La Signora del Tempo

di Frulli_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***
Capitolo 12: *** Capitolo Dodici ***
Capitolo 13: *** Capitolo Tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo Quattordici ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


CAPITOLO UNO

Regno di Scozia, 994 d.C.
Ogni volta che pensava al fatto che i Babbani non sapessero dell'esistenza di una scuola per maghi e streghe, le veniva da sorridere. In tempi così bui era una benedizione, diceva sempre Godric. Ma d'altronde quella scuola non era nata per fare uno sfregio ai Babbani. Era, tutt'altro, nata proprio per difenderli da ciò che loro non potevano comprendere, o peggio, combattere. Satana, Dio, o a volte anche solo un serpente un po' troppo cresciuto.
Immersa in quei pensieri sorvolò la zona del castello, terminando il suo giro d'ispezione intorno alla barriera magica protettiva, che rendeva invisibile il castello e la zona circostante a quei rari avventori che osavano spingersi fin lassù, nel Regno di Scozia. Selvaggia e arida, ma lussureggiante e sacra allo stesso tempo.
Poggiò dolcemente i piedi a terra, e con passo svelto si affrettò a salire la scalinata verso il portone principale del castello, dove l'aspettava Godric, con un cipiglio severo e invidioso. Il fatto che lei potesse volare senza mezzi di trasporto aveva sempre attirato la sua docile invidia, si sapeva, ma certo lei non faceva nulla per fermarlo.
«Sei in ritardo» annunciò severo Godric.
«Sai che non è vero, io non sono mai in ritardo» precisò Rowena, sistemandosi la veste blu.
«Dai, andiamo, signorina sapiente» ribatté Godric, prendendola sotto braccio. Lei e Godric erano amici da tempi immemori: il padre di lui era un mercante di oggetti magici, nonché il primo ad avventurarsi verso i clan sperduti della Scozia a vendere la sua mercanzia. La famiglia di Rowena prese subito in protezione e simpatia il padre di Godric, e così i due sono cresciuti insieme come fratello e sorella.
«Godric, Rowena! I ragazzi di Salazar!» annunciò Helga, correndo ansante verso di loro. La corporatura minuta e le gambe corte della Maga non l'aiutavano in quello scopo, ma Godric e Rowena le facilitarono il compito e la seguirono velocemente verso il cortile interno del castello.
Già prima di arrivare potevano sentire le grida di un gruppo di ragazzi di Salazar che cercavano di far reagire alcuni ragazzi di Godric.
«Basta, smettetela immediatamente!» esclamò furioso Godric, frapponendosi tra i due gruppi «se volete qualcuno con cui duellare, duellate con me» mormorò, sfidandoli apertamente.
«Godric, non c'è bisogno di aizzare dei ragazzini senza cervello» annunciò secca Rowena, fissando la scena.
«Rowena ha ragione, Godric...lascia stare i miei alunni» sibilò una voce dietro di loro. Salazar Slytherin si materializzò con un'aria serena e calma, quindi si avvicinò al Mago, fissandolo «Adesso te la prendi con dei bambini, Godric? Se vuoi qualcuno con cui prendertela, dovresti mirare a qualcuno alla tua altezza».
«Finitela, entrambi» ordinò Rowena, frapponendosi a sua volta tra i due potenti Maghi. Rowena Ravenclaw non dimostrava mai la sua potenza, ma entrambi lì sapevano di cosa fosse capace la Strega. Allentarono così le prese sulle bacchette, e la scozzese li fissò contrariata: «Siete più bambini dei vostri alunni. Quando smetterà questa storia? Quando sarete davvero amici, e non due stupidi galli che si battono?» fissò a tratti uno e l'altro, quindi se ne andò via da lì a grandi passi.

«Sei ancora arrabbiata?» la voce di Salazar la raggiunse lì sulla riva del Lago. Rowena smise di lanciare sassi sulla superficie, e si girò verso l'amico.
«Non dovrei?» chiese, osservandolo. Lo studiò bene, come faceva sempre. Aveva un aspetto che, pur non volendo, incuteva timore. Era molto alto per la media maschile, con un fisico snello, la muscolatura nervosa; pelle bianca, i tratti del viso quasi indefiniti, con labbra carnose raramente piegate in un sorriso. Capelli corti e neri, occhi di un azzurro glaciale. Varie cicatrici, di cui una che gli attraversava l'occhio sinistro.
Nessuno conosceva Salazar meglio di lei. Un legame profondo, magico e divino, li legava. Erano fratelli nell'anima. Vivevano entrambi con ricordi e segreti che solo gli altri Fondatori conoscevano, ma che nessuno sapeva darne il giusto peso. Entrambi erano potenti maghi, la cui magia a volte era incomprensibile anche a loro stessi. Entrambi vedevano oltre le apparenze: Salazar era un Legilimens, Rowena una Veggente.
«Questa tua idea degli alunni Purosangue è...ridicola, sai che non l'accetto. Gli alunni nobili tendono a farne un certo peso su quelli non purosangue. E questo non è giusto. Ecco poi che cosa si crea» osservò Rowena, pacata, con un braccio puntato idealmente verso la scena prima accaduta.
Salazar scrollò le spalle. «Non è ridicola, e tu lo sai. Se tu hai i tuoi poteri è solo perchè il tuo clan non si è mai mescolato con Mezzosangue o Babbani. E così anche per me, Godric ed Helga. Perchè dobbiamo avere alunni di seconda scelta, se possiamo avere il meglio?» chiese, fissandola.
«Non è vero che noi siamo ciò che siamo per il nostro sangue: questa scuola è la dimostrazione che la magia, senza disciplina, è come un rogo in una foresta. Brucia ogni cosa, senza controllo. La magia è disciplina e controllo, non deriva dal tuo sangue. Perchè devi vederla per forza così?» ribattè esausta Rowena.
«Anche il Maestro la pensava come me...» precisò serio Salazar, fissandola.
Rowena sbuffò: «Certo, ed il fatto che sia stato tu stesso a suggerire di non rivelargli l'esistenza di questa scuola, ne fa proprio un esempio ideale» sagace, si sedette su un tronco d'albero abbattuto.
Salazar fece lo stesso e lentamente le circondò le spalle con un braccio, tirandola a sé. Rowena lo lasciò fare, docile: il Mago non aveva fama di essere un brav'uomo, ma lei sapeva che era così. Aveva solo idee estreme, ma sperava sempre di poterlo convincere a cambiare le sue regole, un giorno. Rimasero a lungo in silenzio, a contemplare il lago davanti a loro. E ritrovare un equilibrio in quella loro stramba amicizia. Chissà cosa si dirà di loro Quattro, fra cento o duecento anni...
«Farò in modo che i miei alunni collaborino con tutti gli altri per il loro bene. Mh?» annunciò Salazar, sollevandole appena il mento con l'indice. Si sorrisero, in silenzio, e lei annuì appena.
Entrambi percepirono quel laccio, stretto intorno ai loro cuori, stringersi con forza, azzerare le distanze tra loro. Il tempo si fermò, rimasero immobili, a fissarsi. Salazar fece per avvicinarsi a lei, lentamente.
«Salazar, non sono sicura che...» mormorò Rowena, incerta.
«Rowena...smettila di pensare, per un secondo solo» la supplicò quasi lui, in un sussurro, andandole a prendere il viso tra le sue mani. Incerto si avvicinò e le sfiorò appena la bocca con la propria.
Quel contatto fisicò creò una reazione che Rowena conosceva bene. Il proprio corpo fu percorso da una scossa, la mente si offuscò. Istintivamente strinse le mani intorno ai polsi di Salazar che, seppur fosse davanti a lei, non vedeva più. Sapeva già che non avrebbe risposto a quel bacio, né alle parole di Salazar. Si sentì adagiare dolcemente a terra sulla sabbia, tutto in pochi secondi, di buio e oscurità, prima di tornare a vedere. Quella sensazione, quella sorta di sogno nitido, lo aveva sperimentato più e più volte, eppure questa volta era diverso: di solito vedeva cose future, ora invece stava vedendo esattamente se stessa e Salazar, stretti in un bacio pieno d'amore. Era uno strano effetto, vedere se stessi fuori dal proprio corpo, come se stesse guardando un ritratto. La visione era così nitida: riusciva a vedere ogni piega della propria tunica, o di quella di Salazar. Vedeva persino il sole brillava. Si girò appena verso destra, e capì che non erano soli: davanti a lei, una decina di passi più avanti, un'altra persona stava guardando quella stessa scena. Una ragazza, con lucenti capelli biondi, ed un abbigliamento che proveniva decisamente dal futuro. La ragazza si girò lentamente verso di lei, come ad aver percepito il suo sguardo, e lo ricambiò sorridendo. Aveva un'aria molto familiare, forse per via del fatto che aveva i suoi stessi occhi...


Londra, 2018 d.C
Aprì lentamente gli occhi, dopo che le poggiarono il cappello sulla testa. A malapena toccava terra con i piedi, le mani erano strette sul bordo dello sgabello traballante. Sentiva chiaramente l'odore di antico del cappello che aveva addosso, che poco si confaceva col profumo dolce che indossava quel giorno. Il cappello rimase in silenzio per svariati secondi.
Finalmente ci incontriamo, dunque!” disse alla fine, aprendo uno squarcio sul tessuto per poter parlare. Sollevò appena gli occhi in su, vedendo solo la tesa larga del cappello da mago medievale.
E' un vero piacere poterti conoscere, mo càraid” sussurrò il cappello nelle sue orecchie, quindi gridò: “Corvonero!”. Si alzò, mentre tutti applaudivano, e si girò istintivamente verso il tavolo dei Professori e del Preside. Seduta, lì, vide una donna con una tunica e lunghi capelli neri legati in una treccia. Aveva un cipiglio severo, ma un sorriso leggero e buono sulle labbra. Le fece l'occhiolino...e di colpo si svegliò.

«Vicky?» la voce impastata dal sonno di Ted le arrivò lentamente alle orecchie, mentre la scuoteva appena, con delicatezza. Al buio, si girò verso di lui, riconoscendone la sagoma. «Tutto bene? Sembravi agitata e ti sei svegliata di scatto» sussurrò lui.
Si mise lentamente a sedere sul letto, assonnata e confusa, mentre cercava di far mente locale su cosa aveva sognato. «Torna a dormire, sto bene» mormorò verso Ted, baciandolo. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, e ubbidì.
Victoire recuperò a tentoni la bacchetta e scese lentamente le scale verso il piano di sotto, al buio, conoscendo a memoria ogni angolo e ogni inciampo di quella piccola casa. «Incendio» sussurrò, e dalla bacchetta si sprigionarono delle fiamme rosse che, indirizzate verso il camino, lo accesero. La cucina prese forma e dimensione alla luce del fuoco, e lentamente Victoire andò a prendersi dell'acqua, prima di sedersi davanti al camino e sospirare.
Cosa l'aveva davvero così agitata? Forse il fatto che non aveva mai sognato il suo Smistamento? O la donna del sogno, che sicuro non esisteva nella vita reale? A volte la mente può creare più magie della magia vera. Finì di bere l'acqua e si sistemò bene sulla poltrona, a fissare il fuoco davanti a sé. Sospirò, strofinandosi gli occhi. Aveva ancora addosso quella strana sensazione di familiarità, quando ricordava quella donna. Era sicura che fosse stato solo un sogno, ma era così lucido e...nitido, che persino quella modifica della sua mente sembrava reale. Del tutto reale.
I pensieri si mescolarono con il tepore del fuoco, e lentamente scivolò in dormiveglia. Un dormiveglia che fu interrotto violentemente da un grido gelido ed acuto che echeggiò nella strada principale, fuori dalla finestra. Balzò sulla poltrona, ed ancora confusa si alzò, recuperando la bacchetta. Sentì Ted scendere di corsa le scale, in pigiama, confuso ma sveglio e con la bacchetta in mano.
«Cos'è stato?» chiese con voce roca, prima di andare ad affacciarsi alla finestra. Non vide nulla, quindi aprì lentamente la porta. Victoire lo seguì, curiosa e spaventata allo stesso tempo. Uscirono lungo il vialetto, entrambi scalzi, con la brezza fresca di Maggio che li accarezzava. Una brezza che sembrò gelarsi, solidificarsi dentro i loro cuori, quando videro una sagoma nera fluttuare al centro della strada, a pochi metri da loro. Victoire rimase immobile, e così anche Ted. Pietrificati. Fissavano il Dissennatore davanti a loro, mentre si stagliava su una donna sdraiata a terra, indifesa. I lampioni della via si erano spenti, ma potevano distinguere perfettamente quel non-essere, fosse anche solo per il gelo terrore che emanava. Volevano fare qualcosa, ma sembrava che anche solo la sua presenza riuscisse a pietrificarli. A renderli tristi, innocui, senza felicità o speranza, senza forza di reagire. Victoire voleva stringere la mano di Ted vicino a lei, ma entrambi rimasero immobili con le bacchette in mano, come molti loro vicini di casa, incapaci di fare qualcosa. Erano anni che non si rivedeva un Dissennatore da quelle parti.
«Expecto Patronum!» gridò una voce femminile in fondo alla via. Il Dissennatore si girò di scatto verso la potente luce che illuminò il quartiere, ma non fece in tempo a deviare il colpo: con un grido simile ad uno stridio metallico, fu scagliato via da un Patronus a forma di lontra, che lo inseguì fino alla fine della via, facendolo sparire. Le luci dei lampioni tornarono a brillare, e tutti sembrarono svegliarsi da quel torpore di tristezza e disperazione interiore. Victoire riconobbe subito il Patronus.

Note: hello everybody! Lo so, il primo capitolo è un papiro eterno, quindi se siete arrivati fin qui, ben fatto! Prometto che i prossimi capitoli saranno più cortini (o finiamo a Natale). Spero che questa storia vi piaccia e vi intrighi, lasciate pure una recensione se volete! Sono ben accette critiche e consigli, purchè sensati e costruttivi. 
Thank you!

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


CAPITOLO DUE


Nota dell'Autrice: eccomi qua con il secondo capitolo di questa storia. Spero vi piaccia :) Ho dimenticato di fare un piccolo appunto: ho dato, per mia comodità, dei volti reali ai Fondatori e alla coppia Vicky/Ted. Non li dirò pubblicamente per non "influenzare" il lettore, ma chi vuole saperli può scrivermi privatamente. Enjoy!
 

Hogwarts, 994 d.C.
Fu il viso di Helga che vide per prima cosa, ancora tra le nebbie di quel sonno. Sentì inconfondibile l'odore di erbe medicinali dell'Infermeria, e aggrottò appena le sopracciglia, cercando di mettere a fuoco tutti e tre i visi, vicini al suo capezzale.
«Come stai, cara?» mormorò cortese Helga, accarezzandole la fronte.«Sto bene, ho...avuto una visione» rispose Rowena, mettendosi lentamente a sedere, aiutata dai due maghi «Ho visto...una giovane sulla riva del Lago. O meglio...io ero fuori dal mio corpo, e guardavo me e Salazar che...parlavamo» si corresse, all'ultimo, con la strana sensazione che Godric non le stesse del tutto credendo «e c'era questa giovane che guardava insieme a me. Indossava abiti certamente non nostri» spiegò, osservando poi Salazar e sorridendogli appena.
Salazar non rispose al sorriso, gelido come solo lui poteva fingere di essere.
Godric li fissò entrambi, quindi si soffermò su Rowena: «Come possiamo fare per capire qualcosa di più?» chiese, incerto.
Rowena scrollò le spalle. «Non c'è molto da fare, e lo sai. A volte sogno le visioni, e lì ho più dettagli, ma a volte passano anche anni prima di poter sognare qualcosa di simile. Vi ricordate dopo quanto tempo sognai Hogwarts completata?» chiese, retorica.
«Tre lunghi noiosi anni» mormorò secco Salazar, facendola appena sorridere.
«Molto bene...vorrà dire che attenderemo la notte o tre lunghi noiosi anni» annunciò Helga, sospirando. «Tu ora rimani qui a riposare» precisò poi verso Rowena, che ubbidì volentieri. Le visioni le lasciavano sempre una stanchezza estrema, come se avesse scalato una montagna in ginocchio. Quindi li lasciò uscire tutti e tre, lanciando un'occhiata a Salazar.
In verità aveva il sospetto del perchè aveva avuto quella visione. O quantomeno cosa l'aveva scatenata. Sua madre le aveva raccontato di queste potenti visioni, canalizzate tramite gesti di amore : due amati, una madre ed un figlio...qualunque tipo di vero amore canalizzava, attraverso il contatto delle due persone, delle potenti visioni. Visioni di un futuro molto lontano, ma che legava la veggente ed il futuro in maniera imprescindibile. Visioni non solo lontane nel tempo, ma anche importanti per la loro gravità. L'ultima visione simile che aveva avuto, fu quando abbracciò per l'ultima volta sua madre, sul letto di morte. Ed ebbe la visione della costruzione di Hogwarts. Al di là di chiunque fosse quella ragazza, non riusciva ad ammettere che l'aveva vista proprio tramite l'amore ricambiato per Salazar...

«Tu l'ami» il verdetto sorpreso di Godric gli arrivò come una mannaia tra capo e collo. Salazar sollevò lentamente gli occhi posandoli su quelli verdi dell'amico. Lo fissò, gelido, indurendo appena la mandibola. Se c'era una cosa che odiava di più di Godric Gryffindor, era che lo capiva meglio di se stesso.
«Non so di cosa tu stia parlando» annunciò gelido, tornando al suo lavoro. Le pozioni erano l'unica cosa che riusciva a distrarlo, da tutto.
Godric si sedette davanti a lui, sorridendo stravolto. «Diavoli Babbani, Salazar...la ami davvero? Non credo che tu potessi...»
«Provare dell'affetto per qualcuno? Oh beh ti ringrazio, Godric, grazie, sei un vero amico» brontolò Salazar, senza l'ombra di un sorriso seppur il suo tono fosse ironico. «E comunque te lo ripeto, non so di cosa tu stia parlando»
«Oh smettila, lo sai che non riesci a nascondermi nulla! Come Rowena, che non riesce proprio a mentire. Quando ha deviato sul fatto che voi due stavate “parlando”, l'ho capito subito che mentiva»
«Stavamo davvero parlando: era furiosa per la scenetta fatta dai miei studenti»
«Mh, si, e poi? Avete parlato per mezz'ora? E' già tanto che tu riesca a parlare due volte al giorno, Salazar» precisò Godric, osservandolo serio. «Guardami» gli ordinò poi, calmo.
Ognuno aveva un dono, tra di loro. Helga era il bilanciere delle loro liti, colei che portava sempre la pace e che riusciva a placare ogni animo. Rowena aveva un'intelligenza fuori dal comune. Salazar era un duellante eccezionale ed un Legilimens perfetto. Godric, dal canto suo, aveva la strana capacità di far fare alle persone qualunque cosa volesse, semplicemente chiedendolo. Era un leader ed un eroe, un cavaliere senza macchia e senza paura, come dicevano i Babbani.
Salazar fu costretto ad osservarlo. Con lui non riusciva nemmeno ad usare la sua Abilità: con nessuno di loro quattro l'aveva mai fatto. Rowena, Godric ed Helga erano la sua famiglia, quella che non aveva mai avuto.
«Tu l'ami. Dimmi la verità, ti prego Salazar. Non ti giudicherò» mormorò Godric.
Di nuovo, Salazar fu costretto. Chiuse appena le palpebre, non disse nulla, ma Godric sbatté una mano sul tavolo e rise, divertito. «Lo sapevo!»
«Taci, idiota» brontolò Salazar.
«E lei? Voglio dire...Rowena ricambia? O ti ha rifiutato perché non ti lavi abbastanza?» chiese Godric, sfottendolo. Salazar gli tirò addosso delle foglie secche.
«Ho detto taci, cretino! E comunque non lo so, prima che glielo potessi chiedere ha avuto quella visione. Ma ne dubito» precisò lui, fissando l'amico. «Tu davvero non sei...voglio dire, tu e lei siete cresciuti insieme. Ho sempre pensato che se te l'avessi rivelato, mi avresti incenerito con Draco» rivelò poi Salazar.
Godric sorrise, divertito. «Per quanto l'idea di incenerirti mi aggrada molto, sai bene che Draco è a guardia di tutti noi. Non ha l'abilità di farci del male, te compreso purtroppo. E comunque no, non sono geloso. Se Rowena è felice con te, ben venga no? Sai che bei figli che ci escono da voi due? A parte se riprendono la bellezza da te...» precisò lui, ridacchiando.
Salazar sapeva che non stava scherzando. Tra i due, Godric era di gran lunga il più bello. Fisico alto e prestante, forte e valoroso, con una zazzera di capelli rossi, la mascella pronunciata e gli occhi verdi. Aveva l'aspetto brillante e fiero, e ai tempi dei loro studi sotto la Regina Maeve aveva fatto abbondanti stragi di cuori. Lui, dal canto suo, si era limitato a fargli da spalla e da migliore amico, da topo di biblioteca. Pallido come un morto, con i tratti del viso indefiniti, come un fantasma, occhi glaciali ed un corpo forse snello, ma certo non muscoloso, né tanto meno possente. Di Salazar Slytherin si poteva dire tutto, tranne che fosse bello. In quanto a Rowena, era ancora stupito di come potesse ricambiarlo: era la donna più bella di tutto il regno di Scozia, e forse anche oltre. Anche Helga era molto bella, ma Rowena aveva un'aria da regina. La Signora del Tempo, come la chiamavano loro.
«Dai, Salazar...scherzo. Lo sai che scherzo, vero? Sei il mio migliore amico, ti voglio bene» le parole di Godric lo risvegliarono dai quei pensieri. E quando quello cerco di abbracciarlo, lui lo scansò.
«Che schifo, vattene!» brontolò lui, seppur gli fosse sfuggito un sorriso divertito.
«Salazar, Godric» la voce di Helga li interruppe. Il suo tono di voce non era dolce e gentile come al solito: tremava. Si voltarono, e la videro bianca come un cencio. Godric si alzò di scatto e le si avvicinò, prendendola delicatamente per le spalle.
«Helga, cosa c'è?» mormorò, osservandola. Gli occhi di Helga erano velati di lacrime mentre osservava entrambi, tremando.
«Il Maestro...è qui» sussurrò lei, terrorizzata solo a pronunciare quel nome.


Londra, 2018 d.C.
«Zia!» Victoire camminò a passo svelto verso il Ministro della Magia, abbracciandola.
«Vicky, state bene?» chiese Hermione, abbracciandoli entrambi. Poco dopo si materializzò anche il capo degli Auror.
«Zio, zia...ma che succede? Quello era davvero un...?» chiese Ted, confuso.
«Un Dissennatore, Teddy, si. Erano diciannove anni che non se ne vedevano più qui nei paraggi» rispose Harry, fissandoli serio.
«Vuoi dire che questo non è un caso isolato?» chiese Victoire, perplessa.
Hermione scosse la testa: «Purtroppo no. Questa notte è il quinto che cacciamo via, solo da Hogsmeade. Sembra che qualcuno ce li abbia...scagliati contro»
«Ma come è possibile? Voglio dire...Tu-Sai-Chi è morto no?» chiese Victoire, ancora non osando nominare l'unico che aveva usato i Dissennatori come un personale esercito.
«L'ho ucciso io stesso, Vicky. Eppure non capisco. La mia cicatrice è tornata a bruciare» rispose Harry, grattandosi appena la fronte.
Ted deglutì. Nonna Dromeda gli aveva raccontato cosa era successo quella notte di venti anni fa, quando entrambi i suoi genitori morirono, e così suo zio Fred e tanti altri ancora. Non capiva perchè la cicatrice di Harry poteva fargli male, dopo tutto quel tempo.
«Non pensarci, Harry. Potrebbe essere anche la presenza dei Dissennatori» mormorò Hermione, accarezzandogli appena il braccio.
Con un tonfo sonoro ed una nube di fumo, si materializzarono nella via anche Ron, Ginny e Molly.
«Nonna!» esclamò Victoire, sorpresa di vedere la nonna lì, quella notte. Ma d'altronde sua nonna non era certo una qualunque: aveva ucciso Bellatrix Lastrange, non certo una strega qualunque.
«Vicky, cara...prendete le vostre cose ed andiamo» ordinò dolce Molly, abbracciando i due ragazzi.
«Andiamo? E dove?» chiese Ted, confuso.
«Qui non siete al sicuro. Verrete a stare a casa mia, per un po', mentre i vostri genitori e zii cercano di capire che cosa sta succedendo» spiegò Molly, mentre prendeva entrambi per mano e li conduceva dentro casa.
Mentre Vicky si vestiva e preparava le sue cose, non riusciva a non pensare ancora a quel sogno, così reale. Si stava ormai convincendo che non era frutto della sua fantasia. Era così presa nei suoi pensieri, che non sentì Hermione chiamarla, se non alla terza volta, quando quasi gridò il suo nome.
«Vicky tesoro...stai bene?» chiese sua zia, accarezzandola.
Victoire sorrise, annuendo appena. «S-si zia, è che...non avevo mai visto un Dissennatore, sono ancora scossa» mormorò, mentendo e sentendosi subito in colpa.
Hermione le prese la valigia, sorridendo appena. «Non devi preoccuparti, a casa di Molly sarete al sicuro. Finchè non avrò capito che diavolo sta succedendo, non fate danni ok?» le chiese, sorridendole.
Vicky ricambiò, uscendo di casa. «Sarà fatto»

«Dunque, facciamo il punto della situazione. Nelle ultime tre ore sono stati avvistati ben quindici Dissennatori: cinque a Hogsmeade, sette a Godric's Hallow e tre nella Londra Babbana. Gli Obliviatori sono già sul campo per arginare il problema» annunciò Hermione dalla sua scrivania, nell'ufficio del Ministro della Magia. Davanti a lei c'erano Harry e Ron. «Ora, è chiaro che qualcuno li abbia...richiamati, per chissà quale motivo»
«Non c'è un modo per...esiliarli?» chiese Ron, incerto.
Harry scosse il capo. «Non sono umani, non puoi...limitarli in un posto. Morto Voldemort, era semplicemente senza padrone. Qui non c'erano più anime tristi da risucchiare. Si spostarono così a Nord, pensiamo probabilmente verso la Svezia. Il fatto che siano di nuovo qui, dopo vent'anni, sta a significare solo che qualcuno ce li ha portati. Il problema è...chi» precisò, sospirando.
«Ho controllato personalmente con i responsabili di Azkaban: nessuno è evaso. I Mangiamorte sono tutti in quarantena, isolati, impossibilitati a parlare con nessuno. Quindi deve essere qualcuno che non viene da lì. Che forse non viene proprio da questa nazione» rispose Hermione.
Cadde il silenzio. La situazione era più difficile del previsto: il fatto che fosse qualcuno a loro sconosciuto significava solo che poteva essere...beh, chiunque.
I loro pensieri si interruppero sentendo qualcuno bussare con foga alla porta, ed aprirla senza aspettare il permesso.
«Signora Ministro, mi perdoni ma è davvero...»
«Jones, per la barba di Merlino, che è successo ora?» sbottò Hermione.
Il capo dell'Ufficio Misteri deglutì. «Il Bastone di Merlino, signora...è stato rubato».

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


CAPITOLO TRE

Nota dell'Autrice: eccomi qui con il terzo capitolo della mia storia! Spero vi piaccia, per domande o dubbi non avete che da chiedere :) in questo capitolo verrà introdotto l'antagonista principale della storia, che nei capitoli successivi verrà approfondito. Inoltre ci sarà una piccola parentesi del mio personaggio preferito, mettiamola così...enjoy!


Hogwarts, 994 d.C.
I passi veloci dei quattro Fondatori risuonavano per i corridoi del castello, accompagnati dal fruscio delle vesti e dal sussurrare costante degli studenti che li incrociavano. Rowena rallentò il passo, fino a fermarsi ed a fermare Helga. Le sorrise appena, dolcemente.
«Forse è meglio che tu rimanga a custodia dei ragazzi, mh?» le chiese, gentile.
Helga recepì il messaggio ed annuì, cercando di nascondere il terrore che le stringeva il cuore. «Certo» mormorò, prima di girarsi verso i ragazzi. «Ognuno per favore nei propri Dormitori! Non c'è nulla da vedere, ognuno nei propri Dormitori fino ad ordine contrario. I Responsabili delle Casate vi aiuteranno a sistemarmi nei vostri alloggi e saranno i primi ad essere informati di nuovi ordini!» la voce dolce di Helga risuonava ovunque, mentre gli altri tre ripresero il passo verso l'Ingresso.
Godric e Salazar annuirono appena verso Rowena, e lei sospirò, consapevole di ciò a cui andavano incontro.
Aprirono le porte d'ingresso, dove Draco, il drago che sorvegliava e proteggeva il castello, era rimasto al suo posto, e fissare come un predatore la sua prossima preda.
La figura del Maestro si stagliava in fondo alle scale, ma emanava una potenza tale da offuscare le menti. Gli occhi glaciali erano l'unica cosa visibile del viso, nascosto da un'antica maschera egiziana, d'oro.
«Chi non muore si rivede, miei cari ragazzi» annunciò, la voce metallica e fredda.
«Parla per te» ribattè Godric, sprovvisto di bacchetta.
Le labbra del Maestro si aprirono come in uno squarcio, mentre fissava i suoi ex-studenti.
«Sono davvero dispiaciuto, miei cari. Aver costruito una Scuola di Magia e Stregoneria...senza di me. Un vero peccato per queste giovani promesse: state insegnando loro la metà di quel che avrei potuto insegnare io» annunciò, mettendo un finto broncio.
«La tua presenza qui non è gradita» la voce decisa e squillante di Rowena ammutolì il Maestro qualche secondo, poi fece un passo avanti.
Una palla di ghiaccio scaturì dal palmo di Salazar, fissandolo. Il Maestro sgranò appena gli occhi, osservandolo. «Tu quoque, Salazar, fili mi!» esclamò citando la famosa frase di Cesare. «Vederti dall'altra parte della linea mi rattrista. Un tempo eri il mio studente preferito: come me, anche tu vuoi una generazione di Maghi e Streghe puri, no? E allora perchè non chiamarmi? Avrei potuto rendere questa scuola un esercito!» precisò lui, alzando appena le spalle.
Salazar indurì la mascella. «Non dopo quello che hai fatto...» sibilò, fissandolo.
Il Maestro sbuffò, ridendo quasi. «Oh andiamo, è davvero per quella storia che ve la siete presa? Volevo solo divertirmi un po'!»
«Non con Helga, razza di...» inveì Godric, ma fu bloccato fisicamente da Salazar, dando le spalle al Maestro.
«Non farlo Godric, lo sai che vuole solo aizzarci» mormorò il mago.
«“Non farlo Godric, lo sai che vuole solo aizzarci”...sei patetico!» rifece il verso il Maestro, sbuffando. «Ma bando alle ciance. Sono qui per un motivo ben preciso!» annunciò sorridente «Voglio presentarvi...il mio nuovo esercito»
Fece roteare appena il bastone che aveva nella sua destra. La gemma blu incastonata su di esso brillò, ed una brezza leggera portò con sé l'immagine di cinquanta uomini ammantati di nero, incappucciati ed immobili, dietro il loro padrone.
«Vi piacciono? Sono i miei nuovi soldati, li ho scovati in un angolo del mondo ancora non scoperto, pensate! Devo ancora capire se sono umani o spiriti. Ma d'altronde...che importa?» chiese il Maestro, ridacchiando.
«Dicci cosa vuoi e vattene» annunciò Rowena.
«Ciò che voglio, mia cara...è molto semplice» precisò il Maestro, fissandoli «voi dite che non volete più i miei insegnamenti? Molto bene! Vi lascerò in pace, per sempre. Niente più visite. In cambio, voglio solo un piccolo...inutile...insignificante dono...» li fissò ancora, sorridendo sinistro «Voglio il Diadema»
In un istante, anche Godric e Rowena si unirono a Salazar, creando nei palmi delle loro mani rispettivamente una palla di fuoco ed un mini-uragano.
«Provaci solo, e ti giuro che ti scarico Draco conto» maledì Godric, fissandolo.
Il Maestro rise, divertito. «Accidenti che caratterino, figlio mio! Cosa ho chiesto in fondo? La vostra libertà...per un vecchio diadema da due soldi»
«Sai bene che non è un vecchio diadema da due soldi. Non cederò mai il Diadema ad un essere come te. E' un oggetto molto potente, stai sicuro che non sarà mai tra le tue mani» precisò Rowena, decisa.
«Dunque la vostra risposta è no? Sicuri? E va bene...d'altronde non posso certo obbligarvi. Vorrà dire che mi cercherò un altro giocattolo» annunciò il Maestro, prima di sorridere serafico «Portate i miei saluti ad Helga...» precisò, ridendo divertito prima di svanire in una nube di fumo, insieme al suo esercito.

«Stai bene?» chiese Helga, vedendo entrare Godric nella sala. Il ragazzo le sorrise, poi l'abbracciò e la baciò appena, gentile. Helga sorrise appena, in evidente imbarazzo.
«Sto bene, si...è fatta, è andato via. Ci ha presentato il suo esercito, ci ha minacciato ed è andato via. E' la terza volta in tre anni, voglio dire...non è proprio una novità. Non può farci nulla» precisò Godric, tenendola ancora stretta a sé, con delicatezza.
Helga sorrise, cercando inutilmente di liberarsi dalla presa. «Sei sicuro che questa volta non è diverso?» chiese.
«Perchè dovrebbe?» ribattè Godric, perplesso. «Il Maestro sa benissimo che la scuola è protetta da una magia troppo potente, anche per lui. Senza contare che Draco ci protegge»
Helga scrollò le spalle. Le formicolavano le mani, come ogni volta che aveva un brutto presentimento. Studiò il viso di Godric, attentamente: era, fisicamente e non, la rappresentazione vivente del coraggio, dell'eroe. Era quello che l'aveva fatta innamorare di lui: ciò che mancava a lei, lo compensava lui, e viceversa. «Ho paura» ammise, senza vergogna.
Godric sorrise, abbracciandola: «Anche io...» ammise l'uomo «Non credere che io non abbia mai paura, Helga. Ho paura che ti possa capitare qualcosa, di nuovo, ho paura che possa capitare qualcosa a Salazar e Rowena. Non me lo perdonerei mai. E' stata mia l'idea di scappare da lui, e non vorrei mai che...»
«Ehi» Helga lo interruppe, sorridendo dolcemente. «Tu non hai costretto nessuno, noi ti abbiamo seguito perchè era la cosa giusta da fare. Ci proteggeremo a vicenda, lo abbiamo promesso. E non ci accadrà nulla»
Godric sorrise appena, annuendo. «Sei più coraggiosa e forte di quel che pensi, Helga cara...» commentò lui, sincero, prima di baciarla.


Londra, 2018 d.C.
«Che cosa diavolo stai dicendo, Jones?» Hermione perse la pazienza, alzando la voce. Ron l'affiancò, cercando di farla calmare con solo la sua presenza.
«Jones...dicci bene cosa è successo» Harry era più tranquillo, ma non certo più sereno.
Il Capo Indicibile tentennò, osservando Hermione.
«Per l'amore del cielo Jones, parla, lascia stare il vostro voto di segretezza, è un'emergenza» ordinò il Ministro, quindi andarono a sedersi al tavolo.
«Dove si trovava esattamente questa bastone di Merlino?» chiese Ron, confuso.
«Nell'Ufficio Misteri, al nono livello, signore. Nella stanza del Tempo» rispose Jones «E' una delle reliquie che conserviamo con più cura e gelosia: è il bastone realmente appartenuto a Merlino, che in punto di morte donò alla comunità magica. Nonostante sia ovviamente originale e quindi sicuramente dotato di una grande potenza magica, in verità per chiunque risulta essere solo un pezzo di legno. Nemmeno...Voi-Sapete-Chi ha mai provato nemmeno a rubarlo. Chi sa della sua esistenza, pensa sia solo una leggenda e nulla più»
«Evidentemente non per chi l'ha rubato. E questo porta alla mia domanda: chi era a conoscenza del bastone? Voglio dire...chi sapeva la sua esatta ubicazione?» chiese Harry, fissando l'Indicibile, poi Hermione.
Fu quest'ultima a rispondere: «Non molti. A parte me e Jones, solo il responsabile della Stanza del Tempo, Stuart. Propongo di sottoporci tutti e tre al Veritaserum, per correttezza e sicurezza»
Ron guardò stranito la moglie, ma non disse nulla. Fu Jones a parlare: «Signora, io non ho problemi a farlo. Ma per Stuart c'è un altro problema...è sparito, non riusciamo a trovarlo»
I tre amici si guardarono in faccia. Hermione sospirò: «Avere una spia al Ministero è quello che mi irrita di più al mondo»
«Se così fosse, signora, dovrei licenziarmi in tronco. Stuart è uno dei miei uomini più bravi e fidati, o almeno così credevo. Sono stato un cieco»
«Siamo stati ciechi, Jones. Io sono la responsabile di tutto ciò, e fra poco la stampa lo verrà a sapere. Potter» richiamò Harry, formalmente. «Mettiti in contatto con il Cavillo. Mettete in circolazione la notizia della rapina del bastone, scrivete che ogni zona magica è controllata, e raddoppiate le ronde di controllo. Voglio che la gente si senta al sicuro, non nel panico. E se lasciate trapelare una sola notizia top secret alla Skeeter, giuro che vi ammazzo» ordinò Hermione, prima di sentire ancora bussare.
Entrò una giovane dipendente dell'Ufficio Misteri. «Signora Ministro, Mr Jones. Abbiamo trovato Stuart» annunciò.
«Oh, finalmente una buona notizia! Portalo qui, Edwards» commentò decisa Hermione.
«Temo non sia possibile, signora Ministro» rispose tetra la Edwards «E' morto...»

Erano diciannove anni che Ron ed Harry non rimettevano piede nella stanza della Morte. Nel farlo, entrambi si zittirono, come in un rispettoso silenzioso. Ad ogni passo, i suoni della battaglia echeggiavano.
Senza nemmeno accorgersene, Harry si avvicinò al Velo, e rimase lì a fissarlo.
Sirius gli mancava sempre, ogni istante della sua vita, ogni giorno. Anche suo padre gli mancava, ma come può mancarti qualcuno che non hai mai conosciuto, con rimorso e nostalgia. Quello per Sirius, invece, era un dolore immane. Un lutto a cui non si era rassegnato ancora. E alla morte di Remus, tutto peggiorò. Ciò che faceva parte del suo passato era andato via per sempre. E in diciannove anni, non era riuscito ad andare a trovare le tombe commemorative di Sirius, Remus e Dora. Non ce la faceva, era un dolore tremendamente vivo.
«Harry...» qualcuno lo stava chiamando, si girò intorno, ma vide Ron e gli altri troppo lontani per poterlo chiamare da così vicino. «Harry...!» qualcuno lo chiamò di nuovo, ed impiegò qualche secondo prima di capire che era il Velo a chiamarlo. Deglutì, a secco. Quella voce lui la conosceva...
Fece un passo avanti, salendo sulla pedana verso il Velo. Stava per salire il secondo, quando si sentì stringere la spalla e voltarsi.
«Signore...da questa parte» annunciò Jones, calmo, eloquente.
«S-sì, si certo arrivo» brontolò Harry, scendendo veloce il gradino ed avvicinandosi al corpo senza vita di Stuart, con gli occhi spalancati in un vuoto di glaciale terrore.
«E' l'Avada Kedavra» commentò subito Harry. Ormai conosceva bene la scia di morte che lasciava quella Maledizione.
Hermione annuì. «Dunque non è stato lui a rubare il bastone, ma sicuramente lui ha fatto entrare il ladro. O magari ha rubato il bastone e l'ha consegnato a chi doveva, che poi ha ben pensato di ucciderlo, per non farci rivelare nulla»
«Temo proprio che sia così, signora» ammise Jones, in aria mortificata «volete vedere dov'era custodito il bastone?» chiese poi, ricevendo risposta positiva. Si incamminarono tutti verso l'uscita.
Harry si girò un'ultima volta verso il Velo, e si sentì circondare le spalle da Ron. Sorrise appena.
«Manca tanto anche a me, Harry, ma devi staccarti da lui o non lo ricorderai mai con serenità. Anche a me manca tanto Fred, ma...ecco, cerca di non essere così arrabbiato» ammise Ron in un sussurro, mentre uscivano da lì.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


CAPITOLO QUATTRO

Hogwarts, 994 d.C
Fissò la luna piena, alta in cielo, quindi osservò lo specchio avanti a sé, poggiato sulla scrivania a cui era seduta. Poggiò le mani su un cofanetto di legno inciso con il corvo del Clan Ravenclaw, una famiglia di maghi purosangue, forse la più antica e certamente la più “selvaggia”. Il suo fondatore, Arthur Ravenclaw, venne chiamato così perchè alla sua nascita un corvo lo “marchiò”, graffiandolo. Da allora crebbe come un uomo forte e saggio e tutte le sue figlie e discendenti ereditarono il marchio del corvo attraverso il dono della Veggenza.
Un ultimo sguardo alla custodia prima di sollevare lo sguardo sul riflesso avanti a sé. Il peso del diadema non era solo materiale, ma anche spirituale. Un peso che molti sottovalutavano: avere il potere di vedere il futuro, cercando di capirne il senso e la segretezza, non era facile. Non si è mai saputa la sua origine: i più mormoravano fosse egiziana, che fosse stata imbevuta del potere di Ptah, dio della saggezza e della conoscenza di questo mondo e di altri mondi. Era proprio grazie al possesso del Diadema che le donne Ravenclaw possedevano la Veggenza. Perdere il diadema significava perdere il dono, un dono che se usato nel modo sbagliato poteva creare disastri inimmaginabili.
Sollevò gli occhi e la mente da quei pensieri cupi quando vide il riflesso di Salazar attraverso lo specchio, dietro le sue spalle. Sorrise appena.
«Ti dona molto» ammise il mago, senza eccessiva enfasi mentre si avvicinava.
«Grazie» commentò Rowena, lasciando che l'uomo le poggiasse una mano sulla spalla.
«Anche se questo forse ti donerebbe di più» annunciò lui, mostrandole nel palmo della sua mano un anello in argento con una grossa gemma trasparente incastonata. La particolarità dell'anello era che dentro la gemma c'era un intero paesaggio scozzese in miniatura, animato. Rowena spalancò appena la bocca, indossando l'anello.
«Salazar è...stupendo. Lo hai fatto tu?» chiese, ancora sorpresa.
«E chi altrimenti?» precisò lui, lasciandosi sfuggire un sorriso «Mi stavo chiedendo se volessi sposarmi, tutto qui» aggiunse poi in un sussurro rauco, fissandola.
Rowena non rispose, ma sorrise e lo abbracciò, rimanendo a lungo in silenzio.

Quella notte si rigirò più volte nel letto, senza riuscire a prendere sonno. Forse non era abituata a dormire fuori dalla propria stanza. Si mosse di fianco, vedendo nella penombra la sagoma di Salazar, dormire rilassato. Si avvicinò lentamente al suo corpo, cercando di rilassarsi attraverso il calore corporeo altrui. Che cosa la turbava davvero? Il Maestro aveva fatto la sua ultima apparizione un mese fa, se avesse voluto reagire l'avrebbe fatto subito. Cercò di addormentarsi, e non appena li chiuse le sembrò di riaprirli di nuovo. La luce dell'alba inondò la stanza: la notte era passata in un battito d'ali. Si stropicciò gli occhi, e notò confusa che il posto al suo fianco era vuoto. Lentamente uscì dalle coperte e si vestì. Non fece in tempo ad uscire dalla stanza che un elfo domestico apparì dal nulla, con un'espressione contrita.
«Mi spiace molto, mia signora...» annunciò, in lacrime.
Rowena lo fissò, rigida. «Per cosa, ti dispiace...cosa è successo» un ordine il suo, non certo una domanda.
«Il vostro diadema, mia signora...è sparito» ammise l'elfo, tremante di paura.

L'urlo Banshee di Rowena rimbombò quasi in tutto il castello, facendo anche svenire i meno abituati alla rabbia furiosa della Strega che, a gran passo, si precipitava verso la riva del Lago Nero. Lentamente mise a fuoco Godric, Helga e Salazar, ed una quarta figura: uno studente di undici anni, svenuto a terra. Vicino a lui c'era il cofanetto del suo diadema, vuoto.
«Che cosa...come ha fatto? Il castello è inaccessibile per la sua magia! E Draco!» Rowena era fuori di sé. Il panico prese il sopravvento, ed impiegò svariati secondi a calmarsi, prima che Godric potesse parlare.
«E' propabile che abbia messo Edward, qui, sotto Imperio, e gli abbia detto di entrare nella tua camera e prendere il Diadema. Poi gli avrà detto di uscire verso il Lago Nero e di farselo consegnare. Un ragazzo di undici anni è facile vittima di un Legilimens come lui, non ci sarà voluto nulla a lanciargli un Imperio, farlo correre dentro il castello e poi tornare fuori, dove la barriera non arriva ed è innocua per lui»
«Draco non è stato svegliato, non ci sono resti umani intorno a lui» precisò Helga.
Rowena si massaggiò la fronte. Era davvero la fine. «Dobbiamo trovare un modo per recuperarlo, e dobbiamo farlo subito».


Tana, 2018 d.C
Era di nuovo ad Hogwarts, ma questa volta fuori dal castello. Si girò intorno: tutto era molto nitido e reale. Vedeva la superficie oscura del Lago Nero, gli alberi della Foresta mossi dalla brezza estiva. Poteva sentire quasi le grida festose degli alunni, nel castello avanti a lei. Prese a camminare verso il castello, finchè non vide una figura venirle incontro, quasi correndo. Indossava un elegante pastrano nero, con sotto un completo blu. Morbidi capelli scuri che gli sfioravano le spalle, occhi grigi, l'aria gentile. Le sorrise gentile, quindi prese a parlare.“Draco dormiens nunquam titillandus est” sussurrò, col braccio destro ad indicarle il castello alle sue spalle. Tornò a guardare Hogwarts. Questa volta, all'ingresso del castello era sdraiato un meraviglioso drago dalle scaglie perlacee. Era la creatura più bella e maestosa che avesse mai visto. Il muso della bestia si sollevò e nel fare quel semplice movimento portò con sé un forte vento. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì vide ancora l'uomo avanti a sé. “Come in basso così in alto. Come il dentro così il fuori” annunciò, prima di farle un occhiolino. Il drago lanciò un urlo così potente che, senza rendersene conto, si svegliò.

«Vicky!» qualcuno gridò il suo nome, e si accorse troppo tardi che stava urlando. Spalancò gli occhi di soprassalto e si mise a sedere, ansante. Mise a fuoco la situazione. Si trovava nella Tana, la casa dei suoi nonni paterni. Tutti i nipoti erano stati portati lì dopo l'apparizione dei Dissennatori, per sicurezza...quello lo ricordava. Era circondata da molte facce: Ted ed i suoi genitori in primis; i nonni e gli zii appena dietro di loro. Doveva averli spaventati a morte, a giudicare dai loro visi tesi.
Chi l'aveva chiamata era probabilmente Ted, che la stava ancora tenendo per le spalle.
«Che cosa...che cosa è successo?» chiese Victoire, confusa mentre cercava di mettersi in piedi.
«Stavi sognando, credo. Beh in verità avevi gli occhi aperti, e parlavi con una voce...strana» ammise suo padre, controllandole gli occhi ed il viso.
Vicky si soffermò su ognuno di loro quindi deglutì. «“Come in basso così in alto”» annunciò, facendoli trasalire «Che cosa significa?».
Hermione la fissò a lungo, perplessa. «Come...come fai a sapere questa frase alchemica?» chiese confusa.
Victoire scrollò le spalle, confusa: «Non la conosco, infatti. Non so che accidenti significhi. Me lo ha detto lui» annunciò, indicando sul camino la foto magica di Sirius Black.

«Aspetta...un secondo. Tu hai sognato Sirius che ti ha detto una formula alchemica, e prima ancora ti ha detto il motto di Hogwarts, mostrandoti un drago a sorveglianza del castello?» chiese Harry confuso, quando Victoire finì di raccontare il suo “sogno”.
La ragazza annuì, stretta nella coperta e prima di sorseggiare il suo thè. Erano tutti seduti al lungo tavolo della cucina della Tana, e tutti fissavano Victoire.
«Ti risulta che ci fosse un drago a sorveglianza di Hogwarts?» chiese Ron a Hermione, confuso.
Lei scrollò le spalle. «Non lo so, ma dato il motto della scuola potrebbe essere. Tuttavia non capisco che accidenti c'entri con...beh, Sirius. Voglio dire...non stavi sognando Vicky, lo sai si?» le chiese, rivolta alla nipote.
«Non si possono sognare cose reali ma che non ci conoscono. Quella si chiama Veggenza» precisò dal nulla zia Luna, osservando dolcemente la nipote.
Victoire deglutì a vuoto, con aria colpevole, e Luna ampliò appena il sorriso: «Oh, vedo che non era la prima volta»
«Cosa?! Vicky ma perchè non me l'hai detto?» sbottò Ted, fissandola sconvolto.
«Non lo sapevo, anche se ne avevo un po' il sospetto, pensavo fossero solo sogni! D'altronde la mia bisnonna era una Veggente, no?» chiese conferma alla madre, che annuì. «La prima volta è successo solo ieri, prima dei Dissennatori. Ho sognato il mio Smistamento a Hogwarts, ed una signora seduta al tavolo dei Professori, che però non mi ha mai insegnato nulla, ne sono certa. Il Cappello ha ripetuto ciò che mi disse davvero quel giorno. Una parola, credo...non so, forse scozzese. “Mo Cara” o qualcosa del genere» ammise lei, confusa.
«Beh, almeno c'è un filo conduttore. Hogwarts» precisò Harry, osservandola. «Qualunque cosa sta succedendo, Vicky, devi andare lì» ammise poi, scrollando le spalle. «Se Sir...voglio dire, se il sogno ti diceva di fare così, proviamo a capire dove ci vuole portare. Male che vada, è stato un sogno e nulla più».
«Andremo ad Hogwarts allora» annunciò Hermione decisa.
«No» precisò subito Victoire, facendo voltare di scatto gli zii. Sorrise appena. «Voi dovete indagare su questa apparizione dei Dissennatori, non serve che vi aiutate. I sogni stanno accadendo a me, quindi sono io che devo andare ad Hogwarts. Da sola»
«Non pensarci nemmeno, io verrò con te» annunciò Ted, osservandola. Nonostante non volesse cacciare Ted nei guai, si sentì sollevata dall'idea di avere compagnia. Tornò a guardare gli zii ed annuì. «Partiremo domattina, allora, e ci terremo in contatto per nuove informazioni».
George diede una leggera gomitata a Bill, sorridendo felice. «Visto? Tua figlia ha proprio il sangue avventuroso dei Weasley!».

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


CAPITOLO CINQUE

Hogwarts, 994 d.C
Draco dormiens nunquam titillandus est”. Aprì lentamente gli occhi, guardandosi intorno: era di nuovo sulle rive del Lago Nero. Questa volta non c'era Salazar con lei, ma era spettatrice di una scena che sembrava così lontana, eppure così reale. La ragazza bionda fronteggiava un uomo, ben vestito, che le stava indicando il castello mentre ripeteva il motto del castello, nonché un chiaro monito. Ma quando si volse verso il castello, vide che Draco non c'era. Spaventata per quella assenza provò a gridare, ma la voce non uscì dalla gola. Tornò a guardare verso la ragazza bionda che fronteggiava non più l'uomo elegante ma il Maestro. Entrambi erano armati, seppur la ragazza solo di un vecchio bastone di legno. Il Maestro si trasfigurò più volte: prima in un giovane ragazzo biondo, poi in un uomo dall'orribile faccia da serpente, infine in una giovane dai capelli mori. Le due ragazze si fronteggiavano, finchè quella bionda non sconfisse del tutto la sua avversaria con il proprio bastone, dal quale usciva il potere dei quattro elementi. Alla fine del duello, la ragazza si volse verso Rowena, sorrise, e si trasformò prima in Rowena stessa, poi negli altri tre fondatori, infine in un anziano mago dalla lunga barba bianca. Il bastone brillava potente, di luce propria.

«...» aprì gli occhi di scatto, stiracchiandosi subito dopo. Cercò di memorizzare tutti i dettagli di quella visione, quindi svelta si vestì e si diresse verso l'Aula di Incantesimi, camminando tra gli affollati corridoi di Hogwarts.
«Ehi!» si ritrovò a gridare, furiosa, quando vide due Serpeverde appendere a testa in giù un giovane della propria casata. «Voi due siete entrambi in punizione, vediamo se pulire i pavimenti dei bagni può aiutarvi a fare meno i disgraziati!» annunciò ai due bulli, riportando poi il ragazzo coi piedi per terra. Questi raccolse subito un bastone da terra, su cui si appoggiava, e lo riconobbe al volo.
«Myrddin, santo cielo...ancora? Dovrai imparare a difenderti, caro» annunciò Rowena, sospirando mentre gli sistemava la tunica. Il giovane scrollò le spalle, sorridendo gentile.
«Ormai ci sono abituato, mia signora» ammise, sincero.
«Beh non è certo quello che...che...» Rowena si distrasse quando gli occhi le caddero sul bastone del ragazzo. Lo fissò a lungo, prima di sorridere tra sé. «Mio caro Myrddin, ho come l'impressione che presto potrai difenderti benissimo da solo» annunciò, circondandogli le spalle e conducendolo con sé oltre i corridoi.

«Quindi io sarei di preciso un...cosa?» chiese ancora Myrddin, osservando i quattro Fondatori davanti a sé. Erano lì da circa tutta la mattinata, ma ciò che gli stavano dicendo era fuori dalla sua portata. Ed il suo thè si era ormai freddato.
«Un Custode, Myrddin» rispose paziente Rowena «un custode di messaggi, doni, poteri o qualunque altra cosa sia necessaria. Per poter “inviare” questi messaggi, serve un oggetto che faccia da custodia, mettiamola così. E questo messaggio deve ovviamente resistere negli anni, magari anche nei secoli. E' nostro dovere che tale oggetto sia protetto: un po' come le Profezie, mettiamola così. E nella mia visione quell'oggetto era il tuo bastone, ne sono certa. Ho visto i discendenti del Maestro combattere quel che credo sarà la nostra discendente. Lei potrà usare, se meritevole e di cuore saggio e coraggioso, ma anche intelligente e ambizioso, il tuo bastone e sconfiggere per sempre il Maestro o le sue manifestazioni, ecco»
«Di solito i Custodi sono grandi maghi o streghe che custodiscono qualcosa per i posteri, non per lo stato attuale. E' una magia molto potente e antica, è l'ultima spiaggia per chi sa che non può sconfiggere il male, non in questo secolo. La visione di Rowena ci ha dato la conferma che il Maestro verrà sconfitto da qualcuno nel futuro, grazie al nostro aiuto. E' chiaro ora?» specificò e chiese Helga, con dolcezza.
«Si, a parte una cosa. Se il Maestro verrà sconfitto tra molti secoli...che senso ha combatterlo proprio ora? Voglio dire...noi non lo sconfiggeremo, o lo faremo solo in parte, che senso ha rischiare la vita o, peggio, che il bastone venga rubato proprio dal Maestro? Tanto vale nasconderlo finchè il futuro Salvatore non lo trovi no?»
Salazar sospirò. «Sarebbe una cosa molto sensata, si. Il problema, Myrddin, è che il futuro può essere solo “spiato”, non cambiato. Cambiare le nostre sorti significa modificare le vite, ed è un'arte molto molto pericolosa. Un azzardo che solo quel pazzo del Maestro sta tentando, costringendo la pietra incastra nel diadema di Rowena a modificare le visioni. Semmai dovesse riuscirci, potrebbe modificare il futuro ed il passato di tutti noi: potremmo anche non essere nati, e questa scuola mai esistita. Pensaci bene, e dimmi se vale la pena di evitare una guerra, se non potrai forse mai godere i benefici di una vittoria»
Myrddin li fissò tutti e quattro. Nonostante gli atti di bullismo dei propri compagni, non voleva rinunciare ad Hogwarts, non voleva tornare a vivere per strada. Ne tanto meno voleva non essere mai nato.
«Va bene, ci sto».


Hogwarts, 2018 d.C
Le faceva ancora un certo effetto camminare per quei corridoi, così antichi e carichi di fascino. Tra quelle mura i grandi maghi e le grandi streghe del passato hanno studiato, fallito e poi usciti vittoriosi. Tra quelle mura si erano distinti i più grandi maghi del mondo, come Merlino e Silente...ma anche i più grandi maghi oscuri del mondo, come Lord Voldemort. Rabbrividì solo al suo pensiero, seppur non ne avesse mai incrociato il cammino. I Dissennatori, tuttavia, erano un suo ottimo riflesso. Un riflesso di morte, odio e devastazione. Accelerò il passo, decisa ad arrivare in Biblioteca prima di subito.
«Dove credete di andare, voi due?» una voce severa li fece gelare lì sul posto, e si voltarono verso la figura alta ed anziana della professoressa McGranitt. Nonostante gli anni passati, e nonostante fosse in pensione, Minerva era ancora la potente e intelligente strega dei tempi della scuola.
La donna si sciolse in un sorriso prima di studiare bene Ted e Victoire. «Ma guarda un po' come vi siete fatti grandi! Ted, caro...come stai?» Minerva aveva sempre avuto un debole per quel povero ragazzo, orfano di genitori fin dai primi giorni di vita. Durante la scuola, lo aveva seguito ed accompagnato come una guida.
«Sto bene, professoressa. Forse...lei può aiutarci. Abbiamo bisogno di un libro ben fornito di Storia di Hogwarts» annunciò Ted, sorridendo appena.
Minerva si accigliò, fissandoli ora con un cipiglio severo. «Cosa state combinando, voi due? Non fatemi dannare, vi ricordo che sono in pensione, non sono più arzilla come dieci anni fa».
Victoire sorrise dolcemente: «Nessuna dannazione, professoressa, dobbiamo solo controllare un piccolo dettaglio. Anche se forse lei lo sa. Per caso, durante i primi anni dell'esistenza di Hogwarts, c'era un...beh, drago a sorveglianza del castello?» azzardò lei, provando a sorridere più sinceramente che poteva.
Il cipiglio di Minerva aumentò: «Voi davvero volete sapere questo dettaglio...adesso, ad una settimana dalla fine della scuola?» chiese, scettica.
«Ci piacerebbe molto saperlo» ammise candido Ted.
La donna sbuffò, quindi si girò di scatto, facendo schioccare l'orlo dell'abito da strega che indossava. «Seguitemi» brontolò, incamminandosi verso l'Ufficio del Preside.

Con un tonfo polveroso, Minerva poggiò un pesante tomo sulla scrivania del preside.
«Lei è sicura che il Preside non se la prenderà per aver messo a soqquadro il suo ufficio?» chiese premuroso Ted.
Minerva gli accarezzò la testa, gentile. «Mio caro, se il Preside se la prenderà dovrà rendere conto a me. E non credo che gli convenga. Ora, vediamo dove possiamo trovare queste informazioni. Victoire, cara...Victoire?»
Vicky sembrò non sentire Minerva, seppur fosse seduta vicino a lei. Stava fissando i quadri animati davanti a lei, uno in particolare. Quello di Merlino, un altro volto che le era molto familiare, forse per la quantità di dettagli su di lui ricevuti durante il periodo scolastico.
«Mh?» sembrò risorgere dopo qualche minuto, con Ted che la fissava. Sorrise appena. «Sto bene, scusate, è che quei quadri sono davvero...vivaci» ammise, ironica. «Cominciamo pure»
«Dunque» annunciò Minerva «credo che l'ideale sia partire dalla cronologia, e vedere se durante la fondazione c'era un...ah si, eccolo!» esclamò la donna, indicando un disegno animato. Più che un disegno era una miniatura medievale, ma magica: i ghirigori si incrociavano più volte, formando il castello medievale ed un'enorme bestia che si avvolgeva intorno alle sue torri, e sotto il motto scolastico che aveva sognato.
«Draco dormiens nunquam titillandus est» ripetè, con calma, come se fosse una formula magica. O un qualcosa da capire bene. «Che data riporta questa cronologia?» chiese subito dopo.
«992 – 994 d.C» rispose Ted. «Perchè mettere un drago a guardia di un castello solo per due anni?»
«Il drago potrebbe essere scappato...o essere morto» ipotizzò Victoire, scrollando le spalle. «Ma le date sono vitali. Il 993 fu la data di fondazione della Scuola, vero professoressa?»
Minerva annuì, seria. «Sì, esatto.»
«E per caso sa anche cosa significa “mo càraid”?» chiese subito la ragazza.
Minerva sollevò un sopracciglio. «E' gaelico, l'antica lingua dei clan scozzesi. Significa “mia cara” o “amore mio”. Ma ora potete dirmi perchè vi servono queste informazioni? So che non è semplice curiosità. Se mi spiegate, magari posso aiutarvi un po' di più no?» precisò.
Victoire osservò Ted, quindi annuì appena. «Va bene»

«Per tutti i gatti persiani, Victoire..non sapevo fosti una Veggente» ammise Minerva quando la ragazza le raccontò tutto.
Vicky scrollò le spalle, sorridendo mesta. «Nemmeno io, se può consolarla. E' cominciato tutto la notte dell'attacco del Dissennatore. Credo che quell'energia negativa abbia...risvegliato qualcosa in me. E continuo a pensare a quella donna, il giorno del mio Smistamento. Sono sicura che non ci fosse, eppure aveva un'aria così...familiare» sbuffò, spazientita.
«Andiamo con ordine cara» annunciò Minerva, accarezzandole una spalla. «C'è ancora un altro punto da scandagliare, no? Il suggerimento di Sirius. Sono sicura che nella Biblioteca potremmo trovare qualcosa» si limitò a dire.
Victoire annuì, quindi raccolse la bacchetta e si alzò, seguita a ruota da tutti. «Andiamo»
Stava per chiudere la porta dell'ufficio, uscendo per ultima, quando sentì qualcuno, dentro, richiamarla.
«Psst!»
«Vicky?» Ted la richiamò fermandosi, imitato da Minerva. Victoire fece loro segno di avvicinarsi, quindi rientrò lentamente nell'Ufficio del Preside, cercando di capire da dove venisse quella voce.
«Mo Càraid!» la voce ora era ben distinta, e Vicky sobbalzando si volse verso il quadro di Merlino. Lo fissò perplessa.
I tre tornarono a fissare Merlino, che sorrideva divertito.
«Il fatto che i quadri siano, diciamo...programmati, ci deve far capire che il quadro di Merlino sia stato creato per dire questo a Vicky?» chiese Ted, un po' confuso.
Minerva scrollò le spalle: «Immagino di si. Alcuni quadri si limitano a dire frasi fatte, ma alcuni maghi possono aver creato i propri riflessi prima di morire, in situazioni ben precise...e per motivi altrettanto precisi»
«Mo Càraid» ripetè Merlino, più calmo.
«Sono qui» annunciò prontamente Victoire. Ma quello non disse nulla. La ragazza sbuffò spazientita, ma Minerva le posò una mano sulla spalla.
«Pensa bene in che lingua parlare, mo càraid...» sussurrò.
Victoire deglutì, arrossendo violentemente. Si ricordava ben poco delle locuzioni latine.
«Ecce eum, Magistri» annunciò, e Merlino si sporse appena, facendo istintivamente avvicinare tutti e tre al quadro.
La bocca dell'antico mago si aprì, e Vicky ebbe un brivido lungo la schiena quando lo vide così vicino. Come se un laccio lo tenesse legato a lui.
«A tibi pro Enoizes...» sussurrò Merlino, prima di farle un occhiolino e sorriderle, tornando poi a dormire all'interno della propria cornice.

 

Nota dell'Autrice: tadaaaan! Piccolo indovinello, dai. Indovinate un po' che accidenti avrà voluto suggerire Merlino al trio. Sono sicura che ci arriverete facilmente ;) Spero che questo 5° capitolo vi sia piaciuto, per ogni dubbio o consiglio potete scrivermi in privato! P.S. Io, come Vicky, ricordo pochissimo il latino che ho studiato circa 10 anni fa, quindi nel caso ho sbagliato potete tranquillamente correggermi ;)

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


CAPITOLO SEI

Hogwarts, 2018 d.C
«E con questo, ho raggiunto il record massimo di libri letti in una sola giornata» ammise Ted, chiudendo con un tonfo l'enorme tomo davanti a sé.
Vicky sorrise appena, divertita mentre con una lente d'ingrandimento leggeva una pergamena scritta con una calligrafia minuscola. «La cosa non mi sorprende affatto, Ted, credimi».
Ted si limitò a darle un pizzico sul braccio, poi si stiracchiò. “A tibi pro Enoizes” ripeté fra sé quella frase enigmatica, per l'ennesima volta. Che accidenti avrà voluto dire Merlino? Avevano rovistato in ogni libro di incantesimi, pozioni, alchimia, storia...niente di niente. Quella frase semplicemente non esisteva, e non aveva senso. Soprattutto quell'Enoizes. Che cosa poteva essere? Una persona, un luogo, un animale, un oggetto?
«Vado a sgranchirmi le gambe» annunciò, confuso. La McGranitt e Vicky si limitarono ad annuire, così prese la bacchetta, il foglio dove aveva copiato la frase e si alzò, camminando con calma tra gli alti scaffali della biblioteca. Uscì lentamente da lì, sbuffando mentre si affacciava dalla finestra del corridoio lì vicino. La aprì, respirando una boccata d'aria. Il sole era ancora alto in cielo e, nonostante fosse pieno giugno, non c'era una temperatura afosa e calda. D'altronde che cosa potevano pretendere? Erano in Scozia. Sotto di lui, gli studenti nel cortile si godevano il sole e la pausa tra un'ora di lezione e l'altra.
Sorrise tra sé, quasi nostalgico. Gli mancava il periodo della scuola: gli mancava la spensieratezza degli adolescenti, le vacanze natalizie, le gite a Hogsmeade e tanto altro. Il Cappello Parlante con lui non aveva avuto dubbi: Grifondoro, come suo padre. Non era proprio uno studente modello. Aveva sempre preferito DCAO a tutte le altre materie, Aritmanzia e Storia sopra tutte. Tale padre tale figlio, insomma. Da piccola aveva sempre sognato di diventare un professore come suo padre, o un lupo mannaro come suo padre. Come se seguire i suoi passi lo avrebbe potuto avvicinare di più a lui. Ma si sentiva comunque fortunato: aveva ereditato l'abilità della madre, il suo coraggio e la pacatezza del padre nelle azioni. Non si riteneva proprio un coraggioso, ma per Vicky lo era eccome. Lei è sempre stata una studentessa eccezionale, di quelle avevano il massimo dei voti ovunque. Bella e consapevole di esserlo, l'aveva conquistata col passare del tempo, degli anni forse. Con calma, con pazienza. Zio Ron un giorno gli disse che se fosse riuscito a distrarre “miss Corvonero” dai libri gli avrebbe regalato una vacanza. E tanto è stato, effettivamente.
Sorrise un po' di più, questa volta sognante. Era sempre stato innamorato di Vicky, fin da quando erano bambini e giocavano insieme durante i weekend, insieme agli altri cugini. In verità lui non aveva il sangue di quasi nessun “cugino”, ma era cresciuto con loro, come fosse figlio di Harry e degli altri ragazzi che erano stati legati dai suoi genitori. Deglutì: il fatto di essere orfano gli aveva sempre pesato, ed anche per questo reputava Harry come suo padre. Come lui, anche Harry non aveva mai conosciuto i genitori, anche lui aveva sofferto le prese in giro dei suoi compagni, ed anche lui era rimasto innamorato della sorella di un suo caro amico. Alla fine, seppur essere orfano fosse un peso, Harry aveva fatto di tutto per non fargli mancare nulla, raccontandogli spesso della sua vera famiglia. Un po', in fondo, i suoi genitori li conosceva.
Osservò l'orologio al polso: era stato via più del previsto. Arretrò, andando a chiudere la finestra. Fece per andare via, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Fissò il foglio che aveva ancora in mano, con la sua immagine riflessa nel vetro, e qualcosa si accese nella sua testa.
«Come in basso...così in alto» ripetè fra sé, di nuovo, più lentamente. Che cosa significava davvero quella frase? Il senso letterale l'aveva capito, ma il senso reale qual'era?
«La teoria degli opposti» sì, stava parlando con se stesso ad alta voce «come il sopra così il sotto, come il bianco così il nero. Un equilibrio di opposti, uno il...riflesso dell'altro!» gridò quasi alla fine, euforico, mentre correva verso la biblioteca.

«Sezione Proibita!» annunciò Ted, urlando quando arrivò vicino alle due donne.
«SSSSH!» sibilò irritata la bibliotecaria.
«Cosa?» sussurrò perplessa Minerva.
Ted sbattè il foglio sul tavolo, quindi scrisse qualcosa sotto la frase misteriosa.
«Sezione...proibita!» precisò, indicandolo.
Minerva e Vicky si sporsero, vedendo come la frase, semplicemente capovolta e con una leggera modifica si trasformava sotto i loro occhi.
«Come hai fatto?» chiese Vicky, sconvolta.
Ted sorrise: «Ho ripensato alla frase di Sirius. Il senso di quella frase è che un aspetto ha sempre il suo opposto. Il male ha il bene, il basso ha l'alto...ognuno è il riflesso dell'altro. Queste lettere erano solo il riflesso opposto della frase reale: Sezione Proibita».
«Ted, sei...eccezionale!» ammise Minerva, sorridente.

Ad eccezione di Minerva, i due ragazzi non erano mai stati lì.
Era una zona circolare priva di finestre, illuminata da candele magiche sospese nel soffitto. Scaffali alti, che si perdevano nella semi-oscurità delle pareti tonde. Si poteva sentire lo scricchiolio del legno provocato dai tarli, e da chissà quale altra bestia strana. Ted deglutì: accidenti a lui e a quando era riuscito a decifrare la frase. Quel posto gli stava facendo venire i brividi. Ed aveva addosso uno strano presentimento.
«Allora...ci sono circa 200 libri qui dentro, di cui molti mordono ed altri sono maledetti. Se quello che Merlino ci ha indicato è davvero qui, dobbiamo usare l'astuzia. E la cosa non mi sorprenderebbe affatto» ammise Minerva, cacciando la bacchetta «Lumos Maxima!» annunciò poi, illuminando in un'esplosione di luce tutta l'area principale. Videro qualche strana creatura, simile ad un ragno gigante, risalire veloce uno scaffale sparendo nell'oscurità. «Non fate domande e muoviamoci» brontolò Minerva.
«Come facciamo a cercare quel libro qui in mezzo? Non possiamo cercarlo davvero, nemmeno con l'Incanto di Richiamo. Che cosa dovrei richiamare, di preciso...?» rispose Victoire, confusa mentre cercava di leggere i titoli dei libri lì vicino a lei.
«No no, così non funziona. Non possiamo cercarlo e basta, o chiunque avrebbe potuto. Dobbiamo usare l'intelligenza» annunciò serio Ted, osservandosi intorno. «Deve esserci uno...scaffale segreto, qualcosa da fare o da dire».
Vicky si fermò, pensando. Ted aveva ragione: doveva esserci qualcosa, qualche prova da superare. Si osservò intorno, cercando di capire, di appigliarsi a qualcosa. Cercò di pensare di nuovo alle visioni avute, da ciò che aveva visto: Hogwarts, Sirius Black, il drago e quella donna sconosciuta.
«Mò caraid!» esclamò, di getto. Non accadde nulla. Vide la professoressa e Ted osservarla curiosi, e lei scrollò le spalle. «Magari era una parola che apriva qualcosa, non so» ammise.
Minerva si accarezzò il mento. «Beh, non è proprio una cattiva idea. Riprova! Magari con...la frase di Sirius» consigliò incerta.
«Come in basso così in alto!» esclamò lei, a gran voce. Qualcosa sembrò muoversi, ma non accadde nulla alla fine. Sospirò arresa. «Impiegheremo secoli così» ammise, sconfortata.
Ted le diede una carezza sulla schiena, sorridendo appena. «Non ti abbattere, Vicky, una maniera la troviamo>
Vicky si morse appena la lingua, concentrandosi, quindi puntò la bacchetta in alto: «Draco dormiens nunquam titillandus est!» annunciò, senza gridare, ma con tono deciso.
La luce sembrò quasi sparire, prima di sentire un rantolo, in fondo al corridoio. Come un lieve ruggito. Ed una luce, iridescente.
«Vicky...?» la richiamò Ted, con voce tremante «Vicky...che cosa hai fatto?».

Qualcosa si mosse nell'ombra, al limite con la luce. Un rantolo gutturale. Passarono istanti che sembravano eterni finchè sotto la luce del Lumos si fece spazio, lentamente, la creatura più grande e magnifica che Vicky avesse mai visto.
«Merda...» imprecò Ted, spaventato.
Gli occhi multicolori dell'Opaleye puntarono sui tre. La palpebra rettile si assottigliò, per abituarsi alla luce. La pelle perlacea sembrava quasi brillare di luce propria. Le scaglie, lucide e forti, componevano l'armatura naturale della magnifica creatura. La coda, colma di spuntoni, si arrotolava dolcemente dietro il corpo snello e relativamente leggero. Tra i tutti Draghi, l'Opaleye degli Antipodi è sicuramente il più leggiadro e docile, ma non per questo è un animale da compagnia. Charlie, questo, lo sapeva bene.
«Minerva...che tu sappia c'erano draghi in questa sezione?» chiese Ted, tralasciando i convenevoli.
«Non credo, caro. Credo che Vicky lo abbia...evocato» ammise la donna.
«Non si può evocare un drago australiano come se fosse una piuma d'oca, miseriaccia» precisò ancora Ted, facendo ruggire appena l'Opaleye.
«Va bene va bene, calma amico» annunciò Vicky, sollevando le mani al cielo. «Calma, non...vogliamo farti del male...»
«Vicky, che diavolo stai facendo...» sibilò Ted.
«Sto cercando di calmarlo, anziché farlo agitare...!» ribattè secca Vicky. Lentamente ripose la bacchetta nella fodera, e il drago si avvicinò. Il muso lungo, da rettile, si sporse pericolosamente verso di loro. Li annusò, prima di sedersi a terra, con uno scatto veloce. Poggiò il muso sulle zampe, come un cagnolino domestico, e li fissò.
«E' lui...è il drago che ho visto nel sogno» sussurrò Vicky, vedendo la stessa scena ripetuta nella sua visione. Cercò di smetterla di sudare come una spugna, quindi deglutì e fissò l'animale. Aveva le zampe che sembravano coprire qualcosa, quello che sembrava l'angolo di un libro, o forse un cofanetto.
Deglutì, si avvicinò lentamente. «Draco...?» lo richiamò, calma. Il drago sollevò appena il muso verso di lei, quindi sposto le zampe, mostrando ciò che stava custodendo.
Era un libro senza titolo. Copertina in cuoio, consumata dal tempo, e pagine ingiallite che s'intravedevano. Aveva un unico simbolo sulla copertina: una ruota zodiacale, con i segni disposti in cerchio. Lo prese lentamente tra le mani, quindi lo porse alla professoressa McGranitt. Non appena le mani della donna toccarono il libro, il Drago ringhiò aggressivo. Tanto bastò affinchè Vicky lo riprese subito in mano, placando l'animale. Fece per fare lo stesso con Ted, ma accadde la medesima cosa.
«Ok, è evidente che Draco ti sta dicendo che solo tu puoi aprire e leggere questo accidente di libro» ammise Ted, sospirando «quindi, prego...tutto tuo».
Vicky fissò Draco, che placido ricambiava il suo sguardo, quindi mentre col braccio sinistro teneva il tomo, con la mano destra lentamente sollevò la copertina. Alcuni segni zodiacali su di essa s'illuminarono: il Leone, i Pesci, la Bilancia ed il Toro. «Simboli di Fuoco, Acqua, Aria e Terra. I quattro elementi» mormorò Minerva.
Il libro era vuoto, le pagine completamente bianche.«Cosa? Ci prende in giro?» mormorò seccato Ted. Sbuffò, una goccia di sudore gli sfiorò la tempia.
Minerva osservò la scena, pensosa. «Questo mi ricorda tanto il suo diario» ammise, sincera.
«Il diario di chi?» chiese Ted, ma si zittì, rispondendosi da solo. Osservò Vicky, preoccupato.
«Ok, adesso prendiamo subito questo...coso, e lo portiamo al Ministero dove gente capace potrà – Vicky?» si interruppe, vedendo lo sguardo vuoto e assente della fidanzata. Le mani tenevano saldamente il libro aperto avanti a sé, mentre gli occhi vagavano come se stesse osservando una scena ben precisa, o stesse leggendo delle righe scritte nell'aria. Scene e scritte che lentamente, si stavano imprimendo con inchiostro vivo nelle pagine vuote del libro.
«Lasciamola fare...» mormorò Minerva, posando appena le mani sulle spalle del ragazzo. Ed in silenzio, attesero che la visione terminasse.

Aprì lentamente gli occhi, e la nebbia attorno a lei si diradò. Si guardò attorno: si trovava in un'aula sotterranea, con degli archi a botte e pilastri bassi e larghi che sorreggevano il soffitto. Sul pavimento in pietra, avanti a lei, era inciso un simbolo a quattro cerchi, legati tra loro a formare quasi una sorta di quadrifoglio. Al centro, un giovane ragazzo dai folti capelli ricci, poggiato ad un bastone di legno, ben levigato ma rovinato per il troppo uso.
«Siamo pronti?» chiese qualcuno. Si volse, notando avvicinarsi, per ogni “petalo” del quadrifoglio, quattro figure. Due maghi vestiti con lunghe tuniche finemente ricamate ai bordi, e due streghe con pregiati abiti medievali e veli sulle loro teste, secondo la moda del tempo. Di quel tempo che stava vedendo.
«Pronti» annunciò uno dei due maghi, con una zazzera di capelli rossi sulla testa.
Tutti e quattro imposero le loro mani in avanti, rivolti verso il giovane al centro del simbolo.
«Myrddin, sta calmo mh? Andrà tutto bene» annunciò una delle due streghe, con setosi capelli biondi che sfuggivano dal velo. Aveva una voce dolce e gentile, e vide il giovane rilassarsi, così come fece Vicky.
Socchiusero gli occhi, in una concentrazione che tagliava l'aria. Respirò lentamente, come per non disturbare. Il silenzio regnò per un tempo che riuscì a determinare, ma scattò appena, spaventata, quando il ragazzo rosso riprese a parlare. «Sum ignis et vita!»
«Sum aqua et vita!» gli fece eco il secondo mago, dall'aria vagamente sinistra, ma con un fascino tutto suo.
«Sum terra et vita!» annunciò la ragazza dai capelli biondi.
«Sum aer et vita!» concluse la seconda strega, che dava le spalle a Victoire. Intravide, sotto il suo velo, dei folti capelli corvini. Deglutì, con quel senso di familiarità ancora addosso, e tacque.
Le parole pronunciate erano evidentemente formule magiche, che attivarono qualcosa nel simbolo magico. Dai loro piedi, infatti, sembrò muoversi come un fluido intenso, diverso nel colore a seconda del mago e della strega. Il fluido si congiunse lentamente, fino ad andare a toccare i piedi del giovane all'interno del simbolo. A quel contatto, una potente luce li accecò.
Per un attimo Vicky non vide nulla. Poi, lentamente, la luce svanì ed al suo posto vide la cosa più strana e potente che avesse mai visto. I quattro giovani erano letteralmente...invasi da quel che pensò essere la loro magia. Erano avvolti dalle fiamme, da getti d'acqua, da un uragano e edera e rami. Ognuno di loro controllava alla perfezione il proprio elemento, che indirizzava come un getto verso il ragazzo al centro. Questo fu travolto e sostenuto al tempo stesso da quella magia. Gridò, gli cedettero le gambe, ma non mollò per alcuna ragione il bastone. Si strinse anzi a lui, e lentamente, tremante, tornò in piedi.
Poi, con un secondo bagliore ed un'onda d'urto, svanì tutto nel nulla. Rimasero in silenzio, ad osservare il ragazzo tremante che si appoggiava al suo bastone. Questi sembrava in tutto e per tutto simile a prima, ma un sentimento scivolò nei loro cuori: il presentimento che si era appena compiuta una volontà quasi divina. Una speranza.
«Myrddin....d'ora in avanti sarai il Custode della comunità magica, passata presente e soprattutto futura. A te affidiamo il messaggio da consegnare alle generazioni future. Il tuo bastone sarà un tuo ed un nostro riflesso. Verrà custodito da te e dai tuoi successori, che nominerai personalmente» annunciò la ragazza mora. Dalle sue mani, levate al cielo, apparve un diadema in argento, a forma di volatile. Gli altri la imitarono, facendo apparire nelle loro mani altri manufatti: una coppa, un medaglione ed una spada.
I quattro manufatti presero a brillare di luce propria, prima che quella luce venisse assorbita dal bastone di Myrddin.
«Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma» annunciarono insieme i quattro maghi, prima di entrare nel cerchio e sorreggere il povero ragazzo. Fecero per andare via, ma la ragazza dai capelli neri si fermò, e si voltò di scatto verso Victoire.
Trattennero entrambe il fiato: una poteva percepire l'altra.
«Rowena?» chiese il ragazzo dai folti capelli neri.
La ragazza deglutì, fissando l'estranea avanti a sé. Gli occhi le si imperlarono di lacrime, e le sorrise dolcemente. «Nulla si crea, nulla si distrugge...tutto si trasforma, mò caraid» sussurrò.
Victoire fece per rispondere, ma sentì come un gancio prenderla per le spalle e tirarla su. Sapeva che stava per finire tutto, si aggrappò disperatamente a quella visione, prima che sparisse.

Nota dell'Autrice: è vero, nell'edizione italiana non è Sezione Proibita ma Reparto Proibito. Mi sono presa una piccola “licenza poetica” per far funzionare il giochino di Merlino :P inoltre, nonostante ufficialmente Teddy Lupin sia stato smistato in Tassorosso, per necessità nella mia storia è un Grifondoro come il padre...più avanti capirete il perchè :P spero che questo sesto capitolo vi sia piaciuto, a breve arriverà il settimo! Besos a tutti.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


CAPITOLO SETTE

Hogwarts, 2018 d.C.
«Victoire!» Ted gridò il suo nome con tutte le forze, tanto che si svegliò sgranando gli occhi.
Poteva sentire l'odore umido dei libri della Sezione Proibita. Si accorse di essere sdraiata sulla nuda pietra, e cercò lentamente di tirarsi su. Ted e Minerva la soccorsero, seppur la stessero guardando stravolti.
«Oh ragazza mia...» mormorò Minerva, quasi in lacrime.
«Row-Rowena...è la fondatrice di Ravenclaw, vero?» chiese Victoire, biascicando. Si sentiva strana, ma non sapeva in che senso.
Minerva la fissò, annuendo appena. «Si, cara, è stata una delle fondatrici di Hogwarts. Lei» rispose, indicando una pagina del libro, non più vuoto come prima, ma pieno di scritte e di mosaici animati, dove era impressa la scena vista per davvero da lei. Deglutì.
«Ho visto i Quattro Fondatori ed i loro oggetti, ho visto un ragazzo essere inondato da questo potere. Ho visto...la donna, Rowena, era la stessa del mio sogno ad Hogwarts. E' lei che mi fissava...» biascicò confusa Vicky.
«Vicky, ehi, calma...» mormorò Ted, sorreggendola. «E' già qualcosa, no? Qualcosa si sta sbrogliando. Ora dobbiamo solo cercare di passare inosservati da qui».
Vicky si guardò intorno istintivamente e sussultò: sembrava come se un uragano fosse passato per di lì. Sembrò quasi non curarsene e tornò subito a guardare Minerva.
«Professoressa...dobbiamo andare a prendere il bastone di Merlino» annunciò seria Vicky, tirandosi su da sola. Non sapeva nemmeno come era arrivata a quella conclusione. Sembrava come se quelle visione le avesse instillato nel cuore una certezza naturale. Sapeva che doveva cercare quel bastone.
«Ma mia cara non è possibile, il bastone è...»
«Professoressa! Professoressa!» una voce allarmata si avvicinò sempre più. Videro il professor Paciock correre loro incontro.
«Paciock...cosa è successo?»
«Qualcuno, fuori da Hogwarts. Chiede di Vicky, e...» Neville tentennò, vomitando i suoni in un sussulto di ansia e paura.
«E cosa...?» chiese spazientita Minerva.
«E ha trascinato con sé i Dissennatori» terminò Neville, deglutendo.

 

Hogwarts, 994 d.C.
Doveva ammetterlo: non era una persona riflessiva. Lei era fatta così, era una carica di fuoco. Era come Godric, con il quale ammetteva ci fosse un legame stretto, come di due maghi creati nello stesso elemento. E lei ci sguazzava nel fuoco violento delle azioni, delle gesta eroiche.
Era così che aveva guadagnato la sua posizione, che aveva vinto le sue guerre, che governava la sua comunità magica: pugno di ferro e giustizia. Nessuna pietà per chi tradisce. Come il fuoco violento che divora e purifica, così era la sua politica. Se era diventata Regina, in fondo, doveva pur esserci un merito nelle sue azioni e nei suoi insegnamenti. E se il Consiglio dei Maghi la rispettava e temeva al tempo stesso, c'era una ragione.
Così, quando i suoi ragazzi le avevano chiesto aiuto nella guerra contro il Maestro, non aveva riflettuto un secondo: aveva richiamato i propri clan e, nel giro di pochi giorni, si erano accampati nella zona circostante Hogwarts, protetta da una barriera difensiva.
Non era mai stata tra quelle mura prima d'ora: troppi gli impegni e i doveri di una Regina. Eppure si sentiva quasi a casa propria: aveva la sensazione che fosse proprio quello l'intento di chi l'aveva creato. Dare ai giovani maghi l'atmosfera di sentirsi in un ambiente familiare e sicuro, dove potevano istruirsi e crescere in tutta serenità.
«Vostra Maestà» si sentì chiamare. Si fermò, osservando il giovane uomo davanti a lui.
Gli sorrise, prima di abbracciarlo. «Godric, figlio mio, che gioia rivederti» rispose Maeve, tralasciando i convenevoli.
Superò la soglia avanti a sé. Quella che doveva essere un'Aula era stata trasformata in quartier generale. Sul tavolo al centro dell'aula era stata predisposta una mappa animata del castello e della zona circostante. Intorno al tavolo, il resto dei fondatori.
«Rowena, Helga, Salazar...triste il momento in cui possiamo rivederci, ma per me pur sempre una gioia» annunciò, abbracciando tutti e tre.
«Grazie per essere venuta in nostro soccorso, mia signora» rispose solenne Rowena, osservando attentamente la sua regina e maestra. Non era cambiata di una virgola. Era decisamente alta per la media femminile del tempo, tant'è che alcuni sussurrassero che fosse figlia di un'umana ed un gigante. Aveva un corpo snello ma forte, avvolto da una corazza in scaglie di drago, abiti maschili ed un mantello buttato sulle spalle. Una spada al suo fianco ed i capelli rosso fuoco lasciati sciolti fino a tutto la schiena. Sorrise, vedendola identica a qualche anno prima.
«Nemmeno a dirlo, Rowena. Diamo la caccia al Maestro dall'ultima volta che ha...» la regina si bloccò, osservando Helga e senza precisare nulla.
Helga sorrise appena. «Non preoccupatevi vostra maestà, sto bene...sono qui per proteggere i miei ragazzi e le future generazioni di maghi, come tutti voi».
«Non avrei dovuto mandarvi da lui, me ne pento ogni giorno. Lo vedevo che era cambiato, ma il Concilio mi aveva dato la sua parola che era un maestro degno di tal nome. Avrei dovuto indagare io stessa prima, non avrei dovuto...» ammise Maeve, sospirando.
«Non c'è nulla di cui chiedere scusa, Maeve» ribatté secco Salazar, che come al solito non girava tanto intorno alla questione. «Mettiamola così: aiutaci a distruggerlo e saremo pari».
«Ah, vedo che le tue idee circa la razza purosangue sono cambiate, Salazar. Ne sono felice. Che cosa ti ha fatto cambiare idea?» chiese la regina, ironica, lanciando uno sguardo a Rowena. Lei sapeva molte cose anche senza che gliele dicessero, ormai si sapeva «Ma andiamo al sodo. Qual è la situazione?»
«Il Maestro ha rubato il Diadema di Rowena, circa un mese e mezzo fa. Ancora non siamo spariti dalla faccia della terra, quindi abbiamo ipotizzato che non è ancora riuscito a forzare il Diadema a funzionare» spiegò Godric.
«Certo che no, razza di idiota che non è altro. Il Diadema riconosce il proprio padrone, e chiaramente non è lui...a meno che, certo, non sia una donna appartenente al clan Ravenclaw» borbottò Maeve con sarcasmo.
«Lui è sempre stato convinto che avrebbe potuto modificare i nostri manufatti con la magia oscura, che li potesse...forzare ad obbedire a loro. La mia paura è che prima o poi ci riesca o che, peggio, nel tentativo di farlo possa distruggerli» commentò Rowena, seria «entrambe le opzioni sono a dir poco catastrofiche. Il Diadema è un'entità che vive di vita propria. Modificarne il potere o distruggerlo porterebbe a delle conseguenze atroci non solo nella comunità magica, ma anche in quella babbana»
«Ed è per questo che ci stiamo preparando ad accoglierlo come si deve» continuò Helga «è molto probabile che voglia tornare qui per prendere gli altri manufatti o per prendere Rowena, usare l'Imperio su di lei e sfruttare il Diadema per i suoi scopi».
«Abbiamo chiesto aiuto ai nostri rispettivi clan e al Consiglio dei Maghi. Domani ci sarà un incontro e dovremmo cercare di convincerli. Io e Godric ci recheremo lì per farlo» aggiunse Salazar.
Maeve sospirò appena. «Sono convinta che ce la farete. Se il Maestro sta creando una guerra magica è anche per colpa del Consiglio, che lo ha lasciato libero di muoversi come voleva»
«Il Consiglio non sarà molto felice di riceverci. Hogwarts è stata costruita quasi con la forza» ammise Godric.
«Solo perché sono una manica di idioti, ecco perché!» precisò Salazar.
«Speriamo solo che gli uomini dalla nostra parte bastino» ammise scettica Rowena.
Maeve sollevò un sopracciglio. «Perché dici questo? Cosa sta architettando quel maledetto?»
Rowena sospirò. «Ha un nuovo esercito. Ho il dubbio che non siano proprio...umani. Dice che li ha scoperti in una parte del mondo non ancora scoperta. Non avevano volto, i mantelli coprono ogni singolo lembo di pelle. E seppur una barriera magica ci stesse dividendo, abbiamo tutti percepito un senso di...morte, e tristezza, assalirci. Noi ne abbiamo visti cinquanta, ma conoscendo il prezzo per cui tornerà qui ad Hogwarts, chi ci dà la certezza che verrà con solo loro?»
«Ci sono voci, provenienti dal sud, che dicono che abbia messo sotto imperio una serie di creature magiche pericolose e oscure...dicono addirittura un Basilisco» commentò Helga, tanto seria quanto spaventata.
Maeve fece schioccare il mantello, prima di cominciare a camminare su e giù per la stanza.
«Non noi temiamo nulla, Helga, ricordatelo. Convinceremo i clan a rispondere alla chiamata, ed anche noi abbiamo qualche piccolo asso nella manica. Ve l'ho detto che sto addestrando dei Draghi, vero?» chiese ironica, sorridendo divertita «E poi...c'è sempre Avalon»
Cadde un silenzio di tomba, che durò svariati secondi.
«Non credo che le sacerdotesse...» cominciò titubante Rowena.
«Le sacerdotesse sono in debito con me. Ora io ho bisogno di loro, e mi aiuteranno» precisò secca Maeve.
«Ma mia signora, vi esporrete troppo per noi...» ammise Helga.
«Se siete in questa situazione è anche per colpa mia, Helga. Ed il Maestro è una minaccia comune a tutti noi, un abominio della magia. Se dovesse sconfiggerci, chi ci assicura che non proverà ad attaccare Avalon? E se io sarò cibo per i corvi, non potrò proteggere le sacerdotesse. A loro la scelta» rispose pragmatica la Regina «partirò domattina stessa, e porterò con me Myrddin mentre voi sarete via per il Consiglio. Sono sicura che quel ragazzo mi sarà di aiuto»
«Se lo dici tu. Myrddin è più un involucro sacro da spedire nel futuro, che un feroce guerriero» ammise Salazar, senza remore.
«Con tutto il rispetto, maestro...ma parlate per voi» annunciò una voce decisa provenire dalla soglia della porta. Si voltarono tutti e cinque verso la figura di Myrddin. Nonostante la gamba destra lievemente zoppa, aveva un'aura di carisma e di calma che lo circondava. Era solo un giovane uomo, eppure rispetto a prima del rituale sembrava quasi invecchiato. I folti ricci neri erano accompagnati da una barba scura che li copriva parte del viso. Gli occhi grigi erano decisi e cupi. Avanzò lentamente, facendo ticchettare il bastone vicino a sé. Tutti, lì dentro, poterono percepire la magia che emanava.
«Mettiamola così: se devo provare ad uccidere il Maestro, devo pur testarli questi poteri, no?» ammise il ragazzo, sorridendo appena.
«E sia, è deciso allora. Io e Merlino partiremo per Avalon all'alba, Godric e Salazar per il Consiglio, mentre Helga e Rowena resteranno qui a Hogwarts. Vi lascerò i miei draghi, in caso di attacco del Maestro sapranno come gestirlo fino al mio ritorno» annunciò Maeve.
Fecero per uscire, ma Salazar vide Rowena rallentare il passo in prossimità di una finestra, lì nella torre. Le si avvicinò, abbracciandola, e notando la sua aria sorpresa fece per guardare fuori. Spalancò appena la bocca a sua volta.
«Ma è pazza...?» ammise, sincero, mentre assisteva a Draco che giocava felice con un altro drago, e poi un altro ancora...e un altro ancora. Lì, davanti al castello, riusciva a contare cinque draghi, docili come cagnolini. Deglutì, quasi temendo la potenza che potevano scaricare quelle bestie.
Rowena sorrise, divertita, girandosi verso di lui. «Ce la faremo, vero?»chiese.
«Certo che ce la faremo. E dopo...beh, dopo festeggeremo con un piccolo banchetto nuziale, mò caraid»
«Oh, stiamo anche imparando il gaelico, mò caraid?» chiese sorpresa Rowena, ridacchiando.
«Diciamo che ci sto provando...» ammise Salazar, lasciandosi sfuggire un sorriso dal lato della bocca. La strinse a sé, sospirando.
Ciò che li attendeva da lì a pochi giorni, poteva mettere a rischio la vita di ognuno di loro. Un prezzo che non era disposto a pagare al Maestro.
Poi un rombo, come di tuono o di terremoto, fece vibrare le solide mura di pietra del castello.
«Che cosa è stato...?» mormorò preoccupata Rowena.
Si precipitarono fuori, raggiungendo il resto del gruppo che poco prima aveva lasciato la stanza.
Giunti all'ingresso, videro con chiarezza lo sfacelo avanti a loro: la Foresta Proibita era completamente in fiamme, e i Centauri e le altre creature che vi abitavano stavano scappando in ogni direzione.
I Quattro corsero verso di loro, per cercare di proteggerli.
«Calmi, da questa parte!» gridò Helga verso i Centauri, per cercare di calmarli. Fu tutto inutile: le creature fuggivano in ogni dove. Sopra la Foresta in fiamme, il fumo sembrò creare la sagoma di una maschera con una gemma incastonata sulla fronte, che brillava.
«Il Maestro ha lanciato la sua mossa. Ora tocca a noi rispondere» annunciò serio Godric.



 

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


CAPITOLO OTTO

Hogwarts, 2018 d.C.
Sembrava che un'ombra fosse calata sui tetti e sulle torri di Hogwarts. Il deserto ed il silenzio regnavano sovrani. Un'aura di dolore e sofferenza aveva oscurato perfino il sole, eclissato dalla presenza dei Dissennatori che sostavano al limitare della barriera protettiva. Davanti a loro, immobile, una giovane ragazza dai capelli neri e ricci, che attendeva. In trepidante attesa, come un esercito ben disposto. I professori, spettatori di quella scena, conoscevano già quella sensazione di tristezza, di dolore che stringe il cuore. Lacrime istintive solcavano i volti dei più, in maniera quasi inconsapevole. A ricordare i morti, i feriti, quelli che per mano dei Dissennatori e di chi li governava non ce l'avevano fatta. Di chi era morto per dare loro la vita, la libertà, un posto di pace e di democrazia.
I giovani osservavano, terrorizzati. Il silenzio stringeva loro i cuori. Le bacchette in mano, le bocche aride di parole, gli occhi frastornati dal suono incombente della morte, dell'anima che grida terrorizzata “non darmi a loro, lasciami vivere”. E sopra di loro, il sole che faceva fatica a brillare.
«Si sono presentati lì e lì si sono fermati, senza fare nulla. Sembra che attendano» mormorò Hermione a Minerva, Vicky e Teddy, fermi all'ingresso. Il trio e pochi altri genitori erano accorsi alla Scuola, una volta lanciato il messaggio. Eppure la ragazza non si era limitata a dire nulla. Attendeva Vicky, lei lo sapeva.
Minerva sospirò, la bacchetta già estratta. Era difficile preparare pensieri felici. Era troppo vecchia per quelle cose, dannazione.
«Ci risiamo...» ammise con un sospiro eloquente verso chi, come lei, aveva vissuto una o più guerre magiche.
Vicky deglutì, istintivamente strinse la mano di Ted. Quindi osservò tutti attorno a sé, ed annuì. «Vado al limitare della barriera. Non potrà farmi nulla. Vuole parlare con me, parlerà solo con me. Voi sarete dietro pronti a proteggermi» quasi una richiesta la sua.
Ron sorrise appena, abbracciandola. «Ma certo che ti proteggeremo, tesoro. Non è quello il problema. E' che sembra logico ormai che sia stata lei a rubare il bastone, no? Voglio dire...» osservò il resto del trio «I Dissennatori hanno attaccato varie zone magiche per distrarci, e qualcuno ha rubato un artefatto magico. Ora i Dissennatori sono qui, e questa volta in compagnia di qualcuno. Non vi sembra una coincidenza un po' troppo grande?»
«Non ci resta che scoprirlo» annunciò Vicky, rompendo il silenzio e lentamente avvicinandosi verso la figura. Sfilò silenziosa vicino ai professori, gli stessi che avevano insegnato a lei. Sorrise un po' di più verso Hagrid, che le annuì appena, come a incoraggiarla. La bacchetta in mano, mise a fuoco la figura avanti a sé. Slanciata e snella, era decisamente più alta di lei. Folti ricci neri le cadevano scompigliati sulla schiena. Occhi neri, pelle diafana, abiti da strega, la bacchetta infilata nella cintura. Vicky deglutì, quando lei sorrise. Aveva qualcosa di pericolosamente familiare.
«Sono Victoire. Cosa vuoi?» chiese, cercando di essere più garbata possibile, seppur con scarsi risultati. La barriera la proteggeva dal potere oscuro dei Dissennatori, ma non riusciva comunque a sentirsi al sicuro completamente.
«Quanta fretta! Non vuoi sapere chi sono?» chiese la ragazza, divertita.
Vicky scrollò le spalle.
«Oh beh, non è affatto gentile da parte tua. Mettiamola così: i miei genitori non erano molto amici di tuo zio Harry» rispose l'altra, ridacchiando divertita.
Vicky si bloccò, fissandola «Lascia stare mio zio. Dimmi cosa vuoi» ripetè, calma.
«Non sei affatto gentile a non giocare al mio gioco» ribattè l'altra, col broncio.
«Nemmeno tu, a presentarti con dei Dissennatori» precisò ovvia Vicky, cacciando fuori un coraggio che non sapeva di avere.
Anche la ragazza lo notò e rise sorpresa «Accidenti, che caratterino! E va bene, niente gioco. Veniamo a noi. Io ho il bastone di Merlino» annunciò, serafica.
«Perchè l'hai rubato?» chiese Vicky, fissandola.
L'altra scrollò le spalle, arricciando la bocca. «Diciamo che...mi serve, ecco. Il problema è che il bastone di Merlino è solo un pezzo di legno se non lo attivi tu. E per attivarlo...mi servono due oggettini che sono lì dentro» sospirò ed indicò con l'indice il castello dietro di lei «Gli artefatti dei vostri fondatori»
Vicky sorrise appena. «Sono andati distrutti quasi vent'anni fa. Arrivi tardi»
«NON MENTIRMI!» la voce della ragazza cambiò improvvisamente. Sembrava quasi maschile, metallica, ed il suo urlo arrivò fino alle torri più lontane del castello. Ted fece per avvicinarsi ma fu bloccato da Ron.
«Non ti sto mentendo, è così. La coppa ed il diadema sono state distrutte perchè erano Horcrux, custodi di...»
«Custodi dell'anima di Voldemort, bla bla bla. Si, lo so, ragazzina. Ma cio che TU non sai è che nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma» mormorò la ragazza, sorridendo sinistra.
Vicky la fissò, ancora. Come accidenti faceva a sapere quella frase? Deglutì, fissandola a lungo.
«Io non posso aiutarti. Non so come ricreare quegli oggetti, non so cosa dovrei farci. Non so nemmeno dove sono stati distrutti!» precisò.
La ragazza sbuffò. «Noiosa, davvero. Mettiamola così: mi servono quegli oggetti, e mi servono subito. Quindi TU li ricreerai per me, poi me li consegnerai ed io...sparirò dalla tua vita, davvero»
«E se non dovessi riuscirci?» chiese Vicky, a mò di sfida.
Il gesto dell'altra fu repentino. Allungò il braccio destro verso di lei, rompendo la barriera magica e stringendo le proprie dita attorno al suo collo, forte. Il contatto tra di loro sembrò scatenarle una visione ad occhi aperti: vide il diadema di Corvonero e la coppa di Tassorosso avanti a sé, brillanti e lucenti, mutare in cenere per poi tornare integri, e così in un circolo continuò. Cercò poi di urlare quando sentì il dolore reale che quella presa le creava, interrompendo la visione.
«Vicky!» gridò Ted, correndo verso di lei.
«Se non ci riuscirai...sterminerò la tua famiglia ed i tuoi amici, razza di mezza umana. Nulla può fermarmi» sibilò furente la mora, prima di ritrarre il braccio e smaterializzarsi in una nube nera. I Dissennatori sostarono ancora un secondo sulle succose anime sotto di loro poi volarono via, lasciandosi dietro una scia di dolore e paura.

«Ferma cara o non riesco a curarti» mormorò Madama Chips delicatamente verso Vicky. Aveva sul collo un marchio nero, lasciato dalle dita della ragazza, come se fosse stata davvero marchiata in qualche maniera. Intorno a lei, nell'Infermeria, c'erano i suoi genitori, Ted ed ovviamente Harry e Ron. Hermione e gli altri professori erano andati a irrobustire la protezione magica, evidentemente troppo debole per quella dannata ragazza.
«Allora...facciamo il punto della situazione» annunciò Harry, sospirando «Merlino vi ha indicato la sezione proibita come luogo di custodia di un oggetto. Un oggetto che poi avete scoperto essere un libro, che vi ha dato un...drago»
«Esatto» commentò Ted, tenendo la mano di Vicky, quasi con foga.
«Vicky ha aperto questo libro, ed ha avuto la visione di un rito. In questo rito, tale Myrddin viene praticamente dotato dai quattro fondatori di poteri illimitati, e con lui il suo bastone. Ora questo bastone è la custodia di un messaggio, o potere o chissà cosa, che deve essere stato tramandato da loro a noi tramite Merlino ed i suoi successori. Poco dopo questa visione, arriva questa...pazza, che dice che devi ricostruire due oggetti che noi stessi abbiamo distrutto, affinchè lei possa usarli per attivare il bastone di Merlino e farci chissà cosa?» il torno di Harry era molto sarcastico e diffidente.
«E mi sembra anche ovvio, ora, che Merlino e questo Myrddin sono la stessa persona, no?» chiese Ted.
Vicky sospirò. «E' assurdo, lo so zio. Ma che cosa devo fare? Queste cose stanno succedendo, e davvero. E stanno succedendo a me, e non so come gestirle. Non so cosa...devo fare» ammise Vicky, buttando la testa sul cuscino «Ma non ho molta scelta, lei ha detto che se non ricreo i due manufatti...»
«Non ti accadrà nulla, Vicky. E non permetterò che quegli oggetti vengano anche solo recuperati nelle sue ceneri. Erano degli Horcrux, erano...beh ti basti solo sapere che molte vite sono state sacrificate per dar loro la caccia ed eliminarli. Non permetterò che accada tutto di nuovo» precisò Harry, serio.
«Ma zio, l'anima di Voldemort è morta, è uscita da quegli oggetti. Non sono più avvelenati, se così possiamo dire. E se riuscissi a crearli e a riprendere il bastone? E la visione avuta mentre quella ragazza mi toccava? Ho visto chiaramente il diadema e la coppa trasformarsi in cenere e poi tornare integri, può significare solo che devo ricrearli davvero e non per lei! Potrei usarli contro di lei e...»
«Troppe ipotesi, Vicky. Qui stiamo parlando di oggetti molto potenti e distrutti da cose altrettanto potenti. Questo è tutto» terminò secco Harry. Vicky indurì la mascella, senza dire altro.
Ron le si avvicinò, baciandole la fronte. «Ora dormi un po', sistemeremo tutto noi. Ted sarà qui con te. Daremo la caccia a questa pazza, è una promessa»
Uscirono quindi dall'Infermeria e rimasti soli Ted si sdraiò al suo fianco, abbracciandola.
«C'è qualcosa che non mi torna, Ted» ammise candidamente Vicky.
«A me non torna niente se per questo» ribattè ironico Ted.
«Dico sul serio» rispose Vicky, sbuffando appena una risata leggera «Nella mia visione del rituale io ho visto i quattro fondatori, i quattro oggetti...e merlino, col bastone. Stavano facendo un rituale per trasferire i loro poteri nel bastone, fin qui ci sono. Ma poi nella visione con quella ragazza ho visto due oggetti, e non il medaglione di Salazar e la spada di Godric»
«Forse era un rituale che solo le streghe potevano fare. O forse...non lo so» ammise Ted.
«Sì, ma...non lo so» ammise confusa Vicky «voglio dire, se per esempio Salazar fosse stato un mago oscuro non avrebbe nemmeno partecipato al rito, no? E invece lo ha fatto. Quel rito è successo prima del famoso litigio tra loro. Eppure nella visione non appare, ho visto chiaramente la il diadema e la coppa. Del medaglione nemmeno l'ombra» si grattò la fronte, con la sensazione che il cervello le stesse scoppiando «non ci sto capendo niente. So solo che devo trovare quegli oggetti».
Tacquero per qualche minuto, stretti tra loro.
«Come...come stai? Voglio dire...tutte queste cose, non abbiamo avuto modo di parlare un po'. Come ti senti...» chiese Ted poco dopo, incerto su come formulare la domanda.
Vicky scrollò appena le spalle. «Non so che dirti, Teddy. Mi sento la stessa, non mi sento chissà con quale improvvisa certezza. Anzi, ho più dubbi che altro. Voglio dire...perchè io? Perchè proprio me, che cosa ho di straordinario? Perchè gente di mille anni fa sta dicendo a me di fare qualcosa che ancora non riesco a capie?» le domande erano troppe, le risposte nulle.
Ted le baciò la fronte. «Non so perchè proprio tu, Vicky, ma sei una ragazza intelligente...dolce, gentile, premurosa, ed ottimista. Se fossi un fondatore di Hogwarts ed avessi bisogno di qualcuno a cui affidare qualcosa di importante nel futuro...sceglierei te»
Vicky sorride, divertita, e si strinse di più a lui. «Grazie...» mormorò, senza motivo reale.
«Supereremo questa cosa insieme. Non dovrai farlo da sola, non dovrai. Ci sarò io con te a guardarti le spalle»
«Grazie...» ripeté di nuovo Vicky, prima di cadere in un sonno profondo.


Hogwarts, 994 d.C
«La Foresta è per metà completamente distrutta. Helga ed i suoi studenti stanno cercando di curare le piante rimaste, e piantarne di nuove. I Centauri sono furiosi, i Maridi minacciano una guerra ed il resto delle creature che abitavano nella foresta sono sparite. Sono ferite, spaventate, e possono attaccare senza motivo. Se qualche Babbano dovesse vederle...»
«Non accadrà, Godric» precisò subito Maeve, con quella solita sicurezza che la caratterizzava «per quanto riguarda il resto...è un fatto gravissimo. Il Maestro sta attentando non solo alla nostra vita: sta cercando di distruggervi tutto ciò che avete, sta cercando di rovinare gli equilibri che avete creato con le altre creature, per portarle dalla loro parte. I Centauri non sono stupidi, ma prenderanno questo attacco come un vostro attacco. Ed avere loro contro di voi, non è per niente un bene per la vostra guerra. Dovete cercare una via di pace con loro»
«E se fosse quello che vuole Lui?» interruppe Rowena, camminando su e giù per la stanza «voglio dire...se il Maestro voglia proprio questo? Che ci concentriamo su un altro problema che non sia lui, che abbassiamo la guardia?»
«Andrò io dai Centauri» una voce li raggiunse, sulla soglia della porta. Helga entrò del tutto nella stanza, pulendosi le mani interrate. Sorrise appena «Ho una certa confidenza con loro, potrebbero darmi ascolto»
«“Potrebbero”, appunto» precisò Godric, sospirando «Non se ne parla, Helga. Tu sei preziosa quanto lo siamo noi. Se dovesse succederti qualcosa...»
«Non le succederà nulla, se tu andrai con lei» rispose Rowena, sorridendo appena «Se mentre sarete via il Maestro dovesse attaccarci, vi faremo guadagnare tempo prezioso. Se lui dovesse attaccare Helga, invece, troverà te come sorpresa»
Godric guardò un istante Helga, quindi annuì appena. «Va bene, ci sto. Partiamo subito: prima risolviamo questa faccenda, meglio è. Prima della partenza di domattina, voglio risolvere questa cosa».

Il sottobosco scricchiolava appena sotto i piedi dei due maghi, che lentamente si inoltrava nella parte della Foresta ancora sana. L'odore di fumo poteva raggiungerli fin lì, e per uno strano motivo sentivano la sensazione di essere seguiti.
«Una volta raggiunti, ti prego di restare in silenzio...i Centauri non amano tanto parlare, né tanto meno chi, beh...chi fa come te» mormorò Helga.
«E come farei io?!» sibilò Godric, quasi divertito.
«Diciamo che a volte dovresti chiudere quella bocca e aprirla solo quando sai davvero cosa stai dicendo» ammise la strega, sorridendo appena.
«Ah ti ringrazio dei complimenti, Helga»
«Sei abbastanza pieno di te senza che ti faccia anche i complimenti, Godric»
«E tu hai la lingua affilata come Rowena. Solo che su di lei è evidente, mentre tu sembri tanto dolce e cara, e invece...» sospirò lui, quasi teatrale.
«E invece cosa?» chiese lei, sorridendo.
«E invece sei una serpe in seno» mormorò Godric con fare teatrale. Non trovò nessuna risposta da Helga che stava per ribattere qualcosa quando la strega si portò l'indice alla bocca. Si zittì subito, affilando l'udito.
Sentiva dei passi, come di animale, finchè in pochi secondi non vennero circondanti da almeno una ventina di Centauri dall'aria non proprio felice di vederli lì.
«Via da qui, Umani» annunciò una voce. Uno di loro si fece avanti lentamente: era un enorme esemplare di maschio dal manto marrone, occhi neri e folti capelli marroni. Fissò con odio entrambi, anche se Godric aveva la sensazione che più che odio la sua era delusione.
«Orion, ti prego, fammi spiegare...» mormorò Helga, docile, avvicinandosi di un passo.
«Non-avvicinarti!» gridò furioso Orion, incoccando una freccia nel suo arco.
«Ehi ehi, calma...calmiamoci tutti...» annunciò subito Godric, alzando le mani al cielo.
«Orion, ascoltami. Ascolta solamente, mh? Non devi rispondere» precisò calma ma decisa Helga «Quante volte vi ho aiutato? Quante volte vi ho supportato nello stabilirvi bene nella foresta? Quanti vostri figli ho fatto nascere? Non avrei mai e poi mai immaginato dove il Maestro poteva arrivare per farci del male, per allontanarci dai nostri amici. Vogliamo che siate liberi di vagare dove volete. Volete restare, volete andare via? Fatelo. Ma sappiate che noi abbiamo sempre voluto convivere con voi in pace, Orion...»
Il Centauro fissò a lungo Helga, prima di portare gli occhi verso le stelle luminose. Tacque a lungo prima di parlare. «Le stelle stanno cambiando, Helga. La luce di questo mondo sarà diversa fra mille anni. Noi saremo solo polvere per quel giorno, ma i nostri ricordi saranno essenziali per i posteri. Le nostre gesta, un sentiero da percorrere»
Godric guardò perplesso Helga, ma lei non ci fece caso. «Sai qualcosa, Orion? Hai visto qualcosa?» chiese, cauta.
Orion la fissò, con calma, per svariati secondi. «Accettiamo le tue scuse» si limitò a dire poi, facendo per andare via. Imitato dagli altri, Godric ed Helga stavano per rimanere di nuovo soli.
«Combattete con noi!» esclamò a sorpresa Godric, ancora a mani alzate. Helga lo fulminò e Orion si fermò, girandosi.
«Noi non combattiamo con gli Umani...» precisò la creatura, facendo per proseguire.
«Questa è la vostra casa, Orion, ed è evidente che noi non possiamo sempre custodirla. Forze oscure sono in agguato intorno a noi. Il Maestro sta cercando di distruggerci, derubando i nostri manufatti. Vuole creare una razza di maghi e streghe puri, vuole estinguere le creature magiche, vuole...distruggere noi come anche voi. Noi combatteremo per la nostra vita e libertà, voi dovreste fare altrettanto»
Tutto tacque intorno a loro. Orion si limitò a guardarli un istante, prima di sparire nell'oscurità.
«Bel tentativo» ammise Helga, posandogli una mano sulla spalla. S'incamminarono verso l'uscita della Foresta, lentamente.
«Non capisco perchè si comportino così...» ammise seccato Godric.
«I Centauri sono fatti così, Godric, non puoi biasimarli. E' già tanto che li abbia convinti. Passo molto tempo con loro, mentre curo gli altri animali» ribattè Helga, sorridendo appena.
«Helga!» qualcuno dietro di loro la richiamò, facendoli fermare. Orion corse verso di loro, fino a fermarsi. Li fissò, quindi annuì appena. Si limitò a questo cenno, prima di sparire nella foresta.
Helga sorrise, scuotendo la testa. «Nemmeno i Centauri riescono a dirti di no> ammise divertita.
Godric sorrise trionfante. «Visto? Solo tu mi rifiuti» precisò lui, ironico.
Helga arrossì, nascosta dall'oscurità. «Non so di cosa tu stia parlando»
«Oh si certo. A parte il fatto che ti ho chiesto di sposarmi da circa un anno ed ancora non mi hai risposto»
«Pensavo che te ne fossi dimenticato» ribattè lei. Godric la fermò, prendendola per un braccio.
«Io ti aspetterò in eterno, Helga...ma tu non devi sottovalutare i miei sentimenti» commentò serio. Helga annuì appena, senza rispondere nulla, prima di riprendere in silenzio il loro cammino.
Si pentì subito del modo in cui aveva risposto a Godric, ma d'altronde era la verità. Sperava che si fosse dimenticato di quel sentimento che sembrava non essersi assopito affatto. Lo guardò con la coda dell'occhio per tutto il viaggio di ritorno, nell'oscurità. Poteva sentire la presenza forte e gentile del suo corpo e più volte ebbe la tentazione di abbracciarlo, di chiedergli scusa. Non lo fece.
Per vergogna, per orgoglio, per paura. Aveva sempre fatto così, anche quando Godric l'aveva chiesta in sposa: si era spaventata, apparentemente senza motivo. La verità era che non pensava di essere all'altezza di Godric, l'eroe, il cavaliere senza macchia e senza paura, l'uomo che aveva uno stuolo di donne intorno a lui, e che lui nemmeno calcolava...per lei. Per Helga, la dolce e innocente Helga. La stessa che era stata quasi deflorata dal Maestro, per suo divertimento, e che era stata salvata proprio da Godric. Quando la chiese in sposa, lo sapeva, pensava che era solo per pietà: la povera Helga che non verrà mai più sposata, che rimarrà sola a vita. Ma solo in quel momento aveva capito che era stata una stupida: Godric l'amava davvero.
Sorrise, nell'oscurità. Avrebbe detto di sì quando la guerra sarebbe finita. Sarebbe diventata sua moglie, una volta per tutte.

 


Nota dell'Autrice: e ciao di nuovo a tutti! Spero che questo ottavo capitolo vi sia piaciuto. Finalmente è sbucata la nemica dei nostri eroi -vediamo chi la riconosce, è un personaggio reale della Rowling :P Spero che la storia continui a piacervi, alla prossima settimana per il nono capitolo! Recensite e fatemi sapere cosa ne pensate! :D

 

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


CAPITOLO NOVE

Hogwarts, 2018 d.C
Aprì lentamente gli occhi. L'infermeria era completamente al buio, a parte qualche sporadica candela accesa e sospesa sul soffitto, e la luna piena che brillava alta nel cielo. Si girò nel letto, non percependo la presenza di Ted. Lo trovò a dormire nel letto a fianco, con un'aria crucciata e infastidita mentre si girava e rigirava sotto le lenzuola. Le notti di luna piena erano sempre agitate per Ted, ormai entrambi ci avevano fatto l'abitudine.
Si alzò dal letto senza far rumore, quindi s'intrufolò fuori dalla stanza, iniziando a vagare per i corridoi. La scuola stava per finire, e lo si percepiva: durante il giorno per le scale dei dormitori c'erano ragazzi che correvano su e giù, gruppi di amici che sognavano i progetti per l'estate e coppie che si baciavano nascosti dalla penombra delle colonne. Sorrise tra sé, ricordando quei momenti passati da appena un anno. Quanto correva veloce il tempo: fino a qualche giorno fa era una ragazza spensierata, con il sogno di diventare una cacciatrice di draghi come suo zio Charlie...ed ora si ritrovava ad avere sogni premonitori di un passato lontano, ed a risolvere una situazione che non riusciva nemmeno a capire. E quella ragazza...aveva un'aria così familiare, anche lei. Come o, come i Fondatori visti in sogno. Perchè accidenti dovrebbe risultarle familiare gente vissuta più di mille anni fa?
Con la mente intrecciata in quei pensieri, non si accorse che era arrivata davanti alla porta socchiusa della Sala Grande. Pensò al suo primo giorno ad Hogwarts, allo smistamento, a quelle parole che il Cappello Parlante aveva detto...Sgusciò dentro la Sala, illuminata appena dalle candele sospese nel tetto stellato, e notò subito la presenza di un'unica figura, seduta al tavolo dei Grifondoro.
«Zio» mormorò sorpresa quando riconobbe la testa pel di carota di Ron. Questi si volse verso di lei e sorrise appena, facendole segno di sedersi.
«Pensavo foste tornati a casa» ammise Vicky, una volta seduta.
Ron scosse il capo «Io e tuo padre siamo rimasti qui, per sicurezza. Nel caso...beh, dovessimo lanciare un altro allarme. Hermione ed Harry sono tornati al Ministero, per organizzare un piano nel caso quella folle dovesse tornare» si volse verso un punto della sala, quindi lo indicò a Vicky «lì ho visto tuo zio Fred, sai? Quando...beh quando ci ha lasciati. Non ho mai avuto il coraggio di rientrare qui dentro, mi ricordava troppo lui. E Remus, e Tonks...tutti gli amici che abbiamo perso, per colpa di qualcuno che voleva a tutti i costi renderci schiavi. Ed ora mi sembra di rivivere quella stessa situazione, ma ora ho figli, ho una moglie...»
Vicky lo abbracciò dolcemente, senza dire nulla. A volte era meglio non dire nulla. Personalmente, lei si sentiva fortunata ad avere ancora i suoi genitori, ed adorava i suoi zii, soprattutto Ron, Charlie e George. Adorava i suoi nonni. A volte, scherzando, sua madre le diceva che sembrava più inglese che francese. D'altronde crescere circondata dai Weasley rese la cosa parecchio facile.
«Zio...il diadema Ravenclaw e la coppa Hufflepuff sono andati distrutti, vero?» chiese d'improvviso, sapendo comunque la risposta.
Ron sollevò la testa e sollevò un sopracciglio. «Vicky...è pericoloso, molto pericoloso. Prima di tutto quegli oggetti sono distrutti, completamente. Il diadema è stato polverizzato dall'Ardemonio, la coppa dal dente del basilisco. Secondo...anche se tu riuscissi a ricreare quegli oggetti...e se qualcosa andasse storto? In quegli oggetti c'era un pezzo dell'anima di..»
«...di Voldemort si, lo so. Ma Voldermort è andato via per sempre, gli Horcrux non esistono più. Quei manufatti sono tornati ad essere come erano un tempo. Ma non capisci? Sono costretta, zio. Dalle visioni, da quella ragazza...»
«Lo so, Vicky, ma quella roba è cenere adesso. Pur volendo, come accidenti fai a recuperarla? La stanza delle cose nascoste è completamente distrutta»
Vicky osservò lo zio, sospirando. Forse aveva ragione, forse era follia. Fece per alzarsi ed andare via, a passo svelto.
«Fossi in te starei attenta, Vicky. E porta Ted con te, qualunque cosa tu voglia fare» precisò Ron, indicando qualcuno sulla soglia della porta. Ted, pallido e nervoso come era solo in quelle notti, la fissava.
Vicky deglutì, sorridendo appena. «Andiamo...?» chiese, tendendogli la mano.
«L'avresti fatto senza di me, vero?» mormorò rauco Ted, mentre camminavano a passo svelto verso il settimo piano.
«Fatto cosa? Non so nemmeno da dove cominciare» rispose subito Vicky, sincera e quasi ridendo «Dai, andiamo...»
«Dove?»
«Non lo so...in giro, qualcosa ci verrà in mente» ammise Vicky. I progetti razionali non erano proprio una cosa di famiglia. L'improvvisazione era decisamente meglio.
«Quel che cercate non è qui» annunciò una voce dietro i due ragazzi, che a passo svelto si muovevano in direzione della biblioteca. Si voltarono di scatto, vedendo una figura argentata davanti a loro.
«Barone Sanguinario, buonasera» salutò educata Vicky. Le aveva sempre fatto una certa paura quel fantasma, anche se non sapeva spiegarsi perchè. Insomma, Nick-quasi-senza-testa era decisamente più lugubre.
«Quel che cercate non è qui» ripetè il fantasma, fissandoli senza enfasi.
«Tu sai dov'è?» chiese Ted, fissandolo di rimando.
Il fantasma rimase in silenzio qualche secondo «Non mostro il tuo viso né il tuo riflesso, ma ciò che per necessità ti è concesso» e detto questo, il fantasma volò via.
I due ragazzi rimasero a fissarsi, rimuginando tra di loro.
«Ci risiamo con questa storia del riflesso» brontolò Ted, irritato.
«No, non credo che sia in quel senso Ted, credo che sia in un senso molto più...letterale. “Non mostro il tuo viso né il tuo riflesso”...cos'è che potrebbe mostrare il mio riflesso?»
«Uno...specchio?» azzardò Ted, prima di spalancare appena la bocca. «Oh diamine no, lo specchio delle Brame è andato perso Vicky, non le ascoltavi le degli zii da piccoli?»
«Certo che le ascoltavo, ma non è andato perduto. Zia Hermione ha sempre pensato che Silente lo avesse lasciato qui ad Hogwarts»
«Sono solo ipotesi, Vicky. E non possiamo cercare uno specchio in sette piani di castello, andiamo...»
«Certo che non possiamo. “Ciò che per necessità ti è concesso”» ripetè, prima di sorridere appena, facendo sorridere anche Ted. Sapevano esattamente dove andare.

C'erano uno strano silenzio nella Stanza delle Necessità. Come un silenzio sacro. Al centro della stanza, vuota, c'era lo specchio delle Brame rivolto di profilo. Vicky si girò appena dietro di sé, vedendo Ted che richiudeva la porta. Gli sorrise appena, quindi avanzarono verso l'oggetto, fermandosi al suo fianco.
«Vai...» mormorò Ted, incoraggiandola.
Vicky deglutì, quindi lentamente si sistemò in piedi davanti allo specchio. Vedeva il suo riflesso, ed al suo fianco, appena dietro di lei, una donna dai capelli corvini ed un uomo dallo sguardo affilato, l'aria severa ma affatto cattiva. Sorrisero appena, prima di indicare sul pavimento due sacchetti di velluto, uno marrone ed uno blu. Istintivamente Vicky portò gli occhi a terra, non vedendo nulla. Tornò a fissare il suo riflesso, dove vedeva i due sacchetti. Fissò le due sagome, la donna le fece un occhiolino. Titubante Vicky guardò Ted, quindi con altrettanta incertezza si chinò verso il basso, poi verso lo specchio. La mano destra si sporse verso il vetro, toccandolo. Al tatto sembrava quasi molle, quindi fece forza e si ritrovò con la mano...nello specchio.
«Oh miseria nera...» mormorò Ted, vedendo la mano della ragazza sparire oltre il vetro. Vicky non si curò dell'aria terrorizzata di Ted e si sporse ancora con la mano, finchè si fermò di colpo quando toccò realmente i due sacchetti.
«E se non riesco ad estrarre il braccio?» chiese d'un tratto Vicky, spaventata.
«Vicky...ritira il braccio. Desideralo, è una necessità...ricordi il barone sanguinario?» rispose Ted, calmo e deciso.
Vicky deglutì, quindi strinse i due sacchetti e ritirò il braccio con energia. Era ancora tutto intero. Sorrise, trionfante, e veloce aprì i due sacchetti. Erano pieni di cenere.
«Ovviamente non poteva essere così semplice» commentò ironico Ted. Vicky richiuse i sacchetti e si alzò, prendendolo per mano «è quasi fatta».
Ted si bloccò, fissando lo Specchio. Fece per avvicinarsi, per spiare.
«Teddy...lo specchio è un oggetto pericoloso...»
«Lo so, Vicky. Lasciami solo dare un'occhiata...» sussurrò Ted. Vicky non rispose né disse nulla, e gli diede il tempo necessario.
Il ragazzo avanzò lentamente davanti lo specchio, trattenendo il fiato. Lentamente, apparve un uomo sulla quarantina con i capelli ingrigiti dal tempo ed un sorriso dolce, ed una ragazza dall'aria furba ed i capelli viola, lo stesso colore che istintivamente avevano preso i suoi. Entrambi gli sorridevano, stringendogli le spalle. Ted rise, ma nel farlo gli sfuggì un singhiozzo.
«Ted...» sussurrò Vicky, abbracciandolo ed incorniciando così il suo desiderio più vero «Ted...» sussurrò di nuovo la ragazza, più dispiaciuta che altro. Si lasciarono cullare da quel riflesso e dal silenzio, sfogando sentimenti e pensieri che solo l'amore poteva lenire.


Avalon, 994 d.C
Aveva una strana sensazione. Non un presentimento negativo, quanto più la consapevolezza che stava per addentrarsi nella culla della magia, dove divinità ancestrali donavano il Sapere ai mortali. E le custodi di tale sapere immenso erano delle sacerdotesse che vivevano lì, oltre quelle fitte nebbie. Vivevano in armonia nelle loro preghiere, nei rituali e nelle cerimonie che celebravano la Grande Dea nella sua Triade: la Dea Vergine, la Dea Madre e la Dea Vecchia. Alba, tramonto, sera; vita, crescita, morte. Tutto era in equilibrio: niente poteva esistere senza gli altri due aspetti, in un perfetto circolo della vita e della magia.
«Smettila di pensare così tanto, mi distrai» borbottò la Regina guerriera in piedi avanti a sé, sulla piccola imbarcazione in cui si trovavano, avvolti dalle nebbie di Avalon.
«Scusatemi...» mormorò colpevole Myrddin, cercando di non pensare. Strinse il bastone a sé ed attese che qualcosa accadesse.
Maeve sollevò le braccia al cielo, prima di riabbassarle adagio. A quell'ultimo movimento, le nebbie si diradarono mostrando le dolci sponde sacre dell'Isola di Avalon. o sorrise, entusiasta, mentre la barca terminava il suo viaggio sulle rive dell'isola.
«Ma solo una sacerdotessa può aprire le nebbie...no?» chiese confuso mentre si apprestava a salire l'infinita gradinata in pietra che saliva, su in alto, verso il Tempio.
«Vero per metà, mio caro Myrddin. Solo le sacerdotesse posso accedere ad Avalon, e pochi altri che sono protettori dell'isola...come me» precisò la regina, precedendolo lungo la ripida gradinata.
Impiegarono circa un'ora per arrivare alla base del Tempio, e la resistenza di o era agli sgoccioli quando vi mise piede, ansante e sudato. Maeve, dal canto suo, sembrava avesse appena terminato una rilassante passeggiata mattutina.
«Regina Maeve» la richiamò una voce proveniente dall'ingresso circolare del Tempio. Una donna con un abito bianco le andò incontro, prima di salutarla con un abbraccio «è una gioia rivederti. Che notizie porti dal mondo?»
«Non belle purtroppo, sorella. Myrddin lascia che ti presenti Ilmariel, Sacerdotessa Anziana della via dell'Alba. Ilmariel, questo giovane con me è Myrddin, è un mago proveniente da Hogwarts»
«Hogwarts?» ripetè Ilmariel, confusa «che cosa ci fa uno studente con te, Maeve?»
«Cerchiamo di salvare la magia, sorella. Ho bisogno di parlare con la Somma Sacerdotessa...» annunciò greve Maeve.
«Maeve!» una voce giovane e allegra la richiamò. Una giovane ragazza dai capelli neri e la tunica purpurea le corse incontro, abbracciandola.
«Nimue, cara, mi stavo chiedendo quando fossi arrivata a salutarmi» ammise sorridente Maeve, abbracciando la giovane. Questa ricambiò sorridente, prima di volgersi a guardare o. Gli sorrise, gentile, quindi le sacerdotesse fecero strada ai due viaggiatori.

La Somma Sacerdotessa era una donna anziana, con lunghi capelli grigi legati in una treccia, una veste blu ed un bastone stretto nella destra. Sedeva su uno scranno di legno in una stanza circolare dove tutte le altre sacerdotesse erano sedute. Al centro, in piedi, sostavano Maeve e Myrddin da svariati minuti. In silenzio, in attesa.
«Parla, Regina Maeve del regno del Connacht» annunciò alla fine l'anziana donna, placida.
«Grazie, Somma Sacerdotessa Eliell. Sono venuta qui, insieme a questo giovane mago, per chiedere aiuto e sostegno ad Avalon. La comunità magica ha bisogno di voi più che mai. Una calamità sta per abbattersi su di noi, e temo che se non verrà fermata potrebbe colpire anche Avalon con conseguenze gravissime»
«Quale sarebbe questa calamità...?»
«Il Maestro, Somma Sacerdotessa»
Ci fu un brusio preoccupato nella sala, e Myrddin si rese conto dai visi tesi quanto quell'uomo era temuto e odiato.
«Il Maestro è stato esiliato, Regina Maeve. Non è un problema per voi, né tantomeno per noi» precisò una voce affilata e fredda, proveniente da un punto imprecisato della sala.
«Il Maestro è più libero che mai, sacerdotessa Cariell. Avanza pretese, verso la scuola di Hogwarts, verso i suoi fondatori, verso la comunità magica tutta. Ha...sottratto il Diadema dei Ravenclaw»
Molte sacerdotesse si alzarono dai propri seggi, gridando allo scandalo.
«Silenzio!» urlò quasi Eliell, facendo tacere tutte. Tornò a fissare Maeve, a lungo. «Quel che dici è grave, Regina Maeve. Il Diadema è stato forgiato su quest'isola, migliaia di anni fa, quando la nostra comunità si stabilì qui. Se quel che dici è vero...»
«E' vero, mia signora. La minaccia del Maestro è reale, sorelle. Se dovesse impossessarsi del resto dei manufatti, le conseguenze sarebbero gravissime. Io stessa non potrei far nulla, e con me molti maghi e streghe. Senza di noi, il prossimo bersaglio sarebbe proprio Avalon, ed a quel punto noi difensori dell'Isola saremmo solo concime per la terra. Dovete aiutarci, e dovete farlo adesso»
«Avalon non scende in battaglia. Avalon è un luogo di pace e preghiera, Regina» osservò un'altra sacerdotessa.
«Avalon non esisterà più se il Maestro vincerà!» precisò Maeve, spazientita quasi da quella cecità che le sacerdotesse stavano dimostrando.
La Somma Sacerdotessa fissò a lungo la guerriera, prima di studiare Myrddin da capo a piedi, placida.
«E tu chi sei, giovane uomo?»
«Sono un allievo di Hogwarts, mia signora»
«Volevo dire...chi sei davvero» precisò l'anziana donna.
Già, bella domanda...chi era davvero? Era uno studente, era un mago, era un custode?
«Sono Myrddin, mia signora. Myrddin e basta» precisò, calmo. La donna sorrise appena, per la prima volta. Si alzò lentamente dallo scranno, avvicinandosi a lui. Lo studiò a fondo in viso, prima di volgersi verso il proprio scranno.
«Sacerdotessa del Vespro» chiamò, facendo alzare una giovane donna cieca, con addosso la stessa veste purpurea di Nimue «che cosa vede il tuo Occhio?»
La giovane tacque per qualche secondo, prima di prender parola. «Vede nuvole nere e malvagie avvicinarsi verso il Sole, Somma Sacerdotessa. Se le nuvole nere prevarranno, ci sarà un'oscurità perenne...e diverremo tutti ciechi, e sordi..e muti» annunciò la donna, tornando seduta.
Eliell tornò sul proprio scranno, tacque a lungo. Myrddin poteva percepire la tensione attorno a sé, e di come Maeve attendeva immobile e nervosa vicino a sé. L'attesa sembrò non finire più.
«L'aiuto verrà dato» annunciò alla fine Eliell. Il concilio si sciolse, e con uno schiocco veloce del proprio mantello Maeve prese a camminare a passo svelto, via da lì.
«Cos...Maeve! Regina Maeve!» gridò quasi Myrddin, mentre cercava di starle dietro «tutto qui? Voglio dire...non aspettiamo gli aiuti? Che aiuti ci daranno?»
«E' già tanto se ce li daranno davvero, giovane Myrddin. E' inutile aspettare...se l'aiuto ci sarà, arriverà quando vogliono loro e non quando vogliamo noi» borbottò seccata Maeve.
«Ma perchè non dovrebbero aiutarci davvero? Ne va anche della loro incolumità!»
«Hai ancora molto da imparare, giovane Myrddin. Le sacerdotesse vivono in un posto sacro e divino, che loro credono sia impossibile da intaccare. Non seguono gli ordini o il volere di nessuno, parlano per enigmi e le loro stesse menti sono enigmatiche. A volte mi chiedo se non stia parlando al vento...» ammise seccata la donna.
«Maeve!» la richiamò una voce dietro di loro che li fece fermare.
«Nimue, cara...devo andare, ci sono impegni urgenti da sbrigare» mormorò la regina, calma.
La ragazza fissò entrambi, mortificata. «Io...mi dispiace. Cercherò di convincere la somma sacerdotessa, a quanto pare solo in poche qui capiamo la gravità della situazione»
«La cosa non mi sconvolge, credimi» precisò Maeve con sarcasmo.
«Lo so, Maeve...cercherò davvero di convincerle, e spero di farlo in tempo. Per ora, buona fortuna a tutti voi, che la Dea vi protegga» annunciò Nimue, abbracciando entrambi. Si soffermò appena su Myrddin, sorridendogli dolcemente. Il giovane arrossì violentemente e lo fece anche durante la discesa al porticciolo, ogni volta che ci ripensava.
«A quanto pare hai conquistato la giovane Nimue, Myrddin» commentò di colpo Maeve «è sempre bello vedere e vivere l'amore in questi tempi incerti»
«Cosa? No, io non...voglio dire, le sacerdotesse non possono...»
«sposarsi? E perchè non dovrebbero, non sono mica sacerdotesse babbane» precisò subito Maeve, ridacchiando.
Sacerdotessa o meno, Myrddin non fece altro che pensare al sorriso di Nimue per tutto il viaggio di ritorno.

 

Lundenburgh, 994 d.C
«Sicuro che parli tu?» chiese per l'ennesima volta Salazar, mentre camminava al fianco di Godric giù per le scale di pietra che conducevano alla Sala del Concilio. Il Concilio dei Maghi era stato creato come “bilanciere” delle questioni della comunità magica britannica. I più grandi maghi e streghe del tempo si succedevano in quella Sala, giudicando con saggezza ed obiettività le questioni che venivano loro sottoposti.
«Certo che sono sicuro. Se dovessi parlare tu saremmo spacciati ancor prima di entrare nella Sala» commentò sarcastico Godric, prima di dargli un'amichevole pacca sulla spalla.
«Non hai tutti i torti» ammise sincero Salazar, sollevando un angolo della bocca a mò di sorriso.
Le porte della Sala si aprirono, mostrano un'area circolare, scavata nella nuda roccia. Al centro della sala, sul pavimento a mosaico, era incisa una stella magica sopra cui era stato acceso un braciere di fuoco magico. Intorno al perimetro della sala erano seduti all'incirca quindici tra maghi e streghe, che cominciarono a borbottare quando li videro entrare. Salazar era quasi sicuro che stessero parlando di lui, e non se ne stupì affatto: non aveva un carattere facile, lo ammetteva, ed aveva fatto degli errori. Errori di cui si pentiva e di cui anche in quel momento faceva ammenda, grazie all'aiuto dei suoi tre amici, della sua famiglia. Deglutì, glaciale, senza mostrare alcun sentimento. Fingendo di essere ciò che loro volevano che fosse: il cattivo.
«Signore e signori del Concilio, vi ringraziamo per averci dato udienza» annunciò calmo e posato Godric, allargando appena le mani.
«Esponete il vostro problema, Godric Gryffindor» annunciò un uomo di mezza età dai folti capelli biondi, seduto proprio avanti a loro.
«Il nostro problema è molto semplice: il Maestro è tornato»
Un brusio si alzò non appena venne pronunciato quel nome. Alcuni fissarono i due maghi come folli, ed un mago alla loro destra sputò addirittura a terra.
«Il Maestro è in esilio!»
«Il Maestro è tornato, vi dico. Ha rubato il Diadema dei Ravenclaw e minaccia di distruggerci se non consegniamo il resto dei manufatti. Vuole distruggere Hogwarts perchè ospitiamo maghi di ogni origine e provenienza, come vuole l'etica della nostra scuola. Il Maestro usa la scuola come scusa per vendicarsi, ma ciò che ha sempre voluto sono i nostri manufatti: possederli tutti e quattro gli donerebbe un potere troppo vasto. Se dovesse sconfiggerci, nulla gli vieta di attaccare altri nuclei magici...Avalon, per esempio, o le altre scuole. O voi»
Il brusio aumentò, e l'anziano li fece subito star zitti alzando appena una mano.
«Ciò che succede nella vostra scuola non è affar nostro»
«Certo che lo è! In quella scuola ci sono i futuri maghi e streghe della nostra comunità, molti di loro hanno delle doti che noi alla loro età ci sognavamo. Educare e plasmare la magia, incanalarla, conoscerla...questo è ciò che serve per creare dei grandi maghi» ribattè Godric.
«Non è comunque affar nostro...» rispose l'anziano, quasi apatico.
«Ciò che è affar vostro...è il Maestro. Come ha fatto ad uscire dall'esilio con così facilità, ad esempio» chiese di colpo Salazar, con tono glaciale.
Molti maghi si alzarono, gridando allo scandalo.
«Salazar Slytherin, stai forse insinuando che siamo stati noi a toglierlo dall'esilio?» chiese sconvolto una strega.
«Certo che no. Sto solo chiedendo delucidazioni. Se non è colpa vostra, e credo che non lo sia, aiutateci a portarlo nel posto che gli spetta. Non farlo e lasciarci perire significa lasciare le porte aperte al Maestro, distruggendo la libertà di ogni mago o strega» specificò pacifico Salazar, fin troppo per i suoi gusti.
«Attento a come parli, Salazar...attento» rispose l'anziano a capo del consiglio e in tutta risposta la bacchetta si levò verso Salazar. Istintivamente Godric si frappose tra i due, a braccia larghe, per proteggere l'amico.
L'anziano fissò attentamente Godric, quindi sorrise divertito e ripose la bacchetta. «Ai voti. Alzi la mano chi si astiene da questa missione»
La maggior parte della mani si levarono al soffitto, ed i pochi rimasti tacquero, fissando i due maghi. Salazar indurì istintivamente la mascella e i pugni ma tacque, vedendo Godric nella stessa situazione: non lo aveva mai visto perdere le staffe.
«E sia, rispettabile Concilio...ma quando moriremo per mano sua, e ci saremo sacrificati per voi, ed il Maestro verrà a riscuotere le sue tasse anche da voi...ricordatevi di ciò che avete deciso quest'oggi. Oggi un pezzo della nostra libertà è stato assassinato» annunciò serio e tetro Godric, prima di uscire dalla Sala. Salazar fissò l'anziano
uomo avanti a sè, con la mascella ancora indurita, quindi volse le spalle a Kenneth Slytherin, capo clan della famiglia.

«Tuo nonno è davvero insopportabile, Salazar, lasciatelo dire...» borbottò Godric mentre risalivano le scale.
«Quello non è mio nonno» precisò secco l'altro. Lui non aveva più una famiglia.
«Si beh...quel che è. Come previsto, non abbiamo ottenuto nulla, non siamo riusciti nemmeno a scalfirli. Hai visto lo sguardo vuoto di alcuni di loro?» mormorò Godric.
«Si...Imperio»
«Esattamente. Scommetto che il Maestro è già passato a casa di molti di loro»
«Gryffindor!» qualcuno lo chiamò, ormai all'ingresso. Si voltarono, notando venir loro incontro quattro uomini del Concilio. «Le famiglie McMillan, Prewett, Fawley e McKinnon si uniscono alla vostra battaglia»
Godric spalancò appena gli occhi: era la prima volta che dei membri del Concilio si staccavano dalla decisione comune.
«Stiamo andando contro le regole, e probabilmente per questo verremo cacciati dal Concilio. Ma non ci fidiamo di Kenneth, senza offesa» precisò uno dei quattro verso Salazar, il quale si limitò a scrollare le spalle.
«Quanti uomini vi servono?» chiese il secondo.
«Quanti più ce ne potete mandare. La Regina Maeve è con noi» annunciò Godric, fissandoli.
«Sarà un onore combattere al vostro fianco allora» annunciò il terzo. Una volta andati via, Godric sorrise a Salazar.
«Visto che alla fine qualcosa abbiamo concluso? Il solito pessimista» commentò ironico Godric, ridacchiando. Uscirono da quella dannata sede, prima che qualcuno potesse ripensarci.

 


Nota dell'Autrice: salve a tutti! Eccoci qui al nono capitolo. Spero vi siano piaciuti i richiami all'Isola di Avalon (ho fatto una sorta di “crossover” tra o, Hogwarts e l'Isola) e per chi ne volesse sapere di più consiglio di Cicli di Avalon di Marion Zimmer Bradley. Che dire? Stiamo entrando nel succo della trama: la guerra è alle porte, Delphini ha dato il suo ultimatum e finalmente Victoire sa un po' di più dove sbattere la testa -forse, eheh. Spero vi piaccia, non vedo l'ora di sapere il vostro parere!

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


CAPITOLO DIECI

Hogwarts, 2018 d.C
«Dove avete detto di averli trovati?» chiese di nuovo Minerva, china sui due sacchetti poggiati sulla scrivania del Preside.
«Nello specchio delle Brame» ripeté Ted sospirando. Fissava la cenere lì dentro come se solo con lo sguardo potesse trasfigurarla.
«Non potremmo provare con un incantesimo di trasfigurazione?» chiese Ron, con la testa che sbucava da dietro di loro, tentando il tutto per tutto.
«Già fatto. Non accade nulla, ovviamente. Non si può ricreare un oggetto così magico semplicemente con la bacchetta. Bisogna riforgiarle» spiegò Minerva, concentrata sul capire che cosa potessero fare.
La porta dell'Ufficio si spalancò di colpo. Harry in prima fila, furioso, seguito a ruota da Hermione, Fleur e Bill.
«Vi avevo detto di lasciar stare!» esclamò Harry, avvicinandosi.
«E io ti avevo detto che non potevo fare altrimenti» precisò secca Vicky, alzandosi.
«Zio, ascolta...» cominciò timidamente Ted.
«Tu non ti intromettere, Teddy. Ti avevo espressamente richiesto di non ritrovare quegli oggetti, sono pericolosi!» precisò Harry, puntando il dito su Vicky.
«Zio, VOLDEMORT E' MORTO» Vicky alzò pericolosamente la voce, fissando tutti «Ma ciò che potrebbe accadere se non riforgiassi questi oggetti sarebbe ben peggiore del Signore Oscuro! Quella ragazza...»
«Ah, a proposito! Sai chi è quella ragazza? Delphini Riddle, la figlia di Bellatrix Lestrange e Voldemort!» gridò di colpo Harry, prendendo Vicky per un braccio.
Cadde il silenzio. Vicky fissò Harry sconvolta, mentre Bill avanzava facendo mollare la presa all'Auror.
«Harry...lascia mia figlia» ordinò pacato Bill. Harry lasciò la presa, arretrando di un passo.
«Io...ho perso la mia famiglia a causa della sua. Ho perso Sirius, ho perso Remus...tu hai perso i tuoi genitori grazie ai genitori di quella ragazza!» Harry fissò Ted, sconvolto. «Come potete pensare di...assecondarla? Non capite? Vuole imitare le gesta del padre, vendicarlo, vuole...che ricominciamo da capo, vuole che perdiamo altre vite. Qui tutti noi abbiamo perso qualcuno, non voglio continuare a farlo»
«Harry...» richiamò pacatamente Minerva. Nonostante la vecchiaia, aveva ancora quell'aria di competenza e autorità che tutti, lì, avevano temuto durante la scuola «non hai mai pensato che quella ragazza voglia arrivare proprio a questo? Dividerci, farci litigare...?»
«Minerva, ti prego, dimmi che non assecondi questa follia» ammise Harry, confuso.
«Non è una follia e tu lo sai. Le profezie sono cose molto serie, tu sei sopravvissuto grazie ad una di esse. Victoire ha bisogno del nostro aiuto, e lo avrà. Se la Riddle vuole farci del male, troverà la stessa tenacia che ha trovato suo padre prima di lei»
Harry fissò la donna, poi sospirò e scosse la testa «Fate come volete. Io non parteciperò a questa follia. La cerco e la metto ad Azkaban, dove dovrebbe stare» e detto questo, uscì dall'Ufficio.
Ci fu un lungo silenzio dove si guardarono tra di loro.
«Non biasimatelo...ha ancora gli incubi di quel periodo. Crede che chi è morto lo ha fatto per lui, si sente responsabile dei morti che ancora piange...non vuole che riaccada tutto di nuovo» confessò pacata Ginny.
«Ma non riaccadrà. Io non ho nessuna intenzione di consegnare nulla alla Riddle. Nello Specchio ho visto Rowena Ravenclaw e Salazar Slytherin...mi sorridevano, mi hanno indicato loro queste ceneri. Qui la Riddle non c'entra nulla, qui si tratta proprio di andarle contro. Lei ha il bastone, è vero, ma senza questi oggetti non può farci nulla. Devo riforgiarli e capire come recuperare anche la spada di Godric» spiegò Vicky, decisa ma pacata.
«Ti stai addentrando in una zona pericolosa, Vicky...in una zona dove non si sa più cos'è il bene e il male. Fai molta attenzione...Io cercherò di limitare i suoi danni e prenderla prima che ne faccia altri» annunciò Hermione, uscendo anche lei.
Vicky sollevò gli occhi verso i suoi genitori, che l'abbracciarono. «Dobbiamo aiutarli, ma tu sta attenta mon cher» mormorò Fleur, con preoccupazione.
«Non si preoccupi, Fleur, la proteggo io sua figlia» annunciò sincero Ted. Fleur sorrise, quindi annuì ed uscì insieme al marito.
Guardarono Ron, che scrollò le spalle. «Immagino che un aiuto possa darvelo» ammise, prima di indicare il vecchio trespolo di Fanny. «Fossi in voi...cercherei di capire dove si trova la fenice di Silente» fece un occhiolino ai due, quindi uscì dallo studio.
«Ma certo! Il fuoco della fenice che rinasce dalle sue ceneri» commentò Ted, come se avesse appena visto la verità davanti ai suoi occhi.
«Albus?» Minerva si avvicinò al quadro del preside, quasi appisolato. Fu svegliato di colpo, si sistemò gli occhiali a mezzaluna e fissò i due ragazzi, sorridendo loro «Albus, hai mica idea di dove possa...?» fece per dire Minerva, ma Silente sorrise.
«Creature affascinanti, le Fenici. Riescono a trasportare carichi pesantissimi, le loro lacrime hanno poteri curativi e, come animali domestici, sono fedelissimi» annunciò il mago, in una frase fatta, quindi fece loro l'occhiolino ed uscì dal quadro.
«Grandioso...» commentò sarcastico Ted, mentre fissavano la cornice vuota. Vicky cercò aiuto in Merlino, ma era sparito anche lui. Si affacciò alla finestra, cercando quasi di trovare la soluzione là fuori.
Minerva si sistemò gli occhiali sul naso. «Silente non dice mai niente tanto per dirlo. Avete sentito? “Come animali domestici sono fedelissimi”. Forse ci sta dicendo che è ancora qui, da qualche parte»
«Si ma dove? Il castello è enorme, e la zona circostante ancora di più» precisò Ted.
«Forse non dobbiamo poi cercare dappertutto» annunciò d'improvviso Vicky, indicando qualcosa oltre la finestra. I due si avvicinarono alla ragazza e cercarono il punto da lei indicato: il Lago Nero.
«Che? Sei pazza Vicky?» chiese confuso Ted.
«Guarda bene!» precisò Vicky, prendendogli la testa e girandola verso un punto preciso.
«Ah...» ammise il ragazzo.
La luce del sole si rifletteva sulla tomba bianca che sorgeva al centro del Lago, facendola quasi brillare di luce propria.

«Voi siete proprio sicuri che Fanny venga a morire qui?» chiese di nuovo Hagrid ai due ragazzi, mentre conduceva la barchetta diretta verso l'isolotto al centro del Lago Nero.
«La certezza non c'è, dobbiamo tentare» ammise Vicky.
«Certo...potrebbe essere eh. Il problema è che solo Silente sapeva quando era tempo di morire per Fanny. E se lei va lì solo per morire, voglio dire...potrebbe essere anche fra un mese o una settimana, no? Avete tutto questo tempo da aspettare?»
«Spero vivamente che lo faccia prima» ammise Ted.
La barca cozzò appena contro la riva dell'isola, quindi scesero e si arrampicarono su per il lato, arrivando in cima. Si fermarono davanti la tomba di Silente, in rispettoso silenzio. Sentirono Hagrid dietro di loro tirare su col naso.
«Grand'uomo, Silente. Sono passati tanti anni, ma io ancora non...non...» fece per dire, ma scoppiò in lacrime.
«Su Hagrid, su...» mormorò Ted, dandogli qualche pacca sul braccio. L'uomo si soffiò forte il naso, quindi sospirò.
«Io vi aspetto sulla barchetta. Quando avete fatto vi riporto indietro, mh?» disse, mesto, prima di andarsene. Ted e Vicky si sedettero a terra, la schiena contro i tronchi degli alberi, le facce rivolte verso la tomba.
«E adesso...aspettiamo» annunciò paziente Ted.
Passarono il tempo a fare congetture e ipotesi, cercare di capire qualcosa di più sulle visioni di Vicky, spiegare i loro timori e dubbi. E sperare che quella fosse la giusta via. Era quasi il tramonto, tuttavia, ma di Fanny neanche l'ombra. Ted sbadigliò, chiudendo gli occhi sempre di più.
«Ted, guarda!» mormorò poi Vicky d'improvviso, scuotendolo appena. Si alzarono lentamente, notando in aria una sagoma oro e rossa volteggiare sopra le loro teste.
«Fanny» sussurrò Ted, sorridente.
Il votatile planò sull'isola, posandosi poi sul marmo bianco. Non aveva proprio un bell'aspetto: aveva perso molte piume, era magra e la pelle rovinata.
«Cavolo...alla faccia che le fenici sono belle» ammise Ted, confuso. Vicky gli diede una gomitata e fece per avvicinarsi, ma Fanny emise un verso lungo e acuto, delicato ma forte, come un canto. Arretrarono, spaventati, e rimasero lì in attesa.
Aprirono appena i sacchetti, pronti. Poi, poco dopo, qualche fiammella cominciò ad apparire sul corpo della fenice.
«Ecco, sta per prendere fuoco» annunciò agitato Ted «come...?» dubbioso, vedeva Fanny prendere fuoco sempre più.
Istintivamente Vicky si avvicinò alla fenice in fiamme e le gettò addosso le ceneri contenute nei due sacchetti.
«Ma sei matta?!» esclamò Ted, sgranando gli occhi.
«Forse si...» ammise Vicky, pregando che funzionasse.
Fanny prese del tutto fuoco, quindi si trasformò in un mucchietto di ceneri che caddero sul marmo. I due attesero, in ansia, finchè una piccola fenice non si affacciò, innocua e tremolante.
«Oh Merlino...che bella» mormorò Ted, felice. La prese dolcemente tra le mani, ma nel farlo si bloccò. Si girò lentamente verso Vicky.
«Vicky...?» la richiamò, dubbioso. La ragazza si avvicinò, spostando appena la cenere finchè le mani non sbatterono contro qualcosa di duro...e lucente.
Il Diadema e la Coppa erano lì, integri e brillanti, davanti a loro.

Era ormai notte e, nonostante fosse estate, Ted si strinse appena attorno al mantello leggero che indossava. In Scozia non si poteva proprio pretendere un'estate caraibica. Un'altra storia era la Londra magica, dove abitava con la nonna Andromeda e il resto della sua numerosa famiglia. Un membro di essa era proprio davanti a lui e sostava sul ponte di legno andato distrutto durante la guerra contro Voldemort e ricostruito con tanto di placca commemorativa dei caduti. Tra quei nomi c'erano anche quelli dei suoi genitori. Deglutì, come ogni volta che vi passava davanti, e passò oltre.
«Zio» richiamò appena Harry davanti a lui.
«Non è il momento ora, Teddy» brontolò Harry, facendo per andare via.
«Ascoltami!» esclamò nervoso Ted, fissando l'uomo avanti a sé che sembrava quasi sorpreso dalla reazione del figlioccio. Harry tornò al suo posto, senza distogliere lo sguardo da lui. «Ti ascolto» annunciò, pacato.
Ted sospirò lentamente, poi si mise a guardare il lago a fianco dell'uomo.
«Non stiamo giocando, zio. Non ci stiamo affatto divertendo. Ma non possiamo fare altrimenti, non lo capisci? Nessuno vuole migliorare la vita a quella lì, men che meno io...ti ricordo che i suoi genitori hanno ucciso i miei»
«Me lo ricordo benissimo, Ted, io c'ero»
«Appunto, tu c'eri! E hai visto cosa può fare una mente oscura, no? Pensa che cosa potrebbe farci quella, con un esercito di Dissennatori! Non la stiamo aiutando, stiamo facendo esattamente l'opposto. Le stiamo mettendo i bastoni tra le ruote: lei è sicura che una volta ricreati i manufatti glieli daremo. E' sicura che ubbidiremo, ma non sarà così, affatto. Ma non possiamo andare contro le visioni di Vicky. Anche io ero scettico all'inizio, e spaventato. Ma allora perché mezza Hogwarts ci sta aiutando? Merlino, i fantasmi, persino Silente! Hogwarts vuole aiutarci, sembra come se quelle mura possano...capire, e ricordare segreti e memorie di secoli fa»
Harry tacque, a lungo, prima di sospirare. «Prima...di consegnarmi a Voldemort, usai la Pietra della Resurrezione, lo sai. Ero spaventato a morte, sia per me ma soprattutto per i miei amici. Avevo bisogno di aiuto, ma tutti i “grandi” della mia famiglia erano morti. Così rividi i miei genitori, e Sirius, e tuo padre» sorrise appena, con gli occhi velati «mi disse che spettava ai vivi spiegarti perché lui era morto. Gli dispiaceva non poterti conoscere, ma sapeva che un giorno avresti capito il perché del loro sacrificio. Voleva rendere questo mondo un posto migliore, per te»
«Lo so, zio...» mormorò Ted, fissando la superficie del Lago.
«Ed ora credo che tu l'abbia capito. Ho solo paura che vi accada qualcosa» ammise Harry, facendo girare di scatto Ted. Andò ad abbracciarlo, senza dire nulla.
«Non mi accadrà nulla, zio. Non finchè so che tu non sei arrabbiato con me»
«Non sono arrabbiato con te, ma con quella Riddle che è dovuta per forza venire al mondo. Ho paura che vi accada qualcosa...quella è una famiglia oscura e maledetta. Se dovesse capitarvi qualcosa, io...non me lo perdonerei mai» ammise Harry, asciugandosi una lacrime dietro gli occhiali «ho perso la mia famiglia ed il mio padrino proprio così, Ted, e so esattamente come ci si sente ad essere orfani di famiglia. Quando ti presi in braccio la prima volta, mi promisi che niente...niente ti avrebbe arrecato altro dolore. E lo stesso vale per Victoire, per i miei figli e o quelli dei miei amici»
Ted sorrise appena. «Vedila così, zio. Un'avventura tutti insieme, formato famiglia» commentò ironico il ragazzo, facendo ridere appena Harry.
«Hai lo stesso senso dell'umorismo di Dora. Deve essere una prerogativa Black, a quanto pare...o almeno degli ultimi membri di quella famiglia» precisò Harry, facendogli un occhiolino. Lo abbracciò ancora, quindi sbuffò.
«Basta con queste smancerie su, siamo uomini! Allora...come agiamo?» chiese, incamminandosi con lui verso Hogwarts.
«Posso chiederti una cosa, zio?» chiese confuso Ted, di colpo. L'uomo annuì. «Niente...volevo solo sapere come hai fatto a capire che quella era Delphini Riddle»
Harry sorrise. «Non l'ho capito io ovviamente. Tua zia Hermione aveva notato una certa somiglianza con Bellatrix Lestrange, e la sera stessa abbiamo ricevuto informazioni dai Malfoy»
«Noi abbiamo agganci con i Malfoy...?» chiese perplesso Ted.
«Non proprio. Diciamo che Draco è stato assolto come Mangiamorte perché troppo giovane e influenzato dai genitori. E tuttavia, non sono mai stato sicuro se si sia davvero redento...io credo di no, quella famiglia era troppo imbevuta di male per potersi redimere. Ma aveva sentimenti, questo si...mi ha salvato un paio di volte da morte certa, ed io feci altrettanto» spiegò cauto Harry, cercando le giuste parole per spiegare la strana amicizia che si era instaurata tra lui e Draco, dopo la morte di Voldemort.

Vicky non riusciva a dormire. In verità, si accorse che non riusciva a dormire bene da quando il primo Dissennatore fece capolino nella strada davanti casa loro. Così, per ammazzare il tempo e pensare a mente fresca, aveva preso il mantello e si era messa a passeggiare tra i corridoi e le aree di Hogwarts. Si guardò attorno, scoprendosi a guardare quel castello, davvero, per la prima volta. Sfiorò le mura fredde e antiche, osservò i propri piedi calpestare le stesse pietre che studenti di secoli fa avevano calpestato. Le stesse che anche i Fondatori avevano calpestato, gli stessi che aveva calpestato Tom Riddle, i suoi genitori, ed i suoi nonni...generazioni e generazioni di maghi e streghe, ed in quel momento sembrava che tutto dovesse finire. Hogwarts era di nuovo in pericolo, e lei doveva salvarla. Le gambe sembravano quasi cedere a quel pensiero: lei, eroina e salvatrice del mondo mago! Ma come doveva fare, che cosa poteva fare? Si fermò davanti ad un cortile della scuola, uno dei tanti. Sospirò, e gli occhi si poggiarono sulla statua centrale al cortile. Rappresentava i quattro Fondatori. Si accigliò: non ricordava quella statua quando era studentessa. Si avvicinò, controllando che fossa sola, quindi si fermò davanti ad ognuno di loro, come a cercarne ispirazione. Si fermò davanti i volti di Salazar e Rowena, istintivamente, quindi con uno sbuffo si sedette ai piedi della statua, dando loro le spalle.
«Se volete che vi aiuti...voi dovete aiutare me» precisò seria, prima di chiudere gli occhi e poggiarsi contro la pietra.

 

Hogwarts, 994 d.C
Grida di battaglia e lampi di luce le fecero aprire di scatto gli occhi, e cercò di gridare quando vide un fascio di luce verde attraversarla. Ma si rese subito conto che non era morta. Si girò intorno: era nel ben mezzo di una battaglia magica, ma nessuno sembrava accorgersi di lei. A dire il vero, nessuno sembrava veramente reale, come se fosse in un sogno. Eppure così vero, così nitido. Vide una spada d'argento attraversarle il corpo impalpabile e conficcarsi nella pancia di un uomo avanti a lei, che la quasi trapassò col proprio corpo. In un battito di ciglia si ritrovò a guardare la scena dall'alto, come da un'altra prospettiva.

Godric Gryffindor ritrasse la spada e sollevò il braccio avanti a sé. Un drago di fuoco si scagliò contro un enorme basilisco, inscenando una battaglia tra creature magiche.
Vicky si guardò intorno, cercando di capire dove fosse. Davanti a lei, il castello di Hogwarts si stagliava come un faro sicuro. Era ammaccato, qualche torre aveva perso il proprio soffitto ma era ancora lì, ferito ma intero. Chinò la testa, vedendo sotto di sé orde di uomini, maghi e streghe combattere tra di loro. Un enorme basilisco le scivolò accanto, mentre lanciava un verso acuto e di dolore. Un drago di fuoco venne loro incontro, manipolato da quello che sembrava proprio uno dei Fondatori. Da terra Godric muoveva le mani per far lottare il drago con il basilisco.
«Helga!» gridò Godric, e la terrà si spaccò lasciando uscire enormi tronchi spinati che si attorcigliarono contro il basilisco. Il drago di fuoco stava per dargli il colpo di grazia, ma un drago reale passò sopra le loro teste e con la coda colpì Godric, scaraventandolo metri più in là. Il contatto con il drago finì e scomparve in una nube di fumo.
«Godric!» urlò Helga, correndogli incontro. Evitò due lampi verdi e uccise due uomini incappucciati, trafiggendoli con due tronchi acuminati.
Si guardò attorno, presa da una sensazione di paura e adrenalina insieme. Vide Draco, avanti a lei, lottare con il drago che aveva liberato il basilisco. Una lotta all'ultimo sangue, dove le due bestie si mordevano a vicenda. Il drago nemico assestò una poderosa coda acuminata a Draco, che volò via e cadde rovinosamente a terra. Agonizzante, Draco staccò del tutto la testa al nemico in un ultimo colpo eroico, prima di reclinare la testa a terra.
«NO!» cercò di gridare Vicky, senza che il suono uscisse dalla sua bocca. Sotto i suoi piedi passò una donna dai folti capelli rossi, in armatura da battaglia. La sua spada lucente uccideva uomini senza paura, gridando parole di battaglia e incoraggiando i suoi uomini, che si lanciavano a suon di lampi rossi e verdi contro il nemico, una massa di creature magiche e uomini incappucciati. Vicky fissò bene questi ultimi, studiandoli a fondo. Ma no, non poteva essere...Scosse la testa e tornò sulla donna dai capelli rossi, sopraffatta da cinque maghi. Tenne testa a tutti loro, con coraggio e determinazione, e ce ne vollero altri cinque per metterla in ginocchio.
«No, Maeve!» gridò un ragazzo poco lontano. Corse verso di lei, lanciando bagliori dorati dal suo bastone. Eliminò in un colpo solo tutti e dieci i maghi, ma la donna guerriera era ormai agonizzante, e si limitò a sorridere al giovane prima di lasciarsi cadere a terra. Vicky vide il giovane piangere mentre si rialzava, e colpire con foga i nemici, urlando furioso. Il giovane sembrò quasi invaso dalla potenza che usciva dal suo bastone, e divenne completamente di fuoco, come una torcia umana. Fece fuori un'Acromantula da solo, a suon di incantesimi, sfogando sulla creatura la sua rabbia. Vicky sollevò la testa, vedendo una pioggia di frecce scendere sul nemico: alzò lo sguardo, vedendo in lontananza, sul bordo della foresta, i centauri che disposti come soldati davano man forte ai Fondatori.
«Colpite i fianchi dell'esercito!» gridò Helga, tornata a combattere con al suo fianco Godric, che sembrava non avere più nemmeno un graffio. Scagliarono incantesimi contro i Giganti davanti a loro.
«Stiamo combattendo da due giorni, andremo avanti in eterno se non troviamo il Maestro!» fece Godric verso gli altri compagni, mentre tagliava i tendini di un gigante che, con un urlò, cadde al suolo facendolo tremare.
«Rowena, trovalo!» gridò Salazar poco più in là, prima di vedere la strega librarsi in cielo e sorvolare la zona, alla ricerca del Maestro. Individuato, lanciò delle luci rosse verso l'alto per indicare agli altri l'area. Planò velocemente sulla testa di una Acromantula adulta che stava per attaccare un giovane guerriero, e la fece esplodere sotto i propri piedi. Volò via per qualche metro, quindi planò a terra e corse con foga verso il suo obiettivo. Vicky la seguì, vedendola poi bloccata da un uomo incappucciato che, semplicemente porgendo la mano verso la strega, la bloccava. Qualcosa stava uscendo dal corpo della strega, come...come se fosse l'anima. Vide la strega che cercava di respirare, facendo uscire solo un filo di voce roca. Seppur distante, anche Vicky poteva percepire il gelo di morte che attanagliava Rowena, come se collegate. Cercò di gridare, ma anche questa volta non uscì nessun suono dalla sua bocca.
«Eccezionale, vero? Ciò che fa la mia maschera ora lo fanno anche questi giovanotti» riuscì a sentire appena in tempo la voce di un uomo che avanzava verso Rowena, scansando la figura incappucciata. Così facendo, vide con sollievo che la strega riprendeva a respirare e tossire, cercando di mettersi in piedi.
«Ti piacciono? Io li trovo fantastici. Ho deciso di chiamarli Dissennatori, perché sembra proprio che ti tolgano l'anima ed il senno: rimani vivo, certo, ma come un guscio vuoto, senza sentimenti e ragione» spiegò l'uomo, ridacchiando gelidamente.
«C-che cosa...tu non puoi...» cercò di blaterare Rowena verso l'uomo che si chinò su di lei mentre la battaglia avanzava veloce. Indossava una maschera d'oro, sulla cui fronte era incastonata una grossa gemma blu, che brillava sinistra. Un bastone nella sua mano destra a cui si appoggiò per chinarsi verso di lei.
«Oh si che posso, mia cara. Posso eccome. Questo esercito mi farà conquistare il mondo intero ed una volta ottenuti i vostri manufatti li fonderò insieme, creando un oggetto magico talmente potente che nessuno potrà più contrastarmi! Ed il mio progetto di creare un mondo magico puro sarà più reale che mai» spiegò il Maestro, facendo per prenderla per la gola.
Doveva solo ucciderla, ci avrebbe impiegato un istante. La sua maschera e la sua gemma insieme avevano la capacità non solo di risucchiare l'anima della vittima, ma anche di risucchiarne i poteri magici: per questo motivo era diventato un maestro così potente. Lui si riteneva un collezionista di poteri.
«Fermo» un mago con capelli neri ed uno sguardo glaciale si pose alle spalle del Maestro. Questi si girò, prima di sorridere.
«Salazar...figlio mio...»
«Non sono tuo figlio, non lo sarò mai. La tua follia termina qui» annunciò Salazar, facendo per afferrarlo. Il Maestro fu più veloce e lo anticipò, stringendo le sue dita forti attorno al collo candido di Salazar, che sbiancò.
«Nessuno...si oppone fra me ed il mio scopo finale. Tu non sei degno...» sibilò il Maestro, fissandolo furioso. Poi, con una forza quasi sovrumana, mentre teneva ancora Salazar per il collo, si chinò e fece per toccare anche Rowena.
«No!» gridò di nuovo Vicky, questa volta così forte che sentì la propria voce rimbombare tra le montagne come un vento. Si avventò contro la figura dell'uomo, ed in quell'istante accade qualcosa. Sembrò come se tutti e quattro entrarono in contatto, seppur lontani nel tempo.
Ebbero una visione – Vicky era sicura che anche loro la stavano vedendo- o forse più una sensazione. Vide una serpe ed un corvo attorcigliati tra di loro, avvolti dalla luce di una sfera luminosa, simile ad una fiamma di fuoco ma molto più rovente e brillante. L'uomo staccò di colpo la mano da lei e la fissò, quasi stesse osservando una creatura divina.
«Tu e Salazar...Tu aspetti una sua creatura...sarà assolutamente perfetto» mormorò, quasi commosso.
«Non...toccarla!» gridò furioso Salazar, che cominciava a cedere sotto la morsa oscura del Maestro. Questi si volse verso di lui, la gemma blu incastonata nella maschera prese a brillare.
«Ora che il tuo seme è piantato, non sei più necessario» annunciò freddo. Come aveva amato e adorato quel giovane ragazzo, così ne era stato deluso. Era indegno di vivere.
Rowena gridò cercando di afferrare il Maestro, ma non fece in tempo. Una spada si conficcò nel ventre del Maestro, che sussultò. Qualcuno, alle sue spalle, lo aveva colpito a sorpresa.
«Mi spiace, Maestro, ma non c'è posto nel mondo per gente come te» mormorò Godric vicino al suo orecchio, prima di estrarre con violenza la spada e lasciarlo cadere a terra insieme a Salazar.
Rowena aiutò l'amata ad alzarsi. Un forte vento si alzò sopra di loro. Un grido terribile echeggiò tra le montagne intorno ad Hogwarts. I Giganti presero a fuggire, sopra i cadaveri dei propri alleati, mentre come un soffio di polvere le figure incappucciate svanirono nel nulla, prive del loro padrone. Forse non certo sconfitte, ma sicuramente esiliate da quel luogo dove non c'era posto per loro.
«Pensavo non sareste venuti mai più» ammise Rowena, ironica «Helga, stai bene...?» chiese poi alla sorella, sorretta da Godric. Grondava sangue dalla testa e sembrava avesse il braccio rotto, ma sorrise.
«Sto bene...» si limitò a dire, lasciandosi sorreggere da Godric. «Che cosa gli ha impedito di uccidervi?» chiese poi diretta e confusa.
Salazar si girò verso Rowena. «Ha visto il nostro frutto. Un bambino che nascerà dalla nostra unione. Una creatura pura e magica, come ha detto lui»
«Immagino volesse usarla per i suoi scopi di costruire una razza pura» sottolineò Rowena, cercando la mano del compagno. Gli sorrise appena, senza dire nulla.
«Non farà più nulla» annunciò alla fine Helga, sospirando felice.
«Dunque è finita. Il Maestro è stato sconfitto» annunciò alla fine Myrddin, raggiunti i quattro maghi.
Rowena e gli altri si chinarono sul cadavere del nemico, e la Ravenclaw gli sfilò la maschera ed il bastone.
«Molti nostri amici hanno dato la vita per questa vittoria, per la nostra libertà. Non darò modo a chiunque di venirne in possesso» annunciò seria Rowena.
«Che cosa ne faremo?» chiese Myrddin, zoppicando, mentre si avviava verso feriti e morti.
«Li custodiremo. Quando sarà il momento, la nostra Salvatrice potrà distruggerli come dice la Profezia, questa volta per sempre»
«Sarà pronta?» chiese incerta Helga.
Godric portò la spada sulla spalla, facendola brillare alla luce del sole «Dovrà esserlo».

 

Nota dell'Autrice: ciao a tutti! Ecco a voi il decimo capitolo, e finalmente la battaglia finale (nel passato). Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, così come la piccola parentesi con Silente e Fanny <3 Come sempre, se avete dubbi o domande non avete che chiedere! Besos!

 

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


CAPITOLO UNDICI
 

Tratto dal libro degli Elementi.
“Il mio nome è Myrddin, ma ormai sono conosciuto come Merlino il Saggio, o Merlino l'Incantatore. Questo libro narra la mia storia, e la storia di Hogwarts fin nella sua genesi, così come mi è stata raccontata dai miei Maestri, i Quattro Fondatori.
Sono nato in un piccolo villaggio del Regno di Scozia, da una famiglia mezzosangue. Mia madre era una strega facente parte del clan irlandese della Regina Maeve d'Irlanda, mentre mio padre era un valoroso guerriero del clan babbano Fraser. Quando scoprirono che anche io ero un mago, fui mandato prima dalla Regina per essere educato, e successivamente nell'allora appena aperta Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Imparai lì tutto riguardo la Magia, o almeno così pensavo. Ciò che non sapevo, e che la maggior parte dei maghi non sanno, è che la magia va ben oltre una bacchetta e delle formule magiche. La Magia è nata quando è nato l'uomo, è antica e potente, e solo chi non dimentica le proprie origini è capace di usarla in tutte le sue potenzialità.
Questo mi è stato insegnato dai quattro fondatori di Hogwarts: maghi e streghe dalla potenza inaudibile, che dalla Regina Maeve impararono a gestire la magia elementale, la più antica e potente magia esistente, quella che crea e nutre il mondo stesso. Dopo la Regina, i quattro fondatori furono addestrati dal Maestro, una figura oscura che al tempo ancora non mostrava la sua vera natura. Un mago potente ed abile, il cui scopo finale era quello di sfruttare le abilità naturali dei suoi allievi ed assimilarli per creare una razza pura di maghi e streghe. Ma ancor più di questo il Maestro voleva derubarli dei loro quattro preziosi manufatti, oggetti magici che racchiudono una potente magia. Questi quattro manufatti furono creati per loro o trasmessi dalle loro famiglie. Il Maestro avrebbe potuto creare un'arma talmente potente che nessuno sarebbe stato più capace di opporsi al suo volere. Ognuno di essi era prezioso non solo per loro, ma per tutta la comunità: se uno di loro fosse caduto in mani sbagliate, sarebbe stata la fine.
Ed è quello che purtroppo è successo nel 994 d.C. Allora ero solo un ragazzo spaventato e poco sveglio. Il Maestro derubò il Diadema di Rowena Ravenclaw, probabilmente attirando un giovane studente oltre la barriera magica e, tramite Imperio, sottraendo l'oggetto alla sua legittima proprietaria.
Molto si è detto di questo Diadema, così come degli altri manufatti: ma la verità è molto più grande di quel che si sa. Il diadema non infonde solo intelligenza a chi lo indossa, ma chi lo possiede è anche padrone della Veggenza. Purtroppo per noi, il Maestro voleva usare il potere del diadema non solo per prevedere il futuro ma, attraverso la sua magia oscura, per modificarlo. Non poteva usarlo però da solo: il Diadema riconosce il proprio padrone, e solo una donna del clan Ravenclaw poteva utilizzarlo. Al Maestro così servivano gli altri oggetti e Rowena libera, per poterla costringere ad usare il Diadema per lui.
Ci fu una grande guerra, alle pendici di Hogwarts. Molti nostri amici ed alleati morirono, altrettanti non risposero alla nostra chiamata, ma alla fine il Maestro fu ucciso. Ciò che però egli non aveva calcolato era la potenza dell'amore. L'amore, mio caro lettore, è indubbiamente la magia più potente del mondo. Ciò che lega due persone in amore è qualcosa che va al di là della nostra conoscenza. Tutt'ora, dell'amore, si sa ben poco. E l'amore che legava Rowena Ravenclaw e Salazar Slytherin andava al di là di ogni guerra e di ogni ostacolo. Salazar, inizialmente allettato dalle idee del Maestro, ci ripensò e tornò su i suoi passi. Dopo la guerra contro il Maestro e la sua sconfitta, ad Hogwarts era tornata la pace. Rowena e Salazar ebbero una splendida bambina a cui diedero il nome di Helena. Era il loro splendore e vanto. Passò qualche anno, e qualcosa sembrò cambiare: Salazar non era più lo stesso, sembrava essere tornato ad anni prima, quando aspirava ad una razza pura. A volte, non sembrava più nemmeno lui...lo si sentiva piangere e lamentarsi nella notte, negli anfratti più bui del castello. Ed alla fine, forse per pazzia o rimorso, una mattina semplicemente andò via, lasciandosi tutto alle spalle.
Le voci diranno che lui e gli altri fondatori avessero litigato, che Godric e Salazar fossero nemici. Le voci mentono: non ho mai visto, nella mia lunga vita, un'amicizia tanto profonda come quella di Godric e Salazar. Erano amici e fratelli, erano una famiglia. E Salazar aveva un animo più sensibile di quel che lasciava trapelare. Rifiutò l'invito degli altri tre amici a partecipare al rituale che poteva per sempre celare il male del Maestro dalla terra, fino a che non fosse arrivata la nostra Salvatrice: Salazar temeva che la sua debolezza potesse, un giorno, ribellarsi contro di lui. Così solo la Coppa di Helga e il Diadema di Rowena furono sottoposti all'incantesimo, inglobando in sé la gemma e la maschera del Maestro. La spada di Godric venne risparmiata dal rito, in quanto unica arma a disposizione nel caso i manufatti oscuri si fossero ribellati a tale rito. Ma ciò non accadde. A quanto pare Salazar vide lungo circa la sua debolezza. Godric ed Helga soffrirono moltissimo per la sua improvvisa partenza, ed il cuore di Rowena lentamente si ammalò, privo di ogni sentimento. Si lasciò invecchiare, perdendo la maggior parte dei suoi poteri. Sua figlia Helena crebbe nella sua ombra, ma qualcosa sembrò destabilizzare la giovane fanciulla. Invidia, dicono alcuni. Io dico di no: Helena amava troppo sua madre per fare ciò che ha fatto. Io credo che qualcosa sia accaduto quel giorno, durante la battaglia finale. Ma è vero, Helena derubò la madre del Diadema. Il resto della storia la conoscete...”


Vicky sollevò gli occhi dal libro, e si asciugò velocemente le lacrime che le scivolavano sul viso. Sospirò, guardando istintivamente il quadro di Merlino avanti a sé. Questi lo ricambiò, con fare greve, ma senza dire nulla.
«Perchè...» mormorò la giovane, tremante. Sembrava come se il dolore di Rowena le si fosse conficcato nella carne: la perdita dell'uomo che amava, della figlia, e di un oggetto così importante. Era troppo persino per una strega potente come lei.
Merlino si limitò a guardarla, ma fu Silente al suo fianco a parlare.
«Perchè a volte, mia cara, non ci basta ciò che abbiamo. Il grande errore del Maestro è stato questo: era un mago potente e rispettato, ma voleva di più...ed ha rovinato chiunque gli si parasse lungo il suo cammino, fino a rovinare se stesso»
Vicky sorrise appena, sentendo parlare il quadro, ed annuì. Quando, qualche ora prima, nel cortile con la statua dei fondatori aveva chiesto ardentemente un aiuto da parte loro, non si aspettava di nuovo quel libro dalle pagine vuote. Corse così nell'Ufficio del Preside e, semplicemente pensando a ciò che voleva -spiegazioni-, aprì una pagina e gli apparve tutto quel che fino a quel momento aveva letto.
Quel libro risultava pericoloso, inesistente e vuoto a chiunque non ne fosse...destinato. Si, se lo sentiva, lei era destinata a quel libro. Era suo, quelle parole erano per lei, erano istruzioni precise. Doveva ragionare, pensare. Spostò gli occhi avanti a lei, verso il Diadema e la Coppa. Prese in mano il primo, rigirandoselo tra le mani, soffermandosi poi sulla gemma blu, la più grande, posta al centro. La gemma del Maestro era quella. La sfiorò, e non accadde nulla. Lo indossò, e non ci fu niente. Sembrava che il potere di quell'oggetto era sepolto per sempre.
«Vicky» una voce dalla porta la richiamò. Ted era sulla soglia della porta ma non gli diede tempo di dire altro: prese a raccontargli tutto ciò che aveva letto nel libro.
«Dunque...tutte quelle storie su Salazar sono false?» chiese incerto Ted.
Vicky annuì. «Così ci dice Merlino. Pare che Godric ed Helga si strussero per la sua partenza, ed il famoso “crepacuore” di Rowena non cominciò con la fuga di Helena, ma molto prima...con la fuga di Salazar. Il libro dice espressamente che di colpo non sembrò più lui, e che era tornato a pensare ai Purosangue come unici e degni eredi di Hogwarts. Secondo te che cosa lo ha fatto cambiare idea?»
Ted sollevò le spalle. «Magari non aveva mai cambiato idea...magari aveva solo finto per ingraziarsi la donna che amava. Il punto è un altro: lì dentro» e indicò il diadema e la coppa «ci sono due cose che probabilmente Delphini vuole»
«Sempre che sappia davvero cosa sono»
«Che vuoi dire?»
«Beh..» cominciò Vicky sospirando «potrebbe volere il diadema perchè prevede il futuro, e non sapere che cosa realmente nasconde»
«Oppure lo sa...e vuole cogliere due piccioni con una fava» precisò mesto Ted. Sospirò. «Che cosa dobbiamo fare?»
Vicky scrollò le spalle, fissando il libro avanti a sé. «Non ne ho idea...» ammise, consapevole che stava brancolando nel buio. Più andava avanti, e più quella storia non riusciva a capirla.

 

Hogwarts, 1014 d.C.
Stava morendo. Lo sentiva, sentiva che era arrivata la sua ora. Aveva visto la sua morte, aveva visto che Salazar ne sarebbe stata la causa. Il Diadema non mente mai. Eppure non aveva rimpianti per quel che aveva fatto: aveva conosciuto l'amore di un uomo, di una figlia e dei migliori amici che avrebbe potuto mai trovare. Sarebbe tornata a riabbracciare sua madre, ed un giorno anche Salazar.
«Rowena...» qualcuno la chiamò, e lei lentamente aprì gli occhi indeboliti dalla febbre. Vide Helga al suo fianco, e le sorrise dolcemente «Oh Rowena...» mormorò l'amica tra le lacrime, baciandole la mano che teneva tra le proprie.
«...non piangere, mia dolce Helga...» disse Rowena con voce debole, cercando di accarezzarle il viso «Non vi sto lasciando, lo sai. Io non vi lascerò mai» sollevò gli occhi sopra la figura di Helga e vide Godric in piedi silenzioso e in lacrime.
«Mi dispiace, Rowena...abbiamo fallito» ammise Godric, deglutendo.
Rowena sorrise appena «No, Godric...abbiamo vinto. Abbiamo vinto. La morte non è nient'altro che l'inizio di una vita vera. Vi aspetterò, e veglierò su di voi. Sorridete, perchè finalmente vado in pace...non piangete per me, piangete per chi, morendo, non ha nessuno al suo fianco»
Qualcuno, dietro Godric, fece capolino. Era Merlino che teneva tra le proprie braccia un fagotto che si lamentava. Rowena sorrise, commossa.
«Rowena...volevo presentarti Corius Black» annunciò Merlino, gonfio di gioia. Godric ed Helga lo fissarono curiosi ed il mago scrollò le spalle «Mia moglie ci teneva a dargli il proprio cognome...» ammise candidamente.
Rowena sfiorò appena il viso del neonato, baciandolo. «Benvenuto al mondo, Corius Black. Farai grandi cose...».
Gli altri tacquero, consapevole che le sue parole sarebbero state impresse nel destino del neonato. Merlino lasciò soli i tre maghi.
Godric si chinò per baciare la fronte della sorella, e sorrise lasciando che le proprie lacrime cadessero sul viso di Rowena. Questa sorrise debolmente verso Godric.
«Il tempo ritorna, ricordatelo sempre amici miei. Un giorno, staremo ancora insieme, per sempre. Il tempo ritorna...»
«Ti amiamo...» mormorò Helga, abbracciandola. Si sdraiarono entrambi sul letto, al suo fianco, e la accompagnarono verso l'Altra Vita.
Quando Rowena riaprì gli occhi, vide se stessa dormire in eterno con i suoi amici al suo fianco. Si sentì felice, ma priva di ogni dolore e sofferenza umana. La stanza era ricolma di luce e si volse indietro verso di sé. In piedi, con la mano tesa verso di lei, c'era l'uomo più bello che avesse mai visto, che le sorrideva.
«Salazar...sei...venuto a prendermi?»
«Non sarei potuto mancare, mò caraid. Vieni...» annunciò il mago. Era anche lui privo di ogni dolore e tristezza. Il Marchio era andato via, e così ogni altra oscurità. Era in pace.
Gli strinse la mano, abbracciandolo, e si lasciò condurre.


Non sapeva nemmeno perchè stava piangendo. Si era svegliata così, singhiozzando, con un dolore nel cuore che non sapeva spiegare. Forse era troppo, era troppo persino per una strega nata e vissuta nella magia.
Si lasciò scivolare a terra, poggiata allo Specchio delle Brame, lì nella stanza delle necessità dove si era rifugiata, lontana da chiunque potesse farle domande.
«Non ce la faccio...» mormorò, tra le lacrime, non osando guardare il proprio riflesso. Sapeva perfettamente chi c'era lì, a sorriderli. Non poteva affrontare i loro sguardi, non ora che aveva visto Rowena morire, e riunirsi a lui. Non riusciva a sopportare l'idea che spettava a lei uccidere il Maestro.
Lo aveva capito fin da quando aveva visto il rituale con Merlino, ancor prima di leggere il suo libro. Sapeva che il Maestro era tornato, forse Delphini lavorava per lui...sapeva che ci sarebbe stata un'ennesima guerra, con ennesimi morti. Non poteva permettere che i suoi cari venissero uccisi. Non voleva perdere nessuno, altri prima di lei erano morti ed altri erano sopravvissuti. Zia Hermione l'aveva detto chiaramente: Harry portava ancora il peso di chi era morto per lui, per difenderlo.
Lei non lo avrebbe permesso, lei avrebbe risparmiato tutto ciò.
«Ho paura...» sussurrò, con la guancia contro il freddo vetro dello specchio.
Lo so, tesoro mio, ma noi ti saremo vicini
Qualcuno le aveva parlato nell'orecchio, e si girò di scatto. Non c'era nessuno. Sollevò istintivamente gli occhi sullo specchio, e stavolta vide tutti e quattro i Fondatori, sorriderle e salutarla. Lei rise, seppur lasciandosi sfuggire un singhiozzo, e rimase lì a guardarli: erano felici, erano tornati insieme, erano con lei.
«Che cosa devo fare?» chiese, asciugandosi le lacrime «il libro di Merlino dice che una Salvatrice arriverà, nel futuro, e ucciderà definitivamente il Maestro. Come faccio ad ucciderlo? Io...non so farlo»
Certo che lo sai, mo caraid. Sei la nostra discendente, hai la nostra magia nel sangue -la voce di Salazar gli rimbombava nelle orecchie, seppur lui sorridesse solamente. Devi usare il bastone di Merlino: quando lo avrai potrai usare i nostri poteri e sconfiggere del tutto il Maestro. Il Diadema e la Coppa ti guideranno da lui...Lasciati andare.
«Ma il bastone di Merlino ce l'ha Delphini Riddle, come faccio a...» stava per chiedere Vicky ma poi si bloccò. Spalancò appena la bocca, come se la risposta le fosse balenata nella mente. Il riflesso di Helga le sorrise con una dolcezza che le strinse il cuore.
L'Amore è la magia più potente che esista al mondo. Non devi avere paura, Victoire...noi ti proteggeremo. L'Amore ti proteggerà, e con esso lo sconfiggerai per sempre.
Le loro immagini sorrisero un'ultima volta, quindi svanirono nel nulla. Si alzò lentamente, asciugandosi le lacrime, con una consapevolezza nel corpo. Sembrava come se qualcosa, un'energia magica e profonda le stesse fluendo ovunque dentro il corpo. Si sentiva forte, coraggiosa, si sentiva pronta ad affrontare il Maestro e la Morte. Questa volta non c'era bisogno di una guerra.
Sorrise, mentre usciva dalla Stanza, sapendo esattamente cosa doveva fare.

 

Villa Malfoy, 2018 d.C
I passi veloci risuonavano su per le scale e lungo i corridoi. Conosceva quella casa come se fosse sua, dato che ci era cresciuta per un bel tratto della sua vita. Con una certa sicurezza, spalancò le porte della sala, ritrovandosi davanti un uomo alto e snello, vestito elegantemente, con capelli di un biondo quasi platino, e glaciali occhi azzurri.
«Avresti potuto avvisarmi che stavi facendo il doppiogioco» annunciò seccata.
«Mi hanno costretto, Delphi. Potter...»
«Si si, Potter ti ha salvato la vita, bla bla bla» fece eco Delphini, prima di guardare di sbieco il cugino «Sei debole, Draco. Mi stupisco che tu faccia davvero parte di questa famiglia. Non è che tua madre se l'è fatta con qualche babbano, vero?»
Draco la fulminò e fece per colpirla, ma si trattenne dal farlo. «Non...nominare...mia madre» sibilò a denti stretti.
Delphi cacciò fuori il labbro inferiore, come una bambina, quindi sorrise maligna. «E va bene, se proprio ti dà fastidio! Ma non sono qui per ricordare i bei tempi passati, Draco...ho bisogno di un esercito»
«Hai un esercito di Dissennatori» brontolò Draco, sedendosi su una poltrona, scomposto.
«I Dissennatori sono troppo...evidenti, e non possono afferrare le cose o le persone. A me servono umani...e me li troverai tu»
Draco sbottò, divertito. «Io non farò proprio nulla, Delphi. Io ho chiuso, mi hanno assolto e non voglio trascorrere la mia vita ad Azkaban per le tue manie di potere. Le stesse manie che hanno rovinato la mia famiglia. Ora ho un figlio..»
«Ah si, Scorpius. Dolce, ingenuo Scorpius. A proposito, sta bene e così anche tua moglie, ma fossi in te mi darei più da fare la prossima volta nel cercare un nascondiglio migliore»
Draco impallidì, osservandola. Delphi gli sorrise di nuovo, e nel farlo gli ricordò spaventosamente sua zia Bella.
«Sei davvero sicuro che puoi nascondermi tutto, Draco? Devo ricordarti chi sono?» ripetè quieta ma minacciosa la ragazza.
«Sei una pazza, ecco cosa sei...lascia stare mio figlio e mia moglie» precisò seccato Draco. Non ebbe tempo di reagire alla morsa di Delphini. Sentì le sue dita intorno alla gola, serrandola in una morsa d'acciaio.
«Non costringermi a metterti sotto Imperio, Draco..» sibilò la ragazza, avvicinandosi terribilmente al suo viso. «Non vuoi servire me? Bene...puoi servire chiunque vuoi» precisò poi, afferrandogli il viso con la mano destra «Guardarmi»
Draco, che aveva tenuto gli occhi semichiusi a quel tocco, aprì lentamente gli occhi. Per poco non saltò per aria, come un gatto spaventato. Davanti a lui non c'era più sua cugina, ma gli occhi glaciali e serpenteschi di Lord Voldemort. Il terrore gli strinse il cuore in una morsa glaciale, e quella scoprì i denti in un sorriso.
«Giovane Malfoy, ti soddisfo in questa forma?» chiese Delphini/Tom, arretrando. Era davvero lui, era incredibile.
«No? Allora forse meglio questa forma» precisò ancora la ragazza, questa volta prendendo le sembianze di Albus Silente. Ridacchiò divertita, mentre si accarezzava la lunga barba bianca.
«Smettila!» gridò furioso Draco, con la voce tremante. Quel volto ancora non riusciva a levarselo dalla testa. Era colpa sua...tutta colpa sua se Silente era morto, se Severus era morto. Non aveva avuto il coraggio di ribellarsi, di dire “no”.
«Nemmeno questo? Accidenti sei davvero incontentabile! Che ne dici di questo...» annunciò alla fine Delphini, mutando di nuovo aspetto. Aveva preso la forma di un uomo di circa quarant'anni, con capelli corti, occhi azzurri ed una cicatrice profonda che gli attraversava l'occhio sinistro. In mano aveva un bastone con una gemma blu conficcata sulla sua cima. Draco si immobilizzò: Narcissa gli aveva spesso parlato di quella figura, se possibile ancor più potente e oscura di Voldemort.
«Ah, vedo con piacere che mi conosci...» precisò Delphini, sorridendo appena.
«Delphi, basta, questo gioco fa schifo»
«Ma questo non è un gioco, Malfoy. Questa è guerra, ed è l'ultima che potrò affrontare. Delphini è la mia ultima erede, ed io non potrò più ritornare se lei morirà. Per questo devi proteggerla, e soprattutto obbedirle. Trovale l'esercito di cui ha bisogno, e sarai ricoperto di onori e ricchezze»
Draco assottigliò gli occhi. Non sapeva come, ma quella non era più Delphini...quello era davvero il Maestro.

 

Godric's Hallow, 2018 d.C.
Quella sera stessa, nel villaggio di Godric's Hallow, qualcuno si smaterializzò al centro della piazza. Erano in due: un uomo dai capelli color platino ed un bambino, di circa dieci anni, anch'esso biondo come il padre. Percorsero una via del paese, seguendo l'uomo in silenzio. Passarono davanti ad una casa distrutta, una casa di maghi, dove era stata apportata una targa commemorativa per “il sacrificio d'amore più grande. A James e Lily Potter, che hanno permesso all'Amore di vincere sull'Odio”.
Draco deglutì, passando oltre e scacciando indietro le lacrime. Superò il vialetto di una casa lì accanto, e bussò alla porta tre volte, con calma, prima che una donna dai capelli rossi gli venisse ad aprire, la bacchetta in mano e l'aria diffidente.
«Malfoy...?» chiese la donna, sorpresa «che Merlino ci fai qui...?»
«Buonasera, Weasley. Avrei bisogno di parlare con-...»
«Ginny, chi è alla porta?» chiese una voce familiare a Draco, mentre qualcuno entrava all'ingresso.
Harry Potter non era cambiato di una virgola. La stessa faccia da babbano, quella dannata cicatrice in fronte, gli occhiali tondi, lo sguardo da ebete.
Draco sospirò, paziente. «Buonasera, Potter..»
«Draco...?»
«In persona. Ti spiace? Dovrei scambiare quattro chiacchiere con te. E' urgente» precisò, come a scusarsi dell'ora.
Harry, dopo un'iniziale indecisione, fece entrare i due, chiuse la porta e li fece accomodare in salotto, mentre Ginny andava a preparare il thè.
«Prego, sedetevi...dimmi» annunciò Harry, osservando curioso i due davanti a lui.
Draco sembrò prendere coraggio, quindi osservò il thè che gli era stato offerto. Al contrario di Scorpius, lui non toccò nemmeno la tazza.
«Ho delle informazioni su Delphini» annunciò, alla fine. Harry si immobilizzò, lanciando un'occhiata a Ginny, quindi tornò a guardare l'uomo.
«Ti ascolto...» disse pacato.
«Sta radunando un esercito. Vuole a tutti i costi recuperare quelle reliquie...dice che le servono per attivare il bastone di Merlino che ha rubato al Ministero. Oltre ai Dissennatori sta richiamando tutti i discendenti dei vari Mangiamorte...me compreso. No, state calmi...» precisò subito, vedendo Ginny estrarre la bacchetta «Mi sono rifiutato. Non commetterò lo stesso errore due volte...ma voglio dirvi una cosa, voglio dirvi ciò che ho visto. Avete mai sentito parlare del Maestro?»
Harry si irrigidì appena. Prima delle visioni di Vicky non ne conosceva nemmeno l'esistenza, ma con Draco finse di non saperne nulla.
«Qualcuno pensa sia solo una leggenda. Una figura vissuta durante il periodo della fondazione di Hogwarts. Quello del “Maestro” era un titolo onorifico dato al mago o alla strega che brillavano per la loro potenza magica e saggezza. L'ultimo Maestro esistito è stato sconfitto dai quattro Fondatori, ma c'è chi dice che non sia morto del tutto e che la sua anima per...riflesso, si aggrappò alla prima cosa vivente vicina a lui, e simile a lui. Debole al male. Pare che questa persona fosse stata proprio Salazar Serpeverde. Da lì è nata la storia dei purosangue»
«Mia madre me ne parlava sempre. A quanto pare il Maestro, ancor prima del Signore Oscuro, si cibava di anime e corpi deboli al male. Passava di corpo in corpo, per cercare il suo degno erede. Uno di essi pare fosse Grindelwald, poi toccò a Voldemort...ed ora temo sia Delphini. Tutti loro sono accomunati da questa necessità di ripulire la comunità magica dai babbani»
Il silenzio cadde nella stanza. Harry deglutì, fissando Draco. La situazione era peggio di quel che pensava.
«Dunque ci risiamo...un'altra battaglia» annunciò Ginny, mesta.
«Ma questa volta ho scelto da che parte stare» commentò secco Draco, fissando Harry.
«Stai rischiando molto per noi, Draco...» osservò quest'ultimo.
Draco scrollò le spalle. «Non sei il solo a portarti il peso dei morti, Potter» mormorò, sapendo perfettamente che lui poteva capirlo, almeno in quello «Ai tempi ero troppo stupido e codardo. Ora sceglierò da che parte stare, a costo di pagare il prezzo più alto»
«Come...come si può sconfiggere il Maestro?» chiese Ginny, incerta.
«Secondo la leggenda, Rowena Ravenclaw stessa annunciò una profezia. Non ne so di preciso il contenuto, credo che sia custodita nella Stanza delle Profezie. Mi dispiace...» sibilò Draco, alzandosi lentamente «Potter...devo chiederti un'ultima cosa» annunciò poi, posando una mano sulla spalla del figlio. Fissò Harry, eloquente, e questi annuì appena.
A Draco sfuggì un leggero sorriso, quindi si chinò e sistemò la giacca di Scorpius. «Allora, ascoltami...io vado a fare qualche commissione, starò via un paio di giorni, poi torno a prenderti. Tu starai qui con Albus Severus, mh? Mi raccomando, comportati bene...» lo baciò e lo abbracciò, con foga, accarezzandogli i capelli. Harry fissò il loro ultimo addio, quindi accompagnò Draco alla porta mentre Ginny portava Scorpius di sopra.
«Prenditi cura di lui, Potter...non ha più nessuno» annunciò serio Draco «e con questo, il mio debito con te si estingue» e gli porse la mano «Delphini sarà da voi tra tre giorni, al tramonto si presenterà ad Hogwarts a ritirare ciò che ha richiesto a tua nipote. Ti consiglio di dire alla Granger della Profezia, e trovare una strategia»
Harry strinse la sua mano, fissandolo negli occhi. «Non c'è mai stato nessun debito, Draco. Grazie per quello che hai fatto, sei stato molto coraggioso»
«Quando sarà grande, dì a Scorpius che suo padre ha cercato di stare dalla parte giusta, almeno una volta»
Harry annuì, lasciandolo attraversare il vialetto.
«Severus e Albus sarebbero fieri di te, Draco!» esclamò, prima che Draco sparisse in una nube di fumo nero. Quella stessa notte, Harry mise in protezione magica la sua casa e avvisò Hermione e Ron di quanto accaduto.

 

Nota dell'Autrice: ciao a tutti! Scusate la mia assenza, non ho potuto pubblicare settimanalmente come avrei voluto ma ho fatto qualche viaggetto in giro per l'Italia :P ma eccomi tornata! Spero che vi sia piaciuto questo capitolo. Personalmente mi è piaciuto molto scriverlo: le scene tra i Fondatori e quella tra Harry e Draco sono emotivamente cariche, ed il prossimo capitolo non è da meno :P grazie ancora per seguirmi e recensire la mia storia, per ogni dubbio o domande scrivetemi pure!

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Capitolo 12
*** Capitolo Dodici ***


CAPITOLO DODICI

Ufficio Misteri, Londra, 2018 d.C
«Deve essere la prossima fila» mormorò Jones, mentre a passo svelto percorreva la Stanza della Profezie, seguito da Hermione, Ron ed Harry. «Dopo la seconda battaglia dei maghi moltissime profezie sono andate distrutte..abbiamo impiegato mesi per individuare e catalogarle tutte, di nuovo. Ma se non sbaglio, le più antiche non furono danneggiate da...beh, da vostra moglie, signor Potter» ammise il dipendente, sorridendo appena.
Harry osservò i due amici con aria mortificata ma non disse nulla.
«Eccoci qui. Fila 2. Queste sono le più antiche, ammetto che non le ricordo tutte a menadito. Mi raccomando ora: non toccate nulla» precisò Jones, mentre faceva apparire una scala e, salendo lentamente, prese a controllare tutto lo scaffale.
«Si...dunque...forse ho trovato qualcosa» annunciò dopo un bel po' di attesa. Discese lentamente e, tra le mani, aveva una palla di nebbia bianca, con intorno legato un cartellino. “Victoire Weasley”.
«La profezia riguarda proprio Victoire?» chiese Harry, sorpreso. Evidentemente lui non era il solo, in famiglia, ad avere tale...onore. Ma le Profezie, di solito, non portavano quasi mai belle notizie.
«A quanto pare si, signor Potter» annunciò Jones, che infilò delicatamente la palla di vetro in un sacchetto nero, lo chiuse e lo porse ad Hermione «mi raccomando...solo la diretta interessata può toccare e quindi aprire la Profezia. Nessun altro deve farlo»
«Dove si trova ora Vicky?» chiese Hermione con affanno, mentre veloci uscivano dall'Ufficio Misteri.
«Ad Hogwarts. E speriamo che non sia troppo tardi» annunciò serio Ron, seguendo a ruota i due amici.


Hogwarts, 2018 d.C
Rimasero a lungo a fissare la palla di vetro davanti a loro, poggiata sul tavolo.
«Le visioni che ho avuto non hanno mai parlato di una...Profezia» ammise Vicky, dopo svariati minuti in silenzio a fissare l'oggetto avanti a sè. Sul quel cartellino c'era proprio il suo nome, era palese.
«Ma a quanto pare ne esiste una, Vicky. Io...ti consiglio di aprirla» ammise Harry, e lentamente le strinse una spalla, con dolcezza, come a incoraggiarla.
La ragazza osservò le persone riunite attorno a lei: la sua famiglia, che sempre l'aveva amata e sostenuta. Quindi sospirò e prese lentamente la palla con la mano destra. La nube al suo interno prese a vorticare lentamente, come un mini uragano, diventando sempre più chiara, fino a scomparire. Non appena essa scomparì, una voce sembrò uscire dal vetro.
Vicky ascoltò le parole della profezia, senza dire nulla.

Attendete la Salvatrice franca e nobile, nostra erede e figlia.
Ella avrà la Spada della Giustizia ed il Bastone dell'Equilibrio
E con essi giudicherà il bene ed il male.
Il suo Sacrificio non sarà vano se l'Amore vincerà.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.


«Beh...più che una profezia sembra un enigma» ammise Ted, dopo svariati secondi che nessuno pensava.
«Non propriamente» precisò Minerva, mentre finiva di scrivere la profezia su un foglio «sicuramente quel che salta all'occhio è questo dannato bastone...e la spada, che potrebbe essere quella di Godric: la spada dei giusti e dei coraggiosi. Ora....Salvatrice franca e nobile è scontato direi»
Tutti fissarono la donna un po' perplessi.
«Oh per l'amore del cielo» sbuffò Hermione, seccata da quell'apatia di cervelli «franca significa della Francia! E nobile, in francese, si traduce anche con...de la court»
Nessuno potè fare a meno di trovare una coincidenza tra quella traduzione ed il cognome di Fleur e Vicky, che ora fissava la madre interrogativa.
«Durante una visione, Salazar ha detto che io sono una loro discendente. Ma com'è possibile? Voglio dire...la mia famiglia è francese...»
«E' probabile che la tua famiglia non sia sempre stata francese. La corte di Re Artù ti dice qualcosa?» chiese Minerva, facendo quasi strozzare Vicky.
«Io sarei una discendente di Re Artù??»
«Ovviamente no, che domanda sciocca. Ma Merlino era suo consigliere, ed è stato anche studente dei Fondatori. Quel che voglio dire» precisò paziente Minerva «è che qualche tuo avo poteva essere un membro della corte di Artù, e poi essersi trasferito in Francia, dando vita ai Delacour. La cosa non mi sorprenderebbe»
«Che cosa...che cosa significa “il suo sacrificio non sarà vano”?» chiese di colpo Ted, con l'aria di chi temeva la risposta. Tutti tacquero, fissando Vicky.
«Amore...» fece per dire Vicky, a voce tremante.
«NO!» gridò furioso Ted, alzandosi «No non di nuovo! Nessuno morirà! Basta! Non mi è rimasto più nessuno! Finitela di morire!» era talmente fuori di sé che Harry dovette prenderlo quasi di peso e portarlo via dalla stanza, tra le lacrime di Vicky che cercava di placarlo. A Harry quella scena ricordò quando Remus lo trattenne dal seguire Sirius oltre il velo. Di quanto si sentì furioso con chi era morto, con chi lo aveva lasciato. Forse era arrivato il momento, per Ted...
«Dove mi stai portando...» brontolò Ted, mentre il padrino lo trascinava lungo i gradini che portavano fuori Hogwarts, verso la Foresta Proibita.
«A conoscere delle persone» precisò Harry, secco, inoltrandosi tra gli alberi. La Foresta era rimasta sempre quella, negli ultimi cento anni. Alti alberi, secchi e sempreverdi, stretti uno a l'altro tanto che, sia di giorno che di notte, la vista non era ottimale. Eppure Harry sapeva perfettamente dove andare. Si fermò, in una piccola radura, e prese dalla tasca una scatolina di legno, malandata. La porse a Ted, ancora con il viso gonfio di lacrime.
«Aprila» precisò secco verso il figlioccio.
Ted deglutì, prendendo la scatola ed aprendola. Dentro c'era una piccola pietra nera e lucida, avvolta quasi dalla polvere.
«Cosa dovrei farci?» chiese Ted, confuso.
«Prendila in mano. E guarda» precisò Harry, portandosi dietro di lui. Ted deglutì, afferrando delicatamente la pietra nella mano destra. Lentamente, davanti a lui, apparvero due figure: non riuscì a trattenere le lacrime quando vide i suoi genitori.
«Guardati come sei cresciuto, tesoro...» mormorò il riflesso di Tonks, sorridendogli dolcemente.
«Mamma...papà...ma siete veramente qui?» chiese Ted, tra le lacrime, girandosi verso Harry il quale, lentamente, scosse il capo.
«No, Teddy, siamo un riflesso di quel che siamo ora. Venti anni fa chiesi ad Harry di tenere la pietra con sé, così che un giorno...quando saresti stato pronto, avresti potuto conoscerci, e capire» precisò Remus, con la sua voce calma ed il suo sorriso paterno.
«Victoire deve combattere contro il Maestro...la sua Profezia dice che deve sacrificarsi» cercò di dire Ted, senza un filo logico. Aveva visto solo il riflesso dei suoi genitori, ma non ci aveva mai potuto parlare. Non aveva mai sentito le loro voci. Era troppo per lui, sentiva il cuore andargli in fiamme.
«Non essere triste per lei, Teddy. Il suo sacrificio non sarà vano se l'amore vincerà, ricordi? E l'amore vince sempre su tutto, anche quando sembra il contrario»
«Quindi cosa devo fare? Lasciarla andare a morire?» chiese Teddy, sconvolto.
«Devi fare ciò che pensi sia giusto. Ciò che il cuore ti dice di fare, Teddy caro» precisò Tonks, sorridendo dolcemente «Noi lo abbiamo sempre fatto, ed è così che abbiamo sconfitto il male. Questa volta sarà per sempre: chi morirà, non l'avrà davvero fatto invano»
«Io non voglio rimanere da solo, senza Vicky...» ammise Ted.
«Ma tu non sei solo, Teddy!» esclamò Remus, quasi ridendo «noi siamo sempre con te, e lo siamo davvero! Tu sei il nostro capolavoro, ci sarà sempre una parte di noi in te»
Teddy sorrise appena, cambiando il colore dei propri capelli da blu a viola, osservando Tonks. Sorrisero appena, insieme, prima che Teddy annuisse lentamente.
«Ti amiamo tanto, Teddy, ricordatelo ogni giorno che vivrai questa vita» precisò Remus, prima di svanire lentamente insieme a sua moglie.
Harry si chinò sul figlioccio e lo abbracciò come mai aveva fatto in vita sua. Sapeva perfettamente come si sentiva, e quando Teddy fece per ridargli la pietra Harry gli chiuse il pugno.
«Tienila tu, almeno per un po'. Ma attento, Teddy...la pietra ti mostra solo il riflesso dei tuoi cari, non sono qui realmente. Ricordati la storia dei Tre Fratelli, ricordati che cosa è capitato al fratello che possedeva questa Pietra» precisò calmo.
Teddy annuì, infilandosela in tasca. «Ne farò buon uso. Zio?» chiese poi mentre si incamminavano verso il castello «Tu lasceresti che Ginny morisse senza tenerle la mano?»
Harry non rispose subito: sapeva benissimo dove voleva andare a parare il ragazzo; poi sospirò «No, Teddy...non lo permetterei»


Aveva chiesto di essere lasciata sola, dopo che Harry aveva trascinato via Teddy. Lui, il suo ragazzo, aveva ceduto sotto il peso di quella missione. E avrebbe voluto anche lei, ma sapeva che non poteva farlo. Doveva andare fino in fondo, non poteva permettere che i suoi cari morissero perchè lei aveva troppa paura. Eppure l'aveva, eccome se l'aveva: era terrorizzata. Di morire, principalmente. Di lasciare Teddy, di non vivere la sua vita. Di spegnersi. Di soffrire. Di pentirsi.
«Se pensi così forte ti si fonderà il cervello» mormorò qualcuno sopra di lei. Era poggiata ad una parete dell'Ufficio del Preside, ed un quadro aveva parlato. Sollevò la testa e vide Albus Silente sorriderle.
«Mi spiace» ammise Vicky, non sapendo bene che dire.
«Oh non dispiacerti per me, ma per te. Non fai altro che peggiorare la situazione. Sii razionale e intelligente...non sentirai nulla, ci vuole più tempo a nascere che a morire, a dirla tutta» precisò, facendole un occhiolino.
«Io...ho paura» ammise Vicky. Era l'ennesima volta che lo diceva, nel giro di pochi giorni.
«E' chiaro che ne hai...ogni essere umano ha paura di morire. Ma preferisci che muoiano gli altri per te? Sei una ragazza intelligente e coraggiosa, sono sicuro che capirai bene il costo da pagare quando tu sopravvivi, e i tuoi cari non lo fanno...» precisò il quadro, fin troppo chiacchierone per essere solo un quadro. Vicky pensò a zio Harry, a Teddy, a coloro che erano sopravvissuti senza avere i loro cari con sé. Non voleva che accadesse, non voleva che qualcuno morisse per lei.
«E poi...» continuò a dire Silente «tu hai l'Amore. Non sottovalutarlo: è la magia più potente al mondo. Una magia che ogni mago oscuro desidera e rigetta allo stesso tempo. Tutti abbiamo sconfitto il male per amore di qualcuno, tu fa lo stesso e vedrai che vincerai. D'altronde...il tuo nome è un positivo presagio» e detto ciò sorrise e sparì dalla sua cornice.
Vicky sorrise appena, asciugandosi le lacrime. Sì, avrebbe fatto ciò che era giusto.


Ancora prima che Vicky se ne accorgesse, il tramonto del terzo giorno tinse il cielo di splendidi colori caldi, sgombro di nubi.
«E' quasi ora» annunciò Minerva, osservando Vicky e Ted stretti tra loro, affacciati alla finestra. Vicky sorrise appena al ragazzo.
«Andrà tutto bene, vedrai Teddy. Non può uccidermi adesso: devo consegnare gli oggetti, per oggi sarò salva»
«Ma come la sconfiggeremo se le consegni gli oggetti?»
«Lo faremo, ci riusciremo...vedrai»
Teddy fissò un istante la ragazza. Poi, senza nemmeno ricordarsi che Minerva fosse lì, la strinse e la baciò a lungo, cercando di imprimersi nella mente e sulle labbra il suo odore, la sua immagine, il suo tatto. Che fosse stato in quel momento o il giorno dopo, l'avrebbe persa.
«Andiamo» annunciò alla fine Teddy stesso, sospirando. Le strinse la mano e si diressero verso l'esterno del castello, fermandosi poco fuori.
Non c'era ancora nessuno fuori, ad eccezione di quel che era rimasto dell'Ordine della Fenice. Teddy, per un istante, sperò quasi che Delphini avesse cambiato idea, che fosse andata via, che fosse morta. Ma dopo qualche secondo ecco che si smaterializzò una ragazza dai folti capelli neri. Sola, fissava dritto verso di loro.
Minerva consegnò a Vicky il diadema e la coppa, sorridendo appena. «Allora...consegnale gli oggetti e torna indietro, mh? Non rispondere alle sue insinuazioni, non fare nulla che possa...beh insomma, hai capito»
Vicky sorrise appena, annuendo. Prese gli oggetti e si diresse lentamente verso Delphini.
«Allora sei stata fedele a quanto detto, Victoire. Mi fa piacere. Hai ricreato i due manufatti, molto brava...sapevo che ci saresti riuscita. Starei anche qui a chiederti come hai fatto, ma ho una leggera fretta» ammise la Riddle, sogghignando. Allungò lentamente la mano «Consegnami ora ciò che è mio di diritto» precisò, con una voce quasi metallica.
Sembrarono passare secoli, e invece fu solo questione di secondi: Vicky sollevò appena le mani ed in manufatti verso Delphi, quindi si volse di scatto verso Teddy, sorridendo appena.
«Scusami...» sussurrò. Non lasciò la presa, e questo Delphini non l'aveva calcolato. Così, smaterializzandosi con i due oggetti, si portò dietro anche Vicky a cui era rimasta attaccata con le dita ai due oggetti. In un istante, si aprì uno squarcio nella barriera protettiva e, due secondi dopo, una nube nera fece sparire le due.
«NO!» gridò Teddy, correndo verso il punto dove prima sostava Vicky «NO!»
«Ted!» gridò Harry, seguendo il figlioccio.
«Oh Vicky...» mormorò Minerva, con le mani a coprirle la bocca piegata in un'espressione triste.
«Teddy, andiamo via, vieni» annunciò Hermione, abbracciando il ragazzo.
«Ted!» gridò qualcuno, dall'ingresso della scuola. Bill Weasley si avvicinò a passo svelto verso il ragazzo, seguito da Fleur «finiscila di fare questa scenata. Nostra figlia si è sacrificata per noi, rispetta la sua scelta» precisò secco l'uomo, facendo gelare il giovane. Teddy deglutì: non aveva mai visto Bill così.
Nessuno disse nulla, nemmeno per tutta la durata della cena, dove ben pochi mangiarono o trovarono un argomento da conversazione. Vicky si era sacrificata per loro, era andata incontro alla sua morte, in un suicidio volontario.
Teddy si alzò lentamente a fine pasto. «Mi dispiace ma io non ci sto» annunciò, serio, fissando Bill «Se Vicky deve morire, voglio salutarla mentre se ne va. Non posso lasciarla da sola. Devo andare a cercarla» precisò, uscendo poi dalla stanza.
«Ted!» Bill lo richiamò, seguendolo lungo i corridoi.
«Non ci sono discussioni da fare Bill, mi spiace. Io vado a cercarla»
«E dove credi di poterla trovare, di preciso?»
«Non lo so...dovessi setacciare l'Inghilterra da capo a piedi, lo farò»
«Io opterei per Villa Malfoy»
Teddy si fermò e si girò verso l'uomo. Bill sorrise appena.
«Era il quartier generale di Voldemort. Potrebbe essere anche quello di sua figlia» precisò Bill, prima di seguire il ragazzo. Presero con loro lo stretto indispensabile, prima di uscire dal castello, pieni di speranza nel trovare Vicky.

 

Regno di Scozia, 1012 d.C
Doveva morire. Lo sentiva. Non poteva più proseguire con quel peso nel cuore. Con quell'anima nera. Voleva solo salutare i suoi amici, un'ultima volta. Se solo Lui glielo avesse lasciato fare...
Ma lo avrebbe tenuto a bada, anche solo per pochi istanti.
Hogwarts era lì davanti a lui. Ne poteva vedere persino le alte torri, lì tra gli alberi della Foresta Proibita dove si era nascosto. Era autunno, e poteva sentire l'odore delle zucche cotte, il fumo dalla capanna del guardiacaccia, il profumo di Burrobirra...
Era finalmente a casa. Fece un passo, ma una fitta alla testa lo tramortì, facendolo cadere a terra.
Non essere sciocco, figlio mio. Loro non ti vogliono, loro ti odiano! Loro sono tuoi nemici, IO sono il tuo unico amico...
«Sta zitto!» sibilò Salazar, tenendosi la testa tra le mani. Camminò carponi fino al limitare della Foresta. Il dolore alla testa era così forte che prese a sanguinare dalle orecchie.
Non puoi avvicinarti! Non ora...sono troppo debole...ho bisogno di loro, ho bisogno del Diadema e della Coppa, mio fedele figliolo...dammeli...conquistali...!
«Io...non farò nulla...per te!» la testa sulla terra umida sembrava volersi spaccare.
«Signore, state bene?» una voce femminile lo raggiunse, lì proprio al limitare della Foresta. Lì nella realtà, non nella sua mente. In ginocchio, sporco di fango e foglie secche, sollevò gli occhi e vide la donna più bella che avesse mai visto. Le lacrime scivolarono sul suo viso smunto e smagrito.
«Rowena...» mormorò Salazar, tendendo una mano.
La fanciulla arretrò appena, curiosa e spaventata al tempo stesso «No. Io sono Helena, sua figlia...» ammise, cauta.
Salazar spalancò appena gli occhi, fissando la figura di sua figlia. Sorrise, ed era felice come mai lo era stato negli ultimi diciotto anni.
«Helena...ti prego, va a chiamare Godric, ti prego...» la supplicò. Non c'era tempo. Non c'era tempo per raccontarle, non c'era tempo per conoscerla, per salutarla. Non c'era tempo. Aveva bisogno solo di Godric, di confessarsi. Aveva visto Rowena, nei suoi sogni...almeno quella parte del suo corpo non era manipolabile. L'aveva vista in pena al dolore, per tutti quegli anni, anche con Helena ed i suoi amici al fianco. Ma cosa poteva fare? Poggiò la schiena ad un tronco d'albero, ed attese.
Godric arrivò, perplesso quando Helena gli annunciò che un uomo morente aveva chiesto la sua presenza. Per un istante, un attimo, pensò che potesse essere Salazar. Ma no, non poteva essere...
«Salve, amico mio» la sua voce era debole e stanca, il suo viso completamente rovinato e trasfigurato. Ma sapeva che era lui.
Godric si inginocchiò velocemente al suo fianco, sorreggendolo. Helena, dietro di lui, fissava quei due vecchi amici in un sacro silenzio.
«Salazar...» mormorò Godric, incredulo a quel che vedeva «...che cosa...come sei ridotto...»
Salazar sorrise, il sangue fuoriusciva anche dal naso e gli impastava la bocca.
«Ho perso, amico mio. Sono stato debole. Il Maestro...non è come sembra...P-perdonami» mormorò l'uomo, socchiudendo gli occhi. Un'altra fitta alla testa, come di una lama che lo feriva alle tempie.
«Salazar, zitto. Ti perdono, amico mio...qualunque cosa sia successa, so che non eri tu. Lo so...lo sa anche Rowena....ti perdoniamo, amico mio...» Godric, in lacrime, lo strinse a sé. Le sue lacrime caddero sul viso altrui e per un istante Salazar sembrò realmente se stesso.
«Sono libero, Godric...grazie...Dille...che l'amo...» mormorò il mago, prima di sospirare e, così, lasciare per sempre quella vita.
Gli occhi si chiusero, ed un lampo verde accecò per un istante tutti e due, prima di sparire velocemente. Il corpo di Salazar che sembrava non essere invecchiato, lentamente tornò al suo stato naturale, con i capelli grigi, la pelle rugosa, magro e debole. Era morto tra atroci sofferenze, questo Godric lo sapeva, ma in quel momento non aveva importanza. Era finalmente in pace.
«Zio...chi era quell'uomo...?» la voce di Helena lo sorprese quasi. Si girò verso di lei: aveva un'aria quasi sofferente, dura.
«Era un grande mago, Helena...e faremo di tutto per proteggere la sua memoria» mormorò Godric mentre sollevava il corpo pelle e ossa del suo più caro amico «Non fare parola di lui a tua madre, potrebbe non reggere il colpo...»
«Perchè mia madre dovrebbe soffrire per una persona tanto ripugnante?» chiese Helena, con un tono che Godric non le aveva mai sentito. Si fermò, fissandola un secondo. C'era qualcosa, una luce nei suoi occhi che sembrava diversa. Ma non ci fece più caso.
Condusse Salazar dove gli spettava. Ad Hogwarts, insieme a loro.



Nota dell'Autrice: feelings, feelings come se non ci fosse un domani! Ho sofferto male nello scrivere questo dodicesimo capitolo, per tutto ciò che vi accade dentro. Ho voluto mostrare i sentimenti più profondi dei vari personaggi, del presente e passato, al di là di ogni ideologia, indole o missione. Spero vi sia piaciuto!

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Capitolo 13
*** Capitolo Tredici ***


CAPITOLO TREDICI

Villa Malfoy, 2018 d.C.
L'antico maniero, un tempo quartier generale di Lord Voldemort e dei Mangiamorte, nonché dimora di una delle più antiche famiglie magiche del tempo, sembrava disabitata.
Bill aveva avvisato Ted di tenere occhi e orecchie ben aperti: potevano incorrere in una trappola senza nemmeno accorgersene. Ma, ad onor del vero, quella struttura sembrava davvero disabitata. Sporca e piena di ragnatele, le scalinate erano impolverate così come il resto del mobilio. Non c'era una candela accesa, e molti quadri appesi erano semplicemente vuoti. Nessuno elfo domestico, nemmeno un topo come abitante.
Sembrava una casa fantasma, tutto qua.
Presero a ispezionare la zona in lungo e largo, le bacchette pronte, ma alla fine dovettero arrendersi.
«Non sono qui» ammise Bill, sospirando.
Ted stava per buttare la spugna quando sentì, dal piano di sopra, qualcosa trascinare lungo il pavimento di legno.
Corsero su per le scale, cercando di fare il meno rumore possibile. In un angolo di una sala già esplorata, sembrava che qualcosa si celava nell'ombra. Una sagoma, con la schiena al muro, che sembrava reggersi il fianco.
«Non sono qui...» mormorò con voce debole.
«Dove sono?» chiese subito Ted, puntandogli la bacchetta addosso. Morente o meno, quella figura nell'oscurità poteva essere una trappola di Delphini.
«Riddle...» mormorò di nuovo l'uomo «Riddle...» ripetè di nuovo.
«Il Maniero Riddle, dici?» precisò Bill. La figura annuì appena, nella penombra.
«Ma certo, Delphini è una Riddle» mormorò Ted verso Bill, facendo quadrare l'informazione.
Fece per avvicinarsi alla sagoma, ma una mano insanguinata spuntò dalla penombra.
«Muovetevi, non c'è tempo...ho cercato di fermarla, ma è troppo...potente, per me»
Ted e Bill si guardarono tra loro, annuendo.
«Chiunque tu sia, grazie per il tuo aiuto» annunciò Ted, prima di uscire velocemente da lì, insieme a Bill.
La sagoma nell'oscurità rimase lì, a godersi in solitudine i suoi ultimi momenti di vita. Gli sembrava di poter sentire chiaramente la voce di sua madre in testa.
Non sentirai nulla, vedrai. Conta alla rovescia, amore mio.
Deglutì, una lacrima gli cinse il mento. Aveva paura, ma sperava di non aver fallito di nuovo.
5, 4, 3, 2, 1..
Perse coscienza e si accasciò sul pavimento con un tonfo sordo. La luce lunare che penetrava dalle finestre sporche illuminò appena la mano insanguinata che stringeva una foto, ed i capelli biondo platinato scompigliati, macchiati di sangue.


Maniero Riddle
Cominciò a riprendere lentamente coscienza. Aprì gli occhi ma li richiuse subito dopo, dolorante: la testa pulsava terribilmente, e in un attimo di panico percepì qualcosa di bagnato e caldo che le colava dalla tempia, gocciolando sulla maglia. Sangue.
Deglutì, cercando di calmarsi, e aprì e chiuse gli occhi più volte finchè il dolore alla testa fu sopportabile e la vista si abituò alla semi oscurità in cui si trovata.
Era seduta sul pavimento di legno di un'enorme sala rettangolare, che un tempo doveva aver riflesso la magnificenza della famiglia che vi abitava. Un lampadario impolverato era ancora presente sul soffitto. Un grande camino acceso illuminava appena la zona restante, vuota ad eccezione per una poltrona, dove una ragazza era seduta. E la fissava.
Si accorse solo in quel momento che era incatenata a terra, e che quella ragazza che la fissava era Delphini.
«Liberami..» mormorò Vicky, incapace di gridare per via del mal di testa.
Delphini rise, e la sua testa prese a pulsare. «Non ci penso proprio, ragazzina. Sai, un suicidio del genere non me l'aspettavo da te, ad essere onesta. Ma d'altronde capisco: non volevi che i tuoi cari soffrissero. L'amore è debolezza, mia cara, non te l'ha mai detto nessuno?» chiese, sogghignando.
«L'amore è la magia più potente al mondo...» mormorò Vicky.
«Anche più potente di un Avada Kedavra? Io non credo...» ammise ironica Delphini. Si alzò, avvicinandosi. Si chinò su di lei e prese Vicky per la mandibola, sollevandole di scatto il viso.
«Io vincerò. Questa volta io vincerò. E niente, NIENTE...potrà impedirmelo. Non c'è nessuno che può farlo. So che tu sei la Salvatrice, ma nessuno può salvare niente incatenata al muro, senza bacchetta e senza magia...»
Quindi si alzò e con un colpo di mano fece apparire, lievitando in aria, il diadema di Rowena, la coppa di Helga ed il bastone di Merlino.
«Non osare...» mormorò Vicky, la testa che si spaccava in due dal dolore. Ebbe la strana sensazione, tuttavia, che tutto il corpo le dolesse come se mille pugnali le stessero trafiggendo la carne.
«Oh si che oserò, Victoire. Questi oggetti contendono qualcosa di mio, e dato che tu non sei capace di estrarli, lo farò io...»
«Non puoi, li distruggerai»
«E che importanza ha? Nel migliore dei casi avrò ciò che voglio; nel peggiore dei casi, io non avrò nulla ma tu nemmeno»
Delphini rise, quindi impose le mani sul diadema e sulla coppa. Prese a mormorare antiche formule, in una lingua a Vicky sconosciuta. I due oggetti presero a vibrare, illuminandosi sempre di più. Vorticavano in aria mentre la voce di Delphini si alzava gradualmente. Le sue mani tremavano forte di fronte alla luce dorata che i due manufatti emanavano.
«Fermati, li distruggerai!» gridò di colpo Victoire, allarmata dalle vibrazioni che emettevano i due oggetti.
Delphini gridò ancora di più le sue formule antiche, poi la luce inondò tutta la stanza, accecandole. Vicky chiuse forte gli occhi, e per un istante si sentì invadere da un fuoco vivo che le sciolse la paura dal petto, infiammandola di forza e coraggio. Quando la luce terminò, vide il diadema e la coppa per terra, contorti in un ammasso di metallo.
«No...» mormorò Vicky. Quei due oggetti erano l'unica speranza per poter attivare il bastone e sconfiggere il Maestro. Si guardò intorno, cercando proprio il bastone: era finito ai piedi del camino, con la punta buttata dentro al fuoco acceso. Il panico prese il sopravvento ma dovette calmarsi: il bastone non stava prendendo fuoco, eppure era sicura che quelle fiamme non fossero magiche. Come poteva essere? A meno che, certo...ma no, non poteva essere...
«Finalmente...» la voce di Delphini la distrasse da quei pensieri, e la osservò con orrore mentre raccoglieva da terra, vicino ai resti contorti del diadema e della coppa, una maschera egiziana d'oro ed una gemma blu. Quest'ultima entrò perfettamente nell'incastro che c'era sulla fronte della maschera e Delphini sorrise trionfale.
«Padrone, ce l'ho fatta! Ci sono riuscita! Oh mio Signore...!» sembrava stesse scoppiando di gioia, ma poi qualcosa sembrò rovinarle quella felicità immensa: le sue mani, quasi fossero dotate di vita propria, avvicinarono la maschera al viso della giovane.
«Mio Signore, no...vi prego, sono una vostra fedele serva...vi prego, no..!»
Per un istante Vicky provò pietà per quelle suppliche, ma evidentemente non le sue mani, che poggiarono la maschera sul viso, con violenza. Il corpo di Delphini fu preso da spasmi mentre lei gridava, dolorante. Lentamente qualcosa sembrò uscire dalla sua testa, e Vicky notò con orrore che era un volto.
Sembrò come se lentamente il corpo di Delphini si stesse spaccando e dividendo da un altro, quello di un uomo. I due corpi si divisero lentamente e tra le grida di dolore di Delphini che alla fine si accasciò a terra, priva di vita, con gli occhi spalancati e vuoti verso Vicky.
Al suo posto, un uomo alto e dalla corporatura muscolosa, privo di capelli, il volto nascosto dalla maschera. Indossava abiti medievali, e sembrava occupare tutta la sala con la sua stazza e la sua presenza oscura.
«Victoire, la Salvatrice...finalmente ci incontriamo» annunciò il Maestro. La sua voce metallica e sinistra rimbombò in tutta la stanza.
«Che cosa le hai fatto...» mormorò Vicky, fissando il corpo senza vita di Delphini. Il Maestro fece lo stesso, scrollando le spalle.
«Mi è dispiaciuto, lo ammetto. E' stata una fedele servitrice, una delle poche che ha voluto custodire la mia anima con tanta parsimonia. D'altronde era figlia di un mio potente discendente e di una Lestrange, sarebbe potuta diventare quasi una Pura, ma le mancava ancora qualcosina. Così ho dovuto eliminarla, un peccato davvero»
«Una...Pura?»
«Si, mia cara Victoire, una Pura. Una creatura nata da una strega ed un mago di potenza e nobiltà indicibile, il cui sangue magico è più potente persino del mio. Unendomi ad una creatura pura, potrò finalmente creare una stirpe di maghi purosangue. In molti ci hanno provato. Beh, molti...in verità ero sempre io, solo in corpi differenti» precisò il Maestro, ridendo.
«Tu hai...posseduto i maghi oscuri?»
«Molto sagace. Si, è ciò che ho fatto: nessuno poteva raggiungere quella potenza senza il mio aiuto. Quando i tuoi cari Fondatori mi sconfissero, non mi uccisero del tutto. La mia anima, debole e distrutta, sopravvisse e si aggrappò alla creatura vivente più debole alla magia oscura»
«Salazar...»
«Quel caro ragazzo credeva davvero che l'amore di Rowena potesse cambiarlo. Povero illuso. Mi custodì per diciotto anni, e diciamo che la nostra convivenza fu...movimentata» ridacchiò «dopo avergli fatto costruire la Camera dei Segreti fuggì, senza la mia approvazione. Immaginerai bene che lo punì per tale affronto, ma quel ragazzo era più forte del previsto. E dopo quasi vent'anni, decise di suicidarsi lasciandosi morire. Prima volle salutare quello schifo di Hogwarts, ma la fortuna girò dalla mia parte, incontrando per caso Helena Ravenclaw, sua figlia.
Era la creatura Pura, figlia di una strega ed un mago puri e potenti. Era lei che volevo! E così feci, conquistandole mente e corpo. Fui io a dirle di rubare il Diadema di sua madre! Ma quella stolta, arrivata in Albania, se ne pentì e si ammazzò. Era tutto rovinato, pensai...ma riuscii a sopravvivere secolo dopo secolo. Devo ammettere che con Grindenwald stavo per riuscirci, ed anche con Tom, il suo degno erede...ma poi ho visto te, in sogno, ed ho capito. Dovevo assorbire la sua anima. Sei TU la creatura pura per eccellenza»
Il silenzio calò sulla stanza. Vicky fissava il Maestro, cercando di assorbire tutte quelle notizie. Tutte quelle verità, che avevano infangato la memoria di molte persone, Salazar ed Helena primi fra tutti.
«Io sono una Weasley ed una Delacour. Io sono una maga, sono una figlia, una fidanzata...non sono nulla di ciò che dici»
«Oh no, tu sei molto più di questo, mia cara. Tu sei la discendente diretta di Rowena e Salazar, tu sei la Custode del bastone di Merlino, sei la Signora del Tempo»
«Helena era l'ultima erede»
«Questo è quello che credono tutti. Ma Helena non fu l'unica figlia di Rowena e Salazar. Salazar riuscì a resistermi per due anni, dopo la battaglia. Concepì Helena ed un'altra femmina, che nacque poco prima della sua fuga. Nessuno parlò mai della seconda figlia per paura che Salazar potesse tornare a prenderla, o farle del male...fu affidata a Merlino e condotta a Camelot, dove crebbe come figlia di un uomo chiamato George, il quale pochi anni dopo si trasferì con tutta la famiglia in Francia, dando vita ai Delacour, la tua famiglia»
Vicky tacque di nuovo. Troppe informazioni, troppe cose che non sapeva nemmeno fossero vere o false.
«Tu menti...non esiste nessuna seconda figlia...»
«E' triste pensare che mi ritieni un bugiardo, ma che importa se ci credi o meno? Tra poco assorbirò la tua anima e non avrò bisogno del tuo guscio vuoto. Sarò IO la creatura pura che ho sempre desiderato, e tramite la mia potenza potrò ripulire il mondo dalla feccia dei Babbani e cercarmi una compagna perfetta. Ah per inciso: la seconda figlia di Rowena venne chiamata Victoria, perchè nacque il giorno del secondo anniversario dalla vittoria contro di me. Curioso, vero?»
Vicky tacque, deglutendo. Troppe coincidenze, il Maestro doveva essersi inventato tutto. Lanciò un'occhiata al bastone: era ancora lì, incolume tra le fiamme. Fissò il fuoco, desiderando ardentemente che le restituisse il bastone, e le sembrò quasi che le fiamme guizzassero, agitate dalla sua mente.
Tornò a fissare il Maestro. Doveva guadagnare tempo.
«Facciamo finta che ti credo. Perchè hai aspettato tutto questo tempo per prosciugarmi l'anima?» chiese, mentre guardava con la coda dell'occhio il bastone. Ebbe la sensazione che si fosse mosso, ma per paura che il maestro potesse scoprirla non si girò del tutto a guardarlo.
«Perchè dovevi maturare. Dovevi essere consapevole di chi eri e da dove venivi. Dovevi renderti conto da sola che sei una Ravenclaw, una Slytherin, una potente strega...se avessi preso la tua anima prima di quel tempo, sarebbe stata un'anima come un'altra: quella di una ragazzina mezza umana, dal sangue sporco» il Maestro sogghignò «ma possiamo sorvolare su questo dettaglio, ti perdono mia cara. Ripulirò bene la tua anima, non temere»
L'uomo fece per avvicinarsi a lei. Con un colpo di mani fece sparire le catene che tenevano ferma Vicky. Si massaggiò i polsi indolenziti, e lentamente si alzò. Il Maestro la guardò, sapeva che stava sorridendo da sotto la maschera. I suoi occhi mandavano bagliori di follia.
«Ora sta calma...non sentirai nulla»
«Fa in fretta» rispose Vicky. Stava prendendo ancora tempo, con le mani dietro la schiena, spalancate, mentre la mente cercava di muovere il bastone e farlo cadere fra le proprie mani.
«Non essere frettolosa, mia cara...tempo al tempo»
«Aspetta!»
«Cosa c'è...» sospirò il Maestro, come un padre paziente.
«Voglio sapere un'ultima cosa. Cos'è una Signora del Tempo...»
Il Maestro arretrò di un passo, fissandola. «E' una figura direi mitologica, seppur abbiano affibbiato questo nome a te. La leggenda vuole che sia una potente strega in grado di viaggiare nel tempo, per ripulire il mondo dal male. Ella è dotata di immortalità e di poteri infiniti, in grado di sconfiggere qualunque tipo di male quando esso è ben superiore rispetto al bene. Alcuni dicono che Rowena fosse una signora del tempo, altri dicono sia tu...secondo me è solo una favola antica. Senza contare che ti serve un'anima, per essere signora del tempo. E tu fra poco non avrai nulla che un corpo vuoto»
Il Maestro sorrise, si avvicinò lentamente a Victoire, finchè la sua maschera non fu ad un fiato da lei. Poi, la bocca metallica della maschera si posò su quella in carne ed ossa della ragazza.
La stanza si illuminò di luce, tanto che il Maestro arretrò, accecato. Quando il bagliore finì, cercò di mettere a fuoco quel che sembrava il camino acceso. Ma si sbagliava.
Quelle fiamme che vedeva non venivano dal camino, ma dalla figura di Victoire, o da quel che v'era rimasto.
Era una figura femminile, completamente avvolta nel fuoco. I suoi occhi fiammeggiavano, i suoi capelli bruciavano lucenti, il suo corpo nudo era avvolto dalle fiamme che la avvolgevano, senza bruciarla, così come non bruciavano il bastone di Merlino, che teneva fra le mani.
Il Maestro si inginocchiò, estasiato, davanti a quella divinità perfetta. La figura continuò a fissarlo. Sollevò il bastone verso il cielo, prima di sbattere la sua base a terra, una sola volta. I muri ed il pavimento presero a vibrare per qualche secondo, poi tutto esplose e volò per aria, come colpito da una bomba.
Il Maniero Riddle fu raso completamente al suolo, le fiamme avvolgevano qualunque cosa si trovasse intorno nel raggio di metri, finchè di colpo sembrò che il fuoco fosse assorbito, risucchiato da una forza che lo fece eclissare e scomparire del tutto, lasciando i resti del maniero nella completa oscurità.
Il Maestro si smaterializzò prima che la distruzione potesse coglierlo, e quando Teddy e Bill arrivarono nei pressi del Maniero temettero il peggio.
«E' troppo tardi...» mormorò Bill.
Entrarono con estrema attenzione e Ted gridò quasi quando, tra le macerie annerite, vide il corpo nudo e fumante di Victoire, a terra, priva di sensi. Ma incolume.


Ministero della Magia, 2018 d.C
Aprì lentamente gli occhi e mosse la testa. Si mise a sedere, la testa pesante ma ben vigile. Si guardò attorno: era nell'ufficio di zio Harry, al Ministero, questo lo sapeva. Pur non essendoci mai stata, sulla scrivania vide le foto magiche dei suoi genitori, di zio Sirius, di Albus Silente e qualche rara foto di Severus Piton, pescata chissà dove. Si alzò, prendendo la foto di Sirius e ricambiando il sorriso che la foto le donava.
«Che cosa devo fare...» mormorò, sospirando.
Perchè diavolo l'avevano portata lì? Si guardò attorno, notando in quel momento il bastone vicino al divano dove era stata sdraiata. Ma certo, il bastone deve averla portata lì da solo, e poi deve essere stata soccorsa da zio Harry o chi per lui. Nonostante la testa pulsante, sapeva che doveva trovare il Maestro. Sospirò, lasciandosi ricadere sul divano. Aveva dei poteri immensi, aveva la capacità di evocare il fuoco e, secondo il suo ragionamento, anche gli altri tre poteri elementali. Secondo sempre una logica assurda, aveva il potere della Terra stessa, quella dei quattro elementi che la compongono. Il bastone al suo fianco era una fonte inimmaginabile di questo tipo di magia, e la vera domanda era: sarebbe stata capace di controllarla? Perchè dopo il disastro al Maniero era chiaro che non ne era capace. Ma d'altronde era l'unico modo per sconfiggere il Maestro. Non sapeva però a cosa andava incontro: sapeva di grandi maghi e streghe assorbiti dalla loro stessa magia, morti o peggio...
Non voleva morire, né diventare una creatura oscura. Ma non voleva nemmeno che il Maestro sopravvivesse o uccidesse i suoi cari.
«Sarebbe stato comodo un manuale su come usare questo coso» borbottò fra sé, guardando il bastone e rivolgendosi a interlocutori immaginari.
Sapeva solo che doveva uscire da lì, ed in fretta. Doveva trovare il Maestro, e subito. Si alzò, avvicinandosi al bastone ed allungando la mano verso di esso. Poteva, già solo da lì, percepire la sua enorme potenza. Cercò di rilassarsi, di sgomberare la mente da ogni pensiero e paura, come quando studiava gli incantesimi più difficili. Poi lo toccò.
Sentì come una scossa di terremoto percorrere il bastone fino al suo braccio e al resto del corpo. Poi un vento dolce ma deciso l'avvolse. Respirò a pieni polmoni quell'aria, il bastone stretto a sé. Poi si guardò intorno: era ancora “umana”, normale, e non aveva distrutto nulla. Buon segno. Evidentemente la paura di morire, poco prima, aveva scatenato la potenza di quel bastone.
Lo afferrò con decisione come le briglie di un cavallo, quindi si liberò abilmente delle porte “chiuse” del Ministero. Si fermò più volte lungo il corridoio, davanti la altre porte, cercando di capire se qualcuno la stesse spiando, seguendo, o se ci fosse qualcuno nelle vicinanze.
Si sentì immediatamente in colpa per quel che stava facendo: girare per il Ministero come una ladra, come aveva fatto Delphini quando rubò il bastone proprio da lì. Si fermò, come pietrificata.
«Ma certo...la stanza del tempo...» borbottò, muovendosi in fretta verso il primo ascensore che trovò libero, nascondendosi tra la folla di impiegati alla vista di chiunque potesse riconoscerla. Era chiaro, no? Delphini aveva rubato il bastone da quella stanza proprio perchè quel bastone era un oggetto che aveva viaggiato quasi nel tempo, e che attraverso il tempo aveva condotto a Vicky la magia dei Fondatori, il dono custodito da quell'oggetto per così tanto tempo. Forse nella stanza del tempo avrebbe trovato qualcosa che l'avrebbe aiutata? Non lo sapeva, ma era un buon punto di partenza.
Entrò nel primo ascensore che incontrò, spinse il tasto per il nono piano e, proprio quando le sbarre si stavano chiudendo, incrociò gli occhi di un dipendente del Ministero che la fissava, lo sguardo glaciale e profondo. Ed un sorriso sinistro che gli squarciava la bocca.

 

Hogwarts, 1024 d.C
Le piaceva camminare per i corridoi maestosi del castello. Era estate inoltrata, la scuola stava per finire e gli studenti si divertivano a giocare sulle rive del lago, a chiacchierare, a fantasticare su cosa avrebbero fatto tornando a casa. Era sempre stato così, e sempre lo sarebbe stato. Quella scuola era un faro per ogni mago o strega che ne avesse avuto bisogno. Era nata per quel motivo.
Si fermò davanti un'armatura ornamentale di metallo. Vide il proprio riflesso sullo specchio: era invecchiata, come ogni altro essere umano. La pelle candida e delicata era stata soppiantata dalle rughe della saggezza. I capelli, biondi un tempo, erano bianchi e raccolti nella solita treccia. I vestiti di quando era giovane ormai erano passati a sua figlia, poiché la vecchiaia l'aveva fatta incurvare e ingrassare. Tuttavia gli occhi erano i soliti: limpidi, allegri, buoni.
Rowena diceva sempre che i suoi occhi le trasmettevano la pace e la calma. Ebbe una fitta al cuore a quel pensiero. La sua amica era morta da tanti anni, ma ancora non riusciva a superare il dolore provocato da quella perdita. Tutti muoiono, lei questo lo sapeva, ma la morte di Rowena era stata orribile, piena di rimorsi e rimpianti, di sofferenze inutili lanciate contro una persona buona, che voleva solo stare bene. Che voleva solo amare.
«Ti trovi invecchiata?» una voce familiare la colse di sorpresa. Si girò, asciugandosi velocemente una lacrima e sorridendo verso l'uomo che si ritrovò di fianco.
«Abbastanza» ammise lei, circondandogli il braccio mentre ripresero a camminare.
«Lo siamo tutti» precisò Godric. Anche lui era cambiato: era dimagrito molto, aveva i capelli canuti ed una folta barba grigia. Ma la sua ironia non era mai cambiata «Mi sarebbe piaciuto vedere Rowena e Salazar, vecchi come noi...» ammise il mago, sincero.
Helga non rispose subito, non rispose affatto. Strinse la mano del marito e non disse nulla per tutto il tragitto, finchè i loro cuori non li guidarono verso uno dei tanti cortili di Hogwarts, dove al centro si stagliava una statua dei quattro fondatori di Hogwarts. Ciò che non tutti sapevano è che lì sotto riposavano Rowena e Salazar, finalmente insieme ed in pace.
«Ora sono insieme, Godric...è questo ciò che conta»
«Avremmo potuto evitare tutto. Sarebbero ancora qui con noi, anche Helena, se solo fossimo stati meno ciechi...»
«Non potevamo prevedere tutto, nemmeno Rowena ha potuto. L'importante è stato mettere in catene i suoi manufatti, per la Salvatrice. Il tempo ritorna, ricordarlo sempre...»
«Vorrei solo il loro perdono...»
«Siamo stati perdonati, tutti noi. Ne sono sicura...»
Godric annuì e rimasero a lungo in silenzio, a contemplare quella statua che per loro significava Amore e Amicizia, due sentimenti che insieme possono sconfiggere ogni male.
«Credi davvero che la Salvatrice sarà anche una Signora del Tempo?» chiese di punto in bianco Helga.
Godric scrollò le palle. «Non ha importanza, alla fine. E' importante che capisca come uccidere il Maestro, una volta per tutte...»

 

Nota dell'Autrice: salve a tutti! Eccoci arrivati al tredicesimo capitolo. Chiedo scusa per il gap passato tra il dodecisimo capitolo e questo ma, si sa, l'estate è sempre un casino :D E' difficile terminare una storia, ma spero davvero che il finale possa essere di vostro gradimento. Al prossimo capitolo!
P.S. Non me ne vogliano i fan di Draco, please «3

 

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Capitolo 14
*** Capitolo Quattordici ***


 CAPITOLO QUATTORDICI


Ministero della Magia, 2018 d.C
Le porte dell'ascensore si aprirono, mostrando il corridoio semibuio. Titubante uscì, lasciando che l'ascensore schizzasse in basso. Doveva fare in fretta: quel tizio l'aveva vista e avrebbe sicuramente chiamato qualcuno per fermarla. Forse pensavano che stesse cercando di fuggire, ma non avrebbero impiegato molto prima di capire che l'ascensore l'aveva preso per andare in un altro piano del Ministero, non certo per scappare.
Si fece coraggio ed avanzò lungo il corridoio di mattoni nero lucido. Nero, come la conoscenza buia in cui spesso brancolavano gli Indicibili. Si fermò davanti alle porte dei vari settori. Una targhetta su di esse avrebbe aiutato davvero molto, e tuttavia nulla di tutto ciò era stato messo in suo soccorso. Sospirò, andando ad aprire la porta davanti a sé. Non fece in tempo a richiuderla che intravide le altre porte scambiarsi e vorticare, confondendola. Il panicò si fece spazio nella sua mente: e se fosse rimasta incastrata lì? Se non fosse riuscita a trovare l'uscita? Per il tempo che l'avrebbero ricacciata dall'Ufficio Mistero, il Maestro faceva in tempo a distruggere metà Londra con i suoi Dissennatori. O peggio.
Si voltò, accorgendosi solo una volta chiusa la porta che la stanza era completamente buia. Rimase immobile, cercando di capire dove diavolo si trovasse, finchè non cominciò a...levitare. Nel panico, strinse istintivamente il bastone a sé ma si accorse quasi subito che stavolta non era colpa sua o del bastone. Era la stanza che era priva di gravità. Prese a nuotare nel vuoto e nel buio, preoccupata, finchè non urtò qualcosa che a quel tocco si illuminò appena. Quel che pareva la riproduzione precisa della Terra. Il pianeta prese a librarsi nell'aria, girando e toccando altri pianeti che via via si “accendevano” e prendevano a ruotare in quel sistema solare in miniatura. Immaginò dovesse essere la stanza dello Spazio. Si guardò intorno e “nuotò” verso una porta, seppur non sapeva se fosse quella da cui era entrata o un'altra. L'aprì, spingendovisi dentro. Dall'altra parte la gravità c'era indubbiamente e cadde con la faccia contro il freddo pavimento.
«Ahia...» brontolò appena, alzandosi confusa. Si guardò intorno, e stavolta si ritrovò tra lunghi e altissimi scaffali traboccanti di palle di vetro luminescenti. La Stanza delle Profezie, immaginò.
Sospirò, spazientita: l'avrebbe trovata quella dannata stanza del Tempo? Prese a correre più che poteva, e ad ogni angolo e incrocio cercava la porta d'uscita. In pochi minuti perse l'orientamento. Si fermò, ansante e sudata.
«Dove devo andare!?» gridò furiosa, rivolgendosi a tutti e nessuno. Si poggiò al bastone per riprendere fiato, quasi sull'orlo delle lacrime. Riprese a camminare, lentamente, andando completamente alla cieca. Sollevò gli occhi verso l'alto: era ad una delle prime file, le più antiche. Cercò, curiosa, il suo nome fino a trovarlo vuoto: la Profezia era stata recuperata qualche giorno prima. Sospirò, massaggiandosi gli occhi prima di riaprirli e notare, alla fine di quello scaffale, una porta di legno, vecchia e in disuso. Si avvicinò, pensando ad una sorta di “uscita d'emergenza”. Fece per abbassare la maniglia che fece una leggera resistenza ma, con un po' di volontà e forza in più, Vicky riuscì a spalancare la porta. Un vento freddo cominciò a soffiare, proveniente da quel che sembrava un tunnel che scendeva giù, nelle profondità del sottosuolo. Deglutì, spaventata, ma il vento sembrava spingerla in avanti e con un'ultima sferzata le fece perdere l'equilibrio e cadde in avanti, gridando.
Scivolò in verticale, lungo curve e spirali che salivano e scendevano, tra grida di paura e risate adrenaliniche. Le peggiori e migliori montagne russe di sempre. L'ultimo tratto del tunnel era completamente in verticale e, anziché scivolare lungo la parete, cadde di nuovo di faccia ma questa volta su quel che sembrava un...prato? Possibile che era fuori dal Ministero? Si alzò velocemente, guardandosi intorno. Si trovava nel posto più bello che avesse mai visto.
Era una stanza circolare molto ampia. Al centro v'era una piccola collina d'erba, ai cui piedi era caduta lei. Sulla cima della collina, una bella e romantica fontana di pietra che gorgogliava un liquido color madreperla il cui vapore vorticava a spirale. Tutto intorno la stanza, panchine di pietra ed uccellini variopinti e magici volteggiavano nell'aria. Respirò a pieni polmoni: riusciva a sentire la potente magia che viveva in quella stanza e le sembrò quasi che il bastone le vibrasse appena nella mano, come riconoscendo quel potere. Si sentì piena di coraggio, di forza, di speranza. Sorrise tra sé, come un ebete, prima di prendere a salire lungo la collina, curiosa. Si sporse verso la fontana gorgogliante, la fissò qualche istante ma istintivamente si tirò indietro. Qualcosa le diceva che era meglio non toccare nulla, dentro quella stanza dell'Ufficio Misteri. Ritornò lentamente ai piedi della collina e si guardò intorno, prima di vedere una figura avanti a sé.
«Benvenuta nella Stanza dell'Amore, Victoire»
Riconobbe subito la voce. Ai piedi della collina sostava il dipendente che l'aveva vista prendere l'ascensore, ma il suo viso ora era semplicemente quello del Maestro, che le rivolgeva un sorriso sghembo e sinistro.

Victoire fissò il Maestro a lungo, stringendo saldamente il bastone nella sua mano.
«Come hai fatto ad entrare qui...» chiese confusa. In verità, avrebbe potuto chiedersi la stessa cosa. Hermione diceva sempre che la stanza dell'Amore era chiusa a tutti, tranne gli Indicibili che vi lavoravano. Persino zio Harry era stato incapace di aprirla.
«Come ho fatto? Beh non sono esattamente un apprendista mago, che dici?»
«Ma Voldemort...»
«Fallì, lo so. Ti ricordo che sono stato io a ordinarglielo. Non avevo calcolato che Tom era privo di amore, e che non era abbastanza potente. Ma ora sono tornato completamente in me, in tutta la mia potenza. E' stato relativamente facile manomettere la maniglia ed aspettarti qui»
«Ma allora io sono riuscita ad entrare perchè la porta era stata indebolita?»
Il Maestro rise divertito.
«No, sciocca ragazzina. La Stanza dell'Amore è inaccessibile a chi non ne è degno. Evidentemente tu sei degna d'Amore, Victoire Weasley. Quanto a me...non c'è nulla che può fermarmi, te l'ho già detto»
Vicky sembrò accorgersi solo in quel momento che il Maestro era senza maschera, per la prima volta. Era un uomo sui quarant'anni, almeno in apparenza, con una pelle leggermente dorata, come scurita dal sole. Occhi verdi, capelli cortissimi e castani, ed una profonda cicatrice che gli attraversava l'occhio sinistro. Tutto sommato un uomo di bell'aspetto, se non fosse stato per la sua anima oscura. Male puro. Vicky non riusciva ancora a capire come avesse potuto manomettere e obbligare una porta così potente a cedere, ma d'altronde aveva fatto lo stesso col Diadema e la Coppa. Fissò il suo bastone, deglutendo: sarebbe davvero riuscita a sconfiggerlo?
«No, non ci riuscirai» il Maestro sembrò leggerle nella mente. Si volse di scatto verso di lui, fissandolo.
«La profezia di Rowena è stata inventata, non è mai esistita. Il custode non esiste, TU...non esisterai più. Comincia finalmente una nuova Era, un'Era di purezza e di potente magia. E coloro che oseranno ostacolarmi troveranno solo Morte. A cominciare da te...» e passandosi la mano sul viso, questo venne coperto immediatamente dalla maschera d'oro, con la gemma blu incastonata nella fronte.
Victoire strinse il bastone con entrambe le mani, facendo ridere di nuovo il Maestro. La sua risata le gelò il cuore.
«Fai sul serio? Non sai nemmeno farlo funzionare! Al Maniero è stato un caso. Ti sei spaventata, ed hai attivato il suo potere. Ma ora non avrai tempo, mia cara, nemmeno di pensare» e sollevando la mano avanti a sé, verso Vicky, lanciò un incantesimo in sua direzione.

Vicky cadde istantaneamente a terra, come se mille pugnali l'avessero trafitta. Gridò, faccia a terra, il corpo in preda agli spasmi di dolore. Cercò di sollevare gli occhi, velati di lacrime. Il bastone era volato via, quasi in cima alla collina. Si inginocchiò, lentamente. Il sangue le stava colando dal naso, gocciolando sul prato sotto di lei, insieme alle proprie lacrime.
Il Maestro si avvicinò lentamente, senza eccessiva fretta, mentre Vicky cercava inutilmente di risalire la collina, di afferrare il bastone. Una seconda scarica si abbatté su di lei, che gridò di nuovo, crollando a terra. Sembrava come se una frusta di fuoco le avesse lacerato non tanto la pelle del corpo, ma gli organi interni. Sentì il proprio corpo andare a fuoco, da dentro. Gli occhi velati di lacrime vedevano a malapena il bastone davanti a sé. Non riusciva più a muoversi. Rimase a terra, immobile, ancora viva.
Sapeva che stava morendo. Ne era sicura. Si ricordò di quando aveva sentito la stessa sensazione vedendo la morte di Salazar, poi quella di Rowena. Sapeva che stava accadendo anche a lei. Pensò ai suoi genitori, alla sua famiglia. A Ted. Il suo dolce Ted...
In quell'istante avrebbe preferito litigare cento volte con lui, o con i suoi genitori per uscire fino a tardi. Avrebbe preferito rifare i G.U.F.O. all'infinito, o far perdere punti alla sua Casata ogni volta che gli altri lo desideravano. Avrebbe sopportato tutto, tranne che dividersi dalla Vita. E dall'Amore. Non solo di Teddy, ma di tutti. Si stava accorgendo solo in quel momento, in punto di morte, che l'amore era davvero l'unica cosa che contava. Per amore Lily era morta per Harry; per amore Remus e Tonks erano morti per Teddy. Tutti, alla fine, morivano per dare ad altri la possibilità di vivere.
Il suo Sacrificio non sarà vano se l'Amore vincerà. In quel momento capì a pieno il significato di quelle parole. Forse aveva perso contro il Maestro, ma l'Amore per le persone care aveva vinto...il resto non aveva importanza. Qualcun altro avrebbe ucciso il Maestro, lei aveva fatto il suo dovere. Aveva compiuto la Profezia.
Un piede del Maestro la rigirò a faccia in su, quindi una sua mano la prese per la gola, afferrandola con una forza sovrumana. Gli occhi erano colmi di follia febbrile.
«E' stato breve ma intenso, salvatrice. Un po' deludente, come Signora del Tempo, lasciatelo dire. Ma non posso biasimarti...i miei ragazzi ti hanno dato davvero poca scelta. Povera ragazza. Ma non preoccuparti...ora non sentirai più nulla, sarai in pace» annunciò la voce metallica del Maestro.
Vicky, inerme e penzoloni a metà della collina, chiuse gli occhi ed una lacrima le scivolò sulla guancia, cadendo sullo stesso prato dove aveva riverso il suo sangue. Chiuse gli occhi, attese, ma non accadde nulla. Possibile che era già morta? Aprì gli occhi. Sentì qualcuno gridare, poi un lampo rosso e la presa del Maestro venir meno. Cadde a terra come un sacco di patate, sentì la terra vibrare di passi e, poco dopo, due mani girarla e sollevarla.
«Vicky...» quella voce rotta dalle lacrime le fece riaprire debolmente gli occhi. Sorrise appena quando riconobbe il viso di Teddy.
«Ted...non piangere...» riuscì a dire, a stento. Aveva la bocca impastata di un sapore simile al ferro. Sentiva la voce dei propri zii e genitori, lontani. Qualcuno stava cercando di contenere il Maestro, volato parecchi metri più in là.
«Vicky...mi dispiace, mi dispiace...non riuscivamo a trovarti, non sapevo...dovevo starti più vicino...» mormorò Ted, tra i singhiozzi che gli scuotevano tutto il corpo.
Vicky gli sorrise di nuovo, appena. Sentiva le forze cedere. «Va bene così, Ted. La profezia...è finita, va tutto bene...»
«No, Vicky, ti prego...non mi lasciare...!» esclamò Ted, sollevando la testa della ragazza. I capelli biondi si macchiarono col sangue versato sulla collina, e quando Vicky lentamente chiuse gli occhi, Ted cercò di piangere tutte le lacrime che aveva in corpo. Strinse la ragazza a sé, gridando dalla rabbia e dal dolore. Le sue grida fecero eco a quelle acute di Fleur, che correva su per la collina urlando invano il nome della figlia, morta tra le braccia del suo unico e vero amore.
Fleur arrivò sul posto dove la figlia era morta e, abbracciandola e baciandole il viso, si strinse insieme a Teddy. Mano a mano, tutti raggiunsero la collina e, stringendosi in un laccio d'amore e dolore, mentalmente e fisicamente baciarono e salutarono un'ultima volta Victoire.
Ted deglutì, osservando il viso freddo di Vicky. Le baciò la bocca un'ultima volta.
«Ti amerò per sempre, mò caraid...» le sussurrò nell'orecchio, sperando che la sua anima potesse sentirlo, e le baciò la fronte un'ultima volta. Gli occhi caddero sul bastone, a pochi passi sopra di loro. Stava vibrando, ed emanava una strana luce blu.
«Ted...dobbiamo andare...» la voce di Harry lo riportò alla realtà, ma lui fissava ancora il bastone.
«Zio...»
«Teddy...Vicky ha bisogno di una degna sepoltura...»
«Zio!» esclamò Ted, per essere ascoltato. Indicò a tutti il bastone sopra di loro e lo fissarono, senza dire nulla.
Il bastone continua a vibrare e ad illuminarsi finchè non prese a muoversi così forte che rotolava su se stesso, come impossessato da qualche maledizione. Tutti pensavano che, morta Vicky, si stesse distruggendo...ma così non fu.
«Finalmente...» annunciò Harry non appena il bastone si bloccò, ma non fece in tempo a dire altro che dal bastone cominciarono ad uscire fasci di luci variopinti.
La stanza si riempì di fasci di luce blu, bianchi, rossi e verdi che vorticavano ed avvolgevano tutti i presenti, accecati dalla magia che si stava svolgendo lì, sotto i loro occhi. I fasci di luce sembravano assumere quasi delle fattezze umane, con volti e mani e braccia. Le stesse braccia e mani che andarono ad avvolgere il corpo senza vita di Vicky, sollevandola lentamente in aria, inerme.
La Stanza era completamente ricolma di luce, tutti erano ormai ciechi di fronte a tutta quella magia, ed il Maestro prese a gridare come se stesse subendo atroci dolori e sevizie. La luce aumentò al massimo tanto che molti caddero in ginocchio, sopraffatti, finchè di colpo la luce sparì, lasciando la stanza nella totale oscurità. Quando gli occhi si abituarono al nuovo ambiente, molti istintivamente indietreggiarono davanti a quel che si stagliava davanti a loro. Una figura era sospesa in aria, davanti a loro, e sembrava poggiare appena i piedi sulla cima della fontana. Era una figura di fattezze umane, seppur di umano aveva ben poco. Una donna, che cambiava continuamente forma. Ora appariva come avvolta e creata da un nucleo vivo di vulcano, a volte sembrava invece plasmata nel ghiaccio; a volte sembrava avesse una pelle coriacea e fronde d'albero a mò di capelli; a volte era trasparente come un vento fiero e possente. La fontana, sotto i suoi piedi, sembrava seguire il suo stesso ritmo di trasformazione di quei quattro elementi naturali, rispettando così le quattro stagioni.
Ted, che fino a quel momento era rimasto in ginocchio, si alzò in piedi tremante.
«Vicky...» la richiamò, e la figura si fermò di scatto verso di lui. Incandescente, gli occhi erano due barlumi di puro oro che lo fissavano, senza espressione. Come se non lo riconoscessero. Ted si limitò a fissarla, con il cuore stretto in una morsa di paura. Sì, paura che Vicky si fosse dimenticata di lui. Che di Vicky non ci fosse rimasto più nulla.
«Mia Signora!» gridò il Maestro, sfuggito alla guardia degli Auror. Si prostrò ai piedi della collina. «Mia Signora, chiedo il vostro perdono!» gridò di nuovo, la faccia contro il prato chiazzato di sangue.
Teddy scese lentamente la collina, allontanandosi istintivamente da Vicky insieme al resto dei presenti nella Stanza.
«Non credo...che sia davvero Vicky quella» ammise Harry nell'orecchio di Ted.
«Certo che è lei, è solo...»
«Divorata dalla magia elementale» intervenne Hermione, con voce calma, mantenendo il contatto visivo con la creatura magica «non è facile mantenere una magia così forte, Teddy. Molti maghi ne vengono semplicemente inglobati»
Il ragazzo scosse la testa, che senza accorgersene cambiava colore a seconda di come mutava la creatura.
Questa lentamente planò dalla fontana verso la base della collina, continuando ad emanare forti vibrazioni magiche che facevano tremare appena il suolo sotto di loro. Sembrò contemplare il Maestro sdraiato ai suoi piedi. Gli Auror fecero per bloccarlo e catturarlo ma la creatura sollevò un muro di fiamme tra gli altri e lei.
«Oh grazie, grazie mia Signora...» mormorò il Maestro, strisciando verso i suoi piedi. La creatura si lasciò avvicinare ma quando il Maestro fece per toccarla si infiammò, ed il fuoco prese a bruciare le vesti del Maestro. La creatura alzò una mano al cielo ed il bastone di Merlino, volando, planò nel suo palmo. Il Maestro arretrò, gridando, e con un colpo della mano fece sparire le fiamme.
«Razza di piccola bastarda, sei tu!»
Gli altri lo sentirono chiaramente gridare contro quella che, a quanto pare, era davvero Victoire. Lei era la Salvatrice, la Signora del Tempo e, quel che era meglio, riusciva a controllare il potere primordiale della Terra. Victoire sbattè appena la base del bastone sulla terra, creando una scossa che fece cadere tutti a terra, Maestro compreso, e al toccò con l'oggetto magico tornò nella sua forma umana, per così dire, seppur non priva di magia elementale.
«Devo aiutarla!» gridò Ted, cercando di superare il frastuono che creava quella barriera di fuoco magico e il duello che avevano innescato il Maestro e Vicky.
«Ted, non puoi!» esclamò Harry, prima di vedere il figlioccio risalire a collina, verso la fontana. Sospirò, quindi si volse i suoi Auror «Vediamo di spegnere questo fuoco, forza! E teniamo il Maestro impegnato, cerchiamo di distrarlo da Ted e Victoire!»
Gli Auror si mossero in un via-vai composto ma concitato. Le bacchette levate al cielo, lampi di magia volavano ovunque e rimbalzavano contro la barriera magica che Vicky aveva innalzato per evitare che i suoi cari potessero intromettersi in quella battaglia finale tra Male e Bene, tra Equilibrio e Squilibrio.

Non aveva mai creduto che ci si potesse sentire così forti, così assolutamente...perfetti, potenti. La magia sembrava plasmarsi nelle sue mani, nella sua mente, e fluire come un fiume in piena. Le sembrava di creare una melodia, una sinfonia perfetta che diventava reale, tangibile, ogni volta che il Maestro la attaccava. Egli era forte, aveva assimilato la forza di tantissimi maghi, soprattutto oscuri. Ma Lei non era certo da meno. Sentiva la magia dei quattro elementi fluirle nelle vene, sentiva la potenza ancestrale di quella magia antica, sacra, che i primi maghi e streghe avevano posseduto e che era andata persa, con l'avvento d nuove religioni, di nuove tecnologie. Ed era stata nascosta perchè pericolosa, perchè troppo potente per essere adoperata da chiunque. Ma in quel momento lo capì: era morta ed era rinata, come una Fenice che sorge dalle mie proprie ceneri.
Lei era morta per Amore e rinata in Esso, e tramite l'Amore era riuscita ad acquisire abbastanza forza da controllare la Magia antica come se fosse parte del suo corpo, come prolungamento del suo stesso essere. Il Maestro attaccava con ogni tipo di Maledizione, ma nemmeno l'Avada Kedavra riusciva a scalfirla. Era troppo veloce, troppo abile, troppo forte. Ogni incantesimo del Maestro si frantumava contro l'aura potente che emanava.
«Non puoi sconfiggermi! Io sono immortale, io vivrò in eterno, ed in eterno di combatterò!» la voce del Maestro descriveva alla perfezione lo stato di Follia in cui si trovava in quel momento. E si sa che un individuo, quando sta per morire, rischia il tutto per tutto. Così il Maestro fece ciò che non avrebbe dovuto fare: distrusse la barriera di fuoco che Vicky aveva creato e cominciò a colpire, alla cieca, chiunque gli capitasse sotto tiro con le sue maledizioni.
«Giù!» Vicky sentì la voce di suo padre e le grida di chi cadeva sotto il peso delle terribili maledizioni.
«Hai visto?? Visto cosa succede ad opporsi al Maestro, all'Oscurità? Il mio regno è vicino, che tu lo voglia oppure no!» la voce del Maestro risuonava sopra quella di chiunque altro.
Vicky tentava di parare i colpi del nemico, eliminandoli o facendo cambiare direzione al getto magico, ma qualcuno lo mancò. Sentì qualcuno gridare, e si immobilizzò quando vide zia Ginny cadere a terra, tra gli spasmi quella Maledizione Crucio, e zio Harry furioso che parava ogni colpo del Maestro, gridando. Sentì sua madre, la sentiva nella sua testa, poteva vederla mentre si contorceva dal dolore per la maledizione Dolohov.
Era troppo. Corse verso il Maestro e una lingua di fuoco lo afferrò per la gola, interrompendo ogni incantesimo. Nella Stanza dell'Amore, si udivano solo pianti e rantoli.
Vicky parlò, sapeva che stava parlando, seppur ciò che usciva dalla sua bocca erano solo buoni gutturali e antichi, di una lingua scomparsa che evidentemente la sua Magia conosceva.
«Non potrai fermarmi in eterno...» sibilò il Maestro, livido in viso, privo di maschera. Questa era rimasta nella sua mano e così, con un gesto veloce, la indossò e chinò la faccia sulla lingua di fuoco che lo teneva prigioniero. La maschera e la gemma presero ad assorbire lentamente la magia di fuoco di Vicky. A nulla valse cambiare elemento o lasciare la presa sul Maestro: questi aveva ormai stabilito un contatto magico con lei, e lentamente la stava assorbendo.
Vicky sentiva fluire la magia fuori dal suo corpo. Cercò di lottare con tutte le sue forze e stava per arrendersi, quando vide qualcuno, oltre la spalla del Maestro. O meglio, qualcosa. Una lama scintillante. Memore di quanto già vissuto dai suoi avi, riprese a lottare. Il fuoco, il ghiaccio, la terra e l'aria cozzarono contro la magia oscura del Maestro, incrinandone la potenza assoluta.
«Ancora? Non puoi nulla contro di me, te l'ho detto! Non puoi salvarti, e nessuno può farlo! Sicuramente non la tua sgangherata famiglia!» la voce del Maestro sfumò di colpo, così come la sua magia oscura che si annullò quando una lama argentata sbucò dal suo petto, dietro le sue spalle.
Il viso di Ted si affacciò oltre la sua spalla destra.
«Nessuno tocca la mia ragazza, Maestro. Niente di personale» mormorò nel suo orecchio, prima che questo cadde a terra. Ted rimase a fissare Vicky o ciò che era diventata, la lama sanguinante di Godric ancora nella mano destra. Sorrise, e gli sembrò che Vicky facesse altrettanto.
Il Maestro emise un rantolo e si girò lentamente, faccia a faccia contro i due.
«Non potete uccidermi...il Male non può estinguersi...» mormorò, la voce roca ed il sangue che gli colava dalla bocca.
«Forse non possiamo sconfiggere del tutto il Male...» Fleur avanzò verso il Maestro, l'aria decisa e seria.
«Ma nessuno si permette di uccidere nostra figlia» finì la frase Bill, che stringeva forte la mano di Fleur. Si sorrisero, quindi titubanti poggiarono le mani sulle spalle di Vicky, che non si ritrasse. Non li ferì, non accadde nulla.
«L'amore...questo strano sentimento...» mormorò il Maestro, privandosi finalmente della sua maschera «Finiamola qui» precisò alla fine, serio.
Ted porse l'elsa a Vicky. «Insieme?»
Vicky annuì e, con l'Amore, trafisse il Maestro, la gemma e la maschera. Ed il male, in quel momento, fu sconfitto del tutto e per sempre.

 

FINE.

 

Nota dell'Autrice: ed eccoci qui, siamo arrivati alla fine di questa storia. Spero che il finale vi sia piaciuto, e se volete saperne qualcosa di più vi invito ad attendere l'Epilogo che pubblicherò dopo questo ultimo capitolo ;) Ringrazio di nuovo tutti voi per avermi letto, recensito ma soprattutto incoraggiato ad andare avanti! E come direbbe qualcuno...Fatto il Misfatto, e arrivederci alla prossima storia!

 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Epilogo
 

Aveva cominciato a sognare quella ragazza quando aveva undici anni, poco dopo l'arrivo a Hogwarts. All'inizio pensò che si trattasse di qualche sua compagna di scuola, ma dopo un po' si accorse che non era così. Quella ragazza esisteva solo nei suoi sogni. Era strano, lo sapeva, sognare una ragazza ed avere la sensazione di conoscerla perfettamente, come una sorella.
Ma quella notte il sogno fu diverso. Sognò se stesso, sulle rive del Lago Nero, in una bella giornata di sole. Non c'erano i suoi amici, e lui sedeva sulla riva da solo. Non si sentiva agitato o arrabbiato, ed era già di per sé un miracolo. Era tutto molto reale, nitido, come se fosse realtà e non un sogno. Poi, d'un tratto, vedeva arrivare qualcuno dalla sua destra: una donna bellissima dai capelli corvini, ed un vecchio mago zoppicante, che si aiutava a camminare tramite un vecchio bastone nodoso. Sapeva perfettamente chi era, il suo quadro era ovunque nel castello.
Il vecchio gli sorrise con dolcezza. Si chinò e poggiò il bastone sulla riva del Lago, indicandoglielo. Accontentando il vecchio, prese il bastone e guardò dentro la sua gemma.
Vide un giovane ragazzo, che a dire il velo gli somigliava, che teneva in braccio un bambino dai folti capelli neri. Vide altre immagini, altri ricordi, sempre di bambini che in un modo o nell'altro erano legati, lui lo sapeva.
chiese, nel sogno.


Si svegliò di scatto, madido di sudore. Si girò verso la finestra: era mattino. Sentiva Peter russare nel letto a fianco, e cercò di fare il meno rumore possibile nel vestirsi ed uscire dalla camera, verso i piani inferiori del castello.
Girovagò senza mèta, arrovellandosi il cervello. Chi era la Salvatrice? Perchè non aveva sognato quella ragazza, per la prima volta dopo anni? Che messaggio doveva trasmettere, a cosa doveva prepararsi? Si fermò lungo un corridoio, da cui poteva intravedere un cortile interno, uno dei tanti che c'erano lì. L'aveva mai visitato con la Mappa? Non se lo ricordava, a dirla tutta. Fissò la statua al suo centro: i quattro fondatori erano stati immortalati per sempre nella roccia, e si accigliò perplesso quando riconobbe la donna che, nello scorso sogno, aveva visto insieme a Merlino. “Rowena Ravenclaw...” pensò, più interrogativo che mai.

Sobbalzò appena a quella domanda. Non stava impazzendo del tutto, vero? Non poteva essere stata la statua a parlare! Si tranquillizzò quando, girandosi, vide James e Remus ad aspettarlo, vicino al muro del corridoio. Sollevò gli occhi in alto, vedendo qualcosa muoversi dentro una cornice vuota di un quadro: un uomo con la folta barba argentata vi stava passando dentro, dirigendosi altrove. Ma si fermò un istante, sorridendogli e facendogli un occhiolino.
Sirius sorrise, divertito. Non sapeva cosa gli aspettava, ma diamine se non vedeva l'ora di saperlo.

 

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