La luce negli occhi del diavolo

di Windstorm96
(/viewuser.php?uid=745234)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


BuonSalve!! Ho pensato di scrivere due parole qui all’inizio del primo capitolo, dal momento che non so quanti di voi giungeranno fino alla fine… volevo soltanto premettere che questa storia costituisce il mio primo tentativo di scrivere qualcosa di simile, essendo questo un genere che non conosco a fondo, nonostante ultimamente ne sia sempre più affascinata. Perciò a maggior ragione vi chiedo di dirmi cosa ne pensate, specialmente di criticare tutto ciò che trovate dissonante o sgradevole (non abbiate pietà XD).
Detto questo, vi auguro buona lettura e spero che la storia non vi annoi troppo 😉












Era una notte più buia del solito quella che da un paio d’ore aveva inghiottito la cappella di accesso al vecchio convento. Il temporale all’esterno infuriava violento, sfogando la sua rabbia con una pioggia pesante che percuoteva senza posa la variopinta vetrata del rosone.
Accanto all'altare, intento a spogliarsi dei paramenti sacri, padre Jeremy terminava di svolgere i suoi incarichi della giornata.
Il vecchio frate, che aveva superato da qualche anno la settantina, era sempre stato un uomo di costituzione robusta, ma recava sul corpo come un marchio i segni dell’età. Una quarantina d’anni prima era stato un giovane aitante e di bell’aspetto. Diversi cuori erano soliti palpitare quando percorreva le viuzze del paesino di campagna dove aveva trascorso la giovinezza, ma la fede incrollabile l’aveva sempre spinto a seguire con rigore la propria vocazione. Tuttora, nonostante le sue spalle gravate dal peso degli anni si incurvassero sempre più, il vecchio uomo di chiesa continuava imperterrito a compiere il proprio dovere. I suoi capelli erano divenuti bianchi e crespi come lana non cardata, sulla sua pelle flaccida e grinzosa avevano cominciato a sbocciare scure macchie simili a gigantesche lentiggini, e i suoi occhi funzionavano a seconda dei giorni, concedendogli sempre più rare schiarite nella cortina di nebbia che solitamente li velava. Ma, nonostante i problemi di salute dovuti all’avanzare dell'età, dopo la dipartita del padre superiore Blake, avvenuta tre giorni prima, ai compiti di padre Jeremy si era aggiunto lo svolgimento dell'ultima funzione della giornata.
Dopo essersi faticosamente chinato a raccogliere la logora sacca di cuoio in cui erano state depositate le misere offerte dei fedeli, l’anziano sacerdote si diresse verso i due gradini che separavano la cappella dal breve corridoio conducente all'ala occidentale del convento.
Un improvviso soffio d’aria gelida sibilando gli baciò la nuca, scatenandogli una serie di potenti brividi. Fu in quel momento che il vecchio si accorse di non essere solo nella piccola chiesa. Si girò e lentamente volse lo sguardo tutt’intorno a sé, nel tentativo di mettere a fuoco l’ambiente invaso dalle ombre della notte e della cataratta.
Proprio laddove si apriva una nicchia laterale ospitante una splendida statua della Vergine realizzata in marmo candido, alla luce tremolante dei lumini, riuscì infine a scorgere la sagoma confusa di una persona.
“Magnifica funzione, padre.”
La voce flebile ma limpida di un giovane provenne da un punto che sembrò più vicino di quanto padre Jeremy si aspettasse.
“Ho apprezzato molto la sua omelia. Parole davvero ispiratrici, mi hanno toccato nel profondo.”
Il vecchio sorrise quietamente, avvicinandosi all’interlocutore in modo da poterlo scrutare in volto. Oltre ai frati del convento, i fedeli che partecipavano alla messa, specialmente a quell'ora, in genere erano pochi. Intuì che doveva trattarsi di un giovane di estrazione nobile, dal momento che aveva inteso quella che per la maggior parte dei paesani non era altro che una noiosa e incomprensibile tiritera in latino.
“Sono lieto che qualcuno apprezzi ancora le prediche di un vecchio. Perdonami, figliolo, ma la mia vista non è più, ahimè, una delle mie qualità migliori. Con chi ho l’onore di parlare?”
L’anziano frate giunse ad un paio di metri dal ragazzo.
Era strano; più si avvicinava, più aveva l'impressione che i contorni della figura si facessero sfocati.
Padre Jeremy strizzò gli occhi, e uno spiffero gelido gli accarezzò le guance, facendo danzare le sottili fiammelle dei lumini che ardevano di fronte a lui. L’uomo rabbrividì, e la sacca delle offerte gli scivolò di mano, disperdendo le monete che corsero tintinnando per tutta la navata. Il vecchio si piegò per raccogliere ciò che gli era caduto, quando una mano sfiorò la sua.
“Permetta che l’aiuti, padre. La sua vista peggiora di giorno in giorno, non è vero?”
Il frate si raddrizzò, tentando per l'ennesima volta inutilmente di riconoscere il ragazzo che aveva di fronte.
Di tutto ciò che la vecchiaia gli aveva portato via, quello di cui forse sentiva più la mancanza era poter guardare in volto le persone. Padre Jeremy credeva infatti che si potesse capire moltissimo di qualcuno semplicemente guardandolo negli occhi. Non era questione di giudicare dall’apparenza; lui era convinto che un animo buono non potesse che riflettersi in una luce particolare che emanava da una persona. L’aveva creduto per tutta la vita, ma ora che i suoi occhi erano divenuti torbidi come uno stagno fangoso, non avrebbe più saputo dire con certezza se il suo animo si fosse conservato comunque limpido. A volte arrivava perfino a nutrire dei dubbi su se stesso. Era qualcosa che non poteva evitare.
“Ti ringrazio, figliolo. Purtroppo l’età avanza implacabile. Non auguro a nessuno di invecchiare, ma ahimè, temo che non si abbia poi molta scelta.”
“Una scelta c’è sempre. Basta aver fede, non è questo ciò in cui bisogna credere?”
Le dita fredde del ragazzo stringevano ancora la sua mano. Quando il vecchio se ne rese conto, per un istante si sentì inspiegabilmente a disagio.
“Che vuoi dire?”
All’improvviso padre Jeremy si sentì mancare le forze, e cadde in ginocchio sul pavimento freddo della navata. La testa incominciò a girargli in un vorticare sempre più frenetico, accompagnato da un formicolio estremamente fastidioso che lo costrinse a serrare le palpebre, tenendosi stretta la testa fra le mani come se potesse volargli via. Poi il capogiro si placò. Lentamente riaprì gli occhi, sollevando lo sguardo sulla parete che aveva di fronte. I lineamenti delicati e magnificamente scolpiti della Vergine gli apparvero dinanzi come in una visione mistica, perfettamente nitida e priva di sbavature. Sgranò gli occhi, spostandoli poi su di un volto più vicino, sorridente, incorniciato da soffici ciocche scure e infuso di un’aura di mistero che aleggiava in due penetranti occhi color acquamarina.
“Com'è possibile...” balbettò il frate, accorgendosi che anche la sua voce era cambiata; si era fatta più musicale, più limpida. L'uomo si alzò senza alcuna fatica e contemplò le proprie mani, percorrendone le vene che pulsavano debolmente a fior di pelle. Tornò a scrutare incredulo il ragazzino che gli stava di fronte; lo sconosciuto continuava ad esibire un sorriso enigmatico, il capo che non superava in altezza il petto dell'uomo.
“Tu... sei un angelo...?” mormorò padre Jeremy gettandosi in ginocchio.
Una risata soffice si diffuse nell'aria come un dolce profumo.
“Può darmi il nome che più le piace, padre. Ma temo che neppure questo suo aspetto, purtroppo, durerà in eterno. Tuttavia, ad un fedele devoto come lei, voglio concedere una soluzione definitiva alla minaccia costante della vecchiaia. Su, si alzi.”
Il silenzio calò nella notte che avanzava. Anche la pioggia sembrava aver smesso; ora tutto taceva nel luogo sacro rischiarato dal fuoco delle candele. Un nuovo refolo fresco fece danzare ancora una volta le fiammelle, spegnendone un paio e portando alle narici di padre Jeremy l’odore di cera che aveva sempre amato. L’uomo ubbidì e si alzò in piedi, rabbrividendo per il freddo e l'eccitazione.
“Non si preoccupi, padre,” sussurrò il ragazzo in tono affettuoso. “Non le farà male.”
Prima che il frate potesse accorgersene, un caldo fiotto vermiglio gli inondò il petto fluendo sotto gli abiti pesanti. Tentò di portarsi le mani alla gola, ma le forze lo abbandonarono tutto ad un tratto. Sentì le ginocchia cedergli e crollò a terra, esanime.
“Visto?”
La stessa voce suadente tornò a soffiargli nell'orecchio, mentre sui suoi occhi spalancati cominciava a calare una nebbia scarlatta.
“Ora la vecchiaia non le farà più paura. Riposi in pace, padre.”
Dalle braccia levate al cielo della Madonna, rossi rivoli scendevano stillando il sangue di padre Jeremy sul basamento di niveo marmo. Una nuova folata più intensa si levò da chissà dove, e nello spazio di un istante spense tutti i minuscoli lumini, facendo piombare le tenebre nella chiesa ora deserta.
 
Il vento ululava forte quella sera. Scuoteva le fronde degli enormi abeti che popolavano l’antica foresta facendole stormire rabbiosamente. Uno degli ultimi temporali della stagione si era scatenato senza preavviso all’imbrunire, e ormai da qualche ora i flash abbaglianti dei fulmini interrompevano di tanto in tanto l’oscurità monotona della notte. Una pioggia fitta cadeva di traverso, battendo sordamente contro i vetri e riecheggiando negli ampi spazi del convento.
In un'ala dell'antico edificio dagli spessi muri di pietra, all'interno di una nicchia ricavata nella parete, una sola, debolissima fiammella ancora si rifiutava di cedere la vittoria alle tenebre, proiettando strani arabeschi sulle pareti della minuscola cella.
Accoccolato nel suo giaciglio, tiepido conforto nelle fredde notti di tempesta, Jake aveva trascorso la serata immerso tra le pagine di un libro. La lettura che lo aveva assorbito fino a quell'ora, quand'era di gran lunga passato il coprifuoco e tutte le luci del convento erano state spente, lo stava trascinando pian piano nell’oblio del sonno.
Il brontolio distante di un tuono fece vibrare il vetro della finestra. La fiamma della candela si agitò impercettibilmente, come in risposta.
Jake chiuse il libro che si stava facendo sempre più pesante tra le sue mani e lo ripose sulla mensola accanto al letto. Già la sua coscienza stava migrando verso il mondo stravagante dei sogni, quando una sensazione terribile lo svegliò di soprassalto. Non si era trattato di un vero e proprio incubo… nessuna immagine rivoltante gli era apparsa davanti agli occhi, e per di più non era neppure certo di essersi addormentato per davvero… era stata semplicemente una sensazione. Come un'ombra che si precipitava verso di lui e ne invadeva ogni cellula del corpo, instillandogli un profondo e irrazionale terrore. Gli era anche parso di udire qualcosa… una sorta di acuto sibilo, simile al fragore del vento che si infiltra fra antiche macerie, andando a sfumare poi in una risata cristallina.
Col cuore che palpitava forte e la fronte imperlata di sudore, immobile nella notte, Jake si sforzò di discernere il silenzio del mondo esterno dal fragore del proprio subconscio. Ci volle qualche minuto perché il suo cuore impazzito riprendesse un ritmo tranquillo e regolare e che la sua mente tornasse a sbirciare oltre il velo del mondo onirico... ma proprio allora, la porta della sua cella si aprì cigolando di una fessura e qualcuno sgusciò all'interno.
Strappato ancora una volta alla dolcezza dell’oblio, il ragazzo riaprì gli occhi per ritrovarsi di fronte una figura buia come la notte che l’avvolgeva.
“Jake! Alzati, presto! Dobbiamo andarcene da qui!”
Una voce che non riconobbe risuonò bassa ma limpida nelle tenebre.
Colto di sorpresa e un poco spaventato, Jake si rizzò a sedere, affrettandosi ad accendere la candela che aveva da poco spenta. Quando la calda luce rischiarò d’arancione il piccolo ambiente, il ragazzo poté riconoscere l’intruso che aveva davanti: si trattava di Thomas. Era il novizio che dormiva nella cella accanto alla sua, un giovane di appena diciassette anni estremamente silenzioso e riservato, con cui solo un paio di volte aveva scambiato qualche parola dopo la funzione. Era sgattaiolato nella sua cella a notte fonda, senza chiedere il permesso, ed ora si dirigeva a lunghe falcate verso la stretta finestrella che dava sul bosco, vari metri più in basso.
Ancora leggermente intontito ed estremamente confuso, Jake poggiò i piedi scalzi sul pavimento gelido e aprì la bocca con l'intenzione di chiedere la ragione di ciò. Ma prima che potesse mettere ordine tra le idee annebbiate dal sonno, Thomas si voltò, lo afferrò saldamente per un polso e lo trascinò fino alla finestra.
“Non c’è tempo per le spiegazioni, ora dobbiamo fuggire. Aspetta,” si voltò senza neppure degnarlo di un’occhiata. “Siamo troppo in alto per saltare giù, vero?”
Non attese una risposta, voltandosi immediatamente e frugando la stanza con lo sguardo.
“Thomas? Che ci fai qui? Che sta succedendo?” chiese Jake preoccupato, indietreggiando di un passo.
Non gli fu concessa una risposta. Il ragazzo gli passò accanto, in due falcate fu ai piedi del letto e con un gesto rapido sfilò le lenzuola. Divelse poi senza battere ciglio una delle sbarre di ferro della spalliera - al che Jake rimase impietrito - e vi annodò saldamente un’estremità del tessuto. Incastrò poi la sbarra nell’apertura della finestra e vi gettò fuori la candida corda improvvisata, che rimase ad oscillare nel vuoto, lasciandosi condurre dal vento in una danza scomposta e frenetica.
“Muoviti, devi scendere! Non arriva fino a terra, perciò dovrai lasciarti cadere per qualche metro. Non dovresti farti troppo male… almeno spero. Vai!”
Con queste parole, Thomas gli mise in mano il lenzuolo attorcigliato e lo spinse davanti al balcone.
“As-aspetta un momento! Cosa ti è preso? Io-io non capisco…”
“Non c’è tempo, adesso! Siamo in pericolo, devi fidarti di me e fare come dico! Forza, muoviti!”
“Che? In peric-”
Jake si sentì sollevare di peso, e un istante dopo stava precipitando nel vuoto. Strinse con tutte le sue forze il tessuto grezzo che sfilava scorticandogli le dita e ustionandogli la pelle, tentando disperatamente di placare il grido che si sentiva risalire in gola. Venne trafitto da un dolore acuto quando la sua spalla sinistra impattò contro la pietra, si lasciò sfuggire un lamento, si divincolò, oscillando nella notte. La pioggia gli percuoteva la pelle, torturandolo e trafiggendolo con un milione di aghi sottili. Poi avvertì un tremore percorrere la corda cui era aggrappato: Thomas si stava calando a sua volta.
“Scendi, più veloce!”
Jake strinse i denti, spostando una mano dopo l’altra nel tentativo di riportare i piedi a terra il prima possibile. Avrebbe voluto guardare in basso, vedere quanto gli mancava per essere di nuovo al sicuro, ma non ce la faceva; doveva impiegare tutta la concentrazione di cui disponeva per non perdere la presa, ignorando il bruciore che gli infuocava le mani e che neppure la pioggia riusciva a spegnere. Ma anche se si fosse voltato, sotto di sé non avrebbe visto che il buio. Parecchi metri ancora lo separavano dal terreno, infatti, quando provò a sollevare la testa, distinguendo il corpo che si muoveva veloce sopra di lui, tanto rapidamente che per un istante temette gli stesse per venire addosso.
Tornò a concentrarsi sulla discesa. Giunto all’altezza della cella sottostante la sua, i suoi occhi non poterono fare a meno di sbirciare oltre il vetro della finestra.
Il ragazzo si sentì raggelare.
Padre William, il buon padre William che lo aveva sempre trattato come un figlio, giaceva sgozzato sulla sua branda, la testa ritorta in una grottesca angolazione e la carotide ancora pulsante da cui sgorgavano a intermittenza rossi sprizzi.
Jake ebbe l’impressione che le forze gli venissero a mancare, e precipitò di nuovo. Stavolta non aveva niente da stringere tra le mani, e anche se l’avesse avuto... le sue dita sembravano intorpidite, come pure tutti i suoi sensi.
L’ultima cosa che poté ricordare fu un grido, un’ombra che gli veniva incontro, rapida, e i graffi degli aghi di pino sulla pelle.
 
La sensazione che provò quando riprese conoscenza fu quella di essere trascinato da un piacevole rollio. Ogni suo muscolo era completamente rilassato e tutto il suo corpo veniva cullato da un movimento regolare, ondeggiante, accompagnato dal calore di un corpo a contatto col suo nella gelida umidità. Sollevò la testa compiendo uno sforzo immenso e intravide le fronde degli abeti sfilare in alto sopra di lui, ombre scure frastagliate nell'aurora grigiastra che andava schiudendosi ad oriente.
Poi, d'un tratto, il rollio si fermò.
“Finalmente ti sei svegliato. Come ti senti?”
Di nuovo quella voce gli risuonò flebile alle orecchie con uno strano rimbombo.
Si rese conto di trovarsi sulle spalle di Thomas, le braccia abbandonate sul suo petto e la guancia destra appoggiata nell'incavo del suo collo.
Jake provò ad aprire e chiudere piano le dita un po’ tremanti, incontrando una tenace resistenza nel muovere ogni singola falange. Tentò poi di raddrizzare la schiena, percependo una fitta di dolore che gli attraversò tutto il fianco destro. Gemette debolmente, sentendo che tuttavia le forze pian piano gli stavano tornando.
“Credo... credo di essere svenuto,” mormorò con tutta la voce che riuscì a trovare direttamente nell’orecchio del ragazzo.
“È stata colpa mia, ho fatto male i calcoli. In ogni caso, non è che avessimo molta scelta. Ti fa male da qualche parte?” chiese Thomas rimettendosi in cammino.
“Tutto il lato destro...”
“Comunque non dovresti avere niente di rotto, e questa è una buona notizia.”
Jake rimase in silenzio per lunghi istanti, con gli occhi chiusi, assaporando ogni brivido che gli nasceva dal contatto delle gocce di pioggia sul volto. Ogni stilla sembrava confortarlo e rinvigorirlo come una pianticella nella siccità estiva. Quando riaprì gli occhi, diversi minuti dopo, si sentiva decisamente meglio.
“Thomas, puoi mettermi giù. Tra un po’ mi viene la nausea.”
Una volta che fu tornato con i piedi per terra, il ragazzo restò a fissare Thomas in silenzio, chiedendosi segretamente se i suoi occhi scuri avessero sempre avuto quella particolare sfumatura di verde. Poi inspirò a fondo e si sedette su una radice che emergeva dal suolo fangoso ricoperto di aghi d'abete.
“Puoi dirmi che diamine è successo?”
Thomas ricambiò lo sguardo, impassibile, poi gli tese una mano.
“Certo. Ti dirò tutto, ma intanto dobbiamo muoverci.”
“Io non mi alzo di qua finché non avrò chiara la situazione,” protestò Jake.
“La situazione?” ripeté Thomas chinandosi di fronte a lui. “La situazione è che siamo entrambi in pericolo, Jake. Perciò dobbiamo allontanarci da qui al più presto.”
“Questo l'hai già detto. Ma che significa con esattezza?”
“Qualcuno ti sta dando la caccia. Per anni ti ha cercato, e ora che ti ha individuato non ha esitato a venire a farti visita in quel convento.”
“E chi è che mi starebbe dando la caccia? Non mi sembra di aver fatto del male a nessuno.”
“Si tratta di un demone. Il suo nome è Asmodeo.”
Nel lungo silenzio che seguì, la pioggia che era andata affievolendosi cessò definitivamente. Un grillo in lontananza attaccò con la sua vecchissima, monotona canzone.
Jake sgranò gli occhi. Cercò in quelli dell'altro ragazzo l'indizio malcelato di uno scherzo di cattivo gusto, ma con grande sgomento non vi trovò altro che quel misterioso bagliore verde smeraldo.
“Asmodeo?” ripeté, tentando con scarso successo di nascondere una nota di scetticismo.
Thomas sembrò spostare per una frazione di secondo l’attenzione verso un punto dietro di lui, poi lo afferrò per entrambi i polsi e lo tirò in piedi a forza, riprendendo il cammino e trascinando Jake con sé.
“Aspetta... aspetta! Thomas, seriamente… te ne vai in giro a parlare di demoni, eppure sei ancora un novizio. Sei arrivato al convento meno di un anno fa, non è possibile che-”
Con uno strattone, Jake venne spinto di lato, ritrovandosi con la schiena premuta contro il tronco di un abete e con un paio di iridi in cui guizzava una vivace scintilla di luce puntate nelle sue.
“Lo so e basta,” lo interruppe Thomas in tono alterato. “Fidati, le mie fonti sono più che attendibili.”
Un demone? Ma... com'è mai possibile?
Le parole non trovavano il modo di uscire dalla bocca di Jake. Addossato al tronco umido, con le unghie che scavavano solchi profondi nella corteccia spessa, tutto ciò che poteva fare era assistere passivamente allo scatenarsi del caos nella sua testa.
“Hai visto coi tuoi stessi occhi la sua opera, poco fa,” riprese Thomas riassumendo un tono conciliante. “Per questo sei precipitato, ricordi?”
Jake si sentì girare la testa, mentre una scena tinta dal sangue si parava di nuovo davanti ai suoi occhi. Un peso gli premeva sulla bocca dello stomaco facendogli venire la nausea. Il ragazzo si sentì venir meno la forza nelle ginocchia. Cominciò a lasciarsi scivolare contro il legno ruvido, ma una stretta robusta gli serrò quasi dolorosamente una spalla, risvegliando con un lamento la sua combattività.
“M-ma perché mi sta cercando? Perché proprio me?”
“Una cosa alla volta,” rispose Thomas allentando la presa. “Ehi… immagino che tu sia spaventato, ma adesso devi farti forza e andare avanti. È questione di vita o di morte, dobbiamo muoverci il più in fretta che possiamo.”
“Per andare dove? Come si può sfuggire ad un demone?”
“Fortunatamente per noi, uscire dall'Inferno non è un gioco da ragazzi, nemmeno per un demone potente come Asmodeo. Richiede un'inimmaginabile quantità d'energia, e tornarvi significherebbe dover aspettare qualche anno come minimo per ricaricare le energie. Ciò significa che sarà costretto a rispettare i limiti impostigli dal suo contenitore di carne. Tuttavia, non avremo modo di nasconderci. Come il più abile cacciatore, una volta individuata la preda, puoi star certo che non la perderà di vista finché non l'avrà raggiunta e fatta a pezzi. Per questo dobbiamo trovare una persona prima di lui.”
Sentendosi trascinare ancora una volta per un braccio, Jake non poté far altro che ordinare alle sue gambe di comportarsi di conseguenza. Non era certo di aver compreso ogni parola che Thomas aveva detto, era tutto troppo dannatamente confuso.
“Non sei ansioso di sapere chi dobbiamo cercare? Credevo che la curiosità ti stesse divorando,” lo stuzzicò Thomas senza neppure voltarsi. C’era una nota di riso nella sua voce. Evidentemente lo stava spronando a reagire.
“Chi?”
“Ethel. È una vecchia strega che un tempo abitava nel paese oltre il fiume. È scomparsa diversi anni fa, ma credo sia l'unica che ci può aiutare.”
“Può aiutarci? E come?”
“Diciamo che è in parte colpa sua se Asmodeo ci sta dando la caccia. Temo si sia nascosta bene, sempre se è ancora viva, naturalmente. Il demone è anche sulle sue tracce... anzi, è lei l'obiettivo principale.”
Sentendosi sul punto di venire risucchiato da un gorgo di follia, Jake tentò disperatamente di reprimere tutte le domande a cui sapeva non avrebbe ottenuto risposta e si sforzò di ragionare come se si trovasse di fronte ad un problema quotidiano. Raddrizzò la schiena, espirando a fondo e rilassando i solchi che gli increspavano la fronte. Scoprì con sorpresa di aver riacquistato un po’ di forze, accelerò il passo e si portò al fianco di Thomas.
“Va bene, vorrà dire che cominceremo da lì le nostre ricerche. Qualcuno in paese dovrà pur saperne qualcosa, no?”
“Speriamo. Ma sarà una gara di velocità.”
“Allora ci servono dei cavalli. Se Asmodeo vuole inseguirci, di certo non lo farà a piedi. Conosco un'anziana signora, una vedova devota che assiste sempre alla funzione del mattino da quando ha perso il figlio in un incidente al fiume. Abita poco più avanti. Sono certo che sarà lieta di darci una mano. In fondo, prima o poi avremo anche bisogno di mangiare qualcosa… e inoltre, con addosso questi vestiti fradici ci prenderemo di sicuro un accidente.”
Jake aveva cominciato ad accelerare il passo, guardandosi intorno con impazienza per orientarsi nell’oscuro sottobosco. Accortosi che il compagno era rimasto indietro, si voltò, lanciandogli un’occhiata interrogativa. Intuì che Thomas doveva essere rimasto alquanto stupito dal suo repentino cambio di atteggiamento, e ciò provocò in lui una bizzarra euforia. Per una frazione di secondo soltanto, prima che distogliesse lo sguardo e si portasse al suo fianco in due falcate, Jake poté intravedere un guizzo di sorriso nelle iridi feline del ragazzo.
 
“Ecco qua, caro.”
La vecchina dai lunghi capelli candidi raccolti ad arte in una crocchia riemerse dalla camera da letto sul retro della casetta. Tra le braccia teneva alcuni vestiti di ruvido tessuto. Jake notò che i suoi occhi contornati da profonde rughe si erano fatti lucidi.
“Sono gli abiti smessi di Billy, dovrebbero andarvi bene. Dove avete detto che siete diretti?”
Jake aprì la bocca per rispondere, ma Thomas fu più veloce.
“Ci stiamo recando in paese per fare visita ad un vecchio amico. È gravemente ammalato, purtroppo è probabile che non viva fino a sera. Perciò ci servirebbero delle cavalcature.”
Jake lo guardò in modo strano, tuttavia si limitò ad annuire.
“Non avrebbe per caso un paio di cavalli da prestarci?”
“Oh, mi dispiace moltissimo. Sapete, anche io ho perso mio figlio Billy un mese fa...”
“Signora,” la interruppe seccamente Thomas, ignorando l’occhiataccia di Jake. “Ha dei cavalli?”
“Oh, giusto... beh, c'è la vecchia giumenta di Billy, nel fienile. È piuttosto malridotta, ma mio figlio diceva sempre che non avrebbe mai potuto trovare una bestia più affidabile.”
“Soltanto lei?”
La donna parve esitare. Per un po’ se ne stette imbambolata a scrutare negli occhi di Thomas come se vi si fosse persa a cercarvi qualcosa.
Sarà rimasta colpita anche lei da quella strana sfumatura di luce? si chiese Jake.
“Beh... ci sarebbe anche Matt,” aggiunse poi la vecchina in un sussurro, quasi come se stesse parlando tra sé e sé.
“Matt?”
“È il mio mulo da soma,” spiegò mentre un sorriso affettuoso le si allargava sulle labbra. “Poco collaborativo e mangia un sacco, ma sapete com’è, con gli anni ci si affeziona a qualunque cosa respiri.”
“D'accordo. Signora, sarebbe così gentile da prestarceli entrambi per un paio di giorni? Come le ho detto, temiamo di non riuscire ad arrivare in tempo...”
“Certamente, figliolo. So come ci si sente a perdere qualcuno di caro... è un dolore che batte quello della morte stessa, non è vero?”
La vecchia si soffermò ancora per qualche istante nelle iridi di Thomas, poi abbassò lo sguardo, che sembrò migrare in un luogo fuori dal mondo; si portò una mano al petto come per accertarsi che il suo cuore stesse ancora palpitando.
“Non sappiamo come ringraziarla, signora Gilda. Davvero, le siamo debitori,” mormorò Jake poggiandole una mano sulla spalla nel tentativo di consolarla un poco.
“Non si rechi alla cappella,” si raccomandò poi. “Il temporale di stanotte ha causato alcuni danni, per qualche giorno non ci sarà la funzione.”
La donna sollevò la testa e lo fissò per un momento con aria preoccupata e… spaventata? Poi sembrò riacquistare un sentore di vita, posò gli abiti su una sedia e si avviò verso la cucina.
“Ma certo, caro. Prima che partiate, però, mi raccomando di cambiarvi, altrimenti vi buscherete un raffreddore. Intanto vi preparerò qualcosa da mangiare durante il viaggio.”
 
Mentre avanzava trascinato dal passo lento della vecchia cavalla, Jake ammirava l’umido paesaggio del bosco. Tutto intorno a sé percepiva il ticchettio delle gocce che stillavano dai rami ancora bagnati dalla pioggia di quella notte. Gli era sempre parso magico come nel bosco piovesse in due tempi: prima quando l'acqua cadeva dal cielo, poi quando scivolava giù dalle fronde. Di conseguenza il terreno era sempre umido e spesso fangoso, e la cavalla doveva aver ormai imparato a prestare attenzione a non scivolare sui sassi che disseminavano il sentiero.
Accanto a lui, sul dorso di Matt, il mulo spelacchiato, Thomas procedeva in silenzio.
C'erano volute un po’ di pazienza e qualche parola dolce della padrona perché riuscissero a calmare la bestia abbastanza da renderla cavalcabile. Per qualche motivo il mulo si era subito dimostrato nervoso e intimorito, specialmente da Thomas, che se n’era rimasto in disparte finché la bestia non si fu calmata.
Non deve avere molta dimestichezza con gli animali, pensò Jake.
Lo scrutò con la coda dell'occhio. Thomas sembrava immerso nei suoi pensieri. Con lo sguardo fisso di fronte a sé come quello di un guardiano ligio al proprio dovere, il ragazzo non aveva detto una sola parola da quando avevano lasciato la casa dell'anziana signora. Non aveva neppure toccato il cibo nella sacca che la vecchia aveva preparato loro.
Che sia stanco? pensò tra sé e sé Jake, rendendosi conto che anche lui cominciava a percepire la mancanza di sonno.
“Perché mi fissi in quel modo?”
Il ragazzo fu risvegliato bruscamente dallo stato di trance in cui era caduto.
“Ah… scusami. Temo di essere un po' stanco, ecco tutto.”
“Lo so, ma non puoi dormire.”
“Non c'è bisogno che tu me lo ripeta” sbottò Jake, seccato dal tono impassibile dell’altro. “Non sono stupido, ho compreso la situazione.”
Calò di nuovo il silenzio tra di loro, e per qualche motivo questo fece infuriare Jake.
“Sai, in verità non è che io abbia compreso perfettamente. Credo che tu sappia molto più di quanto mi hai detto, e ti sarei grato se potessi condividere un po’ di conoscenza.”
Gli occhi di Thomas incrociarono i suoi. Vi si rispecchiava chiaramente un forte sentore di esitazione. Sempre più incuriosito, Jake non mollò.
“Come fai a sapere tutte le cose che mi hai raccontato? Di Asmodeo, dell'Inferno, della strega che stiamo cercando... tu non sei un novizio, non è vero?”
“Te l'ho già detto, ti dirò tutto quando non saremo più in pericolo...”
“No. No, Thomas, voglio saperlo ora. Come posso affrontare una situazione del genere senza neppure avere chiaro il quadro generale? Tutto quello che so è che una forza sovrannaturale mi sta dando la caccia. Ho dovuto abbandonare il convento e i miei fratelli durante una notte di temporale, ho visto padre William fatto a pezzi nel suo letto, sono precipitato dalla finestra, e adesso mi viene detto che un demone è sulle mie tracce. Se le cose stanno così, probabilmente tutti quelli che conosco sono morti eccetto te, che scopro essere una specie di esoterista e che continui a trattarmi come se fossi un oggetto prezioso da custodire, e non mi dici niente. Secondo te come posso affrontare la situazione in modo lucido? Come posso anche solo fidarmi di te?”
Thomas sbuffò frustrato, levando gli occhi alla volta cinerea del cielo. “Non sarebbe mai dovuta andare così.”
Un rimbombo cupo provenne dalle montagne in lontananza facendo vibrare l’aria gonfia d’umidità.
“D'accordo,” cedette infine. “Ti dirò la verità. Però tu devi promettermi che non ti spaventerai. Ora non possiamo permetterci di fare soste. Io ti sto aiutando, Jake, ed è in gioco la vita di entrambi. Tienilo bene a mente.”
 
Appoggiata al robusto bastone di legno di quercia, la vecchia canuta mescolava soprappensiero il minestrone di verdure che ribolliva sul fuoco del caminetto. La sua mente, non più lucida ormai da diversi anni e aggravatasi ulteriormente dopo la perdita del figlio, vagava sperduta tra ricordi e nostalgie, deliri e paranoie. A volte le succedeva di versare qualche lacrima senza neppure rendersene conto, tante erano la tristezza e la disperazione che la vecchiaia e la morte del figlio le avevano portato.
La donna trasalì quando il silenzio fu rotto da una serie di colpi secchi. Tolse la pentola dal fuoco, si diede una rapida sistemata all’acconciatura e andò alla porta.
Un refolo fresco la accolse non appena aprì all’aria della sera. Un giovane dai capelli di ossidiana e dagli occhi chiari opalescenti le rivolse un candido sorriso.
“Buonasera signora,” mormorò in tono sommesso. “Perdoni il disturbo, ma sono alla ricerca di due miei carissimi amici. Mi è stato detto che sono passati da queste parti, per caso lei li ha visti?”
Immobile sulla soglia, la vecchia sembrò immergersi per un lungo istante nelle iridi cristalline del giovane visitatore. Poi, con inaspettata agilità, girò sui tacchi e tornò a grandi falcate verso la cucina.
“Devi scusarmi, figliolo, ho la zuppa sul fuoco,” borbottò senza voltarsi indietro. “Entra pure, caro. Fammi pensare… ma certo, certo, sono venuti due ragazzi questa mattina. Temo che siano ormai lontani, però; andavano di fretta.”
“Capisco. E le hanno detto dov’erano diretti?”
Il demone seguì la donna all’interno dell’abitazione, camminando con cautela, senza mai cancellare il sorriso dalle labbra. Non appena ebbe varcato la soglia della cucina, tuttavia, una forza invisibile sembrò paralizzare ogni muscolo del suo corpo di umano. Con un lamento da animale in trappola, Asmodeo sollevò gli occhi al soffitto. Un simbolo a cinque punte era stato tracciato sulle ruvide assi con linee di sangue ancora fresco. La vecchia l’aveva bloccato.
“Lo sapevo che presto ti saresti fatto vivo,” disse la strega. “L’ho capito subito, dal primo momento in cui ti ho visto. Ho passato la vita a guardare negli occhi della gente… è l’unico luogo del corpo dove, forse, esiste ancora un’anima. E i tuoi sono neri come la pece. Puoi tentare di mascherarli con quel ghiaccio traslucido, potrai ingannare i sempliciotti, ma non inganni me. So perché sei venuto qui, e so chi stai cercando. Ti dirò questo: non la troverai mai. Quando è sparita, si è assicurata di non lasciarsi indietro nulla per poter essere rintracciata.”
La vecchia strega si diresse verso un baule accanto alla credenza delle conserve, lo aprì e ne tirò fuori un grosso volume rilegato in cuoio dorato. Asmodeo sapeva di cosa si trattava, e la sua furia aumentò.
“Ora che sei venuto fra noi, dimmi… quanto ti ci vorrà per tornare una volta che ti avrò rispedito là sotto?”
Mentre Gilda cominciava a pronunciare delle parole in latino, un sibilo assordante riempì la casa e mandò in frantumi i vetri delle finestre. Un vento gelido iniziò a fluire nella stanza come un fiume, invadendo ogni angolo della cucina e instillando un tremito nella voce della donna. Intenta a pronunciare correttamente l’esorcismo, la vecchia non si accorse che un alito di vento aveva rapito una scintilla dal caminetto, facendola danzare leggera in alto fino al soffitto. Una macchia ardente si allargò in poco tempo sul legno bucato dai tarli e, ancor prima che si potesse diffondere l’odore del fumo, il pentagramma era stato ormai ridotto in cenere.
“Non mi aspettavo un’accoglienza del genere, ad essere sincero.”
La stessa voce melliflua di poco prima le soffiò nell’orecchio.
“E pensare che ti avrei ricompensato generosamente per la tua collaborazione… Billy mi ha implorato di portarti i suoi saluti. Non hai idea di come si stia erodendo, laggiù. È a malapena riconoscibile.”
Con le lacrime agli occhi, la vecchia si girò. In un gesto disperato si lanciò verso la porta spalancata, ben conscia dell’inutilità dell’azione.
Inciampò su qualcosa. Cadde a terra, urlando tentò di rimettersi in piedi, si voltò, e il terrore più profondo le scivolò giù per la gola come un veleno paralizzante ad effetto immediato.
Un corpo mutilato e incrostato di fango era buttato scompostamente sul pavimento dell’ingresso. Un volto smunto, del colore della morte, la fissava con occhi vacui. Dalle labbra rigonfie e nerastre scorreva un rivolo d’acqua mista a sangue.
Nessun suono trovava la strada per uscire dalla bocca della donna. Né una parola, né un urlo, niente.
La risata un po’ troppo acuta di un bambino la colse alle spalle.
“Negli occhi abita l’anima, eh? Sembra che quella di tuo figlio non sia più in casa. Ma non aver paura, vi ricongiungerete molto presto.”

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 ***


“Un demone?” mormorò Jake, ripetendo in un soffio le ultime parole dell’altro ragazzo.
“Già. È qualcosa che non avresti mai dovuto sapere, in realtà, ma ora che le cose stanno così... come hai detto tu, credo sia meglio che ti renda conto della situazione in cui ci troviamo,” disse in un tono talmente freddo che fece rabbrividire Jake. “E non mi chiamo Thomas. Il mio nome è Christian.”
Nel silenzio ritmato dal calpestio degli zoccoli sulla terra battuta, due parole sole turbinavano nella mente di Jake.
“Un… demone…” ripeté, come in trance.
“Non un demone potente come Asmodeo, non fraintendere. Io sono solo un demone minore,” si affrettò a precisare il ragazzo che procedeva al suo fianco.
Un demone? Non può essere! Lui… non ha affatto l’aspetto di un diavolo...
Le parole che non trovavano spazio per uscire dalla bocca di Jake sembravano rimanere a fluttuare nell’aria pesante di umidità. Non avendo idea della reazione che avrebbe dovuto dimostrare in seguito a tale rivelazione, si limitò a starsene a fissarlo come se non l’avesse mai visto prima.
Quasi gli avesse letto nel pensiero, il ragazzo rivolse lo sguardo di fronte a sé e riprese:
“Esistono due tipologie di demoni, Jake: i capostipiti, come Asmodeo, che regnano negli Inferi fin dalla notte dei tempi, e quelli minori, come me. Siamo migliaia, tutto ciò che rimane di quelli che un tempo erano esseri umani. Per le ragioni più disparate siamo rimasti incastrati laggiù; non più parte della terra, ma senza tuttavia poterci ricongiungere al Divino. È una storia un po' diversa da quella che ti hanno sempre raccontato, suppongo. Paradiso, Inferno… non voglio entrare nei particolari. Ma mi crederai, se ti dico che ci sono stato?”
Christian risollevò gli occhi, incontrando ancora una volta quelli di Jake. Il ragazzo percepì una scossa di paura. Vide che un sorriso sbieco gli si era dipinto sulle labbra, e per la prima volta gli parve di notare qualcosa di non propriamente umano nei suoi lineamenti. Nel silenzio che seguì, Jake si accorse di essere rimasto a fissarlo forse un po' troppo a lungo. Serrò forte le palpebre, inspirò ed espirò profondamente un paio di volte l'aria resinosa e fresca, sforzandosi di metabolizzare ciò che gli era appena stato detto.
“Va-va bene,” balbettò. “Diciamo che ti credo.”                          
In fondo non gli veniva in mente alcun motivo razionale per cui Thomas - o Christian - avrebbe dovuto svegliarlo nel cuore della notte per buttarlo giù da una finestra, o mentirgli in merito ad un demone… anzi, ora di demoni ce n’erano due
Un guizzo negli occhi di Christian sembrò volerlo ringraziare per la sua comprensione.
“M-ma… allora non capisco, perché dovresti volermi aiutare? Non rischi grosso a metterti contro uno potente come Asmodeo?”
“Avrei rischiato di più se me ne fossi semplicemente rimasto a guardarlo mentre ti faceva a pezzi,” rispose risoluto Christian.
Jake sentì un brivido percorrergli la schiena. Una visione terrificante gli era apparsa davanti agli occhi, tanto vivida che dovette stringere forte le palpebre per scacciarla via. Era vero; se non fosse stato per Christian, a quell’ora non avrebbe potuto neppure assaporare il pungente aroma del bosco che gli inondava le narici. Eppure, tutto pareva così assurdo…
“Ancora non riesco a crederci; perché mai un demone dovrebbe dare la caccia proprio a me? Io non sono che un ragazzo cresciuto dai frati dopo essere stato abbandonato davanti al portone del convento… non ho mai fatto niente di male a nessuno, figuriamoci qualcosa che potesse scatenare l’ira di Asmodeo.”
“Tu direttamente no, ma sei comunque coinvolto. Ti ho detto chi stiamo cercando, no?”
“Una… una strega.”
“Esatto. Lo sai da chi traggono i propri poteri le streghe?”
Jake cercò di richiamare alla mente le nozioni imparate da padre Blake. Il vecchio superiore spesso borbottava qualcosa a proposito di demoni e diavoli, ma nessuno nel convento sembrava in realtà prestargli troppa attenzione.
“Dai… demoni?”
“Giusto. Il demone forma una sorta di ponte con la strega o lo stregone, concedendogli di usare la propria energia in misura differente a seconda dei casi. Poche leggi regolano questo genere di rapporto, la più importante delle quali è che la finalità della magia deve essere compatibile con quella del demone, e cioè distruggere la vita e corrompere il bene,” sciorinò Christian come fosse una specie di cantilena.
Ancora una volta Jake si sentì rabbrividire.
“Vedi, Jake... i demoni come Asmodeo sono esseri costituiti da pura malvagità. Sono spiriti, energie - comunque tu voglia chiamarli - che desiderano solamente la distruzione di tutto ciò che di buono esiste, in primo luogo la vita in ogni sua forma. In genere le streghe decidono di ubbidire ciecamente al volere di questi spiriti, ma ogni tanto succede che qualcuna di loro utilizza quel potere per scopi differenti. È ciò che è successo nel tuo - beh, nel nostro - caso. La potenza di Asmodeo è stata impiegata in un certo senso per salvare una vita, cosa per lui assolutamente intollerabile. È stato ingannato, così ora freme per vendicarsi.”
“Stai dicendo... che una strega mi ha salvato la vita?”
“Non la tua,” rispose Christian spronando il mulo ad accelerare il passo. “La mia.”
“Che vuoi dire? Credevo fossi morto.”
“Già. Beh, vedi... il nostro aldilà non è esattamente un luogo ameno. Assomiglia più che altro ad un oscuro limbo di disperazione. Ma in quelle tenebre che avvolgono ogni cosa, a me è stata concessa una finestra da cui poter scorgere qualche raggio di sole.”
Christian ora parlava a voce talmente bassa che Jake a tratti doveva quasi trattenere il fiato per udirlo.
“Sei tu quella finestra, Jake. Noi due siamo legati da un vincolo potente e, per quanto ne so, indissolubile. È successo tanto tempo fa, non puoi ricordartene. Ma per me significa tutto. Per questo ora sono qui ad aiutarti. E per questo Asmodeo sta tentando di ucciderci.”
“Un legame?” mormorò Jake tentando di comprendere il significato di quella parola. “Che tipo di legame?”
“Te lo spiegherò quando avremo tempo. Ora dobbiamo muoverci. Tra poco dovremmo giungere in paese.”
 
Nel buio sottobosco, lungo il sentiero reso soffice dagli aghi di pino, una minuta figura incedeva con passo elegante ed instancabile. Al suo avanzare per la via, ogni creatura della foresta taceva.
Asmodeo non aveva fretta. Non si sarebbe dato troppa pena per accelerare i tempi. Aveva ormai deciso come sarebbe andata a finire, ed era convinto che nessuno a quel punto avrebbe potuto avere voce in capitolo. La vecchia che gli aveva teso quella trappola di scarso successo aveva costituito soltanto un minuscolo ritardo, nulla più. D’ora in avanti avrebbe prestato maggiore attenzione ad ogni suo passo, dirigendosi implacabile verso la meta da lungo tempo agognata.
Sollevò tra le dita una minuscola fiala contenente un fluido iridescente, sorridendo tra sé e sé.
Non avrebbe avuto motivo di portare a termine la sua vendetta troppo in fretta; sapeva che per la sua preda, alla disperata ricerca di una via di scampo, così sarebbe stato mille volte più terribile.
Il demone ridacchiò nelle tenebre immaginando le emozioni che dovevano agitarsi nell’animo del ragazzo.
 
Circondati dal frinire dei grilli e dal richiamo saltuario di qualche assiolo, Jake e Christian si inoltravano tra i vicoli deserti del paesino addormentato. Avevano lasciato le cavalcature appena fuori dalla piccola zona abitata, sulle rive di un ruscello che li dissetasse dopo la giornata di viaggio. Reso nervoso dall’agitarsi delle ombre che dipingevano il sentiero, Jake seguiva il compagno, che sembrava sapersi orientare alla perfezione tra le casupole sparse qua e là senza un ordine apparente.
“Christian, sai dove stiamo andando?”
“Più o meno, sì. Per una ragione o per l’altra, la mia memoria sembra essere più duratura della tua. Ogni cosa che hai visto e vissuto, io l’ho vista e vissuta assieme a te. Avevi meno di una settimana quando hai dovuto lasciare questo posto, perciò suppongo sia normale che tu l’abbia dimenticato. Ma io ricordo dove abitava la tua famiglia, dove abitava la mia, e dove si trova il posto che stiamo cercando. È qui.”
Christian si fermò di fronte ad una capanna di mattoni in evidente stato di abbandono. La porta ancora stava in piedi, ma i cardini e la serratura erano completamente arrugginiti.
“Beh, direi che non ci abita più nessuno da diverso tempo,” disse Jake.
“È ovvio che se ne sia andata. Ma forse qui troveremo qualcosa che ci dirà dov’è.”
Con una forte spinta, Christian divelse la porta e senza perdere tempo varcò la soglia buia.
Jake lo seguì, ansioso e spaventato di scoprire cosa si celasse all’interno. Accesero una vecchia lampada dal vetro incrinato che era rimasta per anni e anni ad accumulare polvere su una mensola, e alla calda luce che si diffuse esplorarono quell’ambiente ristretto e disordinato. Le pareti erano nascoste da scaffali e credenze su cui facevano bella mostra file e file di libri di ogni dimensione. Un tesoro dimenticato, senza dubbio; ma probabilmente nessuno in paese era in grado di apprezzarlo, dal momento che poche erano le persone che sapevano leggere. Un caminetto annerito dalla fuliggine occupava un angolo della sala. Davanti ad esso, come fosse stata appena abbandonata, c’era una sedia. Nient’altro era rimasto dell’abitazione; una parete aveva infatti ceduto distruggendo quella che doveva essere stata la stanza da letto. Pareva sotto ogni aspetto una normalissima casetta di mattoni, senza alcun segno di stregoneria né inquietanti barattoli contenenti liquidi misteriosi.
Reprimendo una punta di delusione, Jake vide Christian raggiungere una libreria ed iniziare ad estrarre un volume dopo l’altro, sfogliandone le pagine in un soffio e accatastandoli sul pavimento.
“Che cosa dobbiamo cercare per la precisione?”
“Non ne ho idea,” rispose il ragazzo senza interrompere la sua opera. “Un indizio. Qualcosa fuori posto, o qualcosa di mancante. Ethel era al corrente del pericolo in cui ci trovavamo tutti quanti, sono certo che non può essere semplicemente fuggita lasciandoti in balìa di Asmodeo.”
Senza troppa convinzione, Jake cominciò a frugare tra i polverosi soprammobili allineati sulla cornice del camino.
“Ehi, Jake,” lo chiamò ad un tratto Christian rompendo il silenzio. “Mia nonna aveva gusti simili ai tuoi in fatto di lettura.”
Stupito più per il tono affettuoso del commento che per il suo significato, Jake interruppe la sua ricerca e lo raggiunse.
“Che vuoi dire? Dà qua,” borbottò un poco perplesso prendendogli di mano il sottile volume.
Sfogliò rapidamente le pagine ingiallite alla luce della lampada, richiudendolo poi con un colpo secco.
“Ma questo è un romanzo d’amore…”
“Infatti,” replicò Christian. “Come quelli che sgraffigni dalla biblioteca e trascorri la notte a leggere in segreto. A volte ti vengono anche le lacrime agli occhi.”
Il ragazzo si sentì pervadere dall’imbarazzo e dalla rabbia.
“Come diamine fai a saperlo?” sibilò scandendo ogni parola lentamente.
“Te l’ho detto, i tuoi occhi sono la mia finestra sul mondo,” rispose Christian con una traccia di divertimento nella voce. Poi ridivenne serio. “Ami molto la lettura, non è vero?”
Jake si sedette sul pavimento polveroso, osservando il compagno che riprendeva la sua minuziosa opera di ricerca. Il suo sguardo venne attirato poi dal fuoco della lampada, rimanendone irretito come per incanto. Oppresso dalla stanchezza e dagli sconvolgenti avvenimenti degli ultimi giorni, il ragazzo si ritrovò a parlare, quasi senza porre freno ai suoi pensieri.
“Io non mi ricordo i miei genitori,” bisbigliò, certo che Christian potesse sentirlo. “Prima del mio arrivo al convento e dell’inizio della mia vita monastica, per me esiste solo il buio. Spesso mi sono ritrovato a chiedermi se questo fosse normale, se fosse giusto così, che vivessi in quel modo. A volte, in primavera, quando il sole cominciava a dipingere di verde il bosco e le montagne, chiedevo a padre Blake il permesso di uscire a giocare, di andare fino in paese, di esplorare un po’ i dintorni… ma ogni volta che tentavo di spalancare le porte e dare una sbirciata fuori, mi veniva ripetuto che avrei dovuto attendere. Attendere di diventare più grande, perché il mondo esterno era pieno di pericoli; attendere di completare la mia istruzione, perché quello era ciò che ci si aspettava da me; attendere di trovare finalmente la mia vocazione, che mai sembrava arrivare. E intanto mi sporgevo dalla finestra della mia cella e mi perdevo ad osservare la vita che c’era là fuori.”
“Se non altro, direi che dopo essere precipitato da quella stessa finestra, hai potuto constatare di persona che il mondo è davvero pieno di pericoli,” commentò Christian in tono cupo.
Jake rimase in silenzio, con la fiamma che si moltiplicava e gli ardeva negli occhi scuri, rimuginando su antichi pensieri.
“Credo sia per questo che ho iniziato a leggere quel genere di storie,” riprese poi con un filo di voce, quasi stesse riflettendo dentro di sé. “Non solo storie d’amore,” precisò, facendo scivolare per un istante gli occhi verso Christian. “Racconti di avventure. Padre Vincent, il mio precettore, pretendeva che io mi esercitassi a leggere i passi della Genesi e dell’Apocalisse, e io ubbidivo… finché un giorno scoprii un vecchio baule ricoperto di ragnatele nascosto dietro ad uno scaffale in biblioteca. Per curiosità lo aprii, e scoprii che era colmo di storie meravigliose. Credo l’avesse lasciato in eredità al convento qualche colto buon uomo che era passato a miglior vita. Iniziai a sfogliare uno dei volumi, un sottile libercolo dalla copertina spessa, e ricordo che ne rimasi talmente affascinato che per la prima volta mancai alla funzione della sera. Mi cercarono dappertutto per ore e ore - così mi dissero - e quando finalmente mi trovarono dovetti sentire gli aspri rimproveri di padre Blake. Mi raccontarono che il vecchio si era addirittura fatto prendere dal panico quando gli era stato riferito della mia scomparsa. Perciò ebbi cura di tenere sempre nascosta la mia passione per certe storie. Ero sicuro che mi sarebbe stato proibito di avvicinarmi di nuovo a quel baule, e l’idea mi spaventava ogni giorno di più. La verità è che iniziai a divenire assuefatto alle narrazioni d’avventura, e in breve scoprii di poter placare con quelle la mia curiosità verso il mondo esterno.”
La voce di Jake, che era andata sempre più affievolendosi come la luce emanata dalla lampada quasi esaurita, si tacque.
“Non serviva che mi raccontassi tutto questo, lo sai,” mormorò Christian, che aveva ormai finito di esaminare due intere credenze ed era passato alla terza. “Te l’ho già detto, c’ero anch’io.”
“È per questo che ho voluto dirtelo,” replicò Jake. “Credi… credi che sia stata la cosa giusta da fare?”
Christian si voltò, e per la prima volta tutta la sua attenzione sembrò concentrarsi sul compagno.
“Che intendi dire?”
“Voglio dire… tu hai detto che vedi attraverso di me, anche se non ho bene capito come, o perché, o in che modo sia possibile una cosa del genere. Ma se è così, beh… non dev’essere stato uno spettacolo troppo entusiasmante, no? Insomma, se io fossi stato una persona differente… uno come gli altri, che se ne vanno in giro per il mondo a godersi appieno la vita… di certo anche per te sarebbe stato meglio.”
“Forse,” rispose Christian dopo una lunga riflessione. “Magari sarebbe stato diverso. Ma non credo che si sarebbe rivelato più entusiasmante. Non per me.”
Il ragazzo posò in cima ad un’alta pila il grosso tomo che teneva in mano e si sedette a gambe incrociate di fronte a Jake.
“Quando ho detto che tu per me sei una sorta di finestra, Jake, non intendevo solamente i tuoi occhi. Te l’ho detto, il nostro legame è profondo, non si limita a questo.”
Lo sguardo di Jake, ancora smarrito nel vortice dei suoi pensieri, incrociò le iridi baluginanti di verde alla luce soffusa.
“Quando leggevi quelle storie, Jake, a cosa pensavi?” chiese improvvisamente Christian in un soffio. “Quali erano le tue sensazioni mentre fuori imperversava il temporale, e tu te ne stavi rannicchiato al caldo partecipando alle avventure e alla vita di qualcun altro?”
“Beh, io… non è che pensassi veramente a qualcosa di definito…”
“Difatti. Ed ecco perché quelli erano i momenti della giornata che preferivo.”
“Eh?”
“Vedi… quando ti succedeva qualcosa, quando facevi qualcosa, o parlavi con qualcuno, io finivo sempre per chiedermi: e se ci fossi io, al suo posto? Se fosse toccato a me, anziché a lui? Come mi comporterei, cosa direi, cosa deciderei di fare in questa situazione? E allora stavo male, perché sapevo che non sarebbe mai venuto il mio turno,” bisbigliò Christian come se quella confessione lo mettesse un po’ in imbarazzo. “D’altra parte, quando ti immergevi nella lettura di quei racconti d’avventure, o d’amore… era come se in qualche modo ti ritrovassi sul mio stesso piano. Come se tu ti sedessi accanto a me, aprissi il libro e condividessimo ogni emozione che quelle parole ti suscitavano. Ed erano emozioni intense, spesso anche più di quelle che provavi alla luce del sole. Così avevo l’impressione che le nostre vite si intrecciassero, in qualche modo; non ero più una piccola parte di te, finalmente potevamo vivere alla pari delle avventure straordinarie. Mi sentivo… felice.”
“Christian…”
“Per questo, credo, ho fatto l’impossibile pur di venire in tuo soccorso. Ero troppo ansioso di vedere come sarebbe continuata questa storia.”
Jake non sapeva che reazione Christian si aspettasse da lui. Non aveva mai guardato alla sua vita sotto quella prospettiva, e si rendeva conto che non avrebbe saputo dare un nome al sentimento che ora si era impadronito di lui. Per un istante lo preoccupò l’idea che Christian avrebbe forse potuto percepirlo, ma quel pensiero non durò molto. Un piacevole senso di calore lo confortava, mentre si limitava ad osservare con occhi nuovi il ragazzo rannicchiato tra due cataste di libri, cercando il suo sguardo che per la prima volta sembrava volergli sfuggire.
“Ed è per questo che non ho semplicemente posseduto il tuo corpo,” aggiunse poi il demone a voce un po’ più alta.
“C-come?” balbettò Jake accorgendosi di essersi distratto, non certo di aver compreso bene.
“Ma sì, pensaci,” proseguì Christian con una risata celata nella voce. “Sarebbe stato tutto molto più semplice. Mi sarei risparmiato un sacco di problemi e di spiegazioni, e magari a quest’ora avremmo potuto essere entrambi al sicuro. Tuttavia…” lo trafisse di nuovo con l’elegante luce del suo sguardo. “Credo che il ruolo di protagonista in fondo non mi calzi. Ho pensato che sarebbe stato più divertente interpretare un personaggio secondario, e lasciare a te il palcoscenico.”
“M-ma… avresti potuto farlo per davvero?”
“Chissà,” sussurrò Christian in tono affettuoso, appoggiando due dita sul pavimento coperto di polvere e rialzandosi in piedi. “Ora che ne dici di darmi una mano? Lo sai, in due ci metteremmo molto meno,” aggiunse porgendogli un aiuto ad alzarsi.
Dopo una breve esitazione, Jake lo accettò, stringendo quelle dita fredde che sembravano aver acquistato per lui un calore inaspettato.
 
Quando furono di ritorno al ruscello, il cielo a oriente andava ormai schiarendosi delle tinte dell’aurora. Non aveva piovuto, quella notte; tutto era stato assolutamente silenzioso e tranquillo, ed ora che le nubi si erano in gran parte dissipate si poteva scorgere anche qualche stella. Jake e Christian avevano approfondito la ricerca, rovistando ogni anfratto della dimora diroccata, ma niente di ciò che avevano trovato era parso loro simile ad un indizio. Scoraggiati e con l’impressione di percepire un disgustoso fiato sul collo, lungo la strada i due ragazzi avevano riflettuto su quale sarebbe stata la loro mossa successiva. Jake aveva proposto di fermarsi in paese fino al mattino, per chiedere alla gente del luogo se si fossero più avute notizie della vecchia dopo la sua partenza. Ma Christian aveva continuato a sostenere che sarebbe stato comunque inutile, dal momento che nessuno degli abitanti, tanto per cominciare, era a conoscenza della sua vera identità di strega. Così avevano optato per allontanarsi da quel luogo al più presto, dirigendosi a ovest di città in città, alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarli. Jake aveva approvato senza esitazione la proposta di Christian, anche se in cuor suo era consapevole che non avrebbe resistito ancora a lungo senza potersi concedere un po’ di riposo.
“Christian,” gli aveva chiesto non appena ebbero lasciato la decrepita capanna. “Perché non è venuto prima a prendermi?”
Christian aveva dato una scrollata di spalle, gesto che aveva alquanto sorpreso Jake (non l’aveva mai visto farlo prima).
“Non ne ho idea. Suppongo tu fossi nascosto, in qualche modo. Come ho detto, la vecchia sapeva di averti lasciato nei guai, quanto meno si sarà preoccupata di darti un po’ di tempo di vantaggio.”
“Beh, ma allora perché adesso ha scoperto dove mi trovo? Dev’essere a causa di una sorta di amuleto, qualcosa che avevo e che ho perso, o… ma non mi viene in mente nulla.”
“Non ho idea di cosa si trattasse,” ripeté Christian con lo stesso tono di voce mentre giungevano finalmente al corso d’acqua. “Poteva trattarsi di un incantesimo temporaneo, o qualcosa del genere. Forse la vecchia è morta e la magia è svanita con lei, non lo so.”
“Non è morta.”
Una voce estranea si intromise nella conversazione dei due ragazzi. Entrambi si voltarono alla propria destra, vedendo un uomo inginocchiato sulla riva fangosa del placido rio. Era intento a strofinarsi le mani nell’acqua corrente, non facendo caso alle ginocchia che affondavano nel lerciume. Unì le mani a coppa, cancellando con un gesto lo sporco che gli incrostava il viso.
Jake e Christian erano rimasti a fissarlo interdetti, non avendo il minimo indizio di dove fosse spuntato.
L’uomo si rimise in piedi con una smorfia di fastidio, arcuando la schiena che mandò un paio di sonori scricchiolii. Si grattò distrattamente la barbetta brizzolata, lanciandosi occhiate sospettose tutt’intorno. Poi si decise ad attraversare il corso d’acqua con un goffo balzo e atterrò di fronte ai due ragazzi.
“Non è morta,” ripeté, come fossero le uniche parole che conosceva.
Vedendo Jake indietreggiare di un passo, subito spostò lo sguardo da lui a Christian, che lo fissava impassibile.
“Davvero non mi riconoscete? Andiamo, non mi sembra che il cambiamento sia stato poi così drastico,” sbuffò allora con evidente frustrazione. Fece un gesto ampio e teatrale, indicando vagamente alle proprie spalle il punto dove pascolavano pacifici la vecchia giumenta e… solo allora si accorsero che qualcuno mancava all’appello.
“Io sono Matt,” sospirò lo strano individuo dandosi un’altra grattata al pizzetto e tendendo loro la stessa mano.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 ***


“Ad est?” chiese Christian senza preoccuparsi di dissimulare il forte scetticismo. “Sicuro che si sia diretta ad est?”
L’uomo lo guardò in cagnesco, spostandosi all’altro fianco della giumenta su cui era salito Jake.
“E tu, Matt… perdona la domanda, ma… che cosa saresti di preciso?” chiese Jake, la cui confusione nell’ultimo paio di giorni non aveva fatto che aumentare di minuto in minuto.
“È un famiglio,” spiegò il ragazzo rimasto a piedi senza lasciare all’interrogato il tempo di rispondere. “Una specie di animale da compagnia delle streghe.”
Matt gli rivolse un’altra occhiata torva.                                                   
“Siamo molto più che animali da compagnia,” borbottò palesemente offeso. “Puoi definirci… degli schiavi, ecco.”
“Schiavi?” ripeté Jake domandandosi per quale motivo l’uomo avesse pronunciato quella parola con tanta riverenza.
“Proprio così. Possiamo assumere sembianze umane o animali, rendere più potenti alcuni incantesimi o addirittura inventarne di nuovi… tuttavia, la maggior parte delle streghe si limita ad impiegarci nelle faccende domestiche o a mandarci a fare le commissioni in paese.”
“Capisco. Quindi tu… aiutavi Gilda nei lavori pesanti?”
“Oh, molto più di questo. Sapete, Gilda non era più una strega ormai da molti anni. Di norma sarei dovuto svanire, ma lei si era molto affezionata a me. Non ho mai capito come, ma ha trovato un modo per farmi restare. Così in cambio mi sono offerto di dare una mano a Billy nel campo.”
“Aspetta… hai detto che saresti dovuto svanire?”
“Già. In genere è questo che avviene una volta che la potenza magica della strega si esaurisce. Tuttavia, Gilda è riuscita in qualche modo a conservare un po’ di quella potenza in una fiala, facendo sì che non me ne andassi per sempre.”
“E questa fiala ce l’hai con te?”
“Certo che no. Gilda la tiene sempre appesa al collo, non se ne separa mai,” mormorò Matt con la traccia di un sorriso sulle labbra. Poi un’ombra scura gli rannuvolò il volto, e l’uomo sospirò tristemente. “Anche se ho una brutta sensazione.”
“Che vuoi dire?”
“Temo che Gilda sia morta.”
“Eh?”
“Di solito esiste una specie di connessione tra di noi, ma è da un po’ ormai che non percepisco più niente.”
Jake non seppe che cosa rispondere. Il pensiero che la loro visita potesse aver condotto alla morte la dolce vecchina che li aveva aiutati lo riempiva di sensi di colpa.
“Ma… per quale motivo ti ha mandato con noi?”
“Ovvio: voleva che vi aiutassi a trovare Ethel.”
“Ah. Ma allora perché ti sei mostrato solo ora?”
“Lui non mi piace,” borbottò Matt riferendosi al suo ex cavaliere. “È la stessa cosa che ho detto a Gilda non appena l’ho visto, ma lei ha insistito perché ubbidissi.”
Jake osservò con la coda dell’occhio il compagno, che camminava accanto a lui come se non avesse udito niente.
“Hai detto che Ethel è andata ad est,” insistette Christian con tono impassibile. “Come fai a dirlo con certezza?”
“Come vi ho spiegato, Gilda mi ha mandato con voi perché vi aiutassi,” rispose l’uomo in tono aspro, dopo avergli rivolto ancora una volta uno sguardo ostile. “Perciò stanotte, mentre voi due eravate occupati ad aprire il vostro cuore l’uno all’altro, io ho svolto alcune ricerche.”
I due ragazzi si scambiarono una rapida occhiata, fissando poi l’uomo che avanzava barcollante qualche passo davanti a loro, le braccia incrociate dietro la schiena e gli occhi fissi sul terreno fangoso. Jake si sentì in dovere di dire qualcosa, ma non fece in tempo ad aprire bocca.
“In breve, ho individuato una traccia. Una molto debole, ma il mio naso finora non mi ha mai imbrogliato.”
“E come hai fatto?” chiese Jake stupito. “Christian ha detto che Asmodeo la sta cercando da anni senza successo.”
“Asmodeo? Hah, il suo fiuto per queste cose non è certo paragonabile al mio,” replicò Matt con una nota di vanteria nella voce.
“È vero,” si intromise Christian. “Come i demoni vengono cercati ed evocati dallo stregone, i famigli vengono attirati dal potere acquisito da questi ultimi. Come possiamo metterla… mentre il demone è abbastanza potente da fregarsene della potenza altrui, il famiglio ha bisogno di cercarla per mettersi al suo servizio. Esiste per questo.”
Le spalle di Matt vennero scosse da un lieve tremito. Temendo di ritrovarsi in mezzo ad un litigio fra i due compagni di viaggio, Jake si affrettò a portare la conversazione su qualcos’altro.
“E così ora ci dirigiamo ad est, giusto? Per quanto?”
“Non lo so. La scia è piuttosto tenue. Ma è già tanto che io sia riuscito ad individuarla. Per riuscirci ho dovuto prima allontanarmi da voi due. Ragazzi, non avete idea di quanto puzziate. Asmodeo deve essersi incavolato davvero per lo scherzo che gli avete giocato.”
“Tu… sai ogni cosa?” chiese Jake esitante.
“Certamente. Gilda e Ethel erano… diciamo amiche. Entrambe avevano deciso di chiudere con la stregoneria, anche se per motivi differenti. Gilda aveva rischiato di sterminare l’intero villaggio per colpa di un incantesimo sfuggitole di mano. Allora era giovane, si era dedicata alla magia per via dello stato di estrema povertà in cui viveva la sua famiglia. Ma in seguito all’incidente scongiurato per un pelo, rescisse il patto che aveva stretto col suo demone. Questi si infuriò, e per vendicarsi le portò via suo marito. Lasciata sola e senza uno scopo, un giorno trovò davanti alla propria porta Billy. Sapete, lui non era veramente suo figlio, ma lei lo adottò e gli diede un tetto. Da allora poté vivere in relativa tranquillità, sebbene si sia sempre portata dietro il peso della colpa per ciò che era stata.”
Il famiglio parlava con un tono di profondo affetto sfumato da una punta di tristezza, e a Jake quasi fece pena.
“Quanto a Ethel, quando lei le raccontò che voleva smettere, Gilda fece tutto il possibile per aiutarla. È per questo che appena vi ha riconosciuto ha deciso di darvi una mano.”
“Questo significa che ha riconosciuto anche Christian?”
“Ovvio. Gli occhi di una persona non mentono a chi sa osservare, e così neppure quelli di un demone.”
Jake rimase in silenzio, ripensando alla luce di smeraldo che trovava rifugio nelle iridi di Christian.
“Ma ha pensato che lui per qualche motivo fosse differente,” riprese Matt. “Così ha deciso di fidarsi di Ethel e di voi. Anche se, a quanto pare, per questo deve aver pagato un prezzo molto salato.”
 
L’alba era ormai spuntata da un pezzo e la vita nel piccolo paesino aveva ripreso a trascorrere pacifica, quando la figura esile di un ragazzino apparve sul sentiero che proveniva dal bosco. La gente che usciva di casa a respirare l’aria del mattino lo scrutava con curiosità. Nessuno l’aveva mai visto da quelle parti. Una vecchia che portava in braccio il nipotino si chiese dove fossero i suoi genitori. Lasciare solo un bambino che non poteva avere più di dodici anni era davvero irresponsabile, specie in quelle zone dove di notte erano in agguato mille pericoli…
Lo straniero si diresse verso il cerchio più esterno del piccolo centro abitato, fermandosi davanti alla porta di una cadente capanna abbandonata.
Una ragazzina sui dieci anni dalle lunghe trecce bionde che stava giocando con un cagnolino sul prato adiacente gli corse incontro agitando la manina.
“Ehi, ciao! Io mi chiamo Emily. Tu chi sei?”
Il ragazzino rimase a fissarla in silenzio, senza proferir parola. La piccola rimase incantata dai suoi occhi chiarissimi. Si chiese come fosse possibile che qualcuno avesse occhi tanto meravigliosi.
“Non ti ho mai visto qui intorno,” insistette la bambina. “Sei venuto a fare visita a qualcuno?”
Improvvisamente il cagnolino della piccola, che era rimasto qualche metro più indietro, iniziò ad abbaiare insistentemente. Emily si voltò, lanciandogli un fischio acuto per cercare di zittirlo, ma quello non volle ascoltare.
“Scusalo, non so cosa gli sia preso… di solito Spottie è molto amichevole,” cominciò la bimba tornando a voltarsi verso l’interlocutore.
Il ragazzino era sparito.
 
Quando il trio in cammino finalmente bussò alla porta ruvida e scrostata, una nuova sera era tornata a distendere le sue cupe ali sul verde paesaggio della foresta.
“Sei sicuro che sia qui, Matt?”
La voce di Jake risuonò colma di scetticismo nell’imbrunire profumato d’erba bagnata. Ciò provocò la reazione stizzita dell’uomo, evidentemente punto nell’orgoglio di famiglio.
“Certo che ne sono sicuro. Ve l’ho già detto, il mio naso non sbaglia mai. Non su queste cose.”
Con un fastidioso cigolio, la pesante porta si aprì di una fessura. Un occhio comparve dall’altra parte, muovendosi rapidamente a scrutare i tre sconosciuti. Attesero che venisse rivolta loro qualche domanda, ma quella persona non sembrava intenzionata a parlare.
“Noi… stiamo cercando Ethel,” mormorò allora Jake, esitante. “Si trova qui, vero?”
L’occhio dall’iride chiara e stranamente luminosa sembrò fissarsi su Jake, mettendolo in soggezione.
“Io… beh, vede, noi siamo-”
“Jake e Christian,” lo interruppe il ragazzo in tono secco. “Le dica che abbiamo bisogno urgente di vederla.”
Un’altra breve pausa; l’occhio tornò a squadrarli uno per uno. Ancora una volta si soffermò a lungo a scrutare Jake, fissandolo con estrema attenzione. Sembrava riuscire a penetrare fin nei suoi pensieri più intimi, facendolo sentire davvero a disagio. Poi la porta si richiuse con un tonfo sordo, e rimasero in attesa.
“Christian, credi che lei possa aiutarci per davvero?” domandò Jake sottovoce. “Insomma, in fondo è fuggita, non si è lasciata dietro nulla per farsi rintracciare…”
“Non so se lei sia ancora in grado di fare qualcosa. È passato tanto tempo, e dopo ciò che le è accaduto di sicuro non è più la donna che era. Tuttavia sono convinto che non rifiuterà di prestarci il suo aiuto, per quanto possibile. In ogni caso, non abbiamo nient’altro.”
Non sapendo come controbattere, Jake decise di tenere per sé tutte le domande che ancora non avevano una risposta. Tese l’orecchio, udendo il frinire dei grilli scandire la pace della sera. Gli abeti più alti del bosco erano scuri e silenziosi, disposti quasi in un cerchio perfetto attorno alla chiesetta di roccia grezza, come spettatori radunati attorno al palco in attesa dell’azione; l’erba alta della piccola radura ondeggiava dolcemente alla brezza leggera.
Jake si lasciò sfuggire un sospiro. Il peso della stanchezza si faceva sentire sempre più, sembrava legargli dei pesi di piombo alle braccia e alle gambe e gli impediva di ragionare con lucidità. Erano almeno due giorni che non chiudeva occhio. Non avrebbe potuto andare avanti ancora per molto, lo sentiva.
Di nuovo quell’acuto stridore riportò la sua attenzione sull’oscuro ingresso. Stavolta la porta si spalancò completamente, rivelando una figura rischiarata dal fioco lume della candela che recava in mano. Era avvolta in una lunga veste scura, con capelli corti e un po’ disordinati che spuntavano da sotto un cappuccio calato fin quasi sugli occhi.
“Christian?”
Una voce rauca, tremante, che trasudava emozione nel suo bisbigliare sommesso, giunse a malapena alle loro orecchie.
“Christian, sei proprio tu?”
Il ragazzo, impassibile come sempre, prese Jake per un braccio e lo spinse avanti di un paio di passi.
“Sono io, sì. E questo è Jake. Come avrai intuito, abbiamo bisogno d’aiuto.”
 
Seduto in un angolo della piccola sagrestia davanti ad un basso tavolino di marmo, Jake, frastornato, spostava lo sguardo tra l’anziana donna curva di fronte a loro e Christian, il cui atteggiamento sembrava improvvisamente divenuto persino più freddo del solito. Nessuno parlava. Il silenzio che regnava in quel luogo pareva impenetrabile.
Jake si guardò attorno. Situata sul retro dell’antica chiesetta, proprio alle spalle dell’altare, la stanzina in cui si trovavano era piena di strani oggetti e le sue pareti erano ricoperte di simboli misteriosi. Prima di invitarli ad entrare, la vecchia aveva tracciato delle linee a zigzag su alcuni di essi, e Jake aveva intuito che doveva trattarsi di trappole contro i demoni. C’erano anche diversi rami essiccati dai fiori gialli che pendevano dal soffitto e dalle mensole alle pareti, oltre a un paio di grossi tomi dalla copertina sfavillante d’oro in bella mostra accanto al tavolino.
“Suppongo… che sia giunto il momento, vero?” mormorò Ethel d’un tratto, come se fosse appena riemersa da una profonda riflessione.
“Già. Asmodeo è qui, ci sta dando la caccia. Per questo siamo venuti a cercarti. Tu sapevi che sarebbe successo, prima o poi.”
“Purtroppo, lo sospettavo. Temevo che la protezione di Jake un giorno o l’altro sarebbe svanita. Padre Blake dev’essere morto, non è così?”
Colto in contropiede, il ragazzo non trovò le parole per rispondere. Vedendo la sua reazione, la vecchia sospirò e incurvò le spalle ancora di più.
“Avevo raccomandato al vecchio di cospargere ogni sera con qualche goccia d’olio d’iperico tutte le finestre e le porte del convento. Forse tu non ne eri a conoscenza, ma Blake la sapeva lunga in fatto di demoni. È stato merito suo, se anni fa il villaggio non è stato annientato a causa di un incantesimo finito male.”
Matt parve agitarsi accanto a lui, nervoso. Diede un paio di colpi di tosse e cambiò posizione.
“Ed è sempre merito suo se finora sei rimasto nascosto agli occhi di Asmodeo. Ma, ahimè, prudente com’era nel rivelare certi segreti, sospettavo che si sarebbe portato nella tomba anche questo. Ma ditemi: come siete arrivati fin qui? Christian, piccolo mio, come hai fatto a-”
“Diciamo che mi sono infilato nella fessura prima che la porta aperta da Asmodeo si richiudesse.”
“Christian…” continuò la vecchia, che dal tono pareva ora sull’orlo delle lacrime. “Non hai idea di quanto io abbia desiderato rivederti, nipotino mio…”
“Nipotino?” ripeterono Jake e Matt all’unisono.
Christian rimase in silenzio. La donna sospirò profondamente.
“Non gli hai raccontato tutto quanto?”
“Quasi tutto. Ho omesso un paio di particolari insignificanti.”
“Insignificanti!” sbottò Jake, sentendo improvvisamente la rabbia montargli dentro. “Del tipo?”
“Gli hai detto almeno del vostro legame?” proseguì la vecchia non badando alla domanda di Jake.
“Certo.”
“Non è che tu mi abbia spiegato fino in fondo di cosa si tratta, in effetti,” borbottò a voce un po’ più alta per essere sicuro di farsi udire.
“È una storia complicata,” incominciò la vecchia con un filo di voce. “Ma se dobbiamo affrontare Asmodeo faccia a faccia, sarà meglio che tu sappia tutta la verità. Ogni crepa, ogni debolezza o insicurezza potrebbe rivelarsi per lui un varco da cui iniziare a rovinarti. Vedi, Jake… quando ancora abitavo in paese, avevo una figlia. Il suo nome era Jess. Le volevo bene, ma non eravamo mai state così unite. Si era sposata molto giovane, e non aveva mai saputo del mio legame con la magia. Finché un giorno, al culmine della gioia, mi venne a dire che aspettava un bambino. Io ne fui così sconvolta… insomma, avevo sempre operato contro la vita, fin da quando avevo stretto il patto con Asmodeo, molti anni prima. Credevo di non aver mai avuto altra scelta, e fino ad allora non avevo neppure avuto motivo di pormi dei dubbi. Ma quando ricevetti quella notizia inaspettata, mi resi conto di quanto felice mi rendesse vederla sbocciare, la vita.”
La voce della donna era roca, colma di rimpianti e malinconia, consumata anch’essa da un’esistenza costellata dal dolore.
“Passarono i mesi, e Jess entrò in travaglio. Ma successe troppo presto, e capii subito che non si sarebbe trattato di un parto facile. La mia Jessy era sempre stata una ragazza gracile e malaticcia, e anche in quell’occasione la sua salute peggiorò rapidamente.”
Lo sguardo della vecchia passò in rassegna tutti i presenti riuniti attorno al tavolo, soffermandosi infine su Jake.
“Quel giorno, in particolare, due donne in paese erano sul punto di mettere al mondo una nuova vita. L’altra donna, Jake, era tua madre. Jodie era una cara ragazza che abitava nella casa accanto alla mia; l’avevo vista crescere assieme a mia figlia, giocando insieme a rincorrersi per la piazza e le stradine polverose. Sua madre era da mesi gravemente ammalata, così fu compito mio assisterla in quell’occasione.”
Man mano che Ethel parlava, la sua figura sembrava rimpicciolirsi sempre più incurvandosi su se stessa.
“Due bambini vennero alla luce a pochi secondi di distanza: uno, sano e robusto, il cui pianto riempì subito l’aria; l’altro, nato prematuro e gravemente sottopeso, non visse più di un’ora. Stremata dal difficile parto che l’aveva privata di tutte le forze, Jessy mi pregò di fare in modo che almeno il piccolo sopravvivesse. Con gli occhi offuscati dalle lacrime e il petto straziato dal dolore per la perdita della mia unica figlia e per la consapevolezza che mio nipote l’avrebbe seguita a breve, tentai con ogni mezzo di rianimare il corpicino del piccolo, di impedire che la scintilla di vita che si era appena accesa già si spegnesse nel nulla. Ma tutto fu inutile. Allora mi resi conto di quanto fosse più difficile proteggere la vita che non distruggerla. E mi ritrovai a scoprirmi impotente, di fronte a tutto quello. Ma proprio allora, mentre mi struggevo tra quelle dolorose riflessioni, lo sguardo mi cadde sul bambino che dormiva tranquillo nella culla lì accanto. Jodie era esausta, ancora annaspava per lo sforzo… così presi la mia decisione. Feci un incantesimo, legando il neonato ormai esanime al piccolo che si era appena affacciato con successo alla vita.”
La vecchia fece una lunga pausa. La sua figura nella penombra pareva voler scomparire dalla faccia della terra. Le sue spalle ingobbite tremavano lievemente come se la donna stesse singhiozzando tra sé e sé. Poi risollevò lo sguardo luccicante, spostandolo tra i due ragazzi che le stavano davanti.
“Fu così che nasceste, e così che foste uniti. Questa è la vostra storia, Jake. La storia tua e di Christian, mio nipote.”
Nel lungo silenzio attonito che seguì, la mente di Jake parve venire risucchiata da un torrente impetuoso, sballottata qua e là da una corrente di emozioni confuse.
“In tutta onestà,” riprese poi la donna, “non ero certa che avrebbe funzionato. Ma nella disperazione decisi comunque di tentare. Sapevo che mio nipote non avrebbe mai potuto camminare su questa terra, ma speravo che almeno in questo modo potesse crescere dentro di te, Jake, e vivere attraverso te.”
Rimasto senza parole né respiro, Jake si accasciò sulla superficie fredda e dura del tavolino di marmo, sperando che quella sensazione violenta gli facesse riprendere il contatto con la realtà.
“In seguito a quel fatto che mi sconvolse la visione della vita e mi privò dell’affetto di mia figlia, decisi di allontanarmi per sempre dalla stregoneria. Ma quando Asmodeo venne a conoscenza di ciò che avevo fatto, della vita che avevo tentato di salvare, si infuriò. Fortunatamente, Gilda mi trovò per prima.”
Nell’udire il nome della vecchia padrona, Matt sussultò lievemente.
“Lei venne a sapere ciò che era accaduto, immaginò quale sarebbe stata la mia reazione, e si preoccupò di mettermi in guardia. Mi stette sempre vicina, riempimmo la casa di simboli e amuleti per nascondermi da Asmodeo… ma non era solo me che il demone voleva. Era determinato a cancellare ogni segno dell’infamia che gli avevo recato utilizzando in tal modo la potenza da lui donatami.”
Jake percepì gli occhi di Christian su di sé. Si voltò, cercando il suo sguardo, ma per qualche motivo il ragazzo lo evitò.
“Una sera udimmo delle grida provenire dalla casa accanto. Ci precipitammo a vedere cos’era successo, e trovammo Jodie e tuo padre a terra, morti in una pozza di sangue. Un messo di Asmodeo si stava dirigendo verso la tua culla. Io rimasi paralizzata dal terrore, ma Gilda fu rapida ad agire; gli gettò addosso dell’acqua santa che aveva attinto dal battistero della chiesa e, mentre quell’essere si contorceva in preda al dolore, lei strappò il bimbo dalla culla. Ci rifugiammo in casa, dove insieme riuscimmo ad intrappolarlo e ad esorcizzarlo. Poi fuggimmo. Pensammo di portarti in quel convento, raccomandandoti alle cure di padre Blake, che sapevamo avere familiarità con queste faccende. Gilda rimase lì, a vegliare su di te, mentre io decisi di andarmene, sperando di distrarre l’attenzione di Asmodeo e di trovare qualcuno che potesse aiutarmi a liberarmi di lui una volta per tutte.”
“Mia… madre…?” balbettò Jake articolando le parole a fatica.
“Ecco perché non ti avevo raccontato tutta la storia, Jake,” mormorò Christian al suo fianco. “Non volevo che tu mi odiassi.”
“Non è stata colpa tua, Christian,” intervenne Ethel in tono secco. “Se c’è qualcuno da biasimare, quella sono io. Egoisticamente ho voluto redimere una vita di strega e madre assente tentando di salvare te, senza pensare che avrei messo in pericolo la vita di Jake e della sua famiglia, oltre che la mia. Non avete idea di quanto il rimorso mi abbia consumata, durante tutti questi anni. Nel tentativo di salvare una vita, sono solo riuscita a metterne a repentaglio molte altre e a condannare te a vivere relegato nel terrore, Jake. Perciò ti prego… se desideri sfogare la tua rabbia, com’è giusto che sia, prenditela con me e non con Christian.”
Ma Jake poteva udire appena le parole della donna. Con gli occhi sgranati e lo sguardo perso in un altro universo, il ragazzo sentiva solamente un urlo spingere per risalirgli la gola e rimbombare per la stanza inondata d’ombra.
D’un tratto, sentì due braccia forti che lo stringevano a sé. Immediatamente provò una sensazione di benessere e leggerezza, come se tutti i pensieri che fino ad un momento prima si agitavano dentro la sua testa apparissero ora come avvolti da una nebbia opaca. Si voltò, perdendosi in un paio d’iridi chiare che gli sorridevano con affetto. Riconobbe la donna che li aveva ricevuti alla porta; pareva molto più giovane di quanto si sarebbe aspettato, una splendida ragazza sulla ventina, dai capelli castani molto chiari e un sorriso colmo d’amore. Si era materializzata accanto a loro come per magia.
“Tu… chi sei…?” mormorò Jake quasi non riconoscendo la propria voce.
“Lei è… beh, colei che mi ha aiutato in tutti questi anni,” rispose Ethel al posto suo.
“È una strega?” chiese Christian, squadrandola con attenzione.
“No,” intervenne Matt. “Non lo è.”
“Non so di preciso che cosa sia,” ammise Ethel. “Ho una mia teoria, ma non saprei come confermarla. In ogni caso, sembra avere la capacità di neutralizzare, almeno in parte, i poteri demoniaci.”
“Che?”
“Il suo tocco ha delle proprietà benefiche sugli esseri umani, che allo stesso tempo si rivelano nocive per i demoni. Quando Asmodeo mi ha inseguito, anni fa, lei è venuta in mio soccorso sbucando dal nulla, e mi ha salvata.”
La donna abbandonò la presa, lasciando Jake in uno stato di semincoscienza, con gli occhi che vagavano vacui per il soffitto vuoto.
“Che gli ha fatto?” chiese Matt un poco preoccupato.
“Sta bene. Ha solo attenuato il suo stress. Sembra che il ragazzo non dorma da un po’. Non appena avremo deciso cosa fare, prepareremo un giaciglio dove potrà riposarsi.”
“Temo che non avremo tempo per questo,” disse Christian. “Asmodeo potrebbe essere qui a momenti. Hai idea di come si possa riuscire a fermarlo?”
“In questi anni non ho fatto altro che cercare un modo. Purtroppo, Asmodeo è potente. Non so di preciso quanti degli esorcismi e degli scongiuri a noi noti funzionino contro di lui. E anche qualora funzionassero, non sarebbe una soluzione definitiva. Potrebbe tornare e riuscire a scovarci di nuovo.”
“Lei non ci può aiutare?” chiese Christian volgendosi verso la donna misteriosa.
Ma accanto a Jake non c’era più nessuno. Si guardarono intorno nella piccola stanzina candida, ma di lei non c’era traccia.
Ethel sospirò.
“Lei… beh, ecco, diciamo che non sempre si riesce a capire con chiarezza le sue intenzioni. Credo che se avesse saputo come aiutarmi, l’avrebbe già fatto in questi anni.”
“Perciò nessuno di noi ha idea di come possiamo sbarazzarci di Asmodeo una volta per tutte…”
“Non è esatto,” rispose la vecchia, un poco esitante. “Un metodo sicuro lo conosco, ma temo sia pressoché impossibile da realizzare. A dirla tutta, probabilmente complica soltanto le cose.”
“Di che si tratta?”
“Ci serve il sangue di Asmodeo e quello di un altro demone. È lo stesso incantesimo che ho utilizzato con voi due. In realtà, sarebbe questo l’uso più consono. In breve, tramite l’incisione di un simbolo, un’unione di sangue e una semplice formula, si lega l’anima di un ‘bersaglio’ a quella di un ‘sacrificio’; se il ‘sacrificio’ muore, il ‘bersaglio’ lo seguirà. Con voi ha sortito un effetto particolare, dal momento che tu eri già morto...”
“Ma… se è così, non avresti rischiato di uccidere anche Jake?” esplose Christian in tono insolitamente alterato.
“No. Non funziona così, l’incantesimo è a senso unico. Ma funziona solo tra simili. Ho trascorso tutti questi anni cercando un altro modo per liberarmi una volta per tutte di lui e del terrore che mi perseguita… ma è tutto ciò che sono riuscita a trovare.”
“D’accordo. Quindi… dobbiamo uccidere un altro demone per poter rispedire Asmodeo al mittente,” sospirò Matt fissando il soffitto di pietra. “Non mi sembra che le cose si siano semplificate poi così tanto.”
“In realtà, potrebbe essere di sì,” mormorò Christian in un soffio.
“Che vuoi dire?”
I suoi occhi trafissero quelli di Jake con uno scintillio di determinazione. Il ragazzo, che aveva ormai recuperato la lucidità, si sentì raggelare il sangue.
“No. No, non pensarci neppure.”
“Senza offesa, ma… anche fosse, funzionerebbe?” borbottò Matt accarezzandosi con due dita il pizzetto brizzolato. “Non servirebbe un demone capostipite?”
“Non credo. In effetti, l’essenza dei demoni è a grandi linee la stessa. Fanno sempre parte di quel mondo,” rifletté Ethel con estrema malinconia.
“Ma non faremo una cosa del genere. Toglietevelo dalla testa.”
“Andiamo, Jake… è tutto ciò che abbiamo.”
Christian sembrava non voler prendere in considerazione alcuna opinione.
“Comunque, servirebbe in ogni caso della potenza demoniaca per poter svolgere l’incantesimo,” aggiunse la vecchia con voce rauca. “E io ne sono un po’ a corto, ultimamente.”
“Non c’è problema,” disse risoluto Matt. “Esiste una fiala che contiene un po’ di quella roba.”
“Matt…?”
“Credo ce l’abbia Asmodeo. Chiaramente non l’ha distrutta perché voleva che vi aiutassi a giungere a Ethel. Però potrebbe mandarla in frantumi da un momento all’altro, perciò dovremo recuperarla in fretta.”
“Ma così tu…”
“E allora?” L’uomo rivolse a Jake un sorriso colmo di nostalgia. “Avrei dovuto comunque andarmene molto tempo fa. Sono rimasto per stare al fianco di Gilda, ma ora lei non c’è più. Non ho un posto dove andare, mi sento privo di qualsiasi utilità. Tutto ciò che desidero è portare a termine l’ultimo compito che la mia padrona mi ha assegnato… ad ogni costo.”
Sul gruppetto calò il silenzio. Ognuno stava rimuginando sulla situazione, cercando di intravede uno spiraglio di luce oltre le prospettive più cupe.
“D’accordo,” annunciò infine Matt alzandosi dal tavolino e cominciando a passeggiare nervosamente avanti e indietro. “Ricapitolando: dovremo prendere di sorpresa Asmodeo, immobilizzarlo, rubargli la fiala, tagliuzzarlo per bene e compiere l’incantesimo. Il tutto evitando che ci faccia a pezzi prima. Mi sembra un gioco da ragazzi.”
“Inoltre, anche se ci riuscissimo, perderemmo sia Matt che Christian,” puntualizzò Jake con insistenza.
Christian si rivolse a Ethel in tono secco e duro.
“Se sarò legato ad Asmodeo, l’incantesimo che hai fatto a noi due svanirà?”
“No, non credo,” rispose la strega dopo qualche secondo di riflessione.
“Allora non c’è problema,” proseguì il ragazzo spalmandosi sul tavolo a braccia conserte. “Jake, io avevo comunque intenzione di tornare laggiù.”
“Che cosa…?”
“Come vedi, per stare al tuo fianco ho dovuto prendere in prestito qualcun altro. Non posso essere egoista a tal punto da appropriarmi della sua vita per poterne vivere una mia,” mormorò Christian contemplando il proprio riflesso sulla superficie lucida del tavolino. “In fondo, io ho già te.”
 
Jake si lasciò cadere esausto sul giaciglio improvvisato, svuotò completamente l’aria che aveva nei polmoni e rimase a scrutare con sguardo vacuo il soffitto accidentato di quel luogo. Chiuse gli occhi. Si sentiva sfinito. Le palpebre gonfie parevano diventare di ora in ora più pesanti, e le profonde occhiaie scure si infossavano sempre più. Era stanco di tutte le domande che ancora lo tormentavano, nonostante a molte avesse finalmente trovato risposta. Ora desiderava soltanto che tutta quella follia finisse per poter chiudere di nuovo gli occhi e lasciarsi trascinare nell’oblio.
Ma quando tutto sarà finito…
Un’ombra in movimento interruppe per un istante il velo scarlatto proiettato dalla candela oltre le sue palpebre chiuse. Dei passi leggeri, silenziosi, si fecero strada fino a lui.
“Jake, dormi?”
Il ragazzo riaprì gli occhi, mettendo a fuoco la figura che lo scrutava dall’alto, immobile nella penombra. Un bizzarro senso di déjà-vu gli fece salire il cuore in gola.
“Non ci riesco.”
Christian si sedette accanto a lui sul sottile strato di lana grezza che ricopriva il pavimento di marmo. Jake si alzò a sedere e raccolse le ginocchia al petto, appoggiandovi sopra il mento.
“Non devi fissarti su inutili pensieri, hai ben altro di cui preoccuparti. Da un momento all’altro ci ritroveremo a dover affrontare un enorme pericolo. Vivremo in prima persona una delle tue amate avventure, se vuoi vederla così.”
Pensieri inutili? Così ti definisci, ora?”
“Mi stavo riferendo a ciò che hai scoperto sul tuo passato. Devi sforzarti di riposare il più possibile e recuperare le energie, altrimenti Asmodeo avrà gioco facile.”
Il ragazzo rimase in silenzio. Non sapeva cosa dire. In realtà non era neppure certo di aver ancora metabolizzato completamente ogni cosa.
“Io… io non ti odio, Christian,” mormorò Jake, ricordando le parole amare bisbigliate dal compagno poco prima. “Non potrei mai odiarti per quello che è accaduto. Né te, né Ethel.”
“Lo so,” rispose Christian. “Posso leggertelo negli occhi. E non sai quanto questo mi renda felice.”
“Christian…” lo chiamò poi, tentando di non pensare ad altro. “Davvero hai intenzione di tornare laggiù, di sparire di nuovo?”
“Jake, te l’ho detto; non sono adatto al ruolo di protagonista.”
“Preferisci quello di comparsa sacrificabile?”
“È questo che sono per te?”
“No. Ed è per questo motivo che non voglio che tu lo faccia,” mormorò Jake con un filo di voce.
Christian incrociò le gambe, poggiando i gomiti sulle ginocchia e congiungendo le mani di fronte a sé. Cercava i suoi occhi, ma quelli sembravano non vederlo. Erano persi in qualche luogo tenebroso, lontani.
“Lo sai, anche se non ti sarò più accanto, continuerò sempre ad osservarti e ad essere con te. Finché avremo questo prezioso legame, io sarò felice. È sempre stato ciò che di più caro avevo, e sono lieto, in tutta onestà, che ora sia caro anche a te.”
Sentendo una lacrima bollente fare capolino all’angolo dell’occhio, Jake piegò la testa e si affrettò a cancellarla con un dito. Ebbe un sussulto quando l’indice di Christian gli sfiorò uno zigomo per scostargli una ciocca che cadeva a ricoprirgli metà del volto. Sentì la mano calda di Christian afferrare dolcemente la sua. Le loro dita si intrecciarono, e Jake desiderò improvvisamente di averlo fatto molte più volte e molto tempo prima.
“Suppongo sia stato un tantino egoista, da parte mia, sconvolgerti la vita in questa maniera,” continuò Christian in tono malinconico ma anche vagamente ipnotico. “Però, lascia che ti dica questo: se davvero desideri vivere una vita normale, una volta che avremo risolto questa faccenda, sarai libero di farlo. Pensaci; potrai andartene dove ti pare, magari viaggiare, conoscere tante persone… sarà grandioso, sia per te che per me. Promettimi solo una piccolissima cosa: che ogni tanto ti prenderai qualche minuto di tempo per leggere una storia d’avventura.”
“Christian…”
Sentendo il fiume di emozioni confuse che era andato gonfiandosi fino ad allora straripare infine dagli argini, Jake sollevò lo sguardo cercando gli occhi dell’amico, assalito dal bisogno di trovare conforto in quel bagliore gentile che sempre vi riluceva. Ma nessuna luce lo accolse, stavolta. Tutto si fece buio in un attimo, per poi esplodere in una miriade di frammenti multicolore, quando qualcosa di caldo e morbido sfiorò delicatamente le sue labbra.
“…e qualche racconto d’amore,” bisbigliò Christian separandosi da lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 ***


Sulla via deserta che si inoltrava tra le casupole del piccolo villaggio, sotto una luna quasi piena seminascosta da una nuvola scura, Asmodeo avanzava a passo lento ma inarrestabile verso l’obiettivo della sua vendetta. Poteva distinguerne l’amaro odore di paura misto al sentore disgustoso di una vana speranza non ancora dissipata. Giunto di fronte al portone della chiesa, il demone percepì un brivido d’eccitazione far tremare lievemente il fragile corpo che lo ospitava. Asmodeo spinse la porta, che cigolando si aprì senza fatica. Un ambiente immerso nelle tenebre si schiuse davanti a lui. Il candore delle pareti rendeva a malapena distinguibile la profondità dello spazio, e un solo lume brillava fioco proprio al centro della navata.
Asmodeo non percepiva alcuna presenza attorno a sé, ma sapeva che le sue prede erano vicine. Avanzò cautamente verso la fonte di luce, prestando attenzione all’eventuale presenza di trappole e trabocchetti di sorta.
Il demone non temeva quell’ambiente sacro. Aveva sempre trovato buffo come la maggior parte degli esseri umani si sentisse più al sicuro lì che da qualunque altra parte. La verità era che l’accesso a quei luoghi gli era, spesso, perfino più agevole. Fin da quando erano state costruite le prime chiese, infatti, non aveva mai avvertito alcun potere a lui ostile risiedere tra quattro mura spoglie fatte di gelido marmo. D’altra parte, anche la sua indifferenza nei confronti di quella che gli umani chiamavano fede era massima. Anzi, paradossalmente, non di rado era capitato che quest’ultima perseguisse addirittura i suoi stessi obiettivi: cancellare la vita, in un modo o nell’altro. Era quello lo scopo ultimo della sua esistenza, era quello che lo faceva fremere di piacere. Non c’era vita, tra quelle mura fredde e vuote. Perciò, che stessero in piedi o crollassero, a lui non importava affatto.
Giunto a pochi metri dalla candela quasi consumata, Asmodeo si sentì immobilizzare sul posto. Non individuando la ragione di ciò, furioso, soffiò la sua ira sulla fiamma sottile, che in una vampata si ingigantì ardendo fino al soffitto. Un disegno allora prese forma tracciato dal fuoco, svanendo immediatamente per lasciare spazio ad un’impronta scura a cinque punte sul marmo bianco.
Olio.
Era di nuovo in trappola.
“Bene, bene… il gregge di agnellini spinge il lupo nella rete, vedo,” disse rivolgendosi a qualcuno che sapeva essere di fronte a sé. “Sfortunatamente per voi, le corde troppo sottili non resistono agli artigli del predatore.”
Jake e Christian emersero dall’oscurità accendendo i grossi ceri ai lati dell’altare. Jake scrutava impassibile quell’essere malvagio, sforzandosi con tutto se stesso di reprimere un brivido.
Qualunque cosa lui dica, non devi prestargli ascolto.
Erano state queste le parole di Christian.
La sua opera di distruzione comincia con l’individuare i tuoi punti deboli, le tue paure e le tue preoccupazioni. Dimostrati forte e sicuro, non lasciarlo entrare a distruggerti. Non temere, ci sarò io al tuo fianco.
Deglutendo la poca saliva rimasta nella bocca secca, Jake si avvicinò impercettibilmente al compagno, senza mai staccare gli occhi dal nemico. Non si era certo aspettato di ritrovarsi di fronte un bambino di appena undici o dodici anni.
“Tu devi essere Jake. Alfine ci incontriamo,” cinguettò allegramente il ragazzino dagli occhi azzurri, che con un guizzo si spostarono poi su Christian. “La tua nonnina è in casa?”
Christian non lo degnò di una risposta. Non lasciava trasparire alcuna emozione dai suoi lineamenti, ma Jake poteva percepire chiaramente la sua agitazione. Gli si avvicinò, afferrandogli la mano e stringendola forte.
Asmodeo restò a squadrarli in silenzio; poi la sua attenzione fu attratta da un rumore di passi strascicati.
“Ethel,” sibilò, scorgendo la vecchia spuntare da una nicchia laterale. “Quanto tempo. Vedo che ti sei lasciata un po’ andare, dopo la nostra separazione.”
Approfittando della momentanea distrazione del demone, eccitato nello scorgere finalmente la preda a lungo agognata, un piccolo animaletto dalla pelliccia macchiata di grigio balzò fuori da dietro un bancone alle sue spalle e gli si avventò addosso, strisciandogli in men che non si dica attorno al collo e addentando la cordicella che portava appesa. Asmodeo si divincolò, irato, e scaraventò il furetto a diversi metri di distanza. Jake e Christian accorsero ad aiutare il famiglio, che nell’impatto violento col pavimento duro aveva perso i sensi. Un intenso sibilo ferì loro le orecchie. Esso si trasformò poi in una risata, facendo venire a Jake la pelle d’oca.
“Che intendete fare con quella? Devo ammettere che è un oggetto interessante. Quella vecchia sapeva il fatto suo, è stato un peccato doverla togliere di mezzo.”
Asmodeo rimase a squadrarli, gli sfavillanti occhi di perla che celavano un’ombra minacciosa.
“Jake, dimmi… il tuo amico qui ti ha raccontato tutta la storia della tua infanzia?” sibilò il bambino in tono innocente. “Lo sai cosa è accaduto alla tua famiglia per colpa sua e di quella strega di sua nonna?”
Jake si sforzava di non ascoltare le parole maligne di Asmodeo. Avrebbe desiderato distogliere lo sguardo, voltarsi dall’altra parte e tapparsi le orecchie, ma era rimasto incantato a fissare quel paio di iridi cristalline che risplendevano di fronte a lui come raggi di luna in una notte limpida. Erano differenti, però, dalle soffici sfumature di luce negli occhi verdi di Christian. Non avevano la stessa vivace animosità, in confronto parevano due gemme incastonate in un paio di orbite vuote; gemme meravigliose e affascinanti che dispensano promesse di ricchezza, ma pur sempre gelide pietre sterili.
Sentì Christian al suo fianco stringergli più forte la mano. Si voltò, ma il ragazzo non ricambiò lo sguardo.
Dimostrati forte e sicuro.
“So ogni cosa,” rispose Jake a voce alta. “Mi hanno raccontato ciò che è successo diciotto anni fa a causa tua.”
Il demone rise.
“A causa mia, dici. E dimmi, Jake… i tuoi amici al convento dovrebbero averti indottrinato a dovere su questi argomenti… che significato ha per te il male?”
“Il male?”
“Già. Prova a rispondere.”
Jake ci rifletté per un momento.                                                                                                     
“Tutto ciò che ostacola la vita è male. Dovresti saperlo bene, dal momento che tu lo personifichi alla perfezione.”
“Risposta esatta, ragazzo,” lo lodò il demone. “Io sono il male. Non puoi attribuire a me la colpa di ciò che è avvenuto quel giorno. Se lo fai, non ne usciremo mai. Perché mentre tu hai i tuoi cosiddetti valori, anche io ho i miei. E non importa quanto ci provino, bene e male non possono annientarsi a vicenda. Ma d’altra parte, dal momento che esiste il bene ed esiste il male, il lato positivo è che l’uomo ha la possibilità di scegliere. Non trovi?”
Jake non capiva dove volesse arrivare. Perché stava perdendo tempo a discorrere di quegli argomenti complicati con lui?
Sta giocando con la preda, pensò poi rabbrividendo.
“C-credo sia così…” balbettò.
“Andiamo,” ridacchiò Asmodeo. “Non è su questo che si basa tutta la vostra fede?”
Poi, improvvisamente, ridivenne serio.
“Come ho detto, alle persone è concessa la possibilità di compiere una scelta… in genere. Tu non l’hai avuta. E chi credi sia il responsabile? Io… o loro?”
“Quello che dici non ha alcun senso per me…” si affrettò a protestare il ragazzo, percependo un lieve tremore nelle dita che stringevano le sue.
“Ah, no?” rise ancora una volta il demone. “Se quella vecchia avesse accettato la morte di suo nipote come un fenomeno puramente naturale - perché è di questo che si tratta, non c’era di certo la mia impronta - allora io non sarei qui. Tu saresti cresciuto come un ragazzo normale, circondato dall’affetto di una famiglia, vivendo in un mondo ricco di meraviglie e possibilità. Saresti stato libero di diventare ciò che più avresti desiderato, compiendo la tua scelta e potendo vivere così nella luce che tanto ami. E invece eccoci qui… bloccati in questo buco tenebroso senza la prospettiva di una via d’uscita.”
“Sei tu l’unico ad essere bloccato, Asmodeo!” urlò Jake, non riuscendo per qualche motivo a trattenere la rabbia.
Sempre la stessa risata di bambino risuonò con un’eco lugubre.
“Ne sei convinto?”
Un fragore di tempesta riempì l’ambiente, crescendo d’intensità ad ogni secondo che passava.
“Ammettilo, lo so che dentro di te esiste questo pensiero,” insistette il demone. “Devi sapere che anche io amo la lettura, proprio come te. L’animo umano per me è come un romanzo. E, come per molti dei tuoi preziosi libri, spesso la copertina trae in inganno. Credimi, le tue debolezze sono molte più di quello che vuoi tentare di farmi credere. Molte più di quante immagini. Non puoi ingannarmi, io ho un’abilità innata per leggere tra le righe.”
Distogliendo il suo sguardo da quello ipnotico del demone, Jake cercò disperatamente il bagliore verde degli occhi di Christian, certo che quello avrebbe dato sollievo al disagio in cui si trovava. E così fu. Ma nelle iridi fuggevoli dell’amico, Jake poté intravedere chiaramente anche una profonda tristezza. E si rese conto che le parole di Asmodeo avevano avuto più effetto su di Christian che non su di lui, tormentando il ragazzo con mille sensi di colpa.
Jake strinse più forte la sua mano, dando voce con rabbia ai suoi veri pensieri.
“Come avrebbe potuto andare diversamente? Come avrebbe potuto Ethel lasciar morire suo nipote, sapendo che forse sarebbe riuscita a salvarlo? Sembra che tutti le rinfaccino di aver fatto quel che ha fatto, eppure è solo merito suo se lui è qui ora. Non ne so molto di magia, ma… dal momento che di solito lo scopo è uccidere la gente, trovo che il suo tentativo si sia rivelato proprio un enorme successo.”
Un velo d’ira calò all’improvviso sugli occhi di Asmodeo. Il vento all’esterno aumentò di potenza.
“Non solo,” proseguì Jake, determinato. “La mia vita non è stata affatto un inferno. È vero, a volte mi sarebbe piaciuto poter godere di maggiore libertà, o avere un passato, per quanto cupo, cui aggrapparmi… ma in qualche modo, ho sempre saputo di non essere solo.” Jake ridacchiò tra sé e sé, volgendosi verso l’amico. “Sembra incredibile, eppure è così. Se penso a quante storie straordinarie ho vissuto, a quali luoghi meravigliosi ho esplorato, e a quante notti insonni ho trascorso vivendo le più disparate avventure… e in tutto ciò, c’era sempre qualcuno al mio fianco. Christian c’è sempre stato… solo, non lo conoscevo ancora. E adesso che l’ho finalmente incontrato, non m’importa un accidente se dobbiamo vedercela con il nostro passato. Abbiamo già affrontato molti pericoli insieme, ricordi? Ce la caveremo anche stavolta.”
Con grande sollievo, Jake vide che ogni traccia di incertezza era svanita dalle iridi verdi del ragazzo; vi rimaneva solo quel consueto guizzo di luce, che pareva aver ora assunto una tinta in qualche modo più calda. Qualcosa di inaspettato spiccò un balzo nel petto di Jake quando le labbra di Christian si incurvarono appena in un sorriso colmo di gratitudine.
Gemendo per il dolore e sostenuto dalle braccia dei due ragazzi, Matt si alzò a sedere, la collana con la fiala d’energia ancora stretta tra le dita. Christian gliela strappò di mano, consegnandola a Jake.
“Dovete uscire di qui in fretta,” gli sussurrò. “Dubito che abbia più molta voglia di parlare, dopo l’attacco subìto. Seguite il piano: ingoiate questa roba, datemi un minuto e poi pronunciate la formula. Nel frattempo io mi occuperò del resto.”
“Christian…”
“Avanti, ne abbiamo già parlato. Me la caverò, quindi ora concentrati su quello che devi fare.”
“Sentiamo, vecchia,” continuò Asmodeo rivolgendo a Ethel un’occhiata colma d’odio. “Che incantesimo conti di fare? Lo sai, su di me ce ne sono pochi che funzionano. Hai commesso un errore imperdonabile anni fa, quando mi hai ripudiato. Ma tant’è… ora pagherete tutti.”
Con un sibilo acuto, il vento tagliò come una lama la solida roccia del soffitto della chiesa. Una crepa cominciò ad allungarsi serpeggiando verso il pentagramma scuro.
“Ethel, presto, dobbiamo uscire!” gridò Jake alla donna accanto a lui, posandole una mano sulla spalla.
La vecchia si voltò, mostrandogli uno sguardo spento e colmo di stanchezza.
“Io resto qui, Jake. Ti farò guadagnare un po’ di tempo. Ti ho insegnato la formula, perciò va’, metti fine a questa storia.”
Rimasto senza parole, Jake si sentì tirare con forza verso il portone serrato. Matt, ripresosi dalla botta, ci si scagliò contro con tutto il proprio peso, e subito una violenta folata di vento gelido li investì con prepotenza. Si trascinarono avanti, addossati al muro niveo, svoltarono l’angolo, ma la corrente li sballottava provenendo da ogni dove. Poi, come per incanto, il vento si placò.
 
“Pensate di poter scappare ancora per molto?” domandò Asmodeo avanzando a lenti passi in direzione della vecchia.
Il soffitto adesso era tagliato trasversalmente da una sottile crepa, che spezzava esattamente a metà il simbolo sulla pietra.
“Credi che sacrificando la tua vita per dare a quel ragazzo un po’ di tempo tu possa riscattarti per l’errore che hai commesso in passato?”
“Hai sentito cos’ha detto Jake, non è stato un errore,” replicò Ethel indietreggiando lentamente. “È merito mio se Christian è qui, e Dio solo sa quale gioia io abbia provato nel rivederlo.”
“Non c’è bisogno che mi ringrazi,” ridacchiò il demone. “Sai com’è, ho pensato di farti un piccolo regalo, in memoria dei molti anni passati insieme.”
La donna si fermò. Era con le spalle al muro.
“C-che vuoi dire?”
Asmodeo si voltò ad osservare Christian con un sorriso sornione.
“Davvero credevi di essere uscito dalla tua cella tutto da solo?”
Christian aprì la bocca. Le labbra gli tremavano.
“Ho pensato che sarebbe stato divertente vederti stravolgere la vita di quel ragazzo. Inoltre, ero certo che saresti andato subito alla ricerca della tua cara nonnina, cosa che mi si è rivelata alquanto utile. L’aver incontrato quel famiglio, poi, è stato un autentico colpo di fortuna.”
“Tu… sei stato tu…?” balbettò Christian, gli occhi sgranati per lo shock.
“Ma certo. Onestamente non mi aspettavo che fraternizzaste così tanto. Siete una coppietta davvero adorabile… immagino già come potrà sentirsi Jake una volta che gli avrò portato via ogni affetto a lui caro. Forse, alla fine, potrei anche decidere di lasciarlo vivere. Potrebbe rivelarsi una punizione perfino più interessante, non credi?”
Il demone tornò a dirigersi verso la vecchia. Un lampo assassino gli balenò negli occhi, mentre la bocca si contorceva in un sorriso spaventoso.
Christian lo aggredì alle spalle. Gli si lanciò contro con tutte le sue forze, e i due finirono distesi sul freddo pavimento della navata. Estraendo il coltello di cui si era munito, il ragazzo cominciò ad incidere sul braccio del bambino il simbolo per l’incantesimo, ma quello si divincolò con una forza inimmaginabile e lo scaraventò addosso all’altare, abbattendo uno dei ceri, che si spense addosso al tabernacolo decorato in oro.
Asmodeo si rialzò. Si diede un’occhiata alla ferita, poi fulminò con lo sguardo la donna ancora incollata al muro.
“L’incantesimo di legame?” sibilò. “È questa la vostra brillante idea?”
La reazione furiosa del demone rincuorò la vecchia, che ebbe la certezza della validità del loro piano. Le labbra della donna si incurvarono in un sorriso rugoso, mentre si lasciava scivolare a terra contro la parete.
Il demone le si precipitò addosso fremendo di rabbia, e in un attimo la vita della vecchia fu tranciata di netto insieme alla giugulare.
Christian si rialzò barcollando. Due rossi rivoli di sangue gli colavano dalla fronte e dal naso. Stringeva ancora il pugnale, fronteggiando il nemico che aveva davanti.
Con le mani imbrattate di sangue e una scintilla di follia negli occhi chiari, Asmodeo si voltò a guardare il ragazzo ferito. Lo squadrò in silenzio per diversi momenti, dopodiché si avviò a passo deciso verso il portone in fondo alla navata.
“Con te non vale la pena di perdere tempo. Una volta che il tuo amico sarà stato sgozzato, tornerai con me nel buco da dove sei uscito. Avrai modo di assaporare l’oscurità più fitta, dopo che il tuo raggio di sole sarà tramontato.”
Il demone spalancò il portone pesante, intenzionato a lasciare quel posto e seguire la scia della preda in fuga, ma… non poté farlo. Qualcosa lo tratteneva all’interno di quelle mura, una forza invalicabile che gli impediva ancora una volta di compiere la sua vendetta. Asmodeo ringhiò come un cane rabbioso, e un uragano tornò a scuotere gli alberi e squassare i tetti delle case… ma dopo un istante si quietò.
“Credevi davvero che avremmo tentato di mettere in gabbia il lupo usando una rete tanto fragile?”
La voce di Christian risuonò forte e colma di determinazione con un cupo rimbombo.
“Eri in trappola già prima di accorgertene. Beh… lo eravamo entrambi.”
 
Al riparo del cerchio di alberi adiacenti alla chiesetta, appena fuori dal pentagramma tracciato dalla spessa corda tesa tra i cinque picchetti piantati in profondità nel terreno, Jake aveva voglia di urlare. Sentiva il sale delle lacrime bruciare come fuoco dietro alle sue palpebre chiuse, mentre stringeva i denti per rimandarle indietro. Schiacciato dal peso invisibile che gli aveva gravato sulle spalle fino a quel momento, Jake si inginocchiò sull’erba soffice, schiuse il pugno e rivelò la sottile fiala traboccante di energia demoniaca.
“Avanti, ragazzo.”
Matt si era materializzato al suo fianco, il respiro affannoso e i capelli grigi più scompigliati del solito.
“Aprila.”
“Matt…”
L’uomo gli strappò l’oggetto di mano, gli strinse forte una spalla e lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi.
“Non voglio sentirti dire una sola parola. Io non sono un tuo amico, ok? Né tantomeno il tuo animaletto da compagnia. Se decido di fare questa cosa, adesso, è solo perché odio con tutto il cuore quel dannato bastardo che ha ucciso la mia padrona, e perché Gilda mi ha ordinato di aiutarvi a portare a termine la vostra impresa.”
L’uomo stappò il contenitore e lo porse a Jake.
“Perciò ora fai quello che abbiamo deciso, e non azzardarti a versare una sola lacrima per me. Intesi?”
Annuendo con scarsa decisione, Jake prese la fiala e contemplò il fluido opalescente che pareva vorticarvi all’interno. Poi spostò lo sguardo verso il portone chiuso dell’edificio ora silenzioso, chiedendosi con angoscia cosa vi stesse avvenendo all’interno.
“Matt, credi che Christian sia riuscito a… Asmodeo non gli avrà fatto del male?”
“Sono sicuro che in qualche modo sarà stato capace di avere la meglio. Quel… ragazzo… ti vuole bene, Jake. Te ne vuole davvero, lo si capisce da lontano. Se si comportava in modo tanto distaccato, era solo perché temeva che tu ce l’avessi con lui per via di ciò che è successo. Ma ora che sa come stanno le cose, ora che sa di avere il tuo affetto, sono certo che farà l’impossibile pur di difenderti da Asmodeo.”
Asciugandosi con il dorso della mano una lacrima fuggitiva, Jake sollevò gli occhi al cielo plumbeo e sospirò profondamente. Una nuova alba stava sorgendo dalle tenebre cosparse di rade stelle.
“Grazie di tutto, Matt,” mormorò poi al famiglio, e si portò la fiala alle labbra.
Un improvviso soffio di vento lo colpì in pieno volto scaraventandolo con violenza contro il tronco di un abete. La fiala gli venne strappata prepotentemente di mano, andando a rovesciarsi a terra e disperdendo in uno sbuffo etereo il contenuto volatile.
 
Il ragazzo gli si scagliò contro ancora una volta con la lama protesa, aggrappandosi al corpo del demone con tutte le proprie forze. Venne nuovamente respinto, rotolando sul pavimento di marmo finché lo spigolo smussato di un bancone non ne arrestò la corsa.
“Davvero credi di potermi tenere testa, sputo insignificante? Non ho mai avuto intenzione di accanirmi contro di te, Christian. Però sai, ora che hai un corpo in carne e ossa, anche tu potrai provare la sensazione dolorosa di quando ti taglierò la gola. Proprio come la tua nonnina, agonizzerai come un animale sgozzato finché non annegherai nel tuo stesso sangue, per poi tornartene strisciando nel tuo buco sottoterra.”
Asmodeo si avventò contro Christian come un gatto su di un topolino, soffiando e sibilando per la frustrazione dell’essere stato nuovamente preso in trappola. Rotolando su un fianco, il ragazzo riuscì a scansarsi appena in tempo, e con grande fatica si rimise in piedi. Un istante dopo, Asmodeo si lanciò nuovamente all’attacco, e Christian dovette gettarsi a terra per evitarlo. Per lo slancio furioso della carica, il demone travolse in pieno un piedistallo di granito, abbattendolo e facendo infrangere a terra la piccola vasca che sorreggeva. Schizzi di fuoco cominciarono a divorare la pelle di Asmodeo al contatto con l’acqua santa della fonte distrutta. Un urlo straziante risuonò per la chiesa, che subito si tramutò in un ringhio feroce.
Approfittando della distrazione momentanea, Christian gli si fiondò ancora una volta addosso con la lama spiegata. Ma la furia assassina di Asmodeo era cresciuta a dismisura in seguito al dolore acuto. Il demone si voltò di scatto, intercettando l’azione del ragazzo. Gli afferrò il braccio proteso verso di lui, storcendogli con forza il polso come un ramoscello. Il coltello cadde a terra, roteando su se stesso e fermandosi ai piedi della statua di un angelo dalle candide ali spiegate al volo. Cinque dita gelide si strinsero come una tenaglia attorno al collo di Christian, sbattendogli la testa contro il muro con tanta violenza che la sua vista si oscurò per diversi secondi.
Poi, di colpo, un tremore parve risalire dalle profondità della terra, scuotendo l’edificio dalle fondamenta. Un fragore di schianto riempì l’aria, e in pochi secondi tre delle quattro pareti furono completamente crollate seppellendo ogni cosa e sollevando una nuvola di polvere.
Ripresosi dal forte urto, Christian tentò di mettere a fuoco il segno sanguinante sul braccio dell’avversario, simbolo magico destinato ad un incantesimo che non sarebbe mai stato compiuto. Larghe macchie nere iniziarono ad oscurargli la vista, rendendogli gli arti inerti e strappandogli la lucidità. Nell’ultimo sottile spiraglio rimasto, Christian ebbe l’impressione di distinguere un chiarore in lontananza brillare sempre più intensamente. Proprio quando fu sul punto di perdere conoscenza, il giovane sentì la presa micidiale che gli stritolava il collo allentarsi di colpo. Cadde a terra, tossendo e annaspando in cerca d’aria. Quando riacquisì la sensibilità, percepì qualcosa sotto le sue dita; il coltello, chissà come, era tornato nelle sue mani. Alzò gli occhi davanti a sé, e vide Asmodeo fissarlo come in trance. Le sue labbra sottili erano prive di colore e tremavano lievemente, negli occhi sgranati regnava il terrore. Il bambino crollò a terra di fronte a lui.
Una figura vestita di scuro si ergeva alle sue spalle. I capelli lunghi le fluivano dal capo scoperto, e in una mano teneva una boccetta colma di un inchiostro color porpora.
Con un forte colpo di tosse, il ragazzino dai capelli neri si contorse in uno spasmo, attirando nuovamente l’attenzione di Christian su di sé. Il ragazzo rafforzò la presa sul pugnale. Il flebile suono di un lamento simile ad un pianto proveniva dalle labbra socchiuse del bimbo, e grandi lacrime cominciarono a bagnargli il volto sottile. Qualche parola sconnessa e priva di senso usciva dalla sua bocca, scandita dal rumore dei denti che battevano e stridevano violentemente.
Christian sollevò nuovamente lo sguardo verso la donna misteriosa. Gli stava sorridendo. In un soffio fu al suo fianco, guidandogli la mano che stringeva il coltello a portare a compimento la sua missione.
Appena la punta del pugnale affondò di qualche millimetro nella carne candida, un urlo straziante - ma indubbiamente umano - gli ferì le orecchie. Quand’ebbe terminato di tracciare il segno dell’incantesimo, una debole luminescenza ne percorse il solco. Christian ricordò le parole della vecchia.
Bisogna tracciare questo simbolo, dopodiché il ‘sacrificio’ deve assaggiare il sangue del ‘bersaglio’, perché i due possano essere definitivamente legati.
Con un dito fermò la corsa di un rivolo di sangue che stava colando dal braccio del bambino, portandoselo poi alle labbra. Con un ultimo intenso sfavillio, il marchio tornò rosso come il sangue, e il pianto del bambino cessò in quello stesso istante.
Christian si voltò a guardare la donna, aspettandosi un segnale o un’indicazione. L’unica risposta che ottenne fu un altro sorriso, più radioso del precedente, e prima che la ragazza svanisse nell’aria Christian giurò di udire una parola riecheggiargli nelle orecchie sovrastando il pianto del piccolo.
Grazie.
 
Ripresosi dal potente schiaffo ricevuto, Jake si massaggiò la nuca e si guardò intorno. Matt era sparito. Cercò disperatamente la fiala scivolatagli di mano, col cuore che gli martellava nel petto come mai prima d’allora. Il fiato gli si bloccò in gola per un lungo momento quando finalmente le sue dita trovarono l’oggetto di vetro e vide che il tappo era magicamente tornato al suo posto. Lo strano fluido aveva cambiato colore, ma Jake non ci fece troppo caso e si affrettò ad ingoiarlo tutto d’un fiato.
 
“Cos’era quell’essere?”
Rialzatosi dal pavimento, Asmodeo volse il capo a perlustrare l’ambiente, alla ricerca della donna che l’aveva messo temporaneamente fuori combattimento.
Christian si pulì la bocca dal sangue coagulato e sorrise.
Il demone si esaminò il braccio, constatando che il simbolo del ‘bersaglio’ era completo.
Con un sibilo assordante, Asmodeo tornò a rivolgere un’occhiata traboccante d’ira al ragazzo, minacciandolo di un attacco che non sarebbe mai avvenuto.
Un nuovo terremoto squassò la terra sotto i loro piedi. Asmodeo si girò con uno scatto felino fiondandosi verso l’esterno, superando le mura ridotte ormai in macerie.
 
Quando la terra cominciò a tremare, Jake aveva appena terminato di pronunciare la breve formula che aveva incisa nella memoria. Non appena risollevò lo sguardo verso quel che rimaneva della vecchia chiesetta, il giovane scorse qualcuno venirgli incontro. Era Asmodeo.
Preso dal panico, il ragazzo balzò in piedi. Ma il demone fu costretto a fermarsi all’interno del simbolo a cinque punte, non più distante di una ventina di metri dal punto in cui si trovava lui.
Dov’è Christian?
Fu il primo pensiero distinto che emerse dalla confusione caotica della sua mente.
Jake provò un grandissimo sollievo quando vide una seconda figura emergere dal cumulo di pietre ancora fumante. Poi venne quasi scaraventato a terra da una scossa potente. Sembrava che qualcosa rimasto a lungo sepolto negli abissi infernali stesse premendo per uscire in superficie.
Jake vide Christian scagliarsi contro Asmodeo a capofitto, urtandolo con una forza tale da farlo volare per alcuni metri. Un secondo dopo quello si rialzò, e uno scossone più violento fece crollare ciò che restava dell’edificio alle loro spalle.
Una crepa si aprì nel terreno a un paio di metri da Jake, allargandosi fino ad inghiottire i ciuffi d’erba che crescevano in superficie.
Il giovane percepì una potente scarica di adrenalina. Si frugò in tasca, estraendone un foglio ingiallito che la vecchia Ethel aveva strappato da un libro e gli aveva consegnato.
Una volta che avremo completato l’incantesimo, dovrete pronunciare un esorcismo potente.
Era stata questa la raccomandazione di Christian.
In questo modo me ne andrò trascinandomi dietro Asmodeo senza che venga fatto del male a Thomas. Non voglio che questo povero ragazzo perda la vita per colpa mia.
Con le dita pervase da un tremito, Jake iniziò a pronunciare ad alta voce le parole scritte in elegante grafia.
Il vento cominciò ad intensificarsi, facendo stormire le fronde contro l’oriente rosato. Ma nulla di più forte di un gradevole venticello turbò la quiete del bosco.
Asmodeo si scagliava verso Jake con scatti rabbiosi, costretto a rimanere all’interno del cerchio che non riusciva a rompere. La sua frustrazione trovava sfogo in un fischio lacerante. Il demone ormai sapeva di non possedere energia a sufficienza per liberarsi. Apparentemente, qualcosa doveva avergli risucchiato gran parte dei suoi poteri.
Ormai impotente, rivolse uno sguardo disperato in direzione di Christian.
“Finisci pure la tua lettura,” urlò a Jake. “Avanti, esorcizzaci entrambi. Di’ un po’, chi ti resterà una volta che avrai segregato il tuo unico amichetto nelle profondità più buie dell’Inferno? Non hai più nessuno a questo mondo, lo sai bene!”
Il giovane si sforzò di ignorare le sue provocazioni, ma un nodo in gola gli impedì di scandire bene le solenni parole.
Un brontolio crebbe d’intensità. Il terreno di solida pietra su cui si ergeva la chiesetta tremò, sollevando altre nuvole di polvere e detriti dalle macerie.
Lo sguardo di Christian volò ai picchetti piantati nel terreno; uno di essi si stava piegando sempre più, minacciando di interrompere il sigillo. Il ragazzo si lanciò gridando verso il punto più vicino all’amico che potesse raggiungere.
“Jake! Finisci l’esorcismo, presto! Fa’ come ti dico, ti prego! Lo sai benissimo che tutto quello che dice è falso!”
Asmodeo gli fu addosso. Lo scaraventò a terra, gettandogli le mani alla gola per costringerlo a tacere.
“Avanti, Jake, lo sai che non sei solo! Pensa a Thomas! Salv-”
Il demone lo scagliò con forza contro un masso imponente, troncandogli le parole in bocca.
Con le lacrime che minacciavano di privarlo della vista, il ragazzo si costrinse a continuare. Terminò la preghiera, e all’istante ogni suono si quietò. Anche la terra parve placarsi, e dopo qualche istante nel silenzio più assoluto, un grillo solitario attaccò la sua sinfonia dall’altro capo dello spiazzo erboso.
Jake si asciugò gli occhi con il dorso della mano. Scrutò la radura adesso silenziosa, non scorgendo più alcun segno di movimento. Si alzò in piedi con le gambe che gli tremavano forte, corse di fronte alle macerie, varcando un poco esitante le linee ancora fisse al suolo. Un lamento si levò da un punto alla sua sinistra. Accorse verso la fonte del rumore, ma si immobilizzò ritrovandosi davanti un bambino accasciato a terra, raggomitolato su un fianco, che singhiozzava sommessamente con le mani premute sugli occhi. Subito si rese conto che Asmodeo doveva aver abbandonato il corpo del piccolo, e pensò di avvicinarglisi… quando udì un suono ancora più flebile provenire dalle rovine polverose. Immediatamente si fiondò alla ricerca dell’amico, scoprendo un corpo gettato scompostamente ai piedi di quello che restava dell’altare scheggiato. Il volto era per metà coperto di sangue, un polso evidentemente spezzato e una gamba piegata in un’angolazione inquietante. Ma un gemito proveniva distinto dalle sue labbra gonfie. Era ancora vivo. Jake gli si avvicinò. Gli sollevò la testa sorreggendogli delicatamente la nuca e gli scostò una ciocca di capelli intrisi di sangue dal viso. Strappato un lembo della manica del suo vestito, Jake si affrettò a tamponare la ferita ancora sanguinante che gli si apriva al centro della fronte, pregando con tutte le sue forze che i suoi occhi si riaprissero e che potesse vedere quella meravigliosa luce ancora una volta.
“Christian…” chiamò in mezzo ai singhiozzi. “Christian, ti prego…”
I due occhi si riaprirono piano. Erano occhi scuri, di una gradevole sfumatura nocciola resa opaca dalla semincoscienza.
“Christian…? Io… mi chiamo Thomas…” mormorò il ragazzo prima che le palpebre ridiventassero troppo pesanti.
Jake lo strinse a sé. Con la mano premuta a fermargli la fuoriuscita di sangue, gli posò un bacio sui capelli sporchi, levando poi al cielo ormai chiaro gli occhi lucidi.
“Cosa… cosa è successo?” chiese ancora il ragazzo con un filo di voce.
“Vedrai, andrà tutto bene.”
Una lacrima cominciò a percorrere la guancia di Jake, incurante del sorriso che gli incurvava lievemente le labbra sottili.
“Andrà tutto bene.”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3670584