My soulmate, my other half

di Dark_Water
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Prima della lettura vi lascio un piccolo ma importante avviso: questa storia va letta assolutamente dopo You’re in my soul”, essendo una sorta di seguito di quella. In realtà è una raccolta di piccoli momenti che non ho inserito nella storia principale, quindi alcuni capitoli potrebbero non essere cronologicamente successivi l’uno all’altro. Ma in tal caso lascerò un avviso ad inizio capitolo.

Per altre note, vi rimando alla fine del capitolo. Buona lettura e... spero che vi piaccia questo primo capitolo. Pieno di dolcezza e tenerezza perché ce n’è bisogno ^^

Capitolo 1

 

C’era un suono fastidioso che spezzava il silenzio caldo  protettivo di quel mattino.

Clara Oswald aveva deciso che lo odiava!

La donna si mosse nel letto, premendo il viso contro il cuscino e nascondendosi di più sotto le coperte, a ricercare il calore del bozzolo protettivo in cui era avvolta. Ma un movimento al suo fianco e lo scaldino che stringeva tra le braccia che le sfuggiva dalla presa la svegliarono del tutto; poco importava che la sveglia avesse smesso di suonare.

“No…” Si lasciò sfuggire dalle labbra Clara: “Torna qui… è presto.”

“Edimburgo ci aspetta, Clara!”

“E lasciala aspettare… ho freddo e voglio dormire ancora!” Rispose lei, rigirandosi dall’altro lato.

“Andiamo, dov’è finito il tuo spirito di avventura?”

La voce di John le sembrava troppo allegra, troppo innaturale per il broncio perenne a cui era abituata. L’unica risposta che diede al suo fidanzato fu un grugnito basso che si spense solo quando lo risentì spingersi di nuovo sotto le coperte e circondarla con le braccia. Lo sentiva sorriderle contro la pelle, dopo averle spostato i capelli dalla nuca per posarle dei dolci e leggeri baci innocenti mentre se la stringeva contro il petto.

Lei sorrise, restando in silenzio a godere ancora di quella pace mattutina e quelle inaspettate ma piacevoli coccole ricevute, pensando a come John fosse cambiato dal momento in cui avevano messo piede su suolo scozzese. Era come se un brio di gioia lo avesse investito, cancellando da quel viso le rughe del cipiglio a cui era abituata e di cui si era comunque innamorata. Non che le dispiacesse questo nuovo lato tenero ed avventuroso di John, anzi; sapeva benissimo che dentro di lui c’era un bambino impaziente ed entusiasta, desideroso di meravigliose scoperte ed esplorazioni… ma la piovosa passeggiata per la città del giorno prima, avvenuta nel breve tratto per raggiungere il Castello, le era penetrata nelle ossa e voleva solo il caldo tonificante del piumino ad avvolgerla. E possibilmente anche un corpo altrettanto caldo a scaldarla.

Dal loro arrivo in Scozia i loro ruoli sembravano improvvisamente essersi invertiti. Praticamente John era quello gaio di vita e Clara quella scontrosa. Ciononostante, la giovane si ritrovò ad ammettere di aver amato Glasgow ed aver adorato i genitori di John e Missy. Si scoprì davvero attratta da quel paese così meraviglioso che era la Scozia, piena di luoghi dall’atmosfera magica e misteriosa, piena di storia, segreti e miti tristi ma anche, in un certo modo, romantici. Tutto le ricordava John. E lei amava anche questo particolare.

Così, anche quel mattino, si ritrovò a doversi alzare e prepararsi per la giornata. Per pentirsene subito dopo aver messo piede fuori dall’albergo in cui soggiornavano.

“John… dobbiamo proprio andare? Non possiamo semplicemente riposarci per un giorno e rimandare a domani?”

John si fermò, girandosi a guardarla e stringendo un po’ di più la mano di lei nella sua. La scrutò per un tempo indefinito, mentre Clara riusciva a cogliere ogni sfumatura grigia dei suoi occhi e quelle lievi pagliuzze nell’iride di un verde pallido che solo nelle giornate di sole riusciva a vedere nel pieno della loro tonalità. Eppure quel giorno di sole non ce n’era, e tutto all’improvviso la scoprta di quel particolare sembrò qualcosa di magico ed impossibile.

“Clara, non ti senti bene?” Disse lui grave, riportandola alla realtà: “Se ieri hai preso troppo freddo ed oggi ti senti male possiamo tranquillamente prenderci il giorno di riposo, lo sai…”

John l’aveva tirata più vicina a sé, lasciandole la mano per correre a prenderle il viso tra le sue e carezzarle le guance con i pollici. La scrutava serio, come se la stesse studiando e decidendo quale malattia avesse. E lei sorrise, per quel premuroso lato professionale che si faceva involontariamente vedere anche mentre erano in vacanza, ma notando anche quella nota di delusione per una giornata persa nella quale, invece, lui le avrebbe potuto mostrare le meraviglie della sua amata Scozia, come d’altronde era stato orgoglioso e felice di fare già nei giorni precedenti.

“Sto bene, non preoccuparti. E’ solo che…”

“Solo che?”

Clara sospirò, portando le sue stesse mani su quelle di John per allontanarle dal viso e stringerle al petto. Si guardò intorno, perdendo lo sguardo verso il fondo della strada, notando l’umidità dei ciottoli sul calpestio, la nebbia fitta si mischiava con il fumo dei camini e non permetteva di scorgere i tetti delle case, nascondendo anche il cielo alla vista. Era mattino inoltrato, avevano scoperto dopo la colazione; sicuramente il sole era già alto nel cielo, ma il grigiore di quella giornata e l’atmosfera pesante la faceva sentire strana. C’era un’aria misteriosa, un presentimento strano che non riusciva ad abbandonare Clara e…

“Forse non avremmo dovuto visitare quel castello con i fantasmi…”

“Cos…? Fantasmi?” Chiese John sbalordito. Si guardò intorno, con quel guizzo strano negli occhi che lasciò intuire Clara che solo in quel momento si era reso conto del clima che li circondava.

E poi lo sentì ridere, prima di abbracciarla e lasciarle un bacio sulla testa:

“Tutto qui? Hai paura dei folletti, Clara Oswald?”

“No!” Rispose lei con orgoglio ed un po’ di rabbia mista a vergogna. Ma si strinse di più nell’abbraccio del suo fidanzato, respirando appieno il suo profumo e trovandolo improvvisamente calmante.

Quando si separarono lui le baciò la fronte e le sorrise con quel sorriso fanciullesco che, stranamente,  troppo bene si abbinava al suo volto di uomo vissuto.

“Fai un respiro profondo, Clara. Spalle dritte, testa alta. Sei sotto la mia protezione, fantasmi e folletti faranno bene a stare lontani da noi, se non vogliono porre fine alla loro immortalità.”

Cosa può un uomo contro creature mistiche? Incontrerebbe la morte o l' eterna infelicità, questo insegnano per lo più le leggende. Eppure quel senso di sicurezza che John le infondeva dava calore e speranza. E lei non poteva non credergli, non poteva non fidarsi di lui.

Clara raddrizzò le spalle, come lui le aveva detto. Alzò la testa e sorrise, improvvisamente avvolta da un’invisibile nuvola di coraggio. E solo infine fece un profondo respiro.

Respirò come se non lo avesse mai fatto, lentamente e profondamente, riempiendosi i polmoni del’aria umida di quel giorno finchè non sentì il torace completamente espanso. Sperava di sentire il profumo di John, assorbirlo per osmosi e tenerselo dentro di sé. Ma c’era anche un pizzicorino familiare nelle narici che la spinse ad espellere subito l’ossigeno inspirato. Annusò l’aria, lo sguardo corrucciato e pensieroso che si rifletteva nell’espressione, simile per riflesso, di John.

“Sento… l’odore del mare.” Disse infine lei: “E‘ l’odore del mare, ne sono sicura.”

“Bè…” Disse semplicemente John con una scrollata di spalle: “ …Edimburgo afaccia sul mare, è normale.”

E poi c’era quell’espressione imperturbabile sul volto di un uomo senza tempo che Clara non riusciva mai a decifrare. Quella stessa espressione che però apriva infinite porte su un futuro decisamente prossimo. C’era qualcosa che quel cervello sempre attivo stava macchinando, qualche idea che si sarebbe presentata di lì a poco e che l’avrebbe lasciata in uno stato emotivo imprevisto. Sorpresa, ansia, gioia o paura. Tutte possibili emozioni che in quel momento sembravano destabilizzarla. Ma era uno stato di destabilizzazione piacevole, quello in cui John riusciva a metterla. Perché c’era sempre la sicurezza di un sorriso, alla fine. Un abbraccio. Un bacio.

E c’era voluto poco per cominciare una corsa improvvisa di cui Clara non conosceva la destinazione. Una corsa avvenuta tra i vicoletti bui e stretti della città, con la nebbia che continuava la sua caduta umida su ogni superficie e Clara che stringeva la presa sulla mano di John ogni volta che, in una curva improvvisa, rischiava di scivolare. Il respiro diventava più faticoso ad ogni passo, l’aria fredda bruciava nella gola e l’umidità dell’aria le si attaccava addosso, ma l’espressione furba e fanciullesca di John le dava calore. Un calore che divenne più fisico quando lui la trascinò via dall’ennesimo vicoletto per  sbucare sulla strada principale, prendere al volo un autobus e stringersela contro tra la folla serrata di turisti. La teneva stretta e protetta, non permetteva a nessuno di sfiorarla. Ed a lei non dispiaceva. Anzi, si stringeva in quell’abbraccio possessivo, con lo sguardo perso oltre il vetro bagnato del veicolo ad osservare la città ed i suoi abitanti che le correvano davanti allo sguardo, immersi in un’aria da sogno che la faceva sembrare una città improvvisamente sovrannaturale.

Pochi minuti dopo - o forse era passato più tempo, Clara non lo sapeva dire con certezza – all’ennesima fermata John la trascinò giù dall’autobus, lasciando di nuovo un ambiente troppo caldo per impattare direttamente contro una dura parete di aria fredda. Il primo impatto costrinse Clara a stringersi il collo del cappotto contro le labbra ed il naso, per calmare quel brivido gelido che le correva lungo la spina dorsale e le pungeva poi tutto il corpo, o ancora riuscire a respirare senza che le narici le bruciassero tanto da farla lacrimare. Ma pochi istanti dopo, quando finalmente il naso smise di far male, lo sentì. Il profumo della salsedine, accompagnato dallo sciabordio delle onde di un mare in leggera burrasca.

John la tirò con sé attraverso il lungomare, con un passo lento che si fermò solo quando raggiunsero il muretto che faceva da confine con la spiaggia.

L’aria salmastra pungeva le narici, ma si respirava con piacere. Il vento freddo portava con sé poche gocce rapite alla schiuma bianca delle onde che si infrangevano sulla battigia in lontananza. Qua e là, sull’immensa spiaggia dorata di Portobello Beach, si vedevano piscine d’acqua lasciate dalla marea nelle quali i bambini vi saltavano, impregnandosi i vestiti. Più lontano c’erano ragazzi che giocavano a pallone, altri che approfittavano del vento per far volare gli aquiloni. La nebbia era rimasta in città, non aveva raggiunto quella zona per chissà quale strana ragione, anche se il cielo coperto da un fitto strato di nubi grigie impediva ancora al sole di fare capolino. Ma a Clara non importava. In quel momento il suo sguardo era perso al mare, a quella spiaggia che le ricordava casa sua ed a quella sensazione di immensa malinconia che stranamente la rendeva calma e felice.

“Sai… a volte ho pensato ad una cosa…” La voce grave di John la strappò dai suoi pensieri, costringendola a voltarsi verso di lui ed incoraggiarlo a finire ciò che aveva da dire.

“L’espressione che hai adesso… l’avevi anche questa estate a Blackpool. Ed ogni volta che passeggiavamo accanto al Tamigi, a Londra.” Continuò John: “Quel misto tra malinconia e felicità che non riesco mai a capire quando ti perdi nei tuoi pensieri guardando qualcosa che ti ricorda il mare. Ora lo capisco. Forse perché sei cresciuta in una città marittima, non lo so; ma quando vedi il mare è come se tu rinascessi. Questa tua espressione… sembra quasi che tu… che tu ne senta la voce o che tu veda qualcosa che io non posso vedere.”

Clara sorrise, senza però parlare. E John continuò ancora:

“A volte ho pensato che tu fossi una Selkie…”
John portò il suo sguardo a guardare l’orizzonte. Clara invece si lasciò scappare una risata rispondendo:

“E’ così? Adesso mi verrai a raccontare qualche leggenda scozzese in cui io sono la creatura magica e tu il povero uomo sedotto ed abbandonato o condotto alla morte tra le profondità del mare?”

“Non ridurre tutto a come se fosse assurdo…” Rispose lui, nascondendole ancora lo sguardo e mascherando il suo improvviso imbarazzo dietro il suo solito broncio indecifrabile: “ Volevo essere… romantico!”

Clara sospirò con il cuore caldo di una dolce emozione, avvicinandosi a lui e stringendosi contro il suo fianco in un abbraccio tenero:

“Lo so, stupido. Ho capito cosa volevi dire.” Rispose con dolcezza, alzando lo sguardo verso di lui: “Se temi che io possa lasciarti per tornare al mare, allora ti sbagli. Nessun mare può portarmi via da te, Dottore. Potrà mostrarmi le meraviglie ed i segreti dei suoi abissi, i tesori più preziosi o tentare di sedurmi con la sua voce misteriosa. Ma qui sulla terra ferma ho già tutto ciò di cui ho bisogno. ”

Lui sorrise, tornando finalmente a guardarla:

“Bene. Perché non ho intenzione di lasciarti andare. Se rivuoi la tua pelle, piccola Selkie, dovrai uccidermi ed aprirmi il petto per strapparmi il cuore, perché è lì che l’ho nascosta.”

“Se volevi essere romantico con questo… in realtà sembra che tu abbia trasformato una dolce leggenda scozzese in una spaventosa storia dell’orrore Giapponese…” Rispose lei con uno sguardo furbo accompagnato da un sorrisetto cinico.

John sbuffò, riportando lo sguardo al mare e mormorando un semplice:

“Sai sempre uccidere il mio romanticismo, tu… non puoi dire che almeno non ci sto provando.”

“Ed io lo apprezzo.” Disse infine lei, alzandosi sulle punte e lasciandogli un bacio al’angolo delle labbra: “E quello che hai detto è davvero molto dolce. In realtà sei molto romantico, Dottore.”

Restarono in silenzio per i minuti successivi, entrambi con lo sguardo perso alla spiaggia che si estendeva immensa davanti a loro, disturbati solo dalle poche urla dei bambini che giocavano sulla sabbia ed i gabbiani nel cielo in lontananza.

Clara si immerse nei suoi pensieri, con lo sciabordio delle onde in sottofondo e lo sguardo perso tra le acque scure del Mare del Nord, diretto all’orizzonte dove esso si fondeva in un’unica tonalità con il cielo. Quelle acque fredde che, per un momento, le ricordarono le acque che aveva conosciuto a Stoccolma.

In quel momento preciso la giovane alzò lo sguardo per osservare il viso del Dottore. Si perse in quegli occhi grigi che rispecchiavano lo stesso colore delle acque burrascose di quel giorno. Ed un pensiero magico stavolta attraversò la sua, di mente.

“In realtà…” Disse dal nulla: “… mi sto chiedendo se non sia tu la creatura fatata tra noi due. I tuoi occhi, in questo momento, sono come il cielo ed il mare fusi insieme.”

“Non sono una fata.” Rispose lui con un tono quasi offeso: “Sono un uomo, mi risulta. Le fate sono donne…”

“Anche  nel mondo del Piccolo Popolo c’è distinzione tra uomo e donna.” Rispose Clara saputella, ma con chiaro tono scherzoso: “E potrei chiedermi se sei una fata maschio! Se le fate rivelano il proprio nome ad un umano sono legati per sempre a lui o lei, obbligati a rispondere ai suoi desideri. Allo stesso modo tu non dici mai il tuo nome a nessuno, se non a pochi, come se fosse un segreto da custodire, facendoti chiamare semplicemente Dottore. E’ quello che mi hai detto quando mi hai rivelato il tuo nome, che pochi erano coloro che avevano il privilegio di chiamarti ‘John’.”

“E tu, il mio nome, lo hai sapientemente disperso in giro per il mondo ogni volta che mi presentavi a qualcuno…” La canzonò lui, alzando gli occhi al cielo in una finta espressione infastidita.

“Ovvio che si! Potevo mica dire alla gente: Lasciate che vi presenti il mio fidanzato, il suo nome è Dottore!”

“E questo mi scagiona, non ti pare?” Disse lui con un sorriso soddisfatto: “ Pur conoscendo il mio nome non sono legato né obbligato a nessuna di quelle persone. Solo te.”

“Solo me.” Ripeté soddisfatta lei: “ E mi sembra ovvio che debba essere così.”

“Quindi…” continuò John con un’espressione improvvisamente incerta: “Anche Missy secondo te dovrebbe essere una fata?”

Clara si fermò a guardarlo sconvolta, soppesando poi seriamente quella questione prima di piegare la testa ed, infine, scuoterla calorosamente:

“No. Lei è molto più simile ad una Banshee.”

John scoppiò a ridere, lasciando la presa di un braccio su di lei per portarsi la mano al viso e cercare di calmarsi:

“Si… mai paragone fu più appropriato.”

Risero ancora mentre scendevano sulla spiaggia, affondando i piedi nella sabbia bagnata. Continuavano a tenersi per mano mentre raggiungevano la riva, restando a distanza di sicurezza per non essere bagnati dalle onde ma anche abbastanza vicini per essere investiti dalla nebula marina alzata dai soffi di vento.

“Sai… un po’ quest’aria mi ricorda Stoccolma…” Si lasciò sfuggire Clara.

Sentì John tendersi al suo fianco, avvertendo che il cambio di discorso ed il tema involontariamente affrontato lo aveva un po’ infastidito.

“Perché non ha funzionato?”

Clara guardò John sorpresa, insicura sul vero senso di quella domanda e se fosse il caso di rispondere. Ma lo sguardo curioso di John le diceva un’altra storia.

“John… perché lo chiedi? Non hai mai voluto sapere…”

“Ora voglio saperlo… insomma, c’era il mare. Stoccolma è formata da arcipelaghi, è circondata dalle acque del Mar Baltico e… l’uomo con cui stavi era il tuo fidanzato anche a Blackpool. Perché non era come casa?”

Clara studiò l’espressione di John e valutò la questione prima di rispondere con una nuova domanda:

“Non sarai geloso?”

“Cercherò di non esserlo. Non te lo prometto, però.”

“Ciononostante vuoi saperlo?”

“Si.” Rispose lui, stringendo la presa su di lei mentre continuavano a passeggiare abbracciati.

Clara si perse per qualche secondo silenzioso nei suoi pensieri, rivivendo nella sua mente quel periodo triste della sua vita. Non si era mai chiesta il motivo del fallimento del suo rapporto con Jonas, ma solo in quel momento si rese conto dell’assurdità di alcune cose. 

Sorrise, però, Clara. Per la prima volta in vita sua sorrise a quelle memorie che le avevano sempre lasciato il cuore stretto in una morsa di rimpianti e sensi di colpa. Ora tutto era sereno, tutto era tranquillo nel suo cuore. E sapeva che era merito di John, perché c’era lui accanto a lei.

Clara sorrise, e diede voce ai pensieri che, per una volta, erano chiari mentre pensava a quell’amore adolescenziale cresciuto e poi morto in età adulta.

“Non ti ho mai detto il suo nome. Lui si chiamava Jonas. L’equivalente svedese di John, caso strano.”

Il Dottore si lasciò scappare un grugnito, il corpo ancora più teso mentre rallentava il passo con cui la stava conducendo lungo la spiaggia. Un sospirò profondo e rumoroso raggiunse le orecchie di Clara, ma lei era decisa ad ignorare per il momento l’evidente gelosia incontrollata di John e continuare ad esprimere i suoi pensieri.

“Lo amavo, John. Non posso negare questo. Così come so che tu hai amato altre donne, molte altre donne prima di me.”

“Non allo stesso modo… non è la stessa cosa…” Lamentò lui con voce bassa e triste.  Il cuore che gli si stringeva e faceva male.

“Aspetta, fammi finire ciò che voglio dire, ti prego.”

La supplica di Clara fu ascoltata. Il Dottore sospirò profondamente e tacque, rassegnato a dover controllare quel battito cardiaco irregolare ed il dolore  di quella morsa fastidiosa che gli serrava lo stomaco. Maledetta gelosia!

“Volevo stare con lui, per questo avevo lasciato Londra per raggiungerlo in Svezia. Lui lavorava, io cercavo di… non lo so. Avevo lasciato l’Università, pensavo ancora alla morte di mia madre. Trovavo qualche lavoretto saltuario che però non mi soddisfaceva. Ma mi dicevo che in quella città c’era tutto ciò di cui avevo bisogno. C’era Jonas, e c’era il mare che mi ricordava casa. Eppure sapevo che quella non era casa mia.”

Clara restò in silenzio per un momento, alzando lo sguardo al cielo per poi continuare:

“Era Dicembre. Una giorno stavo attraversando uno dei tanti ponti della città. Non ricordo quale, ma ricordo che stava nevicando anche se il freddo secco rendeva l’aria sopportabile e respirabile. La neve non si posava per terra, erano sporadici fiocchi che cadevano lievi e silenziosi. Ricordo di essermi fermata a guardarne alcuni cadere e sciogliersi sull’asfalto, mentre altri cadevano in acqua. Ricordo di  essermi affacciata per un attimo dal ponte, curiosa di scoprire se ci fossero calotte di ghiaccio che galleggiavano e… ho visto le acque scure del Mar Baltico che sciabordavano dolcemente sotto di me.”

Clara tacque e John si fermò, costringendola a fermarsi con lui mentre la guardava con uno sguardo improvvisamente allucinato. C’era paura negli occhi di John, il terrore di scoprire qualcosa che lei non aveva mai rivelato prima e… non poteva essere, non qualcosa di così terribile:

“Clara… tu… non avrai mica…”

Lei lo guardò perplessa e confusa, prima di capire cosa lui le stesse suggerendo e scattò subito sull’attenti:

“No!” Urlò la giovane oltraggiata, attirando l’attenzione delle poche persone nei paraggi.

Clara calmò la voce, avvicinandosi di nuovo a lui per rassicurarlo:

“Non pensare nemmeno ad una cosa del genere, John! Il suicidio non è mai stato nei miei pensieri nemmeno una volta nella mia vita!”

“Scusa…” Disse lui dispiaciuto ma anche chiaramente sollevato: “E’ solo che… il modo in cui stavi parlando non mi piaceva, mi ha fatto temere che…”

“Mi dispiace.” Disse lei sincera: “Non era mia intenzione. Quello che volevo dire è che… ho visto quanto fossero scure quelle acque; non c’era una sola piccola lastra di ghiaccio a galleggiare sulla superficie, ma ho visto lo stesso quanto quelle stesse fossero fredde. Mi sentivo sola. C’era l’uomo che amavo con me in quella città, ma io mi sentivo sola. Ed ho capito che quella non era casa mia. Non sarebbe mai stata casa mia. Amavo Jonas, ma non abbastanza da… rinunciare alle mie priorità. E lui non poteva rinunciare alle sue. A Stoccolma lui stava avendo ciò che voleva, io invece no. Lui stava rinascendo mentre la mia anima, invece, stava lentamente morendo. E’ una città bellissima, ma non è la mia città. Non è Blackpool, non è Londra. Non so se capisci cosa voglio dire.”

“Si.” Sorrise lui con una lieve piega triste delle linee del viso: “ E sono fortunato che lui ti abbia lasciato andare.” La stretta possessiva di John la raggiunse e la scaldò, disegnandole un sorriso dolce sulle labbra.

“Non era lui il mio destino. Aveva un nome simile al suo, ma non era il volto giusto.” Lei gli fece l’occhiolino, salendo sulle punte dei piedi per posare un rapido bacio sulle labbra seccate dal vento freddo.

“Un John era di sicuro previsto nella mia vita.” Continuò lei: Un John col quale qualsiasi posto mi sarebbe sembrato casa. Probabilmente sarei rimasta anche a Stoccolma se accanto a me ci fossi stato tu. Sei tu la mia anima gemella, Dottore. Con te ho sicurezze che in quegli anni non avevo. Con te ho certezze e vedo un futuro che allora non riuscivo a vedere. Quegli anni li ricordo bui. Con te vedo la luce anche dove non c’è. Anche adesso, con la stessa aria che respiravo allora, con lo stesso freddo e simili acque scure. Ora tutto mi sembra luminoso, e sei tu a renderlo tale.”

E quello sguardo… quei freddi e grigi occhi che improvvisamente si illuminavano di una dolcezza unica. Quella luce limpida e sincera che non aveva mai visto nello sguardo di nessun altro uomo, che le scioglieva il cuore e le faceva tremare le gambe e Clara sapeva per certo di amarlo come mai aveva amato, con una profondità che le spezzava sempre il fiato e le faceva quasi male al cuore. Leggeva in quegli occhi lo stesso amore che lei provava per lui. Vi leggeva quel ‘Ti amo’ quasi mai detto, ma chiaro, caldo e limpido come il cielo di un giorno d’estate.

E fu per questo che lei non protestò, quando John le cinse i fianchi e l’avvicinò a sé. Fu per questo che Clara si alzò sulle punte e lo incontrò a metà strada sulla via di un bacio. Le loro labbra si unirono ed i loro corpi si strinsero, ignari dei passanti, ignari del vento che sferzava le guance arrossate dal freddo o dei bambini che correvano intorno ridendo. Fu un bacio volutamente lento e senza pretese, con le labbra che si carezzavano con delicatezza in un’alternanza di dominanza e cessione del potere. Clara succhiò il labbro inferiore di John prima di lasciare che fosse poi lui a fare lo stesso con lei. Avvertì la lingua del Dottore premerle contro il labbro, abbandonandosi ad un sospiro profondo mentre dischiudeva la bocca per concedergli un accesso più intimo. E sentì le gambe cederle del tutto quando John la strinse di più a sé per sorreggerla, come se avesse intuito o saputo l'efftto che le stava procurando, accarezzandole la lingua con la sua.

Quando il bacio finì le loro fronti si toccavano ed i nasi si scontravano giocosamente.

Clara sorrise ed aprì gli occhi per guardare il volto dell'uomo che amava. Poi, spegnendo di nuovo il suo sorriso contro le labbra di John, disse:

“Forse nemmeno Edimburgo è così male, come casa…”

“Ovunque, Clara. Purchè ci sia tu accanto a me.” Rispose John, prima di baciarla di nuovo.

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E rieccomi xD

Come dicevo all’inizio, spero che abbiate gradito la lettura di questo primo capitolo.  Non garantisco per aggiornamenti rapidi, ma posso garantire il continuo della storia e che tratterò alcuni momenti omessi nella storia principale. Il fatto è che la notizia dell’addio di Peter Capaldi mi ha messa una nostalgia incredibile  addosso, ho avvertito la mancanza del mio John e della mia Clara e…ed è stato più forte di me, ho dovuto scrivere qualcosa. Questo primo capitolo è stato molto ‘dolcioso’ al limite del diabete, ma non mancherà l’angst nei prossimi capitoli, ci potete scommettere xD E molto probabilmente cambirò anche il rating in futuro, ma cominciamo con un giallo giusto per sicurezza. Spero di poter aggiornare presto col secondo capitolo. Per il momento, cercate di smaltire i troppi zuccheri che vi ho somministrato in questo ;)

Grazie a chiunque abbia avuto la voglia e la pazienza di leggermi. Alla prossima :*

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Nota: Questo capitolo è messo in qualche tempo poco prima del matrimonio.

 

 

Capitolo 2

 

Il primo figlio è sempre qualcosa di spaventoso ed emozionante assieme. C’è la paura di essere una madre inadeguata, così come la paura più fisica di affrontare nove mesi di punti interrogativi ed, infine, un parto da tutte le donne descritto come un momento di puro dolore sostituito immediatamente da una sensazione di gioia estatica non appena stringevano il loro bambino.  Clara avrebbe voluto volentieri saltare il lato ‘pena’ per passare direttamente al lato ‘ gioia’.

L’esenzione fortuita dalla nausea mattutina non aveva però reso le cose più facili. Di contro, gli sbalzi d’umore dovuti alla disfunzione ormonale tipica della gravidanza la rendevano troppo instabile ed insopportabile anche per se stessa, a volte.

Così, se da un lato adorava l’emozione provata di fronte al primo paio di scarpine comprate per il bambino, dall’altra odiava il nervosismo e la rabbia nata dal nulla (cioè dagli sbalzi ormonali) che la ‘costringeva’ a rispondere male a chiunque le chiedesse qualcosa nel momento – secondo lei – più inopportuno.

E per completare l’opera, ci si erano messi anche i preparativi per il matrimonio e l’imminente trasferimento ad Edimburgo che avevano ritardato fin troppo la prima ecografia.

 *** 

 John aveva chiamato un vecchio collega all’ospedale, riuscendo a trovare un buco libero poco prima di pranzo. Clara era nervosa in sala d’attesa, silenziosa come non era mai stata, ma la mano stretta in quella di John sembrava calmarla. Una mano che continuò a stringere la sua finchè non fu stesa sul lettino della sala ecografie; una mano che non la lasciò nemmeno quando, all’arrivo dell’ecografo, John si alzò in piedi per salutare il suo collega.

“Che piacere rivederla, Dottor Smith. So che in chirurgia la sua equipe sente molto la sua mancanza.”

Il Dottor Stewart lo salutò con un sorriso appena visibile, nascosto da folti baffoni neri.

“Hanno la Dottoressa Jones, sono in ottime mani.” Rispose John con un tono altrettanto amichevole che stupì Clara non poco. Evidentemente tra i due c’era un rispetto reciproco che riusciva a smussare gli angoli spigolosi del carattere di John, un qualcosa che solo pochi eletti riuscivano ad avere.

“Quindi… lei è la fortunata signora Smith.”

Clara fu riportata a galla dai suoi pensieri dalla voce del Dottor Stewart, riuscendo a rispondergli solo con un sorriso timido.

“Si. Lei è mia moglie Clara.” Rispose subito John, dedicandole uno sguardo così pieno d’ammirazione ed amore da farla quasi scoppiare in lacrime, mentre lui portava la sua mano alle labbra per posarvi su un lieve bacio ed aggiungeva:

“Ed il fortunato sono io, ad averla con me.”

Era raro che John si esprimesse così apertamente in pubblico, tranne quando c’era qualcosa che lui sentiva lo stava minacciando. Ma non era quello il caso. Le emozioni così esposte di John erano autentiche e le scaldavano il cuore.

Il nervosismo si fece più pungente quando Clara si scoprì lo stomaco ed avvertì il freddo viscido del gel per l’ecografia sulla pelle. Ma le emozioni divennero però incontrollabili nel momento in cui, sullo schermo fino a quel momento nero, cominciò a vedersi una piccola macchia grigia informe che si muoveva vispo, prima di fermarsi di profilo e farsi inquadrare dalla camera speciale che lo prendeva come modello.

Il Dottor Stewart le indicava il punto esatto in cui guardare, calcolando approssimativamente il periodo del concepimento e spiegandole che il feto si sviluppava bene, seguendo i tempi previsti. In pratica, sembrava fosse tutto nella norma.

Clara fissava lo schermo senza rendersi conto che il respiro le si era fermato. Non riusciva davvero a distinguere perfettamente la forma che il medico le stava invece descrivendo con precisione; ma quel pulsare vivido che riusciva a distinguere su quello schermo dimostrava che dentro di lei davvero c’era una vita che cresceva, dandole per la prima volta una prova fisica di esso ed indescrivibili emozioni, troppo forti da controllare.

“Vedi quella piccolissima macchia nera, divisa in settori e circondata dal grigio, che pulsa?” Le disse John all’orecchio con una voce dolce e piena di commozione, venendola in aiuto.

Clara annuì, stringendo la presa sulla mano di suo marito e fissando lo sguardo meravigliato proprio su quella macchiolina.

“E’ il suo cuore che batte.” Disse John in un sussurro.

Il cuore di Clara fu stretto da una morsa forte e calda, prima di esplodere nel momento in cui il Dottor Stewart premette un pulsante ed un tonfo assordante si espanse tra le quattro pareti della sala.

Tum.Tum.Tum.Tum.

Era come un tamburo che batteva prepotente, un cuore piccolissimo ma già forte che gridava la sua voglia di vivere. Ed accompagnava le lacrime di gioia che presero a scendere dagli occhi di Clara:

“Dio… è così veloce!”

“E' normale, va tutto bene." La rassicurò John con un sorriso: "E’ prepotente. Proprio come sua madre.”

“Non sono prepotente.” Contestò Clara con un leggero cipiglio ed imbronciando le labbra.

John si lasciò scappare una risatina, delineandole poi a voce i lineamenti del profilo del loro bambino. E lei, stavolta, sembrava finalmente vederlo. Anche se gli occhi a volte venivano annebbiati da lacrime insolenti.

Il Dottor Stewart restava in silenzio, limitandosi a sorridere e spostare occasionalmente lo scanner sul ventre di Clara per catturare altre scansioni.

C’era un’atmosfera emotiva palpabile in quella stanza; le lacrime che cadevano dagli occhi di Clara morivano su un sorriso splendido  e l’espressione di John era così serena da rasentare l’impossibile. Mai, il Dottor Stewart, ricordava di aver visto i lineamenti del Dottor Smith così rilassati, mai sul suo viso aveva visto quell’espressione di completa ed appagante felicità. Sembrava quasi che le emozioni della coppia si riversassero piacevolmente su di lui, perciò non rimase sorpreso quando Clara disse di non voler ancora sapere quale fosse il sesso del bambino.

“In realtà… è ancora un po’ presto per dirlo con certezza. In più il bambino è in una posizione sfavorevole, non potremmo comunque vedere se sia maschio o femmina. Si nasconde, fa il timido.”

“Allora questo lo ha preso da suo padre.”

“Sono ben lungi dall’essere timido, mia cara.” Rispose John, avvicinandosi all’orecchio per sussurrarle maliziosamente: “Non lo ero, la prima volta che ci siamo parlati. La prima volta che ti ho sfiorata.”

“Sta zitto… avevi mesi di sentimenti repressi da sfogare. Questo da coraggio.” Rispose lei, dandogli una lieve pacca sul braccio e rassicurandosi che il Dottor Stewart – impegnato a stampare ecografie e referto più distanti da loro – non li sentisse.

 

 

Più tardi, la coppia si era ritrovata a condividere un pranzo in un ristorantino nel cuore di Londra.

Seduti l’uno accanto all’altra, ignorando completamente il resto della sala gremita di gente, aspettavano i loro piatti con le prime ‘foto’ del loro bambino sparse sul tavolo.

Clara si premeva contro il fianco di John, un braccio di lui drappeggiato sulle spalle a stringerla dolcemente.

Erano rilassati e felici, mentre Clara gli chiedeva di leggere di nuovo l’ecografia per lei. John sorrideva, portando l’indice sulle scansioni e seguendo le linee di contorno del bambino le elencava ogni particolare di quella forma. Ed a Clara sembrava così dolce riuscire a scovare una forma finalmente ben definita, seguendo un disegno preciso tracciato dalle sapienti dita del marito. Era come se stessero abbozzando loro stessi i lineamenti di loro figlio aggiungendo fantasiosi particolari qua e là: i riccioli di John ed il naso di Clara. L’altezza e la forma sottile di suo padre, in caso fosse maschio, ma le labbra piene con gli occhi scuri ed espressivi di sua madre, in caso fosse femmina.

“Io vorrei avesse i tuoi occhi, però…” Disse Clara con un sorriso, togliendogli gli occhiali dal viso e guardandolo negli occhi prima di continuare:

“Questo pallido verde che diventa grigio quando il cielo è nuvoloso, con quelle pagliuzze dorate nell’iride che amo tanto. Amo i tuoi occhi. Sono imprevedibili e complicati, proprio come sei tu.”

“Ami solo i miei occhi?” Chiese John, prendendole gli occhiali dalle mani per posarli sul tavolo, prima di tornar a guardarla con uno sguardo a metà strada tra l'estatico ed il malizioso.

“Si dice che gli occhi chiari siano freddi e non trasmettano emozioni.” Disse Clara in un sussurro, avvicinandosi abbastanza per sfiorargli le labbra senza però baciarlo davvero, limitandosi a poggiare la fronte contro quella di lui e continuare: 

“ Ma tu hai degli occhi molto espressivi. Mi basta guardarli per leggervi dentro tutto quello che ho bisogno di sapere, John. E vederti così felice mi rende felice.”

“Sono sempre felice, quando sei con me.” Rispose lui, portando la mano destra sulla guancia sinistra di lei e strofinando per gioco il naso contro il suo continuando:

“ E non solo perché aspettiamo un bambino che ora sta crescendo dentro di te… tu hai capovolto tutta la mia vita, mi hai fatto mettere in discussione tutto ciò in cui credevo. Mi hai mostrato una vita diversa da quella che vivevo, facendomi capire quanto mi stessi sbagliando, cosa mi stessi negando… mi sono innamorato di te così profondamente, in un modo che non credevo potesse esistere. Ma lo senti cosa mi fai dire?” Sorrise infine lui: “ Cose che non avrei mai e poi mai pensato di dire a nessuno. Hai cambiato il mio cuore, hai cambiato tutto in meglio, Clara.”

“Bene…” Rispose lei non nascondendo una punta di orgoglio e prendendosi in pieno quelle parole così dolci: “ Felice di essere l’eccezione tra le tante. La migliore, per altro!”

“Pecchiamo di megalomania, qui.”

“In questo caso si!” Ancora orgoglio nella sua voce, ma non per se stessa. L’orgoglio di avere accanto a lei un uomo meraviglioso come John. L’orgoglio che quell’uomo sarebbe stato il padre del suo bambino.

Furono interrotti dal cameriere che aveva portato le loro ordinazioni, con gli occhi di Clara che si illuminarono e lo stomaco che brontolava rumorosamente. John scoppiò a ridere mentre lei arrossì, ma presero a pranzare in un comodo e rilassato silenzio finchè, qualche minuto dopo, una voce richiamò la loro attenzione:

“John? John Smith?”

Era la voce incerta di una donna, quella che li aveva strappati via dalla bolla di realtà realtà di cui si erano cicondati. Clara si voltò istintivamente, non riconoscendo però il volto di quella sconosciuta, una bella sconosciuta, che sembrava avere sui quarant’anni di età ed uno sguardo triste ma dolcissimo.

John, invece, la riconobbe. Eccome.

“Joan…”

Clara lo vide alzarsi di scatto, il volto teso e lo sguardo improvvisamente oscurato da un velo di senso di colpa. Chi diavolo era quella bionda?

“Joan Redfern.” Pronunciò ancora John, scostando la sedia e tenendosi ancora di più nel corpo, incapace di muovere un solo muscolo, indeciso sul se porgerle la mano oppure no:

“Sono… sembrano passati secoli. Come stai?”

La donna in questione lo fissava con uno sguardo triste ed un accenno lieve di sorriso teso. Qualsiasi cosa fosse intercorsa tra questi due, Clara poteva intuire che non fosse finita molto bene.

“Io…bene.” Disse la donna, pronta a rompere il silenzio imbarazzante che sembrava aver gelato l’aria:

“Diciamo che non mi lamento. Non ero sicura fossi tu… ma ho pensato, bè… magari potevo salutarti, dopo tutti questi anni.”

John non rispose, accennando solo un si con la testa, incapace di pronunciare parola.

“Oh…” Continuò Joan, imbarazzata dalla passività di John e rendendosi conto di essere diventata una presenza scomoda. Diede un’occhiata rapida alle scansioni sul tavolo e concluse:

“ Stavate lavorando… è tipico di te, sempre dedito al lavoro anche al di fuori dell’ospedale.”

Questa volta lo sguardo ed il sorriso di quella donna avevano un’emozione ben diversa dalla malinconia di cui era circondata.

“Mi dispiace avervi interrotti.” Continuò lei: “ Meglio che vada, tu e la tua assistente avrete da studiare qualche caso difficile, immagino… mi ha fatto piacere però rivederti.”

“Assistente?” Sussurrò Clara confusa, non diretta però a nessuno dei due.

La voce di Clara però, sebbene bassa, raggiunse John e servì a scuoterlo, risvegliandolo dal coma letargico in cui era caduto e spingendolo finalmente ad aprire bocca.

“No.” Disse semplicemente l’uomo, dando uno sguardo di scuse a Clara per poi guardare alcune scansioni che ancora stringeva nervosamente tra le mani. Poi sorrise felice, aggiungendo infine:

“Lei è… non è la mia assistente. Lei è mia moglie, Clara.”

C’era una differenza sostanziale tra la presentazione di lei che aveva dato a questa donna sconosciuta e quella data al dottore durante l’ecografia. L’amore era rimasto nel suo sguardo e nel suo sorriso, ma l’orgoglio era stato sostituito da qualcosa che somigliava molto alla… vergogna? Senso di colpa? E poi c’era quello sguardo sul volto di lei. Lo stesso sguardo di giudizio che gli sconosciuti riservavano loro quando apprendevano la vera natura del loro rapporto. Quello sguardo che loro due continuamente si imponevano di ignorare e dal quale non volevano farsi ferire ben sapendo che, tempo un giorno o due, quegli stessi sconosciuti si sarebbero perfettamente dimenticati di loro.

 “Queste sono mie.” Disse quindi Clara, decidendo di voler ignorare per il momento quella sensazione pungente di disagio che aleggiava su di loro e concludendo con un sorriso raggiante ed orgoglioso:

 “Sono incinta.”

Il silenzio che si insinuò tra i tre era penetrante e feriva più di un coltello rovente. Il viso di John era rosso e quello della sconosciuta invece aveva perso ogni colore. Gli occhi azzurri di lei guizzarono rapidamente alle immagini e poi al viso di Clara che, solo in quell’istante, si rese conto di quale errore probabilmente aveva commesso. Forse, solo forse, aveva intuito ‘chi’ quella donna fosse…

“Credo che le mie congratulazioni siano dovute, allora.” Disse infine Joan Redfern, concedendo un sorriso di circostanza alla coppia, prima di rivolgersi solo a John:

“Sei cambiato molto, John. Ma sembri anche molto felice. Ed io vi ho rubato troppo tempo. E’ stato bello rivederti, addio… Johnny.”

La donna si voltò per andarsene, nascondendo il viso alla coppia prima di essere fermata nuovamente da John.

“Joan!” Disse lui con un tono di voce forse un po’ troppo alto. Si grattò la nuca, aspettando che lei si girasse e si schiarì la voce per cercare una sorta di compostezza:

“Mi dispiace… di averti ferito.”

Ed eccola la goccia che cadeva. Clara ebbe conferma alle sue ipotesi, ma rimase in silenzio mentre i due si scambiavano uno sguardo che sapeva di rimorso, per John, e rimpianto per la bionda.

“Sono passati tanti anni, John. E’ andata come doveva andare.”

"E..." continuò il Dottore: "Sei felice, adesso?"

Joan lo guardò e sorrise sinceramente per la prima volta da quando si erano incontrati: 

Si. Si lo sono. Prima di andarsene con un cortese e più freddo: “Sii felice anche tu, Johnny.”

Quando la donna si fu allontanata e John si sedette nuovamente al suo posto Clara lo studiava apertamente. Aspettava in silenzio che John dicesse qualcosa, ma lui si sforzò di darle semplicemente un rapido sguardo ed un sorriso prima di fermarsi a fissare i resti del loro pranzo nei piazzi lasciati a metà.

“Quindi…Johnny…” Decise allora Clara di interrompere quel silenzio imbarazzante, imprimendo una certa nota sarcastica sul nomignolo che quella donna gli aveva dato: “Chi era?”

La giovane aveva scelto di fingere ingenuità. John, non veva mancato di accorgersi però del lieve fastidio che si avvertiva nella voce di lei. Ma le rispose con voce meccanica e senza troppa reale coscienza delle parole che avrebbe pronunciato:

“La mia ex.”

“Avevo intuito.”

“Perché me lo hai chiesto, allora?”

Non le era sfuggito il tono alterato di John, e la cosa la infastidiva ancora di più.

“Volevo una conferma. Solo non capisco… perché ti ha turbato tanto. Sembrava che ti vergognassi di me.”

“Non era vergogna, Clara.” Rispose lui con un sospiro profondo e la voce strascicata, continuando: “Lei è… Come ti sentiresti tu ad incontrare il tuo ex, l’uomo che volevi sposare e con cui volevi avere figli ma che ti ha lasciato perché aveva ideali diversi, che ti ha mollata perché diceva di non poterti dare ciò che volevi, che non si sarebbe mai sposato perché non credeva nel matrimonio e non avrebbe mai avuto figli, e scoprissi invece che ha fatto proprio quelle cose. Insomma, un giorno lo incontri e... lo vedi con un’altra donna alla quale ha concesso ciò che a te ha negato.”

“Se incontrassi il mio ex non mi farebbe né caldo né freddo! Questo perché amo te adesso, solo te!” Rispose Clara con il nervosismo ben tangibile nella voce: “ Ma mi sentirei male a pensare a te con un’altra donna. Male come mi sento adesso, a vederti rimpiangere quello che hai dato a me e non a lei!”

Stavano entrambi camminando su un campo minato. Entrambi avvertivano ferite sul cuore riaprirsi e si rendevano conto che ogni parola andava pesata e ben valutata prima di essere detta. Il disastro era imminente e la rabbia o il disagio di quella situazione doveva essere controllata. Solo che negli ultimi tempi tutto sembrava essere fuori dal loro controllo. A partire dal bambino che aspettavano, continuando con il matrimonio frettoloso e la proposta di lavoro che John aveva deciso di accettare ad Edimburgo. La loro vita era diventata un vortice e loro ne erano in balia completa.

John si passò le mani sul viso e tra i capelli, decidendo di prendersi pochi secondi per calmarsi e respirò profondamente prima di parlare con una voce più sottile, sconfitto:

“Hai frainteso, Clara… non è rimpianto, non è vergogna che sento. Ma un rimorso di coscienza che brucia. Ho commesso molti errori nella mia vita, ferito molte persone e questo mi porta ad avere molti rimorsi. E Joan è una di quelle persone che ho ferito, e non lo meritava. La amavo, in un certo senso. O almeno credevo. Poi ho incontrato te e…. hai rivoluzionato il mio mondo, il mio modo di sentire le emozioni. Non ho mai amato nel modo profondo e devastante in cui amo te. Sono in balia di un mare in tempesta che non posso controllare, lo sai… tu mi bruci, mi fai dire o fare cose che non avrei mai creduto di poter fare.” Finalmente la guardò, con gli occhi luminosi ed un sorriso dolcissimo mentre le portava una mano sulla guancia e prendeva a carezzarle il viso.

“Lo sai che ti amo, Clara. E non mi pento di nulla che riguardi noi. Ma quando ho visto Joan, c’era questo vuoto nel petto, questo buco nero, questo senso di colpa che mi stava risucchiando. E non perché mi vergognavo di te o di nostro figlio, anzi è tutto il contrario! Mi vergognavo di me, di essere stato un uomo crudele e di esserlo ora agli occhi di una persona che non meritava di essere trattata nel modo in cui ho fatto. Non le ho mostrato amore, non le ho mostrato pietà nella nostra relazione, semplicemente trattavo il tutto come se fosse una sorta di ‘contratto’ in cui dicevo: sono così e le cose vanno in questo modo, o accetti o te ne vai. Ha sopportato tanto e troppa indifferenza da parte mia. Non sono sempre stato un uomo buono…”

Clara annuì, senza però guardarlo. Poteva in un certo senso capire lo stato d’animo di John, anche se la gelosia voleva offuscare il suo giudizio e la sua comprensione. Non dubitava delle parole di John, soprattutto non poteva metterlo in discussione quando lei era la prima a vergognarsi di se stessa per le illusioni che aveva lei stessa dato tempo addietro ad un altro uomo. Non si era comportata in modo peggiore con James, approfittando dei sentimenti sinceri di lui per non sentirsi sola, per affievolire la mancanza di John usandolo come un sostituto? Prendere in giro qualcuno non era forse peggio del dare a qualcuno ciò che voleva ponendo le carte sul tavolo come invece John aveva fatto in passato con la sua ex?

“Clara…” Continuò John, portando l’altra mano sullo stomaco di lei: “Io sono orgoglioso di questo. Sono orgoglioso di noi. Non rimpiango nulla, Clara. Ma l’unica cosa di cui davvero mi vergogno è stato quello di mettere in discussione il nostro rapporto quando invece dovevo aggrapparmici di più.”

Il riferimento a quanto accaduto con Martha Jones non le era sfuggito. Ma in quel momento fu Clara a sospirare e scuotere la testa, voltandosi finalmente verso di lui:

“Ti ho perdonato per quello, John. Ed avevo commesso anch’io i miei errori. Dovevo esserti di maggiore sostegno, essere più attenta e sincera invece di lasciar macerare i dubbi e le emozioni nel silenzio. Io ti ho perdonato.”

“Ma io  no. Non potrò mai perdonarmi. Quindi… ho tanti rimorsi e Joan è uno di quelli, ma posso conviverci. E poi ho questo unico rimpianto: quello di non averti dato la giusta fiducia in un momento buio, di non averti dato il giusto credito quando mi eri vicina nonostante ti respingessi… ho fallito quando non dovevo farlo e non potrò mai perdonarmelo.”

“Sta zitto. Zitto, zitto zitto….” Concluse infine Clara, mettendogli un dito sulle labbra.

“Lascia il passato dove deve stare. Abbiamo tutto il futuro davanti. Sei qui con me, non hai fallito proprio nulla. E non sei più lo stesso uomo che eri negli anni passati. Sei un uomo buono, sei il nostro eroe.” Gli disse infine lei, poggiando la mano su quella di lui che ancora incedeva titubante sul ventre. La strinse nella sua e gli sorrise.

“Vorrei baciarti…” Rispose John con un ghigno sulle labbra: “Ma ho apura che abbiamo già dato troppo spettacolo.”

Si guardarono intorno, rendendosi conto che forse i tavoli vicini avevano potuto sentire o comunque avvertire i loro sussurri nervosi o comunque interpretare le loro espressioni facciali nonostante avessero cercato di tenere i toni bassi. Ma Clara decise che la cosa non doveva importarle più di tanto:

“Sono abituata al giudizio della gente e non può fregarmene di meno. Sono libera di baciare mio marito ogni volta che voglio ed in qualsiasi luogo lo ritengo opportuno.”

E come promesso, la giovane si sporse in avanti quel che bastava per posare le labbra su quelle di suo marito. Fu un bacio puro e casto, sebbene lento, lasciandole percepire appena sulla lingua il pranzo di suo marito. John lasciò scorrere la mano sulla guancia di lei, intrecciando le dita tra i suoi capelli, lasciando che le loro fronti si toccassero quando il bacio finì. Aprì gli occhi e le sorrise, con le labbra semiaperte mentre cercava di ritrovare il suo respiro, incapace di parlare e ringraziando chissà quale forza misteriosa le avesse donato questa donna forte e piena di così tanto amore e compassione da potergli perdonare ogni stupida azione o pensiero. 

“Dai…” Parlò infine Clara: “ Mostrami ancora com’è fatto nostro figlio, mentre finiamo di mangiare!”

“Ancora?” Chise lui, fingendosi esausto. Poi sorrise e ricominciò di nuovo a tracciare la stessa forma con le dita su una scansione più chiara:

“Allora…” Disse John con un chiaro sorriso nella voce, chinandosi sull’ecografia in questione: “Questa parte qui è la sua testa. Scendiamo un po’ più in basso, sul profilo appena accennato del suo viso e, proprio lì davanti… vedi queste sporgenze? Sono le sue mani, le tiene vicine al viso..”

“Imbronciato!” Lo interruppe Clara ridacchiando: “Proprio come suo padre!”

“Shhh!” La guardò con un cipiglio al quele Clara non potè evitare di ridacchiare ancora di più.

“Va bene. Continua…” Disse però più seria lei, premendosi di più contro il fianco del marito mentre lui continuava:

“Dicevo… le sue mani e… le cinque punte che vedi qui sono le sue dita che si stanno formando. Scendiamo ancora un po’ di più e…”

“Oh!” Lo interruppe Clara ingoiando profondamente un respiro.

“Cosa?” Le chiese John con un’espressione apprensiva, afferrandole un braccio.

“Tu sai leggere le ecografie!!” Esordì lei, come se avesse solo in quel momento realizzato davvero la cosa.

John la guardò sbalordito, confuso da quell’esclamazione ed espirando il respiro che stava trattenendo. Aveva creduto che fosse accaduto qualcosa, che lei sentisse un qualche tipo di dolore, che ci fosse qualcosa che non andava col bambino…

“Clara…” Disse lui incerto: “… è quello che sto facendo per te da due ore circa. Oltre al fatto che sono io stesso un medico. Un chirurgo, nello specifico. Devo saper leggere le ecografie, devo saper vedere dove e cosa opero prima di aprire un paziente… ovvio che so leggere le ecografie.”

“Si, certo, ovvio…” Rispose meccanicamente lei, abbassando lo sguardo per la vergogna prima di allontanarsi e guardarlo seriamente, in silenzio, per alcuni interminabili secondi.

“Ti è proibito guardare le prossime ecografie!” Esordì infine la giovane, con un’espressione solenne sul viso che non ammetteva di essere contrariata.

“Cos… no!” Esplose John offeso: “Non puoi proibirmelo! Su quali basi?”

“Sulle basi del fatto che, se le guardi, potrai capire il sesso del bambino ed io voglio che sia una sorpresa!!”

“Ma Clara! Se io volessi invece saperlo? Non te lo direi, giuro!”

“No!” Rispose categorica Clara: “ Mi basterebbe guardarti negli occhi per capirlo. Con una femmina saresti geloso e protettivo come sei con me, cominceresti a preoccuparti all’istante!”

John sbuffò, incrociando le braccia al petto ma senza recriminare. Clara lo conosceva troppo bene ed aveva  pienamente ragione. Poi si sporse in avanti e cominciò a raccogliere alcune scansioni, custodendole gelosamente tra le mani e guardandole avidamente.

“Cosa fai?” Gli chiese Clara, incrociando lei stavolta le braccia al petto.

“Le sequestro. Visto che sono le uniche scansioni di mio figlio che vedrò mai sono mie.”

Clara alzò gli occhi al cielo e non rispose.

Rimasero così per alcuni attimi. In un silenzio in cui non si erano resi conto di esser caduti mentre John sembrava bere quelle immagini con gli occhi. Entrambi avvolti in una bolla di realtà in cui esistevano solo loro e loro figlio.

“Ti amo, Clara.” Disse infine John, baciandole la fronte prima di tornare a guardare le immagini: “Ed amo lui o lei.”

“E noi amiamo te.” Rispose lei, poggiando la testa sulla sua spalla.

John avrebbe conservato gelosamente quella prima ecografia. Ancora non sapeva che avrebbe poi potuto vedere le scansioni di tutte quelle successive perché il piccolo continuava a nascondersi allo scanner. Clara avrebbe detto il contrario, ma John avrebbe sempre asserito, anche dopo la nascita, che loro figlio, in una qualche forma inconscia di solidarietà tra maschi, era dalla parte di suo padre.

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NOTA:

Nota: Avrei voluto inserire la ex di John già nella storia principale ed in un contesto molto diverso.... ma volevo fare tante cose allora che poi non ho più fatto, compreso un qualcosa che comprendeva James. Ma va bene così.Spero abbiate riconosciuto Joan Redfern: l'infermira di cui John Smith (la versione umana del Dcimo Dottore in 'Human Nature') si innamora e con la quale instaura una relazione che non può che sfociare nel matrimonio. Quando Ten si rigenera in Eleven, compie un viaggio che lo porta ad incontrare tutte le persone che hanno contato molto per lui in quella rigenerzaione, Joan compresa. Quando la incontra, lui le chiede se sia felice e lei risponde di si, anche se si può avvertire molta tristezza in quella breve conversazione, a mio avviso. Ho cercato di fare qui la stessa cosa, non accentuando un rimpianto, ma il rimorso di aver ferito qualcuno che non meritava di essere ferito. Non so se ci sono riuscita, in realtà questo capitolo volevo renderlo migliore e.... non so quante modifiche io abbia apportato alla stesura, quanti tagli quante nuove aggiunte.... tanto più che ho poca voglia di scrivere, ultimamente alla fine questo è il risultato. Mi impegnerò a fare di meglio col prossimo capitolo che vedrà un piccolo salto indietro xD
Grazie a chi ha avuto il coraggio e la pazienza di arrivare fino alla fine ;) Alla prossima :*

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Capitolo 3

 

 

Clara sapeva che suo marito voleva solo ed esclusivamente il meglio per lei. I migliori vestiti, i migliori ristoranti e, nello specifico, i migliori dottori per lei ed il loro primo figlio. E se poteva combattere i primi due punti con un ‘Non ho bisogno di nulla, mi basti tu.’, non poteva di certo fronteggiarlo sull’ultimo. Avevano bisogno di un dottore. Non perché Clara non reputasse John bravo nel suo lavoro, anzi sapeva che era il migliore. Il migliore però nel suo campo.

Far nascere un bambino non era di certo paragonabile all’asportazione di un’appendice, una milza o di un tumore allo stomaco, né alle ricuciture da trauma dei tessuti molli.

Clara quindi aveva ceduto a quella richiesta di John: far seguire la sua gravidanza al suo nuovo collega di Edimburgo, nonché uno dei più rinomati della Scozia.

Quindi eccola lì, nello studio dl Dottor Reynolds, ad aspettare pazientemente il suo turno tra altre quattro future neo mamme. Tutte accompagnate dal marito o dalla madre-suocera.

“Quindi… suo marito lavora al Royal Infirmary?” Chiese una delle giovani in sala d’attesa con lei.

“Si.” Rispose Clara con un sorriso quasi forzato.

“E sei venuta qui da sola?”

“Si.” Rispose ancora Clara cordialmente, considerando che il tono della giovane era semplicemente curioso e per nulla di giudizio: “Purtroppo la mia famiglia è a Blackpool. I genitori di John invece sono di Glasgow, ma purtroppo non sono in così buona salute da poter affrontare continui viaggi di due ore solo per una visita di routine.”

“Si, ma non puoi neanche tu viaggiare da sola. E con un pancione così grande!” Aggiunse una donna grassoccia sulla cinquantina, seduta proprio accanto alla giovane.

Ma si era vista lei il suo, di pancione? E non era nemmeno incinta!!

Alle parole di quella donna, comunque, il cipiglio di Clara divenne più visibile, accompagnato da un sospiro di frustrazione con il quale la moretta cercava di calmare il nervosismo. L’aiutò un po’ la gomitata che la ragazza con cui stava parlando diede alla donna grassoccia, lasciandole intuire che probabilmente erano lì insieme. La conferma la raggiunse dopo pochi secondi:

“Perdona mia suocera… Clara, giusto? Purtroppo sembra aver dimenticato quanto possa essere estenuante una gravidanza e con essa ha dimenticato anche l’educazione.”

“Tranquilla. Sono orgogliosa del mio ‘enorme’ pancione.” Rispose subito Clara con un sorriso un po’ più rilassato rivolto alla giovane che aveva scoperto chiamarsi Sarah: “Immagino che lei, alla trentunesima settimana, non mostrasse così tanto… eppure secondo il Dottor Reynolds avrei dovuto metter su un paio di chili in più che purtroppo non mostro.”

“Trentunesima settimana? Già così avanti?” Chiese la donna grassoccella con lo sguardo sorpreso: “A maggior ragione, non saresti dovuta venire qui da sola! Povera cara!”

“Katerine, per favore!” Sibilò Sarah, imponendole quasi un silenzio forzato per guadagnarsi solo uno sguardo di disprezzo:

“Andiamo Sarah! Non sto dicendo nulla di sbagliato.”

“Sono incinta, non sono malata!”  Rispose esasperata ed irritata Clara, ma mantenendo la sua compostezza: “Mio marito voleva accompagnarmi, ho insistito io perché non chiamasse un giorno al lavoro per una visita medica che posso fare da sola. Mi piace la mia indipendenza e detesto essere trattata come se fossi fatta di cristallo, come se fossi una malata terminale! Sto dando la vita, così come hanno fatto milioni e milioni di donne prima di me quando ancora non c’erano tutte le attenzioni mediche di oggi, ma non sto morendo!”

Clara incrociò le braccia al petto, ponendo fine alla discussione. Ma le altre future neo-mamme non sembravano voler essere d’accordo con lei, riempiendo l’aria di chiacchiericci ed affermazioni di accordo con lei. Almeno, come unica nota positiva della conversazione, sembravano simpatizzare con lei.

“Dio, quanto hai ragione!” Disse infatti Sarah, rilasciando un sospiro di sollievo: “Magari mio marito lo capisse! E’ sempre dietro di me a guardare cosa faccio e come lo faccio, ripetendo in continuazione: Cara, lascia che porti io la spesa. Cara, lascia che prenda io questa scatola. Cara attenta a questo, cara attenta a quello! Dio!”

“Mio figlio è semplicemente protettivo. Dovresti ritenerti fortunata ad averlo al tuo fianco.”

Sarah guardò il volto improvvisamente increspato di sua suocera per poi risponderle con uno sbuffo:

“Non è che mi dispiaccia questo suo atteggiamento, anzi sono contenta. Ma quando è troppo è troppo!”

“Oh, quanto è vero.” Si intromise un’altra donna incinta, guardando il marito con un sorriso malizioso prima di continuare: “L’altro giorno non sono riuscita a contenere uno starnuto. Mio marito è corso subito al mio fianco tutto imbronciato dicendo: Tesoro, così farai uscire il bambino!”

Tutte scoppiarono a ridere, tranne il povero marito lì presente che era diventato rosso per l’imbarazzo.

“Goditela finchè puoi, Sarah!” Concluse infine un’altra donna che sembrava essere sulla trentina e più matura delle giovani lì presenti: “Quando il bambino nascerà cambierà tutto.”

“Cosa vuoi dire?” Chiese Clara con curiosità.

“Che il primo pianto notturno, tuo marito si sveglierà ed andrà a controllare il bambino.” Rispose la donna: “Ma la notte successiva, al primo vagito si girerà dall’altra parte e comincerà a russare più forte.”

Un coro di consensi ed affermazioni di un veritiero si ammassavano e confondevano tra loro. A quanto sembrava solo Sarah e Clara erano alla loro prima esperienza e quelle parole non erano di certo confortanti….

No. Non il mio John.

 
***** 

 
Qualche mese dopo, Clara era nel suo letto; la testa poggiata sul petto di John e le braccia di lui avvolte attorno al corpo la tenevano in una stretta morbida ma salda. Il respiro regolare del sonno di entrambi era l’unico suono della casa, confermando la pace e la serenità di un sonno privo di incubi.

“Weeeeee! Weeeeee!”

E poi il pianto di un bambino interruppe il silenzio.

Clara e John emisero all’unisono un respiro profondo, mescolandosi sotto le lenzuola mentre i loro corpi si destavano dal sonno profondo in cui erano sprofondati.

Con la memoria muscolare e l’istinto già ricettivo e più sveglio del cervello, il corpo di Clara si era alzato e si era ritrovata seduta al bordo del letto mentre i piedi cercavano le pantofole alla cieca.

John, passandosi una mano sul volto, ma ancora steso sul letto, con voce roca ed un sospiro disse:

“Vado io… stai giù.”

“No.” Rispose Clara, guardando l’orologio per controllare l’ora: segnava le cinque del mattino.

 “ Sei tornato poco più di un’ora fa dall’ospedale e devi tornarci tra poche ore… dormi.”

Il turno di  John avrebbe dovuto coprire il mattino, ma un’emergenza lo aveva richiamato in sala operatoria alle otto di sera ed era tornato a casa alle tre e mezza della notte, stanco e devastato.

Fino a quel momento si era sempre comportato come il migliore dei mariti e padre modello, occupandosi di George con premura e responsabilità, alleggerendo il peso sulle spalle della moglie ed assumendosi lui stesso il peso di molte notti in bianco a causa di pianti disperati da colichette. Clara non poteva lamentarsi di suo marito su questo punto. Anzi.

Finalmente in piedi, la novella madre si fece largo verso la stanza del figlio, piegandosi sulla culla del bambino con sussurri rassicuranti accompagnati da dolci melodie calmanti, pezzi di una qualche ninna nanna da lungo tempo dimenticata, ma che probabilmente risaliva dalle memorie infantili in cui era sua madre a cantare per lei.

“Ecco. La mamma e qui…” Disse Clara, portandosi il neonato al petto e cullandolo per calmarlo.

Le era bastato poco per capire il motivo di quelle urla: una tutina sporca ed un pannolino che purtroppo non aveva contenuto a sufficienza. 

Clara aveva poggiato George sul fasciatoio, apprestandosi a ripulirlo e cambiarlo quando avvertì dei passi fin troppo familiari dietro di lei ed una mano che le si posava sulla spalla.

“Ti avevo detto che ci avrei pensato io. Torna a letto.” Disse la giovane madre con un tono dolce ed il sorriso sulle labbra, avvertendo le labbra del marito sulla guancia ed un braccio attorno alla vita.

“Non posso dormire senza di te.” Rispose John, poggiando il biberon colmo di latte appena scaldato sul mobiletto e sprofondando il volto contro il collo di lei: “E non posso dormire senza sapere se il piccolo facehugger sta bene.”

“Facehugger? Come i mostri di Alien?” Protestò la giovane con una smorfia, chiudendo i bottoncini della tutina pulita con cui aveva vestito il bambino.

“No.” Rispose John ridacchiando, staccandosi da lei quanto bastava per farle prendere nuovamente George tra le braccia e voltare entrambi verso di sé: “Cioè si… è il nome dei mostri di Alien. Ma con lui hanno un significato diverso… vero, il mio piccolo Facehugger?”

John prese George dalle braccia della madre, affondando il volto contro il pancino del bimbo ed esprimendosi in stupide espressioni di finto soccorso e versi indefinibili. Le manine di George si strinsero automaticamente attorno ai riccioli grigi del Dottore, lasciandosi sfuggire qualche piccolo gemito ben lontano però dal pianto.

“Sei uno stupido. Ma uno stupido divertente, devo ammetterlo…” Sospirò Clara, scuotendo la testa nel vedere padre e figlio già così complici sin dall’inizio.

John spostò appena la testa verso l’alto, incontrando col suo viso il visino piccolo di suo figlio per piantargli un bacio sulla fronte prima di riportarlo al sicuro tra le sue braccia, con la testolina poggiata contro la spalla ed una mano a sostenergli il collo.

“Non sono stupido, Clara.” John fece il finto offeso, alzando un sopracciglio in direzione della moglie: “Sono solo un padre innamorato di suo figlio.”

“Un padre innamorato di suo figlio che domani mattina dovrà andare al lavoro ed occuparsi di interventi difficili…”

“Ho metà del mio turno coperto, posso dormire dopo aver dato da mangiare a mio figlio.”

“Posso allattarlo io.” Sorrise sua moglie, stuzzicandolo ed aspettandosi esattamente la reazione che John le avrebbe mostrato da lì a poco con un secco:

“No!”

John raccolse il biberon dal mobiletto, guardando sua moglie con gli occhi di un padre fin troppo possessivo:

“Non togliermi questo, Clara! Quando sono a casa voglio solo godere del mio tempo con mio figlio. Voglio esserci per lui. Tu puoi allattarlo e coccolarlo quando io non ci sono!”

“Ti rendi conto che si tratta di un bambino e non di un giocattolo?” Lo prese in giro lei, sorridendo ma lasciandolo fare.

“Si!”

John le cacciò la linguaccia e si allontanò verso la camera da letto, ponendo fine alla discussione.

“Va bene… almeno posso lavare questa mentre ti occupi tu di lui.” Sospirò Clara, raccogliendo la tutina sporca dal fasciatoio.

“Puoi farlo domani mattina… dai, vieni a letto.” John aveva spinto la testa oltre la porta, col corpo nascosto per metà dallo stipite.

“No… meglio farlo adesso. Vai, prima che ti tolga George dalle braccia!”

John le mostrò la lingua, scomparendo definitivamente nel corridoio.

Clara scosse la testa, stanca ma felice. Raccolse la tutina sporca di George e pensò bene di dargli una lavata prima del mattino. Ogni giorno era un giorno nuovo e con un bambino appena nato ogni impegno preso era destinato a saltare. Lo aveva imparato in fretta non appena aveva cercato di organizzare gli impegni per la giornata nei primi giorni a casa da sola. Colazione? Quale colazione? Lavare i piatti o pulire la polvere dalla televisione? Ma perché…. avevano ancora una televisione in casa? Quindi, aveva imparato che se aveva una cosa da fare era meglio farla sul momento e non rimandarla. Perché se avesse rimandato quella tutina sarebbe rimasta a marcire e puzzare per chissà quanto… purtroppo!!

Al ritorno in camera da letto la luce tenue dell’alba penetrava dalle tende leggermente scostate. Clara era troppo stanca, ma rassegnata ad aver dormito decisamente troppo poco per una notte più o meno calma. Si ritrovò però davanti una scena che, come un balsamo, sembrò curarle ogni traccia di stress dandole una sensazione piacevolissima di gioia e tenerezza.

John era a letto, un doppio cuscino sotto la testa a tenerlo in una posizione mezza supina e George a pancia in giù addormentato sul petto di suo padre. Le braccia di John facevano da coperta al piccolo corpo del bambino, tenendolo protetto in una presa che Clara conosceva fin troppo bene. Una  presa che tante notti l’aveva tenuta al sicuro, una presa piena di amore che lei non avrebbe ceduto o venduto per nulla al mondo, per nulla nell’intero Universo.

Raggiunse il marito ed il figlio a letto, facendo attenzione a non svegliare nessuno dei due.

John aprì gli occhi, sorridendole ed accogliendola al suo fianco.

“Dorme con noi, quindi?” Chiese a suo marito.

“Si.” Sussurrò John, piegando appena la testa per baciare sua moglie sulla testa: “Ti stavamo aspettando.”

Clara sorrise, guardò l’orologio che segnava ormai le sei passate e corse infine con la mano a carezzare la guancia e poi la fronte di suo marito. Sprofondò le dita tra i suoi capelli lanuginosi e soffici, guadagnandosi dei gemiti gutturali provenienti dalla gola profonda di John. Gemiti di gradimento che si spensero non appena il piccolo George si mosse e lamentò la vibrazione del petto di suo padre che lo aveva leggermente distolto dal sonno.

“Dovrei preparare la colazione… è mattino.”

“No…” Rispose John con voce assonnata: “Non è mattino. Non lo è per noi. Vieni qui e dormi con noi. Alla colazione ci pensiamo quando davvero sarà mattina.”

Clara sospirò, chinandosi a lasciare un bacio veloce sulle labbra del marito per poi baciare la tempia del figlio, prima di stendersi al fianco di John. Poggiò la testa sul cuscino accanto a quella del marito, con la fronte che toccava la guancia di lui ed un braccio che avvolgeva marito e figlio assieme. Entrambi sospirarono contenti, un sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi dalla stanchezza:

“Allora buonanotte. Ai due uomini della mia vita.”

“Buonanotte, Clara. Grazie per quello che mi hai dato… ti amo.” Rispose John, a metà strada sulla via del sonno e la voce già distante .

“Ti amo anch’io.”

Clara si strinse appena un po’ di più a suo marito, mentre il ricordo di una conversazione avuta mesi prima in una sala d’attesa veniva riesumato da chissà quale scomparto recondito della sua mente.

Clara sorrise ancor di più, un ennesimo sorriso felice prima di abbandonarsi al sonno meritato.

Forse era il fatto di esser diventato padre ad un’età in cui gli altri uomini hanno figli già grandi pronti a spiccare il volo, lasciare il nido per costruirsi il proprio. O forse gli uomini della sua generazione erano troppo fraccomodi ed immaturi per capire quali e quanto fossero davvero importanti le gioie della paternità…. Chi poteva dirlo?

Ma girarsi dall’altra parte?

No. Il suo John non era così.

 
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NOTA:

Capitolo piccolo e non proprio bellissimo. In realtà fa schifo xD ma l’ho scritto di getto e voluto pubblicare subito come scusa per fare un piccolo avviso. Ho cancellato la storia principale perché in viaggio verso le case editrici. Diritti già posti sulla storia che, ovviamente, è stata modificata, revisionata e riadattata a dovere, con aggiunta di capitoli ed eliminazione di altri. Quindi per i furbi occhio al copia ed incolla u.u come John sono gelosa delle mie cose ed ho buoni avvocati. :D

Grazie invece a tutti quelli che hanno sostenuto la storia ecc… vi chiedo scusa se non la troverete più nella lista dei vostri preferiti, ma tra qualche mese magari potrete trovarla negli scaffali di una libreria <3

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