaltito male
l’anestesia. Come sta ora il mio paziente? –
- Incazzato. – gli risposi – E ho smaltito fin
troppo bene l’anestesia. Ora, mi ascolti. Sono uno dei pochi
allenatori rimasti di quelli che lavoravano per la commissione della
lega e ho una notizia orribile. Ho visto il fottuto Arceus sul Monte
Camino e c’è il presidente della commissione che
ha intenzione di farci qualcosa. Devo andarmene da qui. Ora. La prego,
mi lasci andare. –
Lo sguardo della dottoressa era evidentemente carico di sarcasmo, non
credeva a una sola parola di quello che stavo dicendo.
- Senta, la prego, mi lasci andare via. – continuai a dire,
più supplichevole.
- Resterai qui finché non starai meglio. Ti assicuro che
è la miglior cosa che possiamo fare per te. –
- Oh! Fanculo! Gardevoir, portami via di qui. –
La dottoressa mi guardò spalancando gli occhi, ma non
poté far nulla per evitare che il mio compagno scomparisse
nell’etere, trascinandomi con sé.
Non mi ero mai fatto teletrasportare in una condizione come questa.
La barella a cui ero ancora legato pareva aver perso completamente il
suo peso, mentre il mondo mi scivolava addosso.
Ricomparvi sotto lo sguardo terrorizzato di un viso noto.
- Oh, tu! – esclamai esterrefatto non appena lo riconobbi
– Il ranger della Fossa oceanica! Liberami da questa roba, ho
avuto una giornataccia. Intanto, è successo qualcosa nelle
ultime ventiquattr’ore? –
Ero leggermente sovraeccitato, ma ero vivo, e questa già era
un’ottima notizia.
- Na… Nail? Come sei arrivato qui? – mi chiese il
ragazzo, che con le mani tremanti si avvicinò alle cinghie
che tenevano bloccato l’unico braccio che riuscivo a muovere.
- È una lunga storia. Se sopravviviamo te la
racconterò. Karden e Mary sono tornati? E qualcuno di
là si è svegliato? –
- I tuoi compagni di viaggio non sono ancora tornati, avrebbero dovuto?
Dei ragazzi che avete portato qua se ne è svegliato uno
solo. –
- Uno è meglio che niente. Gli avete spiegato
com’è la situazione? –
- Per quanto potevamo, si. –
- Ottimo. –
Non appena fui libero mi alzai in piedi, controllando cosa mi avessero
fatto mentre non ero cosciente.
Il braccio era bendato, ma non sembrava ci fossero macchie di sangue
fresco. Potevano avermi ricucito.
Mi venne un’idea.
Dovevo provare a chiamare Rudi, forse lui poteva aiutarmi ad essere
ascoltato.
Non potevo fermare Arceus, ma potevo almeno salvare qualcuno.
Corsi con le gambe intorpidite fino al bancone da centro
pokémon del Laboratorio C, su cui appoggiai velocemente le
mie sfere per far rimettere in sesto i miei compagni. Poi, mentre la
luce ultravioletta scannerizzava le sfere, collegai il
pokènav al PC.
Lo schermo si illuminò immediatamente, mostrandomi decine di
notifiche di chiamate perse.
Mia madre.
Poi un unico messaggio da parte sua.
Chiamami, è importante.
Merda. |
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Capitolo 33 *** Eredità ***
Fissai per un paio di minuti lo schermo che mi stava davanti, con la
mano appoggiata sulla consolle del computer, incapace, però,
di premere alcun tasto.
Che diavolo poteva volere mia madre? Che l’ondata di
distruzione fosse arrivata anche a Johto?
Sarebbe stata drammatica la situazione.
Dovevo chiamare Rudi per chiedere aiuto. Quello era
l’obiettivo principale.
Certo che…
Dovevo assicurarmi che mia madre stesse bene. Tanto, al massimo, mi
avrebbe portato via un paio di minuti, quella chiamata.
Premetti il tasto “richiama” che campeggiava
accanto alle notifiche di chiamata persa.
L’avrei fatta essere una chiamata rapida, mi ripromisi.
Lo schermo riuscì a pulsare appena un paio di volte, prima
che, dall’altra parte della chiamata, non risposero.
La faccia di mia madre, troppo vicina alla videocamera per essere presa
completamente, comparve sullo schermo.
- Nail! – esclamò, facendo sobbalzare
l’immagine trasmessa – Sei tutto sporco! Stai bene?
–
- Si, mamma, sto abbastanza bene. E quando avrò tempo mi
farò una doccia. –
- Sei sicuro di stare bene? Qui i telegiornali fanno vedere delle
immagini paurose da Hoenn. Davvero il cielo è diventato
rosso come dicono? –
- Si, è rosso ma… ma ci stiamo lavorando. Ora
sono in una squadra più grande. –
- Ma, scusa. Oramai sono stati tutti sfollati, perché non vi
lasciano andar via da lì, finché non torna tutto
alla normalità. –
- Non possiamo, mamma. Stiamo lavorando. –
- State lavorando? State rischiando la vita! –
- Mamma, al momento siamo gli unici, qui, che possono fare qualcosa,
dobbiamo farlo. – Stavo cominciando a perdere la pazienza.
Involontariamente le dita della mano destra si strinsero attorno alla
tastiera, cercando di allentare il nervoso che mi stava crescendo nel
petto.
- Non devi fare proprio niente. Anche tuo padre doveva far tutte quelle
sue cose e tutto quello che ne ha guadagnato è stato essere
sempre lontano dalla sua famiglia. Lui e quella sua chincaglieria che
collezionava, non voglio che ti riduci così. –
Sono abbastanza sicuro di non aver mai visto mio padre affezionarsi a
qualcosa.
- Che chincaglieria collezionava, papà? –
- Non lo so, roba che trovava in giro durante i suoi viaggi. Ne aveva
una scatola piena in cantina. Ma questo non è importante!
L’importante è che tu torni da me sano e salvo!
–
- Mamma, smetti un attimo di dare di matto e cerca di rispondermi
seriamente. Papà davvero portava a casa delle cose dai suoi
viaggi di lavoro? Cos’erano? –
- Non lo so, non ho mai guardato cosa metteva in quella scatola. Ma
tanto sarà tutto bruciato nell’incendio, quindi
è inutile starci a pensare ora. –
- Si, si… vabbè. Comunque vedrò di
farmi mandare a Johto il prima possibile. –
- Aspetta, Nail, volevo di… -
Chiusi la chiamata il più in fretta possibile.
Avevo una nuova possibile pista.
Rocco mi ha detto che i viaggi di mio padre erano per via delle
ricerche che tenevano qui e io so da Mary che lui stava cercando di
capire quali intenti avessero i ricercatori.
Potrebbe avermi lasciato in eredità il suo lavoro, quel
vecchio.
Oh, cazzo.
Merda.
Quel vecchio di merda che ha evocato Arceus, lui ha ucciso i
ricercatori. Quindi può essere lui che ha dato fuoco a casa
mia. Jacob all’epoca non sarà stato neppure
maggiorenne.
Merda…
Comunque, devo tornare a casa. La cantina era in buono stato dopo
l’incendio e ci abbiamo ricostruito sopra la nuova casa,
probabilmente la roba che c’era prima è rimasta
là sotto anche dopo i lavori.
Devo dormire.
Devo assolutamente dormire.
- Ranger! – urlai voltandomi, sobbalzando nel vederlo alle
mie spalle.
- Io comunque sono Loren. – mi rispose quasi risentito.
- Va bene, Loren. Ho una pista per sistemare questo casino. Ho bisogno
però che tu faccia una cosa per me, posso fidarmi?
–
- Certo. – disse con voce ferma, riprendendo un poco della
rigidità da militare che doveva avere in condizioni normali.
- Io devo assolutamente dormire per mandare un messaggio. Ho bisogno
che tu prenda tutti quelli in grado di muoversi
e vi mettiate a imparare come funzionano le apparecchiature qua dentro.
Dovrebbero esserci già tutte le password inserite. Ho
bisogno che monitoriate la situazione, ho visto Arceus, là
fuori, e voglio evitare di trovarmelo sulla strada. Mary ti ha fatto
vedere dove abbiamo messo i vostri Styler e le sfere, vero? –
- Si, certo. –
- Ottimo. Io adesso vado a sdraiarmi. Mi fido di te. –
Lo superai a lunghi passi, dirigendomi verso il dormitorio ancora in
buona parte occupato. Salutai appena i ragazzi svegli che incrociavo,
dedicandogli appena un cenno della mano.
Dovevo addormentarmi in fretta.
E dovevo sognare.
Mi sdraiai su un polveroso letto vuoto, chiudendo gli occhi per evitare
che la fastidiosa luce dei neon sopra la mia testa potesse penetrarmi
nel cervello.
All’improvviso tutte le sensazioni che il mio corpo provava
si fecero più vivide, facendomi contrarre i muscoli della
faccia in una smorfia.
Il braccio rotto formicolava fastidiosamente. Forse mi avevano cambiato
il gesso, mentre ero incosciente, ma non avevo voglia di controllare.
Le bende sul braccio destro tiravano e le ferite che mi ero fatto
infliggere sull’avambraccio bruciavano come se mi avessero
posato dei tizzoni ardenti sulla pelle.
Tutte le ferite e i tagli che avevo sparsi sul corpo pulsavano
ritmicamente a ritmo con il battito del mio cuore, ma mi appariva come
un vago fastidio, comparato alle altre sensazioni.
Cercai di regolarizzare il respiro, lasciandomi scappare uno sbadiglio.
Sarebbe stato facile addormentarmi, probabilmente.
Mi ritrovai in una stanza grigia, di pietra, senza né porte
né finestre. Una lampadina consumata pendeva dal soffitto,
oscillava lievemente, facendo così allungare e accorciare
ritmicamente le ombre sulle pareti.
Ero legato a una sedia da cinghie strette.
Un’ombra scura mi apparve di fronte, il viso, se di viso
potevo parlare, era incorniciato da una criniera bianca ondeggiante.
Fui preso dal panico e cominciai a dimenarmi, cercando di liberarmi
dalla stretta che mi teneva bloccato.
- Che succede? – chiese la voce cupa della creatura.
Cercai di calmarmi, di mettere ordine tra i miei pensieri e
ricordarmi perché tutto quello stesse succedendo.
- Sono a Ciclanova. – dissi con la voce tenue di un bambino
spaventato che cerca di farsi forza – Ho… ho forse
trovato una traccia, ma non è sicura. Non appena mi
sarò svegliato andrò a controllare.
Voi… voi rimanete nascosti. State bene? –
Il signore degli incubi voltò appena la testa di lato,
perdendo interesse in me, in favore di qualcosa che non riuscivo a
vedere.
- Stiamo bene. – rispose finalmente la creatura dopo una
pausa interminabile.
La stanza scomparve di colpo ed io aprii gli occhi madido di sudore.
Preferivo migliaia di volte i risvegli che mi provocava Cresselia.
Mi alzai a fatica dal materasso, rabbrividendo al contatto dei vestiti
umidi sulla mia pelle.
Mi sarei dovuto cambiare, prima o poi. Portavo ancora indosso gli abiti
con cui ero partito, fatta eccezione per la maglia bianca che avevo
preso dal centro medico di Memoride, a Sinnoh.
Mi facevo schifo da solo.
Non potevo però pensarci, in quel momento.
Sistemai le sfere nei loro supporti e feci uscire Gardevoir,
in modo che potesse portarmi alla mia meta.
Loren mi raggiunse con uno sguardo preoccupato che cominciava a darmi
sui nervi.
- Tornerò nel giro di un’ora. Mi raccomando.
– gli dissi, per poi deviare la mia attenzione sul mio
compagno – Andiamo a casa. –
Di nuovo, il mondo intorno a me perse solidità, mentre
sfrecciavo in quel mondo dipinto sotto la guida della mano di Gardevoir.
Era da tanto che non tornavo a casa.
Tra l’impiego nella palestra di Bluruvia e i vari impegni,
probabilmente, l’ultima volta che avevo aperto quella porta
era stato per il compleanno di mia madre.
Comparii poche centinaia di metri fuori dal centro abitato di Mentania,
di fronte alla porta chiusa di un’abitazione bassa e tozza.
Casa…
Provai ad abbassare la maniglia della porta d’ingresso, ma la
serratura chiusa si oppose al mio sforzo.
Ovvio, ha chiuso a chiave prima di andarsene e il mio mazzo…
sarà in fondo all’oceano, a questo punto.
Che sfiga.
Vabbè, Gardevoir mi toglierà anche questo
problema, spero che l’antifurto non sia in
funzione, visto che le linee elettriche sono tutte interrotte.
- Dai, Gardevoir, fai ancora un piccolo sforzo. Portami dentro.
–
Quanti teletrasporto le avevo fatto usare? Dal Monte Camino a Ceneride,
da Ceneride a Ciclanova, da Ciclanova a Mentania e poi questo.
Quattro volte.
No, scherzavo.
Solo due volte. L’ho fatta riposare al centro medico del
laboratorio di Ciclanova.
Sono tranquillo, non avrò problemi per la mancanza di PP.
Ricomparii all’interno dell’abitazione di mia
madre, concedendomi un momento per guardarmi attorno.
Tutte le spie dell’antifurto erano spente.
Meno male.
Puntai direttamente verso la porta che mi avrebbe portato in cantina,
per poi aprirla e gettarmi nell’oscurità
più totale che c’era dalla parte opposta.
Sarei potuto cadere su uno di quegli scalini dissestati e spaccarmi il
naso in meno di un secondo, in quella condizione.
Feci rientrare Gardevoir nella sua sfera lucida, scambiandola per
Blaziken.
Le fiamme divamparono dai polsi del mio compagno, illuminando le pareti
in cemento che circondavano la mia discesa.
La cantina era umida e fredda. La parte alta della stanza, per chi
sapeva dove guardare, appariva leggermente annerita
dall’incendio che l’aveva lambita.
La roba di mio padre era stata ammucchiata tutta in un armadio di ferro
recuperato chissà dove e lasciato lì ad
arrugginire. Mia madre, almeno per i primi anni, non voleva doversi
confrontare con il ricordo di mio padre e, anche quando aveva superato
la sua morte, non aveva mai ripreso in mano i suoi oggetti.
Sforzai sulle ante incastrate, facendole aprire con un cigolio.
La roba all’interno del mobile era in buona parte consumata
dal fuoco e poi ricoperta da strati di polvere accumulati nel tempo.
Sarebbe stata una lunga ricerca.
Scatole, scatole e altre scatole.
In legno, in cartone, in ferro.
Tutte cose inutili. Per lo più erano vecchi prodotti scaduti
per la cura delle pokéball, tolta una piccola cassetta con
dei cacciaviti buttati dentro alla rinfusa.
Aprii l’ennesima cassetta alla tremolante luce delle fiamme
di Blaziken, trovandoci dentro una seconda scatola. Dentro questa, ad
attendermi, ci trovai una piccola pennetta USB avvolta in diversi
strati di carta per imballaggi.
Avevo bisogno di un dannato computer.
Quella era la prima cosa degna di interesse che fossi riuscito a
trovare tra la chincaglieria e i prodotti scaduti di sottomarca.
Scavai ancora tra le poche cose rimaste nel mobiletto, ma
null’altro di strano mi saltò all’occhio.
Sarei dovuto tornare a Ciclanova e scoprire in uno di quei computer
cosa nascondeva la pennetta che tenevo in tasca. |
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Capitolo 34 *** Scoperte e scuse ***
Risalii la scala di cemento, tornando all’interno del salotto
della casa di mia madre.
Magari, una volta che fosse tornata da Johto, se mai
riuscirà a tornare, potrei venirla a trovare.
Prima, però, devo risolvere quel piccolo problema di merda
che è Arceus.
Dannazione, spero solo che in questa chiavetta ci siano le sacre
scritture e non la lista della spesa, perché non ho voglia
di crepare, non adesso e non per mano di quello stronzo, almeno.
Feci rientrare Blaziken, sostituendolo con la mia povera Gardevoir. La
stavo sfruttando troppo, ultimamente, ma, in ogni caso, non avrei mai
osato usare Swellow, anche se fosse stato in forma. I cieli sono un
posto decisamente troppo pericoloso.
- Forza, andiamo a Ciclanova, poi potrai riposarti. Promesso.
–
Strinsi la mano del mio compagno, chiudendo gli occhi mentre il mondo e
il mio corpo perdevano solidità.
Probabilmente, se esiste un limite di teletrasporti prima di cominciare
a risentirne, io l’ho già superato da un bel pezzo.
Sospirai, o almeno ci provai, perché non riuscii a percepire
nessuna aria entrare nei miei polmoni, in quel mondo sfocato.
Ricomparii nel laboratorio C di Ciclanova, quasi nel mezzo del campo da
allenamento.
Avrei fatto curare i miei pokémon al macchinario di quella
stanza, ma, prima, avevo altro da fare.
- Loren! – Urlai, dirigendomi verso la porta del laboratorio
B.
Aprii la porta, trovandomi quattro volti che si sollevarono quasi
all’unisono.
Uno era Loren, una era la ragazza che mi ricordavo dal corso per
allenatori, mentre gli altri due erano perfetti sconosciuti.
Mi morsi l’interno della guancia, pensando a cosa era davvero
importante in quel momento.
I nomi decisamente non rientravano nella mia lista. I loro nomi, per lo
meno.
- Ciao a tutti. Sono Nail, siete vivi grazie a me e ai miei due
compagni di viaggio. Le presentazioni a dopo. Loren, hai fatto quel che
ti avevo chiesto? –
Il ranger si alzò dalla sedia che lo ospitava, lasciando il
proprio computer per parlarmi.
- Si, abbiamo capito qualcosa di come funziona questo sistema. Le
conoscenze informatiche di Arenne ci sono state utili. I computer
dell’ingresso non contengono cose interessanti, quelli del
laboratorio A sono al momento completamente occupati nel monitorare le
condizioni vitali dei due ragazzi nelle capsule, quindi gli unici utili
sono questi, anche se… -
Alzai una mano, per intimargli di stare zitto.
Arenne. Ecco come si chiamava quella ragazza.
Vabbè. Non mi interessa.
- Ho qui qualcosa per te. Spero possa essere utile. –
Lanciai a Loren la chiavetta che tenevo in tasca.
Lui la guardò per poco più di un secondo,
cercando di capire cosa fosse. Quando poi ci riuscì la porse
all’allenatrice dai corti capelli biondi, che la prese dalle
sue dita e la piantò con forza nel primo computer che si
trovò davanti, sedendosi nel mentre sulla sedia che gli
stava di fronte.
Aggirai il bancone, portandomi alle spalle di Arenne in modo da poter
vedere lo stesso schermo che guardava lei.
Per qualche secondo non successe nulla. Non ero un esperto di quella
roba, ma, normalmente, almeno un messaggio usciva.
Poi una finestra nera occupò lo schermo nella sua quasi
totalità, dentro questa, stringhe di bianco codice
cominciarono a correre veloci, fermandosi solo quando era richiesto un
piccolo caricamento.
Passarono almeno cinque secondi senza che nessuno osasse muoversi,
notai appena le dita di Arenne stringersi attorno al mouse che artigliava.
La finestra si richiuse, lasciando il posto a un programma che parve
avviarsi da solo, per poi chiudersi anch’esso.
Per un attimo il desktop ci guardò incredibilmente vuoto.
Ma non durò per molto.
Una cartella si spalancò davanti ai nostri occhi, i file in
essa contenuti parvero decisi ad aprirsi senza che noi potessimo far
nulla.
Tutti i monitor in sospensione della sala si riattivarono, mostrando
ognuno grafici e documenti diversi.
- Che diavolo era quella roba? – chiesi alla ragazza dalla
testa ancora avvolta in poche bende pulite.
- Credo… - si fermò un attimo, forse cercando di
leggere quello che aveva di fronte – Credo che ci fosse un
virus particolare in quella chiavetta, o un programma fatto apposta. Il
fatto strano è che sapeva esattamente dove andare a prendere
i documenti contenuti in queste memorie. Non vorrei sbilanciarmi, ma
credo che questo programma sia stato creato qua dentro. –
Diedi una leggera pacca sulla spalla destra di Arenne con la mia mano
ancora sana, come per congratularmi con lei.
- Va bene. Ho bisogno di uno sforzo da parte di tutti voi. Ognuno di
voi si prenda un computer e studiatevi quello che ne è
uscito. Se trovate qualcosa che c’entra con…
Arceus, styler, Monte Camino, Custodi, Leggendari in generale o legame
fatemelo sapere. Io vado a dormire di là, devo mandare un
messaggio. –
Tre paia di occhi mi guardarono straniti e scocciati.
- Non sto scherzando, tra una decina di minuti dovrei riuscire a
tornare da voi. Oh, già, cominciate a metabolizzare il fatto
che avrete un Darkrai e una Cresselia che gireranno qua dentro. A dopo.
–
Quasi fuggii da quella sala, puntando direttamente al dormitorio.
Dovevo assolutamente dare mie notizie a Karden e Mary.
Fredde catene mi si strinsero attorno, sentivo ogni singolo anello
stringermi il corpo, il fiato mi mancava, il petto non sembrava volersi
sollevare.
Mi ritrovai boccheggiante, immerso nel nulla più assoluto.
Dannazione, avrei dovuto farlo fare a Loren.
Sentivo la testa scoppiare. Probabilmente sarei morto lì.
Ogni volta era peggio. Ogni incubo era peggio. Se non mi avesse ucciso
quel bastardo ci sarebbe riuscito Karden.
Finalmente, dopo un tempo interminabile, mi comparve davanti Darkrai.
MI stupii nel sentirmi sollevato alla vista della sua criniera bianca.
Faticai ad aprire la bocca ed ancor più nel costringermi a
parlare.
- Ho trovato qualcosa. Credo informazioni sulle ricerche, ma non ne
sono sicuro. Se siete sicuri di non esporvi potete tornare alla base.
Siate cauti. Ho finito. –
Le catene finalmente mi lasciarono respirare, mentre i neon che
illuminavano il dormitorio tornavano a infestare il soffitto del locale.
Ero di nuovo madido di sudore. E ancora non mi ero riuscito a fare una
doccia dall’ultima volta.
Che schifo la vita.
Mi rialzai dal materasso duro più stanco di quando mi ero
sdraiato, tornando a dirigermi verso il laboratorio pullulante di
persone.
Mi venne in mente un piccolo particolare.
In quei quattro ragazzi attivi, mancava il primo allenatore che si era
svegliato. Mi sarei dovuto informare sulle sue condizioni, se avesse
avuto una ricaduta o si stesse solo riposando dopo un turno di guardia,
ma non ero nella condizione mentale giusta.
Avevo lasciato quella topaia in mano a Loren e la sua piccola
combriccola di mezzi morti, se la sarebbero sicuramente cavata e, se
fosse successo qualcosa di importante, sicuramente mi avrebbe messo al
corrente.
Rientrai nel laboratorio B quasi trascinando i piedi. Non dovevo avere
una bella cera, visti gli sguardi che si posarono su di me, ma non ci
diedi peso.
- Avremo ospiti tra non molto, se tutto va bene. Intanto, avete trovato
qualcosa? – mi passai una mano sul volto, ritrovandomi il
palmo bagnato.
Che schifo.
- Vieni a vedere questo. Ho cercato di mettere assieme tutti i tuoi
parametri di ricerca cercando di darci un senso logico. – mi
disse Arenne, spostando la sua sedia di lato, in modo da lasciarmi
spazio accanto a lei.
Mi chinai sullo schermo che mi aspettava cercando di concentrare tutte
le mie energie mentali nel tentativo di capire cosa avevo davanti.
La prima scheda che vidi era un insieme di risultati di test.
Ci impiegai un attimo a collegare ogni valore alla rispettiva dicitura,
ma riuscii, alla fine, ad intuire a cosa si riferisse quel documento.
Era riferito al legame tra un Custode e il proprio leggendario.
Encefalogrammi, variazioni di quelle che sembravano aure e,
soprattutto, note a piè di pagina lasciate da chi ci aveva
lavorato.
“Pare che l’influenza dell’aura del
leggendario crei un “alone di rispetto” attorno al
Custode. Ciò si ripercuote sulla paura che provano i
pokémon selvatici nei suoi confronti e nella consecutiva
impossibilità di sviluppare un legame con questi ultimi.
Più un pokémon leggendario è alto
nella gerarchia cosmologica, più
“l’alone di rispetto” è
pressante. Ciò può portare nella fuga dei
pokémon selvatici dal Custode e da una reticenza dei
pokémon degli allenatori nell’avvicinarsi, per
combattere o meno.”
Tutto questo, però, già lo sapevo, avevo bisogno
di ben altro per rispedire Arceus in cielo a calci in culo.
Prossimo documento.
Questo era più facile, o, per lo meno, più
comprendibile.
Era un progetto con tanto dello schema dei componenti di uno Styler.
“La funzione dello Styler si basa sull’influsso dei cerchi generati dalla punta dello strumento attorno al
pokémon. Ogni cerchio genera una carica elettromagnetica
rapportata alla dimensione di ogni anello. È possibile che
una quantità sufficiente di cerchi completi sufficientemente
grandi possa rendere estremamente amichevole un qualunque
pokémon. È una teoria viabile che il legame che
unisce un Ranger a un pokémon reso amichevole sia molto
simile, ma meno potente, di quello che lega un Custode a un
Leggendario.”
Questo era già più interessante. Non mi ero
sbagliato con quel macchinario sul Monte Camino, era davvero una
versione ingrandita di uno styler e, poco ma sicuro, quei cerchi erano
sia tanti che grossi.
Prossima pagina.
Avevo decisamente trovato qualcosa di grosso. Grazie papà.
Una serie di pagine scannerizzate, probabilmente provenienti da un
vecchio testo scovato in chissà quale biblioteca,
comparirono sotto i miei occhi.
“Secondo le traduzioni più autorevoli, Arceus,
padre di tutti i leggendari, risiede nei cieli. Un artefatto risalente
alle antiche civiltà si dice essere in grado di richiamare
questo pokémon sulla Terra. Secondo le suddette traduzioni,
più si è in alto sul livello del mare, meno
bisognerà utilizzare l’artefatto per richiamare il
Leggendario. L’artefatto in questione è il Flauto
Cielo ed è possibile che, suonandolo con sufficiente
intensità, si possa richiamare Arceus a qualunque
altitudine. Il potere però necessario per fare
ciò, però, potrebbe causare diverse anomalie tra
i Leggendari. Questo è verosimile poiché tutti i
Leggendari sono stati generati e sono parte di quell’energia
che pare essere contenuta nel Flauto. Ciò però
è destinato ad essere solamente una teoria,
poiché non verificabile senza provocare probabili
disagi.”
Cazzo. I maremoti, la pioggia, il vulcano, il Monte Corona.
Aspetta, com’è possibile che sia sopravvissuto
alle eruzione del Monte Camino, se era all’interno del suo
cratere?
Merda, potrebbe aver fatto un primo tentativo sul Monte Corona, ecco
perché Jacob era Sinnoh. Il Monte Corona era appena crollato
perché avevano fatto un errore, probabilmente hanno
sbagliato qualcosa nell’evocazione.
Ed ecco anche spiegato quel po’ di bel tempo che ho trovato
nel mio viaggio. Stavano spostando i macchinari sul Monte Camino, tutto
era fermo.
Un ultimo file mi aspettava.
“È probabile che tutti i pokémon
leggendari debbano sottomettersi alle regole di tutti i
pokémon. Ciò comporta la possibilità
di conoscere e utilizzare solamente quattro mosse e non potersi
spingere oltre alla possibilità dei loro PP. Allo stesso
modo pare non siano in grado di utilizzare strumenti costruiti dagli
uomini. Queste sono caratteristiche comuni a tutti i leggendari
studiati da quando questi laboratori sono in funzione ed è
verosimilmente ampliabile a tutti i Leggendari esistenti.”
Forse ho un piano. Forse.
La battaglia più brutta che ho mai portato a termine
l’ho vinta contro un tipo con un solo pokémon
decisamente più potente dei miei, ma… meh. Non mi
era piaciuta quella tattica, specialmente per quello che implicava, per
quanto avesse funzionato, alla fine. Dopotutto Jacob ha provato ad applicarla
con me, anche se non volontariamente, probabilmente.
Ci avrei pensato poi, per il momento dovevo solo aspettare Karden e
Mary. Dovevo allontanarli.
Avevo intenzione di provare a mettere la parola fine a quella
situazione. Ero stanco e volevo solo vedere tutto tornare alla
normalità. Nel caso in cui avessi fallito, però
non volevo che due leggendari potessero perire.
- Avete fatto tutti un ottimo lavoro. – dissi, tornando a
raddrizzare la schiena – Se ve la sentite potete scappare a
Johto, sembra che là la situazione sia accettabile. Io
cercherò di rispedire in cielo Arceus, questo è
il piano. Grazie ancora a tutti. Io ora ho bisogno di dormire.
–
Aggirai di nuovo il bancone, tornando ancora una volta verso il
dormitorio, sperando che Darkrai fosse soddisfatto e non volesse
tornare a farmi visita.
Avevo un dannato bisogno di dormire.
- Sei sempre così stronzo? – chiese una voce alle
mie spalle.
Arenne mi stava guardando con occhi carichi di sfida, mentre Loren e
quello che mi sembrava un allenatore dai capelli castani e dalla barba
che gli cresceva incolta sul viso la guardavano terrorizzata, come se
avesse detto qualcosa di sacrilego.
L’altro ranger, un tipo tozzo dai capelli biondi si era messo
in disparte, non sapendo bene se guardare me, Arenne o il pavimento,
finendo per fare tutte e tre le cose.
Mi voltai, permettendomi una risata stanca.
- Hai ragione. Scusa. Solo… hanno provato a uccidermi, a
seppellirmi vivo e sono settimane che non dormo decentemente. Ma
dopotutto è più o meno quello che è
successo a voi. Scusate. –
Mi sentii incredibilmente sollevato, dette quelle parole. Ma, forse, fu
solo una mia impressione.
Aprii la porta e tornai a dirigermi verso il dormitorio, bramando
quelle lenzuola come se fossero fatte d’oro. |
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Capitolo 35 *** Incetta ***
Un paio di mani mi toccarono il fianco, scuotendomi dal mio torpore.
La mia testa, per la prima volta dopo giorni, non mi pulsava.
Aprii lentamente gli occhi, assaporando il senso di benessere che per
un attimo mi abbracciò. Le palpebre faticarono a lasciarsi
andare per far entrare nelle mie pupille la fredda luce dei neon che mi
sovrastavano.
Quanto tempo avevo dormito?
Ore, probabilmente, ma anche se avessi dormito per giorni non me ne
sarebbe fregato nulla.
Stavo fottutamente bene.
Riuscii finalmente a mettere a fuoco il mondo e i suoi colori.
Il dannato viso di Loren mi occupò il campo, facendomi
trasalire. Provai a divincolarmi dalle sue mani, ma il braccio destro
sembrò non volermi obbedire, tanto lo sentivo appesantito.
Abbassai lo sguardo sul mio arto, con il cuore che tentava di aumentare
i suoi battiti.
Ero lucido, ne ero quasi certo, o, per lo meno, molto più
lucido di quanto non lo fossi stato nei giorni precedenti. Quello non
era un brutto scherzo del mio cervello.
Un ago collegato a una cannula trasparente mi penetrava la pelle. Segui
con gli occhi terrorizzati il tubicino, fino ad imbattermi in un grosso
flacone pieno di quella che poteva sembrare acqua, se solo non fosse
stata così sospettosamente per uso medico.
Cercai di prendere fiato, ma tutto ciò che riuscii a fare fu
un’ispirazione frammentata.
- Loren. – cercai di dire, ma la lingua intorpidita mi fece
incespicare.
Dovevo stare calmo, nessuno dei presenti mi avrebbe mai fatto nulla di
male. Dovevo solo convincermi di questo.
Mi inumidii le labbra, cercando ancora di calmarmi.
- Loren, - ripresi – perché cazzo ho
un’ago nel braccio? –
- Vedi, Nail… è arrivata quella tua amica e ci ha
ordinato di non svegliarti… poi ti ha piantato quel coso
nella pelle e ci ha messi tutti al lavoro su quei computer, non appena
ha scoperto cosa ci hai portato. –
Mary. Mary è arrivata e lei mi ha fatto questo.
Mi sentivo incredibilmente sollevato che fosse opera sua e non di uno
di questi sopravvissuti.
- Va bene. Quanto ho dormito? E avete scoperto qualcosa? Ah, giusto,
quanti sono alla fine i ragazzi in grado di muoversi? –
Il mio cervello stava cominciando ad ingranare la giusta marcia,
cominciando a tempestarmi di ragionamenti e domande a cui non potevo
trovare una risposta da solo.
- Sei rimasto a letto per quattordici ore e, al momento siamo in sette
in grado di gestire questo posto. Due di noi però stanno
dormendo perché hanno finito un’ora fa il loro
turno di guardia. –
- Allora puoi andare. Mi chiameresti Mary? E anche Karden, se
può. –
Loren scappò via con la coda tra le gambe, chiudendosi alle
spalle con un botto la porta del dormitorio.
Lasciai ricadere pesantemente la testa sul cuscino, sospirando.
Quello poteva decisamente essere uno dei tre peggiori risvegli della
mia vita. Per una volta che Darkrai non interrompeva il mio sonno,
doveva mettercisi Loren.
Quattordici ore di sonno.
Se fosse successo qualcosa di grosso mi avrebbero svegliato prima.
Quanto tempo era passato dalla mia fuga dal Monte Camino?
Più di ventiquattr’ore, sicuramente.
Forse una trentina.
Dove sarà andato quello stronzo con Arceus?
Non credo sia rimasto in quel cratere, a cosa starà
puntando, quindi, il bastardo?
L’apertura della porta mi riportò alla
realtà.
Mary entrò zoppicante nel dormitorio, con il suo enorme e
roseo pokémon leggendario al seguito.
Un’ombra nera le sgusciò tra le gambe, balzando
sul letto per atterrarmi in pesantemente in grembo.
Accarezzai la testa del mio Umbreon, sorridendogli.
Avevo di nuovo la mia squadra al completo.
- Come stai? – chiesi, anticipando qualunque cosa potesse
dire la Custode – Che ti sei fatta alla gamba? –
- Nulla. – mi rispose, avvicinandosi al flacone per
controllarne il contenuto – Ho preso una storta. –
- Alla stessa gamba che ti ha ferito quel Toxicroak? –
Un sospetto si insinuò nei miei pensieri.
- Sfortuna. – tagliò corto.
- Per che cosa è questa flebo? – continuai,
mettendomi faticosamente a sedere sul bordo del letto.
- Contiene solamente integratori, non ti preoccupare. Visto il tuo
stato mentale quando ti ho lasciato, volevo essere sicura che fossi
più lucido per il secondo round. Oh, già, avevo
aggiunto un po’ di calmanti per farti riposare meglio.
–
- Grazie. Karden? –
- È di là. Stava leggendo della roba quando quel
tipo è venuto a chiamarci. –
- Che ne pensi di quello che ho trovato? –
- Non capisco come quei documenti possano essere passati inosservati
per tutto questo tempo. Là dentro c’è
praticamente l’essenza di ogni Custode. –
- Sai, - dissi, voltandomi per guardarla negli occhi scuri –
forse ho un piano, ma vi devo tagliare fuori. Non voglio mettere in
pericolo Darkrai e Cresselia, non sono pokémon…
normali. –
- Vuoi veramente buttarci via così? –
- No, voglio proteggervi. Mi avete salvato il culo tutti e due, vi sono
debitore a vita, praticamente, e non ho intenzione di far morire due
leggendari o voi due perché non sono un allenatore bravo a
sufficienza. –
- Cosa vuoi fare? –
- Non te lo posso dire. Fidati però di me. Ho solo bisogno
di prepararmi un paio di cose, prima di partire, poi sarò
pronto per affrontare Arceus. Dimmi, hai mai perso una lotta?
–
- No, perché non ne ho mai fatta una seriamente, non con
Cresselia, per lo meno. –
- Non importa. Posso levarmi quest’affare dal braccio?
–
- Ci penso io. –
Le dita sottili di Mary si appoggiarono sul mio avambraccio,
stringendolo, mentre con l’altra mano sfilava l’ago.
Qualche goccia di sangue uscì dal buco, ma, ben presto, si
interruppe.
- Purtroppo non ho del cotone, ti verrà un livido
lì. –
- Non importa. Mary, riesci a trovarmi dove è finito quello
stronzo? Io faccio un viaggio veloce per la regione e ritorno.
–
- Posso provarci, sempre ammesso che il dio dei pokémon
incasini il mondo con la sua sola presenza. –
- Grazie. Tornerò il più presto possibile e, per
favore, dì a Karden di restare anche lui qui, al sicuro.
–
La Custode lasciò la stanza, lasciandomi da solo con i
ragazzi che ancora non si erano ripresi.
Feci uscire Gardevoir dalla sua sfera, guardandola fissa negli occhi.
Dovevo aver ben presente dove sarei voluto andare, in modo da non
girare a vuoto.
Prima di tutto il cratere, se c’era anche la minima
possibilità che Rocco fosse ancora vivo non volevo perderla.
Poi le principali città.
Verdeazzupoli, sicuramente.
Il centro commerciale di Porto Selcepoli era una tappa obbligata.
E Porto Alghepoli, con un po’ di fortuna qualcosa
là si era salvato.
Dovevo depredare tutto quello che potevo, se volevo avere una
possibilità di vittoria contro quel colosso. Dopotutto
è solo un pokémon.
Solo un fottuto pokémon.
In tutto sarebbero stati cinque viaggi per Gardevoir. Avrei dovuto
farla riposare non appena fossi tornato.
- Forza, torniamo un’ultima volta nel cratere del Monte
Camino. –
La coscienza del mio compagno mi sfiorò la mente un istante
prima che la sua mano prendesse la mia.
Il pavimento, le pareti, il soffitto e le luci che questo
ospitava divennero oleosi, come se una mano pesante li avesse
dipinti su una tela liscia senza badare a definirne i bordi.
Dovevo essere pronto a qualunque cosa potesse aspettarmi su quella cima.
La scura pietra lavica si materializzò
all’improvviso sotto i miei piedi.
Gardevoir mi aveva portato al limite del pianoro ospitato dal cratere.
Non c’era anima viva.
Il macchinario sorgeva imponente in mezzo a quella distesa di roccia,
silenzioso e vuoto.
Una dozzina di sfere erano sparse per terra, assieme a una parte dei
pokémon esanimi che, supponevo, erano di Rocco.
Mi avvicinai al cumulo di rocce in cui mi era parso di intravedere il
corpo dell'allenatore durante la mia prima visita in quel luogo.
Era lì, coperto di polvere e granelli di terra. I capelli
grigi che gli ricadevano pesantemente sul volto graffiato.
Le braccia e le gambe erano innaturalmente piegate attorno i suoi
fianchi e, sparsi per terra, alcune confezioni vuote di
iperpozioni rimanevano immobili.
Merda.
Sarei tornato, mi ripromisi, o, almeno, avrei mandato qualcuno a
prendere il suo corpo, se fossi sopravvissuto.
Mi chinai sulla sua borsa da viaggio, cercando di non far cadere il mio
sguardo sul suo volto smunto.
Presi tutto quello che c’era dentro, qualunque cosa potesse
tornarmi utile divenne mia. Afferrai quindi la mano di Gardevoir,
chiudendo le palpebre.
- Andiamo a Verdeazzupoli. –
Mi costrinsi a diventare un ladro, entrando nel market di Verdeazzupoli
e di Porto Alghepoli, così come nei resti di quello che fu
il centro commerciale di porto Selcepoli. Presi tutto quello che mi
pareva utilizzabile. Revitalizzanti, pozioni, ricariche totali, funi di
fuga. Tutto.
Non lasciai nulla tra quelle pareti lugubri.
Il mio piano stava per iniziare. Avrei pregato Arceus per la mia buona
riuscita, se solo non fosse stato lui il mio avversario.
Comunicazione di servizio:
Manca davvero poco alla conclusione di questa storia.
Un paio di capitoli, tre al massimo.
Non è di questo di cui, però, voglio parlarvi.
Per me questo è un periodo davvero caldo nella vita reale e
la prossima settimana non riuscirò a pubblicare.
Ci rivediamo sabato 17 febbraio.
Vago |
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Capitolo 36 *** Scontro impari ***
Strinsi i legacci del mio zaino, adesso pieno di contenitori.
Non dovevo sbagliare nulla.
Non ero per un cazzo sicuro di quello che stavo per fare. Forse stavo
per fare un passo più lungo della gamba, forse Arceus non
era paragonabile a un qualsiasi pokémon.
Cercai di rilassare i muscoli che mi si erano contratti a quei
pensieri, alzando lo sguardo al cielo denso di nubi scure.
Io sapevo la verità sul casino che stava facendo.
Io avevo scoperto la verità sui leggendari e i loro Custodi.
Ed io ero l’unico abbastanza in forma da poter combattere in
prima linea e abbastanza sacrificabile da potermi permettere di fallire.
Mi sarebbe piaciuto sopravvivere. Avevo ancora la sacchetta di plastica
con le foglie di tè di Flemminia, sul fondo dello zaino, se
fossi sopravvissuto l’avrei usato.
- Forza, Gardevoir. Torniamo a Ciclanova. –
Dovevo curare tutta la mia squadra, per sicurezza.
Ricomparvi nel bel mezzo del campo di allenamento del Laboratorio C.
Riuscivo chiaramente a sentire il brusio proveniente dal laboratorio
contiguo.
Dovevo fare le cose con ordine, altrimenti avrei potuto dimenticare
qualcosa di importante.
Primo passo: curare la squadra. La mia intera strategia si basa su
questo.
Ma, prima ancora, passo zero.
Lanciai le sei sfere che portavo alla cintura, facendo uscire i
pokémon al loro interno.
Gardevoir, Blaziken, Umbreon, Absol, Mightyena e Sharpedo. Swellow era
ancora sfinito nel mio zaino, non potevo chiedergli altro, dopo quello
che gli avevo fatto passare.
Li guardai tutti, uno a uno. Sentivano che c’era qualcosa che
mi turbava, lo riuscivo a leggere nei loro occhi.
- Sentite. – dissi, passandomi il palmo della mano sul volto
–Vi chiedo scusa. Vi chiedo scusa perché vi
chiederò di fare un’enorme sacrificio per me.
Voglio sconfiggere quel vecchio bastardo, voglio rispedire Arceus a
calci in culo in cielo. E voglio farlo come abbiamo battuto
Walter…- non mi sentivo per niente fiero di me per averlo
detto ad alta voce, era un’idea orribile –
Scusatemi… -
Non era giusto che fossi io a decidere di usare quella tattica.
Specialmente perché erano i miei compagni a rimetterci.
La nuca di Umbreon si appoggiò contro la mia gamba,
strofinandosi contro il pantalone sporco.
Non li avrei delusi.
Non li avrei delusi e avrei fatto in modo di dedicare loro del tempo,
se solo fossi uscito vivo da quella situazione.
Li feci rientrare nelle rispettive ball, per poi posarle sul
macchinario che riposava silenzioso accanto al tavolo operatorio su cui
fin troppe volte mi ero dovuto sdraiare.
La luce infrarossa scannerizzò le sfere per quei pochi
secondi di cui aveva bisogno per ripristinare tutti i PP e i PS
mancanti, per poi tornare ad essere un polveroso soprammobile.
Ora devo parlare con gli altri.
Mi spostai nel Laboratorio B, dove ricevetti solo qualche sguardo
distratto da chi stava lavorando a quei computer.
Oramai si erano abituati tutti al mio continuo comparire e scomparire
da quel luogo.
Mary si staccò dal piccolo gruppo con cui stava parlando,
per muoversi verso di me.
- Ti prego, dammi buone notizie. L’avete rintracciato?
– le chiesi, facendo spaziare il mio sguardo sui volti
malconci che guardavano gli schermi alle spalle della Custode.
- Si, almeno, penso che lo abbiamo trovato. C’è
una pesante anomalia in tutti i valori attorno alla Lega
pokémon. Potrebbe trovarsi lì. –
- Perché mai dovrebbe essere andato laggiù?
–
- Da quanto so hanno portato dentro quelle sale tutte le
apparecchiature necessarie per tenere sotto controllo la situazione
della regione. Stiamo parlando di milioni di pokèdollari in
elettronica. Inoltre credo che abbiano spostato là tutti i
server della regione. Quelli per il controllo della rete elettrica,
della rete idrica, le telecomunicazioni, i Box dei PC. Se quei cosi
dovessero andare distrutti sarebbe un disastro per quel poco
che rimane di questa regione, si tornerebbe indietro di almeno
trent’anni, senza contare che andrebbero perse tutte le
ricerche del capoppalestra Walter. –
- Va bene, ho capito. Sarebbe meglio se quella roba rimanesse in pace.
Mary, senti, qualunque cosa succederà, non seguitemi. Io
sono sacrificabile, come la mia squadra, dopotutto, sono solo un
allenatore. Voi vi potrete anche reputare sostituibili, ma non potete
combattere senza i vostri leggendari ed io non voglio permettere a
Darkrai o Cresselia di rimanere feriti. Quindi non seguitemi, per
favore, e se le cose si metteranno male, vi prego di prendere tutti
questi allenatori e ranger e portarli via. –
- Davvero credi che la soluzione sia quella di andare da solo a
schiantarti di faccia contro quel tipo? – mi chiese lei,
talmente dura che, per un attimo, credetti che mi stesse per colpire.
- Si. Ho un piano, ma devo avere il pieno controllo di tutto e potrebbe
non funzionare, visto il mio rivale. –
- Spero che tu possa tornare. –
- Tutto qui? –
- Cos’altro dovrei dirti. Sei riuscito a non crepare per pura
fortuna da quando sto viaggiando con te. Non hai bisogno che
ti auguri “buona fortuna”, visto che ne hai a
sufficienza. –
Non aveva tutti i torti.
- Va bene. Spero di riuscire a tornare. –
Iridiopoli, dunque.
Gardevoir mi fece ricomparire all’uscita della Via Vittoria.
Davanti ai miei occhi si ergeva l’edificio della Lega, del
quale un muro era crollato verso l’interno, investito da una
forza che gli aveva impattato contro.
Era entrato senza far attenzione a non farsi notare.
Mi mossi piano verso la parete crollata, facendo uscire tutti i miei
compagni dalle rispettive sfere, meno che Sharpedo.
Sarebbe stato un carnaio, quella lotta.
Mi sporsi appena dal buco, guardando all’interno della
struttura.
La scia di distruzione si estendeva anche all’interno,
finché il mio sguardo non andò ad impattare
contro le zampe posteriori del dio dei pokémon.
Un’esplosione mi fece sobbalzare, mentre a pochi metri da me
una cascata di scintille si alzava da un armadio di metallo.
Che si fottano i server, sono più importante io di quegli
affari.
Arceus è solo un maledetto pokémon.
Per prima cosa ho il vantaggio dell’effetto sorpresa, devo
portare più danni possibili.
- Blaziken, inferno. Scusami. - Il mio compagno si gettò di
corsa contro il leggendario, incendiando l’aria attorno a
sé.
Arceus parve appena accorgersi di quell’attacco, che
però non lasciò indifferente il vecchio burocrate
baffuto che gli stava davanti che, dopo un attimo di disorientamento,
si ricompose.
- Arceus, usa punizione. –
Punizione, una mossa. Come un pokémon normale.
Blaziken collassò a terra in un lampo di luce argentea.
Punizione, uno. Sembra una mossa potente.
Arceus mi sta puntando. Il vecchio ha visione sul suo fianco sinistro.
- Absol, colpisci la zampa destra di Arceus con geloraggio. –
La pelliccia bianca del mio compagno parve essere stato immerso in
acqua quando lui scattò in avanti.
- Movimento sismico. –
Il mio attaccò andò a segno, ma,
un’istante dopo, il mio secondo pokémon era a
terra.
Stiamo combattendo al chiuso, i movimenti di Arceus sono intralciati
dalla sua stazza.
Punizione uno, Movimento sismico uno.
Ho bisogno di un pokémon veloce.
O meglio, di un pokémon che può aggirare quella
mole.
Gardevoir però mi serve qui.
- Mightyena, passa sotto il ventre di Arceus e colpiscilo sul lato
opposto con fossa. –
Il mio compagno scomparve sotto il pavimento.
Avevo un turno per agire, non dovevo perdere tempo.
- Eri scappato, moccioso, perché sei così tanto
ostinato nel voler morire? –
Fottuto bastardo.
- Gardevoir, portami da Absol. –
Dovevo uscire dal campo visivo di quel vecchio.
Non aspettai di essere arrivato alla mia destinazione per infilare la
mano nella mia sacca, frugando alla cieca in cerca
dell’oggetto che mi serviva.
- Umbreon! Attacca di fronte a te con Pallaombra! – urlai, in
modo da farmi sentire da chiunque.
- Rispondi con Punizione! –
Ho guadagnato un turno e il costringere continuamente Arceus a voltarsi
per attaccare mi concede sempre la possibilità di agire per
primo.
Absol riaprì le palpebre, rinvigorito dalla prima dei due
revitalizzati massimi che avevo recuperato.
Ci fu lo scambio di colpi, dopo il quale Umbreon cadde a terra accanto
a Blaziken.
Punizione due, Movimento sismico uno.
Mightyena apparve dal terreno, colpendo con i suoi artigli le zampe
posteriori del leggendario.
Mi allontanai di un passo, ero in vantaggio.
Mi permisi di sorridere.
Movimento sismico la conoscevo come mossa. 20 PP, tipo lotta.
Punizione non avevo idea di cosa fosse.
Ne mancavano due.
- Mightyena, ombrartigli. Absol, geloraggio! – mi fermai un
attimo, per poi aggiungere a bassa voce – Gardevoir, portami
da Blaziken. –
- Arceus! Extrarapido su uno dei due. –
Absol cadde, ma il colpo di Mightyena andò a segno.
Punizione due, Movimento sismico uno, Extrarapido uno.
Estrassi il secondo revitalizzante che avevo preso dalla borsa.
- Arceus, Extrarapido su quell’allenatore. –
Punizione due, Movimento… aspetta, su di me?
Provai a spostarmi il più velocemente possibile dalla rotta
di quell’attacco, senza riuscirci. Vidi avvicinare il muso
affilato di quel leggendario enorme a velocità folle,
inarrestabile.
Qualcosa si frappose tra me e lui.
Il corpo di Gardevoir venne scaraventato contro una porzione di muro
ancora integro e lì rimase, immobile.
Lanciai l’ultima sfera che mi era rimasta alla cintura ai
piedi del dio dei pokémon.
- Mightyena, ombrartigli. Sharpedo, velenodenti. –
Cercai di avvicinarmi a sufficienza a Blaziken in modo da poter
piazzare il revitalizzante sotto il suo becco e farlo rinvenire.
Punizione due, Movimento sismico uno, Extrarapido due.
Dovevo riuscire a colpire il vecchio, non avevo speranze se mi
concentravo unicamente su Arceus. |
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Capitolo 37 *** Dove ho sbagliato ***
Non avevo più revitalizzanti massimi.
Dovevo essere maledettamente attento. Ma, prima, dovevo tornare a poter
utilizzare il teletrasporto di Gardevoir.
Chi può combattere della mia squadra?
Mightyena, Sharpedo e Blaziken.
Non va per niente bene.
Quanto lontana è caduta Gardevoir?
Troppo, non ci posso arrivare senza espormi troppo.
Devo prendere tempo.
- Mightyena, fossa! Sharpedo, velenodenti! Blaziken, calciami
da Gardevoir. Non aver paura di farmi male. –
Dovevo sperare in un avvelenamento. Quello mi avrebbe messo in
vantaggio di molto sul mio avversario. Forse potevo prendere qualche
turno se solo…
Il fiato uscì tutto d’un colpo dai miei polmoni
quando la tibia del mio starter impattò sul mio fianco,
scaraventandomi dalla parte opposta della stanza, a pochi centimetri
dal mio Gardevoir.
Pessima idea.
Orribile.
Non lo rifarò mai più.
Mi trascinai avanti, con il braccio sinistro stretto nel gesso che
pulsava sordamente. Avevo trovato decine di revitalizzanti normali
utilizzabili, mi sarei solo dovuto far bastare mezza vita dei miei
compagni rianimati.
Piazzai il cristallo giallo sotto il naso di Gardevoir, voltando appena
lo sguardo per cercare di capire cosa stesse avvenendo sul campo di
battaglia.
- Arceus Punizione su quel Blaziken. –
Dannazione, speravo di poter contare su di lui per un po’ di
più.
La luce radiosa del dio dei pokémon scomparve per mostrare
il mio starter nuovamente esausto a terra.
Sharpedo è ancora vivo.
Ho ancora almeno un turno per sperare nell’avvelenamento.
Mightyena attaccherà al prossimo turno e sarà
bersagliabile.
Da chi vado ora? Chi mi serve in grado di combattere?
In ogni caso, Punizione tre, movimento sismico uno, extrarapido uno.
Forse ho fatto male i miei conti.
Avessi conosciuto il suo pool di mosse avrei chiesto in prestito un
pokèmon o due di tipo spettro. Non avrei avuto problemi a
fronteggiare le mosse lotta e normali.
- Sharpedo, velenodenti! Gardevoir, portami da Absol. –
Il mio unico obiettivo è quello di prendere tempo.
Frugai velocemente nella borsa, ora decisamente più leggera
di quando ero arrivato.
Avevo abbastanza revitalizzanti per continuare ancora un po’
con quel ritmo.
La pelliccia candida del mio compagno svenuto si
materializzò accanto a me. Lui mi avrebbe fatto guadagnare
un turno.
Mightyena ricomparve dal pavimento, affondando per pochi centimetri i
suoi artigli nel ventre di quell’essere maestoso.
Quanti dannati PS ha quel maledetto?
Non importa, prima o poi creperà anche lui.
Ricorda, Nail.
Punizione tre, movimento sismico uno, extrarapido uno.
- Arceus, punizione su Sharpedo! Ora! – urlò in
vecchio dalla parte opposta della stanza.
Bene, una parte della mia tattica sta funzionando.
Il non riuscire a vincere uno scontro in cui si è in netta
superiorità è stressante e lo stress porta a
deconcentrarsi.
Non so se lui stia tenendo il conto come lo sto facendo io. Non
importa, in realtà, visto che non conosco le specifiche di
Punizione, ma è pur sempre un vantaggio in potenza sapere
tutto.
Punizione quattro, movimento sismico uno, extrarapido uno.
È possibile che Arceus non abbia quattro mosse? Che ne
conosca solo tre?
- Gardevoir, andiamo da Blaziken. Portiamoci dietro Absol. Mightyena,
fossa! –
Ora noi tre siamo gli unici obiettivi copibili.
- Dannazione! Arceus Punizione su quell’allenatore.
–
Ti prego, non mi uccidere.
- Absol, protezione! –
Rimasi in silenzio per diversi secondi, aspettando.
Ero vivo. Ero ancora vivo.
Cazzo, se ero ancora vivo.
- Arceus extrarapido sull’allenatore! –
Cosa?
Protezione non può funzionare se usata due volte di fila.
Cazzo.
- Absol, scusami, proteggimi! sbigoattacco. –
Il mio compagno cadde nuovamente a terra.
Cazzo, non l’avevo previsto.
Punizione cinque, movimento sismico uno, extrarapido due.
Mi chinai su Blaziken in tutta fretta strofinando sul suo becco il
cristallo contenente il revitalizzante.
Mightyena sbucò nuovamente, colpendo.
- Extrarapido su Mightyena! –
No! Non posso fare in tempo, così.
Dove ho sbagliato? Quando ho perso il ritmo?
Il mio starter si rialzò in piedi a fatica. Era esausto, non
sarebbe riuscito a tenere quel ritmo ancora per molto.
Quanti PS gli avrò tolto?
Pochi.
Troppo pochi.
L’intera stanza si fece oscura quando il pokémon
bianco avanzò verso di me, stagliandosi con tutta la sua
altezza sulla mia squadra ridotta allo stremo.
Blaziken fece qualche passo avanti, come per frapporsi tra me e quel
dio degli dei.
Le gambe mi cedettero. Potevo scappare con Gardevoir, ma avrei dovuto
lasciare sul campo di battaglia quattro membri della mia squadra.
Con i Box fuori uso non sarei nemmeno riuscito a ritirare le mie
riserve.
Sarei stato costretto a scappare, impossibilitato a combattere. Senza
contare che ho dovuto dare fondo ad ogni mia risorsa per portarlo a
questo punto, non ci riuscirò mai una seconda volta.
Caddi in ginocchio.
Ero fottuto.
Avevo buttato alle ortiche ogni cosa che avevo fatto fino a quel
momento.
E, cazzo, avevo una paura fottuta.
Il pavimento parve volermi inghiottire per diventare la mia tomba.
- Sei stato un topo fastidioso. Non pensavo potessi rivelarti un
sassolino così ostico da togliersi dalla scarpa. Deve essere
l’unica capacità che hai ereditato da tuo padre,
vista la tua incapacità nelle lotte. –
Lurido bastardo.
- Perché lo fai? –
- Per il potere, per quale altro motivo potrei farlo?
Resetterò tutto, tutte le regioni, tutte le loro credenze e
i loro miti, per poi riplasmare la storia su di me, il primo e unico
Custode di Arceus. Arceus, Punizione. –
Chiusi gli occhi, con le lacrime che mi rigavano le guance.
Il cuore pareva volermi esplodere nel petto.
Non accadde nulla. Non morii in nessun modo, come non venne mandato KO
nessuno dei miei compagni ancora coscienti.
Punizione cinque.
Punizione cinque!
Fanculo, aveva solo cinque PP quella mossa di merda.
- Movimento sismico! –
Ora sono morto per davvero.
Aprii gli occhi, non sarei morto come un minchione qualunque, non dopo
quello che ho dovuto passare.
Vidi Arceus venire divorato dal pavimento, come se le sue possenti
zampe fossero state posate su una zona di sabbie mobili.
Arceus ruggì al soffitto che lo separava dal cielo, prima di
venir ghermito da tentacoli scuri che si innalzarono dal suolo.
Una criniera bianca comparve nella penombra, a poco a poco seguita dal
resto del corpo di Darkrai. Accanto a lui, Karden guardava la scena con
una serietà nelle iridi scure che non gli avevo mai visto
utilizzare.
- Nail, sei un coglione. – disse soltanto, senza staccare gli
occhi dall’uomo dai folti baffi bianchi che gli stava di
fronte.
Un tappo metallico cadde a terra. Quello che teneva sigillata una
sveglia.
Arceus si riebbe dal Vuototetro che gli era stato utilizzato contro,
tornando a reggersi saldamente in piedi sulle quattro zampe.
- Karden, porca troia, scappa! Proteggi Darkrai, maledizione!
–
Ad Arceus rimanevano solo due mosse. Movimento sismico e Extrarapido,
nessuna delle due efficace sul tipo spettro.
Forse abbiamo vinto, non può ferire quel leggendario.
- Geoforza. Radi al suolo questo posto. –
Merda. Mossa di tipo terra ad area.
Karden è fottuto, io non posso più fare nulla.
Il pavimento eruttò lava zampillante su Darkrai, che non
provò nemmeno ad evitare la mossa. La lava lo
colpì in pieno, facendo scintillare qualcosa attorno alla
sua sagoma tetra.
Cos’era?
Una protezione?
Forse una salvaguardia.
Darkrai non credo possa imparare una mossa di tipo psico del genere.
Il signore delle tenebre assorbì interamente il colpo,
rimanendo a fluttuare nello stesso posto in cui era comparso,
totalmente indisturbato dai danni che aveva ricevuto.
Non capisco, perché non scappano?
- Come abbiamo deciso. – continuò Karden.
Una melassa densa esplose da Darkrai, non puntando al gigante bianco ma
all’uomo che gli stava accanto.
Un neropulsar…
Dalla parte opposta della stanza un fascio di luce perlacea si
abbatté sul pavimento martoriato dal mio combattimento,
facendo saltare in aria le mattonelle che lo componevano.
Forzalunare? Quello era un forzalunare?
Davvero sono stati così tanto cretini da portare qui due
leggendari?
Karden aspettò che i primi cocci ricadessero a terra per
partire di scatto verso il vecchio, caduto a terra per colpa
dell’esplosione appena subita. |
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Capitolo 38 *** Ho fatto un casino ***
Non è possibile.
Non è possibile.
Perché sono venuti qui? Perché hanno portato i
leggendari?
Merda.
Sono venuto qui da solo apposta, non volevo che Darkrai e Cresselia
potessero rimanere feriti o uccisi da quel mostro bianco.
Merda.
Devo fare qualcosa. Devo assolutamente fare qualcosa.
Quali dei miei pokémon possono ancora combattere?
Gardevoir e Blaziken.
Nessun altro è ancora in grado di combattere.
Cazzo.
Mi salirono le lacrime agli occhi.
Ero fottuto, ero completamente fottuto.
Darkrai non sarebbe riuscito ad assorbire un altro Geoforza.
Cosa potevo fare con solo due pokémon, nemmeno nella loro
piena salute?
Basta, li avevo sfruttati fin troppo.
Sono esausti , non possono reggere ancora per molto questo massacro.
Neppure tutti i revitalizzanti di questo mondo potranno risvegliarli,
se muoiono per una mossa di troppo.
Fanculo, mi sono nascosto dietro i miei compagni per fin troppo tempo.
Non credo che Karden pensi davvero di poter battere Arceus. Credo stia
puntando a quel vecchio bastardo.
Non può fare un cazzo, però, se Arceus si
continua a mettere in mezzo.
Devo fare qualcosa.
Fanculo al mio braccio rotto, devo fare qualcosa.
Mi alzai a fatica, ero provato, me ne riuscivo perfettamente a rendere
conto anche da solo. Non mi sarei però lasciato fermare
dalle mie condizioni fisiche.
Le gambe mi tremavano, ma potevo comunque contare su di loro.
Un braccio e due gambe ancora in grado di essermi utili.
La mole di Arceus si stagliava davanti a me, coprendo quasi
completamente alla mia vista la sagoma dell’uomo che lo
controllava.
Non stava prestando attenzione a me, quel colosso di merda.
Ce l’avrei fatta a sopravvivere, dovevo solo passare tra
quelle sue gambe senza farmi pestare.
Mi preparai alla corsa che stavo per fare.
Veloce, sicuro, bastava un colpo solo ben assestato per distrarre quel
vecchio o, per lo meno, attirare su di me la sua attenzione.
Il gesso. Il fottuto gesso che mi teneva il bloccato il braccio
sinistro sarebbe stato perfetto.
Dovevo colpirlo con quello.
Mi avrebbe fatto un male bastardo il contraccolpo, ma quello sarebbe
stato un problema che avrei affrontato dopo, se fossi rimasto in vita a
lungo a sufficienza per preoccupamene.
Fanculo alla vita. Tutta. Se non fossi stato assegnato a una palestra
non mi avrebbero mai fatto partecipare alla riunione plenaria, non
sarei mai stato iniziato a questa missione, non avrei conosciuto quel
bastardo di Jacob e questa stramaledetta storia dei custodi. Porca
troia, non sarei qui a farmi ammazzare di botte.
Porco Arceus.
Sospirai, stavo perdendo secondi preziosi. Karden si stava avvicinando
velocemente a quel bastardo e rischiava di prendersi in faccia una
mossa di Arceus.
Partii di corsa.
O, almeno, ci provai.
Quello che ottenni fu una caduta di faccia sul pavimento.
Qualcosa mi aveva trattenuto per la giacca lercia.
Mi cercai di rialzare velocemente, girando appena la testa per vedere
cosa mi avesse trattenuto dal salvare il culo a Karden.
Probabilmente era stato Blaziken, quel maledetto ha sempre provato ad
allontanarmi dalla prima linea.
Lo avrei strigliato per bene, poi.
Finii di ruotare il capo, pronto a mandare a cagare il mio compagno.
Loren.
Porco Arceus.
Loren.
Che cazzo ci fa qui, lui?
Il ranger mi stava trattenendo per il colletto. Aveva uno sguardo duro,
non credo di averlo mai visto così, per quanta poca
attenzione potessi avergli prestato.
- Loren, che cazzo fai? Non vedi che Karden sta per prendersi in faccia
una mossa di quel colosso. –
Il ragazzo non mi rispose, anzi, mi diede uno strattone per
allontanarmi ulteriormente da quella montagna bianca.
- Dai, ti prego. Lasciami andare a dare una mano. –
- Stai zitto. – mi rispose lui.
Porca troia, mi ha detto di stare zitto questo stronzo.
- Ti sto restituendo il favore di avermi salvato. – riprese
– Quante mosse gli ha fatto utilizzare? –
- Tu… cosa? – riuscii solo a borbottare.
Non riuscivo a capire cosa dovessi rispondergli.
- Tutti gli allenatori tengono conto di quante mosse hanno usato gli
altri. Almeno tutti quelli di un buon livello. –
- Oh. Ah… Ha usato cinque punizioni. Tutte quelle che aveva.
Poi movimenti sismici, due extrarapidi e un geoforza. –
- Sei sicuro? –
- Si, cazzo. Si, che sono sicuro. Sono venuto qui con la speranza di
fargli finire tutti i PP e vincere per sfinimento –
Lo sguardo di Loren si alzò nuovamente sull’azione
che si stava svolgendo davanti a noi.
Karden era ormai arrivato quasi a toccare il vecchio.
- Cosa state provando a fare? – provai a chiedere.
Non mi arrivò nessuna risposta.
Merda.
Che cazzo sta succedendo?
Provai a rialzarmi, ma ero talmente indebolito che quella presa era
sufficiente a tenermi chino.
- Arceus! Geoforza, ora! –
Karden era fottuto.
Fottuto con la F maiuscola.
Un muscoloso pokémon dalla pelle grigia si parò
sul pavimento che si stava gonfiando, mettendosi in posizione di difesa.
Cosa? Un Machamp?
È di Loren? Cioè, Loren lo ha preso
grazie al suo Styler?
E quella cos’è? Una resistenza?
Il pavimento esplose con un fragore assordante e la lava che sotto di
esso ribolliva si levò verso il soffitto, impattando sul
torso di Machamp.
Il pokémon dalle quattro braccio vacillò, ma
restò stoicamente in piedi, proteggendo l’uomo
alle sue spalle e il leggendario che gli stava appresso.
Sentii solo un tonfo sordo, la cui fonte era coperta dalla
mole di Arceus.
Da dove era uscito quel Machamp?
Cercai di far spaziare il mio sguardo su tutta la stanza, in cerca di
una porta o un foro nella parete che gli avesse permesso di arrivare
fin là.
Qualcosa di giallo per un attimo mi folgorò il cervello e
solo dopo un paio di secondi i miei occhi riuscirono a mettere a fuoco
la sua sagoma.
Un Alakazam.
Un Machamp e un Alakazam.
Alle spalle del pokémon psico la figura esile di Arenne
stringeva tra le sue dita una megaball consumata.
In quanti cazzo sono venuti fin qui?
Una luce abbagliante riempì la sala, Arceus risplendeva come
un sole bianco.
Le sue zampe anteriori si sollevarono da terra, scalciando, seguite da
quelle posteriori. Pareva stesse scalando una ripida parete montana che
lo avrebbe condotto verso il soffitto.
Soffitto che non lo fermò, ma, anzi, si lasciò
trapassare senza riportare nessun danno.
Finalmente riuscii a vedere la sala invasa dalle salme dei server
distrutti nella sua interezza.
I miei pokémon giacevano riversi a terra, scomposti,
immobili. Appena oltre loro scorsi dapprima le sagome incombenti dei
due leggendari, poi i rispettivi guardiani.
Mary stringeva il vecchio dai baffi bianchi con un gomito
all’altezza della giugulare, Karden lo sovrastava,
guardandolo dall’alto in basso.
L’allenatrice bionda si avvicinò piano, riponendo
nel suo portasfere quella che ancora teneva tra le dita.
Cos’era successo?
Cosa cazzo era successo?
- Che cazzo… - provai a dire, ma rinunciai notando che Loren
non mi stava prestando attenzione.
- State bene? – chiese Arenne raggiungendo i due Custodi.
- Si, per fortuna la mole di Machamp è stata sufficiente a
tenermi al sicuro. – le rispose Karden – Ottimo
lavoro. –
Mary lasciò la presa, permettendo al corpo del vecchio di
accasciarsi mollemente a terra.
L’aveva ucciso?
Non l’avrei potuto escludere, visto quello che era stata in
grado di fare.
Karden e Mary si voltarono verso di me, avvicinandosi a passo svelto.
- Nail, sei un coglione. – mi ripeté il Custode di
Darkrai – Sei un fottuto coglione. Era così
difficile pensare a un lavoro di squadra, invece che gettarsi a
capofitto in un’azione suicida? Guarda, è tutto
finito e non grazie a te. –
- Io… io volevo solo… - provai a dire, sentendo
le parole pesanti in bocca.
- Non volevi fare un cazzo se non morire. – riprese
l’uomo dagli abiti sporchi – Porca troia, non fossi
andato e tornato sempre di corsa, se solo ti fossi fermato un attimo a
parlare con noi ti saresti evitato tutto questo casino. Hai quasi fatto
ammazzare la tua squadra per niente. Tu, Rocco, perché avete
tutti quanti la mania di farvi uccidere uno alla volta? –
- Cosa avete fatto? – riuscii ad articolare, mentre una
stretta al petto mi bloccava il respiro.
Una piccola scatola metallica cadde ai miei piedi.
- Questo – mi rispose Mary – è tutto
quello che controllava Arceus. Se solo avessi ascoltato quello che
avevano da dire i Ranger, sapresti che ci vuole un dispositivo per
legare un uomo a un pokémon. Una volta che questo viene
rotto si perde tutto quello con cui si è stretto il legame.
Bastava questo per fermarlo. –
Cosa cazzo potevo dire, ancora?
Avevo fatto un casino ed ora, con quei quattro che mi guardavano
dall’alto in basso, mi sentivo ancora più in colpa.
Avrei voluto piangere, ma mi costrinsi a non mostrarmi ancora
più pietoso di come già non ero.
Avrei voluto ringraziarli, ma il mio cervello non riusciva a mettere
insieme una frase compiuta.
- Grazie… - riuscii a biascicare.
Avevo fatto un fottuto casino, andando lì da solo.
- Andiamocene, ora. – disse Karden voltando le spalle verso
il leggendario a cui era legato – Ora che
l’emergenza è finita non ho più
intenzione di rimanere in quel buco subacqueo. –
- Questo è un addio? – provai a chiedere,
alzandomi piano.
- Non vedo cos’altro potrebbe essere. Ho fatto quello che tuo
padre mi aveva chiesto, ho salvato il mondo e, ora, non ho intenzione
di mettere ancora a repentaglio la mia vita. Quindi si, è un
addio. –
Quelle parole mi fecero ancor più male. Il tono era duro,
freddo.
Non avevo mai pensato al nostro rapporto che un’amicizia,
eravamo solo costretti a viaggiare insieme, però…
speravo che, una volta che fosse finito tutto, potessimo quantomeno
rimanere in contatto.
- Tu cosa farai, Mary? – voltai il volto verso la Custode,
che già si stava allontanando.
- Non lo so. Quello per cui ho studiato, credo. –
- Credi che ti rivedrò mai? –
Perché una domanda del genere? Potevo prevedere
perfettamente la risposta.
- Non credo. –
Loren ed Arenne si allontanarono in silenzio, lasciandomi da solo con i
due pokémon della mia squadra che ancora erano coscienti.
Feci rientrare tutti i miei compagni a terra nelle rispettive sfere,
per poi fare lo stesso con Blaziken.
Avevo sbagliato tutto.
Mi ero focalizzato troppo su quello che avrei dovuto fare da perdere di
vista tutto il resto.
Presi la mano di Gardevoir, l’unico essere vivente rimasto in
quella stanza a farmi compagnia.
Non avrei dovuto commettere mai più un errore del genere.
Avevo appena perso due persone che, in fondo, mi erano diventate care
per colpa delle mie azioni avventate.
Il mondo perse solidità intorno a me, mentre le prime
lacrime che erano riuscite a sfuggire al mio volere mi rigarono le
guance sporche di polvere.
Non ci volle molto perché la popolazione si rendesse conto
che la situazione ad Hoenn si era stabilizzata.
La verità, o, almeno, parte di essa, venne a galla e il
comitato della lega decise di dare un riconoscimento alle squadre che
avevano collaborato al fine di far cessare l’allarme.
I nomi di Karden e Mary non vennero mai fuori, così come il
coinvolgimento di Arceus, che fu sostituito con un macchinario in grado
di controllare il tempo atmosferico.
Il funerale di Rocco fu un evento seguito da tutte le principali
emittenti, vi presero parte le più alte cariche della
regione, i pochi parenti che gli erano rimasti e qualche fortunato. Io
riuscii a guadagnarmi un angolo in disparte, dal quale osservare la sua
bara venir calata nel terreno del cimitero.
Le settimane successive servirono solo a far quietare le acque agitate
della popolazione, che in poco tempo parve aver dimenticato
completamente l’accaduto.
A me non restava molto da fare.
Non riuscivo a togliermi di dosso il senso di inadeguatezza che mi
perseguitava da quando Mary e Karden avevano ammazzato quel vecchio.
Volevo rintracciarli per ringraziarli adeguatamente e scusarmi con loro.
Ma avevano avuto ragione su tutto.
Prima dovevo migliorare me stesso.
Avevo fatto quel disastro e dovevo assicurarmi che una cosa del genere
non si potesse ripetere.
Solo allora li avrei cercati.
Strinsi la lettera che tenevo tra le mani.
Quello era solo il primo passo.
- Rudi, devo dirti una cosa. – cominciai a dire, cercando poi
un aiuto per continuare tra le pareti della palestra che mi aveva
ospitato per così tanto tempo. Presi poi un respiro profondo
– Questa è la mia lettera di dimissioni.
–
Gli porsi la busta con lo sguardo basso, avevo una paura fottuta di
quello che mi avrebbe potuto dire quell’uomo.
- Perché questa decisione? – mi chiese lui,
prendendola dalle mie dita.
- Ho… capito che mi manca qualcosa che non posso ottenere
lottando qua dentro. Ho bisogno di una pausa. –
- Va bene. Buona fortuna, allora, e, per quando ti sentirai pronto,
sentiti libero di tornare. –
Sorrisi a quelle parole.
Era fatta.
Ora dovevo solo partire.
Jacob avrà voluto anche uccidermi, ma su una cosa aveva
ragione.
Io pensavo unicamente ai pokémon associandoli alle lotte. Di
conseguenza mi rapportavo alle altre persone solamente come un
allenatore.
Volevo migliorarmi. Volevo imparare.
Bussai alla porta che mi stava di fronte. Questa si aprì,
piano, dopo qualche minuto.
- Si? – chiese la voce di un’anziana
dall’interno dell’abitazione.
- Ciao, sono Nail… Volevo chiedervi se sareste disposti a
farmi lavorare per voi, per un po’ almeno. Vorrei…
imparare qualcosa sulle pensioni… -
Il volto segnato dagli anni di Catherine si piegò in un
sorriso. – Sai, Andy e Chris sono tornati a casa, dopo tutto
quello che è successo. Potrebbe servirci il tuo aiuto.
–
- Spero che anche suo marito sia d’accordo… -
- Oh! Quel brontolone di Vincent se lo farà andar bene, se
glielo dico io. Forza, vieni dentro che prenderai un malanno a stare al
freddo. Vuoi un tè? –
- In realtà ne ho portato un po’ da
Brunifoglia… le piante non si sono ancora completamente
riprese, ma non è male. –
- Nonna! – rimbombò una voce stridula tra le
pareti della casa, ancora leggermente macchiate dal fango che le aveva
invase. A stento riuscivo a riconoscere la stalla improvvisata in cui
mi ero dovuto scontrare con la volontà ferrea di un Chansey
– Nonna! Andiamo a giocare con… -
La vocetta si interruppe quando la sua proprietaria comparve da dietro
un angolo.
- Ciao Tania…. – non avevo idea di come
comportarmi con quella bambina. L’ultima volta mi ero
limitato a controllare che il mio Blaziken non le facesse del male,
giocando con lei.
- Ciao! Sei tornato! – la bambina mi corse incontro
abbracciandomi il busto.
Dovevo farmi andare a genio le persone e quello sarebbe stato un ottimo
punto di partenza.
Karden, Mary, prima o poi mi sentirò alla vostra altezza e
verrò a cercarvi per scusarmi con voi.
PRIMO E ULTIMO
ANGOLO DELLO SCRITTORE
Sono rimasto zitto per molto tempo, durante la pubblicazione di questa
storia. Non avevo molto da dire o da condividere con voi.
Bene, ora che il viaggio è finito mi permetto qualche parola.
L'inizio, innanzi tutto.
Non avevo previsto questa storia perchè diventasse
così lunga, ma, soprattutto, non ho mai previsto come
sarebbe continuata. Ogni capitolo è sempre stato pensato al
presente. SEMPRE.
All'inizio non avevo previsto i Custodi, non avevo previsto il
tradimento di Jacob, il personaggio di Tania, quello di Loren o di
Arenne. Mary ha rischiato di essere l'apostrofo rosa di questa storia.
Il sentiero che ho imboccato da bendato, invece, mi ha portato in
un'altra direzione.
Facciamo un balzo avanti, nel "durante la pubblicazione". Questa storia
ha molti difetti, il primo sono io. Io che ho del risentimento
ingiustificato verso le fanfiction, io le pongo sotto alle originali.
Questo non sarebbe stato un problema, se non avesse inficiato nella
produzione dei capitoli.
Ci sono capitoli che potremmo definire meh. Per la forma, per i
contenuti, per lo stile. Voglio correggerli e rivederli, ma sono
costretto a farlo in futuro per non sbagliare di nuovo.
Ora il presente.
Non avevo idea di come sarebbe finita questa storia fino ad ora. Lo
giuro. Mi sono lasciato trasportare dalle mie dita e sono arrivato qui,
a un finale che ha ben poco del caldo e accogliante "vissero tutti
felici e contenti".
Mi piace, però, nel suo essere agrodolce. Non credo, anzi,
non ci sarà un continuo di questa storia, a meno che non mi
arriveranno minacce di morte nella casella di posta. Mi piace come Nail
sia maturato nel tempo, pur cambiando poco, e questo cambiare poco gli
ha fatto fare gli errori che lo hanno portato a questo finale triste.
Lui non è un eroe, non è un Custode, è
solo il protagonista di cui abbiamo ascoltato i pensieri.
Signori e signore. Io vi ringrazio per essere arrivati fin qui,
è stato un viaggio lungo, ma, a me, ha dato molte
soddisfazioni.
Io vi ringrazio, tutti, per avermi dato modo di condividere questa mia
passione che è la scrittura, per essere state le mie cavie
nell'ambiente della fanfiction in ci non mi ero mai addentrato. Grazie,
per le visualizzazioni, le recensioni, l'inserimento nei preferiti, nei
seguiti e nelle ricordate.
GRAZIE.
Vorrei potervi nominare tutti, ma così non è.
Alcuni di voi, però, posso ringraziarli direttamente. aphs91,
DragoRosso, EragonForever, Love_Music_29, Touko Tenshi, Alextheboss, Bankotsu90,
Bisca88, Hebale, hola1994, KyokoDemonietta, La ragazza
imperfetta, MiaUndersea, whitesky, ZeroBaco, _Alys e grazie a
tutti voi che non ho potuto nominare.
Io vi saluto, chiudo il sipario e lascio il palco.
La corsa contro la fine si è arrestata.
Vago
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