Still standing (...on the borderline?)

di sheswanderlust
(/viewuser.php?uid=31121)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione: La morte è l'unico nemico che non può essere sconfitto ***
Capitolo 2: *** Back in Black ***
Capitolo 3: *** Perchè? ***
Capitolo 4: *** How to Save a Life ***



Capitolo 1
*** Introduzione: La morte è l'unico nemico che non può essere sconfitto ***


Still Standing (...on the borderline?)-Introduzione Hi guys!
Ho deciso di non perdermi d'animo e riprovare a pubblicare l'ennesima storia partorita dalla mia fantasia perversa ... spero che vi piaccia! E' una delle mie prime longfic slash, il pairing principale (e forse anche l'unico, vedremo) è Ville Valo/Lauri Ylonen. Niente da fare, quei due mi ispirano un sacco e purtroppo su di loro c'è pochissimo, specialmente in italiano! =(  Cercherò di aggiornare regolarmente, spero di trovare qualche commento, negativo o positivo che sia, fa sempre piacere! x)   Ovviamente non conosco i personaggi di cui parlo (purtroppo), niente di ciò che scrivo è accaduto (bah ...) e bla bla bla.

Buona lettura!

MarsFreiheit







Still Standing
(...on the borderline?)





La morte è l'unico nemico che non può essere sconfitto



Come ogni notte sei lì. Sotto il cielo nero come la tua anima, tra cento lapidi lisce e candide, accasciato accanto a una foto e un mazzo di fiori; gli occhi arrossati, la matita nera sbavata sulle guance, sai che fa freddo ma non tremi, senti solo il dolore e lo strazio continuo che hai dentro. Non hai il coraggio di alzare gli occhi e guardare di nuovo quella foto... a cosa servirebbe?

Ce l'hai dentro il suo sguardo, quello sguardo che fino a qualche settimana fa ti rassicurava e consolava e che ora ti perfora il cuore e l'anima, ti tortura, ti porta sull'orlo del baratro ma poi non ti lascia cadere, ti tiene sospeso a ingurgitare dolore, dolore e ancora dolore. Sei perso tra i ricordi, tra i sensi di colpa, perchè tu dovevi capire, tu dovevi sentire che qualcosa non andava, che dietro ai sorrisi rassicuranti e alle risate si nascondeva un'ombra sempre più grande, una condanna sempre più certa.

Invece no, perso nei tuoi problemi e dolori ti lasciavi abbracciare, senza sapere che chi aveva più bisogno di aiuto in quel momento era lui.

E' tutta colpa tua, lo sai, continui a ripetertelo, forse anche ad alta voce, ogni volta è una pugnalata più profonda...



Senti una mano posarsi sulla tua schiena e un'altra accarezzarti dolcemente i capelli. Vorresti scacciarle, ma non ce la fai. Le mani si allontanano e due braccia forti ti circondano il torso esile.

<< No ... >> riesci a mormorare con voce rotta e debole, stringendoti con una mano alla lapide bianca.

Una felpa calda si posa sulle tue spalle. Eero ti fa alzare e appoggiare a lui, non riesci a camminare, non capisci niente, tutto è appannato dal dolore. Le braccia del tuo amico ti stringono mentre lentamente ti porta fuori dal cimitero, le tue proteste sono deboli, troppo deboli. Con uno sforzo sovrumano ti volti verso quella lapide, quella foto, quel mazzo di fiori. Leggi il nome scritto con caratteri dorati: Mikko Niemolen. Il tuo cuore si blocca per un istante, per poi frantumarsi in mille pezzi.

Perché tu lo sai bene.

La morte è l'unico nemico che non può essere sconfitto.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Back in Black ***


Still Standing (...on the borderline) - Capitolo 1, Back in Black

Back in black

 

Quella mattina il cielo su Helsinki era quasi bianco e creava una cupola claustrofobica sulla città. Gli uomini in giacca e cravatta e le donne in tailleur entravano ed uscivano dai moderni palazzi di vetro, gente comune camminava per le strade, tram e autobus procedevano lenti sull'asfalto nero.

Lauri era appoggiato alla grande vetrata dell'area relax dell'edificio in cui era situata la loro sala prove, con tra le mani un bicchiere di caffè caldo. Sorseggiava lentamente la bevanda, con lo sguardo perso oltre il vetro.

Un uomo entrò nella stanza e si diresse ai distributori automatici. Selezionò un prodotto, poi inserì qualche moneta e si voltò a guardarlo. Impiegò qualche istante a riconoscerlo e subito dopo il suo volto assunse un'espressione stupita. Stentava a riconoscere il ragazzo che aveva incrociato alcuni mesi prima gli studi. I capelli una volta biondi erano corvini e ornati con piume e pinzette; i vestiti erano totalmente neri; gli stupefacenti occhi verdi erano contornati da un tratto di matita nera. Ma soprattutto erano tristi, malinconici, quasi disperati. Lauri si voltò e incrociò lo sguardo dell'uomo. Questi distolse lo sguardo imbarazzato, si affrettò a prendere la barretta di cioccolato che si era comprato e, scordando persino il resto, si affrettò ad uscire dalla sala.

Lauri si voltò e appoggiò nuovamente la fronte al vetro. Non era il primo ad avere quella reazione... era cambiato così tanto. Non solo esteriormente, ma soprattutto interiormente.

Le sue certezze infantili erano crollate miseramente, ora sapeva di essere un bastardo, un ingrato e i sensi di colpa lo torturavano giorno e notte; alcune delle persone a cui teneva di più l'avevano abbandonato; e si sentiva sempre più un fallito. Non riusciva più a sfogarsi nemmeno con Eero; si teneva tutto dentro e scivolata sempre più in basso. Non riusciva a non pensare che la morte fosse una dolce punizione. Com'era arrivato a quel punto? Se lo chiedeva spesso. Guardandosi indietro vedeva solo tristezza, buio ... la felicità era un eco lontano, niente di più. Non riusciva a reagire, non riusciva a risalire, non trovava niente di abbastanza forte a cui aggrapparsi ... Non voleva assillare gli altri con i propri problemi, no. Non voleva più essere un peso. Aveva pensato a se stesso e ai suoi guai e Mikko era morto. Senza che lui potesse far niente. Morto. La vista gli si offuscò, aprì velocemente la finestra e respirò profondamente l'aria fredda di Helsinki, tentando di calmarsi.

Cazzo, non è possibile, basta un ricordo per farmi venire una mezza crisi di panico ... faccio schifo” pensò, chiudendo gli occhi.

Sentì dei passi dietro di sé. Probabilmente Eero, era venuti a vedere se stesse bene. Non se lo meritava.

<< Tra due minuti arrivo ... >> disse, tentando di mantener ferma la voce.

<< Mi sa che hai sbagliato persona >>

Lauri si voltò di scatto e incrociò gli occhi dell'uomo che lo guardava sorridendo divertito. Era alto, molto più di lui, aveva capelli lunghi quasi fino alle spalle, castani e lievemente mossi e due occhi azzurri che lo fissavano. Lo riconobbe: Ville, Ville Valo, il cantante degli HIM. I The Rasmus erano stati supporter degli HIM qualche tempo prima, ma avevano a malapena visto i membri della band principale.

<< Scusa, io ... pensavo fosse Eero >> si scusò Lauri con un sorriso incerto.

<< Non ti preoccupare >> disse Ville. Si scrutarono ancora per un attimo negli occhi freddi, poi il maggiore allungò la mano.

<< Ville >>

<< Lauri >>
<< Il famoso Lauri ... >> mormorò Ville, sorridendo. << Era da un po' che non ci vedevamo ... sei cambiato >> aggiunse.

Nonostante le parole di Ville non fossero ostili, Lauri distolse lo sguardo, come faceva sempre quando gli facevano notare il suo cambiamento.

<< Un po' ... >> mormorò solo a bassa voce.

Ville sorrise. << Siete anche voi qui per provare? >> chiese.

<< Sì ... >> rispose Lauri. Stava per voltarsi di nuovo verso la finestra, quando sentì una voce conosciuta.

<< Lauri, sei qui? >> Eero entrò nella stanza.

<< Ah eccoti, ti stavamo cercando >> disse all'amico, poi si rivolse a Ville. << Io sono Eero >> si presentò.

<< Ville, piacere ... >>

Eero gli sorrise, cortese, poi rivolse la propria attenzione a Lauri. << Tutto apposto? >> gli chiese.

Lauri annuì. << Io vado ... ci vediamo >> salutò Ville e si allontanò con Eero.

<< Ci vediamo ... >> Ville guardò i due sparire oltre la porta della sala relax.

Rimase fermo qualche istante, confuso. Quando aveva incrociato lo sguardo verde di Lauri, vi aveva letto qualcosa ... qualcosa di indecifrabile, qualcosa che gli aveva ricordato se stesso qualche anno prima. Era qualcosa di triste, qualcosa di misterioso ... qualcosa che ancora non capiva, ma che era deciso ad approfondire al più presto.



Spazio dell'autrice:                                                                                                                            
 Questo è il primo capitolo vero e proprio della fanfic, spero che abbia "chiarito le idee" almeno un po' ... ringrazio _omfg_ per aver messo la storia nei preferiti! x) 

Grazie a chi legge e ancora di più a chi mi lascerà un commentino!

Mars Freiheit 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Perchè? ***


Still Standing (...on the borderline?) - Capitolo 2: Perchè?


Perchè?





Fuori dalla finestra il cielo era ormai scuro. All'orizzonte, oltre i tetti dei palazzi, oltre le strade affollate, oltre i negozi chiusi, tutto era nero. Pioveva.

Nella sala insonorizzata Pauli e Eero rimettevano jack e plettri nelle custodie dei rispettivi strumenti, Aki indossava la giacca e Lauri arrotolava alcuni cavi dell'amplificazione. Non alzava lo sguardo, sapeva che gli occhi dei suoi amici erano puntati su di lui; e sapeva anche che, appena si fosse girato verso di loro, avrebbero fatto finta di niente, cominciando a chiacchierare della prima cosa gli fosse venuta in mente. Lo irritavano, eppur sapeva che se erano preoccupati, se erano così fottutamente protettivi, era solo perchè gli volevano bene; e la consapevolezza di non meritare nemmeno un briciolo di quell'affetto gli faceva ancora più male.

Era suo destino ferire chiunque gli stesse accanto?

<< Lauri, vieni? >> la voce di Pauli lo riscosse dalle proprie riflessioni. Alzò lo sguardo, i suoi tre amici erano già sulla porta.

<< No ... andate, io sto ancora un attimo qui >> rispose, azzardando un sorriso.

<< Sei sicuro? >> Eero avanzò di un passo, guardandolo intensamente, come a cogliere una qualsiasi sfumatura negli occhi dell'amico, sfumatura che solo lui avrebbe potuto comprendere.

<< Sì, davvero ... andate. Ci vediamo domani >> annuì, come a rafforzare le sue parole.

I tre, indecisi, uscirono lasciandolo solo. Eero gli sorrise, chiudendo la porta. << A domani >>

<< Ciao >>

Circondato dal silenzio assoluto, si appoggiò al muro, chiudendo per un attimo gli occhi e assaporando la solita sensazione soddisfacente che provava quando si trovavano in sala a suonare; quella sensazione che sembra dire “ok, sono mesi che sto zitto, ora vi vomito davanti tutto ciò che ho passato”.

Peccato che gli altri non lo capiscano, ciò che voglio dire ...”

Scosse la testa, come per levarsi dalla mente quel pensiero, con un colpo di reni si allontanò dal muro, prese la giacca buttata su un amplificatore ed uscì.

Quando l'aria piovosa e fredda lo colpì, si alzò il cappuccio e si incamminò lentamente verso casa. Amava la pioggia. Non c'era un motivo preciso. O forse c'era, ma lui non lo capiva. Le luci dei semafori, le insegne dei negozi, tutto sembrava più sfocato. Il cielo era più nero quella sera. Le auto che gli passavano accanto sollevando schizzi dalle pozzanghere non lo infastidivano. Alzò gli occhi verdi al cielo, socchiudendoli lievemente e lasciando che le gocce gli bagnassero il viso dalla pelle diafana.

<< Chi si vede ... >>

Quando la voce soffice si accostò al suo orecchio, si voltò di scatto, spaventato. Accanto a lui c'era Ville.

<< Ciao ... >> lo salutò, riprendendo fiato e chiedendosi mentalmente cosa ci facesse in giro a quell'ora.

Ville sorrise. << Non sei l'unico ad uscire dalla sala prove alle dieci passate >> disse.

Lauri ammutolì. Possibile che si fosse posto la domanda ad alta voce? No, ne era sicuro.

Annuì solamente e riportò lo sguardo davanti a se, confuso. Si sentiva strano, così strano ... Ultimamente ogni volta che stava in compagnia si sentiva fuori posto, quasi colpevole... come se, circondato da gente che non lo capiva, fosse ancora più solo. Ma con Ville ... con Ville no.

E questo lo irritava, lo innervosiva e lo spaventava ancora di più. Si sentiva scoperto, nudo ... capito; e non era una bella sensazione, nonostante fosse anche ciò che desiderava di più al mondo.

<< Sei cambiato >> disse il più grande, come gli aveva già fatto notare quella mattina.

Lauri, di nuovo, annuì. Camminavano vicini, sotto la pioggia, circondati dalla notte, dalle sue luci e dalle sue ombre. L'acqua continuava a bagnarli, i minuti si trascinavano in silenzio.

La mente di Lauri era sempre più confusa, una parte di lui avrebbe voluto correre via, allontanarsi da quegli occhi che pur senza guardarlo sembravano perforarlo, mentre l'altra voleva solo rimanere accanto a Ville, non sentirsi così solo ... almeno per qualche istante.

<< Perchè? >> chiese ad un certo punto Ville, fermandosi di colpo e fissando gli occhi verde smeraldo dell'altro. Lauri si bloccò accanto a lui, per un attimo incrociò il suo sguardo,subito dopo abbassò gli occhi, muto. Rimasero per decine di secondi immobili, poi Lauri fece segno di no con la testa e si allontanò velocemente, lasciando Ville da solo in mezzo al marciapiede a guardare la sua figura piccola e nera fuggire dalle domande a cui era troppo difficile rispondere.



Ecco il secondo capitolo, che ve ne pare? Commentate, commentate x) Ringrazio ancora _omfg_ per avere messo la storia nei preferiti e Drunkofshadows per aver commentato: grazie, sono contenta che la storia ti piaccia, allora non sono l'unica con la fissa di questi due! <3 Aspetto di sapere cosa ne pensi di questo capitolo...                          

  Grazie anche a chi legge solamente ^^ 

MarsFreiheit

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** How to Save a Life ***


Still Standing (...on the borderline?) - capitolo 4

How to save a life




P.O.V. LAURI



Sono in piedi davanti alla porta da mezz'ora ormai. Osservo ancora il legno massiccio e scuro che conosco fin troppo bene, la targhetta bianca e sgualcita sul campanello. Si può ancora leggere il tuo nome, scritto con un pennarello verde. Non lo voglio leggere.

Non so perchè sono qui. Quando qualche giorno fa Sarja è venuta a casa mia e mi ha dato il mazzo di chiavi ho sentito che sarei venuto, ma ho sentito anche che non avrei retto. Ho passato le dita sulla chiave rossa decine di volte, ricordando ogni istante che potesse esservi collegato, ogni istante che avevo dimenticato.

E ora sono qui. Ancora con la chiave tra le mani, davanti alla tua porta. Come tante altre volte. Solo che oggi so che nessuno mi aprirà. Quando ansimante ho raggiunto in pianerottolo ho fatto per suonare il campanello. Non mi sono ancora abituato a tutto questo.

Chiudo gli occhi per un attimo, poi esitante infilo la chiave nella toppa e giro. La porta si apre con uno scatto e mi chiedo per l'ultima volta come mai l'ho fatto.

Varco la soglia e mi richiudo la porta alle spalle. L'oscurità è opprimente. Con mano tremante cerco l'interruttore e accendo la luce. Sento formarsi un groppo in gola mentre osservo il salotto. Dicevi sempre che era piccolo, troppo piccolo. Ma quando lo dicevi avevi il sorriso sulle labbra, il sorriso di chi si accontenta senza problemi. E allora io esclamavo che a me piaceva così e mi lasciavo cadere sul divano, con in mano una bottiglia di birra o un nuovo cd o lo schizzo per il nostro prossimo graffito. Sorrido istintivamente a quel ricordo, sfioro la tela bianca che ricopre il divano e getto uno sguardo al panorama oltre la finestra. Il porto. Quante ore abbiamo passato seduti sul davanzale, con i capelli al vento e lo sguardo sul mare, con nelle orecchie solo il fischio dei gabbiani che al tramonto si lanciano sui pesci.

Sento il groppo in gola sempre più forte, ma non piango, non riesco a piangere. Cammino lentamente verso la cucina, passando il dito su ogni cosa, come se con questo semplice gesto potessi riportare la tua vita dentro di me.

Un ricordo mi fa fermare sulla soglia. Mi appoggio allo stipite, con gli occhi persi nei meandri della mia mente.

<< ... e quindi dobbiamo andare a registrare, in studio, noi! >> ero seduto sul piano della cucina, ti guardavo con gli occhi colmi di gioia. Non credo risplenderanno mai più di quell'emozione.

Tu ridacchiavi, eri felice per noi, per me, te lo si leggeva in faccia. <> avevi detto, avvicinandosi e fermandosi davanti a me. Mi avevi preso il mento in una mano e mi avevi guardato. <>

Io ti avevo sorriso e in quel momento mi ero detto che qualunque cosa fosse successa, non avrei lasciato che la nostra amicizia finisse.


Non sono riuscito a mantenere la promessa. E nonostante sia stato tu a compiere il gesto che ci ha allontanati, sono stato io a spingerti a farlo. Nemmeno la morte avrebbe dovuto rompere il nostro legame. Io ho lasciato che lo facesse. “C'è sempre un'altra scelta...” me lo ripetevi sempre, perchè non l'hai pensato anche quel giorno?

Mi volto, do le spalle alla cucina e a quel ricordo, cammino verso quella stanza in cui non vorrei andare, ma in cui devo andare. I battiti del mio cuore aumentano, aumenta la paura di vedermi sbattuta nuovamente in faccia la verità, aumenta la voglia di un tuo sguardo rassicurante,di un tuo abbraccio, di una tua mano a scompigliarmi i capelli.

Prendo un respiro tremante e spingo la porta della tua stanza. La sensazione che provo muovendo i primi passi all'interno è strana. Il resto della casa è vuoto, di quel vuoto opprimente e soffocante. Qui ti sento. Sento la tua presenza, il tuo profumo, la tua voce che si alza dai miei ricordi, sento la tua risata, le tue emozioni contrastanti, le emozioni in cui mi nascondevo e le emozioni che non sono riuscito a combattere per te. Ciò che non sento è il tuo abbraccio. Ciò che in questo momento desidero di più al mondo. Perchè tu non ci sei più. Nonostante le mie urla e i miei incubi, nonostante le mie lacrime, la mia disperazione, tu non ci sei più.

Ed è qui che è finito tutto; o cominciato, dipende dai punti di vista. Nella tua stanza, tra queste quattro mura che hanno sentito tutte le nostre parole, le nostre risate, i nostri progetti ... Avrei voluto una camera così, te lo dicevo sempre. Trasudava di indipendenza e per me che ancora vivevo con i genitori era la cosa più bella del mondo. Tu mi guardavi, sorridevi e mi spingevi sul letto. Poi ti voltavi e pescavi qualche cd dalla cassettiera. Me li mostravi e con la solita faccia mi chiedevi: “Quale metto?”.

Ridacchio, avvicinandomi al letto e non riuscendo a sedermici. Piano piano sento le lacrime premere per uscire. Lascio che mi bagnino le guance, mentre fisso il pavimento davanti a me. E' qui che è successo, è qui che ti hanno trovato. Overdose. Non era la prima volta e io non l'ho capito. Mi sono lasciato abbindolare dalle tue parole, dai tuoi “ho smesso con quella robaccia!”... non mi avresti mai mentito, se non per farmi stare meglio, per farmi sorridere, per non caricarmi di un ennesimo problema. E io ci credevo. Piangevo tra le tue braccia per Siiri che mi aveva lasciato, per il mio comportamento da bastardo, per i sensi di colpa che mi divoravano ogni secondo, per tutte le amicizie che avevo rovinato, per la band che non andava bene, per Janne che se ne voleva andare, per i miei complessi inutili ... tu mi abbracciavi e mi dicevi che sarebbe andato tutto bene. Perchè non mi hai detto che cosa ti stava succedendo? Perchè non mi hai urlato che i tuoi problemi erano peggiori dei miei? Perchè non hai lasciato che fossi io per una volta ad aiutarti? Perchè sei stato così maledettamente protettivo al punto di nascondere il tuo dolore per lenire il mio?

Le lacrime sgorgano ormai liberamente dai miei occhi quando mi ricordo delle parole di Sarja quando, saputa la notizia, ero corso a Helsinki nel bel mezzo del tour.

C'era lo stereo acceso quando l'hanno trovato” .

Mi avvicino allo stereo trascinando i piedi, colto da una sensazione orribile che mi stringe lo stomaco. Una pila di cd è appoggiata li accanto, tutto è come l'hai lasciato. Li sfioro, come a ritardare il mio prossimo gesto.

Alzo un dito tremante, premo un pulsante. Lo sportellino si apre e espelle un cd. Vorrei urlare quando lo riconosco, ma non riesco. Mi limito a fissarlo, prenderlo in una mano. Alcuni disegni astratti su sfondo bianco. Una scritta nera. Hellofatester. The Rasmus. Sto in silenzio qualche secondo, come a prepararmi all'esplosione. Non riesco a trattenermi. Lo lancio per terra, urlando e calciandolo ancora più lontano. Sbatte contro il muro e si rompe in qualche grosso pezzo. Le lacrime continuano a cadere, mentre scaravento tutti i cd, tutto ciò che trovo a terra, urlando, disperato. Sei morto ascoltando la mia voce. Io non c'ero. Dovevo essere con te, dovevo urlarti di non farlo, di non farti ancora, di smetterla. Dovevo dirti che ti sarei stato accanto, che sarei morto per te, che avrei fatto qualunque cosa per tirarti fuori da quell'inferno. Avrei dimenticato tutti i miei problemi per te. E invece no. Ero a vivere il mio sogno, mentre tu vivevi il tuo incubo. E il requiem che ti ha accompagnato nel tuo ultimo incubo è stata la mia voce. Che avrebbe dovuto salvarti. Quando riesco a fermarmi ho distrutto mezza stanza. I cd sono a terra, rotti, i pochi libri hanno le pagine strappate sul letto, un mobiletto è rovesciato e tutto il suo contenuto è uscito. C'è una foto, quella non si è strappata. Mi chino a raccoglierla. Siamo noi due. Sorridiamo, mi abbracci scompigliandomi i capelli e per un attimo sento le tue braccia avvolgermi la vita e le tue mani spettinarmi la chioma ora corvina. Ansimando e continuando a piangere mi lascio cadere a terra, contro un mobile.

Mi odio.

E ricordo una frase che ti avevo urlato un giorno, non so nemmeno per quale motivo, nè in quale circostanza.

Per te un milione di volte!”

E l'avrei fatto davvero. E se non me ne hai dato la possibilità è solo colpa mia.


Sono un fallito.






Grazie a Lucifers Claw per la recensione! ^-^

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=348363