La Lunga e Oscura Pausa Caffè di Levi

di GinChocoStoreAndCandy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Attenti Al Leopardo! ***
Capitolo 2: *** Dal Punto A al Punto B ***
Capitolo 3: *** Addio e Grazie per Tutte le Pulizie ***
Capitolo 4: *** Il Pub al Termine dell'Universo ***
Capitolo 5: *** Fondamentalmente Innocuo ***
Capitolo 6: *** Il Portale del Dubbio ***
Capitolo 7: *** Niente Panico ***



Capitolo 1
*** Attenti Al Leopardo! ***


Questa storia è dedicata alle animatrici del mio villaggio vacanze, esempio di risolutezza e perseveranza;
infatti in vent’anni avessero mai cambiato la playlist dei balli di gruppo!
 
 
 
 



Alla periferia della Galassia, in uno dei bracci esterni, all’interno del Sistema Solare, c’è un piccolo e triste pianeta azzurro che orbita attorno ad una stella nana gialla.
Il pianeta viene chiamato Terra. I suoi abitanti sono una popolazione primitiva, arrivata da chissà dove, con la quale l’evoluzione aveva dovuto fare i conti all’improvviso e con la quale, subito dopo, aveva gettato la spugna.
Per rimediare a questa incresciosa incompetenza, le forze della natura avevano dotato l’altra razza presente sulla Terra di un intelletto superiore, che aveva permesso loro di continuare il corso della loro vita evolutiva in pace. Ogni tanto capitava che le due razze avessero delle incomprensioni che sfociavano in risse ma, più o meno, le cose andavano abbastanza bene.
Le due razze venivano da loro stesse identificate come Giganti, perché erano grandi e Microgiganti, perché piccoli, anche se i Microgiganti preferivano appellarsi a loro stessi come Umani.
Gli Umani erano afflitti da una costante e insistente tristezza; gli unici che erano felici erano quelli che avevano gli occhiali da sole.
Alcuni di loro pensavano che avere la possibilità di muoversi nella terza dimensione fosse un’idea geniale, mentre altri pensavano che evolversi non fosse stata proprio la cosa migliore da fare.
Tuttavia, per entrambe le razze, la vita tranquilla stava per finire, anche per quelli che avevano gli occhiali da sole, perché l’evoluzione, dopo una breve pausa di riflessione durata circa mille anni, era fermamente decisa a riparare ai propri errori. 
Ma questa non è la storia di come Madre Natura sistemò le cose sul pianeta Terra.
Questa è la storia di una pausa caffè.
Le pause caffè sono momenti di aggregazione che gli Umani si prendono quando non sono impegnati a escogitare piani per infastidire le vite altrui, per interagire tra di loro con discorsi sull’andamento del campionato di calcio, sulle nuove tendenze nel modo di vestirsi, o semplicemente per perdere tempo.
Si dà il caso che tale pausa caffè, la storia di come Madre Natura riparò ai suoi errori e le improbabili conseguenze al mescolarsi di questi elementi abbiano inizio un sabato sera…




 
1
 
 
 
 
 
 
Jean Kirchtein aveva deciso che prima di morire avrebbe fatto colpo sulla ragazza che gli piaceva. Quella notte si era recato sul bordo più a ovest del Wall Rose, attento che nessuno dei suoi amici lo vedesse, a fare una prova di salvataggio simulato.
Jean non aveva molti amici, i pochi che considerava tali aveva come l’impressione che lo odiassero, ma a Jean non importava, visto che li odiava anche lui.
Arrivato a destinazione, prese la bambola per i crash test e la gettò disotto dalle mura, attese qualche minuto che l’oggetto toccasse terra, sguainò le spade del sistema per la manovra tridimensionale e fece un bel respiro per auto convincersi che quello che stava facendo non infrangeva nessuna legge, anche se c’era il divieto di gettare cose dalle mura a meno che non fossero palle di cannone; autoconvincersi che il pupazzo da crash test non era stato rubato, anche se c’erano delle sanzioni penali per chi trafugava gli oggetti dei campi d’addestramento; e che tutto quell’insieme di palesi infrazioni gli avrebbe portato tanta felicità.
—Bene: nonostante ci fossero i dovuti cartelli di divieto, la signorina si è comunque avventurata fuori dalle mura — disse a voce alta come se a qualcuno importasse o come se ci fosse una qualche folla che lo stesse ascoltando.
—Tranquilla Mikasa! Sto venendo a salvarti!! — disse, ma non lo fece. Esattamente quando stava pronunciando la parola salvarti qualcosa, nel tranquillo cielo notturno, aveva catturato la sua attenzione.
Jean non era un astronomo, ignorava qualunque evento che riguardasse le stelle, i pianeti e tutto l’universo; non perché a scuola non gli avessero insegnato che la Terra orbitava attorno al Sole, o che le stelle ruotavano mettendoci un numero esagerato di anni, o che l’universo era vasto più di quanto lo si potesse immaginare. Ignorava il tutto semplicemente perché non gli importava.
Quindi, quando quell’enorme asteroide irruppe nell’atmosfera terrestre, infiammandosi per la pressione dinamica generata dalla fortissima compressione dell'aria, quando iniziò ad avvicinarsi rapidamente alla foresta di sequoie, quando si schiantò al suolo mutando il suo nome in meteorite, quando l’esplosione fragorosa alzò un vento da bora, tutto quello che Jean Kirchtein fece fu: gridare, piangere, chiedere di sua madre, del suo avvocato e del suo gattino.
In realtà, se invece di correre dai soldati del Corpo di Guarnigione a dare la notizia di aver visto un oggetto volante non identificato schiantarsi dentro la foresta di sequoie e dover poi spiegare il perché lui si trovava lì, invece che stare a casa, se avesse dato una sbirciatina al di là delle mura, avrebbe trovato un po’ della felicità che cercava, notando che tutti i giganti della zona erano stati inceneriti dall’onda di calore generata dall’impatto del meteorite sul suolo terrestre.






Sulla Terra c’è una quantità accettabile di libri cartacei che aiutano le persone a vivere meglio.
Nell’universo, esiste un libro famosissimo che ha soppiantato tutti gli altri nel giro di poche centinaia di anni.
Il libro in questione è la Guida Galattica Per Autostoppisti, un manuale che aiuta i viaggiatori a non perdersi nei loro vagabondaggi nell’universo; la Guida è stata edita anche sulla Terra, ma nessuno lo sapeva, forse perché l’umanità era più interessata a libri che l’aiutassero a rendere gradevole l’esistenza nel loro piccolo rifugio antititani.
Molto famosa, ad esempio, è la trilogia sul sistema per la manovra tridimensionale: “Cinquanta e due cose divertenti da fare con un sistema per la manovra tridimensionale”, “Altre cinquanta e due cose divertenti da fare con un sistema per la manovra tridimensionale” e “Ma alla fine questo sistema per la manovra tridimensionale a che serve?”.
Altrettanto interessante, è il volume della Titan Edition: “Perché mangiare gli umani fa bene alla salute” molto popolare tra i giganti, un po’ meno tra gli umani.
 
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
 
 
 
Era sabato sera in una via del centro città; i negozi avevano chiuso da qualche ora. Uno di questi portava il nome di “Rose & Mary: Camicie Hawaiane per Tutte le Occasioni”, dove hawaiane è il cognome del proprietario, non che inventore di una particolare tipologia di camicie decorate con dei fiori di ibisco in vari colori. Queste andavano molto in voga quando ancora il venerdì casual era ammesso negli uffici, ma con le nuove leggi che vietavano ai soldati di andare in giro con camicie troppo sgargianti che mettevano in dubbio la loro professionalità, ora venivano vendute per partecipare a feste a tema o serate sportive.
Una di queste camicie stava sfilando indosso al suo proprietario nella via del centro, per dirigersi alla casa di un noto eccentrico che dava una festa casual-karaoke per l’uscita del suo ultimo libro: “Gli Errori del Sistema per la Manovra Tridimensionale”.
Il proprietario della camicia in questione era un certo Levi, noto a tutti con l’appellativo di soldato più forte dell’umanità, cosa che la dice lunga su quali fossero i suoi interessi e passatempi preferiti. Levi, infatti, amava uscire dal perimetro delle mura per andare a massacrare tutto ciò che di titanico ci fosse, qualunque gigante passasse nel suo raggio d’azione era praticamente spacciato. Lui ovviamente non lo sapeva, ma aveva molte cose in comune con gli abitanti del pianeta Z49, dove i signori della guerra locali avevano inventato dei super guerrieri dalla mente programmata in un unico sistema binario: guerriero vede nemico, guerriero uccide nemico. Allo stesso modo, la mente di Levi funzionava con il medesimo sistema binario: Levi vede gigante, Levi uccide gigante.
Per quanto però fosse bravo nello sterminio dei giganti, per quanto riguarda le interazioni sociali lasciava molto a desiderare. Alle feste si annoiava, parlava poco, beveva altrettanto poco, non riusciva a comprendere il perché all’apertura di una bottiglia di spumante, il tappo andasse direzionato oltre le persone e non verso le persone; non comprendeva a pieno il significato del più siamo e più ci divertiamo e soprattutto non capiva perché, di punto in bianco, il suo coinquilino avesse deciso che la vita sociale valesse la pena di essere vissuta.
La cosa che più lo lasciava perplesso era il motivo secondo il quale alle feste la gente si ostinava a trovare modi fantasiosi per ridursi a larve striscianti imbottite di alcol che vagavano in cerca di un luogo dove riversare il contenuto del loro stomaco. Ma la cosa che proprio non capiva erano i regali di compleanno. Nonostante tutti i suoi amici e colleghi sapessero che cosa gli piacesse, puntualmente gli regalavano cose che non gli piacevano; una di queste era quella camicia hawaiana che era stato costretto a indossare per la festa a cui era stato obbligato a partecipare.
Eppure quella camicia era all’ultimo grido: color verde menta con gli ibisco bianchi ed una scritta evocativa in rosso che diceva Aloha che altri non era che il nome dell’inventore delle camicie ed anche una costellazione nel settore 24 della nebulosa Carnarvon.
Quel sabato sera, Levi non era da solo, ma assieme ad altre due persone che, a differenza di lui erano molto felici di andare alla festa.
Erwin Smith era quello che si può definire un semplice essere umano, ovvero una forma di vita a base di carbonio e discendente in parte dalle scimmie; ciò che Erwin non sapeva era che discendeva in parte anche dal filosofo Giordano Bruno; ovviamente incroci razziali e secoli di mutazioni avevano cancellato la maggior parte della somiglianza. Eppure qualcosa era rimasto, come l’avversione per il fuoco: nella casa che divideva con il coinquilino, avevano un camino che non avevano mai acceso; quando guardava oltre le mura era convinto che al di là ci fossero infiniti mondi e gli era rimasto l’irrefrenabile desiderio di polemizzare praticamente su tutto: dal perché alla mensa si deve servire solo stufato?, al perché l’orologio cittadino segna l’ora trenta secondi più tardi rispetto al mio orologio? e al perché le formazioni attuali per le esplorazioni somigliano più a delle formazioni di rugby, anziché  vere e proprie formazioni di pattuglia? Questo suo modo di fare gli aveva regalato la carica di Comandante dell’Armata Ricognitiva, non tanto perché se lo meritasse, ma perché se non l’avesse ottenuta, non avrebbe mai smesso di ipotizzare riguardo agli infiniti esseri che vivrebbero negli infiniti mondi al di là delle mura. Essendo Comandante, la carica imponeva che a qualunque festa, cerimonia pubblica o privata, si dovesse presentare con la divisa. Quindi quella sera, oltre alla solita divisa noiosa aveva sotto la giacca, una maglietta con su ricamato: non datemi fuoco per le mie idee, frase che aveva scelto lui, ma non sapeva il perché.
Levi ed Erwin erano coinquilini ed erano l’uno l’opposto dell’altro: Levi era basso e moro, mentre Erwin era alto e biondo. Nonostante tutto andavano d’accordo.
L’altra forma di vita che stava in loro compagnia, era quella che comunemente viene definita come persona che parla con lingua biforcuta, cioé una scienziata. Tale scienziata era Hansie Zoe, una di quelle persone che non porteresti mai ad una festa, che si lamenta del fatto di non essere stata invitata a quella festa, ma che quando la inviti ti dice che non può venire perché deve stare con gli altri suoi amici scienziati a parlare male di quelli che vanno alle feste e non li invitano.
In realtà Hansie, per chi la conosceva bene, era una persona gradevole, gioviale e con una passione quasi maniacale per i giganti, che la portava a parlarne praticamente in continuazione e questo era anche uno dei motivi principali per cui nessuno la invitava alle feste. Tuttavia quella sera aveva lasciato da parte l’aspetto trascurato per vestirsi come l’eroina della sua favola preferita, una ragazza che era finita, chissà come, in coma per aver mangiato una mela.
Quel particolare sabato sera Levi, Erwin ed Hansie, passeggiando, non notarono la scia di fuoco che si disegnava nel cielo mentre bussavano alla porta, né tanto meno udirono lo schianto del meteorite perché coperto dal fracasso della festa.
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
L’uomo che aprì la porta della casa, era un signore divenuto famoso per aver scritto una serie di libri sul sistema per la manovra tridimensionale, non che un Comandante di quella particolare corporazione detta Guarnigione.
I comandanti in realtà avevano meno potere di quello che credevano. Semplicemente se una persona era brava a far fare agli altri quello che voleva, automaticamente il governo lo spediva a fare da comandante di modo che non dovessero essere loro a dire agli altri quello che dovevano fare, ma dirlo a una sola persona; sfortunatamente c’erano dei comandanti che facevano quello che dovevano fare, ma a modo loro.
Tale persona era Dot Pixis. Se il governo gli diceva di scrutare oltre le mura, lui lo faceva, ma seduto su una sdraio sorseggiando una capiroska alla fragola; se il governo gli diceva di far sistemare quel determinato cancello, lui lo faceva, ma facendo mettere in costume da bagno i suoi soldati; se il governo gli diceva di smetterla di occuparsi di quello che accadeva fuori le mura, lui dava una festa karaoke-casual.
Il casual che aveva scelto quella sera era l’armatura dei soldati spartani, che aveva trovato per caso su un libro mentre faceva ricerche per il suo prossimo libro: “Perché i colori araldici dei corpi militari sono quelli dei cavalieri dell’Apocalisse e altre casualità”. Il costume andava bene, il mantello, le mutande, i sandali, lo scudo e la lancia erano perfetti, tuttavia la capa pelata, l’aria bonaria, i baffetti sotto il naso e il fisico rilassato poco riflettevano dell’indole feroce dei guerrieri spartani.
Quindi, quando la porta si aprì, quello che Levi, Erwin e Hansie videro fu un signore di una certa età mezzo nudo con un mantello eccessivamente lungo.
—Benvenuti miei cari, questa è la mia festa! — disse tendendo la mano a Erwin.
—Comandante Pixis complimenti per il suo nuovo successo! — rispose Erwin stringendo la mano, tipico saluto in voga nel pianeta Iniguar dove stringersi la mano è un chiaro simbolo di sfida alla virilità dell’altro.
—Oh, qualcuno doveva pur dire a tutti che servono degli occhiali paravento per evitare che l’aria per lo spostamento con il sistema per la manovra tridimensionale ti sferzi gli occhi!
—Già, infatti ci è voluto un libro per farglielo capire.
—Vedo che hai optato per il casual di te stesso, molto difficile.
—No, alle feste devo essere in divisa, la tua dov’è?
—Sono a casa mia Erwin, mi vesto come voglio!
Dot Pixis fece accomodare i tre ospiti nell’affollata sala, illuminata da un lampadario a gas e da lampade a gas, invenzione dell’anno. C’era l’angolo per bere, l’angolo per mangiare e verso il fondo della sala c’era un piccolo palco, dove attualmente stava cantando qualcuno che sembrava più un animale in agonia piuttosto che un tizio che elencava le qualità del quartiere dove viveva.
Poiché si annoiava alle feste, Levi aveva diviso la serata in vari momenti, il più pericoloso di tutti era proprio all’inizio: il momento dei saluti, che, per lui che era un amante dell’igiene, era da evitare con tutti i mezzi possibili. Gli scambi di baci sulla guancia altro non erano modi amorevoli per passarsi malattie sulla pelle, le strette di mano ponti per i germi per l’esplorazione di nuovi organismi da infettare e le pacche sulla spalla colpi per la polvere ancora rimasta sui vestiti.
Quindi decise di dirigersi verso il divano più vicino dove avrebbe passato tutto il primo momento finché non sarebbe giunto il secondo momento, quello dei discorsi ovvi, quando Erwin gli buttò addosso un grosso tomo.
—Scegli una canzone — gli disse allegramente.
—Te lo scordi — gli rispose seccato.
—I patti erano chiari!
—Mi hai già costretto ad indossare questa stupida camicia, mi sembra abbastanza.
—D’accordo, io vado a salutare tutti, ci vediamo dopo.
—Va' dove ti pare.
—Scegline una allegra.
Levi vide Erwin allontanarsi e perdersi tra la folla, diede un’occhiata al tomo voluminoso con scritto su: “Canzoni per far venire la felicità”.
Prese il tomo e lo gettò nel cestino più vicino.
Poi ordinò una birra alla zona bar.
 
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
 
 
 
Erano da poco passate le ventidue, era giunto il momento in cui le persone decidevano che il tasso alcolico del loro corpo doveva raggiungere un livello abbastanza alto da consentirgli qualsiasi libertà. Levi, non volendo assistere a quello scempio, si era rifugiato nella cucina, intento ad osservare un appendiabiti.
Il suo dubbio maggiore era il perché un simile oggetto fosse stato posizionato proprio lì; inoltre era carico di qualsiasi tipo di cappotto, compresa una pesante pelliccia di opossum. I suoi ragionamenti furono interrotti dalla porta della cucina che si apriva e dall’apparizione di Eren Jaeger.
Eren era un ragazzo fortunato. Era un essere umano con la capacità di trasformarsi in un gigante, il che all’inizio aveva creato dei problemi, soprattutto all’Umanità, ma poi si era risolto tutto per il meglio ed Eren e l’Umanità erano diventati grandi amici. Ultimamente però Levi aveva notato uno strano cambiamento nel ragazzo, una sorta di attrazione morbosa nei suoi confronti, soprattutto dopo l’ultima missione, dove l’aveva salvato da un altro essere umano che sapeva trasformarsi in gigante, che aveva ucciso diverse persone e distrutto un intero quartiere, facendo capire che con l’Umanità non aveva proprio intenzione di andarci d’accordo. Per fortuna anche con quell’essere umano si era risolto tutto per il meglio.
Levi osservò Eren barcollare entrando nella cucina, aveva l’aria sognate ed era completamente ubriaco.
—Caporale, finalmente, l’ho trovata — disse Eren avvicinandosi.
—Bravo Eren, da cosa sei vestito? — chiese Levi.
—Da capitano dei supereroi — poi cercò di essere serio —Io le devo dire una cosa, io sento che… che c’è qualcosa tra noi….
—Sì Eren me lo hai già detto l’altro ieri e io ti ho risposto che è solo una tua impressione.
Gli occhi vacui di Eren si posarono sul bicchiere vuoto di Levi.
—Ma lei ha finito la birra, ci penso io.
Prese un bicchiere dalla credenza, poi una bottiglia di birra dallo scaffale; Eren versò tutta la birra nel bicchiere senza inclinarlo facendo straripare la schiuma sul tavolo.
—Oh, la roba bianca è uscita tutta fuori — disse ridacchiando mentre la schiuma gli colava sulla mano.
Da quel giorno, Levi decise che non avrebbe mai più bevuto una birra ad una festa.
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
 
Si sa che al Mondo esistono molti problemi, ma si sa anche che per tanti problemi esistono anche svariate soluzioni.
La Guida Galattica risolve un sacco di problemi. Ad esempio, se vi trovate tra i fumi tossici del mare di miasmi del pianeta Dyson nella costellazione dell’Orsa Minore, risolvereste il vostro problema avvolgendo un asciugamano attorno al viso; oppure, se vi trovaste a navigare per gli oceani incontaminati di Krayub VI, con un asciugamano potreste ricavare una vela per la vostra zattera. Oppure, nelle assolate pianure di Vega Tori, potreste usarlo come turbante.
Insomma i problemi per i viaggiatori della galassia si possono comodamente risolvere grazie ad un asciugamano, oggetto fondamentale per chi chiede passaggi nello spazio profondo.
Quella sera, Mikasa Ackermann e Armin Arelet avevano un grosso problema, per fortuna la soluzione era proprio di fronte a loro.
—Caporale Maggiore, ha per caso visto Eren? — chiesero disperati i due ragazzi.
—Sì, era con me in cucina, ha cercato di abbracciarmi e io mi sono spostato; poi non lo so che cosa è successo.
E questo era un altro problema, ma che fortunatamente trovò soluzione pochi minuti dopo.
—Ehi! Venite a vedere, c’è un deficiente che sta limonando con un appendiabiti! — gridò qualcuno dal fondo della sala.
—Sembra l’abbiate appena trovato — disse Levi lasciando i due ragazzi, i quali adesso avevano un altro problema, che difficilmente si sarebbe risolto con l’uso di un asciugamano, a meno che quest’ultimo non fosse stato posto sulla bocca e il naso del soggetto problematico e tenuto lì finché non avesse smesso di muoversi. È vero anche che questo sarebbe stato poco carino da fare, soprattutto a una festa.
Per quanto riguardava Levi invece, il suo problema era quello di trovare Erwin per dirgli delle cose che richiedevano la massima attenzione, quindi era impellente che lo trovasse quanto prima, altrimenti l’unico genere di attenzione che avrebbe ricevuto da lui sarebbe stato quello che ha una bambina per un peluche a forma di gatto.
Vagò nella sala, finché non incontrò Dot Pixis che vagava anche lui alla ricerca di qualcuno.
—Ah, Levi, giusto ti cercavo! — disse battendogli una mano sulla spalla e facendo immaginare a Levi granelli di polvere che svolazzavano qua e là sopra la sua testa.
—Dovresti andare nel seminterrato a prendere una bottiglia di Don Perignon, ti dispiace?
—Che devi farci con il Don Perignon, vecchio?
—È per il brindisi di mezzanotte!
—Sono ancora le dieci e mezzo di sera!
—Mi piace avvantaggiarmi, quando hai fatto portalo alla zona vip.
—C’è una zona vip?
—Sì poi ti spiego, grazie, è proprio vero che sei il soldato più forte dell’umanità!
 
Oltre il corridoio, dopo il bagno, girato l’angolo con la camera da letto, c’era la scala del seminterrato. Era una scala stretta e buia, poco illuminata e con troppi scalini per essere solo la scala di una cantina. Levi lasciò aperta la porta dell’ingresso per fare luce, pensando a quanto era buio là in fondo e se ci fossero delle luci a gas da qualche parte, quando inciampò su qualcosa, sbatté la testa e poi fu buio per un bel po’.
Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che capì era che era legato ai polsi e alle caviglie; e fin lì poteva anche essere normale. Quello che non gli tornava era il perché sentisse freddo da metà coscia in giù, comprese le caviglie. Tuttavia, tutti questi pensieri furono messi da parte di fronte alla visione dell’altra persona che sapeva trasformarsi in gigante, dritta in piedi di fronte a lui, con le braccia incrociate, un ghigno in faccia e un camice da estetista.
—Gigante femmina?
—Ciao, piccoletto.
—Non eri nel cristallo?
—Sono uscita.
—E quando è successo?
—La sera in cui mi avete chiusa nel sotterraneo.
—Ieri? E come hai fatto ad arrivare qui?
—Ho preso la chiave del custode, che stava dentro la cassetta nella stanza con attaccato alla porta un foglio con scritto sopra Attenti Al Leopardo!.
Adesso che aveva capito più o meno il quadro della situazione, Levi iniziò a sentire un forte odore di cera.
Annie invece si stava chiedendo se il costume da bagno che il suo prigioniero indossava facesse completo con la camicia hawaiana all’ultima moda. Rimasero in silenzio a farsi domande mentali per un po’ prima di ricominciare a parlare.
—Beh, gigante femmina, che intenzioni hai?
—Intendo vendicarmi per essere stata braccata come un animale.
—Tu vuoi vendicarti? E io? Hai ucciso tutta la mia squadra, volevo bene a quelle persone!
—Sì tanto quanto vuoi bene all’anti calcare, l’ho letto il tuo fascicolo!
—E io ho letto il tuo, pazza psicopatica!
—Anche io ho letto il mio e vorrei sapere perché è pieno di disegni delle mie tette e delle mie chiappe da gigante!
—I rapporti non li scrivo io, non ho idea del perché ci siano, ma questo che c’entra con la vendetta?
—Voi branco di pervertiti avevate programmato tutto e adesso, uno per uno, vi sistemo come si deve. Per primo sistemo te, poi toccherà a quel cretino del tuo comandante e anche a lui darò una bella sistemata.
―Una sistemata a cosa?
―Alle sopracciglia.
―Auguri allora! E ha me che intendi fare, guarda che la tortura non funziona.
Annie inclinò la testa di lato e fece un sorrisetto.
―Oh, bene abbiamo qui un vero uomo, peccato che quella non sia cera di candela.
Levi aveva iniziato ad avere dei dubbi sulla natura della cera da quando per sbaglio aveva gettato un occhio sul contenitore di metallo sopra la lampada a gas. Quella cera era troppo liquida per poter essere usata per le candele; stranamente, la prima immagine che gli era venuta in mente era il logo di un posto dove le donne andavano a farsi sistemare. Lo stesso che poi era sul camice del gigante femmina versione umana.
―Fammi capire bene, tu vorresti farmi la ceretta?
Il fatto che la ragazzina non rispose, lo portò a realizzare che il suo ragionamento era corretto, ma che cosa c’entrasse con il volerlo torturare ancora non gli era chiaro.
―Tempo sprecato, non ne ho bisogno.
―Davvero, le tue gambe dicono il contrario.
―Quest’anno in inverno e primavera ha fatto freddo.
―Come no ― Annie si allontanò verso un’altra stanza, lasciando Levi solo con la cera. Levi iniziò a pensare ad un modo per liberarsi, salire al piano superiore, avvertire Erwin che il gigante femmina era scappato, formulare un piano di contrattacco, attaccare e poi andarsene a dormire. Tuttavia, mentre la mente binaria era intenta a formulare soluzioni pratiche, le orecchie suggerirono che parte del piano si sarebbe risolto a breve dato che qualcuno stava scendendo lungo le scale di legno.
 
 
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
 
 
 
Scendendo la scala che portava alla cantina, le cose che non tornavano a Mike Zacharias erano due: il forte odore di cera e quello della disperazione. Una volta arrivato in fondo alla scalinata, presa la bottiglia che gli serviva e voltato lo sguardo, anche quello che vide non gli tornò. Mike era un ottimo soldato a cui Madre Natura aveva donato un olfatto superiore alla norma, il perché di questa capacità riguarda un incidente che comprendeva una grigliata di famiglia, un giacimento di metano e un fenicottero da giardino, ma siccome è un incidente estremamente noioso non verrà trattato. Fatto sta, che questa particolarità gli permetteva di sentire l’odore dei giganti e la direzione da cui provenivano, dando la possibilità a lui e al suo squadrone di spostarsi. Proprio come era successo l’ultima volta: invece di andare nel luogo prestabilito, lui e altre persone se ne erano andati a zonzo finendo accidentalmente ad una sagra di paese, dove lui aveva vinto un premio per aver riconosciuto dieci tipi di vino in dieci secondi, mentre gli altri suoi compagni, sotto la spinta del vino, rivelavano segreti che presto sarebbero stati dimenticati e che potevano interessare solo ai maniaci di giganti.
Così facendo si era impedito un poco felice interscambio tra specie, anche se, in futuro, l’interscambio ci sarebbe stato, ma tra le due specie sbagliate.
Nel frattempo, un altro interscambio stava per avvenire: Levi e Mike poco più che si parlavano, non perché tra i due ci fosse qualche rivalità o cosa, ma per il semplice fatto che quando si parlavano, non si capivano. Se Levi diceva A, Mike capiva B e se Mike diceva C, Levi capiva D e se Levi diceva E, Mike capiva Y. Quindi un dialogo tra i due sarebbe stato pressoché inutile; avendo preso coscienza della cosa evitavano di parlarsi se non in caso di emergenza, come in questo.
—Mike! Aiutami a slegarmi!
—Levi, non pensavo che fossi un tipo a cui piace questa roba — disse Mike guardandosi intorno. Levi invece era perplesso.
—Roba? Quale roba?
—È la tizia vestita da estetista, dà l’idea di una che ci dà dentro, bravo, bravo!!
—EEhh!? Guarda che a me questa roba non piace, liberami!
—All’inizio è normale avere paura, ma ti posso garantire che poi ti piacerà e conoscendoti pure parecchio!
Dei passi in lontananza fecero venir fretta ad entrambi.
—Sta tornando, ci vediamo lunedì alla riunione così mi racconti tutto!
—Fermati! Resta qui!
—Levi! Queste cose devi imparare a farle da solo, io non ti posso aiutare.
—Sì invece! Quel contenitore di cera non sarà neanche sterilizzato!
—La cera non è niente rispetto ad altre cose, ma per cominciare va bene, ci vediamo, buon divertimento!
Detto ciò, Mike se ne andò salendo le scale e lasciando Levi disperato e confuso. Intanto Annie era tornata con in mano delle strisce di carta bianche che tutto premettevano tranne che cose belle.
—Con chi stavi parlando?
—Non sono affari tuoi — disse Levi cerando di assumere un tono serio —Comunque sappi che appena mi libero farò di te ciò che voglio.
—Davvero e come intenderesti procedere?
—Innanzi tutto mi slegherò, poi ti sconfiggerò e dopo ti butterò per terra.
—E dopo?
Levi rimase in silenzio. Non aveva la più pallida idea di cosa dire; il fatto era che quando iniziò a pensare a modi fantasiosi per torturare quella pazza scatenata, gli venne solo in mente che quando si trovava da solo con una o più ragazze erano sempre loro che prendevano l’iniziativa, mentre lui si limitava a seguire la corrente. Annie lo guardò perplessa.
— Scusa, ma da quant’è che non prendi l’iniziativa con una donna?
Levi non disse nulla, non avendo la minima intenzione di spiegare ad una ragazzina assetata di sangue il perché erano gli altri a prendere l’iniziativa al posto suo e non il contrario, si limitò a dire la cosa più logica che gli venne in mente in quel momento.
—Fammi questa dannata cera e facciamola finita.
 
Nella sala della festa, tra il fracasso generale, Erwin Smith credette di sentire un grido straziante di dolore; alzò la testa, si guardò attorno, alzò le spalle e ordinò un altro margarita.
 
 
 
 
 
 
 
7
 
 
 
 
 
 
Quando riprese i sensi, la prima cosa che Levi vide furono tre innocue boccette di vetro: due con del liquido trasparente e una con un liquido rosa. Era ancora legato alle caviglie, mentre le mani erano ammanettate e la catena legata al tavolo con un anello. Inoltre sentiva dolore alle gambe, alla schiena e anche alla faccia, il che, stando agli ultimi frastornati ricordi non gli tornava. Tirò su la testa per ritrovarsi ancora una volta di fronte la faccia del gigante femmina versione umana che esibiva un sorriso soddisfatto.
―Ben svegliato, piccoletto! ― disse allegramente.
―Cosa è successo, mi hai drogato?! ― chiese Levi in modo aggressivo.
―No sei svenuto! Alla seconda strisciata! Ovviamente io ho continuato il lavoro ti ho fatto tutte le gambe, la schiena e la barba.
―Io non ho peli sulla schiena!
—Ti è uscito anche il sangue.
—Non mi serve la storia completa!
Annie lo fissò come se la stesse prendendo in giro, poi mise le mani aperte sul tavolo e fece cenno con la testa.
―Mettimi lo smalto, avanti!
―Qui sotto è umido, per farlo asciugare ci vorranno delle ore.
―E non mi sembra che tu stia andando da qualche parte.
Levi fissò i flaconcini che improvvisamente gli sembrarono tutto tranne che innocui; non avendo altra soluzione prese quello rosa e iniziò a svitarlo.
―Che stai facendo?! ― gli gridò disgustata Annie ―Prima devi mettermi la base.
Fece cenno al primo falcone trasparente.
―Dunque l’altro ieri io e le altre ragazze siamo andate a fare compere…― Annie iniziò a parlare meccanicamente senza fare pause.
―Dobbiamo anche parlare? ― chiese Levi scocciato.
Annie lo fissò scocciata. 
—Certo.
Levi alzò gli occhi al cielo sperando che da qualche parte lassù Erwin e Hansie si accorgessero che lui era sparito e lo stessero cercando.
 
La festa stava ormai raggiungendo il culmine. Nel bagno in fondo a destra del corridoio, un uomo barcollò verso la porta per aprire e vedere che chi c’era dentro e quando lo scoprì ne fu felice.
—Ehi, com’è…? — disse Erwin sorridendo vacuo. Hansie fece riemergere la testa dalla tazza del gabinetto.
—Tutto a posto… — rispose per poi tornare a riversare quello che aveva bevuto nel water.
—Ahahah… stai male, eh? — ridacchiò Erwin per poi dirigersi verso la vasca da bagno e iniziare a riempirla del contenuto del suo stomaco.
 
 
 
 
 
8
 
 
 
 
 
 
Levi passò l’ultima pennellata di smalto brillante sul mignolo di Annie, non riuscendo a credere di essere riuscito a fare tutto il lavoro con calma, nonostante lei non si fosse zittita un secondo.
—Se proprio dobbiamo comprare delle scarpe almeno abbiniamo i colori per bene! A me piace il blu, quindi le prendo blu, Sasha si prende quelle gialle, Christa quelle rosa, Ymir quelle nere e Mikasa quelle rosse. Dov’è il problema? Insomma se devi comperare un paio di scarpe almeno prendile che si abbinano al tuo vestiario, no? Perché il rosso lo dovrei prendere io? — chiese Annie stizzita.
—Ho finito e non capisco la storia delle scarpe — disse Levi chiudendo il flaconcino —Adesso liberami, è l’alba e io me ne voglio andare, questo posto puzza di vernice.
—Cavolo hai fatto proprio un bel lavoro— Annie si alzò dalla sedia e si avviò verso l’uscita guardandosi le unghie —Bene io torno nel cristallo, ciao piccoletto!— disse, lasciando Levi da solo nella cantina, ancora attaccato al tavolo a gridarle di liberarlo.
In quel lasso di tempo che intercorse tra la fine della rabbia omicida e la convinzione che da qualche parte nella stanza c’erano le chiavi delle manette, Levi realizzò che la vita, come l’aveva vissuta lui fino a quel sabato sera, non lo aveva minimamente preparato ad evenienze come quelle, iniziò quindi a chiedersi se tutte le cose che gli avevano insegnato contassero qualcosa, o se quella che aveva vissuto fino ad allora era da considerarsi vita.
Passato quel breve istante di smarrimento, Levi si alzò in piedi e iniziò a trascinare il tavolo e la sedia verso un armadietto di ferro contenente diversi tipi di chiavi.
Una volta libero, si rimise i pantaloni e le scarpe, salì le scale della cantina, attraversò il corridoio per ritrovarsi nella sala devastata dai resti dei festeggiamenti, con persone che dormivano qua e là, un’eccessiva quantità di coriandoli sul pavimento, resti alimentari e una curiosa piramide di bicchieri di cristallo al centro della stanza. Levi recuperò la giacca dalla cucina e vicino alla porta incrociò Dot Pixis, con addosso un accappatoio rosso con i bordi neri e con ricamate sul petto le iniziali del nome.
—Ma che disastro questo posto! — disse Pixis rivolgendosi a Levi.
—Già, un vero schifo.
—Qualcuno dovrebbe pulire tutto.
—Infatti — constatò Levi aprendo la porta della casa ed uscendo in strada, lasciando Pixis a contemplare lo scempio che aveva di fronte.
—Oh, dovrò chiamare l’impresa delle pulizie, visto che lui se ne è andato.
 
 
 
 
 
 
 
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La casa dove abitava Levi assieme ad Erwin era una banale casetta a schiera identica a tutte le altre che aveva accanto: di mattoni e con due piani. Però ai due ragazzi piaceva perché era la loro casa. Rientrando stanco della serata, Levi aprì il portone, salì le scale che portavano al primo piano, entrò nella sua stanza per trovarci qualcosa che non doveva esserci.
—Hansie che ci fai nel mio letto?
—Oh, ehm, niente io, sai, ieri ho bevuto parecchio, sono stata male ed Erwin è stato così gentile da portarmi qui… — iniziò a traspeggiare con le coperte per alzarsi.
—…Però adesso me ne sto andando non ti preoccupare!
—Allora sbrigati, perché voglio stendermi e tra che cambio le coperte, perderò un sacco di tempo.
Levi non fece caso al fatto che la sua amica era parecchio agitata e nemmeno al fatto che alzandosi si era messa attorno al corpo uno dei lenzuoli, o che le sue cose fossero sparpagliate sul pavimento, o che i di lei occhiali fossero sul comodino o che avesse i capelli sciolti tutti intrecciati. Levi non notò tutte queste cose finché sulla porta della sua camera non apparve Erwin con solo i pantaloni indosso e un’aria stranamente allegra.
—Ehi, Hansie è pronta la doccia se vo… Oh, Levi! — disse guardandolo —Quando sei tornato?
—Adesso.
—Esatto! E io me ne stavo andando, ciao a tutti ci vediamo domani al lavoro! — disse squillando Hansie, mentre si avviava alla porta, ma Erwin la bloccò.
—Hansie basta! Smettiamola di fingere: Levi, io e Hansie abbiamo una relazione e va avanti da tre mesi. Scusa, ce le porto io le coperte in lavanderia.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Ci fu un lungo mortale silenzio.
Levi prese il suo sistema per la manovra tridimensionale e uscì di casa sbattendo la porta.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Dal Punto A al Punto B ***


Tra le vastità delle sue voci, la Guida Galattica riporta le usanze tipiche dei pianeti presenti all’interno della Galassia. Una di queste, tratta della pittura di parti del corpo.
Nel pianeta Neomey, ad esempio, la popolazione indigena, durante la festa che segna Il Probabile Avvento del Fazzoletto da Naso, usa pitturare il proprio corpo con sostanze fosforescenti per segnalare la propria presenza ed impedire quindi tale disastroso Avvento.
In culture più primitive, la pittura del corpo rappresenta una specie di status sociale: i Litorali del pianeta Lithios decidono chi sia il loro leader in base alla disposizione dei cerchi dipinti sulla testa dei candidati; nel pianeta Inua 4 gli Inuesi si colorano il viso con disegni di fiori collosi blu per diversificare il loro status sociale altolocato da coloro che si pitturano con i fiori mellosi gialli.
Sulla Terra invece, era da poco stata scoperta una certa vernice che, se applicata sulle unghie delle mani e dei piedi, rendeva più attraenti gli abitanti di sesso femminile.
 
 
 
 
 
 
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Annie Leonheart se ne stava tranquillamente ad ammirare il capolavoro di precisione sulle sue unghie. Nessuno sbaffo, nessun grumo, nessuna sbavatura, era perfetto, una cosa del genere avrebbe fatto invidia a chiunque. Iniziò ad avere qualche rimorso per non aver ringraziato chi le aveva fatto una cortesia del genere e di averlo lasciato ammanettato ad un tavolo; sospirò, aprendo la porta con sopra il cartello con scritto Attenti al Leopardo, pensando che l’occasione per ringraziarlo non sarebbe arrivata prima di martedì, sempre che ce ne sarebbe creata una; tuttavia, entrando, scoprì che tale occasione era più fattibile di quello che pensava dato che il soggetto in questione era in piedi all’interno della stanza del custode e le stava puntando un fucile addosso.
—Tu maledetta pazza sociopatica! È tutta colpa tua!
—Ma non mi dire, qualunque cosa accade è sempre colpa mia!
C’erano delle cose che Annie era curiosa di sapere: la prima era se Levi l’aveva aspettata nella stanza in piedi con il fucile in mano, oppure, appena sentiti i passi, si era messo in posizione. L’altra cosa era il perché del continuo scendere lento e del salire veloce delle canne del fucile; diede la colpa al fatto che forse il suo ex prigioniero fosse leggermente brillo, oppure che in quel particolare punto c’era una forza magnetica tale che anche un uomo forte come Levi aveva difficoltà a tenete il fucile ben dritto. Fatto sta, che la formulazione di tutte quelle perplessità portò alla formazione di una piccola colonia di microrganismi in una piccola grotta vicino ad un deposito di ossa fossili.
Cosa che apparentemente non importerà a nessuno fino ad un certo momento.
Ciò che però davvero importava in quel momento ad Annie, era trovare una soluzione che non implicasse la sua trasformazione in gigante, un po’ perché avrebbe creato situazioni spiacevoli, soprattutto con l’Umanità, e nel caso lei e l’Umanità avessero parlato, le sarebbe toccato spiegare che cosa ci faceva fuori dal cristallo, nel bel mezzo della tarda serata della domenica, nella stanza del custode insieme ad un Caporale Maggiore dell'Armata Ricognitiva.
Per quel che riguardava Levi, invece, le sue di domande non generarono alcun microorganismo, ma solo una serie di situazioni paradossali.
—Adesso stammi bene a sentire, ti sei divertita a farmi fare tutte quelle cose noiose ieri sera, ora sarò io a farti qualcosa!
—Finalmente un po’ di iniziativa, piccolo arcobaleno!
—Zitta! — c’era qualcosa nella parola piccolo e nella parola arcobaleno che faceva venire in mente a Levi il logo della Gendarmeria —Ora dimmi che cosa fanno, in genere, le ragazze quando sono depresse?
—Che cosa? — ad Annie, la domanda invece, fece venire in mente una torta.
—Scusa, hai ragione: che cosa fanno, in genere, le ragazze che non si trasformano in giganti, quando sono depresse? — disse Levi eloquente.
—Mangiano la cioccolata — disse Annie altrettanto eloquente.
—Ah! Certo quella che si vende a pacchetti, non mi è mai piaciuta! Dimmene un’altra.
—Il gelato?
—Dove lo trovo a quest’ora il gelato?
—Insomma mangiano roba dolce!
—Ok, lo zabaione, va a farne una tanica! Muoviti!
Paradossalmente, Zabaione era anche il nome del Potente Signore Indiscusso del Sistema Vordeer che stava muovendo la sua flotta imbattuta da secoli verso un pianeta grigiognolo ed insignificante abitato solo da batteri carnivori che paradossalmente si chiamava Tanica.
—E dove la trovo la roba per fare lo zabaione ad agosto?
—Nella dispensa, è proprio dietro di te!
—Te lo scordi che mi metto a fare roba da casalinga, piuttosto passo le ore a sentire quella scienziata che blatera di modi per farmi uscire dal cristallo!
—Io sono dovuto stare le ore a sentire te che farfugliavi sul perché le scarpe vanno abbinate agli accessori, quindi tu adesso vai a fare quello che ti ho detto, e zitta!
Sebbene la situazione si stesse facendo pericolosa, ciò che Levi disse nel pieno della sua crisi di nervi fu proprio quello che andava detto per far tornare la situazione tranquilla.
—Tu mi hai ascoltato mentre parlavo? — chiese Annie.
—Metti che dicevi qualcosa di importante — rispose Levi.
—Oh, allora vado a fare il tuo intruglio fuori stagione.
—Già che ci sei allungalo con la vodka.
Annie se ne andò a preparare lo zabaione, stranamente di buon umore; Levi invece si mise a sedere appoggiando il fucile al tavolo.
La stanzetta dove si era ritrovato per sbaglio, apparteneva al custode del sotterraneo, figura che rasentava la mitologia nell’Armata Ricognitiva. Del custode del sotterraneo se ne sentiva tanto parlare, ma nessuno lo aveva mai visto, né tantomeno si sapeva da dove venisse. Solamente un soldato, una volta, aveva raccontato di averlo incontrato ad una festa e il custode lo aveva salutato dicendo che se ne sarebbe andato a vedere l’astronave di una tizia appena conosciuta.
A quella storia non ci credeva mai nessuno, tanto che era divenuta una leggenda; ma in realtà, se quella sera il soldato fosse andato a controllare se fosse stato vero quello che il custode diceva, allora molte cose sarebbero cambiate, specialmente per la razza umana.
Anche Levi conosceva quella leggenda, ma, come molte cose che gli stavano attorno, non gli interessava, così come non gli interessava minimamente che quella stanza fosse incredibilmente sporca.
 
 
 
 
 
 
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Per certi versi, l’interazione tra specie di pari intelligenze porta ad un incremento dello sviluppo sociale per entrambe le razze; l’interazione tra la razza dei Grubbelusch e quella dei Finfurlin aveva portato al miglioramento della tecnologia spaziale grazie alla quale, ora, entrambi i pianeti erano i migliori costruttori di astronavi della Galassia. Tra giganti e umani invece le interazioni erano pressoché nulle, non che non ci avessero provato, ma le conseguenze erano state così disastrose che nessuna delle due razze ne aveva voluto sapere per più di mille anni.
Il problema degli umani era però che erano terribilmente insistenti e se non fosse stato per quest’insistenza di base ora, Levi, un umano e Annie, un gigante, non starebbero nella stanzetta del custode, seduti ad un tavolo e a bere zabaione; in altri luoghi della galassia avrebbero bevuto del Gotto Esplosivo Pangalattico, ma nessuno dei due sapeva come prepararlo.
In compenso Levi sapeva come correggere lo zabaione versandoci dell’invecchiata e poco salutare vodka, cosa che ad Annie proprio non importava; l’unico motivo per cui, secondo lei, valesse la pena continuare a restare, era la prima affermazione che Levi aveva fatto appena l’aveva vista.
—Allora, che cosa avrei combinato sta volta? — chiese Annie.
Levi emerse dalla tazza di zabaione, che oramai era diventata vodka con un po’ di rimasugli della bevanda tipicamente invernale; incrociò lo sguardo della ragazzina e al ricordo sentì il bisogno di altro zabaione.
—Che ti importa? Oramai il danno è fatto! — disse Levi.
—Quale danno, non ho distrutto niente, ancora… — disse Annie.
—Ieri sera dovevo dire delle cose a una certa persona, ma poi tu mi hai incastrato con quella cosa della cera e non ho fatto in tempo a dire nulla a nessuno — Levi iniziò ad accarezzare le canne del fucile —E quando sono tornato a casa ho scoperto che Erwin e Hansie hanno una relazione da tre mesi e non so perché questa cosa mi fa incazzare e mi rende anche triste.
Annie iniziò a provare una specie di pena per quell’essere umano, non la pena che in genere provava di solito per quelli che al campo d’addestramento picchiava e poi venivano derisi, ma la stessa pena che si prova a vedere un cerbiatto orfano in una foresta; c’era anche da dire che rimase sorpresa per i gusti del soldato in fatto di donne.
—Wow, una bella batosta, mi dispiace — disse Annie.
—Già — disse Levi.
—Chi se l’aspettava che al Comandante piacessero le donne intelligenti, se devo essere sincera ci rimango un po’ male.
—Già.
—Insomma parliamoci chiaro, quella è un tipo particolare, forse sarà per questo.
—Già.
La monosillabicità, per quanto in certi sistemi stellari abbia scatenato dibattiti e dato vita a ingenti quantità di manoscritti, tra cui L’essenza della Sillaba No e Poesie di Vocali nel Mentre si Parla, in certi frangenti portava a delle perplessità, come accadde ad Annie: se era vero che a Levi piaceva Hansie, perché ad ogni risposta monosillabica e monotona, rispondeva in modo tale da far trasparire un significato diverso?
Una delle maggiori risposte a queste domande sta nel fatto che l’animo delle persone é più complicato di quanto si immagini, così come è complicato il trasferimento di questa complicatezza in una singola parola; alcuni psicologi sostengono che se le persone prestassero più attenzione a questo fattore, il senso della vita non avrebbe poi così tanto mistero.
Fu quindi cogliendo queste note che Annie decise, a suo rischio, di continuare con il dialogo.
—Scusa, ma a te chi dei due piace? — chiese Annie.
—Erwin, perché non si capisce? — rispose Levi.
—Insomma, mica tanto!
—Ah, comunque io stavo parlando di lui.
—Quindi ti piacciono i maschi, questo spiega la storia dell’igiene.
—No, quella è una nevrosi clinicamente riconosciuta.
—Certo — Annie si grattò la testa —E lui lo sa?
—Per colpa tua no!
—È questo che gli volevi dire alla festa; averlo saputo mi sarei goduta la scena.
—Non l’avrei detto davanti a tutti.
—E da quant’è che ti sei accorto di questa tendenza?
—Ci tengo a precisare che mi piaccio le donne, ma mi piace anche lui, e non lo so da quanto è che va avanti.
In realtà Levi lo sapeva, ma non aveva voglia di dirlo visto che gli stava venendo sonno.
—D’accordo, ma trovo tutta questa storia estremamente divertente e credo che resterò nei paraggi per vedere come va a finire — disse Annie allegramente.
—Fa’ come ti pare, io vado a dormire sul divano — disse Levi avviandosi al divano in fondo alla stanza.
—Lo sai che quel divano è pieno di polvere?
—Non lo è più, l’ho pulito mentre ti aspettavo.
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
Alcuni considerano le strade delle metafore della vita, la strada che percorre un uomo è il percorso per far maturare dentro di sé delle consapevolezze; altri sostengono che le strade che un uomo può percorrere sono infinite o tendenti all’infinito; in realtà, per le persone più pratiche le strade servono a collegare il punto A al punto B e viceversa il punto B con il punto A, evitando di passare per il punto D.
Annie avrebbe tanto voluto essere nel punto C, magari vicino al punto E che si trovava nei pressi del punto F, piuttosto che stare alla guida di una carrozza nella strada che collegava il punto A al punto B in pieno traffico cittadino.
Dopo aver deciso di andare a dormire, Annie aveva creduto che Levi l’avesse detto solo per liberarsi di lei, invece la ragazzina aveva costatato che si era davvero messo a dormire; anche lei si era messa a dormire di conseguenza, in un letto lì vicino, sognando di persone che le raccontavano di come si sarebbe inimicata l’intera Umanità semplicemente presentandosi ad un ufficio di collocamento.
Si era quindi svegliata confusa e con un gran desiderio di compilare un modulo per trovare un lavoro, quando Levi si era svegliato e l’aveva obbligata a portarlo alla sede dell’Armata Ricognitiva perché nel sogno si era ricordato di avere una riunione orientativa a cui doveva presentarsi vestito da commercialista.
Tralasciando all’unanimità la parte del commercialista, avevano preso la prima carrozza che avevano trovato ed ora, mentre Levi smaltiva la sbornia nella cabina, Annie, che odiava guidare le carrozze, si destreggiava nel traffico della prima mattinata con indosso un cappuccio per non farsi riconoscere.
La strada era pressoché deserta, le poche persone che c’erano, erano indaffarate a pensare al come raggiungere i loro punti B, eppure bastavano per far sì che il cavallo che trainava la carrozza sfiorasse appena i cinque chilometri orari, facendo preoccupare Levi di arrivare in ritardo.
—Non è che potremmo aumentare la velocità? I cavalli adorano correre sai? — disse Levi sporgendosi dal finestrino.
—Siamo in un centro abitato, non posso andare troppo veloce — rispose Annie restando concentrata sulla strada.
—Tutti questi problemi non te li sei fatta quando eri un gigante e correvi per strada.
—Vuoi che mi trasformi in gigante e ti ci porti in quel modo al lavoro?
—Se mi servirà a non arrivare tardi sì.
—Non so nemmeno perché sto facendo questa cosa.
—Perché è colpa tua se sono ridotto in queste condizioni.
—Te l’ho detto io di ubriacarti per dimenticare, vero?
—Siamo arrivati, fermati.
Nella mente di Annie scoppiò il panico: cercò con tutte le sue forze di tirare le redini e far fermare il cavallo senza che la carrozza si catapultasse in avanti schiacciandolo e facendo schizzare fuori dal finestrino il passeggero. Sudò freddo e iniziò a pregare alcune divinità che tutto andasse per il meglio.
 
Di fronte alla porta che introduceva alla sede principale dell’Armata Ricognitiva, una carrozza si fermò in tutta tranquillità e, nel frattempo, l’armata invincibile del Generale Zabaione veniva sterminata dai virus carnivori di Tanica.
 
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
 
 
 
Se qualcuno avesse chiesto ad uno dei soldati che si stavano radunando vicino sala delle riunioni: Che cosa sta succedendo? Molto probabilmente gli avrebbe risposto: Niente.
In realtà, da lì a pochi minuti, sarebbe accaduto tutto.
La cosa peggiore era che quelli che avrebbero fatto accadere tutto erano così ignari della cosa che non se ne preoccuparono minimamente, continuando a svolgere le loro attività in coerenza alle loro emozioni.
Le emozioni che si stavano muovendo in Erwin Smith quella mattina erano il terrore e la preoccupazione; terrore perché dopo i fatti recenti sapeva che cosa lo aspettava; preoccupazione perché la cosa che gli generava terrore era appena entrata nell’edificio. Aveva quindi chiamato Hansie e si erano messi a discutere sulle possibili conseguenze in privato nello stanzino delle scope.
—Allora ci siamo? — disse Hansie.
—Sì, lo hanno visto salire le scale — disse Erwin.
—Ci ucciderà vero?
—Oh, certo; prima farà fuori te, poi a me.
—Perché prima io?
—Immagino che prima vorrà torturarmi o cose di questo tipo.
—Ah, sì, allora è meglio che uccida prima me.
I due, seppure non molto conviti, si abbracciarono per farsi forza l’un l’altra, finché qualcuno non aprì di scatto la porta dello stanzino facendo, per la paura, saltare Hansie addosso a Erwin.
—Capitano Pixis, che magnifica sorpresa! — esclamò Erwin cercando di essere sollevato di sapere che non era Levi ad aver aperto la porta.
—Capitano Erwin, sempre in giro a fare danni! — disse Pixis.
—Qual buon vento?
—Oh, sono venuto a riportare la roba di Levi, ieri pomeriggio ci siamo dati alla pazza gioia; eravamo io, lui e tre bottiglie di vino.
Gli altri due annuirono fingendo di essere sorpresi; lo erano davvero solo che non volevano darlo a vedere.
—Vi siete divertiti? — chiese Erwin.
—Altroché, ci siamo seduti sulle mura e bevuto amabilmente; ad un certo punto Levi si è buttato giù e ha fatto secchi circa una cinquantina di titani, è poi risalito e ha urlato beccatevi questa giganti!
—Tipico suo urlare queste cose! — disse Hansie.
—Ha anche aggiunto — proseguì Pixis —Alla faccia di quella persona dai dubbi natali di Erwin e quella donna dai facili costumi di Hansie. Ovviamente non ha usato queste parole, ho solamente addolcito la frase.
—Sì, bene, grazie Comandante Pixis, ora credo che andremo alla riunione.
—Un’ultima cosa Erwin: lo stanzino delle scope, sul serio? Non siete più due ragazzini.
—Non stavamo pomiciando di nascosto, le dovevo dire delle cose in privato.
—Se lo dici tu. Arrivederci ragazzi!
Pixis se ne andò spensierato, aveva cose più urgenti da fare, come ad esempio rimpiazzare le tre bottiglie di vino perdute il giorno prima.
Per quel che riguardava Erwin e Hansie, le cose da fare erano ben poche: lei filò nel laboratorio dove dettò al suo assistente il testamento, mentre Erwin si avvicinò al suo amico Mike, abbracciandolo e dicendogli che gli voleva bene. Il che generò due cose: lo sviluppo incessante ed esageratamente accelerato di processi genetici in un qualche punto sperduto della Terra, che portarono all’incremento e alla crescita di organismi estinti che si diedero subito da fare a far capire ai giganti chi è che comandava; da un terrazzo, cadde un vaso di petunie.
 
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
 
Appena qualche minuto prima, Mike e Levi si erano incrociati sul pianerottolo di una scala. Entrambi erano diretti nello stesso luogo, così avevano deciso di andarci assieme; per quanto Levi sperasse che il loro non comprendersi evitasse la pronuncia di qualsiasi parola che in quella precisa mattina sembrava avere dei decibel di troppo nelle sue orecchie, in quella precisa mattina accadde un fatto incredibile, che farà diventare senzienti degli organismi primitivi e far cadere un uomo da una scala.
—Allora com’è andata con quella vestita da estetista? — chiese Mike dando una sonora pacca sulle spalle di Levi —Sembri sfinito, ti ha sfiancato!
—Tu non ne hai idea — gracchiò Levi chiedendosi perché Mike urlasse invece di parlare.
—È stata lunga, dico non ti si è visto per due giorni!
—Sai com’è avevo un gran voglia scaricare lo stress.
—Poi la roba con la cera per lo stress è l’ideale; la prossima volta prova il ghiaccio.
—Sì, adesso vado a prenderne un po’.
—Non perdi tempo!
—Mai fatto; io vado dentro, ci si vede in giro e anche se non ci si vede, pazienza.
—Parole Sante!
Senza che se ne accorgessero, quella era una delle rare volte che i discorsi senza senso dei due ragazzi avevano trovato senso.
Ciò che affliggeva l’umanità e che la rendeva dipendente da soluzioni di vita semplici, era dare per scontato i comportamenti; ed è uno dei motivi per cui ciò che pensarono i giganti quando videro certe cose fu: Oh, dei nuovi inquilini, ma che bello, chissà che sapore hanno, magari hanno il sapore degli umani, quanto sono ruvidi, come gridano forte, adesso vengono incontro a noi, ah, miei cari nuovi inquilini sicuramente diventeremo grandissimi amici!
Sfortunatamente i nuovi inquilini erano passati da lì già qualche milione di anni prima, quindi quello che si limitarono a dire fu uno scortese: Toglietevi di torno perché c’eravamo prima noi.
Stranamente ciò che pensò il vaso di petunie mentre precipitava a terra fu: Oh, no, di nuovo!
   
La sala delle riunioni era piena di gente, compreso Eren e alcuni suoi amici, quando Levi entrò e vide il ragazzino decise di sedersi nel posto più lontano possibile da lui, soprattutto per il ricordo del suo maldestro tentativo di rimorchiarlo. Si sedette quindi vicino alla finestra, sotto un raggio di sole che, riscaldandolo, lo fece sentire stranamente a suo agio, finché Eren non lo raggiunse e si sedette al gradino sopra al suo, sporgendosi in avanti.
—Signore, io volevo scusarmi per quello che è accaduto alla festa, ero sotto gli effetti dell’alcol e non ero in grado di capire — farfugliò Eren.
—Lascia perdere, che cosa ci fai qui, è una riunione per gli ufficiali — disse Levi.
—Sì, lo so; siamo qui per vedere il Capitano dei Reparti Speciali, ha presente?
E Levi ce l’aveva fin troppo presente. La guerra civile che si combatteva tra i Reparti Speciali e l’Armata Ricognitiva rasentava i poemi epici meglio riusciti; nessuno sapeva da dove fossero saltati fuori quei Reparti Speciali, erano semplicemente apparsi; quando c’era da fare polemica loro erano i migliori, così come dal creare caos dal nulla con teorie strampalate sulla vita, l’universo e tutto il resto. Il soggetto più irritante di tutti era proprio il Capitano dei Reparti Speciali, Emma Summerstone, una tizia che non la faceva mai finita di parlare di sassi e che sia Levi che Erwin che Hansie detestavano a priori. La cosa interessante era che anche Emma Summerstone detestava quei tre, ma senza saperne il motivo.
Il fatto che quel giorno sarebbe stata presente alla riunione, quasi convinse Levi a tornare nella stanza del custode a riprendere il suo fucile.
—E comunque, sappia che sotto questo raggio di sole, lei è incredibilmente affascinate — proseguì Eren in tono suadente.
—Se provi ad aggiungere un’altra parola ti butto giù dalla finestra e sta volta lo faccio per davvero — disse Levi in tono minaccioso.
—Torno dai miei amici.
—Bravo.
Poco dopo che Eren fu seduto, entrò Erwin che, scrutando la sala, si chiese perché ci fossero anche le reclute e perché fossero tutti sudati; quando incrociò lo sguardo di Levi smise di farsi domande e pensò solo ed unicamente alla sua sopravvivenza.
Fortunatamente per lui e per la sua sopravvivenza, entrò nella stanza anche Emma Summerstone, dando modo al soldato di costatare che non era solo della sua sopravvivenza che si sarebbe dovuto preoccupare, ma anche di quella dell’intera Umanità, cosa che gli metteva un’ansia a dir poco esagerata.
Emma aveva il potenziale adatto perché nel pianeta Gratian fosse considerata la reincarnazione della dea della fertilità e dell’amore, mentre invece nel pianeta Vorvotan sarebbe stata considerata la reincarnazione della dea dell’Apocalisse, segnando l’avvento della sanguinosa fine di un intero sistema planetario. Tuttavia, l’istante della sua entrata in scena decretava l’inizio di una serie di spiacevoli battibecchi inconcludenti, dato che, nonostante fosse considerata dai più una donna bellissima e sensuale, nel campo lavorativo era considerata una svampita e tutto questo perché era una geologa. Le geologia è una scienza complessa che serve principalmente a sapere se è il caso o meno di costruire una casa su un terreno o su un altro. Se per esempio si è decisi di costruire una serie di villette a schiera su un litorale sabbioso piuttosto che su una pianura di solido granito, si chiede il consulto di un geologo che sarà bel lieto di dirvi che l’unica cosa che potete costruire sulla sabbia è un castello.
—Buongiorno a tutti! — trillò Emma — Buongiorno Erwin!
—No — rispose Erwin.
—Ma non ti ho ancora chiesto niente.
—Appunto.
—Così aspro già di primo mattino; comunque ero qui per chiederti se mi presti uno dei tuoi giganti. Sai l’altro ieri è caduto un meteorite nella foresta di sequoie e vorrei recuperarlo, ma è caduto in una grotta, quindi se magari Eren venisse a darmi una mano faremmo prima a recuperarlo.
—No — rispose nuovamente Erwin.
—Ma io sarei felice di essere sotto di lei — disse Eren alzandosi dalla sedia —Nel senso di entrare nei Reparti Speciali per un po’.
A quel punto Erwin iniziò a chiedersi come poteva essere che un tale soggetto privo di qualsiasi buonsenso potesse rappresentare la speranza dell’Umanità; si rispose che forse Dio lo stava punendo per la tresca nascosta alle spalle del suo coinquilino.
La risposta alla domanda, invece, l’avrebbe potuta facilmente trovare se l’Umanità avesse avuto la capacità di sentire i pensieri del vaso di petunie.
—Visto — disse Emma.
—No — rispose Erwin.
—Va bene, allora prestami l’altro.
—L’altra è stata giudicata mortalmente pericolosa, quindi no.
—Ma la tieni in cantina a prendere polvere, a meno che la tua fidanzata non vada là sotto a pulirla tutti i giorni — Emma ignorò l’orda di gelo proveniente dalla zona della finestra.
—La mia fidanzata è quella che ho portato al tuo matrimonio, comunque no è no — Erwin ignorò l’orda omicida proveniente dalla zona della finestra.
—Come vuoi, se cambi idea io sarò di ritorno il prossimo lunedì, perché vado in viaggio di nozze con mio marito, ovvero l’assistente della tua fidanzata. Arrivederci a tutti!
Detto ciò uscì dalla sala, lasciando gran parte delle persone con gli occhi sognati e l’altra metà perplessa.
Erwin prese i fogli del discorso in programma, lesse le prime tre righe e quasi non rimase perplesso anche lui.
—Mike, ma è davvero questo l’argomento della giornata?
—Sì — rispose Mike, seduto lì di fronte, alzando le spalle.
Il Comandante dell’Armata Ricognitiva fece un lungo respiro, poi iniziò il discorso:
—Bene, l’argomento che affronteremo oggi è: il tradimento.
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
 
 
 
 
Conclusa la riunione, aspettato che il flusso dei presenti fosse defluito, Erwin chiuse la porta prima che Levi potesse uscire.
—Levi aspetta, ti devo dire alcune cose — disse Erwin sedendosi.
Levi rimase in silenzio a braccia conserte e si sedette anche lui.
—Suppongo tu sia leggermente arrabbiato per quello che è successo, ne sono perfettamente consapevole, ma sappi che era mia intenzione dirtelo quanto prima, poi però abbiamo avuto da fare e… — qualcuno bussò alla porta.
—Chi è?
—Sono Eren, ho scordato il mio sistema per la manovra tridimensionale posso entrare a riprenderlo?
—Sì va bene.
Eren entrò camminando rumorosamente tra i sedili delle gradinate, prese le sue cose facendo un gran baccano tra fondine e carrucole e grilletti, poi se ne andò salutando. Erwin proseguì.
—Insomma succede che ad un certo punto nella vita senti il bisogno di avere qualcuno accanto, specialmente se sei al matrimonio di una con cui speravi di farti una vita e invece l’hai presentata a uno che nemmeno conosci… — qualcuno bussò di nuovo alla porta.
—Chi è adesso?
—Sono sempre Eren, ehm, quando ho preso la manovra tridimensionale ho scordato la giacca, posso entrare a riprenderla, faccio subito?!
—Va bene, entra.
Eren entrò facendo scricchiolare le assi del pavimento, facendo pigolare le sedie delle gradinate prima di districare la sua giacca dal bordo della sedia, poi se ne andò salutando. Erwin proseguì.
—Ecco posso capire come ti senti, voglio dire, era la tua camera e so quanto ci tieni che non si invadano i tuoi spazi puliti, però sai com’è, l’alcol e poi eravamo da soli, insomma poi avevo capito che a te piacesse un’altra…— qualcuno bussò alla porta.
—Eren se sei di nuovo tu giuro che vengo là e ti strangolo!
Ci fu un minuto di silenzio.
—No, ehm, non importa, magari la chiave della cantina la prendo dopo.
Eren se ne andò, lasciando Erwin e Levi a chiedersi se Eren fosse stato sempre così o fosse solo una delle fasi del periodo chiamato adolescenza. Il fatto era che entrambi ci erano passati già da un pezzo per l’adolescenza e, vuoi traumi infantili, vuoi amicizie sbagliate, se l’erano cavata abbastanza bene; ma per quel che si ricordavano così stupidi non erano mai stati.
La spiegazione era molto più semplice di quello che i due pensavano, ma l’avrebbero capita solo dopo molto tempo.
Intanto Erwin si era reso conto di averle provate tutte per convincere Levi che gli dispiaceva; aveva provato col discorso: sono cose della vita; aveva provato col ma lo sai che anche io una volta, o con il pensi di esserci solo tu qui?, ma l’amico restava immobile in silenzio a braccia conserte. Allora capì che gli era rimasta una sola cosa da fare, per quanto avrebbe fatto infuriare Levi ancora di più o al massimo fargli scoprire una cosa chiamata affetto.
 
 
 
 
 
 
7
 
 
 
 
 
 
 
Jean era reduce da un fine settimana passato a compilare scartoffie per giustificare la sua presenza fuori orario sulle mura e l’aver visto un meteorite cadere; aveva poi sentito che il Comandante dei Reparti Speciali era alla sede dell’Armata Ricognitiva e aveva cercato di raggiungerla disperatamente, ma era arrivato tardi, eppure giusto in tempo per vedere Eren che saliva le scale e si dirigeva verso la stessa porta vicino a dove era fermo lui.
—Ehi, ma che fai? — disse Jean.
—Ho dimenticato le chiavi di casa dentro la sala riunioni — disse Eren.
—Entra dalla finestra a casa.
—No, mi sbaglio sempre e finisco con l’entrare nella stanza di Mikasa e nemmeno che indossasse biancheria sexy, solo roba sportiva.
—Che schifo Eren siete parenti!
—Non esattamente, ma tanto sto con un’altra.
—E con chi?
La risposta a quella domanda dovette aspettare, perché l’attenzione dei due ragazzi fu catturata da delle urla che provenivano dalla sala delle riunioni, urla molto forti, quasi animalesche.
—Dovrai passare sul mio cadavere prima che mi faccia toccare da te!
—Sta zitto e fatti abbracciare, maledetto!
Eren e Jean videro il Comandante Erwin Smith e il Caporale Maggiore Levi uscire dalla sala con aria alquanto minacciosa e dirigersi verso di loro.
—Eren potresti gentilmente dire a Levi che se un uomo prova ad abbracciarlo non ci sta provando con lui! — disse Erwin.
—Jean potresti dire a Erwin che se un uomo gli salta addosso senza preavviso è logico che qualche sospetto gli viene! — urlò Levi.
—Eren potresti gentilmente dire a Levi che si sbaglia e che deve smetterla con questo atteggiamento infantile!
—Jean potresti dire a Erwin che col cavolo che la smetto e che quella è anche casa mia!
—Eren potresti gentilmente dire a Levi che la sua vecchia stanza da ufficiale è stata accuratamente pulita perché questo fine settimana voglio stare da solo con la mia fidanzata!
—Jean potresti dire a Erwin che nella mia stanza da ufficiale ci va lui visto che non ha problemi ad infilarsi nelle stanze degli altri!
—Ora basta Levi è ridicolo! Questo fine settimana stai qui, è un ordine!
—Va a farti fottere Erwin!
—Ci puoi giurare!
Detto ciò i due rimasero a fissarsi furenti per qualche minuto, ansimando come animali in gabbia. Poi Erwin se ne andò per le scale e poco dopo Levi fece lo stesso.
Eren e Jean, rimasti attoniti, decisero che tutte quelle cose che dovevano dire ai loro superiori non c’era davvero bisogno di dirle, perciò andarono a finire di fare quello che dovevano fare.
 
 
 

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Capitolo 3
*** Addio e Grazie per Tutte le Pulizie ***


In principio furono create le mura e questo fatto sconvolse non poche persone.
Alcuni pensarono che sarebbe stata una pessima idea, i più pensarono che fosse stata una pessima idea scendere dagli alberi e iniziare una nuova vita nella savana.
Per quelli che decisero di manifestare la loro opposizione alla creazione delle mura, certi tipi chiamati Orientali esclusivamente per il fatto che provenissero da un luogo chiamato sommariamente Oriente, venne data la possibilità di discutere le proprie ragioni in un regolare processo, dove al momento del verdetto i giudici decisero che se l’Umanità era stata costretta a rinchiudersi dietro delle mura, era colpa del Mondo che era crudele e che non era stato in grado di comportarsi in modo adeguato, pertanto avevano deciso di privare del Mondo tutti coloro che avevano avanzato causa contro quelli che volevano vivere tra le mura.
Questo fatto portò a delle conseguenze interessanti.
Innanzi tutto, per una ragione non chiara, non tutti gli Orientali si erano presentati al processo, un po’ perché avevano intuito che andarci sarebbe stata una perdita di tempo, un po’ perché avevano altre cose da fare. L’altro fatto era che con le mura, si era creato un forte malcontento tra i giganti, che si vedevano privati dei loro spuntini che tanto facevano bene alla salute. Passati alcuni decenni, i giganti avevano deciso di sapere perché gli esseri umani continuassero a progredire inventando cose divertenti come gli occhiali da sole, mentre loro erano sempre uguali e fuori forma; per un incidente burocratico, dovuto alla perdita del permesso di viaggio, il delegato incaricato di scoprire tale ingiustizia era partito con una settimana di ritardo, andando incontro ad un increscioso incidente diplomatico con i delegati di Madre Natura, la quale era molto adirata con i giganti.
Infatti, questi rappresentavano fonte di imbarazzo con le altre Madri Natura dell’Universo, che non riuscivano a capire come mai gli Esseri Umani non riuscissero a liberarsi di esseri che potevano tranquillamente essere paragonati ai Vogon. Ma finalmente il momento di riparare agli errori era arrivato, scatenando la poco felice interazione tra specie, che si concluse in modo abbastanza brutale anche per gli standard di Madre Natura; ma nessuno è perfetto nell’Universo.
Quelli che vivevano all’interno delle mura, intanto, si preparavano ad un nuovo fine settimana pieno di speranze che sarebbe finito con il giornale del lunedì.






 
1
 
 
 
 
 
 
Nelle profondità degli appartamenti degli ufficiali, Levi si era accorto di aver appena commesso un gravissimo errore.
Levi aveva passato tutta la settimana a risistemare la sua stanza, già praticamente sistemata, rendendola talmente pulita che sulle mattonelle del pavimento ci si sarebbe tranquillamente potuto allestire un pic-nic senza bisogno delle posate e dei piatti. Dato che era stato così efficiente nel suo lavoro, gli altri ufficiali gli avevano chiesto se gentilmente poteva risistemare anche le loro di stanze, ma sempre se non avesse avuto di meglio da fare. Ma poiché nel mezzo della settimana non erano previste escursioni fuori porta perché sembrava che i giganti fossero misteriosamente spariti dal circondario e a nessuno era venuta voglia di scoprirne il motivo, Levi aveva accettato di buon grado di dare una ventata di lustro a quelle stanze, sempre perennemente afflitte dal problema dello sporco. Inoltre lui non aveva nulla da fare.
Una volta conclusa l’operazione, Levi era tornato nella sua stanza, dove aveva commesso l’errore gravissimo: aveva aperto una finestra.
Dalla stessa finestra, appena qualche ora dopo, era entrata Annie con un sistema per la manovra tridimensionale rubato in giro a chissà chi.
La continua, ricorrente, presenza della ragazzina nella sua vita, iniziava ad essere frustrante, perché Levi sentiva che in fondo non se ne sarebbe mai liberato, come quel gatto a cui lui ed Erwin avevano per sbaglio dato da mangiare una volta e da allora si era piazzato in casa e non c’era stato modo di toglierselo di torno; la fortuna di quell’episodio era stata che il gatto era molto vecchio ed era morto il mese dopo.
O almeno, questo era quello che Levi raccontava in giro.
Siccome però Annie non era un gatto, ma un pericolo, sotto molti aspetti, letale, Levi decise di trattarla con sufficienza come faceva per le cose che gli accadevano attorno. 
Nelle sue innumerevoli voci, la Guida Galattica parla di come gli abitanti di Jittania Prime siano bravi a sbrogliare situazioni problematiche; se non si vuole intorno un esemplare di Bestia Bulbosa Globicefala, la si può gentilmente rimuovere con un Emettitore Xantico a Destabilizzazione Ri-Strutturonica. Purtroppo per il pianeta Terra, il massimo che si potevano permettere erano i Cannoni a Mitraglia a Movimento Verticale, troppo scomodi per essere applicati ad uso domestico.
—Per essere una che dovrebbe stare in un cristallo a marcire lentamente giri un po’ troppo, non hai paura che ti scoprano? — disse Levi senza mostrare vero interesse per quella cosa.
—Ho i miei metodi — disse Annie scollando le spalle —Com’è, lo hai confessato il tuo amore segreto?
—No.
—Intendi farlo?
—Ma che t’importa? Potrei anche dire che scorrazzi liberamente per la nostra sede, già che ci sono — un pensiero che solo in quel momento aveva sfiorato la mente di Levi, che iniziò a chiedersi perché non l’avesse avuto prima. Iniziò anche a pensare a come rendere fruttuosa quella fastidiosa ragazzina, la quale, per qualche strana ragione che non comprendeva, continuava a dire cose sensate.
—Invece perché non inizi a vuotare il sacco, o te ne vai; non voglio che la gente ci veda assieme — Levi sperò nella seconda opzione, non aveva nulla da fare, ma non voleva parlare.
—E tu perché non vai a dichiararti? — Annie non demordeva, dopotutto anche lei non aveva granché da fare quel giorno.
—Perché se glielo dico se la prende e va tutto in malora — rispose esasperato.
—Che ne sai? Magari invece gli fa piacere, è una cosa che mette i brividi, però se non ci provi non lo saprai mai — disse Annie.
A quel punto a Levi venne un’idea.
Le idee sono per la maggior parte delle volte considerate piacevoli temi di conversazioni filosofiche, creazioni di mondi e di teorie interessanti sul senso dell’essere.
Quella che però ebbe Levi, fu un’idea diversa da quelle generiche filosofiche; fu più che altro scaturita da un disegno confuso apparso per un nano secondo nella sua testa e che lì per lì gli sembrò semplicemente migliore di tutti quelli che aveva avuto fino a quel momento.
—Facciamo così, gigante femmina, io vado a dire ad Erwin quello che provo e se le cose vanno bene, tu racconti tutto quello che sai sui giganti; se invece va male…
—Diventi il mio schiavo! — rispose Annie che a quanto pare sembrava aver trovato la cosa divertente.
—Questa condizione è completamente scollegata con il resto della conversazione, somiglia più al capriccio di una bambina — Levi era proprio stufo di quella faccenda. Si tolse il fazzoletto dalla testa e il grembiule e si vestì per uscire.
—Adesso vado a parlarci, tu vedi di iniziare a ricordarti tutto quello che sai, al ritorno ci aspetta una lunga chiacchierata.
—Certo, così poi mi racconti e forse ti racconto qualcosa anche io.
—Tu senza il forse!
Levi uscì dalla stanza, camminò lungo il corridoio, scese le scale che collegavano i piani e iniziò a girovagare per la città cercando di capire perché potesse essere così difficile prendere la strada per casa, formulare un discorso che avesse un senso e soprattutto pronunciarlo davanti ad una persona che vedeva praticamente tutti i giorni della settimana; si disse che il nervosismo era plausibile, non gli era mai capitato di parlare di quello che provava in termini di affetto, quindi decise che magari fare il giro panoramico delle mura più interne avrebbe allentato la tensione, magari dopo la passeggiata sarebbe potuto andare a fare un giro per la via nazionale e dopo ancora, andare a vedere se alla Guarnigione avevano bisogno di aiuto con i Cannoni a Mitraglia a Movimento Verticale; fatto sta che dalle sedici e trenta che era uscito, alle ventuno e un quarto era davanti alla sua casa.
 
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
 
 
 
 
Il quartiere residenziale Sirio era un posto noioso. Le casette a schiera erano tutte uguali, su due piani, con un piccolo giardino di fronte e uno sul retro, una sistemazione strutturale che avrebbe fatto chiedere a chi aveva un minimo di buon gusto in fatto di edilizia se chi le aveva progettate avesse avuto la minima voglia di pensare al design.
Da quelle parti non accadeva mai nulla di interessante, tanto meno quel sabato sera che i vicini di casa di Levi e Erwin erano via per andare a trovare i parenti in campagna, così come tutte le persone del circondario che erano andate a trovare anche loro i rispettivi parenti.
I vicini di casa sulla destra erano i signori Marple, una coppia di anziani che sapeva tutto di tutti e che Erwin usava come fonte principale per aggiornarsi su quello che accadeva tra le mura; quelli sulla sinistra erano i Cossa, che avevano stretto particolare amicizia con Levi dato che tutti avevano lo stesso accento, vagamente somigliante a quello del pianeta Vasishka un luogo prevalentemente acquatico dove le terre emerse erano solo penisole.
Il luogo restava comunque noioso ed era ancora più noioso la sera tardi perché diventava anche silenzioso; solo un piccolo suono di campanella irruppe nella noia serale.
Quando Hansie aprì la porta e ci trovò dietro Levi, nella sua mente esplose in maniera fragorosa una bomba di pensieri, per lo più confusi e disarticolati, ma che finivano tutti con la parola "omicidio".
Sebbene in preda agli spasmi, il cervello della donna riuscì a formulare qualcosa da dire che non fosse un’implorazione di pietà.
—Ciao, vuoi entrare?
—Io ci abito qui — disse secco Levi.
—Certo, entra pure nella tua casa — farfugliò Hansie facendo accomodare Levi in soggiorno.
Levi osservò attorno a sé il mobilio, il divano, il tavolo, il camino, le sedie, le scale che davano al piano superiore e la porta che dava alla cucina, le lampade a gas che avevano appena installato illuminavano con una luce felice.
Hansie invece era tutto tranne che felice, era agitatissima, in preda al panico; decise di affrontare la situazione da persona matura.
—Levi, io non pensavo provassi certe cose per me; è vero che passiamo molto tempo assieme, nelle missioni, negli esperimenti, quelli anche per forza di cose, ma ti ho sempre visto come un fratello, un collega, un amico fidato; ecco, ti voglio bene, ma non in quel senso — Hansie si fermò, Levi la fissava perplesso, non sapendo perché le stesse dicendo tutte quelle cose, che da un lato provava anche lui e da un lato non sentiva il bisogno di dirgliele, perché pensava che Hansie le sapesse.
— Anche io la penso come te. Dov’è Erwin, gli devo parlare, in privato — tagliò corto Levi.
A quelle parole Hansie capì tante di quelle cose che rimase sorpresa di sé stessa nello scoprirle e non ci fu nemmeno bisogno di chiederle, così come di aspettare Erwin che scese le scale in quell’attimo di scoperta.
—Eccolo qui, vi lascio soli che io vado da qualche parte a fare qualcosa — Hansie si dileguò in men che non si dica, lasciando Levi e Erwin soli in mezzo alla sala.
—Ti devo parlare — disse Levi.
—Finalmente, non sai che sollievo — disse felice Erwin.
—Non so come dirtelo, cercherò di essere il più chiaro possibile, tu mi piaci.
—Anche tu mi piaci — rispose Erwin e Levi credette di avere un infarto dovuto a qualcosa chiamato felicità, almeno finché Erwin non proseguì.
—Tu e io ne abbiamo passate così tante assieme, si è creato un legame solido di amicizia che non voglio finisca.
Levi fissò Erwin. Ci riprovò.
—Non hai capito, tu mi piaci nel senso che ti voglio bene non come amico — disse Levi e fu la volta di Erwin di provare qualcosa di simile all’infarto, ma non per la felicità.
—Tu cosa…?
—Hai capito bene.
Erwin annuì con la testa qualche volta, cercando di restare calmo, facendo come dicevano le istruzioni per il bungee jumping: fece dei bei respiri e si appoggiò a qualcosa di solido, in questo caso ad una sedia.
—Ok, d’accordo e da quanto tempo è che ti… piaccio, io?
—Un po’ — Levi ci pensò su — Circa tre anni.
 
 
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
Ciò che rende la Guida Galattica per Autostoppisti uno dei libri più venduti, oltre alla quantità maggiore di voci rispetto alla vecchia superata enciclopedia, è la scritta rossa a caratteri maiuscoli stampata sul retro di ogni copia NIENTE PANICO.
Questo consiglio prezioso vale per occasioni di pericolo o per affrontare complicati tranelli o rebus per giungere nelle miniere dorate del pianeta Deltiri 3; nessuno però aveva mai pensato di applicarla a problemi di vita sociale e in quel momento, in una delle case a schiera del quartiere Sirio, della cerchia esterna al centro, forse a qualcuno, vedere quella rincuorante scritta, sarebbe servito dato che si stava letteralmente facendo prendere dal panico.
—Tre anni?! Sono tre anni che provi queste cose per me! — gridò Erwin andando avanti ed indietro per il soggiorno della sua casa.
—Adesso sei sconvolto, ma se ti calmi un istante e rifletti, magari non ti sembrerà così assurdo come pensi — disse Levi che al contrario era talmente calmo da mettere a disagio.
—Tu mi hai fatto sentire un mostro per averti tenuto nascosta la mia di relazione e adesso pretendi che passi sopra i tuoi tre anni di silenzio sul fatto che ti piaccio? Dico: io e te viviamo assieme! — Erwin continuò a gridare sempre più scioccato dalla situazione.
—Ne deduco che tu non provi le stesse cose?
—No!
—Sicuro?
—Sì!
Levi iniziò a sentire qualcosa di strano dentro di sé, un misto tra delusione, amarezza, tristezza e voglia di compiere un massacro, accompagnato da un forte dolore al petto.
Molti studiosi e filosofi si chiedono se effettivamente il cuore si possa spezzare e, nonostante tutto, si possa rimanere ancora vivi.
Alcuni scienziati del pianeta Mukunga provarono a rompere il cuore di cristallo dei Pavoni Carnivori locali per poi ripararlo e rimetterlo in funzione. L’esperimento fallì clamorosamente, quindi per non perdere la faccia, gli scienziati decretarono che all’interno del corpo esistono due cuori: uno visibile che si occupa del mantenimento della vita e un altro invisibile, che si occupa di gestire le emozioni e che era proprio quello che si rompeva quando si avevano grossi dispiaceri. Decretarono anche che i Pavoni Carnivori sono una razza estremamente pericolosa e inadatta agli esperimenti.
Fatto sta, che molte persone non si accorgono di aver un cuore invisibile finché non si rompe, un po’ come Levi, che ancora non aveva capito se il dolore che aveva, era al petto o allo stomaco, dato che non aveva ancora cenato.
Erwin e Levi rimasero per un po’ in silenzio, rendendo ancora più noioso il quartiere Sirio.
—Fuori — disse secco Erwin indicando la porta.
—Cosa? — disse sorpreso Levi.
—Fuori da casa mia! — disse Erwin indicando ancora la porta.
—Guarda che questa è anche casa mia, non puoi farlo!
—Sul contratto di proprietà c’è il mio nome quindi posso eccome!
—Mi sembra che tu stia esagerando.
—Esagerando? Tu forse non ti rendi conto! Non voglio vederti mai più!
—E la mia roba?
—Te la faccio avere lunedì, ora fuori, Levi!
Di tutte le razioni che si era aspettato, quella Levi proprio non l’aveva presa in considerazione; pensò che Erwin avesse bisogno dei suoi spazi e di elaborare, con il suo metodo contorto, la situazione; ciò avrebbe richiesto almeno due giorni, quindi pensò di assecondarlo e andarsene via, verso gli alloggi degli ufficiali sperando che i cartelli con scritto: STA SERA FESTA COUNTRY non fossero veri.
—Ci vediamo lunedì — disse sommariamente Levi.
—Non farmici pensare — disse Erwin prima di sbattere malamente la porta di casa.
Il quartiere Sirio era un posto noioso. Anche quella sera fu noiosa visto che le persone litigavano sempre nel Mondo, ciò che accadde nella casa a schiera fu del tutto ordinario.
 
Dopo che tutte le porte furono chiuse, dopo che tutte le finestre furono serrate, dopo che tutti i coltelli, fucili, oggetti contundenti furono segregati in cantina nel caso Levi cambiasse idea e tornasse indietro per farli fuori tutti e due, Hansie si dedicò al difficile compito di far calmare Erwin. Lo abbracciò, lo fece sedere sul divano e gli prese una mano, usò un tono di voce calmo e tranquillizzante.
—Erwin coraggio, sei sconvolto, ma devi reagire, un po’ come me quando ho scoperto che i giganti parlano.
—Non ci posso credere, tre anni, ma ti rendi conto!
—Va bene, avrebbe dovuto dirtelo molto prima, sono d’accordo, ma non ti sembra eccessivo averlo cacciato di casa? Voi due state sempre insieme, una cosa quasi morbosa.
Erwin continuava a scuotere la testa, letteralmente sconcertato.
—Vuoi qualcosa da bere, magari di forte? — chiese Hansie.
—Cioè io quando è estate a volte non tengo la camicia… — mormorò Erwin; Hansie non ascoltò quello che disse dopo perché il pensiero di Erwin con solo i pantaloni addosso la distrasse.
—Ci facevamo anche la doccia assieme, non nella stessa cabina intendo, cioè magari avrà fatto pensieri del tipo quanto vorrei essere quella spugna? — a quelle parole non solo Hansie riemerse dalle fantasie che la pervadevano, che avevano a che fare con bicchieri che rovesciavano il loro contenuto su persone, ma capì anche perché Erwin aveva cacciato di casa Levi.
—Penso di aver capito.
—O magari avrà pensato quanto vorrei essere il sap…
—Ok, basta così! Ti porto sul letto così ti stendi, ti calmi e la smetti con tutte queste scemenze!
—Non sono scemenze!
—Sì, invece! Quando mai Levi fa pensieri così profondi, se ti voleva ti… — non concluse la frase.
Quello che aveva appena realizzato le riempì il cuore di gioia, ma anche di tenerezza e dispiacere. Erwin la fissò perplesso e Hansie fu sull’orlo di dirgli che cosa aveva appena capito, che forse sarebbe stata anche la risposta alla domanda sul perché della vita, ma decise che come lei ci era arrivata da sola, anche Levi e Erwin ci dovevano arrivare da soli.
Quindi accompagnò Erwin, al piano superiore, fino alla prima porta sulla destra dove entrambi si bloccarono.
Dall’interno della stanza provenivano dei rumori strani, come se delle persone stessero spalando della ghiaia; il problema era che all’interno della camera di Erwin non c’era la ghiaia, solo una marea disordinata di libri e cianfrusaglie.
 
Il quartiere Sirio era un posto estremamente noioso. Di rado accadevano cose sconvolgenti come quella che Hansie e Erwin trovarono all’apertura della porta della camera da letto al primo piano.
 
 
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
 
 
 
 
 
Precisamente sei giorni e mezzo prima era accaduta una cosa strana.
Un gruppo di ragazzini, assieme a degli adulti, si era ritrovato ad una festa di paese dove si celebrava l’Eruca Sativa in tutte le sue svariate particolarità culinarie. Sotto l’effetto del vino che si accompagnava ai piatti tipici locali, avevano iniziato a parlare a vanvera su fatti incerti avvenuti anni addietro, incidenti di percorso, discorsi tristi e altre cose che non erano interessate a nessuna delle altre persone sedute ai tavoli accanto al loro.
Due delle ragazze in particolare, Christa e Ymir, avevano avuto una discussione su certe cose che in genere si dicono al primo appuntamento e tali cose non dette avevano fatto sì che la relazione tra le due finisse.
Almeno questo è quello che era successo davvero, il fatto era che il quantitativo di alcol che tutti i presenti avevano ingerito fosse tale, che il giorno successivo, nessuno si ricordasse un accidente di quanto era stato detto, se non che le due ragazze si erano lasciate e che la festa di paese era stata fantastica. Ovviamente ciò che era fatto era fatto, perciò Ymir e Christa vivevano la loro separazione in modo pacifico.
La cosa strana era accaduta dopo.
Un certo giorno, Christa si era ritrovata a parlare con Eren e avevano scoperto di avere molte cose in comune. Da lì era nato uno strano desiderio che richiedeva l’introduzione di un elemento chiave.
Sfortunatamente l’elemento chiave si trovava nella casa sbagliata, cosa di cui i due ragazzi si accorsero solo dopo l’apertura della porta della stanza in cui si erano chiusi, ottenendo una buona dose di urla di stupore e disgusto, che si erano concluse con le domanda: come siete entrati? E le alcune sue interessanti variati.
Ora Eren e Christa, stavano seduti sul divano del soggiorno della casa di Levi, con Erwin e Hansie che li fissavano sconcertati da più di dieci minuti.
I due adulti non sapevano che dire, nemmeno che pensare, se non che avrebbero distrutto le lenzuola del letto il prima possibile.
—Che spiegazione avreste in merito a ciò che abbiamo appena visto? — chiese alla fine Erwin.
—Magari evitiamo i dettagli, dato che li abbiamo notati anche troppo bene — aggiunse Hansie.
—È molto semplice io e Christa stavamo aspettando il Caporale Maggiore nella sua stanza, siccome non arrivava abbiamo pensato di farci trovare già pronti — disse Eren in modo così innocente che avrebbe fermato anche le inarrestabili macchine da guerra del pianeta Toutatis 3.
—Una cosa tira l’altra e ci avete trovato in una situazione un po’ imbarazzante — disse Christa arrossendo.
Erwin e Hansie cercarono di non ripensare alla situazione imbarazzante come quella di trovare due adolescenti che facevano sesso nel loro letto.
—E Levi che c’entra? — chiese Hansie, ma solo per scrupolo.
—Magari aveva voglia di unirsi a noi — disse Eren candidamente.
—Cosa?
—Fare una cosa a tre.
—Sì, quello l’avevo capito, ma cosa, perché lui?
Eren e Christa alzarono le spalle, Hansie lasciò perdere anche perché non doveva esserci una spiegazione logica per tutto.
Come a quella serata. Non sempre nell’Universo alle cose si attribuisce una logica subito; spesso e volentieri la si capisce molto tempo dopo, involontariamente, perché un gesto o una parola fanno riaffiorare nella mente quella precisa situazione.
Ad esempio, quando bussano alla porta, i pensieri che affollano la mente della persona che andrà ad aprire sono spesso legati alla necessità di capire se sia stato il caso di fare tutta la strada che collega il luogo di partenza alla porta; spesso, è la curiosità a spingere le persone ad andare ad aprire la porta; in altri casi, è la speranza che dietro al portone ci sia un qualcuno che determini la vita di chi va ad aprire e non il solito venditore di enciclopedie che vuole convincerti che sei relativamente stupido e che l’unico modo per ovviare a tale carenza è comprare la sua enciclopedia.
Sicuramente a quell’ora della notte non poteva essere un venditore di enciclopedie, tanto meno un vicino di casa, dato che erano tutti andati via; perciò quando Erwin andò ad aprire la porta non aveva la minima idea di chi potesse essere ad aver bussato.
—Ciao Erwin! — disse raggiante Emma Summerstone, con in mano una valigia.
Erwin fu sul punto di sbatterle la porta in faccia, ma la curiosità lo spinse ad aspettare.
—Emma, che cosa ci fai qui, non dovresti essere in viaggio di nozze? — chiese Erwin.
—Oh, me ne sono andata, io e mio marito abbiamo litigato e abbiamo capito che non siamo capaci a vivere assieme.
—Mi dispiace — non era assolutamente vero, Erwin era felicissimo — Tornando alla domanda iniziale, che cosa ci fai qui?
—Non so dove andare, non mi va di dormire nella nostra casa, posso stare qui da te e Levi?
Erwin sospirò, anche se era una persona odiosa non poteva certo lasciarla per strada. Inoltre casa sua aveva già degli ospiti.
—D’accordo entra.
—Grazie — Emma fece cenno dietro di lei —A proposito quei due ragazzi stanno cercando Eren, sai dov’è?
Erwin vide Mikasa e Armin in preda alla disperazione mentre pensava a come smistare tutta la gente che avrebbe avuto in casa quella notte.
—Sì, è dentro casa mia, stava facendo sesso con una sua amica nel mio letto aspettando Levi — disse Erwin.
—E Levi come l’ha presa? — chiese Emma.
—Non c’era, l’ho sbattuto fuori casa perché sono tre anni che gli piaccio.
—Però che serata movimentata!
—Non ti spiace dormire in camera mia, vero?
—No, userò le mie lenzuola. Non è che mi puoi fare un autografo? Mia nipote ti adora!
—Va bene. E tu domani puoi preparare la colazione per sette persone e un gatto?
—Hai un gatto?
—Sì, quel bastardo si rifiuta di morire.






 
5
 
 
 
 
 
 
Il giorno prima del lunedì, Levi l’aveva passato tutto il tempo sul letto. Sebbene fosse consapevole che dei granelli di polvere, delle dimensioni di mezzo millimetro, si stessero depositando su di lui, non fece nulla per impedire tale scempio agli occhi della sua nevrosi. L’unica cosa che aveva fatto prima di stendersi sul letto, era stata quella di sigillare le finestre e le porte della camera da ufficiale, in modo tale che nessuna ragazzina fastidiosa o nessun uomo vestito da coriandolo, una spezia ricercata, entrasse a convincerlo a festeggiare o a parlare.
Levi si sentiva strano. Aveva come l’impressione che nulla al Mondo potesse tirarlo su di morale; nemmeno lo sterminio dei giganti.
Si alzò, di mal umore, solo lunedì mattina, dopo che gli avevano comunicato di andare nell’ufficio del Comandante. L’idea di rivedere Erwin dopo quello che era accaduto non lo metteva a suo agio, anche perché se gli avesse detto che, dopo attente riflessioni, anche lui provava le stesse cose, Levi non avrebbe saputo come gestire la cosa.
Fortunatamente per lui, non avrebbe dovuto pensare a nulla di tutto ciò, perché Erwin aveva dei piani diversi per lui.
—Tieni — disse Erwin buttando dei fogli sulla scrivania.
—Che roba è? — Levi non aveva voglia di leggere.
—Una domanda di trasferimento, firmala e così la facciamo finita.
—Ma perché mi vuoi trasferire?
—Perché non voglio più vederti!
—Qual è il problema?
—È che per tre anni mi hai tenuto nascosto il fatto che ti piaccio! Vattelapesca che pensieri hai avuto nel frattempo e la cosa mi mette i brividi.
—A lei piace il Comandante? Ma come? E io? — disse Eren sconvolto.
Per qualche ragione che Levi non capiva anche il ragazzino era stato convocato, rendendo la situazione più paradossale che logica.
—Tu cosa, Eren? — disse Levi.
—Zitto, poi penserò anche a te, signor cose-a-tre-nelle-stanze-altrui — disse Erwin.
Levi girò lentamente la testa da Eren a Erwin.
—Ah, come ci si sente? — chiese Levi sarcasticamente.
—Comunque penso che voi due dobbiate parlare, magari esco dalla finestra, non è molto in alto, al massimo mi rompo una gamba — disse Eren a disagio.
—Per quello ti ho già chiesto scusa —disse Erwin.
—Ma per il resto, non vuoi proprio vedermi più?
—Sì, Levi.
Levi prese un pennino e firmò i documenti per il trasferimento. Non capiva perché stesse facendo quella cosa, in fondo lui non aveva fatto niente di male, eppure sentiva che se voleva che tutto funzionasse o in parte tornasse come prima, lui doveva andarsene.
Per certi versi, gli esperti del settore trovano che l’amore sia una delle più grosse fregature dell’Universo. Il dover passare parte della propria esistenza a provare sentimenti che devastano l’animo di propria spontanea volontà, é una cosa stupida e priva di alcun risvolto positivo. Certo, per chi aveva fortuna di provare quei sentimenti verso la persona giusta, gli avrebbe garantito la possibilità di tramandare i propri geni e di essere felice per tutta la vita; tuttavia, nella maggior parte dei casi era più la perdita di tempo che il guadagno, dato che la trasmissione dei geni poteva avvenire anche senza il bisogno di provare i sentimenti. Un po’ come su sistema Duggor, i cui abitanti dei dodici pianeti, non provavano sentimenti per non infastidire gli abitanti del vicino sistema a doppio sole Xenu, facenti parte di una setta religiosa dedita alla Meditazione Trascendentale In Assoluto Silenzio Atarassico.
Levi consegnò i fogli firmati.
—E dov’è che mi trasferisci? — chiese Levi.
—Al Paddock 9 — rispose Erwin.
 
 

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Capitolo 4
*** Il Pub al Termine dell'Universo ***


Oltre alla Guida Galattica per Autostoppisti, edita dalla casa editrice Orsa Maggiore, sul quel piccolo pianeta azzurro alla periferia della Via Lattea esisteva un'altra guida abbastanza popolare, non quanto la Guida Galattica, ma mostrava del potenziale emergente per essere il libro rivelazione dell’anno. Pochi lo sapevano, ma l’impresa di avere il premio per il Tomo Più Utile Dell’Anno era stata vinta dalla trilogia sul Sistema per la Manovra Tridimensionale, mentre al secondo posto era arrivato il libro Tutti i Miei Mostri scritto da Terry Angiosp, un medico veterinario appassionato di paleontologia, che passava metà del suo tempo a scavare buche per cercare ossa.
Il libro nacque come ripicca per tutti quelli che gli dicevano: “Abbi un po’ di spina dorsale!” e lui di spine dorsali ne aveva tantissime, tutte tenute ordinate nella sua cantina e sentirsi dire di non averne una tutta sua lo metteva di pessimo umore, costringendolo a scavare buche per scaricare lo stress e trovare altre spine dorsali per tornare felice, nonostante indossasse degli occhiali da sole.
Decise dunque, di pubblicare il libro Tutti i Miei Mostri, farlo leggere a più persone possibili e dimostrare di avere la spina dorsale.
Il libro risulta per lo più un manuale simil-enciclopedico che raccoglie una vasta quantità di ricostruzioni di forme di vita animale risalenti ad un periodo che l’Umanità aveva presto scordato per colpa dei giganti. Ovviamente, quest’ultimi si dissociarono apertamente da tale accusa, purtroppo per loro, altamente veritiera.
La cosa che rende però unica questa guida simil-enciclopedia e che in parte la fa assomigliare alla Guida Galattica, è la scritta a caratteri maiuscoli rossi sulla prima pagina: Attenzione! Questo libro potrebbe farvi sentire tristi.
A detta dell’autore, quello era più un dato di fatto che un avvertimento, visto che tutti quelli che lo leggevano, arrivati in fondo alla guida simil-enciclopedia si sentivano estremamente tristi. E il motivo fu oggetto di studio di quei medici che i Vogon tendono a chiamare: omini nel cervello, cioé gli psicologi. Dopo attente analisi, ricerche e altre cose da psicologi,questi scoprirono che la causa per cui, chi leggeva Tutti i Miei Mostri era triste, era per via del contenuto della guida simil-enciclopedia. In particolar modo i picchi di tristezza raggiungevano livelli altissimi sulla voce dimensioni. Il picco massimo fu raggiunto da una casalinga del quartiere di Shinganshina quando lesse il capitolo relativo alle bestie terribilmente titaniche e scoprendo che queste erano tutte erbivore.
La tristezza fu diagnosticata perché chi leggeva, notando i numeri e facendo dei calcoli veloci, poteva facilmente pensare che se quelle bestie carnivore fossero state ancora vive avrebbero potuto tranquillamente spedire i giganti da dove erano arrivati e farceli restare per il resto della loro vita; avrebbero potuto farlo anche le bestie erbivore calpestando tutti i giganti o colpendoli perché magari gli stavano antipatici.
Tuttavia, questo era impossibile per motivi legati all’estinzione e quindi, chi leggeva sprofondava in un forte stato di tristezza che lo costringeva ad andare dello psicologo a fargli domande sul perché della vita, domanda a cui lo psicologo non sapeva rispondere.
Almeno fino a quella mattina, quando sul giornale apparve un titolo alquanto improbabile.
 
 
 
 
 
  1
 
 
 
 
 
 
Era mattina presto nella stanza della casa popolare nei pressi del quartiere paddock 9. Il nome del quartiere era puramente evocativo, non aveva alcun significato concreto, se non che quella era la nona porta d’accesso se le si iniziava a contare dal campanile della stazione numero sei della Guarnigione, escludendo le porte delle sporgenze attira-titani, non contando le porte che dal Wall Rose davano sul Wall Sina e lasciando perdere quelle che erano in linea d’aria dal Wall Maria.
Insomma, quello era un qualunque padiglione, simile a tutti gli altri padiglioni, con lo stesso tessuto stradale, le stesse case, gli stessi prati, gli stessi terreni coltivati, se non che in mezzo al niente più noioso, sorgeva la caserma dei Reparti Speciali, un edificio basso e bianco, con un sacco di finestre, una sala d’aspetto vagamente rotonda, dei laboratori grigi e dei modesti uffici.
I soldati vivevano nelle case popolari della vicina città di Milliway, conosciuta per essere una delle zone più lontane dal centro e per essere sorta in circostanze puramente banali, come ad esempio una macchia di caffè scambiata per una città nel piano regolatore.
In uno dei condomini c’era la nuova casa di Levi, una casa ordinaria su un solo piano, con un’eccessiva quantità di stanze e una vicina di pianerottolo troppo invadente.
Levi se ne stava in piedi davanti alla porta d’ingresso, cercando di trovare una scusa per non andare al lavoro quella mattina, compito molto difficile perché non gli veniva in mente nulla se non il numero 47,867 u ± 0,001 u che per ragioni che non conosceva, era convinto che fosse legato al titanio. Dalla finestra della stanza entrò una sua sgradita conoscenza, che gli fece venire in mente di mettere delle grate alle finestre.
—Ehilà! — disse allegramente Annie.
—Mi spieghi perché continui ad invadere la mia privacy? — disse Levi senza muoversi da davanti alla porta.
—Perché è divertente! — disse Annie e si mise accanto a Levi —Allora come è andata l’altro ieri?.
—Se sono qui secondo te come è andata?
—Così male, accidenti! In questo caso direi che ho vinto la scommessa!
Levi decise che doveva andare al lavoro. Per fortuna era già in divisa, doveva solo prendere il sistema per la manovra tridimensionale e andarsene; fece per fare quelle cose, quando si sentì tirare il mantello.
—Dove pensi di andare, se il mio schiavo adesso.
—Davvero? Non me lo ricordavo.
—Ho appena deciso che tipo di schiavitù applicare su di te!
—Sei proprio una persona originale — disse Levi che aveva già capito dove sarebbe andata a finire, o meglio come sarebbe andata a finire, il che per lui rappresentava una serie infinita di problemi: primo fra tutti con la legge, dato che Annie era minorenne; poi c’era il problema delle relazioni interspecie che tutti sapevano non funzionare mai; c’era il problema del fare tardi al lavoro; quello della colazione; quello della vicina di casa che riusciva a sentire ogni minimo movimento, anche a diversi piani di distanza; infine, c’era quello rappresentato dall’adolescenza, che rendeva i ragazzini letteralmente senza freni e Levi non era sicuro di poter reggere il ritmo. Fra tutti i problemi, c’era quello poi che Levi non aveva la minima intenzione di affrontare tutti i problemi che scaturivano da quella situazione. Decise quindi di provare un’altra strada.
—Dico davvero, dopo quella cosa della cera, che proprio non me l’aspettavo, ora avrei pensato a qualcosa di più originale, tipo farmi pulire con uno spazzolino da denti tutta la casa o rivelarti i piani segreti dell’Armata Ricognitiva, oppure costringermi a rapire Eren, beh, questo preferirei evitarlo per un bel po’ di motivi; insomma sei un po’ una delusione — disse Levi cercando di apparire risoluto.
—Sì, ma adesso voglio provare quello che ho in mente, dato che tu sei un adulto con grande esperienza, da quello che si dice in giro — disse Annie allegramente.
A quel punto Levi non sapeva se sentirsi lusingato o incuriosito per quello che si dicesse in giro di lui e soprattutto chi fosse a dirlo. Pensò fosse Erwin e quel pensiero gli fece venire in mente un’altra cosa da dire per liberarsi da quella situazione.
—Ok, come vuoi, ti spiace se mentre mi fai quello che hai in mente io penso a un’altra persona, non c’è bisogno che ti dico chi — disse Levi sperando che funzionasse. Per sua fortuna funzionò anche troppo bene.
Tra tutte le capacità che Annie aveva, c’era che aveva una spiccata immaginazione. Perciò, quando iniziò ad immaginare Levi e Erwin, la sua fantasia ci diede dentro di brutto: fece apparire un letto rosa pieno di pizzi e merletti, un’orchestra che suonava qualcosa di mieloso e degli unicorni rosa che saltellavano in mezzo a degli arcobaleni. Ovviamente nella sua visione Levi ed Erwin non è che stessero fermi e quello fu il colpo di grazia.
—Oh Mio Dio! Quest’immagine non se ne andrà per settimane! — strillò Annie disgustata dall'idea di adulti che facevano sesso.
— Allora che vogliamo fare? — disse Levi soddisfatto del suo operato.
—Va bene, lasciamo perdere quello che avevo in mente!
—Ora mi lasci il mantello, non voglio arrivare in ritardo il primo giorno del nuovo lavoro.
—Dopo quello che ho visto, ho bisogno di qualcuno che mi dica che va tutto bene!
Annie diede uno strattone al mantello e Levi sospirò. Avrebbe fatto tardi al lavoro perché avrebbe dovuto dire a una pazza psicopatica omicida va tutto bene e cercare di convincerla che era vero, prima di poter uscire da quella camera, andare da un fabbro e ordinare delle grate per le sue finestre per poi andare al lavoro.
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
 
 
 
All’interno del suo ufficio, calmo e tranquillo, Erwin stava ammirando il sole mattutino che illuminava allegro il panorama; era la prima volta dopo tanto che era al lavoro e Levi non c’era e la cosa lo rendeva stranamente di buon umore.
—Se non ti conoscessi bene direi che stai gongolando — disse Mike mentre entrava nell’ufficio.
—Mi sto godendo la giornata — disse Erwin.
—Dov’è Levi?
—L’ho trasferito ai Reparti Speciali, lì si troverà bene.
—Ah, ho capito.
—Che cosa?
—È per quella storia della settimana scorsa, non te la starai prendendo troppo?
—Me la sto prendendo nel giusto modo; non puoi dirmi dopo tre anni che ti piaccio e poi pensare che non mi senta a disagio.
Mike rimase in silenzio per qualche istante, cercando di capire se quello che aveva sentito era quello che aveva sempre pensato.
—Era a Levi che piacevi tu e non il contrario? — chiese Mike incerto.
—Sì, era a lui — rispose Erwin aspro.
—Ho sempre pensato il contrario.
Erwin lo fissò con aria scettica.
—E perché?
—Che ne so, è che tu sei uno così sensibile e affettuoso, sempre con tutti quegli abbracci e discorsi pieni di sentimenti da adolescente. Per carità, non c’è niente di male, uno ogni tanto fa piacere, ma quando diventano troppi inizi a pensare cose strane.
Erwin fissò scioccato Mike.
—Mike, perché sei qui?
—Per dirti che il trasferimento del cristallo del gigante femmina alla sede dei Reparti Speciali è stato eseguito con successo.
Erwin tornò a fissare scioccato Mike.
—Il cosa di che?
—Il trasferimento del gigante femmina ai Reparti Speciali é avvenuto senza intoppi; nessuno ha fatto domande durante la strada, alcuni sono stati addirittura felici che se ne fosse andata, ad altri non è interessato.
—Ma io non ho autorizzato nessun trasferimento!
—Eppure questa è la tua firma — Mike esibì il foglio del trasferimento con tanto di firma e quando la vide, Erwin esibì il suo solito sorriso da pazzo che faceva pensare, a chi lo vedeva, che quell’uomo necessitava di una lunga vacanza da tutto quello che lo circondava.
Accadde anche un’altra cosa, che invece accadeva talmente di rado che quando accadeva di conseguenza succedevano cose a dir poco meravigliose. Per quanto riguarda la cosa che accadeva di rado, fu che Erwin affermò con certezza che il vero lavoro che Emma Summerstone praticava era la compravendita tramite previa trattazione e firma di ricevuta, del proprio corpo a molti uomini, aggiungendo poi una serie non ben definita di aggettivi (tutti dispregiativi) che, altri non erano, che sinonimi di una sola parola: meretrice.
Per quanto riguarda la cosa meravigliosa comprendeva un ascensore, una festa di compleanno e un’instancabile madre di famiglia.
Il fatto è che questa serie di avvenimenti si sarebbe verificata in un tempo e in un giorno lontani dal momento in cui si erano generati e solo un attento scrutatore degli eventi avrebbe trovato la connessione diretta.
Intanto, dopo lo sproloquio, Erwin e Mike erano corsi nella piazza antistante la sede centrale, dove Emma Summerstone stava discutendo con Hansie.
—Ciao Emma — disse Erwin in tono talmente falso che a stento si riconobbe da solo —Come sta tua nipote?
—Ciao Erwin — disse Emma allegramente —Io non ce l’ho una nipote, solo nipoti.
—E tuo marito come sta?
—Benissimo, l’ho accompagnato qui come tutte le mattine.
—Ti ho accolta in casa mia! È così che ricambi i favori?
—Ma l’ho ricambiato, ho fatto la colazione per tutte quelle persone e il gatto.
—Mi riferivo all’autografo.
—Ah, ma certo, non avevo altri fogli e casualmente ti ho dato un modulo di trasferimento.
—Non ci provare a rigirala al caso, lo hai fatto apposta. E scommetto che non ti sei fermata solo a quello vero?
—Ho solo detto che uno come Levi mi avrebbe fatto comodo, anche se non ci sopportiamo; il resto lo hai fatto tutto tu.
—Vorresti quindi dire che mi hai fatto un favore? — disse Erwin esasperato.
—È molto probabile — disse Emma sorridendo allegramente.
Hansie e Mike si guardarono tra loro; entrambi conoscevano bene Erwin e se c’era una cosa che non sopportava, era farsi fregare. Sapevano esattamente quello che sarebbe accaduto, pertanto iniziarono a pensare a come svicolarsi da quella situazione, cercando di non ferire i sentimenti di nessuno. Trovarono la cosa altamente complicata che lasciarono perdere poco dopo aver iniziato a pensare. Quindi si misero l’anima in pace e si prepararono a quello che sarebbe accaduto, che per una serie di improbabili coincidenze, non sarebbe stato niente di quello che avevano pensato.
—Sappi che mi riprenderò ciò che è mio a qualunque costo — disse Erwin con un’espressione di spaventosa e anche scontata risoluzione.
Emma si limitò ad alzare le spalle. In realtà non aveva ben capito quale delle due cose Erwin si sarebbe ripreso con tutta quella foga.
—Scusa Emma, ma come pensi di fare con il cristallo? — chiese Hansie che aveva già capito quale delle due cose si sarebbe ripreso Erwin e non voleva sapere come.
—Problema risolto! — disse Emma esibendo un sorriso tipico dei geologi quando fanno qualcosa di grandioso.
—Problema risolto? — disse Hansie.
—Problema risolto? — disse Mike.
—Problema risolto? — disse Erwin.
—Già, non ci è voluto molto in realtà. Vedete mi sono fatta delle domande sulla disposizione interna del reticolo cristallino. Quindi ho pensato, che poteva esserci solo un modo per aprirlo, ovvero rompere il cristallo con qualcosa di più duro e la cosa più dura del mondo è il diamante; vedete la sua durezza Mohs… Ma non è che vi sto annoiando? — chiese Emma ai tre soldati.
—No, ma se potessi arrivare al dunque te ne saremmo davvero grati — disse Hansie nel modo più gentile possibile.
—Certo, allora ho preso un diamante, l’ho attaccato alla superficie del cristallo e poi ci ho dato una forte martellata sopra. E il cristallo si è rotto tutto e Annie è caduta sul pavimento di faccia, credo si sia fatta male.
Hansie voleva dire qualcosa, aprì la bocca, ma il suo cervello era così impegnato a cercare qualcosa da dire che le fece richiudere la bocca subito. Eppure Hansie qualcosa si sentiva in dovere di dirla, quindi riaprì la bocca e provò a dire qualcosa, ma l’unica cosa che disse fu un "AH" poco convincente.
—Bene, è stato un piacere ragazzi! — disse Emma salutando e salendo nella carrozza, lasciando i tre soldati a riflettere sul perché a loro non fosse venuto in mente di usare un diamante, lasciando che la risposta fosse ovviamente, perché non avevano un diamante, con la conseguente altra domanda e perché non abbiamo un diamante? ed alla finale consapevolezza che se non avevano pensato al diamante e non avevano un diamante, era per il semplice motivo che nessuno di loro era un geologo.
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
Giunta alla sede centrale dei Reparti Speciali, Emma venne raggiunta dalla sua assistente che le fece l’elenco delle cose da fare, le portò il caffè e le disse che c’era un ragazzino, piuttosto agitato, che la stava aspettando vicino al suo laboratorio. Tale ragazzino aveva portato con sé uno stano qualcosa. Tale ragazzino era Jean che se ne stava seduto in una scomoda poltrona stringendo tra le mani un grosso fagotto bianco da cui spuntava una coda tozza.
—Comandate Summerstone, sono Jean Kirschtein — disse Jean alzandosi e tentando di fare il saluto con in mano il pesante fagotto.
—Ciao Jean, che cos’hai lì? — chiese Emma storcendo il naso, dato che il fagotto emanava un odore cattivo.
—È una cosa che ho trovato in giro, penso si venuto da fuori le mura.
—Perché l’avresti portato qui?
—Questi sono i Reparti Speciali.
—E tu pensi di essere speciale?
—Non io, ma la cosa che ho trovato.
Emma fece un sorriso tirato, in fondo dare un’occhiata non le sarebbe costato nulla, quindi aprì la porta del laboratorio e lasciò che Jean depositasse il maleodorante fardello su un tavolo liscio e lucido di metallo. Il ragazzino si girò, fece un nervosissimo sorriso cercando di creare suspense nelle due donne.
—State per vedere il cane più brutto della vostra vita — detto ciò Jean scoprì il telo, mostrando il cane più brutto che le due donne avessero mai visto. E per essere brutto era brutto. Aveva la testa grossa e lunga, le zampe all’infuori del corpo e la spina dorsale che si stendeva troppo furori dalla pelle; poi c’era la coda, lunga e viscida dall’aria inutile tanto quanto la freccia che sbucava da ambo i lati della testa.
—Questo è il cane più brutto che io abbia mai visto — disse l’assistente di Emma.
—E la freccia? — chiese Emma Summerstone.
—L’abbiamo usata per ucciderlo, aveva quasi azzannato delle persone — disse Jean.
—Io non credo che questo sia un cane.
—E allora cos’è?
—Non ne ho idea.
 
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
 
 
 
Levi arrivò in tremendo ritardo. Aveva passato metà della mattinata a convincere Annie che quello che stava vedendo era solo nella sua testa e che non era mai accaduto nella realtà, anche se in un certo senso era accaduto un paio di volte nella realtà, se per realtà si intendeva la mente di Levi in preda all’inconscio del sonno. Aveva poi dovuto spiegare la differenza tra la realtà corrente e quella che c’era nella sua testa, che di per sé non si poteva definire realtà, ma solo immaginazione, anche se quell’immaginazione era avvenuta nella realtà.
Quella serie di ragionamenti gli aveva fatto venire un gran mal di testa e aveva quindi dovuto passare del tempo steso per farselo passare, tempo che lo aveva portato ad arrivare in tremendo ritardo dal fabbro e al lavoro.
Giunto alla sede del suo nuovo lavoro, salì le scale ed entrò nella sala d’ingresso che trovò vuota. Andò negli uffici, che trovò vuoti. Passò per i laboratori che trovò vuoti. Allora pensò di aver sbagliato posto.
Proprio quando stava per andare nel cortile di raduno, incontrò l’assistente di Emma, una tipa tirata e dall’espressione troppo seria.
—Ho avuto un contrattempo — disse Levi.
—Non siete in ritardo, qui le attività iniziano alle nove mezza della mattina — rispose in tono formale, un tono di voce usato dagli assistenti.
— Sul serio, avete proprio un gran da fare — commentò Levi sarcastico —Insomma, non mi pare che vi ammazziate di lavoro, noi iniziavamo alle sei della mattina e non si sa a che ora della notte si finiva; per non parlare delle missioni e delle ricerche. Qui come siete messi invece? Tanto per sapere.
—Siamo messi che si inizia alle nove e mezza e si finisce alle cinque e mezza, come in tutti i più comuni uffici. Le missioni vengono fatte solo nel fine settimana se necessario e le ricerche sono affidate ai ricercatori e non ai soldati o ai generali, come in tutti i più comuni uffici — rispose l’assistente in tono formale, un tono usato dagli assistenti.
—E io che cosa dovrei fare? — chiese Levi che più parlava e più si sentiva frustrato.
—Lei, signor Levi, sarà il nostro soldato olistico.
—Eh??
—Soldato olistico. Le verrà affidata una squadra e con loro farà delle cose che influenzeranno il futuro in modo esatto.
—Cioè, in pratica, dovrei fare fuori dei giganti a casaccio?
—Se le fa piacere interpretarla in questo modo, sì, dovrà far fuori dei giganti a casaccio, ma che in realtà, grazie alle interconnessioni del destino, saranno esattamente quelli che dovevano morire.
C’era gente che considerava quelli dell’Armata Ricognitiva dei pazzi rivoluzionari. In un certo senso avevano ragione perché solo dei pazzi avrebbero cercato di rovesciare un governo senza un degno programma propagandistico e qualcuno da mettere al posto dell’attuale re. O come la pensava Levi, dei pazzi che volevano rovesciare il governo senza un esercito armato fino ai denti e di cannoni a mitraglia portatili.
Tuttavia, adesso che era entrato a far parte dei Reparti Speciali, la sua idea di pazzia fu totalmente rivoluzionata dal ruolo che gli avevano appena affibbiato dato che solo un pazzo giustificherebbe una strage insensata con una cosa chiamata olismo.
—Se mi vuole seguire, la presenteremo al resto dei Reparti — disse in tono formale l’assistente, un tono tipico degli assistenti.
Levi la seguì in una piccola anticamera, dove trovò il Comandante Summerstone che si sistemava il trucco, che quando lo vide fece un sorrisetto sardonico.
—Signor Levi, che bella acconciatura — disse Emma indicando la parte posteriore dei capelli di Levi, tutti scompigliati.
—Per la fretta di arrivare in tempo non ho potuto sistemarli dopo che mi ero alzato dal letto — ed era vero, Levi se ne era accorto dopo aver sentito la parola "uffici".
—Certo, certo, non devi mica vergognarti ad avere una donna, dopo quello che hai passato è normale — disse Emma in tono comprensivo.
—Io non ho una donna, al momento; ho fatto tardi perché il gigante femmina mi ha intrappolato in una crisi adolescenziale — disse Levi esasperato per il fatto che quella tizia sapesse della sua crisi con Erwin e fregandosene del segreto appena rivelato e di tutte le sue conseguenze.
—Hai già fatto la conoscenza della nostra nuova recluta, mi fa piacere che facciate amicizia, ma finché è minorenne ti sarei grata se ti limitassi a quella.
Levi sbatté le palpebre una decina di volte prima di realizzare tutto quello che era successo in meno di dieci secondi. Pensò ad una domanda: perché? Non pensò alla risposta. Iniziò a sentirsi come un orologio la domenica pomeriggio, iniziò a sentirsi come le lancette che unendosi tra loro segnano l’inizio della lunga e oscura pausa caffè dell’anima, che nella testa di Levi si concretizzò non come la fine della settimana, ma come la sua consapevolezza che finché non avesse trovato una risposta decente al perché era in quella situazione, la sua lunga e oscura pausa non sarebbe terminata. Quanto sarebbe durata questa pausa nessuno lo sapeva.
—Va bene, ma dillo anche a lei — disse Levi.
—Tranquillo, ho il suo diario segreto e se prova a fare qualcosa lo pubblico in un istante — disse Emma.
—Non oso pensare all’imbarazzo.
—In realtà non è poi così imbarazzante.
—Le truppe sono allineate Comandante — disse l’assistente.
Emma e Levi salirono un piccolo palco. Le truppe contavano duecento persone allineate perfettamente in file da dieci. I due ufficiali si misero uno accanto all’altro poi Emma iniziò a parlare.
—Bene, miei cari, come sapete, grazie alla gentile concessione dell’Armata Ricognitiva, adesso disponiamo di un gigante tutto nostro che useremo per prendere il meteorite che si è schiantato la settimana scorsa vicino alla foresta di sequoie. L’oggetto in questione ha un diametro di… — Emma iniziò a sparare cifre assurde sulla grandezza di un sasso che nemmeno aveva mai visto se non da un cannocchiale, continuando a parlare della storia di come i sassi cadessero sulla terra più spesso di quello che si pensava, un discorso che fece materializzare nella mente di Levi la parola NOIOSO appena dopo cinque minuti che aveva prestato attenzione.
La sua mente vagò per un po’ sui ricordi del periodo passato, su quante probabilità ci fossero che Erwin e gli altri suoi amici stessero pensando a lui, se gli mancava e se loro mancavano a lui. Rifletté sul fatto che non aveva la più pallida idea di che cosa facesse un soldato olistico, o se olistico significasse davvero qualcosa, oppure pensò a come sarebbe stata la sua vita da quel momento di pausa, sarebbe stata uguale, sarebbe stata noiosa, sarebbe stata divertente, sarebbe stata felice, sarebbe stata facile, sarebbe stata difficile, pensò ad un sacco di sarebbe stata, lasciando solo una piccola consapevolezza, cioè che Erwin gli mancava tantissimo, assieme a tutte le sue stranezze.
—…quindi ragazzi vediamo di darci dentro! — Emma sembrava aver finito il discorso; meglio pensò Levi, tutti quei pensieri lo rendevano indeciso perché non aveva mai pensato cose simili.
—Proprio come ha fatto sta mattina il Caporale Maggiore Levi con la sua donna!
A quelle parole una ola degna solo del più grande ippodromo delle mura si levò dal fondo delle fila per giungere in prossimità del palco. Nello sconcerto più totale a Levi sembrò di vedere uno striscione con sopra scritto: Levi sei tutti noi, urla e grida di giubilo giunsero da ogni dove e la standing ovation giunse solo quando Emma chiese chi voleva far parte della squadra del Caporale.
In tutto quel marasma, che somigliava all’esplosione del Big Bang, l’unico pensiero che attraversò la mente di Levi fu: no, non posso ammazzarla davanti a tutta questa gente.
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
 
 
La zona dell’impatto si estendeva per circa tre chilometri. Era caratterizzata da un grosso buco dalla forma vagamene circolare, una voragine all’interno del buco, la foresta di sequoie a trenta metri di distanza dalla voragine e una catapecchia dove viveva un uomo considerato un’eremita, me che in realtà era l’uomo che governava l’Universo. L’uomo viveva assieme al suo gatto e passava le giornate a scarabocchiare su pezzi di carta.
La squadra di studio primario giunse nei pressi della voragine senza intoppi; non c’erano giganti nei paraggi, solo in lontananza se ne videro alcuni, ma nessuno ci fece caso perché presi dalla sistemazione delle attrezzature, né fecero caso alla pianura attorno disseminata di parti di giganti fumanti, né al dettaglio altamente trascurabile che i giganti in lontananza avevano dei lunghi colli e delle corte code e si muovevano in branco.
La squadra dei ricercatori scese nella voragine per fare il campionario dei reperti che avrebbero trovato. Levi era più che certo che si chiamasse campionatura dei reperti e che il campionario avesse più a che fare con i vestiti, ma non disse nulla; per esperienza sapeva che non bisognava correggere uno scienziato o si sarebbe offeso e non avrebbe rivolto parola a chi lo aveva offeso per almeno una settimana. Decise allora di parlare con la sua nuova squadra.
Le quattro persone che gli stavano davanti avevano tutt’altro che l’aria di gente che aveva voglia di sacrificare la propria vita per la patria o la libertà. Una era una ragazzina minuta con delle piccole piume colorate attaccate ai capelli; l’altro un tipo dall’aria allampanata e che poteva tranquillamente essere il gemello della ragazzina con le piume; un altro era un tale che aveva la pelle stranamente tirata indietro, Levi aveva l’impressione non battesse mai le palpebre. Infine c’era un signore brizzolato con degli spessi occhiali neri.
I quattro lo fissavano come in attesa di una qualche reazione. Era più di mezz’ora che se ne stavano all’ombra delle sequoie aspettando che qualche gigante saltasse fuori per essere ucciso, tuttavia l’unica cosa che era saltata fuori era l’uomo che viveva nella catapecchia e che sosteneva che non si poteva essere certi che i giganti esistessero perché non se ne poteva avere una chiara percezione nel tempo che di per sé era una semplice invenzione.
—Salve — disse Levi nel modo più cordiale che conosceva, che assomigliava ad una frase da inizio interrogatorio —Immagino sappiate parlare, sembrate sapere chi sono io, mentre voi chi siete?
—Oh, io sono Ashley — disse la ragazzina con le piume.
—Belle piume — disse Levi.
—Io invece sono Alexandré, ma tutti mi chiamano Alex — disse il tizio allampanato.
—Posso immaginare il perché — disse Levi con ovvietà.
—Invece io sono Brian e vengo da Betelgeuse — disse l’altro tale.
—Non ci sono mai stato — disse Levi.
—Molto piacere, io sono Gordon Erich III, sono dalla cinta interna — disse il tizio con gli occhiali.
—Non avevo dubbi — disse Levi disgustato.
Passato quel momento, Levi decise che se c’era un modo per conoscere bene i suoi compagni di squadra, era vedere come combattevano in campo aperto. Data però la penuria di giganti si sarebbero dovuti addentrare nella foresta, il che era anche meglio per vedere come se la cavavano perché gli alberi erano l’ideale per sfruttare il sistema per la manovra tridimensionale.
—Allora, siccome non so quali sono le vostre capacità effettive, ora faremo una gara a chi uccide più giganti.
Brian alzò la mano.
—Sì, che cosa c’è? — disse Levi irritato.
—Che si vince?
—Niente.
—Ma bisogna vincere qualcosa, è la regola.
Levi avrebbe voluto rispondere che essere vivi sarebbe stata già una vittoria, ma sentiva che non sarebbe servito a nulla, allora la prima cosa che pensò divenne il premio.
—Si andrà in un posto a festeggiare e lo sceglierà chi ha vinto — disse Levi senza darci troppa importanza.
Una cosa che contraddistingue certi esseri da altri è l’innata capacità di questi di prendere decisioni sbagliate. Sembra che tale capacità nasca dal desiderio inconscio di creare situazioni favorevoli. Peccato che nella maggior parte delle volte ciò avvenga solo nella loro mente, perciò, quando la decisione che prendono appare giusta, nella realtà è completamente sbagliata.
Come per il pianeta Kaitos, dove l’impiegato della ditta Farla Spedizioni Transoceaniche aveva deciso che alla cena di gala con i rappresentanti del bellicoso pianeta Gollanta, non avrebbe portato lo stappa bottiglie. Proprio quella sera c’era in corso lo sciopero degli stappatori di bottiglie contro le fabbriche di bottiglie che usavano materiali scadenti per i tappi che si spezzavano sempre, costringendo gli stappatori a stappare più volte il tappo. Quindi quella sera, quando fu il momento di aprire la bottiglia di spumante Vandana, il migliore in circolazione, nessuno aveva uno stappa bottiglie. Questo fece molto arrabbiare i rappresentanti del bellicoso pianeta Gollanta, che dichiararono guerra al pianeta Kaitos, guerra che portò alla distruzione parziale delle due civiltà.
Dopo circa quattro ore la gara finì. Durò così tanto, perché i soldati impiegarono tre ore solo per trovare un nido di giganti e impiegarono l’ora successiva per la gara effettiva.
—Sembra che a vincere sia stata Ashley — disse Levi ignorando le proteste degli altri due. La ragazzina sorrideva allegra, mentre stava in piedi davanti all’ultimo gigante che aveva ucciso che fumava per la decomposizione.
Alex continuava a protestare assieme a Brian.
—Non vale ha ucciso tutti giganti piccoli, il mio invece é grosso tanto quanto i suoi messi assieme!
—Vorrei ricordarti che la gara era a chi ne uccideva di più e non a chi uccideva quello più grosso — rispose Levi seccato.
—Il tuo è grosso, guarda il mio allora — Brian indicò il suo gigante. Levi e gli altri si sporsero a guardare. Era il gigante più strambo che avessero mai visto, era lungo circa nove metri, la pelle era dura, per qualche assurda ragione aveva la testa minuscola e pesantissima, altrimenti non si sarebbe spiegato il perché avesse la schiena in diagonale e con delle protuberanze simili a rombi e coni.
—Questo affare che hai ucciso tu non sembra neanche un gigante — commentò Levi e poi gli venne in mente di andare a dire ad Hansie di quello strano esemplare che avevano ucciso, poi si ricordò che non lavoravano più assieme e lasciò perdere.
—Bene, dunque immagino si debba scegliere un posto dove andare a festeggiare — disse Gordon.
—Tu perché non hai fatto niente? — chiese Levi alzando un sopracciglio.
—Ho un problema alla schiena.
—E perché fai ancora il soldato?
—Per via delle mie conoscenze in campo letterario.
—Sì, certo, non se ne ha mai abbastanza di gente di lettere.
Il resto della giornata lo passarono a discutere sul posto dove andare a festeggiare. Tra una serie infinita di locali, scelsero un piccolo pub dall’aria modesta, con gli interni in legno, un tizio che suonava un pianoforte sgangherato, uno scaffale dietro il bancone pieno zeppo di boccali e liquori perfettamente allineati e lucidati. L’aria era allegra come le persone che stavano all’interno, nessuno di loro si stupì nel vedere entrare il piccolo gruppo di soldati, tanto meno il Caporale Maggiore Levi, anzi continuarono a farsi gli affari propri senza esclamazioni di ovvietà e indicando in modo sgarbato.
Il gruppetto si sedette a un tavolo, Brian andò ad ordinare da bere, portò i boccali e poi sparì per andare a salutare il tizio che doveva essere un suo amico. Gli altri passarono il tempo parlando del più e del meno. Ashley iniziò a farneticare sui suoi antenati che venivano chiamati nativi, vivevano in tribù e vantavano una specie di storia secolare; Gordon affermò che sarebbe stato interessante scrivere un libro su questi nativi; Alex disse che scrivere un libro su della gente che non si sapeva se esisteva o meno era una cosa insensata; Levi diede ragione a Alex.
Proprio in quel frangente, Levi si rese conto che quello che stava facendo era quello che, in genere, facevano le persone normali. La cosa lo sconvolse. Per molto tempo, si era sempre considerato uno un po’ sopra la norma, il che gli aveva creato dei piccoli problemi a livello sociale e di interazione. Il fatto che frequentasse poi degli squinternati che si trasformavano in giganti, sorridevano come dei pazzi, annusavano la gente o fossero entusiasti di ogni cavolata riguardo i giganti, non è che fosse d’aiuto per essere considerato uno normale. Però, adesso stava con gente normale, persone che lavoravano con orari da ufficio, vivevano in case popolari e andavano a bere ai pub. Essendo quindi tutto quello che faceva normale, era diventato automaticamente una persona normale, questo spiegava il perché nessuno lo avesse notato quando era entrato e in parte, si disse Levi, spiegava anche il desiderio di Erwin di vivere la vita di società. Fu una rivelazione che lo indusse a sentirsi in colpa per tutte le lamentele che aveva fatto a riguardo e dopo il terzo boccale di birra senza schiuma (la schiuma lo faceva sentire a disagio) iniziò a sentirsi incredibilmente triste.
Dopo quasi due ore, l’atmosfera divenne fumosa e il chiacchiericcio raggiunse un livello abbastanza alto perché si dovesse urlare per parlare. Dalla gente attorno al bancone emerse Brian, con gli occhi leggermente rossi e con l’aria di uno che ha bevuto sette Gotto Esplosivo Pangalattico.
—Ehi ragazzi, ci facciamo un tiro? — disse Brian porgendo ad ognuno di loro una cannuccia che sembrava contenere del tabacco.
—Questa roba chi te l’ha data? — indagò Levi osservando la sua cannuccia.
—Un tizio che mi doveva un favore — Brian alzò le spalle e accese la sua cannuccia, si sedette e iniziò a fumare. Gli altri lo imitarono. Levi li fissò di traverso, decise che non ci sarebbe stato nulla di male e accese la sua cannuccia. Dopo il primo tiro un odore pungente si espanse nell’aria, seguito da uno stato generale di rilassamento e benessere.
Il cervello di Levi comunicò che aveva appena raggiunto un livello che gli dava il permesso di comunicare senza tanti problemi al Mondo tutto quello che gli passava per la testa. Lo stesso valeva per gli altri suoi nuovi amici.
—Io credo che il mio spirito guida sia un unicorno — disse Ashley con ferma convinzione —Ecco perché ho chiamato la mia puledra principessa Castalia; se esistesse un regno io sarei la regina Castalia — continuò Ashley.
—Una volta ho ucciso un uomo — disse disperato Alex; prese il braccio di Brian e iniziò a stringere forte.
—No amico, io ero là — disse Brian annuendo.
—È stata colpa mia.
—No, è stata la scala ad inciampare, non tu.
Alex iniziò a piangere.
—Secondo me Erwin fa un sacco di preliminari — disse Levi perplesso —Insomma è sempre fissato con questa storia dell’essere romantici anche tra uomini. Io la trovo ripugnante — continuò Levi fissando Gordon.
—Vuol sentire il mio discorso per quando vincerò il premio letterario dell’anno? — chiese Gordon sistemandosi gli occhiali.
—Una volta mi ha abbracciato, all’inizio è stato disgustoso, ma poi ho iniziato a sentire del calore; roba forte, roba tipo: questo è cento volte meglio del caminetto.
—Vorrei innanzi tutto ringraziare le persone presenti che hanno scelto me per il premio letterario di quest’anno.
— È durato così tanto, è stato così intenso; stavo quasi per abbracciarlo anche io, forse avrei dovuto.
—All’inizio non pensavo avrei vinto, soprattutto non pensavo avrei mai ricominciato a scrivere, ma ora che sono qui, so di aver fatto la scelta giusta.
—È stato allora che ha iniziato a piacermi il fatto che Erwin mi abbracciasse, o meglio il fatto di essere abbracciato da Erwin, o meglio il fatto che mi piacesse quello che sentivo.
Levi fece una grande scoperta in quell’istante, scoperta che doveva assolutamente condividere con tutto i presenti. Si alzò in piedi, attirò l’attenzione degli altri e poi parlò:
—Io credo di aver appena scoperto, come è nato l’Universo — disse Levi e nella sala calò il silenzio —Immaginate di riempire una vasca con della sabbia; poi togliete il tappo e fate scorrere la sabbia via; ora pensate a questa cosa, però al contrario.
Nella sala ognuno pensò a quella scena. Quei pochi che ne capirono il vero senso sgranarono gli occhi e corsero fuori dal pub per divulgare la notizia, ma correndo pensarono al tragitto da fare e si scordarono tutto. La maggior parte non capì il senso e tornò a bere e chiacchierare. Per quanto riguarda le cinque persone sedute al tavolo di legno del pub, i loro cervelli decisero che era il momento di spegnersi per un po’.
 
 


 
6
 
 
 
 
 
 
Il cielo della notte si rifletteva nel fiume che attraversava il piccolo paese vicino alla breccia del Wall Rose. Il fiume fu attraversato da uno degli inquilini venuto da fuori.
L’inquilino se ne era stato tutto il giorno a dormire nella frescura della foresta, svegliandosi di tanto in tanto per mangiare e cambiare posizione per dormire. Verso sera aveva deciso di farsi una nuotata per sgranchirsi gli arti. Passato sotto il ponte, aveva deciso di riemergere vicino ad una grande pianura erbosa ai confini del piccolo paese, andando ad attraversare una barca che era stata ormeggiata proprio nel punto della sua emersione.
Quando attraversò la barca, fece un gran baccano, svegliando tutto il vicinato, così aveva proseguito per la sua strada senza voltarsi indietro. Certo, se fosse rimasto avrebbe dovuto spiegare il perché era riemerso proprio lì e non un paio di metri più avanti, si sarebbe aperto un contenzioso e si sarebbe addirittura giunti in tribunale.
Anche se, l’inquilino era certo che, per quanto buona volontà gli esseri umani ci avrebbero messo, non sarebbero mai riusciti a trovare un tribunale lungo più di dodici metri e alto abbastanza da contenere la sua spina neurale, l’inquilino era anche certo che nessuno parlasse la sua lingua.
Perciò se ne andò a bighellonare in giro, finché non trovò dei giganti fuori posto, ci bisticciò e poi se li mangiò. Infine, trovò un salice e si mise a dormire sotto la fronda, finché non fu svegliato due giorni dopo dal richiamo gracchiante di un Marvin.
 
 

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Capitolo 5
*** Fondamentalmente Innocuo ***


Alla voce 23001 della Guida Galattica per Autostoppisti, si parla della letteratura terrestre. Nella categoria Libri Interessanti, nella sotto sezione Libri Che Fanno Provare Emozioni, nell’Elenco Emozioni (in ordine alfabetico), alla voce Tristezza, troviamo il libro rivelazione Tutti i Miei Mostri. Nella Guida lo si specifica con il nome: il libro quasi-rivelazione-ma-che-un-giorno-molto-probabilmente-lo-sarà Tutti i Miei Mostri. Di questa simil-enciclopedia se ne elogiano le competenze nell’illustrare tutte le terribili lucertole, l’esattezza con cui vengono riportate le dimensioni, soprattutto quelle delle spine dorsali, e la capacità di indurre le persone alla tristezza più imbarazzante.
Un’altra informazione importante da tenere in considerazione quando si parla delle lucertole terribili è che, nell’unica simil-enciclopedia, è scritta una cosa che le accomuna tutte quante nonostante la varietà di razza, nonostante la marcata distinzione tra lucertole terribili, lucertole volanti e lucertole-molto-probabilmente-acquatiche, ovvero che alla voce pericolosità di ognuna di esse è scritto FONDAMENTALMENTE INNOCUO.
Il perché, disse l’autore prima che un meteorite si schiantasse sulla sua cantina e anche sulla sua casa, facendolo arrivare in ritardo alla cerimonia di premiazione e facendogli così perdere il titolo di Libro dell’Anno, fu che se sulla pericolosità c’era scritto FONDAMENTALMENTE INNOCUO era perché tutte le lucertole terribili, lucertole volanti e lucertole-molto-probabilmente-acquatiche erano estinte, quindi non in grado di nuocere alle persone e (purtroppo) anche ai giganti.
Ciò è in parte vero, ma in parte non tanto. Il fatto è che se alle lucertole terribili o a quelle volanti o quelle molto-probabilmente-acquatiche fosse stato chiesto se gli sarebbe interessato nuocere agli esseri umani, avrebbero risposto che l’idea di mettersi a stanare delle creature così piccole sarebbe stato un totale spreco di energia, quando c’erano a disposizione delle copie più grandi e, a detta di alcuni di loro, più gustose che scorrazzavano libere ed abbondanti. Inoltre, avrebbero aggiunto che quando mangiavano le copie più grandi si sentivano come se stessero facendo la cosa giusta.
In effetti, era così. Madre Natura ce l’aveva a morte con i giganti per varie ragioni. Intanto erano brutti, stupidi e non è che fossero un capolavoro, tanto che all’8000° Congresso degli Artisti della Galassia, sul pianeta Sijjin nel Quadrante Orientale, riuscirono a mettere d’accordo tutti i critici d’arte che li etichettarono come le creazioni peggio riuscite dopo le zebre monocromatiche del pianeta Sheol, nel quadrante Settentrionale della Galassia.
Fatto sta che Madre Natura, quando aveva deciso di farli sparire, aveva anche deciso di infilare nel cervello delle lucertole terribili qualche percentuale di quoziente intellettivo che non si limitasse al mangiamo, riproduciamoci e sopravviviamo, ma qualcosa che permettesse loro di capire che se erano lì era per uno scopo preciso, per una missione, cioè dare una mano a quegli incapaci degli esseri umani a far fuori i giganti. Ovviamente, l’innalzamento della percentuale d’intelligenza aveva fatto sì che le lucertole sviluppassero delle personalità.
Perciò, oltre ad assolvere la loro causa primaria, amavano discutere sul perché gli insetti avessero quel retrogusto farinoso, sul perché le foglie di melo delle coltivazioni umane fossero così tenere o sul quale fosse il punto giusto per buttare giù quel muro.
Questo, loro malgrado, li rendeva molto più vicini agli esseri umani di quanto questi ultimi potessero immaginare.
 
 
 
 
 
 
 
1
 
 
 
 
 
 
Levi aprì gli occhi e si alzò seduto, pentendosi quasi subito di averlo fatto.
La testa gli girava come se fosse stato al posto della ruota di un mulino; sicuro che non gli sarebbe passato prima di qualche minuto, decise di restare sdraiato, lasciando che la testa decidesse quale fosse il sopra, il sotto e di lato. Sospirò. Passarono circa dieci minuti, poi si rialzò di nuovo. La stanza aveva smesso di girare, assunse quindi le sembianze di un elegante salotto con mobili e tappezzeria raffinati e una modesta collezione di fucili appesa a una parete.
Si alzò in piedi e iniziò a dare un’occhiata alle armi, mentre il resto della compagnia si metteva in piedi a sua volta. I ragazzi si guardarono tra loro rendendosi conto di essere solo con i pantaloni (i maschi), con la vestaglia (l’unica femmina) e che Gordon era sparito. Iniziò a diffondersi il panico quando capirono di avere, della serata precedente, solo vaghi ricordi confusi.
—Cosa cavolo ci hai fatto fumare ieri sera, Brian? — disse Ashley.
—La solita roba — disse Brian —Vi ricordate qualcosa?
—Io mi ricordo di qualcuno che ha detto di voler vincere un premio — disse Alex.
—Io mi ricordo di aver sentito qualcuno dire di aver ucciso per sbaglio qualcun altro — disse Ashley.
—Io mi ricordo di qualcuno che ha detto che gli piaceva il Comandante dell’Armata Ricognitiva — disse Brian.
—E chi era?
—Io no.
—Io nemmeno.
—Non credo sia Gordon, è sposato.
I tre ragazzi si girarono in contemporanea verso Levi, che contemporaneamente prese uno dei fucili della collezione, si voltò ed esibì il suo tipico sguardo da assassino.
—In ginocchio con le mani dietro la testa — disse gelido Levi.
I tre pensarono stesse scherzando, poi capirono che non era uno scherzo quando Levi caricò il fucile e lo puntò verso di loro, quindi si misero in ginocchio con le mani dietro la testa, sudando freddo.
—Sembra che sappiate troppe cose, voi tre — disse minaccioso Levi.
—Signore, la prego ci pensi bene — disse Alex disperato —Se ci uccide dovrà disfarsi dei nostri cadaveri, farli a pezzi per farli entrare in una cassa, trovare un posto dove mettere la cassa, seppellirla e ovviamente, la cassa peserà tantissimo ci vorrà del tempo, tempo che avranno gli abitanti della casa per trovare la scena del crimine e poi quando lei tornerà dall’aver seppellito la cassa dovrà uccidere tutti i presenti e trovare una cassa ancora più grande…
—Non intendo fare nessuna di queste cose — Levi interruppe Alex.
—Signore, guardi io sono bravissimo a scordarmi le cose, già non mi ricordo più di cosa stavamo parlando — disse Brian —Di che stavamo parlando?
—Che al Caporale piace il Comandante dell’Armata Ricognitiva — rispose Alex.
—Così siamo al punto di partenza, non solo sapete troppe cose, ma sapete anche ricordarle — disse Levi sempre più irritato.
—Signore, le posso dire che lei è molto sexy a torso nudo e con un fucile in mano? — disse Ashley provando una nuova strategia. Levi si guardò da capo a piedi, fissò gli altri e poi di nuovo se stesso.
—Per quale assurda ragione siamo conciati in questo modo? — chiese Levi sbattendo su un tavolo il fucile, dal quale partì un colpo, che rimbalzò in un piatto d’argento, bucò il soffitto e finì nel cervello del serial killer del palazzo. Ovviamente nessuno dei presenti seppe mai quello che era appena avvenuto, la Gendarmeria archiviò il caso come incidente domestico, quando in realtà avrebbe dovuto archiviarlo come avvenimento olistico confermando la teoria secondo la quale tutti i fatti sono tra loro concatenati e confermando che Levi era a tutti gli effetti un soldato olistico.  
Tuttavia, il colpo di fucile attirò l’attenzione dei proprietari della casa, che si apprestarono ad entrare nel salotto.
I padroni di casa erano il signore e la signora Erich, coniugi che vivevano nella cerchia detta Wall Sina, ma conosciuta come l’Uptown delle tre cinte murarie. La loro casa a terrazza era vicino alle mura per via del lavoro che svolgeva il marito, mentre la moglie si dedicava alla creazione di piccole sculture con la carta.
—Buongiorno ragazzi, vedo che siete svegli.
I quattro fissarono i due coniugi sbalorditi e anche confusi.
—Gordon, ma questa è casa tua? — chiese Levi.
—Sì, dopo che siete svenuti vi ho portato qui, vi ho steso sul tappeto e sono andato a dormire — rispose Gordon, osservando il fucile che aveva in mano Levi —Quello è scarico.
—Adesso sì — disse Levi rimettendolo a posto. Decise che non valeva la pena far fuori qualcuno per un pettegolezzo da pub. I tre ragazzi si sentirono sollevati.
—E ci hai anche tolto gli abiti? — chiese Levi.
—No, quella è stata Sakura — disse Gordon mettendo un braccio attorno alle spalle della donna asiatica accanto a lui che sorrise solare. Gli altri li fissarono leggermente interdetti.
—Gordon, tua moglie è asiatica — disse Brian.
—Sì, lo so.
—Lo sai che quelli come lei vengono considerati dei sovversivi e quindi soppressi.
—Naturalmente.
—E allora…— Brian gesticolò indicando la moglie di Gordon come se non dovesse essere lì, ma in un ristorante di pesce crudo.
—Diciamo che lei è stata ritenuta fondamentalmente innocua.
Gli altri si guardarono tra loro non molto convinti, mentre Levi iniziava a stancarsi di tutte quelle assurde perdite di tempo.
—Vorrei indietro i miei vestiti — disse alla moglie di Gordon.
—Ma certo, li ho messi a stendere. Sta mattina li ho lavati assieme ai capi rossi e le cose bianche sono diventate tutte rosa. Che magia, vero? — disse Sakura mettendosi a ridere di gusto.
A quel punto tutti capirono il perché del fondamentalmente innocua. Levi si avvicinò a Gordon.
—Esattamente perché l’avresti sposata? — chiese Levi.
—Un giorno l’ho trovata che rubava la mia biancheria, ho trovato la cosa molto interessante dato che anche a me piace collezionare le cose. Da lì puoi immaginare quello che ne è conseguito, ma di sicuro non l’ho sposata per la sua intelligenza — rispose Gordon.
—E allora perché?
—Perché la amo — rispose con ovvietà Gordon e poi aggiunse —Anche lei non ama forse il Comandante Erwin?
Levi ci pensò. Ci pensò fitto. Ci pensò così fitto che gli tornò il mal di testa e la stanza riprese a girare. Aveva la risposta alla domanda, si sforzò di ricordarsela e quando se la ricordò gli rivenne in mente la vasca piena di sabbia. Quella era la risposta alla domanda fondamentale alla sua oscura pausa caffè, non a come si era formato l’Universo. Semplicemente la vasca era lui e la sabbia che entrava erano i sentimenti di affetto che aveva provato quando Erwin l’aveva abbracciato. Non si ricordava quando era successo, o meglio, se lo ricordava, ma era una storia così lunga e tetra che ci sarebbe voluto troppo per raccontarla. Il fatto sconcertante fu e rimase, che l’aver fatto quella scoperta, non lo rese per niente felice o euforico.
—Uhm… No — rispose Levi dopo un po’ —Adesso andiamo al lavoro.
—È passato prima un dispaccio, tutte le attività sono sospese per via di un incidente accaduto qualche giorno fa — disse Gordon.
—Se è successo qualche giorno fa perché le attività sono sospese oggi?
—Perché è oggi che si sono accorti dell’incidente.
—Allora sarà roba da niente.
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
 
 
 
La roba da niente era accaduta nei pressi di un piccolo villaggio rurale comprendete una ventina di casette di gente che viveva pacifica e serena, almeno fino alla notte in cui non avevano sentito un ruggito squarciare l’aria e poco dopo un grido d’aiuto. Essendo gente pacifica non si erano azzardati ad andare a vedere che cosa era successo, ma avevano inviato un messaggero ad una delle tante caserme della Gendarmeria; il messaggio era stato consegnato, trascritto in triplice copia di cui due erano state distrutte; la terza era stata opportunamente persa per poi essere ritrovata e messa su una pila di documenti da controllare. Il controllo era avvenuto circa sei giorni dopo l’accaduto, il messaggio venne ritenuto di massima priorità. Chi andò a controllare trovò solo delle impronte strane, un piede peloso e qualcosa che assomigliava tanto a una lucertola però troppo alta e anche troppo lunga. Dopo aver raccolto le deposizioni, i membri della squadra della Gendarmeria rilasciarono un’intervista a dir poco eclatante, che comparve nel giornale dell’edizione del mattino del lunedì con la scritta: BIGFOOT, NEMICO O ALLEATO?
D’altro canto, nessuno di loro ancora aveva capito bene la situazione; gli unici che avrebbero davvero capito il perché della vita, l’universo e tutto il resto non erano al momento disponibili per poter spiegare perché stavano avvenendo quelle cose; tanto meno a spiegare quello che sarebbe accaduto in quella strana mattinata di lunedì. Il fatto è che nel Mondo le cose che sul serio hanno un senso nell’immediato non esistono. La Guida Galattica per Autostoppisti, nella voce, un senso alle cose riporta di un noto matematico statista, tale Maximillian Billambord Cercolifus, che calcolò il senso delle cose all’interno di un piccolo sistema solare composto da dodici pianeti, sei lune e due soli. Il risultato fu che se in un sistema così piccolo il senso immediato delle cose è nullo, in un sistema ancora più grande, come la Galassia stessa, era per lo più impossibile. Il risultato del calcolo che venne fuori, poi era simile a quello che nel lontano pianeta Magratea, il super computer Pensiero Profondo aveva dato come risposta alla domanda sulla vita, l’universo eccetera.
Ma, torniamo al nostro lunedì mattina nel piccolo pianeta azzurro alla periferia della Galassia; si dà il caso che l’incidete in questione, per un disguido tecnico (il messaggero era inciampato in un tombino e i fogli erano caduti dappertutto) il dispaccio sulla strana comparsa di forme di vita giganti, ma che non erano esattamente giganti, giunse alla sede dell’Armata Ricognitiva e a quella dei Reparti Speciali solo martedì.
Perciò, i soldati nella sala comune non avrebbero saputo nulla, almeno fino a quando accadde la seconda cosa strana di quella interminabile settimana. Che portò poi alla scoperta di un battello tranciato a metà, ad un ascensore volante, ad una festa di compleanno e una madre di famiglia iperprotettiva.
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
 
—Ti dico che è così! — disse Connie guardando gli altri suoi amici che lo stavano ascoltando e non piangendo ingozzandosi di gelato.
Gli altri lo fissavano poco convinti.
—Quindi quelli del villaggio hanno trovato delle impronte strane? — disse Reiner —Ma strane in che senso?
—Hai presente quelle che lasciano i corvi sulla neve, ecco quelle solo più grosse — disse Connie gesticolando.
—E quanto grosse? — chiese Ymir.
—Tipo che ci stanno dentro i piedi di quattro persone per tre.
—Il piede invece?
—Era una scimmia. O un tizio peloso. Oh, e la lucertola.
—Un tizio peloso o un gigante a forma di tizio peloso?
—Beh, mia madre ha detto che egli esperti erano concentrati sul cercopiteco coronato.
—Quindi c’erano una scimmia, una lucertola e un corvo gigante?
—Sì, esatto. E l’hanno chiamato Bigfoot.
—Il cercopiteco?
—No, il corvo.
—Mah — disse Reiner.
—Boh — disse Berthold.
Ymir si limitò ad un’alzata di spalle.
—Ragazzi è la verità, lo dice il giornale — protestò Connie.
—Il fatto è Connie che un corvo gigante non lo ha mai visto nessuno e se invece che un corvo fosse una cornacchia? — disse Reiner.
—Le cornacchie sono più piccole dei corvi, ma della stessa famiglia — disse Berthold.
—Ragazzi, solo io ho l’impressione che non sia questo il vero problema, ma il nome che hanno dato al corvo gigante? — disse Connie.
Ymir andò a parlare con Armin, che era intento a cercare di tirare su il morale a Mikasa. Un’ardua impresa, che nemmeno le lusinghe di Jean stavano vincendo. Sasha era lì solo per il gelato. Mentre l’altro era là per fatti suoi. Ma, poiché era da poco che si era insediato nella sua nuova tana fatta di legno e sassi, iniziò l’esplorazione nell’eventualità ci fossero dei rivali da far fuori. Strisciò quindi tra i tavoli della sala comune indisturbato.
—Come vanno le cose qui? — chiese Ymir.
—Non molto bene — ripose Armin.
Entrambi guardarono Mikasa che prendeva un cucchiaio e lo immergeva in una scatola con dentro il gelato.
—Mikasa senti, se continui così finirà che diventerai…— Jean stentò a parlare per cercare il temine giusto —Finirà che perderai la tua velocità nell’uso del sistema per la manovra tridimensionale.
—Che senso ha ormai? Io, io volevo solo stare vicino a Eren, sempre, invece — piagnucolò Mikasa e tornò ad affondare il cucchiaio nella scatola.
—Certo che dopo Annie, con Christa il canone è rimasto sempre quello; questo non dovrebbe suggerirti qualcosa, Mikasa? — disse Armin sperando che questo servisse a dare una logica alle scelte di partner da parte di Eren; sfortunatamente servì solo a far desiderare a Mikasa di essere bionda e bassa.
—A proposito, lo sapevate che Annie è uscita dal cristallo e adesso milita nei Reparti Speciali? — disse Jean.
Mentre gli altri fecero dei commenti di circostanza, a quella notizia Mikasa smise di mangiare il gelato e scattò sulla sedia.
—Sul serio! Allora verrà da me per vendicarsi di essere stata battuta, sicuramente! Ma certo! — disse raggiante Mikasa rivolgendosi a Jean.
—In realtà nessuno sa dove sia attualmente, secondo me se ne è andata — disse Jean.
Mikasa guardò il ragazzo, si mise a sedere e ricominciò a mangiare gelato piangendo; questa non l’ho capita si disse Armin che in genere capiva sempre tutto prima degli altri. Se avesse capito subito, si sarebbe messo a ridere.
Qualcosa sgusciò fuori da sotto un tavolo, Sasha si voltò a guardare. La cosa che sgusciò fuori la guardò a sua volta.
—Ragazzi, da quand’è che l’Armata Ricognitiva si è fatta il cane? — disse Sasha indicando la cosa che era sgusciata da sotto il tavolo.
Gli altri presenti si radunarono attorno alla cosa che era sgusciata da sotto uno dei tavoli, fissandola. La cosa li fissò a sua volta. Il gruppo di amici pensò che quello fosse il cane più brutto che avessero mai visto. La cosa pensò che quelli fossero gli esseri umani più stupidi che avesse mai ascoltato. Inoltre, pensò anche che fossero stupidi di natura, dato che uno di loro, il capo branco che puzzava di qualcosa di appetitoso, si avvicinò per cercare di accarezzarlo (mentre la cosa si avvicinò per cercare di mangiarlo).
Poiché la cosa era più intelligente, quando vide il caos scatenato dalla sua reazione aggressiva, decise di chiedere scusa, ma non funzionò perché i cervelli dei presenti erano troppo primitivi per comprendere la serie di ringhi e ruggiti che uscirono dalla gola della cosa che era sgusciata da sotto il tavolo. La cosa teorizzò poi che quella razza autoctona era estremamente belligerante e una soluzione diplomatica non sarebbe servita; a confermare la teoria fu la freccia che usarono per abbattere la cosa.
—Sasha, l’hai ucciso in un colpo solo! — disse Armin.
—Dite che sono stata troppo irruenta a trapassarlo da parte a parte? — chiese Sasha.
—No; ma più che altro, che razza di roba è questo? — disse Jean.
—È strano, meglio portarlo ai Reparti Speciali, so che sono loro che si occupano di queste cose — disse Mikasa.
—Già, hai ragione — disse Jean.
Nessuno si mosse. Nemmeno Jean.
—Intendevo, portarcelo adesso — precisò Mikasa.
—Oh, sì, ehm, aiutatemi a coprirlo con qualcosa — disse infine Jean.
Qualche minuto dopo, la cosa che era sgusciata da sotto il tavolo, era in un laboratorio per una veloce autopsia, qualche ora dopo Levi e i suoi nuovi compagni di squadra stavano decidendo dove andare a festeggiare la gara a chi uccide più giganti e qualche istante dopo che accaddero queste cose Armin si mise a ridere.
Questo è ciò che accadde il lunedì mattina, mentre quello che segue, è ciò che accadde il martedì mattina, il giorno in cui l’umanità capì che gran parte dei suoi problemi stavano per essere definitivamente risolti.





 
4
 
 
 
 
 
 
 
Il gruppo di soldati se ne stava sulla cima del Wall Rose ad osservare la prateria che si muoveva ondosa sotto di loro. Si estendeva fino ad un bosco di grossi aceri che sembrava perennemente scosso da fremiti. Per sottofondo c’erano i colpi di due lucertole che continuavano a sbattere la testa contro le riparazioni del portone del distretto di Trost. Ashley, Alex e Brian stavano parlando con dei soldati del Corpo di Guarnigione di nome Todd e Missy, mentre Levi se ne stava a riflettere su quanto aveva appena scoperto, cioè che non aveva capito niente dei suoi sentimenti e che se avesse perso più tempo ad occuparsi di loro, invece che di uccidere giganti, avrebbe vissuto una vita più felice. Nessuno notò la cicogna. Giunta l’ora, iniziarono a mangiare il pranzo che la moglie di Gordon, che in quel momento era a spasso col marito, aveva preparato loro. Il pranzo erano dei pancake. Impilati gli uni sugli altri in una torre da otto strabordante sciroppo d’acero, fissarono i propri ospiti con delle faccine sorridenti disegnate con il burro.
Nessuno fece commenti, si limitarono a mangiare e non credere che la donna avesse scambiato il pranzo con la colazione. Cambiarono idea quando scoprirono che nelle borracce, invece che l’acqua c’era del cappuccino.
—Se per pranzo ci ha fatto la colazione, per cena che cosa ci farà? — disse Alex disperato.
—Spero la cena — disse Levi.
Poco dopo sopraggiunse il Comandante Pixis, che si mise in disparte con Levi a chiacchierare osservando i giganti cornuti che pascolavano lontani.
—Posso farti una domanda? — disse Pixis —Perché siete così ossessionati dal voler per forza recuperare i terreni al di fuori delle mura?
—La domanda giusta sarebbe, perché non dovremmo? E soprattutto perché la gente dentro non vuole andare fuori? Voglio dire, l’ignoto spaventa tutti, ma sempre meglio che vivere in un posto così schifoso e nell’ignoranza di non sapere che cosa c’è fuori, o almeno questo è quello che mi disse una volta Erwin e io capii che era giusto.
—Ah, Erwin, mi dispiace che tra voi due non abbia funzionato, sareste stati una cosa interessante da vedere.
—Non è che fosse esattamente quella la mia idea di fondo, io, non saprei nemmeno da dove iniziare… Lasciamo perdere.
Rimase in silenzio a godersi l’ombra. Dopo qualche istante iniziò a chiedersi come era possibile che ci fosse ombra, dato che non c’erano ombrelloni. Allora si voltò notando la cicogna.
Levi pensò che fosse una cicogna molto sgraziata. Aveva il becco lungo, il collo lungo, si muoveva su delle piccole zampette che aveva anche sulle punte delle ali, le quali erano lunghe ed eccessivamente sviluppate per una cicogna. Poi sulla testa aveva una piccola cresta. E soprattutto non aveva le piume. O meglio ce le aveva, ma non erano quelle giuste. Inoltre quella cicogna era alta dieci metri. Forse fu questo dettaglio a spingere Levi a mettere mano alle spade del sistema per la manovra tridimensionale, tuttavia Pixis lo fermò.
—Tranquillo Levi, è solo un Marvin — disse Pixis —Non ti farà nulla è solo depresso perché gli altri Marvin lo prendono in giro.
—Ce ne sono altri di cosi così in giro? — disse Levi sconcertato.
—Non chiamarlo coso o si deprimerà ancora di più.
—Digli di smetterla di avvicinarsi.
—Rilassati, vuol solo farti capire che non devi fare finta di provare interesse nei suoi confronti.
—È un po’ difficile non provare interesse nei suoi confronti, dato che è una cicogna alta dieci metri. Perché tenete un… Marvin qui?
—Perché fa ombra e quando tira vento non cade e distrugge le cose che stanno sotto.
—Ah, no; e che fa invece?
—Plana.
Levi avrebbe voluto controbattere, ma alla fine si disse chi era lui per impedire a un Marvin di planare? Per tutta risposta il volatile si stese sul pavimento delle mura, facendo capire a tutti che quello era il modo migliore perché si sentisse ancora più disgraziato di quello che non era già. Se il suo migliore amico fosse stato lì avrebbe cercato di tirargli su il morale dicendogli frasi carine, ma Marvin sapeva che non avrebbe funzionato.
Per ragioni che non comprendiamo, se qualcosa si viene a sapere è sempre nel momento giusto.
Nella tal specie, accadde che quel martedì mattina che i messaggi perduti una settimana prima, arrivassero in contemporanea alla sede dell’Armata Ricognitiva e alla sede dei Reparti Speciali. Accadde che entrambe le squadre dei rispettivi reparti si trovassero nello stesso luogo alla stessa ora. Accadde anche che due membri dell’Armata Ricognitiva si trovassero nel posto sbagliato, ma stranamente al momento giusto.
Ora, stare dietro ai fatti che si susseguirono senza freni e che culminarono con elementi poco consoni, risulterebbe davvero difficile, soprattutto per coloro che li vivranno in prima persona, tuttavia per una ragione che nessuno conosce, quando vennero a sapere di certi fatti dopo, ciò che accadde prima sembrò loro logico e sensato.
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
 
Nel lungo fiume, vicino all’attracco, sulla sponda erbosa giaceva ciò che restava del battello a vapore. I due pezzi erano caduti in acqua e solo dopo una lunga settimana di sforzi i dragatori erano finalmente riusciti a trainarli sulla terraferma, solo per costatare che al quartiere sarebbe occorso un nuovo battello.
L’assicurazione però, prima di sborsare la cifra dovuta, aveva deciso di vederci chiaro e aveva chiesto espressamente un parere esterno da parte di esperti di giganti e di cose strane (dove strane sta per speciali) e si sarebbe aspettata un rapporto dettagliato per lunedì mattina. L’esperto di giganti in questione era Hansie Zoe che più osservava quel battello tranciato a metà, più si convinceva che sta volta sarebbe stato un qualcosa che si avvicinava a una cosa bella, ma anche molto brutta. Poiché serviva anche la presenza di un’autorità, c’era anche Erwin. Mike era lì per caso, era il suo giorno libero e stava solo passeggiando quando aveva visto il battello tranciato a metà.
Per quanto riguarda i Reparti Speciali, loro erano convinti che il battello avesse dei problemi già di suo al fasciame e si fosse rotto per via della poca manutenzione. Emma Summerstone stava scrutando le mura con un binocolo, notando il piccolo gruppo di soldati che cercavano di tirare su il morale a una cicogna; da dietro una delle case lungo il fiume emerse Jean; se l’erano portati dietro perché sembrava aver letto un libro che parlava di cose tipo quella che poteva aver tranciato a metà il battello.
—Emma, mi dici dov’è che sta di casa Levi adesso che lavora per te? —disse Erwin avvicinandosi.
—Sai, sei la seconda persona che mi fa questa domanda oggi — disse Emma continuando a scrutare.
—E chi altri è stato?
—Dunque, Eren e Christa.
Erwin ed Emma si fissarono cercando di non pensare a quello che stavano pensando, una cosa difficilissima che riuscivano a fare solo gli abitanti di Tjeta Orellius. Concentrandosi al massimo, riuscivano a prendere il pensiero a cui non volevano pensare, lo trasformavano in vapore bianco che poi facevano uscire da una delle loro numerose orecchie, il vapore poi diventava nube e dalle nubi poi pioveva. Uno dei motivi per cui Tjeta Orellius era famoso era perché era l’unico pianeta dove piovevano parole.
—A maggior ragione ora sento che devo sapere dov’è che abita Levi, puoi dirmelo? — disse impaziente Erwin.
—Erwin, vuoi forse andare ad importunare il nostro soldato olistico? — disse Emma smettendo di scrutare le mura —Ti sei chiesto come reagirà sapendo che prima lo hai cacciato di casa e adesso lo rivuoi con te? Senza offesa per Levi, è una persona intuitiva, ma non è intelligente come me e te, non capirà che lo rivuoi per ripicca, penserà che sei scemo o che hai qualche intenzione strana.
—Soldato olistico? Levi non sa nemmeno che cosa vuol dire olistico.
—Sì che lo sa, glielo abbiamo spiegato.
Alle spalle dei due ufficiali Jean iniziò a sbracciare per attirare l’attenzione; quando tutti gli ufficiali, anche quelli in ferie, lo notarono smise di sbracciare.
—Stavo perlustrando la zona lungo il fiume e credo che sia il caso che veniate a vedere — disse Jean avviandosi dietro ad una casa. Gli altri lo seguirono.
Al di là della casa, sulla sponda opposta al fiume c’erano un serie di impronte di Bigfoot che portavano ad un grazioso boschetto di salici piangenti. Gli ufficiali si guardarono tra loro, poi guardarono le impronte, poi si guardarono nuovamente tra loro.
—Oh, beh, è il mio giorno libero, credo che andrò a farmi un giretto sulle mura — disse Mike.
Gli altri lo salutarono.
—Sono come quelle di cui parla il giornale di ieri — disse Jean.
—Questo significa che Bigfoot è tra noi — disse Emma.
—Come avrà fatto ad entrare? — disse Erwin.
—Credo per il fiume, questo vuol dire che sa nuotare sott’acqua. Non necessariamente per lunghi tratti, il tunnel sotto le mura sarà circa cinque o sei metri, sarà emerso sotto il battello e lo avrà tranciato a metà. Però la zona è completamente diversa da quella dove hanno rinvenuto le prime tracce — disse Hansie.
—Può essersi spostato, magari è originario della foresta attorno al villaggio.
—Io credo di sapere che cos’è — disse Jean mostrando la pagina del libro Tutti i Miei Mostri sul Rettile Spinoso. Leggendo attentamente i tre ufficiali seppero che faceva parte della famiglia delle lucertole terribili compresa in quella super famiglia affollata dei megalosauridi che erano di dimensioni notevoli. La parola "mega" li fece sentire interessati nel proseguire la lettura, finché non giunsero alla voce condizione con subito scritto accanto estinto. A quel punto un forte senso di tristezza li invase, iniziarono a pensare che se quel rettile spinoso non fosse stato davvero esistito, avrebbero potuto spedirlo al di là del Wall Rose a fare piazza pulita di un po’ di giganti.
Per fortuna erano tre persone intelligenti, si resero conto che quel rettile spinoso era vivo (quindi non più estinto), quindi si precipitarono a controllare la voce pericolosità per la razza umana e leggendo FONDAMENTALMENTE INNOCUO si convinsero che per una volta nella loro vita, qualcosa di gigante era bello e magari anche sexy.
—Posso affermare con certezza che non corriamo nessun pericolo — disse Erwin soddisfatto —Ora, Emma mi vuoi dire dov’è che abita Levi?
Esattamente mentre Emma comunicava a Erwin dove era ubicata la nuova casa di Levi, qualcosa volò oltre il muro per andare a caccia di qualcosa di gustoso.
 
 

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Capitolo 6
*** Il Portale del Dubbio ***


1
 
 
 
 
 
 
 
L’umanità stava trascorrendo un piacevole pomeriggio estivo. Sulle mura iniziava a fare caldo, un caldo torrido tipico dell’estate, un caldo torrido tipico del cemento quando si surriscalda e rigetta ancora più calore. Con un ombrellone il caldo si sarebbe sopportato meglio, ancora meglio lo si sarebbe sopportato con un Marvin in piedi sulle zampette a fare dieci metri di ombra, passando a venti se lo si convinceva a tenere aperte le ali.
I soldati sulle mura erano certi che sarebbe stato un pomeriggio ancora più piacevole se il loro Marvin si fosse alzato da terra invece di continuare a fare il depresso.
Da una delle scalinate interne emerse Emma. Poco dopo emerse anche Jean. I due rimasero perplessi alla vista della particolare cicogna stesa a terra, chiesero perché era in quelle condizioni e il Comandante Pixis rispose loro che stava stesa a terra perché era depressa. Era ovvio che quella situazione non necessitava della loro attenzione, quindi andarono a parlare con gli altri soldati.
Emma iniziò a raccontare di quello che era accaduto nella mattinata, dell’agenzia assicurativa del battello a vapore che voleva un riscontro, del messaggero che era caduto nel tombino, dei messaggi che si erano persi, della settimana che c’era voluta per ritrovarli e spedirli, delle congetture sul che cosa avesse tranciato a metà il battello e infine la scoperta che non c’era nulla di cui preoccuparsi. L’unica cosa di cui si dovevano preoccupare era da dove venisse la cosa che aveva tranciato a metà il battello. I sospetti maggiori erano che provenisse dalla foresta vicina al villaggio dove erano state rinvenute le impronte di Bigfoot, infatti una squadra dell’Armata Ricognitiva era già stata spedita lì (gli stessi che avevano scoperto e abbattuto la cosa che era strisciata da sotto il tavolo). Secondo i Reparti Speciali, ovvero secondo Emma Summerstone, bisognava andare a ricercare le origini nella foresta di sequoie. Secondo il Comandante, il fatto che le impronte, il battello, la scomparsa dei giganti, la comparsa degli strani esseri, fossero apparsi una settimana prima, era collegata al meteorite caduto nella foresta di sequoie, pertanto bisognava andare lì per trovare risposte concrete.
Per andare lì, ovviamente si intendeva non il Comandante, che doveva compilare il rapporto per la compagnia assicurativa, ma i suoi uomini. Uno era Levi, l’altro era Brian.
Così, lasciati i cavalli alla catapecchia del vecchio che a detta sua comandava l’Universo, me che a detta di tutti era semplicemente pazzo, Levi e Brian si addentrarono nella foresta di sequoie. Camminarono a lungo indisturbati, giungendo fino alla parte centrale, proseguirono tranquillamente fino ad arrivare dall’altra parte della foresta. Non trovando nulla, decisero di tornare indietro. Per variare il percorso presero la strada che costeggiava la foresta. Lungo il percorso trovarono una cava di pietre abbandonata e decisero di esplorarla. Fu lì che trovarono il nido. E fu lì che la cosa a cui apparteneva il nido trovò loro.
L’incontro fu abbastanza spiacevole.
I due soldati provarono a far valere le proprie ragioni, ma non ci fu modo di convincere la madre che loro erano lì per caso e non per mangiare le sue uova. La madre in questione era Carolina e se c’era una cosa che non sopportava era che qualcuno toccasse le sue uova. E soprattutto detestava che gli esseri umani, ottusi per natura, tendessero a ferire tutto quello che non conoscevano. Essendo una madre single era anche molto stressata, quando iniziò sentire i due umani che dicevano frasi tipo Ma questa lucertola da dove è sbucata fuori? Lei che era alta 13 metri; Non l’ho nemmeno sentita arrivare! Lei che pesava otto tonnellate Passiamo alla manovra tridimensionale! Attacchiamola! Lei aveva iniziato a pensare a come rispedirli al mittente e lontano dalle sue uova.
Per quanto riguarda Levi e Brian, le cose non è che fossero migliori. Ogni volta che provavano a tagliare la pelle della lucertola le lame si spezzavano e continuando con insistenza si erano ritrovati senza lame e con poco gas. Per fortuna videro una specie di grotta e decisero di rintanarsi lì e aspettare che la lucertola demordesse.
L’idea peggiore che potessero avere.
 
 



 
2
 
 
 
 
 
 
 
Nella zona del paddock 9 dove sorgevano le case popolari, nel condominio sette, Hansie e Erwin stavano salendo le scale che portavano al sesto piano, dove c’era l’appartamento di Levi.
Il bello di essere scienziati sta nel porsi molte domande. Anche le persone curiose lo fanno, ma ciò che distingue una persona curiosa da uno scienziato è che questi ultimi sanno porsi prevalentemente quelle giuste. O almeno ci provano. Il problema è che certe domande che si pongono li fanno sembrare strani.
In quel momento Hansie, osservando la figura di Erwin si pose nuovamente una domanda che l’assillava da tempo. Una domanda che sentì il bisogno impellente di esternare.
—Ti sei mai chiesto come sarebbe stato se tu e Levi vi foste messi assieme? — disse Hansie fermandosi sul pianerottolo.
—No; ma perché ti fai questa domanda? — disse Erwin fermandosi a sua volta.
—Mi chiedevo a livello tecnico come sarebbe.
—Livello tecnico?
Hansie iniziò a gesticolare.
—Quello che mi chiedo, tu sei quello sensibile, però sei grosso; mentre Levi è quello insensibile, però è piccolo; cioè a livello di massa tu sei il grande e lui il piccolo. Quindi, visto qui siamo in un condominio, mi stavo chiedendo a livello tecnico, chi starebbe al piano inferiore e chi al superiore?
Erwin fissò Hansie, la donna con cui aveva una relazione, con gli occhi sgranati e restando letteralmente sconvolto. Poi le mise le mani sulle spalle, la fissò dritta negli occhi e sospirò.
—Sicura di volerlo sapere? — chiese Erwin e Hansie fece cenno di sì con il capo. Fu sentendo la risposta che capì che essere uno scienziato era una cosa bella, ma anche una cosa pericolosa. Porsi domande è sempre lecito, si disse, ma a volte, di certe domande è meglio non sentire la risposta, o meglio ancora è meglio non farsele proprio certe domande per evitare di sentire la risposta. Purtroppo il danno era ormai fatto e per evitare di sentire quella tragica storia, Hansie si mise a pensare intensamente per coprire il suono delle parole di Erwin.
Pensò così intensamente che per un secondo credette di pensare di sentire i suoi pensieri che si schiantavano contro un muro. Si destò dal pensare solo dopo che un piccolo pezzo d’intonaco le cadde in testa e qualcuno le diede una spinta.
—Hansie la vuoi smettere di fermarti nel mezzo di qualcosa a pensare? — disse Erwin, mentre la spostava da una parte per far passare Mike che salì le scale e si piazzò davanti ai due.
—Ragazzi, c’è una cosa di cui devo assolutamente informarvi — disse Mike —Prima, stavo sulla cima delle mura a cercare di tirare su il morale ad una cicogna gigante. Le abbiamo davvero provate tutte, abbiamo provato ad essere gentili, a chiede se per favore voleva alzarsi e farci ombra; allora abbiamo pensato ai biscotti. Stavo andando a prenderne un po’ quando mi sono reso conto di una cosa.
Si interruppe perché qualcuno gridò. Il grido provenne dall’appartamento di Levi. I tre si guardarono tra loro, perplessi. Poi sentirono un altro grido. Sta volta la voce era diversa.
—Ma chi accidenti c’è lì dentro? — chiese Mike.
—Eren e Christa — rispose Erwin seccato.
—Manca solo Levi — disse Hansie.
I tre soldati rimasero in ascolto dell’arrivo della voce di Levi. Ma non arrivò. Anche se era vero che Levi stava gridando, ma non nel suo appartamento. In compenso, arrivò una deliziosa cacofonia di percussioni ed onomatopee bizzarre, assieme all’elenco di svariati mobili che si trovavano ad arredare la stanza in cui i due ragazzi si erano appostati per aspettare l’arrivo del loro superiore.
Quando iniziarono a crearsi delle crepe intorno alla porta d’ingresso dell’appartamento, i tre soldati si chiesero che cosa stesse davvero accadendo dentro quella stanza.
 
 



 
3
 
 
 
 
 
 
 
Esattamente un’ora prima, Eren e Christa avevano incontrato il comandante dei Reparti Speciali e le avevano chiesto dove stava la nuova casa di Levi, si erano recati lì, avevano in qualche modo forzato la serratura ed erano entrati. Sta volta avevano aspettato.
Il perché e il percome avessero entrambi deciso di coinvolgere il Caporal Maggiore nella loro relazione risiedeva nel semplice fatto che ad Eren piaceva molto Levi e a Christa piaceva che a Eren piacesse Levi. Inoltre entrambi erano convinti che a Levi tutto quell’affetto sarebbe piaciuto tantissimo, ciò era vero; il ciò non vero era che l’affetto trasmesso dai due ragazzi, a Levi non interessava. Così come non gli interessava quello che sarebbe venuto dopo l’affetto.
Effettivamente la cosa che davvero si sarebbero dovuti chiedere Eren e Christa era perché avessero deciso di mettersi insieme, perché avessero deciso di avere una relazione considerando i loro gusti particolari. Le risposte a quelle domande le avevano trovate facilmente, dando la colpa alla loro incapacità di gestire le domeniche pomeriggio.
Per far passare il tempo mentre aspettavano, giocarono con delle tesserine con su scritto delle lettere: il fine del gioco era totalizzare più punti scrivendo con le tessere a disposizione la parola più lunga. Sembrava un gioco senza senso che non avrebbe avuto granché successo in futuro, quindi smisero dopo pochi minuti di giocarci, anche perché qualcosa che somigliava ad un grosso airone si schiantò contro le finestre e distrusse la parete.
I due ragazzi entrarono nel panico, si ripararono dietro il divano, il tavolo, il settimino, il comò, gridando una serie infinita di A e O tra uno schianto e l’altro dell’airone che voleva a tutti i costi acchiapparli. Christa aveva più volte suggerito a Eren di mordersi la mano e trasformarsi in gigante. Purtroppo Eren aveva ricevuto l’ordine tassativo di non trasformarsi all’interno di edifici pubblici finché non fosse stata messa a punto la polizza assicurativa contro gli umani che diventano giganti.
All’ennesimo schianto dell’airone, la parete che dava sul pianerottolo si ruppe, i calcinacci volarono ovunque e le persone che stavano sul pianerottolo e nell’appartamento finirono sulle scale. Dopo essersi districati tra loro, rimessi in piedi e tolta la polvere dai vestiti, dall’altra porta del pianerottolo uscì la vicina di casa di Levi, la signora Morfy, una signora enorme dalla pelle scura, dal carattere frizzante e polemico. Era in tenuta da casa, con una vestaglia azzurra e delle pantofole dello stesso colore e i capelli che formavano una corona vaporosa attorno alla testa.
—Che state combinando sul mio pianerottolo teppisti? — disse la signora Morfy che ci teneva che il suo pianerottolo fosse in ordine.
—Signora, non è nulla di grave, torni al sicuro nella sua casa — disse Hansie in tono cordiale.
—Ascolta spaventapasseri con gli occhiali, sicuro e casa qui non esistono, almeno finché le chiappe dei giganti non saranno prese a calci fino alla fine dell’Universo! — osservò la signora Morfy che ci teneva che i giganti stessero lontani dal suo pianerottolo.
—Signora non siamo sotto un attacco di giganti, ora torni nella sua casa e lasci fare a noi soldati — disse Erwin piuttosto spazientito.
—Io non prendo ordini da uno che va in giro con una cravatta stupida come la tua! — disse la signora Morfy che ci teneva che nessuno le desse ordini sul suo pianerottolo.
—Dov’è Eren? — chiese Christa guardandosi attorno.
—È lì a sbraitare come un forsennato appeso a testa in giù su un airone gigante! — disse la signora Morfy indicando oltre la voragine sul suo pianerottolo.
Poiché era urgente trovare un modo per recuperare Eren e non sapere perché la signora Morfy conoscesse Eren, Erwin pensò alla prima e ignorò la seconda.
—D’accordo uno di noi cercherà di attirare l’attenzione dell’airone, un altro starà appostato; quando l’airone sarà a tiro uno gli spara, così la persona appostata afferrerà al volo Eren traendolo in salvo; coraggio ragazzi andiamo! — disse rapidamente Erwin.
—Volevi dire coraggio ragazze, oggi è il mio giorno libero — disse Mike.
—No, volevo dire proprio coraggio ragazzi.
—Che noia Erwin, lasciami in pace almeno oggi!
—E piantala di lamentarti tanto non stavi facendo niente.
—Va bene, però mi serve un fucile carico.
—Ehi biondone, ce l’ho io un fucile carico e se ti interessa anche io sono bella carica! — disse la signora Morfy ammiccando.
Erwin e Hansie fissarono Mike, il quale era letteralmente senza parole. Il suo cervello stava cercando di trovare quelle giuste per declinare l’offerta della signora, ma era così difficile che ci stava mettendo troppo. Quando il silenzio divenne perseverante Erwin disse a Christa di andare a prendere il fucile e di raggiungerli fuori dalla casa. Anche perché Eren era ancora tra le grinfie dell’airone.
I soldati si appostarono lungo una strada poco trafficata, con Hansie che attirava l’attenzione dell’airone intonando un motivetto che parlava di quanto fosse triste camminare per i boulevard e gli altri due erano invece sul tetto di una della case là attorno.
Precisamente mentre l’airone virava incuriosito dalle note della canzone, nel bar adiacente la casa dove erano appostati Erwin e Mike, l’impresario Coltane stava festeggiando il compleanno di sua figlia Raquel, che, al momento di spegnere le candeline, espresse il semplice desiderio che il suo idolo venisse alla sua festa di compleanno.  

 
 
 
 
 
 
 
4
 
 
 
 
 
 
 
C’era stato un momento nella vita in cui Levi era stato indeciso sul prendere in considerazione l’idea di impazzire.
Suo zio Kenny, che gli aveva fatto anche da padre, nonno e fratello, una volta era impazzito. Si era convinto di essere un coltello e aveva affettato delle persone che erano convinte di essere delle torte (anche se in realtà era lui che era convinto che loro erano convinte di essere convinte di essere delle torte).
Anche Levi era sempre stato convinto di alcune cose, come della sua notevole forza o che i giganti fossero la razza dominante. Tuttavia, nel giro di circa due minuti si era convinto che la sua forza non serviva a nulla e che i giganti erano oramai storia vecchia. E che forse era impazzito senza bisogno di pensarci su troppo, dato che per scappare da una lucertola gigante infuriata, si era intrappolato in quella che lui credeva una caverna, ma che in realtà era una cabina ascensore guasta, assieme ad un tizio che non sbatteva mai le palpebre.
Direi che è meglio questa di quella di diventare un cantante country si disse tra sé.
—Ha sentito, signore? — disse Brian.
—Io non sento niente — disse Levi.
—Esatto.
—Proviamo a uscire.
A quelle parole le pareti della cabina ascensore si accartocciarono verso l’interno, Brian strillò forte nell’orecchio di Levi che divenne completamente sordo per circa dieci minuti.
Dall’altra parte della cabina, intanto, Carolina aveva appena trovato il modo per spedire quei fastidiosi esseri umani lontano dalle sue uova. Presa la cabina tra le fauci, iniziò a camminare verso quei muri altissimi che la facevano sentire insicura ogni volta che ci passava accanto, perché più che dei muri le sembravano delle pignatte.
Quando fu alla giusta distanza dalle pignatte, Carolina fece due cose: dei rapidi calcoli sulla traiettoria da far intraprendere alla cabina; lasciò sbalorditi tutti i soldati di ronda sulle mura.
I soldati andarono in tilt. Essendo abituati alle cose giganti, una lucertola fuori misura non avrebbe dovuto rappresentare un problema, eppure nessuno di loro aveva mai visto una lucertola gigante, soprattutto quella lucertola non somigliava a nessuna lucertola che i soldati avessero mai visto. Perciò i loro cervelli erano impegnati a chiedersi se fosse o meno il caso di attaccare una lucertola gigante. Solo uno di loro si fece un’altra domanda: perché quella lucertola gigante ha in bocca una cabina d’ascensore?
La risposta venne poco dopo, quando la lucertola gigante prese un bello slancio, lanciò la cabina che si schiantò contro le riparazioni del portone, rimbalzò su un campanile e finì in una festa di compleanno.
 
 
 
 
 
 
 
5
 
 
 
 
 
 
 
In un pugno di minuti accadde ogni cosa.
Quando Carolina lanciò la cabina ascensore, Hansie finì il suo assolo canoro sotto gli applausi di una discreta folla di passanti, l’airone volò nella sua direzione, Mike sparò colpendolo alla spalla, Erwin afferrò al volo Eren finendo in un negozio di bicchieri. L’airone finì invece in un bar dove fece esplodere una torta di compleanno a cinque strati addosso a tutti gli invitati. Quando si rialzò per capire dov’era finito gli cadde addosso la cabina di un ascensore.
Nel silenzio di sconcerto che ne seguì si udì il rumore tin! e le porte della cabina si aprirono e ne emerse Levi frastornato e confuso che scambiò le persone che erano nel bar per dei giganti, provò a colpirli con le lame, ma poi si ricordò che non aveva più lame, si chiese come mai e quando se lo ricordò si convinse che la sua lunga e lenta strada per la follia era quasi finita.
Uscì barcollando dal bar, si girò sentendo Brian urlare di essere ferito a morte, lo chiamò e gli fece notare che il rosso che aveva addosso non era di una ferita, ma quello della red velvet che era sparpagliata ovunque.
Levi rimase poi fermo in mezzo alla strada sentendosi un perfetto idiota. Era volato dentro una cabina d’ascensore lanciata da una lucertola gigante e tutto questo perché era andato due settimane prima a una festa casual-karaoke.
—Come ho fatto a ridurmi in questo modo? — si chiese mettendosi a ridere da solo, un’altra cosa che lo fece sentire un perfetto idiota.
Intanto gli si avvicinò Hansie con in mano un cappello pieno di monetine.
—Levi che hai, stai ridendo da solo!? — chiese Hansie.
—Mi sento un perfetto idiota — disse Levi alzando le spalle.
—Può capitare, sei un essere umano in fondo.
—Bella consolazione, se riuscissi a capire almeno la metà delle cose che mi stanno accadendo in questi giorni forse non starei qui a ridere da solo.
—Spesso è meglio non saperle le cose, vivi più sereno, tranquillo, non perdi nemmeno l’entusiasmo di farle le cose perché non sai dove andranno a finire o quando finiranno.
—Certo, come no! In questo istante non ho proprio voglia di sapere nulla di quello che accadrà, il niente più assoluto. L’unica cosa che voglio è tornarmene a casa e farmi una doccia.
—A proposito della tua casa, la parte che dava sul pianerottolo è crollata.
—Crollata?
—Però le altre stanze sono a posto.
Levi ricominciò a ridere. Vide Erwin uscire dal negozio di bicchieri. Ebbe quasi l’impulso di andare da lui e chiedergli un abbraccio, ma scartò l’idea perché davanti a tutta quella gente non era il caso.
—Levi, vuoi un abbraccio di consolazione? — disse Hansie guardando Levi che guardava Erwin.
—Sì, ma non da te — disse Levi.
—Quanto siete carini, un giorno vorrei tanto vedervi mentre vi fate le coccole!
—Hansie?
—Sì.
—Sei un’idiota.
Mentre Levi e Hansie si dedicavano a dirsi quanto erano idioti tra loro, i nervi di Erwin erano sull’orlo di un precipizio senza fine.
—Eren, io non sono un tipo violento, ma ti giuro che forse per questa volta potrei anche fare un’eccezione. Per quale ragione non ti sei trasformato? — disse Erwin cercando di mantenere la calma nel modo più elegante possibile.
—Signore, mi dispiace, c’è quella storia dell’assicurazione, ricorda e poi è un po’ difficile mordersi la mano quando si è a testa in giù — farfugliò Eren rendendosi conto di avere delle ferite che necessitavano, nonostante la rigenarazione, l’intervento di un medico.
—Eren, sei salvo, meno male! — gridò Christa correndo verso di lui.
Erwin alzò gli occhi al cielo mentre Christa dimostrava a Eren tutta la sua preoccupazione. Poco dopo lo raggiunse Mike, preoccupato per il fatto che se Christa era intenta a limonarsi Eren sarebbe toccato a lui riportare il fucile alla vecchia enorme nel pianerottolo.
—Ehi, Erwin ti ricordi che ti stavo parlando di una cosa? — disse Mike.
—Sì, i biscotti — disse Erwin —I migliori li trovi da Sweet Candy Alabama, anche se secondo me il sapore é troppo di burro.
—Pensavo piuttosto di andare da All Sugar Long, vicino alla fontana monumentale, si sono inventati delle decorazioni colorate.
—Sul serio, non lo sapevo; comunque alla Sweet Candy hanno un rapporto qualità prezzo migliore, non cercano di fregarti su peso.
—Di questi tempi il prezzo dello zucchero lievita in modo esponenziale, però quelli della All Sugar sembrano onesti.
—Ma alla fine con questi biscotti che ci devi fare, a te nemmeno piacciono.
—Ci devo tirare su il morale ad una cicogna gigante depressa. A proposito sono tutti spariti sai.
—Cosa?
—Svaniti, scomparsi, niente per centinaia di chilometri.
—Di biscotti? Proprio adesso che a forza di parlarne mi era venuta voglia di mangiarli.
Mike fece per rispondere alla domanda di Erwin.
Non fece in tempo neanche sta volta.
Non fece in tempo perché a causa di una serie di eventi legati alla consistenza della roccia frantumata che subisce un ulteriore trauma, l’impalcatura di sostegno del portone cedette e finì tutto a terra con un gran frastuono.
 
 
 
 
 
 
 
6
 
 
 
 
 
 
Ruggito urla ruggito ruggito urla urla ruggito urla ruggito urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito urla urla ruggito ruggito urla urla ruggito urla ruggito urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito urla urla ruggito ruggito urla urla ruggito urla ruggito urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito ruggito urla urla urla ruggito urla.
Dopo il fracasso del crollo scoppiò, giustamente, il panico. L’ultima volta che le mura erano crollate le cose non è che fossero andate proprio benissimo. Anche se erano riusciti a richiudere il portale, era morta un sacco di gente, perciò anche quella volta il panico fu più che giustificato, comprese le urla.
Tuttavia, in quel martedì pomeriggio estivo, accadde una cosa che ebbe del fenomenale, qualcosa di così inconcepibile per la razza umana che prima che se ne rendesse conto era già passata una buona mezz’ora.
Ciò che accadde nel martedì pomeriggio in cui caddero di nuovo le difese dell’umanità, fu sorprendente tanto quanto il big bang.
Perché ciò che accadde quel martedì pomeriggio, fu niente.
 
 

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Capitolo 7
*** Niente Panico ***


1
 
 
 
 
 
 

Dopo due giorni di niente, l’umanità iniziò a cercare qualcuno a cui dare la colpa. Dopo il crollo del muro, l’unico suono che si era sentito era stato quello di un ruggito di rimprovero e l’unica cosa di gigante che era transitata per il foro del crollo era stato un rettile spinoso amico di una cicogna depressa, che aveva molto maleducatamente ignorato i soldati di ronda.
Il giovedì furono convocati gli stati generali, dove si convenne che il niente era una bella cosa e che l’umanità aveva il diritto di averla. Pertanto si convenne che le nuove mansioni dell’Armata Ricognitiva, da Scopriamo da dove vengono i giganti divennero Scopriamo che fine hanno fatto i giganti e che una volta completata questa missione la successiva sarebbe stata Facciamoli restare lì dove sono e possibilmente per sempre.
Ovviamente non c’era fretta. Con il fine settimana alle porte e il niente che continuava a perdurare, tutta l’umanità si concesse una bella vacanza.

In quello che restava dell’appartamento nel settimo edificio al sesto piano, Levi stava cercando di mettere in ordine la sua casa meglio che poteva. Lì dove non c’erano più i muri, aveva messo delle spesse tende doppie, aveva buttato via tutti i calcinacci e stava cercando di impedire alla polvere di entrare ovunque. A complicare il tutto era l’ormai consapevolezza che di lì a breve sarebbero arrivati degli operai a ricostruire le pareti e lui non avrebbe avuto un posto dove stare. Hansie era passata a trovarlo di recente, dicendogli che se voleva poteva tranquillamente tornare nel suo vecchio alloggio da ufficiale. Per togliersela di torno Levi aveva detto che ci avrebbe pensato. Era passato anche Eren, ma Levi gli aveva detto di sparire.
Facendo il resoconto delle giornate che aveva trascorso, Levi si era accorto di quanto, al di fuori delle situazioni assurde, stesse iniziando a comportarsi come una persona normale. Aveva anche iniziato a ragionare come una persona normale, accettando l’idea che se Erwin l’aveva cacciato di casa la colpa era prevalentemente sua e del non avergli detto subito quello che provava. Come avrebbe fatto una persona normale.
Faceva anche le cose che faceva una persona normale: andava al mercato, usciva con i colleghi, parlava con loro, apprezzava le cose che gli stavano attorno, prendeva gli antidepressivi. Si era quasi convinto a tenere in casa uno degli esseri che erano nati dalle uova che Annie aveva riportato da una missione per conto di Emma (aveva anche sperato che se la mangiassero Annie, ma le lucertole terribili avevano deciso che ignorarla era una punizione migliore).
—Quanto avrei voluto essere così da prima — disse Levi tra sé e sé.
—Fai ancora in tempo — disse Erwin.
Levi sobbalzò, si spostò di lato, inciampò nel divano e vi cadde seduto. L’ultima persona con cui sarebbe voluto restare da solo in una casa con delle tende al posto dei muri era lì davanti a lui con in mano due bicchieri da osteria pieni di roba da bere.
—C…c…c…c…cosa ci fai a casa mia? — gridò Levi indicando Erwin come se al suo posto ci sarebbe dovuto essere un portaombrelli.
—Sono passato a trovarti, volevo vedere come te la passavi — disse Erwin tranquillamente, appoggiando i due bicchieri su un tavolo. Levi non capiva che cosa ci stesse facendo l’uomo che lo aveva sbattuto fuori casa a casa sua. Gli aveva chiaramente detto che non ne voleva sapere più nulla di lui, che non voleva più rivederlo e l’aveva spedito nel posto più lontano da lui. Ora era ricomparso e Levi non sapeva se essere felice o spaventato.
—Diciamo che me la passo abbastanza bene — disse Levi cercando contegno.
—Mi ha detto Hansie che tra un po’ arriveranno gli operai e sarai senza un posto dove stare, perché non torni a casa nostra? — disse Erwin in tono cordiale.
—Quella dalla quale mi hai cacciato a urla? No, grazie.
—E dove vorresti andare?
—Non ci ho ancora pensato, ma sta tranquillo che non torno a casa.
—Capisco. Comunque ora mi è passato tutto, quindi puoi tornare, come dici tu, me la sono presa un po’ troppo.
—E il disagio per il fatto che mi piaci?
—Se ognuno di noi rispetta i propri spazi il problema non sussisterà.
La proposta sembrava accettabile, Levi non vide come non poteva fidarsi, l’aveva fatto per anni, perché smettere. Una persona normale non avrebbe cercato il marcio in tutto quello che gli dicevano, avrebbe provato a fidarsi almeno in parte. Inoltre, anche lui aveva una gran voglia di tornare nella sua casa, quell’appartamento era carino, ma le riunioni condominiali erano peggio delle uscite fuori le mura.
—Mi pare un accordo decente — disse alla fine Levi.
—Bene allora festeggiamo — disse allegramente Erwin, avvicinò il bicchiere a Levi ed entrambi bevvero alla loro salute.
Mentre sorseggiava quella specie di miscuglio dall’odore incomprensibile, sentendo un retrogusto che somigliava a quello del cloroformio, Levi pensò dentro di sé che in fondo odiava essere una persona normale.
 
 
 
 
 
 
 
2
 
 
 
 
 
Anche se il niente aveva portato nuovi orizzonti, non era vero che aveva cancellato i vecchi rancori. In special modo il dissapore tra l’Armata Ricognitiva e i Reparti Speciali, che ora vivevano il massimo dello splendore. Grazie al fatto che le bestie terribili erano state bollate come strane, si erano guadagnati l’appalto per studiare tutto quello che riguardava le connessioni tra i giganti e le lucertole terribili, mentre tutto il lavoro sudato che aveva fatto l’Armata Ricognitiva era stato bollato come obsoleto.
Tuttavia, non era questo il vero problema. Alla fine l’Armata Ricognitiva trovava sempre la strada, un po’ come la vita, che trovava sempre il modo di sfuggire al controllo degli altri e fare quello che le pare dalla mattina alla sera. Il problema di base era che il Comandate Erwin Smith era stato fregato dal Comandante Emma Summerstone con quello che altrove nella Galassia viene chiamato messaggio subliminale. Ed Erwin era bravissimo a covare rancore, anche per anni, riuscendo a beccarsi la depressione clinica e rendendo le persone accanto a lui ansiose e preoccupate perché ogni tanto faceva dei sorrisi da squilibrato che facevano venire voglia a tutti di darsela a gambe. A tutti tranne che a Levi. A Levi quel suo modo insano di sorridere faceva schifo, stranamente che faceva schifo glielo dicevano da una vita, ma Erwin se ne era sempre fregato, tranne quando glielo faceva presente Levi. E il fatto che Levi non fosse lì in quel momento a dirgli che gli faceva schifo, aveva fatto ricordare a Erwin il perché non fosse lì. Aveva quindi pensato a un modo per farlo tornare a vivere con lui così da fregare Emma e riavere il suo amico.
Perciò aveva passato tutta la notte a fare ragionamenti contorti e la mattina seguente aveva iniziato a mettere in atto il suo piano.
Andò a cercare Mike, che aveva una riunione con dei soldati, bussò alla porta e quando gli dissero di entrare si affacciò e disse velocemente:
—Mike, sbrigati che andiamo a comprare della droga — poi aveva richiuso la porta.
—Sì certo Erwin, arrivo subito — aveva risposto Mike che ormai c’era abituato agli eccessi di euforia del Comandante —Come vi dicevo, in questi giorni il Comandante è molto turbato, perciò se vi chiede qualcosa di strano mi raccomando, rispondete sempre con gentilezza e annuite nella maniera più accondiscendente possibile — disse Mike concludendo il discorso. Uno dei soldati alzò la mano.
—Signore mi scusi, ma per quanto tempo le cose resteranno così? — chiese poco convinto della situazione.
—Finché il Caporal Maggiore Levi non tornerà tra le nostre fila, spero.
Detto ciò aveva chiuso la riunione e raggiunto Erwin.
—Allora adesso andiamo nei bassifondi, troviamo uno spacciatore e lo ricattiamo per farci dare della roba.
—Non ce n’è bisogno, si trova anche più vicino.
Alla faccia perplessa di Erwin, Mike gli fece strada e lo condusse nella zona dei vecchi laboratori. Da quelle parti, molti anni prima erano stati fatti degli esperimenti interessanti che avevano a loro volta portato a degli interessanti risultati. Ovviamente, il bello delle cose interessanti è che destano comunemente la reazione sbagliata nella massa di persone che non capiscono la bellezza del aver raggiunto l’interessante.
L’interessante è considerato riconoscibile solo a chi ha una predisposizione particolare al rendersi interessato. Prendendo in esempio questo caso, gli interessati, una setta di industriali e imprenditori che volevano rendere la loro vita interessante, presero tra le mani l’oggetto del loro interesse e ne fecero oggetto di discussione. Tale discussione durò circa un secolo con i molto interessati che volevano usare l’oggetto d’interesse per rovesciare la monarchia, mentre i moderatamente interessati volevano semplicemente che le attività della setta divenissero quelle di un circolo di tennis. Il tutto sfociò in un mega litigio da riunione condominiale, dove i moderatamente interessati se ne andarono dalla setta e tornarono ad annoiarsi nelle loro tenute da imprenditori con i loro cani e i loro amanti. Mentre i molto interessati presero ad infastidire l’intera umanità con l’oggetto del loro interesse. Senza neanche dire il come, l’umanità decise di farli smettere, prese l’oggetto d’interesse e lo spedì con raccomandata in una sperduta valle non segnata dalle mappe.
—Ecco siamo arrivati.
Erwin e Mike si fermarono davanti ad una porta sgangherata, da cui proveniva un odore poco lecito.
—Prima di entrare mi devi promettere una cosa: non farti prendere dal panico — disse Mike molto seriamente.
—Va bene, lo prometto — ripose Erwin.
La porta venne aperta ed Erwin credette di essere in una distilleria, solo che in quella distilleria era certo che non si distillasse della grappa, ma qualcosa di meno oleoso e dal sapore più artificiale.
Da dietro un bancone spuntò fuori Hansie, felice come non mai che abbracciò un Erwin sempre più perplesso.
—Sei passato a trovarmi nel mio altro laboratorio, che carino!
—Altro laboratorio?
—Che ti porta qui di bello, a parte me?
—Io, volevo trovare della droga per darla a Levi così lo riportavo tra le nostre fila senza tanti dialoghi superflui, ma tu esattamente che cosa fai qui?
—Oh, niente, sai com’è, mi trastullo con le sostanze chimiche.
—Tu stai facendo della droga — disse Erwin guardano Hansie.
—Non è proprio droga, è qualcosa che piace molto e ti fa sentire rilassato.
—E tu la vendi in giro — disse Erwin guardando Mike.
—Sì.
Erwin fissò Hansie, la donna con la quale si era ritrovato ad un matrimonio e aveva scoperto di avere più cose in comune con lei che con altre; fissò Mike, l’unica persona nell’Universo che non l’aveva ancora picchiato per tutte le cose che aveva fatto. Ora, in quel  momento, aveva appena scoperto che quelle due persone vendevano e spacciavano droga.
—Voi due siete matti! Pazzi, insani, decerebrati! Avete idea di quello che succederà se la Gendarmeria lo viene a sapere?! — Erwin cominciò ad urlare e gesticolare.
—Tranquillo, loro sono i nostri migliori clienti non diranno nulla! — rispose Hansie credendo di calmarlo.
—Cosa?! E che diranno tutti gli altri ufficiali della nostra armata?
—Niente neanche loro, dato che è grazie alla droga che finanziamo le nostre missioni!
—Vuoi dire che tutto quello che abbiamo fatto fino ad ora per l’umanità è grazie alla droga!?
Hansie evitò di rispondere, poiché la risposta era evidente. Mike prese Erwin per una spalla cercando di calmarlo.
—Lo stai facendo.
—Facendo cosa?
—Ti stai facendo prendere dal panico.
—E vorrei ben vedere! Ho appena scoperto che la mia ragazza e il mio amico sono due spacciatori e che l’Armata Ricognitiva gestisce il racket della droga! Come faccio a non farmi prendere dal panico!
Erwin si sedette su una sedia polverosa, fece dei lunghi respiri e cercò di calmarsi dicendosi che se fino a quel momento le cose erano andate bene, magari per una volta potevano anche continuare ad essere così. Si autoconvinse che era tutto a posto, quindi si alzò e fece la domanda consona alla situazione.
—A quanto la fate al grammo?
 
 
 
 
 
 
 
3
 
 
 
 
 
 
 
Levi si svegliò con un nuovo mal di testa, era in una stanza illuminata dalla luce del tardo pomeriggio. Si guardò attorno e scoprì che quella stanza era la sua, non quella dell’appartamento al paddock 9, ma la sua nella casetta a schiera. E quello era il suo letto, con le sue lenzuola pulite e tutti i suoi mobili spolverati. Seduto sul bordo del letto c’era Erwin. Levi si alzò di scatto sentendo che non era ancora pronto per certe cose. Si mise seduto anche lui.
I due rimasero in silenzio per un po’ osservando il sole che scendeva pigro oltre le mura mentre un Marvin planava su un tetto.
—Mi hai trascinato fin qui da solo? — disse Levi.
Erwin si limitò ad annuire con la testa.
—Che intenzioni hai? — chiese Levi.
—Niente, volevo solo convincerti a tornare per sentirti dire che ti faccio schifo, il resto non mi interessa più. Così ti ho dato il vino con la droga.
—È quella dei due squinternati, l’ho riconosciuta dopo il primo sorso.
Erwin evitò di commentare. Tornò il silenzio tra i due. Un silenzio davvero pesante. Quelli del pianeta Ghazan si chiesero in che misura il silenzio possa essere pesato. Vennero fatti calcoli di ogni sorta e si giunse alla conclusione che per calcolare il peso di un silenzio occorrevano vari fattori. Il primo era la quantità di persone che creavano il silenzio, un numero spesso finito e naturale. Il secondo fattore era determinato dalle emozioni che creavano peso nel silenzio, un numero che per la maggior parte delle volte tendeva a più infinito. Il risultato sarebbe stato il peso del silenzio, ovvero un numero finito che tendeva a più infinito e del tutto naturale.
—Senti, forse è il caso che ti dica che mi sono sbagliato quando ti ho detto che mi piacevi. Non sei tu a piacermi, mi piace solo quello che provo quando sono con te — disse Levi tutto d’un fiato.
—Si, lo so. Anche io provo le stesse cose. L’ho capito mentre ti portavo nella nostra casa. Ho ripensato a tutto quello che abbiamo passato assieme qui dentro e ho scoperto che mi sento bene quando ci sei tu a ricordarmi quanto sono pazzo — disse Erwin sempre tutto d’un fiato.
I due si sentirono degli idioti. Capirono che se si fossero detti tutte quelle cose al momento giusto non sarebbe accaduto niente di tutto quello che era accaduto. O almeno la parte che riguardava la lunga e oscura pausa caffè che l’anima di Levi si era presa circa due settimane prima. Tutto il resto sarebbe comunque accaduto, in un modo o nell’altro, senza se e senza ma, semplicemente erano cose che una forza superiore aveva deciso che dovevano accadere e loro due, esseri umani insignificanti in una Galassia sconfinata, non ci potevano fare assolutamente niente.
—Statisticamente parlando — disse Erwin girandosi verso Levi —Su un milione di possibilità, quante ce ne saranno che hanno portato a questa situazione?
Levi ripensò al passato. Soppesò tutte le vite che aveva incrociato. Valutò le perdite. Moltiplicò i momenti belli. Li divise per quelli brutti. Tirò le somme e poi rispose:
—Quarantadue.
 

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