L'ultimo desiderio nascosto

di Stella94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sposa del drago ***
Capitolo 2: *** Il primo giorno ***
Capitolo 3: *** Quando arriva la notte ***
Capitolo 4: *** Il veleno freddo del serpente ***



Capitolo 1
*** Sposa del drago ***


                                                          


                                     
                                  L'ultimo desiderio nascosto 





                                                      


                                                    

                                                    Sposa del drago

 
 
 





Sansa Stark si guardava allo specchio riconoscendo nel proprio riflesso un’immagine completamente diversa.
Era un’abitudine che ripeteva spesso. Al mattino, prima di pranzo, nelle ore più lucenti del pomeriggio, dopo cena quando si spazzolava i capelli.
Non era cambiato nulla. Anche quel giorno l’aveva fatto parecchie volte, quando gli invitati al banchetto nuziale le concedevano qualche minuto per rinfrescarsi il viso, gonfiare il petto con grandi respiri nella solitudine in cui il suono ridondante degli archi e dei flauti era solo un sottofondo appena udibile e addirittura più piacevole.
Eppure adesso Sansa poteva scorgere delle nuove sfumature nei suoi occhi molto più lucenti, sulle guance un rossore che non aveva nulla a che fare con il vino, un colorito delicato che metteva in risalto la sua carnagione chiara come quella delle neve sulle terre desolate del nord.
Il cuore le batteva forte, un suono che aveva creduto che non sarebbe più stata in grado di sentire, e non era per nulla una sensazione fastidiosa, tutt’altro. Le piaceva percepire la vita fiorire dentro di lei, le piaceva quel suo nuovo aspetto e le piaceva il modo in cui tutto si muoveva, sorprendendola ad ogni battito di ciglia.
Posò la spazzola sulla toletta accanto al camino acceso. Da quando era arrivato l’inverno le notti erano un frastuono di vento, un sibilo incessante e continuo come quello di una madre addolorata dalla morte del figlio.
Sansa non aveva mai conosciuto l’inverno. Era nata in estate, e quando aveva compiuto tredici anni un lungo viaggio lontano da casa le aveva fatto scoprire le meraviglie, se pur non rimpiante, di un luogo sempre soleggiato, dal clima mite e dalle giornate lunghe.
Sembrava come se quella vita non le fosse neppure appartenuta. Solo poche ore prima era semplicemente Sansa Stark ora invece quel riflesso nello specchio le parlava di una donna diversa, e lei l’ascoltava.
Sansa Stark –Targaryen. Si sarebbe dovuta abituare a quel nome.
Per un’intera vita aveva ardentemente desiderato il titolo di regina, una corona di oro e rubini sulla sua testa dai capelli rossi come un timido tramonto. Eppure adesso che tutti si inginocchiavano al suo cammino, che abbassavano la testa aspettando i suoi ordini che di sicuro non avrebbero contraddetto, Sansa non si sentiva affatto più potente, né più bella, né più felice.
Era solo un’altra Sansa, ma ancora rotta. Jon sembrava non rendersene conto. Lui era stato attento, premuroso, non si era mai sbilanciato senza conoscere prima il suo punto di vista.
Dopo l’incontro con Daenerys Targaryen e la scoperta delle sue vere origini, gli uomini del nord si erano dimostrati ostili al nuovo re, altrettanto contrari ad avere una regina sul trono di Grande Inverno, e per nulla felici di servire una sudista che governava delle bestie demoniache capaci di ardere le loro vite così fragili, così preziose.
Visto alle strette, Ser Davos era stato il primo a proporre il matrimonio tra lei e l’ormai suo cugino Jon Targaryen, che Daenerys aveva legittimato come figlio di Rhaegar Targaryen e suo erede di diritto.
La madre dei draghi era stata d’accordo. Con una simile unione, non solo si sarebbe assicurata anche il controllo sulle terre del nord, ma Jon avrebbe potuto conservare il suo titolo di re, insieme al rispetto dei suoi alfieri. E Sansa?
Il suo futuro appariva come un grande buco nero, pieno di domande e dubbi che risuonavano simili ad echi nella sua testa.
Chi sarebbe stata Sansa Stark senza Jon? La moglie di un altro re, la moglie di nessuno, una vedeva, una donna, una sorella del silenzio, una signora, forse un dipinto dimenticato, una fanciulla vittima di soprusi.
Quando Jon le aveva proposto di diventare sua moglie, sottolineando con non poca premura, i vantaggi politici che avrebbe portato una simile unione all’imminente scontro contro il re della notte, Sansa aveva semplicemente annuito, pregandolo di lasciarla sola a fissare il vuoto per quelle che le erano sembrate infinite ore.
In quel lazzo di tempo, privo di rumori e di qualsiasi rilevante ricordo, Sansa si era messa ad immaginare il suo destino, quasi come una fattucchiera da villaggio. E non ci aveva visto nulla, ma solo gli spettri di un passato che ancora la tormentava.
Così, quella stessa notte, aveva bussato alla porta di suo fratello per due volte. E quando il ragazzo le aveva permesso di entrare nella sua stanza, lei gli aveva fatto solo un segno di assenso con la testa, poi gli aveva voltato le spalle, consapevole che non sarebbe stata capace di trattenere le lacrime ancora per molto.
Dal canto suo neppure Jon le era sembrato  troppo entusiasta di quell’unione e ancora  meno dell’idea di dover rinunciare per sempre alla possibilità di diventare uno Stark, con la legittimazione da parte della regina Daenerys che lo avrebbe reso agli occhi del mondo un Targaryen, l’ultimo figlio in vita di Rhaegar ed erede al Trono di Spade.
Era stato necessario per potersi recare insieme all’albero del cuore, non più come fratello e sorella, ma come un uomo ed una donna che giuravano di proteggersi, amarsi, rispettarsi e tenersi per il resto dei loro giorni.
Andò così.
Oh, Jon quella mattina era stato radioso, un dono, meravigliosamente elegante in un farsetto color diamante, con intrigati ricami neri e rossi, l’unica cosa che aveva concesso alla regina Targaryen di indossare, affinché le ricordasse il nome della sua casata. Appena l’aveva visto, Sansa per un attimo si era perduta, e in quel cortile bianco, sotto una cupola di nuvole grigie, aveva schiuso le labbra sentendo il battito del proprio cuore pompare contro la gola.
Com’era stato possibile?
Si guardò alle spalle osservando il suo abito da sposa abbandonato contro l’armadio semi aperto. Il tessuto di un blu pregiato riluceva di stelle sotto il bagliore delle candele. Anche quello era stata un’idea della regina, come il banchetto, i giullari, le pietanze e i giochi di luce e fuoco gentilmente offerti dai suoi draghi. Sansa era stata già sposata due volte, eppure non si era mai sentita tanto spaesata.
Per tutto il giorno, pensò, Jon non le aveva mai sorriso, e con il calare delle tenebre era diventato addirittura più taciturno, schivo, a tratti intrattabile ed irritato.
Con il tempo aveva imparato che tutte le persone si muovevano come in uno schema, e che era facile prevedere le loro mosse se eri abbastanza astuta da studiarne i movimenti.
Cersei aveva uno scherma, come lo aveva Joffrey, il mastino, Petyr Baelish, e persino il suo defunto marito Ramsay.
Era stata brava con loro, aveva capito subito, ed era sopravvissuta anticipando solo i loro passi, fiutandone le intenzioni.
Ma lo scherma di Jon era oscuro, freddo, offuscato da una nebbia fitta nella quale era impossibile scorgere qualsiasi figura. Non lo conosceva affatto, per quanto un tempo addirittura si consideravano fratelli, e nei suoi occhi c’erano sempre cose diverse e reazioni contrastanti.
La spaventava.
Quando sentì bussare alla porta scattò sullo sgabello e si aggiustò la vestaglia.
─Avanti.
Jon Targaryen si fece largo nella stanza con un’espressione esausta, avvilita ed esasperata. Ma il sorriso che rivolse a Sansa sapeva di comprensione e affetto.
Rimasero soli a guardarsi dopo quelle che le erano sembrate intere settimane. Jon indossava ancora il suo abito da sposo, i capelli più spettinati tirati all’indietro con un nastro. Aveva tolto la cappa e i guanti, la luce del fuoco acceso delineava la sua figura di oro e di rosso.
Ha la stessa bellissima fierezza di un drago. Pensò, e solo a vederlo Sansa si sentiva andare a fuoco.
─Lord Peake ha dichiarato di non avere ancora lo stomaco vuoto dopo ventisette portate e sta ancora mangiato, Lord Stokeworth ha appena cominciato a russare sul seno di sua moglie. Lord Cockshaw è troppo ubriaco per reggersi in piedi così adesso ha ripreso a cantare la vergine del castello bianco e Lady Missy ha tentato nuovamente di darmi un bacio sulla bocca. Sono esausto.
Si gettò sul letto con le braccia aperte, e il sospiro avvilito che lo senti fare fece venire a Sansa la voglia di ridere.
Sarebbe stato bello se fosse stato sempre così. Loro due, senza un passato, con le pagine bianche di un libro da scrivere insieme.  Forse anche Jon avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte, e quell’espressione di stanchezza che gli vedeva dipinta sul viso, poteva anche essere sconforto o avvilimento.
Sto pensando solo a me stessa. Ma non sto pensando a lui.
Sansa si sforzò di tenere quel sorriso aperto sulle labbra ancora per un po’, ma lo sentiva tirato, artificioso e forzato. Le faceva male troppo il cuore e la tensione le stringeva un nodo in gola.
─Non si può dire che non si stiano divertendo – intrecciò le mani sul grembo guardandolo da sopra la spalla ─A tale proposito, volevo ringraziarti per aver evitato la cerimonia della messa a letto.
Al sol pensiero di doversi sentire mani di perfetti sconosciuti sul suo corpo che le strappavano i vestiti di dosso per infilarla nel letto di suo marito, nuda come il giorno in cui era venuta al mondo, le toglieva il respiro facendole tremare le mani.
Non era stata lei a insistere con suo fratello- con suo marito- di lasciarla andare nelle loro stanze, in totale libertà e solitudine nel momento in cui avrebbe ritenuto più opportuno abbandonare il banchetto di nozze. Ma Jon era riuscito ad entrare nella desolazione dei suoi silenti, attraverso quel velo di rossore che le colorava le guance quando, indelicatamente, qualcuno faceva riferimento alla loro intimità.
Farò quello che dev’essere fatto. Aveva detto.  Ma a modo mio.
Jon girò il viso verso di lei mettendosi seduto sul letto.
─Non devi ringraziarmi. Ho fatto solo quello che ritenevo giusto, per te.
Abbassò la testa sulle sue dita, era diventato difficile guardarlo negli occhi dal momento in cui aveva accettato di sposarlo. Il silenzio che scese tra di loro sembrò un abisso di parole che non avevano il coraggio di pronunciare.
Il vento che ululava dietro le finestre, lo scoppiettio del fuoco che accendeva la stanza di rosso e di giallo, il suo respiro lento, che si sforzava di mantenere regolare, il bagliore tenue delle candele che danzava sulle parenti facendo muovere le ombre.
Sansa l’aveva già vissuto quel momento, quando era solo una bambina e poi solo una bambina sciocca. Aveva passato metà della sua vita ad immaginarlo. L’emozione, e la voglia, la curiosità e il desiderio, baci caldi, mani forti.
Parole dolci, sussurri profondi. Ma non era stato così neppure una volta.
Sguardi lascivi, morsi e schiaffi. Dolore e grida, orrore e paura.
Che cosa dovrei fare? Che cosa vorrebbe che io facessi?
─Al banchetto oggi mi sei sembrato triste.
Glielo chiese perché Sansa non era brava quanto lui a penetrare nei suoi silenzi sempre troppo spessi, e doveva capire quello che si sarebbe dovuta aspettare. Sarebbe stato più semplice se fosse stata preparata prima. Una preghiera silenziosa, un sospiro, e poi si sarebbe rimessa in piedi, davanti a lui, senza opporre resistenza.
─Non ero triste ─ Jon si passò una mano sul viso alzandosi dal letto ─Ero preoccupato. Daenerys ci teneva affinché tutti fossero a conoscenza della nostra unione, e delle mie vere origini. La verità è che non sono molto in vena di festeggiamenti.
─E di matrimoni.
Concluse per lui Sansa, sorprendendosi di averlo colpito tanto da farlo stare fermo, ad osservarla da sopra la spalla mentre si sbottonava il farsetto. Se ne liberò gettandolo lontano in malo modo. Vecchie abitudini dei guardiani della notte, troppo tempo trascorso nell’esclusiva compagnia di soli uomini.
Quando cominciò a slacciarsi i lacci della tunica la ragazza cominciò a sentire un calore spargersi sotto le guancie, e distolse lo sguardo, sicura che restare a guardare non sarebbe stato corretto.
─Avrei voluto che le cose fossero andate in modo diverso.
Magari senza dover essere costretto a sposare la sorella a cui voleva bene di meno, o una donna rotta, usata, deturpata, fragile e incostante.
Quando Sansa aveva conosciuto Daenerys, bella e micidiale, in groppa ad uno dei suoi draghi, aveva pensato che al mondo non esistessero donne più belle di lei, e aveva provato invidia, vergognandosene, del modo in cui gli uomini le si rivolgevano abbassando sempre prima il capo, e quella luce nei loro occhi che si accedeva ogni qual volta lei gli faceva dono di un sorriso, di un’occhiata più insistente.
Era il genere di donna che avrebbe dovuto meritare Jon Targaryen, re del Nord, nato dai lombi del principe Rhaegar e dall’indomito coraggio di Lyanna Stark, incantevole in un modo selvaggio, accattivante.
─Capisco.
Balbettò conficcandosi le unghie delle dita dei palmi. Avrebbe potuto spazzolarsi per tutta la notte, e per altre notti ancora. Ogni volta che Jon l’avrebbe guardata si sarebbe reso conto di essere costretto ad espiare una condanna senza fine.
Sognavo l’amore, una corona, un cavaliere, un castello. Ho una corona, un cavaliere, un castello, ma non avrò mai l’amore e le canzoni dolci. Non sarò mai abbastanza per essere amata.
Quando alzò lo sguardo trovò suo marito nudo per metà, con i piedi scalzi e i riccioli scuri che gli ricadevano sulla fronte. Deglutì.
Jon appariva proprio come avrebbe dovuto essere un figlio di un drago. Sansa aveva sempre sospettato che chi nascesse dal fuoco avrebbe dovuto brillare in ogni circostanza, anche al buio, tra le tenebre, l’oscurità, la nebbia e la pioggia. Suo marito era un sole.
Il bagliore delle candele rifletteva sul suo corpo. Non la assorbiva, la intensificava. Linee morbide, sinuose e perfette, delineavano il suo petto che, se pur cosparso da numerose e terribili cicatrici, rimaneva egualmente bello, virile e proibito.
Sansa non aveva mai avuto l’occasione di ammirare uomini tanto affascinanti.
Joffrey le era apparso un fanciullo dalle graziose fattezze da bambina, ma la mostruosità che celava nella sua anima deteriorata, aveva trasformato i suoi tratti gentili in forme viscide, grottesche, raccapriccianti. Tyrion Lannister si era dimostrato cortese e attento, paziente nel donarle il tempo di cui aveva bisogno. Ma la deformità del suo aspetto non era mai stato il segreto di nessuno, e così Ramsay Bolton, dalla pelle pallida e occhi grigi severissimi, si era preso tutto di lei, senza neppure preoccuparsi di chiedere.
Ma Jon era forte, alto, dalla pelle di alabastro e gli occhi profondi e gentili. Il suo corpo era tracciato da muscoli duri e ben visibili e solo a guardare le sue braccia  si sentiva già protetta.
Se solo fossi stata diversa.
Lo vide armeggiare con i lacci del suo pantalone, e uno scoppio di sgomento la fece arretrare sullo sgabello su cui era seduta, il legno che sfregò contro il pavimento producendo un rumore stridulo.
Dei sta per prendermi. Sa che non può tirarsi indietro. Sta per succedere ancora. Quanto male farà questa volta?
Jon si fermò all’istante. Attirato dal fragore generato dal brusco movimento di Sansa, si girò nella sua direzione, le labbra leggermente schiuse.
La ragazza sapeva bene cosa ci fosse dipinto sul suo viso, anche senza doversi guardare in uno specchio. Paura, tensione, ombre nei suoi occhi che si muovevano mostrandole vecchi fantasmi che ancora le tormentavano il sonno.
Doveva avere le iridi lucide e grandi, le pupille dilatate, la mascella tesa dallo sforzo di tenere le labbra chiuse e il mento fermo.
Si aggrappò alla toletta, rendendosi conto di quanto fosse instabile la sua presa a causa di un tremito improvviso e incontrollato.
Si diete della stupida, cercò di liberarsi di quel nodo in gola deglutendo. Jon restò a fissarla per quello che apparve come un tempo infinito, senza muoversi, respirando appena. Poi abbassò il suo sguardo verso le mani, ancora ferme a mezz’aria nel tentativo di liberarsi dei pantaloni. E capì.
Per Sansa fu come se all’improvviso si fosse trovata alle pendici di una collina, che a poco a poco, masso dopo masso, le stava cadendo addosso.
Era stata brava a costruire un riparo sopra di se. Per tanto tempo l’aveva tessuto, con false rassicurazioni, sorrisi tirati, certezze troppo sottili e fragili. Era stato abbastanza solido da nasconderla e fare in modo che nessuno si accorgesse di quei demoni che le si aggiravano intorno. Ma era bastato un filo di luce, uno sguardo più profondo, ed ecco che si era aperto uno squarcio, rendendola piccola, vulnerabile e nuda.
Si morse la lingua con i denti e sentì dolore. Se fosse stata determina nel fissare un punto fermo davanti a se, allora sarebbe stata anche capace di trattenere le lacrime.
Finalmente lo sentì sospirare, non ne poteva più di quel silenzio carico di vergogna e sensi di colpa. Si meravigliò quando lo vide dirigersi verso di lei, e nel momento in cui le si inginocchiò di fronte non fu più in grado di fissare nulla se non Jon, un dono ancora di sconosciuta natura fermo al cospetto della sua fragilità.
─Hai paura di me?
Sansa strinse i pugni sulle sue gambe. ─Non posso avere paura di te. Sei mio marito.
Rispose, ritenendo giusto rivolgersi a lui nel modo in cui una signora avrebbe fatto nei confronti di suo marito. Del re.
─Già ─C’era una sorta di pacifica rassegnazione del tono del ragazzo ─Ma essere uniti con la benedizione degli Dei non ha impedito al tuo precedente consorte di farti del male, non è così?
Un brivido le percorse la schiena. Se le mura di Grande Inverno avessero potuto raccontare le cose a cui aveva assistito, sarebbero state storie atroci, ricche di urla e implorazioni, richieste d’aiuto perse nel vuoto. La verità è che non c’era bisogno che qualcuno le portasse a galla, quei ricordi erano tutti lì, pesanti tanto quanto maestosi macigni, vividi come una presenza costante che non poteva ignorare.
─Loro si aspettano che…
─So che si aspettano. ─La interruppe Jon appoggiando una mano sul suo ginocchio, sopra il tessuto fine della tunica. Bastò quel lieve contatto ad innescare in lei un brivido che la percorse lungo tutto la spina dorsale ─Ma questo non vuol dire che dobbiamo farlo adesso.
Cercò di penetrare a fondo nei suoi occhi, cercò di leggere qualcosa di più in suo marito oltre la sua incurante cortesia, che non aveva mai sperimentato prima.
Tu cosa vuoi, Jon?
Immaginò una vita diversa, una dimora diversa, una moglie diversa. Soprattutto una moglie diversa.
Chi voleva rendere la compagna della sua vita una donna mutilata, sfregiata, rovinata? La propria sorella?
Lui era lì, in ginocchio, ai suoi piedi, pronto a negarsi tutto per darle ogni cosa.
Famiglia, dovere, onore.
La sua mano era incredibilmente calda contro la pelle.
─Un matrimonio non consumato non è un matrimonio valido ─ constatò torturandosi le dita, quasi a ribadire un concetto di cui Jon non poteva essere a conoscenza ─E la regina Daenerys vuole assicurarsi un erede per la sua discendenza.
─Non mi importa di ciò che vuole la regina Daenerys ─Dei! Il tono della sua voce ─L’accordo è stato rispettato. Ti ho presa come mia moglie, davanti agli Dei e agli uomini. Ma questo riguarda solo noi.
─Sai che non è così.
─Vuoi fare l’amore con me?
Amore. Non aveva mai pensato al sesso come un atto d’amore.
Quando era stata abbastanza grande da capire realmente come gli uomini generassero i bambini, Septa Mordane aveva sempre definito quel particolare aspetto della procreazione come un atto osceno ma necessario. Una donna devota ai Dei non provava piacere nel concedersi al proprio uomo, né cercava le sue attenzioni e non si lasciava sopraffare dal desiderio.
Così Sansa, con il tempo, aveva imparato che, quando sarebbe stato il momento giusto, lei avrebbe dovuto pregare, lasciarsi guidare dal proprio uomo, essere paziente abbastanza da soddisfarlo e accogliere la sua compagnia ogni qual volta lui ne avesse avuto bisogno.
Ma nessuno l’aveva chiamato amore, né lei l’aveva mai provato.
Le venne da pensare che forse Jon l’aveva conosciuto quell’amore e si sentì un po’ a disagio, infastidita, perché dopotutto adesso lui era suo, e non riusciva ad immaginare che potesse essere appartenuto  ad un’altra.
Si portò una mano al petto quasi a voler fermare il battito del suo cuore turbolento. Se Jon l’avesse sentito sarebbe entrato troppo infondo. E lei non capiva cosa ci fosse e non era pronta a scoprirlo.
Tu cosa vuoi Jon?
Rimase in silenzio troppo a lungo, a tormentarsi le labbra con i denti. Il tono con cui le aveva posto quella domanda le faceva pensare che lui sarebbe stato disposto a concedersi se lei avesse risposto di si.
Famiglia, dovere, onore.
Ma a quel punto non sarebbe stato amore. Non lo sarebbe stato per entrambi.
─Sono spaventata dall’idea di perdere il tuo ricordo. ─ Ammise, sentendo gli occhi gonfiarsi di lacrime ─Perché quello che siamo adesso mi piace. Ma se ci spingiamo più in là, l’immagine che ho di te potrebbe cambiare, le speranze che ho su di noi potrebbero cambiare.
Oh, Dei, datemi la forza!
Osservarlo le dava un profondo senso di sicurezza. Il suo viso rivolto verso di lei, i capelli che lo incorniciavano di nero e di oro. Le labbra piene, mezze schiuse per respirare, le pupille grandi, dense, e profonde, nelle quali ci si vedeva riflessa, pensando che non sarebbe stata mai quella che avrebbe voluto.
C’erano come mille volti intorno a lei, presenze che la mettevano in allerta ricordandole di continuo un passato da cui non poteva sfuggire.
Jon strinse la presa sul suo ginocchio assottigliando le labbra in una smorfia avvilita.
─Credi che io ti farei del male? Che sarei violento?
─Non so cosa ci sia oltre al male e alla violenza.
Vide come un lampo nei suoi occhi, qualcosa che aveva a che fare con una scintilla di rabbia, tra l’aura di un senso di colpa fitto e oscuro. Sansa sapeva che si stava colpevolizzando per essere stato troppo lontano da non sentire le sue grida d’aiuto quando le aveva implorate contro il cielo.
Ma poi quell'ombra si diramò e scoppiò una stella nel suo sguardo. Era lucente e viva, grande, immacolata. Sansa ne era attratta tanto da rimanere a fissarla, a chiedersi se fosse stato davvero giusto ritenerla una cosa solo sua.
Jon strinse la presa sul suo ginocchio. Il tessuto della sottoveste si increspò sotto quella pressione alzandosi di poco.
─Sansa, tu mi conosci come tuo fratello ─ Convenne accarezzandole la pelle da sopra la tunica bianca ─Quello un po’ imbronciato, sempre taciturno e schivo. Il corvo, il Lord Comandante dei Guardiani della Notte. Colui che ha ucciso per te. Il re. Ma posso essere molto di più, il marito che tu meriti. So già leggere nei tuoi occhi. Quando arriverà il momento, quando entrambi saremo pronti, io sarò l’uomo che speri che sia. So che non lo vuoi. So che non vuoi me, ma renderò il ricordo che hai di noi ancora più prezioso. Lo giuro.
Le sorrise e Sansa gli fu grata. Lo credeva. Una parte di lei sapeva cosa si sarebbe aspettata.
Sentì un frammento di quella tensione sciogliersi, e quasi il cuore più leggero. Quella stella non aveva smesso di brillare, e Sansa era certa che l’avrebbe trovata lì tutte le volte in cui tenebre e ombre avrebbero minacciato di soffocarla.
Forse quel dolore adesso mi è stato ripagato. Forse soffrire è stato necessario.
Lo vide alzarsi muovendo alcuni passi. E fu strana la sensazione che la pervase. Come un assurdo, incredibile desiderio di corrergli dietro, un'improvvisa mancanza,  uno squarcio vuoto nel petto.
Chiamò il suo nome e Jon si voltò.
A quel punto anche Sansa si era rimessa in piedi, con i capelli di fuoco che le ricadevano lunghi dietro le spalle, la veste bianca sottile che non celava abbastanza bene le curve armoniose del seno rotondo.
Allungò le braccia e si gettò contro il suo petto. L’impatto fu tanto violento e inaspettato che Jon perse l’equilibrio per qualche secondo. Ma quanto riacquistò tutta la fermezza, la stretta che ricambiò fu solida e inscindibile.
La pelle di suo marito contro la bocca era calda, emanava un dolce sentore di buono e abiti puliti.
Le piaceva la sensazione di averlo intorno a se, contro di se. Jon era sempre stato una fortezza di segreti, ma ora che l’aveva fatta entrare sapeva quanto valeva caro quel mondo inesplorato.
Non era  mai stata stretta così da un uomo, da un uomo come Jon, tutti muscoli duri e sodi, pelle di fuoco e di sole. Ispirò forte, gonfiando i polmoni di lui, persino il ritmo del suo cuore contro il timpano era un suono talmente dolce da tentarla a restare così  per tutta la notte, ferma ad ascoltarlo andare lento, e poi ripartire in corsa.
Alzò lo sguardo trovando nei suoi occhi comprensivi il coraggio di stringere più forte.
─Grazie.
Mormorò, e quando un angolo della bocca si allungò in un sorriso appena accennato, giurò a stessa che sarebbe stata coraggiosa abbastanza, e forte, e determinata.
È mio marito. È una parte di me. È la spalla su cui piangerò, e il cuscino dei miei sogni. È il mio amico, e mio confidente. È mio complice, e mio comprensivo maestro. Ha tutto ciò che sono, e quella che sono destinata ad essere. È mio, in un voto inscindibile e perfetto. È tutto quello che mi è rimasto, e la cosa di cui dovrò prendermi più cura.
Sembrava tutto così semplice eppure faceva paura. Si rese conto che l’idea di allontanarsi la turbava, ma Jon le strinse una mano rincuorandola con le sue dita calde e forti.
─Mettiamoci a dormire.
Le propose conducendola verso il letto. Le lenzuola calde l’avvolsero come un abbraccio profumato e confortevole, entrambi distesi su un fianco a fissarsi per quelli che le sembravano secondi lunghi un’eternità.
Poi sopraggiunsero i sogni, e forse immaginò soltanto si sentirsi stretta, accoccolata contro pelle di pioggia e di bosco.
Un respiro sopra la guancia, una parola, quella carezza gentile come il tocco di una piuma.
Un bacio sulla fronte.
 
 
CONTINUA…

 
Ed eccomi qui!! Vi sono mancata? A dire il vero, questo capitolo mi ha dato parecchi grattacapi. Ho rischiato più volte di perderlo (colpa del mio pc) ed è stato più complicato del previsto. L’idea di questa long nasce dal desiderio di unire parecchie idee e storie che avevo in sospeso. Così ho deciso di ripartire dall’inizio, e di proporvi questa nuova storia che spero vi piaccia.
Cosa posso dirvi? Spero che come inizio vi sia piaciuto, fatemi sapere se vale la pena continuarla o meno!
Vi mando un grosso bacione! Siete il mio carburante!

 
 

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Capitolo 2
*** Il primo giorno ***


                                                                                                               


                                                                        Il primo giorno
 

 
 





Si era svegliato prima di lei quella mattina, e gli era piaciuto il modo in cui si era sentito.
C’era ancora il cielo grigio, basso, denso che prometteva altra neve, gelo e tempesta. Eppure Jon provava una sorta di strana eccitazione nello stomaco, come se quello fosse stato il giorno, una data che stava aspettando da tempo, qualcosa che avrebbe cambiato tutto.
Si distese su un fianco e trovò lei. Rannicchiata, sotto le coperte, aveva una ciocca di capelli rossi scomposta sul viso, un braccio piegato verso il petto come a farsi coraggio.
Jon si chiese che colore avessero i suoi sogni. Era stata la prima volta che avevano condiviso lo stesso letto. Non aveva avuto idea di cosa si sarebbe aspettato, ma era da molto che non si trovava in un’intimità simile con una donna, e aveva fatto fatica a prendere sonno.
Quella non era sua sorella, per quanto si costringesse ancora a definirla a tale, e quel corpo morbido premuto contro la sua schiena pareva ricordargli insistentemente chi era, cos’era diventato.
Alla fine si era arreso.
Nel bel mezzo della notte gli era apparso che Sansa sussurrasse il suo nome, la mano di sua moglie lo aveva cercato al buio, quasi annaspando. E quando aveva sentito delle dita, fredde e delicate sfiorargli il petto era stato li a pregare, sperando di poter essere abbastanza, di riuscire a vedere sempre, oltre il buio e l’incertezza, e di essere capace di tenerla, nel modo in cui Sansa Stark avrebbe meritato.
Sansa sembrava ancora una bambina, che aveva bisogno di stringersi qualcosa al petto durante il sonno. Ma il temperamento che Jon era riuscito a scorgere nei suoi occhi, quel fuoco, la determinazione con cui aveva percorso il parco degli dei, come a voler sfidare il mondo a rimanere senza fiato, aveva innescato in lui un’emozione a cui ancora non riusciva a dare un nome.
Scoprì che rimanere a fissarla, mentre era inconsapevole della sua quasi ossessiva attenzione, gli piaceva ed era bello far crollare qualsiasi barriera difensiva che aveva eretto tra lui e le persone che gli stavano intorno.
Se continuava a tenere gli occhi chiusi, Sansa non si sarebbe mai accorta del modo in cui Jon la stava studiando, ammirando con interesse la piega morbida delle labbra, il loro colore di un rosa pallido e perfetto, la linea degli zigomi, e quella armoniosa del naso.
Cercò di ricordare a com’era da bambina, ma in realtà Jon aveva sempre visto Sansa come una stella, lontana e irraggiungibile. Non gli era stato mai concesso fissarla, andare nella sua stessa direzione, offrirle il suo aiuto, o addirittura pensare di toccarla.
Sansa si era sempre dimostrata scostante, incomprensibile. L’aveva sentiva cantare spesso, versi infantili, favole di principesse e cavalieri. Aveva cercato di capire cosa ci trovasse di tanto gratificante nel ricamo, e nello stare ore a pettinarsi i capelli davanti allo specchio. E l’aveva trovata esasperante quando in continuazione stava minuti interi ad aggiustarsi i suoi vestiti sulle gambe, ad accertarsi che il fiocco che teneva stretto tra le ciocche rosse fosse sempre perfetto, tirato bene in alto.
E fu in quel momento che, con un pizzico di eccitante sgomento, si accorse che voleva toccarla, perché semplicemente ora poteva farlo. Voleva toccarla, spinto dall’irrefrenabile idea di renderla sua e dal pensiero che lo era davvero come mai avrebbe osato immaginare.
Cominciò con il spostarle la ciocca di capelli che aveva adagiata sul viso. Gliela mise dietro l’orecchio e così riuscì a vederla meglio. Sansa dormiva ancora, inconsapevole della sua audacia e della sua follia.
Si immaginò un mondo in cui non esistesse oltre a quell’insolito momento. Lui disteso su un fianco, ad osservare quel piccolo frammento di gioia, troppo puro e fragile per le sue mani assassine, e capì che gli bastava. Non si era mai sentito tanto in pace con se stesso.
Sansa gli gonfiava il cuore, e ad un tratto, mentre le stava accanto, gli pareva quasi di volare. C’era una sorta di certezza nei suoi occhi quando lo fissavano, e Jon ogni volta sapeva che avrebbe trovato comprensione.
Poteva sentire qualcosa muoversi dentro di lui. Non l’aveva mai provato, ed era più intenso di quello che si aspettasse.
Era un’emozione, un grido soffocato, ed ogni cosa era infinitamente troppo piccola e voleva poterla rendere grande abbastanza da soddisfare ogni suo bisogno. Jon provava il desiderio di sentirla contro, e la curiosità di sapere come avrebbe reagito. Le mani gli formicolavano e non volevano stare ferme.
Era sua, no? Poteva prenderla, assicurandole che sarebbe andato tutto bene. Sarebbe stato semplice e legittimo. Pretendeva solo di toccarla, e sapere se la sua pelle fosse fatta effettivamente di seta come aveva sempre immaginato. O quanto morbide sarebbero state le sue labbra al tocco.
Cosa mi sta succedendo?
La notte scorsa si era dimostrato risoluto e deciso. Sansa gli si era offerta, tutta famiglia e dovere, ma era stato abbastanza forte da proteggerla e altrettanto giusto da capire che non poteva essere il modo migliore.
Si era tormentato per giorni pensando a cosa suo padre, l’uomo che lo aveva cresciuto, avrebbe pensato.
E quando finalmente si ripeteva che nei suoi occhi severi c’era sempre stato l’ordine appena sussurrato di proteggere le sue sorelle, Jon vedeva passare Sansa davanti ai suoi occhi, bella come una mattina di pallida primavera, gentile e sempre accorta, mentre quasi fluttuava nei suoi abiti di seta e di merletti, facendola assomigliare al bagliore di un sogno.
Mia moglie, la donna della mia vita, come posso, padre, proteggerla da me stesso, se devo renderla parte di me stesso? E cos’è questa spinta che sento? Sembra quasi incitarmi a tenerla sempre più vicina.
Perdonami, padre. Ho sbagliato tutto.
Non avrebbe mai dovuto accettare quel matrimonio. Si sentiva uno sciocco, quasi un burattino.
Robb sarebbe stato disgustato. Provò ad immaginare la sua faccia se lo avesse visto adesso, lui mezzo nudo nel letto dei suoi genitori; Una mano protesa verso Sansa, gli occhi fissi sulla ragazza quasi a divorarla.
Si morse la lingua con i denti, e il dolore gli servì a farlo finalmente ritornare nel mondo.
Con un ringhio avvilito, si mise seduto sul materasso dando a Sansa la schiena. Stanco, provato e confuso, cercò di rimanere lucido passandosi una mano tra i capelli folti.
Il sesso tirava nell’intimo, non era facile imporre al proprio corpo di annichilire certe pulsioni. Poteva provare a combatterle, ma il sangue fluiva troppo veloce a volte, incendiandolo di un fuoco nuovo.
Non so più chi sono.
Gli sembrava addirittura di non riuscire a ricordare per quale motivo avesse accettato un accordo simile. Strinse le labbra in una smorfia frustata, proprio nel momento in cui avvertì un tocco leggero e freddo sul fianco.
Era Sansa.
Con gli occhi per metà aperti lo fissava, come ancora avvolta dalla nebbia di un lungo sogno. Le sue iridi di un blu intenso, parevano piccoli solchi di cielo in un viso pallido, sereno. Con le punte di due dita, continuava a toccarlo piano, delineando i contorni di una vecchia cicatrice; un brivido che lo percorse lungo la schiena ricordandogli ancora quella parte di se stesso che non sarebbe mai stato  abbastanza caparbio da controllare.
─Questa me la ricordo quando te la sei fatta. ─la sentì mormorare con la voce ancora impastata dal sonno. Jon segui con gli occhi la traiettoria del suo sguardo. Vide se stesso, la pelle bianca leggermente frastagliata dove un tempo si era aperta una grossa ferita, la mano di Sansa, leggera e raffinata pareva il tocco di una piuma caduta dal cielo. ─Eravamo bambini, stavamo giocando nel bosco, fuori dalle mura di Grande Inverno. Mi hai afferrato all’ultimo minuto, prima che Arya mi colpisse con una pietra. Siamo scivolati lungo un burrone pietroso. Ma tu mi hai fatto scudo con il tuo corpo affinché non mi facessi male. Quando però ci siamo rimessi in piedi sanguinavi.
─E’ così che va fatto ─ convenne quasi mormorando ─I fratelli maggiori si prendono cura delle sorelle.
Allora Sansa alzò lo sguardo su di lui. Era la prima volta quella mattina che lo fissava.
Il colore dei suoi occhi si era scurito, sembrava come se dentro si stesse agitando una tempesta. C’era una silenziosa accusa in quell’occhiata. Non era severa, non era comprensiva. Le dita sulla sua pelle strinsero e Jon si sentì troppo esposto, troppo stupido, troppo ingenuo.
─Non siamo mai stati fratelli ─ il suo tono non era greve, Sansa continuava a sussurrare come se qualcuno la spingesse a parlare nel sonno. ─Ci hai mai pensato? Mia madre non ti permetteva neppure di mangiare con noi e io mi sono fatta influenzare dal suo giudizio. Hai sempre cercato di mostrarmi il lato migliore di te, ricevendo in cambio il lato peggiore di me.
Jon si girò, rimettendosi supino sul letto. Subito il profumo di sua moglie lo invase e quasi con sgomento si rese conto che gli era mancato.
Con gli occhi rivolti al soffitto, sospirò, già stanco ancora prima di essersi del tutto svegliato. Sarebbe stato bello non dover uscire da quella stanza. Sotto le lenzuola, Jon non era un re, non era un cavaliere, un principe promesso e neppure un traditore. Era solo Jon ed era incredibilmente leggero. Ecco si, pareva fatto quasi di nuvole e nebbia.
─Non voglio pensare al passato, Sansa ─e gli mancava anche il suo tocco sulla pelle ─Non voglio pensare a quello che è successo e che avremmo potuto cambiare.
La sentì muoversi sotto le coperte, poteva quasi vederla con la coda dell’occhio distesa su un fianco a reggersi la testa con una mano. Sentì il suo sguardo su di se.  Jon lo voleva, e restare fisso a studiare il soffitto gli serviva a pensare prima di dire qualcosa di stupido e incompleto.
─Non ho alcuna intenzione di rimpiangere il passato, Jon. Quello che sono stata, mi ha aiutato ad apprezzare la persona che sei adesso. Se ti avessi avuto da sempre, ora non sarei spaventata dall’idea di perderti.
Sembrava seria mentre parlava, un cipiglio ad aggrottare la sua fronte pallida. L’oceano dei suoi occhi ora era meno profondo, più limpido e trasparente. Jon percepì come una fitta, in mezzo al cuore, prepotente quasi come un fulmine. Lo strinse in una morsa che non faceva male, ma era prepotente, dotata di una forza a cui non sapeva opporsi. Si allungò per darle un bacio sulla fronte. La sua pelle al mattino era calda, e profumava di lenzuola pulite.
─Tu non mi perdi. ─Le assicurò sorridendo appena ─ Ci terremo a vicenda.
E dovette alzarsi dal letto, prima che fosse stato abbastanza sconsiderato da dare peso alla voce che gli ordinava di stringerla più forte.
 
 
Mappe, pergamene, calamai, piume impiastrate di inchiostro, piani di guerra scarabocchiati in linee imprecise, erano sparsi sul tavolo di quercia nella stanza grande che un tempo apparteneva a Ned Stark.
Lui la chiamava il “Pensatoio”, ed era lì che spesso si rinchiudeva per giorni interi, aspettando di compiere la scelta giusta.
Jon non era altrettanto bravo a trovare la soluzione migliore, ma si stava sforzando di vedere qualcosa di più oltre i segni, gli scritti, immagini di terre abbozzate da grandi maestri.
Si rendeva conto che stava da ore con le braccia aperte, con la testa china sul tavolo provando ad ipotizzare mosse, immedesimandosi in corpi freddi, dalle menti ferocemente rigide, i loro occhi azzurri come dominati da spettri. Schioccò la lingua sul palato e si passò la mano sul mento reso ispido dalla barba scura.
Occorrevano più uomini.
─Sei l’ultima persona che credevo che avrei incontrato questa mattina, vostra grazia. Soprattutto in questa stanza.
A Jon non servì girarsi per sapere a chi appartenesse quella voce. Lord Baelish. Ditocorto, per una fortuita circostanza, Lord Protettore della Valle, e colui a cui, ammettendolo con non poca rabbia, doveva la vita.
In futuro, pensò, doveva stare attento a chiudere bene la porta, e ad ordinare alle sue guardie di non far entrare nessuno, a meno che non si fosse trattato di una questione di estrema urgenza.
─La guerra incombe, Lord Bealish. Dobbiamo tenerci pronti ad affrontarla.
─Senz’altro ─Convenne Ditocorto con l’accenno di un sorriso fin troppo ostentato. Nel avvicinarsi Jon non poté fare a meno di notare che appariva meno radioso del solito. Portava una lunga tunica color prugna, e oro tra le dita e lungo il collo, ma sembrava avere l’aria di qualcuno che per tutta la notte si era rigirato nel letto, senza prendere sonno. ─Ma dopotutto sono passate solo poche ore dalle tue nozze. Comprendo la gravità della situazione, ma anche al re è concesso poter festeggiare nel modo migliore l’importanza di un tale evento.
Jon lo soppesò con lo sguardo, poi tornò a rivolgere l’attenzione alle pergamene sparse sul tavolo. A Lord Bealish piaceva giocare, e ben poche volte amava lasciare che gli altri vincessero. Jon decise che non avrebbe proprio cominciato la partita quella mattina.
─Ieri è stato allestito un grande banchetto. Si sono divertiti tutti.
Petyr inclinò la testa ─I banchetti sono per gli invitati. La parte migliore arriva alla fine, quando tutti sono troppo ubriachi per vedere e per sentire.
Jon tornò ad osservare il suo ospite. Una delle tante cose che odiava di Lord Baelish, era che pareva sempre così fastidiosamente tranquillo, come se fosse ogni volta un passo avanti, capace di prevedere qualsiasi mossa, ancora prima che qualcuno l’avesse concepita. Faceva parte, dopotutto, della sua fortuna.
Jon odiava il modo in cui lo faceva sentire. Piccolo, inesperto, costantemente in procinto di compiere uno sciocco e imperdonabile sbaglio. Si trascinava una sorta di potere dietro le sue lunghe tuniche spesse ed eleganti. Era l’unica persona, in tutto Grande Inverno, capace di scaturire in lui una rabbia fredda tanto accecante da fargli quasi perdere il senno.
─Lord Baelish, mi piace andare dritto al punto, soprattutto quando ho questioni più importanti di cui occuparmi. Cosa vuoi chiedermi?
Il Lord protettore della Valle sorrise. Una risata nervosa, quasi forzata. Si portò il pugno chiuso sotto il mento, gli occhi tradivano l’ombra di un certo disagio. Forse questa volta era stato Jon ad anticipare la sua mossa.
─Sono solo un umile servitore del reame, cosa mai potrei pretendere di chiedere al re del Nord?
Jon strinse le labbra mettendosi dritto con la schiena. Messi uno di fronte all’altro, avevano quasi la stessa altezza, ma Jon era più robusto, imponente, faceva sembrare Ditocorto un fuscello rinsecchito.
Nonostante l’evidente disparità, Petyr non arretrò e non accennò neppure un battito di ciglia.
Aveva smesso di ridere, ma riservava un certo contegno. Lui, a differenza di Jon, era bravo a mascherare le sue più cruente emozioni. Poteva solo immaginare cosa stesse provando; risentimento, rabbia, frustrazione.
─Vuoi sapere se me la sono portata a letto, vero? Se Sansa mi si è concessa.
Petyr Bealish sbiancò, a Jon venne naturale pensare che quella doveva essere la prima volta in tutta la sua vita. Aveva gli occhi chiari spalancati, le labbra strette come a mordersele. I pugni chiusi parevano celare una sorda minaccia, ma Jon rimase dritto, freddo come un blocco di marmo, duro, incontenibile.
─Sono solo preoccupato per le sorti del Nord ─ Ammise Ditocorto quasi come una preghiera che aveva imparato a recitare di notte prima di dormire ─La credibilità della vostra unione è fragile. Una spaccatura all’interno getterebbe le sorti di mezzo regno alla dannazione.
─No ─ A Jon veniva quasi da ridere ─Non è della Valle che ti importa. Tu vuoi Sansa. Immagini di essere me. Vorresti averla. È questo che ti tormenta. Vorresti essere al mio posto.
La postura di lord Bealish si rilassò, sciolse i pugni, la testa leggermente inclinata su una spalla.
─Tutti uguali voi Stark. Arroganti, pieni di ego. Vi vantate di cose che non avete nessun diritto di possedere.
Fu un attimo, la rabbia e il risentimenti lo accecarono. Quando aprì gli occhi si ritrovò così tanto vicino a Lord Bealish da sentirsi avvolto dal suo profumo dolciastro di menta e di limone.
Lo teneva fermo, ad un palmo dal naso con la mano stretta al bavero della sua tunica.
Improvvisamente gli apparve così piccolo, fragile, e pietosamente vulnerabile che ebbe l’insito di lasciarlo andare. Ma aveva caldo, ed era intensa la collera che sembrava sorgergli in mezzo allo stomaco, che si ritrovò a stringere i denti, una smorfia micidiale sul volto pieno di sdegno.
─Ora tu mi ascolti. ─ borbottò quasi in un ringhio ─Non osare mai più nominare la mia famiglia. E non osare pensare a Sansa, in qualsiasi modo. Lei è mia, capito? Mia! E’ mia moglie, appartiene a me. Stalle lontano, o giuro che sono pronto a mandare alla malora il nostro accordo e il reame intero pur di vedere la tua testa penzolare da una picca.
Non sapeva cosa esattamente si aspettava da Ditocorto. Che tipo di reazione si sarebbe potuta disegnare sul suo viso, o quale mossa avesse tentato per riscattarsi da un’umiliazione simile. Di certo però, non si aspettava di vedergli spuntare un ghigno sul volto esausto scavato dal tormento. Un ghigno di puro divertimento, quasi di gioia. Come lo sguardo trionfale di chi era appena uscito vincitore da una sanguinosa battaglia.
─Tu non l’hai avuta ─ e rise ancora ─Tu hai paura…
─Che cosa sta succedendo?
Sansa era lì, all’uscio della porta, meravigliosa e lucente in un abito di lana ricamato con pietruzze preziose. Si era legata i capelli in una treccia lunga abbandonata sopra a una spalla. Alcune ciocche sfuggivano dall’acconciatura, donandole un’aria deliziosa ed innocente. Le labbra rosse erano leggermente spalancate dallo sgomento, gli occhi azzurri sembravano l’unica cosa che possedesse luce nella semioscurità della stanza.
─Niente ─Si giustificò Jon pieno di vergogna, lasciato subito la presa sulla tunica di Petyr ed arretrando, la testa bassa, umiliato. Si chiese quanto di quella conversazione avesse ascoltato. Pregò, sperando che fosse appena arrivata ─Lord Bealish stava andando via.
Ditocorto gli scoccò un’ultima occhiata vittoriosa. In quel momento Jon seppe che aveva perso di nuovo. Lo vide  piegarsi in un accenno di un inchino. Quando raggiunse sua moglie si fermò e attese. Era orribile il modo in cui restò a fissarla, profondamente, intimamente, come se riuscisse a penetrare sotto il tessuto dei vestiti. Lei sembrava non accorgersene. Non aveva mai capito.
─Ti auguro di trascorrere una buona giornata, mia regina.
Sansa lo soppesò con lo sguardo, ancora un po’ atterrita.
─Auguro lo stesso anche a te, Lord Bealish.
Poi la sua attenzione fu tutta puntata su suo marito, che imprecando con i pugni stretti, si era già rimesso a fissare le sue pergamene, con il cuore ancora in gola e l’espressione vittoriosa di Ditorcordo sotto le palpebre, che era stato capace di colpirlo in ogni suo punto debole.
Voleva rimanere da solo, la presenza di Sansa lo agitava più di quanto quella di Petyr avesse fatto poco prima. Non era dell'umore giusto per un eventuale confronto. Il modo in cui avanzò verso di lui gli fece sospettare che Sansa invece era in cerca di risposte.
─Ho avuto come l’impressione che stavate litigando, poco fa.
Jon schioccò la lingua sul palato ─Non stavamo affatto litigando, Sansa. Non c’è nulla di cui tu debba preoccuparti.
Sansa gonfiò il petto, dentro la scollatura del vestito ricamato. L’aroma del suo profumo dolce lo spinse ad alzare gli occhi, fino ad incontrare due pietruzze azzurre, purissime e perfette. Pareva che una luce bianca splendesse al loro interno, ed erano micidiali quanto bellissime. Qualcosa che a Jon ricordò vagamente lo sguardo solitamente corrucciato di Lady Catelyn.
─Non mentirmi, Jon. Mi stai trattando come se fossi una stupida. Non provarci a tenermi fuori.
Perfetto, pensò nel momento in cui la vide correre via, questo è solo il nostro primo giorno che trascorriamo come marito e moglie, e ho già rovinato tutto quanto.  
 
 
CONTINUA…

 
 
Ed eccomi qui, ritornata con il secondo capitolo. Lasciate che prima vi ringrazi, non mi aspettavo tanto entusiasmo da parte vostra! Sono rimasta colpita! Davvero grazie! Mi avete dato l’entusiasmo giusto per continuare, spero non mi abbandonerete adesso!
Cosa ne pensate? Ho sempre voluto vedere un confronto Petyr/Jon sull’argomento Sansa, e così ho pensato di scriverci su. Se vuoi fa funzionare una Jonsa, penso che l’ingrediente principale è l’attrazione fisica. In questo momento Jon è molto attratto da lei (come biasimarlo?) ma è anche molto tormentato dai sensi di colpa. Certo che la vicinanza di Sansa –vedrete in futuro- non sarà di aiuto per lui. Ho anche cercato di alternare i POV. Scrivere un po’ dal punto di vista di Sansa, un po’ da quello di Jon. Spero che come idea vi piaccia.
Ora vi pongo un quesito. Volete il terzo capitolo di questa storia? O che continui wildest dreams ritardando l’aggiornamento di questa? Fatemelo sapere, voglio cercare di venirvi incontro e accontentarvi quanto più possibile!
Grazie mille di tutto!! A presto! 

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Capitolo 3
*** Quando arriva la notte ***


                                                                    Quando arriva la notte 










Doveva essere una farfalla, o una libellula, Sansa non riusciva neppure a ricordarlo. 
Guardò il suo ricamo impreciso, dalle linee storte, confuse, e solo allora si rese conto che per tutto il tempo aveva lasciato vagare l’ago senza neppure preoccuparsi di prestare attenzione. 
Rilasciò un sospiro frustato. Non ricordava l’ultima volta che l’aveva fatto. Forse era a Nido dell’Aquila, o nella Fortezza Rossa. Sembrava passata un’eternità e Sansa non era neppure più tanto sicura di essere brava come un tempo.
Il ricamo l’aiutava a rilassarsi, era come leggere un libro. La tela rappresenta la pagina bianca di un antico volume di storie fantastiche e piene di avvenute. A lei bastava che rimasse un po’ a fissarla, ed ecco che comparivano paesaggi, maestosi animali, mani coraggiose ed occhi felici. 
Quella sera però tutto ciò che ci aveva visto dentro era solo lo sguardo corrucciato di Jon, i suoi occhi vacui e torbidi, l’espressione che le aveva rivolto nel mentirle, come se non fosse stata all’altezza della sua verità.
Per questo si era arresa, pur continuando a far scorrere i fili colorati. Sperava che con il passare delle ore la rabbia avrebbe preso il posto di una muta rassegnazione, ma tutto ciò che sentiva era solo fuoco e faceva male. 
La sua posizione, per quanto favorevole e ambita fosse, non le permetteva di avanzare pretese verso il re del Nord. Ne era consapevole. 
Era cresciuta con la solida convinzione che una Lady deve accompagnare il proprio marito, essere paziente, mostrargli sempre il lato migliore, vezzeggiarlo, non scuoterlo. Ma Sansa non si sentiva più quella donna, e non era disposta a rimanere in un angolo aspettando di vedere morire tutti coloro a cui teneva. Aveva imparato a conoscere le regole del gioco, ed era stata brava, addirittura sorprendente. 
Jon poteva essere un valido cavaliere, ma era stata lei a mettere con le spalle al muro gli uomini di Bolton, constringendoli alla sconfitta. Poteva ancora sentire scorrere dentro quella sensazione di incontrollata libertà. Sansa Stark regina del Nord, non poteva starsene lì ferma sul tavolo da gioco ad aspettare che le altre pedine compiessero le loro mosse tutte intorno.
Sentì un rumore di passi avvicinarsi ed alzò la testa, accorgendosi che Jon stava avanzando nella sua direzione, con la testa  bassa. La Sala Grande era quasi del tutto buia, rischiarata solo dalle torce tenute sospese lungo le pareti di pietra. 
Sansa aveva scelto di sedersi di fronte al maestoso camino acceso al centro della stanza. Più Jon si avvicinava e più le fiamme lo illuminavano di una luce dorata. 
È il dono dei Targaryen. Solo adesso se ne rendeva conto. Il fuoco gli rimbalzava addosso, era il suo ornamento, come una cornice sempre splendente. Sembrava quasi cercare costantemente il suo abbraccio.
─Sono una pessima sovrana, dillo pure ─ mormorò cominciando a sentire anche il suo profumo ─Il mondo è sottosopra e io sono qui a ricamare.
Jon inclinò la testa. Non si era cambiato da quella mattina, ma appariva stanco. Il farsetto scuro aveva dei ricami argentati sul petto, le maniche di lana fasciavano i suoi muscoli sempre troppo tesi. Aveva metà dei capelli legati all’indietro, come un tempo ricordava che anche suo padre abitualmente acconciava, gli occhi due perle di tenebra in cui ne riconosceva un familiare vuoto.
─In realtà ─ Convenne mettendosi in ginocchio ─Sono venuto ad implorare il perdono della mia regina. Se alla mia regina compiace.
Le tolse il telo su cui stava lavorando dalle mani appoggiandolo a terra. Nell’afferrare le sue dita, Sansa si accorse che Jon aveva la pelle fredda e si chiese se avesse trascorso il pomeriggio fuori dalle mura di Grande Inverno. 
Aveva lo sguardo rivolto verso l’alto ad incontrare il suo, ed un’espressione tenera e allo stesso tempo determinata. Nonostante la collera e il risentimento, non ancora del tutto scemati, Sansa si ritrovò a ricambiare la stretta, rendendosi conto di essersi già persa in quegli occhi che sembravano afferrarla sempre troppo forte.
─A me compiace compiacere il mio re. 
─Non parlarmi  da moglie ─Jon incominciò ad accarezzarle il dorso di una mano con il pollice ─Parlami da Sansa.
─Sono arrabbiata.
─Ecco.
─…E delusa. ─ Ammise senza troppi giri di parole ─Mi sono sentita così stupida questa mattina. Una sensazione che non provavo da un po’. E non mi sarei mai aspettata che me l’avresti risvegliata tu.
─E per questo ti chiedo perdono ─ si trascinò la sua mano su una guancia ispida di barba, anche il viso era freddo. ─Stavo solo cercando di proteggerti.
─Non ho bisogno…
─Di protezione. Lo so. ─ Gli occhi di Jon erano grandi e intensi, sembrava un bambino appoggiato al suo palmo, quasi come se implorasse la sua attenzione dopo averla disobbedita incendiando la sua ira. ─Ma sono tuo marito, è mio dovere farlo in qualsiasi circostanza. ─Abbassò lo sguardo, le gambe ancora piegate ─Hai ragione, io e Lord Bealish stavamo litigando. Mi ha provocato, e ho reagito male. Mi rendo conto di aver sbagliato, sia nei suoi confronti, per quanto avessi ragione, che nei tuoi. Sono consapevole della gravità della situazione, e anche che abbiamo bisogno del sostegno della Valle, se vogliamo uscire indenni da questa battaglia. Non ho più intenzione di escluderti dalla mia vita, e neppure permettere alla rabbia di accecare il mio giudizio. Sto cercando di fare le cose per il meglio. Ti chiedo solo di fidarti di me. 
Jon Snow era fiducia. Tutto in lui emanava un senso di assoluta sicurezza, come una roccia, un inespugnabile fortezza. In quel rifugio di calore e braccia, Sansa ci si era rifugiata e aveva imparato cose che neppure immaginava, come l’affetto disinteressato, l’emozione di sentirsi stringere lo stomaco dalla gioia, la certezza di non essere sola, e la promessa che non lo sarebbe mai stessa.
Sansa si fidava.
Gli sorrise concedendogli una carezza. Fu sorpreso di vederlo muoversi fino ad arrivare a baciargli il palmo. Le sue labbra sulla pelle erano calde, morbide, leggermente umide. Sansa provò vergogna e si piegò il braccio contro il petto, sperando che l’oscurità potesse celare l’eventuale rossore che sentiva pulsare sulle guancie. 
Anche guardarlo diventò più complicato, e in un attimo si ritrovò a studiare le fiamme che danzavo alte e libere nel camino di pietra, pensando a quanto l’aveva fatta sentire nuovamente bambina.
Ma questa volta c’era qualcosa di diverso al posto della rabbia. Continuando a riflettere, non seppe darci un nome. 
 
 
Fece un passo. Poi tornò indietro. Cambiò nuovamente rotta. Rimase ferma su i suoi passi. 
Grande Inverno di notte era una grande fortezza sommersa dal silenzio, le ombre lunghe, sussurri e cigolii sinistri. 
Sansa si era ritrovata nel bel mezzo del lungo corridoio che conduceva alle camere di Jon senza neppure saperne il motivo.
Dopo la loro prima notte di nozze, Sansa aveva ripreso possesso della sua vecchia stanza, mentre a suo marito era stata concessa quella patronale, dal soffitto alto e dalle mura spesse, che un tempo era appartenuta ai suoi genitori. Non erano costretti a condividere anche il materasso, se non per tentate di generare un erede, tuttavia Sansa si era accorta di quanto il suo letto fosse inaspettatamente freddo quella sera, i cuscini troppo duri e persino le lenzuola sembravo darle fastidio. 
Aveva tenuto gli occhi aperti per ore, fissi sul soffitto, e per una strana ragione ci aveva visto cose nella pietra, sussurri che parevano aver preso forma nell’oscurità e tra le ombre. 
C’era stato un momento in cui si era costretta a chiudere gli occhi, l’attimo successivo stava già ritornando con la mente a quell’unica notte che aveva condiviso con Jon, il corpo del ragazzo premuto contro il suo, il petto che si alzava e si abbassava seguendo il ritmo del suo respiro lento.
Gli mancava. 
Il mondo era spaventoso se visto solo con i suoi occhi, ma quando Jon l’aiutava a guardare, Sansa ci trovava sempre qualcosa di bello e rassicurante. 
Non seppe dove trovò il coraggio, ma nel momento in cui si rimise dritta, i piedi di Sansa sapevano bene dove condurla. Ed eccola ora, scalza, infreddolita, coperta solo con una sottoveste di lino bianca, tremante, sciocca e spaurita, tra una spinta che la obbligava ad andare avanti e il rimorso, una stretta nello stomaco pronto sempre a farla tornare indietro. 
Che cosa gli dico? Che ho avuto un incubo? O che non riesco più a dormire se non lo sento accanto a me? E se non fosse da solo?
Quell’ultimo pensiero la spaventò e la incuriosì allo stesso istante. Jon era libero di comportarsi nel modo che riteneva più opportuno, e non poteva pretendere che stesse lì, giorni interi ad aspettare che colei che aveva sempre considerato sua sorella si decidesse a consumare il loro matrimonio. 
Jon in passato aveva scelto una vita di castità, ma essere Lord Comandante a Castello Nero era diverso da essere re nel Nord a Grande Inverno, in una tenuta che brulicava di donne giovani e affascinanti che avrebbero fatto di tutto per essere sfiorate solamente da uno dei suoi sguardi. 
Si aprì come un fastidio al centro dello stomaco, come se lì l’aria si fermasse, e tutto il resto fosse vuoto, e annaspava per sopravvivere. 
Strinse i pugni ripetendo a se stessa che non poteva essere codarda. 
Se Jon era in compagnia di qualche donna, sarebbe andata a bussare alla sua porta per scoprirlo. 
Non si trattava di gelosia, non credeva che fosse gelosia. Septa Mordane l’aveva istruita dicendole che non sempre gli uomini rimangono fedeli alle loro promesse, così deboli e poco inclini al sacrificio. 
Gli uomini giacciono con altre donne, le donne imparano ad amare gli uomini nonostante le loro fragilità. È questo quello che dobbiamo essere, il bastone su cui avranno sempre il bisogno di appoggiarsi. 
Ma dubitava che sua madre fosse stata d’accordo con le parole di Septa Mordane. Si morse la lingua e proseguì il suo cammino. 
Era Sansa Stark, regina del Nord. Era Sansa Stark regina del Nord. E si sentiva sola, e voleva che lui le fosse accanto, proteggendola con il suo respiro caldo. Era Sansa Strak, regina del Nord, ed era coraggiosa abbastanza da aprire uno scrigno che forse avrebbe celato una vipera feroce pronta ad avvelenarla 
Ma era Sansa Strak, regina del Nord. Sarebbe sopravvissuta. 
Davanti alla porta delle camere di Jon trovò due soldati a montare la guardia. Quando Sansa lì vide arrossì, sentendosi  troppo nuda e talmente sciocca da non aver indossato neppure una vestaglia. 
Si abbracciò il petto con le mani nel tentativo di coprirsi. La tunica la copriva tutta, dal collo alla caviglia, ma era pur sempre un indumento intimo, e di solito a vederla in quello stato erano solo le sue servette o Jon. 
Quando i soldati la videro drizzarono le spalle, apparentemente sorpresi. Uno di questi, il più giovane e quello che sembrava avere il viso più gentile, le venne incontro con la mano stretta sull’elsa della spada. 
─Vostra Grazia, permettetevi che vi chieda per quale ragione vi aggirate per le mura del castello di notte tutta sola? Può essere pericoloso.
Sansa si sfregò le braccia con le dita. Per una strada ragione non riusciva a guardare il ragazzo negli occhi.
─Io volevo solo… vedere Jon.
─Il re sta riposando. Desiderate che lo svegli? 
─E’ solo?
Lo sussurrò appena non sapendo neppure cosa avrebbe dovuto aspettarsi. Il soldato la osservò con un’espressione curiosa, negli occhi scuri un briciolo d’incredulità. 
─Si, vostra grazia.
Fu allora che Sansa ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, riusciva a sentire il resto del corpo rilassarsi. 
─Allora, ti prego, digli che sono qui ad aspettarlo.
La guardia fece un breve inchino poi bussò alla porta di Jon, più volte. Riconobbe la voce di suo marito impastata dal sonno che gli dava il permesso di entrare, e si sentì un po’ in colpa, un po’ bambina. 
Ci furono dei bisbigli. Il ragazzo gli disse che sua moglie desiderava vederlo. Jon sembrò confuso e sbalordito quando chiese spiegazioni. Sansa rimase ferma, fuori al corridoio, con le braccia strette al petto e il gelo che sembrava penetrarle sotto la veste come un soffio di ghiaccio.
Spostò il peso da un piede all’altro mordendosi le labbra. Udì Jon che ordinava alla sua guardia di passargli i pantaloni, facendogli presente di essere nudo. A quel punto Sansa arretrò e sentì un fuoco divampare sino alle tempie.
Aveva svegliato Jon mentre dormiva. Aveva svegliato Jon mentre dormiva nudo. Pessima idea quella di seguire l’istinto! Radicate, maledette, puerili paure. 
Lo vide comparire sull’uscio della porta, sembrava incredulo quando la fissò dall’alto in basso. Aveva indossato dei pantaloni di lana scuri, ma era scalzo, a petto nudo, con i capelli scompigliati sulla testa e gli occhi grandi già pronti a vedere tutto.
Sansa lo trovò bello, non nel modo in cui lo trovava spesso bello. In un modo intimo, personale. Quel tipo di bello che è speciale, perché sai che ti appartiene, quel tipo di bello che sospetti che nessuno troverebbe altrettanto bello, ma che senti fatto apposta per te. 
─Sansa, che ci fai qui?
Anche il tono di voce era diverso, roco, sensuale. L’aveva sentito così solo quella mattina dopo il giorno del loro matrimonio, quando si erano svegliati insieme e lui l’aveva stretta, rassicurandola che non si sarebbero mai persi. 
Pareva così grande, con una mano a reggersi allo stipite della porta, e le luci delle torce sulle pareti che si riflettevano sulla sua pelle bianca. Ancora una volta era come se il fuoco ardesse solo per renderlo visibile nel buio e nella nebbia, ma Sansa dubitava che uno come Jon sarebbe passato inosservato.
Il suo stesso mondo sembrava essersi ridotto a quella figura che le stava di fronte, in attesa, sempre così gentile, sempre così pronto, comprensivo.
─Io non… ─ Poteva dirgli qualsiasi cosa, Jon era troppo intelligente per non rendersi conto del semplice fatto che era lì, coperta solo dal suo intimo, scalza e infreddolita, solo perché c’era lui ─Non volevo restare da sola. 
C’era una cosa che aveva sempre amato di Jon. Era un tipo di poche parole, quindi a lui bastava un’occhiata per entrare dentro ad una persona. In quel momento sentiva che suo marito la stava letteralmente trapassando, e si stava appropriando dei suoi pensieri delle sue paure, delle sue incertezze. Lo vide nel modo in cui alzò leggermente il mento e trattenne il respiro. 
Sansa aveva pensato bene alle sue parole, eppure Jon ci aveva visto tutto, quello che non voleva dire e quello che lei stessa si negava di sentire.
─Entra.
Si fece da parte, e nel momento in cui gli passò accanto Sansa fu invasa dal suo profumo, un aroma nuovo. Sapeva di lenzuola pulite, di bei sogni, di sudore e di uomo. Rimase a bocca aperta, ferma nel bel mezzo della stanza come se ci fosse stata per la prima volta. 
Non era cambiato nulla lì dentro, dall’ultima volta che ci era stata. Quel posto le era familiare quanto estraneo, inesplorato, immenso, senza fondo. La stanza era calda, fiocamente illuminata dalla luce del camino. Il letto era per metà disfatto, gli abiti di Jon buttati alla rinfusa sul pavimento. Fu allora che le ritornò in mente la scena a cui aveva assistito qualche momento prima.
─Dormi nudo?
Gli chiese un po’ stranita girandosi verso di lui. Jon si passò una mano dietro la nuca, visibilmente imbarazzato. Sembrava una persona completamente diversa, tutt’altro che il ragazzo impenetrabile, schivo e difficile di sempre. C’era l’ombra di un pallido rossore sulle sue guance, aveva un’aria quasi tenera mentre abbassava gli occhi, la mano appoggiata ad un fianco.
─E’…una vecchia abitudine. 
Sansa sorrise ─Mi dispiace averti svegliato.
Ebbe la premurosa gentilezza di assottigliare le labbra e basta, come in un ghigno comprensivo.
─Sono stupito di vederti qui.
Sansa si fermò a fissarlo, tutto muscoli e ombre al centro della stanza, la pelle quasi come rischiarata dal fuoco perpetuo di un drago. 
Perché non ci aveva mai fatto caso? Tutti gli Stark sembravano spiccare come papaveri in un campo di rose nel pieno inverno del Nord. Jon invece era sempre stato diverso. L’estate lo rendeva vivido, come la luce e il sole caldo. Tra tutti i suoi fratelli, Jon era sempre stato l’unico contornato da un’aurea diversa. Il suo posto era qualsiasi angolo ben nascosto e oscuro del castello, eppure Jon lo notavi sempre, come l’unica stella in un cielo di tenebra.
Si strinse un lembo della veste bianca. Quando si sedette sul materasso ebbe solo la voglia di sprofondare nelle lenzuola, ma si sforzò di restare vigile, qualcun altro che le toglieva tutta quella dolce sensazione di caldo tempore conquistata.
─Veniva sempre di notte… Ramsay ─ al pronunciare quel nome notò la mascella di Jon irrigidirsi ─Dopo che ci fummo sposati, persi quasi l’abitudine di dormire. Non bussava neppure. Apriva la porta della mia stanza e…faceva del mio corpo tutto quello che voleva. Frequentava anche con altre donne, non che la cosa mi importasse. Dicevo che non ero abbastanza. Dopo avermi violentata ripetutamente, mi umiliava. Non riuscivo a soddisfarlo come lui voleva, lo faceva sembrare quasi come se fosse colpa mia. So che è morto, ma ho ancora paura di vederlo entrare nella mia stanza, ubriaco e folle. 
Jon le si avvicinò. Temeva sempre di dover parlare di quella parte del suo passato, perché detestava che la gente provasse pietà per la sua fin troppo sfortunata vita, alcune delle volte, nei peggiori dei casi non era neppure vera. 
Ma tutto ciò che vide in Jon, fu il riflesso del suo volto provato in quegli occhi scuri come pezzi di carbone. Il ragazzo la guardava e basta, ed era presente, e valeva più di qualsiasi altra parola detta solo per confortare un senso di colpa che non apparteneva mai alla vittima. 
─E’ difficile da mandar via. 
Eccolo ancora. Un solo sguardo ed aveva capito tutto quanto.
─Non quando sono con te. ─ Convenne Sansa provando un pizzico di vergogna ─La notte in cui abbiamo dormito insieme, ho sentito solo il tuo affetto. E mi è bastato. Ho bisogno di averlo ancora un po’ con me.
Lui si inginocchiò e le prese il viso tra le mani. 
─Tutte le volte che vuoi.
E poi successe tutto troppo in fretta. Un attimo primo era a fissarlo, quasi imbambolata, tutta la sua realtà solo labbra, occhi, riccioli scuri e un profilo rigido e perfetto. Un secondo dopo lui era lì, con la bocca premuta contro la sua guancia a prolungare un contatto che sarebbe già dovuto finire da un pezzo.
Non seppe per quale motivo, ma Sansa si ritrovò a trattenerlo con un palmo aperto contro la sua spalla. 
Gli era mancata la pelle di suo marito. Quando l’aveva stretto la sera del loro matrimonio, le era piaciuto proprio come gli stava piacendo adesso. Faceva paura il modo in cui la faceva sentire. 
Sansa non era capace di formulare neppure un pensiero che le pareva coerente. 
C’era lei e i mille sensi di colpa. Il mondo e poi solo il silenzio. 
 
 
CONTINUA…
 
Oh si avete ragione! Vi ho fatto aspettare molto per questo capitolo, il fatto è che negli ultimi giorni non ho avuto davvero tempo, e quando tornavo a casa ero talmente stanca che volevo solo mettermi a letto a dormire, dormire, dormire. Ma meglio tardi che mai!
Le cose cominciano a farsi un pochino più intense. Vi dirò: sono davvero eccitata all’idea di scrivere i prossimi capitoli, perché tutto comincerà a maschiarsi, a diventare più intenso e sentito! Vi ringrazio immensamente per la vostra risposta a questa storia! Davvero non mi aspettavo che vi piacesse tanto, e leggere tutte le vostre recensione per me è una vera gioia!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo ci conto! Spero che avete passato una felice Pasqua! Vi mando un grosso bacio e a presto! 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Il veleno freddo del serpente ***


                                                             

                                                     Il veleno freddo del serpente

 
 
 
 





L’incantevole sensazione di caldo tepore, inaspettatamente, svanì presto, e Sansa si ritrovò con gli occhi aperti a fissare la parete di pietra in una stanza che ricordava fosse quella di Jon.
Sembrava passato parecchio tempo dal momento in cui aveva chiuso gli occhi e si era lasciata andare ad un sonno agitato. Sansa non ricordava cosa le avevano mostrato le sue paure più profonde quella notte, ma era felice che fosse giorno e felice di non essere sola.
Non poteva proprio esserlo. Jon era dietro di lei, con un braccio disteso sul suo fianco. Poteva considerarsi uno strano abbraccio quello. Lui che la teneva stretta contro il suo petto, il respiro caldo di suo marito tra i capelli, quella presenza del suo corpo dura e calda dietro di lei che poteva contenerla tutta e sarebbe stata al sicuro dal mondo in eterno.
Quello però non era il Jon che conosceva. Era il Jon dei sogni, quello audace, oscuro, tenebroso, meno incerto.
Sansa lo sapeva. Se fosse stato sveglio non l’avrebbe mai stretta così, se fosse stato sveglio non avrebbe mai premuto le mani contro il suo corpo. Le piaceva.
Si riscoprì a desiderare l’abilità di rimanere immobile e percepire tutto senza spostarsi troppo. Restò ferma, quasi pietrificata sotto le lenzuola contro la sua pelle ad immaginare che sarebbe potuto essere così per sempre, e a scoprire il modo in cui in lei fluivano e prendevano forma cose nuove.
Sembrava un brivido, era fugace, paralizzante, severo e si ripeteva spesso. Un respiro un brivido.
Era come se ogni cosa dentro di lei si muovesse sotto le note di un’armoniosa melodia.
Le faceva quasi paura. La sua voglia e quella voce insistente nella testa che le ricordava che era suo.
Si spostò ancora di più con la schiena contro il petto di suo marito, strusciandosi contro quella pelle nuda e calda quanto impenetrabile e perfetta.
E fu allora che il suo cuore mancò un battito. Lo sentiva. Non poteva essersi sbagliata. Jon era duro, pronto, e con il respiro intenso e regolare contro il suo orecchio, sembrava suggerirle un piacere che doveva essere solo abbastanza coraggiosa da saper cogliere.
Non si era mai sentita più confusa e in imbarazzo di quel momento. Il sangue le fluì svelto sulle guance, nelle tempie, sulle labbra, sulle punte delle dita. Il battito del cuore accelerato premeva forte contro ogni barriera del suo corpo. Così lo sentiva nella gola, dentro allo stomaco, più sopra dove c’era il petto, e poi esplodeva nei timpani scandendo i secondi di un tempo che andava velocissimo.
Una parte di lei voleva fuggire subito. Non poteva rimanere lì, non era giusto. Quello era troppo intimo, l’incoscienza di un desiderio a cui non doveva dare troppo peso.
Un’altra parte un po’ gioiva  ed era curiosa di spingersi sempre più in fondo, perché non ci era mai arrivata e avrebbe potuto anche essere bello.
Si mosse piano sfregandosi contro di lui. Le mancava il respiro. Era davvero così stare con un uomo?
Sembrava come se fosse sulla cima di un’altura e prendeva il volo. La caduta la trascinava forte contro il suolo e la gravità la schiacciava, con le braccia aperte nell’aria libera. Si sentiva invincibile eppure aveva paura. Cosa ne sarebbe stato nel suo corpo una volta che avrebbe toccato la terra umida e dura?
Non ci sarebbe stato più nulla di lei, recuperare i suoi pezzi impossibile.
Eppure era proprio così che voleva vivere. Salire in cima e poi buttarsi. Anche se questo avrebbe significato rischiare tutto quanto, perché quel volo era bello come le cose proibite, oscure e fredde.
Respirò piano. Dei! Voleva toccarlo.
Mise una mano sulla sua che teneva ferma sopra il tessuto della sottoveste di lino. Tastò le dita calde, inermi, abbandonare, eppure così grandi, dalla pelle screpolata e le unghie consumate dalle battaglie e dai denti.
Fece pressione provando ad immaginare una sua stretta, e poi ancora più indietro accucciandosi dentro quell’abbraccio rubato che le stava facendo gonfiare il cuore.
So che è qui che devo stare.
Chiuse gli occhi e il profumo di suo marito la invase. Cominciò ad avvertire un leggero formicolio al basso ventre e sfregò le gambe una contro l’altra, determinata a voler placare quel fastidio. Ma non andò via.
Pareva quasi che stesse per esplodere come un barile d’alto fuoco vivido e spettrale contro il cielo cupo.
Jon era premuto contro di lei. Nell’incoscienza il suo membro duro sembrava prendersi gioco di tutte le sue incertezze e di quelle vane speranze. Sapeva chi era fino a qualche ora fa, ma adesso Sansa Stark non aveva più un nome e ne un passato. Esisteva per quel nido di fragilità celato troppo tempo da un’assurda ipocrisia e non era più tanto nobile, altezzosa e perfetta. Sansa Stark ardeva e voleva che tutti la guardassero.
Più in fondo.
Lo pregava, ma non era sicura di dove volesse che arrivasse.
─Sansa … ─ Lo sentì mormorare, e fu come se tutto il sangue nelle vene improvvisamente gelasse e lei sentiva caldo fuori e freddo dentro. Per brevi interminabili istanti non osò neppure respirare e fu colta dal terrore, schiacciata dalla vergogna e dall’orrore dei suoi stessi desideri ─Sansa..
Ripeté ancora e questa volta fu lui ad emettere un singhiozzo come se l’avesse improvvisamene colpito in mezzo al petto. Tutto sparì e precipitò. Non era più stretta a nessuno e non c’erano più mani sul suo corpo incredibilmente fragile.
Si girò, trovando Jon rosso in viso che la guardava come se fosse una persona completamente diversa. Come se non fosse Sansa, sua moglie, ma qualcosa da cui fuggire, terribile e severa. Un peccato, una trappola, quel colpo che incassi alla fine di una battaglia e che ti fa perdere tutto, inesorabilmente.
─Scusami ─ Le disse con il fiato corto ─ Non avrei dovuto avvicinarmi in quel modo. Io…
─Jon. ─Lo interruppe mettendosi seduta sul letto. Per qualche strana ragione adesso le riusciva difficile guardarlo, osservare i suoi occhi dopo che l’aveva sentito contro ─Non preoccuparti. Stavi solo dormendo. E poi sono tua moglie, puoi avvicinarti a me tutte le volte che vuoi, se ti compiace.
Jon parve soppesarla con lo sguardo, si passò una mano sulla barba incolta poi scostò le coperte mettendosi in piedi. Anche così Sansa poteva ancora vedere il rigonfiamento nei suoi pantaloni e si chiese se si trattasse semplicemente di una reazione involontaria, o se fosse stata lei, forse nei suoi sogni, a provocare in lui lo stesso fuoco che adesso ancora ardeva nel suo ventre.
Stupida. Quando finirai di fantasticare? Perché mai dovresti piacergli? Perché dovrebbe desiderarti?
─No ─Mugugnò allontanandosi ─Non è così. Tu lo sai.
Sansa rimase lì ferma a riflettere, mentre lo vedeva allontanarsi raccogliendo i suoi vestiti. Tutto quello che sapeva è che lo voleva ancora, ne sentiva il bisogno, quella parte di lui che bruciava l’aveva fatta sentire bella come tutte le canzoni che lei amava non avrebbero mai potuto fare.
 
 
L’inverno era una stagione curiosa, immutabile, a volte troppo silenziosa. I giardini di Grande Inverno erano un’unica distesa fredda di ghiaccio, e a Sansa quel paesaggio le faceva venire in mente i giorni in cui era prigioniera a Nido dell’aquila e sognava casa.
Non era passato troppo tempo, eppure quei ricordi sembravano quasi svanire in una nebbia fitta, ogni qual volta tentava di riportarli a galla. Era un’altra persona, e metà del suo cuore ricolmo di un’inguaribile speranza. Aveva percorso molte strade ed era stata prigioniera di molti sogni. Lì, sotto il porticato del cortile della sua grande fortezza, Sansa provava ad immaginare la sua vita se non fosse mai partita da casa, quando era ancora una bambina.
Sarei stata sempre la stessa Sansa, o sarei morta, finita per moglie ad un traditore, o chissà sarei fuggita disperata nel carro di un povero mercante.
No, lo sapeva. Sarebbe stato lo stesso. Quella era la loro storia, e si riscoprì spaventata all’idea che non avrebbe potuto esserci Jon nella sua vita. Come suo marito.
Aveva le mani fredde e se le racchiuse nelle maniche dell’abito. Le sue servette le dicevano che passava troppo tempo fuori nei giardini, al parco degli dei, nelle cripte oscure del castello. Ma la verità è che Sansa non voleva sprecare quei giorni rinchiusa nella fredda solitudine delle sue stanze troppo buie.
Ogni giorno potrebbe essere l’ultimo.
Sentì un rumore di passi e si girò scorgendo la figura di Lord Bealish avvicinarsi con un docile sorriso stampato sul viso. Sansa non amava la sua presenza al castello.
Petyr la metteva a disagio, odiava il modo in cui le sussurrava cose, capovolgendo il suo mondo come se non valesse nulla. E non era un mistero il profondo astio che si celava dietro falsi convenevoli tra lui e suo marito.
 Un tempo Sansa aveva pensato che l’amasse veramente, e fosse realmente interessato a vederla su un trono di ferro, solo perché l’intero mondo la temesse, ammirando la sua incantevole e micidiale bellezza.
Ma anche Ditocorto si era dimostrato un giocatore. Il più abile, forse il migliore. Non si era fatto scrupoli a venderla ad un folle tiranno, ed era lei quella che ancora portava i segni dei soprusi subiti.
Lord Bealish si era limitato a scrollarsi di dosso la polvere sulla sua tunica sempre ben cucita. Se qualcuno in passato l’avesse severamente ferito, il volto sempre liscio e indagatore di Petyr non ne portava alcun segno.
─La mia regina è sempre così triste. ─ Le venne vicino, e Sansa subito sentì raggelarsi il sangue ─Cosa tormenta i tuoi pensieri?
Restò lì ferma a pensare, una menzogna con cui avrebbe potuto ingannarlo. Tante cose c’erano nella testa di Sansa in quei giorni, più di quante ce ne fossero state in tutta la sua vita. Gran parte delle sue preoccupazioni, aspirazioni ed incertezze riguardavano Jon, nell’altra metà c’era il mondo e tutto il male che le stava per crollare addosso.
─La fine.
Rispose, dopotutto sincera, lo sguardo rivolto davanti a se verso quel paesaggio bianco come sommerso da spettri.
Lord Bealish fece una smorfia con la bocca.
─Per come la vedo io, la fine è sempre l’inizio di qualcosa di nuovo.
─Quel qualcosa di nuovo potrebbe rivelarsi terribile.
Petyr la guardò, e anche se Sansa continuava a fissare le mura alte della sua amata fortezza, poteva sentire il peso addosso di quell’occhiata. Non potevi mai sapere cosa Ditocorto si stava prendendo da te, anche solo con uno sguardo. Ogni volta le rubava qualcosa, e le metteva dentro una briciola dalla sua anima tormentata. Un pezzo per un pezzo. Ed era quasi una piccola metà di lui.
─Mia amata Sansa, tu non hai nulla da temere ─ era una ninnananna dolce la sua voce. Sicuramente, la vecchia Sansa avrebbe apprezzato quelle parole, ci avrebbe anche creduto. Dopo si sarebbe messa a dormire, sognando quel regno che le era stato promesso ─Hai me al tuo fianco e il mondo ai tuoi piedi.
Un pezzo per un pezzo.
Ma Sansa questa volta era determinata a non concedergli nulla. I suoi occhi bruciavano di fiamme bianche, ed era dura la sua espressione, pronta a farsi scudo da tutto quanto.
─Ho Jon al mio fianco ─ Disse stringendo i pugni ─E la mia famiglia. Per quanto riguarda il mondo ai miei piedi, non ci sarà più nessun regno da governare se colui che viene chiamato re della notte riesce a renderci tutti schiavi del suo potere. E ad ogni modo essere regina non è così meraviglioso come avevo immaginato. Se potessi lascerei andare tutto quanto.
─Ed è per questa ragione che stamattina non eri presente al consiglio indetto da tuo marito con i signori del nord? Cerchi di scrollarti da dosso i tuoi doveri come regina di diritto di Grande Inverno?
Il dolore che le giunse al petto fu peggiore di una scoccata e quando i suoi occhi incontrano quelli vitrei di Ditocorto, seppe che era stato proprio lui ad infliggerle il colpo fatale, senza che neppure se ne rendesse conto.
Sansa appariva turbata, con le guance rosse dalla vergogna, il sangue caldo al contatto con il gelo che la faceva tramare, quasi come un solitario petalo di rosa lasciato a marcire sotto la furia della neve. Non aveva armi, non era preparata. Se ne stava semplicemente ferma, inerme, con i pugni stretti perché era stata tradita e qualsiasi cosa provasse era indecifrabile, tremenda, dolorosa.
─Io…
─Non lo sapevi? ─Incalzò Ditocorto, micidiale come una vipera ─Partirà domani mattina, verso sud. E si porterà dietro mezzo esercito del Nord. Compresi i miei uomini.
Le girava la testa, aveva bisogno di sedersi. Cercò di rimanere forte ─Per quale ragione Jon dovrebbe lasciare il Nord alla vigilia di una battaglia?
Ditocorto si passò un dito sotto la sua barba corta. Poco prima Sansa aveva pensato di aver già subito e difficilmente sopportato il colpo di grazia. Ma era solo un graffio, lo capiva. Gli occhi di Petyr ardevano di una luce nuova, bianca e micidiale. Sembrava troppo facile, Sansa stava cominciando a cedere. Voleva fuggire via, ritirarsi nelle sue stanze. Ma si era ripromessa di essere una moglie, una regina e una madre. Tutto ciò che poté fare fu indurire la sua pelle di uno scudo di indifferenza e coraggio.
─Per aiutare la regina Daenerys a conquistare il Trono di Spade. ─Petyr spostò l’attenzione davanti a se. Sembrava come rinvigorito. Dopo le sua prima notte di nozze, gli era apparso vecchio e malaticcio. Ora era come uno di quei serpenti che cambiavano la muta. Sembrava addirittura più giovane sotto la luce grigia e pallida del pomeriggio. ─Una volta i Targaryen si sposavano tra fratelli. Lo facevamo per mantenere la linea di sangue pura. Il sangue dall’antica Valyria. Daenerys Targaryen, non può avere figli, a causa di un sortilegio per quanto ne so. Ma tu si. Una volta che la guerra sarà vinta la tua posizione potrebbe cambiare.
Si sentiva la gola arsa, cosparsa di sabbia bianca e sale, faceva fatica a deglutire.
─Che intendi dire?
─Ripudio ─Lord Bealish non riuscì a trattenere un mezzo sorriso ─Assasinio nella peggiore dei casi. Tu e Jon siete legati da un vincolo di parentela, forse potrebbe risparmiarti la vita. Ma una volta che tu avrai dato alla luce il tuo bambino, te lo strapperà tra le braccia e lo porterà a sud, dove gli insegnerà ad essere un signore della guerra tra le mura inespugnabili della fortezza rossa, mentre si farà riscaldare il letto dalla regina Daenerys.
Sansa sentì il sapore acre del sangue scorrere nella bocca, e si accorse di essersi morsa la lingua con i denti. Si stava imponendo di rimanere lucida, impenetrabile, davanti ad una tempesta che scuoteva il suo scudo sempre solido di cortesia. Sansa voleva urlare e piangere, perché si sentiva sola, vulnerabile, sconfitta, ed era sicura che Lord Baelish lo sapeva. C’era scritto nei suoi occhi che avevano preso a tremare, e tutto le pareva sfocato come in un incubo dominato dalla nebbia.
─Queste sono menzogne!
Trovò la forza di ribattere, parendo addirittura convincente, con un tono di voce alto e austero, il tono di voce di una regina.
Eppure, se era riuscito a scalfire la corazza di intrighi di Lord Bealish, lui non lo diete a vedere. Anzi, il suo mezzo sorriso divenne un ghigno quasi divertito.
─Menzogne? ─Ripetè passandosi una mano sulla tunica preziosa, come a scrollarsi la sua debole rabbia da dosso ─Sai che tuo marito e Daenerys si scambiano numerosi messaggi che solo il re è autorizzano a leggere? Oh, arrivano tanti bei uccelletti da Roccia del Drago.
Sansa arretrò, Petyr la seguì quasi con ossessione. Sansa era molto più alta del Lord protettore della Valle, esile, e dalla pelle sottile, dove gli occhi venivano incorniciato da ragnatele di rughe cascanti. Eppure, adesso, Ditocorto sembrava grande e grosso, imponente come una montagna oscura nascosta dal sole. Calava su di lei, e non poteva fare altro che abbassarsi sperando di nascondersi. Nessuno sarebbe venuta a salvarla questa volta. Quel piccolo moscerino incappata nella trappola del ragno.
─Dopo tutto questo tempo, non hai ancora imparato ad ascoltarmi, Sansa. Per quale ragione credi che Jon potrebbe mai amarti? Potrebbe mai volerti? Non riesce neppure a toccarti. Pensi davvero che desidererebbe vivere il resto dei suoi giorni accanto ad una donna che ha sempre ritenuto sciocca, e ora usata, sfregiata, rotta? Ma io riesco a vedere al di là di quello che vede lui ─ poteva sentire l'odore acre del suo alito, tanto era vicino. Vino, neve e sangue ─Si. L’ho sempre fatto. Io l’unico! Tu sei bellissima, Sansa. E in te si nasconde un temibile potenziale. Sei bellissima e terribile. Sei forte, e determinata. Intelligente e severa quanto basta. Io ti adoro, e ti voglio e ti amo. E sono il solo.
Nella sua spaziata fantasia, quelle parole avrebbero dovuto arrivarle al cuore sino a scioglierlo. Ma in realtà Sansa non l’aveva mai percepito così pesante e impenetrabile. Era doloroso sentirlo muovere, voleva strapparselo dal petto perché aveva la sensazione che non le appartenesse più, che non lo volesse. Petyr Bealish continuava a guardarla, forse ad aspettarsi un sorriso o magari un bacio. Ma neppure, per un solo secondo aveva creduto che la volesse per davvero.
È mia madre che ama, è che lei vuole.
Sansa era solo l’unica Tully che le assomigliava rimasta in vita. Forse avrebbe dovuto considerare anche tutto il resto una menzogna, ma pensò allo sguardo che aveva avuto Jon quella mattina, quando si era svegliato accorgendosi che la teneva stretta. Era balzato via dalle lenzuola, con lo sguardo basso l’aveva fatta sentire invadente ed indesiderata.
Jon non la stringeva come una moglie, neppure la guardava con decoroso desiderio. Jon non la guardava affatto, e si chiedeva come facesse a non desiderare mai che qualcuno lo toccasse, che qualcuna lo tenesse al caldo come potrebbe fare una donna.
Daenerys…
Non era più in grado di reggere lo sguardo gelido e vittorioso di Ditocorto. Non voleva piangere e neppure urlare. Voleva giocare.
Superò l’uomo facendo volteggiare le sue gonne lunghe. Aveva sentito che Jon si trovata nell’armeria, nel cotile sul retro del castello. Lei era la regina del nord. Era tempo di provare ad usare il suo potere.
 
 
 
 
CONTINUA…

 
 
Come sempre mi scuso per l’immenso ritardo, ma tra impegni ed altre cose ho dovuto sempre rimandare l’aggiornamento, anche se avevo il capitolo pronto da un pezzo.
Adesso arriva davvero il bello della storia. Sto attraversando un momento un po’ difficile per me, questo mi ha portato un po’ staccarmi da questo mondo e da impegni come questo, ma spero di ritornare carreggiata al più presto, così da essere più puntuale sugli aggiornamenti. Spero che però questo vi sia piaciuto. Come sempre, non mancate di farmelo sapere se vi va.
Un bacione grande da Stella!

 
 

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