Le trincee dei nostri cuori

di Urban BlackWolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella lapide bianca ***
Capitolo 2: *** Fronte occidentale ***
Capitolo 3: *** Fughe nella notte ***
Capitolo 4: *** Il tuo sguardo e non sono stata più la stessa ***
Capitolo 5: *** La reticenza di Haruka ***
Capitolo 6: *** Gesti e conseguenze ***
Capitolo 7: *** La sorgente ***
Capitolo 8: *** Il giogo che lega un cuore ***
Capitolo 9: *** Il precipitare degli eventi ***
Capitolo 10: *** La consapevolezza di un amore ***
Capitolo 11: *** La crudeltà di un orgoglio ferito ***
Capitolo 12: *** Sforzi, convinzioni e speranze ***
Capitolo 13: *** E tu l'amore ***
Capitolo 14: *** Quinto comandamento ***
Capitolo 15: *** Il peso della coscienza ***
Capitolo 16: *** Madness ***
Capitolo 17: *** In questa vita o nell'altra ***
Capitolo 18: *** Epilogo - Tra presente e passato ***



Capitolo 1
*** Quella lapide bianca ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Quella lapide bianca

 

 

 

Il vento si era alzato già da qualche minuto prendendo a scarmigliarle i capelli mentre a occhi chiusi si godeva quella voce famigliare frustarle le orecchie come un arcano dio vendicatore. Potente, indomito, incurante, libero in quella giornata dall'aria limpida e rarefatta dopo che un temporale notturno ne aveva spazzato via le impurità di fine primavera. Sentiva l'elettricità Harura, la sentiva come se fosse stata una cosa tangibile, reale, un oggetto con una massa corporea ben definita, da poter accarezzare, ma non racchiudere. Era quello l'effetto che da sempre le facevano provare le sue adorate Alpi dopo una lunga camminata, sin dal suo trasferimento a Bellinzona poco più che ventenne, sin da quando aveva preso a fare trekking su e giù per quei passi ormai conosciuti come vecchi amici. Ed ogni volta arrivata su quel piccolo altopiano da dove si poteva scorgere parzialmente la periferia della sua città e posati gli occhi sulla lapide bianca dov'erano incisi tanti nomi a lei sconosciuti, si sentiva parte integrante di quel paesaggio, della sua storia complicata e millenaria, della sua natura spigolosa e austera, temibile, ma alle volte anche dolcissima. Proprio come era lei.

Spostando lo sguardo dalla lapide granitica alle scarpate poco distanti, piegò un angolo della bocca intravedendo l'inizio di una delle tante trincee difensive che zigzagava per qualche centinaio di metri seguendo le asperità del terreno. Risalivano alla Grande Guerra, ma non avevano mai visto veri e propri combattimenti, perché la Svizzera era sempre rimasta neutrale ed inviolata nei suoi confini. Eppure di caduti la sua terra ne aveva avuti comunque tanti durante quell'orrendo sterminio di massa chiamato con l'epitaffio di Mondiale e quel memoriale di pietra saldamente piantato su altrettanta ferrigna dolomite, era stato posto li proprio per ricordare i figli che il Canton Ticino aveva donato alla Confederazione. Soldati e civili morti per difendere la scelta della sua neutralità. Come porti sicuri in piena burrasca, i quattro cantoni avevano rappresentato per molti europei un rifugio in attesa che il mondo civile si fosse ricordato di essere tale, richiedendo però un contro passo dal notevole sacrificio, sia economico, che armato. Bellinzona in particolare, aveva assunto quasi immediatamente un ruolo chiave nell'enorme scacchiera che si era venuta a creare sul territorio del fronte occidentale, preparandosi già pochi mesi dopo l'attentato di Sarajevo, all'entrata nelle ostilità della vicina penisola italiana e ad un eventuale sconfinamento attraverso i valichi del Ticino del giovane esercito del Regno. E quelle piccole trincee erano un ricordo di quell'attesa, rimasta per fortuna tale fino all'armistizio del diciotto.

Avvertendo due mani cingerle la vita da dietro, Haruka girò il busto per incrociare gli occhi della sua compagna. Un blu intensissimo, diventato negli ultimi mesi stranamente caldo, addolcito da una benedetta quanto sconosciuta serenità interiore snidata nel cuore dopo un viaggio solitario fatto in terra ellenica e che aveva portato Michiru, la sua dea, la compagna della sua vita, a guardare il mondo in maniera meno distaccata e più empaticamente vera. Proprio per questo di fronte ai nomi di tante persone sconosciute e lontanissime da loro, tra le due era stata proprio Kaiou quella che si era maggiormente commossa, non aspettandosi da quel luogo un po' brullo ed avulso dalla solita rutine un tale carico di storia vissuta.

“Ti sei intristita?” Chiese la bionda sfiorandole la punta del naso con le labbra. Era la prima volta che la portava lassù con se. Avevano camminato tanto, ma ne era valsa la pena.

“Non credevo fosse un posto tanto intenso. In fin dei conti è solo roccia, erba e terra.” Rispose sorridendo aspettandosi l'inevitabile reazione.

Inarcando le sopracciglia chiare l'altra la guardò con aria buffa. “Come solo roccia, erba e terra?! Sono le Alpi, Kaiou. Porta un po' di rispetto. Vergogna! Tu che sei più svizzera di me. E se io chiamassi in tuo padre blu, solo una pozza d'acqua, per di più imbevibile?!” La sentì ridere sciogliendo il contatto.

Dirigendosi verso la lapide, Michiru guardò il basamento rossiccio inciso. Nome, cognome ed una data. Scorrendo con lo sguardo si fermò per poi richiamare l'attenzione dell'altra. “Ruka, perchè ci sono dei punti interrogativi?”

“Te ne sei accorta." Ammise andandole vicino.

“Si, qui guarda.” Indicò due nomi di donna che non riportavano alcuna data.”

Haruka strinse le labbra. La spiegazione era semplice; non se ne conosceva la sorte.

“Heles e Milena. Chissà chi erano.”

“Una curiosità che ebbi anch'io la prima volta che qualche anno fa arrivai fin qui. Chiesi alla guida di allora e mi disse che di loro si sapeva solo che Heles era una ragazza di un paese qui visino, mentre Milena proveniva molto probabilmente dal nord della Svizzera. Ma nessuno si è mai preso la briga di fare indagini più approfondite su di loro. Si sa però che si conoscevano, perché i loro nomi sono stati trascritti l'uno accanto all'altro nell'annuario del quindici del comune di Bellinzona. ”

“Allora non si sa se siano morte durante la guerra.”

Alzando leggermente le spalle l'altra ipotizzò il contrario. “Purtroppo credo di si. Sono state registrate come staffette di confine, il che in questa zona riduceva di molto l'aspettativa di vita di una giovane donna.”

“Perciò si conoscevano! Magari erano buone amiche, oppure... amanti.” Fantasticò Michiru accarezzandone con l'indice destro i nomi.

“Ecco che mi scivoli nuovamente sul romantico. Mai possibile?!” Disse voltandosi per tornare verso il sentiero che le avrebbe ricondotte a valle. Mani nelle tasche dei calzoncini e passo lento, ma deciso.

“Be perché, non potrebbe essere?”

“Proprio no. - Si fermò aspettando che la compagna la raggiungesse. - Ti ricordo che stiamo parlando di eventi compiutisi cento anni fa, dove o si era in un modo o non si era affatto. L'omosessualità, anche se presente, non poteva essere espressa. Era un tabù. Guarda noi, per esempio. Se ci fossimo incontrate allora molto probabilmente non ci saremmo neanche guardate negli occhi.”

“Io ti avrei notata subito.”

“Avresti pensato ad un bel ragazzo, ti saresti presa una cotta per me, rimanendo poi traumatizzata a vita nello scoprire che il tuo corpo bramava quello androgino di un'altra donna. Allora avresti sposato il primo maschietto che si fosse presentato a tuo padre, mettendo poi al mondo un’infinità di marmocchi. Il tutto vivendo di rimpianto al mio ricordo e vergogna al solo pensiero di essere un mostro.”

“Ho capito quello che intendi dire. Certo, queste due donne non avrebbero mai potuto amarsi alla luce del sole senza andare contro la convenzione del tempo.”

“Esatto e comunque una delle due, se non entrambe, avrebbe dovuto accettare prima la sua natura, il che per la mentalità di allora sarebbe stato psicologicamente complicato.”

“Comunque a me piace pensare che fossero una coppia.”

Haruka alzò gli occhi al cielo. Inutile insistere, perché quando Kaiou partiva per la tangente nessuno poteva più fermarla e come una slavina scivolava a valle trascinando tutto via con se, razionalità inclusa. Tornando a camminare si sentì arpionata per un avambraccio.

“Michiru, potevano anche essere membri di una stessa famiglia, oppure cliente e panettiera, dirimpettaie, insegnante ed allieva. Ultimamente navighi in mezzo a troppe fantasie.”

“Già il fatto che provenissero da due punti diametralmente opposti del paese riduce la possibilità che fossero cliente e panettiera. Comunque parli proprio tu che negli ultimi giorni stai divorando vagonate di testi storici sulla Grande Guerra senza pensare di avere una donna come me distesa al suo fianco?” Chiese sorniona ricordando quanto l'ultimo libro la stesse catturando.

Haruka era così, a parte i motori e lo sci, veri e propri punti fissi della sua vita, lavorativa e non, le piaceva cambiare spesso interessi fagocitando tutto ciò che poteva, poi una volta sazia, di punto in bianco cambiava radicalmente prospettiva gettandosi su di un'altra cosa. Poco prima Michiru aveva assistito alla fase ludica dei videogiochi, ora toccava a quella intellettualoide. Ecco spiegato perché il suo bizzoso puledro di fanteria avesse voluto portarla in quel giorno assolato, a fare un'escursione proprio in quella zona. Ne avevano approfittato per godersi un po' di ore all'aria aperta dopo l'ultima e definitiva visita medica che Haruka aveva avuto a Zurigo dal Dottor Daniel Kurzh.

“Scusa stai forse insinuando che ti avrei tradita con l'ultimo libro che sto leggendo? Perché a quel che ricordo questa notte non mi sembra di averti lasciata... insoddisfatta.” Sussurrò stirando un sorrisetto per nulla casto.

Bloccandosi di colpo Michiru la guardò contrariata. “Ma stai scherzando? Sono io a ricordarti che ho avuto le attenzioni della qui presente Haruka Tenou solo ed esclusivamente perché il temporale che ha imperversato fino all'alba, ha fatto saltare la luce in tutta la zona e tu, mia cara, non hai potuto finire di leggere il capitolo che tanto ti stava prendendo ripiegando come un fante sulla qui presente.” Le puntò l'indice al petto con finto rimprovero.

In tutta onestà era Michiru a sentirsi in difetto con la compagna. Nelle ultime settimane era stata molto presa dal restauro di un affresco che stava eseguendo in una delle sale del Castello di Montebello e di conseguenza l'aveva trascurata un pò. Usciva per prima rientrando tardissimo ed era Haruka a trovarsi spesso da sola a dover badare alla casa, alla spesa e al cibo dopo una giornata di lavoro in Ducati. E mentre la sera aspettava il ritorno della sua dea sinceramente stanca dei programmi idioti che nell'ultimo periodo mamma televisione continuava a sfornare, la bionda aveva preso a gettarsi sulla lettura cercando di porre così rimedio alla scarsa cultura che sentiva di avere verso la storia della sua terra.

“Ripiegando?!”

“Si mia cara, ripiegando.” Disse Kaiou riprendendo la discesa sogghignando come una gatta sotto i baffi.

Ma guarda che mi tocca sentire, pensò ricordando la notte focosa appena trascorsa mentre sentiva il cellulare vibrarle nella tasca posteriore. Prendendolo e guardando la foto sul display roteò gli occhi in alto rispondendo di malavoglia.

“Che vuoi?!” Chiese mentre Michiru le mollava un colpetto sulla spalla. Solo ad una persona si permetteva di rispondere a quel modo.

“Haruka sii gentile. Questa volta hai torto marcio.”

Che vuoi un par di pifferi, Tenou! Quand'è che imparerai ad impicciarti degli affari tuoi!?” Giovanna scivolò a gamba tesa come un libero fuori dall'area di rigore colpendo in pieno lo stinco della sorella.

“Ecco, lo psicopatico ha combinato il solito casino.”

“Non c'entra niente il dottor Kurzh. La colpa è tua e di quell'enorme buco dentato che hai sotto al naso!” Inveì ancora nervosa per aver risentito la voce di quel fastidioso, belloccio, arrogante e dannatamente saccente uomo.

“Ho solo fatto quello che andava fatto e detto ciò che andava detto.” Cercò di difendersi la minore facendo peggio. Incrementando la carica nervosa dell'altra dovette allontanasi l'Iphone dall'orecchio perché non le si sfondasse il timpano.

“Ma che diamine dici?! Ti avevo detto, pregato, scongiurato di non dire a Kurzh che la gamba a volte mi fa ancora male. Ma tu niente! Testarda come un blocco di cemento! Ora mi vuole visitare ed io non ho nessuna intenzione di andare a Zurigo!”

“Invece ci vai.”

“Ma vacci tu!”

Sentendosi offesa, la bionda tornò a scendere lungo il sentiero mantenendo freddezza nella voce. Bene, se aveva intenzione di fare di testa propria come al suo solito; liberissima.

“Fa un po' come cavolo ti pare Giovanna, ma sta di fatto che l'ultima volta che sei venuta qui da noi ti ho beccata piu' volte mentre prendevi vagonate di anti infiammatori. Se reputi che questo spaccarti lo stomaco sia normale...” Lasciò cadere la frase perché in effetti sapeva di aver fatto una cosa sbagliata parlandone con il medico quando lei le aveva chiesto di non farlo, ma alla domanda signora Tenou, come sta sua sorella, non aveva resistito, rivelandogli i disagi di una Giovanna che proprio non voleva arrendersi all'evidenza di quanto soffrisse fisicamente nel rimanere per troppo tempo ferma in piedi.

Respirando profondamente svariate volte la maggiore tornò su binari più dolci cercando di farsi capire. “So che lo hai fatto per me Ruka, ma gradirei che non andassi in giro a parlare dei fatti miei, soprattutto con quel simpaticone di Kurzh. Sai quante volte mi ha rinfacciato di essermi fatta venire un'aderenza cicatriziale solo per puro spirito masochistico e poi, diciamocela tutta, basterebbe un po' di piscina per sfiammare il nervo. Perciò non preoccuparti, ok?” E sentì l'altra mugolare un'affermazione francamente incomprensibile.

“Allora datti da fare e segnati a nuoto.” Come non sopportava l'idea che per averle salvato la vita Giovanna dovesse ancora soffrire quando sforzava la muscolatura o cambiava il tempo.

“La finiamo di pianificarmi la vita?” E scoppiando a ridere Giovanna cancellò definitivamente le tracce dell'arrabbiatura che si era presa non appena aveva terminato la telefonata con il medico.

Forse Haruka aveva caricato un po' troppo d'apprensione una condizione fisica assolutamente gestibile con un paio di aspirine, ma lo specialista era stato comunque molto gentile e professionale a chiamarla per sincerarsi della sua gamba. Dopo tutto il danno lo aveva provocato lei muovendosi prima del tempo per andarsene in giro e a quel pover'uomo non era rimasto altro che verificare i danni e cercare di porre rimedio.

“Va bene, va bene! Ma allora non hai preso un appuntamento!?" Disse Haruka spazientita.

“Oddio che supplizio di nervi che sei! Si l'ho preso un appuntamento, o meglio, farò qui un'ecografia per poi mandargliela tramite mail. Poi se riterrà di dovermi visitare di persona..., vedremo. Soddisfatta?”

“Mmmm, potevi fare di meglio, ma visto che vivi in terronilandia, accontentiamoci.” Concluse grattandosi il collo.

Con il passare del tempo si era scoperta apprensiva da morire nei confronti della maggiore, ma non poteva evitarlo. Era sempre la femmina alfa del suo piccolo branco. Lo faceva con Michiru e ora aveva iniziato a farlo anche con Giovanna.

“Ha parlato la nordica! Meno male, và. Abbiamo accontentato l'Ingegner Tenou.” Se ne uscì l’altra per poi chiederle cosa stesse facendo.

“Sono con Michi su un piccolo altopiano a qualche chilometro da casa. Stiamo discendendo.”

“Allora ti lascio così eviti di rotolarmi a valle. Salutami Kaiou.”

“Presenterò. Ciao Gio'.” E riattaccando gonfiò le guance rilasciando rumorosamente aria. Bella lavata di testa. Questa volta era toccato a lei essere incudine.

“Si è arrabbiata?”

“Abbastanza. Ma poi l'amore sconfinato che porta per il suo idolo l'ha piegata a più docili scambi verbali.” Sorrise strizzandole un occhio.

“Sei pessima, non giocare sul fatto che Giovanna ti adori portandoti su un palmo di mano.”

“Lo so, stavo solo scherzando. E' che un po' mi sento responsabile. Se non mi fossi ammalata come un'idiota, non avrebbe dovuto fare quel prelievo.”

“Che sciocchezze, come se lo avessi fatto apposta e comunque se non ti fossi ammalata non avresti mai avuto una sorella. Dai andiamo, abbiamo ancora un paio d'ore di discesa prima di tornare alla macchina.”

 

 

Giunte le venti e trenta, Michiru si alzò da tavola pronta per sparecchiare. Avevano comprato qualche cosa in rosticceria sentendosi esauste anche solo al pensiero di doversi mettere ai fornelli, ed ora che la sera stava giungendo, il crepuscolo stava nascendo e la fame era stata placata, era arrivata l'ora di rassettare al volo per poi crollare sul materasso.

“Ringrazio il cielo che domani sia domenica. Credo di essere diventata troppo vecchia per azioni d'impulso come quella di oggi.” Disse Haruka poggiando sul piano della penisola le ultime stoviglie che l'altra avrebbe riposto nella lavapiatti.

“Azioni d'impulso?!” Fece eco scoppiando a ridere.

Guidava la moto quasi tutti i giorni e prendeva lezioni di nuoto due volte alla settimana. Haruka aveva un corpo perfetto. Meravigliosamente perfetto. Kaoiu la vide aprire un barattolo pieno zeppo di biscotti al burro per poi afferrarne uno ratta come una biscia. Sorrisetto malizioso, passo svelto verso il libro che stava leggendo dimenticato sul tavolino di fianco al divano e via verso la loro camera da letto.

“Ruka..., non avrai intenzione di mangiare quel biscotto burroso sul mio letto?!”

La bionda se lo guardò innocente. “No, ho intenzione di mangiare questo biscotto burroso sulla mia parte di letto, Michi.”

E stirando le labbra soddisfatta entrò nella stanza di gran carriera. Meno di un'ora più tardi la compagna la trovò sprofondata nel sonno e sfilandole il volume dalle mani ne lesse il titolo prima di riporlo sul comodino. Le trincee dei nostri cuori – Cronache di Bellinzona negli anni della Grande Guerra.

“Scommetto che con queste letture sognerai fantasmagoriche avventure come al tuo solito, mia Ruka. Buonanotte.” Disse in un sospiro lasciandole un bacio sulla guancia prima d'infilarsi sotto le lenzuola ed abbracciarsela stretta.

 

 

Collegio di San Giovanni, Merano.

Austria sud occidentale – 15/4/1915

 

Michiru ripose gli spartiti nel cassetto della sua scrivania guardando poi attraverso la finestra che dava sul piccolo parco dell'istituto. L'aria era ancora frizzante, ma la primavera sembrava non voler più attendere oltre ed anche se le vette montane tutte intorno presentavano ancora importanti porzioni di bianco, le giovani gemme dei cedri e sui castagni, con il passare dei giorni stavano trasformando gli impalcati arborei in vere e proprie corolle simili ad auree verde chiaro. Quella città austriaca era molto diversa dalla sua Berna, ma la cordialità dei suoi abitanti, l'amore per il suo lavoro e la dedizione per il suo promesso sposo, nato e cresciuto a qualche centinaio di chilometri dal collegio nel quale stava attualmente insegnando musica, giornalmente aiutavano la giovane donna ad abbattere la nostalgia che a volte le catturava l'anima nel ripensare all'ocra delle scialbature dei palazzi del centro storico dove la sua famiglia, i Kaiou, avevano un palazzo, al blu profondo del fiume Aare ed alle cime delle Alpi Bavaresi.

Si sedette iniziando a sfogliare avidamente le pagelle di fine anno delle sue ragazze. Presto avrebbe dovuto dire loro che quello che stava per concludersi sarebbe stato il suo ultimo anno d’insegnamento. Si sarebbe sposata in autunno con Daniel Kurzh, il giovane medico della zona, nonché della scuola e non avrebbe certo potuto continuare a seguirle. Avrebbe dovuto concentrarsi sulla vita coniugale ed i figli che sarebbero arrivati subito dopo le nozze. Come unica erede della famiglia Kaiou, Michiru aveva avuto abbastanza tempo da dedicare ai suoi interessi giovanili come la musica e la pittura, ma ora alla soglia dei ventuno anni era tempo di togliersi i panni della ragazza per indossare quelli della moglie.

Certo i tempi non si stavano presentando propizi per la nascita di una nuova famiglia. Dopo l'attentato di Sarajevo, dove per mano di un vile scellerato avevano perso la vita l'arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia, l'Austria-Ungheria aveva immediatamente consegnato la dichiarazione di guerra alla Serbia, ma quella che avrebbe dovuto essere nei piani una “guerra lampo” si stava velocemente trasformando in un conflitto di portata mondiale.

Avvertendo due tocchi decisi alla parta Michiru rispose sapendo già chi fosse. “Prego, è aperto.” Disse voltando il busto.

Daniel comparve dall'anta sorridendo come un bambino. Bello, alto, occhio ceruleo e capello castano chiaro, di indole buona, anche se un po' prepotente, era uomo pressoché perfetto, sia fisicamente, che mentalmente. La morale, be quella era altra cosa, perché se una pecca nel suo fidanzato proprio la si voleva trovare, era quella abbastanza meschina dell'arrivismo. A differenza di Michiru, nata da borghesi facoltosi e cresciuta come tale, Daniel era di origini umili, si era fatto da se e per questo motivo cercava di continuo l'approvazione di coloro che riteneva essere superiori a lui, come per esempio i genitori della sua promessa sposa.

“Cara, ti disturbo?” Quel sentirsi dare del tu alla ragazza ancora non suonava cosa familiare.

“No assolutamente, entra pure.” Rispose alzandosi per andargli incontro. Un bacio casto sulla guancia ed una carezza altrettanto gentile sul viso ben rasato.

“La piccola Usagi ha chiesto di te. E' giù in infermeria con Ami.”

Corrugando la fronte chiese cosa fosse successo e ad un'alzata di spalle l'uomo confessò che si trattasse di problemi femminili.

“O..., se è per questo allora sarà il caso che vada. Usagi ha quattordici anni, ma alle volte si comporta ancora come se fosse una bambina. E' adorabile, ma non sopporta il dolore fisico.”

“E' per questo che ho delegato tutto ad Ami. E' l'infermiera più talentuosa che abbia mai visto e credo sia la persona più indicata per superare questa piccola crisi mensile.”

Trattenendo una risata nel pugno della destra, Michiru lo guardò in maniera dolcissima tanto che lui si rammaricò un poco nel darle la notizia che tanto lo stava galvanizzando. “Mi mancherà la tua risata cuore mio.”

“Cosa vuoi dire?”

Afferrandole le spalle con vigore annunciò fieramente di avere appena ricevuto la cartolina di arruolamento. Sarebbe diventato medico di campo. Un onore per un uomo come lui.

“Oddio Daniel!” Sobbalzò portandosi entrambe le mani alle labbra.

“Lo sapevo che avresti reagito così Michiru. Non devi, è per la patria. E poi per adesso sarò consegnato nelle retrovie. Non c'è pericolo li.”

La patria. La sua di patria, la sua di terra, la sua, non quella alla quale i Kaiou appartenevano da secoli. Tutto quel vociare sull'interventismo di altre nazioni come per esempio il Regno d'Italia, la stavano spaventando. Cosa sarebbe accaduto se l'utopia di un mondo nuovo costruito sulle rovine del vecchio polverizzato dalle granate di un conflitto mondiale, avesse adombrato anche il giudizio della Confederazione? Anche la Svizzera sarebbe scesa in campo?

“Non capisco tutto questo fervore per un massacro, Daniel ed in particolare da te che sei un medico.” Disse sciogliendosi dalla stretta per dirigersi verso la porta.

La risata che le penetrò le orecchie la fece voltare di scatto infiammandole gli occhi. Le parole che la seguirono fecero anche peggio. “Sei una donna Michiru. E' ovvio che tu non riesca a comprendere lo spirito guerriero che si cela dentro il cuore di ogni uomo.”

Non proferendo parola aprendo la porta con un gesto secco lei uscì dalla stanza. Quanta idiozia maschia a suo parere si celava dietro quelle quattro parole e camminando velocemente per il corridoio ottocentesco, si diresse verso la grande scalinata che l'avrebbe portata all'infermeria del piano terra.

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 15/4/1915

 

“Flint vieni, forza bello, dai.” Chiamò emettendo un breve fischio buttandosi poi lo zaino di tela verde sulla spalla sinistra. Qualche secondo e lo vide arrivare di gran carriera trotterellando sulle zampe con fare da cucciolo. In effetti quel mezzo lupo trovato tra i boschi l'autunno passato lo era, sia fisicamente, che di cervello. Non passava giorno che Haruka non dovesse richiamarlo, punirlo o lasciarlo legato alla baita. Ma doveva ammettere che le aveva fatto trascorrere il suo primo inverno da solitaria, in maniera più umana. Almeno durante le burrasche di neve, quando si trovava per forza di cose obbligata a starsene rintanata dentro quelle mura lignee, aveva potuto scambiare quattro chiacchiere con un altro essere vivente, o per meglio dire, aveva potuto sfogarsi nel parlargli ricevendo in cambio tante coccole deliziose. Ne aveva un gran bisogno Haruka, perché decidendo di allontanarsi da tutto e da tutti per vivere la vita a modo suo, come amava ripetere, si era addossata sulle spalle di ragazza poco più che ventenne, una solitudine talmente lacerante da farle desiderare di non essere mai venuta al mondo. La cecità della gente della sua cittadina l'aveva emarginata additandola come uno stravagante scherzo della natura e lei di rimpetto, ne aveva abbandonato i dettami rifugiandosi tra le vette più nascoste delle sue montagne. Nessuno avrebbe scommesso sulla sua sopravvivenza tra quelle asperita', sola, abbandonata a se stessa. Invece lei non soltanto ce l'aveva fatta, ma aveva addirittura trovato in quella natura arcigna una sua dimensione.

Amava la vita quella bionda ragazzona alta, tenace, dai modi rudi come quelli di un montanaro, in ogni sua forma e con forza, ma un carattere schivo, taciturno, una curiosità mai sazia ed una maturità celebrale difficile da trovare nelle sue coetanee, l'avevano portata fin da piccola ad avere pochi amici, ed ora, dopo la morte della madre avvenuta due anni prima e quella del padre pochi mesi dopo averla cacciata di casa, si ritrovava sola al mondo, fatta eccezione per sua sorella maggiore, Giovanna, che però non vedeva dalla primavera passata.

“Allora piccolo bastardo figlio di un cane e di una lupa, hai finito di far danno in giro? Forza torniamocene a casa che la strada è lunga.” Disse afferrando il fucile che usava per cacciare e difendersi.

Ondeggiando con la lingua leggermente fuori dalla bocca, lui le andò al fianco iniziando ad incamminarsi verso il sentiero che li avrebbe ricondotti alla baita.

Haruka aveva fatto scorta di bacche e piccoli funghi. La stagione primaverile non era certo avara come quella invernale e ben presto avrebbe potuto godere di ogni ben di Dio, soprattutto selvaggina e pelli, che avrebbe scambiato al posto del sale, dello zucchero, del caffè, della carta, del sapone, della farina e del pane, in una frazione poco lontano. Pane. Quanto poteva mancarle il sapore del pane, forse al pari delle “famose” quattro chiacchiere che il suo cucciolo di lupo non poteva regalarle.

Se soltanto quelle bestie della sua città non le avessero gettato addosso la croce, non sarebbe stata costretta ad isolarsi così tanto e se altresì avessero compreso quanto, nonostante ragazza, fosse brava con i motori, avrebbe potuto vivere di quello invece che trasformarsi in una specie di cavernicola dell'era moderna. Era stato il nonno e poi il padre ad insegnarle tutto quello che sapeva sui motori e se fosse stata un maschio avrebbe portato avanti l'officina della famiglia Tenou senza colpo ferire. Invece in quel giorno di fine gennaio, dall'alto qualcuno aveva deciso di farla nascere donna, ma con gli impulsi di un uomo, portando avanti, in definitiva, un'esistenza traggi-comica.

 

 

Fortino della Fame, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 15/4/1915

 

L'aria era ancora fredda e nonostante al sole si stesse bene, Giovanna rabbrividì stringendosi nella divisa verde scuro. Amava l'inverso e la neve, ma non sopportava la primavera, non soltanto perché si avvicinava a lunghe falcate il giorno del suo compleanno e lei si sarebbe ritrovata a dover sentire nuovamente discorsi di finto pietismo sul fatto che essendo orfana e senza dote a venticinque anni avrebbe trovato difficoltoso accasarsi con qualche persona rispettabile, ma anche e soprattutto perché quel periodo le ricordava la sua famiglia, o meglio, la sua fine. In primavera aveva perso il nonno e la madre. In primavera il padre aveva cacciato di casa la sorella minore, Haruka e da quel momento in avanti per ogni primavera sopraggiunta, Giovanna Tenou si sarebbe ricordata di quanto meschina e vigliacca fosse stata nel non riuscire a proteggerla dalla stupidità del genitore.

Sospirò poggiando gli avambracci al cemento del parapetto della torre rotonda da dove avrebbe dovuto tenere d'occhio la valle dov’era adagiata la sua città. L'esercito svizzero si era mobilitato già un paio di mesi prima, ma ora che la situazione europea stava prendendo pieghe assai preoccupanti, la Confederazione Elvetica stava correndo ai ripari militarizzando tutto il perimetro del confine meridionale e settentrionale. Germania, Austria ed Ungheria spingevano, pressavano, minacciavano di sfondare in parte o in toto i suoi confini e si doveva rimanere sempre vigili. Bellinzona si era spopolata, molti avevano preferito dirigersi verso l'interno prima dell'ineluttabile invasione. ed ora toccava a donne come lei, non ancora sposate, ma neanche scolarette, aiutare l'esercito rimanendo di vedetta e pattugliando le valli ed i crinali.

Haruka, pensò portandosi un pugno alle labbra socchiudendo gli occhi per vedere più nitidamente. Era li, da qualche parte, su quelle vette, sola, abbandonata a se stessa. Certo sapeva cavarsela, di questo ne era più che certa, la sorella era un tipo tosto, benedettamente intelligente, scaltra, ma era pur sempre una giovane donna costretta per forza di cose a vivere emarginata. E se un giorno non avesse trovato da mangiare, se si fosse ammalata, o peggio, ferita? Sapeva che stava in salute ed aveva passato l'inverno alla baita costruita dal loro nonno grazie a Mattias Adelchi, un ragazzino suo amico, il figlio dodicenne del vicesindaco della città, ma non aveva tante occasioni di vederlo per saperne di più e comunque lui non amava vedere lei, incolpandola della fuga da casa della sorella. Haruka, la sua migliore amica, la donna che un giorno fattosi adulto, avrebbe sposato e portato via con se. Ed i sensi di colpa di Giovanna facevano si che ogni volta che avevano la sfortuna d’incontrarsi e lui le urlava contro il suo odio, chinasse la testa senza provare neanche a difendersi.

“Haruka è triste per colpa tua ed io non ti perdonerò mai per questo!”

O Ruka, che io sia dannata. Chiuse definitivamente gli occhi non avvertendo Stefano alle spalle.

“Giovanna andiamo, il capitano ci vuole.”

“Come?”

Il commilitone le fece cenno di seguirlo. “ Stanno venendo a sostituirti. Devi venire alla riunione.”

“Arrivo.” Rispose accarezzando un'ultima volta la linea delle montagne che si estendevano di fronte a lei.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Come una sorta di incubo ritorno a voi. Neanche il tempo di metabolizzare un viaggio in terra ellenica che ve ne propino un'altro nel... tempo. Prima Guerra Mondiale, periodo 14-18. Pesante, ma incredibilmente umano e per alcuni versi, romantico.

Un'avvertenza, nei dialoghi dovrò usare il voi e non il lei. Stiamo sempre all'inizio del secolo scorso. Non potrò aiutarmi con termini inglesi come ok e se dovessi farlo chiedo venia... è una svista.

Non caratterizzerò tanto i personaggi già conosciuti, perché ricordiamoci che Haruka è Haruka, Michiru è Michiru, Giovanna è Giovanna, Kurzh, Smaiters, Mattias, Ami, Stefano, sono già apparsi negli altri due racconti e sono sempre loro, fisicamente ed interiormente. Solo che sono nati e vivono cento anni fa, in un'epoca lontana anni luce da noi, perciò alcuni argomenti trattati come i sentimenti, il lavoro, o la nazione di appartenenza, dovranno essere affrontati in maniera un po' retrò se paragonati alla nostra mentalità. Ed anche i legami tra i vari personaggi sono pressappoco gli stessi, forse fatta eccezione per la coppia iniziale Kurzh-Kaiou.

Cercherò di immedesimarmi per rendere dialoghi, situazioni e passioni più veritieri possibili. Oltre ad azzeccare il periodo dei verbi (che avvolte toppo alla grandissima costringendomi a limare i capitoli piu' e piu' volte) sarà questa la mia sfida più grande. Spero mi aiuterete e soprattutto, spero che la storia vi piaccia.

Per chi non avesse letto "l'atto piu' grande" o non ricordasse la famosa notte nella quale la grande Tenou ha rischiato di rimetterci la pelle e del perche' Kurzh non sopporti molto Giovanna, vi rimano al CAP.10 (il segugio e la preda di penna).

Infine compariranno anche Usagi, Minako, Makoto e Rei, oltre alla sopra citata Ami. Generalmente scrivo della coppia cool per eccellenza, vento-mare, perché ormai ho imparato a conoscerle. Mi auguro di non deludere le fan delle altre “guerriere”.

Pronti, via, let's go!

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Capitolo 2
*** Fronte occidentale ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Fronte occidentale

 

 

 

Collegio di San Giovanni, Merano.

Austria sud occidentale – 15/4/1915

 

Usagi sospirò guardando gli occhi profondissimi della ragazza più grande seduta sulla brandina accanto a lei. Considerava Ami Mizuno come una sorta di sorella maggiore ed ogni volta che sentiva di avere un problema correva immediatamente da lei per sfogarsi e chiedere consiglio. Di carattere socievole, dalla simpatia prorompente, dolce, pasticciona, ma anche intimamente determinata, l'adolescente sapeva di essere accerchiata di buone amiche, ma preferiva scegliere l'infermiera italiana per le sue confidenze, sia in campo sentimentale, che scolastico. Ed era proprio questo secondo punto che l'aveva spinta a mentire spudoratamente al Dottor Daniel manifestando l'unica indisposizione alla quale lui, uomo riservatissimo, non avrebbe mai avuto il coraggio di porre rimedio; l'emisfero fisico mensile. Come un animale di fronte al fuoco si era dato alla macchia delegando Ami nell’aiutarla ad alleviarle i dolori del mestruo. Usagi aveva gridato intimamente alla vittoria potendo dare così sfogo ai rubinetti che teneva nei suoi grandi occhi chiari.

“Fammi capire bene Usagi, è della pagella di fine anno che stiamo parlando?” Attonita, ma sollevata dal dolore fittizio della ragazzina la guardò severa captando un mugolio simile ad un assenso.

“Io ci metto tutta la buona volontà della quale sono capace, ma proprio non riesco Ami.” Si difese stropicciandoli un occhio per poi tirare su con il naso.

Alcuni leggeri tocchi alla porta dell'infermeria e le due puntarono lo sguardo all'anta chiara. “Ed hai pensato bene di fingere uno svenimento per saltare l'ultima interrogazione di letteratura moderna. Brava, mi compiaccio. Bella trovata.” Disse sarcastica alzandosi dal materasso per andare ad aprire.

“Non dirlo alla signorina Kaiou.” Pregò pentita non rendendosi conto del timbro di voce troppo alto.

"Difficile cara." Ridacchiò l'altra aprendo l'anta per fare entrare l'insegnante.

Michiru guardò entrambe serafica, chiedendo poi alla biondina di quale segreto spaventoso non sarebbe mai dovuta venire a conoscenza. Deglutendo a vuoto Usagi la guardò per poi abbassare la testa. Bella figuraccia. Possibile che davanti alla sua insegnante di musica continuasse ad inanellare una stupidaggine appresso all'altra. Come la settimana precedente, quando guidando fieramente il biciclo della sua amica Minako, alta pressappoco come lei, nel salutare l'insegnante con la mano non aveva notato un sasso proprio davanti alla ruota del mezzo finendo per ruzzolare vergognosamente addosso alla proprietaria che le stava correndo accanto.

“Allora signorina Tsukino? Cosa non dovrei venire a sapere?” Chiese sorridendole dolcemente.

Usagi chinò ancora di più la testa ammettendo per l'ennesima volta a se stessa quanto quella splendida donna di classe riuscisse a metterla in soggezione.

“Ve lo dico io Michiru...” Intervenne Ami dando così forza alla più giovane per uscire dal torpore della vergogna.

“Ho mentito al Dottor Kurzh. Non ho mal di pancia. E' che..., ecco...”

“Abbiamo forse qualche interrogazione oggi?”

L'insegnante piegò leggermente la testa da un lato e all'altra non rimase altro che confessare definitivamente la sua colpa. “Si. Letteratura.”

“Oh... allora capisco. Devo ammettere che nell'avere come giudice la direttrice, mi sarei servita anch'io di un mezzo tanto scaltro.” E nel dirlo enfatizzò maggiormente il sorriso donando alla ragazza più tranquillità.

“Non diremo nulla a Daniel, vero Ami?”

L'infermiera strinse le labbra per niente convinta. La signorina Kaiou era sempre troppo gentile con quella monella ed il suo gruppetto di amiche. Quattro ragazzine che insieme facevano impallidire altrettanti cavalieri dell'Apocalisse. Una vera e propria associazione a delinquere. Una piccola batteria d'assalto che era riuscita a prendere i punti nevralgici di tutto l'istituto.

Makoto Kino, diciassette anni, tedesca, alta, magra, forte come un toro, di indole guerriera, generosa, ma poco incline alla pazienza e alla ponderazione. Rei Hino, sedici anni, francese, ragazza che da sempre portava in dote una passionalità incredibile, austera, estremamente amante della sua Parigi e della Patria. Minako Aino, quindici anni, viennese e come tale, romantica, perennemente innamorata dell'amore. Di sovente la si trovava con tra le mani romanzi di grandi autrici dell'ottocento come Emily Bronte o Virginia Woolf. Anche se non la più grande, capo indiscusso del gruppo. Ultimamente la si sentiva discutere animatamente con le prime due, ree di azzuffarsi a causa della politica che stava infiammando l'Europa. Infine c'era Usagi Tsukino, quattordici anni, belga e come tale, costretta a non poter tornare a casa per via del suo paese sotto assedio. Buona e pronta all'aiuto a volte fino alla stupidità, non le importava che alcune compagne di scuola fossero di origine teutonica, ripetendo continuamente che l'invasione del suo Belgio ad opera della Germania non fosse colpa loro e che, prima o poi, tutto si sarebbe sistemato nel migliore dei modi. Pia illusione di bambina, perché le cose purtroppo, da li a qualche settimana non sarebbero che peggiorate. Usagi era quella cosa appiccicaticcia e fastidiosa che riusciva però a tenerle tutte insieme nonostante i venti di guerra stessero sconquassando il loro mondo e le loro giovani anime.

“Davvero non lo direte al vostro fidanzato signorina?!”

“Parola d'onore.”

Usagi si alzò di scatto per andare ad abbracciarla, ma la porta dell'infermeria si spalancò sbattendo violentemente contro il muro proprio un istante prima che le sue mani riuscissero a toccare la vita della donna. Minako entrò sorreggendo Rei che con la mano destra sul medesimo occhio stava piangendo. Uno sfogo rabbioso all'indirizzo di Makoto, che dopo qualche secondo fece capolino tenendosi la tempia sinistra.

Al vedere tale “spettacolo” Michiru strinse d'impulso la schiena di Usagi impedendole di guardare, mentre Ami richiudeva la porta per poi aiutare Minako a far sedere l'amica su una sedia.

“Ma cos'è successo?!” Chiese l'italiana scansando delicatamente la mano della ferita constatandone una gran brutta tumefazione.

“E' colpa di quella guerrafondaia!” Urlò Rei indicando la ragazza alta ferma come un fuso accanto alla porta.

“Non è colpa della Germania se è scoppiata la guerra e se la tua adorata Francia non è stata in grado di rimanere neutrale, mia cara.”

“Non ti permettere! Se non foste stati alleati dell'Austria i nostri confini non sarebbero stati valicati Dovreste vergognarvi!”

“Ti ricordo che c'era un accordo. Abbiamo solo tenuto fede alla parola data.”

“Bada Mako o te le suono ancora!” Minacciò la mora portando nello sguardo scuro come la pece una scintilla d'odio. Nel coglierlo Michiru intervenne prontamente.

“Signorine non azzardatevi mai più! Non tollererò oltre questo vostro comportamento infantile. D'ora in avanti esigo che non si parli più del conflitto, di politica, di invasioni o di qualunque altra cosa riguardi ciò che sta accadendo in Europa. E' chiaro?!”

Minako guardò alternativamente le due sperando in una tregua. L’insegnante aveva ragione. Erano sempre state amiche. Era già orrendo vedere come, giorno dopo giorno, i loro paesi corressero al massacro, non dovevano iniziare ad azzannarsi anche loro.

“Signorina Kino?”

Makoto guardò altrove lasciando un si poco convinto.

“ E lei signorina Hino? Mi sono spiegata?”

“Si, signorina Kaiou. Come volete.” Cedette digrignando i denti. Quella storia non finiva li.

“Ami, per favore, cerchi di porre rimedio a questo scempio. Ci inventeremo qualcosa per far fronte alle domande che la direttrice sicuramente ci porrà. Sappiate che non mi piace affatto mentire e questa sarà l'ultima volta che mi vedrò costretta a coprire le vostre assurde bravate.”

 

 

Riale Riavena, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 20/4/1915

 

“Eccone un altro!” Giubilò stando attenta a non strattonare la canna. La terza trota nel giro di dieci minuti. Ottima giornata, nulla da dire.

“Che fortuna sfacciata che hai Haru!” Si lagnò il bambino seduto sulla roccia accanto a lei.

“Ma fa silenzio! Questa è bravura amico mio. - Un rapido movimento del polso destro ed afferrando la lenza si guardò il pesce stirando un sorriso soddisfattissimo. - Ed anche per oggi la cena è assicurata.”

Mattias la imitò tirando su l'asta notando con avvilimento che l'esca era sparita. Sospirando guardò Haruka infilzare l'ennesimo lombrico sull'amo.

“Cos'è che sbaglio?!”

“Te l'ho già detto Matti; dai troppi scatti alla canna. Devi essere più dolce nei movimenti. I pesci lo avvertono che dietro questo vermetto succulento in realtà si cela la più grande fregatura della loro vita.” Disse contenta.

Le piaceva la compagnia del suo giovane amico, ed anche se non poteva instaurare con lui discorsi eccelsi per via dell'età, almeno era un modo di passare qualche ora in allegria. Anche se nel farlo, Mattias rischiava ogni volta una strigliata dal padre. Il signor Adelchi, vecchio amico di Sebastiano Tenou, aveva da tempo proibito al figlio di intrattenersi con lei e se fosse venuto a conoscenza delle razzie che compiva nella dispensa di famiglia e del tempo speso assieme alla ragazza, sarebbe arrivato a batterlo a sangue pur di inculcargli in quella testa vuota il rispetto per le regole paterne.

“Credo invece che tu abbia il dono di ammaliare gli animali Haru. Come hai fatto con Flint. “Disse guardando di sottecchi il mezzo lupo tranquillamente disteso accanto alla ragazza intento a godersi il tepore roccioso.

“Sarebbe proprio una forza. - Ammise ridendo di gusto. - Avrei risolto tutti i miei problemi di cibo.”

Il bambino si fece serio spostando lo sguardo al sacco dimenticato dietro le loro spalle. “Non ti basta quello che ti porto Haru? Cercherò di fare meglio la prossima volta.”

Anche lei si fece seria ordinandogli di non farlo più. “Non voglio che tu rubi togliendo cibo e sapone alla tua famiglia Mattias. Ti ringrazio dei doni che mi fai, ma i tempi che si prospettano non sono rosei e siete tanti a casa. Io posso cavarmela da sola, lo sai.”

“Non sempre lo prendo di nascosto. Alle volte è mia madre che te lo manda, come questa mattina.”

Haruka provò una stretta al petto e serrando la mascella sentì un leggero bruciore agli occhi. Quella donna era stata una cara amica dei suoi e da quando aveva memoria se l'era sempre vista in casa, accanto a Ilde, intenta a filare chiacchierando amabilmente.

“Ringraziala, ma ti ripeto che non voglio che vi priviate delle già scarse razioni che ancora si riescono a trovare in città.”

Il bambino sembrò pensarci su per poi uscirsene piatto con una frase bruciante. “Dovrebbe essere lei a portarti quello che più ti serve.”

“A chi ti riferisci?” Chiese dimenticando la canna sul grembo avendo però una vaga idea del soggetto incriminato.

“A quella vigliacca di Giovanna!” Sputò fuori neanche si fosse trattato di un boccone amaro.

Nel sentire il nome della sorella lei puntò lo sguardo ai mulinelli poco lontani dall'area di pesca. Le faceva male sentirlo pronunciare con tanto astio. Le voleva un bene immenso ed avrebbe continuato a nutrire un sentimento fraterno anche se fosse cascato il mondo.

“Ti pregherei di non chiamarla più a quel modo.”

“Ma lo è stata e lo è a tutt'oggi! Perché non c'è lei qui accanto a te? Perché non si batte per farti tornare in città? Perché ha scelto di rimanere accanto a vostro padre quando ti ha cacciata di casa?”
“Adesso basta! - Alzò la voce per poi abbassarla di colpo. - Mattias te lo ripeto, non parlare di lei in questi termini. Tu non sai nulla ed il rapporto che ho con Giovanna non deve interessarti!

Risentito lo vide alzarsi richiamando l'esca. Ancora anima candida non poteva certo comprendere discorsi come l'omosessualità e la ghettizzazione da essa derivante. Lui era solo convinto che l'allontanamento forzato dell'amica dalla casa paterna fosse dipeso da gelosie represse che la sorella maggiore nutriva per la minore. Aveva sentito di fantomatici spasimanti che avevano irretito il cuore di Giovanna, abbandonandolo poi per quella bellezza di Haruka e nella sua testa di bambino, Mattias aveva preso a fantasticare su improbabili Cenerentole e sorellastre crudeli ed invidiose. Naturalmente nulla di più falso. Purtroppo la verità era un'altra, più cruda e meno romantica.

“Come ti pare, ma io la odio lo stesso!”

Afferrandogli il polso la bionda cercò una dolcezza che non sentiva di possedere. “Mattias ti prego fallo per me, vuoi?” E poi quanto poteva essere brutto sentirlo pronunciare quella parola; odio. Sembrava che da qualche tempo tutto il mondo se ne stesse avidamente nutrendo.

Continuando ad avere un’espressione arcigna sul bel viso chiaro, borbottò serrando i pugni. “Quando sarò grande ti sposerò, così tutti in città dovranno rispettarti. Devi solo avere un po' di pazienza Haru.”

“Mmmm... Quando mi sposerai. Si...” Sogghignò strofinandosi il collo.

Quanto poteva essere tenero il suo “cavaliere dall'armatura scintillante”.

 

 

Periferia di Bellinzona.

Svizzera meridionale – 29/2/1913

 

“Corri Ruka, corri!” Urlò Giovanna cercando di non scivolare sul sottile strato di ghiaccio che ricopriva il selciato. Arpionato il legno dello steccato con la mano guantata sentì una folata prima alle spalle, poi al fianco, capendo così di essere stata raggiunta e superata.

“Hai le gambe troppo corte Giò.” Derise beffardamente la sorella riuscendo a prendere un paio di metri di vantaggio.

“Se non portassi questi stupidi stivaletti!” Una mezza scivolata immediatamente ripresa e con un saltello via, sullo strato di neve fresca per avere una maggiore presa sul terreno.

Voltando la testa ed accorgendosi dell'intuizione la bionda corrugò la fronte guardandola con sfida. “Non vale! Si era detto di rimanere all'interno del viale. Fai sempre come ti par...” In picchiata dentro una montagna di neve. Tradita dal ghiaccio, dal baricentro alto, nonché dal vestiario pesante, Haruka dovette arrendersi al fatto che non potendo più correre libera da gonne e cappotti come quando era bambina, avesse perso molto del vantaggio che aveva sempre avuto nelle gare di corsa con la maggiore.

“Prima!” Gridò l'altra toccando il cancelletto secondario del loro giardino.

Respirando pesantemente per via dello scarso ossigeno e della sconfitta, la bionda iniziò a togliersi la neve dal petto con gesti secchi ed alquanto scocciati. Non sopportava perdere. Via il cappello, liberata la treccia dorata, uscita dal manto traditore, la raggiunse pugni stretti e sguardo infuocato, con ampie falcate militaresche. Giovanna non poté impedire ad un sorriso d'inondarle il viso.

“Non finisce qui!” Minacciò la più piccola guardando dritta davanti a se. Poi piegando finalmente la testa in avanti accettò la sconfitta.

“Povera la mia Ruka. Battuta ed umiliata.” Disse abbracciandosela stretta per lasciarle un enorme bacio sulla guancia.

“No, dai! Non fare l'appiccicosa Giovanna.” Ordinò stirando però anche lei un luminosissimo sorriso.

“Su rientriamo prima che nostro padre ti veda conciata in questo modo. Assomigli ad un randagio.”

“Magari lo fossi, vivrei senza vincoli o imposizioni. Pensa che bello sarebbe se potessimo portare i calzoni come gli uomini ed avere tutta la loro libertà.”

“Stai parlando come una suffragetta lo sai?!”

“Ma dai, sono cose che pensi anche tu!” Una risata ed un'altro abbraccio, ma questa volta di Haruka.

“Vero, ma non vado a sbandierare ai quattro venti le mie idee, soprattutto tra le mura di casa. Vuoi che a nostro padre venga un infarto?”

“A proposito di nostro padre. Guarda con chi sta parlando.”

Si fermarono all'unisono riconoscendo nell'uomo fermo accanto a Sebastiano Tenou il giovane Stefano Astorri. Slanciato, capello folto e scuro, sguardo castano e caldo, ragazzo intelligente, ma soprattutto, gran lavoratore. La sua famiglia possedeva una vigna a qualche chilometro dall'inizio città.

“Non è un tuo ex compagno di scuola? Quello che si dice in giro spasimi per te?”

“Ma piantala! Si è Stefano. Chissà perché sarà venuto.”

“Magari per dichiararsi!” Rispose fredda alzando le spalle e proseguendo in direzione dell'entrata al tinello. Giovanna iniziava ad avere un po' troppi ragazzotti che le ronzavano intorno e questo proprio non le piaceva. Haruka non amava i cambiamenti, a maggior ragione se questi riguardavano la sorella maggiore o i suoi genitori.

“Vedrai invece che sarà venuto per chiedere a nostro padre di aggiustargli il trattore.”

Fosse vero pensò Haruka rabbrividendo di piacere immaginando di poter finalmente mettere mano ad un Pavesi.

Aperta la porta vi trovarono la madre e la sua migliore amica, Marta Adelchi, intente a prendere una tazza di te. Haruka era contenta quando quella donna veniva a trovarla, perché sembrava che Ilde, da tempo malata ai polmoni, trovasse giovamento dalla sua solarità. Praticamente sorelle, avevano passato tutta la vita assieme sposando poi due brav'uomini che, nonostante una cultura di base differente, avevano comunque stretto amicizia.

“Buon pomeriggio madre, signora Marta.” Salutò la bionda seguita da Giovanna.

“Haruka, ma come ti sei combinata?!”

“Emmm. Ho avuto un piccolo incidente.” Rivelò imbarazzata andandole vicino per baciarle una guancia. “Scusatemi. Vado subito a cambiarmi.” Sospirò ad un orecchio della donna mentre questa le carezzava il viso.

“Vai prima che tuo padre ti veda. Lo sai che non vuole che tu faccia la scavezza collo per la strada. E tu Giovanna, visto che sei la più grande dovresti impedirle di ridursi in questo stato.”

“O non sgridateci madre. Erano giorni che nevicava e lo sapete che poi la “piccola” qui, se non corre un po' come un puledro ci si intristisce. - Imitò la minore donando alla bella donna bionda un grosso bacio. - Ma vi do ragione nel dire che Haruka dovrebbe stare più attenta a dove mette i piedi. Arrivederci signora Adelchi. E' stato un piacere.” E così dicendo seguì Haruka al piano di sopra.

“Sono proprio due brave ragazze Ilde. E Haruka poi... si è fatta proprio una bellezza. Ti somiglia moltissimo, mentre Giovanna ha preso gli stessi colori di Stefano.”

L'altra sorrise orgogliosa versando un altro po' di te all'amica. “Hai proprio ragione Marta. E poi sono così unite. Fanno tutto insieme, anche se questo mi preoccupa. Prima o poi dovranno separarsi per metter su famiglia.”

“Be si, sono ormai entrambe in età da marito. Ma vedrai che continueranno a volersi bene e a sostenersi.”

“Lo spero proprio.” Sospirò avendo però nel cuore un pessimo presentimento.

 

 

Sant'Antonio, Bellinzona.

Frontiera meridionale – 1/5/1915

 

La giovane donna guardò il commilitone sorridendole amorevole mentre prendeva a soffiarsi aria polmonare nell'incavo delle mani, scrutando poi per nulla convinta il cielo grigio buttar giù una quantità impressionante d'acqua. In quella mattina umida ed improvvisamente priva di tinte colorate, dove aveva preso a montare un vento di tramontana micidiale e le mulattiere che salivano su fino ai punti di trincea si erano improvvisamente trasformate in torrenti violenti, Giovanna Tenou si sentiva sin dentro le ossa una tristezza sconfinata. Quel tempo uggioso non le era mai piaciuto, soprattutto da piccola, quando costringeva lei e la sorellina a starsene chiuse in casa assieme ai grandi ed alle loro chiacchiere. E poi c'era l'umidità primaverile a falciarle i tendini e la muscolatura di tutto il corpo. Mai possibile che ogni volta che toccava a loro due andare a portare alla milizia i rifornimenti, il tempo si trasformava improvvisamente da pura serenità a martellante accanimento acqueo?

“Andrà a finire che ci buscheremo un raffreddore.” Sentenziò Stefano stringendosi ancor più nella mantella. Aveva gli stivali zuppi e le calze nel medesimo straziante stato.

“Non la sopporto l'acqua. Sarebbe meglio tornare indietro Giovanna.”

Avevano trovato riparo per loro e ii due muli carichi di provviste, sotto uno spuntone di roccia sperando in una momentanea tregua, ma la verità era che quando in quella stagione iniziava a piovere, non la smetteva più andando avanti per giorni.

“Non possiamo lasciarli senza viveri. Aspettiamo che la pioggia diminuisca d'intensità e poi ripartiamo.”

“D'accordo, speriamo solo che la farina non si bagni.”

Ci mancherebbe solo questo. Non amava fare con lui quegli interminabili “sali e scendi” dalla valle alle trincee dell'altopiano. Sembrava che il Tenente Smaiters lo facesse apposta ad appiccicarglielo alla schiena ad ogni incarico! Dove andava lei, andava lui e come una specie di mastino zelante, si arrogava la briga ed il diritto di tentare di proteggerla da chissà quale nemico invisibile. Così sentendo di non avere più margine di movimento a Giovanna iniziava a mancare l'aria. In più sapeva perfettamente qual'erano le mire del giovane Astorri, Era un anno che le faceva una corte discreta, ma asfissiante e dopo tutto quello che era accaduto all'interno della sua famiglia anche per causa sua, aveva del miracoloso che la giovane staffetta non lo avesse ancora scaraventato giù da qualche crinale. Letteralmente.

“Mi posso permettere una domanda? Mi vuoi dire che cos'hai da qualche tempo?” Le chiese a bruciapelo interrompendo i suoi pensieri.

“Cosa intendi dire?”

“Lo sai benissimo.”

“Ed allora perché me lo chiedi?!”

Grattandosi la testa rise scuotendola. Quella donna era incredibile. “Tendo a dimenticare troppo spesso quanto sia indipendente il tuo modo di ragionare Giovanna.”

Ma sospirando mani nelle tasche dei pantaloni militari lei non raccolse.

“Perché non vuoi essere felice?”

“Dovresti essere tu l'uomo con il quale esserlo?” Gli rispose con altrettanta sincerità.

“Non dico questo e lo sai. Ne abbiamo già discusso. Come sai cosa provo per te.”

Le iridi grigio verdi della ragazza si incatenarono alle sue. Profondissime e tristi. “Proprio perché ne abbiamo già parlato Stefano sai perfettamente che non potrò mai essere felice ne con te, ne con nessun altro, finché non lo sarà anche lei.”

 

 

Collegio di San Giovanni, Merano.

Austria sud occidentale – 20/5/1915

 

La penna correva veloce sulla pagina bianca trascrivendola con l'aiuto di una calligrafia chiara ed elegante. Michiru sorrise tra se e se mettendo un punto all'ultimo pensiero. Non avrebbe mai sperato che lo scrivere con dedizione giornaliera un diario potesse aiutarla così tanto. Trovava consolatorio rivolgersi a quell'amico muto che discretamente si faceva carico delle angosce, delle gioie, delle paure e dei dolori di una giovane donna in terra straniera. Eppure l'Austria non avrebbe dovuto esserlo, anzi, come madre amorevole e protettiva avrebbe dovuto accogliere la sua futura figlia, invece di farla sentire rifiutata e sola ogni giorno.

Ormai l'anno scolastico era finito e le studentesse sarebbero partite da li a breve per far ritorno a casa ed anche lei, complice un’informativa che dava al suo fidanzato qualche giorno di permesso, sarebbe tornata con Daniel a Berna dalla sua famiglia. Il padre Viktor voleva vederlo, molto probabilmente per parlare delle nozze e lei, che già pregustandova un'ultimo periodo immersa nella piu' completa nubile libertà, si era vista spezzata l'ala da quel fuori programma. Ed ora provava solo rabbia. Incontrollata e profonda.

Amava il suo fidanzato, questo era un fatto acclarato, ma erano alcuni suoi atteggiamenti a farla andare su tutte le furie. Era cresciuta in una famiglia liberale, aperta alla modernità, dove entrambi i genitori, persone di gran cultura, l'avevano cresciuta con l'obbiettivo di farne una donna indipendente, intellettualmente ed economicamente, svincolata dai canoni sociali dell'inizio del secolo. Una gran fortuna se paragonato al periodo storico che stavano vivendo. Ma Daniel non era come loro, non aveva avuto la stessa impostazione di Michiru, ed anche se coadiuvato da studi impegnativi che ne avevano fatto un uomo di scienza, non aveva la stessa visione della vita che avevano tutti i Kaiou. Questo poneva la loro relazione su basi meno solide di quanto sperassero lei ed i suoi genitori e come gran parte delle donne maritate, avrebbe dovuto chiudere gli occhi di fronte alla cosa e rimanere prona alle idee del marito.

Chiudendo il volume di pelle nera Michiru puntò l'attenzione su uno dei capitelli binati che circondavano il chiostro dell'istituto. Antico monastero di clausura benedettino, trasformato in altolocata scuola per signorine di un certo livello sociale, quella particolare ala della struttura era la sua preferita. C'era tanta pace li ed era forse l'unico posto dove in quei due anni passati a svolgere il ruolo d'insegnante al San Giovanni, si era trovata in un certo senso come a casa.

Improvvisamente avvertì un insieme di passi rimbombare pesantemente tra le voltature del corrente ed alzandosi dalla seduta in pietra, vide Minako correre a perdifiato verso le stanze del piano superiore. Pochi secondi ed intravide Usagi, Rei e Makoto inseguirla e fare altrettanto. Immaginandosi l'ennesimo alterco scattò raggiungendole un paio di minuti dopo nella stanza della prima. Ferma dietro alla porta della viennese, ascoltò il gran vociare e le lacrime disperate di un paio di loro bussando poi energicamente sull'anta interrompendo così quel bailamme emozionale. Rei le aprì con la fronte solcata da una profonda ruga di sorpresa.

“Signorina Hino di grazia, cosa sta succedendo qui?!”

Interdetta per la tempestività con la quale l'insegnante era riuscita a sorprenderle, la francese l'invitò ad entrare nella camera dove lei e Minako alloggiavano dall'inizio dell'anno accademico.

La scena che le si presentò fu pressappoco questa; Usagi che pugni sugli occhi piangeva disperata, Makoto ferma alla finestra mentre con una mano arpionava nervosamente la tenda di lino rosa e Minako che singhiozzava sommessamente seduta sul suo letto con il viso tra le mani.

L'insegnante guardò a turno le quattro socchiudendo gli occhi non capendo. Mani sul grembo chiese maggiori spiegazioni alla mora che intanto aveva richiuso la porta.

“Non posso aiutarvi se non mi dite cosa vi sta accadendo.”

“Purtroppo signorina Kaiou c'è poco da fare.” Disse Rei aumentando di colpo i singulti della bionda compagna di stanza. Usagi la seguì a ruota iniziando a balbettare parole incomprensibili.

“Non è giusto, non è giusto.” Furono le uniche parole di senso compiuto che Michiru riuscì ad afferrare in quella dialettica tutta sua.

Prendendo il toro per le corna scelse e chiese direttamente alla più grande. Makoto rivelò allora che Minako era stata appena congedata dalla preside la quale le aveva dato la notizia dell'arrivo di un telegramma da parte della madre. Il figlio, appartenente al distaccamento dell'Imperial Regio Esercito dislocato al fianco della milizia tedesca, nonché fratello maggiore di Mina, era stato ferito piuttosto gravemente mentre si trovava nei pressi di una località di frontiera tra la Francia e la Svizzera.

“Mio fratello Wolfgang è stato colpito durante un assalto alla baionetta sul fronte occidentale. Non è specificato in quale parte del corpo, ma deve essere intrasportabile se lo hanno ricoverato in un ospedale nei pressi di Basilea e non nelle nostre retrovie.” Confessò riuscendo finalmente a guardare l'insegnante negli occhi.

“Signorina Aino sono profondamente dispiaciuta.” Ammise Michiru andando a sedersi accanto alla ragazza posandole poi una mano sui dorsi ancora umidi di lacrime.

“Mia madre mi ha scritto che non potendo allontanarsi da Vienna delega me per sincerarsi delle sue condizioni. Devo perciò partire quanto prima.”Confessò rabbrividendo.

“Da sola?”

“E' ovvio signorina Kaiou. Non posso perdermi in tentennamenti proprio ora che la mia famiglia ha più bisogno di me.”

“Non si preoccupi per lei, l'accompagneremo noi.” Disse con una certa punta d'innocente orgoglio Makoto, aggiungendo che in virtù della fine delle lezioni tutte avrebbero comunque fatto ritorno alle rispettive terre d'origine e lei essendo nata a Wehr, nella Germania sud-occidnetale, avrebbe optato per la strada ferroviaria più breve e sicura passando per il paese neutrale svizzero, unendo così al viaggio di ritorno il sostegno dell'amica.

“Per andare a Parigi anch'io ho scelto di passare per la Svizzera. La via dall'Italia è molto più lunga e faticosa. Quindi come vede, Minako avrà compagnia almeno fino a Zurigo.”Rincarò Rei gonfiando il bel petto acerbo.

Nell'ascoltare quel programma tattico già pienamente studiato, Michiru iniziò a dubitare seriamente della salute mentale delle sue studentesse. Con una media di quindici anni a testa, senza aver mai viaggiato da sole, senza aver mai visto gran parte delle strade che stavano saccentemente menzionando, con una guerra mondiale che presumibilmente avrebbe coinvolto altri paesi e non aveva ancora raggiunto l'apice della sua crudeltà omicida, dove diamine volevano andare quelle tre scellerate!

Respirò cercando di riflettere il più velocemente possibile. Quelle adolescenti dovevano essere fermate prima di subito, perché sarebbe bastata una sola disattenzione per vederle prima di sera bagagli in mano trotterellare verso il cancello dell'istituto. “Signorine fermiamoci un momento e cerchiamo di razionalizzare. Non potete intraprendere un viaggio così lungo e pericoloso da sole. Si da il caso che anche Daniel ed io abbiamo intenzione di tornare a Berna. Parlerò con la direttrice per far si che anticipi la nostra partenza di qualche giorno. Saremo noi ad accompagnarvi.”

Asciugando gli occhi di Minako con il suo fazzoletto, Michiru glielo lasciò tra le mani per poi alzarsi e dirigersi verso la porta. Prima di uscire incrociò lo sguardo azzurrissimo di Usagi, rimasta in religioso silenzio fino a quel momento. Di tutte le studentesse del collegio quella che non avrebbe potuto muoversi da li sarebbe stata lei. Lo “Stupro del Belgio” del '14 ad opera del piano Schlieffen portava ancora strascichi di violenza e sarebbe stato utopico anche solo pensare di mettere piede entro i confini di quel povero paese.

“Signorina Kaiou, vi ringrazio.” Disse Minako vedendola scomparire dietro il legno dell'anta non prima di averle donato l'ennesimo sorriso.

 

 

Michiru non riusciva a credere alle proprie orecchie. Possibile che Daniel si fosse trasformato in un uomo tanto egoista? O forse lo era sempre stato? Stavano discutendo ormai da svariati minuti ed all'ennesimo sguardo di rimprovero della fidanzata, lui si alzò dalla sedia della scrivania dell’infermeria spazientito oltre ogni dire.

“O basta così cara! Non intendo cambiare i nostri programmi solo perché un branco di scolarette vuole giocare alla guerra.”

“Giocare alla guerra?! Ma ti stai ascoltando Daniel? Stiamo parlando del ferimento di un parente della signorina Aino, della cortesia affettuosa che le sue due amiche vogliono riservarle accompagnandola e della necessità che hanno di una protezione maschile. Vorresti forse lasciarle partire da sole?”

Lui la guardò e per un attimo si senti' catturare da una vampata di ardore possessivo. Quella donna possedeva una forza, una grazia ed un orgoglio da far impallidire chiunque. Provava eccitazione ogni qual volta avevano occasione di discutere così animatamente. Allontanando a forza il desiderio che sentiva di rapirle le labbra, tornò a concentrarsi sui fogli di dimissione da consegnare alla direttrice.

“Ti ripeto che partiremo tra una settimana. Devo radunare le mie cose ed istruire il nuovo medico. Ci sono montagne di carte da firmare e non voglio rischiare di dimenticarmi qualcosa.”

“Daniel non lo accetto! Vorresti davvero farmi credere che il fare bella figura di fronte ad un collega valga più che portare sane e salve a Zurigo delle ragazze? Ma che razza di uomo sei!” Abbandonando la sua compostezza quasi urlò di rabbia. Serrando i pugni lo sfidò apertamente non abbassando lo sguardo neanche per un secondo.

“Michiru... non continuare oltre.” Disse minaccioso facendo un passo verso di lei.

Non oserà toccarmi. Non avrà mai il coraggio di colpirmi, pensò forte delle sue certezze. Allora perché i suoi occhi erano tanto dittatoriali? Perché si stava avvicinando con quella sconosciuta determinazione? Una paura improvvisa e si ritrovò a cambiare drasticamente approccio. Non poteva battersi con lui a livello fisico, ma lo avrebbe sicuramente vinto su quello della scaltrezza.

Fintamente pentita, ma comunque offesa, fece per uscire dall'infermeria non prima di avergli risposto per le rime. “Faremo come credi Daniel, ma sappi che questo tuo atteggiamento non mi è affatto gradito.” Ed aprendo la porta uscì senza neanche guardarlo in faccia.

Sentendosi scioccamente vincitore, il medico sogghignò tornando tronfio ad occuparsi dei suoi affari non immaginando che la sua fidanzata avesse preso la decisione di andare a parlare immediatamente con la direttrice.

 

 

Portandosi una mano alla tempia la giovane insegnante si ritrovò a camminare solitaria per i corridoi del secondo piano non riuscendo a smettere di pensare. La conversazione avuta poc'anzi con la direttrice e quella prima ancora con Daniel l'avevano scossa. Per non parlare della disperazione cieca di Minako e della follia delirante delle sue amiche. Ma cosa stava succedendo? Arrivata alle scale ed avvertendo un forte capogiro, dovette sedersi un attimo sul primo gradino. Cercando di immettere più ossigeno possibile nei polmoni si costrinse a darsi un contegno. Entrare nel panico non sarebbe servito a nulla, men che mai a trovare il coraggio necessario per poter risolvere quell'insieme di situazioni ingarbugliate.

Michiru Kaiou è ora di dare prova della tua maturità si disse non accorgendosi degli enormi occhi che Usagi le stava puntando contro.

Ferma sul primo dei due pianerottoli, l'adolescente stava guardando la sua personale “eroina” sperando intimamente che un giorno non troppo lontano avrebbe potuto assomigliarle almeno un pò. Facendo qualche gradino si ritrovò dritta nella sua direzione non sapendo cosa fare. Sembrava talmente turbata da apparire finalmente umana, una ragazza di qualche anno più grande di lei.

Sentendo coraggio le chiese timidamente se andasse tutto bene. Michiru quasi sobbalzò.

“Usagi!”

L'aveva chiamata per nome in barba all'etichetta. Sorridendole la biondina la raggiunse.

“Posso?” Chiese di potersi sedere facendo cenno con il capo sempre adornato da due buffi codini.

“Naturalmente. - Contraccambiò il sorriso per poi scusarsi di averla trovata in una posa abbastanza sconveniente. - Una signorina non dovrebbe mai cedere alla “stanchezza” per andarsi a sedere in terra.” Polemizzò verso se stessa.

“Siete stanca! Avete un malore? Volete che vada a chiamare il Dottor Kurzh?” Disse allarmata.

“No!” E fu talmente perentorio che Usagi rimase stupita.

Essendosi accorta della reazione troppo esagerata, Michiru cercò di spiegarle che quel particolare disagio fatto d'anzia e spossatezza fisica veniva dal fatto di aver toccato con mano e per la prima volta dallo scoppio della guerra, la violenza di quell'evento.

“Sono costernata per la sorte toccata al fratello della signorina Aino. E non vi nascondo Usagi che anche l'atteggiamento dimostrato dalle vostre amiche mi ha profondamente turbata.” Ancora una volta nell'arco di una manciata di minuti l'insegnante aveva chiamato la ragazza più giovane con il nome di battesimo. Usagi aveva il dono di farla sentire completamente a suo agio.

“Signorina Kaiou so che potrò sembrarvi superficiale e sicuramente lo sono, ma sono più che certa che per Wolfgang tutto si risolverà per il meglio. In più vi posso assicurare che Minako, Makoto e Rei sono ragazze assennate e giudiziose. Ognuna di loro ha doti incredibili ed insieme potranno sicuramente arrivare a Zurigo senza problemi.” Seguando il filo di una fiducia incrollabile nel suo gruppo di amiche, la ragazza riuscì finalmente ad immergere le sue iridi in quelle dell'altra. Michiru sbattè le palpebre sentendosi improvvisamente indifesa.

“Ma come avete fatto a...”

“A capire che il Dottor Kurzh non ha acconsentito ad accompagnarle? Semplice signorina, avete uno sguardo talmente deluso che non mi è stato difficile intuirne la causa.”

Impressionante. Usagi Tsukino aveva una capacità di comprensione dell'animo altrui fuori dal comune.

Sospirando la giovane donna staccò lo sguardo da quel viso sincero per puntarlo al vano scale che si apriva dinnanzi a loro. Quadri di monarchi, un paio di arazzi con scene mitologiche ed una vetrata colorata raffigurante San Giorgio che uccide il drago. Tutto epicamente poco indicato se paragonato al comportamento del suo fidanzato.

“Devo ammettere che l'empatia che state dimostrando di possedere mi ha impressionata. Devo confessarvi che sono per natura abbastanza brava a nascondere agli altri i sentimenti che si celano dentro al mio cuore. - Tornò a guardarla per poi accarezzarle il viso con il dorso della mano. - Usagi la direttrice mi ha messa al corrente della vostra situazione economica.”

“O... è anche per questo che vi siete rattristata? Non dovete.” Disse con un candore che all'altra sembrò stridere come un gesso sul piano di una lavagna.

“Come non devo. Usagi vi rendete conto che sono mesi che i soldi per la retta non arrivano più?”
“Così come le lettere di mia madre. Non so cosa sia successo alla mia famiglia; ai miei genitori, al mio fratellino.”

“E come potete allora essere tanto fiduciosa?” Michiru aveva saputo che la direttrice acconsentiva a tenerla ancora al collegio perché, in tutta onestà, non potendo tornare in Belgio Usagi si trovava di fatto ad essere un'esule senza alcun sostentamento economico.

“In realtà signorina Kaiou non lo sono affatto, anzi. Mi trovo spesso a piangere come una bambina, ad avere persino paura del buio, immaginandovi al sul interno chissà quale assurda entità maligna. Ma disperarsi non porta a nulla. Prima o poi il sole sorge e dopo una notte vi è sempre l'alba.”

Incredula, ascoltando le parole semplici e perfettamente lineari di quella ragazza, Michiru si stava rendendo conto di quanto Usagi possedesse una forza d'animo fuori dal consueto, mai avvertita in nessuna persona incontrata fino a quel momento e sentendo improvvisamente affetto e stima, decise di compiere l'ennesimo gesto ribelle di quel giorno di fine maggio.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Eccomi qui. Anche la storia del primo conflitto mondiale ho dovuto rileggere! No, in realtà studiare, perché sono una ciuccia ignorante! E non mi ricordavo niente. E si che mi “bombo” Rai Storia tutti i giorni! Comunque, eccomi a voi con una storia che sta pian piano delineandosi.

Punto primo - sento già serpeggiare maledizioni poco velate all'indirizzo di Daniel Kurzh, che se nel primo racconto era solo uno “scanner belloccio” (come lo aveva soprannominato Giò) o uno “psicopatico in bianco” (epitaffio della carognagine di Haruka), qui è un... bastardo cronico, misogino narcisista, maschilista incallito. Povero! Be un mister simpatia si doveva pur eleggere. E guarda un po' a chi è toccato questa volta?!

Punto secondo - Haruka Tenou, detta La Grande, mi porta le gonne e la treccia. La treccia!!! Spettacolo. Ma solo fino a quando sara' sotto il tetto paterno tranquille.

Punto terzo - Se da una parte Michiru ha visto il fidanzato eletto a bastard of the year, lei è stata assunta ad ribellious angel. Ricordiamoci sempre che siamo agli inizi del XX secolo e che una cosa che può sembrare ovvia per noi, per le donne di allora non lo era affatto. La vedremo spesso fare di testa propria.

Punto quarto - Che Giovanna ed Haruka vadano così d'amore e d'accordo? Non si scannino, punzecchino e diano noia? Fatto alquanto bizzarro.

A prestissimo 

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Capitolo 3
*** Fughe nella notte ***


Le trincee dei nostri cuori

 

legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Fughe nella notte

 

 

 

Periferia di Bellinzona.

Svizzera meridionale – 3/3/1913

 

Seduta alla scrivania, chiusa nella sua stanza, con ancora in dosso il cappotto ed i guanti di spessa lana grigi, Haruka non riusciva proprio a smettere di tremare. Sentiva freddo fin dentro l'anima, gli occhi gonfi di un pianto che si ostinava a non voler giungere a darle sollievo, il cuore dai battiti accelerati, la salivazione completamente assente. Aveva sempre saputo di essere una ragazza fuori dal comune, per larghi tratti diversa dalle altre, ma non avrebbe mai immaginato che quella unicità potesse riguardare l'aspetto sentimentale. Ormai era un fatto; ad Haruka Tenou non piacevano gli uomini, anzi, per alcuni versi il loro comportamento a volte lascivo la disgustava, i loro approcci amorosi la terrorizzavano e la libertà della quale godevano le faceva provare un invidia folle. In quel pomeriggio dall'aria gelida aveva finalmente compreso il perché non si fosse mai persa dietro alle romantiche fantasie proprie di ogni altra diciottenne, il perché non le importasse assolutamente nulla del matrimonio ed infine, il perché non avesse mai voluto approfondire amicizie femminili. In pratica subito dopo l'età dello sviluppo, Haruka aveva incominciato a starsene per conto suo, china sui libri, nell'officina del padre, a zonzo per le campagne circostanti o appiccicata a Giovanna, l'unica ragazza che tollerasse al suo fianco. Non si era mai soffermata nel cercare di capire quel comportamento. In fin dei conti si era sempre piaciuta così e non vedeva proprio il motivo del perché farsi tali domande.

“Oddio, sono una diversa.” Disse poggiando la fronte sulle mani intrecciate sul piano della scrivania.

Era una scoperta scioccante, dovuta alla fuga nata dopo un approccio abbastanza sfacciato che Stefano Astorri le aveva rivolto solamente due ore prima. Tutti erano convinti che il ragazzo avrebbe presto chiesto il permesso a Sebastiano di poter frequentare Giovanna ed Haruka stessa, nel vederlo fermo a parlare con il padre davanti alla porta di casa, lo aveva freddamente predetto. Ma si era sbagliata. Si erano sbagliati tutti!

In realtà una dichiarazione, si c'era stata, ma rivolta alla più piccola delle sorelle Tenou. La sera della visita di Stefano, la bionda si era vista il genitore fermo davanti alla porta della sua camera annunciarle orgogliosamente stentoreo che l'erede degli Astorri aveva chiesto il permesso di poterla frequentare.

"Ha intenzioni serie!” Ed era stata talmente improvvisa quella notizia e lui così entusiasta nel dargliela, che la ragazza non aveva detto nulla. Non aveva gioito, ne si era rifiutata di prendere in considerazione la cosa.

Dal canto suo, la maggiore era rimasta interdetta dalla cosa. Stefano non aveva mai guardato Haruka, anzi, essendo lei di qualche anno più giovane, aveva trovato sempre abbastanza fastidioso che Giovanna se la portasse sempre dietro. Ma a pensarci bene la giovane Tenou si era fatta talmente bella che la sorella aveva sorriso alla cosa aspettandosi nozze imminenti, non potendo immaginare ciò che il cuore ed il corpo della sua Ruka bramavano veramente.

“Oddio Santissimo...” Togliendosi i guanti con rabbia e scaraventandoli addosso allo scaffale con i suoi libri preferiti posti in bell'ordine proprio di fronte a lei, sbatté violentemente i pugni un paio di volte digrignando i denti. Sentiva ancora l'odore della sua colonia sulla pelle del viso. Si era preso la libertà di accarezzarlo sorridendole dolcemente mentre lei si era ritrovata appoggiata allo steccato di un'abitazione sentendosi come un'animale in gabbia.

“Come diavolo è potuto accadere?! Come posso essere stata tanto stupida?! Come si sono permessi lui e mio padre d'impormi la sua presenza!” E si ricordò dell'innocente invito che il ragazzo le aveva rivolto quel pomeriggio trovandosela davanti all'uscita dall'emporio.

“Permettimi di accompagnarti a casa Haruka. Tuo padre mi ha chiesto di venire a parlare anche con tua madre.”

“A che proposito?”

“Del fidanzamento.” Le aveva risposto lui guardandola quasi con stupore per poi toglierle dalle mani il pacco di merce che aveva appena acquistato.

“Quale fidanzamento?!" Ma non avrebbero dovuto solo frequentarsi?

Ridendo ed iniziando a camminare, lui aveva preso a canzonarla bonariamente sul fatto di quanto fosse adorabile quando prendeva a fare la finta tonta.

Arrivando in poco meno di due minuti ad una svolta abbastanza appartata, si era sentita afferrare per un polso. “Prendiamo la scorciatoia per il vialetto. Saremo a casa tua nella metà del tempo.” E a quell’ennesima imposizione Haruka non aveva sopportato oltre. Bloccandosi come un asino sui selciato di un mercato, lo aveva guardato con aria di sfida strappandogli la merce dalle dita.

“Ho chiesto a quale fidanzamento ti stai riferendo Stefano! E' buona educazione rispondere ad una domanda quando ti viene posta!”

“Ma... al nostro.” E si era avvicinato costringendola a fare un passo indietro.

Ingoiando aveva spalancato gli occhi stringendo convulsamente il pacco.

“Stefano... credo che ci sia stato un enorme malinteso.” Ed era accaduto tutto molto, troppo rapidamente. Afferrandola per la vita, il ragazzo le aveva posato un bacio gentile sulla guancia e tanto era bastato per mandarla in confusione.

Sentendosi il legno dello steccato dietro alle spalle, il calore di quelle labbra sulla pelle, il tocco della sua mano ardita sul fianco avvertita nonostante gli indumenti pesanti, Haruka aveva provato un misto di paura e ribrezzo. Non sentendola muoversi, Stefano aveva pensato ad un approccio riuscito osando spingersi oltre; fino alle labbra. Un contatto abbastanza casto, ma sufficiente per farle scattare finalmente i muscoli del braccio destro che, forzando sul petto di lui, erano stati abbastanza forti da allontanarlo quanto basta per darsi alla fuga.

Una corsa a perdifiato che l'aveva portata sulle rive del torrente che scorreva accanto a casa sua. Li aveva cercato di darsi una calmata non riuscendoci e mentre adirata prendeva a fare avanti ed indietro, la possibilità di non essere del tutto incline alle attenzioni maschili aveva preso sempre maggior concretezza.

Un battito alla porta ed alzando la testa la guardò tra un ciuffo e l'altro della lunga frangia bionda.

Dio ti prego fa che non sia mio padre pensò per poi chiedere chi fosse tenendosi la fronte con una mano.

“Ruka sono io.” Alla voce della madre sospirò serrando gli occhi alle lacrime.

“Ti ho portato le camicie pulite.” Disse aprendo discretamente.

Così Ilde la trovò li, seduta alla sua scrivania dov'era solita stare, ma non con un libro tra le mani, ma a testa china, quasi vinta.

“C'è qualcosa che non va amore? Ti ho sentita rientrare di corsa.” E non avendo alcuna risposta richiuse la porta lasciando gli indumenti sulla cassettiera posta al lato del letto.

“Perché porti ancora il cappotto?”

“Ho freddo.” Rispose lapidaria. Non riusciva neanche a guardarla in faccia tanto si sentiva sporca.

“Non dirmi Ruka mia che il tuffo nella neve dell'altro giorno ti ha portato la febbre? Vieni qui.” Ma non vedendo reazioni dovette essere lei ad andare a verificare. Si sentiva stanca, i polmoni sembravano brace da quanto le bruciavano. Ci mancava solo che il suo piccolo puledro di fanteria si fosse ammalato.

Mettendo sulla carotide della ragazza due dita la sentì irrigidirsi e ritrarsi scattando sulla difensiva. “Che c'è?!”

“Non toccatemi madre. Non voglio essere toccata da nessuno!” Disse a voce alta alzandosi di colpo.

“Haruka...” E finalmente la figlia le donò le iridi. Due occhi lucidi e spaventati.

“Haruka sto iniziando a spazientirmi. Cos'è successo?” Queta volta il tono fu talmente deciso che la ragazza dovette accettarne l'autorità.

Così riuscì a trovare la forza per ragguagliarla sull'operato del giovane Astorri e sulla notizia per niente felice di un suo imminente fidanzamento.

“Che sfacciato! Certo che i ragazzi di oggi si sono fatti audaci e sfrontati. Solo qualche giorno fa era in piedi davanti la porta della nostra casa per chiedere a tuo padre il permesso di frequentarti ed oggi si permette di baciarti e di parlare di fidanzamento!? Comunque... porta pazienza figlia mia. Non sono tutti uguali, ma alcuni uomini, soprattutto se giovani, hanno tendenze un po' focose. - Le sorrise continuando più dolcemente. - Se Stefano non ti piace, troverai qualcun'altro vedrai. Sei talmente graziosa che...”

“Io non amerò MAI, madre!” L'interruppe trovando rifugio sul letto. Le stavano tremando le gambe. Non aveva mai provato nulla di tanto destabilizzante.

“Tesoro, certo che amerai. Tutte le donne ambiscono a farsi una famiglia.”

Haruka scosse la chioma dorata chinandola dalla vergogna. “No, io no madre. Io non sento... attrazione per... nessun uomo.” Ed ascoltando quelle parole uscirle a forza dalla gola, provò l'impulso di sparire dalla faccia della terra.

Gli occhi di Ilde, della stessa punta di verde dei suoi, si fecero due fessure. “Vuoi farmi intendere che provi qualche sorta di scintilla religiosa? Non me ne hai mai parlato Ruka."

Certo che non gliene aveva mai parlato, perché non si trattava di quella “fede”. Ora che stava iniziando a farsi delle domande su se stessa, Haruka aveva anche iniziato a darsi delle risposte. In effetti nell'ultimo paio d'anni qualche sentimento unito all'attrazione li aveva avuti; per una vicina di casa sua coetanea. Ecco che cos'era quella voglia di vederla tutti i giorni, di stare in sua compagnia. E lei che aveva ingenuamente pensato alla necessita' di un'amicizia.

“No madre... non ho alcuna vocazione.” E bastò questo perché Ilde capisse tutto.

Forse come madre lo aveva sempre saputo che la sua piccola Ruka aveva tendenze maschili e non solo per l'allergia alle gonne, ai merletti, alla vita del focolare o alla scarsa libertà in generale, perché la stessa Giovanna era uno spirito inquieto da quel punto di vista. Immediatamente dopo lo sviluppo, sua figlia minore aveva iniziato a manifestare atteggiamenti ed attitudini tipicamente maschili. Ora Ilde ne capiva il motivo.

“O mio amore.” Disse inginocchiandosi in terra accanto alle sue gambe. Stava tremando come una foglia la sua ragazza e d'impulso provò ad accarezzarle il viso e nuovamente Haruka non accettò il tocco materno.

“Ve lo chiedo con il cuore madre, non lordatevi le mani con una come me.” E fu come se alla donna le venisse conficcato un pugnale arroventato nello sterno.

“Ma cosa stai dicendo! Come potrei lordarmi le mani toccando la creatura alla quale ho dato la vita?”

A quelle parole Haruka cedette iniziando a piangere a dirotto tra le sue braccia. Singulti talmente violenti che Ilde dovette tenersela stretta per svariati minuti prima che la figlia riuscisse nuovamente a respirare in modo corretto.

“Ssss, ora basta. Andrà tutto bene vedrai. Ora l'importante è che tu faccia chiarezza dentro il tuo cuore. Da quanto tempo lo hai capito?”

“Oggi.... Solamente oggi mi sono resa conto di una cosa che dentro di me sapevo già.” Ammise continuando a stringersi al collo della madre.

“Va bene tesoro. Ora però cerchiamo di fare in modo che tuo padre non lo venga a sapere. Non capirebbe, lo sai.”

 

 

Collegio di San Giovanni, Merano.

Austria sud occidentale – 21/5/1915

 

Era sera inoltrata e ancora Daniel non si era deciso ad uscire dal suo studio posto accanto all'infermeria. Infermeria. Michiru sospirò guardando Ami per poi chiudere l'anta del refettorio che affacciava proprio sul medesimo corridoio. Tutta quella situazione le stava pericolosamente sfuggendo di mano. Si voltò guardando le cinque donne sedute ad un tavolo poco distante. Minako, Makoto e Rei avevano già fatto i bagagli ed erano pronte a partire in qualsiasi momento. La sera precedente, subito dopo aver parlato con la preside, Michiru era riuscita a bloccarne il “sacro” fuoco dell'avventura convincendole a partire l'indomani, quando Daniel si sarebbe finalmente allontanato dall'istituto per recarsi al suo appartamento nel centro città. Ma tutto si sarebbe aspettata tranne che vedersi Ami Mizuno ferma sulla porta della sua stanza nel cuore della notte.

“Ami, ma è tardissimo. Cos'è successo?”

“Nulla di grave Michiru, ma dovrei parlarvi un attimo.” Ed era entrata nella sua stanza non badando troppo al fatto che l'altra fosse in camicia da notte e vestaglia.

Così l'insegnante era venuta a conoscenza delle dimissioni che la ragazza di poco più giovane aveva lasciato quella mattina stessa sulla scrivania della direttrice e dell'impellente necessità di valicare il Piave per poter tornare in Italia.

“In città si parla sempre con maggiore insistenza di una prossima entrata in guerra del Regno d'Italia. Fino ad ora il mio paese si è dichiarato neutrale come la Svizzera, ma sono forti gli indizi che denunciano lo scetticismo della corrente interventista. Se dovesse accadere il peggio io devo essere pronta a partire per il fronte sotto la bandiera sabauda.”

“Ami non so che dire. Mi dispiace che vi troviate in questa brutta situazione.”

“Ho saputo da Minako, che voi ed il Dottor Daniel vi siete offerti di accompagnare lei, le signorine Makoto e Rei fino a Zurigo. Vorrei chiedervi di potermi aggregare almeno fino alla frontiera di Malles.”

La situazione non stava facendo che “rotolare a valle”. “Ami il Dottor Kurzh non potrà accompagnarci. Sarò dunque io a guidare le ragazze.”

“Allora a maggior ragione. Vi servirà tutto l'aiuto possibile Michiru.”

Certo che le sarebbe servito, anche perché senza neanche pensarci troppo su, aveva deciso di portare con se anche Usagi. L'avrebbe accompagnata a Berna dai Kaiou per farla stare con loro fino. Il padre Viktor era un diplomatico e si sarebbe attivato per cercare di reperire più informazioni possibili sulla sorte della famiglia di quella povera ragazza. Usagi aveva accettato preparando il suo bagaglio alla velocità della luce non stando più nella pelle.

Ed ora sono in cinque. Michiru sei veramente sicura di stare facendo la cosa giusta? Pensò l'insegnante sospirando lievemente.

Così si videro costrette ad aspettare in religioso silenzio fino alle venti, quando finalmente quello stacanovista di Daniel non si degnò di uscire dallo studio percorrendo a passo lento il corridoio che lo avrebbe portato al portone d'ingresso. Michiru l'osservo camminare sul ghiaietto che portava alla sua automobile, metterla in moto per poi sparire dietro le alte siepi d'alloro che costeggiavano il vialone. Nel vederlo inghiottito dalle ombre della sera si chiese quando lo avrebbe rivisto. Con molta probabilità una volta venuto a conoscenza della “fuga” della sua promessa sposa, si sarebbe messo sulle sue tracce in barba ai pochi giorni di licenza che il comando austriaco gli aveva concesso.

Me lo ritroverò a Berna in un batter di ciglia, si disse lasciando i vetri di una delle finestre del refettorio, notando come quel pensiero riuscisse a chiuderle la bocca dello stomaco. Ma davvero poteva considerare amore il sentimento che nutriva per quell'uomo? Non avendolo mai provato che per lui, si stava forse sbagliando non avendo in mano un criterio di comparazione adeguato?

“Signorina Kaiou...” La chiamò Makoto alzandosi dalla tavola per prima.

“Si, è ora di andare. Ho lasciato alla preside una lettera dove spiego il perché della necessità di accompagnare voi tre e di prendermi cura della signorina Tzukino. Perciò quello che ci rimane da fare è dirigerci verso la stazione per aspettare il treno che domani all'alba ci porterà verso la frontiera.”

“Che mezzo prenderemo?” Chiese Minako riponendo con cura la sua sedia a battuta con il piano del tavolo.

Michiru sorrise desolata. “I nostri piedi. Non abbiamo altre alternative. Ho calcolato circa un paio d' ore a passo svelto. Arrivate acquisteremo i biglietti, mangeremo qualcosa portataci dietro ed aspetteremo.”

“Possibile che non abbiamo altre possibilità?” Disse Ami non capendo il perché di quella forzatura.

“In pratica tutte le studentesse sono già partite e al collaggio non è rimasto altro mezzo se non le cavalcature e per ovvi motivi non possiamo usufruirne. Mi dispiace. Riposeremo sul treno.”

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 21/5/1915

 

Correndo tra le pozzanghere del sentiero, Haruka strizzò gli occhi all'ennesimo boato proveniente dal cielo plumbeo. Inzuppata come una spugna si era trovata nel bel mezzo di un temporale primaverile neanche fosse stata una novellina di città.

“Maledizione questa volta mi hai giocata!” Urlò all'indirizzo di Giove Pluvio stando bene attenta a non scivolare sul fango.

Si era ridotta una schifezza in meno di dieci minuti ed ora, con la maglia completamente appiccicata alle sue forme, i pantaloni pesanti e gli scarponi trasformatisi in laghi artificiali dalla suola interna sgusciante ad ogni colpo di tallone, stava correndo giù per la montagna intravedendo il tetto della sua baita con il fumo serpeggiante dal comignolo. Dio quanto si sentiva viva in momenti come quello, libera, padrona di se e del suo tempo, senza regole, priva di qual si voglia imposizione. Con il suo peloso amico a quattro zampe sempre incollato a lei, viveva da un anno la sua nuova esistenza senza preoccuparsi di nulla che non riguardasse la mera sopravvivenza fisica. Non avendo contatti con gran parte del mondo civilizzato, fatta eccezione per Mattias ed alcuni commercianti della valle vicina, si era inselvatichita al punto di arrivare a gestire i suoni del bosco come una animale, pronta a scattare sul chi va la in ogni momento. Le uniche ore di riposo fisico e mentale, erano la sera, dopo aver cenato e rassettato, quando davanti al fuoco del camino s'immergeva nella lettura dei suoi adorati libri. Ne aveva trovati tanti nella baita del nonno che aveva ristrutturato appena arrivata ed altrettanti gliene aveva portati Mattias, che intrufolandosi in una casa Tenou ormai vuota, pian piano era riuscito a riconsegnare alla sua legittima proprietaria i vecchi amici racchiusi in quelle fitte pagine stampate. Il conte di Montecristo, Robinson Crusoe, le aquile della steppa, Cartagine in fiamme. Con il loro aiuto Haruka poteva viaggiare e visitare posti nuovi. Con loro sentiva meno la solitudine serale.

Arrivata finalmente al coperto della veranda puntò le mani alle ginocchia incurvando la schiena in avanti respirando affondo. Amava correre giù lungo i prati ed i sentieri, soprattutto quando il vento si alzava alle sue spalle spingendola. Acquistando sempre maggior velocità le sembrava allora di poter quasi spiccare il volo per librarsi nel cielo.

Sentendosi schizzata dal pelo del mezzo lupo, fece quasi altrettanto scostandosi dalla fronte la frangia gocciolante con un secco movimento del collo. “Stai attento a dove ti sgrulli cafoncello.”

Lui la guardò abbaiando e sbattendo sul tavolato le zampe anteriori un paio di volte.

“Che vuoi?! Non si gioca adesso. E' tempo di rientrare e darci una pulita.” Disse arpionandosi i fianchi. Flint la guardò piegando la testa prima a destra, poi a sinistra per sbattere le zampe un'altra volta.

“No, no. Non se ne parla.” E voltando il busto afferrò il panno che era solita lasciare sull'uscio per evitare che quelle sudice zampaccie le rendessero la casa un inferno di fango e sporcizia varia.

Casa pensò accovacciandosi iniziando ad asciugarlo. Ricordò com'era calda ed accogliente la sua abitazione a Bellinzona, come la madre riuscisse a trasformarla con poco, in quella che ad Haruka sembrava una villa, come si sentissero ben voluti gli amici e gli ospiti che ogni tanto venivano a far visita alla sua famiglia e come lei, giovane donna nata sul finire dell'ottocento in una cittadina svizzera, vivesse ogni giorno avvolta da amore e protezione.

Amore, già, fino a quando non sono dovuta scappare per non essere picchiata da mio padre.” Masticò amaro guardando gli occhi nocciolati del suo amico.

“Madre, forse è stato meglio che non abbiate vissuto abbastanza per assistere a quello strazio.” Parlava spesso come se Ilde fosse stata ancora li con lei, a spalleggiarla. Come quel giorno neanche troppo lontano, quando il suo segreto era stato sul punto di essere svelato.

“Ma dov'è vostro padre?” Aveva chiesto con il mestolo tra le dita pronta a servire il pranzo.

“In officina non c'è. Vengo proprio da li.” Aveva risposto Haruka andando a sedersi al tavolo del tinello mentre la maggiore finiva di apparecchiare portando la caraffa dell'acqua.

Poi una porta sbattuta, con molta probabilità quella dell'ingresso, ed il nome della figlia minore urlato a gran voce.

“Ecco qua, cos'hai combinato? Non avrai rotto qualche cosa sorella!?”

“Ma no!”

“Sebastiano siamo qui nel tinello. Vieni a tavola.”Aveva chiamato la moglie vedendolo entrare come una furia qualche secondo dopo.

“Haruka... ho appena parlato con il giovane Astorri. Mi ha detto che l'hai rifiutato!”

Ilde aveva chiuso allora gli occhi intuendo la forza d'urto che quella conversazione avrebbe avuto sulla sua povera famiglia.

Non scomponendosi e forte della presenza della madre e della sorella, la bionda aveva alzato leggermente le spalle iniziando a versarsi dell'acqua.

“Mi dispiace che ci sia rimasto male, ma non provo alcun piacere nella sua compagnia.”

“A me questo va benissimo. Lo sai perfettamente che sia tu che tua sorella avete la libertà di scegliervi gli uomini con i quali vi mariterete, ma Stefano mi ha fatto capire che non lo vuoi conoscere perché si dice in giro che tu sia...” E quell'improvviso impeto era cessato soppiantato dalla reticenza del pudore.

“Sebastiano che cos'è questa storia? Cosa ti ha detto quel ragazzotto impertinente su nostra figlia?”

“Che la qui presente ha la brutta reputazione di avere altri interessi!” Aveva concluso ingoiando a vuoto saliva inesistente per poi appoggiare la mani alla traversa della sua sedia.

“Quali interessi?”

“Ilde per tutti i Santi! Si dice in giro che nostra figlia sia un'invertita!”

Ecco, era stato così che quel giorno la prima delle tante granate che da quel momento avrebbero colpito l'anima di Haruka era deflagrata.

“Non dire assurdità!”

“Non sono io che lo dico, ma gran parte dei ragazzi del quartiere. Stefano è solo l'ultimo in ordine di tempo dei tanti che hanno cercato di approcciarsi a nostra figlia e non sono stati neanche presi in considerazione. Come si dice invece, non sia successo per la figlia dei vicini. Adesso Haruka tu mi dirai se questa voce è fondata oppure no!”

“Non metterla in mezzo!”

“Fa silenzio Ilde! Allora Haruka! Non rispondi? Bene...se ti si e' bloccata la lingua sarà Giovanna a parlare per te. State sempre insieme e sicuramente potrà dirci se questi fantomatici approcci ci sono stati e se sono realmente stati rifiutati.” E mentre il padre attendeva che denunciasse o smentisse la cosa, la maggiore aveva iniziato a capire di Haruka tante cose. Tanti comportamenti mai voluti o saputi leggere.

Giovanna l'aveva allora guardata catturando in quegli occhi verdissimi un lampo di puro terrorave. Le voleva un bene immenso e nessuna tendenza sessuale avrebbe mai cambiato quel sentimento. "Padre devo confessarvi che si, Haruka ha in passato rifiutato un paio di proposte di conoscenza da parte di ragazzi più grandi, ma lo ha fatto solo per me. Essendo la maggiore sa che ho la necessità di maritarmi quanto prima e pensa che rimanendo in disparte io possa ricevere più attenzioni. Per quanto riguarda Stefano poi, - aveva alzato il viso sul padre mentendo in maniera spudorata, ma convincente - ne sono invaghita dai tempi della scuola. A lei interessa fino ad un certo punto. E' una sorella premurosa e non ha voluto portarmelo via. Infine, sapete anche voi che la qui presente è molto timida e non ha mai fatto amicizia tanto facilmente. La nostra vicina è semplicemente riuscita a scardinare la sua reticenza.” Ed aveva così sorriso al genitore chiedendogli di perdonarle per averlo tenuto all'oscuro di tutto.

“E' così ragazzina?” E per sopravvivenza e paura la bionda aveva confermato sentendosi morire.

Da quel momento in avanti Giovanna aveva iniziato a vegliare su di lei con maggior dedizione, anche se Haruka l'aveva allontanata, fino a quando qualche mese più tardi, Ilde era spirata lasciando la famiglia nella disperazione più nera.

La maggiore aveva provato a prenderne il posto in casa, ma non ci era riuscita. Troppo giovane ed inesperta, troppo lacerata dal dolore della perdita. L'altra invece si era chiusa in se stessa ancora di piu' avvertendo un vuoto impressionante, mentre Sebastiano, di indole solitaria molto più della figlia più piccola, aveva come subito un'involuzione, portando a picco lui e le sue figlie. In officina non lavorava più, anzi, l'aveva messa in vendita contro il parere di una Giovanna allarmata dall'improvvisa mancanza di entrate economiche. Non parlava quasi più. Non si curava più di loro, ne di se stesso.

“Come avrei potuto continuare a lottare da sola senza più la vostra presenza madre?” Disse alzandosi mentre l'ennesimo tuono sconquassava il cielo.

“Anche quando ve ne siete andata pioveva così. - Ricordò provando un brivido. - Ed anche quella notte, quando prendendo solo quello che avevo in dosso, sono scappata di casa per non farvi più ritorno.”
“Sparisci dalla mia vista! Io ti maledico!” E sentendo il muso di Flint picchiettarle su palmo della mano destra, stirò le labbra aprendo la porta per entrare finalmente nel tepore di quella che era diventato a tutti gli effetti, il suo rifugio dal mondo.

 

 

Tratta ferroviaria Merano-Malles.

Austria sud occidentale – 22/5/1915

 

Nei pressi della stazione di Plaus, situata ancora in territorio austriaco e neanche a metà del viaggio, le ragazze più giovani si erano letteralmente “spente” sotto il peso della scarpinata compiuta la notte precedente. Era stato un supplizio che neanche le più disgraziate fantasie di Michiru avrebbero mai potuto prevedere. Non era stato tanto il ritrovarsi a camminare al buio lungo strade sconosciute, ma il mancato esercizio e le calzature non idonee ad una simile impresa. Una luna calante benedettamente brillante, le aveva accompagnate donando loro la luce necessaria per non perdersi ed il fatto di essere in sei, aveva infuso a tutte il coraggio del branco. Ma non era passata neanche un'ora che le prime vesciche erano apparse ed il restante tragitto era stata un'interminabile sequela di fermate, tanto che il tempo di percorrenza ipotizzato era passato da due a quattro ore.

Esasperata dal bruciore che le calze stavano provocando nello strusciarle le dita, Minako aveva ben presto deciso di togliersele in barba all'etichetta, mentre Minako aveva addirittura tentato di camminare a piedi nudi. Pur essendo la più piccola, Usagi aveva invece sopportato con coraggio non lamentandosi mai, non piangendo, ne pretendendo soste per riposare. Era talmente grata a Michiru per averla portata con se che avrebbe tentato di darle il meno fastidio possibile.

Ami guardò l'insegnante persa con lo sguardo oltre il finestrino chiedendosi quali pensieri affollassero la sua mente. Si era presa una bella responsabilità ed anche se molto riservata, era palese che tra lei ed il Dottor Kurzh qualcosa era successo. Aveva avuto modo di conoscerli entrambi in quell'ultimo anno, non riuscendo però a capire cosa legasse due caratteri tanto diversi. Apparentemente ad un occhio superficiale, quel binomio appariva perfetto. Fisicamente; belli entrambi, eleganti, di classe lei, compito lui. Una coppia invidiabile, soprattutto quando li si vedeva uscire per andare all'opera o ai caffè del centro città. Eppure all'infermiera italiana la loro unione non aveva mai convinto del tutto.

Daniel si era comportato con lei sempre in maniera impeccabile e pur lavorando a stretto contatto, aveva sempre mantenuto un atteggiamento cordiale, ma distaccato, proprio di un promesso sposo. Un mentore eccellente, che le aveva donato la conoscenza della pratica, portandola spesso ad esercitare anche fuori dall'istituto. E proprio in questi episodi l'attenzione dell’infermiera era caduta su piccole, impercettibili lacune che l'uomo aveva dimostrato di possedere nel rapporto che istaurava con i pazienti. Era come se la vocazione umanitaria propria della scienza medica non riuscisse ad emergere sulla necessità di sentirsi al centro dell'attenzione. A fare da contro altare c'era Michiru Kaiou, un vero talento musicale, dolce nell'approcciarsi con gli altri, ma giustamente severa nell'insegnare. Mai Ami aveva visto quella donna pretendere più di quanto le sue allieve potevano arrivare a darle.

Vedendola voltarsi nella sua direzione abbassò per istinto lo sguardo arrossendo leggermente.

“Cosa c'è Ami? Perché non dormite?” Chiese avvertendo un nuovo scossone. Non che il treno fosse il mezzo più comodo del mondo, anche se sicuramente era meglio di una carrozza.

“Credo per il vostro stesso motivo Michiru. Tutto questo scuotere non mi concilia il sonno, ma quanto a stomaco, da una bella nausea.” La vide ridere e ne fu lieta.

“Avete perfettamente ragione. Solo i “cuccioli” sono crollati.” Guardando le altre quattro poggiate l'una all'altra davanti ed accanto a loro, tornò a perdersi fuori dal finestrino notando le prime strutture dell'ennesima stazione.

“Dovremmo essere a Platus. Di questo passo arriveremo alla frontiera per le quattro del pomeriggio.”

Se la coincidenza per Zurigo è domani, avremo bisogno di pernottare a Malles.”

“Esattamente. Vi confesso Ami che la cosa proprio non mi aggrada, ma non possiamo rimanere in stazione tutta la notte. Troveremo sicuramente un albergo con delle camere libere.”

“Perdonatemi Michiru, ma abbiamo abbastanza soldi per permettercelo?”

“Per questo non dovete preoccuparvi. Ne abbiamo per pernottare e mangiare.” Rivelò mentre lo stridio metallico dei freni rallentava a poco a poco le carrozze annunciando così l'arrivo in stazione.

“Ho bisogno di muovermi Ami. Andrò a chiedere al Capo Treno quanto resteremo fermi. Nel frattempo per favore, badate voi ai bagagli.” E stando attenta a non svegliare Usagi, appiccicatasi alla sua spalla già dai primi spostamenti della locomotiva, si alzò per dirigersi verso l'inizio del vagone.

Non si era accorta che fossero saliti tanti passeggeri nelle poche fermate che avevano fatto. E proprio uno di loro, un uomo sulla cinquantina, distinto, ben vestito, curato nell'aspetto, dai folti baffi scuri, la urtò facendola barcollare. Lesto l'afferrò per la vita impedendole così di cadere addosso a chi era seduto al lato del corridoio.

“Mi perdoni signorina.” Disse sorreggendola ed aspettando che si riappropriasse dell'equilibrio.

“Sono incredibilmente maldestro quando si tratta di viaggiare su questi trabiccoli. State bene?”

“Si. Non è successo nulla signore.” E lo vide togliersi il cappello rivelando la cera che gli ordinava la chioma brizzolata.

“Meno male, non me lo sarei mai perdonato. Posso essere sfacciato e chiedervi se avete informazioni sul tempo di sosta? Sto cercando il Capo Treno, ma fino ad ora non ho avuto fortuna.”

“Pensi, avevo intenzione di fare proprio la stessa cosa. - Rivelò guardando la porta d'entrata al vagone. - Molto probabilmente d'evessere sceso un attimo.”

“Pazienza, vorrà dire che rimarrò nell'ignoranza fino alla fine della tratta.”

“Anche voi siete diretto a Malles?” Chiese rendendo conto solo una volta aver parlato di quanto fosse stata sfacciata.

“Si, ma permettetemi di presentarmi. Simon Termalen.” E le porse la mano.

“Michiru Kaiou.” E l'afferrò stringendola nella sua.

Era un uomo estremamente affascinante, anche se i calli che la ragazza avvertì nel palmo rivelavano un'occupazione dura. Molto probabilmente si era fatto da solo, come il suo Daniel.

“Le mie amiche mi stanno aspettando. E' stato un piacere signor Termalen.” E chinando leggermente il capo fece per tornare dalle altre. Lui la seguì con lo sguardo fino a quando non la vide risedersi.

Michiru non poteva ancora saperlo, ma l'incontro con quell'uomo le avrebbe presto cambiato la vita e non sarebbe stata mai più la stessa donna.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Il tuo sguardo e non sono stata più la stessa ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Il tuo sguardo e non sono stata più la stessa

 

 

 

Cimitero Provinciale di Bellinzona.

Svizzera meridionale – 1/6/1914

 

Giovanna guardava le due lapidi bianche con gli occhi pieni di lacrime mentre il vento di primavera le accarezzava la gonna scura ed i lunghi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle. Non era solita piangere, ne di gioia, ne di dolore, fisico o morale che fosse, ma quell'ultimo anno l'aveva così tanto destabilizzata che ora non poteva impedirsi di cedere. Era rimasta sola e gli eventi che l'avevano portata a questa presa di coscienza erano stati talmente repentini da non lasciarle neanche il tempo di farsene una ragione.

Asciugandosi le guance con le mani, prese aria accovacciandosi di fronte alle due foto che ritraevano i suoi genitori. Ilde e Sebastiano, morti a distanza di pochi mesi l'una dall'altro, in due modi diametralmente opposti, ma conseguenziali. La madre di polmonite, il padre di dolore. Si era lasciato andare senza volere, potere accettare il fatto che l'amore della sua vita non gli fosse più accanto, ed anche se gli aveva lasciato una figlia, forse il sapere che presto anche lei se ne sarebbe andata per farsi una famiglia, l'aveva portato ad arrendersi. Una figlia. Questo pensava di avere ancora in dote Sebastiano Tenou; una figlia, Giovanna, come se Haruka, la sua piccola, meravigliosa ragazza, gli fosse stata portata via dal medesimo male della moglie. Ma non era stata una malattia polmonare a strappargli l'amore di quel bizzoso cavallino di fanteria, ma la furia cieca esplosa in una sera di follia, quando aveva finalmente aperto gli occhi su quello che per anni non aveva capito.

Il segreto che celava sua figlia era stato scoperto e nel modo più abietto possibile. Sebastiano ne aveva letto il diario che, come ogni ragazza di quell'età Haruka era solita scrivere. Lo aveva fatto spinto dalle continue dicerie sul suo conto che, nonostante le rassicurazioni di tutte le donne della sua casa, moglie in testa, continuavano stancamente a trascinarsi per il quartiere. Per l'uomo era iniziata ad essere una vera e propria ossessione e complice la figlia dei vicini, lingua pungente dall'animo bisognoso d'attenzioni, aveva deciso di infrangere la più elementare delle regole che vigeva nella sua famiglia; la fiducia. Sfogliando quelle pagine ordinate vi aveva trovato le prove inconfutabili dell'inclinazione sessuale di Haruka. Lo sgomento, la paura, le frustrazioni, i desideri di una giovane donna confusa oltre ogni dire e resa ancora più vulnerabile dalla morte della madre. E non aveva capito Sebastiano Tenou. Come avrebbe mai potuto farlo, lui uomo appartenente ad un mondo ancora arcaico.

Catapultandosi in officina con quel volumetto tra le mani, aveva trovato la proprietaria intenta a mettere ordine tra i suoi attrezzi e fulminandola con pozze di liquido disgusto glielo aveva gettato addosso respirando a fatica.

“Raccogli quell'accozzaglia di porcherie!” Aveva intimato e lei, gelata, lo aveva assecondato non riuscendo a staccare gli occhi dalla figura del genitore fermo ad un passo dalla porta.

“Come diavolo abbiamo fatto io e la tua povera madre ha generare un mostro simile!”

“Padre, io...”

“Taci!” E quell'urlo carico di rabbia era riecheggiato per il piccolo ambiente nonostante fuori il rumore della pioggia fosse intenso.

Serrando la mascella la ragazza aveva scelto il silenzio chinando la testa aspettandosi il peggio. Se Giovanna non fosse intervenuta frapponendosi tra i loro corpi con molta probabilità sarebbe stata battuta a sangue. Con le mani sul petto del padre, la maggiore lo aveva scongiurato di non fare pazzie delle quali avrebbe potuto pentirsi, ma lui no, non aveva potuto, troppo accecato dalla collera aveva finito per dire una cosa orribile.

“Sparisci dalla mia vista! Io ti maledico!”

“Padre no!”

“Sta zitta Giovanna e ringrazia il cielo che provi troppo schifo per metterle le mani addosso!” E a quelle parole Haruka era corsa fuori sotto l'acqua, stringendosi il diario al petto per non fare mai più ritorno nella casa che l'aveva vista nascere e crescere.

Quella fu l'ultima volta che padre e figlia si videro. Sebastiano morì qualche giorno dopo accudito fino alla fine.

Dove sei sorella mia. Si chiese coprendosi il viso con una mano rimanendo accovacciata accanto alle lapidi. Si sentiva responsabile, anche se in fin dei conti aveva cercato di darle quanto più possibile; comprensione, consiglio, protezione e soprattutto, l'amore che meritava. E non era stata cosa facile. Allo scoprire la sua diversità Haruka si era chiusa nella vergogna e lo aveva fatto soprattutto con la maggiore, arrivando addirittura a non tollerare più carezze o abbracci che Giovanna stessa sentiva la necessità di darle.

Non avrei dovuto permetterti di lasciarmi fuori dal tuo mondo. Pensò guardando poi l'immagine del padre.

“Lo so che non potevate capirla, ma accettarla, questo si! Perchè vi ho permesso di portarmela via?! Perchè quella sera non ho avuto la forza ed il coraggio di correrle dietro?!”

Una folata di vento più forte delle altre la costrinse a serrare gli occhi e quando li riaprì sentì il cuore stringersi nel petto. Ferma a circa una decina di metri da lei, c'era Haruka. Bianca come un cencio, smagrita, sporca. Lo sguardo stanco e stranamente vuoto, i capelli ancor meno ordinati del solito. Un fantasma. Giovanna si alzò lentamente mentre la bionda prendeva a camminare verso di lei guardando le lapidi.

“Haruka.” Ma quando arrivata a pochi centimetri cercò di abbracciarla, l'altra si ritrasse continuando a non staccare lo sguardo dalle foto dei genitori.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto affrontare tutto questo da sola Giovanna.”

“Haruka come stai?”

“Gira voce che gli ultimi giorni siano stati i peggiori.”

“Ruka...”

“Che nel suo delirio non riconoscesse più neanche te.”

“Ruka, ti prego... Guardami.”

“Almento hai avuto il conforto della presenza della signora Marta.”

“Per favore!” Urlò serrando i pugni e dopo un sospiro, finalmente la bionda accettò d'incatenare lo sguardo a quello dell'altra.

“Dove hai vissuto per tutte queste settimane? Come? Nostro padre è morto da un mese. Perchè non sei tornata a casa?!”

L'altra le sorrise tristemente. Casa? Non aveva più una casa dove tornare lei, ne una famiglia d'amare. “Ricordi Giò? Io sono stata maledetta. Non ho più un posto in cui far ritorno.”

“Non dire stupidaggini.” Disse provando a sfiorarle un braccio, ma Haruka si ritrasse nuovamente intimandole di non toccarla. Giovanna capì di averla persa e si sentì sprofondare in un averno senza fine.

“Sono venuta qui per portare a nostra madre un ultimo saluto e a lui la vita che ho vissuto fino ad ora.” Tirando fuori dalla cinta della gonna un coltello da caccia, afferrò con la mano libera la treccia dorata e forzando la lama alla base della nuca se la tagliò. Giovanna sgranò gli occhi guardandola poi posarla davanti alla lapide del padre.

“Oggi è morta anche vostra figlia minore padre. Non vi colpevolizzo per quello che mi avete detto, perchè so molto bene quanto possa essere difficile accettare una... come me, ma da ora in avanti io non sarò mai più una Tenou.”

“Ruka...”

“Mi dispiace tanto, veramente Giovanna. Ma non posso più vivere qui.” Voltandosi sentì il vento finalmente libero di accarezzarle i capelli ormai corti.

“Haruka aspetta...”

“Non seguirmi! - Ringhiò. - Non preoccuparti per me, saprò cavarmela vedrai.” Si girò per guardarla un'ultima volta stirando le labbra e rendendosi conto di stare sull'orlo del pianto, corse via decisa a spezzare per sempre il legame che aveva dalla nascita con quella ragazza e con quella città.

 

 

Stazione di Malles.

Confine austo-svizzero – 22/5/1915

 

Erano scese dal treno e con l'aiuto di quel discreto ed accattivante sconosciuto, si erano sistemate all'interno della stazione. Simon Termalen era stato delizioso nel trasportare i bagagli più pesanti e nell'informarsi insieme a Michiru sull'ora di arrivo della coincidenza per Zurigo. Nell'attesa che arrivasse un'amico d'infanzia per accompagnarlo nel centro del paese, aveva disquisito poi con tutte loro, circuendo immediatamente Usagi e Minako, mentre Makoto e Rei, forasticamente portate per natura alla diffidenza, ne avevano studiato gli atteggiamenti non capendo perchè un uomo così “attempato” si permettesse di rimanere per così tanto tempo in loro compagnia. Non sopportando oltre quella strana situazione ben presto avevano deciso di fare un giro nei paraggi per informarsi sulle pensioni e sui ristoranti di zona. Ami e Michiru, invece, sembravano essere sollevate dalla sua figura, come se la presenza dello sconosciuto avesse fornito quella sorta di barriera protettiva che come gruppo di donne non avevano. Approfittando del tempo loro concesso dall'appuntamento con la coincidenza per il nord del paese e vista la cordialità che il signor Termalen stava dimostrando, decisero entrambe di staccarsi dai tre per andare a rinfrescarsi un po'.

Così come un amico o un parente alla lontana, l'uomo iniziò a parlare del più e del meno con le due biondine lasciando che il tempo scorresse lento e senza fretta. “Perciò siete studentesse del San Giovanni di Merano? Lo conosco. Mia nipote ha avuto il privilegio di frequentarlo un lustro fa.”

“Signor Termalen diteci, di cosa vi occupate quando non siete in viaggio?” Chiese Usagi immediatamente ripresa dall'amica.

“Usa, ma che domande fai?! La perdoni. Non voleva essere impicciona.” Disse mollandole una piccola gomitata. Lui scoppiando a ridere si sistemò meglio sul legno della seduta.

“Non si preoccupi signorina, sua sorella non è stata affatto indiscreta, glielo assicuro.”

Le due si guardarono esplodendo un sorella all'unisono. “No signore, non siamo parenti.” Rivelo Minako sorridendo.

“O perbacco, che sciocco. Perdonatemi, ma vi somigliate molto. I capelli lisci e biondi, gli occhi chiari, la corporatura.”

“In effetti ci è già capitato.”

“Lo immagino. Comunque sono un uomo d'affari. Viaggio spesso, anche se con questa guerra... Purtroppo si dovranno aspettare tempi migliori.” Ed il fischio della locomotiva del treno che avevano preso per arrivare a Malles, annunciò la ripresa della tratta di ritorno.

“Accidenti si sta facendo tardi. Dove sono finite le altre?” Minako fece per alzarsi posando lo sguardo ai bagagli disseminati tutti intorno. Una scintilla nello sguardo dell'uomo ed un consiglio apparentemente disinteressato.

“Signorine se fossi in voi le andrei a cercare. Tra non molto farà buio e non avete ancora trovato una sistemazione per la notte. State tranquille. Penserò io ai vostri bagagli.”

Titubante Minaco guardò l'ambiente anonimo della sala d'aspetto. Quell'uomo aveva ragione, si stava facendo tardi e non volendo lasciare Usagi da sola, raccolse il suo invito grata.

“Faremo prestissimo, non dubiti.”

“Fate con comodo. Devo aspettare il mio amico. Non ho fretta signorine.” E le vide scappare via verso l'uscita della stazione.

Passarono solamente dieci minuti, nei quali Michiru riuscì ad ottenere informazioni utili sulla durata della tratta che le avrebbe condotte a Zurigo, Ami quella per la città di Como, mentre Makoto e Rei su una piccola pensione posta proprio accanto alla stazione. Richiamate dalle più giovani tornarono tutte dal signor Termalen che nel frattempo era stato raggiunto dall'amico. In breve si congedarono dai due uomini e li videro uscire dalla struttura bianca camminando a passo svelto.

“Ti riconcilia con il mondo l'avere le attenzioni di un estraneo tanto garbato.” Se ne uscì Minaco mentre prendeva la sua borsa imitata dalle altre.

“Anche se avrei preferito che voi due non vi foste allontanate dai bagagli.” Rimproverò l'insegnante dirigendosi verso la biglietteria stringendo nella destra il bagaglio e nella sinistra la custodia del suo strumento preferito; il violino.

“Signorina Kaiou quando abbiamo il treno?”

“Domani verso le otto Usagi. Ami partirà due ore più tardi.”

La biondina guardò l'infermiera intristendosi. Si era completamente dimenticata che le avrebbe lasciate, forse per sempre, per tornare in Italia.

“Non siate triste signorina Tzukino. Ci terremo in contatto.” Rassicurò l'italiana fermandosi davanti alla biglietteria.

Un ragazzo le accolse leggermente impacciato nel trovarsi davanti sei donne. Non capitava tutti i giorni, soprattutto in quel periodo, di vedere un così particolare gruppetto viaggiare da solo.

“Posso esservi di aiuto signorine?” Chiese sporgendosi dalla finestrella che divideva la sua postazione dalla zona adibita al pubblico.

Posando sia borsa che custodia in terra, Michiru gli chiese cinque biglietti per Zurigo.

“Sono quindici franchi.” Confermò sorridendo mentre metteva mano al cassetto dov'erano riposti i tagliandi.

“Bene grazie.” E mentre apriva la borsetta che aveva fino a quel momento portato a tracolla, lasciò spazio ad Ami che ne chiese uno che l'avrebbe ricondotta in patria.

Aspettando di essere pagato il ragazzo guardò l'insegnante aggrottare la fronte, aprire meglio la stoffa della sua borsa e sbiancare tutto d'un tratto. “Qualcosa non và signorina?”

Oddio, il portafoglio pensò Michiru avvertendo il drastico aumento del battito cardiaco e l'adrenalina schizzarle nel cervello iniziando a farle pulsare la vena sulla tempia.

Mi perdoni signorina. Sono incredibilmente maldestro quando si tratta di viaggiare su questi trabiccoli.” Ricordò. L'urto con quell'uomo, le sue mani che le stringevano la vita per evitarle la caduta, il suo essere per bene ed accattivante. Era stata derubata e con destrezza da quel Simon Termalen, o qualunque fosse il suo nome. Era bastato un'attimo e le sue dita sapienti le avevano sfilato il portafogli con in pratica tutti i suoi contanti. Spesso Daniel le ripeteva di quanto fossero poco sicuri i treni e quale ricettacolo di malviventi viaggiasse sulle loro tratte.

“Michiru cosa avete. Siete impallidita tutto d'un tratto.” Ami le strinse un braccio mentre lei le chiedeva di controllare il bagaglio.

“Ragazze anche voi!” E ben presto si accorsero di essere state tutte derubate.

 

 

Spostandosi rabbiosa sulla seduta di una delle tante panche della sala d'aspetto, Michiru guardò la luna far capolino dietro le vette alpine. Era notte inoltrata e nell'ambiente ormai troppo familiare in pratica c'erano solo loro sei. Vedendo la necessità di soccorrere quelle povere ragazze, il Capo Stazione si era offerto di ospitarle nella sua abitazione posta dietro l'ultimo binario per rifocillarle e farle calmare un po', ma avendo una famiglia numerosa, non aveva potuto che lasciarle dormicchiare da loro.

Con i rimanenti franchi che si erano ritrovate nelle tasche dei vestiti, non avrebbero potuto permettersi neanche una delle stanze che sarebbero servite loro per attendere l'indomani, anzi, avrebbero dovuto scegliere se dormire in un letto o comprarsi il biglietto. Inoltre studiando bene le percorrenze ferroviarie, avevano calcolato che sarebbero riuscite ad arrivare, a digiuno naturalmente, solo fino a metà strada. Tanto valeva tornarsene indietro.

Sono stata un'imbecille! Si colpevolizzò la ragazza continuando a guardare fuori dal vetro della finestra. Come si fa, dico io, a dare così tanta confidenza ad un emerito sconosciuto che ha l'ardire di attaccare bottone con una donna non accompagnata! E per giunta su un mezzo pubblico. Passi per loro che sono inesperte, ma io. Che scusa ho io?!” Posando gli occhi sulle altre rannicchiate tutte intorno a lei si strinse maggiormente nelle spalle.

Adesso cosa m'invento? Come esco da questa situazione? Con sette franchi e mezzo l'unica cosa da fare è raggiungere la frontiera con il Regno d'Italia, Lugano e il Lago Maggiore, dove Ami ha degli appoggi. E' tutto quello che possiamo fare, perchè neanche indietro possiamo tornare!

Sentendo l'impellente necessità di muoversi, Michiru si alzò dirigendosi al pannello dov'erano trascritti gli arrivi e le partenze per la frontiera e l'interno del paese. Nella penombra della stanza d'aspetto illuminata da un paio di luci elettriche, notò una doppia tratta abbastanza economica perchè locale. Malles – Bellinzona – Lugano. Strofinandosi la fronte si ritrovò a sbuffare sonoramente. Non amava i fuori programma, soprattutto quando non poteva gestirli ottimamente ed in quel caso di ottima gestione c'era veramente poco. Rivolgendo nuovamente lo sguardo alle ragazze si sendì dannatamente in colpa. Sua era stata l'idea di accompagnarle e sua era stata parte della respnsabilità per aver perso tutti i loro risparmi.

D'accordo allora. Vada per Bellinzona dunque. Spero solamente che il destino ci sia più propizio, perchè fino ad ora questo viaggio non ha riservato che delusioni.

 

 

Sant'Antonio, Bellinzona.

Frontiera meridionale – 24/5/1915

 

Il caos totale. Solo a questo si poteva assistere in quella mattina. Un parapiglia incredibile di uomini e donne che correvano in ogni direzione, animati dall'incredulità di aver visto recapitata dai loro comandanti la notizia più assurda e drammatica che potesse mai manifestarsi in quelle circostanze. Il Regno d'Italia aveva consegnato la dichiarazione di guerra all'Impero Austo-Ungarico. Questo voleva dire che la Svizzera avrebbe dovuto aspettarsi probabili, quanto imminenti, sconfinamenti a meridione.

Giovanna guardò Stefano fermo accanto a lei con il dispaccio fra le mani. Ecco perchè nell'ultimo periodo avevano lavorato più del solito per andare a rifornire le trincee degli altopiani e dei valichi. Ecco perchè di soverte si trovavano a trasportare, non solo viveri, ma anche armi pesanti e munizioni. Ed ecco perchè le esercitazioni di evaquazione della città si erano fatte più serrate. Ora si sarebbero dovuti guardare non soltanto dalla Francia ad ovest, dalla Germania a nord e dall'Austria ad est, ma anche e soprattutto, dall'Italia. Bellinzona era talmente vicina al suo confine che se vi fosse stata un'invasione sarebbe stata il primo caposaldo militare della resistenza. Sempre se si fosse rimasti nella neutralità.

La ragazza provò un brivido squassarle la postura. Ferma in piedi accanto alla porta d'ingresso del quartier generale del secondo distaccamento dell'esercito, prese il foglio dall'amico tornando a leggerne i punti salienti.

“Spiegata la causa del nervosismo cronico che il Tenente Smaiters ha manifestato per tutta la serata di ieri.”

“Come?”

“Sono sicuro che la dichiarazione di guerra dell'Italia era già stata preparata da parecchio tempo.”

“Non lo so Stefano. Comunque sta di fatto che ormai...” Rispose apatica stringendo la carta sottile tra le dita sapendo già che quella notte non sarebbe riuscita a chiudere occhio.

E stessa cosa avrebbe fatto il bambino che stava adesso correndo a perdifiato lungo il sentiero ombreggiato dalla notevole pendenza. Fermandosi un attimo per riprendere fiato si accorse di essere bagnato fradicio di sudore. Avvertendo nell'aria un ritmico rumore sordo proveniente dalla direzione che stava per raggiungere, tornò a correre saltellando tra le radici nodose degli abeti come una giovane capra di montagna, lasciando che la luce che a tratti riusciva a filtrare tra gli spessi impalcati arborei, gli sferzasse il viso imberbe ed arrossato dallo sforzo.

“Haruka!” Urlò con tutto il fiato che ancora possedeva nei polmoni. “Haruka...” Nuovamente mentre l'ennesima testa dell'ennesimo chiodo andava a conficcarsi nella tavola ed il suono metallico delle martellate riecheggiava tutto intorno.

Arrivato davanti alla porta della baita della sua amica, ansimando si guardò intorno non capendo dove fosse. Flint gli si fece incontro abbaiando giocoso.

“Dove sei ?”

“Sono qui Mattias.” E fece capolino da una delle falde del tetto sorridendo a quei capelli castano chiari arruffati che sembravano più un nido che una zazzera infantile.

“Haru scendi. Corri!”

“Perchè tutta questa furia?” Gli chiese mentre inforcava uno scarpone nel primo piolo della scala che l'era servita per arrivare fin la su.

Il bambino continuò ad immettere aria fino a quando con un ultimo balzello la ragazza non piantò le suole sul terreno.

“Per arrivare a ridurti in questa maniera spero sia una cosa veramente importante, perchè questa volta tua madre te le suonerà di santa ragione.” Pizzicando la zoffa chiara della sua maglia fece una smorfia abbastanza disgustata.

“Lascia perdere. Mia madre ha cose più urgenti alle quali pensare ora. Guarda.” E le porse il volantino dalla carta grigiastra che ormai aveva “invaso” tutta la città.

Lei lo prese, ne lesse la testata, puntò lo sguardo all'orizzonte verso i confini meridionali per poi sedersi sul tavolato del portico.

Oddio Santissimo. Pensò avvertendo l'arrivo di un feroce mal di testa.

 

 

Stazione di Bellinzona.

Frontiera meridionale – 24/5/1915

 

Michiru aggrottò la fronte non capendo perchè il treno per Lugano non fosse ancora apparso. Ma mai possibile che non ne andasse bene una? Sembrava che da quando erano partite non facessero altro che sedersi dappertutto ed aspettare in posti sempre più squallidi e sporchi.

“E' consolatorio, perchè la situazione non fa che migliorare.” Sarcastica si alzò per l'ennesima volta dalla panca di legno grezzo posta accanto al muro interno della struttura della stazione. Nulla a che vedere con quella di Malles. In questo caso si era già fortunati ad avere un paio di strade ferrate. Piccola e mal gestita, ecco come appariva agli occhi di una Michiru ormai al limite della sopportazione quel piccolo snodo ferroviario. Che poi, in realtà, Bellinzona era una fiorente, quanto popolosa cittadina del meridione svizzero, commercialmente legata al Regno d'Italia ed all'Austria, perciò non poteva che stridere, ed anche di molto, l'incuria con la quale quelle quattro mura erano trattate.

Cosa doveva portarci il destino? Ma non è possibile che capiti tutto a noi! Si disse cercando con lo sguardo il Capo Stazione o un suo sottoposto.

Il tragitto che dal confine le aveva portate in quel “posto dimenticato dal mondo dove non avrebbe mai trovato nulla”, come stava continuando a ripetersi da tempo, era durato quasi il doppio del precedente, anche se i chilometri percorsi erano stati più o meno gli stessi. Ma essendo un treno locale, ad ogni stazione incontrata, si erano dovute fermare un'ora o più. Così, partite da Malles sul finire della sera precedente, erano riuscite ad arrivare a Bellinzona solo verso la "mezza" del giorno successivo. Ed ora erano li, sfatte, affrante, prive di forza.

Non va! Devo avere delle risposte pensò avvertendo poi Ami di badare alle ragazze. Con passo sicuro, quasi spavaldo, Michiru racchiuse nei pochi metri che la separavano dall'uscita, tutto il nervosismo che sentiva ribollirle nelle vene dei polsi e non appena fuori dalla piccola e scalcinata struttura, afferrò il coraggio ed attaccò bottone con la prima persona che vide. Una donna naturalmente, perchè così voleva la più elementare etichetta dell'epoca. Una donna, ma molto particolare. Michiru sbattè le palpebre notandone i vestiti. Un'uniforme! Pantaloni verde scuro, giacca grigia e scarponi da montagna neri.

“Vi chiedo perdono signorina.” La fermò leggermente titubante puntando lo sguardo dalle mostrine di stoffa amaranto del colletto della camicia, all'acciaio delle iridi.

Era una bella donna di qualche anno più grande di lei, dalla corporatura simile alla sua, con capelli castani legati sulla nuca da una comoda coda di cavallo. La frangia ribelle, la postura dritta e l'andatura sicura non lasciavano dubbi su quello che dovesse essere il suo carattere, ovvero una persona pratica e molto fiera della posizione che stava ricoprendo per il loro paese; la staffetta di confine.

“Prego.” Rispose ed attese stirando un sorriso di circostanza. Aveva gli occhi stanchi e Michiru pensò che fossero simili ai suoi e a quelli delle sue ragazze.

“Avrei bisogno di un'informazione, ma non riesco a trovare il Capo Stazione o qualcuno che sappia qualcosa sul treno che avrei già dovuto prendere qualche ora fa.”

“Treno?”

“Si treno. Vengo da Malles e sono diretta con le mie studentesse a Lugano.”

“Lugano?”

Michiru iniziò a stranirsi. “Si. Sono ore che siamo ferme in stazione in attesa della coincidenza. Qui non si vede nessuno e non so più cosa pensare.”

“C'è poco da pensare e credo proprio che resterete a guardare i binari ancora per parecchio tempo signorina.” Disse acida l'altra aggrottando la fronte. La stava forse prendendo per i fondelli?

Improvvisamente una voce maschile richiamò l'attenzione delle due chiamando la collega. “Tenou muoviti!” Urlò un uomo attempato da un'autocarro leggero.

“Arrivo Tenente Smaiters.” Rispose lei alzando il braccio per poi congedarsi dall'estranea.

“Sono spiacente di non potervi essere utile, ma credo proprio che i treni da e per il Regno d'Italia siano stati soppressi. A tempo indeterminato. Comunque se doveste aver bisogno di aiuto vi suggerisco di chiedere al mio distaccamento. Lo troverete alla fine della strada. Ed ora vi chiedo di scusarmi, ma devo proprio andare.” Giovanna la piantò così. Michiru la vide schizzare verso l'automezzo e saltarci dentro come presa da un inseguimento sparendo poi velocemente in un nuvolo di polvere.

Ma guarda tu! E poi non dovrei pensare che la cortesia sia propria delle persone di un certo ceto?! Ed al pensiero abbastanza classista che sentì nascerle dalle viscere, ne seguì una smorfia di contrariato disappunto smorzato solo dalla voce di una Ami dal viso stralunato.

“Michiru siete qui!”

Che altro è successo?! Pensò dimenticando le braccia lungo i fianchi mentre vedeva le cinque ragazze, che bagagli ormai incollati addosso, le andavano incontro agitatissime. Non avrebbero dovuto correre in quella maniera per strada.

Con un volantino stretto in mano l'infermiera la raggiunse e le altre l'accerchiarono.

“Abbiamo trovato il Capo Stazione. Ci ha dato questo. Guardate!”

Michiru scorse mentalmente il titolo della pagina unica sentendosi improvvisamente le gambe molli. Ferma accanto a lei la giovane Usagi rilesse ad alta voce quello che appariva essere un epitaffio inquietante. “Consegnata la dichiarazione di guerra da parte del giovane Regno d'Italia.”

“Ecco perchè il nostro treno è stato soppresso.” Disse Ami ancora incredula. Lei era italiana ed ora si ritrovava ad essere nemica di alcune di loro, proprio come Minako con Rei.

“Michiru adesso cosa faremo? Dove andremo se non possiamo più varcare i confini?”

La più grande sospirò ripiegando il foglio dalla carta grigia accarezzandole poi una guancia. “Non lo so Usagi. Ma non possiamo fermarci qui, dobbiamo proseguire. Il mondo che conosciamo da oggi in poi non sarà più lo stesso.”

 

 

Così l'insegnante si trovò costretta ad improvvisare, ed a farlo velocemente e per l'ennesima volta in quelle poche ore trascorse fuori dal San Giovanni. Prendendo il consiglio della ragazza incontrata davanti alla stazione, lo mise in pratica dirigendosi con le altre verso la caserma dove si trovava il distaccamento alpino della città di Bellinzona. E li trovò il marasma più completo.

Siamo in assetto di guerra si disse stringendo la mano di Usagi fermatasi dietro di lei appena varcato il cancellone d'entrata. Le altre sbigottite a guardarsi intorno. Autocarri con mitragliette montate saldamente sulla scocca posteriore, transumanze di cavalli imbizzarriti dal vociare di soldati molto più agitati di loro, polvere, tanta polvere, che rendeva l'aria irrespirabile e poco nitida. In tutto questo Michiru si rese conto della realtà delle cose. Non era bastato il contenuto allarmistico di un volantino a farle perdere il sangue freddo, la razionalità, la fiducia che da sempre aveva nei propri mezzi. Ma ora, come una frustata il pieno volto, si stava rendendo conto che il suo mondo stava cambiando evolvendosi nella brutalità del pericolo e la sua amata Svizzera ne avrebbe pagato il prezzo.

Accorgendosi di stare stringendo il palmo di Usagi troppo forte, cercò di sorriderle non riuscendoci ed in un paio di secondi tutto divenne offuscato, quasi nero. Notato il repentino cambio di colore che il viso dell'insegnante aveva avuto, Ami le fu immediatamente accanto sorreggendola per un braccio. Makoto, più alta e forte di loro, le cinse la vita evitando che scivolasse in terra.

“Signorina Kaiou... per l'amor del cielo!” La ragazza tedesca la trattenne ancora qualche istante prima che la muscolatura dell'insegnante non tornasse pienamente funzionante.

“Sto... bene...”

“Mako aiutami a metterla seduta su quel muretto. Mina, Rei... andate a cercare dell'acqua. Forza. Muovetevi!” Ordinò Ami guardando finalmente gli occhi blu dell'insegnante sempre più presenti.

“Non preoccupatevi. Ora va meglio. E' stato solo... un attimo.” La privazione del sonno, la stanchezza e lo shock della notizia dell'allargarsi del conflitto, complice il furto, la conseguenziale mancanza di denaro e l'impossibilità di proseguire il viaggio, avevano colpito duro sullo spirito indomito ed il giovane corpo di Michiru Kaiou.

 

 

“Io vi chiedo scusa per essere stata tanto maleducata signorina, ma non avrei mai creduto che ci fosse ancora qualcuno ignaro degli avvenimenti di questa mattina.” Ferma accanto alla branda dell'infermeria del complesso militare, Giovanna Tenou si strinse nelle spalle dispiaciuta.

A mente fredda si era resa conto di non essersi comportata un gran che bene con quella donna, anzi. Era stata sgarbata ed a primo acchito le era anche stata sullo stomaco. Superba ed altolocata. Degna figlia del nord. Invece l'insegnante tutto stava dimostrando di essere tranne che tale. Ed anche Michiru, parlando con la donna più grande, spiegando e venendo ascoltata, stava scoprendo nella staffetta qualità più nobili di quel che avrebbe mai potuto immaginare.

“La colpa è mia signorina Tenou. La stanchezza mi ha fatto dimenticare le buone maniere e con l'occasione vi ribadisco il mio grazie per avermi soccorsa prima che il mio fisico mi tradisse del tutto.” Disse sinceramente grata.

“Sono state le vostre studentesse a far si che vi soccorressi...” Giovanna sorrise guardando poi Rei dalla parte opposta della branda facendole un leggero occhiolino.

La ragazza dai capelli corvini, lunghi quasi sino alla vita, abbassò lo sguardo scuro imbarazzata mugugnando un qualcosa di incomprensibile. In effetti era stata lei a riconoscere la staffetta, mentre camminando a passo svelto per il perimetro del campo stava trasportando due latte di polvere da sparo. Giovanna se l'era ritrovata d'avanti indicarle con l'indice un punto indecifrato del muro di cinta. Inquadrato il gruppetto di donne con la loro insegnante in difficoltà, era corsa a razzo soccorrendo così una Michiru ancora frastornata dal mezzo svenimento. Condotta all'infermeria, l'aveva vista riaversi e pian piano era stata messa a conoscenza dei fatti che avevano accompagnato il gruppetto sin dalla partenza da Merano. Furto e cambiamento di destinazione inclusi.

“Penso che l'andare a Berna dalla vostra famiglia sia ancora la soluzione più ragionevole e se mi posso permettere, vorrei aggiungere che dovreste seguirla tutte.” Disse Giovanna all'indirizzo delle altre.

“Io non posso.” Intervenne però Ami. Da quando aveva appreso della fine della neutralità del suo paese sentiva nell'anima una strana sensazione di disagio, come se l'entrata in guerra del Regno avesse portato una sorta di incrinatura tra lei, Minako e Makoto.

“Non esiste che vi mettiate in viaggio da sola per la frontiera signorina... - Attese che Ami le rivelasse il cognome proseguendo severamente. - Signorina Mizuno. Ricordatevi che non tutti sono brava gente e che voi, come gran parte delle vostre amiche, siete straniera, il che vi pone sotto un pericolo costante. Non sono rari i sequestri estorsivi. Come le violenze purtroppo. Mi sembra che un furto lo abbiate già subito, giusto? Ecco, pensate che potrebbe essere la cosa meno dannosa da subire.”

“Io sono un'infermiera...”

“Non vi da l'immunità sulla crudeltà che stà bruciando l'Europa.”

Ma Ami non aveva un carattere accondiscendente, anzi. “Non mi sono spiegata signorina Tenou; con l'essere un'infermiera intendo dire che il mio compito è quello di provare a salvare più vite possibili e se il mio paese è stato tanto folle da entrare in una guerra, anche io sono chiamata a fare la mia parte.”

“Molto nobile, ma non attuabile. Almeno per ora.”

“Ami cercate di capire. Le frontiere sono state chiuse, vero signorina Tenou?” Intervenne Michiru posando pesantemente la fronte sul palmo della mano. Era stremata. Le facevano male tutti i muscoli delle gambe ed il mancamento le stava provocando una serie di crampi addominali degni di un parto.

“Esattamente. Io vi consiglio di andare tutte a Berna e da li dividervi. Se bramate così tanto i campi di battaglia signorina Mizuno, al nord troverete il fronte occidentale e gli alleati del vostro paese." Concluse Giovanna quasi con superbia. Sicuramente era un essere poco incline al sacrificio verso gli altri, perché proprio non riusciva a capire il sacro fuoco dell'infermiera.

“Berna, Zurigo, che differenza fa? Sempre verso nord dobbiamo dirigerci. Non è vero ragazze?” Disse Makoto interrompendo lo screzio delle due.

“Resta il fatto signorina Kino che non abbiamo quasi più denaro ed arrivare a Berna in treno è impossibile. Forse per Zurigo potremmo trovarne uno merci a buon mercato. - Riflettè Michiru ricordando i vagoni di bestiame intravisti in molte delle stazioni che avevano superato. - Inviando un telegramma a mio padre potrei chiedere aiuto, ma so che le transazioni bancarie sono ridotte al minimo.” E stancamente continuò a tenersi la fronte fino a quando Giovanna non ebbe un'intuizione. L'intuizione che avrebbe cambiato la vita di Michiru per sempre.

“E se usaste i piedi?"

"Come?"

"Ma si, i piedi! Siamo alla fine di maggio e con l'aiuto di una brava guida alpina potreste anche arrivare a varcare il San Gottardo.” E i visi attoniti che le si spalancarono davanti agli occhi la fecero quasi sorridere.

“Cosa potremmo fare noi?”

“Si, signorina Kaiou credetemi. Sono nata tra questi valichi e scalavo in età ben più giovane delle vostre ragazze. Se dico che c'è la possibilità di tentare e riuscire, allora provate a fidarvi di me. In più non vedo altre alternative se non rimanere a Bellinzona fino alla fine della guerra.”

“Intraprendere un viaggio tanto lungo e pericoloso mi sembra un'utopia, ma lo è anche rimanere qui a tempo indeterminato. Le ragazze hanno delle famiglie, non abbiamo che pochi franchi e visto il momento, non credo che di lavoro in città ve ne sia molto. Non potremmo neanche mantenerci.- Finalmente alzò lo sguardo sulla donna appena conosciuta ritrovandosi a prendere in considerazione quel viaggio. - Ma ditemi signorina Tenou, sareste voi a guidarci?”

“Conosco le mie montagne, ma devo riconoscere che tra questi picchi vive una persona molto più esterta di me e che potrebbe rendere un'azione sconsiderata, un successo.” Concluse spalancando un sorriso convinto. Avrebbe solo dovuto convincere un piccoletto astioso a guidarla verso la dimora di una giovane donna, testarna ed orgogliosa al pari di un vecchio asino.

 

 

Il crepitio della brace la stava cullando verso il sonno ed Haruka n'era sicura; in quella notte fredda, raggomitolata sotto la sua spessa trapunta di lana, avrebbe sognato tanto. Pur essendo inizio estate doveva ancora tenere il camino accesso, ma non le importava, anzi. Aveva a disposizione tutta la legna che voleva e l'odore del fumo resinoso che sistematicamente le impregnava i vestiti, le dava da sempre un senso di casa. E nell'avvertirlo nelle narici si sentiva bene, appagata e meno sola. Sfogliando l'ennesima pagina del volume che stava leggendo sorrise tra se alla sensazione di pesantezza che stava avvertendo alle palpebre già da un po'. Proprio non voleva arrendersi al sonno e come faceva da bambina, si riprometteva di smettere al capoverso successivo non riuscendo però mai a tener fede alla parola data al suo corpo. Ed in quelle sere ormai lontane, quante volte la madre era stata costretta a richiamarla all'ordine intimandole di smettere che l'indomani ci sarebbero volute le ire del cielo per tirarla giù dal letto e mandarla a scuola.

“Ruka se non vai immediatamente a dormire salgo su e le buschi!” Urlava Ilde sempre più impaziente, sino a quando Morfeo arrivava a chiuderle gli occhi e la sorella doveva rotolare fuori dalle coperte per spegnerle la candela.

Con un gesto secco chiuse il libro inspirando affondo per allontanare quei ricordi da lei. “E' ora di andare a dormire. Che ne dici amico?” Chiese al suo compagno peloso disteso ad un paio di metri da lei.

Un orecchio svogliatamente mosso. “Ma bene. Neanche mi degli di uno sguardo? Buonanotte allora.” Togliendo i piedi dal tavolo ed alzandosi dalla sedia, si stiracchiò provando goduria nelle vertebre di tutta la colonna.

“Dormi, dormi pure poltrone. Domani dobbiamo andare a caccia perciò vedi di riposare bene.” E lui questa volta aprì gli occhi scattando il collo verso l'alto.

“Ma guarda il redivivo. Basta che mensioni la caccia che...” Ma bloccandosi di colpo aggrottò le sopracciglia chiare avvertendo qualcosa di strano.

Puntando il muso verso la porta Flint si alzò diventando un fascio di muscoli e lei per impulso afferrò il fucile che teneva accanto al letto. La baita non era grande, venticinque metri quadrati o poco più e poteva sempre tenere tutto sotto controllo, inclusa l'unica finestra accanto all'entrata. Spesso venivano a farle visita una coppia di orsi, ma in genere si tenevano abbastanza lontani avendo ormai capito che colei che abitava in quel rifugio era armata. Avvicinandosi alla porta ed aprendola leggermente si sporse per cercare di mettere a fuoco le ombre della notte. Inutile, la luce lunare era potente, ma non abbastanza.

Forzando il varco Flint spalancò l'anta uscendo sul patio mostrando le zanne. “Vieni qui idiota!” Disse a bassa voce notando una fiammella avanzare dal sentiero che portava alla baita.

Il cuore iniziò a martellarle nel cervello. Avrebbe preferito trovarsi a tu per tu con due mammiferi carnivori pronti a dilaniarle le carni piuttosto che davanti ai suoi simili. Degli animali poteva fidarsi o anticiparne le mosse. Degli esseri umani... no.

Rizzando la peluria sul dorso, il mezzo lupo saltò dal tavolato all'erba avanzando in direzione della fiammella sempre più vicina.

“Flint! Dannazione, vieni qui!” Ordinò preoccupata che nel vederlo tanto aggressivo qualcuno in possesso di un arma potesse fargli del male.

“Flint!” Urlò e questa volta sia animale che fiammella si fermarono.

“Chi va la!” Chiese armando il cane del fucile stringendosi il calcio di legno grezzo sotto l'ascella destra.

“Sono armata! Non vi conviene darmi noia.” Intimò trattenendo il respiro fino a quando un nome, il suo, non solcò l'aria carica dei suoni della foresta.

“Ruka.” E nel sentire quel diminutivo tanto familiare, quanto doloroso, la bionda avvertì come una pugnalata in pieno petto. Solamente una persona ormai la chiamava così e non la vedeva da un anno.

“Ruka.” Ripetè mentre abbassava il fucile disarmandolo.

“Giovanna?” Chiese avendone già riconosciuto la voce.

La fiammella riprese ad avanzare mentre lei richiamava il mezzo lupo che questa volta, dandole retta, le trotterello' al fianco guardingo. Qualche secondo e la lampada ad olio che la donna stringeva nella destra arrivò ad illuminarle entrambe. Giovanna le apparve emergendo dal sentiero vestita in abiti militari, con gli occhi scintillanti alla luce ed il viso identico a come se lo ricordava, anche se meno sofferente dell'ultima volta che aveva avuto occasione di vederla.

“Cosa diavolo...” Ma le mancarono le parole.

“Cosa ci faccio qui? O come sono riuscita a trovarti dopo più di dieci anni che non vedevo questo posto?!"

“Entrambe.” Rispose piatta cercando di trattenersi dal gettarle le braccia al collo. Aveva sempre amato la sorella maggiore e si era forzata nel profondo per togliersela dal cuore. Ora che l'aveva davanti però, Haruka non poteva che ammettere d'aver fallito in quel masochistico disegno.

“Sono qui per chiederti aiuto Haruka. E sappi che ho pensato alle conseguenze di questa mia richiesta. Comunque non è stato per nulla facile convincere quella peste di Mattias ad indicarmi il sentiero giusto per arrivare alla baita di nostro nonno. E' passato talmente tanto tempo... ed al buio poi. Ci saremmo perse altrimenti.” Ammise rendendosi conto che stava stringendo talmente tanto forte l'impugnatura della lampada da far tremolare la luce davanti e tutto intorno a loro.

“Perchè parli al prurare? Chi altri c'è con te?!”

“Coloro che necessitano del tuo aiuto.” Guardando alle sue spalle Giò lanciò un leggero cenno alle persone che sapeva di avere dietro di se. Sei donne comparvero una dopo l'altra, mentre Haruka le contava mentalmente.

Ma sei impazzita?...”

“Haruka hanno bisogno di noi e di te in particolare. Queste ragazze vengono da Merano e dopo tante peripezie devono raggiungere Berna. Ma ti spiegheremo tutto.”

L'altra non rispose. Continuava a tenere tutte quelle facce sconosciute sotto controllo, come un animale spaventato dalla torcia di un malintenzionato. Nel suo sguardo sapeva di avere solo diffidenza ed in verità non le importava affatto. Poi, improvvisamente, un viso di donna tra tutte quelle ragazzine emerse affiancandosi a Giovanna e la luce della lampada le illuminò il viso nella pienezza della sua bellezza. Una dea. Un'essere superiore, tangibile, fatto di carne e sangue. Due occhi intensi come il blu del mare, che anche se mai visto, grazie all'aiuto dei suoi libri era stato da Haruka mille e mille volte immaginato. In quel preciso istante la sua vita arcigna, il suo cuore maltrattato, la sua anima solitaria cambiarono e lo fecero per sempre e senza possibilità di fughe.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Così finisce il capitolo, ma così inizia una storia d'amore. Da ora in avanti le nostre Haruka e Michiru inizieranno il loro viaggio in comune e così come il resto del gruppo, dovranno imparare a conoscersi, a convivere, a lottare, a lavorare per il bene comune. In effetti il vero e proprio racconto comincia adesso, ma vi avverto sin da ora che quell'enorme zucca vuota di Tenou non sarà affatto facile da “addomesticare”.

PS Ho avuto problemi al PC perciò questa versione non è corretta. Perdono, provvederò quanto prima....

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** La reticenza di Haruka ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino, Minako Aino e Mamoru Chiba, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La reticenza di Haruka

 

 

 

Comprensorio abitativo di Monte Carasso, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 28/5/2017

 

Si rigirò tra le lenzuola di cotone dal disegno a sfere colorate che tanto le mettevano allegria non capendo perché non riuscisse a prendere sonno. Eppure si sentiva stanca dopo la sessione di trekking alla quale la sua benedetta compagna l'aveva spinta. Le doleva praticamente ogni cosa, soprattutto parti del corpo che raramente si ricordava di avere in quel gran bailamme di fasce muscolari che la natura le aveva donato.

Voltandosi verso Haruka se la guardò qualche secondo aiutata dalla luce della luna che filtrava dalla finestra della loro camera da letto. Il viso abbandonato alle pieghe del sogno, la morbidezza nell'incarnato ancora poco abbronzato nonostante il lavoro che di sovente svolgeva all'aperto, l'innocenza che traspariva da ogni singolo respiro lento e cadenzato. Michiru sorrise concedendosi di sfiorarle la frangia bionda con i polpastrelli della mano destra prima di sgattaiolare fuori dalle coperte per afferrare la camicia da notte, infilarsi le pantofole e dirigersi verso la porta lasciata semi aperta. Avrebbe provato a rilassarsi un po' con una buona tisana.

Richiudendosi l'anta dietro alla schiena per non correre il rischio di svegliare Haruka, ando' verso la penisola ripensando alla lapide dai nomi incisi che aveva visto in giornata. Heles e Milena. Forse erano quei nomi a non lasciarla al sonno. La loro sorte intuibile, ma sconosciuta. La loro vita, i sentimenti che le legavano o dividevano. In una frase; la loro storia. Accendendo la piastra elettrica e lasciando che l'acqua del bricco bollisse, Michiru andò verso il tavolo da pranzo dove Haruka aveva lasciato il portatile e portandoselo sul ripiano della penisola, si sedette sullo sgabello accendendolo. Lavorando alla rocca di Montebello aveva ricevuto dal direttore la password per poter accedere all'archivio storico contenuto nella sezione digitale della biblioteca. Là, forse, avrebbe potuto scoprire qualcosa di più su di loro.

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 24/5/1915

 

Si sentiva accerchiata! Una donna che veste da uomo, autosufficiente come un uomo e che vive da sola, come potrebbe fare un uomo! Quasi una “bestia” rara. Un'infinità di occhietti curiosi la stavano scrutando ad ogni gesto, ad ogni impercettibile movimento, ad ogni smorfia di disappunto che stava creando il suo giovane viso da quando quell'orda infante guidata da Giovanna, aveva invaso la sua povera casa. Non era abituata ad avere gente intorno, anzi, era da quando aveva finito la scuola dell'obbligo che non si trovava così tante ragazze appiccicate addosso. La baita era piccola e bastava a malapena per una stangona come lei, figuriamoci per altre sette anime bisognose di riposo e cibo. Cibo. Haruka sospirò guardando di sfuggita quelle boccucce fameliche triturare avidamente le scorte di un'intera settimana. Ma porca miseria! Pensò tornando a fissare gli unici occhi che non avevano il potere di metterla in agitazione. Si, perché a parte la sorella, non riusciva a sopportare lo sguardo di gente estranea, soprattutto se femminile, soprattutto se curiosa e soprattutto se dotato di una bellezza incredibile come quella dell'insegnante seduta davanti a lei.

“Io sono Michiru Kaiou. Piacere di conoscervi.” Le aveva detto quell'incredibile creatura dai modi sopraffini presentandosi gentilmente. Passi per le altre donne, o ragazzine che dir si voglia. Graziose, certo. In effetti, molto graziose. Tutte di buone maniere, ben proporzionate e con visi molto belli. Ma lei, accidenti se era straordinariamente affascinante lei. Non troppo alta, ma dalle forme perfette, anche sotto le vesti ormai non più fresche del viaggio. I lineamenti delicati, il mento ovale, il naso piccolo e dritto, i capelli scuri mossi come onde dalla frangia composta che si apriva in due parti simmetriche sulla fronte spaziosa, gli occhi di un'intensità marina paragonabile alla Fossa delle Marianne.

“Non credo di aver capito bene Giovanna. Cosa vorresti che facessi io?!”

“Hai capito benissimo. Accompagnarle a Berna:”

“Via San Gottardo?!”

“Esattamente.”

“No! Non è possibile!” Disse risoluta sogghignando beffarda continuando a non staccare gli occhi da quelli della sorella. Lo smeraldo delle iridi di Haruka era da sempre la sua migliore arma, ma in quella situazione si stava dimostrando la difesa più efficace. Ogni volta che si ritrovava a guardare l'estranea infatti, avvertiva il cuore andare per conto suo.

“Ascoltami, sei l'unica che possa farlo. Non conosco guida alpina migliore di te.”

“Lo sai che con me le lusinghe non hanno mai funzionato...”

“Haruka...”

“No! Non voglio passare per un cagnaccio cattivo, ma quello che mi state chiedendo tu e la signorina qui presente, è francamente irrealizzabile.”

“Michiru. - Intervenne seduta al tavolo con le altre due. - Gradirei essere chiamata per nome.” Ed anche se appena ripresa, la bionda si vide sfoderare un sorriso dolcissimo che le fece inarcare le sopracciglia ed arretrare la schiena sino alla traversa della sedia. Se avesse avuto un'arma puntata contro l'avrebbe temuta di meno.

“S... si. Dunque signorina... Michiru... spero comprendiate il perché della mia reticenza.”

“In effetti... no.”

Come no! Ma che cosa si erano messe in testa lei e la sorella! Di valicare tutto l'arco alpino con un branco di mocciosette di città?

“Allora siete una folle!”

“Haruka!” Intervenne la maggiore con rimprovero.

Con il passare dei minuti Giovanna si stava rendendo conto che nel trascorrere così tanto tempo da sola, la sorella si era inselvatichita dimenticando gran parte dell'educazione che i loro genitori le avevano insegnato. In effetti erano state loro a pioverle in casa senza preavviso, ma la sua padrona non aveva fatto un gran che per accogliere sei straniere affamate, stanche e stravolte da un viaggio allucinante. Passi per lei, sapeva di essere oggetto di un sentimento molto simile al rancore, ma le altre avevano il diritto di essere quanto meno accolte in maniera consona. Gli insulti poi non erano tollerabili.

“E no Giovanna! Mi piombate in casa a tarda notte chiedendomi di fare una cosa che non ho mai fatto in vita mia! Io non sono una guida professionista e non credo che queste ragazze possano reggere una traversata simile. Aggiungi che non hanno ne cibo, ne soldi, ne una preparazione adeguata per poter affrontare una scalata, figuriamoci dei ghiacciai, bè..., come la chiameresti tu se non follia?!”

“Ghiacciai.” Sospirò Michiru continuando a guardarla.

Ed Haruka dovette cedere incatenando finalmente le iridi alle sue, accorgendosi troppo tardi di aver fatto un pessimo errore; il più ferale di tutta la sua vita. “Esattamente e scommetto che nel vostro bagaglio non ci sia un'attrezzatura da scalatrice. Corretto?!”

Poggiando allora i gomiti sul legno del tavolo, l'insegnante si coprì il viso con i palmi iniziando a capire. Quella donna non aveva certo tutti i torti e la reticenza che stava dimostrando era giustificata.

Sentendosi ad un passo dalla “vittoria”, l'ego di Haruka fece il resto concludendo la conversazione con un inqualificabile cenno di giubilo sottolineato da un ampio gesto in aria con la mano. “Grazie al cielo abbiamo risolto l'equivoco. Ora, non posso certo cacciarvi di casa a quest'ora e non essendoci spazio per tutte, io andrei a dormire fuori. Tu Giovanna, fa come vuoi! In fin dei conti questa è anche casa tua.” Alzandosi ed afferrando il giaccone di lana ed il “sacco da viaggio” imboccò la porta trovando Flint sul portico. Lui si che aveva potuto defilarsi vedendo la malaparata. Vigliacco.

Rimasta sola con il gruppo, la sorella cercò di temporeggiare seguendola dopo qualche secondo. Non poteva finire così! Ormai era una questione fra loro.

“Lo so che lo stai facendo apposta perché sono io a chiedertelo, ma quelle ragazze non c'entrano niente con noi Ruka.” La bloccò per un braccio mentre stava per accendersi un fuoco prendendo un po' di legna abbandonata al lato della baita.

E nuovamente, come sempre da quando aveva capito di se tante cose, la bionda non accettò quel tocco scattando come una molla. “Non chiamarmi Ruka e non toccarmi!”

Giò avvertì l'urto violento alla mano sbattendo le palpebre. “Ma che ti è successo nell'ultimo anno? Possibile che il tuo cuore provi tanto astio? Cosa ti ho fatto per meritarmi tutto questo?! Ti ho sempre voluto bene...”

“E hai fatto male! Io sono morta per te Giovanna! Per te e per questo mondo. Mettitelo bene in testa e vedi di piantarla di accampare ogni sorta di scusa per chiedere di me o venirmi a dar fastidio. Lo so che cerchi di intercettare Mattias ogni qual volta ti è possibile estorcendogli notizie sulla mia salute, come so che parli spesso di me con sua madre. E sono convinta di averti anche vista gironzolare poco più a valle il Natale scorso. Lasciami in pace o finirai per farti una cattiva nomea anche tu.”

Cattiva nomea? Stava forse cercando di proteggerla dalle dicerie della gente? E' per questo che l'aveva tagliata fuori dalla sua vita?!

“Haruka...”

“Non voglio avere a che fare ne con te, ne con quella donna. Sono stata chiara?!”

“Senti, lasciamo perdere per un momento il nostro rapporto e tutto quello che di orribile ti è capitato da quando hai capito di essere omosessuale. Voglio farti una domanda tecnica. Secondo la tua esperienza, quelle ragazze potrebbero valicare le Alpi, si o no?”

La bionda fece un passo in avanti minacciosa, ma l'altra non s'impressionò. “Ti ho detto di non voler avere nulla a che fare con...”

“Si o no Haruka!?”

“Giovanna!"

“Si o no!?”

Tra le due era sempre stata Giovanna la più forte, almeno quando si trattava di spuntarla su cose di una certa importanza. Con i visi a pochi centimetri, la minore cedette ammettendo che con un'attrezzatura decente, un paio di guide esperte e tantissima buona sorte, forse...

“Se ti trovassi ramponi, corde, vestiario e quant'altro, tu le guideresti?”

Un passo in dietro ed accarezzandosi il collo Haruka mugugnò un poco convinto può darsi.

“Ottimo, allora avrai ciò che ti serve il prima possibile. A casa ho ancora l'attrezzatura che usavamo per scalare con il nonno.” Concluse girando i tacchi per andare ad informare le altre.

“Non ho detto di si, Giovanna!”

L'altra si fermò serrando i pugni al freddo notturno, girandosi poi a mezzo busto con una strana luce negli occhi. “Lo so, come so però che non sei tipo da lasciare nei guai qualcuno.”

“Ti sei sempre fatta un'idea sbagliata allora. Non sono così nobile.”

“Haruka... tu sei la persona più nobile che io abbia mai incontrato in vita mia e se in quest'ultimo anno ti sei convinta del contrario solo perché non sei una donna convenzionale, be' sorella, il problema è solo tuo. Falla finita di fare la nichilista e tira fuori la testa dalla sabbia. Gran parte del mondo è bastardo, ma so per certo che tu non ne farai mai parte e ti batterai sempre per quella cosa chiamata giustizia.”

E tornando verso il portico rientrò nella baita scomparendo subito dopo.

Rimasta sola nella semi oscurità la bionda avvertì la camminata trotterellante del mezzo lupo farsi largo tra l'erba. Lo guardò scuotendo la testa. Era diventata un'adulta e sapeva di avere un carattere forte ed indipendente, altrimenti non sarebbe sopravvissuta da sola per così tanto tempo, ma per l'ennesima volta da quando era venuta al mondo, Giovanna era riuscita a darle ciò che voleva, ovvero il coraggio.

“O al diavolo!” Disse estraendo dalla tasca un pezzo di pietra focaia pronta per approntarsi un bivacco.

 

 

Tutta dolorante, Michiru si svegliò all'alba rendendosi conto di essersi addormentata con Usagi addosso, Rei raggomitolata al fianco opposto, Minako con la testa poggiata sulla sua gamba destra e Makoto su quella sinistra. Solo Ami e Giovanna avevano optato per uno spazio “privato” rimanendo sulle loro sedie vicino al fuoco del camino ormai diventato tiepida cenere. Ridacchiando alla scena assurda che quel povero letto stava rivelando, cercò faticosamente di liberarsi dalle catene delle sue allieve, alzandosi ed uscendo silenziosamente. La natura meravigliosamente lussureggiante l'accolse con una gamma di verdi brillanti di rugiada, mentre un forte odore d'erba bagnata, muschio e terra, le penetrava le narici risvegliando il senso dell'olfatto. Negli ultimi giorni aveva avvertito solo odori sgradevoli fatti di sudore, fumo, ferro e polvere ed ora quasi si sentiva l'animo commosso da tanta pura semplicità.

Stiracchiandosi con non curanza bucolica decise di fare quattro passi per togliersi definitivamente il torpore dagli occhi. Osservando la baita con la luce del giorno, iniziò a studiarne l'architettura ed i particolari girandovi intorno. Era ben tenuta, curata e si vedeva che chi l'abitava doveva amarla molto, perché non vi era angolo che non fosse ordinato, pulito ed efficiente. Arrivata dietro la struttura lignea, dove saliva una piccola collinetta rocciosa, avvertì canticchiare e scrosci d'acqua come accompagno. Affacciandosi curiosa dall'angolo, vide la bionda Haruka intenta nelle abluzioni mattutine. Girata di spalle, si stava lavando il busto con l'acqua posta in un grande catino lasciato sopra un muretto. Un pezzo di sapone nella mano destra e tanto energico risciacquo con la sinistra. In tutta franchezza Michiru rimase un istante in apnea. Era davvero bella quella donna, affascinante e non solo per l'aspetto fisico, di per se arma notevole, ma per qualcosa che sembrava covarle nell'anima. Era fin troppo ovvio che non fosse una persona comune, di buon carattere o socievole, ma il magnetismo che emanava sopperiva a tutto il resto. Forse era una maledizione per un tipo così schivo.

Avendo ormai sviluppato il sesto senso di un animale dei boschi, l'altra si voltò di scatto afferrando il panno lasciato sul bordo del muretto coprendosi alla bene e meglio.

“Buongiorno!” Esordì l'insegnante sorridendo al rossore apparso in un nano secondo su quelle guance umide.

“G... giorno.” Riuscì ad articolare Haruka cercando d'infilarsi la maglia il più velocemente possibile.

“Mi dispiace che abbiate dovuto dormire all'addiaccio signorina Tenou. Vi abbiamo praticamente scippato letto e casa.” Tornò a camminare andandole vicino e poggiandosi al muretto per incrociare le braccia al petto continuando a fissarla serenamente.

“Haruka. Solo Haruka.” Borbottò cercando di guardare altrove.

Come acqua immota l'altra sorrise tornando a scusarsi per l'improvvisata.

“Non c'è problema. Ormai siete qui.” Disse piattamente provando ad essere altrettanto sicura. Ma che!

“Dopo il furto, l'avere appreso dell'allargarsi del conflitto e il mio mancamento, incontrare voi e vostra sorella è stata una salvezza. Vi dobbiamo moltissimo.” Ed allungando una mano verso la bacinella, vi immerse due dita ritraendole immediatamente.

“Ma è gelata!”

E questa volta fu Haruka a sorridere e per la prima volta, alla faccia buffa comparsale sul viso. “ E' della fonte qui vicino. Ci si abitua.”

“Ma lo fate tutte le mattine?”

“Bè si, bisogna pur lavarsi.”

“Giusto.” E ridendo nel pugno Kaiou spezzò definitivamente la reticenza dell'altra.

Se da una parte l'arma di Haruka era il magnetismo, quella di Michiru era il riuscire a far sentire a proprio agio chiunque si trovasse in sua compagnia come, per esempio, Flint che non facendo affatto eccezione le andò vicino guardandosela curioso per poi sedersi a qualche centimetro dalle sue gambe. La bionda non nascose lo stupore. Neanche con Mattias, che pur conosceva bene, si era mai comportato tanto amichevolmente. Piccolo ruffiano bastardo. Pensò storcendo la bocca.

“E' un mezzo lupo, non è vero? Come si chiama?” Chiese accovacciandosi per accarezzargli la testa.

“Flint. Mi stupite Michiru, non credevo che una ragazza di città sapesse riconoscere un meticcio da un sangue puro.”

“Ho letto Zanna bianca di Jack London un'infinità di volte. - Confessò rialzandosi. - Flint in tedesco vuol dire selce. In effetti ha il pelo di una particolare punta di grigio.”

“Già. L'ho trovato nel bosco l'autunno scorso. Non sarebbe sopravvissuto e l'ho tenuto con me. E' un buon amico, anche se tende a combinare un guaio dopo l'altro.”

E nuovamente Michiru rise. Un suono capace di scaldare il cuore della bionda come le fiamme di un fuoco.

“Ho notato che avete una fornitissima collezione di libri Haruka. Dunque vi piace leggere.”

Gettando l'acqua poco lontano e lasciando la tinozza rovesciata e poggiata al muro, iniziarono ad incamminarsi verso la parte anteriore della baita. “Vi sorprende non è vero? In genere noi montanari abbiamo la fama di essere delle grandi teste di legno.”

“Sono pensieri vostri, non miei.”

“Scusate, non volevo essere indisponente.” Per la prima volta dalla sera precedente la bionda si stava comportando gentilmente ed in maniera consona al suo ruolo di padrona di casa. Tutta la strafottenza, l'ostilità e la paura che ne avevano mosso parole e gesti fino a quella mattina, sembravano dimenticati.

“Non preoccupatevi. Volevo solamente farvi un complimento. Vi assicuro che neanche le mie ragazze hanno mai letto tanti volumi. Forse solamente Minako, anche se tende ad essere un tantino monotematica.”

“Minako è la ragazza alta con la coda di cavallo e gli occhi verde chiaro?” Chiese fermandosi confusa.

“No, la biondina con i capelli lunghi legati alla nuca da un fiocco.”

“Mmmm. Non ricorderò mai tanti nomi.”

“Vorrà dire che all'occorrenza darete loro dei soprannomi.” Fu un attimo. Le dita di Michiru andarono a posarsi amichevolmente sul suo braccio. Troppo amichevolmente.

Haruka s'irrigidì quasi immediatamente bloccando il respiro e scansandosi dal tocco. A quell'insolita reazione l'insegnante si accorse di averne provocato una chiusura.

“Scusatemi Haruka, io non volevo...”

“Non importa! Vado al torrente per pescare un po'. Troverete la colazione sul pianale del camino. Mangiatela finché è calda. A dopo.” Ed afferrando la canna lasciata al lato del portico, in pratica fuggì via senza staccare gli occhi da terra.

Michiru ne seguì le spalle con lo sguardo fino a vederla scomparire tra la penombra del sottobosco con il mezzo lupo a rimorchio. Mortificata tornò verso la porta con la fronte solcata da una profonda ruga.

 

 

Giovanna arrivò al Quartier Generale verso le otto. Pur se partita prima dell'alba aveva impiegato a discendere il doppio del tempo previsto. Francamente credeva di essere più in esercizio. Varcato il cancellone procedette a passo svelto puntando sparata verso la camerata femminile, dove vivevano una trentina di donne tra staffette, infermiere e cuoche. Pur non essendo un soldato ed avendo perciò una libertà di movimento che un qualsiasi fante poteva solo sognare, doveva comunque sottostare alle regole del campo, come, per esempio, avvertire un suo superiore di un pernottamento fuori dalla struttura. Cosa che non aveva fatto e che le avrebbe richiamato una nota di biasimo. E pensare che era stata proprio lei a decidere di far parte della milizia cittadina a supporto dell'esercito, scegliendo di abbandonare la casa paterna per vivere in comunità. Non poteva, non voleva, non riusciva a stare tra quelle quattro mura da sola e rinunciare alla comodità della propria abitazione per la vita militare le era sembrato uno scotto sufficiente per scrollarsi di dosso la tristezza della solitudine.

Una svolta a sinistra ed una mano le arpionò l'incavo del braccio costringendola ad una brusca fermata. Inclinando la schiena all'indietro cacciò una mezza imprecazione.

“Ma brava, adesso oltre a dormire fuori dalla caserma ti metti anche a parlare come un galeotto?!”

“Ma che... Stefano?!”

“Allora Giovanna, dove sei stata per tutta la notte?” Chiese accusatore mentre abbandonava la presa.

“Ma che fai il geloso?! Stai scherzando?”

“Ma che geloso e geloso. Ho dovuto coprirti con il sergente.” Disse a bassa voce come se fosse stato un segreto di stato.

“Bè ti ringrazio, ma non farmi il terzo grado, perché lo sai che non lo sopporto! Ho avuto le mie buone ragioni per non rientrare. - Lo vide poco convinto lasciando poi disinnescata una mina. - Haruka.” Confessò vedendolo sbiancare.

Quel nome aveva il potere di ferirlo ogni qual volta lo sentiva pronunciare. Troppi erano ancora i sensi di colpa che Stefano provava nei confronti delle due sorelle.

“Sta bene?”

“Si, ma ha... abbiamo bisogno del tuo aiuto.” Sorrise trascinandolo verso un posto un po' più appartato mentre gli spiegava il piano che aveva imbastito nel tragitto che le era servito per ridiscendere a valle.

“Vorresti rubare del materiale!?” Incredulo si sentì premuta la mano di lei sulla bocca.

“Sssss, ma che ti urli! Parla piano. Non rubare, ma prendere in prestito. Mi serve tutto l'occorrente per scalare.”

“Scalare cosa!? Ma siete impazzite!?”

Posandogli entrambe le mani sulle spalle lo spostò dalla luce piena alla penombra di un angolo per poi guardarlo dritto negli occhi cercando di essere il più chiara possibile. Solo lui poteva aiutarle ed aveva un grosso debito da saldare, soprattutto con Haruka.

“Non è il momento di perdersi in chicchere. Sappi solo che hai la mia parola che non verrai coinvolto passando dei guai. Ho intenzione di lasciare uno scritto al Tenente Smaiters spiegandogli tutto. Non credo capirà, ma non voglio passare per una ladra. Questa sera sarai tu a fare la ronda al magazzino, giusto? Bene, ti chiedo solo di dare l'allarme con qualche oretta di ritardo. Diciamo verso l'alba di domani. Mi serve tempo per trasportare tutto.”

“Non puoi rubare in caserma Giovanna. Rischi la corte marziale!”

“Non rischio niente, non sono un soldato e poi anche fosse?! Ho deciso perciò dimmi solo se puoi farmi questa cortesia oppure no.” La donna stava facendo leva su due cose; il senso di colpa del ragazzo ed il sapere che il magazzino degli indumenti e delle attrezzature tecniche non era presidiato. Tutta la sicurezza si concentrava sull'armeria, vero e proprio cuore del complesso. Il resto era poca cosa.

Stefano ci pensò su ancora qualche secondo per niente convinto, ma gli occhi di colei che comunque, nonostante il carattere testardo ed indipendente continuava a fargli battere il cuore, lo convinsero.

“D'accordo, ma ti aiuterò a trasportare la roba.”

“No! Tu mi servi qui. Ce la farò da sola vedrai.” E presa dall'euforia e dalla gratitudine gli sfiorò le labbra in un tenerissimo bacio correndo poi via verso la casa degli Adelchi.

"Giovanna." Disse pianissimo lui rimanendo bloccato come una statua di sale.

 

 

Haruka sbuffò tirando su la lenza. In quelle prime ore della mattina i suoi vermetti ammaliatori stavano facendo cilecca e la fauna acquatica del torrente se ne stava bellamente sbattendo di lei e dell’impellente necessità di portare per pranzo qualcosa da mangiare per le sue ospiti.

Lo so io di chi è la colpa! Rimuginò sistemando l'amo. Viene qui, mi chiede aiuto e mi porta in casa, non una, non due, non tre, ma SEI sconosciute bisognose di sonno, cibo e conforto. In più mi costringe a sbattermi faccia in giù a dormire come un cane all'aperto perché il mio adorato letto è stato invaso! Invaso! Ed ora tutta la baita è pervasa dai profumi che quelle ragazzine si portano dietro. Acqua di Rose, mughetto e roba simile. Ma porca loca! Ma dico io, perché non sono nata figlia unica di madre vedova!

Un nuovo lancio ed arpionandosi il viso con la mano si piantò il gomito nella coscia chinando sconsolata la schiena in avanti.

E poi c'è lei. Ma Giovanna mia, proprio una donna come quella dovevi portarmi in casa?! Da quando la notte precedente lo sguardo di Haruka aveva incrociato quello di Michiru un grande senso d'agitazione aveva preso a scombussolarle l'anima facendole formicolare le viscere al solo pensiero di rimanere sola con l'insegnante.

“Cavolo!” Urlò al cielo dando fiato alle trombe mentre Flint rizzava le orecchie guardandola.

“Che vuoi tu!? Pensa per te!” E giù uno sguardo omicida degno del miglior assassino seriale offerto all'acqua che velocemente passava lambendo il suo solito campo di pesca.

Prendendo a far dondolare freneticamente una gamba giù dal bordo roccioso, continuò a macerarsi la mente massacrandosi le unghie fino a quando un suono di foglie calpestate non la fece voltare di scatto facendo correre la destra sull'elsa d'osso del pugnale da caccia che si portava sempre dietro la schiena.

Intimorita una delle sue “ospiti” uscì dalla penombra del bosco stringendo fra le mani un paio di stivaletti. Colta in palese fragranza di reato, Usagi si guardò le gambe prive di calze arrossendo violentemente. Da per se l'altra pensò solo una cosa; oddio... mi seguono...

“Emm, scusate l'interruzione signorina Haruka, non avevo intenzione di disturbarvi. Volevo solamente rinfrescarmi un po'. Ho provato un gran caldo questa notte. Forse perché nel sonno Rei mi si è buttata contro ed è come un enorme tizzone infuocato. A proposito, grazie per la colazione, era squisita!” Terminò quella serie di frasi scollegate fra loro sfoderando un sorriso luminoso.

Haruka si trovò spiazzata e non sapendo cosa dire si sforzò nell'imitarla stirando però solo una sorta di ghigno non bene identificato. Incoraggiata da quella smorfia che in genere aveva il potere di spezzare ogni tipo d'approccio, Usagi se la guardò sinceramente affascinata pensando che quella strana donna dei boschi assomigliasse più ad un'eroina di qualche saga cavalleresca, che ad un orso alpino, come tutte le sue amiche, Rei in testa, l'avevano soprannominata. Una Bradamante fiera, dal carattere roccioso, ma tutto sommato protettivo e presa da un'insana voglia di conoscerla, iniziò a camminare affondando leggermente nella fanghiglia del greto del torrente sembrando quasi un paperotto in cerca della mamma.

Cosa fa?! Pensò la bionda digrignando i denti formulando troppo lentamente un piano di fuga. Usagi la raggiunse arrampicandosi sulla roccia continuando a non lasciar sfiorire il suo sorriso.

“Avete preso qualcosa?” Chiese con un tono di voce talmente alto e penetrante che se anche ci fossero stati dei pesci nelle vicinanze...

“Veramente... no signorina Makoto.” Buttò lì a caso.

“Sono Usagi.” Corresse guardandola grattarsi il collo stizzita.

Dannazione! Eppure non è difficile. Potrebbero mettersi dei cartellini appiccicati al petto! O forse potrebbero fare meglio, tipo andarsene!

“Arrivata al collegio anche io provai difficoltà ad imparare tutti i nomi delle mie compagne. All'inizio la signorina Kaiou mi consigliò addirittura di dare a tutte dei soprannomi, ma facevo confusione anche con quelli.” Ed iniziando a ridere stuzzicò le sopracciglia di Haruka che inarcandosi all’insù le dipinsero un'espressione stralunata sulla faccia.

“Che tipo di vermi state usando?”

“Come?”

“Mi chiedevo solo se lombrichi o vermi d'albero. Personalmente credo che i secondi siano più appetibili.”

O bella questa! Haruka rimase di sasso e guardando l'amo mostrò alla più giovane il suo piccolo lombrico.

“Non avrei mai pensato che fra voi signorine ce ne fosse una che s’intendesse di vermi. Comunque con questi io ci pesco benissimo. A parte questa mattina, che di prede non se ne vede neanche l’ombra di una scaglia."

“In realtà non provengo da una famiglia nobile o molto facoltosa. I miei genitori sono solo dei gran lavoratori che vorrebbero fare di me una signorina a modo ed avendo intuito la brutta aria di guerra che già un anno e mezzo fa si respirava in Belgio, hanno deciso di mandarmi un po' a studiare fuori da paese.”

La più grande si rabbuiò conoscendo dai giornali la sorte di quella povera terra. Si augurava con tutto il cuore che la sua Svizzera non facesse la stessa fine. Notando che all'altra si era smorzato il sorriso, tornò a parlare di pesca chiedendole dove avesse imparato.

“Mi ha insegnato il mio Mamo. Eravamo soliti andare a pescare nel laghetto dietro le nostre abitazioni e devo dire con una certa punta di soddisfazione che sono sempre stata più capace di lui.” E nuovamente l'apparizione di quella bellissima e fanciullesca espressione sulla bocca.

“Mamo?”

“Si, Mamoru, il mio fidanzato!”

“Fi... danzato? Ma non siete troppo giovane per pensare a certe cose?” E nell'ascoltarsi Haruka si sentì improvvisamente vecchia di cent'anni.

Una nuova risata argentina seguita da un'alzata di spalle. Lei e Mamoru erano vicini di casa ed erano praticamente cresciuti insieme. Di cinque anni più grande di lei la loro amicizia si era rinsaldata con la conoscenza delle rispettive famiglie, trasformandosi poi in amore profondo non appena l'età della ragione e dello sviluppo fisico l'aveva suggerito ai loro cuori.

“Non vedo l'ora di vederlo e di stringerlo forte a me. Insieme alla mia famiglia è l'essere che più vorrei qui accanto."

“Lo immagino.” Ma in realtà non riusciva a farlo. Non aveva mai amato in vita sua fatta eccezione per i suoi genitori, comunque ormai morti e sua sorella, che per scelta e ferrea convinzione si stava ostinando da tempo a non voler considerare più come tale. Quello che la giovane Usagi provava per il “suo” Mamo, era un sentimento assai diverso, non meno profondo, ma sicuramente carnale e maturo.

Ad Haruka quella ragazza ricordava Mattias, forse per quell'aria d'innocente saggezza che alle volte il ragazzino riusciva a far trasparire dai discorsi sull'amore che proprio su quella roccia erano soliti fare ed iniziò a provare simpatia per la biondina dalla pettinatura buffa e a non avere più timore di lei. Così iniziarono a chiacchierare del più e del meno e quasi per magia, anche le trote tornarono ad abboccare all'infallibile amo dell'orso alpino.

 

 

“No, no, no! Muoviti brutta bestiaccia puzzolente!” Urlò Giovanna scivolando sulla fanga del sentiero che la stava riportando alla baita. Era il primo pomeriggio e già le sue carni stavano bramando il sonno. Aveva iniziato a piovere da un paio d'ore e trascinarsi dietro quell'asino stava diventando un compito superiore alla sua pazienza. Testarda come il suo padrone, piccola ed ossuta come quel ragazzino ostile e petulante, quella bestia da soma, che nei piani più rosei avrebbe dovuto aiutarla a trasportare viveri e materiale fino al Passo della Ruscada, le stava estirpando dalle viscere l'odio più profondo, ed ogni qual volta le capitava di scivolare lordandosi la mantella e gli stivali, quel quadrupede la fissava ragliando come soddisfatto, innescandole la tentazione di usare la pistola che si era fatta dare da Stefano per trasformarne i lombi in succulente bistecche proteiche.

Alzandogli l'indice davanti al muso se lo guardò con aria di sfida. “Senti coso, io sono di gran lunga più zuccona, testarda e bastarda di te, perciò vedi di non stuzzicarmi. Sono stanca, affamata, bagnata fradicia ed armata; non provocarmi!”

Ma per la foresta riecheggiò forte l'ennesimo raglio.

“A si?! Vuoi giocare a chi tira le briglie di più? Bene animale cornuto, ma ricorda che mentre nella mia testa c'è una cosa chiamata cervello, la tua è composta solamente d'osso! - Ed estraendo minacciosamente dalla tasca la carta vincente procuratale dalla signora Marta, gliela mise sotto le froge lasciando che ne annusasse il profumo. - Biscottino?!”

E così come Mosè davanti alle acque del Mar Rosso, Giovanna Tenou riuscì nell'impresa di schiodare l'erbivoro dalla sua concallata posizione di difesa, trascinandolo stancamente verso l'interno meno ospitale della foresta.

Un'ora più tardi Haruka se la vide comparire davanti completamente sfatta.

“Acqua! Ti prego... dell'acqua.” Supplicò sfilandosi il cappuccio cerato dalla testa. Ci avrebbe scommesso un franco che appena fosse stata in vista della meta il cielo avrebbe smesso di massacrarla con quella stupida pioggerellina.

Rientrando in casa la bionda ne uscì subito dopo con una piccola bottiglia scura e senza neanche usare un bicchiere gliela porse convinta che avrebbe gradito.

“Tieni. Butta giù un paio di sorsi.” Ed attese godendo.

Due secondi e Giovanna iniziò a tossire sentendo la carotide bruciarle come il fuoco. “Porta puttana Haruka, ma è grappa!”

Incrociando le braccia al petto l'altra inarcò le sopracciglia sinceramente divertita. “Che linguaggio scurrile. Si vede che frequenti gente di caserma.”

“Fottiti...”

“Di male in peggio.”

Ma Giò non se la prese, anzi, a guardarla dritta in quella postura guascona le sembrò di rivedere la Ruka di un tempo, quando erano ancora una famiglia. Quel sorrisetto beffardo, gli occhi divertiti e leggermente socchiusi.

“Allora di chi è questa bestia?” Chiese all'indirizzo dell'asino fermo dietro di lei.

“Del tuo amichetto.”

Sciogliendo le braccia la guardò cambiando completamente espressione. “Ma di, sei stupida o cosa?! Perché hai coinvolto Mattias?”

“Non ho coinvolto nessun minorenne e comunque datti una calmata. Tieni, forse questa ti renderà più serena.” Le porse una lettera scritta dal pugno della signora Marta Adelchi, la madre di Mattias.

Era uno scritto abbastanza lungo e parecchio personale ed una volta scorsa l'ultima frase, deglutendo Haruka se la mise nella tasca andando verso le bisacce bloccate alla groppa dell'animale. Scoperchiandone una ed afferrando un rampone se lo studiò con fare esperto.

“Giovanna dove hai preso tutta questa roba? - Poi saltato alla vista un numero di serie ed una sigla, sobbalzo' abbassando la voce. - GSFM... Gruppo Staffette Frontiera Meridionale! Cacchio Giò, ma l'hai rubata all'esercito!”

“Mi hai chiamata Giò? Stai vacillando sorellina.”

“Smettila! Che diavolo hai combinato?! Vuoi finire in galera?”

Strappando gli uncini dalla mano dell’altra mosse in aria la sua con noncuranza. Che esagerazione! Tale e quale a Stefano. “Non li ho rubati, ma presi in prestito. Comunque non intendo tornare in caserma, perciò non dare di matto! Hai bisogno di un aiuto per guidare quelle ragazze.”

“Perfetto! E' il muro che brami!”

“Si certo. Secondo te partivo disertando! Mi sono congedata tre ore fa.”

“E hai fatto male! Chi ti garantisce che aiuterò quelle ragazze? Non ti ho ancora dato la mia risposta e sappi che...”

"Che non vuoi avere nulla a che fare con me o con loro. Lo so, lo so Harura.” Disse Giovanna puntando lo sguardo alla porta della baita dove Michiru aveva appena fatto capolino.

“Ma sono straconvinta che sei ancora la stessa persona che conoscevo, pronta ad aiutare chi più se lo merita.” Ed a maggior ragione se si tratta di soccorrere una donna straordinaria come lei. Terminò nella sua testa dandole le spalle per andare verso l'insegnante.

“Io ho rinunciato ad uno stile di vita e tu rinuncerai al tuo, almeno per un po'. Ora fa la brava e visto che quell'ammasso di pulci è del tuo amichetto ed è un'animale testardo al pari del suo proprietario, fammi la cortesia di scaricare la roba e legarlo dove non possa far danno. Mattias passerà a prenderlo domani mattina.”

"Ma... Porca puttana!" Sibilò vinta avvertendo pero' nell'animo qualcosa simile ad una frizzante euforia. 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. L'avventura sta per iniziare, o meglio, l'allegra brigata sta per intraprendere un viaggetto niente male, su e giù per valichi e crinali, con tutto quello che di pericoloso incontreranno lungo il cammino e vi assicuro che di malintenzionati ne vedranno parecchi. Comunque, ho iniziato a delineare un po' i rapporti tra le ragazze, che poi sono quelli che conosciamo un po’ tutti dalla storia originale; Haruka-Michiru, Usagi-Haruka, Makoto e la sua forza di spirito, che verrà fuori pian piano, Minako e la sua passionalità, per adesso espressa solo nelle letture, la diffidenza iniziale di Rei. Ho menzionato anche il rapporto di Usa con Mamoru anche se non è la coppia che conosco meglio e non saprei come caratterizzarli senza sembrare banale. Visto che ad alcune di voi, a una in particolare che sicuramente si riconoscerà, mancava un po' quel Paperino sfigato di Giovanna Aulis, ho voluto iniziare a far ricascare su Giovanna Tenou un po' di sfiga a “pioggia”, così che s'intuisca, se mai ce ne fosse stato bisogno, che in questa storia nata dalla fantasia di Haruka, la sorella è tale e quale, sia caratterialmente, sia per la negatività carmica che avvolte sembra seguirla passo passo.

A prestissimo e grazie sempre per le vostre recezioni!!!

 

 


 

 

 

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Capitolo 6
*** Gesti e conseguenze ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Gesti e conseguenze

 

 

 

Passo della Ruscada, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 26/5/1915

 

Un ammutinamento in piena regola, con tanto di capeggiatrici e adepte al seguito. Francamente Haruka non avrebbe mai creduto che il binomio pantaloni-capelli avrebbe scatenato quel putiferio e se soltanto l'avesse anche minimamente subdorato, se la sarebbe cucita con un filo di cuoio la sua stupida boccaccia. Giovanna non avrebbe potuto godere di meno. Se la stava proprio gustando quella scena. L'invasione di un Pesce Gatto in uno stagno di girini avrebbero fatto meno casino.

L'immagine che le stava apparendo in quell'inizio di giornata dove avrebbero dovuto mettersi “a tavolino” carta alla mano per preparare a dovere il viaggio, era pressappoco quella di una Rei inferocita che fomentatrice di Minako ed Usagi, veniva seguita a breve distanza da Ami. Tutte sedute sul legno del portico della baita con i visi rivolti alla bionda che con postura autoritaria, mani serrate dietro la schiena e sguardo irreprensibile, stava cercando senza un minimo di successo, di far capire loro l'importanza di cambiarsi d'abito. Poco lontano, in piedi, Makoto accanto a Michiru, che volendo mantenere a tutti i costi un'aria intellettualmente valida, si stavano forzando di non scoppiare a ridere. Giovanna che se le guardava dalla parte opposta mentre stringeva nelle braccia sei paia di pantaloni dal taglio militare.

“Non esiste che una signorina per bene indossi degli abiti maschili!” Urlò Rei puntando l'indice contro Haruka che inarcando le sopracciglia la ringraziò caldamente.

“Non voglio giudicarti, ma io non condivido ne il tuo stile di vita, ne tantomeno gli indumenti che porti!”

“Ben gentile, ma qui non stiamo parlando di stile di vita e se non lo capisci, tu e le tue amiche siete delle stupide.” Si difese tranquillamente ghignando alla vena pulsante che a tratti intravedeva sotto la frangia corvina.

Come avrebbero sperato di valicare le alpi con gonne, calze e scarpette con il tacco?

“Michiru dovremmo fare qualcosa?” Chiese Makoto parlandole vicino ad un orecchio.

La sera, una volta che la bionda Haruka aveva finalmente accettato di aiutarle, avevano abbandonato lo scomodo ed informale voi per passare al più famigliare tu. Così Michiru non sarebbe stata più vista come una figura autoritaria, ma come un'amica, una di loro, il che per una missione con svariati punti di difficoltà come quella, era l'ideale. Stesso discorso era valso per Ami e Giovanna. Soltanto Haruka, con qualsiasi pronome che fosse, sarebbe sempre rimasta “l'orso alpino”; burbera, intrattabile, schiva e taciturna.

“No Mako. Lasciamo che se la cavino da sole. Tanto dovranno arrivare ad un compromesso prima o poi.” Suggerì una Kaiou ilare alzando leggermente le spalle all'indirizzo suo e di Giovanna che le sorrise di rimando dalla parte opposta della piazzola che si apriva sul fronte della baita. Vedere la sorella “combattere” con tutte quelle ragazzine era spassosissimo. Haruka era abituata a non discutere, ma a comandare, che fosse su Flint, Mattias o su se stessa. Ora la sua posizione di femmina alfa stava seriamente venendo messa alla prova e per non soccombere al branco, avrebbe dovuto imparare a dialogare civilmente e a pretendere ascolto in maniera del tutto nuova.

“Senti Rei, spiegami allora come pensi di scalare conciata in questo modo!” Haruka indicò il vestito a pieghe rosse sforzandosi di mantenere un controllo che sentiva di stare perdendo.

Ami intervenne accettando la via del compromesso. “Potremmo anche indossarli, ma i capelli non ce li tagliamo.”

O mio Dio! Pensò la bionda avendo un gesto di estrema stizza e calciando la terra davanti la suola destra si girò dando loro la schiena grattandosi la zazzera.

“Giovanna, di grazia... mi aiuti!?” E la maturità dell'altra le venne in soccorso.

“Anche se con scarso tatto e molta boria, mia sorella sta cercando di farvi comprendere che la vita tra le montagne non è affatto facile e che per un gruppo di donne lo è ancora meno. Lungo la strada non avremo tempo per pettinarci o curarci come siamo solite fare. Inoltre potremmo aver bisogno di scappare, nasconderci o apparire ciò che non siamo, ovvero dei ragazzi.”

“Perché?” Chiese Usagi corrucciata. Se il suo Mamo l'avesse vista con i capelli corti ed un paio di pantaloni addosso le avrebbe certamente riso dietro.

Haruka sbottò voltandosi di scatto. “Per la miseria! Ragionate! Le montagne sono piene di taglia legna, minatori e all'occorrenza, bracconieri! Sono uomini che non vanno a donne per settimane! Cosa credete potrebbe succedere se incontrassimo un paio di loro?”

A quella verità il silenzio scese e si fece anche abbastanza pesante. La stessa Michiru non aveva messo in conto la possibilità, difficile, ma concreta, di venire violentata o persino uccisa da un qualsiasi malintenzionato.

“Ma... siamo armate, non è vero?” Intervenne Minako stringendo la mano ad Usagi.

“Si, di una pistola ed un fucile datato. Non sono una garanzia, ve lo assicuro ragazze. E' un anno che vivo da sola tra queste montagne e di rogne ne ho avute anch'io che a prima vista posso sembrare un uomo. Perciò cercate di venirmi in contro se vi dico che dovreste assomigliare meno a delle giovani ed attraenti ragazze e più ad innocui ragazzi.” Haruka guardò ogni singolo viso soffermandosi poi su quello di Michiru, che invece di donare muta assistenza al suo raggionamento, voltò i tacchi dirigendosi a passo svelto verso il retro della baita.

“Qui ci penso io. Tu va da lei.” Disse Giovanna avvicinandosi per mollandole un colpetto con la spalla.

E spinta da un'indefinibile senso di protezione, la sorella obbedì senza fiatare. Percorrendo gran parte del perimetro della struttura e parte della collinetta, la trovò seduta sul bordo di una piccola conca naturale dove sgorgava la famosa fonte alla quale Haruka attingeva l'acqua per i suoi bisogni giornalieri. Le gambe unite e raccolte sotto la gonna azzurra. Un palmo sull'erba e l'altro sotto l'acqua fredda. La bionda si fermò respirando affondo serrando i pugni. Michiru aveva lo sguardo perso nel movimento del rivolo e sembrava essersi intristita talmente tanto che la bionda ebbe quasi l'impulso di correre ad abbracciarla. Non era mai accaduto in vita sua che provasse una simile tentazione che non fosse rivolta alla sorella maggiore.

Avvertendone i passi e riconoscendoli grazie al suo esercitato orecchio da musicista, l'insegnante chinò la testa. “Se non mi fossi fatta derubare come una stupida sempliciotta non saremmo state costrette a vivere tutto questo. E' colpa mia, solo mia, se le ragazze dovranno affrontare situazioni pericolose al limite della sopportazione fisica.”

“Le aiuterà a maturare. Non colpevolizzarti Michiru.”

“E se avessero un incidente? Se subissero violenza?!” Alzò talmente il tono da incrinane la voce costringendo Haruka a serrare la mascella. Non voleva vederla così.

“Io vi proteggerò, te lo assicuro!” Era sincera, ma vide l'altra stirare le labbra e quasi se ne dispiacque.

“Non sto scherzando!” Ripeté con forza.

“Non lo metto in dubbio Haruka, ma ricorda che anche tu sei una donna, - Disse alzandosi per ritrovarsi a pochissimi centimetri dal viso dell'altra. - Una bellissima donna e sarai in pericolo come tutte noi.” Concluse distogliendo lo sguardo per fermarlo ai cirri lattei che fluttuavano nel cielo.

Sentendosi la gola priva di fiato la bionda fece un passo indietro cercando di non tradirsi. Quella donna stava esercitando sul suo corpo una forza d'urto paragonabile ad una locomotiva in corsa. Non riusciva a ragionare con il solito raziocinio quando le era tanto vicina.

“Io credo che... non dovresti fasciarti la testa e starci tanto male. Non siamo ancora partite Michiru.”

“Si, forse hai ragione. Non è detto che questo viaggio presenterà tanti pericoli. Grazie.” E nuovamente il tocco gentile sul suo braccio e nuovamente quell'irrigidimento muscolare. Ma questa volta Haruka non si mosse. Non riuscì a farlo e deglutendo a vuoto chiese a tutti i Santi del cielo che qualcuno venisse a soccorrerla. Soccorso che arrivò dal suo amichetto che, come da programma, si era presentato alla baita per riprendersi l'asino di famiglia.

Correndole incontro sorridendo Mattias si bloccò non appena Michiru entrò nel suo campo visivo rimanendo a fissarla con un'espressione leggermente ebete sul viso.

Ecco l'effetto che vorrei evitare. Si disse l'amica salutandolo con l'aiuto di un leggero buffetto sul collo.

“Buona giornata mio bel cavaliere dall'armatura scintillante.” Prese a sfotterlo avendo immediatamente in cambio una reazione. Mettendo su una smorfia corrucciata e massaggiandosi il collo lui la guardò fissamente drizzando poi la postura e porgendo la mano all'estranea si presentò come un piccolo lord.

“Salve signorina, mi chiamo Mattias Adelchi. Onoratissimo.”

Onoratissimo! Pensò la bionda strizzando occhi e bocca per non sbottare a ridergli in faccia.

Michiru invece accolse quella piccola mano bianca con molta compostezza e dando al ragazzino gran soddisfazione, fece un leggero inchino presentandosi nell'afferrarla.

“Signorina Haruka non mi avevate detto di avere amici tanto bene educati ed affascinanti.”

Bè, a saperlo... Si disse lei stirando di contro solo un sorrisetto di circostanza.

“Haru cos'è questa storia della traversata del San Gottardo?” Chiese il ragazzino entrando pericolosamente e senza invito nella sfera decisionale dell'amica.

“Ti ringrazio di aver prestato il tuo asino a Giovanna, ma il resto della questione è solo affar mio. Meno ne sai e meglio è!” Tagliò corto pronta a tornare dalle altre.

“Se hai intenzione di accompagnare in cordata quelle signorine di città sappi che non sono affatto d'accordo!” E nel dirlo si vide puntati contro due smeraldi infuocati capendo immediatamente di avere esagerato. Haruka era molto espressiva e lui alquanto sveglio. Nella loro amicizia a volte non c'erano bisogno di parole per capirsi.

Abbassando il capo castano le chiese scusa continuando più docilmente, in maniera quasi ruffiana. “Sei proprio sicura di non voler attendere qualche settimana? La neve è ancora alta lassù.” E spalancando due occhioni azzurri cristallini, provò a scardinarne le difese. Michiru ammise a se stessa di aver già visto quell'espressione in Usagi e certe volte anche in Minako, soprattutto durante le sue interrogazioni.

Accarezzandogli il mento la bionda cedette un istante e la dolcezza che celava spesso e volentieri nel suo latente spirito materno, si palesò anche di fronte all'altra.

“Lo so che hai ragione, ma credimi... credetemi entrambi; riusciremo a farcela. Non sarò sola a guidarle Matti. Giovanna sarà al mio fianco e ci sa fare ad alta quota.” Disse dolcemente, ma con fermezza ed il bambino dovette arrendersi non avendo minimamente voce in capitolo.

“Bene. Adesso è il caso che ti metta in marcia. A detta di mia sorella la tua bestia è un tantino caparbia.”

“Non con me!” sottolineò scocciato nella veste di sconfitto. Era quella stupida donna a non saper trattare con gli animali.

Haruka credette così di aver calciato via almeno un piccolo sasso quando un intero macigno le si presentò spuntando da dietro l'angolo. Allargando leggermente gli occhi per poi ridurli a due fessure, osservò l'uomo venire avanti con passo leggermente legnoso. Michiru la fissò studiandone la postura, intuendo che fra i due dovesse esserci qualcosa di più di una semplice conoscenza. Pugni nelle mani, sguardo fisso, schiena contratta e mascella serrata, la bionda salutò il suo interlocutore con un'impercettibile movimento del capo.

Dopo essersi presentato anche lui Stefano puntò l'attenzione su Haruka non staccandole gli occhi dal viso.

“Michiru potresti tornare dalle ragazze e convincerle a fare ciò che ho chiesto loro, per favore?”

"Certamente." E Kaiou si congedò da entrambi e con Mattias al fianco li lasciò soli.

“Mi auguro che non la faccia soffrire ancora o lo prendo a calci sui denti quello stupido!” Mugugnò il ragazzino mentre entravano nell'ombra del lato della baita.

“A chi ti stai riferendo?” Chiese la ragazza continuando a camminare voltandosi un istante verso i due ormai quasi del tutto scomparsi dietro al muro.

“Quello era il fidanzato di Haruka ed ora lo è di Giovanna. E' colpa loro se è andata via di casa.” Disse tutto d'un fiato in maniera però totalmente inesatta, lasciando che Michiru si facesse un'idea distorta sul rapporto che legava i tre.

Rimasti soli Stefano le sorrise piegando la testa da un lato. “Ti trovo bene, più robusta. Lo sai che stai meglio con i capelli corti?”

“Cosa vuoi da me Stefano?” Disse piatta mantenendo quello sguardo glaciale che tante e tante volte era arrivato in suo soccorso a liberarla dalle seccature.

“Giovanna ha lasciato la milizia.”

“Lo so e sappi che non è stata una mia idea.”

“Ha una condanna per furto. Deve allontanarsi dal Comune il più velocemente possibile o rischia il carcere.”

“Mmmm...”

“Si è cacciata in questo guaio esclusivamente per te.”

“Allora? Vuoi darmi addosso anche questa croce?”

“No, anzi, sono venuto qui per chiederti di tenermela d'occhio.” E a quella frase Haruka abbassò le armi non capendo.

“Vedi, nell'ultimo anno abbiamo praticamente vissuto fianco a fianco e la nostra conoscenza si è approfondita molto. Non ti nascondo di provare un forte sentimento per lei ed è reciproco, ma... Da quando sei andata via di casa non ha fatto che colpevolizzarsi tutti i santi giorni e ho potuto notare che certe volte tende ad essere, come posso dire, poco prudente nelle azioni che compie.”

“Spiegati meglio Stefano.” Chiese roca.

“Spesso siamo chiamati a lavori pericolosi e tua sorella sembra... non accorgersene anzi, da l'idea di fare di tutto per farsi del male, il che e' strano visto che tra i tre e' sempre stata quella con più sale in zucca.”

Dilatando lo sterno immettendo ossigeno lei lo guardò non riuscendo a mettere a fuoco il discorso. “Vuoi dirmi che Giovanna sta cercando di ammazzarsi?”

“No, non dico questo, ma ti ripeto che da tempo ho come l'impressione che stia cercando di punirsi. Per di piu' sta vivendo in un limbo solitario molto simile al tuo. Si offre per compiti pericolosi e sfiancanti, ammazzandosi di lavoro, dormendo pochissimo e quando lo fa non riesce a riposare bene. Se ne sta sempre per conto suo e non passa giorno che non vada a trovare i vostri genitori al Campo Santo. Ho cercato di starle incollato, ma è sfuggente al tuo pari. Ecco perché ti dico di tenerla d'occhio. Il viaggio che state per affrontare sarà massacrante e tecnicamente complesso e il fisico di tua sorella non è pronto. In montagna basta una distrazione per mettere un piede in fallo ed andare giù, lo sai.”

Distogliendo lo sguardo la bionda avvertì la pelle sconquassata da un brivido. Sicuramente Stefano stava facendo di un non nulla una tragedia, ma comunque la cosa aveva un senso. In effetti lo sguardo ed i comportamenti della sorella non erano più quelli di una volta. Si erano fatti più maturi e controllati, più severi e meno giocosi, proprio come i suoi. E sembrava agire troppo d'impulso, come ad esempio ritrovarsi a rubare materiale in una caserma mandando così al diavolo un lavoro e sporcandosi la fedina penale.

“E comunque Haruka, vorrei che anche tu fossi molto più accorta del solito.”

“Di me non devi preoccuparti!” Mosse un fendente tornando sulla difensiva.

“Lo so, ma anche se ormai ti vedo solo come una sorella, non posso impedirmi di volerti bene. Siamo cresciuti insieme, perciò vedete di stare attente la su. - La vide scuotere la testa divertita aggiungendo poi un sincero - Mi dispiace.”

“Per aver contribuito a rovinarmi la vita forzandomi la mano e dopo il mio rifiuto andando a spettegolare alle mie spalle con il resto del quartiere?”

“Si. Mi sono sentito scioccamente... sminuito come uomo dal tuo rifiuto ed ho ceduto all'idiozia. Avrei dovuto difenderti invece di star zitto e lasciare che vostro padre montasse rabbia e frustrazione ascoltando tutte quelle chiacchiere.” Mortificato e sinceramente pentito. Ecco come appariva ora Stefano Astorri.

Era comunque uomo di buon cuore ed era cresciuto molto. Haruka sentì smorzarsi la rabbia covata fino a quel giorno ammettendo che in fin dei conti prima o poi Sebastiano sarebbe venuto a conoscenza del suo segreto.

“Forse è stato un bene, non lo so. Una cosa come l'essere sentimentalmente diversi non può essere tenuta segreta per tutta la vita, soprattutto in famiglia.” Finalmente tornò a guardarlo con redenzione porgendogli la mano. Haruka sentì di aver trovato un fratello.

 

 

 

La prima ciocca cadde in terra e Giovanna se la guardò alzando le spalle cercando di dare il famoso buon esempio. Non che gliene fosse mai fregato tanto della sua chioma, comunque morbida, lucente e ben tenuta, ma nel sentire in rumore delle forbici accanto alle orecchie, provò un senso di disagio fortissimo, al limite del doloroso. Con quel gesto era come se stesse dando un taglio netto, non solamente in senso fisico, alla sua vita, difficile, solitaria, ma pur sempre conosciuta, per iniziarne un'altra, ignota, pericolosa e ricca di novità. Alzando gli occhi cercò di sorridere alle ragazze più giovani ferme a qualche metro da lei e a Michiru, che con un altro paio di mosse lasciò definitivamente che anche l'ultimo ciuffo castano stoicamente adagiato sulle spalle cedesse alle lame.

Quando Stefano vide la scena si fermò lasciando sul viso il palmo della destra vomitando un'imprecazione. Ma proprio di uno spirito inquieto doveva innamorarsi? E come se fosse stata in grado di avvertirne il pensiero, Haruka gli diede una piccola pacca sulla schiena sottolineando che se non fosse stata una suffragetta, lui non l'avrebbe mai accolta nel suo cuore.

“Ma bene. Vedo che avete compreso!” Esordì la bionda soddisfatta venendo però folgorata da coppie di occhi risentiti.

Ottimo spirito di corpo. Chi ben inizia è a metà dell'opera. Questo viaggio non sarà affatto noioso. Pensò sarcastica guardando quasi con fierezza la testa della sorella.

In breve anche Ami si convinse, lasciando che Michiru, scopertasi talentuosa acconciatrice, le accorciasse i capelli comunque già più corti di tutte le altre. Poi toccò alla coda di cavallo di Makoto, che arrivò addirittura a gioire della naturale frescura e leggerezza scoperte non avendo più quel peso imposto dalla convenzione, poi a Minako, che come una delle eroine delle sue letture, accettò l'ingrata sorte e trasformandosi in una nuova Giovanna D'Arco, attese “l'accensione della pira” a mani giunte, come se pregasse. Il dramma vero esplose quando toccò ad Usagi e poi a Rei. Si toccarono decibel striduli, ma composti, per la prima e fiamme d'astio all'indirizzo di Haruka, nella seconda. In breve tutte le pecorelle del branco furono “tosate”, ma alla bene e meglio, perché non sentendone il coraggio, Michiru optò per semplici accorciature, lasciando comunque che i capelli delle ragazze, a parte Giovanna, arrivassero almeno fino alle spalle. E quando lasciò le forbici nelle mani di quest'ultima ricevette lo stesso trattamento.

“Sarà una cosa in meno alla quale pensare. - Disse serenamente cercando di non guardare i capelli ondulati che le cadevano ai piedi. - Torneranno ad arrivarmi alla vita tra un paio d'anni.”

E Haruka mosse scacco alla razionalità ed accovacciandosi accanto alle due con la scusa di stringersi il laccio di uno scarpone, afferrò non vista una ciocca della ragazza infilandosela in tasca. La lotta intestina tra le due Tenou, quella passionale e desiderosa di vivere totalmente e pienamente la sua vita e quella spaventata e frustrata, spinta da mesi ad una fuga da se stessa, aveva così avuto inizio e sarebbe durata fino all'annientamento di una delle due.

 

 

Una leggera pressione ed il lucchetto si chiuse a morsa bloccando l'anta della porta. Sospirando silenziosamente Haruka ne accarezzò il chiarore della nodosità lignea con lo sguardo prima di voltarsi verso le altre. Stava sorgendo l'alba ed era ora di mettersi in viaggio. Guardando il gruppo ebbe come la sensazione di trovarsi di fronte ad un collegio pronto per una gita primaverile. Lei e la sorella avevano cercato di trasformare quelle signorine in un gruppo di staffette e ora che le vedeva vestite di tutto punto con scarponi chiodati, calzettoni, pantaloni di lana, giacche e cappello, avvertiva lampante il fallimento più completo. Sempre di signorine si stava parlando e niente e nessuno le avrebbe tramutate in qualcos'altro. Neanche l'arma multiuso che era stata consegnata ad ognuna e che, con molta probabilità, la metà di loro non avrebbe mai tirato fuori dalla tasca.

E va bene così. Ammise guardando poi Flint fermo dietro di lei. Lupo coraggioso!

Stefano e Mattias le avevano salutate il giorno precedente, ma il primo aveva lasciato scorte di cibo per tre giorni. Questo avrebbe permesso loro di “spingere” il più possibile evitando al massimo le soste proprio nel momento nel quale i loro giovani corpi avrebbero avuto ancora energie da spendere. La fatica, quella vera, sarebbe arrivata non appena raggiunto il San Gottardo.

Com'era arrivata anche la prima vera discussione tra la bionda e l'insegnante, rea di voler portare a tutti i costi una cosa inutile come un violino. Tutte avevano dovuto lasciare gran parte del loro bagaglio alla baita, accontentandosi del semplice sacco da viaggio, ma lei no! Testarda donna nordica!

“Haruka sono anche disposta a dormire per terra, a viaggiare per giorni vesciche ai piedi, a rovinarmi le mani scalando rocce e tirando corde, ma il mio strumento non lo lascio, sia chiaro!”

“Boia infame..., non si può fare!”

“E non imprecare, per favore!” Aveva intimato Kaiou mani ai fianchi fissandola come se fosse stata una delle sue studentesse e lei, l'indomita bionda, aveva dovuto chinare la testa masticando amaro, zittita senza possibilità di replica.

Così il violino era stato legato al sacco da viaggio della sua proprietaria, la femmina alfa era stata “messa a cuccia” davanti a tutto il branco, Giovanna aveva ricevuto in sorte una scena dal gusto bastardamente delizioso e le altre avevano iniziato a capire che forse Michiru possedeva sulla bionda un potere inaspettato. E così erano partite seguendo il filo logico dello schema di cordata più elementare; i più forti in testa ed in coda e tutti gli altri al centro.

 

 

Valle del Ticino, Bodio.

Svizzera meridionale – 29/5/1915

 

Oggi il sole picchia forte, ma il morale delle ragazze è altissimo.

Non sono ancora stanche.

Sono felice. Questo viaggio sembra stare regalandomi un senso di libertà

che credevo ormai estinto da mesi.

M.K.

 

Il passo cadenzato degli scarponi sul selciato di un sentiero di valle, accompagnato dai bicchieri metallici legati agli zaini, facevano ormai da colonna sonora al gruppo da tre giorni e in quella tarda mattina di sole pieno, tutto sembrava stare filando liscio e senza scossoni. Come un bravo soldatino, Michiru aveva preso a scrivere il suo personalissimo “diario di bordo” segnando con cura non soltanto veloci e concise frasi personali, ma anche le strade prese, i chilometri fatti, le razioni ancora presenti in ogni zaino e con l'aiuto di un piccolo grafico, le quote toccate. Con grande sorpresa le due guide avevano scelto di percorrere la strada più lunga, ma inizialmente meno impegnativa, zigzagando lungo la valle del fiume Ticino fino a quando il valico del San Gottardo non fosse apparso a metterle alla prova. Perciò lasciandosi alle spalle la cittadina di Bellinzona ed i suoi picchi, erano ridiscese invece che rimanere in quota.

Con scarpe più comode calzate ai piedi, strutturate apposta per camminare, anche le più giovani stavano seguendo la tabella di marcia con assoluta dedizione, mangiando quando veniva detto loro, dormendo all'aperto scaldate solo dal fuoco di un bivacco, lavandosi alla bene e meglio con acqua spesso fredda ed insufficiente, ed accontentandosi di riposare solamente pochi minuti ogni due, tre ore di marcia. Michiru era fiera di tutte loro, soprattutto delle più bizzose, come Rei e Minako, che da sempre mal tolleravano le regole e che invece si stavano dimostrando membri attivissimi di un gruppo sempre più unito, aiutando come meglio potevano, soprattutto nell'allestimento del campo serale, nel raccogliere la legna e nel sostenere Makoto e la stessa insegnante ai “fornelli”. Ad ognuna di loro era stato assegnato uno o più compiti, ripetitivi, ma comunque importanti per la disciplina e il buon fine di quel viaggio. Usagi si era già dimostrata una buona lenza fin dalla prima battuta di pesca con Haruka, pulendo e portando al fuoco pesce fresco da inserire nella dieta fatta di legumi, carne secca e gallette. Makoto, oltre a cucinare, aveva manifestato notevolissime abilità da cecchina nell'uso del fucile e nel piazzare trappole serali lungo i percorsi battuti dalle lepri.

Da sempre eccellente pianificatrice, Giovanna aveva invece uno dei compiti più impegnativi, ovvero quello di tracciare la strada, modificando sulla cartina di zona i vari percorsi scelti in base ai cambiamenti atmosferici. Conoscendo una grandissima particolarità sempre avuta dagli occhi a fondo cangiante dalla sorella maggiore, Haruka aveva anche preso ad usarla come personalissimo previsore atmosferico, capendo dal colore delle iridi quale tempo avrebbero avuto.

“Credo che dovremmo finirla con questa storia. Mi sento un'animale da circo.” Sottolineava Giovanna ogni qual volta la bionda le si piazzava davanti fissandola.

“Una cosa di buono hai, almeno sfruttiamola.” Le rispondeva sistematicamente l'altra serissima.

E Michiru se le guardava non capendo se tra le due ci fosse un amore viscerale o un odio rancoroso da far spavento. Si parlavano a malapena, ma bastava loro uno sguardo per capirsi. Haruka non tollerava la vicinanza dell'altra, ma sembrava fare di tutto per starle incollata. Giovanna continuava a lasciarle fare cose al limite dell'incoscienza, come ad esempio saltare le rocce di un torrente senza neanche pensarci su un secondo, tenendola però sempre maternamente sott'occhio. Era un rapporto strano, non certo abituale e con la sua pupesca ignoranza Mattias aveva contribuito a confondere le idee dell'insegnante ancora di più.

Ormai arrivata l'ora di pranzo, Haruka decise di fermare il gruppo facendo il punto della situazione con le più grandi. Chiamando Giovanna e Michiru ferme in coda, guardò i monti che a ponente si aprivano in una piccola valle secondaria.

“Dobbiamo decidere se mangiare qui o proseguire cercando un riparo.” Disse togliendosi per un attimo lo zaino dalle spalle. Aveva un caldo infernale. Non era abituata a camminare sotto al sole. Si era già disfatta della giacca il primo giorno e della camicia nel secondo. Ora aveva su soltanto una maglietta bianca senza maniche ed un fazzoletto in testa.

“Perché un riparo? Credi che pioverà?”Michiru guardò il cielo terso non capendo.

“Purtroppo non soltanto pioverà, ma sarà anche brutta.” Confermò indicando gli occhi grigissimi della sorella.

“O Dio Giovanna, non me n'ero accorta. Ha del prodigioso.”

“Non esageriamo...”

“Quando li ha di questo colore tempo tre ore e si scatena un nubifragio e se conti che c'è vento anche se siamo a fondo valle e non è ancora pomeriggio... Giovanna guarda sulla mappa qual è il rifugio più vicino.”

Un rapido controllo e l'unico in zona era il famigerato “il taglio dell'erba”, piccola struttura legata a storie per nulla rassicuranti dove i taglia boschi della zona erano soliti andare a bere al calar della sera.

“Lo conosco quel posto e non mi piace. E' un ritrovo di poco di buono e putt...- Haruka bloccò la lingua guardando l'insegnante ed afferrando una cinghia del suo zaino issandoselo sulla spalla continuò deviando la marcia ad ovest, verso i monti. - Sarà meglio muoverci.” Consigliò tornando poi a macinare metri non proferendo più parola.

 

 

Quando arrivarono al rifugio erano ormai passate le due del pomeriggio e con gran sollievo la struttura non era affollata come si sarebbero aspettate notando le prime nuvole nere addensarsi all'orizzonte. Con i loro capelli non certo dal taglio maschile ben nascosti sotto i cappelli militari, le ragazze più giovani entrarono seguendo le più grandi cercando di dare meno nell'occhio. S'immersero quasi immediatamente nel penetrante odore di alcool e fumo, guardandosi in torno con aria ovviamente innocente.

Scattando la testa da un lato all'altro Haruka controllò l'ambiente cercando un posto riparato da sguardi indiscreti. Focalizzando un tavolo con una panca per lato schiacciato all'angolo opposto del bancone, fece cenno alle altre di seguirla mentre prendeva a muoversi sicura tra la clientela, arrotolandosi con gesti secchi le maniche della camicia che si era obbligata a mettere per non far vedere il seno.

“Ei biondino... è tuo quello? Non vogliamo bestie qui!” Arcigna una donna in abiti tirolesi le diede irrispettosamente del tu indicando il mezzo lupo accanto al suo fianco e lei, per non avere rogne, con un gesto del mento intimò a Flint di andarsene fuori. Povero, quanta acqua avrebbe preso.

Si sedettero e per darsi un tono ordinando otto bicchieri di grappa, che naturalmente sarebbero passati quasi tutti per l'ugola di Haruka e Giovanna.

“Non mi piace questo posto.” Confessò Rei avvertendo la peluria della schiena pericolosamente sollevata. Era da quando aveva memoria che sapeva di possedere, per così dire, un intuito speciale, una sorta di sesto senso molto simile a quello animale. Lo avvertiva sulla pelle se c'era un pericolo incombente e quel posto aveva una spaventosa carica negativa impregnata in ogni singola asse di legno.

“Bè... fattelo piacere.” Mormorò Makoto sentendo il primo brontolio di un tuono riecheggiare in lontananza. Dallo scoppio della guerra non riuscivano proprio ad avere un'armonica tolleranza.

“Hai visto?” Disse Haruka guardando la sorella sedutale davanti.

“Già. Non siamo passate inosservate come speravamo.” Confermò Giovanna stirando le labbra mentre il vassoio con i bicchierini di liquido trasparente veniva semi sbattuto tra loro.

“Si paga in anticipo. Sono quaranta centesimi di franco!”

Stizzita Michiru si frugò nella tasca e saldando evitò di mandarla al diavolo. Anche lei aveva avvertito qualche sguardo di troppo provenire dal bancone alla loro sinistra. Due brutti ceffi, dagli addomi alcolici e mollicci, gli occhi piccoli e acquosi, il viso incolto per nulla curato, i tatuaggi galeotti con pugnali sguainati e donne eufemisticamente poco coperte, le avevano puntate. Fin dalla loro comparsa sulla porta non avevano staccato dai loro corpi lo sguardo laido.

Guardando la mano di Usagi afferrarle la sua sotto la linea della tavola, l'insegnante le sorrise mentre uno dei due si alzava dallo sgabello diretto verso di loro.

“Biondino... - se ne uscì all'indirizzo di Haruka - mi sembra di averti già visto! Non sei tu che fai affari con l'emporio della famiglia Folken nella valle vicina?” Chiese poggiando una mano sul tavolo sporgendosi verso la ragazza che evitò di guardarlo negli occhi.

Portandosi il vetro alle labbra lei ingoiò l'alcool tutto d'un fiato negando con convinzione. “Non credo proprio.”

“Io invece dico di si.” E mosse le dita per sollevarle il mento quando Giovanna intervenne serrandogli la mano al polso.

“Ha detto di no!” Stringendo con più forza possibile ne avvertì la peluria sotto il palmo.

“Ei... piccoletto...” A sua volta lui le afferro' il braccio con l'altra mano pronto a staccarsela di dosso.

Fu allora che Haruka scattò estraendo il suo coltello da dietro la schiena piantandolo tra i due. La punta entrò nel legno del pianale di due centimetri provocando un rumore sordo.

“Ci siamo capiti?” Chiese la bionda fulminandolo con ira.

Giovanna lo lasciò e lui alzando le mani in aria fece una smorfia di riconciliazione. “Va bene, va bene. Non voglio problemi.”

“Vattene!” Ordinò roca tornando a guardare la lama del suo coltello mentre fuori stava per scatenarsi l'inferno.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Ecco la prima “rogna”. Brutta, sporca e cattiva. Molto, molto cattiva.

Mattias in versione “Gatto con gli Stivali”; occhioni grandi e lucenti che ad Haruka poco hanno impressionato. Ovviamente!

E parlando di occhioni, non prendetemi per matta, ma per esperienza (personale) vi dico che avvolte a chi ha le iridi con fondo grigio, cambia il colore in base al tempo, all'ambiente e a quello che s'indossa.

Ma cambiando discorso, secondo voi nel vedere Haruka sguainare il coltello per piantarlo sul tavolo, a Michiru sara' nata nel cuore qualche reazione? Mha. A voi l'ardua sentenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** La sorgente ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

La sorgente

 

 

 

Riale di Nedro, Bodio.

Svizzera meridionale – 29/5/1915

 

Epocale. Un nubifragio come non se ne vedevano da mesi, forse anni. Era durato poco meno di quattro ore, ma aveva avuto la forza di un uragano, sferzando crinali, abbattendo alberi, gonfiando a dismisura il fiume Ticino e tutti i suoi piccoli affluenti montani. I torrenti di zona, irriconoscibili, avevano triplicato la loro portata strappando radici, sassi ed intere porzioni di terra, modificando il loro corso.

Giovanna guardò la valle sottostante cartina alla mano. Erano nei guai. Sospirando puntò lo sguardo al fiume bizzoso che si estendeva come un pericoloso serpente marrone ad un paio di chilometri. Erano uscite dal rifugio “il taglio dell'erba” non appena aveva spiovuto, sicure che l'alterco avuto con quel poco di buono non si sarebbe estinto così, senza uno strascico. Avevano mangiato una zuppa calda al volo, approfittando dell'impossibilità assoluta di uscire all'aperto, dileguandosi successivamente senza neanche alzare gli occhi da terra. Anche Haruka, che pur aveva fatto di tutto per mantenere la calma, aveva tirato un sospiro di sollievo una volta tornata a respirare aria pulita. Aveva esagerato la bionda, lo avevano visto tutte. Le aveva protette, o almeno aveva cercato di farlo, ma con una carica nervosa esagerata, al limite della disperazione, come se l'azzardo compiuto da quel viscido individuo avesse racchiuso molto di più che un approccio misogino all'indirizzo di un gruppetto di ragazzini. Uno scatto armato di pura ribellione quello di Haruka. Contro le catene delle convenzioni, i luoghi comuni, il rifiuto di un padre.

Giovanna chinò la testa da un lato continuando a guardare i tracciati sulla carta. N'era sempre più convinta; il travestimento delle ragazze più giovani con Michiru in testa, era e sarebbe risultato totalmente insufficiente per garantire loro un’adeguata sicurezza. Solo Haruka e forse lei stessa, avrebbero potuto passare per ragazzi imberbi e perciò, agli occhi di malintenzionati, comunque impossibilitati a difendersi da qualunque violenza. Questo voleva dire che avrebbero dovuto essere ancora più accorte di quanto la sorella avesse preventivato prima della partenza.

Respirando affondo l'aria ormai fresca di fine giornata la donna rifletté guardandosi attorno. Fango, fango e ancora fango. Cercando punti di riferimento non poté che fare autocritica. Se Haruka era scattata nevroticamente senza neanche provare a pensare, lei non era stata da meno, anzi, se da un lato la fisicità della sorella minore poteva garantirle quanto meno una reazione decente, lei, alta si e no un metro e sessanta, non avrebbe mai potuto fronteggiare nessun uomo, difendersi o proteggere qualcuno, tanto meno afferrare polsi enormi, bloccare approcci non richiesti e sfidare a viso aperto chi che sia.

Sono stata un'incosciente! Si disse mentre riconosceva il torrente alla sua destra. Non aveva potuto far nulla per evitare di reagire in maniera tanto idiota. Nulla! Quel gesto le era nato spontaneo dal petto. La razionalita', il pacifismo che da sempre contraddistingueva il suo animo e la buona educazione, erano andati a farsi fottere abbattuti dall'amore che nutriva per Haruka.

Sbattendo la punta sinistra del suo stivale sulla roccia del costone che dava sulla valle di Bodio, cercò di liberarlo dalla melma che ne aveva avvolto la suola. Si sentiva sporca da far schifo. Si erano rimesse in marcia non appena il cielo aveva smesso di tirare secchiate d'acqua gelata, ma la terra si era talmente imbibita che già durante i primi metri fuori dal caldo della struttura, si erano inzaccherate riducendo stivali e calze a grottesche parodie di se stesse. Ed ora avevano un gran freddo e la tentazione di mollare tutto.

“Giovanna.” Si sentì chiamare e voltandosi vide Minako ferma a qualche metro da lei.

“Arrivo subito. Datemi qualche altro minuto per fare il punto della situazione.”

Ma scuotendo la testa l'altra riuscì a dissuaderla non appena concluse la frase con un vieni presto, Haruka e Michiru stanno discutendo.

 

 

“Che altro avrei potuto fare, sentiamo Kaiou!?” La bionda non vide la sorella arrivare, nè avvertì il vociare delle altre tutto intorno a loro.

Viso contro viso le due si stavano fronteggiando già da qualche minuto, da quando cioè, Michiru le aveva dimostrato tutta la sua disapprovazione cercando di farle capire che l'azione d'impulso rivolta allo sconosciuto del rifugio, sarebbe anche potuta costar caro. E Tenou non aveva accettato la critica, anzi, sentendo montare la rabbia per l'ingratitudine dimostratale, aveva deciso di non rispondere aumentando così maggior disappunto nella sua interlocutrice. Disappunto che era andato trasformandosi via via in fiele e che ora le stava spingendo ad una serie di scambi verbali estremamente taglienti.

“Avresti benissimo potuto usare la lingua invece che tirare fuori un'arma!”

Sentendola pericolosamente vicina, Haruka ritrasse il collo cercando però di non darle alcun vantaggio. Era più bassa di lei, più minuta, ma sembrava un gigante dagli occhi incandescenti e nel vederla in quella veste, il cuore le stava martellando talmente forte d'avvertirne le pulsazioni anche nell’arteria del collo.

Stirando le labbra la guida guardò beffardamente altrove. “Certo, usiamo le parole con bestie che non sanno neanche scrivere il proprio nome.” Quasi un sibilo che sferzò i nervi dell'insegnante.

“Mi vedo costretta a pensare che sia tu a non essere in grado di esprimerti a parole Tenou!”

L’altra tornò a guardarla e questa volta le sue iridi mostrarono dispiacere. "E' questo che pensi di me?” Chiese piatta.

Michiru sentì d'improvviso la carica smorzarsi e togliendosi le mani dai fianchi abbassò lo sguardo.

“Non intendevo dire questo...”

“Ma lo hai detto. Mi dispiace di non sapere fare di meglio, ma sono solo una montanara!" E voltandosi se ne andò verso la sorella strappandole letteralmente la pianta dalle mani per poi sparire dietro ad un paio di fusti.

"Non intendevo dire questo!" Ripetè con forza, ma l'altra era già scomparsa tra il fitto della foresta.

Rimasta “vittoriosamente” da sola Kaiou si sentì sull'orlo del pianto. Non certo per quello screzio e per le parole che si erano vomitate contro a brutto muso, ma per un motivo di gran lunga più importante. Nel vedere quell'uomo rozzo che stava per toccarle il viso, quella lama piantata sull'asse del tavolo e nell'intuire la possibilità che quell'incontro sarebbe potuto anche finire in una scazzottata, o peggio, il cuore di Michiru aveva provato sentimenti forti, al limite del dolore, capendo che quella donna dei boschi, testarda come un giovane camoscio, stava entrando, o forse lo aveva già fatto sin dal loro primo incontro, nella sua anima in maniera prorompente. Quello sguardo carico d'energia nervosa, il corpo pronto a scattare per difendere il branco, avevano provocato in lei una forte attrazione, un'eccitazione fisica mista alla paura che potesse succedere ad Haruka qualcosa di brutto e aveva compreso di tenere a lei.

“Michiru...” Posandole una mano sulla spalla Usagi la riportò con i piedi per terra e come a volerle dire che era tutto sotto controllo, la strinse donandole un sorriso.

Vista tutta la scena a Giovanna non rimase altro che guardare nella parte dov'era andata la sorella e seguirla. Le nuvole scure continuavano a rincorrersi nel cielo. Dovevano darsi una mossa. La trovò più o meno nel punto dov'era stata lei negli ultimi minuti.

“Siamo partite da neanche quattro giorni e già ci troviamo a dover decidere se proseguire o tornare indietro.” Esordì la minore sentendola al fianco.

“Non la vedo proprio così negativa, ma si, siamo in un mare di guai. Guarda... - indicò il Ticino gonfio e ribollente di melma. - con molta probabilità avranno precauzionalmente chiuso tutti i ponti della zona. Tornare a valle non mi sembra una gran soluzione, ci sono allagati ovunque.”

"Pensi che star qui sia meglio?” Chiese Haruka guardandosi intorno. Il rumore dell'acqua del Riale di Nedro che ruggiva ad una trentina di meri era quasi assordante.

“No, ma dobbiamo trovare un riparo per la notte. Non possiamo dormire fuori con il rischio che uno smottamento ci frani addosso.”

Tornando a controllare la carta la minore capì di non riuscire a ragionare. Aveva ancora i battiti accelerati e la testa che le faceva male. Socchiuse gli occhi digrignando i denti.

“Che c'è?”

“Nulla.” L'esplosione d'adrenalina indotta da quell'uomo prima e Michiru dopo, le stava smascellando le tempie.

“Credi che ci seguiranno?”

“Quei due balordi? Senza ombra di dubbio. Conosco quel tipo e l'amico che si porta sempre dietro. L'ho già incontrati quest'inverno, mentre facevo scambi commerciali. Non so come si chiamino, ma non hanno una bella nomea e tutti cercano di stargli alla larga.”

“Che grandissima botta di fortuna che abbiamo! Ma almeno da come si è comportato non sa che sei una donna, giusto?”

Haruka sorrise guardandola. “Esatto. Comunque, io avrò anche agito d'impulso, come va dicendo lei, ma Non mi è venuto in mentre altro e poi anche tu... Avrebbe potuto spezzarti il polso come un crostino.”

Alzando le spalle avendo un'idea, Giovanna si riprese la carta richiudendola. Forse avrebbero passato la notte in un bel posticino riparato.

 

 

Quando Makoto vide le prime scintille, iniziò a soffiare sull'esca fungina bramando un po' di tepore. Erano passate dal marciare sotto al sole, all'essere squassate da sincronici brividi di freddo. Destabilizzante.

Guardando Haruka ferma in piedi davanti a lei cercò un sorriso di approvazione che, puntualmente, non le giunse. Tornando a soffiare sul fumo che stava sprigionandosi dalla matassa, intravide le prime scintille trasformarsi in tenere fiammelle e posando in terra il fagotto, prese ad alimentarlo con la poca legna asciutta trovata all'imbocco della grotta. Già; grotta, unico riparo dignitoso in quel mondo fatto di umido sottobosco. Anche se a dirla tutta era piuttosto pulita e stranamente calda. La sera sarebbe scesa presto e loro non potevano passarla all'aperto. Non con il terreno tanto fangoso ed il cielo scuro."

Così ricordandosi di vecchi discorsi casalinghi, Giovanna aveva notato sulla carta che nei pressi dell'apertura boschiva dove si erano momentaneamente fermate, si trovava un complesso di grotte abbastanza capienti per ospitare pellegrine infreddolite. E così una volta che Flint ed Haruka ne avevano controllato l'interno, tutto il gruppo aveva potuto iniziare ad allestire il campo. Mezz'ora dopo essere entrate aveva ripreso a piovere e a tutt'ora stava continuando.

In tutto quel darsi da fare, la bionda e l'insegnante non si erano parlate, neanche una volta, costringendo Giovanna ad un lavoro di mediazione al quale avrebbe rinunciato molto volentieri.

“Non ti pare di stare esagerando con lei.” Dandole un colpetto con la punta dello scarpone la maggiore cercò di far ragionare la sorella.

“Mi ha offesa.” Borbottò come un vecchio alpino e roteando gli occhi l'altra tornò a prepararsi in sacco da viaggio che l'avrebbe accolta per la notte.

Iniziava a rimpiangere la caserma e le sue inquiline. Li ogni donna si faceva gli affari suoi, socializzando lo stretto necessario. Ora ne capiva il motivo. Non era assolutamente facile vivere in comunità femminile, appartenere ad un gruppo, soprattutto se poco omogeneo come quello. Per di più, essendo la più grande, avrebbe sempre, in ogni sacrosanta situazione, dovuto dare il buon esempio. Essere tollerante. Disponibile. E Giovanna Tenou sentiva di non esserlo.

Poco distanti, sedute su una serie di rocce, Minako e Rei, abituate alla condivisione di una stanza e perciò a fare gran parte delle cose assieme, stavano togliendosi gli indumenti umidi.

"Ricordano due eroine dell'Amor cortense... non trovi?"

"Ma chi?"

“Come chi! La nostra insegnante e la bella montanara. Io trovo deliziosi i loro alterchi. Sembrano una coppia.” La viennese, da sempre e perennemente in cerca dell'amore, si sfilò un calzettone iniziando a strofinarsi energicamente il piede. Da qualche giorno aveva iniziato a pensare ad Haruka e Michiru in termini non proprio casti.

Rei la guardò come se avesse detto una bestemmia sul sagrato di una chiesa. “Cosa vai a pensare Mina! Sono due donne!”

“E allora?! Sono belle lo stesso e poi Haruka è così affascinante.”

Guardando entrambe in direzione della bionda che in ginocchio stava versando dell'acqua nella pentola da campo, la mora scosse la testa non accettando le idee dell'amica. “Affascinante quell'orso alpino?! Tu hai letto troppi scritti di Renée Vivien.”

“E anche fosse?! Ho solo affermato che Haruka e Michiru sono molto belle. Credo che se innamorate formerebbero una gran bella coppia.”

Imitandola nel togliersi i calzettoni la parigina sottolineò la piccola questione dal nome Daniel. “Ti rammento che Michiru è fidanzata e che il Dottor Kurzh è un uomo estremamente valente.”

“Tantalmente valente da essersi rifiutato di accompagnarci a Zurigo. Rei sono io a ricordarti che è sua la colpa se ci troviamo a vivere tutto questo, perché quel truffaldino di Simon Termalen non avrebbe mai avuto il coraggio di avvicinarsi se il dottorino fosse stato la nostra scorta.” E qui la mora dovette alzare bandiera bianca, perché palesemente dalla parte del torto.

Haruka non le piaceva. Troppo spavalda, troppo solitaria, troppo fiera; in altre parole, troppo indipendente. Una condizione che Rei Hino avrebbe tanto voluto avere il coraggio di gettare sul tavolo della sua vita, ma che per inesperienza e giovinezza, ancora non era stata in grado di fare. Tutte le sue amiche, da Minako che non faceva che fissarne i lineamenti androgini, a Makoto, che stravedeva per lei, passando per Usagi, completamente adorante, sembravano essere state irretire, catturate da quel comportamento al limite del menefreghismo.

Trasfigurando una smorfia sul viso, Rei guardò Giovanna poco distante accovacciarsi accanto alla sorella, parlottare sommessamente, sorridere e prendere una delle lanterne ad olio lasciata agganciata ad uno speroncino di roccia, per dirigersi poi con l'altra verso un punto della grotta dove un'apertura ad imbuto immetteva ad un secondo ambiente molto più basso e sporco. Sparirono per svariati minuti prima di riemergere gongolando.

“Ragazze venite tutte qui per favore.” Chiamò la più grande con un'espressione al limite della felicità.

“Abbiamo la possibilità di farci un bel bagno caldo!”

 

 

Ad Haruka morì il fiato nella gola. Il tepore fumante della sorgente sotterranea l'avvolse non appena s'immerse, completamente nuda, nelle sue acque, iniziando a massaggiarle la pelle ed i muscoli intorpiditi di spalle e gambe. Era ancora incredula, perché non avrebbe mai pensato che le fantomatiche sorgenti calde del Picco Nedro fossero esistite davvero. Gliene aveva parlato il padre ed il nonno prima di lui, ma conoscendole solo per sentito dire i due ne avevano ingigantito la superficie e dipinto l'ambientazione con il pennello della loro immaginazione. E così aveva fatto gran parte della popolazione che da secoli abitava quelle valli. Ecco perché non erano sfruttate da nessuno. I più avevano sempre ipotizzato che si trovassero in quota, nascoste chissà dove tra guglie e stambecchi. Ed invece erano li; nello stomaco di una caverna, impossibile a vedersi da fuori.

“Mamma mia che fortuna sfacciata abbiamo avuto.” Disse immergendosi completamente per poi riemergere portandosi con le mani i capelli indietro.

Seduta sul fondo roccioso, Giovanna sorrise riaprendo gli occhi e respirando a pieni polmoni il fumo leggero che ondeggiava a pelo d'acqua.

“Puoi dirlo. Non avrei mai creduto che l'accesso per la sorgente sotterranea fosse in una grotta.

“Già.” Ammise l'altra ridacchiando.

Quella scoperta aveva reso tutte euforiche trasformando la pesantezza della giornata in una sorta di frenetica eccitazione, dove poter godere della sensazione del calore sulla pelle, del sapone tra i capelli e del profumo di bucato. E si, perché oltre alla pozza dove si erano scoperte letargici girini, ve n'erano due molto più piccole, dove avevano potuto lavare gli indumenti per poi disegnare la grotta di un'infinità di corde dove appendere vestiti e calze.

“Di un po', ti è passata?” Chiese Giovanna guardandole il viso estremamente disteso.

“A cosa ti riferisci?”

“Ho capito. Non ne vuoi parlarne.”

“Ecco, brava.” Tagliò corto la bionda poggiando la testa all'indietro lasciando che le gocce si staccassero dalle radici dei capelli per serpeggiarle sulla pelle della fronte, delle gote, fino a perdersi nella piega del collo.

“Va bene. Come vuoi tu. Io vado a vedere a che punto è la cena. Le ragazze sono state immerse per una vita. Saranno distrutte ed affamate.” Alzandosi uscì dall’acqua si asciugo’ con un panno infilandosi poi una camicia pulita. Un ultimo sguardo alla sorella e si dileguò lasciandola ai suoi pensieri.

Rimasta sola la sorella iniziò a godersi realmente quel momento. Pace. Silenzio rotto solamente dalle gocce di condensa che ricadevano dalla volta della grotta. Il leggero eco dei suoi respiri. Iniziò a sfiorarsi la pelle delle braccia, a solcare con le dita sottili il cuoio capelluto bagnato, a lasciare che quel posto sconosciuto l'aiutasse a sconfiggere le ombre che covava dentro. Non seppe quanto tempo rimase a cuocersi la pelle, ma cedette al torpore e per qualche minuto si abbandonò al sonno. Non sentì la donna arrivarle alle spalle, non la vide immergersi davanti a lei, non si accorse di essere fissata e per questo non alzò nessuna barriera tra loro. Indifesa senza sapere di esserlo, esposta come un cucciolo sognante, Haruka si lasciò guardare fino a quando dall'alto della volta una goccia non le cadde sullo zigomo costringendola a socchiudere gli occhi. E la vide.

“Oddio Michiru...” E quasi urlò spalancandoli ed immergendosi fino al collo come un lampo.

“Scusa, non volevo spaventarti.” Disse l'altra calmissima iniziando a massaggiarsi le spalle.

L'attenzione di Tenou andò a fermarsi sull'incavo del seno ed avvertendo quasi nell'immediatezza un preoccupante bruciore alle guance, s'immerse ancora di più lasciando che il respiro espulso dai polmoni si trasformasse in bolle di liquido scoppiettante.

“Sono contenta che siamo sole. Ci tenevo a chiederti scusa per prima.”

Facendo uscire di poco la bocca Haruka la tranquillizzò facendo altrettanto. “Accetta anche le mie.” E tacque perché in tutta franchezza non sapeva proprio cosa dire e dove guardare.

L'ambiente era piccolo e rischiarato solo da una lanterna e Michiru era straordinariamente sensuale. Le punte bagnate dei capelli adagiati a solleticarle le clavicole, la fronte priva della frangia, gli zaffiri degli occhi incastonati nel viso leggermente abbronzato dal sole della marcia. Il seno; quel meraviglioso e distintivo segno di femminilità parzialmente emerso dall'acqua.

O Dio Santissimo... aiutami... Pensò tornando ad annegarsi la bocca.

“Se fossi in te resterei qui ancora per un po'. Non puoi immaginare che cosa stia succedendo di là.” Rivelò gioiosa descrivendole la ludica trasformazione che quel bagno aveva avuto nelle ragazze.

Usagi che rincorreva Flint con nella bocca una calza rubata, Makoto alle prese con una stravagante zuppa, Minako che cantava e Rei che accennava qualche passo di danza, forse un minuetto. Ami e Giovanna, più grandi e ponderate, che mazzo di carte alla mano avevano preso a sfidarsi sedute a gambe incrociate vicino al fuoco.

Riemergendo di poco la bionda sorrise lasciando però che quel ghigno le morisse sulla bocca vedendola avvicinarsi pericolosamente.

“Haruka...”

“S...si.” Perché le faceva questo effetto? Perché ogni santa volta che prendeva a guardarla in quel modo doveva sentirsi tanto impacciata ed insicura?

Michiru quasi sussurrò. “Non mi piace discutere con te. Ti prego, non facciamolo più. Questo non vuol dire che dovrai darmi ragione a prescindere o io darla a te, ma semplicemente... - si accostò al suo orecchio - vorrei che tra noi ci fosse più dialogo.”

“Michiru... vedi... io.”

“Si?”

“E’ che... non mi è facile parlare con gli altri, soprattutto se non li conosco bene. Non è una questione personale... te lo assicuro.” Avvertì la roccia sommersa alle sue spalle schiacciarsi contro la schiena. Nessuna via di fuga! Nessuna!

“Perché sei tanto nervosa?” Chiese notandone la mascella serrata fino all'inverosimile.

“Michi non...”

“Mi piace.”

“Cosa?” Ingoiò iniziando a provare dolore ai denti e caldo al basso ventre.

“Che mi chiami così. Tu non hai un diminutivo?”

“R... Ruka.” Le confessò quello che usava solo in famiglia. Potere del subconscio e del cuore.

Sorrise nuovamente quella donna incredibile puntando poi l'attenzione alla voce di Makoto che in lontananza le richiamava per la cena.

“Meraviglioso.” E la bionda non seppe capire se quell'aggettivo fosse riferito a lei o al cibo.

Poggiando i palmi delle mani al bordo roccioso Michiru si alzò uscendo dall'acqua in tutta la sua prorompente bellezza tizianesca. La pelle nuda che scintillava al chiarore della lampada.

“Spero che non ti dispiaccia se ogni tanto mi permetterò di chiamarti così. Lo trovo dolcissimo.” Ed asciugandosi dandole le spalle, si rivestì tornando dalle altre.

Dopo qualche secondo passato a guardare fissamente le pareti chiaroscurate della caverna, la bionda si girò verso l'apertura. Cos'era successo? E si sentì scombussolata per tutta la restante porzione della sera dove la melodia di un violino riecheggiò nella grotta.

 

 

Nydeggasse Strasse, centro storico di Berna.

Svizzera settentrionale – 30/5/1915

 

L'uomo uscì dall'abitazione lasciando che il domestico lo salutasse con un cenno del capo richiudendo poi l'anta vetrata del portone d'ingresso della residenza Kaiou. Sistemandosi il colletto dell'uniforme, Daniel Kurzh iniziò a discendere i pochi gradini che l'avrebbero portato su strada, dove una carrozza lo stava aspettando per accompagnarlo alla stazione centrale. Era al contempo inferocito e preoccupato e la conversazione appena conclusasi con Viktor Clauss Kaiou, non aveva fatto altro che gettargli addosso un senso di violenta frustrazione. La sua fidanzata, la donna della sua vita, era sparita, ingoiata da una notte di fine maggio, dove per ripicca ed estrema stupidità gli aveva disubbidito avventurandosi per il paese alla guida di quattro studentesse.

Guardando la facciata in stile barocco da sempre appartenente ad una delle famiglie più in vista di Berna, il medico fece una smorfia infilandosi i guanti bianchi. Sapeva che agli occhi dei genitori della sua promessa sposa stava passando per un debole e questo non faceva che accrescerne la rabbia. Non era stato neanche in grado di farsi obbedire da una ventenne liberale e questo era intollerabile. Una volta messi a conoscenza della bravata della figlia, i signori Kaiou erano apparsi in un primo momento accondiscendenti e comprensivi, soprattutto nei confronti dell’uomo, ammettendo che la loro ragazza era stata cresciuta in un ambiente tollerante, dal respiro aperto, ma non appena le notizie sulla partenza di Michiru si erano trasformate in sparizione, eclissamento, il panico si era diffuso ed il medico era stato additando come il responsabile di tutto. In pratica Michiru e le sue allieve, seguite dalla signorina Mizuno, erano scomparse, fagocitate dalla strada ferrata in una zona non bene identificata che si estendeva dai sobborghi di Merano, alla città di Zurigo. Due nazioni. Una guerra mondiale di mezzo.

Con solerzia di segugio, Kurzh aveva ricostruito il tragitto intrapreso dalle cinque donne, ripercorrendolo a ritroso, convinto così di poterle intercettare lungo la strada. Di stazione in stazione, grazie all'ausilio del telegrafo, aveva chiamato ogni Capo Stazione dislocato da Zurigo a Malles non arrivando però a nulla. Nessuno sembrava averle viste tranne il gestore di quest'ultima, che informando l'uomo del furto subito dalle ragazze e dal successivo cambiamento di programma, lo aveva indirizzato verso Lugano. Ma l'entrata in guerra del Regno d'Italia avevano costretto Daniel Kurzh ad un rapido cambio di strategia e non sapendo più a quale santo votarsi aveva scelto di rimettersi in viaggio, questa volta per la città natale della sua fidanzata, Berna, ponendo così a conoscenza i coniugi Kaiou dell'alzata di testa della loro dolce erede.

Aprendo deciso lo sportellino colorato della carrozza intimò al vetturino di recarsi alla stazione con una certa solerzia. Bellinzona! Questa sarebbe stata la sua prossima meta, ovvero l'ultima stazione utile in terra elvetica prima della frontiera per l'Italia. Il signor Kaiou era stato più che deciso; se non fosse riuscito a trovare Michiru il prima possibile lo avrebbe ritenuto personalmente responsabile.

 

 

Pizzo Campo, Tencia.

Svizzera centrale – 2/6/1915

 

La giornata è iniziata bene, ma continua a piovigginare.

L'aria si è fatta fredda e i sentieri difficili

da percorrere. Ma per tenerci al sicuro non possiamo

camminare su strade troppo battute. Stiamo continuando a salire.

Non mi sento tranquilla, ma devo mantenere la calma.

Lei è sempre accanto a me.

M.K.

 

I gradi di salita stavano diventando sempre più sfiancanti ed era ormai utopico non fermarsi almeno ogni ora a riprendere fiato. La stessa Haruka stava trovando più difficoltà dell'immaginato, avvertendo bruciore ai quadricipiti delle cosce che non faceva altro che stizzirla.

Poggiando bene le suole chiodate sporse il busto in avanti afferrando la mano di Minako per aiutarla a salire il dislivello roccioso.

“Mi raccomando ragazze, cercate di non scivolare. Non c'è fretta. Prendetevi tutto il tempo che vi occorre per sentirvi sicure.” Premurosa.

Da qualche giorno la bionda sembrava diversa, più socievole, cordiale, quasi materna, contrasto stridente se paragonato ai taglienti silenzi, alle negazioni, ai bronci continui che l'avevano contraddistinta sin dalle prime presentazioni. E questo cambiamento non era sfuggito a nessuno, soprattutto a Giovanna, perché anche lei stava godendo di quello spaccato di sole pieno. Non che Haruka fosse tornata la sorella di una volta, accettava ancora mal volentieri la sua presenza, ma non scattava più quando avvertiva un suo tocco, usando sempre meno gli animaleschi grugniti di risposta alle domande che le porgeva. E conoscendo la ragazza fin da quel primo vagito che vent'anni prima l'aveva annunciata al mondo, la maggiore aveva perfettamente intuito a quale creatura appartenesse il merito di tale benedetta trasformazione.

“Dai Rei! Dammi la mano.” E forte la stretta dei rispettivi avambracci mentre la più grande l'aiutava a superare lo stacco biancastro.

Anche la parigina sembrava aver acquistato nei suoi riguardi più indulgenza. I discorsi che spesso faceva con Mina prima di addormentarsi la stavano convincendo della buona fede di quella ragazzona svizzera, del suo essere comunque un animo dolce e franco, nonostante non facesse nulla per palesarlo al mondo.

“Mako...” Un sorriso d'intesa e la ragazza tedesca riuscì a farcela da sola grazie ad una poderosa spinta con i polpacci.

Tenou, prima avara di qualsivoglia manifestazione d'assenso, aveva iniziato a lodarla, sinceramente colpita dalla sua capacità d'apprendimento.

“Mina puntella lo scarpone destro. Hai una piccola sporgenza proprio li.” Le chiamava ora con diminutivi familiari, come se fosse entrata a far parte del loro gruppo.

“Usa...” Due mani protese verso il suo collo e la bionda dovette cedere issandola di peso.

E poi lei; l'incredibile che stava rendendo credibile la sua squallida esistenza. Quella donna che stava facendola vacillare in ogni sua convinzione di solitario nichilismo. Non voleva pensarci Haruka, non doveva per non impazzire nel sapere di poter essere la causa dell'annientamento sociale di un altro essere umano. Ma come fare a resistere a quella marea di spuma se ogni qual volta ne scrutava le iridi sentiva la felicità, incontrollata e pura, bruciarle nel cuore? Si stava innamorando. Violentemente e senza possibilità d'appello.

“Michiru.” Ed il loro reciproco braccio che si allunga nell'aria, le dita che si sfiorano, si toccano ed infine, si intrecciano saldamente.

Giovanna sorrise tra se cercando di non dare a vedere quanto contenta fosse. Rimasta l'ultima della cordata si guardò intorno voltando il busto aspettando che l'insegnante passasse indenne il dislivello. Sotto di lei la foresta, sopra ed ai lati le rocce ed il sentiero che portava alla vetta della prima cima delle tante che le avrebbero spinte sul San Gottardo. Poi un bagliore tra le cime dei pini come un oggetto metallico colpito da un raggio solare.

Strano. Pensò aggrottando la fronte mentre la canna di un fucile puntava nella sua direzione.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Sono una carogna quando faccio così! Lo so! Ne sono pienamente consapevole. Non è colpa mia. Non era previsto. Però dovete ammettere che sono anche abbastanza veloce nello scrivere e che non vi tengo tanto sulle spine.

Come dovete riconoscere che in questo capitolo ho elargito romanticismo a pioggia tra la pioggia atmosferica. Questo per farmi perdonare del capitolo precedente; un tantino “lento”, a parte lo scatto di nervi della nostra bionda, s'intende.

Allora, mi sembra che Michiru abbia le idee abbastanza schiere. E' sempre stata una donna risoluta e sa quello che vuole. Ricordo che nel primo racconto è stata lei a “rimorchiare” la bionda e non viceversa.

Un appunto su Rei. E' molto scettica nei riguardi di Haruka, ma credo che sia perché sotto sotto l'ammira.

Ciau.

A prestissimo (o rischio il linciaggio).

 

 

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Capitolo 8
*** Il giogo che lega un cuore ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il giogo che lega un cuore

 

 

 

Quartier Generale - Secondo distaccamento, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 2/6/1915

 

Stefano scattò la testa verso sinistra convinto di aver sentito un colpo di fucile. Guardandosi attorno e notando la calma dei suoi commilitoni, puntò allora gli occhi al cielo afferrando lampi che ad intermittenza ne stavano illuminando le nubi. Un tuono. Era stato solamente un tuono. Tornando a camminare verso gli uffici dove lo stava aspettando il suo Tenente sentì nascere un'incontrollata agitazione. Non amava parlare con il suo superiore, perché anche se d'indole bonaria, la figura di Henry Smaiters era comunque in grado di incutergli una certa soggezione soprattutto ora che cercando di difendere Giovanna per il furto del materiale tecnico, se l'era messo contro. Da quando l'amica era partita, scappata anche per non venire arrestata, Stefano non aveva avuto più pace, sbattuto a destra e a manca come un reietto, costretto a veglie infinite e logoranti di fronte all'armeria, soprattutto la notte, a viaggi interminabili per il trasporto delle munizioni ed interrogatori fiume da parte del tribunale militare di zona.

Ma sinceramente poco gli importava, perché era felice di aver aiutato le sorelle Tenou in quello che però continuava a sembrargli un’impresa folle. Lo sapevo che ti saresti cacciata nei casini Giò, ma tu niente. Entrò nel complesso maggiore proprio quando le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere sulla terra riarsa da una strana quanto inusuale siccità, per salire poi i gradini della scala a due a due, ritrovandosi sul pianerottolo del primo piano adibito ad uffici e dopo qualche secondo, davanti alla porta dell'ufficio del suo Tenente. Bussando attese ed entrò non appena ricevette l'ordine.

Stefano si accorse subito che nella stanza non c'era solamente Smaiters tranquillamente seduto dietro alla sua scrivania di frassino rosso, ma anche un'altro uomo, dall'uniforme bianca e rossa; un Dragone. Un medico. Un Sottotenente della cavalleria leggera.

Mettendosi sull'attenti li salutò entrambi prima di ricevere il riposo.

“Astorri, questo è il Sottotenente Daniel Kurzh del Real Esercito Austroungarico. E' venuto qui a Bellinzona per importanti impegni famigliari e ha chiesto il nostro supporto. Ha urgenza di parlarvi, perciò ascoltatelo con molta attenzione.” Con uno sguardo lasciò che l'ospite continuasse con maggior precisione.

“Soldato, ho motivo di credere che possiate avere delle notizie sulla mia fidanzata. Purtroppo sia io che la sua famiglia a Berna, non abbiamo più contatti da giorni e ho ragione di credere che voi possiate aiutarmi a ritrovarla.”

L'altro socchiuse gli occhi non riuscendo a focalizzare la situazione. “Signore, non capisco come un fante come me possa aiutare uno come voi, per di più in faccende tanto delicate come la vostra promessa sposa.”

“Astorri!” Smaiters mollò una manata sulla scrivania richiamandolo alla disciplina. Daniel sorrise quasi con scherno. L'esercito elvetico mancava della disciplina propria di un paese mai stato neutrale come la sua Austria. Vigliacchi montanari.

“Sarò più preciso. Quando questa mattina sono venuto dal Tenente Smaiters per chiedergli soccorso, informazioni che potessero aiutarmi nella ricerca, mi sono imbattuto casualmente in una conversazione molto interessante. - Guardò l'altro ufficiale montare notevole imbarazzo. - Pare che una vostra staffetta, una donna dal nome Giovanna Tenou, pochi giorni fa abbia trafugato del materiale dai vostri magazzini. Materiale completo per sei persone.” E lasciò che fosse l'uomo piu' anziano a proseguire.

“Astorri, Tenou mi ha lasciato uno scritto dove spiegava il perché di tale gesto. Non ho mai creduto possibile che una ragazza come lei potesse essere una ladra, ma la fame in città è tanta e finché non ho letto quelle righe non ho remore nel dirvi che ero intenzionato a sbatterla davanti alla Corte Marziale anche se non fa più parte della Milizia cittadina. Comunque, il materiale sottratto potrebbe essere servito per aiutare sei ragazze provenienti da Merano a valicare parte delle Alpi Lepontine.”

O merda pensò Stefano iniziando a capire.

“Una di queste ragazze è senz'altro la mia futura sposa. Michiru Kaiou.” Sentenziò Kurzh.

Il soldato cercò di mantenere la calma chiedendo cosa c'entrasse lui in tutta quella faccenda.

“Non prendetemi per i fondelli Astorri! Siete legato a Tenou, come sappiamo entrambi che quella ragazza non può avere agito senza l'aiuto di uno o più complici. Voi la notte del furto eravate di ronda... Non ho le prove del vostro coinvolgimento, ma se non volete che apra un'inchiesta fatemi la cortesia di collaborare!”

"Signore, quello che avevo da dire l'ho già esposto nella mia relazione. Quella notte non ho visto nessuno entrare in magazzino."

Alzandosi lentamente Smaiters andò accanto a Kurzh porgendogli la mano. “Sottotenente vi assicuro che il soldato Astorri guiderà voi ed una piccola spedizione attraverso i valichi. Riuscirete a raggiungere la vostra fidanzata in men che non si dica.”

A sentire quell'affermazione Stefano sgranò gli occhi. Non gli interessavano i problemi personali del Sottotenente, della signorina Kaiou o i motivi che avevano spinto lei e le altre ragazze a scegliere una strada tanto pericolosa per arrivare al nord, ma era chiaro che se fossero giunti a quella donna si sarebbe trovata anche Giovanna e per lei le porte del carcere non avrebbero potuto che spalancarsi.

 

 

Pizzo Campo, Tencia.

Svizzera centrale – 2/6/1915

 

Un suono sibilante le frusciò a qualche centimetro dal fianco mentre piccole schegge di roccia saltavano alla sua sinistra. Nell'aria un suono sordo riecheggiò sotto di loro. La donna bloccò il respiro contraendo le spalle ed abbassando d'impulso la testa.

Ma che...

“Giovanna!” Haruka si sporse guardandola allarmata.

“Ma era uno sparo quello?!” Chiese l'altra mentre la sorella le porgeva il braccio per aiutarla a salire ed afferrandolo si lasciava issare quasi di peso prima che un secondo colpo lasciasse schizzare e radici delle piante sotto alle suole appena staccatesi da terra.

“Boia! Ci sparano contro!” Incredula la bionda la spostò con uno spintone verso le altre.

“Via di qui ragazze!” Urlò incitandole ad arrampicarsi il più velocemente possibile.

Leggermente poco reattive obbedirono e come piccole formiche si diressero tutte verso un gruppo di alte rocce giallo biancastre, percorrendo lo stretto sentiero dal terreno instabile che si inerpicava per qualche metro proprio davanti a loro. Frapponendo il proprio corpo, Michiru lasciò loro la strada mentre un terzo colpo, questa volta assolutamente infruttuoso, si perdeva nell’aria tersa. Poi tutto sembrò tornare ai suoni naturali. Graffiandosi, incespicando, scivolando, le più giovani riuscirono a raggiungere il costone mettendosi al riparo.

“Rimanete qui, intesi? Ami pensaci tu.” Risoluta Kaiou ripercorse parte della strada guadagnata raggiungendo le due sorelle acquattatesi dietro a dei cespugli.

“Michi che ci fai qui?! Vai dalle altre!” Ordinò Haruka mentre passava il cannocchiale alla maggiore così che potesse mettere a fuoco la porzione arborea che si stagliava a circa cento metri sotto di loro.

“Cosa sta succedendo?”

“Qui non è sicuro. Vai via!” Come se non avesse parlato. Quando ci si metteva quella donna sapeva essere davvero indisponente.

“Sbaglio o quelli erano colpi d'arma da fuoco?!” Continuò l'insegnante cercando di sporgersi per capire.

“Michi...” Soffiò Haruka afferrandola per la giacca e strattonandola verso il basso.

“Fatela finita voi due! Guardate... - Disse Giovanna passando loro le lenti.- Da qui non abbiamo molta visuale, ma credo ci siano due individui dietro quel filare. Li vedi Haruka?” Chiese attendendo conferma.

Ed in effetti non soltanto c'erano, ma erano anche soggetti ben noti. Gli stessi avanzi di fogna incontrati al “taglio dell'erba” qualche giorno prima e che come aveva premonizzato la bionda, le avevano seguite.

Una volta passatole lo strumento anche l'insegnante riuscì a scorgerli tra il fitto della foresta. Si spostavano a scatti, velocemente, nascondendosi dietro i tronchi ed avanzando come se fossero nel pieno di una battuta di caccia. Bracconieri. Nulla di meno. Gente senza scrupoli e senza il pudore dell'umana decenza.

“Cosa intenderanno fare?” Chiese Michiru avvertendo la mano della bionda sulla schiena che l'invitava abbastanza decisamente a muoversi.

Giovanna fu talmente piatta nel rispondere da pentirsene un secondo dopo. “Nella migliore delle ipotesi darci la caccia intentando una battuta venatoria allo scopo di spaventarci. Nella peggiore... Ricordi vero i discorsi fatti prima di partire?!”

Riuscendo finalmente a raddrizzare la postura cercò di sorriderle per stemperare il tono, ma non vi riuscì. Aveva rischiato di essere colpita. Con molta probabilità quel colpo era stato indirizzato alla sua schiena e non l'aveva centrata solo perché da un paio d'ore si era alzato un forte vento.

“Fatemi capire bene, vorrebbero ucciderci?” Michiru si voltò verso Le due bloccandone il passo con il petto.

“Non prima di essersi divertiti un po'. - Rispose dolente Haruka. - Sai qual'è la tecnica che spesso adotta questa gente quando vuol cacciare daini o stambecchi? Prima s'impegnano ad abbattere gli adulti per poi catturare i capi più giovani e redditizi. E' per questo che si chiamano bracconieri. Ma credo che a noi potrebbe andare anche peggio Michi.”

Raggiungendo le altre cinque rimaste obbligatoriamente in sicurezza, continuò facendole raggelare il sangue. “Non voglio spaventarvi, ma dovete essere pronte. Ve l'avevo detto che su queste alture gira gente senza scrupoli. E' una categoria di gretti omuncoli che si fanno forti del ferro che portano sulla schiena e alle cinture. Cerchiamo di non farci prendere dal panico, ma dobbiamo essere pronte a tutto.” Concluse togliendosi il fucile dalle spalle per aprirlo e controllarne la canna.

Inorridita a Michiru sembrò di stare vivendo in un incubo e guardando una ad una le sue ragazze, cercò comunque di mantenere una certa calma continuando a ripetersi come un mantra che tutto sarebbe andato bene.

“Siamo in maggioranza numerica. Non oseranno...” Intervenne Makoto ringhiando come un cucciolo che si era appena visto strappar via un osso.

“Tanto meglio! Caccia più stimolante. Diamoci una mossa ed allontaniamoci da qui. Dobbiamo tenerli a distanza.” Chiuse ogni discorso Giovanna portandosi in testa al gruppo.

E tutte iniziarono a seguirla; Michiru, Usagi e via via le altre, fino ad Haruka, che arma carica e pronta all'uso, ne proteggeva le spalle guardinga.

Restarono tutte in silenzio per minuti, come a non voler dare a quei tizzi alcun margine di vantaggio, fino a quando la paura nevrotica di Ami non le fece sciogliere la lingua parlando sommessamente tra se e se.

“Se Daniel ci avesse accompagnate tutto questo non sarebbe successo.” E guardò Haruka che a sua volta contraccambiò il contatto visivo non capendo.

“Tu non puoi saperlo, ma se il dottor Kurzh fosse stato un uomo, un vero uomo, ci avrebbe scortate fino a Zurigo e tutta questa storia non avrebbe mai avuto inizio.” Una smorfia di disgusto perché veramente troppo avvilita dal comportamento al limite del menefreghismo manifestato da colui che l'infermiera aveva sempre portato in un palmo di mano.

“Dottor Kurzh?” Chiese la bionda infilandosi la cinghia del fucile al petto per saltare più agilmente un leggero dislivello.

“Si... Daniel Kurzh. Il promesso sposo di Michiru.” E non accorgendosi assolutamente del colpo inflitto alla ragazza più grande, si affrettò nel raggiungere le compagne che le stavano attendendo poco lontano.

 

 

Ponte di San Giusto, fiume Ticino.

Svizzera centrale – 4/6/1915

 

Ho freddo e sono stanca e come me tutte le altre.

Camminiamo a passo serrato da due giorni ed e' pesante pensare

che a breve dovremmo tornare a salire... Spero di farcela.

Devo farcela.

Lei è strana. Forse preoccupata. Sicuramente esausta.

Per vegliarci non dorme molto.

Ma non mi parla. Non mi guarda.

Credo di averle fatto qualcosa.

M.K.

 

Il ponte di San Giusto decretava la fine della valle e l'inizio della risalita. Abbandonate le vette conosciute dalle sorelle Tenou, erano ora in procinto di iniziare la vera, grande scalata, che dalla dolce pendenza di una valle ritrovata, le avrebbe portate al vero banco di prova; il valico del San Gottardo..

Non avevano più avuto contatti con i due bracconieri, ma Haruka sapeva che erano li, dietro di loro, a qualche centinaio di metri, forse al massimo un paio di chilometri, ed attendevano godendo del momento che le avrebbero riprese. Era persino convinta che lo stessero facendo apposta a non raggiungerle, perpetrando una delle tattiche di sfiancamento psicologico più antiche della caccia. Per questo la bionda aveva preteso da tutte la massima concentrazione nella discesa, velocità di pensiero e obbedienza incondizionata, sapendo che al minimo cenno di cedimento, di frustrazione o abbassamento della carica nervosa anche di una sola di loro, si sarebbe innescata la rottura e sarebbero cadute vittime della follia maschilista di quei due bastardi. Ma oltre al pretendere, Haruka aveva anche donato, dando tutto, ogni stilla di sudore, di energia, non facendosi scrupoli nel succhiare da ogni fibra, forza sufficiente per andare avanti e vegliare.

In tutto questo Giovanna l'aveva seguita, imitandola, non capendo però perché nella sorella fosse tornato fortissimo l'impulso della fuga. Tutte avevano notato come quel carattere schivo e taciturno si fosse esposto al cuore di ognuna di loro, in piccole dosi, certo, ma con una costanza che non aveva potuto che far sperare la maggiore per il meglio. Invece da un paio di giorni, da quando cioè avevano capito di essere seguite, l'orso delle Alpi era tornato, forse più rabbuiato e schivo di prima. Un'involuzione talmente veloce che era stata additata come la più logica conseguenza della pessima piega che quel viaggio stava prendendo, ma che in realtà aveva radici più profonde e assai più intimiste.

E questo la ragazza piu' grande lo capì quel giorno d'inizio giugno, quando passando il ponte di legno sul Ticino, vide in Haruka uno scatto di nervi all'indirizzo di Michiru, prima di allora neanche lontanamente immaginabile. L'insegnante non era certo donna stupida, tutt'altro e aveva intuito dai piccoli segnali del corpo della bionda che la causa di quel ritrovato disagio sociale fosse dipeso da lei e per esserne sicura, aveva iniziato a starle letteralmente addosso, incollata, fisicamente, pretendendo dialoghi che andassero oltre ad estemporanei ordini di marcia.

Seduta su di un tronco d'albero caduto con Minako al fianco, Giò aveva visto una Michiru sorridente andare vicino alla sorella voltata di spalle mentre inginocchiata era intenta a controllare il contenuto del suo zaino, poggiarle affettuosamente una mano sulla spalla, avvicinarle lentamente le labbra ad un orecchio per sussurrarle poi un qualcosa. L’opposizione di Haruka aveva colto tutte e tre totalmente alla sprovvista. La reazione era stata inversamente proporzionale a quel semplice gesto di amichevole assonanza. Come se fosse stata bruciata dal calore di un tizzone infuocato, la guida si era ritirata scattando all'indietro alzarsi di colpo serrando i pugni e fulminando con uno sguardo incollerito l'insegnante.

Non aveva profetato parola Haruka, non aveva inveito, non aveva spiegato quell'incomprensibile gesto, si era semplicemente limitata a fissarla in cagnesco per poi voltarsi e sparire dietro i primi alberi che richiudevano l'orizzonte della risalita.

“Ma secondo te hanno discusso?” Aveva chiesto Minako ad una Giovanna completamente presa in contropiede. Discusso? E quando se da dopo la rinascita fisica e morale della sorgente, quelle due non avevano più avuto modo di starsene da sole?

Nel vedere Michiru stirare un sorriso rassegnato, la ragazza più grande aveva allora deciso che il comportamento asociale della sorella sarebbe finito li. Alzandosi per andare accanto a quella che ormai considerava una buona amica, le aveva donato una smorfia di comprensione posandole una mano sulla schiena e strizzandole un occhio si era diretta a passo deciso verso il punto dov'era sparita la bionda.

"Giovanna... lascia stare." Ma Kaiou non aveva avuto nessuna risposta.

Rimasta a guardare Giovanna salire verso il sentiero aveva iniziato a riflettere. Eppure l'era sembrato che la bionda provasse per lei un certo interesse. Lo aveva notato già dai primi giorni di conoscenza, anche se capire i comportamenti criptici di quella donna non era cosa facile. Ma la giovane Kaiou n'era sicura, aveva già visto quel febbrile desiderio di contatto crescere negli sguardi dei suoi passati spasimanti, come nello stesso Daniel e Haruka sembrava non fare eccezione, anche se donna e come tale in possesso di una dolcezza ed un tatto difficile da trovarsi negli uomini. In un primo momento la cosa l'aveva spaventata e parecchio, perché si era ritrovata a provare piacere nel sentirsi desiderata dal suo stesso sesso, da un essere ai suoi occhi tanto splendente, ma al contempo cupo, vibrante, ma silente, scattante, ma immoto come quell'orso alpino era. Sentiva Michiru di volerla conoscere, sia sentimentalmente, che fisicamente e sapeva che avrebbe fatto di tutto e sarebbe andata contro ogni condizionamento sociale pur di entrare a far parte della vita di quella ragazza. Avrebbe combattuto contro chiunque, uscendo sconfitta solamente per volere di una persona, solamente se fosse stata la stessa Haruka ad impedirle di far parte della sua esistenza.

 

 

Seguendone i passi, Giovanna trovò Haruka poggiata ad un albero mentre a braccia conserte stava guardando verso la cima perennemente innevata del San Gottardo. Flint al suo fianco, riemerso dalla foresta perché di rado viaggiava assieme a loro, preferendo l'isolamento animale del suo ambiente che un gruppo di rumorose ragazze. Un'immagine di profonda solitudine che alla maggiore diede fastidio.

Nel riconoscerne la camminata la bionda si voltò chiedendole quasi con non curanza se le altre fossero pronte per riprendere la marcia.

“Si. Si sono riposate abbastanza. Usagi ha anche pescato qualcosa. Avremo pesce fresco per cena.” Iniziò con tono pacato sapendo che sarebbe durato poco.

“Bene, allora digli di darsi una mossa. Voglio arrivare in alta quota prima di questa sera.”

“Non ti sembra di esagerare nel chiedere loro tanto impegno? In fin dei conti non sono allenate e...”

Haruka scattò subito. “Boia di un mondo, Giovanna! Ti devo ricordare che ci sono due delinquenti che ci stanno alle calcagna!”

Respirando sonoramente la più grande negò.

“E allora falla finita di trattarle come delle porcellane! Dai, muoviti anche tu e valle a chiamare.”

Quella sorta di ringhio sembrò provocare nell'altra ilarità invece che stizza. “Da quando sei il capo cordata Haruka?” Una domanda neanche troppo velata sull'ormai ingestibile ruolo di femmina alfa che la minore si era arrogata il diritto di avere sin dalla loro partenza.

“Non sono forse qui per questo? Per guidarle fino a Berna? E poi qualcuno dovrà pur far capire a quelle ragazzine cosa voglia dire la parola disciplina.”

“E saresti tu a doverglielo insegnare? Con quali mezzi? La parola scritta? Il dialogo?” Disse ricordandole poi come quelle sei donne si stessero impegnando al massimo.

“Vuoi farlo tu?! Accomodati! E poi ricordati Giovanna che siete state VOI a volermi trascinare ad ogni costo in questa storia! " Concluse staccandosi dal tronco per riprendere la salita quando l'altra colpì giù duro domandandole il perché avesse preso a trattare Kaiou con tanto astio.

“Pensa per te! Quello che succede tra noi non ti riguarda!”

“Allora lo ammetti! Ammetti che la stai trattando da cani.”

“Giovanna ti avverto... Dacci un taglio!”

Liberando le spalle dalle cinghie del suo zaino, la maggiore sorrise togliendosi i guanti.

Haruka alzò le sopracciglia scuotendo la testa. “Che stai facendo? Non vorrai batterti?”

“Vuoi parlare con me?”

“No!”

“E allora sarò costretta a farmi ascoltare con altri mezzi... Ruka...” Non dovette attendere che qualche secondo.

“Te l'ho già detto un'infinità di volte.... non chiamarmi più in quel modo!”

“Impediscimelo... sorellina.”

I pugni della bionda si serrarono così come la mascella ed in men che non si dita Giovanna si sentì stringere il colletto della giacca. La schiena sbattuta contro il primo tronco utile, i talloni leggermente alzati da terra.

“Non provocarmi...” Un alito caldo carico di collera. La miccia era stata innescata.

“Passi per me, ma Michiru non deve subire i tuoi bizzosi cambi d'umore Haruka. Non se lo merita! Non e' giusto!”

“Impicciati degli affari tuoi! E non permetterti di venirmi a dire quello che posso o non posso fare!” Serrò le dita con maggior forza.

“Questi sono anche affari miei Haruka e non solo perché lei è mia amica, ma anche e soprattutto perché tu sei mia sorella e... ti stai innamorando!”

La minore fermò per un istante il respiro lasciando la presa e Giovanna ne approfittò. “Non credere che non me ne sia accorta e lascia che ti dica che la cosa mi fa un gran piacere...”

“Smettila...”

“Sei diventata improvvisamente gentile e premurosa con tutte, me inclusa.”

“Ho detto di smetterla!”

“Ti stai innamorando, ma credo non ti sia ancora chiaro come la cosa sia reciproca...”

“No!” Giovanna avvertì nuovamente il legno del tronco premuto contro la spina dorsale, ma questa volta la violenza fu tale da farla gemere di dolore.

“Ma non vedi come ti guarda?”

“Basta! Non osare! Lei non è come me! Hai capito? Lei non è come me!” Urlò disperata serrando le dita di entrambe le mani alle spalle dell’altra.

“Perché tu cosa sei Haruka? Dimmelo!”

“Diversa! E' questo che sono, una diversa e lei è fidanzata!”

“Dunque?!” Gridò a sua volta.

“Come dunque?! Mi hai sentita Giovanna?! Ti ho detto che è fidanzata. E si sposerà presto.”

“E allora battiti dannazione! Battiti per quello che sei. Battiti per un posto nel mondo che non sia ai suoi margini. Battiti per lei, contro tutto e contro tutti!”

Haruka la guardò sconvolta lasciandola per fare un passo in dietro. “Stai vaneggiando Giovanna.”

“A si?! E perché? Da quando hai scoperto la tua omosessualità non hai fatto altro che nasconderti e scappare. Nostra madre ripeteva spesso che qualunque cosa fosse mai accaduta avresti dovuto faticare più delle altre donne per avere un po' d'affetto, ma che prima o poi qualcuno di speciale sarebbe arrivato per donartelo e ora che questo qualcuno è giunto, tu che fai? Riprendi la fuga? Sei un vigliacca!”

“Ti è tanto difficile capire che anche se tutto quello che hai detto su di lei fosse vero, io non potrei mai condannarla a vivere una vita come la mia?!”

“Perfetto! Arrogati il diritto di scegliere anche per gli altri. Così come hai fatto con me! Giusto?” E questa volta fu la maggiore ad avanzare minacciosamente verso il corpo dell'altra.

“Non...” articolo' la bionda, ma ormai Giovanna sentiva di aver rotto gli argini di una frustrazione sentimentale accumulata in più di un anno di separazione dalla minore.

“Allontanati dalle persone che ti amano così che possano dimenticare di avere donato il loro cuore ad un mostro. Vero Ruka? Lasciati odiare con atteggiamenti al limite dell'assurdo, così che la restante società perbenista non finisca per ghettizzare anche loro. - Le mollò una spinta rabbiosa continuando. - Freghatene anche se così facendo finirai per causare loro più dolore di una cittadina ignorante!” Un'altra spinta e la bionda si mise sulla difensiva intimandole di fermarsi o lo avrebbe fatto lei con la forza. Ma niente.

“Nostra madre in punto di morte mi scongiuro' di proteggerti, di difenderti da nostro padre, dal resto del quartiere, ma soprattutto da te stessa, dalle tue paure e tu di contro non mi hai lasciato spazio e ti sei chiusa a riccio. Passi con gli altri, ma con me Haruka... Con me no! Non avresti dovuto.”

“Giovanna smettila...” Quasi scongiurò alzando maggiormente i pugni.

“Credi forse che non possa capire come ti sei sentita ad avere tutti contro? A dovere affrontare giornalmente occhi carichi di giudizi imbecilli? Ebbene sorellina, lascia che ti dica che tutta la fatica che hai fatto per tenermi lontana da te non è valsa a nulla! Scappando non mi hai protetta, anzi, mi hai ferita ancor di più di tutta la gente che nel sapere di chi fossi la sorella maggiore, mi ha negato un posto di lavoro, mi ha tolto il saluto o semplicemente è sparita dalla nostra casa. Ma non me ne sarebbe fregato nulla, te lo assicuro, se tu fossi rimasta con me.” E nel dire quest'ultima frase lasciò che le dita della destra andassero a sfiorarle il dorso del pugno in un ultimo, disperato contatto.

Haruka lo ritrasse spostando lo sguardo altrove. Non avrebbe mai creduto che nonostante il suo allontanamento dalla casa paterna, Giovanna avesse sofferto per la sua omosessualità. “Scusa.”

“Mi chiedi scusa, ma continui a scappare da me. Non hai capito niente Ruka?!”

“Non chiamarmi...” Ma non riuscì a terminare la frase. Avvertendo fulmineo un forte bruciore al labbro inferiore, si rese conto di essere stata colpita e barcollando leggermente all'indietro si portò per istinto il dorso della destra alla bocca. Il gusto ferrigno del sangue le formicolò sulla lingua invadendole il cavo orale.

“Non chiamarmi Ruka? Io ti chiamo come mi pare! E' chiaro?! Come sia ben chiaro che non ti permetterò di allontanare da te anche Michiru!”

A quell'affermazione la bionda reagì spingendola a sua volta alzando il pugno destro pronta per affondarlo, ma all'ultimo momento ne bloccò la forza lasciandolo a mezz'aria. Anni addietro, in uno scontro, l'unico per la verità, essendo più alta e forte, l'aveva ferita ad un polso in maniera piuttosto seria ritrovandosi a giurare alla madre che non avrebbe mai più alzato le mani su Giovanna.

“Guarda... - Disse la maggiore mostrando ad Haruka le nocche macchiate. - Il sangue che ti scorre nelle vene è rosso ed il cuore che hai nel petto batte proprio come il mio Ruka. Le tue inclinazioni sessuali non ti rendono diversa da me! Ne da nessun altro. Io non posso costringerti a tornare sulle tue decisioni in merito a quello che provi per me, però ti chiedo di fare un enorme sforzo di fiducia nei confronti di Michiru. Lascia che si avvicini. Lascia che ti ami. Spezza il giogo che lega il tuo cuore.” Chiese intimamente dispiaciuta per averle fatto male.

“Non posso...” Rispose esitante l'altra tornando a guardarla negli occhi. Quanto dolore era racchiuso in quelle paglie smeraldine.

“Ed allora ti troverai a soffrire e a far soffrire ancora Haruka.” Sinceramente stanca Giovanna si voltò afferrando lo zaino e fu allora che vide Michiru ferma accanto ad un albero. Un palmo sulla corteccia resinosa, l'altro abbandonato lungo il fianco, lo sguardo fisso su entrambe. Molto probabilmente aveva visto tutta la scena, ascoltando e capendo cosi' molte cose su entrambe. Sospirando le passò accanto per scendere a chiamare le altre e nel farlo non poté impedirsi di pensare a quanto quella benedetta donna avrebbe potuto giovare alla sorella se soltanto Haruka fosse riuscita a tornare a vivere.

La bionda guardò Flint rimasto in disparte invidiandone l'incoscienza animale mentre Michiru le andava incontro estraendo dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto. Fermandosi a pochi centimetri iniziò a tamponarle il leggero rivolo di sangue che non accennava a fermarsi.

“Non è nulla.” Un tono di voce profondissimo.

“Quante ferite ha il tuo cuore mia Ruka.” Disse continuando a medicarle le labbra.

“Michiru...”

“Lascia che le sani. Per favore.” E posandole la fronte sulla clavicola attese un qualsiasi movimento. Avrebbe voluto baciarle quelle labbra magnifiche che a volte sapevano fare tanto male, ma per paura d'innescare l’ennesima fuga non ne ebbe il coraggio.

“Tu sei... promessa... ad un uomo...”

E sospirando Michiru pensò a Daniel, al loro primo incontro, all'anello che portava appeso al collo ormai da settimane e a quanto si vedesse completamente avulsa dal futuro che aveva immaginato per loro.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Si, lo so, lo so; non ce la vedete Haruka subire tanto gli attacchi della vita, come so che nell'immaginario collettivo Giovanna avrebbe fatto una fine ben diversa. Lo so, avete ragione, ma ricordatevi il periodo storico. Io stessa avvolte mi fermo a pensare come sarei stata se fossi nata altrove. Credo che la bionda abbia subito una serie di tagli emotivi abbastanza importanti che l'hanno spinta a pensare - non mi accettate giudicandomi? Ed io me ne sto da sola. In tal senso Michiru è stata più fortunata nascendo in un grande centro da una famiglia liberale. Comunque non disperiamo, abbiamo sempre l'asso nella manica dal nome Kaiou. Sono convinta che prima o poi farà scattare la molla. Certo che beccarsi un pugno in bocca senza reagire... Va be, dai, concentriamoci sul male del mondo che poi porta il nome di Kurzh e... Daje all'untore.

Alla prossima.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Il precipitare degli eventi ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il precipitare degli eventi

 

 

 

Comprensorio abitativo di Monte Carasso, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 28/5/2017

 

Le due del mattino ed ancora non aveva trovato niente. Iniziava a disperare. In tutta franchezza era convinta che la ricerca sulla sorte che aveva accompagnato quelle due ragazze dai nomi incisi sulla stele dell'altopiano sarebbe stata molto più facile. Forte di accessi che ai più non era facoltà di possedere, Michiru era partita letteralmente in quarta la tarda sera precedente, entrando speranzosa negli archivi del castello di Montebello, spinta da una curiosità atavica prettamente femminile, ma dolcissima, per ritrovarsi ora a vagabondare per siti sconosciuti completamente spaesata.

Incollata al monitor con gli occhi semichiusi, il mento appoggiato al palmo sinistro, la mano destra dimenticata mollemente sul mouse, affranta, seduta sullo sgabello della penisola con la sua camicia da notte premuta addosso, sbuffò raddrizzando la schiena intorpidita.

Dovrei arrendermi ed andare a letto si disse stiracchiandosi per poi aprire l'ennesimo link di riferimento avvertendo un leggero crampo allo stomaco. Guardando il barattolo dal vetro trasparente con la faccia sorridente di un minion stampata sopra, si alzò per attingere alle scorte ipercaloriche che la sua dolce metà era solita lasciare in giro per casa. Afferrando un biscotto burroso si appoggiò spalle al pianale di granito affondando il primo morso. Due secondi e smettendo di masticare guardò con aria quasi disgustata quella bomba zuccherina.

Ma come fai anima mia a mangiare questa roba!?

Tornando al computer si risedette lasciando dondolare una gamba. Dov'è che Haruka aveva trovato i loro nomi? “Annuario del quindici del comune di Bellinzona?!” E digitò iniziando una ricerca del tutto nuova.

Muovendo freneticamente la matita gialla dal gommino rosso che aveva preso convinta che le sarebbe servita per appuntarsi chissà quali fantomatiche scoperte, iniziò a scorrere il cursore navigando nella sezione storica del sito comunale. Poi un nome catturò la sua attenzione e guardando la cartina di zona che aveva lasciato aperta sul tavolo, pensò che forse stava seguendo un approccio sbagliato. Continuava a “sbattere” la testa cercando nella loro zona, ma a quanto sapeva, Heles non era di Bellinzona. Poteva essere nata o cresciuta in una frazione vicina, lungo il corso del Ticino per esempio. Non poteva fare affidamento sull'altra ragazza chiamata Milena, perché ne sapeva ancora meno. Allora decise di entrare nella pagina del sito del primo comune con un archivio abbastanza fornito; Bodio e riprese la sua ricerca allontanando il sonno e le calorie del biscotto burroso.

 

 

Passo del San Gottardo.

Svizzera centrale – 5/6/1915

 

Siamo quasi arrivate all'orlo di quota.

Le ragazze stanno reagendo bene al nevischio che da

questa mattina continua a scendere.

Sono molto fiera di loro. Di ognuna.

Sarà che ho l’anima troppo carica di gioia

per vedere la negatività che i nostri inseguitori vogliono donarci.

Non mi interessa. Non voglio pensare ne a loro, ne a Daniel,

ne a quello che troverò a Berna. Nei miei pensieri c'è solo lei.

Nel mio cuore c'è solo lei. Solo lei. Haruka.

M.K.

 

Il sottile strato di ghiaccio scricchiolante sotto i denti di ferro dei suoi ramponi generava un suono ovattato che stava istillando nelle orecchie di Haruka un senso di lieve narcolessia, come se il mantra naturale generato dalla cadenza del suo incedere su per il sentiero che le stava portando allo scavallamento del passo, avesse avuto il potere benedetto di estraniarla da tutto ciò che la stava circondando; fatica, senso di nausea, stanchezza. Solo quello strano senso di felicità misto ad un continuo sfarfallare agitato dello stomaco le suggeriva che era ancora viva, in marcia, sotto una pioggerella gelida di acqua e neve, in fuga da due bracconieri che sapeva essere ancora li, dietro di loro, alla testa di un gruppo ormai ridotto al paradosso di un branco di comparse che si aggiravano tra le vette ancora imbiancate delle Alpi.

Camminava Haruka, camminava, respirava e continuava ad andare avanti, mentre pensieri al limite della follia s'insinuavano ad ogni falcata dritti nella testa, come spine fastidiose, solleticandole la speranza che forse le parole di Giovanna e le richieste di Michiru avessero un fondo di verità. Forse anche lei avrebbe potuto vivere ed essere felice. Si era innamorata, è questo era un fatto, ormai l'aveva accettato non capendo come quel sentimento per lungo tempo repulso, avesse potuto colpirla ed atterrarla con tanta facilità e in un tempo così breve. Ed era bastato così “poco”; il sorriso di un essere brillante, il suo sguardo limpido e l'incuranza di fronte alle sconfinate paure di una bionda ragazzona testarda.

“Tu sei... promessa... ad un uomo...” Le aveva ricordato in un respiro al limite del silenzioso, sperando che bastasse a farla desistere, ma intimamente terrorizzata dall'essere ascoltata.

La voleva la sua Michiru e nel contempo ne era spaventata da morire, perché quella ragazza sembrava non voler rendersi conto di quanto la scelta di amarla avrebbe potuto mozzarle la vita.

Tu sei promessa ad un uomo. Formulò nuovamente nella testa continuando a camminare come un mulo desideroso dell'accoglienza famigliare della sua stalla.

“Io non ho niente. Non sono niente se non uno sbaglio.” Le aveva detto con dura timidezza concedendo alle sue dita di sfiorarle impercettibilmente i capelli.

“Io non vedo sbagli..., vedo solo splendore Ruka.” E come una scudisciata bene indirizzata, la bionda si era sentita pervadere il cuore da un calore talmente avvolgente e grato d'avvertire un senso di vertigine.

“Haruka vai troppo veloce. Aspetta!” Usagi la chiamò bloccandone i pensieri. Voltando il busto la vide arrancare e dietro a lei tutta la cordata.

“Come?”

Qualche secondo e la biondina riuscì a raggiungerla. “La corda è troppo tesa. Hai le gambe più lunghe delle nostre. Solo Mako riesce a starti dietro.” E scoppiando a ridere indicò le compagne che lentamente stavano salendo dietro di loro.

La guida le guardò non vedendo però nulla. Nulla compariva dinnanzi a lei, nulla tranne il ricordo del calore che quella fronte le aveva lasciato sulla clavicola non appena le altre avevano iniziato a far capolino provenendo dal ponte.

“Hai ragione Usagi. Scusa.” Sorridendo le piantò il palmo guantato con energica forza sulla testa schiacciandole il cappello per poi gridare alla sorella di raggiungerla.

“Che c'è?” Chiese arrivando rossa in viso per lo sforzo.

“Giovanna prendi tu la guida. Io non ho... la testa oggi. Rischio di far danno.”

“Non ti senti bene?” Corrugò la fronte mentre l'altra si staccava il gancio di cordata per spostarsi da un lato.

“No, ma non sono concentrata a sufficienza. - E mentre le parole le uscivano dalle labbra accompagnate dalle nuvole di vapore, nel cervello solamente lei. - Fammi il piacere. Resterò per un po’ accanto ad Usagi. Sei d'accordo ragazzina?” Sorrise sentendosi mortificata. Che cosa diavolo le stava succedendo!

“Come vuoi Haruka, ma bada a rimetterti in sesto. Guarda il cielo... a breve il nevischio si intensificherà e dovremmo trovare un riparo.” Disse indulgente lasciandole un colpetto su una spalla aspettando che le arpionasse il moschettone in vita per poi vederla scalare ed andare accanto alla ragazzina che tutta contenta se la guardò adorante.

Così marciarono riuscendo a scavallare prima che il nevischio fastidioso che le aveva accompagnate fin dalla fine della linea della foresta, non iniziasse ad essere una tormenta di ghiaccio. Raggiunsero un rifugio proprio prima del pranzo.

 

 

Valle del Ticino, Bodio.

Svizzera meridionale – 5/6/1915

 

Avrebbe tanto voluto spaccargli la faccia, eviscerarlo, tritargli le ossa, in una parola sola, farlo soffrire abbastanza da sentirlo supplicare in tutte e quattro le lingue che adornavano la storia del suo paese. Stefano strinse le labbra cercando di contare fino a dieci, ormai sicuro che quel piccolo bastardo saccente medicastro austriaco lo stesse facendo apposta. Da quando erano partiti dal distaccamento non aveva fatto altro che infangare la sua terra con epitaffi al limite dell'offesa personale, continuando ad additare la Confederazione come un gruppo di burocrati economisti senza nerbo, più avvezzi ai guadagni che ad una presa di posizione armata. Affiancato al capo del piccolo gruppo di dieci soldati che erano stati dati in dotazione da Smaitters per aiutare il Sottotenente dei Dragoni a cercare la sua fidanzata, Stefano non ne poteva più ed anche se partiti da un paio di giorni, sentiva di essere già arrivato al culmine della sopportazione. Già era stato chiamato dal suo superiore a svolgere era un compito ingrato, ci si metteva anche quell'arrivista pieno di se a rendergli le cose ancora più complicate.

Stefano avrebbe fatto di tutto perché quella ricerca risultasse infruttuosa, sapeva benissimo che se fossero riusciti a raggiungere la signorina Kaiou, anche Giovanna, sicuramente ancora con lei e le altre ragazze, sarebbe stata trovata e l'arresto avrebbe dato il consequenziale seguito al furto del materiale tecnico. Ma purtroppo sia il suo Tenente, che Daniel Kurzh lo avevano preventivato, ed il fante sapeva di non poter tirare troppo la corda. Così aveva preso a percorrere tracciati zigzaganti avvolte totalmente inutili, cercando di dare al gruppo delle sorelle Tenou più vantaggio possibile.

 

 

Gli occhi di Rei Hino andarono a posarsi sulla cima delle vette che si stagliavano dritte di fronte a lei. Ferma dietro al vetro di una delle finestre del rifugio non riusciva a sentirsi tranquilla, anzi, appena varcata la soglia aveva preso a manifestare nervosismo ed un'insofferenza talmente violenta da farla quasi arrivata alle mani con Makoto. Michiru aveva additato quel comportamento al ricordo ancora fresco dell'incontro infelice che avevano avuto al “taglio dell'erba” e che stava condizionando il loro viaggio ancora adesso, ma in realtà non era così. La stessa Rei aveva notato come quel benedetto rifugio, sorto proprio dopo lo scavallo del passo, fosse diversissimo dal precedente. Solamente la struttura lignea poteva dirsi simile, tetto a falda, canonici due piani, un camino di pietra al lato di una grande sala che fungeva d’accoglienza e per il ristoro della clientela, ma per il resto nulla poteva far scaturire comparazioni di nessun genere con quel ritrovo di taglia gole. Le poche persone che avevano incontrato erano state degli alpinisti svedesi di una certa età, praticamente esuli di guerra, mentre i gestori erano stati sin da subito gentili e disponibili. Le avevano rifocillate dando loro tre stanze per poter riposare. Gli ambienti erano bel puliti ed accoglienti. Perché allora la ragazza si sentiva tanto agitata?

“Non l'ho mai vista comportarsi così.” Disse sottovoce Minako che tra tutte era quella che la conosceva meglio.

Seduta a crogiolarsi accanto al fuoco dell'enorme camino di pietra basaltica, Haruka rispose alzando leggermente le spalle non staccando gli occhi dalla danza rossa. “Che vuoi che abbia. E' semplicemente stanca. Non è facile condividere gli spazi con altre sette persone e un lupo.”

Guardandola bere la sua tazza di caffè fumante l'altra scosse la testa oltrepassandole poi con lo sguardo le spalle, tornando a puntare gli occhi chiari a quelle di Rei. Sempre ferma a quella finestra. Sempre la stessa espressione preoccupata sul viso.

“Non farti paranoie Mina.” La riprese la bionda che ormai aveva iniziato a comprendere il carattere di ognuna di loro.

Minako era colei che, perennemente in cerca dell'ammanto rosa della vita, vedeva in ogni cosa amore. Lo cercava. Lo bramava. Lo chiamava. Per un carattere schivo e pragmatico come quello dell’orso alpino, un vero supplizio.

“Sarà, ma siete tutte un po' strane ultimamente. Prendi te, per esempio.” E stirando un sorrisetto furbesco gettò la pastura aspettando che il grande squalo bianco arrivasse.

Incuriosita l'altra si concesse al dialogo guardandola da sotto la frangia ancor più chiara di quella della viennese. “Cosa c'entro io?!”

Eccolo all'amo. “Diciamo solo che negli ultimi giorni hai come la testa fra le nuvole. - E vedendo Haruka storcere la bocca sibilando con le labbra, continuò concludendo la pesca. - Cosa che ho notato anche in Michiru.”

Capita la malaparata la più grande si alzò di scatto cercando di salvare il salvabile e borbottando incomprensibilmente un qualcosa riferito al sonno o al dormire, si dileguò verso le scale che portavano al piano superiore. Non aveva nessuna voglia di discutere o controbattere. Sapeva infatti che Minako era sempre in ansia per le sorti del fratello Wolfgang e alla bionda proprio non andava di essere scontrosa con lei.

Rimasta sola a sorseggiare una buona tazza di te, Minako trattenne a stento una risata argentina non capendo perché quella donna non volesse ammettere di provare sentimenti tanto belli e tornando a guardare le spalle di Rei aspettò che si arrendessero al sonno. Appena l'ora fosse giunta l'avrebbe riaccompagnata in camera.

Arrivata al pianerottolo Haruka si fermò grattandosi la testa. Dio, era davvero tanto presa da Kaiou da lasciarlo intravedere cosi' impunemente? Doveva cercare di darsi una controllata. Aveva addirittura lasciato il suo posto di capo cordata alla sorella pur di non perdere quella sensazione d'incredibile beatitudine che il suo animo stava provando.

Tenou... smorza l’entusiasmo! E' solo una ragazza... che diamine! Bella da mozzare il fiato, con gli occhi intensi e profondi, il sorriso più dolce e prepotente che abbia mai solcato viso di donna, un corpo che non fa che farmi fare cattivi pensieri, ma… pur sempre una ragazza, porca miseria! Sospirò talmente forte che il suono prodotto sembrò riecheggiare nel silenzio del corridoio. Maledizione! E non appena ebbe ripreso a camminare, lentamente la porta di fronte alla sua camera si aprì e quella stessa benedetta dea, uscì sbattendogli contro.

“Oddio Haruka. Scusa.” Disse ritrovandosi le mani dell'altra arpionate ai fianchi.

In stallo, si fissarono qualche secondo, poi sentendo il tocco della bionda sciogliersi imbarazzato, Michiru le afferrò entrambe le mani perche' non si allontanasse dal suo corpo. Continuando a guardarla intensamente le chiese dove fossero Minako e Rei.

“Giù... da basso.” Rispose avvertendo il calore delle mani sulle sue e del suo corpo sotto i palmi.

“Bene. Allora vado a chiamarle. Non voglio che stiano sole in un ambiente che non conoscono.” Ma non riusci' a muoversi subito ed Haruka fece altrettanto.

“Ruka...”

“Mmmm...”

“Fai buon riposo.” Le sussurrò ad un orecchio dopo qualche secondo donandole un bacio sulla guancia, molto, molto vicino al labbro ferito.

Sorridendo leggermente arrossata Michiru le lasciò le mani dirigendosi verso le scale per scomparire subito dopo. Sfiorandosi con l'indice ed il medio della mano sinistra la pelle che aveva avvertito quel contatto, la bionda chiuse gli occhi. L'insegnante non le stava rendendo la difesa facile, tutt'altro, si sentiva come un forte sotto assedio, senza più acqua ne viveri, pronto alla più nera capitolazione.

Vinta e pronta ad un'altro paio d’ore d'agonia al pensiero di lei, entrò nella stanza che divideva con la sorella sollevata nel vederla già sotto le lenzuola. Completamente sfiancata dalla guida in cordata, Giò aveva optato per il riposo prima di tutte le altre, ritirandosi praticamente subito dopo cena. Infidamente Haruka sogghignò soddisfatta. Adesso sapeva cosa volesse dire avere la vita di sette anime sotto la propria responsabilità. Richiudendo silenziosamente la porta la bionda passo' oltre al suo letto con fare circospetto. Era da più di un anno che non condividevano gli spazi di una stanza e non avrebbe saputo che dire se l'avesse trovata sveglia, magari vogliosa di quattro chiacchiere com'erano solite fare da tutta una vita. Togliendosi il maglione di lana rossa dal collo lo gettò sul suo letto andando ai vetri della finestra. Nel tardo pomeriggio si era scatenata una vera bufera di vento e nevischio. L'indomani tutta la discesa sarebbe stata coperta di ghiaccio e avrebbero dovuto rallentare la marcia per non rischiare incidenti.

Poggiando la fronte sul freddo del vetro ne avvertì il contrasto con il caldo della pelle. La sentiva ardere, soprattutto in punti del corpo ai quali di norma non pensava. Mortificata dal turbine di pensieri poco casti che la sua fantasia bacata stava avendo dal contatto delle labbra dell'insegnante con la pelle del proprio viso, si girò guardando il fagotto nel letto accanto al suo. Non era sola nella stanza, ma se avesse fatto piano forse avrebbe potuto dare un po' di sollievo al desiderio carnale che sentiva ormai incontrollato pulsarle nelle vene.

 

 

Un serpente dalle scaglie rosse e verdi la stava fissando. Non sembrava minaccioso, ma dormiente. Rei non vi badò andando avanti camminando per la pianura arida ricca di quella sabbia africana del quale si diceva fosse fatto il deserto del Sahara. Poi, improvvisamente il rettile visto poco prima si staccò da terra diretto con un balzo verso il cielo fattosi stranamente scuro e roteando su se stesso iniziò una trasformazione divenendo un dragone. Un dragone tutto bianco con paglie dorate e due occhi chiari. Questi la fissavano e lei li riconobbe. Poi vide Michiru camminare poco altre. Andava verso una distesa d’acqua pura ed incontaminata, ricca di palmeti ricolmi di datteri. Il dragone la osservò per qualche istante, poi l’attaccò rapido calando dalla volta, spalancando le fauci e mostrando il denti intrisi di veleno.

Rei urlò alzandosi seduta sul materasso mentre le braccia scattavano in avanti come per difendersi da qualcosa. Michiru, che stava riposando nel letto matrimoniale accanto al suo, le fu subito accanto seguita da Minako.

“Cara, che succede?” Chiese la donna più grande vedendola sconquassata da brividi di panico.

“Un incubo Rei?” Fece eco l'amica sapendo già la risposta. Nei due anni passati a dividere gli stessi spazi al San Giovanni non era stato raro vedere, o meglio, sentire le grida notturne di una ragazza molto incline alla preveggenza.

La mora guardò entrambe con aria sconvolta, ma in realtà non riuscì a capire bene dove si trovasse o chi avesse davanti, se non qualche minuto dopo, quando un bicchier d'acqua non le venne offerto da una preoccupatissima Usagi.

“Avrebbe bisogno di un bicchiere di grappa.” Bofonchiò Haruka tirata giù dal letto assieme alla sorella da quell'urlo raggelante.

Una gomitata di Giovanna e stirando le labbra in una grottesca smorfia incrociò le braccia al petto tornando ad ascoltare Michiru che nel frattempo stava cercando di capire cosa fosse successo.

Tranne lei e Minako che stavano condividendo la stanza con la ragazza francese, le altre si erano riversate in massa nell'ambiente ed ora, allontanati i malcapitati alpinisti svedesi, in un primo momento accorsi anche loro, in quelle quattro mura c'era una notevole mancanza d'ossigeno.

“Usagi apri la finestra per favore.” Ordinò l'insegnante continuando a stringere al seno una Rei esausta ed ansante.

“E' stato un incubo... tremendo.” Confermò dopo alcuni secondi staccandosi dalla donna.

“Erano anni che non facevo un sogno tanto terrificante.”

“Che cos'hai sognato?” Indice e medio sull'arteria del collo ed Ami si sincerò che i battiti fossero regolari.

La mora allora sembrò pensarci su per poi guardare Michiru che mani nelle sue mani stava continuando a sorriderle dolcemente.

“Non me lo ricordo.” Mentì continuando a fissarle le iridi. Mentì Rei, mentì e lo fece con coscienza. Non poteva certo rivelarle che il dragone bianco aveva gli occhi identici a quelli di Daniel Kurzh ed anche se quell'incubo non aveva ne capo ne coda, sentiva fin dentro alle viscere che il medico avrebbe portato tanto dolore a quella donna.

“Bene, io me ne torno al letto.” Scocciatissima e vergognandosi non poco nel vedere Michiru in camicia da notte sapendo di aver fantasticato fino a qualche minuto prima sul suo corpo completamente nudo, la bionda imboccò la porta sperando che Giovanna restasse a far comunella.

“Tu invece... come stai Haruka?” Si sentì chiedere alle spalle schiacciando i denti gli uni contro gli altri.

“No, perché mi è sembrato di sentirti ansimare.”

“Giovanna...” Si bloccò all'imbocco della loro camera alzandole l'indice destro davanti al naso.

“Ma che ho detto?”

“Non... un'altra... parola. Chiaro?!” E chiudendo definitivamente le comunicazioni si eclissò in un mutismo infantile fino all'indomani.

E l'indomani giunse puntuale annunciato da un'alba cristallina, tersa, foriera di tanto sole. Dopo il trambusto della notte precedente Rei cercò di dare nell'occhio il meno possibile, andando a scusarsi di persona con gli altri ospiti, per poi sedersi mestamente alla tavola con le altre per fare colazione. Le amiche decisero di non disturbarla capendone l'imbarazzo e cercando di far finta che nulla fosse successo, si comportarono come al loro solito; Makoto e Usagi che si ingozzavano, Minako che si godeva una lunga e calda tazza di te. Ma quando Michiru, incaricata sin dall'inizio della gestione monetaria, si alzò per andare a saldare il conto e Giovanna ed Haruka uscirono per finire di controllare il cordame che sarebbe servito loro per ridiscendere, Ami ne approfittò per sedersi un attimo accanto alla ragazza per controllarle ancora la temperatura.

“Non ho la febbre!” Abbaiò sentendosi da troppo tempo al centro dell'attenzione.

“Vorrei esserne sicura. Non troveremo altri rifugi lungo la strada per un bel pezzo, perciò... Ti ricordi cosa successe durante il primo mese del mio servizio in collegio?”

Allora si che la salute di Rei l'aveva preoccupata. Un attacco febbrile talmente violento che lei ed il medico che aveva preceduto Kurzh, avevano dovuto immergerla nell'acqua ghiacciata con il rischio concreto di una polmonite. Malattia che aveva invece colpito una loro compagna di scuola che qualche giorno dopo era spirata. Anche allora Rei aveva sognato, confessandolo solamente a Minako e all'infermiera. Da quella volta la viennese aveva definito come presagio ogni manifestazione notturna avuta dall’amica, mentre da donna di scienza aveva cercato di non badarci troppo.

“Credevo che non credessi alle mie doti di preveggenza infermiera Mizuno.” Canzonò la mora scansandosi dal tocco dell'altra.

“Infatti, ma non si è mai troppo previdenti.”

 

 

Passo del San Gottardo.

Svizzera centrale – 7/6/1915

 

Avevano finalmente lasciato il freddo alle spalle abbandonando l'immagine delle rocce dolomitiche spruzzate di bianco che dolcemente si bagnavano nelle acque del lago di San Carlo, ed ora, dopo due giorni di una marcia tutto sommato meno impegnativa di quella supposta, erano entrate nel cantone bernese avendo le sue montagne che si stagliavano dritte dinnanzi a loro.

I due bracconieri non avevano più dato segni della loro presenza tanto che la stessa bionda aveva iniziato a sperare che le notti passate all'addiaccio, con il nevischio che sputava loro addosso il freddo della quota, li avessero fatti desistere. Con gli stivali ben piantati sullo strato di roccia Haruka sorrise soddisfatta staccando gli occhi dalla cartina che stava stringendo tra le mani. Girando il busto verso le vette delle Lepontine, avvertì nel petto un enorme senso di soddisfazione. Il peggio era alle spalle. Da li in avanti sarebbe stato tutto molto, molto più facile. Nel ridiscendere avevano avuto solo un momento di criticità, ovvero quando una delle due chiodature degli scarponi di Ami non aveva fatto sufficiente presa sul ghiaccio e quest'ultima, scivolando, aveva rischiato di cadere in un crepaccio portandosi dietro tutta la cordata. Makoto che le stava dietro, era stata lesta ad afferrarla per la cintura dei pantaloni, bloccandola parzialmente, mentre Haruka, intravista con la coda dell’occhio che Michiru stava per afferrarare la corda, l'aveva anticipata con una mossa alquanto stupida e pericolosa. Puntando gli scarponi al primo spuntone trovato sotto i ramponi, aveva stretto la corda con entrambe le mani tirando indietro il busto per far leva. Se non avesse avuto i guanti e Makoto non avesse bloccato in parte la caduta di Ami, la bionda avrebbe perso almeno un paio di falangi. Tutto sommato era andata bene; l'infermiera aveva avuto solamente un grande spavento ed aveva provveduto a curare la leggera ferita per sfregamento che l'orso alpino si era procurata nel palmo della mano sinistra.

“Anche tu sei stato piuttosto bravo piccoletto.” Disse accarezzando la testa di Flint sedutole accanto.

Fattosi un po' più socievole le aveva seguite avvolte in testa, altre in coda, ma sempre a stretto giro, beandosi del tepore dei cibi caldi, del fuoco e delle coccole di Usagi e Michiru, ancora le uniche insieme alla bionda a poterlo avvicinare.

“L'hai tu la piccozza di Michiru?” Chiese la sorella raggiungendola sul basamento roccioso che dava su una gola abbastanza profonda da dove proveniva il lugubre ululato del vento.

“Si. Quella donna ha la testa in cantina. Dimentica praticamente tutto ciò che poggia. Tutto tranne il suo diario e quello stupido strumento al quale tiene tanto.” Rimproverò richiudendo con cura la carta per riporla nella tasca della sua camicia.

Giovanna rise all'ennesima critica. La sorella aveva iniziato a considerare quella donna come una di famiglia, borbottando come un vecchio coniuge ogni qual volta si trovavano a discutere.

“Ma piantala. Sei la prima a voler sentire la sua musica.” Ed afferrando la borraccia che aveva agganciata alla vita scuotendola si accorse di aver finito l'acqua.

L'altra strinse le labbra porgendole la sua. “Tieni... cammello.” E la guardò trangugiare la sua scorta.

“Grazie. Fa caldo. Abbiamo avuto un'escursione termica di svariati gradi.” Riavvitando il tappo le sorrise.

“Giovanna.... Davvero credi che io non sia diversa, sbagliata o... un mostro?” Improvvisamente. Così, di getto.

Ma che domanda era!? La più grande seguì lo sguardo dell'altra fisso sulla borraccia e comprese. “Mi fai questa domanda perché mi sono appena attaccata rischiando chissà quale contagio o perché ancora ti brucia il labbro?”

Come risposta un sorriso sbilenco. “Ringrazia nostra madre se non ti ho spaccato la faccia.”

“Lo so. Contavo sul fatto che ricordassi il tuo giuramento.”

“Si, ma se fossi in te non me ne approfitterei un'altra volta. Recepito il messaggio?”

La maggiore rise di cuore vedendo poi il mezzo lupo alzarsi intimorito e guardingo. L'osservò puntare il naso verso un piccolo avvallamento roccioso a meno di un metro dalla gamba destra di Haruka. Ondeggiando la testa e muovendo leggermente la groppa Flint iniziò a mugolare leccandosi i baffi infastidito da qualcosa.

A Giovanna morì il fiato nella gola non appena riuscì a vedere il serpente acciambellato proprio dietro l'avvallamento.

“Haruka... sta ferma.” Ordinò piatta spostandosi alle sue spalle.

“Che c'è? - Poi visto anche lei il rettile dalle scaglie verdi con riflessi rossicci, cercò di allontanare il mezzo lupo da lui. - Flint!”

Un leggero movimento del piede ed il serpente iniziò ad innervosirsi estraendo ripetutamente la lingua bifida.

“Haruka stai ferma ho detto!”

“Flint dannazione!” Ma alzando il tono della voce la bionda si rese conto di aver innescato la curiosità dell'animale. Facendosi forza del branco iniziò a sbattere le zampe anteriori come quando voleva giocare.

Abbaiando prese a girare intorno alla serpe che intanto non lo perdeva di vista.

“Flint! Che accidenti fai?!” Haruka mosse ancora il piede ed il grosso rettile spostò l'attenzione al suo scarpone.

Giovanna cercò allora un bastone o una pietra sufficientemente grande per schiacciarlo, ma un suono sordo squassò il cielo.

Flint venne letteralmente sbalzato in aria cadendo su un fianco poco distante da loro. Non appena Haruka intercettò con lo sguardo il sangue dell'animale chiazzare la roccia si mosse per andare a soccorrerlo ed il serpente attaccò. Avvertendo la spallata della sorella in pieno petto, perse l'equilibrio cadendo a sua volta. Un secondo colpo di fucile e la testa del rettile saltò in aria in mille pezzi. Ad una ventina di metri Makoto tornò a respirare togliendo l'occhio dal mirino della canna brunita del fucile di Haruka.

“Ragazze!” Urlò Michiru vedendo Giovanna addosso ad Haruka ed il povero mezzo lupo disteso leggermente oltre.

“Che cos'è successo!?" Chiese la bionda spostando di peso la sorella correndo poi verso l'animale.

Vedendo il pelo grigio macchiato e l'addome riverso in una pozza di sangue capì che qualcuno gli aveva sparato. Guardò allora Makoto che scuotendo la testa le fece intendere di avere esploso un solo colpo.

Mugolando Flint cercò di alzarsi non riuscendoci. “Piccolo... Sssss, non muoverti.” Disse dolcemente Haruka accarezzandogli la testa mentre accorreva anche Ami.

“Ami...” Una supplica. L'altra controllò lo sterno arrivando al foro d'entrata, per poi vedere anche quello d'uscita. Ammettendo di non sapere nulla sull'anatomia animale pote' solamente costatare quanto grave fosse la ferita tamponandola con le bende del kit medico da viaggio che si portava sempre nella borsa a tracolla.

“Ragazze guardate.” Urlò Minako indicando un punto dalla parte opposta del crinale. Erano i due bracconieri. La caccia era ripresa. O forse non era mai stata interrotta.

“Muoviamoci. Andiamo via da qui!” Disse Giovanna alzandosi a fatica sentendosi la gamba destra leggermente intorpidita. Il polpaccio le stava bruciando come se due spiedi arroventati le fossero stati conficcati a forza nella carne.

Non vedendo alcuna reazione nella bionda, Michiru le andò vicino ed estraendo la sua coperta dallo zaino la distese accanto al mezzo lupo chiedendole poi di aiutarla a portarlo al sicuro. “Ruka muoviti! Dobbiamo andarcene.”

Ma l’altra non ascoltò. Scattando verso Makoto e strappandole l’arma dalle mani, puntò, mirò e sparò nella direzione dei bracconieri.

“Sporchi bastardi!” Urlò con tutto il fiato che aveva in gola e avrebbe premuto il grilletto ancora se avesse potuto.

Michiru le serrò l’avambraccio strattonandola. “Ruka. Antiamo. Dai, aiutami. Portiamo Flint e le altre in un posto più riparato.” E cercò dolcezza e risolutezza. Avvertiva il bicipite del braccio destro di Haruka gonfio e pulsante di collera.

“Se muore io li faccio secchi. Dio mi è testimone,… li faccio secchi!”

“Andiamo.”

Riuscirono ad allontanarsi, Haruka e Michiru che tenevano la coperta con il povero Flint agonizzante al suo interno e Makoto che, ripreso e ricaricato il fucile, lo stringeva sotto l’incavo ascellare chiudendo la fila. Prima di lasciare quel poggio, l'occhio di Rei cadde sul cadavere del serpente abbattuto dalla precisione dell'amica e nel riconoscerne il colore delle spire avvertì un fremito di paura squassarle la schiena. La sua chiaroveggenza aveva nuovamente fatto centro e la cosa angosciante era che il tutto non si era ancora compiuto.

Scelsero una strada abbastanza coperta. Gli alberi in quella zona erano radi e fino a quando non si fossero sentite al sicuro non si sarebbero fermate. Michiru sentiva dolore alle braccia, ma non avrebbe ceduto, ma quando avvertì la voce di Usagi intimare a lei e alla bionda di fermarsi, ringraziò il cielo di potersi riposare un po'.

“Haruka!” Chiamò vedendola voltarsi.

“Per carità fermatevi. Giovanna sta male!”

Alla bionda sembrò che tutto il mondo rallentasse, con molta probabilità uno scherzo dell'adrenalina che le stava pompando copiosa nelle vene del cervello. Stringendo i lembi della coperta solcò la fronte con una profonda ruga. La sorella si era fermata e stava respirando a fatica. Poggiava entrambe le mani sul tronco di un giovane albero portando la schiena a piegarsi in avanti colta da ripetuti spasmi. Ami le fu accanto appena in tempo per sorreggerla prima che le ginocchia non cedessero ed iniziasse a rimettere sangue misto ad acqua. Fu allora che Haruka capì che Giovanna era stata morsa dal serpente.

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Capitolo 10
*** La consapevolezza di un amore ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

La consapevolezza di un amore

 

 

 

Periferia di Bellinzona.

Svizzera meridionale – 20/7/1905

 

Il frinire delle cicale era diventato quasi assordante in quel caldo inizio pomeriggio di un'estate come tante ed una biondina impertinente e per nulla avvezza alla disciplina genitoriale, stava manifestando da più di un'ora la classica frenesia dei ragazzini vogliosi di un tuffo in acqua. Proprio non riusciva a sopportarlo il caldo Haruka e quella giornata tersa dal sole a picco sui campi a semina della periferia della sua città la stava mandando ai matti. Era da sempre il puledro della sua famiglia, scalpitante e vogliosa di spazi aperti per correre, aria fresca da respirare e vento fratello da poter ascoltare e come tutti i bambini di dieci anni, a volte necessitava di essere accontenta, soprattutto se l'inverno l'aveva costretta ad un lungo confino.

Così Ilde, la madre di quel turbine biondo, notandone l'irrequietezza che stava manifestando sin dalle prime ore della mattina e visto la splendida pagella che era riuscita a portare al padre, orgogliosissimo anche perché semi analfabeta, aveva deciso di premiarla affidandola alla sorella maggiore con l'idea di farle fare una gita nei pressi di uno dei laghi d'alta quota che nascevano vicino alla zona del Passo della Ruscada. Premio benedetto dalla bambina, ma per nulla gradito dalla più grande.

“Giovanna non far storie e porta tua sorella con voi. Oggi non si tiene ed io ho troppo da fare per i campi con Marta per starle dietro.”

“E dovrei starle dietro io madre?” Scocciata l'altra si guardò la biondina lasciando che gli occhi le diventassero due fessuro chiare.

Giovanna adorava Haruka, letteralmente, ma ormai aveva quattordici anni e sentiva la necessità di stare con i suoi coetanei. Essendo di carattere socievole e spigliato, aveva tanti amici e le piaceva far comunella con loro. La sorella era ancora una bambina ed anche se matura, a volte il suo mutismo di fronte agli altri non le rendeva la vita facile.

“Non discutere ed obbedisci!”

“Ma per arrivare in quota ci metteremo una vita e lei ha le gambe corte. Non farà che rallentarci! Per favore maaa...”

“Potevate incamminarvi questa mattina.”

“Ma i ragazzi dovevano aiutare nei campi e...”

“Non discutere ho detto, o finirai per rimanere a casa e bada Giovanna, mi conosci e sai che sono capacissima di farlo!” Fine del diritto di replica, la ragazza tirò giù la testa irritatissima ed afferrando il sacchetto con i panini ed il latte, fulminò la più piccola che tronfia stirò sulle labbra un sorriso vittorioso.

“Va bene ma.” Disse aprendo la porta del tinello mentre Ilde le intimava di non perdere la sorellina di vista.

“D'accordo! A questa sera. E tu vedi di non farne qualche d'una delle tue Ruka...”

“Pensa per te! Sono grande abbastanza per badare a me, a te e a tutti i tuoi stupidissimi amici.”

“Haruka Tenou, porta rispetto a tua sorella e dalle retta, perché se tornerai a casa anche solo con un graffio o un buco sui vestiti, ti assicuro che te le suonerò fino a domani mattina. Chiaro!” Urlò la madre per vederle poi filare a velocità sostenuta lungo il vialetto sul retro.

Corsero fino al sagrato della chiesa del quartiere dove le stavano aspettando gli altri, per lo più compagni di classe dell'ultimo anno e si diressero poi, canterini e spensierati, verso la salita. Impiegando poco meno di tre ore, riuscirono ad arrivare in un orario abbastanza dignitoso per potersi godere il fresco del restante pomeriggio. Mangiarono, si bagnarono immergendo le gambe nelle acque di quel lago d'altura, risero e chiacchierarono del più e del meno. Tutto come sempre e come sempre la piccola Tenou iniziò a dare cenni di scompenso pretendendo di potersi muovere, di correre e di andarsene in giro per esplorare. E come sempre Giovanna si ritrovo' a fare il secondino.

“Perché non la lasci andare così che si possa stare un po' in pace?” Stefano Astorri guardò entrambe con aria estremamente contrariata, perché ogni qual volta quella piattoletta gialla si appiccicava alle sottane della maggiore non c'era più pace. Haruka pretendeva un'autonomia ed una libertà di movimento che proprio non potevano esserle concesse. Era ancora troppo piccola per fare la metà delle cose che con spudorato orgoglio già faceva, ma in più pretendeva di farle con Giovanna, il suo faro, la sua compagna di giochi per eccellenza.

“Non dire stupidaggini Stefano. Non posso lasciarla andare da sola.”

“E allora vieni insieme a me!” Haruka quasi urlò sbattendo un piede rabbiosa.

“Non essere petulante. Non mi va di scalare nessuna parete, per di più conciata così.” Allargando le braccia mostrò la gonna all'altra sperando che capisse. Ma che! Afferrandole una mano Haruka quasi la strattonò e con sguardo imperativo le sussurrò un me lo avevi promesso che indispettì l'altra ancora di più.

“O insomma Ruka! Come puoi pretendere che scali con dei vestiti come questi!”

“Ma me lo avevi promesso Giò!” Ripeté per nulla doma.

“Si, ma non oggi e visto che sei tutta accaldata, perché non vieni qui a rinfrescarti?” E cercò nel suo scarso senso materno più dolcezza e conciliazione possibile.

Sbuffando pesantemente la sorella in un primo momento sembrò darle retta. Si bagnò dopo essersi liberata agilmente delle calze e delle scarpe, gironzolò tra le rocce che emergevano parzialmente vicino alla riva, seguì i gruppi dei piccoli pesci che popolavano i bassi fondali, per poi sparire non appena la sua curiosità non fu sazia.

Giovanna non se ne accorse, troppo presa a godersi i suoi amici ed una mezza giornata lontano dalle incombenze domestiche, per ricordarsi di gettare uno sguardo su quel morbo biondo e non badò a quella mancanza se non quando un urlo seguito da un tonfo acquatico non la riportarono ai suoi doveri di controllore. Alzandosi di scatto non la vide e chiamandola non la udì rispondere. Il panico le arrivò addosso impedendole di ragionare bene.

“Haruka.” Chiamò mentre seguita dagli altri si dirigeva verso la sponda sinistra.

“Haruka.” Fece eco Stefano andando lungo quella opposta. E li la trovò con un piede incastrato tra due rocce, bagnata, dolorante e sull'orlo del pianto dopo il completo fallimento della sua personale arrampicata.

“Ma che diavolo ti è saltato in mente stupida?!” Ringhioso l’adolescente l'aiutò a liberare il piede ormai ferito dalla morsa rocciosa, prendendosela poi tra le braccia per portarla fuori dall'acqua. Senza non pochi problemi.

“Tu sarai stupido... Lasciami cafone!” Urlo' agitatissima e ribelle mentre quegli occhioni di un verde ormai liquido iniziavano a rigarle le guancie.

Giovanna li raggiunse e vedendosi due braccia protese, se la strinse forte lasciando che quella piccola benedetta croce le mugolasse nell'incavo del collo tutto il suo disprezzo. "Mi fa male, mi fa male.... E' colpa tua... Anche tu sei stupida ecco!”

“Si tesoro, hai ragione, ma adesso smetti di piangere e fammi vedere cosa ti sei fatta.”

“Non ha nulla di rotto, tranquilla.” Sintetizzò Stefano pentendosene immediatamente. L'amica lo gelò con lo sguardo per poi iniziare a massaggiare dolcemente il piede della sorella e a lui non rimase altro che alzare gli occhi al cielo mentre prendeva a strizzarsi la camicia.

Qualche minuto dopo, lungo il sentiero della discesa, passato lo spavento iniziale e sentendosi meglio, la bambina iniziò a protestare per essere messa in terra. “Posso camminare da sola, mettimi giù!”

“No che non puoi e non lagnarti sempre Ruka.”

Caricata saldamente sulle spalle della maggiore ed attorniata da tutti, Haruka ricevette cosi' uno smacco molto difficile da digerire. Non sopportava di dover dipendere tanto dagli altri, anche se, vista l'enorme fesseria compiuta nel cercare di arrampicarsi su quella roccia con i piedi bagnati, sapeva di meritarsi quell'umiliazione.

“Ora che ti sei fatta male ed hai capito quanto a volte sei poco incline a pensare alle conseguenze delle tue azioni, dovrai star zitta mentre ce le prenderai da nostra madre ed altrettanto farò io. Lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Dovevo starti dietro. Vedrai che la punizione sarà il non uscire di casa per due settimane, come l'ultima volta. Accidenti a te!” Disse sistemandosela meglio sulla schiena.

Quella piccoletta stava iniziando a crescere e lei non era poi tutta questa robustezza, ma l'avrebbe portata a casa senza l'aiuto di nessuno.

“Giò...” Le sussurrò.

“Dimmi.”

“Scusa.”

“Accettata. L'importante è che non ti sia fatta troppo male. Rallegrati di questa discesa, perché tra qualche tempo non avrò più la forza per scorrazzarti sulla mia schiena.” E ridendo la fece sobbalzare un paio di volte.

“Ti prometto che quando sarò abbastanza grande sarò io a portarti in braccio.” Forte della sua convinzione serrò la stretta alle spalle della maggiore per addormentarsi cullata dal tepore della sua pelle.

 

 

Passo del San Gottardo.

Svizzera centrale – 7/6/1915

 

Haruka cercò di alzare gli avambracci nell'intento di non far scivolare Giovanna dalla propria schiena. Ormai la sentiva fisicamente sempre meno reattiva e man mano che i minuti passavano e le tossine velenose ne intorpidivano la muscolatura, il giacerle a peso morto addosso iniziava a costarle sempre maggior fatica, tanto che ormai le era diventato impossibile fare più di cento metri senza fermarsi un attimo a riprendere fiato. Michiru la guardò posandole una mano sul fianco e con l'altra sulla spalla di Giovanna, l'aiutò a scendere l'ennesimo dislivello dell'ennesima discesa.

Non appena Usagi le aveva fermate chiamandole disperata, Haruka aveva capito immediatamente quello che era successo. In tutta franchezza l'era sembrato strano che un rettile dallo scatto così fulmineo non fosse riuscito a colpita, ed ora sapeva il perché. Arrestando la marcia per impossessarsi di un copioso boccone d'ossigeno la bionda guardò l'insegnante e poi il gruppo che le stava seguendo come una dolorosa processione, Usagi, Minako, Rei ed Ami che con un lembo di coperta a testa portavano Flint e Makoto che chiudeva guardinga ed armata la fila. Sospirando tornò agli occhi di Michiru attingendo in quel blu la forza necessaria per continuare.

“Coraggio Ruka, il villaggio che abbiamo visto dall'altura è qui sotto.” Disse cercando di sorriderle, anche se sapeva di aver stirato le labbra il maniera quasi grottesca.

Nel visitare Giovanna, Ami era stata sufficientemente chiara, quasi brutale e la bionda, come del resto le altre, aveva compreso che ormai, anche se trovato, nessun siero viviparo avrebbe potuto impedire al veleno di attaccare il sistema nervoso della ragazza. Ed infatti spasmi al limite di leggere convulsioni e ripetute perdite di coscienza avevano già colpito un fisico provato da un faticoso viaggio e ad Haruka non rimaneva altro che pregare, stringere i denti al tremore muscolare che avvertiva nelle braccia, sulla schiena e lungo tutte le gambe, puntare lo sguardo a quel campanile bianco che vedeva ergersi dal verde e sperare nel pronto intervento di un medico.

Quando il capo del villaggio si affacciò dalla porta della sua abitazione chiamato a gran voce da alcuni bambini e comari, si ritrovò otto esseri stravolti entrare lentamente nell'abitato quasi strusciando gli scarponi sullo sterrato di terra bianca e pensando a degli alpinisti presi dalla difficoltà di una salita non andata a buon fine, corse loro in contro prontamente. Era un uomo magrissimo, alto, molto più di Makoto e della stessa Haruka, ma con due braccia nerborute modellate dalla fatica di una vita spesa nei campi e si prese Giovanna tra le braccia come se fosse un fuscello. Non volle neanche sentire spiegazioni o ovvie richieste d'aiuto, disse semplicemente di seguirlo portandole in casa sua, dove tutto era rustico e semplice, ed una volta adagiata Giovanna sul divano accanto all'entrata della grande cucina, si rivolse all'anziana madre ordinando di portargli acqua sufficientemente fredda che potesse alleviare la febbre che lo straniero stava manifestando.

“Che cos'è successo?” Chiese iniziando a slacciarle la camicia per farla respirare meglio.

“Un serpente.” Articolò a stento Haruka non riuscendo a staccare gli occhi dala sorella.

“Un serpente? E' colpa di questo caldo se sono già in piena attività." Rivelò piattamente fermandosi poi non appena slacciata la terza asola. “Ma. E' una donna?!”

“Lo siamo tutte signore.” Disse Michiru inginocchiandosi accanto all'uomo togliendosi il berretto militare lasciando che le ciocche castano chiare le ricadessero sulle spalle.

“Per favore... ci aiuti.”

“Naturalmente signorina, ma... - e si guardò le spalle poggiando lentamente gli occhi su ognuna di loro per poi fermarsi sulla persona di Haruka. - Cosa diavolo ci fanno otto donne da sole su queste vette?”

“Vi diremo tutto, ma ora salvi mia sorella.”

Lui tornò a slacciare i bottoni della camicia provando un leggero disappunto nel vedere tante donne vestite in abiti maschili, poi togliendo lo scarpone stretto sul piede destro ormai gonfio, osservò la gamba ammettendo di non essere il dottore, ma bensì il capo di quel gruppo di sessanta anime e che oltre alla fascia di contenzione che avevano già approntato sul polpaccio, per la gamba della loro compagna ormai non si poteva fare altro.

“Oltre a provare a tenere bassa la febbre, non posso fare. Dobbiamo solamente sperare che il fisico reagisca ed il morso non s'infetti. Il medico che abbiamo gira fra le cinque frazioni della zona e ora è a Mischer per una puerpera. Non tornerà prima di due giorni, sempre che non venga chiamato per altre emergenze. Mi dispiace.”

“E non avete il siero?” Chiese Ami.

“No signorina. Ne Laudano. Da quando è scoppiata la guerra le forniture di medicinali sono sempre più scarse.”

Michiru guardò Haruka arpionarsi un ciuffo di capelli iniziando a camminare per la stanza borbottando parole incomprensibili, poi, visto il fagotto dov'era stato adagiato Flint vegliato ancora da Usagi, chiese se almeno lui potesse essere medicato.

“Cos'è il vostro cane?” Chiese alzandosi ed andandogli vicino scansò un lembo della coperta. Un lupo!

“Ma che...” Ma guardando gli occhi verdi di quella ragazza bionda intrisi di disperazione ed angoscia, soprassedette stringendo le labbra, si grattò la fronte spaziosa, per aprire poi la porta e dare una voce a quello che era il macellaio di zona nonché suo vicino di casa.

“Martin ci sa fare con le bestie. E' lui che cura i capi del paese. Non so se il vostro... cane possa essere salvato, ma ci proverà.”

Così Flint fu preso e portato in una stalla poco lontana e Giovanna sistemata in una delle stanze al piano superiore, dove Michiru e Minako provvidero a cambiarle i vestiti e a lavarla dalla polvere e dal sudore.

 

 

Pizzo Campo, Tencia.

Svizzera centrale – 7/6/1915

 

Daniel Kurzh controllò la cartina socchiudendo gli occhi. Ormai era il crepuscolo, il bivacco sarebbe stato approntato a breve e lui non aveva ancora trovato tracce della sua Michiru. Possibile che fosse sparita nel nulla? Possibile che sei ragazze prive di una qualche minima nozione alpinistica, anche se guidate, fossero riuscite a spingersi fin li? Forse le avevano sorpassate. Forse si erano rintanate in uno dei rifugi stanziati lungo la strada verso il San Gottardo. No, impossibile!

Il Tenente Smaitter era stato chiaro, sottolineando subito il coinvolgimento di quell'ausiliaria, Giovanna Tenou, nella sparizione della sua fidanzata ed era altresì chiaro a detta del medico, cristallino, come il soldato Astorri stesse remandogli contro rallentando la marcia inanellando una serie interminabile di scuse. Kurzh non ne aveva le prove, ma appena trovata Michiru lo avrebbe fatto mettere agli arresti con un pretesto, facendogli così rimpiangere i campi ed il sole alle quali appartenevano quelle mani callose da stupido contadinotto.

Sbuffando scocciato richiuse la cartina dimenticandola poi tra le mani della destra mentre gli occhi andavano ad accarezzare le vette più ardite lambite ormai dagli untimi raggi del sole. Lei era li, da qualche parte, tra quelle guglie e lui l'avrebbe trovata. Ormai non era più solo una questione di sentimento, di preoccupata lontananza, ma anche d'onore e del rispetto che altrimenti la famiglia Kaiou non gli avrebbe mai più accordato.

Ad un centinaio di chilometri dal bivacco militare dove il suo fidanzato stava per prepararsi all'ennesima notte senza avere sue notizie, Michiru scansò la tenda che oscurava le ultime sfumature infuocate che stavano ammantando la zona, accarezzandone con lo sguardo il profilo alpino. La stanza già rischiarata da un paio di candele, era priva di energia elettrica, ma era grande e spaziosa. Portava un letto ad una piazza appoggiato in testata al muro, un grande armadio, una scrivania ed un paio di poltrone. Haruka non vi era stata molto, sparendo subito dopo aver capito che quello che avevano fatto per Giovanna, vista la situazione, era il massimo possibile. Questa sua fuga aveva lasciato tutte piuttosto interdette. Ma non Michiru, che non aveva battuto ciglio, non giudicandola e intuendo da un qualcosa che sentiva arderle nel cuore, che quell'atteggiamento al limite dell'indifferenza, era invece la lampante conseguenza di un sentimento d'estrema, disperata impotenza. Come sapeva dov'era andata a rifugiarsi la sua bionda, priva ormai di quella forza nervosa che l'aveva sorretta fino a quel tardo pomeriggio, fino a quando la stessa Rei, mai del tutto arresasi al fascino del capo cordata, non l'aveva rassicurata iniziando a preparare una serie di infusi e decotti a base di Lavanda.

“E' una pianta dalle potenti proprietà antinfiammatorie. E' un siero naturale contro i morsi delle serpi, ottimo per combattere il veleno e la febbre. Stai tranquilla Haruka, ho visto che la zona ne e' piena ed anche se i fiori non sono ancora tutti sbocciati, sarò in grado di lavorarne il succo usandone anche gli steli e le radici, vedrai... Giovanna starà meglio. Fidati.” Le aveva detto incredibilmente sicura di se e delle arti curative imparate da bambina grazie alla farmacia gestita a Parigi dai genitori. E forse vedendo quell'insolita gentilezza, Haruka si era allarmata ancora di più.

Michiru sospirò provata da un'angoscia dilaniante. Nel silenzio della stanza sentiva solamente il respirare affannoso di Giovanna e le gocce d'acqua gelata strizzate dalle pezzuole che Ami e Minako stavano continuando a premerle sulla fronte madida di sudore. Abbandonando la finestra si diresse verso la porta stirando le labbra allo sguardo di entrambe, per poi ridiscendere nella cucina dove la madre del signor Leopold, il capo del villaggio che stava dando loro quella sorta di asilo, stava preparando del brodo per la cena. Avvertendo tutto intorno a lei un forte odore di pollo e spezie trovò Makoto che la stava aiutando e sorrise, questa volta convintamente, all'insaziabile bisogno che quella ragazza aveva di cucinare per rilassare i nervi. Le salutò con un cenno del capo per aprire poi la porta secondaria e trovandosi a discendere i quattro gradini di pietra che immettevano al pollaio e da li, alla stalla del macellaio vicino di casa. Quando entrò nella struttura bianca dalle traverse lignee vi trovò subito una serie di box aperti dove alcune mucche, sicuramente quelle più anziane non più capaci di affrontare la salita per un alpeggio, stavano ruminando tranquillamente. Camminò per qualche metro verso il portone gemello a quello d'entrata e poi le vide; Usagi ed Haruka, sedute ad un lato della stalla spalle al muro, una accanto all'altra, con il mezzo lupo vicino, disteso su un fianco, immobile come morto, con una vistosa fasciatura stretta allo sterno che andava impercettibilmente ad alzarsi seguendo un ritmo lentissimo, ma regolare.

A Michiru quella scena fece una gran pena. Usagi che continuava ad accarezzare Flint sul collo ed Haruka che poggiava la fronte alle ginocchia racchiuse verso il petto. Un respiro più pesante degli altri e si fermò accanto ai tre accovacciandosi di fronte alla biondina.

“Usa vai a riposare un po' è quasi pronta la cena. Rimango io con Haruka e Flint. Va bene?” Quasi un canto. La voce di Michiru sapeva essere musicale al pari di un usignolo.

Poco convinta l'altra guardò prima il mezzo lupo, poi la bionda e dopo qualche istante si convinse. “Ma promettimi che mi chiamerai se Flint si sveglia. - Disse per poi parlare direttamente con l'animale incosciente. - Torno prestissimo, ma tu non aver paura, non rimani solo.” Ed alzandosi per far suo il consiglio dell'altra, sfiorò la testa di Haruka con una carezza gentile prima d'incamminarsi verso l'uscita.

Michiru ne osservò la schiena leggermente incurvata per la stanchezza per poi sedersi spalla a spalla con la bionda e posarle una mano sul dorso. “Haruka guardami.” Chiese non venendo ascoltata.

“Non fare così. Si sistemerà tutto vedrai.”

“Le è calata la febbre?”

“Non ancora.” Ammise vedendola contrarre la schiena.

“E' colpa mia. Dovevo stare più attenta. Si sa che in questa stagione le serpi riattivano la circolazione acciambellandosi sulle rocce esposte al sole. Avrei dovuto controllare. Sono stata un'idiota. Come lo sapevo che quei due non avrebbero mollato la presa ed io non ci ho badato, standomene ben visibile a bearmi di un'impresa che non abbiamo neanche ancora finito!”

“Ruka...”

“No! - Alzò il viso fino a quel momento nascosto mostrandole la debolezza di due occhi lucidi. - Non sono stata accorta. Ho mancato d'attenzione ed ora rischiano di morire entrambi per causa mia!”

A quelle parole Michiru scattò serrando la mascella. “Non è vero! Non puoi continuare a colpevolizzarti per ogni cosa. Il morso di quel serpente è stata solo una pura casualità e quei ceffi... be nessuna persona sana di mente avrebbe mai fatto quello che si sono permessi di fare loro.”

“Se al Taglio dell'Erba non li avessi sfidati non si sarebbero incarogniti così, lo hai detto anche tu.”

“E' probabile, ma non puoi saperlo con certezza. Comunque ormai è un discorso chiuso. Hai solo cercato di proteggerci.”

Le labbra dell'altra si piegarono in un sorriso sghembo. Bel risultato, bello davvero! “E' sempre così, ogni volta che provo a proteggere chi amo finisco per fare più danno che altro. Guarda con Giovanna; ho fatto di tutto per allontanarla da me, per non farle pesare la mia diversità... - sapeva di stare esponendosi, ma non le importava, non di fronte a lei - ... per far si che la gente non ghettizzasse anche lei, sorella maggiore di una diversa, ma non è servito a nulla, anzi... “

“Ruka basta...” Le disse l'altra con un filo di voce.

“Le ho impedito di amarmi condannando entrambe alla solitudine. Sono stata un'ottusa imbecille! Sono scappata come una vigliacca!” Due lacrime sfuggirono dalle ciglia iniziando a rigarle il viso. “Ho sprecato tempo Michiru, tempo che poteva essere dedicato al volerci bene ed ora che sta morendo...”

“Non sta morendo!” Alzò la voce quasi con rabbia.

“Non l'ho mai vista stare tanto male, mai. “ Rantolò serrando gli occhi mentre l'altra le afferrava il mento racchiudendolo nell'incavo delle mani.

“Devi avere fede, non puoi arrenderti ora. Non te lo puoi permettere, se crolli tu crolliamo tutte.” E ne baciò una lacrima.

A quel tocco la bionda sentì il cuore sussultare. “Non voglio più scappare...” Sospirò restando immobile mentre Michiru le baciava anche l'altra strappandogliela dal viso.

“Lo so...” Sussurrò posandole le labbra sulla bocca in un bacio leggerissimo, al limite della carezza.

Haruka avvertì nel corpo uno spasmo di calore, un'ondata forte, quasi come un'improvvisa quanto inaspettata folata di vento. Riaprendo gli occhi guardò l'altra corrugando leggermente la fronte. “Michi... sei sicura?”

“Come non lo sono mai stata in tutta la mia vita.” Rispose l'insegnante che trafiggendole le iridi con le proprie, guardò quel verde prima quasi spento di colpo ravvivato dalla forza di mille tavolozze di colore. La paura che Haruka aveva di essere felice nel coraggio di vivere era scomparsa, azzerata dalla consapevolezza di un amore nuovo. Al tocco gentile delle dita passate con voluttà tra i capelli alla base della nuca, Michiru sorrise piegando leggermente la testa verso quel calore, mentre un nuovo bacio, questa volta innescato dalla bionda, più forte, vibrato e carnale, le rapiva i sensi facendole lambire la beatitudine di un paradiso terreno.

 

 

La notte trascorse lenta, solcata dall'attesa. Flint aprì gli occhi un paio di volte mugolando in cerca d'acqua, ma non mangiò, ripiombando in un sonno quasi mortale. Giovanna fece altrettanto, con la differenza che nelle sue rare emersioni dall'incoscienza che le aveva ghermito i sensi, era riuscita a capire cosa fosse successo e come mai si sentisse tanto male. La febbre continuava ad essere alta nonostante i decotti di Rei, ed Ami pulendole la gamba, ne capì presto il motivo.

“Haruka vieni un attimo qui per favore.” Chiamò verso le quattro del mattino una bionda taciturna, ma molto più calma di prima.

“Guarda.” Togliendo la pezzuola intrisa di disinfettante rivelò il gonfiore scuro che il polpaccio destro di Giovanna presentava sopra e nei pressi del morso.

“La febbre non scende perché c'è un infezione in atto. Devo incidere e provare a bloccarla prima che contamini anche altri tessuti arrivando all'osso.”

Haruka ingoiò a vuoto avvertendo la mano di Michiru serrarsi alla sua come a volerle dare forza. “Sai... farlo?”

“Ho spesso aiutato il Dottor Kurzh. So come procedere e ho gli strumenti chirurgici adatti nel kit di pronto soccorso che mi sono portata dietro dal San Giovanni.”

“Come posso aiutarti?” Chiese non riuscendo a non fissare la gamba.

“Ho bisogno di due bacinelle, una con acqua calda, quasi bollente, l'altra con acqua e disinfettante. Chiederò al signor Martin di darmi una mano. A quel che ho capito è lui il chirurgo del paese quando il medico è costretto ad allontanarsi.”

Per nulla convinta la bionda guardò Minako e Rei sparire giù per le scale molto probabilmente per chiedere alla madre del signor Leopold quello che serviva e chiamare l'altro uomo.

“Non ho capito una cosa... ma questo signor Martin... non è... il macellaio del paese?” Una voce flebile e roca riemerse dalle pieghe della narcosi facendo voltare tutte e tre le donne rimaste nella stanza. Giovanna le guardò cercando di sistemarsi meglio tra i cuscini.

La bionda sorrise inginocchiandosi e togliendole la pezza ormai calda dalla fronte annuì sostituendola con una più fresca.

“Non è... rassicurante.”

“Sta zitta! Oltre ad Ami è tutto ciò che abbiamo.”

“Non... mi piace...” Sospirò stringendo i denti al dolore pulsante che non accennava a darle pace.

“Haru... come sta Flint?”

“E' ancora vivo. Combatte.”

“Non ti offendere, ma... credo tu abbia tirato su un lupo un po' stupido...” E sorrise al ricordo del gioco che voleva iniziare con quella mina naturale scambiata per una grossa balla.

“Sarà anche stupido come dici tu, ma non è che mia sorella sia tanto più sveglia.” Affondò la stoccata ripensando al gesto di protezione che aveva portato l'altra a spingerla lontano dal rettile, iniziando a passarle la pezza umida sulle braccia nude nella speranza di darle un qualche sollievo mentre la porta si riapriva ed il signor Martin entrava nella stanza con un paio di grosse cinghie nelle mani.

“Allora signorina, voi siete un'infermiera. Potevate dirmelo prima.” Disse in maniera burbera ed Ami non riuscì a capire se le stesse muovendo una critica o un complimento.

Visto il cuoio, Giò strinse istintivamente la mano della sorella guardandola spaventata. “Ruka...”

“Tranquilla. Mi scusi signore, che intenzioni avete?” Chiese alzandosi guardandolo in cagnesco.

“Signorina non abbiamo Laudano e se la gamba di vostra sorella deve essere incisa, ci vorrà più della vostra forza per tenerla ferma.” Disse avvicinandosi pericolosamente al letto.

Ami diede ragione all'uomo continuando professionalmente nella sterilizzazione del bisturi, mentre Minako e Rei tornavano con nelle braccia due grosse tinozze.

“Non sono una vacca io.” Giovanna provò ad alzarsi sugli avambracci, ma quasi urlò per la fitta che quel gesto le provocò alla carne.

L'uomo sorrise. “Visto? Era questo che intendevo. Il veleno delle serpi rende la pelle estremamente sensibile. L'infezione non è ancora molto estesa, ma sicuramente arreca dolore. Allora... siamo pronti?”

“No, che non lo siamo!” Intervenne la bionda iniziando a slacciarsi gli scarponi. Se quell'energumeno pensava di legare Giovanna come una capra pronta per il macello si sbagliava di grosso. Si sbagliava lui come si sbagliava Ami.

Non volendo pensare al terrore cieco che da sempre aveva per il dolore fisico, la maggiore cercò allora di sdrammatizzare. “Oddio Ruka, vorresti farmi svenire con la potenza mefitica delle tue calze?”

L'altra si fermò un istante dimenticando uno dei due scarponi nelle mani e guardandola stava per aprire la bocca per controbattere, ma poi non lo fece. Gli occhi di Giovanna, annebbiati dalla stanchezza e dalla sofferenza, erano un velo di paura. Stringendo la mascella scosse la testa per poi rimanere in calzini. Portandole il braccio destro sotto la nuca e l'altro alla vita, l'attirò a se per poi sederle dietro la schiena.

“Michi mi aiuteresti?” Chiese serrando l'avambraccio al petto della maggiore permettendole di appoggiarsi a lei con tutto il peso del busto.

Osservando la scena l'uomo borbottò qualcosa uscendo dalla stanza e lasciando in pratica ad Ami tutta la responsabilità dell'operazione.

Ecco da bravo. Fuori dai piedi, pensò la bionda notando quanto bollente fosse la pelle della sorella.

Grazie Haruka, grazie davvero, fecero eco i pensieri dell'infermiera mentre si lavava le mani e metteva una pezza pulita sotto al polpaccio di Giovanna. Adesso era sola.

“Ho una paura fottuta Ruka.” Le rivelò Giovanna ad un orecchio avvertendo il calore del corpo dell'altra premuto contro la propria schiena.

“Lo so, anche io, ma sono qui. Questa volta non ti lascio Giò. L'affronteremo insieme questa cosa.” Disse altrettanto piano.

“Mordi questo.” Michiru le porse con dolcezza il proprio fazzoletto prima di bloccarle la gamba destra con le mani. Ma l'altra non lo volle. Non avrebbe urlato come una femminuccia.

Pia illusione, perché quando Ami affondò con risolutezza la lama del bisturi nel punto esatto nel quale il serpente aveva morso e il sangue stranamente scuro e denso iniziò ad uscirle dalla carne, Giovanna urlò e come. Haruka ne bloccò con le braccia il violento spasmo che seguì una seconda incisione. Un altro forte gemito e la bionda dovette tenerle ferma la fronte con tutta la forza che aveva.

“Sssss... è quasi finita. Tieni duro Giò, tieni duro.” Le sussurrò cercando di mantenere la calma alla vista di tutto il sangue che stava fuoriuscendo. Michiru serrò gli occhi cercando di respirare mentre spingeva con tutto il corpo sopra la gamba dell'altra per impedirle di muoverla.

“Rei vieni a tamponare!” Ordinò Ami non riuscendo più a vedere mentre un leggero odore di rancido le formicolava le narici.

In breve l'infermiera riuscì a far defluire sul panno tutto il sangue ormai contaminato dall'infezione che aveva preso ad addensarsi sotto la ferita, pulendola poi con una massiva dose di disinfettante e ricucendone i lembi recisi con il filo da sutura. Il dolore fu devastante e a metà operazione Michiru si accorse che la forza con la quale Giovanna stava cercando di muovere il femorale si era quasi azzerata. Lo stato d'incoscienza era sopraggiunto a sollevarla almeno in parte da quello strazio e lasciando la presa cercò gli occhi di Haruka. Si guardarono un attimo, prima che la bionda tornasse a poggiare la fronte sul collo della sorella che debolmente aveva preso a gemere e a tremare come una foglia.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Scena un tantino cruda, ma tutto sommato dolce. Michiru è riuscita a scardinare il cuore di Haruka e tutto è tornato a scorrere nella bionda, anche il rapporto con Giò. Ho scoperto, perché l'ignoranza è tanta, che nel '15 gli antibiotici non c'erano ancora; la Penicillina, la famosa muffa scoperta da Alexander Fleming nel 1928 verrà utilizzata solo successivamente a questa storia. Allora ho pensato, ops siamo fottute, ma poi ho immaginato che Rei avrebbe potuto conoscere qualche rimedio naturale, tipo la Lavanda, che non credevo, ma oltre a profumare il nostro bucato e ad inondare i campi di mezza Francia e di gran parte delle Alpi, è un potente anti veleno ed un antisettico naturale. Spero che il desiderato ed aspettato da molte, bacio tra Haru e Michi vi sia piaciuto e credo proprio che ve ne saranno molti, molti altri... sempre se “dottor belloccio”, come qualcuna lo chiama con tanto affetto, farà il bravo, s'intende.

A prestissimo.

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** La crudeltà di un orgoglio ferito ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino, Mamoru Chiba e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

La crudeltà di un orgoglio ferito

 

 

 

Paese di Tilone - Passo del San Gottardo.

Svizzera centrale – 9/6/1915

 

Quando Giovanna riaprì finalmente gli occhi uscendo definitivamente dalla febbriciattola che l'aveva accompagnata per due giorni nonostante tutta la dedizione offertale dalla professionalità di Ami e dalla conoscenza officinale di Rei, si ritrovò in un ambiente sconosciuto, una stanza che non riconosceva ed un malessere fisico che non aveva mai provato. La gamba, anche se ormai pulita dall'infezione, continuava a darle noia, anche se non poteva dirsi un vero e proprio dolore, bensì un leggero, ma persistente senso di fastidio.

Guardandosi in torno sentì il coro dell'alba orchestrato dal cinguettio esterno che annunciava le prime ore della mattina, mentre un forte odore di cucinato iniziava a graffiarle lo stomaco penetrando la consapevolezza del suo olfatto e provocandole un potente senso di nausea.

Padre cielo..., ma che cos'è si disse cercando di muoversi incrociando poi le iridi di una Michiru sorridente seduta sul bordo del letto.

Radiosa. Benedettamente e marcatamente radiosa, la donna le accarezzò leggermente la guancia chinando la testa da un lato. “Ben svegliata Giovanna. Lo sai che ci hai fatto prendere proprio un bello spavento?”

“Michiru?” E non ricordando le ultime ore cercò di alzarsi trovando la mano della sorella serrata alla sua.

“Cos'è successo? Dove siamo?”

“Il serpente... Sei stata morsa e ti abbiamo portato nel primo paese trovato sulla carta; Tilone. Speravamo ci fosse un medico, ma alla fine alla tua gamba ha dovuto pensarci Ami. Hai sviluppato l'inizio di un'infezione. Ti ha medicata. Ora siamo ospiti della casa di Leopold, il capo villaggio. Proprio non ricordi?”

“Forse...” Ed immagini frammentate di ricordi e sensazioni più che altro tattili iniziarono ad affastellarle la mente. Gli ansimi ed il sudore di Haruka mentre la portava in spalla, la paura nel sapere quello che l'infermiera avrebbe dovuto farle, il forte dolore alla gamba, lancinante e violento, le parole della minore che cercavano di rassicurarla e gli occhi dolcissimi di una vera amica.

“Grazie Michi.”

“Io non ho fatto poi molto. Lei invece...” Ed indicando la bionda profondamente addormentata seduta in terra dalla parte opposta del letto, ne accarezzò con lo sguardo le fattezze vinte da un sonno rigenerante.

A Giò non sfuggì e si sentì sollevata. Ecco perché l'insegnante sembrava emanare un'aurea intrisa d'amore. Tra quelle due doveva essere successo qualcosa. Sorrise continuando ad ascoltare di come Ami era rimasta soddisfatta dell'operazione, di come gli unguenti di Hino stessero aiutando la cicatrizzazione della ferita e di come Flint si stesse riprendendo.

“Sono contenta, Haruka gli vuol bene.”

“Devi stare attenta, Rei ha già scommesso con Usagi che sarà lui a riprendersi per primo.”

“Poco corretto, lo sanno tutti che gli animali sono più resilienti.” Disse scherzosamente sentendosi tremendamente stanca.

“Quei due ceffi si sono fatti vivi? Da quanto tempo siamo qui?”

Michiru scosse la testa prendendole un po' d'acqua. “Questo è l'inizio del terzo giorno e di quegli uomini non c'è traccia. Haruka e Makoto sono andate in perlustrazione ieri pomeriggio e non hanno trovato tracce.”

“Stanno aspettando. Sanno che siamo qui.”

“Si, lo credo anch'io, ma fino a quando resteremo nell'abitato non dobbiamo temere.”

“Mmmm... Senti, ma cos'è quest'odore?!” Chiese guardando la porta alzando le sopracciglia poco convinta mentre l'altra prendeva a ridere.

“Pollo. Per l'esattezza brodo. E' buono, ma sembra che in questa casa non si cucini altro. Credo che la madre del signor Leopold sia convinta che avendo una malata in casa si debba mangiare solo questo. Perciò ti prego, rimettiti presto.”

“Non ti nascondo di avere lo stomaco sotto sopra.” Ed inizio' ad avvertire pesantezza alle palpebre.

“E' colpa del veleno. Passerà presto. Ora dormi ancora un po'.”

Un grosso sospiro e la più grande tornò a cadere lentamente nel sonno.

 

 

Rei tagliò l'ennesimo stelo posandolo nel grande fazzoletto che aveva appeso al collo. Potevano bastare. Li avrebbe lavorati quella sera stessa per poi passare l'impasto sulla ferita di Giovanna. Richiuse il coltello a serramanico infilandoselo in tasca ed alzandosi pensò a quanto poco le era piaciuto riceverlo da Haruka e quanto invece si stesse rivelando utile. Stirando le labbra soddisfatta guardò le vette imbiancate che si stagliavano alla sua destra per poi soffermarsi sul paese abbarbicato tenacemente alle rocce della sua sinistra. Così diverso da Montmartre dov'era nata e cresciuta e dove i suoi avevano l'attività di famiglia.

Si voltò per risalire il sentiero che l'avrebbe ricondotta al paese quando un corpo le si parò d'avanti facendole schizzare l'adrenalina non appena avverta la presa di due mani alle braccia.

“Rei perché ti sei allontanata!?” E riconoscendo la voce profonda di Haruka si impedì di urlare.

“Ma di un po'..., volevi farmi prendere un infarto?!” Graffiò cercando di fare un passo indietro.

“Allora lo sai che non dovete gironzolare da sole fuori dall'abitato!”

“Certo che lo so! Sono tre giorni che tu e Michiru non fate altro che ripeterlo, ma le piante che mi servono crescono solo qui.” Disse riuscendo finalmente a svincolarsi dalla presa della bionda. In fin dei conti era per sua sorella che si stava spaccando la schiena. Avrebbe anche potuto essere più gentile.

Haruka sembrò pensarci su qualche istante e guardando il fazzoletto carico di steli si grattò il collo borbottando uno scusa.

“E che mi preoccupo per voi. E' molto probabile che quei tizzi siano ancora nei paraggi. Dobbiamo fare attenzione.” La vide passarle accanto e la seguì.

Camminarono silenziosamente fianco a fianco, sfrigolando le suole degli scarponi sul pietrisco grigio e l'erbetta della stradina sterrata che portava alle prime case, quando la bionda si sentì in obbligo di ringraziarla per tutto ciò che aveva e stava facendo per Giovanna.

“Di nulla. Sono contenta che stia servendo a farla ristabilire.”

“Sono stati i tuoi genitori ad insegnarti le proprietà curative delle piante?” Chiese con una punta di strana curiosità. Era affascinata dalle infinite cose che ancora non conosceva dell’erboristeria.

“Si. Mia madre per essere più precisi.” E all’altra sembrò che il viso della mora s'illuminasse al solo pensiero.

“A Parigi abbiamo una farmacia. E' piccola, ma la mia famiglia se la tramanda da tre generazioni. Tra tutti i figli io sono l'unica che realmente stia seguendo le orme di mio padre e mio nonno.”

L'eredità di un albero genealogico. L'officina Tenou. Haruka non poté che rattristarsi al ricordo degli infiniti pomeriggi del doposcuola, quando avida di conoscenza seguiva le mani sapienti degli uomini della sua casa smontare, aggiustare, rimontare e creare meccanismi a combustione che avrebbero portato una scatola metallica al movimento. Concludendo quell'insolita conversazione si perse in pensieri non proprio allegri fino a quando Michiru non comparve loro. Ci pensò un'entusiasta Kaiou a risollevarle il pomeriggio. Ferma al centro della piazza, alla confluenza delle due strade principali che componevano l'abitato di Tilone, mani serrate al grembo, fiera nella sua ritrovata femminilità datale dal vestitino verde acqua che la madre del signor Leopold le aveva prestato snidandolo dal guardaroba della figlia più piccola, saluto' entrambe mostrando un sorriso contagioso.

“Vi ho cercate. Ci sono novità!”

Le altre due si guardarono attendendo. “Domenica si sposa il figlio maggiore del signor Martin e siamo state invitare a partecipare e visto che sanno che sono un'insegnante di musica e che alcune di voi sono mie allieve, il signor Leopold mi ha chiesto la cortesia di farvi cantare durante la cerimonia.”

A Rei sembrò che un treno le arrivasse dritto dritto sulla schiena che piegò sbuffando piano. Odiava cantare. Haruka invece se la rise sentendosi una milite completamente esente.

“Per ringraziare di tutto quello che stanno facendo per noi, io invece suonerò uno dei miei pezzi preferiti; l'Ave Maria di Franz Schubert.” Concluse portandosi le dita a sfiorarsi le labbra all’insù che ancora le illuminavano il viso e alla bionda non rimase che benedirle quelle terminazioni lucenti. Come poteva quella donna emanare tanta grazia?!

“Immagino che Minako sia al settimo cielo. Adora Schubert ed essendo viennese starà mostrando il pancino come una gattina sotto le carezze di un bel ragazzo.” Disse la mora riprendendo la strada verso la casa del capo villaggio seguita a breve distanza dalle altre due.

“Quadro calzante.” Rise Michiru sentendo la mano di Haruka che andava a sfiorarle gentilmente la vita e fremendo a quel tocco si perse nel verde dei suoi occhi.

“Posso invitarti a vedere le stelle con me dopo cena?” Chiese la bionda parlandole ad un orecchio così che a Rei non arrivasse quell'innocente quanto particolarissima richiesta.

L'insegnante abbassò lo sguardo per un attimo per poi annuire. La stava corteggiando e la cosa le piaceva da impazzire.

Quando verso le ventidue Haruka rientrò in camera, trovò la candela ancora accesa ed una Giovanna immersa nella lettura. Era riuscita finalmente a mangiare qualcosa e si sentiva decisamente meglio, ma avendo dormito per tutto il giorno, avvertiva nel petto la frenesia di un grillo menomato.

“Ancora sveglia? Come va la gamba?” Chiese sperando di non ricevere di controparte il solito terzo grado. Aveva ancora sulle labbra il sapore di quelle di Michiru e non le andava proprio di perdere il contatto con quel ricordo appena vissuto parlando d'altro.

“Mi da fastidio. Mi annoio. Mi sono stufata. Voglio alzarmi.” Si lagnò continuando a tenere gli occhi sulle pagine.

La bionda invece era stanca. Meravigliosamente stanca. Sentiva di essere stata astuta sfoggiando ad una Michiru in brodo di giuggiole la conoscenza che grazie al padre aveva della volta celeste, strappandole un bacio ad ogni costellazione trovata tra le infinite luci che in quella sera d'all'aria tersa stavano brillando sopra di loro. Cassiopea, Andromeda, Orione, l'Orsa, sia minore che maggiore e molte altre ancora. Un sorrisetto furbetto e sedendosi sul letto iniziò a slacciarsi gli scarponi.

“Ma sentitela... Eri più morta che viva fino a poche ore fa!” Ridacchiò sfilandosi i pantaloni per poi piegarli ordinatamente e lasciarli al bordo del letto. Avevano cambiato stanza così da poter stare insieme. Haruka non poteva continuare a dormire in terra o su una poltrona.

“Sei particolarmente euforica questa sera.” Costatò la maggiore voltando distrattamente una pagina.

E nuovamente il solito grugnito che questa volta sembrò quasi dolce. Musicale. Giovanna alzo' divertita un sopracciglio chiudendo il volume per lasciarlo sopra il comodino tra i due letti. “Michiru ti ha detto del matrimonio? Suonerà e questa volta una cosa piuttosto impegnativa.”

“Mmmm... Andrà benone.”

“Senza ombra di dubbio... anche perché in questi giorni credo si senta particolarmente... ispirata per un brano tanto profondo.”

“Non capisco a cosa tu stia alludendo. E' una professionista. E' ovvio che senta la musica.” E via la camicia per rimanere in canottiera e biancheria intima maschile.

“Si, certo Ruka.” Le era stato riportato da Usagi che dopo cena le due erano letteralmente sparite. Ora che vedeva quelli occhi brillanti era più che lampante che la sorella avesse finalmente ceduto all'amore.

“Non farti venire strane idee per la testa Giò!” Disse la bionda alzando la coperta fiondandovisi sotto, così, senza neanche indossare la camicia da notte.

“Certo adesso che stai andando a larghe falcate verso una vita meno - cercò le parole più adatte per non indispettirla anche se ci stava provando gusto - diciamo... meno solitaria, potresti anche ricordarti le buone maniere che nostra madre ti ha insegnato.”

“Sarebbe scusa?!”

“La camicia da notte Haruka. Non sei una troglodita.”

Di tutta risposta l'altra si alzò sulle braccia per raggiungere la candela e soffiando sopra la fiammella la spense crollando nuovamente sul materasso imbottito di fieno. “Così eviterai di guardare questa troglodita. Buonanotte!”

Giovanna roteò gli occhi all'oscurità. Povera Kaiou, avrebbe dovuto sudare tanto per rendere nuovamente presentabile quell'orso. Pochi minuti e la sua voce raggiunse Haruka quasi sulla soglia del sonno. Questa volta pensierosa. Preoccupata.

“Questo pomeriggio ho parlato con Ami. Molto probabilmente ci vorranno giorni prima che riesca a poggiare nuovamente il piede a terra.”

“E... con questo?”

“Dovete lasciarmi qui. Non potete aspettare che io guarisca.”

 

 

Il matrimonio era stato bellissimo, semplice e pulito, ricco di momenti toccanti, come quando la sposa, una ragazza di poco più grande di Haruka e Michiru, era arrivata stretta nello scialle ricamato del corredo, sul sagrato della piccola chiesa sul carro di famiglia addobbato con ghirlande di fiori di campo, ed era poi entrata avanzando titubante ed emozionata camminando verso uno sposo forse ancor più impacciato e nervoso di lei. La cerimonia religiosa aveva ricalcato il canonico sposalizio, con le letture prese dalla Bibbia ed incentrate sulla famiglia, sull'amore e sul rispetto reciproco, per poi vedere il suo apice con lo scambio degli anelli accompagnato in sottofondo dall'Ave Maria che Michiru aveva magistralmente eseguito, lasciando in quelle note tutta se stessa e commuovendo praticamente tutti. Infine l'inno di chiusura cantato dalle ragazze che, nonostante al San Giovanni non avessero mai formato un vero e proprio coro, non sfigurarono, anzi, chiusero di fatto la cerimonia accompagnando con la voce sposi ed invitati verso l'esterno, dove tavoli imbanditi aspettavano in piazza per festeggiare fino a tardi.

Tranne Haruka e Giovanna, che si trovavano perfettamente a proprio agio in pantaloni, le ragazze avevano potuto finalmente vestire con abiti più consoni e com’era successo per Michiru, le madri del paese le avevano rivestite fino alle scarpe con gli indumenti, semplici, ma femminili delle proprie figlie. E così, forse sentendosi nuovamente se stesse, si stavano ora immergendo in quella festa paesana ballando e divertendosi come non accadeva da tempo. Seduta su una panca posta al lato della piazza verso quello che era il belvedere, con la gamba offesa poggiata comodamente su un cuscino, Giovanna sorrise guardando Haruka dare l'ennesimo pezzo di carne a Flint, semi nascosto tra un'aiola proprio dietro di loro. Si stava ristabilendo ed era tornato ad avere la canonica “fame da lupo” e nel sentire pronunciata l'affermazione allora piccoletto, ti piace la ciccia buona, non poté che scuotere la testa intenerita.

Non capirò mai perché il mondo ti abbia fatto tanto male, Ruka mia , pensò per poi vedere arrivare Makoto di gran carriera, forse scappando agli inviti danzanti delle altre. Leggermente sudata si sedette accanto alle due indicando con il mento il centro della piazza.

“Ma le avete viste? Sono completamente fuori controllo!” Pronuncio' stentorea all'indirizzo delle altre compagne. Usagi che ballava con Rei e Minako con una Ami leggermente imbarazzata.

Giovanna rise mentre Haruka le chiedeva del perché non si scegliesse un bel campagnolo per sfogarsi nelle danze. “Ma di, stai scherzando? Sono una ragazza seria io! Chi li conosce quelli!? E poi sono tutti più bassi di me.”

“Mmmm... questo si, può essere un problema Mako. Allora facciamo così, se vuoi ti faccio volteggiare io.” Disse finendo di saziare il suo Flint per strizzare l'occhio all'avvampo delle sue guance.

“Ma che... Dai Haruka, non scherzare.” E schizzò via verso le altre alla velocità della luce seguita da una fragorosa risata da parte di una bionda finalmente felice.

“Che bestiaccia che sei. L'hai messa in imbarazzo.” Rimproverò bonariamente l’altra mentre vedeva Michiru finire di parlare con il signor Leopold e venire verso di loro.

“E allora? E' grande abbastanza per tenermi testa.”

“Io credo che solo una persona qui possa realmente tenerti testa... oltre a me, naturalmente.” E questa volta toccò a Giovanna sfiorare le labbra con un sorrisetto impertinente.

“Sciocchezze!”

“A si? Vediamo come te la cavi con questo... Michi vieni.” Chiamò facendo un leggero cenno con la mano.

“Che intenzioni hai?” Chiese la minore abbassando improvvisamente il tono della voce.

“Michiru ascolta, la qui presente vorrebbe chiederti una cosa.” Disse spostando lo sguardo dal blu degli occhi dell'amica al verde di quelli della sorella.

“Dimmi Ruka.” Ed attese mentre l'altra iniziava a guardarle alternativamente sentendosi persa.

“Su, non essere timida. Dille quale sarebbe un tuo desiderio.”

“Eeee.... Veramente io non...”

“Il cavallino qui fa un po' la timida. Kaiou, non badarci. Haruka mi ha appena confessato di morire dalla voglia di ballare con te.” Vide la bionda sgranare gli occhi e Michiru stringere le mani al petto l'una contro l'altra per la contentezza.

“Ma davvero Ruka? Ne sarei lusingata.” Disse attendendo.

Dopo un primo momento di smarrimento e di vergogna nera, Haruka fissò per la sorella non sapendo in cuor suo se ringraziarla o toglierla dal mondo in maniera crudelmente lenta. Catturata dall'eccitazione di Kaiou le porse la mano alzandosi lentamente per poi condurla fin quasi al centro della piazza.

L'una di fronte all'altra, Haruka impacciatissima, ma decisa e Michiru con un viso beato molto più simile a quello di una sposa che di un'invitata, intrecciarono la destra con la sinistra all'altezza del petto. “Sai, l'ho sperato per tutto il pomeriggio.” Disse l'insegnante posando la seconda mano sulla spalla dell'altra.

“Che ti chiedessi un ballo?” Afferrandola per la vita cercò di non badare all'impulso che sentiva nelle dita di stringerla troppo a se.

“Si...” Un leggero rossore ed avvertì il corpo della bionda condurla iniziando a seguire la musica.

“Perdonami, sono arrugginita. E' da quando ero poco più di una bimbetta che non ballo.” E mentre rivelava quello che per lei era ora un punto di demerito, cercò di ricordarsi quando, per passare il tempo durante le nevicate, era solita ballare nel salotto di casa con Giovanna accompagnate dal piano della madre e a poco a poco, grazie anche alla fluidità dei movimenti di Michiru, iniziò a sciogliersi e a riprendere confidenza con la musicalità del proprio corpo.

Sono un genio del male, pensò la maggiore ridendosela allegramente dal suo giaciglio mentre Minako ed Usagi andavano a sedersi accanto a lei.

“Sono splendide.” Affermò Mina sospirando deliziata.

“Solo il mio Mano è più affascinante di Haruka.” Convenne l'altra poggiando il mento su una mano guardando le ragazze più grandi muoversi ormai perfettamente a tempo.

“Porta pazienza Usa, lo rivedrai presto.” Disse Giò sperando in cuor suo che potesse essere vero.

“Si e gli racconterò di Te, di Haru, di come ci siamo dovute conciare per viaggiare un po' più sicure, di quei brutti ceffi, della scoperta della forte, del Passo del San Gottardo, dei suoi ghiacciai, del ferimento tuo e di Flint e di questa splendida festa, si intende!”

“Povero ragazzo, come non lo invidio.” Sottolineò scherzosamente l'amica mentre Giovanna scoppiava a ridere alla faccia contrariata dell'altra.

“Mina!” Urlò Usagi mettendo il broncio per poi unirsi alle altre gioiosa.

Haruka e Michiru rimasero in piazza a ballare per qualche altro minuto, accaldate, ma sinceramente impossibilitate a lasciarsi andare, unite come dalla forza d'attrazione scaturita da due pianeti. La musica era un pretesto. Il ballo lo era. Tutto intorno a loro sembrava essersi dissolto facendo risaltare solo loro.

“Forse sarebbe il caso di smettere.” Un consiglio sospirato più che all'altra a se stessa ed alle emozioni che stava provando. In primis brividi, aritmia, leggera chiusura dello stomaco e poi, voglia, tanta voglia di lei.

“Ruka... Io non voglio smettere.” Pregò guardandola con talmente tanta intensità da farle perdere il ritmo.

“Dovremmo Michi.” Disse mentre la voce di alcuni ragazzini andavano a disturbare gli orchestrali interrompendone di colpo le note.

Le due si fermarono guardandosi intorno mentre i piccoli accerchiato Leopold prendevano ad indicare l'inizio del paese agitatissimi. Michiru ridusse gli occhi a due fessure cercando di mettere a fuoco. Tra le case comparve un cavallo montato stancamente da un uomo vestito di bianco. Poi un secondo, un terzo ed un quarto animale. In breve l'insegnante ne contò una decina, poi, riuscito finalmente ad inquadrare il capo fila, sentì il fiato morirle nella gola e contraendo i muscoli si staccò dalla bionda abbandonando le braccia lungo i fianchi. Non era possibile.

“Daniel.” Quasi un lamento incredulo.

Haruka la guardò pensando di non aver capito bene. “Michi?” Ma purtroppo aveva sentito benissimo.

Il Sottotenente dei Dragoni Daniel Kurzh fermò la sua giumenta a circa una ventina di metri da loro mente osservava il signor Leopold farsi largo fra i suoi per andargli incontro. Smontato e presentatosi porse la mano all’uomo mentre i soldati prendevano ad imitarlo abbandonando il cuoio delle selle.

“Perdonate signore se ci permettiamo di interrompere quello che credo sia uno sposalizio, ma è tanto che io ed i miei uomini siamo a cavallo in cerca di una persona che mi è stato indicato potrebbe ssere qui...” Poi la vide. La sua Michiru.

Dilatando gli occhi e spalancando il sorriso l'uomo dimenticò tutto, buone maniere incluse e catapultandosi verso la donna la raggiunse stringendosela forte al petto. “Michiru, mio amore.... Ti ho trovata finalmente!” E continuò a stringerla per secondi che a lei sembrarono interminabili e stranamente soffocanti. Sapeva che Haruka era dietro di loro, ad un passo e non voleva, non poteva permettere che soffrisse nel vedere tanto inusuale slancio affettivo.

“Daniel, cosa ci fai qui?” Chiese attendendo spiegazioni che arrivarono sotto forma di un passionale bacio sulla labbra che ne bloccò il respiro provocandole una sensazione sulla soglia del disgusto.

“Tesoro mio...”

“Ma cosa fai!?” Disse abbassando il tono della voce puntando lo sguardo al suolo. Non era certo un comportamento adeguato.

“Perdonami cara, ma sono euforico. Stiamo girando a vuoto da giorni e se non fosse stato per due taglia legna incontrati poco lontano dal bivio per Mischer, avremmo tirato dritto non trovandovi. Con te ci sono anche l'infermiera Mizuno ed alcune ragazze del collegio, non è vero? - Poi spostò lo sguardo al ragazzo biondo dietro di lei e lo colpirono i suoi occhi; al limite del livore. - Giovanotto, abbiamo dei problemi?”

L'insegnante si girò allora verso Haruka sperando che non raccogliesse. La voce di Daniel non era proprio amichevole. “Lascia che ti presenti una mia amica Daniel. Haruka Tenou.”

“Haruka...Tenou?” Una donna!

“O... Mi perdoni la goffaggine signorina. Il viaggio a cavallo è stato più stancante del previsto se i miei occhi si permettono di avere un abbaglio tanto ardito.” E porgendole la destra le strinse il palmo accennandole un baciamano sul dorso che non fece altro che stuzzicarle i nervi già provati.

“Piacere.” Strinse con forza.

“Siete per caso una parente di Giovanna Tenou?”

“E' mia sorella... signore.” Rivelò con una punta d'orgoglio e spocchia che lo indispettirono.

“Che piacevole coincidenza.” Sogghignò guardando poi in direzione di alcune ragazze che riconobbe essere le studentesse del San Giovanni; Usagi Tzukino e Minako Aino e tra le due una terza persona in abiti maschili, che dai lineamenti gentili doveva essere una donna. Non portava le mostrine, ma Kurzh riconobbe la camicia dell'uniforme delle staffette di confine della Confederazione Elvetica. Molto probabilmente era lei.

“A cosa vi riferite?”

“O nulla, nulla. Con permesso signorina Tenou, devo scambiare quattro chiacchiere con il capo del villaggio e chiedergli asilo per la notte. Domani mattina voglio partire per Berna il prima possibile.”

 

 

La sera scese svuotando tutta la piazza ed una volta rifocillati, i soldati approntarono un campo nei pressi dell'abitato, in una delle stalle che d'inverno ospitava il bestiame portato qualche settimana prima in quota. Stefano poté finalmente presentarsi a Giovanna approfittando della bella serata per poter parlare un po' seduti sui gradini della casa di Leopold. Il fante era stato obbligato dal suo superiore a confermare quello che il Sottotenente aveva gia' intuito, ovvero che lei era l'artecice del furto alla caserma. Sperando che la contentezza e la riuscita della sua missione portassero Kurzh a miti decisioni in merito al suo probabile arresto, Stefano le sedette accanto guardandole la gamba e constatando quanto avesse in viso provato.

“Lo sapevo che ti saresti cacciata nei guai Giovanna.” Disse sorridendo al tocco delle dita di lei sull'accenno di barba. Le sembrava più uomo quando non era rasato.

“Un piccolo incidente. Ma tu? Cosa ci fai tu con quel bellimbusto? Lo sai che Michiru gli è promessa?”

“O lo so! Lo so bene! Come so che se volesse potrebbe arrestarti su mandato del Tenente Smaitters.”

“Spiegami... Cosa c'entra lui con il Tenente?” Chiese venendo cosi' messa al corrente di quello che era accaduto al distaccamento le ore successive alla partenza sua, di Haruka e del gruppo di straniere. Un resoconto abbastanza dettagliato su come quel medico fosse finito quasi per caso a chiedere aiuto proprio a Smaitters e di come quest'ultimo, immaginando il coinvolgimento di Stefano nel furto del materiale tecnico, lo avesse obbligato a seguire il Dragone e a far da guida a quella piccola spedizione di ricerca.

“Ho fatto di tutto per allontanarlo dalle tracce che trovavo lungo la strada ed alla fine sono riuscito a farlo desistere dal seguirvi fino al passo del San Gottardo, convincendolo che la mulattiera di mezzo crinale fosse più indicata per le zampe dei cavalli. E' molto più lunga, ma con la loro velocità ed un po' d'astuzia vi saremmo passati davanti perdendovi. Ma poi chiedendo di voi a due tizi, questi ci hanno indicato questo paese dicendoci che qui stava pernottando da un paio di giorni un gruppo di forestieri con parecchie donne."

Dio Santo..., pensò Giò sospettando a chi alludesse.

“Speravo non si trattasse di voi, invece. Perciò come vedi Giovanna, continui ad essere in un mare di guai.” Disse prendendole la destra iniziando a scaldarla.

Lei glielo lasciò fare. Era contenta di vederlo. Molto contenta. “Non credo che perderà tempo ad arrestarmi Stefano. Quello al quale punta è riprendersi Michiru e siccome troverà un bel po' di difficoltà nel farlo, vedrai che non passerà domani senza che, respinto ed avvilito, alzi i tacchi tornando a Bellinzona.”

“Cosa intendi dire con un bel po' di difficoltà?”

“Intendo dire che la signorina Kaiou non porta più nel cuore il Sottotenente e visto il carattere indomito che possiede quella donna, sono più che certa che non lo seguirà. In più a quel che ho capito quell'uomo deve averla delusa talmente tanto che non credo vorrà più vederlo.” Per correttezza nei riguardi dell'amica preferì non sbilanciarsi nel rivelargli altro.

“Ho capito, ma tu?”

“Io? Non posso tornare indietro ed anche se ne avessi la facoltà rifarei tutto come prima.”

“O che discorso stupido Giovanna!”

“Stupido o meno è un fatto e comunque non posso certo scappare nella notte con la gamba ridotta così, perciò se vorrà arrestarmi non potrò opporre resistenza!”

“E a me?! A me non pensi?” Chiese quasi con stizza.

“Bè Stefano, mettiamola così. - Gli si avvicinò al viso posandogli la mano sulla guancia. - Hai atteso tanto il mio risveglio e confido sul fatto che anche se in carcere, continuerai a volermi bene.” E lo baciò aprendosi finalmente ad una passione sepolta ormai da troppo tempo.

Intanto a qualche decina di metri, nella casa di Martin ormai rimasta vuota dalla partenza dell'ultimo figlio andato sposo, Daniel Kurzh finiva di consumare l'ottimo pasto che il macellaio e sua moglie avevano insistito per offrirgli. Non capitava tutti i giorni che la loro casa rendesse ospitalità ad una personalità di tale calibro; un dottore di città, un Dragone dell'Impero Austroungarico e poi ormai di spazio ve n'era a sufficienza. Onorando fino all'ultima briciola l'ottima cucina della casa, il medico guardò la donna seduta accanto a lui cupa e pensierosa.

“Tesoro, cos'hai? Non hai toccato cibo. Ti ho già detto che ti voglio in forze per il viaggio.” Disse mentre i padroni di casa si erano allontanati un attimo.

Il viaggio. Ecco qual'era la causa del suo scarso appetito; un viaggio non voluto e come sempre impostole. Loro diretti a Berna per un matrimonio che Daniel aveva deciso di anticipare, mentre i soldati sarebbero ritornati al loro distaccamento di Bellinzona. I futuri sposi avrebbero preso la via dei laghi e poi lasciati i cavalli, con un locale sarebbero arrivati in città, dove la famiglia Kaiou aspettava trepidante notizie. Ovvio era che li avrebbero seguiti anche le quattro studentesse e l'infermiera Mizuno. Delle altre due donne poco importava. In realtà al medico premeva di arrivare al cospetto di Viktor Kaiou il prima possibile ed il destino che attendeva le due sorelle non era contemplato nei suoi piani. Per lui Giovanna Tenou poteva venire messa ai ferri, come espatriare o rimanere in quello sputo di paese per tutta la durata della guerra e per quanto concerneva la bionda, a pelle sentiva di non soffrirla, troppo mascolina e fiera per essere presa anche solo in considerazione.

Michiru sospirò guardandosi intorno. Doveva chiarire la sua posizione prima di soffocare.

“Daniel usciamo. Ho bisogno di una boccata d'aria.” Disse alzandosi dalla sedia poggiando sul tavolo il tovagliolo.

“Ma cara, sono un uomo dal fisico prestante, ma anche io ho bisogno di riposo. E poi non possiamo abbandonare i piatti senza il padrone di casa.” Zuccheroso fino alla nausea.

“Devo parlarti. Non ci vorrà molto.” Ed imboccando l'uscita lo costrinse senza non poca irritazione a seguirla nel piccolo giardino sul retro.

Una volta all'esterno Michiru prese a guardare le stelle sorridendo a quel chiarore ormai non più sconosciuto.

“Se ti dico che non voglio passare per scortese di fronte alla padrona di casa che tanto gentilmente ci ha ospitati per la cena gradirei essere ascoltato. Comunque lascia che te lo dica; i tuoi capelli! Cosa ti è saltato in mente per ridurli così. Sai tesoro, questo tuo modo di fare sempre troppo impulsivo dovrà per forza di cose essere cambiato. Non si addice ad una futura signora Kurzh.”

Non si addice ad una Kurzh!, pensò acida. Ma se sarebbe stato lui ad avere i maggiori guadagni sociali ed economici da quel matrimonio!

“Ascoltami Daniel, visto che stai tirando fuori questa storia sappi che non appena sarò rientrata a Berna è mia intenzione rompere il fidanzamento!” Una deflagrazione quasi epocale uscitale di getto dalla bocca prima ancora che potesse essere partorita dalla mente e fu lei a stupirsene per prima.

“Come scusa? Non credo di aver capito bene.” Disse lui aggrottando la fronte mentre la sentiva continuare.

“Hai capito benissimo! Non ci sarà alcun viaggio. Ho premura di arrivare il prima possibile a Berna e per svariate ragioni, una delle quali è parlare di noi con mio padre, ma non ho intenzione di farlo con te o con l’aiuto dei tuoi cavalli.”

“Michiru, ma cosa stai divento?! Sia i tuoi che i miei genitori si aspettano un matrimonio entro la fine di luglio....”

“Loro si aspettano un matrimonio, tu aspetti un matrimonio, ma non ci sarà alcun matrimonio alla fine di luglio! Questo viaggio mi ha fatto capire tante cose, cose importanti, soprattutto su me stessa e ti posso assicurare che... - cercò di essere meno brutale possibile addolcendo leggermente la voce. - che non ti amo più Daniel.”

“Michiru.” Un passo in avanti ed un passo indietro di lei.

“E' per le ragazze non è vero? Stai mettendo su il puntiglio perché non le ho accompagnate a Zurigo?”

“No Daniel, non è per questo. Da tempo aveva capito che il tuo è un carattere misogino e prepotente, ma speravo che l'amore che portavo nel cuore potesse darmi la condiscendenza della quale avevo bisogno per non guardare a questi tuoi difetti. Durante queste ultime settimane mi sono però resa conto che l'amore è un altro. E' compromesso e pazienza certo, ma anche forza e passione, entusiasmo, desiderio, incoscienza ed io...”

“Tu?” Chiese rabbioso.

“Io le ho provate con un'altra persona. Mi dispiace.”

Michiru vide l'istante esatto nel quale, colpito nell'orgoglio più che nel cuore, Daniel Kurzh le dichiarò guerra, ma dall'alto della sua incoscenza non avrebbe mai osato neanche immaginare a quale bieca arguzia quello che aveva considerato l'uomo del suo futuro sarebbe da li a breve arrivato.

“Un'altra persona? Michiru mi stai forse dicendo che ti sei innamorato di un altro uomo?”

“Non esattamente. Si è vero, mi sono innamorata, ineluttabilmente e follemente, ma non di un altro uomo Daniel.”

Il viso di lui cambiò drasticamente espressione. La rabbia si trasformò in sorpresa e poi in sospetto.

“E conosco questa fortunata persona?”

“Si… - ossigeno nei polmoni. - L’hai conosciuta questo pomeriggio.”

“Michiru Kaiou non dirmi che il soggetto delle tue attenzioni sentimentali è quella donna!”

Dopo un istante lei sorrise ingenuamente convinta di poter essere capita. “Ma come hai fatto a capirlo?!”

“Devo ammettere che ho visto come ti guarda, ma confidavo che da parte tua ci fosse maggior buon senso. Certa gente va compatita, non assecondata!”

“Daniel ritieniti libero. Il nostro matrimonio è annullato.” Ma non riuscì a proseguire sentendo le sue mani strette con forza alle pelle delle braccia.

“Tu sei stanca cara. La fuga con le ragazze, il viaggio, questo perverso gioco saffico, non sono altro che l'indice di una sofferenza mentale. Appena saremo a Berna ti porterò da un mio amico specializzato nella cura dell'isteria femminile e vedrai che tornerà tutto come prima.”

“Isteria femminile?!” Artigliò puntandogli contro due occhi scuri e minacciosi.

“So che non è stata colpa tua amore, purtroppo sei sempre troppo gentile con tutti. Quel genere di persone andrebbero rinchiuse per non provocare collassi emotivi nelle ragazze di buona famiglia.”

“Daniel smettila! - Finalmente riuscì a sfuggirgli. - Non permetterti di parlare di lei in questi termini. Ma che ne sai tu di buone famiglie, di retaggi... Haruka è l'anima più nobile e pura che io abbia mai conosciuto. E' colta, intelligente, altruista e tu non vali neanche la metà del candore spirituale che le arde dentro!”

Non avrebbe mai creduto che la testa potesse girarle tanto violentemente per via di un singolo schiaffo. La mano destra di Daniel la colpì in piena guancia facendola sbilanciare. Arpionandosi il volto bruciante con le dita lo guardò sgranando gli occhi inorridita.

“Ma... come ti sei permesso?!:

Ogni uomo degno di questo nome lo avrebbe fatto nel sentire queste eresie! Bene, devo dedurre che abbiate passato diverso tempo insieme per farti arrivare a dire tanto. Me ne compiaccio.” Disse con scherno slacciandosi parte dei bottoni sul petto e tirando fuori dalla tasca interna dell'uniforme una busta con inciso lo stemma araldico del serpente rosso proprio della città di Bellinzona.

“Vedi mia cara, dovresti conoscere anche me e sapere che non sono tipo d'arrendersi tanto facilmente.”

“Che cos'è quella?”

“Questa? Mmmm... diciamo che contiene un ordine, un ordine di arresto per furto. Sai mia cara che nome porta in calce?”

“Daniel...”

“Giovanna Tenou.” Sorrise beffardo sventolandola a mezz'altezza e Michiru comprese di avere le mani legate.

“Ora, ho due scelte, eseguire o meno l'ordine datomi da un mio diretto superiore. Tu cosa credi che farà questo uomo senza retaggio o buona famiglia?”

L'insegnante scostò lo sguardo scuotendo la testa mentre lui le si avvicinava nuovamente parlandole quasi ad un orecchio. “Non mi sembra che questo pomeriggio mi sia stata presentata nessuna Giovanna Tenou e perciò non sono tenuto a sapere se sia o non sia presente nella zona una fuggitiva con tale nome.”

“Mi stai ricattando?” E nel dirlo non riuscì neanche a guardarlo negli occhi.

“Amore mio, che brutta cosa da pensare del tuo futuro sposo. Michiru sta a te far si che quella donna viva ancora la sua libertà o passi gran parte dei suoi giorni in un carcere militare. Tu dimentica quell'invertita della sorella e torna con me a Berna e ti do la mia parola che brucerò questi ordini davanti ai tuoi occhi.”

“Voglio una prova che contenga realmente il nome di Giovanna.”

“Coraggio allora. Leggila.” E gliela porse.

Con le dita gelate, ma salde, lei la prese, l’aprì e la lesse. Erano poche righe e ci volle un attimo. Poi una specie di singulto, il capo chinato, gli occhi chiusi e la consapevolezza ferale di dover dire addio al suo dolce angelo biondo.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Sento un coro ritmico di male parole dove la cosa più carina che si sta levando è bastardo infame. In effetti. Avrei voluto continuare a scrivere dell’addio di Michiru ad Haruka e della reazione della bionda, ma sarebbe stato un capitolo troppo lungo e credo stancante. Allora vi lascio così, a cantare insieme _ Quanto bene vogliamo a Daniel Kurzh _

Un primo inciso sulla così della isteria femminile. che andava tanto in “voga” allora. In pratica qualunque cosa una donna si permettesse di fare leggermente lontana dalla convenzione, era da ricovero immediato.

Il secondo inciso riguarda lo stemma araldico della città di Bellinzona; ovvero il biscione o vipera viscontea. Mi sono accorta solo scrivendo che questo benedetto rettile riciccia sempre ed in questo caso non era ne voluto, ne pensato, ma cade a fagiolo con il sogno di Rei.

A prestissimo

 

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Capitolo 12
*** Sforzi, convinzioni e speranze ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Sforzi, convinzioni e speranze

 

 

 

Michiru si sentì soffocare non appena quello scritto le diede la consapevolezza dell'abbandono. Ebbe anche il coraggio di rileggerlo più volte, sperando ingenuamente di essersi sbagliata, di aver compreso male. Invece no. Era tutto li, nero su bianco; il suo dover dire addio ad Haruka, il suo dover diventare succube di una situazione marcatamente ricattatoria, l'accettazione di un uomo che lei non amava e non l'amava, che l'avrebbe resa schiava azzerandone la volontà di vivere. E quel pugnale arroventato che sentiva spintole a forza nel petto; bieco risultato di una mente possessiva e crudele.

Avvertendo un giramento di testa cercò di respirare più profondamente tornando a guardarlo negli occhi. Soltanto il cielo poteva sapere quanto disgusto stesse provando per quell'individuo e al solo pensiero che avrebbe dovuto sposarlo, per poi passarci giorni, ma soprattutto notti eterne dandogli figli e gocce continue di se, sentiva le gambe tremare e lo stomaco andare in mille pezzi. Scappare! Fuggire via! Questo avrebbe voluto fare Michiru Kaiou e non sarebbe importato dove, se a Berna, verso l'interno della foresta più nera o all'inferno, l'importante sarebbe stato il più lontano possibile da lui.

“Dunque? Sei soddisfatta?!” Chiese beffardamente tagliente, tronfio della cattura di una preda tanto ambita.

“Adesso sai che non mentivo, ne scherzavo. Adesso sai che se io voglio... prendo.” Afferrando lo scritto lo ripiegò mettendola in guardia.

“Bada mia cara. Se fossi in te non formulerei piani di fuga con o senza quella donna al fianco, perché ho intenzione di mettere dei soldati a presidio delle strade del paese. Non si sa mai... Dovessi credere di avere d'avanti uno stolto sempliciotto.”

“So che non lo sei.” Riuscì finalmente ad articolare registrando quanto bassa e rauca fosse la sua voce.

“Bene Michiru. Allora ritengo chiusa la questione. Tu e le ragazze partirete con me all'alba. Gradirei che le facessi preparare per tempo.” Concluse tornando verso l'entrata.

Lei fu lesta nel richiamarlo, anche se in realtà non avrebbe mai voluto. “Aspetta Daniel! Devo... - Si riprese immediatamente. Anche lei non era una stupida. - Lascia che le dica addio.” La prima di un'infinità di concessioni che avrebbe dovuto elemosinare.

“No!”

Era stata invitata a dormire dal curato quella sera e non avrebbe potuto vederla. Stringendo i pugni sino al bianco delle nocche si impedì di urlare. “Non hai detto che metterai dei soldati di guardia? Allora di cos'hai paura?”

Paura. La parola magica che ogni donna sa che può usare a proprio vantaggio quando sta scontrandosi con l'ego di un uomo.

Il Sottotenente sembrò rifletterci sopra qualche secondo. “Vai dunque, ma resterò ad aspettarti fuori. Ma stai accorta Michiru... - si voltò lentamente con una freddezza nello sguardo che raramente aveva potuto cogliere da quando lo conosceva - non costringermi a pentirmene.”

“Stai pur sereno.” Terminò seguendolo con passo lento.

Finirono di cenare per poi intrattenendosi nel fare conversazione, ringraziando più volte la padrona di casa per l'ottimo cibo offerto loro e la stanza che Kurzh avrebbe occupato. Per tutto il tempo che si protrasse quella che per Michiru sembrò una vera e propria agonia, non pensò che ad Haruka, a quanto desiderava vederla ed al dolore che sicuramente le avrebbe dovuto infliggere. Mantenne un tono pacato e cordiale, degno di una figlia di Berna, di una Kaiou, perché così le era stato insegnato, perché questo era il comportamento di una vera signora. Oltre se stessa riuscì a stupire persino Kurzh, il quale era già pronto ad accampare scuse su improvvisi malesseri per togliersi dall'ambasce di una fidanzata che secondo lui avrebbe sicuramente ceduto ad una crisi d'isterica. Invece tutto seguì i canoni di una perfetta serata di svago e quando i due salutarono il signor Martin e la moglie per dirigersi verso la casa di Leopold, Michiru sembrò tornata quella di sempre; calma, riflessiva, una vera donna di classe qual'era nella sua natura. Arrivata al cancello metallico dell'arcata di pietra d'entrata guardò dritto negli occhi l'uomo perché risultasse chiaro che non gli aveva ceduto la dignità e senza aggiungere altro si incamminò verso la porta del tinello che si trovava dietro l'angolo della facciata.

Sapeva che lui la stava seguendo con lo sguardo, che sarebbe rimasto li ad aspettarla come un mastino e per questo si sforzò di tenere la schiena dritta ed il passo fluido fino a quando non fu più nella sua visuale. Solo allora, svoltato l'angolo, si fermò poggiando il palmo della sinistra al muro e la gemella allo stomaco. Avrebbe volentieri ceduto ai conati che prepotentemente stavano cercando di farla rimettere da più di un'ora, ma un paio di voci provenienti dalle scale di accesso al tinello la costrinsero a non crollare.

Quando Michiru apparve loro sfoderando il suo bel sorriso Giovanna ebbe come l'impressione che l'amica fosse sull'orlo del pianto.

“Signorina Kaiou è un piacere rivedervi. Perdonatemi se questo pomeriggio non sono potuto venire a salutarvi.” Disse Stefano alzandosi per porgerle la mano.

“Non fatevene cruccio. Vedo con piacere che state bene.” Contraccambiò la stretta.

Sarebbe tanto voluta andare a rifugiarsi in un posto tutto suo, a piangere, ad urlare, o semplicemente a pensare a come uscire da quella situazione che la stava portando verso la fine di un amore appena sbocciato.

“Giovanna perdonami, sai dirmi dov'è Haruka?”

“In camera Michi.” Dopo la scena dell'incontro dell'amica con il fidanzato, tutte avevano preferito lasciare la bionda da sola.

“Ma... ecco vedi, non ti nascondo che sia alquanto... nervosa.”

L'altra lasciò che un sospiro abbastanza forte le uscisse dalle labbra e congedandosi dai due iniziò a salire i pochi gradini che portavano all'interno.

“Sei sicura di star bene?”

Michiru allora si fermò, si girò e riscendendo la salutò lasciandole un bacio sulla guancia.

“Buona notte Giovanna e... grazie per tutto.” Tornando poi verso la porta entrò lasciando l'altra abbastanza interdetta.

 

 

Seduta sul bordo di uno dei due letti da più di quindici minuti, Minako proprio non riusciva a capire perché, non appena chiusasi la porta alle sue spalle, Haruka fosse andata ad abbandonarsi sulle doghe del pavimento senza proferire parola, non spiegandole del perché l'avesse voluta li con lei, ne il perché necessitasse di parlarle ad un'ora tanto tarda della notte ed infine, il perché avesse le nocche della mano destra sanguinanti e lo sguardo allucinato.

Era abituata dal suo ruolo di amica ad ascoltare gli sfoghi delle altre ragazze, soprattutto di quelle a lei più care, ma non si sarebbe mai immaginata di ritrovarsi sola con l'orso alpino in evidente stato confusionale. Non appena la viennese era riuscita ad intravederle gli occhi e successivamente la mano, l'era stato chiaro che qualcosa aveva colpito lo spirito della donna, ed aveva provato a fare qualcosa, a chiederle qualcosa. Ma Haruka non aveva dato spiegazioni non volendo neanche essere medicata, limitandosi a sedersi in terra spalle al muro come se fosse stata la cosa più normale del vivere civile. Ed ora erano li, l'una di fronte all'altra; Minako che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso e la più grande che sembrava essersi estraniata in un mondo tutto suo.

Pensava la bionda, rifletteva, cercando di riordinare le sensazioni che la conversazione avuta con Michiru in quella stessa stanza neanche un'ora prima le avevano lasciato addosso. Non riusciva a capire Haruka. Proprio non riusciva. L'insegnante si era presentata bussando discretamente alla sua porta e dall'espressione rilasciata dal suo viso l'altra aveva capito che non sarebbe stata una visita di cortesia. Lei stessa quella sera si sentiva nervosamente intollerante al dialogo ed avrebbe allontanato chiunque fosse venuto a strapparla dalla frenesia violenta che avvertiva nelle dita delle mani. Chiunque tranne lei. Al vedere quell'uomo osare tanto, toccare e baciare la sua dea in pubblico, quasi a bruciapelo, con spavalda autorità, si era sentita pervadere da un senso di rabbia che era riuscita a gestire solamente perché essendo una donna molto intelligente, sapeva ascoltare i propri errori, imparando da essi. Stavano ancora pagando tutte, Michiru e Giovanna in testa, lo scatto di nervi avuto dalla bionda al Taglio dell'Erba e si era ripromessa di contare i fatidici dieci secondi prima di dar nuovamente sfogo ai suoi istinti. Così non aveva reagito davanti a quella scena ed alle parole che ne avevano fatto da contorno, preferendo conficcarsi le unghie nei palmi, attendendo tempi di vendetta migliori, sapendo che quel bieco esserino in divisa non era piu' nel cuore dell'insenante.

Sentendo quei tocchi al legno della porta aveva serrato la mano alla maniglia con rabbia aprendo l'uscio quasi di scatto pronta a guerreggiare con chiunque, ma non appena riconosciuto i lineamenti di quella donna fantastica, aveva avvertito come un balsamo rilassante scenderle lungo tutti i muscoli del corpo. Le aveva sorriso invitandola ad entrare e non appena richiusa la porta aveva arditamente posato le dita di una mano sul suo fianco pronta ad avvicinarsi per baciarle le labbra. E qui l'altra aveva reagito come non si sarebbe mai aspettata. Scostando leggermente il viso da un lato non accettando il contatto, l'aveva guardata freddamente allontanando il tocco delle sue dita facendo un leggero passo indietro.

“Haruka devo dirti una cosa.” Asettica tanto che la bionda, sbattendo le palpebre stupita, aveva dimenticato la mano a mezz’aria.

“Michi?”

“Ascoltami, prima che tu venga a saperlo da altri voglio informarti che domani mattina le ragazze ed io partiremo con il dottor Kurzh per Berna.” E dal cambio repentino dell'espressività del viso dell'altra a Michiru era stato chiaro di aver colpito.

“Come partire per Berna?!”

“Mi dispiace, ma non posso fare diversamente.”

“Ma è per Minako? Lo so che ha necessità di sapere del fratello Wolfang, ma...”

“Non è per Mina! E'... per... me.”

Respirando pesantemente la bionda aveva saldato gli occhi a quelli dell'altra attendendo spiegazioni e l'insegnante gliele aveva fornite cercando un contegno che sentiva scricchiolare paurosamente.

“Per te?”

“Si Haruka, per me. Daniel vuole vedere mio padre il prima possibile per finire di organizzare il tutto per poi ripartire per Merano. Con molta probabilità sarà inviato al fronte e non può attendere oltre.”

“Organizzare cosa, Michiru?” Aveva chiesto facendo un passo in avanti intuendo già la risposta. I suoi sentimenti non potevano essere stati ingannati così!

“Vuoi davvero che te lo spieghi?” E serrando le mani al grembo l'una contro l'altra Michiru aveva sperato, pregato il cielo che potesse finire così.

Non era stata accontentata ed incalzante Haruka le si era avvicinata costringendola all'ennesimo passo in dietro.

“Hai addirittura paura di starmi troppo vicino?”

Non potrei continuare a sostenere questa pagliacciata altrimenti. Era stato il pensiero scaturito da contro altare al sorriso beffardo che la bionda aveva stirato sulle labbra.

“Cerca di non rendere tutto così difficile e prova a comprendere la situazione, per favore. Kurzh è il mio fidanzato ed è ovvio che io lo segua.”

Uno scoppio improvviso d'ilarità e l'altra le aveva praticamente riso in faccia. “Continui a girarci in torno Kaiou.”

“E tu continui a non voler capire!”

“No, no, io ho capito benissimo è solo che voglio avere il privilegio di sentir pronunciare quella parolina dalla tua bocca.”

“Vuoi dunque che ti ferisca?”

“Lo stai già facendo.”

“Bene, allora si, seguo Kurzh a Berna per sposarlo! Sei contenta?! Il viaggio è finito. Il sogno è finito! E' ora di svegliarsi e tornare alla realtà Haruka. Non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che mi hai dato in questi giorni. Mi hai fatto capire tante cose di me, ma... ritengo essere irrilevante il fatto che io sia attratta da... te.”

“Irrilevante Kaiou?” Haruka era così tornata ad innalzare quel muro che tanto faticosamente aveva abbattuto.

Abbandonando il diminutivo del suo nome che le piaceva pronunciare, aveva proseguito quasi con scherno. “E' irrilevante che TU abbia fatto di tutto per cancellare le mie reticenze? E' irrilevante che TU sia riuscita finalmente a farmi aprire? E' irrilevante che TU mi abbia fatto capire in cento modi diversi di volermi? E' irrilevante che TU stia calpestando i miei sentimenti?” Aveva alzato la voce, ma non l'aveva sfiorata neanche con un dito e mentre Michiru compiva l'ennesimo passo in dietro verso da finestra, dal vetro privo di tende era filtrato il primo raggio di una luna nuova, grande e quasi completa, che le aveva colpito il viso, rivelando il leggero ematoma sulla guancia che lentamente stava andando scurendosi.

L'aveva visto la bionda serrando le mani a pugno.

“Tu non sei così Michiru, non sei una persona che gioca con i sentimenti altrui. C'è qualcos'altro sotto. Cos’è questo?” Aveva chiesto sfiorandole il viso.

“Nulla! Non sono cose che ti riguardano.”

“Quell’uomo è una bestia. Come puoi accettare che ti metta le mani addosso? Meriterebbe una lezione!”

Ma Michiru non aveva replicato, spaventandosi però nel cogliere in Tenou una scintilla di furia. Avrebbe dovuto colpirla ancora più duramente per impedire a quella testa calda di compiere gesti stupidi e dannosi.

“Perdonami Haruka. Perdonami per averti ferita, non avrei mai voluto illuderti facendoti del male. Sappi che io per prima credevo fermamente a quelle parole quando le pronunciavo sotto il tocco dei tuoi baci, ma... rivedendolo ho capito che lui può darmi qualcosa che con te sarebbe impossibile avere.”

“Oh... di cosa stiamo parlando Kaiou? Di sesso?” E nel vederla arrossire aveva stretto la mascella forte della sua spudorata mascolinità.

“Non essere volgare. Non mi sto riferendo a cose tanto puerili.”

“Dunque?”

Con questo mettiamo fine a tutto, amore mio.

“Voglio una famiglia, voglio dei figli... e Kurzh può darmi entrambi mentre tu... no.”.

L'assorbimento di un colpo ferale, un sospiro e l'ammissione di averlo sempre saputo. “E' vero, io non potrò mai darti quello che gran parte delle donne bramano, ma ti rammento che sei stata tu a cercarmi.”

“Lo so.” E si era nuovamente sentita sfiorare il viso tumefatto con due dita gelate, tremanti, ma gentili.

“Sei stata tu, non io a baciarmi per prima, a cercare le mie carezze.”

“So anche questo Haruka.”

“E allora dovresti anche accettare la tua natura e le tue inclinazioni, sapendo che non ci si lega ad una persona solo per convenienza, per partito preso o interessi famigliari! Se non vuoi amare me, lo accetto Michiru, ma ti chiedo di non seguire un uomo che si permette di metterti le mani addosso mancandoti di rispetto! Un uomo che non ti ama e che vede questo tuo splendido corpo solo come una conquista!” Aveva detto di getto con la rabbia negli occhi. Come quell'essere abietto aveva potuto osare tanto!?

Aveva ragione Haruka e da vendere, ma Michiru aveva i polsi ed il volere legati da un'assurda estorsione.

“Per favore... adesso lasciami andare, devo preparare le ragazze e tornare alla canonica.”

“Dunque questo è un addio?!”

“Si...” E nell'ammetterlo era morta un'altro po'.

“Allora esci dalla stanza Kaiou.” Aveva ordinato gelida chiudendo gli occhi.

Arrivata sulla porta Michiru si era fermata guardandole la schiena un'ultima volta. L'indomani sapeva che non si sarebbe presentata preferendo rimanere nell'ombra. Ti auguro tutto il bene del mondo mia Ruka, avrebbe voluto dirle, ma non lo aveva fatto.

“Addio Haruka.”

“Addio.”

Una volta avvertita la porta chiudersi alla bionda non era rimasto che sfogare tutta la frustrazione e la rabbia verso il muro, rovinandosi le nocche lasciandole a pelle viva, mentre la disperazione prendeva ad attanagliarle la gola impedendole di piangere e le scene di quella giornata assurda, le parole, intere frasi, iniziavano a ruotarle nella testa.

Siete per caso una parente di Giovanna Tenou?

E' mia sorella... signore.

Lo scambio verbale con quell’uomo appena conosciuto.

Come partire per Berna?!

Mi dispiace, ma non posso fare diversamente.

E mentre nella bionda un mosaico di dolorosa coercizione era andato componendosi, rimasta immobile sul pianerottolo con la schiena appoggiata alla porta, Michiru era invece riuscita a dare libero sfogo a quella stessa sofferenza grazie ad un lacrimare composto e silenzioso.

 

 

“Posso camminare da sola. Mettimi giù!” Gli sussurrò ad un orecchio imbarazzatissima.

“Mi sembri tua sorella, ma allora lei era una mocciosetta, mentre tu ora sei una donna. Datti una calmata e non muoverti così o finiremo per cadere!”

“Che direbbero i padroni di casa se ci vedessero? Dai Stefano. Mi vergogno!” Portata in braccio come una sposa su per le scale. Niente di più imbarazzante per una come lei.

“Direbbero che sono un cavaliere.”

“No, direbbero che è sconveniente! Stefano mettimi giù o detto!”

“Ma insomma, finiscila di fare tutto questo baccano e rilassati... siamo arrivati.” Disse facendole finalmente toccare il piede sano sul pianerottolo.

“Allora... non è stato meglio così, invece che sforzare il polpaccio su per i gradini?” Chiese con sul viso uno sguardo da beota.

Stizzita per la mancata autonomia Giò iniziò ad armeggiare con la stampella mormorando qualcosa sul fatto che non avrebbe mai dovuto lasciarsi andare. “Togliti quel sorrisetto cretino dalla faccia! Non sono un'invalida e non ho bisogno del cavalier servente. Accidenti a me e a te.”

“Ora riconosco la mia suffragetta!”

“O santissimo cielo Stefano. Sparisci prima che il tuo Sottotenente si accorga che non sei nel sacco da viaggio.” Disse iniziando ad incamminarsi verso la camera che divideva con la sorella.

“Allora buonanotte. Guarda che domani partiamo.”

“E allora?” Si girò continuando a parlare sommessamente ritrovandoselo a trenta centimetri dal busto.

“Allora potresti anche salutarmi in maniera più gentile.”

“Ancora? Ma non hai avuto abbastanza attenzioni per questa ser..” Azzittita da un bacio, anche piuttosto profondo.

“Guarda Giovanna che ho un po' di arretrati da farti scontare.” E stava per prenderne un altro quando la porta della sua camera si aprì di colpo rivelando una bionda abbastanza iraconda.

“Ma quanto cavolo ci hai messo Giovanna?!”

“O porca puttana.” Se ne uscì lui staccando immediatamente il contatto.

“Forza entra! Anche tu Stefano. Devo parlare anche con te.”

“Non è successo niente.” Si difese alzando le mani.

Strattonandolo per un braccio Haruka lo costrinse ad entrare gettandolo quasi dentro. “Cosa vuoi che me ne freghi delle vostre effusioni. Dentro!”

“Ma si può sapere cosa vuoi. Guarda che sono io la più grande e non ho bisogno del tuo permesso per intrattenermi con...- Poi Giovanna si fermò di colpo piegando la testa leggermente. - Minako?”

“Buonasera.” Disse alzandosi dal bordo del letto.

“Haruka che cos'è questa storia?” Chiese andando a sedersi. Iniziava ad essere stanca.

Alla vista della biondina che poco conosceva, della porta chiusa e di quelle quattro mura dalle pareti rosate marcatamente femminili, Stefano iniziò ad innervosirsi cercando la fuga. “Io andrei. Signorina Minako... buonasera.” E fece per fare dietro front quando la bionda gli si parò davanti iniziando a spiegare il perché la ragazza fosse nella sua camera.

“Ho fatto venire Mina qui perché ho bisogno del suo aiuto, come del tuo Stefano.”

 

 

Era stata una notte a dir poco agitata ed ora, mani sulla sella pronta ad issarsi sulla cavalcatura, Michiru iniziava ad avvertire pesantezza in tutto il corpo. Aveva pianto tanto rinchiusa in quell'ambiente austero e freddo, in quella stanza anonima che non conosceva, dove per la prima volta da quando aveva lasciato il San Giovanni, si era ritrovata sola senza le sue ragazze, ed il pensiero di Haruka, di quegli occhi tristi ed arrabbiati, l'aveva accompagnata per tutta la notte rendendole il riposo impossibile. L'unica consolazione che faceva da controcanto a quella situazione era il sapere di stare facendo la cosa giusta, sia per Giovanna che per la sua Ruka, l'immaginare che non appena il dolore provocatole sarebbe scemato nel ricordo e poi nell'oblio, le due ragazze avrebbero ripreso la loro vita insieme, forti di un affetto ritrovato che riempiva il cuore di Michiru di gioia. Voleva bene a Giovanna e sapeva che senza quel furto, quell'azzardo compiuto senza neanche troppi pensieri, non avrebbe potuto conoscere Haruka, non avrebbe scoperto di amarla e non le avrebbe donato per sempre il suo cuore. Già il cuore; lo stesso scrigno che ora tanto le doleva nella disgraziata consapevolezza di aver fatto a pezzi quello dell'altra.

“Michiru dove sono le ragazze? Ti avevo chiesto una certa puntualità.”

Serrando la mascella la donna cercò di non scattare. Avrebbe dovuto imparare a domarsi. “Le ho avvertite Daniel e staranno arrivando. Porta un'altro po' di pazienza.” Rispose sentendosi osservata da Stefano già in sella a pochi metri da lei.

Senza il suo solito sorriso sembrava stranamente nervoso, continuando a fulminare Kurzh con uno sguardo carico di disprezzo. Con l'aiuto del cerone Michiru era riuscita a cancellare ogni traccia che lo schiaffo le aveva lasciato sulla pelle del viso, perciò il comportamento che il fante stava rivolgendo al suo superiore era a dir poco curioso. Sembrava si stesse tenendo da saltargli alla gola. La stessa identica frenesia repressa che aveva intravisto a più riprese nel corpo di Haruka durante la conversazione della sera prima.

Lo sa? Pensò irrazionalmente spaventata mentre le voci delle sue ragazze giungevano dalla strada.

Prive di zaini le cinque scesero decise fino a giungere davanti al Sottotenente che inforcata la sella lasciò che il cavallo ruotasse su se stesso prima di squadrarle stizzito.

“Signorine non vedo i vostri bagagli!”

“Non li vede signore perché non ci sono.” Rispose Makoto immediatamente ripresa da un'occhiataccia di Minako.

Proseguendo la viennese parlò con fermezza all'uomo dritto di fronte a lei. “Dottor Kurzh vi ringraziamo dell'offerta di seguirvi a Berna, ma noi cinque non intendiamo seguirvi.”

“Cosa? Mina...” Intervenne Michiru staccando le mani dimenticate sul cuoio ed andandole vicino.

“Signorina Aino cos'è questa pantomima?”

“Dottor Kurzh vi ripeto che sia io che le altre preferiamo rimanere qui non usufruendo della gentilezza che ci volete accordare. Grazie di tutto, ma ce la caveremo da sole.”

“Minako non scherzare! Vai a prendere i bagagli e salite a cavallo.” Ordinò l'insegnante socchiudendo gli occhi.

“Mi dispiace Michiru, ma vedi... ormai siamo certe che con un po' d'impegno riusciremo a raggiungere Zurigo.”

“Zurigo? Ma cosa c'entra Zurigo adesso?!” Chiese la donna più grande scuotendo la testa.

“Signorine noi comunque faremo scalo a Lucerna per prendere il treno ed essendo di strada potreste comunque viaggiare scortate dai miei soldati. Orsù dunque, non indugiate oltre, andate a prendere i vostri bagagli.”

Essere schifoso pensò la biondina portavoce e capo gruppo al pensiero di quello che aveva saputo essere accaduto tra l'uomo e l'insegnante la sera precedente. Haruka non aveva rivelato nulla di personale, d'intimamente connesso tra lei e Michiru, ma il repentino cambio di programma che in pratica le costringeva ora a seguire il Sottotenente, la rivelazione di una percossa e l'aver saputo grazie all'aiuto del soldato Astorri, di un ordine di cattura che pendeva sulla testa di Giovanna e che con molta probabilità stava servendo al Dragone come ricatto, avevano portato il gruppo alla formulazione di un piano e che le vedeva ora svincolate dalla tutela dell'insegnante.

Non capisco perché Michiru voglia seguire un uomo che le ha mancato di rispetto!” Aveva detto la sera precedente una Minako inferocita mentre Haruka prendeva ad avvallare l'ipotesi di un ricatto.

Ma ne sei sicura?” Aveva chiesto Giovanna alla sorella strabuzzando gli occhi.

Si, visto il tipo di carogna.”

“Vi ripeto signore che non ce n'è bisogno. - e rivolgendosi direttamente alla donna continuò sorridente. - Non devi preoccuparti per noi, Haruka ci guiderà.”

“Ma Minako... tuo fratello?”

“Lo raggiungerò passando per Zurigo, stai tranquilla. In fin dei conti era il piano originale.” Terminò abbracciandola forte.

“Grazie Michiru, sei una vera amica e sei stata una mentore impeccabile. Non te la prendere se non ho mai brillato nello studio della musica. Non è certo stata colpa tua.” Disse scherzosamente.

“Mina... io.”

“Anche io ti ringrazio e ti auguro ogni bene.” Si accodò Makoto seguita poi da Rei, Ami ed una commossa Usagi.

“Usa tu devi venire con noi a Berna!” Ricordò Michiru, ma l’altra scuotendo la testa e sorridendo si allontanò di qualche passo rassicurandola.

“Andrò con Rei. Ora tu hai altro a cui pensare.”

“Ma...”

“Bene cara, non tratteniamoci oltre. Sono ragazze con giudizio e sono sicuro che le signorine Mizuno e...Tenou baderanno a loro. Andiamo.” Austero afferrò le briglie del cavallo della donna porgendogliele e prendendole riluttante lei salì in sella all'amazzone. Doveva dire addio anche a loro adesso. Si sentiva tremendamente sola ed impotente.

Tirando i finimenti a se girò il muso dell'animale lasciando un’ultima volta gli occhi su ognuna di loro, poi guardando il paese con la casa di Leopold che si ergeva tra le altre pensò a lei. Era li e non aveva neanche potuto vederla un'ultima volta. Sentendosi le lacrime agli occhi chinò la testa seguendo Daniel verso la linea degli alberi.

“Non vi preoccupate signorina, andrà tutto come deve andare.” Disse Stefano avvicinando leggermente il suo cavallo toccandosi la tasca della giacca un paio di volte strizzandole un occhio.

Corrugando la fronte seguì lo sguardo dell'uomo posarsi sulla schiena del Sottotenente di poco avanti a loro e mettendosi l'indice davanti al naso rilasciando un leggero sibilo, tornò a farle un secondo occhiolino per poi farsi da parte scalando nelle retrovie. Michiru si guardò intorno con fare circospetto per poi infilare la sinistra nella tasca della gonna sobbalzando alla sorpresa di quella che al tatto sembrava una busta. Doveva avergliela fatta scivolare Minako.

 

 

Tilone – 15/6/1915

In realtà non so bene cosa scriverti Michiru, ma sento comunque la necessità di farlo. Stefano è appena andato via confermandomi quello che avevo già parzialmente intuito. Non ho la certezza che tu stia seguendo quello che è a tutti gli effetti ancora il tuo promesso sposo, per impedirgli di arrestare mia sorella, ma sono sicura che sia così e dall'alto della mia superbia sono anche convinta che le parole che mi hai sussurrato in questi giorni, i baci, i sorrisi, non erano il frutto di un appannamento momentaneo, bensì di un sentimento vero e profondo.

Ti ripeto che se non vuoi amarmi non devi certo forzarti, ma la stessa cosa vale per lui. Ti devo molto e non voglio che tu debba legarti ad un uomo che non ti merita. Riuscirò a renderti la libertà di scegliere chi amare e come vivere la vita che ti spetta di diritto.

Se vorrai seguirmi ti prego di affidarti a queste indicazioni.

Stefano ha con se i tuoi vestiti da scalata, indossali e fatti trovare pronta dopo l'ora di cena esattamente tre giorni dopo aver lasciato Tilone. Ti informo che dal momento esatto nel quale partirete io vi seguirò. Riuscirò a portarti via da lui e se vorrà inseguirci … ti garantisco che non ci troverà. Lo so che starai pensando ad un'azione di ritorsione contro Giovanna, ma non ti preoccupare, perché le ragazze sono rimaste in paese proprio per aiutarla nella strada che le porterà all'appuntamento che avremo con loro. Ci metteranno solamente qualche ora quindi non aver timore che qualcuno possa far loro del male. Tra quattro giorni saremo nuovamente tutte insieme.

Nella busta troverai un piccolo “talismano” e ti confesso che spero lo porterai con te come io ho fatto con il tuo, rubato alle forbici prima che questo viaggio, il nostro viaggio iniziasse.

Non lasciare questo scritto in giro. Distruggilo perché non si rischi di rovinare tutto.

Michiru ti prego accetta il mio aiuto. L'aiuto di tutti coloro che vogliono strapparti a questo ricatto assurdo.

Haruka

 

Michiru ingoiò a vuoto non riuscendo a leggere bene, perché troppe erano le lacrime che le stavano uscendo dagli occhi. Non era sola! Lei era li, a qualche centinaio di metri, che la seguiva, che vegliava. Era passato un giorno da quando avevano lasciato il paese e solo ora, con la scusa di rinfrescarsi un po' alle acque di un ruscello trovato lungo la strada, era finalmente riuscita ad avere un po' di privacy. Quanto era testarda quella donna! Mai possibile?! Quanto era benedettamente testarda la sua Ruka. Guardando nella busta sorrise estraendo un ciuffo dorato legato da un nastro sottile. Portandoselo alle labbra lo baciò chiudendo gli occhi.

Appostata sulla sponda opposta, nascosta dal verde della foresta, Haruka fece altrettanto con il riccio di capelli che portava sempre in tasca. Presto sarebbero state nuovamente insieme.

 

 

 

 

 

Note dell'autrice: Molto meglio... VERO?! Molto, molto meglio. La nostra Kaiou ci ha provato (mi ha un po' ricordato il primo cap. del secondo racconto), ed è stata anche abbastanza convincente, perche' quando parte... parte (in tutti i sensi), ma...

Adesso però non giubilate che la strada è ancora lunga.

Ps. Minako ha riconquistato il ruolo di leader che piu' le spetta!

A prestissimo

 

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Capitolo 13
*** E tu l'amore ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

E tu l'amore

 

 

 

Paese di Altdorf. – Sponda orientale del lago dei Quattro Cantoni.

Svizzera centrale – 17/6/1915

 

Tenendo la schiena incurvata in avanti, Haruka evitò agilmente un paio di rocce nascondendosi poi dietro al tronco di un grosso abete bianco. Sporgendosi leggermente dalla corteccia osservò i cavalli proseguire ordinati lungo lo sterrato che da li a breve li avrebbe portati alla cittadina di Altdorf. Quello iniziato sotto la coltre di un cielo scuro e minaccioso, era il terzo giorno di viaggio per il gruppo di soldati, il giorno nel quale Michiru sarebbe tornata libera e che di fatto, avrebbe sancito la fine del suo legame con Daniel Kurzh. La bionda tornò nell'ombra della vegetazione raggiungendo una serie di cespugli qualche decina di metri oltre. Appostatasi contò le bestie che stavano passando sotto di lei; una, due, tre e poi la sua, quella dove una silenziosa Kaiou stava lasciandosi trasportare senza apparente fretta, come una foglia con la corrente di un vecchio fiume, apatica, ma non triste, costatò Haruka sollevata. Accanto a lei il medico, dietro due soldati, poco oltre Stefano, guardingo, intendo ad ascoltare i suoni della natura, come a voler captare segnali della sua presenza.

La ragazza prese un sassolino tirandoglielo per poi tornare al riparo delle foglie. Il fante lo guardò rimbalzargli sulla divisa per poi rotolare tra le zampe del cavallo e sorrise. Le rispose alzando le braccia stiracchiandosi come se tra loro ci fosse stata una sorta di codice. Tenou sarebbe stata un ottimo soldato.

La carovana entrò in città verso l'ora di pranzo e lasciando ai soldati le incombenze dell'accudire le bestie, rifocillarle e controllarne i finimenti, Daniel ne approfittò per andare a mangiare un boccone portando Michiru in quello che sembrava il ristorante più grande e meglio attrezzato affacciante sulla piazza principale. L'abitato non poteva dirsi piccolo, anzi era una vera e propria fiorente cittadina della Svizzera centrale, che vedeva nel turismo termale e nelle bellezze naturali i suoi punti di forza. Anche se il conflitto che stava imperversando in Europa aveva praticamente abbattuto gli affari, l'indotto commerciale di Altdorf poteva ancora dirsi presente grazie a facoltosi uomini d'affari che dopo aver discusso di qualche importante compravendita nella vicina Lucerna, prediligevano immergersi nelle vasche d'acqua calda presenti in ogni albergo.

Pur non conoscendo personalmente quella città, Kurzh la trovo' subito invitante, riuscendo ad intravedere nella pulizia e nella buona tenuta delle sue strade battute, la fine di quel maledetto calvario che era stata la ricerca della sua fidanzata. Camminando lentamente per riattivare la circolazione nelle gambe il Sottotenente respirò l'aria di vita sociale che tanto lo faceva sentire a proprio agio, posando il palmo della destra ai reni della donna accanto a lui.

“Sei molto stanca cara?”

Cercando condiscendenza lei scosse la testa stirando le labbra.

“Meglio. Sai mi è venuta un'idea. Aspettami qui per favore.” Ed allontanandosi di qualche metro andò a parlare con un uomo sulla quarantina, distinto, con basette di gran lunga più folte delle sue ed i capelli rossicci impomatati, che stava lucidando una parte della carrozzeria di un'Alfa 24 HP verde scuro, ferma sul lato opposto della carreggiata.

Michiru l'osservo' parlottare con l'uomo per qualche minuto, poi soddisfatto, tornarle al fianco invitandola a seguirlo al ristorante poco avanti.

“Che ne diresti se riuscissimo ad arrivare a Lucerna prima di sera?”

Puntando i piedi lo guardò cercando di non tradirsi. Come prima di cena?

“Ho appena affittato quell'automobile. Dopo aver mangiato e congedato i soldati, il suo proprietario ci porterà dalla parte opposta del lago. Se riusciremo a prendere il locale delle 18 non è detto che non si riesca a dormire a casa Kaiou questa notte.” E scoppiando a ridere spinse la porta del ristorante lasciandola passare dopo aver controllato l'ambiente.

Oddio no, pensò lei camminando fra i tavoli apparecchiati su fini ma non pretenziose tovaglie bianche.

Facendo un cenno ad un cameriere le scostò la sedia lasciandola sedere continuando. “Non ti nascondo che l'idea di dormire finalmente in una casa civile, in un letto degno di questo nome, non mi dispiace affatto. Sono ansioso di farti riabbracciare i tuoi genitori. Prima di partire sarà mia premura mandare un telegramma a tuo padre così da tranquillizzarlo e prepararlo per il tuo ritorno. Ne farò uno anche per la direttrice del Collegio ragguagliandola sulla tempistica con la quale tornerò per finire di redigere gli ultimi documenti che a causa della tua “bella bravata” non ho potuto fare.” Colpì subdolo.

Parlava Daniel, parlava avendo già tutto ben chiaro nella mente, parlava mentre lei cercava invece di pensare a come tener fronte a quell'ennesimo cambio di programma. Se avessero lasciato Altdorf prima di cena con un'automobile, Haruka non avrebbe mai potuto seguirla, l'appuntamento sarebbe saltato e tutto sarebbe andato in malora. Il suo amore. La sua vita. Tutto! Doveva inventarsi qualcosa.

“Mi stai ascoltando Michiru?”

Sentendo la mano di lui sulla propria lo guardò tornando in se. “Certo.” E gli sorrise richiamando delicatamente le dita prendendo poi il tovagliolo e poggiandoselo sulle gambe. Non sopportava più il suo tocco.

“Mi sembri strana. Non starai pensando a... qualcuno?” Chiese indurendo il timbro mentre il cameriere portava due piatti di minestra.

“Assolutamente no. Sono solo stupita di tanta arguzia. Non mi alletta l'idea di viaggiare su uno di quei trabiccoli per impolverarmi tutta, ma credo tu abbia ragione. Arrivati a questo punto vorrei solo tornare a Berna il prima possibile.”

A quelle parole il Dragone sembrò calmarsi di colpo. “Molto bene, allora cerchiamo di goderci il pranzo.”

Iniziarono così a mangiare in un silenzio che all'insegnante sembrò talmente pesante che ad immaginarsi il pericolo di dover passare il resto della vita immersa in quelle mancate sillabe, dovette fare un'enorme sforzo per terminare il piatto. Poi, una volta pagato ed usciti nuovamente all'aria aperta, si diressero verso il maniscalco dove i soldati li stavano attendendo per ricevere ordini. Ordini che arrivarono da li a poco e che Stefano accolse sconvolto.

“Sottotenente? Come siamo liberi di tornare a Bellinzona?!”

“Avete capito benissimo Astorri. Ritenetevi liberi. Sto andando all'ufficio postale per mandare alcuni telegrammi. Uno di questi è per il Tenente Smaitters. Gli comunicherò l'avvenuta fine della ricerca e del vostro ritorno.”

Molto poco incline a celare le proprie emozioni Stefano mostrò uno sbigottimento sospetto tanto che Michiru dovette intervenire.

“Daniel, forse il soldato Astorri vorrebbe sapere qualcosa in merito all'altra missione. Non è così?” Guardando il fante cercò di farsi comprendere con gli occhi alzando leggermente le sopracciglia.

“S... si. Si, signora... si. Con l'ordine di cattura?”

Inalando seccato aria nei polmoni il graduato guardò la donna rispondendo più a lei che all’altro. “A tempo debito. Una volta che saremo sposati cara, allora e solo allora farò quello che ho promesso. - Poi rivolgendosi al soldato lo congedò chiedendogli di scortare la donna. - Per l'esecuzione dell'ordine di cattura per Giovanna Tenou non dovete preoccuparvi. E questo è tutto. L'ufficio postale non dista tanto da qui. Non ci metterò molto. Aspettatemi.” Concluse allontanandosi camminando con fare sicuro lungo il marciapiede che portava verso il centro città, approfittando anche per dare un cenno di saluto al proprietario dell’Alfa.

“Stefano...” Michiru gli arpionò un braccio supplichevole.

“State calma. Rimanete qui con gli altri, io vado a cercare Haruka e vediamo di inventarci qualcosa.”

“Vengo con voi!”

“Mi dispiace, ma... NO! Conosco Tenou e se vi vedesse ora farebbe saltare il piano in men che non si dica. Se scappate adesso non avrete tempo a sufficienza per allontanarvi venendo riprese subito. Ricordatevi che noi abbiamo i cavalli. Cercate di avere fede e fidatevi.” Disse convincente stringendole la mano per poi schizzare via verso la parte opposta da dove si era appena allontanato il Sottotenente.

Correndo a perdifiato lungo la strada fino alle prime case che sancivano l'inizio dell'abitato cittadino, Stefano sperò che l'amica fosse riuscita a seguirli da talmente tanto vicino da trovarsi già nei paraggi e grazie al cielo la vide venire verso di lui zaino in spalla camminando stancamente.

“Haruka!” Chiamò agitando un braccio attirando la sua attenzione.

Porca puttana, pensò riconoscendolo per chiedergli poi cosa fosse successo una volta avutolo davanti. Grondante di sudore per la corsa riuscì ad essere conciso quanto basta per spingerla a scattare verso la stalla del fabbro. “Se prendono quel mezzo non avrò più la possibilità di raggiungerli. Non so andare a cavallo dannazione! Dov'è ora Michiru?!”

“Con gli altri a qualche centinaio di metri dall'automobile. Kurzh è andato invece all'ufficio postale. Dovrebbe averne per una mezzora.”

“Non ci resta che sabotare l'auto!” Urlò lei correndogli al fianco.

“Dovrai pensarci tu Haru. Posso far crescere un vigneto sulla pietra, ma non ci ho mai capito molto di motori!”

“Lo so! Ricordati che ero io a sistemarvi il trattore di famiglia. Dai, muoviti!”

Trafelati arrivarono nei pressi dell'automobile nascondendosi dietro un angolo di un abitazione per fare il punto della situazione. Nel vedere quel gioiellino la bionda schiuse leggermente le labbra alzando le sopracciglia.

“O... un'Alfa Romeo 24 HP del 1910. Motore da 4084 centimetri cubici, 42 cavalli di potenza... Non avrei mai creduto di vederne una...”

“Tenou concentrati!” La riprese lui dandole una leggera gomitata.

“Pezzo di cretino! Coraggio... dammele.” Sibilò mostrando all'uomo il palmo della mano continuando a tenere gli occhi fissi sulla carrozzeria verde.

“Cosa?”

“ le scorte di zucchero che tieni nella scarsella della cintura. Avanti, so che ce l'hai!”

“Ma che c'entra adesso il mio zucchero?!”

“Tu dammelo e non fare domande!”

“No, le domande le faccio eccome! Con questi chiari di luna in caserma non lo passano più. Sai quanto è arrivato a costare negli empori!?”

Allora la bionda lo guardò a brutto muso. Ovvio che lo sapeva. Golosa com'era.“ Senti, forse mi vedi con qualche attrezzo da meccanico in mano? Come speri che fermi quel mostro capace di raggiungere Lucerna in meno di due ore se non bloccandone il motore?”

“E lo zucchero...”

“E lo zucchero blocca il motore, si! Anzi... lo manderà direttamente al creatore.” Concluse sentendosi vagamente un verme.

“Va bene tieni, ma stai attenta.”

“Non ci vorrà molto. Tu torna da lei.” Afferrando il sacchetto di carta con dentro si e no tre cucchiaini di dolcissimi grani scuri, uscì dall'angolo iniziando a camminare verso l'automobile ed il proprietario che stava continuando a lucidarla per i futuri ospiti.

Ma guarda un po' che tipo! Tutta sua sorella! Pensò il fante scuotendo la testa per tornare dagli altri commilitoni.

Fermandosi mani in tasca davanti a quello spettacolo di ferro, gomma e legno, la bionda sospirò piano sapendo che da li a breve ne avrebbe irrimediabilmente fottuto il cuore.

“Vi piace, non è vero?” Si sentì chiedere dall'uomo che pezza alla mano, stava cercando di togliere le ultime incrostazioni di fango dal paraurti.

“Notevole! E' un progetto del signor Merosi, vero?” Disse provando ad impressionarlo per catturarne subito la simpatia ed arrivare prima allo scopo.

E così fece. Guardandola stupito segnò le labbra con il classico sorriso ammiccante che nasce appena trovata un'altra persona amante degli stessi interessi.

“Ma vedo che voi ve ne intendete signore. Avvicinatevi pure. Sono felice di trovare qui un estimatore tanto capace.”

Cercando di ricordarsi le specifiche tecniche decantate dal padre anni addietro all'uscita di quel veicolo, ci girò intorno con fare curioso. Quattro posti, cappotta apribile, ruota di scorta esterna sul lato passeggero, fanali grandi e tondi. Haruka avvertì un brivido di puro piacere non appena gli occhi andarono a posarsi sul cruscotto di rovere e poi sul volante in pelle bianca. “Monta un cambio cilindrico giusto?”

“Certamente. Ma prego guardate che motore!” Alzando a libretto parte della carrozzeria del muso le mostrò una magnificenza di pistoni che quasi la commossero.

Iniziando ad armeggiare con il tappo del serbatoio indicando con l'indice la ghiera di bloccaggio, l'uomo ne sciolinò le lodi sbrodolando una serie di aneddoti riferiti alle diversità che si potevano trovare con il modello gemello 12 HP.

Accanto ai cavalli una fremente Michiru ed un preoccupato Stefano stavano intanto guardando la scena tenendo simultaneamente d'occhio la strada che portava all'ufficio postale.

“Dai Haru... muoviti! - Incalzò il soldato vedendo che ormai una buona mezz'ora era passata. - Se quel cane di Kurzh dovesse arrivare adesso se la troverebbe davanti e saremmo perduti.”

La macchina si trovava infatti tra il fabbro e l'ufficio postale. Per fare ritorno Kurzh sarebbe per forza di cose dovuto passare davanti all'Alfa.

“Dannazione eccolo!” Allarmato Stefano guardò Michiru sbiancare rimanendo con il respiro bloccato. Daniel foglietti alla mano stava facendo ritorno.

“Stefano... - Disse pensando velocemente. - Correte, andate a dirgli che ho un mancamento, presto.”

“Ma...”

“Saprò essere convincente. Andate per favore!” E lui ricominciò a correre mentre i battiti accelerati del cuore di lei le suggerivano che se la situazione avesse continuato ad evolversi con tanta ingiustificata velocità, quasi certamente prima della fine di quella giornata lo avrebbe avuto realmente un mancamento.

Stefano passò velocemente accanto alla macchina riuscendo ad incrociare lo sguardo della bionda sperando che vedesse a chi stava correndo incontro e cercasse di togliersi da li.

Merda, allarmò lei una volta vistolo fermarsi davanti al Dragone.

“Signore presto venite. La signorina Kaiou non si sente bene!” Cercando di essere più allarmato possibile vide il superiore leggermente titubante rincarando la dose.

“Presto signore!” E lo precedette notando come Michiru nel frattempo si fosse spostata dalla parte opposta della carreggiata apparentemente in cerca un po' di refrigerio all'ombra di un’abitazione, ma in realtà per distogliere il medico dalla visuale dell'automobile. Prima a passo svelto, poi in una vera e propria corsa, Daniel seguì Stefano cambiando marciapiede. Haruka vedendoli arrivare si inchinò di scatto verso il cerchione a raggiera di una delle ruote anteriori pregando. E grazie al cielo, troppo preso dalla figura di Michiru ferma appoggiata ad un muro con un paio di soldati ad aiutarla, Kurzh non si accorse di una figura bionda acquattata accanto all’auto.

“Cara, cosa ti senti?” Chiese sorreggendola in quello che sembrava un vero e proprio svenimento.

“Non preoccuparti Daniel. Sta passando. E' stato un forte giramento di testa.”

“Potrebbe essere il caldo o lo sforzo per la discesa. Nella borsa della sella ho dei sali, vieni.” Amorevole la ricondusse verso i cavalli. Le doti recitative di Kaiou avevano raggiunto lo scopo, Haruka non era stata vista, ne dal Sottotenente, ne tanto meno dal proprietario dell'Alfa quando, con un rapido movimento del polso, era riuscita a versare lo zucchero del serbatoio. Un peccato mortale che poteva essere perdonato solo perché compiuto per un bene più grande; la salvezza della sua dea.

“Vi sono immensamente grato per avermi fatto vedere un così bel ritrovato della meccanica signore.” Disse accomiatandosi dall'uomo.

“E' stato un piacere. E' bello constatare come la vostra generazione apprezzi gli sforzi che sta compiendo il progresso. Arrivederci.” E porgendole un saluto la vide allontanarsi riprendendo a pulire la carrozzeria del suo mezzo.

 

 

 

Solo un paio d'ore dopo era andata consumandosi la migliore trama di una tragedia greca. Kurzh aveva sciolto i soldati dall'incarico aprendo lo sportello dell'automobile alla sua fidanzata ormai ripresasi, mettendosi poi seduto al suo fianco nell'attesa che l'accensione portasse al poderoso rombo del motore. Stefano dall'alto del suo cavallo si era sadicamente gustato la scena dell'esplosione di nervi del graduato quando un quasi piangente proprietario decretava la completa resa di un motore perfettamente funzionante fino alla sera precedente. Michiru naturalmente aveva dovuto da per se far finta di nulla, mentre Haruka, nascosta dietro ad un carro a qualche decina di metri, se da una parte aveva trionfato nell'aver guadagnato tempo, dall'altra si era corrosa lo spirito sapendo che le doti da meccanico che madre natura le aveva donato erano servite allo sfascio di una tecnologia ai suoi occhi stupenda.

“Mi dispiace signore, sono mortificato. - La contrizione dipinta sul viso. - Io proprio non capisco... Ieri andava benissimo.”

“Non preoccupatevi, non è certo colpa vostra. Michiru vieni ti aiuto a scendere. Vuol dire che torneremo ai piani originali. Pernotteremo qui ripartendo a cavallo domani.” Aveva detto porgendole la mano per lasciarla uscire dall'autovettura.

“Non è un problema Daniel. Vorrà dire che cercherò di fare un buon sonno andando a coricarmi il prima possibile.”

E così era andata chiudendosi quella parentesi dall'adrenalina ribollente ed ora che la cena era passata, che era riuscita a svincolarsi da un inquieto fidanzato per salire a riposare nella camera a lei assegnata, che avvertiva nel petto una smania irrefrenabile di riabbracciare la sua Ruka e scappare via con lei, alla donna dagli occhi intensi come le profondità marine non rimaneva che aspettare che le venissero recapitati i suoi abiti da scalata.

Aveva già avuto modo di ringraziare Stefano salutandolo prima della cena, convinta che non sarebbe riuscito a liberarsi dagli altri per venire di persona a portarle il vestiario, ed ora che era seduta su quel letto sconosciuto, mani giunte abbandonate sulle gambe, schiena dritta e sguardo fisso alla porta, si stava rendendo conto forse per la prima volta in quei giorni di marcato disagio, di quante persone la stessero aiutando; le sue ragazze, Stefano, Haruka. Non avrebbe lasciato vani tutti quegli sforzi.

Un tocco deciso all'anta ed una voce maschile. Michiru si alzò di scatto deglutendo.

“Signorina Kaiou?”

“Si.”

“Sono il cameriere. Ho un pacco per voi.”

“Arrivo.” Disse mantenendo il controllo ed aprendo.

Un ragazzetto moro di qualche anno più giovane di lei le sorrise porgendole un fagotto dalla carta marrone. “Prego.”

“Gentilissimo, grazie.”

Un cenno della testa, due dita alla visiera del berretto dell'uniforme e sparì discretamente verso le scale mentre lei richiudeva. Le tremavano le mani e dovette darsi un paio di schiaffetti sulle guance prima di iniziare a spogliarsi. Doveva far presto, ma essere estremamente cauta. Non potendo usare le scale interne per uscire dalla pensione sarebbe stata costretta ad usare la finestra. La fortuna questa volta l'aveva aiutata facendole capitare in sorte una stanza al primo piano con un'affaccio verso il giardino interno, dove una serie di bouganville abbellivano il prospetto a cortina diramandosi tra graticci di legno bianco apparentemente solidi per sorreggerla in una rapida discesa. Tra lei e le siepi del giardino c'erano circa tre metri di dislivello. Issatasi lo zaino sulle spalle ed abbandonato a malincuore il suo adorato violino, aprì le ante della finestra e guardando in basso prese un paio di respiri.

“Devo farcela! Non sembra poi così alto.” Si disse arpionando convulsamente le mani al bordo del telaio.

“Ho scalato vette ben più impegnative! Coraggio Michi.” Ma mentre stava per finire di scavallare la finestra con la gamba destra, qualcuno bussò nuovamente alla porta. Incurvando le spalle, mozzando il respiro e digrignando i denti, si bloccò rimanendo tra il dentro ed il fuori.

“Michiru apri!”

E riconoscendo la voce di Kurzh, anche piuttosto alterata, le sembrò che la testa le esplodesse in un'infinità di aghi dolorosi.

“Michiru!” Colpi assestati quasi con ferocia. Doveva essere accaduto qualcosa.

Guardandosi i vestiti maschili, impossibilitata a rientrare per andare ad aprire, con quello che adesso le stava apparendo come un baratro incolmabile dietro alle spalle, decise di giocarsi il tutto per tutto issandosi all'esterno.

“Michiru!” Sentì nuovamente cercando di infilare la suola del piede destro nel grigliato semi nascosto dalle foglie. Era umido, viscido. Dannatamente scivoloso.

O Dio del cielo, aiutami, pregò afferrando con entrambe le mani i rami più grandi abbarbicati alla facciata avvertendo la pelle dei dorsi graffiarsi quasi subito. Facendo leva sui bicipiti sentì di stare franando. No, no, no... e piantando d'istinto la punta dello scarpone sinistro trovò appoggio ed una certa stabilità. Rimase boccheggiante ed in stallo per qualche istante poi cercando di non guardare giù, lentamente tornò a muovere i piedi, le gambe, i muscoli della schiena, avvertendo tremore per lo sforzo in tutto il corpo. Infine il terreno, saldo, benedetto, accogliente sotto le suole. In debito d'ossigeno per la paura e la sollecitazione fisica improvvisa si concesse qualche altro istante per poi correre via dal giardino imboccando il cancello secondario. Sapeva di non avere molto tempo. Kurzh ci avrebbe messo un attimo a farsi consegnare il passepartoit e a capire quale fossero le sue intenzioni non appena visti gli abiti da donna abbandonati sul letto.

Correndo all'impazzata per strade sconosciute senza sapere dove la stesse aspettando Haruka, si fermò dopo qualche minuto incurvando la schiena in forte debito d'ossigeno.

Non ce la faccio più. Lo zaino inizia a pesarmi. Ma dove sono. Pensò guardandosi attorno e notando quanto il cielo nuvoloso avesse tolto luce alle ultime ore della sera.

“Ruka.” Mugolò asciugandosi il sudore al collo con il palmo della destra.

“Ti sei persa... amore mio?!” Si voltò di scatto ed un'alta figura le appari sorridente afferrandole un polso.

 

 

C'era un buco nel suo piano. Un dannatissimo, stupidissimo buco! Mai possibile che non era arrivata a pensare a come diavolo avrebbe fatto ad incontrare Michiru non appena fosse riuscita a sganciarsi dal Sottotenente? Certo a sua discolpa c'era da dirsi che si stava “lavorando” a braccio, dove una larga fetta d'improvvisazione stava dando per forza di cose vita ad una serie di naturali variabili, ma il saperlo non le stava impedendo di fare autocritica da quando aveva deciso di sistemarsi buona buona nei pressi della pensione dove Kurzh aveva deciso di alloggiare.

Un buco! Un dannatissimo e stupidissimo buco. Forse avrebbe dovuto aspettarla al cancello del giardino che aveva visto poco prima sul retro della struttura, o forse all'ingresso della città, dove aveva incontrato Stefano, ma in un modo o nell'altro doveva cercare di darsi una calmata, smettere di torturarsi le unghie delle dita e concentrarsi sul dove avrebbero passato la notte. Stava per piovere e non voleva che la sua Michiru fosse stata costretta a dormire sotto l'acqua.

Ravvivando la frangia sulla fronte, la bionda tornò ad osservare la pensione scorgendo il proprietario dell'Alfa percorrere un tratto di strada a passo sostenuto per poi salire i pochi gradini, bussare al vetro colorato e fiondarsi al suo interno. Curioso. Sistemandosi meglio spalle al muro ed incrociando le braccia al petto si mise ad osservare le nuvole rincorrersi spinte da una capricciosa tramontana. Non passò molto che la porta si riaprì lasciando uscire un Daniel Kurzh piuttosto agitato.

“E adesso che succede?” Si chiese sciogliendo le braccia seguendolo con lo sguardo abbandonare l'altro uomo per dirigersi con poca convinzione lungo la strada che portava al centro città. Un campanellino interiore le suggerì di seguirlo mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a cadere.

Kurzh calpestò pesantemente il marciapiede per circa una cinquantina di metri svoltando poi a sinistra nel vicolo che costeggiava un lato secondario della pensione, quello del giardino e l'aia di un'altra struttura, una sorta di fienile. La luce era calata parecchio e la bionda dovendo mantenere una certa distanza di sicurezza, non riuscì a seguirlo che per pochi minuti perdendolo arrivata ad un incrocio.

“Dannazione!” Inveì voltando la testa a destra e a sinistra.

“Calma Ruka... Pensa.” Ma sentiva di stare crollando. Dov'era andato quel cane e perché stava continuando a seguirlo? Non sarebbe stato meglio tornare a gravitare nei pressi della pensione aspettando che Michiru fosse riuscita ad uscire? No, voleva sapere dove si stesse dirigendo Kurzh con tanta boria.

Haruka, se devi seguire un'animale guarda sempre in terra, potresti trovarne le tracce, era solito suggerirle il padre quando da piccola la portava in giro per i boschi. Ed era un consiglio che spesso aveva usato durante le battute di caccia con il suo Flint. Sforzando la vista sul terreno iniziò a trasformarsi in un segugio.

Neanche Daniel sapeva bene dove andare e questa cosa faceva montare la collera del suo orgoglio ancora di più. Ora era tutto chiaro. Insopportabilmente frustrante. Quella piccola stupida! Non appena se la fosse trovata tra le mani le avrebbe fatto rimpiangere ogni cosa. Lo aveva trattato da idiota per tutto il tempo, per tutti quei giorni, rendendosi amabile, silenziosa e remissiva e lui che ci era cascato. Gli fremevano le mani come non gli capitava da tempo. Svoltando un paio d'angoli si guardò intorno. Non poteva essere andata tanto lontana e difatti eccola correre come una cerbiatta inseguita da una muta di cani. Balzando come un felino iniziò ad inseguirla notandone la velocità, ma anche la stanchezza e dopo alcuni minuti la vide fermarsi spaesata e priva di fiato.

Sorridendo malignamente le si avvicinò per prenderla alle spalle e mentre la vedeva asciugarsi il sudore le chiese non senza una punta di soddisfazione se si fosse persa.

“Daniel!” Quasi urlò avvertendo la stretta al polso.

“Eccoti qui finalmente!” E le afferrò anche l'altro.

“Lasciami Daniel!”

“O no. Vedo che con te le buone maniere servono a poco Michiru cara. Ma guarda... ti sei ferita tutte le mani. Riconosco che sei stata molto coraggiosa, ma sei una musicista e dovresti fare più attenzione. Non vorrai rischiare di non poter piu' suonare.”

“Ti ho detto di lasciarmi.”

“Per andare dove? Lei non c'è e non verrà!” A quelle parole lei si bloccò spalancandogli contro due occhi disperati.

“Sorpresa? Devi sapere che il proprietario dell'automobile mi è appena venuto a dire che il meccanico che questo pomeriggio ha revisionato il motore lo ha trovato completamente fuso. Adesso, solo una persona ha potuto avvicinarsi a quell'auto oltre a noi due e naturalmente allo stesso proprietario, ovvero un ragazzo di circa vent'anni, imberbe, di qualche centimetro più basso di me, con gli occhi verdi, la carnagione abbronzata ed i capelli biondi tagliati corti, vestito da scalatore. - Rise continuando a stringerla. - L’uomo è convinto che sia stato lui a sabotargli l’auto, come sono convinto io che questo fantomatico lui sia invece una lei!”

Sentendosi lacrime di rabbia negli occhi Michiru abbassò la testa avvertendo dolore. “Mi fai male. Lasciami...”

“Male?! O Michiru questo non è nulla in confronto a quello che ti farò la prima notte di nozze e in tutte quelle avvenire se non imparerai a sottometterti!”

“No!” E tutto accadde rapidamente, come se fosse stato programmato, provato e riprovato più volte.

La donna lasciò partire una ginocchiata che colpì ferale al basso ventre mentre un fendente legnoso si abbatteva simultaneamente sulle spalle dell'uomo. Rivoltando gli occhi all'indietro, Kurzh stramazzò sulle ginocchia mettendo entrambe le mani al pube per accasciarsi subito dopo su un fianco.

Portando il palmo della destra alla bocca Michiru lo guardo' immobile prima di posare le iridi dilatate al bastone che Haruka continuava a brandire davanti a se come se fosse stato una spada.

“Oh... Non ho punti fisici tanto vulnerabili, ma comunque ricordami di non farti mai arrabbiare Kaiou.” Disse la bionda alzando le sopracciglia stupita.

“Ruka...” Le si buttò al collo stringendola più forte che poteva.

Abbandonando l'arma improvvisata l’altra contraccambiò la stretta sentendosi finalmente in pace.

“Stai Bene? Non ti ha fatto troppo male, vero?”

“No.”

“Coraggio allora, allontaniamoci. Le ragazze ci aspettano.”

Ma Michiru si prese un istante per accarezzarle il viso. Quanto l'erano mancati la sua voce profonda e quello sguardo tanto intenso. “Aspetta. - E accovacciandosi accanto ad un tramortito Sottotenente gli aprì la giacca sfilandogli una busta. - Tieni Haruka. Questa appartiene alla tua famiglia di diritto.” Poi togliendosi l’anello di fidanzamento che era stata costretta a rimettere all'anulare sinistro lo abbandonò in terra.

“Adesso andiamo Michi. Abbiamo tanta strada da fare.”

 

 

Ormai era notte inoltrata quando riuscirono a raggiungere uno degli imbocchi della vecchia miniera di rame che si trovava ad una manciata di chilometri dal punto di ritrovo che l'indomani le avrebbe riunite alle altre.

Haruka aveva deciso fin da subito di spingere i quadricipiti su per il crinale, tra radici d'albero, tronchi e pietre, sapendo che mai nessun cavallo avrebbe potuto seguirle fin li. Lontano da ogni mulattiera, da ogni abitato, da ogni punto di sosta mappato sulle carte. Tenou aveva fatto affidamento solo sull'imtuito e sulla conoscenza che aveva delle Alpi.

“Tranquilla Michiru, saremo presto al riparo. La carta segna una vena di rame e quindi ingressi di miniera ed ognuno di loro ha accanto un capanno per gli attrezzi o un piccolo rifugio. Con un po' di buona sorte riusciremo a riposare all'asciutto.” Aveva detto afferrandole una mano perché non scivolasse sul terreno che all'intensificarsi della pioggia stava andando man mano appesantendosi.

Trovando conferma in quella speranza poco dopo avevano cosi' intravisto alla luce della lampada ad olio della bionda, una struttura di legno abbastanza grande, chiusa con un lucchetto arruginito che senza non poche difficolta' era riuscita a forzare, comprensiva di una piccola branda, un caminetto, un tavolo e qualche ripiano. Un ambiente scarno, sporco e polveroso, anche piuttosto deprimente, ma che alle due era sembrato una regia a tre piani.

Bloccando l’uscio e togliendosi lo zaino fradicio dalla schiena, Haruka pensò al fuoco mentre Michiru, ormai completamente priva di forze andava a sedersi sul bordo della branda.

“Scusami. Ho bisogno di riprendere un po' di fiato.”

“Non c'e' problema, riposa pure, ma togliti quei vestiti o ti verrà un accidente.” Disse l'altra ringraziando intimamente il cielo per aver trovato un po' di legna. Sentiva ancora l'endorfine pomparle energia nei muscoli.

Ma l'insegnante non si mosse rimanendo a guardarla mentre armeggiava con pezzi di carta e pietra focaia.

“Ho anche qualcosa da mangiare. Hai fame?” Chiese iniziando a soffiare sulle giovani fiamme.

“No.”

“Ma dovrai pur mettere qualcosa sotto i denti, altrimenti domani non riuscirai a reggerti in piedi.” Continuò aggiungendo con cura pezzi di legno via via sempre più grossi prendendo poi dalla tasca posteriore dei calzoni l'ordine di cattura ai danni della sorella e gettandolo nel fuoco sorridendo.

“Sai, a più riprese ho temuto che non ce l'avremmo fatta. Quella macchina, il cambio di programma, il doverla sabotare… Ho usato lo zucchero sai? Sapevo che Stefano ne aveva. E’ più goloso di me. Poi quando questa sera ho visto quell'uomo con le basette, il proprietario di quella splendida Alfa entrare nella vostra pensione mi si sono confuse le idee. Accidenti Michi, quando Kurzh è uscito in strada...” Ridacchiò sospirando al fuoco che stava prendendo vita.

Solo allora, non sentendola, girò il busto verso di lei. Michiru stava tremando dal freddo ed aveva gli occhi tristi, tanto che la bionda andandole davanti se la guardò corrugando la fronte. “Che c'è! Stai male? Guardati! Togliti questa roba fradicia ti ho detto.” Ed iniziò ad aiutarla con le cinghie dello zaino.

“Ruka.”

"Si.”

“Perché non mi guardi negli occhi?” Chiese vedendola fermarsi una frazione di secondo per poi riprendere a slacciarle i bottoni della giacca.

“Ti prego, guardami.” E come gia' accaduto in altre occasioni la costrinse a darle i suoi smeraldi posandole le dita sotto al mento.

“Stai facendo di tutto per non farlo.”

Scostandosi lentamente la bionda tornò alle asole sfilandole poi la giacca. “Ti prenderai una polmonite. Sei gelata.”

“Ruka.”

“Michi ascoltami. Io...” Ma non riuscì ad aggiungere altro tanti erano i sentimenti che sentiva nel cuore.

“E' per quello che ti ho detto l'altro giorno in camera, vero? Lo so che ti ho ferita, ma ho dovuto farlo. Non pensavo quelle cose. Perdonami.” Una voce incrinata tanto che Haruka dovette farsi forza continuando a slacciarle la camicia.

“So che lo hai fatto per indurmi a lasciarti andare per salvare Giovanna e di questo te ne sarò sempre grata.”

“E allora?” Chiese sentendo le maniche scivolarle a fatica sulla pelle bagnata.

“Allora tra tutte quelle falsità una cosa vera c'è, ed è piuttosto importante, imprescindibile da quello che potremmo mai provare l'una per l'altra.” Un leggerissimo singulto e Michiru capì a cosa si stesse riferendo.

“Per quanto possa volerti non potrò mai darti una famiglia ed è normale e giusto che tu ne voglia una. Adesso che sei tornata libera di amare chi vuoi, prenditi tempo, vivi e trova l'anima che potrà renderti felice per tutta la vita.”

L'altra scosse la testa incredula. “Vedi Haruka, tu sei una donna straordinaria, ma tendi troppo spesso a decidere per gli altri. Chi ti dice che non sia tu l'anima che potrà rendermi felice per tutta la vita?”

“Ma lo capisci che non sopporterei di perderti se un giorno dovessi decidere di volere di più!” Alzando la voce dimenticò le mani sul laccio dello scarpone dell'altra rendendosi conto troppo tardi di essersi paurosamente esposta.

“Ma con il terrore di perdere ciò che potresti avere finirai per non ottenere nulla.” E tornando ad alzarle il mento, sporgendosi in avanti le bacio le labbra.

“Non si può vivere così mia Ruka. Con la paura costante della gente, dei pregiudizi o di quello che il domani ci riserverà.” Sussurrò accarezzandole i capelli per poi imitarla slacciandole la giacca.

Posandole la fronte nell'incavo del collo Haruka si lasciò svestire anche della camicia a scacchi iniziando a lasciarsi andare al bisogno crescente di averla. Baciandole il collo permise alle mani di viaggiare lungo la schiena per poi arrivare a toglierle la canottiera rimanendo a guardarla senza fiato.

“ Dio mio Michiru...

“Ssss. Adesso basta parlare. Ho freddo e voglio che il tuo corpo mi scaldi.”

 

 

 

Note dell'autrice: E la ginocchiata è arrivata! Non si poteva fare diversamente. Lo so che Michiru Kaiou è una signora con la S maiuscola, ma ci si è spinti un po' troppo oltre. Passi i ricatti, passi anche lo schiaffo, ma... mo basta. Com'è arrivata la loro prima notte insieme e come al solito tocca sempre a Michiru dare il la alle cose.

Adesso ditemi, secondo voi il dottor bellocciò popò (soprannome fantastico e calzantissimo) riterrà di essere stato sconfitto ritirandosi in bell'ordine o meno?

Mmmm... ci sono tante, troppe iene ancora in giro.

Ps Chiedo venia per gli errori. E' un capitolo lungo e fa un caldo folle. Lo correggerò con calma, parola.

A prestissimo.

 

 

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Capitolo 14
*** Quinto comandamento ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

Quinto comandamento

 

 

 

La pioggia senza tregua che tambureggiava sulla copertura del capanno, il vento forte che sbatteva sui vetri opachi, il crepitio delle fiamme ormai basse, Michiru che continuava a tenere le dita della mano sinistra arpionate all'oro dei capelli di colei che le aveva appena donato tutto; la libertà, l'amore, la vita. I respiri ancora incontrollati di Haruka premuti a forza contro la sua spalla, la pelle bollente di entrambe che, come un'ancestrale risonanza stava continuando a generare goccioline di sudore formicolante lungo gran parte dei loro corpi, il leggero tremore dei muscoli, il crollo dei reni, l'abbattimento totale di ogni difesa, l'abbandono. Il piacere era andato a fondersi con il cuore e l'anima li aveva benedetti. Sconvolte dalla scoperta l'una dell'altra, da un appagamento carnale che non avevano mai provato nella solitudine della loro maturità femminile, si ritrovavano ora abbracciate, strette, incredule che si potesse raggiungere un'affinità così grande con un altro essere. Com'era stato possibile vivere fino a quel momento? Come la luna e le stelle potevano essere sorte ogni notte senza il respiro dell'altra al fianco? Cosa la percezione degli occhi era andata vedendo in quegli anni di recesso?

Michiru strinse la destra alla vita dell'altra avvertendo i battiti decelerare. Non si muoveva Haruka. Soltanto lo sterno continuava ad alzarsi ed abbassarsi velocemente.

“Ruka...” Un soffio stranamente rauco per un timbro pulito come il suo.

Nell'affanno l'altra riuscì a far leva sul gomito incrociandone lo sguardo. Un verde talmente scuro ed una pelle del viso così arrossata che le venne istintivo iniziare ad accarezzarle una guancia.

“Tutto bene?” E si stupì di tanto autocontrollo.

“Credo... di si.”

“Ne sei sicura?” Disse mentre un sorriso sempre più marcato inondava le labbra di entrambe.

“Credo... di si.” Ripeté per poi ridacchiarle nella piega del collo.

Se la strinse forte al petto quella ragazzona bionda nata dalle Alpi e cresciuta all'ombra dei boschi. Libera ed irruenta, sempre pronta a dar battaglia, fosse anche contro se stessa. La strinse così forte da riuscire ad avvertirne il battito. Lo fece fino a quando non sentì la stanchezza cullarla nel suono della pioggia.

 

 

Non sognò Michiru o almeno quando riaprì le palpebre non ricordò di averlo fatto. Si raggomitolò sorniona tra la coperta ancora leggermente umida di pioggia che Haruka era riuscita a tirar fuori dal suo zaino. Si contrasse in posizione fetale notando nell'aria più calore di quanto rammentasse. Si sentiva stanca, ma aveva ogni muscolo rilassato, ogni fibra apaticamente sciolta. Gemette stiracchiandosi puntando lo sguardo al fuoco ravvivato nel camino poco lontano ed alle forti spalle di Haruka, girata mentre controllava i vestiti che aveva steso ad asciugare su una delle sue corde da scalata. Permise alla sua voluttà di guardarla ancora e ancora, mentre si muoveva lenta prendendo un ciocco per sistemarlo sulla fiamma, si massaggiava la base del collo controllando la cartina raggrinzita per l'acqua presa e scuoteva la testa alla confusione regnante nel suo povero zaino.

“Come fai ad essere già così energica?” Chiese alzandosi a sedere e coprendosi alla bene e meglio il petto. E sentì il fiato venirle meno quando voltandosi, la bionda le rivelò uno sguardo di una femminilità disarmante. Era come se fosse sbocciata.

“Merito tuo Kaiou.” Rispose andando a sedersi sulla branda toccandole poi il viso con il dorso di due dita.

“Ben svegliata marmotta. Ringrazia che fuori piova ancora forte altrimenti avrei dovuto strapparti ai sogni.”

Ma quelle parole arrivarono all'insegnante come leggermente ovattate. Ma quanto poteva essere bella quella donna. I capelli arruffati, lo sguardo gentile, gli occhi fieri ed una dolcezza nei movimenti che non le aveva mai visto.

“Mentre stavi bellamente riposando ho preparato la colazione, steso i panni ad asciugare e trovato un po' d'acqua per lavarci. E' pioggia, ma è pulita.” Assicurò non rivelando però che in tutta quella militare efficienza aveva passato svariati minuti ad osservarla respirare beata come una bambina, come una dea reincarnata.

“Ma non sarà di qualcuno questo posto?”

“Con molta probabilità del proprietario della miniera, ma visto in che condizione era il lucchetto, bè non credo che avremo improvvisate.” Rispose ridendo a quel viso assonnato.

“Allora vuoi mangiare?” All'assenso si alzò per prenderle una canottiera e della biancheria pulita.

“Ma è odore di carne quella che sento?” Le chiese afferrando il vestiario notando l'improvvisa vergogna dell'altra all'apparizione del suo seno.

“Ma... Ruka! - Un finto rimprovero. - Dopo questa notte?”

Grattandosi la testa e stirando un sorrisetto sornione giustificò la sua reazione facendole notare che da li ad un paio d'ore avrebbero dovuto muoversi. “Non indurmi in altre tentazioni Michi. Te ne prego.” E scoppiando a ridere entrambe iniziarono a mangiare sedute sul bordo di pietra del camino perché quel posto era completamente sprovvisto di sedute.

“Me l'ha data Stefano. Ieri è andato a comprarla da un macellaio vicino alla stalla del fabbro. Era tutto contento quando è riuscito a darmela. Credo l'abbia pagata uno sproposito.”

“Bada Tenou, non è tutta per te. Dividila anche con la signorina Michiru, le ragazze e con Giovanna, intesi?!” Le aveva detto posandole fraternamente una mano sulla spalla prima di salutarla.

“Come se riuscissi a mangiare così tanto. Ma per chi mi ha presa quello li?!” Borbottò tra se porgendo all'altra la borraccia.

“Ruka posso farti una domanda un po' personale?” E al vederla asserire con il capo continuò chiedendole che legame ci fosse tra lei ed il soldato.

“Vedi, credo che il piccolo Mattias mi abbia un po' confusa.”

“A si? Ti ha per caso detto che Astorri mi ha spezzato il cuore per mettersi con mia sorella?”

“Una cosa del genere, si.” E dopo una fragorosa risata Haruka le spiegò del mancato fidanzamento e di come l'orgoglio battuto a sangue dal suo rifiuto lo avesse spinto ad aumentare il disagio di suo padre.

“Non ti nascondo di averci messo un po' per perdonare Stefano, ma ormai è quasi uno di famiglia. Credo che ami veramente mia sorella e questo mi fa piacere. Per quanto riguarda mio padre ed i suoi pregiudizi... e' acqua passata.” Nel dirlo però evitò volontariamente di accennarle di quella frase cruda, rabbiosa, intollerabile per una figlia, che Sebastiano le aveva sputato contro prima che lei scappasse di casa per sempre.

“Io ti maledico!” Ricordò soffrendone ancora a distanza di tempo.

Dimenticando per un attimo la scodella sulle ginocchia si toccò distrattamente il ciondolo dal laccio di cuoio che portava al collo da anni. Proprio non ce l'aveva fatta a gettarlo via, a separarsene. Ultimo piccolo legame che aveva voluto mantenere con il suo passato famigliare fino all'inizio di quel viaggio.

Michiru lo sfiorò con lo sguardo riconoscendo nel legno l’intaglio di un'ala.

“Me lo regalò Giovanna per il mio quindicesimo compleanno, per ricordarmi di puntare sempre alla vittoria sul traguardo della vita. Sai, ci piaceva correre l'una contro l'altra. E' molto competitiva come persona. A volte anche più di me.”

“Devi amarla tanto. Mi sarebbe piaciuto avere una sorella.”

La bionda tirò su con le spalle rivelando che non era sempre stato tutto rose e fiori.

“Come in ogni rapporto.”Sentenziò matura l'altra.

Haruka sospirò ingoiando un boccone. Per più di un anno non aveva più corso, si era fermata gettando all'aria ogni proposito di vittoria, ogni sogno, ogni conquista, preferendo vivere in una condizione di marcato annichilimento personale, scappando, nascondendosi come una reietta pur non avendo mai fatto nulla di male, accettando il giudizio degli altri piuttosto che provare a cambiare le cose.

Michiru si sporse baciandole una guancia. “Ti sei intristita?” Chiese vedendo riaffiorare quel sorriso guascone che tanto le piaceva.

“No, non preoccuparti.” Disse serenamente convinta. Non avrebbe mai più permesso alla paura di fermarla.

Guardando le goccioline di pioggia serpeggiare al di la del vetro cercò di non far trasparire la vergogna che stava provando per un pensiero appena sortole nei sensi. “Potrebbe anche metterci un po' più' del previsto a spiovere. - Confessò sperando di non apparire troppo licenziosa. - Come potrebbe passare del tempo prima che si possa nuovamente avere un po' d'intimità.”

L'altra sembrò pensarci su, poi prendendo le scodelle e posandole accanto al fuoco, si alzò offrendole la mano. “Hai ragione mia Ruka. Vieni...” E lasciandosi guidare verso la brandina la bionda tornò ad esporle cuore, corpo e anima.

 

 

Respirando pesantemente Giovanna cercò di non scaraventare la stampella nel burrone che si apriva nel poco lontano. Per l'ennesima volta il gruppo aveva dovuto fermarsi a causa della sua gamba e per l'ennesima volta nel corso di quelle disgraziate ore, tornava a sentirsi la zavorra che stava provando faticosamente a condurle all'appuntamento. L'appuntamento. Ci sarebbe poi stato? Si perché da quando la bionda si era incamminata per seguire la compagnìa di Daniel Kurzh loro sei non avevano più avuto notizie. In quei tre giorni poteva essere successo di tutto ed anche se Giovanna riponeva in Haruka la massima fiducia, non si sarebbe sentita tranquilla fino a quando non avesse rincontrato lo sguardo della sorella. Le mancava la sua Ruka, le mancava in tutto, anche in quei lati negativi che tanto la facevano andare fuori dai gangheri. Petulante, testarda, bastan contraria, scorbutica, superba, in una parola; faticosa. Ma non l'avrebbe mai scambiata con nessuna. Mai!

Quei giorni di ritrovata unione erano stati per la maggiore come una droga, ed ora che su per quel percorso boschivo ne sentiva il distacco, ora si rendeva conto di stare contando i minuti che la separavano dal rivederla e questa cosa la spaventava a morte, perché sapeva che alla fine di quel viaggio, quando tutto avrebbe ritrovato il giusto ordine, Haruka sarebbe quasi sicuramente tornata a vivere la sua vita e con molta probabilità Giovanna non ne avrebbe fatto parte. Che fosse stata da sola o con Michiru al suo fianco, alla baita o in un altro posto, la donna aveva come lo sgradito presentimento che da li a breve avrebbe dovuto dire addio al suo bizzoso cavallino di fanteria.

“Tutto bene Giò?” Makoto si sistemò meglio la cinghia del fucile sulla spalla infilandole il braccio sinistro nell'incavo dell'ascella per aiutarla a togliersi dall'empasse fangosa.

“Maledizione, se continuiamo di questo passo ci metteremo il triplo del tempo!” Sibilò nervosamente tra i denti serrati al fastidioso dolore che la ferita le stava offrendo.

“La mappa riporta che ci siamo quasi. Un'altra oretta e dovremmo riuscire ad arrivare, non agitarti così. Il grosso è stato fatto.” Minako cercò dolcezza e convinzione nella voce, ma in realtà era preoccupata quanto lei, lo erano tutte, ed Usagi, sicuramente più sensibile delle altre chiese che cosa sarebbe successo nella disgraziata ipotesi che Haruka e Michiru non si fossero presentate all'appuntamento.

Tutte fissarono la più grande che di rimpetto guardò il mezzo lupo fermo a qualche decina di metri da loro.

“In quel caso sarà Flint a guidarci. Troverà l'odore di Haruka conducendoci da lei. Almeno spero.”

 

 

Chiudendo la porta della baracca e posando gli occhi sul lucchetto spaccato dimenticato ad un lato della soglia, la bionda si sentì in colpa. Si era comportata peggio di una ladra, ma non aveva potuto fare altrimenti ed anche se difficilmente qualcuno sarebbe tornato per appurarne il danno, quel lucchetto ormai inservibile le avrebbe rimorso la coscienza per un bel po'.

“O be, poco male.” Si disse voltandosi per andare verso l'insegnante ferma ad aspettarla.

Michiru luminosa le sorrise rassicurante. “Quanto pensi ci metteremo ad arrivare all'appuntamento?”

“Ad occhio e croce un paio d'ore.” Rispose stringendosela forte iniziando poi a camminare tra il fango ed i rivoli d'acqua che nonostante avesse smesso di piovere, stavano continuando a scendere dal fianco dalla montagna.

“Dunque ci dirigeremo a Zurigo?” Chiese la bionda rimettendo ogni decisione all'altra.

“Si Ruka. Minako e Makoto devono cercare di raggiungere il fronte occidentale per ricongiungersi ai loro cari.”

“Ma non sarebbe meglio aspettare qui in Svizzera la fine della guerra?”

“E se durasse ancora mesi?”

Dubbiosa Haruka lasciò cadere l'argomento, perché se da una parte era convinta che il conflitto si sarebbe estinto da li a breve, dall'altra l'entrata in guerra del Regno d'Italia non prometteva nulla di buono.

Camminando a passo sostenuto mano nella mano su per il sentiero in mezzo al bosco che portava al crinale, fermandosi di tanto in tanto spinte dalla necessità di un contatto, di un bacio, uno sguardo, una carezza. non si resero conto del tempo che passava, dei metri fatti, del fango cementatosi alle calzature o della fatica che stava ripiombando sulle loro gambe e quando arrivate in cima ebbero la vista delle vette tutte intorno a loro, il lago dei Quattro Cantoni con la cittadina di Altdorf in lontananza, seppero che la meta era ormai a poco meno di mezz'ora da loro. Sentendosi finalmente tranquille si abbracciarono strette cercarono di riprendere fiato.

“Abbiamo tirato, ma ci siamo quasi Michi.” Le sussurrò vicino all'orecchio facendola rabbrividire per poi guardarsela soddisfatta.

“Ma che bei piccioncini abbiamo qui!” Una voce purtroppo conosciuta si espanse alle loro spalle, una voce che le fece voltare di scatto mentre un battito di mani faceva eco esattamente dalla parte opposta.

Haruka bloccò il respiro sgranando gli occhi lasciando che la destra corresse al coltello dimenticato alla cintura.

“No, no, biondino. Se fossi in te non lo farei.” Disse l'uomo armato dietro di loro abbassando il cane del fucile mentre quello che aveva bloccato loro la strada si avvicinava facendo segno di consegnargli la lama.

La donna guardò la canna puntata ed ingoiando si accorse di essere stata presa tra due fuochi. Avverti Michiru piantarle convulsamente le dita nel cotone della camicia ed iniziare a respirare velocemente. Troppo velocemente.

“Calmati.” Le suggerì piano dando all'uomo non armato la testa del suo coltello.

“Bravo biondino. Ma lo sai che sono giorni che voglio parlare con te?”

“Parlare!?”

“Certo parlare. Riprendiamo la conversazione interrotta al Taglio dell'Erba... vuoi?” E preso il coltello se lo infilò nella cintura posandole non troppo amichevolmente una mano sulla spalla.

“Io non ho nulla da dire!” Ringhiò scansando impulsivamente la stretta con un brusco movimento del braccio destro.

“Ma si può sapere cosa vi abbiamo fatto per ricevere un trattamento simile?” Intervenne Michiru frapponendosi tra loro.

“Michi stanne fuori!” Ordinò continuando a fissare in cagnesco le iridi dell'altro.

“O... ma che grinta ha la nostra brava signorina. Ma il vostro fidanzato lo sa che ve la fate con questo paesanotto?”

“Non ti permettere...” E questa volta fu la bionda a far scudo all'altra con il proprio corpo.

“Per me quel Dragone ci riempirà la scarsella di franchi se gli riporteremo l'amore perduto.” Disse ridendo sguaiatamente quello col fucile lasciando intendere che si, erano stati realmente loro ad indicare a Kurzh il paese dove si erano rifuggiate dopo il ferimento di Flint e Giovanna.

“E' probabile. Coraggio biondino spostati.” Ma Haruka non si mosse e lui ne approfittò per piantarle un pugno bene assestato alla bocca dello stomaco che ne mozzò il fiato.

“Haruka!” Gridò Michiru vedendola piegarsi in avanti.

“Haruka?!” Ripeté l'uomo sbigottito per poi afferrare la bionda per il colletto della camicia iniziando a squadrarla da capo a piedi.

“Sei una donna?” Ed un sorriso torvo iniziò ad invadergli le labbra carnose mentre l'altro afferrava l'insegnante per un braccio strattonandola.

“Lasciala stare! Non toccarla! Ruka...”

“Michi...” Articolò sentendo saliva e sangue nella gola.

“Sta zitta tu! - Intimò quello tornando a guardare la bionda in viso. - O si... In effetti a guardarti meglio... ”

La destra corse serrandole il mento per studiarne le fattezze. “Sei una ragazza ed anche piuttosto bella. E così giochiamo a fare l'uomo!?” Trascinandola fuori dal battuto intimò all'altro di badare al preziosissimo ostaggio.

“Lasciala!” Michiru sentì gli avambracci bloccati da dietro.

“Te lo faccio sentire io com'è fatto il corpo di un vero uomo... biondina.” Rise già eccitato al pensiero di quello che le avrebbe fatto da li a breve.

Camminando per qualche metro la sbatté violentemente contro una roccia iniziando a slacciarsi i pantaloni. Era più alto e di gran lunga più pesante di lei. Ci avrebbe messo niente. “Allora... Ti fotto e poi ti sgozzo, o ti sgozzo per poi fotterti?”

Pulendosi la bocca con il dorso della mano Haruka tornò a respirare normalmente. Guardando in direzione dello sterrato si accorse di non vederlo più.

“Se fossi in te non penserei alla tua amante... - E si avventò su di lei afferrandole entrambi i polsi bloccandoglieli contro la roccia. - Lei è merce preziosa, mentre tu non vali neanche il peso delle tue ossa.”

Il fiato arroventato sbattutole in faccia, la pelle viscida, la sua mascolinità già eretta premutale contro. Haruka provò a pensare, ma il terrore che stava provando era troppo forte. Si sentì stringere le braccia sopra la testa, polso contro polso da un’unica enorme mano e toccata al petto dall’altra.

“E si... direi che sei proprio una donna.”

Le gambe ancorate dalla sua stazza, i muscoli impediti nei movimenti, la mente annebbiata dall'adrenalina. “Lasciami cane schifoso.” Urlò sentendo le dita di lui iniziare a slacciarle la cintura.

“Stai ferma...”

Dio no, pensò con terrore e non appena il bollore del suo tocco scivolò sulla sua pelle, Haruka reagì scattando la testa in avanti colpendolo in pieno setto nasale. Libera nei polsi, d'istinto e con tutta la forza che aveva gli mollò un pugno in faccia non avvertendo neanche dolore alle nocche della destra ancora coperte da un sottile strato di crosta. Alcuni passi all'indietro tenendosi il viso inondato da un fiotto di sangue e la ragazza riuscì a spostarsi un poco.

“Troia bastarda!” E stava per caricarla come un toro furioso quando un colpo di pistola lo centrò in piena spalla sinistra. Barcollando si schiantò schiena alla roccia proprio dove aveva bloccato la bionda pochi istanti prima.

“Ruka... allontanati!” Urlò Giovanna tenendolo sotto tiro.

Respirava pesantemente quella donna dallo sguardo di ghiaccio sempre pronta a far da pacere. Gli occhi carichi di furia omicida, collera liquida che le pulsava ora nelle vene del collo, pompata da un cuore impazzito che stava viaggiando al triplo della velocità. Le stampelle dimenticate a terra, le braccia tese davanti a lei, la canna della Luger ferma, senza alcun tremore. Determinata.

“Non muoverti schifoso o ti faccio saltare la testa!” Tagliente e senza alternative.

“Giò...” Chiamò la minore vedendo che l'uomo non aveva assolutamente intenzione di obbedire.

“Cagna...”

“Dammi solo una scusa, brutto figlio di puttana! Dammene solo una!" Urlò socchiudendo gli occhi.

“Giovanna... no.”

“Cosa ti ha fatto Ruka?!” Chiese guardando i pantaloni mezzi slacciati di quella bestia.

Cogliendo una pericolosa scintilla negli occhi dell'altra, Haruka iniziò ad avvicinarsi con cautela. “Niente. Non e' riuscito a farmi niente. Giovanna... dammi la pistola.”

"Io lo uccido questo porco... Gli pianto una pallottola in mezzo agli occhi!"

“Non sei un'assassina. Dammi la pistola...” Andandole al fianco alzò il palmo cercando di farla ragionare impressionata dal vederla così trasfigurata.

“Toglierlo dal mondo non può essere considerato omicidio.” L'indice destro pericolosamente spinto sulla mezzaluna del grilletto con in canna un secondo colpo.

"Giovanna..."

Ma niente. Scuotendo impercettibilmente la testa continuò a tenere la canna alta. "Non avrebbe dovuto permettersi... La deve pagare... La deve pagare per tutti!"

“Giò ... Dammi la pistola.

"No... "

Ti prego... Sorella...”

Un leggero fremito e la maggiore finalmente staccò gli occhi dall'uomo per posarli sulla bionda che stirando un sorriso le prese l'arma dalle dita. "E' finita. E' tutto finito, stai tranquilla."

“Put... tane...” Articolò allora lui a capo chino per cercare di non ingoiare il proprio sangue.

Un paio di passi tenendosi la spalla con la mano opposta e prima che Haruka riuscisse ad alzare l'arma per abbatterlo, un qualcosa di scuro saltò fuori da un cespuglio rilasciando un suono gutturale vibrato e profondo. L'uomo gridò divincolarsi incontrollato appena sbattuto in terra dalla furia di quattro poderose zampe e quando le zanne del giovane mezzo lupo si serrarono alla gola stringendo pelle e muscoli, un suono sordo di rottura rilasciò gli arti lasciando che il tronco si muovesse ancora un paio di volte per giacere poi immobile e senza più vita in una pozza rossa. Continuando ad emettere una sorta di ringhio, il muso di Flint si mosse ancora un'ultima volta a destra e a sinistra inondandosi di sangue.

Alla vista di quella scena la mascella di Haruka tremò un attimo poi un altro colpo d'arma da fuoco, questa volta proveniente dal sentiero, seguito poi da un paio di urli la scossero facendola scattare. “Michiru!” E corse più forte che poteva raggiungendo in brevissimo tempo il punto dove l'aveva lasciata.

Si fermò guardando la ragazza stravolta, una mano premuta alla bocca, gli occhi dilatati fissi su l'uomo che aveva ricevuto l'ordine di trattenerla e che ora giaceva in terra rantolante, faccia rivolta verso il cielo e mani premute all'addome.

 

 

I singulti di Usagi rendevano tutto molto più difficile. Haruka in cuor suo sapeva che avrebbe dovuto intervenire, fare qualcosa, riportare ordine in un gruppo totalmente allo sbando, ma per quanto ne fosse conscia proprio non riusciva a richiamare la forza nelle gambe ed il volere nelle intenzioni. Impossibilitata a muoversi, intorpidita, dritta sulla schiena pugni serrati e sguardo fisso alla scena che continuava a svilupparsi davanti ai suoi occhi, non avvertì neanche la presenza di Giovanna arrivatale accanto. Dopo un'agonia di alcuni istanti l'uomo colpito in pieno addome dal proiettile del fucile della guida mori'. Makoto lo aveva centrato non appena Michiru era riuscita a liberarsi assestandogli un calcio alla tibia forte della sorpresa di lui improvvisamente vistosi circondato dalle ragazze, ed ora abbandonando l'arma a terra come se fosse stata infuocata, la ragazza più giovane stava continuando a scuotere la testa formulando sottilissimi no, non riuscendo a credere a ciò che aveva appena fatto.

“Ami...” Chiamò Giovanna facendole cenno con il mento di andare ad accertarsi dell’effettiva morte dell'uomo.

Dovevano muoversi. Agire. “Haruka prendiamogli le armi ed andiamocene. Ruka mi ascolti?!”

Guardando gli occhi dell'altra la minore sembrò tornare in se scuotendo la testa convinta. No, dovevano seppellirli, far sparire i corpi in modo che non si fossero mai più trovati. Perché nessun tutore della legge avesse mai potuto additare quelle morti ad un omicidio.

“D'accordo, allora diamoci da fare.” Continuando a mantenere un tono freddo e distaccato nonostante si stesse parlando della sepoltura di due uomini, Giovanna chiamò Minako chiedendole di aiutare Haruka.

“Non ci sono problemi.” Rassicurò la viennese dirigendosi verso la guida forzandosi nell'essere convincente.

“Giò, lascia che lo faccia io. Non coinvolgiamo Mina e' troppo giovane.” La prego' l'insegnante posandole una mano sulla spalla cercando di non farsi sentire dalle altre.

Ed anche se ormai dopo quello che avevano visto e vissuto erano cresciute tutte di colpo, Giovanna si trovò concorde e lasciò che l'altra aiutasse la sorella nello scavare la fossa.

 

Passo Spig

Svizzera centrale – 18/6/1915

 

E' sera, abbiamo approntato un bivacco e provato a mangiare qualcosa.

Quello che è accaduto oggi ha dell'assurdo.

Non riesco a credere che sia successo davvero.

Abbiamo fatto quello che dovevamo, ma ammetto che ci sia costato.

Siamo tutte molto provate, ma chi sta peggio è Mako.

Sorprendentemente è stata Rei a starle più vicina. E' proprio vero che nel bisogno

emerge il vero “io” delle persone.

Usagi non riesce a smettere di piangere

e la mia Ruka mi preoccupa. Non ha parlato molto ed è sparita senza neanche

toccare cibo. Vorrei starle accanto, ma non posso lasciare le ragazze da sole prima di

saperle addormentate.

Perché il cielo si sta accanendo così?

M. K.

 

Iniziando con il togliersi la giacca, per passare poi alla camicia ed infine alla canottiera, in silenzio, compiendo gesti lenti, quasi pensati, continuando a tenere gli occhi fissi sull'oscurità dell'acqua di quel piccolo torrente, Haruka si sedette su una roccia passando a slacciarsi gli scarponi. Aveva bisogno di lavarsi. Aveva bisogno di non sentirsi più così sporca dentro. Ancora con il puzzo di quell'uomo sulla pelle, sui vestiti, fin quasi dentro l'anima, si era spinta lontano dal gruppo per ritagliarsi un momento tutto per se e per il suo Flint, ora fermo accanto a lei con ancora i peli del muso incrostati del sangue di quella bestia. Aveva avuto paura Haruka. Tanta. Paura prima per Michiru e poi per se stessa. Quello che era accaduto dopo che si era resa conto di non poterla difendere perché minacciata da un arma da fuoco, perché accerchiata da esseri senza scrupoli, l'aveva destabilizzata ed ora non sapeva come riuscire a ritrovare la strada del suo io.

Sospirando avvertì il muso di Flint sbattergli sulla coscia e guardandolo dolcemente iniziò a lavargli il pelo. Anche vedere lui compiere quello che poi era da sempre un ovvio gesto naturale l'aveva sconvolta. Mostrando una brutalità sconvolgente aveva reciso le arterie di quell'individuo spezzandogli le vertebre cervicali con una precisione ed una ferocia disarmanti. La stessa scintilla di ferocia vista per qualche istante negli occhi di Giovanna appena si era resa conto di quello che avrebbe potuto subire se non fossero arrivati. Una violenza.

“E' fredda l'acqua, sei proprio sicura di volerti bagnare?”

Girandosi di scatto con i nervi ancora provati, la bionda vide la maggiore ferma a qualche metro da lei mentre Flint schizzava via rifugiandosi nel fitto della foresta.

“Scusa, non volevo spaventarvi. Hai avuto ragione a volerlo lasciare legato fino alla nostra partenza, Non vedendovi all'appuntamento ci ha messo meno di mezz'ora a trovarti.” Disse ricordando quanta pazienza Usagi aveva dovuto investire nel dargli da mangiare mentre erano state costrette a tenerlo a catena nella stalla di Leopold per impedirgli di seguire la sua amica.

“Si ma credo si sia inselvatichito ancora di più.” Rispose togliendosi le calze.

“Haruka senti... Va tutto bene?”

E l'altra stava per risponderle di non preoccuparsi quando invece le uscì una sorta di supplica spezzata. “Per favore Giovanna... mi lasceresti da sola?”

“Non credo tu lo voglia veramente.” Ed iniziò ad avvicinarsi.

“Si...”

“No Ruka... Non credo.” Lasciando le stampelle poggiate alla roccia dov'era seduta la sorella, si inginocchiò prendendo la pezza abbandonata accanto alle sue gambe iniziando a bagnarla.

“Ho avuto paura... Non ne ho mai avuta così tanta in vita mia.”

“Lo so tesoro mio, lo so.” Disse iniziando a strofinarle delicatamente un braccio.

"Non avrei mai creduto che anche vestita così un giorno un uomo avrebbe provato a prendermi... fisicamente.

"Dimentichi troppo spesso di essere una gran bella ragazza, anche se a bestie come quello basta veramente poco."

“Lo avresti ucciso?”

“Si.- La guardò decisa. - E non avrei provato il rimorso che ha ora Makoto."

E dopo quella terrificante confessione tornò il suono dell'acqua che frustava le rocce sulla riva, gli uccelli notturni, il leggero vento sulle fronde degli alberi.

Una decina di minuti dopo Giovanna si rialzò piantarsi le stampelle sotto le braccia. Posando il palmo della destra sulla guancia dell'altra le sorrise mesta. “Va un po' meglio adesso?”

“Un po'.”

“Va bene allora vado dalle altre. Ma ricorda che lei ti aspetta.” E tornando verso la luce del bivacco si sentì improvvisamente più vecchia di cent'anni.

 

 

Michiru continuò ad accarezzare la guancia umida di Makoto fino a quando il sonno non si impossessò di lei. Accertandosi che anche Usagi e Minako dormissero scambiò una rapida occhiata con Ami e Rei ferme nei sacchi da viaggio poco propense a chiudere gli occhi, andando poi verso Giovanna ferma davanti al fuoco persa in chissà quali pensieri e lasciandole un'affettuosa carezza alla nuca si diresse verso un paio di rocce che aveva scelto come spazio tutto suo. Volendo aspettarla sveglia rimase in piedi fino a quando non vide la sua bionda fare ritorno dal torrente. Versando lacrime silenziose di rabbia si era cambiata lavando gli indumenti che avevano visto quella disgraziata giornata. Non si erano ancora parlate, non avevano potuto e l'insegnante bramava di averla accanto, di ascoltarne il possibile sfogo, di accarezzarla e farsi accarezzare per cercare di tornare alla normalità.

Haruka le si fermò davanti con le mani piene di panni sgocciolanti che l'altra prese per iniziare a distenderli sulle rocce.

“Mi manchi. Ho bisogno di un tuo abbraccio.” Soffiò la bionda puntando gli occhi in terra vergognandosi di tanta umana fragilità. Abbandonando tutto il resto Michiru si alzò leggermente sulle punte per raggiungerle la fronte con le labbra e non dovette certo parlare per farle capire quanto l'avrebbe tenuta stretta quella notte.

 

 

 

Note dell'autrice: Il bollino è arancione, perciò ve lo dovevate aspettare che qualcosina di poco “simpatico” sarebbe accaduto, che Giovanna non avrebbe ricoperto solomil suo canonico ruolo di spalla comica, che si sarebbe dovuti scendere a patti con i demoni della rabbia, della paura e della vendetta e che visto che si sta praticamente svolgendo tutto a contatto con la natura, qualche scena violenta ce l'avrei messa, come con il buon piccolo Flint. Ma in effetti Haruka a fare i conti con un tentato stupro proprio non lo avevo preventivato. E mi dispiace di non averla dipinta tanto nella sua forza (comunque sempre presente) quanto nella sua fragilità di donna.

Come ammetto di essere stata indecisa fino alla fine su chi tra Makoto o Usagi fosse stata chiamata a violare il quinto comandamento; il non uccidere. Se fosse “toccato” alla seconda credo non sarei riuscita a gestire la cosa. In più avrei voluto descrivere meglio gli avvenimenti. Scusate.

Ma di una “piccola” questione sono contenta: vi ho graziato della presenza di dottor belloccio popò almeno per questo capitolo.

A prestissimo e sempre grazie per le vostre recensioni ed i vostri suggerimenti.

 

 

 

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Capitolo 15
*** Il peso della coscienza ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Il peso della coscienza

 

 

 

Paese di Altdorf. – Sponda orientale del lago dei Quattro Cantoni.

Svizzera centrale – 19/6/1915

 

“Signore, mi avete mandato a chiamare?” Fissando le spalle del superiore seduto davanti alla finestra il giovane soldato si portò la mano destra al berretto mettendosi sull'attenti.

“Fate preparare gli uomini. Partiamo tra venti minuti.” Non ritenendo di aggiungere altro sentì un leggero battere di tacchi e la porta della sua camera aprirsi per poi chiudersi nuovamente.

Mantenendo lo sguardo fisso alle poche righe dei fogli sparpagliati sulla scrivania avvertì bruciore alla bocca dello stomaco. Lo stesso fastidio che ormai da alcune settimane gli si era insinuato nelle viscere e che da circa trentasei ore si era acutizzato insopportabilmente. Sapeva da cosa fosse dipeso quel malessere. Rileggendo per l'ennesima volta quelle frasi ormai imparate a memoria, incurvò leggermente la schiena poggiando entrambi gli avambracci sul piano legnoso sentendo montare la rabbia.

Signor Kaiou sono felice di informare Voi e vostra moglie che sua figlia Michiru ed io saremo a Berna all'imbrunire di questa sera.

Portandosi un pugno alla bocca respirò profondamente inalando come ossigeno velenoso. Scansando con due dita il primo telegramma lesse il secondo socchiudendo gli occhi.

Al Tenente Henry Smaitter, distaccamento dell'esercito Elvetico di Bellinzona. Con il presente comunico l'avvenuto ritrovamento della signorina Michiru Kaiou nella città di Altdorf e la fine dall'incarico. Devo altresì denunciare che la fuggitiva Giovanna Aulis, di supporto presso il Vostro Comando come staffetta, è attualmente ricoverata presso il paese di Tilone impossibilitata nel muoversi e sarà a breve messa agli arresti e ricondotta al corpo d’appartenenza.

Menzogne! Tutto un'insieme coerentissimo di mancanze che per sua stessa mano e convinzione erano state inviate e che ora lo costringevano a porre immediato rimedio. Daniel non si era mai reputato un uomo meschino, ma vendicativo si. Quando aveva fatto leggere il mandato di cattura per quella donna alla sua fidanzata, con la promessa di distruggerlo non appena fosse stata sancita la loro unione, sapeva già che avrebbe ordinato ai soldati di Bellinzona di ritorno al Comando, di deviare per quel paese e porre agli arresti la staffetta. Non era mai sceso a patti con una donna e non lo avrebbe certo fatto per Michiru, anche se si trattava di una Kaiou. Ma il destino lo aveva giocato o meglio, la sua fidanzata lo aveva fatto, ed ora non poteva che constatare di avere per le mani solamente un pugno di mosche.

Quattro dei dieci fanti che stava ancora comandando erano appena ritornati da Tilone con la notizia di non avere trovato tracce ne della staffetta, ne tanto meno delle allieve del collegio di San Giovanni. Giocato! Era stato giocato da un branco di ragazzine, ed ora si ritrovava con fogli stracolmi di compromettenti falsità, la reputazione ad un passo dalla distruzione e l'orgoglio iracondo. Se da una parte poteva additare la colpa del mancato arresto della staffetta all'inettitudine dei soldati della Confederazione, lenti, male addestrati e per nulla inclini all'obbedienza, uscendo quasi illeso di fronte agli occhi del Tenente Smaitter, dall'altra non avrebbe potuto nascondersi al giudizio di Viktor Kaiou.

Digrignando i denti al dolore nel collo che il colpo a bruciapelo gli aveva lasciato, il medico si alzò dalla sedia della scrivania posando le mani l’una nell’altra dietro alla schiena perdendosi nel cielo terso al di la dei vetri della finestra. Sapeva che era stata lei! Non ne aveva le prove perché non vista, ma lo sapeva ed avrebbe fatto pagare a quella deviata tutto! L'abbattimento del suo ego nel fango di quella stradina era solamente l'ultima delle umiliazioni che Haruka Tenou avrebbe scontato. Quegli occhi carichi di sfida all'autorità costituita, la postura dritta, l'arroganza nella voce e lo smacco, dolorosamente cocente, di sapere Michiru preferire quelle labbra alle sue. Quelle mani alle sue.

E poi non era solamente una questione di principio, di rivalsa; doveva trovarle, perché anche se il sapere di un coinvolgimento amoroso tra le due non lo turbava più di tanto, convinto com'era che si trattasse solamente di un capriccio post adolescenziale della sua promessa, il perdere la faccia di fronte ai Kaiou, all'alta società bernese e ai privilegi che si sarebbero affacciati se fosse riuscito a farne parte, era peggio di saperle perversamente unite in chissà quale gioco carnale.

E poi... la voleva! Voleva Michiru con tutto se stesso, con ogni stilla di forza libidinosa che sentiva di avere nel corpo. Sin dalla prima volta che l'aveva vista, in quella sala da ballo, alla festa danzante che il sindaco di Merano aveva indetto per salutare i raccolti di fine estate. Bellissima, una visione cinta da un abito da sera blu notte. I guanti del medesimo colore, un nastro a sorreggerle i capelli alla nuca, il collo sottile abbracciato da un pendente acquamarina, la figura aggraziata e i suoi occhi, dolcissimi, audaci e profondi. E quella voce, pura e vibrata come quella del suo strumento preferito; il violino. Si era presentato immediatamente facendo poi ricerche accurate, ma discrete, su quella fanciulla scesa dalla Svizzera solamente un anno prima, allontanatasi dalla famiglia d'origine per svolgere il ruolo d'insegnante in uno dei collegi più altolocati dell'Austria meridionale. Intraprendente, colta, estremamente posata, ben disposta al dialogo, ma soprattutto all'ascolto, unica erede di una delle famiglie emergenti di Berna, forse un po' troppo indipendente ed emancipata, ma degnissima di ogni considerazione. Aveva fatto carte false per conoscerla fino a quando la buona sorte non aveva fatto liberare un posto come medico nello stesso collegio nel quale lavorava e tutto da quel momento era andato come doveva andare, tutto fino alla comparsa di quella stramaledetta montanara. Daniel Kurzh si sentiva dannatamente sull'orlo del baratro, sentiva di stare per perdere tutto e se non avesse agito prontament, ogni suo sogno sarebbe andato in frantumi.

Guardando la piantina di zona lasciata aperta sulla scrivania la rigirò osservandola con attenzione. Quando la signorina Aino aveva annunciato che non li avrebbero seguiti, aveva menzionato Zurigo. Ormai all'uomo era chiaro che avevano agito in quella maniera per aiutare la staffetta ad allontanarsi da Tilone perché impossibilitata nel farlo da sola, ma forse la meta non faceva parte dell'inganno, forse realmente volevano dirigersi nel Cantone tedesco e li si sarebbe diretto, gettando sul tavolo di quella storia l’ultima carta utile che ancora sentiva di possedere per ribaltare la partita a proprio favore.

 

 

La notte era stata un'agonia. Immerse nella luce tremolante di un paio di fuochi da campo, ognuna delle ragazze aveva scelto di affrontare quello che era accaduto a modo suo.

Minako, sempre gioviale, allegra e piena di entusiasmo al pari della piccola Usagi, aveva silenziosamente affiancato il suo sacco da viaggio a quello di Makoto, non parlando o compiendo gesti eclatanti, rimanendo semplicemente a stretto contatto d'occhi, sapendo che se l'amica avesse necessitato di qualche cosa lei sarebbe stata li, pronta ad intervenire, guardinga vedetta del suo gruppo.

Rei, francese ed appartenente perciò ad un popolo oppresso dalla tirannide teutone, contro ogni logica politica manifestata fino a quel momento per una tedesca, coricata ma non dormiente, aveva continuato ad accarezzarle la schiena, fino a quando anche l'ultima lacrima di una devastazione interiore incolmabile, non aveva decretato per l'amica la tregua di un sogno comunque agitato e popolato d' incubi.

Usagi aveva cercato di fare quello che meglio le riusciva, ovvero manifestare affetto con parole, gesti e sguardi. Al rifiuto dell’altra di mangiare la deliziosa carne rimediata da Stefano, era arrivata addirittura ad imboccarla, impressionata da quello sguardo vitreo e da un mutismo inquietante.

Ami, più controllata di tutte le altre quattro, forte della sua maturità e di una professione che l'aveva spesso vista costretta a muovere il palmo della destra per chiudere per sempre le palpebre della morte, aveva preso ad osservare Kino da lontano, studiandone atteggiamenti e mosse post traumatiche, convinta che l'atto di strappare la vita ad un uomo, anche se della peggior specie, non sarebbe stato superato molto facilmente.

Giovanna da per se non aveva chiuso occhio. Non era riuscita ad assistere a quella scena, ma ad un'altra si e al solo ripensare alla sorella sbattuta contro quella roccia con quell'energumeno pronto a prenderla con la forza, una violenta carica d'odio tornava a spazzar via la buona coscienza di un'indole pacifista, ed il vedere Makoto in quelle condizioni la spingeva a pensare a cosa sarebbe successo a lei se la mano di Haruka non le avesse tolto la pistola dalle dita. Lo avrebbe ucciso. Gli avrebbe sparato e ne avrebbe goduto. Tanto bastava per farla sentire male.

Michiru in quella notte opprimente aveva continuato a tenere tutte sott'occhio, come una leonessa con la sua colonia, dando alla bionda ciò che voleva per farla tornare tranquilla. Se l'era tenuta stretta non pretendendo che si sfogasse, ma capendo benissimo la situazione, era stata di una dolcezza ed una comprensione incredibili. Quando quella bestia aveva trascinato Haruka fuori dal battuto, lei aveva iniziato a divincolarsi per raggiungerla e più la stretta dell'altro uomo si cementava alle sue braccia e più lei sentiva di non potergli obbedire. I lividi che le erano apparsi sui bicipiti erano un segno di quella lotta disperata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per andare da lei, qualsiasi.

E giunto il mattino con la sua aria frizzante di sgocciolante rugiada, mentre il sole si ergeva lento spargendo i suoi raggi sugli impalcati arborei accesi di luce, il gruppo si rimetteva in cammino verso una nuova meta; la città di Zurigo. Michiru non sapeva cosa avrebbe fatto una volta giunta a destinazione. In tasca non avevano che pochi franchi, quelli rimasti dal viaggio uniti alla generosità di Stefano, che aveva dato a Giovanna tutto quello che poteva in caso di bisogno.

Secondo i calcoli dell'insegnante non avrebbero dovuto trovare troppe difficoltà nel riuscire ad arrivare all'ospedale militare nei pressi di Basilea dove Wolfgang Aino era stato ricoverato, ma ben più complesso sarebbe stato far partire Makoto per Wehr, la sua città natale. Avrebbero trovato le frontiere chiuse e la linea ferroviaria interrotta, com'era successo per Ami. Per di più la ragazza tedesca non appariva certo in grado di viaggiare da sola.

Michiru sospirò sistemandosi meglio lo zaino sulla schiena già bagnata di sudore.

“Cosa c'è?” Le chiese Haruka stirando un sorriso forzato. Che domanda idiota sentiva di aver fatto.

“Stavo pensando a cosa faremo una volta giunte a Zurigo.” Confessò girandosi per guardare un attimo Makoto.

“Non crucciarti Michi. Vedremo il da farsi una volta giunte in città. Ormai dovresti aver capito che in questo viaggio nulla può essere messo in preventivo, giusto?”

L'altra respirò pesantemente. Non amava i cambi improvvisi di programma. La facevano sentire vulnerabile. Accettò con gratitudine una carezza vedendo Usagi avvicinarsi.

“Michiru...” Il suo sguardo azzurrissimo continuava ad essere velato da una giustificata preoccupazione.

“Ho paura che Mako abbia qualcosa che non va.”

“Certo che ha qualcosa che non va, ha ucciso un uomo!” Si intromise cruda Haruka venendo immediatamente zittita da un'occhiataccia dell'insegnante.

“Mmmm... Scusate.” E grattandosi la fronte le seguì dalle altre fermatesi ad un paio di metri.

Makoto era seduta su un tronco e si teneva le mani tra i capelli. A testa china aveva ripreso compostamente il suo pianto silenzioso, non rispondendo o guardando nessuna di loro.

“Dai Mako, su coraggio, alzati, dobbiamo andare.” Giovanna non era portata per quel genere di cose e ringraziò Michiru quando la vide accovacciarsi accanto a lei.

“Makoto ascoltami, purtroppo ormai è accaduto. Mi hai protetta e di questo non potrò mai ringraziarti abbastanza. So che è difficile, ma devi accettare il fatto di aver compiuto una brutta azione, ma senza la quale io avrei potuto subire cose piuttosto gravi. - Le mani in quelle dell'altra per costringerla a guardarla. - Ora cerchiamo un modo per farti tornare a casa.”

A quella frase la ragazza ebbe un fremito alzandosi di colpo. Con lo sguardo fisso in un punto non definito della foresta, raccolse il bastone che l'aiutava nella marcia e contro animali striscianti e tornando a camminare con rinnovato vigore le precedette aprendo la fila. Michiru e Giovanna si rialzarono lentamente guardandosi poco convinte. Haruka scosse la testa iniziando a seguirla. Quella situazione non le piaceva per niente.

 

 

Stefano tirò le briglie guardando i due commilitoni avvicinarsi al galoppo. Se correvano così poteva voler dire che avevano notizie. Se correvano così forse le avevano trovate. Stringendo le redini cercò di avvicinarsi il più possibile alla cavalcatura del Sottotenente per sentire meglio. Sapeva di essere controllato da un paio di colleghi. Dalla fuga di Michiru non era stato lasciato solo un attimo ed era sempre più difficile avere libertà di movimento. Si fidava di pochissimi uomini, tutti nati e cresciuti nel suo stesso quartiere, ma degli altri doveva stare attento, ed uno di loro era sicuramente diventato una spia di Kurzh.

“Signore, alcuni contadini hanno visto un gruppo di persone dirigersi verso il bacino di FullerGraft.”

“In quanti erano?” Non voleva fare un buco nell'acqua iniziando a girare a vuoto per sterrati inseguendo semplici scalatori o boscaioli.

“Non hanno potuto confermarlo, ma la cosa interessante è che uno di loro aveva le stampelle ed è strano perché andavano verso il crinale.”

Perfetto, si disse aprendo la cartina identificando il lago che nasceva dalla confluenza di tre torrenti.

“Muoviamoci allora. Percorrendo i sentieri secondari potremmo bloccarle prima di sera o al piè tardi nella giornata di domani.”

 

 

Si fermarono un paio di volte per riposare in una delle quali consumando il pranzo. Approfittando di un laghetto di montagna Usagi pescò qualcosa e Haruka cacciò una lepre. Ben poca cosa se paragonate a tutte le proteine che avrebbero dovuto assimilare per provare a concludere quel viaggio, ma si accontentarono riprendendo a camminare subito dopo le due del pomeriggio. Il sentiero non era molto impervio, tutt'altro. Se paragonato al San Gottardo poteva dirsi più una semplice scarpinata che una scalata vera e propria. Solo un tratto si presentava abbastanza complesso; trenta metri di sentiero sconnesso scavato nella roccia che costeggiava una ripida gola, largo più o meno ottanta centimetri, pieno di vegetazione e piante spinose. Davanti un salto di svariati metri. In fondo, rumoroso e violento, uno dei tre ruscelli che andavano a gettarsi in un lago artificiale poco più a valle.

Arrivata davanti al costone di roccia Haruka iniziò a fissarlo. Non era un passaggio adatto alle ragazze, ma avrebbero guadagnato ore di marcia e tempo. Tanto tempo. Quasi un giorno.

“Piantando quattro o cinque chiodature d'ancoraggio ce la possiamo fare.” Disse alla sorella sfilandosi lo zaino.

“Non possiamo fare diversamente?” Chiese Giovanna sporgendosi per guardare il sentiero venendo investita da una folata di vento.

“Vorresti arrivare al torrente qui sotto e metterci il triplo del tempo?!” Acida guardò le stampelle storcendo la bocca.

Bisognava solamente ragionare con calma. Lei avrebbe aperto la cordata, Michiru l'avrebbe chiusa e la sorella sarebbe stata messa esattamente nel centro della fila, accanto a Makoto che all'occorrenza l'avrebbe aiutata.... “Dannazione!”

“Vedo che hai messo a fuoco Ruka mia. Non possiamo più contare sulle braccia e la forza di Kino. Almeno per ora.”

Intimandole di non muoversi e soprattutto, di non fare del sarcasmo idiota, la bionda andò da Ami cercando di capire quali sforzi potesse compiere Giovanna per non rischiare di far saltare tutti i punti. Spiegando all'infermiera la complessità del passaggio ebbe un secco no che la costrinse a rivedere tutto il percorso.

“Va bene allora opteremo per il greto del torrente. Torniamo indietro al bivio e scendiamo di li.”

“D'accordo Ruka, ma anche se partissimo ora stiamo strette con i tempi. Abbiamo si e no cinque ore di luce e con questa gamba ti assicuro che non riusciremo a scendere e risalire prima di notte e sai meglio di me che non ci si accampa mai sul greto di un torrente.”

Giovanna aveva ragione. Se a causa di qualche pioggia più a monte le acque si fossero alzate improvvisamente, il loro bivacco avrebbe rischiato di essere travolto. Sempre più risentita la bionda si guardò allora intorno mani sui fianchi e scuotendo la testa decretò la fine della marcia giornaliera. “Ci rimetteremo in cammino domani mattina. Scenderemo e risaliremo arrivando al lago di FullerGraft in serata.”

“Ma non abbiamo visto spazi sufficientemente ampi per approntare un bivacco.” Intervenne Minako ancora piena d'energie.

Sentendosi accerchiata da un borbottio di ribellione la bionda alzò le mani cercando d'imporre autorità. “Vorrà dire che dormiremo avendo meno spazio. L'importante è il fuoco, per il resto possiamo arrangiarci. Se necessario ci stringeremo, ma non riposeremo sul greto di un corso d'acqua.”

“Ma ieri lo abbiamo fatto e non è stata neanche la prima volta!” Intervenne Rei con saccenza e Haruka esplose stanca di dover dare spiegazioni sul suo operato a gente ignorante di montagna.

“Boia di un cane, ma cosa ce l'avete a fare la testa! E che cavolo, ragionate! Ogni volta abbiamo stazzato più in alto del greto e lontane a sufficienza per stare in sicurezza. Comunque signorina Hino, fino a prova contraria non devo giustificarmi con nessuna! La guida sono io, io do le direttive di viaggio, io decido la disposizione di cordata, io dico quando ci si alza, si mangia e ci si corica e non voglio sentire più lamentele! Sono stata chiara!?”

Viso a viso la mora socchiuse gli occhi inalando pesantemente aria. “Non credevo che questo gruppo si fosse trasformato in un regime.”

“Bè novità delle novità... si, lo è!”

“Haruka dai basta.” Provò Giovanna accarezzandole la spalla.

“Si ragazze. In fin dei conti Rei voleva solamente capire.”

“Non difenderle sempre Michi! Ha fatto una domanda idiota! Se avesse ragionato ci sarebbe arrivata da sola.”

“Che cosa? - Rei le andò sotto come pronta a menar le mani. - Ma come ti permetti zotica montanara che non sei altro!”

Sbottando a riderle in faccia l'altra si arpionò il viso con una mano iniziando a scuotere la testa. “Ma che mi tocca sentire. Hino non è il caso con me.”

“Chi ti credi di essere Tenou?!”

Al sentire il suo cognome Haruka tornò immediatamente seria rendendo i suoi occhi glaciali. Giovanna e Michiru si fiondarono frapponendosi alle due.

“Ora ci diamo una calmatina... Tutte!” Disse Giò guardandole alternativamente.

“A per me... Ma che badi a non starmi troppo tra i piedi.” Stuzzicò la guida.

“Non ti preoccupare non c'è pericolo cara. Non tutte pendiamo dalle tue labbra.” Colpì ravvivando la brace.

“ Basta Rei!” Questa volta Michiru si vide costretta ad alzare la voce prima di venire interrotta da Usagi, che guardandosi intorno chiese dove fosse Mako.

“Ma era proprio qui! Accanto a me!” Minako si girò a trecentosessanta gradi iniziando a chiamarla imitata dalle altre.

“Ecco ci mancava anche questa adesso!” Masticò nervosamente la bionda non capendo come potesse essere sparita nel nulla.

“Mako...” Chiamò Usagi sentendo il suo eco perdersi in lontananza, verso lo strapiombo e proprio abbandonando gli occhi a quell'infinità di rami e foglie abbarbicati al costone, che un pensiero atroce la colse.

“Oddio Santissimo e se...” Ed inginocchiandosi di fronte al quel salto piantando i palmi sulle rocce si sporse guardando di sotto fino a quando Haruka non le catturò la cintura dei calzoni strattonandola all'indietro.

“Ma di... sei scema?!”

“Haru e se si fosse...”

“Usagi non dire sciocchezze! Eravamo tutte qui! Non può essere scivolata di sotto.” Intervenne Michiru mentre Giovanna faceva capolino sul camminamento.

“Scivolata forse no, ma ragazze... Guardate.”

A circa venti metri da loro Makoto stava schiacciata spalle alla roccia e sguardo rivolto verso un punto lontano, oltre lo strapiombo, il costone opposto e forse anche il cielo stesso. Il viso di pietra, la muscolatura tesa, i palmi serrati alle erbacce della parete.

“Ma come ha fatto ad arrivare fino a li?!” Si chiese Haruka cercando di tenere le altre lontane.

“Mako! Dobbiamo fare qualcosa Ruka.”

“Lo so Michi, stai calma. Adesso vado a prenderla.” Disse iniziando a sentire la tensione.

Imbragata in un paio di minuti, con una manciata di chiodi nella tasca posteriore e la piccozza nella destra, la bionda iniziò a scivolare con passo felpato lungo la parete faccia alla roccia. Compiuti i primi passi ed avvertita sotto le suole la vegetazione scivolosa e le schegge pietrose, conficcò un primo chiodo passando la corda nell’occhiello entrando così in sicurezza. Qualche altro metro e ne piantò un secondo. Poi un terzo.

“Makoto sto arrivando. Non muoverti.” Agganciando il moschettone si voltò lentamente verso lo strapiombo chiudendo gli occhi alla corrente proveniente dal basso. Si, decisamente non sarebbe stato un passaggio facile. Lentamente riprese a camminare sentendo le caviglie tremarle sotto le asperità seni nascoste dal verde.

Tu guarda se questa volta non mi vado a rompere una gamba, pensò serrando la destra alla piccozza.

“Mako sono qui... arrivo.” Un altro passo e qualcosa cedette sotto il piede d'appoggio e la bionda scivolò paurosamente verso il vuoto.

“Ruka!” Urlò Giovanna vedendola poi aggrappata alla corda.

Ma porca, porca, porchissima di quella puttana. “Sto bene tranquilla!”

E mentre Giovanna scambiava uno sguardo con Michiru ferma dietro di lei, Usagi ne approfittò per sgattaiolare verso l'accesso al sentiero. Sorreggendosi alla corda iniziò a camminare lentamente verso le altre due.

“Usa no!” L'insegnante provò ad afferrarla, ma in pratica franò su Giovanna.

La bionda se la vide arrivare di gran carriera sgranando gli occhi esterrefatta. “Ma dannazione Tzukino, che fai?!”

“Non puoi farcela a portarla in dietro da sola.” E pian piano riuscì a raggiungerla.

“Tu sei pazza! Non è un gioco!”

“Lo so, ma Mako è mia amica e non la lascerò da sola, chiaro?!” Più che risoluta la ragazzina ritenne chiusa la questione.

Sospirando e lanciando mentalmente un altro paio di imprecazioni che tanto male non facevano, la guida riprese a camminare lentamente mettendo un piede affianco all'altro seguita dalla piu' piccola.

“Mako, Mako siamo qui. Guardaci.” Urlò la biondina sporgendosi per uscire dal “cono d'ombra” del tronco dell'altra.

Bloccandole lesta il petto con il palmo della sinistra Haruka cercò di respirare più lentamente possibile. Forse quell'impiastro belga non se n'era resa conto, ma la porzione di roccia sulla quale stavano ora camminando si era notevolmente ridotta.

“U..SA...GI, non sporgerti così.” Soffiò tra i denti.

“Cosa?” Una rapida occhiata al baratro e via, schiacciata ansimante contro la roccia.

“O mammina.”

“O mammina dici? Be, vedi di non farti prendere dal panico, perché non voglio ritrovarmi ferma tra due fuochi. Intesi?”

Scuotendo vistosamente la testa l'altra riprese a seguire la più grande fino ad arrivare abbastanza vicino a Makoto. Nulla da dire; quello sguardo completamente assente non presagiva nulla di buono. Faceva una certa impressione pensare che neanche quarantotto ore prima, quella solare creatura dall'animo spigliato era una semplicissima ragazza come tante altre, mentre ora la vita l'aveva trasformata di colpo e brutalmente in un'adulta. Haruka si morse le labbra iniziando a preparare la corda da passarle attorno alla vita.

“Makoto hai visto? Sono riuscita a raggiungerti. Credevi non ce la facessi vero?!”

“Usa... vattene!”

La sentirono finalmente parlare per la prima volta da quando aveva premuto il grilletto.

“E perché scusa?”

“Tu non capisci, nessuna di voi può capire. Ho ucciso! Ho ucciso un uomo e non potrò mai essere perdonata per questo!” Nella voce nessuna incrinatura, nessun cedimento.

“Non dire così. Te lo ha detto anche Michiru. Lo hai fatto per salvarla, per proteggerla. Non avevi scelta.”

“C'è sempre una scelta!” E mosse pericolosamente il piede sinistro verso il baratro.

Haruka iniziò a sudare freddo. Se avesse deciso di lanciarsi nel vuoto non avrebbe potuto impedirglielo.

“Può anche darsi, ma è accaduto tutto troppo in fretta. Non si poteva fare diversamente e tu lo sai benissimo.” Ma l'altra iniziò a staccare le spalle dalla roccia fissando il vuoto.

No, così non va, si disse la bionda provando a fare qualcosa. “Makoto ascoltami, quello che stai affermando può anche essere vero, ma ora hai una nuova scelta, ovvero quella di continuare a vivere provando a porre rimedio a quello che hai dovuto fare. E poi vorresti forse far trascorrere tutta la vita della tua amica con i sensi di colpa per non essere riuscita a riportarti in dietro?” Vide la ragazza voltarsi un attimo e guardare Usagi intimandole poi di portarla via.

“Io? Dovrei portarla via io? Ma lo sai quanto può essere testarda quando ci si mette.” Disse finendo di intrecciare la corda con l'ultimo nodo.

“Mako, tutto si risolverà. Pensa a tua madre, hai tuoi nonni e a tutti quelli che ti stanno aspettando a casa e che ti vogliono bene.” Supplico' Usagi.

Nel sentire quelle parole l'amica poggiò per un attimo le spalle alla roccia e la guida ne approfittò per cancellare l’ultimo metro che le separava.

“Sta ferma Haruka!” Minacciò sporgendosi più di prima e alzando le mani l'altra tornò ad allontanarsi di un passo.

“Va bene Kino. Non mi muovo... visto?! Non mi muovo!”

“Non lo capisci Usa? Come posso tornare a casa dopo avere insudiciato le mie mani con la colpa?! Non posso. Proprio non posso. Come potrebbe mia madre continuare ad amarmi sapendo che sono un'assassina? Meglio sapere di avere una figlia morta!”

A quelle parole un ricordo frustò Haruka. Una stanza, lei seduta sul letto e sua madre inginocchiatale davanti. Ve lo chiedo con il cuore madre, non lordatevi le mani con una come me.

Come potrei lordarmi le mani toccando la creatura alla quale ho dato la vita?

Una situazione completamente diversa, ma lo stesso identico terrore di non essere più accettata.

“Non è vero!” Sbottò avendone ormai le scatole piene di tutte quelle fesserie senza senso. Le sembrava di ascoltare la voce dei suoi pensieri giovanili.

“Scomparendo dalla faccia della terra non proteggerà i tuoi cari dal dolore che proverebbero nel perderti. Fuggire Makoto non ha mai risolto nulla, anzi. Te lo dice una che non ha fatto altro per tanto, tantissimo tempo, finendo per ferire chi amava e rinunciando alla sua vita per seguire convinzioni vigliacche e menefreghiste.”

“Haru...” La guardò Usagi non riuscendo a capire bene il senso di quelle parole, ma Minako si. Spostando le sue iridi dal vuoto alla ragazza più grande serrò la mascella iniziando a piangere.

“Ti posso assicurare che le persone che ti vogliono bene continueranno a farlo nonostante tutto. Dovessero andare contro il mondo intero per farlo.- Iniziando a farle scivolare la corda sulle spalle arrivò ad allacciargliela saldamente alla vita. - Ci vorrà tempo Mako, ma andrà meglio vedrai.”

“Non ce la faccio Haruka.”

“Si che ce la farai. Non oggi, non domani, ma ce la farai. Usagi ha ragione; non sei sola.” Le sorrise asciugandole le lacrime.

Imbragando anche la più piccola la bionda guardò la strada percorsa e quella ancora da percorrere. In situazioni come quelle era sempre meglio continuare ad andare avanti che tornare indietro.

“Michiru, Giovanna, ascoltate. E' meglio che porti le ragazze dall'altra parte. Troveremo un posto per passare la notte. Voi fate altrettanto. Ci vedremo domani al torrente qui sotto.”

“Ma come sta Makoto?” Chiese l'insegnante vedendo l'altra stirare le labbra.

“Meglio. Vero Mako? Non preoccupatevi, penserò io a loro.” E forte nell'avere coltello e pietra focaia sempre con se, incoraggiò la tedesca a muoversi per compiere gli ultimi metri.

 

 

Comprensorio abitativo di Monte Carasso, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 28/5/2017

 

Diga sul bacino artificiale del lago FullerGraft. Aperta un'inchiesta. Ritrovati inneschi che farebbero pensare ad un sabotaggio. Coinvolto un ufficiale dell'esercito Austroungarico in missione per conto di una famiglia elvetica. Si prevedono insabbiamenti.

Michiru sorrise alzando le spalle. Erano passati cento anni, ma la prassi di far sparire la verità non era mai stata tanto attuale.

Stiracchiandosi la schiena guardò il monitor soddisfatta. Ritrovare quel ritaglio di giornale era stato un colpo di fortuna, perchè nella sua ricerca notturna, attraverso il tempo e la storia del suo paese, era riuscita finalmente ad imbattersi in un nome, uno dei due che tanto stava affannosamente cercando da più di cinque ore; Milena. Il realtà ne aveva trovate più di una, tutte trascritte nell'archivio cittadino di Bodio, tutte, tranne una, sposate con altrettanti uomini del luogo e tutte, tranne una, nate e vissute fino alla fine dei loro giorni in quella zona.

Solamente una “straniera” proveniente dal nord della Confederazione aveva catturato la sua attenzione e riuscendo a seguirne le sporadiche tracce, era giunta a leggere quell'articolo uscito su un giornale locale di Lucerna verso l'inizio dell'estate del 1915. Aveva ancora le idee molto confuse e poteva anche darsi che tanta dedizione non sarebbe riuscita a portarla a nulla, ma era comunque contenta di sapere che con molta probabilità uno dei due nomi incisi sulla lapide dell'altopiano non aveva visto una fine tanto prematura. Si, perché in quel giorno di cento anni prima su una delle dighe del lago FullerGraft, accanto ad un gruppo di staffette proveniente proprio dalle loro parti, Michiru vi aveva trovato anche il nome della giovane Milena.

Dell'altra donna invece, nessuna traccia. Heles sembrava non essere mai venuta al mondo. Aveva trovato il suo nome solo una volta, affiancato a quello dell'altra nell'annuario del Comune di Bellinzona. Michiru aveva paura che il motivo fosse quello ipotizzato da Haruka e da tutti coloro in possesso di un briciolo di pragmatismo. Si era sempre in guerra e la frontiera con l'Italia era a pochi chilometri.

Stringendo le labbra guadò la porta della loro camera da letto e poi l'orologio della cucina. Strano che la sua dolce metà non si fosse già svegliata vogliosa di un caffè. Evidentemente la scalata del giorno precedente l'aveva piegata molto più del previsto. Ridacchiando si alzò dallo sgabello ed aprendo leggermente l'anta lasciò che la luce le inondasse il volto ancora immerso nel mondo dei sogni. Pancia sotto, abbarbicata al cuscino come una cozza allo scoglio, non sembrava proprio intenzionata ad uscire quel letargo.

Altro che cavallino di fanteria. Dovrei chiamarti orso. Pensò beandosi delle dolcezza che Haruka manifestava a livelli preoccupanti ogni volta che si abbandonava al sonno.

 

 

 

Note dell'autrice: Credo di aver “spoilerato” qualcosa, ma ormai siamo alla fine della nostra storia (ma forse farò un allegato) e perciò, visto che questo capitolo non mi ha catturata più di tanto, ho voluto renderlo un po' più pepato. Va be, non è che si capisca qualcosa, ma io, a differenza vostra, so già come va a finire ... pa pa pero.

Comunque quello che è chiaro che il dottor belloccio non si è ancora arreso e non lo farà fino alla fine, rendendo tutto ancora una volta faticoso. Sfiancante.

Per quanto riguarda la reazione di Makoto, credo possa starci, anche se dannatamente cruda e, a mio parere, ingiustificata.

Un inciso; la storia che sta trovando Michiru su Heles e Milena può sembrare molto simile a quella delle protagoniste del sogno di Haruka, ma non e' identica.

Per il resto, vi ringrazio come sempre e sperando di non deludervi vi do appuntamento alla prossima.

Ciauuuu

 

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Capitolo 16
*** Madness ***


 

Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino, Mamoru Kiba e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

Madness

 

 

 

Torrente Dunkelsprung

Svizzera centrale – 20/6/1915

 

Siamo arrivate da più di un'ora e di Haruka, Usagi e Makoto ancora nessuna traccia. Spero abbiano passato

una notte tranquilla. Le ragazze sono nervose e molto provate.

Si stanno tenendo occupate per cercare di non pensare al folle

gesto che Mako stava per compiere. Ho cercato di tranquillizzarle,

ma sento di stare vacillando.

Ho avuto un sonno agitato. Spero che Daniel mi lasci

libera. Non sopporterei di dovermi ancora difendere da lui.

M.K.

 

Richiudendo il suo diario Michiru sospirò avvertendo sulle ossa tutta la stanchezza dell'ennesima notte passata in terra. Non ne poteva più. Sentiva di stare per perdere il controllo su quell'insieme di continue, giornaliere, destabilizzanti tensioni.

Guardando Minako e Rei lavare alcuni indumenti immerse fino ai polpacci nell'acqua gelata, si chiese per l’ennesima volta se non fosse stato meglio rimanere a Bellinzona. Questo pensiero era spesso apparso nella sua mente, soprattutto nei momenti più critici, ma mai con quell'insistenza. Alla luce di tutte le peripezie che le avevano viste protagoniste, la sua volontà di mettersi in marcia il prima possibile per cercare di rimandare le sue ragazze a casa, stava facendo barcollare una Kaiou ormai esausta sia sul piano fisico che su quello psicologico, costringendola a pensare che forse sotto quell'atto di estrema determinazione materna, poteva covare la banalissima voglia di tornarsene a Berna dalla sua famiglia. Avrebbe forse dovuto ponderare meglio le conseguenze che quella traversata avrebbe portato? Haruka era stata chiara. Fin da subito. Un gruppo di donne, di ragazze, sarebbe stato vulnerabile in quei luoghi, in quelle vastità naturali intrise di pericoli. Ma lei non aveva voluto ascoltare quella sirena d’allarme, tirando dritta per la sua strada, vogliosa forse di ritornare ad immergersi completamente nei salotti altolocati che fino a qualche mese prima aveva frequentato, piuttosto che aspettare tempi migliori in una piccola cittadina della Svizzera meridionale. Se realmente fosse stato così non avrebbe potuto che sentirsi in colpa.

Mettendo il diario nel suo zaino guardò Giovanna avvicinarsi sorridendo agli sforzi che stava giornalmente compiendo per cercare di sbarazzarsi delle stampelle.

“Non la starai sforzando troppo?” Le chiese facendole spazio sulla roccia dove si era seduta.

“Ami ha suggerito che devo provare a camminaeci sopra. Ed è così difficile trovare terreni decentemente pianeggianti che non mi sembra vero di poterlo fare qui.” Ma sedendosi rivelò un affanno poco incoraggiante.

“Sei riuscita a riposare un po'?” Chiese e l'insegnante alzando leggermente le spalle le fece la stessa domanda.

“Io no. Continuo a chiedermi come stia Makoto. Se Haruka sia riuscita a trovare un riparo, se abbiano mangiato, dormito, bevuto o percorso un sentiero abbastanza sicuro. Non lo so Michiru... Non ti nascondo che questa situazione mi sta avvilendo.”

Ed a quella rivelazione l'altra dilatò gli occhi puntandole contro uno sguardo incredulo. Non avrebbe mai immaginato che anche Giovanna potesse avvertire tanto scoramento. In genere era sicura di se e se qualcosa non andava, Michiru aveva compreso come cercasse di tenerlo nascosto per non apparire debole. Caratterialmente molto simile alla sorella, non amava aprirsi, ne parlare dei suoi fastidi interiori, così d'apparire ai più una roccia, una fortezza, un esempio.

Sentendosi improvvisamente empatica, l'insegnante le rivelò i suoi pensieri confessandole che stava iniziando a domandarsi con troppa insistenza se quel giorno, quando si era ritrovata nell'infermeria del distaccamento di Bellinzona con pochi spiccioli nelle tasche, derubata di gran parte dei suoi averi e dell'orgoglio, in pratica disertrice dei suoi doveri d'insegnante e di fidanzata, con la necessità di accompagnare le sue ragazze a Zurigo, non avesse commesso un'enorme sciocchezza.

“Non affliggerti. Vuoi forse farmi credere di non sentire nostalgia di casa o della tua Berna?”

“La nostalgia non giustifica il fatto che avrei potuto, no anzi, dovuto pensare meglio prima di scegliere il da farsi anche per altre persone.”

“Perché dici questo Michiru?”

“Perché sono stanca. Perché le ragazze lo sono. Perché quello che ho avuto modo di vedere e conoscere in queste ultime settimane mi ha portato a perdere la fede nella società che ci circonda.”

“Se ti stai riferendo a Mako...”

“No Giovanna, non solo. E' tutto il contesto ad essere sbagliato. E' vero che quei due uomini erano solamente due poco di buono e come tali si sono comportati. Come ho accettato il fatto d'essere stata abbindolata e derubata dal primo sconosciuto incontrato su di un treno. - Puntando lo sguardo a terra si vergognò nel proseguire. - Mi riferisco a Daniel, al suo comportamento, alla sua aggressiva possessività, ad una cattiveria che... non avevo mai minimamente ipotizzato.”

Questo non è nulla in confronto a quello che ti farò la prima notte di nozze e in tutte quelle avvenire se non imparerai a sottometterti! Ricordò. Come poteva essersi innamorata di un uomo del genere?!

“Si è accanito contro di me braccandomi come un'animale, arrivando ad usare il ricatto pur d'incatenarmi per sempre a lui e conoscendolo, sono sicura che non si è ancora arreso e ho paura d'immaginare cosa potrebbe fare ad Haruka se soltanto se la trovasse davanti.” Un brivido le squassò la schiena.

“Michiru...”

“Vedi Giò, grazie ad una serie di circostanze avverse ho trovato la tua amicizia, lei e... la mia vera me stessa, ma non posso impedire alla coscienza di pormi delle domande.”

Mettendole una mano sulla spalla la più grande le diede un paio di energiche strette stirando le labbra. Cosa credeva quella ragazza di essere fatta di pietra? Di essere immune alle fragilità e ai dubbi che ogni essere umano porta nell'anima durante l'intero corso della vita?

“Se avessi capito prima, in tempi non sospetti, com'era Daniel veramente non mi sarei mai presa la briga di frequentarlo, ne tanto meno di presentarlo ai miei genitori. Mi sono fatta abbindolare da un bel faccino e dalla prestanza fascinosa che madre natura gli ha donato. Sono stata una sciocca ragazzina superficiale e la cosa che più mi da fastidio è che credevo di essere sufficientemente matura da essere immune a questo tipo di stupide puerilità!”

Stupide puerilità. Michiru stava rivelando all'altra un lato di quel carattere complesso ed estremamente sfaccettato che pochissimi conoscevano veramente.

“Lo sai Kaiou che non credevo avessi tanti tratti simili con la nostra Ruka?”

Sbattendo un paio di volte le palpebre l'altra la lasciò proseguire interdetta.

“Abbastanza pronte a giustificare le azioni degli altri ed incredibilmente ferali con le proprie debolezze.”

“Ma io... veramente...”

“Michiru, credo che ogni donna sarebbe caduta in un inganno simile. Il dottor Daniel Kurzh è un uomo piacente e credo non sia affatto stupido per essere riuscito ad interessare una donna cerebralmente valente come te. Perciò ti prego, non umiliarti così. Capire com'è fatta una persona non è facile, anzi, sono fermamente convinta che non ci si riesca mai realmente fino in fondo.”

Facendo leva sulle stampelle si rimise in piedi. “E poi diciamocela tutta. Hai scelto di seguire una lei invece che tornare a Berna con lui. E' uno smacco bello marcato per un uomo, non credi?” Concluse ridendo riuscendo a darle un po' di quella giovialità che solamente Giovanna era in grado di regalare.

 

 

Makoto calciò il terriccio sulle ultime braci del fuoco che era riuscito a scaldarle per tutta la notte guardando grata il verde degli occhi di Haruka. La ragazza più grande era stata impagabile, meravigliosamente impagabile. Visto la mancanza dei loro zaini con dentro gli indumenti pesanti, non aveva chiuso occhio per vegliare le fiamme del fuoco così che lei ed Usagi, non abituate a dormire fuori dal sacco da viaggio, non avessero troppo freddo.

Anche il giovane Flint aveva fatto la sua parte, ricomparendo dopo ore di latitanza e proteggendole gironzolando a qualche decina di metri da loro, espandendo il suo ululato nelle tenebre perché fosse stato ben chiaro a tutti gli animali di quella parte di foresta a chi appartenesse quel branco.

Usagi aveva reagito così; parlando, a ruota libera, senza controllo ed Haruka, sorprendendo prima se stessa e poi le altre, l'aveva lasciata fare, ascoltando, a volte interessata, altre meno, quel fiume in piena di parole, aneddoti, ricordi, sogni e speranze che erano riusciti ad avere i natali fino al crollo definitivo del sonno. In fin dei conti era stato un bene, perché nel farlo si era evitata di ricordare o parlare dell'accaduto, impedendo di farlo e farlo fare. Perciò via, con il suo Mamo e le magnificenze che quel legame avrebbe regalato loro una volta che quella infinita guerra fosse terminata ed il Belgio tornato libero, via alla convinzione che la loro amicizia sarebbe rimasta tale anche se si fossero trovate a vivere nei quattro angoli del continente e via con una gioiosità che man mano era andata posandosi anche sui cuori delle altre.

“Siamo pronte?” Chiese la guida appena ritornata da una rapida escursione che le aveva permesso di sondare il terreno ed identificare una strada abbastanza agevole tra le asperità rocciose.

“Quanto ci metteremo Haru?” Chiese Usagi speranzosa.

“Dipende da voi. Forza, senza il peso degli zaini sulle spalle faremo in un batter d'occhio. State attente a dove mettete i piedi e cercate di tenere alta la concentrazione. Soprattutto tu Usa.” Sapeva che le ragazze avevano fame e soprattutto sete. Per quanto avesse cercato non era riuscita a trovare una fonte che consentisse loro di butar giù le poche bacche che aveva raccolto.

S'incamminarono discendendo tra le pietre ed i fusti degli alberi, accompagnate dal ruggire dell'acqua del Dunkelsprung che di metro in metro si faceva sempre più forte, dal vento freddo che sverzava loro i viso e le braccia nude, incanalandosi tra le rocce ed i roveti carichi di more, passando dal sole all'ombra dell'alveo del ruscello in poco meno di un'ora.

“Usa la vuoi finire di riempirti la bocca? Guarda che se non ti sbrighi ti lasciamo indietro.” Haruka aveva iniziato a rimpiangere già da tempo le fredde giornate solitarie passate tra gli spazi rudi della sua baita, ma ora il comportamento di quella ragazzina la stava portando all'esasperazione più nera.

“Dai Haru, queste more sono squisite! Raccogliamone un po' per le ragazze.”

O Dio del cielo santissimo, perché? Perché a me..., perché? “Non farmelo ripetere. Ci terrei ad arrivare prima di notte! Schiodati da li!”

“O che musona. Guarda che Michiru gradirebbe sai?” Sorridendo leziosa la vide sbuffare, incrociare le braccia al petto e fissare un punto sul terreno.

Che fantastica scoperta! La biondina era riuscita a trovare il pertugio per scardinare il diktat di quell'orso alpino e non avrebbe fatto difficoltà ad usare il nome della sua insegnante ogni volta che sarebbe occorso.

 

 

Michiru imitò l'amica alzandosi. Il discorso appena fattole da Giovanna aveva sicuramente un senso, ma non riusciva comunque a farla sentire meno in colpa.

“A Kaiou Kaiou... Vedo di non averti convinta del tutto. Allora devo pensare che quello che hai detto ieri a Makoto fossero solamente un cumulo di blande fesserie?” Chiese Giovanna divertita.

“Quello che è fatto è fatto e non si può tornare indietro?”

“Esattamente!”

Accarezzandosi il collo arrossì un poco. Accidenti se si era esposta. “Una cosa è dirlo. Una cosa è crederci fino in fondo.”

“Ed una cosa è metterlo in pratica.” Concluse l'altra ridendo nuovamente mentre vedeva Ami alzarsi dal fuoco guardando verso l'ombra di un costone poco lontano.

“Usa! Mako!” Urlò Minako uscendo sgocciolante del ruscello camminando sui sassolini come una papera.

Nel vedere la sorella e le ragazze Giovanna tirò un sospiro di sollievo mentre Michiru illuminava il viso stringendo le mani l'una contro l'altra al petto come a voler ringraziare un qual si voglia nume tutelare.

Sgattaiolando dagli abbracci delle altre, Haruka si diresse verso le due chiedendo loro dell'acqua e mentre la sorella andava a prenderle una borraccia la bionda cinse la vita dell'insegnante rubandole veloce un tenerissimo bacio. L'era mancata terribilmente.

“Com'è andata la nottata mia Ruka?” Chiese Michiru accarezzandole la guancia sentendo dissiparsi tutti i dubbi e le incertezze, le critiche e gli affanni che fino a poco prima l'avevano corrosa.

“Fredda e sporca, ma tranquilla. E voi?”

“Bene. Makoto?”

“Be puoi vederlo da te. Certo bene non sta, ma almeno sembra aver ripreso un minimo di equilibrio.” Rispose ed entrambe la guardarono mentre si abbracciava con le altre lasciando che un timido sorriso le invadesse il viso ancora parecchio teso.

Haruka si era ritrovata a parlarle, raccontandole un po’ di se e questo aveva fatto capire all'altra l'importanza dell'accettazione di ogni lato di se. Non avrebbe voluto esporsi tanto, ma in quel frangente le era sembrata la cosa più umana da fare. Sentendo la stretta di Michiru sciogliersi per andare ad accogliere le altre scambiò con Giovanna un'occhiata d'intesa. Avrebbe sicuramente azzannato il braccio di qualcuna se non avesse messo immediatamente qualcosa sotto i denti.

Così mangiarono le ultime scorte nella ritrovata unione di gruppo. Avendo ormai la stanchezza che le bussava sulle palpebre, Haruka decise di andare a cacciare non prima di aver finalmente chiuso gli occhi per almeno una mezz'ora, Usagi ne approfittò per portare Makoto a pesca, Giovanna e Michiru, si dedicarono a sistemare i sacchi da viaggio e la confusione che ormai vi regnava all'interno, mentre Minako e Rei, seguite da Ami, ripresero a lavare gli indumenti cercando di fare meno baccano possibile. Tutto come sempre dunque.

Ora si che ti riconosco Kaiou. Ridacchiò la più grande tra se e se. Come non potersi commuovere all'ardore fiammeggiante riemerso improvviso da quei cobalti profondissimi. E la cosa che le appariva più dolce di tutte era che Michiru cercava in ogni modo di nascondere la profonda gioia che stava provando nello stare nuovamente al fianco della sorella. Ogni tanto si fermava per guardare quell'angelo addormentato a braccia conserte poggiato su una roccia assolata e non poteva impedire alle sue labbra di piegarsi all'insù.

 

 

“Eccola... La vedi?” La voce di Haruka uscì dalle labbra leggerissima mentre Michiru bloccò ogni movimento rimanendo accovacciata al suo fianco.

Una lepre, anche piuttosto grossa, stava masticando guardinga dell'erba ad una quarantina di metri da loro. Nascoste tra un cespuglio ed un grosso pino, fecero capolino all'unisono.

“Riuscirai a colpirla da qui?”

La bionda stirò un sorrisetto sghembo imbracciando il fucile. Che domande. Avvolte quella donna era proprio indisponente.

“Aspetta e vedrai Kaiou.” Disse tirando leggermente fuori la punta della lingua. Il cane in tensione, un profondo respiro. la chiusura di un occhio e la mira. Uno sparo ed una cilecca colossale.

“Porco diavolo!” Ringhiò scattando in piedi seguita dall'altra mentre la lepre spariva alla velocità del suono.

“Haruka! Non imprecare!”

“E impreco si Michi. Quella era la nostra cena! Porco...”

“Ruka!”

Serrando le labbra la bionda rimase inchiodata al terreno stringendo convulsamente l'arma fra le mani. Oltre ad aver fatto una figuraccia non poteva neanche sfogarsi adesso. Donne!

“Voglio proprio vedere cosa daremo da mangiare a quel gruppo di idrovore.” Mormorò grattandosi la zazzera tra lo stizzito ed il mortificato.

“Bacche e funghi.”

“Mmmm... Certo come contorno ad una grossa, grassa, succulenta lepre, ma senza portata principale... sai che tristezza infinita.” Disse mentre Michiru se l'abbracciava ridendole sulla spalla.

“Sei impossibile mia Ruka.”

Sorridendo di rimando la bionda le alzò il mento fissandola. “Come sei bella.” Ed iniziò a saziarsi con quelle labbra morbide del quale non riusciva più a fare a meno.

Come le reincarnazioni degli amanti della tela “il bacio”del grande Hayez, si concessero di bloccare il tempo e lo spazio per qualche secondo, lasciando che i loro battiti galoppassero liberi come cavalli bradi tra le alture, non immaginando di essere al centro delle lenti di un binocolo militare posto a meno di mezzo chilometro da loro.

Lo sparo riecheggiato tutto intorno aveva catturato l'attenzione di un manipolo di militi che stava avanzando a cavallo più a valle, ed ora il loro comandante, un giovane Dragone dell'Impero austroungarico, le stava fissando.

“Sarà meglio fare ritorno. Vorrà dire che proveremo a barattare il pesce che ancora ci resta una volta scese al lago.” Disse Haruka avvertendo un fremito di piacere al tocco insistente alla vita.

“Già... Sarà meglio.” Confermò Michiru togliendo con sforzo le dita da quei muscoli tesi.

capovolgendo il fucile ed appendendo la cinghia alla spalla la bionda respirò a pieni polmoni quando vedendo il mezzo lupo fermo poco distante, orecchie dritte e sguardo vigile, iniziò a guardarsi in torno corrugando la fronte.

“Cosa c'è?”

“Non lo so, ma Flint ha visto qualcosa.”

Prendendo il cannocchiale iniziò a scandagliare la zona che si estendeva dalla piccola diga del lago FullerGraft al declivio che accoglieva il fiume sottostante. I colori ocra dei vari campi coltivati, l'erba ed i fiori del greto, l'azzurro delle acque scintillante al sole, infine la strada sterrata dai sassi bianchi chiazzati di verde e li, fermi in disposizione casuale, un gruppo a cavallo. Haruka cercò di mettere a fuoco e quando lo vide immobile sulla sua cavalcatura, anch'esso con le lenti tra le mani, sentì in cuore restringersi e per un istante le sembrò di non riuscire più a respirare.

“Dio Santissimo... Michi andiamocene.”

“Cosa?”
“Via, via!” Afferrandole un polso la costrinse a correre per sparire tra i primi alberi della foresta.

Molto bene. Snidate, si disse il Sottotenente digrignando i denti tanto violentemente da provare come un dolce dolore. Anche per lui era diventato improvvisamente difficile compiere un respiro completo, ma non per lo stupore o il panico, no, ma per la rabbia, cieca, incontrollata. Vederle baciarsi era stato come sventolare un panno rosso di fronte ad un toro. Non credeva si potesse provare un tale sentimento di folle collera. Riponendo lentamente le lenti nella bisaccia puntò lo sguardo alla diga che si ergeva proprio sopra di loro. Non era molto grande, ma oltre a creare il lago artificiale serviva come unica strada per poter passare da una parte all'altra delle sue sponde.

Voltando il cavallo decise di togliersi dal greto del fiume per puntare deciso alle sponda destra del FullerGraft. In un modo o in un altro le avrebbe fermate quella sera stessa.

 

 

“No! Non farò mai una cosa del genere e se vorrà continuare con questa pazzia mi vedrò costretto a denunciarvi all'Alto Comando, signore.”

A quelle parole Daniel Kurzh si voltò lentamente fissando il soldato come se avesse appena sentito una bestemmia. In effetti per lui lo era, anzi, forse era anche peggio, perché Astorri si era appena rifiutato di eseguire un ordine e per un militare era peggio che andare contro il Padre Eterno.

“Non credo di aver capito bene soldato.”

“Avete capito benissimo invece.”

La compagnia aveva ricevuto l'ordine di fermarsi stabilmente accanto al lago, sulla sponda meridionale ed aveva atteso che il Sottotenente tornasse da un'escursione a cavallo fatta in solitaria. Avevano montato le tende, badato ai cavalli e preparato il bivacco, non domandandosi neanche il perché di una sosta in un posto come quello.

Stefano era preoccupato. Il Dragone aveva iniziato a comportarsi stranamente da quando si erano fermati all'ombra della diga catturati dall'eco di uno sparo, dando l'impressione di essersi trasfigurato in un pezzo di ghiaccio covante qualcosa di terribile al suo interno. Con uno sguardo fisso e determinato aveva ordinato di precederlo staccandosi per sparire subito dopo e far ritorno solo all'ora del pranzo, con una borsa penzolante dalla sella contenente tutto l'occorrente per innescare un'esplosione. Poi aveva chiamato alcuni di loro, i fedelissimi, come aveva preso a soprannominarli il fante, con lui stranamente a rimorchio e portandoli di fronte alla struttura di cemento, proprio accanto ad uno dei torrenti che alimentavano lo specchio d'acqua, aveva puntato l'indice in direzione della strada di transito annunciando che avrebbero dovuto far saltare parte della ghiera della struttura di sbarramento entro la fine della giornata.

Naturalmente tutti, lui per primo, erano rimasti scioccati da un tale ordine, ma se per gli altri il comando di un diretto superiore era comunque e sempre legge, scritta o meno, per Stefano non lo era affatto, soprattutto se dato da un uomo che stava dimostrando una certa instabilità mentale.

Ed ora erano arrivati alla resa dei conti. Era dalla partenza che Stefano remava contro le direttive imposte dall'ufficiale, in maniera sistematica e costante, scavandogli i nervi, come una goccia su di una pietra, senza esporsi mai apertamente, intelligentemente, stando sempre attento a non oltrepassare la sottile linea di un'insubordinazione che gli sarebbe costato l'arresto ed il deferimento alla Corte Marziale. Ma questa volta no! In tutta coscienza non si poteva avvallare un comando del genere, soprattutto perché privo di senso.

“Astorri vi invito a riflettere su quanto avete appena detto! Voi piazzerete quelle cariche o sarete messo immediatamente agli arresti!”

“No signore, siete voi che verrete condotto agli arresti, perché solo un pazzo darebbe l'ordine di far saltare l'unica strada di comunicazione tra due sponde di un lago senza neanche una motivazione decente!” Disse alzando la voce come se non ricordasse più che davanti aveva un Sottotenente.

“Benissimo soldato. Vedremo se i giudici ascolteranno il discorso delirante di un semplice fante o le ragioni di un medico graduato che vuole portare a termine un compito assegnatogli.” E ad uno schioccar di dita due commilitoni gli si avvicinarono togliendogli l'arma d'ordinanza.

“Come avete detto? Un compito? State forse parlando...”

“Si soldato! Mi sto riferendo proprio alla staffetta di confine Giovanna Tenou. In più devo forse sottolinearvi come sia un mio preciso dovere provare a liberare la signorina Kaiou e altre cinque ragazze straniere, dalla coercizione di quella Haruka Tenou, servendomi di ogni mezzo per ricondurle finalmente alle loro famiglie?!”

“Ma cosa state blaterando?! Come coercizione?!”

“Adesso basta! Portatelo via! Che venga sorvegliato ventiquattro ore su ventiquattro. Gli altri si preparino a partire a cavallo.”

“Non potete farlo...” Ma venne arpionato per le braccia e trascinato via quasi di peso.

“Nessuno crederà mai alla storia di un rapimento. Voi siete impazzito!” Urlò divincolandosi mentre sul viso di pietra del Dragone andava dipingendosi un ghigno luciferino.

 

 

Era tardo pomeriggio ed era stato lasciato seduto legato ad un palo e trattato alla stessa stregua di un cane a catena. Vegliato solamente da uno dei fedelissimi di Kurzh non aveva potuto che assistere impotente all’avvio del piano. Ormai le cariche erano state piazzate e non sarebbe passata altra notte prima che il ciglio di diga con la sua strada fosse saltato in aria.

La pazzia del Sottotenente consisteva nel posizionare due cariche sulla ghiera per poi farle saltare all’arrivo del gruppo di ragazze. Impossibilitate nel proseguire si sarebbero così trovate i soldati alle spalle venendo prese in trappola. Non un piano di eccelsa strategia militare, ma lineare, pulito, che avrebbe sicuramente funzionato. L'unico pericolo di un'azione tanto forzata poteva essere nella mal calibrata dose di dinamite da utilizzare per distruggere la strada. Il rischio che i detriti scaturiti dall'esplosione potessero scagliarsi nelle acque del lago generando un'onda la quale altezza avrebbe potuto scavallare l'ormai semi distrutto apice, era comunque una possibilità da prendere in considerazione. Con una prova di forza tanto azzardata l'incolumità della popolazione di valle non era affatto garantita.

Socchiudendo gli occhi al dolore che la corda stava provocando alla pelle dei suoi polsi, Stefano sbuffò guardandosi la punta degli stivali. Come poteva quell'uomo arrivare a tanto solo per non ammettere di aver perso l'amore di una donna? Il suo ego era dunque tanto smisurato da rischiare la vita dei suoi uomini, della popolazione, forse anche delle ragazze stesse pur di riagguantare Michiru? E comunque non sarebbe bastato. Nulla avrebbe aquietato quella foga omicida, nulla se non la morte stessa della causa di tutto; Haruka.

A quel pensiero ebbe un brivido. Doveva avvertirle. Doveva liberarsi e cercarle, bloccarne il passo e deviarne la strada, solo così sarebbe stato certo che almeno le loro vite non sarebbero state messe in pericolo. Poi avrebbe pensato a come disinnescare le cariche. Arrivati a quel punto non poteva che giocarsi il tutto per tutto.

Guardando la sentinella ferma a qualche metro la chiamò con la scusa di avere sete. Almeno ricevere un po' d'acqua rimaneva nei suoi diritti, no?

“Cosa vuoi Astorri? Non darmi noie.” Rispose alla richiesta del collo di una borraccia.

“E dai. Ho sete.”

“Sete dici? E' meglio che ti ci abitui, perché la galera non è un posto adatto alle fanciulle.” Disse ridendo.

“E su... cosa ti costa. Sono ore che sono impalato qui!”

Sbuffando l'altro si alzò ed afferrato il metallo di una fiasca gliela porse. Stefano se la guardò stirando un sorrisetto ingenuo.

“Amico se non me l'avvicini alle labbra sarà un po' difficile che possa dissetarmi.”

Guardingo l'altro si inginocchiò sempre più scocciato. “Non sono un tuo amico e bada a non fare scher...”

Ratto Stefano gli mollò una ginocchiata al lato destro della tempia lasciando che gli si accasciasse contro. “A giusto... agli amici non riservo colpi simili.” Concluse cercando di scrollarselo di dosso prima che potesse riprendersi e fargliela pagare.

Sentendo la corda mordergli la pelle si divincolò per cercare di raggiungere con la bocca la tasca posteriore dei calzoni del compagno dove sapeva che avrebbe trovato il temperino multiuso che gli era stato confiscato alla cattura. Nel cercare di raggiungerlo allungò talmente tanto le braccia da sentire le prime gocce di sangue scivolargli lungo i palmi delle mani.

Porca puttana dove l'hai messo pensò imbestialito dal dolore. D’un tratto eccolo! Strappando il bottone che bloccava l'asola della tasca e senza non poca fatica, riuscì a far scivolare fuori l'oggetto schiacciandolo poi fra i denti ed estraendolo definitivamente mentre quell'altro iniziava a riaversi. Girando il busto lasciò cadere il manico dietro al palo, vicino alle dita ed afferratolo estratta la lama iniziò a tagliare la corda.

“Mmmm... Astorri... bastardo...” Gemette il commilitone mentre si portava una mano alla tempia ancora frastornato.

Qualche altro secondo e Stefano sentì liberarsi i polsi. “Buona notte amico mio.” Ed un pugno bene assestato alla fronte lo abbatté definitivamente.

Si alzò togliendoselo di dosso sentendosi tutto intorpidito. Barcollò appoggiando un palmo al palo cercando di mettere a fuoco. I cavalli! Si disse vedendoli legati dietro una tenda. Il suo e quello dell’altro uomo, entrambi sellati e pronti. Perfetto!

Con le gambe invase da una miriade d'aghi acuminati si issò sulla sella afferrando le briglie del secondo animale e via, al galoppo seguendo il greto del lago per poi dirigersi verso l'inizio della foresta. In realtà non sapeva dove cercarle, ma sapeva che avrebbe fatto di tutto per trovarle ed avvertirle per tempo della trappola nella quale stavano per cadere.

 

 

Alzando nuvoli di polvere e piccoli sassi i cavalli schizzarono a poco meno di tre metri dalla roccia dove si erano nascoste. Li avevano sentiti arrivare riuscendo a trovare fortuitamente un riparo al volo ed ora premute le schiene alla roccia, l'una accanto all'altra, stavano contando mentalmente le bestie lanciate al galoppo.

Dove andranno con tanta furia? Pensò Haruka bloccando il respiro come se potesse in qualche modo tradire il suo nascondiglio. Neanche una manciata di secondi e passarono sparendo subito dopo verso il crinale. Inalando ossigeno la bionda si sporse riconoscendo l'uniforme bianca di Kurzh. Dio Benedetto quell'uomo era più asfissiante di un mastino e a lei non era mai piaciuto il ruolo di preda.

“Perché stanno andando verso il crinale?” Chiese Minako togliendosi la polvere dai pantaloni.

“Più che altro perché così di fretta? Non mi piace. Andiamocene ragazze. Il lago è qua sotto. Una volta passata la diga e scesa la notte riusciremo a distanziarli un po'. Giovanna ...”

Guardano la sorella continuare a fissare la direzione nella quale si erano diretti i soldati le diede un colpetto sulla spalla richiamandola.

“Ruka non mi sembra di aver visto Stefano.”

“Non pensare al tuo bello che è grande abbastanza per cavarsela da solo. Dai cammina.”

Poco convinta la maggiore iniziò a seguire la fila stando bene attenta a non incespicare sulle asperità del terreno. Passarono svariati minuti e tenendosi sempre nascoste all'ombra del sottobosco percorsero gran parte della strada che le avrebbe portate alla diga fermandosi solo nell'avvertire il rumore di altri zoccoli lanciati al galoppo. Nascondendosi nuovamente videro avvicinarsi un singolo cavaliere salvo poi riconoscerne le fattezze. “Stefano!” Urlò Giovanna agitando la mano mentre lui tirava le briglie impuntando l'animale.

“Dio trino protettore! Meno male Giò!” Rimanendo in sella cercando di camere i movimenti di groppa spiegò loro la situazione il più rapidamente possibile.

“Ragazze per bloccarvi Kurzh ha dato l'ordine di far saltare la strada della diga. Tornate immediatamente nella foresta!”

“Ma è impazzito?!” Intervene incredula Michiru guardando il lago.

“Ha fatto piazzare due cariche di dinamite ed appena i soldati a presidio della ghiera vi vedranno le faranno detonare. Avvertito l'esplosione Kurzh si dirigerà verso di voi catturandovi. Adesso sta girando qui in torno tenendosi pronto a far scattare la trappola.”

“Ma non ha pensato che così facendo potrebbe causare un disastro allucinante? C'è un paese più a valle!”
“Haruka mettiti bene in testa che a quell'uomo interessa solamente la vendetta.”

“Lo fermerò io. Andrò da lui e cercherò di farlo ragionare.” Si offrì Michiru totalmente sconvolta.

“Signorina Kaiou è molto nobile da parte vostra, ma ormai non credo serva più a qualcosa immolarsi così.“ Confessò guardando negli occhi Haruka che comprese perfettamente cosa l'amico intendesse. Era diventata lei l'oggetto delle “attenzioni” del Sottotenente. La pietra dello scandalo. La causa di tutti i mali.

“D'accordo, allora non ci resta che disinnescare le cariche.”

“Ed io vi aiuterò.”

“Tu sei un militare Stefano.” Intervenne Giovanna e lui alzando le spalle dichiarò con un velato orgoglio di essere diventato un disertore.

 

 

 

Note dell'autrice: Salve. Per la serie “mai nà gioia” ecco a voi quello che penso sarà il penultimo capitolo. Mai un momento di pace. Se paragonata alle vite di queste povere ragazze, la mia sembra quella di un bradipo, neanche troppo sveglio. Comunque. Siamo quasi alla fine dell'arco di questa storia, che vi annuncio fin da ora, avrà comunque un seguito, con molta probabilità meno lungo e ricco di avvenimenti, ma completamente incentrato su Michiru ed Haruka, perché ormai dovreste aver capito che il belloccio è un tipino abbastanza fastidioso, che compie casini a pioggia e che continuerà a gettar scompiglio nelle vite delle nostre protagoniste anche quando finalmente si toglierà dalle scatole.

PS “Il bacio” - Francesco Hayez, 1859.... nulla da aggiungere ;)

Grazie come sempre

A prestissimo. Ciauuu

 

 

 

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Capitolo 17
*** In questa vita o nell'altra ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf


 

 

 

In questa vita o nell’altra

 

 

Avevano due cavalli, due fucili ed una pistola. Non molto, ma sufficiente. Nascosti tra il fitto della foresta, senza non poche difficoltà, si ritrovarono a decidere velocemente il da farsi. Le situazioni da evitare erano molteplici; innanzitutto non essere visti dai due soldati posti a presidio dell'esplosivo, uno a sbarramento del ciglio della diga, l'altro sul greto opposto, a guardia della seconda carica, entrambi pronti a correre verso le lunghe micce d'innesco una volta intravisto il gruppo. Il tutto cercando di non incontrare Daniel Kurzh, il quale odio per Haruka era cresciuto esponenzialmente ad ogni smacco subito.

Era evidente che un'altra priorità fosse quella di avvertire ed organizzare una possibile evacuazione degli abitanti del paese più a valle, com'era chiaro che se qualcuno avesse dovuto rischiare la pelle, questi sarebbero stati i più forti e veloci del gruppo, ovvero Stefano ed Haruka. Naturalmente questa soluzione sin da subito non era stata presa benissimo ne da Michiru, ne tanto meno da Giovanna.

“Io vengo con te!” Fermi a semicerchio verso la fine della foresta, Kaiou diede vita all'ennesimo sbarramento difensivo seguita dall'amica, che invece di schierarsi a favore delle idee della bionda, stava continuando implacabilmente a fare con l'insegnante fronte comune. Una testudo degna del più potente degli eserciti.

“Ruka, Stefano, non andrete da soli.” Aggiunse la donna più grande forzando la sorella a continuare un'opera di persuasione che proprio non era nella sua natura.

Non abituata a dare spiegazioni, Haruka cercò per l'ennesima volta di far capire loro che per la buona riuscita del piano, ognuno avrebbe dovuto svolgere al meglio il compito assegnatogli, senza fiatare e soprattutto, senza pupesce azioni di disturbo. Menomata nei movimenti, Giovanna non avrebbe dato che fastidio, mentre Michiru, non sapendo assolutamente nulla di armi, anche impegnandosi non avrebbe potuto riconoscere un innesco da un candelotto di dinamite. Ma se la prima sapeva sparare bene, la seconda, non altrettanto capace, avrebbe peró potuto dare l'allarme raggiungendo il sito a cavallo e convincendo la popolazione degli abitati del fiume usando quel tatto e quella determinazione che le altre non avevano.

“Michiru ragiona! Con i cavalli che abbiamo sarete a valle in meno di dieci minuti, ma avrete bisogno sicuramente di molto più tempo e pazienza per convincere le persone di un possibile straripamento del lago. Serviranno diplomazia, dialettica e sangue freddo. Tutte caratteristiche che tu possiedi. Come credi reagirebbe la gente se a farlo fossero le ragazze? Senza offesa, ma ci vuole l'avvallo di un adulto per una cosa tanto urgente.”

“Ed io che cosa dovrei fare secondo te?”

“Giovanna, io e te a cavallo non ci sappiamo andare, giusto? Quindi...” Con il suo sorrisetto anche se meno guascone del solito, le consegnò il Mannlicher Carcano a ripetizione manuale sottratto ai taglia gole.

“E' un fucile da cecchino. Cosa dovrei farci?”

“Ti nasconderai con Minako nei pressi della diga e terrai sotto tiro i due soldati. Ti lascerò il binocolo così potrai osservare meglio come e se riusciremo ad arrivare alle cariche. Se uno di noi dovesse fallire... - sostenne quella richiesta stringendole una spalla - non dovrai lasciare che la strada salti. Credi di poterlo fare sorella?”

La maggiore sapeva tirare e con un'arma tanto precisa non avrebbe fatto fatica a centrare un qual si voglia bersaglio, anche se in movimento e da così lontano. Ma da li a cercare di ferire senza rischiare di uccidere il discorso si complicava. E non poco. Forse Makoto sarebbe stata più indicata, ma affidarle un'arma, per giunta la stessa dell'uomo al quale aveva strappato la vita, era un'assurdità. Haruka per prima si sentiva titubante nell’affidare quei compiti, ma non poteva fare altro. Avrebbe voluto che tutte fossero riuscite ad allontanarsi, a mettersi in salvo, perché da li a breve nessun luogo sarebbe stato più sicuro, che si fosse trovato ai margini della foresta o nei pressi del greto del fiume.

Giovanna prese la carabina inforcando la cinghia alla spalla stringendo le labbra di malavoglia, sapendo in cuor suo che Haruka aveva ragione. Se soltanto quella brutta sensazione di abbandono l'avesse lasciata respirare più agevolmente, avrebbe accettato quel piano con meno reticenza. Guardando la sua bellissima sorellina se ne fregò dell'imbarazzo abbracciandola stretta come non faceva da anni e con sua grande sorpresa l'altra contraccambiò quel gesto con ancora più forza, soffiandole nell'orecchio un ti voglio bene che sgretolò la ferrigna volontà di entrambe di non commuoversi di fronte al gruppo.

“Vedi di non fare cretinate.” Le intimò infine la maggiore dedicandosi poi a Stefano.

“Ora in famiglia abbiamo due disertori. Bel risultato, nulla da dire...” Rise la guida mentre passando una mano tra i capelli di Michiru si perdeva nei suoi profondissimi occhi blu.

“Ruka non essere imprudente. Mi raccomando! Ti scongiuro anima mia...”

“Andrà bene vedrai. Coraggio andate.” Le disse sfiorandole appena le labbra non curante degli altri.

Così si divisero approfittando della luce radente del tramonto. Michiru e le altre tre ragazze si diressero galoppando verso la valle, Giovanna e Minako trovarono un punto coperto dagli alberi da dove tenere sotto tiro i soldati ed Haruka e Stefano sgattaiolarono sul greto nascondendosi dietro ad un alto costone bianco, facendo il punto della situazione decidendo quale dei due sarebbe sceso in acqua. Sporgendosi guardarono le vedette fare la ronda ed i candelotti di dinamite raggiunti da cordicelle scure.

“Vedi dove hanno piazzato l'esplosivo Haru.”

“Si. Cosa ne pensi invece della miccia? Secondo te se dovesse essere innescata avremo il tempo di fuggire?”

“Non so quale tipo abbia acquistato quel figlio di puttana. Se però dovesse essere a combustione veloce... potrebbero essere problemi.”

La bionda tornò nell'ombra della roccia sospirando rumorosamente. Se fosse stato così avrebbero avuto solamente una manciata di minuti per mettersi in salvo oltre il greto del fiume.

“Hei Tenou... Non dirmi che hai paura?!” Sorrise dandole una leggera gomitata.

“Non è che mi esalti crepare a vent'anni!” Rispose acida deglutendo.

“Non creperà nessuno. - Sicuro tornò a guardare i soldati indicando con il mento quello a guardia della sponda opposta. - Lo riconosci? E' Pietro Haster...”

Fissando un punto indecifrato del fiume pensò che quel nome le fosse famigliare. “E allora?”

“Che testa che hai! La sua famiglia abita nel nostro quartiere e lui è un mio buon amico, ma cosa ben più importante, non sopporta Kurzh, perciò passerò io dall'altra parte, così nel caso… spero non mi spari contro.”

Poco convinta la ragazza tornò a guardare le cariche. Erano posizionate ai lati della struttura, ma ad altezze differenti. Quella sul lato opposto del fiume aveva una miccia molto più corta e si poteva arrivare a disinnescarla solo dal colmo stesso della diga. L'altra invece poteva essere raggiunta anche arrampicandosi sulle rocce dove si artigliava il basamento della struttura. Haruka dedusse che per la sua posizione, appoggiata ad una delle nicchie di rilascio dell'acqua, se innescata sarebbe stata quella che avrebbe provocato i danni maggiori.

“Allora è deciso?! Io guado e vado sulla strada. Proverò a parlare con Pietro e spero di non dover usare la pistola.”

“Va bene. Vai ora che i soldati stanno facendo la ronda verso il lago.”

“Stai attenta Haruka e qualunque cosa accada dattela a gambe, soprattutto se dovessi incontrare Kurzh.”

“Stai pur sereno che meno vedo quel porco meglio è.” Afferrandogli la mano continuò con il ricordargli di sparire non appena la miccia fosse stata neutralizzata.

“Sei sempre un disertore Stefano... e gli altri soldati sono ancora in giro.”

“Agli ordini!” Disse acceso d'eccitazione. Camminando rapidamente scese nelle acque del fiume iniziando a guadarlo.

Scuotendo la testa la ragazza lo vide lottare contro la corrente, incespicare un paio di volte venendo sommerso quasi fino al collo, ma arrivare dall'altra parte sano, salvo e bagnato fradicio. Un gesto d'intesa ed il fante iniziò a correre su per il declivio arrivando indisturbato fino all'inizio della strada, schiacciandosi contro una specie di torretta che serviva da locale tecnico per la gestione delle chiuse.

Inquadrandolo dentro le lenti del cannocchiale Giovanna lo vide avanzare raso muro e sparire dietro l'angolo. Passando l'oggetto a Minako seduta accanto a lei, si sistemò sopra il fucile appoggiato su un tronco caduto. L'indice destro a sfiorare il grilletto. La sinistra serrata al poggia mano. Gli occhi fissi sulla strada, ed in particolare al secondo dei due soldati, ovvero quello più lontano. La testa impegnata in un mantra continuo; Signore ti prego non farmi uccidere.

“Riesci a vedere bene?” Chiese la biondina guardando il cielo iniziare lentamente a tingersi di rosso. Presto la visibilità sarebbe inesorabilmente calata.

“La ghiera si e Stefano anche, ma non vedo dov'è Haruka.” Maledizione aggiunse continuando a tenere d'occhio i movimenti di quel Pietro.

L'occhio alla piramide del mirino, come un prolungamento di se, il respiro leggermente accelerato, ma costante. Dopo qualche secondo a Giovanna sembrò che tutto il mondo circostante si offuscasse lentamente andando via via in dissolvenza, lasciando che solamente la diga sotto di lei rimanesse bene in evidenza. Concentrata fino a provare bruciore agli occhi vide il primo soldato avvicinarsi lentamente a Pietro che intanto stava guardando fissamente un angolo della torretta.

Porca puttana lo sapevo che era un'idea idiota! Pensò sfiorando con il polpastrello il freddo metallo del grilletto tenendosi pronta a sparare non appena la vita di Stefano fosse stata in pericolo.

Non immaginando di avere le spalle sotto il tiro di Giovanna, compagna di scuola che solamente cinque anni prima aveva gravitato nella sua stessa comitiva, Pietro Haster, ragazzo dalla corporatura imponente, massiccio, un albino di un paio d'anni più grande di Astorri, lo intravide dietro il muro intuendo ancor prima di parlargli quali fossero le sue intenzioni. Si era liberato, era scappato per fermare l'esplosione e con molte probabilità sarebbe stato o ucciso o gettato in carcere per anni.

“Se fossimo in guerra saresti già stato messo al muro… idiota.” Disse piano vedendo con la coda dell'occhio l'altra sentinella, uno dei fedelissimi del Dragone, avvicinarsi.

“Pietro non vorrai renderti partecipe di questa pazzia vero?! Se le cariche esplodono provocheranno una strage a valle.”

“Stai tranquillo, al massimo fotteremo i raccolti di coloro che hanno le coltivazioni accanto al greto.” Rassicurò sfiorando la canna del fucile che portava in spalla.

“Amico tu sei un contadino proprio come me e lo sai di quanta cura ha bisogno un campo per crescere. Anche se non facessimo vittime con l'acqua, senz'altro andremo a farne con la fame.”

Tenendo sempre d'occhio il compagno che stava lentamente sopraggiungendo, gli chiese quasi con disperazione cosa avrebbe potuto fare lui, soldato semplice, per impedire il verificarsi di quel funesto evento senza incorrere nella diserzione.

“Non posso schierarmi con te Stefano, lo capisci?” Ed imbracciò l'arma.

“Haster c'è qualcosa che non va?” Chiese l'altro sfilandosi la cinghia dalla spalla.

“No, no. Credo una volpe. - Urlò per poi aggiungere sottovoce. - Astorri levati dai piedi prima che sia costretto a spararti!”

“E tu lasceresti venir giù l'unica strada bloccando tutti i commerci della zona per settimane, per da retta ad uno straniero folle che non ha fatto altro che trattarci come pezze da piedi solamente perché il nostro paese non vuole scendere in guerra? No. Non ci credo. Avanti... sparami, ma quella miccia non deve essere accesa.”

“Sei completamente fuori di senno!” Armò non troppo convinto il fucile mentre visto quel movimento, l'altra sentinella iniziava a correre.

“Haster arrivo...” Ma un proiettile gli trapassò il polpaccio sinistro facendolo cadere in terra mentre l'eco dello sparo si estendeva nell'aria del crepuscolo.

Voltandosi di scatto sulla difensiva Pietro si portò il calcio di legno alla spalla puntando in direzione dell'inizio del bosco da dove presumibilmente era partito il colpo prima di venire tramortito da un pugno bene assestato alla base del collo.

“Scusami amico, ma così nessuno ti incolperà di essere un traditore.” Gli disse afferrandolo mentre scivolava tramortito.

“Astorri, ma cosa stai facendo?” Mugulò l'altro tenendosi la gamba prima che la suola non lo colpisse in faccia.

Vista la scena con il binocolo, Minako esultò schizzando in piedi mentre la ragazza ancora accovacciata in terra si passava una mano sul viso. Grazie al cielo questa è andata. Si disse Giovanna dandosi qualche istante per riequilibrare respiro e battito cardiaco.

Sporgendosi dal parapetto, Stefano strappò la prima miccia, poi agitandola in aria la mostrò ad Haruka uscita dall'ombra delle rocce.

“Non c'è bisogno che ti arrampichi Haru. Posso disinnescare l'altra carica anche da qui.” Urlò prima che svariati colpi d'arma da fuoco lo costringessero ad abbassarsi di colpo.

La ragazza capì che molto probabilmente stava sopraggiungendo il restante gruppo di soldati. “Scappa, non pensare alla miccia. Vai verso il bosco!” Gli rispose vedendolo correre in direzione della carica ancora attiva.

“Ci metto niente!”

“Ho detto di scappare! Ci arriverò io da qui. Vai!” Haruka raggiunse il lato della diga mentre una scarica di colpi schizzavano sul cemento della strada ed altri provenienti dal bosco cercavano di coprire la fuga del fante.

Stefano non poté afferrare la seconda miccia ed iniziando a dirigersi verso il crinale sperò nel meglio. Sarebbe stato esposto e se Giò non gli avesse coperto le spalle lo avrebbero ammazzato.

 

 

Una serie di echi soffocati arrivarono alle quattro ragazze portati dalla corrente del fiume. Michiru smise di parlare con alcune donne puntando lo sguardo verso la struttura della diga che si intravedeva a malapena. Uno scontro a fuoco! Questo voleva dire che li avevano scoperti.

“Allontanatevi dalla sponda e andate a dire alla gente di ritorno dai campi di non entrare in paese. Per l'amor di Dio andate immediatamente verso il crinale.” ordino' afferrando le redini del cavallo di Stefano issandosi in sella. “Ami pensa tu alle ragazze.”

“Tu dove vai?” Chiese agitata l'infermiera.

“Da Haruka!” E colpendo con i tacchi i fianchi dell'animale lo lanciò al galoppo.

“Michiru fermati, non fare pazzie!” Ma ormai aveva già guadagnato svariati metri dirigendosi con la furia di una amazzone verso la struttura.

Aspettami amore mio, sto arrivando.

Haruka serrò le dita ad uno spuntone roccioso pronta ad iniziare la salita. Stava provando paura. Se non avesse fatto in fretta a raggiungere i candelotti di dinamite e a darsela a gambe, i soldati sulla ghiera l'avrebbero scoperta ed abbattuta senza tanti complimenti. “Boia! Datti una mossa!” Masticò fra i denti incitandosi a far presto prima che una voce maschile proveniente dalle sue spalle non le intimasse di fermarsi.

 

 

Stefano riusci' a fiondarsi tra le prime frasche gettandosi in terra tra rami e fango mentre Giovanna continuava ad armeggiare con il percussore caricando e sparando velocemente.

“Tutto bene?” Chiese mantenendo sotto tiro i cavalli dei soldati fermatisi nei pressi della strada.

“Si. Credo di si, ma Haruka è ancora sul greto.”

“Dannazione!” Imprecò guardando il luccichio del fiume mentre l'altro spiegava come si dovesse ancora eliminare il secondo innesco.

“Dov'è Kurzh.”

“Non l'ho visto.” E Giovanna ebbe un brivido iniziando a zoppicare lungo il margine della foresta seguita dagli altri due.

“Dove vai?!”

“Ad aiutare mia sorella!”

 

 

“Vi consiglio di non avanzare oltre Haruka Tenou.”

La ragazza si fermò all'istante riconoscendo quel timbro odioso e odiato. Sospirando chiuse gli occhi. Ora era davvero nei guai. Si voltò sotto il tiro di una pistola, mentre il cessare degli spari ed il vociare dei militi sopra di lei suggerivano che lo scontro a fuoco era terminato. Stefano si era salvato o era stato colpito ed ora giaceva morto o ferito lungo il crinale?

“Scendete e deponete in terra l'arma.” Intimò freddo.

Lei obbedì. Un paio di saltelli sulle rocce e si ritrovò le suole degli stivali sui sassolini del greto. Sfilandosi lentamente il fucile dalla schiena l'abbandonò accanto ai piedi.

“Alzate le braccia e venite avanti.” Estremamente soddisfatto la vide procede di qualche metro prima di intimarle nuovamente di fermarsi.

Iniziò a studiarla attentamente, molto più di quanto avesse fatto la prima volta che avevano avuto occasione d'incontrarsi. Non aveva mai capito come Michiru avesse potuto invaghirsi di quella donna. Era molto bella è vero, ben proporzionata, senza dubbio affascinante nella sua androgina figura, ma forse solo in quel momento, avendone in mano la vita, vicinissima, ma in egual misura lontana, irraggiungibile per chiunque non fosse stata lei a scegliere, Daniel Kurzh afferrò l'arcano segreto che quella ragazza portava dentro la profondità del suo sguardo. Una forza a tratti riscontrata anche nella sua fidanzata, soprattutto durante le discussioni, quando lei s'impuntava superba, quella sfida caparbia al mondo maschile che strutturava la loro società e che lo aveva sempre indispettito, ma al contempo attratto in Michiru, portandolo a volte a vacillare e tremare di passione.

Un fremito lo colse e con fredda lucidità puntò la canna della pistola alla miccia ed esplodendo un paio di colpi accese il cordame scuro. Poi dopo qualche secondo sparò un terzo colpo. Dritto davanti a lui.

Corrugando la fronte Haruka rimase in apnea. Non provò subito dolore, ma capì d'essere stata colpita all'altezza del fianco destro, perché sentì immediata mollezza nelle gambe non potendo impedire alle giunture di piegarsi. Cadde così in ginocchio attendendo. Portandosi i palmi al busto sentì il viscido calore del sangue iniziare a macchiarle la camicia. Tornò a guardarlo negli occhi aspettandosi l'ultimo colpo. Il braccio armato ancora teso di fronte a lui, il viso di pietra. Ma non si udirono altri spari. Rinfoderando la pistola e controllando la miccia che velocemente stava bruciando scintillando verso la dinamite, voltò il cavallo lanciandosi al galoppo.

Qualche secondo e Michiru se lo vide arrivare contro tirando le redini imitata dall'uomo. “Daniel...” E tacque non riuscendo a dire altro.

“Michiru ti consiglio di andartene immediatamente. La diga sta per saltare.”

Haruka pensò terrorizzata nel vederlo tanto freddo. “Cosa le hai fatto!”

“Vieni con me. Lasciamoci tutta questa storia assurda alle spalle.” Disse porgendole la mano sorridendo. Un ghigno che le gelò il sangue.

Facendo arretrare di qualche passo l'animale, lo guardò attanagliata dal terrore e lui capì che era finita. Impugnando la Luger d'ordinanza le intimò di smontare dalla sella.

“Cos'hai fatto alla mia Ruka.”

Ma l'uomo non rispose, aumentando solamente quel sorriso satanico più loquace di mille parole. Scuotendo la testa incredula, Kaiou si voltò allora pronta a correre, ma lui la bloccò minacciandola.

“Michiru... se non vuoi raggiungerla all'inferto fermati immediatamente!”

Serrando i pugni lei non lo degnò neanche di uno sguardo ed al primo passo verso l'allontanamento il grilletto scattò nuovamente.

Bloccandosi, l'insegnante irrigidì le spalle serrando gli occhi sentendo il colpo disperdersi in un suono sordo, tetro, poi tornando ad inondare i polmoni d'ossigeno iniziò a correre verso la bionda che a qualche centinaio di metri da loro stava cercando di rialzarsi.

Kurzh la guardò abbassando la canna ancora calda dal cielo al terreno. Non era riuscito ad ucciderla, anche se sapeva che da li a breve ci avrebbe pensato la diga. Afferrando le redini alla cavezza del secondo cavallo strinse la briglia del suo lanciandoli verso il greto del fiume.

Giovanna lo vide spuntare dall'alveo correndo verso i soldati per poi allontanarsi.

“Quello è il mio cavallo! Quello che ha preso Michiru...” Disse Stefano sentendo la mano della donna arpionargli il braccio.

 

 

Michiru le fu accanto sorreggendola prima che potesse crollare nuovamente. Se la strinse al petto adagiandola in terra. Madida di un sudore incontrollato e con il fiato corto, Haruka se la guardò come se avesse appena avuto un'apparizione.

“Michi sei qui...” Soffiò poggiandole la fronte sul collo. Si sentiva tanto stanca.

“Oddio Ruka... fammi vedere.” Ma non appena cercò di scostarle la destra dal fianco, la bionda si oppose cercando di scuotersi. Doveva mandarla via.

“Vattene Kaiou! Sta per... saltare...”

“Non dire assurdità. Coraggio, ti aiuto io. Dai Ruka. - Passandole la spalla sotto l'ascella cercò di far leva sulle gambe per sollevarla, ma avvertì più resistenza di quanto pensasse. - Mi devi aiutare. Sei troppo pesante...”

Facendo uno sforzo sovrumano, Haruka si ritrovò il piedi contro il corpo dell'altra, iniziando così a camminare puntando alle rocce che qualche minuto prima avevano nascosto lei e l'amico. Gli ultimi metri risultarono devastanti per entrambe. Con Haruka svuotata da ogni stilla vitale, Michiru dovette trascinarla riuscendo con dolore ad adagiarla contro la parete rocciosa.

“No Ruka mia. Ti prego... ancora un po'. L'inizio del greto è qui vicino.” Ma umanamente non poteva costringerla oltre. Stringendo nel pugno una manciata di sassolini, Haruka gemette. Trovandosi gli indumenti imbrattati di sangue, l'insegnante ebbe un singulto sforzandosi di non scoppiare a piangere. Prendendo il suo fazzoletto iniziò a premerlo sulla ferita continuando a tenerle gli occhi puntati contro. Non voleva vedere altro Michiru. Altro che lei.

“Ascoltami, devi andar via. Tu ce la puoi fare... a correre... Vai da Giovanna... alla foresta.”

“Ti ho detto che non voglio...”

“E' inutile che si muoia entrambe!” La zittì rendendosi conto troppo tardi di averle provocato un leggero pianto.

“Scusami. Non volevo essere brutale...” Disse sorridendo cercando di sfiorarle una guancia non riuscendoci.

Afferrandole la mano ormai priva di forza l'altra ne imitò il gesto iniziando ad accarezzarle il viso. “Io non me ne vado senza di te Haruka!”

“Sei una pazza...”

“Ad essermi innamorata di una gran testarda? O si lo so. Lo so bene.”

“In questa vita o nell'altra?”

“In questa vita o nell'altra.” Ripeté sorridendole a sua volta. Non sarebbe stata esistenza degna d'essere vissuta altrimenti.

Continuando a tenerle premuto il fazzoletto sul fianco, Michiru le si sedette accanto poggiandole la testa al petto. Avrebbero aspettato li lo scoppio e forse quell'ammasso di rocce le avrebbe protette dai detriti e dall'acqua.

“Mi sarebbe piaciuto...” Rivelò la bionda stringendo il palmo della mano su quella dell'altra ormai completamente invischiata di sangue.

“Cosa mio amore?” Rispose sentendola tremare leggermente tra un respiro e l'altro.

“E' meraviglioso sentirsi chiamare così...”

“Ti sarebbe piaciuto?”

“Vivere... insieme.”

Michiru se la strinse ancora di più contro, mentre Tenou le chiedeva di non aver paura.”Non ne ho con te vicino Ruka, ma se dove stiamo per andare non dovessi trovarmi?” Chiese ingenuamente.

“Io ti troverò ovunque...”

“Me lo prometti?”

“Si amore mio. Te lo prometto.” Un ultimo sguardo d'intesa, lo sfiorarsi delle labbra, poi un boato squarciò il silenzio della sera.

 

 

 

 

Note dell'autrice: Doveva essere l'ultimo capitolo? E no....

 

Scusate il ritardo, ma il caldo e soprattutto, le situazioni sopra descritte mi hanno un po' provata. Portate come al solito pazienza con i tempi dei verbi, li aggiusterò man mano, come ho cercato di fare con tutti i capitoli di tutte le mie storie.

A prestissimo per la fine di questo spaccato di vita. Baci...

 


 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Epilogo - Tra presente e passato ***


Le trincee dei nostri cuori

 

Legato ai racconti:

L'atto più grande

Il viaggio di una sirena

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Ami Mizuno, Usagi Tsukino, Rei Hino, Makoto Kino e Minako Aino appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Epilogo – Tra presente e passato

 

 

 

Comprensorio abitativo di Monte Carasso, Bellinzona.

Svizzera meridionale – 28/5/2017

 

Il vento che accarezzava l'erba del greto. le foglie, i giovani steli delle piante di grano ancora verdi e poco oltre, le prime chiome dei pini della foresta che abbracciava la valle e le acque del lago artificiale rese vive dalla brezza del crepuscolo. Il sole ormai calato pronto a cedere alla notte. I loro respiri a fondersi completando il battito del cuore, le dita delle mani intrecciate e fuse il una. Il viso di Michiru premuto sulla scapola della sua bionda, mentre una strana ed innaturale serenità scendeva in lei nonostante la consapevolezza della fine.

Hai paura?” Domandò l'altra stringendosela contro con maggior forza.

Non ne ho con te vicino Ruka, ma se dove stiamo per andare non dovessi trovarmi?”

Io ti troverò ovunque...”

Me lo prometti?”

Si amore mio. Te lo prometto.”

Il tuono squarciò il rumore della pioggia facendola sobbalzare immergendola a forza nella coscienza di quella domenica mattina di fine giugno. Spalancando gli occhi staccò ancora persa la guancia dal cuscino rimanendo immobile per qualche secondo mentre le immagini del sogno iniziavano a confondersi con la realtà della sua camera da letto. Guardando verso la finestra notò sui vetri scrosci d'acqua e poco oltre turbini liquidi spazzati dal vento ancora illuminati dalla luce calda del lampione condominiale del parcheggio sottostante.

Io ti troverò ovunque...”

Me lo prometti?”

Si amore mio. Te lo prometto.”

Mettendosi a sedere a gambe incrociate sul materasso si ravvivò la frangia mentre le ultime frasi precedute da quel boato continuavano a riecheggiarle nella veglia. Non amava essere svegliata in piena fase REM, soprattutto quando le capitavano sogni lunghi e complessi come quello, vividi e strutturati come una storia letta nelle pagine di un pensiero altrui. Sentendosi la bocca impastata ed una strana sensazione di dolore si portò la destra al fianco.

Ma cosa.... Pensò alzandosi la maglietta per capire il perché di quel fastidio.

Oddio Ruka... fammi vedere.” Ricordò corrugando la fronte al solco rettangolare che le mordeva la pelle.

Ma che cavolo... Indispettita iniziò a massaggiarsi scoprendo la causa bellamente avvoltolata tra le lenzuola.

“A... sei stato tu!” Borbottò afferrando il telecomando dello stereo ancora caldo dalla cova del suo corpo.

“Non dovresti essere qui!” Grugnì lanciandolo alle sue spalle mentre si spostava sul bordo del letto sbadigliando come uno squalo pronto a gettarsi su un banco di pesci. Infilando i piedi nelle infradito si fermò respirando a pieni polmoni concedendosi ancora qualche secondo per riemergere definitivamente nella realtà.

In questa vita o nell'altra?”

In questa vita o nell'altra.”

Che strana sensazione d'inquietudine le avevano lasciato quelle frasi.

Hei Tenou... Non dirmi che hai paura?!”

Non è che mi esalti crepare a vent'anni!”

Sbadigliando nuovamente afferrò la bottiglietta d'acqua che lasciava sempre sul suo comodino prendendo a dissetarsi avidamente. Quanto avrebbe riso Astorri se avesse saputo di essere stato uno dei protagonisti del suo pazzo sogno. Riavvitando il tappo scorse il libro storico che stava leggendo stirando le labbra. Si era addormentata come un cucciolo e se non fosse stato per Michiru si sarebbe trovata anche lui infilzato nella pelle dell'addome.

“Credo che il binomio cena da rosticceria e lettura serale non sia affatto vincente.” E si stiracchiò stringendo la plastica tra le dita della mano prima di abbandonarla ed alzarsi pattinando verso la porta. Dov'era la sua dea?!

Quando l'aprì accompagnata dall'ennesimo tuono la trovò al piano della penisola. La colazione per entrambe già preparata, il bucato ritirato in fretta e furia prima che il temporale lo colpisse, le luci accese nonostante la prima mattina.

Mi sarebbe piaciuto...”

Ti sarebbe piaciuto?”

Vivere... insieme.”

Sorridendo si avvicinò abbracciandone le spalle prima che potesse voltarsi per donarle il suo consueto buongiorno. Non si era mai soffermata troppo sul pensiero di quanto potesse essere appagante la loro vita di coppia. Certo avevano avuto bisogno di tempo per fondere due caratteri tanto diversi, consapevoli che l'unico modo per poter far fronte ad una storia d'amore tanto intensa, fosse quella di farla viaggiare sui binari non sempre comodi del compromesso. Così succedeva spesso che Michiru cercasse di non badare al caos che riusciva a scatenare la sua bionda se lasciata libera di agire indisturbata tra le mura domestiche, come Haruka soprassedesse sulle piccole manie della sua dea, come la morbosa assonanza sui colori degli asciugamani, il profumo zuccheroso di fiori pedissequamente presente nei ripiani delle armadiature, le etichette delle spezie ordinate per lettera e tante altre cose ancora. Diverse, ma perfettamente collimanti. Un corpo unico, ma due vite inevitabilmente scisse da impegni lavorativi, hobby e conoscenze. Michiru era riuscita in pochi anni ad entrarle dalla pelle al cuore, passando per l'anima, serpeggiando tra i suoi difetti accettandoli e smussandone alcuni, lentamente, senza fretta, fiduciosa. Ed Haruka aveva fatto altrettanto, forse senza neanche rendersene conto.

Respirando la fragranza del suo odore la sentì ridacchiare per il leggero solletico che il suo fiato le stava provocando sulla peluria del collo. “Ruka... devo ancora farmi una doccia.”

“E allora?” Rispose voltandole il viso per posarle le labbra sulla bocca. Di norma molto passionale stupì l'atra a tal punto da chiederle cosa fosse successo.

“Nulla. Perché non posso desiderare il sapore della mia compagna?” Disse andando verso il frigo per prendersi un paio di sorsi di succo.

“Oh certo, ma in genere sono gesti che compi dopo aver fatto l'amore e non la mattina appena alzata, quando il tuo corpo brama più una massiva dose di caffeina che le carezze dei miei baci.” Le ricordò quella donna tremenda soddisfatta di aver colto nel segno.

Haruka alzò le spalle riponendo il cartone accendendo la macchinetta del caffè. “Ti sei alzata presto. Ti ha svegliata il temporale?”

“In realtà no. Sono in piedi da... mmm, in pratica da tutta la notte.” Disse vedendola voltarsi di scatto leggermente preoccupata.

“Perché? Hai avuto un incubo?!” Chiese dimenticando le tazzine nelle mani. Troppo fresco il ricordo della sua fuga in Grecia e di tutte le problematiche psicologiche pregresse che la sua dea aveva dovuto affrontare per tornare a riappropriarsi del sonno.

“No, no tranquilla. - Sorrise voltando lo schermo del portatile nella sua direzione. - Lo sai che sono riuscita a trovarle?”

Ancora leggermente rallentata Tenou la guardò completamente persa. “Chi?”

“Ma come chi!? Heles e Milena!” Contenta come una tortorella tornò a guardare il monitor.

“Fammi capire bene Michiru... Sei rimasta in piedi per cercare quelle due?” Stranita del fatto che quei nomi avessero in qualche modo condizionato la notte di entrambe, le porse il caffè sedendosi al suo sgabello.

“Si amore. Ero troppo curiosa, ma credo che più che altro fossi dispiaciuta nel saperle disperse così, senza che nessuno sapesse nulla o si prendesse la briga di capire cosa fosse successo loro.”

"Ebbene? Che cos'hai scoperto?”

Zuccherando la sua tazzina Michiru iniziò col rivelarle la soddisfazione di aver trovato la sua Milena ed il cruccio di avere invece scoperto pochissimo sull'altra donna. “Di Heles non so praticamente nulla. La certezza che ho è che non sia morta nel '15.”

“Non era di questa zona?”

“Si, però non di Bellinzona città, ma di una piccola frazione nei pressi del Passo della Ruscada. Hai presente?”

“Più o meno. Ci ho fatto qualche escursione, ma sono zone abbastanza impervie ancora oggi. Pensa cent'anni fa.” E la sensazione di aver corso a perdifiato su e giù per quei crinali con un amico a quattro zampe al suo fianco la portò a grattarsi la testa e a corrugare la fronte.

“Con Milena è stato più semplice visto che la sua famiglia era di Berna. E la cosa incredibile è che viveva a circa tre isolati da casa mia.”

Haruka alzò le sopracciglia iniziando ad imburrarsi un panino mentre la compagna continuava con maggior enfasi. “E' stato per una serie di coincidenze private che si trovò nel '15 ad indossare l'uniforme delle staffette di confine di Bellinzona.”

Rallentando i movimenti mascellari fino ad ingoiare a forza, la bionda se la guardò attonita. “Cos'è che era?”

“Una staffetta di confine. Bè quello che poi avevi ipotizzato tu ieri. Comunque ho trovato il suo nome in un articolo su un giornale di Lucerna dove si parlava del crollo che nel giugno del '15 si verificò sulla diga del lago FullerGraft, poco lontano da Altdorf.”

“Diga del lago FullerGraft...” Ripeté Haruka guardando leggermente apatica di fronte a se. Quel nome le ricordava qualcosa.

“Si, pare che assieme ad un gruppo di ragazze sia riuscita ad evitare il crollo totale della struttura, denunciando poi alla polizia locale il responsabile di quell'assurdo atto di sabotaggio. Un Sottotenente dell'esercito austroungarico che si trovava in Svizzera per conto di...”

“Per conto della famiglia di Milena?!” Chiese interrompendola.

“S... si. Ma allora lo sapevi già!” Inquisì facendo una smorfia scocciata.

“No Michi. Ecco... io.” E l'immagine di quella divisa bianca dai risvolti dorati, di quel sorriso beffardo, di quegli occhi loquacemente portati ad un'arroganza quasi cronica, le apparvero nelle pieghe dei suoi ricordi notturni.

“Questo Sottotenente apparteneva per caso ai Dragoni?” Chiese avendo poi l'intuizione di andare a prendere il libro storico che stava leggendo. Forse aveva letto di lui forviando a dis misura il sogno che l'aveva catapultata in una storia che stava scoprendo avere comunque un fondo di concreta realtà.

“Si. Ma adesso mi dici dove lo hai letto! E' tutta la notte che cerco e ricerco...”

La bionda tornò dalla camera da letto sfogliando il testo dall'indice alle annotazioni della prefazione, non trovando però nulla riferito al probabile artefice del disastro, ma solamente un paio di paragrafi dove si accennava delle catastrofiche conseguenze che il mezzo crollo dello sbarramento aveva avuto sui campi della zona. Allora non poteva essere stata indotta a sognare Daniel Kurzh e tutto il resto dalle sue letture serali.

“In verità credo di averlo sognato Michi. Ma continua, ti prego.”

Poco convinta l'altra proseguì con il dirle che all'inizio dell'apertura dell'inchiesta il graduato non era stato neppure ascoltato. Si era infatti pensato più ad un cedimento strutturale e poi, successivamente al ritrovamento di alcuni inneschi, ad un'azione anarchica o un regolamento di conti tra taglia gole di zona.

“Solo dopo qualche giorno e grazie all'ausilio delle dichiarazioni degli abitanti e degli stessi soldati che stava comandando, si scoprì che l'uomo aveva architettato il crollo per puro scopo personale e che la folle idea gli era balenata nella mente per cercare di fermare la sua fidanzata, scappata settimane prima dalla costrizione paterna che la voleva sposata al Sottotenente.”

“Milena...” Haruka tornò a sedersi mentre frasi ed avvenimenti sognati tornavano ad affacciarsi nella sua memoria alimentati dalle parole della compagna.

“Si Milena. Un'insegnante d'arte che per sfuggire ad un matrimonio senza amore scappò di casa verso la primavera del '15 per dirigersi nella Svizzera meridionale ed arruolarsi nel corpo delle staffette del nostro Comune. Ed è qui che presumibilmente incontrò Heles.”

“Ed è scappando dall'inseguimento di quell'uomo che si trovò sulle sponde del lago FullerGraft?”

“Così pare. Con l'occasione di dover scortare a Zurigo un gruppo di collegiali austriache, cercò di allontanarsi da lui il più possibile provando a far perdere le sue tracce, non riuscendoci.”

“Ed Heles?” Chiese sentendosi quasi chiamata in causa. Il suo sogno era incredibilmente simile a quell'avvenimento storico, non identico, ma curiosamente somigliante nei punti salienti come il mancato matrimonio, l'inseguimento ed il crollo della diga. E loro due.

“Di Heles non ho trovato nulla, a parte una traccia. Ho scoperto che nel '16, insieme ad alcune studentesse del famoso gruppo che cercò di accompagnare a Zurigo, Milena si ritrovò a lavorare come insegnante a Muhleberg, in un centro d'accoglienza e riabilitazione, con al suo interno una piccola scuola per ragazzi rimasti orfani per colpa della guerra. Tedeschi per lo più, ma fondamentalmente aperto a tutti. E li ha fatto cartiera. Dopo qualche anno e' riuscita ad arrivare ad esserne la direttrice, ingrandendolo e gestendolo talmente bene la strutrura che a tutt'oggi è un punto di riferimento per la comunità della zona. - Sorridendole le indicò il nome della donna su un vecchio documento. - Guarda un po' chi compare come vice direttrice?”

Haruka stirò le labbra in un sorriso incomprensibilmente tronfio. Proprio accanto al nome di Milena ce n'era un'altro; quello di Heles.

“Allora non è morta nel '15!”

“E no, o almeno è abbastanza improbabile visto il nome poco comune ed il fatto che provenisse proprio da qui. Ergo...”

“Che fosse la mia Heles.” Concluse addentando il pane lasciando l'altra curiosa.

“Tua?”

“Si mia. Sicuramente era bella, alta, bionda, fichissima, cazzutissima e sapeva tutto di motori... proprio come me!” E magari aveva anche una sorella maggiore rompipalle aggiunse nella sua testa.

“Motori? Perché esistevano già i motori?!” Chiese ironicamente tra il divertito ed il dissacrante.

Un lampo ed Haruka guardò la porta finestra della cucina. Stava venendo giù proprio bene.

“Milena fu anche ferita alla testa durante l'azione del sabotaggio della diga e la cosa fece parecchio scalpore proprio in virtù del fatto che fu a causa dell'atto scellerato compiuto dal suo fidanzato. Credo che sia per questo che ho trovato notizie tanto personali su di lei. La sua famiglia era piuttosto in vista nella Berna di allora.”

“Perciò non si sa se ci fosse anche Heles quel giorno...”

“Esatto. Comunque io continuo a dire che fossero una coppia. Sai, non si sono mai sposate.” Disse chiudendo il portatile dedicandosi finalmente alla colazione.

“Due zitelle dunque.”

“Haruka!”

L'altra sorrise guardandola negli occhi dimenticando il suo panino. Non aveva ancora perso il contatto con la sua personale storia notturna. La paura che quella giovane Tenou aveva manifestato fino allo sfinimento nei confronti della sua omosessualità, a partire dai membri della sua famiglia per finire alle persone del suo quartiere, avevano fatto ricordare alla donna di oggi cosa aveva provato lei a vent'anni; il disagio di un piccolo paese, la reticenza della gente e poi l'accettazione di se. Se si fosse trovata nelle stesse condizioni di quella ragazza molto probabilmente avrebbe agito nello stesso modo.

“Che c'è?”

“Ti ricordi quando ieri ti ho detto che se ci fossimo incontrate cent'anni fa saresti stata tu a vivere drammaticamente il tuo scoprirti omosessuale? - E ad un assenso continuò staccando il contatto vergognandosi un po’. - Riflettendoci e conoscendo i nostri caratteri credo che non sarebbe stato affatto così, anzi, sono convinta che ci saremmo piaciute subito, ma saresti stata tu a dover fare la prima mossa per schiodarmi dalle mie insicurezze.”

Piegando la testa da un lato Michiru le ricordò una certa mostra pittorica di Berna correlata ad un abbordaggio velato, femminile, ma estremamente deciso. “Ci sei dunque arrivata mia Ruka. Se quattro anni fa non ti avessi rimorchiata io... tanti saluti e baci.” Sfotté.

“Per quanto me la vorrai rinfacciare questa cosa?”

“Anche per sempre.” Alzò le sopracciglia sicurissima di se.

“Mmmm... Senti un po' e che fine ha fatto quel Dragone?” Svicolò neanche troppo astutamente facendo quasi tenerezza.

“Di lui si sa che venne indagato, arrestato, ma rilasciato dopo neanche due settimane di carcere. La sua storia fece scandalo ed ebbe un grosso eco nel nostro paese proprio perché militare di un esercito straniero. Di comune accordo con il nostro Stato Maggiore, il Comando Generale austroungarico preferì insabbiare tutto per evitare un incidente diplomatico. Prestò servizio nella battaglia del Piave riportando una ferita che lo costrinse al ritorno a casa. Dopo l'armistizio emigrò negli Stati Uniti dove sposò una ricca ereditiera.”

“Che culo.”

“Bè non direi. Entrò in borsa perdendo tutto nella crisi finanziaria del '29 e ritrovandosi sull'astrico si tirò una revolverata alla testa.”

“Meglio!”

“Ma che male ti ha fatto?!” Chiese scherzosamente allargando le braccia.

Pensando al ricatto, agli inseguimenti, allo schiaffo, alla diga e alla ferita al fianco, Haruka stirò le labbra sardonica aggiungendo un così impara che non fece capire a Michiru assolutamente niente. Il viso dello psicopatico in bianco, come lei e Mattias erano soliti chiamare Daniel Kurzh alla clinica di Zurigo, le apparve ancora troppo intenso per non urtarle i nervi.

Riprendendo a massaggiarsi il fianco non si accorse di aver attirato su di se gli occhi curiosi dell'altra. “Cosa c'è? Hai male?”

“No, non proprio.” E smise di mangiare alzandosi per nutrirsi di lei. Afferrandole il viso tra le mani e baciandola, questa volta con una buona dose di passione, le suggerì di continuare quella colazione appoggiate su un'altro piano di lavoro.

“Non voglio bricioline di biscotti tra le mie lenzuola Ruka...” Cercò di articolare tra le labbra.

“Non c'è problema Michi mia. Vorrà dire che useremo il mio lato del letto.”

 

 

Spaparanzata sul divano con il telecomando in una mano ed una coca ghiacciata nell'altra, Haruka sorrise goduriosa al pre gara del Gran Premio di formula 1 di Monaco che stava per gustarsi. Cos'avrebbe potuto desiderare di più?! Il tepore del corpo della sua donna premuto sulla spalla dopo una dolcissima ginnastica domenicale fatta un paio d'ore prima nella loro camera da letto, un temporale che non accennava ad allontanarsi dalla loro zona e che, fratello e compagno di merende, le aveva fatto saltare la mensile pulizia del terrazzo alla quale quel mostro di Michiru l'avrebbe costretta se non fossero scese secchiate d'acqua, la frescura di un tempo molto più simile ad un autunno inoltrato che all'inizio di una rovente estate e gli immancabili dolcetti burrosi a portata di zampa sul tavolino di vetro affianco al bracciolo. In quel primo pomeriggio si stava sentendo talmente soddisfatta, che in uno slancio affettuoso aveva persino avvertito la necessità di chiamare quella gran bestia di Giovanna, la quale, non aspettandosi assolutamente una sua telefonata, le aveva riso dietro di rimando massacrandola con battutine idiote all'indirizzo della sua già scarsa vena fraterna.

“Ti manco Tenou? Ma quanto ti manco?” E giù neanche fosse alla prima di un cabbarettista.

Che deficiente pensò storcendo la bocca posando il telecomando ed iniziando a giocare con un ciuffo dei capelli della sua dea. Haruka lo sapeva bene; quella telefonata era stata una necessità, un'impellenza dettata dalla consapevolezza che gli anni nei quali era stata strappata all'affetto della sorella aveva perso tanto e quel sogno urlato a gran voce dal suo subconscio glielo aveva ricordato facendole male. Come e quanto sarebbe stata diversa Haruka Tenou se Giovanna Aulis fosse stata presente nella sua vita sin dall'inizio?

Guardando la sua compagna respirare lentamente le donò un bacio sulla nuca tornando a fissare apaticamente la TV. Una volta svegliatasi aveva avuto bisogno della sua quotidianità, delle sue cose, dei suoi ritmi per tentare di togliersi quella strana sensazione di tristezza, mista a rabbia e frustrazione che sentiva ancora. Al senso di distacco da quella giovane Kaiou sognata, aveva cercato di provvedere unendosi alla sua Michiru, tenendosela stretta il più possibile, ritrovando il contatto dei momenti immediatamente precedenti al boato del tuono che l'aveva svegliata, fondendo così quelle due donne in una, come se il passato immaginato si fosse fuso nel presente concreto della vita di sempre. E la compagna l'aveva lasciata fare non capendo fino in fondo quei gesti consueti velati quasi di disperazione, anzi aveva riversato nei loro scambi di pelle ancora più amore del solito. A sua volta la bionda l'aveva ringraziata baciandola mille e mille altre volte ancora.

Poteva un sogno, anche se vivido e complesso, lasciarla schiava di tante sensazioni? Poteva una storia partorita dalla sua mente, anche se a larghi tratti simile ad un fatto storico realmente accaduto, monopolizzarle le ore costringendola suo malgrado ad intristirsi o a pensare a quanto fortunata fosse a vivere un'esistenza libera come la sua, in un tempo come quello?

In questa vita o nell'altra?”

In questa vita o nell'altra.”

Che gran brutta sensazione d'abbandono, di fatalismo suicida aveva ancora addosso.

“Cosa c'è amore? E' da questa mattina che sei strana.” Chiese Michiru baciandola sul collo.

“Credevo ti fossi assopita.”

“Lo sai che dopo pranzo non riesco mai ad avere un vero e proprio sonno.” E le sorrise come solo lei sapeva fare.

Dio mio come ti amo pensò la bionda toccandole con l'indice la punta del naso.

“Allora me lo dici l'origine di tanto scombussolamento anche di fronte ad una gara del mondiale?”

Come quella donna tanto speciale poteva essersi innamorata di lei? Come faceva a leggerle sempre dentro? Come riusciva a lenirle ogni santa volta un dolore o una mancanza? E lei che legata pedissequamente ad uno stupido orgoglio, non le diceva mai di amarla, di essere attratta come il primo giorno. Paziente, gentile, tenace la sua Michiru, mentre lei era sempre irruenta, caparbia e ruvida.

“Ho solo fatto un brutto sogno. Nulla d'importante.”

“Bè credo sia molto di piu' se sei ancora tanto strana." Rispose accarezzandole una guancia.

“Mmmm... forse.” Ammise mentre l'altra continuava teneramente a sfiorarle la pelle.

Michiru si stupiva sempre un po' quando quella ferrigna ragazzona riusciva ad aprirsi rivelando un carattere dolcissimo e per alcuni versi fragile. Haruka non piangeva mai, ma era capacissima di emozionarsi davanti ad un film, non aveva difficoltà nel rubare letteralmente l'ultimo pezzo di torta ad un bambino, ma non poteva vedere gattini abbandonati senza l'impulso di portarseli tutti a casa e non era raro che ad un sogno particolarmente complesso rimanesse spiazzata a volte anche per tutto il giorno.

“Allora?” Pungolò facendola sbuffare vergognosa.

“Non mi ricordo più tanto, ma... diciamo che non riuscivamo a vivere a pieno la nostra storia d'amore.” A quelle parole Michiru si ritrasse leggermente per guardarla meglio. Eccola apparire magicamente la tenerezza emozionale della sua bionda.

“Stai cosi' per questo?” E ad un grugnito di risposta si fece seria.

“Lo so! Sono patetica. Non guardarmi così Michi! Non lo faccio apposta a sentirmi tanto giù.”

“Era solamente un sogno...”

“Lo so, ma era anche molto reale e mi ha fatto pensare a tante cose che tendo a dare sempre troppo per scontate.”

“Tipo?”

“Tipo... - Sembrò pensarci su, ma l'altra sapeva benissimo che era solo una pausa per prendere coraggio. - Tipo la fortuna di vivere in una società civile e riuscire ad esprimere il nostro amore abbastanza serenamente. Tipo il sapere di avere una brava sorella che mi vuol bene. Tipo... l'amarti più di me stessa. E lo so di non riuscire mai a dirlo o a manifestartelo pianamente come meriteresti, ma è che... fondamentalmente mi vergogno!”

L'amarti più di me stessa. Ecco l'aveva detto e non se n'era neanche accorta.

“Ma Ruka mia. Per quanto riguarda il nostro rapporto non ho mai preteso di cambiare questo modo che hai di fare. Mi bastano le tue carezze. I tuoi sguardi. Certo, non ti nascondo che mi farebbe piacere se ogni tanto riuscissi a sbilanciarti un tantino di più, come so che l'essere romantica non è proprio nelle tue corde, ma è il tuo carattere ed è di questa donna che sono innamorata.”

A quelle parole Haruka chiuse gli occhi sentendo l'ossigeno venir meno. Avvertendo un'allarmante bruciore agli occhi se la strinse contro affossando il viso nel suo collo. E la storia andava ripetendosi; che si trattasse dell'illusione di un sogno o di quella benedetta realtà, Michiru era sempre la stessa incredibile creatura pronta a penetrarla nel più piccolo pertugio di reticenza pur di spingerla ad aprirsi, a migliorarsi e a crescere come donna ed individuo.

“Michiru...”

“Dimmi.”

“Ti amo.”

 

 

 

 

Note dell'autrice: Eccoci qui. Avrei voluto finire il capitolo in cento mila altri modi, provando a fondere meglio la storia sognata da Haruka con la realtà del rapporto con Michiru, ma non credo di esserci riuscita molto. Scusatemi. Ho avuto una specie di blocco. Ho forse la testa altrove, tipo alla prosecuzione che ho intenzione di buttar giù quanto prima, forse proprio tra oggi e domani. Si perché non mi sembra giusto far finire tutto così; con notizie telegrafiche che lasciano troppi “buchi”.

Molto probabilmente non sarà una storia lunghissima, ma chi può dirlo, comunque rivelerà cosa realmente è accaduto dopo il crollo, tralasciando, parola d'onore, il belloccio popò e forse qualche ragazza del gruppo.

Comunque lasciate che vi ringrazi per avermi seguita nonostante strafalcioni vari, ed in particolar modo mi riferisco alla dedizione di Yoshika, all'affetto di MichiHarulove, agli incoraggiamenti di Learco87 ed alla sagacia di Ferra10. Sapere che una storia prende e fa vivere momenti tranquilli in una vita avvolte tanto difficile, mi inorgoglisce spingendomi a dare sempre il meglio di me. Grazie con tutto il cuore.

Ci vediamo prestissimo.

Ciauuuu

 

 

 

 

 

 

 

 

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