I love my angel

di Conodioeamore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Un odioso fratellastro ***
Capitolo 2: *** 2 - Heaven High ***
Capitolo 3: *** 3 - Il nuovo arrivato nella Special Black ***
Capitolo 4: *** 4 Michele ***
Capitolo 5: *** 5 Come loro non sarò mai ***
Capitolo 6: *** 6 Gelosie ***
Capitolo 7: *** 7 Ciò che comincia con una preghiera... ***
Capitolo 8: *** 8 ...Finisce con una maledizione ***
Capitolo 9: *** 9 L'erba cattiva non muore mai ***
Capitolo 10: *** 10 Rifiuto ***
Capitolo 11: *** 11 - Fato ***



Capitolo 1
*** 1 - Un odioso fratellastro ***


Ombra silente specchio della mia anima vuota, persa nel desiderio di una luce che cancelli quest'opaco riflesso. Visioni di un passaggio di luce, oscurato da mura nella mia mente, pochi bagliori che rischiarano la mia via per brevi tratti, presto i miei occhi non percepiranno più luce accecati dalla paura, paura che ancora una volta la luce tanto sognata si riveli solo un gioco del fato il quale ghignando poggia sul mio sentiero una candela, che al mio passaggio spegne con un soffio di malinconia, lasciandomi ancora una volta nell'ombra. Guardando avanti una valle di ombra si prospetta come un interminabile distesa di lacrime, è il momento che tanto attendevo. Il nulla assalirà ogni speranza. Tutto ciò che sono imploderà su se stesso in un fragore di pensieri, né una lacrima, né un momento di rimorso solo la delusione di un fallimento. Del mio io non resterà nulla e la mia anima si oscurerà in un mare di nera luce.

(OMBRA - DI LA MORTE)

 

«Non succederà mai e poi mai!» sono queste le parole che gli avevo urlato, in risposta ad un'affermazione che il solo pensarci mi faceva salire i brividi per tutto il corpo. Eppure dovetti ricredermi. Ma non avrei mai pensato che sarebbe successo, insomma è sbagliata come cosa. Ma nessuno può decidere di chi ti innamori. Così, dovetti rinunciare al fatto di rinunciarci e accettare quello che provavo.

Mentre stavo finendo di indossare la divisa dell'accademia che frequentavo, la porta si aprì di colpo. «Ehi, hai finito d'incipriarti?» mi domandò una voce alquanto familiare. Mi voltai di scatto e lo vidi lì, sull'uscio della porta con una totale disinvoltura che mi faceva tanto incazzare. Mio fratello, Mickael. Non aveva niente che non andasse. Aveva tutto: bellezza, intelligenza, portamento, fisico atletico, ottimi voti. Insomma, il contrario di me. Poi senza tralasciare il fatto che è alto, ha i capelli biondi e due occhi blu come il cielo. Tutte le ragazze dell'accademia gli vanno dietro. Insomma, la perfezione fatta persona, dato che ha tutto quello che un ragazzo della sua età può desiderare.

Io... sono il suo esatto contrario: capelli rosso scuro, occhi marroni, di altezza media. Non sono mai stata una cima né nello sport e nemmeno nello studio. Una bellezza nella norma, non ho ripreso nulla dal mio fratellone. Visto che non siamo fratelli di sangue, ma fratellastri. Abbiamo i padri diversi, e poi quasi sempre nelle famiglie di angeli i fratelli non nascono con gli stessi geni.

Io sono frutto di una nottata passata con un angelo nero. Quattordici anni fa, mia madre venne sedotta da un angelo oscuro, e rimase incinta. Suo marito, il padre di Mickael, si era rifiutato categoricamente di farla abortire così decisero di tenermi. Ovviamente lui mi ha sempre trattata come se fossi sua figlia, però io non l'ho mai visto proprio come un padre. Inoltre, sapevo benissimo che lei non mi ha mai visto come sua figlia, ma come un abominio. Riuscivo ad accorgermene ogni volta che mi guardava negli occhi, perché vedeva i suoi. Gli occhi del mio vero padre. Qualche volta avevo provato a chiederle il suo nome, però tutto quello che ottenni furono interminabili silenzi, seguiti da risposte del tipo: «Meglio non saperlo» oppure, «Non lo conoscevo abbastanza.»

In verità credo che nemmeno lei lo ha veramente conosciuto, però almeno il nome avrebbe potuto dirmelo. Avevo tutto il diritto di saperlo. Credo che avesse paura che sarei andata a cercarlo. Sarebbe stato molto meglio vivere con lui che con una donna che odia la bambina che ha partorito. Ero sicurissima che lui mi avrebbe accettata per come ero. Anzi, sarebbe di sicuro stato entusiasta dell'idea di avere una figlia. Perché lei non gli aveva detto nulla della gravidanza.

«Taci, e fatti gli affari tuoi!» gli risposi, aggrottando le sopracciglia. Finii di sistemarmi il fiocco della divisa, andai a prendere la cartella e mi avvicinai alla porta. Mi fermai difronte a mio fratello, che intanto mi stava studiando silenziosamente. Incredibile, non si può mai sapere che cosa passa per la testa di un angelo bianco. «Che cosa stai guardando?» gli domandai, portandomi un dito sulle labbra. Lui rimase per un secondo a fissarmi poi, come se ritornasse alla realtà, mi rispose: «Ehi, dove sono finiti i due metri di distanza?»

«Non ti agitare, idiota!», lo spinsi con tutta la forza che avevo a qualche centimetro da me. Sembrava alquanto seccato, il suo sguardo mi fece capire che avevo esagerato. Aveva uno sguardo omicida, ed ero sicura al cento percento che mi avrebbe picchiata. «Riprovaci un'altra volta, e ti faccio diventare un punta spilli, lurida feccia» disse con un tono freddo come il ghiaccio. Si girò ed uscì dalla stanza, lasciandomi con il cuore stropicciato e in frantumi. Come può un fratello dire quelle cose alla propria sorellina? Lo odio, con tutta me stessa.

Presi la borsa con una tale forza, che feci cadere a terra il peluche a forma di cane che avevo sul letto. Uscii dalla mia camera chiudendola a chiave ed andai verso la cucina. Mia madre stava preparando la colazione, mentre Carl e Mickael erano seduti a tavola.

«Buongiorno» mi salutò Carl. Volsi lo sguardo verso di lui e gli accennai un sorriso mezzo irritato. È sempre stato gentile con me, non ne capisco il motivo. Anche se non sono sua figlia, mi tratta come se fossi sangue del suo sangue. Perché continui a recitare la parte dell'uomo perfetto, mi è sempre stato del tutto sconosciuto. Ho sempre fatto molta fatica a guardarlo dritta negli occhi, perché ogni volta che lo facevo rivedevo quelli del figlio. Il loro carattere è molto diverso, perché l'atteggiamento di Mickael è sempre stato da ragazzo duro con tutti, mentre Carl l'esatto contrario. Da chi abbia ripreso rimane tutt'oggi un mistero.

«Buongiorno» gli risposi secca. Posai la borsa sulla sedia ed andai a prendermi una scodella di latte e cereali. Mia madre era ai fornelli a cucinare bacon e uova. «Mamma, oggi pomeriggio vado in biblioteca a studiare con Violet.»

Non ricevetti nessuna risposta. Non le importava nulla se ci fossi stata oppure no, non sarebbe cambiata la sua vita.

«A che ora torni?» domandò una voce maschile. Carl stava origliando la conversazione che stavo facendo con la mamma. Ma dato che era l'unico a darmi retta, non mi arrabbiai nemmeno.

«Dato che domani abbiamo un test molto importante, resteremo fino a quando non ci cacceranno.»

«Fai attenzione per la strada di ritorno. Non puoi sapere in chi potresti imbatterti.» E questa frase dovevo interpretarla come una minaccia o come un avvertimento? «Stai tranquillo. Ti ricordo che sono un angelo nero, posso difendermi dagli umani...»

Il rumore della padella che cadde dal piano cottura m'impedì di continuare la frase. Al che mia madre si girò a guardarmi negli occhi, con sguardo corrucciato. «Ti vanti di essere un angelo nero?» mi domandò con un tono di voce abbastanza alto.

«Cosa c'è di sbagliato a vantarsi di essere ciò che si è? Perché non lo dovrei accettare?» La mia voce suonò un po' più incerta di quanto avessi voluto. Carl si schiarì la gola. «Avanti, adesso calmati Lucy.» Poggiò una mano sulla spalla di mia madre. «Non c'è nulla di sbagliato nell'essere un angelo nero, Senja. Conosco le tue qualità, però ti chiedo lo stesso di fare attenzione e di non tornare troppo tardi. Domani hai scuola.»

Abbassai lo sguardo, per fissare la scodella con il latte dentro. «Già... l'unica cosa che mi dà sollievo» mormorai.

«Che cosa staresti cercando di dire con ciò?» domandò furiosa mia madre. Raddrizzai le spalle ed accennai un sorriso sarcastico, prima di dirle: «Esattamente quello che ho detto: che trovo sollievo solo nell'andare a scuola. O meglio, essere fuori da questa casa!» Posai violentemente la tazza sul tavolo della cucina ed uscii di casa senza nemmeno prendere la borsa.

Iniziai ad avviarmi verso scuola a grandi passi che man mano diventavano sempre più affrettati fino a che iniziai a correre. Ogni volta che qualcosa non mi andava a genio, andavo a correre. Non importa dove andassi o cosa avevo indosso. La cosa che più contava era fuggire per un po' da tutto.

Non appena svoltai un angolo, andai a sbattere contro il corpo di un ragazzo. Quello di mio fratello, Mickael. Aveva un'espressione accigliata, mista a disapprovazione. Ogni volta che facevo qualcosa che non gli andava a genio, mi veniva sempre a rimproverare.

Indietreggiai di qualche passo. «Non dirmi che vuoi scappare un'altra volta. Ci ho impiegato molto a localizzarti.» La sua espressione era del tutto impassibile. Ma povera stella, ha dovuto faticare per cercare la sorellina che odia. «Nessuno ti ha chiesto di farlo» gli feci notare.

Sdegnato, Mickael mi fissò. «Se proprio ci tieni a saperlo, è stato mio padre a chiedermi di seguirti. Ti ho portato anche la tua borsa» mi disse porgendomela. Mi sbrigai a riprendermela. «Grazie.»

Senza aggiungere nulla, iniziò a camminare verso l'accademia. «Muoviti, o farai tardi anche oggi» si limitò semplicemente a farmi notare.

Ripresi a camminare, stando a pochi passi dietro di lui. Sapevo quanto gli dava fastidio avermi a meno di un metro di distanza e non volevo farlo arrabbiare.

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Capitolo 2
*** 2 - Heaven High ***


Oh solitudine ci ritroviamo, mia grande amica, da tempo non ci si mostrava nell’oscurità opaca del tempo, oh solitudine mi accompagnasti nell’eterno cammino sviluppandoti, procreandoti come un cancro, mi struggesti l’animo, sfogando la tua ira con amori, spingendo la mia esistenza nell’oblio, asciugando le mie lacrime dal viso, imponendoti come regina sul mio trono, lo spirito come nube al vento svanì in una landa di speranza infinita, l’inferno lo protrasse verso i miei occhi e la speme che tanto desiderata era stata trovata implose in se stessa lasciando l’eterno splendore del nulla in un buco nero sconosciuto all’animo umano. (SOLITUDINE – DI TRISTISMEMINIS) L'accademia Heaven – che era a Los Angeles - era la più prestigiosa scuola che un angelo potesse mai frequentare. E non per via del nome, ma perché il corpo insegnanti è stato selezionato da tutto il mondo. Solo i migliori, possono accedervi. Non so perché io sia riuscita ad entrarci, è ancora un mistero. Tutti gli angeli del mondo vengono a fare domanda in questa accademia, perché qui imparano a controllare i propri poteri. C’erano altri quattordici angeli neri, oltre a me. Quindi non mi sarei mai dovuta sentire sola, invece ogni volta che arrivava l’ora di andare nella classe di addestramento mi sentivo come se qualcuno mi ricordasse sempre che cosa non ero. E cioè, pura. I corsi di addestramento a cui partecipavano tutti gli studenti, erano divisi in base all’età. Solo a quello a cui ero io non funzionava così, essendo solo quindici angeli neri in tutto l’istituto, avevano pensato bene di riunirci tutti in un’unica classe. Fantastico! Ero la più piccola, e tutti quanti non facevano altro che guardarmi con istinti materni e protettivi. Alla fine ci volevamo tutti bene perché, eravamo una famiglia. Eravamo definiti gli estranei, i diversi. Ovviamente nella scuola c’erano più angeli bianchi che neri, quindi ci sentivamo suggestionati. Tutti credevano che eravamo i “cattivi”. All’accademia, però, non erano ammessi solo angeli, ma anche umani. Loro non erano ammessi agli addestramenti, che di solito si svolgono durante educazione fisica. Non si sono mai fatti domande sul perché a quell’ora alcuni alunni della classe non andavano con il resto dei compagni. Gli insegnanti si erano inventati scusanti per tutto. Infondo, dovevano mantenere segreta l’esistenza degli angeli. Arrivammo davanti scuola e come facevamo di solito, ognuno andava per la sua strada. Mi affrettai a raggiungere Violet, che era seduta sui gradini dell’entrata. Violet era di un anno più grande di me, ed era fidanzata con il mio amico, Henry. Si erano conosciuti durante il ballo scolastico dello scorso anno e dopo circa un mese di appuntamenti, avevano deciso finalmente di mettersi insieme. Violet, aveva i capelli castani, con un grazioso taglio a caschetto, e gli occhi marroni. Era molto più alta di me, circa sul metro e settantacinque. Non era un angelo, ma un’umana. Dato, però, che ci conoscevamo già da tre anni, mi ero fatta forza e le avevo raccontato tutto. Lì per lì mi prese per una svitata, infatti mi chiese se prima di averle raccontato la storia mi ero fatta un paio di bicchieri di vodka. Poi quando le avevo mostrato le ali si era ricreduta. Quando Micka lo era venuto a sapere, mi aveva fatto una ramanzina che non finiva più, ripetendomi che degli umani non ci si poteva fidare e cose simili. Alla fine le fece giurare di non rivelare niente a nessuno. «Violet.» La salutai con un cenno di mano. Lei per tutta risposta mi venne ad abbracciare. «Senja, finalmente sei arrivata!» In quel preciso momento la campanella suonò, avvertendoci che le lezioni stavano per iniziare. Che un’altra giornata di merda inizi! Il mio armadietto aveva il numero 0006 e per questo si trovava in una posizione che mi piaceva definire strategica, perché era all’inizio del corridoio. Nessuno lo voleva, perché tutti erano convinti che il numero 6 fosse un numero demoniaco. Quindi il fatto che capitò a me era un bene, e anche ironico. L’armadietto era un sacco spazioso, ci infilai dentro almeno una ventina di chili tra raccoglitori, libri scolastici, notebook e anche la sacca di nuoto. Dentro c’era anche uno specchio. Il lato positivo di questa accademia è che aveva una piscina. Ad inizio anno Violet mi aveva convinta ad iscrivermi al club di nuoto. Quel giorno avevo gli allenamenti fino alle tre del pomeriggio, poi sarei andata con Violet in biblioteca. La lezione di scienze era quasi finita, quando entrò nella classe Jason, il tudor che di solito accompagnava gli studenti angeli alla lezione speciale. Mi affrettai a raccogliere tutta la mia roba e ad uscire dall’aula. Riuscii ad intravedere il tudor e la professoressa scambiarsi occhiate molto intense. Non tutti i prof approvavano i corsi speciali. Dato che la scuola era aperta anche agli umani, c’erano dei corsi ai quali non potevano iscriversi. Come scusante dicevano parole del tipo: «Mi dispiace, ma il corso è pieno. Sei costretto a sceglierne un altro» o stronzate simili. «Allora Senja, sei pronta per la lezione?» La domanda interruppe i miei pensieri, facendomi tornare al presente. Jason Blake era alto con occhi molto grandi e color miele, labbra carnose; quasi da sembrare una ragazza. I capelli erano nero corvino, cosa molto strana per un angelo bianco. Perché di solito i capelli degli angeli bianchi tendono ad essere sempre chiari, quelli degli angeli neri invece hanno un colore scuro. Non ho mai visto le ali di Jason, ma quando provavo ad immaginarle, la mia mente le pensava del colore dei suoi capelli. Ali nere come la notte. Alzai lo sguardo, che fino a quel momento era fisso a terra a guardare le gambe di Jason muoversi in un modo talmente perfetto e pulito da poter fare invidia ad un modello di fama mondiale. Avrei tanto voluto dire: «No che non lo sono, brutto idiota!» però non lo feci. Al contrario mi limitai ad annuire e far uscire dalla mia bocca un verso di consenso. Al che, l’angelo si fermò e si parò davanti a me. Lo guardai negli occhi e divenni rossa per qualche secondo. «Cos’hai, Sen?» «Nulla. Assolutamente nulla» gli risposi. Il suo sguardo non sembrava credere alle mie parole, beh peggio per lui. Lui era il migliore amico di mio fratello, sin da quando erano piccoli, non gli avrei mai potuto rivelare la mia lite con lui. E non lo feci. «Si tratta di Micka?» Si era avvicinato al mio viso. Che cosa gli passa per la testa? D’istinto indietreggiai. «N-no.» mentii. È sempre di Mickael che si tratta. Mio fratello… è la fonte dei miei problemi e delle mie insicurezze. In confronto a lui non sono niente. Jason prese in mano una ciocca dei miei capelli e se la portò vicino alla bocca. Quel suo gesto mi fece rabbrividire. «Sai, Sen sei diventata proprio una bella ragazza.» Il suo tono di voce mi faceva venir voglia di vomitare, giuro. Non ho mai provato nulla del genere per nessuna persona. Ammetto che avevo un po’ paura di quello che mi aveva appena detto, perciò gli diedi una risposta non poco modesta, che, a dirla tutta, stupì anche me. «Non sei il primo che mi fa un complimento del genere, Jason.» Gli tolsi la mano dai miei capelli, lasciandolo lì imbambolato con un’aria da ebete. Per l’imbarazzo mi affrettai ad andare verso l’aula di allenamento. Fu allora che avvertii una terza presenza. Qualcuno che ci stava fissando. E quel qualcuno era mio fratello. Appena varcai la porta, Luke mi venne subito a salutare. «Sen! Ti trovo bene.» Il suo sorriso era così contagioso che non potei fare a meno di sorridere. Luke era il classico nerd, che però nessuno si aspettava di trovare nella classe di angeli neri. Lui è di un anno più grande di me e per lui sono come la sua sorellina minore. Mi ha sempre protetta. Potrei addirittura dire di voler più bene a lui che al mio vero fratello. La mia reazione fu quella di saltargli addosso per abbracciarlo. «Finalmente sei guarito.» Un po’ imbarazzato, Luke mi lasciò andare. «Ho avuto i miei alti e bassi. Sai come sono fatto» mi rispose, un po’ intimidito. In tutta la mia vita non avevo mai incontrato un angelo nero che fosse di salute cagionevole. Lui si poteva considerare un’eccezione. Capelli castano scuro ed occhi neri come la pece, venivano addolciti da un grande paio di occhiali quadrati, tipico dei nerd. Il professore che c’era stato assegnato per l’addestramento si chiamava Francis Vandenberg. Aveva l’aria da chi ha sempre la puzza sotto il naso, quando lo si conosceva meglio scoprivi che, invece, era una persona molto dolce e attenta ad ogni minimo particolare. Anche lui, come tutti i membri della sezione Special Black, era un angelo dalle ali nere. Varcò la porta tenendo nella mano destra una valigetta ventiquattr’ore. Indossava, come sempre, un completo giacca e cravatta in tinta unita blu. I suoi capelli erano leggermente brizzolati, e i suoi occhi erano marroni. Appresso a lui, arrivò un ragazzo alto all’incirca un metro e settanta, con i capelli biondo platino e dagli occhi grigi. Indossava l’uniforme della nostra scuola, però nel modo come la portavano i bulli. Aveva anche un piercing sul labbro inferiore, in modo da renderlo ancora più cattivo. Cavolo se non era bello. Il suo viso era molto fino, però aveva un non so che di oscuro e tutti i miei sensi mi dicevano di non fidarmi. «Ragazzi» disse il professore, posando la valigetta ventiquattr’ore sulla cattedra. «Lui è un vostro nuovo compagno, Gage Russell.» Immediatamente tutta la classe si girò a guardarlo. Echeggiò un brusio di sottofondo, mentre il ragazzo si presentava. «Piacere di conoscervi. Spero che andremo d’accordo» disse, accennando un sorriso. A mio parere, non era per niente sincero quel sorriso.

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Capitolo 3
*** 3 - Il nuovo arrivato nella Special Black ***


Nel dolore che mi avvolge, nel freddo che mi abbraccia, solo lo spazio per un pensiero... solo lo spazio per un sogno, solo il sangue che scorre fuori dalle mie vene..... solo la Morte, solo la dolce falce che mi sfiora e mi toglie quello che già credo di aver perso, solo l'oscurità che mi avvolge.... solo un pianto disperato, solo un male che mai passerà.... solo la vita che sto vivendo. (LO SCORRERE DELLA VITA - DI LA MORTE) Anche se era molto attraente, aveva quel non so che di diabolico. D'altronde era un angelo nero, proprio come il resto della classe. Tutti, ad eccezion fatta per Simon, il quale non avrebbe messo paura nemmeno truccato da Frankenstein, incutevano molto timore agli studenti dell'altra sponda. Giravano voci secondo le quali chi avrebbe guardato negli occhi un angelo nero, sarebbe rimasto soggiogato a lui per sempre. Roba da non credere! Soprattutto perché ognuno di noi possedeva talenti che lo distingueva. Simon era in grado di sdoppiarsi, creando un altro lui, Mary, invece, poteva leggere nel pensiero. Ovviamente non tutti gli angeli neri possedevano delle doti. Prendete me come esempio, io non ero in grado di fare nulla, se non di volare. Il che mi era anche abbastanza utile se volevo andare in un luogo distante, non avrei dovuto pagare il biglietto dell'aereo. Sfortunatamente, a casa mia era assolutamente vietato usare i poteri, quindi niente fluttuazioni per la casa. Mi soffermai a fare i raggi x al nuovo arrivato, il quale voltò immediatamente il suo sguardo verso di me. «Vatti a sedere al banco difronte alla ragazza bassa» gli disse il professore, indicando proprio me. Mi alzai in piedi per rispondere con le rime all'insulto dell'insegnante. «Professore, le ricordo che la ragazza bassa è la sorella di uno dei quattro angeli.» Dopo aver fatto la mia solita figura da presuntuosa, mi risedetti al banco. I quattro angeli ossia, Gabriel, Azrael, Uriel e Michael, mio fratello che, ha deciso di reincarnarsi e rinascere come semplice angelo. Ovviamente i suoi poteri sono molto più forti rispetto a quelli degli altri studenti. Il ragazzo nuovo, si avvicinò verso di me e si sedette al banco davanti al mio. Dopo essersi seduto, si girò e porse la sua mano. «Piacere, sono Gage.» «Senja, il piacere è tutto mio» gli dissi, stringendogli la mano. «E così sei la sorella di uno dei quattro? Deve essere straordinario per te.» Straordinario… certo, escludendo il fatto che tuo fratello ti tratta come se fossi un essere inferiore. La mia vita è veramente magnifica. Però, mi volevo vantare con questo tizio. Per una volta qualcuno non mi conosceva, non sapeva nulla sul mio passato. Avrei potuto raccontargli tutto quello che mi passava per la testa. «Sì, è veramente magnifico. Soprattutto durante gli allenamenti, finiamo sempre per distruggere la palestra.» «Deve essere dura per te scontrarti con un angelo di quel calibro…» disse Gage in tono ammirevole. «Non tanto. Certo, Mickael è un arcangelo però non scordare che io sono un angelo nero. Per un po’ riesco a tenergli testa.» Non era vero, non ho mai avuto l’occasione di combattere contro mio fratello. Ogni volta che lo facevo arrabbiare, finiva sempre per punirmi usando i suoi poteri. L’odio nei suoi confronti aumentava di giorno in giorno, finché una bella mattina non ce la feci più e gli arrostii la scrivania con tutti gli oggetti che c’erano sopra. Gage non disse nulla. «Qual è il tuo potere?» gli domandai. Non mi rispose subito. «Posso manovrare le tenebre» rispose senza tanti giri di parole. Le tenebre? Stentavo a credergli. Erano rari gli angeli in grado di evocare le tenebre. Mi domandai se Gage fosse stato in grado di battere mio fratello a duello. «Posso farti una domanda?» gli chiesi tutto d’un tratto. Sulle prime, il ragazzo mi parve un po’ spaesato, poi però mi fece un sorriso tenebroso e mi disse: «Certamente!» «Ti sei mai scontrato con un arcangelo?» «Per mia fortuna no. Non credo che sopravvivrei se mi scontrassi con un arcangelo del livello di tuo fratello. In uno scontro vero, si intende.» La sua risposta mi lasciò un po’ con l’amaro in bocca, perché ero sicurissima che mi stesse raccontando una bugia. Ma perché farlo? Qualche minuto dopo, il professore iniziò la lezione. L’argomento del giorno era l’anatomia del corpo angelico e di quello umano, le varie caratteristiche. Venni a conoscenza che il periodo di gestazione di un angelo donna è di appena cinque mesi. Di meno di quello femminile. Questo perché il futuro angelo cresceva molto più in fretta di un normale essere umano. Era incredibile. Solo una volta venuto al mondo, il ritmo di crescita si attenuava. Non appena le due ore di lezione finirono, uscimmo tutti dall’aula. Andai verso il mio armadietto, lo 0006. «Che fai dopo scuola?» mi domandò improvvisamente Gage. «Vado a studiare in biblioteca con un’amica. Perché?» «Beh, mi stavo chiedendo se potessi rimettermi al pari con gli altri studenti della classe. Magari mi potresti dire gli argomenti che avete svolto dall’inizio dell’anno» mi rispose. Il ragazzo arriva dritto al punto, mi piace. «Se ti vuoi unire a noi, per me non ci sono problemi.» Gli accennai un timido sorriso, non appena finii la frase. Mi scostai i capelli da davanti il viso e compressi addosso al petto i libri che avevo tra le braccia. «Sei carinissima quando t’imbarazzi.» Che sfacciato! Divenni ancora più rossa, rischiando un colpo di calore. Non sapendo cosa dire, iniziai a balbettare come un’idiota. Ero così in imbarazzo che non feci nemmeno più caso a dove stavo andando, finii coll’andare addosso ad uno studente. Non ci misi molto a capire che era mio fratello. Le cose stavano iniziando ad andare di male in peggio. Tra tutti gli studenti ai quali potevo andare addosso, perché proprio Mickael? Come se non mi sopportasse già abbastanza. Quella mattina aveva sottolineato per l’ennesima volta che non gli dovevo stare vicino, invece sono finita contro la sua schiena. Merda! Mi spostai immediatamente da lui, che nel frattempo si era girato per punire chiunque avesse osato sfiorarlo anche solo con una penna. «M-mi dispiace tanto» gli dissi, guardando verso il basso. Micka aveva un’espressione accigliata, se avesse potuto mi avrebbe punita davanti a tutta l’accademia. Gage mi venne subito accanto, cingendomi dalle spalle e facendomi appoggiare a sé. Al ché alzai lo sguardo e lo volsi verso Gage, osservandolo con aria stupefatta. «Ma sei cieca?» mi domandò mio fratello con tono alquanto seccato. Il suo sguardo si spostò da me al ragazzo che continuava a tenermi stratta fra le sue braccia. Il suo sguardo si fece sempre più cupo, mentre guardava ogni singolo movimento che Gage faceva su di me. Dai suoi occhi capii che gli dava molto fastidio, ma perché non dirlo? «Ehi, stai calmo amico. Non l’ha fatto apposta a venirti addosso» intervenne Gage in mia difesa. A mio fratello parve dare fastidio il comportamento di Gage, che continuava a guardarlo con sguardo sprezzante. Non perse tempo per dare una delle sue battutine squallide. «E lui chi sarebbe, il tuo nuovo amante?» Solo che questa volta non fui io a rispondergli per le rime, ma bensì Gage. «Per caso sei geloso che esca con la tua sorellina?» Io non dissi nulla, mi limitai solamente a scostarmi da Gage che continuava a fissare mio fratello con aria di sfida. Solo dopo mi accorsi che insieme a mio fratello c’era anche il suo gruppetto di amici fidati. Gabriel, Alexander e Beatrix. Quest’ultima era la ragazza di mio fratello, apparteneva alla cerchia dei serafini. Mentre gli altri due erano rispettivamente le reincarnazioni di Gabriel e Azrael. Dietro i due arcangeli c’era anche un altro angelo, Jason, il migliore amico di mio fratello. Per un breve istante incrociai i suoi occhi, realizzando che mi stava osservando da un bel po’. M’incuteva un po’ di timore quel ragazzo. «Un altro angelo nero» si lasciò scappare Beatrix, che intanto si era aggrappata alla manica della camicia di mio fratello. Quella ragazza mi provocava sempre un certo ribrezzo che mi partiva dallo stomaco. «Hai qualche problema, Beatrix?» l’attaccai, guardandola in cagnesco. L’angelo parve offeso, però non me ne curai minimamente. Al contrario, Micka non perse tempo di aggredirmi nuovamente. «Non parlarle in questo modo, ragazzina!» Jason andò immediatamente ad affiancare mio fratello costringendo così a Beatrix di spostarsi, poggiandogli poi una mano sulla spalla. «Ehi, ehi Micka non trattarla così.» Il suo tono di voce risultò alquanto strafottente, così anziché calmarlo riuscì solo a farlo innervosire di più. «Non immischiarti in cose che non ti riguardano, Jason!» gli inveì contro Mickael. Tornò subito a guardarmi, dicendomi: «Vieni con me, ho bisogno di parlarti.» «E non puoi farlo davanti a tutti?» gli chiesi perplessa. Al ché mi prese per un braccio e mi trascinò via. «Muoviti!» Cavolo, che modi. Mi portò fuori dalla scuola, nel giardino. Dato che era l’ora del pranzo, il giardino era più affollato del solito. Diciamo che mio fratello non passa molto inosservato, e ogni volta alcune ragazze non perdono occasione per fermarsi a parlare con lui, una completa seccatura. Quel giorno, stranamente, nessuna ragazza si avvicinò ad importunarlo, quindi potemmo avere una conversazione abbastanza tranquilla. Mickael si fermò sotto uno degli alberi del giardino. «Che cosa significa?» mi chiese immediatamente. Mi scaraventò subito contro il tronco dell’albero, facendomi sbattere la schiena. «Perché stavi con quel ragazzo?» «Ma sei impazzito?! Io frequento chi mi pare, non devo certo rendere conto a te con chi esco.» «Ah, quindi siete già a quel punto?» mi domandò accanendosi ancor di più. Nell’imbarazzo più totale, gli risposi: «E a te che importa? Non te n’è mai fregato nulla di me, perché di punto in bianco t’interessa chi frequento?» Mickael sbatté con forza la mano contro il tronco, accanto alla mia testa. Quel suo gesto mi fece saltare e mi spaventai un po’. «Dimmi il suo nome» m’intimò lui. «Gage. Gage Russell» gli dissi a denti stretti. Nel sentire quel nome, mio fratello spalancò gli occhi, come se gli avessero strappato le ali senza che se ne accorgesse. Quel nome lo aveva turbato non poco. Ma perché?

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Capitolo 4
*** 4 Michele ***


Un crudele Destino gioca con i nostri fragili cuori... Prova piacere nel creare disordini, nel regalare effimeri momenti di gioia seguiti da cupe giornate di tristezza... Il Dolore, Suo fedele compagno, ci avvolge nel suo gelido manto facendoci soffocare... (DESTINO – DI STELLANERAXES) Il simile a Dio. L'arcangelo che spedì Lucifero all'inferno. Mickael nella sua vita passata era l'arcangelo Michele. Decise di reincarnarsi in un ragazzo, per volere di Dio. Almeno così disse. Per quel che ne sapevo, non era in grado di amare nessuno. Lo si poteva considerare una marionetta, dato che faceva qualsiasi cosa gli dicesse Dio. Non aveva una propria volontà, il poveretto. Non mi aveva dato nessuna spiegazione, in merito a quella sue reazione strana. Se ne andò semplicemente, lasciandomi come un'allocca guardandolo allontanarsi a grandi passi. Certi suoi comportamenti erano davvero da denunciare al manicomio. E poi uno si lamenta che rinchiude i propri fratelli. Al termine delle lezioni mi fermai ad aspettare Violet al cancello e ne approfittai per osservare gli studenti che mi passavano davanti con le loro uniformi. Tutto sommato era stata una giornata piacevolmente tranquilla. Dal mio punto di osservazione vidi Gabriel, Alexander e Beatrix uscire dalla scuola, seguiti da Jason, immerso in un dialogo apparentemente fitto con Micka e un altro ragazzo. Jason gettò una fugace occhiata dalla mia parte, ma nella confusione non sembrò notare la mia presenza. Mezzo minuto più tardi, quando il grosso degli studenti era sciamato e solo alunni singoli uscivano dal cancello, spuntò anche Gage. Spingeva la bicicletta con la testa china e mi si fermò proprio davanti. «Ehi, Sen» mi salutò sorridendomi. Trasalii quando mi salutò e la mia reazione lo indispettì un tantino. Intanto, mio fratello si era fermato e si guardava intorno con attenzione. Molta attenzione. Troppa attenzione. Mi piacerebbe sapere quale sia il suo problema. «C-ciao, Gage» bofonchiai. Oh no, mio fratello ci stava osservando. Perché proprio in quel momento? Volsi lo sguardo altrove, facendo finta di cercare Violet. «Cerchi qualcuno?» mi domandò, seguendo con lo sguardo i miei movimenti disordinati. «Sì, una mia amica» gli risposi secca. «E questa tua amica ha anche un nome?» «Violet» urlai, non appena riuscii a vederla in mezzo ai ragazzi che uscivano dalla scuola. «Ehi, non c'è bisogno di urlare» si lamentò Gage, che mi stava ancora vicino. Io lo ignorai ed andai dritta dalla mia amica. «Sen, eccoti finalmente!» esordì la ragazza. «Vogliamo andare?» «Certo.» «Andare, dove?» Gage intanto si era avvicinato a noi, ascoltando la conversazione. «Lo conosci?» mi domandò Violet, con aria guardinga. Gage non mi diede il tempo di rispondere che subito si presentò. «Piacere, sono Gage. Mi sono appena trasferito e sono in classe con Senja nella Special Black» le disse, accennando un sorrisetto malizioso. Violet parve turbata da quel suo gesto, e lo guardò con aria non poco sorpresa. «Io sono Violet.» «Dobbiamo andare in biblioteca a studiare» gli risposi. «Wow, sembra figo. Cosa studiate?» Ma gli importa davvero? «Algebra. Senja è veramente una frana e le do ripetizioni. Studieremo tutto il pomeriggio.» Ma sì Violet, sputtanami per bene davanti a questo sconosciuto. In fondo, nemmeno lo conosci. Non c'è niente di meglio che raccontare gli affari miei al primo ragazzo che incontri. Gage abbozzò un sorriso divertito. «Non sapevo che avessi problemi in algebra. Perché non lo hai detto subito?» Alquanto irritata, gli risposi: «Beh, forse non volevo essere presa in giro?!» Fulmino con lo sguardo Violet. «Non c'è da vergognarsi ad andare male in qualche materia. È da umani» ribatté ironico Gage. Da umani... ma stiamo scherzando? Come da previsione, Violet scoppia a ridere in una risata sguaiata e poco elegante, che fece girare i tre quarti dei ragazzi che erano ancora rimasti difronte scuola. Tra questi c'era ancora mio fratello con il suo gruppo fidato, che non perse occasione per voltarsi dalla mia parte e lanciarmi un'occhiata che mi raggelò il sangue. Di bene in meglio. «Se vuoi, ti posso dare una mano con algebra» riprese Gage. «Sarebbe meraviglioso, però facciamo un altro giorno. Oggi vorrei trascorrere il pomeriggio sola con Violet, ti dispiace?» «Affatto. Dimmi quando vuoi.» Sapendo che mio fratello stava origliando la mia conversazione, non persi occasione per farlo innervosire. «Facciamo domani pomeriggio, dopo scuola a casa mia. Che ne dici?» «È perfetto» mi rispose, sorridendo immediatamente. Proprio sotto gli occhi di mio fratello, Gage si avvicinò a me e mi abbraccio dolcemente. «A domani allora, mia stella vespertina» mi sussurrò all'orecchio destro. Il mio cuore iniziò a battere velocemente. O cacchio! Arrossii come un pomodoro, per l'imbarazzo. Il suo caldo respiro riuscivo a sentirlo sulla mia pelle. Mio fratello, dal suo posto, si preparò a venire verso di noi ma fu immediatamente fermato da Jason, che lo calmò e lo portò da un'altra parte. Non dirmi che è geloso della sua sorellina! Gage mi lasciò andare poco dopo, io ancora rossa come un papavero. «A-a domani...» balbettai, con un'aria da ebete. Per tutto il pomeriggio non facemmo altro se non studiare algebra. Violet fu costretta a rispiegarmi tutto quanto daccapo. I teoremi basilari della matematica, Tartaglia e Pitagora. In un pomeriggio non si può pretendere di studiare tutto, però. Così finimmo che erano le sette e mezza, e la bibliotecaria fu costretta a buttarci fuori a calci. All'uscita, dopo aver salutato Violet, iniziai a correre verso la via principale senza guardare o salutare nessuno. E correvo, correvo, correvo. Correvo, per le vie della città. Correvo e non vedevo niente, solo la strada davanti a me, che si incrociava, si accavallava. Ero quasi arrivata, forse mi sarei evitata la sgridata. Rallentai ed andai a poggiarmi a un lampione per riprendere fiato. Respirai a grandi boccate l'aria fresca della sera, profumata e umida. È attorno a quel lampione che accadde qualcosa di strano. Un rumore. Alzai lo sguardo e per un attimo mi sembrò di intravedere un'ombra nera. Rimasi ferma in attesa un istante, ma non sentii né vidi più nulla. Quindi decisi di non indugiare oltre, visto il ritardo, e corsi via. E così non li sentii, su di me, quegli occhi. Non li sentii trafiggermi da parte a parte, come una radiografia. Non li sentii, bruciare nei miei come la prima volta che li ho visti, e forse è un bene. Perché non avrei saputo come reagire. Non vidi il piercing d'argento che è incastonato su quelle sue labbra morbide e vellutate. Non sentii quel respiro caldo così vicino al mio collo. E soprattutto, non vidi il volto di mio fratello, oscurato dall'odio e dal rancore nei miei confronti. Era un bene che quel lampione non rischiariva abbastanza, era un bene che io ero già arrivata a casa. Aprii la pesante porta e la chiusi alle spalle, lasciandomi dietro la strada, la sera e quegli occhi indiscreti, bellissimi. Predatori. ...................................................................................................................................................... Miei carissimi amori, ecco qui il nuovo capitolo di I love my angel. Che cosa ve ne pare? Siete curiosi di scoprire la reazione di Mickael? Credete che spossa nascere qualcosa fra Senja e Gage? Fatemi sapere nei commenti se vi è piaciuto, se non vi è piaciuto e qual'è la vostra ship preferita. A PRESTO, MARTINA

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Capitolo 5
*** 5 Come loro non sarò mai ***


Un immensità di voci fruscianti nei miei orecchi? Coprono il mondo di soffocati pensieri addobbati di vuote parole, Che si rincorrono in uno spietato giro tondo come bambini viziati Che non vogliono lasciarsi prendere E tutto ruota strusciando nel buio Sopra un silenzio che atterrisce, Cosciente di un vuoto che intimorisce, Illudendosi che quel flebile brusio vorticoso Possa colmare l'incertezza di una stanza buia Ma più parole non ho per addolcire un silenzio che cerco, Più parole non ho per render splendenti le mie tenebre, Più parole non voglio per coprire di nulla il nulla E intanto il tempo scivola via, Portando via con se anche il sapore di sale sulle mie ferite E mentre un sorriso svanisce Un dolore sbiadisce lasciando nel buio Soltanto il brusio vorticoso di bambini viziosi (TENEBRE - DI DARKANGEL78) Appena varcai la porta di casa, venni travolta dallo sguardo omicida di mio fratello. Bene, ci mancava solo lui. La serata non si poteva concludere in modo migliore. Il suo sguardo stava per: «Ora ti uccido.» E avrebbe avuto tutte le ragioni di questo mondo, ma la colpa non era mia. Se l'ombra strana non mi avesse seguita, molto probabilmente, non mi sarei persa nei vicoli tentando di seminarla. «Hai idea di che ore siano?» mi domandò mio fratello in modo alquanto brusco. Abbassai immediatamente lo sguardo, rammaricata. «M-mi dispiace.» «Mamma e papà sono stati tutto il tempo in pensiero per te.» «E dove sono adesso?» gli chiesi preoccupata. Speravo solo che non fossero usciti a cercarmi. «Sono andati a dormire. Gli ho detto che sarei rimasto in piedi io a vedere a che ora tornavi.» Riuscivo a sentire i battiti del suo cuore che battevano a ritmo alquanto accelerato. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, si era preoccupato per me. Arrossi e voltai immediatamente lo sguardo dall'altra parte. «Beh, non sono morta. Ti ricordo che sono un angelo, posso cavarmela benissimo da sola.» Mi avviai verso le scale che portavano alla mia stanza. «Buonanotte, fratello.» «'Notte, Sen» mi sussurrò. Quel suo modo di augurarmi la buonanotte, non lo aveva mai fatto prima. Di solito, non mi augurava mai la buonanotte. Perché aveva addirittura osato chiamarmi con il mio soprannome? Non lo avrei mai capito. Mi affrettai a salire le scale e ad andare nella mia camera da letto. Mi ficcai gli auricolari nelle orecchie e misi la password al cellulare. La musica, medicina e veleno di una ragazza, ma soprattutto fidata compagna di vita. Alzai il volume per ascoltare meglio la canzone della mia cantante preferita, Avril Lavigne. Mi lasciai accarezzare e coccolare dalle note conosciute di Keep Holding On. Così forse non avrei pensato, né allo strano comportamento di mio fratello né a nient'altro. A volte per me pensare è qualcosa di estremamente doloroso. Quel giorno, era una delle mie giornate no. Era semplicemente uno di quei giorni in cui il mondo girava male e io lo guardavo da lontano, sentendomi un'estranea. Un'estranea in mezzo a un mondo di persone uguali La mattina dopo, mi sentivo del tutto scombussolata ed avevo anche un gran mal di testa. Non riuscivo nemmeno a stare in piedi. Mi vestii a fatica e scesi di sotto a fare colazione. La scena era sempre la stessa, Micka seduto a tavola, con difronte suo padre, e mia madre in cucina a preparare la colazione. Provai uno stranissimo senso di dejà vu, se non fosse per la frase che disse Carl: «Ieri sera sei rientrata tardi.» Mi massaggiai le tempie. «Ma sono rientrata, no?» gli risposi alquanto seccata. A Carl parve dare molto fastidio la mia risposta, così arricciò il naso. «Mickael, da oggi in poi voglio che tu stia sempre al fianco di tua sorella.» Il ragazzo, che stava bevendo il caffè, iniziò a tossire. Evidentemente deve essergli andato per traverso. Mia madre ci raggiunse e si sedette accanto a Carl. «Perché devo farle da baby-sitter?» «So cavarmela benissimo da sola, e poi Mickael mi odia» ribattei acida. Carl volse lo sguardo da me al figlio. «Non è vero che ti odia. E tu farai come ti ho appena detto. Tua sorella è in pericolo, c'è qualcuno che sta cercando gli angeli neri.» «Chi sarebbe questo qualcuno?» gli domandai imperterrita. «Samael, l'angelo della morte» mi rispose secco Carl. «Aspetta un secondo, ma non era Michele l'angelo della morte?» gli domandai, voltando lo sguardo verso mio fratello. «Michele e Samael, erano i corrispettivi figli di Enki, che in sumerico sono chiamati anche Ningishidda e Marduk. Durante la divisione dei territori terrestri si sono combattuti infinite volte e si sono succeduti alla guida di Sumer. In Egitto furono chiamati Thoth e Ra, che in ebraico significa...» «Male» concluse Mickael al posto del padre. Non riuscivo a credere a quello che avevo appena sentito. Michele un angelo del male? Mickael prese la propria cartella, che si trovava accanto alla zampa della sua sedia e fece per uscire di casa. «Io vado a scuola» disse poco prima di chiudere la porta. «Stagli vicino. È terribilmente difficile affrontare il passato» mi disse Carl, prima di bere dalla propria tazzina da caffè. Uscita di casa, mi sbrigai a raggiungere mio fratello a scuola. Dovevo trovarlo ad ogni costo. Volevo scoprire altro su Samael, il suo vero fratello. Presi il cellulare dalla tasca e cercai il numero di Micka. Il gestore mi disse che il numero non era raggiungibile. Doveva aver spento il cellulare. Ci rinunciai subito a chiamarlo, d'altronde era grande abbastanza perché potesse vedersela da solo e poi era la reincarnazione dell'angelo Michele. Non poteva di certo lasciarsi condizionare dai sentimenti tipici degli adolescenti! Arrivai a scuola un minuto prima che suonasse la campanella, giusto in tempo. Uno dei difetti della mia scuola era che se uno studente faceva ritardo, non lo facevano entrare. Alla prima ora avevo letteratura classica. Ironia della sorte, visto quello che era successo la mattina a colazione. Con mio grande stupore, notai che anche Gage era nella mia stessa classe. Avevo capito che era di un anno più grande di me, ma evidentemente dovevo essermi sbagliata. «Sen, siamo nella stessa classe.» «Già, almeno avrò qualcuno con cui parlare durante la noia delle lezioni.» Il ragazzo abbozzò un sorriso. «Alla fine com'è andato lo studio ieri pomeriggio?» mi domandò. «Bene» gli dissi. Volevo rimanere sulle mie. Il ragazzo si avvicinò di più a me. O cavolo, cosa aveva intenzione fare? «Devi stare attenta, qualcuno ti sta dando la caccia.» Il suo tono di voce risultò alquanto intimidatorio. Il cuore iniziò a galoppare a ritmo incostante. Porca miseria, non andava per niente bene. Fortuna volle che arrivò l'insegnante di letteratura ed iniziò quasi subito la lezione, altrimenti non saprei proprio cosa gli avrei fatto. A fine lezioni, io e Gage ci eravamo dati appuntamento davanti l'aula della Special Black. Dovetti aspettare un po' prima che arrivasse. «Eccomi qui, scusa il ritardo» mi disse, accennando un sorriso. «Bene, andiamo allora.» Iniziai a camminare verso l'uscita, seguita da Gage. Appena uscimmo dal cancello venimmo travolti dallo sguardo accusatore di mio fratello. Cavolo, non lo avevo visto per tutto il giorno e in quel momento era proprio davanti a me. Pregai con tutta me stessa che non si avvicinasse a noi, ma non servì a niente. Mickael stava avanzando verso di noi a passi svelti e decisi. «Sbaglio, o quello è tuo fratello?» mi domandò Gage, abbassando il viso verso la mia guancia. «No, non sbagli.» Cavolo, avevo veramente paura della scenata che avrebbe potuto scatenare. Arrivò difronte me e Gage, che continuava a fissarlo imperterrito. Pessima idea. «Vedo che quello che ti ho detto ieri non è servito a nulla» mi fece notare mio fratello. «Ciao Mickael» lo salutò Gage. L'angelo non gli diede mai una risposta. «Mi sembra che io abbia un cervello in grado di ragionare. Non ho bisogno di una persona che pensa al posto mio.» Lo sfidai guardandolo negli occhi. Cavolo, ora erano diventati di un azzurro intenso. Lo stavo facendo arrabbiare. Beh, pazienza. Non poteva decidere con chi dovevo uscire. «Vieni, torniamo a casa» disse, prendendomi per il polso e trascinandomi via. Strattonai immediatamente via il braccio. «No, fermo!» Mio fratello mi fulminò con lo sguardo. «Avevamo in programma di studiare insieme» intervenne Gage. Micka volse lo sguardo da me a Gage. Io feci qualche passo indietro, finché non andai a sbattere contro il petto di Gage, che mi poggiò immediatamente una mano sulla spalla. Nell'aria riuscivo a sentire la competizione fra i due. Non c'era storia. Però c'era qualcosa che non riuscivo a comprendere, perché mio fratello improvvisamente recitava la parte del fratello protettivo e geloso? Non gliene era mai importato niente di me, allora perché mostrarsi così agli occhi di Gage? Le vene del collo di Mickael iniziarono a pulsare con forza, come se avesse corso velocissimo e si fosse fermato di botto proprio in quel preciso momento. Mi incuse una certa paura. «Stai lontano da mia sorella!» «Non la voglio mica mangiare, mi ha chiesto se le davo una mano con algebra.» Il tentativo di convincere Mickael risultò vano. Lui abbassò lo sguardo verso di me. Capii che non potevo rimanermene zitta mentre umiliava Gage in quel modo. Dovevo fare assolutamente qualcosa. «Micka! Gage verrà a casa nostra e mi aiuterà a studiare algebra, quindi non voglio per nessuna ragione che tu ti metta a fare scenate da pazzo isterico» gli intimai. Caspita, se dovevo proprio essere sincera non mi credevo per niente capace di tener testa a mio fratello. La vita a volte può rivelarci delle grandi sorprese. Micka non ebbe nemmeno il coraggio di ribattere, così presi Gage per mano e lo trascinai verso la strada, diretta verso casa. Se c'era una cosa che mi dava fastidio era quando qualcuno mi rovinava i piani. Ero certa che la sera mi sarebbe aspettata una bella ramanzina da parte di mio fratello e da suo padre, ma non m'importava nulla; quello che contava era che finalmente potevo trascorrere un intero pomeriggio con un ragazzo che per la prima volta mi aveva fatto battere il cuore. ........................................................................................................................................................ Miei dolci angioletti, finalmente ci siamo con un nuovo capitolo! Allora, cosa ne pensate di questa storia, vi sta piacendo? Pensate che possa nascere qualcosa tra Gage e Senja? Secondo voi cosa succederà quando arriverà Samael? E qual'è il vero legame che ha con Michele? Tempo al tempo, abbiate molta pazienza. Presto riceverete delle risposte. Intanto fatemi sapere le vostre impressioni nei commenti. ;) Kiss, kiss Martina :3

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Capitolo 6
*** 6 Gelosie ***


Profonda ferita che si schianta sulla tua insulsa vita, il mio odio distruggerà le tue parole malsane di superiorità. Sento scorrere in me la più grande avversione verso una creatura che nel cuore aveva preso un posto d'onore. Muori e giaci sulle spoglie della tua disfatta dopo che hai Distillato il mio sangue in un cuore malaticcio d'amore. (ODIO – DI BAUDELAIRE) Non riuscivo a crederci che l'avevo fatto. Ero riuscita a tenere testa amico fratello. Evento raro che bisognava per forza annotarlo su un registro. Ancora mano nella mano con Gage, mi diressi molto irrequieta verso casa, anche se sarei volentieri andata a studiare con lui da un'altra parte. Magari in biblioteca. Avremmo potuto benissimo prendere dei mezzi pubblici ma preferimmo camminare a piedi. «Hai intenzione di stringermi la mano ancora per molto?» mi chiese il ragazzo. Nell'imbarazzo più totale, gli lasciai andare la mano. «S-scusa» balbettai, arrossendo subito dopo. Gage mi sorrise divertito. «Sei proprio buffa!» Lo guardai stupita. Buffa? Avevo capito proprio bene? Mi trovava buffa? «Perché mi trovi buffa?» gli chiesi. «Per come ti comporti. Non tutti hanno il coraggio di tenere testa ad un angelo del rango di tuo fratello.» «Io non lo vedo come l'arcangelo Michele, ma semplicemente come un...» Mi bloccai nel preciso momento in cui provai a dire quella parola. Era come se le mie corde vocali si rifiutassero di pronunciare quella parola. Perché? «Fratello» concluse Gage al posto mio. Mi limitai ad annuire. «Ti ho mentito sul rapporto che ho con lui.» Gage inarcò un sopracciglio. «Lui non mi sopporta affatto. Anche se prima, inspiegabilmente, ha interpretato il ruolo del fratello geloso della sua sorellina.» «Credo che sia normale, nelle sue condizioni. Fa bene a non fidarsi di nessuno, specialmente ora che Samael lo sta cercando.» «Tu come fai a saperlo?» gli chiesi titubante. Senza che me ne accorsi, arrivammo davanti il giardino di casa mia. Entrammo, e stranamente la casa era deserta. Carl doveva essere a lavoro, così come mia madre. Posammo le borse in soggiorno ed andai in cucina. «Posso offrirti qualcosa? Una torta, un succo di frutta o altro?» gli domandai. Gage si avvicinò a me. «Se ce l'hai la torta» mi disse, accennando un sorriso. Quel ragazzo emanava un'attrazione alla quale mi era quasi impossibile oppormi. I suoi occhi erano in grado di leggermi dentro. Mi avviai verso la credenza e presi il contenitore rotondo dove dentro c'era la torta al cioccolato. «Ti piace il cioccolato?» gli domandai, mentre alzavo il coperchio. Gage accennò un sorriso. «Lo adoro.» Andai a prendere un coltello dal cassetto della cucina e tornai con un paio di piatti. Mi misi a tagliare la torta. «Sembra buona» commentò il ragazzo, con un sorriso beffardo. «Tranquillo, non ho nessuna intenzione di avvelenarti.» L'angelo nero accennò un sorriso, poi prese il piatto con dentro la fetta di torta. «Prima gli ospiti» esordisco, abbozzando un sorriso. Gage non perse tempo ed assaggiò la torta. «Complimenti, è veramente buona» si complimentò lui. Iniziai a mangiarla anch'io. Dovevo ammettere che era veramente squisita, mia madre era abbastanza brava a cucinare dolci. «Grazie. L'ha preparata mia madre.» Mi pentii immediatamente di quello che avevo appena detto ed abbassai la testa, quasi come se fossi la causa di tutti i mali del mondo. «Ehi, Sen va tutto bene?» mi chiese il ragazzo preoccupato. Scossi la testa, cercando di alleggerire quello stupido senso di colpa. Quando Gage se ne accorse, s'impietosì. «Ti va di parlarne?» «Magari un'altra volta, sarebbe meglio se ci mettessimo a studiare» dissi in tono tagliente. Ci alzammo dal tavolo ed andammo a prendere i libri e i quaderni per iniziare il ripasso. «Allora, quali sono le tue principali lacune?» mi domandò con fermezza. Iniziai a sfogliare il quaderno, alla ricerca delle ultime spiegazioni del professore di algebra. Sorrisi un po' a disagio, ma poi mi feci coraggio e gli feci vedere qualche punto cosicché capisse dove avevo più difficoltà. «Ma dai, questa roba è una cacchiata» mi aveva detto quando gli avevo fatto vedere uno degli argomenti che con avevo capito. I suoi modi da saputello mi fecero salire i nervi, tant'è che dovetti calmarmi più volte. Alla fine, però, riuscii a capire dove commettevo la maggior parte degli errori e quindi a non ripeterli più. Era ormai giunta la sera quando terminammo tutti i compiti. Attendevo con impazienza l'arrivo di mio fratello e una delle sue scenate, che quasi mi dimenticai che Gage era lì con me. Guardai l'orologio del mio cellulare che segnava le sette meno cinque. Era veramente strano che nessuno dei miei familiari non fosse ancora rincasato. «Tra quanto vengono i tuoi?» mi domandò Gage, mentre s'infilava la giacca. «Veramente, dovrebbero già essere qui» gli risposi, perplessa. «Sicura che starai bene da sola?» «Sì, non ti preoccupare. Nessuno potrà nuocermi, sono un angelo nero, ricordi?» esordii, cercando di rassicurarlo. Mi prese la mano tra le sue, ma la lasciò quasi subito andare. «D'accordo, se insisti...» Gage lasciò la frase incompiuta. Mi porse la mano che non esitai a stringere. «Grazie, per essere stato paziente con me.» Il ragazzo mi accennò un sorriso solare e, una volta messosi lo zaino in spalla, uscì dalla porta. Avrei voluto invitarlo a restare a cena per farmi compagnia, ma non mi sarei mai voluta approfittare della sua gentilezza. Però... «Ehi!» lo chiamai dall'uscio della porta. L'angelo si girò verso di me. Il suo sguardo voleva dire: «Cosa c'è ancora?» Mi feci coraggio e gli chiesi: «Magari la prossima volta resti a cena, che ne dici?» Il mio tono di voce risuonò alquanto insicuro. «Volentieri» disse, sorridendo beffardo. Non capii se mi stesse prendendo in giro, oppure aveva veramente voglia di cenare con me. «Ci vediamo a scuola» mi salutò, sparendo nell'oscurità della notte. «A domani» sibilai, arrossendo. Entrai dentro casa, il cuore nel petto mi batteva all'impazzata e le gambe non mi reggevano più. Dovevo assolutamente riprendermi. Non riuscivo a comprendere quello che mi stava succedendo. È possibile che gli angeli neri provino dei sentimenti umani? Dovevo assolutamente parlarne con Carl. Andai a prendere il cellulare per chiamarlo, ma subentrò la segreteria telefonica, che mi diceva che momentaneamente la persona cercata non era raggiungibile. Salii nella mia stanza ed andai a farmi una doccia. Iniziai a preoccuparmi, perché non era ancora ritornato nessuno? Dal corridoio, sentii qualcuno accendere l'interruttore. Di scatto, chiusi l'acqua ed uscii dalla doccia. Mi infilai il minuscolo accappatoio e per non fare rumore rimasi a piedi scalzi. Vidi un'ombra fermarsi davanti la porta del bagno, così capii che quello era il momento giusto per agire. Aprii di scatto la porta e mi scagliai addosso al presunto maniaco. Tantoché cademmo entrambi per terra. Stavo per sferrargli un pungo in faccia, ma venni bloccata dalla sua mano. Me la strinse talmente forte da farmi male e gemetti per il dolore. «Ehi, ma sei impazzita?» mi rimproverò una voce familiare. Alzai lo sguardo e vidi che non era un maniaco, ma solamente mio fratello. Mi stava guardando incredulo. «Scusa, credevo che fossi...» Lasciai la frase incompleta, diventando rossa per l'imbarazzo. «Chi?» domandò seccato. «Niente, lascia perdere» mugolai. D'un tratto, mi resi conto dello stato in cui mi trovavo e sprofondai nella vergogna. Mi sentivo a disagio e in imbarazzo per com'ero conciata. Avevo il corpo ancora bloccato in una posizione poco dignitosa, quando realizzai il tutto. Mi strattonai via da Micka e mi alzai di scatto. «Era ora che ti togliessi di dosso!» disse in tono amaro. «Scusami» balbettai, abbassando lo sguardo. Mentre mio fratello si alzò io andai verso la mia camera da letto, chiudendo di fretta la porta. Mi guardai la mano con la quale stavo per colpire mio fratello. Mi faceva male, stava diventando viola. Possibile che me l'avesse storta? Feci appena in tempo di infilarmi le mutandine e di allacciarmi il reggiseno che la porta si spalancò di colpo. «Senja...» Mio fratello era entrato senza bussare, con una completa furia che mi fece venire i brividi lungo la schiena. D'istinto mi coprii il seno con le mani, anche se avevo indosso il reggiseno. Mi sentivo nuda. «Cazzo, Micka esci immediatamente!» urlai seccata. Mickael parve in imbarazzo, tuttavia rimase a fissarmi. «Volevo sapere se stavi bene.» Inarcai un sopracciglio. «Ti sembra questo il momento per farmi delle domane? Non potevi aspettare che finivo di vestirmi?» gli dissi in tono tagliente. «Scusami hai ragione.» Fece per andarsene, ma si voltò di nuovo verso di me, come se ci fosse qualcos'altro ma immediatamente uscì dalla porta. «Papà e mamma questa sera non torneranno» disse poco prima di richiudere la porta dietro di se. La sua frase mi lasciò del tutto spaesata. Non capivo. Perché non sarebbero tornati? Era forse successo qualcosa? Mi sbrigai ad infilarmi il pigiama e a raggiungere mio fratello in cucina. «Che cosa significa che non torneranno?» gli domandai alterata. «Carl ha chiamato e ha detto che è stato convocato dai Troni.» «E cosa c'entra la mamma? Lei non è un angelo.» «Volevano parlare anche con lei» ribatté. Non dissi più nulla, non avendo altre domande da fargli, quindi me ne andai in cucina a prepararmi un'insalata. «Che cosa c'è fra te e quell'angelo nero?» mi domandò Mickael, comparendo alle mie spalle. Sussultai, ma non mi volsi. «Che cosa c'è fra te e Seraphine, invece?» ribattei retorica. «Non sono affari tuoi» mi rispose seccato. Mi girai a guardarlo negli occhi. «Vale anche per te, allora. Non immischiarti nella mia vita.» Presi l'insalata ed andai in camera mia, lasciandolo solo con i suoi pensieri. Dopo aver finito di cenare mi misi a letto. Sdraiata sul materasso, fissai il soffitto mentre mi accarezzavo i capelli, ricordando quello che era successo il pomeriggio con Gage. Quella notte, imparai che la sua compagnia non mi bastava: desideravo che stesse ancora al mio fianco. Era diventato come una droga. Mi pareva ancora di avvertire il calore delle sue mani sulla mia... E desideravo ardentemente sentirlo di nuovo. Ma imparai anche un'altra cosa... che mio fratello provava una forte gelosia nei miei confronti. .................................................................................................................................................... Ragazzi, perdonatemi per la lunga attesa ma non avevo proprio idee su come sviluppare questo capitolo così ho scritto le quattro cavolate che mi sono passate per la capoccia. Spero che vi sia piaciuto lo stesso.. Spero che le idee mi vengano più in fretta, - Dark Dreamer :3

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Capitolo 7
*** 7 Ciò che comincia con una preghiera... ***


Apro le mie ali d'argento, rifulgono al chiarore della luna. Dono il mio corpo al vuoto, il vento guida il mio corpo, verso dove? Verso cosa? D'un tratto piove, la pioggia scivola sul mio corpo, goccia a goccia si uniscono e si scompongo, come se fossero tante vite, che muoiono e vivono, alla fine un frastuono nella testa. Un corpo riverso nella pioggia, me stesso? Lo specchio di ciò che ero e che non sarò? (ANGELO MACCHINA – DI ANGEL MACHINE) Scuola. Il mio rifugio, in un certo senso. Lì almeno potevo non pensare ad una madre che mi odia e ad un fratello che di punto in bianco era diventato inspiegabilmente geloso. Il pensiero che Mickael, uno degli angeli più potenti del Paradiso, si comportava da fratello iperprotettivo mi fece venire il voltastomaco. Dio, che schifo. Forse era per il fatto che Micka non aveva assolutamente l'aria del fratello maggiore che protegge la sua sorellina. Anche se nella scuola la maggior parte delle ragazze gli andava dietro, arrivando a fondare addirittura un fan club in suo onore. Nemmeno se fosse Lucky Blue Smith o Cameron Dallas. Ma questi sono detta. «Guarda che se continui così, la matita ti si spezza» mi fece notare Violet. Grazie alla sua voce squillante, ritornai alla realtà, sollevando immediatamente la matita dal ritratto. Il professor Faraize quel giorno non aveva niente di meglio da fare se non obbligarci a ritrarre un nostro compagno. Dio santissimo, io ero negata nel disegno a mano libera. Sbuffai ed abbassai lo sguardo, rabbuiando e chiudendomi in me stessa. «Scusa» le dissi, lasciando che la matita cadesse a terra. La guardai sfuggirmi lentamente dalla mano destra per andarsi a posare sul pavimento freddo dell'aula. Violet si alzò dallo sgabello di posa per avvicinarsi a me. «Ehi, si può sapere cosa ti prende? Stamattina sei strana.» Mi strinsi nelle spalle. Volevo dirle come mi sentivo, quello che mi tormentava. La reazione del giorno prima di mio fratello, lo studio con Gage del pomeriggio. Il mio umore era diviso a metà. Da una parte sono felice perché la mia vita ha preso una piega diversa da quando avevo conosciuto Gage, ma dall'altra parte ero così scossa e intimorita al tempo stesso, per via di Mickael. Non sapevo se dirlo a Violet oppure no. «Si tratta di Gage, vero? Non è andato bene lo studio?» Scossi il capo. «No, lo studio è andato abbastanza bene.» «E allora che cosa ti prende?» Nemmeno dare a Violet il tempo di finire la frase, che la campanella suonò. Finalmente! Raccattai il set da disegno ed uscii dall'aula senza dire una parola. Violet mi seguì a ruota, sbrigandosi ad affiancarmi. «Sen, mi spieghi che cosa ti turba?» Con la testa china sugli strumenti che avevo in mano, mi diressi in fretta al mio armadietto. Mentre facevo il cambio dei libri, mi decisi a risponderle. Altrimenti non l'avrebbe più smessa. «Ieri sera è successo qualcosa di imbarazzante con mio fratello.» Violet fece una faccia stupita. Quasi non ci credette, eppure era la verità. La verità è che facevo anche io fatica a capirci qualcosa. Potrei essermi immaginata tutto. La sera prima avevo sentito un legame con mio fratello, ed ero pronta a scommettere che anche lui aveva avvertito quello che avevo sentito io. Il problema era il chiederglielo. «Aspetta, che cosa intendi di preciso quando dici: "qualcosa di imbarazzante"?» Sbuffai. «Ho sentito come un legame, una specie di scossa.» Guardai Violet negli occhi. «Lo so, adesso credi che io sia pazza!» sbraitai. La mia amica scoppiò a ridere. «Affatto. Non penso che tu sia diventata pazza, già lo eri. In verità credo che dovresti parlarne con il padre di Micka. Magari lui saprà dirti qualcosa in più riguardo questo "legame", come lo chiami tu.» Non lo dubitavo, però c'era qualcosa che mi spingesse a non dirlo. Era come se avessi paura della reazione di Carl. E poi se lo sarebbe venuto a scoprire mia madre, non riuscivo nemmeno ad immaginare la sua reazione. Lei già mi considerava un mostro, il male fatto persona. Non volevo aggiungere altro alla sua sofferenza. Era meglio se consultare qualche volume nella biblioteca della scuola, o magari parlarne con un professore della classe speciale. «Devo andare Violet.» Presi i miei libri dall'armadietto ed andai spedita verso la classe di mio fratello. Dovevo assolutamente parlargli. Non potevo continuare così. Quando vi arrivai davanti, la porta era chiusa. Possibile che il professore fosse già arrivato? «Cerchi qualcuno?» mi domandò una voce da dietro le spalle. Mi voltai di scatto e vidi un uomo sui cinquant'anni, forse anche meno. Aveva il fisico asciutto ed una mascella volitiva. Il suo volto era privo di barba, sottolineava il suo cranio trapezoidale. «S-sì. Sto cercando una persona che si trova in questa classe.» L'uomo mi scrutò dall'alto verso il basso. «Sei forse la sorella di Mickael?» E questo come faceva a conoscere il nome di mio fratello? «Da cosa deduce che io sia sua sorella? Non ci somigliamo per niente.» L'uomo si avvicinò a me, per sussurrarmi: «Porti addosso il suo odore.» Impallidii. Come potevo avere addosso l'odore di mio fratello? Non era mai successo prima. La porta alle mie spalle si spalancò di colpo per mostrare un personaggio del tutto inaspettato. Jason. Per una volta ero felice di vederlo. Mi osservò con uno sguardo stupito. «Che succede, Sen?» «Quest'uomo mi ha chiesto di...» Feci per indicarlo, ma quando mi voltai non c'era più. Era sparito nel nulla. Si era dissolto. Puf. «Sen, non c'è nessuno qui. Sicura di stare bene?» Perfetto, adesso vengo presa anche per pazza da un angelo bianco, ci mancava solo questo. «Non sono pazza, Jason. Non m'immagino le cose. Ti dico che qui c'era un uomo.» «E che cosa voleva da te "quest'uomo"?» mi chiese con un sorriso beffardo. «Sai che ti dico, non sono affari tuoi. Sono venuta qui per parlare con mio fratello. Quindi, fammi entrare.» Scostai con forza Jason da davanti, per entrare nella Special Blanc. Quando varcai la soglia dell'aula, mi ritrovai gli sguardi dei venticinque angeli bianchi su di me. La cosa che più mi sorprese era che non avevano nessun professore in classe. Bene, mi fa piacere che questi qui battano la fiacca. E poi si lamentano di noi, solo perché abbiamo le ali nere. La coerenza se n'è andata nella tana del Bianconiglio. Tra gli studenti sparsi per tutta l'aula, cercai il volto di mio fratello. Mi si avvicinò Beatrix, con un sorriso indignato stampato sul viso. «Che cosa vuoi, diavoletto?» Odiavo quando mi chiamavano con quel nomignolo, specialmente perché me lo aveva affibbiato quando incidentalmente da piccola avevo dato fuoco ad una delle sue bambole di porcellana. Quel giorno, è stato uno dei più dolorosi della mia infanzia. Ruppi definitivamente i rapporti con mio fratello. Le nostre mani era come se fossero legate da un filo. Perché, anche se non sembrava, non abbiamo sempre litigato. C'era un tempo in cui andavamo molto d'accordo. Giocavamo insieme, ci divertivamo. Lui era il mio cavaliere ed io la sua principessa. Da quel giorno noi due non corrispondemmo più. E tutta colpa di Beatrix. Il pensiero del litigio con Mickael mi fece rabbuiare. «Sono qui per parlare con mio fratello.» Ci tenei particolarmente a marcare l'aggettivo possessivo "mio". Perché un tempo mi apparteneva. Poi, da quando conobbe lei, cambiò tutto. Divenne come una macchina. «Che cosa vuoi?» mi domandò una voce dal fondo dell'aula. proprio lì, seduto sul banco con un libro in mano, c'era il mio angelo macchina.

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Capitolo 8
*** 8 ...Finisce con una maledizione ***


"Tentato dall'irrazionale ardore Cerca di farti cadere nello straziante candore Mille lame sono solo l'inizio della caduta L'inferno aspetta con ansia la tua venuta Solo quando il tuo corpo sarà finalmente straziato Capirai che è stata un'illusione ad averti dannato" (L'AMORE – DI XVXDARKANGELXVX) Mickael. Perché non poteva semplicemente comportarsi come un fratello normale? Perché lui non è normale. Era semplice come risposta. «Che cosa vuoi?» In quel momento avrei voluto fare moltissime cose. Picchiare Beatrix, ad esempio. Dare uno schiaffo a Micka, per esempio. Fuggire via, andare in un altro stato. Avrei voluto distruggere qualsiasi cosa si trovasse sul mio cammino. Ma non potevo farlo. Avrei solamente peggiorato la situazione. Avrei solamente confermato quello che tutti, la mamma, mio fratello, i membri della Special Blanc pensavano di me. Ossia che ero un mostro. «Devo parlarti. In privato» gli dissi, fissandolo negli occhi. Gli feci cenno di uscire dalla classe. Lui, molto svogliatamente, si alzò dalla sua postazione e mi seguì, anche se accompagnò il tutto con un grande sospiro. Non amava molto quando irrompevo improvvisamente nelle sue attività e gli chiedevo qualcosa, quindi cercavo di non avvicinarmi a lui il più possibile. Ma quella era una situazione di emergenza. Usciti dalla classe, mi voltai verso di lui. Micka richiuse la porta alle sue spalle, osservandomi con un'espressione contrariata. «Devo parlarti.» «Questo l'ho capito.» La sua frase fu accompagnata da un lungo silenzio da parte mia. Non sapevo che cosa dire, da dove incominciare. Soprattutto, avevo paura che mi prendesse per una pazza psicopatica. La sua espressione si fece sempre più corrucciata. «Allora? Hai intenzione di rimanere in silenzio ancora per molto? Perché io avrei una vita, al posto tuo.» Non sapevo cosa dire. Perché? Avevo così tante domande da porgli. Mentalmente, mi ero preparata un discorso da fargli, ma in quel momento... le parole non uscivano dalla mia bocca. Mickael sbuffò. «Ho capito, vuoi solo farmi perdere tempo.» Si girò per rientrare in classe. No, non potevo lasciarlo andare. Non ora. Avevo bisogno di lui, in quel momento. Nell'istante in cui la sua mano si poggiò sulla maniglia, mi voltai per afferrargli l'angolo della maglietta. Lui si fermò dall'aprire la porta. «Non andartene un'altra volta.» Le parole risultarono più insicure di quanto avevo immaginato. Mickael mi prese la mano e mi trascinò fuori scuola. «Vieni, parliamo in un posto privato.» Avviandoci verso l'uscita ci imbattemmo nel preside. Io non mi azzardai nemmeno a sollevare lo sguardo. Quell'uomo mi incuteva timore. «Beh, perché non siete a lezione voi due?» Forza, Micka. Vediamo come te la cavi con il preside. «Mia sorella non si sente bene. La stavo per riportare a casa.» Era molto sicuro di sé. Di rado riuscivo a capire quando mi raccontava menzogne. Con gli anni, diventava sempre più difficile. In quel momento, anch'io credevo alla sua bugia. «I vostri genitori?» domandò il preside. «Partiti. Hanno avuto una chiamata urgente da...» In quel momento, passò uno studente umano e mio fratello fu costretto a finire la frase. Anche il preside si girò, e per tutta risposta intimò allo studente di tornare nella sua classe. Il poveretto a passi svelti ritornò da dove era venuto. «Potete andare, li avvertirò personalmente.» Micka fece un accenno di capo e, stringendomi ancora di più la mano, mi scortò verso l'uscita. «Tu cerca di rimetterti, Senja» esordì il preside, facendomi l'occhiolino. Era più finto di tutti gli angeli bianchi che mi circondavano. Alzai leggermente il capo ed annuii. «C-certo.» Micka circondò le mie spalle con il suo braccio. In quel momento mi sentivo protetta. Non mi succedeva da tanto. Ma perché lo aveva fatto? «Vieni, andiamocene ora.» Uscita in cortile, respirai finalmente l'aria invernale. «Dove mi stai portando?» gli domandai perplessa. «Lontano da occhi e orecchie indiscrete.» Continuando a tenermi per il braccio, mi condusse verso la sua macchina, una Cadillac avorio con il tettino nero. Non l'aveva mai usata per venire a scuola. Quella mattina, però, era andato da un'altra parte prima di venire a scuola. Volevo scoprire a tutti i costi dove fosse andato. Salita in macchina, lasciai cadere la cartella fra il sedile e il cruscotto. Mickael si affrettò a salirci e a mettere in moto. Mi sforzai di non guardarlo mentre guidava, anche se era praticamente impossibile. Così, aspettando di arrivare nel luogo "segreto", affondai la schiena contro il sedile e guardai la mia immagine riflessa nel finestrino. In quel momento, sentii qualcosa in me che si riaccese. Una sensazione che credevo di aver perso anni prima. La speranza di riavere un fratello che si prendeva cura di me. Mio fratello Mickael e non l'arcangelo Michele. I suoi capelli biondi riflettevano la luce solare, come se ogni singolo capello fosse, in realtà, uno specchio. Anche a distanza di anni non era cambiato il suo colore. Era rimasto lo stesso. Ma in quel momento, rivedere il Mickael ragazzino, insieme alla sua sorellina che amava tanto, mi faceva venire un tuffo al cuore. In quella cameretta, ci pettinavamo i capelli a vicenda. Quelli della bambina erano rossi come il sangue, mentre quelli del bambino erano l'esatto contrario, biondi come il sole che splende a mezzogiorno. Il bene e il male in un'unica stanza. Che paradosso! «I tuoi capelli sono cresciuti ancora di più» disse il bambino alla sorellina. Lei era un trionfo di felicità dalle sfumature più chiare e colorate. Come potevano anche solo pensare che fosse devota alle tenebre? Chi era stato a mettere la pulce nell'orecchio a quel bambino? Chi aveva osato separarli? Il giovane angioletto posò la spazzola sul letto. In quel momento, la bambina si voltò. Aveva ancora sul volto un sorriso smagliante, ma che pian piano si spense. «Che hai?» gli domandò, preoccupata. Senza dire una parola, il bambino scese dal letto ed andò dritto a guardarsi allo specchio. Anche la bambina lo seguì. Entrambi guardarono i loro riflessi nello specchio. «Perché siamo così diversi, Micka?» domandò ingenuamente la bambina. «Perché io sono un angelo bianco.» «Ed io cosa sono?» «La mamma ed il papà hanno detto che tu non sei come noi. Tu sei...» Il bambino fece una pausa. Non sapeva come dirglielo. «Un angelo nero.» È in quel momento, che capì la differenza tra il bene e il male. In quella giornata riscaldata dai raggi solari di fine agosto, in una tranquilla cittadina americana, una bambina capì cosa significava essere diversi. La principessa e il suo cavaliere non sarebbero più stati uniti come prima. «Sen, siamo arrivati.» Il suono di quella voce. Avrei voluto ascoltarlo sempre. Riaprii piano gli occhi. Mi ero addormentata, bene. «D-dove siamo?» biascicai. La voce mi era diventata roca. «Ai confini della città.» Lo avevo notato. Da lì in poi c'era il bosco. Guardai mio fratello negli occhi. Ad essere onesta, non ero del tutto convinta della mia scelta. Lui mi tese una mano, che non pensai due volte a prendere.

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Capitolo 9
*** 9 L'erba cattiva non muore mai ***


Avevo qualche dubbio, su di lui. Non ero del tutto sicura di volergli raccontare tutto e, per un istante, il pensiero di fuggire mi passò per la mente. Ci incamminammo dentro la foresta, dove la vegetazione era più fitta. Le foglie degli alberi impedivano quasi del tutto ai raggi del sole di filtrare. Ci sedemmo sopra un grande tronco caduto. Micka incrociò le mani e tenne lo sguardo fisso a terra. «Posso parlare ora?» gli domandai scontrosa. L'angelo alzò lo sguardo e mi guardò con i suoi occhioni enormi. In quel momento mi ritornò alla mente il sogno che avevo fatto in macchina. Il ricordo di quel giorno sarebbe stato per sempre impresso nei miei ricordi. La principessa e il suo cavaliere non sarebbero più stati uniti come prima. Volevo di nuovo mio fratello, perché sapevo che quello che avevo davanti non era realmente lui. «Avanti, parla» mi rispose, con tono piatto. «Voglio saperne di più su di te e sul tuo passato.» Mickael continuò a fissarmi un altro po', per poi alzare la testa verso gli alberi. «Lo conosci già il mio passato. Siamo cresciuti insieme, Sen.» Una risatina breve e molto aspra precedette la mia frase. «Mi riferisco al tuo vero passato, Michele.» Mio fratello spalancò gli occhi e si voltò di scatto a guardarmi. «Voglio che mi racconti di tuo fratello Samael.» «Lui... preferisco non parlarne, se non ti dispiace.» A quel punto sbottai. Mi alzai in piedi e lo fronteggiai. «Sì che mi dispiace. Ho il diritto di sapere con chi vivo. Ho il diritto di sapere chi si è impadronito del corpo di Mio Fratello!» gli urlai, andandogli contro. L'angelo non ebbe il coraggio di ribattere. Abbassò lo sguardo e non aggiunse una parola. «Sai, sono felice di essere dell'altra sponda. Almeno non mi devo preoccupare che qualcuno prenda il mio corpo. Siete solo dei ladri!» Gli diedi le spalle e corsi verso la fine del bosco. Non era più Mickael da tanti anni ormai, solo che non volevo ammetterlo a me stessa. Credevo che alcune azioni che facesse fossero opera di mio fratello e che Michele non fosse in grado di opporsi. Ci avevo davvero sperato, ma mi sbagliavo. «Senja, aspetta!» mi chiamò Michele, precipitandosi da me. Mi bloccò il braccio e mi costrinse a girarmi. Strattonai via il braccio. «Stammi lontano!» gridai. «Credimi se ti dico che tuo fratello sta bene ed è consenziente della sua scelta.» «Perché hai dovuto prendere proprio il suo corpo?» «Lui appartiene alla mia Dinastia. Sin da bambino, si è sempre distinto dagli altri. Era forte.» Non potevo obbiettare, in fondo era la volontà di mio fratello. «Perché hai deciso di reincarnarti? Qual è il tuo obbiettivo, Michele?» gli chiesi, incrociando le braccia. Il vento iniziò a soffiare più di prima e l'aria si fece molto più fredda. «Sono qui per un motivo ben preciso. Eliminare il male che c'è su questa terra.» Scoppiai in una risata fragorosa. «Ancora con questa missione di pace, ma non vi siete stancati? Non avete ancora capito che il mondo non può essere salvato?!» Era ridicolo starlo ad ascoltare. Mi stava facendo venire la nausea. «Forse hai ragione tu. Ma noi continueremo a lottare, finché l'altra sponda non sarà distrutta e l'umanità sarà salva.» L'altra sponda... Era così che definivano allora noi angeli neri. Volevano vederci strisciare a terra come vermi. Ci volevano distruggere. Beh, mi facevano solo schifo. «Beh, allora saremo nemici. Fratello.» Diedi maggior enfasi all'ultima parola. Doveva capire quanto mi facesse schifo stare in sua presenza. Feci per andarmene, ma mi voltai un'ultima volta. «D'ora in poi non immischiarti più nella mia vita privata, Mickael. Hai scelto da che parte stare. Hai scelto di dare le spalle a tua sorella, quindi non ti aspettare più nulla da me se non indifferenza totale.» Non lo facevo da anni e francamente non ricordavo nemmeno come si facesse, ma ci provai lo stesso. Dispiegai le mie ali nere come l'oscurità e volai in cielo fin sopra le nuvole. Era come andare in bicicletta. Una volta imparato non lo dimentichi più. L'aria fresca che si infrangeva contro il mio corpo era rilassante. Avevo bisogno di rimanere da sola. Quando riatterrai era ormai sera. La città era andata praticamente a dormire. Le strade erano illuminate solamente dai lampioni e da qualche macchina che passava per la strada. Atterrai sopra il Golden Gate Bridge. Non c'era praticamente nessuno. Richiusi le ali e presi il telefono che avevo in tasca per cercare il numero di Gage. Avevo bisogno di parlare con qualcuno che fosse come me. «Senja?» mi rispose la voce assonnata di Gage. «Ehi. Scusa se ti chiamo a quest'ora ma ho avuto un problema con mio fratello e...» Non sapevo come terminare la frase. Il mio tono di voce era incerto, segno che di lì a breve sarei scoppiata a piangere. «Dove sei?» «Sul Golden Gate Bridge.» «Senja, come ci sei arrivata lì? Non dirmi che hai volato!» «Invece è proprio quello che ho fatto.» Cavolo, in quel momento un rimprovero era l'ultima cosa che volevo sentire. «Ti dico l'indirizzo di casa mia, così mi raggiungi.» «Okay, grazie.» Appena Gage finì di dirmi l'indirizzo, dispiegai le ali e mi alzai nuovamente in volo. Per fortuna che il punto dove abitava era abbastanza isolato da potermi permettere di atterrare senza che qualcuno mi vedesse. Andai difronte la casa di Gage. Era una villa molto grande, di colore bordeaux con le rifiniture delle finestre e della porta in nero. All'entrata risaltavano immediatamente due colonne anch'esse dipinte di nero, ispirate, evidentemente, all'Età Classica della Grecia. Notai che seduto sui gradini c'era Gage, con in mano due tazze. Avevo il respiro affannato ed ero molto scossa. L'angelo nero posò le tazze sul gradino dove era seduto e si affrettò a venirmi incontro. Gli saltai addosso, lasciando che i nostri corpi si toccassero come mai prima. «Sen, che ti è successo?» Finalmente potevo dare libero sfogo alle mie lacrime. «Ti prego, non dire niente. Abbracciami e basta» lo supplicai tra le lacrime e i singhiozzi. E fu quello che fece. Non aggiunse nulla. Rimanemmo lì per un bel po' senza dire una parola. Mi fece entrare dentro casa sua e con mia grande sorpresa scoprii che i suoi genitori non erano ancora rincasati. «Sono stati convocati» mi disse. Con una faccia sorpresa, esordii stupita: «Anche i tuoi?!» «Sì, c'è parecchio movimento in questi giorni. Pare che ci stiamo per avvicinare ad un altro scontro con gli angeli bianchi.» «A proposito di questo... c'è una cosa che devo dirti.» Mi sedetti sul divano e mi porse la tazza con la cioccolata calda. Il coccio al contatto con la mia mano fredda mi riscaldava. Chissà se, bevendola, avrebbe alleviato anche il mio dolore. Iniziai a girare l'indice intorno al bordo della tazza. «Dimmi.» Gage si sedette accanto a me, poggiando una mano sul bracciolo, mentre con l'altra teneva stretta la tazza di cioccolata calda. Mi mostrò un sorriso rassicurante. «Oggi ho parlato con mio fratello, o meglio quello che ne resta.» Gage non parve più di tanto stupito nel sentire quelle parole. Si limitò a seguirmi in silenzio, bevendo un sorso di cioccolata ogni tre/quattro parole. «Michele mi ha detto che gli angeli bianchi hanno intenzione di portare il bene nel mondo e per farlo devono estirparlo da ogni forma di male presente sulla Terra.» «Vale a dire: sterminare la nostra specie.» Bevvi un altro sorso di cioccolata, prima di rispondergli: «Esattamente.» «Quello che ha appena detto è un piano irrealizzabile, lo sai vero?» Abbassai lo sguardo sul tessuto del divano. «Quando me lo ha detto, sembrava sicuro del fatto di riuscirci. infondo, dipende tutto da lui.» Mi lasciai andare, poggiando la testa sullo schienale morbido del divano e chiusi per un paio di secondi gli occhi. Abbozzai un sorriso di beffardo. «Cosa pensi di fare?» Cosa pensavo di fare? Ancora non lo sapevo. Volevo parlare con il vero Mickael per chiedergli se potevo, in qualche modo, cambiare le sorti della guerra che stava per arrivare. Avevo delle domande da fare a Michele su suo fratello Samael. Volevo impedire la battaglia tra gli angeli. Sognavo di ristabilire l'equilibrio e che alla fine di tutto mi sarei ripresa mio fratello. Alzai la dal divano per avvicinarmi a Gage. «Ancora non lo so. Ma spero che tu sarai dalla mia parte.» L'angelo mi prese la mano e la strinse forte. Mi sorrise dolcemente, prima di rispondermi: «Sempre.» In un certo senso, saperlo al mio fianco mi rassicurava. Mi accoccolai addosso a lui e chiusi gli occhi. Quella sera, due angeli neri avevano, inconsciamente, sancito una promessa di fedeltà assoluta.

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Capitolo 10
*** 10 Rifiuto ***


Sopito, ed al risveglio m'accorgo che la morte solo buio ed assenza d'emozioni senza futuro. (DORMENDO – DI PINO "SOULOF THE FOG") Il mio cellulare iniziò a squillare poco dopo e con esso iniziarono tutti i miei guai. Mi rifiutati più volte di rispondervi, anche se Gage provò a persuadermi di fare il contrario. I numeri che comparvero sullo schermo furono quelli di Carl e Micka. Dopo una decina di minuti mi chiamò anche Violet; evidentemente chiamò anche lei per sapere se stavo a casa sua. Conoscendola, avevo dedotto che era entrata in panico. Mi ero addormentata sul divano di Gage e al mio risveglio stavo sotto una coperta; ma non era quella della sala da pranzo. Ero nella stanza dell'angelo nero. Chissà cosa avrebbe pensato mio fratello, vedendomi in quel modo. Di sicuro, sarebbe andato su tutte le furie. Ma perché mi stavo preoccupando di quello che avrebbe pensato Mickael? Dovevo assolutamente smetterla. Mi alzai dal letto, esitando per qualche istante dall'uscire dalla porta. Volsi il mio sguardo alla camera da letto. Le pareti blu notte erano spoglie, ad eccezion fatta della libreria posta accanto alla finestra. Il letto era posizionato lungo la stessa parete della porta; aveva accanto a sé un comodino sul quale vi erano posizionate una lampada e un paio di cornici, raffiguranti, molto probabilmente, Gage da bambino. L'orologio sulla parete di destra segnava le 12:40 p.m. e solo dopo averlo visto mi resi conto che avevo dormito moltissimo. Sarei dovuta ritornare a casa, ma c'era qualcosa che mi tratteneva. Troppi risentimenti verso la mia famiglia. La verità era che non me ne importava più nulla. Nel profondo del mio cuore dannato, sapevo che la mia famiglia avrebbe preferito che non tornassi. Quindi decisi che era giunto il momento di liberarli del mio inutile peso. Il brusio di una voce roca mi fece sobbalzare, accendendo la mia curiosità. Aprii la porta e scesi silenziosamente in salotto. Rimasi sull'ultimo gradino, cercando di impegnarmi a non fare il minimo rumore e spiando quello che stava accadendo. La prima cosa che scoprii era che Gage stava seduto sul divano, dove prima c'ero seduta io, e stava parlando al telefono. Ma con chi? «State tranquillo, è con me.» Sta parlando sicuramente di me; ma a chi? Carl? Mickael? Mia madre? No, quell'ultima ipotesi la potevo scartare a priori, dato che quella donna bramava più di ogni altra cosa al mondo il non avermi tra i piedi. «D'accordo. Appena si sveglia glielo dico. Arrivederci» disse, prima di riagganciare. Gage posò il telefono di casa sul tavolino davanti a lui e si alzò dal sofà, dirigendosi verso le scale. Diamine, stavo per essere scoperta. Decisi in fretta e furia di fare una cosa che mi avevano sempre vietato sin da bambina: fluttuare. Senza il minimo rumore, riuscii a tornare nella stanza da cui ero venuta, chiusi la piano la porta e salii sul letto. Feci appena in tempo a rimettermi sotto le coperte che Gage varcò la porta della sua camera. L'angelo si sedette, esitante mi accarezzò il viso. Sentivo le sue dita tremare al tocco della mia pelle. Provai con tutta me stessa a soffocare l'agitazione che percorreva il mio corpo. Aprii pian piano gli occhi, andando a cercare lo sguardo di Gage. Feci uno sbadiglio e, subito dopo, incrociai il suo sguardo turbato. «Ehi, angioletto» esordì a bassa voce, mostrandomi un accenno di sorriso. Mi misi a sedere, poggiando la schiena contro il cuscino, feci uno sbadiglio e poi gli chiesi: «Cosa succede?» Gage esitò per qualche istante. Nei suoi occhi, riuscivo a percepire il rimorso per qualcosa che aveva compiuto a mia insaputa. Con chi aveva parlato al telefono? «Ecco, non so come dirtelo Sen...» Gli posai una mano sulle labbra, prima ancora che finisse di pronunciare il mio nome. Accennai un sorriso ironico, prima di chiedergli: «Perché non inizi col dirmi con chi stavi parlando al telefono?» La mia domanda lo colse alla sprovvista, e non esitò a farmelo notare con i suoi occhioni stupefatti. «Era tuo padre, Carl.» Indignata, sollevai la schiena dal cuscino. Non avrebbe dovuto dire una cosa del genere. Quell'uomo... «Tengo a precisare che Carl non è mio padre, ma di mio fratello.» Il mio sguardo raggelante lo costrinse ad abbassare lo sguardo, ma non era quello il mio intento. Volevo solo che non mi accreditasse discendenze sbagliate. Anche se ogni giorno dovevo portare il peso di ciò che ero nata, non potevo nascondere alla mia persona che una parte di me era felice di essere nata un angelo nero. Ero in grado di fare cose che i comuni angeli non potevano fare, perché ritenute troppo oscure. Ero un peccato vivente. «Perdonami, Sen. So che non lo avrei dovuto fare, non senza il tuo permesso, però i tuoi genitori erano, sono in pensiero per te. Ho chiamato a casa tua solo per poterli rassicurare e per avvertirli che domani farai ritorno a casa.» Volevo obbiettare, ribattere e dirgli che non avrei mai più messo piede in casa mia. Ma a cosa sarebbe servito? Gage era disposto a fare qualsiasi cosa pur di convincermi a ritornare a casa mia. «Loro non mi vogliono. Ma non capisci? Sono sempre stata dipinta come un essere malvagio che viene a distruggere le vite degli innocenti. Mia madre non mi ha mai voluta, mio fratello mi vede come un mostro che deve essere distrutto e la mia sola presenza lo infastidisce e Carl mi tiene in casa solo per pietà» urlai, riempiendo i miei occhi di lacrime. Gage allungò la mano e con l'indice raccolse le lacrime che mi scendevano sulle guance. Iniziai a singhiozzare, allora venne più vicino e mi prese il viso tra le mani. Appoggiai la testa contro il suo torace e lasciai che mi accarezzasse la testa. «Carl ti vuole bene, non è vero che ti tiene con sé solo per pietà. Lui ti considera come se tu fossi figlia sua. Ricordati che è stato lui a crescerti, proprio come farebbe un padre con i suoi figli. Ti ha dato tutto il suo amore, ti ha sempre difeso e ogni volta che cadevi ti aiutava a rialzarti.» Come faceva a sapere tutte quelle cose sul mio passato? Chi gliele aveva raccontate? Carl? Poco importava perché, finalmente, era riuscito ad aprirmi gli occhi. L'indomani sarei andata a scuola come se niente fosse, avrei ignorato tutti quanti, compreso mio fratello, e una volta tornata a casa mi sarei scusata con Carl per averlo trattato male tutti questi anni. In fondo, era la cosa giusta da fare. «Hai ragione. Mi sono comportata da egoista, e domani andrò a scusarmi con lui.» Alzai lo sguardo verso di lui e rimasi a fissarlo negli occhi. «Però non voglio che Mickael si avvicini a me. Voglio parlare da sola con Carl.» Gage accennò un sorriso compiaciuto, con la mano iniziò ad accarezzarmi la guancia. Era rassicurante, in fondo. Era incredibile l'alchimia che ci univa, anche se ci conoscevamo da pochi giorni. Non sapevo molto su di lui, però mi aveva dato l'impressione che lui sapesse molto sulla mia famiglia; più di quanto ne sapessi io, ossia la diretta interessata. «Tranquilla, non permetterò che ti faccia del male. Non permetterò a nessuno di Loro di torcerti un capello, angioletto.» Quelle parole risuonarono così rassicuranti ed armoniose, come una dolce melodia che ti culla. A quelle parole, mi lasciai andare completamente. Se Gage mi era accanto, allora non avevo nulla da temere. Il giorno seguente, come stabilito andai a scuola, anche se me ne pentii subito dopo aver varcato il cancello. Gli occhi degli alunni angeli erano tutti addosso a me. Come, d'altronde, avrei dovuto aspettarmi. Ricevetti anche una spallata da Beatrix, che aveva continuato a fissarmi da lontano appena avevo varcato la soglia dell'atrio. Quando Violet mi vide, la prima cosa che fece fu quella di corrermi incontro ed abbracciarmi, fino a farmi mancare il respiro; poi passò alla ramanzina, che sapevo di meritarmi – ma solo da lei. «Mi hai fatto stare in ansia come non mai. Come ti è saltato in mente?» mi domandò, mandando giù il polpettone. Ci eravamo sedute alla mensa dell'accademia e almeno lì gli studenti si erano dati un contegno dal lanciarmi occhiate gelide; non volevano rischiare di suscitare il sospetto degli studenti umani. «Mi dispiace, veramente. Ieri sera non me la sentivo di tornare a casa e così sono rimasta a dormire da Gage» le dissi, iniziando a giocare con la sbobba che avevo nel piatto. Il rumore della forchetta che cadde a terra mi fece sollevare lo sguardo. Violet mi stava fissando imbambolata e con la bocca spalancata. «Che cosa?!» urlò incredula. Nel vedere la sua espressione scoppiai ridere. La mia amica si avvicinò alla mia faccia, subito dopo aver raccolto la forchetta. «Raccontami tutto.» «Non è successo niente di quello che pensi. Lo conosco appena!» le risposi, lasciandomi andare contro lo schienale della sedia. «Certo. Eppure hai preferito andare da questo sconosciuto, piuttosto che rifugiarti a casa della tua migliore amica.» «Perché lui mi capisce, sa quello che provo.» Mi pentii immediatamente dopo aver detto quelle parole. Violet si rabbuiò e la colpa era stata mia. Non volevo intendere quello che avevo detto, e senza rifletterci le avevo scoccato una freccia para al centro del cuore. «Perché lui è come te.» «Tesoro, non volevo dire quello...» Le presi la mano e gliela strinsi forte. «Invece volevi, ed hai ragione. Per quanto io mi sforzi a cercare di comprendere te e tutti gli altri, non riuscirò mai a capirvi fino in fondo. E mi dispiace molto, perché sei la mia migliore amica e ti voglio un bene dell'anima.» I suoi occhi diventarono lucidi, così come i miei. Senza dire un'altra parola, si alzò ed andò a posare il vassoio sul bancone con il cibo dentro. Sperai che tornasse a sederci difronte a me, ma non lo fece. Mi lasciò sola con la mia maledetta linguaccia. Avevo combinato proprio un bel casino, e dovevo incolpare solamente me stessa. Quando tornai in classe, dopo pranzo, per le lezioni pomeridiane, mi stupii nel vedere la persona che stavo cercando di evitare da tutto il giorno: mio fratello. Cosa ci faceva nella Special Black? Appena varcai completamente la soglia, scoprii che stava parlando con Gage e che quest'ultimo, quando mi vide, smise di parlare. Quando Micka si voltò nella mia direzione, notai che i suoi occhi erano rossi e inondati dalle lacrime. Cosa era successo? Mi corse incontro e mi abbracciò forte, stringendomi a se. Rimasi sbalordita da questo suo gesto, perché sinceramente non me lo sarei mai aspettata. Mi diede un bacio sulla fronte e mi sussurrò: «Mi dispiace, piccolina.» La sorpresa nel sentire quelle parole dalla bocca di mio fratello fu immensa, perché dopo anni sentivo di nuovo quella sicurezza che da bambina provavo nello stare in sua compagnia. La principessa e il suo cavaliere potevano finalmente stare insieme. Mi sembrava impossibile. Michele era sparito e aveva fatto ritornare mio fratello.

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Capitolo 11
*** 11 - Fato ***


Quel pomeriggio, tornammo a casa insieme come non facevamo da tanto tempo. Alla fine delle lezioni, Mickael era venuto fuori la mia classe a prendermi, quando uscimmo dall'aula, mi accorsi che c'era Beatrix che manifestava felicità da tutti i pori della pelle, ma appena vide Micka che mi teneva la mano, si rabbuiò in un nanosecondo. Provai un'immensa gioia nel portarle via tutta la felicità, anche se non riuscivo a spiegarmi bene il motivo. Mi voltai a guardare mio fratello, l'angelo più splendente di tutti: Mickael; anche lui si girò nella mia direzione e mi accennò un sorriso. Attraversammo il giardino con gli occhi degli angeli su di noi, secondo loro, stavamo facendo qualcosa che molto presto avremmo rimpianto per sempre. È sbagliato che due angeli così diversi si vogliano bene? Quella domanda mi assillava per tutto il tragitto di ritorno verso casa e avevo l'impressione che non avrei trovato tanto facilmente una risposta. Era mio fratello ed io mi sentivo così attaccata a lui in un modo che non mi riuscivo nemmeno a spiegare. Perché, da quel giorno, avevo l'impressione che ci fosse ben altro ad unirci, oltre al vincolo di sangue. Quando varcai la porta di casa, ebbi la sensazione di non metterci piede da secoli. Non mi ritenevo capace di andarmene via, invece lo avevo fatto. Non mi sentivo in colpa o cose del genere, stare da Gage mi aveva fatto bene; avevo avuto il tempo di schiarirmi le idee, perché ultimamente avevo troppi pensieri che mi frullavano per la testa. Poggiammo le borse sul mobile accanto alla porta e ci dirigemmo verso la cucina. Ero sola con lui, i nostri genitori non c'erano. Micka mi aveva detto che erano andati a parlare con gli Anziani per via di Michele. Stando alla spiegazione di mio fratello, l'Arcangelo aveva esagerato con me. Dal frigorifero presi il succo all'arancia rossa e lo versai dentro un bicchiere. Mickael si era appoggiato al tavolo in marmo, con le braccia conserte e fissava ogni mio movimento. Mi posizionai difronte a lui e lo fissai a mia volta, cercando di capire che cosa avesse in mente. Nulla. I suoi pensieri erano inaccessibili, qualcosa era cambiato. Lui era cambiato. Non era più il dolce bambino dagli enormi occhioni azzurri e ricci capelli biondi che quando sorrideva era capace di illuminarti le giornate, ora era, in qualche modo, più oscuro benché conservasse ancora quella sua "purezza" d'animo. «Non mi sembra vero che sei difronte a me» mi disse, dopo aver alzato lo sguardo verso il soffitto. Quando sentii quelle parole, per poco non mi strozzai con il succo d'arancia. Non ero del tutto sicura che fosse veramente lui, insomma per tutti quegli anni avevo sentito la voce dell'Arcangelo non di mio fratello. Mickael aveva una voce completamente diversa: era dolce ed armoniosa. «Be', sono proprio qui.» Non sapevo cosa dire, era come essere due perfetti estranei. «Sei cresciuta, dall'ultima volta che ti ho vista.» Mi rifiutavo di ammetterlo, ma quando sentii quelle parole mi dovetti convincere. Volevo sapere quanti anni erano passati da quando Michele si era impossessato del suo corpo e della sua mente. Avevo letto in un libro che quando un angelo più potente decide di prendere il corpo di un altro angelo di rango inferiore, questi si addormenta mostrando solo - e a volte - i propri sentimenti; proprio come era capitato in alcune circostanze. «Quanto tempo è passato? Insomma, qual è il tuo ultimo ricordo?» gli domandai, posando il bicchiere dentro il lavandino. Micka si rabbuiò, non curandosi di quello che mi trasmetteva. «Il mio ultimo ricordo è il giorno del tuo decimo compleanno.» Mi avvicinai a lui e gli saltai praticamente addosso, stringendolo forte a me. Era da tanto tempo che desideravo farlo, solo che il precedente coinquilino non me lo avrebbe mai permesso. Inizialmente, Micka parve sorpreso, poi però mi abbracciò a sua volta, affondando il viso nei miei capelli rosso fuoco. «Mi sei mancato tantissimo» gli confessai, respirando il suo fresco profumo. «Non hai idea di quanto ho desiderato abbracciarti, sorellina.» Non potevo certo negare che non mi fosse mancato, avevo sognato da tanto tempo di poterlo riabbracciare un giorno. Il problema era che non sapevo più come comportarmi con lui. † Ero in camera mia a fare i compiti per il giorno dopo, diciamo piuttosto che provavo a concentrami senza successo. La mia testa era da tutt'altra parte. Sdraiata sul letto, sfogliavo il libro di algebra cercando di capirci qualcosa degli argomenti che aveva spiegato il professore la mattina a scuola. Solo che mille domande mi fluttuavano per la mente, come ad esempio cosa sarebbe successo d'ora in avanti in famiglia, come si sarebbe comportato d'ora in avanti nei miei confronti ed altre domande di cui la maggior parte erano come vicoli ciechi. Solo il tempo mi avrebbe dato una risposta. Sentii un ticchettio provenire dalla porta accostata. Sbuffai rumorosamente, mentre richiudevo il libro di algebra. «Micka, non aver paura ad entrare, non mordo.» La porta emise un cigolio alquanto inquietante, come quelli che si sentono nei film dell'orrore, solo che non comparve un mostro dalla faccia deturpata, ma un angelo – uno dei più belli, tra l'altro. «Scusa, è che avevo paura di disturbarti.» Mi lasciai sfuggire una risata, che sembrò non prendere bene. «Non ti sei mai fatto problemi ad entrare nella mia stanza, non vedo motivo per cui lo debba fare ora.» Sono stata con un totale sconosciuto per troppi anni, avere mio fratello proprio davanti ai miei occhi fu una sensazione strana. Mickael si avvicinò al letto, sedendosi accanto a me. Sembrava imbarazzato, anche se non riuscivo a capirne il motivo. Insomma, ora era di nuovo lui, per cui... «Come dovremmo comportarci?» mi domandò, iniziando a girarsi i pollici. Mi tirai su, poggiando il peso sulle ginocchia. «Perché non appena ti ho vista, oggi a scuola – quando ero di nuovo me -, non ci ho capito più niente. Insomma, avevo davanti la mia amata sorellina che avevo continuato a ferire da anni, non curandomi di cosa potesse provare.» Mickael si girò a guardarmi con quei suoi penetranti occhi azzurri. «Mi dispiace che tu abbia passato tutto questo, ma non abbasserò mai la guardia. Michele potrebbe tornare e distruggermi, sappiamo entrambi che nutre un odio profondo per quelli come me.» «Sen... lui non odia te. Odia il fatto che io ti ami» disse, interrompendomi. Mentre diceva quella frase, mi aveva poggiato un dito sulle labbra, iniziando ad accarezzarle. Mio fratello. No. Era sbagliato, però non m'importava. Niente contava, non più ormai.

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