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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Where you are ***
Capitolo 2: *** Maui, demi-god of... ***
Capitolo 1 *** Where you are ***
Moana
era felice.
Senza
un attimo di respiro, impegnata, ricercata e richiesta, ma felice.
Si
alzava molto presto al mattino e girava per l'isola con Pua accanto,
a controllare che tutto procedesse per il meglio, che tutti avessero
i loro compiti e li svolgessero senza intoppi.
Per
prima cosa andava sempre verso la spiaggia, un po' per augurare buon
giorno all'oceano, ma soprattutto per controllare la costruzione di
canoe e barche, una nuova attività del suo popolo.
All'inizio
era stato difficile, ma studiando le grandi barche dei loro antenati
erano riusciti a capire molto e provando e riprovando, ormai potevano
dirsi mediamente esperti nell'arte di costruire imbarcazioni: piccole
per navigazioni in solitaria, medie che potevano contenere una
famiglia o grandi, per ospitarne più assieme durante grandi
traversate.
Avevano
navigato molto e ancora lo facevano.
Lei
e la sua tribù avevano viaggiato ed esplorato in lungo e in
largo
per l'oceano e scoperto una miriade di isole, altre tribù
dalle
quali si erano separati un millennio prima: c'era stato all'inizio un
lieve problema nella comunicazione, a causa della lunga separazione
ogni isola aveva sviluppato un proprio vocabolario, ma in breve tempo
avevano riconosciuto le radici comuni che affondavano nel loro
passato condiviso e imparare e capire come comunicare era stato
sempre più semplice.
Avevano
insegnato ai loro lontani consanguinei a viaggiare e a costruire
barche, avevano appreso a loro volta nuovi costumi, nuove tecniche,
nuovi prodotti della terra e nuove pietanze e nel frattempo anche
raccontato l'avventura di Moana e riscattato così anche il
nome di
Maui.
Erano
stati per mare per anni, decisi a recuperare tutto il tempo perso
confinati nell'isola, ma alla fine era proprio lì che erano
ritornati: Motunui.
Le
altre isole riscoperte erano già abitate o inabitabili,
troppo
piccole o inospitali, e alla fine la soluzione più giusta
era stata
ritornare al punto di partenza, lì da dove erano partiti.
Motunui
era sembrata la stessa e incredibilmente nuova allo stesso tempo. La
vegetazione incolta aveva recuperato il suo posto, cancellando i
sentieri e abbarbicandosi sulle case, così che quando erano
sbarcati, quasi avevano faticato a riconoscerla.
E
tuttavia era stato emozionante riscoprirla. Creare nuovi sentieri,
costruire nuove case, spostare addirittura parte del villaggio,
ridisegnarlo secondo nuove idee.
Avevano
piantato i frutti e i fiori presi dai loro viaggi e tutta l'isola era
un tripudio di colori, vecchi e nuovi mescolati, che appagavano la
vista e i cuori di tutti.
Motunui
non era mai stata così bella.
E
ormai il tabù del reef non c'era più,
perciò potevano andare e
tornare, viaggiare per visitare i loro vicini di isole, organizzare
battute di pesca in pieno oceano, avevano perfino indetto una gara
annuale di navigazione per decretare il migliore Wayfinder.
Moana
non poteva partecipare, in qualità di capo doveva essere il
giudice
della competizione, altrimenti avrebbe vinto lei, ne era abbastanza
certa.
Aveva
accettato la carica appena un anno prima e suo padre, Tui, si era
fatto da parte volentieri, rimanendo al suo fianco come consigliere
quando lei ne aveva necessità, anche se non accadeva
praticamente
mai fortunatamente: Moana era un capo egregio, a detta di tutti.
Aveva imparato molto e metteva
in pratica tutti i buoni consigli acquisiti. Anche per mare, e a
contatto con le nuove tribù, aveva saputo affrontare le
sfide con
coraggio e determinazione e non c'erano mai stati incidenti.
E, fortunatamente, la sua vita
da capo non le impediva ogni tanto di prendere la sua barca
regalatale da Te Fiti e spingersi oltre il reef, e navigare per
qualche ora, e a volte qualche giorno, a contatto con l'oceano, suo
amico, e i suoi pensieri.
Percorreva
ogni giorno a piedi
tutta Motunui, osservando la sua gente svegliarsi e il villaggio
prendere vita: i pescatori uscivano alle prime luci dell'alba, i
raccoglitori di cocco si arrampicavano con agilità, le donne
anziane
tessevano assieme, chiacchierando degli ultimi pettegolezzi; poi
c'erano da controllare gli allevamenti di pollame e maiali, le
lezioni di danza e antiche leggende, gli scultori che incidevano
monili e statue nel legno e i cuochi addetti ai fuochi e alla
preparazione di cibo per tutta la tribù.
A volte percorreva tutta l'isola
anche venti volte, correndo da una parte all'altra in fretta, da
dimenticarsi anche di mangiare. Eppure non le pesava minimamente.
Quindi
sì, Moana era felice.
Se
non fosse stato per il problema matrimonio.
I
suoi genitori non le avevano fatto alcuna pressione, ma presala da
parte, un mese prima, le avevano fatto un discorso serio e sentito
sul suo futuro, sulla sua vita, su cosa desiderasse per l'isola e per
sé stessa; le avevano fatto intendere che sposandosi avrebbe
avuto
un alleato fedele al suo fianco e anche quanto desiderassero avere
dei nipoti.
Moana
sospettava che fosse interamente per avere dei nipoti.
Ormai
era in età da marito da un po', tutte le sue coetanee erano
sposate
e con almeno un bambino già nato o in arrivo, ma lei come
capo aveva
avuto la facoltà di delegare.
Ma
come le ricordava spesso, anche troppo, suo padre, non stava certo
ringiovanendo, anzi: Moana aveva solo ventidue anni, ma quando lo
sentiva pronunciare quella frase se ne sentiva addosso il doppio.
Quindi,
sempre senza esagerare nell'intromettersi, i suoi genitori le avevano
fatto sapere che c'erano un paio di giovanotti scelti sull'isola, e
anche un paio di altre isole vicine, che sarebbero stati onorati di
ricevere il permesso di corteggiarla in vista di una possibile
unione. E Moana, seppure titubante, si era impegnata davvero e li
aveva incontrati tutti almeno una volta.
E
non le erano piaciuti.
Non
avevano niente che non andasse, a esser sinceri: tutti prestanti e
atletici, bravi nelle arti manuali o nella pesca, interessati ai
problemi delle persone e di buon cuore... ma non le dicevano nulla.
Mancava sempre qualcosa.
Tuttavia, continuò ad accettare
gli inviti degli spasimanti, nella speranza che un giorno la
scintilla dell'amore l'avrebbe colpita, portandola così al
matrimonio per la gioia di tutti e in special modo dei suoi genitori.
Per
quella giornata aveva già risolto un paio di problemi,
niente di
davvero interessante, solo una disputa tra due vicini per la
divisione del racconto di cocchi e una denuncia da parte dell'anziana
Opuni contro sua nipote, che non le aveva mai regalato due maiali e
tre galline come le aveva promesso.
A
volte Moana credeva che gli abitanti del suo villaggio si creassero
problemi anche quando non ne avevano, solo per passare il tempo o per
testare la sua pazienza.
Era
già al terzo giro dell'isola, aveva controllato e
ricontrollato
tutto per bene e il sole era ormai alto nel cielo: scintillava con
bagliori accecanti sulla superficie dell'oceano, solleticandole il
cuore con la voglia di navigare.
Poteva
permettersi di sparire per qualche ora.
Sgattaiolò
via, solo suo padre se ne accorse, e si recò alla spiaggia:
chiuse
un attimo gli occhi e assaporò il sole caldo sulla pelle, si
riempì
i polmoni di meravigliosa aria salmastra e si beò del suono
della
risacca delle onde.
Sarebbe
stato perfetto, se un gallo non stesse vagando picchiettando il becco
sulla sabbia, andando palesemente verso l'acqua.
“Heihei”
sospirò sconsolata Moana, senza tuttavia muoversi di un
passo. Ormai
era abituata da tempo alle stranezze del suo animaletto.
Quando
il ruspante arrivò alla fine della sabbia, un'onda si
alzò
gentilmente dall'oceano, scosse la cima in quello che pareva un segno
di diniego e poi spostò il gallo dalla traiettoria,
dirigendolo
dall'altra parte.
“Grazie,
Oceano” disse con rinnovato entusiasmo. “Stavo
pensando ad un
giro attorno all'isola.”
L'onda
annuì vigorosamente, mentre lei si avvicinava alla sua barca
e
iniziava a controllarla per partire.
“Con
chi stai parlando?” domandò una voce maschile.
L'onda
sparì immediatamente e Moana si voltò, un po'
seccata.
“Da
sola” rispose al giovane uomo che distava solo pochi metri,
con
un'espressione curiosa.
Tutti
al villaggio sapevano che aveva un rapporto speciale con l'oceano,
che era stata scelta, ma non le piaceva che loro vedessero quando
interagiva con lei e nemmeno all'oceano sembrava piacere mostrarsi, o
forse trovava Tane'i particolarmente antipatico.
Tane'ì
era uno dei giovani a cui era stato concesso, per rango e
abilità,
di corteggiarla. Era alto, quanto suo padre forse, con occhi e
capelli scuri, che teneva legati in una coda bassa, pelle ambrata e
un tatuaggio tribale nella parte sinistra del petto che risaliva fino
alla spalla e correva lungo il braccio sino al gomito. Era piacente,
era forte, era ambito.
Ed
era insistente.
“Dovevamo
vederci, oggi” le ricordò infatti, avvicinandosi
di qualche passo.
“Uh...
sì, certo, non l'ho dimenticato”
farfugliò in fretta Moana,
spostandosi appena dalla barca con aria svagata.
“Ho...
pensato che possiamo andare a fare un giro in barca” aggiunse
subito, per giustificare la sua presenza lì.
Il
giovane occhieggiò il suo sorriso forzato, la cima della
canoa già
mollata e poi verso il gallo che becchettava una conchiglia a un
metro di distanza.
Strinse
le labbra e aggrottò le sopracciglia, palesemente in
riflessione.
Moana iniziò a pregare tra i denti che declinasse l'invito e
la
lasciasse andare da sola, fino che lui non rispose:
“Sì,
va bene, perché no?”
Moana
si sgonfiò, lasciando andare la delusione. Si mise ad
armeggiare con
la barca e rollò gli occhi al cielo in direzione
dell'oceano, ma
quello rimase liscio e piatto, deciso a non farsi vedere dall'uomo.
Tane'ì
non le era antipatico, era più vero che le stava
indifferente; non
le piaceva in tal senso e qualcosa le diceva che anche sposandolo per
obbligo, per fare la cosa giusta per il suo villaggio, non sarebbe
mai stata felice. Non come lo erano i suoi genitori, per esempio.
“Il
gallo viene con noi?” lo sentì chiedere ad un
certo punto.
Heihei
era vicino all'albero della vela, salito chissà quando, e
beccava
pigramente intorno.
Moana
sorrise con affetto, poi si voltò per rispondergli.
“Sì,
Heihei è un ottimo navigatore. È arrivato fino a
Te Fiti e ha anche
dato una mano.”
Ovviamente
la storia era un tantino gonfiata, e non aveva rivelato che il gallo
aveva cercato di annegarsi almeno una ventina di volte, ma andava
bene così; con Heihei in barca avrebbe evitato situazioni
scomode
con lui.
Stava
per voltarsi e spingere la canoa in mare, ma l'espressione di Tane'i
si incupì e lo vide strizzare gli occhi, come per mettere a
fuoco.
“Quello
è...”
Moana
si voltò verso l'oceano e si schermò il viso con
una mano, cercando
di mettere a fuoco in lontananza, tra la linea che separava l'oceano
e il cielo.
C'era
qualcosa, un puntino scuro che andava avvicinandosi, e dopo qualche
istante riuscì finalmente a focalizzare un'imbarcazione.
“È
una barca rotta” disse grave Tane'i, alle sue spalle.
E
finalmente la vide bene anche lei, si accorse della vela strappata,
dell'albero piegato e della macchia gialla distesa sul ponte. C'era
qualcuno, sopra.
Spinse
forte la sua barca in mare e saltò su, ignorando le urla di
Tane'i,
lasciato indietro: con pochi colpi di pagaia era già in mare
aperto,
con un colpo deciso di corda aprì la vela e prese
velocità,
oltrepassando in un attimo la barriera del reef; la canoa si
innalzò
e ricadde con un tonfo sollevando spruzzi.
Il
puntino sempre più vicino e visibile e poté
vedere bene l'altra
imbarcazione, la vela strappata come da artigli, l'albero inarcato e
le numerose assi strappate via dal ponte: su di esso c'era un corpo
adagiato, poteva essere un bambino a giudicare dalla dimensione;
riusciva a vedere solo il giallo del suo abito, da quella distanza.
Era
supino e immobile, e sembrava non respirare.
Tirò
la corda e ammainò la piccola vela, iniziò a
decelerare e quando
non era che a pochi passi si lanciò letteralmente sull'altra
barca e
si inchinò vicino al piccolo corpo.
Era
un bambino, non poteva avere più di sette o otto anni. Il
suo corpo
era ricoperto di tagli e la pelle bruna era scottata dal sole: le
labbra erano secche e screpolate.
Lo
prese piano tra le braccia e si accorse che respirava ancora, anche
se a fatica. Lo portò in fretta sulla sua barca, ma
delicatamente
per non fargli altro male, e lo adagiò; prese il remo e
riaprì la
vela e filò dritta verso la spiaggia, più veloce
che poteva.
Riusciva
a vedere Tane'i che l'attendeva e doveva aver chiamato soccorsi,
perché c'erano altre persone insieme a lui.
Era
concentrata come non era mai stata prima, perciò quando
sentì un
mugolio provenire dal ragazzino, trasalì, presa alla
sprovvista.
Heihei aveva iniziato a becchettargli un piede e quello si
contorceva, lamentandosi nell'incoscienza.
“Heihei,
sciò!” lo sgridò Moana, allungando il
remo per spostarlo appena.
Il
ragazzino esalò un altro lamento, muovendosi appena, poi...
“Ma-
Maui” sussurrò, prima di ripiombare nel doloroso
silenzio.
Per
qualche motivo, la pena con cui lo aveva pronunciato ferì le
orecchie di Moana.
Erano
arrivati alla spiaggia. Trainò in fretta la barca in secca e
contemporaneamente il piccolo gruppetto si avvicinò, i loro
volti
estremamente seri. C'era suo padre tra di loro, assieme ai guaritori.
Un
uomo afferrò piano il bambino e corse via, mentre l'ex
capovillaggio
le si fece incontro, controllando che lei stesse bene.
“Viene
dall'isola di Âio,
ho riconosciuto le decorazioni sul suo lavalava”
spiegò Moana
prontamente.
“C'era
qualcosa sulla sua barca? Ti ha detto cosa gli è
successo?”
domandò Tui, iniziando ad incamminarsi con lei verso il
villaggio.
Tane'i era pochi passi dietro di loro, in silenzio.
“Non
c'era nulla e lui... non ha parlato” mormorò in
risposta, senza
sapere perché non avesse detto che il bambino aveva invocato
il nome
di Maui.
Rimasero
ad aspettare per un po' fuori dal fala dei guaritori e intanto la
notizia si era già sparsa in tutto il villaggio e molti
curiosi
erano arrivati a domandare e controllare o ad offrire un po' di
compagnia.
Dato
che ci sarebbe stato da attendere, un guaritore era uscito per
avvisarli che il bambino non era in pericolo di vita, ma che
necessitava di molte cure e di riposo, Moana fece un altro giro
dell'isola, con Pua accanto.
Controllò
il fala dei cuochi e le pietanze preparate per la giornata, la
produzione di cestini, la pesca giornaliera e parlò con la
gente
preoccupata per il bambino trovato, rassicurandoli.
In
realtà, però, la sua mente era da tutt'altra
parte. Per tutto il
tempo, una parte di sé continuava a chiedersi
perché il naufrago
avesse nominato Maui nel suo delirio.
Era
forse salpato in cerca dell'aiuto del semidio?
Allora
cercarlo lì non era stata una giusta mossa.
Maui
era lontano da molto tempo, ormai.
All'inizio,
subito dopo la loro avventura, passava a trovarla spesso e si
tratteneva a lungo: amava quando celebravano feste in suo onore e
giocare con i bambini, anche se faceva finta del contrario.
La
sua tribù lo trattava ormai come uno di loro e le altre che
avevano
incontrato lo riverivano e si meravigliavano della grande amicizia
che li univa.
Poi,
col passare degli anni, le visite si erano fatte sempre più
rade e
le permanenze più corte: sgusciava via con scuse, faceva
intendere
che la sua vita da semidio fosse troppo impegnativa, troppe avventure
da vivere, e le diceva che non poteva proprio stare sempre
lì con
loro.
A
volte si era chiesta se non si fosse solo stancato di loro e non
sapesse come dirglielo.
Ma
tra il navigare e il fare il capo e crescere e maturare, non c'era
stato il tempo per fermarsi e domandarglielo e così
semplicemente
avevano iniziato a distanziarsi.
Non
lo vedeva da sei mesi, ormai. E le mancava da morire.
Le
mancava la sua chiassosa e spassosa presenza, quel suo essere
vanitoso che nascondeva solo la sua insicurezza, tutta l'euforia che
suscitava nel villaggio ogni volta che arrivava e soprattutto l'odore
di avventura che lo permeava, la promessa di viaggi strabilianti e di
mirabolanti imprese che gli scintillava negli occhi, che lei, Moana,
bramava di poter vivere.
Perché
sì, era felice, ma a volte le mancava quel morso allo
stomaco di
gioia e libertà che aveva provato solo quando era partita,
poco più
che una ragazza, senza esperienza, senza un vero piano, per
restaurare il cuore di Te Fiti.
Quell'avventura,
il suo ricordo, i suoi scontri con Maui per convincerlo ad aiutarla,
Heihei l'infiltrato, i giorni circondati dall'oceano, solo
dall'oceano, tutte le battaglie e gli imprevisti, le serravano il
cuore di nostalgia e desiderio, a volte tenendola sveglia la notte.
Si
fermò sulla cima della montagna, nel luogo sacro dei suoi
antenati,
senza sapere come ci fosse arrivata: osservò la sua
conchiglia posta
sul pilastro di pietre dei passati capi-villaggio e inspirò
a fondo.
Ormai
non era più combattuta tra il suo dovere da capo-villaggio e
il
desiderio di navigare: era più matura, più
equilibrata, e sapeva
conciliare perfettamente le due cose; eppure sentiva sempre che le
mancava qualcosa.
E
forse c'entrava Maui.
Si
sporse oltre il ciglio, il vento gentile fece ondeggiare la sua gonna
rossa e i suoi capelli corvini. Poi, vide la luce di una fiaccola
dondolare a destra e a sinistra, piccola, lontana, alle pendici della
montagna: qualcuno le stava facendo dei segnali.
Sembrava
molto urgente.
Si
lanciò in una corsa sfrenata, prendendo la scorciatoia sul
baratro,
che oltrepassò in volo usando una foglia di cocco per
scivolare
lungo il tronco caduto di un albero; in poco tempo era a valle, e
riprese a correre con tutte le sue forze, ignorando i commenti o i
saluti delle persone che la intravidero.
Superò
il suo fala, lo spiazzo davanti ad esso e il fala delle riunioni, e
iniziò a rallentare solo quando vide da lontano quello dei
guaritori, dove un ragazzo, Afu, continuava ad agitare una fiaccola.
“Capo
Moana! Capo Moana!” urlò quando la vide, andandole
incontro. Era
un ragazzetto di undici anni, ma così maturo per la sua
età.
“Capo
Tui mi ha mandato a chiamarti: il naufrago ha avuto una crisi. Sono
nel fala!”
Moana
lo ringraziò velocemente e scostando il tapa all'ingresso
entrò
nella capanna in penombra, rischiarata dalle fiaccole: c'erano due
guaritori, che cercavano di tenere fermo il bambino in preda ad un
attacco di ira o panico; urlava a pieni polmoni, gli occhi spalancati
pieni di orrore, divincolandosi con tutte le forze del suo piccolo
corpo, incurante del dolore.
Moana
si precipitò al suo capezzale, cercando di aiutare come
poteva,
senza nemmeno far caso a suo padre ritto vicino all'entrata, anche
lui incapace di fare qualcosa; lei si inchinò a fianco al
bambino e
gli prese una mano, mormorando parole rassicuranti nel suo dialetto,
pescato in fretta nella memoria. Il piccolo si fermò
all'istante e
puntò su di lei gli occhi allucinati, stringendo la mano con
disperazione.
“Ha
ucciso tutti, ha distrutto tutto. Maui è un demone... Maui
ha ucciso
tutti!”
E
con un ultimo grido soffocato, come un pianto trattenuto, la presa si
allentò e il bambino ricadde a terra, svenuto.
I
guaritori la spostarono senza molte cerimonie, occupandosi
immediatamente del piccolo, mentre lei, Moana, ancora a terra,
assimilava quello che aveva sentito, che loro non avevano capito
nella lingua del bambino.
Tui
si inchinò e la aiutò ad alzarsi, portandola
fuori quasi di peso,
mentre la sua testa turbinava e il cuore si stringeva di orrore:
Maui, era stato Maui.
No,
non Maui, no... com'era possibile?
Fala:
abitazioni, capanne solitamente in legno
Tapa:
grandi teli, o anche tappetti, decorati a mano e di grande pregio, in
genere affissi nelle capanne come tende o arazzi.
Lavalava:
gonnellino di tessuto o foglie.
Note:
Salve.
Da
un po' di tempo avevo in mente questa storia, il primo capitolo era
pronto da un po', ma rimandavo sempre. Adesso mi sono detta basta ed
eccomi, anche se vi avviso che le pubblicazioni non saranno molto
veloci, ma piano piano la porterò a termine.
La
storia è Angst! Angst! L'ho già detto Angst?
Ma
chissà che non ci sia anche un po' di romanticismo... non
posso
anticipare nulla per ora.
Grazie
per avere letto, un abbraccio
alla
prossima
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Capitolo 2 *** Maui, demi-god of... ***
C'era
una eco nella sua mente.
Maui.
Maui. Maui.
Urlato
con lo stesso tono straziato della voce del bambino, ripetuto con
disperazione e paura assieme.
Non
poteva essere stato Maui. No. Non Maui, non il suo Maui, quello che
lei aveva conosciuto, leale, coraggioso, buono.
C'era
un errore, doveva esserlo per forza; Moana ne era certa.
“Moana,
figlia mia, parlami, ti prego!”
Solo
in quel momento si accorse che suo padre la stringeva ancora,
osservando con preoccupazione la sua strana immobilità e il
suo
sguardo spaventato; sollevò una mano e toccò il
suo braccio per
rassicurarlo, ma cercando lei stessa conforto con quel gesto.
“Padre,
devo parlarti! Devo parlarti... in privato!”
Tui
annuì con sussiego e la scortò lontano da
lì, dagli occhi sorpresi
e incuriositi di alcuni abitanti accorsi alle grida, e la
lasciò
andare solo quando arrivarono al fala del capo; scostò con
una mano
il tapa all'ingresso e la fece entrare per prima.
All'interno
l'ombra dava un piacevole fresco sulla pelle, ma Moana si strinse le
braccia attorno, un gran gelo che emanava da dentro; si
voltò verso
suo padre, che si era seduto a terra con le gambe incrociate e la
invitava a fare lo stesso.
Scosse
la testa con forza e parlò, invece.
“Il
bambino- il bambino ha detto-”
Prese
un grande respiro per calmarsi, per riuscire a dire quella bugia, non
poteva che essere una bugia.
“Cosa
ti ha detto? Cosa ti ha sconvolta così tanto?”
“Ha
detto che è stato Maui” sputò fuori, e
vide nello sguardo di suo
padre la sua stessa paura.
“Ha
detto che Maui ha distrutto il suo villaggio e che ha ucciso gli
altri.”
Tui
deglutì a vuoto, rizzando le spalle a disagio; sentiva il
terrore e
la preoccupazione che sua figlia stava provando, i dubbi e
l'incertezza, lo smarrimento.
“Forse
lo shock l'ha confuso e quello che ha detto era solo frutto del suo
dolore e della paura. Non possiamo sapere se sia vero”
cercò di
rassicurarla, con tono convincente.
“Io
devo andare a scoprirlo!”
Lo sguardo di Tui si indurì per
un attimo, occhieggiando verso la figlia come se temesse di trovarci
ancora la Moana adolescente che non ascoltava mai, che lo combatteva
per ogni capriccio: sua figlia era risoluta, sì, ma c'era
uno
scintillio di responsabilità nei suoi occhi, non ribellione,
non
testardaggine.
“È
pericoloso. Qualunque cosa sia successa a quel bambino e al suo
villaggio, anche se Maui non c'entrasse nulla, è di certo
pericolosa.”
Moana
scosse la testa con fierezza, facendo ondeggiare i lunghi capelli
scuri.
“Maui
è mio amico, padre! E anche se lui non c'entrasse,
è chiaro che
quel bambino e la sua gente hanno dei problemi, probabilmente bisogno
di aiuto! Dobbiamo scoprire cosa è successo e dare una mano,
se
possiamo!”
Tui
acconsentì a lasciarla andare, purché portasse
con sé, come
scorta, due uomini fidati: Tane'ì fu scelto e poi ancora
Fei, un
pescatore forte e valoroso, molto pratico della lotta con la lancia.
Disposte
le sue richieste per lasciarla andare, Tui la accompagnò per
preparare una piccola imbarcazione, più grande della sua
abituale, e
per farla stivare con provviste, acqua e qualche altro utensile che
potesse essere loro d'aiuto. I due uomini accorsero prontamente alla
richiesta dell'ex capo e una volta che ebbero spiegato loro in
confidenza cosa stesse succedendo e quale fosse la loro missione, si
dimostrarono entrambi ben felici di scortare Moana e proteggerla in
caso di pericolo.
Tane'ì
sembrava un po' troppo felice di poterla accompagnare.
Ma
Moana era troppo concentrata sul partire e su quello che il piccolo
aveva detto, per prestargli attenzione.
Salparono
immediatamente, senza attendere né il mattino né
la marea o i venti
più propizi, tanta era la sua fretta: quello che la natura
non
avrebbe offerto in supporto, lo avrebbe messo lei con la sua
esperienza.
Si
allontanarono rapidamente da Motunui, le vele gonfie e l'oceano dalla
loro parte, scivolando sull'acqua senza sforzo: in poco tempo l'isola
divenne un puntino sempre più piccolo, fino a scomparire tra
il blu
dell'oceano e il rosso del tramonto.
Per
molte ore, l'unico suono a riempire il silenzio fu lo scroscio della
barca che fendeva l'acqua e di tanto in tanto lo schiocco della vela
quando prendeva una corrente nelle sue trame, seguendo le direttive
di Moana.
Lei
era completamente assorbita nel dirigere la barca, scrutando le prime
stelle che spuntavano su nel cielo sempre più scuro, con
mani sicure
che stringevano e lasciavano corde, che si immergevano per
controllare temperatura e correnti, divorata dalla fretta.
Tane'ì
seguiva ogni sua mossa con curiosità e ossessione, sempre
incerto se
parlarle o meno, in costante attesa.
La
notte li inghiottì.
Anche
se Tane'ì e Fei cercarono di darle il cambio, di dirigere la
barca e
permetterle di dormire, Moana non lasciò mai la postazione,
non
rispose ai loro tentativi di comunicare, rimase rannicchiata al suo
posto a governare con movimenti minimi e studiati, la mente che
lavorava senza sosta.
Non
poteva essere stato Maui, di quello era certa, ma la paura del
bambino era stata reale, non dettata dallo shock e dal dolore, quindi
era arrivata alla conclusione che dovesse esserci un impostore,
là
fuori, che facendosi passare per Maui otteneva favori e ricchezze,
per poi distruggere e razziare quando ne aveva avuto abbastanza. O
forse perché scoperto. O forse perché
era solo malvagio. Di certo non era Maui, e ne stava infangando il
buon nome recuperato con tanta fatica.
Il
vero Maui era venuto a sapere di quell'impostore? Se sì,
perché non
era intervenuto?
Forse
era troppo lontano, così lontano da non interessarsi
più di loro.
La
sua mancanza la colpì con prepotenza, più forte e
più dolorosa in
quel momento di smarrimento, il peso di quegli anni di lontananza le
cadde tutto assieme addosso e sentì un pizzicore all'angolo
degli
occhi, un sordo dolore al centro del petto.
L'oceano
le diede un colpetto affettuoso al piede con il suo freddo tocco, in
un goffo tentativo di consolazione.
Moana
scosse la testa e respirò a fondo l'aria salmastra,
rivolgendo un
piccolo sorriso di gratitudine alla vastità di fronte a
sé, prima
di riprendere il controllo delle sue emozioni.
Navigarono
per tutta la notte, guidati dalle stelle che Maui le aveva insegnato
a leggere con pazienza.
Fei
dormì per quasi tutto il tempo, mentre Tane'ì si
appisolò solo
qualche ora, svegliandosi di tanto in tanto per controllarla. La sua
figura impettita e altera, i lunghi capelli raccolti in una crocchia
perché non le impacciassero i movimenti, gli occhi scuri
fissi
sull'oceano con bruciante concentrazione.
Dentro
di lei ardeva lo stesso fuoco che l'aveva spinta ad affrontare Te Ka,
allora con solo la compagnia di HeiHei.
Il
chiarore dell'alba apparve con una fioca scintilla che tingeva il
confine tra cielo e oceano, lontano dove lo sguardo non poteva
distinguere più i contorni.
Le
stelle iniziarono a sbiadire lentamente, gli occupanti della barca si
svegliarono, allertati dalle poche parole del loro capo.
“Siamo
quasi arrivati” annunciò infatti, indicando con
un'alzata di viso
davanti a sé.
I
profili di alte montagne svettavano poco lontano da loro, e via via
che si avvicinavano l'isola assunse i contorni sempre più
nitidi, la
sua folta vegetazione, i rivoli d'acqua e le insenature delle sue
spiagge.
Âhio.
Il
denso fumo che saliva dalle sue profondità arrivava fino al
cielo e
sentirono il suo spesso odore mentre ancora si trovavano in piena
navigazione; ne furono avvolti una volta attraccati, la barca portata
in secca e legata ad un albero sradicato con furia e accasciato al
suolo.
C'erano
segni di distruzione ovunque: alberi abbattuti con noncuranza, la
vegetazione ridotta a cenere e tizzoni neri e contorti, armi rotte
sparse ovunque, tracce di sangue ormai scure che macchiavano la
sabbia in grumi.
Moana
iniziò a correre verso il centro del villaggio, seguendo la
memoria
e il tenue sentiero scolpito da migliaia di passi in migliaia d'anni;
Fai e Tane'ì si gettarono dietro di lei all'istante, le armi
strette
forte nei pugni.
L'odore
acre di fumo e morte li colpì in pieno, bloccando le loro
gole
finché non tossirono con fastidio, provando a cacciare via
quell'orrido sapore.
Il
villaggio, ciò che ne rimaneva, era un orrido ammasso di
detriti
anneriti dalle fiamme e cenere.
Moana
si slanciò in avanti, chiamando a gran voce il nome del
capo,
chiamando i nomi che ricordava, chiamando chiunque potesse sentirla.
La
sua voce echeggiò un poco tra le macerie con una eco
spettrale,
prima che il suono di un pianto le giungesse alle orecchie.
Poi,
esplosero altre voci, una babele di suoni e da un fala poco distante,
mezzo crollato, uscirono fuori decine e decine di persone, bendate,
ferite, doloranti, straziati.
Le
si gettarono addosso, urgenti.
Parlavano
tutti assieme e velocemente, esclamazioni di dolore miste a rabbia, e
Moana non riusciva a capirli appieno, sentiva solo la loro paura e il
loro risentimento, investirla in pieno e scuoterla.
Non
riuscì a capire, era tutto così confusionario, ma
capì il nome che
tutti ripetevano con odio e paura, che riversavano su di lei.
“Maui.
Maui. Maui. Maui!” urlavano con intonazioni diverse, con
disprezzo
e orrore, con timore e soggezione.
Moana
provò a farsi sentire, a farsi ascoltare, ma le loro
espressioni
ferite non lasciavano spazio a nessuna parola e Tane'ì fu
veloce a
sottrarla dal centro della calca afferrandola per un braccio,
spostandola dietro di sé per proteggerla.
“Cosa-”
“Non
ti ascolteranno. Sono troppo arrabbiati, e spaventati, e se la
prenderanno con te” disse il giovane con fare pratico,
iniziando a
spingerla via.
Fei
si gettò al suo fianco, la lancia cautamente puntata in
avanti;
entrambi gli uomini la scortarono tenendo d'occhio la folla, mentre
Moana, sopraffatta dalla loro furia, dal loro disprezzo, non
riuscì
a reagire.
Arrivarono
alla baia in un attimo che però le sembrò
lunghissimo, e saltarono
sulla barca in fretta e furia, pagaiando velocemente per
allontanarsi.
Moana
sedeva sconsolata in un angolo, gli occhi allucinati e vacui,
l'orrore di quello che aveva visto impresso nella retina per sempre.
Tutto
quel sangue, tutto quel dolore.
Quale
mostro poteva aver fatto una cosa del genere?
Tane'ì
era al comando della barca, ma sembrava impossibilitato, girava il
timone con gesti bruschi e tirava la corda per ingabbiare il vento,
ma la piccola imbarcazione virava per conto proprio, dirigendosi da
tutt'altra parte.
“Perché-”
esclamò a denti stretti, arrabbiato. La corda si
allentò nelle sue
mani e la barca virò verso destra, di colpo.
Moana
sollevò lo sguardo, più attenta, come se avesse
sentito qualcosa
che loro non potevano.
“L'oceano”
mormorò confusa, “l'oceano ci sta
guidando.”
Era
chiaro che l'oceano non li stesse indirizzando verso Motunui, ma che
sospingesse nelle sue spire la barca verso un'altra destinazione,
lontano dall'isola distrutta e lontano da casa.
Moana
li rassicurò prontamente, riprendendo il controllo, certa
che se il
suo amico avesse deciso di intervenire, sicuramente era per un buon
motivo.
Forse
aveva percepito qualcosa, dov'era l'impostore o dov'era Maui.
Lo
lasciarono fare, i due uomini seduti in basso con gli occhi fissi e
Moana appollaiata all'albero maestro, avvinghiata braccia e gambe
scrutava lontano, cercando punti di riferimento che il cielo diurno
non poteva offrirle, per capire dove stessero andando.
Passarono
molte ore, quasi tutta la giornata, e lei non scese da lì
che una
volta soltanto, per mangiare qualcosa e bere convulsamente, prima di
tornare lassù a scrutare l'oceano.
Una
nuova colonna di fumo apparve all'orizzonte, nero e denso,
più
copioso e voluminoso, tingendo il cielo di nero, in spirali
minacciose.
Qualunque
cosa ci fosse davanti a loro, era pericoloso.
La
piccola isola prese sempre più forma, tra la luce che
scemava e
l'oscurità del fumo e videro le fiamme e sentirono le grida,
alte e
straziate, portate dal vento.
Videro
la distruzione prendere atto, videro i detriti volare, le persone
scappare spaventate, la furia distruttrice che spazzava via tutto; ma
non riuscirono ad identificarlo, era solo un lampo di luce.
L'oceano
sembrò fermarsi, come timoroso di avvicinarsi ancora a quel
caos.
Moana
reagì prontamente e, scesa dalla sua postazione,
afferrò la pagaia
e la immerse nell'acqua freneticamente per avanzare e i due uomini la
imitarono immediatamente, guadagnando velocità; le
esplosioni e le
urla si facevano via via più forti, l'aria elettrica e il
fumo
intossicanti.
Scesero
dalla barca al volo, senza attraccarla, senza portarla in secca,
precipitandosi sulla spiaggia a grandi falcate, il cuore pulsante
dentro la testa: Moana cadde in ginocchio per il contatto improvviso
con la terra ferma, ma si rialzò subito e corse con tutto il
fiato
verso il centro delle esplosioni, seguendo le grida di terrore.
Alcune
persone a terra rantolavano con dolore, altre stavano fuggendo via da
qualcosa, ma Moana non si fermò ad aiutare, voleva solo
arrivare
all'origine di tutto quello, voleva risposte, voleva capire.
E
l'origine, scoprì, era una persona.
Enorme,
massiccia, intimidatoria, furia cieca.
La
vide al centro del caos, che dispensava disperazione e morte con uno
sventolio incurante dell'arma nella sua mano e rimase lì,
bloccata
senza più un respiro, il cuore affondato da qualche parte
sotto
terra, colma di orrore.
La
persona sembrava indubbiamente Maui, riccioli bruni, pelle dorata e
muscoli e tatuaggi compresi. Nella mano un amo enorme, che agitava
con facilità a destra e a sinistra, intorno, sopra e sotto,
creando
folate taglienti e scosse violente, ridendo della devastazione che
creava.
Non
poteva essere lui, non poteva.
Provò
a negarlo anche di fronte a tutto quello.
Non
era Maui, non il suo Maui.
La
piccola Moana tatuata sul suo cuore le saltò all'occhio e
poco sotto
il mini Maui che provava a farle segni perché lo guardasse,
provando
a spiegarsi a gesti, e la verità la colpì, non
poté più fare
finta di nulla, non poté negare ancora.
“Maui”
esalò ferita.
Il
mostro la sentì, o forse il suo sguardo venne solo attirato
dalla
piccola figura statica, in contrasto con tutto il resto: si
voltò
verso di lei, un lampo oscuro nel viso, un ghigno dipinto di freddo
cinismo.
La
caricò con la potenza di mille dei, la terra tremava sempre
più ad
ogni passo e gli occhi scuri sempre più vicini, in cui un
tempo
aveva visto splendere affetto e gioia e bontà, erano
ammantati di
ira e crudeltà: caricò l'amo all'indietro, pronto
a colpirla.
Moana
avrebbe potuto scappare o scansare, rannicchiarsi, muovere un muscolo
qualsiasi, invece rimase congelata a guardare Maui gettarsi contro di
lei, a guardare l'amo fendere l'aria senza sforzo dritto contro la
sua testa, un'orrida sensazione di malessere nel petto, pregando che
fosse tutto solo un sogno, un orribile sogno.
L'arma
del semi-dio si bloccò a pochi centimetri dalla sua faccia,
parata
da una spessa lancia che scricchiolò sinistramente,
minacciando di
spaccarsi da un secondo all'altro.
Moana
si voltò verso Tane'ì al suo fianco, la faccia
tesa e concentrata
nel provare a resistere alla pressione dell'attacco per proteggerla.
Maui
sbuffò cinico, un angolo della bocca sollevato con scherno.
“Uuh,
la principessa ha trovato il suo prestante cavaliere”
esclamò e la
sua voce musicale stonava così tanto con quel tono di
disprezzo, da
farle male alle orecchie.
Lei
tese una mano verso di lui, mentre un fiotto di parole, di domande,
premevano per uscire dal fondo della sua gola, ma il semidio le
rivolse un'occhiata di disgusto e di fastidio, prima di
indietreggiare di un passo e sventolare ancora una volta l'amo sopra
la sua testa, trasformandosi nella gigantesca aquila; con un salto
era già lontano nel cielo, da cui sentirono un beffardo
“cheehoo”
riecheggiare, in mezzo agli stridii del rapace.
Moana
rimase a osservare per qualche istante, il battito del cuore
impazzito nelle orecchie, il corpo scosso da un tremore impietoso e
un gran bruciore agli occhi, ma forse solo perché stava
guardando
verso il sole che tramontava dritto in faccia; sconvolta, incredula:
le gambe cedettero e rimase inerte seduta sulla sabbia, tra
distruzione e strage, tra urla e fuoco, con una gran voglia di
piangere.
Note:
Buona
notte a tutti.
Ci
ho messo un po', ma ecco il secondo capitolo.
Quindi
sì, è davvero Maui che sta portando distruzione e
morte, ma non
sembra più l'enorme e complessato ragazzino dal cuore grande.
Cosa
sta accadendo?
Grazie
per aver letto,
un
abbraccio forte a tutti
|
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