Il Profumo della Libertà

di Guido
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Ministro della Magia ***
Capitolo 2: *** Hogwarts, inizio anno. Parte prima ***
Capitolo 3: *** Hogwarts, inizio anno. Parte seconda ***
Capitolo 4: *** Prime lezioni. Parte prima. ***
Capitolo 5: *** Prime lezioni. Parte seconda. ***
Capitolo 6: *** Primo stàsimo ***
Capitolo 7: *** Echi dal passato ***
Capitolo 8: *** Bartemius Redivivus ***
Capitolo 9: *** Il funerale di Caramell ***
Capitolo 10: *** Avviso ***
Capitolo 11: *** Il Localizzatore ***



Capitolo 1
*** Il Ministro della Magia ***


Il Ministro della Magia


Ringraziamenti: ancora una volta, debbo usare questo spazio per replicare ai recensori di un’altra storia (Whisky Incendiario, per la precisione), ma credo che sarà l’ultima, perché non ho in programma altre one-shot.
Yuya Lovegood: grazie mille per i complimenti. Davvero gli scacchi sono il gioco della Morte? Non l’ho mai sentito dire, ma suona molto bene. Sono felice che tu abbia apprezzato la resa di Ron. In effetti, il “mio” Ron è OOC, non ci piove, ma la cosa è perfettamente voluta. Non è stato facile escogitare una trama, piuttosto un flashback, che rendesse plausibile una simile evoluzione rispetto al personaggio canonico; spero proprio di esservi riuscito.
Ramona55: lo slash è un filone forse troppo sfruttato, ma la coppia che va per la maggiore è certo Harry/Draco. Non nutro preferenze di genere e neppure di pairing, ma avevo bisogno di “qualcosa” intorno a cui costruire la trama; da che mondo è mondo, una storia d’amore infelice è molto adatta all’uopo. Ron gronda sarcasmo, ma è soprattutto un meccanismo di difesa.
Lux: mi fa piacere che continui ad apprezzarmi, perché questa storia può non piacere. Ron, poverino, ha davvero pochi fan, ma credo che la colpa sia tutta della Rowling. E considera che, passando dalla scacchiera alla vita, ha perso la partita più importante; credo che questo risponda alla tua obiezione. Su Silente, come vedi, anch’io non ho azzardato risposte, ma soprattutto domande. Hermione… visto che siamo d’accordo, stendiamo un velo pietoso. OK?
Kitsunechan: temo che il lieto fine e le mie storie non vadano troppo d’accordo. Mi rendo conto che questa storia, occupata quasi per intero da un monologo interiore, si trasforma in un
referendum pro o contro il mio Ron; non so se l’apprezzamento sia diretto al merito delle scelte che ho compiute, ma mi accontenterei anche di veder apprezzata, diciamo, la perizia tecnica. Dopotutto, i personaggi stanno simpatici o antipatici, e si sa, de gustibus
Julien: grazie per i complimenti e anche per i baci. Veramente costruiamo i personaggi in maniera simile? Sono ansioso di leggere le tue storie. Di norma non punto sul dark o sul drammatico… oddio, temo che la storia che sto pubblicando mi smentisca clamorosamente! Vedi tu.
Danieldf: ci siamo già chiariti in separata sede, ma, a scanso di ulteriori equivoci, ribadisco che Ron è morto.
Ri-tzè? Non fa molto “Mago più potente” eccetera, ma ho sempre avuto una predilezione per le onomatopee.
Mariademolay: il tuo apprezzamento ha sempre un grande valore. Su Ron ci troviamo in perfetto accordo. Minerva che fugge con Voldemort? Non credo di possedere la tua vena parodia, ma chissà, potrei provare. Hermione ubriaca? Si potrebbe anche fare, ma non ho una speciale predilezione per i personaggi “sotto spirito”, anche se il detto “
In vino veritas” ha certamente il suo peso. E’un espediente narrativo come un altro.
Galadwen: pensa che stavo per pubblicare senza leggere la tua recensione! Apprezzi il personaggio, ma la storia non ti quadra? Può essere che appaia poco plausibile, o addirittura fuori della realtà, visto che l’ho scritta in un momento di profonda crisi personale; ma ti confesso che sono sorpreso. Nella mia testa, storia e personaggio coincidono, l’una sorregge e giustifica l’altro. Oh be’, le critiche sono utili proprio per l’apporto di punti di vista nuovi… anche se mi riesce difficile, confesso, seguire il tuo.



Of our elaborate plans, the end.

Of everything that stands, the end.

[Jim Morrison]

 


Il Ministro osservava il castello, intorno al cui profilo maestose e severo i raggi estivi disegnavano scherzose dita d’oro. Ma non era quello spettacolo, per quanto gradevole esso fosse, a farlo sorridere.

Era l’ultimo giorno di Agosto. L’indomani, un nuovo anno scolastico sarebbe cominciato, alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, il primo dopo la paralisi dell’attività didattica dovuta ai lutti e alle distruzioni della Seconda Guerra. Grazie all’impegno del Ministero, la scuola avrebbe riaperto dopo un solo anno di chiusura, e i giovani maghi avrebbero ricevuto un’istruzione di prim’ordine, rispettosa delle direttive ministeriali, che il Preside della scuola non avrebbe più potuto ignorare.

Quasi inavvertitamente, lo sguardo del Ministro scese dal castello al terreno davanti a lui: un angolo mesto e poco frequentato, che ospitava il cimitero della scuola. Per consenso generale, si era deciso di seppellirvi anche i caduti dell’ultima battaglia, avvenuta proprio davanti ai cancelli. Fosse stato per lui, i cadaveri sarebbero finiti in qualche fossa comune,… ma, un anno e mezzo prima, il suo potere non era ancora abbastanza saldo perché potesse sfidare impunemente l’opinione pubblica. Per fortuna – il sorriso si accentuò – si era liberato di quel particolare problema molto in fretta.

Si spostò di qualche passo a sinistra ed eccole lì, le tombe dei caduti, un poco discoste dalle altre: due schiere di lapidi sull’attenti, parallele, ma separate da un vialetto ben tenuto, che invogliava il visitatore ignaro o distratto a godersi la passeggiata. Gli Champs-Élysées della Morte.

Quegli occhi soddisfatti si posarono sulla prima lapide di destra. L’iscrizione in caratteri bianchi si stagliava sulla pietra nera, nitida nonostante la luce intensa, che riusciva soltanto a rendere meno funereo il suo aspetto; ma il Ministro avrebbe saputo leggerla anche ad occhi chiusi. Ognuna di quelle lapidi era incisa nella sua memoria come un simbolo, una pietra angolare del trionfo e del potere.

Le lettere candide sembravano orgogliose di proclamare che lì giaceva

Severus Piton

1959 – 1998.

Lo avevano sepolto nella fila di destra, quella dei difensori di Hogwarts, sebbene neanche in quell’ultima battaglia si fosse davvero compreso da che parte stesse: era morto troppo in fretta perché si potesse capirlo. E, dopotutto, non doveva esserci alcun processo di Norimberga, visto che, in realtà, entrambe le parti avevano perso e che il vincitore era, diciamo così, un “terzo incomodo” a cui importava ben poco delle vecchie lealtà. Non lo aveva forse dimostrato personalmente?

A sinistra, bianche come il cappuccio che la defunta aveva indossato con tanto orgoglio, le lettere squillavano il nome di

Bellatrix Black Lestrange

 

Nessuno si sarebbe aspettato che fosse la prima caduta dei Mangiamorte; al contrario…. Eppure, in qualche modo, l’occupante della seconda tomba di destra era riuscito nell’impresa, prima di soccombere a sua volta.

Neville Paciock

1980 – 1998.

Era stato l’inizio dell’ecatombe.

I suoi occhi saettavano a destra e a sinistra, guizzando sulle lapidi senza davvero vederle, mentre i nomi delle vittime si affollavano nella sua mente.

La McGranitt. Vitious. Hagrid, quel grosso stupido che si era cacciato in una faccenda più grossa di lui. Le gemelle Patil, sulle cui doti di combattenti nessuno avrebbe scommesso uno Zellino e che, invece, erano riuscite a terminare sia i Tiger sia i Goyle. Junior e senior.

Rodolphus e Rabastan Lestrange. Remus Lupin. Arthur e Molly Weasley. Jugson, Nott e Rookwood, tutti e tre uccisi dallo stesso, potentissimo Incantesimo scaturito dalla bacchetta di Albus Silente.

Kingsley Shacklebolt, Ninfadora Tonks e quasi tutti gli Auror riempivano buona parte della fila di destra: erano stati così stupidi da tentare di attaccare il Signore Oscuro in persona, vedendolo difeso soltanto da quattro o cinque dei suoi fedelissimi (E qui la bocca del Ministro si contorse in un ghigno).

Un’unica fossa, a sinistra, raccoglieva le carcasse annerite di qualche centinaio di Creature Oscure. Subito dopo, un’altra era destinata ai giganti, o meglio: a quel poco che ne era rimasto, una volta che gli Incantesimi avevano compiuto il proprio lavoro.

Il Ministro continuò a camminare, a guardare, a ricordare. I moti dell’animo erano pressoché impercettibili, le alterazioni del viso minime.

E, quasi all’improvviso, ecco che la passeggiata era giunta al termine: sulla destra, quattro lapidi accostate fronteggiavano, come un baluardo invalicabile, quella che troneggiava solitaria sulla sinistra. Lì riposavano gli ultimi cinque caduti della battaglia.

La prima sulla destra inaugurava una serie di stupide frasette commemorative; difficile stabilire quale fosse la più disgustosa.

Ronald Weasley

1980 - 1998

Credette nell’amicizia fino al sacrificio della vita.

Le sue narici fremettero: che spreco di paroloni per un ragazzo tardo e insignificante! Era morto come era vissuto: da fesso. Soltanto un fesso poteva fiondarsi davanti a Potter che stava per essere colpito dalla Maledizione Mortale.

Accigliato, continuò a camminare, già intento a leggere la seconda lapide:

Hermione Granger

1979 – 1998

L’ultima degli eroi.

Leggi: “L’ultima a morire, degli studenti di Hogwarts”. Con l’ovvia eccezione. Eroina? Bah! Non valeva neanche la pena di un pensiero sprezzante, la Babbanastra! Come tutti i Babbani, del resto: perché perdere tempo a disprezzarli, quando è molto più divertente sterminarli?

La terza iscrizione commemorava:

Albus Silente

1841 – 1998

Seppe rimanere il Preside di Hogwarts fino all’ultimo respiro.

Il che voleva dire che l’idiota si era fatto ammazzare da Tom Riddle, pur di stancarlo e offrire una minima possibilità al suo protetto. Macché Preside e Preside, quello era un caso lampante di pedofilia, mista ad un bel po’ di demenza senile! Un sacrificio stupido e – soprattutto - inutile, come ammoniva l’ultima lapide:

Harry Potter

1980 – 1998

Colui che ci ha salvati. Colui che non possiamo dimenticare.

Ecco, questa non era disgustosa. Questa lo faceva infuriare.

Cercò conforto nell’imponente lapide di sinistra, e il dolce ricordo rispose al richiamo, scacciando la collera dalla sua mente, nello stesso momento in cui le sue labbra formavano, in silenzio, le parole incise nella pietra:

Tom Orvoloson Riddle

1928 – 1998

Un Mezzosangue che ha osato troppo.

Il Ministro sghignazzò apertamente: quella era la sua vendetta! La vendetta postuma, visto che si era anche preso la briga di eliminare personalmente il Mezzosangue in parola.

E pensare che quel mentecatto era sicuro di non poter morire. Che stupido! Fidarsi delle Arti Oscure è pericoloso, molto pericoloso… lo scudo che ti protegge può tramutarsi, improvvisamente, nel pugnale che ti trapassa la schiena.

Proprio come uno dei tuoi più fidati servitori (si concesse un’altra sghignazzata) può rivelarsi, al momento opportuno, un traditore pronto a ucciderti, pur di impadronirsi del potere assoluto.

Il suo sguardo si incupì nuovamente, tornando a posarsi sulla tomba di Harry Potter… La tomba che nessuno, tranne lui e gli Auror incaricati della caccia all’uomo, sapeva essere vuota.

Harry Potter, il Ragazzo Sopravvissuto, l’aspirante salvatore del Mondo Magico, era scomparso. Il suo duello con Riddle era giunto all’apice – entrambi avevano scagliata la Maledizione Mortale - e l’attenzione generale era concentrata su di loro… quale occasione migliore, per il suo tradimento?

Aveva ucciso Riddle, con immensa soddisfazione personale.

Ma, quando si era voltato per eliminare anche Potter, lo aveva visto scomparire. Non come qualcuno che si Smaterializza; era come se fosse diventato, a poco a poco, trasparente,… fino a scomparire, appunto.

Quel pensiero aveva ancora il potere di inquietarlo. Ancora adesso, non erano riusciti a trovare una spiegazione del fenomeno; perfino gli esperti dell’Ufficio Misteri avevano saputo raggiungere soltanto una certezza negativa, ossia che Potter non era morto. E questo era il motivo per cui le energie migliori del Ministero gli stavano dando la caccia: in qualunque forma, stato o dimensione si trovasse, Potter sarebbe stato un esemplare unico per gli studi degli Indicibili… e, soprattutto, un simbolo, una leggenda che si doveva rendere innocua. A tutti i costi.

Certo – digrignò i denti – alcuni di quei costi erano davvero alti. Prendiamo quella lapide: se qualcuno aveva davvero salvato il Mondo Magico, quel qualcuno non era certo Potter, nossignori! Chi aveva ucciso Tom Riddle? L’attuale Ministro della Magia, proprio così! E, invece di vedersi onorare con qualche centinaio di statue equestri, o simili, il vero salvatore del Mondo Magico si trovava costretto a sostenere la patetica finzione secondo cui l’eroico ragazzo era riuscito ad uccidere “Voi-Sapete-Chi”, ma non era sopravvissuto allo scontro. Un eroe di infimo rango, davvero. Ma la menzogna era molto più semplice e appagante della verità; evitava, perlomeno, che cominciassero a diffondersi leggende sull’etereo Difensore della Giustizia, che un giorno sarebbe ricomparso per sconfiggere i malvagi… Certe panzane attecchivano anche troppo facilmente, lo sapeva.

Avrebbe preferito non concedere a Potter neppure l’aureola del martire, ma, in quei primi giorni del suo potere, aveva avuto ben altri problemi di cui occuparsi e, quando si era rivolto a questo, era già troppo tardi.

Fissò un’ultima volta la lapide e scosse la testa: meglio un cenotafio visibile e concreto, piuttosto che un Cavaliere inafferrabile. I morti, dopotutto, non combattono e non difendono nessuno. I morti sono morti.

Ormai giunto al termine del vialetto, il Ministro si voltò. E, contemplando quella distesa di tombe, quasi allegra sotto l’intensa luce solare, per la prima volta comprese appieno la portata del proprio trionfo.

Nessuno poteva più essergli d’intralcio. Il fantasma di Potter, o quel che era, non era più minaccioso delle nuvole che solcavano l’azzurro del cielo. Voldemort era morto. Silente era morto e Hogwarts era al suo servizio. Controllava il Ministero della Magia. Conservava le alleanze stipulate tra l’Oscuro Signore e le più svariate Creature Oscure.

Presto, molto presto, avrebbe potuto mettere in atto i propri piani.

Per un istante meraviglioso e perfetto, contemplò il proprio sogno, vedendolo già realizzato: un mondo privo di Babbani; un mondo dove i maghi dominavano; dove, su ogni persona e ogni cosa, incombeva l’ombra, ad un tempo protettiva e minacciosa, del Potere assoluto. La sua ombra.

“Imperatore del Mondo Magico”? No, ”del Mondo” e basta, perché non sarebbe mai più esistito un mondo “non magico”.

Crollò il capo, con un sorriso vivace e divertito: ai titoli avrebbe pensato in seguito. C’erano tante cose più urgenti, che richiedevano la sua attenzione: gli ultimi ritocchi ai suoi piani…

Già ripreso dal torrente delle cure quotidiane, riprese il cammino, in direzione inversa, con l’incesso austero e solenne di chi medita sulle questioni più profonde.

Alle sue spalle, una breve folata di vento trasportò una foglia smeraldina sul cenotafio di Harry Potter. Forse, all’uomo in cammino, avrebbe ricordato il colore dei suoi occhi. Ma era poco probabile, giacché egli non amava indulgere a ricordi oziosi.
Lentamente, tra l’indifferenza delle tombe, la figura orgogliosa e regale incoronata dai raggi del Sole calante, il Ministro della Magia si allontanava.



Note.
Non ho molto da dire, visto che questo è un capitolo di apertura.
Normalmente, scelgo le epigrafi in base all’ispirazione del momento; per questa fic, invece, ho deciso di limitare la scelta alle sole canzoni dei Doors. Non è proprio una
song-fic, diciamo, piuttosto, una fic con colonna sonora, ammesso che esista qualcosa di simile.

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Capitolo 2
*** Hogwarts, inizio anno. Parte prima ***


Hogwarts, Inizio anno.



Ringraziamenti: innanzitutto, a quanto hanno letto senza recensire.
DarthSteo: eccoti il seguito, che è molto meno Dark. D’altra parte, non bisogna esagerare, giusto? Spero che tu gradisca anche questo capitolo (anzi, questa parte di capitolo).
Rico: La “
Ballata degli Impiccati”? Il testo di Villon o l’adattamento di De Andrè in “Tutti morimmo a stento”? In entrambi i casi, credo che sia un accostamento azzeccato. Ma aspetta a pensare “Fuori un pazzo, sotto un altro”: ho appena accennato ai progetti del Ministro… Questo pazzo potrebbe essere molto più pericoloso di Voldemort. E non lo dico (solo) per amor di suspence.
Sabry: non vi tengo sulle spine,
et voila il Ministro eccolo qua.
Galadwen: andando per esclusione, non restano troppi potenziali aspiranti alla poltrona di Ministro. Soprattutto, non troppi personaggi sinistri. Ah, grazie ancora per quel problema di formattazione! Mi ricorderò di tenere d’occhio Word e il modo in cui mi salva i file in HTML, d’ora in poi.
Mariademolay:
semper fidelis. Come spesso accade, i nostri gusti coincidono e le tue osservazioni colgono nel segno; ma la figura del Ministro è più complessa di quanto non appaia nel primo capitolo. Assetato di potere, certo, ma… vedrete! Grazie per aver notato il riscatto delle gemelle Patil, non è stato un punto molto meditato, ma hai ragione, il fandom le maltratta (non che il canone sia da meno) e mi è parso giusto conceder loro almeno una morte valorosa. Piton? A pensarci bene, visto che si tratta senza dubbio di un campione di doppiezza,credo che sarebbe un politico eccellente; ma, come personaggio, sarebbe riuscito troppo ingombrante.
Naturalmente, le notizie sulla sorte di Harry arriveranno… anche se non so bene a che punto. Unica certezza: saranno sempre accompagnate da Jim Morrison. Credo che il Ministro, se si prendesse la briga di pensarci, affermerebbe di essere al di sopra di Onore e Disonore.



Benché il calendario annunciasse l’inizio di Settembre, sembrava proprio che le giornate non avessero alcuna fretta di assumere un aspetto autunnale: da due settimane buone si mantenevano serene e soleggiate, quasi volessero sfatare la pessima fama meritata dal clima delle Isole Britanniche. Lo scenario che, quella mattina, si offriva agli occhi ansiosi di un giovane biondo sembrava perfetto per animi estivi e spensierati: la pietra del castello, il cui colore copriva quasi tutte le mille sfumature del grigio, palpitava in giochi d’ombra vivaci, che si animavano al passaggio di qualche raro cirro; il cielo turchino appariva lievemente increspato sulla superficie del lago, accarezzato da una brezzolina di tramontana che, di lì a poco, si sarebbe rivelata un prezioso sollievo, poiché il Sole, ancora basso sull’orizzonte, già lanciava raggi caldi e dorati che, spesso, non si vedevano neppure in piena Estate.
Ma le bellezze del paesaggio non allettavano affatto il ragazzo biondo e alto, la cui attenzione era concentrata, con un’intensità quasi innaturale, su due pilastri massicci e un cancello spalancato. Un leggero rossore picchiettava guance chiaramente avvezze al pallore; e le pupille dilatate confessavano che esso non era dovuto al caldo. Al contrario, il suo corpo tremava, in maniera leggera, ma percettibile.
Draco Malfoy cercò coraggiosamente di ignorare il proprio batticuore, sapendo di non essere in grado di calmarlo.
Di nuovo a Hogwarts!
I cancelli della scuola si trovavano proprio davanti a lui. Quei maledetti cancelli. I cancelli che avrebbe dovuto difendere. O forse attaccare, come aveva fatto suo padre. E invece…
…Invece, adesso ritornava a scuola, non come studente né come difensore, né tantomeno per attaccarla, ma per insegnarvi (ha-ha!) Difesa contro le Arti Oscure. Ironia della sorte? No, ironia del Ministro, che non gli aveva lasciato possibilità di scelta, ordinandogli di accettare l’incarico.
Draco aveva imparato, poco meno di due anni prima, che non era per niente saggio sfidare suo padre; il fatto che Lucius, nel frattempo, fosse asceso alla carica di Ministro non lo aveva reso meno temibile, né meno vendicativo o meno ostinato nei propri rancori. Così il ragazzo, non appena aveva capito che ogni discussione sarebbe stata vana, era rimasto in silenzio, limitandosi ad annuire, già preparandosi ad affrontare la battaglia dei ricordi.
E adesso era il momento di scendere in campo.
Maledetto il vecchio e i suoi ordini!
Sospirò e si fece forza, deciso a varcare quei cancelli a testa alta.
«Ehi, Malfoy!»
Si voltò. Alla sua destra, un ragazzo bruno dall’aria cordiale, seppur riservata, gli stava sorridendo. Ricambiò il sorriso e, automaticamente, si incamminò, affiancato dall’altro.
«Zabini. E’ un po’ che non ci si vede.»
«Vero. Ma ti trovo bene.»
«Grazie, anche tu sembri in forma.»
Un breve silenzio, che Draco spezzò, prima che diventasse imbarazzante:
«Anche tu qui, dunque? Per insegnare, immagino?»
«Già. Sono Professore di Pozioni.»
«Congratulazioni. Io insegnerò Difesa.» «Ho sentito.»
«Ah sì?»
Blaise Zabini indicò la copia del Profeta che teneva sottobraccio. «Hanno rispolverato la vecchia storia,… sai, quella secondo cui la cattedra di Difesa sarebbe maledetta.»
«Stronzate. Certo che devono essere proprio a corto di notizie.»
«A corto, dici? Improbabile, di questi tempi. E comunque, oggi non lo erano di certo. Suppongo che tu non abbia avuto modo di vedere la prima pagina?»
«No, non sono un lettore abituale del i>“Profeta”. Secondo me, fa schifo sotto tutti i punti di vista: pubblica informazioni inattendibili e opinioni azzardate,… per non parlare del suo cronico deficit di imparzialità.»
«Condivido il giudizio… aggiungi soltanto che, nonostante tutto questo, rappresenta il meglio della stampa magica!» Sulle labbra dei due spuntò l’identico sorriso amaro. «Ma le notizie di prima pagina, di solito, sono, non dico “sicure” e nemmeno “verificate”, ma almeno “interessanti”. Sanno catturare l’attenzione dei lettori.»
«Buon per loro» crollò le spalle Malfoy.
«E per le loro tasche. Comunque, dimmi un po’ se quella di oggi non stuzzica il tuo interesse: ieri il Ministero ha approvato un nuovo Decreto…» Ma il ragazzo non poté proseguire, perché – notò Draco con un sussulto – si trovavano già all’entrata principale, dove Pix il Poltergeist aveva organizzato un comitato di ricevimento con i fiocchi: dal portone, partì una scarica di calamai che li costrinse a gettarsi a terra.
Mentre attendevano che il bombardamento cessasse, Draco domandò: «Sei arrivato su un Thestral anche tu?»
«No, ho scelto la Materializzazione. Per poco non ti sono piombato addosso.»
Risero. Le loro risate avevano un suono molto più giovane degli sguardi.
«Anch’io ci avevo pensato, ma poi ha prevalso la curiosità e ho voluto provare il volo sui Thestral.» Rabbrividì. «Certo che sono brutti come l’inferno. Però volano molto bene: anche se credo che continuerò a preferire la scopa, ho risparmiato almeno mezz’ora sul mio miglior tempo.»
Blaise grugnì: Pix aveva cambiato tattica, sostituendo i calamai con palloncini pieni di acqua e… inchiostro? Vernice? Qualunque cosa fosse, quei gavettoni macchiavano da matti.
Draco ne aveva abbastanza, ma non è facile estrarre la bacchetta mentre cerchi di schivare una raffica di gavettoni lanciati rasoterra.
«Peccato,» ansimò, «che quel Thestral mi abbia lasciato a due passi dall’entrata, chissà se Pix si azzarderebbe a lanciarli a lui!» Un gavettone molto ben assestato gli volò dritto in bocca, costringendolo a sputacchiare per cinque minuti buoni. Ma, durante quel lasso di tempo, avendo finalmente estratto la bacchetta, il neo-Professore di Difesa contro le Arti Oscure poté sfoggiare la propria abilità con gli incantesimi non verbali, dal Sortilegio Scudo allo Stupeficium. Avrebbe preferito di gran lunga qualche Maledizione letale, ma i poltergeist sono spiriti del caos indistruttibili.
Mentre Draco curava la difesa, Blaise sferrò il colpo decisivo: sogghignando come un folletto, colpì Pix con un Gratta e netta dritto in bocca. Lo spiritello batté rapidamente in ritirata, spruzzando schiuma nelle quattro direzioni ad ogni parolaccia. Draco rimpianse di non aver pensato ad un Incantesimo Tacitante.
«Complimenti! Forse dovrei cederti il mio posto. O fare cambio: ho sempre preferito Pozioni.»
«Andiamo, non esagerare. Te la sei cavata più che bene, direi. Oh, grazie,» aggiunse, dopo che un semplice colpo di bacchetta ebbe consentito a Draco di smacchiare e asciugare alla perfezione i loro vestiti.
Il viso del biondino, già arrossato dalle emozioni, si fece color pomodoro. «Mia madre mi ha… mi ha sempre detto che anche un ragazzo deve sapersi arrangiare, con le… uhm… faccende di casa, se non vuole che gli Elfi Domestici comincino a credersi indispensabili.»
Il suo interlocutore fece una smorfia divertita, ma non commentò e Draco gliene fu immensamente grato. Preferiva non rivelare di essere stato costretto ad arrangiarsi, dopo che suo padre aveva impartito agli Elfi del maniero un ordine tassativo: ignorare ogni sua necessità, anche quelle più elementari.
Finalmente liberi e rimessi in ordine, poterono dirigersi verso la Sala Grande.
«Spero che non siamo in ritardo» mormorò Draco.
«Non credo. Siamo arrivati con una mezz'ora circa di anticipo rispetto al pranzo e gli scherzi di Pix – o di qualsiasi altro poltergeist, in realtà - non durano mai più di venti minuti. Sono incostanti quasi come i Fuochi Fatui. E noi l’abbiamo messo in fuga molto prima che cominciasse a stancarsi, quindi…»
Draco rise. «Sai, forse dovresti davvero insegnare tu Difesa… in confidenza, Zabini, ne sai più di me!»
«Preferisco Pozioni. E,… Draco?»
Era una proposta, il giovane Malfoy lo capì al volo; un’offerta di pace, forse anche una tacita scusa. Erano stati amici, prima dell’ultimo anno, quando molte cose erano intervenute a guastare il loro rapporto; e dopo, non si erano più rivisti.
«Dimmi,… Blaise.»
«Accetta un consiglio: non lasciarti trascinare dalla battaglia al punto di perdere la nozione del tempo, o, più in generale, la lucidità.»
Draco lo fissò dritto negli occhi. «Non mi sembra di averlo fatto.»
Blaise, per un lungo istante, sostenne lo sguardo. «Forse no,» cedette infine, con uno dei suoi bei sorrisi, che Draco fu pronto a ricambiare.
Ma Blaise non si riferiva allo scontro con Pix – non solo, almeno – e lo sapevano entrambi.
Fianco a fianco, entrarono nella Sala Grande.

Rispetto ai loro tempi, l’ambiente appariva immutato: gli stessi quattro tavoli in parallelo, uno per Casa, e quello degli insegnanti, rialzato, in fondo; lo stesso soffitto incantato, che prendeva l’aspetto del cielo esterno. Soltanto l’atmosfera era profondamente diversa: le teste erano rade, quasi disperse tra i tavoli, e non si udivano le consuete chiacchierate. Draco e Blaise, passando, attrassero alcuni sguardi e il biondo, notando la tristezza di tanti volti, non si stupì dell’assenza di risate.
Al tavolo degli insegnanti, intanto, la nuova Preside si stava faticosamente alzando per dar loro il benvenuto. Gli anni cominciavano a far sentire il proprio peso su Griselda Marchbanks, ma tutti i dipendenti del Ministero che, negli ultimi decenni, avevano scommesso su una sua imminente dipartita erano rimasti amaramente delusi. Draco si chiese se, tra questi, vi fosse anche suo padre, se il Ministro avesse un uomo di fiducia con cui sostituire la Marchbanks, una volta che fosse terminata la fase di transizione. Era incredibile quanto ignorasse dei progetti del vecchio, che fossero arrivati al punto di non rivolgersi una singola parola per mesi interi…
Una volta ero suo figlio, il suo erede, la perla di Casa Malfoy…
Una volta ero ciò che mio padre voleva che fossi. Poi ho deciso di prendere in mano le redini della mia vita,… ma non sono riuscito ad estrometterlo. Non ho risolto nulla.
Non ancora.

Rispose appena ai convenevoli della Preside, accusando la stanchezza del viaggio; anche Blaise appariva laconico. Si sedettero vicini, all’estrema destra della donna. Draco pensò che, dopotutto, sembrava una persona simpatica. Con un sospiro, prese a perlustrare il tavolo degli insegnanti, alla ricerca di facce conosciute, trovandone ben poche. Molto più delle presenze, lo colpivano le assenze. Gettò un’occhiata ai tavoli degli studenti: provavano le stesse sensazioni?
Un leggero rumore alla sua sinistra lo indusse a voltarsi.La Marchbanks si era alzata con sorprendente scioltezza, chiaramente decisa a tenere il tradizionale discorso. La ricostruzione incomincia dalle piccole cose. Forse anche gli studenti la pensavano così, perché, sebbene la nuova Preside non possedesse né l’alta statura né la presenza carismatica del fu Albus Silente, la sua mossa attirò all’istante l’attenzione generale; quel poco di conversazione stentata che vivacchiava nella Sala si spense.
Rapidamente, l’oratrice estrasse e agitò la bacchetta, usando, a quanto pareva, un Incantesimo non verbale che, un istante dopo, si appalesò come il Sonorus. Grazie ad esso, la sua voce, resa flebile dall’età, poteva raggiungere senza sforzo ogni angolo della Sala.
«Signori e signore, permettetemi due parole.»
In mezzo al vuoto, a quell’oceano di posti vuoti che chiedeva “Perché?”, spuntarono come isole, come arcipelaghi, facce bianche, giovani e attente.
«Questo è, per tutti noi, un giorno molto importante, il giorno in cui, dopo un anno di chiusura, riapre i battenti la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Li riapre per voi, che siete seduti ai tavoli e la conoscete già, e per voi che, invece, venite qui per la prima volta. Molte cose sono cambiate, dal momento in cui, qui, si è tenuta l’ultima lezione; ma posso assicurarvi che la natura e la missione della Scuola non sono cambiate. Essa esiste per voi, perché possiate ricevere la miglior istruzione possibile in un ambiente adatto alla vostra crescita personale, un ambiente così sicuro che – lo dico con orgoglio – neppure i Mangiamorte sono riusciti a penetrarvi.»
Si udirono molte inspirazioni brusche, alla menzione dei Mangiamorte; la Marchbanks teneva l’uditorio in pugno.
«Tutti voi sapete come professori e studenti, insieme, abbiano respinto l’assalto dei Mangiamorte, come proprio qui, davanti a questi cancelli, sia stato finalmente ucciso il Signore Oscuro. E perciò, in onore di Hogwarts e dello spirito che ha saputo unire le Case e i professori nella lotta contro le Arti Oscure, in nome di questa unità di cui dobbiamo andare orgogliosi, vi chiedo di brindare.»
Fosse per orgoglio o per disciplina, la Sala Grande si trasformò, facendosi improvvisamente animata, mentre i barbagli dei tanti calici levati si diffondevano, instillando in quello spazio troppo vasto qualcosa di simile alla speranza e al calore.
La Marchbanks riprese a parlare, e il suo tono era profondamente diverso. Anche la voce era calata di un’ottava.
«Tuttavia, l’orgoglio della vittoria e la serenità della pace raggiunta non debbono farci dimenticare quale prezzo sia stato necessario pagare. Proprio qui, dinanzi a questi cancelli, sono caduti gli eroi a cui dobbiamo la libertà, forse la vita stessa. Le loro azioni e la loro morte ci impongono di onorarli e di ricordarli tutti; vorrei però menzionare per primo il mio illustre predecessore, Albus Silente,…» La Marchbanks fu costretta a interrompersi: inatteso, spontaneo e caldo, un applauso fragoroso riempiva la Sala.
La Preside non batté ciglio: attese che la platea si placasse, poi sollevò il proprio calice ingemmato e annunciò il brindisi:
«Ad Albus Silente!»
«Ad Albus Silente!» fecero eco insegnanti e studenti. Nonostante la vergogna, Draco non si sottrasse al coro.
«Egli è stato il più grande Preside che la Scuola abbia mai avuto e, pur essendo onorata di essere stata scelta quale suo successore, non vi nascondo il disagio che provo, trovandomi a calcare queste orme gigantesche; e forse, lo stesso disagio si agita nei vostri cuori, perché gli studenti che vi hanno preceduto si sono meritati il nome di eroi. Non posso, qui, ricordarli tutti; perciò, mi limiterò a chiedervi di brindare in onore di colui nei cui confronti abbiamo il debito maggiore, un debito incalcolabile: a Harry Potter!»
«Harry Potter!» E, questa volta, anche il cuore di Draco si unì al brindisi. Potter, nonostante tutto, si era schierato dalla sua parte, quando nessun altro sembrava disposto a farlo. Potter aveva creduto in lui e aveva imposto agli altri di fare altrettanto, con un’ostinazione che entrambi avevano ereditato dalla famiglia Black.
«Potter è il simbolo di ciò che ogni studente di Hogwarts dovrebbe essere. Con questo non intendo dire che vi sarà chiesto di calcare le sue orme fino all’estremo sacrificio; non ne avrei il diritto, neppure nella remota ipotesi che ve ne fosse bisogno. Ma, nel corso della vostra vita, e già ora come studenti, vi troverete mille volte a scegliere tra quello che è giusto e quello che è facile. Ogniqualvolta si porrà il problema, per quanto banale possa sembrare la scelta, ricordate: ricordate dove la strada più facile – la strada dell’egoismo e del potere – ha condotto il Signore Oscuro e i suoi seguaci. Ricordate Albus Silente, i professori e gli studenti che hanno seguito la strada più difficile, spinti da vera sete di giustizia; e ricordate dove questa strada ha condotto Harry Potter. Ricordate e scegliete
La Marchbanks fece una pausa, in parte ad effetto, in parte per asciugare le lacrime che scorrevano copiose tra le rughe delle guance. La sua voce, quando riprese a parlare, era molto più serena e pacata.
«Abbiamo pagato il nostro tributo al passato, assolto il dovere della memoria; ci resta quindi da considerare il presente. Il presente siete voi, studenti che la sete di conoscenza ha spinti a tornare o a venire per la prima volta; e sono anche gli insegnanti che tale sete sono ansiosi di saziare.

Nominerò per prima colei che meno di tutti ha bisogno di essere nominata, perché insegna qui già da molti anni: Pomona Sprite, insegnante di Erbologia.»

La Sprite si alzò e si inchinò all’applauso della Sala.

«La chiusura della scuola ha determinato un ritardo nella vostra istruzione, ritardo che vorremmo veder recuperato. Tuttavia, sarebbe assolutamente impossibile raddoppiare le ore di insegnamento frontale; perciò, dopo lunga discussione, il Ministero ha adottato il Decreto Didattico Numero Ventisette» (Gli studenti più anziani rabbrividirono) «disponendo che, quest’anno, sia sospeso l’insegnamento di Divinazione e Storia della Magia. Per queste materie non si terranno lezioni e non sarete interrogati in sede di esame finale, di GUFO o di MAGO.»

La classe reagì alla notizia con rumorosa allegria: si erano liberati delle materie più inutili e noiose che il Mondo Magico avesse saputo escogitare. Draco si chiese, oziosamente, cosa avrebbe fatto il professor Rüf. Dopotutto, i fantasmi non vanno in pensione.

«E ora, intendo presentarvi quei professori che per la prima volta si affacciano alla professione docente. Per non fare torto a nessuno, li nominerò seguendo l’ordine dei posti a sedere.» Cominciò dalla propria sinistra e Draco si concesse un po’ di sollievo: sarebbe stato l’ultimo.

«Chiamato a sostituire un’insegnante molto rimpianta, dopo una lunga carriera nelle fila degli Auror, torna a Hogwarts, come professore di Trasfigurazione, Rufus Scrimgeour!»

Draco sogghignò un istante, pensando che ben pochi studenti avrebbero rimpianto la McGranitt e le sue montagne di compiti. Si domandò anche perché il vecchio capo degli Auror, sopravvissuto per miracolo alla grande battaglia, non avesse chiesto di insegnare Difesa. Che desiderasse un lavoro più tranquillo? Lo osservò mentre si inchinava, diritto e fiero, nonostante la perdita della gamba, e concluse che non sembrava probabile. Chissà, forse, come Auror, aveva preso molto sul serio la faccenda del malocchio.

«Brillante giocatore di Quidditch, torna a Hogwarts come insegnante di volo: Cormac McLaggen!»

Brillante” non era l’aggettivo più indicato; sarebbe stato molto meglio “pestifero”. McLaggen e il suo egocentrismo avevano portato allo sfascio almeno quattro squadre: malgrado l’indiscussa bravura, non sarebbe più riuscito a farsi ingaggiare neanche per la pulizia del campo. C’era da augurarsi che riuscisse meglio come insegnante di volo; forse, gli studenti avrebbero gradito le sue lezioni più dei compagni di squadra.

«Non si trova a questo tavolo, perché non potrebbe stare seduto, ma confido che questo non raffredderà il vostro applauso: insegnante di Cura delle Creature Magiche, il professor Fiorenzo!»

Questa sì che è una sorpresa! Pensavo che quel mezzo cavallo fosse morto con gli altri. Ero quasi sicuro di averlo visto cadere…

Oh be’, dev’essere duro da uccidere.

L’applauso riuscì un po’ incerto, ma l’entusiasmo della Marchbanks, che cresceva ad ogni annuncio, non ne risentì affatto. 

«Anche il prossimo docente non siede a questo tavolo: asserisce che la Sala Grande offusca il suo Occhio Interiore.»

Draco inspirò bruscamente. Oh no. Oh no!

Quelle facce attonite, laggiù, la pensavano come lui, non c’era dubbio.

Anche la Marchbanks non doveva gradire troppo il nome che stava per annunciare, perché, quando prese fiato, si udì un sospirone assai poco accademico.

«Insegnante di Astronomia, Sibilla Cooman!»

Draco si chiese se la Cooman avesse una qualche, vaga idea della differenza tra “Astronomia” e “Astrologia”. Ma l’annuncio seguente catturò tutta la sua attenzione.

«E, infine, le più giovani delle nostre reclute: due ragazzi che hanno studiato, vissuto e combattuto al fianco di Harry Potter…»

Magnifico! Adesso passo per un fottuto eroe e poi tutti si aspetteranno chissà che!

«…e hanno scelto di tornare nella Scuola che hanno difeso, per cui hanno sofferto, la Scuola che hanno amato. Professore di Pozioni, Blaise Zabini!»

La figura di Blaise, snella e altera, ricevette il più intenso e prolungato degli applausi. Probabilmente, metà delle ragazze gli moriva già dietro. Lo facevano già quando era ancora uno studente, ma perdevano tempo con un incontentabile e, a maggior ragione, lo avrebbero perso anche adesso.

«E ora, ultimo nella presentazione, ma non certo nella bravura,…»

Draco ringraziò la Natura per il proprio pallore, che gli impediva di arrossire… o così credeva.

«…il nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure, Draco Malfoy!»

E il suo pallore fu messo a dure prova, perché l’applauso di benvenuto sembrava non finire mai, possente e scrosciante. Si inchinò, quasi inebetito, e solo l’istinto gli impedì di lasciarsi cadere sulla sedia.

Cazzo! Chissà cosa si aspetteranno da me! Compagno di Harry Potter e professore di Difesa…

Con questo pensiero fisso in testa, Draco non seguì affatto la cerimonia dello Smistamento e, all’improvviso, si ritrovò il gomito immerso nella minestra: come al solito, il pranzo era apparso improvvisamente nei piatti. L’incidente, perlomeno, lo distrasse e gli permise di mangiare con appetito. Gli elfi di Hogwarts avevano superato sé stessi.

Al termine dell’abbuffata, la Marchbanks si alzò di nuovo, le guance piacevolmente arrossate dal pasto e dal sidro cui aveva fatto onore.

«C’è un tempo per la memoria e per le frasi solenni; e c’è il tempo ordinario, il tempo in cui ciascuno di noi è chiamato a compiere il proprio dovere. Domani avranno inizio le lezioni; intanto, andate a sistemarvi nelle camerate! Buon riposo!»

Era fatta, nel bene o nel male. Hogwarts era di nuovo in piedi.

Sentendosi abbastanza rilassato – sebbene una voce beffarda nella sua testa continuasse a ripetere: Compagno di Harry Potter, come no? – Draco attese le istruzioni della Preside.

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Capitolo 3
*** Hogwarts, inizio anno. Parte seconda ***


Hogwarts, inizio anno. Parte seconda

Hogwarts, inizio anno. Parte seconda.


We should see the gates by morning,

We should be inside the evening.


[Jim Morrison]


Il discorso di benvenuto aveva chiaramente prosciugato le forze della Marchbanks, che, cerea e con un filo di voce, fece cenno ai professori di avvicinare le sedie alla sua. Quando si furono accostati per quanto lo permetteva lo spazio, si raddrizzò contro lo schienale e disse: «Bene, signori. Ci restano alcune questioni da definire: l’assegnazione dei vostri uffici, gli orari delle lezioni, cose di questo genere.» Si interruppe, a corto di fiato.
«Quanto agli uffici.» - un colpetto di bacchetta - «questa è l’elenco dei locali disponibili e delle aule destinate alle varie materie; spero che le copie bastino.»
Bastavano; e, soprattutto, bastavano i locali, il cui numero era almeno triplo rispetto ai docenti, cosicché ciascuno ebbe agio di scegliere quello che preferiva. Tutti optarono per la praticità di un ufficio vicino all’aula assegnata alla rispettiva materia e, poiché – complice anche la scomparsa di Storia della Magia e di Divinazione –non c’erano due aule su uno stesso piano, non vi furono conflitti di sorta. La Sprite, che non poteva avere un ufficio vicino alle serre, si accontentò di un locale al piano terra.

«Ci sarebbe la capanna del guardiacaccia… Il compito è stato assunto da Fiorenzo, in aggiunta alla cattedra…» mormorò la Marchbanks, esitante.

«No, grazie, Griselda, non potrei proprio. Per me quella resterà sempre la capanna di Hagrid.»

E questa fu, si può dire, l’unica discussione sul punto. Draco si trovò con un bell’ufficio  al quarto piano, proprio accanto all’aula di Difesa; Blaise, se aveva capito bene, ne aveva scelto uno poco lontano dalla Sala Grande e vicino all’ingresso dei sotterranei.

Ma sugli orari delle lezioni discussero fino a farsi seccare la lingua. Chi dormiva fino a tardi, chi doveva portare il rospo a passeggio; chi non intendeva rinunciare al sonnellino dopo pranzo, chi, al contrario, soffriva di insonnia; chi non voleva ore buche, chi le amava alla follia… e tutte queste preferenze dovevano essere intessute e incasellate fino a comporre un quadro orario continuo per quattro Case e sette anni. La discussione era stremante; McLaggen e la Sprite, in particolare, stavano litigando ferocemente su quale fosse l’ora migliore per volare o per piantare Bubotuberi.

«Non pretendere di insegnarmi il mestiere, Cormac!»

«Io non devo fare cosa? E tu, allora? Da che pulpito! Come ti permetti di dirmi a che ora far volare i primini, eh? Voleranno all’ora che dico io, sissignora, e quanto al tuo Bubotubero del…»

Molto opportunamente, la Marchbanks si schiarì la voce; i due contendenti piombarono in un silenzio imbarazzato.

«Suvvia, signori, sono certa che riusciremo a trovare un orario soddisfacente per tutti. Siamo persone civili, no?» E indirizzò a McLaggen un’occhiata che parlava chiaro anche a un non Legilimante: Come siamo caduti in basso, qui a Hogwarts!

Draco e Blaise, i soli che non avessero esigenze particolari, assistettero in silenzio ad altri tre quarti d’ora di civile litigio, finché, per miracolo o, più probabilmente, per sfinimento, l’orario prese forma sulle pergamene ormai coperte di appunti e cancellature. La bacchetta della Marchbanks ne fece comparire una versione più che dignitosa (capilettera istoriati e miniati, addirittura!) e ogni insegnante ebbe la propria copia; al centro del tavolo restava il cumulo di quelle che, l’indomani, sarebbero state distribuite agli studenti.

Sollevati e stremati, i professori si stavano già alzando, ma un gesto della Preside li bloccò con le chiappe a mezz’aria.

«Signori, permettetemi di abusare della vostra pazienza per un istante ancora,» disse la Marchbanks, in tono secco. «Vedo che tre Case sono tuttora senza Direttore… Confido, Pomona, che tu intenda continuare a dirigere Tassorosso, vero?»

«Oh, naturalmente.»

«Cormac? Direttore della Casa di Grifondoro?»

«Agli ordini!» Perfino McLaggen avrebbe accettato qualunque cosa, pur di andarsi a riposare.

«Rufus? I Corvonero?»

«Nessun problema.»

«E i Serpeverde… Professor Malfoy?»

«Ehm… se crede…»

Blaise sarebbe andato altrettanto bene, naturalmente, e stava per farglielo notare, ma non ne ebbe il tempo.

«Perfetto, siamo intesi.» La Preside mantenne un’espressione assorta per qualche secondo e – mentre Draco si rassegnava all’idea di essere responsabile del comportamento di un branco di mocciosi scatenati – aggiunse, con un gran sorriso e un tono un po’ troppo leggero: «Oh, un’altra cosa, professor Malfoy.»

«Mi dica, che cosa posso fare per Lei?» Mostrarsi gentile non costava nulla, dopotutto.

«Il Vice Preside,» rispose tranquilla.

«Prego?» Forse ho capito male…

«Io sono un po’ troppo vecchia per questo lavoro, mi serve una spalla, anzi, un braccio della bacchetta che sia giovane, fresco e pieno di risorse. In una parola: Lei

Pieno di risorse? «Ai Suoi ordini» mormorò il ragazzo, arrossendo. Tutto avrebbe voluto, fuorché una posizione di responsabilità all’interno della scuola: era troppo pieno di casini per affrontare anche le luci della ribalta! E invece… Direttore dei Serpeverde e Vice Preside!

Perlomeno, la riunione era terminata. Sentendosi troppo stanco per prendere possesso del proprio ufficio e disfare i bagagli che gli Elfi Domestici, senza dubbio, vi stavano portando, Draco seguì Blaise, diretto al suo. La porta – identica a tutte le altre del piano – era socchiusa, ma, entrando, non incontrarono Elfi Domestici; evidentemente, avevano già sbrigato il loro compito. La stanza in cui si trovarono era chiaramente destinata ai contatti con gli studenti, dal momento che gli unici mobili presenti erano due sedie, separate da una cattedra di mogano tanto imponente che sembrava colmare tutto lo spazio disponibile, a dispetto delle pareti spoglie; dietro quella mostruosità lignea, si apriva una porta – munita di lucchetto a combinazione magica, notò Draco – che immetteva nelle stanze private dell’insegnante. I pensieri di Blaise dovevano aver seguito un corso analogo, perché ridacchiò e disse:

«Se il mio appartamento è spoglio come questo ufficio, mi sparo!»

«Non credo, sai? Secondo me, lasciano l’ufficio spoglio apposta perché ciascun insegnante possa arredarlo secondo i suoi gusti – se ti ricordi, ciascuno dei nostri insegnanti di Difesa ne ha rivoluzionato l’aspetto – ma un appartamento deve essere funzionale, meno soggetto ai capricci personali. Per quelli, l’ufficio basta e avanza!»

«Forse dovrei imitare il falso Moody! Mi piaceva quell’assortimento di Detector Oscuri… Solo che non ne ho.»

Draco ridacchiò: «Ma come, Blaise! Per la barba di Merlino, pensa alla tua immagine! Te li immagini, i primini dispettosi terrorizzati dall’Avversaspecchio?»

«Mi servirebbe di più un Detector per controllare se hanno fatto i compiti… invece dovrò arrangiarmi con il controllo dei quaderni!» sospirò.

Il biondo cominciava ad avvertire il peso della stanchezza (e anche un certo appetito: chissà se gli Elfi avevano provveduto?). «Entriamo?»

La combinazione del lucchetto non era impostata, quindi la maniglia ruotò liberamente; la porta si aprì verso l’interno, rivelando una piccola area di disimpegno tra tre stanze prive di porte: uno studio alla loro destra, un bagno di fronte e la camera da letto sulla sinistra. Qui si trovavano anche i bagagli; un’occhiata fu sufficiente a stabilire che neanche Blaise aveva voglia di disfarli, così passarono nello studio e furono ben lieti di scoprire che, in realtà, quella stanza rettangolare assolveva a due funzioni distinte: la metà più vicina all’ingresso ospitava una piccola scrivania, circondata da scaffali a parete, ancora vuoti; ma, un poco più in là, i piedi incontravano un tappeto soffice, che lambiva, da un lato, il grande camino e, dall’altro, tre poltrone attorno a un tavolino di cristallo, su cui – meraviglia delle meraviglie! – qualche Elfo Domestico particolarmente zelante aveva posizionato due tazzine, una teiera fumante e un goloso assortimento di dolcetti.

Stavolta non occorse neppure un’occhiata: come richiamati da un Incantesimo di Appello, i ragazzi si fondarono su poltrone, tè e dolci. Non necessariamente in quest’ordine.

«Ah, i privilegi del rango!» mormorò Blaise, ingozzandosi di pasticcini al miele. La risata di Draco schizzò tè caldo su metà della stanza.

Si rifocillarono con vorace voluttà, spazzolando fino all’ultimo dolcetto. Ma il piccolo vassoio e la teiera dovevano essere collegati magicamente con le cucine, o qualcosa del genere, perché tornavano a riempirsi non appena credevano di averli vuotati. Infine, però, anche gli Elfi Domestici dovettero soccombere a tanto appetito; i raggi del Sole calante illuminarono due ragazzi più che satolli, sprofondati in comode poltroncine, intenti a fissarsi con il ghigno un po’ ebete di chi è reduce da un pasto abbondante… anzi, diciamo pure sovrabbondante. Ma il tè prevenne la sonnolenza, sciogliendo, invece, la lingua anche a Blaise, di solito poco incline alla conversazione spicciola.

«Allora, Draco, cosa pensi del discorso della nostra Preside?»

L’interpellato scrollò le spalle. «Discorsi di quel genere non sono fatti perché se ne possa pensare qualcosa, si tratta di pura retorica.»

Blaise schiuse le labbra al più leggero dei ghigni. «Potresti avere ragione. Ma che mi dici di ciò che la vecchia non ha detto?»

«Per esempio? Scusa, ma non ti seguo.»

«Scusa tu, dimenticavo che mi hai detto di non essere proprio un lettore fedele della Gazzetta… Intendevo dire che non mi è parso di sentire neppure un cenno al fatto che – per la prima volta dalla sua fondazione – Hogwarts non ammette gli studenti nati in famiglie Babbane.»

Draco trasecolò. «Stai scherzando?»

«Niente affatto. E’ una disposizione adottata dal Decreto Numero Ventisette, “in via provvisoria e sperimentale”, affinché – sostiene il Ministero – questa Hogwarts appena rinata e con tanti problemi non debba vedersela con un numero di studenti superiore alle sue possibilità. Mi pare, però, che la spiegazione non regga: perché, altrimenti, si sarebbe accettato di far tornare anche gli studenti di nascita Babbana? Soltanto le matricole sono state escluse e non credo che questo abbia ridotto di molto il numero degli iscritti.»

Draco impiegò alcuni secondi a digerire informazioni e ragionamento.

«Sembra che, dopotutto, dovrò decidermi a leggere quella dannata Gazzetta

«Saggia decisione. Anzi, se fossi in te comincerei subito. Non hai ancora letto quella di oggi, giusto?» Blaise si alzò – con una percettibile riluttanza – frugò nelle tasche della giacca, frettolosamente gettata sull’attaccapanni all’ingresso dello studio-soggiorno, recuperò una copia del quotidiano e la distese sulla scrivania. «Come ti ho detto all’arrivo, c’è un articolo, in prima pagina, che mi sembra molto interessante.»

Con un sospiro rassegnato, il biondo si alzò, si chinò sul giornale e cominciò a leggere, il volto che si faceva più incredulo ad ogni riga.

Il Ministero aveva appena approvato un Decreto con cui si introduceva una nuova scriminante per tutti i reati previsti dallo Statuto di Segretezza: andava esente da pena il mago o la strega che – Draco deglutì e rilesse; no, aveva capito bene… - dimostrasse di aver eliminati tutti i potenziali testimoni Babbani. «In questo modo,» spiegava il sotto-portavoce del Ministro, Percy Weasley, «sarà possibile destinare ad altri incarichi buona parte degli Obliviatori e ridurre in maniera significativa il carico di lavoro del Wizengamot.» Sulla Gazzetta del Profeta, un opinionista azzardava una timida protesta: il Decreto poteva essere fonte di responsabilità presso la Confederazione Internazionale dei Maghi.

«Ma il Supremo Pezzo Grosso della Confederazione» mormorò il biondo «non è più Albus Silente.»

Alle sue spalle, Blaise annuì in silenzio.

Il Wizengamot avrebbe applicato la nuova disposizione senza protestare; anche lì, lo Stregone Capo non era più Silente. Non rammentava chi lo avesse sostituito, e neppure chi occupasse i seggi inglesi alla Confederazione, ma certamente non si trattava di persone capaci di contrapporsi al Ministro. Rilesse l’articolo, con sgomento crescente.

Nessuno notava che, gradatamente, il diritto penale del Mondo Magico stava recependo il principio “Uccidere un Babbano non è reato”. Era come se il veleno, anzi il narcotico, avesse già ridotto all’impotenza tutte le coscienze di Gran Bretagna e Irlanda.

Si rialzò, voltandosi verso Blaise, e gli lesse in volto la sua stessa espressione, gli stessi sentimenti e pensieri.

In silenzio, le loro mani si strinsero. In silenzio, nel segreto dei cuori, senza testimonio di parole, quell’istante forgiò un patto.

 

Note:

Ho cercato di alleggerire un po’ l’atmosfera e spero di esserci riuscito; ma l’epigrafe – che ho dimenticato di inserire nella parte precedente – e la conclusione dovrebbero rassicurare chi ama il filone Dark.

Cormac McLaggen, per chi ancora non lo sapesse, è un personaggio del sesto libro (e non vi dico altro, anche se non ricopre un ruolo importante nella trama).

Draco e Harry sono lontani cugini per parte Black: secondo l’albero genealogico disegnato dalla Bowling e pubblicato su La Repubblica, 12 Febbraio 2006, ora reperibile su www.hp-lexicon.org, una certa Dorea Black ha sposato Charlus Potter. Stando alle date, essi sono, con ogni probabilità, i nonni di Harry. Mi pare inutile aggiungere che di questo matrimonio non sapremmo nulla, se i Potter non fossero (stati) una famiglia di Purosangue: il motto dei Black è Toujours pur, chi trasgredisce, sposando Babbani, Mezzosangue o traditori del loro sangue (leggi: Weasley), sparisce dall’albero. Immaginate lo scandalo, quando James ha sposato Lily!

Il lucchetto a combinazione magica è una mia invenzione, anzi intuizione: non chiedetemi come funzioni, perché sono il primo a non averne idea!

Non odiatemi troppo per aver fatto sopravvivere Percy, vi prego! Non so ancora se lo vedremo comparire in prima persona, ma ci voleva una prova tangibile di come il perfetto burocrate sappia sopravvivere a qualsiasi cambio di amministrazione. Come sarà il Ministero dell’era Malfoy, mi chiedo e vi chiedo? Tranquilli, avrete una risposta…

 

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Capitolo 4
*** Prime lezioni. Parte prima. ***


PRIME LEZIONI. PARTE PRIMA.

Prime lezioni. Parte prima.


Ringraziamenti:
Rispondo alle recensioni sull’una e sull’altra parte del capitolo 2, ma, ove necessario, con una risposta unica per ciascun commentatore.
DarthSteo: grazie per l’apprezzamento, anche se mi rendo conto che questi capitoli introduttivi possono apparire un po’ frustranti al lettore desideroso di azione. Purtroppo, per il caro vecchio Harry dovrai aspettare ancora un po’, ma non temere: lo rivedremo. Intanto, in questo cap. potrai goderti un ritorno imprevisto e, forse, anche qualche imprevisto.
Sabry: Draco e Blaise sono i co-protagonisti della storia, quindi avrai modo di apprezzare il tuo beniamino in molte scene, anche se non prevedo lemon di sorta. Cosa pensi Malfoy jr. del “defunto” Potter non è così semplice da stabilire, ma ti prometto chiarezza in merito. Quanto ai tempi, chiedo venia, ma, in quest’ultimo intervallo, ho pubblicato due storie (pubblicità occulta), partecipato al concorso, scritto un po’ di cose per il Progetto Elvas (idem) e,
last but not least, scritto il cap. che ora sono lieto di offrire alle vostre voraci mandibole letterarie. Be’, almeno la prima parte: la seconda è a buon punto, ma questo capitolo si è rivelato così difficile da scrivere che ho deciso di dividerlo in due, giusto per dimostrare a me stesso che il lavoro procede. Spero che questo non vi crei difficoltà di sorta.
Rico: l’adattamento di De Andrè, intitolato
La Ballata degli Impiccati, si trova nell’album Tutti morimmo a stento, il cui titolo è tratto proprio da uno dei suoi versi. Se ti riesce di metterci le mani (e non dovrebbe essere difficile, la Ricordi ha fatto uscire da poco le rimasterizzazioni a 24 bit), penso che ne valga la pena. Questo capitolo può fornirti qualche indizio sulle ragioni per cui ritengo Lucius più pericoloso di Voldemort. Scuola triste? Immagino di sì… Giudichi così anche quella canonica? Mi sorprendi, non l’ho mai vista in questi termini. Purtroppo, temo che questa storia conterrà una discreta dose di vita scolastica; spero che non ci siano controindicazioni o effetti collaterali.

Mariademolay: questo cap. dovrebbe chiarirti qualche dubbio sulla direzione della mia storia. Anche tu vedi così triste la mia Hogwarts? Suppongo che tu abbia ragione, ma, dopotutto, siamo all’indomani di una guerra e non credo che, per i personaggi, sia tanto facile dimenticarsene. La Marchbanks è indebolita dall’età, ma, se hai letto bene il suo discorso, non credo proprio che tu possa considerarla una debole di spirito. Ad ogni modo, anche per lei c’è una sorpresa a fine cap. E le energie migliori del Mondo Magico – o quel che ne resta, dopo la guerra – sono convogliate in altri programmi; a Lucius basta che Hogwarts sia soggetta ad un rigido controllo, come disposto dal Decreto Numero Ventisette, e non ha fatto piani per il dopo-emergenza. Ha altro per la testa.

La passeggiata al rospo? (Ghigna) Be’, sono andato per esclusione: un gatto passeggia per i fatti propri, un gufo vola, mentre un rospo, se Oscar insegna qualcosa, ha bisogno di movimento e può – credo – essere condotto al guinzaglio imbracandolo intorno alle zampe (ATTENZIONE: l’Autore declina ogni responsabilità per infortuni o incidenti che dovessero, malauguratamente, occorrere a quanti tentassero di mettere in pratica quella che è una mera finzione narrativa e non un suggerimento per appassionati di rospi domestici!). Poiché non mi piace buttar via i begli spunti, avrai modo di vederne uno sviluppo che, forse, alleggerirà anche l’atmosfera della Scuola.

Cormac McLaggen? Purtroppo, per ragioni anagrafiche, non ha avuto a che fare con la grande battaglia… No, Lucius non ha proposto il suo nome; ma, stando alla Row, i direttori dirigono sempre la loro ex-Casa di appartenza e non avevo altri Grifondoro “sicuri” sottomano. A meno di non far rientrare Percy, che, invece, era un portavoce troppo spassoso per liquidarlo! Il perfetto addetto stampa, come l’ormai leggendario Ministro dell’Informazione iracheno, capace di annunciare terrificanti rovesci degli invasori anche mentre, alle sue spalle, viene issata la bandiera a stelle e strisce… Mi sembra l’atteggiamento dominante, al Ministero, e non solo nel quinto libro.

Per i Detector Oscuri, provvederò, anche se il mio Blaise ha tagliato i ponti con mammina sua. Scusa se non rispondo alle altre domande, ma il rischio di spoiler sarebbe troppo elevato.


Anche se l’aurora annunciava con grande impegno una nuova giornata di sole, Draco Malfoy non fu svegliato dai suoi raggi, bensì dal proprio stomaco annodato: la tensione accumulata lungo tutto il giorno precedente si stava, infine, sfogando. Il nuovo Vice Preside di Hogwarts, Scuola di Magia e Stregoneria, nonché Direttore della Casa di Serpeverde, si sentiva la mancanza di sonno nelle ossa e un sapore acre in bocca, come se avesse vomitato (e sarebbe potuto succedere da un momento all’altro). Ma, anche più della nausea, dei dolori, della stanchezza e della testa pesante, lo tormentava la paura.
Idiota, perché sei tornato a Hogwarts?
Borbottando imprecazioni a raffica, tanto per sfogarsi, si alzò con difficoltà da quel letto troppo morbido per le sue abitudini, concausa del sonno agitato, e corse sotto la doccia, lasciandosi investire da un getto gelido e rinvigorente. Funzionò: dieci minuti dopo, ne uscì di nuovo simile ad un essere umano, come se la dea Iside lo avesse misticamente visitato in bagno. Che questo spiegasse l'altrimenti inspiegabile, prorompente erezione mattutina?
Si aggirò per l’appartamento con sorprendente disinvoltura, come se vi avesse abitato per anni; in realtà, la sua attenzione per gli ambienti in cui viveva era prossima all’indifferenza e proprio per questo gli riusciva semplice adattarsi. La sera prima, aveva notato soltanto che il suo alloggio aveva una pianta identica a quello di Blaise e che anche l’arredamento era molto simile; un rapido controllo gli aveva rivelato che gli Elfi Domestici avevano già sistemato alla perfezione i suoi bagagli, così si era rassegnato a intrufolarsi nei sotterranei dei Serpeverde per insediarsi quale nuovo Direttore. Beninteso, “insediarsi” era solo un’espressione figurata: non intendeva affatto tornare a vivere in quegli ambienti freddi e umidi, anche se, come Direttore, sarebbe stato suo dovere; dopotutto, Incantesimi, Spioscopi e aggeggi consimili consentivano di esercitare sugli studenti un controllo molto più efficace della mera prossimità fisica. E, del resto, per quel tipo di deterrente, bastava il Barone Sanguinario. Garantito.

Naturalmente, ai suoi nuovi sottoposti – molti dei quali lo ricordavano (e temevano) dai vecchi tempi - non aveva detto nulla di tutto questo, limitandosi a due parole sulla disciplina, il comportamento appropriato per membri di una Casa tanto augusta e sciocchezze del genere. Non c’era bisogno di dire altro, dopotutto; il suo ruolo non richiedeva né che terrorizzasse gli studenti né che se li facesse amici.

«Fate pure casino di notte, non me ne potrebbe importare di meno, tanto non c’è pericolo che disturbiate qualcuno; ma se, al mattino, vi becco a sonnecchiare o a ciondolare, o se non arriverete con i compiti in ordine…» Non aveva avuto bisogno di concludere la frase: era stato sufficiente scoccare una lunga occhiata alla Sala Comune, al semicerchio di studenti tra cui la leggenda nera di Draco Malfoy si era diffusa con la rapidità di un’onda di marea. Tutti, quasi in sincronia, avevano abbassato gli occhi.

E il Direttore, apprezzando, nonostante tutto, quel potere che non aveva cercato, si era concesso un sorriso freddo, prima di concludere con un semplice: «Buonanotte, signori.»

Sperava che avessero trascorso una notte migliore della sua; se non li avesse trovati lucidi e scattanti, avrebbe dovuto escogitare qualche castigo crudele e raffinato, nella migliore tradizione della sua Casa, e, al momento, la sua fantasia era ridotta al lumicino.

Sospirando, uscì dall’appartamento, accorgendosi di essere in leggero anticipo rispetto alla prima lezione: si era svegliato un po’ in ritardo, ma aveva recuperato non facendo colazione. Un’ottima scelta, dal momento che il panico stava montando di nuovo, strizzandogli lo stomaco con una serie di fitte acute e dolorose.

Calmati, imbecille! Non è il momento di farsi venire una crisi isterica!

Si sforzò di imporre ai pensieri, se non alle emozioni e al corpo, un po’ di disciplina, concentrandosi su uno dei tanti, minuscoli problemi pratici che ingigantivano la sua ansia: come inaugurare quella sfottuta cattedra. L’orario gli aveva assegnato il compito di aprire le danze con i primini di Grifondoro e Corvonero, accoppiata insolita, ma promettente. Cosa poteva dire a quei bimbetti? Come spiegare loro cosa fosse, in realtà, la Difesa contro le Arti Oscure? Ricordava piuttosto bene i pensieri e i sogni che nutriva a quell’età: pensava che fosse tutto un grande gioco, dove un semplice Incantesimo basta a renderti invincibile e invulnerabile, dove puoi annientare un centinaio di nemici con un semplice colpo di bacchetta e vincere anche confronti che sembrano persi in partenza… La Magia come la vedono e concepiscono i bambini. Naturalmente, il piccolo Draco, nei propri sogni, vestiva di bianco per le proprie nozze con la Morte e il Male, mentre i suoi studenti si vedevano come tanti Auror senza macchia e senza paura, ma questa era un’antitesi accidentale.

Come far capire a quei poveri, patetici illusi che le guerre del Mondo Magico, da qualunque parte si combattesse, erano la negazione di qualsiasi sogno? Che anche i loro peggiori incubi non si avvicinavano neppure alla realtà di alcuni suoi ricordi?

Raggiunse la propria aula, trovandola ancora deserta, come previsto. Avrebbe concesso ai primi due settimane per impratichirsi del castello, prima di pretendere la massima puntualità; d’altra parte – controllò l’orologio – mancavano ancora cinque minuti al trillo di campanella che avrebbe inaugurato tormenti e gioie del nuovo anno scolastico.

Mentre il più recente dei suoi dilemmi continuava ad agitarsi appena sotto la superficie, ingannò il tempo scorrendo il registro, senza vederlo realmente; ma alzò gli occhi di scatto, udendo il primo arrivo. Un ragazzino si bloccò sulla soglia, paralizzato dalle iridi grigie del professore; ma questi sorrise e, per un secondo, parve addirittura simpatico.

«Buongiorno. Lei sarebbe?»

«D-Duncan Mowett, professore.»

«Sono lieto di fare la Sua conoscenza, signor Mowett. Qual è la Sua Casa di appartenenza?»

«Grifondoro, signore.» C’era una debole nota di orgoglio in quella voce tremula, ancora infantile, e Draco sorrise, indulgente.

«Lei saprà, naturalmente, che io dirigo la Casa di Serpeverde?» La notizia si era certamente diffusa, durante la colazione.

«S-sì, signore.» Poverino, quasi tremava: credeva che avesse saltato il pasto perché spezzava il digiuno divorando piccoli Grifondoro arrostiti?

«Molto bene. Allora, vediamo di sfatare la leggenda che vorrebbe le nostre Case nemiche giurate: dieci punti a Grifondoro!» Si concesse un altro sorriso, di fronte all’espressione attonita di Mowett. «Arrivare alla prima lezione con due minuti di anticipo, signor Mowett, è un’impresa che merita di essere ricompensata, mi creda.»

«Mi-mi ha aiutato Nick Quasi senza Testa, signore,» arrossì il piccolo Duncan.

Draco annuì. «Sir Nicholas è un fantasma molto disponibile; aiuta anche gli studenti di altre Case.» L’esatto opposto del Barone Sanguinario. «Se preferisce, signor Mowett, consideri questi punti un incentivo alla solidarietà tra le Case. E adesso prenda posto, La prego.»

Lo osservò accomodarsi in prima fila, una posizione generalmente evitata dagli studentelli alle prime armi. Basso, occhi verdi e capelli corvini: come avrebbe potuto non ricordargli Harry? A parte il fatto, naturalmente, che i capelli di Mowett erano in ordine perfetto, mentre il caos della chioma di Harry Potter era… inimitabile, genetico e leggendario.

Alla spicciolata, uno per uno o in piccoli gruppetti, cominciarono ad arrivare gli altri studenti, che il professore salutava con un cenno del capo e un accenno di sorriso. La campanella suonò, quasi inavvertita, in qualche momento del processo.

Infine furono tutti lì, tutti i suoi venticinque studenti, allineati nei banchi, penne e pergamene in vista. Non poteva più rimandare il confronto con la paura.

Andiamo, Draco Malfoy! Questo branco di patetici marmocchi non è certo una minaccia!

Guadagnò tempo, rifugiandosi nell’appello.

«Babbington, Oswald.»

«Presente.» Un Grifondoro carino, con un bel visetto ovale incorniciato da lunghi capelli biondi e ondulati che scendevano fino alle spalle. Sembrava anche leggermente più alto della media, ma non poteva affermarlo con certezza, dato che erano seduti.

«Clayton, William Cecil.» Questo era rosso di capelli, rosso fiamma. Sangue irlandese? A Grifondoro non mancava mai.

Scorse il registro, cercando di affrettarsi, perché, sebbene l’idea di tenere una lezione vera e propria lo terrorizzasse, quest’attesa protratta era tanto estenuante che, quasi contro la sua stessa volontà, non poteva fare a meno di abbreviarla. Lesse e lesse, un nome dopo l’altro, una filza di crocette nei riquadri delle presenze. Ma alcuni degli studenti lo colpirono, anche in quello stato di agitazione crescente e quasi febbrile.

«Matches, Peter Frederick.» 

«Presente, signore.» Un bel Corvonero dai capelli castani, il viso regolare ed espressivo, al momento composto in un’espressione grave che lo faceva apparire più maturo. Draco - cercando stoicamente di ignorare le stille di sudore che, superato l’argine delle sopracciglia, si precipitavano a incendiargli gli occhi - passò al nome successivo.

«Ho già registrato la Sua presenza, signor Mowett,» sorrise al piccolo Duncan, che parve Trasfigurarsi in un peperone.

Va’ avanti, imbecille!

E così fece.

«Prewett, Damien.»

«Presente.»

«Lei è parente di Fabian Prewett?» indagò Draco con interesse, perché avrebbe giurato che quella famiglia di Purosangue non fosse sopravvissuta alle due guerre.

«M-mio zio, signore,» arrossì l’interpellato, sotto la zazzera di capelli castani, alquanto scompigliati. Magnanimo, il professore si limitò ad annuire, posando nuovamente gli occhi sul registro.

«Pullings, Thomas.»
«Presente.» Un viso olivastro, piuttosto anonimo. Corvonero come Prewett.

E – finalmente o purtroppo – il biondo neo-docente esalò l’ultimo, temutissimo nome:

«Wright, Samantha.»

«Presente, professore.» Una Grifondoro piuttosto carina, un visetto a forma di cuore accarezzato da due onde corvine.

Bene, ci siamo.

Lentamente, il professore di Difesa contro le Arti Oscure si alzava; la sua figura longilinea parve richiedere un tempo infinito per dipanarsi dalla sedia e uscire dalla cattedra.

Idiota, perché sei tornato a Hogwarts?
Fissò la classe, senza vederla, per qualche secondo; poi sfoderò un sorriso accattivante e decise di inaugurare la propria cattedra con una prolusione informale.

«Ehi ragazzi, non guardatemi così, non vi mangio mica!»

Le risatine nervose degli studenti gli furono di leggero conforto. Non era il solo a farsela sotto.

I cinque secondi successivi si trasformarono in un vortice di immagini compresse dalla velocità.

La scolaresca che alzava gli occhi al di sopra della sua testa.

La bacchetta che volava fuori della tasca.

«Protego!»

Pix il Poltergeist centrato dal suo stesso calamaio pieno di inchiostro, respinto troppo rapidamente perché lo spiritello riuscisse a scansarsi.

Decisamente, la sua inventiva si è appannata. Avrebbe potuto provare con qualcosa di diverso, no?

Gli studenti applaudirono, a lungo e con convinzione. Il Poltergeist riusciva a farsi odiare fin dal primo giorno di scuola.

E Draco Malfoy si inchinò graziosamente al proprio pubblico, coprendo l’ignominiosa ritirata di Pix.

«Molto bene, ragazzi, molto bene,» esclamò Draco, che l’adrenalina aveva liberato da ogni traccia di paura o di timidezza. «Questa piccola intrusione di Pix è stata un’ottima dimostrazione pratica di cosa significhi la Difesa contro le Arti Oscure. Vigilanza costante!»

Quell’esclamazione improvvisa fece trasalire la classe, proprio com’era accaduto ai suoi tempi; il ricordo gli strappò un ghigno soddisfatto. Molto soddisfatto.

Avanzò tra i banchi, cominciando a percorrere la classe in su e in giù, seguito da venticinque paia di occhi attenti.

«Mettete pure via penne e pergamene, ragazzi, oggi non vi serviranno.» Preferiva essere magnanimo, dal momento che stava improvvisando. Meglio che seguissero il discorso, piuttosto che precipitarsi ad annotare ogni sospiro del Verbo Incarnato. Anzi – si disse, mentre gli studenti armeggiavano con cartelle, inchiostro, penne e ammennicoli vari – era meglio evitare anche la distrazione costituita da un professore che passeggia in su e in giù, lungo il corridoio tra i banchi, costringendo le teste degli studenti a seguirne i movimenti, piuttosto che il discorso. Con un sospiro, si fermò al centro dell’aula, alzò la bacchetta e le impresse un complesso movimento rotatorio.

Intorno a lui, i banchi vorticarono, disponendosi a semicerchio, delimitando uno spazio al cui interno si sarebbe potuto muovere senza creare difficoltà ai suoi studenti. I quali, al momento, lo fissavano attoniti: non si erano scompigliati un solo capello, neanche una cartella era finita fuori posto. Il professore si omaggiò con un inchino autocelebrativo. Poi attaccò il discorso che, all’improvviso, scopriva bell’e pronto nella sua testa.

«Suppongo che abbiate sentito parlare di Malocchio Moody?» Sondò l’aula con una penetrante occhiata in circolo. «Sì, signor Mowett?»

La mano del Grifondoro tremava, ma la voce restò ferma. «Un ex-Auror, signore. Dicono che fosse il migliore.»

«E dicono giusto. Lei è un elemento prezioso per la Sua Casa, signor Mowett. Cinque punti a Grifondoro.» Il ragazzo arrossì una volta di più, ma per l’orgoglio, tanto che Draco temette di vederlo Levitare sopra il banco.

«Proprio così. Durante il mio quarto anno – forse saprete anche questo – Moody fu scelto come professore di Difesa. E la sua esclamazione preferita era proprio questa: “Vigilanza costante!”» Di nuovo, tutta la classe sobbalzò. Il professore non poté fare a meno di sogghignare.

«Naturalmente, quando gliela sentivamo ripetere, pensavamo che fosse un po’ tocco, ma ci sbagliavamo di brutto. Oh, quanto aveva ragione, il vecchio Moody… Anche se, sapete, non si trattava affatto di Malocchio Moody.»

Nonostante l’enfasi, venticinque fronti aggrottate si chiedevano se avessero capito bene; Draco annuì in direzione dell’unica mano alzata.

«Sì, signorina Wright, ha capito bene. Alla fine dell’anno, abbiamo scoperto che l’uomo che ci aveva insegnato Difesa, tra l’altro martellandoci con quell’esclamazione, non era Alastor Mo­ody. Era un Mangiamorte.»

Quei sobbalzi cominciavano a piacergli parecchio.

«Il Mangiamorte aveva catturato Moody e assunto il suo aspetto grazie ad una Pozione illegale, chiamata Pozione Polisucco; inoltre, la Maledizione Imperius gli aveva consentito di scoprire tutte le abitudini e i tic del povero Alastor, inclusa quella famosa esclamazione. In breve, impersonò il personaggio così bene che, durante tutto l’anno scolastico, nessuno sospettò nulla. Neppure Albus Silente, benché fosse amico di Malocchio da molti anni.»

Gli occhi dei ragazzi, adesso, erano sgranati.

«Non penso che ci sia bisogno di ricordarvi cosa sia successo alla fine di quell’anno. Vero?» Il suo sorriso innocente disse, a ciascuno dei ragazzi, che un simile bisogno avrebbe significato guai seri. Anzi, serissimi. Il peggio del peggio.

L’istante di silenzio fu spezzato da una mano alzata e da una voce molto bassa:

«V-Voldemort…»

Ancora una volta, la classe trasalì. Draco, per contro, rimase impassibile, benché lo stupisse alquanto il coraggio dello studente.

«Dieci punti a Corvonero, signor Matches, per aver osato dire quel nome a voce alta.» Gli rivolse un sorriso di apprezzamento. «Harry Potter non si è mai fatto scrupolo di pronunciarlo. E non ce ne faremo neppure noi.» Questo parve rassicurare alcuni studenti, che si guardavano intorno, nervosi, come se il nome avesse il potere di richiamare il Signore Oscuro dalle carceri d’Oltretomba.

«Proprio così, signori. Il falso Moody ha fatto in modo che Harry Potter cadesse nelle mani di Voldemort, che ha usato il suo sangue per risorgere. La Seconda Guerra è scoppiata perché nessuno è corso in aiuto del vecchio Moody, quando è stato catturato, e perché, qui a Hogwarts, nessuno si è chiesto se quel professore fosse davvero chi sembrava essere. Due negligenze fatali. Vigilanza costante!»

Questa volta, gli studenti sobbalzarono meno, ma compresero meglio - molto meglio - il senso del­l’esclamazione.

«Ma» riprese Draco, passeggiando nuovamente in su e in giù, all’interno dell’emiciclo, «voi certamente starete pensando: “D’accordo, la vigilanza costante va bene quando c’è una guerra in corso, un Signore Oscuro in circolazione; ma adesso che siamo in pace, perché dovremmo prenderci tutta ‘sta briga? Contro cosa dovremmo stare in guardia?”» Si interruppe. «Qualcuno di voi sa rispondere a quest’ultima domanda?»

Si alzarono ben tre mani; Draco scelse la più vicina.

«Signor Prewett?»

«Contro… contro i Babbani, signore?»

«I Babbani?» chiese il professore di rimando, senza nascondere la sorpresa.

Ma anche il ragazzo era stupito. Stupito della sua sorpresa.

«S-signore…» Esitò. «Voglio dire, lo sanno tutti…»

Draco non aveva idea di cosa sapessero tutti: per diversi motivi, dopo l’ultima battaglia era rimasto quasi sempre a Malfoy Manor, vivendo come un recluso. Un anno e mezzo prima, tutti avrebbero giurato – e, spesso, spergiurato – che il nemico contro cui stare in guardia era Voldemort. Ma i Babbani?

Prima che potesse chiedere chiarimenti, intervenne Clayton, secco:

«Ai Babbani pensano i Dissennatori, lo sanno tutti.»

Fosse la prontezza mentale dei Corvonero o il coraggio dei Prewett, il piccolo Damien raccolse la sfida senza esitare: «Ma i Babbani hanno la tecpoteclo…»

Draco non aveva idea di quale parola stesse cercando di pronunciare il ragazzo; ma, evidentemente, Babbington era meglio informato, perché scoppiò a ridere, esclamando:

«Che c’è, Prewett, hai paura di Martin Miggs?»

«Il Babbano matto?» domandò Draco, costretto ad apprendere i fatterelli più elementari dai suoi studenti.

«Sì, signore» rispose Babbington. Prewett, che sembrava sull’orlo delle lacrime, gli indirizzò un’occhiata assassina.

«E’ passato qualche anno, dall’ultima volta che ho letto quel giornalino a fumetti,» osservò il giovane Malfoy, scrollando le spalle, «ma mi sembrava che fosse solo un modo come un altro per prendere in giro i Babbani e i loro ridicoli congegni

Adesso toccava a Babbington sentirsi imbarazzato. Draco si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto, perché superassero la timidezza, o quel che era.

«Ecco, signore,… Era così fino all’anno scorso, più o meno, ora che me lo fa notare, ma… Adesso, Martin Miggs è quasi sempre alleato con maghi fuorilegge e cerca di battere i buoni usando la tec-no-logia; quasi ce la fa, ma, sul più bello, arrivano gli Auror e arrestano tutti. Tranne lui, naturalmente, che riesce a scappare grazie a qualche congegno nascosto.»

«Ma guarda. Quando lo leggevo io, al massimo vedevi Miggs cercare di battere una scopa in velocità usando un elicottero e finire dritto in uno stormo di Ippogrifi…»

La classe ridacchiò nervosamente.

Damien Prewett, però, voleva la rivincita: la sua mano era alzata.

«Prego, signor Prewett. Desidera aggiungere qualcosa?»

«Sì, che è un cacasotto» ghignò Babbington, imitato dai più.

Draco lo fulminò: «Dieci punti in meno a Grifondoro, signor Babbington.» Squadrò l’intera classe dall’alto in basso. «Sia chiaro che non intendo tollerare questo genere di epiteti nella mia classe. Ogni studente di Hogwarts deve conoscere la buona educazione, prima ancora della magia, e, se non ve l’hanno insegnata le vostre famiglie, bene, sbrigatevi ad impararla. Mi sono spiegato, signor Babbington?»

«Sì, signore,» farfugliò il Grifondoro biondo, con la faccia di chi cerca disperatamente un Mantello dell’Invisibilità.

«Lo spero per Lei: un altro episodio del genere e mi vedrò costretto a metterLa in castigo. Il signor Gazza sarebbe certamente molto lieto di appendere qualche studente alle sue catene…»

Nessuno osò ridere. Anzi, non si sentiva volare una mosca.

Draco squadrò l’intera classe, dall’alto in basso:

«Oh, chiariamo una cosa, signori: la buona educazione non è riservata ai membri della vostra Casa. Chiaro?»

«Sì, signore,» mormorarono gli scolari, a testa china.

«Bene. Molto bene.» Si rivolse al giovane Corvonero, facendogli cenno di alzarsi nuovamente. «Prego, signor Prewett, a Lei la parola.»

«Grazie, signore.» Il ragazzo arrossì una volta di più, ma aveva acquistato sicurezza. «Volevo solo chiarire che la tec-no-logia non è solo una… una cosa per far paura ai bambini.» La sua occhiata in tralice a Babbington prometteva sanguinose vendette. «E’ evidente che, qui, alcune persone non leggono la Gazzetta

Secondo Draco, in tutto il mondo – magico o Babbano – soltanto un ragazzo di undici anni leggeva il giornale e, naturalmente, questo undicenne era finito a Corvonero. Annuì, con profonda convinzione: «Certo, signor Prewett. La prego, spieghi a queste persone cosa Le è capitato di leggere.» La coscienza gli impedì di aggiungere una doverosa esortazione alla lettura del quotidiano.

«L’altro ieri, nelle pagine culturali, hanno recensito una novità editoriale, Introduzione alle armi dei Babbani. L’autore, di cui, al momento, mi sfugge il nome, è il responsabile dell’Ufficio per l’Uso Improprio dei Manufatti Babbani.»

Il professore non aveva idea di chi fosse il successore di Arthur Weasley. «Bene, e cos’ha da dire sull’argomento questo Tizio, o piuttosto la recensione?»

«Oh, la recensione si limitava a riassumere il contenuto dell’opera, signore, e ad aggiungere qualche punto esclamativo qua e là. Anche se noi tendiamo a immaginare i combattimenti tra Babbani come colluttazioni corpo a corpo, l’autore spiega diffusamente che, in realtà, essi possiedono – e usano comunemente – armi in grado di colpire a distanza, non solo un singolo individuo, ma addirittura intere città. Dice anche, signore,» soggiunse, in tono dubbioso, «che le più potenti di queste armi sarebbero in grado di… di distruggere l’intero pianeta, signore.»

Ricordando una lontana conversazione con Harry Potter, Draco assentì: «L’ho sentito dire an­ch’io, signor Prewett, e da una fonte più che affidabile, quindi credo che sia vero.»

L’intera classe inspirò bruscamente.

«Da chi l’ha sentito, signore?» intervenne Matches, incuriosito.

«Signor Matches, apprezzo molto gli interventi, ma gradirei che, in futuro, ricordasse di alzare la mano, prima di parlare.»

«Sì, signore. Certo. Mi scusi.»

«Per questa volta, non terrò conto delle formalità e risponderò alla Sua domanda: l’ho saputo da Harry Potter, durante il nostro ultimo anno.»

Sulla classe calò un silenzio sepolcrale. Prewett, ancora in piedi, lo fissava addirittura a bocca aperta.

D’impulso, Draco aggiunse:

«A pensarci bene, signor Matches, debbo ringraziarLa, poiché la Sua domanda mi offre il destro per affrontare un argomento spinoso, ma che sarebbe vergognoso passare sotto silenzio.» Trasse un respiro profondo, ruotando la testa, da sinistra a destra, per osservare l’intero emiciclo. Prewett si era seduto, gli altri stavano superando lo stupore.

«Forse voi non potete rendervene conto, ma siete in pochi. Nel mio anno, in totale, eravamo una quarantina; il vostro, invece, comprende anche quegli studenti che, l’anno scorso, non hanno potuto frequentare la Scuola, giusto?» Cenni di assenso generali. «Quindi, spiegatemi: perché, di fronte a me, ci sono solo venticinque studenti?»

Di colpo, Pullings scoppiò in lacrime. C’era qualcosa di struggente, nel modo in cui si sforzava di nascondere il pianto, di soffocare i singhiozzi; Draco comprese all’istante e il suo tono si fece sinceramente contrito. «Le mie scuse, signor Pullings. Non intendevo… rievocare i lutti che alcuni di voi possono aver subito. Se crede, può uscire un momento.»

Ma il ragazzo olivastro scosse il capo, stringendo le labbra, colme per trattenere il pianto a viva forza. C’era da temere che se le mordesse a sangue, ma Draco non poteva farci nulla; anzi, forse il solo modo per aiutarlo era proseguire con la lezione e distogliere gli sguardi da lui.

«Molto bene. Sarò più diretto: per la prima volta nella sua storia, Hogwarts non accoglie gli studenti nati in famiglie Babbane. Signor Prewett, sa darmi una spiegazione anche per questo?»

Il ragazzo arrossì appena, stavolta, e si alzò nuovamente in piedi, annuendo con tanto vigore che i capelli gli volarono sugli occhi. Avrebbe davvero dovuto tagliarli, o cambiare pettinatura.

«Ecco, signore… Se mi permette, io penso che sia giustissimo. Tenerli fuori, intendo. Voglio dire, questi… ragazzi sono dotati di poteri magici, certo, ma non… non sono come noi, insomma!» Si interruppe, forse pentito di tanta enfasi: «Signore, io… forse ho esagerato… mi scusi.»

«E perché mai? Esprimere le proprie opinioni con passione e foga non è una colpa, anzi, a mio avviso è un pregio. Colpa sarebbe, se la passione ci impedisse di ascoltare l’opinione degli altri con lo stesso rispetto che pretendiamo per la nostra.» Qualcosa, nel suo tono, fece arrossire il ragazzo fino alla punta delle orecchie. «Prego, signor Prewett… prosegua.»

«Grazie, signore.» Spostò il peso da un piede all’altro, come se stesse ballando sulle uova. «Uhm… Vede, professore, secondo me il punto è questo: se si trovassero costretti a scegliere tra noi e i Babbani, da che parte si schiererebbero, i Mezzosangue?» Arrossì, coprendosi la bocca con una mano, e mormorò: «Mi scusi.»

«Accetto le Sue scuse, signor Prewett. A dire la verità, mi aspettavo di sentirLe quel termine da un momento all’altro.» Trasse un respiro profondo, cercando le parole. «La Sua reazione dimostra che, perlomeno, Lei sa che è una parola da non usare.» Prewett fece mostra di voler parlare, ma Draco proseguì: «Inoltre, mi permetto di ricordarLe che Harry Potter era un Mezzosangue e che è cresciuto con i Babbani finché non è entrato a Hogwarts. Immagino, quindi, che, secondo Lei, non avrebbe dovuto ricevere nessuna lettera dalla Scuola?»

Quel signor colpo basso andò a segno: la faccia del ragazzo non sapeva più che colore assumere. Ma, a toglierlo dall’imbarazzo, giunse un provvidenziale, fragoroso schianto contro la porta dell’aula.

Bang!

Draco assunse istintivamente la posizione di guardia, bacchetta in pugno.

«Ferma, bestiaccia!» Gli studenti si scambiarono occhiate perplesse, ma il professore non staccò gli occhi dal battente.

Bang! La porta si spalancò, sbattendo contro il muro. Una strana macchia scura balzò dentro, trascinandosi dietro una figura massiccia, che si schiantò sul pavimento.

Senza abbassare la bacchetta di un millimetro, Draco assunse un tono di gelida cortesia: «Buongiorno, Cormac. Vedo che hai qualche problema con il tuo rospo.»

Occorsero almeno cinque secondi perché la classe, esterrefatta, riuscisse a comprendere la scena e la frase: Cormac McLaggen, Direttore della Casa di Grifondoro, si stava rialzando, tra sbuffi, grugniti e imprecazioni; attorcigliato intorno al suo braccio destro (ma anche alle gambe, al braccio sinistro e a un’altra dozzina di sporgenze) c’era un lungo guinzaglio nero, alla cui estremità, ben imbracato tra le zampe, saltellava un rospo giallo-verde.

«Croak!»

Prewett, Matches e alcuni altri scoppiarono a ridere, perché il batrace aveva un’aria stranamente soddisfatta. Se ne avvide anche il suo proprietario, che gli indirizzò trenta secondi filati di quegli insulti che non si dovrebbero mai pronunziare in presenza di signore. O di studenti impuberi, quanto a questo.

La bacchetta sempre puntata contro il suo torace, Draco lasciò che si sfogasse; poi, mentre il cosiddetto collega – ora in equilibrio precario, minacciato dall’iperattività del rospo – cercava di riprendere fiato, lo apostrofò, di nuovo con quel tono gelido e cortese con cui, a Malfoy Manor, ricordavano agli Elfi Domestici di punirsi per qualche mancanza.

«Cormac, Cormac, dovresti proprio controllare il tuo linguaggio, sai. Soprattutto in presenza dei miei studenti.» Ma il finale della risposta si perse, sommerso dallo schianto: non essendo riuscito a districarsi dal guinzaglio, McLaggen fu di nuovo sbattuto a terra dal rospo. Un rospo molto energico, questo era certo.

Draco sospirò: gli toccava pure intervenire.

«Diffindo.» E il guinzaglio fu troncato di netto, mentre il rospo si allontanava a grandi balzi, approfittando della porta aperta. L’imbranato gridò: «Ragnok, torna qui!»

«Accio Ragnok!» mormorò il professore di Difesa, le cui braccia, un istante dopo, si strinsero intorno a quel batrace sovreccitato. Caspita, se era forte!

«Molla il mio rospo!» sbraitò McLaggen, allungando le zampacce. Malfoy allentò la stretta un istante e il rospo gli sfuggì. Il proprietario si tuffò per prenderlo, ma rimediò soltanto una zuccata apocalittica contro il banco di Babbington, che si rovesciò.

Draco ne aveva abbastanza.

«Stupeficium!» E il rospo era sistemato.

Un altro colpetto con la bacchetta chiuse la porta, di scatto e con una certa rabbia.

«Rinnerva.» Con un grugnito, Cormac si riebbe, cominciando, lentamente, a rialzarsi.

«Ti sarei grato, Cormac carissimo, se, d’ora in avanti, tenessi sotto controllo il tuo rospetto e, soprattutto, se evitassi di interrompere le mie lezioni.»

Il cervello di McLaggen, reso ancor più torpido dall’eccesso di urti, impiegò sette secondi buoni a decrittare la frase e reagire; ma l’esito fu un ruggito spettacolare: «Non ti azzardare a dirmi cosa devo fare!»

Draco lo squadrò in silenzio, senza degnarsi di sprecare altro fiato.

«E non guardarmi in quel modo, razza di stronzo! Sei sempre stato un colossale figlio di puttana con la puzza sotto il naso!»

«Ahi, ahi, Cormac,» mormorò il ragazzo, così piano che nessuno lo udì, «questo è proprio l’unico insulto che avresti fatto meglio ad evitare.»

«E se ora credi…»

«Silencio!» urlò Draco a sua volta, improvvisamente rosso in viso. McLaggen tacque di colpo, le labbra che si muovevano concitate, senza emettere suono.

Decisamente, il bestione si stava riprendendo: gli ci vollero soltanto due secondi per estrarre la bacchetta. Troppo lento comunque.

«Petrificus Totalus!»

Quello tra Cormac e il pavimento stava diventando un appuntamento fisso. Forse era vero amore, chissà.

«Sai, mio caro collega,» commentò Malfoy, sputando con grazia l’ultima parola, «decisamente hai esagerato, stavolta. Finitus!»

McLaggen riacquistò libertà di movimento, ma fu tanto saggio da non cercare di servirsi nuovamente della bacchetta; si limitò a rialzarsi, ansimando, le labbra contorte in un rictus molto simile a un ringhio.

Sempre con glaciale cortesia, Draco gli indicò la porta. Qualcosa, in quel gesto, fece saltare del tutto i nervi a Cormac, la cui voce profonda si incrinò, raggiungendo tonalità isteriche da contralto.

«Non ti permettere di trattarmi come se io fossi una nullità, Malfoy! Lo sanno tutti che hai avuto il posto solo grazie al paparino!»

E Malfoy mostrò, a lui e alla classe, quanto possa essere caustica una risatina asciutta. Al che, la voce di Cormac precipitò di parecchie ottave; anche il volume calò sensibilmente, ed era tempo.

«Strano che il signor Ministro spedisca a Hogwarts il suo unico bamboccio, no? Cos’è, Malfoy? Te la fai con i Babbani, adesso?»

Draco lo squadrò in silenzio, le sopracciglia inarcate. “Farsela con i Babbani” era da sempre un’espressione dispregiativa in voga, nelle famiglie Purosangue; ma i McLaggen non ne facevano certo parte e, comunque, neppure Lucius Malfoy si sarebbe azzardato ad usarla in pubblico, un anno e mezzo prima.

Cosa sta succedendo?

«Bada a te, Innocentino,» proseguì McLaggen, imperterrito: «il problema dei Babbani è avviato verso la soluzione finale

Il modo in cui pronunciò le ultime due parole fece accapponare la pelle di Draco. E anche di qualche studente.

«E allora, dimmi, cosa farà il paparino al traditore del suo sangue, eh?»

Ma chi si crede di essere, questo pallone gonfiato di un Mezzosangue?

Il pallore del Direttore di Serpeverde assunse una sfumatura velenosa. «Non tirare in ballo mio padre, McLaggen. Mai più

«Oooh, poverino! Non puoi più correre da papà tutte le volte che ti fanno la bua, vero?»

«Basta così, Cormac.» Tono e viso si stavano accendendo di brutto.

«Chi l’avrebbe detto, Draco? Tu, a difendere i Babbani! Come un Mezzosangue qualsiasi! Ma davvero credi ancora alle sciocchezze di quel vecchio rimbambito? Svégliati, bimbo, che è giorno! Albus Silente è morto e sepolto! Per fortuna, adesso, abbiamo come Ministro qualcuno che la sa più lunga di lui e anche di… di quell’altro e dei suoi Mangiamorte!» Non seppe reprimere un brivido, mentre terminava la frase.

«Hai finito?» domandò Malfoy, ancora calmo e ragionevole.

«Finirò quando lo dirò io, pulce!»

Draco rise: anche se la sua corporatura non era certo massiccia come quella di McLaggen, quanto a statura si equivalevano. Il solo pensiero di poter essere ancora confuso con il Draco Malfoy che studiava a Hogwarts gli sembrava ridicolo.

Cormac non apprezzò affatto la sua ilarità: «Stupeficium!»

«Protego!» reagì automaticamente Malfoy, spedendo lo Schiantesimo a infrangersi contro la parete sopra la cattedra. Rise ancora.

«Vuoi ridere, Malfoy? Allora ridi per qualcosa! Rictusempra!»

«Mancato!» Per un pelo, ma mancato.

«Aspetta che…» Ma non poté proseguire: stanco di sentire quella voce, Draco gli aveva scagliato un altro Incantesimo Tacitante. Non verbale, stavolta.

«Molto bene, signori,» disse ai ragazzi, senza staccare gli occhi di dosso all’avversario, «state per assistere ad uno scontro tra maghi che usano incantesimi non verbali. Sono gli stessi che alcuni di voi conoscono già,» si concentrò per deviare un raggio rosso «ma, come vedete, le formule non si pronunciano ad alta voce.» Per schivare l’incantesimo successivo, dovette tuffarsi; ne approfittò per ribattere con un Levicorpus.

Le risate lo informarono del successo.

Si rialzò, contemplando con immensa soddisfazione la sagoma di McLaggen, che ondeggiava a trenta centimetri buoni dal pavimento, a testa in giù, come se una mano invisibile lo tenesse sollevato per la caviglia.

Ma distrarsi era sempre un errore: il suo avversario impugnava ancora la bacchetta. La maledizione lo mancò – di nuovo - per un pelo, strinandogli metà della faccia.

Sectumsempra!

Il sangue di Cormac cominciò a sprizzare, finendo da tutte le parti.

Con un movimento languido della bacchetta, Draco Evocò bende a sufficienza per tutte le ferite appena aperte. Metri e metri di garza si precipitarono sul ferito, avviluppandolo, torcendosi, formando nodi stretti. Molto stretti.

Accio bacchetta!

La bacchetta di McLaggen, caduta a terra, gli volò in mano. Grazie al Cielo, sembrava che il bestione avesse perso conoscenza.

Ansando leggermente – era davvero fuori allenamento! – si guardò intorno. Quelle facce inorridite lo colpirono come un pugno allo stomaco: ricordava fin troppo bene le occasioni in cui la stessa espressione si era dipinta sulla sua.

C’era davvero troppo sangue.

«Gratta e netta.» Per fortuna, sua madre aveva insistito perché facesse pratica con gli incantesimi per casalinghe: non rimase neppure una macchia di sangue.

Ma la pulizia non era ancora completa.

«Kreacher?» chiamò.

Con uno schiocco che atterrì almeno metà della classe (la metà che poteva essere atterrita ancora un po’), un Elfo Domestico molto vecchio e molto sudicio si Materializzò sopra la cattedra.

«Il padrone ha chiamato?» chiese con un inchino.

«Sì, Kreacher. Vedi questo mucchio di spazzatura?» Indicò il corpaccione di Cormac, steso tra i lui e la cattedra, ben visibile da ogni punto dell’emiciclo studentesco.

«Sì, signor Draco Malfoy, padrone, Kreacher vede. Kreacher lo butta dove dev’essere gettato?»

«Per questa volta no, amico mio,» sospirò Draco; l’epiteto Evocò lacrime di commozione negli occhi dell’Elfo. «Invece, lo porterai in infermeria. E già che ci sei,» aggiunse, mentre il servitore già stava per Smaterializzarsi, «riporta questa nella sua stanza.» Fece per allungargli la bacchetta di Cormac, ma Kreacher si ritrasse, inorridito.

«No, no, signore! Kreacher non lo fa, non lo può fare! Gli Elfi Domestici non può toccare bacchette, signore!»

Prima che l’Elfo decidesse di punirsi, Draco si affrettò a revocare l’ordine. «Signor Mowett, signor Babbington,» apostrofò i due Grifondoro dall’aria più scossa, «vorreste essere tanto gentili da riportare la bacchetta del professor McLaggen nella sua stanza? Vi ringrazio.»

I due ragazzi uscirono, con l’aria di chi rallenta deliberatamente i propri passi, per non mettersi a correre.

Il professore respirò a fondo, cercando un modo per tranquillizzare il resto della classe, oggettivamente scosso dallo scontro. Ci stava ancora pensando, quando rientrarono i due allievi, che si sedettero in silenzio.

 

Note:

L’accenno a Iside è un’allusione al celebre romanzo di Apuleio, Le metamorfosi o L’asino d’oro, in cui il protagonista, Lucio, trasformato accidentalmente in asino, riesce, dopo svariate peripezie e avventure salaci, a riacquistare sembianze umane soltanto grazie all’intervento salvifico della dea.

Biasimate me per la scarsa inventiva di Pix: non avevo lampadari da fargli svitare o busti da fracassare. In effetti, temo che l’aula di Difesa, così come l’ho immaginata io, non offra molte munizioni ad un attacco e che il Poltergeist si sia dovuto arrangiare.

Come avete potuto vedere, ho creato un discreto numero di personaggi, quindi gli studenti sono destinati a rivestire un ruolo importante nella storia. Cercherò di limitare le scene di vita scolastica, non temete: ho molto altro da raccontare!

In particolare: Babbington, Mowett e Pullings sono nomi tratti da Patrick O’Brian, Primo Comando, meglio noto agli appassionati di cinema come Master and Commander; “Duncan” vuol essere un omaggio al Macbeth, che, se non vado errato, è la tragedia scespiriana preferita dalla Rowling; William Cecil Clayton, nei romanzi di E.R.Burroughs, è il cugino di Tarzan, che ha ereditato titolo e fortuna dei Greystoke dopo che i genitori dell’uomo-scimmia sono scomparsi, abbandonati da una ciurma ammutinata sulla costa dell’Africa equatoriale. Infine,Peter Frederick Matches traduce i nomi di due miei carissimi amici, che spero apprezzino il pensiero. E, se anche non lo apprezzassero,… le probabilità che il Web li porti a questa pagina sono piuttosto basse.

Samantha Wright, poverina, è stata inventata lì per lì, giusto per dimostrare che Hogwarts non è diventata una scuola per soli maschietti, quindi non ha antenati illustri.

Le Avventure di Martin Miggs, il Babbano matto è il titolo di un giornalino a fumetti che si trova nella camera di Ron alla Tana (Camera dei Segreti, capitolo 3). Sul suo contenuto, ovviamente, posso soltanto speculare.

L’opinione comune sui combattimenti tra Babbani è una mia interpretazione del commento di Minerva McGranitt circa la rissa tra Harry, i gemelli e Malfoy, al termine della partita di Quidditch, ne L’Ordine della Fenice.

Ragnok è il nome di un capo goblin, menzionato ne L’Ordine. Il che la dice lunga su quanto Cormac stimi i propri “magici fratelli”.

L’incantesimo che pone fine ad uno Stupeficium – ma anche ad uno svenimento normale – è stato indicato, nell’originale, come Enervate e tradotto come Innerva; il nome inglese, però, è stato corretto in Rennervate, quindi mi sono sentito in dovere di adeguare la traduzione.

Levicorpus e Sectumsempra sono due novità del sesto libro; non credo che i loro effetti richiedano spiegazioni. Lo stesso dicasi per gli incantesimi non verbali.

 

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Capitolo 5
*** Prime lezioni. Parte seconda. ***


Prime lezioni. Parte seconda



Please, please, listen to me, children
You are the ones who will rule the world
You gotta please me
All night


Jim Morrison



Ringraziamenti:
Sabry: guarda che ad usare il
Sectumsempra è Draco! Mi è venuto il dubbio che non si capisse, così ho modificato leggermente il punto incriminato. Pazzo? No, ha solo perso il controllo; qui si capirà il perché. E Piton, il sesto libro ci insegna, è l’insegnante preferito di Draco, un vecchio amico di famiglia, eccetera: se ti ricordi, gli ha insegnato il Serpensortia, al secondo anno. Quindi, mi sono preso la libertà di fare due più due.
Rico: c’è qualcosa di altamente irrazionale nell’intero Mondo Magico, io credo. Queste esistenze parallele, mimetizzate all’interno del mondo Babbano… come stupirsi se soffrono un po’ tutti di una sorta di “complesso dell’assediato”? O se spunta un Mago Oscuro ad ogni generazione? Certo, questo chiama in causa anche Hogwarts e il sistema di istruzione. Non a caso, il Decreto Numero Ventisette ne attua una riforma completa e organica: Lucius vuole una Scuola degna di questo nome e,
per ora, non osa farvi insegnare apertamente le Arti Oscure.
Mariademolay: ehm… la riforma, purtroppo, non ha inciso affatto sul reclutamento dei professori, limitandosi a stabilire che debbono aver conseguito almeno un GUFO nella materia che intendono insegnare. Sembra scontato, ma, secondo voi, Allock aveva un GUFO in Difesa? Io avrei qualche dubbio…
“Voldemort sarebbe così fiero…”: è proprio questo il punto, e lo sentirai dire da Draco, quindi non aggiungo nulla al contenuto del capitolo.
Per la salute della Marchbanks, concordo, quindi… vedi finale.
E chissà, anche il rospo potrebbe rifarsi vivo. Vedremo.



Per fortuna, l’imbarazzo di Draco ebbe breve durata: proprio in quella, un nuovo schiocco annunciò il ritorno di Kreacher.
«Tutto fatto, padron Malfoy» gongolò l’Elfo Domestico. «Lo sporco Mezzosangue è in infermeria, fasciato, accudito e riverito; Madama Chips – ehm – mi ha ordinato di riferirvi che farà rapporto alla Preside e che voialtri giovinastri meritereste una bella lavata di capo.» Gli lanciò uno sguardo ansioso, già pronto a punirsi. Draco era molto, molto abile, quando si trattava di escogitare castighi raffinati e dolorosi. E, in quel momento, gli occhi del Padrone erano glaciali.

«Mi è parso di sentirti dire “sporco Mezzosangue”, Kreacher.» Il tono era placido. Come l’occhio di un ciclone. «Ora, se non sbaglio, sia io sia il tuo precedente padrone…»

«Oh, padron Malfoy! Voi ha proibito a Kreacher di dire quello che pensa del moccioso Potter, ma…» Si bloccò, accorgendosi, con orrore, di aver osato interrompere Draco, per giunta con l’intenzione di infrangere un suo preciso divieto. Un istante dopo, si stava già spaccando la testa, tirando zuccate contro il muro.

«Basta così, Kreacher. E’ evidente che le punizioni non servono. Perciò, se mai ti sentirò ancora pronunciare la parola “Mezzosangue”, o un altro insulto del genere, io non ti punirò. Oh no, mio caro,» confermò Malfoy con un sorriso serafico, «mi limiterò a darti» - guizzo di bacchetta - «questo

Il vecchio Elfo sgranò gli occhi, ammutolito, alla vista del calzino con cui, a suo tempo, Harry Potter aveva liberato Dobby.

«Puoi andare, Kreacher.» L’Elfo si Smaterializzò e Draco, combattendo un opprimente senso di sconforto, si rivolse nuovamente alla propria classe.

«Signor Mowett? Signor Babbington?»

«Tutto fatto, signore,» risposero all’unisono, come bravi Elfi scolastici.

«Perfetto.» Inspirò a fondo e scrutò quel cerchio di banchi, quelle facce molto attente, ma anche molto tese. Si sentiva addirittura più nervoso che all’inizio della lezione.

«Signori,» esordì, riuscendo per miracolo a tenere la voce sotto controllo, «credo di dovervi le mie scuse. Per il comportamento del mio Elfo Domestico, certo, ma soprattutto per il mio. Non avrei dovuto cedere alle provocazioni del… del Professor McLaggen, né tantomeno offrirvi un simile spettacolo.»

«E’stato fantastico, signore!» esclamò Matches, rosso in viso. «Il modo in cui Lei l’ha…»

Draco si sentì arrossire a sua volta, forse per il piacere di una lode inaspettata, forse per la collera contro McLaggen, o contro quei ragazzini che non capivano un cazzo.

Non è stato un gioco, porca troia! Un duello non è un gioco, non è mai un gioco, chiaro?

Riordinò pensieri ed emozioni, poi rispose: «La ringrazio, signor Matches. La ringrazio sinceramente. Tuttavia, vede, io e i miei colleghi siamo qui per insegnare, non per sfidarci a duello. Anche in un caso come questo, cercare di ammazzare un collega è considerato… poco educato.» Le risatine nervose rinfocolarono la sua collera, tanto che non riuscì a frenare la lingua: «Cormac McLaggen non era con noi, capite? Non era alla battaglia dei cancelli.» Una vocetta malvagia gli gridava: Perché, tu c’eri invece? Ipocrita!

Gli studenti lo fissavano, attoniti; difficile comprendere le loro reazioni.

E chi se ne fotte, delle loro reazioni!

Proseguì, con voce gelida e acida nello stesso tempo. «Per tutto l’ultimo anno di guerra, il caro Cormac se n’è stato tranquillo, a svolazzare su un campo di Quidditch. Cosa poteva fregargli di quelli che morivano? Di quelli che combattevano anche per lui? L’importante era che la sua fottuta scopa fosse sempre in perfetto ordine, o che i compagni di squadra seguissero i suoi inestimabili consigli senza fiatare.» Quasi boccheggiò: di colpo, gli mancava l’aria. «Ne ho visti tanti come lui, troppi. Tutti convinti che stesse andando tutto bene. Il Profeta riporta una scomparsa e due omicidi tutti i santi giorni? “Evvia, che sarà mai, ancora un po’ e poi la vinceremo, questa guerra…” La vinceremo, capite? Loro, che non facevano nulla per vincerla!» Deglutì. «Ah, ma poi la musica cambiava: un bel giorno, i signorini si trovavano il Marchio Nero sopra la casa, o un Inferius in agguato, o magari una Maledizione Senza Perdono… Ecco che, all’improvviso, nessuno faceva il proprio dovere: il Ministero era pieno di inetti, gli Auror erano fottuti palloni gonfiati, Silente un vecchio rimbambito, e avanti così, che ce n’è per tutti. Per tutti, ma mai per loro. Mai una volta che qualcuno di questi fottuti imboscati si sia chiesto: “Ma io che cosa ho fatto perché vincessimo la guerra?”»

Respirò a fondo, cercando di calmarsi, o almeno di controllare il proprio linguaggio. Non ci riuscì affatto.

«Non hanno fatto uno stramaledetto cazzo per vincerla, però, Merlino, si sono dati parecchio da fare per godersi la vittoria! Arrivo a Hogwarts e chi mi ritrovo come collega? Cormac McLaggen! Ora io mi domando: per questo, abbiamo combattuto?! Perché questi villani rifatti e boriosi facessero carriera, arrivassero al successo, e ci ridessero pure dietro? Signori, non lo dico per giustificare il mio comportamento, ma voi stessi ne siete stati testimoni: Cormac McLaggen, in pratica, ha riso in faccia ai morti. Ai miei morti. Ai vostri morti.»

Nella classe regnava il silenzio, ma ognuno di quei volti era dalla sua parte, acceso della stessa indignazione.

Draco si prese la testa tra le mani. Avrebbe tanto, tanto voluto mettersi a piangere.

«Avete sentito l’Elfo Domestico, poco fa? Quello che ha chiamato McLaggen “sporco Mezzosangue”? Bene, era l’Elfo di Harry Potter. Eppure, né Harry né io siamo riusciti a insegnargli un minimo di buone maniere…» Riuscì a sciogliere il nodo che minacciava di strozzargli la voce. «Abbiamo fatto testamento, tutti quanti, prima della battaglia finale. Harry era mio cugino, per questo mi ha lasciato Kreacher.» In quel momento, non pensò neppure che, come parente del Ragazzo Sopravvissuto, sarebbe stato quasi venerato da quei ragazzini a caccia di eroi. Aveva ben altro da dire. «Me lo ricordo bene, Harry, quella mattina. Era… be’, era pallidissimo, come tutti, sembravamo tanti Vampiri. Sapevamo che avremo affrontato la grande prova della nostra vita, sapevamo che saremmo potuti morire» “O che avremmo potuto fallire, Draco”, gli rammentò la vocetta malefica. «Sapevamo anche che la vittoria era tutt’altro che certa, che avremmo potuto perdere. Eppure credevamo che ne valesse la pena.» Tacque per qualche secondo, sopraffatto dalle emozioni. «Harry rischiava più di tutti: sapeva di doversi scontrare con Voldemort, sapeva che il nostro destino era nelle sue mani, e solo nelle sue… eppure, è uscito dalla Sala Grande a testa alta, con la bacchetta in pugno, e non si è neanche voltato indietro.» Diversamente da te, vero?

«Eravamo convinti che valesse la pena di combattere e di rischiare la pelle, convinti di poter costruire un futuro diverso, un futuro migliore… E invece, guardate com’è andata. Abbiamo vinto? Sì. Ma che vittoria inutile! A cosa serve aver sconfitto Voldemort, se un imboscato come McLaggen insegna a Hogwarts, se un Mangiamorte è diventato Ministro della Magia?»
Si arrestò, a corto di parole, ma non certo di emozioni.

«Signore…»

Draco trasalì: si era quasi dimenticato dell’uditorio cui - in teoria - si stava rivolgendo. «Sì, signorina Wright?»

«Ecco… il Ministro Malfoy… voglio dire, lui ha lasciato i Mangiamorte prima che… non è mai stato davvero dalla parte di…»

«Si sbaglia, signorina. Posso assicurarLe che mio padre è stato ed è tuttora un Mangiamorte.» Per un istante folle, desiderò che il Marchio Nero sul suo avambraccio fosse ancora visibile, che non fosse svanito insieme con l’Oscuro Signore. Avrebbe voluto mostrare ai suoi studenti un segno indelebile del Male, della sua capacità di corrompere menti, corpi e cuori.

«Signore?»

«Prego, signor Prewett.»

«Com’è possibile che sia tuttora un Mangiamorte? I Mangiamorte non esistono più, giusto? Sono finiti ad Azkaban, hanno subito la confisca dei patrimoni, eccetera.»

La logica impeccabile dei Corvonero. Così attenta alla forma, così cieca alla sostanza.

«Mio padre è stato un Mangiamorte, sempre. Condivideva tutti gli scopi dell’organizzazione, nonché i mezzi usati per conseguirli… mezzi che non è il caso che vi rammenti. Solo una cosa non riusciva a sopportare: ubbidire ad un Mezzosangue.» Improvvisamente severo, trapassò il Corvonero con lo sguardo. «Signor Prewett, mi dica: Lei è un Purosangue?»

Forse la domanda suonava come un’accusa, perché l’interpellato deglutì almeno tre volte, prima di annuire.

«Lo immaginavo. E immagino anche che Lei sia orgoglioso di esserlo, non è così?»

Se i mocciosetti avessero continuato a Trasfigurarsi in pomodori, avrebbe perso la pazienza. «S-sì, signore,» riuscì a bofonchiare il ragazzo.

«Vede, signor Prewett, Le faccio queste domande per una ragione ben precisa. Anch’io sono un Purosangue, come avete sentito dal Professor McLaggen; e, quando sono entrato a Hogwarts, pensavo che Babbani e Mezzosangue fossero soltanto feccia da eliminare.» Riprese fiato: improvvisamente, ne aveva bisogno. «Ebbene, mi sbagliavo. Ho impiegato molto tempo per capirlo, ma le mie idee erano sbagliate. E stiamo parlando delle stesse idee che avete sentito esporre da McLaggen: quelle dei Mangiamorte, quelle che mio padre continua a sostenere, anche adesso, come Ministro.»
Fantastico. Adesso si erano Trasfigurati in belle statuine con gli occhi sgranati.

Ragazzi, è tempo di crescere, tempo di usare il cervello!

Prima che sia troppo tardi.

«Io appartengo ad una delle stirpi più antiche di tutto il Mondo Magico e, naturalmente, ne vado fiero: ai miei antenati si deve una buona parte della storia dei Maghi… nel bene e nel male. Ma» - fissò Damien Prewett dritto negli occhi - «questo non significa che la nostra nascita ci renda migliori dei Mezzosangue, o perfino dei Babbani; al contrario, significa che abbiamo il dovere di mostrarci degni del nome di cui possiamo fregiarci.»

Aveva ritrovato foga ed energia.

«Soltanto le nostre azioni, le nostre scelte, determinano ciò che siamo; soltanto in base ad esse possiamo considerarci "migliori" di qualcun altro. Io l’ho capito; tardi, ma l’ho capito. Per questo mi sono schierato dalla parte giusta: la parte di Harry Potter e di Albus Silente. Mio padre era dall’altra parte, durante l’ultima battaglia. E ci è rimasto

Prewett era ammutolito. Chiaramente, il suo cervello non poteva credere a quello che gli veniva detto.
«Il nostro settimo anno non è stato esattamente tranquillo, sapete? Anche prima della battaglia finale, ci sono state vittime tra gli studenti. Quella mattina, ciascuno di noi è uscito a combattere anche per chi non c’era più, per quelli che avevamo perso.» Rivide Harry, la determinazione disperata nei suoi occhi, dopo il funerale di Ginny Weasley. «Ciascuno di noi era pronto a morire, eppure pensavamo, tutti: “Basta coi morti! Voldemort sarà l’ultimo.”»

Il silenzio della classe, adesso, era venato di lacrime: troppi di quei bambini conoscevano già il peso del lutto.

Fu Samantha Wright a spezzare, una volta di più, quello strano Incantesimo Tacitante:

«Non… non è stato l’ultimo, vero, signore?»

«Prego?»

«L’ultimo a morire. Insomma, dopo… dopo Lei-Sa-Chi è morto anche… Harry Potter,» concluse, la voce ridotta ad un bisbiglio.

«Davvero, signorina Wright? Harry Potter è veramente morto?» Pensava di essere forse l’ultimo testimone di ciò che era successo al Ragazzo Sopravvissuto; ma non era di quella sorte - per lui - misteriosa che intendeva parlare. «Oh, certo, là fuori c’è la sua tomba, ce n‘è un mucchio, di tombe. E nessuno dei difensori di Hogwarts è tornato sotto forma di fantasma. Sapete perché? Perché non avevano paura di morire! Avevano trovato la forza di affrontare la morte, la forza di sconfiggerla!» La sua persona appariva interamente trasformata, gli occhi accesi di una luce nuova. «Cosa vi ho appena detto? I morti erano diventati la nostra forza! Combattevamo anche per loro, per le idee in cui avevano creduto, per i sogni che non avevano potuto realizzare! E per questo vi dico: tutti quei ragazzi sepolti là fuori, da Harry Potter fino al più incapace dei difensori, saranno morti veramente solo quando non ci sarà più nessuno a credere in loro, a sognare con loro, a combattere per quello in cui credevano loro. Per questo vi dico che Harry Potter è vivo: perché c’è ancora chi lo considera un eroe, chi crede nel futuro che sognava. Ancora adesso, Harry Potter è la nostra speranza: possono aver ucciso il suo corpo, ma la sua forza non se n’è mai veramente andata.»

Come ho potuto parlare di una “vittoria inutile”?

Inutile la vittoria, forse; ma la guerra, questa guerra, mai!

E, all'improvviso, l’aula si riempì di un suono arcano, che riconobbe immediatamente. Credeva che mai più gli sarebbe capitato di sentire il canto che fortifica i puri di cuore e atterrisce i malvagi, la voce stessa della speranza…

Non è possibile!

E invece, con un’esplosione canora di fiamme, un bellissimo uccello dalle piume rosse e oro comparve a mezz’aria, in un angolo dell’aula, e cominciò a sorvolare il cerchio dei banchi, seguito da un coro di sguardi rapiti. Il canto inconfondibile teneva tutti in uno stato di trance.

Infine, con la massima naturalezza, il volatile si posò sulla spalla di Draco Malfoy.

Questi deglutì e lo osservò con tutta la propria attenzione, prima di arrendersi: non c’erano dubbi.

Fanny era tornata a Hogwarts.

Gli cedettero le gambe: crollò a sedere per terra, davanti alla cattedra. E la fenice spiccò il volo, sempre cantando, percorse di nuovo l’aula e, con un’esplosione di fiamme, scomparve.

Professore e alunni restarono a fissare il vuoto, attoniti, mentre gli echi del canto si spegnevano in lontananza.


Nei famigerati sotterranei di Pozioni, terminato l’appello, il nuovo professore, seduto dietro la grande cattedra di mogano, squadrò la classe che lo fronteggiava – Grifondoro e Tassorosso del secondo anno, anche se, per età, avrebbero dovuto frequentare il terzo – trasse un profondo respiro e cominciò il discorso a cui la sua testa aveva lavorato nell’ultima mezz’ora.

«L’usanza vuole che ogni professore di Hogwarts inauguri la propria cattedra con una breve prolusione. Si tratta di un’usanza antica e onorevole che io, purtroppo, mi trovo nel­l’assoluta impossibilità di onorare, giacché la sola vista di questo sotterraneo, in cui ho trascorso tanta parte della mia vita di studente, mi commuove al punto di impormi il silenzio. Un silenzio che è, se così posso esprimermi, tinto di reverenza, poiché lo studente dei miei ricordi, in questa stanza, nota e quasi respira un’assenza che ha il sapore amaro della morte. Mi riferisco, natu­ralmente, al mio illustre predecessore, il professor Severus Piton, al cui augusto magistero devo quel tanto di talento che mi permette, oggi, di occupare indegnamente la cattedra che fu sua. Non potrei muovere i miei primi passi in quello che sarà, mi auguro, un lungo percorso insieme con voi, se non onorassi a dovere la sua memoria, tanto più che intendo rifarmi al suo eccellente metodo pedagogico. Per queste ragioni, sono certo che vorrete unirvi a me e osservare un minuto di silenzio.»

I secondi trascorsero lenti, mentre un leggero sorriso aleggiava sulle labbra di Blaise, che il capo chino teneva celate alla vista degli studenti.
«Molto bene.» Raddrizzò la schiena. «Il professor Piton sarebbe lieto di vederci onorare la sua memoria, ma più lieto ancora, ne sono certo, di vederci lavorare come se non se ne fosse mai andato. Quindi…» agitò la bacchetta in direzione della lavagna, dove comparvero le temute istruzioni «…buon lavoro!»
Si sedette, osservando soddisfatto l’esplosione di attività. Aveva scelto una Pozione da quinto anno, da GUFO, quindi gli studenti avrebbero dovuto impegnarsi al massimo. Poteva anche concedersi un sonnellino… Non era riuscito a dormire per l'agitazione; che si agitassero un po' loro, adesso!

Si udì bussare alla porta.
Blaise si riscosse, subito vigile.
«Avanti.»
Era Cormac. «Zabini, scusa, per caso avresti qualcosa per calmare un rospo sovreccitato?» Il batrace in questione saltellava a tutto spiano, cercando di impaniare il padrone nel guinzaglio troppo lungo. A Blaise riuscì subito simpatico.
«Sei fortunato, McLaggen; ce l’ho proprio qui con me.» Dalla tasca interna del mantello, estrasse il campione della Pozione che i suoi studenti si stavano affannando a preparare. «Ne basterà un cucchiaio.»
«Oh, ti ringrazio!» Lo sventurato fu lesto ad Evocare un bel cucchiaio d’argento, che Blaise usò per imboccare il rospo. Questi reclinò il capo, inerte.
«Sei sicuro di non avere esagerato?»
«No, non preoccuparti, vai tranquillo. Si riprenderà nel giro di cinque minuti.»
Sempre profondendosi in ringraziamenti vivissimi, l’importuno McLaggen, finalmente, li libero della sua presenza. Blaise si dominò, a fatica, per il tempo necessario a lanciare un Muffliato non verbale e voltarsi verso il muro, quindi poté, finalmente, dare sfogo alla risata liberatoria che gli gorgogliava in gola: di lì a cinque minuti, il rospo si sarebbe riavuto… e avrebbe sfruttato a dovere gli effetti della Soluzione Corroborante!
E la sua soddisfazione crebbe, perché la classe non rallentò il ritmo un istante, anzi, a mezz’ora circa dalla fine, quasi tutti gli studenti avevano già consegnato la propria Pozione. Certo, la qualità del lavoro svolto era ancora tutta da valutare, ma l'impegno era lodevole... Si chiese, oziosamente, se non fosse il caso di interrompere gli sforzi – disperati e patetici – del disgraziato nascosto dietro l'ultimo calderone sulla destra, ormai avvolto in un cumulonembo di fumo nero.
Gli concesse ancora un po' di tempo per soffrire, lasciando vagare la propria mente tra la veglia e il sonno di cui aveva tanto bisogno. Reggeva malissimo le notti insonni.
Uno strano rumore si fece strada nella sua mente, squarciando la pesante nebbia della stanchezza.
Ma cosa diavolo era?
Sembrava… Musica?
Aprì la bocca, ma, prima che potesse parlare, sopra la sua testa esplosero fiamme. Fiamme canterine. Estrasse la bacchetta in un istante, di riflesso… ma le fiamme avevano già ceduto il posto ad un uccello. La sorgente del canto. Una fenice.
No! Non ci credo! Non è possibile!
Mentre quell’inconfondibile piumaggio rosso-oro percorreva l’aula a volo radente, tra lo stupore degli studenti, il suo cervello si arrendeva alla verità: la fenice di Silente era tornata a Hogwarts.
Perché?
Stava ancora cercando una risposta a questa domanda cruciale, quando l’uccello canterino si accostò alla porta. Come ipnotizzato, Blaise la spalancò con un semplice cenno della bacchetta.
La fenice uscì; Professore e studenti la seguirono.
Finirono per ritrovarsi in Sala Grande. Un’altra esplosione di fiamme segnalò la scomparsa della loro guida, ma il suo canto continuava a riempire la Sala, echeggiando contro le pareti, pulsando dentro i cuori.
La fenice ricomparve, più volte, ogni volta seguita da una classe diversa, o anche da studenti chiaramente radunati nelle sale comuni, in biblioteca,… Perfino Madama Chips – molto invecchiata, notò Blaise: la guerra e l’ultima battaglia avevano lasciato il segno – emerse dall’infermeria, incredula.
Infine, la fenice ricomparve un’ultima volta. Appesa alla sua coda, trasportava Griselda Marchbanks.
Lo spettacolo sarebbe parso comico, se non fosse stato per la grazia con cui il maestoso volatile trasportava un carico stupefatto, che, dopo un giro d’onore per la Sala, depositò delicatamente sul seggio del Preside.
Lacrime di commozione - frammiste a colpi di tosse secca - solcavano il viso della Marchbanks.
Dopo un’ultima nota, sovracuta, ai limiti dell’udibile, la fenice di Silente si unì a quel pianto. Le sue lacrime si fusero con quelle dell’anziana strega. E tutti i presenti – ormai incapaci di provare altro che stupore – videro il colore della salute ritornare gradatamente sulle guance della Preside. Infine, ella si alzò, l’uccello ancora appollaiato sulla spalla.
«Signori,» annunciò, senza bisogno del Sonorus, «Fanny, la fenice di Albus Silente, è tornata a Hogwarts!»
Subito, Fanny riprese a cantare. E parve a Blaise che gli applausi scroscianti si fondessero con il suo canto, come potrebbero fare due variazioni sul medesimo tema.


Note:
Fanny non ha bisogno di presentazioni, vero?
La Soluzione Corroborante è la Pozione che gli studenti di Piton stanno preparando nel momento in cui arriva la Umbridge a ispezionare.
Il
Muffliato, Incantesimo introdotto nel sesto libro, consente di parlare – o, in questo caso, di ridere – senza essere ascoltati, perché le orecchie del potenziale ascoltatore si riempiono di un misterioso “rumore di fondo”. Mi sono preso la libertà di farlo usare su un’intera classe.

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Capitolo 6
*** Primo stàsimo ***


PRIMO STÁSIMO

Primo stásimo



Ringraziamenti:
Mariademolay: grazie, come sempre, per l'inestimabile sostegno e, in particolare, per aver commentato
"Fragments Shored" (sigh, sei stata l'unica). Questo capitolo ha un tono molto diverso dal precedente, ma spero che possa egualmente riuscirti gradito.
Hepona: che piacere risentirti! Temevo che fossi sparita dal Web. Per la soluzione del giallo sulla sorte di Harry, dovrai pazientare ancora qulche cap., ma prevedo aggiornamenti più rapidi, per fortuna. Stesso discorso per la vocina di Draco.
Natalie_S: come vedi, non ho affatto abbandonato la fic, anzi, ho diversi capitoli a buon punto e sto lavorando anche sul prequel. Ti ringrazio moltissimo per l'apprezzamento, soprattutto perchè, per me, la fedeltà al canone è un punto d'onore. Harry è un
"half-blood", dal momento che sua madre era sì una strega, ma con sangue Babbano al 100%; quindi, una volta tanto, la traduzione è corretta. La confusione "Muggle-born"/"half-blood" mi ha fatto venire i vermi! Come vedrai, in questo cap. è pittosto importante tenere distinte le due situazioni.



Strange days have found us,
Strange days have tracked us down
They’re going to destroy
Our casual joys
We shall go on playing
Or find a new town.

[J.M., Strange Days]



Il Castello di Hogwarts, nel corso della propria esistenza, ormai quasi millenaria, aveva imparato a tenere in non cale le vicissitudini degli occupanti umani pro tempore. Se avesse potuto pensare e parlare, avrebbe spiegato che una Scuola di Magia e Stregoneria, per definizione, può solo essere una gabbia di matti, dove succedono cose ancora più pazze; dunque, al povero Castello cui è toccata la sventura di ospitarla, non resta che tenere duro, sforzarsi di stare in piedi, spostare regolarmente le stanze e, insomma, badare agli affari propri.
In compenso, i ritratti - che pensavano pochino, ma parlavano parecchio - seguivano ogni minimo dettaglio della vita scolastica con la curiosità avida di chi vive (?) solo per spettegolare. Quella sera, poi, non dovevano accanirsi su dettagli, ma su veri e propri argomenti, tanto numerosi che non sarebbero riusciti ad esaurirli neanche in un mese intero. Un Professore spedito in infermeria da un collega; il ritorno di Fanny; la prolusione di Draco Malfoy; le reazioni degli studenti...
Già. Gli studenti, questa specie gregaria, la cui condotta esteriore segue, quasi sempre, le regole della Scuola: come mai, si chiedevano i ritratti allo scoccare delle nove, ora del coprifuoco, dopo cena non se n’era visto in giro uno che fosse uno? Per una volta, Gazza avrebbe anche potuto non controllare un bel niente: finito il pasto, tutti i suoi nemici giurati - tutti, dal primo all’ultimo - erano rientrati nelle rispettive Case e nessuno era più uscito.
Come si è detto, i ritratti parlavano parecchio, anzi decisamente troppo, ma pensare non era esattamente il loro forte; altrimenti, avrebbero compreso al volo il comportamento degli studenti, che, proprio come loro, avevano molte cose di cui discutere, ma, ben diversamente da loro, si sentivano coinvolti in prima persona negli argomenti de quibus. Anche troppo coinvolti, in qualche caso.


Torre di Grifondoro
2 Settembre 2000, 21:00 GMT

I Leoni erano radunati nella Sala Comune, al gran completo o quasi; la grande stanza formicolava di ragazzi, alcuni seduti, altri in piedi, tutti intenti a gesticolare con foga; molti visi erano accaldati, perché le fiamme del camino erano davvero troppo vivaci per quel clima ancora mite; ma la discussione in corso li avrebbe tenuti caldi, anzi, infiammati, anche se si fossero trovati nudi, al centro di un igloo.
«Per conto mio,» sentenziò Euan Abercrombie, un biondino del terzo anno, «McLaggen è soltanto un pallone gonfiato. Ci sarà un motivo, se nessuna squadra lo accetta più!»
«Non è certo un tipo simpatico... Ma sappiamo tutti perché Malfoy l’ha aggredito in quel modo, no?» osservò Babbington. «Andiamo, ragazzi, è chiaro che quello odia tutti i Grifondoro! E’ un Serpeverde, sì o no?»
«Oh, andiamo!» replicò Samantha Wright, esasperata da quella che le pareva un’assoluta mancanza di buonsenso. «Non sfidi qualcuno a duello solo perché ti sta antipatico... o perché è un Grifondoro!»
«McLaggen lo ha provocato di brutto» concordò Mowett.
«Samantha, se per te quella è stata una sfida a duello...!»
«Chiamala come ti pare, Oswald,» ribatté Samantha, «per me il discorso non cambia.»
«Provocato, eh?» ribatté Abercrombie, ironico. «McLaggen è un Mezzosangue: avrebbe anche potuto non dire nulla, non avrebbe fatto nessuna differenza. Per Draco Malfoy, una sola goccia di sangue Babbano è sempre stata una provocazione sufficiente.»
«Stai scherzando?! Con quello che ha detto oggi…» trasecolò Pullings.
«Ha anche detto di aver cambiato idea, ricordi? Che prima la pensava in un altro modo» riconobbe Duncan.
«Sentite,» tagliò corto Euan, «a me non interessa quello che può aver detto, io non gli crederò mai. Voi non sapete quello che si diceva...»
«Scusa, ma io preferisco basarmi sui fatti, non sulle voci.» A Samantha non andava giù il modo in cui McLaggen era stato - oh, be’, diciamolo! - macellato, però non le garbava neanche l’atteggiamento di Euan Abercrombie.
«E’ un fatto, per esempio, che Silente l’ha nominato Prefetto» aggiunse Duncan.
«Be’, fatto per fatto, considerate anche questo! I Malfoy sono sempre stati immersi nelle Arti Oscure fino al collo, e anche più in su... No, Samantha, è inutile che mi guardi con quel sorrisino scettico, bimba bella, questa non è una voce!»
«Ah no?»
«Taci e ascolta, vuoi? Grazie.» Euan si guardò intorno, compiaciuto delle espressioni attente che lo circondavano. «Dunque, prima che io entrassi a Hogwarts - due anni prima, se faccio bene i conti - per un certo periodo, a guardia della Scuola, ci sono stati i Dissennatori.» Diversi studenti rabbrividirono. «Era il periodo in cui il Ministero dava la caccia a Sirius Black... un parente di Malfoy, guarda caso! Un Mago tanto potente che è riuscito a fuggire da Azkaban e anche a entrare proprio qui dentro!» Sorrise, con fare sardonico. «Pensate un po’: Dissennatori da tutte le parti, Auror sul piede di guerra, Incantesimi difensivi, Professori, ritratti, armature, fantasmi e - ah, dimenticavo - Silente... tutto inutile! E’ entrato lo stesso. E come credete che abbia fatto? Lo sai tu, eh, Samantha?»
«Non più di te, Euan,» replicò la ragazza, in tono gelido.
«Qui ti sbagli! Un mucchio di gente mi ha raccontato di aver visto Malfoy che scherzava con un gruppo di Dissennatori! Dico, vi rendete conto? Eccolo lì, il braccio destro di Sirius Black! E guardatevi un po’ intorno, adesso: suo padre si tiene nel taschino tutte le Creature Oscure in circolazione. Questo non vi dice proprio niente su che genere di persona sia il caro Professor Malfoy? Aprite gli occhi, bimbi belli! Il suo vecchio gli ha fatto assegnare la cattedra di Difesa! Non capite che è una presa di culo?»
La Sala ascoltava, magari a labbra strette, ma ascoltava.
«E c’è stata quella volta, l’ultimo anno, quando ha litigato con la sua ragazza. Pansy qualche cosa. Una stronza numero uno. Be’, Malfoy le ha fatto vomitare sangue per una settimana, letteralmente. No, non scherzo! Era ricoverata in infermeria, si sentivano i gemiti, si vedeva il sangue che filtrava dalla porta!»
«Secondo me, stai scherzando» replicò Mowett, imperturbato.
Cenni di diniego da parte degli studenti anziani.
«La Parkinson è stata trasferita al San Mungo,» intervenne Ethan McDonald, uno del quarto anno, «e non l’abbiamo più vista. E’ morta.»
Gridolini d’orrore.
«Ma alcune ragazze dicono di averla vista aggirarsi nei bagni, in forma di fantasma. Piange dal mattino alla sera, perché amava Malfoy e non accetta ancora il pensiero che possa averla uccisa.»
Tutti i primini ripensarono al duello con McLaggen, al sangue che sprizzava da tutte le parti... e all’espressione dipinta sul viso di Draco Malfoy.
Per un minuto intero, nessuno fiatò.
Forse, la discussione sarebbe morta lì, se Euan non avesse deciso di liquidare un’altra scemenza. «Quanto poi a quel pollastro che canta...»
«Euan!» esclamò Samantha, sinceramente indignata. Dopotutto, stava parlando della Fenice di Silente!
«Perché, cos’altro è?»
«E’ una Fenice» intervenne Mowett, in tono da enciclopedista. «Ossia un volatile oltremodo raro e difficile da addomesticare, noto per la propria intelligenza, oltre che per altre interessanti caratteristiche.» Suo padre era un patito di Animali Fantastici e gli aveva trasmesso la stessa passione.
«Intelligenza? Ma non farmi ridere! Che intelligenza vuoi che abbia, un uccello che va a posarsi sulla spalla di Draco Malfoy?!»
«C’è una sola spiegazione possibile» ribatté Duncan, piccato. «La Fenice ha percepito la sua lealtà al proprio padrone.»
«Ah. E chi sarebbe questo padrone?»
«A meno che la Fenice non ne abbia accettato uno nuovo, e questo succede molto, molto di rado,...» Il ragazzo esitò un attimo, poi scelse di buttarsi: «Il suo padrone è e resta Albus Silente.»
«Malfoy leale a Silente? Assurdo!» sbottò Ethan.
Euan rincarò la dose:  «Ma non sapete che il padre di Malfoy ha cercato di sbattere fuori Silente? Due volte! L’Inquisitore Supremo, la Umbridge, era amica sua; e prima ancora c’è stata quella storia della Camera dei Segreti - e per me suo figlio c’era dentro fino al collo... - ».
Ma, a questo punto, si rese necessaria una lunga spiegazione sulla Camera dei Segreti, che racchiudeva un esercito di mostri allevati da Salazar Serpeverde e lasciati a disposizione dei suoi eredi; mostri pronti a divorare, pietrificare, torturare o comunque eliminare tutti i Mezzosangue della Scuola e, forse, anche a invadere il mondo esterno per ripulirlo della suddetta feccia.
«Naturalmente, Harry Potter li ha fermati» concluse Ethan.
«Naturalmente,» gli fece eco Euan, sardonico. «Dopotutto, Potter era un Rettilofono.»
«Cosa!?»
«Massì, Samantha, scusa se ti rovino l’immagine dell’eroe...»
Impermalita, la ragazza lo schiaffeggiò.
Brutta idea: Euan era almeno altrettanto suscettibile, però più vecchio, più alto, più robusto. Dieci secondi dopo, ci vollero gli sforzi di tre persone (e un paio di calci nelle palle) per impedirgli di gettarla nel camino acceso.
«Lasciatelo stare!» gridò Ethan, tentando di aiutarlo a liberarsi.
E questa fu davvero un'idea pessima, perché diede il via ad una rissa senza precedenti, perfino nella tumultuosa storia della loro Casa: nessuno studente si sottrasse alla mischia. Volenti o nolenti, anche quelli che non avevano seguito l’alterco furono trascinati in mezzo. Anzi, con il Direttore ancora in infermeria, perfino i Prefetti si unirono allo scontro, felicissimi di potersi sbarazzare, almeno per lo spazio di un rissone, di una carica tanto opprimente e noiosa.
Molto, molto tempo dopo, come Dio volle, l’uragano si placò da sé, perché le forze dei combattenti si esaurirono gradatamente; ma, anche mentre tutti i Leoni, pesti e doloranti, si ritiravano nei dormitori, Euan Abercrombie, con quel filo di voce mentale che gli rimaneva, completò il discorso interrotto.
Io non mi fido di un Serpeverde. E neppure di un Rettilofono, anche se si chiama Harry Potter. Ci credo che ha finito per fare amicizia con Draco! Si sono scoperti della stessa razza: Maghi Oscuri, tutti e due. O come avrebbe mai liquidato Tu-Sai-Chi, il nostro Potter, facendogli il solletico? Arti Oscure, ragazzi, Arti Oscure ancora più potenti delle sue. Tanto potenti che Potter ci ha rimesso la pelle. Ha! E le Creature Oscure, adesso, a chi obbediscono? Al papà di Malfoy, ma guarda un po’ che combinazione!
E guarda ‘sti imbecilli a chi corrono dietro! A
Draco Malfoy! Come un tempo a Potter. Ripeto: ma che combinazione!


Sotterranei di Tassorosso
2 Settembre 2000, 21:00 GMT

Presso la Sala Comune di Tassorosso, la discussione si stava svolgendo in modo più civile, forse anche perché i partecipanti erano in numero minore: a destra del grande camino - che qui restava spento - un gruppetto sparuto commentava gli eventi della giornata (soprattutto quelli cui nessuno di loro aveva assistito); a sinistra, invece, un plotone di ragazze sospirose e ridoline, tutte conquistate dal bel tenebroso Professor Zabini, elaborava panegirici alati e complesse strategie di conquista.
Di sicuro, alcune avrebbero cercato di propinargli qualche Pozione d’Amore; per fortuna, sua madre era la Massima Autorità Mondiale in materia e aveva addestrato il rampollo a riconoscerle per bene. Hai visto mai che qualche troietta volesse allungare le mani su di lui e - soprattutto! - sui suoi soldi?
Suoi di lei, beninteso.
Henrietta Wilcox, l’unica ragazza del secondo anno che pareva immune a quella cotta collettiva e memore, per contro, del pragmatismo per cui la sua Casa andava famosa, era molto impegnata a discutere il comportamento della Fenice. «E’ tornata per un motivo, non c’è dubbio. Dopo un’assenza così lunga...»
«Un motivo da uccello» replicò Eleanor Branstone, del quarto anno. «Che vuoi sperare di capirci?»
«Cervello di gallina» soggiunse Owen Cauldwell, quarto anno pure lui, senza specificare se alludesse alla Fenice o a Henrietta stessa. La quale, ad ogni buon conto, prese nota di scagliargli una Fattura Pungente alla prima occasione. Intanto, non avrebbe permesso a quel Bubotubero andato a male di rovinarle i ragionamenti.
«Per me, aveva solo nostalgia di casa» osservò Rose Zeller, terzo anno.
«Ce ne ha messo di tempo, per sentirla!» ribatté Henrietta.
«Povera Fenice, tutta sola...» continuò Rose, in tono sognante. «Nessuno che le accarezzasse le piume...»
Henrietta riuscì soltanto a fissarla, esterrefatta.
Owen aggiunse:
«Magari vuole deporre un uovo.»
«Uhmm... le Fenici depongono uova?» domandò Eleanor, dubbiosa.
«Sono uccelli, no?»
«Così carini,» sospirò Rose.
A questo punto, Henrietta sbottò. «Zeller, ma cosa ti sei bevuta?! Oltre al cervello, voglio dire!»
«Non te la prendere, Wilcox,»  ghignò un ragazzo di cui "è bello e pietoso tacere anche il nome". «La colpa è tutta di un altro genere di uccelli, sai? Come questo
Le ragazze non apprezzarono affatto la parte anatomica da lui esibita con orgoglio, ancorché addobbata, per l’occasione, con un bel ciuffo di piume variopinte.
Non si seppe mai se la Sprite fosse stata attirata dalle grida disperate (?) o se qualcuna delle parti offese fosse corsa a chiamarla; ma tutti, proprio tutti, ebbero modo di vedere la sua reazione.
E nessuno la dimenticò mai.
«Un bell’esempio di Trasfigurazione, non c’è che dire,» commentò. Nessuno si azzardò a ridacchiare: la sua espressione temporalesca lo sconsigliava vivamente. «Suppongo che, ai sensi del Decreto Numero Trentadue, la punizione migliore consista in un Incantesimo di natura consimile... solo, un po’ più radicale
Si concentrò un istante e...
«AAAARGH!»
Il malcapitato urlava con quanto fiato aveva nei polmoni.
La Sprite non fu comprensiva e lo zittì con un bell’Incantesimo Tacitante.
Il ragazzo, muto e boccheggiante, restò a fissare inorridito il proprio organo (aspirante al rango di) riproduttore, testé Trasfigurato in cactus.
Un cactus irto di spine. Maledettamente lunghe, pure.
«E si ritenga fortunato: la punizione è temporanea. Domattina, si sveglierà con i genitali in perfetto ordine... Oh, potrà verificarsi qualche occasionale perdita di sangue, nei prossimi, diciamo, due anni.» La levità della Sprite pareva un distillato di perfidia. «Ma che sarà mai, per un uomo come lei?»
Le ragazze sghignazzarono in coro, sentendosi vendicate, in un colpo solo, di tutte le battute sul ciclo sopportate nel corso dei secoli.
«E adesso, a letto, su!»
I Tassorosso - ragazzi e ragazze - obbedirono, senza più fiatare.
Temevano di sentirsi Trasfigurare i polmoni.


Torre di Corvonero
2 Settembre 2000, 21:00 GMT

All’interno della Torre di Corvonero, il dibattito, peraltro piuttosto accanito, aveva preso una piega diversa, librandosi al di sopra dei banali accadimenti quotidiani: con tutta la solennità dei giovani intellettuali che si prendono troppo sul serio, i cervelli fini (?) della Casa discutevano del futuro del Mondo Magico.
E, quindi, del proprio.
Damien Prewett, scosso nel profondo dalla lezione di Draco, difendeva, nondimeno, la politica del Ministro, con una veemenza che è lecito supporre inversamente proporzionale alla convinzione. «Insomma, i Babbani non sono soltanto criminali! Sono i nostri nemici naturali, da secoli! Anche quando ci rispettavano, non ci hanno mai amati, hanno sempre aspettato il momento giusto per fregarci; e adesso, noi non dovrebbero passare al contrattacco? Non abbiamo bisogno di loro!»
La filippica fu accolta da un applauso compassato; un ragazzino confuso nel mucchio strillò: «A morte i Babbani! Ammazziamoli tutti!»
«Ammazzare i Babbani va bene, ma ci vogliono delle regole» sentenziò Orla Quirke, del quarto anno.
«E le regole ci sono,» replicò Damien, pronto: «Ai Babbani pensano le Creature Oscure, che ce li levano di mezzo un poco alla volta e, nel frattempo, lasciano in pace noialtri.»
«Questo per ora,» riconobbe Orla. «Ma è stato rispolverato il vecchio progetto di legalizzare la caccia al Babbano...»
«Non passerà mai!» tagliò corto il ragazzo. «Sarebbe incompatibile con lo Statuto di Segretezza. E anche con la nostra dignità: non siamo assassini.»
«Davvero?» Il viso di Thomas Pullings pareva ancora più scuro: le labbra serrate spiccavano come una cicatrice livida. «Non ci sporchiamo le mani, vuoi dire.»
«Giusto. Non ne vale la pena.»
«Ma, di fatto, lasciando i Babbani nelle mani delle Creature Oscure, noi li abbiamo condannati a morte. Tutti, dal primo all’ultimo.»
Per un minuto intero, la Sala Comune si spremette le meningi, cercando un modo per confutare un’affermazione che tutti sentivano inconfutabile.
«Insomma,» replicò infine Matches, «cos’hanno fatto di diverso i Babbani, con noi? Maghi e streghe, per loro, erano colpevoli giusto per il fatto di esistere!»
«Giusto!» esclamarono tutti.
Ma Thomas aveva una risposta pronta: «Anche per noi.»
«Scusa?» domandò Damien, sbalordito.
«I Maghi che nascono in famiglie Babbane.»
«Oh, quelli
«Scatenando le Creature Oscure, li abbiamo condannati a morte; escludendoli da Hogwarts, abbiamo deciso che non devono far parte del nostro mondo,» proseguì Thomas, gelido. «Colpevoli per il solo fatto di esistere.»
«Senti un po’!» ribatté Peter, accalorandosi. « Quelli lì non sono Maghi. Non sanno niente del nostro mondo, crescono come Babbani ed è giusto che muoiano come tali!»
«Non possiamo correre il rischio...» Damien si interruppe.
Quale rischio?
Il rischio di essere aggrediti e sopraffatti da loro?
Ma, se fossero veramente accettati fra noi, perché mai dovrebbero fare qualcosa del genere?
Esattamente, perché i Maghi di nascita Babbana erano una minaccia?
Forse per la tec-no-logia?
Difficile a credersi: i Maghi, quali che fossero le loro origini, usavano sempre i propri poteri, non gli aggeggini Babbani.
Non restava che una spiegazione, quella cui si era già attenuto in classe: in caso di guerra, la loro lealtà sarebbe stata quantomeno dubbia. Nessuno voleva rischiare nuovi scontri, all’interno della comunità magica.
Ma, se dei Babbani si stavano già occupando le Creature Oscure, perché ci sarebbe dovuta essere una guerra?
Peter stava rispondendo proprio a questa domanda: «Andiamo, Thomas. Come credi che reagirebbero questi ragazzi, se, una volta arrivati a Hogwarts, venissero a sapere che il Ministero mette in pericolo i loro genitori? Cercherebbero di fermare le Creature Oscure. E ci ritroveremmo ad affrontare una nuova guerra.»
«Giusto!» concordò Damien, sollevato.
Thomas incrociò le braccia sul petto. «E i Mezzosangue? Li accettiamo ancora, qui, eppure, perché la loro reazione dovrebbe essere diversa.»
«Be’...» cominciò Peter; e stavolta toccò a lui interrompersi.
Non poteva sostenere che perdere un genitore solo è sempre meglio che perderne due!
Damien replicò: «In questo caso... suppongo che il genitore Babbano non costituisca una minaccia. Voglio dire, ha saputo del nostro mondo, in qualche modo lo ha accettato...»
«Proprio come i genitori dei Maghi nati Babbani! Hanno ricevuto a lettera da Hogwarts, hanno saputo che esistono ancora streghe e maghi, hanno lasciato che i loro figli entrassero nel nostro mondo!»
Fu Orla a trarli d’impaccio. «Non è detto che sia proprio così. Nella maggior parte delle famiglie, c’è un genitore che ha l’ultima parola su tutto.»
Ma Thomas non demordeva: «Vedi che mi dai ragione?»
«Ma no, cosa...?»
«Almeno un genitore Babbano su due ha accettato il nostro mondo. A questo punto, dov’è la differenza rispetto ai Mezzosangue, dove un genitore su due è dei nostri?»
E questo, pensò Damien, smantella il mio argomento. Non è detto che sia sempre il genitore Mago a decidere il futuro del figlio Mezzosangue... quindi, come la mettiamo con queste stramaledette famiglie miste?
Traditori del loro sangue, tutti quanti! Tutti in pasto alle Creature Oscure!
Anche se c’è il rischio che i genitori Maghi oppongano resistenza, non potranno fare molto; saranno troppo pochi.
Sì. E’ la soluzione più semplice.

A quel punto, però, mentre stava per riferire le proprie conclusioni, un’eco del discorso della Preside lo bloccò.
La soluzione più semplice, senza dubbio; la via più facile. Ma è anche quella giusta?
Orla, intanto, cercava di parare il colpo di Tom: «Andiamo... questo Decreto sulle Creature Oscure... si tratta di una misura temporanea, finché i Babbani non avranno smesso di costituire una minaccia.»
«E cioè fino a quando?» chiese Thomas di rimando.
«Bella domanda,» mormorò Damien.
«Grazie, Damien. Allora, sentiamo una bella risposta: cosa deve succedere, perché i Babbani smettano di costituire una minaccia?»
«O meglio,» disse Peter, lentamente, «perché i Babbani, adesso, sono una minaccia?»
«Giusto.»
«Perché hanno la tec-no-logia!» ribatté Damien, con foga. «Sono una minaccia per sé stessi e per il mondo intero!»
Nella voce di Thomas affiorò una vena di sarcasmo: «Dimmi se ho capito bene. Il problema è la tecnologia, quindi noi mandiamo le Creature Oscure a far fuori i Babbani
«Non pretenderai mica che sappiano mettere fuori uso quei loro attrezzi infernali!»
«No, Peter. Ma, se la minaccia sono gli... attrezzi, uccidere i Babbani non la risolverà di sicuro.» Pausa. «A meno che non vogliate sterminarli, beninteso. A quel punto, nessuno sarebbe più in grado di usare quella roba e anche il più pazzo dei Maghi, senza nessuno che gli insegni, dovrebbe rinunciare all'idea.» Tom annuiva, quasi compiaciuto.
L’ipotesi fece rabbrividire tutti quanti.
«Sterminarli... via...»
«Ma come, Orla? Proprio tu cerchi di minimizzare? Poco fa dicevi: "Ammazzare i Babbani va bene, ma ci vogliono delle..."»
«Regole, infatti,» lo interruppe lei. «Non pensavo certo a... a un massacro.»
«No, solo a qualche morto qua e là!» Thomas era veramente furioso, ora.
Damien cercò di riportare la calma: «Non sappiamo... Può darsi che le Creature Oscure abbiano l’incarico di colpire proprio quelli che producono tec-no-logia» osservò.
L’occhiata dell’antagonista avrebbe potuto incenerirlo. «"Non sappiamo"? Cosa dice la Gazzetta, Damien?»
Era una domanda eccellente. «Nulla,» ammise. «Suppongo che lo considerino un argomento... troppo delicato.»
Non c’era alcuna allegria, nel risolino di Thomas: «Ma guarda! Proprio come facevano quando la minaccia era Tu-Sai-Chi!»
Damien tacque, turbato dal paragone implicito.
«Eppure,» proseguì il ragazzo dal viso olivastro, adesso arrossato per la collera, «prima Amelia Bones e poi Lucius Malfoy hanno potenziato l’Istituto di Studi Babbani, non è vero?»
«E con questo?» lo provocò Peter.
Damien soggiunse: «Entrambi hanno detto che il progresso della Babbanologia ha un’importanza fondamentale per il mantenimento della pace.»
«O meglio: per il buon esito della guerra!»
«Thomas, andiamo!» Peter era proprio esasperato. «Ma quale guerra? Ci stanno pensando le Creature Oscure...»
«Agli ordini del Ministero. Se questa me la chiami pace...»
«Giusto. Perché mai il Ministero parla di pace, se poi ripete fino alla nausea che i Babbani costituiscono una minaccia?» Damien era così colpito da quella domanda - una domanda ovvia, ma che, come la maggior parte delle domande ovvie, rischiava di non essere posta mai - che quasi non colse la risposta di Pullings.
«Perché il Ministero non chiama mai le cose col loro nome, non svela mai le proprie vere intenzioni. Ecco perché.»
«Thomas, guarda che esiste l’Ufficio per la Trasparenza e...»
«Certo, Peter, certo; ma Lucius Malfoy, non appena si è insediato, ha subito sbattuto fuori Rita Skeeter. Questo non ti dice niente?»
«L’ha licenziata anche la Gazzetta» osservò Damien. «Forse sta invecchiando, non dev’essere più quella di una volta.»
«O forse ha dato troppo fastidio, e a troppa gente.»
«Non al Ministro Malfoy... che io sappia.» obiettò debolmente Peter.
«Forse no,» concesse Thomas, che si stava calmando, «ma ditemi un po’: chi l’ha sostituita?»
I Corvonero si guardarono in faccia: nessuno ricordava chi fosse il successore della Skeeter.
«Damien? Avanti, sei tu quello che legge la Gazzetta
«Dev’essere un tipo che si fa sentire poco» ammise l’interpellato, sforzandosi di non arrossire.
«Eh no, mio caro: è il Ministro in persona.»
«Come
«Controlla, se non mi credi: la Skeeter non è mai stata sostituita, quindi l’Ufficio è in mano al Ministro... Provvisoriamente, beninteso.»
«E la Gazzetta non dice niente...» aggiunse Peter, pensieroso.
«La Gazzetta, ormai, dice solo quello che vuole il Ministro.»
Damien, affezionato lettore del giornale sotto accusa, avrebbe voluto ribattere; ma come negare che le piume al vetriolo, Rita Skeeter in testa, da qualche tempo non scrivevano più? O che le notizie di "cronaca ministeriale" occupavano uno spazio sempre maggiore?
Dopotutto, quella recensione al volume sulle armi dei Babbani...
Chissà cosa aveva pubblicato il giornale, negli ultimi due giorni? A Hogwarts non gli arrivava ancora. Quanti arretrati avrebbe dovuto leggere?
«Hem-hem
Tutti si voltarono di scatto, gli studenti più anziani memori, per un attimo, della Umbridge.
Rufus Scrimgeour li stava fissando con uno sguardo a dir poco minaccioso.
«Ho pensato di risparmiarvi le solite banalità, come il discorso di presentazione e le raccomandazioni sulla disciplina, ma, a quanto vedo, ho commesso un errore.»
Nessuno fiatò.
«Molto bene. Sono il nuovo Direttore della vostra Casa e, come tale, sono appena stato svegliato da un Elfo Domestico che vorrebbe pulire la Sala Comune, ma non osa disturbarvi.»
La maggior parte dei ragazzi assunse un’aria sorpresa e Rufus sospirò:
«Per quelli di voi che non lo sapessero: Hogwarts è piena di Elfi Domestici, che cucinano, servono in tavola e fanno le pulizie, sempre senza farsi vedere. Ora, se volete avere la cortesia di filare a dormire...»
«Signore...» azzardò Matches.
«Silenzio!» lo fulminò il Direttore di rimando. «Lei è del primo anno, non è così?»
«S-sì, signore.»
«Domani ha la prima ora con me. Veda di non arrivare con la testa ciondoloni: gli alunni distratti, con me, fanno una brutta fine.»
Lo disse in un tono che stroncò sul nascere ogni possibile risatina sdrammatizzante.
Stava per girare sui tacchi e tornare a letto, quando notò una mano alzata. Di nuovo il primino.
«Sì?»
«Signore... ecco... vorrei sapere, Lei cosa... cosa ne pensa del... del Professor Malfoy?»
«Non lo conosco» tagliò corto l’ex Auror. «Non l’ho mai visto, prima che entrambi arrivassimo qui a insegnare, e non ho ancora avuto modo di parlargli.»
Intervenne Prewett: «Però, signore, avrà sentito anche Lei quello che ha detto...»
«No, non l’ho sentito. Di solito, non frequento le lezioni dei miei colleghi. Quello è un dovere vostro, mi pare.»
Detto questo, uscì, prima che riuscissero a escogitare una qualche replica.
«Sta facendo il finto tonto» commentò Orla.
«Chissà perché?» mormorò Damien, tra sé e sé.
La domanda non ebbe risposta, ma neppure cadde nel vuoto: fu riposta nell’angolo che ogni cervello - almeno, ogni cervello Corvonero - riserva alle faccende da sbrigare alla prima occasione.
Poi, quelle menti ben organizzate e disciplinate, in composto silenzio, sfilarono verso i rispettivi dormitori, abbandonando la Sala alla sollecitudine degli Elfi Domestici.


Sotterranei di Serpeverde
2 Settembre 2000, 21:00 GMT

Nella grande Sala Comune regnava il silenzio.
Il colpo d’occhio era impressionante: la stanza era gremita di studenti. Studenti muti. Muti che neanche una dozzina di Incantesimi Tacitanti.
Un gruppetto di primini, raggruppato vicino al fuoco, si lasciava ipnotizzare dalle fiamme.
La maggior parte dei ragazzi fissava la pagina di un libro, senza mai avanzare di una sola riga nell'apparente lettura.
Alcuni, infine, sedevano in apparente ozio, lo sguardo perso nel vuoto.
Muti. Tutti muti. E immobili, pure.
Teste chine. Nessuno che guardasse verso il centro della Sala.
Nessuno che trovasse il coraggio di fissare il Barone Sanguinario.
Svolazzava in tondo, riuscendo ad apparire marziale, come una sentinella di ronda. Marziale e occhiuto: i suoi sguardi spettrali scorrevano senza posa sui ragazzi assembrati all’intorno.
Di tanto in tanto, qualche risata tonante mandava in pezzi quel silenzio troppo teso; mentre un lungo brivido percorreva le file dei ragazzi, un fantasma a cavallo erompeva dai dormitori, eseguiva qualche numero acrobatico con la propria testa, salutava militarmente il Barone e scompariva al galoppo, in un’altra direzione. E di nuovo silenzio.
I ragazzi non osavano neppure pensare.
I fantasmi non sono telepati, d’accordo, ma... non si sa mai.
A Hogwarts, anche i muri hanno orecchie. Orecchie aguzze, che non si sa mai quanto possano strappare al segreto delle labbra. E lingue lunghe, biforcute, pronte a spifferare il tutto al Direttore di turno.
Soprattutto, poi, se il Direttore si chiama Malfoy. Draco alfoy.
No, era meglio non chiedersi perché Malfoy avesse mandato il Barone Sanguinario a sorvegliare i suoi studenti. E neppure perché Sir Patrick Delaney-Podmore e i suoi spettrali fantini fossero accorsi a dargli man forte.
No, no, meglio non sospettare, non immaginare neppure che Malfoy potesse avere paura.
(Di loro? Di sé stesso? Di cosa?).
Tutti, anche i primini, sapevano fin troppo bene cosa succedeva a quelli che attraversavano la strada di Draco Malfoy.
E tutti, ma proprio tutti, seguitarono a censurare rigidamente i loro stessi pensieri.


Note:
Questo capitolo arriva on-line con un certo ritardo e me ne scuso, ma ho dovuto affrontare - oltre, beninteso, ai consueti problemi di tempo e, purtroppo, di connessione - svariate incertezze sul suo contenuto: dapprima, pensavo di affidare un flashback agli studenti anziani di Serpeverde, ma poi ho deciso di scrivere un prequel vero e proprio, Metánoia; così, anziché rivangare il passato, ho dovuto pensare a inserire nella storia informazioni sul presente del Mondo Magico e, soprattutto, caratterizzare i personaggi. Aggiungete che i dialoghi mi mettono sempre un po’ a disagio, perché mi sembra che non riescano mai naturali, e, forse, vorrete riconoscermi qualche giustificazione per il ritardo.
Ad ogni modo, veniamo al contenuto. Debbo, innanzitutto, spiegare il titolo. Nella tragedia greca, il Coro svolgeva un ruolo particolare, a metà tra l’attore e lo spettatore (è stato definito "
lo spettatore ideale", perché non deve vedersela con la quarta parete); i suoi intermezzi di commento dell’azione scenica prendono il nome di stásimi. In questa storia, ho deciso di assegnare agli studenti di Hogwarts, soprattutto ai più giovani, un ruolo paragonabile a quello del Coro; però vi prometto di non rispettare la regola in base alla quale il Coro vede tutto dell’azione - talvolta fa anche da "voce narrante" - ma non può intervenirvi. Al contrario, a questi ragazzi intendo riserbare un ruolo di primo piano.
Gli studenti più anziani sono tutti personaggi canonici, quasi sempre comparse fuggevoli.
L'Istituto di Studi Babbani è tratto dai test WOMBAT, comunque li abbiano chiamati in Italiano.
Vi piace la mia "rilettura" della misteriosa madre di Blaise?
Infine: il Decreto di riforma del sistema di istruzione - che contiene anche la disciplina transitoria per la riapertura di Hogwarts - ha assunto il numero Trentadue, perché il Ventinove era già occupato dal provvedimento più rimpianto da Gazza, l’approvazione delle frustate. Ipotizzo che il Trenta abbia soppresso la carica di Inquisitore Supremo, abrogando i Decreti posteriori, e che il Trentuno abbia decretato la chiusura della Scuola, al termine della Seconda Guerra.

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Capitolo 7
*** Echi dal passato ***


ECHI DAL PASSATO

Echi dal passato



Ringraziamenti:
Cl33: la tua domanda è una delle più interessanti che mi siano mai state poste. Mi rendo conto che l'esigenza di sviluppare personaggi e trama ha fatto passare in secondo piano l'architettura dell'AU e anche per questo sto scrivendo il prequel; pensavo di farlo terminare con la battaglia finale, ma mi hai indotto a riconsiderare tale decisione.
Vedi, credo, da un lato, che ai Maghi importi ben poco dei Babbani: dopotutto, anche i vari Mezzosangue e simili, per quanto ne sappiamo, vivono nel Mondo Magico e non si mescolano molto con i Babbani. Dall'altro, sono anche convinto che Voldemort sia stato percepito innanzitutto come un Mago Oscuro ossessionato con la purezza di sangue; mi pare che gli stessi testi canonici battano su questo punto, piuttosto che sul suo odio per i Babbani. Del resto, non mi stupirei se egli li considerasse animali, degni, al massimo, di disprezzo, ma non di odio. Così, è facile immaginare che Lucius abbia potuto aggiustare il tiro e proporre una "terza via" tra Voldemort e Silente (vedi discorso di Cormac): la vera guerra non è e non dev'essere tra Maghi, bensì contro i Babbani. Il primo punto incontra un successo incondizionato in qualsiasi società, magica o meno, appena uscita da un conflitto; il secondo non è (ancora) provclamato apertamente, ma insinuato con mezzi più subdoli, come la nuova linea editoriale dei fumetti di Martin Miggs o gli articoli sulle armi dei Babbani.
Hepona: spero di risentirti! Sì, il cap. ha un che di contorto e temo che qualche ripetizione sia inevitabile, anche se ho cercato di sfuggirla come la peste. Per l'action, sigh, temo che dovrai aspettare ancora un poco: probabilmente, la vedrai prima nel prequel. Spero che gli esami siano andati per il meglio.
Mariademolay: vedremo qualcosa di meglio dei
pamphlet, tranquilla!
Sabry: bentornata anche a te. Manca solo Rico, poi ci siamo tutti. La morte di Pansy dovrebbe essere mostrata in dettaglio nel prequel, ma non prevedo di arrivarci in tempi brevi; ad ogni modo, non escludo qualkche breve flashback. Blaise dovrebbe ricomparire tra due capitoli circa, almeno per come stanno le cose al momento: l'ordine dei capp. in progetto è stato modificato più volte.



The mansion is warm at the top of the hill,
Rich are the rooms and the comforts there,
Red are the arms of luxuriant chairs
And you won’t know a thing ‘til you get inside.


J.M., The Celebration of the Lizard




Il gigantesco portone d’ingresso si richiuse alle sue spalle, senza il minimo rumore; il maniero restò immerso in un silenzio profondo e teso.
Il passo improvvisamente stanco, Lucius Malfoy percorreva il vestibolo; a poco a poco, l’espressione gelida e severa del Ministro, studiata per atterrire gli impiegati fannulloni, lasciava il posto ad una profonda stanchezza, venata d’ansia e di angoscia. Ogni singola pietra di quei maledetti corridoi celava qualche trabocchetto della memoria…
Troppo vuota, quella casa. O meglio: troppo piena. Piena della sua assenza.
Spossato, leggermente affamato e solo, Lucius si diresse in fretta verso il soggiorno, abbandonando la giacca sul pavimento. Ci avrebbero pensato gli Elfi Domestici, con la stessa scrupolosa cura con cui si tenevano alla larga, finché il Pardone non li avesse chiamati.
Ivi, lo accolse la testa di Dobby, appesa sopra il camino come un trofeo di caccia.
Da mesi, ormai, lottava contro lo stress da superlavoro e non poteva metter piede in casa senza che il silenzio, il silenzio ostile che riempiva ogni stanza, corridoio e scala, si mettesse a inseguirlo, brandendo la dolcissima tentazione della malinconia; eppure, ad onta della stanchezza, a dispetto della malinconia, quella testa riusciva sempre a strappargli un sorriso. Come il cimitero di Hogwarts. Forse perché entrambi gli ricordavano le vittorie, i nemici annientati e la sorte che attendeva chiunque osasse ribellarsi al potere di Lucius Malfoy, Ministro della Magia.
Crollò sulla poltrona più vicina al fuoco acceso, rimirando l’espressione dell’Elfo decapitato, quasi incredula, come se davvero avesse creduto di potergli sfuggire, che Harry Potter lo avrebbe protetto e che Voldemort sarebbe stato sconfitto.
Si chiese se avrebbe trovato la stessa espressione sui cadaveri dei Babbani. Quelli non sapevano niente di Maghi, Oscuri o meno; erano così sicuri, così fiduciosi nella loro tecnologia…
Ma quella fiducia stava per crollare.
Cosa ne sarebbe rimasto, quando i Maghi fossero venuti allo scoperto? Quando gli Auror avrebbero conquistato le loro basi militari, mettendo fuori uso quegli arsenali formidabili?
In cosa avrebbero creduto, gli sporchi Babbani, di fronte alle stragi? Dieci, venti, trenta cittadine distrutte ogni giorno… Come avrebbero spiegato quei massacri, i loro scienziati, i loro esperti, i loro commentatori televisivi? Sembrava che avessero sempre una spiegazione per tutto.
Vincendo una ripugnanza tanto radicata da essere quasi istintiva, si era costretto a studiare il loro mondo, aveva imposto al Mondo Magico di conoscere il proprio nemico, ammantando quella dura necessità con parole fiorite: pace, comprensione, fratellanza. Le stesse usate da Amelia Bones, che aveva addirittura progettato di allearsi con i Babbani. Un’idea di Silente, senza dubbio: chi altri avrebbe potuto credere che i Babbani potessero servire a qualcosa, contro Voldemort? O contro la Magia in generale, se è per questo.
Adesso, il Ministero conosceva il proprio nemico. Il nemico vero, il nemico di sempre, non il Mago Oscuro di turno.
Adesso, il Ministero era pronto a colpire.
Il sorriso si era allargato in un ghigno.
Quella stanza, divenuta, negli ultimi tempio, il fortilizio emotivo in cui si rifugiava per difendersi dalla malinconia, meritava di assistere al brindisi del trionfo!
Osservò il tavolino di noce scuro, che la servitù manteneva sempre carico di liquori, e scelse l’unica bottiglia intatta. Rum. Non proprio l’ideale, per un brindisi, ma non aveva voglia di farsi portare qualcosa di più raffinato. Stappò la bottiglia, si versò una dose abbondante e, pur fischiando per il bruciore, la ingollò in un sorso solo. Scrollò la testa, come un cane bagnato, e sospirò soddisfatto, mentre una sorsata gemella seguiva la prima.
L’alcool colpì come un pugno il suo stomaco a digiuno.
Lo sguardo, improvvisamente annebbiato, corse sulle pergamene sparpagliate accanto a lui, fuoriuscite dalla capace cartella in cui – imponendosi uno strappo alle regole – le aveva trasportate dall’ufficio, per godersi il sapore ineffabile del trionfo nella pace delle mura domestiche. O meglio, nell’unica stanza dove tale pace, pur minacciata, permanesse: il soggiorno.
L’alcool che ruscellava nel suo stomaco lo prosciugava di ogni esultanza, né poteva concedergli l’incoscienza tante volte desiderata: ci sono ricordi che neppure il più potente dei liquori riesce ad offuscare. Lucius Malfoy, di bicchiere in bicchiere, acquisiva invece quella lucidità estrema e dolorosa che, talvolta, accomuna gli ubriachi ai filosofi.
Volevo assaporare il mio trionfo… e scopro che non ha il minimo sapore. Non ora. Non più.
Ad una ad una, sollevò le pergamene, senza vederle realmente. Ne conosceva il contenuto a memoria: l’ultima e pressoché definitiva versione dei piani di attacco ai Babbani di Gran Bretagna e Irlanda.
E poi, semisepolto in quel vortice di piantine, memorandum e schede tattiche, c’era un promemoria riservato, indirizzato direttamente al Ministro, a lui che lo attendeva, impaziente, ormai da mesi.
L’indomani, sarebbe sceso al Nono Livello.
Con un po’ di fortuna, avrebbe potuto fissare l’ora X alla mezzanotte di Hallowe’en. Dopo secoli di persecuzioni, fughe e segretezza, finalmente la razza dei Maghi avrebbe conquistato il ruolo dominante che le spettava per diritto naturale. La notte di Hallowe’en, tradizionalmente la più oscura, sarebbe stata la vera alba di un mondo nuovo.
Se tutto fosse andato come doveva andare, entro la fine dell’anno, le Isole Britanniche sarebbero state sotto il pieno controllo dei Maghi. Eliminare gli ultimi Babbani avrebbe richiesto qualche mesetto in più, ma non aveva importanza: dopotutto, le sue truppe si sarebbero pur dovute preparare alla conquista del mondo.
Anche i Maghi più babbanofili del pianeta avrebbero riconsiderato le proprie posizioni, una volta che avessero visto l’Inghilterra rinata, l’Inghilterra libera dai Babbani. La primizia di un mondo nuovo.
Un mondo senza di lei, sussurravano quegli stramaledetti ricordi.
Un mondo senza di lei, ribadiva il silenzio del Maniero deserto.
Un mondo senza di lei, cantava il rum, al ritmo del suo cuore.
Scagliò il bicchiere contro la parete e lo vide andare in frantumi.
Narcissa, Narcissa, amore mio, perché mi hai lasciato?
Non ho potuto chiedertelo, prima che morissi. Non ho potuto salutarti. Non ho avuto il coraggio… il coraggio di affrontare il mio fallimento.
Non sono riuscito a salvarti, amore mio. Proprio non ci sono riuscito.
E ti ho lasciata sola. Sola con lui.

Ormai, si rifiutava persino di pensare le parole “mio figlio”.
Draco. Draco che si era chiuso nella camera di sua madre, per tutta quell’ultima, orribile settimana in cui non era rimasto altro da fare che attendere l’inevitabile. Draco che non mangiava. Draco che lo evitava.
Con le poche forze che le rimanevano, Narcissa lo aveva pregato di perdonarlo. Era riuscita a fargli promettere che non lo avrebbe diseredato; ma, in quel momento, pensando al futuro che stava costruendo, Lucius si sentì nauseato alla sola idea di lasciarlo a lui.
E lo invidiò anche, in segreto, per aver avuto il coraggio di assistere ai suoi ultimi momenti, forse di raccogliere un’estrema parola da quelle labbra belle, belle anche nella morte.
Forse. Non gli aveva chiesto niente. Non si erano parlati, neanche al funerale.
Da quel giorno, non aveva quasi più visto suo figlio. Nessuna voglia e troppo lavoro: in ufficio alla sette del mattino e sgobbava fino a mezzanotte.
Curioso. Non si era mai impegnato tanto nei suoi progetti, nelle sue ambizioni, come stava facendo ora che non gli importava più nulla di nulla.
L’abito nero che indossava in permanenza non era soltanto una concessione alle leggi del lutto, né esprimeva solo la desolazione del suo cuore; no, Lucius riconosceva, in quel momento di lucidità estrema, prima che il rum riuscisse ad annebbiargli il cervello, che tutti i suoi sogni erano morti con lei.
Narcissa, amore, soltanto adesso mi rendo conto che desideravo un trono per te. Volevo che tutti si inchinassero a baciarti la mano, che l’intero Mondo Magico venerasse la tua bellezza… Sarei stato il custode di una stella scesa in terra…
Ingollò un altro bicchiere. E, finalmente, sentì i pensieri che svanivano, la loro dannata voce taceva.
La testa bionda crollò in avanti, quasi ansiosa di tuffarsi nell’oblio.
Un trono. Alto e scintillante. Oro che impreziosisce l’avorio. Bello come il viso di lei, della stessa tonalità, uno splendore placido. E una lunga passatoia di porpora, sì, due ali di supplici inginocchiate ai lati…
Chi è che avanza dal fondo della grande sala?
Ah, è biondo come lei, il prode cavaliere. Basta uno sguardo per capire che è il suo promesso sposo, che il Destino li ha uniti prima ancora che nascessero.
Alto anch’egli, occhi chiari e mutevoli, ora fissi su di lei
“Amore mio, parlami, ti prego.”
La regina volse il capo altero verso di lui e si alzò. Una lunga veste nera le scendeva fino ai piedi.
Corse verso di lei, le braccia già protese per abbracciarla. Le labbra di Narcissa, quasi madreperlacee, si dischiusero appena, pronte al bacio…
E vomitarono un getto nero, putrido, che lo colpì in piena faccia.
Incredulo, vide un volto verdastro, contorto dall’odio, balzare su di lui, dita fetide stringerlo alla carotide…
«Noooo!»

Si svegliò di soprassalto, in un bagno di sudore.
Narcissa, Narcissa, non è colpa mia, lo hai detto anche tu, è stata l’ultima cosa che mi hai detto…
Ma a che pro ripeterlo? Era il primo a non crederci.

Molto più a Nord, nella quiete di Hogwarts, che ormai gli era tornata familiare, Draco rifletteva sul modo migliore di passare la sua prima serata tranquilla.
A quel memorabile primo giorno di lezioni ne erano seguiti quattro altrettanto frenetici: nomina di Prefetti e Capiscuola – ovviamente, non era stato possibile sceglierli prima – ricostituzione delle squadre di Quidditch (McLaggen era stato rimesso in sesto fin troppo in fretta e aveva subito cominciato a spaccare timpani e palle). E le regole, quella fottuta quintalata di regole che il Decreto Numero Trentadue imponeva di conoscere, interpretare ed applicare.
Rabbrividì, ripensando all’interminabile riunione del Collegio dei Docenti.
Con il suo sorriso più perfido, la Marchbanks li aveva accolti sventolando la bozza della circolare applicativa del decreto. Scritta interamente in Latino. Anche ripensandoci, Draco non sapeva se ridere o piangere. Per fortuna, Blaise non aveva battuto ciglio e – con un semplice tocco di bacchetta che nascondeva, in realtà, un Incantesimo molto complesso – aveva tradotto tutte le copie in lingua corrente. A quel punto, però, si era aperta una discussione a parte, tra lui e la Marchbanks, sulle lingue da usare negli atti interni alla Scuola. Come tutti gli altri Professori, si era addormentato in qualche momento imprecisato, dopo la centesima citazione del Decreto Vattelapesca. Ma, alla fine, Blaise era riuscito a spuntarla, così i begli addormentati erano stati rudemente riscossi e costretti a discutere la circolare nel merito.
Maledetto Blaise, non poteva strappare un rinvio, già che c’era?
La riunione era appena terminata, ma non avrebbe saputo dire se, alla fine, avessero deciso qualcosa o no. Tutto quel gran parlare lo aveva come ubriacato.
Neanche una lezione di Rüf…
Sprofondò nella poltrona, sfinito.
Il suo appartamento - identico a quello di Blaise - gli piaceva molto: per qualche misteriosa ragione, riusciva ad infondergli una sensazione di pace che, in momenti come quello, era davvero la benvenuta.
Non era poi così male, trovarsi di nuovo ad Hogwarts. C’era Blaise… rise di nuovo, e con lo stesso gusto, ricordando lo scherzetto della Soluzione Corroborante a Ragnok. Ne avevano riso insieme. Era bello sapere di aver ritrovato un amico.
E poi c’erano le lezioni. Quel dannatissimo lavoro gli piaceva! Con il vecchio non l’avrebbe ammesso neanche sotto Cruciatus, ma, in fin dei conti, avrebbe dovuto ringraziarlo.
Ormai, aveva preso contatto con tutte le classi; solo i primini avevano evitato il test di ingresso sul programma svolto in precedenza. I risultati non erano eccellenti, ma neppure disastrosi; solo che si era limitato a verificare la conoscenza della teoria.
Sperava che la Preside gli consentisse di riaprire il Club dei Duellanti: quei ragazzi avevano bisogno di pratica.
Intendiamoci, anche la teoria aveva la sua importanza e aveva scoperto che insegnarla non era affatto male; di certo, sempre meglio che studiarla! E poi, adesso che aveva visto quella materia all’opera, capiva il senso di tante nozioni che, da studente, gli erano parse superflue, banali o irrilevanti.

Così, mentre i primini si sorbivano un’introduzione generale alla materia – il genere di affreschi panoramici e multidisciplinari che lo aveva sempre affascinato – gli allievi più grandi sgobbavano sotto un ripasso capillare di tutta la teoria.

Non era troppo sicuro di saper gestire le lezioni pratiche, ma le avrebbe dovute organizzare quanto prima.

Sul tavolino accanto a lui comparve una teiera fumante, accompagnata da tazza, zucchero e dolcetti. Gli Elfi Domestici spaccavano sempre il secondo. Una puntualità quasi snervante.
Il tè lo rianimò tanto che, dopo un’occhiata agli scaffali ancora vuoti, decise che era giunto il momento di disfare i bagagli: non poteva rimandare all’infinito, per quanto potesse dispiacergli rivedere certi effetti personali.

Qualche minuto dopo, la stanza messa a soqquadro, i vestiti sparpagliati qua e là, Draco scrutava con curiosità un cofanetto di legno dorato, appena riemerso dalle profondità delle valigie.

Con curiosità, ma anche con dolore: il dolore di una perdita troppo recente.

Narcissa Malfoy gliel’aveva dato poche ore prima di morire, facendogli capire - con lo sguardo e a gesti, perché, ormai, non riusciva più a parlare – che conteneva qualcosa di molto importante, ma che non doveva aprirlo subito, soltanto… dopo.

Poi era scivolata nell’incoscienza di un’agonia molto breve, come se il suo corpo fosse già stato svuotato di ogni energia. Si era spenta il primo di Agosto, in una mattina di sole, tanto splendida quanto beffarda; il funerale, celebrato in forma strettamente privata, si era tenuto l’indomani e, al termine della cerimonia, suo padre gli aveva comunicato quale sarebbe stato il suo prossimo lavoro.

Il cofanetto misterioso era rimasto tra le cose di Draco, in attesa, durante tutto quel mese, mentre il ragazzo lottava prima con suo padre, per convincerlo a desistere, poi con sé stesso, per accettare l’inevitabile; e sempre, sempre, con il proprio dolore.

Costrinse le mani a smettere di tremare e ad aprire il cofanetto. Si trovò in mano un pacco di lettere ingiallite, tenute insieme con lo spago; al di sopra, una busta nuova, sciolta, recava il nome Draco, scritto in caratteri nitidi e dorati.

La calligrafia di sua madre fu sufficiente a fargli salire le lacrime agli occhi. Lacrime salate, che bruciavano, che da troppo tempo attendevano di sgorgare…

Con la vista offuscata, Draco aprì la busta – non sigillata, notò – e ne estrasse un foglio solo, scritto su entrambe le facciate; impiegò mezzo minuto buono a determinare su quale delle due si trovasse l’esordio.

Le lacrime scorrevano in silenzio, mentre si sforzava di mettere a fuoco le prime righe.


Mio carissimo Draco,


Bastò perché gli sfuggisse un singhiozzo. Il primo di una serie molto lunga.


scusami se ho fatto ricorso a questo espediente vigliacco, se non ho trovato il coraggio di essere sincera con te, prima di morire.

Sei appena uscito dalla mia stanza, hai cercato di consolarmi, povero bambino mio, e non capivi perché io rimanessi in silenzio. Non potevi sapere che avrei voluto asciugare, un’ultima volta, le lacrime che vedevo nuotare nei tuoi occhi, e tacevo per viltà, perché non trovavo il coraggio di dirti che stavi soffrendo per colpa mia.

Draco, ho commesso suicidio. Parlo come se fossi già morta, perché so bene che mi restano poche ore appena e che non ho la minima speranza di salvarmi, giacché l’Incantesimo di Morte Lenta che ho scelto di usare è irreversibile; quindi posso solo affidare il mio pentimento inutile alla Penna Prendiappunti, affinché tu sappia la verità.

Sto morendo per una mia scelta, ma ora – ora che è troppo tardi! – mi accorgo che tutte le mie riflessioni mi hanno portata a commettere un errore terribile e a far soffrire le due persone più importanti della mia vita, te e tuo padre.

Credevo che Lucius avesse smesso di amarmi: come spiegare altrimenti la sua freddezza, la sua chiusura? Perfino adesso, stento a non piangere, ripensando a tutti quei pasti consumati in silenzio, con tuo padre irremovibile nella decisione di ignorare te e, di conseguenza, anche me; una decisione – mi dicevo – che sarei riuscita a fargli mutare, un tempo, prima che la mia scelta di aiutarti, a dispetto di tutto, mi rubasse il suo cuore. Invece, adesso che sto morendo, sono riuscita a fargli promettere che non ti diserederà, ma non più di questo.

Solo ora, ora che è troppo tardi, vedo quanto mi sia sbagliata, quanto tuo padre mi ami ancora! Tutte le volte che viene a trovarmi, leggo l’amore nei suoi occhi; l’amore, la paura di perdermi e il senso di colpa. Come se l’inesistenza di una cura fosse colpa sua. Invece la colpa è mia! Soltanto mia!

Draco, Draco, quando sei nato, credevo che saresti stato la mia ragione di vita, ma non prevedevo che tu e tuo padre poteste mai scontrarvi, certo non in un modo tanto violento che neppure io sarei riuscita a riportare la pace. E tu sai se ci ho provato! Ma invano…
Non vi biasimo per le vostre scelte, anche se vi hanno portati a combattere l’uno contro l’altro; ma, in mezzo a questa guerra, io non riesco a vivere!
Perdonami, bambino mio, perdonami, se puoi. Perdona la follia, la stupidità di una moglie e di una madre. E fa’ in modo che tuo padre perdoni sé stesso, che non si incolpi della mia morte, come sta facendo ora. Se gli scrivessi una lettera come questa, si sentirebbe due volte più colpevole; oppure odierebbe te due volte di più, per la stessa ragione.

Ti prego, Draco, fa’ che la mia morte non sia stata completamente inutile, completamente stupida! Se proprio non può finire, questa vostra guerra, che almeno tuo padre smetta di tormentarsi! Avrebbe bisogno di me, per affrontare un simile dolore, ma dovrai sostenerlo tu. Non ti chiedo di farlo per amor mio, ma per amor suo. Perché tuo padre – siine certo – ti ama ancora; solo questo spiega la profondità del suo rancore.

Nelle mie attuali condizioni, potrei addirittura diventare un fantasma, ma, se dovesse accadere, non credo che troverei mai il coraggio di cercarvi, di affrontare le vostre espressioni di dolore e di legittima accusa. Perciò, bambino mio, questo è un addio. Se ai morti è consentito, in qualche modo, aiutare i vivi, sta’ certo che non lascerò nulla di intentato per le due sole persone che ho amato – letteralmente – più della mia stessa vita.

 

Con Amore,

Narcissa



Draco posò il foglio con un gesto meccanico, asciugò le lacrime e disfece il nodo che legava le altre lettere. La sua impassibilità avrebbe spaventato lo stesso Voldemort. Ma i soli spettatori erano la Luna e le fiamme del camino.
Le buste si sparsero a terra; il ragazzo non si curò di raccoglierle.
Una pergamena molto ingiallita scivolò fuori dalla propria busta:

Cara Dorea,

dopo aver letta la tua ultima, ponderata con cura la questione, ho la gioia di dirti che mi trovo perfettamente d’accordo con te: James sarebbe un marito perfetto per Narcissa.

 

Lo sguardo di Draco non fissava il foglio, era perso nel fuoco. Guizzavano, lingue di fiamma guizzavano… Rosse. Il copriletto di lei. Rosso fuoco. Guizzava quando si contorceva, debole, troppo debole per muoversi davvero. Non sapeva dire dove sentisse dolore. Fiamme. Era tutta un dolore. Avvolta dalle fiamme…

Gli occhi del figlio di Narcissa restarono rossi anche molto tempo dopo che si furono spente le ultime braci.

 

Toc-toc.

Nessuna risposta.

Blaise esitò un istante, poi la preoccupazione vinse il suo naturale riserbo: girò la maniglia e fu lieto di scoprire che la porta non era chiusa con il lucchetto a combinazione magica.

Mise un piede nella stanza e restò a bocca aperta.

Il suo cervello impiegò tre secondi buoni per farsi un quadro completo della stanza: un caos totale e - occhio del ciclone - l’amico accovacciato sul pavimento, immobile.

«Draco!»

Ancora nessuna risposta.

«Draco!» Afferrò la bacchetta, senza avere la minima idea di quale Incantesimo tentare, ma, finalmente, la testa del biondo si girò.

«Blaise,» mormorò, con un filo di voce.

Diviso tra sollievo e preoccupazione, il moro accorse e si affrettò a chiedergli: «Riesci ad alzarti?»

Draco si aggrappò a lui e, un poco alla volta, si alzò; sul suo viso si dipinse una smorfia di dolore, mentre il sangue riprendeva a circolare nelle membra intorpidite. L’amico lo scrutava con un’espressione indecifrabile.

«Che ti è successo?»

Ebbe in risposta solo uno sguardo vuoto e un gesto vago.

«D’accordo, d’accordo, non dirmi niente,» si affrettò a dirgli, aggiungendo mentalmente: “Ne parliamo più tardi, con molta calma… e con tutti i dettagli”. «Dimmi solo se sei in grado di fare lezione.»

«Lezione?» Sembrava che il termine non gli dicesse nulla.

«E’ mattina, Draco! E ho incontrato i tuoi studenti, che ti aspettavano fuori dell’Aula!»

Il ragazzo sbatté due o tre volte le palpebre, barcollò leggermente e disse: «Vai. Di’… di’ loro che pazientino… qualche minuto.» Strinse i denti per soffocare uno sbadiglio formato gigante.

«Draco, tu sei stanco, stai male, non…»

Si beccò un’occhiata omicida: Draco Malfoy non amava che si notassero i suoi momenti di debolezza.

«Vai, maledetto te!»

Blaise uscì, a passo lesto, lasciandolo ad affrontare l’impresa di rimettersi in sesto.

 

Dieci minuti dopo, Tassorosso e Corvonero del terzo anno videro comparire un Professor Malfoy segnato dalla mancanza di sonno e addirittura scarmigliato.

«Scusatemi, ragazzi.»

Non offrì la minima spiegazione per il ritardo: spediti i compiti da correggere nella borsa, si lanciò nell’appello, cercando – tra un nome e l’altro – di decidere come impiegare quell’ora e un quarto circa. Alla chiusura del registro, le sue meningi, pur spossate dalla mancanza di sonno, erano giunte ad escludere qualsiasi genere di lezione teorica: tutti gli argomenti possibili avrebbero richiesto le due ore intere e l’idea di interrompersi più o meno a metà, per poi riprendere alla prima occasione, non gli garbava affatto.

Il suo viso tirato si rianimò, non appena ebbe individuata l’unica alternativa praticabile.

Be’ – valutò, con una rapida occhiata, le dimensioni dell’aula - sperava che fosse praticabile.

Si rivolse agli studenti con un sorriso che riuscì a cancellare dal suo volto quasi ogni traccia di stanchezza. «Molto bene, ragazzi. Suppongo che mi avrete odiati, per tutto il ripasso che vi ho costretti a fare…»

Nessuno studente ebbe il coraggio di ridacchiare, ma vide parecchi sorrisetti.

«Ebbene, gioite pure: il ripasso è finito.»

Sorrisi cauti.

«Via le piume e fuori le bacchette!»

Stavolta, riuscì a destare un mormorio eccitato.

«Ho visto che, con la teoria, ve la cavate benino; adesso voglio verificare le vostre doti pratiche. Tutti in piedi.»

I ragazzi parvero scattare sull’attenti, tanta fu la rapidità con cui eseguirono.

Nervosetti, eh?

Sapeste io…

Malfoy, con un semplice cenno della bacchetta, fece svanire banchi e cattedra: gli serviva l’aula sgombra, per quello che aveva in mente.

Incrociò le dita e sperò che lo spazio bastasse.

«Dividetevi a coppie,» ordinò, mentre si preoccupava di insonorizzare l’aula. «Faremo pratica di duello.»

Anche se rovistava nelle proprie tasche, in cerca del fischietto, non gli sfuggirono i gridolini eccitati e tantomeno l’improvvisa concentrazione nell’aria.

«Quanti di voi hanno esperienza di duello alzino la mano.» Scosse il capo, vedendo che tutte le braccia restavano lungo i fianchi. «Come temevo. E’ per questo che spero che la Preside ci permetta di riaprire il Club dei Duellanti: un duello è il modo migliore per fare pratica di Difesa… A parte una battaglia campale, naturalmente.»

Ignorò il rimprovero della coscienza per quella battuta infelice e anche la pesantezza di capo, che minacciava di evolvere in emicrania vera e propria.

«Per evitare che, durante il duello, finiate per colpire una persona diversa dal vostro avversario, procederemo in questo modo.» Si incamminò verso il fondo dell’aula: stanco com’era, gli riusciva molto più semplice mostrare le cose che spiegarle a parole. Si fermò nell’angolo, dando le spalle alla parete più lunga dell’aula, e chiamò, con un cenno, lo studente più vicino.

«Signor Stebbins, si metta di fronte a me, più o meno alla distanza di trenta passi… no, non stia a contarli, le dirò io dove fermarsi. Ecco, resti lì.»

Il ragazzo eseguì e Draco apostrofò il resto della classe: «Tutte le coppie si mettano come siamo messi noi due. Uno con le spalle a questa parete, l’altro di fronte, a trenta passi circa… allineatevi al signor Stebbins.»

Il numero degli studenti, ricordò mentre si spostavano, era dispari. Uno sarebbe rimasto fuori.

Scrollò la testa. Gli veniva in mente una soluzione soltanto: occuparsi personalmente di duellare con l’alunno in soprannumero; e non gli sembrava il caso.

Tirò un sospiro di sollievo, vedendo che, dopotutto, lo spazio era sufficiente: adesso, ciascun ragazzo aveva di fronte l’avversario – solo l’avversario – e un discreto campo libero sui due lati. Il rischio di sbagliare bersaglio era ridotto in misura accettabile.

Peccato che la maggior parte delle aule sia troppo piccola. Dovrò usare la Stanza delle Necessità, se la vecchiarda non mi farà riaprire lo stramaledetto Club. Però, a quel punto, non potrò far allenare insieme ragazzi di anni diversi…

Vide che tutti quanti impugnavano le bacchette in maniera accettabile. «Molto bene, ragazzi. Adesso conterò fino a tre. Al mio uno, inchinatevi al vostro avversario; al due, mettetevi in guardia; al tre, lanciate tutti l’Incantesimo di Disarmo. Solo l’Incantesimo di Disarmo, chiaro? Il primo che tenta qualche scherzetto finisce a spalare letame di drago in Romania.»

A quella minaccia, alcuni ragazzi sobbalzarono. Coscienza sporca?

«Al mio fischio, smettete di scagliare Incantesimi; io prenderò nota dei risultati.» Sì, a patto di trovare il maledetto taccuino… Ah, eccolo qui! «Alla fine della lezione, valuterò il rendimento complessivo di ciascuno di voi e assegnerò il primo voto di pratica.»

Ma perché gli accenni ai voti hanno sempre l’effetto di una doccia gelata? Brandì taccuino e piuma come armi.

«Pronti?»

Notò con piacere che nessuno si disturbava ad annuire: tutti tenevano gli occhi incollati all’avversario.

«Uno.» Quegli inchini erano davvero sgraziati.

«Due.» Per domani: ripassare come si impugna una bacchetta. Ecco un compito che almeno quattro studenti si sarebbero visti assegnare. Scarabocchiò un segno crittografico accanto ai loro nomi, sperando di ricordarne il significato alla fine della lezione.

«Tre!»

L’aula si riempì di «Expelliarmus!», ma Draco non ebbe il tempo di sorridere: taccuino e piuma gli volarono via di mano.

«Stebbins!!!»

Lo sventurato ragazzo balbettò: «M-m-mi d-dispiace, signore.»

Gli rispose con un’occhiata a dir poco malevola e soffiò nel fischietto. Cominciò a percorrere l’aula, in tutta la sua lunghezza, prendendo nota dei risultati. Come prima prova, non era male: due terzi degli studenti erano stati disarmati e – fatto ancora più importante – quel terzo di Incantesimi a vuoto non aveva prodotto danni visibili.

Tornò verso Stebbins, lentamente, gustandosi il terrore che si impadroniva del povero ragazzo.

«Signori, un po’ di attenzione, per cortesia.»

Tutte le teste si voltarono verso il loro angolo.

«Stebbins, vorrebbe essere così gentile da spiegare ai suoi compagni quello che ha fatto?»

Il ragazzo aprì bocca, ma non riuscì ad emettere alcun suono; tremava tanto che dovette appoggiarsi al muro.

«A quanto sembra, Stebbins non è in grado di confessare le proprie malefatte.» Stroncò con uno sguardo le risatine incipienti. «Ebbene, provvederò io. Stebbins ha scagliato un Incantesimo contro un avversario disarmato.»

Tutti gli studenti inspirarono bruscamente.

«Contro di me, per la precisione.»

Aveva la netta sensazione che quel ripugnante ammasso di nervi tremuli se la stesse facendo sotto. Nel senso letterale dell’espressione.

«Stebbins!» Il ragazzo sobbalzò come se lo avesse frustato. «E’ in grado di spiegarmi la differenza tra un duello e una battaglia?»

Inutile: il malcapitato non riusciva a spiccicar parola. Draco lo lasciò soffrire per dieci secondi buoni, sempre raggelando le risatine, poi riprese: «In battaglia – ricordatevelo bene, tutti quanti! – si combatte per annientare il nemico. “Annientare” significa che ogni avversario va attaccato con qualsiasi Incantesimo, Maledizione, Fattura e, in generale, strumento a vostra disposizione. Potete anche prenderlo alle spalle, attaccarlo insieme con altri e» - piccola pausa - «massacrarlo per bene, se per caso lo vedete disarmato.»

Gli studenti sembravano parecchio a disagio, ma non perdevano una sillaba.

«In duello,» riprese Draco, «le cose stanno diversamente. Per i duellanti, anche quando combattono all’ultimo sangue, c’è sempre una cosa che conta più della vittoria, ed è l’onore. Proprio perché il sangue dell’avversario deve lavare un’offesa da lui inferta al vostro onore, non potete spargerlo in modo disonorevole. Perciò, in un duello si combatte uno contro uno, non sono ammessi assalti alle spalle, se non in casi particolarissimi, e, soprattutto, non si attacca l’avversario disarmato!»

Fulminò il povero Stebbins con lo sguardo.

«Nell’età d’oro dei duelli, Stebbins, i Suoi stessi padrini si sarebbero sentiti in dovere di ammazzarLa come un cane!»

Poi gli voltò le spalle.

«Vedete di ricordarvi sempre la differenza tra battaglia e duello. Avete appena sentito cosa si rischia a prendere il duello per una battaglia; vi lascio immaginare le conseguenze dell’errore inverso.

Almeno per ora, noi siamo qui per fare pratica di duello, quindi sarà meglio che nessuno di voi si improvvisi combattente in piena regola.»

Ripose taccuino e piuma per estrarre la bacchetta.

«Ve la siete cavata benino, con l’Incantesimo di Disarmo. Adesso, voglio vedervi alle prese con qualcosa di un po’ più complesso: lo Schiantesimo. Signor Stebbins, dato che ha tanta voglia di fare pratica, sono tutto suo.»

Indirizzò un ghigno al volto verdastro dello studente. C’era da sperare che non vomitasse.

«Al mio tre, ragazzi. Uno.» Si inchinò al disgraziato, che, in qualche modo, ricambiò la cortesia. «Due.» Ma cosa credeva, che la bacchetta fosse un piccone? «Tre!» esclamò, scagliando uno Schiantesimo non verbale.

Mancato.

«Stupeficium!»

Dovette imitare Stebbins, gettandosi a terra per schivare l’attacco, ma ne approfittò per controbattere, stavolta a voce alta: «Stupeficium!»

Si rialzò con un ghigno soddisfatto: quel ragazzino aveva dimostrato riflessi pronti… ma non abbastanza.

Intorno a lui, echeggiavano ancora grida di «Stupeficium!». A quanto pareva, i ragazzi non se la cavavano altrettanto bene. Uno Schiantesimo che sibilò a pochi centimetri dalla sua testa, andando a infrangersi contro il muro, gliene offrì la controprova.

Automaticamente, Draco si era gettato a terra, entrambe le mani sulla bacchetta; sorrideva, ma tornò serio di colpo.

Una volta – una vita prima – era stato come loro. Aveva scagliato Incantesimi, Maledizioni e quant’altro con crescente destrezza, convinto – senza rendersene conto appieno – di essere diventato un campione di quel gioco meraviglioso.

Poi si era dovuto ricredere.

Quello non era un gioco.

E, qualunque cosa fosse, Draco Malfoy non figurava tra i campioni.
Le grida. Le sentiva ancora, di notte, in tutti gli incubi. La cacofonia dei feriti, dei torturati, degli agonizzanti.
Tutti i suoi sogni di combattente si erano dileguati sulle ali di quelle grida, davanti agli occhi fissi, vitrei, del suo primo cadavere.
Rannicchiato su quel pavimento freddo, Draco singhiozzava, incapace di arrestare il flusso dei ricordi o la coscienza che incalzava.
Anche tu saresti dovuto morire, lo sai, vero, Malfoy?
Harry. Sentiva la voce di Harry.
Siamo andati a morire, tutti quanti. E siamo morti tutti. Tutti tranne te.
«Harry,» sussurrò, tra i singhiozzi, «sei diventato la mia coscienza?»
I vigliacchi non hanno coscienza!
Un grido di angoscia gli strinse la gola. Ma non riusciva ad urlare.
Anche tu sei morto, Malfoy. Sei morto e non te ne accorgi. Sei un morto che cammina. Ma ancora per poco. Credimi: ancora per poco…
E l’urlo esplose.
I pochi studenti ancora in piedi fissarono esterrefatti il loro Professore: rannicchiato sul pavimento, la faccia stravolta e deformata in un urlo interminabile.
Poi, il capo biondo ricadde a terra con un colpo sordo.
I ragazzi si scambiarono sguardi incerti, atterriti, mentre il respiro affannoso del Professore riempiva l’aula.
Quel giorno, la tesi che Malfoy fosse pazzo guadagnò parecchi punti.


Note:
Lucius ha un bel po’ di scheletri nell’armadio: che altro salterà fuori?
Da quel che sappiamo di James Potter, sarebbe stato un buon pretendente per Narcissa; mi sono limitato a sviluppare l’idea, spero che vi piaccia.

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Capitolo 8
*** Bartemius Redivivus ***


BARTEMIUS REDIVIVUS

Bartemius Redivivus


Ringraziamenti:
cl33: ottima analisi. Ti ringrazio per l'apprezzamento, anche perchè temevo appunto di aver mandato OOC il povero Lucius. E credo che tutti i miei personaggi, volenti o nolenti, siano cambiati parecchio rispetto a ciò che erano nel canone. Ma, del resto, con la Seconda Guerra alle spalle...
Rico: spero che tu stia scherzando, come si fa a non desiderarti? Anche quando leggi di fretta, le tue riflessioni sono sempre acute. In effetti, mi sono chiesto anch'io se Narcissa non meritasse di essere dipinta come una donna più forte, però - a parte il fatto che la volevo morta per far evolvere meglio Draco - penso che la sua vita ruoti intorno a due punti fermi: il marito e il figlio. Del resto, l'hai vista nel sesto libro? Come resta senza Lucius e rischia di perdere Draco, corre a chiedere aiuto a
Piton. Se non ricordo male, poi, è sull'orlo di una crisi di nervi. Immagina come potrebbe ridurla una guerra tra Lucius e Draco!




Strange eyes fill strange rooms
Voices will signal their tired end


[J.M., Strange Days]



La fredda voce femminile annunciò: «Ufficio per la Ricerca nelle Arti Magiche.»
Le porte dell’ascensore si spalancarono, lasciando emergere il Ministro in persona, che, nonostante l’espressione algida e a dispetto dei movimenti composti, riusciva, in qualche modo, a trasudare impazienza.
Il funzionario - uno dei pochi che ancora potessero fregiarsi della qualifica di Indicibile - lo aspettava. Puntuale, per sua fortuna.

«Dottore.»

«Ministro.»

Due cenni del capo, nessuna stretta di mano. Il genere di persone cui piace venire al dunque.

Il “dottore” fece strada, attraverso la pianta astrusa dell’Ufficio, fino al proprio laboratorio.

Al Ministro, la stanza sembrava sempre un aberrante incrocio tra un acquario e un obitorio: le pareti erano occultate da grandi bare trasparenti, entro cui fluttuavano corpi umani, in apparenza sospesi nel vuoto.

Cadaveri.

Cadaveri che respiravano.

Come definire altrimenti le vittime dei Dissennatori?
Sorvegliate da un’algida luce azzurrina, tutte le vittime del Bacio che era stato possibile radunare volteggiavano, lentamente, nei loro sarcofaghi di cristallo, in attesa...
L’Indicibile esaminò con attenzione la cassa numero sessantatrè; poi annuì, evidentemente soddisfatto, e tornò verso Lucius.
«Prego, signor Ministro, si accomodi,» disse, accennando al centro della stanza, dove un divanetto senza pretese attendeva un improbabile visitatore o un ancor più improbabile momento di riposo del "dottore".
Lucius ringraziò con un cenno del capo e prese posto ad un’estremità del divano, mentre il funzionario Evocava un bel tavolino di legno scuro, completo di Whisky Incendiario e bicchieri.
Il miglior Stravecchio in circolazione, nientemeno.

«Dottore, vista la qualità del liquore che mi offre, confido che ci siano sviluppi molto promettenti. Diversamente, potrei considerarlo un tentativo di corruzione.»

Era uno scherzo o una minaccia? Non si sapeva mai, con Lucius Malfoy. Quindi, il dottore accennò appena un sorriso, prendendo posto a sua volta, e si limitò a domandare: «Signor Ministro, vede la cassa numero sessantatrè?»

«Quella che stava osservando Lei poco fa? Sì, la vedo.»

«Bene. Voglia essere così gentile da scagliare sulla cavia la Maledizione Imperius.»

Per poco, per un soffio, Lucius non rimase a bocca aperta.

La Imperius!?
Le vittime del Bacio conservavano le funzioni biologiche elementari, e solo quelle: non erano abbastanza morti per essere trasformati in Inferi, né abbastanza vivi perché l’Imperius potesse far presa sul loro cervello.
Se veramente quella cavia avesse risposto...
Sforzandosi di non tremare per l’eccitazione, Malfoy estrasse la bacchetta, prese la mira e mormorò: «Imperio
Si voltò verso l’Indicibile: aveva funzionato.
L’ometto sorrise: «Gli ordini di compiere un gesto. Un gesto molto semplice, dei più elementari.»
Lucius, con aria rapita, fissò la cavia nella cassa e, quasi teneramente, sussurrò: «Apri gli occhi.»

Un attimo dopo, si sentì gelare.
Quegli occhi!
In quello sguardo c’era vita, c’era…
Coscienza?
Impassibile come il cristallo della sua bara, Bartemius Crouch junior lo fissava, senza mai battere le palpebre.
Il Ministro esalò un lungo respiro e ricadde sul divanetto.

Ancora non osava crederci.

Se davvero avevano scoperto come invertire gli effetti del Bacio…

Invertirli? Davvero? E fino a che punto?

L’Indicibile parve leggergli nella mente: «Almeno per adesso, la cavia numero sessantatrè, la più avanzata, riesce soltanto a compiere gesti: niente operazioni intellettuali, né tantomeno magie. Ma Le interesserà vedere che siamo riusciti a ripristinare anche le funzioni motorie complesse.»

Lucius soppesò quelle informazioni, prima di chiedere: «Complesse quanto?»

«Quanto basta perché la cavia ci serva da bere. Sempre che glielo voglia ordinare, naturalmente.»

Malfoy senior inarcò un sopracciglio ed eseguì.

Crouch junior aprì la cassa dall’interno e ne uscì con un solo, aggraziato movimento fluido. In vita, era stato un ottimo ballerino. E del ballerino – notò Lucius, davvero impressionato – conservava l’andatura. Quello era proprio il passo di Barty!
Come in trance, osservò la cavia riempire i loro bicchieri con la massima naturalezza; fece per sollevare il proprio, ma, d’impulso, ne Evocò un terzo, già colmo, e gli ordinò: Bevi.

Bartemius bevve. Anzi, fece di più: brindò con loro, sebbene non gli fosse stato ordinato, e si pulì la bocca con la manica.

«Stupefacente» mormorò Lucius.
«Sembra che le abitudini lascino qualche strana… traccia nel cervello, perfino dopo il Bacio,» commentò il dottore, altrettanto colpito.
«Come se avessimo rimesso in funzione una sorta di schema...»
Osservarono la loro cavia, ora perfettamente immobile, le guance colorite dall’alcool.

«Che effetto potrebbe avere il liquore, su di lui?»

«Parola mia, non ne ho idea! Non ho mai pensato di provare. Però, vediamo... per quanto ne so, apparato digerente e fegato funzionano sempre, quindi...»

«I fantasmi,» mormorò Lucius, «conservano il ricordo di come si mangi e si beva. Che ci sia una qualche forma di simmetria, tra quelle anime senza corpo e questi corpi senz’anima?»

L’Indicibile annuì lentamente. «L’anima tende a lasciare molti echi: pensi soltanto al ritratto di un Mago defunto. O a certe case molto vecchie, che hanno acquistato una loro personalità. Perché stupirsi che nel corpo resti un’eco più forte? Dopotutto, l’anima vi ha risieduto più a lungo che in qualsiasi abitazione.»

Il Ministro non rispose. Stava pensando agli effetti del Prior Incantatio, alle ombre che guizzavano fuori della bacchetta, pronte ad accusare il Mago assassino.

Pensava all’ombra di Voldemort.

Lo avrebbe accusato? O gli avrebbe chiesto di eliminare Potter, credendolo responsabile della propria morte?

Di colpo, non gradì affatto l’idea che Crouch junior recuperasse una qualsiasi forma di consapevolezza. Scattò in piedi e posò il bicchiere.

«La ringrazio molto per l’ospitalità, dottore. Devo dire che lo spettacolo… ha superato le mie aspettative. Sarei molto lieto di continuare a discutere con Lei le implicazioni di questo successo straordinario, ma, purtroppo, altri impegni mi attendono.»

«Naturalmente. Signor Ministro, io resto a Sua disposizione.»

«Ne sono certo. Prosegua il lavoro, mi raccomando. No, non si disturbi: ormai conosco la strada.»

Uscì dalla stanza a passo lesto, già assorto nei piani di guerra.

Che importava se – finora! – il successo era solo parziale? Cosa non avrebbero potuto ottenere, con un pizzico di Arti Oscure in più?
Cari Babbani, la vostra ora è scoccata!
Si scoprì a ridere, non per l’imminenza del trionfo, ma perché gli era tornata alla mente Rita Skeeter: quanto avrebbe pagato, la vecchia vipera ficcanaso, pur di mettere le mani su quell’esperimento!

Del resto, l’aveva licenziata proprio per evitare che lo scoprisse.

E, per fortuna, di lì a poco, Barnabas Cuffe aveva fatto altrettanto, spontaneamente. Lucius non aveva fatto pressioni, neanche velate, ma il pubblico della Gazzetta sì: la cronista d’assalto, all’indomani della sua cacciata dall’Ufficio per la Trasparenza e la Comunicazione Esterna, si era vendicata con un articolo molto velenoso sullo strano interesse del Ministro per le armi Babbane. Ma i lettori non avevano apprezzato minimamente l’insinuazione che Lucius Malfoy intendesse instaurare una qualche forma di dittatura sul Mondo Magico servendosi proprio della tanto disprezzata tecnologia.

Cosa direbbe Rita, adesso?
Tutto il Ministero ha studiato i Babbani, non solo le loro armi, e siamo pronti per la guerra che avremmo dovuto scatenare qualche millennio fa.
Ma quella piccola intrigante non potrà raccontarla. Neanche il
Cavillo ha accettato di assumerla.
Ridacchiando, Lucius si infilò nell’ascensore.
Doveva mettere alla frusta quei lavativi degli Auror.

Meno di cinque minuti dopo, due funzionari dall’aria preoccupata, che si scambiavano occhiate circospette, uscirono dall’ascensore e si incamminarono verso l’ufficio del Ministro. Nessuno di loro era ancora riuscito ad abituarsi alle convocazioni improvvise: il loro istinto di sopravvivenza burocratica le percepiva come minacce e reagiva obbligandoli a portarsi dietro qualche quintale di documenti assortiti.

La porta dell’ufficio, socchiusa, si spalancò prima che bussassero.

«Prego, accomodatevi,» li invitò Lucius Malfoy, già seduto alla scrivania, indicando le sedie di fronte.

I funzionari obbedirono, ma non sembravano affatto comodi; sulle spine, semmai.

E il sorrisetto sulle labbra del Ministro non li rassicurava affatto.

«Molto bene, carissimi,» esordì Lucius, il sorriso che si allargava in un ghigno. «Vi dirò subito perché siete qui: voglio, naturalmente, il consueto rapporto settimanale sull’avanzamento dei vostri programmi operativi… E voglio una data per l’azione.»

I due sussultarono, come colpiti da una Fattura Pungente; Malfoy parve non farci caso.
«Robards, il Programma Giant Fury
Gawain Robards – nominato Direttore dell’Ufficio degli Auror all’indomani dell’ultima battaglia, principalmente per mancanza di concorrenti – deglutì nervosamente e rispose: «S-signore, ci manca ancora qualche dato…»

«Di che genere?»

«Dati sulla Marina, signore. Non sappiamo quale ruolo potrebbero giocare quei loro sottomarini a testata nucleare.»
Bastò uno sguardo del Ministro a farlo sentire un emerito cretino.

«Nessuno, naturalmente. Credi davvero che attaccherebbero le loro stesse città? Al diavolo la Marina, quelli che mi preoccupano sono l’Esercito e l’Aviazione. Quindi, se non ci sono altri dati mancanti…»

«Nossignore!» si affrettò a rassicurarlo Robards.

«Tutte le basi militari sono sorvegliate dalle Creature Oscure?»

«Sissignore!»

«I Dissennatori stanno... lavorando sul morale delle truppe?»

«Sissignore!»

«E a quanto ammontano i nostri effettivi?»

Quella era la domanda cruciale; e fu seguita da un istante di silenzio.

La Seconda Guerra aveva lasciato il Ministero in ginocchio: circa il sessanta per cento del personale era caduto sul campo. Gli Auror, poi, erano stati pressoché annientati e la ricostituzione del Corpo – essenziale per i piani di Lucius Malfoy – procedeva lentamente. Troppo lentamente.
«Signore.» Robards esitò. «Dunque, signore. L’Ufficio per l’Applicazione della Legge sulla Magia può contare su trentacinque Maghi adatti al combattimento, di cui… di cui otto Auror.»

«Otto Auror,» ripeté il Ministro, scandendo le parole.

«Sissignore» mormorò il malcapitato.

«Un anno e mezzo di lavoro, Robards, e questo è il risultato?»

«S-Signore, la Scuola per Auror…»

Neanche lo lasciò finire. «Mi pareva di essere stato chiaro: tutti gli allievi della Scuola devono essere immediatamente promossi Auror in prova. Si guadagneranno il posto di lavoro sul campo di battaglia.»

«Signore, con tutto il dovuto rispetto, questo potrebbe compromettere l’esito delle operazioni.»

«Spetta a te fare in modo che non sia così. Non lasciarli agire da soli, falli sorvegliare dai veterani. Devo forse risolverti tutti i problemi di dettaglio?»

«N-no, signore.»

«Bene. Perché a me importa il risultato: voglio che gli eserciti delle Isole Britanniche si squaglino come neve al sole. Di come riuscirci, preòccupati tu.» Si voltò verso l’altro funzionario: «E tu, Doolittle? Il Programma Confundus

«Pronti all’azione, signore!»

Lucius gratificò con un sorriso l’entusiasmo di quella sua creatura. Lo aveva scovato nei bassifondi di Knokturn Alley, invischiato fino al collo nelle Arti Oscure e in trame ancor più oscure. Nessuno l’avrebbe mai sospettato, osservando quel viso aperto e gioviale, ma Doolittle era il ragno giusto da mettere al centro di una tela estesa a tutto il mondo Babbano. Al momento giusto, avrebbe seminato il panico tra i Babbani e paralizzate le loro capacità di risposta agli attacchi veri.
E, con un sucesso di quella portata nel suo curriculum, sarebbe stato l'unico candidato per la successione a Robards.

«Tutti i Vermicoli sotto controllo?»

“Vermicoli” era il nome in codice assegnato a membri del Governo, parlamentari ed esponenti di spicco delle forze dell’ordine.

«Sissignore.»

Tutti sotto Imperius. Molto bene.

Peccato non poter costringere i Babbani a distruggersi a vicenda! Ma quelle loro dannate armi erano davvero troppo pericolose.

«Ebbene, signori? Sto aspettando la data.»

Doolittle fissò Robards, che si umettò le labbra e disse:

«Hallowe’en.»

Lucius gli elargì un gran sorriso.

Note:
Questo capitolo è un po’ corto - scusatemi - ma, in compenso, mi sembra ricco, almeno di informazioni. Vi avviso già che, molto probabilmente, il prossimo si farà attendere alquanto: ci sto lavorando da un pezzo e ancora non quadra. Perciò, nel frattempo proseguirò il prequel (anche per evidenti ragioni di opportunità).
Ebbene, ecco a voi uno dei progetti supersegreti del nostro Ufficio per la Ricerca nelle Arti Magiche, già Ufficio Misteri. Che ve ne pare?
Non so voi, ma io sono rimasto così impressionato dalla Stanza dei Cervelli che non ho potuto fare a meno di immaginare esperimenti sui cadaveri. Di lì a questo capitolo, il passo è stato breve.
So bene che, nel Mondo Magico, non ci sono lauree vere e proprie, ma come avrei potuto non chiamare "dottore" lo scienziato pazzo del momento?
Gawain Robards è un personaggio canonico, il successore di Scrimgeour alla guida degli Auror: molto probabile che sia un semplice esecutore, non credo che il vecchio Rufus mollerebbe davvero le redini dell’Ufficio, non in tempo di guerra. Doolittle, se non ricordo male, è un eroe della Seconda Guerra Mondiale, autore del primo bombardamento su Tokyo.

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Capitolo 9
*** Il funerale di Caramell ***


Il funerale di Caramell



Il funerale di Caramell



Ringraziamenti:
su questo cap. mi sono arrovellato fin da quando ho cominciato a scrivere la storia. Da mera digressione, esso si è via via trasformato in uno snodo importante della trama e, così, la mia
impasse ha finito per bloccare l'intera fic. Forse dovevano proprio passare dieci anni, perché potessi tornare a lavorarci in maniera nuova, più tranquilla e distaccata. Ma comunque, non è senza trepidazione che lo presento al giudizio del pubblico.
E adesso, i recensori, che hanno tutto il diritto di maledirmi per il decennio di attesa...
Mariademolay: hai ragione sulle controindicazioni genetiche, ma diciamolo, il semplice fatto che la
limpieza de sangre venga valutata secondo la quarter rule e non la one-drop rule dice tutto sul fatto che, gratta gratta, nessuno ha il sangue veramente “puro”. Soprattutto, nel frattempo è uscita la pagine “Pure-Blood” di Pottermore, che ci dice che i Potter – quantomeno in passato – hanno sposato Babbani (!) e che non fanno parte delle cc.dd. “Sacred Twenty-Eight”, quindi già il matrimonio di Dorea andrebbe considerato sospetto. Per contro, e scusa se divago un momento, mi sembra lecito chiedersi quanto sia reale il cambiamento post-Seconda Guerra, dato che l'elenco dei cognomi geneticamente irreprensibili comprende anche gli Shacklebolt. Va bene l'aristocrazia illuminata, ci mancherebbe, ma quanto sono salde le reti relazionali tra Purosangue? Parecchio, ci scommetterei. Castelli, forzieri alla Gringott, secondo me anche trust magici in stile maggiorascato, per preservare l'unità del patrimonio tra le generazioni... e poi, tutti parenti, cugini e cognati, in un mondo che già è piccolo di suo.
Sì, il “What if...?” ci starebbe tutto, e naturalmente ho introdotto queste lettere perché Draco scopra un risvolto del passato di sua madre che gli era completamente ignoto... solo che nel frattempo l'ho dimenticato anch'io! E così, me lo dovrò reinventare. Magari salterà fuori una storia a sé, anche se preferirei finire quelle già cominciate (sarebbe l'ora, me lo dico da solo!).
Che sta combinando Lucius? Be', si vede che il “piccolo mondo antico” con le bacchette gli dà un senso di claustrofobia, vuole allargarsi e non si accontenta di ridurre in schiavitù i Babbani, come Grindelwald a suo tempo. Il suo problema, quando si tratta di lanciare una guerra di conquista, è che i Maghi non sono mai stati numerosissimi, ma due guerre in così poco tempo li hanno proprio falcidiati. E quindi, deve provarle tutte per infoltire i ranghi, anche tentare esperimenti folli come quelli sulla reversibilità del Bacio. Sì, credo si sia visto che l'idea di una “resurrezione” di Crouch lo ha preoccupato alquanto... ma, verosimilmente, ha autorizzato, a suo tempo, l'impiego come cavie umane di tutte le vittime dei Dissennatori, in massa: non ha pensato a nessun nome in particolare e certo non gli è venuto in mente che, tra tutti, proprio Barty Crouch dovesse dimostrarsi il più reattivo. Al momento, più che all'Avada precauzionale, sta pensando alla soluzione di Davide con Uria (anche se non credo che ragioni in termini di analogie bibliche).
Sabry: no, Lucius non perde tempo davvero, del resto comincia a sentirsi impaziente, dopo un anno e mezzo di preparativi. Pensi davvero che il mio sia migliore di quello della Row? Non sono degno... anche se certo, gli errori cretini durante la Battaglia ci sono stati eccome! Ma, secondo me, in parte ha imparato dall'esperienza, in parte ragiona meglio ora che non deve più fare i conti con la pazzia omicida di Voldemort, in parte dev'essere più facile governare il Mondo Magico postbellico che fare il comandante in seconda di una pattuglia di Mangiamorte, che mi dan tanto l'idea di vivere all'insegna del motto “Ognun per sé e Avada Kedavra per tutti”. Povero Lucius, quante volte deve essersi detto “Potrei conquistare il mondo con questi Maghi... se solo riuscissi a far puntare tutte le bacchette nella stessa direzione!”.
Comunque, gli sviluppi ci saranno. Presto.
Ne vedrete qualcuno già qui. Minore, magari... ma è questione di opinioni.

Try now we can only lose
And our love become a funeral pyre
.

[J.M., Light My Fire]



A Londra, sulla soglia della piccola chiesa di Nostra Signora della Vittoria, il parroco, don James Mowett, F.S.S.P., scrutava corrucciato il mattino londinese, a dire il vero non più uggioso del solito, ma fin troppo intonato ai suoi paramenti neri. Anche la statua di San Michele, che sorvegliava l'ingresso, appariva scura in volto, sotto quel cielo velato, come se neppure l'Arcangelo psicagogo gradisse attendere un defunto in modo tanto irrituale.
Irrituale e imposto.
Don James, di norma, guidava i cortei funebri fin dalla camera ardente, facendo pregare i dolenti lungo tutto il percorso, come Santa Madre Chiesa comanda. E sapeva bene quanto ci avrebbe tenuto questo defunto in particolare, così attento alle regole, tanto sensibile al fascino della Liturgia.
Sospirò. A Caramell sarebbero mancati il De Profundis, il Miserere, la processione che accompagna il feretro all’interno della chiesa... Purtroppo, la famiglia si era opposta recisamente alla sola idea: secondo loro, era già abbastanza disdicevole che il loro congiunto ricevesse un funerale Babbano; non intendevano “mettere in piazza una simile vergogna”. Il nipote, Rufus, si era espresso proprio così e don James, pur abituato ad incontrare ostilità verso i cattolici, tanto più se tradizionalisti, non aveva potuto fare a meno di sentirsi ferito.
D’altra parte, non aveva mai sperimentato sulla propria pelle il razzismo. Fino a due anni prima, non conosceva neppure il termine “Babbano”: l'aveva appreso proprio dal fu Cornelius Oswald Caramell, alla sua prima Confessione.
Ricordava perfettamente il suo tono di voce, esitante, venato di ansia contenuta a stento: “Padre, io sono un Mago”.
Nessuna risposta dall’interno del confessionale; solo un silenzio esterrefatto.
Non mi crede, vero? Be’, non so darLe torto. E’ sempre così, con i Babbani…”
E, ben presto, don James aveva dovuto ammettere che quella personcina anzianotta, in apparenza insignificante, diceva la verità.
Dirigere la sua anima non era certo stato facile. Povero Caramell, così tormentato dai rimorsi, così preoccupato per il Mondo Magico e per la sorte dei Babbani… Anzi, a dire il vero si sentiva responsabile della sorte di tutti quanti, nonché colpevole di ogni minimo guaio degli ultimi vent’anni o giù di lì.
Era sorprendente che un animo tanto provato avesse retto così a lungo, fino all’ultimo colpo: la morte della moglie. Tre mesi prima, un Cornelius taciturno gli aveva riferito la notizia, in tono quasi privo di emozione: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore."
Da allora, non l'aveva più visto. Era passato più volte a casa sua, ma senza trovare mai nessuno.
E adesso, il Signore aveva chiamato a sé questo Giobbe del Mondo Magico. Sazio di giorni, e di giorni amari. Abbandonato da tutti quelli che si erano proclamati suoi amici, nei giorni della gloria…
Ci sarebbe stato qualcuno, oltre ai parenti più stretti, presenti solo per dovere d'ufficio? Difficile: quella cerimonia scandalosa era una vergogna da non mettere in piazza, giusto?
Si riscosse: lupus in fabula. In fondo alla piccola piazza era comparso un corteo sparuto e variopinto, con una bara in testa.
E' già un miracolo che ci sia una bara, anziché un sudario...
Don James si affrettò a rientrare in sacrestia; passando, gettò uno sguardo alla navata, pressoché deserta – Caramell non aveva legato granché con gli altri parrocchiani - e vide i cantori in talare e cotta, già seduti ai loro posti, pronti a intonare, con la consueta maestria, i venerabili neumi della Missa Defunctorum in die obitus seu depositionis.
I chierichetti lo attendevano, un poco sconcertati di vederlo già parato.
«Tutto a posto, il feretro sta arrivando. Ah, Samuel, non hai preparato il turibolo, vero?»
«No, Reverendo.» Il più grande dei due ragazzi arrossì; un cenno di don James lo bloccò un attimo prima che si precipitasse a rimediare.
«La fretta non è mai decorosa, Samuel. I movimenti di chi serve all’altare devono essere…?»
«Composti e simultanei» risposero i ragazzi all’unisono.
«Esatto. E poi, il turibolo non serve: non si fa l’assoluzione al tumulo.» E meno male: Samuel non era un turiferario molto in gamba. D’altra parte, Daniel era troppo piccolo per quella mansione… e nessuno dei due era stato addestrato abbastanza a lungo.
Colpa sua, naturalmente: con Duncan si era abituato troppo bene. Un chierichetto modello, suo nipote, tanto che lo zio Sacerdote aveva accantonato il problema di reclutarne altri, come se non dovessero mai essere necessari. Invece, il tempo se n'era volato via: Duncan Mowett era partito per la scuola… e che Scuola!
Ormai, era entrato nel mondo di Caramell.
Il mondo dei Maghi.
Cornelius, figlio mio, amico mio, non ho fatto in tempo a parlartene. Cosa ne diresti, se fossi qui? Saresti preoccupato per lui come lo sono io?
E di colpo, senza ragione apparente, avvertì un brivido di paura.
Per scacciarlo, si concentrò sui due chierichetti. Perlomeno, figuravano bene in talare e cotta.
Si voltò verso la Croce e notò, con piacere, che i ragazzi lo imitavano senza esitazione. A Dio piacendo, la Messa sarebbe stata servita in modo decoroso.
«Reverentia Cruci» ordinò.
Si inchinarono tutti e tre, con una sincronia che lo stupì.
Forse avrebbe potuto trasformarli nei degni eredi di Duncan.
Si raddrizzò; stavolta i ragazzi persero una frazione di secondo. Pazienza.
«Procedamus in pace.»


Ricadendo in un riflesso condizionato duro a morire, la sua mente abbozzò una rapida descrizione della scena: entrava il feretro, che apriva il corteo, portato a spalla da quattro Maghi, Rufus Caramell in testa. Bara di legno chiaro, molto semplice, senza intagli né decorazioni di sorta. Portatori quasi frettolosi. E all'interno, in attesa, quel poggia-bare – o comunque si chiamasse – così lugubre, ricoperto di velluto nero, con quattro candele gialle ai lati…
Poteva essere un buon attacco per un pezzo scandalistico? Dallo sconcerto per il rituale Babbano si poteva passare alla sensazione? O anche la soffiata che l'aveva condotta fin lì si sarebbe aggiunta all'elenco dei suoi giri a vuoto, che stava diventando interminabile?
L'esordio dei cantori interruppe le sue riflessioni:

Subvenite, Sancti Dei,
Occurrite, Angeli Domini…


Automaticamente, i suoi occhi corsero all'opuscoletto preso nell’ingresso (Ah, i vantaggi di arrivare in anticipo!); trovò subito il testo e si mise a seguire il canto.
Se la traduzione gli rendeva giustizia, l’inno era davvero toccante; metà del suo cervello reagì comportandosi come una Penna Prendiappunti, mentre l’altra metà riprendeva a studiare il corteo, quei pochi Maghi che, adesso, prendevano posto nei banchi.
Ai suoi occhi, il loro aspetto appariva perfettamente normale... considerato che si erano travestiti da Babbani. Ma, a giudicare dalle loro occhiatacce, i Babbani veri non pensavano che poncho, sombrero e camicie da notte fossero indumenti adatti a un funerale.
Non che questo facesse sensazione. A chi importava dell'etichetta Babbana?
Aguzzò gli occhi, cercando di riconoscere i presenti nonostante quell'abbigliamento insolito, che sembrava studiato apposta per celare i lineamenti dei partecipanti. (Niente di più facile, in effetti)
Sussultò.
Lui qui!?
Come aveva fatto a non notarlo prima? In mezzo a quel drappello di Maghi camuffati, spiccava come… come un’Avada Kedavra.
Paragone più che azzeccato, visto il personaggio.
Si era vestito da Mago. In una chiesa Babbana!
Ah! Ecco lo scandalo!
Violazione dello Statuto di Segretezza... Le prudevano già le dita.
Ma, osservandolo meglio, dovette riconoscere che l’ampio mantello era molto più sobrio e discreto di tanti travestimenti… incluso il suo.
Eppure, le era piaciuto al primo sguardo quel... come si chiamava? Ah sì, “pareo”. Color magenta con gallonatura verde acido: i suoi colori preferiti!
Notando che tutti erano già ai loro posti, si infilò nello stesso banco - più o meno a metà dell'edificio - scelto dall'uomo col mantello: era il più vicino e offriva senz'altro la compagnia più interessante.
Questi, guardandola fissa, posò sul banco, accanto al libretto dei testi, la bombetta che teneva in mano; per quanto non le andasse affatto di posare il suo cappello a cucù – tendeva a cantare fuori orario, se non lo teneva in testa – pensò bene di imitarlo. E, per buona misura, lanciò sul copricapo un Incantesimo Tacitante: hai visto mai...
In quella, si udì un tocco di campana; il suo vicino di banco non ebbe bisogno di consultare il libretto per inginocchiarsi.
La metà Prendiappunti del suo cervello, ormai, stava sfornando un vero componimento. Ma lo scoop restava ancora fuori portata.


Mentre entrava in presbiterio, preceduto dai chierichetti, don James si sentì un po’ sollevato: il Subvenite, a stretto rigor di rito, non faceva parte della Messa esequiale; Cornelius avrebbe avuto almeno il conforto di un canto proprio dell’accompagnamento alla chiesa, quel rituale non sarebbe stato omesso del tutto.
Cornelius, figlio mio, amico mio, perdonami se non ho potuto far rispettare appieno le tue volontà. Questo non è tutto quello che avresti voluto. Ma è tutto quello che sono riuscito ad ottenere.
Neanche la sepoltura in terra consacrata
... Quello gli bruciava di più. Molto più di un funerale con qualche parte accessoria in meno.
Si era offerto di consacrare almeno il luogo dove sarebbe stata inumata la salma... niente. Anzi, solo risate di scherno.
Mentre l'inno terminava, vide, con la coda dell’occhio, che, deposto il feretro, i portatori sciamavano verso i primi banchi, già occupati da altri personaggi – parenti e amici, supponeva – il cui abbigliamento riuscì a sbalordirlo. (E viveva a Londra!)
Ma non perse un colpo: si voltò e controllò la posizione dei due chierichetti. Perfetta.
Con la regolarità dei metronomi, genuflessero tutti insieme al Santissimo Sacramento; quindi si rialzò, mentre i ragazzi si ponevano in ginocchio ai suoi lati.
«In Nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.»
«Amen.»
«Introibo ad altare Dei.»
«Ad Deum qui laetificat iuventutem meam.» Qualche voce dai banchi si unì alle risposte. Il Coro, per il momento, taceva: avrebbero eseguito l’Introito più avanti, visto che i sussidi distribuiti in chiesa erano pensati per la Messa letta.
«Adiutorium nostrum in Nomine Domini.» Segno di Croce in sincronia, il gesto della mano spartito secondo le parole.
«Qui fecit caelum et terram.»
Don James si perse nella maestà della Liturgia.


Pur incuriosita – molto incuriosita - dall’uomo al suo fianco, la donna si scoprì a seguire, affascinata, quello stranissimo scambio di battute. Ai funerali cui era abituata, la sola idea di recitar formule prefissate dando le spalle al proprio pubblico sarebbe parsa a dir poco assurda: dopotutto, la gente veniva per sentire un bel discorso e poco altro. Oh, certo, esistevano canovacci e repertori di luoghi comuni... ma questa era tutta un'altra cosa.
Quei tre tizi, così ieratici negli abiti e nelle movenze (tanto più impressionanti nei due ragazzini, poi!), non erano lì per loro. Era chiaro come il sole che avrebbero compiuto il proprio dovere con cura identica e nell'identico modo anche se la chiesa fosse stata del tutto deserta. Come se stessero facendo qualcosa di più importante: tutto il loro contegno lo suggeriva.
Dunque, perché, o per chi, questo scandir frasi in una lingua misteriosa?
Non potevano certo credere che si trattasse di un Incantesimo!
A beneficio di chi, poi? Del morto?!
Mah! Non era neanche detto. Di lui, dopotutto, non si parlava nemmeno di sfuggita...
Cosa stavano recitando, adesso?
Scorse la traduzione: «Confesso a Dio Onnipotente, alla Beata Maria sempre Vergine…»
Ah, quindi parlavano a qualche Entità invisibile, ben più importante di tutti i mortali presenti. Sembrava una cosa del tipo “Mi rimetto alla clemenza della Corte”... Anzi, no. “Io ne ho fatte di cotte e di crude, quindi raccomando Tizio alla clemenza della Corte”. E Tizio - ciascuno dei Tizi presenti - ricambia il favore.
Boh!
L’uomo alla sua destra stava recitando quelle formule con particolare fervore.
La metà Prendiappunti del suo cervello aggiunse un altro punto interrogativo all’enigma. Un punto interrogativo bello grosso.
Niente scandalo, no, forse no... Magari un'inchiesta, però. Sul rituale Babbano, sul suo compagno di banco, o su entrambi.
Poteva anche andare.
«Indulgentiam, absolutionem et remissionem peccatorum nostrorum tribuat nobis Omnipotens et Misericors Dominus.» Ah, allora quella crocetta nel testo indicava un gesto ben preciso. Sembrava un po’ complicato, doveva vederglielo rifare.
«Amen.» Stavolta si unì alla risposta, semplicemente perché l'aveva sott'occhio.
Non notò la fuggevole occhiata in tralice dell’uomo al suo fianco.


A capo scoperto, ma ben avvolto nell’ampio mantello da Mago, sperimentava quelle stilettate improvvise che soltanto i ricordi sanno infliggere, allorché filtrano o erompono da compartimenti che credevamo stagni. Ricordi carichi d'anni, eppur tanto gravidi di emozioni che sembra d'essere tornati a quel preciso momento...
...Sull'altare, a servir Messa. In ginocchio, accanto al Sacerdote. L'orgoglio di aver imparato subito a rispondere. La mamma, fiera, che ti osserva – non la vedi, ma lo sai – da un banco in fondo. La compostezza di gesti e postura, perché ci si trova alla Presenza del Signore.
La Croce dorata che quasi ti fissa dal centro dell'Altare, le candele accese, muto invito a consumarsi nella preghiera...

Come fosse ieri. E invece...
Cos'era successo? In quale momento - lungo il corso degli anni, delle vicissitudini, del dolore – si era perso quel bambino?
Quando, dove, perché il Dio che pregava fino alle lacrime l'aveva abbandonato?
Lacrime...
Aveva smesso di piangere molto prima di cominciare a uccidere.
La mamma, aveva pianto per la mamma? Forse no. Forse quella sorgente era già asciutta allora. Inaridita ben prima che le candele di cera vergine, il velluto nero del catafalco, l'incenso e – al termine dell'ordalia – la tremenda bellezza del Libera Me, Domine si portassero via quell'adolescente superficiale e spensierato, che non sapeva piangere e da troppo tempo aveva dimenticato come pregare.
Il bambino che conosceva i segreti della preghiera e delle lacrime era entrato a Hogwarts.
Il bambino nato Babbano s'era perso nell'aula di Difesa.
Oh, certo, era tornato a casa per le vacanze e, la Domenica, eccolo di nuovo a Messa, per accompagnar la mamma; ma non aveva più servito all'Altare. Non che ci fosse stato un motivo particolare: semplicemente, aveva la testa da un'altra parte. Distratto da tante cose, affascinato dai mille segreti della Magia... e tutto preso dal sogno di diventare un Auror. Il migliore degli Auror. Un sogno mille volte più affascinante di qualunque rituale Babbano, anzi, di tutto quel mondo che si era lasciato alle spalle.
E allora perché, dopo che aveva coronato quel sogno e dopo decenni interi di lontananza, sembrava che non fosse trascorso neppure un giorno? Perché la Liturgia tornava a parlare al suo cuore come se fosse sempre rimasto il bambino felice, tutto fiero di inginocchiarsi ai piedi dell'Altar Maggiore?
Quel bambino che scoppiava in lacrime al minimo sospetto d'aver offeso Gesù... cos'avrebbe mai fatto, se avesse previsto che sarebbe diventato un assassino di professione? E il ragazzo spensierato? Avrebbe fatto altre scelte, se avesse saputo che diventare il migliore degli Auror significava questo?
Se avesse visto – se soltanto avesse visto! – dove conducono e come sfumano i sogni di gloria, le grandi speranze...
Il Confiteor del celebrante giunse come il colpo che fa crollare una diga: d'un tratto, doveva lottare contro un groppo che gli serrava la gola, gli bruciavano gli occhi...
Per sua madre non aveva versata una sola lacrima, prima inebetito dallo shock, poi... congelato. Un blocco di ghiaccio che non s'era sciolto né incrinato, mai; neppure quando un profumo, un fiore, un bel voto, una sciocchezzuola qualsiasi gliela riportava alla mente d'un tratto, facendogli sentire tutto il peso dell'assenza, del vuoto incolmabile... No, neppure allora.
Ma adesso, oh, quanto avrebbe pianto volentieri per sé stesso!
Si odiò per una simile manifestazione di egoismo; eppure... Eppure, non aveva forse ragioni sufficienti per piangere? Ne aveva da vendere! Sogni sfumati, no, peggio: sogni realizzati che ti lasciano l'amaro in bocca. Una vita che sembrava sempre più sprecata, ad ogni giorno che passava. E morti, tanti morti sulla coscienza...
Si aggrappò al Confiteor dei fedeli come ad una zattera nella tempesta, cercando un punto d'appoggio nell'oggettività della Liturgia, nel velo che offriva al pudore dell'anima; riuscì, almeno, a recitar la formula senza che la voce cedesse al tumulto interiore.
Si unì di cuore al Sacerdote che invocava il perdono divino; l'antica abitudine, riaffiorata insieme con il torrente dei ricordi, guidò la mano nel segno di Croce, in sincronia con le parole dell'Indulgentiam.
Una vita in rovina. E ora, questo stupore inatteso. La scoperta di un vuoto profondo nel cuore: come aveva fatto a non accorgersene mai, a trascinarselo dietro inavvertito per anni e anni?
Era soltanto la delusione di un vecchio finito che lo portava a riscoprire Dio? A pensare di aver sbagliato tutto proprio perché si era dimenticato di Lui?
Oppure era possibile che Dio, nonostante tutto, lo stesse cercando, che davvero, attraverso i ricordi, le formule, le cerimonie, gli stesse parlando? Proprio a lui?
Trattenere le lacrime si stava rivelando difficile.
Dov’eri, Signore? Dove sei stato, in tutti questi anni?
E quasi sobbalzò:
«Dominus vobiscum» parve rispondergli il celebrante.
«Et cum Spiritu tuo» ribatté automaticamente. E poi comprese.
Ma certo! Dio non si era allontanato mai.
Coincidenze come quella erano la Sua firma, il Suo messaggio in codice. Un codice chiarissimo per i bambini, ma nascosto in eterno ai sapienti di questo mondo.
Perdonami, Signore. Interrogo, quasi accuso Te, quando mi sono allontanato io
La pausa di silenzio dopo l’Oremus gli consentì di immergersi nel colloquio con Dio, ripreso con tanta naturalezza. Come se veramente tutti quei decenni di lontananza non contassero più di qualche ora, o fossero soltanto una buona ragione per sentirsi dire: Bentornato!


Sempre più sconcertata, ma avvinta quasi suo malgrado, la donna osservò quell’uomo alto, rivestito di bianco e nero con galloni dorati, incedere sui gradini – era il solo verbo adatto: incedere – e baciare l’altare.
Il silenzio le parve denso di significati, quasi più delle parole stesse. Qualcosa di cui il Mondo Magico non aveva né esperienza né memoria.
La magia del silenzio.
Neanche gli Incantesimi non verbali vi si avvicinavano.
La voce del Sacerdote la riscosse da quella riflessione per immergerla in una magia diversa, intonando poche note semplici, ma capaci di suscitare profondi brividi.
«Requiem…»


E il Coro si unì al celebrante nel canto dell’Introito.
«…aeternam dona eis, Domine…».
Cornelius, ovunque tu sia, spero che tutto questo ti serva, spero che tu adesso stia meglio.
Stavolta pregò e fu consapevole di pregare. Consapevole e, in un modo bizzarro, felice. Poteva fare di quel canto la propria preghiera, poteva scoprire, nella semplicità, quasi nell’astrattezza di quelle formule e melodie, ciò che era sempre mancato a tutti i suoi addii da Mago.
Riposa in pace, Cornelius. Qualunque cosa significhi, riposa in pace. Hai sofferto abbastanza.
Tutti noi abbiamo sofferto abbastanza.

Dovette frenare le lacrime, frenare la marea improvvisa dei ricordi.
La marea del dolore.
Ad Te omnis caro veniet, “A Te giungerà ogni creatura”. Quanto era vero! Quanti, quanti morti… e quanti sbagli…
Quanto c'era da pregare che alla fine, nella Giustizia o nel Perdono, tutto trovasse un senso!
Un senso per i morti, un senso per gli errori…
Quanti peccati. Quanto sangue.
Ho perso il conto degli uomini che ho ucciso…
Forse non avevo scelta, ma a che è servito? Ne è valsa la pena? Essere giudice e carnefice, eroe e vittima?
Anni interi a combattere, soffrire, massacrare, odiare… per cosa?
Per tornare,
sempre, a combattere e odiare.
Alla fine, tutto si riduceva a questo... e una distesa di tombe.

Solo uno dei suoi occhi poteva ancora versare lacrime, ma pareva che ne contenesse per due.
L’uomo sfogò il proprio strazio ripetendo l’invocazione del Sacerdote: «Kyrie, eléison!» “Abbi pietà, Signore!”.
Tre volte tre… i nove cori degli Angeli… Ricordi vaghi, che significavano soltanto: “Non sei solo”.
"Non sei solo ad affrontare il dolore, la morte. Soprattutto, non sei da solo quando affronti te stesso, quando sei costretto a guardarti dentro e a scoprire tutti i tuoi errori, uno per uno, parevano cose giuste e invece son disastri.
Non sei solo.
Io sono con te.”

Di nuovo il silenzio. La pace dell’abbraccio invisibile.
Una pace che richiedeva attenzione: era il momento della lettura.


Cominciavano a farle male le ginocchia: non erano affatto abituate a quella posizione. Meno male che, adesso, il foglietto indicava che poteva sedere!
Sgranò gli occhi: il brano, lo stesso che il Sacerdote stava leggendo in Latino, con voce convinta e commossa, sembrava scritto apposta per rispondere a tante sue domande.
Fratelli, non vogliamo che restiate nell’ignoranza riguardo a coloro che dormono, affinché non vi rattristiate nello stesso modo degli altri, che non hanno la Speranza.”
Speranza. Un vocabolo quasi beffardo, se applicato alla realtà della Morte, a quel Mai più che ogni giorno, ogni memoria, ogni foglia che cade rende più definitivo. Troppo definitivo perché resti qualcosa di simile alla Speranza. E con la maiuscola, per di più!
Però, a pensarci bene, forse era una maiuscola meritata: poteva trattarsi soltanto di qualcosa di soprannaturale. I fantasmi, certo, dimostravano che qualcosa esisteva anche dopo; ma vivevano una pallida imitazione della propria esistenza trascorsa, niente di più.
Cosa succedeva, invece, ai tanti che non restavano indietro?
Nessuno l'aveva mai scoperto. Nessuno. Mai.
“Perciò consolatevi l’un l’altro con queste parole”.
Sembrava così semplice


L’uomo lottava con questa stessa semplicità, quasi banale, o forse irridente, di fronte ai fiumi di sangue che aveva versati. Valeva anche per le sue vittime, questa Speranza? Per quanti sapevano poco o nulla della vera Religione?
Valeva anche per lui? C’era la risurrezione, d’accordo; ma c’era anche il perdono?
«…In memoria aeterna erit justus: ab auditione mala non timebit,» gli suggerì, in tono di salmo, il canto del Graduale. Poteva aspirare alla qualifica di “giusto”? L’istintiva ripugnanza per l’omicidio – mai venuta meno, neanche quando la guerra era stata veramente dura – l’aveva trattenuto dagli eccessi di tanti suoi colleghi, questo sì; ma poteva bastare? Poteva contare qualcosa?
Signore, aiutami Tu; solo Tu puoi darmi una seconda possibilità, permettermi di riparare, in qualche modo…
Ancora una volta, la risposta giunse dalla Liturgia, dall’implorazione del Tratto, così composta e tuttavia struggente:
«Et gratia tua illis succurrente…»
Ma certo! Come aveva potuto dimenticare? La Grazia: la mano tesa di Dio. La Mano che ti aiuta a rialzarti, non importa quante volte tu possa cadere e ricadere, basta che la cerchi.
Quante volte mi hai cercato, Signore? Quante, mentre io ero distratto, completamente preso da una vita senza di Te?
Quante volte avresti voluto che Ti cercassi?
E quante volte, senza neppure saperlo, lo avrei voluto anch’io? Quante tristezze e malinconie, nelle mie notti sempre all'erta, erano dovute alla Tua mancanza?
E come hai fatto, adesso, a portarmi qui, proprio oggi? A bussare al mio cuore, che mi sembra non abbia neppure più una porta…?



Don James, all’altare, intonò la Sequenza. Un gioco di quattro note la cui semplicità incantava i compositori da secoli interi.
«Dies irae, dies illa…»
Cantò la prima strofa, poi, mentre il Coro riprendeva la melodia («Quantus tremor...»), scese, genuflesse insieme con i chierichetti e si portarono al lato dell’Epistola, dove si trovavano gli sgabelli. Sedettero giusto in tempo per intonare la terza strofa.
Con il campo visivo sgombro da qualsiasi possibile fonte di distrazione, don James meditò la nuda severità del testo, vide come, a poco a poco, l'autore si schiudesse alla realtà di un Amore più forte della Morte e, trepidante, vi cercasse rifugio. Sperava con tutto sé stesso che Cornelius – cui la morte improvvisa, la più pericolosa di tutte, non aveva consentito di ricevere gli ultimi Sacramenti – avesse fatto altrettanto, nell’ultimo istante utile; che i rimorsi non l’avessero trascinato alla disperazione finale, così comprensibile, umanamente parlando, ma anche irredimibile, nella superba Negazione della Misericordia…
Le sue pupille si affissero sul catino absidale, al cui centro l’augusta Titolare della chiesa, Nostra Signora della Vittoria, elevava al Cielo, nell’esatta maniera dell’Ostia, una corona del Rosario, grande e luminosa, i cui grani dorati recavano i caratteri IHS, vergati nel colore della penitenza.
Alla destra della Beatissima Vergine, l’estasi di S. Pio V, gli occhi fissi sulla scena alla di Lei sinistra: il mare di Lepanto, le cui lumeggiature dorate, simili a dardi scoccati dai grani della corona, parevano quasi trafiggere il brulichio nereggiante della flotta turca…
«Recordare, Iesu pie,…» cantò, unendosi idealmente alla preghiera immortalata nell’affresco, alla sublime Supplica, all’Arma invincibile cui l’Europa cristiana – ingrata e apostata - doveva la propria salvezza. Cos’era, in confronto, la sorte di un’anima? Niente; eppure tutto.
Il niente della creatura al cospetto di Dio; il tutto dei Novissimi.
Poteva essere uno spunto per l'omelia; l'aveva già impostata, ovviamente, ma chissà, magari come conclusione....


Quel canto era davvero lungo.
Lesse tutto il testo con calma; poi si accorse che, comunque, i cantori erano parecchio più indietro rispetto a lei.
Meglio così: ora che si era fatta un’idea del significato, poteva limitarsi ad ascoltare.
Non sembrava che ci fosse poi tanto spazio per la Speranza, con o senza maiuscole; al contrario, il testo, in certi punti, appariva decisamente minaccioso. Da dove scaturiva, allora, la supplica finale?
Il Giudizio. Un Giudizio su tutto. Sulle azioni palesi e sulle nascoste, anzi, perfino sui pensieri. Come minaccia non era niente male.
Aveva senso pregare il Giudice?
«…quod sum causa Tuae viae». Ancora una volta, il Coro le stava cantando la risposta.
Quasi per istinto, alzò gli occhi verso la Croce che troneggiava al centro dell’altare, tra i candelieri dorati. Certo, se il Giudice era anche il più grande Benefattore – il Redentore, ricordò – degli imputati…
Quella faccenda era uno strano miscuglio di semplicità e complicazione.


Come un ripasso delle Verità elementari, e proprio per questo fondanti, la Sequenza gli richiamava alla mente concetti che riaffioravano quasi coperti di polvere. Erano mai stati così belli, così profondi e carichi di significato? E se sì, se ricordava bene la fede di sé stesso bambino, com'era possibile che l’oro della Verità eterna fosse finito in disparte?
Il Giudice che è Salvatore. Giudice in quanto Salvatore e non viceversa. Paradossale. Divinamente paradossale. Tutto può pretendere, perché tutto ha dato. Eppure non desidera altro che tirare una riga sul libro dei conti, dimenticarsi di tutti i debiti, di tutte le colpe degli imputati.
Ma questi, che cosa desiderano?
Che cosa hanno scelto, nell’ultimo istante dell’esistenza terrena?
La non-morte dei fantasmi, forse? Il rifiuto di scegliere?
Oppure…
E tu cosa scegli? Cos’hai scelto finora? Cosa sceglierai?
Trasalì, a quest’improvvisa deviazione dei propri pensieri.
Aveva ricordato, d’accordo; aveva anche scoperto che, in qualche cantuccio della sua anima, era sopravvissuta, chissà come, la capacità di credere che, anche se gli uomini fanno di tutto per deturpare la bellezza del mondo, Dio esiste ed è tanto buono da amarli egualmente ed essere disposto a perdonarli per il male commesso. Perfino per il male volontario, per le colpe senza scuse.
Ma aveva il coraggio di compiere il passo successivo? Il coraggio di protendersi verso la Mano tesa di Dio, di porsi realmente in ginocchio e chiederGli la possibilità di ricominciare?
Aveva il coraggio della conversione?
Io no, Signore. Tu sai che io non possiedo tanto coraggio.
Ma so che Tu lo possiedi e sei pronto a donarmelo. Anzi, se Tu non lo stessi già facendo, io non sarei neppure qui a pormi il problema.
Voglio fidarmi di Te, accettare il Tuo dono… oppure no? Oppure preferisco altre cose?

Lo assalì un senso di sconforto: la sua esistenza era così vuota, così priva di senso – se si escludeva quell’unica speranza, assurda e tanto remota – che proprio non sapeva cosa farsene. Al posto di Dio, non se ne sarebbe interessato affatto. Certo, non c’erano altre cose che potesse preferirGli… non più.
Eccezion fatta, naturalmente, per quell’unica, piccola speranza testarda. Per quel sogno assurdo che, a dispetto di tutto, era divenuto lo scopo della sua vita.
E per la convinzione pressoché incrollabile di aver ragione, solo fondamento di una speranza che quasi non si poteva neppure chiamar tale.
Vuoi che rinunci a questo, Signore? All’arma con cui, finora, ho combattuto la disperazione… e il rimorso… e il senso di colpa e, soprattutto, l’inutilità?
Rabbrividì da capo a piedi.
Riprese a seguire il canto, in cerca di una risposta, o forse in fuga da quell’improvviso tormento interiore.


Rufus Caramell, in prima fila, a labbra strette, ascoltava quella nenia interminabile con palese disgusto.
Che suo zio fosse stato un tipo strano, soprattutto negli ultimi anni, era un dato di fatto, anzi, una cosa quasi normale, considerato tutto quel che aveva passato; ma che fosse finito in mezzo a questo! Era stato davvero così disperato? Così solo?
Solo? E io chi ero, la Fata Morgana?
Gli sembrava di essergli stato vicino, di aver fatto tutto il possibile. Certo, aveva sempre rifiutato ogni invito ad assistere a quelle stravaganze Babbane; e per fortuna! Ciò che vedeva adesso bastava e avanzava, grazie tante.
Tu guarda quanta scena per un morto…
Noi celebriamo la
vita, non la morte!
Due belle parole, “E’ stato una brava persona”, e via; la vita continua. Che bisogno c’è di inscenare tutto quest’apparato?

Come se al morto importasse qualcosa!
Come se canti e preghiere – preghiere! – gli potessero veramente giovare!
Possibile che suo zio fosse rincitrullito al punto di crederci?!
Possibile, sì. Anzi... sicuro, purtroppo.
Ricordava ancora la risposta alle proprie obiezioni scandalizzate: la dignità, anzi, l’orgoglio dei Maghi; le scoperte strabilianti, i meravigliosi progressi delle arti magiche… tutto questo, per lui, non contava più nulla.
Il solo pensiero bastava ancora a farlo infuriare.
Si era sentito così impotente, così disarmato, di fronte ad una follia di proporzioni simili, che, quando aveva letto il testamento dello zio, con tutte le disposizioni per il funerale, non era riuscito ad imporsi come avrebbe dovuto, a vietare quella cerimonia assurda. No, era andato a parlare con quel Babbano e, nonostante tutto, si era lasciato irretire in un compromesso ancor più assurdo, all’insegna del “Prima finiamo, meglio è”. Così non aveva rispettato né la volontà dello zio né la propria. Bella figura di merda!
Come aveva detto, il vecchio?
"L’orgoglio, Rufus, è la rovina del Mondo Magico. All’orgoglio, al disprezzo per i Babbani, dobbiamo tutte le nostre guerre; l’orgoglio nutre, ad ogni generazione, una nuova stirpe di Maghi Oscuri e ci porta a servirsi di tutte le scoperte, di tutti i progressi, per uccidere e torturare in maniere sempre nuove, sempre più efficaci. Dov’è il progresso in tutto questo, Rufus? Dov’è ‘la dignità, anzi, l’orgoglio dei Maghi’? Mi ci trovi qualcosa, dico, una cosa sola, di cui dovremmo essere orgogliosi?
Che ragionamento del cazzo!
I Maghi Oscuri mica se la prendevano con i Babbani! Almeno, non solo né principalmente. Volevano conquistare il mondo, no? e il vero ostacolo non sarebbero mai stati i Babbani (figuriamoci!), bensì gli altri Maghi.
E poi… che avrebbero dovuto fare, insomma? Rinunciare a qualsiasi scoperta, temendone le applicazioni belliche? Credeva davvero, il vecchio pazzo, che i Maghi Oscuri avrebbero fatto altrettanto?! No, no, viva le applicazioni belliche! Non avevano altra strada, se volevano sopravvivere – una generazione dopo l’altra – alle guerre magiche.
Il disprezzo verso i Babbani… bah! Come si poteva disprezzarli? Non meritavano tanta considerazione, era uno spreco di tempo. Non parliamo poi di combatterli, neanche potessero costituire una minaccia: checché volesse far credere Malfoy, non lo erano stati mai, neppure nei tempi in cui ci provavano e si illudevano di riuscirci, figuriamoci ora che non credevano quasi più alla Magia.
La politica migliore? Ignorarli.
E invece… Puah! Mescolarsi a loro, imbrancarsi in quel branco di svitati!
Come se le loro stupide credenze, quali che fossero, potessero avere importanza per un Mago! Cosa potevano mai sapere, i Babbani, della vera natura delle cose? Dell’onnipresenza e onnipotenza della Magia? Nella loro ignoranza, era quasi comprensibile – quasi – che tanti di loro continuassero a credere nell’Ente chiamato “Dio”. Ma che un Mago ricadesse in quella superstizione vecchia di secoli, ormai sconfessata da tutti i teorici della Magia…
Basta, doveva calmarsi. Dopotutto, quella nenia aveva almeno un pregio: era rilassante.
Sbirciò il libercolo: quanto ce n’era, ancora?!

«Oro supplex et acclinis,
cor contritum, quasi cinis,
gere curam mei finis!
»


Il mutamento della melodia riscosse la donna dal torpore meditabondo – una sorta di trance – in cui era sprofondata. Controllò sul foglietto: quel brano così lungo (Sequenza, si intitolava) giungeva alla fine, quasi ricapitolando il proprio messaggio nella preghiera finale.
«Pie Iesu Domine,
dona eis requiem.
Amen.
»
Non avrebbe immaginato di potersi commuovere ancora; credeva di essersi abituata alla semplicità della melodia. Eppure, si sbagliava: il segreto di quella capacità di suggestione, inspiegabile secondo i canoni consueti, continuava a sfuggirle.
Poteva quasi credere che tutto questo avesse un senso, capire come Caramell avesse potuto crederci.
Il potere consolatorio della Bellezza, certamente; eppure, sembrava che questa Bellezza fosse diversa… che agisse come una sorta di tramite.
Che rimandasse a Qualcosa di più.
Sembrava quasi che quella fede fosse vera!
O forse sapeva solo vendersi bene.
Ma di sicuro sentiva il bisogno di capirne di più.


Accanto a lei, l’uomo attendeva, in piedi, il canto del Vangelo, certo di trovarvi la risposta alla propria angoscia, per intima che fosse.
Ma fu soltanto al termine della pericope che la Parola squarciò il velo dei suoi dubbi: “Signore, io credo che Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, che sei venuto in questo mondo”.
Quasi boccheggiò; saltò la risposta (la donna lo guardò di sottecchi, stupita) e sedette come se gli mancasse il terreno sotto i piedi.
Tu sei il Cristo”.
Di fronte a questo, tutto il resto che importanza può avere?


Dopo due ore buone spese sul canovaccio dell’omelia, don James aveva deciso che, dopotutto, per strani che fossero, i Maghi erano innanzitutto esseri umani. Certamente, la semplicità a lui consueta sarebbe stata più utile dell’erudizione, per la conquista dei loro cuori.
Anzi, l’arma migliore sarebbe stato l’esempio di Caramell. Del convertito Caramell.
A Dio piacendo, rievocare vicende e tormenti del proprio figlio spirituale lo avrebbe aiutato a dissipare almeno qualcuno dei pregiudizi imperanti presso la sua famiglia.
«”Io vengo a seppellire Cornelius, non a lodarlo”,» esordì dunque dalla balaustra della Comunione. «Ogni elogio assume un sapore quasi beffardo, di fronte alla Morte: sembra che punti il dito contro l’ingiustizia, che rinforzi il grido di dolore: “Perché?!”
Non c’è, io credo, un solo essere umano che non abbia gridato questo “Perché?!”, alla morte di una persona cara. In occasioni simili, ogni credente si è interrogato sulla Bontà di Dio, sulla Sua Giustizia. “Ecco, finisce tutto. Una persona, con i suoi pregi e i suoi difetti, un individuo, unico e irripetibile; e non lo vedrò più. Mai più. Posso soltanto ricordarlo; ma il ricordo è inutile, non me lo riporta; lo sento come un dovere, eppure non so dargli un senso”.
Perciò, non avrebbe senso che mi mettessi a ricordare Cornelius. Non è questo il mio compito. La Chiesa crede che il ricordo abbia un senso, che sia veramente un dovere; ma deduce queste verità da premesse ben più alte.
Mi sento sempre a disagio, quando devo tenere un’omelia funebre: ho paura di allontanare l’anima ferita, che cerca parole di conforto; e d’altra parte non posso neppure illuderla, mostrandole soltanto il volto luminoso della Morte cristiana. Un volto simile sarebbe, in fin dei conti, irreale, perché troppo distante dalla nostra esperienza, dalla ferita che sanguina e duole; non avrebbe il potere di lenire la sofferenza, né giustificherebbe il dovere del ricordo.
Perciò, permettetemi di scegliere uno stile particolare, per quest’omelia: né una predica più o meno astratta sull’escatologia cristiana, né un elogio. Vorrei, invece, mostrarvi come, negli ultimi anni di Cornelius, nelle scelte che molti di voi, probabilmente, non hanno compreso, brillasse il dito di Dio. A quel punto, tutto diverrà chiaro: la dottrina, la Speranza, la consolazione.
Cornelius è entrato qui due anni fa, non semplicemente perché era vecchio, perché si sentiva un fallito, perché cercava di aggrapparsi a qualcosa. Tutto questo è vero, ma non spiega perché sia entrato proprio qui.
Cornelius cercava, così mi disse, “una medicina contro l'orgoglio”.
A pezzi e bocconi, insieme con la storia della sua vita, mi ha esposto il suo pensiero, il pensiero di un uomo che ha visto troppo. Troppe guerre, troppi morti, troppi tradimenti e meschinità, troppa ambizione stupida... l'elenco è lungo.
Di due cose si era convinto: che la radice di tutti i mali fosse l'orgoglio e che né le regole né la forza potevano bastare a tenerlo a freno. Occorreva guarirlo, occorreva guarire l'uomo da questa malattia. “Padre,” mi disse, “l'uomo non può essere tutto cattivo: io ho visto che dove c'è il male, anche quando sembra che trionfi, c'è sempre qualcuno che reagisce. E allora, dal male, dall'orgoglio, l'uomo può anche guarire”.
Mi ha raccontato di mille tentativi di stroncare con la forza e le minacce la tentazione del potere assoluto... mille tentativi e mille fallimenti. Mille guerre, una peggiore dell'altra, e centomila intrighi, e infinite pugnalate alla schiena.
Ora cercava qualcosa di diverso. Qualcosa che unisse l'obiettività e la severità di una Legge con la capacità di cambiare il cuore, di convincere per davvero, di – gli ho suggerito io il verbo – di convertire.
Non importa chi siamo, quali siano i nostri natali o le nostre capacità: ciascuno di noi, nell'intimo, ha dovuto sperimentare la tendenza al Male. Alcuni la abbracciano, altri la combattono, i più ci convivono in un grigiore incerto. Ma Caramell aveva visto dove essa può portare. Caramell cercava un rimedio.
Gli ho dovuto dire che il rimedio consente di vincere la battaglia, ma non di evitarla, perché è proprio quella battaglia - e solo quella battaglia - che dà un senso alla nostra vita. L'unico senso che non svanisca con la morte.
La morte dovrebbe essere la più grande medicina per l'orgoglio. Eppure, gli uomini riescono a rimuovere così bene la consapevolezza di dover morire che il pensiero della loro sorte non viene quasi mai a turbare le ambizioni, gli intrighi, gli atti. Quasi mai si chiedono, prima di agire, se sarebbero contenti di quel gesto, casomai dovessero morire di lì a poco. Quasi mai, quando coltivano grandi progetti per sé, sentono risuonare il monito “Ricorda, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai!”. Eppure è così; e, prima o poi, la morte – nostra o di qualcun altro – torna a ricordarcelo.
Il mondo, dinanzi alla morte, tace. Al massimo, offre – e comunque solo a pochi – una consolazione puramente umana: la fama. Promette che sarà eterna, ma non è vero: i secoli logorano e fanno sbiadire qualsiasi fama, finché resta soltanto un nome logoro e poi... neanche più quello. Polvere. Quia pulvis es, et in pulverem reverteris.
L'orgoglio non riesce ad ammettere la propria sconfitta di fronte alla morte; eppure, non può evitarla e non può nemmeno sperare di sopravviverle nelle sue opere, nel ricordo o nella gloria. La morte, solo la morte, fa scoprire all'uomo di essere nulla: un granello di polvere che un po' di vento basta a spazzare via.
Proprio così questo “nulla” può riscoprire il Tutto.
Non l'Universo e la sua grandezza, no: Dio. Dio che è più grande dell'Universo, più forte della morte, e ha preparato per noi un futuro che ci attende al di là della morte.
Tutta la nostra vita è vissuta a rovescio: vediamo la morte come la fine, quando in realtà è l'inizio; cerchiamo di non pensarci neppure, e dovremmo vivere ogni giorno come una preparazione alla morte; se poi ci pensiamo, finiamo per disperarci, anziché capire che proprio la morte è la nostra speranza.
Guardátevi intorno! Tutto quello che possiamo sperare di ottenere su questa terra – una bella casa, soldi, successo, posizione... - tutto questo ci lascerà. Forse lo abbandoneremo noi, morendo; ma più spesso durerà ancor meno della nostra vita, molto meno.
"Tutte le cose invecchieranno come un vestito; come mantelli, Tu le cambierai ed esse saranno cambiate; Tu invece, Signore, sei sempre lo stesso, e i Tuoi anni non hanno fine”.
Qualunque persona assennata sa che non ha senso e non è bene attaccarsi troppo ai beni di questo mondo; gli uomini hanno cercato di darsi obiettivi più alti, inseguendo la gloria o cercando di realizzare gli ideali; ma la gloria svanisce e gli ideali svaniscono nella sconfitta o, peggio, dopo la vittoria trasformano il mondo in un incubo. Nulla di tutto questo ha potuto dare un senso alla vita, un sollievo alla morte, men che meno una Speranza.
Non c'è da stupirsene: tutto questo era sempre, ancora e sempre, orgoglio. L'orgoglio dell'uomo, che cerca mille modi per vincere o ingannare la morte, cui pure sa già che non potrà sfuggire!
Solo Qualcuno più grande della morte può darci questa vittoria.
Solo un Amore più grande della morte può sconfiggere il nostro orgoglio.
Io non prédico la gloria, ma la follia: la follia di un Dio che si fa crocifiggere per salvare l'umanità, proprio questa qui che vediamo. Un'umanità di cui conosce perfettamente, in anticipo, l'ingratitudine e l'ostinazione nell'errore.
Eppure, solo questa follia ha potuto offrire a ciascuno di noi la possibilità di cambiare.
Cornelius, nella Legge di Dio, non ha trovato una semplice saggezza umana, un'etica come ce ne sono tante; questa Legge è un tutt'uno con la forza di viverla, che è la Grazia e che trasforma l'uomo dall'interno, se l'uomo si lascia trasformare. La Legge e l'Amore purificano dall'orgoglio. Il processo non è mai compiuto fino alla morte, può sempre essere invertito... ma chi vorrà e saprà perseverare fino alla fine sarà salvo.
Lo dicevo prima: la morte è la nostra Speranza. La Speranza che la lotta interiore abbia finalmente termine e che, superata la prova morale in cui consiste questa vita terrena, andiamo a riscuotere il premio eterno. La Speranza che, una volta mandato in frantumi il “nulla” del nostro orgoglio, Dio, che è Tutto, sia riuscito a renderci degni della Sua Eternità.
Per Cornelius, questo momento è arrivato. Egli, ormai, si trova al di là della soglia su cui lo attendeva Cristo Giudice; non sappiamo quale sia stata la sua sorte ed è giusto che le nostre preghiere rispecchino questo timore. Ma noi sappiamo anche che le preghiere non sono mai vane, che pesano sempre sulla bilancia di Dio: tante anime, ha detto la Madonna a Fatima, vanno all'Inferno perché nessuno prega per loro. E allora noi preghiamo oggi per Cornelius, come speriamo che oggi, dal Cielo, egli preghi per noi e ci meriti, un giorno, la grazia di affrontare la morte non come una minaccia, ma come la Speranza, la porta oltre la quale si trovano il senso e il sigillo ultimo della nostra esistenza.»
Era fatta.
Niente “Sia lodato Gesù Cristo”, nelle Messe esequiali non era davvero il caso.
Eppure, sentiva proprio il bisogno di dirlo.
Don James non era né un tipo impressionabile né un vigliacco, tantomeno poteva dirsi nuovo alle situazioni sgradevoli: sia come Sacerdote cattolico in un Paese la cui identità tradizionale era protestante, sia come esponente di una delle frange del cattolicesimo più osteggiate dagli stessi correligionari, aveva incrociato spesso sguardi minacciosi, subito aggressioni verbali... pure qualche pugno, qualche schiaffo.
Ma stavolta era diverso.
Era come se ogni suo accenno all'orgoglio e alla necessità di combatterlo avesse portato il gruppo delle prime file un passo più vicino alla violenza fisica.
E non la violenza da due ceffoni e via.
Forse stava scoprendo un lato impressionabile che non credeva di possedere... ma da quelle facce livide, da quegli occhi torvi, emanava una vera e propria aura di minaccia.
E poi...
Era sicuro di aver visto lampi violacei balenare tra i bracci del lampadario.
E quella crepa sul pavimento, prima, non c'era.
E avrebbe potuto giurare che quella lucertola che ci si era appena infilata dentro, solo cinque minuti prima, fosse un manutergio di riserva!
L'abitudine a concentrarsi profondamente su quel che doveva dire – o meglio, a svolgere per filo e per segno la traccia mandata a memoria, magari con qualche aggiustamento dell'ultimo minuto - l'aveva aiutato a tenere tutto questo ai margini della propria percezione; ma adesso le emozioni lo investivano come i pugni di un peso massimo.
In genere, evitava la pausa di silenzio dopo l'omelia, perché tendeva a favorire più i dubbi che la meditazione; ma stavolta se la concesse, perché le sue ginocchia rischiavano di cedere di colpo.
Sedette allo sgabello, cercando di riprendersi. Purtroppo, non poteva approfittare del canto del Credo, doveva passare direttamente all'Offertorio. Ma un momento, un momento solo... gli serviva ancora un momento.
Cosa doveva aspettarsi? Che, volontariamente o no, gli... ospiti delle prime file gli facessero crollare la chiesa sulla testa? O che perdessero il controllo e cominciassero a massacrare tutti a suon di magie?
Per lui, erano del tutto imprevedibili. Una novità inquietante: finora, in situazioni analoghe, aveva sempre saputo prevedere le possibili reazioni e, quindi, valutare l'entità del pericolo. Naturalmente, in quanto Maghi, questi soggetti esulavano completamente dal suo mondo, prima ancora che dalla sua esperienza, e la frequentazione di Caramell, a quanto pareva, non bastava a rendergli in qualche modo comprensibile il suo parentado.
Signore, pensaci tu...
Dopo un respiro profondo, si alzò. Ancora scosso e molto spaventato, ma risoluto a portare a termine la funzione, accadesse quel che accadesse.


L'uomo piangeva.
Piccoli sussulti da singhiozzi soffocati scuotevano le sue spalle, mentre le lacrime scorrevano liberamente lungo le guance.
La donna avrebbe forse sfoderato la Penna Prendiappunti, se avesse notato un comportamento simile; ma restava seduta, lo sguardo assorto, le mani intrecciate in grembo, intenta a riflettere sul discorso appena sentito. Quanto rivelava di Caramell, del suo animo e dei suoi ultimi anni! Ma quanto rivelava anche di tutti loro...


Rufus Caramell si sentiva nero di rabbia.
Non aveva bisogno di guardarsi intorno per sapere che ognuno dei suoi parenti la pensava allo stesso modo.
Come si permette, questo Babbanastro?!
Qualunque cosa il povero vecchio zio avesse creduto o pensato... be', era vecchio, per l'appunto, e aveva visto due guerre molto brutte, senza contare i tempi di Grindelwald. Aveva diritto ad un po' di pessimismo.
Ma quel pessimismo, come tutti i disturbi dell'età, sarebbe dovuto morire con lui.
Nessuno lo avrebbe biasimato, se solo avesse tenuto per sé quell'umor nero. Certo, i suoi contatti sociali e familiari, già scarsi, ne avrebbero risentito; ma in fondo, quale famiglia rispettabile non conta almeno un paio di anziani parenti eccentrici?
Invece no.
Per un breve periodo, aveva parlato della necessità di cercare Harry Potter ed era quasi sembrato che stesse riprendendo animo. Poi, di colpo, non ne aveva parlato più. Neanche un accenno. Qualcosa doveva averlo disilluso brutalmente, perché era caduto a precipizio, prima nel morale, poi... nella condotta.
L'immagine di suo zio – suo zio! - un Mago purosangue, che era stato Ministro della Magia, inginocchiato a mendicare un po' di speranza dai Babbani...!
Una medicina contro l'orgoglio”, eh?
Una magia nota ai Babbani e non al Mondo Magico!
Si era mai sentita un'idea più assurda?!
E passi ancora, se il povero vecchietto era rincitrullito: ne aveva passate tante.
Ma che questo tanghero che non sapeva minimamente di cosa stesse parlando, che aveva forse sentito qualche storia abborracciata alla bell'e meglio da suo zio, si premettesse di salire in cattedra e fare la morale a tutti loro, faceva veramente bollire il sangue!
Le sue dita non smettevano ancora di tormentare la bacchetta. Per la tentazione di usarla, certo, ma anche per prevenire manifestazioni involontarie di magia: al momento erano tutti riusciti almeno ad evitarne di troppo eclatanti, ma...
...Ma.
E, in un angolo della sua testa, una vocina sussurrava: Non preoccuparti. Se dovesse succedere qualcosa, sai benissimo cosa fare.
La nuova legge parla chiaro: nessun bisogno di disturbare gli Obliviatori per una sciocchezzuola del genere... basterà non lasciare tracce.
E magari, questi stupidi ti ringrazieranno pure per aver donato loro l'eternità, o quel che è!

Accolse quasi come un sollievo la nuova nenia del coro.


Don James conosceva a memoria l'Offertorio della Missa pro Defunctis, era uno dei suoi brani preferiti, sia quanto al testo sia per la melodia gregoriana.
«Domine Jesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni et de profundo lacu: libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas Tartarus, ne cadant in obscurum: sed signifer sanctus Michael repraesentet eas in lucem sanctam: quam olim Abrahae promisisti, et semini ejus.»
Il celebrante stesso si commosse, chiedendo perdono e soccorso all’Altissimo per la propria condizione di peccatore. Non per la prima volta, rifletteva sulla contraddizione lacerante del battezzato, santo e insieme sempre bisognoso di purificazione, come la Chiesa stessa; e la riflessione, pur doloroso come ogni severo esame di coscienza, ebbe almeno il potere di strapparlo a quell’inquietudine in cui si stava dibattendo.
Aggiunse alcune gocce d’acqua al vino del Calice. Così le nostre lacrime, Signore, si uniscano con il Tuo Sangue, per lavare i nostri cuori e fare di noi uomini nuovi, membra vive del Tuo Corpo, compartecipi della Tua Divinità.
Si chiese quanti, tra gli astanti, si sarebbero accostati alle Sacre Specie. E, purtroppo, questo interrogativo riportò la sua attenzione su coloro che stava cercando, stoicamente, di ignorare. Riuscì a distrarsi osservando il resto del pubblico, ma non c’erano molto che fosse degno di nota, a parte quell'uomo e quella donna, seduti affiancati…
Si riscosse, rimproverandosi per la distrazione, e si costrinse a indirizzare l'attenzione sulle cerimonie, sul singolo gesto, sulla singola parola.
«Lavabo inter innocentes manus meas…» Pregò che il gesto, opposto a quello di Pilato, potesse liberarlo dall’inesplicabile fardello che sentiva gravare sulle proprie spalle. Si deterse le dita con sommo impegno; poi si concentrò nell’offerta, nell’attesa del Sacrificio. E fu un bene, perché l’orazione “segreta”, non essendo recitata ad alta voce, richiedeva tutta la sua attenzione.
Caramell era stato un brav’uomo, si disse, recitando il Prefazio; gli augurò di tutto cuore di aver trovare quella pace che non gli aveva mai vista in volto, quand’era in vita. Pover’uomo.
Il Coro eruppe nella maestà, sobria e trionfale, del Sanctus. Sì, tre volte Santo sei Tu, Signore Dio degli Eserciti…
Il Canone Romano, inalterabile e solenne nelle sue eleganti architetture sintattiche, placò del tutto la sua mente con l’immagine della Chiesa, esercito santo, che si diffonde attraverso i secoli, a bandiere spiegate, trionfando su tutti i nemici, interni ed esterni, grazie al sostegno dello Spirito Santo. «Senza la Tua Forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa.» Di certo, anche i vivi con cui e per cui offriva il Sacrificio della Messa si sarebbero, un giorno, accodati alla Chiesa trionfante, nella Pace che gli Angeli natalizi hanno annunciato, una volta per sempre, a tutti gli uomini di buona volontà. Offrì Ostia e Calice con questa intenzione, prima ancora che in suffragio del defunto Cornelius Oswald Caramell.
«Qui pridie quam pateretur…»
Avrà mai fine la Tua Passione, Signore? Smetterà mai, l’umanità, di peccare contro di Te e contro sé stessa? Verrà, infine, il Tempo al di là del tempo, in cui non avremo più bisogno di Redenzione, perché Tu sarai “tutto in tutti”?
«…Accipite et manducate ex hoc omnes.
Hoc est enim Corpus Meum.
»


Lo stramaledetto istinto le suggeriva di afferrare una piuma e mettersi a scrivere.
La sua cara, vecchia Penna Prendiappunti avrebbe buttato giù un articolo bello tosto su questi stranissimi riti Babbani in men che non si dica. Le pareva quasi di sentirla fremere, nel taschino. La portava ancora con sé, ma non l’usava mai. Si era rassegnata: nessuno avrebbe più accettato suoi articoli. Era ridotta a consolare i cuori infranti nella posta del Settimanale delle Streghe.
Ma forse valeva la pena di fare almeno un tentativo.
Magari, un pezzo di colore sull'uomo al suo fianco...
Aveva proprio una mezza intenzione di parlargli, alla fine.


La sua anima accolse il sacro silenzio del Canone come un balsamo da lungo tempo dimenticato.
Il libretto dell'Ordinario gli restituiva formule quasi dimenticate, formule di preghiera che mai, neanche negli anni dorati dell'infanzia, gli erano sembrate tanto preziose. D'altronde, né da bambino né da ragazzo aveva avuto gravi colpe per cui chiedere perdono; e alla più grave, la crescente indifferenza per le cose di Dio, allora non aveva neppure fatto caso.
Cornelius, Cornelius, avrò fatto bene a farti venire qui?
Forse sì. E se questa è la mia ricompensa... grazie, amico mio.

Non era mai entrato prima in quella chiesetta, ma viveva nel quartiere, sapeva della sua esistenza, la vedeva durante le sue “passeggiate” - in realtà, meticolosi giri di ricognizione, casomai vi fossero segni di Arti Oscure o attività sospette - e sapeva che era affidata ad un prete di quelli che ora chiamavano “tradizionalisti”, ma che per lui erano preti e basta. Quelli dei suoi tempi. I soli da cui sentisse di poter mandare un amico in crisi, perché aveva un'idea precisa di cosa gli avrebbero detto. Quelli nuovi... boh, non aveva né compreso né approfondito il perché della novità, ma gli sembravano proprio di un'altra razza. E preferiva restare sul sicuro.
Così, quando gli era parso che Cornelius avesse toccato il fondo e stesse seriamente meditando il suicidio, nella sua mente si era affacciata la sagoma di Nostra Signora della Vittoria. E forse anche il titolo della chiesetta lo aveva suggestionato un po'.
In un modo o nell'altro, sembrava che il suo vecchio amico fosse riuscito a trovare almeno qualche brandello di pace. Non era poco. Tutt'altro.
E, all'Elevazione, seguì con gli occhi il movimento dell'Ostia, pregando con tutto sé stesso che un po' di pace, almeno un po', potesse toccare anche a lui.


Il silenzio attenuò la collera di Rufus Caramell, ma alimentò la sua impazienza. Quanto doveva durare, ancora, quella pagliacciata?!
Le sue dita tormentavano la bacchetta.
Bastava che non ci fosse un supplemento di lezioncina. Non lo avrebbe proprio retto.


Il lungo silenzio del Canone, le preghiere preparatorie e, soprattutto, la Comunione avevano trasportato don James in un fitto colloquio con Dio; si riscosse all'Agnus Dei, sapendo di dover comunicare i fedeli, ma anche allora i tizi delle prime file rimasero solo un pensiero vago, un'ombra sullo sfondo.
Solo quattro o cinque parrocchiani si accostarono alla balaustra della Comunione: era già il tempo di purificare i vasi, poi, con il Postcommunio, la Messa si sarebbe avviata al termine.
Rimpianse, una volta di più, il rito dell'assoluzione: Cornelius, tanto oppresso dai sensi di colpa, ci avrebbe tenuto molto. Non solo al Libera me, ma soprattutto al Non intres: “Non entrare in contesa con il Tuo servo, o Signore...”.
I ragazzi avevano servito splendidamente. Ancora un po', e avrebbe potuto ringraziarli, se lo meritavano davvero.
Si voltò e stava per impartire la benedizione finale, quando si udì uno schianto.
Il catafalco si era come...
...Sbriciolato.
E, al di sopra della bara crollata a terra, le fiamme delle candele divampavano in modo impossibile, formando un'unica, altissima torre di fuoco, che arrivava a lambire il soffitto.
Troppo sbigottito perfino per spaventarsi, si guardò intorno, come d'istinto, per vedere le reazioni degli altri.
Ma tutti, nelle prime file, avevano una bacchetta in mano.
E la puntavano verso di lui.
Poi, una voce ruppe il silenzio.
«Qualunque cosa volessi ancora dire, dopo tutte quelle che hai detto prima...» La voce di Rufus Caramell era perfettamente calma, con una punta di ironia «...be',diciamo che quando è troppo è troppo. Speravo non succedessero incidenti di questo genere, ma ahimè, una volta che sono successi, bisogna risolvere il problema.» Ghignò. «E io apprezzo molto le soluzioni definitive
«Io, invece, no»
Tutte le teste – e le bacchette - si girarono verso l'uomo col mantello, che aveva parlato con una calma perfetta. Tanto perfetta da suonare micidiale.
Anch'egli impugnava una bacchetta.
Uno dei suoi occhi era molto più grande dell'altro, di colore diverso, e sembrava che si muovesse in modo strano. Nelle prime file dovevano conoscerlo, perché molte delle loro bacchette si abbassarono, mentre serpeggiava un mormorio inquieto.
«Sì, Rufus, sono proprio io, Alastor Moody. E dico a te, come a tutti gli altri, che il problema si è già risolto da solo.» Indicò con la bacchetta ciò che restava del catafalco: effettivamente, la vampata delle candele, che solo un momento prima pareva sul punto di incendiare l'intera chiesa, era scomparsa del tutto, dopo aver consumato fino all'ultima goccia di cera.
«Gli incidenti strani succedono, non è vero? Ma non è il caso di farne un dramma. Tantomeno in un'occasione come questa.»
Sotto lo sguardo blu elettrico di quell'occhio anormale e minaccioso, tutti quanti rinfoderarono le bacchette.
Egli annuì e tornò a sedere.
Don James, il solo Babbano che comprendesse il rischio appena corso, impartì la benedizione tremando come una foglia e senza neppur sentire cosa stesse dicendo. Ma poi, in ginocchio ai piedi dell'altare, recitò le preghiere finali con particolare fervore, specialmente l'ultima, che aveva voluto aggiungere a quel funerale mutilo del Libera me, Domine:
«Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias Diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur; tuque, Princeps Militiae Caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in Infernum detrude. Amen
Sentì che tutti si allontanavano, udì i passi rimbombare sul pavimento; ma non si rialzò, non abbandonò la posizione del supplice.
I chierichetti – a loro volta costretti ad imitarlo, a restargli accanto immobili - si guardarono senza capire.
Per la prima volta nel suo ministero, don James stava implorando Dio di risparmiargli un calice: pregava, con tutta l’anima, di non incontrare mai più neppure l’ombra di un Mago.
Non sapeva che, proprio in quel momento, sul tavolino della sacrestia si stava Materializzando una pergamena sigillata.



Note:
Capitolo decisamente ricco di riferimenti, lo so. Suggerisco di leggerlo tenendo accanto il testo della Missa pro Defunctis (sia le parti proprie sia quelle comuni ad altre Messe, c.d. “Ordinario”) e/o in sottofondo la sua forma cantata, in gregoriano, a cappella, che è quella presupposta da me durante la stesura.
Allora, vediamo di non dimenticare niente... La sigla F.S.S.P. sta per “Fraternità Sacerdotale San Pietro”, il principale dei cc.dd. “Istituti dell''
Ecclesia Dei'”, contraddistinti dal compito di formare Sacerdoti legati all'antica Liturgia romana (e nati, in origine, per accogliere quanti avessero deciso di non seguire l'Arcivescovo Léfebvre nella via delle consacrazioni senza mandato pontificio, o se ne fossero dissociati in seguito). Tecnicamente sono inquadrati tra i religiosi; ma ho voluto comunque attribuire a don James il titolo di “don” anziché quello di “padre” - consideratela una licenza poetica, nel caso – perché volevo che fosse associato semplicemente all'immagine del prete. Don Camillo senza gli sganassoni, per capirci.
La F.S.S.P. è attiva anche a Londra, ma la chiesa di Nostra Signora della Vittoria è interamente di mia invenzione: l'ho immaginata come una Parrocchia personale destinata ai fedeli “tradizionalisti” e, appunto per questo, affidata alla Fraternità. Sul piano architettonico, niente di che: una chiesa di dimensioni modeste, probabilmente costruita nell'Ottocento dopo l'emancipazione dei Cattolici, a navata unica e pianta longitudinale (lo preciso casomai dal testo non si capisse). Quasi priva di decorazioni, a parte qualche quadro, l'affresco nel catino absidale e la statua all'ingresso.
All'Arcangelo Michele è tradizionalmente attribuito non solo il compito di respingere gli assalti del Diavolo, ma anche quello di
psicagogo, ossia guida delle anime dei defunti verso il Paradiso (e come tale lo menziona, p.es., l'Antifona all'Offertorio, riportata nel Cap.). Per questo, la suddetta statua lo raffigura con la spada sguainata nella destra, ma nella sinistra la bilancia su cui vengono pesati gli spiriti dei morti.
Sappiamo che al funerale di Ariana Silente è stata usata una bara, ma non così per suo fratello Albus: ho l'impressione che le bare siano una concessione agli usi Babbani, inevitabile quando si viva in paesini di campagna (anche i genitori di Harry sono sepolti in un cimitero Babbano), ma che i Maghi preferirebbero evitarle, a pro' dei sudari, che così finirebbero per essere un po' la “tenuta da VIP” per i funerali del Mondo Magico. E come Silente è stato sepolto a Hogwarts, così immagino che altri Maghi in vista siano inumati nei parchi delle rispettive dimore, oppure in cimiteri a sé stanti: di qui le risate di scherno dei familiari di Caramell all'idea che un Babbano possa entrare a trafficare in spazi riservati ai Maghi e, verosimilmente, protetti dalla magia proprio contro simili intrusioni (pensate un po' se la lapide fosse impostata a mo' di
curriculum, come usava una volta tra noi, e dicesse “campione di Quidditch”, “inventore di Incantesimi”...).
Come peraltro si ricava dal seguito, il “
poggia-bare”, in realtà, si chiama catafalco e le candele gialle sono di cera vergine.
Ho già rimandato i lettori, una volta per tutte, alla consultazione dei testi della Messa, ma – fermo che qualsiasi inesattezza nella descrizione del rito funebre Tridentino deve imputarsi alla mia negligente consultazione delle fonti – faccio notare fin d'ora che alcune particolarità non sono affatto errori, bensì differenze rispetto alla Messa post-conciliare. Così il colore dei paramenti (nero, non viola), l’omissione del segno di pace, allora non previsto, l’inno
Subvenite cantato all’inizio anziché alla fine e, naturalmente, la celeberrima Sequenza Dies Irae prima del Vangelo, nonché, in ultimo, il Responsorio Libera me, Domine, che qui però non viene eseguito.
Et cum Spiritu tuo”: la maiuscola non è un errore, si intende appunto lo Spirito Santo, che il Sacerdote, nell'ordinazione, ha ricevuto in un modo speciale, in quella grazia del Sacerdozio che i fedeli pregano resti in lui sempre viva.
“Signore Dio degli Eserciti” è la traduzione corretta di “Dominus Deus Sabaoth”, che oggi si preferisce rendere come “Dio dell’Universo”.
Rufus Caramell, nipote del Ministro, che io sappia compare soltanto nei vecchi numeri della Gazzetta del Profeta scritti dalla Rowling intorno al 1999; lo ricordavo coinvolto in qualche scontro con i folletti, ma ho rintracciato solo un articolo che lo descrive intento a scommettere con i colleghi su quanto tempo avrebbero impiegato i Babbani a rendersi conto che un loro treno della metropolitana è sparito "come per magia"; così, gli ho attribuito un carattere da attaccabrighe e un'opinione molto bassa dei Babbani (anche se, come avrete visto, non si trova allineato sulle posizioni dell'attuale Ministro).
Gli altri due personaggi del Mondo Magico sono Malocchio Moody - cui qui ho scelto di attribuire una nascita Babbana e un'educazione Cattolica, che in quest'occasione riscopre - e, come avrete senz'altro capito, Rita Skeeter; il primo era amico di Caramell, almeno secondo me (il solo ostacolo potrebbe essere la tendenza dell'
ex-Ministro a preferire il prestigio delle antiche famiglie e dei Purosangue in genere); la seconda non è certo stata invitata, ma ha ancora le sue fonti e, anche se dispera di riuscire a farsi pubblicare qualcosa di diverso dalla posta del cuore, non si è rassegnata e continua a dare la caccia alla notizia. Tuttavia, non è casuale che non stia usando la Penna Prendiappunti: anche se il suo primo istinto la spinge sempre a cercare la sensazione, volente o nolente ha capito che, anche solo per sperare di risalire la china, deve presentare pezzi inoppugnabili; ecco, quindi, che si impone di concentrarsi sui fatti... e, in questo scenario che le è completamente alieno, ne resta quasi sommersa. Quanto al... singolare abbigliamento, non so se magenta e verde acido siano davvero i suoi colori preferiti, ma, quando entra in scena ne Il Calice di Fuoco, veste appunto di magenta, mentre il verde acido è il colore della sua Penna Prendiappunti, un oggetto che, di sicuro, ha scelto in modo che le fosse anche esteticamente gradevole. Se poi state pensando che l'accozzo debba essere alquanto stridente, avete ragione, ma vi assicuro che la cosa è più che voluta.
Ho messo Rita accanto a Moody sia per inscenare il contrasto tra lo spaesamento di lei e la familiarità di lui, che riscopre un mondo dimenticato da un pezzo, sia soprattutto perché, inizialmente, il capitolo doveva comprendere anche il loro colloquio fuori della chiesa. Poi, però, si è allungato troppo, così l'ho spezzato in due: sentirete quel che avranno da dirsi al prossimo aggiornamento.
Quasi dimenticavo: si è detto e scritto molto sul tema “la religione nel mondo di Harry Potter”, da tutti i punti di vista immaginabili. Io mi limito ad osservare che i bambini vengono battezzati, ma, a parte questo, non si notano tracce di pratica religiosa e, perfino nelle esclamazioni, il riferimento a Dio è raro; ne ho desunto che ci troviamo dinanzi ad una società completamente secolarizzata (anche se magari non così ostile alla trascendenza come potrebbe far credere il soliloquio di Rufus Caramell) e che il battesimo, se pur non è stato fin dal principio un modo per mimetizzarsi tra i Babbani,
hic et nunc ha soprattutto un significato sociale: tramite la nomina dei padrini (e delle madrine, suppongo), rinforza i legami tra persone o famiglie e individua chi dovrà prendersi cura degli orfani in caso di disgrazia, possibilità non accademica vista la frequenza delle guerre magiche.
La pergamena che si Materializza nel finale? Be',non so se vi mostrerò don James leggerla – non ho ancora deciso – ma verrete senz'altro a conoscerne il contenuto. Posso già dirvi, comunque, chi si tratta di una lettera di Caramell per lui: c'è un motivo se, negli ultimi mesi, l'ex-Ministro non si è più fatto vedere e neppure trovato in casa. Depressione? No. Per adesso, dirò solo che ha “sistemato i propri affari”, tra l'altro facendo testamento e impartendo – come si capisce dal testo - disposizioni precise sui funerali. Avrebbe parlato di persona con don James, anche per confessarsi, ma, sebbene si sentisse vicino alla morte, non aveva capito
quanto vicino; per fortuna, la lettera era già scritta e Incantata in modo che si Materializzasse a destinazione non appena terminato il suo funerale (Babbano o Magico che fosse: non era sicuro di poter confidare nel rispetto delle proprie volontà. A ragione, purtroppo).
Signore e signori, io ho spiegato anche troppo. A voi la parola.

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Capitolo 10
*** Avviso ***


Avviso



Avviso



Dopo attenta riflessione, ho deciso di sospendere l'aggiornamento della storia fino a quando non avrò completato il prequel: già ora si capiscono troppi dettagli di come andranno le cose... e preferisco concentrarmi nel raccontarle in ordine.
Ho già molto materiale pronto per "Il Profumo", meno per "Metanoia", ma condurrò in porto entrambe. I tempi non saranno brevi, però, e può darsi che mi decida a postare qualche capitolo qui anche prima di aver concluso il prequel. Nel caso, eliminerò quest'avviso, lo sostituirò con il nuovo cap.... e mi auguro che conti come un aggiornamento, così verrete informati.

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Capitolo 11
*** Il Localizzatore ***


Il Localizzatore



Il Localizzatore



Ringraziamenti: Alla fine, per sicurezza, ho lasciato l'avviso – darà conto ai futuri lettori di una notevole discontinuità nei tempi di pubblicazione, dopotutto, e potrà spiegare eventuali cambiamenti di stile – e aggiungo il nuovo capitolo senza aver terminato il prequel, com'era nei miei programmi. Al di là dello scandaloso ritardo ormai accumulatosi, per non parlare del materiale in attesa, riprendendole in mano dopo tanto tempo mi è sembrato che, a conti fatti, le due storie potessero procedere in parallelo, anche se “Metánoia” avrà la precedenza per forza di cose. Quindi, non faccio promesse sulla continuità degli aggiornamenti perché non mi sembra davvero il caso, però potete considerare superato l'avviso, le storie procederanno in parallelo.
In origine, questo capitolo doveva formare un tutt'uno con il precedente; ma, vista la lunghezza raggiunta, ho preferito suddividere le due parti. Credo comunque che funzionino anche come unità narrative a sé.


The cars crawl past all stuffed with eyes,
Street lights share their hollow glow,
Your brain seems bruised with numb surprise,
Still one place to go,
Still one place to go.

J.M., Soul Kitchen



All'esterno della parrocchia di Nostra Signora della Vittoria, il cielo si era schiarito e un sole pallido, incapace di riscaldare, accolse quanti uscivano al termine del funerale. Il feretro proseguì senza fermarsi, diretto verso chissà quale meta (non si vedeva alcun carro funebre); i parenti gli tennero dietro; i pochi parrocchiani si dispersero senza indugiare neppure un istante.
Alastor Moody e la donna che era stata seduta al suo fianco emersero dalla chiesa un momento dopo, ritrovandosi completamente soli sul piccolo sagrato. Si squadrarono in silenzio per un lungo istante.
«Strano posto dove incontrarsi, eh, Malocchio?»
«Certamente. Mai più avrei pensato che Cornelius mi avrebbe trascinato qui. Non ci è riuscito da vivo, ma ce l'ha fatta da morto.»
La donna scosse il capo con tristezza. «Povero Caramell. Non l’ho mai potuto sopportare, ma ha pagato cari i propri errori: da quando era andato in pensione, sembrava l’ombra di sé stesso.»
«E non vale un po' per tutti noi?»
«Probabilmente. Anzi, anche più di un po'. Tu come te la cavi?»
Sulle labbra dell'ex-Auror spuntò un sorriso strano. «Io? Be', mi tengo occupato.» Esitò un momento. «Ma, in genere, le mie occupazioni non includono il salvataggio di qualche povero Babbano dall'assassinio legalizzato»
«Hai visto quel poveraccio? Sembrava sconvolto. Come se avesse capito quel che stava per succedere»
«Probabile, sai? A quanto mi ha raccontato Cornelius, proprio l'ultima volta in cui ci siamo visti, don James ha un nipote a Hogwarts.»
«No!»
«Sì. Figlio di un Mago, ma cresciuto dallo zio Babbano dopo che la guerra gli ha portato via i genitori»
«E quindi...» Rita Skeeter, con tutto il suo cinismo, tremava al pensiero. «Il ragazzo avrebbe saputo perfettamente...»
«...Che la morte di suo zio non era stata un incidente? Sì. Che qualche Mago aveva commesso un errore o un incidente? Sì. Che aveva scelto di risolverlo ammazzando tutti e facendo sparire i cadaveri? Anche.» La voce di Moody era gelida come il vento artico.
«Malocchio...» Le mancava la voce e dovette schiarirsela. «Come è possibile che siamo arrivati a questo punto?»
Il suo gesto stanco disse più di mille parole.
«Non dirigevi tu quell'Ufficio per la Comunicazione Esterna? Dovresti saperne più di me»
«Dirigevo, hai detto bene. Come tu dirigevi la Sicurezza Interna, o ricordo male?»
«Ricordi benissimo, naturalmente. E ti dirò, ho apprezzato molti dei tuoi articoli: era tempo di portare il marcio alla luce»
«Molti, ma non tutti, eh?»
«No, non tutti. In alcuni si sentiva troppo del tuo vecchio veleno, in altri ti sei presa qualche... licenza poetica con i fatti e in qualche altro ancora sei stata superficiale o ti hanno fatto vedere solo quel che volevano che vedessi.» Enumerò questi difetti in tono del tutto spassionato. «Ma so che ci hai creduto e provato sul serio»
«Grazie. Anche tu.» Sorrise un momento. «Anzi, mi sorprende non averti ancora sentito sbottare “Vigilanza costante!”
Un sorriso pallido gli stiracchiò le labbra di rimando. «Continuo a bere solo dalla mia fiaschetta. Giro sempre armato. E faccio le mie ronde, perché non si sa mai. Ma chi è rimasto da mettere in guardia?»
«Non chiederlo a me, io sono finita a dare consigli sull'amore alle lettrici del Settimanale delle Streghe!»
«E non è un caso, no? Nessuno aveva più voglia di scandali, non in quel momento, erano tutti stanchi...»
«E io non l'avevo capito. Certo, con il senno di poi...»
«Non me ne parlare.» Un sorriso molto strano. «A proposito di senno di poi, credo che andrò a cercare don James.»
«E a che ti serve questo signor Don?»
Per un attimo restò spiazzato, poi scoppiò a ridere. «No, no... “don” non è il nome, è il titolo!»
«Titolo?»
«Sì... vabbe', lascia perdere.»
Lo guardò in un modo strano. «Sì, va bene, io lascio perdere. Ma tu, Malocchio? Tu hai lasciato perdere?»
«In che senso, scusa?»
«Credo che tu abbia capito benissimo.»
«Io temo proprio di no, invece.»
«Ah, se lo dici tu...» Lo guardò dritto nell'occhio normale. «Ti ricordi che aria tirava, Moody, dopo l'Ultima Battaglia? O eri troppo impegnato a sparire?»
L’uomo rise amaramente. «Certo che ricordo. Credi che qualcuno di noi potrà mai dimenticare quei giorni? Com’era ridotto il Mondo Magico? Buoni e cattivi, tutti avevamo visto crollare ogni nostra certezza, gli eroi da ammirare, i capi da seguire…»
La donna fece eco alla sua risata, con uguale amarezza: «Credi che, altrimenti, il nostro amato Ministro sarebbe mai riuscito a posare le chiappe aristocratiche sulla poltronissima?»
«Non ricordarmelo!»
«Sì, immagino che un ex-Auror non sopporti proprio che un Mangiamorte sia diventato Ministro della Magia.» Pausa. «Soprattutto se quell’ex-Auror sei tu.»
Non vi fu risposta.
«Andiamo!» La donna scosse il capo, apparentemente irritata. «Non vorrai farmi credere che hai piegato la schiena, che accetti supinamente il potere di Lucius Malfoy!»
L’ex-Auror la fissò. «Dunque era qui che volevi arrivare.»
«E tu no? Ti sei fermato qui fuori solo per fare due chiacchiere?»
Moody assunse un'aria innocente che, sul suo viso segnato, appariva del tutto incongrua. «Potrei dire che stavo semplicemente aspettando che don James finisse di leggere la lettera di Caramell...»
«La che?!»
«Se il mio occhio non mente, ha ancora in mano una pergamena con il sigillo personale di Cornelius, quindi... Ma diciamo che mi sono fermato per molteplici ragioni. E tu? Pura curiosità?»
«Molteplici ragioni anche per me. Affascinanti i riti Babbani in questa stagione, non trovi?»
«Come no? Le rose sono rosse, le pianete sono nere, gli uccellini cinguettano saltellando di ramo in ramo...»
«Mi sa che hai sbagliato stagione»
«...E Rita Skeeter decide di correre il rischio di apostrofare un ex-quasi collega con un discorso sovversivo, nevvero?»
«Diciamo che a) conosco i miei polli e b) non sono per nulla soddisfatta del nuovo corso.»
«Sì, questo mi sembra ragionevole.»
«Caramell avrà avuto diecimila difetti, ma non ha mai tentato di farmi licenziare!»
«E neppure ci sarebbe riuscito. Lucius, invece, sì.»
«Argh! Non ricordarmelo!»
«Chi la fa l’aspetti.»
«Touché
Risero, una risata calda e schietta, che sorprese loro per primi.

Frattanto, in sacrestia, don James riarrotolava, senza neppure vederlo, l'ultimo messaggio del suo penitente ed amico.
Aveva preso una decisione: qualunque cosa fosse successa, sarebbe andato a cercare Duncan e sarebbe rimasto con lui. Costasse quel che doveva costare.
Signore, perdonami, so che il mio primo dovere è verso i fedeli che Tu mi hai affidati; ma cosa potrei mai fare per loro?
Se quello che Cornelius mi ha scritto è vero... se è destino che si avveri...

Raccolse con un fazzoletto il sassolino dall'aria insignificante che era stato avvolto nella pergamena, lo chiuse a chiave nell'ultimo cassetto e cercò di non pensare più all'intera, orribile faccenda.

Malocchio portò il discorso sugli ultimi giorni di Caramell. Non c’era stato nulla di insolito o di sospetto, nella morte dell’ex-Ministro della Magia; semplicemente, il suo cuore si era stancato di battere, i suoi polmoni di respirare. La scomparsa della moglie era stato l’ultimo colpo, per lui.
Di colpo, l'occhio magico si piantò dritto in faccia alla Skeeter.
Che non batté ciglio.
Questo dovette rassicurare l'ex-Auror, in qualche modo, perché ad un tratto disse: «Non si era convertito soltanto alla Chiesa.»
«Ah no? E questo cosa vorrebbe dire?»
«Seguimi e potrai vederlo con i tuoi occhi.»
«Ti prego, dimmi che ne uscirà un articolo!»
Moody la fissò. «Un articolo? Non credo. Ma di sicuro ne hai già in mente un paio. Sulla cerimonia e sul sottoscritto.»
«Sì, ma mi serve uno scoop. Chi vuoi che mi pubblichi un pezzo di colore?»
«Il Cavillo
Seguì una pausa di silenzio imbarazzato.
«Sempre meglio del Settimanale delle Streghe, no?»
«Della posta del cuore, sicuramente!» riconobbe Rita a denti stretti. «E comunque ho bisogno di lavorare, intendo di fare un lavoro serio.»
«Allora, affare fatto?»
«Solo perché non ho più nulla da perdere. Adesso vuoi dirmi dove vorresti trascinarmi?»
«Meglio che tu lo veda direttamente. Dammi il braccio e ti ci porto.»
Lo fissò un secondo o due, forse chiedendosi se avesse qualche intenzione da maniaco; ma poi scelse di fidarsi.

Si Materializzarono sulla soglia di una casa molto vecchia e molto cupa. Rita, almeno, riuscì a ricavarne quest'impressione prima di entrare e ciò che vide all'interno la confermò anche più di quanto avrebbe gradito. Ma, dando retta ai suoi cenni, mantenne il silenzio finché non si furono accomodati in quella che doveva essere la cucina.
«Che razza di posto è questo, Malocchio? Sembra un incrocio tra un rigattiere privo di qualunque gusto e la peggiore Notturn Alley.»
«Diciamo che era il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice.» Rifletté un secondo. «In effetti, si può dire che lo sia ancora, visto che l'Incanto Fidelius regge.»
Rita Skeeter non batté ciglio e attese che proseguisse.
«Non dici nulla?»
Gli sorrise: «Sono pur sempre una giornalista, il mio compito è far parlare te.»
«Pensavo che per quello usassi la Penna Prendiappunti.»
«Anche. Ma non soltanto.» Pensi davvero che sia tutto lì? Avrebbe voluto dirlo forte e chiaro, ma si trattenne: voleva farlo parlare, non litigare.
«Buono a sapersi. Comunque, io vivo qui, se te lo sei chiesta: è così che sono sparito.»
«Un bel po' di gente, secondo me, ti crede morto.» Tenne a puntualizzarlo.
«Potrei aver fatto sparire le tracce del mio ricovero al San Mungo» replicò, con fare innocente. «Sai, risvegliarmi più o meno rappezzato e scoprire chi stavano giustappunto scegliendo come nuovo Ministro... Oh, scusa, dimentico le buone maniere: posso offrirti qualcosa?»
«Grazie, il permesso di pubblicare andrà benissimo.»
La sua risata parve sincera. «C'è di meglio, c'è di meglio. Bel tentativo, però.»
Si accordarono per il vino di fior di sambuco, che sorseggiarono in silenzio. Infine, Rita posò il calice e disse: «Tu non mi hai portato qui semplicemente per fare due chiacchiere, dico bene? Se non hai qualcosa da dirmi, hai qualcosa da farmi vedere.»
Seguì un silenzio che si protrasse per qualche istante; poi Malocchio si alzò lentamente. «Sono colpito» ammise. «Hai ragione. Se vuoi seguirmi... attenta, però: non vogliamo svegliare i ritratti, apprezzano poco gli ospiti che non fanno parte della famiglia.»
Non gli chiese di che famiglia si trattasse: avrebbe sempre potuto scoprirlo. E soprattutto, sentiva che c'era ben altro a ribollire nel calderone.
Moody le fece strada fino alla biblioteca, dove, davanti ad una parete coperta da un grande arazzo sbiadito, stava quello che sembrava un grande bacino di forma ellittica. Avvicinandosi, notò che era colmo d'acqua; poi vide la cartina geografica a colori, disegnata o dipinta sul fondo, e per ultimo un ago dorato che galleggiava sulla superficie. Il tutto aveva, insomma, la parvenza di una bussola, di quelle che le era capitato di vedere e anche di usare molti anni addietro, giovane inviata in luoghi impervi e primitivi. Senonché, le saltò subito all'occhio la differenza: l'ago non puntava affatto verso il nord. E, in più, si muoveva a scatti. O meglio: ad intervalli di qualche secondo, era come se scattasse bruscamente in questa o quella direzione, per poi ritornare al punto di partenza, proprio sopra la Londra indicata sulla mappa.
E poi, si disse osservando meglio il contesto, di solito le bussole non sono circondate da un campo magico creato con le rune. Un campo dei più potenti: tre file di caratteri, una per ciascun gradino del basamento di pietra su cui il bacino poggiava. Chiunque lo avesse progettato o realizzato teneva molto ad ottenere... qualunque risultato si ripromettesse dal suo impiego. Un risultato che, a quanto pareva, era legato alla geografia dell'Europa.
Rita studiò tutto l'insieme con interesse ancora per qualche momento, poi cedette alla curiosità. «Cosa sarebbe?»
«È uno degli ultimi progetti elaborati dall’Ufficio Misteri, prima della riforma di Amelia: un Localizzatore.»
«Strano. Dovrei aver esaminato il progetto, ma non me lo ricordo.»
«Be’, probabilmente gli hanno assegnato un nome in codice, o qualcosa del genere, così non hai potuto avere la minima idea di cosa fosse. Vedi, Caramell pensava di usarlo per spiare Silente…»
«Come?» Subito le brillarono gli occhi.
«Forse è meglio che ti racconti tutto dall’inizio. Mettiti comoda.» Malocchio diede l’esempio, allontanandosi dal misterioso marchingegno per prendere posto al tavolo da lettura, recuperando anche una bottiglia di Whisky Incendiario da un dumbwaiter lì vicino. Lo seguì, determinata a mostrarsi paziente, ma anche ad osservare ogni dettaglio. Questo dev'essere il posto dove si rifugia a bere, ci scommetto.
«Dunque,» riprese l'ex-Auror, dopo un sorso abbondante, «il Localizzatore, come dice il nome, serve a rintracciare le persone. Non tutte, bada bene: solo quelle dotate di poteri magici. Può eseguire ricerche “a incantesimo”: in questo caso, ci indicherà i luoghi in cui, in quel preciso momento, è stato usato un dato incantesimo, e con quale bacchetta. Potremmo impostarlo anche per una ricerca storica, ma le tracce della magia, di solito, sfumano in fretta.
La ricerca più interessante, però, è quella “a soggetto”: si basa sul principio secondo cui ogni mago ha il proprio stile. Percepisce le tracce particolari lasciate dai poteri magici di un soggetto determinato. Per tararlo, di solito si usano le informazioni disponibili sulla bacchetta e il suo uso. Non è molto preciso, a meno che il soggetto non sia un mago molto potente, o particolarmente eccentrico.»
«Sembra il ritratto di Silente, in effetti.»
«Infatti: gli Indicibili che hanno inventato il Localizzatore hanno sviluppato il progetto, riferendo peraltro direttamente al Ministro, proprio assumendo di doverlo usare per tenere d’occhio lui. Amelia, quando li ha sbattuti fuori, non ha pensato di sottoporli ad un Incantesimo di Memoria, così hanno potuto continuare il lavoro.»
«Aspetta un momento.» Stavolta non poté fare a meno di interromperlo. «Mi stai dicendo che qualcuno ha trafugato materiale segretissimo dall'Ufficio Misteri e che...?!»
«No» tagliò corto con decisione. «Non fare la Penna Prendiappunti!»
«Scusa» mormorò dopo un istante di imbarazzo.
L'altro sospirò. «Capisco la forza dell'abitudine, però, per cortesia, fa' uno sforzo.» Bevve un altro sorso. «Comunque, per rispondere alla tua domanda, stavo dicendo che i due Indicibili che seguivano il processo sono stati licenziati da Amelia, dopo che ha mandato gli Inquisitori all'Ufficio Misteri. Non so se abbiano fatto in modo di nascondere le carte – qualcuno dei loro colleghi penso di sì – ma comunque non hanno portato via nulla. O meglio, solo la conoscenza che avevano in testa.»
«E cosa contavano di farci?»
«Lì per lì, nulla, penso. Non era un progetto che potesse aiutarli a sbarcare il lunario nell'immediato, capirai bene. Ma dopo la guerra...» Sospirò e vuotò il calice. «Scusa, pensavo al povero Cornelius.»
Stavolta non lo interruppe, gli lasciò i suoi tempi. La scelta pagò.
«Dopo la guerra,» riprese infine Malocchio, «Caramell è andato a cercarli, ha sborsato un mucchio di Galeoni per convincerli a riprendere in mano il progetto; combinazione, era uno dei pochissimi con cui mi fossi, è il caso di dirlo, fatto vivo. Sapeva che vivevo in un posto sicuro, anche se non l'ha mai visto, e così un bel giorno, quando ero passato a trovarlo, mi ha chiesto se potessi tenere in casa mia... quello. Il prototipo, lo ha chiamato così, anche se a me sembra più un prodotto finito. Mi ha spiegato come avrebbe dovuto funzionare e tutto il resto, in effetti mancava ancora qualcosina per perfezionarlo... ma siamo rimasti in contatto, ho lavorato anche con i tecnici e, insomma, ce l'abbiamo fatta.»
«Ma a cosa serve?» Rita pose subito la domanda che le bruciava sulla punta della lingua.
«A cercare Harry Potter.»


Note:
Può essere il caso di precisare che Malocchio e la Skeeter mostrano una certa familiarità reciproca perché, sotto Amelia, erano entrambi dirigenti ministeriali di alto livello, quindi si sono dovuti frequentare spesso... tanto che, superate le reciproche fortissime antipatie, hanno cominciato a provare un riluttante rispetto l'uno per le capacità dell'altra. Malocchio adesso è in cerca di alleati, vedremo ben presto il perché; non aveva pianificato né il loro colloquio né di rivelare al mondo, o almeno ai parenti di Caramell, di essere ancora vivo... ma, come ogni buon Auror, sa adattare rapidamente i piani alle circostanze e, quando occorre, li improvvisa pure.
Il vino di fior di sambuco viene servito a cena dai Weasley, nel quinto capitolo de “Il Calice di Fuoco”... ma io non me ne sarei accorto, se non mi avesse messo sull'avviso il Lexicon, dove sono andato a cercare qualche bevanda un po' diversa dal solito. E anche così, ho avuto bisogno di rileggere due o tre volte per trovare la menzione.
Nel bene e nel male, il Localizzatore è un'invenzione tutta mia. Sui dettagli del suo funzionamento conto di fornire ulteriori spiegazioni più avanti.
Taglio qui il capitolo, anche se è molto breve, non solo per l'effetto
cliffhanger, ma soprattutto per notare che pochissime persone sanno che Harry non è morto, o comunque che è stato visto svanire letteralmente nel nulla. Caramell era tra questi, perché collaborava ancora con il Ministero all'inizio dell'era Malfoy. E ne ha parlato anche con il nipote sull'onda dell'entusiasmo iniziale... ma parlare con Mopdy si è rivelato assai più utile.

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