Lullabies and Hand Grenades di laylabinx (/viewuser.php?uid=968215)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La definizione di compromesso ***
Capitolo 2: *** Di colori a dita e orsacchiotti ***
Capitolo 3: *** Racconti della buonanotte ***
Capitolo 4: *** Avventure al supermercato ***
Capitolo 5: *** Ninna nanna russa ***
Capitolo 6: *** Loki'd ***
Capitolo 1 *** La definizione di compromesso ***
cap 1 trigger
Capitolo
1: La definizione di "compromesso"
«Sarà
meglio che qualcuno mi dia delle maledette risposte o
inizierò a
fare tiro al
bersaglio usando gli agenti come sagome,»
ruggisce James mentre
si fa strada
attraverso l'ufficio. I due agenti al suo fianco fanno un passo
indietro lasciando all'ex assassino tutto lo spazio che gli serve, per
paura che alla
minaccia possano seguire i fatti.
Fury
alza lo
sguardo su di lui, per nulla turbato. «Non
sarà affatto necessario, Agente
Barnes.» Fa un cenno col capo e indica la sedia dalla parte
opposta della scrivania. «Accomodati
pure.»
«Preferisco
restare in piedi,» replica James. Le parole fendono l'aria
come lo
schiocco di una frusta.
«Come
vuoi. Tutto bene
durante il volo?»
«Dai
un
taglio ai convenevoli, Fury,» ribatte James, resistendo
all'impulso di mettergli
le mani intorno al collo. «Sai perché sono
qui.»
Fury
annuisce. «Sì. E sarò felice di
rispondere a tutte le tue
domande, quando avrai messo giù la pistola.»
Solo
allora James
si rende conto che la mano sinistra si è in qualche modo
stretta intorno al
calcio dell'arma. Si costringe a lasciare la presa e torna a fissare il
direttore. «Voglio sapere dov'è Steve.»
«È qui,»
dice Fury, ma qualcosa nella sua voce fa sussultare lo stomaco di James.
«È morto?»
chiede l'altro con la gola quasi chiusa dall'ansia.
«No,»
risponde Fury scuotendo la testa. «Il Capitano Rogers
è vivo e sta bene. È qui sull'helicarrier.»
James
spalanca
gli occhi, sorpreso. Per le ultime otto ore si è preparato a
una risposta contraria,
si è preparato ad affrontare il peggio. È stato
un lungo, lungo viaggio e
man mano che le ore passavano lui diventava sempre più
ansioso. Era in missione
insieme al suo team per intercettare un carico di armi a Francoforte
quando
aveva ricevuto il messaggio.
"Rogers
è
stato compromesso. Ritorna immediatamente."
Un
singolo messaggio e James si era sentito come se il mondo gli fosse
crollato
addosso. Conosce abbastanza lo S.H.I.E.L.D. e l'organizzazione interna da sapere che "compromesso" è una parola
che nessuno vorrebbe mai associare a un agente. Compromesso
può avere una
miriade di definizioni diverse, nessuna delle quali positiva.
Compromesso può
significare scomparso o catturato o tenuto in ostaggio. Compromesso
può
significare ferito o malato o in pericolo. Compromesso può
significare morto.
Il
messaggio
non dava nessun'altra informazione ed era stato inviato da una linea
prontamente resa irrintracciabile appena terminata la trasmissione.
Dallo S.H.I.E.L.D.
non avevano risposto alle sue chiamate e tutti i suoi tentativi di
ottenere
maggiori dettagli erano andati a vuoto. Steve era stato compromesso
(ferito/disperso/morto)
e lui era dall'altra parte dell’Oceano.
Si
era
imbarcato sul primo volo diretto negli Stati Uniti nel giro di un'ora,
deciso a
cercare di ottenere informazioni e sempre più disperato man
mano che l'attesa
aumentava. Steve aveva bisogno di lui, poteva essere ferito o disperso
o morto
e nessuno rispondeva alle sue telefonate per spiegargli esattamente
cosa fosse
successo. Quando aveva lasciato Francoforte era preoccupato; adesso,
raggiunto
l'ufficio
di Fury, è fuori di sé dal nervoso.
«Quindi
sta bene?» chiede James poco convinto, perché
è chiaro che Fury stia
nascondendo qualcosa. Solo che non sa di preciso cosa.
«Sì,»
risponde ancora il direttore.
«Non
è
ferito? Nessuno lo tiene in ostaggio? Non è che qualcuno
l'ha colpito alla
testa con quello stupido scudo?!»
Fury
scuote il capo per ogni domanda che gli viene rivolta. «Posso
assicurarti,
Agente Barnes, che Steve Rogers è vivo e sta bene.»
James
è sul
punto di scoppiare. «Allora ti spiace spiegarmi
perché dallo S.H.I.E.L.D.
avete sentito il bisogno di mandarmi uno dei messaggi più
criptici che abbia
mai letto in vita mia?»
Fury
si
allontana dalla scrivania e si dirige verso la porta. «Credo
sia meglio
che tu mi segua.» Passa accanto a James e l'altro lo segue
senza
replicare, nonostante il nervoso e l'impazienza.
«Ma
se
Steve non è stato rapito o torturato e "sta
bene", come dici tu, cosa significa
che è stato compromesso?» mormora James, intanto
che segue Fury lungo i
corridoi dell'helicarrier. «Perché mi sembra
chiaro che abbiamo due
interpretazioni diverse per la stessa parola. "Compromesso" in genere
non vuol
dire "sta bene", non nel mio vocabolario.»
«Su
questo hai ragione, Agente Barnes,» gli dice Fury mentre lo
guida
attraverso il cuore dell'helicarrier e poi giù fino
all'infermeria. Che non è
mai un buon segno. «La mia definizione di "compromesso"
è differente dalla tua e ho le mie buone ragioni. Con tutto
quello che lo S.H.I.E.L.D.
ha dovuto affrontare, per noi il termine "compromesso" è
più
universale. Molti dei nostri agenti possono essere perfettamente
incolumi ma
anche compromessi, dipende da quello che stavano facendo e da come si
è
modificata la situazione.»
Le
porte scorrono, si aprono con un whoosh meccanico
e Fury avanza all'interno. «Dire che "sta bene" è
relativo alla sua
condizione qui, sulla nave. Quando dico che Steve Rogers sta bene
significa
che fisicamente è sano, illeso ed è qui con noi.
Ma, nonostante tutto, è stato
di sicuro compromesso.»
«Che
in
pratica vuol dire...?»
«Vuol
dire vieni con me,» dice Fury continuando a fargli strada
verso alcune
delle stanze riservate, in fondo all'infermeria.
«Fury,
giuro su Dio...»
«Giura
su chi ti pare,» ribatte Fury con noncuranza e di nuovo James
deve
trattenere la voglia di prenderlo a pugni. «Ma faresti meglio
a
specificare a quale dio ti riferisci. A quanto pare ce ne sono in giro
un po'
di più di quanti immagineresti.»
Si
ferma
davanti a una delle stanze, la porta è chiusa ma le tendine
sono abbastanza
scostate da permettere di sbirciare all'interno. Ci sono alcune
infermiere
attorno al letto, che impediscono di vedere il paziente. James
è quasi sul punto
di fare irruzione ma quando riesce a intravedere chi c'è
sulla brandina si ferma di
colpo. «Pensavo mi stessi portando da Steve, non all'asilo
dello S.H.I.E.L.D. .»
Fury
non
sembra scomporsi. «Guarda meglio.»
James
lascia
scappare un sospiro insofferente, poi fa come gli viene detto e guarda
di nuovo.
Il paziente nella stanza è seduto sul letto, gli occhi
azzurri spalancati e
curiosi osservano le infermiere intorno a lui. I capelli biondi sono
più lunghi
di quanto James ricordasse e gli ricadono disordinati sulla fronte in
una
zazzera di seta di mais. È tranquillo e pensieroso, le mani richiuse
in grembo
e i piedi nudi che penzolano dal bordo intanto che le infermiere
continuano a fare avanti e indietro. È
decisamente Steve Rogers ed è
perfettamente sano, come aveva detto Fury. Il problema è che
ha l'aspetto di un
bambino di tre anni.
James
boccheggia per alcuni secondi. «Che cosa diavolo è
quello?!» domanda
gesticolando in direzione della porta. «Hai
detto che stava bene, perché invece non mi hai detto che
è stato trasformato in
un moccioso?»
Lo
sguardo
che Fury gli rivolge è paziente e comprensivo, lo sguardo di
qualcuno abituato a veder succedere un sacco di cose bizzarre che
non si scompone quando
invece qualcun altro si trova faccia a faccia con qualcosa del genere
per la
prima volta. «Come ti ho spiegato, "sta bene" in termini
relativi.»
Indica
il vetro della porta e il bambino nella stanza. «E quello, Agente Barnes, è il
tuo prossimo incarico.»
Il
tempo di
realizzare cosa significa davvero e James scuote la testa tanto forte
che sente
il collo scrocchiare. «No. Non se ne parla. Assolutamente
no.»
«Temo
ci sia un fraintendimento,» ribatte Fury, la voce un po'
più seria. «Non
ti sto dando una scelta. È un
incarico che va ben oltre le competenze di
qualsiasi persona sulla nave e non potrei assegnarlo a nessun altro.
Abbiamo
bisogno del miglior agente disponibile.» Fury torna a
guardare attraverso
il vetro e si stringe nelle spalle. «Tra l'altro ha chiesto
proprio di te.»
«Non
mi
interessa!» esclama James incredulo, cercando di dare un
senso all'insensatezza
della situazione nella quale si è trovato coinvolto.
«Questa
è la peggiore idea che potesse venirvi! L'ultima volta che
ci
siamo trovati da
soli gli ho quasi tagliato la gola con una lampada rotta! E lui era
lanciato in
piena modalità Capitan America! Avete pensato a cosa
potrebbe
succedere ora? Guardalo, Fury! Non arriva neanche a toccare per
terra con i piedi!»
«Capisco
che tu sia preoccupato, Agente Barnes,» continua Fury, anche
se è ovvio
che non capisce perché
James stia per
dare i numeri. «Ma l'Agente Coulson mi ha detto che da almeno
tre
settimane non hai più avuto alcuna reazione violenta e ti
sei dimostrato
perfetto per il lavoro sul campo.»
«Essere
un buon agente sul campo non è una ragione
valida,» borbotta James,
dato che Fury non sembra proprio arrivarci e lui ha davvero, davvero bisogno di fargli comprendere
quanto quella sia una pessima idea. «Non sono tagliato per
fare il
babysitter, la granata che ho in tasca penso sia un indizio
sufficiente. Sono
instabile nelle giornate migliori e letale in quelle storte, sul serio
credete
che affidarmi la versione in miniatura di Capitan America sia la scelta
giusta?
Se la risposta è sì siete più stupidi
di quanto pensassi.»
«La
stupidità qui non c'entra nulla,» ribatte Fury
lanciandogli un'occhiata
gelida. «Abbiamo bisogno di qualcuno che sia
indiscutibilmente leale a
Steve Rogers, qualcuno che lo protegga e lo tenga al sicuro
finché non troviamo
una soluzione. Se le mie informazioni non sono sbagliate - e non lo
sono mai -
tu corrispondi a questo profilo.»
«Sì,
ma
sai chi altro corrisponde allo stesso profilo? Coulson. E ti posso
garantire
che lui ha un curriculum molto meno macabro del mio.»
Fury
si
limita a scuotere la testa. «Potrebbe anche essere vero,
però Coulson è in
Guatemala per occuparsi di un'altra missione e non tornerà
prima di parecchi
giorni. Tu sei la scelta migliore che ci è
rimasta.»
«Io
sarei la scelta migliore solo se ci fosse da ammazzare
qualcuno,» sibila
James, agitando in aria le mani per l'irritazione. «Che ne
dici di Stark? Perché non mandi Steve a stare da
lui?»
«Perché
la Stark Tower è un dannato faro nella notte per tutti gli
schizzati e gli
aspiranti supercattivi della città. Vogliono farsi un nome e
arrivano fin lì
sperando di guadagnare fama e gloria. Sul serio, quella torre viene
attaccata
da qualche pazzoide almeno una volta a settimana.»
James
apre
la bocca ma Fury lo blocca per impedirgli di replicare. «E
prima che tu me
lo chieda...
tenerlo sull'helicarrier è fuori discussione. Non passiamo
proprio inosservati e ci sono centinaia di
persone
che vorrebbero solo vederci finire sul fondo della baia. Quindi, no... non
può
stare qui. Mentre noi cerchiamo una soluzione dev'essere portato in un
posto
sicuro e tranquillo.»
James
si
lascia scappare un gemito a fior di labbra e torna a fissare il bambino
seduto
sul bordo del letto. È minuto, magro e indifeso, ma è di certo Steve Rogers.
Anche da quella distanza James può riconoscere la
determinazione e la viva curiosità
negli occhi azzurri. Ricorda quegli occhi e quell'espressione, l'ha
vista quasi
ogni giorno della sua vita prima della caduta dal treno in corsa.
Questo è
comunque Steve, solo più piccolo, e qualcosa in lui cede.
«È permanente?»
chiede a bassa voce.
«Per
quanto ne sappiamo, no. Si tratta di un incantesimo che doveva colpire
un certo dio
nordico di nostra conoscenza, Steve si è trovato nel posto
sbagliato al momento
sbagliato. In teoria è reversibile, basta solo trovare il
responsabile.
Abbiamo mandato Thor e Stark in avanscoperta per rintracciarlo, se
dovesse
funzionare nel giro di un paio di giorni tornerà tutto come
prima.»
«Fino
a
quel momento, comunque, abbiamo bisogno di qualcuno che lo tenga al
sicuro,»
continua Fury guardandolo fisso. «Credimi, Barnes, sei
l'unico in grado di
farlo.»
In
effetti nessuno
è mai stato più solerte o capace di lui quando si
trattava di difendere Steve.
L'ha fatto per tutta la sua vita e anche adesso, senza alcuna ombra di
dubbio,
si sacrificherebbe per proteggerlo. Ma non può negare che in
questo momento lui
potrebbe essere la persona dalla quale Steve avrebbe più
bisogno di essere
protetto. C'è davvero da fidarsi ad affidargli una versione
striminzita di
Steve, quando persino per Steve adulto è pericoloso stargli
intorno? Nonostante
il suo passato da assassino, però, lui rimane il migliore
amico di Steve e il
suo compito è tenerlo al sicuro.
Con
aria
sconfitta si stringe nelle spalle. «Continuo a pensare che
sia l'idea
peggiore che potesse venirvi.»
«Lo
terrò a mente,» risponde Fury.
«Però
sia chiaro che non mi riterrò responsabile per qualsiasi
danno potrei causare,»
mormora James intanto che spalanca la porta. «Se per sbaglio
lo rompo sarà
colpa tua, Fury.»
Il
direttore
non dice nulla in risposta e rimane a guardarlo mentre entra nella
stanza. James
cammina facendo particolare attenzione a come si muove, infilando le
mani nelle
tasche nel tentativo di sembrare meno minaccioso possibile. Ha
partecipato a
missioni capaci di ridurre in lacrime uomini molto più duri
di lui, ha visto e
fatto cose talmente orribili da non avere neanche parole per
descriverle, ha
visto in faccia la morte così tante volte da essersi
dimenticato come si fa ad
averne paura. Ma in questo momento, nella stessa stanza con la versione
in
miniatura del suo migliore amico, è del tutto terrorizzato.
Steve
lo
vede quasi subito, sporgendosi per guardare oltre le infermiere che gli
stanno
intorno. «Bucky!» esclama eccitato, saltando
giù dal letto prima di
correre verso di lui. È scalzo e non si regge bene in piedi mentre corre ma si
muove molto più in fretta di quanto James pensasse. Quando
gli arriva
abbastanza vicino spicca un salto deciso e gli si appiccica addosso
come se
tutto il suo corpo fosse fatto di ventose e velcro.
James
riesce
ad afferrarlo al volo e gli scappa un piccolo uumpff sorpreso,
per la
violenza della collisione. L'imbarazzo dura qualche istante e barcolla
svariati
secondi nel tentativo di riprendere l'equilibrio, con Steve sempre
stretto a
lui.
«Ehi,
Stevie,» lo saluta mentre lo regge in braccio. «A
quanto pare non sai
stare fuori dai guai quando non ci sono io in giro...
vero, ragazzino?» Il
bimbo gli sorride e non lascia la presa.
James
sospira, ignorando apposta i sorrisi adoranti delle infermiere, e si
incammina
verso la porta. Fury è ancora in corridoio quando esce, sul
suo viso un'espressione
del tutto imperturbabile. «Farò in modo che degli
agenti vi scortino a
terra,» dice mentre James gli passa accanto.
«Sei
un
sadico,» replica l'altro, poi cerca di sistemarsi Steve tra
le braccia.
Steve, da parte sua, non sembra per nulla disturbato dalla piega che
hanno
preso gli eventi. Sembra pensare che James sia in assoluto la cosa
migliore al
mondo e si aggrappa a lui con tutta la forza che ha.
James
sospira
di nuovo. «Sarai la mia rovina, Rogers,» borbotta
intanto che
tiene il piccolo Steve stretto a sé. «Andiamo a
casa.»
Capitolo originale dell'autrice
Show her some love!
We're back!!
Per farmi perdonare di tutti i feels massacrati dalla
precedente traduzione ho deciso di scegliere una storia fluffosissima… anche se l'idea di Bucky che prende in braccio teacup
Steve fa comunque danni!
* sono senza speranza *
Laylabinx ha postato questo primo capitolo in data 06/08/2014, ecco perché
temporalmente si colloca prima di Age of Ultron.
Come sempre spero possa piacervi tanto quanto è piaciuta a me!
Your Humble
Translator
|
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Capitolo 2 *** Di colori a dita e orsacchiotti ***
cap 1 trigger
NdA
Ciao a tutti! Alcuni lettori
mi hanno chiesto come funziona di preciso l'incantesimo sulla mente di Steve e
cosa si ricorda. Secondo la mia idea riesce a riconoscere tutti, però è
come se i suoi ricordi fossero stati ringiovaniti insieme a lui; di sicuro
ricorda qualcosa ma non riesce comunque a parlarne perché le sue competenze
logico/linguistiche sono quelle di un bambino di tre anni. Un po' disorientante
ma non troppo, spero!
Laylabinx
Capitolo
2: Di colori a dita e orsacchiotti
«Oddio,
sembra il bambino Gerber1...»
James
sospira,
trattenendo in gola un ringhio frustrato. Ultimamente gli capita
spesso. «Riesci
a prendere questa cosa sul serio, non
so, tipo per cinque secondi?»
«Amico,
Capitan America è stato trasformato in uno dei Cabbage Patch
Kids. Non credo di
riuscire a essere più serio di così,»
risponde l'altro,
senza smettere di
fissare il piccolo che tiene la mano dell'ex assassino in una stretta
di ferro.
Steve lo guarda con occhi spalancati, schiacciandosi ancora di
più contro la
gamba di James. Sembra quasi riconoscere l'uomo che gli sta di fronte
ma allo
stesso tempo lo vede come un estraneo, qualcuno che non gli
è
familiare come la
persona alla quale si sta aggrappando; dato che per lui James
è
la cosa migliore al mondo, non lo lascerà andare tanto in
fretta.
«Ma
è
capace di usare il vasino?» chiede ancora l'altro e James
inizia a
rimpiangere di aver preso quella decisione.
«No,
davvero...?!» mormora a bassa voce. Prima di lasciare
l'helicarrier Fury
gli ha detto di fare comunque tappa alla Stark Tower per recuperare un
paio di cose
utili a gestire la situazione. A quanto pare la fidanzata/assistente
personale/per-fortuna-c'è-lei
di Stark ha un nipotino della stessa età di Steve ed
è riuscita a farsi
prestare dei vestiti della misura del Capitano versione mignon. Non
solo, si è
offerta di badare a lui per un'ora o più mentre James
renderà l'appartamento di
Steve a prova di bambino (e per la miseria, è un compito che
si sarebbe
risparmiato volentieri). Il fatto
che non abbia battuto ciglio è indicativo di quanto sia
abituata ad
avere a che fare con stranezze peggiori quasi tutti i giorni.
James
non
può che esserle grato. Nonostante lo S.H.I.E.L.D. addestri i
propri agenti alla perfezione, il programma risulta piuttosto carente
nelle tecniche di gestione e
contenimento di qualcuno trasformato nella versione infantile di se
stesso. L'unica
cosa che gli hanno dato per coprire il piccolo Steve è la
t-shirt più piccola
che avevano a portata di mano - che pur essendo extra small
è comunque tre
volte troppo larga per lui e gli cade addosso come un vestito a
strascico.
Ancora adesso è scalzo e non sembra esserci nulla in grado
di
adattarsi al suo
corpicino rimpicciolito. Pepper Potts invece ha offerto una soluzione
accettabile e James ha accettato senza pensarci.
Quello
che
non aveva preso in considerazione era la possibilità di
incontrare un altro
membro degli Avengers. Stark è già partito come
Fury gli aveva detto, in cerca
del responsabile dell'incantesimo insieme a qualcuno di nome Thor.
Natasha si è
unita a loro per negoziare, perché quando si tratta di
persuasione nessuno
sembra essere bravo quanto lei.
Con
loro tre in missione, gli unici rimasti a potersi occupare di Steve
sono lui, Pepper e un altro paio di persone
che non aveva mai incontrato. Alla domanda sul perché
fossero stati esclusi
dalla missione, l'uomo che si è presentato come Clint ha
risposto molto
vagamente.
«Stanno
cercando Loki, il fratello di Thor. È uno psicopatico, un megalomane e
una
drama queen di prima categoria.»
«Quindi
questa è opera sua?» chiede James, mentre sente i
muscoli della mascella
contrarsi.
«Sì,»
conferma Clint. «Anche se non penso stesse
mirando a lui. Doveva trattarsi di qualche elaboratissimo piano per far
tornare
Thor bambino e reclamare il trono di Asgard. Thor è riuscito
a schivarlo ma...»
guarda per un attimo il piccolo Steve e non c'è bisogno di
aggiungere altro.
«Capito,»
dice James sospirando. «Un dio nordico vendicativo agita in
aria la sua
bacchetta magica e Capitan America viene trasformato in un bambino.
Ottimo.»
Passa una mano tra i capelli per il nervoso. «Come mai non ti
hanno
invitato a unirti alla caccia?»
Clint
sorride
e si stringe nelle spalle. «Il ragazzone verde ed io eravamo
in
missione a
Barcellona, abbiamo saputo cosa fosse successo solo quando siamo
tornati. Poi è meglio che io non mi avvicini troppo a Loki,
l'ultima volta ha
usato su di me la stessa bacchetta magica e me lo sono ritrovato nella
testa.»
«Gli
altri hanno pensato che unirmi al gruppo per andare a cercarlo potesse
rappresentare un "conflitto
di interessi",»
continua Clint, facendo un uso
esagerato delle virgolette con le dita. «In effetti devo
ammettere che
avevano ragione. Insomma, non potevo assicurare che non avrei cercato
di
sparargli a vista.»
«E
l'altro
tizio?» chiede James, perché è quasi
certo di aver visto qualcun altro passare
quando è entrato.
«Chi,
Bruce? Nah, non ha nessun conto in sospeso con Loki, almeno non
che io sappia. Rimane
sempre scombussolato per qualche ora dopo che è tornato in
sé, quindi non me la
prenderei per il benvenuto poco caloroso da parte sua; starà
meglio fra un po'. Lui è abbastanza neutrale per quanto
riguarda
Loki, però Hulk...»
«Hulk?»
«Hulk
è
una specie di Mr.Hyde per Bruce,» spiega Clint a bassa voce,
guardandosi
alle spalle. «Bruce in genere è l'equivalente di
un maestro zen ma quando
si arrabbia...
beh, Hulk non è proprio noto per la sua natura pacata e
docile. Ha
spazzato un pavimento usando Loki come scopettone, immagino che nessuno
volesse
rischiare che succedesse di nuovo.»
James
ha il vago ricordo dei filmati della Battaglia di New York che ha
studiato quando ancora
stava seguendo Steve come obbiettivo; immagini sfocate di una
mostruosa creatura verde fra le macerie e i detriti, che urlava in
preda alla
furia e distruggeva ogni cosa si trovasse vicino. I ricordi non gli
ispirano
affatto sicurezza, non è sicuro che sia il caso di lasciare
Steve alla Torre mentre lui corre a sistemare il suo appartamento.
«È stato un errore venire qui...»
borbotta mentre Steve si stringe di più alla
sua gamba.
«Invece
no,» lo riassicura una voce che sembra arrivare da uno dei
corridoi
connessi al salotto. Gira lo sguardo e si accorge di Pepper, che sta
camminando
verso di loro. «Che tu ci creda o meno, Hulk è
sorprendentemente bravo con
i bambini,» dice lei con un sorriso. «E Clint
lavorava in un circo,
anche lui è abituato ad avere a che fare con i
piccoli.»
«Non
con i piccoli come questo,» replica Clint e strizza l'occhio
a Steve.
Pepper
gli
assesta una leggera gomitata alle costole. «Non preoccuparti,
lo terremo
sotto controllo finché non sarai tornato.»
Steve
è
ancora aggrappato alla gamba dei suoi pantaloni e James inizia a
chiedersi se
sia il caso di affidarlo a persone che non conosce per niente. Si
tratta dei
compagni di squadra di Steve, certo, ma è sempre stato fin
troppo protettivo
nei confronti dell'amico e sente che ora le circostanze richiedono che
lo
sia anche di più. Purtroppo non gli rimangono molte altre
alternative. L'appartamento
di Steve dev'essere sistemato
a prova di
bambino e per forza deve farlo senza avere un bambino intorno. In
più, deve
liberarsi di tutte le armi che ha addosso e non può
improvvisare nascondendole in
un cassetto. Entrambe le operazioni vanno portate a termine mentre
Steve si
trova da un'altra parte. Si lascia scappare un debole gemito, ben
sapendo che
non c'è molto da scegliere.
Pepper
sembra capire quanto sia difficile per lui allontanarsi e gli sorride
di nuovo. «Ci prenderemo cura di lui, stai
tranquillo.»
James
annuisce, controvoglia, e guarda il piccoletto aggrappato alla sua
gamba. «Tornerò
fra un'ora. Un'ora e mezza al massimo.»
Pepper
annuisce
a propria volta e si accovaccia a terra in modo da arrivare all'altezza
di
Steve. «Ehi, cucciolo,» dice in tono dolce.
«Cosa ti va di fare
questo pomeriggio?»
Steve
la
fissa con i suoi grandi occhi azzurri, l'espressione sul suo viso
è cauta e un
po' indeciso. Sembra riconoscerla, com'era successo per Clint, ma non
è del
tutto convinto. Guarda James per capire cosa sia meglio fare.
«È tutto a posto,» dice James, anche se in verità
è altrettanto esitante. «Di
lei puoi fidarti.»
Steve
tentenna ancora per un secondo prima di staccarsi dalla gamba di James
e
muove un passo in avanti. Lascia che Pepper gli prenda la mano nella
propria,
poi si gira. «Vai via?»
chiede a bassa voce.
Per
James è
come essere preso a pugni nel petto. Steve lo sta fissando con
quell'espressione
da cucciolo che gli riesce tanto bene e lo fa sentire il peggior
rifiuto umano
al mondo. Prende fiato
e annuisce lentamente. «Sì, Stevie, devo andare
via per un po'. Ma tornerò
in fretta.»
Steve
non
risponde subito, ancora indeciso se tornare ad aggrapparsi alla sua
gamba o
restare insieme a Pepper. «Promesso?»
sussurra alla fine, con occhioni
imploranti.
James
posa
la mano destra sulla testa di Steve in una carezza leggera.
«Te lo prometto, ragazzino.»
Steve
sembra
convincersi e non oppone resistenza quando Pepper lo prende in braccio.
«Vuoi
andare a saltare sul letto dello zio Tony?» chiede
abbracciandolo. «Andiamo
a saltare sul letto dello zio Tony.»
James
li osserva
allontanarsi e gli occhi di Steve non lo abbandonano finché
non esce dalla
stanza. È quasi tentato di raggiungere Pepper ma si impone di restare
dov'è,
impedendosi di cedere al ricatto dello sguardo strappacuore di Steve.
Clint
gli
appoggia una mano sulla spalla, rendendosi conto di quanto per lui sia
difficile. L'ex assassino quasi lo scaccia via in una reazione
automatica ma
all'ultimo momento riesce a controllarsi. «Non preoccuparti,
Barnes,»
dice Clint, qualsiasi traccia di scherno assente nella sua voce.
«Lo
terremo d'occhio per te.»
James
sospira e annuisce in assenso. «Datemi un'ora di
tempo.»
«Un'ora?!
Cavolo, te ne lascio anche un paio! Voglio fare più foto
possibile e metterle
in un album per Coulson, si sta praticamente prendendo a calci da solo
perché
non è qui ad assistere alla scena.»
James
solleva
gli occhi al cielo. «Qualsiasi documentazione fotografica
verrà distrutta,»
afferma con compostezza intanto che si incammina verso l'uscita. La
risata di
Clint risuona fin nel corridoio, attutita soltanto dalla porta che si
richiude
dietro di lui.
OOOOO
Gli
servono cinquantadue minuti per sistemare l'appartamento di Steve. Non
è un'operazione
complessa, si tratta più che altro di coprire le prese
elettriche e assicurarsi
che niente di pesante/appuntito/fragile sia a portata di mano.
L'appartamento è
più largo di quello di prima, questo ha due camere da letto
invece che una
sola. A quanto pare Steve si è preoccupato di mettergli a
disposizione una
camera, nel caso James avesse deciso se e quando tornare. L'arredamento
è
comunque minimale, come nell'appartamento precedente, e le uniche
aggiunte sono
un letto e una cassettiera in più nella stanza degli ospiti.
Liberarsi
delle armi è stato più facile del previsto: lo
S.H.I.E.L.D. gli ha messo a
disposizione un deposito a pochi isolati dall'appartamento ed
è lì che ha
riposto tutta l'artiglieria. Sembra strano andarsene in giro disarmato
ma sa
che è necessario. Non ha intenzione di mettere Steve in
pericolo, il che
significa niente armi in casa.
Fa
un ultimo
giro di controllo prima di ritenersi del tutto soddisfatto. Sollevato
all'idea
che Steve non corra il rischio di farsi inavvertitamente del male con
qualche
oggetto, lascia il palazzo e prende un taxi per tornare alla Stark
Tower.
Il
taxi lo
lascia nel parcheggio e deve aspettare che uno degli impiegati gli dia
il
permesso di oltrepassare il primo checkpoint. Le misure di sicurezza
sono state
implementate di recente ed è alquanto ironico, considerato
che lui stesso ne è
la causa: la sicurezza è stata raddoppiata dopo che ha
cercato di fare
irruzione nella Torre, nel tentativo di uccidere Steve. I controlli
all'ingresso sono rimasti meticolosi, anche a
mesi di distanza e anche adesso che gli hanno addirittura affidato
l'incarico
di proteggere uno degli Avengers. Strano come le cose possano cambiare.
Quando
entra
in ascensore fa scorrere nell'apposito scanner la tessera plastificata
che gli
ha dato Pepper. Una luce verde lampeggia e serve un codice aggiuntivo
per
ottenere l'autorizzazione, poi una seconda luce si accende per conferma
e la
cabina inizia a muoversi verso l'alto. È una gran seccatura, ma
è
comprensibile che vada mantenuto il massimo livello di sicurezza per
tutelare
tutti coloro che lavorano e vivono all'interno della Torre.
Appena
arrivato, James si trova davanti uno scenario apocalittico: pittura
ovunque - sul pavimento, sul muro, spiaccicata sulle gambe delle sedie
e dei
tavoli. Ci sono impronte colorate di mani e di piedi intorno al tavolo
da
pranzo e fino in soggiorno, che è nel caos più
totale. E al centro della stanza
c'è Steve.
È seduto nel
mezzo di una cerata ed è coperto di colori a dita dalla
testa ai piedi. Ha del
blu nei capelli, giallo in faccia, viola e verde sulle braccia e un
vasto
assortimento di tinte differenti sul
resto del corpo. È impegnatissimo a dipingere qualcosa sopra un largo
foglio
di carta posato a terra. Sfortunatamente, nel suo caso "dipingere" si
traduce più
che altro con "spalmare
tempera ovunque".
«Pensavo
che dovessimo fare il cavallo marrone,» dice Clint. Per la
prima volta
James si rende conto che sul pavimento c'è anche lui,
coperto di pittura ma un
poco più presentabile rispetto a Steve.
«Cane,»
lo corregge Steve senza distogliere l'attenzione dalla
quantità di tempera che
sta distribuendo sul foglio.
«Cane,»
ripete Clint. «Pensavo che dovessimo fare il cane
marrone.»
«Arancione,»
corregge ancora Steve, anche se qualsiasi cosa stia dipingendo non
assomiglia
per niente a un cane o mucca e nemmeno a una forma che ricordi un
animale.
Sembra soltanto un miscuglio di colori.
«I
cani
non sono arancioni,» replica Clint, ma Steve non si lascia
convincere.
«Arancione,»
insiste mentre solleva una mano tutta dipinta per sottolineare il
concetto.
«Sì,
arancione,
lo so...
però i cani non...»
«Arancione!»
«Va
bene, come vuoi,» si arrende Clint con un sospiro, senza
traccia di reale
frustrazione. Sembra aver capito che fare discussione con un bambino di
tre
anni è insensato.
James
è
rimasto a fissarli per almeno un minuto buono; non appena Steve si
accorge di lui
salta in piedi. «Bucky!» esclama prima di prendere
la rincorsa e lasciarsi
dietro una scia di impronte multicolore.
Questa
volta
James è più preparato a prenderlo al volo.
«Ehi, a quanto pare ti
sei divertito un bel po' intanto che non c'ero.» Guarda Clint
con un'espressione
che mescola stupore e rimprovero. «Ma che diavolo...?
Sono stato via solo
per un'ora.»
Clint
si
stringe nelle spalle poi si alza per arrotolare la cerata.
«Stavamo
pitturando.»
«Sì,
lo
vedo. Sembra che Picasso gli abbia vomitato addosso.»
L'arciere
minimizza, sollevando gli occhi al cielo. «Rilassati, Barnes. È lavabile.»
Solo a quel punto si rende conto dello stato in cui è
ridotto il soggiorno e
fischia tra le labbra. «E per fortuna! Tony mi ammazzerebbe
se restassero
delle macchie.»
«Pepper
non è qui?»
Clint
ripulisce le mani sporche di tempera sulle gambe dei jeans.
“Conferenza via
Skype fuori programma. Dato ma che Tony è impegnato a
giocare a Galaxy Quest tocca
a lei gestire la baracca. È abituata a farlo comunque, ma...»
«Di
bene in meglio,» interrompe James in un borbottio intanto che
Steve
continua ad aggrapparsi alla sua gamba. «Beh, non posso
portarlo a casa
conciato così. C'è una vasca da bagno, da qualche
parte?»
«Uhm,
sì,» risponde Clint dopo averci pensato un istante
per ricordare
esattamente dove. «La quinta porta sulla sinistra, in
fondo,» spiega
indicando uno dei corridoi alle spalle di James. «È una
Jacuzzi ma
dovrebbe andare bene lo stesso.»
James
annuisce
e posa la mano sulla testa di Steve. «Andiamo, devi
lavarti.»
Il
bambino
protesta a pieni polmoni con un "no!"
risoluto e cerca di scappare,
ma James lo batte sul tempo e gli passa il braccio di metallo intorno
alla
vita.
«Mozione
respinta,» commenta caricandosi il piccolo in spalla. Steve
si dimena e
cerca di sfuggirli, eppure continua a ridacchiare felice per tutto il
tragitto
fino alla stanza da bagno.
Le
dimensioni ricordano il primo appartamento che i due dividevano a
Brooklyn, solo
che i pavimenti sono in marmo lucido, i lavandini sono coordinati e la
vasca idromassaggio
è grande abbastanza da ospitare quattro persone. James
può immaginarsi le
storie che avrebbe da raccontare e decide che non è poi
così grave rischiare di
sporcarla per togliere la pittura di dosso a Steve.
Lo
rimette a
terra e chiude a chiave la porta; subito Steve si dirige verso la
maniglia in
un goffo tentativo di evasione, anche se gli mancano diversi centimetri
per
riuscire a toccarla.
«Spiacente,»
dice James con un sorriso. «Devi essere alto almeno un metro
per uscire da
qui per conto tuo.» Poi fa un cenno in direzione
dell'idromassaggio. «Forza!
Prima finisco di darti una ripulita e prima andiamo a casa.»
Steve
rimane
immobile. «Senti, piccoletto, possiamo risolvere il problema
con le buone
o passare alle maniere pesanti, ma ti assicuro che non ti conviene. Fai
il
bagno e... non
so, ti darò un biscotto.»
Steve
pare
riflettere sull'offerta e accetta, trascinandosi senza molto entusiasmo
fino
alla vasca. James si inginocchia e gli ripulisce una guancia da uno
sbaffo
giallo e viola proprio sotto l'occhio. «Per fortuna Pepper
può prestarti
qualcosa da mettere,» dice, ipnotizzato dalla maglietta dello
S.H.I.E.L.D.
imbrattata di tempera. «Fury non era riuscito a trovare
altro.»
Sporge
un
braccio oltre il bordo di ceramica, raggiunge il rubinetto per iniziare
a far
scorrere l'acqua e portarla a una temperatura accettabile.
“Braccia in su.»
Steve
obbedisce, dandogli modo di sfilare la t-shirt dalla testa. Rimane nudo
e
indifeso davanti a lui, i piedini tremanti sulle piastrelle fredde.
James si
interroga su quanto la situazione dovrebbe sembrargli imbarazzante,
però Steve
è sporco di pittura e non può lasciarlo in quello
stato. Comunque sono
cresciuti insieme (stando a quello che ricorda) ed è
abbastanza sicuro che
almeno una volta sia capitato a entrambi di spogliarsi davanti
all'altro. Fine
della discussione.
«Ok,
eccoci
qui,» sussurra intanto che solleva il bambino da terra e lo
sistema nella
vasca.
I
colori
vengono via dalla pelle di Steve abbastanza facilmente. La tempera
impastata
tra i capelli però è resistente e James deve
arrendersi
all'idea che non
basterà solo l'acqua. Allunga una mano alla ricerca della
cosa
più simile a uno shampoo - è al profumo di menta
marocchina o simile, un particolare
pretenzioso che fa nascere in lui la voglia di prendere a pugni Stark
per
principio. Ma alla fine poco importa, gli serve qualcosa per lavare via
la
pittura.
Se
ne versa
una piccola quantità sulla mano destra e inizia a
distribuirla sui capelli di
Steve. «Chiudi gli occhi,» ordina per evitare che
la schiuma finisca
dove potrebbe dare fastidio. Steve obbedisce subito, strizzando insieme
le
palpebre. È straordinario come Steve si fidi di lui senza riserve,
senza
esitazione o senza fare domande. James sospetta che potrebbe dipendere
dal
fatto di essere tornato bambino e ingenuo, ma in fondo sa che dipende
da
qualcosa di più profondo.
Steve
si è
sempre fidato a quel modo, anche quando erano ragazzini. Se lui gli
avesse
proposto di seguirlo fino in capo al mondo o di saltare in un barile
pieno di
piranha, quasi sicuramente Steve avrebbe accettato. A James fa male
constatare
quante volte abbia rischiato di perderlo e, di recente, addirittura per
causa sua.
Questa volta lo proteggerà a costo della vita, se necessario.
Con
l'aiuto
dello shampoo i capelli di Steve tornano puliti e l'acqua si tinge di
sfumature
bluastre, che mischiate al resto dei colori lasciano nella vasca una
brodaglia
verde-marrone decorata da bollicine iridescenti.
James
toglie
il tappo e fa uscire Steve prima di avvolgerlo in un asciugamano tanto
grande
da poter essere considerato un lenzuolo. Con un'occhiata alla maglietta
abbandonata sul pavimento realizza che si è dimenticato di
portare in bagno dei
vestiti ed è costretto a prendere Steve in braccio per
riportarlo in soggiorno.
Clint
a quel
punto è riuscito a tirare a lucido gran parte della stanza,
i colori a dita
sono nascosti al sicuro e la cerata è scomparsa. Alza lo
sguardo quando li vede
arrivare e sorride al piccolo Capitano, ancora avvolto in nient'altro
che un
asciugamano. «Direi che hai trovato il bagno.»
«Sì,»
risponde James mentre pesca un cambio dalla pila di indumenti che
Pepper gli ha
messo a disposizione. «Anche se non sono per niente sicuro
che Stark
approverebbe.»
Clint
toglie
l'ultimo sbaffo viola dal muro con uno straccio. «Se ne
farà una ragione. Credimi,
in quell'idromassaggio è successo ben di peggio.»
«Risparmiami
i dettagli,» replica James. Mette a sedere Steve su una sedia
e prepara la
maglietta che ha in mano. «Va bene, campione. Di nuovo
braccia in su.»
Ancora
una
volta, Steve obbedisce e James gli infila la t-shirt.
«Ecco
fatto. Molto meglio che restare coperti di
pittura, vero?» dice con un sorriso, imitato da Steve.
«Riesci a
metterti in piedi, così infiliamo i pantaloni?»
Steve annuisce e poi si
alza, reggendosi alla spalla metallica di James.
Clint
osserva
tutta la scena, l'ex assassino intento ad allacciare i pantaloni alla
miniatura
di Steve Rogers. «Non mi aspettavo che fossi così
bravo con lui,» commenta
nel vedere che James tiene un braccio sempre stretto alla vita del
bambino.
«Una
sola parola in più, Barton...»
«No,
dico
sul serio,» continua Clint ignorando l'occhiataccia di fuoco
che James gli
rivolge. «Cioè, sei grande e grosso e minaccioso,
di certo in una rissa da
bar finiresti per darmele di santa ragione... ma
ti riesce bene prenderti cura di
lui.»
«Mi
sono sempre preso cura di lui,» risponde James quasi in
automatico, perché
le parole gli escono di bocca prima che possa pensarci. Non importa che
sia enorme
o minuto, Capitan America o lo scheletrico ragazzino di Brooklyn, James
si è
sempre preso cura di Steve.
«Si
nota,» dice Clint. «È come vedere mamma orsa che
protegge i
cuccioli. Solo che al posto degli artigli hai un braccio di metallo e
abbastanza armi da bastare per un esercito.»
«Non
c'è
niente di male nel prendere qualche precauzione,» ribatte
James intanto
che finisce di vestire Steve. Gli strofina i capelli con l'asciugamano
finché Steve
lo colpisce alle mani e protesta con un mugugno infastidito.
«D'accordo, d'accordo,
ne hai abbastanza.»
«Andiamo
a casa?» domanda Steve, gli occhioni blu spalancati a
guardare James.
«Sì,
andiamo
a casa. Dì ciao allo zio Ruota di Scorta.»
Clint
sbuffa
nel sentire il nomignolo. «Molto maturo, Barnes.»
Si china sul divano
e rovista un po' tra i cuscini per cercare qualcosa. «Quasi
mi dimenticavo
di dare questo a Steve.»
Gli
mette
tra le braccia un animale di peluche che ha tutto l'aspetto di un orso
con
indosso una maschera nera e un'uniforme blu. È adorabile, tenero e
stranamente
familiare, tanto che James si adombra per un attimo. «Che
cavolo sarebbe?»
«Stai
scherzando?» chiede Clint, sorpreso. «È un Bucky
Bear2!
Erano la moda del momento quando siete diventati famosi, durante la
guerra.
Ormai sono articoli da collezione.»
James
inorridisce. «Mi stai prendendo per il culo?! Quello dovrei
essere IO? Mi hanno
trasformato in un fottuto peluche?»
«Ehi,
linguaggio!» lo riprende Clint sogghignando.
«Sì, ti hanno fatto
diventare un peluche. Prendilo come un complimento, a molti altri
veterani
hanno solo dedicato alberi o panchine nei parchi.»
«Come
è
arrivato qui?»
«Coulson.»
«Ovvio,»
borbotta James.
Clint
si
stringe nelle spalle. «Ormai non mi stupisco più.
Coulson è uno dei più
grandi fan di Capitan America mai esistiti, probabile che abbia un
intero stock
di peluche nascosti da qualche parte.»
«È inquietante.»
«Più
che altro devoto. Comunque a Steve piace.»
In
effetti Steve
è già affezionato all'orsetto come se fosse la seconda cosa
migliore al mondo e
lo stringe a sé con una mano mentre con l'altra si aggrappa
ai pantaloni di
James, che sospira sconsolato. «Maledizione...»
Clint
si
limita a sogghignare di nuovo. «Passate una buona serata,
tutti e due!»
«Coulson
è un uomo morto,» mormora James sottovoce,
prendendo Steve per mano e
incamminandosi verso la porta.
1. Logo della Gerber Products Company, compagnia
che dal 1928 produce omogeneizzati e altri prodotti per l'infanzia. [NdT]
2. Bucky Bear appare nel
fumetto "A-Babies vs X-babies" nel 2012. [NdT]
Capitolo originale dell'autrice
Show her some love!
|
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Capitolo 3 *** Racconti della buonanotte ***
cap 1 trigger
Capitolo
3: Racconti della buonanotte
«Va
bene, è ora di andare a letto,» stabilisce James
dopo aver visto
Steve sbadigliare almeno quattro volte negli ultimi cinque minuti.
«Non
sono stanco,»
mormora Steve in risposta e sottolinea la protesta con un ulteriore sbadiglio,
ignorando il fatto che stia letteralmente ondeggiando per il sonno.
Testardo
fino al midollo.
«No,
infatti. Non sei per niente stanco,» replica James mentre lo
solleva
dal
pavimento con l'aiuto del braccio di metallo. I pastelli che Steve
stava usando
per colorare rimangono sparsi in giro e James prende un appunto
mentale: raccoglierli più tardi, per evitare che finiscano
sbriciolati nel tappeto.
Molto più pratici dei colori a dita ma comunque difficili da
far
venire via
dalle fibre sintetiche.
«Saresti
più convincente se almeno riuscissi a tenere gli occhi
aperti,» dice
ancora James e si incammina verso la stanza in fondo al corridoio.
Steve ha
l'aria di voler mettere il broncio, eppure riesce solo a sbadigliare di
nuovo.
James ridacchia tra sé. «Appunto...»
Il
letto è
enorme in confronto al piccolo Steve e il materasso sembra volerlo
inghiottire
intero. A questo James non aveva pensato, così passa una
discreta quantità di tempo a
sistemare cuscini e coperte per creare una specie di barricata a
proteggere i
bordi, in modo da evitare che Steve rotoli a terra nel bel mezzo della
notte.
Una volta soddisfatto del risultato ci deposita all'interno il bambino
e
aggiunge altri cuscini.
«Ho
fatto un disegno,» dice Steve intanto che il muro di cuscini
diventa più alto.
«Ah
sì?»
domanda James, senza prestargli troppa attenzione. «Di
cosa?»
«Te,»
risponde Steve e gli fa vedere il preziosissimo disegno che tiene in
mano. È poco più di uno scarabocchio colorato ma c'è una
figura
umanoide al centro, con i capelli lunghi e un braccio grigio. Quel che
è peggio, ha in
faccia un gran sorriso ebete. James non riesce a trattenere una smorfia
alla vista del capolavoro.
«Ti
piace?»
chiede Steve con un sorriso quasi simile a quello che ha disegnato.
«Uhm...
sì,
ragazzino,» tentenna James. « È...
fantastico?!»
Steve
sorride
di nuovo e si accoccola felice nel castello di cuscini che James gli ha
preparato. James, da parte sua, si chiede se dovrebbe sentirsi
lusingato o inorridito. È un regalo amorevole, sebbene la
qualità lasci parecchio a desiderare, e non
solo Steve ci ha perso un bel po' di tempo - è anche molto
contento del
risultato. Alla fine si arrende alla tenerezza di quel gesto e ripiega
il
foglio per infilarlo in una delle proprie tasche.
Steve
non si
accorge di nulla, perché ormai non riesce a tenere gli occhi
aperti. «Mi
racconti un storia?» domanda qualche istante dopo e James
viene assalito da un
brivido di terrore.
«Una
storia?»
«Mhmm,»
conferma Steve, annuendo come un piccolo pupazzo con la testa che
dondola.
«Ehm...»
tentenna l'altro mentre cerca di inventarsi una scusa plausibile.
Quando si
trova a corto di idee si limita a stringersi nelle spalle.
«Senti, non
sono proprio il tipo. E tutte quelle che conosco non vanno a finire
bene.»
«Per
favore...?»
incalza Steve e lo guarda con la solita espressione da cucciolo
abbandonato.
Quel che è peggio è che di sicuro non si rende
neanche conto di farlo. Stronzetto.
«D'accordo,
ok, ti
racconto una storia!» sospira
James, agitando le mani davanti al viso come se potesse servire ad
annullare l'effetto dello sguardo implorante di Steve. «Basta
con quegli occhi! Seriamente, quei cosi dovrebbero
essere dichiarati fuori legge dalla Convenzione di Ginevra, sono uno
strumento di
tortura.»
Si
mette a
sedere sul bordo del letto. «Che tipo di storia ti
piacerebbe?»
Steve
ci pensa
serio e si rigira nella pila di cuscini. «Una
bella.»
«Una
bella, eh?» dice James prima di rimboccargli le coperte. Il
corpo di Steve
sembra comunque così piccolo nel mare di lenzuola, come se
dovesse affondarci
dentro.
«Sì.»
«Mi
sembra ragionevole,» gli concede James. Sta ancora cercando
di prendere
tempo perché sul serio non conosce alcuna storia. Sia
maledetta la criostasi. Non
ricorda neanche una sola favola della buonanotte che potrebbe aver
sentito da
bambino; sua madre non gliene ha mai raccontate e i pochi nomi che gli
vengono
in mente (Riccioli d'Oro, Cappuccetto Rosso, qualcosa che c'entrava con
delle
mele e una tizia morta) sono solo frammenti confusi che non ha alcuna
idea di
come fare a rimettere insieme. Così inizia dalla prima cosa
che gli passa per
la testa.
«C'era
una volta un mostro oscuro e spaventoso. Era cattivo e arrabbiato e
tutti
avevano paura di lui, ma in fondo gli andava bene così
perché non gli piaceva
molto stare intorno ad altre persone.» E all'improvviso
diventa un
aneddoto personale... sul serio, è questa la sua vita,
adesso?!
Sistema
il
piumino un po' meglio intorno alle spalle di Steve e riprende a
raccontare. «Il
mostro se ne stava sempre nascosto in una fortezza di neve e ghiaccio.
Usciva
soltanto quando un cazzone degenerato decideva di usarlo per i propri
interessi.»
«Un
ca...?» prova a dire Steve e James lo
interrompe prima che possa finire. Sentire Capitan America usare la
parola "cazzone" sarebbe
abbastanza
da far rivoltare lo Zio Sam nella tomba, figuriamoci sentir usare la
stessa
parola dalla sua versione in miniatura.
«Non
importa,» taglia corto. «Un giorno il mostro si
trovava davanti un
cavaliere. Questo cavaliere era forte, coraggioso e un tantino stupido,
ammettiamolo,» borbotta James e Steve ridacchia divertito.
«Non
c'è proprio niente da ridere! Il cavaliere era un
idiota.»
Steve
però
continua a sorridere e James rovescia gli occhi al cielo.
«Questo
coraggioso, stupido cavaliere andava a parlare con il mostro e gli
diceva che
non doveva essere così arrabbiato. Diceva al mostro che
voleva essere suo
amico, che il mostro non era costretto a continuare a vivere nella
fortezza di
neve e ghiaccio. E il mostro come risposta cercava di
mangiarselo.»
Invece
di essere
spaventato dalla direzione che sta prendendo la storia, Steve sembra
aspettare
il seguito con incurabile ottimismo. James sente qualcosa mordergli la
bocca
dello stomaco ma prosegue il racconto. «Il mostro cercava di
mangiarsi il
cavaliere tante volte, però il cavaliere era testardo. Non
era capace di capire
quando fosse il momento di lasciar perdere e continuava a stargli
intorno come
un cretino.»
James
si
interrompe per un attimo e scosta un ciuffo ribelle tra i capelli di
Steve. Il
piccolo Capitano è quasi del tutto addormentato, le palpebre
pesanti anche se
cerca di restare sveglio.
«Allora
il mostro, che non aveva mai conosciuto qualcuno che non avesse paura
di lui,
rimaneva abbastanza impressionato dal coraggio del cavaliere. A dirla
tutta
rimaneva più che altro perplesso nel vedere quanto fosse
stupido il cavaliere,
ma facciamo che il coraggio suona meglio. Comunque... il mostro
decideva che non
voleva più mangiarsi il cavaliere. Decideva che invece
voleva proteggerlo e
tenerlo al sicuro.»
«E
poi?»
chiede Steve con voce impastata dal sonno.
«Poi
il
mostro manteneva la promessa. Siccome aveva trovato un amico, voleva
essere
sicuro che niente potesse far del male al cavaliere.» James
sospira
sollevato al pensiero che la favola stia finalmente finendo.
«E vissero
per sempre felici e contenti. Almeno fino a quando il cavaliere non si
andava a
infilare in uno dei suoi soliti casini e il mostro cominciava a pensare
che
sarebbe stato meglio chiuderlo a chiave da qualche parte.»
Steve
sorride. «Mi piace il mostro.»
James
gli
sistema i capelli un'ultima volta. «Lo so che ti
piace.» Si china sul
pavimento per raccogliere quell'intollerabile Bucky Bear che Clint ha
dato a
Steve da portare via con sé.
Infila
anche
l'orso di peluche tra i cuscini e le coperte. «Adesso cerca
di dormire,»
sussurra mentre aggiusta il paralume per lasciare la lampada accesa
senza dare
fastidio al piccolo. «Io rimango nell'altra stanza, se hai
bisogno.»
Steve
non ha
nemmeno l'energia per replicare e abbraccia l'orsetto, il viso nascosto
nel suo
pelo morbido. Chiude gli occhi quasi all'istante e si addormenta.
James
si
assicura che stia davvero dormendo e poi si alza con cautela. Rimbocca
le
coperte ancora più strette intorno a Steve in modo da
tenerlo bene al caldo; dopo
un ultimo controllo si allontana e socchiude la porta, incamminandosi
nel
corridoio mentre Steve dorme beato.
OOOOO
James
si
sveglia di soprassalto. Col tempo si è abituato a entrare in
uno stato
d'allerta al minimo segnale di pericolo, anche se non vuol dire che gli
piaccia.
In pochi istanti è del tutto lucido e fissa il soffitto buio
sopra di sé. C'è
qualcuno nella stanza con lui. Gira la testa e vede Steve ai piedi del
letto.
«Gesù,
ragazzino... la prossima volta avvertimi!!» sibila prima di
passarsi la
mano di metallo sulla fronte. Siccome Steve non si muove torna a
guardarlo. «Cosa c'è che non va, Stevie? Stai
bene?»
«Ho
fatto un brutto sogno...»
spiega Steve, la vocina sottile e tremante nell'oscurità.
James ha
un tuffo al cuore e accende subito la luce.
Steve
tiene
l'orsacchiotto con una mano e con l'altra stringe le coperte di James;
ha i
capelli arruffati, dritti in testa, e negli occhioni azzurri brilla un
vago
accenno di lacrime. Sembra così fragile e sperduto che James
si sente
immediatamente in colpa per avergli risposto male.
«Un
brutto sogno, eh? Che tipo di brutto sogno?»
«C'era
un uomo sotto il letto.» risponde Steve.
James
si alza di scatto: c'è la remota possibilità che
non si trattasse affatto di un
incubo. Se qualcuno fosse venuto a conoscenza della particolare
condizione di
Steve, cercare di entrargli in casa e portarlo via durante la notte
potrebbe
essere il passo successivo.
Si
mette fra
Steve e la porta, tenendolo dietro di sé. Non vuole
spaventarlo più di quanto
non sia già e allo stesso tempo non vuole neanche che
rimanga troppo vicino
alla porta aperta. Non ci sono armi nell'appartamento (grazie tante,
misure di
sicurezza per mocciosi) ma quando si tratta di neutralizzare un intruso
può
farne anche a meno. Specialmente se si tratta di difendere Steve.
«Com'era
fatto, Stevie?» chiede al bambino e intanto cerca di
sporgersi
nel corridoio per controllare. Non c'è alcun segno di
movimento, nessun suono,
però aspetta prima di abbassare la guardia.
«Aveva
la faccia rossa,»
mormora Steve, ancora stretto all'orso di peluche come se possa servire
a far
sparire il ricordo del brutto sogno.
Faccia
rossa...? James
rimane perplesso e gli servono diversi secondi per mettere insieme le
idee. Ha
dei flash di un uomo dal viso rosso, la carne viva del colore del
sangue,
lingue di fuoco tutto intorno a lui. Nella documentazione relativa
all'ultima
missione di Capitan America durante la guerra ha letto del Teschio
Rosso, di
come Steve aveva mandato all'aria i suoi piani a costo della vita.
Sembra
che anche adesso, a settant'anni di distanza, sia una figura che torna
a
perseguitarlo nel sonno.
James
tira un sospiro di sollievo. «Vuoi dire il Teschio Rosso? Hai
visto il Teschio Rosso?»
Steve
annuisce in risposta e James deve trattenere una risata. «Non
preoccuparti, campione. Non credo che il Teschio Rosso
tornerà mai a darti
fastidio.»
Quando
Steve
rimane immobile dietro di lui si stringe nelle spalle, accomodante.
«Vuoi
che venga a controllare che non ci siano Nazisti maniaci nella tua
camera?»
Ottiene
in
risposta un altro cenno d'assenso, più il solito sguardo da
cucciolo che ormai
Steve ha imparato a padroneggiare alla perfezione. «Ok,
andiamo a
controllare,» dice mentre allunga la mano destra verso Steve,
che la
afferra con le sue piccole dita.
Il
letto è
pressoché intatto, fatta eccezione per l'angolo in cui il
mini-Capitano è
sgusciato fuori dalle coperte, e il fortino di cuscini regge ancora;
Steve
rimane fermo sulla porta quando James entra nella stanza per un'attenta
ricognizione, in cerca di qualsiasi traccia del Teschio Rosso.
Nonostante sia
quasi del tutto certo che fosse un incubo, James non vuole correre
rischi. Al
primo segno di pericolo è pronto a caricarsi Steve in spalla
e lanciarsi di
corsa fuori dall'appartamento.
Controlla
sotto il letto, nell'armadio, dietro la porta e in qualsiasi altro
angolo
oscuro pensa che possa trovarsi uno psicopatico omicida. Alla fine
stabilisce
che non c'è nessuno e si gira verso Steve, sempre fermo in
piedi sulla porta e
abbracciato all'orso di peluche. «Ecco,» sentenzia
indicando la
stanza con un largo movimento del braccio metallico. «Vedi?
Non c'è
niente. Era solo un incubo, Stevie.»
Si
avvicina
al letto e rimette a posto le coperte. «Torna a dormire, non
dovresti
essere sveglio.» Anche se non ha idea di che ora sia sa che
è comunque
troppo tardi (o troppo presto, questione di punti di vista) per
lasciare che un
bambino di tre anni se ne vada in giro per casa.
Steve
rimane
dove si trova. Da come osserva la stanza si direbbe che lì
dentro ci sono tutte
le sue peggiori paure. «Stevie... è tutto a posto,
te lo giuro. Ci siamo
solo tu ed io.»
Gli
occhi
azzurri di Steve si spostano per un attimo in fondo al corridoio, verso
la
camera da letto di James - che capisce al volo la richiesta non verbale
e
scuote la testa con determinazione. «Oh no. No, no, no, non
esiste! Sei molto più al sicuro
qui.»
Steve
torna
a guardare nel corridoio, imperterrito. A quanto pare dividere il letto
con un ex assassino
per lui è più sicuro che rischiare di restare da
solo con i ricordi di un babau
dalla faccia completamente rossa.
James
scuote
ancora la testa, deciso a non cedere e a dimostrarsi altrettanto
tenace. «Steve,
no. Non c'è niente che non va nella tua stanza o in questo
letto... non posso dire
lo stesso della mia
stanza, credimi.»
C'è
un breve
attimo di silenzio, sul campo di battaglia si scontrano due
volontà di ferro. Steve
non si muove e James ha intenzione di fare altrettanto. Poi succede.
Per la
miseria, succede: le lacrime spuntano agli angoli degli occhi di Steve
e il
labbro inferiore tremola un poco. È spaventato, addirittura
terrorizzato al
pensiero di dormire da solo, e James è costretto a cedere.
«E
va
bene! Hai vinto!» esclama sconfitto, la frustrazione e la
stanchezza nella
sua voce esplodono in tono più aggressivo di quanto avrebbe
voluto. «Solo
questa notte, però. Ci siamo capiti?»
Steve
annuisce
e in un istante è già in fondo al corridoio,
Bucky Bear al seguito. James è
costretto a inspirare a fondo prima di incamminarsi dietro a lui, senza
smettere di chiedersi come tutto
questo possa essere reale.
Steve
lo sta
aspettando in camera. James lo raggiunge poco dopo e chiude la porta,
facendo
scattare la serratura. «D'accordo, pulce, ti avverto subito:
comincia a
fregarti le coperte come facevi quando eravamo piccoli e ti butto
fuori.»
Il
piccolo
Capitano fa un cenno in assenso e si arrampica sul letto, l'orso di
peluche sempre
stretto sotto il braccio. Arriva fino al centro del materasso, aspetta
che
James si sistemi accanto a lui e spenga la luce, poi gli si appiccica
addosso rannicchiandosi contro il suo fianco.
James
ride
sommessamente, il braccio destro posato sulle spalle minute di Steve.
Quello
stupido orso gli si è conficcato nelle costole e nel letto
c'è la metà dello
spazio che c'era prima, ma Steve è tranquillo e non passa
molto prima che
scivoli in un sonno profondo e ristoratore.
James
non è davvero capace di restare arrabbiato,
non con Steve. Lo stringe un po' di più a sé,
posa la testa sul cuscino e
chiude gli occhi.
Capitolo originale dell'autrice
Show her some love!
|
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Capitolo 4 *** Avventure al supermercato ***
cap 1 trigger
NdA
Ok, mi scuso in anticipo se
James in questo capitolo sembrerà un po' OOC. Ho basato la sua reazione sulle mie esperienze personali, quindi
potrebbe non corrispondere del tutto al suo carattere. Chi tra voi ha figli o
ha lavorato come babysitter credo riconoscerà la successione di panico/paura/sollievo/rabbia
che si prova quando non si trova più il bambino che si doveva sorvegliare... non
è per nulla divertente!
Comunque spero che vi
piaccia!
Capitolo
4: Avventure al supermercato
«Cosa
mangiano i bambini?»
«...che
significa?»
«Cosa
mangiano i bambini?» ripete James, questa volta in tono
impaziente. «Sai,
i bambini... umani in dimensioni ridotte. In particolare quelli tra i
due e i tre
anni.»
«Sì,
so
cosa sono i bambini,» ribatte Clint dall'altra parte della
linea. «Ma
non è che siano una specie protetta.»
«D'accordo,
quindi cosa mangiano?» torna a chiedere James per la terza
volta. Inizia
anche a domandarsi se Clint sia la persona migliore da consultare in un
momento
del genere, soprattutto perché dalla voce sembra che sia
ancora mezzo
addormentato.
«Sul
serio, perché me lo stai chiedendo?» borbotta
Clint. «Guarda nella
dispensa e fatti venire un'idea, non è fisica
nucleare.»
«Sì,
beh, è proprio quello il problema,» dice James,
controllando che Steve sia
ancora occupato a colorare un disegno. «Mini-Steve non vuole
avere niente
a che fare con quello che mangia di solito maxi-Steve. Ci sono solo
uova e
barrette proteiche, che diavolo faccio?»
«Non
lo
so, Barnes. Prova col classico sandwich al burro d'arachidi e gelatina,
per i
ragazzini è come il crack.»
«Non
ce
l'abbiamo.»
«...come?!»
«Non
ce
l'abbiamo,» dice ancora James e apre l'anta della credenza a
dimostrazione
del fatto, nonostante non ci sia nessuno a vederlo.
«Non
ce
l'avete...» mormora Clint, incredulo. Almeno sembra
più sveglio di quanto
non fosse poco prima. «Chi è il mostro che non ha in casa almeno un barattolo di burro
d'arachidi e gelatina? Voglio dire, è quasi antiamericano,
non posso credere
che Capitan America abbia fatto qualcosa del genere. Non è
che sotto sotto
Steve è comunista?»
James
alza
gli occhi al cielo. «No, non è comunista! E no,
non abbiamo né burro
d'arachidi né gelatina. In compenso ho un bambino di tre
anni affamato e mi
manca l'esperienza in questo campo, sono a corto di idee.»
«Uhm...»
riflette Clint per un lungo istante, come se gli servisse tempo per
riprendersi
dallo shock. «Direi che l'unica soluzione è fare
un salto al supermercato.
Di sicuro troverai qualcosa da fargli mangiare, hanno interi scaffali
solo
per gli omogeneizzati. Inizia da lì.»
Si
sente
qualcuno parlare in sottofondo ma James non riesce a capire cosa sta
dicendo. «Bruce
dice di cercare i prodotti PediaSure1,»
spiega Clint e
trattiene un mezzo gemito di disappunto. «Però se
fossi in te eviterei,
quella roba dovrebbe essere usata solo come punizione.»
C'è
un
fruscio nel ricevitore e poco dopo una nuova voce è in
linea. «James?»
James
annuisce leggermente al saluto, realizzando che può
trattarsi solo di Bruce
stesso. «Dottor Banner...»
«Come
sta Steve?»
James
lancia
un'occhiata al tavolo dove Steve è ancora occupato col suo
disegno. Si sta
divertendo ma è irrequieto e ben presto passerà
dall'agitato al capriccioso,
per via della fame. «Sta bene ma ha bisogno di mangiare. In
casa non c'è
niente che vada bene per lui.»
«Posso
immaginare,» dice Bruce, che è un interlocutore
dieci volte più facile da
tollerare. «Clint ha ragione, la soluzione migliore
è comprare qualcosa in
negozio. Dovrebbe esserci un supermercato non molto distante
dall'appartamento
di Steve, cerca qualsiasi cosa abbia il marchio Gerber.»
«Gerber?»
si stupisce James. Il nome suona familiare ed è una
reminiscenza del periodo prima
della Seconda Guerra Mondiale. «Davvero esiste
ancora?»
«Sì,»
afferma Bruce. «Se sono ancora in giro vuol dire che i loro
prodotti
funzionano.»
«D'accordo.
Qualcos'altro che dovrei segnare sulla lista?»
Bruce
rimane
in silenzio per alcuni istanti. «La frutta è
sempre un'ottima scelta. Con
quella vai sul sicuro.»
«Va
bene,» dice James mentre prende un pezzo di carta per segnare
due appunti
al volo. «Frutta e prodotti Gerber. Sembra abbastanza
semplice.»
Dall'altra
parte della linea si sente la risata sommessa di Bruce. «Una
passeggiata. Comunque
chiamaci se hai altre domande.»
«Perfetto,»
replica James e termina la telefonata, rimettendo il telefono in tasca
insieme
al foglietto sul quale ha appuntato il necessario. Il piccolo Capitano
è ancora
seduto al tavolo in cucina, le gambe che ciondolano penzoloni mentre
scarabocchia il foglio davanti a sé. È ancora in pigiama e
ha i capelli tutti
arruffati ma è sveglio e guarda James con vivo interesse.
La
notte
precedente è andata meglio di quanto James si aspettasse:
Steve non ha avuto
altri incubi e lui non ha cercato di strangolarlo nel sonno, quindi si
può
quasi considerarlo un successo. È vero, per il resto della notte Steve
gli si
è spalmato addosso nella perfetta imitazione di una sciarpa
umana, ma James se
lo aspettava. Quello che non si aspettava era che Steve si alzasse alle
sei del
mattino, pimpante come un grillo. James è capace di
resistere per giorni
dormendo solo poche ore, però combinare la mancanza di sonno
con un bambino di
tre anni dagli occhioni azzurri che si sveglia alle ma-che-cavolo in
punto gli
ha reso difficile trascinarsi fuori dal letto quel mattino.
Adesso
il
suddetto bambino dagli occhi azzurri è affamato e non ci
vorrà molto prima che
diventi intrattabile. La soluzione al problema per fortuna si
è rivelata
abbastanza semplice.
«Va
bene, ragazzino, ti va di fare un giro al supermercato?»
chiede rivolto a
Steve, che annuisce con entusiasmo. «Però non puoi
venire in pigiama. Vai
a cambiarti e dopo possiamo uscire.»
Steve
obbedisce e scappa via per il corridoio, in direzione delle camere da
letto.
Dopo qualche istante si sente tonfo attutito; nonostante la sua fiera
indipendenza, è difficile
che Steve riesca a vestirsi da solo. James lo raggiunge nella sua
stanza e, come
previsto, lo trova con la testa incastrata nella manica di una
maglietta
intanto che sta cercando di infilarsi anche i pantaloni. Si inginocchia
accanto
a lui e con cautela lo libera dal garbuglio di vestiti.
Diversi
minuti dopo, Steve è pronto e James ha una manciata di
contanti infilata in
tasca. Sono diretti verso il supermercato più vicino che,
come ha detto Bruce,
non è poi così distante dall'appartamento. Steve
non gli tiene davvero la mano,
più che altro si aggrappa all'orlo della sua giacca e
procede a passi piccoli e
veloci inciampando ogni tanto sui propri piedi. Ogni volta James lo
afferra per
la maglietta prima che possa cadere, anche se lo lascia camminare da
solo per
gran parte del tragitto. Steve ha sempre avuto bisogno di dimostrare di
essere
capace di farcela senza alcun aiuto.
Il
supermercato è abbastanza affollato per quell'ora del
mattino, ma del resto James
pensa che al giorno d'oggi qualsiasi posto sia sempre affollato: tutti
vanno di
fretta, indaffarati a correre da un posto all'altro, e sembra sempre
che lo
spazio non sia sufficiente. Non è mai stato un amante della
folla, le
probabilità che qualcosa vada storto sono direttamente
proporzionali al numero
di persone presenti e quel mattino non fa eccezione. Prende un carrello
e ci
sistema dentro Steve.
Vedendo
l'espressione di protesta comparire sul viso del piccolo Capitano,
James scuote
la testa. «Puoi camminare con me al ritorno. Qui
c'è troppa gente.» Steve
non è soddisfatto eppure tace. Forse per effetto della fame
o perché sta imparando
a scegliersi le proprie battaglie, però James decide di non
sfidare la sorte.
Spinge
il
carrello nella corsia più vicina a loro e si china verso il
bambino. «D'accordo,
pulce... dobbiamo farci venire in mente un sistema per comunicare.
Potrebbe
essere un po' complicato ma proviamoci, ok?» Steve annuisce
in risposta,
così James continua. «Quando ti faccio vedere
qualcosa indicami sì o no
con la testa. Ci sei?»
Steve
ride
divertito e annuisce di nuovo. James si costringe a trattenere una
risata a
propria volta. «Ottimo. Al lavoro!»
I
due
seguitano a farsi strada per le corsie successive, procedendo fra un
cenno d'approvazione
o dissenso. Qualcosa finisce nel
carrello a prescindere da quello che indicherà Steve,
perché James sa che quando
Steve tornerà se stesso (il più presto possibile,
si spera) avere una dispensa
piena di cibo per bambini non sarà l'ideale, così
fa scorta di provviste utili anche
in futuro. Steve storce il
naso e James risponde con una smorfia. Adesso il piccolo Capitan
America non
riesce a comprendere l'importanza di prodotti come il caffè,
a differenza della
sua versione adulta.
In
poco
tempo il carrello si riempie con una combinazione di cibi per i
più grandi e per
i piccini - questi ultimi scelti in gran parte sugli scaffali dedicati
al
marchio Gerber. James si assicura di prendere anche un vasetto di burro
d'arachidi e gelatina, perché è certo che Clint
non smetterà di insistere col
patriottismo. Alla fine rimane da scegliere solo qualcosa nel reparto
ortofrutta, come ha
suggerito Bruce.
James
porta
il carrello nella corsia e lo parcheggia accanto alla lattuga.
«Ok,
campione, sempre le stesse regole. Sei pronto?» Steve
annuisce.
«Carote?»
Sì. «Sedano?» No.
«Broccoli?» No. «Uva?»
Sì. «Arance?» Sì.
Il
sistema
per indicare con un cenno della testa funziona a dovere e Steve
annuisce anche
quando James gli propone di prendere delle mele. Peccato che il
dispenser delle
borse di plastica sia vuoto. James impreca sottovoce, poi si guarda
intorno.
«Aspettami
qui,» dice a Steve. «Torno in un
secondo.» L'unico altro
distributore disponibile si trova dall'altra parte della corsia e James
ci
arriva contemporaneamente a una signora anziana, che strappa una busta
e gli
sorride mentre lui le si avvicina. «Ma che bellissimo
angioletto quel
bambino!»
James
inarca
un sopracciglio in risposta. «Grazie... suppongo.»
«Quanti
anni ha?»
La
domanda
coglie James alla sprovvista. Deve fare conversazione?! Non
è
molto bravo a
fare conversazione; le poche volte in cui gli capita è
perché qualcuno lo sta pregando di risparmiargli la vita o
succede in altre occasioni simili. «Novanta...»
inizia a rispondere, correggendosi subito alla vista
dell'espressione confusa della vecchietta. «Ehm... tre. Ha
tre anni.»
La
donna gli
sorride di nuovo e riempie la propria busta di verza. «È adorabile.
Meglio tenerlo d'occhio, le signorine gli staranno tutte addosso non
appena
sarà un po' più cresciuto.»
James
è di
nuovo preso alla sprovvista. Non è sicuro se debba trattarsi
di un complimento
o di un commento inquietante. All'improvviso realizza che l'anziana
signora
deve averlo scambiato per il padre di Steve e l'idea rende la
situazione ancora
più imbarazzante. «Sì...
vedrò di starci attento.»
La
vecchietta per fortuna sembra soddisfatta e, dopo uno sguardo
d'approvazione,
si allontana dal banco delle verdure. James tira un sospiro di sollievo
e si
volta per un attimo, lanciando uno sguardo al proprio carrello. Il
cuore gli
salta in gola e gli si gela il sangue nelle vene.
Steve
è
scomparso.
La
spesa è
dove l'ha lasciata, ma Steve no. Non è di fianco al
carrello, non sta nemmeno
andandosene a spasso per il reparto ortofrutta. James percorre in un
lampo la
breve distanza che lo separa dal carrello e inizia a cercare ovunque il
piccolo
Capitano. Non riesce a vederlo, non ha idea di dove possa essere:
è come se
Steve fosse svanito nel nulla.
Il
cuore
sembra esplodergli nel petto, brividi freddi gli corrono lungo la
schiena e arrivano
fino allo stomaco. E se qualcuno l'avesse portato via? Cosa
succederebbe se
qualcuno l'avesse rapito? Forse la vecchietta è stata
mandata apposta per
distrarre lui intanto che altri strappavano Steve fuori dal carrello?
Si è
allontanato per un minuto, non possono aver fatto molta strada...
Quasi
si
scontra con un ragazzotto poco più che adolescente,
impegnato a rifornire di
verdura un ripiano della corsia. In preda al panico lo afferra e lo
scuote un
paio di volte. «Hai visto un bambino, qui
intorno?!» chiede mentre il
commesso lo guarda con aria intimorita.
«Un...
bambino...?»
«Sì,
un
bambino!» ripete James, furente. «È alto poco
più di mezzo metro, ha
i capelli biondi, due occhi da cucciolo abbandonato e zero istinto di
autoconservazione!!»
«N-No,
mi spiace, non l'ho visto...» balbetta il ragazzo e a quanto
pare è la
risposta peggiore che potesse dare, perché James lo spinge
con forza contro una
cesta piena di sacchi di patate. Il commesso si lamenta quando la
mano di metallo gli stringe un poco di più la spalla.
«Se
gli
è successo qualcosa...»
«Bucky!»
squittisce in quel momento una vocina dietro di loro e James si volta
di
scatto, in tempo per vedere Steve spuntare da sotto un bancone della
frutta.
Tiene una mela in una mano e una busta di plastica nell'altra,
agitandola come
fosse un trofeo. «Ho trovato una busta!»
James
lascia
andare il commesso per inginocchiarsi di fronte al bambino.
«Ma che cavolo
pensavi di fare?! Perché sei sceso dal carrello?»
Lo
sguardo
soddisfatto di Steve scompare e il sorriso non è
più così convinto. «Ho trovato una
busta,» risponde, perché per lui è la
spiegazione più logica al mondo.
James
non sa
bene se sollevarlo di peso o sparare a qualcosa, quindi opta per un
ringhio
sommesso. «Non azzardarti a farlo mai più! Se ti
dico di non muoverti tu
non ti muovi, hai capito?» Steve annuisce. Sembra che sia sul
punto di
scoppiare a piangere e a James non interessa; pensare che Steve potesse
essere
stato rapito gli ha rilasciato in corpo una scarica di adrenalina, non
riuscirà
a calmarsi tanto facilmente.
Rimette
Steve nel carrello, insieme alla busta di plastica e alla mela.
«Non
provare a uscire di nuovo da qui,» sibila scandendo bene ogni
parola per
rimarcare il concetto. Steve annuisce ancora e rimane in silenzio, la
testa
china per la mortificazione.
Il
commesso che ha aggredito poco
prima non si è
mosso, impaurito, ed è rimasto a fissarlo ad occhi
spalancati. «Mi spiace,»
borbotta James, poi si affretta ad andarsene. Alcuni degli altri
clienti hanno seguito la scena e, a giudicare dalle loro facce, non
hanno
apprezzato i suoi metodi educativi. Che pensino quello che vogliono.
I
due pagano
la spesa, lasciano il supermercato e tornano all'appartamento senza che
James
rivolga una sola parola a Steve. Si giustifica dicendosi che
è troppo impegnato
a destreggiarsi fra le borse che sta portando e che non c'entra nulla
il fatto
che stia ancora tremando per lo spavento che Steve gli ha fatto
prendere. Sa
bene che Steve non l'ha fatto apposta, però girarsi e non
trovarlo più l'ha
davvero scosso nel profondo. Una certezza nella sua vita è
sempre stata il
pensiero che Steve fosse più importante di qualsiasi altra
cosa.
Così
camminano in silenzio, James pensieroso e intento
a non perdere di nuovo la calma e il piccolo Capitano che gli
trotta accanto, con una scatola di cereali infilata sotto un braccio e
in
spalla un sacchetto riempito di tovaglioli. Ogni tanto prova a
decifrare
l'espressione sul viso di James ma lui continua a fissare davanti a
sé. La
verità è che solo incrociando lo sguardo di Steve
gli tornerebbe voglia di
sgridarlo e preferisce evitare.
Ritornano
a
casa nel giro di pochi minuti e James apre la porta aiutandosi col
gomito.
Steve entra e deposita a terra la propria parte di provviste, in attesa
di
istruzioni.
«Vai
a
sederti mentre io metto via questa roba,» gli dice James.
Steve annuisce,
avvilito, e lascia la stanza; per James è una sofferenza,
eppure non è ancora
certo di riuscire a parlargli senza farsi prendere dal nervoso.
Si
tiene
occupato sistemando scatolette e verdura, un compito puramente manuale
che non
lo distrae comunque dai pensieri che si agitano nella sua testa. Non
avrebbe
dovuto prendersela in quel modo con Steve, però la paura e
l'angoscia possono causare
reazioni inappropriate e spesso sono proprio la prima risposta emotiva
ad una situazione
del genere. Lo sa perché si è trovato
più volte nella posizione opposta. Non l'aveva
mai capito sul serio, prima, ma adesso gli è tutto chiaro.
Ha
un vago
ricordo di una giornata di tantissimi anni prima, quando ancora lui e
Steve
vivevano in una catapecchia nel cuore di Brooklyn. Non cerca di opporsi
né di forzare
altri dettagli a venire a galla - durante le sessioni col Dr.Chandler
ha
imparato come rilassarsi e lasciare che la sua memoria lavori
spontaneamente.
Aveva
più o
meno sedici o diciassette anni e lavorava al porto, il suo primo vero
lavoro
con stipendio fisso. Erano turni massacranti, uno sforzo fisico
notevole, però
serviva per mantenersi un tetto sulla testa e non poteva lamentarsi.
Soltanto
una volta si era permesso di perdere la calma, durante una giornata
torrida in
cui l'afa aveva messo a dura prova la pazienza di tutto il personale.
Una
collisione di troppo nelle operazioni di carico e scarico aveva
scatenato qualche
scazzottata, con tanto di labbra spaccate. Il caposquadra era stato
costretto a
intervenire per sedare più di una rissa e alla fine aveva
sentenziato che un
altro episodio simile si sarebbe concluso col licenziamento di tutti
gli operai
coinvolti. Perdere il lavoro significava perdere anche i soldi per
l'affitto, così
James si era allontanato per recuperare il controllo e aveva finito per
passeggiare
per un'ora e mezza.
Quando
era tornato
al lavoro, nel pomeriggio, aveva trovato polizia e un discreto gruppo
dei suoi
colleghi ammassati lungo la banchina. Si era sporto al di là
delle protezioni per
capire cosa fosse successo: c'era stato un incidente con la gru e tre
degli
scaricatori erano caduti nell'acqua torbida insieme al carico che
stavano
spostando. Non erano mai risaliti a galla. Dato che era successo quasi
un'ora
prima non potevano che essere annegati. Una tragedia, di certo, ma
ciascuno di
loro sapeva bene che si trattava dei rischi del mestiere.
Il
caposquadra li aveva mandati a casa prima intanto che la polizia si
occupava
delle indagini del caso e James aveva preso la strada verso il proprio
appartamento
tagliando per viuzze e strade secondarie. Era convinto di trovare Steve
lì ad
aspettarlo, così era rimasto quantomeno sorpreso nell'aprire
la porta e non
trovare nessuno. Non c'era alcun biglietto, neanche un messaggio
scritto di fretta:
Steve era sparito.
Una
parte di
lui voleva credere che Steve fosse solo andato a comprare qualcosa al
negozio
all'angolo. O meglio ancora, che con una buona dose di fortuna avesse
incontrato una bella ragazza con la quale passare il pomeriggio...
anche se quell'ipotesi
non era molto plausibile. Non che Steve non fosse in grado di trovare
compagnia
femminile, però non sarebbe mai sparito senza lasciar sapere
all'amico dove
fosse andato. L'ultima opzione rimasta era che Steve fosse in giro a
farsi
pestare a sangue, perché non sapeva mai quando era il caso
di lasciar perdere.
Sospirando
per lo sconforto si era precipitato fuori dalla porta e giù
per le scale.
Avrebbe rastrellato tutti i vicoli di Brooklyn per trovare Steve.
Avevano
sempre badato uno all'altro, sempre e per sempre, e in particolare il
suo
compito era quello di tenere Steve al sicuro. Stava per svoltare
l'angolo e
dirigersi in strada quando si era quasi scontrato con Steve stesso, del
tutto
in preda al panico.
L'aveva
afferrato e l'aveva costretto a fermarsi. «Ehi, quanta
fretta! C'è un incendio?»
«Bucky?!»
aveva esclamato Steve a metà fra l'essere incredulo e
rincuorato. Poi aveva
spintonato James con entrambe le braccia. «Ma dov'eri
finito?!» aveva
domandato mentre gli occhi blu sprizzavano scintille.
«Arrivo
adesso dal lavoro,» aveva risposto James, continuando a
tenere Steve ben
saldo nonostante l'altro cercasse di divincolarsi. Non avrebbe saputo
dire da dove
arrivasse tutta quella furia. «Dov'eri tu,
piuttosto?»
«Idiota!»
aveva replicato Steve. Stavolta sembrava essere meno incattivito.
«Il
signor Thomas ha detto che c'è stato un incidente,
giù al porto! Sono andato a
controllare che stessi bene ma sembravi scomparso, nessuno sapeva dove
fossi...
qualcuno ha detto che eri caduto in...» Steve non era
riuscito a finire la
frase e si era limitato ad agitarsi ancora nel (vano) tentativo di
liberarsi.
Solo
allora
James aveva realizzato. «Oh, Stevie...»
«"Stevie" un
bel niente!" gli aveva detto Steve, la rabbia tornata a imporsi nel
rapido
succedersi di emozioni. Aveva smesso di provare a liberarsi ed era
passato ai
pugni, colpendolo a una spalla. «Che cosa ti è
saltato in mente?! Prendere
e andartene senza dire una parola, pensavo fossi morto...
imbecille!»
Il
pugno non
gli aveva fatto neanche la metà del male che Steve avrebbe
voluto causare.
James l'aveva stretto a sé in un abbraccio soffocante. «Scusami, non avevo intenzione di
spaventarti.»
Steve
aveva
cercato di nuovo di divincolarsi, senza successo. Era ancora
arrabbiato,
nervoso e terrorizzato e l'abbraccio di James lo stava rendendo solo
più
stizzoso ed irritabile. «Lasciami andare, Buck,»
aveva sibilato in
tono minaccioso, ma James non gli aveva dato ascolto.
Anzi,
aveva
aumentato la stretta e gli aveva posato il mento sulla testa.
«No, finché
non ti darai una calmata.»
Steve
a quel
punto era stato costretto ad arrendersi; aveva posato la fronte sullo
sterno di
James, i pugni serrati intorno alla sua maglietta. L'adrenalina ancora
in
circolo si stava esaurendo e tutto il suo corpo sembrava tremare
affannato,
dalle spalle fino alle gambe scheletriche.
«Mi
hai
fatto morire di paura, Buck,» aveva detto in un filo di voce
col viso
ancora premuto contro il petto di James. Non si era ancora calmato del
tutto,
anche se gran parte della rabbia sembrava aver lasciato il posto ad un
genuino
senso di sollievo.
«Scusami,
Stevie,» aveva mormorato James e gli aveva assestato una
pacca sulla
schiena. «Non succederà più.»
«Sarà
meglio,» aveva ribattuto Steve, strappandogli un sorriso.
«Te
lo
prometto, ragazzino.»
Il
ricordo
sfuma pian piano come le increspature sulla superficie dell'acqua in un
piccolo
laghetto. Lo lascia andare e non cerca di trattenerlo, in modo da
tornare a
concentrarsi sul presente. La spesa adesso è sistemata e lui
è seduto al tavolo
della cucina, il pugno di metallo abbandonato davanti a sé.
Allenta la stretta
e guarda le dita rilassarsi lentamente.
All'improvviso
sente qualcuno tirargli i pantaloni all'altezza del ginocchio e quando
abbassa
lo sguardo vede Steve, fermo accanto a lui. Il piccolo Capitano ha
un'espressione
timorosa e gli sta porgendo un oggetto rotondo. James si sporge per
allungare
una mano: Steve gli mette sul palmo la mela che aveva preso al
supermercato. Un
modo per chiedere scusa e un'offerta di pace allo stesso tempo. James
sospira e
scuote la testa. Al diavolo tutto...
Si
abbassa e
solleva il bambino da terra per farlo sedere sulle proprie gambe,
tenendogli un
braccio intorno alla vita. «Senti, Stevie,» inizia
a dire mentre un
paio di occhi blu lo scrutano con attenzione. «Mi spiace per
quello che è
successo, non avrei dovuto alzare la voce.» Passa le dita tra
i soffici
capelli di Steve. «Mi hai fatto morire di paura,
pulce,» sussurra,
come nell'eco del proprio ricordo.
«Scusa,»
dice Steve in tono sincero intanto che tormenta la maglietta nei pugni.
James
sorride e posa il mento sulla testa di Steve in un gesto identico a
quello di tanti
anni prima. «È tutto a posto, adesso,» risponde a
fior di labbra dopo
alcuni istanti. «Solo... non farlo mai più, ok?
Non so cosa farei se dovessi
perderti.»
Steve
annuisce e si stringe a lui. «Promesso.»
1. Linea di integratori alimentari per
bambini dai due anni in su. [NdT]
Capitolo originale dell'autrice
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Capitolo 5 *** Ninna nanna russa ***
cap 1 trigger
Capitolo
5: Ninna
nanna russa
James
sa che qualcosa non è a posto quando si sveglia, il mattino
seguente. Accanto a lui
c'è un bambino di tre anni che si agita irrequieto nel letto
e una sgradevole
sensazione di calore proviene dal corpo del suddetto bambino di tre
anni. James
si ridesta del tutto nell'esatto momento in cui capisce cosa sta
succedendo.
Steve
è
sveglio ma ne farebbe volentieri a meno, il corpicino ancora
appallottolato
nelle lenzuola. Continua a muoversi e spostarsi, perché
c'è ovviamente qualcosa
che lo disturba, e di tanto in tanto si lascia scappare un brontolio
infelice.
Il suo viso è arrossato e i grossi occhi azzurri sono
lucidi. Sono i segni di
una verità innegabile: Steve ha la febbre.
James
si
solleva su un gomito e si china su di lui, posando la mano destra sulla
fronte
di Steve. Il calore che riesce a percepire gli strappa una smorfia
corrucciata;
Steve sembra andare in fiamme, come una piccola fornace. Impreca
sottovoce e si
mette a sedere, tirandosi in grembo il piccolo Capitano.
«Ehi,
ragazzino, quando hai deciso di ammalarti?» domanda tra
sé
mentre continua
a tenere le lenzuola avvolte intorno al corpo di Steve. Steve non
risponde e si
limita a premere il viso contro il collo di James, che già
avverte l'ansia
stringergli un nodo intorno allo stomaco perché Steve sembra
scottare
pericolosamente. Tiene il piccolo in braccio e si dirige nell'altra
stanza in
cerca del telefono più vicino.
Lo
trova
sopra un tavolo e lo afferra al volo, scorrendo tutti i numeri in
memoria
finché visualizza quello che gli serve. Inoltra la chiamata,
poi si incastra il
telefono contro l'orecchio intanto che continua ad accarezzare la
schiena di
Steve con l'altra mano. Il piccolo Capitano si contorce per sistemarsi
in una
posizione migliore e stringe una manina intorno alla maglietta di James.
Il
telefono
suona un paio di volte prima che qualcuno dall'altra parte risponda.
«Che
succede, Barnes?»
«Clint?»
chiede James sorpreso; potrebbe giurare di aver chiamato l'interno di
Bruce. «Dov'è Banner?»
«Bruce
al
momento è nel suo giardino zen, a diventare tutt'uno con la
natura e incanalare
Buddha e non so quale altra stronzata hippie,» risponde Clint
e James
può
immaginarselo muovere le mani per aria. «Vuoi lasciargli un
messaggio?»
«Steve
sta male,» dice James senza mezzi termini e intanto raggiunge
il bagno
per
rovistare nel cassetto accanto al lavandino, in cerca di una salvietta.
Fa
scorrere l'acqua e inumidisce per bene la pezzuola, strizzandola per
bene prima
di passarla sul viso arrossato di Steve. Il piccolo piagnucola e cerca
di
sottrarsi ma alla fine si arrende.
«Merda,»
mormora Clint, la voce di colpo seria. «Che è
successo?»
«Non
lo
so,» dice James, ancora impegnato a tenere la pezzuola
premuta contro
la
fronte di Steve. «Ieri sera stava bene ma stamattina si
è
svegliato con la
febbre.»
«Quanto
alta?»
«Parecchio,»
risponde cupamente James. Se c'è una cosa che ricorda bene
prima della caduta
dal treno, è che Steve e la febbre erano sempre una gran
brutta combinazione.
«Ok,»
ribatte Clint e James può sentirlo spostarsi nella stanza.
«Vado a cercare
Bruce, non riattaccare.»
«D'accordo,»
annuisce James, aprendo tutti gli sportelli degli armadietti in bagno.
Nonostante
il Siero, Steve è comunque impegnato in attività
che lasciano tagli e lividi e
sotto il lavandino tiene un kit di pronto soccorso ben fornito. James
impiega
un paio di secondi a trovare quello che gli serve. Prende il tubetto di
plastica e toglie il tappo con cautela.
Il
termometro non assomiglia affatto a quelli che si usavano quando loro
erano
piccoli, adesso ci sono plastica liscia e uno schermo digitale a
rimpiazzare
vetro e mercurio. Il metodo d'uso è comunque lo stesso e
James infila la punta
nella bocca di Steve, poi preme il tasto di accensione. Steve torna ad
agitarsi
e James blocca il termometro al proprio posto.
«Stai
fermo,» gli dice con dolcezza intanto che continua ad
accarezzargli la
schiena. «Non mordere.»
Il
bambino
grugnisce infastidito e si rigira un po' il termometro in bocca. Dopo
alcuni
secondi si sente un debole cicalio e James riprende il termometro per
leggere
il responso. Poi impreca di nuovo, a fior di labbra.
«James?»
chiama una voce e per un attimo James sussulta, colto alla sprovvista.
Si era
dimenticato del telefono premuto contro il suo orecchio. «Che
succede?»
«Steve
sta male,» l'ex assassino ripete quello che aveva
già detto
a Clint poco
prima. «Davvero male.»
«Clint
mi ha informato,» dice Bruce con voce calma e preoccupata
allo
stesso tempo. «Ha detto che gli è venuta la
febbre.»
«Sì,
una brutta febbre,» conferma James, il termometro ancora
stretto fra le
dita.
«Quanto
brutta?»
«Trentanove,»
risponde James e può sentire dall'altra parte della linea
un'imprecazione
trattenuta. «Proprio quello che sto pensando io.»
«Ok,»
domanda Bruce in tono più contenuto. «Oltre alla
febbre ha
altri sintomi?
Difficoltà nel respirare? Tosse? Qualsiasi cosa?»
James
guarda
il piccolo Capitano stretto tra le sue braccia e lo esamina
attentamente. In
effetti respira un po' a fatica e la pelle è arrossata e
calda, ma a una prima
occhiata non sembra esserci altro.
James
sta
per comunicare queste informazioni quando Steve si agita all'improvviso
e uno
strano rumore gli esce dalla gola. Il piccolo torace si contrae e James
fa
appena in tempo a girarsi e inginocchiarsi di fronte al water, poi
Steve vomita
nella tazza. Non c'è molto da rigurgitare, dato che Steve ha
l'appetito di un
uccellino, però i conati lo lasciano scosso e tremante per
diversi istanti dopo
che sono passati. Si aggrappa forte a James e tira su col naso,
sconsolato.
«Direi
nausea e vomito,» mormora James a telefono mentre risistema
le lenzuola
intorno al corpo di Steve, cullandolo in un abbraccio.
«Maledizione...
okay,» dice Bruce e si sente un vago suono di sottofondo,
come se
stesse
scrivendo qualcosa su un foglio. «Portalo qui alla Torre e
gli
darò
un'occhiata. Assicurati che rimanga al caldo e cerca di fargli bere
qualcosa,
l'ultima cosa che vogliamo è che si disidrati.»
«Sto
arrivando,» replica James con un cenno della testa, poi
termina la
chiamata e mette il telefono in tasca. Torna in cucina per prendere una
specie
di succo di frutta dal frigorifero. L'avevano trovato nella corsia dei
prodotti
Gerber ed era stato Steve stesso a sceglierlo - con tutta
probabilità per via
del colore, ma chi può dirlo. In ogni caso James
è disposto a tentare di
farglielo bere, se può servire a evitare la disidratazione.
Infila
la
bottiglia di succo sotto un braccio e con l'altro continua a tenere
Steve ben
stretto a sé intanto che s'incammina verso la porta. Non si
preoccupa neanche
di chiudere a chiave (in casa non c'è niente che valga la
pena rubare) però
prende un appunto mentale per ricordarsi di controllare da cima a fondo
l'appartamento, una volta che saranno tornati. Al momento non
è il suo pensiero
principale e si fionda giù per le scale e poi in strada per
fermare un taxi.
OOOOO
«Guariscilo,»
intima a Bruce quando finalmente raggiungono la Torre, le parole
pronunciate a
fatica attraverso la mascella serrata.
Ci
sono
voluti quasi quarantacinque minuti per attraversare la città
e durante il
viaggio Steve è peggiorato. Prima era semi-cosciente ma
adesso è apatico e inerte,
non si muove più irrequieto come faceva a casa. James
è riuscito a convincerlo
a bere qualcosa, anche se non abbastanza, e comunque c'era il pericolo
che
Steve rigurgitasse tutto. Se solo avesse avuto con sé una
pistola l'avrebbe
usata per minacciare il tassista e intimargli di sbrigarsi a portarli a
destinazione.
Bruce
e
Clint li aspettavano all'ingresso e James ha subito lasciato il piccolo
Capitano tra le braccia del dottore. Il fatto che Steve non si sia
lamentato o
non abbia protestato nell'essere separato da lui ha raddoppiato in un
secondo
l'angoscia di James.
Bruce
risponde con un cenno d'assenso e si avvia lungo il corridoio in
direzione del
proprio laboratorio. Sia James sia Clint lo seguono senza dire una
parola ed
entrambi entrano nel laboratorio poco prima che le porte scorrevoli si
chiudano.
Si
fermano uno
accanto all'altro mentre Bruce scompare in un angolo con Steve, ancora
abbandonato molle e apatico tra le sue braccia. James deve combattere
la
tentazione di seguirli e proprio quando sta per muovere un paio di
passi in
avanti Clint, gli afferra il polso di metallo. L'arciere scuote la
testa e
lancia uno sguardo al laboratorio, dove Bruce è sparito.
«Starà bene,
Bruce sa quello che fa.»
James
vorrebbe ribattere che sì, è sicuro che Bruce
sappia quello che fa, però c'è
Steve lì dentro ed è malato e qualcuno
farà meglio a prendersi cura di lui altrimenti...
«Ma
cosa è successo?» domanda Clint, strappandolo ai
suoi
pensieri ed evitando
che prendano una piega fin troppo oscura.
James
scuote
la testa e torna a concentrarsi sul presente. «Non lo
so,» dice
sinceramente. «Te l'ho detto, stava bene fino a ieri sera ma
stamattina
si
è svegliato caldo come una fornace.»
«Non
pensi che abbia messo le mani dove non doveva, vero?» chiede
ancora
Clint e
poi solleva le mani in aria, a causa dell'occhiataccia storta che si
vede
rivolgere da James. «Sto solo chiedendo. I ragazzini al
giorno d'oggi
lo
fanno di continuo. Per la miseria, è così che
metà di loro sviluppa dei
superpoteri.»
Di
nuovo James
scuote la testa in risposta. «No, non credo. Era ancora a
letto quando
ho
realizzato che stava male.»
«Ok,»
annuisce l'arciere, stringendosi nelle spalle. «Almeno
abbiamo escluso
questa possibilità. Qualche altra idea?»
«No,
ieri l'ho portato con me al supermercato e poi...» La
consapevolezza
colpisce James all'improvviso e impreca sottovoce in russo.
«Cazzo,
tutta
quella gente... avrei dovuto saperlo...»
«Che
cosa avresti dovuto sapere?» gli domanda Clint, un
sopracciglio
inarcato
con aria interrogativa.
James
sospira
e si passa una mano sul viso. «Il sistema immunitario di
Steve faceva
schifo prima che lo trasformassero in Capitan America, si ammalava per
qualsiasi sciocchezza. Se qualcuno nel raggio di cinque miglia aveva il
raffreddore anche Steve finiva per prenderselo.»
«Quindi
pensi che si sia ammalato quando l'hai portato al
supermercato?» chiede
Clint, che finalmente sembra iniziare a capire.
«Avrebbe
senso,» risponde James e un'altra ondata di senso di colpa lo
investe
in pieno.
Avrebbe dovuto ricordarselo... avrebbe dovuto saperlo...
Clint
si
accorge di quello che sta provando, perché gli mette una
mano sulla spalla. «Non
essere così duro con te stesso,» dice intanto che
James si
libera da quel
contatto. Non lo prende come un affronto personale, comunque; il fatto
che sia
le dita sia il suo braccio siano ancora intatti ne è la
dimostrazione. «Non
è stata colpa tua.»
«Invece
sì,» sbotta James d'un fiato e lo fulmina con una
seconda
occhiataccia
storta. «Si è sempre ammalato così,
avrei dovuto
ricordarmelo.»
«Credo
che dovresti darti un po' di tregua,» insiste Clint.
«I Sovietici ti
hanno fatto il lavaggio del cervello per settant'anni, se ti
è sfuggito un
piccolo particolare non è certo la fine del mondo. Capita a
tutti di sbagliare.»
«Non
quando lui è coinvolto,» replica James, lo sguardo
fisso al
laboratorio
dove sono spariti Bruce e Steve.
Clint,
rimasto a corto di obiezioni valide, si fa indietro e si siede al
tavolo più
vicino. È pieno di piastre di Petri e microscopi e di un sacco di
altre
cianfrusaglie che Bruce e Tony usano quando lavorano insieme, quindi
sta ben
attento a non toccare nulla; l'ultima cosa che gli serve è
contaminarsi con l'esperimento
della settimana e farsi spuntare un paio di pinne o roba simile.
James
rimane
in piedi, la schiena appoggiata contro il muro. Non si concede alcun
riposo e incrocia
le braccia sul petto nel tentativo di impedirsi di spaccare quello che
gli
capita a tiro. Avrebbe dovuto sapere che portare Steve in un posto
affollato,
nelle condizioni in cui si trova, sarebbe stato pericoloso per la sua
salute.
Avrebbe dovuto saperlo e in effetti è quasi sicuro che una
parte di lui sapeva,
però l'ha fatto lo stesso e ora
Steve sta male. Ha voglia di prendere a pugni qualcosa ma non vuole
ripagare
Stark per i danni, così decide di restare in piedi ad
aspettare.
Bruce
riemerge dal laboratorio circa venti minuti più tardi
tenendo Steve in braccio.
Il piccolo Capitano non ha un aspetto migliore di quando è
arrivato, anche se
almeno sembra dormire sereno.
«Come
sta?» domanda Clint non appena Bruce consegna il bambino al
suo
babysitter
ufficiale.
«Direi
che si tratta di un virus passeggero. Oltre alla febbre e al vomito non
ha
altri sintomi. I bambini prendono spesso questo tipo di microbi e
stanno male
di stomaco, non è niente di cui preoccuparsi,»
dice Bruce,
rivolto all'ex
assassino. «Si sentirà abbastanza scombussolato
per il resto
della
giornata ma dovrebbe eliminare tutto nel giro di poche ore.»
James
sente
che la tensione nel proprio corpo allenta la presa. «Allora
starà bene?»
Bruce
annuisce
e sorride. «Sì, non credo sia nulla di serio. Gli
ho dato
qualcosa per la
febbre, per aiutarlo a dormire, però vorrei che rimaneste
entrambi qui in modo
da tenerlo sotto controllo. Come ho detto, la disidratazione
è il pericolo
maggiore e restando qui alla Torre sarà più
facile rendersi conto di quanti
fluidi riesce a reintegrare.»
James
si
sistema il bambino addormentato un po' meglio tra le braccia. Steve
è ancora un
po' troppo caldo per i suoi gusti ma deve riconoscere che è
di sicuro più calmo
di quanto fosse quel mattino. Non è più
irritabile o irrequieto e per il
momento va più che bene.
Lascia
il
laboratorio e s'incammina verso il soggiorno, poi si lascia cadere
seduto sul
divano con Steve accoccolato in grembo. Il bambino borbotta qualcosa di
incomprensibile e rimane addormentato; un angolo della bocca di James
accenna
un debole sorriso mentre posa la mano destra sui capelli biondi del
piccolo.
La
tv
dall'altra parte della stanza è accesa, trasmette una
partita di football.
James non sa chi sta giocando né gli interessa, serve
soltanto da rumore di
fondo e niente di più.
Clint
li
raggiunge alcuni minuti dopo e si siede a propria volta sul divano,
sprofondando tra i cuscini. È quieto e composto per la prima volta da
che
James l'ha conosciuto, segue la partita distrattamente e di tanto in
tanto
controlla che la miniatura di Capitan America stia bene. Sta offrendo
supporto
e conforto e James gliene è grato.
Il
resto
della mattinata passa tranquilla, il silenzio interrotto solo quando
James o
Bruce svegliano Steve per cercare di fargli bere qualcosa. Vomita
ancora in
qualche occasione e i conati lo lasciano irritabile e avvilito; si
tratta di
una lunga, noiosa giornata senza altri avvenimenti degni di nota e
James quasi
preferisce così.
La
febbre inizia
a scendere intorno alle due del pomeriggio e Steve si ritrova sudato
fradicio,
tremante in braccio a James. Non c'è nemmeno un cambio di
vestiti a portata di
mano - James non ha avuto la prontezza di pensarci quando ha lasciato
l'appartamento,
quel mattino, ed è costretto a rimediare usando una delle
t-shirt di Stark. È nera con il disegno di un arcobaleno rifratto attraverso un triangolo e
addosso a
Steve è così grande da toccare terra. James non
è sicuro di chi sia Pink Floyd ma
Tony ha nel cassetto almeno altre cinque magliette con quel nome,
quindi si
immagina che prenderne una in prestito non sia un gran problema.
Steve
piagnucola e borbotta intanto che viene spogliato dei vestiti ormai
impregnati
di sudore e poi imbacuccato nella t-shirt pulita. La febbre sembra
essere
passata e da quasi un'ora non ha più vomitato,
però si sente ancora sottosopra
e l'espressione sul suo viso è una chiara esternazione
d'infelicità. Anche se
ormai è guarito, è comunque stanco, stizzoso e in
generale ridotto a uno
straccio.
«Sai
che se andrai avanti a fare questa faccia poi ti resterà
sempre così, vero?»
gli dice James nel vedere la smorfia immusonita. Steve risponde con un
mugugno
contrariato e non parla. James sa che è del tutto normale;
ha poche memorie ben
chiare di quando lui e Steve vivevano insieme eppure ricorda che Steve
è sempre
stato stizzoso e irritabile quando si ammalava (il che succedeva
abbastanza di
frequente, purtroppo).
A
Steve non
è mai piaciuto essere coccolato o coperto di attenzioni, a
causa del suo fisico
minuto, e il fatto che James sia sempre stato iperprotettivo non
è mai servito
a placare la sua irritabilità, anzi. Non funzionava come
deterrente allora e
non serve neanche adesso.
«Scusa,
pulce, non parlo il borbottese,» dice James e riprende in
braccio il
bambino, sedendosi sul divano. Steve non cerca di divincolarsi e si
lascia sistemare
in una posizione più o meno confortevole. Si accoccola
contro il fianco di
James, la guancia schiacciata contro le sue costole e i ditini
aggrappati al
tessuto della sua maglia.
James
gli
passa le dita fra i capelli umidi e ne scosta un ciuffo da parte per
controllargli la fronte. Soddisfatto nel constatare che davvero la
febbre è
passata continua ad accarezzargli lentamente i capelli.
Non
saprebbe
dire con esattezza quando inizia a canticchiare, ma ben presto una
melodia
appena accennata riempie lo spazio intorno a loro. Può
sentire Steve
appoggiarsi sempre di più al suo fianco, man mano che il
sonno s'impossessa di
lui. Bruce ha detto che il riposo è la cura migliore e James
è determinato a
fare in modo che Steve dorma il più possibile. Continua a
cantare sottovoce, un
braccio posato sulle spalle del piccolo Capitano per tenerlo stretto a
sé.
Ricorda
un'immagine simile a questa da una vita lontana anni, secoli - un
momento di
calma, il riposo offuscato dal fastidio della febbre e una ninna nanna.
Solo
che nel suo ricordo non è Steve a essere ammalato,
è lui. Quella volta era lui
ad aver preso un raffreddore, a essere scosso dai brividi di freddo e
dalla
tosse. Era rimasto lontano da Steve almeno per i primi due giorni,
terrorizzato
all'idea di poter contagiare il suo migliore amico. La madre di Steve
l'aveva
trovato mentre girovagava senza meta a un paio d'isolati di distanza da
casa
loro, in stato febbrile e tanto confuso da non sapere neanche dove si
trovasse.
Gli aveva fatto una bella lavata di testa e poi si era tolta il
cappotto lungo
la strada, per metterlo addosso a lui.
Non
ricorda che
età potesse avere all'epoca, ricorda solo che era abbastanza
giovane da
permettere a Sarah Rogers di caricarselo in braccio e portarlo nel
piccolo
appartamento nel quale viveva insieme a Steve. Non era riuscito a
opporsi,
anche se aveva almeno provato a protestare.
Si
ricorda
di averle detto di essere troppo malato per restare con loro, che
sarebbe stato
rischioso per Steve, eppure Sarah non gli aveva dato ascolto. Aveva
risposto
che era preparata a badare a entrambi e gli aveva in pratica ordinato
di
smettere di preoccuparsi e riposare, piuttosto. Lui aveva insistito un
altro
po' e Sarah aveva continuato a ignorarlo, finché la febbre
gli aveva tolto
qualsiasi energia e non era stato in grado di mettere insieme altre
frasi di
senso compiuto.
Ricorda
di
aver visto Steve nella stanza, appollaiato sul bordo del letto a
guardarlo con
occhi azzurri preoccupati. C'era una mascherina di tela stretta intorno
al suo
viso in modo da proteggergli naso e bocca e impedire che qualsiasi tipo
di
virus si trasmettesse a lui; non l'aveva mai lasciato solo un istante,
non
importava quanto James avesse insistito per convincerlo di star bene e
di non
aver bisogno che gli stesse intorno, rischiando di ammalarsi a propria
volta.
Steve era sempre stato cocciuto come sua madre, forse anche di
più, e si era
semplicemente rifiutato di andarsene.
Verso
sera,
quando l'aria nella stanza era diventata pesante per colpa della sua
febbre e dell'unica
candela rimasta accesa, Sarah aveva iniziato a cantare. Ancora adesso
James non
ha idea di cosa stesse cantando, cosa significasse la canzone o in che
lingua
fosse: Sarah stava cantando per lui
ed era tutto ciò che gli servisse sapere.
Il
motivo
era lento e calmo, armonioso e delicato come vetro, intonato dalla sua
voce
dolce e vellutata. Sarebbe rimasto ad ascoltarla per sempre ma si era
addormentato poco dopo, l'eco della ninna nanna ancora nelle orecchie.
Steve
era rimasto insieme con lui per tutto il tempo.
Quel
ricordo
gli fa stringere qualcosa nel petto e si lascia scappare un respiro
profondo
nel tentativo di scacciare il fastidio. Continua a canticchiare,
domandandosi
se anche Steve si ricordi così bene di quella notte.
«Cosa
stai cantando?» chiede una voce e James lancia un'occhiata
dietro il
divano, dove c'è Clint in piedi all'ingresso del corridoio.
«È una
ninna nanna russa,» risponde James mentre il respiro di Steve
rimane
pesante e regolare contro il suo fianco. Non sa dove l'ha sentita o
quando,
ricorda solo la melodia e le parole. «Si chiama Il Piccolo
Lupo Grigio.»
«Allegro,»
replica Clint con un mezzo
sorriso. «Niente dice "sogni d'oro" meglio di una canzone che
parla di
lupi.»
James
si
stringe nelle spalle. «È simile alla ninna nanna della culla
sul ramo,
solo
che in questo caso il bambino è sul bordo del letto e non
deve sporgersi troppo
o verrà un piccolo lupo grigio a portarlo via.»
Clint
sembra
riflettere per alcuni istanti prima di scuotere la testa, rassegnato.
«Allegro
sul serio, sì! Cavolo, in Russia è tutto talmente
hardcore che perfino le ninne
nanne sembrano canzoni metal.»
«Che
ci
vuoi fare... non si può essere troppo teneri se si vive in
un Paese del genere,»
ribatte James in tono scherzoso, anche se nella sua voce c'è
una nota aspra che
è difficile non notare.
«Cercherò
di tenerlo a mente se mi capiterà di restare bloccato in
Russia,» mormora
Clint intanto che si allontana. «Non so se riuscirei a
cavarmela con le
mie favole della buonanotte che non parlano di lupi.»
James
sorride tra sé e continua a canticchiare, con Steve ormai
addormentato sdraiato
al suo fianco.
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Capitolo 6 *** Loki'd ***
cap 1 trigger
Capitolo
6: Loki’d
«Barnes! Prendi Steve e portalo al laboratorio! Abbiamo...»
Qualsiasi
cosa Tony volesse dire viene efficacemente stroncata sul nascere dalla
presenza
di una lama seghettata e affilata, poggiata alla base della sua gola.
La mano
che regge la lama è attaccata a un braccio connesso alla
spalla di un ex
assassino silenzioso e mortale. Il suddetto assassino gli sta
rivolgendo uno
sguardo minaccioso, una chiara richiesta di chiudere la bocca e tacere.
La
ragione di tale sguardo è il bambino che dorme accoccolato
sul suo petto,
aggrappato alla sua maglietta.
«Gesù,
amico, puntarmi un coltello alla gola in casa mia...» inizia
a dire
ancora
Tony ma s'interrompe non appena la lama preme un po' di più
sulla sua pelle.
«Sta
dormendo,» bisbiglia James, l'arto di metallo intorno al
corpo di Steve
per tenerlo stretto a sé. «Se lo svegli ti pianto
il
coltello in faccia.»
«Gran
bella accoglienza,» borbotta Tony,
anche se si sforza di parlare a bassa voce. «Pensavo avessimo
superato
la
fase "un movimento improvviso e ti ammazzo". E poi Fury mi aveva detto
che ti
eri liberato di tutte le armi. Non devo essere io a farti notare che
maneggiare
un coltello da caccia mentre c'è un bambino che ti dorme
addosso è abbastanza pericoloso,
vero?»
James
si
limita a sollevare gli occhi al cielo in risposta. «Gli ho
detto che mi
ero liberato delle pistole. Sul
serio
pensavi che mi sarei liberato di qualsiasi arma mentre Steve
è ancora così?»
Tony
sospira
e si strofina le palpebre, come se quella conversazione l'avesse
già stremato. «Prima di tutto, tu sei comunque
un'arma vivente. Sono quasi sicuro che
potresti far fuori qualcuno solo con un orologio da taschino. E
secondo... un
coltello? Davvero?! È un po' moscio rispetto all'arsenale che ti porti
dietro
di solito.»
«Chi
dice che sia soltanto uno?» chiede James abbassando la lama e
rimettendola
nella fodera, intanto che si sistema Steve in braccio. «Ne ho
sei
nascosti
in questa stanza.»
«Ok,
questo è terrificante.»
«Grazie.»
«Ed
eccessivo.»
«Non
ho
intenzione di correre rischi.»
«Sì,
me
ne sono accorto,» mormora Tony, guardandosi intorno con
attenzione come
se
stesse cercando di capire dove potrebbero essere i coltelli nascosti.
Non vede
niente ma del resto non che si aspettasse il contrario; se un ex
assassino dice
che sono nascosti, allora sono davvero nascosti.
«Che
cosa vuoi, Stark?» domanda James dopo un altro paio di
secondi.
«Abbiamo
trovato Loki,» risponde una nuova voce, prima che possa farlo
Tony, ed
entrambi
voltano lo sguardo in tempo per vedere Natasha entrare nella stanza.
Indossa un
paio di jeans e una t-shirt, eppure riesce a farli sembrare un'armatura
pronta
per la battaglia. È un particolare ragguardevole. «Ci
è
voluto un po' ma
siamo riusciti a prenderlo fuori Jotunheim. Thor l'ha rinchiuso nel
laboratorio.»
«Che
comunque significa che dobbiamo sbrigarci,»
s'intromette Tony facendo un cenno col capo in direzione del
laboratorio, in
fondo al corridoio. «Le parole "Loki" e
"rinchiuso" non vanno molto
d'accordo.»
James
annuisce
e inizia ad alzarsi, per poi fermarsi quando Steve mugugna debolmente
in
protesta. Si blocca quasi all'istante, mezzo seduto sul bordo del
divano, e
guarda il bambino che tiene in grembo.
Natasha
si
rende conto della situazione e si fa avanti a braccia aperte per
offrirsi di
prendere Steve.
James
esita
per almeno un paio di secondi e mezzo prima di cedere e passarle con
dovuta
cautela il bambino addormentato. Non gli piace l'idea di lasciare Steve
a
qualcun altro però si fida di Natasha quasi quanto si fida
di se stesso, quindi
la soluzione è accettabile.
Natasha
prende Steve e lo abbraccia, coccolandolo mentre saltella leggermente
sulle piante
dei piedi. Steve sbatte le palpebre e la osserva, ormai sveglio
nonostante il
tentativo di evitare di svegliarlo. Impiega qualche istante a
riconoscerla ma
quando riesce a metterla a fuoco le sorride, ancora assonnato. Natasha
gli
sorride di rimando posandogli la fronte contro la sua e continuando a
cullarlo
piano. «Доброе утро, солнышко1.»
Tony
segue
tutta la scena con l'aria di qualcuno abbastanza irritato all'idea di
non
essere considerato all'altezza di prendersi cura di Steve.
«Certo,
diamo
pure il bambino a una donna. Non è per nulla
sessista.»
«Il
sessismo non c'entra,» replica James, intanto che si solleva
dal
divano. «Preferirei non lasciare Capitan America in braccio a
un uomo che si
guadagnava da vivere progettando armi di distruzione di
massa.»
Tony
sgrana
gli occhi per un secondo. «Natasha
è
un'arma di distruzione di
massa,» dice indicando la donna, al momento occupata a
sussurrare in
russo
al bambino che tiene tra le braccia. «Probabilmente
è la
persona più
letale in questo team... a parte te, fatti due conti.»
«Attento,
Stark, finirai per farmi arrossire,» ribatte Natasha e lo
colpisce allo
stinco con la punta del proprio stivale.
Tony
sussulta nel tentativo di trattenere un'imprecazione, qualcosa di
incomprensibile borbottato a denti stretti. «Sì,
come stavo
dicendo,
dovremmo andare al laboratorio. Loki non è il più
collaborativo degli dei nella
galassia e credo che ci lascerebbe volentieri nei guai piuttosto che
sistemare
questo casino, quindi faremmo meglio a muoverci.»
James
annuisce in direzione del corridoio e distende un braccio.
«Facci
strada.»
Tony
accetta
l'invito e li porta fino al laboratorio, Natasha subito dietro di lui e
James a
seguito. Gli altri sono già all'interno, Bruce e Clint
bloccano la porta e Thor
è al centro della stanza con una mano serrata sulla spalla
di Loki. O perlomeno,
James pensa che quello sia Loki.
Riconosce
Thor dai dossier che gli sono stati forniti ma l'uomo dai capelli scuri
che gli
sta accanto non ha un viso familiare. C'è un luccichio
maligno nei suoi occhi
quando si posano su di lui, un misto di malizia e caos. Ha un aspetto
pericoloso e squilibrato, di una persona che potrebbe scoppiare in una
risata
incontrollabile mentre le sue mani grondano sangue. Anche se non si
è ancora
mosso né ha detto una sola parola, il suo aspetto
è minaccioso e a James non
piace per nulla.
Lo
sguardo
del dio degli inganni si posa sul piccolo Capitano che Natasha tiene in
braccio, poi la sua espressione si trasforma nel sorriso di un cobra.
«Oh,
cielo... che adorabile mascotte potresti essere,» sogghigna,
senza
smettere di fissare la versione infantile di Steve. «Non
capisco
proprio
dove stia tutto il trambusto. Sono sicuro che i vostri ammiratori
adoranti andrebbero
in visibilio nel vedere uno di voi ridotto in questo stato. Per come
è adesso
rappresenta l'incarnazione fisica dell'innocenza e della
virtù. Che senso
avrebbe farlo tornare come prima?»
«Ha
senso se non vuoi che faccia una collana con i tuoi denti,»
sibila
James,
fulminandolo con un'occhiata. Non si fida di lui, per niente, e prima
si
sbrigherà a far ridiventare Steve normale e a tornarsene da
qualsiasi angolo
della galassia dalla quale proviene, meglio sarà.
Loki
distoglie l'attenzione da Steve e rialza gli occhi per squadrare l'ex
assassino. «Interessante. Noi non ci siamo mai incontrati
prima, direi.»
«Già,
dove sono le mie buone maniere?» dice Tony facendosi avanti e
mettendosi
fra James e Loki. «Mi sono dimenticato le presentazioni.
James, questo
è
Loki, il nostro dio dell'instabilità mentale,»
continua Tony
con un gesto
della mano rivolto verso il dio. «I suoi passatempi preferiti
includono
radere al suolo intere aree metropolitane, parlare come una pessima
imitazione
di Shakespeare e comportarsi da sociopatico. Oh, e ogni tanto gli
vengono manie
omicide quindi non gli starei troppo vicino, se fossi in te.»
Tony
torna a
guardare Loki, che gli rivolge un'occhiata composta in parti uguali da
esasperazione e fastidio. «Non preoccuparti, dopo un po' si
impara ad
amarlo. Quasi come un cancro.»
«Quanto
mi sono mancate queste tue pungenti invettive,» risponde Loki
in un
sospiro ostentato.
«Il
sentimento è reciproco, Amleto,» ribatte
Tony. «E siccome siamo in tema "omicidi", vorrei presentarti
James Buchanan Barnes: un ex assassino sovietico che ha un record
più o meno pari
al tuo. Guarda caso è anche il miglior amico di Capitan
America, lo stesso
Capitan America che qualche giorno fa hai trasformato in uno dei
Cabbage Patch
Kids. Mi sembra il caso di aggiungere che in genere è
furiosamente e
pericolosamente iperprotettivo nei confronti di Steve e non
è molto contento di
quello che gli hai fatto.»
«Per
dirla alla leggera,» ringhia James in risposta, la mano di
metallo
chiusa
a pugno.
«Ecco,»
sottolinea Tony spostando lo sguardo da uno all'altro.
«Adesso che ci
siamo tolti dai piedi le formalità ti suggerisco di
ripescare il tuo
abracadabra per far tornare Steve com'era, perché a questo
tizio piacerebbe
davvero, davvero tanto usarti come
bersaglio e non credo ci sia granché a
trattenerlo.»
«A
me
piacerebbe fare lo stesso,» mormora Clint dalla sua
postazione accanto
alla porta, le braccia incrociate sul petto e gli occhi puntati su Loki.
«Anche
a me,» aggiunge Natasha, ancora occupata a cullare il piccolo
Capitano.
Loki
li
osserva tutti a turno e le labbra si inarcano in un sorriso subdolo.
«Minacce
solide e potenti, ma sono curioso... cosa fareste se dovessi
rifiutarmi? Non
potete uccidermi o il vostro prezioso Capitano resterà
così in eterno, quindi
che succederà se mi rifiuterò di farlo tornare
com'era prima?»
«Nessuno
ha mai detto che ti avremmo ucciso.» sentenzia James in tono
cupo, la
sfumatura intimidatoria ben percepibile nelle sue parole.
«Sarebbe
troppo
facile. Le alternative che mi vengono in mente richiedono molto
più tempo e
sono infinitamente più convincenti.»
«Inoltre,»
interviene Bruce parlando per la prima volta da quando sono arrivati.
«Credo
che all'Altro Tizio piacerebbe scambiare due parole con te a riguardo.
So che
sarebbe felice di rivederti,» aggiunge, intanto che nei suoi
occhi
compare
un lampo verde per una frazione di secondo.
Il
sorrisetto compiaciuto di Loki vacilla all'idea. James non sa chi sia
"l'Altro
Tizio" ma è abbastanza sicuro di non volerlo incontrare a
breve.
«Questo
gioco è durato abbastanza, fratello,» rimbecca
Thor e la sua
voce profonda
rimbomba nella stanza come il rombo di un tuono. «Fai tornare
il
Capitano
al suo solito stato o le conseguenze saranno tragiche.» Per
rafforzare
il
concetto scrolla Loki per la collottola, come un cucciolo disubbidiente.
Il
dio degli
inganni borbotta qualcosa a fior di labbra. «Molto
bene,» dice con un
altro sospiro plateale. «Onestamente, voi mortali prendete
ogni cosa
troppo sul piano personale.» Fa un cenno col polso in
direzione di
Steve. «Portatelo
qui.»
Natasha
lascia
che James riprenda Steve in braccio. Il piccolo Capitano, a quanto pare
ignaro
delle negoziazioni in corso, si fa passare da uno all'altro senza
opporsi e poi
stringe la maglietta dell'ex assassino tra le dita.
James
avanza
con lentezza, lo sguardo fisso sul dio degli inganni. Ancora non si
fida ma lui
è l'unico che sia in grado di far tornare normale Steve.
«Niente scherzi,»
ringhia dal fondo della gola in tono basso. «Se ti azzardi a
fargli
qualcosa...»
«Sì,
sì, molto temibile,» replica Loki tornando a
rotare gli
occhi. «Farò
tornare il Capitano al suo solito aspetto, non avere timore. Ho perso
interesse
in questo svago, in ogni caso.»
In
parte
soddisfatto dalla risposta, James si abbassa su un ginocchio e sistema
Steve a
terra. Il bambino alza la testa verso il dio dai capelli scuri e subito
la sua
espressione si trasforma in un broncio inquieto. Si gira per
aggrapparsi a
James, afferrandolo per l'orlo della maglia.
«Devi
farti indietro,» gli dice Loki con l'entusiasmo di qualcuno
che sta
guardando della vernice asciugarsi. «La magia può
essere
imprevedibile, è
meglio non farsi colpire dal contraccolpo.»
James
lo
fulmina con un'occhiataccia e si solleva, liberandosi dalla stretta di
Steve.
Il piccolo Capitano piagnucola in protesta e James è
costretto ad allontanarsi
comunque. È una delle cose più difficili che sia mai stato
costretto a fare.
«Va
tutto bene, Stevie,» gli dice dolcemente e gli altri si
dimostrano
abbastanza comprensivi/furbi da non fare commenti sul nomignolo che ha
usato. «Sono qui.»
Una
volta
che si è allontanato abbastanza, Loki rivolge lo scettro
contro Steve e fa
roteare il polso. C'è un lampo di luce, si sente un vago
ronzare elettrico e
poi il laboratorio si riempie di fumo argentato che si spande come
nebbia.
Per
un
momento nessuno si muove, tutti rimangono immobili in silenzio mentre
il fumo
continua a vorticare. James non è sicuro che a muoversi sia
lui prima di Stark,
però parlano entrambi all'unisono.
«Steve?» «Capitano?»
Passa
un
altro istante senza risposta. Poi, da un punto imprecisato all'interno
della
nebbia, Steve finalmente risponde. «Ragazzi? Il laboratorio
va a fuoco?
Perché c'è tutto questo fumo?» La
coltre grigia
inizia a diradarsi; Steve
Rogers in versione adulta (e nuda) compare al centro della stanza.
«Ecco.
Soddisfatti?» domanda Loki, una volta che il fumo
è
scomparso del tutto e
anche gli altri possono vedere che Steve sta bene ed è
tornato alle solite
dimensioni.
Steve
gli
rivolge una smorfia sospettosa. «Cosa ci fa lui
qui?»
«Beh...
sei stato Lokizzato, Capitano,» lo informa Clint dalla parte
opposta
del
laboratorio.
«Lui
è
qui per sistemare il problema,» continua James, lasciandosi
scappare un
sospiro di sollievo quando capisce che Steve è davvero
tornato normale e sembra
essere incolume.
Solo
allora
il Capitano si gira per guardarlo con un'espressione a metà
fra il confuso e il
sorpreso. «Sei tornato,» dice, e suona come
qualcosa di simile a una
domanda e a un'affermazione speranzosa. James annuisce in assenso.
Steve
sembra
voler aggiungere altro, poi all'improvviso realizza di essere parecchio
nudo al
centro della stanza e le sue guance si colorano di rosa acceso.
«Uhm...
perché sono senza vestiti?»
«Questo
è un po' più difficile da spiegare, Capitan
Ghiacciolo,» risponde Tony
intanto che stacca un camice da laboratorio da un gancio sul muro e lo
porge al
Capitano. «Ti sei rimpicciolito per un paio di giorni e il
tuo
amichetto
ex assassino ti ha fatto da guardia del corpo e babysitter.»
«Il
mio...?
Che cosa...?!» chiede Steve, abbottonando il camice.
«Oh,
non preoccuparti, è stato adorabile,» cinguetta
Clint. «Colori a dita
e tutto il resto.»
Natasha
gli
assesta una gomitata nelle costole prima che possa rivelare qualche
altro dettaglio. «L'importante è che adesso sei
tornato,» s'intromette con un
sorriso.
I suoi occhi studiano dalla testa ai piedi il corpo di Steve, a
malapena
coperto dal camice di laboratorio che nasconde giusto quello che non
dovrebbe
essere esposto. «In versione adulta.»
«Sì,
è
bello vederti con il tuo solito aspetto, Capitano,» aggiunge
Thor
sorridendo, una mano sempre stretta sulla spalla di Loki.
Il
dio degli
inganni rotea gli occhi al cielo. «Tutto ciò
è
estremamente toccante,»
borbotta mentre rivolge a Thor uno sguardo cupo. «Adesso vi
sarei molto
grato se mi lasciaste libero di andare. Ritornare su questo disgustoso
pianeta
non era proprio ciò che avevo pensato di fare
oggi.»
«Eppure
sei responsabile di quello che è successo,»
ringhia James,
gli occhi
socchiusi per la rabbia.
Loki
apre la
bocca per ribattere ma Thor gli impedisce di parlare, afferrandolo per
la
collottola e costringendolo a voltarsi. «Adesso
basta,» ammonisce in
tono minaccioso e spinge il fratello dall'altra parte della stanza.
«Hai
già causato fin troppi problemi.»
Si
fermano quando
tra loro e gli altri c'è abbastanza spazio. Thor ammicca in
direzione di Steve
per un'ultima volta. «Felice che tu sia tornato,
Capitano,» gli dice
prima di concentrare la propria attenzione sul soffitto.
«Heimdall,
siamo
pronti.»
Quasi
nello
stesso esatto momento, un raggio di luce accecante circonda i due dei
come se
un riflettore fosse stato acceso sopra le loro teste. C'è un
bagliore
accecante, una folata di vento, poi entrambi scompaiono e lasciano nel
laboratorio il resto della squadra.
Per
un paio
di secondi nessuno parla, il vuoto d'aria lasciato dall'apertura del
portale ha
tolto il fiato a tutti. Tony è il primo a rompere il
silenzio, con un
fischiettio che echeggia attraverso la stanza.
«Non
è
un piacere quando Loki viene a trovarci?!» mormora indicando
il posto
in
cui si trovavano poco prima le due divinità.
«Divertimento e
caos per
tutti.»
«Preferisco
che si limiti a tenere le distanze,» sibila James a fior di
labbra,
concentrato con aria cupa sullo spazio ormai vuoto.
«Come
qualsiasi
altra persona che abbia mai avuto a che fare con lui,»
scherza Clint
dall'altra
parte della stanza e Natasha approva con un cenno del capo.
«Ehm,
ragazzi...?» dice Steve, stringendo l'orlo del camice per
tirarlo
ancora
più verso il basso e coprirsi. «Non per dare
fastidio ma
adesso vi
dispiacerebbe trovarmi dei vestiti della mia misura?»
«Sempre
il solito incontentabile,» lo sbeffeggia Tony e gli
dà una
pacca sulla
spalla. «È bello riaverti con noi. Ma se Pepper comincia a
parlarmi di
avere un bambino la colpa sarà tutta tua, Rogers.»
OOOOO
Parecchie
ore più tardi (dopo un sacco di controlli e accertamenti da
parte di Bruce e
Tony, per essere sicuri che la situazione sia davvero tornata alla
normalità)
Steve e James si trovano a rientrare da soli nell'appartamento.
Nonostante
Steve abbia riacquistato la sua forma adulta, James si sente ancora un
po'
nervoso.
«Sei
sicuro di star bene?» domanda, forse per la quinta volta di
fila.
Continua
ad aspettare che succeda qualcosa, che la magia di Loki si ritorca
contro Steve
in un ultimo "vi ho fregato!". Però non succede e l'attesa
lo mette a disagio.
Steve,
da parte
sua, riflette per un attimo prima di rispondere.
«Sì,» dice
sinceramente,
stringendosi nelle spalle. «Mi sento bene, sul serio. Un po'
stranito
all'idea
di essere tornato bambino per un paio di giorni, ma in generale sto
bene.»
«Ricordi
qualcosa?» chiede James e si tratta dell'unica domanda che
ancora non
gli
aveva fatto. Si è concentrato così tanto
sull'aspetto fisico della situazione da
essersi quasi scordato di quello mentale.
Steve
storce
la bocca e ci pensa, con espressione indecifrabile. «Non
molto,»
risponde
mentre scuote la testa. «È come se fosse stato un sogno. Mi
ricordo
qualche dettaglio ma il resto è del tutto sfocato.»
James
annuisce
comprensivo; è una sensazione che conosce bene, come
risultato della prolungata
criostasi.
Il
Capitano
ridacchia tra sé. «Non credo di averti ringraziato
abbastanza per esserti
preso cura di me mentre ero...» Non termina la frase ma
solleva una
mano
in aria, più o meno ad altezza bambino.
James
minimizza e incrocia le braccia sul petto, sprofondando nel divano.
«Non
farti prendere troppo dall'entusiasmo,» gli dice, incrociando
il suo
sguardo con la coda dell'occhio. «Non ho intenzione di aprire
un asilo
tutto mio o roba del genere.»
Steve
sorride
di nuovo. «Beh, so che non dev'essere stato facile, quindi...
grazie.»
«Nessun
problema.»
Un
silenzio
rassicurante cala nella stanza e sembra davvero che le cose siano
tornate alla
normalità. Poi Steve parla di nuovo.
«Da
dove salta fuori questo orsetto, comunque? Con la maschera?»
James
sente
un muscolo della mascella contrarsi e si ripromette di rendere la vita
di
Coulson un inferno, quando riuscirà a incontrarlo di nuovo.
«Il tuo amico
Coulson ha pensato che potesse farti compagnia mentre eri...»
ripete il
gesto di Steve e indica l'altezza di un bambino con la mano.
«Si chiama
Bucky Bear, a quanto pare vendevano come il pane durante la
guerra.»
Steve
sogghigna nel sentire la spiegazione. «Davvero? Ti hanno
fatto
diventare
un orsacchiotto di peluche?»
«Ho
ancora un coltello a portata di mano, Rogers.»
Il
Capitano
ridacchia ancora però, cautamente, non aggiunge nient'altro.
Si abbandona sul
divano, la spalla che quasi tocca quella dell'ex assassino, e poggia la
testa
sui cuscini.
«Penso
che lo terrò,» dice dopo un minuto e non
c'è
alcuna traccia di scherno nella
sua voce, solo un'onesta considerazione dei fatti. «A dire il
vero
è
proprio carino.»
James
non
dice nulla in risposta e lascia cadere l'argomento. Non dice niente
neanche
riguardo al disegno colorato a pastelli che Steve gli ha dato pochi
giorni
prima e che adesso è al sicuro, piegato con cura e nascosto
nell'angolo di uno dei
suoi cassetti. Nessun altro ha bisogno di saperlo.
1. «Buongiorno, raggio di sole.»
Capitolo originale dell'autrice
Show her some love!
Sì...
purtroppo siamo arrivati alla fine.
Sniff.
Come
sempre grazie a chi è passato di qui, a chi si è divertito seguendo la storia e
un giro di ringraziamenti bonus a chi ha commentato questa piccola perla
fluffosa!
Your Humble
Translator, Milla984
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