運命の赤い糸 Unmei no akai ito: il filo rosso del destino

di Saku90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sakura ***
Capitolo 2: *** Sasuke ***
Capitolo 3: *** Sasuke ***
Capitolo 4: *** Naruto ***
Capitolo 5: *** Sakura ***
Capitolo 6: *** Sasuke ***
Capitolo 7: *** Sasuke ***
Capitolo 8: *** Sasuke ***
Capitolo 9: *** Sakura ***
Capitolo 10: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 11: *** Capitolo IX ***
Capitolo 12: *** Capitolo X ***
Capitolo 13: *** Capitolo XI ***
Capitolo 14: *** Capitolo XII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 16: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XV ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***
Capitolo 21: *** Prologo III ***



Capitolo 1
*** Sakura ***


Prologo



 
 
Sakura
 
 
Avevamo sconfitto Kaguya. Quindi penso sia comprensibile pensare di aver finalmente eliminato ogni minaccia e di poter sperare di godersi almeno mezzo secolo di pace, no?
Purtroppo non avevamo fatto i conti con quello che viene definito il terzo fattore, un fattore imprevedibile, e per questo spiazzante e catastrofico come non mai.
Sapete già di chi parlo, perché per quanto la sua dichiarazione di voler difendere Konoha abbia in parte acquietato le nostre paure, non aveva ingannato i nostri cuori.
Per quanto amassi Sasuke, per quanto sapessi che non potevo fare affidamento sulla sua parola, il mio stupido cuore non ha voluto cogliere nessuno di quei campanelli d’allarme che rendevano falsi i miei sorrisi, e forzata la mia allegria.
Anzi, cercavo di rassicurare tutti sul fatto che Sasuke fosse tornato.
Dove non saprei, visto che non è mai appartenuto a noi.
Comunque, dopo aver rinchiuso Kaguya e il decacode, aver liberato tutti gli altri cercoteri, dopo esserci liberatii dal fardello di salvare l’intera umanità, ecco che l’ultimo Uchiha ci riserva un ulteriore colpo di scena. Come se non ne avessimo avuti abbastanza tra l’Akatsuki, Pain, Nagato, Tobi e il vero Madara.
Il senso di vendetta di Sasuke è qualcosa di intranscendibile, resistente al tempo, e all’emergere di eventi ben più pressanti di un fatto prettamente personale.
Certo, starete tutti pensando: “Come hai fatto a non sapere di chi ti stavi innamorando, Sakura? Potevi perfettamente capirlo già dai tempi dell’asilo, quando quei suoi occhioni neri da orsacchiotto, perennemente imbronciati, ti fulminavano ogni qualvolta che ti beccavano a venerarlo”.
Lo so. A mia discolpa posso solo dire che non sapevo ancora in cosa mi stavo cacciando, io e la mia caparbietà. Sapevo solo di appartenergli e di doverlo salvare, anche da se stesso.
Ritornando per l’ennesima volta alla mia storia, dove ero rimasta? Ah sì, al colpo di scena di Sasuke. Lui che con tutto il suo aplomb, manco fosse un servo della regina Elisabetta, dichiara di voler distruggere tutti i cercoteri, e di diventare Hokage.
Ovviamente, da idiota innamorata cercai di fermarlo. Ma ho mai avuto un ascendente su Sasuke? Ecco… no, mai.
Il risultato del mio atto, tanto coraggioso quanto drammatico, fu quello di trovarmi intrappolata in un genjutsu. Nello specifico Sasuke che mi trapassa il cuore.
Crudele, oltre ogni limite e oltre ad ogni parola che possa minimamente racchiudere tra le sue sillabe il significato, o anche solo la sua parvenza, di dolore e tradimento.
In quel momento persi tutto, perché, anche se non mi aveva realmente uccisa, era come se lo avesse fatto. Finalmente aveva distrutto quel sentimento che da tempo immemore legava il mio cuore alla sua esistenza. Esistenza, sì. Vi aspettavate di scorgere la parola cuore, vero? Purtroppo Sasuke Uchiha non ha un cuore, o almeno così pensavo in quel momento.
Non so per quanto tempo rimasi priva di sensi tra le braccia di Kakashi, ma quando fui finalmente in grado di riaprire gli occhi, il sole era quasi tramontato, lasciando spazio alle tenebre di avvolgerci.
Ho detto che ero incavolata per come Sasuke mi aveva rinchiusa in quell’illusione, vero?
Bè, una parte di me, quella razionale, lo era veramente, purtroppo l’altra parte, quella emotiva, mi implorava di raggiungere quei due sconsiderati e farli ragionare.
Così lascia Kakashi su quel blocco di pietre e detriti, e mi diressi verso il luogo dello scontro.
Erano entrambi esausti e malconci. I loro chakra quasi del tutto esauriti. Eppure erano ancora in piedi a suonarsele di santa ragione.
A un certo punto l’atmosfera si fece più tesa. Le intenzioni di entrambi si consolidarono nella volontà di concludere quello scontro. Entrambi erano pronti a sferrare il colpo decisivo, e proprio come quel giorno, di un sacco di anni fa sul tetto dell’ospedale, corsi a frappormi tra loro.
Posso ancora ricordare perfettamente la faccia sconvolta di Naruto, e lo sguardo determinato di Sasuke, disposto a trapassare il mio corpo pur di uccidere il suo migliore amico.
Vi starete giustamente chiedendo: cosa accadde? Da chi fui salvata?
Mi dispiace deludervi, ma non finì come immaginate voi. Nessuno venne a salvarmi, né Sasuke rinsavì al pensiero di uccidermi realmente e di far fuori i suoi unici amici.
Quella notte, nelle tenebre del crepuscolo, io, Haruno Sakura, da sempre innamorata di Uchiha Sasuke, persi la vita. Morii per mano del mio migliore amico e dell’amore della mia vita.
Ma la storia che voglio raccontarvi non inizia dalla mia morte. No, ha inizio qualche mese prima. Prima della distruzione di Konoha per mano di Pain. Cominciò tutto in un giorno di primavera, precisamente nel giorno del mio compleanno. Io e Naruto eravamo in missione in un paesino nella nazione dell’erba.
Dopo aver portato a termine la nostra missione: accompagnare una compagnia di attori teatrali, fummo invitati ad intrattenerci per la notte, in occasione del festival primaverile che vi si teneva.
 
Mentre passeggiavamo tra le strade addobbate a festa, osservando le varie bancarelle, una vecchia signora si offrì di intrecciare per me un braccialetto con un filo rosso.
«Questo è il filo rosso del destino», ci disse con voce arrochita dagli innumerevoli anni vissuti.
«Sakura-chan, così saremo per sempre legati da destino a stare insieme!», esclamò contento Naruto.
«Razza di baka! Non funziona così! E poi è solo una leggenda», lo rimproverai dandogli un sonoro scappellotto in quella testa vuota.
«Il filo rosso lega la persona che lo porta al suo destino, e il proprio destino, quello amoroso, non può essere scelto», affermò la vecchia nonnina.
Quella notte la passammo spensierati tra le luci gioiose e festose del villaggio, a goderci il cielo pieno di stelle e l’aria frizzantina primaverile. Nulla cambiò all’apparenza, ma tra le trame delle nostre vite, qualcosa mutò, collegandosi inevitabilmente al destino di qualcun altro. Qualcuno di distante da noi in senso fisico, ma sempre presente nei nostri pensieri.
Quello fu l’inizio della fine, ma anche l’inizio di tutto.
 
NdA: Salve, sbadatamente ho cancellato tutta la storia, quando in realtà volevo solo modificarla. Spero che mi perdonate.

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Capitolo 2
*** Sasuke ***



 
Prologo parte II

 
Sasuke

 
 
Avevo vendicato il mio clan, o almeno pensavo di averlo fatto. Avevo ucciso mio fratello. Avevo raggiunto quello che mi ero preposto come scopo della mia vita.
Dovrei essere soddisfatto e fiero di me, no? Allora perché tutto il mio corpo rigetta quello che ho fatto? Perché sento la necessità di strappare via la mia stessa pelle, di cavarmi gli occhi, come punizione per la vendetta che tanto desideravo? Dov’è finito quel desiderio? Quella smania che mi faceva alzare ogni mattina dando una parvenza di senso alla mia misera esistenza?
Come ha fatto a ridursi in cenere sotto un giudizio che tacitamente sono portato ad esprimere, avvelenato dal rosso sangue di mio fratello?
Come ho potuto uccidere mio fratello? Come ho potuto esultare nel vederlo in difficoltà nel nostro scontro?
Perché sei un povero bastardo Sasuke: è questa la risposta.
Forse lo sono, e lo sono sempre stato. Oppure sono un semplice fallito che ringhia a chiunque si azzardi a stendere una mano verso di lui, troppo impaurito dagli altri.
Per anni ho vissuto in funzione della mia vendetta, definendomi un vendicatore, chiudendo il mio cuore a qualunque sentimento che non fosse l’odio.
Ho rifiutato l’amicizia e il supporto di Naruto, l’amore di Sakura, e la comprensione di Kakashi.
Ho solo riempito il mio cuore di orgoglio e odio, avvelenandomi.
Eppure, quando vidi mio fratello barcollare verso di me, esausto e privo di forze, la sua bocca tinta di rosso e sollevata in un triste sorriso che prometteva sollievo, una parte di me, il piccolo Sasuke che venerava il suo nii-san, piangeva disperato, pregando di poter tornare indietro per poter riaggiustare tutto.
Ma non si può tornare in indietro. Il tempo sfugge alle nostre regole e alla nostra logica, inesorabile e immutabile.
Quando seppi che in realtà quello che veniva definito il traditore di Konaha, un omicida spietato, capace di uccidere il suo intero clan, compresa la sua famiglia, si era invece sacrificato per il bene di un paese che nell'ignoranza sbeffeggiava ciò che invece doveva lodare, l’ultimo granello di bontà che sopravviveva nel mio corpo perì.
Piansi, disperato per il delitto che avevo commesso e per la perdita di me stesso.
L’ultimo pensiero coerente lo rivolsi stranamente a Sakura: sarebbe ancora stata capace di amare il mostro che stavo per diventare?
Ottenni questa risposta solo nel giorno in cui, finalmente, mi scontrai con Naruto.
Nell’esatto momento in cui il suo corpo flessuoso si frappose tra me e il mio migliore amico, venendo trapassato dal mio chidori e dal rasengan di Naruto. Posso ricordare con estrema precisione l’attimo in cui sentii il suo cuore venir trapassato dal mio fulmine. I suoi bellissimi occhi spalancati dallo stupore nel leggere la determinazione di sentenziare morte nei miei.
Vidi le sue labbra disegnare perfettamente, prive di voce, il mio nome scandito in sillabe.
Poi ci fu solo un’accecante luce bianca che ci avvolse. E silenzio.
Un silenzio assordante, lugubre.
Quando riaprii gli occhi mi ritrovai all’estremità di un enorme cratere, il mio corpo ricoperto di detriti.
All’estremità opposta alla mia, un ragazzo biondo giaceva nelle mie stesse condizioni.
Il biondino si alzò sulle sue gambe malferme per poi avvicinarsi al centro del cratere. Quando lo raggiunse cadde in ginocchio e pianse.
Curioso di scoprire cosa avesse potuto mai scatenare una simile reazione, mi alzai in piedi, e anch’io mi trascinai verso il centro di quell’immenso buco.
Lì vi giaceva il corpo senza vita di una giovane ragazza. Era bellissima, pelle di porcellana e soffici capelli rosa che le incorniciavano il volto. Avrei tanto voluto poter scrutare le profondità dei suoi occhi, scoprire se il loro colore mi avrebbe incantato come tutto il resto. Ma erano chiusi in un riposo eterno. Infatti, il suo petto era squarciato da due enormi fori.
Inaspettatamente anche i miei occhi iniziarono a lacrimare alla vista di quello strazio. Un nodo mi serrava la gola impedendomi di respirare correttamente, costringendomi ad emettere degli ignobili singhiozzi nel tentativo di incamerare quanto più ossigeno possibile.
Mi piegai su me stesso, come se il mio stesso corpo volesse scappare da quello scempio inumano.
L’immagine di quel bel volto che sussurrava il mio nome mi fece cadere in ginocchio e vomitare l’anima, lo stomaco serrato in una morsa di insopportabile sofferenza.
«Chi sei?», mi domandò circospetto il biondino.
«Chi sei tu», ribattei a muso duro.
«Mi chiamo Naruto», mi rispose.
«Sasuke».
«La conoscevi?», mi chiese indicando la bellezza che giaceva tra di noi.
«No. Tu?».
«Non ricordo il suo nome, ma ho la sensazione che la conoscessi molto bene. Sento questo fastidiosa sensazione sulla punta della lingua, sai quando non ti viene una parola che conosci, e il tuo cervello si rifiuta di formularla?».
Annuii in silenzio, comprendendo perfettamente quella sensazione.
«Ma dovrei ricordarmi il nome di una ragazza così bella, no?».
Annuii un’altra volta, infastidito che anche lui abbia notato la bellezza della giovane.
«Allora perché non mi ricordo di lei?! Perché sento questo vuoto incolmabile nel cuore?! Perché?!», mi urlò con la disperazione e la frustrazione che fuoriuscivano dai suoi occhi azzurri in grossi lacrimoni.
«Non lo so. Non so nemmeno perché mi trovo qui, insieme a te e a lei», gli confidai.
«Naruto! Sasuke!», urlò una voce che si avvicinava a noi.
«Kakashi-sensei», urlò quel Naruto, proprio mentre nel mio cervello quel nome mi riportava a galla l’immagine di un uomo dai folti capelli grigi con sempre indosso una maschera a coprirgli metà del viso.
«Siete vivi!», esclamò Kakashi una volta che ci ebbe raggiunti.
«Ci conosce entrambi?», gli chiesi sospettoso.
«Certo! Siete entrambi miei allievi», mi rispose confuso per la domanda che avevo precedentemente formulato.
Guardai con circospezione il biondino, osservando il suo aspetto trasandato e sfigato, come poteva essere accaduto che fossi capitato in coppia con quel baka?
Anche Naruto mi stava osservando con scetticismo.
«Perché siamo qui?», continuai ad interrogarlo.
«Avete sconfitto Kaguya. Non ricordate nulla?».
Sia io che Naruto facemmo un segno di diniego col capo.
«Vabbè, ricorderete tutto il prima possibile», ci tranquillizzò.
«Maestro?».
«Sì, Naruto?».
«Chi era quella ragazza?», chiese indicando il centro del cratere.
Kakashi vi si avvicinò.
«Quale ragazza? Qui non c’è nessuno».
Di fronte ad una simile risposta entrambi ci guardammo dritto negli occhi.
Come poteva essere? Entrambi avevamo visto la ragazza!
Ci avvicinammo nuovamente alla buca, ed effettivamente non c’era niente, solo polvere e macigni.
«Facciamo ritorno a Konoha, dovete farvi dare un’occhiata a quelle ferite».
Li osservai allontanarsi. Sapevo che anch’io avrei dovuto allontanarmi da lì, abbandonare Konoha. Ma per qualche strana ragione ne ero incapace, i piedi incollati a quel suolo polveroso.
Mi sedetti al centro di quel cratere, ancora incredulo che il corpo di quella giovane fosse realmente scomparso. Con un piede spostai un sasso, e ciò che vi trovai mi fece improvvisamente aumentare le palpitazioni.
Era un braccialetto intrecciato con del filo rosso. Con dita tremanti lo afferrai per poi legarmelo al polso. In quel momento seppi che Sasuke Uchiha, il vendicatore, poteva ricominciare a riscrivere le pagine della sua storia, perché tutto gli era stato perdonato, in quanto eroe, per aver salvato il mondo da Kaguya.
Purtroppo non sapevo quale fosse stato il prezzo che ero stato chiamato a pagare per quella opportunità.
Quella sera, in uno degli innumerevoli letti d’ospedale, con Naruto nel letto accanto al mio che russava come zampogna, udii qualcosa.
Un suono dolce, confortevole e inquietante, capace di solleticare la mia mente con ricordi che credevo perduti per sempre.
Sasuke-kun…”.
 

NdA: eccovi un nuovo capitolo. vorrei sottolineare la collaborazione alla stesura di questa storia di Matisse91, e ringraziarli per correggerre con infinita pazienza le mie bozze e arricchirle di particolari.

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Capitolo 3
*** Sasuke ***


 Capitolo I

 
 
Sasuke
 
 
Era una normalissima mattina. O almeno così pensavo. Il sole era da poco sorto. Riuscivo ad intravedere i suoi ancora fievoli raggi filtrare dalle tendine di pizzo della finestra.
Tendine di pizzo?
In camera mia?
Le ultime ragnatele oniriche che ancora infestavano la mia mente furono del tutto estirpate dal notare che quello su cui ero sdraiato non era il mio letto. Questo era troppo morbido!
Mi alzai di scatto a sedere, i sensi ben in allerta.
Quella non era la mia stanza! Era decisamente femminile, troppo rosa, troppo piena di fronzoli. Troppo tutto! Che scherzo era mai?!
Che fossi stato intrappolato in un genjutsu?
Chiusi gli occhi e cercai di concentrarmi per spezzare quell’orrenda illusione.
Lentamente riaprii gli occhi, e la prima cosa che vidi fu una foto di gruppo.
Il cuore iniziò ad accelerare ulteriormente i suoi battiti. Di quel passo sarei entrato in uno stato di tachicardia.
La foto ritraeva quattro persone: io, quel baka di Naruto, Kakashi, e ….
Al centro della cornice in legno c’era quella bella ragazza.
Sorrideva felice e spensierata.
Un flashback su quel bel volto privo di vita mi procurò brividi di freddo lungo tutto il corpo.
Dove mi trovavo? Possibile che fossi nella stanza di quella ragazza?
Di scatto mi alzai in piedi mettendomi davanti al lungo specchio posto a lato dell’enorme armadio.
Quello che vidi mi fece azzerare la salivazione e aumentare i battiti cardiaci.
Davanti a me, riflessa su quel maledetto e ingannevole specchio, c’era una ragazza: quella ragazza.
Lunghe e toniche gambe sbucavano da un paio di pantaloncini striminziti pieni di orrendi e antiquati merletti.
Due rigonfiamenti alquanto sospetti, tendevano una leggerissima canotta all’altezza del petto.
Cercai di inghiottire il nodo che mi stringeva la gola, quando le mie mani, dotate di una loro autonoma volontà, si spostarono su quei rigonfiamenti, accarezzandoli amorevolmente.
«Sakura! Non dovevi andare dall’Hokage oggi? Se non ti sbrighi farai tardi!», ruggisce una voce dal piano inferiore.
Quegli enormi e profondi occhi verdi, che mi guardano dallo specchio, si spalancano per la sorpresa, assumendo un’adorabile arie innocente.
Sakura.
Come si fa a chiamare la propria figlia Sakura?
«Sakuraaaa!!», rimbombò nuovamente quella fastidiosa voce.
«Arrivo!», urlo di rimando con una voce sottile e delicata.
Il mio sguardo non riusciva a staccarsi dall’immagine riflessa. Lentamente, come se il riflesso potesse all’improvviso discostarsi dal riprodurre fedelmente i movimenti che facevo, portai una mano in mezzo a quella folta chioma rosa, e vi ci affondai le dita sprigionando un fresco odore di fiori.
Erano morbidi e setosi, proprio come apparivano.
«Sakura!».
Affondai i denti in quelle labbra morbide e fruttate per non urlare a mia volta.
«A quanto pare dovrò cambiarmi», sussurrai allo specchio osservando la striminzita mise che fungeva da pigiama.
Chiusi gli occhi e lascia scivolare giù i pantaloncini, che con un morbido fruscio si afflosciarono ai miei piedi.
Poi fu il turno della canottiera.
Voltando le spalle allo specchio mi diressi verso l’armadio alla ricerca di qualcosa di più coprente da mettere, ma gli occhi mi caddero su quel bellissimo seno avvolto in un semplice reggiseno di cotone, ed io Uchiha Sasuke, colui che aveva cercato di sterminare l’intero villaggio, arrossii come uno scolaretto.
«Tsk», sbuffai.
All’interno di quell’enorme armadio c’erano solo due completi, nessuno dei quali era abbastanza coprente per i mei gusti.
Dopo aver indossato un altro paio di pantaloncini, e una banale maglietta, mi azzardai a scendere le scale.
«Alla buon’ora! Ma è possibile che tu sia sempre così pigr…. Cosa hai fatto ai capelli?», mi chiese una donna dai capelli biondi, ovvero la madre di Sakura, guardandomi come se fossi un alieno.
Di riflesso porto la mano ai capelli incriminati accarezzandoli come un fidanzato protettivo.
«Niente», risposi brusco.
«Cos’è una nuova moda, non pettinare i capelli?», mi prese in giro facendomi arrossire.
Che perdita di tempo pettinare i capelli: erano solo capelli!
«Tsk».
«Sakura! Non osare più zittirmi con simili versi! Non sei una capra!».
Odiavo quella donna che osava paragonarmi ad una capra!
«Esco», l’avvisai.
«Hai sistemato camera tua?».
«Uhm».
«Sakura, non rispondere con quegli assurdi versi a tua madre», mi riprese un uomo dagli assurdi capelli lilla.
Avendone abbastanza di quelle assurde e sconclusionate ramanzine, uscii senza degnarli di alcuna considerazione.
 
«Sakura!», urlò una voce fastidiosamente stridula.
La ignorai e continuai a camminare per la mia strada.
«Sakura!», ripeté quel nome per poi afferrarmi una spalla per fermarmi.
Mi voltai verso quell’insolente dalla voce così fastidiosa. Si trattava di Ino.
«Che c’è?», le abbaiai.
«Ti sei alzata con il piede storto? Comunque, ho saputo che avrete un nuovo compagno di squadra, e che è tremendamente affascinante e simile a Sasuke», mi confidò come un’esperta pettegola, lanciandomi gomitate ai fianchi per sottolineare il concetto.
Un nuovo compagno di squadra? Simile a me e affascinante? Bleah.
«Forse con lui in squadra ti dimenticherai di Sasuke», continua imperterrita la pettegola.
«Perché dovrei dimenticare Sasuke?», le chiesi con gli occhi ridotti a due fessure.
Finalmente la bionda si allontanò di qualche passo.
«Ma come perché? Hai forse dimenticato come ha trattato te e Naruto? Tutti i problemi che ci ha causato? Nemmeno per la sua bellezza vale la pena soffrire così tanto».
«Tsk».
«Dai Sakura, non fare la scontrosa», si lagnò esasperandomi.
«Non sono scontroso», brontolai.
«Scontroso?», mi chiese confusa.
Mi limitai a guardarla con il mio sguardo assassino.
«Ah, quasi dimenticavo, ti cercava Naruto. Sta diventando alquanto imbarazzante il vostro attaccamento».
«Il nostro attaccamento?», chiesi incuriosito.
«Sì, dai, quel suo modo di preoccuparsi sempre per te come se fosse il tuo ragazzo. Si vede che è palesemente innamorato di te. Capisco che dopo la fuga di Sasuke abbiate iniziato a passare più tempo insieme, ma non ti sembra di star esagerando?».
Dunque, ricapitolo questo rebus: Sakura, la bella ragazza che trovai morta, era innamorata di me, mentre quel baka di Naruto era innamorato della rosa.
E io? Ero mai stato innamorato di qualcuno?
«Sono affari miei», le intimai perso nei miei pensieri.
Perché non riuscivo a ricordarmi se fossi mai stato innamorato? E soprattutto, perché non ero in grado di ricordarmi di Sakura?
«Scusa se mi interesso di te», sbuffò infastidita lasciandomi nel mezzo della strada.
«Stronza permalosa», bofonchiai.
«Sakura-chan!», urlò un’altra voce fastidiosamente familiare.
«Sakura-chan!».
Non ebbi nemmeno il tempo di voltarmi verso quel pescivendolo ambulante che urlava a squarciagola il nome di quella povera ragazza, che qualcosa di pesante mi si scaraventò addosso abbracciandomi.
«Baka… mi stai schiacciando», cercai di dirgli con quel po’ di fiato che mi era rimasto in corpo.
«Ops… scusa», si scusò passandosi una mano su quella zazzera di capelli biondi.

Il mio sguardo corse al ragazzo dietro le sue spalle. Carnagione più pallida della mia, profondi occhi di un castano così scuro da apparire quasi neri, capelli corti del colore del caffè.
Quindi era questo il mi sostituto.
«Ti sei portato dietro il sostituto?», gli domandai sprezzante, il mio sguardo sempre puntato su quel fantoccio che pensava di poter prendere il mio posto.
Naruto spostava in continuazione la testa tra me e il nuovo arrivato, come se non capisse cosa stesse accadendo.
«Credevo che avessimo risolto i nostri diverbi», mi disse l’altro.
«Hai detto bene: credevi», sibilai.
«Sakura-chan, non fare così. In fin dei conti Sai non è così male», cercò di giustificare la sua presenza.
«Lui è solo un tappa buchi, gli converrebbe non abituarsi troppo a questa atmosfera così pacifica».
«Pensavo che l’avessi capito», mi disse pacatamente Sai.
«Cosa?».
«Che Sasuke vi ha abbandonati di sua spontanea volontà. Ha rifiutato la vostra amicizia, così come il tuo nome. Ti ha abbandonato priva di sensi su una panchina senza più guardarsi indietro. E quando vi rivede, dopo anni di lontananza, cerca di uccidervi. Sei ancora così ingenua da aspettare che rinsavisca e torni da te? Sarò anche un tappa buchi, ma almeno non vivo in funzione di una persona per la quale non esisto nemmeno. Sarai anche qui, Sakura, almeno fisicamente, ma anche tu stai lasciando un buco».
Rimasi immobile, paralizzato da quelle parole brutali, che tanto efficacemente riassumono il mio passato.
Mi voltai, senza proferire parola, e mi allontanai.
«Sakura-chan…la missione…».
Non lo ascoltai.
 
Mi ritrovai all’ingresso di quello che un tempo era il quartiere degli Uchiha. Entrai nella mia vecchia casa e mi sdraiai nel mio vecchio letto.
Il sole stava quasi tramontando quando aprii gli occhi. Naruto era seduto per terra di fronte a me.
«Che ci fai qui?».
«Vieni sempre qui quando sei turbata».
«Non lo sono».
«Invece sì, ed è normale che tu lo sia, Sakura-chan. Dopotutto lo ami», mi disse con gravosa malinconia.
«Io… non lo amo», mi costrinsi a pronunciare quelle amare parole.
Un triste sorriso gli tratteggiò le labbra.
«Tu daresti la vita per lui. Quando lo abbiamo incontrato, al nascondiglio di Orochimaru, ho temuto che potessi fare qualcosa di stupido», mi confidò guardandomi con quei suoi occhioni celesti.
«Non ragioni con lucidità quando si tratta di lui», continuò, l’amarezza che impregnava ogni parola.
«Mi preoccupo anche per te, no?», cercai di consolarlo.
Non sapevo cosa stessi facendo, ma a quanto sembrava queste due persone erano state ridotte a dei relitti per causa mia.
«Ino stamattina mi ha fatto la ramanzina perché passo troppo tempo con te».
«Uff…», sbuffò.
«Manca anche a te Sasuke, vero?», gli domandai.
Abbassò lo guardo sul tatami.
«Sì. Cerco di abituarmi alla sua assenza, ma certi giorni…. Certi giorni mi manca, così, senza un motivo in particolare, mi manca semplicemente averlo accanto, non potermi più confrontare con lui».
«Era il tuo migliore amico».
«Lo è tutt’ora, anche se ha cercato di farmi fuori», cercò di scherzarci su.
«Io credo che tornerà», gli confidai.
«Credi?», mi chiese, riferendosi chiaramente alla discussione con Sai.
Annuii.
«Anch’io», mi rivelò con un sorriso.
Stemmo in silenzio per un tempo che parve infinito, confortati dalla presenza dell’altro.
A un certo punto lo stomaco di Naruto iniziò a brontolare rumorosamente.
«Uhm… che dici di andare a mangiare una bella porzione di ramen?», mi propose con un sorriso imbarazzato.
«D’accordo».
Come ai vecchi tempi andammo a mangiare da Teuchi, e Naruto, come al solito, ne divorò una quantità assurdamente spropositata.
Lo osservai mentre divorava una porzione di ramen dopo l’altra, e riflettei sulla nostra amicizia. Lui mi era stato realmente accanto, così come Sakura.
Sakura.
Non sapevo perché quel nome mi riempisse di angoscia e vergogna. Avrei tanto voluto scusarmi per il dolore che evidentemente le avevo provocato, ma non sapevo come fare.
Ci riflettei per tutta la notte, fino a quando il sonno non mi fece prigioniero.
 
Fu un raggio di sole a svegliarmi costringendomi ad aprire gli occhi. Sentivo Naruto russare accanto al mio letto. Stava abbarbicato al cuscino sbavando e ordinando una porzione di ramen.
Che baka.
Guardai nuovamente fuori dalla finestra, il corpo pervaso da una strana tensione, come se mi stesse sfuggendo qualcosa di importante, ma che non riuscivo a riportare in mente.
Sasuke-kun… Sasuke-kun…..
Mi voltai nel sentire il mio nome sussurrato da quella voce così morbida, attivai anche lo sharingan per assicurarmi che non vi fosse nessun altro a parte me e Naruto.
«Cosa c’è?», bofonchiò Naruto ancora addormentato.
«Nulla», gli risposi per poi voltargli le spalle e riprendere a guardare fuori dalla finestra l’albero di ciliegio che stava fiorendo sotto la mia finestra.
Sakura…
 

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Capitolo 4
*** Naruto ***


Capitolo II
 
 
Naruto
 
 
 
 
Pioveva. I tuoni squarciavano il cielo rendendo spettrale l’intero villaggio, infestato dalle grottesche ombre dei palazzi che come giganti si ergevano in quel cielo plumbeo e minaccioso.
Osservavo Sasuke che a sua volta fissava il panorama al di fuori della finestra. Erano passati due settimane da quando eravamo stati trovati da Kakashi nella Valle dell’Epilogo.
Due giorni che entrambi pensavamo al corpo di quella ragazza.
Osservai quella testa piena di capelli scuri, e un’ondata di malinconia mi avvolse, come se avessi detto addio a qualcosa di speciale e meraviglioso senza esserne consapevole.
«È strano che proprio oggi piova», dissi per spezzare quel silenzio imbarazzante.
«Perché?», mi chiese Sasuke, rivolgendomi per la prima volta la parola.
«Proprio oggi dovrebbe iniziare la primavera».
«È un giorno come gli altri», borbottò per trincerarsi nuovamente nel suo mutismo.
In realtà aveva ragione, non c’era nessun evento particolare oggi, almeno, non che ricordassi. Ma il mio cuore sapeva che non era così, proprio come quello di Sasuke.
Forse fu proprio questa sua apatica ostinazione a rinnegare che qualcosa ci stava sfuggendo, che mi fece perdere il controllo. Oppure la frustrazione di sentirmi sospeso a metà, come se una parte di me fosse stata cancella, strappatami nel sonno, e mi chiamasse a distanza.
«Non credi che dovremmo parlare?», gli chiesi a muso duro.
Il mio tono, stranamente granitico e rabbioso, lo sorprese al punto da fargli volgere quegli occhi neri come la pace verso i miei.
«Di cosa dovremmo parlare?».
Di nuovo quel tono apatico.
«Forse del fatto che non ricordiamo chi sia stata quella ragazza! Perché di sicuro lei ci conosceva per trovarsi lì, in mezzo a noi che ce le suonavamo di santa ragione! Oppure del perché nessuno si ricorda del nostro scontro e ci considerano degli eroi! O, che ne dici invece di parlare del perché nessuno si ricorda di quella ragazza?!», mi sfogai urlando.
«Forse perché non è mai esistita!», ribatté alzando a sua volta la voce.
Mi alzai dal letto, troppo furioso per rimanerci un secondo di più.
«Smettila di svincolare e rinnegare tutto! C’eri anche tu! Anche tu l’hai vista! Così come hai visto i fori che le squarciavano il petto!».
I suoi occhi si spalancarono di sorpresa, colmi di un terrore talmente profondo da potervici affogare.
«Cosa stai dicendo?», sussurrò.
«Penso… sono convinto che l’abbiamo uccisa noi. I fori sul suo petto… erano dello stesso diametro del tuo chidori e del mio rasengan», sussurrai.
«Ma… perché… lei…», balbettò terrorizzato.
«Lei ci conosceva, Sasuke, così come noi conoscevamo lei. Avrà voluto salvarci da quello scontro, così si è fiondata tra di noi, e…», lasciai sfumare la frase senza trovare il coraggio di dar voce a quell’esito che entrambi conoscevamo. Abbassai gli occhi ai miei piedi.
«È morta per noi…», sussurrò Sasuke con voce spezzata.
Alzai gli occhi ai suoi, e mi meravigliai di trovarli pieni di lacrime come i miei.
«Sasuke…».
«Sai come mi sono sentito quando ho ricordato la morte di mio fratello? La mia vendetta? Tutti quei segreti e gli intrighi che vi erano dietro? Volevo morire. Sono stato tentato di afferrare la mia katana e suicidarmi. Mio fratello… mio fratello è morto per salvarmi, e ora anche questa ragazza di cui non ricordiamo nulla, nemmeno il nome!», urlò alzandosi anch’egli dal letto.
«Devo uscire da qui», mi disse varcando la porta e scomparendo dalla mia vista.
Mi lasciai ricadere sul letto tirando un sospiro carico di frustrazione.
«Chi sei?», chiesi al soffitto macchiato di muffa dell’ospedale.


 
Sasuke
 
 
I battiti del mio cuore rallentarono solo quando i miei piedi nudi toccarono le pozze d’acqua fuori dall’ospedale.
Perché? Perché tutti si ostinavano a salvare la mia patetica vita a discapito della loro?
L’immagine di grandi occhi verdi, spalancati dalla sorpresa, mi attraversò la mente come una freccia. Una freccia che aveva come bersaglio il mio cuore.
La rabbia mi invase, esulando ogni mia forma di controllo, fermentando come un vulcano in eruzione. Nella mia mano destra apparve all’improvviso un chidori. Sentire quel suono stridente e pungente mi riportò in mente la sensazione di quando la mia mano attraversò quel cuore innocente decretandone la fine. Senza nemmeno rendermene conto mi scagliai contro l’albero di ciliegio scalfendone la corteccia.
«Cosa stai facendo fuori dal tuo letto?».
Mi voltai verso il quinto Hokage, e senza degnarla di alcuna risposta, feci ritorno al mio letto.
Entrando in stanza, trovai Naruto che mi attendeva.
«Cosa dovremmo fare secondo te?», gli chiesi.
«È impossibile che sia stata cancellata così dalla vita di tutti».
«Quando ci dimetteranno potremmo andare alla Valle e tentare di scoprire qualcosa», proposi.
«Ottima idea», acconsentì Naruto.
Mi sdraiai sul quel letto scomodo a fissare il soffitto ammuffito.
«Secondo te chi era lei?», mi chiese a un certo punto Naruto.
«Non lo so. Di sicuro era qualcuno di importante».
«Io credo di… ah, uhm…», bofonchiò disconnessamene arrossendo per l’imbarazzo.
«Cosa?», domandai curioso.
«Niente, lascia stare», borbottò voltami le spalle.
«Credi di esserne innamorato?», gli suggerii.
«Lo sei anche tu, vero?», mi domandò ansiosamente.
«Non sono mai stato innamorato di nessuno», negai caparbio.
«Allora perché hai fatto quella scenata?».
«Non faccio scenate, io».
«Come no. Nell’ultima volevi distruggere l’intero mondo ninja», mi prese in giro.
Gli lascia correre il mio cuscino.
«E tu sei insopportabile», gli dissi immusonito voltandogli definitivamente le spalle, per poi addormentarmi.
 
 
«Sakura-chan… Sakura-chan, svegliati».
Sentire la voce di Naruto bisbigliarmi all’orecchio frasi disconnesse mi fece svegliare di malumore.
«Chi cavolo stai chiamando? Il gatto?», gli chiesi spiaccicandogli una mano sul quell’orrendo viso, troppo vicino al mio.
«Dai Sakura-chan, faremo tardi per la missione!», si lagnò, la voce distorta dalla mia mano.
Sakura-chan?!
Immediatamente aprii gli occhi e osservai che le mani con le quali tenevo a bada il volto sbavoso di Naruto, erano estremamente femminile, affusolate e curate. Mi tirai a sedere, e notai la spallina di un’impalpabile top scivolarmi lungo la spalla.
Anche lo sguardo di Naruto si appuntò in quel punto, il suo pomo d’Adamo che faceva su e giù in modo frenetico.
Gli tirai uno schiaffo.
«Ahi!», urlò come una femminuccia.
«Cosa stavi guardando?».
«Niente», mi rispose tenendo gli occhi bassi, puntati sul materasso. Purtroppo lì si trovava un paio di splendide gambe avvolte in un paio di boxer.
Sentii i miei occhi spalancarsi per lo stupore, e la gola inaridirsi come il Sahara. Anche gli occhi di Naruto si spalancarono come le ciotole di ramen che tanto amava.
«Sakura-chan… da quando dormi indossando mutande da uomo?».
Al pensiero che anche quel cervello da baka stesse fantasticando su quelle gambe mi si alzò la pressione sanguigna.
«FUORI!», gli ordinai tirandolo per un orecchio fuori dalla porta della camera.
«Ma Sak…», cercò di difendersi.
«Fossi in te starei zitto», gli intimai prima di sbattergli la porta in faccia.
Con estremo imbarazzo, e la pressione sanguigna alle stelle, vestii quel corpo con abiti meno provocanti. Mentre ammiravo di sottecchi quella splendida distesa di pelle setosa, rigido come un palo per il timore che la vera padrona potesse arrivare da un momento all’altro accusandomi di essere un guardone, notai una profonda cicatrice deturparne un fianco.
Alla vista di quell’orrido scempio, un senso di nausea mista a ceca furia mi fece digrignare i denti, facendomi tirare un pugno a lato della specchiera. L’intonaco del muro cedette all’impatto, formando un buco di discrete dimensioni, e facendo cadere un piccolo quaderno dalla mensola posta sopra.
Nell’impatto con il pavimento il quaderno si aprì rivelando una calligrafia elegante e ordinata.
Mi chinai, curioso come un gatto di leggere i pensieri di quella ragazza.
Il mio cuore perse un battito quando i miei occhi scorsero il mio nome.
«Sakura-chan! Sakura-chan! Sei pronta? Yamato taichou ci sta aspettando insieme a Sai alle porte del villaggio!».
«Arrivo!».
A malincuore riposi al suo posto il quaderno ed uscii dalla stanza per andare a picchiare quel baka rompipalle.
 
 
La missione affidataci consisteva nell’indagare riguardo alcuni profanatori di tombe presso il Tempio del fuoco.
Era notte fonda quando decidemmo di fermarci per riposare.
Il clima era stranamente conviviale. Anche quello strambo di Sai non faceva altro che sorridere in continuazione.
Ad un certo punto Naruto venne a sedersi vicino a me. Il suo corpo che emanava ondate di calore, si avvicinava sempre di più al mio, centimetro dopo centimetro.
Non sono mai stato un fanatico delle manifestazioni d’affetto, specialmente di quelle che implicano un contatto fisico, quindi ero veramente scocciato, oltre che imbarazzato, dall’atteggiamento a dir poco maniaco di Naruto nei confronti di quella povera ragazza.
Mi voltai per fulminarlo con un’occhiata malevola in stile Uchiha, ma nel trovarmi di fronte i suoi occhi allupati che tentavano di spogliarmi con gli occhi, persi del tutto il controllo.
«Teme! Vuoi lasciarmi in pace e farti più in là? C’è abbastanza spazio per tutti, non occorre che ti appiccichi a me come un francobollo!», gli urlai facendolo volare di almeno dieci metri con una sola palmata.
Sbalordito, osservai quelle delicate mani che, a quanto pare, visto lo stato del volto di quel dobe, nascondevano una forza sovraumana.
«Sakura-chan! Non è necessario essere così violenti!», piagnucolò Naruto.
«Tsk», sbuffai alzandomi per allontanarmi da quel clima fin troppo amichevole per i miei gelidi gusti. Mentre marciavo di fronte al fuoco, borbottando come una caffettiera, riuscivo a percepire lo sguardo di Sai perforarmi le spalle. Convinto che anche lui avesse un debole per Sakura, mi girai per fulminarlo, ma invece di fingere indifferenza, il coglione mi sorrise amorevolmente.
In tutta risposta gli mostrai il dito medio, lasciando alla sua immaginazione d’artista il compito di fantasticare sul dove infilarselo.
Dopo essermi addentrato per circa dieci minuti nel bosco, lontano dal chiarore del fuoco del nostro accampamento, mi lascia cadere per terra ad ammirare lo squarcio di cielo stellato concessomi dalle fronde degli alberi.
Avevo sempre amato ammirare il cielo notturno. In realtà adoravo contemplarlo a causa di mio fratello, dei miei ricordi di entrambi seduti sotto il portico di casa a chiacchierare, sotto un’enorme luna piena che ci osservava.
Ma quella notte, quella notte rallegrata dal frinire dei grilli e dal cicaleccio delle cicale, riscaldata dalle risate di Naruto, capaci di giungermi chiare e cristalline fin laggiù, mi fece sentire in pace, non solo con me stesso, ma anche con il mondo.
Aprii la borsa per cercare un po’ d’acqua, ma quello che vi trovai fu un quadernetto: quel quadernetto.
Strano, ero convinto di averlo rimesso al suo posto.
Lo aprii, e alla fievole luce delle stelle, lessi i pensieri più segreti di quella ragazza il cui corpo mi ero ritrovato ad occupare. Sfoglio quelle pagine, assorbendo ogni dettaglio e particolare dell’infanzia di Sakura, il mio cuore sobbalzava ogni qualvolta i miei occhi leggevano il mio nome su quelle pagine, ma poi… poi mi imbattei in una pagina strappata, tirata via dal resto di quei ricordi, come se non fosse degna di vivere al di fuori del suo tempo.
Sovrappensiero, impegnato nel congetturare riguardo cosa abbia mai potuto spingerla ad estirpare quella pagina, passavo un dito su quei bordi frastagliati, invaso da uno stana tristezza.
Dopo quella pagina non rivedi più il mio nome apparire su quelle pagine.
Che mi avesse dimenticato?
Stranamente ricordai le parole di Ino Yamanaka riguardo il fatto che Sakura dovesse dimenticarmi e andare avanti.
Ci era per caso riuscita?
Per questo Naruto si trovava in camera sua quella mattina?
E di chi erano quei boxer che ostentava come pigiama?
Per quale assurdo motivo Sai si prendeva la confidenza di sorriderle?
Il pensiero di esser stato cancellato, debellato come un parassita dalla sua vita, mi faceva sentire piccolo e indifeso, spaesato. Io stavo lottando per ricordarmi di lei, per riportarla nella mia vita, e lei mi cancellava?
Cercai una penna all’interno di quella borsa e su una pagina bianca le scrissi:

 
Stai con Naruto? È per questo che la notte dormi con mutande da uomo?
 
Lo so, lo so, non è stata una mossa intelligente, né matura, ma fatto sta che la scrissi sul serio, imprimendo ogni kana della gelosia che mi rodeva dentro.
Dopodiché, sbuffando e imprecando mi addormentai, con le orecchie ancora piene del rumore delle risate di Naruto.
Stupido baka.
Salve, vi lascio questo nuovo capitolo, nella speranza che sia di vostro gradimento. Inoltre vi auguro di passare una bellissima notte di San Lorenzo ;)

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Capitolo 5
*** Sakura ***



NdA: Salve a tutti, essendo rilegata a casa a fare da babysitter al cane e al gatto, ne ho aprofittato per aggiornare il percorso di questo racconto. un bacio, e divertitevi anche per me a ferragosto.

Capitolo III

 
 
Sakura
 
 
 
Mi svegliai a causa di un forte crampo al collo. Lentamente aprii gli occhi, e la prima cosa che vidi fu… un enorme ragno peloso poggiato sul mio petto. Automaticamente iniziai ad urlare come una pazza, come se la mia vita fosse realmente in pericolo. Il primo a raggiungermi fu Naruto. Il suo viso era solcato dall’agitazione e dalla preoccupazione. Ma non appena mi vidi sdraiata a terra con quel coso sulla mia maglietta, il suo viso si distese sotto un’enorme sorriso, cosa che, ovviamente, mi fece incavolare ancora di più.
«Naruto! Toglimi questo mostro di dosso!», gli ordinai urlando in un sussurro.
«Mostro? Poverino, così l’offendi!», mi rispose ridendo a crepapelle.
«Nar…!», riuscii solo a dire, immobilizzata dal terrore nel sentire una di quelle zampette pelose allungarsi oltre lo scollo della maglietta per tentare di intrufolarvisi dentro.
«Perché sussurri?», mi domandò quel baka, ignaro della tragedia che si stava svolgendo sulla mia maglietta.
Disperata, abbassai leggermente la testa per iniziare a soffiare su quel coso orrendo, nella speranza di fargli cambiare direzione, cosa che, devo ammetterlo, funzionò. Purtroppo, quel mostriciattolo, abbandonò sì l’idea di esplorare l’interno della mia maglietta, ma solo per dirigersi verso il mio viso.
«NARUTOTOGLIMIQUESTACOSADALVISOIMMEDIATAMENTE!», gli urlai tutto di un fiato.
Fortunatamente si decise a liberarmi da quella schifezza, permettendomi di riprendere a respirare. Mi tirai a sedere di scatto per fulminarlo con le mie occhiate malevole. Ma lui rimase impassibile, un tenero sorriso gli distendeva le labbra, il mostro ancora sul palmo della sua mano che beatamente riceveva delle lente carezze.
«Non azzardarti a sorridere», gli intimai.
Immediatamente cercò di far sparire il sorriso incriminato assumendo un’espressione talmente assurda da farmi scoppiare a ridere. Dopo avermi osservata attentamente, come se avesse di fronte un’aliena, scoppiò a ridere anche lui, lasciandosi cadere seduto accanto a me con quel regno ancora in mano.
«Non avvicinarti con quel coso a me», gli dissi alzandomi in piedi e allontanandomi di qualche passo.
Al che depose il ragno per terra, poi, un passo alla volta, mi si avvicinò lentamente, fino a quando la punta del suo naso non sfiorò la mia.
«Ora posso avvicinarmi?», mi sussurrò sulle labbra.
«Non ti sto fermando, no?», gli sussurrai, i miei occhi fissi sulle sue labbra, che sapevo erano morbide e calde come un raggio di sole.
E come ogni mattina, da quando ci eravamo ritrovati dopo anni di lontananza, con i nostri animi ancora feriti dal ricordo di Sasuke, ma rinchiusi in corpi non più fanciulleschi, ma prede degli ormoni, mi baciò.
Un bacio delicato come una poesia, una poesia leggiadra e dal retrogusto malinconico, perché entrambi sapevamo quali erano state le cause che ci avevano condotti a questi baci, ad unire le nostre mani quando nessuno ci guardava.
«Naruto! Sakura!», urlò la voce di Sai.
«Arriviamo!», rispose Naruto distanziandosi dalle mie labbra.
«Buongiorno bellissima», mi sussurrò scoccandomi un bacio sulla punta del naso, strappandomi un risolino.
«Buongiorno anche a te, adulatore».
Osservai la sua schiena allontanarsi per raggiungere gli altri con le labbra tese in un sorriso idiota.
Solo quando scomparì dalla mia vista notai il contenuto della mia borsa riverso per terra.
Strano.
Presi il mio diario, e vidi un’enorme scritta squarciare brutalmente una candida pagina.
Non era la mia calligrafia, questa era più spigolosa e rabbiosa.
Quando lessi cosa vi era scritto sentii le mie guance imporporarsi.
Avrei ucciso Sai. Come si permetteva di scrivere certe cose sul mio diario?
Infuriata marciai fino al luogo dove tutti mi attendevano, e senza degnare nessuno del buongiorno, filai dritta davanti al mio bersaglio e gli tirai un pugno in pieno volto.
«Sakura-chan!», esclamò Naruto.
«E questo per cosa era?», mi chiese Sai con il suo solito aplomb.
«Azzardati un’altra volta ascrivere sul mio diario e ti uccido. Non sto scherzando”, lo minacciai.
«Non mi sono nemmeno avvicinato a te ieri, come avrei potuto scarabocchiare il tuo diario?».
Messa alle strette dalla sua logica incontrovertibile, sbuffai e mi avviai verso il sentiero.
Se non era stato Sai, chi era stato? 
Camminai in silenzio per tutto il resto del giorno. Solo quando l’azzurro terso del cielo sfumò in tonalità più ambrate e variopinte ci fermammo per fare una sosta.
«Naruto ed io andiamo a fare un giro di ricognizione per assicurarci che il posto sia sicuro», disse Yamato a me e a Sai. Entrambi annuimmo in silenzio.
Mi sdraiai per ammirare il cielo, la testa incasinata per la domanda scritta sul mio diario.
«Oggi sei tornata ad essere te stessa», mi informò Sai rompendo il silenzio che ci avvolgeva.
«Eh?!»
«Ieri eri più strana del solito. Più scontrosa e fredda, quasi un’altra persona».
«Non so di cosa stai parlando».
«D’accordo».
Lasciai andare un sospiro di sollievo nel costatare che si fosse arreso così facilmente.
«Vuoi parlare di come tu stia usando Naruto per dimenticare Sasuke?», mi chiese con una tale nonchalance e innocenza da lasciarmi letteralmente a bocca aperta.
«Non sto usando Naruto», provai a giustificarmi.
Rimase in silenzio a scrutarmi con quegli inquietanti occhi scuri.
«Che problema hai?!», sbottai.
«Tu ami e amerai per sempre Sasuke, indipendentemente dai baci di Naruto. Ho visto come lo guardavi al covo di Orochimaru, e come ho potuto notarlo io l’ha notato anche Naruto», mi spiegò pacatamente.
Il rimorso mi fece chinare il capo, fuggendo da quegli occhi così attenti.
«Sia tu che Naruto siete miei amici, ma… credo che tu stia sbagliando ad illuderlo così, a costringerlo a vivere i suoi sentimenti per te all’ombra di una menzogna, quando prima poteva esprimerli liberamente. Non lo pensi anche tu?».
Mi portai una mano sotto gli occhi per cancellare ogni traccia delle lacrime che scorrevano lungo il mio viso, poi affrontai la verità negli occhi di Sai.
«Non sei stato tu a scrivere quella domanda sul mio diario, vero?».
«No, e nemmeno Naruto. Ieri eri… troppo distaccata per permetterci anche solo di sorriderti o di sederti accanto».
Riempii i miei polmoni di quanto più ossigeno mi era possibile.
«Parlerò con Naruto quando tornerò a Konoha», gli riferii. Poi presi il mio diario, e sotto quella calligrafia rabbiosa scrissi:
Chi sei?
 
 
 
Naruto
 
 
Fu un profumo, un profumo di fiori misto a qualcos’altro, a farmi svegliare.
Conoscevo quel profumo, aveva infestato innumerevoli miei sogni, allievato la mia malinconia e fatto aumentare le mie pulsazioni cardiache. Ma non sapevo mai a cosa associarlo, a chi associarlo.
Domani dimetteranno me e Sasuke, e finalmente potremo indagare sul mistero della ragazza morta.
Mi voltai verso Sasuke, per vedere se lo avevo svegliato, ma quel maledetto Uchiha era già sveglio, intento a maledirmi con lo sguardo come un gufo malefico. La luce del sole che filtrava alle sue spalle lo illuminava come un angelo.
«Cavolo Sasuke, qualche giorno mi farai venire un infarto!».
«Ci spero», mi rispose arrabbiato.
«Ti sei svegliato con la luna storta?».
«Hai l’abitudine di entrare nella stanza delle ragazze per svegliarle?», mi chiese incazzato, gli occhi arroventati dallo sharingan.
Era impazzito? Svegliare le ragazze entrando nelle loro stanze? Che significava?
«Cosa?».
«Rispondi», mi sibilò come un serpente, alzandosi dal letto per avvicinarsi al mio.
«Ma ti senti quando parli? Quale sarebbe il significato di questa domanda?», cercai di farlo ragionare, nel mentre mi allontanai dal letto per avvicinarmi alla porta, in caso dovessi tentare la fuga.
Di colpo però si arrestò sul posto, i suoi occhi divennero vacui, come se la sua mente stesse cancellando l’episodio, che sicuramente si sarebbe tramutato in tragedia. Batté un paio di volte le palpebre, e si guardò intorno confuso.
«Tsk», sbuffò per poi ritornare a letto.
Scampata per un pelo.
Feci un passo per tornare a letto, e un’asse del pavimento scricchiolò fastidiosamente.
Lo sharingan di Sasuke mi bloccò lì, con un piede alzato nel compiere un altro passo.
«Ce l’hai con me?», gli chiesi coraggiosamente.
«Mi infastidisci più del solito oggi».
«Ma se non ti ho rivolto nemmeno la parola, fino ad ora».
«Non è necessario che tu parli per infastidirmi», mi disse guardando esplicitamente il piede colpevole di quel piccolo rumore.
«Non potresti sforzarti di lasciarmi in vita per un altro paio d’ore, visto che oggi ci dimettono?», lo pregai con educazione.
Per tutta risposta mi voltò le spalle seppellendosi sotto il lenzuolo.
Lentamente, stando il più attento possibile a dove mettevo i piedi, feci ritorno a letto, pregando i kami di lasciarmi sopravvivere fino a quando non mi avrebbero dimesso.

 
 
Sasuke

 
Non sopportavo Naruto. Oggi più del solito. Non sapevo spiegarmi il perché, ma non sopportavo nemmeno la vista della faccia di quello scemo.
L’unico aspetto positivo, di questa infernale giornata era che presto sarei potuto uscire da questo ospedale.
«Permesso?».
«Sai! Da quanto tempo non ci vediamo?».
«Eh… da un bel po’ direi», rispose con evidente imbarazzo.
«Cosa vuoi?», mi intromisi.
«Volevo solo passare a farvi visita», si giustificò.
«Vuoi dire far visita a Naruto», puntualizzai.
«Smettila di fare lo stronzao Sasuke!», mi rimproverò Naruto.
Mi alzai dal letto per fare una passeggiata nei corridoi dell’ospedale, incapace di sopportare la vista di quel bamboccio.
Passeggiavo svogliatamente in quel labirinto. Un silenzio solitario mi avvolgeva, interrotto sporadicamente solo da qualche paziente lamentoso che frignava.
«L’hai vista?», sussurrò una giovane infermiera ad una ragazza dai vaporosi capelli rosa.
Alla vista di quell’insolito colore il mio cuore iniziò ad accelerare i suoi battiti.
«Chi?», sussurrò di rimando la rosa, troppo indaffarata nel controllare le scorte di medicinali.
«Ma come chi? La ragazza di Uchiha Sasuke! È ricoverata al piano di sotto!».
Avevo una ragazza? E da quando?
«È bella vero? Ovvio che sarà bella, per stare con uno come lui…», sospirò amareggiata.
«Non amareggiarti Okudera. Non hai nulla da invidiare a quella rossa. È così volgare e sboccata!».
La rosa si voltò lentamente verso la sua collega ringraziandola con un sorriso.
I suoi occhi, di una calda tonalità castana, erano dolci e gentili.
L’aspettativa che provavo evaporò via, dissolta da quegli occhi del colore sbagliato.
Silenziosamente superai la stanza, sperando di non essere notato dalle due infermiere.
Scesi al piano di sotto, alla ricerca della ragazza che si spacciava per mia.
«Sasuke! finalmente sei qui, non smette di lamentarsi per dei semplici graffi. Inoltre chiede sempre di te!», mi bloccò l’Hokage afferrandomi per un braccio e trascinandomi in una stanza.
«Sasukino mio, finalmente sei arrivato!».
Doveva sicuramente trattarsi di uno scherzo congetturato dall’intero villaggio per punirmi dei miei peccati. Non vi era altra spiegazione logica, perché non avrei mai scelto Karin come mia compagna!
«Non chiamarmi così vipera!», ringhiai mostrando i denti e facendo scendere la temperatura della stanza sotto gli zero gradi.
«Ma Sasu…», squittì infastidendomi ulteriormente.
«Taci. Io non sono tuo, e di certo non sono interessato ad una come te!», continuai, fregandomene del dolore che le solcava il viso.
Poi, sotto l’occhio vigile del quinto Hokage, uscii.
Trovai riparo sotto l’albero di ciliegio che avevo sfregiato.
Sentivo la rabbia cercare di prendere il controllo del mio corpo e di uccidere quell’oca malefica.
Improvvisamente un plico di foto mi cadde in grembo.
«Possono aiutarti a ricordare pezzi della tua vita che non hai ancora recuperato», mi disse Tsunade, prima di far rientro in ospedale.
 Presi una foto, e vidi me e Naruto da bambini, che litigavamo nel campo dell’Accademia. Ricordarmi quei litigi così infantili fece scemare la rabbia rinchiudendola in un oscuro angolo di me.
Passai la successiva mezz’ora ad esaminare quelle foto che raccontavano delle mie innumerevoli missioni con Naruto, Sai e Kakashi, del mio tradimento e infine… di me e Karin!
Era vero! Io e quella strega stavamo insieme! Lo testimoniava la foto che tenevo in mano: io che la stingevo a me e la baciavo!
«Che bella foto. Purtroppo si vede che è finto», mi disse una vecchietta che si stava recando in ospedale.
Che si trattasse di un foto montaggio?
«La foto?», chiesi con un tono di voce che lasciava trasparire il desiderio di una risposta affermativa.
«No, la foto è vera», mi rispose distruggendo le mie speranze.
«È il bacio ad essere finto», continuò.
Scrutai attentamente quella foto, cercando di capire come fosse giunta a decretare un simile verdetto su quel bacio.
«Ahahahah… non hai mai dato un vero bacio! Che peccato, un ragazzo bello come te…», si interruppe di colpo, afferrandomi il polso sinistro tra le sue dita nodose.
Osservò la corda intrecciata di filo rosso che mi cingeva il polso.
«Chi te l’ha dato questo?», mi chiese osservando il braccialetto.
«Nessuno, l’ho trovato».
«Sai cosa rappresenta questo?», mi domandò picchiettando un’unghia lunga sul mio polso.
Feci segno di diniego.
«Questo fa parte del culto shintoista, si tratta del filo rosso del destino. Tutti questi fili, sapientemente intrecciati tra loro, rappresentano la vita e il destino di una persona. Ogni legame può modificarsi, rompersi o fortificarsi. Tu porti al polso il destino di un’altra persona», mi rivelò spiazzandomi.

Sasuke-kun… Sasuke-kun…

I battiti del cuore mi rimbombavano furiosamente in testa, stordendomi e isolandomi da tutto ciò che mi circondava.
I miei occhi non vedevano più il volto raggrinzito di quella vecchietta, bensì un bellissimo volto, ornato da folti capelli rosa, pallido e irrigidito dalla morte.
Il braccialetto era il suo, e lei era morta!
«E se il legittimo proprietario fosse morto?», bisbigliai con voce roca.
«Il legittimo proprietario sei tu ora. Il tuo destino si è mescolato con quello di chi possedeva il braccialetto».
«Come posso restituirglielo?», le chiesi con fervore.
«Devi cercare la chiave».
«Che chiave?», le domandai, impedendomi di afferrarla per le spalle e scuoterla.
«La chiave di tutto: il tempo», mi rispose pacatamente allontanandosi.
«Guarda nei tuoi sogni, Sasuke-kun», mi disse prima di sparire dietro le porte dell’ospedale.
Corsi nuovamente in camera, ignorando Naruto e Sai che scherzavano tranquillamente tra di loro. Mi infilai sotto il lenzuolo, e mi sforzai di prender sonno.
 
«Sasuke-kun…», sussurrarono delle labbra rosse.
«Sasuke-kun…».
Il mio nome, pronunciato da quelle labbra, e da quella voce, era pura melodia.
«Fermati…», mi pregò.
Una lacrima cadde su quelle labbra tristi. Ne segui il percorso all’inverso, e il mio cuore fu trafitto da due enormi occhi verdi.
«Basta!», urlò disperata.
Quegli occhi, prima lucidi di lacrime, erano diventati opachi e freddi, pieni di odio e rancore.
Non riuscivo a capire. Perché piangeva? Perché mi implorava di fermarmi?
Capii troppo tardi…
Gocce rubine di sangue fuoriuscirono da quelle labbra per macchiare quella candida pelle.
Fu quel rumore, il rumore stridente e pungente del chidori, che mi fece capire cosa stava accadendo.
Mi implorava di non ucciderla.
Ma la mia mano era ormai sprofondata nel suo petto.
«Ti prego… Sasuke-kun…».
Mi svegliai di soprassalto, il petto dolorante, e il viso solcato da lacrime cocenti di dolore e disperazione.
Mi portai una mano al cuore, nel tentativo di lenire quel dolore sordo.
«Un incubo?», mi chiese Naruto seduto sul suo letto.
«Si», bisbigliai.
C’era la luna piena quella notte.
«Itachi?».
«No, stavolta ho sognato di uccidere lei».
Vidi i suoi occhi spalancarsi per lo stupore.
Poi mi resi conto che era già notte fonda, e che noi ci trovavamo ancora in ospedale.
«Non ci dovevano dimettere?», domandai.
«Sì, ma tu dormivi, così ho preferito rimanere qui per non lasciarti solo».
Il solito baka. Non avevo le forze per nascondere le mie emozioni di fronte a questi suoi gesti di alto altruismo.
«Grazie».
Rise.
«Non rido di te!», mi assicurò davanti al mio sguardo omicida.
«Stavo ridendo del mio sbalordimento al tuo semplice grazie. Non ci sono abituato».
«E fai bene».
«Sasuke».
«Uhm», gli risposi, troppo impegnato ad osservare la luna.
«Se davvero l’abbiamo uccisa noi… come faremo a vivere con un simile peso?».
Mi voltai nuovamente verso di lui.
I raggi solari mi permettevano di scrutare il suo viso in ogni minimo dettaglio, dalle rughe di preoccupazione che gli solcavano gli angoli della bocca, alle lacrime che silenziose cadevano sul suo lenzuolo, luminose come piccole stelle cadenti.
«Non lo so», confessai.
«Ma…».
«Naruto, dormi. Ci penseremo domani mattina», lo interruppi.
«Davanti una ciotola di ramen?».
Udire quella nota gioiosa alla prospettiva di una ciotola di ramen, non mi infastidì come al solito, ma mi rallegrò.
«Sì baka».  
 

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Capitolo 6
*** Sasuke ***


Capitolo IV

 
Sasuke

 
Mi svegliai nell’udire un forte ronzio al mio orecchio. Focalizzando la mia attenzione sul quel molesto rumore, mi resi conto che, più che ronzio, era un persistente russare. Lentamente schiusi un occhio, cercando di abituarmi alla luce solare che mi inondava.
Ero fuori all’aperto, in un bosco.
Qualcosa di umido, bavoso e viscido mi scivolò sulla spalla, allertando ancor di più i miei sensi. Cercai di mettermi a sedere, ma una mano mi cingeva la vita appiccicandomi come un francobollo ad un corpo massiccio chiaramente maschile, visto che potevo sentire sfregare su di me l’alzabandiera mattutina.
«Non riuscirò mai a capire come fai a dormire con lui che russa in questo modo», mi disse Yamato.
«Sakura-chan… Sakura-chan…», borbottava la voce impastata dal sonno di Naruto.
Ero nuovamente nel corpo di Sakura.
«Noi vi lasciamo un po’ di privacy», mi informò Yamato indicando anche Sai e un altro ragazzo.
«Sakura-chan…», riprese a borbottare il baka sfiorandomi il collo con le labbra.
Gli tirai una gomitata nello stomaco che gli fece immediatamente spalancare gli occhi.
«Uhm… scusa, lo so che non dovrei toccarti davanti agli altri, ma sei così bella», si giustificò, per poi guardarsi attorno.
Lo so che non dovrei toccarti davanti agli altri.
Quindi si azzardava a toccarla!
Allora stavano insieme!
Non ebbi nemmeno il tempo di razionalizzare quello strano evento, che mi ritrovai inchiodato a terra dal corpo di Naruto.
«Ora, però, non c’è nessuno che può osservarci», mi informò con ghigno vittorioso sulle labbra.
Ero troppo sconvolto dalla notizia che quei due stessero effettivamente insieme, per rendermi conto delle intenzioni di quel pazzo, che mi baciò.
Con tanto di lingua!
«Buongiorno bellissima», mi disse poi sorridendomi.
Gli tirai un pugno dritto su quel sorriso troppo zuccheroso e soddisfatto per poi strisciare via, il più lontano possibile da lui, e vomitare.
Come poteva, Sakura, trovare attraente quel baka che baciava, tra l’altro, come una lumaca?
«Stai male?», mi chiese preoccupato.
«Lasciami stare».
«Cosa sta succedendo, Sakura? Sei troppo strana ultimamente».
Rimasi in silenzio, non sapendo cosa rispondere.
«Si tratta di Sasuke, vero? Ti ho sentito l’altro giorno parlare con Sai», sospirò sedendosi accanto a me per scostarmi una ciocca di quei capelli profumati dal viso.
«Io lo so che tu non mi ami. Perlomeno non come io amo te. Ma so anche che nutri del sincero affetto nei miei confronti. Non mi farò strane idee sul nostro rapporto, ti prometto che sarò per sempre al tuo fianco, anche solo come amico. Ma… Sakura, non gli permettere di rovinare tutto questo», mi supplicò indicando tutto ciò che ci circondava con un vago gesto della mano.
La sua supplica mi toccò profondamente, perché, nel profondo, sapevo che non si stava rivolgendo solo a Sakura, ma anche a me.
«Perché devi gettare via questo per qualcuno che ci ha rinnegati?».
Mi alzai in piedi, la testa piene di quelle frasi che mi dipingevano come il mostro egoista qual ero.
«Dammi un giorno per pensarci. Solo uno», gli chiesi.
Non toccava a me decidere, quella scelta apparteneva solo a Sakura.
«Dove stai andando?».
«Torno al villaggio per i fatti miei».
Vagabondai per i boschi alla ricerca di una soluzione per la tempesta di emozioni che mi scuoteva.
Stavano insieme.
Lui l’amava sul serio, l’aveva sempre amata.
Li avevo abbandonati a loro stessi, dunque perché ero così arrabbiato per il fatto che avessero cercato conforto l’un l’altro.
Non ero solo arrabbiato, ero geloso.
Geloso di Naruto, che patetico.
Senza nemmeno rendermene conto ero arrivato di fronte la porta della casa di Sakura.
Sentivo le voci di sua madre urlare contro il padre per la sua incorreggibile pigrizia.
Sapendo che non avrei tollerato altre prediche, saltai direttamente sul balcone che dava alla camera di Sakura, e mi intrufolai dentro, lasciandomi cadere malamente, con tutto lo zaino, su quel letto rosa. Mi voltai su un fianco per liberarmi del peso di quella borsa, e il mio sguardo cadde su una foto poggiata sul comodino di fianco al letto. Immortalava quella che doveva esser stata la nostra squadra.
Chissà se ero felice in quei tempi?
Ricordandomi del diario di Sakura aprii la borsa per cercarlo, lo presi, e lo aprii.
«Come chi sono?», sbuffai nel leggere la domanda che quell’impertinente aveva scritto sotto quella antecedentemente scritta da me.
Roso dalla gelosia, le risposi:
Sono il tuo tanto amato Sasuke-kun.
Troppo preso dallo scrivere quella breve, ma concisa, risposta, non mi accorsi del leggero cigolio della porta che veniva aperta.
«Ora entri anche di soppiatto senza avvisare del tuo ritorno?», mi riguardì una voce che avevo imparato a temere, ovvero quella della madre di Sakura.
Cercai di elaborare il prima possibile un’adeguata risposta, ma quella megera non me ne diede il tempo che, con una velocità da far invidia ad Orochimaru, mi tramortì con un colpo di padella alla base della nuca.
Caddi a terra sbattendo pesantemente la testa nel pavimento.
L’ultima cosa che vidi, prima di perdere i sensi, fu la faccia preoccupata di quella stronza.
Prima tramortiva la figlia, e poi si preoccupava del suo stato di salute.


 
Naruto

 
Osservavo il viso di Sasuke disteso in un sonno ristoratore, indeciso se svegliarlo o meno, visto che a breve saremmo stati dimessi dall’ospedale. Fortunatamente il mio dilemma fu risolto da Sasuke stesso, che proprio in quel momento decise di aprire gli occhi.
Stranamente quando vidi quelle enormi pozze d’inchiostro, schiudersi lentamente, ancora illanguiditi dal sonno, mi bloccò il respiro in gola, azzerandomi la salivazione.
«Buongiorno…», sussurrò con voce dolcemente modulata, arrochita dal sonno.
«B…buongiorno», balbettai imbarazzato, osservandolo stendere il suo corpo come un gatto al sole.
«Mi ci voleva proprio questa bella dormita», mi informa sorridendomi.
Sasuke mi aveva sorriso.
Incapace di credere a quanto i miei occhi stessero vedendo, iniziai a sfregarmeli furiosamente.
«Come mai ti sei svegliato prima di me?», mi domandò arricciando il naso in un modo che mi fece prudere dalla voglia di baciargliene la punta.
«Naruto? Stai bene?», mi domandò alzandosi dal letto per sedersi sul mio.
Riuscivo ad avvertire il calore che emanava il suo ginocchio a contatto col mio.
«Si», gli dissi tentando di deglutire.
Stranamente non si fidò della mia risposta, anzi, si avvicinò ancor di più a me, il suo petto che sfiorava il mio, per poggiarmi una mano sulla fronte.
«Sei leggermente accaldato, forse hai un po’ di influenza», mi avvisò per poi baciarmi la fronte.
«Sa…Sasuke, cosa stai facendo?», gli chiesi rosso come un pomodoro.
«Eh? Sasuke?», mi chiese scostandosi leggermente dal mio viso.
Approfittai del suo tentennamento per allontanarmi da lui.
Lo vidi esaminarsi le mani, i suoi occhi offuscarsi di confusione per poi sgranarsi dallo stupore.
«Cosa…?», farfugliò tastandosi il petto, le sue mani che scendevano sempre più giù per sostare in bilico sopra il cavallo dei suoi pantaloni.
Lo vidi deglutire, e poi chiudere gli occhi e poggiare la mano proprio lì!
«Maledizione!», imprecò rosso in volto.
«Che scherzo è?», mi chiese guardandomi con gli occhi colmi di lacrime.
«Chiamo l’infermeria per darti un calmante», lo rassicurai avanzando verso la porta, ma mi afferrò il polso per impedirmi di allontanarmi.
«Naruto… sono io. Non mi riconosci?», mi implorò.
«Sei Sasuke».
Vidi le sue labbra scandire, prive di alcun suono, le sillabe del suo nome.
Scattò subito in piedi, il suo sguardo frenetico, come quello di animale selvatico, che perlustrava la stanza alla ricerca di qualche dettaglio che potesse spiegargli quella situazione.
Quegli occhi neri, così familiari, eppure in quel momento estranei, si appuntarono sulla foto che mi aveva portato Sai, quella che ritraeva il vecchio team sette.
«Cosa è?», mi chiese sfiorandola con due dita.
«La nostra foto di gruppo».
«Foto di gruppo? Ma Sai è entrato a far parte del nostro team solo dopo che Sasuke ci ha abbandonati», riprese a farneticare.
Farneticava, altrimenti perché avrebbe parlato di se stesso in terza persona?
«Ma tu sei Sasuke», gli feci notare con voce pacata.
«Che fine ha fatto Sakura?», mi chiese con gli occhi pieni di lacrime a malapena trattenute.
Sakura.
«Chi?».
«Come avete potuto dimenticarmi? Dopo tutto quello che ho fatto, e che ho sacrificato per voi? Io… io vi amavo, e voi…. Io non vi avrei mai dimenticati, MAI!», si sfogò, il suo petto scosso da incontrollabili singulti.
«Non capisco di cosa stai parlando», gli confidai spaesato.
«Di Haruno Sakura! La vostra compagna di team! Una ragazza dagli orrendi capelli rosa, dalla fronte spaziosa, e dagli occhi verdi», mi spiegò con tono concitato.
In quel momento capii.
Al di là di qualunque logica, di qualunque legge fisica si presupponga governi il mondo, il mio cuore capì.
L’abbracciai, la strinsi a me come se non ci fosse un domani, beandomi di quell’odore di fiori e sole che sprigionava.
«Cosa ci fai lì dentro?», le chiesi.
«Non lo so».
«Io e Sasuke ti stavamo cercando, ma non riuscivamo a ricordarci te. È come se tu non fossi mai esistita nelle nostre vite».
Vidi il suo volto corrucciarsi.
«Non capisco…non vi ricordate di me? Il mio nome? Tutti i momenti che abbiamo trascorso insieme?».
Scossi la testa, paralizzato dal dolore che vedevo sbocciare in quegli occhi.
«Non ti ricordi nemmeno di noi?», mi sussurrò, gli occhi fragili come cristalli.
«Noi?».
Mi rispose con un cenno del capo.
«Stavamo insieme», mi confidò cercando di sottrarsi dalla mia presa.
Non glielo permisi.
«Non mi ricordo, ma è come se parte di me lo sapesse, come se ti appartenessi a prescindere da tutto», le confidai.
«Nar…».
Fummo interrotti da un delicato colpo alla porta, che però ci fece sobbalzare come se si trattasse di una bomba, allontanando i nostri corpi.
«Avanti», gracchiai.
Entrò un’Hinata alquanto preoccupata.
«Naruto-kun…. Mi hanno permesso di farti visita solo oggi», mi disse fiondandosi tra le mie braccia e depositandomi un casto bacio sulle labbra.
Rimasi sbigottito di fronte ad una simile reazione.
Fu solo il rumore della porta che sbatteva, che mi risvegliò da quello stato di shock.
Sakura se n’era andata.
 

 
Sakura
 
 
Non riuscivo a credere che mi avessero cancellato così facilmente dalle loro vite. A me, io che avevo sacrificato la mia vita per salvare la loro.
Scesi il più in fretta possibile le scale per recarmi all’accettazione e uscire dall’ospedale. Passando davanti una stanza, vidi uscire il quinto Hokage.
«Sasuke, sei venuto a riappacificarti con la tua ragazza?», mi chiese con un insolito tono materno.
Sasuke aveva la ragazza.
Naruto stava con Hinata.
Ed io ero morta, dimenticata, cancellata dai ricordi di tutti.
«No, ho lasciato solo un po’ di privacy a Naruto e Hinata», cercai di rispondere con nonchalance.
«Tutto bene?», mi domandò scrutandomi.
«Si, vorrei solo essere rimesso e andare a casa».
«Certo», mi lasciò andare per rientrare nella stanza.
Osservai quei corridori e quelle stanza che per anni avevano rappresentato una seconda casa per me. Tutto procedeva con tranquillità. Non ero indispensabile, e la calma che invadeva la struttura, era una più che sufficiente come testimonianza di ciò.
Non appena uscii dall’ospedale, mi diressi verso quella che una volta era la mia casa, curiosa di sapere se i miei vivevano ancora lì.
Una volta arrivata di fronte al portone, cercai di farmi coraggio, e bussai.
«Salve, chi cerca?», mi rispose mia madre.
«Abita qui Sakura Haruno?».
«Mi dispiace, ma non conosco nessun Haruno che si chiami Sakura», mi rispose gentilmente.
«Lei non ha una figlia?».
«Sì, ma non si chiama Sakura. Okudera! Scenderesti per favore, tesoro?».
Dovetti mordermi le labbra per non saltare addosso a mia madre, in questa vita così insolitamente gentile.
Il rumore di leggeri passi che scivolavano lungo le scale, distolse la mia attenzione, dai mille modi che il mio cervello stava congetturando per vendicarmi di mia madre.
Una ragazza dagli insoliti capelli rosa ci stava raggiungendo.
Sapere che anche in un futuro alternativo, colei che mi avrebbe sostituito, sarebbe stata condannata da quell’orrendo colore di capelli, mi procurò un po’ di conforto.
Okudera aveva dei begli occhi color cioccolato, così diversi dai miei e da quelli dei miei genitori, che non potei fare a meno di domandarmi da quale ramo del nostro albero genealogico li avesse ereditati.
«Sasuke-kun?», mi chiamò.
Quindi conosceva Sasuke.
Sentivo la gelosia strisciarmi lungo la gola, minacciando di sputare veleno in risposta a quel timido saluto.
«Mi sono sbagliato, arrivederci», mi accommiatai per poi dileguarmi in mezzo alla folla mattutina.
Camminai senza meta, persa nei miei pensieri. A quanto pareva, non c’era più posto per me al villaggio. Non come Sakura Haruno. Dopotutto avevo fatto la mia scelta. Mi ero sacrificata per amore di quei due.
Amavo Naruto, a modo mio, ma lo amavo. Forse non come merita, non con la stessa intensità di Sasuke, ma era stato l’unico, a parte il mio amore per la medicina, a sapermi offrire una ragione di vita, a farmi lottare per rimanere umana, e non una macchina priva di emozioni.
Riguardo Sasuke…. lo amo, oggi più che mai. Nonostante l’odio, il rancore, e il disprezzo che mi ha gettato addosso.
Non ho mai fatto mistero di ciò. Per lui sono sempre stata tanto incosciente da non riuscire a proteggere il mio cuore. Infatti fu proprio lui a distruggerlo, trapassandolo col suo chidori, infliggendomi la morte. Ma non lo odio per questo, nemmeno per avermi dimenticato.
 Per tutto questo odio me.
 Mi maledico per la mia fragilità, per la mia incoscienza, e per essermi preclusa qualsiasi futuro.
Senza nemmeno rendermene conto, mi ritrovo alle porte del quartier Uchiha. Percorro quei sentieri infestati da spiriti che non trovano pace, e mi addentro in quella che era la stanza di Sasuke.
Mi lascio cadere ai piedi del suo futon, in mezzo a quello spesso strato di polvere che testimonia la sua lunga assenza.
Con un dito traccio i kana del suo nome. Un nome elegante e importante, che rispecchia perfettamente la personalità del suo proprietario.
Un improvviso rumore, proveniente dall’ingresso, mi fece alzare in piedi per andare a controllare.
Con il cuore che batteva furiosamente in petto, facendo attenzione a far meno rumore possibile, mi avvicinai sempre più all’ingresso. Quando i miei occhi scorsero un ‘ombra avviarsi lungo il corridoio, partii all’attacco.
«Sakura?», mi chiamò la voce di Naruto, facendomi arrestare in malo modo, il piede messo in bilico nel compiere un altro passo mi fece sbilanciare facendomi cadere come un sacco di patate e battere la testa a terra.
Che patetica.
L’ultima cosa che vidi fu il volto preoccupato di Naruto che mi chiamava per nome: il mio nome privo dell’affettuoso -chan che per anni mi aveva contraddistinto.
 

 
Sasuke


Mi svegliai con una mano che mi carezzava dolcemente la testa.
«Sakura… Sakura», sussurrava la voce di Naruto con le labbra premute sulla mia fronte.
Immediatamente osservai le mie mani. Stranamente erano le mie, non quelle femminili di Sakura.
Allora perché Naruto chiamava il suo nome, e carezzava i miei capelli tempestando la mia fronte di innumerevoli piccoli baci?
«Teme, cosa stai facendo?!», gli sibilai, affilato come la mia katana.
Nell’udire il mio tono di voce rinsavì lasciando andare malamente la mia testa, che con un sonoro tonfo entrò in collisione con il pavimento.
«Sei tu», sospirò deluso.
«Chi altro dovrei essere?».
«Sakura, la ragazza sulla quale dov…».
«So perfettamente chi è Sakura», lo interruppi.
«Bene. Comunque, prima che battesse la testa sul pavimento si trovava nel tuo corpo», mi disse.
Quindi stavolta, mentre io occupavo il suo corpo, lei prendeva possesso del mio.
«Lei era la nostra compagna di team, Sasuke. È rimasta alquanto sconvolta dal fatto che ci fossimo dimenticati di lei, e …», si interruppe imbarazzato.
«Cosa?».
«Mi ha detto che io e lei stavamo insieme», sussurrò, facendo perdere un battito al mio cuore.
«Ma ha anche detto che ci amava entrambi, che si era sacrificata per noi».
Strano. Quando occupavo il suo corpo saltavo indietro nel tempo, prima della guerra e dell’ultimo scontro, ma non avendo alcun ricordo, era come se saltassi in un futuro alternativo. Mentre lei, quando prendeva possesso del mio corpo saltava nel passato di cui conosceva gli eventi.
«Povera Sakura! E adesso come faccio? Non posso essere fidanzato con due ragazze!», si stava lagnando Naruto, distogliendomi dalle mie riflessioni.
Mi limitai a guardarlo, convinto che tanto mi avrebbe sommerso con il suo cicaleccio, spiegandomi ogni minimo dettaglio.
«A quanto pare sto per sposarmi con Hinata», mi rivelò con una faccia talmente sgomenta da risultare paradossalmente comica.
Scoppiai a ridere, il cuore leggero come una piuma: se era promesso ad Hinata non poteva di certo frequentare Sakura.
Era risaputo che Hiashi Hyuga non fosse molto tollerante.
«Perché sorridi?».
«Sono felice per te, Hinata è davvero una brava ragazza», gli risposi senza riuscire a smettere di sorridere.
«Lo dici perché vuoi Sakura tutta per te!», mi accusò infantilmente.
«Sakura è mia e di nessun altro», stabilii senza dargli opportunità di controbattere.
Dopotutto era il mio nome che scriveva e pronunciava. Era mio il corpo che infestava, così come solo a me era concesso occupare il suo.
Ignorando il broncio di Naruto, lo afferrai per il colletto della sua orrenda tuta, e lo trascinai fuori da casa mia.
Avevo bisogno di un po’ di solitudine per riflettere su tutte quelle novità.

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Capitolo 7
*** Sasuke ***


Capitolo V

 

 
Sasuke

 
Passò un mese, senza che mi svegliassi nel corpo di Sakura. Un mese in cui lottai per mantenere vivido il ricordo di lei in quella vita in cui non era mai esistita.
Ogni mattina, poco dopo l’alba, io e Naruto partivamo per la Valle dell’epilogo, speranzosi di riuscire a trovare qualche indizio che ci permettesse di capire come fosse potuta accadere una cosa simile. Purtroppo non trovammo nulla a parte macerie che testimoniavano i nostri passati e sanguinosi intenti.
Ero nervoso e irrequieto, ma non sapevo cosa fare per rimettermi in contatto con lei. Passavo la maggior parte del mio tempo a fuggire da Karin, e l’altra metà a rassicurare Naruto.
Ma chi rassicurava me?
E chi Sakura?
Stando a quanto mi aveva detto Naruto, la bella rosa era davvero sconvolta nell’apprendere che tutti ci fossimo dimenticati di lei, e non potevo darle torto.
Ero seduto sul molo lungo il fiume che attraversava Konoha ad arrovellarmi la mente, quando il mio sguardo cadde sul braccialetto che cingeva il mio polso.
Tu porti al polso il destino di un’altra persona. Mi rimbombò la voce di quell’anziana signora.
E cosa potevo mai farci con il destino di un’altra persona? Non riuscivo nemmeno a gestire il mio, figurarsi poi quella di un’altra persona che neppure conoscevo.
Era un giorno qualunque, quando accadde qualcosa di folle, qualcosa d’impossibile, che trascendeva ogni razionalità.
Vagavo per le strade di Konoha, sotto lo sguardo ammirato ed esaltato dei suoi cittadini. Quegli sguardi che in qualche modo mi ferivano e mortificavano, poiché, nel profondo, sapevo di non esserne degno: non ero un eroe.
Il sole stava avanzando lentamente nascondendosi dietro le montagne, lasciando lentamente il posto alla fievole luce delle stelle.
Sasuke-kun… Sasuke-kun...
Sentire quel lieve sussurrò rimbombarmi in testa, mi fece riaccendere di speranza.
Ero ancora in contatto con lei!
Non so per quale motivo, cosa mi spinse a farlo, ma mi diressi verso il luogo in cui la vidi per la prima volta, morta ed esangue.
Quando giunsi alla Valle lei era lì, viva e vegeta, i suoi occhi, belli fino all’inimmaginabile, si spalancarono non appena mi videro.
Il sole stava tramontando, era il crepuscolo.
«Sasuke-kun?», bisbigliò incredula, e timorosa, come se potessi svanire da un momento all’altro.
Quel sussurrò, il puro e semplice suono del mio nome pronunciato da quelle labbra, quel suono, melodico e fragile, racchiudeva la mia pace e salvezza.
«Sakura…», risposi di rimando, troppo impegnato a contemplarla.
Corse verso di me per abbracciarmi.
«Sono ancora viva?», mi chiese.
Potevo sentire le sue lacrime impregnare la mia maglietta.
«Non lo so».
«Non ti sei scordato di me!», mi disse meravigliata.
«Cosa ti è successo, Sakura?».
«Io… voi stavate combattendo, ed io… non potevo stare a guardare mentre cercavate di ammazzarvi senza far nulla, così io… ho dovuto farlo Sasuke. io non potevo… non potevo lasciare che vi uccideste tra voi a vicenda».
«Shh, va tutto bene, sei qui ora», cercai di rassicurarla. Poggiai la fronte sulla sua, e lì riscoprii la pace. Lei era lì con me, era reale, potevo sentire la sua pelle setosa toccare la mia. Potevo inebriarmi del suo profumo, perdermi in quegli occhi verdi colmi di speranza e timore.
Lei era lì con me, edera tra le mie braccia, il suo corpo che si adattava al mio era l’ulteriore testimonianza del fatto che era stata creata per me.
Un’istinto, datroppo sopito, che albergava dentro di me, reagì a quel corpo femminile, come se si trattasse del canto di una sirena. Mi urlava di farla mia, in modo che né Naruto, né chiunque altro, potessero anche solo pensare di farla loro.
La baciai. La baciai come un comune mortale venera un dio, come un assetato beve il primo sorso d’acqua dopo giorni di vagabondaggio.
Assaporai la sua anima, le parlai cercando di rassicurarla con la mia presenza. Perché io non l’avrei mai dimenticata.
«Sasuke-kun…».
Scomparve. Così, all’improvviso, senza nessun preavviso e motivazione. Senza lasciarmi il tempo di poter assaporare la sua presenza, il calore che il suo corpo emanava stretto al mio.
«Sakura? SAKURAAA!», urlai preso dallo sconforto e dal terrore.
Iniziai a percorrere l’intera valle, come se stessimo giocando a nascondino. Ma lei era scomparsa, reclamata da un’altra dimensione alla quale non potevo accedere.
Qualcosa scricchiolò sotto i miei piedi: era una foto di quello che, in un’altra vita, doveva essere il vecchio team sette.
Mi lasciai cadere a terra, preso ad ammirare ogni dettaglio di quella foto.
Passai la notte ad ammirare quella foto alla leggera luce delle stelle, sfiorandomi in continuazione le labbra.
Cosa mi prendeva? Perché tenevo in questo modo a lei?
Com’è possibile che una persona fredda e razionale come me, una persona che ha seppellito la sua famiglia, diventi così emotivo, preda di questi sentimenti così potenti e sconosciuti?
Non la conoscevo, eppure una parte di me, piccola e sepolta chissà dove, l’ha sempre conosciuta, piangendola e reclamandola a gran voce.
Non avevo mai visto quelle labbra, almeno prima di quella sera, eppure sapevo per certo, ancor prima del bacio, che erano morbide e succose come fragole ben mature.
E quegli occhi, verdi e brillanti come smeraldi, capaci di fulminare, di scrutarmi dentro. Occhi che con molta generosità donano lacrime di conforto e amore, splendenti di allegria e sagacia.
Occhi chiusi per l’eternità dalla mia mano.
Tirai un pugno al suolo, facendo attenzione a non stropicciare quella foto.
«Non so come riportarti indietro», dissi al cielo.
Mi addormentai con l’immagine del suo viso sorridente, e la sensazione del suo corpo stretto al mio.
 
 
«Sakura-chan».
«Sakura».
Il persistente chiamare e il rumore che accompagnava quelle voci mi svegliò.
«Sakura».
Non appena mi resi conto che chiamavano il nome di Sakura capii immediatamente dove mi trovavo, ovvero nel suo corpo e nel passato alternativo.
«Arrivo», risposi alzandomi dal letto, tenendo lo sguardo ben fisso davanti a me, cercando di resistere alla tentazione di scoprire quale mise da notte avrebbe indossato questa volta.
Non appena mi vestii, o meglio, vestii il corpo di Sakura, mi precipitai dabbasso, curioso di scoprire quanto più possibile su quella realtà che avrei dovuto vivere.
Non appena giunsi sull’uscio di casa, con passo felpato, attento al più impercettibile rumore che potesse esser colto dalle orecchie della megera che governava quella casa, aprii velocemente la porta, e mi catapultai fuori.
Ad aspettarmi, non c’era solo Naruto, ma anche Sai.
«Sakura-chan, ti stiamo aspettando da mezz’ora!», iniziò a lagnarsi, come suo solito, Naruto.
«Taci», lo zittii, focalizzando la mia attenzione su quello che, a quanto sembrava, doveva essere il mio sostituto.
«Andiamo?», mi disse quest’ultimo.
«Dove dobbiamo andare?», chiesi guardingo e sospettoso.
«Ma come, non ricordi? Abbiamo una missione da svolgere al Paese dell’erba», rispose Naruto pieno di entusiasmo.
L’ultima volta che mi ero ritrovato nel corpo di Sakura eravamo nel pieno di una missione nella Nazione del fuoco. Quanto tempo era passato da allora?
«Andiamo», dissi, impaziente di capire cosa fosse accaduto tra Naruto e Sakura.
Stranamente il viaggio si prospettò tranquillo, fin troppo.
Naruto era sempre cordiale, ma manteneva una debita distanza dal corpo della giovane, cosa che invece non faceva quel Sai.
«Naruto…», gracchiai.
«Tra noi è tutto okay? Amici come prima?», provai a domandargli ad un certo punto, con voce stranamente roca.
Alla mia domanda Naruto si fermò scrutandomi con occhi insolitamente seri.
«Ancora con queste paranoie, Sakura-chan? Non avevamo chiarito tutto mesi fa?», mi chiese.
Mesi fa? Erano passati mesi?
«Certo! Era solo per esserne sicura», balbettai.
Una volta scortati il gruppo di attori che ci erano stati affidati, vagammo per le vie del paese in festa. Ad un certo punto perdemmo di vista Sai, così continuai a passeggiare al fianco di Naruto, approfittando per cercare di estorcergli qualche informazione.
«Ti fidi di Sai?», gli domandai di punto in bianco con il mio solito tatto.
«Stai male, Sakura-chan? Certo che mi fido di Sai, che domande fai?».
Idiota.
Lui, non io.
«Non sempre riesco a capirti, Naruto. Nascondi le tue emozioni dietro il sorriso, e a volte anche i tuoi occhi sono impenetrabili».
«Io sarei impenetrabile? Allora Sasuke? o Sai stesso? Pfff… impenetrabile! Hai per caso battuto la testa in qualche missione?», mi tempestò di domande cercando addirittura di poggiarmi una mano sulla fronte per accertarsi che non avessi l’influenza.
«Teme, lasciami stare!», sbottai infastidito.
«Ora mi dai anche del teme?!», mi chiese incredulo e offeso.
«Perché lo…».
«Che bella coppia! Vieni cara, scopriamo un po’ cosa ti riserva il destino», ci interruppe una vecchietta che, prendendomi per mano, mi condusse presso un vecchio tavolo sgangherato pieno di fili.
Non appena mi sedetti iniziai a scrutare la vecchia, rimanendo sbalordito.
«Lei! Lei è quella vecchietta dell’ospedale! Quella del bacio e del…», mi interruppi non appenai notai le facce sbalordite di Naruto e della vecchietta.
«È tutta la giornata che non mangi nulla, Sakura-chan. Vado a prenderti qualcosa da mangiare», mi consolò il baka.
«Grazie», sussurrai, troppo sbalordito per rispondere a tono.
«Il tuo nome è Sakura?», mi domandò gentilmente la vecchia.
«Non l’ha sentito?», sbuffai ritornando ad essere me stesso.
«Stai sognando in questo momento, non è vero?».
«Come?».
«Qual è il tuo vero nome?».
«Le ho già detto che il mio…».
«Sakura non è il tuo nome, ma del corpo che stai occupando. Qual è il tuo nome?», insistette interrompendomi.
«Sasuke», sbuffai in fine.
«Uhm… vuoi scoprire il tuo destino, Sasuke?».
«Non nutro alcun interesse per la mia sorte. Piuttosto, sarei curioso di scoprire quello di Sakura».
«Intrepido, proprio come solo un Uchiha sa essere. Sarà alquanto difficile prevedere il futuro della tua amica».
«Non è mia amica! Io… non capisco perché mi trovo impegolato con lei, e per di più nel suo corpo!».
Mi prese la mano ed iniziò a tracciarne le linee.
«Sicuro che non sia tua amica?».
Annuii.
«Beh… lei è molto legata a te. La sua vita è strettamente intrecciata alla tua, però…».
«Però?».
«La sua linea della vita si interrompe bruscamente quando si intreccia con la tua».
«Cosa significa?».
«Lei è viva?».
«Dove vivo io no».
«Tu sai cosa significa tutto questo, eppure non esiti nel rinnegarla», mi rimproverò.
«Io non so proprio niente», borbottai infastidito dal tacito rimprovero.
«È scritto qui, Uchiha Sasuke!», ringhiò battendo un punto del mio palmo, lì dove tre linee si univano tra di loro intrecciandosi.
«Come puoi non vedere? Lei si è sacrificata! Per questo tu sei qui, ora. Devi rimediare a ciò che hai fatto!».
«Io non ho fatto niente!», ringhiai.
«Non hai fatto niente?! Quante vite hai preso? Quanti cari hai separato spargendo morte e distruzione? Quanto è stata cara la tua vendetta? Lei donando la sua vita ti ha redento, ha fatto sì che tu potessi essere ciò che eri destinato ad essere».
«Non l’ho chiesto io il suo sacrificio! Doveva continuare a vivere la sua patetica vita», mi sfogai.
«Bene», sospirò poggiando un kunai sul tavolo.
«Ti chiamo io a fare la tua scelta: liberala. Taglia quei fili che porti al polso e che ti legano a lei», mi disse indicando il bracciale che stranamente avevo al polso.
Punto i miei occhi su di lei, rammaricandomi di non possedere lo sharingan.
«Chi sei?», le chiesi.
«Non guardi dove dovresti, Sasuke. Sono solo una povera vecchietta. Il problema, se così lo possiamo definire, è cosa sono», mi rispose mettendomi in mano il pugnale.
«Cosa sei?».
«Fai la tua scelta, Uchiha».
«Prima rispondimi: cosa sei?».
«Una sacerdotessa shintoista. Sei contento?», mi sbeffeggiò.
«Non credo nella magia, né negli dei».
«Voi Uchiha con il vostro sharingan, tutti più cechi delle talpe».
«Bada a come parli vecchia».
«Ti credi forte? Taglia i fili», mi sfidò.
Passai la lama del kunai sotto il bracciale, potevo sentire lo sfregamento delle corde contro la lama ben affilata.
«Cosa aspetti? Liberala, lasciala morire senza più intrometterti nella sua vita!».
Nella mia mente apparve un’immagine di Sakura e me in missione nel Paese delle Nevi, un’altra mentre aspettavamo Naruto per mangiare quell’odioso ramen che tanto gli piaceva.
Ricordai gli esami per diventare chunin, e tutte le volte in cui cercammo di scoprire cosa si celasse sotto la maschera di Kakashi.
C’erano così tanti ricordi che tornavano a galla! Lei era in ognuno di essi, sempre cortese e premurosa nei miei confronti. Tagliando quei fili l’avrei cancellata per sempre dalla mia vita, non sarebbe più esistita.
Mi venne in mente il suo diario, chissà cosa aveva scritto?
Perso nelle mie riflessioni non mi accorsi che la vecchietta aveva spinto il kunai fino a recidere ogni filo. Trattenni il respiro, terrorizzato da quello che sarebbe potuto accadere.
«Apri gli occhi Uchiha, guarda nel profondo del tuo essere, e impara a riscattare i tuoi peccati».
Non so cosa mi aspettassi che accadesse, forse che venissi catapultato nuovamente nel mio corpo, che mi dimenticassi di lei.
Non accadde nulla di tutto ciò.
Rimasi nel corpo di Sakura con tutti i suoi ricordi a carico.
Forse dovevo solo aspettare che mi addormentassi per poi svegliarmi nuovamente nel mio corpo.
«Sakura-chan, tieni, guarda cosa ho trovato!», mi disse Naruto portandomi un anmitsu.
Bleah!
«Che fine ha fatto la nonnina?».
Mi voltai di scatto per vedere dove fosse finita, ma era sparita.
Maledetta megera!
«Hai trovato Sai?», gli chiesi cambiando argomento, non avevo tempo da perdere con quella vecchia rimbambita.
«Sì, stava andando su quella collina per dipingere la festa. Ti va di provare qualche gioco?».
«Voglio solo andare a letto», gli dissi voltandogli le spalle per allontanarmi da quella massa di gente gioiosa.
 
 

Sakura


 
 Mi svegliai a causa di un forte dolore che mi percuoteva l’intero corpo.
Lentamente aprii un occhio, come se compiere quella banale e automatica azione potesse provocarmi dolore. Purtroppo fu così. Fu una fitta immediata e lancinante che mi costrinse a chiudere gli occhi.
«Sasuke! Finalmente ti sei svegliato!», mi urlò all’orecchio una voce femminile.
Sasuke.
Ero nuovamente nel corpo di Sasuke.
Mi feci coraggio e aprii gli occhi. Davanti me, propensa sopra il corpo quasi del tutto svestito di Sasuke, c’era Karin con la bava alla bocca e gli occhi pieni di paura.
«Cosa è successo?», chiesi.
«Non ricordi? Abbiamo catturato l’ottocode».
Ero intrappolata nel corpo di Sasuke quando era diventato un ricercato!
«Sasuke, ci ha convocati Madara», mi disse un ragazzo con addosso una grande spada.
Cosa dovevo fare?
 
Naruto
 
Erano giorni che tenevo sotto controllo Sasuke.
Qualcosa non andava.
 Non mi tormentava più per cercare di scoprire qualcosa in più su Sakura, e su come avevamo potuto dimenticarci di lei.
Era come se anche lui avesse dimenticato tutto. Era spento, privo di vita e di anima, viveva come un automa.
Era dal nostro scontro, che non vedevo i suoi occhi così spenti, opachi d’indifferenza e disinteresse.
«Sasuke», lo chiamai.
Come al solito non mi rispose, si fermò solamente.
«Tutto bene?», gli chiesi senza lasciar trapelare la mia apprensione.
«Sì».
«Come procedono le ricerche su Sakura?».
«Le ho interrotte, non avevano più senso: è morta».
«Ma…».
Non mi diede nemmeno il tempo di controbattere che si era già avviato verso casa.
Cosa era accaduto?
Solo quando sparì alla mia vista, notai una foto per terra. Mi chinai per raccoglierla, e scoprii che era una foto di quello che sarebbe dovuto essere il vecchio team sette.
 
Sasuke
 


L’hai uccisa tu, Sasuke. tu con la tua ingordigia di potere e vendetta, non hai esitato a strapparle il cuore dal petto. Quel cuore che batteva solo per te.
E ora? Sei ancora un codardo. Hai paura di fare i conti con tuoi peccati, ti rifugi nell’indifferenza, ma cosa accadrà quando sperimenterai la morte che lei ha dovuto subire per mano tua, quando sarà definitivamente cancellata da questo mondo, e di lei non rimarrà nemmeno l’ombra di un ricordo? Cosa farai?
Sasuke-kun…Sasuke-kun….
Mi svegliai di soprassalto, il cuore che batteva all’impazzata. Era solo un incubo.
Purtroppo, quando mi resi conto dell’ambiente circostante, capii che non si trattava solo di un incubo, un fondo di realtà c’era: mi trovavo ancora nel corpo di Sakura, e al polso non portavo più il braccialetto.



NdA: salve, ultimo capitolo prima di entrare in ferie. Allora cominciamo con qualche istruzione per la lettura: Sasuke, Sakura e Naruto agiranno su dimensioni  e prospettive diverse. Sasuke e Sakura, nei corpi scambiati agiranno sulla storia che tutti noi conosciamo, mentre il Naruto che narra osserverà il futuro alternativo. Di più non posso dirvi, l'assurdo e bipolare comportamento di Sasuke, sarà più chiaro nei prossimi capitoli, e poi beh è un Uchiha. Fatemi sapere cosa ne pensate, sono ben accetti suggerimenti.

 

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Capitolo 8
*** Sasuke ***



Sasuke

Non appena mi resi conto di trovarmi ancora nel corpo di Sakura un brivido di terrore mi percorse la schiena.
Ero imprigionato nel suo corpo.
Cosa sarebbe accaduto quando lei sarebbe morta?
Poi realizzai: lei morirà per mano mia.
Non riuscivo a ragionare in quel miscuglio di passato, presente e futuro.
Volevo solo ritornare alla mia vita.
«Buongiorno», mi disse una calda e cortese voce, distogliendomi dai mei dilemmi.
Mi voltai verso la porta, e vidi Sai, con in mano una tazza fumante.
Rimasi in assoluto silenzio, non sapendo in quali rapporti fosse la rosa con quello lì.
«Non mi guardare così, Sakura. Ecco, ti ho portato la tua tazza di tè, senza la quale non riesci a carburare».
Tirai un sospiro di sollievo nell’appurare che non avesse usato il diminutivo che era solito usare Naruto, ma non appena il mio cervello elaborò il resto della frase, mille sospetti si fecero avanti, infestando la mia già labile mente come uno stormo di pipistrelli in fuga.
Come faceva a sapere che senza la tazza di tè non carburava?
«Perché mi guardi in quel modo sospettoso? Non l’ho mica avvelenato!».
«Sakura-chan! Guarda cosa ti ho portato per colazione! Anpan appena sfornati! Me li ha regalati quella gentile vecchietta di ieri sera…».
Non appena Naruto ebbe nominato la vecchietta mi si accese una lampadina: lei aveva tagliato il filo, quindi avrebbe saputo sicuramente riportare tutto alla normalità.
Smisi di ascoltare il cicaleccio di Naruto, e uscii di corsa alla ricerca della vecchietta.
Non appena la vidi l’afferrai bruscamente per una spalla e la tirai all’interno di un vicolo, per parlare senza correre il rischio di essere interrotti dal baka.
«Ahi! Che modi!», esclamò.
«Devi rimettere tutto a posto», le ordinai.
«Di grazia, cosa dovrei rimettere a posto?».
«Voglio ritornare nel mio corpo».
«Non ti piace il corpo della tua amica?»
«Non è mia amica!», ringhiai.
«No? Apri gli occhi Sasuke, il bivio si avvicina», mi bisbigliò.
«Quale bivio?».
«Credi davvero che tu non stia modificando l’avvenire? Solo tu puoi salvarla!».
«Non mi interessa salvare nessuno: non sono un eroe!».
«Non sei stato in grado di tagliare il bracciale, perché ti ostini così tanto a rinnegare i tuoi sentimenti?».
«Io non ho sentimenti».
«Arriverà il giorno in cui sarai in grado di vedere il futuro che meritavi, e sarà troppo tardi per riaverlo indietro».
«Blateri, vecchia».
Di fronte al mio insulto mise una mano dentro una tasca. Mi misi in posizione di difesa, convinto che stesse per attaccarmi, ma ciò che fece, a suo modo, fu ancor peggio.
Infatti estrasse un pugno di polvere che mi soffiò dritto in faccia.
 
 
Era notte, l’aria frizzantina era satura di risate e spensieratezza, impregnata dall’odore delle vivande che venivano offerte per pochi yen ai passanti. Le strade erano affollate di bambini, e famiglie che passeggiavano con addosso i loro variopinti kimoni. Le lanterne, appese tra i vari edifici, gareggiavano con le stelle nel loro immenso splendore.
Osservavo Sakura e Naruto passeggiare per quelle vie, i loro corpi talmente vicini che le loro spalle, ad ogni passo che compievano, si sfioravano in una timida ed impacciata carezza.
Li osservai mentre venivano fermati dalla vecchia. Scrutai ogni movimento di quella befana mentre intrecciava quegli innumerevoli fili tra loro. E poi… poi vidi Sakura piangere, e Naruto scuotere la testa e poggiarle una mano sopra la spalla in segno di conforto.
Cosa era accaduto?
I miei occhi erano calamitati su quelle lacrime che, silenziose e veloci, facevano risplendere quelle candide gote della lucente luce argentea della luna.
Poi la vecchia le domandò qualcosa, il tono conciliante e persuasivo di chi vuole convincere a fare qualcosa che altrimenti non avrebbe fatto. La condusse dentro un locale.
Non so con esattezza quanto tempo rimasero chiuse dentro quella stanza, ma a giudicare dal camminare avanti e indietro di Naruto, dovette essere un bel po’.
Quando uscì, tutto si cristallizzò, ogni cosa andò al suo giusto posto, come le tessere di un puzzle che mostrano un intricato disegno. Uscì indossando un tipico abito da cerimonia shintoista.
Anche il baka era sbalordito da quella apparizione, lo si poteva benissimo capire dai suoi occhi luccicanti di stupore e velati di rimpianto.
Si diressero verso un piccolo giardino privato.
 Ero curioso di scoprire cosa stessero architettando, ma una mano invisibile non mi permise di avvicinarmi, anzi, con un poderoso strattone mi rispedì nel corpo di Sakura.
 
«Cos’è successo?», boccheggiai in ginocchio sul sudicio lastricato.
«Hai osservato quello che è accaduto a Sakura».
«Sei stata tu a darle quel bracciale».
Annuì.
«Che cerimonia avete svolto?».
Rimase in silenzio ad osservarmi con un’espressione triste e sofferente.
«Non posso rivelartelo».
«Eccome se lo farai!», la minaccia afferrandola per la gola e sollevandola di mezzo metro da terra.
«Tu non la meriti, non meriti nulla di ciò che ti ha donato».
Ha ragione, non merito nulla, ed è proprio questo a infastidirmi, a rendermi ancora più scorbutico e asociale.
Ogni gentilezza, ogni sacrificio che altri compiono in buona fede per il bene altrui non sono altro che un debito da ripagare per chi ne è il destinatario.
Non voglio avere nessun debito.
Nessuna questione di onore mi impone di salvarla: ha fatto la sua scelta, e tra l’altro, una scelta sbagliata. Ha deciso di donare il suo cuore a chi non sa che farsene, a chi ha rinchiuso da troppo tempo i suoi sentimenti in un piccolo e oscuro angolo di sé.
«Non le ho chiesto io di mettermi in questa scomoda posizione. E poi un sacrificio non dovrebbe prevedere alcuna pretesa di contraccambio, non sono vincolato a lei in nessun modo… a parte occupare il suo corpo», mi affrettai a rettificare non appena vidi la sua eloquente occhiata scivolare lungo le gambe di Sakura.
«Sakura-chan! Ecco dov’eri finita, volevi ringraziare la nonnina per gli anpan», s’intromise Naruto.
Lasciai andare la vecchia e senza proferire nessuna delle maledizioni che mi risuonava nelle orecchie, ma che di certo quella vecchia babucca aveva intuito, vista l’occhiata di biasimo e rimprovero che mi lanciò poco prima che mi allontanassi da entrambi.
«Andiamo Naruto, dobbiamo fare ritorno a Konoha», gli dissi prima di uscire da quello stretto e angusto vicolo.
Aprii la porta della stanza in cui avevo passato la notte, e vi trovai Sai intento ad ammirare dei disegni sparsi sul tatami. In silenzio mi avvicinai alle sue palle e scrutai quell’accozzaglia di colori festosi che riempiva il foglio.
«Li hai fatti tu?», chiesi senza riuscire a celare del tutto il mio stupore.
Annuì.
Erano davvero molto belli, raffiguravano ogni minimo dettaglio, c’era anche…
No! Non era possibile! Come aveva fatto a ritrarre Sakura in quel piccolo giardino?
«Quando lo hai fatto questo?», gli chiesi picchiettando un dito sul disegno incriminato.
«Non lo so, l’ho trovato stamattina dentro il mio zaino».
Che scherzo era quello?
Afferrai il disegno cercando di carpire quanti più dettagli mi era possibile non potendo usare lo sharingan.
La scena era rappresentata alla perfezione, non solo per i dettagli che riproduceva, ma anche per la tempistica con la quale veniva immortalata la scena.
Infatti l’immagine riprendeva una giovane con le mani protese in alto davanti a sé, nell’atto di offrire un pegno alle divinità.
Era decisamente Sakura, vestita come una giovane miko con il tipico kimono shintoista.
Nelle mani teneva un pezzo di carta rettangolare, che sicuramente stava poggiando dentro la scatola in legno che le stava di fronte.
Cosa avrà mai deciso di donare, e perché?
Presi il disegno e lo portai lontano da quel villaggio, sulle alture che lo sormontavano dalle quali era stata immortalata la scena.
Sotto un cielo plumbeo, carico di pioggia, mi misi a studiare ogni minimo dettaglio di quel ritratto.
Mi dava enormemente fastidio non poter tornare al mio tempo e interrogare quel baka di Naruto al riguardo.
«Eccoti, sono ore ce ti cerco!», esclamò il baka sedendosi accanto a me.
Rimasi in silenzio, troppo preso a lambiccarmi il cervello nel tentativo di trovare una soluzione a quel dilemma.
«Ehi, cosa c’è che non va?», mi domandò con evidente preoccupazione.
Davanti al mio ostinato silenzio osservò anch’egli il quadro.
Quando vidi le sue sopracciglia convergere al centro della sua fronte aggrottata seppi che anche lui aveva notato quella coincidenza inspiegabile.
Il suo dito indice accarezzò la figura ritratta di Sakura; amorevolmente tracciò i contorni del kimono shintoista che indossava, per poi arrestarsi sul foglio di carta che porgeva al cielo.
Una goccia d’acqua cadde sul disegno annacquandolo e sfocandolo.
 Di riflesso alzai lo sguardo al cielo, ma mi accorsi che non pioveva.
Erano le lacrime di Naruto, quelle che silenziosamente gli accarezzavano il volto per poi cadere sulla tela.
Non seppi come reagire, né cosa dire.
Dopo tutto il male che avevo rigurgitato su quella terra, e che ostinatamente avevo rivolto contro di lui, il mio migliore amico, l’unico che ancora credeva in me, non sapevo come rimediare, come fare ammenda.
«Cosa significa questo?», mi chiese in sussurro spezzato.
«Cosa vuoi che significhi? È un ritratto».
I suoi occhi, solitamente tersi come un cielo estivo, ora rannuvolati da rabbia e confusione, mi scrutavano con grande attenzione.
«Dobbiamo fare ritorno a Konoha, conviene sbrigarci», mi informò trovando una parvenza di compostezza.
Lo osservai alzarsi, afferrare il disegno e allontanarsi senza più degnarmi di uno sguardo.
«A proposito, stavi dimenticando questo», mi informò lanciandomi il diario di Sakura.
Distrattamente lo aprii, troppo concentrato ad analizzare lo strano comportamento del baka.
Solo quando i miei occhi si posarono su una pagina in cui compariva la mia calligrafia mi resi conto di un particolare chiaramente importante.
«Che giorno è oggi?», gli chiesi urlando per farmi sentire.
«Giovedì 13 luglio».
Freneticamente presi a sfogliare quelle pagine traboccanti di pensieri, ricordi ed emozioni, fino a quando non trovai quello che cercavo.
 
13 luglio
Oggi ho dovuto compiere una scelta: la scelta.
In questa serata di festa, illuminata da variopinte lanterne e gioiosi sorrisi, mi è stato predetto il mio destino.
Non posso nascondere quanto mi ha sconvolto ciò che l’anziana sacerdotessa mi ha rivelato.
Non potrò mai dimenticare lo sguardo sconvolto di Naruto, i suoi occhioni blu riempirsi di lacrime e di rifiuto.
Sì, rifiuto, perché lui ha rigettato la previsione di ciò che avverrà, confidando nel fatto che Sasuke rinsavisca.
Io no.
Ho accettato il mio destino, perché so che Sasuke non tornerà più da noi, il suo cuore è rimasto troppo a lungo cieco e sordo ai richiami della vita per poter rinsavire.
Così, come in realtà ho sempre e costantemente fatto, gli farò dono del mio cuore, nella speranza che, almeno stavolta, possa bastare a ridagli un briciolo di pace.
 
Nel leggere quelle parole, spoglie di fiducia, ma ancora speranzose, un senso di nausea mi bruciò l’intestino. Con i battiti cardiaci che risuonavano alle mie orecchie come tamburi impazziti, girai pagina.
Era stata strappata. Presi a spogliare le altre nella speranza di trovare qualcosa che mi desse qualche ulteriore indizio riguardo a quanto avvenuto dopo quella sera, ma c’era solo bianco, accecante e assordante.
 Il diario si interrompeva.
Un senso di lugubre sconforto mi invase costringendomi a piegarmi su un fianco e liberare lo stomaco da quel po’ che conteneva.
Non so quanto tempo stetti lì, accasciato sul quel suolo straniero, prigioniero di quelle pagine bianche che mi lasciavano in bocca un sapore fin troppo amaro, anche per uno come me.
Perché mi interessava così tanto la sorte di Sakura?
Perché proprio io dovevo trovarmi nel suo corpo?
Ripensai alle parole della vecchia: il bivio si avvicinava.
 Sakura aveva fatto una scelta, e la storia da quel giorno in poi sarebbe toccato a me scriverla.
Come un automa feci ritorno al villaggio, presi il mio zaino, e ritornai a Konoha. Filai dritto nella mia vecchia casa al quartiere Uchiha, e per due giorni rimasi immobile, sdraiato su un futon ad ammirare il soffitto pieno di ragnatele, spiazzato dalla responsabilità che gravava sulle mie spalle.
Dovevo salvare Sakura?
Potevo salvarla?
Ma soprattutto, come potevo salvarla intrappolato nel suo corpo?
«SAKURA-CHAN!».
«SAKURA!».
Nell’udire le voci di Naruto e Sai chiamarmi così concitatamente mi alzai dal futon e gli andai contro. Non appena vidi le loro facce sconvolte capii che era accaduto qualcosa di brutto.
«Cos’è successo?».
«Sasuke… a quanto pare è entrato a far parte dell’Akatsuki».
«È stato emesso un mandato per la sua uccisione. Ha rapito l’ottocode».
Ricordavo chiaramente quel momento: avevo da poco ucciso Itachi.
«Dev’essere accaduto qualcosa che l’ha spinto a fare tutto ciò», cercò di consolarmi Naruto.
Rimasi stupito della sua convinzione che in me ci fosse del bene.
«Come fai ad esserne così sicuro?», gracchiai.
«È il nostro Sasuke. Chissà quanto sta soffrendo per aver ucciso suo fratello», mi spiegò con il suo solito sorriso ottimista, ma al tempo stesso triste e pensieroso.
Non seppi rispondere. Per la prima volta nella mia vita mi vergognai di me stesso, rimasi incerto riguardo ad ogni mia convinzione e sentimento.
Loro lottavano per me, andavano contro tutto e tutti per riportarmi da loro, mentre io cercavo di distruggerli, di ucciderli.
«Ho bisogno di riflettere», mi giustificai, per poi chiudere la porta e rinchiuderli, per l’ennesima volta, fuori dalla mia vita.
Mi sdraiai nuovamente per terra e ripresi a fissare il soffitto fino a quando non crollai per la stanchezza.
 
 
«Sasuke-kun… Sasuke-kun…io…io ti amo. Farò qualunque cosa per te, Sasuke-kun, anche abbandonare il villaggio».
 Avevo dimenticato quella scena, gli occhi lucidi di lacrime di Sakura, le dolci e confortevoli parole, capaci di farmi esitare dal mio intento, e poi… e poi il banale e sconclusionato grazie.
Perché, cosa puoi dire a colei che ti professa amore quando non sei in grado di amare?
Già allora era disposta a far di tutto per salvarmi.
Di colpo la scena onirica cambiò: siamo io e Sakura alla valle, i nostri corpi stretti in un abbraccio consolatorio illuminati dal crepuscolo.
«Sasuke-kun, come hai potuto dimenticarmi?», mi urlava piena di oltraggio e rabbia.
In realtà non l’avevo mai dimenticata, è sempre stata lì, nel mio cuore, silenziosa e rassicurante.
Impotente osservavo il suo bel viso distorcersi per la sofferenza, la mia mano che le oltrepassava il petto perforandole il cuore, quel cuore che con tanto amore mi aveva donato innumerevoli volte.
La sua sofferenza veniva ripagata dalla mia indifferenza.
Un unico suono produssero quelle labbra: il mio nome, dolce armonia di un sospiro d’amore.
«Sasuke-kun…».
 
Mi svegliai di soprassalto, il mio nome che come una preghiera risuonava ancora nelle mie orecchie.
Sapevo cosa fare, dovevo solo mettermi in viaggio, prima che fosse troppo tardi.
 
NdA: Salve! Ecco che il nostro adorato Sasuke inizia a fare i conti coni propri sentimenti: ne vedremo delle belle!

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Capitolo 9
*** Sakura ***


Sakura
 
Tutti siamo convinti di voler sapere con anticipo cosa accadrà nel futuro, fiduciosi nella nostra capacità di modificare gli eventi.
Io no, o almeno, non desideravo più poter prevedere gli eventi futuri, perché non si può imbrogliare il fato, non si può sfuggire in eterno alla sorte che inconsapevolmente ci siamo scelti.
Madara mi aveva convocata.
Sapevo già cosa sarebbe accaduto, ma non sapevo come comportarmi: non ero Sasuke, non avevo la sua freddezza e scaltrezza.
Non appena varcai la soglia di un’enorme stanza, venni subito pietrificata da un occhio rosso come il sangue: uno sharingan.
Iniziai a sudare freddo, memore del potere di quegli occhi, della spietatezza che sapevano infliggere.
Istintivamente feci un passo indietro.
«Scappi, Sasuke? Devo dedurre che tu sappia il motivo per il quale ti ho convocato?», mi interpellò una voce profonda.
Mi si bloccò il respiro in gola: come avrebbe risposto Sasuke?
Avanzai di un passo, cercando di mantenere alta la testa ed esporre il mio sguardo a quello sharingan malefico, poi presi un profondo respiro e…
«Di cosa blateri? Dimmi il motivo di questa chiamata, ho cose molto più importanti a cui badare che stare qui con te a giocare agli indovinelli».
Mi rispose un silenzio carico di tensione.
Forse avevo osato un po’ troppo.
«Ah, l’orgoglio di noi Uchiha è proprio senza limiti, e tu, Sasuke, ne sei la massima espressione. Non sfidare troppo la sorte, sai benissimo perché sei qui. Mi avevi promesso l’ottocode, e mi hai portato solo un tentacolo».
Stetti in silenzio, troppo spiazzata per poter prontamente rispondere.
Madra mi si avvicinò, lentamente, passo dopo passo, come un leone che fiuta la paura della sua preda e la mette spalle al muro.
«Portamelo qui, tutto intero», mi sibilò all’orecchio poggiandomi una mano sulla spalla.
Mi scrollai quella mano cercando di reprimere un brivido di terrore e uscii da quel covo.
Non appena i miei occhi videro il cielo stellato lasciai uscire il fiato fino ad allora trattenuto.
«Sasuke, tutto okay?», mi chiese la rossa che stava sempre appiccicata a Sasuke, Karin.
«Sì, ho solo bisogno di stare un po’ per i fatti miei», le disse troppo diplomaticamente, infatti i suoi occhi si spalancarono per lo stupore dinanzi a tanta gratuita cortesia da parte di Sasuke.
Sasuke, chissà cosa stava combinando. Probabilmente stava cercando di distruggere il mio corpo per riappropriarsi del suo.
Mi sdraiai sotto quel cielo pieno di stelle e, come ogni qual volta che cercavo di prender sonno all’aperto, iniziai a contarle. Quando non riuscii più a tenere in mente il conto, mi sopraggiunse un’illuminazione: quello non era il reale Madara, era Obito! Dovevo almeno cercare di sventare quell’orribile guerra che ne sarebbe conseguita.
 Questa volta potevo sacrificare la mia vita per la pace.
Mi alzai, e dopo aver lanciato un’ultima occhiata al cielo, rientrai dentro alla ricerca di Karin, convinta che avrebbe assecondato ogni follia di Sasuke in nome del suo amore.
 
Sasuke
 
Mi trovavo nel mio corpo, sdraiato su un folto prato primaverile, sotto un cielo cosparso di stelle. La brezza frizzantina, tipica delle sere primaverili, mi riempiva il naso del delicato profumo di fiori.
Un solitario fiore di ciliegio mi si poggiò sulla punta del naso. Di riflesso arricciai il naso nel tentativo di farlo cadere da quella posizione in bilico, ma una calda risata mi bloccò.
Una candida mano afferrò il fiore sfiorandomi delicatamente il naso.
«Sei sempre così irrequieto», mi disse una voce, la sua voce.
Immediatamente mi voltai verso di lei.
«Sakura…», bisbigliai pieno di meraviglia.
«Sasuke-kun».
Era sdraiata su un fianco accanto a me, bellissima come non mai.
«Co-cosa ci fai qui?», le chiesi.
Alla mia domanda la sua liscia fronte si aggrottò.
«Siamo venuti qui perché Itachi insisteva di voler vedere le stelle cadenti».
Itachi?
Mi guardai interno con fare frenetico, ma di mio fratello non scorsi nemmeno l’ombra.
«Dov’è?», la interrogai.
«È qui Sasuke. Mi stai spaventando, va tutto bene?», mi chiese in un sussurro.
Abbassai lo sguardo seguendo il movimento della sua mano che indicava un bambino, un bambino di circa tre anni che dormiva accoccolato tra noi due.
Avevamo un figlio.
Io e Sakura avevamo un figlio!
Osservai il suo profilo delicato, scorgendo in esso qualcosa di mio e qualcosa di Sakura.
Lo avevamo creato noi. Era nostro.
Beatamente cullato nel mondo dei sogni, il piccolo Itachi allungò una manina fino a che non trovò la mia.
In quel momento, in quell’innocente e primordiale contatto, nell’orgoglio riflesso negli occhi di Sakura, capii che quello era il mio posto, quel posto che da una vita cercavo lottando.
Presi mio figlio in braccio, e sentii il mio cuore resuscitare dalle macerie dei miei errori. Nulla aveva importanza, non in quel futuro dove non c’era posto per il mio orrido passato.
«Salvaci», sussurrò Sakura in un singulto.
Itachi apri i suoi occhioni, neri e profondi come i miei, ma pieni di gioiosa speranza come quelli della madre.
Le stelle iniziarono a cadere attorno a noi, come tanti piccoli meteoriti.
Il terreno iniziò a tingersi del rosso delle fiamme appiccate.
Il dolce profumo di fiori fu sostituito dall’acre odore delle sterpaglie bruciate.
Sentivo la supplica di Sakura trapanarmi il cervello.
Abbassai lo sguardo verso mio figlio, ma non c’era più.
Cercai Sakura, e la scorsi a qualche metro di distanza da me, il suo corpo intrappolato dalle fiamme.
Un lampo squarciò il cielo, subito seguito dal corrispettivo tuono.
«Sakura!».
Potevo scorgere le sue labbra muoversi, ma le potenti raffiche di vento che alimentavano le fiamme disperdevano le sue parole.
Poi un fulmine la centrò in pieno petto, ricordandomi del mio più grande misfatto.
 
Mi svegliai madido di sudore.
Con la coda dell’occhio scorsi una figura poco distante da me.
«Come sei entrata?».
Silenzio.
«Cosa vuoi?».
«Lo hai visto?», mi rispose la sua voce gracchiante.
«Cosa?».
«Il futuro del quale ti sei privato».
Stavolta fui io a rimanere in silenzio.
«Se non la cercherai lei morirà. Non è come te, non riuscirà a spacciarsi per te ancora a lungo. Ripensa agli scontri nei quali ti sei battuto, non riuscirà a sopravvivere. Lei non può scappare dal suo destino, Sasuke, è destinata alla morte, che sia per mano tua o per mano dei tuoi nemici. Ma tu, tu tieni in mano il suo destino. Solo tu puoi salvarla».
«LO SO!», le urlai, la preghiera di Sakura che ancora mi riecheggiava nelle orecchie.
«Maledetta vecchia, pensi che non ci abbia pensato?».
«Sei ancora qui», mi fece notare.
«Perché ti interessa così tanto?».
«Non cambierà nulla per te saperlo. Devi andare. Ora».
Guardai la sveglia, segnava le tre e mezza del mattino.
Lanciai un’altra occhiata alla vecchia.
Se solo avessi avuto lo sharingan!
«Non saresti stato in grado di vedere di più di ciò che vedi ora. Lo sharingan non ti permette di leggere i sentimenti, ma solo la parte razionale della natura umana. Se sei realmente convinto che lei non conti nulla per te, che non valga la pena di cercare di salvarla, se vuoi lasciarla all’oblio del suo amore non corrisposto, fermati un secondo a pensare a quello che hai sognato…. Il piccolo Itachi non verrebbe al mondo… saresti solo, un relitto che vaga alla disperata ricerca di redenzione».
«Non voglio la redenzione di nessuno!», le ringhiai, punto sul vivo dalle sue accuse.
«Ne sei certo?», mi sfidò alzando un candido sopracciglio.
«Tsk…».
In una frazione di secondo me la trovai dinanzi a me, le sue ossute dita piantonate nella mascella che mi obbligavano a sostenere il suo sguardo.
«Inizi ad avere paura, vero?», mi sussurrò.
Sì.
I miei occhi, o meglio, gli occhi di Sakura, erano ipnotizzati da quelli della vecchia: un susseguirsi di diversi colori che si ricorrevano tra loro per mescolarsi e poi separarsi in un ciclo continuo ed infinito.
«Cosa sei?», sussurrai, ogni cellula del mio essere che mi urlava di scappare.
«Lo scoprirai presto, ma prima, prima devi imparare a rispondere a questa domanda, Sasuke: cosa sei tu?», mi spiegò per poi poggiarmi due dita sulla fronte, un chiaro riferimento all’affetto passato che mi legava a mio fratello.
Non so come poté accadere, ma accadde, rivissi la mia vita sin dal principio.
Rividi mia madre, la tenerezza con la quale accarezzava il pancione che mi conteneva; mio padre, con gli occhi luccicanti di orgoglio nel venire a sapere che presto avrebbe avuto un altro figlio.
Rividi mio fratello, seduto sul portico di casa, lo sguardo determinato volto alla luna ed il mio piccolo e fragile corpicino stretto nel suo abbraccio protettivo.
Rivissi la perdita di quell’affetto, il sapore amaro di quel falso tradimento. Vidi le spalle di mio fratello piegarsi sotto il peso di quella scelta che fino a non molto tempo fa consideravo deliberata.
Osservai ogni sua lacrima, risplendente della luce lunare, chiedere perdono. E finalmente, finalmente potei ammirare me all’età di sei anni, i miei occhi spalancati dall’orrore e dal terrore. Vidi il mio sguardo spegnersi, ossidarsi per l’odio che iniziava a piantare radici nel mio animo. Ma poi arrivò Naruto, e con lui Sakura, e il mio cuore riscoprì il calore dell’affetto e dell’amore.
Ovviamente non poté durare a lungo, ma non perché gli altri mi ritenessero indegno di amore, ma perché…. Ero io a ritenere loro indegni del mio tempo. Li tradii, rifiutai l’amicizia di Naruto, e rifiutai l’amore di Sakura, così come ignorai gli avvertimenti di Kakashi.
Distrussi tutto, anche mio fratello, eppure… eppure loro erano ancora lì, le loro mani tese per riportarmi a loro, pronti a ridarmi affetto incondizionatamente dalle azioni che avevo compiuto.
Mi ritrovai alla valle dell’epilogo, minaccioso e guerrafondaio come non mai, convinto di dover punirmi con la solitudine, anche a costo di ucciderli tutti. Ma lei me lo impedì. Preferì barattare il suo cuore per la mia vita, ed io….
«Cosa sei Sasuke?», mi chiese affettuosamente la vecchia carezzandomi la fronte con una materna carezza.
Rimasi in silenzio, troppo scombussolato da ciò che avevo appreso.
«È esatto», mi disse, come se potesse leggermi nel pensiero. «Anche tu sei degno di amore».
«Ma io… io…», balbettai come un idiota.
«Puoi ancora rimediare», mi sollecitò porgendomi il diario di Sakura.
Guardai l’ora: erano le quattro del mattino.
«Grazie», le dissi.
«Buona fortuna Sasuke, spero che riuscirai ad avere quello che meriti».
Mi alzai, presi lo zaino che mi porgeva e uscii per strada.
 
Naruto
 
Ero sdraiato sul mio letto ad ammirare la foto che avevo trovato. Lo scroscio della pioggia che batteva sul tetto di lamiera scandiva i secondi che passavano.
Guardai il volto di Sakura, i suoi delicati lineamenti, quel sorriso pieno di speranza e aspettative, e qualcosa dentro di me iniziò a cedere, sotto la convinzione che fosse tutto sbagliato.
Non era questa la mia vita, e quello che vagabondava come un relitto non era il vero Sasuke.
«Come posso riportarti indietro?», chiesi al volto sorridente della rosa.
Esasperato mi alzai dal letto e uscii, incurante della pioggia, e andai alla ricerca di Sasuke.
Lo trovai seduto sulle macerie del quartier Uchiha.
«Sasuke», sussurrai.
«Cosa vuoi Naruto?».
«Cosa ti è successo? Fino a qualche giorno fa eri tanto interessato per la situazione di…».
Non potei terminare la frase che mi ritrovai la lama della sua katana contro la gola.
«Non c’è nulla che non vada, voglio essere lasciato da solo. Per una volta puoi stare ad ascoltarmi?».
Il suo tono mi avvertì di non insistere.
«D’accordo, io sono sempre qui, in caso cambiassi idea», cercai di assecondarlo.
«Avrei dovuto ucciderti», sussurrò così piano che quasi non lo udii.
Un brivido di gelo mi percosse la spina dorsale facendomi rizzare i capelli.
«Sasuke…», iniziai, ma lui sputò per terra, a pochi centimetri dai miei piedi, un chiaro segno di rifiuto, per poi voltarmi le spalle e venir inghiottito dalla pioggia torrenziale.
Mi lasciai cadere a sedere a peso morto, svuotato di ogni forza e speranza. Eravamo tornati al punto di partenza.
Mi avviai verso casa, ma proprio quando stavo per varcare il confine del territorio Uchiha, sotto un masso, vidi un foglio svolazzare in balia del vento.
Con estrema delicatezza, per evitare di stracciare la carta bagnata, sollevai il sasso e sfilai il foglio. Era una pagina di diario, sicuramente di un diario femminile visto l’eleganza e la delicatezza dei kana che riempivano la pagina.
Ignorando la pioggia che con insistenza mi batteva le spalle, lessi avidamente il foglio e le sconcertanti parole che conteneva, per poi lasciarmi cadere nuovamente su quel suolo fangoso a fissare il cielo plumbeo, la pioggia che silenziosa si mescolava alle mie lacrime.
 
NdA: Mi scuso per la brevità del capitolo, ma è un capitolo transitorio. Spero di non aver deluso troppo le aspettative.
Vi ricordo che il reale protagonista è Sasuke, che agisce nell’ ambientazione del manga, mentre Naruto si trova in un futuro alternativo, dove Sasuke è il relitto di cui parla la vecchietta.
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo VIII ***


 
Sakura

 
«Cosa!», esclamò Suigetsu, la sua mascella che quasi sfiorava il pavimento, tanto era lo stupore che avevano provocato le mie parole.
«Vuoi tradire Madara? Perché?!», mi chiese, la sua voce impregnata di panico.
«Perché lo dico io», affermai caparbiamente, cercando di ignorare lo sguardo indagatore di Karin puntato su di me.
«E secondo te Konoha ci accoglierà a braccia aperte? Dopo che Pain ha distrutto l’intero villaggio, e tu ti sei unito all’Akatsuki? Confidi troppo nella buona sorte»
«E poi perché vorresti ritornare indietro, in quel villaggio che ha permesso lo sterminio dell’intero clan Uchiha, e bollato tuo fratello come traditore quando in realtà ha sventato un colpo di stato? Perché vuoi gettare al vento il piano che per tanto tempo hai cercato di portare in atto?», si intromise Juugo.
In effetti…
«Perché Madara non riuscirà a sconfiggere l’alleanza delle cinque nazioni»
«Le cinque nazioni unite? Bah! Impossibile!», mi derise Suigetsu.
«Fidati, accadrà. Credi seriamente che dopo la distruzione di Konoha, la morte del quarto mitsukage e il rapimento dell’ottocode, non si mobiliteranno insieme per far fronte ad un nemico comune? Ognuna nazione ha sempre agito per i propri interessi, e al momento l’ Akatsuki è il male che le accomuna nella difesa del loro interesse supremo: la sopravvivenza».
Quando terminai la mia ancorata filippica, vidi le loro facce sconvolte dall’inarrestabile flusso di spiegazioni che avevo appena vomitato.
Sasuke non argomenta, né tantomeno si limita a dara spiegazioni a chi considera inferiore a sé.
Incerta su come reagire allo scetticismo che iniziava a stravolgere i loro volti, girai sui tacchi e mi allontanai.
«Ma cos’ha?», sentii chiedere a Suigetsu.
Dopo essermi allontanata di parecchi metri, in modo da non dover sentire i commenti rivolti alla mia assurda decisione, mi sedetti per terra e cercai di calmare i battiti del mio cuore.
«Sei troppo stressato», mi disse Karin comparendomi alle spalle facendomi trasalire.
«Per tutti i kami!», esclamai spaventata voltandomi di scatto.
Mi ritrovai davanti il volto corrucciato di Karin.
Che fine aveva fatto Sasuke? non gli interessava riappropriarsi del suo corpo?
La rossa, con mio grande disagio e un pizzico di collera, si avvicinò con passo felino. I suoi fianchi che oscillavano ad ogni passo in quello che lei credeva essere un movimento sensuale.
«Sei strano ultimamente», mi disse.
«E tu stai diventando sempre più noiosa», le dissi rinfacciandole l’insulto che Sasuke mi riservava sempre.
Avrei dovuto gongolare, godere, di aver inflitto un colpo ben assestato all’orgoglio di quella donna che voleva circuire l’uomo che amavo, ma forse, dopo aver sperimentato per così tanto tempo l’umiliazione che solo quelle parole, pronunciate dalla persona che più si stima, riescono ad infliggere mi ero rammollita, in fin dei conti anche lei, come me, cercava approvazione e affetto.
Vidi le sue spalle accasciarsi sotto le macerie del suo fragile ego, demolito pezzo per pezzo dall’indifferenza.
Nello scorgere me stessa nella sua posa sconfitta, mi decisi di lasciar perdere quello che avrebbe fatto Sasuke, perché, in fondo, se eravamo entrati in guerra lo si doveva in buona parte a quell’Uchiha testardo.
«Non dovresti permettere a nessuno di trattarti in questo modo, soprattutto da colui che ami», le sussurrai con voce tremante.
«Lo sapevo! Dov’è Sasuke? Sta bene?», mi interrogò.
«Sicuramente se la passa meglio di me», bofonchiai.
«Chi sei?», mi chiese sospettosa.
«Sono Haruno Sakura e, a quanto pare, vengo dal futuro».
 
Sasuke
 
Vidi me stesso da piccolo, forse andavo ancora all’asilo. I miei occhi erano tondi ed enormi, come quelli che solo i bambini possiedono, pieni di stupore, spalancati per poter accogliere ogni minimo dettaglio di tutto ciò che li circonda.
Non appena il mio piccolo me si accorse di essere osservato da occhi indiscreti, i suoi occhi si chiusero a mo’ di fessure, le piccole sopracciglia corrucciate che convergevano al centro della fronte, lasciando ancora liscia e intatta la piccola fronte.
Con la coda dell’occhio riuscii a scovare la piccola spia che osservava ogni piccolo movimento del piccolo Sasuke.
Non appena vidi quei folti e vaporosi capelli rosa, così simili allo zucchero filato, il mio cuore perse un colpo.
Era Sakura!
Come un assetato che scorge una piccola pozza d’acqua dopo giorni di cammino tra le aride dune del deserto, bevvi ogni piccolo dettaglio di quel volto di porcellana dai lineamenti ancora infantili, ripercorrendo mentalmente ogni cambiamento che quel viso avrebbe subito nel corso della vita. Ma non appena i miei occhi incrociarono quelli verdi di lei rimasi pietrificato: già allora mi guardavano con cieca ed immutabile adorazione.
Inconsciamente feci un passo in avanti verso di lei, governato da un insano istinto di stringerla tra le mie braccia.
Lei voltò di scatto la testa verso di me, i suoi occhi che si spalancavano per la sorpresa.
Ero ipnotizzato.
Lei era sempre stata mia.
Feci un altro passo avanti tendendo un braccio verso di lei.
La vidi mordicchiarsi il labbro inferiore, come ogni qual volta che era nervosa o indecisa sul da farsi.
Quelle labbra erano destinate alle mie.
Compii un altro passo, trovandomi dinanzi a lei, il suo profumo che mi solleticava il naso.
Chiusi gli occhi e la strinsi a me.
«Saku…».
Uno schiaffò mi zittì facendomi rovinare a terra.
Riaprii gli occhi per subito richiuderli davanti al suo volto stravolto dal disgusto.
«Perché?», riuscii a chiedere, il mio cuore in procinto di rompersi di fronte a quel categorico rifiuto.
«Ehi Naruto! L’hai fatta grossa stavolta!», mi derise Shikamaru in versione miniatura.
Naruto?
Naruto!
Ero nel corpo del baka!
Mi alzai a sedere, lo sguardo fisso sulle punte dei sandali rovinati che il baka indossava sempre.
«Scusa», mi sussurrò Sakura passandomi accanto, le sue dite che delicatamente sfioravano il mio polso.
Alzai lo sguardo, ma non c’era più nessuno accanto a me.
Mi svegliai di soprassalto.
Il mio fiato grosso, spezzato dall’inaspettabile rompeva il silenzio che insieme alle tenebre mi avvolgevano.
Cosa significava quel sogno? E si trattava solo di un sogno, o era un episodio realmente accaduto?
«Non era un sogno», mi sussurrò una voce nell’oscurità.
«Stai finalmente iniziando a vedere quello che il tuo orgoglio e la tua superbia ti impedivano di scorgere».
«Non ti sei stancata di seguirmi ovunque?», ribattei a quella vecchia impicciona.
Il fievole bagliore delle stelle abbozzava in modo sfumato il suo naso curvo rendendo pozzi senza fondo le sue cavità oculari.
«Devi iniziare ad elaborare, Sasuke. Devi scegliere cosa fare quando la ritroverai», mi ricordò infastidendomi, perché sembrava dare voce a quella coscienza che per tanto tempo ho taciuto.
«Perché mi hai fatto rivivere quell’episodio, soprattutto nei panni di Naruto», ribattei cercando di ingoiare l’amaro che quel sogno mi aveva provocato.
«Lui è sempre stato presente per lei, anche quando lei non ne era del tutto consapevole, mentre tu… tu hai atteso che lei sacrificasse la sua vita, e nemmeno in quel momento hai preso coscienza del suo gesto, dell’importanza che lei ha sempre rappresentato per te. Eppure…», lasciò la frase in sospeso solleticando la mia collera.
Dovette accorgersene perché un sorriso soddisfatto le distese il viso pieno di rughe.
«Eppure?», cedetti alla curiosità.
«Eppure sei sempre stato geloso del rapporto che Naruto ha avuto con Sakura».
«Io geloso?!».
«Direi che si è fatto tardi», esclamò ignorando il mio sfogo. La osservai alzarsi e dirigersi verso il fitto bosco che mi circondava.
«Avrei una domanda», la informai.
Come avevo previsto si fermò.
Il silenzio tornò ad avvolgerci caricando di suspense la piccola radura.
«Cosa accadrà quando la ritroverò?».
«Un sacrificio richiede un sacrificio», mi rispose tetra per poi sparire.
Rimasi solo, sospeso in quella realtà che sembrava volermi sputare, rigettarmi come io avevo fatto con lei.
Alla fine il perdente sarò io.
 
Naruto
 
Erano passati tre giorni da quando avevo trovato quel foglio di carta. Tre giorni nei quali avevo ammirato ogni tratto d’inchiostro, in cui mi ero perso nella melodia che quelle parole riuscivano a farmi udire.
Un sacrificio, di questo si trattava.
Ripensai al comportamento apatico di Sasuke, alla tensione che emanava, come se fosse una bomba sul punto di esplodere.
Guardai, per l’ennesima volta, il volto sorridente e spensierato di Sakura, un volto immortalato in quel pezzo di carta, cancellato dalla mia memoria e da quella di Sasuke.
Non potevo fare a meno di domandarmi se io e Sasuke meritavamo un sacrificio di quella portata. Eravamo gli eroi del mondo ninja agli occhi di tutti, ma quando mi riflettevo in uno specchio non riuscivo a scorgere nulla dell’eroe tanto acclamato. Riuscivo a vedere solo un guscio vuoto che vegetava avvolto dalle seducenti acclamazioni gloriose che mi risuonavano in testa incessantemente.
Osservai una stella cadente scivolare oltre il monte degli Hokage.
Per qualche motivo sconosciuto sentivo l’impellente bisogno di raggiungerla, di afferrala tra le mie mani per evitare che si spegnesse del tutto.
Guardai la sveglia accanto al mio letto: segnava le quattro del mattino.
Troppo presto per cercare la compagnia di qualche amico, e troppo tardi per poter sperare di riprendere sonno.
Afferrai la foto e uscii.
 
Sakura

«Sapevo che qualcosa non quadrava», irruppe una voce alle mie spalle.
Sia io che Karin sobbalzammo nell’identificarla.
Madara ci sovrastava, i suoi occhi cremisi mi inchiodavano su quel terreno gelido.
«Dunque vieni dal futuro… credo proprio che avrò bisogno di una premonizione», sibila con un ghigno malefico.
Dove sei Sasuke?

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Capitolo 11
*** Capitolo IX ***


 

Capitolo IX


Sasuke

 

Il gelo avvolgeva il mio corpo, lo intorpidiva rendendolo insensibile ai richiami istintivi della mia coscienza che mi spronavano a reagire, a lottare per la vita.

Martoriato, sfoglio e disfatto era ridotto a un misero involucro di carne sanguinolenta, non ero più riconoscibile, non ero più un essere umano.

Il tempo, che altrimenti indefinito avrebbe continuato a scorrere per me, era scandito dal lieve e quasi impercettibile tintinnio del sangue che lentamente sgorgava dalle mie labbra. Riuscivo ancora ad assaporarne il suo aroma ferroso e a distinguere la sua viscosità nel mio palato.

Il resto era ombra, sfuggevole e inafferrabile così come un ricordo che fuggiva dalla mia coscienza sbeffeggiandomi sulla mia disfatta.

Freddo.

Solo a questo riuscivo a pensare, tutto il resto, gli amici, le persone che amavo, la mia carriera medica... tutto era stato cancellato, congelato dalla disperata richiesta del mio corpo di un po' di calore.

«Sakura! Sakura...».

Non riuscivo più a tenere gli occhi aperti, troppo stanca per lottare, troppo martoriata per poter sperare di cavarmela...

Lasciai che l'oscurità stendesse il suo sudario su ciò che rimaneva di me.

Una luce accecante mi investì all'improvviso scacciando la tenebra per lasciare posto a un vasto prato. Il cielo era limpido, neanche una nuvola osava solcarlo e rovinare la sua perfezione.

Il terreno era umido di brina, soffice sotto i miei piedi nudi.

«Ci sei riuscita», mi disse una voce alle mie spalle.

Sapevo di chi si trattava, e proprio per quella ragione rimasi immobile a fissare il panorama circostante.

«Hai preso una decisione?», continuò imperterrita la voce.

«No... lui non è mai arrivato», rivelai.

«Non è meritevole del sacrificio che hai fatto per lui...».

«Ogni persona merita di essere amata incondizionatamente, anche lui, anche Uchiha Sasuke!», la interruppi infervorandomi.

«Dunque? Lui non è riuscito a trovarti, non in tempo. Cosa vuoi fare ora? Pretendi il riscatto del tuo sacrificio o accetti la tua sorte?».

Guardai attentamente il volto di quella vecchia misteriosa riflettendo sulle sue parole, cercando una soluzione a quel dramma che era diventato la mia vita.

Non volevo alcun riscatto per il sacrificio che avevo fatto. Non avevo di certo donato la mia vita per poi prendermi quella di Sasuke. Ma non volevo nemmeno morire, scomparire in quel modo e lasciare che la guerra mietesse tutte quelle vite quando avevo l'opportunità di cambiare il futuro.

«So a cosa stai pensando, bambina, ma cambiare il futuro ha un costo molto oneroso», interruppe i miei pensieri la vecchia.

«Sono disposta ad accettarne le conseguenze», risposi.

Le labbra sottili e secche della vecchia si aprirono in un famelico sorriso.

«Soffrirai come mai nella tua vita», mi avvisò con occhi sbrilluccicanti di aspettativa.

Sfuggii a quegli occhi quasi famelici per ritornare ad osservare la vasta prateria che si estendeva di fronte a me.

Passo dopo passo mi ci addentrai nella speranza di poter rubare un ultimo istante di serenità. Sapevo cosa mi attendeva.

All'ennesimo passo verso quella pace, che ben presto mi sarebbe stata negata, i miei piedi calpestarono qualcosa di freddo e piatto. Mi chinai per scoprire di cosa si trattasse.

Era un coltello.

«Sei sicura della scelta che stai compiendo?», mi urlò la vecchia, la sua figura ormai indistinta dalla distanza che avevo frapposto tra i nostri corpi.

Non risposi.

Presi un respiro profondo e poi mi trafissi il petto, donando nuovamente la mia anima a colui che sicuramente non aveva nemmeno notato la mia morte.

 

Sasuke

Mentre correvo tra il fitto della foresta che mi circondava, incurante dei fiocchi di neve che mi gelavano il viso, una strana e sgradevole sensazione mi invase. Era come se un'infinità di spilli mi trafiggesse l'anima, una strana sensazione di inappartenenza e scomodità, come se qualcuno, o qualcosa, cercasse di strapparmi dal corpo di Sakura.

Sakura!

Fu questo l'ultimo mio pensiero cosciente, poi fui in balia di un dolore delirante che mi riportò davanti a ciò che ero ed ero stato, facendomi specchiare con il vero me stesso.

Ira, disgusto, rabbia e furia: erano questi i sentimenti che mi avevano guidato lungo tutta la mia vita. Sentimenti che mi rendevano indifferente verso la mia stessa vita. Certi giorni non riuscivo nemmeno ad osservare il mio riflesso nello specchio del bagno.

Ero sperduto in quell'oscuro labirinto di risentimento verso me stesso.

Vagavo alla ricerca di qualcosa che potesse riscattarmi: il potere, la gloria.

Vedevo i miei piedi sguazzare nelle pozzanghere raggiungere il quartiere del mio clan, sdraiarmi tutto infreddolito nel parquet della cucina ad osservare le ragnatele che proliferavano in assenza di altre forme di vita, nella speranza di veder ricomparire mia madre.

Ricordavo benissimo le notti che vi trascorrevo, avvolto dalla più tetra oscurità.

Un'altra fitta, stavolta al costato mi riportò in mente la prima volta che i miei occhi scrutarono con attenzione quelli di Sakura.

Era il giorno in cui furono formate le squadre.

Fu come se un timido e fievole raggio di sole squarciasse le tenebre che mi avvolgevano.

Così pieni di speranza solleticavano la mia coscienza, intimandole dello sbaglio che stavo ostinatamente compiendo.

Ma una parte di me mi intimava a non credere a quello che quegli occhi mi promettevano, altrimenti sarei diventato ancor più debole di quanto non fossi.

Così scaccia quel raggio di sole, spensi la speranza e fiducia in quegli occhi.

Uno spasmo alla gola mi impedì di respirare richiamandomi alla mente il suo tocco, gentile e deciso, delle sue dita poco prima di salvarmi dalla morte e prendere il mio posto.

Ignorando, per quanto mi fosse possibile, quel dolore lancinante che pervadeva il mio corpo, zoppicai fino al rifugio di Madara. Non appena ne varcai la soglia mi si gelò il sangue.

Le urla di Sakura rimbombavano tra le pareti di pietra nuda per rimbalzare nel mio cuore.

Corsi il più velocemente possibile nei sotterranei, ma era troppo tardi.

Sakura stava di fronte a Madara, i suoi occhi, anzi, i miei occhi, brillavano di sfida e speranza. Le labbra erano sollevate da un sorriso di vittoria.

Le sue mani, invece, stringevano un vecchio pugnale che affondava la sua lama nello stomaco.

«Sakura... tu», bisbigliai.

Non appena udì la mia voce mormorare sommessamente il suo nome, il suo sguardo incrociò il mio e il suo volto s'ammorbidì per l'amore che aveva sempre provato per me.

«Lo sapevo... sapevo che saresti arrivato», mi disse, ogni parola scandita da un rivolo di sangue.

«Ora tocca a te, Sasuke», sussurrò prima di accasciarsi a terra, proprio come un fiore di ciliegio che al massimo del suo splendore cade dolcemente al suolo.

Rivederla inerte ai miei piedi un'altra volta, un'altra volta a causa della mia negligenza mi mandò in frantumi. Nulla più esisteva per me, il mondo intero era scomparso, poiché senza lei, senza i suoi occhi pieni di amore e di comprensione, senza il suo tocco incoraggiante e confortevole, nulla aveva più senso. Proprio come il suo sacrificio.

Un sacrificio richiede un sacrificio.

Lentamente, incurante della presenza di Madara, mi avvicinai a lei. Pur essendo il mio corpo quello riverso a terra, vedevo lei, con i suoi capelli sparpagliati al suolo, le labbra esangui, e un foro al posto del cuore. Le gambe mi cedettero sotto il peso della consapevolezza di ciò che avevo perduto nuovamente.

Sasuke-kun.

Sasuke-kun... mi hai dimenticato?

Strisciai fino a quando la mia mano tremante non arrivò a stringere la sua.

Non l'avrei mai più dimenticata.

Sasuke-kun...

Le mie dita intorpidite strinsero per l'ultima volta le sue.

Un sacrificio richiede un altro sacrificio, è come un debito.

Sfilai il pugnale dalla sua presa ormai molle.

Sono innamorata di te, Sasuke-kun.

Strinsi l'elsa con tutte le forze che mi rimanevano.

Grazie Sakura.

Affondai il pugnale e il buio mi avvolse.

 

Naruto

Osservavo l'alba sorgere ed illuminare il paesaggio circostante.

Tutto era così silenzioso e immobile da infondere un senso di estrema calma.

Trassi un profondo respiro e poi, con estrema lentezza, come quando si accetta di lasciar andare un ricordo a noi caro, espirai.

In quel semplice atto qualcosa cambiò e mutò, come se il mondo avesse iniziato a girare in moto antiorario.

Un senso di perdita si fece largo in me, lento e forte come l'azione erosiva dell'acqua.

«Cosa ci fai qui?», mi richiamò la voce di Sasuke.

Mi voltai di scatto.

«Io... stai bene?», gli chiesi, alquanto sconvolto dal vederlo con gli occhi arrossati e pieni di lacrime.

«No», mi rispose sedendosi accanto a me, gli occhi rivolti al panorama.

«Lei è morta qui, a causa nostra».

«Ti sei ricordato?», gli chiesi.

I suoi occhi, determinati come non mai mi scrutarono.

«Sì, e dobbiamo riportarla a noi».

«Come?».

Non mi rispose. Si limitò ad alzarsi a ritornare al villaggio.

In quel momento notai qualcosa di strano: al polso destro riportava nuovamente un filo rosso intrecciato.

Solo qualche ora dopo feci ritorno al villaggio. Andai all'appartamento di Sasuke, ma di lui non vi era traccia.

«Dove si è cacciato?».

Feci ritorno a casa, e solo quando misi piede nel mio fatiscente appartamento capii dove si trovava l'Uchiha.

«Di chi è questo quadro?», mi chiese indicando il ritratto di Sakura impegnata in un rituale shintoista.

«L'ha fatto Sai».

«Dobbiamo trovare la vecchia».

«Perché?», domandai.

«Perché dobbiamo fare un sacrificio».

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo X ***


Sakura

 

Quando si viene messi al mondo, non c'è spazio tra i nostri pensieri per la morte. La disconosciamo per molto tempo di quello che costituisce la nostra infanzia.

Tutti ci difendono dalla morte, nessuno la nomina in presenza dei bambini, la si trasforma in qualcosa di bello, in una gratificazione dopo aver sofferto molto su questo pianeta. La si rende sacra, un'ascesi spirituale.

Non so di preciso quando le persone attorno a me iniziarono a parlarne senza badare più di tanto a me.

Né ho mai fatto attenzione a quando il concetto stesso della morte mi sia divenuto familiare e naturale.

Forse non facciamo caso a tutto ciò perché ci convinciamo che la morte ci toccherà solo in vecchiaia, quando non avremo più nulla da perdere se non vecchi ricordi di altre epoche.

Eppure siamo ninja, sprezzanti della vita la mettiamo a rischio con missioni impossibili. Le nostre gioventù, quasi in ogni generazione, vengono falciate da guerre di vaste proporzioni.

Nondimeno rimaniamo indifferenti alla morte, che da un angolino ci osserva famelica.

Io li ho visti quegli occhi, luccicanti come ametiste per l'aspettativa di prendere a sé nuove vite. Ingorda e senza freno mi ha fatta sua strappandomi al mondo e alla vita che mi legava ad esso.

In molti hanno osato sfidarla nell'impresa di riprendersi il tempo che gli apparteneva, e in molti hanno fallito, costretti a sbiadire per sempre come fantasmi. Quel giorno, nel covo di Madara, ho alzato la testa e i miei occhi hanno incrociato quelli beffardi di lei.

L'ho sfidata.

Le ho tolto dalle mani la mia vita per porla in quelle di Sasuke.

Speravo che il mio sacrificio bastasse almeno a salvare la sua di vita.

 

Sasuke

Un lancinante dolore alla tempia destra mi riportò alla coscienza.

L'odore sanguigno e nauseabondo del sangue mi pervase le narici riportandomi alla mente la morte di Sakura.

Aprii lentamente gli occhi prestando estrema attenzione ai vari rumori che mi circondavano.

Silenzio, solo assoluto silenzio.

Mi alzai a sedere e notai che di Madara non c'era più traccia.

Un sospiro di sollievo mi uscì dal petto per essere subito risucchiato dall'orrore.

Accanto a me, riverso in una pozza di sangue, c'era il corpo di Sakura ritornato nelle sue sembianze.

I suoi capelli avevano una sfumatura più rossastra. La sua pelle, già diafana di natura, era diventata grigiastra.

E i suoi occhi... i suoi occhi erano spalancati e opachi, privi di qualsiasi luccichio vitale, di un verde appassito.

«Nooooo», mi lamentai, incapace di contenere quelle emozioni che avevo da poco scoperto di possedere anch'io.

Allungai una mano per sfiorare quella pelle setosa, per poi chiuderle gli occhi.

Non so quanto tempo rimasi lì, in ginocchio, sconfitto.

«Bene bene, guarda chi è arrivato, finalmente», gracchiò quella fastidiosa voce.

«Sei arrivato troppo tardi, l'hai perduta per sempre».

Mi alzai di scatto e le puntai alla gola quel maledetto pugnale.

«Tu la riporterai in vita, da me», le ringhiai.

«Credi di intimorirmi?», mi sfidò ridacchiando.

Le affondai il coltello nella giugulare, ma non ne fuoriuscì sangue, ma una strana sostanza fumogena scura, dall'odore acre dei corpi in decomposizione.

«Come hai osato?!», sibilò.

«Tu, comune mortale, non sai cosa hai fatto», mi minacciò alzando una mano verso di me.

Improvvisamente mi sentii debole, prosciugato di tutte le mie forze vitali.

«Io la rivoglio», le dissi.

«Quale prezzo sei disposto a pagare?».

Ancora quella maledetta domanda.

«Dimmi qual è il prezzo che devo pagare e lo pagherò».

«Sai cosa sono, Sasuke?», mi domandò improvvisamente con dolcezza.

Rimasi in silenzio.

«Lo intuisci, lo vedo nei tuoi occhi, il timore che voi umani provate nei miei confronti. Tutto quello che ti circonda, la vita stessa, è un ciclo in continuo equilibrio. Nulla nasce senza la morte di qualcos'altro o di qualcun altro. Nessuna vita è fine a se stessa, così come non lo è la morte. Vita e morte, odio e amore, sono tutti facce della stessa medaglia, senza l'una non può esistere l'altra.

Vedi, Sakura ha offerto la sua vita in cambio della tua scombussolando quest'equilibrio».

«Una vita per una vita», mormorai.

«Sì, di norma è questo il principio che governa il caos. Ma vedi, tu hai estirpato troppe vite, hai manomesso l'equilibrio vitale di questo mondo. Hai privato una spropositata moltitudine di bambini dei propri genitori. Hai sparso la morte contro il suo naturale corso.

La tua vita non vale una sola vita, ma migliaia. Lo scambio di Sakura non è equo».

«Vuoi la mia vita», dedussi.

«Oh no, quella è stata in parte ripagata. Ma, Sasuke, cos'è la vita, il tempo, senza uno scopo? Viverla sapendo di non poter raggiungere la felicità, di non poter mai avere quello che desideri realmente? Ti avevo avvertito che il bivio si avvicinava».

«Cosa vuoi?».

«Sakura ha fatto un ulteriore sacrificio»

«Cosa?!».

«Ha ceduto la sua anima per darti l'occasione di cambiare il passato. Lei ha pagato il suo prezzo, ora tocca a te decidere se pagare il tuo».

Alzò una mano e il corpo di Sakura iniziò a dissolversi davanti ai miei occhi.

«No....no...nono!», ansimai cercando di trattenere il suo corpo.

«Lei sta soffrendo pene indicibili, Sasuke, nell'attesa della tua decisione. E se fallirai, lei non sarà mai esistita e continuerà a soffrire per l'eternità. Rifletti Sasuke».

Quelle furono le ultime parole che udii.

Il sole stava tramontando colorando il cielo di una arancio vermiglio. Alcune nuvole si profilavano all'orizzonte aleggiando sul monte degli hokage.

Una lieve melodia, appena abbozzata da un sommesso canticchiare mi giunse alle orecchie, dolce e melodica come i motivetti che mi cantava mia madre da piccolo.

I miei occhi scrutavano il panorama che sovrastavo, cercando di individuare la fonte di quel dolce suono che mi solleticava il cuore.

Si trattava di una ragazza dai capelli rosa che trasportava una quantità indefinita di buste.

Scavalcai la recinzione sulla quale stavo appollaiato per correre in suo aiuto.

"Ti serve una mano?", le chiesi gentilmente.

Una delle innumerevoli buste le scivolò di mano riversando a terra un mucchio di mele rosse.

"Scusami, non volevo spaventarti, ma ti avev...".

Ognuna delle parole che volevo pronunciare mi appassì sulla punta della lingua, non appena i miei occhi incrociarono i suoi.

Erano enormi, vasti e verdi come floride praterie del Pase dell'erba, così familiari e al tempo stesso enigmatici.

"Ci... ci conosciamo?", le chiesi.

"N...noo", mi sussurrò.

"Sono Sasuke Uchiha", mi presentai tendendole la mano.

"Sakura Haruno", mi risponse stringendola nella sua.

Il contatto della sua pelle con la mia mi trasmise calore e pace, come se finalmente fossi approdato a casa dopo un tempo infinito.

"Posso accompagnarti a casa, Sakura?".

"Grazie, sei troppo gentile", mi rispose con un sorriso.

Camminammo l'uno vicino all'altra, le nostre spalle che timidamente si sfioravano alla ricerca di un contatto.

Una strana sensazione mi avvolgeva, come se potessi fare a meno di lei.

Tutto il mio corpo era proteso verso di lei, coordinato con il suo.

I miei occhi non riuscivano a non cedere alla tentazione di sbirciare furtivamente il suo profilo.

Chi era?

"Qualcosa non va?", mi chiese quando mi beccò per l'ennesima volta a fissarla di sottecchi.

"No... solo... niente", borbottai infastidito dalla mia improvvisa timidezza.

Arrivati sotto casa sua avevo le mani sudatissime, il cuore mi batteva all'impazzata per l'aspettativa e il terrore di non rivederla più.

"Sakura...".

"Sasuke-kun...", bisbigliò di rimando.

Sentirle pronunciare il mio nome con quel -kun mi fece ulteriormente accelerare i battiti cardiaci. Incerto mi avvicinai a lei, fino a quando la punta delle mie scarpe non toccò le sue. Con una mano le scostai una ciocca di quei meravigliosi capelli e la baciai, un lieve e quasi impercettibile sfioramento di labbra, eppure non mi ero mai sentito vivo come in quel momento.

Era stato perfetto, timido e sfrontato al tempo stesso.

Mai cosa mi apparve più giusta.

"Ti posso rivedere?", le sussurrai, la mia fronte poggiata alla sua.

"Sì".

"Domani mattina, lungo la riva est del fiume".

"Domani, non mancherò".

Così ci salutammo.

La notte lasciò posto al sorgere del sole. Dalla finestra della mia camera potevo scorgere i raggi del sole illuminare le tenebre scacciando le stelle.

Una dolce melodia appena fischiettata attirò la mia attenzione. Mi sporsi fuori dalla finestra per individuare chi la canticchiasse, e non appena ebbi scorto una ragazza dagli insoliti capelli rosa passeggiare spensierata per la strada sottostante, un senso di disagio mi pervase, come se stessi dimenticando qualcosa d'importante.

Istintivamente scesi giù in strada avvicinandomi sempre di più a lei.

Qualcosa si agitava dentro di me, un disagio che solleticava una parte remota di me.

Allungai una mano come per afferrare una di quelle rosee ciocche di capelli, ma... alla fine, come una candela che si spegne del tutto, la lascia andare.

Ritornai in casa fischiettando quella dolce e struggente melodia.

Un getto d'acqua fredda mi fece rinvenire.

«Devo rinunciare a lei», dissi alla vecchia.

«Vi cercherete in eterno senza mai trovarvi. Non vi ricorderete dei vostri incontri».

L'inferno, era questo che mi stava offrendo.

«Hai deciso?».

«Cosa devo fare?»

Mi prese il braccio destro, dove stranamente portavo al polso nuovamente il filo rosso intrecciato, e lo recise di netto.

Osservai il filo rosso cadere a terra.

Mi sentivo anch'io tagliato a metà.

«Hai una guerra da vincere, ora», mi disse per poi voltarsi e sparire.

«Aspetta», le intimai.

«Se sconfiggo Madara tutto tornerà a posto? Non ricorderemo nulla di tutto ciò? Il debito di Sakura sarà saldato?»

«Hai paura di ritornare a disprezzarla e ignorarla?»

Rimasi in silenzio, troppo avvilito e amareggiato per quello scenario che molto probabilmente si sarebbe riproposto.

«Ancora non hai imparato a credere nel destino, Sasuke? Lei è sempre stata destinata a te, sin da bambina. Non hai imparato niente? Come puoi non temere la morte, ma l'amore? Perché continui a scappare?»

Perché dopo che iniziavo ad amare qualcuno questo moriva, lasciandomi in balia del vero dolore.

«Non credi che sia uguale anche per chi ti ama? Pensa a Sakura quando cercò di non farti abbandonare il villaggio per unirti ad Orochimaru, o cosa ha provato quando ha saputo che eri diventato un ricercato di classe S. L'amore non è mai a senso unico, Sasuke.»

«Non hai risposto alla mia domanda», le feci notare.

«Perché pensavo che avessi afferrato il concetto. Non riavrai più indietro Sakura, non nei tuoi ricordi perlomeno. Sarete costretti a rincorrervi senza mai potervi trovare. Ti avevo avvertito che il momento della tua scelta si stava avvicinando, ma tu non hai fatto nulla e quel momento è passato. Questo è il destino che vi attende Sasuke: questo è il destino che tu hai scelto per tutte e due. Puoi solo lottare per non rendere vano il suo sacrificio».

«E poi la riporterai in vita?», domandai scettico e speranzoso al tempo stesso.

Mi lanciò uno sguardo carico di compassione e divertimento al tempo stesso, poi scomparve.

Non era possibile che non si potesse rimediare a quella situazione. Non dopo aver scoperto i miei sentimenti per Sakura, non ora. Osservai nuovamente il filo reciso, e un senso di ribellione si fece strada in me. Ero Sasuke Uschiha, non avrei permesso a niente e nessuno di dirmi cosa fare e non fare. Presi il filo e lo nascosi all'interno della giacca del mio kimono.

Ora dovevo trovare Madara.

 

Naruto

«Mi dici come facciamo a trovare questa vecchietta? Konha è strapiena di vecchiette!», mi lamentai.

«Taci baka!», mi intimò

Era ritornato il Sasuke di cui conservavo un vago ricordo.

Mentre vagavamo per lei vie di Konoha il mio sguardo ricadde sul braccialetto che gli cingeva il polso.

«Hai deciso di rimettere il bracciale?», gli chiesi.

Si fermò all'istante, costringendo anche me ad arrestare il mio passo di marcia per non finirgli addosso. Teneva il capo chino, gli occhi fissati con estrema concentrazione sul filo rosso che gli cingeva il polso, come se si trattasse di qualcosa di strano.

«Sasuke...? Tutto bene?».

Non mi rispose.

«Che tipo di sacrificio dobbiamo fare?», gli chiesi in un sussurro.

Lentamente si voltò verso di me, i suoi occhi, annebbiati dal dolore e dalla disperazione, sfuggivano ai miei.

«Sasuke?», cercai di richiamare la sua attenzione.

«Dobbiamo dividerci per trovarla il prima possibile. Io mi occupo della zona ovest del villaggio», mi informò prima di voltarmi le spalle e sparire.

Rimasi immobile, troppo spiazzato e basito anche solo per tentare di fermarlo.

Qualcosa non tornava, non era da Sasuke essere così preoccupato senza un valido motivo.

Riosservai il dipinto di Sai che ritraeva me e Sakura durante un rito shintoista.

Che fosse quel rito a preoccupare Sasuke?

Osservai con più attenzione la figura di Sakura e notai che le sue mani tenevano qualcosa di bianco tra le mani: un fazzoletto?

Immediatamente infilai una mano nella tasca dei miei pantaloni ed estrassi il pezzo di carta che avevo trovato alla valle d'epilogo.

Ecco cosa aveva fatto Sakura!

 

Sasuke

Dovevo trovare il prima possibile Madara, anche se sapevo in cuor mio di non avere speranze nel compiere tale impresa da solo.

Dovevo cercare di convincere Naruto a estirpare per primo l'albero del chackra.

Solo quel baka poteva aiutarmi: dovevo farmi trovare da lui.

 

Sakura

Buio, nero denso e appiccicoso come la pece.

L'odore acre del mio sangue mi riempiva le narici, e il suo sapore ferroso mi inondava il palato.

Alla cieca mi passai una mano sul petto, individuando il foro che mi ero procurata pugnalandomi.

Il fiato mi usciva a singulti tra i denti serrati per il dolore.

Come potevo essere ancora viva?

Io... ero morta, quindi perché mi trovavo accovacciata in quel posto?

«Perché sei una noiosa nullità che sa solo piangere», mi rispose la sua voce, quella voce che tanto amavo.

«Sasuke-kun? Cosa ci fai qui?», chiesi col fiato grosso.

«Non volevo perdermi lo spettacolo»

«Quale spettacolo?»

«Tu che crolli dopo aver scoperto quanto sei stupida e ingenua».

Avvertii un spostamento d'aria all'altezza del mio viso, così dedussi che si fosse accovacciato di fronte a me.

Lottando contro il dolore sordo che mi scuoteva sin dalle ossa, allungai una mano titubante verso il buio in cui speravo di trovare il suo viso.

Non appena la mia mano toccò il suo viso tirai un sospiro di sollievo.

«Sasuke-kun...»

«Saresti dovuta rimanere con Naruto», mi rimproverò.

Tutti i muscoli del mio corpo si irrigidirono quando udii lo stridente rumore del chidori.

«Sasuke-kun?»

«Non ho chiesto nessun sacrificio da parte tua, quindi non sperare che venga a salvarti», m'informò crudele.

Panico, rabbia e tormento mi invasero, poi solo dolore e agonia.

La sua mano trapassò per la seconda volta il mio petto squarciandomi il cuore.

«Vediamo quanto resisterai, Sakura», mi chiese prima di svanire.

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Capitolo 13
*** Capitolo XI ***


Sakura

Relatività. Di sicuro è la relatività il principio che governa le nostre esistenze, che le plasma a suo piacimento persuadendoci, con le sue stravaganti ragioni, di determinati ed inossidabili aspetti della realtà.

Non sapevo da quanto tempo mi trovassi rinchiusa in quel buco nero. Il tempo veniva orrendamente scandito dalle mie sofferenze e dalle mie paure.

Ore, giorni, mesi, anni. Tutto mi appariva sfocato.

Eppure, per quanto in fin dei conti sia irrazionale, mi aggrappai alla più solida delle mie convinzioni: il tempo. Il tempo scorre e fluisce, ordina e predispone gli eventi, rappresenta il concetto originario e primitivo della vita stessa: il cambiamento.

E se lo omettessimo. Se togliessimo dell'equazione esistenziale il fattore temporale, allora, quale sarà il risultato di essa? L'immortalità? La gloria? L'eterna felicità?

Credo che dipenda dallo stato iniziale in cui ci troviamo. Io non ero felice. Non ero nemmeno viva. Ero solo un ricordo privo di anima. Eppure soffrivo, provavo dolore, rabbia, tristezza e malinconia.

Inizialmente lottavo contro me stessa per tutelare quel piccolo germoglio di speranza, residuo del mio ultimo e breve incontro con Sasuke.

Quando venivo frustrata e smembrata da quelle creature demoniache che mi sorvegliavano, mi rifugiavo nel ricordo dei suoi occhi di melassa luccicanti di emozioni. Era venuto a salvarmi, doveva significare qualcosa.

Ma più le torture diventavano realistiche, più il dolore che mi veniva inferto scavava le cicatrici del mio passato, più quel ricordo veniva contaminato. Così, quando venivo costretta a rivivere la mia morte per mano di Sasuke, i suoi occhi non mostravano più alcun interesse per me. Erano ritornati duri e insofferenti.

Arrivai a chiedermi se non fossi diventata pazza, dopotutto stavo parlando di Uchiha Sakuke: lui non provava nulla per chi non fosse un Uchiha, ed io non lo ero.

Non so quando, ma arrivò: il mio punto di rottura.

Immersa nelle tenebre maleodoranti di sofferenza e cordoglio, stavo rannicchiata su me stessa quando arrivò lui. Non dovetti nemmeno tentare di scrutare la sua sagoma, riconoscevo lo scalpiccio sicuro della sua camminata fiera.

"Non hai proprio nessun senso dell'amor proprio, vero?", mi stuzzicò.

Rimasi in silenzio, troppo concentrata nel tentar di reprimere le lacrime che volevano scavalcare le mie ciglia.

"Eri davvero convinta che bastasse la tua morte per farti notare da me?", continuò accovacciandosi al mio fianco.

"Ti rivelerò un segreto", mi alitò all'orecchio provocandomi una scarica di adrenalina.

"è stato Naruto a ricordarsi di te. Solo per lui la tua morte ha avuto un significato. Per me era come se non fossi mai esistita, e sai perché?", mi domandò sollecito.

"Perché per te non sono mai esistita", risposi facendomi coraggio.

"Esatto. Quindi non ha senso che tu continui a sopportare questa sofferenza", mi disse con voce pacata porgendomi un pugnale.

"No", bisbiglia scostando il pugnale fuori dalla mia portata.

"No?".

"Io l'ho fatto per te. Per te ho rinunciato alla mia vita, e non perché volevo un tornaconto, né la tua attenzione. Io volevo solo che tu continuassi a vivere Sasuke. Nient'alto. Disprezzami pure se vuoi, ma almeno sei vivo, sei libero di ricominciare daccapo".

"Nient'altro ti importa? Nemmeno dover passare l'eternità tappata in questo buco?".

"No".

"Mettiamo alla prova la tua caparbietà Sakura".

Mi fece alzare. Il mio povero corpo urlava di dolore.

"Ecco il risultato del tuo sacrificio", mi disse schioccando le dita.

Le tenebre si diradarono lasciando spazio ad un'accecante luce bianca.

Davanti a me uno specchio che non rifletteva nulla, come se io fossi realmente un fantasma.

"Guarda cosa sta facendo il tuo amato Sasuke", mi sibilò la voce del fasullo Sasuke al mio orecchio.

Lo specchio iniziò a tremolare liquefacendosi, e mi mostrò l'immagine di Sasuke, il vero Sasuke, seduto in disparte sopra un tetto di Konoha. Il suo volto era carico di rabbia e risentimento. Arrivò Naruto, anch'egli col volto annebbiato da emozioni negative. I due iniziarono a discutere animatamente, poi....

Chiusi gli occhi e mi accasciai a terra. Non riuscivo a credere a quello che mi fu mostrato. Il mio sacrificio era stato del tutto inutile: Sasuke e Naruto erano destinati a sterminarsi a vicenda.

"Non riesci a vedere il tuo amato morire? Ti credevo più coraggiosa", mi derise la voce.

Aprii gli occhi e li riportai allo specchio. Silenziose lacrime iniziarono a bagnarmi il viso.

Mi era intollerabile la vista di quegli occhi neri privi della solita arguzia e sfrontatezza, opachi dal passaggio della morte.

Poi lo scenario cambiò, e l'immagine che mi fu mostrata fu la mia da morta. Osservare gli enormi buchi che mi squarciavano il petto mi provocò un fremito di rabbia.

"A cosa è servito Sakura? A cosa? Sai quanto dolore hanno dovuto provare i tuoi genitori? E Ino, Hinata, Ten Ten, Naruto...?".

"Hai mai riflettuto sul senso di colpa che avresti scatenato in Naruto nel renderlo colpevole della tua morte? Ci hai mai pensato, o per te tutto è secondario e sacrificabile per Sasuke?".

"BASTA!", irruppi.

"Ti prego basta", sussurrai stremata.

"Non sei destinata a fare l'eroina Sakura. Non sei abbastanza forte, abbastanza importante per cambiare gli equilibri di questa realtà".

"Lo so.... Io, avevo.... Speravo di poter salvare entrambi".

"Invece li hai condannati. Ma per te non è troppo tardi bambina mia".

Nell'udire la voce della vecchia mi voltai di scatto.

"Sei ancora in tempo per riavere indietro la tua anima e scappare da questo inferno", mi disse suadente.

"Come?".

Mi tese il pugnale. Osservai la vecchia lama scrutandovi il mio riflesso.

Vidi i miei occhi gonfi, il viso pieno di ematomi e le labbra spaccate. Perché mi ero intestardita a voler soffrire così?

"Fallo. Poni fine a quest'inutile sofferenza".

Il mio polso tremava per l'incertezza che mi governava.

"Fallo, prima che sia troppo tardi!", mi ordinò afferrandomi il polso per guidarmi nel suicidio.

I miei occhi si appigliarono a un particolare fino ad allora trascurato.

Il mio polso era cinto dal filo rosso.

Sgranai gli occhi per la sorpresa, ma fu troppo tardi, il buio mi inghiottì una volta per tutte.

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Capitolo 14
*** Capitolo XII ***


Sasuke
Un tiepido raggio di sole mi scaldava il volto. Fu questo a svegliarmi, unito al fievole ma persistente frinire dei grilli. Lentamente aprii un occhio. La prima cosa che vidi non fu il soffitto della mia camera da letto, ma la vastità turchina del cielo, imbiancato qua e là da soffici nubi bianche.
“Ecco dove ti eri nascosto”, esclamò la voce di Naruto, squillante come una tromba.
Ancora frastornato mi sollevai a sedere per poter rendermi meglio conto di dove mi trovassi. Notai i miei piedi inzaccherati di fango ormai secco.
Osservai i folti alberi che mi circondavano : ero alla valle dell’epilogo.
“Se non volevi venire con noi potevi semplicemente dirlo”, si stava lagnando Naruto.
“Scusami Naruto”, gli dissi distrattamente, troppo impegnato a ricordarmi cosa avessi fatto la sera precedente.
“Sicuro di stare bene? Non hai una bella cera”.
Perché ero arrivato fin quassù, e anche senza scarpe? Qualcosa mi stava sfuggendo. Qualcosa di importante.
“Sasuke?”.
“Sì?”, chiesi voltandomi verso il baka.
“Cosa c’è che non va?”.
Stavo quasi per raccontargli di questa strana sensazione, ma notai la sua faccia già sconvolta.
“Niente”, surclassai.
“Lo sai che con me puoi parlare, vero? Non devi tenerti tutto dentro”, mi disse supplichevole.
“Ho imparato la lezione Naruto”, lo rassicurai.
Quando vidi la sua bionda testa sparire oltre il pendio mi ributtai sdraiato sul terreno a rimuginare sui miei pensieri.
“Cosa mi sta accadendo?”.
Portai le mani sopra il viso scrutandole con occhio clinico, e allora notai che mancava il bracciale. Che lo avessi perso?
Qualche ora dopo feci ritorno al villaggio, i piedi doloranti e la testa che sembrava sul punto di scoppiare.
“Tutto bene?”, mi chiese una voce sottile e timida.
“Sì, sto bene”, risposi in malo modo senza nemmeno voltarmi verso colei che mi stava rivolgendo la parola.
“Non sembra che tu stia bene”, continuò con una punta di sfrontatezza.
“Allora perché me lo hai chiesto?”.
“Cortesia”.
“Allora sii cortese e lasciami in pace”, grugnii per dirigermi verso casa.
Una mano mi afferrò per il polso fermandomi sul posto.
“Non posso più essere cortese con te”, mi rimbeccò la voce.
Indignato per un gesto così audace mi voltai, pronto a sputar veleno su quell’insolente, ma….
Non appena i miei occhi incrociarono quelli di lei, un flashback mi investì. Conoscevo quegli occhi, quelle labbra morbide e calde.
“Permettimi di darti un’occhiata”, mi stava chiedendo guardinga.
“Sto bene”, asserii poco convinto.
“Ne dubito”.
“Per quale motivo? Sai almeno con chi stai parlando?”.
Alla mia domanda i suoi occhi si ridussero a fessure.
“Certo che so con chi parlo”.
“Allora?”, la incitai.
“Soffri di amnesia?”, mi chiese perplessa.
“Come?”, chiesi perplesso.
“Hai dimenticato il tuo nome?”.
“Io? No!”.
“Ah…. Allora soffri solo di egocentrismo”, sbuffò.
Rimasi completamente sbalordito da quella risposta che mi lasciò letteralmente a bocca aperta.
I suoi occhi, del verde più verde che avessi visto, lasciarono i miei occhi per guardarsi in torno. Poi mi si avvicinò ancor di più, e con una delicata pressione della mano mi richiuse la bocca.
“Se qualcuno ti vedesse così, imbambolato come un pesce palla, ne verrebbe meno la tua reputazione di eroe, Sasuke Uchiha”.
Non potei fare a meno di sorridere.
“Ti hanno mai detto che sei impertinente?”.
“Una volta o due”.
“Mi ricordi il tuo nome?”, le chiesi.
“Ricordare?”.
“Mi sembra di averti già conosciuta”.
“Non  credo proprio. Me lo ricorderei se l’affascinante eroe di tutto il mondo ninja mi avesse rivolto la parola”, mi rispose amareggiata.
“Così sono affascinante?”.
“Giusto un po’. È  tutto merito dei tuoi occhioni neri sempre pensierosi e insondabili. E di questi capelli scarmigliati, e…”.
“E?”, chiesi gongolando.
“E… non lo so”, mi rispose arrossendo con una risata imbarazzata.
“Non mi hai detto il tuo nome”, ripresi.
“Lo so”.
“Non mi vuoi dire come ti chiami? Perché?”.
“Sei un estraneo per me, Sasuke”.
“Un estraneo? Ma se non c’è uomo, donna o bambino al mondo che non conosca tutto del mio passato”, sbottai.
I suoi occhi si riempirono di compassione, e per questo la odiai.
“Hai ragione”, mi disse sollevandosi un fianco della maglietta.
“Che fai?”, le chiesi cercando di bloccarle le mani.
“Shss. Lasciami fare”, mi pregò.
Il tessuto logoro della maglietta rivelò una lunga cicatrice frastagliata che  le deturpava il fianco.
“Come?”, le chiesi in sussurro.
“La guerra”, mi rispose.
Poggiai la mia fronte sulla sua.
“Mi dispiace”, le dissi incurante degli sguardi dei passanti.
“Anche a me”, mi rispose, e sapevo che non si riferiva alla sua cicatrice, bensì alle mie.
“Così siamo pari”, mi disse all’orecchio.
“Io so un po’ del tuo passato, e tu un po’ del mio”, mi spiegò.
“Non mi basta”, le confidai.
“Il passato non basta mai Sasuke, è il presente, quello che siamo oggi, che vogliamo”.
“Chi sei tu oggi?”, le chiesi.
“Non lo so”, bisbigliò impaurita.
Le accarezzai il viso con l’intento di darle conforto.
“Nemmeno io”, le confidai.
Alché  anche lei replicò la mia carezza. Davanti ai miei occhi apparve un bracciale identico al mio.
“Dove hai preso questo?”, le domandai indicandole il filo che le cingeva il poso con complessi intrecci.
Il suo viso si corrucciò.
“Io… non ci avevo fatto caso”, mi rispose.
“SASUKEEEE!!!”, mi chiamò Naruto.
Il suono della sua voce impicciona ci separò.
“Devo andare”, mi disse.
“Ti posso vedere stasera?”, le chiesi speranzoso, il cuore che mi batteva a mille, timoroso di un rifiuto.
“Sì”, bisbigliò di colpo intimidita.
“Dove posso trovarti?”.
“All’ospedale di Konoha, dopo le sette”.
“Ci sarò”, le dissi lasciandola andare.
 
Naruto
 
Stavo discendendo la valle dell’epilogo. Con la coda dell’occhio riuscivo ancora a intravedere la sagoma stravolta e scarmigliata di Sasuke. Da troppo tempo non era più se stesso, ma solo una versione annacquata di sé. Ero immerso nelle mie congetture e preoccupazioni quando intravidi qualcosa sbucare fuori da sotto un sasso. Era un braccialetto di filo rosso intrecciato, un simbolo della credenza shintoista.
Cosa ci faceva lì? Che appartenesse a Sasuke?
Mi acquattai sul terreno scosceso, attento a ridurre al minimo la mia presenza, ed osservai Sasuke lasciarsi ricadere sul terreno.
Cosa gli passava per la testa?
Sempre più confuso e preoccupato afferrai il bracciale e feci ritorno a Konoha.
 
Sasuke
Erano le otto in punto, almeno questo era l’orario che segnavano le lancette dell’orologio affisso fuori l’ospedale. Con le spalle poggiate sui muri scrostati di intonaco, osservavo il via vai di persone che affluivano alla ricerca di cure e soccorso.
Ero nervoso, lo ammetto. Lo ero perché non riuscivo più a comprendere me stesso. Come potevo io, il vendicatore di Konoha, un ex ricercato di categoria S, invaghirsi ad un solo sguardo di una ragazza?
Cosa c’era in lei che mi attraeva in modo così convulso?
Mi guardai le mani, e in esse rividi il sangue innocente che avevo versato per il mio tornaconto.
“Sei venuto”.
La sua voce mi distrasse dai miei tormenti.
“Non potevo mancare”.
Mi sorrise con estrema dolcezza, come se quelle parole artefatte per lei nascondessero un recondito significato.
“Andiamo”, mi propose tendendomi la mano.
Potevo sentire su di noi gli sguardi civettuoli delle altre infermiere.
Lei seguì il mio sguardo e capì il motivo della mia reticenza. Lasciò cadere la mano per voltarmi le spalle.
Solo quando girò l’angolo dell’edificio, scomparendo dalla mia vista, mi resi conto che la mia titubanza aveva posto fine a quella possibilità.
Corsi per raggiungerla.
“Ferma! Aspetta!”, gridai.
Si fermò, le spalle dritte per la tensione ostinatamente voltate di fronte a me.
“Scusami”, le dissi sinceramente confuso.
Non ottenendo alcuna reazione da parte sue, a parte un lieve sussulto, decisi di confessare la mia paura più grande.
“Io… te l’ho detto che non so chi sono. Questo non sono io. Io sono un Uchiha, e gli Uchiha non perdono tempo dietro ai sentimentalismi. Non so cosa fare. Non so come tornare indietro e riessere quello che ero una volta: un Uchiha. Almeno avevo uno scopo nella mia vita. Ma ora?”, sbottai frustrato, incurante di chi potesse sentire la mia confessione.
Si voltò mostrandomi lo scempio che il mio rifiuto aveva provocato. I suoi bellissimi occhi erano diventati vaste pozze acquatiche, e il suo naso… il suo delizioso nasino era tutto arrossato.
“Non volevo piangere”, mi confidò come una bambina.
“Non fa niente”, tentai di rassicurarla avvicinandomi a lei fino a quando la mia spalla non sfiorò la sua.
“ A me piaci più ora che prima della guerra”, mi disse.
“Come fai a dirlo?”.
“Se, come dici tu, sei l’opposto di Sasuke in modalità vendicatore, vuol dire che ora stai scoprendo chi sei realmente”.
La guardai confuso, non capendo il significato di quelle parole.
“Non capisci? Prima ti sforzavi di render grande il nome del tuo clan, ma tu sei molto di più che un Uchiha. Sei Sasuke, e il vero Sasuke sta tornando a galla, sta digerendo quel passato doloroso che per molto tempo lo ha tenuto prigioniero”.
“Ne sei convinta?”.
“Più che convinta. Ti ho visto durante la guerra, quando eri un traditore: eri un morto che camminava”.
Ascoltare quelle parole, pesanti come macigni per il significato a cui erano legate, mi riempì i polmoni di speranza. Volevo che avesse ragione.
“E tu?”, le domandai.
“Io cosa?”.
“Chi stai diventando?”.
“Non lo so”, replicò improvvisamente sconfitta.
“Hai fame?”, le chiesi cercando di alleggerire l’umore della serata.
“Sì”.
Cenammo perlopiù in silenzio, erano i nostri sguardi che parlavano per noi, carichi di speranza, timidi per l’audacia di ciò che provavamo l’uno per l’altra.
“Vuoi fare una pazzia?”, mi disse terminata la ciotola di ramen.
“Cosa hai mente di fare?”.
“Un rito per dare il benvenuto al nuovo Sasuke”, mi propose con un sorriso birichino.
Mi condusse al porticciolo. Tutto taceva sotto il debole e timido chiaror di luna. Solo il lento sciabordio delle placide acque cullava quel luogo abbandonato.
“Vieni?”, mi ripropose tendendomi una mano che afferrai senza esitare. Avvicinò il suo corpo al mio stringendomi in un caldo abbraccio, per poi iniziare a far dondolare i nostri corpi al ritmo della dolce melodia che fischiettava.
“Non so ballare”, le confessai dopo averle pestato un piede per la terza volta.
“L’ho notato”, mi rispose con una risata.
Rimanemmo l’intera notte lì, ad osservare le stelle.
“è strano, non trovi?”, mi chiese a un certo punto.
“Cosa?”.
“Mi sembra di conoscerti da sempre, di sapere tutto di te, eppure non so quasi nulla”.
Risi.
“Cosa c’è di tanto buffo?”, mi interrogò.
“Tu sai quasi tutto di me. Sono io quello che non conosce nemmeno il tuo nome”.
“Sakura. Haruno”, bisbigliò.
“Sakura, un bel nome, ti si addice”.
Mi tirò un pugno sul braccio.
“Sei permalosa, eh?”.
“Riguardo al colore dei miei capelli? Sì”.
“Non dovresti, sono così belli”, le dissi carezzando la sua soffice chioma.
La sua mano afferrò la mia e la strinse in un silenzioso ringraziamento.
“Anche tu porti un bracciale shintoista?”, mi chiese ricalcandone gli intrecci con i polpastrelli.
“Sì. Pensavo di averlo perso, ma un mio amico lo ha ritrovato”.
“Sai che questi bracciali nella cultura shintoista legano i destini di due persone?”, mi domandò chiedendomi tacitamente se fossi legato ad un’altra persona.
“Io ti ho trovata senza bracciale”, le risposi.
Mi sorrise, un sorriso prezioso come un tesoro.
Avvicinai il mio viso al suo, la punta del mio naso che sfiorava il suo, i nostri respiri che si fondevano tra loro.
“Posso baciarti, Sakura?”.
Non mi rispose, unì semplicemente le mie labbra alle sue. Fu una benedizione che portò con sé la più oscura delle maledizioni. Davanti ai miei occhi mi apparve lei, Sakura, il petto squarciato da due immensi buchi. I suoi capelli erano rossi per il sangue perduto, gli occhi fissi nel vuoto avevano abbandonato questo mondo. Sapevo che il colpevole di quello scempio ero stato io.
“Sakura!”, esclamai allontanandomi da lei. Tutto ritornò a galla, tutti i miei ricordi su di lei ripresero possesso della mia mente. Tutti i torti che le avevo fatto, le angherie, le crudeltà che le avevo detto.
La strinsi nuovamente a me, trascinato da un impeto di meraviglia e vergogna.
“Scusami Sakura”, le sussurrai all’orecchio.
Improvvisamente sentii il suo corpo afflosciarsi.
“Sakura?!”, gridai scuotendola nel vano tentativo di svegliarla.
“Sakura!!”.
La deposi lentamente a terra. Il suo volto era pallido, gli occhi chiudi come se stesse dormendo. Le sue labbra, che fino a pochi minuti erano sulle mie, erano incurvate in un timido sorriso.
“Sakura…”, bisbigliai con voce tremante. “Perdonami”.
Un forte folata di vento mi investì staccandomi dal suo corpo. Alzai gli occhi all’orizzonte e vidi un’enorme onda travolgermi. L’ultima cosa che vidi fu il corpo di Sakura venir inghiottito dalle oscure acque.

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Capitolo 15
*** Capitolo XIII ***


Naruto
Quella mattina mi svegliai con uno strano presentimento. Una vicina interiore mi bisbigliava imperterrita che quel giorno, per giungere dall'Hokage, sarei dovuto passare per il porto. Non so di preciso perché ascoltai quella voce, forse perché temevo che mi mangiasse il cervello portandomi alla pazzia.
Era una bellissima mattina, tiepida per il mese di marzo.
Ad ogni passo che compivo venivo calorosamente salutato e ringraziato da qualche abitante. Inizialmente la popolarità di cui improvvisamente godevo mi infastidiva mettendomi in imbarazzo, ma ora, a tre mesi di distanza, mi lasciava indifferente, come se finalmente mi fossi abituato ad essere trattato come un individuo normale, e non l'incarnazione del male.
Non appena misi piede sulla passerella del porticciolo capii che qualcosa non andava. L'aria era satura, e un gruppo di pescatori stava rannicchiato attorno a qualcosa. Con circospezione mi avvicinai, i sensi in allerta dalla sensazione di pericolo che percepivo.
"Cosa succede qui?", chiesi ai pescatori.
"Oh, è lei signor Uzumaki", esclamò pieno di sollievo uno di loro.
Il mio sguardo però fu attratto da un braccialetto shintoista incastrato tra due lastre di legno. Allora capii: si trattava di Sasuke. Afferrai il bracciale e scostai in malo modo quella povera gente.
Era riverso sulle tavole di legno. Il volto era pallido e corrucciato.
"Sasuke?", lo chiamai a bassa voce, ma non ricevendo alcuna risposta iniziai a scuoterlo.
"Sasuke?!", urlai sempre più disperato.
Solo quando uno dei suoi occhi si aprì per fulminarmi mi rilassai. Sbadatamente lasciai la presa, e la sua testa picchiò violentemente al suolo.
"Baka!", imprecò.
"Scusa".
"Cosa ci faccio qui?", mi chiese circospetto.
"Non lo so. Ti abbiamo ritrovato qui", spiegai brevemente.
"Sicuro di sentirti bene?", gli chiesi vedendolo alzarsi in piedi.
"Sì. Devo andare dall'hokage".
"Anch'io. Forse ci affiderà una missione come ai vecchi tempi", gli confidai speranzoso.
Alzò gli occhi al cielo.
Camminammo in silenzio, cosa insolita per me che ogni volta cercavo di riempirlo con il mio cicaleccio.
Mi limitai ad osservarlo precedermi, e non potei fare a meno di non notare dei cambiamenti in lui, nella sua camminata più rilassata. Era come se avesse trovato una sorta di equilibrio interiore.
"Cosa sta complottando il tuo cervello malato?", mi chiese all'improvviso.
"Nulla. Stavo solo notando come la tua postura sia molto più rilassata rispetto al passato", spiegai.
"Non siamo più in guerra".
"è vero. Ma anche in tempi insospettabili ti muovevi come un gatto".
Rimase in silenzio.
Ci fu assegnata una missione di livello C, un vero e proprio affronto per noi.
Cercai di non lamentarmi, ma la nostalgia delle avventure passate mi mise di malumore.
"Smettila di lamentarti Naruto", mi rimproverò Kakashi.
"Ci hai convocati solo per far da scorta, da Konoha a Suna, ad una squadra medica?", chiesi sconvolto.
"Non hai altri ninja disponibili?", continuai.
"No. E poi non si tratta di una squadra medica, ma di un solo medico: un esperto in veleni", precisò.
"Uffa", sbuffai per poi andare a consolarmi con una ciotola di ramen.
Sasuke
Ero sdraiato sotto un albero di ciliegio che cresceva ai piedi dell'ospedale. Cosa stava accadendo? Come era possibile che per due volte di fila mi fossi svegliato per le strade del villaggio?
Un'ombra mi coprì il volto. La ignorai, troppo attento a scrutare e a cercare di ricordare chi mi avesse dato il bracciale che mi cingeva il polso.
"Uhm... scusa...", disse una voce femminile.
Feci finta di non udirla, troppo nervoso per poter parlare civilmente con una persona, soprattutto con qualche ragazzetta che aveva una cotta per me.
Dopo pochi minuti di silenzio l'ombra sparì, e un senso di sollievo mi investì, purtroppo prematuro. Infatti l'ombra si sedette di fronte a me, sfidandomi ad ignorarla un'altra volta.
"Non ho tempo per te", sbuffai.
"Strano, visto che il tuo compito giornaliero è quello di scortarmi fino a Suna", mi rispose l'ombra.
Alzai di scatto gli occhi.
"Tu saresti l'esperto di veleni?", chiesi dubbioso. Era una bella ragazza, dai vivaci occhi verdi e dagli insoliti capelli rosa.
"E tu uno degli eroi di Konoha? Gli eroi non dovrebbero essere gentili e premurosi verso il prossimo?", mi rimbeccò scucendomi un sorriso.
"Forse ho deciso di salvarvi solo per la gloria", la presi in giro.
Mi scrutò con attenzione, la punta dell'indice poggiata sulle labbra carnose in una posa meditabonda.
"Non credo. Tu... tu sei troppo complesso per scadere in uno schema comportamentale così banale".
"Come fai a dirlo?", la sfidai.
"Sul serio me lo chiedi? Suvvia, tutti ti conoscono, o almeno credono di conoscerti".
"E tu?".
"Non posso affermare di conoscerti, ma ti ho osservato", mi confessò con le guance scarlatte.
"Mmm.... Mi hai spiato vorrai dire", le risposi facendola arrossire ancor di più.
"Sasukee!", ci interruppe la voce di Naruto
"Mi hanno affidato a voi due?!", chiese sconvolta la ragazza.
"Purtroppo sì".
"Ciao. Io sono Naruto Uzamaki", si intromise il baka tendendo una mano alla ragazza.
"Sakura Haruno", rispose.
Voltai la testa verso di lei. Sakura, che razza di nome era?
"Non credere nemmeno per un secondo che il tuo nome sia migliore del mio, Sasuke", mi rimproverò.
"Ho detto qualcosa?", cercai di giustificarmi.
"I tuoi occhi parlano anche quando la tua bocca imbronciata è chiusa", mi rimbeccò facendo esplodere Naruto in una sonora risata.
"Sarà uno spasso questa missione", profetizzò il baka.


Naruto
Camminavo accanto a Sakura, felice e rilassato come non mai. Quella ragazza era uno spasso, soprattutto vedere Sasuke cercare di trattenere un sorriso ogniqualvolta veniva rimesso a posto da una delle sue repliche pungenti. Era come se una tessera del puzzle, fino ad allora dispersa, fosse tornata al suo posto originario, facendo da collante tra me e Sasuke.
"Hai un ragazzo Sakura?", le chiesi sinceramente curioso.
I suoi occhi, fino ad allora allegri, si incupirono di dispiacere e dolore.
"Lo avevo", bisbigliò addolorata.
Con la coda dell'occhio intravidi Sasuke drizzarsi in posizione di allerta.
"Era un ninja?", chiesi con più delicatezza possibile.
Annuì.
"è morto durante la guerra?".
"Baka! Ti sembrano domande da fare?", mi rimproverò Sasuke.
"Scusami Sakura, non volevo essere invadente", mi affrettai a scusarmi.
"No, no, va tutto bene. Non è morto in guerra, ha solo preferito stare con la mia migliore amica, Ino".
"Ino?!", esclamammo in coro io e Sasuke.
"Sì", ci diede conferma afflitta.
"Stavi con Sai?", chiese schifato Sasuke.
"Sì, perché?".
"è un manichino!", esclamò contrariato.
"Non era così male", si giustificò la rosa.
"Tsz...".
Un silenzio imbarazzante ci avvolse , fino a quando, costretti da un improvviso temporale, non fummo costretti a cercare un riparo.
Il ritmico scrosciare della pioggia sulle verdi foglie della vegetazione locale induceva al riposo. Sospirai e mi distesi sul mio giaciglio personale, gli occhi rivolti al soffitto della caverna che avevamo trovato.
"C'è così tanta pace qui", bisbigliai assonnato.
"è vero. Fa quasi uno strano effetto quando si è abituati a condurre una vita frenetica", mi rispose Sakura.
Mi voltai verso di lei, e scoprii che anch'ella lo era: i suoi enormi occhi verdi mi scrutavano con attenzione facendomi arrossire.
"La senti anche tu?", mi chiese a bassa voce, come se non volesse farsi udire da Sasuke.
Sapevo a cosa si riferiva, a quella strana sensazione di intimità che sembrava unirci, ma feci finta di non capire.
"Cosa?", feci il finto tonto.
Vidi i suoi occhi mutare, ombrarsi di delusione per poi chiudermi fuori dal loro mondo misterioso ma al tempo stesso familiare.
"Niente. Conviene che riposi almeno un po', domani avrò molto da fare a Suna".
Non ebbi nemmeno il tempo di chiederle della sua missione che già mi aveva voltato le spalle.
Osservarla voltarsi verso Sasuke mi lasciò un vuoto dentro, specialmente quando vidi quest'ultimo allungare una mano per stringere una delle sue.


Sasuke
Vedere Sakura e Naruto bisbigliare tra loro mi rese parecchio nervoso e insicuro. Possibile che Sakura preferisse Naruto a me? Per la durata di cinque minuti ritornai ad essere il vecchio e orgoglioso Sasuke Uchiha. Un ritorno che fu subito spazzato via dal vedere i suoi occhi verdi ritornare ad incrociare i miei. Un contatto che mi spinse a voler di più, molto di più, così, guidato da quelle nuove pulsioni che pian piano si stavano impossessando di me, allungai una mano per afferrarne una delle sue.
"Buonanotte", le augurai.
"Buonanotte Sasuke", replico scandendo lentamente il mio nome.
Osservai i suoi occhi chiudersi in un sonno ristoratore.
"Cosa sta succedendo?", mi chiese Naruto.
"Non lo so", gli risposi con franchezza.
"L'avverti anche tu questa sensazione, vero? Come se la conoscessimo da molto tempo".
"Sì".
"Forse l'abbiamo conosciuta in guerra".
"Impossibile".
"Già", sospirò tristemente per poi mettersi a dormire.
Dopo aver dato un'occhiata a Sakura uscii fuori a fare la guardia.


Naruto
Fu uno strillo acuto a svegliarmi.
"Nooo! Lasciatemi stare, vi supplico, noo!", urlava Sakura a squarcia gola.
Non ebbi il tempo di avvicinarmi a lei che Sasuke era già chino sul suo corpo addormentato a scuoterla con fermezza.
"Sakura?", la chiamava.
"No...", bisbigliava con voce rauca.
"Io lo amo", singhiozzò lasciandoci basiti.
"Sakura!", la chiamò Sasuke. Sotto quel ferreo comando i suoi occhi, assonnati e pieni di lacrime, si aprirono, per poi spalancarsi completamente, non appena misero a fuoco Sasuke. Lo abbracciò con un trasporto commuovente, lo stesso che si riserva ad un amante ritrovato dopo anni di abbandono.
"Sei qui", gli disse sorridendo sollevata, le sue mani che vagavano lungo il volto di lui.
"Sono qui", sussurrò Sasuke.
"Siano ringraziati gli dei", sospirò riabbracciandolo.
Vederli lì, stretti in quella strana alchimia,  mi rese triste e sollevato al tempo stesso, quindi uscii per lasciar loro un po' di privacy, e per permettere a me stesso di prendere un po' d'aria.
Mi appoggiai al tronco di una quercia, le mani infilate nelle tasche dei miei pantaloni.
Ripensai alle urla strazianti di Sakura: chissà a cosa era dovuta sopravvivere. Tirai fuori da una tasca il bracciale, lo osservai attentamente e lo legai attorno al mio polso.


Sasuke
Il sole era sorto da pochi minuti, gettando i suoi ancora timidi raggi tra le fronde degli alberi. Il tenue cinguettio degli uccelli mi avvertiva dell'assenza di un incombente minaccia.
Buttai fuori un sospiro di sollievo e stanchezza. Era stata una notte pesante, tormentata dal mio continuo pensiero per Sakura. Sakura. Ripensai alle parole dette precedentemente da Naruto: aveva ragione, per quanto mi scocciasse ammetterlo. Cosa c'era di così familiare in lei? Di certo quella insolita sensazione di familiarità non era dovuta al suo insolito aspetto fisico: era impossibile non ricordarsi dei suoi occhi, o dei suoi accesi capelli. Eppure tutto il mio corpo e il mio essere propendevano verso di lei, come se fossimo legati da un invisibile filo. Abbassai lo sguardo al bracciale legato al mio polso destro e sbuffai di frustrazione.
Improvvisamente uno stormo di uccelli si levò in volo allertandomi. Mi preparai ad un'imboscata, ma ahimè, quello che dovevo affrontare esulava dalle mie abilità ninja. Nulla avrebbe potuto prepararmi all'orrore che si stava abbattendo su di noi.
Udii le urla strazianti e agonizzanti di Sakura e mi precipitai dentro la caverna, la mente uno sciame di pensieri e congetture che mi ronzavano in testa impazziti.
La prima cosa che vidi fu la faccia sconvolta di Naruto. Non avevo mai visto, nemmeno di fronte le atrocità della guerra, i suoi occhi contenere un simile terrore. Immediatamente corsi da lei e cominciai a chiamare il suo nome.
"No...", gemva.
"Io lo amo...".
Nell'udire una simile dichiarazione d'amore il mio cuore precipitò nell'oscuro mondo dell'incertezza e della gelosia. Che stesse parlando di Sai?
Solo quando mi abbracciò inizia a calmarmi.
"Sei qui", mi bisbigliò.
"Sono qui".
"Siano ringraziati gli dei", sospirò, i suoi occhi pieni di amore e sollievo fissi nei miei.
Forse, dopotutto non si riferiva a Sai.
Intravidi la figura di Naruto uscire fuori all'aperto.
"Stai bene?", le chiesi.
"Quanto sei bello", mi rispose carezzandomi il volto.
"Sakura?", chiesi allarmato dal pallore che si espandeva sul suo viso.
"Non preoccuparti per me", bisbigliò prima di svenire.
"Sakura?", la richiamai. Non ottenendo risposta urlai il nome di Naruto che rientrò fulmineo.
"Cosa è accaduto?", mi chiese.
"è svenuta".
"Lasciamola riposare, sarà stressata per via di quell'incubo", propose ragionevolmente.
Con una certa riluttanza staccai il mio corpo da quello di lei, e la deposi sul pagliericcio.
"Chissà cosa avrà sognato", chiese sovrappensiero Naruto.
"Chissà a cosa è sopravvissuta", feci eco io.
Restammo in silenzio a vegliar su di lei.
Circa due ore dopo i suoi occhi si riaprirono, pieni di confusione e smarrimento.
"Ben svegliata bellissima", la salutò il baka.
"Naruto!", esclamò lei piena di gioia.
Sentivo la gelosia e il risentimento affondare gli artigli sul mio ego.
"Stai bene?", chiesi con tono più duro di quanto desiderassi.
"Sì", mi rispose sorridendomi con tenerezza.
"Ora sì", confermò allungando una mano per afferrare la mia.
"Conviene rimetterci in marcia allora", ci esortò Naruto con un teatrale gesto delle mani.
"Dove hai preso quel bracciale?", gli chiese Sakura avvicinandoglisi.
"Questo?", disse il dobe indicando il filo rosso.
Lei si limitò ad un cenno del capo, le sue dita che tracciavano il filo scarlatto.
"L'ho trovato ieri mattina al molo, vicino a Sasuke. Anzi... pensavo fosse il tuo, ma poi ho visto che continui a portalo al polso", spiegò guardandomi.
Un altro bracciale identico al mio nello stesso punto dove ero stato ritrovato?
"è mio", bisbigliò Sakura, gli occhi che si riempivano di lacrime.
Mi alzai in piedi e la afferrai per le spalle.
"Dove eri ieri sera?", le chiesi concitatamente, troppo ansioso di ricevere una risposta.
"Io...".
"Scusatemi, siete dei ninja diretti a Suna?", ci interruppe una voce.
Mi parai di fronte Sakura e scrutai la sagoma che ci avevi interrotti: era una vecchia ringrinzita.
"Sì. Le serve aiuto?", le disse Naruto.
"Oh no, nessuno aiuto. Ero semplicemente curiosa di vedere se tutto andava bene. Sapete, con tutte quelle urla...".
"Tutto bene, grazie", la interruppi congedandola.
Si voltò e sparì dalla nostra vista, non prima, però, di lanciarmi una strana occhiata.
"Mettiamoci in viaggio", esortai gli altri.

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Capitolo 16
*** Capitolo XIV ***


Naruto
Il viaggio fino a Suna fu tranquillo e piacevole, a parte qualche strana ed imbarazzante scena. Sembravamo a tutti gli effetti un trio: Sakura era molto più compatibile con me e Sasuke di quanto si fosse mai sforzato di esserlo Sai.
Ma il trio compatto che formavamo sembrava in bilico, sul punto di scivolare in un triangolo amoroso.
Non volevo di certo riaccendere l'ira di Sasuke nei miei confronti, ma certi atteggiamenti, certe attenzioni che riversavo su Sakura, mi venivano spontanei come respirare.
Dopo qualche ora di marcia nella foresta, accadde un evento alquanto insolito e inspiegabile. Dall'alto di un ramo, nell'esatto momento in cui Sakura vi passò sotto, si calò un ragno di modeste dimensioni. Il poveretto atterrò giusto sulla spalla dell'ignaro medico, che sentendo quelle pelose zampette strisciare sulla sua pelle, iniziò ad urlare e saltellare come una pazza.
Sasuke era accanto a lei, a circa cinque centimetri di distanza, postazione che non aveva abbandonato nemmeno per un secondo durante la marcia. Ma non fu Sasuke a cui Sakura chiese aiuto. Era la cosa più logica e istintiva da fare, eppure lei si discostò dal furibondo Uchiha per venire a chiedere aiuto a me.
"Naruto! Toglimi questa bestia di dosso!". Eh sì, più che chiedermi aiuto, mi impartì quell'ordine con lo stesso tono che avrebbe usato il teme.
Ero troppo preso dall'ironia della situazione per badare più di tanto alle occhiate malevole di Sasuke, così, quando sentii lo stridore del suo chidori, commisi il grave errore di distogliere l'attenzione da Sakura per riversarla sul pericolo imminente.
Ecco che ci risiamo, pensai.
Forse, davanti al mio sguardo basito e rassegnato al tempo stesso, Sasuke riprese coscienza della situazione in cui ci trovavamo, perché l'inquietante suono del chidori svanì.
Stavo per sospirare di sollievo, quando una Sakura imbizzarrita mi investì in pieno facendomi crollare per terra con il suo corpo addosso al mio. Improvvisamente iniziai a sentire caldo, tremendamente caldo. Potevo sentire le curve di Sakura aderire perfettamente alle mie.
"Toglimi questo coso di dosso!", mi urlò in faccia, ignara delle sensazioni che mi stava procurando.
"Calmati bellissima", le dissi nel tentativo di calmarla.
"Calmati tu", mi rispose.
"Ci sto provando, credimi", mi giustificai.
"Tsz", sbuffò Sasuke.
"Perché non mi aiuti piuttosto che sbuffare come un cavallo?", lo riguardii.
"Ha chiesto a te di aiutarla, non a me. È compito tuo Naruto", mi disse con tono annoiato che lasciava trasparire l'amarezza che lo avvolgeva.
"Dove stai andando?", gli chiesi notando che si allontanava.
"Narutoo!", esclamò Sakura battendomi il petto con una sfilza di pugni.
Riuscivo a vedere quel ragno furbetto tentare di intrufolarsi dentro la sua maglietta.
"Intelligente", lo lodai, ricevendo un pugno ben assestato.
"Ora lo uccido", tentai di rassicurarla, ma i suoi enormi occhi, fino a pochi secondi fa serrati dalla paura, erano spalancati per lo sdegno.
"No! Non è necessario che lo uccidi, basta che me lo togli di dosso".
La guardai meravigliato.
"Sbrigati", mi sollecitò.
Avvicinai il mio volto al suo e, mentre prendevo il ragno e lo lanciavo lontano, la baciai. Fu un bacio timido e gentile, come se entrambi volessimo sondare le reciproche intenzioni.
"Perché ho la sensazione di conoscerti?", le chiesi poggiando la mia fronte sulla sua.
"Non lo so", mi rispose.
Fu in quel momento che mi ricordai di Sasuke.
"Sasuke!", esclamai sconvolto, convinto che da un momento all'altro sarebbe sbucato fuori per ammazzarmi.
"Che ho fatto?! Io...io... scusami Naruto, non avrei dovuto", si giustificò allontanandosi di scatto da me.
"Andiamo", la incoraggiai, facendo finta di niente, come se le parole appena pronunciate non avessero distrutto il mio ego.
Quando la vidi dirigersi verso il sentiero imboccato in precedenza da Sasuke la fermai.
"è ora che ti restituisca questo", le dissi fermandola per un braccio.
"è lui che vuoi, vero?", le chiesi conoscendo già la risposta.
"Mi dispiace Naruto, io...", cercò di giustificarsi mentre le sue dita si strinsero sul bracciale. Era fatta: l'avevo perduta ancor prima di averla.
"Tu lo ami, e di questo non dovrai mai giustificarti. Hai capito? Mai", le dissi sforzandomi di regalarle un sorriso.
"Sì", mi rispose abbracciandomi.
"Ti voglio bene Naruto", mi bisbigliò all'orecchio.
peccato che io, invece, l'amassi.
Sasuke
Sapevo cosa fosse accaduto tra loro. Non che lo avessi visto, il bacio, ma era talmente palese che arrivai a provare pena per entrambi, anche per il baka. Ora mi trovavo qui, sulle mura di Suna, ad attendere che Gaara ci ricevesse, con le loro espressioni colpevoli che mi chiedevano perdono.
"Sakura Haruno?", chiese un impiegato.
"Eccomi", rispose alzandosi e seguendolo all'interno dell'edificio.
Osservai in silenzio la sua schiena sparire oltre la porta.
"Non voleva", sbottò Naruto.
"Come?", chiesi colto alla sprovvista.
"Non voleva baciarmi. Ho iniziato io", confessò.
"Non ne avevo il minimo dubbio", risposi piccato.
"Cosa vorresti dire? Che non vorrebbe mai stare, di sua spontanea volontà, con me?".
"Mi pare ovvio. Sei un disastro umano".
"Io ho salvato il mondo ninja", ribatté rosso in volto per la rabbia.
"Io e mio fratello abbiamo salvato questo mondo dal marciume che lo stava divorando! Io ho dovuto sacrificare tutto!", esplosi.
"Credi seriamente di essere l'unico che abbia perso tutto? Anche a me non è rimasto niente, a parte...".
"A parte?".
"A parte lei", affermò convinto, sfidandomi con i suoi occhi azzurri.
"Lei?! Lei non è tua!", urlai in preda all'ira.
"Potrebbe esserlo se volessi. C'è alchimia tra noi, lo hai notato anche tu".
Sentirmi rinfacciare quelle palesi verità mi fece perdere del tutto il controllo.
"Non se ti uccido prima", gli urlai assalendolo con il mio chidori.
Accadde tutto in una frazione di secondo. Il rasengan di Naruto era a un soffio da me, così come il mio chidori, quando un'ombra si frappose tra noi. Immediatamente tornai in me. Cosa avevo fatto? Vidi gli occhi di Naruto, anch'essi, proprio come i miei, esprimevano un enorme sgomento. Sgomento perché sapevamo chi era chi si era intromesso tra di noi. Sgomento perché sapevamo perfettamente cosa avremmo trovato quando le nubi di fumo e polvere si fossero diradati. Come un macabro dejà vu, ci apparve il corpo martoriato e privo di vita di Sakura.
"Cosa abbiamo fatto?", bisbigliò Naruto facendo da eco ai miei pensieri.
Ci accovacciammo accanto al cadavere, ognuno al lato opposto. Come figure speculari afferrammo una di quelle mani ormai fredde. Fu in quel momento che notai che portava il bracciale identico al mio.
Sollevai lo sguardo sopra Naruto.
"Lei aveva già scelto", mi disse tristemente e con amarezza.
"Perché allora?".
"Non lo so", bofonchiò distogliendo lo sguardo.
"Tu mi hai costretto a questo con le tue insinuazioni e provocazioni", lo accusai, sbigottito e incredulo che avesse potuto fare una cosa del genere.
"Questo perché tu mi tratti sempre con superficialità, come se ti fossi inferiore", spiegò in preda al risentimento. un risentimento di cui potevo percepire l'amaro sapore. Fu solo per il dolore che adombrava i suoi occhi che non lo uccisi,solo perché riconoscevo la furia della disperazione che gli adombrava gli occhi, perché era l'esatto riflesso di ciò che avevo sempre provato io.


Sakura
"Ci eri quasi riuscita. Sei riuscita a spostare lo scontro dai tetti di Konoha alle mura di Suna", mi lodò la vecchia, con palese sarcasmo.
"Peccato che quei due proprio non riescono a collaborare tra loro. Cosa farai ora, Sakura? Ti rimane l'ultimo tentativo, poi sarai dimenticata da tutti, un fantasma senza anima che vaga per questa terra", mi ricordò. Schioccò le dita, e la tortura riprese inizio.


Sasuke
Mi svegliai in un posto umido e angusto. Accanto a me Naruto russava come una zampogna.
"Almeno tu ti sei svegliato", sospirò una voce. Era Gaara.
"Cosa è accaduto?", domandai.
"Non ricordi? Tu e Naruto vi siete azzuffati a suon di rasengan e chidori. Speravo che, dopo tutto quello che avete dovuto passare insieme, foste finalmente riusciti a diventare buoni amici", sospirò amareggiato.
"Non ricordo nulla", lo informai, un'affermazione che a suo modo suonava da giustificazione.
"Bè... ho dovuto rinchiudervi per motivi di sicurezza, ma ora siete liberi di tornare a Konoha. Non farò rapporto a Kakashi di questo spiacevole evento", mi rassicurò.
"Qual era la missione che dovevamo portare a termine?".
"Dovevate trasportare un medico esperto in veleni: una vecchietta per la precisione".
Vuoto totale.
"Prendi Naruto e fate ritorno al villaggio, prima che scoppi un'altra tempesta", mi disse prima di scomparire dalla mia vista.


Sakura
Immobilizzata da catene, in una pozza del mio stesso sangue, riflettevo su quello che dovevo fare, rincuorata dal fatto che Naruto e Sasuke non mi avessero dimenticata del tutto.
Avevo solo un ultimo tentativo per poter ritornare in vita tra loro, oppure esser costretta a vivere in questo inferno dimenticata da tutti.
Kusanagi, la katana che una volta apparteneva a Sasuke, era posta davanti ai miei occhi, nell'eventualità che decidessi di porre fine alle mie sofferenze, e sparire per sempre da questa realtà. Era un oggetto sacro, così come lo specchio Yata no Kagami, uno specchio capace di rivelare la verità e la purezza degli animi, posto anch'esso accanto alla katana. Se solo fossi riuscita a prenderlo.
"Vuoi scrutare la tua coscienza?", mi chiese la vecchia.
"Sì".
"Tieni", mi offrì lo specchio. Non riuscivo a credere che fosse stato così semplice.
Vi guardai dentro e... vidi solo me stessa.
"Guarda con attenzione", mi riproverò l'anziana alle mie spalle.
Lo feci. Il mio riflesso iniziò a distorcersi, mostrandomi la mia gioventù , il mio attaccamento a Sasuke, il mio fare sprezzante nei confronti di Naruto. Potei ammettere con me stessa di esser stata una vigliacca superficiale, nel maltrattare Naruto, e una povera ingenua che tutt'oggi continuava ad illudersi della possibilità di suscitare amore nei confronti di Sasuke.
Non ero degna di lui, di unirmi ad un Uchiha: ero troppo debole, inutile perfino come medico.
Lui meritava qualcuno di forte e valoroso al suo fianco, qualcuno che lo aiutasse a sopportare il suo passato, non una come me che lo affossava ancor di più nella sua autocommiserazione. Era venuto a salvarmi, ma non per amore, forse per un senso di pietà, oppure per il suo animo in fondo gentile e altruistico.
Quei pensieri velenosi iniziarono ad attecchire in me come erbacce. Le mie mani iniziarono a tremare per la paura di aver sbagliato tutto.
"Hai visto quanto sei stata egoista, Sakura? Hai costretto Sasuke e Naruto a rivivere la guerra, a sopportare questo continuo senso di inadeguatezza. E per cosa? Per te? Perché non vuoi rimediare ai tuoi errori?".
Aveva ragione? Ero veramente così egoista da non vedere la sofferenza che stavo provocando?
Allungai una mano per afferrare Kusanagi, chiusi gli occhi e pensai a Sasuke, ai suoi rari sorrisi, e sperai che da quel momento in poi trovasse la serenità che gli permettesse di farlo più spesso.
Poi lo feci, feci l'unica cosa che era giusto fare.
Lasciai cadere lo specchio a terra e cercai di colpire la vecchia alle mie spalle ferendomi un braccio.
Il rumore dei cocci di vetro frantumarsi sul lurido pavimento cristallizzò quell'attimo.
"Ti credevo più intelligente Sakura. Mi hai deluso. Non dirmi che non hai ancora capito chi io sia", mi derise.
Ma io sapevo cosa fosse: il nemico supremo dell'umanità.
Mi fece cadere a terra, il volto immerso nei frammenti taglienti.
"Ultimo tentativo Sakura", mi ricordò.
Furono quelle le ultime parole che udii prima di svenire.


Sasuke
Stavo facendo ritorno a Konoha da una banale missione di livello C quando la vidi. Era riversa poco distante il sentiero battuto. Se non fosse stato per la sua folta chioma di un insolito rosa non l'avrei notata subito. Mi avvicinai cautamente, in caso si trattasse di un'esca per qualche imboscata, ma quando vidi il suo corpo deturpato da innumerevoli tagli, capii che si trattava di una vittima. Mi chinai per prenderla in spalla. I suoi capelli rivelarono un viso che sarebbe stato pressoché perfetto se non per un brutto taglio sotto l'occhio destro. Quando iniziai a sollevarla la sua mano destra si aprì rivelandomi un frammento di specchio.
Lo presi e lo infilai nella tasca del mio mantello, poi la portai in ospedale e tornai alla mia noiosa vita.
I giorni passarono, e in tutto il villaggio non si parlava d'altro che della giovane che avevo ritrovato. Tutti, compreso Naruto, ne lodavano la bellezza e ne compiangevano gli orrori che aveva dovuto sopportare.
Io no. Non mi avvicinai a lei, il mio istinto mi metteva in guardia: lei era come me, una sopravvissuta. Lo dimostravano le urla che riempivano la sua stanza ogni notte.
Due giorni dopo il suo ritrovamento, indeciso se vederla di persona o meno, mi ritrovai a passeggiare sotto la finestra della sua stanza d'ospedale, quando il primo straziante urlo mi investì in pieno. Allarmato saltai sul davanzale della finestra e, solo quando vidi le infermiere bloccarla immediatamente al letto e anestetizzarla, capii. Non l'avevo salvata, l'avevo semplicemente allontanata dal pericolo. Era passata una settimana da quel giorno, e di lei non ne avevo più sentito notizie.
Ero seduto sul tetto della mia abitazione, intento ad ammirare il sorgere della luna, quando vidi i suoi buffi capelli rosa apparire sotto di me.
"Sei tu che mi hai trovato?", mi chiese con voce modulata, la testa bassa sulla punta delle sue scarpe.
"Sì".
Nell'udire la mia voce sollevò gli occhi ai miei.
"Grazie", mi disse con un sorriso carico di riconoscimento.
Saltai giù e la raggiunsi.
"Mi ringrazi per averti salvato la vita?".
"Bè... sì, certo".
"Sai, ringraziarmi per averti salvato la vita implica che avrei potuto lasciarti lì a morire, ed è un giudizio, seppur implicito, molto pesante da dover digerire", la presi in giro.
"Io non volevo certo offenderti, solo... ringraziarti", si scusò timidamente.
Le passai un dito sulla fresca cicatrice sotto l'occhio.
"Scomparirà?", le chiesi.
"Sì, sarà quasi impercettibile".
"Cosa ti è successo?", chiesi stranamente incuriosito.
"Non lo so", bisbigliò.
"Entra dentro, stasera si gela", le dissi aprendole la porta di casa.
"Io non vorrei...".
"Disturbarmi? È un po' troppo tardi, non ti pare?", le dissi sorridendole.
Eravamo entrambi in camera mia ad ammirare le stelle, quando mi accorsi che stava tremando di freddo.
"Ti prendo il mio mantello", mi offrii.
"Non è necessario, conviene che torni a casa", cercò di fermarmi. Ovviamente finsi di non udirla. Nel prendere il mantello un frammento di specchio scivolò giù a terra.
lo fissai. l'istinto che mi metteva in guardia.
"Questo è tuo", le dissi porgendoglielo. Osservai i suoi occhi esaminarlo attentamente per poi spalancarsi per lo stupore.
"Oh...".
Mi sporsi sopra di lei e scrutai anch'io ciò che quel piccolo frammento le stava mostrando. Si trattava di lei insieme a Naruto, erano molto giovani, quasi dei bambini, che litigavano animatamente. La scena cambiò e apparvi io, di schiena, alle porte di Konoha, con lei che mi supplicava di restare perché mi amava.
"Che cavolo...".
Nuovamente la scena mutò: io e Naruto lottavamo alla valle dell'epilogo, il mio chidori a un millimetro dal suo cuore, e il suo rasengan altrettanto dal mio, quando lei, era sempre lei, si frappose tra noi.
Chiusi gli occhi di fronte a quello scempio.
Quando li riaprii lei era ancora lì, accanto a me, i suoi enormi occhi che mi fissavano come se temesse che volessi tentare un'altra volta di ucciderla.
"Dove lo hai preso?", le chiesi indicando il frammento di specchio.
Restò in silenzio.
"Almeno puoi dirmi il tuo nome?", sbottai infastidito.
"Sakura Haruno", bisbigliò.
Le tolsi lo specchio dalle mani tremanti e gelide, e mi misi ad osservare tutto ciò che aveva da mostrarmi.
Rivissi tutto, la nostra infanzia piena di tragedie e solitudine, le missioni che ci insegnarono a fidarci l'uno dell'altro, ma che soprattutto ci resero un gruppo, dei veri amici.
Ricordai tutto, la risata piena di gioia di Naruto, le lacrime e le suppliche di Sakura. Quante volte mi aveva mostrato il suo amore? Quante volte lo avevo calpestato incurante dell'enorme dono che mi stava facendo?
Tutto tornò al suo posto, ogni ricordo, ogni dettaglio, anche il più insignificante. Tutto, le occhiate complici, le urla di esultanza, le competizioni, tutto mi condusse al momento cruciale: quando voltai loro le spalle per rinchiudermi nell'oscurità alla ricerca della mia vendetta. Eppure quello specchiò fu capace di mostrarmi un dettaglio di cui non ero a conoscenza: loro erano sempre stati accanto a me, anche quando non li volevo più, anche quando meditavo il tradimento più grande: ucciderli tutti.
Ma lei, la giovane donna che tremava accanto a me, aveva sacrificato tutto pur di salvarci entrambi.
"Sono io che devo ringraziare te, Sakura", bisbigliai con voce roca.
"Io... ho paura", confessò, lo sguardo fisso sullo specchio.
Continuai a guardare, e ciò che vidi fu un puro abominio. La vidi incatenata, circondata da orrende creature che la infilzavano con dei kunai. Riuscivo a vedere con estrema chiarezza ogni singola goccia del suo sangue che stillava fuori per fluire lungo il suo corpo e ricongiungersi con le altre ai suoi piedi.
"Ogni volta che cerco di tornare da voi... ogni volta che uno di noi ricorda, io faccio ritorno laggiù", mi informò, i suoi occhi fissi sulle sue torture passate.
"Questa volta non accadrà", la rassicurai stringendola a me.
"è l'ultimo tentativo che mi resta", soffiò piano al mio orecchio.
"L'ultimo tentativo?".
"Sì, lo ha detto lei".
"Lei chi?".
"La morte, ha le sembianze di una vecchia nonnina. È con lei che ho stipulato il patto. Non ricordi?", mi chiese con aria afflitta.
"Ricordo tutto il nostro passato", le risposi confuso.
"No, non parlo del nostro passato. Ho cercato di tornare da te già tre volte Sasuke. L'ultima volta mi dovevate scortare a Suna, ma tu... tu e Naruto...".
"Abbiamo tentato di ucciderci a vicenda! Ora ricordo!", le dissi.
"Dobbiamo cercare Naruto e fargli vedere tutto", dissi alzandomi in piedi.


Naruto
Camminavo per le strade di Konha, per qualche motivo a me sconosciuto, sconsolato come un cane abbandonato. Il mio malessere era legato ad un enorme e incolmabile senso di vuoto, un vuoto che veniva riflesso dalle strade stranamente deserte del villaggio.
Dove erano finiti tutti?
Il cielo serale era limpido e pieno di stelle. Sembravano esser molto più numerose del solito.
"Si dice che ogni stella sia il desiderio espresso e mai compiuto di qualcuno", mi informò una voce gracidante facendo eco ai miei pensieri.
"Allora siamo più infelici del solito", risposi con macabro sarcasmo alla vecchia che aveva parlato.
"Ne dubito. Ci si accorge della sofferenza altrui solo quando la sperimentiamo su di noi. solo il pericolo, l'imminenza della morte, ci apre gli occhi su ciò che sono le emozioni e i sentimenti altrui. E tu, Naruto Uzumaki, eroe impavido del mondo ninja, temi la morte?", mi chiese con uno strano sorriso.
"La morte? Che razza di domanda è?".
"Non hai avuto remore nel salvare la vita di tutti. Ma se dovessi salvare la vita di una persona cara al tuo acerrimo nemico, in quel caso daresti la tua vita?", continuò imperterrita.
"Non capisco di cosa tu stia parlando".
"Ops! Credevo che Saskura e Sasuke ti avessero raccontato già tutto", mi disse guardandomi i polsi.
"Non vedo alcun bracciale. Lo hai dato nuovamente a lei, vero?", mi interrogò scrutandomi attentamente.
"Lei chi?".
Mi afferrò le mani e qualcosa di strano accadde: ricordi di cui non avevo la certezza di aver vissuto, ma che ogni tanto riaffioravano a galla, si rimpossessarono di me.
"Sakura!", esclamai.
"Sì, proprio lei, l'amore della tua vita, colei che ti ha ripetutamente abbandonato per Sasuke. Qual è la tua scelta Naruto? Sasuke tempo fa prese la sua, ed eccoci qui. Sarai tu, col tuo sacrificio a pagare il prezzo del loro egoismo?", mi chiese porgendomi la Kusanagi di Sasuke.

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Capitolo 17
*** Capitolo XV ***


Naruto
Osservavo gli occhi della vecchietta che mi stava di fronte, cercando di capire se stesse parlando seriamente o fosse affetta da qualche disturbo psichiatrico.
"Non mi credi", affermò raddrizzando di qualche millimetro la sua schiena ricurva.
Mi tese una mano, fino a posizionarla sotto i miei occhi, e poi l'aprì mostrandomi un frammento di specchio.
"Scrutaci dentro", mi sollecitò. E lo feci.
Vidi me stesso da bambino, escluso da tutti perché temuto, trattato come la progenie del male in persona. Io, che ero sempre stato sorridente e pacifico anche quando non ne avevo nessun motivo.
Poi vidi Sakura. Era adorabile con tutti quei folti capelli rosa tenuti a bada da una fascia rossa. Anche lei, proprio come me, soffriva la solitudine. Una solitudine diversa dalla mia, perché pur avendo alle spalle una famiglia, non veniva compresa e coccolata, piuttosto in continuazione rimproverata e beffeggiata da coloro che dovevano mostrarle amore. Eravamo così simili, entrambi alla ricerca di qualcuno che ci donasse amore e considerazione. Amore che lei cercava in Sasuke, e che io avevo trovato, alla fine, anche se per un breve periodo, in lei.
Ed ecco che comparve Sasuke. Lui non soffriva la solitudine, era circondato da una famiglia che lo amava tantissimo. Lui sapeva cosa significava essere amati, e quando lo dimenticò, Itachi gli fece dono della sua stessa vita per sopire la sua vendetta. No, Sasuke non era come me e Sakura. Lui soffriva il peso del suo nome, del clan Uchiha. Provai un moto di rabbia nel razionalizzare come proprio lui, che era stato così tanto amato, fosse stato così incapace di amare gli altri, di mostrare anche solo un briciolo di affetto per me e Sakura.
Sakura. Vidi quando si intromise tra noi sacrificando la sua vita. Lo aveva fatto per salvare entrambi, oppure solo per Sasuke?
"è strano ma... un bel po' di gente ha fatto dono a Sasuke della propria vita e lui... lui non ha dato nulla in cambio. Continua a fuggire dalle conseguenze delle sue azioni. Prima Itachi. E cosa fa Sasuke quando scopre la verità che si cela dietro la morte di suo fratello?".
Stetti chiuso in un gelido, quanto tormentato, silenzio.
"Cerca di uccidere tutti voi, di diventare Hokage con il potere dei cercoteri. E ora Saskura. Gli salva la vita, ma lui non vuole pagare il prezzo delle sue scelte, continua a fuggire, e per Sakura il tempo sta scadendo, Naruto".
Osservai la katana. Perché io? Perché dovevo essere, anche questa volta, l'eroe della situazione?
"Naruto!", mi chiamò la voce di Sasuke in lontananza. Alzai gli occhi alla vecchia, ma lei era sparita. Solo la katana e il frammento di specchio testimoniavano la sua apparizione.
Sasuke
Quando vidi Naruto, in piedi come uno spaventapasseri, sotto la luce di un lampione, urlai il suo nome.
"Baka, cosa fai fermo lì?", gli chiesi una volta raggiunto. Sakura era alle mie spalle.
Si girò verso di me mostrandomi Kusanagi e un altro frammento di specchio.
"Lei è venuta da te! Cosa ti ha detto?", gli chiese Sakura andandogli in contro.
Gli occhi di Naruto erano spenti, privi della sua solita vivacità.
"Non mi ha detto nulla, a parte che qualcuno deve pagare il prezzo delle scelte di Sasuke, ma... questo frammento mi ha mostrato tutto. Ora ricordo", confessò amareggiato.
"Io ho pagato per riportare Sakura in vita: ho rinunciato a lei", esclamai colpito sul vivo.
Mi si avvicinò con fare minaccioso, il suo naso che quasi sfiorava il mio in un palese atto di intimidazione. Afferrò il mio polso destro e quello di Sakura: entrambi erano cinti da un filo rosso.
"Hai rinunciato a lei?! E questo? Come hai intenzione di risolvere questa situazione, Sasuke?", mi urlò in volto realmente sconvolto.
"Naruto devi ascoltarmi", si intromise Sakura.
"Certo che ti ascolto bellissima. Ti ho sempre ascoltato, anche quando tu eri incapace di vedermi. Ma dimmi, per chi hai compiuto l'eclatante sacrificio? Per entrambi, o solo per il tuo amatissimo Sasuke?", le chiese cinicamente.
"Io...".
"Rispondimi!", riprese ad urlare iniziando a scuoterla malamente.
"Calmati Naruto", gli intimai frapponendomi tra lui e Sakura.
"Sono stato calmo per molto tempo, e questo è quello che ottengo", mi derise con un vago segno della mano che sottolineava la macabra scena.
"Non merito almeno una risposta sincera? Almeno quella", supplicò disperato Sakura.
"Mi dispiace Naruto, io...".
"Ma certo. Sei sempre stato tu Sasuke. Tu sei sempre stato il suo vero, unico e insostituibile amore. Dimmi, come hai fatto per farla innamorare così pazzamente di te? Saranno state le frasi sprezzanti, le occhiate di superiorità e disprezzo? Oppure ignorarla persistentemente per poi tentare di ucciderla? Quale tra queste cose ti ha fatto innamorare di lui, Sakura?", ci derise.
"IO non mi sono innamorata di lui", confessò Sakura lasciando tutti di stucco.
"No?", chiese perplesso Naruto.
"Io lo ho amato sin dal primo momento in cui l'ho visto con il mio cuore da bambina. Sono cambiate parecchie cose da quel giorno, eppure, anche il mio amore ha cambiato forma e dimensione, ma è rimasto sempre lì, sempre dentro di me", spiegò.
"E per me non sei stata in grado di trovare nemmeno un angolino?", chiese Naruto con le lacrime agli occhi.
Il vecchio Sasuke lo avrebbe di certo trovato patetico, ma dopo aver visto, e soprattutto compreso, la solitudine che aveva sempre vissuto, vedere la sua sofferenza traboccare dai suoi occhi, incrinargli la voce, mi fece male.
"Naruto...", lo supplicò Sakura andandogli incontro mostrandogli il frammento di specchio che teneva in mano.
"No... non voglio vedere le patetiche scuse che ti sei costruita per discolparti", le disse dando una manata al frammento per poi calpestarlo.
"Non c'è giustificazione che regga per quello che mi hai fatto, Sakura".
Quando vidi comparire un rasengan tra le sue mani, mi preparai alla sua ira.
"Naruto, ragiona", lo riguardii.
"Strano che sia proprio tu a dirlo", mi derise attaccandomi.
"Fermatevi! Non capite che sta cercando di metterci l'uno contro l'altro?!", urlava disperata Sakura.
"Ora capisco l'odio che provavi nei mie confronti", mi sibilò Naruto.
"è come acido, mi corrode le viscere da dentro".
"Fermati Naruto!", gli ordinò Sakura parandosi davanti a me.
"Spostati Sakura, o farò fuori anche te", la minacciò.
"Sakura", l'avvertii percependo la serietà con cui quell'ultimatum era stato pronunciato.
"La colpa non è di Sasuke. Lo hai detto anche tu: lui ha fatto di tutto per tenermi lontana da lui. La colpa è solo mia. Sono stata io a illuderti che potessi amarti allo stesso modo in cui amo lui, ma... Naruto... perdonami. Io non ti amo, non come amo Sasuke, e non c'è nulla che possa fare per cambiare ciò".
Vidi gli occhi di Naruto sgranarsi per lo stupore per le parole che Sakura aveva appena pronunciato. Parole dure come macigni, ma che sapevano di ineluttabile verità.
"Mi dispiace Naruto", ripeté.
"Anche a me dispiace Sakura", rispose lui. Poi, all'improvviso e imprevedibilmente, la sua mano affondò nel petto di lei squarciando il mio cuore.
"Lui non ti ha mai amata, lo sai", le disse poco prima che la sentissi afflosciarsi sul mio corpo.
"Cosa hai fatto?!", urlai disperato.
Cadde in ginocchio, il suo corpo scosso da incessabili singulti.
"Uccidimi", mi supplicò tendendomi Kusanagi.
Mi inginocchiai stendendo il corpo di Sakura sul terreno, accanto ai piccoli frammenti di specchio.
Li osservai distrattamente, almeno fino a quando non vi vidi qualcosa riflesso dentro. Era Sakura.
"Guarda Naruto!", esclamai indicandoglieli.
Riuscivo a vedere l'immagine di Sakura: pendeva incatenata da un soffitto. Poi qualcuno le si avvicinò da dietro e recise il suo bracciale.
"Quella vecchia", sussurrò Naruto. "è la vecchia che mi ha dato l'altro frammento di specchio e Kusanagi".
"Dobbiamo trovarla", gli dissi.
"Forse so come fare", mi rispose donandomi un briciolo di speranza.
Sakura
"Hai fallito", mi disse la morte all'orecchio con voce compiaciuta.
"No, ti sbagli", la contradissi.
"Sasuke ha finalmente scoperto se stesso. Ha capito il dolore di Naruto, e lo ha perdonato".
"Allora finalmente lo hai capito? Non ti ama. Non abbastanza".
"Non importa. Non ho sacrificato la mia vita affinché lui amasse un cadavere, o rimpiangesse il passato. L'ho fatto per fargli capire quanto sia degno di amore, nonostante ciò che è stato, e ciò che ha fatto. Il mio scopo era fargli amare la vita. Puoi anche passarmi Kusanagi ora", la sfidai.
"Stai bleffando", mi disse incuriosita.
"Allora mettimi alla prova".
Fui sciolta dalle catene che mi tenevano immobilizzata dal soffitto.
"Fammi vedere", mi incitò dandomi un semplice kunai.
Lo feci. Presi il kunai e lo piantai dritto nel mio cuore.

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Capitolo 18
*** Capitolo XVI ***


Naruto
Non riuscivo a credere di aver ucciso Sakura. Sentirle dichiarare il suo amore per Sasuke, le sue scuse accompagnate dai suoi occhi pieni di pena.... Eppure ero abituato ad essere rifiutato. Perché avevo reagito in modo così drastico e spropositato?
"Non eri in te", mi disse Sasuke poggiandomi una mano sulla spalla.
"Questo non mi giustifica", obbiettai.
"Certo che no, dovrai imparare a conviverci. Ma, Naruto, sia io che Sakura ti perdoniamo".
Ecco cosa doveva aver provato quando aveva preso coscienza di tutto il male che aveva fatto.
"Come puoi convivere con un simile dolore?", gli chiesi adenti stretti.
I suoi occhi si oscurarono di passati ricordi.
"In realtà ho imparato a conviverci da poco", mi confessò.
Era stata Sakura ad insegnargli a perdonarsi.
"Anche tu incontrerai qualcuno che farà lo stesso per te", mi consolò.
"Lo spero",sospirai.
"Dove possiamo trovare la vecchia?", mi chiese.
Mi sedetti sulla testa della statua del primo Hokage, Sasuke su quella di Madara. Eravamo alla valle dell'epilogo, il luogo dove tutto era iniziato, dove avevo ritrovato Sasuke per perdere Sakura.
Quel luogo era nostro, ci apparteneva, perché ognuno di noi vi aveva infuso la propria essenza, perso qualcosa di estremamente importante.
Osservai gli alberi che ci circondavano: silenziosi testimoni delle nostre sciagure.
"Non dobbiamo cercarla noi. Ci troverà lei", gli risposi.
"E come?", mi chiese perplesso.
Gli sorrisi.
Afferrai il frammento di specchio e lo osservai. Era un oggetto sacro, uno dei più sacri, capace di mostrare le verità più occulte. Pensai a Sakura, ed ecco che apparve nello specchio. In ginocchio, con un kunai in mano rivolto verso se stessa.
Cosa stava facendo? La viti affondare il kunai nel suo petto e cadere a terra. Il fiato mi si mozzò, il cuore cessò di battere per qualche secondo. Non poteva essere quella la verità. Sakura non avrebbe mai rinunciato a noi. Una lacrima silenziosa mi sfuggì, per cadere sullo specchio e carezzare il volto di Sakura.
Era finita, realmente finita.
Sasuke
Qualcosa non quadrava. Erano passate tre ore da quando ci eravamo appollaiati alla valle dell'epilogo, e della vecchia non c'era traccia. Naruto si era improvvisamente chiuso nel silenzio più assoluto. Qualche sporadica lacrima gli solcava il volto impietrito da una grande tristezza.
Non gli chiesi nulla, perché anch'io, proprio come lui, ero ammantato da quel fatale sentimento di inutilità e fatalità. Ripensai a Sakura, ai suoi occhi verdi, a tutte le volte in cui li avevo disprezzati. Rimpiansi tutte le volte in cui le sue labbra pronunciavano Sasuke-kun con riverenza e ammirazione, anche quando non c'era nulla da ammirare. Se solo potessi tornare indietro, se solo non fossi stato così cieco ed egoista...
"Cosa avresti fatto?", mi chiese una voce irrancidita dagli anni.
Era la vecchia, ed era seduta accanto a me.
"Se potessi tornare indietro, cosa cambieresti?", mi domandò un'altra volta, il viso inclinato in una posa di benevola curiosità.
"Io... cambierei tutto".
"E tu Naruto, cosa faresti? Cosa cambieresti?".
"Cercherei di non far soffrire le persone che mi stanno accanto. Non ucciderei Sakura", rispose senza sollevare lo sguardo dal frammento di specchio.
"Non l'avete uccisa voi: è stata lei a scegliere di morire. Non c'è stata volta in cui non abbia scelto con consapevolezza", ci informò.
"Tu l'hai uccisa", sputò fuori con rabbia Naruto lanciandomi lo specchio. Quello che vi vidi dentro mi lacerò il cuore, quel cuore che credevo irrimediabilmente perduto.
"Ti sbagli Naruto. Io ho solo raccolto la sua anima, dopotutto sono la morte".
Sakura era morta. Era morta. Non sarebbe più tornata con noi. Non avrei più potuto ammirare i suoi occhi, prenderla in giro per il colore dei suoi capelli. Non avrei più udito la sua voce squillante litigare con Naruto, o ridere per una qualche stupidità. Sarebbe diventata un ricordo del passato.
"Perché lei?", chiesi soffocando un singulto.
"Perché lei cosa?", chiese quell'abominio.
"Perché hai scelto Sakura?".
"Non l'ho scelta io. È stata lei a convocarmi, proprio come avete fatto voi ora. Era triste, tremendamente triste che tu e Naruto non foste più amici. E preoccupata per entrambi: per il peso che Naruto stava portando sulle sue spalle. E per te Sasuke, perché in cuor suo sapeva che quel traditore che mieteva vittime in modo spregiudicato, non eri realmente tu, e che avresti dovuto portare il peso di un simile orrore per sempre. Lei mi ha chiamato a sé, con i suoi pensieri oscuri, con il suo forte desiderio di volervi salvare ad ogni costo, e il prezzo che ha accettato di pagare è stata la sua vita. Vi dovreste solo chiedere se siete stati meritevoli di un simile sacrificio", ci disse per poi sparire.
Rimanemmo lì, seduti immobili, proprio come le statue dei nostri predecessori, con le menti in subbuglio.
Guardai lo specchio, ma non riuscii a scorgervi nulla, erano troppe le lacrime che minacciavano di fare capolinea dai miei occhi, così lo riposi nella tasca dei miei pantaloni. Mi alzai per raggiungere Naruto.
"Non c'è nulla che possiamo fare?", gli chiesi.
"Lo hai visto anche tu con i tuoi occhi: è morta, Sasuke", mi disse duramente per poi alzarsi e sparire anch'egli.
Quella notte, interminabile, a dispetto dello scorrere delle lancette dell'orologio, non chiusi occhio. Rimasi lì, in quel luogo di sventura, ad osservare il nascere di un nuovo giorno. Un giorno senza lei.
PRIMO GIORNO
Osservai il sole levarsi su Konoha, scandire la ciclicità del tempo, della vita. Tutti i miei muscoli erano indolenziti dall'immobilità ai quali li avevo costretti tutta la notte.
Scesi al villaggio, e vagai alla ricerca di Naruto. Non lo trovai da nessuna parte, nemmeno da   Teuchi o nel suo caotico appartamento.
A quel punto, preoccupato che potesse compiere qualche pazzia, mi recai da Kakashi, che mi informò della partenza di Naruto per una missione a Suna.
Era paradossale che proprio lui, la persona più solare che avessi mai incontrato, si fosse trasformato in un duplicato del mio vecchio me.
Tornai a casa per fissare il soffitto della mia camera.
Cosa dovevo fare?
I miei occhi videro qualcosa spuntar fuori da sotto il mio letto: era il diario di Sakura.
Lo aprii e lo sfogliai fino all'ultima pagina, lì dove vi era stato inciso un ultimo messaggio.
Spero che tu abbia trovato il mio diario, che almeno questa piccola parte di me resti con te, a ricordarti ciò che meriti, a ricordarti me.
Però, se hai trovato questo piccolo quaderno, significa anche che io non sarò più lì con voi, e questo mi rattrista. Siete sopravvissuti ad una guerra, sopravvivrete anche a questo, ne sono certa.
Fisso questo foglio bianco senza sapere cosa scrivere, sono troppo banali le parole per esprimere quello che voglio dirvi, che voglio dire a te Sasuke-kun. Dunque mi limiterò a spiegarti come ho preso la decisione di morire, di lasciar vivere voi.
Pensiamo sempre di conoscere il futuro, noi umani, ed io non ho fatto eccezione a questo peccato di superbia, anzi ho peccato parecchio, pensando di poterlo addirittura piegare a mio piacimento. Che stupida! Anche solo per un secondo il futuro cambia, sfugge alla presa delle nostre piccole dita, troppo fumoso, troppo veloce, per poter esser trattenuto. L'ho capito quando ti impossessavi del mio corpo e io del tuo. Percepivo la tua rabbia, il tuo odio, ma soprattutto, quello che mi feriva di più, era stato avere la certezza della poca considerazione che hai di te. Il futuro cambia in fretta e completamente, ma il passato non potrà mai essere cancellato, ci plasma, ci rende le persone che inconsapevolmente si affacciano sul futuro. Ma, Sasuke, una scelta l'abbiamo, anch'io l'ho avuta. Avrei potuto lasciarmi dominare dalla paura, restare ferma, tremante e immobile, ad osservare che il mio migliore amico, e l'uomo che ho sempre amato si uccidessero a vicenda. Oppure possiamo reagire al futuro, fare un passo avanti verso l'ignoto che ci attende e immaginare, sperare per il meglio. Io ho deciso di sperare Sasuke, di immaginare te e Naruto riappacificarvi. Ma soprattutto ho immaginato te vivere una vita degna di essere vissuta.
Vivi Sasuke. Impara ad amare, ed ama come io ho amato te. Sii il meglio che puoi. Rendi questo mondo un posto migliore, libero dal dolore che tanto ti ha segnato.
Ti amerò sempre,
Sakura.
Piansi. Piansi per la rabbia, per la tristezza e per quel lieve sollievo che mi affliggevano. Era realmente finita.
Naruto
Ritornai al mio appartamento, un altro frammento di specchio stretto tra le dita. Quanto mi appariva squallido quel misero appartamento, squallido come la vita che vi avevo condotto. Guardai nel frammento di specchio, e vi vidi scorrere il momento in cui avevo ucciso Sakura.
Che beffa! Proprio io l'avevo uccisa, quando Sasuke aveva fallito più di una volta.
Osservai le luci di Konoha dalla finestra, e quell'atmosfera pacifica e allegra mi innervosì. Tutti conducevano tranquillamente la propria vita come se nulla fosse cambiato.
Andai da Kakashi, che supplicai di assegnarmi una missione qualunque, basta che non fosse a Konoha. Così partii per Suna.
SECONDO GIORNO
Sasuke
Camminavo tra le deserte e ormai buie vie di Konoha, con solo uno zaino sulle spalle. La determinazione induriva i tratti del mio viso, aguzzandoli. Ero quasi giunto alle porte, quando lei mi chiamò con quel lieve Sasuke-kun dal sapore agrodolce.
I suoi occhi erano vaste distese acquatiche piene di dolore e disperazione.
"Non andare", mi supplicò.
Dovevo ascoltarla, lasciarmi cullare da quelle parole amorevoli, da quelle labbra supplichevoli, avvolgerla tra le mie braccia e ringraziarla con il cuore, e non come pura formalità. Invece le voltai le spalle, promettendomi di distruggere quell'amore che le accendeva gli occhi.
"Sasuke-kun", sussurrò ora di fronte a me, i capelli corti che le sfioravano il mento.
"Sakura".
"Perché mi hai abbandonato?", mi chiese delusa.
"Io...".
"Perché non sono un Uchiha? Io ti amavo Sasuke. Ti ho offerto tante chance per poterti redimere. Ti ho offerto la mia stessa vita, e tu? Tu l'hai calpestata".
"Non è vero! Io ho cercato di salvarti!", urlai preda della frustrazione.
"E come? Cosa avresti fatto per me?", mi chiese sarcastica.
"Sakura...io...ti pr...", cercai di spiegarmi allungando una mano verso di lei. Incontrai solo aria, il vuoto più totale.
"è troppo tardi Sasuke", mi ricordò sbattendomi in faccia quella che era divenuta la realtà.
"Perdonami".
"Non ho nulla da perdonarti, Sasuke, solo.... Non buttare tutto all'aria. Io avrei tanto voluto continuare a vivere, sperimentare l'amore di un'altra persona, diventare un medico affermato, e... avrei voluto avere una famiglia. Non precluderti queste opportunità. Vivile per me, sii quello che io non potrò mai essere", mi consolò con una carezza al viso.
"Sakura!", la chiamai disperato. Ma lei era sparita.
"Sasuke-kun".
Mi voltai di scatto alle mie spalle. Ed eccola lì, adolescente come quando la lasciai.
"Io ti amo Sasuke-kun".
Quante volte mi aveva fatto dono di quelle parole? E quante volte, anche dopo aver preso coscienza del loro valore, le avevo ricambiate?
Mi avvicinai a lei e la strinsi in un abbraccio.
"Ti amo anch'io Sakura, ma devo andare", le dissi.
"Devi per forza?".
Sarebbe cambiato qualcosa se fossi rimasto? O avrebbe semplicemente posticipato l'inevitabile?
"Sì. Ma tu non dimenticare il tuo amore per me, così come io non scorderò mai il mio per te", le promisi strappandole un sorriso.
Era parole inutili, superflue per lei. Lei che non aveva mai dubitato di me, anche senza ascoltare realmente quelle parole. Anche quando scesi talmente in profondità nell'oscurità da perdere me stesso, lei serbava un chiaro ricordo di chi ero stato. Ma quelle parole fecero sentire bene me stesso, come se, almeno in parte, avessi posto rimedio ad un torto. Le avevo detto che l'amavo.
Mi svegliai con un sorriso sulle labbra. Il senso di perdita che ancora gravava su di me come un macigno era più sopportabile.
Naruto
La debole speranza di trovare un po' di pace tra le dune del deserto evaporò al sole cocente di Suna non appena ne varcai le porte. Proprio lì, sulle quelle mura di cinta, avevo posto fine ad una vita innocente.
"Naruto", mi salutò il Kazekage.
"Gaara", risposi impassibile.
"Non ti aspettavo così presto".
"Mi annoiavo a passeggiare tra le vie di Konoha".
"Vieni, andiamo a pranzo insieme, ti va?", mi domandò amichevolmente.
"Mi dispiace, ma devo immediatamente far ritorno a Konoha... ho un'altra missione da sbrigare", blaterai terrorizzato dal dover passare tempo in compagnia di altre persone, amiche o sconosciute che fossero.
"Capisco", rispose deluso. Una delusione che, se fino a qualche giorno fa mi avrebbe macinato il cuore, mi toccò lievemente.
"Mi farò perdonare", gli dissi prima di scappare dal luogo del delitto.
Corsi come un pazzo, desideroso di ritornare a Konoha. Era notte fonda quando vi feci ritorno. Mi sedetti sulla statua di mio padre, sul monte degli Hokage, e riflettei come ormai la mia vita fosse andata a rotoli. Niente aveva più un senso. Nemmeno seguire le orme di mio padre. Presi il frammento di specchio e mi nascosi nel passato, precisamente nel mio primo giorno nel team sette.
TERZO GIORNO
Sasuke
Stavo tornando a casa da una missione, quando udii un malinconico motivetto fischiettato. Corsi verso la fonte di quella melodia, il cuore che batteva all'impazzata nell'improbabile possibilità di imbattermi nuovamente in lei. Sapevo che era impossibile, ma tutte le mie cellule urlavano l'urgenza di verificare, come se volessero cercare un po' di pace nell'amara realtà.
Non era lei che fischiettava spensierata carica di buste con gli occhi rivolti al cielo. Non furono le sue labbra a scandire quella melodia, che in altri tempi, mi scavò l'anima per farvi entrare dentro lei.
Era una bambina che saltellava tra le pozzanghere che disseminavano l'acciottolato.
La delusione mi travolse all'improvviso come un maremoto, riducendomi sull'orlo del baratro. Corsi in casa, e solo quando fui nell'intimità delle mie mura, permisi alle lacrime di scendere.
"Che tu sia dannata!", ringhiai al soffitto.
"Hai fatto il modo che ti amassi, che ti vedessi realmente, e poi te ne vai!", urlai sconfitto sgretolandomi sul pavimento.
Non uscii per due giorni. Rabbia, rancore, disperazione, e cordoglio lottavano dentro di me senza tregua.
Potevo illudermi di vivere, di respirare, di camminare tra la gente, ma... la verità è che sopravvivevo. Ero ritornato a non possedere più un cuore, distrutto da un paio di incredibili occhi verdi.
Solo due giorni dopo mi azzardai ad uscire da casa per andare alla ricerca di Naruto. Lo cercai in ogni angolo di Konoha, chiesi anche ai suoi amici, ma nessuno lo aveva visto. Sapevo che era ritornato da Suna, il suo rientro era annotato nei registri del villaggio. Dopo cinque ore di estenuante ricerca lo trovai alla valle dell'epilogo, circondato da una decina di bottiglie di sakè.
"Naruto!", lo chiamai, incapace di nascondere l'orrore che provavo nel vederlo ridotto così.
"Ti sentivi così", biascicò.
"Ti sentivi così quando hai ucciso Itachi e hai scoperto che in realtà ti amava?".
"Credo di sì", risposi incerto.
"Allora finalmente ti capisco. Che schifo Sasuke. Come hai fatto a sopportare tutto questo? Ho voglia di uccidere qualcuno, di distruggere questo mondo che osanna la pace, ignaro di quale sia stato l'effettivo prezzo per raggiungerla".
"Io l'ho superato perché avevo te e Sakura".
"Sakura.... Non voglio più sentir nominare il suo nome. Voglio dimenticarla".
"Ne usciremo Naruto", cercai di consolarlo.
"Tu ne sei già uscito. Non l'hai uccisa tu, Sasuke. Sono state le mie mani a trafiggerle il cuore. Tu... tu hai avuto il suo amore, io la responsabilità della sua morte. E per questo non tollero la tua presenza, non ora", mi congedò.
"Capisco. Ti darò tutto il tempo che vorrai Naruto, io sarò sempre qui. Non commettere i miei stessi errori".
"Tu hai mai ascoltato tutte le suppliche che ti porgevo? Hai mai tenuto conto delle lacrime di Sakura quando apprendevamo i crimini di cui ti macchiavi? Con quale diritto vieni da me a riferirmi queste stupide parole di falso conforto? DOVE ERI TU QUANDO AVEVO BISOGNO DI TE? Non ti voglio Sasuke, non voglio nemmeno vederti. Puoi stare tranquillo però, non ho intenzione di diventare un traditore, né di scatenare un'altra guerra, e nemmeno di ucciderti, se questo può consolarti".
Quelle parole furono colpi all'anima, catene che mi legavano a quel passato tanto oscuro che cercavo di tenere a bada. Parole che meritavo e alle quali non potevo controbattere.
"D'accordo. Però sappi che sarò sempre qui, pronto a sostenerti".
Non mi rispose, si limitò a tracannare un altro sorso di sakè.
Passarono i giorni, e nessuno di essi rese meno doloroso e insopportabile la quotidianità che mi attendeva, o il semplice pensare a lei. Niente era come prima, ed io non sapevo come viverlo quel cambiamento.
Dopo una settimana, trascorsa tra lacrime e rimorsi, mi trascinai presso la tomba di Itachi. Anche lui aveva sofferto così tanto per la morte dei nostri genitori?
Non avevo più rivisto Naruto, e la sua lontananza, stranamente, mi scombussolò ancor di più. Sapere di non averlo al mio fianco, quando avevo sempre potuto far affidamento su di lui, mi fece sentire abbandonato, indesiderato, un escluso.
Mi sommersi di lavoro, accettando tutte le missioni che potevo, pur di smettere di pensare.
I giorni si susseguivano, uno dietro l'altro, scanditi dai numeri del calendario, lenti solo come quando aspettiamo qualcosa. Ed io, inconsciamente, come un bambino che si rifiuta di credere alla realtà, aspettavo un suo ritorno.
Naruto
Le folle non mi acclamavano più come eroe, non dopo l'ultima mia scenata in pubblico.
Un giorno, uno dei tanti dopo la morte di Sakura, ubriaco, come mia nuova abitudine, vagavo per la folla ignara di Konoha. Tutti mi sorridevano, cercavano le mie mani da stringere per ringraziarmi di averli salvati.
Se quei ringraziamenti, un tempo che ormai mi pareva lontano, mi avrebbero gratificato, quel giorno mi insultarono, mi misero davanti al mio fallimento più grande: la morte di Sakura.
"Non voglio i tuoi insignificanti ringraziamenti", biascicai rabbiosamente al poveretto.
"Non sono un eroe...", continuai a ripetergli strattonandolo per il colletto della maglietta. Fui bloccato da Kakashi in persona e intimato di non farmi più trovare ubriaco.
Balle. L'alcol, insieme all'autocommiserazione, erano divenuti i miei migliori amici. Tutto il resto non era più nulla, se non cenere di un vecchio e innocente passato.
Ed eccomi qui, sdraiato sul mio letto, con una bottiglia di sakè ai piedi del letto, e un pezzo di specchio frantumato tra le mani, a supplicare che la morte, quella vecchia bastarda, stavolta venisse a prendere me.


Un anno dopo
Sasuke
Stavo facendo ritorno a Konoha, quando un alito di vento mi portò alle orecchie un suono familiare.
"Sasuke-kun...".
Amavo e odiavo al col tempo quei ricordi sensoriali.
Un sorriso malinconico mi sfiorò le labbra.
Feci un profondo respiro, riempiendomi i polmoni della tiepida brezza primaverile. Era il suo compleanno, e la natura stessa la festeggiava sfoderando i suoi caldi e vivaci colori.
"Buon compleanno Sakura", dissi al cielo, dove ero convinto che ora si trovasse, poi mi rimisi in marcia.
A circa due metri di distanza mi imbattei in qualcosa di insolito: la mia Kusanagi. Era piantata nel manto erboso, la lama ricoperta da minuscoli fiori rampicanti, come se avesse sempre atteso il mio ritorno piantonata lì.
"Ti trovo bene Sasuke. Vedo che hai fatto pace con te stesso", mi disse la morte.
"Ci tento", risposi vago.
"Lo so, è una lotta continua, e lei deve mancarti terribilmente".
Non le risposi. Era ovvio che mi mancasse. Certe notti mi svegliavo urlante dopo aver rivissuto la sua morte. C'erano giorni in cui non potevo uscire da casa, incapace di smettere di piangere quando immaginavo il futuro che avremmo potuto avere. Ma avevo compreso il dono che mi aveva fatto.
"Quindi hai capito il perché?", mi interrogò.
"Una volta mi chiedesti cosa avrei cambiato per riaverla indietro. Non cambierei nulla, nemmeno tutte le parole velenose che le ho rivolto, i torti e le angherie che le feci. Lei mi ha fatto il dono della vita, mi ha condotto fino a qui. Senza di lei, senza il suo gesto io...".
La vecchia mi si avvicinò, i suoi occhi mi guardavano con ammirazione e amore.
"Finalmente lo hai capito", mi disse.
"Cosa?".
"Che anche tu sei degno di amore, dell'amore di Sakura", mi rispose legando al mio polso destro, sopra il filo rosso ormai logoro, un altro filo.
"Perché?", le domandai.
"Hai pagato il tuo prezzo Sasuke: hai imparato a vivere senza di lei".
"Ma Naruto...".
"Confido che presto imparerà anche lui", mi rispose sillibina.
"Ma io mi ricordo di lei", obbiettai.
"Ricordi lei per l'amore di cui lei ti ha fatto dono, e per l'amore che tu provi nei suoi confronti", mi spiegò.
"Io... tutto questo cosa significa?".
"Lo scoprirai presto", mi sorrise per poi voltarsi e allontanarsi.
"Aspetta!", cercai di fermala. Si fermò. "Quasi dimenticavo. Questo è tuo", mi disse lanciandomi qualcosa. Era un frammento di specchio. Guardai la vecchia allontanarsi perplesso. Poi abbassai lo sguardo sul mio riflesso. Iniziò a distorcersi per mostrarmi qualcosa: si trattava di due figure abbracciate, strette tra loro. Le loro sagome sfocate, quasi fumose, non mi permisero di capire chi fossero.


Naruto
Il suono di pesanti colpi alla mia porta mi svegliò. Non appena poggiai i piedi sul fetido pavimento, sentii il malumore e lo sconforto impadronirsi di me.
"Arrivo", brontolai.
"E così, questo sarebbe uno dei ninja leggendari, l'ero di Konoha. Devo ammettere che mi deludi parecchio, Naruto", mi accusò la sua voce.
"S... Saku...ra", balbettai.
"In persona. Viva e vegeta", replicò sorridendomi.
"Com'è possibile?".
"Sasuke ha pagato il suo debito".
"Sasuke? È morto?".
"No. Lui... è una cosa troppo complicata da spiegare ora. Volevo semplicemente vederti. Ti ho osservato per tutto questo, e non riuscivo a credere che ti fossi ridotto in questo stato".
Arrossii al suono di quelle accuse.
"Io...".
"Shh.... Sono qui, e non hai nulla di cui rimproverarti", mi disse abbracciandomi.
"Mi dispiace... mi dispiace tantissimo. Ti prego perdonami", la supplicai, ormai incapace di tenermi dentro quel senso di colpa rancoroso.
"Naruto io ti ho perdonato, già da tempo. È ora che tu perdoni te stesso".
La osservai con attenzione, ancora incredulo che fosse realmente dinanzi a me.
"Sei realmente tu?", le domandai toccandole il volto con due dita, timoroso che potesse sparire davanti ai miei occhi.
"Sì, Naruto".
"Sasuke sarà felice come pasqua", borbottai con un punta di acidità.
"Non l'ho ancora visto".
"No?!", ribattei scioccato e onorata da ciò che quella frase implicava.
"No. Prima volevo vedere come se la passava il mio migliore amico".
"Grazie", le dissi riabbracciandola.

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Capitolo 19
*** Capitolo XVII ***


Sakura
Adoravo i tramonti. Osservare il sole nascondersi dietro le alture dei monti, sparire del tutto dai nostri occhi, come se volesse giocare a nascondino. Eppure, anche quando i suoi raggi abbandonano del tutto la volta celeste, il suo ricordo rimane sempre impresso nelle nostre memorie, meccanico, inosservato. Inosservato come me. Avevo posto fine alla mia vita un anno fa, ma la morte non mi offrì Kusanagi, che mi avrebbe definitivamente sigillata nel regno dei morti, bensì un semplice kunai. Era quello il prezzo definitivo che dovevo pagare: dovevo avere il coraggio di rinunciare per sempre a Sasuke e sperare che vivesse pacificamente la sua vita. Per un anno attesi di far ritorno, sospesa in un mondo intermedio, dove potevo osservare tutto quello che aveva luogo sulla terra. Avevo vegliato su entrambi, li avevo osservati soffrire, versare lacrime di disperazione e rabbia, maledirmi per aver sacrificato la mia vita.
Avevo sofferto con loro, risposto alle loro lacrime con le mie. E ogni qual volta che vedevo Naruto affogare in una bottiglia di sakè, o Sasuke svegliarsi la notte per gli incubi che avevo contribuito a provocargli, arrivavo quasi a rimpiangere la mia scelta. Mi chiedevo se avessi realmente fatto la cosa giusta, o se li avessi condannati solo ad un'ulteriore sofferenza. Ma... più passavano i giorni, più questi si cumulavano in settimane e mesi, più la verità veniva portata a galla, perché nel tempo si risolve tutto, tutto si aggiusta, si cicatrizza, indipendentemente da quello che pensiamo, da quello che facciamo per aggrapparci al passato.
E così, anche se Naruto continuava a bare un po' più del dovuto, e dimenticava di badare a se stesso, vidi Hinata pronta a soccorrerlo, pronta a donargli quel genere di amore di cui io non ero stata capace.
E Sasuke... Sasuke aveva imparato a ricordarmi con un sorriso. Ma non fu quella la cosa più eclatante, no.... La vera rivoluzione fu la scoperta del suo sorriso, un sorriso che ormai aveva imparato a condividere con chiunque, chiaro segno rivelatore di quella pace alla quale da troppo tempo sfuggiva.
Mi diressi alla valle d'epilogo e lo attesi, ben sapendo che, anche stanotte, non avrebbe mancato di venire quassù ad onorare il mio sacrificio.
Mi diressi alla valle d'epilogo e lo attesi, ben sapendo che, anche stanotte, non avrebbe mancato di venire quassù ad onorare il mio sacrificio

Sasuke

Come ogni sera mi diressi verso la valle d'epilogo, questa volta accompagnato da un'insolita sensazione di aspettativa. Un'aspettativa nata dalla vista della vecchia. Era come se avesse aperto quella profonda ferita che contro il mio volere stava iniziando a guarire.
Un passo alla volta, il cielo iniziava a mostrarmi la vastità delle stelle che gli appartenevano e, come un ingenuo, non potevo fare a meno di domandarmi se Sakura mi osservasse da uno di quei puntini luminosi.
Mi sedetti sulla testa di Madara e scrutai, come ogni sera, la foresta sottostante.
Esattamente un anno fa Sakura morì qui, in questa landa ora fiorente, ma che in passato aveva tratto nutrimento da sangue innocente e desideroso di vendetta.
Ero riuscito a spogliarmi del mio nome, a porre una distanza da quel clan, ormai inesistente, che aveva avvelenato la mia vita. Solo in quel modo ero riuscito a comprendere davvero l'amore che Sakura provava nei miei confronti, e l'ostinata amicizia di Naruto. A loro non interessava nulla del mio clan, del fatto che fossi l'ultimo Uchiha, a loro importava solo di Sasuke. Mi veniva da ridere al pensiero di tutte le peripezie che avevamo dovuto affrontare per arrivare a quella mia comprensione. Il baka non era Naruto, ma io. Purtroppo non fuoriuscì alcuna risata, o sospiro di sollievo, dalle mie labbra, anzi, queste furono bagnate da silenziose lacrime. Lacrime che ormai sgorgavano dai miei occhi con la stessa facilità di una mammoletta.
Il lieve fruscio di un ramo spezzato mi mise in allerta.
"Non dirmi che il grande Uchiha Sasuke ha imparato l'arte del pianto?! Credevo che quella fosse un'arte che appartenesse solo a me", disse la sua voce goliardica.
Mi alzai di scatto, tutto il mio corpo in fermento per l'incredulità e la voglia di stringerla a me.
"Tu...".
"In carne ed ossa", mi rispose saltando dalla testa della statua di Hashira per raggiungermi.
"Ti trovo benissimo, Sasuke-kun", mi bisbigliò carezzandomi dolcemente il viso.
Il lieve contatto delle sue dita sulla mia pelle mi risvegliò da quello stato nostalgico che da un anno mi ammantava.
"Fingevo. Solo ora sto bene", le rivelai stringendola a me.
"Mi sei mancato così tanto", mi confessò.
"Anche tu. Certi giorni io...".
"Shh.... So tutto. Vegliavo sempre su di te", mi rivelò zittendomi.
"Tu... tu hai visto tutto", ripetei.
"Tutto... anche gli incubi che non ti permettevano di dormire", mi assicurò raccogliendo con le sue esili dita le lacrime che mi bagnavano il volto.
"Hai fatto tantissimo per me ,Sasuke".
"Cosa avrei fatto, a parte tentare di ucciderti più volte?", le chiesi angosciato, timoroso che, in fin dei conti, potesse rendersi conto della brutale verità.
"Hai dato un senso alla mia vita, anche quando tentavi di uccidermi. Non capisci? Solo grazie a te e Naruto ho scoperto la mia vocazione per la medicina, e sono riuscita ad arrivare dove sono", mi spiegò piena di fervore.
"è una ben misera cosa, in confronto a ciò che tu e Naruto avete fatto per me", ribattei.
"Tu mi hai insegnato ad amare, Sakura. Hai insegnato a me, Uchiha Sasuke, cosa sia l'amore. Me lo hai insegnato ogni volta che mi puntavi addosso questi enormi occhi verdi incapaci di nascondere i tuoi pensieri. Quei pensieri che tanto mi imbarazzavano, ma che in un modo che ancora non mi so spiegare, mi hanno insegnato l'amore. Mi hai insegnato a restare, a capire cosa si prova nell'osservare le spalle di chi ami voltarsi e scomparire. Mi hai costretto a guardare oltre il confine delle mie paure, alla ricerca del vero me stesso, e...", presi fiato.
"E questo, tutto questo non ha prezzo. Non basta un grazie, un sorriso, o un semplice ti amo, per esprimerti la mia gratitudine", le confessai.
"Sasuke Uchiha.... Tu mi hai ringraziato non dicendomi addio", sussurrò, gli occhi, quegli occhi che avevo imparato ad amare così tanto, pieni di lacrime.
"Non ti ho detto mai addio Sakura. Nemmeno quando cercavo di convincermene. Non ricordo esattamente l'esatto momento in cui ho iniziato a pensare a te ogni mattina. Ricordo solo, che anche al covo di Orochimaru, quando mi svegliavo, in mezzo a tutto l'odio che covavo c'eri anche tu. Era come se mi svegliassi col tuo pensiero attaccato sui miei occhi. Eri fastidiosa anche quando non mi eri accanto, incapace di lasciarmi stare anche durante la notte, presente anche quando stavo per addormentarmi. Presente fino al mattino seguente".
"Torniamo a casa, Sasuke-kun?", mi propose tendendomi una mano.
Quando le nostre mani si ricongiunsero notai i due fili rossi che mi cingevano il polso destro.

"Questo è tuo", le dissi sciogliendone uno.
Non appena le porsi il filo, questo si ridusse in cenere proprio sotto i nostri occhi.
"Siete stati davvero in gamba", ci lodò una voce.
Era la vecchia, la morte fatta in persona.
"Avete sfidato non solo me, la morte, ma anche il destino stesso. Oppure no? Forse, eravate realmente destinati a ritrovarvi. Avete pagato un prezzo altissimo, affinché le vostre mani potessero soltanto sfiorarsi".
"Perché?".
"Perché vi ho ostacolato, quando alla fine vi ho fatto ricongiungere? Tutto ha un prezzo, Sasuke, un equilibrio che deve essere continuamente mantenuto. La sofferenza che hai causato a tutta quella povere gente, gente che nemmeno conoscevi, solo sperimentandola su di te, solo provando l'agonia della perdita per mano estranea, ha potuto farti comprendere le conseguenze delle tue azioni. Se non vi avessi ostacolato non sareste qui. Il vostro destino si è avverato. Non avete più bisogno di quel bracciale", mi disse tendendomi una mano ringrinzita.
"Quindi il prezzo che dovevamo pagare era questo?", le domandò Sakura.
"Un sacrificio per un sacrificio. Tu hai donato la tua morte in cambio della loro vita. E Sasuke ha pagato il suo debito con la sua di vita : ha sacrificato l'amore per riavere te. Ti sembra poco?", le chiese per poi sparire nella notte stessa.
Sakura
Quando si viene messi al mondo, non si ha alcuna concezione della morte, né della vita stessa. Cresciamo senza porci quelle domande così cruciali e scomode, per paura che possano portare a galla tremende verità.
Morte. Una parola che la maggior parte di noi umani teme. Solo chi non ha niente da perdere l'abbraccia come una vecchia amica con un sorriso sulle labbra. Solo chi ha vissuto la disperazione, o la perdita di quella ragione di vita che lo faceva andare avanti nel circolo di dolore e gioia, la brama come un amante impavido.
Io l'avevo fatto, l'aveva chiamata a me, le avevo offerto la mia vita in cambio di Sasuke e Naruto.
Solo nel momento in cui morii per mano loro, mi fu rivelata la verità: nemmeno io avevo vissuto la mia vita. Mi ero limitata a sopravvivere, a diventare l'ombra di ciò che sarei potuta divenire, incatenando la mia vita al futuro di Sasuke. Un futuro che non potevo controllare, in quanto non mi apparteneva.
In quel momento, nell'esatto secondo in cui il mio cuore cessò di battere, e la vita sgorgava fuori dal mio corpo ormai freddo, ebbi realmente paura. Cosa sarebbe rimasto di me? Io, che avevo sfidato la stessa morte, mi ritrovai tremante al suo cospetto, all'attesa di un suo verdetto.
Mi girai nel letto di Sasuke per scrutarlo dormire. Il suo volto era disteso, privo di alcuna preoccupazione.
Lui non sapeva quanto avessi rischiato, quanto fossimo stati vicini al punto di perderci tra gli innumerevoli parallelismi temporali che avevamo creato. Il nostro era un miracolo, il risultato di un impresa titanica. Il solo ripensare a tutti gli avvenimenti che avevamo vissuto, la prima volta che lo avevo visto, le innumerevoli missioni che avevamo svolto insieme, i litigi, i tradimenti, la guerra, e tutti i pericoli che essa comporta, mi riempiva di stupore e meraviglia. Tutto ci aveva condotti a questo.
Mi strinsi a lui beandomi del calore del suo corpo, e infine mi addormentai, iniziando a vivere il mio presente.

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Sakura
Eravamo sopravvissuti alla quarta guerra mondiale ninja. Ci eravamo guadagnati il titolo di eroi, di ninja leggendari. Ma quello che gli altri non sapevano, era che eravamo sopravvissuti a qualcosa di peggiore. Eravamo dovuti scendere nelle profondità di noi stessi, delle nostre azioni, e se oggi la pace regnava stabile e sovrana, lo si doveva a ciò che avevamo dovuto sacrificare, a tutte le piccole parti di noi che avevamo perso strada facendo.
Tra tutti i parallelismi temporali che avevamo vissuto, tornammo alla nostra realtà, ovvero alla fine della guerra, allo scontro finale tra Sasuke e Naruto. Uno scontro che non ebbe luogo. Mi sfuggì un sorriso al pensiero di come quel giorno stettimo sdraiati ad osservare le nuvole rincorrersi tra loro. Ognuno di noi smarrito in quella realtà alternativa che avevamo realmente vissuto.
Ricordo come Sasuke mi poggiò una mano sul petto, come se dovesse accertarsi che da un momento all'altro un enorme buco non mi avrebbe squarciato nuovamente il petto. O le continue occhiate di Naruto, impaurito che potessi scomparire sotto i suoi occhi.
Ma ero rimasta, stretta tra i loro corpi.
"Sakura! Mi stai ascoltando?", mi chiese Sasuke sbuffando spazientito.
"Scusami, ero persa nei miei pensieri", gli risposi beandomi della sua vista.
"Devi stare a riposo. Non puoi continuare a fare questi orari assurdi a lavoro. Perché non deleghi un po' di lavoro ad Ino?", mi chiese preoccupato.
"Sto bene", lo rassicurai con un buffetto sotto il mento.
"Tsz".
"Dai Sasuke, sono pur sempre un ninja, non riesco a stare con le mani in mano quando c'è così tanto lavoro da fare", lo pregai.
"Lo so.... Ma promettimi che quando sei stanca ti riposerai", mi supplicò perentorio poggiandomi una mano sulla lieve rotondità del mio addome.
"Sarai un padre fantastico", lo rassicurai.
Mi sorrise. Un'abitudine ormai consolidata, a differenza di....
"Che c'è?", mi chiese vedendomi preoccupata.
"Stavo pensando a Naruto, a come sia cambiato.... Non è giusto", protestai, lagnosa alle mie stesse orecchie.
"Lo so, ma è una sua battaglia personale".
"Menomale che al suo fianco c'è Hinata", sospirai, in parte consolata.
"Oh!", esclamai stupefatta.
"Cosa c'è? È il bambino? Stai poco bene? Fammi dare un'occhiata", si precipitò da me in modalità iperprotettivo.
"No... va tutto bene, alla grande direi", lo rassicurai stringendo una sua mano nella mia per poi portarmela sul pancione.
"Oh... ha iniziato a scalciare!", disse meravigliato.
Sospirai di felicità. Finalmente avevamo ottenuto quello per cui avevamo lottato.
Sasuke
Era notte fonda. A svegliarmi furono i continui mugugni di Sakura. Il bambino, da quando aveva imparato a scalciare, non la lasciava dormire più.
Allungai un braccio e cinsi il pancione, poi mi avvicinai e , come quasi ogni notte ormai, iniziai a parlargli.
"Vuoi raccontata la storia della buona notte?", gli chiesi, sentendomi un idiota, non essendomi ancora abituato del tutto a certe smancerie.
Mi rispose con un tonfo.
"Allora... da dove posso iniziare? Vediamo un po'.... . tanto tempo fa, quando ancora non ero un ninja, seguivo tuo zio Itachi per le strade del villaggio, nella speranza che decidesse di insegnarmi qualche nuovo jutsu, o che mi portasse in missione con lui. Quel giorno però lo persi di vista, ero stato distratto da una buffa e alquanto insolita chioma rosa che spuntava qua e là tra la folla mattutina. Quello strano colore mi incuriosì a tal punto che mi feci largo tra la folla. Dovevo assolutamente vedere a chi appartenessero quegli strani capelli. Così mi imbattei in lei: era tutta sola. I suoi occhi erano spalancati per la paura di essersi persa. Quando i miei occhi incrociarono quelli verdi di lei, qualcosa mi scattò dentro: mi hanno marchiato a vita. Ed eccomi qui, prigioniero del suo volere".
"Quindi la notte ti inventi le storielle da raccontare a nostro figlio?", mi interruppe la voce di Sakura.
"Tu con i tuoi lamenti non mi fai dormire. E poi non sono storie inventate: è la verità", le confessai.
"Non mi hai vista per la prima volta all'accademia?", mi chiese con gli occhi vigili per la curiosità.
"No. Quella fu la prima volta che io e Naruto ti vedemmo".
"Naruto?".
"Sì, il baka stava appollaiato sul ballatoio di una finestra".
"Hai già scelto il nome?", mi domandò poggiando una sua mano sulla mia.
"No.... Non sappiamo nemmeno se sia un maschio o una femmina", protestai.
"Guarda che lo so", mi disse.
"Cosa?".
"Che sai già il sesso del bambino. Ti conosco bene Sasuke, so quanto sei curioso", mi prese in giro.
"Lo vuoi sapere?", le domandai perplesso.
"Ormai puoi dirmelo", sbuffò spazientita.
"Ma se hai detto di non volerlo sapere fino al momento della nascita!", la presi in giro.
"D'accordo: lo ammetto! Sono curiosa quanto te!", sbuffò arrossendo.
"Quanto me?".
"Di più, molto di più".
"è un maschietto", le rivelai orgoglioso.
"Un altro maschio Uchiha! Povera me!", esclamò tragica.
"Ho anche pensato al nome", la zittii.
"Uhm?".
"Lo vuoi sapere?", le sussurrai.
Annuì in silenzio.
"Allora avvicinati".
Solo quando si fu accoccolata su di me, le svelai il nome all'orecchio.
"Mi sembra perfetto", mi informò entusiasta, per poi baciarmi.
Da traditore ero diventato eroe. Da eremita mi ero tramutato in marito, e da orfano ero diventato padre.
Solo ora riuscivo a capire completamente mio fratello Itachi. Lui non mi aveva trattato come un fratello, ma come un figlio, riempiendo i vuoti affettivi lasciati da nostro padre. Lui aveva sacrificato la sua vita, il suo onore, il suo clan, per darmi l'opportunità di avere questo. Proprio come io avrei fatto per mio figlio.

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Capitolo 21
*** Prologo III ***


Naruto
 
Erano passati mesi da quando tutto era ritornato alla normalità. Gli eroi del mondo ninja erano tornati ad essere tre.
 
Rivedere Sakura, dopo aver vissuto per un intero anno con la sua assenza, fu come prendere una rigenerante boccata d'aria dopo una lunga immersione. Riabbracciarla mi aveva fatto sentire nuovamente integro. Ma è stato solo un attimo. Lei aveva scelto Sasuke, e questa volta, a differenza del passato, Sasuke voleva lei, la vedeva realmente per quello che era, e non per una smorfiosa lagnona.
 
Quando vidi la sua schiena voltarsi verso di me, l'oscurità ritornò a prendermi, a distendere i suoi tentacoli su di me.
 
I mesi passarono velocemente, e altrettanto velocemente mi resi conto che, in realtà, nulla sarebbe tornato come prima. Il trio era pur sempre diventato un duo. Avevo assistito alla loro felicità, al loro matrimonio, ma non avevo gioito con loro. No, ero invidioso di quella felicità e spensieratezza che mi era stata strappata. Loro non avevano più bisogno di me.
 
Guardai il filo rosso che mi cingeva il polso. Era comparso il giorno dopo il ritorno di Sakura.
 
"Naruto", mi chiamò la vecchia.
 
"è arrivato il momento, vero?", le chiesi malinconico lanciando un ultimo sguardo a Sakura e Sasuke che ridevano spensierati.
 
"Sì. È giunto il momento che anche tu paghi il tuo prezzo", mi ricordò.
 
Già, il mio prezzo, perché in realtà, contrariamente alle accuse che in passato avevo mosso a Sakura, lei non aveva sacrificato la sua vita solo Sasuke, ma anche per me.
 
"Non ho sofferto abbastanza?", chiesi rabbiosamente.
 
I suoi occhi tristi e sconsolati mi risposero.
 
"Naruto-kun?", ci interruppe la voce di Hinata.
 
"Non ora Hinata", la interruppi bruscamente voltandole le spalle, incapace di sostenere i suoi occhi carichi di stima e ammirazione.
 
"Andiamo", dissi alla vecchia.
 
Quando arrivammo alla valle dell'epilogo si fermò, lo sguardo rivolto al cielo, dove uno stormo di uccelli stavano transitando.
 
"Allora?", brontolai, ormai stufo di quell'attesa.
 
"è ora che anche tu vada incontro al tuo destino", proferì.
 
Il rombo di una violenta esplosione mi distrasse dalle sue parole. Un enorme nuvola di fumo avvolse il centro del villaggio, proprio dove fino a pochi minuti fa si trovavano Sakura e Sasuke.
 
"Buona fortuna Naruto", mi sussurrò la morte.
 
Corsi nuovamente dentro il villaggio.
 
"Naruto!", mi chiamò Sasuke con in braccio Sakura.
 
"State bene?", chiesi sollevato e perplesso.
 
"Sì ma.... Naruto....", mi rispose Saura piangendo.
 
"Cosa? Il bambino, non sta bene?".
 
"Io ho cercato di fare tutto il possibile... tutto...ma... Hinata...", singhiozzò.
 
Hinata. Si trattava di lei allora. In quell'attimo realizzai tutto.
 
"Ci penso io", la rassicurai.
 
"Naruto, è morta!", esclamò fuori di sé, sotto lo sguardo serio e imperturbabile di Sasuke.
 
"Forza, vai!", mi incitò quest'ultimo.
 
E rieccomi qui, alla valle d'epilogo, ad attendere il crepuscolo. Ad attendere colei che era stata sempre al mio fianco, senza che la notassi.
 
"Naruto-kun?", mi chiamò.
 
"Hinata!", la chiamai alzandomi in piedi ed andando verso di lei.
 
"Io... credo di essere morta", mi disse calma.
 
"Tranquilla Hinata. Sistemerò tutto", le dissi carezzandole il viso.
 
Guardai quegli occhi sempre gentili, e vi lessi, per la prima volta, tutto l'amore che contenevano per me. Non ero mai stato solo, neanche quando lo credevo. Lei era sempre stata accanto a me, come Sakura lo era stata per Sasuke.
 
"Perdonami Hinata", le dissi abbracciandola. Poi, con lo sguardo sempre fisso nel suo, slegai il filo rosso dal mio polso e lo legai in quello esile di lei.
 
"Sistemerò tutto, te lo prometto Hinata", le giurai. Un sorriso ebete mi distendeva il volto. Ora toccava a me lottare per il mio destino.
 

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