My crazy life

di Learna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Svuotata, era così che mi sentivo dopo quello che era successo. In un attimo avevo perso tutto, o almeno questo era quello che si diceva in giro, avevo perso il mio ragazzo, la mia vita, la mia credibilità. Non ero riuscita a salvare nessuno, non avevo assolto il mio compito un’intera area di Tokyo era andata distrutta, centinaia di persone erano morte, e per che cosa? Per un mio errore. Avevo sbagliato ad accettare di partecipare a quella guerra insulsa, avevo sbagliato a non seguire i consigli di Retasu e cercare la via del dialogo e in ultimo avevo sbagliato a fidarmi del ragazzo che amavo, mi aveva solo ingannata, nient’altro.
Alla fine dello scontro, dopo essermi svegliata, avevo trovato ad accogliermi tutti i miei amici, ma prima di tutti, avevo trovato lì Masaya, mi teneva in braccio e mi guardava con tranquillità, sembrava felice, con quel sorriso che gli incorniciava il viso, solo dopo avrei scoperto che non era rivolto a me, ma a quello che stava per accadere. In quel momento tutto sembrava perfetto nella sua calma apparente, ma i problemi che bussano alla porta non possono stare fuori per sempre, prima o poi devi farli entrare, era bastata mezzora per sconvolgere il mio mondo.
Masaya mi aveva presa per un braccio e portata sull’orlo dell’altura attorno alla quale si estendeva l’enorme prato circolare dove, meno di un’ora prima, vi era una gran parte di Tokyo.
Il solo ripensare alle parole che mi disse mi faceva stare male.
-Ichigo, io non ce la faccio così, siamo troppo diversi. Dobbiamo lasciarci.–
Dopo tutto quello che era successo, dopo tutto quello che avevamo fatto l’uno per l’altra, mi stava lasciando.
-Perché? Non mi ami più forse? –
Mi avvinghiai al suo braccio per cercare di trattenerlo a me, ma lui si era liberato dalla mia presa.
-Si Ichigo, non ti amo più, anzi, forse non ti ho mai amata.–
Quelle parole facevano male, come essere investite nello stesso momento da cento treni. Non era finita li però, mentre guardavo la schiena del ragazzo allontanarsi fui circondata da fotografi e giornalisti. I flash mi stordivano, le voci mi rimbombavano in testa, riuscivo solo a guardare Masaya allontanarsi, poi vidi una donna sulla trentina avvicinarsi a lui e chinarsi in un inchino di ringraziamento porgendogli dei soldi. Mi aveva venduta, aveva venduto il mio segreto alla stampa, aveva venduto il mio amore alle macchine fotografiche. Per cosa, un po’ di notorietà e qualche soldo? Era stato così facile per lui? Probabilmente si. Aveva mai pensato a cosa avrebbe provocato in me? Probabilmente no, semplicemente non gli importava.
Avevo cercato una spiegazione, ma l’unica che ero riuscita a darmi era che un briciolo di Deep Blue non fosse stato distrutto e che, anche se in una parte piccolissima, agisse sull’animo di Masaya. Un male così estremo non poteva essere sradicato in così poco tempo, con una sola battaglia, ci sarebbe voluto tempo per compiere una decontaminazione come si deve e anche l’animo gentile, che sapevo appartenere a Masaya, avrebbe avuto un ruolo in questa lotta. Tuttavia sapevo perfettamente che tutto questo non c’entrava niente con il suo comportamento, stavo solo cercando una spiegazione che facesse stare meglio me.
Ero caduta a terra sulle ginocchia, l’impatto con l’asfalto mi aveva procurato diversi graffi sanguinanti, ma non mi importava, quelle erano solo ferite superficiali, era quella che avevo dentro che faceva gridare la mia anima, era quella che avevo dentro che aveva fatto spegnere la mia luce.
Una donna iniziò a strattonarmi per una spalla, la sua voce mi arrivava ovattata, la sua immagine opaca.
-Stai bene cara? –
Continuai a guardarla senza battere ciglio, poi tutto divenne nero. Sarebbe stato meglio se non mi fosse svegliata mai più, ma si sa, il destino è crudele e quando vuole fare soffrire qualcuno lo fa fino in fondo.
Quando aprii gli occhi ero  sdraiata su un lettino, in una camera singola e anche abbastanza piccola, una porta scorrevole grigia argentea interrompeva il biancore delle pareti, nessuna finestra, praticamente un bunker, non sapevo neanche se mi trovavo sottoterra o al trentesimo piano di un edificio. Riguardando il tutto nell’insieme però sembrava terribilmente la stanza di un ospedale, poco dopo mi accorsi di alcuni macchinari che emettevano dei sinistri bip e la mia ipotesi fu così confermata. Di fianco a essi, era appesa su di un trespolo, una flebo, ne seguii il filo fino al suo braccio, al mio dito era attaccata una specie di molletta bianca, alla bocca avevo una mascherina collegata ad un respiratore, un peso mi gravava sulle gambe, la testa pesava e mi doleva, ma con qualche sforzo riuscii a voltarla verso la donna che dormiva con la testa posata sulle sue gambe. Mia madre era li, probabilmente non mi aveva mai lasciata da quando l’avevano chiamata. Di fianco alla porta, con la giacca attorno al braccio e il viso chino, se ne stava mio padre. L’uomo ci si avvicinò velocemente, senza togliere un attimo gli occhi da me, dal mio viso, e prese a scuotere la moglie.
-Sakura, Sakura. Svegliati. –
La donna aprì lentamente gli occhi assonnati, era stanca, si capiva benissimo, quando tuttavia i suoi occhi incrociarono i miei si svegliò completamente, abbracciandomi e piangendo dalla gioia.
-Ti sei svegliata finalmente. Oddio, sia ringraziato il cielo.–
Sentivo le lacrime di mia madre scorrermi sulle guance, calde, familiari, lacrime che non ci sarebbero mai dovute essere, lacrime che non avrei mai voluto vedere.
Non riuscivo a parlare, qualcosa me lo impediva.
In quel momento entrò nella stanza una dottoressa, aprendo la porta quel tanto che le bastava, per poi richiuderla velocemente dietro di se, dei flash tuttavia riuscirono a passare. Era alta e slanciata, i capelli neri legati in una treccia.
-Sono ancora là fuori, non è vero? –
-Si signora, mi dispiace. –
Mia madre era preoccupata e afflitta e di certo la situazione non aiutava il suo carattere per natura apprensivo.
-Adesso ti tolgo la mascherina, ok? Avvertimi se non riesci a respirare. –
L’infermiera mi fece passare una mano dietro la testa in modo da afferrare l’elastico e togliermi la mascherina.
-Come ti senti –
-Bene grazie. –
La mia voce era roca e bassa, non sembrava appartenermi, era come se qualcuno parlasse al mio posto. Sul volto dell’infermiera si creò un bel sorriso caldo, uno di quelli capaci di metterti subito di buon umore, poi si volse verso mia madre e il sorriso sparì, lasciando posto ad un’espressione seria.
La porta si aprì di nuovo e ne entrò un’altra donna, anch’essa alta, ma bionda, completamente vestita in nero, con spessi occhiali da sole e un auricolare all’orecchio, i capelli raccolti in una cosa alta, non si degnò nemmeno di presentarsi.
-Signora, noi possiamo concedere a sua figlia un’uscita sicura dall’edificio. All’esterno troverà un’auto che vi accompagnerà in un luogo sicuro. –
Non mi piaceva, il modo in cui parlava era troppo secco e diretto, atono, non metteva un briciolo di sentimento in quel che diceva, sembrava che per lei essere li era solo un’ennesima seccante rottura, oltretutto la parola “sicuro”, il modo il cui l’aveva pronunciata, non faceva altro che contribuire a spaventarmi.
-Chi è lei? –
Shintaro Momomiya aveva assunto un’espressione seria, tirata, come quella che aveva il giorno del duello con Masaya a kendo, e pensare che quella volta ero stata così stupida da difenderlo.
-Ora non ha importanza. –
Lo sguardo di mia madre si staccò per alcuni attimi da me, andando a posarsi sul viso della dottoressa.
-Secondo lei è possibile andarsene di qui? –
-Mi sta chiedendo se sua figlia starà bene anche senza i nostri macchinari e la nostra supervisione? –
Mia madre fece cenno di si con la testa, seria come non l’avevo mai vista.
-Penso di si. La sua capacità di recupero è impressionante. Le sue ferite si sono già rimarginate. Se vuole la mia opinione di medico le dico che sarebbe meglio tenerla ancora qualche giorno in osservazione, ma se vuole la mia opinione come persona, le consiglio di portarla via da qui il più presto possibile. –
Mentre ancora finiva la frase lo sguardo della dottoressa si posò su di me e io mi sentii schiacciare da un macigno.
-Benissimo. Tesoro, noi usciamo un attimo e andiamo a preparare le carte per farti dimettere. Ci vediamo in macchina, va bene? –
-Certo mamma. –
Mi spaventava un po’ il dover restare da sola con la dottoressa Mizuni, o almeno mi sembrava di aver letto quel nome sulle targhetta che portava appesa al camice, e con la donna vestita in scuro, ma prima si sarebbero risolte le cose e prima sarei stata meglio.
Quando mio padre e mia madre lasciarono la stanza potei sentire le voci dei giornalisti riempirli di domande riguardanti me, la mia natura e il mio stato di salute, pian piano le voci divennero sempre più lontane, dovevano aver seguito i miei genitori.
-Le stacco la flebo ora. Sentirà un po’ di fastidio. –
Dopo tutto quello che avevo passato nelle ultime ventiquattro ore come poteva importarmi di quel fastidio, il piccolo, leggero dolore che mi provocò al braccio fu dolce, mi ricordò chi ero.
-Può alzarsi ora. –
Mi misi a sedere sul letto mentre la dottoressa si allontanava da me togliendosi i guanti di plastica sterili.
-Mi scusi, posso farle una domanda? –
Non si voltò nemmeno a guardarmi.
-Immagino di si. –
Fredda, come il ghiaccio.
-Cos’è successo dopo che sono svenuta? –
-È stata portata in questo ospedale da due giornalisti che si sono spacciati per i suoi genitori. –
-Capisco. –
-No, lei non capisce. Non può capire. –
-Come scusi? –
A quel punto si voltò verso di me e mi guardò negli occhi.
-Ha idea di quello che ha causato, lei e le sue amiche? Ha idea del dolore che in questo momento migliaia di persone stanno provando? Riesce a capirlo? –
Aveva ragione, aveva stramaledettamente ragione.
-Mi dispiace. –
-Non basta. Non basterà mai. Raggiungo i suoi genitori, non voglio rivederla qui quando torno. –
Uscì dalla stanza sbattendo la porta.
-Venga come me signorina. Non avrà più nessun disturbo in futuro, da noi sarà trattata come merita. –
Come meritavo di essere trattata? Forse meritavo solo di essere gettata in una stanza buia, fredda e senza finestre e essere dimenticata li.
Afferrai la mano della donna in nero e andai con lei.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Mi aspettavo che, appena avessi messo piede fuori dalla porta, sarei stata sommersa dai flash e dalle domande, invece, ad attendermi vi era un solo giornalista, giovane, quasi un ragazzino. Se ne stava in piedi, la schiena appoggiata la muro, una gamba alzata e piegata in modo che la suola della scarpa poggiasse anch’essa sul muro, probabilmente avrebbe lasciato una di quelle orribili impronte grigie sulla parete candida, il cappello da cowboy tirato sugli occhi che studiavano la macchina fotografica che teneva e rigirava tra le mani.
Non sembrava esperto, anzi, forse non lo era per niente. Probabilmente era un tirocinante al suo primo incarico, anche se è strano che gliene avessero assegnato uno così delicato e difficile come poteva essere il mio.
Stavamo andando via, ma io non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, curiosa di sapere cosa avrebbe fatto.
Non ci aveva degnate di uno sguardo, come se fossimo solo un’altra parte dei malati che erano costretti a stare in quel posto. Come se non fosse li proprio per noi.
Aveva qualcosa di famigliare quella figura strana e bizzarra. Terribilmente familiare.
Eravamo ormai giunte alla fine devo corridoio. Una porta bianca con su un segnale ci divideva dalle scure e fredde scale di metallo che mi avrebbero condotta fino alla macchina e poi fino al luogo sicuro di cui tanto parlava la donna in nero. Mancavano solo due passi e poi avrei afferrato la maniglia.
Il ragazzo sembrò risvegliarsi da una trance. Alzò il viso e guardò verso di me. Un sorriso furbo e compiaciuto gli dominava il viso.
Non ci potevo credere. Ecco perché quella figura così alta e slanciata mi era tanto familiare. Ecco perché mi ero aspettata una reazione da lui. Come avevo potuto non riconoscerlo a prima vista. Eppure lo conoscevo da tanto!
Iniziò a camminare, prima lento, poi sempre più veloce, fino a iniziare a correre. Giunse da noi in pochissimo tempo. Si voltò leggermente a guardami in modo da farmi leggere le sue intenzioni infondo agli occhi celesti.
Ma la donna in nero era preparata a un’eventuale situazione del genere e cercò di fermarlo in tutti i modi possibili. Anche lui tuttavia non era uno sprovveduto. Al veloce movimento del braccio della donna lui rispose con uno spostamento laterale, chinando in avanti il busto. Provò un nuovo attacco da dietro la donna, le lei riuscì a prevedere anche questo. Nonostante i suoi sforzi, era ancora lontano da me, così decisi di facilitargli il compito.
Mi spostasi leggermente di lato, in modo da nascondermi senza scomparire totalmente dal campo visivo della donna che altrimenti si sarebbe insospettita. Sporsi in avanti il braccio che era nella zona nascosta alla sua visuale e prontamente il ragazzo lo afferrò, per poi strattonarmi nella direzione da cui eravamo venute.
Non so come ma la donna non fece in tempo a intercettare le nostre mosse e prima che riuscisse a voltarsi completamente noi avevamo già svoltato il primo angolo.
Correvo dietro di lui, ancora vestita di quelle orrende camicie da notte che fornivano gli ospedali. Era stato tutto così movimentato e veloce che mi ero scordata di cambiarmi e ora mi trovavo lì, mezza nuda, dietro un ragazzo di poco più grande di me che correva per tutto l’ospedale, procurandosi occhiatacce dagli infermieri.
Di altro tipo erano quelle che invece mi guadagnavo io. Molti sguardi al nostro passaggio si soffermavano su di me. Alcuni infastiditi o increduli, soprattutto quelli delle donne, altri famelici e interessati provenienti da uomini di ogni età, non faceva differenza se ragazzini o pensionati. Ero terribilmente in imbarazzo.
Quasi non mi accorsi che davanti a noi vi era un lago d’acqua e rischiai di scivolare. Eravamo in prossimità di un bagno, nel quale, con la coda dell’occhio, vidi entrare un idraulico. Probabilmente si era rotta una tubatura.
Continuammo la nostra corsa, schivando gente e macchinari, svoltando a destra e a sinistra, ma sempre senza smettere di sentire alle nostre spalle la voce della donna in nero che ci intimava di fermarci.
Arrivammo all’entrata dell’ospedale. Il marmo liscio e lucido non era proprio l’ideale per correre a piedi nudi, si rischiava continuamente di cadere.
Un’enorme entrata a vetri si presentava davanti a noi. Il ragazzo ci si infilò, con me, approfittando di una signora la aveva appena aperta per entrare, procurandosi le sue lamentele. Per poco non era caduta.
L’aria fresca di accarezzò il corpo provocandomi piccoli brividi.
Scendere le scale di granito, a piedi scalzi, dove una marea di gente passa con le scarpe, mi faceva un po’ schifo, ma non potevo certo chiedere al ragazzo di fermarsi e prendermi in braccio.
Una macchina nera si parcheggiò davanti a noi, mancavano solo dieci metri.
La portiera si aprì e il ragazzo mi ci scaraventò dentro, per poi salire anche lui in fretta a furia al posto del passeggere davanti. Ancora non aveva chiuso la portiera che l’autista mise in moto.
Io era atterrata su qualcosa di morbido, o forse era meglio dire qualcuno, visto che sentivo un paio di braccia forti, maschili, circondarmi la vita. Alzai leggermente lo sguardo dalla maglietta dell’individuo al quale ero piombata addosso solo per incontrare un paio di occhi color oro  e dei ciuffi di capelli verdi.
-Ciao micetta. –
Mi scostai il più velocemente possibile da lui, facendo leva con le mani sul suo torace.
-Ki..Kisshu! –
Solo in quel momento mi ricordai di un particolare particolarmente importante.
Con i lacrimoni agli occhi gli gettai letteralmente le braccia al collo, stringendolo a me più forte che potevo.
-Sei vivo! Sei vivo! Sei vivo! –
Non ero mai stata così felice di vederlo. Mai.
-Si gattina. Sono qui. –
Mi accarezzò dolcemente la testa, donandomi uno dei sorrisi più dolci e sinceri che gli avessi mai visto.
-Non vorrei interrompere, ma ora non è il momento più adatto. Avrete tutto il tempo dopo. –
-Ryan. Grazie che mi sei venuto a salvare, ma non potevi farlo in un modo medo cruento e plateale. Ci guardavano tutti. –
-Oh, scusami tanto. La prossima volta aspetto che ti abbiamo portato nel loro posto sicuro, sotto chiave e senza finestre. –
Mi calmai di botto.
-Davvero mi volevano fare questo? –
-Si Ichigo. Non essere così ingenua. La donna che ti stava accompagnando giù era dei servizi segreti. Dimmi che non te ne eri accorta. –
Come avevo fatto ad essere così sciocca da non accorgersene? Eppure era così ovvio. Giacca nera, camicia bianca, cravatta e pantaloni neri, matricolare e occhiali scuri, capelli raccolti. Beh, tutto quello che, di solito, nei film hanno gli agenti dei servizi segreti. Strano che nemmeno mio padre se ne sia accorto. Lui va matto per quei film.
Oppure...
Forse i miei genitori sapevano, sapevano tutto e per proteggermi avevano accettato l'aiuto di quella donna senza chiedere spiegazioni.
Come vorrei averli potuti ringraziare.
- Ryan, ferma la macchina e torna indietro. –
- Come scusa? –
- Ti ho detto di tornare indietro. I miei genitori sono ancora la. –
Ryan mi rivolse uno sguardo scocciato.
- Ichigo, possibile che per te sia così difficile capire? Non puoi tornare la. È troppo pericoloso e oltretutto i tuoi genitori sono più al sicuro con loro che con noi adesso. –
Decisi di non fare ulteriori storie. Non ero per niente d'accordo con Ryan e non sopportavo che mi desse dell'idiota, ma in fondo in fondo sapevo che il più saggio tra i due era di certo lui. Mille e mille volte.
Mi sedetti sul sedile sotto lo sguardo attento di Kisshu. Sembrava preoccupato. Non lo avevo mai visto così.
-Dove stiamo andando? –
Nessuno mi rispose. Beh, se Ryan non me lo voleva dire forse Kyle sarebbe stato più comprensivo.
-Kyle, ti prego dimmelo. –
Prima di rispondermi Kyle guardò Ryan che non lo degnò di altrettanta considerazione. Se cercava un permesso lui non glielo avrebbe dato, ma non gli stava nemmeno vietando di dirmi tutto, così decise di rispondermi.
-I genitori di Ryan avevano un casa a Komae, ci stiamo dirigendo li. Abbiamo già prelevato le altre e ci stanno aspettando tutte li. Mi spiace lasciare il caffè, ma  non possiamo più tornarci. –
-E dopo cosa faremo? –
-Non lo so Ichigo, non lo so. –
Mi sistemai meglio sul sedile. Il contatto del rivestimento in pelle con le mie gambe nude mi dava fastidio, ma non avevo di che cambiarmi e poi non lo avrei mai fatto davanti a tre ragazzi.
Sentii lo spostamento d’aria provocato dal progressivo avvicinarsi di Kisshu a me.
-Comunque questi vestiti ti stanno benissimo Ichigo. Sono particolarmente eccitanti. –
Me lo sussurrò all’orecchio, malizioso, provocandomi dei brividi lungo tutto il corpo. Posò una mano sulla mia coscia e iniziò ad accarezzarmela, salendo sempre più. Con la bocca iniziò a seviziarmi il collo, posandovi baci caldi e umidi.
Posai tutte e due le mani sul suo torace, facendovi pressione per allontanarlo da me.
-Ki..Kisshu, smettila. –
-Rilassati tesoro. –
Sentii il suo sorriso sulla pelle del collo, poi si rimise, posandomi però un braccio attorno alle spalle e attirandomi a se così da farmi posare la testa sulla sua spalla. Piegò leggermente il viso verso di me per poi posarmi un bacio sulla fronte, delicato.
Stare in quella posizione mi dava un senso di calma indescrivibile e poco a poco mi addormentai, lasciandomi cullare dal suo respiro.
Mi svegliai solo quando sentii la macchina frenare su di un terreno disconnesso. Sentivo i sassi venire spostati dalle ruote e la macchina finire nelle varie buche che il terreno presentava, facendoci traballare come marionette appese ai fili. Fui costretta a reggermi al sedile per non venire sbalzata davanti.
-Siamo arrivati? –
Tutto si era fermato, la macchina e lo sballottamento, e mi ero potuta risedere composta e sistemarmi l’orrenda camicia da notte.
-Si Ichigo. –
Ryan mi aveva risposto con il tono di un adulto che si rivolge ad un bambino. Quanto lo odiavo quando faceva così.
Fu il primo a scendere dall’abitacolo, subito dopo lo seguì Kyle.
-Resta qui micina, ci penso io a portarti dentro. –
Anche Kisshu scese dalla macchina e ne fece il giro, per poi aprire la mia portiera e prendermi in braccio.
Fui costretta a portargli le braccia intorno al collo, altrimenti sarei caduta, ma lui sembrò non capire, o non volle capire, ipotesi più plausibile, che il mio gesto era dovuto solo a un bisogno impellente, in quanto fece uno dei suoi classici sorrisetti maliziosi.
-Posso camminare anche da sola, pervertito. –
-Guarda che non ho fatto mica niente e poi... –
Avvicinò di più il suo viso al mio.
-Non vorrai mica ferirti i piedi. –
Era così vicino che non potei fare a meno di arrossire, cosa che non fece altro che allargare ulteriormente il suo sorriso sfacciato.
-Pronta gattina? –
-Per cosa? –
Non feci in tempo a concludere la frase che non ci trovavamo più all’aperto. Eravamo all’interno di una specie di baita con il soffitto in legno e il pavimento di pietra grezza.
Sedute attorno ad un tavolo stavano le altre quattro Mew Mew, tutte sane e salve, anche se sembrava che tutta la felicità se ne fosse andata dai loro cuori.
-Kisshu. –
La voce di un bambinetto dai capelli castani raccolti in due codini fece voltare Kisshu a destra, con me ancora in braccio.
-Oh, c’è anche la vecchiaccia. –
-Come ti permetti nanerottolo! Se ti prendo! –
Continuavo a sgambettare, ma non succedeva nulla.
-Kisshu, guarda che puoi lasciarmi andare adesso. –
-E perché? È così bello tenerti in braccio micetta, anche se devo ammettere che pesi un po’. –
Non sapevo quale dei due fratelli mi stesse facendo più arrabbiare, se quello che mi girava attorno continuando a ripetere “Vecchiaccia” o quello che rideva per la frecciatina sul mio peso, che oltretutto era estremamente falsa.
-Ragazze, venite qui. Dobbiamo decidere cosa fare per quanto riguarda il vostro prossimo futuro. –
Kisshu mi lasciò andare di colpo, tanto che se non avessi avuto i geni del gatto ancora in corpo mi sarei sfracellata a terra.
-Kisshu! –
-Scusa gattina. –
Si abbassò per aiutarmi, senza però staccare un attimo gli occhi da Ryan. Era serio e preoccupato.
Ci dirigemmo verso il tavolo.
-Bene. Sapete tutte quello che è successo e per questo motivo, per tenervi al sicuro, io e Kyle abbiamo pensato che sia meglio dividervi. –
Tutte aggrottarono la fronte.
-In che sento Ryan? –
-Avevamo pensato ad una situazione del genere e ci eravamo preparati. Durante tutto il programma Mew Mew abbiamo fatto a turno per svolgere delle ricerche e infine abbiamo trovato quello che stavamo cercando. –
Stava girando introno alla questione, cosa assolutamente non da Ryan.
-Quindi? –
Fu Kyle a prendere la parola.
-Per la vostra sicurezza abbiamo trovato dei luoghi semisconosciuti che potrebbero tenervi nascoste per un po’, speriamo fino a che non troveremo una soluzione definitiva a questa storia, ma sarete da sole, non possiamo promettervi nulla. Ve la sentite? –
Erano tutte leggermente sconcertate dal discorso di entrambi, ma tutte fecero un secco e deciso si con la testa. Mancavo solo io.
Non ero molto convinta, ma era la cosa migliore. Diedi anche io il mio consenso.
-Bene, partirete domani. –
-DOMANI!!!??? –

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Sapevo che la cosa era progettata per proteggerci, ma il motivo per cui io ora mi trovi a fare le valigie insieme a Kisshu mi rimane ignoto.
-Si può sapere perché devi venire anche tu con me?! –
L’alieno stava con le braccia incrociate appoggiato allo stipite di quella che per una notte doveva essere ma mia stanza. Sul viso un sorriso malizioso e divertito.
-Perché micetta, non mi vuoi? –
-E se ti dicessi che è proprio così? –
Sempre tenendo le braccia incrociate si spostò dallo stipite e si mise a camminare nella mia direzione, senza fermarsi, tanto che dovetti retrocedere fino a posare la schiena contro il muro di legno della stanza.
Kisshu posò la mano destra sulla parete, sopra di me, avvicinandosi sempre di più con il viso fino ad arrivare ad cinque centimetri dal mio.
-Eppure sembravi così contenta di rivedermi prima, in macchina. –
Avevo il viso in fiamme, ne ero sicura.
-Ero solo sorpresa di vederti vivo. –
-Non mentire Ichigo. –
Con la mano libera aveva afferrato una ciocca dei miei lunghi capelli rossi, accarezzandola, annusandone il profumo.
-Non era per quello, ammettilo. –
-Era proprio per quello. –
Tener lo sguardo fisso nel suo mi stava risultando difficile. Sapevo che non era la verità, eppure non riuscivo a trovare una risposta che mi convincesse di più.
La mano di Kisshu passò dietro la mia schiena, all’altezza della vita e mi attirò a se. Mi inarcai all’indietro per non finirgli addosso. Il viso a pochi millimetri da quello del ragazzo.
-Quindi se io ora facessi così non ti importerebbe. –
Con il volto si era abbassato e mi aveva soffiato quelle parole sul collo, per poi lasciarvi dei baci lenti e sensuali, facendomi rovesciare la testa all’indietro.
-Kisshu, basta. –
Mi strinse di più a se.
-Ammettilo che ti piace. –
Fu il suo tono sicuro e divertito a provocare la mia reazione. Lo allontanai sa me violentemente, facendo leva con le mani sul suo torace.
-Ma chi ti credi di essere?! Ti conviene smetterla, perché se no ti lascio qui. –
Ero tornata a passo spedito verso la mia valigia.
-Spiacente gattina, ma sono stati Ryan e Kyle a dirmi di venire con te. –
Si era girato dalla mia parte e aveva alzato le braccia come a dire che non c’era più niente da fare.
-E allora ne parlerò con loro. –
-E di cosa, di quello che è successo qui? –
Stavo piegando una maglietta, ma al sentire quelle parole la buttai direttamente in valigia, esasperata.
-Non è successo niente Kisshu. Niente! –
Non c’era più. Delle braccia mi strinsero da dietro, la testa posata nell’incavo della mia spalla.
-Posso aiutarti? –
 Con gli occhi aveva indicato la valigia.
-No grazie, ho finito. Perché non vai a fare la tua invece? –
-Speravo mi aiutassi tu. –
Le sue labbra sul collo. Il respiro a solleticarmi la pelle.
SBAM!
-Ichigo, sei pron.. –
Una sorridente Retasu era entrata dalla porta e ci guardava sconvolta.
-Oh, scusate, non volevo interrompervi. –
-No Retasu, non è come pensi! –
Ma le mie parole non servirono a niente. La ragazza se n’era andata.
-Kisshu!!! –
In men che non si dica mi ero allontanata dal ragazzo, avevo afferrato la valigia e gliel’avevo scagliata contro, ma lui si era limitato a spostarsi per evitarla, gli occhi chiusi.
-Mi hai mancato. –
-Fuori di qui! –
L’alieno si era ritrovato chiuso fuori dalla porta in un battibaleno. Anche se quell’ostacolo non gli avrebbe impedito di rientrare mi assicurai di chiudere la porta a chiave. Mi sedetti sul letto, le mani aperte a sostenermi, la testa rovesciata all’indietro. Erano solo quattro ore che ce lo avevo intorno e già non lo sopportavo più. Provai a chiudere gli occhi per rilassarmi un po’, ma la scena di alcuni palazzi che venivano disintegrati mi balenò in mente, costringendomi a riaprirli. Sarebbe stata una lunga nottata.
Guardai l’orologio della sveglia posta sul comodino di legno.
Erano le venti e ventidue. Avevo ancora otto minuti prima della cena, ma decisi comunque di uscire dalla camera, stare sola mi faceva venire in mente ricordi troppo freschi e dolorosi.
Spensi la luce e chiusi la porta.
-Uhm, già fuori? –
La voce di Kisshu alla mia sinistra mi fece prendere un colpo.
-Che ci fai tu li?! –
-Aspettavo che uscissi, sai, ho provato a smaterializzarmi dentro, ma i tuoi amici si sono preparati bene, anno messo un rivestimento ai muri per impedircelo. –
Mentalmente ringraziai Ryan e Kyle.
-Ah, Ichigo, sei qui. Vieni, ti stavamo aspettando. –
-Arrivo Kyle. –
Quando giunsi in sala tuttavia mi accorsi con orrore che gli unici due posti rimasti liberi sono vicini. Di fianco a me è seduta Purin con un sorriso furbo in faccia.
Decisi di non farci caso e mi accomodo a tavola, ma Purin non si fece scappare l’occasione per avvicinarsi a me e coprendosi la bocca con la mano sinistra iniziare a parlarmi all’orecchio ridacchiando.
-Allora Ichigo, cos’è successo? Retasu è venuta di qui con una faccia! Ci ha chiesto di non disturbarvi per un po’. –
Ero diventata cadaverica e uno stato di malessere mi era salito dallo stomaco, facendomi quasi passare la fame.
Anche Kisshu se ne accorse e si sporse in avanti per fissarmi in volto. Il viso stupito.
-Che succede Ichigo? –
Da bianca ero passata a rosso pomodoro.
-Ni-nien-niente! –
Ma Purin tornò all’attacco e stavolta non con me. Si girò verso Kisshu e senza più preoccuparsi di tenere la voce bassa rivolse a lui la stessa domanda fatta in precedenza a me, o almeno ci provò, perché fu prontamente fermata dalla mia mano che gli aveva coperto la bocca prima che qualcuno riuscisse a capire a cosa si riferiva. Nessuno a parte Retasu, che teneva lo sguardo basso ed era rossa in viso.
Mangiammo i manicaretti preparati da Kyle e da Ryan tra le chiacchiere più strane.
-Ichigo, potresti venire a darmi una mano? –
-Arrivo. –
Ero stata fin troppo accondiscendente per i miei modi, ma avrei fatto di tutto pur di uscire da quel giro di occhiatine curiose.
Raggiunsi Ryan in cucina. Aveva addosso un grembiule bianco e stava lavando i piatti.
-Si Ryan? –
Mise sul a scolare il piatto appena lavato, poi si girò verso di me sfilandosi il grembiule a lanciandomelo addosso.
-Ehi! –
-Saranno anche affari tuoi Ichigo, ma fino a che siete qui, vorrei che vi astenesse da certi comportamenti. Avrete tutto il tempo dopo. –
Sapevo a cosa si stava riferendo e il fatto che lo sapesse significava solo ulteriore imbarazzo per me.
-Ryan non è colpa mia. Vallo a dire a lui! È lui che ha i comportamenti osceni. –
-Sei proprio una bambina Ichigo, non capisco proprio cosa ci trovi di interessante in te Kisshu. Sbaglio o tu non hai fatto niente per allontanarlo? –
In effetti era vero. All’inizio non avevo cercato minimamente di allontanare Kisshu, anzi, mi ero lasciata andare.
-Ma… -
-Niente ma Ichigo. Ora per punizione laverai tutti i piatti. –
Rimasi interdetta un momento, non riuscendo ad assimilare quello che aveva detto. Solo quando se ne andò dalla cucina salutandomi con la mano capii che lui non avrebbe fatto nulla.
-Sfruttatore! –
Mi venne il forte impulso di mollare li tutto e tornare di la, ma il pensiero di trovarmi di nuovo sotto gli sguardi maliziosi di Kisshu mi fece desistere. Afferrai il primo piatto che mi capitò a tiro e lo lavai, continuando così fino a quando, mezzora dopo, non ebbi finito.
Quando tornai in sala da pranzo non c’era più nessuno. Se ne erano andati tutti.
Nemmeno negli altri spazi trovai qualcuno. Mi avevano lasciata li da sola.
Mi sedetti su una poltrona del soggiorno.
-Ichigo. –
Mi sentii chiamare da dietro. La voce calda di Kyle.
-Kyle! Pensavo ve ne foste andati. Pensavo ve ne foste andati anche voi. –
Delle lacrime iniziarono a scendermi dagli occhi e in poco mi ritrovai tra le braccia di Kyle. Mi consolava, mi accarezzava la schiena.
-Non ti lasceremo mai sola. –
Nonostante le sue parole non riuscivo a convincermi. Nella mia testa, anche il solo dividerci per tenerci al sicuro era un abbandono, anche se sapevo che era un’idea sbagliata.
Un’ombra si proiettò sul pavimento buio della stanza. Kyle fissava la figura serio, come se la stesse minacciando. Mi voltai anche io nella direzione del nuovo arrivato. Kisshu se ne stava in piedi, sulla porta, le mani nelle tasche dei pantaloni neri. Una semplice T-shirt bianca addosso coperta in parte da una giacca elegante nera. Il tutto contrastava benissimo con i suoi capelli verdi.
-Da adesso sarà lui a tenerti al sicuro. Va da lui. –
Kyle era strano mentre diceva quelle cose, forse l’affidarmi ad un alieno era ancora troppo lontano dalla sua mentalità, ma non poteva fare altrimenti.
-Vieni Ichigo, stiamo facendo i fuochi d’artificio per salutarci. –
Era stato Kisshu a parlare stavolta, allungando una mano verso di me e tenendo l’altra in tasca.
Kyle aveva abbassato lo sguardo verso di me e mi aveva sorriso e io di rimando. Mi ero allontanata da lui e nel mino tempo possibile avvicinata a Kisshu che mi aveva accolta a braccia aperte.
Uscimmo dalla stanza e ci dirigemmo in giardino, dove trovammo le altre intente a guardare gli scoppiettanti fuochi d’artificio.
-Ehi Ichigo. Già finito? –
-Questa me la paghi Shirogane. –
Il ragazzo si piegò in avanti tenendo le mani in tasca, in modo da arrivare alla mia altezza.
-Ammettilo che ti mancherò. –
-Non penso proprio Shirogane. Ichigo sarà troppo occupata per pensare a te. –
Era stato Kisshu a intervenire. Quella frase aveva qualcosa di strano, qualcosa di equivocabile. Ci impiegai un po’ a capire cosa Kisshu volesse insinuare, ma per allora i due erano già distanti da me che rossa come un pomodoro boccheggiavo rivolta alla porta, dalla quale pochi secondi dopo sbucò Kyle.
-Ichigo, tutto bene? Sei rossa come un semaforo! –
-Si Kyle, tutto bene. –
Dovevo arrendermi, non sarei mai uscita da quel circolo vizioso di ragazzi il cui unico scopo era mettermi in imbarazzo.
-Dai, raggiungi le altre, è la vostra ultima sera insieme. –
Già, l’ultima sera. Non le avrei più riviste per non so neanche quanto tempo. Entrambi ci voltammo verso il gruppo e Kyle si sbrigò a raggiungere Ryan che con chiamava con in mano delle scatole di fuochi di artificio vuote.
Sarebbe stati mesi difficili quelli che ci aspettavano. I mesi più difficili della mia vita.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


-Buongiorno tesoro –
Era mia madre. Mi stava svegliando con la sua solita grazia urlandomi il buongiorno nelle orecchie, la mia sveglia deve, come al solito, essere suonata senza che io l’abbia minimamente calcolata. Non era certo colpa mia se avevo il sonno pesante, forse avrei dovuto solo cambiare sveglia, prenderne una più potente. Beh comunque rimaneva il fatto che ero praticamente diventata sorda da un orecchio.
Quello che trovai quando aprii gli occhi, tuttavia, non era ciò che mi aspettavo. Un muro di legno si stagliava a circa due metri dalla cosa sulla quale ero sdraiata. Mi sentivo molto comoda quindi probabilmente la “cosa” su cui mi trovavo era un normalissimo letto, anche molto morbido. Appoggiai una mano sul materasso in modo da fare leva per portarmi a sedere e guardarmi intorno, non che ci fosse molto da vedere. La stanza era di media grandezza, io ero distesa su un grande letto a due piazze con un lenzuolo bianco e un piumone pesca. Faceva abbastanza freddo, ma sotto le coperte si era formato un sorta di microclima che teneva il mio corpo ad una temperatura tale che mi sarei accoccolata sotto di esse se solo mi fossi trovata nella mia camera e non in una stanza sconosciuta. Il mio lato felino voleva tanto che ignorassi la curiosità di capire dove diavolo mi trovassi per soddisfare quella stanchezza che avevo addosso. Per quanto potevo aver dormito? L’ultima cosa che ricordavo era di essere salita su una specie di pulmino con i vetri oscurati, uno di quelli che si vedevano nei film occidentali di trent’anni fa, quelli su cui i giovani compivano viaggi in giro per il mondo alla ricerca di loro stessi. Fuori il cielo albeggiava.
 
Nel pulmino la calma era quasi glaciale.
Avevo salutato le altre pochi minuti prima, ci eravamo abbracciare e premesse che un giorno ci saremmo riviste ancora. Non ero riuscita a trattenere le lacrime, procurandomi i rimproveri di Ryan e Mina, ma infondo anche loro erano commossi, si vedeva dai loro occhi lucidi e dai muscoli del volto contratti per non lasciarsi andare alle emozioni. Kyle mi aveva abbracciata come un fratello maggiore, tenendomi stretta e sussurrandomi che sarebbero sempre stati con me.
Kisshu aveva salutato i suoi fratelli, loro avrebbero ancora potuto vedersi, ma, dopo che tutto quello che era successo era stato messo a nudo, anche loro avrebbero avuto difficoltà a trovare un posto sicuro. Avrebbero potuto usare la loro dimensione, ma anche quella non era più sicura. Nel loro mondo erano considerati da buona parte della popolazione dei traditori, anche se altrettanti li consideravano degli eroi. In qualsiasi caso avrebbero dovuto tornare a casa una volta finita la guerra, invece avevano deciso di restare, per aiutarci, questo aveva incrementato ancora di più i sospetti su di loro.
Finiti i saluti Kisshu mi venne a prendere, mi sentii posare una mano sulla spalla destra e mi girai a guardarlo, si vedeva che era scosso, che soffriva, ma nonostante questo mi attirò a se e mi strinse in un abbraccio consolatorio. Fece in modo che non potessi vedere le altre andare via e mi condusse verso il furgone, ma io testarda com’ero ero decisa a farmi del male e fissai lo sguardo sull’immagine di ciò che accadeva dietro di me riflessa dal finestrino del furgone. Vidi le altre venir fatte salire su veicoli tutti diversi, probabilmente dipendevano dal posto in cui sarebbero state portate in modo da non sembrare fuori posto rispetto all’ambiente circostante mentre raggiungevano i rifugi.
Ricordo che mi infilai nei furgone e ci accoccolai sul sedile appoggiando la testa alla parete dell’abitacolo, Kisshu mi si accomodò a fianco.
-Ehi, stai tranquilla, le rivedrai. –
-Non puoi saperlo Kisshu. –
-Si invece, lo so. –
-Come fai a saperlo? Come fai a essere sicuro che ci rivedremo? Come fai ad essere sicuro che rivedrai i tuoi fratelli? –
Solo nel momento in cui pronunciai quelle parole mi accorsi di quello che avevo fatto. Mi sentii in colpa, mi ero concentrata solo sul mio dolore, solo sul mio senso di perdita, ma le persone che avevano perso di più in quella guerra le stavo guardando in quel momento, loro avevano perso la loro gente, la guerra, ciò in cui credevano e la possibilità di continuare a vivere in un ambiente tranquillo e sicuro, in cui fossero accettati. Pensava prima a me che a se stesso, lo aveva sempre fatto.
-Scusami Kisshu, non volevo, mi dispiace. –
-Tranquilla, capisco, ma noi ci rincontreremo. Devi crederlo Ichigo. Ne hai bisogno. Ne abbiamo bisogno entrambi. –
Mi mise una mano attorno alle spalle e mi fece posare la testa contro la sua spalla, stringendomi a se.
-Che succede Ichigo, ti stai rammollendo? Dov’è finita la mia micetta combattiva? –
-Per adesso è chiusa nel cassetto Kisshu. Posso dormire un po’? troppe emozioni. –
-Certo, dormi. Sarà un lungo viaggio. –
 
Mi girai verso sinistra. Dall’altra parte del letto, posta su un comodino, faceva bella vista di se una sveglia elettronica, spenta. Sarebbe stato troppo chiedere una sveglia funzionante!
Mi misi a sedere sul letto, le gambe a penzoloni. Mi alzai da letto. Quando i miei piedi nudi toccarono il pavimento un brivido mi percorse la spina dorsale. Ci sarebbe voluto un po' di tempo per abituarmi al freddo. Sembrava che la mia pelle si stesse ghiacciando. Avrei voluto rimettermi immediatamente sotto le coperte, ma il desiderio di uscire per cercare di capire dov'ero era troppo forte.
Solo in quel momento notai l'assenza di Kisshu. Dove si era cacciato? Un secondo brivido mi si propagò nella carne, il terribile pensiero che mi avesse lasciata li da sola, che mi avesse abbandonata a che lui mi gelò il sangue. Non poteva essere, non dopo tutto quello che avevamo passato, anche se in fin dei conti ne avrebbe avuto tutto il diritto. Inconsapevolmente mi ero attaccata a lui, era diventato il mio bastone, se lui avesse ceduto, se se ne fosse andato, io sarei caduta e non ero sicura che mi sarei mai potuto rialzare da una caduta del genere.
Mossi un piede davanti all'altro e, facendo attenzione al suono dei miei passi sulle mattonelle di fredda pietra grigia del pavimento, raggiunsi la porta socchiusa della stanza. Entrava un po' di luce da quella fessura, una luce fredda. Appoggiai l'orecchio alla porta. Nessun rumore, neanche un sussurro.
Lentamente aprii la porta e mi affacciai. Come avevo già potuto constatare non c'era nessuno in casa. Mossi qualche altro passo in avanti, prima con timore, poi sempre con più sicurezza quando cominciai a convincermi che non c'era nessun pericolo.
Raggiunsi la sala, separata dalla camera sola da un corto corridoio nel quale affacciava un bagno. I muri interni della casa erano ricoperti da un semplice intonaco bianco, mentre quelli esterni erano completamente fatti di assi di legno. Sembrava una di quelle case dei paesini sperduti di montagna dove l'elettricità è arrivata da meno di un decennio e l'acqua si va a prendere al pozzo. Quest'ultima teoria, per mia sfortuna, fu confermata dall'arrivo di Kisshu. Entrò in casa sbattendo la parta di casa, probabilmente aperta con un calcio.
- Kisshu! Dove sei stato? -
Era vestito in maniera diversa rispetto al solito, indossava degli abiti umani. Un impermeabile li copriva ma potevo comunque intravedere sotto una maglia nera, una felpa rossa e dei jeans. Era bagnato fradicio. Il cappuccio dell'impermeabile si era leggermente spostato e i capelli verdi del ragazzo erano zuppi d'acqua, così come le sue scarpe che producevano uno strano cich-ciach. In mano portava una valigia, la mia, che aveva cercato di tenere coperta durante il tragitto.
- Ciao Ichigo. Ben svegliata dormigliona. -
Appoggiò a terra la mia valigia e chiuse la porta dietro di sé, in modo che la pioggia torrenziale che si stava abbattendo sulla casa non entrasse.
- Non hai risposto alla mia domanda. -
- Si. -
- Si cosa? -
- La risposta è "Si". -
- Ma se non hai neanche ascoltato la domanda! -
- Eh allora? Io rispondo sempre "si" a tutto. -
- Quindi se ti avessi chiesto di darti fuoco tu mi avresti risposto di si. -
- Certo che no, che cavolo di domanda è?! Comunque in questo momento non sarebbe poi così una cattiva idea, sto gelando. -
- È una di quelle domande che le mamme umane ti fanno usano come esempio per farti capire che non bisogna dire sempre si. -
Vicino a me c'era un divano, su cui fortunatamente c'era una coperta. La afferrai e andai verso Kisshu.
- Spogliati. -
- Finalmente micetta vuoi passare al sodo è? -
Arrossii visibilmente.
- Non fare l'idiota. Se tieni addosso i vestiti bagnati come puoi sperare di asciugarti e non prenderti un colpo?! Quindi forza spogliati. -
Ci impiegò un attimo per riuscire a togliere l'impermeabile e le scarpe. Il resto era abbastanza asciutto quindi glielo feci tenere addosso. Gli passai attorno al corpo la coperta in modo da tenerlo al caldo e lo feci sedere sul divano.
- Se volevi potevo spogliarmi completamente. -
- Sogna Kisshu, sogna. -
- Eppure non sembrava che ti dispiacesse molto stanotte, quando ti sei avvinghiata a me a letto. -
Rimasi impietrita sul posto. Avevo dormito con Kisshu quella notte, e l’avevo pure abbracciato? Oddio.
- Sai, mi hai passato le mani sul torace e hai incrociato una gamba con la mia, come se mi desiderassi Ichigo. -
Iniziai a sudare. Si stava inventando tutto, ne ero certa.
Si sporse verso di me sul divano fino ad arrivarmi ad una spanna dal viso.
- Per caso ti piaccio Ichigo? -
- Assolutamente no! -
Mi posò una mano sulla gamba e iniziò ad accarezzarla, un gesto tremendamente piacevole.
Mi accorsi di aver spostato l'attenzione sulla sua mano solo quando rialzai lo sguardo e lo trovai a due millimetri da me che cercava di baciarmi. Mi scansai appena in tempo.
- Un giorno cederai Ichigo e quel giorno sarai completamente mia. -
- Aspetta e spera Kisshu, aspetta e spera. -
- Abbiamo tutto il tempo tesoro. –

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


La sensazione che si prova a fine pianto mi era molto famigliare in quei giorni. Di notte i volti delle persone che mi ero lasciata dietro mi chiamavano, sentivo il loro odore, il loro respiro sul viso come se mi fossero ad un palmo di distanza. Tutte la volte il mio cuore iniziava a battere forte, quasi a volermi uscire dal petto, un senso di angoscia mi opprimeva e non mi permetteva di respirare.
I primi visi erano sempre quelli di Kyle e Ryan, li vedevo sorridenti all'entrata del Caffè che mi prendevano in giro perché ero in ritardo, per l'ennesima volta, poi apparivano i volti delle ragazze, le mie compagne di squadra, le mie migliori amiche, le vedevo vestite da combattenti mentre con tutte le loro forze cercavano di sconfiggere quei tre ragazzi alieni che tanto avevamo combattuto senza renderci conto che quelle erano tutte battaglie inutili, vedevo i volti di Taruto, Pai e si, anche Kisshu, con quello sguardo furbo negli occhi e la lingua maliziosa che mi faceva sempre venire i brividi lungo la schiena. Poi il sogno sembrava fermarsi di colpo, tutto si faceva buio e, come sempre, immagini della mia vita quotidiana di prima della guerra mi comparivano davanti agli occhi, i miei genitori, papà intento a sfogliare il giornale a tavola facendo inevitabilmente finire l'angolo della pagina nel caffè e mamma intenta a pulire il disastro di latte e cereali che avevo creato sul piano cottura nel tentativo di versarli contemporaneamente nella tazza per cercare almeno di fare una parvenza di colazione prima correre a scuola con il mio consueto ritardo. Si può dire però che fino a quel momento il sogno non era poi così terribile, erano sempre i sensi di colpa, che sopraggiungevano inevitabilmente, a tramutarlo, i sensi di colpa verso le persone che mi erano state vicine e che non avevo potuto salutare. Il sogno d'improvviso si tramutava in incubo quando compariva il viso di Masaya, la sua espressione all’inizio serafica, come quella che era solito rivolgermi quando fingeva di amarmi, dopo poco si tramutava nell’espressione compiaciuta della parte del ragazzo che solo una volta avevo potuto osservare, e mi era bastata, solo rimpiangevo di non averla scoperta prima, forse la mia vita avrebbe preso un’altra strada. Masaya stava parlando con i giornalisti, sul piazzale della disgrazia, mi guardava con aria di superiorità, come se fossi uno scarafaggio che fino ad allora era servito all’esperimento e che ora poteva benissimo essere schiacciato come una nullità. Quel giorno era stato il più brutto della mia vita.
Mi svegliai di colpo, sudata e con il fiatone, tenevo gli occhi spalancati a fissare il buio come se da un momento all'altro avesse potuto uscirne il mio peggior incubo. Scrutai ogni angolo del buio grazie ai residui del DNA del gatto Iriomoto, non era scomparso del tutto, riuscivo ancora a sentirlo dentro di me.
Sentii delle braccia cingermi la vita e tirarmi leggermente indietro fino a farmi posare la schiena sul petto fresco del ragazzo dietro di me. Ormai erano vari giorni che succedeva sempre la stessa cosa ed erano vari giorni che Kisshu si trovava a dovermi calmare nel bel mezzo della notte. Oramai, come ci scherzava sopra lui, si era abituato a dormire con un occhio aperto con me, faceva tanto il leggero, ma sentivo come si preoccupava, ogni notte la stretta si faceva più salda su di me. Sentii un braccio lasciarmi la vita e poco dopo la stanza venne inondata della luce calda della lampada sul comodino del ragazzo.
- Va tutto bene Ichigo, sei al sicuro. -
- Grazie Kisshu. -
Gli posai una mano sulle sue, ancora ancorate sul mio ventre che mi stringevano.
- Il fatto è che non riesco a non pensare a loro. -
Sentii un movimento di coperte dietro di me e dopo poco percepii la sua presenza più vicina me.
- Pensa a me allora, sono qui. -
Me lo sussurrò vicino all'orecchio, il suo respiro caldo mi sfiorò come una carezza. Mi posò un bacio vicino all'attaccatura del capelli sulle tempie, aveva la capacità di calmarmi, di scacciare via i miei demoni, mi sentivo al sicuro in quel momento, tra le sue braccia.
- Sai che ci sarò sempre, per qualsiasi cosa. -
Mi girai leggermente verso il suo viso.
- Sì Kisshu, lo so. –
Ancora mi sentivo insicura tutte le volte che lo guardavo negli occhi, quel colore dorato così strano, così non umano, sembrava perforarmi l’anima e anche invitarmi a scrutare la sua. Distolsi immediatamente lo sguardo, non riuscivo ancora a lasciarmi andare con lui, non mi fidavo ancora del tutto.
-Torniamo a dormire ora. -
Mi trascinò lentamente con se sul letto, senza sciogliere l'abbraccio. Io mi ruotai verso di lui così da poter appoggiare le braccia al suo petto e stringergli la maglia. In quei giorni avevo scoperto che quel gesto, per me, era il miglior calmante. Provai a chiudere gli occhi, ma sentivo ancora nelle orecchie le parole di Masaya, ripetute e ripetute e ripetute ancora. Così decisi: l’unica soluzione era alzarsi e andarsi a fare un the. Lasciai andare la maglietta di Kisshu e cercai di liberarmi dalle sue braccia, cosa non semplice visto che appena provavo a muovermi la sua stretta si faceva più salda. Cercai di  divincolarmi ancora per un po’, ma la cosa non cambiava. Ok, l’unica soluzione sembrava chiedere.
-Kisshu, mi lasci andare per favore? Vorrei farmi un The. –
Una frase sconnessa si alzò dal viso del ragazzo premuto contro il cuscino.
- Scusa ma non riesco a capirti. –
Allora prese la mia frase come scusa per tirarmi ancora più vicino a lui.
- E a me non chiedi se lo voglio? –
- Vuoi il the Kisshu? –
- Si grazie, tesoro. –
Lo sguardo che gli lanciai non sembrò sfiorarlo in alcun modo, beh, almeno avevo guadagnato la libertà. Mi alzai dal letto e mi diressi verso la porta in legno che divideva la camera dal piccolo corridoio. Mentre stavo uscendo, tuttavia, capii che non potevo fargliela passare liscia così.
-Comunque, non sono il tuo tesoro. –
Sul viso stanco gli comparve un sorrido furbo, si stropicciò gli occhi con la mano sinistra e con l’altra scostò le coperte, sembrava così strano vederlo con un pigiama grigio tinta unita e non con i suoi soliti vestiti, sembrava essersi tramutato in umano di colpo. Si avvicinò a me sbadigliando e coprendosi la bocca con un gesto plateale della mano.
-Dopo avermi svegliato a quest’ora potresti anche permettermi di farti qualche coccola. –
Tentò di abbracciarmi, ma io gli afferrai il braccio e lentamente lo allontanai da me.
-Non sperarci neanche Kisshu. –
Mi scostai da lui e continuai a camminare lungo il corridoio buio. Il pavimento freddo sotto i piedi mi provocava dei brividi lungo la schiena, avevo freddo, ma non avevo la minima intenzione di tornare indietro a prendere la vestaglia o anche solo le ciabatte e finire per imbattermi in quel pervertito di ragazzo alieno che, in quel momento, mi faceva da coinquilino, c’erano volte che mi faceva talmente arrabbiare che avrei voluto buttarlo fuori casa a calci, il problema però era sempre il riuscire a prenderlo, appena tentavo di avvicinarmi o di colpirlo in qualche modo lui semplicemente mi schivava volando, non poteva smaterializzarsi perché Kyle e Ryan avevano montato anche qui la protezione che avevano messo in casa loro, “conoscendo il tipo”, avevano detto, “meglio prendere precauzioni”, e come dargli torto.
Arrivai in cucina e feci scattare l’interruttore della corrente elettrica, la lampadina proiettò una luce gialla su tutto ciò che incontrava riscaldando almeno un po’ la stanza. La luce non era fortissima, doveva essere una di quelle lampadine a risparmio energetico che ci mettevano una vita a riscaldarsi, le avevo sempre odiate, fin da quando mio padre aveva voluto “testarle” a tutti i costi e le aveva scambiate con quelle di tutta casa, a parer mio sembrava di stare in un cimitero, neanche mia madre era contenta e di fatti la situazione era durata poco, giusto il tempo di far capire a mio padre che se non avesse ricambiato tutte le lampadine con quelle originali mia madre non avrebbe più fatto da mangiare, perché cucinare al buio non poteva, secondo lei, che fosse vero o no comunque la minaccia era servita, nel giro di poche ore avevamo riavuto un livello di illuminazione normale.
Presi dalle ante due tazze abbastanza grandi.
-Kisshu, sai dov’è il bollitore? – urlai per farmi sentire da lui, ma il ragazzo stava proprio in quel momento per varcando la soglia della cucina.
-Ichigo non strillare, sono le tre di notte e io oltretutto ci sento molto più di voi, se già queste urla sono fastidiose per voi mettiti nei miei panni. –
-Scusa, comunque sai dov’è il bollitore. –
Si avvicinò a un’anta della credenza. Teneva un braccio sopra gli occhi dorati e ogni tanto se li sfregava, evidentemente non si era ancora svegliato del tutto.
-Ma che diavolo di luce c’è in questa stanza? Non l’ho mai notata. –
-Si lo so, è terribile, comunque forse non l’hai mai notata perché è la prima volta che entriamo in cucina di notte, la sera c’è ancora luce quando mangiamo e non abbiamo bisogno di accenderla. –
Aprì l’anta e afferrò il bollitore senza troppi problemi.
-Credo sia questo. –
-Si, è lui. Era in bella vista eppure non l’ho visto. –
-Perché sei sempre la solita sbadata Ichigo, è normale. –
-Parla lui! –
-Perché? Che ho fatto io? –
-Bhe…- in effetti non aveva fatto nulla, non sapevo come continuare la frase.
-Comunque come hai fatto a riconoscere il bollitore? –
-Sono fatti così anche sul nostro mondo, anche se li usiamo in un’altra maniera, noi lo usiamo per far bollire l’acqua a scopo medico, sai da noi l’acqua scarseggia e non possiamo permetterci certi lussi come…cos’è che stai facendo di preciso? –
-Del the. –
-Ah, molto più chiaro adesso. Cosa sarebbe di preciso? –
Finii di mettere il bollitore sul fornello dopo averlo riempito d’acqua, ora mancava solo da accendere il fuoco.
-Ma come, hai anche detto che lo volevi e non sai cos’è?! –
Presi in mano l’accendino per incendiare il gas che usciva dal fornello e feci scattare il pulsante, ma non successe nulla.
-Bhe, è proprio perché non lo conosco che volevo assaggiarlo, e poi volevo provare qualcosa che piace a te. –
Riprovai, ancora nulla.
-Senti, ti posso aiutare? –
-No no, ce la faccio. – ma ancora nulla, riprovai e riprovo ma non successe nulla. Magari non avevo alzato abbastanza la futura fiamma. Decisi di girare un po’ di più la rotella e feci partire un’altra volta la scintilla, all’improvviso la fiamma si accese, ma era talmente alta che mi bruciai le dita.
- Ahi che male! –
Mi strinsi le dita e iniziai a saltellare sul posto come una pazza. Kisshu mi afferrò la mano e se la porta alla bocca iniziando a succhiami il dito scottato.
-Ma che stai facendo?! Lasciami subito! –
- Okok, ho solo cercato di aiutarti. –
- Bhe, non farlo mai più. –
Sapevo di essere arrossita, lo sentivo dal calore sulle mie guance.
-Ichigo, girati un attimo verso di me. –
-Non ci penso neanche brutto maniaco. –
Kisshu mi afferrò per le spalle e mi fece girare nella sua direzione. Iniziò a fissarmi in una maniera strana, mi guardava dritta negli occhi e il mio imbarazzo crebbe a dismisura.
-Chhhe c’è? –
-Hai gli occhi quasi rosa. –
Sbattei più volte le palpebre, stranita.
-Cosa? –
-Ho detto che hai… -
-Si lo so che cosa hai detto! –
Lo lasciai li in cucina e mi precipitai in bagno, quando arrivai davanti allo specchio portai il viso a circa cinque centimetri dalla superficie, facendo leva con le braccia sul bordo del lavandino per tirarmi su. I miei occhi erano effettivamente un misto tra il mio colore naturale e il rosa di quando ero una Mew Mew. Mi lasciai ricadere a terra e, forsennata, mi tirai leggermente su la camicia da notte per vedere se il simbolo rosa era ricomparso sulla mia coscia. Percorsi tutta la gamba con gli occhi, arrivai fino al bordo delle mutandine, ma del simbolo nessuna traccia.
-Cosa stai cercando Ichigo? –
Tirai giù di colpo la camicia da notte, senza che me ne accorgessi Kisshu si era posizionato sulla porta del bagno e aveva assistito a tutta la scena.
-Fuori di qui! –
-Carine le mutandine rosse Ichigo, è la prima volta che te le vedo. –
-Maniaco, Maniaco, MANIACO!!! Parli come se ne avessi viste altre. –
Kisshu se ne stava zitto mentre lo spingevo fuori dal bagno, non dirmi che era vero!
-Kisshu, mi hai spiata per caso? –
Avevo ancora le braccia tese e premute sul suo petto, ma lui mi afferrò la faccia con una mano e mi si avvicinò al suo viso.
-Come puoi pensare una cosa simile Ichigo, sono un bravo ragazzo io. –
Un sorrisetto malizioso gli spuntò sulle labbra.
-Per caso avresti voluto che lo avessi fatto? –
Diventai rossa come un peperone.
-Non scherzare Kisshu. Fuori di qui! –
Finalmente riescii a spingerlo fuori.
-Eddai micetta scherzavo, e comunque se non esci penso che ci andrà a fuoco la cucina. –
Cavolo era vero, il the. Uscii dal bagno e gli passai a fianco senza degnarlo di uno sguardo. Mi diressi dritta dritta in cucina dove trovai il bollitore che fischiava come un forsennato. Spensi la fiamma e versai l’acqua bollente nelle tazze. Mentre finivo di preparare il the cercai di fare mente locale a tutte le possibili situazioni in cui Kisshu avrebbe potuto spiarmi, ma avrebbe potuto essere stata qualsiasi, anche se in teoria Mash mi avrebbe avvisata se ci fosse stato un alieno a spiarmi fuori dalla finestra.
Portai le due tazze di the al tavolo e mi sedetti.
- Puoi entrare, per il momento ho deciso che non ti ucciderò –
- Come se tu potessi avere qualche piccola speranza di riuscirci con me. –
Venni raggiunta da Kisshu.
-Grazie per…come hai detto che si chiama?. –
-The. Prego comunque. – iniziai a sorseggiare il mio the, anche Kisshu ci provò, ma non sapendo cosa aspettarsi ne beve un sorso troppo grosso e si scottò la bocca con il liquido bollente.
-Potevi dirmi che scottava! –
-Scusa, pensavo che lo avessi capito dato che è fatto con l’acqua bollente del bollitore. Io ti consiglio di aspettare ancora un po’ a berlo, oppure di farlo a piccoli sorsi come me. –
Il ragazzo posò la tazza sul tavolo e passò il dito sul bordo, fissandoselo.
- Allora, che ne dici di dirmi cos’è che ti spaventa tanto? –
Tenni il bicchiere all’altezza della bocca e lo guardai di sottecchi.
- Non me la sento, scusa. –
- Ichigo dovrai parlarne prima o poi e ci sono solo io qui. So che preferiresti parlarne con le tue amiche, ma al momento non è possibile. –
- Si Kisshu, l’ho capito, ma al momento non ce la faccio proprio. Scusa. –
Kisshu avvicinò la mano alla mia e la afferrò.
- Ok, ma sappi che quando vorrai parlarne io sono qui. –
- Grazie. – cercai di rivolgergli un sorriso sincero.
- Dai ora bevi il tuo the che se no si fredda troppo. –
- Ok, ma se mi scotto di nuovo sarà solo colpa tua e me la pagherai. –
- E cosa avresti intenzione di farmi? –
- Oh Ichigo, non devi farmi queste domande. –
- Pervertito! –

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Restare chiusa in casa stava diventando esasperante. A me erano sempre piaciute le passeggiate all’aria aperta, erano l’unica cosa che mi calmava quando litigavo con i miei genitori o prendevo un brutto voto a scuola, cosa che oltretutto succedeva molto più di frequente di quanto fossi disposta ad ammettere. Restare chiusa in quelle quattro mura era uno strazio, o forse la mia percezione era un po’ alterata dall’avere vicino come unico essere vivente quell’insopportabile alieno di nome Kisshu; in quei giorni, oltretutto, mi era risultata proprio difficile la convivenza con lui, il suo non essere abituato ai costumi umani rendeva qualsiasi cosa un’impresa, perfino i pasti, e se glielo facevi notare lui si inalberava e blaterava su che non era colpa sua, che tutte quelle “cavolate” non c’erano nell’addestramento preparatorio alla missione o che comunque non erano state spiegate bene. Tanto per fare un esempio, il giorno prima non mi andava di cucinare e mi era venuta un’idea, chiedere a Kisshu di preparare, con quello che più si avvicinava a quello che usavano loro e che poteva trovare in casa, qualcosa tradizionale del suo pianeta, non lo avessi mai fatto. Tutto felice si era alzato dalla sedia sulla quale era seduto da circa due ore intento a fare roteare sul tavolo una vecchia trottola, con scarsi risultati oserei aggiungere, cosa che lo aveva portato a continui sbuffi e al finale lancio della stessa contro il divano. Si era diretto verso la cucina e, rimboccatosi le lunge maniche della felpa grigia che aveva addosso, aveva iniziato a perlustrare i vari antri della cucina, dai quali tirava fuori quasi qualsiasi cosa. La prima fu la paprika seguida da una scodella, poi dal riso e via così fino ad arrivare ad un pentolino nel quale poteva forse sperare di far entrare l’acqua per un caffè, ristretto per di più. Decisi che se davvero volevamo mangiare qualcosa quel giorno mi conveniva alzarmi ed andare ad aiutarlo, e addio ai miei progetti di starmene buona buona a non fare nulla. Lo raggiunsi in cucina e iniziai a mettere un po’ d’ordine tra quell’ammasso di roba che aveva posato sul tavolo.
-Allora, spiegami un po’ questa ricetta che così vedo di aiutarti. –
-Non la conosco neanche io.-
Forse avevo sentito male.
-Come?-
-Non la so.-
Ok, avevo sentito benissimo.
-E allora che cavolo stai facendo di preciso? –
-Improvviso.-
Improvvisa.
-Mi vuoi per caso avvelenare? Hai scoperto che con i tuoi sai non ce la fai ad uccidermi e sei passato ad un piano alternativo? –
-Non farla così tragica Ichigo, e poi avrei benissimo potuto farti fuori in più di un’occasione se solo avessi voluto, ma visto che mi piaci mi sono trattenuto e ho deciso, in modo molto magnanimo, di risparmiarti la vita.-
Mi sentì il sangue inondarmi le guance. Tutte le volte che se ne usciva in quel modo mi sentivo tremendamente in imbarazzo, era sovrumano il modo in cui ne parlava, così tranquillamente, ma d’altra parte lui non era umano, quindi magari per loro era normale.
Proprio in quell’istante si voltò verso di me per passarmi il pepe.
-Che c’è Ichigo? Hai caldo? –
Senza neanche rendersene conto, per una volta, mi aveva fornito la perfetta scusa per spiegare il rossore che mi imporporava la guance. Avrei potuto evidare di affrontare quella strana conversazione di nuovo quella volta.
-Si, mi tolgo la felpa.-
Sfortunatamente quella che avevo indosso era una di quelle felpe tutte intere, per intenderci una felpa senza cerniera davanti. Il rischio di denudarmi nell’impresa e offrire così un bello spettacolino, sicuramente molto apprezzato dall’altra parte, era alto. Avrei potuto desistere, ma in quel momento mi accorsi che affettivamente avevo iniziato a sentire caldo, sensazione che sarebbe peggiorata una volta accessi i fornelli. Aprire le finestre era fuori questione, fuori c’erano forse dieci gradi e ci saremmo congelati, almeno io sicuro. Provai quindi a buttarmi nell’impresa con il coraggio di una vera combattente che va a rischiare la propria vita al fronte contro degli spietati nemici. Incrociai le braccia e afferrai il bordo inferiore della felpa, iniziando a tirarla verso l’alto, ma subito mi parve chiaro che il risultato sarebbe stato quello ipotizzato in precedenza. Caso volle che Kisshu fosse impegnato a cercare chissa quale attrezzo nella dispensa e non mi avesse vista. Ci provai di nuovo, ma ottenni un risultato catastrofico. Ero riuscita a far stare la camicia bianca che portavo sotto al proprio posto, ma ero anche riuscita ad incastarmi nella felpa, mi ritrovavo con le braccia incrociate, le mani che tenevano i lati della felpa e tutta la felpa a fare da fagotto intorno alla mia testa. Non avevo alternative.
-Kisshu, aiutami. –
-Hai detto qualcosa? –
La sua voce proveniva ancora dallo stanzino. Provando ad avvicinarmi per farmi capire andai a sbattere contro l’anta della porta che ne determinava l’apertura.
-Kisshu aiutami, per favore. –
Sentì dall’altra parte una risata soffocata.
-Non c’è niente da ridere. –
A quel punto la risata scoppiò libera.
-Fidati Ichigo, c’è eccome. –
-E va bene, non ho bisogno del tuo aiuto, posso fare anche da sola. –
Riniziai a provare a tirare, ma tutto era bloccato, non riuscivo a muovere un muscolo ne per continuare nel tentativo di togliere la felpa ne per tornare alla situazione iniziale. Mi maledissi mentalmente.
-E va bene, non è vero, non ce la faccio. Ti prego aiutami, sto soffocando qui dentro. –
Sentì Kisshu appoggiare qualcosa su uno scaffale e poi avvicinarsi di qualche passo a me.
-Ok, ma dopo voglio una ricompensa. –
-Dimenticatelo. –
-Allora ti lascio così. –
Quasi non respiravo più e oltretutto faceva un caldo infernale li dentro.
-E va bene e va bene, ma ti prego, fai una richiesta fattibile. –
Sentii le sue mani afferrarmi il lembo posteriore della felpa e tirare in su, poi le spostò di fianco e…ero libera, finalmente libera.
Avevo i capelli tutti in aria e la faccia rossa, dovevo assomigliare ad uno spaventapasseri. Cercai di sistemarmi i capelli alla bella e meglio.
Kisshu mi porse la felpa e io la legai in vita, per poi sbottonare i primi due bottoni della camicia, che sembrava strangolarmi.
-Bhe se vuoi iniziare così io ci sto. –
Si sporse verso di me e appoggò la mano alla scaffale a lato della mia testa.
-Stupido, cosa credi. –
-Bhe un’idea mi è passata in mente. –
Gli rivolsi uno sguardo fulminante.
-Bhe grazie per avermi aiutato.
Mi abbassai per passargli sotto il braccio, ma lui mi afferrò una mano e mi riportò al mio posto.
-Non dimenticarti che mi hai promesso una ricompensa. –
Me lo sussurrò all’orecchio. Ero incastrata tra il suo braccio a sinistra e il suo viso a destra. Situazione molto imbarazzante che mi face di nuovo venire un caldo allucinante.
-E cosa vorresti di preciso? –
-Un bacio. –
-Dimenticatelo. Ti avevo detto solo richieste fattibili. –
-Di fatti la mia lo è. Se mi lasciassi finire una volta ogni tanto, al posto che fare la prevenuta… -
-Sentiamo allora. –
Lui si era scostato da me, ma il suo viso rimaneva comunque troppo vicino al mio, ci separavano solo dieci miseri centimetri.
-Voglio un bacio sulla guancia. Non ti avrei mai forzato a qualcosa di più, a quello ci ariveremo più avanti. –
La voglia di replicare non l’avevo quindi mi preparai a dargli il suo “contentino” e far finire quella storia.
Kisshu era più alto di me e arrivare alla sua altezza era un po’ un’impresa, così fui costretta a tirarlo verso di me per il colletto della camicia. Posare le labbra sulla sua guancia mi fece uno strano effetto. Era liscia e fredda, come un piano di marmo, ma allo stessa tempo morbida.
-Soddisfatto? –
-Per ora. –
Finalmemte staccò la mano dallo scaffale e mi lasciò via libera per tornare verso la cucina, con lui dietro. Mi voltai a guardarlo.
-Scusa, ma che cosa eri andato a fare in dispensa? –
-Ah giusto. –
Tornò indietro e riemerse poco dopo dallo stanzino con una tolletta di qualcosa di marrone/viola in mano.
-Lasciami fare Ichigo, tu vai a sistemare la tavola. –
 Decisi di arrendermi e fare come diceva, tanto non avrei comunque potuto aiutarlo non avendo neanche la minima idea di cosa stesse combinando.
Finito di fare la tavola lui stava ancora armeggiando ai fornelli così decisi di risedermi sul divando nel punto di prima e aspettare.
Circa venti minuti dopo lo vedi arrivare con una pentola fumante in mano. L’odore che pervase la stanza al suo ingresso non era molto invitante, ma decisi di non fare la schizzinosa e accomodarmi a tavola.
-Sei sicuro che sia venuto bene. –
-Piuttosto sicuro, l’odore è quello. –
Non sapevo se quella era una notizie confortante o meno.
Con un mestolo tirò fuori dalla pentola una specie di minestrone dal colore dubbio e dalla consistenza ancora peggio. Quando me la mise nel piatto il riso sembrò separarsi da quelle che sembravano…prugne secche ormali molli e da dei granelli di paprika e pepe, tenuti insieme da un liquido maleodorante. Il mio primo istinto fu quello di allontanare il più in fretta possibile il piatto da me, ma mi trattenni. Se lui mangiava quella roba ed era ancora vivo magari non era così cattiva, tuttavia l’idea che, finito questo pasto, mi avrebbe dovuta portare in ospedale per una bella lavanda gastrica però non mi usciva dalla mente.
Quando Kisshu finì di mettere fuori anche la sua porzione, oltretutto generosa quanto la mia, si sedette e agguantò il cucchiaio.
-Buon appetito. –
Io lo imitai e, facendomi non poco coraggio, mi portati una cuccchiaiata di quella roba alla bocca.
Il sapore era anche peggio dell’odore, non riuscii a mandarlo giù, mi alzai di colpo e corsi verso il bagno per sputarlo.
-Ma che roba è? – gli urlai da li.
-Sinceramente non lo so, non ha lo stesso gusto di quello che mangiavo io sul mio pianeta.
-Kisshu, non farlo mai più, tu non ti avvicinerai mai più alla cucina, maledetta me e la mia pigrizia. –
Tornai verso il tavolo, presi i due piatti e la pentola e li portai velocemente verso la pattumiera in cucina, dove svuotai il contenuto. Ma la stanza puzzava terribilmente così decisi che avrei rischiato l’ipotermia e avrei aperto le finestre, meglio morire congelati che asfissiati, poi presi la pattumiera gocciolante e la portai all’aperto. Chissà quanto ci sarebbe voluto perché la casa smettesse di puzzare di quella cosa.
-Oggi abbiamo appurato che tu sei peggio di me a cucinare, cosa che pensavo non potesse accadere mai. –
- Questo lo si potrà affermare solo una volta che avrai cucinato anche tu qualcosa, fino ad ora siamo andati avanti con piatti già pronti. –
-Kisshu fidati, meglio di così so fare di certo. Ma che cavolo ci avevi messo dentro? –
-Non lo so, sembravano le stesso cose che c’erano nella ricetta originale. –
Kisshu si alzò e si diresse verso la cucina dove lo vidi afferrare una lattina.
-Che cosa sono le prugne? –
Ci avevo preso.
-È frutta Kisshu, dolce. –
-Ok, che facciamo ora, ci rimettiamo a cucinare? –
Mi alzai anche io e mi diressi decisa verso il frigorifero.
-Vediamo che ci è rimasto. –
La situazione che si presentò davanti ai miei occhio era a dir poco sconfortante. Tutto quello che ci rimaneva nel frigorifero era un pomodoro, un solo dannatissimo pomodoro. Se fosse stato un giorno come un altro mi sarei accontentata, ma ora non ero da sola, non sapevo quanta fame potesse avere Kisshu e il mio stomoco aveva iniziato a farsi sentire, forse per la fame o forse per lamentarsi di quello che avevo provato a fargli ingurgitare.
-Che ne dici di una gitarella in paese? –
-No Ichigo, non se ne parla, se ti riconoscessero? –
In effetti il problema era serio, ma più che io era lui il problema.
-E che mi dici di te? Credi che sia più riconoscibile io, che quando combattevo ero trasformata, o tu che sei un alieno dalla pelle quasi bianca, i capelli verdi e quelle, per noi normalissime, orecchie a punta? –
Già, il problema era bello grosso, però non potevamo rimanere in casa con nulla da mangiare, anche se non fosse stato adesso avremmo comunque dovuto procurarci qualcosa da mangiare per cena e per i giorni successivi. Era deciso, saremmo andati in paese.

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