Erezioni mattutine – Un’avventura del giovane Miroku nella valle delle allegre verginelle

di Josciusagee
(/viewuser.php?uid=1032796)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo - Dove si parla di Amore e Morte e dell'organizzazione di un viaggio ad una casa di piacere ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo – Dove Miroku riesce ad attraversare il mercato di Naniwa senza comprare nulla ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo – Dove Miroku è preservato dagli effetti dell’inflazione ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo - Dove si parla di Amore e Morte e dell'organizzazione di un viaggio ad una casa di piacere ***


Capitolo primo - Dove si parla di Amore e Morte e dell'organizzazione di un viaggio ad una casa di piacere



Da due o tre settimane Miroku si svegliava all’alba con i sintomi di un male inequivocabile: un brontolio sordo e fastidioso dello stomaco ed un altrettanto fastidioso ingobbimento un po’ più in basso, visibile a occhio nudo per chi avesse scrutato con attenzione la sua pur larga tunica in quel punto preciso. L’uno e l’altro appetito richiedevano prepotentemente di essere soddisfatti, ma come? Occorreva procacciarsi un lavoro per guadagnare qualche soldo, in modo da mettere qualcosa sotto i denti e comprare i favori di una fanciulla che offrisse al cliente danaroso una piacevole conversazione, piccole e premurose attenzioni, sorrisi veri o falsi che fossero, massaggi rilassanti (ad una data tariffa) o, al contrario, tesi a sollecitare certe parti del corpo (e qui bisognava per forza aggiungere un sovrapprezzo) e baci più o meno fuggevoli e rubati: in breve, un surrogato di ciò che si chiama comunemente amore.
Ogni tanto incontrava, durante le sue interminabili peregrinazioni, qualche fanciulla a passeggio con un parente di sesso maschile; lui allora la fissava con uno sguardo che implicava talvolta semplice curiosità, e talaltra desiderio: in tutta risposta, lei volgeva le pupille al selciato e un pudico rossore saliva a imporporarle le guance. Un istante, un bagliore tiepido e forse ingannevole; e già la ragazza scompariva accelerando il passo nella direzione opposta. Eppure, in quegli attimi che nella fantasia del bonzo si dilatavano all’infinito, lui intratteneva conversazioni immaginarie (lo erano davvero? o erano infine più verosimili delle chiacchiere reali, ma vuote, scambiate con tanta gente inutile incrociata lungo la via?) di questo tenore:
 
“Perché abbassi lo sguardo?”
“Perché non sono abituata ad essere guardata in modo così insistente e sfacciato da un uomo senza ritegno”
“Chi ti dice che io sia tale?”
“I tuoi occhi che mi scrutano senza posa parlano per te”
“La dolcezza e l’armonia dei tuoi lineamenti mi ha colpito: è forse una colpa per l’uomo, essere attratto da ciò che ha un’apparenza di fragile bellezza?”
“Dunque è la bellezza ciò che ricerchi, monaco Miroku?”
“Come l’acqua impetuosa dei torrenti, così la grazia e l’eleganza delle forme scorre rapida se non è accompagnata dalla gentilezza d’animo. Ti prego, arresti il tuo incedere davanti a me e aspettiamo insieme che la cicala abbia terminato di cantare”
“Di te non so nulla e nulla tu sai di me. Perché dovremmo ascoltare insieme il canto della cicala?”
“Appunto, per svelarci in silenzio una parte dei segreti nascosti nei nostri cuori. O forse sei trattenuta dalle sgualciture della mia tunica ormai logora e dall’usura dei miei sandali?”
“Dal nulla tu provieni e forse al nulla sei diretto. Lasciami, lascia che io vada per la mia strada. Le tue orme calcano un sentiero di morte, monaco Miroku. Addio, dimentichiamoci l’uno dell’altra; sarà meglio per entrambi”
 
Miroku si era abituato a percepire ciò che le tacite voci delle fanciulle gli suggerivano. Era quindi il timore della morte che le frenava? La morte era la sua inseparabile compagna, la donna più fedele e costante che l’avesse mai affiancato; con la morte era giunto perfino a conversare e le rivolgeva sempre l’ultimo pensiero prima di addormentarsi: ma era davvero così spaventosa? La morte non dovrebbe dispensarci dal vivere, pensò il monaco, io l’ho sempre accanto ed è divenuta la mia amica più cara. Ma non biasimo le ragazze che incontro lungo la via: esse temono forse più la vita di quanto non temano la morte stessa. Ecco, forse vorrei una donna che abbia tanta dimestichezza con la morte da amare teneramente e appassionatamente la vita, così come l’amo io.
Qui lo stomaco del monaco riprese a brontolare. Passato il momento della poesia, giunse il tempo della prosa. Dunque, si disse, vediamo se riesco a mettere a segno tre o quattro esorcismi questa settimana; e se mi gestisco con cura ciò che metto da parte, potrei anche permettermi un salto a quella casa di piacere a Naniwa, dove lavora Yuki… Con queste dolci prospettive, Miroku si mise in marcia, fischiettando un’aria allegra, come dicono capiti ogni tanto agli uomini sui vent’anni, quando sono molto felici o profondamente innamorati.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo secondo – Dove Miroku riesce ad attraversare il mercato di Naniwa senza comprare nulla ***


Capitolo secondo – Dove Miroku riesce ad attraversare il mercato di Naniwa senza comprare nulla
 
 
 
Nessun mercante vi assorderà di più con i suoi richiami, nessun bottegaio mentirà con altrettanta impudenza, nessun contadino decanterà meglio la freschezza dei suoi prodotti di quanto non succeda nel quartiere commerciale di Naniwa, lungo il rettilineo che si estende dalla Porta dei Serpenti fino al Tempio della Salamandra. L’incessante viavai dei garzoni; gli assembramenti delle massaie che, tra una compera e l’altra, si fermano volentieri a spettegolare, ostruendo immancabilmente i passaggi principali; la sollecitudine delle servette più giovani, tutte intente a non lasciarsi abbindolare dagli imbonitori, perché sanno che altrimenti, una volta rientrate dai loro padroni, saranno duramente rimproverate per la loro sventatezza; la disinvoltura delle serve in età da marito, già più smaliziate nelle contrattazioni, ma non così deluse dalla vita da non sognare ancora un giovane bellissimo che le rapisca per prenderle in sposa, come pare succeda nelle favole; l’andatura pigra e strascicata degli oziosi, che non acquistano nulla, ma in compenso fan perdere tempo a tutti; l’alterigia ostentata dai famigli delle case signorili, i quali pretendono di essere serviti con priorità assoluta, a dispetto di chi si è incamminato in piena notte per arrivare in città all’alba e rincasare prima che il sole culmini; la curiosità genuina dei forestieri, che si guardano in giro incantati, come se non avessero mai visto niente del genere prima d’ora: ecco, mettete insieme tutto questo, e avrete solo una vaga immagine, per forza di cose sbiadita e inefficace, di quel formicaio brulicante che è il mercato di Naniwa; un posto che un poeta poco noto dell’epoca Heian aveva addirittura osato paragonare all’inferno.
Assurdo! pensò Miroku, l’inferno dovrebbe essere un luogo buio, freddo e silenzioso: un luogo dove non è ammessa la speranza; e qui, invece, sono tutti disposti a cederti un poco di speranza, purché sia ad un prezzo ragionevole per ambedue le parti. A buon diritto quel cattivo poeta è stato ormai dimenticato! concluse il monaco tra sé e sé. Arrivava da Ovest e quindi doveva necessariamente passare dalla Porta dei Serpenti per entrare in città, perciò gli sarebbe toccato attraversare il quartiere commerciale. L’idea non gli dispiaceva. In altre parti del mondo, i mercanti avevano l’occhio esercitato a distinguere gli squattrinati dai ben forniti, e mentre ai primi dispensavano sorrisi e parole melate, agli altri era riservato invece uno sguardo sprezzante: se non fossero stati troppo occupati a servire i clienti, avrebbero volentieri mandato i garzoni a chiamare le guardie, per far arrestare i viandanti senza soldi con l'accusa di vagabondaggio. A Naniwa invece – pur con la stessa capacità di valutazione della situazione economica dei passanti – i venditori sorridevano a tutti, indistintamente. Si sarebbe detto che, anche se non avevi un soldo, ti avrebbero esortato comunque a contrattare, dicendoti: vediamo cosa puoi riuscire a ottenere, in cambio delle quattro pulci che ti ritrovi nelle tasche; e sarebbe partita la negoziazione.
Miroku ci andava in media una volta ogni cambio di stagione, a Naniwa; e alcuni commercianti lo conoscevano ormai di vista e lo chiamavano per nome:
 
“Ehi monaco, assaggia queste pesche! Ne vuoi un po’?”
“Grazie, ma ho già fatto colazione! Domani, senz’altro!”
“Miroku, guarda quant’è affilato questo pugnale! Dai, dimmi una cifra!”
“Sembra di ottima fattura, ma adesso vado di fretta!”
“Non è ora di cambiare quei sandali, bonzo? Che diranno, le ragazze?”
“Hanno fatto tanta strada, ne faranno altrettanta!”
“Dai, Miroku, non prenderci in giro: tanto si capisce che hai la bisaccia piena di quattrini, da come la tieni stretta!”
 
Quanto a questo, non si sbagliavano. Si dice che gli dei ascoltino i progetti degli uomini e sorridano: pertanto, occorre mantenersi sempre umili e prudenti, senza perdersi dietro ai propri sogni con la presunzione di arrivare a realizzarli; perché, in quel caso, l’indifferenza degli dei muterebbe in ostilità e la propria tracotanza sarebbe punita in modo assai crudele. Eppure, Miroku aveva osato fantasticare e sperare; e, ciò nonostante, i suoi piani erano stati coronati dal successo: prima aveva aiutato una carovana di mercanti a liberarsi da un dispettoso spiritello della foresta che li tormentava; poi aveva guarito con una pozione una ragazzina affetta da una tosse secca e fastidiosa che si trascinava da mesi; infine, era stato chiamato da un ricco artigiano per scacciare lo spirito del fratello defunto con il quale, ai tempi, non aveva diviso equamente l’eredità paterna. Il monaco era riuscito a dare la pace a quell’anima in pena, purché l’artigiano devolvesse metà del patrimonio alla vedova e ai figli del fratello; e così era accaduto.
Perciò i venditori del quartiere commerciale non si erano ingannati: Miroku aveva con sé una discreta sommetta; solo, voleva cominciare a spenderla in un altro modo: giunto nei pressi del Tempio della Salamandra, piegò a zigzag apparentemente senza una meta, fino a giungere nei bassifondi; qui, le facce che si incrociavano avrebbero reso il cuore molto meno saldo a gente molto più ardita del giovane monaco, ma lui non se ne curò e continuò invece a camminare verso la locanda dove avrebbe presto assaporato sensazioni paradisiache; e anzi, al solo pensiero prese a fischiettare un’aria allegra, come dicono capiti ogni tanto agli uomini sui vent’anni, quando sono molto felici o profondamente innamorati.  

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo terzo – Dove Miroku è preservato dagli effetti dell’inflazione ***


Capitolo terzo – Dove Miroku è preservato dagli effetti dell’inflazione
 
 
 
Una malconcia porta tarlata, racchiusa tra due lanterne dalla luce flebile, non sembra anticipare chissà quali gioie dei sensi e dello spirito; ma chi sa guardare oltre l’apparenza delle cose (e Miroku, di questo, era capace) non si scoraggia solo per una prima impressione negativa. A dire il vero, il monaco, in quel posto, non c’era mai andato alla cieca: la prima volta, era stato accompagnato da uno dei commercianti di sua conoscenza; in seguito, era diventato un habitué. Ma anche se l’avesse scoperto tutto da solo, avrebbe comunque dato una possibilità a quel luogo, per via di una di quelle occorrenze che gli esseri umani amano definire con termini quali “appuntamento col destino” o “vibrazione dell’anima” o “sussulto del cuore” ma che invece, più probabilmente, sono soltanto frutto del caso, o di mille altre circostanze più banali.
Seguendo quella sorta di cerimoniale che era d’usanza per guadagnarsi l’ingresso, Miroku bussò quattro volte con quattro colpi leggeri e attese il tempo necessario ad una libellula per volteggiare da un capo all’altro del vicolo; ed ecco che fu scostato lo spioncino: il monaco a quel punto pronunciò le parole convenute, che lo qualificavano come cliente per bene e non come delinquente in cerca di asilo (o peggio, come spia dell’autorità) e l’uscio si schiuse, pronto ad accoglierlo.
Dietro la porta, come sempre, stava la vecchia Hana, la quale in realtà non era poi così vecchia, sebbene fosse già entrata da qualche anno in quella fase della vita in cui le femmine non buttano più sangue. Miroku la seguì, discendendo con lei, a passi prudenti, qualche gradino di altezza diseguale, per poi capitare in una specie di atrio: là, i clienti si fermavano a chiacchierare con la vecchia sorseggiando sakè, in attesa del loro turno. La donna si sedette su un tatami, invitando Miroku a fare lo stesso; stranamente, non c’era nessun altro oltre a loro due e il monaco, complice il clima di intimità che si era creato, la guardò con maggiore attenzione del solito. Da giovane doveva essere stata di una bellezza rara, di quelle che recano onore al nome che le era toccato in sorte: Hana, ossia fiore. Quel fiore stava ormai appassendo ed era destinato a rinsecchire: tuttavia, intorno a lei si riusciva ancora a percepire la traccia di un profumo che evocava l’antica fragranza di un tempo.
Miroku prese a riflettere sulla caducità delle cose di questo mondo, collegando i nomi alle persone. Hana, il fiore; e Yuki, la neve. Già, anche Yuki aveva ben meritato il suo appellativo: la sua pelle era candida come i suoi denti; e benché fosse ormai più vicina ai trenta che ai venti, si era conservata bella come solo le adolescenti sanno essere. Era impaziente di incontrarla, e ruppe quel silenzio inusuale:
 
“Dov’è Yuki? sono passati cinque mesi dal nostro ultimo incontro, e non vi è stato giorno in cui il mio pensiero non fosse diretto a lei”
“Monaco Miroku, come sai raccontarle bene, le bugie! Se avessi un terzo dei miei anni, e un decimo dell’esperienza che ho accumulato, sarei pure tentata di crederti”
“Onorevole Hana, si diventa dunque tutti così diffidenti, con il volgere delle stagioni?”
“Si chiama arte di vivere, mio caro bonzo”
“Converserei volentieri con te a lungo su questo argomento, se non fosse che muoio dal desiderio di vederla. Mi è dunque concesso?”
“Ma certo, Miroku; sei un nostro ospite affezionato e Yuki per te ci sarà sempre, fin quando tu lo vorrai”
“Molto bene”
 
Miroku versò la somma che gli si richiedeva ogni volta, e fece per alzarsi; ma Hana lo trattenne, restituendogli parte delle monete che il monaco aveva deposto sul tatami. Lui rimase sbigottito: Onorevole Hana, che significa questo? Anno dopo anno, ho sentito dire che i prezzi aumentano, mai che diminuiscano. Si tratta forse di un trattamento di favore ad un cliente devoto?
La vecchia rise di una risata amara: Monaco, hai pagato forse fin troppo; ma via, entra pure nella Stanza Rossa, dove Yuki ti sta già aspettando, e le mie parole non ti saranno più oscure.
Miroku non obiettò: certo, non gli dispiaceva di cavarsela così a buon mercato; ma gli rimanevano altri motivi di perplessità: Onorevole Hana chiese come mai non accendi già la prima delle quattro bacchette di incenso con cui usi misurare il tempo che i tuoi ospiti trascorrono in compagnia delle ragazze?
Sono una commerciante onesta, anche se non si direbbe gli replicò la vecchia vai prima a dare un’occhiata; e poi mi dirai se vuoi trattenerti con lei oppure no.
Miroku non ci capiva più nulla: Ma insomma, che succede? Tuttavia, di fronte alla reticenza della donna, decise di togliersi ogni dubbio di persona, ed entrò senza complimenti nella Stanza Rossa; qui, la luce soffusa delle candele gli consegnò l’immagine di una ragazza dalla sagoma elegante, avvolta in un kimono colorato di bianco e di azzurro. Era Yuki. Ma perché non gli rivolgeva il più dolce dei suoi sorrisi, come sempre? Stava lì, immobile, seduta sui talloni, a capo chino, la testa rivolta alla parete opposta.
Miroku si diresse a perdifiato verso di lei, gettandosi sul pavimento; ma Yuki pareva impietrita: solo, il suo corpo ebbe un tremito, e alcune gocce macchiarono il tatami. Piangeva.
Il monaco si avvicino a lei ginocchioni, le appoggiò una mano sulla spalla, mentre con l’altra le strinse delicatamente il mento tra pollice e indice per sollevare quel volto rigato di lacrime. Finalmente, la vide.
Una cicatrice le attraversava diagonalmente il viso, partendo dal sopracciglio sinistro, per poi discendere verso il solco del naso e incidere quasi tutta la guancia destra.
Rimase a guardare la ragazza per parecchio tempo; quando poi parlò, le disse, quasi inghiottendo le parole: Chi è stato? Nessuna risposta. Allora il monaco emise un sospiro, e ripeté più lentamente: Chi è stato? Yuki non riuscì più a trattenersi: singhiozzando, raccontò di quel cliente che era venuto già alticcio, aveva bevuto ancora poco prima di incontrarla, gli era venuta la sbronza cattiva, le aveva messo le mani addosso, e siccome lei gli si era ribellata, allora lui… Dov’è, ora, costui? –
Era diretto alla valle delle Allegre Verginelle – rispose Hana, accorsa nel frattempo sulla soglia, rubando le parole di bocca a Yuki Vogliatemi perdonare se mi intrometto, – aggiunse poi, quasi a volersi giustificare non è mio costume introdurmi nella camere delle ragazze quando ci sono i miei ospiti con loro –
Meglio sarebbe stato se tu fossi entrata in camera sua quando quel bastardo era con lei! – osservò Miroku, ricolmo di sdegno. Il monaco fremeva di rabbia: si avvicinò alla tenutaria e le afferrò gli avambracci, scuotendola con vigore: Di’ un po’, vecchia: non hai sospettato di nulla? Non hai sentito nessun rumore strano? Non eri forse intenzionata a costruirti una clientela di spicco? Come è potuta entrare, una feccia simile, in questo posto onorato? Ma soprattutto… – La donna lo ascoltava, atterrita e vergognosa. Quale altra accusa le avrebbe rivolto? … soprattutto… che cos’è questa dannata valle delle Allegre Verginelle? –
 
Difficilmente i soldati di guardia alla Porta della Tigre – l’ingresso settentrionale di Naniwa – avrebbero dimenticato la scena cui assisterono quella sera: un giovane monaco che montava a pelo un destriero dal manto corvino lanciato a rotta di collo fuori città; e una fanciulla, seduta per traverso davanti al bonzo, la vita avvolta dalle braccia di lui, che stringevano saldamente le briglie nei pugni serrati come le fauci di una tagliola. Largo! Largo! urlava Miroku, circondato dalla polvere sollevata dagli zoccoli del cavallo. Le guardie fecero giusto in tempo a scansarsi, non prima di aver indirizzato al monaco epiteti poco riguardosi circa la moralità di colei che lo aveva messo al mondo. Senti, Miroku… cominciò Yuki … sarà stata poi un’idea saggia, mettersi in moto quando tra non molto il sole sarà tramontato? Lui deglutì, non sapendo che rispondere. In ogni caso, penso lei, non posso negare di essere contenta che lui abbia perso il controllo di sé, al punto da mettersi di gran carriera sulle tracce dell’uomo che mi ha oltraggiata. Un momento, però! D’un tratto, un dubbio fastidioso le attraversò la mente:
 
“Miroku…”
“Sì? Dimmi pure…”
“Non è che per caso sei più interessato a trovare la mitica valle di cui ti ho parlato, piuttosto che a vendicarti del mio aggressore?”
“Ehm… ma no, cosa vai a pensare, Yuki-chan?”
 
Qui la fanciulla si voltò con un’aria di diffidenza dipinta sul volto; quel volto che, a parere di Miroku, era ancora bellissimo, nonostante lo sfregio patito; perché gli ricordava quei momenti di incanto a cui tutti prima o poi ci aggrappiamo per convincere noi stessi, nel momento della prova, che dopotutto la vita è bella e questo vecchio, pazzo, mondo può ancora dispensarci un poco di gioia, sia pure vana e transitoria.
Di tutto questo avrebbe voluto parlarle Miroku; senonché, riuscì soltanto a replicare con una risatina carica di imbarazzo, che confermò i sospetti di Yuki. La ragazza allora gli mostrò la schiena e si chiuse in un silenzio imbronciato; mentre il monaco, dal canto suo, per celare il disagio, si mise a fischiettare con noncuranza un’aria allegra, come dicono capiti ogni tanto agli uomini sui vent’anni, quando sono molto felici o profondamente innamorati.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3691808