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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Atto I - Il Guerriero caduto *** Capitolo 2: *** Atto II - Parte I/ Visite dall'Inferno *** Capitolo 3: *** Atto II - Parte II/Lazzaro risorge *** Capitolo 4: *** Atto II, Parte III - Il tradimento della sorella *** Capitolo 5: *** Atto III, Parte I - I bambini di cristallo *** Capitolo 6: *** Atto III, Parte II - Questioni di coscienza *** Capitolo 7: *** Atto IV, Parte I - I Morti non parlano *** Capitolo 8: *** Atto IV, Parte II - Il mostro dietro la maschera *** Capitolo 9: *** Atto IV, Parte III - Sandman *** Capitolo 10: *** Atto IV, Parte IV - L'antro della Megera *** Capitolo 11: *** Atto V, Parte I - Succubus *** Capitolo 12: *** Atto V, Parte II - Il Dottore *** Capitolo 13: *** Atto VI, Parte I - Indefinito *** Capitolo 14: *** Atto VI, Parte II - La bambina *** Capitolo 15: *** Atto VI, Parte III - Sotto il Mostro *** Capitolo 16: *** Atto VII, Parte I - L'interrogatorio *** Capitolo 17: *** Atto VII, Parte II - Il trionfo della Negromante *** Capitolo 18: *** Atto VII, Parte III - La Negromante *** Capitolo 19: *** Atto VII, Parte IV - Amore e Morte *** Capitolo 20: *** Atto VIII, Parte I - La Caduta *** Capitolo 21: *** Atto VIII, Parte II - Salvare una vita *** Capitolo 22: *** Atto VIII, Parte III - Bacio d'addio *** Capitolo 23: *** Atto IX. Parte I - Legami *** Capitolo 24: *** Atto IX, Parte II - Utopia *** Capitolo 25: *** Atto IX, Parte III - Segreto di Famiglia *** Capitolo 26: *** Atto X, Parte I - Il Castello di diamante *** Capitolo 27: *** Atto X, Parte II - Terrori notturni *** Capitolo 28: *** Atto XI, Parte I - L'Erede del Male *** Capitolo 29: *** Atto XI, Parte II - Il Non-Morto *** Capitolo 30: *** Atto XII, Parte I - L'Inganno della veggente *** Capitolo 31: *** Atto XII, Parte II – Il piano della Veggente *** Capitolo 32: *** Atto XII, Parte III – Limbo *** Capitolo 33: *** Atto XIII - Requiem aeternam *** Capitolo 34: *** Epilogo. ***
È come salire le scale al buio per
andare in camera da letto e credere che ci sia ancora uno scalino.
Il tuo piede cade nel vuoto e c'è un
nauseante momento di tetra sorpresa.
[LemonySnicket
– Una serie di sfortunati eventi]
Atto
I, Parte I – Il Guerriero caduto.
Iniziò tutto ad un funerale.
Non pioveva quel giorno, anche se avrebbe dovuto.
Non era sempre così, ai funerali? Anche il cielo avrebbe dovuto piangere la
perdita di una persona che era stata profondamente amata. E Ronald Weasley1
era stato terribilmente, incredibilmente amato da chiunque avesse perso un po’
di tempo per parlargli e conoscere un po’ di quella personalità che aveva
stregato chiunque fosse entrato in contatto con lui.
Non pioveva, ma i visi dei presenti erano bagnati
ed il cielo era scuro, nuvoloni grigi impedivano che il sole potesse colpire
l’angolo di terra che il signor Weasley aveva scelto solo pochi giorni prima,
insieme al maggiore fra i suoi figli. Sua moglie non aveva partecipato, troppo
grande era stato l’orrore di perdersi gli ultimi istanti in cui avrebbe potuto guardare
in viso il più giovane dei suoi figli maschi.
Erano tutti presenti, quella mattina. C’era Bill,
insieme a sua moglie ed alla loro bambina, Victoire;
c’erano Charlie e Percy, quest’ultimo pallido a causa
di quel senso di colpa del sopravvissuto che sembrava non volerlo abbandonare e
che, forse, era diventato solo più insopportabile quando la battaglia del
fratellino si era conclusa; c’erano i gemelli1 e c’era Ginny, l’unica ad aver mantenuto un atteggiamento
contenuto, l’unica Weasley il cui viso non era bagnato dalle lacrime. Al suo
fianco, Harry Potter osservava la tomba del suo migliore amico con sguardo
vacuo, il cuore pieno di rimpianti e la rigidità di chi aveva perso troppo per
poter crollare sotto il peso dell’ennesimo lutto.
Hermione avrebbe preferito non sedersi in prima
fila, l’aveva detto ad Harry, ma lui non l’aveva ascoltata. Doveva dire addio a Ron, ecco come aveva
giustificato quella presa di posizione. Non osservarlo mentre veniva calato
nella terra non avrebbe fatto altro che peggiorare il vuoto che avrebbe sentito
negli anni a venire, secondo lui. Prima di poter vedere la tomba dei suoi
genitori, non aveva mai realizzato di averli persi davvero e temeva che quello stesso vuoto allo stomaco potesse
toccare pure lei.
Hermione, però, aveva già detto i suoi addii il
giorno stesso in cui Ron era caduto, due anni prima. Aveva pianto tutte le sue
lacrime e maledetto il destino che aveva voluto privarle di ciò che aveva
desiderato di più, oltre alla fine di
Voldemort. Ron era morto ben prima che il suo cuore decidesse di smettere di
battere e lei aveva visitato la sua tomba ogni giorno, durante le visite al
Reparto di Lungodegenza al San Mungo.
Nessuno aveva capito perché non si fosse
disperata, all’inizio. Qualcuno aveva sussurrato che il suo fosse stato un
comportamento freddo, da insensibile. Era
stato Neville a correre in suo soccorso, quando il peso delle accuse l’aveva
quasi schiacciata. L’aveva abbracciata e l’aveva rassicurata: lui non aveva
versato neppure una lacrima, quando sua madre aveva chiuso gli occhi per
l’ultima volta1. Non c’era stata sofferenza, da parte sua, perché
ogni visita in ospedale era stata la visita ad una tomba.
I suoi genitori non c’erano più da tempo,
esattamente come Ron. La guerra li aveva strappati ai loro cari già da tempo,
il fatto che non potessero più vederli
era solo una consolazione finale che aveva tardato ad arrivare. Nessuno di loro
due aveva trovato conforto in un corpo vuoto ed era qualcosa che in tanti
faticavano a comprendere. Avevano sofferto ed avrebbero continuato a soffrire
per anni ed anni a venire, ma erano riusciti a farsene una ragione, come presto
avrebbero fatto tutti gli altri.
«Vuoi venire a casa con noi?» le chiese Ginny, accennando un sorriso gentile ed indicando il gruppo
di Weasley già radunato vicino al celebrante, forse per ricevere altre
condoglianze, forse per parlare di ciò che avrebbero ancora dovuto fare per
concludere le pratiche per il funerale. Dallo stesso gruppo si allontanò
un’altra testa rossa – Fred, Hermione aveva imparato a distinguerli ben prima
che George perdesse l’orecchio –, che le raggiunse. Il giovane non disse nulla,
limitandosi a stringere le labbra. Non sorrideva, ma il suo sguardo era
cordiale.
«Vi ringrazio, ma credo che tornerò a casa dei
miei genitori» fu la sua risposta, pacata, mentre allungava una mano per
stringere con delicatezza quella dell’amica. «Ci siamo riuniti da poco2,
ho bisogno… ho bisogno di trascorrere del tempo in loro compagnia» spiegò,
cercando di mostrarsi quanto più tranquilla possibile, contrita addirittura, in
modo da sembrare più consona al luogo ed al momento. Aveva visto morire il suo
ragazzo dopo due anni di lotte perse in partenza con la Morte, ci si aspettava
che fosse abbattuta.
Fred le lanciò un’occhiata strana, passando un
braccio intorno alle spalle della sorella. «Hermione, sai di essere sempre la
benvenuta alla Tana» le disse, con voce ferma, seppur stanca. Nessuno di loro
aveva dormito negli ultimi tre giorni, il fisico cominciava a risentirne. «Non
pensare neppure un istante che qualcuno di noi possa serbarti rancore di alcun
genere solo perché non ti sei strappata i capelli per il dolore. Sappiamo bene
che anche tu hai sofferto incredibilmente, quando è stato il tuo momento di
farlo» la rassicurò, leggendo quello che era stato il più grande cruccio che
lei aveva patito in quei giorni.
Come aveva fatto a capirlo? Forse era meno brava
del previsto a nascondere le sue emozioni, dopotutto anche Neville ed Harry le
avevano detto la stessa cosa, non più di poche ore prima.
Tuttavia l’orgoglio della ragazza era rimasto ben
saldo, nonostante la fragilità del suo cuore. Non avrebbe mai ammesso di avere paura di una cosa sciocca come il
giudizio altrui.
«Non preoccuparti, Fred» gli rispose, senza
sorridere. «In questi tre giorni non sono tornata a casa neppure per dieci
minuti, non vorrei cominciassero a credere che io sia scappata via o che
tornino a dimenticarsi me» continuò, lasciando andare la mano di Ginny per incrociare le braccia al petto e fingere di
ripararsi dal freddo3. «Il Guaritore mi ha assicurato che gli
effetti collaterali dell’incantesimo di memoria non si sarebbero più
presentati, ma… beh, la sicurezza non è mai troppa».
Il gemello la osservò per un lungo istante, mentre
Ginny annuiva. Lei sembrava aver placidamente
accettato la sua spiegazione, soprattutto perché, in fondo, era la verità.
«Vieni questa sera, però» le chiese proprio lei,
tornando ad abbassare la mano ed a nasconderla nella tasca del mantello.
All’anulare ci sarebbe dovuto essere un anello di fidanzamento, ma Harry non si
era ancora deciso a proporsi ed insisteva nel portarselo dietro come il più
costoso dei promemoria. Non c’era stato il momento, sentendo le sue ragioni,
perché con Ron in quelle condizioni la famiglia non avrebbe potuto sopportare
un’emozione grande come un fidanzamento.
Cazzate,
Hermione ne era convinta. Era solo terrorizzato all’idea che potesse ancora
succedere qualcosa e che la loro
felicità perdesse qualunque fondamento, facendoli ripiombare nel caos. Disturbo da stress post traumatico4,
era la diagnosi che uno psicologo minimamente competente avrebbe assegnato al
suo amico se solo lui si fosse deciso a visitare un qualunque esperto.
Ginny stava
ancora aspettando una sua risposta, quindi accennò un sorriso di circostanza.
«Farò in modo di passare, questa sera, se non ci saranno problemi con i miei
genitori» mormorò, facendo un passo indietro. «Non preoccupatevi, non ho
intenzione di sparire nel nulla. Siete comunque parte della mia famiglia». Li
guardò entrambi per un istante, sentendosi più leggera quando anche Fred le
sorrise, in modo decisamente non forzato. «Ron si arrabbierebbe con me,
altrimenti».
«Sì» le disse il gemello, annuendo leggermente.
«Ron si arrabbierebbe moltissimo».
Hermione osservò i due fratelli allontanarsi
sentendo nuovamente un peso crescerle nel petto. Stare con loro la faceva stare
un po’ meglio, ma era sempre un sollievo momentaneo, difficile da mantenere
nella solitudine. Restò immobile per qualche istante, poi la gelida aria di
dicembre la fece rabbrividire: avrebbe fatto bene a tornare a casa, dai suoi
genitori. Lanciò un ultimo sguardo al gruppo poco lontano, incrociando per un
momento gli occhi verdi del suo migliore amico, che si limitò ad annuire nella
sua direzione.
Anch’io
vorrei allontanarmi, ma non posso lasciare Ginny. Non
serviva neppure che parlasse, per comunicarle ciò che aveva nel cuore. La loro
sofferenza era simile, seppur diversa, ma lui aveva ancora qualcuno che contava
sul suo supporto. Hermione era da sola e, probabilmente, lo sarebbe rimasta ancora
per molto, molto tempo.
«Ciao, Granger».
Malfoy la colse di sorpresa, come al solito,
facendola trasalire. Nei due anni passati era cambiato così tanto che a stento
lei avrebbe potuto ricollegarlo allo spigoloso ragazzino che l’aveva insultata
sul treno per Hogwarts, durante il loro primo viaggio. Non era un cambiamento fisico,
il suo, ma più che altro d’atteggiamento: le spalle erano sempre dritte e
rigide, ma il mento non era più sollevato con spocchia. I suoi capelli non
erano più impomatati fin quasi a sembrare finti e ricadevano morbidamente sul
suo viso, gli occhi avevano perso quella patina gelida che i Malfoy sembravano
trasmettersi insieme al nome di famiglia. Draco era cambiato, come tutti coloro che avevano partecipato alla guerra.
«Ciao, Malfoy» ricambiò il saluto, senza tuttavia
soffermarsi a guardarlo. Quasi per istinto, si voltò in direzione della tomba
non ancora interrata, quasi aspettandosi di ritrovare Ron con un’espressione
disgustata ed il solito atteggiamento di sfida. Era piuttosto insicura che
quell’atteggiamento si sarebbe mantenuto, considerando quanto le cose si
fossero evolute, ma mai dire mai.
«Non credevo che saresti venuto al funerale».
Lui si strinse nelle spalle, gli occhi puntati
nella stessa direzione della strega. «Per quanto io odi ammetterlo, motivo per cui non me lo sentirai ripetere mai
più, Weasley mi ha insegnato un po’ di cose, durante tutto il periodo della
guerra. Mi ha dimostrato che essere purosangue non ci concede il diritto di
considerarci migliori, soprattutto se non lo siamo» le spiegò, con tono secco,
quasi irritato. «Venire qui era il minimo che potessi fare».
La sorpresa per quella confessione improvvisa durò
ben poco, perché lui sembrò irrigidirsi e riprendere quel contegno che aveva impiegato
anni a perdere. Per evitare di complicare ulteriormente le cose, Hermione restò
in silenzio, le braccia incrociate ad altezza del petto. Poi, con un sospiro,
cambiò discorso. «Ho saputo che i tuoi genitori si sono trasferiti fuori dal
paese».
Draco annuì, con una smorfia. «I miei parenti
vivono in Germania, così hanno deciso di raggiungerli» spiegò, senza guardarla.
«Qui non avevano più nulla, se non una reputazione distrutta e odio» rettificò,
stringendosi leggermente nelle spalle. Un vago sorriso sarcastico gli incurvò
le labbra, subito dopo. «Non ti sto dicendo tutto perché all’improvviso ho
deciso di diventare il tuo migliore amico, Granger, è solo parte della mia punizione. La mia famiglia ti ha causato
solo sofferenze, immagino che rassicurarti sulla lontananza di chi ha assistito
alla tua tortura sia… beh, il minimo».
Hermione si accigliò, curiosa. «Anche tu eri
presente e sei ancora qui, nel Regno Unito» gli fece notare, con una punta di
ironia. «Perché sei rimasto? Non hai più nulla, anche buona parte del tuo
patrimonio è stata confiscata».
«Io non sono mai stato pericoloso, Granger, lo sai anche tu» fu la prima risposta che le
diede, l’espressione di un principino cui avessero sottratto il trono da sotto al
fondoschiena. «Sono rimasto proprio perché non ho più nulla da perdere, ma
tutto da guadagnare. Sono giovane, posso rifarmi un nome che sia mio, non… non di mio padre» continuò,
improvvisamente più duro e deciso, voltandosi per guardarla in viso. C’era
ambizione, nel suo sguardo, ma anche molto, moltissimo
rancore. «Mi ha venduto come un animale, troppo spaventato per opporsi a mia
zia ed al Signore Oscuro» sibilò, scoprendo i denti come un animale ferito. «Io non sono come lui».
Ambizione, furbizia, decisione.
Erano le qualità del buon Serpeverde, dopotutto,
ed Hermione non poteva far altro che invidiarlo. Lei non sapeva cosa avrebbe
fatto, non sapeva come avrebbe dato un senso alla sua vita, una volta lasciato
quel cimitero. Aveva voglia di
combattere, ma non c’era nulla per cui farlo.
«Ti auguro di riuscire nel tuo intento» gli disse,
facendo un paio di passi indietro. «Se c’è una cosa che questa guerra ci ha
insegnato è proprio il non dover negare una seconda possibilità, a nessuno». Allungò la mano verso di
lui, cercando di mostrarsi più cordiale possibile. «Arrivederci, Malfoy. E
buona fortuna».
Vagamente sorpreso, anche lui allungò la mano,
stringendo la sua. «Arrivederci, Granger. E grazie».
Decisa a non incontrare nessuno, Hermione cominciò
ad allontanarsi di gran carriera, determinata a
lasciarsi tutto alle spalle, almeno per un po’. Si era alzato il vento, le
foglie emettevano un fruscio quasi insopportabile intorno a lei, senza tuttavia
coprire il rumore assordante dei suoi stessi pensieri.
Era sola
e senza uno scopo.
Quando la donna le bloccò la strada, per poco lei
non le sbatté contro. La osservò per un lunghissimo istante, confusa dal
sorriso smagliante decisamente inappropriato in un cimitero. Aveva qualche anno
più di lei, ma era ancora molto giovane, nonostante il suo sguardo sembrasse fin
troppo attento.
«Ciao, Hermione. Mi chiamo Ophelia Penderghast, sono
stata mandata ad offrirti un lavoro».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti!
SONO TORNATA!
Non sono morta, in questo
mese d’assenza, ma ho dovuto fare due esami, ho dovuto lottare con la maledetta
influenza (dettaglio divertente: IO non mi sono ammalata, ma tutti gli altri
sì! Mi sono trasformata in una dannata infermiera) e con tutte le ansie che
precedono il Natale (che tuttavia adoro).
Tuttavia, eccomi qui.
Questa fan-fiction è nata
a causa del mio enorme disappunto verso Cursed Child
e l’idea che Voldemort abbia concepito.
No, NO,Voldemort non può concepire, è più morto che vivo ed ha un corpo di seconda
mano (eheh).
Fa parte di un universo completamente diverso rispetto alla mia prima long (che
apparteneva al MirrorUniver)
e che si chiamerà “EvilUniverse”
(no, ok, non lo so ancora, ma è un altro).
Nel prossimo capitolo si
comincerà a conoscere questo erede e
chi lo ha accompagnato per tutti gli anni trascorsi fino al momento in cui si
svolge la fanfiction.
No, non è Voldemort il
cattivo della storia, ma qualcuno di ben peggiore.
Spero davvero che mi
seguirete!
Punti importanti:
» 1 –
Eheh, cominciamo col botto! Sì, Ronald Weasley è
morto e Fred è vivo. Stando ad una intervista, la Rowling aveva pensato che
dovesse essere proprio Ronnie a tirare le cuoia, ma alla fine l’amore per il
personaggio aveva vinto e allora aveva ripiegato su Fred. Eh, no bella mia! Io ho ristabilito l’ordine cosmico, Ron è stato
ridotto ad un vegetale per ben due anni, mentre Fred è ancora vivo. Nella mia
prima Long, Ron è stato un cattivo silenzioso, qui almeno non “infangherò” la
sua memoria, non siete felici? E poi, dai, Fred
è vivo.
» 2 –
Come sapete, i genitori di Hermione sono stati spediti come un bel pacco in
Australia. Dopo la guerra, complice la situazione di Ron, lei ha impiegato
quasi due anni per ritrovarli e per ristabilire i loro ricordi. L’incantesimo
tuttavia li ha resi parecchio instabili, all’inizio, con la tendenza ad
attacchi di ansia o a dimenticarsi ancora delle loro vere identità. “Attualmente”
stanno benone, ma Hermione li usa come scusa per non stare in mezzo ai Weasley
e sentirsi in colpa perché non riesce a soffrire.
» 3 –
Indicazioni temporali: Ron è morto a metà Novembre 2002, quindi fa freddo e Victoire Weasley è già nata!
» 4 -
Se Harry non ha sofferto di PTSD, dopo la guerra, io smetto di scrivere e
vado ad allevare alpaca in Perù.
» 5 –
Ophelia! La mia cara Ophelia è già apparsa in altre due mie One-Shot,
tuttavia sarà un po’ diversa da come l’ho presentata fino a questo momento. Che
lavoro ha offerto ad Hermione? Chi è lei? Lo scopriremo solo vivendo!
Perdonatemi per i
possibili errori dovuti ad una veloce rilettura!
Il prossimo capitolo
dovrebbe arrivare lunedì.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 2 *** Atto II - Parte I/ Visite dall'Inferno ***
L’Erede del Male.
L’Inferno è vuoto e tutti i demoni sono qui! [Ariel
– La Tempesta (Atto I, Scena II) – William Shakespeare]
Atto II, Parte I – Visite
dall’Inferno.
L’incubo era stato molto più vivido di quanto non
fosse mai stato negli ultimi quattro anni1.
Voldemort lo osservava, placidamente accomodato
sulla sua poltrona d’ossa, gli occhi rossi come il sangue puntati su di lui
come se fosse stato la sua prossima preda. Era morto – Harry aveva avuto la cura di accertarsene, dopo la battaglia – eppure
lo fissava ed il gelo del suo sguardo gli faceva venire la pelle d’oca come se
fosse stato ancora lì, in carne ed ossa.
Aveva estratto la bacchetta con lentezza,
puntandogliela contro quasi con aria di scherno. Harry era disarmato, la sua
bacchetta di fenice era lontana, nascosta dove lui non poteva raggiungerla, e
non c’era nulla che potesse frapporsi a loro. Si trovavano in una stanza
piccola, con mura di pietra e soffitti molto alti, umida come se si fosse
trovata sottoterra.
L’antro di un serpente, naturalmente.
«Cosa vuoi da me, Tom?» gli chiese, cercando di
mostrarsi più spavaldo di quanto in realtà non si sentisse, raddrizzando le
spalle ed espirando dal naso una nuvoletta di vapore. Faceva freddo, i suoi
brividi però avevano tutt’altra origine. «Ti ho già ucciso una volta, sei certo
di voler ripetere l’esperienza?». La
miglior difesa era l’attacco, una tattica che Malocchio Moody
avrebbe certamente rinnegato e che il suo attuale Capo2 avrebbe
considerato come perfetto schema d’azione.
Voldemort non gli rispose, limitandosi a
sorridere. Le sue vesti scure sembravano diventare più sottili ai bordi,
dissolvendosi in quello che poteva sembrare un alone di morte. Non era reale,
non poteva esserlo, tuttavia era lì,
spaventoso com’era sempre stato. La sua bacchetta, identica a quella di Harry,
si mosse lentamente, illuminata da un bagliore verde che il Bambino Sopravvissuto conosceva fin
troppo bene e che aveva già affrontato e sconfitto due volte. Era possibile
morire in sogno? No, non in quel modo. Non a causa di un morto. Ma poteva
davvero rischiare? Poteva mettere da parte, ancora una volta, la paura?
«Tom!».
«AvadaKedavra».
Il tonfo di un corpo fece trasalire Harry e, solo
un attimo dopo, lui stesso si rese conto di essere ancora vivo – per quanto
potesse essere definita vita quella
strana realtà onirica – e di non essere stato il vero destinatario dell’anatema
che aveva appena lasciato la bacchetta del mostro. Preoccupato, si voltò,
ritrovandosi ad osservare lo sguardo vacuo di un uomo sulla sessantina, con
lunghi capelli bianchi ed il viso contratto in una smorfia d’orrore. Harry
l’aveva visto più di una volta in vari dossier dell’Ordine, ma non avendolo mai
incontrato di persona aveva dato per scontato che fosse semplicemente morto per
vecchiaia. Non conosceva il suo nome, era semplicemente uno dei tanti, ma aveva l’assoluta certezza che si trattasse di un
Mangiamorte. Uno dei più importanti3.
Perché
aveva sognato la sua morte? Quella non doveva essere una semplice
apparizione ma, piuttosto, una visione del passato. Nonostante la parte di
Horcrux in lui fosse morta da ben quattro anni, c’era ancora qualcosa, dei resti immortali, che lasciava la sua
tana nel cuore della notte, tormentando i suoi incubi come un bambino avrebbe
fatto con delle indifese formiche.
Perché
stava vedendo quella scena?
Parole incomprensibili lasciarono le labbra di
Voldemort4, incurante dell’inquietudine della sua nemesi e del
cadavere al suolo. Parole difficili, in una lingua ad Harry completamente
sconosciuta, parole che rievocavano immagini di un inferno sempre più vicino ed
inevitabile e che sembravano essere state liberate per prime dalle labbra della
Morte in persona.
Nessuno
avrebbe dovuto mai pronunciarle.
«Il dado è tratto, mia cara», conclusa la
cantilena, Voldemort sembrò esser tornato in se stesso: una creatura infermale,
ma non l’Inferno incarnato. Tornando a guardarlo, Harry lo ritrovò con un
ghigno stampato in viso, i denti affilati come tante zanne di serpente ben
scoperti in una parodia di sorriso gioioso. Era soddisfatto, mentre la sua bacchetta continuava a muoversi,
compiendo degli strani cerchi nell’aria, come per un incantesimo trappola, ma non c’era nulla che fosse
davvero trattenuto, nulla che fosse bloccato dalla magia. Nulla di visibile. «Tutto ciò che dobbiamo aspettare, adesso, è che
il ragazzo compia il suo destino».
Se c’era una cosa che Harry Potter aveva imparato
fin da bambino era che qualunque associazione dei termini ragazzo e destino fosse
generalmente riferita alla sua persona. Se quelle parole, poi, provenivano
dalla bocca del suo antagonista per eccellenza, non c’erano molti dubbi al
riguardo.
«Sì, Padrone». Una nuova voce, una voce strana, né
da uomo e né da donna, anticipò di un momento l’ingresso di una creatura
incappucciata e apparentemente molto fragile, con solo lunghi capelli color
topo che spuntavano da oltre le ombre del mantello. Le sue mani erano raccolte
e nascoste dalla tunica, il suo passo così leggero che, per un istante, Harry
si sorprese nel non vederla fluttuare. «Una volta che l’infante sarà
sacrificato e che il ragazzo avrà compiuto il suo destino, nulla impedirà la
nascita del suo Regno».
Non c’era stata alcuna emozione riconoscibile,
nella sua voce, eppure Harry riuscì a percepire la sua vittoria come se
qualcosa di estremamente gelido e viscido avesse iniziato a strisciargli sulla
pelle. Anche Voldemort dovette provare lo stesso – nonostante difficilmente una
creatura come lui avrebbe potuto provare terrore pure – perché fece una smorfia
ed accennò con il capo all’ingresso della stanza. C’era disgusto nei confronti
della creatura, nonostante sembrasse non poter fare a meno di questa per
realizzare il suo piano, qualunque questo fosse. «Non gingillarti, Tiresias. Prendi
l’Infante».
La sensazione di gelo si intensificò per un istante,
prima di sparire come se non fosse mai esistita. L’incappucciato si inchinò con
riverenza, sparendo poi oltre la porta. Con lui – o lei – sembrò sparire anche
parte dell’oscurità che aveva caratterizzato il sotterraneo da quando Harry si
era svegliato al suo interno. Era incredibile che qualcuno di cui non avesse
mai visto neppure il viso potesse ispirare più orrore di Voldemort stesso,
ancora immobile e circondato dalle sue spaventose vesti nere.
Harry iniziò a sentirsi strano, ancora preso nell’alternare
lo sguardo fra il suo acerrimo nemico ed il corpo del Mangiamorte sconosciuto
rimasto alle sue spalle, gli occhi spalancati e la bocca aperta in un urlo
d’orrore che non aveva mai lasciato la sua gola. Gli sembrava all’improvviso
d’esser finito sott’acqua, metri e metri sotto la superficie, e di esser tirato
verso l’alto da una forza molto più grande della sua, inarrestabile. Gli occhi
gli lacrimavano, la testa sembrava sul punto di scoppiargli, i polmoni
faticavano a reggere quella pressione che fino a pochi istanti prima non aveva
neppure percepito.
Si stava
svegliando, senza neppure capire il senso di quel sogno.
Come richiamato dalla sua disperazione, Tiresias l’incappucciato tornò nella piccola stanza del
sotterraneo, tenendo fra le braccia un ammasso di coperte dall’aria
incredibilmente costosa. Copertine di fine lana beige, con dei ricami fatti a
mano ed al cui interno qualcosa si muoveva, nervoso.
Il panico prese il giovane Auror,
costretto in ginocchio dal peso di quella pressione che sembrava volerlo
schiacciare, mozzandogli il fiato. L’infante
era un bambino, ovviamente. Un bambino fra le braccia della creatura di cui
anche Voldemort sembrava aver timore. Un bambino verso cui venne puntata la
bacchetta del Signore Oscuro e che all’improvviso iniziò ad urlare, disperato,
dimenandosi nella presa terribile dell’Incappucciato mentre qualcosa – qualcosa che non c’era stata,
fino a quel momento, qualcosa di inconsistente eppure visibile, qualcosa di
orribile ed innocuo al tempo stesso, qualcosa che era pura malvagità – vorticava furiosamente verso il suo piccolo petto,
attraversandolo come il più affilato dei pugnali e scomparendo al suo interno,
mischiandosi con ciò che già l’aveva occupato e creando qualcosa di nuovo.
Qualcosa
di orribile.
L’urlo di Harry risultò muto, mentre si sentiva
violentemente tirare verso l’alto e, al tempo stesso, spingere con più forza al
suolo, ed il ghigno di Lord Voldemort lo accompagnò nel suo ritorno alla
coscienza, mentre una terrorizzata Ginny tentava
disperatamente di impedirgli di strapparsi la cicatrice con le unghie.
L’Infante.
«Harry! Harry, calmati» provò a calmarlo la
giovane, accarezzandogli il viso come avrebbe fatto sua madre, se solo lui
l’avesse conosciuta. «Va tutto bene, siamo al sicuro, va tutto bene» continuò a
dirgli, passandogli le braccia intorno al busto, nono appena lui smise di
tentare di farsi del male, e tenendolo stretto a sé, quasi soffocandolo. Il fatto
che lui non volesse risponderle, nonostante la violenza di quella stretta,
sembrava non far altro che preoccuparla di più.
Tiresias.
«Maledizione, Potter!» sbraitò allora, mollando la
presa da una mano solo per poterlo schiaffeggiare, riuscendo finalmente ad
attirare il suo sguardo su di lei. L’orrore che dovette leggervi sembrò
paralizzarla per un istante, ma si riprese abbastanza velocemente. «Cosa
succede? Cos’hai sognato? È Hermione?».
Hermione, la sua
amica scomparsa ormai due anni prima. Hermione, che doveva raggiungerli alla
Tana ma che non era mai arrivata. No, non era Hermione che aveva sognato, ma
non sapeva se dirsene sollevato o spaventato.
Un
Horcrux5.
«Ce n’è un altro».
***
Draco Malfoy era sempre stato un giovane uomo
posato, soprattutto quando la guerra era finita e lui si era ritrovato a dover
gettare le basi per la sua fortuna.
Non c’era più stato un buon nome da difendere, ma un pessimo nome da ripristinare. Non c’era più stata la ricchezza
della sua famiglia a sostenere delle scelte di vita discutibili, ma solo il suo
fiuto per gli affari – miracolosamente ereditato da sua madre e, con buone
probabilità, dal suo prozio Orsolon Malfoy, fondatore
della più grande compagnia di assicurazioni del mondo magico e fautore di buona
parte di quello che era stato il contenuto della sua camera blindata – ed
un’ambizione che Salazar avrebbe approvato concedendogli un applauso ed una
pacca sulla spalla.
Tuttavia, quando Draco tornò a casa sua – una
deliziosa casetta su due piani vicino Piccadilly
Street – e si ritrovò davanti quello che ai suoi occhi dovette sembrare un
fantasma, perse tutto il suo contegno e fece un urlo a dir poco infantile, lasciando cadere le buste
della spesa ed arretrando fino a ritrovarsi con le spalle alla porta ed il
cuore fuggito via dal suo petto, probabilmente giunto in pochi secondi
dall’altra parte del globo.
«Non hai mai brillato per coraggio, Draco, ma così
mi sembra un po’ troppo anche per i tuoi standard» commentò Hermione Granger,
osservandolo con un sorriso nascosto sotto un’espressione falsamente
preoccupata, le braccia incrociate e la tranquillità di chi fosse perfettamente
a suo agio in casa d’estranei. Era profondamente cambiata dal loro ultimo incontro,
al funerale di Ronald Weasley, e non solo fisicamente. Era cresciuta, era
diventata una donna ormai ben fuori dall’adolescenza, i suoi capelli non erano
più lunghi e cespugliosi ma cortissimi ed ordinati, il viso coperto da un
leggerissimo strato di trucco per armonizzarsi con le labbra tinte di un rosso
intenso. A sorprendere Draco, tuttavia, non era stato tanto l’aspetto fisico
quanto, piuttosto, il suo atteggiamento.
Era seduta sulla sua poltrona preferita come se ne
fosse stata la padrona, lo osservava con un certo divertimento e con
superiorità – cosa che aveva sempre fatto, anche ai tempi della scuola – ma non
per fargli capire che lei fosse
migliore, piuttosto poiché era impossibile affermare che non lo fosse. Era
sicura, ferma, non più pronta a correre dietro il primo libro disponibile per
cercare delle risposte.
Difficile capire come Draco avesse fatto a leggere
così tanto di lei al solo guardarla – lui che non le era mai stato davvero
amico - ma c’era riuscito e dubitava
fortemente che qualcosa avrebbe smentito le sue deduzioni. Forse avrebbe potuto
scoprire qualcosa in più,
addirittura.
«Non sono mai stato coraggioso, no, ma concorderai
con me nel dire che non sia cosa di tutti i giorni trovarsi davanti qualcuno
che si riteneva… beh, morto» le fece
notare, accigliandosi e tirando fuori la bacchetta per riordinare la spesa
tragicamente sparsa sul pavimento. Doveva davvero impiegare un elfo domestico,
quelli che erano appartenuti alla famiglia erano stati trasferiti altrove nel
momento in cui il Ministero si era appropriato di buona parte delle sue
sostanze. «A proposito, hai un colorito eccellente per qualcuno che è stato
nell’aldilà per due anni. Poiché, ovviamente, quella è l’unica spiegazione che
potrebbe razionalmente giustificare la tua scomparsa
ed il modo indecente in cui Potter ha
perso la testa per cercarti».
Per un istante, lo sguardo tranquillo della donna
sembrò oscurarsi per la preoccupazione. Fu un battito di ciglia, nulla di più,
eppure Draco riuscì a cogliere tutto il senso di colpa che doveva averla
attanagliata nel tempo trascorso lontano da Londra. Lei sapeva cos’era successo al suo migliore amico, durante la sua
sparizione. Sapeva quanto orribile
era stata la sua reazione e quanto aveva sofferto, quando il Ministero si era
rifiutato di perpetrare le ricerche. Lo
sapeva eppure non era tornata.
«Sono stata impossibilitata a comunicare la mia
posizione» spiegò allora lei, tentennando ed iniziando a guardarsi intorno con
aria ansiosa, quasi i mobili di Draco avessero potuto darle una risposta che
fosse soddisfacente e che non la facesse passare per l’egoista che, in effetti,
Draco stesso riteneva fosse. Sparire senza lasciare traccia sarebbe stato
giustificabile per lui, non per lei.
Non per l’eroina di guerra.
«Non potevi mandare un gufo e far sapere a Potter
che eri viva?». Naturalmente, Malfoy non era intenzionato ad accettare quella
becera imitazione di una giustificazione come se fosse buona. Era un Serpeverde, aveva imparato molto presto che le
informazioni più succose erano quelle che un soggetto non poteva divulgare. E
la Granger doveva avere delle informazioni parecchio importanti, per
comportarsi in quel modo tanto strano. «Andiamo, Mezzosangue! Ho appena visto
il tuo amichetto correre per il Ministero con la faccia di un indemoniato,
dubito fortemente tu sia già stata da lui. Se sei qui da me deve esserci una
ragione ben più che valida». Assottigliò lo sguardo, fissandola con preoccupata
curiosità. «Cosa vuoi?».
Il momento di silenzio che seguì alla sua
esortazione gli fece venire i brividi. Per un istante, Draco pensò che avrebbe
fatto bene a voltarle le spalle e andarsene molto
lontano, se restò fu soltanto perché quella era casa sua e perché aveva
promesso a se stesso che non si sarebbe mai più comportato come un bambino
spaventato, nonostante quanto, effettivamente, fosse pietrificato.
Con lentezza estenuante, Hermione si alzò in
piedi, lisciando le pieghe dei pantaloni del tailleur che stava indossando.
Sembrava non volerlo guardare negli occhi, cosa che lo terrorizzava anche più
di prima. «Sono qui perché devo darti una notizia» mormorò, facendogli cenno di
accomodarsi nella poltrona che fronteggiava la sua preferita, su cui era stata
seduta lei fino a quel momento. Il suo sguardo la diceva lunga su quanto belle dovessero essere le notizie che
era stata incaricata di dargli.
«Mezzosangue?».
«Siediti, Draco» insistette, con tono che non
ammetteva repliche, osservandolo fisso finché lui non la accontentò. C’era
qualcosa, nel modo in cui si muoveva, che lo stava riempiendo d’angoscia. Una
volta sistemato lui, Hermione tornò ad accomodarsi, allungando la mano nella
interna della giacca e tirandone fuori un distintivo. Il Pentacolo di Lilith. «Come credo tu abbia intuito, adesso sono
una Banshee, ma no, non sono venuta
qui per arrestarti».
Banshee6, nome in
codice per la sezione speciale dei Corpi di Sicurezza della Confederazione
magica Internazionale, un gruppo di streghe – nei tempi recenti erano stati
assunti anche maghi, in realtà, ma la denominazione era rimasta femminile – il
cui compito era sempre stato quello di assistere i vari Stati parte della
Confederazione nelle questioni che avrebbero potuto mettere a rischio
l’equilibrio dell’intero Mondo Magico. Le chiamavano Banshee perché, fin dai
tempi della strage di Salem – quando il Corpo era stato fondato – il loro
compito era stato sostanzialmente assimilabile a quello di sicari altamente
specializzati. Una volta vista una Banshee, nessuno aveva mai avuto la
possibilità di tornare in libertà per raccontarlo o, addirittura, di
sopravvivere abbastanza a lungo per pensarci.
Hermione Granger era una diventata una Banshee,
per quel motivo era sparita nel nulla, due anni prima.
Le
Banshee non esistevano.
Hermione Granger era tornata per lui.
«Cos’è successo? Cosa vuoi da me?».
«Mi dispiace, Draco. Durante una missione per il
recupero di informazioni abbiamo trovato…» si fermò, abbassando lo sguardo e
perdendo qualche istante per riporre il distintivo nella tasca interna. Prese
fiato, poi, raddrizzando le spalle come a volersi dare coraggio. «Eravamo in
Germania per seguire una pista, ma abbiamo trovato una stanza piena di cadaveri
di vecchi Mangiamorte pentiti ed emigrati».
L’orrore che provò in quell’istante gli fece
stringere lo stomaco in una presa gelida. «Granger…».
«I tuoi genitori erano fra questi, Draco. A nome
della Confederazione Magica Internazionale, ti pongo le nostre sentite
condoglianze».
Gli erano servite un paio d’ore, prima di poter
articolare un discorso che fosse finito e sensato. Hermione non si era mossa
dal suo fianco e gli aveva riempito il bicchiere ogni volta che lui l’aveva
svuotato d’un colpo solo. Fortunatamente era sempre stato bravo a gestire
l’alcool, altrimenti non avrebbe potuto interrogarla come realmente voleva fare
o, comunque, non sarebbe stato abbastanza lucido da comprendere le risposte.
«Sei diventata una banshee due anni fa?» le
chiese, poggiando la testa al bracciolo del divano, dopo essersi disteso senza
prima preoccuparsi di fare gli onori di casa. C’erano ottime possibilità che
quella donna avesse già fatto il giro di tutte le stanze, cercando anche nel
suo cassetto segreto. «Immagino sia
stato il giorno del funerale di Weasley, stando a Potter è stata l’ultima volta
in cui ti hanno vista».
La osservò annuire con un occhio solo, poiché
aprire anche l’altro avrebbe significato cedere ad un mal di testa a dir poco
spaventoso. Si era accomodata nuovamente nella sua poltrona preferita, ma sembrava molto meno tranquilla e sicura
di sé, in quel momento. Erano arrivati alla resa dei conti, infine.
«Sono stata avvicinata dopo aver parlato con te.
So che Harry ti ha fatto mettere sotto inchiesta, mi dispiace» gli rispose,
osservando con particolare attenzione il quadro appeso alla sua sinistra: si
trattava del ritratto che Lucius aveva fatto fare al
suo fidato levriero irlandese, Fido,
che in quel momento dormicchiava felice poggiato contro la cornice. «Il
Ministro è intervenuto per calmare le acque, immagino. L’ultima volta che l’ho
visto mi ha assicurato che non ci fossero state gravi conseguenze alla mia
scomparsa. Purtroppo l’addestramento ha come presupposto fondamentale l’aver tagliato
tutti i ponti. Nessuno deve sapere di noi, non durante la preparazione».
Le tempie di Draco sembravano aver iniziato a
pulsare furiosamente. L’unica certezza, in quel momento, era che la Granger
fosse parecchio nervosa all’idea di parlare con il suo vecchio amico. «Potter
mi è rimasto alle calcagna per mesi.
Credo sia solo grazie alla Piattola Weasley se non ha continuato a tallonarmi
per tutti i due anni» insistette allora lui, serio. «L’intervento di
Shacklebolt è stato l’unica ragione per cui le ricerche si sono concluse,
Mezzosangue. Lui era disperato». Aprì
entrambi gli occhi, per poter sottolineare di più quanto esasperato si sentisse
in quel momento. «Se sei venuta qui, significa che il tuo periodo
d’addestramento è concluso e che puoi riprendere i rapporti umani. Mi auguro tu
abbia il buonsenso di andare da lui ad implorare il suo perdono. Il Ministro
aveva ragione, non ci sono state conseguenze gravi a livello politico e sociale, ma…» strinse per un istante le
labbra, tornando a coprirsi gli occhi con il braccio. «Per quanto io detesti
prendere le parti di Potter, l’hai ridotto un vero straccio. Una spiegazione è il minimo».
Nervosa, Hermione si rialzò, camminando qualche
istante per la stanza. Sembrava combattuta, ma, sinceramente, a lui non poteva
importare di meno.
«Sono venuta qui solo perché l’Indagine è affidata
alla mia squadra ed ho ritenuto fosse preferibile che fosse un viso conosciuto
a darti la notizia. Noi non siamo amici, Malfoy» precisò, con una premura
alquanto fuori luogo. «Non puoi permetterti di darmi consigli su come gestire
la mia vita».
«Ehi, ehi» sempre senza guardarla, Draco sollevò
il braccio libero in un cenno di resa. «Non scaldarti, Mezzosangue, io non
voglio darti alcun consiglio e sicuramente
non voglio essere tuo amico. Ti sto solo facendo capire che non potrai tornare
a sparire e lasciare quel disgraziato in preda ai suoi demoni. Io non ho
intenzione di tenere alcun segreto, non appena mi passerà questa sbronza
colossale andrò dritto da Potterino e gli sbatterò in
faccia i ricordi di questa conversazione. Mi ha tormentato per settimane ed ancora oggi mi parla alle
spalle, da bravo Grifondoro. Io non ho la minima intenzione di sopportare altri soprusi da parte sua. Dirgli quanto
crudele tu sia stata, sparendo nel nulla nel momento di massimo bisogno, sarà
la più grande soddisfazione della mia esistenza».
Draco non la vide estrarre la bacchetta,
semplicemente se la trovò puntata contro il naso, mentre la proprietaria fumava
rabbia da qualsiasi orifizio del viso e lo fissava come se fosse stato la più
orribile caccola di troll mai passata per il Regno Unito.
Orgoglio
Grifondoro, era ancora ben presente.
«Tu non dirai una parola di tutto questo ad Harry.
Non una parola».
«Credevo che le Banshee fossero famose per il loro
sangue freddo. Basta una semplice provocazione a farti scattare così, Granger?
Wow, dev’essere vero che ormai accettano qualunque tipo di plebaglia. E pensare
che delle grandissime streghe di ottima famiglia sono state rifiutate perché non in possesso dei requisiti» le disse,
sarcastico, ottenendo solo che la bacchetta fosse premuta con maggiore forza
contro il suo naso. Qualche altro millimetro e gliel’avrebbe rotto, rovinando
per sempre il suo perfetto profilo Black.
Non poteva fare un torto tanto grande a sua madre.
E non poteva neppure pensare a sua
madre, perché altrimenti l’effetto anestetico degli alcolici sarebbe finito e
si sarebbe ritrovato piegato in due per gli spasmi del pianto e della nausea.
Concentrazione.
«So bene di dover affrontare il mio migliore
amico, Malfoy» riprese la Granger, la voce ridotta ad un sibilo furioso. «Non
ti permetterò di rovinare quel po’ che ancora mi resta da salvare. Credi sia
stato facile, per me, superare un terribile addestramento pur avendo la
consapevolezza che ogni ora fosse un
chiodo in più nel cuore di Harry? Ho temuto di averlo ucciso per almeno un mese
e probabilmente avrei rinunciato a tutto, se il mio Superiore non mi avesse
rassicurata sulla sua salute, quantomeno fisica». Arretrò di un paio di passi,
passandosi la mano libera fra i corti capelli corti. «Ho concluso il periodo
d’addestramento una settimana fa e sono subito partita in missione. Quando il
Superiore mi ha comunicato che la mia squadra avrebbe collaborato con gli Auror, ho chiesto il permesso di uscire allo scoperto».
«Se non ti avessero dato il permesso ti saresti
attenuta alle regole, da brava ragazza?» le chiese, osservandola con aria
curiosa. La Granger era sempre stata un tipo un po’ particolare, quando si
arrivava alle regole. Poteva passare dall’esserne una fan sfegatata al
diventare ben peggiore dei gemelli Weasley nel giro di un battito di ciglia.
Lui era stato uno spettatore di prima fila, durante il suo conflittuale
rapporto con Dolores Umbridge, quando i doveri da
prefetto si mischiavano alle pulsioni ribelli.
Il sorriso che lei gli dedicò lo fece
rabbrividire. «Oh, ho imparato un po’ di cose, nel corso del mio addestramento.
Avrei trovato il modo di sgattaiolare via per un paio di ore e scambiare
quattro chiacchiere con lui. Fortunatamente, comunque, il mio Superiore ha
riconosciuto quanto assurdo fosse l’idea di mantenere questo segreto e mi ha
concesso di tornare a casa. Dopotutto, dovrò lavorare a stretto contatto con
tutto l’Ufficio Auror ed Harry è ormai un pezzo
grosso».
«Non esserne tanto sicura di te, Granger. Stai
dando per scontato che lui voglia collaborare.
O che addirittura voglia parlarti. Al suo posto, io ti lancerei una bella
maledizione ed intimerei a chi di dovere di cambiare squadra. Ti ritieni così
brava da poter sfuggire al Bambino Sopravvissuto? Lui ha fatto fuori il Signore
Oscuro» le fece notare, divertito. «Fammi sapere come va a finire, poi. E
scattagli una foto nel momento in cui ti vedrà, voglio provare ad individuare
l’istante esatto in cui il suo cuore smetterà del tutto di funzionare». Il peso
delicato di una piccola ampolla gli cadde sullo stomaco, facendogli aprire gli
occhi con parecchia riluttanza. Era una pozione ambrata, dall’aria
apparentemente invitante ma che lui sapeva
essere più amara del veleno. «Una pozione contro il post-sbronza?».
«Mi sono permessa di prenderla dalle tue scorte
personali. Bevila e datti una sistemata, Harry ed altri ci stanno aspettando al
Ministero. Sì, tu vieni con me».
Le sopracciglia di Malfoy si corrugarono, mentre
osservava la strega con la migliore fra le sue espressioni poco convinte. «Di
grazia, perché dovrei venire in un luogo in cui non sono il benvenuto, con persone che mi odiano ed insieme a te, che sei stata considerata morta per due
anni?» le chiese, tentato di buttare via la fialetta e darle le spalle per
farsi un più che meritato riposino.
«Perché, nonostante possa sembrare che tu non
abbia realizzato, in realtà sei pieno di rabbia al pensiero di cos’è successo
ai tuoi genitori e muori dalla voglia di scoprire perché e, soprattutto, chi
è stato».
L’imprecazione che gli sfuggì, mentre apriva
l’ampollina, la fece sorridere.
Maledetta
vipera.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati,
cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Eccomi di nuovo con
il primo, vero capitolo della storia.
Qui avete incontrato il vero cattivo e ci sono stati dei ritorni decisamente
inaspettati. Hermione era sparita nel nulla, Harry ha dato di matto e Malfoy ha
dovuto patire in relativo silenzio per due interi anni.
Cosa succederà?
Punti importanti:
» 1
– Indicazioni temporali: ci troviamo a quattro anni di distanza dalla
battaglia di Hogwarts, nell’ottobre del 2002. Sono passati quasi due anni dalla
morte di Ron e dalla scomparsa di Hermione. Lei, infatti, dopo essere stata
avvicinata da Ophelia il giorno del funerale, è sparita nel nulla, fino a
questo momento. Perché? Si scoprirà strada facendo, non temete.
» 2
– L’attuale Capo di Harry è Marius Tanner, un Auror della vecchia guardia che aveva lavorato per anni con
Malocchio Moody. Si era ritirato prematuramente dal
lavoro durante l’ultimo anno di Caramell, non
concordando con le visioni del Ministero, ma è ritornato durante la guerra per
partecipare alle azioni dell’Ordine. Avendo una certa età, ha già programmato
di andare in pensione entro giugno seguente e lasciare il suo posto al
signorino Sopravvissuto. Proprio grazie a Tanner, Harry
ha potuto limitare a due anni la durata dell’Accademia, diventando Auror poco prima che Ron morisse.
» 3
– Chi è? Non è ancora il momento di saperlo. Si tratta di qualcuno che non ha
partecipato alla Battaglia di Hogwarts e che si è perso buona parte degli
avvenimenti del settimo libro, ma non posso dare dettagli. Sappiate che, come
credo si sia capito, questo scorcio del passato è ambientato più o meno sei
mesi prima della morte di Silente.
» 4
- Non sappiamo nulla su come si creano gli Horcrux, quindi ho ipotizzato
ci sia un qualche incantesimo in una lingua sconosciuta capace di “intrappolare”
un pezzo d’anima fuori dal corpo, così che possa essere trasferita. In questo
caso, naturalmente, nel corpo “dell’Infante”
» 5
– Sì, un altro Horcrux. In teoria non sarebbe possibile, Voldemort era già
particolarmente instabile, ma in questo caso ci sono state circostanze speciali
che hanno consentito che si potesse svolgere la procedura, cosa che,
naturalmente, giustifica il fatto che Voldemort sia effettivamente morto durante
la battaglia di Hogwarts. Si capirà tutto col tempo, tranquilli.
» 6 –
Cosa sono le Banshee? La tradizione irlandese le considera spiriti di donne
morte di parto che urlano nel cuore della notte quando un membro della loro
famiglia muore o sta per morire. Sono cattivi presagi, naturalmente, perché chi
le ascolta sa per certo che lui o uno dei suoi cari sono destinati alla tomba.
Durante la “Purga di Salem” – ancora, ci saranno nuovi dettagli più avanti – la
Confederazione Magica Internazionale ha creato questo Corpo Speciale
inizialmente formato solo da cinque streghe (per gruppo, ovviamente) con lo
scopo di eliminare alla radice qualunque minaccia per l’esistenza del mondo
magico. Il nome originale era diverso, ma nessuno riesce a ricordarlo poiché
sostituito quasi subito con Banshee. Le squadre in questione sono intervenute,
in segreto, nei maggiori conflitti internazionali, anche nello scontro con il
caro Gellert (Queenie era una Banshee, shhh) e nella Battaglia di Hogwarts (nel prossimo capitolo
vedrete).
» Tiresias. Per adesso dico solo: la mitologia greca torna di
prepotenza.
Grazie mille a tutti
coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e
che continuerete a seguirmi!
A lunedì prossimo con l’aggiornamento!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 3 *** Atto II - Parte II/Lazzaro risorge ***
L’Erede del Male.
“E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!».
Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto
coperto da un sudario.
Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».” [Bibbia
– Giovanni 11, 43-44]
Atto II, Parte II – Lazzaro
risorge.
Harry James Potter aveva visto molte cose nella
sua giovane vita. Aveva assistito alla prima caduta di un Signore Oscuro, alla
sua rinascita ed alla sua morte definitiva. Aveva assistito ad orrori
inimmaginabili e, in quanto Auror, la sua vita sembrava voler continuare a
seguire quella strada fatta di assurdità ed eventi agghiaccianti. Faceva parte
di una squadra speciale, i suoi compagni cambiavano in continuazione e non
sempre per cause completamente estranee al suo comportamento. Era stato
dichiarato “peggiore e migliore Auror mai passato per il Ministero” e la sua
reputazione era ben più che meritata: non c’era stata una sola persona che,
negli ultimi due anni, aveva digerito il suo comportamento nevrotico, infantile
e spesso ai limiti dello psicotico.
Non tutti
erano pronti a lasciarci le penne, in missione.
Proprio per quel motivo, quando quel pomeriggio
venne convocato nell’Ufficio del Ministro Shacklebolt, non si preoccupò più di
tanto del motivo di quell’incontro inaspettato. Se proprio doveva essere
sincero, gli incontri con il vecchio Kingsley erano fra i pochi momenti in cui
riusciva ancora a sentirsi se stesso e non un burattino nelle mani di un
destino bastardo. Se anche quel giorno avesse voluto parlargli per
rimproverarlo del suo comportamento riprovevole, lui non si sarebbe
preoccupato. A dirla tutta, avrebbe approfittato per confidargli qualcosa del
suo ultimo incubo1.
Sorrise amaramente, mentre appariva in uno dei
camini dell’Atrium del Ministero, scansando per un pelo un maghetto dall’aria
buffa che sembrava non averlo visto e, un attimo dopo, una giovane donna dai
tratti marcati. Fino a due anni prima avrebbe potuto parlare del suo problema
con Hermione, oppure con Ron. Prima ancora avrebbe avuto anche Silente, Sirius
o Remus. In quel momento, invece, non aveva altri che il Ministro della Magia,
troppo preso dal tentare di risollevare le sorti del Mondo Magico per perdere
il suo tempo nel disperato tentativo di assistere l’ex Golden Boy nella sua perpetua ricerca della pace interiore.
«Buon pomeriggio, Signor Potter» lo salutò una
giovane impiegata dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale.
Sembrava una brutta copia di Percy ai tempi della scuola, così… rigida e seria, gli ricordava in modo
inquietante i momenti in cui la Professoressa McGranitt decideva di spaventare
i suoi studenti: stessa espressione, stesso tono di voce, stesso chignon. Il
fatto che gli avesse rivolto la parola doveva essere un segno di sventura,
senza dubbio.
Resistendo alla tentazione di toccare legno2
come scongiuro, Harry si sforzò di sorriderle e fare un cenno del capo.
«Signorina Peregrine, buon pomeriggio anche a lei» le augurò, sperando che detto
pomeriggio potesse trascorrerlo il quanto più lontano possibile dalla sua
persona, magari infestando qualche casa abbandonata o un cimitero buio. A dirla
tutta, l’avrebbe vista bene in cima ad una collina, di notte, ad urlare per la
perdita di un qualche familiare.
Sì, Miss
Peregrine sembrava proprio una Banshee. Ed Harry Potter odiava le Banshee per due ragioni
specifiche: prima di tutto, la sua fidanzata era di origine irlandese3
e gli aveva intaccato un sacro terrore di quelle creature oscure, poi,
naturalmente, c’era il piccolissimo dettaglio che la sua famiglia fosse già
stata più che decimata e che, in effetti, trovarsi una di quelle cose davanti o, peggio, sentirne l’urlo
non avrebbe potuto far altro che peggiorare ulteriormente una situazione di
partenza che era già tragica.
«Non è un buon pomeriggio» si lagnò la donna,
arricciando il naso adunco come se lui le avesse appena sputato sulle scarpe.
Era evidente che avesse atteso solo il momento giusto per iniziare a blaterare
sui suoi problemi. «Il Ministro ha incaricato il mio Ufficio di sbrigare delle
faccende della massima importanza a
Ginevra, dobbiamo partire entro un’ora! E non abbiamo avuto neppure un paio di
giorni di preavviso, nonostante la circolare 12/b sia chiarissima al riguardo! Nessuna missione internazionale può essere
svolta, salvi casi di necessità e sicurezza internazionale, senza che sia stata
data previa comunicazione di almeno tre
giorni ai dipendenti interessati!».
Harry riuscì a reprimere una smorfia annoiata solo
per forza di volontà. Era stato fortunato ad aver avuto rapporti con Percy
negli ultimi quattro anni, lo avevano aiutato incredibilmente a temprare la
propria resistenza al tedio. «Immagino si tratti di una questione di grande
rilevanza, altrimenti il Ministro non avrebbe violato il regolamento» le fece
quindi notare, con una gentilezza che davvero era forzata. Aveva voglia di prendere a schiaffi se stesso e darsi del
bugiardo. Dopo aver pronunciato quelle parole, tuttavia, si accigliò. Questioni di grande rilevanza, tali da
mandare in Missione quasi un Ufficio intero e senza il minimo preavviso, unite
alla sua convocazione straordinaria dal Ministro potevano solo significare enormi guai in vista. Guai che
richiedevano l’intervento non solo degli Auror ma, nello specifico, del Golden Boy.
Maledetta Peregrine, era riuscita a rovinargli
l’umore – già pessimo – ed il resto
della giornata. Quella che si sarebbe dovuta limitare ad essere una
chiacchierata di rimprovero, conclusa magari con la promessa di terrorizzare
meno persone nel prossimo futuro, rischiava di evolversi in una missione
potenzialmente suicida per la quale Ginny lo avrebbe riempito di preoccupazioni
e che si sarebbe presto tramutata in un’altra fonte di ansia ed incubi per la
sua mente già profondamente turbata. Per quanto assurdo, Harry non poteva che
incolpare la Peregrine ed il suo dannato aspetto da uccello del malaugurio.
La donna, con una smorfia, spinse uno dei pulsanti
dell’ascensore, lasciando che le porte rinchiudessero entrambi in quello spazio
angusto. Non sembrava volergli prestare grande importanza, probabilmente perché
riusciva a percepire le sue vibrazioni negative già a quella distanza. Quando
parlò, lo fece con l’espressione di qualcuno che stava facendo un gran favore
al mondo soltanto esistendo. «Mi auguro che si risolva tutto presto, giovedì il
Club di Gobbiglie del Ministero ha una competizione importantissima che io non
posso davvero perdermi». L’ascensore si fermò e, un attimo dopo, la solita voce
metallica annunciò il Primo Livello. «Non è arrivato, Signor Potter?» gli
chiese poi, quasi avesse voluto rimproverarlo di non essere scattato immediatamente,
magari balzando via come una gazzella nella savana.
Masticando degli insulti, Harry si fece avanti,
voltandosi per un istante e solo per
non apparire più maleducato di quanto già non fosse nell’immaginario
collettivo. Un uomo capace di scacciare anche gli Auror più pazienti non poteva
che essere considerato tale, no? «Arrivederci, Signorina Peregrine» la salutò,
piegando leggermente il capo. «Le auguro una buona missione ed un buon viaggio»
aggiunse, rammentando a se stesso che fare gli scongiuri proprio lì, davanti a
lei, non avrebbe fatto altro che scatenarla ancora di più, portandogli solo
rogna di ogni genere.
«Ah, sono certa che sarà un viaggio terribile! Odio le Passaporte!».
Quando l’ascensore si allontanò, proseguendo la
sua discesa, Harry lasciò andare un sospiro esasperato. Quella tranquillità con
cui era arrivato al Ministero era ormai sparita e non c’era più nulla ad
attirarlo verso la porta alla fine del lungo e scuro corridoio, neppure il
pensiero che potesse trattarsi di una missione effettivamente interessante e
capace di impegnare la sua mente abbastanza da distrarlo dalla spirale di
autocommiserazione e ribellione adolescenziale tardiva in cui era caduto.
Cos’aveva detto lo psicologo? Conseguenze
dello Stress Post Traumatico. Personalmente, lui preferiva la diagnosi del
suo Superiore, il Capo Auror Tanner: noia
e solitudine.
Il Livello riservato agli uffici del Ministro e
dei suoi assistenti era profondamente diverso rispetto alla prima volta che
Harry l’aveva visitato, ai tempi di Caramell. C’erano molte più persone che
correvano qui e lì – tutte con uno scopo e tutte in silenzio, Kingsley restava
pur sempre un ex Auror – e le luci erano molto più forti e calde, così da non
dare l’impressione di trovarsi nei sotterranei di un castello degli orrori. Il
clima era solitamente gioviale, nonostante quel pomeriggio sembrassero tutti
presi da qualcosa di nuovo, qualcosa che Harry non conosceva e che tutti gli
altri morivano dalla voglia di conoscere meglio.
Cosa
stava succedendo?
Una delle assistenti di Kingsley, che Harry
conosceva fin troppo bene, lo raggiunse non appena lo vide avvicinarsi, sorridendogli.
Hannah Abbott, fidanzata storica di Neville e – anche se Harry non l’avrebbe mai ammesso davanti a sua suocera –
migliore pasticcera che avesse mai conosciuto in vita sua, era una delle poche
persone che il giovane Auror incontrava volentieri, al Ministero. Era sempre
così allegra e tranquilla da
risultare piacevole come un balsamo per il cuore di chiunque. «Ciao, Harry» lo
salutò, gentile, avvicinandosi per abbracciarlo brevemente e poi trascinarlo
verso la porta dell’ufficio di Shacklebolt. «Il Ministro ed i suoi ospiti ti
stanno aspettando. Per fortuna sei arrivato prima che fossero al completo, il
Capo aveva minacciato di licenziarti» gli comunicò, con un tono talmente serio
che, per un istante, anche lui si preoccupò.
Nessuno era tanto stupido da non prendere sul
serio le minacce di Kingsley, sicuramente non lui.
«Sono stato in ascensore con la Peregrine, ho già
avuto la mia parte di orrori per oggi» le rispose, con una smorfia,
raddrizzando le spalle mentre l’amica gli sistemava il nodo della cravatta,
naturalmente storto. Per quanto si sforzasse di uscire di casa in ordine, in un
modo o nell’altro riusciva sempre ad apparire più sconvolto di quanto non fosse
davvero. «Ehi, cosa sta succedendo in questo posto? Sembra che tutti stiano
camminando su pezzi di vetro, tanto sono nervosi» le domandò poi, accigliato,
voltandosi giusto in tempo per poter osservare due archivisti passare proprio
lì vicino e tentare di origliare qualcosa della conversazione che si stava
svolgendo all’interno.
Hannah accennò un sorriso imbarazzato,
intrecciando le mani all’altezza del petto con aria nervosa. «Abbiamo ricevuto
visite inaspettate, per questo anche
tu sei qui. Il Ministro non era così nervoso dai tempi del Tribunale di
Hogwarts4, non so se hai presente». L’ironia era evidente nel suo
tono: Harry era stato uno dei protagonisti della serie di processi seguiti alla
Battaglia del ’98, nessuno più di lui poteva ricordare lo stato di terrore ed
ansia che aveva caratterizzato il mondo magico nel periodo. Kingsley si era
ritrovato a dover gestire una società a pezzi, senza un centro di potere che
fosse degno di tale nome e completamente nel caos. «Ricordi il periodo di
sorveglianza cui siamo stati sottoposti? Ricordi quei maghi della Conferenza
Magica Internazionale che sono stati mandati per tenerci d’occhio? All’epoca
avevano detto un po’ a tutti che fossero dei semplici funzionari stranieri».
Harry annuì, stringendo le labbra. Ricordava benissimo quei tizi inquietanti. C’era
un mago americano che l’aveva perseguitato per tutte le otto settimane che era
rimasto a Londra, chiedendogli dettagli sulla battaglia e facendo strane
insinuazioni che più di una volta gli avevano fatto perdere la testa. Una sua
collega russa aveva perseguitato Hermione, ma lei era sempre stata molto più
pacata di lui. «Naturalmente. Sono tornati? Siamo di nuovo sotto esame?».
Fulminato da un pensiero improvviso, si irrigidì. «Ti prego, dimmi che non si è
presentata una qualche crisi internazionale che ci costringerà a partire con
l’Ufficio per la Cooperazione, anche Peregrine sta partendo. Qualunque cosa la
coinvolga non può che finire tragicamente».
Il modo in cui la giovane strinse i denti non gli
piacque affatto. «Non erano dei semplici funzionari,
Harry, erano degli agenti speciali, sono chiamati Banshee, credo che al corso
vi abbiano spiegato qualcosa» mormorò, guardandosi intorno per assicurarsi di
non essere ascoltata. «Il Ministro diceva sempre che la loro presenza qui era
la peggiore delle vergogne per tutti gli Auror perché implicava che non foste
capaci di mantenere la pace da soli. Quando sono andati via è stato un
sollievo, era la dimostrazione palese che i guai per noi fossero finiti, ma ora
che sono tornati…».
Banshee. Solo il
nome fece rabbrividire Harry. Il periodo breve che il Signor Aldrige – il suo
istruttore all’Accademia – aveva impiegato per parlare di quel Corpo Speciale
ai Cadetti era stato terrificante, condito di omicidi politici coperti nel più
magistrale dei modi, rivoluzioni silenziose e spargimenti di sangue così ben
nascosti da far dubitare persino che fossero mai accaduti. Le Banshee, che solo
negli ultimi vent’anni avevano iniziato ad accettare uomini, erano sinonimi di
morte quasi quanto il Gramo, con la leggera differenza dell’agire nel rispetto
della legge. Ovunque andassero, gli orrori erano talmente grandi che una strage
riusciva sempre ad apparire come il male minore. Quel sacro timore che Aldrige
aveva tentato di instillare in tutti loro era diventato pura superstizione e
l’idea di averne avuti fra i piedi senza esserne consapevoli, unita alla
possibilità che alcuni fossero con il Ministro – attendendo proprio lui – lo
terrorizzava.
«Quanto pensi sia grave?» fu tutto ciò che le
chiese, cominciando ad occhieggiare in direzione della porta con un filino
d’ansia in più. La Peregrine gli aveva decisamente rovinato la giornata. Ginny
avrebbe fatto bene ad essere pronta a sopportare i suoi lamenti per ore e ore,
altrimenti avrebbe davvero dato di matto prima della fine della settimana.
«Non lo so, ma credo proprio tu debba entrare. Sei
in ritardo di sette minuti e poco fa Tiffany è uscita da quella stanza praticamente
in lacrime. Non puoi più farlo aspettare». Hannah gli diede una incoraggiante
stretta alla spalla, sorridendogli in modo così gentile da non lasciargli alcun
dubbio sul perché Neville si fosse tanto innamorato di lei. Era l’equivalente
umano di un rotolo alla cannella5 ed il suo amico era sempre stato
un tipo parecchio goloso.
Doveva
smetterla di fare pensieri tanto imbecilli nei momenti di panico.
«Ormai sono qui, eh?».
«Alea iacta
est6, Harry».
***
C’erano quattro persone insieme a Kingsley, quando
finalmente trovò il coraggio di bussare ed entrare. Erano tutti giovani e tutti
vestiti con completi in pelle di drago di un magenta molto scuro, tendente al
nero, con un pentacolo ricamato all’altezza del cuore. Pentacolo di Circe¸ così doveva chiamarsi, un simbolo di protezione
antico quanto la Magia stessa, l’unico, a detta di molti, capace di impedire
che la anima di quei pochi scelti andasse letteralmente in pezzi sotto il peso
della Magia Oscura che erano soliti sopportare e utilizzare. Il fatto che
fossero quattro, tre donne ed un uomo, fece accigliare Harry, che tuttavia non
disse nulla. Stando alle sue conoscenze basilari, ogni squadra era composta da
cinque membri, uno per ogni punta del pentacolo, a cui generalmente era assegnato
un ruolo specifico.
«Signori, vi presento Harry Potter» lo presentò
proprio il Ministro, facendogli cenno di accomodarsi nella sedia più vicina
alla sua, ad una distanza piuttosto evidente dai quattro. Sembrava quasi che
avesse paura di qualcosa che avrebbero potuto far loro. O che Harry avrebbe
potuto fare, nonostante fosse una possibilità alquanto improbabile. «Agente
Potter, ti presento la squadra Banshee 3: Ophelia Perderghast, esperta in
Anatomopatologia Magica7», indicò, nel dirlo, la donna seduta sulla
sinistra, con degli occhi scuri che ad Harry sembrarono stranamente familiari e
che gli sorrise, gentile, quasi avesse saputo quanto poco lui avesse capito
della sua professione. «Poi abbiamo Bartholomew Maine, Magizoologo», l’unico
uomo sorrise, allegro, dalla sua posizione alle spalle della signorina
Perderghast.
«Prego, Barry va benissimo. Mio nonno era
Bartholomew, preferisco evitare di confondermi con lui» specificò, con un fortissimo
accento americano, sventolando l’uncino che aveva alla mano sinistra come se
fosse stato una mano. Dal canto suo, Harry non voleva proprio sapere come avesse perso l’arto: suo cognato
Charlie era stato particolarmente prodigo di dettagli sulle capacità
distruttive delle varie bestie che aveva incontrato, le varie volte in cui
erano riusciti ad ubriacarlo a sufficienza.
Il Ministro non aveva apprezzato particolarmente
quell’interruzione, ma sembrò trattenersi dal rispondere a modo suo. Fosse
stato qualcun altro, ci sarebbe stata una lunga sequela di borbottii conditi da
sguardi davvero cattivi. «D’accordo,
sì, Barry Maine. Poi abbiamo la
signorina Winter Vane, Legilimens» continuò, indicando la più giovane del
gruppo, una graziosa ragazza con occhi chiarissimi e capelli di un caldo color
oro, seduta elegantemente nella sua sedia e con in mano una tazza di tè
apparentemente appartenente ad un servizio parecchio costoso.
«In effetti è parte del servizio cinese ereditato
da mia nonna, signor Potter» gli rispose, con un accento che Harry riconobbe
essere australiano, rendendolo immediatamente consapevole della capacità che
aveva inizialmente ignorato. Legilimens.
«Oh, noto che ha delle conoscenze in Occlumanzia! Com’è eccitante!» squittì
ancora lei, quando lui si sbrigò a rialzare le difese come il compianto Severus
Piton aveva tentato di insegnarli, ai tempi della scuola. Diversamente da
Piton, però, lei sembrava particolarmente entusiasta di aver trovato una minima
resistenza, non c’erano stati commenti riguardo la sua fragilità.
«Mi piace tenere i miei pensieri per me» fu tutto
ciò che le disse, stringendosi nelle spalle e sforzandosi di non farsi
incantare dalle fossette che le erano apparse sulle guance quando aveva
sorriso. Lui era fidanzato con Ginny Weasley, non c’era dettaglio adorabile che
fosse paragonabile alle caratteristiche deliziose della sua – Merlino volendo –
futura moglie.Conscio di dover ancora
conoscere l’ultimo membro, Harry si voltò nella sua direzione, osservandola con
attenzione. «Mentre lei è… Katie?».
Katie Bell, i capelli biondi raccolti in una coda
alta proprio come ai tempi della scuola ed i grandi occhi verdi pieni di
divertimento, lo osservava dall’angolo all’estrema destra, braccia incrociate
al petto e l’espressione di qualcuno che aveva atteso con impazienza di essere
finalmente riconosciuto. «Sei diventato grande, Harry» gli disse, sorridendo
più di prima. «Prima che tu lo chieda, sì,
ero già nella squadra ai tempi della Guerra ma non potevo certo venire a
raccontartelo. E no, non puoi sapere qual è la mia capacità, il Ministro ha
concordato nel mantenere il segreto».
Ecco, quella specificazione non gli piacque
proprio per niente. «Perché non posso saperlo? E come facevi a sapere che te
l’avrei chiesto? Anche tu sei una Legilimens?» domandò, vagamente risentito,
osservandola come se avesse appena tentato di pugnalarlo alle spalle. La gioia
nell’aver incontrato nuovamente una vecchia amica era stata violentemente
risucchiata nel dubbio. O nella paranoia.
Era già parte delle Banshee ai tempi della guerra, l’avevano mandata per
controllare lui e gli altri membri dell’ES? «Katie, io…».
«Oh, per tutte le cavallette» sospirò la signorina
Vane, lasciando levitare la tazza di tè davanti a lei per poter allargare le
braccia con aria esasperata. «Katie, ti avevamo detto di evitare affermazioni
colme di mistero, lo sai che mettono le persone sulla difensiva. Hai fatto
preoccupare il signor Potter» rimproverò la collega, senza perdere il tono
gentile ma suonando tuttavia autoritaria. Si voltò verso di lui, subito dopo,
cercando di apparire conciliante. «Non si preoccupi, caro, non è per una
questione personale che Katie non può spiegarle le sue capacità, ma per la sua
stessa sicurezza. Preferiamo non diffondere queste informazioni, ma lei ne sarà
messo al corrente nel momento opportuno. E, per rispondere alla sua domanda, sì, Katie era stata inviata per aiutare l’Esercito di Silente, così come
molti altri nostri agenti, infiltrati nell’Ordine della Fenice e fra altri
ribelli. Non crede anche lei che sia ovvio?
Era un conflitto pericolosissimo per la pace mondiale, naturalmente siamo intervenuti
insieme a tutti voi».
L’ovvietà di quel ragionamento fece sentire Harry
un idiota. «Sì, ecco… ma perché nessuno se n’è mai accordo? Facevo parte di
entrambe le Resistenze, tuttavia non mi sembra di aver mai notato qualcuno di
voi» fece notare, stringendo per un istante le labbra in una fedelissima
imitazione della Professoressa McGranitt contrariata.
«Nessuno deve vederci, nessuno deve conoscerci. È
la politica del nostro Ordine, signor Potter» gli disse Maine, stringendosi
nelle spalle. «Se tutti sapessero, allora nessuno cercherebbe di risolvere i
problemi con le proprie forze e sarebbe il caos. Noi interveniamo palesemente
solo in casi di estrema necessità e temo che questo lo sia».
A quel punto fu il Ministro a riprendere la
parola, schiarendosi la voce. «Come i nostri ospiti mi stavano dicendo prima
che arrivassi, Harry, qualcuno ha ricercato tutti
i Mangiamorte che si erano recati in esilio volontario dopo la guerra, li hanno
radunati in un castello sperduto nel cuore della selva boema, dove li hanno
uccisi tutti» iniziò a spiegare,
facendo poi un cenno alla signorina Vane, che annuì.
Dal canto suo, Harry era ancora abbastanza confuso
da non avere la più pallida idea di come reagire. In che senso li avevano
ricercati ed uccisi? Tutti? Tutti i Mangiamorte erano stati sterminati? Chi era
stato? Perché?
«Sono domande perfettamente legittime, caro» gli
rispose Winter Vane, l’espressione pacifica del volto angelico inquinata da un
accenno di preoccupazione. «E siamo qui proprio per tentare di dare una
risposta. Per adesso sappiamo che tutti i Mangiamorte fuggiti, nessuno escluso,
sono stati rintracciati, rapiti e… beh, sottoposti a pena capitale. È stato un
vero e proprio massacro, li hanno trucidati dal primo all’ultimo, senza utilizzare l’Avada Kedavra»
continuò, sospirando con evidente preoccupazione. «Erano almeno cinquanta
persone, fra uomini, donne e anche bambini. Nella scena del delitto non sono
state ritrovate tracce di alcun genere, se non…» si voltò verso Miss
Penderghast, facendole cenno di continuare. Lei, però, scosse il capo, evitando
momentaneamente la domanda.
«È stato un vero e proprio massacro, sono state
utilizzate anche armi babbane allo scopo di aumentare la sofferenza e la paura
delle vittime» continuò la donna dagli occhi scuri, con una smorfia. «Abbiamo
trovato resti animali che fanno pensare all’utilizzo di incantesimi e creature
che non venivano disturbate da anni,
signor Potter, ed il tutto si è svolto in modo metodico, come se fosse stato
pianificato così da portarli tutti allo stremo e costringerli a subire ogni
singola angheria. Volevano torturarli, come… come una vendetta».
«Potrebbe essere l’azione di un lupo solitario?»
si informò l’Auror, sinceramente preoccupato, raddrizzando le spalle ed
assumendo l’espressione che quattro anni di servizio avevano forgiato con
particolare efficienza. «Magari un parente di vittime di guerra, qualcuno
rimasto così turbato da aver perso la concezione di bene e male. Molte persone
hanno perso la testa, finito lo scontro».
E lui ne
aveva incontrati molti durante le due o tre volte che aveva accettato di
recarsi dallo psicologo.
Fu Katie a rispondergli, con un sospiro. «No, era
un lavoro troppo metodico, troppo… minuzioso. C’è uno scopo, un modello alla
base. Qualcuno con a disposizione una tale conoscenza magica avrebbe potuto
rintracciare i Mangiamorte impenitenti o, addirittura, presentarsi direttamente
ad Azkaban, piuttosto che rifarsi sui pentiti. Oltretutto, anche coloro che non
sono andati in esilio hanno iniziato a sparire, sono rimasti in pochi ad avere
ancora la propria libertà».
Il pensiero di Harry fuggì immediatamente a Malfoy
e ad i suoi genitori. Loro erano fuggiti, significava forse che…?
«Anche i genitori del Signor Malfoy sono stati
trovati morti, caro» gli rispose Miss Vane, con tono desolato. «In questo
preciso momento, l’ultimo membro della nostra squadra lo sta portando qui, per
metterlo sotto la nostra protezione. Lui è uno dei pochi membri del circolo
ristretto di Lord Voldemort ad essere ancora in vita, abbiamo bisogno delle sue
conoscenze per cercare di capire».
«Capire cosa?».
«Capire chi sta vendicando Voldemort, Potter» si intromise Maine, con un sospiro, guardandolo
come se fosse stato un povero idiota. «Stanno colpendo i traditori del Signore
Oscuro, utilizzato magia talmente spaventosa che nessuno, prima, aveva osato utilizzare. Si tratta di qualcuno ben
più potente di quanto il tuo vecchio nemico sia mai stato, qualcuno
intenzionato ad onorare la sua memoria, di cui noi non conosciamo l’identità o
lo scopo reale». Ophelia gli lanciò
uno sguardo ammonitore, quando lo vide allontanarsi dal muro con fare
battagliero, rimettendolo al suo posto. «Una volta eliminati i Mangiamorte
traditori, quanto credi ci vorrà prima che questa cosa venga a cercare te, Potter?».
Quelle parole, per una ragione sconosciuta, fecero
accigliare Harry, rendendogli chiaro il motivo della sua presenza in quel
luogo. «Voi non volete il mio aiuto» esalò, sentendo un moto d’irritazione
crescere dalla bocca del suo stomaco fino a diffondersi per tutto il resto del
suo corpo. «Voi siete qui per proteggermi».
La risata di Maine fece schizzare alle stelle la
sua rabbia. «E pensare che tu l’avevi definito tardo, Katie! Ha afferrato il concetto ben prima del previsto».
«Barry,
piantala» intervenne nuovamente Ophelia, sinceramente arrabbiata. Quando si
voltò verso Harry, c’era esasperazione nei suoi occhi. «Scusalo, gli piace
spingere le persone al limite, è il motivo per cui ha perso la mano» gli disse,
cercando di suonare conciliante. «Siamo qui per proteggerti, ma anche perché
abbiamo bisogno anche di te. Sei stato un Horcrux, potresti conoscere dei
dettagli a noi non sconosciuti».
«Oh, per tutte le cavallette», l’esclamazione di
Winter Vane li fece tutti voltare nella sua direzione, trovandola a labbra
strette e preoccupata. «Credo che l’ultimo membro della nostra squadra sia
arrivato» spiegò, lanciando un’occhiata carica d’urgenza agli altri compagni ed
al Ministro. «Signor Potter, credo sia meglio che lei torni a sedersi. La sua
reazione potrebbe essere… violenta».
Harry, che non si era neppure reso conto di essere
balzato in piedi, ubbidì solo grazie al modo gentile con cui lei aveva fatto
quella richiesta. L’ansia, improvvisamente, esplose nel suo stomaco, facendogli
aumentare i battiti cardiaci. Perché erano tutti tanto preoccupati? Chi era il quinto membro della squadra?
Si trattava di qualcuno contro cui lui aveva combattuto? Uno dei Mangiamorte
fuggitivi che erano scampati al Tribunale?
«Scusate il ritardo, Malfoy ha avuto qualche
problema con la sua nausea».
Per un momento, Harry Potter pensò d’essere
impazzito. Era impossibile che
davanti a lui fosse apparsa Hermione Granger, la migliore amica che aveva
ritenuto morta negli ultimi due anni. Era impossibile
che fosse lei.
«Hermione?».
L’immagine di Mary Dursley che gli leggeva uno
specifico brano biblico gli tornò improvvisamente in mente, facendogli tremare
le ginocchia.
«Ciao, Harry».
Lazzaro
era risorto.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Harry Potter è
diventato incapace di stringere rapporti lavorativi, ormai è lo spauracchio del
suo ufficio e si rifiuta categoricamente di procedere con le visite dallo
psicologo. Quanto gravi saranno i danni che l’apparente morte e resurrezione di
Hermione gli causeranno?
Punti importanti:
» 1
– Nonostante il sogno del capitolo precedente sia stato ben più che
chiaro, il buonsenso di Harry lo ha convinto che fosse stato solo frutto della
sua fervida immaginazione. Crede davvero che esista un altro Horcrux? Forse, ma
preferirebbe morire piuttosto che ammetterlo.
» 2
– Toccare legno, gesto scaramantico inglese che corrisponde al nostro toccare
ferro.
» 3
– Perché Ginny è irlandese? Prova n. 1, i capelli rossi. Prova n. 2, Prewett è
un cognome irlandese. Ergo, Molly Weasley è irlandese, quindi i suoi figli lo
sono per metà.
» 4
- Tribunale Speciale creato per giudicare i colpevoli della seconda
guerra magica, ispirato liberamente al Tribunale di Norimberga e simili. Sono
stati giudicati tutti i Mangiamorte, molti dei quali sono finiti ad Azkaban per
il resto della loro vita.
» 5
– Per chi li conoscesse: cinnammon rolls. Il termine viene ormai utilizzato per
indicare persone particolarmente dolci e gentili, in contrapposizione ai
cosiddetti sinnamon rolls (da sin,
peccato), che indicano persone peccaminose ma che si fanno comunque adorare.
» 6
– Locuzione latina che viene fatta risalire a Giulio Cesare al momento del
passaggio del Rubicone (io ADORO Giulietto mio) e che viene tradotta con “il
dado è tratto”.
» 7 – Questo
nome complicato indica un’esperta in malattie magiche. Ha un po’ il ruolo di un
medico legale, anche se più specifico. Nessuno di voi ha mai visto Bones? E sì,
Ophelia è imparentata con Harry, motivo per cui lui sembra ricordare gli occhi
della donna.
»
Katie Bell, ritorna uno dei personaggi della saga. Avrà un ruolo fondamentale,
già alla fine del prossimo capitolo dovrebbe iniziare a dimostrarlo ;)
Grazie mille a tutti
coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e
che continuerete a seguirmi!
A lunedì prossimo con
l’aggiornamento!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 4 *** Atto II, Parte III - Il tradimento della sorella ***
L’Erede del Male.
“Decidere se fidarsi o no di una
persona è come decidere se arrampicarsi o no su un albero,
poiché si potrebbe godere di una vista straordinaria
dal ramo più alto,
oppure ci si potrebbe semplicemente
riempire di resina.” [LemonySnicket]
Atto II, Parte III – Il
tradimento della sorella.
«Ciao Harry».
Il silenzio sembrava non essere destinato ad
interrompersi. Per dei minuti interminabili, dopo quella presentazione un po’
campata per aria, Harry Potter si limitò a fissare la sua migliore amica, ritenuta
morta per ben due anni. L’incredulità
nel suo viso era nascosta benissimo sotto un’espressione completamente vuota,
le sopracciglia allineate e lo sguardo di qualcuno che avesse appena subito il
bacio del Dissennatore.
Per un istante, Draco si preoccupò che avesse
tirato le cuoia e che il suo corpo fosse rimasto immobile perché pietrificato
all’istante. Era successo al suo prozio Hauser, sua
moglie l’aveva trovato il giorno dopo, immobilizzato sulla sua poltrona
preferita e, da quel giorno, era diventato una delle statue più belle di Malfoyburg di Colonia1.
«Non si preoccupi, il signor Potter non sta per
diventare una statua» lo rassicurò la giovane bionda seduta più vicino a lui,
lanciandogli un sorriso mozzafiato. Aveva un accento australiano leggerissimo e
Draco sospettava che, se l’avesse voluto, avrebbe potuto perderlo
completamente. Era piuttosto convinto di averla già incontrata, se doveva esser
sincero, ma non ci avrebbe scommesso molto, tutte le ragazze dell’alta società
si somigliavano fra loro. «Sì, posso perdere il mio accento. Così come posso
cambiarlo e somigliare ancora di più alle ragazze
dell’alta società» continuò a rispondergli, inizialmente parlando come il
vecchio professor Beans avrebbe voluto far parlare
lui da bambino2, poi prendendo un fortissimo accento inglese,
migliore di quello di molti madrelingua. «Oh, è solo perché ogni persona pensa
con il proprio accento, a forza di ascoltare io ho imparato ad imitare».
Il silenzio durò qualche altro istante, prima che
Draco sgranasse gli occhi. L’aveva davvero
conosciuta, perdendola di vista precisamente quattro anni prima, durante il
Processo. «Winter Vane? Winnie? Sei
davvero tu? Credevo…» esalò, fermandosi solo quando lei gli fece cenno di far
silenzio, occhieggiando al dramma silenzioso che stava ancora consumando Potter
e la Granger. Come se a lui potesse importare qualcosa di quei due! Lei,
invece, che era sparita dalla circolazione subito dopo che suo padre era stato
processato e spedito ad Azkaban grazie proprio alla sua testimonianza3, proprio in quel momento di totale era
tornata a farsi vedere, con la divisa delle Banshee ed intenzionata a fingere
di non conoscerlo!
«Non sto facendo finta di non conoscerti, volevo
solo assicurarmi che mi avessi riconosciuta» gli rispose, naturalmente
ascoltando i suoi pensieri. Era un vizio che aveva sempre avuto, fin da
bambina, e che le era costato tantissimo, anche se mai quanto chiunque altro
avrebbe perso. C’erano segreti che nessuno avrebbe mai dovuto poter conoscere. «Ti ringrazio, è piacevole sapere che
mi ritieni davvero così forte da non esser impazzita» gli disse un attimo dopo,
accennando un lieve sorriso. Poi, però, gli fece un altro cenno per intimargli
il silenzio. Che Potter fosse vicino alla svolta? Che qualcosa avesse iniziato
a funzionare nella sua bislacca testolina con cicatrice?
Di sicuro il suo sguardo non era rassicurante,
nessuno avrebbe osato dire il contrario. C’era stato un cambiamento, era
evidente anche a Malfoy, ma si trattava di un cambiamento minimo: aveva leggermente
stretto le palpebre, quasi i suoi occhiali si fossero appannati all’improvviso
impedendogli di vedere bene. Lentamente, poi, anche la sua fronte si era
aggrottata ed una vena aveva iniziato a pulsare sinistramente nella sua tempia
destra. La Granger era rimasta impassibile, era lei che all’improvviso sembrava
esser diventata una statua di sale, anche se le labbra erano rimaste
leggermente incurvate in un sorriso gentile, proprio come quando gli aveva
rivolto quel saluto totalmente fuori luogo.
Un attimo dopo, scoppiò un inferno fatto di urla
ed imprecazioni e Draco si ritrovò spinto contro una sedia libera dall’unico
uomo con la divisa Banshee, scattato in avanti una frazione di secondo prima
che Potter perdesse completamente la testa. Era riuscito ad agguantarlo per le
braccia e lo stava trattenendo come se fosse stato un qualche animale
selvaggio, nonostante difficilmente lui sarebbe ricorso a mezzi diversi dalle
urla per aggredire la sua migliore amica.
«Due anni!
Due anni in cui ti ho creduta morta e tu te ne esci con “Ciao Harry”?» le stava urlando, dimenandosi solo
per liberarsi dalla presa del mago, incurante del sinistro uncino a pochi
centimetri dalla carne morbida della gola. L’uomo che continuava a bloccarlo
stava sorridendo in modo quasi folle, come se non avesse atteso altro che quel
momento. «Sei impazzita, cazzo? Che ti
passa per quella fottuta testa di cazzo?» continuava a sproloquiare lui,
ringhiando come un lupo ferito, gli occhi spalancati e pericolosamente umidi in
una perfetta riproduzione di quello che un principiante di psicomagia
avrebbe definito “sguardo da serial killer”.
«Oh, Barry, lascialo andare» si intromise Winnie,
senza alzarsi dalla sua sedia e continuando a reggere la sua preziosa tazzina
come se tutto quel dramma non si fosse mai presentato e loro fossero stati
ancora intenti a godersi una deliziosa merenda in giardino. «Sai anche tu che
così lo stai solamente facendo agitare di più, il povero signor Potter non
attaccherebbe mai Hermione, è una sorella per lui» continuò, nonostante gli
improperi di Potter fossero peggiorati in gravità ed il suo atteggiamento
facesse pensare che fosse sul punto di staccare la testa a qualcuno.
L’uomo si limitò a sorridere per qualche istante,
prima di allentare finalmente la presa. «Una mossa azzardata, Potter, e ti
faccio fare la fine di un Ippogrifo indisciplinato» ammonì, mollando tutto d’un
colpo e facendosi indietro di un paio di passi, sorridendo allegramente in
direzione dell’altra donna presente, tutt’altro che divertita. Forse irritata sarebbe stata la giusta
descrizione, ma non era il momento di concentrarsi su di lei4.
Così com’era impazzito, Potter si svuotò
completamente, divenendo il fantasma di ciò che era stato fino a quell’istante.
Le spalle curve, il viso pallido e le occhiaie ben evidenti che l’avevano
accompagnato negli ultimi due anni tornarono a farsi vedere, la debolezza del
lutto ancora su di lui come uno spirito capace di possederlo e renderlo il suo
burattino. Era distrutto, ancora una
volta. Distrutto dalla sua migliore amica.
«Due anni, Hermione» le sussurrò a quel punto, la
voce ridotta al frusciare di una foglia al vento. «Per due anni ti ho creduta morta. Hai lasciato che affrontassi il
lutto, che piangessi sulla tua tomba.
Ti ho supplicato di non essere morta, ma tu non sei tornata5. Perché?».
Non stava piangendo, nonostante l’orrore nel suo tono fosse evidente. C’era un
desolato contegno nel suo modo di guardarla e Draco poteva solo ammirarlo,
nonostante non avesse la minima intenzione di farlo sapere al suo vecchio
nemico. Nel momento in cui la consapevolezza del lutto lo avesse colpito, lui
avrebbe perso tutta la dignità che per secoli i Malfoy avevano mantenuto, ne
era assolutamente convinto.
Quando parlò, la Granger sembrò improvvisamente la
stessa ragazzina che al secondo anno aveva incassato per la prima volta
l’accusa d’esser solo una banale Sanguesporco, non
c’era traccia della donna risoluta che solo un’ora prima lo aveva sorpreso
nell’intimità di casa e gli aveva rivelato la più terribile delle verità. «Dovevo farlo, Harry. Non avrei mai
potuto superare l’addestramento, altrimenti» provò a dirgli, tenendo lo sguardo
basso, in preda alla vergogna più desolata. «Non puoi credere davvero che ti
avrei inflitto questo dolore, se avessi avuto una scelta».
Potter scosse il capo, alzando gli occhi al cielo
ed allargando leggermente le braccia, in un gesto esasperato. «Non hai avuto
una scelta? Le Banshee ti hanno rapito e costretta a seguire l’addestramento?
Devono aver usato delle minacce belle pesanti per far leva su un’eroina di
guerra» le fece notare, trattenendo a stento una risata colma di sarcasmo.
Un mugugno arrivò dal Ministro della Magia, che
stava assistendo a quella scena con l’espressione di qualcuno che, pur volendo
farsi piccolo piccolo, era costretto a dimostrare una
forza totalmente fittizia. Naturalmente, lui doveva essere stato messo a
conoscenza della carriera che la Granger aveva intrapreso, tenendola a sua
volta nascosta al povero disgraziato che in quel momento stava riversando la
sua rabbia esclusivamente sulla donna. Kingsley, uno dei pochi di cui Potter
aveva sempre ritenuto di potersi fidare, aveva collaborato a spingerlo
sull’orlo del baratro, danneggiando le sue ricerche dall’interno, strisciando e
calcolando come una serpe.
In silenzio religioso, Winnie si voltò verso
Draco, allungandogli un biscottino che sembrava apparso dal nulla proprio
nell’istante in cui lui aveva iniziato a rendersi conto della necessità di
mangiare qualcosa per tenere attiva la pozione contro la sbronza. C’erano
momenti in cui quella sua capacità era disturbante, altri in cui, invece, era
particolarmente utile. Il sorrisino che lei gli dedicò fu l’unico
ringraziamento che ricevette.
«Non possiamo rivelare nulla della nostra
posizione, nulla dell’addestramento. Dovevo scegliere fra fingermi morta e
cancellare la memoria di chiunque mi avesse mai incontrata, così da far in modo
che non restasse traccia della mia esistenza finché non si fosse concluso
tutto, per poi restituire ciò che avevo tolto» provò a spiegargli ancora lei,
la voce ridotta ad un pigolio. «Ho perso i miei genitori, usando questa
tecnica. Non ero disposta a rischiare ancora».
Perdere i
genitori? Draco guardò con curiosità la vecchia compagna di scuola,
sperando in un’ulteriore spiegazione che tuttavia non arrivò. Era piuttosto
certo che i Granger non fossero morti, ma, in effetti, non li aveva visti al
funerale che era stato organizzato per lei circa un anno prima, su insistenza
dei Weasley che avrebbero voluto poter piangere lei come Ronald.
Quell’affermazione, oltre che su Malfoy, sembrò
far effetto anche su Potter, che si irrigidì. «Perché hai accettato questo
lavoro? Perché ci hai abbandonati tutti?» le chiese, dopo qualche istante di
silenzio, gli occhi verdi ancora fissati su di lei come se fosse stata il più
disgustoso degli insetti. «Perché?».
«Perché stavo morendo, Harry, e solo questo lavoro
mi ha ridato la vita».
***
Avere Harry al suo fianco era la sensazione
migliore che Hermione avesse provato negli ultimi quattro anni. Sentiva ancora
di avere parecchie faccende in sospeso con lui e con tutti gli altri, ma non
aveva più paura. Il suo migliore amico avrebbe capito e non l’avrebbe lasciata
sola. Il suo migliore amico sarebbe rimasto al suo fianco in quell’avventura
terrificante che si stava presentando davanti a loro. Avrebbe voluto voltarsi
per osservarlo in viso, ma si trattenne per paura di perdere quel po’ di
contegno che era riuscita a guadagnare nel momento in cui il loro piccolo
dramma si era assopito. L’attimo di silenzioso orrore che era seguito alla sua
ultima confessione aveva aleggiato su tutti loro finché il Ministro non aveva
attirato l’attenzione schiarendosi la voce e pregandoli di riprendere la
discussione che i nuovi arrivati avevano interrotto.
«Non conosciamo il nostro nemico e non conosciamo
le sue intenzioni, tuttavia abbiamo delle evidenti prove del coinvolgimento di
più persone» stava spiegando Ophelia, estraendo dalla sua valigetta diversi
plichi, che consegnò a Shacklebolt, Harry ed a Malfoy. «Esaminando i corpi, abbiamo
avuto modo di constatare l’uso di magia antica, così oscura da non essere
utilizzata dai tempi di Grindelwald» continuò, lanciando un solo sguardo in
direzione di Malfoy, che aveva cambiato colore già alla prima pagina del
rapporto. Doveva aver individuato il nome dei suoi genitori, nessuno avrebbe
potuto accusarlo di essere un debole. «Abbiamo riscontrato movimenti sospetti
in diversi bassifondi sia a Londra che all’estero, sembra quasi che la terra
abbia iniziato a tremare sotto i piedi della peggiore feccia del mondo. La
conferma è arrivata quando abbiamo perso i contatti con Igor Polyavich e con Pablo Santiago, oltre che con molti dei
loro scagnozzi».
Hermione conosceva bene i due soggetti in
questione, durante l’addestramento aveva dovuto studiare ogni minimo dettaglio
delle loro malefatte, oltre che imparare a memoria il loro profilo psicomagico per non rischiare di incappare in trappole. Il
primo era russo, originario di Volgodrad e con alle
spalle almeno una settantina di omicidi a sangue freddo, necessari per
completare un vecchio rituale di sangue che avrebbe potuto renderlo invincibile. Il secondo, invece, era uno
dei peggiori contrabbandieri di algabranchia potenziata
di tutto l’Ecuador, l’unico che era riuscito a crearsi un personale esercito di
dissennatori scagnozzi. Il fatto che entrambi fossero scomparsi – la loro
evasione era avvenuta pochissimo tempo dopo la cattura, ma le Banshee non li
avevano mai persi di vista -era altamente
preoccupante, oltre che indicativo di capacità magiche superiori a quelle delle
migliori squadre di sorveglianza.
«Come potete collegare tutte le informazioni?»
chiese Harry, accigliato, sfogliando con attenzione le pagine che Hermione
stessa aveva compilato prima di ritornare in Inghilterra. «La morte dei
Mangiamorte potrebbe essere stata l’azione di un gruppo di maniaci intenzionati
a vendicare Voldemort, magari anche incredibilmente pericolosi, ma come potete
collegare tutto questo alla scomparsa di quei due ricercati?». Il suo tono di
voce era totalmente mutato: dall’amico distrutto per la perdita era tornato ad
essere il miglior candidato per la carica di Capo Auror.
«Non le stiamo nascondendo informazioni importanti,
signor Potter» intervenne Winnie, con un leggero sorriso. «Come Ophelia stava
per dirle, ci sono dei dati che per motivi di sicurezza non abbiamo potuto
inserire nel plico, così da limitare le possibilità di una fuga di notizie. Noi
sappiamo con assoluta certezza che le sparizioni siano collegate perché sono
stati ritrovati morti anche loro, due giorni prima dell’epurazione» disse,
allungando la mano libera per posarla sul braccio di Malfoy, che aveva
totalmente ignorato la loro discussione per concentrarsi sulla lettura.
Hermione sapeva bene cos’avrebbe trovato: il corpo di sua madre era stato forse
il più maltrattato in assoluto.
La donna
che aveva mentito sulle sorti del Bambino Sopravvissuto.
«Le modalità dell’omicidio sono identiche a quelle
degli altri» si intromise Barry, pulendo il suo uncino nell’angolo della giacca
di pelle. Era toccato a lui aiutare Ophelia nelle autopsie, per accertare che
non ci fosse stato lo zampino animale. «Riteniamo che questo soggetto o questo gruppo sia in possesso
di conoscenze oscure capaci di consentire loro lo sfruttamento di bestie rare,
oltre che estremamente pericolose. Oltretutto abbiamo rilevato, in entrambe le
situazioni, delle sostanze obscuriali piuttosto importanti» continuò, infilando la mano
in tasca per estrarne un’ampollina con dentro una sostanza fumosa nera che
nessuno, tranne lui, poteva avvicinare.
Quando Shacklebolt ed Harry capirono di cosa si
stesse trattando, impallidirono.
«Un Obscurus6,
quindi», uscendo dalla sua momentanea disperazione, Malfoy risollevò gli occhi
su di loro, puntandoli soprattutto sull’ampollina. «Dalla reazione di Potterino e del Ministro devo dedurre che non se ne vedessero
da parecchio tempo in giro, ma solo perché non hanno saputo cercare bene»
sbottò, con lo stesso tono tagliente che era solito usare ai tempi della
scuola. «Non è la prima volta che vengono utilizzati, mio padre mi ha
raccontato dei tentativi del Signore Oscuro di crearne alcuni da utilizzare in
guerra. Il loro potenziale magico è nettamente superiore a quello di qualunque
mago adulto».
Quello era un
dettaglio interessante.
«Stavano cercando di sviluppare degli Oscuriales?» si intromise Hermione, estraendo velocemente
la sua penna d’aquila ed il taccuino, che iniziarono immediatamente a
trascrivere. «Per quale ragione quest’informazione non è mai risultata in un
interrogatorio? Abbiamo assistito a tutti gli incontri con i Mangiamorte,
alcuni di noi si sono addirittura confusi con i membri del Ministero per
assicurare la perfetta conoscenza dei fatti» a quelle sue parole vide
chiaramente Kingsley accigliarsi, ma non gli prestò attenzione. «Perché non
l’avete mai detto prima? Gli Obscuriales sono stati
catalogati come Armi letali di massa7,
qualsiasi avvistamento dovrebbe essere segnalato a pena di incarcerazione».
Malfoy le lanciò una lunga occhiata e poi le
sorrise, facendole venire la pelle d’oca. Era
lo stesso sguardo di Bellatrix. «Granger, avete
mai chiesto se fossimo in possesso di
qualche Obscurus? Non credo, altrimenti non ci
saremmo certo rifiutati di parlare, non sotto Veritaserum,
comunque» le disse, dimostrando una macabra allegria che fino a quel momento
non era mai stata notata in lui. «Fino alla morte del Signore Oscuro eravamo
tutti bloccati da un Voto Infrangibile, mentre dopo… beh, le abitudini sono
dure a morire. E comunque non c’erano mai stati buoni risultati, le cavie non superavano mai i sei anni e,
generalmente, non potevano controllare gli scoppi d’energia».
Un moto d’orrore fece stringere lo stomaco di
Hermione.
«Cavie?
Malfoy, ti riferisci a dei bambini!
Come puoi parlarne in questo modo?» scattò Harry, rosso quasi quanto poco prima
era stato pallido, fissando il giovane al suo fianco come se avesse avuto sei
teste e lingue biforcute. Ginny era incinta.
«Cosa c’è di sbagliato nella vostra testa deviata? Avete ucciso dei bambini e nessuno ha pensato di dirlo?
Nessuno ha pensato di comunicarlo alle autorità?».
Prima che Draco potesse parlare, qualcuno lo
anticipò, sorprendendo tutti. «Eravamo anche noi dei bambini, signor Potter»
disse Winnie, con l’espressione svuotata di qualunque emozione. Alcune volte
era facile dimenticare l’educazione che la collega aveva ricevuto. «Abbiamo
conosciuto realtà terribili e nessuno di noi
è mai sopravvissuto ad un Anatema. Non avevamo una scelta, mi auguro che prima
o poi anche voi riusciate a capirlo».
Gli puntò gli occhi chiarissimi addosso, impedendogli di rispondere nonostante
– Hermione ne era ben certa – la discussione si fosse spostata sul piano
mentale. «Siamo più simili di quello che crede, signor Potter. La sua strada è
stata scelta dai suoi genitori, esattamente come i nostri hanno scelto per noi.
Se siamo qui, però, è perché noi alla fine abbiamo trovato il modo di
ribellarci. Non faccia in modo che vecchi rancori oscurino i pericoli che
stiamo correndo adesso. Non è
accusandoci per un passato di cui non abbiamo colpe che potremo risolvere i
nostri problemi».
Malfoy si voltò a guardarla con espressione vuota
quasi quanto quella che lei aveva avuto poco prima. C’erano segreti che non potevano essere rivelati. «Comunque il
progetto Oscurus
non ha mai raggiunto un punto d’arrivo. Il Signore Oscuro ha semplicemente
smesso di voler provare, probabilmente per concentrarsi sui Doni della Morte»
spiegò, stringendosi nelle spalle. «Credete che qualcuno abbia ripreso i suoi
progetti? Deve aver continuato a provare per anni, difficilmente sarebbe passato inosservato, soprattutto in
Inghilterra».
«Metteremo a verbale queste nuove informazioni»
gli comunicò Hermione, osservando ciò che la sua piuma era riuscita a
riscrivere. Avrebbe dovuto passare almeno una notte intera ad esaminare vecchi
rapporti per individuare possibili collegamenti e mezze verità che erano state
trascurate negli anni passati. «Potresti dover essere interrogato di nuovo,
Malfoy, ma niente di formale. Sono sicura che Winnie potrà risolvere i
possibili dubbi in pochissimo tempo. Nel frattempo, ritengo sia opportuno
continuare ad aggiornare i nostri nuovi collaboratori».
«La signorina Granger» si intromise il Ministro,
gli occhi puntati su un vagamente accigliato Harry, «è l’esperta in Magisprudenza e Lingue Arcaiche della squadra. Sta a lei
gestire l’aspetto burocratico delle missioni» specificò, con un sorriso che
lasciava bene intendere quanto fosse fiero di quel traguardo che lei aveva
raggiunto. Dopotutto, era stata la sua
segnalazione a consentirle di far parte della squadra speciale più elitaria
dell’intero mondo magico.
«In poche parole le tocca coprire i nostri guai»
scherzò Katie, rimasta in silenzio fino a quel momento, gli occhi puntati alla
loro destra come se avesse voluto fissare intensamente qualcuno di invisibile,
possibilità che Hermione non se la sentì di scartare. «Tagliamo corto, ragazzi,
abbiamo degli impegni fra circa sei minuti. Dite loro cosa sappiamo e
mettiamoci in cammino, cominciano ad
agitarsi i morti».
Quell’affermazione venne accolta con una serie di
mugugni da parte della squadra e da delle occhiate
confuse da parte di Harry e del Ministro. Malfoy, al contrario, sembrava molto
interessato alla stessa ragazza che, cinque anni prima, aveva quasi ucciso. Che
sapesse qualcosa? Che avesse capito?
Quello di certo non era il momento opportuno per preoccuparsene.
«Il signor Potter ha chiesto come abbiamo potuto
collegare l’epurazione agli altri omicidi, ma la risposta di Barry non è stata
l’unica» aggiunse allora Hermione, con una smorfia. «Abbiamo un testimone, diciamo,
che ha deciso di parlare soltanto ad una, intrattabile, condizione, che è anche
uno dei motivi per cui siamo qui».
«Cioè?».
«Parlerà solo in presenza del Bambino Sopravvissuto»
fu Katie a parlare, il tono di voce strano che Hermione aveva sentito fin
troppe volte negli ultimi due anni. «Parlerà solo grazie al Bambino Sopravvissuto».
Un silenzio apparentemente infinito calò sulla
stanza, la tensione della squadra Banshee ben evidente dal fatto che nessuno di
loro sembrasse intenzionato a guardare la compagna o Harry negli occhi.
«Chi è questo Testimone?» esalò proprio lui, gli
occhi sgranati.
«È Lord Voldemort».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Il tradimento è
duro da digerire ed Harry ne ha subiti davvero tanti nella sua vita. Questa volta, però, potrebbe riuscire ad
andare avanti, sempre che un avanti
possa davvero esserci.
Punti importanti:
» 1
– La morte per trasfigurazione in statua non è mai stata accennata nella
saga, tuttavia se per noi babbani esistono fenomeni di imbalsamazione spontanea
dei cadaveri, magari i maghi possono diventare immediatamente statue. Lo zio
tedesco di Draco adesso è un grazioso ornamento da giardino.
» 2
– Il professor Beans è il precettore di Draco dei
tempi precedenti ad Hogwarts, lui ovviamente
non ha frequentato una scuola pubblica. L’ossessione di questo Beans era di far parlare il suo protetto senza il minimo
accento, cosa che tuttavia non gli riuscì mai.
» 3
– Cominciamo a scoprire qualcosa in più su Winter Vane. Suo padre era un
mangiamorte, uno piuttosto importante, che è stato nuovamente arrestato alla
fine della Battaglia e che è stato nuovamente condannato grazie alla
testimonianza di Winnie, che all’epoca era già una Banshee seppur in fase di
addestramento.
» 4
- Draco si riferisce ad Ophelia, che naturalmente ancora non conosce e
che è molto irritata dal comportamento di Barry.
» 5
– Citazione più o meno fedele della serie tv Sherloch,
serie 3, puntata 1. Harry come John Watson mi è sembrato appropriato.
» 6
– Obscurus, ciò che accade ai bambini che reprimono
la loro magia fino a perderne il controllo. Compaiono ufficialmente nel film
Animali Fantastici, ma, come è stato poi confermato, anche Ariana Silente era
uno di questi. Sono potentissimi ma, sfortunatamente, incontrollabili, di
solito perdono ogni freno prima degli undici anni (in questo caso non
arrivavano ai sei). Voldemort, come Grindelwald, voleva utilizzarli come armi.
» 7
– Armi letali di massa, possiamo
considerarla il livello successivo ad XXXXX, praticamente mai utilizzata poiché
nessuno ha mai potuto avvicinarsi tanto da studiare dette creature. Non c’è
arma contro di loro.
Ta-daaaan, Lord Voldemort.
Io non dico nulla, mi
dispiace.
Grazie mille a tutti
coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e
che continuerete a seguirmi!
A lunedì prossimo con
l’aggiornamento!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 5 *** Atto III, Parte I - I bambini di cristallo ***
L’Erede del Male.
“I had a one-way
ticket to a placewhereall the demons go Where the winddon'tchange
And nothing in the ground
can evergrow
No hope, just lies
And you'retaught to cry in yourpillow But I survived
I'mstillbreathing, I'm alive1”.
[Sia – Alive]
Atto III, Parte I – I
bambini di cristallo.
Il sole era tramontato da più di un’ora, quando
finalmente Harry mise il naso fuori dal Ministero. La sensazione dell’aria
fresca della sera fu un sollievo per i suoi nervi tesi e si ritrovò a
socchiudere gli occhi ed a godere della leggera brezza come se fosse stata un
balsamo per la sua anima irritata.
Lord
Voldemort.
Non aveva aspettato Hermione, ma sapeva bene che
lei l’avrebbe seguito. Doveva
seguirlo, altrimenti lui sarebbe tornato indietro e se la sarebbe caricata in
spalla, facendo tanti complimenti alla squadra delle Banshee ed a tutto il
circo che le circondava. Non gli importava un accidenti del fatto che lei ed i
suoi amici potessero tranquillamente farlo fuori e passarla liscia, in quel
momento avrebbe potuto mangiare un drago vivo.
Parlerà
grazie al Bambino Sopravvissuto.
Scosse il capo, cercando di allontanare
momentaneamente i pensieri. Dovevano essere le sei passate e lui era atteso
alla Tana per cena, non poteva certo mancare. La sua priorità, in quel momento,
era trovare il modo adatto per spiegare un po’ a tutti l’improvvisa comparsa di
Hermione direttamente dal mondo dei morti, possibilmente senza far morire di
infarto i suoi poveri suoceri, che ne avevano già passate davvero troppe.
Avrebbe potuto far finta di nulla, presentarsi lì e sperare che nessuno notasse
davvero la nuova ospite. Oppure avrebbe potuto darsi per morto, prendere la
prima Passaporta per il Messico e nascondersi, nella
speranza di non essere trovato ed ucciso nel frattempo. L’idea di morire non
gli piaceva, certamente non in quel momento.
A Ginny verrà un colpo.
«Mi dispiace, per quello che vale» gli disse
Hermione, apparsa al suo fianco come uno spettro, le mani affondate nelle
tasche di un cappotto dello stesso colore della divisa che gli altri membri
della squadra stavano indossando. Lei non aveva la tenuta ufficiale delle
Banshee ma soltanto un Tailleur, probabilmente per non attirare l’attenzione
durante il recupero di Malfoy.
Ad Harry venne la nausea al pensiero di tutte le
bugie che aveva raccontato a se stesso pur di accettare una morte che in realtà
non c’era stata.
Era arrivato sull’orlo del precipizio, ma a lei dispiaceva.
«Non me ne faccio nulla delle tue scuse, Hermione»
le fece notare, secco, rifiutandosi categoricamente di guardarla negli occhi. Era
tentato di appellare una sigaretta, ma fortunatamente il buonsenso gli impedì
di muoversi. Aveva impiegato sei mesi per togliersi quel vizio, non avrebbe
perso tutto quel lavoro a causa sua.
«Così come non se ne faranno nulla i Weasley» continuò, sollevando gli occhi al
cielo. Non si vedevano mai le stelle, in quella zona di Londra2.
«Spero tu ti renda conto che ho intenzione di portarti da loro, immediatamente.
Non mi importa un fico secco che tu possa avere altri impegni».
La sentì sospirare, preoccupata, ma percepì anche
una certa rassegnazione in lei. «Non avevo dubbi al riguardo. Sapevo che prima
o poi avrei dovuto affrontare il mio passato, quindi… via il dente, via il
dolore» gli comunicò, apparentemente tranquilla, allungando la mano per
potergli toccare il braccio. Si ritirò non appena lui scattò via, nervoso. Non voleva essere toccato da lei. «Non è
stato facile. So che sei arrabbiato, che… so cos’è successo a Lipsia, Harry»
sussurrò, la voce ridotta ad un qualcosa di appena percettibile, la postura
rigida di chi stesse rivivendo i peggiori momenti della sua vita.
Lipsia3.
L’istinto, come sempre, gli suggerì di
smaterializzarsi il più lontano possibile e ricercare una passaporta
per il Messico, così da non dover più fronteggiare quel ricordo. Così da non
dover più fronteggiare i suoi fantasmi.
Non era quello il momento per rivivere il passato. Non con lei.
Ma non
poteva semplicemente ignorarla.
«Come fai a saperlo? Mi avete fatto pedinare?». Le
parole lasciarono le sue labbra con più astio di quanto avrebbe voluto, non
riuscì a contenersi. Era troppo il rancore che aveva seppellito sul fondo del
suo cuore, convinto che avrebbe potuto riversarlo su di lei solo una volta
defunto. «Immagino ti abbiano riempita di dettagli. In tanti si sono divertiti
a farlo. La Gazzetta non mi dedicava una prima pagina da anni».
Hermione allungò nuovamente la mano per
afferrargli il braccio e, quella volta, la sua presa su così ferrea da
impedirgli di allontanarsi. Non era più la ragazzina tutta libri che lo aveva
accompagnato in sette anni di avventure e disgrazie. «Io ero a Lipsia, Harry» gli sibilò, arrabbiata, strattonandolo finché
non lo costrinse a guardarla negli occhi. Erano lucidi, le sopracciglia
corrugate in una smorfia furiosa. La stessa espressione che aveva anticipato un
attacco alato su Ron, durante il sesto anno. «Io ero lì. Chi credi che ti abbia tirato fuori dai guai, Potter? Qualcuno
dei tuoi insulsi colleghi? Nessuno avrebbe rischiato tanto, neppure per l’eroe»
sbottò, stringendo ancora di più la presa e facendogli anche un po’ male, per
poi lasciarlo andare e voltare il viso dalla parte opposta alla sua, come a
volersi nascondere. Le tremavano le spalle, ma non era a causa di una crisi di
pianto. Tremava, quasi avesse dovuto trattenersi con forza dal mettersi ad
urlare e picchiarlo selvaggiamente. «Quella bravata mi è costata un anno di
addestramento in più4. Per un anno
sono stata costretta a stare lontana da tutta la mia famiglia e solo per te»
gli rivelò, tornando a guardarlo con un’espressione totalmente diversa. Era
piatta, vuota, quasi avesse indossato una maschera. «Ho sacrificato tutti gli
altri per aiutare te. Se credi che io
non abbia sofferto a stare lontana, significa che sei molto più tardo di quanto
Katie abbia lasciato credere agli altri».
Brandelli di memoria lo lasciarono per un momento
sopraffatto. Fra le fiamme era certo di aver intravisto qualcuno, ma non si era mai posto il problema. Gli avevano detto
che la magia accidentale gli aveva permesso di sfuggire, ma se lei era stata
lì…
Avrebbe dovuto mostrarsi riconoscente. Ma non ci
riuscì.
«Se non fossi mai andata via, Lipsia non sarebbe
mai accaduta» le fece notare, forse suonando pedante come un bambino, ma senza
potersi controllare. Due anni di rancore, tutti pronti a lasciare il suo cuore
e riversarsi su di lei. «Se non ci avessi lasciati, niente di tutto questo
sarebbe successo. Perché l’hai fatto? Adesso che siamo soli puoi dirmelo, i
tuoi nuovi amici del cuore non ci sono, non ti prenderanno in giro».
Solo in quel momento, con una certa stizza, lei
gli lasciò andare il braccio. La sensazione di persistente fastidio gli
comunicò che gli sarebbe presto spuntato un livido. «Te l’ho detto. Stavo morendo» gli disse, incrociando le
braccia al petto e senza smettere un attimo di fissarlo con aria vuota. «Quando
Ron è morto, qualcosa di me è andata via con lui. Ho passato due anni bloccata a fissare un corpo
agonizzante che non apparteneva al ragazzo che avevo baciato solo pochi minuti
prima della fine, il ragazzo che credevo di amare. Due anni in cui guardavo
lui, ma vedevo me».
«Tu sei ancora viva, Ron no» le fece notare, con
una smorfia che proprio non riuscì a trattenere. Il modo in cui lo disse,
forse, le avrebbe potuto far credere che la realtà dei fatti gli desse
fastidio, che forse avrebbe preferito avere il vecchio amico al suo fianco,
piuttosto che lei. Naturalmente sarebbe stata un’idea assurda, balzana
addirittura: il sollievo nel saperla viva e vegeta non poteva essere nascosto
neppure sotto chilometri di rancore. Però l’astio c’era e lui non sapeva
mascherarlo.
«Per due anni5 mi sono chiesta se non
sarebbe stato meglio morire al posto suo. Lo guardavo e non potevo far altro
che pensare a quante persone avrebbero sofferto per la sua scomparsa e non per la mia. Sarebbe stato tutto più semplice,
se i ruoli si fossero invertiti» spiegò, impedendogli di parlare quando lui
fece per ribattere con ben più veleno di quanto non avesse messo in conto. «Non
è per dimostrare la mia inutilità che sono andata via, Harry. E neppure per
valutare in quanti avrebbero sofferto, nel caso».
«Allora perché?».
«Io non c’ero più Harry. Avevo… avevo iniziato a
fare brutti pensieri. Avevo iniziato a prendere una pessima strada». Non c’era
vergogna nelle sue parole, solo una grandissima autocommiserazione. Compativa
se stessa per ciò che aveva pensato, perché la vera Hermione non sarebbe mai caduta tanto in basso. Non c’era
bisogno di spiegazioni dettagliate per comprendere cosa le stesse succedendo.
«Non eri l’unico a soffrire di disturbo post-traumatico. Ed io… io avevo
sviluppato una forma ben più pericolosa del tuo atteggiamento kamikaze. Io ero sola».
«Avevi me»
le rispose, stringendo le labbra in una smorfia. «Avevi me, così come avevi i tuoi genitori e tutti i Weasley». Il senso di
inadeguatezza che lo colpì in quell’istante lo fece sentire minuscolo e viscido
come un vermicolo. Perché Hermione non aveva parlato con lui? Perché era
scappata via?
La osservò scuotere il capo, con una smorfia. «No,
non avevo te, Harry. Non potevo
parlare con te, che ti tenevi in piedi solo per miracolo. Non potevo rivelarti
di aver pensato di uccidermi e di
portare con me i miei genitori» le disse, stringendosi di più nelle proprie braccia,
come a volersi difendere. «Non avevo te. Non avevo i Weasley. Come avrei potuto
farmi avanti con i miei problemi? Avevano perso un figlio ed un fratello»
continuò, sollevando gli occhi dal suolo per puntarli in quelli di lui. «Non mi
sarei mai piegata a chiedere aiuto. Quando Ophelia mi ha contattata, io…».
«Hanno approfittato del tuo momento di debolezza
per reclutarti» esalò allora lui, sgranando leggermente gli occhi per lo shock.
«Hanno sfruttato il tuo dolore per convincerti a seguirli senza fare domande, è
questo che stai cercando di farmi capire? È una cosa orribile».
Quando lei scosse il capo, un leggero sorriso le
incurvava le labbra. «Se mi lasciassi finire, forse potresti capire invece che
fare assunzioni assurde» gli fece notare, per poi sospirare. Si sistemò una
ciocca di capelli corti che le era ricaduta sugli occhi, tornando a guardarlo.
«Quando mi ha offerto il lavoro, mi ha salvato la vita. Ero indecisa se
seguirla e trovarmi uno scopo oppure
restare, ma fortunatamente il mio grillo
parlante è riuscito a mettermi sulla buona strada. Con il senno di poi, mi
rendo conto che se non avessi avuto questo obiettivo su cui concentrarmi, non
avrei concluso l’anno in vita. Nessuno avrebbe potuto tirarmi via dal baratro
come hanno fatto le Banshee. È solo grazie a tutti loro se io sono qui. Grazie
a loro sono potuta venire da te, a Lipsia».
Dal canto suo, Harry non sapeva come reagire. Una
parte di lui era profondamente offesa all’idea che lei avesse preferito raggiungere degli estranei e diventare un super
agente segreto piuttosto che aprirsi con lui, che era stato come un fratello.
Un’altra parte di lui, quella razionale, era tuttavia di un altro avviso: in
quel periodo – fino a Lipsia – l’ulteriore preoccupazione dello stato di salute
di Hermione l’avrebbe spinto ad un livello di follia sufficiente a giustificare
un ricovero. Non avrebbe aiutato lei, non avrebbe aiutato se stesso. Sarebbe
stato un ulteriore sasso sulla sua tomba.
Oh,
Hermione, cosa ci siamo fatti?
«Cosa accadrà, adesso?» le domandò, guardando
dritto davanti a sé mentre le auto sfrecciavano incuranti lungo la strada,
inconsapevoli del mondo che si stagliava diversi metri sotto di loro. «Sei
tornata per restare? Sei tornata solo per la missione? Se riusciremo ad uscirne
vivi sparirai ancora?».
«Non lascerò il mio lavoro, se è questo che mi
chiedi» gli rispose, con un leggero sorriso. «Ma sono tornata per restare. Non
abbandonerò di nuovo la mia famiglia».
***
La piccola e graziosa sala da tè si affacciava su Hyde Park ed a quell’ora della sera era praticamente
deserta. Draco aveva scoperto quel luogo durante una delle sue interminabili
passeggiate, ritrovandosi incredibilmente affamato ma per nulla disposto a
rinchiudersi in un pulcioso pub pieno zeppo di babbani o, peggio, in una qualche
taverna di maghi. Aveva una dignità e sapeva bene il trattamento che avrebbe
ricevuto.
La proprietaria del Claire de Lune era una simpatica donna praticamente coetanea di
Draco che lui aveva scoperto essere una Magonò nel
momento stesso in cui aveva messo piede nel locale e lei lo aveva quasi colpito
con un piattino volante. Nonostante il primo approccio con Elizabeth non fosse
stato dei migliori, le era bastato poco tempo per mettere da parte ogni astio e
fare in modo che Draco potesse considerarsi il benvenuto in quell’incantevole
luogo, ritrovandosi a passare almeno una volta al giorno, spesso solo per un
saluto. All’inizio, non poteva negarlo, la sua caparbietà nel presentarsi lì
era stata legata soprattutto all’attrazione che aveva sentito verso l’avvenente
proprietaria, ma un paio di uscite avevano dimostrato quanto i loro interessi
fossero diversi e, al massimo, potessero aspirare a diventare buoni amici.
«Sarebbe stato un po’ assurdo, non credi? L’ex
Mangiamorte e la Magonò… sembra quasi il titolo di un
giornaletto rosa per ragazzine» gli fece notare Winnie, le sopracciglia chiare
inarcate in una chiara espressione divertita, mentre si toglieva la giacca per
poggiarla allo schienale della graziosa sedia bianca, su cui Draco la aiutò a
sedersi da bravo cavaliere. Se fosse stata qualcun altro, quell’invasione della
privacy l’avrebbe infastidito, ma non avrebbe mai potuto arrabbiarsi con lei.
«Ti ringrazio per questa concessione, ma credo che cercherò di non immischiarmi
più. Non vorrei certo ritrovarmi sbattute in faccia le grazie di quella gentile signorina che ci ha accolti all’ingresso».
Draco non riuscì a nascondere un sorriso, sperando
vivamente che la povera Elizabeth non l’avesse sentita. «Prima di tutto, non
c’è mai stata alcuna esperienza diretta con… con le grazie della proprietaria. E poi… se non sbaglio tu eri una
grandissima appassionata di quei giornaletti, dovresti essere in prima fila a
tifare per questa fantomatica storia d’amore» le fece notare, tirando fuori
un’espressione identica a quella che lei gli aveva rifilato poco prima. Era
incredibile quanto si somigliassero nelle reazioni.
Winnie si strinse nelle spalle, cominciando a
scorrere con lo sguardo le varie voci dei menù lasciati sul tavolo. Sembrava
quasi che non sapesse già cosa avrebbe potuto scegliere, probabilmente perché
l’abitudine la portava a nascondere ai più il suo talento. Le sarebbe bastato
concentrarsi un po’ di più per tirare fuori tutte le informazioni che il cuoco
aveva su ogni singolo piatto. «Ancora mi piacciono i romanzi rosa, sì, ma non
quelli banali come la tua impossibile storia con la ragazza. E, comunque, lei è
felicemente impegnata» gli fece notare, indicandola con un leggero segno del
capo, nascondendo malamente un sorrisino. «Prima che tu me lo chieda, no, non
le ho letto la mente. Ho solo notato l’anello di fidanzamento che porta al
dito. È anche piuttosto grande».
Incredulo, Draco si ritrovò a scuotere il capo,
lasciandosi andare contro lo schienale della delicata sedia. Non si era ancora
tolto il cappotto e, probabilmente, avrebbe evitato di farlo finché non fosse
tornato a casa. La Granger l’aveva trascinato via prima che potesse cambiarsi,
le macchie di liquore sulla camicia non erano uno spettacolo dignitoso, non per
un Malfoy6. «Hai occhio per i dettagli, allora. Ed io che credevo
che le Banshee ti volessero solo per la tua capacità di farti gli affari degli
altri» le disse, incrociando le braccia sul tavolo, tentato di nascondervi in
mezzo la testa. L’effetto della pozione stava finendo, avrebbe fatto bene a
mangiare velocemente qualcosa. «Se proprio vuoi sentirtelo dire, è stato grazie
a me se Beth ha incontrato il suo futuro marito».
Lo sguardo di Winnie saettò per un momento alla
ragazza, in quel momento impegnata a sistemare ordinatamente una lunga pila di
tazzine da tè, quasi avesse voluto studiarla. Draco non poteva più vederla,
dalla sua posizione, ma sapeva bene come l’avrebbe vista lei: leggermente china
in avanti, i capelli ricci e scuri raccolti disordinatamente in una crocchia da
cui sfuggivano alcuni boccoli, gli occhi scuri nascosti dietro una delicata
montatura bianca. Beth era adorabile, fisicamente e
caratterialmente, decisamente troppo
per uno come Draco, ma forse non per...
«Theodore Nott? Davvero?
E suo padre lo sa?» la sorpresa con
cui gli pose quelle domande fu tale che, per un istante, Draco si sentì tentato
di alzarsi in piedi e battere la mano sulla propria spalla per congratularsi.
Non credeva che sarebbe mai riuscito a sorprenderla.
Non lei, la nemica di tutte le sorprese. «Oh, per l’amor di Merlino, ho
rovinato una festa a sorpresa solo una
volta e solo perché nessuno mi aveva detto che il festeggiato non ne
sapesse nulla».
«Era una festa a sorpresa, Win,
era ovvio. Per fortuna zio Barthemius è sempre stato fuori come una campana» le
rispose, alzando gli occhi al cielo. «Comunque sì, suo padre lo sa e l’ha presa
esattamente come credo tu stia immaginando». Per rafforzare l’idea, Draco pensò
intensamente alle condizioni in cui aveva trovato l’amico dopo la fantomatica
cena in cui Theo si era deciso a raccontare al vecchio genitore della donna che
aveva intenzione di sposare.
Nauseata, Winter scosse il capo e strinse le
labbra, lanciando un altro sguardo in direzione di Elizabeth. «Deve volerle
molto bene, se ha sopportato quella tortura. Se penso che il vecchio Augustus è sfuggito ad Azkaban solo per le sue malattie…»
sospirò, sinceramente dispiaciuta. Sia lei che Draco erano stati presenti
quando il padre dell’amico aveva ottenuto di restare ai domiciliari a causa
delle precarie condizioni di salute, entrambi avevano convenuto che quella
fosse stata la scelta peggiore. AugustusNott era uno dei Mangiamorte più fedeli mai esistiti ed era
anche uno dei più pericolosi, non sarebbe stato certo un cancro a tenerlo
lontano dai suoi affari loschi.
«Theo ha rinunciato a tutta la sua fortuna ed alla
sua famiglia, per lei, ma non ha mai dato segno d’essersene pentito7.
Se devo esser sincero, credo che abbia riguadagnato i soldi persi in simpatia»
le disse, sorridendo in modo vagamente forzato. Ammirava la scelta di vita di
Theodore, ma l’idea di dover fare una scelta come quella lo terrorizzava,
difficilmente lo avrebbe imitato.
«Non essere cattivo, Draco, non ti si addice più»
gli rispose lei, con gentilezza, sorridendo verso Beth
quando lei si avvicinò con in mano il taccuino delle ordinazioni. Conoscendola,
doveva aver fissato l’orologio finché non erano passati quei minuti necessari
affinché potessero decidere cosa farsi portare. La curiosità doveva divorarla
viva. «Buonasera cara, siamo pronti per ordinare» le disse Winnie, senza
neppure darle il tempo di aprire bocca.
Stranita, Elizabeth lanciò uno sguardo confuso a
Draco, per poi decidere, probabilmente, che fosse solo una grossa coincidenza.
«Sono tutta orecchi» disse allora, tranquilla, lanciandole un’occhiata curiosa.
«Se posso, vorrei consigliare…».
«Ah, sì, crostata allarancia, mi sembra un’ottima
idea, per quanto mi riguarda. Lui prenderà torta al cioccolato ed una tazza di
caffè nero, senza panna. Io preferirei del tè con limone, grazie mille» la
interruppe velocemente Winnie, con un cenno veloce. «Ah, no mia cara, non sono
la sua ragazza e non sono incredibilmente
maleducata, sono una Legilimens, mi sto limitando a rispondere ai tuoi
pensieri. Mi dispiace, comprendo possa sembrare assurdo e fastidioso, ma non
posso far nulla per controllarmi, è un dono naturale. Ed il mio nome è Winter
Vane».
Un lungo silenzio imbarazzato cadde su di loro,
mentre Elizabeth fissava Winnie come se le fosse spuntata un’altra testa. Poi,
lentamente, la sua espressione si distese e Draco la osservò sospirare, come se
si fosse ritrovata a fronteggiare l’ennesimo problema della giornata.
«Fantastico, davvero. Non solo vivo circondata da
maghi e streghe, adesso mi ritrovo anche una Legilimens nel locale» sbottò,
allargando le braccia con aria sconfitta. «Incredibile. La prossima volta chi
porterai, Malfoy? Un gigante? Ti
diverti così tanto a ricordarmi quanto sia noiosa la mia esistenza?8»
domandò a Draco, quasi fosse stata tutta colpa sua. «Puoi scordarti la panna
sulla torta, dopo questo colpo basso».
Senza riuscire a trattenersi, Draco scoppiò
praticamente a riderle in faccia, nascondendosi malamente dietro la mano. «Mi
dispiace, Beth, la prossima volta mi assicurerò che i
miei ospiti siano quanto più banali possibili» la rassicurò, scuotendo il capo.
«E, come lei ti ha gentilmente fatto notare, non è la mia conquista».
«Che Merlino ce ne scampi» concordò Winnie,
arricciando l’elegante naso ed osservando la proprietaria del locale con aria
sempre più divertita. «Oh, lo so che lui è un bravo ragazzo che merita una
ragazza carina come me, ma temo che la genetica sconsigli fortemente una nostra
unione».
Fu Draco ad accigliarsi, a quel punto. «Siamo
cugini di secondo grado9, Winnie, non credo ci siano rischi da quel
punto di vista» le fece notare, scuotendo il capo. «Comunque il succo della
questione non cambia, non sono venuto a sbatterti in faccia alcuna conquista.
Nel caso dovresti essere tu a sbattermi in faccia quell’anello ogni volta che
vengo qui!» le fece notare, sinceramente divertito e per nulla sarcastico, cosa
rara per lui. Comportamento strano da parte sua, ne era consapevole, ma non
poteva certo fare lo stronzo con lei.
L’attenzione di Beth era
stata sicuramente catturata con quel dettaglio. «Una cugina, dici? Non dal ramo
Black, immagino. Non ha gli occhi di famiglia» notò, osservando la ragazza con
aria attenta, piegando leggermente il capo di lato.
«Non tutti i Black hanno gli occhi azzurri, però»
sottolineò Winnie, stringendosi nelle spalle. «Se non sbaglio, sua zia
Andromeda ha gli occhi scuri come la non compianta Bellatrix».
«Non mi riferivo al colore, ma alla pazzia», Beth arricciò il naso, vagamente disgustata. «Ho avuto il
piacere di conoscere vari parenti di Draco e posso dire con assoluta certezza
di non averne trovato uno con gli occhi folli10. Forse l’unica
eccezione è Teddy Lupin, il nipote di Andromeda. Ma è
un metamorfomagus, potrebbe mascherare la follia con
relativa semplicità» constatò, per poi scuotere il capo. «Ma non è importante.
Hai detto Vane? Non credevo che avessero collegamenti con i Black o con i
Malfoy».
Il modo in cui Winnie si irrigidì fece pentire
Draco di aver lasciato che quella discussione andasse alla deriva, toccando un
argomento che sapeva bene avrebbe fatto bene a restare ben sepolto sotto una
spessa coltre di bugie ben elaborate anni prima. Alcuni di loro – i bambini di cristallo, li chiamavano
così – avevano dovuto affrontare i proprio fantasmi quando erano ancora in
carne ed ossa, ritrovandosi a combattere il sangue del proprio sangue quando la
salvezza non si era presentata nelle vesti del fantomatico Golden Boy.
Prima che lui potesse intervenire, però, Winter si
decise a rispondere. Via il dente, via il
dolore, doveva essere stato il suo pensiero. Dopotutto, nel momento in cui Beth fosse tornata da Theo ed avesse iniziato a
raccontargli di quel loro incontro, la verità sarebbe saltata fuori comunque.
«Vane è il cognome di mia madre, l’ho cambiato quando ero molto piccola» iniziò
a spiegare, raddrizzando le spalle ed estraendo la bacchetta dalla manica del
delicato maglioncino azzurro che aveva indossato dopo aver dismesso la divisa
delle Banshee, per non attirare l’attenzione. Approfittando del locale deserto
e della loro posizione riparata, bastò un gesto veloce ed il colore dei suoi
capelli mutò, diventando dello stesso nero violaceo del padre, così come gli
occhi passarono da un caldo verde pallido ad un grigio chiarissimo, quasi
trasparente.
L’imprecazione che sfuggì a Beth
avrebbe fatto sorridere Draco ed indignare il di lei fidanzato, ma quello di
certo non era il momento adatto per divertirsi o scherzare. Gli sembrava di poter
leggere le informazioni connettersi nella mente della donna che li
fronteggiava, mentre date e nomi cominciavano a combaciare fra loro,
restituendole la vera identità di Winnie.
«Tu non puoi essere davvero…».
«Elladora Winter
Mulciber9, piacere di fare la tua conoscenza, Elizabeth Hitchens».
***
Li chiamavano bambini di cristallo, perché la loro
esistenza pur apparendo perfetta era in realtà fragile come il più delicato dei
calici: un passo falso e di loro non sarebbe rimasto che il ricordo infranto di
un’infanzia mai vissuta davvero. Erano i figli della grande società purosangue,
quelli che fin dalla culla erano stati abituati a non chiedere dove sparissero
mamma e papà o perché si sentissero terrificanti urla dai sotterranei. Erano i
bambini che non avevano mai vissuto Voldemort come uno spauracchio, perché lo
spauracchio viveva con loro, li accompagnava mentre andavano a dormire e li
salutava non appena aprivano gli occhi. Draco Malfoy si era sempre ritenuto
fortunato, suo padre era sempre stato abbastanza furbo da tenere i due aspetti
della sua vita separati, così che nessuno potesse accusarli, nel caso il regime
fosse caduto. Draco aveva vissuto una buona infanzia, non c’erano accuse che
volavano sulla sua testa, nulla se non la consapevolezza di essere superiore. Per i primi sedici anni della
sua vita si era semplicemente limitato a voltare lo sguardo e fingere di non
sentire nulla che non rientrasse nella norma. Come lui, molti altri erano
semplicemente andati avanti, senza preoccuparsi del domani finché quello non
era arrivato di prepotenza, durante la finale del Torneo Tremaghi.
Winter Mulciber,
Theodore Nott e pochi altri, invece, avevano avuto
una vita profondamente diversa,
com’era risaputo da chiunque avesse anche solo un contatto minimo con il mondo
magico. Non sempre gli orrori venivano confinati nei sotterranei e non sempre era
possibile non sapere quali fossero gli
affari loschi dei genitori. Non era possibile, non quando la sanità mentale
veniva barattata con sempre maggiore potere e sempre maggiore oscurità.
Anche Elizabeth, cresciuta ben nascosta dalla
vista di chiunque potesse farle del male, conosceva fin troppo bene la storia
di quei bambini il cui cristallo era stato brutalmente infranto. Osservandola
mentre fissava la ragazza che la fronteggiava, Draco non dubitava che tutti gli
spauracchi che da bambina l’avevano torturata fossero tornati alla ribalta,
lasciando che immagini di torture e morte si riversassero su Winnie, che le
aveva vissute in prima persona. Fortunatamente, però, la vicinanza di Theo
doveva averla temprata, perché impiegò pochissimo a riprendersi e schiarirsi la
voce, lasciando che il solito sorriso le si affacciasse in viso.
«Credo sia meglio portare queste al cuoco, non
vorrei si fosse addormentato» si congedò, facendo un paio di passi indietro per
dirigersi alle cucine. Un momento prima di girarsi, tuttavia, si fermò,
tornando verso di loro ed allungando la mano in direzione di Winnie. «Piacere
di conoscerti, Winter Vane. Sei la benvenuta al Claire de Lune».
Quando si allontanò e Draco poté tornare a
concentrarsi sulla cugina, la trovò nuovamente bionda ed intenta a sorridere
dolcemente. «Ha deciso che diventerà mia amica, secondo lei somiglio
incredibilmente a Theo e, accidenti,
se è riuscita a far perdere l’aria depressa a lui può farlo anche con me»
spiegò, scuotendo leggermente il capo. «Ho l’aria depressa, Draco?».
«Non particolarmente, soprattutto non con quei
vestiti o con quell’aspetto» le rispose lui, sollevato che la discussione non
fosse rimasta sui toni cupi del passato. Anche lui aveva dei fantasmi pronti a
tormentarlo, erano appostati proprio dietro l’angolo, in attesa del primo segno
di cedimento da parte sua. «Se devo essere sincero, però, ti preferisco al
naturale».
Winnie si strinse nelle spalle, tranquilla. «Sono
troppo riconoscibile in quel modo. Preferirei non scatenare il panico, se non
sono costretta». Elizabeth tornò in quel momento, portando un vassoio con le
loro ordinazioni. «Grazie, cara. Anche per aver deciso di non dire nulla della
mia identità, te ne sono molto grata, l’ultima cosa che desidero è ritrovarmi
qualche vecchia zia alle calcagna, ma sarò comunque felice di venire a pranzo a
casa tua e di Theodore, con Draco» le disse, evidentemente anticipandola ed
indisponendola, considerato lo sguardo che ricevette subito dopo.
«Legilimens»
borbottò esasperata. «Ed io che credevo che un pozionista
pazzo fosse fastidioso!» si lagnò, scuotendo il capo e tornando alla sua
postazione dietro il bancone. «Arriverà il momento in cui farò come suggeriva
sempre zio Taddeus e me ne andrò in Canada, lontana
da tutti voi maghi».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
In questo capitolo
ho dato tante di quelle informazioni che mi viene voglia di prendermi a
schiaffi da sola.
Punti importanti:
» 1
– Avevo un biglietto di sola andata per il luogo in cui vanno tutti i
demoni/ Dove il vento non cambia/E niente può mai crescere dal suolo/ Nessuna speranza,
solo bugie/ e ti insegnano a piangere contro il tuo cuscino/ Ma sono
sopravvissuta/ Sto ancora respirando/ Sono viva.
» 2
– A Londra, come in tutte le grandi città, è quasi impossibile vedere le stelle.
Giusto per specificare, non vorrei dovessero nascere strane supposizioni
(perché io ci avrei pensato).
» 3
– Città della Germania in cui è successo qualcosa.
Ovviamente non ho intenzione di dirvi nulla, solo prestate attenzione.
» 4
- L’addestramento delle Banshee generalmente dura da uno a tre anni, in
base alle capacità dell’ipotetica recluta. Ophelia ha impiegato due anni pieni,
Barry quasi tre (ma lui soprattutto a causa di problemi legati al comportamento),
Katie e Winnie circa uno ed Hermione, in teoria, avrebbe dovuto impiegarne uno
solo. La “bravata” di Lipsia le è costata un anno di addestramento in più.
» 5
– Coordinate cronologiche, giusto per non perdere il filo: sono passati quattro
anni dalla fine dalla guerra e due anni dalla morte di Ron e dalla sparizione
di Hermione.
» 6
– Non dimentichiamoci che Draco è ancora ubriaco. Solo perché non sembra
completamente perso non significa che non lo sia. Nel momento stesso in cui la
pozione che ha preso smetterà di fare effetto, si ritroverà schiacciato dal
dolore per la perdita della sua famiglia. Non pensate neppure un momento che
solo perché stia sorridendo non stia morendo dal dolore, contemporaneamente. È ubriaco, anche se non lo sembra.
» 7
– Theodore Nott
era un compagno di scuola di Draco, Serpeverde come lui e figlio di uno dei più
anziani mangiamorte. Essendo di altissima estrazione sociale, è
cresciuto praticamente in mezzo ad una fortuna, ma ci ha rinunciato più o meno
un anno prima per poter stare in pace con Elizabeth. Attualmente è riuscito a
riguadagnare un bel gruzzoletto grazie al suo eccezionale talento come pozionista, cosa che gli ha concesso di acquistare un gran
bel pezzo d’anello per la sua fidanzata Magonò.
» 8 –
Beth non è maleducata, non ha reagito in modo tanto
stizzito solo per fare la proverbiale stronza gelosa. Si tratta di una
storiella che va avanti da almeno un anno e mezzo fra lei e Draco, con lui che
non fa che lanciarle frecciatine su quanto triste debba essere stato, per lei,
crescere in una famiglia di purosangue senza poter mai usare la magia. Si era
naturalmente convinta che Draco avesse portato Winnie solo per farla sentire
ancora più inutile, cosa che naturalmente lui non avrebbe mai fatto. Un conto è
scherzare amichevolmente, un conto è fare proprio il bastardo.
» 9 –
Spieghiamo un po’ di cose. Prima di tutto, Mulciber
era uno di quegli studenti cattivissimi a cui si era avvicinato Piton ai tempi
della scuola. Mulciber è stato uno dei peggiori, crudele per il solo gusto di
esserlo e con una tendenza a giocare brutti scherzi mentali alle sue vittime,
essendo un abile Legilimens come la figlia. Ha terrorizzato abbastanza persone
da restare nella storia come uno dei maghi oscuri più spaventosi. In teoria è
finito in carcere con la caduta di Voldemort, ma la realtà sarà vagamente
diversa. La seconda caduta di Voldemort l’ha portato di nuovo in tribunale e,
questa volta, è stata sua figlia stessa a farlo condannare.
Come sono imparentati Winnie e Malfoy? Mulciber è
cugino di primo grado di Lucius, poiché sua madre (quindi
la nonna di Winter) era una Malfoy, sorella del nonno di Draco. È vagamente
complicato, me ne rendo conto, ma le parentele fra purosangue lo sono sempre. Per
qualunque domanda, chiedete.
» 10
– Come fa Beth
a conoscere gli occhi folli dei Black? Suo padre è un avvomago,
uno dei più importanti, che ha avuto rapporti con le più grandi famiglie
purosangue di tutto il Regno Unito. Lei ha avuto modo di osservare – da lontano – praticamente tutti i pezzi
grossi dell’alta società. Naturalmente è stata sempre tenuta nascosta, sia per
paura che per vergogna, e quando la guerra è scoppiata, suo padre l’ha mandata
all’estero, così che non rischiasse. Tornata in patria, ad appena diciotto
anni, ha aperto la piccola sala da tè, sfruttando i soldi di famiglia che, in
teoria, non le sarebbero serviti per iniziare una carriera ministeriale.
Anche Hermione ha
sofferto incredibilmente. Lei ed Harry sono dei bambini di cristallo, anche loro sono stati distrutti,
ridotti in mille frammenti di vetro.
Grazie mille a tutti
coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e
che continuerete a seguirmi!
Non sono sicura di poter
aggiornare lunedì prossimo – esami maledetti – ma vi consiglio di controllare facebook!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 6 *** Atto III, Parte II - Questioni di coscienza ***
L’Erede del Male.
“A mio credere il
burattino è bell'e morto; ma se per disgrazia non fosse morto,
allora sarebbe indizio
sicuro che è sempre vivo”.
[Carlo Collodi
– Pinocchio]
Atto III, Parte II – Questioni
di coscienza
Il Quartier Generale delle Banshee si trovava in
una località non precisata in mezzo alle Alpi Svizzere, circondata da ghiacciai
perenni e ben nascosta alla vista di maghi e babbani. Si trattava di un
castello costruito ben prima del diciottesimo secolo che era stato sottratto ad
un mago oscuro in una delle prime operazioni in cui era stata coinvolta la
Squadra. Da quel momento in poi, era stato rimodernato un numero infinito di
volte per poter ospitare centri di ricerca all’avanguardia e, di conseguenza,
le migliori menti del tempo. Organizzato in quartieri abitativi, così che ogni
squadra potesse avere il proprio spazio di lavoro, era finito col somigliare
sempre di più ad un complesso di strutture disposte come un labirinto, facilitando
particolarmente il compito della sicurezza: soltanto qualcuno che avesse saputo
con esattezza dove andare avrebbe potuto orientarsi senza finire in una delle
mille trappole piazzate dai fondatori.
In uno di questi quartieri, precisamente nella
zona sotterranea del blocco appartenente alla Squadra Banshee 3, Ophelia
Penderghast stava esaminando quello che aveva tutta l’aria di essere un
cadavere ridotto a poco più di un mucchio di brandelli tenuti insieme da un
velo di pelle sanguinolenta. La divisa da lavoro che aveva indossato per
l’incontro con il Ministro della Magia ed i loro due nuovi protetti era ormai
sporca di sostanze non bene identificate ed il suo viso si era salvato solo
agli incantesimi repulsivi che aveva recitato prima di iniziare l’ennesima
autopsia. Le lenti dei suoi occhiali erano sufficientemente sporche senza che
ci fossero impronte rossastre, grazie tante.
Non aveva mai odiato il suo essere cieca come una
talpa1 tanto quanto aveva fatto durante gli anni in cui non aveva
ancora conosciuto il dannatissimo incantesimo repellente. Il pensiero di dover
ripulire gli occhiali, dopo che questi erano stati contaminati solo Merlino
sapeva da cosa, non l’aveva mai attirata.
«Sei sexy tutta coperta di sangue, te l’ho mai
detto?».
Certo, era stato grazie ai suoi occhiali
disgustosamente sporchi se era finita praticamente fra le braccia del suo
attuale consorte. E lui sembrava aver sviluppato un vero e proprio fetish nel
trovarla immersa fino ai gomiti – letteralmente – nel suo lavoro.
«L’hai detto più volte, quindi questa volta puoi
evitare di farlo» gli rispose, particolarmente acida, agitando la bacchetta con
abbastanza violenza da far schizzare un po’ di sangue scuro sul muro davanti a
lei. Di solito trattava meglio i suoi pazienti,
ma quella sera era davvero troppo irritata
per comportarsi educatamente verso i non
vivi. «Davvero, Barry, torna di sopra, non ho voglia di parlare con te,
adesso» aggiunse, stizzita, sventolando una costola come se fosse stata
un’altra bacchetta.
Suo marito, naturalmente, era stato temprato da
esperienze ben peggiori dell’essere minacciato con un osso insanguinato, quindi
non fece una piega e, piuttosto, iniziò a sorriderle di più. «Ti vedo tesa,
cara. Magari dovresti fermarti e riposare un po’, sono giorni che non dormi
bene» le disse, poggiandosi con le spalle ad un altro tavolo, in quel momento
vuoto. «Se vuoi posso venire con te e farti rilassare un po’. Non posso
prometterti un massaggio,» nel dirlo sollevò l’uncino, con fare divertito, «ma
sono piuttosto bravo con tutto il resto, come credo che gli ultimi sei anni
abbiano ampiamente dimostrato2».
La tentazione di usare quella costola come un’arma
impropria colpì Ophelia come un pugno nello stomaco, se riuscì a trattenersi fu
solo per rispetto di quel povero disgraziato che era capitato sotto le sue
mani. «Ti avevo chiesto di essere gentile con lui, Bartholomew.
Ti avevo chiesto di trattarlo con gentilezza».
Il sorriso che lui continuò a dedicarle le fece
rivoltare lo stomaco. «Avrei dovuto annuire e sembrare rassicurante, secondo
te? Il ragazzino non mi avrebbe mai creduto. Meglio iniziare col bastone e poi
arrivare alla carota, questo dico io».
«Cos’è, uno stupido scontro di testosterone?
Volevi dimostrare di essere quello forte? Non
è un gioco, maledizione!» sbottò, mettendo giù la costola per evitare di
lanciarla via per la rabbia. «Non hai fatto altro che stuzzicarlo e spingerlo a
reagire male. Io ti conosco, credi
che non abbia visto come lo stringevi proprio per farlo irritare? Lui non è uno
dei tuoi animali, è mio cugino».
Annoiato, Barry alzò gli occhi al cielo,
grattandosi la guancia con la curva dell’uncino. «Proprio perché è tuo cugino ho dovuto agire in quel modo.
Conosco voi Penderghast, siete delle bestiole particolarmente rancorose. Se non
si fosse sfogato un po’ in quel momento, non sarebbe mai arrivato a fidarsi di
noi o di Hermione in tempi brevi.
Dovevo fare buon viso a cattivo gioco? Si sarebbe convinto che lo stavo
prendendo in giro e non avrebbe fatto altro che fissarci tutti con circospezione».
Per quanto il suo discorso avesse senso, Ophelia
non si lasciò convincere. Ancora tutt’altro che tranquilla, incrociò le braccia
al petto, sporcandosi più di quanto non avesse già fatto. La voglia di prendere
a pugni suo marito ancora le faceva bruciare lo stomaco. «Lui è un Potter, non
un Penderghast, quindi le tue considerazioni sulla mia persona non sono
applicabili alla sua situazione. Oltretutto, farlo sfogare non significa fare lo stronzo. Non mi stavo riferendo
solo all’arrivo di Hermione, ma a poco prima,
quando l’hai trattato come se fosse stato un povero idiota. O quando gli hai
dato del tardo».
«In mia difesa, è Katie a raccontare a tutti
quanto sia tardo, non ho fatto altro che metterlo al corrente delle voci che
circolano sul suo conto» le rispose lui, allargando le braccia. «Andiamo,
Philly, lo sai anche tu che ho fatto lo stronzo solo per conquistarmi la sua
fiducia. Quel ragazzino vive circondato da gente che butta fiori sulla terra su
cui cammina, non fanno altro che tentare di ruffianarselo, quasi essere suoi
amici fosse un titolo onorifico. Non è quello l’approccio da usare, non per
conquistare un minimo di rispetto».
Ophelia grugnì, rifiutandosi di guardarlo negli
occhi e preferendo fissare il cadavere che aveva davanti. «Nessuno di noi ha
fatto lo stronzo, significa forse che non si fiderà? Solo con te dovrà
stringere un qualche legame?».
Con evidente sprezzo del pericolo – solo così
avrebbe potuto trovare il coraggio di avvicinarsi ad una strega che fino a poco
prima aveva brandito una costola come un’arma impropria – Barry si allontanò
dal suo angolo, per raggiungerla. Non la toccò, limitandosi a piegarsi per
poterla guardare negli occhi, oltre le spesse lenti. «Hermione è praticamente
sua sorella, Katie è una sua vecchia compagna di scuola e tu sei sua cugina. Quando avrai modo di
spiegargli tutti i vostri legami di parentela lui perderà la testa dalla gioia.
Certo, dovrai spiegargli per quale motivo non ti sei fatta viva negli ultimi
vent’anni, ma immagino che saprai bene cosa dirgli».
Maledizione.
Ophelia Penderghast in Maine aveva passato tutta
la sua vita immaginando come sarebbe stato incontrare il figlio di James. Suo
cugino3 era morto quando lei frequentava il primo anno di scuola e
non aveva avuto moto di dirgli addio o di vedere il piccolo Harry dopo la
nascita, l’ultima occasione in cui c’era stata sufficiente sicurezza per far
incontrare le famiglie. Suo padre le raccontava spesso dei tentativi che aveva
fatto per ottenere la sua custodia, andati tutti in fumo davanti all’evidenza
del maggiore legame esistente con Petunia Dursley,
per quanto quella donna fosse fastidiosa. Aveva anche provato a fargli visita,
i primi tempi dopo quella notte di Halloween, ma si era ritrovato ad esser
minacciato da quello che aveva definito essere un “vermicolo infinitamente
grasso e baffuto”. Aveva avuto modo di osservarlo da lontano, stando a quello
che le aveva raccontato, verificando quanto male lo avessero trattato solo
perché qualcuno del loro mondo lo
aveva avvicinato. Da quel momento, quindi, aveva deciso di non immischiarsi,
nella speranza che in qualche modo in quella famiglia disastrata potessero
raggiungere un equilibrio e restituire affetto a quel bambino a cui era stata
sottratta la famiglia. Ophelia aveva rispettato le indicazioni del padre,
tenendosi ad una rispettosa distanza ed incontrando il suo cuginetto solo dopo
esser entrata a far parte delle Banshee, durante il Torneo Tremaghi.
Già allora aveva pensato di farsi avanti, di dirgli la verità, ma non c’era
riuscita.
Per il
suo bene, si era detta, limitandosi a scambiare qualche parola con
quello che presto sarebbe diventato il suo nuovo collega e marito. Potrebbe restarne sconvolto, aveva
aggiunto, quando lo aveva visto in procinto di saltare nel lago nero. Rischierei solo di confonderlo, era
stata la sua conclusione, quando lo aveva visto allontanarsi insieme a Crouch Junior, impossibilitata ad intervenire finché non
avesse ricevuto l’autorizzazione4.
In realtà
era stata solo una gran vigliacca. L’idea di avvicinarglisi, di
spiegargli chi fosse e perché avesse permesso che passasse tutta la sua
infanzia in solitudine la terrorizzava. Ophelia era sempre stata brava a
comprendere le dinamiche del corpo, a comprendere le malattie e la magia, ma le
sue capacità relazionali erano ad un livello particolarmente basso, se non
inesistente. Preferiva trattare con i morti, loro non erano soliti armarsi di
disprezzo e cattiveria per rispondere alle sue domande. Solitamente non
rispondevano affatto e, se lo facevano, era sempre con incredibile educazione,
per quanto quella caratteristica fosse un po’ imposta dalla forza degli eventi.
Il sorriso di suo marito, che non aveva mai smesso
di guardarla negli occhi, si allargò. «Ah-ah, ti ho beccata!» esultò,
allungando il braccio uncinato per spostarle una ciocca di capelli da davanti
al viso e poi per costringerla a sollevare gli occhi e ricambiare il suo
sguardo. «Lo sapevo che non eri davvero arrabbiata con me. Sei solo stizzita
perché così non sei riuscita a ruffianartelo come avresti voluto, non è vero?
Non credo sia una tattica vincente, amore mio. Non lo è mai, non con voi
Penderghast».
Punta sul vivo, lei mise il broncio. «Come ti ho
già detto, lui è un Potter, non un Penderghast».
Divertito, Barry si avvicinò un po’ di più per
poter posare le labbra sulle sue in un bacio delicato. «Cara, se c’è una cosa
che ho imparato negli ultimi otto anni è che la vostra testardaggine è
resistente a qualunque cosa, prima fra tutti la genetica. Quel ragazzino potrà
somigliare tutto ad un Potter, magari sembrare caratterialmente diverso da te o
tuo padre… ma un Penderghast è sempre un
Penderghast. Non farti prendere dagli scrupoli di coscienza adesso, sei ad un
passo dal riavere una parte di famiglia al tuo fianco, devi solo essere abbastanza
coraggiosa da accettarne le conseguenze».
***
La Tana non era cambiata, nei due anni in cui era
stata costretta lontana dalla patria. Il giardino era un po’ più curato di
quanto non fosse mai stato prima – colpa
di Percy, le aveva detto un imbarazzato Harry,
raccontandole dell’ansia del cognato prima di portare la sua fidanzata a
conoscere la famiglia per la prima volta. Si era assicurato che tutti
indossassero biancheria pulita, quasi lei avesse preteso di controllare
personalmente – ed all’esterno era possibile notare più di una macchina
parcheggiata, tutte ben diverse dalla vecchia Ford Aniglia
che circa dieci anni prima Harry e Ron avevano sgraffignato per raggiungere la
scuola.
Sembrava trascorsa una vita dall’ultima volta in
cui aveva avuto occasione di pensare a Ron. Si era preclusa quella possibilità,
ritenendo che potesse distrarla dall’addestramento o che potesse farla sentire
ben peggio di quanto già non facesse da sola. Si era spesso ritrovata a fissare
il nulla, lo sguardo perso, combattuta fra il lasciarsi andare ai ricordi ed il
chiudersi completamente ad essi. Sapeva qual era il prezzo da pagare, in caso
di distrazione, il suo Capo era stato ben attento nel ricordarglielo ogni
giorno della preparazione.
«Credi sia saggio?» domandò ancora una volta,
osservando Harry con la coda dell’occhio. Erano a pochi passi dalla porta, ma
ancora non si sentiva un fiato provenire dall’interno. Era strano, terribilmente strano, ma anche
comprensibile. Era una famiglia spezzata da quelli che loro avevano pensato
essere due lutti, che fosse stata persa la solita allegria era il minimo che ci
si potesse aspettare, nonostante lei si fosse convinta, negli anni, che Fred e
George avrebbero offerto un giusto intrattenimento.
Harry, dal canto suo, era ben più pallido di
quanto non fosse stato prima. Dal modo in cui stava sfregando le mani contro i
jeans era piuttosto evidente che avesse i palmi sudati, così come la fronte.
«No, non credo proprio che sia saggio, ma non abbiamo scelta» le disse, onesto,
lanciandole solo un leggero sguardo al di sopra delle lenti dei suoi occhiali.
Non erano più gli stessi di quando era giovane, la montatura era molto più
adatta alla sua età e, soprattutto, era integra.
«Te l’ho detto che Ginny è incinta? Sei mesi» le
comunicò, senza azzardarsi a bussare, quasi avesse voluto allungare un po’ di
più la durata della quiete prima della tempesta.
Vagamente più tranquilla – anche se non rilassata
– Hermione gli sorrise, annuendo. «Non me l’hai detto, ma era scritto su un po’
tutti i giornali. Si è ritirata per dedicarsi alla famiglia, non molti hanno
appoggiato questa scelta» gli disse, cercando di mantenere il tono quanto più
colloquiale possibile. «Sciocchezze, a parer mio. Ne parlano quasi lei abbia
avuto una scelta, non pensi? Di certo non può giocare durante la gravidanza e
dopo… beh, fermarsi per almeno un anno è il minimo, in questo sport5.
Tanto vale guardare avanti e cercare di costruirsi una nuova carriera»
constatò, ripensando a quante volte aveva sentito Ophelia fare un ragionamento
simile nell’attesa di una gravidanza che sembrava non esser destinata ad
arrivare mai. «La Gazzetta del Profeta deve averle messo il tappeto rosso ai
piedi, quando si è presentata per chiedere lavoro».
Il modo in cui Harry ghignò lasciò trapelare
quanto orgoglioso fosse della sua fidanzata. «Appena ha annunciato il suo
ritiro è stato un continuo di gufi e gufetti, erano decisi ad ottenere solo
un’intervista, ma quando lei ha fatto presente che il giornalismo non le
sarebbe dispiaciuto hanno perso qualunque dignità. Ginny
ha accettato dopo un mese di corteggiamento» spiegò, infilandosi le mani in
tasca e lasciando intendere di non essere ancora pronto a mettere fine alla
conversazione.
Per un momento, Hermione si ritrovò a pregare che
nessuno li vedesse: praticamente sullo zerbino della Tana, incappucciati come
due dissennatori a causa del freddo ed intenti a chiacchierare come se fosse
tutto normale, somigliavano ad una coppia di svitati più che agli eroi del
Mondo Magico.
«Ho letto tutti i suoi articoli, erano davvero
eccezionali» si complimentò lei, annuendo leggermente. «Certo, non capisco
molto di Quidditch, ma Katie si è sempre detta entusiasta… entusiasta ed un po’
gelosa, in realtà» ammise, pentendosi un attimo dopo. Non era proprio il caso
di tirare in causa proprio Katie, decisamente
no. Non quando si parlava del suo più grande rimpianto.
«Katie era la migliore cacciatrice, allo stesso
livello di Ginny» notò infatti Harry, con una piccola
smorfia. «Perché ha deciso di non continuare? So con certezza che un paio di
squadre hanno chiesto di farle un provino, sono stato
io a consegnarle i moduli, alla fine del settimo anno, e lei mi aveva detto che
avrebbe preso in seria considerazione le proposte».
La tentazione di fare come al solito – cancellare
la memoria di chi aveva chiesto troppo
– la assalì in un istante, ma riuscì a controllarsi. Era Harry, poteva
spiegargli molto più di quanto non potesse con molti altri. «Diversamente da
molti di noi, Katie non ha potuto fare tante scelte nella sua vita» gli spiegò,
abbassando un momento lo sguardo per puntarlo sulle proprie mani, arrossate per
il freddo. Avrebbe dovuto indossare i guanti, le sarebbero presto venuti i
geloni continuando con quelle temperature. «Comunque il Puddlemere
non ha presentato richiesta di farle un provino, ha sempre detto che avrebbe
giocato solo per loro».
«Ah, certo, Katie aveva una cotta impressionante
per Oliver Baston» si ricordò improvvisamente Harry, inarcando le sopracciglia.
«Non ha avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con lui? Suo padre è il
capo di Gin6, mi ha detto che lui ha trovato una ragazza solo
recentemente e per qualche tempo mi sono convinto fosse Katie, anche se ora è
evidente che io mi sia sbagliato».
Hermione non riuscì ad impedire ad un sorriso
triste di curvarle le labbra. «No, non è Katie» ammise, voltando lo sguardo
verso il giardino sulla destra. Un piccolo gnomo stava emergendo da dietro un
ammasso di legna trascinando quella che sembrava essere una vecchia pala da
giardino. Non spettava a lei parlare di Katie e delle scelte che la vita
l’aveva portata a fare, soprattutto riguardo la sua vita privata. Che avesse
appena trovato un equilibrio era l’unico pensiero che riuscisse a confortarla,
per quanto complicata quella
situazione potesse essere.
«Sai, George e Angelina si sono sposati un mese
fa. Molly non ha fatto altro che lanciare frecciatine a me e Gin» le disse lui,
cercando disperatamente di cambiare discorso. Era sempre stato un po’ tardo
riguardo alcune questioni, ma era cresciuto molto negli ultimi due anni. Katie ne sarebbe stata devastata, scherzare
sul suo essere ingenuo era uno dei passatempi che la divertiva di più.
«Volevamo dirle che abbiamo deciso di sposarci una volta nati i bambini, ma
farle credere di doverci convincere a
fare il grande passo sembra occuparla abbastanza da non farla star male per…»
si fermò un istante, stringendo le labbra come se fosse stato indeciso se
continuare o no. «Beh, per Ron e te».
Il senso di colpa colpì Hermione come un pugno in
faccia. Doveva aspettarselo, la signora Weasley le era affezionata come se
fosse stata sua madre, doveva aver sofferto per tutta la durata di quei due
anni.
Sempre
che la promessa fosse stata mantenuta.
Cambiare discorso era sempre stata la sua
specialità, perché non farlo ancora? Era un avvocato, rigirare il discorso
doveva venirle naturale. «Hai detto i
bambini? Sono gemelli?7» chiese, con il tono più limpido di cui
fosse in possesso, trovando anche sufficiente faccia tosta da sorridere. «Ma è
meraviglioso! Conoscete già il sesso? Oppure volete una sorpresa?».
Harry annuì, alzando gli occhi al cielo. «Abbiamo provato a scoprirne il sesso, ma a
quanto pare sono dei tipetti agitati che non vogliono farsi guardare. Per
quanto mi riguarda, preferirei delle bambine. Per quanto più complicate da
gestire, sono certamente meno pericolose dei maschi» spiegò, sbottando l’ultima parola come se fosse stata un
insulto. «Una replica di Fred e George mi farebbe perdere i capelli prima del
tempo ed io ho scommesso con Seamus di mantenere questa acconciatura almeno
fino ai trent’anni».
Seamus Finnigan, un Auror come lui.
«Credo proprio che i capelli resteranno sulla tua
testa per un bel po’ di anni» si lasciò sfuggire Hermione, con una risatina.
Ricordava benissimo il giorno in cui Ophelia le aveva mostrato le foto di
famiglia, indicandole con non poco orgoglio suo zio Fleamont – il nonno di Harry – che alla veneranda età di
sessant’anni ancora aveva una capigliatura da far invidia a qualunque ventenne.
«Quanto a Seamus, non credo si possa dire lo stesso. A me sembrava già
leggermente stempiato due anni fa».
«La situazione non è migliorata col tempo, anche
se adesso ha una barba che sembra voler compensare per i capelli».
Si guardarono per un lungo istante, mantenendo un
silenzio religioso, poi si ritrovarono a sorridere, sghignazzare ed infine a
ridere come dei matti per una mangiata di secondi. La tensione che si era
andata accumulando dal momento del loro secondo chiarimento aveva iniziato a
scivolare via, rimpicciolendosi fino a diventare solo una macchia alla base dei
loro cuori, pronta a saltar fuori nel momento di maggior debolezza.
Non era finita, nessuno di loro aveva dimenticato, ma erano pronti a
perdonare, seppur un po’ soltanto.
Il loro momento di ilarità venne brutalmente
interrotto da qualcuno che spalancava la porta e dal rumore di un piatto che si
schiantava violentemente al suolo. Quando si voltarono, Hermione si ritrovò a
fronteggiare il primo dei suoi tanti spettri del passato.
«Tu dovresti essere morta».
«Ancora no, come puoi notare».
«Sei viva».
«E tu sei incinta.
È un piacere rivederti, Ginny».
***
Era stato tutto molto più semplice di quanto Harry
avesse previsto. Negli scenari che si era ricreato, Ginny
avrebbe dovuto lanciarsi a terra e minacciare un aborto, oppure avrebbe dovuto
provare ad assaltare Hermione per ucciderla davvero, così da vendicarsi di
quello che le aveva fatto passare negli ultimi due anni. Se la prima
possibilità era stata fortunatamente scongiurata, poiché non sembrava che la
sua fidanzata fosse sul punto di svenire o scatenare l’inferno, la seconda
invece era ancora realizzabile, così come suggerivano i suoi occhi scuri quasi
incandescenti di furia.
«Sì, sono incinta.
Mi sarebbe piaciuto dirtelo per prima ma, sai, tu non eri reperibile» sbottò Ginny, le braccia
incrociate sopra il pancione ormai ben più che evidente. Non stava urlando,
cosa di cui Harry le era profondamente grato, ma non era neppure tranquilla.
C’era una strana piega all’angolo della sua bocca che compariva solo prima di
una sfuriata degna del libro degli annali tenuto da Fred e George. Inizialmente
raccoglievano solo il meglio di Molly
Weasley, ma man mano che Ginny si era fatta
grande, anche lei vi era finita, con occasionali comparse da parte di Fleur. Molti dei suoi interventi, tuttavia, non erano
raccontati con dovizia di dettagli a causa di evidenti limiti linguistici.
«Quindi sei viva».
Osservò Hermione stringere per un istante le
labbra, sorridendo con aria colpevole. «Sono viva. Molto viva, mi auguro»
rispose, osservandola da oltre le ciglia e sospirando. Sembrava quasi una
bambina che fosse stata messa in castigo. «Mi dispiace davvero di essere
sparita così» riprese, allungando la mano per poter toccare il braccio di Ginny, che sembrò irrigidirsi per un solo istante e poi
rilassarsi di nuovo. «Se avessi avuto altra scelta, non l’avrei fatto. Non ti
avrei lasciata senza dire nulla, maa…».
La donna dai capelli rossi la osservò in silenzio
per qualche istante, come a volerla soppesare, poi allungò la mano per posarla
su quella con cui lei gli stringeva il braccio. «Se anche avessi potuto
parlarmene, Hermione, non l’avresti fatto» le disse, quasi rassegnata,
facendosi avanti per poterla stringere a sé, come se quei due anni non ci
fossero mai stati, come se fosse stato tutto normale. Harry la vide chiaramente
sussurrare qualcosa che fece tremare Hermione, prima di spingerla a ricambiare
l’abbraccio e sussurrare qualcosa di rimando. Cosa si fossero dette non era
dato saperlo, ma qualcosa in lui gli suggerì che fosse meglio così, che forse
il fatto che avessero sussurrato fosse indicativo che quello scambio dovesse
restare un segreto.
«Mi dispiace tanto, Ginny»,
la voce di Hermione tremava, mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia,
macchiandole la pelle di nero. La traccia venne subito spazzata via dalla sua
fidanzata, ridotta ad una cascata in pieno e tanto presa dal singhiozzare da
non riuscire quasi a riprender fiato. «Oh, ti prego, non voglio saperti
agitata, devi pensare ai bambini…».
Bambini.
Due.
L’ansia – la sua solita, vecchia amica – lo colpì
come un pugno allo stomaco, mentre Ginny si asciugava
il viso e sorrideva, rassicurando la sua migliore amica riguardo la sua
stabilità emotiva. Dopotutto, da quando era rimasta incinta si era ritrovata ad
avere una crisi al giorno ed i suoi piccoli soldatini sembravano ben più che
resistenti a quegli sbalzi. Dal canto suo, Harry non era pienamente d’accordo
con lei: il suo incubo ricorrente non faceva che dimostrargli quanto il confine
fra vita e morte fosse labile, quanto ogni cosa dovesse essere sempre considerata fragile, insicura.
Niente
era più incerto di una gravidanza.
«Hermione?».
Il momento di orribile silenzio che seguì
quell’esclamazione sembrò estendersi anche al cuore di Harry, che
improvvisamente smise di battere per l’orrore. Molly Weasley li osservava da
pochi metri di distanza, i capelli ormai di un arancione sbiadito raccolti in
una crocchia disordinata ed il solito grembiule da cucina sporco di quello che
doveva essere l’enorme insieme di piatti che aveva preparato per quella sera.
Il viso pallido della donna aveva assunto una brutta tonalità verdognola,
mentre i suoi occhi – completamente sgranati e dello stesso colore caldo di
quelli di Ginny – si riempivano di quelle che erano
inevitabili lacrime. Tutti e tre la osservarono portarsi una mano alla bocca,
quasi a trattenere un urlo, e poi voltarsi di scatto verso l’orologio appeso
proprio davanti alla porta d’ingresso. Era lo stesso che era sempre stato in
cucina, con le punte che indicavano ogni membro della famiglia e la sua
condizione al momento. Quella di Hermione era fissa su morte8, come lo era stata da due anni a quella parte.
«Mamma… forse è meglio che tu vada a sederti»
provò a dire Ginny, facendo qualche passo nella sua
direzione, le mani avanti come a volerla afferrare nel caso fosse caduta. Sua
madre la osservò come se non fosse capace di riconoscerla, alternando lo
sguardo fra lei ed Hermione e puntandolo, dopo qualche secondo, su Harry
stesso, che ancora una volta nella sua vita si sentì perfettamente inutile.
«Tranquilla, mamma, va tutto bene. È lei, sta bene, hai visto? Sta bene, non
sei contenta?».
Hermione sembrava fremere, bloccata tra quello che
doveva essere l’impulso di avvicinarsi ed aiutare e quello che Harry sperava
fosse istinto di sopravvivenza, cioè l’istinto di scappare il più lontano
possibile da quel luogo pieno di gente che avrebbe provato un sacco di rancore
verso di lei.
«Hermione?» ripeté ancora la signora Weasley, la
mano sul cuore, ignorando completamente la sua più che preoccupata figlia,
tutta presa a farle aria. Sembrava aver cambiato tonalità, dal verde era
passata ad un giallognolo tendente al rosato, un po’ più sano ma non perfettamente sano. Non sembrava più sul
punto di vomitare ma, piuttosto, sul punto di avere un infarto. «Sei davvero
tu? Sei viva?».
«Sono io, signora Weasley». Sconfiggendo quello
che doveva essere l’istinto a scappare, Hermione accennò un lievissimo sorriso,
facendo un paio di passi avanti. «Mi dispiace. So di averlo già detto a
chiunque, ma mi dispiace davvero»,
complice il picco emotivo di poco prima, la giovane aveva già ricominciato a
piangere. «Avrei voluto parlarne con tutti voi, ma non potevo. Ogni giorno pensavo di mandare una lettera, un patronus… ma non
potevo, non avevo scelta, mi creda» esalò, allungando la mano nella sua
direzione, quasi tremando. La stava guardando con quella che poteva sembrare
disperazione, sul punto di crollare per la prima volta in due anni.
Molly Weasley restò a fissarla in silenzio per
quelli che sembrarono anni, fissando la mano che le aveva allungato come se
fosse stata fatta di fiamme pure. Intorno a loro si erano radunati gli altri fratelli
Weasley, con Fleur, Victoire
e Angelina, mentre il signor Weasley, seppur in una posizione che gli
consentiva di osservare il tutto, restò seduto, forse preoccupato che le gambe
non gli reggessero. Quando la donna si accigliò, tutti si accigliarono con lei,
preoccupati che potesse significare qualcosa di parecchio grave riguardo la sua
salute fisica. Harry stesso, ricordando le lezioni di primo soccorso
dell’Accademia, iniziò ad elencare i vari incantesimi che sarebbero potuti
tornare utili in caso di infarto o aneurisma.
«Oh, bambina mia» il tono di Molly era angosciato,
ma anche terribilmente sollevato, come se qualcuno le avesse tolto un enorme
peso dal cuore. Si liberò velocemente della stretta di Ginny,
avvicinandosi a passo di carca ad Hermione, così da poterla stringere in un
abbraccio a dir poco soffocante. «Povera, povera piccola. Cosa ti hanno fatto?»
le domandò, accarezzandole la schiena come se lei fosse stata una bambina
piccolissima in cerca di conforto e non un membro di una delle squadre di
difesa magica più pericolose mai esistite. Sconcertante, tuttavia, fu la
reazione di Hermione, che si abbandonò a quella stretta come se da quella fosse
dipesa tutta la sua vita.
«Mi hanno salvata» le rispose, allontanandosi quel
poco che le servì per potersi asciugare il viso con la manica della giacca.
Tutto il contegno, tutta la sua forza erano spariti nel nulla. «Mi dispiace di
essere andata via, mi dispiace davvero».
Il modo in cui Molly le sorrise fece sciogliere il
cuore di Harry, che si sentì improvvisamente di troppo in quella scena tanto
intima.
«Adesso sei tornata, il resto non conta».
***
La famiglia Weasley aveva reagito molto meglio del
previsto, Hermione non poteva che esserne felice. Oltre la signora Weasley e Ginny, gli altri sembravano ancora particolarmente restii a
fidarsi completamente di lei ed il loro atteggiamento guardingo ne era la piena
dimostrazione, tuttavia Hermione sentiva di non potersi lamentare. Forse George
non aveva preso per i fondelli la sua nuova acconciatura e Bill non le aveva
permesso di prendere in braccio Victoire, ma per il
momento le andavano bene anche occhiate circospette e sorrisi forzati.
Era già abbastanza fortunata a non essere stata
fulminata sul posto.
Le avevano chiesto molto poco del suo lavoro o del
perché fosse tornata solo in quel momento, probabilmente a causa di qualcosa
che Harry doveva aver accennato mentre lei veniva trascinata al piano di sopra
dalla signora Weasley, che non era certo intenzionata ad attendere altro tempo
per ottenere le risposte che per anni aveva dovuto costruire da sé. Era stata
piuttosto comprensiva, per quanto l’idea di una squadra di assassini in giro
per il Regno Unito non la entusiasmasse affatto. Pur borbottando sulla
pericolosità della situazione, le aveva detto che avrebbe mantenuto un livello
di apprensione sufficiente adatto ad una madre, così da poter rendere onore
anche alla signora Granger9.
Buffo,
Hermione non aveva ancora pensato ai suoi genitori e l’idea di andare a
trovarli non sembrava volerla tentare neppure un po’. Ma, dopotutto, non erano
più i suoi genitori, aveva rinunciato a loro da più di un anno e mezzo.
Finita la chiacchierata cuore a cuore con la
promessa – da marinaio, non poteva certo mantenerla – di non mettersi nei guai
e di pensare a se stessa prima che a qualunque missione, era stata costretta a
sedere al suo fianco durante tutta la cena, scambiandosi occhiate complici con Ginny, tutta presa dal farle sentire ogni movimento dei
gemellini, e con Harry, che invece sembrava sobbalzare quasi spaventato ad ogni
squittio della fidanzata.
Quando Fred la raggiunse, si era riparata in
cucina per sfuggire alle occhiate di tutti gli altri fratelli e poter respirare
un po’ in tranquillità, senza che qualcuno temesse che potesse esplodere o
sparire nel nulla.
«E così sei tornata» le disse, tirando fuori
un’espressione contrita che sarebbe stata perfetta
per un becchino durante un funerale. Sembrava urlare sentite condoglianze a distanza di chilometri, davvero
impressionante. «Sai, mi aspettavo un po’ di effetto nebbia, qualche fuoco
d’artificio, uno sventolio di mantelli… mi hai molto deluso».
L’istinto di alzare gli occhi al cielo tornò così
prepotente che lei non riuscì a fermarlo e, con quello, tornò anche la volontà
di ridacchiare. «Non lo sai? Le Banshee non hanno bisogno di tutta questa
sceneggiata, sono da urlo anche al
naturale».
Portandosi una mano al cuore, Fred si finse
sconvolto. «Una battuta? Tu non sei
davvero il Prefetto-Perfetto Granger! Chi sei? Quando l’hai sostituita?»
indagò, fissandola ad occhi socchiusi nella parodia di uno sguardo inquisitore.
Oppure di Percy senza occhiali, era difficile
distinguere fra le due possibilità.
«Quando passi tutto il tuo tempo fra scartoffie e
criminali, impari a godere anche del più piccolo istante di vita che hai» si
giustificò lei, stringendosi nelle spalle e sorseggiando, poi, un po’ di tè
dalla tazza. Era quella che lei stessa aveva portato alla tana prima del
matrimonio di Bill, quella che aveva acquistato a Nizza con i suoi genitori.
Fred sembrò non voler condividere la sua allegria,
perché tornò improvvisamente serio e si fece avanti, fronteggiandola a
sufficiente distanza da doversi piegare leggermente sulle ginocchia per poterla
guardare negli occhi. «Sei sicura?».
«Di cosa?».
«Di apprezzare la vita, Hermione». Il modo in cui
pronunciò quelle parole le fece stringere il cuore. Stralci di ricordi confusi,
di lacrime e urla, di sangue ed incertezze, si affacciarono nuovamente alle
soglie della sua memoria, facendole abbassare gli occhi, nonostante lui fosse
immediatamente pronto a costringerla a risollevarli, portandole la nocca
dell’indice sotto al mento. «Allora? Noi due avevamo un accordo, mi pare».
«L’accordo è stato rispettato, non temere» lo
rassicurò, sorridendo con gentilezza e puntandogli l’indice in mezzo agli occhi
per spingerlo indietro e farlo allontanare. Sorrise di più, quando barcollò, ma
non si scompose. «A quanto pare il mio Grillo Parlante aveva ragione».
Un sorrisino soddisfatto incurvò le labbra del
giovane davanti a lei, che le diede un colpetto incoraggiante sulla spalla.
«Come disse Merlino… io ho sempre
ragione».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
La signora Weasley
penso sia morta un paio di volte e sia tornata in vita. Lanciamo l’hashtag #MollyWeasleyIsTheNewGoku.
Punti importanti:
» 1
– A quanto pare la cecità è ereditaria, ma non dal lato “Potter” della
famiglia. Ophelia, come Harry, James e come la madre di lui è più cieca di una
talpa! Non indossa gli occhiali, di solito, perché il lavoro le impone le lenti
a contatto!
» 2
– Ophelia e Barry si sono incontrati durante il Torneo Tremaghi
(lui era nel gruppo che ha portato i draghi a scuola, con Charlie Weasley) e
non si sono più lasciati, in un certo senso. Per quanto lei abbia cercato di
non cedere alle sue avance, lui praticamente l’ha seguita ed è diventato un
Banshee, esasperandola finché lei, un anno dopo, non ha accettato di sposarlo.
» 3
– Momento albero genealogico: la madre di James Potter – Euphemia
Penderghast Potter – era la sorella del padre di Ophelia, cosa che rende lei la
cugina di primo grado di Harry. I
Penderghast hanno provato a farsi affidare Harry, ma la parentela di Petunia
era molto più stretta e Silente avrebbe comunque fatto di tutto per farlo
restare dai Dursley.
» 4
- Ophelia era già una banshee da un paio d’anni e si trovava al Torneo Tremaghi perché c’era già il sospetto che qualcuno si fosse
spacciato per Malocchio Moody. Non è intervenuta
perché, ovviamente, non poteva farlo finché i suoi capi non le avessero
affidato la missione. È stata lei, con un paio di altri colleghi, a consegnare Barty Jr ai dissennatori.
» 5
– Cerchiamo di essere chiari, io non credo che un’atleta che abbia un figlio
debba rinunciare al suo sport dopo aver partorito o che non possa tornare dopo
un paio di mesi. Il Quidditch, tuttavia, è uno sport estremamente pericoloso ed
è naturale che lei debba aspettare molto di più.
» 6
– Il padre di Oliver Baston, per quanto mi riguarda, è il Capo Redattore
della sezione sportiva della Gazzetta, quindi il capo di Ginny.
Ovviamente suo padre deve avere a che
fare con il Quidditch,
» 7
– Ta-daaaaaan. Mandiamo al diavolo il canon, sorpresa fino alla fine.
» 8
– Secondo me durante la ricerca dei Doni all’orologio sono stati aggiunti anche
Harry ed Hermione. Perché la lancetta di Hermione era fissa su morte se lei era
viva? Perché Fred, che sapeva tutto,
lo ha incantato per rendere tutto più semplice.
» 9
– Cosa è successo ai Granger? Non sono morti, ma l’incantesimo di memoria di Hermione
non è mai passato davvero e in poco meno di una settimana di assenza della
figlia sono ritornati a non avere idea di chi lei fosse. Non sono morti, ma non
ci sono più. Che schifo la vita.
Fred Weasley come grillo
parlante.
Non potevo solo resuscitarlo, doveva tornare col botto! Io lo adoro. Lo
adorerete anche voi.
Causa esami lunedì
prossimo salterà l’aggiornamento! Mi prenderò qualche giorno di pausa, magari
per scrivere qualcosina di diverso, ma vi aspetto tutti fra due settimane!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 7 *** Atto IV, Parte I - I Morti non parlano ***
L’Erede del Male.
“Allthisbadbloodhere,
won'tyouletitdry? It'sbeencold for years, won'tyouletitlie?
Ifwe'reonlyeverlooking
back Wewill drive ourselves insane1”.
[Bastille – Bad Blood]
Atto IV, Parte I – I
morti non parlano
I morti non parlavano.
Erano poche le cose che Harry Potter dava per
scontate e che i morti fossero silenziosi per definizione era una di queste.
Ovviamente non si dovevano considerare casi eccezionali come i fantasmi – per
quanto defunti, gli spiriti erano ben più che presenti, quindi la persona non era ancora andata via – o
le apparizioni della Pietra della Resurrezione, ma il succo della questione
restava sempre lo stesso.
I morti
non parlavano.
«Capiamo che la cosa possa sembrarti… strana» stava dicendo Hermione, dandogli
degli incoraggianti buffetti sulla mano abbandonata sul tavolo di ferro.
Quattro membri su cinque delle Banshee lo osservavano come se provassero enorme
pietà verso di lui, mentre la quinta – Katie – non era ancora arrivata alla
riunione che era stata fissata per quella mattina. Gli era stato detto che li
avrebbe raggiunti presto ma che aveva passato una nottata piuttosto movimentata
e che avrebbe impiegato un po’ per poter tornare operativa. Harry non si era
sorpreso, ricordava benissimo i commenti della compagna riguardo il doversi
svegliare presto, lei era sempre stata un animaletto notturno e dubitava che
quel lavoro la aiutasse più di tanto con i suoi bioritmi sballati.
«Non è strano,
Hermione. È folle» rettificò lui, sbuffando come un treno a vapore. «Voldemort
è morto, non ho dubbi al riguardo. La sua anima era ridotta a poco più di una… cosa sanguinolenta, non potrebbe
tornare neppure se trovasse un altro folle come Codaliscia
pronto a sacrificarsi per lui».
Winter Vane scosse il capo, allungandogli una
tazza di tè che aveva appena fatto portare da un elfetto
particolarmente piccino ed aggraziato. Senza sapere perché, l’Auror preferì non farsi ingannare troppo dall’aspetto
delicato. «Fa bene a non fidarsi, caro» gli disse la Legilimens, con un
sorrisino appena accennato, «Pockey viene da un
passato parecchio turbolento e non ha ancora perso il vizio di allungare le
mani nelle tasche altrui» spiegò, divertita, voltandosi un momento in direzione
dell’unico collega uomo. «Barry, ti consiglio di controllare il tuo
portafoglio. Poco fa stava pensando alla tua Gemma del Drago2» gli
consigliò, mentre Ophelia alzava gli occhi al cielo con esasperazione.
«Non posso crederci, Barry! Stai ancora tenendo
quella pietra lì dentro?» gli chiese, allungando automaticamente la mano per
afferrare ciò che lui le stava porgendo, non avendo due mani con cui
destreggiarsi. «È sparita, vero?» chiese poi, quando lo sentì sibilare come un
serpente a sonagli irritato.
«Quel maledetto piccolo farabutto! Giuro che la
prossima volta gli ordinerò di chiudersi le orecchie nei libri di Hermione!»
borbottò, volgendo gli occhi verso la porta dietro cui il piccolo elfo era
sparito. «Mi fa pentire sempre di più di averlo salvato da morte certa! Forse
avrei dovuto abbandonarlo fra le mani di quel mercante saudita3»
continuò, riprendendo il portafoglio che la donna aveva già richiuso per lui e
sistemandoselo nella tasca posteriore dei pantaloni. Come attirato dall’occhiata
più che penetrante che Ophelia gli stava dedicando, si voltò nella sua
direzione. «Non guardarmi così, lo so benissimo che non sto dicendo sul serio».
Harry si trovò ad osservarli con le sopraccigli
inarcate. C’era qualcosa di familiare nel loro modo di interagire, forse a
causa dell’automaticità con cui si relazionavano oppure nella facilità con cui
sembravano capirsi. Come facevano lui ed Hermione? No, era leggermente diverso. Ed era diverso anche dal rapporto che
c’era fra lui e Ginny.
«Quando finiremo qui andrai e gli farai la solita
ramanzina sul perché non è giusto fare il
borseggiatore. Di solito riesci a tenerlo buono per qualche settimana,
dovremo farcelo bastare».
«Perché non vai e ci parli tu? È evidente che gli
stai più simpatica».
«Sei stati tu
a volerlo portare con noi, adesso prenditi le tue responsabilità».
L’illuminazione colpì Harry come un fulmine a ciel
sereno. Erano proprio come Bill e Fleur. Sembrava quasi che stessero battibeccando su chi
dovesse fare l’ennesima ramanzina ad un bambino, piuttosto che ad un elfo
domestico. Dovevano essere sposati, anche da un po’ di anni se proprio voleva
essere pignolo. Sembravano giovani, ma forse si era sbagliato nelle sue
valutazioni.
Winter rise leggermente, alzando gli occhi al cielo.
«Ah, Signor Potter, credo proprio che Katie resterà davvero delusa quando si
renderà conto di quanto poco tardo lei sia in realtà. Ha ragione, sono sposati
da…» con sguardo interrogativo si voltò verso i due, che avevano smesso di
battibeccare non appena lei aveva iniziato a parlare. «sette
anni, il venti marzo. Barry, dovresti davvero smetterla di pensare che sei
sposato da quella che sembra un’eternità,
sappiamo entrambi che ti sembra ancora il primo giorno».
Un borbottio indistinto arrivò dall’uomo, mentre
quella che Harry aveva scoperto essere sua moglie gli assestava un pugno
amorevole sul braccio. Dal canto suo, Harry avrebbe preferito non ricevere un
colpo del genere, per quanto lei non gli fosse sembrata intenzionata a fargli
male di certo non c’era andata leggera.
«Non mi sembra il momento di fare i piccioncini in
amore, voi due» li richiamò Hermione, con uno sbuffo spazientito. «Abbiamo una
faccenda da sistemare e dobbiamo farlo nel minor tempo possibile» ricordò loro,
indicando Harry con un cenno del capo e mettendo fine al breve momento di
tranquillo divertimento che si era spontaneamente creato.
«Quello che stavamo cercando di dirle, signor
Potter, è che i morti possono parlare
in molti modi e spesso sono così bravi nel farlo che quasi noi non ce ne
rendiamo conto» si intromise Winter, facendo un cenno ad Ophelia, che le portò
un libricino dall’aria particolarmente consunta ed anche parecchio antico.
«Questo è un vecchio testo indiano, un’appendice ad un libro molto più grande e
raro che noi stiamo attualmente cercando e che ci aiuterà a comprendere meglio
il guaio in cui ci stiamo andando a cacciare».
Mentre Hermione prendeva il libricino dalle sue
mani, Harry si accigliò. «Che cosa state cercando? Chi lo sta cercando? Posso
dare una mano? Perché vi interessa tanto sapere se Voldemort ha provato a parlare con me?» chiese, senza quasi
riprendere fiato, spostando lo sguardo su tutti a rotazione, così da poter
scorgere il più debole e cercare di carpirgli più informazioni possibili.
«Volete darmi una dannata spiegazione?».
Con la coda dell’occhio, Harry vide Winter
prendersi la testa fra le mani. «Per l’amor di Merlino, signor Potter, calmi i
suoi pensieri! Mi è venuto mal di testa» si lamentò, con espressione vagamente
sofferente. «Le vogliamo spiegare tutto, sempre che lei ci dia il tempo di
parlare, ovviamente. Capisco che sia abituato a non ricevere tutte le
informazioni in una volta, ma non dia per scontato che le vogliamo mentire».
Per un momento, lui si sentì in colpa. In effetti,
se i suoi pensieri infastidivano lui non osava immaginare che effetto avessero
su di lei, che doveva sopportare quelli di tutti gli altri. Certo, non che
qualcuno l’obbligasse ad ascoltare. Forse era un modo per assicurarsi che lui non stesse nascondendo nulla.
«Le assicuro che farei volentieri a meno di
ascoltare i suoi sproloqui» gli fece notare Winter, scoccandogli
un’occhiataccia che gli fece venire i brividi. Strano, era difficile fargli davvero così tanta paura. «La
differenza fra un dotato ed un naturale sta nel fatto che i primi
possono bloccare l’abilità, mentre noialtri no. Posso solo limitare ciò che
sento, ma non posso mai stare in silenzio. Mai»
disse, con un sospiro. «Di solito mi isolo abbastanza bene, ma mi riesce
alquanto difficile quando le persone intorno a me sono ansiose, spaventate o eccitate» nel dire l’ultima parola
lanciò un’occhiata penetrante in direzione dei colleghi sposati, che ebbero due
reazioni totalmente differenti l’una dall’altro: mentre Ophelia arrossì, Bartholomew ridacchiò e le fece l’occhiolino, cui seguì un
verso disgustato della Legilimens. Solo Merlino sapeva a cosa dovesse aver
appena pensato il Magizoologo. «Mi creda, signor Potter, lei non vuole saperlo»
rispose al suo timore lei, facendogli cenno di lasciar perdere il discorso e
concentrarsi su altro. «La prego solo di calmarsi.
Le stiamo comunicando ciò che sappiamo man mano che lo scopriamo. Gli unici
segreti che terremo saranno solo quelli nell’interesse dell’Ordine che non
toccano la sua persona, posso prometterlo».
«Fidati, Harry» si intromise Hermione, con un
leggero sorriso incoraggiante. Fino a quel momento era rimasta in religioso
silenzio per sfogliare le pagine del libro, che poi voltò verso l’amico. «Ecco,
dai un’occhiata qui. Ho fatto un incantesimo, dovrebbe consentirti di leggere
la traduzione dall’hindi» continuò, accennando poi un sorrisino vagamente
soddisfatto. «Sai, è un incantesimo di mia creazione. Ero stufa di dover sempre
perdere tempo a tradurre interi testi da sola».
Con le sopracciglia inarcate, Harry le lanciò il
migliore fra i suoi sguardi esasperati. «Ron ti avrebbe presa in giro per anni»
le fece notare, grato di essere uscito da quel momento di orrore che gli aveva
impedito anche solo di pensare al vecchio migliore amico. Scuotendo il capo,
lanciò un’occhiata al testo davanti a lui, osservando le lettere trasformarsi
sotto i suoi occhi in frasi inglesi di senso teoricamente compiuto.
“E la
Morte disse ai suoi figli, carezzando il manto del suo oscuro destriero:
“Ebbene, a voi io dono la parola. Che possiate popolare il mondo in cui la luce
diviene buio e la logica cede il passo alla follia. Che possiate parlare a
coloro che ancora brancolano nel regno della luce e mostrare loro le vie della
verità”.
Rimasto a fissare quel paragrafo, Harry sentì lo
sguardo incoraggiante di Hermione perforargli la nuca e si sentì un vero
idiota. Gli stava sfuggendo qualcosa di ovvio? Cosa c’entravano quelle parole
con la possibilità che Voldemort potesse parlare con lui? Katie aveva ragione a dire in giro che fosse tardo?
«Non si preoccupi, caro» lo rassicurò Winnie,
incoraggiante. «Hermione tende a sopravvalutare un po’ chiunque. Credo siamo
tutti un po’ tardi rispetto a lei» aggiunse, lanciando un’occhiata divertita
alla collega, che sbuffò. In quel momento, la porta si aprì con un cigolio
sinistro e la figura pallida di Katie fece il suo ingresso, abbandonandosi
nella sedia vuota davanti Maine e Ophelia. Lui, con cipiglio preoccupato, le
posò una mano sulla spalla.
«Il mondo di cui La Morte parla è il mondo dei sogni, Harry. E noi siamo coloro a
cui devono mostrare le vie della verità» spiegò Hermione, indicando il piccolo
brano che lui aveva tentato di interpretare. «Siamo piuttosto convinti che
Voldemort abbia provato a parlare con te tramite i tuoi sogni».
«E come fate ad esserne tanto sicuri?».
«I morti parlano, Harry Potter» furono le prime
parole che la sua vecchia compagna di squadra professò, lanciandogli uno
sguardo storto. «E tu sei fra i loro argomenti preferiti».
«Da domani ti sottoporrai ad analisi giornaliere
con Ophelia e Katie. Se ha parlato, allora noi scopriremo cosa ha cercato di
dirti».
***
Era buio, ma non faceva freddo come Draco aveva
temuto*.
Quando Winnie gli aveva spedito un gufo con
quell’indirizzo, un cupo terrore si era impossessato di lui, impedendogli di
chiudere occhio per il resto della notte. Probabilmente non avrebbe dormito lo
stesso, non quando il volto sorridente di sua madre appariva davanti a lui ogni
qualvolta si decidesse ad abbassare le palpebre, ma un po’ di riposo senz’ansia
gli avrebbe fatto certamente bene, soprattutto dopo la sbronza colossale del
giorno prima. O di quello prima ancora. In effetti, se aveva smesso di bere era
stato soprattutto perché Beth e Theodore, con il
tempismo macabro che li aveva sempre contraddistinti, erano entrati in casa sua
per fare razzia di tutti gli alcolici disponibili, avvertendolo di aver già
messo sotto chiave le riserve ancora in suo possesso in una piccola vigna a Norwick e di avere tutte le intenzioni di pedinarlo per
impedirgli di andarne a comprare altri.
Era come avere due tate della peggiore specie,
soprattutto perché una era naturalmente portata a rimpinzarlo di sensi di
colpa, mentre l’altro era semplicemente privo di qualunque segno di pietà o
umanità. Per quel motivo, alla fine, Theodore era comunque rimasto con lui,
praticamente trasferendosi nel suo soggiorno finché non avesse ritenuto che
stesse sufficientemente bene da non fare sciocchezze. Per quello stesso motivo
in quel momento stava camminando al suo fianco, le folte sopracciglia scure
corrugate e l’espressione nauseata maturata in sette anni di convivenza forzata
con Tiger e Goyle.
«Quindi Winter è ancora a piede libero» gli disse
all’improvviso, spezzando il silenzio ansioso che era caduto su di loro non appena
erano scesi in quei dannati sotterranei dimenticati anche da Merlino stesso.
Non c’era da chiedersi perché anche lui fosse tanto teso, dopotutto i ricordi
negativi legati a quel luogo non appartenevano solo a Draco. «Credevo che dopo
il processo l’avrebbero rinchiusa in un qualche ospedale psichiatrico o giù di
lì» specificò, stringendosi nelle spalle quando l’amico gli dedicò un’occhiata
esasperata. «Non guardarmi così, Malfoy, sappiamo tutti e due che avevo ragione
a crederla dietro le sbarre».
Cercando di non mostrarsi troppo turbato, Draco
tornò a fissare il lungo corridoio di pietra che si stagliava davanti a loro.
«Winnie non ha mai fatto nulla di male, non di sua spontanea volontà» gli fece
notare, cercando di allontanare ricordi poco piacevoli. «Se qualcuno merita di
essere libero, di certo è lei… ti ricordi cos’è successo a sua madre?».
Il modo in cui il giovane Nott
strinse le labbra rese chiaro quanto ricordasse l’episodio in questione. «Ciò
che è successo a Berenice Vane è… diverso»
concesse, senza indugiare in ulteriori espressioni di disgusto, come invece era
tentato di fare Malfoy. Ricordava bene tutte le lamentele di sua madre, cadute
nella spaventata indifferenza di Lucius. Non potevano fare nulla. «Non sto
dicendo, comunque, che tua cugina sia colpevole di qualcosa. Ho solo detto che
avrebbero dovuto portarla in un luogo più sicuro».
«Un ospedale psichiatrico non sarebbe stato sicuro
per lei, sarebbe impazzita ascoltando tutte quelle menti malate» sbottò, quasi
sorpreso che l’amico avesse tirato fuori un’affermazione simile. «Lei non può
neppure avvicinarsi agli ospedali normali, di solito, figurati se si sarebbe
trovata bene rinchiusa da qualche
parte, magari sprovvista della bacchetta».
«Non più sicuro per lei, Draco. Per tutti gli
altri».
«Sei soltanto pieno dei pregiudizi che tuo padre
ti ha inculcato contro di lei, lo sanno tutti che AugustusNott era geloso di Mulciber
e di tutta l’ammirazione che lui aveva dal Signore Oscuro» gli fece notare, vagamente
stizzito. «Non provare a negarlo, sapevano tutti che per anni ha provato a
svenderlo alle autorità. Anche Mulciber lo sapeva,
non si è vendicato solo perché trovava divertente
l’entusiasmo del tuo vecchio» insistette, dando di gomito al giovane che
camminava al suo fianco e che gli scoccò un’occhiata a dir poco raggelante. Era
impressionante come somigliasse all’anziano genitore, in certi momenti.
Aveva paura di Winter perché troppo simile al
padre, ma lui non si rendeva conto di avere lo stesso problema.
«Non cambiare discorso, Malfoy. Nessuna persona
sana di mente potrebbe considerare tua cugina adatta ad un ambiente civile. Per quanto tu possa volerle bene, è
innegabile la sua pericolosità».
L’immagine di una Winnie molto più giovane,
piegata in due per il dolore, e di suo padre a pochi passi da lei e con la
bacchetta ancora alzata, gli fece venire i brividi. Quella volta era stato il
Signore Oscuro ad intervenire per salvarla, anche se non per puro atto di
pietà. Lei serviva alla causa, sarebbe
servita in futuro.
Ma Winnie un futuro non l’avrebbe avuto, non in quel mondo.
«Io e Beth abbiamo
deciso di sposarci il cinque maggio» gli comunicò poi Theodore, di punto in
bianco, cambiando bruscamente argomento e rifiutandosi categoricamente di guardarlo
negli occhi. Il suo viso era rigidamente fissato davanti a lui, quasi stesse
temendo un attacco a sorpresa da parte di una qualche Acromantula
nascosta dietro un angolo. «Ho pensato che tu potessi essere il mio testimone,
se non hai altri impegni per quel giorno».
Il modo in cui fece quella proposta, con assoluta
noncuranza, impedì a Malfoy di elaborare correttamente l’informazione,
lasciandolo per qualche istante a boccheggiare nel disperato tentativo di
collegare i diversi concetti che sembravano essersi accalcati alle porte della
sua coscienza per essere elaborati. Matrimonio.
Testimone. «Co-Cosa?» sbottò,
afferrandolo per il bordo del mantello ed impedendogli di continuare lungo la
sua strada. «Nott, ti sembra questo il modo di dare
le notizie? Ti sembra questo il modo di chiedermi
di essere il tuo testimone di
nozze?».
Schivo come un gatto, Theodore si fissò con strana
attenzione le dita della mano destra. Sotto i guanti di pelle nera, Draco
sapeva che avrebbe potuto trovare l’anello con lo stemma di famiglia, lo stesso
che, stando alle notizie appena ricevute, avrebbe spostato sull’anulare
sinistro proprio il cinque di maggio. La consapevolezza che fosse tremendamente
imbarazzato colpì Malfoy come un pugno, facendolo ghignare come la serpe che sapeva
essere. «Oh, andiamo, non fare quella faccia. Sapevi che te l’avrei chiesto,
sei praticamente l’unico che ancora parla con me senza inserire un insulto ogni
parola4».
«Brutto
figlio di puttana!» a conferma, Draco tirò fuori una delle sue migliori
esclamazioni. «Congratulazioni! Credevo che avreste aspettato ancora, che
volessi…» aspettare che tuo padre tiri le
cuoia, lo pensò ma non lo disse. Era la cosa più logica, lo sapevano
entrambi – anche Theo doveva aver capire perché la sua frase si fosse interrotta
bruscamente, ma non glielo fece notare – così come sapevano che Augustus probabilmente non sarebbe sopravvissuto
all’estate.
«Non lascerò che condizioni la mia felicità. Io
voglio sposarmi, voglio avere una famiglia che sia mia. Non attenderò una settimana più del necessario» fu la
lapidaria risposta che l’amico gli dedicò. «Se non vuoi farmi da testimone,
basta dirlo, non mi offenderò. Sono certo che qualche amico di Beth potrà ricoprire il ruolo tranquillamente».
L’istinto di tirare fuori una qualche esclamazione
capace di far morire il povero Theo fu forte, per Draco, ma riuscì a
contenersi. Dandogli una pacca sulla spalla, tirò fuori il sorriso più
amichevole di cui credeva d’essere in possesso. «Sarò onorato, amico» gli
disse, soddisfatto ed anche vagamente orgoglioso. «Sarò la tua ombra. Sempre se
riusciremo ad arrivare al cinque maggio ancora tutti interi, naturalmente»
specificò, senza riuscire ad evitare di arricciare il naso. Non era esattamente
rosea la prospettiva che gli si presentava davanti. Il fatto che Winter
l’avesse invitato in quel luogo sperduto non lasciava presagire nulla di buono.
Theodore annuì, una strana scintilla negli occhi
scuri. «Se la situazione ricomincerà a peggiorare drasticamente, credo che
porterò Beth all’estero, come durante la guerra5»
spiegò, stringendo per un istante la mascella. «Suo padre è stato molto chiaro
con me, fin dal primo istante. La sua sicurezza prima di tutto ed io non posso
che concordare» mormorò, voltandosi in direzione dell’amico. «Anche tu dovresti
avere un piano di fuga, lo sai? Dopo quello che è successo ai tuoi genitori ed
a tutti gli altri, non sei al sicuro».
Il ricordo delle immagini che Malfoy aveva visto
nella cartella delle Banshee lo fece rabbrividire. Winter gli aveva consegnato
la versione estesa del fascicolo una volta che lui aveva iniziato a
riacquistare un po’ del suo controllo, sperando che in quel modo potesse essere
pronto al riconoscimento delle salme che ci sarebbe stato di lì a breve in quel
luogo spaventoso.
Perché
lì?
Lui ancora non riusciva a spiegarselo.
«Scappare non mi servirà, chiunque abbia dato la
caccia ai vecchi Mangiamorte li ha rintracciati negli angoli più nascosti della
terra» gli rispose, stringendosi nelle spalle e svoltando a destra al secondo
incrocio, ricordando la strada come se l’avesse percorsa per la prima volta
solo il giorno prima. «Se devono venirmi a prendere, preferisco che lo facciano
sotto al naso delle Banshee e che la mia morte possa aiutare a distruggerli».
Nott lo
osservò con attenzione, quasi incuriosito dal suo comportamento, poi tornò ad
osservare la strada che si stagliava davanti a loro. «Sei cambiato davvero,
Malfoy. Credevo che Elizabeth fosse soltanto molto ottimista nei tuoi confronti
perché si sente in colpa per averti mollato» gli fece notare, sollevando
leggermente il sopracciglio sinistro ed assumendo un’espressione vagamente divertita, il massimo che era
possibile aspettarsi da lui in assenza della futura moglie. «Un tempo non ti
saresti sacrificato tanto tranquillamente per permettere a qualcuno di essere
punito».
Con un ghigno crudele, Draco raddrizzò le spalle e
si schiarì la voce. «Hanno distrutto la mia famiglia per completare l’opera che
il Signore Oscuro non aveva realizzato. Se vogliono uccidermi, potranno farlo
senza problemi, quindi preoccuparsi è inutile. Ma se io devo morire, morirò in condizioni tali da potermeli portare
nella tomba. Hanno ucciso mia madre,
non potrò comunque riposare in pace finché non avranno fatto la sua stessa
fine».
«Ottimo obiettivo, non c’è che dire» concordò
Theodore, annuendo. «Posso capire il tuo ragionamento, se avessi perso la mia Beth non so come avrei reagito. Ti ammiro, so che tenevi
molto alla Signora Malfoy» aggiunse, allungando la mano per dargli un altro
colpo sul braccio, delicato ma comunque abbastanza deciso da farsi sentire.
«Niente di tutto questo sarebbe mai successo, se i nostri genitori avessero
imparato a farsi i fatti loro, piuttosto che buttarsi in crociate senza senso e
solo per seguire un… un uomo con manie
di protagonismo portate all’ennesima potenza». Il rumore del suo mantello che
frusciava a causa dei suoi movimenti riempì per un momento il silenzio caduto
fra loro. «Ti chiedi mai cosa sarebbe stato di noi, se tutte queste sciocchezze
non fossero esistite?».
Se l’era
mai chiesto? Sì, l’aveva fatto più di una volta, soprattutto
quando l’orrore di ciò che gli era stato richiesto era caduto improvvisamente
sulle sue spalle da sedicenne, mettendolo davanti alla realtà della sua
incapacità e della sua vigliaccheria. Se l’era chiesto e le risposte che si era
dato lo avevano sempre fatto soffrire di più. Guardando al suo futuro, se fosse
stato normale, si sarebbe visto come
un brillante Guaritore, oppure come un commerciante di successo. Ma lui non era
normale e nel suo futuro c’era sempre stata solo la morte.
«Inutile rifletterci» gli disse, non intenzionato
a condividere con lui quei terribili pensieri che lo avevano portato ad un
punto di rottura quando era solo un ragazzino e che negli ultimi giorni erano
tornati a tormentarlo. Theodore aveva vissuto un inferno peggiore del suo e
sembrava sul punto di uscirne, non poteva rovinarlo in quel modo. Non poteva distruggere anche la sua
felicità. «Abbiamo avuto quella vita, adesso ne abbiamo un’altra. Se possibile,
dobbiamo andare oltre».
«Sappiamo entrambi che andare oltre non è mai
davvero possibile» gli fece notare l’amico, con un sospiro. «Avremo sempre dei
fantasmi alle spalle, pronti a ricordarci cosa
abbiamo visto, cosa non abbiamo
fatto. Siamo marchiati, non c’è riposo per i cattivi e noi, Malfoy, lo siamo.
Non c’è vera felicità, per noi, ma solo la sua pallida imitazione. Anche se non
lo sappiamo, siamo morti molto tempo fa, proprio per mano di coloro che
credevamo famiglia».
Draco avrebbe voluto rispondere qualcosa di
pungente, oltre che di estremamente intelligente, ma non se la sentì di aprire
bocca. Theodore aveva ragione, aveva assolutamente
ragione. «Tu con Beth sei felice, però» gli disse,
forse con un tono un po’ lamentoso. «C’è chi sta messo peggio».
La risata senza allegria di Theodore gli fece
venire i brividi. «Io con Beth sono terrorizzato. So di non meritarla,
eppure lei insiste nel volere me. Se un giorno deciderà di andare via, vorrei
poter dire che la lascerò libera, ma so che non potrei farlo. Sono assuefatto, dipendente fino alla follia.
Non è una felicità sana quella che conosco, così come non potrebbe mai esserlo
la tua. Non finché i fantasmi sono qui» con fare vagamente drammatico, si portò
una mano al cuore.
L’istinto di mettersi a ridere in modo isterico fu
difficile da combattere, ma Draco ci riuscì. Anzi, riuscì anche ad elaborare
una risposta. «Per essere dei morti, devo dire che parliamo davvero tanto» notò, prima di sentire un brutto
fastidio al naso e ritrovarsi a starnutire. Strano, sembrava quasi una leggera
allergia, nonostante fosse impossibile. Lui era allergico soltanto alle fresie
e dubitava fortemente che Theodore ne avesse nascosta qualcuna sotto al
mantello.
«Salute».
Come punto da una vespa, Draco si voltò di scatto,
la bacchetta puntata contro il petto di qualcuno che lui sapeva essere morto, perché era stato costretto a partecipare alle
commemorazioni in sua ricordo nella villa dei suoi genitori, in Scozia. E Draco
aveva sempre odiato quel castello con tutto se stesso.
EvanRosier era morto. Morto per mano di Alastor Moody poco dopo la Caduta e non c’era alcuna spiegazione
plausibile che potesse giustificare il suo essere lì, davanti a loro. Al suo fianco, Theodore ispirò bruscamente, la
bacchetta che tremava leggermente nella sua presa. Rosier
era il fratello minore di sua madre, l’esempio a cui tutti volevano aspirasse,
fin da bambino.
Fra le mani, il morto reggeva una fresia bianca,
sfiorandone i piccoli petali con una delicatezza disarmante, quasi assurda. Alternava lo sguardo fra quella
ed i ragazzi, quasi intenerito dalla loro evidentissima ansia ma non per questo
meno inquietante. «Sapete, ho sempre avuto un debole per questi fiori»
commentò, la voce simile ad uno stridio di unghie sulla lavagna. Era quella la voce dei morti? «Mi
riportano alla mente tante emozioni, tanti eventi… ho ucciso l’amore della mia
vita su un letto di fresie, è poetico che io possa tornare a versare del sangue
sentendo questo celestiale profumo».
Il cuore di Draco sembrò indeciso fra il battere
più velocemente delle ali di un colibrì oppure fermarsi completamente per la
paura. Gelo, ecco cosa c’era nelle
sue vene. Stando all’imprecazione dell’amico al suo fianco, lui non doveva
trovarsi in una situazione molto diversa. Quante volte gli avevano raccontato
delle avventure di quell’uomo? Quante volte il suo spirito era rimasto su di
lui, di notte, come una coperta d’orrore che nessun bambino avrebbe dovuto
avere sulle spalle?
EvanRosier era uno
psicopatico. Uno
psicopatico morto6.
«Siete pronti a morire, miei giovani amici? Siete
pronti a sentire brivido della vita che lascia i vostri corpi?» chiese, con
tono lezioso, portandosi il fiore al naso per poterne inspirare il profumo, per
poi leccarne i petali come se fossero stati qualcosa di delizioso.
No,
realizzò Draco, sentendo un brivido. La
lussuria nel suo sguardo era oscura, sessuale. Non voleva immaginare quali
fossero i suoi pensieri, in quel momento.
La terra tremò sotto ai suoi piedi, quando Rosier fece un passo avanti.
Poi fu il
buio.
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Katie Bell con la
faccia del GrumpyCat
e la maglia con scritto “I hatemorningpeople.
Or mornings. Or people”
è il mio animale guida. Ovviamente non ha fatto tardi perché aveva sonno, Katie
sta letteralmente lavorando più di tutti.
Punti importanti:
» 1
– “Tutto
questo cattivo sangue qui, non lo lascerai asciugare? È stato secco per anni,
non lo lascerai giacere? Se ci guarderemo solo indietro, diventeremo pazzi”. La
canzone è un riferimento al passato di Draco, Theodore e Winter, oltre che alla
relazione fra Harry e Voldemort.
» 2 –
Gemma del drago, cos’è? Non serve, ma vorrei comunque specificarlo, perché sono
una pignola che si lascia trasportare da cose inutili. La Gemma del Drago è una
gemma che tutti i Dragonologi esperti ottengono il
giorno in cui “ottengono il lavoro”. Si tratta di una pietra che si ottiene
lasciando i gusci delle uova di drago in una particolare pozione per un anno ed
il cui colore cambia in base alle scaglie del drago stesso. Ogni Dragonologo che si rispetti non può definirsi tale se non
ha assistito alla nascita di almeno un draghetto e se non ha ottenuto da questo
la Pietra. Maggiore sarà il numero delle pietre ottenute, più esperienza avrà
il Dragonologo. Attualmente, Barry ne ha solo due
(una la porta sempre con sé, una è incastonata nell’anello di fidanzamento che
ha dato a Ophelia e di solito resta in una camera blindata al sicuro, visto che
lei non può indossare gioielli), perché ha preferito interessarsi alla
Magizoologia generale e poi unirsi alle Banshee, mentre Charlie Weasley, per
esempio, ne ha già tredici (e la sua
fidanzata, una certa Rosemary Crave che nessuno conosce, ne ha tre perché ha iniziato
a lavorare da pochissimo alla riserva, ma shhhh).
» 3
– Backstory divertente: Barry ha il complesso di
Hagrid, raccatta qualsiasi bestiola in difficoltà che capiti sul suo cammino.
L’elfo domestico in questione è stato salvato da lui perché era licenziato dal
suo padrone (un tipetto tutt’altro che raccomandabile e che lo costringeva a
rubare per vivere) e stava per essere ucciso. Da cinque anni, Pockey vive con tutti loro al Quartier Generale e viene
spesso utilizzato per delle missioni, ma soltanto se lui lo desidera. Il vizio
di rubare ancora non gli è passato e probabilmente ha un buco nel pavimento in
cui nasconde tanti piccoli oggettini collezionati nel tempo. Oltre all’elfo,
Barry ha tentato di adottare anche un Ippogrifo, ma sua moglie lo ha convinto e
mandarlo ad Hogwarts.
» *
- Riferimento temporale, ci troviamo ad un paio di giorni di distanza dalla
riunione della prima parte.
» 4
- Come ho già accennato, Theodore ha sfidato suo padre per poter stare
con Beth e per questo è stato diseredato. La sua
speranza era, naturalmente, che essendo lei purosangue di ottima famiglia il
suo vecchio genitore non avrebbe fatto molte sceneggiate, quando non è stato
così non ci ha pensato due volte e se n’è andato. I vecchi amici di famiglia,
ovviamente, hanno iniziato a considerarlo al pari di un mostriciattolo.
» 5
– Rispolveriamo informazioni già date precedentemente: durante la guerra,
Elizabeth è stata mandata in Canada da dei parenti, poiché suo padre era
consapevole che se qualcuno avesse saputo di lei non avrebbe perso tempo ad
ucciderla, considerandola indegna. Quando Theodore è stato presentato a casa,
il suocero lo ha avvisato di cosa era stato costretto a fare, intimandogli che
se la loro relazione l’avesse messa in pericolo lui avrebbe dovuto abbandonare
tutto e metterla al sicuro. Naturalmente, Theodore è più che pronto a farlo.
» 6
– Sono innamorata di EvanRosier.
Ho in mente una backstory per lui terrificante. Ma non solo per lui. Anche
per qualcun altro. Capirete un po’ meglio nel prossimo capitolo!
La mia povera Katie. Nel prossimo capitolo
cominceremo ad esaminarla un po’ più da vicino e cercheremo di capire qual è il
suo ruolo in questa storia. Esamineremo più da vicino anche Winnie e faremo sì
che lei ed Harry possano avere qualche altra interazione.
Vi aspetto tutti lunedì
prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 8 *** Atto IV, Parte II - Il mostro dietro la maschera ***
L’Erede del Male.
“I watchedyouletyourself
die, Nowit'stoo late to saveyouthis time. Youbury me alive,
And everybody's gotta breathesomehow, Don'tleave me to die,
Too consumed by yourownemptiness and lies1”.
[We are the fallen – Bury me alive]
Atto IV, Parte II – Il
mostro dietro la maschera.
Barry non era contento di quella loro sosta, Katie
ne era cosciente, ma era stato più forte di lei. La ricerca di quel maledetto
libro li aveva impegnati nell’ultima settimana e sembrava non essere destinata
a risolversi molto facilmente, e lei si era detta che, dopotutto, non sarebbe
stato poi tanto orribile se si fossero concessi un piccolo strappo, una piccola
vacanza infrasettimanale. Viste anche le sessioni che negli ultimi tre giorni2
aveva dovuto tenere con Harry Potter, non le si poteva certo negare quel
piccolo piacere. A tutti loro piaceva il Quidditch e Winnie, l’unica che non ne
era mai stata molto attratta, aveva ricevuto un gufo da qualcuno che le
chiedeva spiegazioni su suo cugino che l’avevano messa in allarme, non che
Katie si sentisse molto toccata dalle vicende di Malfoy, tutt’altro. Hermione,
che avrebbe opposto molte resistenze a quella piccola gita, era impegnata con l’acquisizione
di ciò che le sarebbe servito una volta che avessero trovato l’incantesimo dal Necromicon3 e quindi non
sarebbe stata un problema per i suoi piani. Quanto a Barry e Ophelia, era
bastato qualche lamento con la promessa di non ubriacarsi subito dopo.
Soprattutto perché Philly era una tifosa accanita del Puddlemere
e non avrebbe rinunciato a dei biglietti neppure sotto tortura.
«L’ultima volta siamo andati a vedere la partita
degli Europei» constatò proprio la donna, sistemandosi la sciarpa blu ed oro
intorno al collo. Era quasi strano
vederla circondata da vivi senza
sembrare un pesce fuor d’acqua, ma, dopotutto, lei era imparentata con Harry e
lui, per quanto sembrasse buffo e sgraziato negli eventi sociali, era sempre
stato un asso nel Quidditch. Forse avrebbe dovuto chiederle se anche lei, ai
suoi tempi, avesse giocato. «Credo fosse Inghilterra contro Francia, non è
vero?».
Barry grugnì, braccia incrociate ed espressione da
vecchio ippogrifo brontolone. «Avrei preferito assistere alla Coppa America, ma
sono stato assaltato da due bevitrici di
tè per averlo solo pensato. Il Quidditch europeo è noioso, qui ormai non
muore più nessuno» si lagnò, alzando gli occhi al cielo quando sua moglie gli
scoccò uno sguardo a dir poco omicida.
Vagamente divertita, Katie alzò la mano come a
voler chiedere il permesso per parlare. «Se vogliamo esser pignoli, io sono irlandese. Ma la Francia aveva battuto i
nostri ragazzi facendo finire un bolide in testa ad Aidan Lynch. Dovevo
assistere alla loro disfatta da parte degli inglesi» spiegò, seppur
contrariata. Irlanda ed Inghilterra non erano mai state Nazioni amiche, tantomeno
sul campo da Quidditch, ma la vendetta era vendetta e, non avendo modo di
potersi vendicare direttamente sui battitori francesi, era stato bello
assistere alla loro distruzione da parte del dinamico duo inglese4.
«È ora che Lynch si ritiri, ormai è vecchio».
Katie rantolò qualcosa di incomprensibile,
portandosi la mano al cuore. «Ritira immediatamente quello che hai detto, prima
che io sia costretta a schiantarti». Poi, alzando lievemente il tono della voce
ed indicando il campo, ancora vuoto. «Aidan Seamus Lynch è il più grande cercatore del mondo. Potrebbe
giocare fino a settant’anni ed il boccino continuerebbe ad essere suo! Lui è il
più grande, il magnifico! Ricordi Berlino di due anni fa? Oppure Almati del
’90? Aveva solo diciassette anni
eppure ha segnato un nuovo record! E quest’anno, ai mondiali di Singapore,
dimostrerà al mondo che l’Irlanda c’è».
Il ghigno con cui Barry la fissò l’avrebbe fatta
innervosire, se non fosse stata troppo presa a sentirsi indignata per l’insulto
non velato al capitano della sua nazionale. Era vergognoso che parlassero di lui in certi termini. Assolutamente
vergognoso. «Ammiro il tuo amor Patrio, Trina,
ma stai dimenticando i mondiali del ’94 e quelli del ‘985» le fece
notare l’uomo, dando dei colpetti al posto accanto a lui affinché lei si
sedesse. «Se non sbaglio, Lynch è stato sempre sballottato. È Krum la vera leggenda».
Ophelia, rimasta a fissare con curiosità il campo
vuoto, scosse il capo. «Ottimo cercatore, ma ha perso molta della sua velocità
negli ultimi anni. Lynch è leggero, cosa non trascurabile perché riesce a
risultare più aerodinamico. Quanto a Krum,
soprattutto negli ultimi mesi, credo sia diventato più simile a…».
«Ad una patata su di una scopa» grugnì Katie,
puntando poi l’indice verso Barry. «E non chiamarmi Trina, lo sai che lo odio. Mia madre mi chiamava così ed io non
l’ho mai sopportato, mi ricorda l’infanzia» lo ammonì, facendo per continuare
il suo sproloquio ma venendo bruscamente interrotta dalla voce del
commentatore, che stava dando il benvenuto agli spettatori accorsi per
assistere allo scontro Puddlemere – Harpies. Un brivido lungo la spina dorsale anticipò di una
frazione di secondo la pelle d’oca che le ricoprì le braccia, mentre le gambe
le cedevano improvvisamente, facendola tornare seduta.
Il cambiamento negli altri due fu piuttosto
immediato: un attimo prima sorridevano amabilmente, un momento dopo avevano gli
sguardi inespressivi che saettavano fra lei ed il campo.
«Ed ecco
la formazione del PuddlemereUnited!
Blair! Dawson! Clark! Lynch!».
«Possiamo sempre andare via. Nessuno ci obbliga a
restare qui» le fece notare Ophelia, allungando la mano per sfiorarle il
gomito. Il suo tono di voce non era rassicurante, ma freddo, quasi scientifico.
Le stava semplicemente facendo notare l’ovvio. Poteva andare via, doveva andare via.
«Stevens!».
Anche suo marito, accanto a Katie, allungò la mano
per posargliela sulla spalla. «Philly ha ragione, ragazzina. Nessuno ci obbliga a stare qui,
tantomeno…».
«Baston!».
L’ultima macchietta blu ed oro fece il suo
ingresso nel campo e, grazie alla sua vista sempre perfetta, Katie riuscì a
scorgere perfettamente i tratti del suo vecchio capitano, molto più massiccio
di quanto non fosse stato da ragazzino ma certamente anche più alto, i capelli
un po’ più lunghi di qualche anno fa ed una barbetta che spiccava sul suo viso
pallido come un punto scuro nel cielo. Lo osservò fare il suo giro d’onore fra
gli applausi tonanti del pubblico, la posizione rigida e sicura che l’aveva
sempre contraddistinto. Quante volte l’aveva rimproverata di non essere
abbastanza ferma sulla scopa?
È una
partita, Kat, non il dannato balletto!
«Trina, andiamo via». La voce di Barry era
qualcosa di lontano, Katie non riusciva quasi a percepirla. Un bisbiglio,
forse, oppure un’eco. Sì, l’ultima ipotesi era la migliore. L’amico che fino a
poco prima aveva avuto la mano sulla sua spalla doveva esser finito sul fondo
di un pozzo, insieme a tutti gli altri. Oppure era lei ad essere precipitata?
Non era sicura. Anche il boato era sparito, solo il rumore sordo del suo cuore
le rimbombava nelle orecchie. «Trina!». Qualcuno la abbracciò, ma non le
interessò.
L’incantesimo si spezzò quando Oliver Baston,
dalla sua posizione davanti agli anelli, si voltò in direzione della tribuna
d’onore, con un sorriso così immenso che anche Katie, dalla sua posizione,
riuscì a notarlo. Seguì i suoi occhi, consapevole di ciò che avrebbe trovato ma
sempre troppo impreparata per reggere il colpo.
L’altra era così
ordinaria. Nulla di eccezionale, davvero, con i suoi banali capelli scuri ed i
suoi banali occhi castani ed il suo banale – no, non era banale, l’aveva comprato lui – anello al dito, non sarebbe mai spiccata in una folla se
Oliver non l’avesse accompagnata, se non l’avesse illuminata.
«Katrina».
Il richiamo di Ophelia arrivò chiaro, questa
volta. Non più dal fondo del pozzo, perché lei era riemersa, nonostante non
fosse più la stessa persona che era sprofondata nel buio. La sua amica – poteva
definirla tale, quando lei e suo marito erano stati dei genitori migliori, per
lei, della sua stessa famiglia biologica? –non l’aveva chiamata con il suo nome
intero soltanto per rimproverarla.
Un nome è
il più forte degli incantesimi, la prima determinazione del nostro stesso essere,
ciò che ci limita e ci rende reali.
Katrina.
Il sangue
bruciava nelle vene come acido, lo sguardo era offuscato di ombre che non
c’erano state fino a poco prima.
Lei non si rese quasi conto di essere scattata in
piedi o di essersi mossa finché il suo sguardo non venne puntato sulle
scalinate degli spalti. Dietro di lei camminavano i suoi accompagnatori,
probabilmente con gli occhi colmi di preoccupazione.
Le mani
tremavano, così come il resto del corpo. Il cambiamento faceva sempre male.
Katrina amava
il dolore.
«Hai bisogno di qualcosa?».
«Possiamo andare immediatamente nella mia Sala
Mortuaria».
Domande
pratiche, prive di ogni pregiudizio. Solamente un Magizoologo ed una
appassionata di cadaveri avrebbero mai potuto mostrare tanta tranquillità con
lei. Con il mostro che stava divorando la
fanciulla.
Quando Katrina sorrise, sembrò quasi che la temperatura
intorno a lei fosse scesa improvvisamente ed un paio di persone lì vicino si mossero
nei loro posti, a disagio, osservando con la coda dell’occhio quella ragazza
bionda che si allontanava con fare sicuro, pallida come la neve ma non
altrettanto incantevole, i cui occhi erano diventati cieli notturni senza
stelle.
«Abbiamo un libro da trovare, io posso essere molto più utile di lei».
Lei, che ogni giorno sembrava morire lentamente,
soffocata da un peso che non aveva scelto di portare.
Se solo avesse alzato lo sguardo, avrebbe
incrociato gli occhi angosciati di Oliver, che la stava osservando fuggire via
da lui, ancora una volta ed ancora senza una spiegazione, senza una sola
parola.
L’anello al dito della donna nella tribuna d’onore
sembrò brillare di più, quasi ad evidenziare il contrasto con il buio che aveva
inghiottito Katrina.
Non
c’erano più scelte da fare.
***
Non erano
affari suoi se Malfoy era sparito.
«Se Draco è stato ucciso o catturato, signor
Potter, è affar suo. Significa che i nostri nemici
comuni hanno fatto dei passi avanti e sono riusciti ad arrivare anche a lui»
gli rispose Winter Vane, senza neppure guardarlo e senza scusarsi per essersi
impicciata ancora una volta nei suoi pensieri. «Come le ho già detto, non è che
io mi diverta ad ascoltare cosa le passa per la testa. Non ho altra scelta, se
lei non è capace di alzare le difese» aggiunse, con parecchia più acidità di
quanta Harry avrebbe voluto sentirsene buttare addosso.
Per un momento, infatti, si sentì un po’ un
vermicolo. Dopotutto, non doveva essere una vita facile, quella della donna, e
lui poteva benissimo mettere a frutto quelle poche lezioni che Piton aveva
accettato di dargli e fare in modo di lasciarle un po’ di pace. «Mi dispiace di
non essere più bravo. Il mio insegnante di Occlumanzia
ed io non abbiamo avuto un buon rapporto finché…» non è stato troppo tardi. Non lo disse, ma il ricordo di Piton
distrutto dalle zanne di Nagini gli attraversò la
mente e lei si irrigidì6. «Mi scusi».
Tirando fuori un sorriso rassicurante, per quanto
non propriamente credibile, Winter Vane gli fece cenno di non preoccuparsi.
«Tranquillo caro, con il mio lavoro è piuttosto comune che mi sia sbattuta in
faccia un’immagine simile. Non sono fragile come può sembrare» lo rassicurò,
continuando a far strada lungo i corridoi scuri. «Credo sia lei a dovermi
scusare per averla strappata ad una pacifica giornata in compagnia della sua
fidanzata. È stata Hermione a dirmi di venire a prenderla per accompagnarmi,
lei è impegnata con qualcuno di cui non può rivelare l’identità e non si
sentiva tranquilla a mandarmi da sola».
Curioso, Harry continuò ad osservarla con il capo
lievemente inclinato. «Davvero non sa con chi sia Hermione adesso?» le domandò,
inarcando le sopracciglia. «Dubito sia possibile nasconderle qualcosa, non per
molto tempo quantomeno».
Winter rise lievemente, il nervosismo evidente
come un brivido sul fondo di quel trillo apparentemente rilassato. «Hermione è
molto brava con l’Occlumanzia, non le piace avere
gente capace di leggerle la mente… credo sia a causa delle ragioni che l’hanno portata ad arruolarsi.Per un periodo mi sono sentita un po’ ferita,
in realtà, perché credevo che non volesse essere mia amica o che non si
fidasse… col tempo ho imparato a rispettare la sua decisione. È giusto che
ognuno possa mettersi nella posizione di difendere i propri pensieri».Con la coda dell’occhio, la bionda osservò il
dubbio e la confusione affacciarsi sul volto di Harry, ma aspettò qualche
istante prima di ricominciare a parlare. «Anche Hermione ha i suoi limiti,
tuttavia. Mi dispiace per Lipsia».
Un brivido corse lungo la schiena dell’Auror. Quello non
era un argomento che aveva intenzione di affrontare con una Legilimens tanto
potente. Non aveva idea di quanto ampi potessero essere i suoi poteri, non
aveva certo voglia di fornire ulteriori accessi alla parte più fragile e
nascosta della sua anima. Con uno sforzo disumano, rafforzò le sue difese. Non avrebbe parlato di Lipsia. «Perché
non ha aspettato che tornassero gli altri suoi colleghi, piuttosto che chiedere
a me? Sono certamente più preparati di me» disse invece, mantenendo lo sguardo
fisso davanti a sé. «Sono solo un Auror».
«Sei il Golden Boy, non sottovalutarti» lo riprese
lei, con un sorriso mesto. C’era qualcosa nel suo sguardo che Harry non riuscì
a decifrare. «Scusa se ti do del tu, caro, ma era da un po’ che ci stavi
pensando ed ogni volta hai fatto un passo indietro. Abbiamo la stessa età, non
siamo certo due vecchietti» continuò, con un’allegria posticcia quasi
inquietante. «Sei stato scartato alla selezione Banshee a causa dei suoi
problemi mentali. È un criterio che viene valutato in modo strano, altrimenti
tre quarti di noi non sarebbero risultati idonei e la nostra squadra forse non
sarebbe proprio esistita… diciamo che se in tanti siamo a metà fra follia geniale e follia da ricovero ma tendiamo per la prima… tu tendevi troppo
verso la seconda per poter essere scelto».
Quella
era un’informazione che Harry non credeva di dover avere. Era
stato selezionato? Quando? Era stato quell’impiegato della Conferenza che
l’aveva stressato per mesi a scartarlo? Credevano non fosse abbastanza bravo
per un lavoro del genere? Lui aveva salvato
il mondo, come potevano bollarlo semplicemente come pazzo? Anche Hermione era
stata male, portata al limite della sopportazione finché non era stata sul
punto di crollare, eppure era stata scelta. Scelta e salvata.
Perché non avevano salvato anche lui?
«Perché non volevi essere salvato».
Era stata una risposta che lui, anche se in minima
parte, si era aspettato. Una risposta un po’ banale, forse, ma l’unica davvero reale. Non era poi così strano che i
servizi segreti più importanti e pericolosi del mondo non volessero avere a che
fare con qualcuno come lui, che avrebbe mandato tutto al diavolo pur di
smettere di soffrire. C’era anche andato vicino, a Lipsia. Senza Hermione –
perché era stata lei a salvarlo, per
l’ennesima volta – non avrebbe fatto il suo ritorno a casa e non avrebbe avuto
modo di vedersi fare il regalo più bello del mondo dalla sua futura moglie, in
quel momento fortunatamente al sicuro a casa, sotto le coperte e con un paio di
Auror a pochi metri di distanza. Era stato un
sollievo sapere che il suo Capo avesse già dato ordini affinché alcuni suoi
colleghi pattugliassero casa sua, la Tana e casa di Andromeda Tonks. Mettere al sicuro la sua famiglia era una
preoccupazione che era stata tolta dal carico delle sue spalle e che finalmente
gli aveva consentito di respirare almeno un po’. Hermione, naturalmente, non
poteva essere messa sotto scorta: lei era
la migliore scorta che ci fosse in circolazione ed il fatto che lui e Malfoy
fossero sempre accompagnati, in un modo o nell’altro, dai membri della Squadra,
lasciava intendere quanto fossero tutti preoccupati per la loro incolumità.
Pensando, tuttavia, ai vari colleghi di Hermione,
partendo da Katie e dal suo sorriso triste, fino ad arrivare all’allegra biondina
che gli trotterellava accanto, Harry si ritrovò a riflettere sulle parole che
la stessa Winter gli aveva rivolto poco prima.
La nostra
squadra non sarebbe esistita.
«Katie davvero non ti rende giustizia, non sei
affatto tardo come ha tentato di farci credere» si congratulò, seppur con
parecchia ironia, Winter, lanciandogli uno sguardo storto. «Credi che delle
persone sane di mente sarebbero state pronte a mollare tutta la loro vita,
fingersi morte o semplicemente sparite nel nulla per anni?» gli chiese,
raddrizzando le spalle e sollevando il mento in una posa altezzosa. «Siamo
tutti folli, in un modo o nell’altro, altrimenti non saremmo arrivati alle
Banshee. Non farti ingannare da un bel viso, Harry Potter. Anche i mostri sanno
indossare un bel vestito, una maschera e sorridere per il loro pubblico».
Vagamente inquietato, Harry cercò di ricrearsi
un’immagine di tutti e cinque i membri della squadra Banshee 3. C’erano gli
sposini apparentemente normali che Harry proprio non riusciva ad inquadrare.
Certo, lei aveva una strana passione per i morti ed ancora non era apparso un
Magizoologo che non avesse una strana e macabra passione per sangue e creature
spaventose, ma non sembravano poi tanto terribili. Soprattutto Ophelia, che era
bizzarra, ma non in un senso troppo negativo e se era arrivata a sposare quel
tipo doveva aver avuto le sue buone ragioni. C’era poi Katie, che nascondeva
qualcosa di così terribile da non poter essere rivelato e che probabilmente
l’aveva divorata dall’interno al punto di costringerla a cambiare la propria
esistenza in modo drastico. Non tutti
avevano avuto una scelta, era stato il modo in cui Hermione lo aveva
liquidato una settimana prima, alla tana. Hermione,
che lui conosceva fin da quando erano poco più che bambini, aveva un lato
oscuro che aveva avuto modo di incontrare parecchie volte: il trucco della
brava ragazza poteva reggere con chiunque non avesse notato la follia nei suoi
occhi durante la preparazione della Polisucco o
durante le iscrizioni sul foglio maledetto dell’ES. Hermione sapeva essere
machiavellica e malvagia molto più di tanti Mangiamorte che avevano incontrato
nel corso degli anni e, Harry tuttavia non si sarebbe mai azzardato a dirlo ad
alta voce, dopo l’incontro con Bellatrix quel lato di
lei sembrava essere solo peggiorato. Il pensiero che potesse aver acquisito un certo talento da quella
donna lo fece rabbrividire.
«Non si viene torturati da BellatrixLestrange per poi dimenticare, Potter» lo ammonì la
bionda, con un tono lezioso davvero sgradevole. Il modo in cui pronunciò il suo
cognome lo fece irrigidire: era familiare,
anche se non riusciva a comprendere il perché. Come Malfoy? No, era qualcosa di peggiore7.
«Hermione è una delle migliori Inquisitrici che siano mai passate per l’Organizzazione. Non ti permetterò farla
sentire in colpa per questo» gli disse secca. Il modo in cui si girò a
sorridergli, subito dopo, gli fece tremare le ginocchia. «Dopotutto, non è
certo lei a doversi occupare dei
nostri ospiti più reticenti».
Winter Vane, con quella sua aria da svampita
appena giunta da New Orleans, era, con ottime probabilità, la più spaventosa di
tutto il gruppo, anche se buona parte del giudizio di Harry era reso nullo
dall’impossibilità di conoscere la vera natura del potere di Katie. Se nella
sua vecchia amica era la sua stessa apparenza a mettere paura, la Vane mostrava
d’avere qualcosa di ancora più radicato in lei, una massa oscura ben nascosta
sotto un bel sorriso e riccioli alla Shirley Temple
che avrebbero potuto ingannare un po’ chiunque. Hermione e gli altri erano
capaci di controllare gli orrori del mondo,
che fossero i morti, le bestie crudeli o gli incantesimi, ma lei…
C’era molto di più nascosto sotto le belle
fossette e gli occhi di smeraldo.
«Hai paura del lupo cattivo, signor Potter? Sta’
tranquillo, non vuole certo mangiarti» lo rassicurò, riuscendo in tutto tranne
che nella sua impresa, non con quel sorriso spaventoso sulle labbra. Non quando
Harry fu più che certo di aver notato uno strano lampo argenteo nei suoi occhi.
Fu sul punto di aggiungere qualcosa, forse per prenderlo in giro e ridere della
sua reazione esagerata, ma si fermò, il sorriso congelato sul viso. Per un
attimo fu ancora più spaventosa, perché spaventata
a sua volta.
«Cosa sta succedendo?» domandò, nonostante fosse
consapevole che avrebbe potuto semplicemente pensare la sua richiesta, senza porla
ad alta voce e rischiare di rivelare la loro posizione. Per una qualche
ragione, dubitò che lei lo avrebbe ascoltato, in quel caso. «Vane, che succede? È Malfoy?».
Impallidita più di quanto Harry pensasse fosse
possibile, Winter sollevò la mano per intimargli il silenzio, inclinando il
capo come se avesse voluto ascoltare qualcosa con maggiore facilità. Le tremò
il labbro inferiore, mentre le pupille si dilavano in modo quasi comico. Un attimo dopo scattò via,
correndo lungo il corridoio come se avesse avuto il diavolo alle calcagna e
senza preoccuparsi che Harry la stesse effettivamente seguendo. Gli ci vollero
un paio di istanti per recuperare, indeciso se farsi prendere dal panico o far
insorgere l’Auror che era in lui per capire cosa stesse succedendo e dopo farsi prendere dall’ansia.
«Vane, maledizione, parla!» sbottò, facendo prevalere la seconda scelta e sentendosi
grato nei confronti delle varie ore di preparazione che l’Accademia l’aveva
costretto a seguire. Se avesse perso la testa, probabilmente non sarebbe
sopravvissuto e non sarebbe più tornato a casa da sua moglie e dai suoi
bambini.
«Non adesso! Non è ancora troppo tardi» fu tutto ciò che inizialmente
ottenne come risposta, insieme ad un’ondata di angoscia che sapeva non appartenergli, perché era
un’emozione troppo complessa, troppo elaborata per lui, che negli ultimi due
anni era sempre passato da livelli più o meno diversi di depressione, senza mai
spegnersi in quel modo.
Harry realizzò, mentre correva per porre rimedio
ad un danno che ancora non conosceva, che nonostante fosse arrivato sul fondo
del baratro, nonostante Lipsia, non fosse
mai riuscito a perdere quella scintilla sul fondo del suo cuore, quel piccolo
calore che era la speranza, cresciuta
insieme al ventre di Ginny.
Winter Vane non aveva quella scintilla. Forse non
l’aveva mai avuta.
Perché?
Trovarono Malfoy ed un altro uomo che lui
riconobbe essere Theodore Nott accasciati in un
angolo, le espressioni vuote di chi avesse visto l’Inferno e non ne fosse più
uscivo vivo, una brutta ferita sulla fronte del biondo che sembrava
estremamente recente. Winter si inginocchiò fra loro, senza osare toccarli ma
osservandoli con tanta intensità da fargli credere che li stesse visitando, poi fece un cenno ad Harry,
così che si avvicinasse. «Adesso tu farai esattamente come ti dirò e forse qualcuno di noi ne uscirà vivo»
mormorò, deglutendo e ricominciando a parlare prima che lui potesse
intervenire. «Sono un tuo superiore, Potter, quindi farai come ti dico e basta. Tu prenderai Draco e Theodore e
userai la passaporta d’emergenza che ho con me,
perché non è possibile smaterializzarsi dal Mausoleo dei Malfoy».
Mausoleo
dei Malfoy? Quella sottospecie di labirintico insieme di
grotte era un mausoleo? Perché erano
finiti in mezzo ai resti degli antenati di Draco? Perché Malfoy e Notterano lì? Cosa li aveva
attaccati?
«Non è un cosa,
è un chi» spiegò velocemente la Vane,
armeggiando con la cintura per estrarne una piccola bussola d’argento. «Fai
come ti dico, vai dalle Guardie Carceriere di Azkaban e comunica loro che Sandman8è scappato, poi fai
in modo che lo scoprano anche gli altri della squadra e che vadano a chiedere i
rinforzi».
L’ansia di Harry non fece che aumentare, con
quelle parole, ma si sbrigò ad avvicinarsi per poter afferrare sia Malfoy che Nott. «Tieniti a me, andremo via tutti» disse, con il tono più risoluto di cui fosse in possesso.
Non se ne sarebbe certo andato via lasciandola lì. Non aveva mai abbandonato uno dei suoi compagni d’avventura,
non avrebbe certo iniziato in quel momento. Per lui erano già morte troppe
persone. «Chiunque sia, adesso è lontano, abbiamo tutto il tempo per chiamare i
rinforzi e…».
Il sibilo con cui lei gli rispose lo fece
rabbrividire e, se non fosse stato tanto abituato a guardare in faccia il
pericolo, non avrebbe notato il
cambiamento. Winter Vane non era più la bella ragazza del sud con dolci
guance colorate di rosa e gli occhi come un prato. A ricambiare il suo sguardo
furono due lastre di ghiaccio, circondate da una cascata di capelli neri come
le piume di un corvo ed incastonate in un viso pallido come quello di un
cadavere.
Harry ricordava quegli occhi. Non poteva
dimenticarli.
ElladoraMulciber.
«Adesso tu prenderai loro due ed andrai via di
qui» gli ringhiò contro lei, le mani piantate al suolo e le unghie conficcate
in modo doloroso contro la roccia. Erano insanguinate, probabilmente spezzate
fino alla carne. Stava lottando contro qualcosa, ma cosa? Chi? «Chi ha fatto questo a loro non si è mai allontanato. È
dietro di noi, lo è sempre stato, ma si è saputo nascondere bene. È la sua
specialità» continuò, parlando in un rantolo.
«Non ti lascerò qui».
«Non hai scelta» gli disse, socchiudendo gli occhi
e piegando il capo di lato, con una smorfia carica di dolore. «È me che vuole,
ha sempre voluto me. Draco è stato
attirato qui solo per farlo diventare un’esca. Si è fatto da parte per
permetterti di portarli via… uno scambio equo, dal suo punto di vista. Io valgo
più di due uomini».
Confuso, Harry provò a guardarsi intorno, senza
trovare nulla di sbagliato, senza notare
quale potesse essere la fonte di tutto il dolore che lei stava mostrando. «Chi
diavolo è? Cosa vuole da te? In che senso vali più di due uomini? Aziona la passaporta, posso portarci tutti via da qui e allora saremo
al sicuro. Vane, il tuo naso sta
sanguinando!».
Con
lentezza, la donna si sollevò leggermente in piedi e costrinse Harry a prendere
la sua bussola, oltre che ad avvicinarsi a Nott, che
altrimenti sarebbe rimasto indietro. «Alcuni potrebbero chiamarlo amore paterno, io, invece, la chiamo
psicosi». Si irrigidì nuovamente, per poi rilassare le spalle e bisbigliare
qualcosa di incomprensibile ma che tuttavia somigliava molto ad un troppo tardi, idiota. Alla fine, raddrizzò
le spalle e si voltò, sollevando il mento con la stessa posa algida che aveva
assunto durante l’allegra scampagnata. «Padre,
noto che sei fuori da Azkaban. Il piacere è tutto tuo» salutò quindi, con un
pesante accento inglese, simile a quello di Malfoy.
Dalle ombre, con una tranquillità tale da lasciare
Harry sbalordito perché era impossibile
che non l’avesse notato, Mulciber fece la sua
comparsa, molto più ringiovanito di quanto non fosse stato durante il processo
e, poco ma sicuro, molto più folle.
Gli
stessi occhi di sua figlia.
«Via, via Winnie
cara. Ti sembra questo il modo di accogliere il tuo unico genitore? Avrei
voluto presentarmi a te come il tuo molliccio, ma ho pensato che sarebbe stato
troppo banale da parte mia. Mi sono
anche preoccupato di giocare un po’ con i nostri cari amici. Il vecchio
trucchetto di EvanRosier
redivivo funziona sempre9. Non ho mai capito perché lui sia
diventato uno spauracchio ed io no… e pensare che lui era così inutilmente melodrammatico».
Spaventata, Winter si irrigidì, avanzando di un
paio di passi come a voler proteggere i due svenuti ed Harry. «Sei tu il mio molliccio, lo sei sempre
stato, solo che io sono stata troppo sciocca per capirlo in tempo e fare la
cosa giusta». Con un cenno veloce, Winter estrasse la bacchetta. Lo sforzo di
resistere agli attacchi mentali dell’uomo che le aveva dato i natali era
evidentissimo. «Gli orrori di Rosier erano molto più
adatti a dei bambini dei tuoi. Lui non aveva mai mangiato le sue vittime, dopotutto» aggiunse, con disgusto,
rafforzando la presa sulla sua unica arma, mentre l’uomo sorrideva macabro. «Addio, Padre».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Quanto mi piace
distruggere la vita della gente. Forse dovrei mandare una scatola di
cioccolatini ad Oliver Baston, che in tutto questo è l’unico, vero innocente. Più o meno. Mica sono
stata io a fidanzarmi con una tipa random.
Punti importanti:
» 1
– “Ti ho guardata lasciarti morire/ Questa
volta è troppo tardi per salvarti/ Mi hai seppellita viva/ E tutti devono
respirare in qualche modo/ Non lasciarmi morire/ consumata dal tuo vuoto e
dalle bugie”. Questa volta il riferimento è alla “vera” natura di Katie e
Winnie. Entrambe, infatti, hanno soffocato il loro vero io per tentare di condurre vite normali. Naturalmente, queste bugie
non possono durare, quindi, alla fine, la maschera è caduta ed il mostro ha
ripreso il controllo. Katrina ed Elladora non sono
soggetti con cui scherzare, il fatto che odino loro stesse più di chiunque
altro è il peggiore fra gli stimoli.
» 2
– Ci troviamo ad una decina di ore dalla seconda parte del capitolo precedente.
Sono, quindi, passati circa tre
giorni dalla prima parte, cioè da quando Harry ha iniziato le sue sessioni
intensive per recuperare il messaggio di Voldemort.
» 3
– Necromicon,
Il Necronomicon
è uno pseudobiblium, cioè un libro mai scritto ma citato
come se fosse vero in libri realmente esistenti. Il Necronomicon,
infatti, è un espediente letterario creato dallo scrittore statunitense Howard
Phillips Lovecraft per dare verosimiglianza ai propri racconti, che diventò
gradualmente un gioco intellettuale quando anche altri scrittori cominciarono a
citarlo nei lor Secondo Lovecraft, il Necronomicon
sarebbe un testo di magia nera redatto dall'"arabo pazzo" Abdul Alhazred, vissuto nello Yemen nell'VIII secolo e morto a Damasco
in circostanze misteriose. Con Necromicon
si intende generalmente un libro che “parla dei costumi dei morti” o comunque
che fa riferimento al funzionamento della vita ultraterrena. SONO ANNI che
voglio metterlo in mezzo.
» 4
- Riferimento ai battitori della Nazionale Inglese che io ovviamente non
conosco ma che, a quanto pare, sono a dir poco eccezionali. Katie li ammira
molto ma non li ritiene alla stessa altezza dei battitori irlandesi,
ovviamente.
» 5
– Riferimento ai Mondiali a cui ha partecipato anche Harry nel 1994
(Irlanda-Bulgaria) e poi ai mondiali del 98 (Irlanda-Australia).
» 6
– Lei non si è irrigidita a causa dell’immagine in sé ma, piuttosto,
perché lei stessa ha conosciuto Severus Piton. Non erano amici, ma Piton aveva
preso a cuore il destino di quella povera bambina.
» 7 –
Harry, non conoscendo l’identità reale di Winnie, non riesce a collegarla a suo
padre. Naturalmente, dopo comprenderà e ricollegherà a lei quello stesso tono
che l’uomo aveva usato contro di lui durante il Processo.
» 8 –
Sandman è un nome in codice. In teoria è un altro
nome per Morfeo, il Dio del Sogno, ma non posso spiegarvi bene perché Mulciber si è guadagnato questo soprannome affettuoso.
Voglio dire, è un legilimante, non è mica difficile
;) Diciamo che ai Paciock è andata bene
che a prenderli di mira sia stata Bellatrix e non
lui.
» 9 –
Mi dispiace, ma Evan non è tornato miracolosamente in
vita. Semplicemente, Sandman ha usato i suoi
trucchetti per terrorizzare Draco e Theo, contando sul fatto che il vecchio
compagno d’armi sia rimasto materia d’incubi, una specie di “Dracula” o “Hannibal
Lecter” di noi poveracci babbani.
Avete capito cos’è Katie? Un po’ di gente
aveva fatto ipotesi corrette, ma, credetemi, c’è altro dietro l’angolo. Povera piccina. E
povera Winnie.
Vi aspetto tutti lunedì
prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
“Now I lay me down to sleep Pray the
Lord my soul to keep If I die
before I wake Pray the
Lord my soul to take Hush
little baby, don't say a word And
never mind that noise you heard It's
just the beasts under your bed In your
closet, in your head.
Exit, light Enter,
night Grain of
sand*”.
[Metallica – EnterSandman]
Atto IV, Parte III – Sandman
«Addio, padre».
Nonostante l’effetto drammatico della sua ultima
affermazione, Winter si era ritrovata agonizzante al suolo prima ancora di
poter muovere un singolo muscolo verso l’uomo, il cui sorriso macabro non si
era spostato di un millimetro. Era semplicemente caduta in preda a delle
convulsioni dall’origine sconosciuta, il corpo già gracile che sembrava sul
punto di spezzarsi a causa dei movimenti bruschi ed incontrollati.
Sandman.
Era così banale che Harry si sentì sul punto di
prendersi a schiaffi per non essersene immediatamente reso conto. Quando Winter
Vane gli aveva ordinato di correre via con tanta premura, avrebbe dovuto
fermarsi a riflettere sul motivo che poteva aver spinto una delle donne più
pericolose al mondo a farsi prendere dal panico chiedendogli di correre ad
Azkaban per avvisare della fuga di uno dei prigionieri, qualcuno abbastanza
pericoloso da meritare un nome in codice tutto suo per evitare che potesse
diffondersi il panico. Qualcuno così pericoloso che Voldemort stesso aveva
preferito lasciarlo nelle retrovie, un’arma segreta che nessuno avrebbe dovuto
conoscere1.
Sarebbe stato più semplice fare il collegamento,
forse, se non si fosse lasciato ingannare da un banale incantesimo di
camuffamento che lei aveva usato per nascondersi da occhi indiscreti. O se non
avesse cambiato nome.
ElladoraMulciber.
«Saresti dovuto scappare quando te ne avevo dato
l’occasione, signor Potter» lo rimproverò l’uomo, con tono lezioso, scuotendo
il capo mentre continuava a sorridergli con la stessa aria bonaria che un padre
avrebbe avuto verso il figlio discolo. Quel paragone gli fece venire la nausea,
trattenersi dal dare di stomaco fu solo un atto di pura volontà. «La mia piccina
ti aveva dato una via di fuga, eppure hai preferito perdere tempo per fare
l’eroe. È una cosa che ho sempre ammirato in voi Potter. Tutto questo
coraggio… sono certo che dobbiate essere deliziosi».
A quel punto, l’espressione di disgusto non poté
più essere mascherata. Sentendo le gambe tremare, Harry sollevò la bacchetta
verso l’uomo, attendo a non guardarlo mai direttamente negli occhi. Silas Mulciber non aveva lo stesso potere della figlia, non
poteva colpirlo se non gliene dava modo. Forse. «Come ha fatto a
scappare?» fu tutto ciò che l’Auror riuscì a
domandare, indeciso fra l’attaccare e l’avvicinarsi alla povera donna riversa
al suolo, ancora scossa da qualche tremore incontrollato. Voleva aiutarla, ma
come? Non era un medico e, comunque, dubitava fortemente che lei potesse essere
semplicemente salvata. Non quando era stato Sandman
a colpirla.
Il Mangiamorte scoppiò a ridere, gettando il capo
indietro ed allargando poi le braccia. Fra le mani aveva una bacchetta magica
che Harry sapeva non appartenergli, poiché era stato presente quando il
Ministro aveva spezzato e bruciato la sua, quattro anni prima. «Ho ricevuto un
aiuto inaspettato, signor Potter. Un aiuto che ha apprezzato incredibilmente
l’assenza di Dissennatori fuori dalla mia cella. Si ricordi di ringraziare il
suo Ministro, se non fosse stato tanto magnanimo avrei potuto perdere la testa,
in questi anni2».
La possibilità che lui impazzisse di più
era ridicola al solo esser pensata. Ridicola. Quell’uomo non aveva una
singola cellula, in corpo, che non fosse completamente matta, deviata al punto
da far tremare le guardie carcerarie all’idea che potesse essere lasciato in
una cella insieme ad altri.
«Chi ti ha aiutato?».
Osservandosi le unghie delle mani con aria
annoiata, Mulciber si strinse nelle spalle. «Domanda
banale, signor Potter. Se anche te lo dicessi, tu non mi crederesti» gli fece
notare, non allegro ma comunque sorridente «La domanda giusta dovrebbe essere:
perché sei ancora vivo? Per essere stato capace di sconfiggere l’Oscuro
Signore, sei davvero molto tardo, ragazzo. Dovresti rinchiuderti in una stanza
senza finestre, tutto preso a strapparti i capelli e chiederti come farai a non
morire dalla paura».
Harry lo fissò per qualche istante, gli occhi
spalancati ma l’espressione neutra. Una parte oscura di lui sapeva che quella
di Mulciber non era una semplice minaccia con lo
scopo di spaventarlo, non aveva senso fare lo spavaldo. Se Sandman
gli diceva di dover avere paura, lui non aveva possibilità di negare quella
possibilità e convincersi che fosse un trucco. Doveva solo lasciare che
quell’angoscia perenne che l’aveva torturato ogni notte negli ultimi quattro
anni e che aveva iniziato a perseguitarlo anche di giorno a causa degli
incontri con Ophelia e Katie prendesse possesso del suo corpo, piegandolo e
spezzandolo.
Prima che potesse perdere quel minimo di coraggio
che gli era rimasto, Harry parlò. «Perché sono ancora vivo?».
Mulciber
ridacchiò. «Perché ucciderti era troppo facile, ragazzo» gli disse, muovendo la
bacchetta così che il corpo esanime di Winter si raddrizzasse, rialzandosi come
se fosse stata un burattino tirato da fili invisibili. Il suo viso era
inespressivo, gli occhi di ghiaccio aperti in modo innaturale ed iniettati di
sangue, lo stesso che le macchiava il viso e gli abiti. Sembrava morta,
anche se Harry sapeva quanto quella possibilità fosse infinitamente più
caritatevole di ciò che le era effettivamente accaduto. «Vedi, Potter, non
tutto quello che è accaduto è stato a tuo favore, durante la guerra. Certo, sei
diventato un simbolo di libertà e pace, una speranza» pronunciò
quell’ultima parola con divertito disprezzo, quasi fosse stata una follia, «ma
tutto questo potrebbe rivoltarsi contro di te in un battito di ciglia. Cosa
resta, quando togli la speranza?».
Nulla, non restava nulla. Esattamente
come ciò che riempiva il cuore di Winter, che in quel momento non poteva più
neppure fingere di essere normale, essendo tornata fra le grinfie di
colui che il destino aveva reso suo padre e carnefice. Era questo che Mulciber voleva? Era quello lo scopo di chiunque l’avesse
liberato? Distruggere Harry, così da distruggere la speranza del mondo? Era
ambizioso, come progetto, perché dopotutto lui era solo un uomo ed il
mondo era pieno di gente coraggiosa e pronta a tutto pur di sopravvivere.
«Sei molto innocente, signor Potter» si rallegrò Mulciber, leccandosi le labbra con anticipazione. «Quelli
come te sono i miei preferiti. I più saporiti, senza ombra di dubbio» commentò,
voltando lo sguardo verso sua figlia, rimasta nel silenzio dell’incantesimo.
Allungò la mano libera per spostarle una ciocca di capelli scuri da davanti
agli occhi, poi le accarezzò la guancia. «Non è meravigliosa, Potter? Guardala,
è perfetta. Ed il suo potere è anche cresciuto, in questi anni! Prima
non era mai riuscita a resistere tanto a lungo ai miei attacchi. È incantevole».
Harry sentì la nausea attanagliargli di nuovo lo
stomaco, mentre fissava l’uomo intento a decantare i macabri talenti che la
figlia aveva ereditato. Provò a calmarsi, pensando che lui avrebbe potuto
provare anche attrazione sessuale verso di lei, ma la possibilità che
quell’idea non fosse assurda ma addirittura probabile non fece
altro che farlo sentire peggio.
«Lasciala andare, mostro» ringhiò,
sollevando di più la bacchetta per potergliela puntare contro, sentendosi
infinitamente più forte di poco prima. Non credeva di poter avere qualche
speranza contro di lui, ma si sentiva stranamente motivato. Lui l’aveva
definito speranza, poteva esserlo anche per quella donna che ricordava
aver visto tremare davanti ad una giuria impietosa non più di quattro anni
prima. «Hai già fatto soffrire Winter a sufficienza, lei non ti appartiene».
La curiosità con cui Mulciber
lo guardò lo fece irrigidire. Sembrava quasi che non riuscisse a comprendere le
sue parole, nonostante Harry fosse consapevole di aver parlato in modo
parecchio chiaro. Era piuttosto fiero di se stesso, in realtà, perché anni
prima non sarebbe riuscito a fronteggiarlo con tanta presunzione. «Ovviamente
lei mi appartiene, Potter. Lei è mia, lo è sempre stata. La mia
piccolina ha solo avuto un momento di sbandamento ed ha tentato di allontanarsi
da me, ma adesso è rinsavita» si rallegrò, prendendo il viso della donna fra le
mani ed osservandola come se fosse stata il suo tesoro più grande. «Oh, lei
è il mio tesoro più grande. Grazie a lei, l’umanità non ha più segreti per
me. Dopo che avremo aiutato Tiresias, noi
spariremo, diventeremo un’ombra, l’incubo ricorrente che tormenta i sogni dei
bambini…» rise, tornando a fronteggiare Harry. «Non è elettrizzante,
come prospettiva? È un peccato che tu non possa assistere alla nostra ascesa,
per allora sarai già morto».
«Non è la prima volta che qualcuno prevede la mia
morte, Mulciber» gli fece notare Harry, sentendosi
improvvisamente più coraggioso. Quella era una minaccia che conosceva,
una possibilità contro cui aveva combattuto fin da quando era entrato a far
parte del mondo della magia. Qualcuno – Tiresias? –
voleva ucciderlo, così come voleva farlo Voldemort. Volevano ucciderlo, ma lui
poteva combattere. I mostri del mondo non potevano essere spaventosi come
quelli che vivevano nel suo cuore. Quella era una sfida che poteva
accettare.«Winter ha fatto la sua
scelta quattro anni fa, non sarai tu ad allontanarla dalla sua nuova vita»
continuò, stringendo la presa sulla sua bacchetta e rimpiangendo
improvvisamente di aver voluto rimettere al suo posto la Bacchetta di Sambuco.
Gli sarebbe stata utile, in quel momento.
«Ah, il coraggio Grifondoro. Come ho già detto, appetitoso»
gli disse l’uomo, alzando gli occhi al cielo. «Ammiro che tu sia pronto a
batterti contro di me per aiutare la mia piccina, ma, vedi, lei non vuole
essere aiutata. Dico bene, Elladora?» chiese in
direzione della figlia, che annuì meccanicamente, il capo piegato in modo
innaturale e lo sguardo vitreo. Con orrore, Harry notò una lacrima colare lungo
la sua guancia, ma non seppe dire se fosse a causa della secchezza degli occhi
o per vera disperazione. «Conquisteremo il posto che ci appartiene, non ci sarà
una sola mente che non ci apparterrà. E tutto grazie a lei, al suo splendido
dono che io unirò alle mie qualità».
Il primo incantesimo di Harry si scontrò con uno
scudo che lui non era neppure riuscito a notare. Era il migliore con gli
incantesimi non verbali, eppure Mulciber sapeva
sempre come contrattaccare, grazie al collegamento con la mente di Winter,
tornato ad essere forte come durante la guerra. La donna non si muoveva, eppure
Harry vedeva quanto enorme dovesse essere lo sforzo che la sua mente
stava subendo. Non c’era difesa che potesse tenere, non c’era modo di liberarsi
da quella sanguisuga che le aspirava i pensieri per nutrirsene e divenire
sempre più forte.
«AvadaKedavra!» fu il vano tentativo di Harry, a sua volta
finito nel nulla, mentre Mulciber gli rideva in
faccia con l’espressione più divertita che dovesse mai aver avuto in vita sua.
Non si sentiva toccato, non si sentiva minacciato da lui, perché quel vantaggio
che gli incantesimi silenti dovevano concedergli in realtà era vanificato in
partenza. Non era una lotta ad armi pari, non lo sarebbe mai stata. Harry non
era un bravo Occlumante e di certo i suoi sforzi
sarebbero stati nulla contro di lui. Contro di lei.
«Non ti è bastato, Potter? Vuoi davvero
costringermi ad ucciderti? Non saprei come spiegarlo al mio… protettore»
si lagnò, allegro, facendo un cenno alla figlia affinché si sedesse ai suoi
piedi. Era un chiaro gesto, il suo: sottomissione completa, la vita di
Winter Vane non valeva più di quella di un fedele cagnolino. Harry non sarebbe
mai riuscito a lasciarla lì, in quello stato. «Ah, così coraggioso, così
orgoglioso! La resa non è una possibilità, per te?».
«Se intendi dire che vuoi arrenderti a me, mostro,
allora accetto3» gli ringhiò contro, raddrizzando le spalle. Lo
avrebbe costretto ad ucciderlo, se necessario. Prima o poi, Draco e Theodore si
sarebbero svegliati e allora tutti avrebbero saputo del pericolo imminente. «Io
posso continuare tutto il giorno4, fatti sotto!».
Mulciber fece una
smorfia, esasperato. Ad Harry era mancata la sensazione provata nel portare le
persone al limite: il compianto Piton era stato un’ottima cavia per fargli
sviluppare il suo lato più impertinente. «Non posso perdere tempo con te, Tiresias e l’infante ci stanno aspettando, ho promesso loro
che avrebbero presto conosciuto la mia piccina» borbottò, incrociando le
braccia al petto – evidentemente non intenzionato a combattere – e voltandosi
verso la figlia. «Elladora, cara, ti dispiace
annientarlo? Credo che ai nostri amici serva solo il loro corpo, non certo la
sua mente».
Winter, ancora seduta al suolo, tremò
violentemente ma non si mosse. Le lacrime scendevano con maggiore intensità, ma
il suo viso era rimasto inespressivo. Nella sua mente era in corso una
battaglia e lei era l’unica, vera vittima. Harry si sentì male al solo
guardarla. Lui aveva provato la forza di un Imperius, ma era stato un controllo
minimo, quasi amichevole. Niente aveva mai provato a spezzarlo nel
profondo, niente lo aveva tormentato fin dalla nascita, non in quel modo.
«Cosa stai facendo, Elladora?
Vuoi combattere?» chiese con una risata l’uomo, osservando la figlia con un
cipiglio diviso fra il divertimento e l’irritazione. «Non hai imparato la
lezione, piccola mia? Credevo di essere stato chiaro, anni fa» continuò, ed il
suo tono assunse un’inflessione spaventosa, una rabbia così cieca ed improvvisa
che per un momento lo stesso Harry sentì le gambe tremare. «Ho detto, annientalo,
prima che io decida di annientare te».
La donna al suolo tremò più forte e dalle sue
labbra sfuggì un rantolo soffocato. Il suo viso aveva iniziato a cambiare
colore in modo a dir poco spaventoso e le sue mani erano artigliate al suolo,
le unghie ormai quasi completamente saltate via e sostituite da grumi sanguinolenti.
Quando Mulciber si accigliò, il rantolo divenne un
gemito soffocato e quelle stesse dita sporche si spostarono sul viso pallido e
segnato dalle lacrime, graffiandolo come se avesse voluto strapparsi via la
pelle pur di smettere di soffrire.
«Smettila! Lasciala stare, lasciala!» nel
panico totale, Harry balzò in avanti, intenzionato a prenderlo a pugni se fosse
stato necessario. Riuscì ad avvicinarsi solo di qualche passo prima che Mulciber gli puntasse contro la bacchetta e lo sbalzasse
contro il muro con abbastanza forza da far spezzare qualcosa nella sua gabbia
toracica. Il dolore che provò fu abbastanza forte da mozzargli il respiro, ma
lui non si fermò: il rantolo di Winter era spaventoso. Stava soffocando,
una forza inarrestabile che dall’interno le impediva di respirare. La morte
peggiore5, combattendo una guerra che non poteva essere vinta. «La-lasciala!».
Il sorriso di Mulciber
si congelò sul suo viso, un lampo d’orrore gli attraversò gli occhi chiarissimi
mentre, al suo fianco, la donna iniziò a tossire furiosamente, crollando su se
stessa come se i fili cui era stata attaccata fossero stati improvvisamente
tagliati. Confuso a causa del dolore, Harry si ritrovò a chiedersi se fosse
stato lui, con magia accidentale, a fermarlo, oppure se Winter fosse davvero
riuscita a liberarsi da sola, trovando un ultimo sprazzo di forza dentro di
lei.
«Cattivo, Mulcy»
cantilenò una voce conosciuta, ma al tempo stesso diversa, mentre qualcosa con
lunghe dita artigliate e pallide si stringeva sulla gola dell’uomo, ben
nascosta dalle ombre. Non era stata quella a parlare, ma qualcun altro che in
quel momento stava camminando lentamente verso di loro, emergendo pigramente
dall’oscurità come se ne fosse stata parte. Il suo viso era pallido come il
gesso, le labbra nere piegate in un sorriso sadico e gli occhi, bui come le più
oscure profondità della notte, erano circondati da ombre violacee. Non c’era
pupilla, non c’era sclera, solo il nulla.
Katie Bell era solo un ricordo lontano, perché il
mostro che si stava avvicinando somigliava solo lontanamente all’amica che
Harry aveva conosciuto a scuola. Sorrideva, quasi quella scena fosse stata un
ridicolo siparietto, quasi il rischio non fosse esistito.
Quale poteva essere il pericolo per l’araldo della
Morte?
Mulciber ringhiò,
cercando di divincolarsi, ma le mani sulla sua gola si strinsero di più,
impedendogli di muoversi.
«Cattivo, stai provando ad usare la
legilimanzia su di me?» ridacchiò Katie, piegando il capo di lato ed
osservandolo con la stessa divertita compiacenza che lui aveva dedicato ad
Harry poco prima e che lo fece palesemente rabbrividire. «Non puoi
controllarmi, nessuno può farlo. Neppure io posso!» continuò, scoppiando
a ridere senza freni all’ultima rivelazione. Sembrò sinceramente divertita,
finché Mulciber non grugnì. «Ancora? Non puoi
controllare i morti, Silas, non te l’hanno mai insegnato?».
«Tu non sei morta!».
Il sorriso di Katie ritornò, più largo di prima.
«Io non ci scommetterei» gli rispose, tranquilla. «Mi dispiace solo non poterti
uccidere. Sarebbe una vendetta così dolce. Sai in quanti bramano la tua
anima, Silas? Sai in quanti ti stanno aspettando, dall’altra parte? Sono
proprio lì, oltre il fiume. Aspettano solo che tu li raggiunga. Davvero non li
senti?».
Mulciber gemette,
questa volta per il dolore. Un rivolo di sangue colò dalla leggera ferita che
gli artigli della creatura che lo tratteneva avevano provocato. Katie inspirò
bruscamente, per poi fare una smorfia.
«Anche il tuo sangue puzza di marcio» gli fece
notare, scuotendo la testa come a voler mostrare ancora di più il suo
disappunto. «Disgustoso fino alla fine, come ogni maniaco omicida che si
rispetti. Non siamo una buona razza, più che naturale che l’umanità voglia
sempre sterminarci». Sollevò la mano in un gesto blando e la creatura sibilò in
risposta. «Non ucciderlo puișor6, non
toglierò questo piacere a Winter. Dopotutto, ci servono delle risposte e sono
certa che lei ed Hermione vorranno divertirsi almeno un po’» ordinò brevemente,
incurante dello sguardo confuso che Harry non le aveva più staccato di dosso,
incerto su cosa dire o fare. Era anche lui in pericolo? Impossibile a dirsi.
«Non ho mai assaggiato una negromante7»
sbottò l’uomo, in un sibilo crudele, gemendo quando le mani si strinsero
nuovamente intorno al suo collo. Sembrava quasi che qualunque cosa lo stesse
trattenendo non avesse particolarmente apprezzato il suo proposito di mangiare
Katie. Che fosse un riflesso della rabbia di Katie stessa? «Non ho paura di te,
brutta scopacadaveri» le sibilò ancora,
cercando di dimenarsi, anche se inutilmente. «Verranno a salvarmi e tu non
potrai fare nulla per ferirmi. Elladora è mia».
Katie non si lasciò toccare dalle sue parole, né
da quello che doveva essere stato un insulto della peggior specie. Il suo
sorriso divenne semplicemente più freddo, quasi annoiato. «Elladora
è morta da anni, ormai. Winter ti annienterà, così come tu hai annientato lei»
lo avvisò, fiduciosa. «E se anche verranno a cercarti, Silas, non
illuderti che tu importi davvero qualcosa per loro. Tu sei solo una pedina».
In un battito di ciglia, l’uomo era sparito nel
nulla, inghiottito da quelle stesse ombre che avevano celato il suo aggressore
non morto. Katie, ancora in quelle spoglie irriconoscibili, si voltò in
direzione di Harry, osservandolo per un lungo istante prima di soffermarsi
sugli altri due uomini poco lontani da lui. Fece una smorfia, osservando
Malfoy, ma sembrò riprendersi velocemente.
«Katie?».
Quando lei si voltò nuovamente ad osservarlo, i
suoi occhi erano tornati dello stesso verde chiaro che lui aveva conosciuto nei
sei anni che avevano trascorso insieme a scuola. La sua espressione era rimasta
la stessa, una cupa preoccupazione alimentata da quello che Harry non poté che
definire odio. Verso chi, però?
«Mulciber scapperà a
breve, dubito che chiunque l’abbia mandato si farà spaventare da un vampiro»
sospirò, dando le spalle al vecchio amico per avvicinarsi alla collega, riversa
al suolo e ridotta peggio di uno straccio usato. «Harry, mi rendo conto tu stia
uno schifo, Ophelia e Barry stanno arrivando e lei potrà darti una sistemata
prima di scappare, ma non aspettarti di essere guarito, non abbiamo tempo e
dobbiamo cercare di far riprendere Malfoy e Nott».
C’erano tante domande che Harry voleva fare
alla donna. Domande più o meno rilevanti e decisamente personali, tuttavia non
sapeva come affrontare il discorso. Se fosse stato indelicato, avrebbe potuto
scatenare la stessa belva che poco prima aveva visto opporsi al Mangiamorte e,
nelle sue condizioni, non era una buona idea. Allora, non riuscendo a star
zitto, disse l’unica cosa che ritenne sensata. «Come fai a sapere che scapperà?
Non possiamo fermarlo? Perché sei ancora qui?».
Katie lo osservò per un lungo istante, quasi
stesse riconfermando la vecchia teoria sul suo essere tardo, poi sospirò,
inginocchiandosi accanto alla compagna per tentare di risollevarla. «Silas Mulciber non è che una pedina in tutto questo, Harry.
Chiunque l’abbia fatto evadere, riuscendo addirittura a sottometterlo, deve
avere delle capacità a dir poco eccezionali. Lui era un sorvegliato di
massima sicurezza ad Azkaban. Tu sei un Auror, sai
bene cosa significa. Nessuno è mai evaso da quelle celle, neppure
durante la Guerra. Per quanto possa aver fatto la spavalda, prima, io non
potrei resistere in eterno contro di lui e se anche riuscissi a prenderlo non
avrei modo di trattenerlo. Con buone probabilità, in questo preciso istante il
mio vampiro è sul punto di essere dato alle fiamme. Il suo mandante ha ottenuto
ciò che voleva, ma non è detto che non verrà a prenderci. Non abbiamo tempo da
perdere».
Dal canto suo, Harry era solo più spaventato di
prima. Il suo cervello stentava ad elaborare tutte quelle informazioni che lei
gli stava dando, tuttavia annuì. Mio vampiro. Madante.
Sandman. «Sapevano che l’avremmo fermato e
sapevano che non lo avremmo accompagnato personalmente ad Azkaban»,
l’illuminazione lo colpì all’improvviso, facendolo voltare verso l’oscurità
alle sue spalle. «Era solo un trucco, ma non per ingannare noi».
Sorridendo leggermente, Katie annuì. «Mulciber farà di tutto per vendicarsi di noi e per riavere
Winnie. Adesso più che mai, la sua fedeltà è assicurata. Com’era successo con
Voldemort, anni fa» spiegò, fissandolo con una certa ansia. «Tu conosci la
storia della madre di Winnie, vero? Berenice Vane e la sua morte sono
informazioni con livello tre di segretezza, ma immagino che gli Auror siano informati sull’accaduto».
Annuire costò ad Harry uno sforzo enorme.
Ricordava la storia di quella donna e ricordava benissimo il tono grave con cui
il Capo aveva ammonito tutti di non divulgare nulla che la riguardasse: c’erano
incubi che non dovevano essere rivissuti, restando nascosti nella profondità
della notte, lontani dalla coscienza e dalla memoria. «Quindi è stato tutto un
trucco per lui. Ma perché? A che scopo avere una bomba ad orologeria
come Mulciber fra le mani? Abbiamo il sospetto che
stiano utilizzando anche un Obscurus, cosa se
ne faranno di lui?».
«Quale folle piano di conquista non prevede l’uso
di un folle, Harry? Mulciber è…» rabbrividì,
disgustata. «Non scherzavo quando ho detto che lo stanno aspettando, dall’altra
parte. Ha fatto così tanto male, nella sua orribile esistenza, che
sinceramente io non sono neppure certa che abbia un’anima. Chiunque lo abbia
ingaggiato, lo ha fatto perché ha bisogno di qualcuno come lui. E se ha bisogno
di qualcuno come lui..,».
«Allora siamo davvero nei guai».
Katie annuì, mentre dall’oscurità cominciavano ad
intravedersi le ombre proiettate da delle bacchette e si sentivano voci
concitate chiamare i loro nomi. La cavalleria era arrivata. «Come se non ne
avessimo ancora la certezza, non è vero?».
***
Che Ophelia fosse in ansia era innegabile,
secondo Harry. Non lo stava dimostrando apertamente, il suo viso era
inespressivo mentre borbottava degli incantesimi di guarigione per le sue
costole, ma c’era qualcosa, nel suo modo di muoversi o di respirare che
gli trasmetteva pessime sensazioni. Probabilmente era egocentrico, da parte
sua, voler pretendere di capire una persona senza averla davvero conosciuta.
«Sei fortunato ad essere ancora tutto d’un pezzo.
L’ultimo mago che ha avuto un faccia a faccia con quel mostro non ha
potuto dire la stessa cosa» gli disse, in un sibilo, mettendo giù la bacchetta
ed allungando le mani per tastargli delicatamente l’addome. Gli fece male, ma
non come poco prima. «Per adesso dovrai farti bastare questo, le ho ricomposte
ma sono ancora parecchio incrinate. Evita sforzi fisici finché non saremo
arrivati in un posto sicuro» lo ammonì, lanciandogli uno sguardo indecifrabile
prima di scuotere il capo. «Avresti dovuto scappare quando ne hai avuta
l’occasione. Hai rischiato di finire nella mia Sala Mortuaria».
«Non potevo lasciare Vane qui, non possiamo sapere
cosa le avrebbe fatto quel mostro». Avrebbe potuto dire suo padre, ma
non lo fece. Nessun padre si sarebbe mai potuto comportare in quel modo. Fece
una smorfia, quando tentò di tirarsi a sedere dritto. Lo sguardo arrabbiato
della donna lo fece accigliare. «Non guardarmi così, per quanto inutile il mio
intervento ha dato tempo a Katie di arrivare ed ha impedito che Mulciber la portasse via. Non si abbandonano i compagni».
Ophelia strinse le labbra, gli occhi offuscati da
quella che sembrava essere nostalgica8. «Ti credo, so che non
l’avresti lasciata indietro. Non è così che si comportano i Potter» gli disse,
con una risata senza allegria, risollevandosi. «Ciò non toglie che il tuo non
sia stato un comportamento intelligente».
Suo marito, impegnato con Katie a cercare di
rianimare gli altri tre, grugnì. «Proprio come buttarsi a capofitto in una
fossa piena di Manticore perché lì in mezzo è caduta una pozione, non è vero?»
le disse, esasperato, dando qualche colpetto sul viso a Nott,
che tuttavia non sembrava intenzionato a riprendersi.
«Quella era una fialetta di antidoto contro un
veleno rarissimo».
«Come dici tu, cara».
Con un mormorio spaventato, Winter interruppe quel
piccolo battibecco, risvegliandosi fra le braccia di Katie, che l’aveva stretta
con una presa micidiale intorno alle spalle ed aveva iniziato a trattenerla.
Per un istante, Harry si chiese il perché di quel comportamento, quando poi
vide la Vane intenzionata a strapparsi via la pelle con le dita rovinate
comprese e si fece avanti, quasi d’istinto, per aiutare a trattenerla. Insieme
a Katie ed al Magizoologo le impedì mosse azzardate, mentre Ophelia,
l’espressione ansiosa, si fece avanti con una pozione fra le mani.
«Se non la tenete ferma, non riuscirò a
somministrarle il tranquillante» li avvertì, inginocchiandosi per avere una
presa migliore sulla compagna, in quel momento intenta a mormorare qualcosa di
incomprensibile ed a dimenarsi come se la sua pelle fosse diventata fuoco vivo.
«Usate l’Occlumanzia, la vostra preoccupazione si
riflette tutta su di lei».
Katie, semplicemente, sbatté le palpebre e lasciò
che qualunque fosse il suo potere riprendesse possesso di lei, inghiottendo i
suoi occhi e lasciandoli sparire in un mare d’oscurità. Harry, invece, notò in
Maine la stessa concentrazione che solitamente serviva a lui per alzare la
barriera. Sentendosi meno incapace, lasciò che quelle poche lezioni avute da
Piton tornassero alla memoria, cercando di visualizzare un muro fra se stesso e
quella povera e tremante creatura fra le sue mani.
L’effetto fu pressoché immediato: Winter smise di
mugolare e combattere, ma i suoi arti continuarono a tremare in modo
incontrollato, probabilmente a causa di convulsioni provocate dal grande
sforzo. Quel mostro – suo padre – l’aveva portata sul punto di rottura,
lasciando che la sua stessa mente la divorasse. L’aveva ridotta a poco più di
un pupazzo senza volontà, mettendo la propria sete di onnipotenza prima del
sangue del suo sangue.
Harry non era ancora un padre, ma sapeva che non
avrebbe mai messo qualcosa o qualcuno prima dei suoi figli o di Ginny.
Berenice Vane. Solo il pensiero lo fece
tremare. Ma non era quello il momento di rifletterci, l’ultima cosa che serviva
a quella povera donna era ricevere immagini del crudele destino toccato a sua
madre.
Con gesti esperti, Ophelia le versò il contenuto
della piccola ampolla in bocca, tenendole il capo fermo mentre l’incoscienza
tornava ad inghiottirla. Quando smise di tremare, poi, borbottò qualche altro
incanto, lasciando che i suoi capelli tornassero biondi e, probabilmente, gli
occhi verdi. Harry concordò con quelle sue azioni: meglio allontanare lo
spettro di ciò che avevano appena vissuto, almeno per un altro po’.
«Mulciber è stato
salvato» disse Katie, lo sguardo oscuro piantato verso le ombre in cui era
sparito il suo vampiro con il loro prigioniero. «Non riesco più a percepire il
vampiro, quindi immagino gli abbiano piantato qualcosa nel cuore» aggiunse poi,
con una smorfia. «È un peccato, Sergei era uno dei
miei preferiti. Sarà difficile sostituirlo».
«Sono sicura che troverai qualcuno di adeguato
nella camera mortuaria» le rispose Ophelia, facendo cenno al Magizoologo
affinché prendesse la donna svenuta fra le braccia. Poi guardò Harry, indicando
con un cenno gli altri due uomini ancora senza sensi. La ferita alla testa di
Malfoy non sanguinava più e non sembravano morti come poco prima, solo
pacificamente addormentati. Winter era stata chiara: quello di suo padre era
uno scambio, lei valeva più di quei due. «Per favore, Harry, aiuta Katie a
trasportare Malfoy ed il suo amico, io devo assicurarmi che Winnie non abbia
altre convulsioni durante il trasporto».
Dopo aver annuito, Harry si grattò distrattamente
la cicatrice, fermandosi solo dopo aver sentito gli occhi neri dell’ex compagna
sulla nuca. Voltatosi ad osservarla, inarcò le sopracciglia in una implicita
domanda, seguendola con lo sguardo mentre si avvicinava a Nott
– che era decisamente meno comodo da trasportare di Malfoy – e lo faceva
levitare a qualche centimetro da terra.
«Katie?».
«Dobbiamo riprendere le sedute non appena
possibile. Questa notte stessa, per essere precisi. Bacia tua moglie, Potter,
perché ho intenzione di trattenerti finché non otterremo le risposte che ci
servono».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati, cari amici di
EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Mulciber
popolerà i miei incubi peggiori, già lo so. E voi non avete idea di cosa
ha fatto quest’uomo, durante le Guerre.
Punti importanti:
» *Adesso mi stendo a dormire /Prego il
Signore di vegliare sulla mia anima /Se dovessi morire prima di svegliarmi /
Prego il Signore di prendersi la mia anima / Silenzio piccolino, non dire una
parola / E non fregartene di quel rumore che hai sentito / È solo la bestia
sotto il tuo letto / Nel tuo cassetto, nella tua testa / Esci luce / Vieni
notte / Granello di sabbia. Questa canzone mi ha sempre messo un’ansia
assurda, quindi è perfetto per il mio amico Silas.
» 1 – Spieghiamo
un attimo perché nei libri non si parla di Mulciber.
Questo soggettone era così pericoloso che Voldemort
stesso, durante le Guerre, ha preferito tenerlo nelle retrovie, lasciandolo
uscire solo in caso di necessità. Nei libri viene detto che dopo la prima
caduta lui sia stato arrestato, in questo caso, invece, è rimasto libero come
una rondine a primavera, così a poter torturare al meglio sua figlia. Con la
seconda guerra, anche lui è stato catturato grazie ad un team dei migliori Occlumanti del mondo e grazie all'assistenza di Winter
stessa.
» 2 – Sappiamo che il Ministro Shacklebolt
ha eliminato i Dissennatori dalla prigione e, per quanto la sua possa esser
sembrata una mossa caritatevole, nel caso di Mulciber
è stata l'inizio della rovina..
» 3 – Citazione da "La storia
fantastica", uno dei miei film preferiti!
» 4 - Citazione da "Captain America – The first avenger",
perché Harry e Steve sono entrambi pieni di impertinenza ed è una cosa che adoro.
» 5 – Se non si fosse capito, Mulciber sta usando una sua personalissima variante della
maledizione Imperius per costringere sua figlia a non respirare. Morte
peggiore, perché lei è consapevole di tutto.
» 6 – Nomignolo rumeno che significa
"cucciolo" o "pulcino". Katie è di discendenza rumena da
parte di madre e irlandese da parte di padre, dal primo ramo che ha preso
questo suo "oscuro" potere.
» 7 – Due appunti, in questo caso. Prima di
tutto, sì, Mulciber è un cannibale. È sempre
stato certo che mangiare i cervelli delle sue vittime lo aiutasse a sviluppare
di più il suo potere. Inizialmente il suo nome in codice era
"Hannibal", ma ho pensato che i maghi probabilmente non avesserola
minima idea di chi fosse. Il secondo appunto riguarda Katie: lei è una negromante.
I Negromanti sono soggetti capaci di controllare la magia che regola la morte,
possono controllare i morti (che siano spiriti, zombie o vampiri è
irrilevanti, i più forti possono resuscitare la gente – cosa che naturalmente
li rende dei reietti, pericolosi per se stessi e per il mondo). Mi è stato
detto che Katie/Katrina sono un po' come Dottor Jeckyll
e Mr Hyde e, sinceramente, non avrei saputo dirlo
meglio. Quando accede alla parte più oscura della sua anima, Katie diventa
totalmente un'altra persona, non particolarmente sana di mente (una folle in
stile Harley Quinn di Suicide Squad, ci intendiamo?). Nei prossimi capitoli
capirete di più, lo prometto!
(PS: Scopacadaveriè un insulto che nella storia è rimasto attaccato ai negromanti a causa
dello stretto legame esistente fra i negromanti e le loro creature. Raramente,
in realtà, ci sono stati Negromanti disposti ad avere rapporti carnali con i
morti, soprattutto perché li considerano quasi come dei figli – notare, al
riguardo, l'appellativo che Katrina ha usato per il suo vampiro).
» 8 – Nostalgia a
causa di James, naturalmente. Non dimentichiamo che Ophelia era sua cugina, un
po' come una sorellina minore. In Harry lei rivede la famiglia che anni prima
ha sfortunatamente perso.
Silas è spaventoso, Katie fa paura e la
povera Winnie ha avuto una serata alquanto movimentata. Ma Hermione, in tutto
questo?
Vi aspetto tutti lunedì prossimo!
Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti
nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 10 *** Atto IV, Parte IV - L'antro della Megera ***
L’Erede del Male.
“You came back
to find I was gone
And that place is empty, like the hole that was left in me
Like we were nothing at all
It’s not what you meant to me, thought we were meant to be*”.
[Avril
Lavigne – Let me go]
Atto IV, Parte IV
– L’Antro della Megera
Hermione non era mai stata un’amante di Nocturne Alley, ma lei stessa aveva ammesso che il piccolo
viale malfamato di Londra fosse nulla in confronto al quartiere che Praga aveva dedicato agli affari loschi dei maghi
e delle streghe di tutta Europa.
La prima volta che aveva passeggiato per quei
viali – Antro della Megera1,
così era chiamata quell’accozzaglia di palazzi – si era sentita subito
sopraffare dall’aura malvagia che chiunque intorno a lei sembrava emanare ed
era mancato poco che iniziasse a balzare fra le braccia di Barry – era stato
lui ad accompagnarla per la prima volta, forse perché il suo Supervisore aveva
immaginato una reazione simile da parte sua – ad ogni minimo rumore. Durante il
suo secondo giro, invece, si era sorpresa che Katie sembrasse tanto a suo agio in quel luogo, l’aveva
osservata camminare a testa alta e volto scoperto, gli occhi verdini accesi da
quello che aveva riconosciuto essere divertimento.
Due mesi dopo, durante il suo addestramento, era
stata accompagnata da Ophelia, ma aveva giurato che non avrebbe più ripetuto
l’esperienza: la collega era finita a contrattare con un francese dall’aria
viscida riguardo lo smercio di cadaveri dalla provenienza sconosciuta e,
sinceramente, Hermione non aveva voglia di dover arrestare anche lei.
Quanto a Winter, lei non si era mai proposta di
accompagnarla: troppa gente con cattive intenzioni in un luogo solo, avrebbe
perso la testa in meno di mezz’ora.
Noi siamo molto più pericolosi di loro, se ti
nascondi non impareranno mai a temerti, le aveva detto un giorno la
Negromante, osservandola con compassione. Hermione, a quel punto, aveva davvero
iniziato a guardarsi intorno: non c’era persona che, notando lo stemma sul loro
mantello, non avesse abbassato velocemente lo sguardo, sparendo nelle ombre. In
quel luogo, lei era il pericolo.
Nonostante ciò, era stata contentissima di aver
trovato altra compagnia. Per quanto
avesse imparato a non spaventarsi più di chi la circondava, sapeva che non
fosse saggio girare da sola. Lei non
era certo una negromante.
Seduta a un tavolo sporco di una taverna,
aspettava che il suo accompagnatore si facesse vivo mentre fissava con aria
sconcertata il contenuto della tazza che un entusiasta barista le aveva messo
davanti con i complimenti della casa. Pavel era un mago sulla trentina, con i
capelli di un biondo slavato ed un faccione tondo e roseo, apparentemente
dolcissimo ed educato ma che in realtà gestiva il più grande traffico di
sostanze illecite del Nord Europa dietro il suo bancone sudicio. Quando Barry
gli aveva presentato Hermione, lui ne era rimasto assolutamente folgorato,
decidendo di voler far di tutto per conquistare il suo cuore o avvelenarla, lei non ne era ancora
certa. Fatto stava che, messo piede in quel locale, la Banshee si era sempre
ritrovata davanti tazze di qualcosa o
piatti con biscottini ammuffiti.
Ophelia aveva commentato dicendo che fosse una
cosa carina, mentre Barry l’aveva definito esilarante. Katie, con il naso
arricciato, si era limitato a borbottare “disgustoso”.
Dal canto suo, Hermione non sapeva a chi dei tre dare ragione, quindi si era
limitata a concordare con Winnie, che aveva sottolineato gli aspetti positivi
di quella tenerezza inaspettata: avevano appena trovato una spia inconsapevole dall’altra parte.
La porta del locale cigolò, attirando l’attenzione
dei pochi clienti e di Pavlov stesso, che grugnì qualcosa di poco simpatico.
Alzando lo sguardo, Hermione si ritrovò a fissare il giovane uomo
dall’espressione allegra che stava aspettando, con un cappello di lana a
coprire completamente i riconoscibilissimi capelli. «Scusa il ritardo, problemi
di lavoro» le disse Fred, lasciandosi cadere sulla panca davanti a lei ed
allungando la mano verso la tazza ancora intonsa, prendendo un sorso di
qualunque cosa il barista le avesse offerto. La sua smorfia, per quanto
allegra, le confermò di aver fatto bene a morire di sete. «Questa cosa è disgustosa, devo chiedere la ricetta al
tuo ammiratore segreto, potremmo metterla in commercio» aggiunse, continuando
ad assaporare il retrogusto che la brodaglia doveva avergli lasciato in bocca.
«Sono piuttosto convinto che ci sia dentro caccola di Troll. Ed un pizzico di
cannella, giusto per insaporire».
Nauseata, Hermione strinse gli occhi ed arricciò
il naso. «Sono certa che la cannella abbia cambiato tutto» commentò, ironica,
non aspettandosi il grugnito concorde che il gemello le dedicò, serio come non
mai. «Quale scusa hai inventato con tuo fratello, questa volta? Altri fornitori
impazziti?» chiese poi, piegando leggermente il capo di lato. Aveva smesso di
sentirsi in colpa per le bugie che Fred aveva dovuto dire al fratello
nell’ultimo anno e mezzo, dopotutto non avevano poi molta scelta, al riguardo.
Si trattava del bene superiore.
Il sorriso malandrino che lui le dedicò l’avrebbe
fatta arrossire, se ormai non si fosse abituata a lui. Almeno in parte. «Gli ho detto che avevo un appuntamento galante
con una bella ragazza, naturalmente! Se possibile, preferisco evitare di
mentire al mio adorato fratello. Non lo sai che noi gemelli siamo
biologicamente impossibilitati a tenere segreti per tanto tempo?» le rispose
lui, gongolando come se avesse detto qualcosa di eccezionalmente brillante. Il
suo entusiasmo si acquietò quando lei, in risposta, sollevò un sopracciglio.
«Beh? Cos’è quella faccia? Nessuno ti ha mai detto quanto tu sia affascinante,
Hermione cara?».
«Appuntamento galante?»
gli fece notare lei, inarcando di più le sopracciglia con aria scettica,
guardandosi intorno. «Siamo letteralmente
nel peggior letamaio d’Europa. Se questa è la tua idea di appuntamento galante,
Weasley, riesco a spiegarmi con maggiore facilità perché tu sia ancora l’unico
Weasley scapolo della nidiata. Tuo fratello deve aver preso tutto il buonsenso»
sbottò, non riuscendo a trattenere una risatina alla fine. «L’assenza di
buonsenso spiega anche la tua presenza in questo posto dimenticato da Merlino.
Nessuno sano di mente avrebbe accettato la collaborazione».
Divertito, Fred si strinse nelle spalle.
«Collaboro per pietà verso il tuo capo. Non posso immaginare la sua espressione
quando deve aver aperto la mia busta pernacchiante, convinto di aver trovato la mia domanda
d’ammissione»2 si rallegrò, scuotendo il capo. «E, in mia difesa,
sarò anche l’unico ancora scapolo, ma sono anche il più bello. Le donne si
sentono a disagio in mia presenza, quindi deviano in automatico verso chi mi
somiglia di più. Altrimenti perché mai Angelina avrebbe scelto George e non
me?».
«Probabilmente perché lui ha un taglio di capelli
migliore. Immagino che la tua bellezza sia stata anche la ragione fondamentale
per cui Fleur ha scelto Bill e non te».
«È stata sopraffatta dal mio charme».
«Audrey?»
«Sopraffatta dalla mia intelligenza».
«Rosemary?».
«A lei piacciono le bestie feroci, ovviamente si è presa una sbandata per
Charlie. Sull’affetto che la lega a mio fratello non posso metter bocca, visto
l’Inferno che le ha fatto passare mia madre».
«Harry?»
propose alla fine Hermione, nascondendo un ghigno divertito dietro la mano
guantata, bene attenta a non rovinarsi il rossetto. «Scommetto che lui è il tuo
preferito».
Il sorriso che Fred tirò fuori, in quel momento,
le fece perdere ogni dignità e la sua risata a pernacchia attirò parecchia
attenzione. «Chi ti dice che Harry abbia dirottato l’attenzione dal
sottoscritto? Ginny è solo una copertura, io sono il
grande amore della sua cicatrizzata esistenza. Siamo due cuori ed una cicatrice.
Preferirei che lui mettesse da parte le sue paure e decidesse di vivere il
nostro amore alla luce del sole… anche se, sai, il sesso sfrenato…».
«Ti prego, basta». Hermione, ormai, era piegata in
due dalle risate, la gente intorno a loro, inizialmente interessata, doveva
aver pensato che lui le avesse fatto un qualche incantesimo, tornando quindi a
farsi i fatti propri. In quel locale avrebbero potuto uccidere qualcuno e
nessuno avrebbe aperto bocca.
Asciugandosi una lacrima e cercando di reprimere
le immagini di Fred ed Harry in atteggiamenti intimi, la Banshee raddrizzò le
spalle. «Non ti ho chiesto di raggiungermi per scherzare, Fred, lo sai che devo
presentare un resoconto dettagliato di tutta la tua partecipazione e- per l’amor di Merlino, smettila di bere
quella roba!» sbottando con un tono diviso fra l’esasperazione ed il
divertimento, allungò la mano per togliere la tazza dalle mani del suo
accompagnatore, che l’aveva riportata alle labbra.
«È più forte di me, ha un qualcosa di
assuefacente. Credo che Pavlov ti abbia rifilato una pozione d’amore» le fece
notare lui, osservando il liquido grigiastro con il naso arricciato. «Ora che
lo guardo bene, ha un che di affascinante».
«Fred» ammonì la strega, incrociando le braccia al
petto.
«Con quel suo viso squadrato ed i capelli radi…»
continuò lui, imperterrito, sospirando con falsissima devozione e sbattendo le
ciglia in direzione del barista, fortunatamente impegnato con il suo lavoro ed
impossibilitato a guardarlo in viso.
Esasperata, Hermione si alzò in piedi,
sistemandosi il mantello sulle spalle. Il Pentacolo
di Circe brillava quasi di luce propria ad altezza del suo cuore, un monito
per chiunque fosse in quel luogo con cattive intenzioni. «Dimmi la verità, non
sei stato tu a rifiutare l’impiego con
le Banshee, è stata l’Organizzazione a ritenerti inadeguato, vero? Tutta questa
immaturità non ha spazio fra noi» gli disse, facendogli cenno di alzarsi.
«Mi ferisci, Hermione» esalò Fred, portandosi una
mano al cuore con fare drammatico. Si accasciò su se stesso, nascondendo il
viso fra le braccia e contro il tavolo lurido. «Non credo che mi riprenderò mai
da questo colpo» mugugnò, sospirando con disperazione.
Lei, naturalmente, non si lasciò impressionare e,
alzando gli occhi al cielo, gli diede un colpo sulla nuca. «Continua a non riprenderti mentre camminiamo, siamo
già in ritardo e non ho intenzione di spiegare al Capo che abbiamo perso il
nostro aggancio perché tu dovevi fare il melodrammatico».
«Sei una donna crudele» si lagnò Fred, alzandosi a
sua volta e facendo un cenno di saluto a Pavlov, che lo fissò come se avesse
voluto staccargli la testa. «Ho fatto bene a fare il tuo nome alle Banshee, sei
perfetta per loro».
***
«Quindi chi è questo tizio che dobbiamo
incontrare?» le chiese, accigliato, camminando al suo fianco con le mani ben
nascoste nelle tasche della giacca. Non aveva indossato il mantello, lui e
George si erano convinti che fosse giunto il momento di mettere da parte
l’assurda moda dei maghi ed adottare uno stile maggiormente babbano. Hermione non aveva
potuto dargli torto, anche se la giacca di pelle rossa con cui si era
presentato la prima volta era stata un duro colpo da digerire. Spiegargli che
quella fosse moda femminile era stato
più difficile del previsto. «Ti prego, dimmi che non è di nuovo quel mezzo
troll della Romania, l’ultima volta il suo puzzo tremendo non ha lasciato i
miei vestiti per una settimana, ho
dovuto inventare scuse assurde con mio fratello, per evitare che capisse
tutto».
Lei ricordava benissimo quello specifico incontro,
soprattutto perché Katie, quando era tornata, si era rifiutata di avvicinarsi o
di pranzare alla sua presenza, sostenendo che l’olezzo fosse tale da farle
venir voglia di vomitare il pranzo di Natale del ’95. «Non dobbiamo incontrare
lui, ma il nostro aggancio viene comunque dalla Romania. Non che io ne sia
sorpresa, la maggior parte degli ingredienti usati per la Negromanzia viene
smerciata da lì. Anche il Messico ha un’ottima fornitura, ma arrivare ad
Acapulco non mi è sembrato molto saggio, non quando possiamo ottenere tutto qui
e con maggiore facilità» gli spiegò, stringendosi di più nel calore del suo
mantello e rimpiangendo di non essere uscita di casa con la sua giacca. Certo,
con quella avrebbe coperto lo stemma che le concedeva l’intangibilità in quel postaccio e, probabilmente, avrebbe dovuto passare il suo
tempo schivando approcci più o meno amichevoli da parte degli avventori
abituali. Il gioco non valeva la candela ed il fondoschiena congelato non le
era sembrato grave come il dover arrestare un numero considerevole di soggetti.
Si era sbagliata.
Fred annuì, nonostante avesse una brutta smorfia
stampata il viso. Il cappello che gli copriva i capelli lo faceva sembrare un
funghetto molto alto e decisamente buffo. «Se riguarda la Negromanzia, perché
non hai portato Katie con te? Sono certo che sia abbastanza spaventosa da farsi
ascoltare. Probabilmente si sarebbe fatta regalare tutto l’occorrente con una
bella occhiata delle sue» le mormorò, cercando di reprimere un brivido. Hermione
ricordava benissimo la prima volta in cui lui si era ritrovato faccia a faccia
con Katrina3, così come
ricordava tutto il tempo che le era servito per farlo smettere di tremare. Lui,
molto più di Harry, aveva stretto amicizia con la ragazza che avevano conosciuto
a scuola: ritrovarsi faccia a faccia con il mostro che negli ultimi anni aveva
iniziato ad inghiottire la sua anima era stato un colpo troppo duro, quasi
insopportabile. Mesi dopo, fortunatamente, si era sentito abbastanza tranquillo
da poter parlare di lei senza star male.
Fingo
siano due persone diverse, le aveva detto qualche settimana prima. Se posso separare Katie da ciò che diventa
quando usa i suoi poteri, allora non è poi così male.
«Hai detto bene, è spaventosa» gli fece notare, con un sospiro stanco. «In Romania
quelli come lei vengono rispettati, ma anche temuti incredibilmente. Quest’uomo
che dobbiamo incontrare potrebbe darsela a gambe, vedendola, o potrebbe
comunque decidere di non volerci aiutare» spiegò, stringendosi nelle spalle. «E
comunque, Katie odia questo posto. Dice che puzza di carcassa in decomposizione
avanzata» borbottò, schivando con un saltello una pozzanghera dal contenuto non
identificabile che sembrava muoversi come se al di sotto vi fosse stato
qualcosa di vivo.
«Come fa a sapere qual è la puzza di una carcassa
in decomposizione avanzata?». Gli bastò lanciare un’occhiata allo sguardo
esasperato che lei gli dedicò – completo di sopracciglia inarcate – per
comprendere le implicazioni delle sue parole. Ovviamente Katie conosceva quell’odore in particolare, nessuno
poteva biasimarla per il volersi tenere alla larga. «Beh, comunque sarebbe
stato divertente vederla in azione contro qualcuno. Voglio dire, non è una cosa
da tutti i giorni assistere ad una manifestazione della Morte incarnata, no?
Quel trucchetto con gli occhi è favoloso, se riuscissimo a ricrearlo con
qualche pozione faremmo una fortuna, sotto Halloween» convenne il gemello,
grattandosi la guancia con fare riflessivo.
Lei scosse il capo, il naso arricciato in una
smorfia. «Non credo sia una cosa di buon gusto, Fred» gli fece notare, con un
sospiro. «È un po’ come volersi travestire da malati terminali. La gente non
capirebbe le implicazioni di quegli occhi neri e Katie ne soffrirebbe. Solo
perché non lo fa più vedere non vuol dire che non stia male. Ha ancora
tantissimi incubi, la notte» spiegò, intristita all’idea dell’inferno che la
collega era costretta ad affrontare da troppo tempo. «Fa’ in modo che non lo
venga a sapere, però. È convinta che nessuno di noi sia consapevole delle sue
crisi. È l’unico modo che abbiamo per impedirle di… lasciarsi andare».
Fred inspirò dal naso, le labbra serrate in una
linea sottilissima. «Non avrei modo di dirle nulla, Hermione. Non parla con me
o con nessun altro da anni, ormai. Fatta eccezione quel nostro breve incontro
di sei mesi fa, credo abbia sempre fatto di tutto per evitarci. Io, George e
Angelina… noi ce ne siamo fatti una ragione, sono anche riuscito a parlare con
mio fratello per convincerlo a lasciar perdere, ma…» disse, sospirando
tristemente alla fine, come sconfitto. «Sappiamo tutti che quello che ha perso
di più è stato Oliver. Era distrutto, quando lei è andata via. Si è ubriacato
al punto da non poter neppure stare sulla sua scopa e tu sai che Oliver riesce a stare per aria anche dopo aver preso due
bolidi in testa».
Il modo in cui Hermione si irrigidì avrebbe dovuto
fargli capire immediatamente che quel
particolare argomento non fosse fra i suoi preferiti, ma lui non sembrò voler cambiare
discorso. «Povero Oliver, deve essere
stato terribile per lui. Voglio dire,
come si può paragonare un cuore spezzato all’aver scoperto di poter risvegliare
i morti nella tomba? Come si può paragonare la consapevolezza che sia
sufficiente perdere il controllo un momento soltanto per uccidere chiunque ti
tocchi alla perdita della propria fidanzatina?» sbottò, sarcastica, incrociando
le braccia al petto ma rifiutandosi di guardare Fred negli occhi. «Povero tesoro, sono certa che il suo
cuore spezzato lo tormenti ogni sera, mentre fa sesso con la sua futura moglie.
Non certo come Katie, che passa le sue notti in un cimitero circondata da
cadaveri e fantasmi che non la fanno dormire e che le concedono un po’ di
riposo solo quando la stanchezza è tale da non farla più reggere in piedi.
Senza contare la consapevolezza che presto o tardi potrebbe non riuscire più a
mettere da parte la Negromanzia, ritrovandosi ad essere mangiata viva dal suo stesso potere» continuò, in
un sibilo. «Hai proprio ragione, povero
Oliver. La sua è davvero una vita terrificante».
Fred non le disse nulla, quantomeno non subito.
Poi, quasi stancamente, le poggiò una mano sulla spalla e la costrinse a
fermarsi per guardarlo negli occhi. «Io non posso capire cosa stia vivendo Katie, ma posso capire Oliver. Un cuore
spezzato può distruggerti dall’interno esattamente come una malattia, non puoi
fargli una colpa se ha trovato un po’ di pace fra le braccia di Lucinda».
Il senso di colpa che colpì Hermione le avrebbe
fatto abbassare lo sguardo, se fosse stata ancora la stessa ragazza di due anni
prima, ma non più. Anche il suo cuore era stato spezzato più volte, nessuno più
di lei avrebbe potuto capire Oliver. «Oliver crede che lei abbia semplicemente
deciso di sparire dalla circolazione, con due parole d’addio» gli disse, con un
sussurro. «Katie, invece, è stata costretta ad andare via per evitare di
metterlo in pericolo, soprattutto i primi anni di addestramento. Cosa credi che
abbia provato, dopo aver scoperto che lui avesse chiesto a quella donna di
sposarlo, pur avendole urlato che l’avrebbe aspettata per sempre?» gli chiese, ricordando con chiarezza gli accadimenti
di quel terribile pomeriggio invernale quando, per la prima volta, Katrina aveva perso il controllo. «Solo
perché la sua esistenza è legata al mondo dei morti non significa che il suo
cuore non batta, Fred».
Fred scosse il capo, sospirando. «Noi conosciamo
solo metà della storia e, per quanto possiamo confrontarci, dubito che
riusciremmo mai ad avere il quadro completo» le fece notare, stringendosi nelle
spalle. «Hanno avuto modo e tempo di sistemare le cose, che poi non l’abbiano
fatto non ci riguarda. Sono tutti e due adulti e vaccinati, dopotutto».
Confusa, Hermione si voltò a guardarlo, le
sopracciglia inarcate. «Questo è un discorso molto… maturo, da parte tua, Fred» gli fece notare, il risentimento verso
Oliver ormai un fantasma nascosto sul fondo della sua voce. «Ho sempre pensato
che quando ci saremmo trovati a dover affrontare questo discorso avremmo finito
col litigare. Tu e George, se ricordo bene, eravate parecchio interessati nelle
vite altrui. Non hai provato forse a rifilare un filtro d’amore a Ron per conto
mio, anche se io non ti avevo chiesto nulla?» aggiunse, ricordando con
chiarezza l’episodio e scoprendosi sorpresa nel non percepire alcun tipo di
dolore al ricordo del vecchio amore.
Era l’inizio del sesto anno, lei l’aveva sorpreso
un attimo prima che infilasse un suo capello nell’ampollina che, come poi lui
aveva confermato, avrebbe rifilato a Ron. Era il periodo della crisi LavLav e RonRon,
Fred e George dovevano aver pensato che usare una pozione per evitare che una
tale oca giuliva entrasse a far parte della famiglia fosse il male minore.
Naturalmente, Hermione si era opposta ed aveva gentilmente fatto sapere loro
che un amore nato a causa di un incanto non sarebbe mai stato reale e che lei
avrebbe preferito la morte piuttosto che una tale presa per i fondelli. Fred
c’era rimasto particolarmente male, ma aveva rispettato il suo desiderio e,
alla fine, le cose avevano iniziato a girare in suo favore.
Almeno
per un po’.
Il giovane si rifiutò di incrociare il suo
sguardo, limitandosi a fissare la strada davanti a lui. «Sono un uomo pieno di
sorprese e sono decisamente più egoista di quanto tu non creda» le fece solo
notare, prima di indicare, con un cenno, quello che sembrava essere un
sottopassaggio buio e umido a causa dell’acqua ristagnata che colava dai tubi
sovrastanti. «Ho idea che abbiamo trovato il tuo amico, quante persone qui in
mezzo si metterebbero a chiacchierare con… con un cadavere?» azzardò,
accigliato.
Tirando velocemente fuori dalla tasca la piccola
fotografia che il Capo le aveva dato quella mattina, Hermione fissò l’uomo che
Fred le aveva indicato, per poi annuire. Era probabile che l’immagine risalisse
a qualche anno prima, poiché l’uomo era decisamente più stempiato ed i suoi
pochi capelli erano tendenti al grigio piuttosto che al nero, ma l’espressione
furba e cattiva del visetto non sembrava cambiata di una virgola.
L’avvertimento di Katie le evitò di fare mosse
azzardate. L’amica l’aveva guardata con quello che le era sembrato disgusto,
intimandole di “non avvicinarsi troppo a
quel viscido figlio di una Banshee”, sempre che avesse avuto a cuore la sua
esistenza. Per quanto debole, rispetto lei, l’uomo era comunque un negromante
ed Hermione non aveva alcuna difesa contro la Morte.
Con un cenno del capo, fece in modo che Fred la
seguisse ma che non parlasse, fermandosi solo giunta al limite delle ombre che
separavano il sottopassaggio dalla strada esposta alla luce. Da quella
distanza, entrambi riuscirono a sentire distintamente un bisbiglio – insensato
alle loro orecchie – a cui l’uomo sembrava rispondere. Non era la prima volta
che Hermione si ritrovava a vivere quella particolare situazione, ma le vennero
comunque i brividi.
La lingua dei morti non era fatta per essere
compresa da chi avesse ancora un cuore pulsante.
«DragomirRomanescu?» chiese lei, rovistando nella tasca del mantello
per estrarre il pendente con il Pentacolo che le valeva come un qualunque
distintivo babbano, consentendole, però, di affermare
la sua autorità su qualunque rappresentate di uno Stato membro della Conferenza
Internazionale Magica. L’uomo, piuttosto che mostrare la stessa reazione
ansiosa che lei si era aspettata, si limitò a sospirare. «Sono qui in nome
della Squadra Banshee, sappiamo che sei in possesso di…».
«So benissimo chi sei, Hermione Granger» la
liquidò lui, con un gesto veloce della mano. «Ho già preparato ciò che avreste
voluto prendere con la forza, così non saremo costretti ad inutili trattative»
aggiunse, indicando un pacchetto dall’aria sospetta lasciato a pochi passi dal
cadavere con cui doveva aver intrattenuto la sua conversazione.
Accigliato, Fred si fece avanti. «Come fai a
sapere cosa vogliamo?» domandò, allungando la mano per afferrare il braccio di
Hermione. Non la stava trattenendo e non sembrava intenzionato a spostarla
dietro di sé per farle da scudo, ma era ben chiaro che volesse attirare la sua
attenzione. Non si fidava del loro nuovo amico
e voleva che lei fosse pronta a fughe d’emergenza.
Il negromante rise, scuotendo il capo e mugugnando
qualcosa in rumeno, prima di tornare a guardarli. «Come faccio, mi chiede! Ah,
ragazzo, se solo potessi sentire ciò
che sento io. Se solo potessi vedere
ciò che vedo io» si lagnò, spuntando a terra con aria esasperata e disgustata.
Distratta, Hermione si chiese se quel modo di fare appartenesse a tutti i
Negromanti in generale, essendo un comportamento che la stessa Katie aveva
acquisito, negli ultimi anni. «Prendete quello che vi ho portato e sparite, non
voglio essere collegato a voi».
Con un colpo di bacchetta, Hermione fece in modo
che il sacchetto levitasse nella sua direzione. Uno sguardo veloce all’interno
e l’odore acre del contenuto le confermò che l’uomo non avesse detto delle
sciocchezze. «Se non vuoi essere collegato a noi, perché ci stai aiutando? E
non hai risposto alla domanda: come fai a sapere chi siamo e cosa vogliamo?».
Il negromante grugnì, guardandola con i suoi
profondi occhi neri come la notte. Forse a causa di Katrina, Hermione non si
sentì troppo spaventata. «I morti
parlano, signorina Granger. Quello che vuole ostacolarvi è… peggiore di qualunque minaccia sia mai
passata per questo mondo, preferirei evitare di ricongiungermi alla Madre4
tanto velocemente. Quindi, ecco a voi gli ingredienti per salvare il mondo, io
ho ufficialmente fatto la mia parte» li ammonì. «Lasciate, tuttavia, che vi
avverta: non tutti possono essere
salvati. Se vorrete salvare il mondo, allora dovrete fare dei sacrifici
immensi» continuò, sorridendo così
ampiamente da mettere in mostra pochi denti neri. «Portate i miei rispetti alla
vostra amica. Dite a Trina che lo zio
la sta ancora aspettando e non vede l'ora di fare quattro chiacchiere con lei».
»Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho
una pagina facebook! Seguitemi per futuri
aggiornamenti!
Io vivo per Fred DramaQueen Weasley e per Hermione Unimpressed
Granger. Scrivere di loro due mi ha fatto passare un po’ dell’ansia che il buon
vecchio Mulciber mi ha messo addosso. Ma tranquilli,
la pacchia è già finita.
E, comunque, Pavlov/Fred
per sempre proprio.
Punti importanti:
» *Sei
tonata per scoprire che me n’ero andato/ E quel posto è vuoto, come il buco che
è rimasto in me/ Come se fossimo niente/ Non è ciò che significavi per me,
credevo fossimo destinati a stare insieme. Ma di chi stiamo parlando?
Oliver e Katie, oppure… qualcun altro? #EgoistaIsTheNewCuoreInfranto
» 1
– Io volevo trovare un nome in Polacco che
fosse figo come Nocturne Alley, ma non l’ho trovato
e, sinceramente, mettere roba che non so neppure pronunciare non mi attirava
particolarmente. Si tratta di un quartiere nascosto nei bassifondi di Praga,
diversamente da Nocturne Alley ha anche gente che ci
vive regolarmente, essendo molto più di una semplice stradina. Perché nessuno
ha mai fatto nulla per sgomberare quel postaccio?
Perché meglio tenerli tutti lì, sotto controllo, piuttosto che sparsi in giro
per il mondo. Hermione non è un cuor di leone in questa situazione, ma la prima
volta che è andata a fare un giro da quelle parti erano passate solo poche
settimane dall’inizio del suo addestramento, non potete dirle nulla.
» 2
–Ta-daaaaaan!!!
Sì, se non avete capito ve lo confermo io: non soltanto Fred sapeva cos’aveva fatto Hermione negli
ultimi due anni, ma addirittura lui
era stato posto sotto osservazione per entrare a far parte del gruppo. Facciamo
una piccola digressione:
Quando
il ritorno di Lord Voldemort è diventato evidente, le Banshee hanno
naturalmente sentito la necessità di espandere i propri ranghi e chi meglio di
due gemelli geniali, per aiutarli a sviluppare nuove difese? Non dimentichiamo
che Fred e George sono geniali,
capaci di creare incantesimi di ogni tipo e con relativa facilità, è naturale che siano stati messi subito
sotto osservazione. Perché, quindi, non sono loro i colleghi di Hermione? Semplice, il periodo di osservazione è
iniziato più o meno all’inizio del settimo libro, proprio quando George ha
perso l’orecchio. Ora, come avrete capito già dalle condizioni di Barry (al
signorino manca una mano), di solito le Banshee non si fanno problemi con i
deficit fisico e tantomeno con quelli mentali non troppo pronunciati, tuttavia
l’orecchio di George non può essere rimpiazzato con un uncino ed essendo stato
falciato dalla magia oscura ha permanentemente danneggiato il suo senso
dell’udito e, soprattutto, il suo senso dell’equilibrio, rendendolo non più
idoneo. Fred¸ tuttavia, era tutta
un’altra storia. È stato avvicinato da Barry e dal (futuro) Supervisore di Herione più o meno un paio di mesi dopo il matrimonio di
Bill ma, come detto sopra, la sua risposta è stata una grandissima pernacchia.
O avrebbero preso anche George oppure nulla. Poi, ovviamente, con la situazione
di Ron, Fred stesso ha notato la caduta di Hermione ed ha capito quanto lei
fosse più adatta a quel ruolo, salvandole la vita di conseguenza.
» 3
– Pur non essendo parte delle Banshee, Fred ha una autorizzazione
speciale per la collaborazione con la squadra, essendo innegabilmente pieno di
risorse nel rintracciare nuovi incantesimi e combinazioni di ingredienti
parecchio pericolose. Essenzialmente, Fred è pericoloso per le sue capacità e l’Organizzazione preferisce
tenerselo buono. Ora, grazie a questa collaborazione, Fred si è ritrovato
faccia a faccia con Katie (in versione normale) ma ha avuto l’ardire di
chiederle per quale accidenti di motivo avesse deciso di lasciare Oliver senza
una spiegazione, chiamandola con nomi tutt’altro che carini e dandole,
soprattutto, dell’egoista. È un
eufemismo dire che a Katrina
quell’eufemismo non sia piaciuto. Fred ne è rimasto assolutamente traumatizzato
e non ha più osato dirle nulla al riguardo.
» 4
- Piccola digressione sui Negromanti: la loro è una religione, prima che
un modo di essere. Quando parlano della Morte ne parlano come “Madre”, perché
da Lei viene il loro potere e, essendo questo potere tutto, ne deriva che la Madre è ciò che li ha creati. Nessuno sa da
dove abbia origine la loro abilità di comunicare con l’altra parte, molti parlano di una famiglia rumena che all’alba
dei tempi ha fatto un patto con la Morte stessa, scambiando l’anima di tutti i
suoi membri (anche quelli futuri) con la capacità di controllare il confine fra
vivi e morti e nessuno, ancora, ha potuto trovare una spiegazione migliore.
Certo è che ancora oggi queste persone sembrano destinate a perdere, molto
lentamente, la propria anima, diventando nulla più che gusci vuoti. Serve
equilibrio nel mondo e, per portare indietro qualcosa che è morto, bisogna
mandare dall’altra parte qualcosa che è vivo
e spesso questo qualcosa di vivo è il negromante stesso.
Sono decisamente più egoista di quanto tu non creda.
Io lo lascio qui.
Il prossimo capitolo vi
porterà nuovi drammi, non temete, le risate durano poco ❤
Vi aspetto tutti lunedì
prossimo!
Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto
su facebook!
“I torture you
Take my hand through the flames
I torture you
I'm a slave to your games
I'm just a sucker for pain
I wanna chain you up
I wanna tie you down
I'm just a sucker for pain*”.
[Imagine Dragons, Lil’ Wayne, X Ambassadors, Ty Dolla
$ign, Logic – Sucker for pain]
Atto V, Parte I
– Succubus
Ciò che restava della vecchia casa di Godric’sHollow si stagliava
intorno a lui, il doloroso promemoria di come tutte le sue disgrazie fossero
iniziate. Camminava sulle macerie con sguardo perso, bene attento a non
concentrarsi su alcun dettaglio: aveva fatto quel sogno1 mille e
mille volte, sapeva bene che fissandosi sul mucchietto alla sua immediata
destra avrebbe potuto vedere i capelli rossi di sua madre spuntare da sotto la
polvere ed i calcinacci, oppure, guardando sulla sinistra, sapeva che si
sarebbe trovato faccia a faccia con la mano di suo padre, abbandonata
nell’oblio della morte.
Era buio, tutt’intorno a lui, perché si trattava
della notte in cui i suoi genitori avevano perso la vita. La stessa notte che
aveva condannato lui a diventare il Bambino Sopravvissuto, che aveva tolto la
vita a due giovani senza colpa e che aveva portato Sirius a cercare quella
vendetta che un giorno lo avrebbe condotto alla morte.
«Estremamente drammatico come scenario» commentò
Katie – perché era Katie, la sua vecchia
amica – mentre saltava giù da ciò che era rimasto del primo piano della
villetta. Non si chiese come avesse fatto a saltare da tanto in alto senza
farsi del male, dopotutto quello era un
sogno. «Nonostante tutto, Harry, non pensavo che fossi così scenografico. A
scuola sembrava quasi che il dramma seguisse te, non che fossi tu a cercarlo» gli fece notare, non senza una
punta di sarcasmo nella voce.
Lui, senza guardarla, si strinse nelle spalle.
«Quando passi la vita a ritrovarti sempre ad un passo dalla morte, alla fine la
normalità non ti sembra più tanto
normale. Se avessi sognato cose allegre, probabilmente non avrei avuto bisogno
del vostro aiuto» spiegò, voltandosi alla ricerca della loro seconda
accompagnatrice. Ophelia non era mai stata una gran chiacchierona, ma quella
tranquillità era davvero fuori dalla norma, non gli sembrava neppure di averla
sentita camminare.
Prima che potesse vederla, tuttavia, Katie attirò
la sua attenzione. «Quindi non hai mai smesso di rivivere questo sogno? Ogni
notte da quattro anni» affermò, curiosa, incrociando le braccia al petto e
guardandosi intorno. «Non hai mai pensato di parlarne con qualcuno? Sono certa
che il nostro psicologo di fiducia sarebbe estasiato all’idea di darti una
mano. Il Dottore2 è il migliore nel suo campo, sai. Anche se credo
sia naturale, dopotutto è di discendenza irlandese» sottolineò, quasi l’ultimo
dettaglio fosse l’unica ragione per cui lui avrebbe dovuto fidarsi dello
strizzacervelli delle Banshee.
L’istinto di sorridere riuscì a vincere la
naturale ansia che quel luogo gli incuteva. Katie era sempre stata estremamente
patriottica, proprio come Seamus. Non c’era da sorprendersi che ai tempi della
scuola fossero stati tanto amici. «Anche Ginny e gli
altri sono per metà irlandesi» constatò, inarcando le sopracciglia. «Quindi
anche i miei figli lo saranno, per tua somma gioia». La osservò sorridere e,
per un istante, si convinse quasi di poter dimenticare ciò che aveva vissuto
poche ore prima nella cripta dei Malfoy. Katie era pur sempre Katie. «Mi auguro che non sviluppino la
stessa intraprendenza di voialtri
irlandesi, però. Preferirei dormire la notte».
Katie lo fissò come se l’avesse appena insultata
pesantemente. «Stai forse insinuando che noi irlandesi siamo chiassosi, Harry
Potter? Sono certa che a Ginevra farà piacere sapere che hai una così bassa
considerazione delle sue origini migliori» gli disse, con una smorfia,
puntandogli contro l’indice, forse intenzionata a continuare il suo sproloquio.
Il modo in cui Harry arretrò, tuttavia, con gli occhi improvvisamente
spalancati, la fece desistere.
Solo
poche ore prima, lei era stata abbastanza spaventosa da terrorizzare uno degli
uomini più pericolosi mai esistiti.
Si pentì subito di quella reazione esagerata:
Katie aveva ampiamente dimostrato che non avrebbe mai fatto del male a lui o a
qualcun altro dei loro amici. La
paura, tuttavia, non era mai stata un’emozione razionale, non per lui. La
possibilità di averla ferita lo fece sentire in colpa solo in parte, poiché nel
profondo gli sembrava assurdo che lei non si aspettasse un minimo di ritrosia
nei suoi confronti.
La osservò accigliarsi, per poi infilare le mani
in tasca e dargli le spalle. Gli sembrò quasi di vedere una cortina di ferro
cadere fra lei ed il resto del mondo, rinchiudendola nel bozzolo di
indifferenza che ormai esser diventato la sua seconda pelle. Harry sentì
freddo, esattamente come quando lei aveva fatto la sua irruzione nella cripta.
Quando
Katie non sapeva più difendersi, era Katrina a prendere il controllo.
«Solitamente quanto tempo ti ci vuole per far
evolvere il sogno?» gli chiese, secca, la voce piatta per l’assenza di
qualunque tipo di emozione. «Senza Winter non possiamo muoverci a piacimento
nella tua psiche ed in questo posto c’è puzza di animale morto, preferirei
sbrigarmi e andare a farmi un meritatissimo pisolino. Nei miei sogni di solito sono su una spiaggia tropicale con un bel
drink in mano e senza idioti intorno».
Harry pensò bene di ignorare il veleno nelle sue
parole. «Qualche minuto, Voldemort non mi lascia mai troppo tempo a riflettere».
«Probabilmente non gli piace trovarsi in mezzo ai
tuoi sproloqui drammatici» commentò lei, con davvero poca ironia. «Non posso dargli torto, a questo posto mancano
soltanto dannati tuoni e fulmini per diventare la perfetta ambientazione di un
romanzo dell’orrore» aggiunse, nauseata, iniziando ad arrampicarsi su un
piccolo cumulo di macerie, intenzionata a non continuare la loro discussione.
Doveva averla ferita più del previsto.
Convincendosi di avere tutto il tempo per
chiederle scusa, Harry tornò alla ricerca della donna che li aveva
accompagnati, ritrovandola dopo poco accanto a quelli che lui sapeva essere i
resti di suo padre, le braccia strette intorno al proprio busto come se avesse
voluto proteggersi da ciò che aveva davanti. Nonostante gli occhiali, dovette
avvicinarsi per poter distinguere la sua espressione e quasi restò interdetto
quando si rese conto della patina acquosa che aveva ricoperto i suoi occhi
scuri. Incerto, si avvicinò a lei, sperando di non spaventarla.
«Ophelia?».
Sentendolo arrivare lei non saltò via, come lui
aveva temuto, ma si limitò ad irrigidire le spalle, quasi si fosse appena
ricordata di non essere sola. Non lo guardò, gli occhi puntati nel punto in cui
Harry sapeva ci sarebbe stato il viso senza vita di suo padre, che lui non
aveva la minima voglia di rivedere.
Troppe volte era caduto, in quel punto, sentendo il cuore spezzarsi per la nostalgia
nei confronti di quell’uomo che non aveva neppure conosciuto davvero. «Gli
dicevo sempre che sarebbe morto a centotrent’anni e circondato da mille
nipotini» mormorò lei, forse parlando a se stessa piuttosto che a lui. «Ma lui
voleva altro. Lui voleva l’avventura, l’onore… mi diceva sempre “Philly, dov’è la gloria nello stare a casa a
fare la maglia?”» la sua voce cambiò di qualche ottava, nell’ultima parte
della frase, e ad Harry quel tono sembrò terribilmente familiare, quasi avesse
davvero sentito qualcun latro parlare così. «Alla fine, credo che fare la
maglia non gli sarebbe dispiaciuto così tanto. Ma non puoi sfuggire al destino,
non è vero?».
Confuso, Harry le posò la mano sulla spalla,
costringendola a guardarlo. «Come fai a sapere queste cose? Conoscevi mio
padre?».
Quasi come se non avesse aspettato altro, Ophelia
lo guardò, le lacrime ancora ad appannarle lo sguardo. «Oh, Harry, io e tuo
padre…».
La voce di Katie, aspra e dura, le impedì di
continuare. «Ragazzi, abbiamo delle visite».
Lord Voldemort era arrivato.
Era sempre arrivato come un fantasma, nulla più di
un ricordo impresso nella memoria di un ragazzo che aveva vissuto troppi traumi
per poter avere dei sogni lieti. Anche quella volta passò sopra di lui, volando
in cerchi sopra la sua testa come un avvoltoio pronto a balzare su di una
carcassa. Per molto tempo, Harry aveva interpretato quell’entrata come una
visione del futuro che presto gli sarebbe toccato. Alla fine, tuttavia, aveva
semplicemente accettato la realtà: tutti
sarebbero presto morti. L’arrivo di Voldemort non era altro che un felice
memento di ciò che sarebbe comunque arrivato. Di nuovo, quindi, Harry sorrise,
facendosi avanti per fronteggiare il suo vecchio amico.
Tuttavia, qualcosa cambiò. Non fu verso di lui che
Voldemort si voltò, ma verso la negromante, riapparsa al suo fianco con la
silenziosità di un’ombra. Pur non potendo vedere il suo sguardo, Harry seppe
che i due si stessero fissando dritto negli occhi, comunicando come lui non
aveva mai potuto – o saputo – fare.
Anche Ophelia, che sembrava essersi ripresa al momento di debolezza, spostò la
sua attenzione sulla creatura che aveva appena fatto il suo arrivo. L’aria
intorno a loro cambiò, diventando afosa, soffocante come mai prima d’allora,
mentre il cielo si colorava di una tinta color sangue.
«Non credevo che avrei mai avuto modo di
scontrarmi con te faccia a faccia, Tom
Riddle» disse Katrina, cantilenando prima di scoppiare in una risata
allegra a dir poco agghiacciante in quel contesto. La creatura piegò il capo
incappucciato di lato, con quella che Harry si sorprese a definire curiosità. «Uhm? Ah, Harry non ha mai
capito che tu fossi tu? Non puoi
aspettarti molto, non è mai stato una volpe. Senza Hermione, la sua amica Sanguesporco, non sarebbe riuscito a sopravvivere al tuo
ultimo attacco. Ottima mossa quella degli Horcrux, comunque. Un vero tocco da
maestro. Peccato solo per la mania di grandezza, avresti dovuto usare oggetti
inutili, come per le Passaporte, allora sì che saresti stato invincibile3»
gli disse lei, quasi esasperata.
Stava
rimproverando Voldemort di non essere stato abbastanza furbo?
«Tu-Sai-Chi è un morto» lo avvisò Ophelia, l’angolo destro delle labbra leggermente
piegato verso l’altro, quasi fosse stata tentata di sorridere ma non ne avesse
trovata la forza necessaria. Sembrava ancora vagamente provata dalla visione
del cadavere di James poco lontano. «Katrina non può portargli rancore. Il
legame che esiste fra i Negromanti ed i deceduti è… strano. Non mi aspetto che tu lo capisca, io ci riesco solo
parzialmente e in molti, al quartier generale, mi hanno dato della necrofila per questo». Si strinse nelle
spalle, tornando ad osservare i due, presi da delle chiacchiere a dir poco
senza senso. «Diversamente dai vivi, i morti sono molto facili da comprendere.
Non mentono, non giudicano, ti ascoltano sempre».
Se l’istinto di Harry, quello che l’addestramento Auror aveva temprato, fosse stato una persona, si sarebbe
allontanato di una decina di passi ed avrebbe liquidato quelle donne con un
veloce “bizzarre”, prima di darsela a
gambe e fare di tutto per risvegliarsi e scappare via da sua moglie, che sicuramente non era un’amante dei morti
di nessun tipo. Tuttavia il suo nuovo
istinto, quello che gli ultimi giorni avevano costretto a crescere molto più
velocemente del previsto, riuscì a mantenerlo calmo. Non poteva criticare le
scelte di vita di quelle donne, soprattutto perché una non aveva scelto di essere ciò che era e l’altra… l’altra gli stava
semplicemente simpatica.
«Potter» chiamò Katrina, voltandosi verso di lui
con un gesto armonioso del capo, guardandolo con i suoi occhi vuoti come la notte
senza stelle. «Coraggio, solo tu potrai dare una voce al vecchio Tom. Ho
bisogno che tu ti faccia possedere da lui e non abbiamo proprio tempo da
perdere».
Ecco, una frase del genere, in qualunque altro
contesto, avrebbe fatto scattare tutte le sirene d’allarme che l’Auror sapeva di avere disseminate per il cervello. Lo
sguardo di Katie, tuttavia, lo inchiodò sul posto molto più delle mani di
Ophelia sulle spalle. Si limitò a fissarla, tentato di spalancare la bocca
senza mai più richiuderla. Ogni fibra del suo corpo lo supplicò di obbedire,
così che l’incanto che era la sua
voce non si fermasse più e graziasse ancora una volta le sue orecchie. Si
sarebbe ucciso, se Katrina glial’avesse chiesto4.
«Va bene».
Un’ora dopo, era di nuovo sveglio, sdraiato su un
divano con Ophelia intenta a tamponargli il viso con un panno umido ed il
marito di lei preso a sussurrare animatamente con la negromante, tornata ad
essere se stessa nonostante il pallore. Sembrava debole, non più fiorente in quella forza che la Morte sembrava
concederle. Era distrutta, quasi
avesse appena finito di combattere una guerra da sola.
«Vai a riposare»
stava ammonendo l’uomo, visibilmente irritato. «Non riesco a capire cosa
dev’esserti passato per la testa! Usare tutta quella potenza! Avresti potuto restarci secca, lo sai? Saresti potuta
restare bloccata in quella forma e
allora non avremmo più potuto salvarti. Non è Katrina che dobbiamo proteggere,
sei tu».
Katie, le braccia incrociate al petto, sbuffò.
Lei, così come i consorti, non si era resa conto che lui si fosse svegliato.
«Cos’avrei dovuto fare? Era evidente che il collegamento stesse funzionando.
Volevamo informazioni e sono certa che quando Harry si sveglierà le avremo. Io
ho solo fatto il mio lavoro, Barry, lo sai anche tu» sbottò, fissandolo dritto
negli occhi con aria di sfida. «Non sottovalutarmi, vecchio, so bene cosa faccio».
Barry Maine ringhiò, più simile alle bestie che
tanto gli piacevano, piuttosto che ad un essere umano. «Non fare l’impertinente
con me, ragazzina, ho trattato con belve ben più pericolose di te» le sibilò,
scoprendo i denti. «Non me ne importa un’accidenti se abbiamo appena trovato la
chiave per salvare il mondo, hai capito? Non puoi mettere a rischio la tua anima in questo modo. Non ho intenzione
di passare il resto della vita a dovermi prendere cura di quella psicopatica
della tua alter ego, sono stato chiaro? Limita quei giochini, Bell, o giuro che
ti farò rinchiudere in un sotterraneo» continuò, posandole l’unica mano sulla
spalla e scuotendola leggermente. Era piuttosto evidente che non fosse davvero
in pena all’idea di dover avere a che fare con Katrina per sempre ma che,
piuttosto, fosse la prospettiva di perdere Katie a metterlo in ansia.
Ophelia, accanto ad Harry, sospirò. Anche lei
doveva condividere la preoccupazione del marito. Era sorprendente quanto
fossero legati alla sua vecchia amica, quasi avessero fatto del suo benessere
la loro missione fondamentale.
Come dei
genitori.
Katie, evidentemente non apprezzando quella
preoccupazione, si liberò velocemente della presa. «Credi che a me lei piaccia?» gli chiese, quasi squittendo
con rabbia. Le lacrime potevano essere percepite sul fondo della sua gola. Il
cuore di Harry sembrò stringersi in una morsa al pensiero di cosa lei dovesse
provare, ogni qualvolta che l’altra prendesse
possesso del corpo che condividevano. Essere qualcuno di sbagliato, sentirsisbagliato… era qualcosa che Harry
comprendeva piuttosto bene. «Credi forse che io sia felice di rischiare di
perdermi, ogni volta? Ma non ho altra scelta, se non la libero di mia spontanea
volontà, lei scappa. E senza il
controllo su Katrina, io non sono più nulla5»
aggiunse la ragazza, arretrando di un passo. «È tutto ciò che ho, ormai.
L’unica cosa che posso fare è usare questo orrore che mi sono ritrovata sulle
spalle e quantomeno renderla utile.
Non me ne importa un cazzo di ciò che
vuoi tu o la tua stupida moglie. Lasciatemi vivere quel po’ di vita che mi è
rimasta e andatevene al diavolo».
Un passo, poi un altro. Katie sparì in uno
sventolio di capelli biondi.
«Forse non dovremmo lasciarla da sola» intervenne
Hermione, spuntata direttamente da oltre una porta che Harry non aveva neppure
notato. Era pallida, ma autoritaria. «L’ultima volta ha perso il controllo ed
ha quasi ucciso quel novizio che l’aveva chiamata bambola» specificò, scambiandosi uno sguardo incerto con Barry e
poi con Ophelia. Nel farlo, notò gli occhi spalancati di Harry. «Ti sei
svegliato» constatò, con un leggero sorriso. «Scusa per la scenata».
Riconoscendo la fine della sua falsa, Harry si
alzò, stiracchiandosi leggermente. «Non scusarti, temo sia colpa mia» mormorò,
incerto, tirando giù le gambe dal divano e fissando con dispiacere la porta
oltre la quale la bionda era appena sparita. «Posso fare qualcosa? Magari
potrei andare a parlarle» propose, con incertezza.
Maine scosse il capo, passandosi una mano sul
viso. «No, meglio che resti qui, al sicuro. Non credo che Katrina farà male a
qualcuno, non al Quartier Generale. Sono tutti suoi amici e, nel caso non lo
fossero, probabilmente non avrebbe alcun interesse in loro. Il suo modo di
guardare al mondo è molto contorto, al massimo proverebbe a spaventarti per
aver fatto innervosire tanto Katie».
Con un gesto automatico, Harry si risollevò gli
occhiali che erano scivolati lungo il suo naso. «Quindi sono davvero da
considerare persone diverse, eh? E mentre Katie odia Katrina…».
«Katrina è particolarmente protettiva verso Katie»
continuò Ophelia, annuendo leggermente. «Ha ucciso
solo perché qualcuno le aveva fatto del male. Quando Oliver Baston ha
annunciato il suo matrimonio, abbiamo dovuto chiuderla in una cripta per
evitarle di andare e strappargli via l’anima letteralmente con le unghie6» mormorò, con un sospiro
dispiaciuto.
Hermione scosse il capo, pizzicandosi poi la
radice del naso con aria stanca. «Siamo fortunati che abbia capito che uccidere i suoi nemici non sia un buon
modo per farsela amica. Ormai si limita a spaventare chi la infastidisce.
L’ultima volta, se non sbaglio, ha spaventato un inserviente al punto di non
farlo più dormire al buio, la notte» raccontò, esasperata. «Siamo fortunati che
non ci sia nessuno, qui, che Katie od- oh,
Merlino» fermandosi a metà frase, con uno scatto si voltò verso Ophelia,
che sembrava a sua volta essersi irrigidita. «Ti prego, dimmi che hai lasciato qualcuno a fare la guardia a
Malfoy!».
***
Quando Draco riaprì gli occhi, pensò di essere
morto.
Una nauseante sensazione di vuoto allo stomaco
aveva accompagnato il doloroso martellare della testa finché un istinto
irrefrenabile lo aveva spinto a spalancare le palpebre e ritrovarsi
nell’oscurità più totale. Tanti maghi e streghe si erano lasciati andare a
sproloqui lunghissimi su cosa ci fosse dall’altra
parte, ma in pochi avevano azzeccato che la Morte fosse, in realtà, solo
una distesa buia e calda in modo quasi opprimente. Nella Morte, stranamente,
Draco sentiva di essere costretto su una superficie morbida – forse la sua
bara? Era stato sepolto vivo? – e costretto da quelle che sembravano coperte di
lana. Forse Rosier7 lo aveva smembrato ed avevano dovuto coprirlo
per evitare che ai pochi presenti al suo funerale venisse un coccolone.
«Piantala di rimuginare, Malfoy, non sei morto» lo
ammonì una voce relativamente conosciuta da un angolo alla sua sinistra. Con
difficoltà, Draco si voltò nella direzione del suono e, strizzando gli occhi,
cercò di distinguere qualche lineamento. Si trattava di una donna, di quello
era piuttosto sicuro, ma una felpa gli impediva di notare altri dettagli.
Doveva essere raggomitolata su una poltrona, oppure doveva essere molto bassa e
tozza.
«Con tutto il dovuto rispetto,» le fece notare,
schiarendosi la voce e cercando di reprimere un conato di vomito a causa del
feroce dolore alla fronte che lo assalì, «ma se fossi morto e tu fossi il mio
diavolo punitore, probabilmente diresti la stessa cosa per illudermi e poi
colpirmi quando meno me lo aspetto». Con una smorfia, si grattò una tempia,
sorprendendosi nel sentire sotto le dita della stoffa ruvida. Era stato bendato. «Posso sapere chi
sei?».
La donna nell’angolo si alzò – non era nana,
allora – e si avviò a qualche passo di distanza, recuperando qualcosa di
piccolo e sottile che Draco sospettò fosse la sua bacchetta. Un mormorio
indistinto e la fredda luce del Lumos gli rivelò il profilo pallidissimo di quello che doveva essere un cadavere, il colorito
grigiastro e gli occhi vuoti non lasciavano adito ad alcun tipo di dubbio. Le
labbra bluastre erano piegate in un ghigno mefistofelico e, per un istante,
Draco pensò che se non fosse già morto probabilmente la paura l’avrebbe ucciso
in quel momento.
«Ma come, non mi riconosci?» gli chiese il
cadavere, muovendosi nella sua direzione senza preoccuparsi del fatto che lui
fosse praticamente appiattito contro i cuscini. «Eppure sei stato tu a farmi questo» gli fece notare, il sorriso
diventato più piccolo e pieno di rabbia. «È deprimente, il mio creatore che non riesce a vedermi… Sono davvero tanto
insignificante ai tuoi occhi, Draco Malfoy?» gli chiese, ormai arrivata ai
piedi del letto. Le ombre che la flebile luce della bacchetta proiettavano
nella stanza continuarono a mostrargli quella donna come un mostro di cui Draco
non conosceva la più remota origine, illuminando anche il mobilio di quella che
sembrava essere una stanza d’ospedale.
Improvvisamente più conscio che mai d’essere
ancora vivo e di volerlo restare, il mago deglutì, cercando con la coda
dell’occhio qualunque oggetto vicino che avrebbe potuto aiutarlo ad allontanare
la minaccia. Il dolore alla testa stava diventando insopportabile, ma il
terrore di essere ad un passo dal decesso riuscì a tenerlo sufficientemente
lucido da non lasciarsi andare. «Cosa sei
tu?» chiese, in un sussurro, osservando la donna piegare il capo di lato –
una ciocca di capelli biondi sfuggì da oltre il cappuccio della felpa – come se
avesse detto una cosa particolarmente buffa.
Incurante del suo verso sconfortato, lei si
arrampicò sul letto, gattonando nella sua direzione fino a ritrovarsi sopra di
lui, gli occhi neri ridotti ad una fessura sottilissima. Essendo così vicina,
Draco si rese conto di quanto bella
fosse quella creatura. Spaventosa, naturalmente, ma non meno affascinante. Lo
fece pensare ad una vedova nera, incantevole per i suoi simili ma letale come
null’altro al mondo, e per un istante la paura venne accompagnata da
un’emozione diversa, quasi assurda in un momento terribile come quello. Lei, il
sorriso nuovamente ben largo sul viso gelido, si portò alla sua stessa altezza,
fissandolo con un’intensità tale da farlo rabbrividire. «Ti piacerebbe saperlo,
non è vero, Draco Malfoy? Ti piacerebbe sapere cosa hai creato, uhm?» gli chiese, quasi retorica, avvicinando fino
a strusciare il naso contro la sua guancia e poi contro il suo collo. Contro la
sua pelle – che lui sapeva essere arrossita spaventosamente – scoppiò a ridere
in modo quasi maniacale, lasciando cadere la bacchetta sulle lenzuola ed
alzando le mani per artigliare le sue spalle in modo doloroso, tenendolo fermo.
Il panico che avrebbe dovuto colpirlo non arrivò
mai, tutt’altro. Per un istante, Draco si ritrovò a desiderare che lei si avvicinasse di più, che lo toccasse di più, che prendesse da lui
tutto ciò che desiderava.
«Come sei debole…»
rise la donna, accarezzandogli il viso con una mano, per poi stringerlo per le
guance e piegargli il capo di lato quasi con violenza. «Potrei tagliarti la
gola e non mi diresti nulla, non è vero? Ho perso un vampiro per causa tua8…
potresti sostituirlo, che ne dici? Saresti così carino…».
Nonostante il suo immane sforzo, Draco non riuscì
a capire il senso delle parole di lei, quasi avesse parlato in una lingua a lui
sconosciuta. Si limitò a piegarsi alla sua volontà, stregato e terrorizzato
insieme, aspettando quasi con trepidazione una morte di cui non riusciva a
comprendere il senso.
Un rumore improvviso, una luce fastidiosa, una
figura gracile stagliata contro la porta.
«Adesso basta» ringhiò, facendosi avanti a passo
di carica e piantando le mani sui propri fianchi, nella fedele imitazione di un
generale. «Katrina, lascialo andare
immediatamente» aggiunse, quando la usa aguzzina non accennò a muoversi di un
minimo centimetro. Lui vide chiaramente la nuova arrivata estrarre la bacchetta
e puntargliela contro con fare minaccioso, restando immobile finché il mostro
non rise più forte ed accettò di scendere da sopra di lui, ritirandosi sulla
stessa poltrona di prima, retrocedendo con l’atteggiamento di un animale
ferito.
«Sei così antipatica,
Ophelia» cantilenò, il broncio evidente nel suo tono di voce. «Io e Draco ci
stavamo così divertendo, non è vero mio
caro? Dille quanto ci stavamo divertendo!» gli intimò, spostando nuovamente
su di lui tutta la sua attenzione. Fortunatamente, però, quell’incantesimo che
lo aveva catturato era stato spezzato, quindi non gli costò alcuna fatica
guardare la Penderghast con ansia e farle capire quanto tragica fosse stata la
sua situazione prima del suo intervento.
«Basta,
Katrina» ordinò allora lei, avvicinandosi per posare la mano sulla spalla di
Draco con fare rassicurante. «Immaginavo che la stanchezza avrebbe avuto la
meglio su Katie, ma non credevo…Adesso lei tornerà nella sua stanza e si
calmerà, sono certa che più tardi vorrà scusarsi» aggiunse, con un sospiro,
quasi avesse voluto discolparsi con lui per il comportamento di quella che si
era appena scoperta essere Katie Bell.
Sei stato
tu a farmi questo.
Per un istante il senso di colpa non lo fece
respirare. In quel momento, dopo anni,
si ritrovò a fronteggiare le conseguenze di quella scelta disgraziata che la
paura di morire gli aveva fatto fare quando era solo un ragazzino con un peso
troppo grande sulle spalle. Mentre quella spaventosa imitazione di Katie Bell
spariva in direzione della sua stanza, lui si chiese finalmente quanto
realmente fosse responsabile per l’esistenza del mostro che aveva appena
minacciato di ucciderlo.
«Sono mortificata, ma ti assicuro che lei lo sarà
anche più di me» gli disse Ophelia, scuotendo il capo e chiudendosi la porta
alle spalle, dopo essersi probabilmente assicurata che la Bell arrivasse sana e
salva ovunque l’avesse spedita. Gli occhi scuri della donna erano pieni di
preoccupazione, troppa per essere
rivolta solamente alle condizioni di Draco. «È stata una giornata impegnativa
per tutti noi e Katie non è riuscita a mantenere il controllo come avrebbe
voluto, soprattutto perché l’altra è
arrabbiata per ciò che è successo al suo vampiro» provò a spiegare,
avvicinandosi e spostando le tende così che la tenue luce solare potesse
penetrare nella piccola stanza. Doveva essere l’alba, nonostante non avesse
senso. Era l’alba quando lui e Theo si erano addentrati nella cripta di
famiglia.
La confusione gli fece dolere la testa, ma
convenne con se stesso che lamentarsi non fosse di alcuna utilità. «Dov’è Theo?
Sta bene? Abbiamo visto Rosier» sbottò, ricordando improvvisamente
l’immagine che aveva preceduto la sua perdita di sensi. La fronte ricominciò a bruciargli
in modo fastidioso, ma questa volta evitò di portare le dita sulla benda, così
da non peggiorare la sua condizione già precaria. «Perché accidenti Winter mi ha chiesto di andare in quel posto dimenticato
da Merlino? Sempre che sia stata lei».
La Penderghast strinse le labbra, inarcando un
sopracciglio con aria sorpresa. «Sono parecchie domande, per qualcuno che ha
avuto una giornata intensa come la tua» gli fece notare, accennandogli di
tornare a poggiarsi contro i cuscini. «Nott sta bene,
in questo momento è a casa sua, insieme alla sua fidanzata. È una Magonò, ma certamente tu lo saprai già. Siamo stati tutti
molto sorpresi nello scoprirlo, non è cosa da tutti i giorni trovarsi davanti
un Nott tanto coraggioso» il suo tono sbruffone fece
prudere il naso a Draco, la sensazione di Déjà-vu quasi fastidiosa. Quella
donna somigliava a qualcuno, ma lui non riusciva a capire chi ed era una cosa
che lo infastidiva incredibilmente.
Che avesse preso un brutto colpo in testa ed avesse iniziato a dimenticare?
Avrebbe giustificato i dubbi nel riconoscere Katie Bell, poco prima. «Non
preoccuparti per lui, Malfoy, sta molto meglio di te. Il nostro medico ha detto
che il taglio sulla tua fronte era parecchio profondo, sembra quasi che qualcuno
abbia tentato di aprirti il cranio in due» lo avvisò, sollevando una cartella
rigida che qualcuno aveva lasciato ai piedi del suo letto. Puntò lo sguardo su
di lui, sospirando. «Conoscendo l’artefice della trappola, non posso che credere
che quelle fossero proprio le sue intenzioni. Per fortuna non è riuscito a
mangiarti, sarebbe stato ostico da spiegare al Ministro della Magia».
Mangiarti.
L’imprecazione che sfuggì dalle labbra del mago
anticipò di qualche secondo quella che la donna sbottò, riacciuffandolo prima
che potesse balzare giù dal letto e precipitare come un sacco di patate, non
riuscendo a reggersi in piedi. Mentre lei ancora stentava nel rimetterlo sul
materasso, Draco iniziò a guardarsi intorno, talmente ansioso da sembrare
isterico. La realizzazione di ciò che era successo gli aveva mozzato il
respiro, mentre il viso di colui che aveva creduto fosse il non compianto EvanRosier si trasformava lentamente in quello di un uomo
che aveva tormentato molte più vite e che, ancora
una volta, sembrava tornato dall’Inferno. «Come ha fatto a scappare da
Azkaban? Credevo ci fossero delle guardie
speciali» sbottò, portando le mani alle braccia della donna per poterla
scuotere. «Winter dov’è? Dovete metterla al sicuro, sicuramente lui- oh, no, l’ha rapita?» l’orrore nella sua
voce si tradusse anche in un tremore incontrollato delle sue mani. «L’ha
trovata nella cripta, non è vero? Avrei dovuto dirle che era troppo pericoloso
e… che c’è?»9.
Ophelia aveva iniziato a scuotere il capo non
appena lui aveva cominciato a parlare. Sospirò, incrociando le braccia al
petto. «Non è stata lei a chiederti di vedervi alla cripta, però è venuta a
cercarti. Elizabeth le ha mandato un gufo, era preoccupata perché tu e Nott non sembravate voler fare ritorno» spiegò,
velocemente. «Adesso lei è in un luogo sicuro, i nostri migliori guaritori si
stanno assicurando che ritorni in perfetta forma fisica, poi toccherà al nostro
psicologo di fiducia darle tutto l’aiuto possibile» spiegò, con una smorfia.
«Se Katie non fosse intervenuta, non so dirti cosa sarebbe rimasto di Winter.
Lui l’ha portata al limite, proprio come anni fa».
Senza poterlo evitare, Draco strinse i denti,
sibilando. «Quel disgustoso figlio di
puttana» imprecò, lasciandosi andare contro i cuscini, stanco come se
avesse corso una maratona. Lo sforzo mentale che aveva subito doveva esser
stato terrificante, soprattutto considerando il poco esercizio che aveva avuto
con l’Occlumanzia. «Zia Elladora
avrebbe dovuto ucciderlo quando era ancora nella culla, chi nasce Vermicolo non
può morire Ippogrifo» si lagnò, passandosi una mano sugli occhi. «Katie Bell
l’ha salvata? Quindi quella scena da predatrice sessuale è stata riservata solo
al sottoscritto? Non è neppure una negromante normale, maledizione, è una Succubus!4 Non che io mi stia
lamentando, se davvero ho collaborato a farla diventare Lady Dracula non posso
negare le mie responsabilità».
Senza inizialmente dirgli nulla, Ophelia si
avvicinò alla finestra, osservando lo scenario che si stagliava davanti a lei.
Draco non ne era assolutamente certo, ma gli sembrava di avere una visuale di
uno scorcio di montagna. Montagna che somigliava molto alle Alpi, che lui aveva
visitato da bambino con i suoi genitori. «Katrina è… imprevedibile» disse, dopo qualche istante, senza tuttavia voltarsi
a guardarlo. Lui poteva notare il riflesso del suo sguardo nella finestra e
l’immagine non era delle più confortanti. Notò anche il nome usato,
ricollegandolo a quando era entrata in camera e lo aveva salvato. Katrina era il mostro. «Non è cattiva e,
sinceramente, dubito che ti avrebbe fatto del male se anche io non fossi
arrivata. Probabilmente era il suo modo di… salutarti»
mormorò, indecisa riguardo la parola scelta.
Draco non riuscì ad impedire alle proprie
sopracciglia di inarcarsi. «Non oso immaginare cos’avrebbe fatto se fosse stata
cattiva, allora» sbottò, con una smorfia. «Non provare a giustificarla, non
sono certo arrabbiato con lei. Dopo quello che le ho fatto passare, è normale
che sia furiosa con me e che voglia incutermi del sacro terrore. Se, come dici,
ha salvato mia cugina da quel mostro di suo padre, allora le sono doppiamente
riconoscente. Oltre Winnie, ormai non ho più nessuno».
Ophelia sorrise, ma anche solo dal riflesso Draco
vide chiaramente quanto poco divertita fosse. «Se Katrina avesse portato rancore verso di te, saresti già morto da un
bel pezzo. Lei probabilmente ti è grata,
anche se non sta a me spiegarti il perché» gli disse, voltandosi nuovamente
nella sua direzione. «È un po’ fuori di testa, ma solo perché sembra avere dei
grilli nel cervello ricorda sempre che non significa affatto che sia innocua. Una
volta guarito, farai bene ad andare a cercare Katie e, magari, chiederle scusa
per averla usata come cavia per i tuoi sgangherati tentativi di diventare un
bravo Mangiamorte. Forse la smetterà di desiderare la tua testa su un piatto».
«Hai appena detto che non mi porta rancore».
«Katrina non
te ne porta. Katie è tutta un’altra storia. Quel comitato di benvenuto che ti
ha riservato? Probabilmente ha solo sfogato l’irritazione della sua parte normale. Parlale e forse riuscirai ad
evitare altre imboscate da parte di una negromante con evidentissimi problemi
di personalità multipla» lo avvisò la donna, con un tono quasi materno. Era evidente, tuttavia, che l’affetto
fosse rivolto alla Bell, non a lui. «Non appena ti sentirai abbastanza in forze
potrai raggiungerci, ultima stanza in fondo a sinistra. Fa’ con comodo, Harry
non è ancora pronto per parlare. E fai attenzione a non prendere la penultima
porta, i cuccioli di Barry non sono esattamente amichevoli».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Sto sviluppando un
amore viscerale per Katrina. La mia bambina psicopatica che seduce uomini per
poterli ammazzare :’)
Tutti meritiamo una #MammaOphelia ed un #PapinoBarry
in questo mondo.
Punti importanti:
» * -
Ti torturo/ Prendi la mia mano attraverso
le fiamme/ Ti torturo/ Sono uno schiavo dei tuoi giochi/ Mi piace il dolore/
Voglio incatenarti/ Voglio legarti/ Mi piace il dolore. Katrina
l’incantatrice colpisce tutti.
» 1
– Seguendo un procedimento particolare,
Ophelia e Katie sono riuscite ad infiltrarsi nei sogni di Harry. Nei prossimi
capitoli si capirà tutto meglio!
» 2
– Chi non ha letto la mia precedente Long (Lo Specchio delle Anime),
probabilmente non sentirà alcun campanello d’allarme. Quanto ai miei
fedelissimi… preparatevi 😉 Io sono una donna debole, lui è così affascinante… non potevo lasciarlo
lì, in un angolino del mio cervello, a ripetere “fammi scendere in campo, lo sai che posso essere utile!”.
» 3
– Sì, Katrina sta effettivamente rimproverando Lord Voldemort. Perché?
Ophelia l’ha spiegato piuttosto bene: semplicemente, lei non riesce a portare
rancore verso i morti. In un certo senso è come una zia che pizzica la guancia
del nipotino che è inciampato sui sassolini. Non condona le sue azioni, non
crede che sia buono, anzi! Katie odia
Voldemort, se fosse ancora vivo probabilmente farebbe di tutto per toglierselo
dai piedi, ma ora è morto e tanto
basta a renderlo una sua creatura.
» 4
- Cerchiamo di dare un contesto a questa situazione, che si ripeterà
anche con Draco nella seconda parte. Si dice che molti predatori siamo capaci
di attrarre le prede con la loro bellezza: per i negromanti vale lo stesso
principio. Come ho già detto nel capitolo precedente, per usare la loro magia
devono sempre sacrificare qualcosa di vivo e, per trovare questo qualcosa di vivo, spesso devono usare trucchetti non
proprio corretti. È una cosa che Katie
odia ma che Katrina adora fare. Succubus, cosa sono? Si capirà meglio andando avanti, non
temete. Nella tradizione si dice fossero dei vampiri, qui… non proprio.
» 5
– Mentre molti negromanti guardano alla propria condizione come un dono, Katie
la vede come una maledizione. Questo suo rifiuto ha portato alla nascita del
suo “Mr Hyde” (Katrina) e lentamente la sta uccidendo.
Senza il suo potere, Katie sa di essere inutile
alla squadra e sa di non poter sopravvivere.
» 6
– L’annuncio del fidanzamento ufficiale di Oliver Baston, arrivato circa
quattro mesi prima, è stato il momento peggiore
per Katie. Fino a quel momento aveva avuto una minima speranza, soprattutto
perché lei e Oliver avevano ricominciato a scambiarsi qualche lettera in
“amicizia”. Quando l’annuncio è stato dato sul Settimanale delle Streghe, Katie
ha completamente perso la testa e
Katrina, liberatasi quasi di forza, è stata letteralmente fermata un attimo
prima che potesse prendere Oliver e strappargli via l’anima per farlo diventare
un vampiro o un qualcosa di simile. Pessimo
momento davvero.
» 7
– Nei capitoli precedenti, Draco è svenuto con la convinzione che davanti a lui
ci fosse EvanRosier, non
certo Silas Mulciber.
» 8
– Riferimento a due capitoli fa, quando il vampiro di Katrina è stato
ucciso durante la missione di salvataggio. Per quanto possa esser sembrata
molto tranquilla al riguardo, in realtà Katrina non ha preso affatto bene la
cosa.
» 9
– Draco, ovviamente, non ha idea di
cos’è successo quando ha perso conoscenza. Dopo aver visto Rosier,
è stato attaccato da uno dei Legilimens più potenti del mondo ed ha perso i
sensi, venendo quasi mangiato in attesa dell’arrivo della cugina. Perché Silas non
l’ha mangiato davvero? Ha pensato che Winnie si sarebbe arrabbiata con lui e
non voleva riprendere i rapporti su note negative. Sì, lo so che è una cosa
assurda, ma lui è pazzo.
Baby
Voldy e Zia Katrina.
Forse Oliver Baston non è tanto da
compatire come pensavamo.
Vi aspetto tutti lunedì
prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
““The way I see it, every life is a pile of
good things and bad things.
The good things don’t always soften the bad
things, but vice versa,
the bad
things don’t always spoil the good things and make them unimportant. *”.
[The Doctor/Doctor Who (Episodio 5x10, Vincent e ilDottore]
Atto V, Parte II
– Il Dottore
Winter si svegliò osservando una bambina giocare
con un Ippogrifo in mezzo alla neve. Non la conosceva, anche se le somigliava
un po’: aveva anche lei i capelli neri ed i suoi occhi erano chiarissimi.
Tuttavia, mentre quelli diWinter avevano sfumature
argentee e lei era solita tenere lo sguardo basso, la piccola aveva sfumature
color fiordaliso ed era la quintessenza dell’allegria e di una certa
presunzione.
«Biscottino non vuole i biscotti ai cereali, li
vuole al cioccolato» si lagnò lei, mettendo un adorabile broncio. «La prossima
volta li prendiamo al cioccolato, non è vero? Così uno lo mangia lui e uno lo
mangio io!» si rallegrò, stringendo le piccole labbra in una linea sottile,
piegandole poi in un sorrisino divertito ed un po’ malandrino. «Magari due io.
Va bene, papà?».
Winter non si girò, conscia di non poterlo fare.
Era un ricordo, non un sogno: doveva rispettare i limiti del suo ospite.
«Va bene, bambina» disse qualcuno dalle sue
spalle, rivolgendosi direttamente alla bambina sorridente. «Ma non potrai
mangiarne troppi, d’accordo? Altrimenti la nonna si arrabbierà con noi»
aggiunse, avvicinandosi fino a poter affiancare la Legilimens, pur non
prestandole alcuna attenzione. Newton Crave1 – il direttore del
Reparto di Psichiatria e Psicologia Clinica dell’Ospedale San Mungo, oltre che
psicologo di fiducia delle Banshee – era assolutamente rapito dall’immagine che
si stagliava davanti ai suoi occhi. Winnie non sapeva che avesse una figlia, ma
osservando la ragazzina con maggiore attenzione riuscì a distinguere dei tratti
che ricordavano incredibilmente l’uomo.
«Non credevo che anche lei fosse un Legilimens,
Dottore» osservò, tranquilla, infilandosi le mani in tasca. Si rese conto solo
in quel momento di star indossando i pantaloni del suo pigiama. Avrebbe dovuto
sentirsi in imbarazzo, non essendo un capo d’abbigliamento idoneo alla
situazione, ma se ne infischiò. Ancora non riusciva a capire il perché di
quella sua visita dallo psicologo. «Carino come ricordo. Sua figlia è ancora
così piccola?» chiese poi, tirando fuori quell’adorabile accento del sud degli
Stati Uniti che sapeva riuscisse a
mettere tutti di buon umore2.
Vivere
per compiacere.
L’uomo inarcò le sopracciglia, incredulo. «Non
sono un Legilimens, mia cara, e tu lo
sai bene. Quando hai una delle tue crisi sei capace di leggere la mente di
chiunque. Io non sto facendo altro che ricordare un qualche episodio del passato,
per metterci entrambi a nostro agio. Tutto questo è opera tua» le spiegò,
tranquillo, osservandola annuire. Aveva
un senso, stava pensando lei. Le
crisi amplificavano le sue capacità. «E no, mia figlia non è più così
piccola, purtroppo».
La stizza con cui pronunciò l’ultima parla la fece
sorridere, distraendola momentaneamente dal motivo di quella loro discussione.
Una crisi non era nulla di eccezionale, le capitavano piuttosto spesso. Il
Dottore intenzionato a parlare di se stesso, invece… «Noto una certa…
irrequietezza. Non è felice che sua figlia sia diventata grande? Sono certa che
sia diventata bellissima, le potenzialità le aveva tutte fin da piccina» notò,
osservando la bambina correre dietro all’Ippogrifo come se fosse stato un
cucciolo molto cresciuto.
Il Dottore fece un’espressione strana, a metà fra
una smorfia ed un sorriso. Era innegabile l’orgoglio che si diramava da lui. «È
diventata una donna meravigliosa, una Dragonologa fra
i più giovani d’Europa» si vantò, senza sforzarsi di sembrare umile. La scena
intorno a loro cambiò e Winter si ritrovò in mezzo ad una radura, intenta ad
osservare la stessa bambina di prima – ormai adulta, vestita con una divisa di
pelle nera – tenere a bada quello che aveva tutta l’aria di essere un drago
poco più che cucciolo ma comunque grosso come un piccolo pullman. C’era un
sorriso sbruffone, sul suo giovane viso, che accentuava di più la somiglianza
con il padre. «Sono molto fiero di molte delle sue scelte di vita, ma avrei
preferito che restasse piccola. Mi sembra sempre di aver sprecato troppo tempo
con lei».
La ragazza davanti a loro rise, accarezzando il
muso della bestia. «Papà, non restare lì come una statua di sale, vieni ad
accarezzare BonBon! Sono sicuro che sarete grandi amici,
non appena lui smetterà di vederti come un bocconcino».
Quella
ragazza sarebbe stata una grande amica di Barry, se l’avesse conosciuto, si
ritrovò a pensare Winnie, ridacchiando fra sé e sé. Si intristì un po’ al
pensiero che, forse, l’amico avrebbe potuto intristirsi nell’osservarla: lui ed
Ophelia avevano desiderato un figlio per anni, ma non sembrava che quel
desiderio potesse realizzarsi a breve. La figlia di Crave
sarebbe stata solo l’ennesimo promemoria di ciò che avrebbero potuto non
ottenere mai.
«Perché crede di aver sprecato del tempo? Deve
avere almeno vent’anni» domandò Winnie, confusa, voltandosi verso il suo
psicologo, il sorriso di lui ormai perso dietro una tristezza che sapeva di
rimorso.
«Finché non ha compiuto dieci anni non abbiamo
avuto un gran rapporto. Solo dopo la morte dei miei genitori ho iniziato a
capire quanto stupido fosse il mio
comportamento, lei era tutta la mia famiglia. Tutta la mia vita» spiegò lui, il
tono colmo d’affetto. «Durante la Guerra ho ben pensato di ritirarla da
Hogwarts e portarla con me in Svizzera. Le ho fatto avere la migliore
istruzione, le ho fatto conoscere anche NewtScamander… e lei che ha fatto? Appena è andata a lavorare
in Romania ha ben pensato di trovarsi un
fidanzato troppo vecchio e con troppe
cicatrici3» si lagnò, indicando con un cenno un uomo dai capelli
rossi sbucare da oltre qualche albero ed abbracciare la giovane con un affetto
che andava oltre la semplice amicizia.
Somigliava molto a Fred Weasley, forse era un
parente. C’era molto peggio, al mondo, rispetto ad un Weasley un po’ più
anziano di lei. Poteva finire nelle grinfie di un uomo malvagio. Qualcuno che
avrebbe fatto di tutto per ferirla, per usarla e distruggerla dall’interno come
un virus imbattibile. Qualcuno che l’avrebbe mangiata boccone dopo boccone,
portandola oltre limiti dell’umana sopportazione per il solo gusto di vederla
capitolare sotto il peso di colpe che non aveva meritato, macchie su una
coscienza che non era mai stata pulita.
Qualcuno come suo
padre.
Le braccia di Newton Crave
la afferrarono prima che lei potesse cadere a terra. «Ah, sapevo che usare la
mia Rosie avrebbe fatto cadere le tue resistenze» si rallegrò, mentre lei
precipitava in quell’abisso di orrore che Silas Mulciber
le aveva rovesciato addosso, ancora una volta. Lo scenario intorno a loro
cambiò, vorticando velocemente come se fossero stati al centro di un tornado.
Non c’era più gravità, non c’era più nulla a tenerla ferma, se non le braccia
forti del medico. «Coraggio, Winter, presto finirà» continuò a dirle l’uomo,
volendo forse sembrare rassicurante ma fallendo miseramente nel tentativo.
Winter,
Winter. Non esisteva nessuna Winter. Era un’illusione, nulla più di una bambola.
«Il mio nome è Elladora»
esalò lei, in quello che credeva fosse un sospiro ma che in realtà suonò alle
sue stesse orecchie come un urlo animalesco. «Elladora!
Io sono Elladora! Sono io il mostro! Io!».
Crave strinse
più forte. «No, tu sei Winter Vane, la più brillante Legilimens mai passata per
l’Ordine delle Banshee, l’eroina di Vancouver4» le rammentò, la voce
ridotta ad un mormorio gentile. «Ti ricordi Vancouver, Winter? Ricordi i
bambini?» le domandò, tirandola verso il basso, forse per farla sedere su
qualcosa di morbido, la sua presa ancora ferrea intorno alle spalle. Faceva caldo, troppo caldo. Nei sotterranei del castello non c’era mai quel calore, se
non le rare volte in cui Maman andava
a farle visita5. O quando Mulciber… «Winter!
Vancouver, pensa a Vancouver! Quanti bambini c’erano? Quanti ne hai salvati,
grazie al tuo potere?».
C’erano centoventitre bambini, rammentò, sentendosi
quasi mozzare il respiro. Ricordava tutti
i loro nomi, aveva i loro bigliettini nascosti in una scatola sotto al letto.
«Li ho salvati tutti» mormorò, nonostante fosse
consapevole delle sue stesse urla. «Li ho salvati tutti, anche se non avrei dovuto» continuò, mentre la presa del
Dottore si rafforzava ed un movimento leggero le veniva obbligato. La stava
forse cullando? «Li ho salvati, anche se mi era stato ordinato di non farlo.
Non potevo abbandonarli».
«Esatto» convenne Crave,
gentile. «Winter Vane ha salvato centoventitre
bambini e nessuno di loro è mai più stato vittima di abusi. Li hai salvati tu, perché sei buona, non sei come
quell’uomo».
Winter – perché lei era Winter, non Elladora – scosse il capo. «Non
sono come lui. Non sono come lui. Non sono come lui. NonsonocomeluiNonsonocomeluiNonsonocomelui». Quella che era iniziata come una
semplice affermazione, era diventata presto una litania. Non c’era nulla, nella
sua mente, che non fosse quelle parole ripetute come un mantra, come un
incantesimo capace di uccidere l’oscurità che era sbocciata nel suo cuore.
Winter Vane non era figlia di Silas Mulciber.
«Adesso dormi, mia cara. Dormi e lascia che Elladora torni nella sua tomba6».
***
«Come sta?».
Il Dottore aveva raggiunto il resto della squadra
Banshee 3 poco dopo essersi assicurato che Winter dormisse fino a recuperare
tutte le sue energie, fisiche e mentali. Nella piccola stanza notò anche Harry
Potter e Draco Malfoy, quest’ultimo ancora provato dalla recente disavventura,
ma non vide neppure l’ombra di Katie Bell. La serata era stata piuttosto
movimentata, c’erano ottime probabilità che il giorno dopo avrebbe dovuto fare
una bella chiacchierata anche con lei e con quello sciocco alter ego che si era creata7. Non sarebbe mai arrivato
troppo presto il giorno in cui si sarebbe decisa ad accettarsi e lasciar
perdere quelle idiozie.
Non che proprio lui potesse azzardarsi a definirle
tali: i segreti della mente, per lui, non erano poi tanto segreti. Poteva
capire benissimo cosa avesse portato quella povera creatura a crearsi uno scudo
tanto potente, ma proprio non poteva accettare che tutto il suo aiuto fosse
risultato inutile, in quegli anni. Con Hermione aveva avuto successo, Ophelia
ormai aveva smesso di fare la strana e Winter…
«È tornata in sé, ma non sarà mai una soluzione
permanente» spiegò, secco. «Arriverà il giorno in cui neppure io potrò tirarla
via dal baratro e allora…» si strinse nelle spalle, accomodandosi nell’unica
poltrona rimasta ancora libera. «Potrà tornare in servizio non appena si
sveglierà, non le ci vorranno più di un paio d’ore. Come al solito,» nel dirlo
si voltò verso gli unici due ospiti presenti, in particolare soffermandosi su
Malfoy, «vi consiglio di non far riferimento a Mulciber
o a ciò che è successo. Il nostro interesse è farla dimenticare».
«Non può guarirla?» chiese il biondo, con una
certa boria. «Non hanno fatto che tessere le sue lodi, a quanto pare è il migliore in circolazione. Non può far
nulla per mia cugina? Cancellarle la memoria, magari?».
Il modo in cui il dottor Crave
lo guardò fece ridacchiare Barry, che ebbe la decenza di nascondersi dietro la
sua unica mano. Hermione, invece si coprì gli occhi e sospirò, sconfortata da
tanta ignoranza.
«Cancellarle
la memoria?» ripeté l’uomo, lentamente, raddrizzandosi sulla poltrona ed
inarcando le sopracciglia scure in un’espressione di meravigliata innocenza. Il
grufolo di Barry lo fece somigliare ad un maialino sul punto di soffocare per
le risate. «Accidenti, signor Malfoy!
Dovrei consegnarle i miei titoli di studio e passarle le chiavi del mio
ufficio, così potrà prendersi cura lei di tutti i miei pazienti» aggiunse,
allargando le braccia con esasperazione.
Prima che il sarcasmo dello psicologo potesse
iniziare a mietere vittime, Hermione si fece avanti e si posizionò a giusto un
paio di passi da Draco, mettendogli una mano sulla spalla per tenerlo seduto.
«Quello che il dottor Crave intendeva, Malfoy, è che
il danno che Winter ha subito è… troppo
grave per poter essere cancellato. Fin dalla nascita è stata esposta ad
orrori che nessuno di noi potrebbe neppure immaginare, neppure tu o Harry» sottolineò, voltandosi per poterlo guardare.
«Niente funzionerebbe, a questo punto. Quello che possiamo fare è rendere la
sua esistenza meno difficile, almeno
per brevi periodi di tempo. È la cosa migliore che il Dottore ha potuto fare.
La cosa migliore che chiunque avrebbe
potuto fare».
«Ma la cosa migliore non è abbastanza».
«Niente potrebbe esserlo».
***
«Non comprendo» affermò Harry, osservando lo
psicologo ed Ophelia seduti intorno a lui e con due espressioni diverse, seppur
preoccupate e falsamente tranquillizzanti. Ophelia era appollaiata su di una
poltrona poco lontana da lui, il viso apparentemente inespressivo ma i grandi –
e dannatamente familiari! – occhi castani che saettavano nervosamente fra i
vari angoli del piccolo studio, soffermandosi spesso su Harry con parecchia
ansia. Tuttavia c’era qualcosa in più, una tenerezza che proprio non poteva
giustificare.
Quanto al dottor Crave,
semplicemente lui non aveva smesso di sorridere in quel modo altamente
fastidioso, quasi avesse avuto tutte le spiegazioni a tutti i problemi del
mondo e stesse attendendo la domanda giusta per liberare la sua conoscenza
superiore. Aveva quello stesso sorrisetto da saputello che Malfoy di solito
tirava fuori ogni qualvolta avesse avuto la possibilità di vantare delle
conoscenze di famiglia. Lo stesso che Hermione – che era appena entrata nello
studio – tirava fuori durante i compiti a sorpresa, a scuola.
«Adesso che la signorina Granger ci ha fatto il
piacere di graziarci della sua presenza,» iniziò lo psicologo, lanciando uno
sguardo di blando rimprovero alla giovane, che gli sorrise, «possiamo iniziare
senza indugi. Siamo tutti consapevoli della necessità che il mondo ha di
comprendere il messaggio che Trina ha tanto volenterosamente costretto Lord
Voldemort a riferire, ma Ophelia mi ha chiesto di intervenire preventivamente
su di lei» lo informò l’uomo, palesemente soddisfatto di essere stato
interpellato prima ancora che l’azione potesse prendere piede. Probabilmente Crave veniva chiamato in causa solo dopo le missioni, qualora ci fosse stata la necessità di trovare
qualcuno capace di riattaccare i pezzi delle anime che venivano torturate ogni
giorno durante quelle loro spedizioni.
Non si
mette bene, pensò il giovane Potter, stringendo le labbra e guardando la
vecchia amica. «Se hanno fatto venire anche te, devo essere messo molto male»
mormorò, quando lei alzò gli occhi al cielo.
«Sei sempre così melodrammatico, Harry».
«È un vizio di famiglia» mugugnò Ophelia, facendo
ridere Hermione ed attirando l’attenzione dell’Auror.
Nei suoi confronti si limitò ad un gesto veloce, quasi a voler rimandare ad un
tempo successivo le spiegazioni. Avevano, dopotutto, questioni più importanti
da spiegare.
Il dottor Crave agitò
leggermente la mano davanti a sé, riattirando
l’attenzione. «Se analizza la situazione, signor Potter, sono certo che saprà
tirare le dovute conclusioni anche da solo, nonostante Trina insista nel
definirla un po’ tardo». Una risatina sfuggì ad Hermione, che poi si scusò con
il migliore amico dedicandogli il suo miglior sorriso affettuoso.
«In effetti sei un po’ tardo quando vuoi, Harry»
convenne ad alta voce, mentre Ophelia annuiva con l’espressione di qualcuno che
avesse avuto fin troppe conferme dell’affermazione dell’amica. Quella seduta si
stava velocemente trasformando in una gara a chi fosse capace di imbarazzare di
più il povero Auror.
«Cosa vuole da me?».
«Perché non ha chiesto aiuto, negli ultimi quattro
anni? Perché non ha parlato a nessuno del suo incubo? Non provi a propinarmi la
storiella del “ero consapevole che fosse
un sogno”, perché sappiamo tutti che non è vero» lo ammonì l’uomo, lo
sguardo praticamente ridotto a due lame scure. «Ah, non si preoccupi, ho avuto
modo di scoprire anche dell’incidente a Lipsia, quindi non ci sarà bisogno di
riprenderlo in questa… occasione».
Con uno scatto, Harry si voltò in direzione di
Hermione, senza curarsi di nascondere il rancore nello sguardo. Lei non si
scompose, lasciando che il sorriso allegro di poco prima si trasformasse in uno
più leggero, colpo di scuse ma anche di una risolutezza che il giovane non
vedeva da ben prima che finisse la guerra.
«Lipsia è ormai alle spalle, non avrei comunque
detto nulla al riguardo» rispose l’Auror, puntando
gli occhi in un punto imprecisato poco oltre il capo dello psicologo, le
sopracciglia corrugate. «Quanto alla sua domanda… ho passato la vita a fare
sogni strani, dottor Crave. Questo era diverso solo
perché, dopo quattro anni, non è cambiato di una virgola. Tutto qui, nulla di
più e nulla di meno. Ormai non ne restavo più particolarmente sconvolto» provò
a spiegare, cercando di ignorare l’occhiata penetrante che Hermione gli stava dedicando.
Lei, più di chiunque altro, avrebbe potuto fiutare la sua bugia.
Non c’era stata notte in cui non si fosse
svegliato in preda all’orrore. Solo negli ultimi mesi era riuscito a
controllarsi di più: bastava mettere la mano sul ventre pronunciato della sua
compagna per ricordare quanto fosse fortunato ad essere ancora in vita. Non
c’era sogno al mondo che avrebbe potuto tenerlo lontano da Ginny
o dai gemelli. Non avrebbe costretto quelle anime innocenti a subire lo stesso
destino che era toccato a lui e lo stesso valeva per il suo figlioccio, Ted. Aveva promesso che si sarebbe preso cura di tutti
loro, non gli importava di perdere se stesso nel tentativo di restare intero.
Doveva
farlo per loro.
Dalla sua posizione, il Dottore si grattò la
guancia e lo osservò come se fosse stato una creatura strana ma affascinante.
Aveva qualcosa di familiare, per quanto non riuscisse ancora a capire di cosa
si trattasse8. «Lo sa che quelli che vedeva non erano davvero i suoi genitori? Che non è davvero loro che stava osservando?» gli chiese,
a bruciapelo, piegandosi in avanti per poter poggiare i gomiti sulle ginocchia
ed il mento sulle mani congiunte. La curiosità nel suo sguardo era quasi
fastidiosa. Lo stava facendo sentire un
animale da esposizione. «Perché io, signor Potter, credo che una parte non
molto piccola e non molto nascosta di lei abbia evitato di parlare di quel
sogno proprio per poter continuare a farlo».
Le sopracciglia di Harry si inarcarono ad una
velocità tale da sparire oltre i capelli scompigliati in meno di un battito di
palpebre. Poi, quasi esasperato, si lasciò andare contro lo schienale del
divano. «Naturalmente» convenne,
sarcastico. «Mi piace tantissimo
andare a dormire e trovarmi davanti agli occhi il cadavere dei miei genitori,
soprattutto considerando lo stato di mio padre. Adoro vedere il suo corpo schiacciato dalle macerie, le budella
sparse int- oh,
scusami Hermione» si fermò di colpo, sentendo un brusco respiro vicino a lui.
Guardò al suo fianco, convinto che si trattasse della sua migliore amica, ma
lei si era già voltata altrove, seguendo quel suono che lui le aveva
erroneamente attribuito. Ovviamente
Hermione non si sarebbe mai lasciata impressionare da quelle sue parole, aveva
visto troppi orrori.
Era stata Ophelia a trasalire rumorosamente.
Ophelia, che in quel momento era balzata in piedi, pallida come un cadavere,
una mano davanti alle labbra per poter fermare altri suoni dall’uscire.
Improvvisamente consapevole di aver attirato l’attenzione di tutti i presenti,
lanciò uno sguardo al dottore, scusandosi e lasciando la stanza alla velocità
della luce, incurante della confusione di Harry.
«Cosa…?»
Velocemente, Hermione chiuse la porta che la
collega aveva lasciato spalancata, avvicinandosi fino a sedersi sul bracciolo
del divano di Harry mettendogli la mano sulla spalla per attirare la sua
attenzione. «Harry, nessuno mette in dubbio che tu abbia odiato quel sogno con
tutto te stesso. Rivedere quegli orrori ogni notte… ovviamente è stato
terribile» gli disse, con un tono conciliante che non aveva nulla di
affidabile.
«Ma?» azzardò, conoscendola troppo bene per
credere che fosse finita lì. «Oh, andiamo, Hermione! Credi davvero…».
«Che una parte di te abbia avuto paura di
dimenticare i volti dei tuoi genitori e si sia radicata in quell’immagine pur
di mantenerli vicini? Sì» sbottò la
donna, portandosi dietro l’orecchio una ciocca di corti capelli scuri che le
era ricaduta sugli occhi. Il suo sguardo era a dir poco gelido, puntato su di
lui come se avesse voluto sfidarlo a negare. «Giurami che non sei mai andato a
dormire sentendoti sollevato all’idea
di rivederli, perché per almeno sei mesi io ho fatto la stessa cosa con i miei
genitori e Ron e posso assicurarti che se non fosse stato per il dottor Crave avrei tirato fuori un trucchetto come quello di
Lipsia». Si fermò, mordendosi leggermente il labbro inferiore. «Harry… ti
prego, sii sincero».
Crave si alzò
in piedi, osservandolo senza alcuna traccia di sarcasmo. «Quella parte del
sogno non è mai stata indotta da Voldemort, Potter. Lei voleva vederli, ma adesso deve capire il perché. Non è nei morti che deve cercare aiuto, non questa volta.
Non sono loro a doverla accompagnare nella sua esistenza, adesso. Lasciali
andare, Harry».
Resterete
con me?
Fino alla
fine9.
Il silenzio regnò nella piccola stanza per almeno
un paio di minuti ma, alla fine, Harry crollò.
Non pianse, ormai credeva di non esserne capace,
ma lo sfinimento nel suo sguardo si estese al resto del suo corpo e presto si
rese conto di essere poggiato contro la spalla della sua migliore amica, mentre
lo psicologo, al suo fianco, gli teneva una mano sul braccio con fare
rassicurante. Gli tremavano le mani, il cuore batteva in modo strano.
Attacco
di panico, pensò, quasi avesse effettuato quella diagnosi su qualcun
altro. Il dolore al petto e l’impossibilità di prendere fiato gli stavano
facendo appannare gli occhi – non riusciva più a sbattere le palpebre? – ma il
suo pensiero era ancora lucido, quasi
la sua mente si fosse proiettata fuori dal suo corpo10. Le immagini
del suo sogno si stavano ripresentando ai suoi occhi come scene di un film. Gli occhi spalancati di sua madre. Il ventre
squartato di suo padre. Voldemort.
Poi pensò a Lipsia ed al calore delle fiamme.
Pensò a Ginny, in quel
momento a casa dei suoi genitori, probabilmente tutta presa ad accarezzarsi il
pancione che proteggeva i loro figli.
«Va tutto bene, signor Potter» gli disse il dottor
Crave, il tono stranamente gentile. «È il momento di
lasciarli andare, tutti quanti. Lei non ha bisogno di loro, non è da solo».
Hermione lo strinse forte a sé, prima di parlare.
«Non più».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Newton alla fine è
tornato. Il mio adorato. Il mio Dottore. Hermione e le altre ragazze me ne sono
infinitamente grate, ma Fred più di loro 😉
#NewtonWho
#DoctorCrave
Occhio al sogno di Harry
;)
Punti importanti:
» *
- Per come la
vedo io, nella vita di ognuno di noi c'è una pila di cose buone e di cose
cattive. Le cose buone non sempre addolciscono le cose cattive ma viceversa le
cose cattive non necessariamente rovinano le cose buone. Io AMO DoctorWho. E Van Gogh è il mio
pittore preferito. Capirete, quindi, quanto io sia stata felice all’idea di
poter usare QUESTA citazione da QUELLA puntata. E poi, dai, è tornato Newton.
» 1
– Per chi non lo sapesse, Newton Crave è un personaggio apparso nella mia prima long-fic (Lo Specchio delle Anime) ed è uno dei miei personaggi
preferiti. Non vi farò un riassunto della sua storia, perché se per caso
doveste decidere di passare a leggere la ff vi
trovereste con uno spoiler grande quanto una casa.
» 2
– Nei primi capitoli ho fatto riferimento a Winter come ad una giovane donna
con l’accento degli stati meridionali del Sud degli USA. In pratica Winter
parla come una donnina di New Orleans, ma solo perché ritiene che quell’accento
dolce e denso come il miele sia capace di compiacere “le orecchie” di chi la
sta ascoltando. In realtà lei è inglese, ma stare a sentire i pensieri delle
persone le ha consentito di imparare tantissimi accenti diversi. Le viene
benissimo l’accento russo!
» 3
– Un paio di capitoli fa, durante la breve missione di Hermione e Fred,
lui ha fatto riferimento a “Rosemary, la fidanzata di Charlie”. Ebbene, la
futura moglie di Charlie Weasley altri non è che la figlia del Dottore! I due
hanno circa dieci anni di differenza ed è inutile dire che Crave
non abbia preso bene la loro relazione. Molly Weasley è arrivata ad accusare la
ragazza di stare con lui solo per avanzare di carriera, ma alla fine si è
affezionata al punto da considerarla una figlia (complice il fatto che lei non
abbia una madre). Newton, invece, ancora spera di avere la testa di Charlie su
un piatto d’argento.
» 4
- Vancouver è stata una delle prime missioni a cui Winter ha preso parte.
Come si può intuire, andando contro degli ordini del supervisore ha salvato la
vita e l’innocenza di centoventitre bambini. Quasi
nessuno conosce i dettagli della missione, fatta eccezione per il Supervisore,
Winter, il Dottore e, probabilmente, Ophelia.
» 5 –
Ho già accennato alla tragica fine di Berenice Vane. Anche lei è un conto in
sospeso.
» 6
– Vorrei specificare una cosa riguardo la condizione di Winter e quella di
Katie. Mentre per Katie è in atto una specie di “personalità multipla” alla DoctorJeckyll e Mr Hyde, per Winter il discorso è diverso. Lei non si sente persone diverse. È come se fosse sempre
sotto farmaci, lei è sempreElladora ma in una versione tranquilla, controllata.
Non si illude che esista qualcun altro. È sotto ipnosi perenne, possiamo dire.
Spero di essermi spiegata!
» 7
– Il Dottor Crave non ha mai voluto che Katrina
nascesse. Katrina non è nata a causa
del potere, non esiste di per sé, è
stata Katie a volerla creare, per isolare quella parte della sua vita che
detesta. Lo scopo di Newt era quello di farle
accettare la realtà, ma sfortunatamente non è ancora riuscito nella sua
missione.
» 8
– Naturalmente, Harry conosce Rosemary. Lei e suo padre sono estremamente
simili ma, giustamente, non conoscendo lui il suo cognome non ha idea del
legame di parentela che esiste fra i due. In pratica il mondo è pieno di
parenti di cui Harry ignora l’esistenza, povero diavolo.
» 9
– Citazione da “Harry Potter e i Doni della Morte”, parole di Harry e James.
» 10
– La descrizione di un attacco di panico varia molto da persona in persona. Io
mi sono ispirata alle mie – non mi vergogno ad ammettere di esserne vittima da
anni ormai – ma sappiate che non sono definite, cambiano di persona in persona
e spesso anche di caso in caso. L’ansia cronica è una malattia di cui Harry soffre come conseguenza di uno Stress Post
Traumatico.
Ho
sentito la mancanza di Crave come del sole in inverno.
E qui è felice.
Vi aspetto tutti martedì
prossimo, buone vacanze di Pasqua!
Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti
nervosi, vi aspetto su facebook!
“Call my name and save me from the
dark, wake me up
Bid my blood to run, I can't wake up
Before I come undone, save me
Save me from the nothing I've become.
Bring
me to life*”.
[Evanescence – Bring me to life]
Atto VI, Parte I
– Indefinito
Erano state necessarie ore affinché Harry potesse recuperare pienamente il controllo di
sé. In realtà era piuttosto convinto che lo psicologo gli avesse fatto
qualcosa, perché per la prima volta in quattro anni si sentì libero, come se dei pesi enormi fossero
appena stati sollevati dalle sue spalle. Aveva pianto tutte le sue lacrime, si
era stretto ad Hermione, che in quel momento gli era sembrata l’unica certezza
al mondo, poi, semplicemente, era tutto finito. Non era normale, ovviamente ne era consapevole, ma gli
stava bene. Si sentiva ancora se stesso, se non addirittura migliore: quella
nube oscura che l’aveva perseguitato si era dissolta e se anche presto o tardi
avesse deciso di tornare, lui avrebbe ringraziato per quei pochi momenti di
tranquillità1.
Forse avrebbe fatto bene ad accettare la proposta
di Crave e diventare un suo paziente abituale.
Dopotutto, era riuscito a gestire Winter,
rimettendola insieme con così tanta maestria che, in quel momento, mentre lo
osservava con il suo sorriso gentile a giusto pochi metri di distanza, gli
sembrò quasi che l’incidente con quel mostro non fosse mai accaduto.
«Credo sia finalmente giunto il momento di sapere
tutto, non credi anche tu?» lo incalzò Hermione, sorridendogli incoraggiante
dal bracciolo della sua poltrona. La sua migliore amica era rimasta al suo
fianco in ogni istante, allontanandosi solo per potersi cambiare d’abito. Stava
indossando l’uniforme d’ordinanza, quella in pelle rosso scuro che le dava
un’aria molto più formale e spaventosa. All’improvviso si era trasformata in
quell’agente senza pietà che l’Ordine delle Banshee aveva plasmato, ma Harry
non riusciva a provare verso di lei la stessa ansia che invece le provocavano
gli altri quattro.
Con un cenno, il Bambino sopravvissuto annuì in
direzione della sua migliore amica, voltandosi poi verso tutti gli altri.
Ophelia era ancora estremamente pallida e sembrava voler far di tutto pur di non
guardarlo in viso. «Voldemort non ha parlato
con me, mi ha solo mostrato. Era come se io
fossi lui, capite? Non sono sicuro di
potermi spiegare bene, quantomeno non in modo da farvi capire con esattezza cosa io abbia provato in quel momento»
tentò, stringendo poi le labbra con preoccupazione.
Katie, dalla sua sedia nascosta nell’angolo più
buio della stanza, grugnì. «Eri posseduto,
Potter. Credimi, bene o male tutti noi abbiamo sperimentato quella particolare
situazione» gli disse, stringendosi nelle spalle e lasciando penzolare le gambe
oltre il bracciolo. Non gli dedicò più di uno sguardo, quasi la sua stessa
presenza la stesse annoiando.
Probabilmente
era ancora offesa per quel comportamento irrispettoso che aveva avuto verso di
lei durante il sogno.
Senza sapere cos’altro risponderle, Harry annuì.
«Sì, ero posseduto. Mi hq mostrato dei suoi ricordi, ma sono ricordi vecchi, risalenti al periodo precedente
alla… alla morte dei miei genitori. Lui era… più giovane, più umano». Si fermò
per un momento, cercando la parola giusta per descrivere il Tom Riddle che
aveva assistito durante quella singolare possessione. «Era più ingenuo» disse alla fine, sollevando gli occhi in direzione
prima di Hermione e poi di tutti gli altri quattro. «Ho sentito la sua rabbia,
la sua frustrazione».
«Qualcuno si è preso gioco del Signore Oscuro,
anni fa» si intromise Winnie, probabilmente leggendo ciò che lui ancora non era
riuscito a far uscire dalla sua mente affaticata. Lo guardò per un lungo
istante, le bionde sopracciglia corrugate. Al suo fianco, Draco le posò una
mano sul braccio, dandole qualche leggera pacca. Nonostante le indicazioni
dello psicologo, era improbabile che lui stesse riuscendo a tenere per sé i
suoi pensieri riguardo ciò che era successo. Fortunatamente non l’aveva vista nel momento di maggiore crisi.
«In che senso “preso
gioco”?» domandò Ophelia, raddrizzando le spalle con espressione parecchio
preoccupata. «L’unica persona effettivamente riuscita a prenderlo per i
fondelli è stata Narcissa Malfoy» mormorò, indicando Draco con un cenno del
capo. Quando lui la guardò, riprese a parlare. «Tua madre era una delle
Legilimens migliori in circolazione, oltre che una incredibile stratega. Si
dice in giro che non ci fosse partita di scacchi magici che lei non avesse
vinto2».
«Anche Severus Piton è riuscito a nascondere i
propri piani a Voldemort» specificò Harry, accigliato. «Per anni, se vogliamo essere precisi. Senza
lui e senza la madre di Malfoy, probabilmente io oggi non sarei qui» aggiunse,
con un sospiro rassegnato. C’erano così tante persone che avevano sofferto per
la pace che tanto duramente era stata guadagnata ed in quel preciso istante
qualcun altro stava lavorando per mandare tutto all’aria e rendere i loro
sacrifici inutili.
Non
poteva permetterlo.
Ophelia sibilò, arricciando il naso come avrebbe
fatto un gatto irritato. «Severus Piton era fenomenale,
ma non lasciare che quel suo ultimo atto di buon senso faccia mettere da parte
una vita di…» venne fermata dalla mano di Barry sulla spalla e da un suo
sguardo ammonitore. I coniugi si fissarono per qualche istante ma, alla fine,
lei strinse le labbra e annuì. «Ti prego, Harry, continua con il tuo racconto.
Questo non è il momento per lasciarsi prendere da vecchi rancori3».
Avrebbe
dovuto parlarle.
Molto
presto.
«Voldemort era giovane ed era ancora convinto che
il mondo sarebbe semplicemente caduto fra le sue mani, perché lui era il migliore» riprese l’Auror,
muovendosi sulla sua poltrona come se all’improvviso fosse diventata
scomodissima. L’ansia di Tom Riddle ancora risiedeva sul fondo del suo stomaco,
come se non avesse mai smesso di vivere dentro di lui. Era possibile? Dopotutto aveva continuato a restare collegato con
il suo spirito in tutti quegli anni. «Io credevo che l’idea degli Horcrux fosse
sorta durante le sue ricerche e che poi fosse stato Lumacorno a togliergli gli
ultimi dubbi sull’aspetto pratico»
mormorò, passandosi nervosamente una mano fra i capelli scuri.
«È ciò che anche Silente credeva» convenne
Hermione, accigliata. «Abbiamo parlato più volte con il suo ritratto e ci ha
confermato che l’opera del professore si fosse limitata ad un approfondimento.
Sconveniente, certo, ma comunque un approfondimento. Qualcuno lo ha ispirato?».
Malfoy, dal suo angolo, grugnì. «Un ragazzino non
se ne esce fuori con la storia degli Horcrux senza aver avuto una imbeccata,
Granger» le fece notare. «Come credo chiunque di noi abbia avuto una educazione
decente potrà confermare4,
nonostante i vari libri di magia oscura presenti nelle nostre librerie non
credo avremmo potuto trovarne qualcuno che facesse riferimento a quel tipo di
incantesimo».
«E se non abbiamo mai trovato nulla noi4» si intromise Winnie, il
capo piegato leggermente di lato, «dubito fortemente che un orfano mezzosangue
avrebbe potuto avere molte speranze. Il Signore Oscuro era solo un ragazzino,
per quanto malvagio e portato per l’oscurità che fosse. Non è una conoscenza
che puoi semplicemente acquisire, quella. Io ho sempre dato per scontato che
fosse stato Lumacorno a dare inizio alla discussione, in qualche modo. O che
comunque fosse stato l’allora insegnante di Difesa a fare un qualche accenno,
attirando la sua attenzione e spingendolo ad approfondire la ricerca sui libri
giusti».
Harry scosse il capo, sprofondando di più con la
schiena fra i vari cuscinetti alle sue spalle. «Io non mi ero posto il problema
ma, se l’avessi fatto, l’avrei pensata come te» convenne, espirando dal naso.
«Credo che lui stesso avrebbe preferito non saperne mai nulla, tanto forte era
la sua irritazione mentre mi mostrava le immagini del suo passato».
Dall’angolo più remoto della stanza, Katie grugnì.
Fra i presenti, lei era quella che sembrava star peggio: il pallore delle sue
guance la faceva sembrare malata, le occhiaie erano più scure di quanto potesse
esser considerato sano. Nascosta nella sua felpa Grifondoro risalente ai tempi
della scuola, fino a quel momento aveva fatto di tutto pur di confondersi con
la tappezzeria. «L’irritazione è ciò che l’ha tenuto a galla in questi anni. È
poco più di un ricordo, ma la sua rabbia gli ha consentito di restare ancorato
a questa realtà e torturarti. Se la sua anima fosse stata intera, sicuramente
sarebbe diventato uno spirito vendicatore.
Chiunque l’abbia preso in giro, lui deve odiarlo molto più di quanto non abbia
mai odiato te, Potter» spiegò, secca, distogliendo poi lo sguardo da tutti loro
per tornare a puntarlo sulle fiamme del camino.
Harry si convinse che offendersi per
quell’atteggiamento sarebbe stato ipocrita da parte sua, quindi si limitò ad
annuire. «E ne avrebbe tutte le ragioni, considerando il modo in cui è stato
usato» sbottò, arricciando il naso in un gesto di disgusto che non gli
apparteneva. Tom Riddle era davvero in un angolo della sua mente e,
probabilmente, lo sarebbe stato fino alla fine dei suoi giorni. «Aveva quindici
anni quando venne avvicinato per la prima volta. Era la prima volta che
qualcuno si fosse degnato di considerarlo, all’orfanotrofio».
Lo
straniero indossava un abito gessato dal taglio molto elegante, ma estremamente
fuorimoda. Sembrava straniero, i suoi tratti delicati facevano pensare ad un
paese lontano, molto più caldo e soleggiato di quanto l’Inghilterra non fosse
mai stata. Aveva gli occhi dello stesso colore delle olive mature e la pelle
abbronzata, quasi a voler ostentare la nazionalità straniera.
«Un
giovanotto promettente come te è sprecato in un luogo come questo»gli disse, sorridendo come se avesse voluto
incantare il mondo intero. La sua voce era stranamente melodiosa, quasi fosse
appartenuta ad una donna. Anche i suoi modi erano delicati, troppo delicati.
Che si trattasse di una donna vestita da uomo? Tom non si sarebbe stupito: Nott
gli aveva mostrato le fotografie di quel suo disgustoso cugino.
«Ne sono
consapevole» rispose, trattenendosi a stento dall’arretrare di qualche passo.
Lui sarebbe presto diventato Lord Voldemort, il più grande mago mai passato per
la faccia della terra: avere paura di quella creatura non avrebbe mai giovato
alla sua grandezza. Allora
sorrise, incantevole come sapeva essere con qualunque adulto, e si infilò le
mani in tasca con l’atteggiamento da garbato birbantello che sapeva avrebbe
conquistato chiunque. «Ma sono ben convinto che questa piccola parentesi della
mia vita mi renderà più forte e determinato in futuro. Posso sapere con chi ho
l’onore di parlare?».
Lo
straniero – o la straniera? – rise allegramente, allunando la mano affinché lui
la potesse stringere. Non appena le loro dita si sfiorarono, tuttavia, un
brivido corse lungo la spina dorsale del ragazzo. Aveva sempre avuto
l’incredibile talento di poter comprendere il potenziale magico di chiunque gli
stesse davanti e, con una certa curiosità, si ritrovò a constatare quanto forte
dovesse essere quella creatura5.
«Il mio
nome è Tiresias il Veggente, Tom Riddle. E sono qui per mostrarti quanto immenso potrà essere il tuo futuro».
«Non posso crederci» sbottò Hermione,
interrompendo il suo racconto e balzando in piedi come se qualcuno le avesse
metto una puntina da disegno sulla poltrona. «Hai detto Tiresias, Harry? Sei sicuro?»
gli chiese, avvicinandosi quasi di corsa alla grande libreria che occupava il
lato nord della piccola stanza in cui erano rinchiusi. In pochi istanti, Winnie
comparve al suo fianco, probabilmente intenzionata ad aiutarla. Era una fortuna
che almeno lei avesse idea di cosa
stesse passando per la mente della giovane.
«Tiresias, sì. È lo stesso che anche io ho visto,
l’unico giorno in cui il mio solito sogno è cambiato. Credo sia stato il giorno
immediatamente precedente alla…strage»
nel dire l’ultima parola si voltò un momento verso Malfoy, sentendosi
particolarmente a disagio. Dopotutto, lui aveva perso la sua famiglia in quella
situazione e probabilmente avrebbe preferito non sentirselo sbattere nuovamente
in faccia con tale noncuranza. «Ero convinto che fosse una donna, in realtà.
Nei ricordi di Riddle, però, era vestito da uomo e non era invecchiato di un
solo giorno».
«Questo perché non può invecchiare» sbottò la
giovane, accettando il libro che Winnie le aveva silenziosamente porto ed
iniziando a sfogliarlo alla velocità della luce. Nei suoi occhi c’era lo stesso
luccichio della volta in cui aveva improvvisamente ricordato Nicholas Flamel da
una delle sue letture leggere.
«Eccolo! Tiresias, celebre indovino
tebano, figlio di Evere discendente di Udeo, uno degli Sparti, e della ninfa
Cariclo. Punito con la cecità per aver visto la dea Atena nuda ma ricompensato
con il dono della vista, si dice che
dopo aver offeso le divinità sia stato punito con l’indefinito».
«Cosa intendi dire con “indefinito”?» chiese
Barry, rimasto in silenzio fino a quel momento. «È un termine che spesso noi
utilizziamo per indicare i cuccioli di drago quando ancora il sesso non può
essere individuato. È per questo che Lord Voldemort non è riuscito a compere cosa fosse?».
Hermione annuì. «Indefinito nel senso di “né uomo,
né donna”, anche se non è solo questo.
A quanto pare è stato condannato a vivere un’esistenza a metà non soltanto dal
punto di vista sessuale» mormorò, indicando una pagina specifica del grande
libro. «”Tiresias, l’ermafrodita,
condannato a vivere a metà. Né morto, né vivo, né umano e né creatura. Mai a
lui verrà concesso il gaudio della morte e mai il dolore della reale esistenza,
poiché Esso ha disubbidito al comando più grande e allora dovrà seguire il suo
padrone finché l’alba dell’esistenza non tramonterà anche per lui”6».
«Stai cercando di dirmi che dietro a tutti i
nostri guai e dietro Lord Voldemort
c’è una figura mitologica? Un
soggetto che viene nominato nell’Odissea?» sbottò Ophelia, incredula ma non per
questo meno preoccupata. Dopotutto, nel loro lavoro dovevano aver conosciuto
tutte le follie del mondo: una in più non poteva certo essere così assurda da
credere. «Una figura che è apparsa al fianco di Ulisse e Zeus e tutti gli altri
dovrebbe aver provocato questi guai»
continuò, le sopracciglia inarcate in modo quasi divertente. «Sii seria, se
anche fosse vero allora avrebbe migliaia di anni. Nessuno può sfuggire davvero alla morte, non nel lungo termine.
Voldemort stesso ne è stato la dimostrazione. Nessun corpo potrebbe durare integralmente tanto a lungo, è impossibile».
Una risata gutturale provenne dall’angolo in cui
era sprofondata Katie. «Ah, le parole della scienza» sbottò, senza nascondere
un pizzico di sarcasmo. «Credimi, Philly, potrei raccontarti storie capaci di
tenerti lontana dai tuoi amici defunti nell’obitorio per almeno due mesi» le
disse, glaciale.
Harry sentì un brivido corrergli lungo la spina
dorsale e, per un istante, temette di essere sul punto di morire per la paura.
«Trina,
comportati bene» la ammonì Barry, gli occhi chiari ridotti ad una fessura. «Te
l’abbiamo detto mille volte che usare il tuo potere per far spaventare gli altri
è da incivili7. Oltretutto sei stanca, rischi di svenire da un
momento all’altro, continuando così».
«E sai bene che niente di quello che potresti
dirmi mi terrebbe lontana dai miei piccini»
si lagnò Ophelia, tutt’altro che irritata dal modo in cui la giovane aveva
reagito alle sue parole. Sembrava più che altro esasperata, quasi quello
scontro fosse roba da tutti i giorni.
Dopotutto, pensò
Harry, scienza e religione erano sempre
state antagoniste8.
«Katie ha ragione, questa volta» mormorò Winnie,
che, rimasta accanto ad Hermione, aveva continuato a leggere quella pagina da
cui lei si era a limitata ad estrapolare poche parole. «Qui dice che Tiresias è
stato avvistato spesso nel corso nella storia, anche se in pochi sono riusciti
davvero a riconoscerlo. Nessuno sa come sia possibile che sia davvero lui, ma le descrizioni non lasciano
spazio a dubbi. L’ultimo caso registrato è stato proprio Grindelwald, nei primi
anni venti. A quanto pare, scrisse al professor Silente di questo straniero
intenzionato a rivelargli i piani della vita eterna. Per nostra fortuna, il
Preside riuscì a convincerlo che fosse solo una distrazione nella strada per la
ricerca dei Doni».
Confuso, Harry si accigliò. «Lì fa riferimento a
Silente e ai doni?» chiese, con un certo sconcerto. «Credevo che noi fossimo stati i primi a fare quel
collegamento, Hermione» sbottò, voltandosi verso l’amica come se fosse stata
colpa sua. In realtà era più verso l’Ordine che lui avrebbe preferito indirizzare
la sua rabbia: loro sapevano, eppure
avevano lasciato tre adolescenti a cavarsela da soli.
La ragazza sorrise. «Il libro è stato aggiornato
dopo la guerra, quando Aberforth ha dato la sua autorizzazione al sequestro
degli appunti di Silente. Sono stata io stessa ad aggiungere le nuove
informazioni, per questo sono riuscita a collegarlo con il tuo racconto».
Nervosamente, si morse il labbro, osservando le parole scritte come se avessero
potuto iniziare ad eruttare fuoco da un istante all’altro. «Credevo fosse
sparito dalla circolazione. Solitamente le sue comparse sono limitate ad una al
secolo, non avrei mai creduto che… proprio con Voldemort…».
«Quindi questa creatura millenaria ha tentato di
sedurre prima Grindelwald e poi il Signore Oscuro, ma con lui ha avuto successo
perché non c’era il vecchiaccio a fargli la guardia» convenne Malfoy,
sprezzante. «Questa storia, che già era assurda di suo, sta raggiungendo dei
livelli di follia che non mi sarei mi aspettato».
«Oh, ma non è tutto qui».
«Mi hai
visto diventare grande».
«Sì,
Signore» convenne l’oracolo, seduto sul bordo del suo letto con lo sguardo
vitreo dalla cecità ma perso nell’infinità delle possibilità future. Era un veggente,
uno dei pochi ancora in circolazione. «Ho visto la tua ascesa, ho visto la tua
caduta e la tua rinascita. Per due volte cadrai, mio Signore, ma quando il tuo
sangue sorgerà per la terza volta, niente potrà fermare la venuta delle
tenebre».
Senza
poterlo impedire, Tom sorrise, mettendo in mostra i canini. Tutte le volte in
cui aveva sognato d’essere un serpente, quegli stessi denti erano stati colmi
di veleno: quell’arma presto non gli sarebbe servita.
«Hai
detto che devo cadere due volte?».
«Sì, Mio
Signore. Due volte dovrai lasciare che la Morte stenda su di te la sua mano
impietosa e sempre a causa della stessa creatura. Un bambino con i capelli neri
e grandi occhi di smeraldo, cresciuto con il simbolo di Zeus sulla fronte. Lui
sarà la causa del ritorno delle tenebre e Colui che non è mai morto potrà tornare alla vita grazie al tuo
sangue che per la terza volta camminerà in questo mondo».
Il
sorriso fiducioso di Tom Riddle avrebbe illuminato il mondo intero.
«Cosa
devo fare?».
«Horcrux.
Devi scoprire come creare degli Horcrux. Sette, il numero magico per eccellenza».
«Se fosse stato chiunque altro, non sarebbe caduto
nella trappola» convenne Hermione, stringendo poi le labbra in una linea
sottile. «Nessuno avrebbe provato a dividere l’anima in così tante parti, pur
conoscendo i rischi. Ma Voldemort si sentiva diverso, si sentiva forte…».
Harry annuì seccamente. Qualcosa sembrava essersi
congelato alla base del suo stomaco, forse per la consapevolezza di ciò che a
breve avrebbe dovuto raccontare. «Si sentiva forte, si sentiva imbattibile.
Aveva il più grande veggente della storia schierato dalla sua parte, chi
avrebbe mai pensato di sfidarlo? Come avrebbe mai potuto perdere?» ripeté
fedelmente quelle stesse parole che qualche ora prima aveva percepito come sue. In un certo senso, gli sembrava
davvero di poter percepire da qualche parte quella sensazione di onnipotenza
che aveva portato il giovane Tom alla sconfitta. Solo che, mentre al suo
vecchio compagno di sventura quelle emozioni erano piaciute fino a diventare
una droga, Harry ne era nauseato.
«Dubito fortemente che Tiresias non avesse visto a cosa lo avrebbe portato
inseguire il sogno degli Horcrux. Se davvero fosse stato dalla sua parte,
avrebbe agito per evitare che venisse a darti la caccia» convenne Barry,
allungando la mano per accarezzare distrattamente il fianco di sua moglie.
C’era una strana dolcezza nel suo movimento: ad un primo sguardo sarebbe potuto
sembrare puramente istintivo, ma Harry aveva visto troppo fino a quel momento
per lasciarsi ingannare. Le coincidenze non esistevano.
Avrebbe
dovuto parlare con Ophelia, presto o tardi.
«Oh, Tiresias sapeva
cosa sarebbe successo se Voldemort avesse deciso di darmi la caccia. Lui stesso lo sapeva» spiegò il Bambino
Sopravvissuto, che ormai non era più un bambino. «Voldemort è venuto a cercarmi
con la consapevolezza che sarebbe caduto, voleva
che accadesse. Non sapeva che sarei diventato un altro Horcrux, naturalmente,
perché altrimenti avrebbe sfruttato la connessione ben prima del nostro ultimo
scontro e per questo motivo non ha opposto resistenza all’idea di crearne un
altro, che poi è diventato l’Obscurus. Ma sapeva
che io ero un male necessario. Solo attraverso la sua seconda caduta avrebbe potuto risorgere per l’ultima volta,
riportando le Tenebre sulla terra». Senza alcuna gioia, Harry ghignò.
«Sfortunatamente, Tiresias non ha pensato di avvisarlo che a portare questa
oscurità non sarebbe stato di certo lui».
«Lo hanno usato»
sbottò allora Malfoy, imitando Harry con una risata che di divertito sembrava
avere ben poco. «Le due guerre magiche sono state soltanto un trucco per consentire
a Tiresias di acquisire potere e conquistare il mondo? Cos’è che voleva,
l’Obscurus? Questa ipotetica creatura è così
potente da giustificare un piano di oltre settant’anni?».
«Tiresias è vecchio millenni» puntualizzò Hermione, guardandolo con il dubbio stampato
in viso. «Cosa potrebbero mai essere, per lui, settant’anni?» gli fece notare,
pur non sembrando molto convinta. «Mi rendo conto che un Obscurus che abbia
parte dell’anima di Lord Voldemort debba essere incredibilmente più forte del
normale, ma sinceramente stento a credere che sia tutto qui. Avrebbe potuto usare te, Harry. Saresti stato molto più
utile ed avendoti al suo fianco sarebbe stato più facile prendere il controllo
del nostro paese».
«Ma perché proprio l’Inghilterra, poi?» sbottò Malfoy,
allargando le braccia. «Siamo un’isola nel deretano del mondo, avrebbe potuto
mirare agli Stati Uniti! Al Canada! O all’Australia! Perché qui? In Germania è
pieno di maghi oscuri di grandi speranze».
«Il suo padrone
è qui» fu la laconica risposta di Harry, che arricciò il naso con immenso
disgusto. La rabbia di Voldemort tornò quasi con prepotenza in lui, facendogli
stringere i pugni. Si era liberato della possessione, ma il ricordo era
difficile da eliminare. «Non è per se stesso che Tiresias sta cercando il
potere. Tutto quello che ha fatto, per tutta la sua esistenza, è stato tentare
di liberarlo. Voldemort l’ha scoperto
quando ormai era troppo tardi e per quanto abbia provato a liberarsi di lui, il
destino era sul punto di compiersi. Per sua sfortuna, è entrato in possesso
della biblioteca dei Rosier quando è stato troppo tardi».
«Il suo Padrone?» domandò Draco, accigliato,
voltandosi di scatto in direzione di Winter quando lei crollò a sedere con un
tonfo secco, gli occhi puntati in quelli di Harry. Non erano più verdi, ma
grigi.
Era colpa sua e sperò con tutto il cuore che l’avrebbe
perdonato per aver incanalato i suoi ricordi tutti su di lei: era l’unico modo
in cui sarebbe riuscito a far uscire quelle parole dalle sue labbra. Pensarle e
ripeterle, stranamente, gli sembrò impossibile.
«Per aver
sfidato la Morte, la condanna è stata l’Indefinito. Servo e Maestro per
l’Eternità legati dal nulla del Divenire, fermi nel Limbo dell’Essenza finché
Colui che è Ritornato, l’Araldo di Thanatos e la Padrona delle Anime non
verseranno il loro sangue sul Libro dell’Ade» ripeté la donna, lo sguardo
vitreo di chi non avesse la più pallida idea di cosa stesse succedendo
tutt’intorno. «Di certo non è una filastrocca da insegnare ai bambini, non
credete anche voi?» domandò dopo qualche istante, tornata ormai se stessa,
lanciando uno sguardo tutt’altro che soddisfatto in direzione di Harry. «Quando
vorrai bombardarmi con i tuoi pensieri, Harry caro, abbi il buongusto di
avvisarmi. Adesso avrò un’emicrania terribile per il resto della giornata» si
lamentò, facendosi aria con la mano, incurante del silenzio attonito che
regnava tutt’intorno. «Ma immagino non avessi scelta, sei stato colpito da un
Incantesimo Languelingua, anche se in modo indiretto».
«Chiedo scusa?».
«Non te ne sei reso conto, Potter?» gli chiese la
bionda, con una risatina. «Katie ha davvero
ragione. Credo sia stato il Signore Oscuro ad esserne stato colpito, in
realtà, ma essendo stato posseduto devi aver assorbito parte di quella
maledizione9. In effetti, avresti potuto farci conoscere
quell’estratto del libro detto da Tom Riddle solo attraverso le mie capacità».
«Scusate, nessuno vuole commentare su ciò che
abbiamo sentito?» si intromise Barry, le sopracciglia scure così alte da essere
quasi nascoste dai capelli. Distrattamente, si grattò la guancia con l’uncino,
sollevando lo sguardo in direzione di sua moglie, prima, e poi verso le altre
Banshee. «Qualcuno mi può fornire un’analisi dettagliata di quel delizioso biglietto d’auguri che ci è
stato appena letto?».
«L’Indefinito sai già cos’è» borbottò Ophelia,
sistemandosi meglio sul bracciolo della poltrona su cui si era poggiata. Quella
debolezza che l’aveva seguita fin da quando erano usciti dal sogno di Harry
sembrava sparita nel nulla. «A quanto pare fa tutto parte di una maledizione
che qualcuno o qualcosa ha scagliato su Tiresias e sul suo padrone. Una condanna a
cui potranno sfuggire solo quando qualcun
altro verserà il suo sangue su un libro».
«Libro dell’Ade, sono piuttosto certa che si
tratti del Necromicon» mormorò Hermione, concordando. «Fortunatamente avevamo
già messo in conto di trovarlo».
«Malfoy, mi
hai chiesto perché qui e perché adesso» si intromise Harry, dedicando la
migliore fra le sue occhiate vuote al vecchio nemico dei tempi della scuola. «A
quanto pare, è qui che Tiresias è
riuscito a recuperare tutto ciò che gli serve per spezzare questa maledizione e
liberare il suo padrone da qualunque prigione sia stato rinchiuso in
precedenza, come ha provato a fare centinaia e centinaia di volte negli altri
secoli. Ed è qui che si trova questa prigione».
«Ha sempre fallito, pur avendo comunque il dono
della profezia per prepararsi al
meglio» mormorò Hermione, incrociando le braccia al petto mentre osservava con
attenzione le pagine del suo libro, come alla ricerca di una spiegazione.
«A quanto pare, non è mai riuscito a trovare tutto. Stando al libro trovato da
Voldemort, il suo Padrone è riuscito a fuggire solo pochissime volte ed è
sempre ricaduto nella sua prigione, dopo poco tempo. Una soluzione permanente è
stata impossibile da trovare, non è mai riuscito a superare il blocco che la
maledizione ha imposto alla sua esistenza, qualunque cosa significhi» spiegò
Harry, stringendosi nelle spalle. Non c’era molto da ricordare dal sogno, le
emozioni di Voldemort – la sua irritazione, la rabbia, la voglia di essere
vendicato – erano troppo forti per consentirgli di ragionare in modo lucido.
«Dovremmo poter trovare qualche indizio su di lui,
allora. Qualcosa che ci faccia capire cosa
stiamo cercando e contro chi
stiamo lottando» riprese Hermione, rileggendo quelle poche righe che aveva
trascritto quando Winter aveva iniziato a declamare la punizione toccata
all’Indovino e al suo Padrone. «Per aver
sfidato la Morte…» rilesse, con un mormorio quasi simile ad una cantilena.
«Chi ha sfidato la Morte?».
«Ná Bí Ag
Iarraidh Cluain An Chacamais A Chur Orm10» sbottò Katie,
attirando l’attenzione su di sé come se fosse stata una calamita. Era rimasta
in religioso silenzio dall’ultima volta in cui era intervenuta e, per un
istante, Harry si era quasi scordato che fosse presente. Quando la guardò, la
ritrovò in piedi, quasi appiattita contro il muro alle sue spalle come se
avesse voluto essere inghiottita dalle ombre. «Porca puttana» riprese, forse
volendo imprecare in modo finalmente comprensibile. «Non va bene. Questo non va
affatto bene. Se davvero è come temo,
se davvero si tratta di lui, faremo
bene a nasconderci tutti sotto un
sasso e pregare di non essere trovati. Non abbiamo alcuna via di scampo».
«Katie, cara, ti dispiace elaborare?» provò a
chiedere, con gentilezza, Winter, piegando il capo di lato come se avesse
voluto sentire meglio. Il suo potere tendeva a non funzionare con Katrina, ma
evidentemente anche Katie doveva essere parecchio brava nel difendersi. Infondo erano la stessa persona. «Tu sai
di chi stiamo parlando?».
Con un gesto secco ma spaventato, la ragazza
annuì. «Noi… noi lo chiamiamo in tanti modi diversi. È stato Caligola, è stato
Gilles de Rais e Vlad Dracula. Jack lo
Squartatore. È stato il primo
negromante e il primo vampiro»
esalò, il viso trasfigurato in un terrore così palese da far accartocciare lo
stomaco di tutti i presenti. «L’uomo che catturò la Morte e che per questo
venne punito».
«Katie?».
«È Sisifo11»
esalò, pronunciando quella parola come se fosse costato tutto il suo coraggio.
«È la creatura più pericolosa che sia mai esistita ed ora sta cercando il
Necromicon per riacquistare il suo potere. Non capite? Lui ha scritto quel libro» chiese, la voce ridotta ad un pigolio.
Ciò che Harry aveva davanti agli occhi non somigliava affatto al mostro che
solo la sera prima aveva messo in ginocchio l’uomo più spaventoso che lui
avesse mai conosciuto. «Siamo tutti morti».
«Credevo che Sisifo fosse solo una leggenda»
mormorò Hermione, lanciando uno sguardo confuso in direzione di Ophelia e poi
di Winter, che si mostrarono altrettanto confuse. «Ma, in fondo, anche Tiresias
lo era. Katie, sei palesemente la più informata… pensi di poterci spiegare
qualcosa in più? Chi dovrà sanguinare sul Necromicon per farlo tornare?».
Un campanello d’allarme suonò nella coscienza di
Harry, quando la negromante si voltò a fissarlo con il puro orrore negli occhi.
«Siamo noi» disse allora, anticipandola. «Io sono tornato, dopo essere morto.
Katie è una negromante e Winter…» guardò la bionda, che era appena crollata
nuovamente a sedere accanto a Malfoy. «Chi potrebbe essere il Padrone delle
Anime, se non qualcuno che può esplorarne i segreti più oscuri? Chi meglio della più grande Legilimens
delle ultime generazioni?».
«Ma perché?»
fu proprio Malfoy a parlare, gli occhi puntati sulle sue mani. «Perché il
Signore Oscuro ti avrebbe mostrato tutto questo? E perché sta succedendo adesso?».
«Perché Tom Riddle sarebbe stato un perfetto
spirito vendicatore» gli rispose Katie, laconica. «È morto a causa dei piani di
una creatura molto più antica e spietata di lui ed ora vuole vendicarsi. Per
farlo è pronto ad aiutare il suo peggior nemico».
«Siamo comunque fottuti».
La porta della stanza venne improvvisamente
spalancata e non ci fu una persona che non trasalì palesemente. Katie, ancora
appiattita contro il muro, si lasciò andare ad un gridolino terrorizzato. Ophelia
fu al suo fianco in un istante, un braccio intorno alle sue spalle ma gli occhi
puntati sull’uomo appena entrato. Era un ragazzo con corti capelli biondi ed il
viso innaturalmente pallido.
«Il y avait
une attaque dans Diagon Alley!12» annunciò, con il fiatone. «Allez! È l’Obscurus!».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Chi mi ha seguita
qui dalla mia prima long saprà già che io, semplicemente, non sono capace di
star lontana dalla mitologia greca. Non ce la faccio. Ho un amore viscerale per
la mitologia. Viscerale. Quindi SBAM,
ecco che torna. È stato più forte di me, perdonatemi.
Punti importanti:
» *
- Chiama il mio
nome e salvami dall'oscurità, salvami /chiedi al mio sangue di scorrere, non
posso svegliarmi /prima che io cada a pezzi, salvami /salvami dal nulla che
sono diventato. riportami in vita. Ehehe, qua parte la ship Sisifo/Tiresias.
Il riferimento è a loro due, in questo caso, perché Tiresias ha passato
millenni ad inseguire il sogno di liberare il suo Padrone e se stesso.
Tranquilli, si spiegherà tutto.
» 1
– Come mi è stato fatto notare nei
commenti, nello scorso capitolo la discussione di Harry e del Dottore è un po’ “meccanica”
o comunque forzata. È tutto voluto, non temete, il povero Newt si è solo
assicurato che Harry avesse abbastanza forza da rivivere i ricordi di Voldemort
senza cadere in pezzi, lui sicuramente tornerà a fare quattro chiacchiere.
» 2
– Io amo Narcissa Malfoy e potete dire ciò che volete, ma niente mi convincerà
che Voldemort, nella famosa scena del “è morto”, non abbia tentato di usare la
Legilimanzia per scoprire se lei fosse sincera o meno. Narcissa ha preso per i
fondelli il Signore Oscuro nel momento di peggiore ansia. Cosa non fa una
madre, eh?
» 3
– A me Severus Piton non piace. Per niente. Lo detesto con tutta me stessa
e non me ne importa un accidenti se è morto facendo l’eroe, se ha difeso Harry e
tutto il resto. Era un pazzo maniaco che è rimasto innamorato di una donna
morta per vent’anni anche se lei non l’ha mai ricambiato perché da giovane era
uno stronzo. E no, non uscite fuori la storia del bullismo, perché di occasioni
per cambiare ne ha avute parecchie.
Ophelia la pensa come me – se non peggio – e non perde occasione per onorare la
memoria di Sirius e James, nell’insultare Mocciosus. Oltretutto, lei ha i suoi ottimi motivi per odiarlo. Perché, sì,
magari Piton ha subito atti di bullismo da James, ma l’essere vittima non
giustifica il diventare carnefice e abbiamo letto tutti quanto Piton fosse un bastardo vendicativo (es. Neville e
Lupin alla fine del terzo libro). Immaginate come dev’essere stato con Ophelia,
quando lei era ancora ad Hogwarts (quando James è morto lei faceva il primo
anno, l’anno seguente Piton ha iniziato a lavorare a scuola). Immaginate come
deve essersi comportato con la cugina del suo vecchio rivale in amore, che non
perdeva occasione per ricordare come James fosse morto da eroe con sua moglie. Immaginate come deve
essersi comportato con quella ragazzina che gli somigliava così tanto da poter
essere sua sorella, quella ragazzina che lo detestava e che aveva gli stessi occhi di James. (Mi sono
fatta prendere la mano ahaha).
» 4
- Il buon, vecchio Draco si sta vantando della cultura dei Purosangue, sì.
È innegabile che lui, così come Winter, abbia avuto una preparazione “di
cultura generale” magica nettamente superiore rispetto Harry o anche Hermione
(lei ha acquisito le conoscenze da grande, studiando perché voleva farlo).
» 5
– Una cosa un po’ improvvisata, me ne rendo conto. Ma credo che esistano maghi
e streghe capaci di capire quanto potente
sia chi gli sta davanti, un po’ come un brivido, mi capite? Voldemort è sempre
stato sveglio, il suo sesto senso, al riguardo, era parecchio sviluppato.
» 6
– Ovviamente questo è tutto frutto del mio sacco, la storia di Tiresia è
molto più noiosa (che la mitologia non me ne voglia). In realtà Tiresia è
diventato un ermafrodita per aver ucciso un serpente femmina durante un accoppiamento.
Una leggenda diversa da quella citata dice che la perdita della vista sia
dovuta ad un attacco di stizza della dea Era, dopo che lui le fece perdere una
scommessa con Zeus. Storia lunga, noiosa. Qui, invece, Tiresias ha avuto una
esistenza… diversa.
» 7
– Katie è una succubus. Per quanto
ancora non ci sia stata l’occasione di spiegare bene cosa implichi questo,
sappiate che il suo potere le consente di “influenzare” chi le sta intorno, ma
è una capacità che le costa tantissima energia e la lascia prosciugata come se
avesse perso tantissimo sangue.
» 8
– Scienza e Religione, perché? Perché Ophelia è un medico, per quanto sia anche una strega. Ci sono campi della magia
che gli stessi maghi considerano superstizione e tutto ciò che riguarda la
Morte vi rientra di diritto. Quanto a Katie, come ho già detto la Negromanzia è
una religione, prima di tutto. Lei prega la Morte. Lei serve la Morte. Lei conosce i
segreti di qualcosa che un mago comune ritiene inesistente dal punto di
vista metafisico.
» 9
– Ovviamente, quando Voldemort ha scoperto il piano di Tiresias lui ha ben
pensato di impedirgli di parlarne in giro. Harry, avendo assistito al ricordo
come “Voldemort” stesso, è stato colpito per estensione. Winter ha letto i
pensieri di Harry, non ha assistito alla maledizione, quindi ha potuto
liberamente ripetere la formula.
» 10
– Si tratta di un “non dirmi cazzate” in irlandese. Katie impreca come un
pescatore del peggior porto di Dublino se presa alla sprovvista e spaventata. I
suoi dubbi hanno iniziato a presentarsi quando Winter ha iniziato a ripetere la
maledizione, ma quando Hermione ha puntualizzato il “chi ha sfidato la morte?”,
ha avuto la sua conferma. I Negromanti sono un popolo estremamente superstizioso, la storia di Sisifo è tramandata un po’
come le nostre storie sul lupo cattivo o sull’uomo nero. È il peggiore fra gli
spauracchi.
» 11
– Chi è Sisifo? Ancora, mi sono solo ispirata
alla Mitologia, una cosa mooolto più
sviluppata. Sisifo è colui che è stato condannato a morire, ma quando Thanatos
(personificazione della Morte, tipo l’Angelo della Morte per capirci. Si dice
fosse bello come Eros, in quanto il suo opposto) è andato a recuperarlo lui l’ha
infilato in un sacco e l’ha nascosto sotto al letto (più o meno). Gli dei,
naturalmente, notando che sulla Terra nessuno stesse più morendo, inviarono
Ermes (almeno credo, abbiate
pazienza, non ho proprio la forza di controllare) a cercarlo e, trovato a casa
di Sisifo, liberarono il Dio della Morte, punendo il colpevole di quei guai. Ma
Sisifo fu più sveglio, chiese alla moglie di non seppellirlo e, una volta nell’Ade,
convinse Persefone (anche se alcuni miti dicono sia stato Ade) a farlo tornare,
per “convincere la moglie a seppellirlo ed eseguire i riti funebri”.
Ovviamente, una volta tornato sulla Terra si rifiutò ancora di “morire”,
sfuggendo per la seconda volta alla sua fine. Per il mito, alla fine venne
ovviamente catturato, qui, invece, lui e “il suo aiutante Tiresias” sono stati
condannati. Sisifo è un negromante, un padrone
della morte, capace di sfuggirle e controllarla. Il Necromicon contiene il
segreto della sua fuga, oltre tutto ciò che riuscì a scoprire nell’Oltretomba
nella sua iniziale permanenza. Perché Katie lo chiama “primo vampiro”? E perché
ha tutti gli altri nomi (Caligola, Gilles de Rais, Dracula), se è rimasto in
prigione? Ehehe, vi piacerebbe saperlo!
» 12
– “C’è stato un attacco a Diagon Alley”, in Francese. Abbiate pietà, io ho
studiato francese alle medie (non voglio pensare quanti anni siano passati) e
non ricordo assolutamente nulla.
Katie
è come un gattino spaventato. Un gattino spaventato che impreca come uno
scaricatore di porto. La amo.
Vi aspetto tutti lunedì
prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 14 *** Atto VI, Parte II - La bambina ***
L’Erede del Male.
“O Death
Well I am Death, none can excel
I'll open the door to heaven or hell
O Death
O Death
My name is Death and the end is here.*”.
[Jen Titus – O Death]
Atto VI, Parte II
– Indefinito
La
bambina era adorabile, con i suoi riccioli scuri ed i grandi occhi neri. In
tanti l’avevano osservata aggirarsi per le vie di Diagon Alley con fare sicuro,
guardando le vetrine come avrebbe fatto ogni creatura piena di meraviglia per
il mondo ma con una tranquillità capace di muovere ad invidia un qualunque
adulto funzionale. All’inizio nessuno si era preoccupato, era probabile che lei
fosse insieme ai suoi genitori e che loro fossero solo a pochi metri di
distanza, tenendola sotto controllo senza farsi notare. Doveva avere solo sei
anni, nessuno sano di mente l’avrebbe lasciata davvero da sola per le vie più
trafficate della Londra Magica, no?
Doveva
esser con qualcuno. Ma perché, allora, nessuno si faceva vedere? Perché nessuno
l’aveva affiancata, quando era caduta a causa di una pietra della
pavimentazione leggermente risollevata rispetto alle altre?
Fu una
delle impiegate del Ghirigoro, Louise McKenzie, che si decise a fare un passo
avanti e porre quelle domande che in tanti avevano deciso di tenere per sé,
convinti che, dopotutto, non fossero affari loro. Ma Louise era una madre in
attesa, l’istinto le aveva impedito di mostrarsi indifferente: c’era il rischio
che la piccola si fosse persa, quindi era suo sacro dovere farsi avanti e
cercare di aiutarla. Forse quel suo comportamento fiero era solo un modo per
non far vedere quanto in realtà fosse spaventata nel ritrovarsi da sola in un
luogo tanto grande.
«Ciao,
Pasticcino» la salutò, piegandosi quel tanto che il suo pancione di sei mesi le
consentiva. Le sorrise, ritrovandosi quasi a squittire dalla delizia quando lei
ricambiò quello stesso gesto, mettendo bene in evidenza due graziose fossette
sulle guance paffute. Sembrava una bambola di porcellana. «Dove sono i tuoi
genitori? Sei tutta sola?» le chiese, convinta di aver conquistato la sua
fiducia.
La
bambina, in effetti, non sembrava affatto spaventata da lei, tutt’altro. Louise
la osservò allungare la mano affinché la prendesse e si lasciò tranquillamente
trascinare all’interno della libreria. «I miei genitori sono morti» le disse,
facendole sentire per la prima volta la sua vocina. Sembrava quasi il suono
dolce di un flauto, così adorabile da farla sciogliere in una pozza d’acqua e
zucchero. «Però non sono da sola. Io ho Tiresias».
Che
nome buffo, fu il primo pensiero di Louise. Io non chiamerei mai il mio bambino così.
«E chi
sarebbe questo Tiresias?» le domandò, continuando a lasciarsi trascinare. Non
comprendeva quale fosse la loro destinazione: perché mai la bambina sembrava
volerla trascinare verso il fondo del negozio? «Dov’è adesso?».
La
piccina rise, stringendosi nelle spalle. «È ovunque! Tiresias non mi lascia mai
da sola, non vuole che succedano brutte cose» spiegò, stringendo di più la mano
di Louise, per spingerla ad avvicinarsi così da poterle parlare vicino
l’orecchio. «Mi ha fatto promettere di fare la brava, ma ha detto che posso
divertirmi un pochino. Ha detto che il momento è maturo ormai» bisbigliò, come
se le avesse rivelato il più grande segreto dell’universo.
Dal canto
suo, Louise McKenzie non riusciva a capacitarsi che questo – o questa –
Tiresias avesse potuto lasciare la bambina da sola, soprattutto con la scusa di
farla divertire. Era ridicolo, dal
suo punto di vista, che si fosse limitato a dirle di assicurarsi che non ci
fossero problemi. Cosa significava problemi?
Per quanto Tu-Sai-Chi fosse ormai passato a miglior vita, Diagon Alley non era
certo il luogo adatto ad una bimba così piccolina. Lei non avrebbe mai lasciato
suo figlio o sua figlia da sola. Assolutamente no.
«Tesoro,
ti va di dirmi dove vivi? Così potrò accompagnarti da questo Tiresias, uhm?
Sono certa che potrai divertirti in un posto più sicuro» le mormorò, con
dolcezza, accarezzandole il ricciolino scuro e mettendoglielo dietro
l’orecchio. Era un peccato nascondere quelle belle guance dolci. Osservandola
bene, le sembrò quasi di averla già vista da qualche parte. Era forse possibile
che i suoi genitori fossero stati suoi vecchi compagni di scuola? Michelle
Gobbers aveva avuto una figlia anni prima, ma lei non l’avrebbe certo
abbandonata con qualche Tiresias incapace. «Non avere paura, ti riporterò
indietro immediatamente».
La
bambina, piuttosto che esserne felice, si adombrò, facendo un passo indietro.
«Io non voglio ritornare a casa» disse, la vocina che sembrava completamente
diversa da quella che lei aveva sentito e apprezzato poco prima.
Le fece
venire i brividi, ma si decise ad insistere. Era ovvio che i bambini non
volessero tornare a casa, una volta sperimentata la libertà, per questo era da
irresponsabili il lasciarli da soli! «Ma non preoccuparti, cara, sono sicura
che ti divertirai tantissimo anche a casa. Non vuoi certo metterti in pericolo,
no? Tiresias ti ha detto di stare
attenta, no?».
«Ma
Tiresias ha detto che posso divertirmi!» urlò, strattonando via la mano con un movimento
brusco. Il suo gesto fu talmente forte da far spaventare la povera Louise. Le
doleva ancora il polso per il colpo e lei non riusciva a capacitarsi che quello
scricciolino fosse tanto forte. Guardandola negli occhi, si ritrovò ad
arretrare.
Era
un lampo rosso quello che aveva visto?
«Non fare
così, cara, andrà tutto…».
«Io voglio divertirmi!».
Nella
prima esplosione persero la vita sette persone.
Fra
queste, una donna incinta di nome Louise McKenzie venne ritrovata completamente
sfigurata, il ventre aperto e la sua creatura non ancora formata strappata via
con la forza.
La
seconda esplosione, a pochi metri di distanza, uccise venticinque persone e
distrusse completamente alcuni dei palazzi storici di Diagon Alley.
L’ultima
esplosione, davanti alla Gringott, uccise centotrentuno maghi e trentacinque
folletti.
Tutte
le testimonianze concordarono nell’addossare la colpa ad un incubo da molto
tempo dimenticato.
Un
Obscurus1.
***
La prima
cosa che Fred fece, una volta assicuratosi di essere tutto intero e capace di
stare in piedi, fu cercare il suo gemello2. Fu alquanto difficile
riacquistare l’equilibrio, essendo quasi sepolto vivo da cumuli e cumuli di
scatole e pergamene contabili, ma il terrore lo aiutò a sconfiggere anche la
gravità stessa e, in men che non si dica, si ritrovò a pochi passi dal corpo tramortito
di George, a pochi metri di distanza. Ad una prima analisi non gli sembrò
ferito gravemente, doveva aver perso i sensi a causa di un colpo sulla testa,
proprio dove un segno rossastro stava iniziando ad assumere tinte non molto
raccomandabili.
Respirava,tanto gli bastava.
Assicuratosi
che il gemello stesse discretamente bene, iniziò a muoversi verso la parte
frontale del negozio, mosso dalla volontà di capire cosa fosse appena successo
e, soprattutto, terrorizzato all’idea dei danni che potevano essere stati
provocati nella zona commerciale del locale, fortunatamente vuota a causa della
chiusura settimanale. Che l’attacco fosse caduto di giovedì, il giorno dopo che lui era stato via con
Hermione, aveva quasi dell’assurdo, tanto era stato fortunato. Non si
sarebbe perdonato l’essere stato lontano per una situazione del genere.
Il “Tiri Vispi Weasley” era stato incantato
contro le vibrazioni forti il giorno stesso in cui lui e George avevano
acquistato quel piccolo locale a Diagon Alley. All’epoca si erano detti che
fosse solo intelligente, da parte loro, andare a limitare i danni che loro
stessi, durante degli esperimenti, avrebbero potuto procurare. E probabilmente
era stato quello l’unico motivo per cui, mente fuori dalle vetrate si scatenava
l’inferno, l’interno del negozio era pressoché intatto3. Solo pochi
articoli erano effettivamente caduti dagli scaffali e le puffole pigmee erano
per la maggior parte scappate dalla loro vaschetta per nascondersi sotto il
registro di cassa, accumulandosi in pile disordinate e colorate che chiunque
avrebbe potuto scambiare per pupazzetti informi ma morbidissimi. Da dove si
trovava lui, così come nel retro, era impossibile sentire le urla che giusto
oltre la soglia sbarrata si stavano accumulando, alzandosi al cielo come un
grido d’orrore e paura.
Qualcosa
dentro di lui scattò.
Quello
non era certo il momento per restare lì, immobile e potenzialmente al sicuro3,
mentre centinaia di persone fuggivano ed urlavano senza avere la più pallida
idea di cosa fare. Con uno scatto, tornò nella zona riservata al personale,
tirò suo fratello nel punto più riparato ed iniziò a dargli degli schiaffi non
proprio leggeri, troppo ansioso per mettersi a cercare la bacchetta che doveva
essergli caduta durante l’esplosione.
«Georgie?»
chiamò, quando lo vide strizzare gli occhi, sorridendo infine sentendolo
inspirare bruscamente e tirarsi a sedere alla velocità della luce.
«Fred! Oh, sei qui. Cos’è successo? Tu
stai bene? È esplosa la pozione che stavamo sperimentando? Non può aver provocato così tanti danni!» sbottò, cercando di
guardarsi intorno ma fermandosi con un gemito di dolore dopo essersi mosso con
troppa fretta. Tornando a sdraiarsi, si portò una mano alla fonte, accettando
la mano che Fred gli offrì per calarsi lentamente sul pavimento. «Questa volta
non la passeremo liscia con il padrone di casa».
Sollevato
nel sentire il gemello talmente lucido, gli intimò comunque di non muoversi con
un gesto brusco. «Qualcosa è esploso a Diagon Alley, fuori c’è una bolgia
infernale. Tu adesso resti qui, io vado a cercare di capire cosa accidenti è
successo» lo avvisò, rialzandosi ed iniziando a cercare seriamente la sua
bacchetta. La trovò dopo qualche istante sotto uno scaffale rovesciato.
Voltandosi, si ritrovò l’occhiata accigliata di George puntata addosso e, senza
neppure lasciargli il tempo di parlare, anticipò la risposta che avrebbe
comunque ricevuto. «Tu non verrai. Ti
sei appena ripreso, non abbiamo idea di quanto forte sia stata la botta in
testa. Cerca di tranquillizzarti e poi manda subito un patronus a tua moglie, che è incita e probabilmente morirà
d’ansia non appena saprà. Io non mi allontanerò».
«Col cazzo» fu la serafica risposta di
George che, incurante dell’avvertimento del fratello, riprovò ad alzarsi in
piedi, ritrovandosi tuttavia a barcollare e ricadere sul posto come un pesante
sacco di patate. «D’accordo, io resto qui, ma ci resterai anche tu! Ti concedo di arrivare fino alla porta
d’ingresso e mettere al riparo quante più persone riesci, se ti sembrerà che il
pericolo sia ancora imminente» lo avvisò, puntandogli contro un indice
tremante. «Non scherzo, Fred, giuro che verrò a riprenderti per i capelli se ti
metterai a rischio, anche se dovrò trascinarmi con il passo della Salamandra!».
Fred
ghignò, alzando gli occhi al cielo. Quello era il passo che avevano brevettato nelle loro varie fughe dal professore
di turno intenzionato a metterli in punizione. La sua ilarità, tuttavia,
vacillò ricordando quanto improbabile fosse che George potesse davvero
ricorrere a quella mossa: il suo equilibrio, dopo la perdita dell’orecchio, era
stato compromesso in modo quasi irrimediabile. Era già miracoloso che riuscisse
a stare in piedi su due gambe4.
Era
inidoneo alle Banshee, ricordò, sentendo nuovamente l’ondata di
irritazione colpirgli la bocca dello stomaco, facendogli saggiare il sapore
acido della bile.
Rassicurarlo
gli venne naturale, mentre balzava verso la zona frontale del negozio,
bacchetta in una mano e l’altra già immersa nella tasca dei jeans per ritrovare
il suo vecchio specchietto. «Non preoccuparti, so cosa faccio» urlò,
scavalcando un gruppo di puffole e spalancando con una spallata la porta
d’ingresso, proprio un attimo dopo aver trovato finalmente ciò che stava
cercando.
Il
Supervisore rispose non appena lui chiamò e per poco non perse il contatto a
causa del caos improvviso che lo circondò, ormai giunto sulla strada. «Wezly!» lo sentì urlare, il forte
accento tedesco ancora più marcato a causa dell’evidentissima ansia. «Penzavo tu non chiamavi mai! Cosa sta
succedendo a Diagon Alley?» gli domandò, alzando esponenzialmente il tono
della voce.
Fred si
guardò per un momento intorno, cercando di comprendere qualcosa in tutto il
caos che lo circondava. «Credo ci siano state minimo due esplosioni, una vicino
al Ghirigoro e l’altra, la più forte, davanti alla Gringott. Ci sono moltissimi
feriti, temo che anche i morti saranno parecchi» avvisò, seguendo con lo
sguardo una ragazzina che non avrebbe potuto avere più di diciotto anni
inciampare e strisciare via con il terrore negli occhi. Doveva aver appena
finito Hogwarts, proprio la stessa età che lui aveva quando la Guerra era
caduta sulle sue spalle e su quelle di tutti i suoi amici e fratelli.
«Miei agenti sono in arrivo, tu vai a vedere cosa
puoi scoprire in frattmpo, ma non farti notare da Auror, tu non zei Banshee»
lo ammonì l’uomo, fulminandolo dall’altra parte dello specchietto con i suoi
minuscoli occhietti di un azzurro annacquato. Il suo tono di voce sembrò
tremolare leggermente alla fine, probabilmente per l’irritazione.
Dopotutto,
non era mai successo che qualcuno rifiutasse la sua proposta con una strillettera pernacchiante.
Ancora si
chiedeva per quale assurdo motivo avesse accettato di renderlo un collaboratore
esterno, piuttosto che limitarsi a cancellargli la memoria e togliere di mezzo
il problema come probabilmente erano soliti fare con tutti i soggetti non
idonei. Hermione aveva detto che il motto delle banshee era “Tieni gli amici
vicino, ma i nemici ancora di più”, cosa che poteva giustificare il disgustoso
numero di psicopatici che potevano essere conteggiati fra le loro fila. Anche
Fred era da considerare fra questi? Troppo utile e pericoloso per restare
ignaro di tutto, ma non abbastanza coraggioso da accettare la proposta? I suoi
pregi dovevano necessariamente superare i suoi difetti.
«Vado a
dare un’occhiata, ma credo che gli Auror siano già arrivati» avvisò il gemello,
chiudendosi la porta alle spalle per assicurarsi che nessuno potesse entrare e
fare del male a George – se non l’aveva seguito nonostante tutto, doveva stare
più male di quanto non avesse immaginato – ed avviandosi allora controcorrente
rispetto alla folla terrorizzata. La bacchetta che teneva in pugno sembrava
notevolmente più calda, quasi avesse percepito il pericolo e volesse mantenerlo
più all’erta possibile. Qualcuno, come lui, stava cercando di raggiungere il
centro delle urla: un paio erano Auror colleghi di Harry, altri erano
probabilmente giornalisti ed era assolutamente certo di aver notato un
Indicibile sparire fra le ombre con aria preoccupata. Il Ministero si era già
messo in moto, ma lui non dubitava del fatto che, nonostante il Supervisore lo
avesse avvisato del prossimo arrivo
delle sue squadre, alcune Banshee fossero già sul posto.
Erano
come dei bravi battitori: sempre nel posto giusto al momento giusto.
Una
bambina, poco lontana da lui, inciampò nella sua fuga, rovinando al suolo con
un tonfo sordo. Aveva dei grandi occhi verdi velati di lacrime, i capelli
castani disordinati a causa della fuga. Intorno a lei, uomini e donne
terrorizzati continuarono a correre, incuranti di quello scricciolo in
difficoltà e sul punto, più di una volta, di schiacciarla. Fred scattò in
avanti, afferrandola per le spalle un attimo prima che un uomo parecchio avanti
con l’età le rovinasse malamente addosso e salvandola, fortunatamente, da
quella che avrebbe rischiato d’essere la sua morte. La strinse al petto,
incurante delle urla belluine del Supervisore che ancora era in collegamento
tramite lo specchietto tornato in tasca, e si spostò velocemente verso il bordo
della strada, nascosto dietro dei barili che erano rimasti al loro posto grazie
ad un incantesimo di protezione simile a quello che lui e George avevano
scagliato contro i Tiri Vispi.
Era
stranamente familiare e la cosa lo stava terrorizzando.
«Voglio
la mia mamma» stava mormorando la bambina, scossa dai singhiozzi, nascondendosi
contro il petto del mago come se non avesse più voluto vedere ciò che la
circondava. «Voglio tornare dalla mia
mamma» pianse più forte, tremando come una fogliolina.
«Va tutto
bene, piccoletta» provò a tranquillizzarla, dandole qualche pacca amichevole
fra i capelli in un blando tentativo di conforto. Lui non era bravo con i bambini tanto piccoli. Mai stato bravo.
Preferiva giocarci e poi rimandarli dai genitori una volta finito il
divertimento. Ma in quel momento non aveva molta scelta, no? Non c’era altro
che potesse fare, se non ingoiare la sua ansia e fare del suo meglio. «Puoi
dirmi il tuo nome, uhm? Così posso aiutarti a trovare la tua mamma».
«Freddie,
dov’è Percy? Percy salva la mamma!».
Con
orrore, Fred realizzò di ritrovarsi faccia a faccia con la figlia di Audrey
Runcorn5.
Audrey,
la fidanzata di Percy e ragazza madre.
Che
lavorava alla Gringott.
«Cazzo».
Aveva
appena fatto in tempo a riportare la bambina al sicuro nel negozio, tirando con
sé due donne con bambini piccoli ed un ragazzo che avrebbe dovuto avere più o
meno la sua età che era stato ferito alla testa, quando George sbucò da oltre
la porta che separava le due zone del locale, pallido ma fortunatamente sulle
sue gambe. Non guardò nessuno, correndo davanti a lui, la bimba tremante ancora
fra le braccia. Non gli disse nulla, perché non fu necessario. Il viso già
sbiancato di George variò verso una tonalità verdognola, avvicinandosi per
stingere la spalla del gemello.
«Sta
bene?» chiese, ansioso, facendo per allungare la mano per sfiorarle la piccola
schiena ma fermandosi a metà strada, terrorizzato. «Dov’è sua madre?» aggiunse,
in un sussurro spaventato. Entrambi avevano in mente, con buone probabilità, il
modo a dir poco disperato con cui Percy aveva reagito alla morte di Ron. Se
avesse perso anche Audrey, l’unica
capace di tirarlo fuori dalla spirale di disperazione che l’aveva quasi portato
sull’orlo del baratro, non sarebbe sopravvissuto. Non poteva perderla. Non
potevano, non quando la bambina stretta al petto di Fred piangeva e cercava
inutilmente sua madre.
«Ho
trovato la piccola a qualche metro di distanza» sussurrò Fred, cullandola
leggermente e sperando di poterla calmare. «Ci sono state almeno due esplosioni
e una certamente alla Gringott. Prendi lei, io torno a cercare Audrey» spiegò,
velocemente, alzando gli occhi al cielo quando George lo fissò come se fosse
impazzito. «Non fare così, sappiamo entrambi che devo andare, prima che Percy si precipiti qui come un animale
impazzito. Mandagli un Patronus, digli di venire in negozio, sono sicuro che la
piccola si fidi di più e probabilmente il potersi rendere utile gli impedirà di
dare di matto subito».
George
scosse il capo, decisamente poco convinto, lanciando nel frattempo uno sguardo
alle altre poche persone che erano al sicuro nel negozio. C’erano altri bambini
che piangevano ed il ragazzo non aveva ancora smesso di sanguinare. Dovevano
essere aiutati. «Freddie, tu non sei
un Auror. Cosa credi di fare, arrivare lì e confonderti in mezzo a loro?».
Quasi
richiamato dalla situazione, lo specchietto usato dal Supervisore iniziò a
vibrare nella tasca del gemello. Avevano bisogno di lui? «Georgie, prendi la
bambina e fidati di me. Non mi metterò in pericolo, me la sono sempre cavata e
continuerò a farlo» lo rassicurò, con un tono decisamente più autoritario.
Stare così spesso a contatto con le Banshee, seppur per brevi periodi, lo aveva
aiutato a tirare fuori il Malocchio Moody che era in lui. «Avverti Percy e
prenditi cura di loro. Non far entrare troppa gente finché loro non saranno al
sicuro, non possiamo sapere chi ha causato le esplosioni, il rischio è troppo
grande» sbottò, piegandosi di lato così da lasciargli sufficiente spazio per
prendere la piccolina.
Il modo
in cui George lo guardò sembrava promettere una lunga discussione, una volta
risolto quel problema. Fino a quel momento aveva potuto nascondere quella parte della sua vita, ma non
c’era modo di tenere a lungo quel segreto, non quando era evidente a lui stesso
che il vecchio Fred non si sarebbe
mai buttato nella mischia da solo. Ma il vecchio Fred era morto nel momento
stesso in cui Hermione era entrata a far parte delle Banshee.
«Vieni,
Eddie» mormorò il gemello senza un orecchio, staccando la piccola tremante dal
fratello, seppur con molta difficoltà. Il modo in cui lei chiamava sua madre
era sufficientemente disperato da spezzare il cuore dei due. «Sta’ attento e se
non la trovi torna subito qui».
Fred
annuì quando già era ad un passo dalla porta. Ancora una volta, la voce del
Supervisore lo raggiunse quasi contemporaneamente alle urla della folla
spaventata.
«ÈObscurus,
le zquadre è arrivate».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Capitolo
FredCentrico, perché io lo amo e volevo dare più spazio a lui ed a Georgie.
Fred non è morto ed è
molto utile, qualcuno dovrebbe dirlo alla Rowling, con Ron fuori dai piedi si
sta molto meglio, non è vero?
#SaveFred
Punti importanti:
» *
- O Morte/
beh io sono la Morte, niente può essere superiore/ Aprirò le porte del Paradiso
o dell'Inferno/ Oh Morte/ Oh Morte/ Il mio nome è Morte e la fine è qui. Ahah direttamente da
Supernatural, perché ancora non c’erano stati riferimenti. Soprattutto perché
la bambina mi fa pensare tantissimo alla prima “incarnazione” di Lilith, il
primo demone.
» 1
– Per chi non l’avesse capito, la bambina
che è diventata Obscurus è anche la stessa bambina Hocrux che Harry vede nel
suo sogno, nei primi capitoli. Tiresias ha convinto Voldemort a “sfruttarla”
così da avere un bambino estremamente magico da poter utilizzare per i suoi
scopi.
» 2
– Qualcuno mi aveva chiesto, in un commento, se Fred avesse davvero rinunciato
al suo ruolo nelle Banshee per colpa di George. La risposta è sì, perché la relazione che esiste fra
gemelli è completamente su un altro livello, specialmente quella fra Fred e
George. Si tratta di un legame spirituale più che biologico, Fred preferirebbe
sapere il fratello al sicuro e non se stesso. L’aver mantenuto il segreto
riguardo la sua collaborazione con le Banshee l’ha torturato per anni.
» 3
– Piccola spiegazione: Fred e George, con i loro esperimenti, tendevano a
far saltare in aria mezza stanza. Per evitare di dover sempre ricostruire tutto
e dar spiegazioni ai vicini hanno lanciato una specie di incantesimo
ammortizzatore sul negozio: tutte le vibrazioni esterne (suono, esplosioni ecc…)
non vengono sentite all’interno e viceversa. L’incantesimo è fatto in modo tale
che, quando il negozio è “chiuso”, soltanto i gemelli possano aprire la porta d’ingresso,
per questo motivo nessuno si è precipitato all’interno, se non invitato
direttamente da Fred. Perché non ha invitato tutti ad entrare e mettersi al
sicuro, se non soggetti scelti personalmente? Perché Fred e George sono stati “addestrati”
da Malocchio Moody. Vigilanza costante.
» 4
- George non è stato scartato dalle Banshee perché stava antipatico al
supervisore. Per quanto la Rowling non abbia detto nulla sulle sue condizioni,
la magia nera che gli ha strappato via l’orecchio ha danneggiato
permanentemente il suo equilibrio, oltre che l’udito. Uno dei più grandi
battitori della storia di Grifondoro oggi non può neppure stare su una scopa
senza cadere giù. È una cosa molto triste ed è il principale motivo per cui
Fred non parla mai di Quidditch, se può evitarlo.
» 5
– Avevo già accennato alla fidanzata di Percy. Sì, so di uscire dal Canon
dandole una figlia che non si chiami Molly o Lucy, ma lasciatemi la licenza. La
bimba mi serve (ed il nome Edelweiss mi piaceva troppo per non usarlo, shhh).
Il
povero Georgie non ha idea di cosa cazzo stia
succedendo, aiutatelo.
AVVISO:
Poiché
in questa settimana (in realtà domani, il 25) ci sarà il mio compleanno,
seguito da altri tre in famiglia, la settimana prossima non ci sarà l’aggiornamento!
Tuttavia, e questo vale per chi
mi segue dalla mia prima ff, potrebbe arrivare
qualcosina collegata all’universo de Lo Specchio. Qualcosa con i piccoli Granger-Malfoy,
perché ho iniziato a buttare giù qualcosina su Alexander e Vivian Malfoy, Albus
Potter e Lucretia Goldstein, con possibili apparse degli altri. Ma è tutto
moooolto ipotetico!
Per chi volesse
dare uno sguardo:
QUI
troverete la long fic da cui tutto ha origine (ed a cui ho fatto mille
riferimenti, troverete anche la prima
versione del Dottor Crave).
QUI
troverete la seconda breve long che segue, in cui appaiono altri personaggi
importanti (e che riprende il ciclo arturiano, perché io sono pazza).
QUI
invece troverete la one shot in cui appaiono già i ragazzi citati (Alexander
Malfoy, Albus Potter, Vivian Malfoy e Lucretia Goldstein), oltre che una
negromante in azione.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 15 *** Atto VI, Parte III - Sotto il Mostro ***
L’Erede del Male.
“You bury me alive,
And everybody's gotta breathe somehow,
Don't leave me to die.*”.
[We are the fallen – Bury me alive]
Atto VI, Parte III
– Sotto il Mostro
C’erano tante cose che George Weasley aveva deciso
di ignorare, nella sua vita. Per esempio, si poteva pensare al fatto che,
mentre lui ed i suoi fratelli fossero presi dai loro dolci sogni, i suoi
genitori avessero ben pensato di fare
sesso. Oppure, George si era rifiutato di pensare cosa avessero potuto fare
le sue clienti affezionate con tutta la pozione d’amore acquistata da quando
avevano aperto il negozio. Ancora, si poteva pensare a tutte le bugie di Fred
che lui aveva semplicemente accettato, convinto che non potessero essere poi tanto terribili, che lui non avrebbe mai
fatto qualcosa di assurdo senza prima
avvisarlo.
In quel momento, tuttavia, mentre quattro persone
praticamente a lui sconosciute1 facevano il loro ingresso nel locale
come se fosse stato casa loro, guidati dal suo disgraziato gemello, George si
pentì terribilmente delle sue scelte di vita, cominciando a credere che Freddie avesse preso parte ad una setta segreta di
Mangiamorte e che quelli fossero i suoi allegri compari, venuti per fare razzia
delle loro scorte. Fortunatamente riuscì a tornare in se
stesso, facendosi da parte e nascondendo la bambina ancora tremante contro di
sé, sperando forse di non spaventarla di più.
«Fred?» provò a chiamare, osservando il fratello
muoversi da un angolo all’altro del locale, parlando con questa o quell’altra
persona, e sembrare effettivamente cosciente di cosa fosse necessario fare in
un momento di tale crisi. Quando riuscì ad attirare la sua attenzione, si
ritrovò ben presto liquidato da una stretta di spalle ed un’espressione di
scuse, un “ne parliamo dopo” ben
chiaro ma non per questo meno fastidioso. La bambina fra le sue braccia –
Edelweiss, che poteva aver perso per sempre la sua mamma – piagnucolò di più,
nascondendo il viso contro l’incavo del suo collo per nulla intenzionata a
lasciarlo andare. «Andrà tutto bene, gnometto» provò
a rassicurarla, con un sospiro.
Con sua enorme sorpresa, la bambina gli rispose
con una calma che non si era aspettato. Certo, il suo concetto di calma, in
quel momento, corrispondeva ad un “sta piagnucolando, ma non sta dando fondo a
tutti i singhiozzi fisicamente sopportabili”, ma non era rilevante. «Non hanno
ancora trovato la mamma» gli disse, palesemente preoccupata. «Se non la
trovano, lei…» provò, arrancando alla ricerca di parole che una bambina di
quattro anni non avrebbe potuto conoscere. Si allontanò dal petto di George
quel minimo necessario a guardarlo negli occhi. «Lei non respira, Georgie. Non respira
se non la trovano».
La pena che strinse il cuore del gemello dovette
giungere anche alla donna poco lontana da loro – l’aveva sentita parlare, il
suo accento sembrava portoghese – che sospirò, portandosi per un istante la
mano al petto. George la vide avvicinarsi di qualche passo, dedicandogli un
solo sguardo imbarazzato prima di piegarsi per poter guardare in viso la
bambina.
«Troveremo la tua mamma, minhamenina»
provò a dirle, accarezzandole la guancia bagnata. «Ci sono tante persone che la
stanno cercando, stai tranquilla» le mormorò, con una dolcezza che George, con
tutta la sua buona volontà, non avrebbe saputo trovare. «Sono una mamma
anch’io,» spiegò poi la donna, sorridendogli leggermente, «ormai ci so fare con
i bambini. E so che la tua mamma farà di tutto per tornare da te» riprese,
tornando a guardare Edelweiss, che scosse il capo.
«No, no»
sbottò, la voce più alta di poco prima, piena di ansia2. Si agitò
fra le braccia di George, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa. O di
qualcuno. «No, mami… lei è nascosta.
Nascosta sotto il mostro con i denti brutti. È cadutoe lei è nascosta sotto. Se non la
trovano, lei non respira» tentò ancora, palesemente in difficoltà con se stessa. Non smise un attimo di cercare, intenzionata a
non arrendersi. «Io l’ho vista, il
mostro brutto è caduto e lei è nascosta sotto e non respira se non la trovano».
George e la donna sconosciuta si lanciarono
un’occhiata confusa e Fred, che era passato giusto lì di lato, si fermò un
istante, altrettanto sconcertato.
«Hai visto dove è caduta la tua mamma? Sei
scappata dopo che è caduta?» azzardò proprio lui, facendo un passetto avanti.
Edelweiss scosse il capo, vagamente irritata. «Non
preoccuparti, sono sicuro che…».
«No!» la
bambina quasi urlò, sporgendosi per prendere il viso di Fred fra le manine
ancora paffutelle. «No, lei è tornata dentro per prendere gli altri bimbi3
ma… se non la trovate, mami non respira. Georgie…»
con tono di supplica, si concentrò ancora sul gemello che la stava stringendo a
sé. «Georgie, il mostro sta cadendo e mami poi non
respira. Sta cadendo! Quando cade,
mami non respira».
La donna portoghese si accigliò. «Il mostro non è
ancora caduto?».
Qualcosa
di terribilmente pesante si schiantò fuori dal camino del negozio, emergendo
come una furia e sputacchiando polvere.
«Eddie! George, dov’è Ed- Oh, grazie a Merlino!» nella migliore fra le sue imitazioni di un
gufo con l’ansia, Percy Weasley si rialzò dal punto
in cui era caduto, precipitandosi in direzione dei fratelli e della figlia
della sua fidanzata, quasi strappandola dalle braccia di George. «Stai bene?
Oh, Merlino, hai tutto il faccino
graffiato» chiocciò4, con voce stridula, praticamente esaminando la
piccolina come se fosse stato un medico, alla ricerca di ferite più gravi dei
graffi che aveva già notato. «Dov’è la mamma? L’hai vista? Sta bene?» le chiese un attimo dopo, tenendola da sotto le ascelle
per sollevarla allo stesso livello del suo viso, gli occhi sgranati per
l’orrore ma l’espressione molto più neutra di quanto George non si sarebbe mai
aspettato. Non aveva prestato interesse agli sguardi confusi dei fratelli,
della donna portoghese o degli altri tre sconosciuti ancora intenti a girare
per il locale, tutta la sua attenzione era focalizzata sulla bambina, quasi
fosse stata un’adulta che avrebbe davvero potuto rispondergli.
«Perce…» tentò Fred,
indeciso e preoccupato, probabilmente, di dover spezzare i sogni del fratello
maggiore facendogli notare quanto quel suo comportamento fosse assurdo, oltre
che sconveniente. «Lasciala stare, è solo una bambina».
«No, non lo è» gli rispose il fratello maggiore,
guardandolo come se fosse stato lui
il pazzo che stava interrogando una bimba di quattro anni.
«In che senso “non lo è”?» domandò invece un’altra
delle tre persone arrivate con Fred e con la portoghese. Si trattava di una
giovane donna estremamente minuta, con un forte accento asiatico. Giapponese,
probabilmente.
«La famiglia di Audrey ha il gene della veggenza,
di solito salta una generazione, quindi Aud non ce
l’ha, ma Eddie sì» spiegò velocemente Percy,
concentrandosi di nuovo sulla piccola. «Puoi dirmi dov’è? Puoi dirmi se sta
bene?» le chiese poi, angosciato.
Il sollievo negli occhi della piccola, quando
finalmente tutti capirono, l’avrebbe
fatto sorridere, se non fosse stato ancora terrorizzato.
***
«Obscurus, senza ombra
di dubbio».
La conferma di Ophelia fece grugnire suo marito,
piegato su un altro cadavere alla disperata ricerca di una prova che negasse
l’affermazione della sua dolce metà. Bartholomew
Maine era un magizoologo esperto, aveva domato
creature di ogni tipo e non aveva paura di alcun tipo di animale. Gli Obscuri, tuttavia, erano un’altra storia.
Non erano
animali, erano persone. E lui non era mai stato bravo con le persone.
Probabilmente era per quel motivo che lui e
Ophelia erano davvero fatti l’uno per l’altra. Lui preferiva le bestie, lei
preferiva i morti: erano nati per stare insieme. Tuttavia, mentre in quel
momento lui avrebbe dato qualunque cosa pur di chiudere gli occhi, riaprirli e
scoprire di essersi immaginato tutto, lei sembrava a mala pena contenere
l’eccitazione. Una volta gli aveva confidato che il corpo ospitante l’Obscurus fosse sottoposto a delle condizioni di
sopravvivenza a dir poco impossibili e che nessuno fosse ancora riuscito ad
esaminarne uno in ottime condizioni. Sua moglie, naturalmente, sperava d’essere
la prima5.
Le
Banshee non sono mai normali, pensò, tentato di ridere fra sé
e sé. Era stata quella la giustificazione che lei gli aveva dato, la prima
volta in cui lui l’aveva supplicata di concedergli almeno un’uscita, prima di
allontanarlo definitivamente. Dovresti
avere paura di me, aveva detto ancora, quando lui era riuscito a
trascinarla quasi di peso al loro ristorante preferito. Noi non siamo adatte alla vita da civili, gli aveva detto, dopo
averlo raggiunto all’altare. Si era impegnata tanto nel tentare di
scoraggiarlo, lui aveva dovuto darle atto, ma mai abbastanza. Non erano riusciti a scoraggiarlo i draghi del
Canada, così timidi da farsi vedere solo una volta ogni centocinquant’anni6,
di certo non ci sarebbe riuscita lei.
Dopotutto,
neppure lui era mai stato tanto normale.
«I medici del San Mungo stanno portando via tutti
i feriti, non dovrebbe esserci più nessuno nella banca» li informò Hermione,
apparsa in quel momento con i capelli pieni di calcinacci. «I folletti si sono
rifiutati di farsi toccare, si cureranno da soli» si lagnò un attimo dopo,
scuotendo il capo. Non c’era dubbio che stesse rimpiangendo il fallito
tentativo che aveva fatto di convincere il Ministro a proporre una nuova legge
per l’integrazione interraziale. Ma, dopotutto, come poteva biasimare Shacklebolt?
I folletti non volevano essere
integrati. La loro idea di integrazione prevedeva gli uomini senza bacchetta e
chiusi nei sotterranei, come loro stessi erano stati costretti a fare per
secoli.
Philly grugnì qualcosa, piegandosi per osservare
una chiazza di sangue su un pezzo di pavimento divelto. «Non prendertela, tanto
a breve inizieranno a lagnarsi per la mancanza d’aiuto» la rassicurò,
esasperata. «Barry, vieni a dare un’occhiata qui, per favore» chiamò un attimo
dopo, accosciandosi per poter osservare meglio la macchia. Quando lui fu
sufficientemente vicino, capì il perché di tanto interesse.
«Beh, cazzo»
fu il suo primo commento, mentre tirava fuori la bacchetta e faceva apparire
dal nulla una fialetta di cristallo. Si vide costretto a chiedere l’aiuto della
consorte per poterla stappare, impedito nei movimenti a causa del suo stupido
uncino. Per l’ennesima volta si trovò a maledire la notte in cui aveva detto
addio alla sua povera mano sinistra: dopo la rabbia nel non poter indossare la
sua fede nuziale, l’impossibilità di aprire i barattoli senza magia era fonte
di grande irritazione per lui e per il suo amor proprio.
Hermione, a sua volta più vicina, si sporse sopra
le loro teste per dare un’occhiata. «Che c’è? Quel sangue ha qualcosa che non
va? A me sembra normalissimo» constatò, accigliandosi. «Beh, io non sono
esattamente un’esperta, quindi potrebbe essere un enorme indizio vagante e non
me ne accorgerei lo stesso» constatò, decisamente non soddisfatta. Non le era
mai piaciuto dover dipendere dagli altri per capire qualcosa.
«Il sangue non ha nulla di sbagliato, Hermione» le
spiegò Ophelia, stringendo le labbra in quel modo tanto delizioso che a suo
marito aveva sempre fatto venire le farfalle nello stomaco. Con
quell’espressione avrebbe potuto tranquillamente parlare di mutilazioni e
cadaveri in decomposizione, a lui sarebbe sembrata comunque la creatura più
bella del mondo. «Non è il sangue che devi guardare, però».
La ragazza più giovane si accigliò. «E allora
cosa?».
«Hermione, il sangue non è abbastanza caldo da
emanare vapore» le fece notare Barry, indicando con la bacchetta lo spazio intorno alla macchia, talmente
incandescente da fumare. Si trattava
di un puro accenno di vapore, non abbastanza da essere notato a distanza non
ravvicinata. Lui non se ne sarebbe reso conto che non si fosse chinato in
avanti, percependo il calore. «E sento un odore agre… credo sia acido».
«Nessuna creatura vivente ha il sangue acido,
Barry» sbottò Ophelia, scuotendo il capo. «Ho letto i tuoi libri e, se mettiamo
da parte il drago peruviano con tre teste, non esiste nulla che possa
giustificare tutto questo».
Aveva ragione, naturalmente.
Non esisteva una singola creatura che fosse nota ai maghi ed alle streghe
contemporanee che potesse creare con il suo sangue una reazione simile.
Quantomeno, non esisteva una creatura che fosse abbastanza piccola da ferirsi e
non scatenare il panico. Quindi si limitò a stringersi nelle spalle,
avvicinando l’ampolla al vapore. «Prenderemo un campione da analizzare in
laboratorio, per adesso è tutto ciò che possiamo fare. Proverò a scrivere allo
zio Newt7, immagino che lui ne saprà più di me».
A quella possibilità, Ophelia si illuminò. «Oh,
sono mesi che non andiamo dallo zio Newt! O da tua nonna, se è per questo. Credi che potrà
prepararmi quegli adorabili dolcetti a forma di Snaso? Merlino, ucciderei per quei dolcetti» si rallegrò, prendendo un
tono pensoso alla fine della frase. Lei e quei maledetti Snasi, erano giorni che lo tormentava! E pensare che
la prima volta in cui li aveva mangiati lui si era convinto che l’uvetta le
facesse pure piuttosto schifo.
Da dietro di loro giunse la voce di Katie,
delicata e soave come sempre. «Parlare di omicidi per amore di un dolcetto
sulla scena di un attentato» sbottò, acida. «Questo è di cattivo gusto anche
per i tuoi standard, Ophelia» le disse, dedicandole un’occhiata raccapricciata,
prima di avvicinarsi a Barry. «Che cos’è che state guardando, tutti quanti?
Avete trovato un passaggio per il caveau di Zabin- Damnù air!8» imprecò
all’improvviso, balzando indietro e tirando con sé anche Barry, tenendolo per
la giacca di pelle e facendolo rovinare penosamente al suolo. La lunga serie di
parolacce in gaelico fitto fitto continuò, mentre lei impallidiva, evitando
bene di guardare in direzione della macchia di sangue.
«Trina, cara,
che cazzo hai?» sbottò lui, accettando la mano di Ophelia per rimettersi in
piedi e fissando la ragazzina come se le fosse uscita un’altra testa. «Smettila
di imprecare, maledizione».
«Hai toccato il sangue?» chiese lei, ignorandolo e
facendosi avanti per afferrarlo per il bavero della giacca e scuoterlo
leggermente. Un istante dopo, lui vide chiaramente le sue pupille dilatarsi e
posarsi su Ophelia. «Tu l’hai
toccato? Oh, lo so che tu l’hai
toccato, non puoi mai tenere le mani in tasca! Fammi vedere» ordinò, spingendo
di lato Barry – con poca grazia davvero, se doveva dirla tutta – e prendendo le
mani della donna fra le sue, esaminandole con estrema attenzione. Un attimo
dopo, i suoi occhi divennero totalmente neri ed il suo viso perse qualunque
lampo di colore avesse mantenuto fino a quel momento. Ophelia rabbrividì
palesemente, ma non si spostò: nessuno di loro due aveva più problemi con la
trasformazione di Katie.
«Posso sapere che accidenti ti è preso?» sbottò
Hermione, facendosi avanti ma stando bene attenta a non avvicinarsi troppo. «Kat?».
Lei la ignorò per qualche istante, continuando
quel suo esame ansioso. La videro accigliarsi per un attimo e poi accennare un
sorrisino strano, ma tornò in se stessa in pochissimi istanti, voltandosi a guardarli.
«Per fortuna non l’hai toccato e non sei stata contagiata. Ti saresti odiata,
se l’avessi fatto» disse alla donna, lasciandola andare con un gesto meno
brusco di quanto ci si sarebbe aspettati da lei. «Preferirei che andassi da un
medico però» aggiunse dopo, nascondendo malamente un sorrisino. «Sai, per
sicurezza».
Philly le dedicò un’occhiata vacua. «Trina, io sono un medico».
«Sì, ma sei incompetente con i vivi, quindi meglio
andare da uno bravo».
Hermione sbuffò. «Allora? Possiamo sapere il
perché di questo teatrino? Devo raggiungere Harry e gli altri Auror a breve, non ho tempo da perdere» le fece notare, le
mani sui fianchi in una vera posizione da generale. Il Supervisore sarebbe
stato fiero di lei, senza ombra di dubbio. Dopotutto, Hermione era la sua
preferita, fatta eccezione per quel Weasley che aveva rifiutato il posto. Cosa
ci trovasse in quel tipo, solo lui lo sapeva.
L’espressione quasi gioviale di Katie cambiò nel
giro di un battito di ciglia. Per quanto adorasse gli altri membri della
squadra, le riusciva ancora difficile essere liberamente se stessa, con loro. Hermione, oltretutto, doveva ricordarle troppo
la sua vita prima. «Quello è sangue
di Negromante» mugugnò, facendo qualche passo in direzione della macchia. «Il sangue
è acido, un repellente naturale per tutte le creature che… uhm… creiamo. Quantomeno, lo è per i
negromanti normali9». La smorfia che fece chiarì che lei non fosse inclusa nel gruppo. «Incubi e Succubi hanno un sangue
naturalmente attraente, è così che richiamiamo i vampiri» aggiunse, in un
mugugno, prima di voltarsi verso Ophelia per fulminarla con un’occhiata gelida.
«Non ti darò un campione del mio
sangue da analizzare, non importa quante volte me lo chiederai».
Philly mise il broncio, incrociando le braccia al
petto. In quel momento, nonostante la distruzione intorno a loro, nonostante le
urla dei medici ed il rumore di palazzi che ancora cedevano, Barry la trovò
meravigliosa. Ancora non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a convincerla a
sposarlo e, in tutta sincerità, pensò che preoccuparsi di scoprirlo fosse
inutile. Era stato incredibilmente fortunato, non si guardava in bocca all’ippogrifo
donato.
«Katie, dai,
solo un’ampolla! Il tuo è praticamente sangue morto… che vive».
«E tu non ne avrai neppure una goccia, Cailleach».
Barry si sentì in dovere di schiarirsi la voce e
fermare quella piccola schermaglia. Si era preso la briga di imparare il
gaelico – Katie tendeva ad usare quella lingua quando non era in sé, capirla e
poterla aiutare con maggiore facilità aveva spinto sia lui che sua moglie ad
imparare – e la consapevolezza che dopo aver tirato fuori quel “vecchia strega”
la ragazzina avrebbe scatenato le ire della sua consorte gli fece tornare in
mente quanto tragica fosse la
situazione. «Signore, rimandate i battibecchi ad un altro momento» le ammonì,
tornando ad indicare la macchia di sangue. «Trina, puoi dirci qualcos’altro?
Credi ci sia qualche Negromante ferito a spasso per Diagon
Alley?».
La bionda arricciò il naso, disgustata. «Cazzo, spero di no. Una goccia di quella
roba può far fuori un uomo adulto. Due ore e il contagiato si ritroverà più
morto che vivo. Senza un negromante capace vicino, non ci sarebbe neppure la
speranza di tornare».
«Tornare?» chiese Hermione, vagamente preoccupata
e confusa.
Katie ebbe il buonsenso di mostrarsi leggermente
in ansia. «Beh, sì, come vampiro. O zombie. Di solito come zombie, non sono in
molti a saper realizzare una conversione completa» mugugnò, incrociando le
braccia al petto. «L'altra...Katrina ci riesce, ma il nostro sangue è parecchio forte, i
Vaduva10 sono una famiglia estremamente antica».
Barry alzò gli occhi al cielo. «Quando finirai di
vantare il tuo pedigree, Trina, ti dispiacerebbe dirci quanto siamo autorizzati
a preoccuparci? Pensi sia davvero a spasso? Dobbiamo dare l’allarme?».
Lei non gli rispose subito, preferendo chinarsi
verso la macchia ed osservarla con maggiore attenzione. Incurante del pericolo
di cui lei stessa li aveva avvisati, allungò la mano a toccare il liquido
ancora stranamente non asciutto. «Credo che, chiunque fosse, si sia
smaterializzato via. Non ci sono altre tracce in giro» mormorò alla fine,
lanciando un’occhiata a Barry ed Hermione. «Ma dubito che si sia trovato qui
per caso. Chiunque fosse, era troppo tranquillo. Credo sapesse
dell’esplosione».
Lui avrebbe voluto chiederle come cazzo facesse a sapere che il negromante
non si era spaventato nell’esplosione. A fermarlo, tuttavia, fu la semplice
realizzazione che, tanto, lei non avrebbe parlato in modo chiaro, facendolo
solo confondere di più. «Potrebbe aver chiuso la ferita. Dopotutto, voi
negromanti siete comunque maghi e streghe».
Katie scosse il capo proprio quando Ophelia
sbuffò.
«I Negromanti non coagulano e non posso usare
magia sul loro stesso sangue» lo avvisò sua moglie, tutt’altro che contenta.
«Una volta lei si è tagliata il dito, abbiamo dovuto usare il fuoco per evitare di farla morire dissanguata» si lagnò,
avvicinandosi a lui per poggiarsi alla sua spalla. «Sono sicura di avertene
parlato, Barry. Devi prestare più attenzione. Forse dovrei farti controllare la
memoria, dopotutto non stai mica ringiovanendo».
«Oh, wow, prima di tutto: scortese. Secondo, scortese.
E terzo, sono piuttosto sicuro di non saperne nulla» il suo sguardo accusatore
si posò su Katie. «Perché non ne sapevo nulla? Se mi aveste detto che rischia
di morire dissanguata al primo taglietto non l’avrei certo portata con me nel
recinto dei draghi, quella volta in cui siamo andati a trovare lo zio Newt».
«Non ne
sapevi nulla proprio perché avresti dato di matto e non mi avresti più portata
con te dagli animali» si giustificò Katie, stringendosi nelle spalle. «Solo il
fuoco chiude le nostre ferite. Secondo te perché io sono piena di cicatrici?
Non è che io non sia brava con gli incantesimi di cucitura» aggiunse, vagamente
offesa da quella che doveva essere stata una implicita mancanza di fiducia da
parte sua.
«Quindi non può essersi allontanato, non senza
lasciare tracce» si intromise Hermione, il tono esasperato, rendendo chiaro
quanto poco le interessasse quella faccenda. «Se si è smaterializzato e, come
ha detto Katie, era anche tranquillo, deve essersi ferito per caso un attimo
prima di darsela a gambe. Forse è rimasto coinvolto nell’esplosione perché si è
fatto male ed ha perso qualche istante per trovare la concentrazione e
sparire».
Katie annuì. «Probabilmente» convenne. «I
Negromanti non vanno in giro senza motivo, sono una brutta razza» aggiunse,
forse parlando più di se stessa che di altri.
«Probabilmente è coinvolto con queste esplosioni, non mi sorprenderei se l’Obscurus fosse un suo grande amicone» si lagnò, scuotendo
il capo. «Si sarà ferito prima dell’esplosione e dopo avrà perso qualche
secondo per smaterializzarsi, ergo la macchia sulle macerie».
«Quindi adesso Tiresias
non ha soltanto un Obscurus ed il più grande
psicopatico del mondo, dalla sua parte, ma anche un negromante» sbottò Barry,
allargando le braccia con aria sconfitta. «Strabiliante, davvero. Cosa, adesso?
Ci spunterà un qualche drago da sotto al pavimento?».
Il sorrisino compiaciuto che Hermione gli dedicò,
in quel momento, lo fece rabbrividire. «Non mi dispiacerebbe ripetere il
viaggio, è stato divertente» disse, stranamente allegra, sussultando quando il
suo specchietto iniziò a tremare da dentro la sua tasca. Quando lo tirò fuori,
per poco non lo fece cadere.
«Hermione!»
urlò colui che Barry riconobbe essere quel Weasley che tanto piaceva al capo. «Sei alla banca? Devi andare a salvare
Audrey, è sotto la statua di Igon lo zannuto, avete
poco più di tre minuti prima che smetta di respirare, non c’è tempo da perdere».
«Audrey, la fidanzata di Percy?»
domandò lei, confusa. «Fred, che diavolo sta succedendo?».
«Fa’ come ti
ho detto, per Merlino!» le disse il giovane dall’altra parte dello
specchio, il panico ben chiaro nella voce. «Avete
tre minuti prima che diventi impossibile salvarla, Edelweiss ha detto che la
troverete sotto la statua se andrete adesso! Dice di averla vista morire».
Il discorso stava diventando parecchio confuso per
i suoi standard, ma Barry decise che, comunque, salvare una vita umana non
avrebbe fatto altro che bene alla sua anima, così iniziò a guardarsi intorno
alla ricerca della suddetta statua, imitato da Katie e Ophelia.
«Edelweiss ha quattro anni, Fred, che diavolo…?».
«Audrey ha
visto l’Obscurus e l’uomo che l’ha aiutato, se non la
salverete nei prossimi due minuti, perderemo il nostro testimone più utile»
la interruppe lui, il tono quasi isterico. «Eddie
è una veggente, Hermione! E dice che vi resta un minuto e mezzo per salvare sua
madre».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Le Banshee sono
solo una famiglia molto, molto
strana.
Punti importanti:
» *
- Mi stai seppellendo viva/ Tutti devono
respirare in qualche modo/ Non lasciarmi morire qui. Credo di aver
già usato questa canzone, ma in questo caso il riferimento era necessario, dai.
Preghiamo tutti per Audrey.
» 1
– Ovviamente ci sono più squadre Banshee, non solo quella di Hermione.
Fred collabora con più di queste, motivo per cui con lui ci sono altri membri.
Sono solo quattro piuttosto che cinque perché il quinto era insieme a Winnie,
vicino alla Gringott.
» 2
– Mi hanno spesso detto che dare dell’ansiosa ad una bambina non ha senso: io
non sono d’accordo. Anche se a modo suo, i bambini sperimentano l’ansia.
Edelweiss, fra tutti, ha parecchi motivi per esserlo.
» 3
– Ricordate, alla Gringott era il giorno “porta
il tuo bambino sul posto di lavoro”, motivo per cui c’erano altri bambini alla Gringott, oltre Eddie.
» 4 –
Vogliamo Percy come Molly Weasley 2.0 ❤, lui ed Edelweiss si
adorano a vicenda da quando si sono conosciuti. La bambina ha potuto vedere
piuttosto bene quanto Percy avrebbe adorato lei e la
sua mamma, nel futuro.
» 5
– Non dimenticatelo mai: in un modo o nell’altro, tutte le Banshee sono particolari. Ophelia è una donna
meravigliosa, dolce e sensibile. Tuttavia è una scienziata, quando pensa di
esaminare il corpo di un Obscurus non pensa ad
esaminare il corpo di un bambino, ma
una semplice prova scientifica.
» 6 –
Ovviamente ho inventato questo particolare, ma l’idea dei timidi draghi
canadesi che vivono in mezzo ai ghiacciai mi ha steso il cuore. Immaginateli,
tutti carini che scivolano sul ghiaccio.
» 7 –
Ebbene sì. Il nostro Barry è nipote di NewtScamandro! Sua madre è AdelineKowalski, figlia di Jacob e Queenie, sorella della moglie
di Newt. Il piccolo Barry è cresciuto insieme al
prozio, innamorato di tutte le bestie pericolose. Newt
è innamoratissimo di Ophelia, anche se è rimasto un po’ sconcertato dal fatto
che lei si fosse offerta di fare l’autopsia a una bestiola morta.
» 8 –
Si tratta di una imprecazione, un “porca puttana”, più o meno. Quando presa
dall’ansia, Katie passa subito all’irlandese.
» 9 –
Cerchiamo di comprendere ancora qualcosa su Katie. Non esistono solo “negromanti”
in generale, ci sono razze, come per
tutti gli animali. Sono differenti a livello genetico, non è un uso del termine improprio, come quando lo si usa
per indicare il colore della pelle. La “sottorazza”
di Katie è quella dei Succubi (versione femminile degli Incubi), più forti
perché più capaci di recuperare vittime grazie alla capacità di sfruttare la
libido (ma in generale, le emozioni) di chi le circonda. Il loro è un sangue
apparentemente dolce ma ovviamente acido e pericoloso allo stesso modo. Per
qualunque domanda, sono disponibilissima 😉 E il prossimo capitolo
sarà ancora più incentrato su questi aspetti!
» 10
– Ramo materno della famiglia di Katie, di origine Rumena. Katie non ha mai
avuto rapporti con loro, si è sempre proclamata come Irlandese convinta ma,
ehi, la famiglia è famiglia.
Percy Weasley #MammaChioccia.
Avviso:
lunedì prossimo dovrei avere esami,
quindi l’aggiornamento potrebbe slittare di qualche giorno! Pensatemi, questo è
uno degli esami più brutti ed io sono morta
di paura.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 16 *** Atto VII, Parte I - L'interrogatorio ***
L’Erede del Male.
“I wanna
hide the truth
I wanna shelter you
But with the beast inside
There’s nowhere we can hide.*”.
[Imagine Dragons - Demons]
Atto VII, Parte I
– L’Interrogatorio
Harry stava per avere una crisi di nervi. La
sentiva. Era lì, proprio all’angolo della sua mente, in attesa che lui perdesse
quel minimo di controllo e che si lasciasse andare in una pozza di rabbia e
lacrime trattenute per quattro anni. Togliersi gli occhiali e pizzicarsi la
radice del naso ebbe un effetto quasi inesistente sul suo mal di testa,
spingendolo a sospirare con la sconfitta nel cuore.
Se nei due giorni precedenti era riuscito a
digerire la presenza delle Banshee, soprattutto perché era stato lui a intromettersi nel loro lavoro e
non l’opposto, in quel momento stava rimpiangendo qualunque pensiero positivo
avuto nei loro confronti, ragionando su quanto
grave sarebbe stata la sua posizione se avesse deciso di ammazzarne un paio a
caso. A caso, nel senso che avrebbe
volentieri strangolato Hermione e Winter. Gli altri due, fortunatamente, erano
rinchiusi in qualche sotterraneo assurdo, per nulla intenzionati a dargli
fastidio, e Katie era ancora impegnata a Diagon Alley1.
E lui ne era grato, davvero.
«Per l’ennesima volta, Hermione» sbottò lui,
guardando la sua migliore amica come se fosse stata la fonte di tutti i dolori
della sua vita. «Non potete fare irruzione nella nostra aula interrogatori, non
avete l’autorizzazione. No, non mi
importa se praticamente sei il Capo del mio Capo, questa è una nostra indagine e saremo noi a dirigerla, con i nostri mezzi» mugugnò, indicando con un
cenno del capo Winter, in quel momento seduta alla scrivania di un estremamente
servizievole Dawsons, che le aveva portato anche una
tazza di tè e dei biscottini. Il bastardo
era andato a comprarli pur di renderla felice. Probabilmente non aveva idea
che lei potesse friggergli in cervello con un battito di ciglia.
La giovane Banshee lo fissò scandalizzata, dalla
sua posizione arretrata rispetto Hermione. «Non è una cosa carina da pensare!
Non farei mai una cosa del genere ad una persona gentile come il caro Wilfred»
sbottò, portandosi la mano al petto con fare drammatico. «E comunque, noi siamo
davvero il Capo del tuo Capo, nulla
che tu possa dire o fare ci impedirà di entrare in quella stanza ed interrogare
personalmente tutti i testimoni» lo ammonì, scuotendo il capo ma riacquistando
il suo sorriso.
«E noi siamo più veloci, oltre che efficaci»
puntualizzò Hermione, tranquilla, liquidando il suo tentativo di lamentarsi con
un gesto vago della mano. «Coraggio, Harry, fatti da parte. Sono solo cinque
persone, non ci metteremo più di venti minuti» aggiunse, dandogli una leggera
pacca sulla spalla, con fare incoraggiante. «Potresti andare e fare una
telefonata a Ginny, no? So che hai fatto installare
il telefono a Grimmauld Place e so anche che non vi vedete da quasi tre giorni2.
Non vorrai certo che lei e i bimbi si sentano abbandonati!».
Il
trucchetto del senso di colpa, eh?
«Oh, Hermione è una maestra con quello» rise Winnie,
alzando gli occhi verdi al cielo. «Una volta ha convinto Katie a mangiare i
suoi broccoli ricordandole che qualche contadino aveva perso fatica e salute
per farli arrivare sulla nostra tavola. La nostra povera Trina si è sentita
così a disagio da mangiare anche la porzione di Barry».
Con le sopracciglia inarcate, Harry si voltò in
direzione della sua migliore amica, chiedendo spiegazioni senza dover neppure
aprire bocca. Lui ricordava piuttosto bene l’avversione di Katie per le
verdure, ma nessuno si era mai sognato di dirle alcunché. Hermione era arrivata
ad usare i suoi trucchetti anche su qualcuno capace di ucciderla con un
semplice tocco?
Lei gli dedicò un sorrisino imbarazzato. «In mia
difesa, non aveva fatto altro che mangiare pizza per una settimana intera. Se
non l’avessi convinta, probabilmente le sarebbe venuto qualcosa di brutto. Non
potevamo certo permetterlo» spiegò, stringendosi nelle spalle. «E comunque, è
vero che qualche contadino probabilmente avrà perso le sue forze per far
crescere le verdure».
«Le Banshee hanno il loro orto, non possiamo
rischiare di essere avvelenate».
«Ma questo Katie non deve saperlo».
Le due donne si lanciarono un’occhiata divertita,
per poi scoppiare a ridere. Sembrava quasi che il dramma di qualche ora prima non
fosse mai accaduto e che non ci fossero morti ancora da contare. La loro tranquillità era disturbante, ma, nel profondo del
suo cuore, Harry non se la sentì di prendersela: avevano vissuto così tante
situazioni tragiche da aver imparato a lasciarsi tutto alle spalle.
«No, non alle spalle» intervenne Winnie,
stranamente gentile, quasi cauta. «Ognuno di quei cadaveri ha un valore, per
noi. Tutti ce l’hanno. Ma non abbiamo il
tempo di essere oltraggiate3. Possiamo restare qui a piangere, a
scrivere parole e parole in memoria di quelle povere anime, oppure possiamo andare avanti e aiutare altre persone in
pericolo». Abbassò per un momento lo
sguardo e, quando lo rialzò su Harry, i suoi occhi erano grigi ed immagini
della Battaglia di Hogwarts cominciarono ad affollarsi nella mente di lui, come
se lei le stesse richiamando. «Abbiamo perso molte battaglie, ma la guerra è infinita».
Le immagini, per un momento, lo soffocarono.
Sirius
era caduto.
«Winnie, forse è meglio che tu ti fermi. Non mi
piace quel suo sguardo».
Remus e Tonks uno vicino all’altra, Teddy
orfano a casa.
«Non sono io, Hermione. Sta facendo tutto da
solo». C’era ansia nella voce della Legilimens, quasi panico. Stava vedendo
anche lei?
Ron.
«Harry!» urlò Hermione, avvicinandosi a lui per
afferrargli le spalle e scuoterlo violentemente, assestandogli un ceffone
abbastanza forte da fargli voltare il viso di lato e fargli venire le lacrime
agli occhi. «Questa è tutta colpa di Crave! Gli avevo detto che usare un incantesimo bloccante
non avrebbe fatto altro che creare altri problemi4» ringhiò,
afferrandolo più forte ed avvicinandolo a sé, fino a stringerlo in un abbraccio
soffocante e costringerlo a nascondere il viso contro la sua spalla. Lo stava
cullando, forse a causa delle lacrime.
Quando
aveva iniziato a singhiozzare?
Non riusciva a capire cosa accidenti stesse
succedendo. Non riusciva a capire per quale motivo il dolore al petto fosse
talmente forte da mozzargli il respiro in quel modo. Era assurdo, no? Stava bene, era sicuro di star bene. Non aveva più
avuto incidenti del genere da oltre sei mesi, da quando Lipsia aveva quasi
messo fine a tutto. Non aveva senso quel suo comportamento e la sua confusione
non faceva che farlo sentire ancora peggio, ancora più spaventato.
«Winnie».
«Ci penso io».
Fu un istante, forse anche meno. Un momento prima
sentiva il cuore sul punto di scoppiare, quello dopo era come se nulla fosse
successo, come se qualcuno avesse chiuso il Vaso di Pandora che era il suo
cuore, rinchiudendovi dentro tutti gli orrori che aveva vissuto e che presto
sarebbero tornati a chiedere il prezzo di quella tranquillità. Con una calma
che non gli apparteneva, si raddrizzò – senza allontanarsi dalla stretta di
Hermione – e si pulì le guance bagnate, guardandosi intorno per scoprire in quanti
avessero assistito alla sua piccola sceneggiata. Fortunatamente, nessuno sembrò
interessarsi a lui più di tanto.
Con lentezza, si separò dalla sua migliore amica e
la osservò. Perché l’aveva abbracciata?
Aveva tentato di convincerla a non interrogare i suoi testimoni? Non doveva aver funzionato molto bene5.
Avrebbe potuto lasciarle interrogare qualcuno, no?
C’erano cin-
Cinque?
«Hermione, i nostri testimoni erano almeno
ottanta» le fece notare, accigliato e tentato di mettersi a sbattere la testa
contro il muro. «Lì dentro devono essercene almeno dieci, non cinque. E gli altri sono nella sala d’attesa».
Lei sembrava preoccupata, ma non per il numero
sbagliato di testimoni. Winter, alle sue spalle, si schiarì rumorosamente la
voce, sorseggiando il suo tè.
«Oh, mentre tu ed il tuo capo interrogavate il
vostro primo gruppo, noi abbiamo sistemato gli altri. Erano una cinquantina, in
un’ora abbiamo fatto tutto» spiegò Hermione, stringendosi nelle spalle. C’era
una chiazza sulla sua camicia, che ci avesse rovesciato qualcosa sopra? Non era
mai stata tanto distratta.
«Avete… avete interrogato cinquanta persone in
un’ora?» chiese, sconvolto, fissandola come se le fosse spuntata un’altra
testa. Se anche avessero utilizzato le capacità di Winnie, lei non ce l’avrebbe
fatta da sola. «Hermione, hai per caso torturato
i miei testimoni?» chiese, con un filo di voce, sentendo un brivido gelido scendere
lungo la sua spina dorsale, come la carezza di un dissennatore.
Era l’unica spiegazione, davvero: solo così avrebbe avuto la certezza di
ottenere la verità, senza utilizzare la Legilimanzia.
Lei lo fissò come se fosse impazzito. «Ovviamente no, Harry, che diavolo!»
sbottò, allargando le braccia. «Non si usa la tortura negli interrogatori dei
civili, è buonsenso» gli fece notare, scuotendo il capo. «Ho solo dato loro del
Veritaserum, come ogni persona normale avrebbe
fatto».
Harry tornò a pizzicarsi la radice del naso,
esasperato.
«Hermione, è
illegale».
«Non lo è per il diritto svizzero» cinguettò,
allegra, Winnie. «Dovunque siano presenti le Banshee, allora quello appilcato è solo
diritto svizzero. «Tecnicamente, sei tu
ad essere fuori dalla tua giurisdizione, adesso».
Harry aveva bisogno di una vacanza.
Immediatamente. Che andassero a farsi fottere l’Obscurus,
Tiresias e tutti gli altri.
«Vado da Ginny, fra
venti minuti voglio vedere i rapporti».
«Portale della cioccolata!» chiocciò Hermione,
allegra, salutandolo con un gesto della mano mentre si dirigeva, sconfitto,
verso l’uscita dell’ufficio.
***
Lasciare gli interrogatori alle ragazze si era ben
presto rivelata un’azione molto intelligente da parte sua. In meno di trenta
minuti erano riuscita a scucire di tutto a quelle ultime cinque persone e,
poiché erano state fin troppo precise, avevano anche scoperto il colpevole di
una bisca clandestina di Gobbiglie che si era trovato
alla Banca per intascare il risultato delle sue ultime scommesse. L’uomo, gli
occhi spalancati all’orrore di aver rivelato il suo oscuro segreto, aveva
guardato Harry con disperazione e gli aveva chiesto se quelle donne fossero umane.
Harry non aveva saputo rispondere.
«Credi sia saggio? Audrey non si è ancora
svegliata» stava domandando Hermione a Katie, sul volto una maschera di
preoccupazione e ansia. «La bambina ha solo quattro anni, anche se Fred ci ha
assicurato che il suo potere l’ha resa molto matura, non credo sia opportuno
interrogarla senza sua madre presente» continuò, sistemandosi nervosamente il
mantello rosso sulle spalle. Aveva dovuto indossare la divisa Banshee completa
per recarsi in ospedale, così come Harry aveva dovuto mettere in mostra il suo
distintivo. Le formalità erano state inserite per essere rispettate e neppure
loro sarebbero stati graziati dal nuovo direttore dell’Ospedale, un rigido uomo
scozzese con folti baffoni e occhietti cattivi.
In realtà il Dottor Brunwald
non era una persona orrida, tutt’altro: le poche volte in cui Harry aveva avuto
modo di parlargli si era ritrovato piacevolmente sorpreso dalla sua gentilezza
e dalla sua intelligenza nella sua materia di competenza. Tuttavia l’essere un buon medico non era stata l’unica
caratteristica che l’aveva portato alla sua posizione attuale: era rigido come
un orologio svizzero e flessibile come una barra di metallo. Niente e nessuno
avrebbe infranto le regole dell’Ospedale finché lui ne fosse stato a capo.
Certo, tutte le morti accidentali che c’erano
state durante la guerra e che si erano realizzate solo a causa della poca cura
del personale erano dei precedenti di cui lui avrebbe certamente tenuto conto. Nessuno
avrebbe mai potuto biasimarlo, non quando era ancora costretto a pagare i
debiti che l’ospedale aveva contratto con le diverse famiglie i cui cari erano
stati brutalmente uccisi.
«La ragazzina è una veggente» si intromise Katie,
annoiata, guardandosi intorno come se avesse avuto paura che qualcosa sbucasse
da dietro un angolo per attaccarla. Aveva dovuto prendere il posto di Winnie,
perché un ospedale non era di certo il luogo più adatto per una Legilimens
potente come lei. Avrebbe rischiato di impazzire nel giro di pochi minuti.
«Probabilmente saprà già che stiamo arrivando, quindi non fare tutte queste
sceneggiate. Oltretutto, abbiamo già il piano legale di riserva, no?».
Harry non aveva la più pallida idea di cosa stesse
parlando, ma, se doveva esser sincero con se stesso, non è che gli importasse
un granché. Si era unito a loro soltanto su insistenza del suo capo, che
avrebbe dovuto preparare un verbale della collaborazione delle Banshee e che
non si fidava a lasciare loro tutto il controllo della Missione. Dal canto suo,
Harry avrebbe preferito tornarsene a casa e restare una nottata intera fra le
braccia della sua futura moglie per sentire i calci dei suoi bambini. Per
troppe volte, negli ultimi due giorni, aveva rischiato di non tornare indietro
e non aveva intenzione di provare più quell’orribile sensazione.
Non che
avesse molta scelta, al riguardo.
«Stanza diciassette, ci siamo» comunicò Hermione,
indicando la porta chiusa davanti a loro. Non sembrava provenissero rumori
dall’interno, ma era piuttosto normale considerando la situazione. Harry si
fece avanti per bussare, consapevole che sarebbe stato meglio farsi vedere per
primo, così da non spaventare gli occupanti svegli. «Mi raccomando, non fare la
tua solita espressione da alcolizzato confuso» lo ammonì la sua più cara amica, indicando il suo stesso
sorriso. «Una presentazione adeguata ci farà risparmiare moltissimo tempo!».
Al diavolo.
Harry fece del suo meglio, davvero. Non sorrise
troppo, perché probabilmente lo avrebbero preso per idiota, ma cercò comunque
di allontanare le nuvole dalla sua espressione, mostrandosi più rilassato di
quanto in realtà non fosse. Aperta leggermente la porta, fece capolinea solo
con la testa, all’inizio, così da poter dare un’occhiata. Sul letto al centro
della stanza c’era Audrey, ancora addormentata ma fortunatamente fuori
pericolo, i lividi ormai quasi totalmente spariti e le ossa rotte ormai sanate.
Accanto a lei, come una macchietta rossa e spettinata, c’era il suo futuro
marito, Percy, che doveva aver appena smesso di
leggere un libro di fiabe per la terza occupante – nonché motivo della loro
visita – e unica bambina, Edelweiss. La piccina ricambiò il suo sguardo quasi
immediatamente, sorridendogli e salutando con la manina paffuta.
«Stai attento quando entri, lì cadi» lo avvisò,
indicando distrattamente un punto imprecisato davanti a lui. Avrebbe volentieri
perso qualche istante per controllare e sfruttare il suggerimento, se una fin
troppo impaziente Katie non avesse deciso che aspettare fuori non fosse di suo
gradimento, spingendolo con un colpo in mezzo alle spalle e facendolo scivolare
su quella che aveva scoperto essere una pozza d’acqua. Edelweiss sospirò,
scuotendo la testa. «Io te l’avevo detto».
«Cosa ci fate qui?» si intromise Percy, osservando Hermione fare il suo ingresso e chiudersi
la porta alle spalle, mentre una per nulla pentita Katie aiutava Harry a
rialzarsi, tirandolo come se fosse stato un sacco di patate. «Aud non si sveglierà prima di qualche ora, non credo
possiate interrogarla in qualche modo, in questo stato» constatò l’ovvio,
facendo cenno alla bambina che non si arrampicasse sul letto e disturbasse così
la sua mamma. I suoi occhi erano arrossati, ma non stava piangendo. Aveva
mantenuto la calma in quelle ore, probabilmente per amore di quella stessa
bambina che in quel momento si stava tirando sulle sue gambe.
Chi
l’avrebbe mai detto che fra tutti lui avesse ereditato il talento con i bambini di Molly?6
«Scusaci per l’interruzione, Percy»
disse Hermione, cercando di apparire quanto più tranquilla possibile e tentando
anche di sorridergli con gentilezza. «Non è per Audrey che siamo venuti, ma per
Edelweiss» aggiunse, facendosi avanti fino ad essere la più vicina fra i tre.
La bambina la stava osservando con curiosità, lo sguardo stranamente vacuo. «Ci
rendiamo conto che questo non sia il momento migliore, ma il tempo va contro
tutti noi e davvero non abbiamo neppure un momento da sprecare. Questa bella
signorina,» mormorò, facendole l’occhiolino, «potrebbe essere la risposta a
molti dei nostri problemi».
Percy la fissò
in silenzio per un lungo istante, prima di abbassare lo sguardo su Edelweiss.
«È per questo che non sei voluta andare con nonna Molly, quindi» mugugnò,
scuotendo il capo. «Davvero, se vedi qualcosa dimmelo, i trucchetti di questo tipo non mi piacciono affatto, lo
sai» aggiunse, esasperato.
«Mamma dice che non devo raccontare quello che
vedo, se non mi chiedi» fu la semplice risposta della bimba, che si strinse
nelle spalle prima di voltarsi verso Katie. «Mi piacciono i tuoi occhi».
Lei, confusa, si accigliò. «Grazie gnomo, anche a
me piacciono i tuoi» le disse, seppur con una certa esitazione. Non doveva
essere abituata ai complimenti.
«No, non questi occhi, quegli altri» specificò
allora Edelweiss, allargando le manine davanti al viso con fare teatrale.
«Quelli tutti neri che fanno venire i mostri! Sono belli, mi piacciono».
Con la stessa velocità con cui si era parzialmente
rilassata, Katie tornò ad irrigidirsi. «Quelli non sono i miei occhi».
«Hai ragione» convenne la bambina. «Quelli sono
gli occhi di-».
«Abbiamo bisogno di chiedere il tuo permesso,
prima di interrogarla» si intromise Hermione, impedendo alla bambina di
continuare. «Essendo una minore, non possiamo certamente sottoporla ad alcun
tipo di domanda se non con l’autorizzazione di un genitore o di un tutore»
continuò, allargando le braccia. «Tu e Audrey siete sul punto di sposarvi,
giusto?».
Percy si
accigliò, tirando fuori un’espressione che Harry aveva già visto in faccia a
Molly in più di una occasione. «Ti avremmo invitata, se tu non ti fossi data
per morta in questi anni, Hermione»
le fece notare, vagamente irritato ma non risentito. «Comunque sì, abbiamo già
firmato i documenti al Ministero, manca solo la cerimonia, fra un paio di
settimane».
Hermione ebbe il buon gusto di imbarazzarsi, anche
se Harry riuscì immediatamente a notare la falsità del suo comportamento. Non
era davvero pentita di essersene andata, ma non poteva spiegare a Percy il perché.
Stavo
morendo anche io!
«Quando avete firmato i documenti, Audrey ha depositato
una nomina a tutore a tuo nome» lo avvisò, cercando nella sua borsa fino a
tirar fuori la copia di un documento ufficiale. «È una fortuna che l’abbia
fatto, altrimenti sarebbe stato un problema enorme per noi, non essendoci altri
parenti reperibili per fare le veci della madre».
Gli occhi azzurri di Percy
si calarono su Edelweiss, che sorrise con innocenza.
«Immagino che fosse tutto previsto da settimane»
sospirò, scuotendo il capo. «Fate pure, ma non lasciatevi ingannare da questo
bel faccino, le veggenti sono creature mitologiche, amanti degli inganni e dei
trabocchetti. La loro stazza non cambia la loro furbizia».
Harry non riuscì a non ridacchiare. «Perce, la Cooman è una veggente».
«La Cooman è una
alcolizzata, non tirare fuori questi esempi davanti alla bambina!».
***
«Vuoi un altro biscottino, Eddie?» le chiese
Hermione, con un sorriso, mentre la bambina placidamente seduta sulle gambe di
Harry colorava distrattamente su un foglio bianco. Da quando l’avevano portata
nell’ufficio della Caposala per avere un po’ di tranquillità, lei non aveva
fatto altro che concentrarsi sul suo “capolavoro”, ignorandoli quasi
totalmente.
«No, se ne mangio un altro poi mi fa male il
pancino» le rispose, stringendosi nelle spalle. «Devi farmi le domande, altrimenti
io non posso dirti niente. Mamma mi ha fatto promettere» aggiunse, con
un’espressione corrucciata.
Harry strinse le labbra, preoccupato. Era la
seconda volta che lei faceva riferimento ad una promessa che sua madre le aveva fatto fare riguardante il non
rivelare profezie non richieste. Possibile che le avesse fatto fare un Voto Infrangibile? Era piuttosto certo
che ci fosse una legge che vietasse simili procedure sui minori, doveva averla
letta di sfuggita durante il corso di preparazione Auror.
Era una di quelle leggi che lui aveva considerato “ovvie”, anche se in
quell’istante la possibilità non gli sembrò poi tanto assurda.
Hermione annuì, facendo cenno a Katie affinché si
avvicinasse, ma lei negò. Da quello strano scambio sui suoi occhi, si era
rintanata in se stessa e non sembrava interessata a partecipare più di tanto
alla discussione. Doveva essere un comportamento normale per lei, vista la tranquillità di Hermione nel darle le
spalle ed iniziare a darsi da fare. «Sai già cosa voglio chiederti?».
Edelweiss annuì, cambiando pennarello ma senza
alzare lo sguardo con la donna. «Vuoi chiedermi chi è la persona cattiva e io
posso dirti che la persona cattiva è strana» mormorò, le sopracciglia aggrottate.
«Certi giorni sembra una signora, altri giorni sembra un signore. È sempre con
una bimba con gli occhi neri» aggiunse, voltandosi verso Harry. «A me non
piacciono i suoi occhi, Harry. Non sono belli come i suoi7» disse,
indicando con un cenno Katie, che rabbrividì.
«Tiresias» sussurrò
Hermione, annuendo fra sé e sé. «Con loro ci sono anche altre persone, Eddie?
Persone con gli occhi neri come quelli di Katie?» chiese, con dolcezza,
piegandosi per cercare di incontrare lo sguardo della piccolina, tutta presa
dal suo disegno.
Quando lei scosse il capo, entrambe le Banshee si
raddrizzarono, scambiandosi un’occhiata confusa.
«Kat, hai detto…».
«Sono sicura di quello che ho visto» la
interruppe, vagamente irritata. «Hermione, conosco il sangue di quelli della
mia specie. Quella roba puzzava di morto in modo quasi disgustoso, apparteneva
ad un negromante, uno piuttosto potente» sbottò, arricciando il naso. «L’unica
cosa che non mi convince è la quantità, quella macchia era troppo piccola, noi
tendiamo a sanguinare parecchio ed anche velocemente. Magari non ha ancora
vissuto la sua… uhm… Transitio,
la trasformazione, credo di poterlo tradurre così» provò a spiegare, passandosi
una mano fra i capelli.
Harry riusciva a seguire a stento il loro
discorso. Aveva sentito qualcosa riguardo del sangue acido da negromante sulla
scena del crimine, ma evidentemente gli mancava qualcosa. Soprattutto perché
lui aveva visto Katie sanguinare spesso, durante gli anni scolastici, e di
certo non aveva mai sanguinato acido.
«Quindi potrebbe essere un negromante non ancora…
attivo?» azzardò Hermione, tornando a guardare a bambina con aria pensosa.
«Forse» rispose Katie, senza sembrare molto
convinta. «La maggior parte di noi conosce le proprie origini e le abbraccia
fin dall’infanzia, cambiando subito.
Altri, come me, si ritrovano a subire un cambiamento tardivo ed il loro sangue
è normale, forse un po’ più
puzzolente o, nel mio caso, profumato.
Ma sanguiniamo come tutti gli altri e coaguliamo tranquillamente finché non
subiamo la nostra Transitio.
Qui, invece, abbiamo qualcuno con il sangue già acido ma palesemente non
attivo, non se lei non l’ha visto»
aggiunse, indicando la bambina.
«Eddie» Harry decise fosse giunto il momento di
rendersi utile. Il loro tempo con la bambina non era infinito, così come non lo
era quello di inattività dei loro nemici. «C’è qualcuno con il signore cattivo
e la bambina, giusto? Ci sono altre persone che li aiutano, ma qualcuno li
aiuta di più o è più pericoloso, non
è vero? Tu sai dirci chi è? Puoi descriverlo?» le chiese, cercando di
specificare bene cosa volesse sapere. Aveva imparato la sua lezione con le
veggenti quando era solo al terzo anno.
Edelweiss annuì, cauta. «Lui è uno solo, però è
anche tanti» mormorò, un brivido nella voce. «Lui è vecchio, però è anche più
vecchio. Il signore cattivo ha paura di lui, però riesce a controllarlo. La
bambina ha paura di lui e anche lui
ha paura».
«Di chi ha paura?» azzardò Hermione, tornando al
suo tono delicato da mammina, sperando forse di poter tirare via qualcosa di
meglio dalla bambina confusa che Harry teneva fra le braccia. Lui si sentì il
cuore a pezzi: essere così piccola, conoscere tante cose e non sapere come
esprimerle doveva essere terribile.
«Di… di lui»
provò a dire la piccola, portandosi una mano al petto. «Lui ha paura… di lui».
«Ha paura di se stesso?» chiese Katie, accennando
un sorriso amaro quando la bambina annuì, sollevata. «Forse sa di essere un negromante, spiegherebbe
questa paura. Ma cosa significa che lui è tanti?».
«È tanti». Edelweiss si strinse nelle spalle, non
intenzionata, apparentemente, ad aggiungere altro. «Dovete trovare il libro,
perché il signore cattivo lo sta cercando, ma non riesce a vederlo, invece io
sì» disse, con un sorriso a dir poco immenso. «Lui non può vedere, perché è in
castigo, io invece no. Lui non vede
quelli come te» aggiunse, indicando Katie con l’indice.
«Lui non vede… i negromanti?» chiese Harry,
sorridendo soddisfatto quando lei annuì.
«Deve essere a causa della Maledizione» convenne
Katie, vagamente ammirata. «Una tutela per impedire che lui possa raggiungere
il libro e riportare indietro Sisifo completamente… una mossa intelligente. Mi
sento sollevata, quel vecchio matto non può vedermi». Palesemente divertita, si
calò alla stessa altezza di Edelweiss. «Allora, gnomo, puoi dirci dove trovare
questo libro?».
«Dovete prenderlo prima che la luna si nasconde
tutta» avvisò la piccola, con una smorfia. «Quando la luna si nasconde, l’uomo
cattivo aiuta il signore che ha paura e allora… allora moriamo tutti. Devi
prendere il libro».
Katie sibilò qualcosa, voltandosi in direzione di
Hermione. «La luna nuova di marzo, la chiamano luna sanguinis, è l’anniversario della
prima venuta di Sisifo,
l’anniversario del suo momento di massima gloria e della sua caduta, è la notte
in cui il confine fra vita e morte è quasi inesistente. Ho idea che Tiresias voglia sfruttare il potere della magia di quel
negromante inconsapevole che si trova con lui per cercare di tirare fuori
Sisifo, quantomeno per il tempo necessario a recuperare il Libro, così da
aiutarlo poi in modo definitivo».
Harry cominciava a non capirci più nulla, ma
quello, dopotutto, non era il suo campo. Avrebbe fatto bene a continuare a
tenere d’occhio Edelweiss, altrimenti Percy avrebbe
dato di matto.
«Piò farlo tornare? Non definitivamente? Credevo
che fosse dannato per l’eternità» chiese Hermione, accigliata, tirando fuori il
suo taccuino ed iniziando a scrivere furiosamente. «Avresti dovuto dirmi tutto
questo prima, Katie».
L’altra scosse il capo. «Non… non si tratta di
tratta di argomenti facili, per noi. Siamo condizionati fin dall’infanzia a
tenere la bocca chiusa. Solo perché mia madre credeva che io non avessi ereditato
il gene, come lei, non significa che non abbia perso il suo tempo per mettermi
in guardia. Le storie di Sisifo sono i peggiori spauracchi per noi» mugugnò,
mettendosi le mani in tasca e stringendosi nelle spalle. «Te l’ho detto, lui è
stato Caligola, De Rais, Dracula… non stavo scherzando. Tiresias
è sempre riuscito a farlo tornare, in un modo o nell’altro. Nessuno sa come o
perché, è passato troppo tempo e
l’ultima traccia è stata quella di Jack lo Squartatore, che nessuno ha mai potuto avvicinare. Di
solito sono fenomeni temporanei, varia da pochi mesi a qualche ora, ma torna sempre e fa in modo di essere
ricordato, prima di essere inghiottito di nuovo nella sua prigione eterna».
«Come un Herpes» fu il commento, forse un po’
idiota, di Harry. Si sorprese quando la negromante, piuttosto che ridergli in
faccia, annuì.
«Il peggiore Herpes della storia» concordò lei,
voltandosi a guardare Edelweiss. «Puoi dirmi dov’è il libro, gnomo? Devo
arrivarci prima della luna sanguinis».
Con un sorriso enorme, Edelweiss allungò il
disegno nella sua direzione. «Ecco! Il libro è qui dentro».
Sul foglio pasticciato, era possibile distinguere
l’ingresso di quella che doveva essere una caverna, con un uccello nero sopra
l’ingresso. Piuttosto inquietante, per essere il disegno di una bimba
generalmente solare come Edelweiss.
«L’Ingresso dell’Inferno» mugugnò Katie, che
sembrava aver riconosciuto immediatamente il posto. «Le Caverne di Ade, sono in Romania».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Il mio esame è
fortunatamente stato superato, ma credo di non aver mai avuto tanta paura in
vita mia! Ho conosciuto la versione universitaria di Dolores Umbridge e in questo momento mi sento miracolata.
Oh, il prossimo capitolo
tornerà Malfoy. Con Katie.
Preparatevi.
Punti importanti:
» *
- Voglio nascondere la verità/ Voglio
proteggerti/ Ma con la bestia all’interno/ Non c’è nessun luogo in cui
nasconderci. Il povero Harry ormai è giunto al punto di rottura. E
tutti i segreti che Katie e i negromanti hanno tenuto per millenni sembrano sul
punto di diffondersi una volta per tutte.
» 1
– La prima parte del capitolo si svolge nel pomeriggio dell’attacco a Diagon Alley. Il fatto che siano maghi e streghe ha
consentito che la scena “dell’attentato” fosse pulita in tempo record. Mentre
Ophelia e Barry sono chiusi in laboratorio, Katie sta aiutando con la “pulizia”
ed Hermione e Winnie stanno provvedendo a rovinare la salute mentale di Harry.
» 2
– Considerando il tempo necessario per salvare Malfoy, riprendersi e poi l’attentato,
Harry e Ginny non si vedono praticamente da tre
giorni.
» 3
– Citazione (più o meno) da DoctotWho, terzo episodio della decima stagione, presa da una
discussione fra il Dottore e la sua nuova Companion (I ❤Capaldi).
» 4
– Ricordate qualche capitolo fa, quando Harry e Crave
hanno avuto quella strana discussione e lui ha iniziato a piangere, per poi
sentirsi inspiegabilmente meglio? Il vecchio Newt ha
innalzato un muro nella sua mente, per impedire ai pensieri distruttivi di
danneggiarlo durante le indagini. Non è una procedura che lui approva, ma è l’unica
che funziona con Winnie e, data l’urgenza, l’unica utile con Harry. Hermione
non era d’accordo, ma, alla fine, era davvero l’unica via.
» 5
– Winnie è arrivata per salvare la situazione, ricreando il muro e facendo
dimenticare ad Harry gli avvenimenti degli ultimi secondi. Il passaggio
potrebbe sembrare confuso, ma è tutto una conseguenza della confusione di
Harry: lui non ha idea di cosa stia succedendo, ricorda solo di essere stato
nel mezzo di una discussione sui testimoni. Non ricorda neppure di aver
iniziato a piangere.
» 6
– #PercyIsTheNewMolly e nessuno mi convincerà
altrimenti.
» 7
– In che senso? La bambina Obscurus è un Horcrux ed i
suoi occhi sono neri come quelli di Voldemort da giovane. Mentre, quindi,
quelli della bimba sono neri solo a livello dell’iride, quelli di Katie
ovviamente diventano completamente neri, anche nella sclera.
ADORO Edelweiss, quella
bambina è la salvezza di tutto il mondo e ne è perfettamente consapevole.
Vi
aspetto tutti lunedì prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 17 *** Atto VII, Parte II - Il trionfo della Negromante ***
L’Erede del Male.
“And it's hard to dance with a devil on your
back
So shake him off, oh whoa
'Cause I am done with my graceless heart
So tonight I'm gonna cut it out and then restart 'Cause I like to keep my issues strong
It's always darkest before the dawn.*”.
Per esempio, aveva sempre detestato anche il
semplice odore del latte caldo: le dava l’impressione di qualcosa di stantio,
troppo dolce per poter essere assaggiato o troppo acidulo per risultare
piacevole. Oppure, non le piaceva per niente il colore rosso: stare sette anni
nella casa di Grifondoro era stata quasi una tortura e alla fine aveva
continuato ad indossare le sue vecchie felpe più per capriccio ed abitudine che
per vero attaccamento alla sua vecchia Casata. Oliver la prendeva sempre in giro
per quel motivo, le diceva che quel suo amore per il verde poteva significare
soltanto che fosse una Testurbante1 mancata e che il Cappello avesse
deciso di mandarla nella Casa di Godric solo per
farsi quattro risate e consentire a lui, giovane capitano, di trovare la
migliore cacciatrice degli ultimi vent’anni e accaparrarsela per far finalmente
sorridere la professoressa McGranitt.
Un’altra cosa che Katie detestava, in effetti, era
la Trasfigurazione. Non per colpa della vecchia insegnante, naturalmente,
perché aveva sempre avuto un certo affetto nei suoi riguardi. Era proprio
l’idea di poter cambiare ciò che la circondava che le faceva ribrezzo. Aveva
capito cosa la repellesse tanto quando anche lei stessa era cambiata per la
prima volta, ovviamente: cambiare la realtà era un potere che nessuno avrebbe dovuto avere, tantomeno lei.
Infine, Katie Bell detestava con tutto il suo
cuore l’uomo che le stava camminando accanto e che sembrava intento a farle
toccare livelli di irritazione mai provati prima. Che stesse solo camminando in
silenzio era irrilevante. La sua
stessa esistenza era un disturbo intollerabile per lei, che avrebbe tanto
voluto svegliare Katrina e far avere a lei
un bel pomeriggio rilassante in mezzo alle montagne della Romania, camminando per
cunicoli dimenticati dall’universo. Se l’avesse fatto davvero, sfortunatamente,
Ophelia e Barry si sarebbero arrabbiati al punto da metterle il muso per
settimane, come quella volta in cui aveva avuto l’incidente con quel ragazzino,
alla base.
Che esagerati, pensò,
grugnendo fra sé e sé, non l’ho certo
ammazzato.
«Bell» sbottò Malfoy, fermandosi e lanciandole
un’occhiata esasperata, le braccia larghe come se avesse voluto invitarla ad
abbracciarlo. «Per Merlino, ragazza, sento il tuo respiro sul collo, mi stai
mettendo i brividi. Neanche io volevo venire qui, ma non per questo sto proiettando
la mia aura oscura per farti morire di paura2» continuò, recuperando
i pochi passi con cui lei l’aveva superato e continuando a fissarla,
apparentemente non spaventato come aveva lasciato credere. «E non provare a
tirar fuori la cazzata del “non mi rendo conto di usare i miei poteri su di
te”, è un trucchetto che potrebbe funzionare con Potter, non con il
sottoscritto. Non sei una novellina, ormai».
Katie scoprì i denti in un ringhio irritato.
«Perché tu sei migliore di Harry, non è vero? Migliore di tutti noi» sbottò,
incrociando le braccia al petto e continuando imperterrita a camminare,
tuttavia cercando di controllare le sue stesse emozioni. In realtà non si era davvero resa conto di star proiettando
la sua aura da succubus,
ma non gliel’avrebbe mai detto, non quando avrebbe significato ammettere di
essere, in effetti, una novellina.
«Io non sono migliore di tutti voi» ammise l’uomo,
stringendosi nelle spalle ma senza distogliere lo sguardo da lei. Perché non era spaventato? «Però sono
migliore di Potter. È parecchio tardo, il ragazzo, soprattutto quando si lascia
prendere dall’ansia».
Senza riuscire ad impedirselo, Katie aprì la bocca
per ribattere, ma non trovò nulla. Lei e Malfoy si fissarono per qualche
istante e lo sguardo che si scambiarono valse molto più di una risata.
Naturalmente non si sarebbe mai permessa di sghignazzare alle spalle del suo
vecchio amico con il loro nemico comune – seppur dubitasse che Malfoy fosse
ancora alle strette con Harry – ma quel momento di ilarità non passò
completamente inosservato. Le servì qualche secondo per riacquistare il suo
cipiglio arrabbiato.
«Devi odiarmi davvero tanto» convenne lui, dopo
qualche istante di silenzio. Era accigliato ed aveva smesso di guardarla,
concentrandosi sulla strada che si stagliava davanti a loro. Non sembrava che
il tunnel fosse sul punto di finire tanto presto, l’unica fonte di luce erano
le loro bacchette, ancora tenute ben alte. «Non che io possa darti torto,
naturalmente. Anche io mi detesterei cordialmente, al tuo posto. Anzi, non ho
idea del perché io sia ancora vivo, in realtà… io mi sarei ucciso da un bel
pezzo».
Katie era… sorpresa.
Non dal fatto che lui fosse consapevole dell’odio che
lei si portava dietro e che era tutto rivolto a lui. Malfoy non era un ingenuo,
non più, e persino un idiota non avrebbe frainteso ciò che lei aveva negli
occhi, guardandolo. A sorprenderla era la tranquillità con cui aveva parlato,
quella sorta di delusione con cui aveva constatato di non essere ancora morto.
Sembrava stanco, ma di cosa?
«Non potrei mai ucciderti, Winnie non me lo
perdonerebbe» mormorò, ripetendo per l’ennesima volta quella verità di cui si
era convinta quasi due anni prima. «Sei tutto ciò che le è rimasto della sua
famiglia, soprattutto adesso».
Malfoy mormorò qualcosa, annuendo. «Quindi sono
ancora vivo perché vuoi bene a mia cugina. Eppure, conoscendo Winter dubito che
ti porterebbe alcun rancore. Mi sorprende addirittura che lei non abbia cercato di farmela pagare… perché, a quanto pare,
tutto questo» e nel dirlo la indicò con un cenno, riferendosi palesemente alla
sua nuova condizione fisica, «è colpa
mia e di quella collana».
La memoria della giovane tornò quasi di corsa a
quella mattina invernale, quando un paio di occhi grigi erano stati l’ultima
cosa di cui si era razionalmente resa conto, prima di risvegliarsi in ospedale,
circondata da medici preoccupati e davanti al vecchio zio Boris, con il suo
enorme sorriso compiaciuto.
Benvenuta,
fetiță3.
Un fiotto di irritazione le si irradiò all’altezza
dello stomaco, facendole venire la nausea. Di solito le riusciva facile dimenticare, o quantomeno illudersi di
averlo fatto. Le bastava chiudere gli occhi, pensare alla missione in corso e
andare avanti, convincendosi di non avere abbastanza tempo per lagnarsi di una
vita che non aveva potuto scegliere. In quel momento, tuttavia, trovandosi
davanti alla fonte di tutti i suoi mali…
«Oh, mi detesti davvero tanto» sbottò lui, portandosi una mano al petto con
espressione sofferente. Non stava facendo una sceneggiata senza motivo, Katie
era consapevole di star proiettando la sua rabbia con così tanta forza da far male. Il suo potere serviva per
trasmettere lussuria, le emozioni negative risultavano amplificate al punto da
essere fisicamente dolorose, per entrambe le parti coinvolte. «Non c’è bisogno
di prendersela, la mia era una constatazione. Dovrei ringraziarti, piuttosto
che chiederti perché non mi hai ancora fatto diventare una qualche bestiola».
Katie strinse i denti, tentando di calmarsi.
Rischiava di ucciderlo davvero, tanto si sentiva furiosa. «Non che la tua vita
sia tutto questo spasso, Malfoy» gli disse, in un ringhio. «Forse non dovresti
ringraziarmi, se ti avessi fatto fuori adesso saresti morto, come i tuoi
genitori».
Si zittì subito dopo aver finito la frase, il
senso di colpa a frenarle la lingua4.
Che testa
di cazzo.
Non era stato un comportamento da lei. Forse l’altra aveva preso potere dall’ultima volta, sfruttando la sua debolezza.
Nessuno meritava di sentirsi rinfacciare la propria esistenza e lei, più di chiunque altro, avrebbe
dovuto saperlo. Nessuno poteva essere incolpato per il fatto di essere
sopravvissuto ad una catastrofe, era la prima lezione che il Dottor Crave si era impegnato ad inculcarle. Certo, sentendo lui
avrebbe dovuto essere grata anche per il suo
potere, ma quello sarebbe davvero stato chiedere un po’ troppo.
Malfoy, tuttavia, non reagì come lei aveva
previsto. Non iniziò a sibilare e maledirla come se fosse stata la causa ultima
di tutti i suoi mali: lui si strinse nelle spalle, senza sorridere, e la
osservò con curiosità.
«Non guardarmi in quel modo, Bell, non ho
intenzione di lanciarti dietro una Maledizione. Quella parte della mia vita si
è fortunatamente conclusa il giorno della Battaglia di Hogwarts» la rassicurò,
pacato. «E, in fondo, hai anche ragione. La mia vita è tutto tranne che uno
spasso, in questo momento. Fino a poco tempo fa ho avuto mia madre con cui
confidarmi, adesso ho solamente Theodore e la sua fidanzata. E loro sono disgustosi, preferirei morire piuttosto
che star lì a guardarli mentre si scambiano effusioni».
Senza riuscire ad evitarlo, Katie grugnì in
assenso. Per quanto dubitasse fortemente che Theodore Nott
– lo stesso che lei aveva conosciuto ad Hogwarts – potesse essere dolce con la
sua stessa futura moglie, capiva piuttosto bene cosa Malfoy intendesse. Barry e
Ophelia sembravano diventare ogni giorno più nauseabondi, con i loro baci e
tutti quegli abbracci.
In realtà non le avrebbe dato poi tanto fastidio,
se non avessero tentato in continuazione di metterla in mezzo e trattarla come
una bambina bisognosa di attenzioni. Non lo era stata da piccola, figurarsi a
vent’anni suonati. Sapeva che le loro intenzioni erano molto più che buone e
che quel loro comportamento era dettato da sincero affetto, tuttavia c’era poco
da fare quando si veniva cresciuti in mezzo a tate e con la ferma idea che
sposarsi per amore fosse da straccioni5.
«Hai idea del perché siamo stati mandati qui?» le
chiese Malfoy, dopo qualche istante di silenzio. «Non che io mi stia
lamentando, sia chiaro, Potter è bloccato a Diagon
Alley a cercare di limitare il caos e la Granger quando siamo andati via aveva
almeno otto faldoni di documenti da leggere. Non farmi neppure iniziare con gli
altri tuoi allegri compari, rinchiusi a sezionare cadaveri o interrogare gente!»
disse, quasi allegro. «Essere spedito
in un buco della Romania con la donna che muore
dalla voglia di avere la mia testa su di un vassoio d’argento… beh, questo sì
che è entusiasmante. Poco intelligente da parte degli altri, ma entusiasmante».
Katie lo fissò incredulamente per qualche istante.
Il “che cazzo?” ben evidente nella
sua espressione. Tuttavia riuscì a riprendere il controllo di se stessa e si
schiarì la voce, raddrizzando la schiena. «Vassoio d’oro, comunque».
«Uhm?».
«Sono allergica all’argento, meglio l’oro» gli
disse, rendendosi conto troppo tardi di aver involontariamente evidenziato una
propria debolezza. Certo, non che pensasse che Malfoy potesse decidere
all’improvviso di lanciarle contro della polvere d’argento, giusto per darle
fastidio. Lei avrebbe potuto ucciderlo molto prima.
Sempre che
l’altra l’avesse voluto.
Lui emise un fischio ammirato, la mano libera in
tasca e gli occhi puntati sulla strada davanti a loro. «Quindi la storia di
vampiri e argento è vera? Voglio dire, tu sei
una specie particolare di vampiro, se le mie basilari conoscenze di Difesa sono
veritiere».
Lei non riuscì ad impedire a se stessa di
irrigidire le spalle. Non le piaceva dove stava andando a parare quella
discussione, non le piaceva che fosse stato lui
a chiedere. Non le piaceva che fossero nello stesso luogo, se proprio doveva
dirla tutta. Non le piaceva affatto, era come sventolare una ciambella
zuccherata davanti ad un ciccione a dieta.
Cos’hai
da perdere?
«Non siamo vampiri. Noi creiamo i vampiri» gli rispose, secca, lanciandogli uno sguardo
capace di gelare l’inferno. Quantomeno, lei sperò che fosse così: quando aveva
l’ansia le riusciva difficile controllare le proprie emozioni. «E i vampiri non
hanno reazioni all’argento. I negromanti sono tutti imparentati fra loro,
l’allergia all’argento è estremamente diffusa nelle nostre famiglie6
e visto che dove ci sono vampiri, di solito, ci siamo noi…» si strinse
leggermente nelle spalle. «Non è facile distinguerci dai morti».
Malfoy ghignò. «Un morto non ha mai tentato di
sedurmi, se devo esser sincero».
La vergogna la fece arrossire miseramente.
Ricordava cos’aveva fatto l’altra,
quando lui si era svegliato. Ricordava benissimo la morsa allo stomaco all’idea
di essere quasi riuscita a prenderlo,
a renderlo schiavo del suo potere esattamente com’era successo a lei. Il fatto
che avesse provato del vero disappunto nell’essere sorpresa da Ophelia la
faceva sentire un’imbecille: se avesse portato a termine quella sua assurda
opera, si sarebbe ritrovata con Malfoy attaccato alle calcagna fino alla fine
dei suoi giorni.
Ma è
comunque colpa sua se sono ridotta così, tanto vale che condivida la mia pena.
«Lei non
voleva sedurti, voleva cambiarti e punirti» lo avvisò, stringendosi nelle
spalle. «Lei sa che io non ti sopporto, penso volesse farmi un favore e
renderti nostro schiavo per l’eternità». Una parte remota di lei ridacchiò
all’immagine di Malfoy vestito da cameriere, pronto a servirle cocktail
disgustosamente dolci con ombrellini colorati. «L’immagine la diverte».
Malfoy si accigliò. «Diverte lei o diverte te?» le
chiese, curiosamente. «Non siete due persone diverse, Bell. Solo perché adesso
hai dei nuovi… impulsi, non significa certo che questi non ti appartengano. Se
non li reprimessi tanto, forse non avresti bisogno di sdoppiarti così. Non
penso ti faccia bene».
Wow, che
genio, non è quello che Crave ha detto negli ultimi
due anni, vero?
Lei stessa si accigliò al proprio sarcasmo. Le
stava sfuggendo di mano, avrebbe fatto bene a prendersi due giorni di vacanza
per andare a a Belfast e fare quattro chiacchiere con
sua madre, così da sfogare tutta l’acidità per i prossimi due mesi. Nessuno
riusciva a farla irritare come Charis, neppure il
buon vecchio Malfoy.
«Noi siamo
due persone diverse. Io non posso controllare nulla quando uso il potere»
sbottò, guardandolo con la coda dell’occhio. «Penso di sapere se lei esiste o se sono sempre io a
muovermi, Malfoy, non sono certo un’idiota».
«Non si tratta d’esser idiota, Bell» le fece
notare lui, con il suo stupido tono da saputello curioso. «Sai in quanti, dopo
la prima caduta dell’Oscuro Signore si sono convinti
di aver agito sotto Imperius, per poi scoprire, alla fine, di essere stati
mossi solo da paura folle? Mio padre mi ha raccontato storie di persone pronte
a scommettere la loro fortuna per dimostrare di non aver fatto nulla di propria
volontà, ma alla fine…» non continuò, guardandola per un lungo istante. «Tu sei
una purosangue, ti ho vista spesso alle feste, quando eravamo ragazzini7»
constatò, formulando le sue parole quasi fossero state una domanda.
«I Bell sono fra le famiglie più influenti
d’Irlanda, non sei l’unico con un pedigree immacolato» gli fece notare, più
irritata di quanto una brava grifondoro per nulla
attaccata alle questioni di sangue avrebbe dovuto essere. La vecchia spocchia
di suo padre veniva fuori nei momenti meno opportuni, soprattutto da quando
aveva smesso d’esser circondata da altri Grifondoro dal cuore d’oro. «Qual è il
tuo punto?».
«Ti ricordi i Flamming?
Harold Flamming?».
Ovviamente lei lo
ricordava, la storia di quell’uomo era stata sulla bocca di tutti per anni. Apparentemente dal cuore d’oro,
durante la guerra era diventato il responsabile della deportazione e
dell’omicidio di almeno una sessantina fra Babbani e Sanguesporco.
No, non sanguesporco.
Si
chiamavano Nati Babbani, maledizione.
Quando Lord Voldemort era caduto, Lord Flamming era stato arrestato dagli Auror
e condotto ad Azkaban per direttissima ma, complici le sue dichiarazioni di
innocenza e la testimonianza positiva di chiunque
avesse mai avuto a che fare con lui, lo stesso BartySrgli aveva
concesso l’interrogatorio sotto Veritaserum, convinto che sarebbe risultato positivo
all’Incanto Imperius.
Con sorpresa di tutti – anche di Flamming stesso – il risultato aveva dimostrato che lui non
fosse mai stato sottoposto ad alcun controllo della mente, nonostante fosse
sinceramente disgustato dal comportamento che aveva tenuto e si continuasse a
dichiarare totalmente innocente.
Il senso di colpa fu tale da spingerlo al suicidio
prima ancora che la condanna al bacio
potesse essere emanata ufficialmente. Era stato il mentore del Dottor Crave a spiegare e lui – e lui poi lo aveva spiegato a
Katie - che il suo era stato un distacco emotivo8 generato
dal puro terrore di essere colpito dai Mangiamorte e che il suo agire in modo
tanto sconsiderato non era da imputare a vera cattiveria ma, piuttosto,
all’orrore.
Katie sentì le orecchie fischiare, quando realizzò
il perché di quel riferimento.
«Io non ho creato
Katrina per tenere la coscienza pulita».
«Certo che no. Neppure Flamming
aveva agito di propria volontà, dopotutto, no?».
Irritata, Katie si fermò e incrociò le braccia al
petto. «Vuoi proprio farti ammazzare, Malfoy?» gli chiese, irritata a morte e
tentata di iniziare a sbattere il piede per terra come se avesse avuto ancora
cinque anni. «Siamo stati mandati a cercare quel fottutoNecromicon perché tutti gli altri
erano necessari altrove. Tu, nello specifico, sei stato mandato perché non potevano lasciarti solo, di certo
non perché sei utile a qualcosa. Harry è un Auror,
Hermione è l’unica che capisce qualcosa in tutti quei documenti, Barry e
Ophelia stanno sezionando cadaveri e Winnie… lei è meglio che resti al sicuro e
interroghi i testimoni, visto che suo padre è ancora a spasso. A cosa servi tu?».
Cogliendola di sorpresa, lui sorrise.
Il
bastardo aveva anche il coraggio di sorridere in faccia alla Morte.
«Io sono quello che non ha niente da perdere,
Bell» le fece notare, tranquillo. «E sono anche… uhm… credo che tu mi abbia
definito Creatore. Credi davvero che
non avrebbero potuto trovare altro da farmi fare? Volevano che venissi con te. Forse mi vogliono morto, forse
vogliono portarti al limite della sopportazione e farti avere un crollo… forse
sperano che io sia abbastanza fastidioso da salvarti la vita, dopo averti
condannata».
«E questo cosa cazzo
dovrebbe-» si fermò a metà del suo sproloqui, allargando gli occhi con fare
piuttosto comico ed afferrando Malfoy per il braccio in una presa d’acciaio.
«Non voltarti» lo avvisò, sentendo il gelo più acuto prendere possesso di lei.
Mai come in quel momento ringraziò di non essere andata in missione con Ophelia
o con qualcuno degli altri, nessuno di loro sarebbe rimasto a sentirla e si
sarebbero girati immediatamente. Malfoy, invece, aveva un briciolo di spirito
di sopravvivenza.
«Cosa c’è? Ci stanno seguendo?» le domandò, il
tono calmo, talmente pacifico che per un momento lei si chiese se non avesse
appena tentato di conversare sul tempo. L’unica cosa capace di tradire la sua
reale ansia fu la piega delle sue labbra, decisamente lontana dal sorrisino
sbruffone che le aveva dedicato fino a poco prima. «Non ho sentito rumore e le
bacchette non hanno proiettato alcun tipo di ombra. E so per certo che tu hai
lanciato un incantesimo d’allarme per evitare proprio che ci seguissero».
Intelligente,
credevo non se ne fosse accorto.
Senza perdere tempo in riconoscergli talenti
dettati probabilmente dal suo passato da fuorilegge, Katie tenne gli occhi
puntati sulla bestia che li aveva
seguiti, fermandosi indisturbata a pochi passi di distanza da loro per
osservarli come se fossero stati creature molto simpatiche e curiose. «I Morti
non fanno rumore e non producono ombre, Malfoy» gli spiegò, cercando di imitare
la tranquillità con cui lui aveva parlato. Scatti violenti o nervosi avrebbero
potuto agitarlo. «E sta pur certo che non c’è incantesimo d’allarme che possa
seguire un cuore che non batte da… ad occhio e croce direi mille e seicento
anni».
«Che cosa?».
Lei lo zittì con il sorriso, scagliandogli
un’occhiata tanto veloce quanto gelida. «Siamo seguiti da un Richiamato, uno…
uhm… credo voi lo chiamate Zombie. Stando ai miei calcoli dovrebbe risalire al
primo Medioevo, ma potrei sbagliarmi di un paio di centinaia d’anni, dovrei
toccarlo. Quelli così vecchi sono difficili da domare».
«Sì, tutto molto interessante», fortunatamente lui
era riuscito a riprendere parte del suo controllo. «Credi voglia farci del
male? Puoi controllarlo in qualche modo?».
«Se tu fossi a digiuno da mille e seicento anni e
ti si presentasse davanti un arrosto di maiale ben cotto e con le patate,
vorresti mangiarlo oppure vorresti dargli una pacca sulla spalla e
accompagnarlo verso un’uscita sicura?» gli chiese, sarcastica. «Certo che vuole farci male!» sbottò, più
acida e meno controllata del dovuto. «Potrei provare a controllarlo, ma con le creature così antiche è parecchio
difficile. Non ho idea di chi sia il suo Padrone, non posso semplicemente
andare lì e reclamarlo. Forse potrei… no,
niente da fare».
La creatura che era rimasta ad osservarli da poco
lontano aveva la pelle ridotta ad un velo di carta crespa dello stesso colore
della senape andata a male, le sue labbra erano sparite sotto ai denti,
scoperti e aguzzi, le orbite oculari erano vuote e buie, con un liquido denso e
nero che vi usciva goccia a goccia, colando lungo i corpi rinsecchiti e ossuti.
Era strabiliante che una mummia si fosse mantenuta così bene senza evidenti tracce di
intervento umano, figurarsi cinque
mummie! Ed erano tutte controllate dallo
stesso negromante! Eccezionale, davvero-
Terribile. Era
terribile. Cinque Richiamati non erano uno scherzo da poco e lei non li aveva
neppure sentiti arrivare, non aveva ancora conosciuto Negromante che fosse
capace di tenerli sotto controllo. L’unica traccia di una situazione simile era
stata lasciata da Sisifo in persona,
ma se lui fosse davvero ritornato lei lo avrebbe scoperto, non c’era modo che
una creatura simile si risvegliasse senza che gli equilibri del mondo ne
risultassero completamente sconvolti.
Ma allora chi?
Avrebbe dovuto trovare quel negromante,
sottomettersi. Era palesemente più forte di lei, non c’era altra strada se non
piegarsi a lui – o lei, ovviamente – e supplicare affinché le venisse fatta
salva l’anima, così da poter continuare a servirlo nel modo che avesse ritenuto
migliore. Sì, era la scelta giusta,
senza ombra di dubbio. Avrebbe dovuto vendersi, ma non sarebbe stato un
problema. Era suo dovere. Era un onore. Solo così avrebbe rispettato
l’Ordine della Madre.
«ll… Bell!... KATIE!».
Fu lo strattone di Malfoy a farla tornare
bruscamente in sé, giusto un attimo prima che si lanciasse fra le fauci di
cinque bestie pronte a sbranarla e con le fauci già ben spalancate. Se ancora
non l’avevano presa era solo grazie allo scudo evocato da Malfoy, nel panico
totale a pochi centimetri da lei. Aveva ancora il braccio libero intorno alle
sue spalle e la stava tirando indietro con tutta la sua forza, nonostante ci
fosse il rischio di perderla e, allora, condannarli entrambi.
Non posso
fargli avere tutta la gloria.
«Ah, cac naofa!9
Sono quasi caduta vittima del mio stesso, dannatissimo incantesimo!» si lagnò,
disgustata dalla sua stessa debolezza e colpita nell’orgoglio per l’essersi
quasi sottomessa ad uno sconosciuto solo apparentemente
più forte di lei. Nessuno poteva decidere cosa avrebbe dovuto fare, non più.
«Fa’ qualcosa, per Merlino!» le ordinò – anche se
sembrò più una supplica a quel punto – Malfoy, arretrando di un passo a causa
dei colpi che ancora il suo scudo stava subendo. Le creature si stavano
semplicemente avvicinando, eppure
erano capaci di far tremare un mago adulto e ben versato nelle arti oscure.
«Bell!».
«Devo concentrarmi, non posso semplicemente
chiamare l’altra, cazzo!» strillò lei, chiudendo gli occhi nel disperato
tentativo di recuperare abbastanza calma da poter realizzare il cambiamento.
«Tienili occupati!».
«Come faccio
a tenerli occupati, maledizione? Bell, non c’è nessuna Katrina! Ci sei solo tu, tu e il tuo dannatissimo potere! Hai
bisogno di forza? Usa la mia! Succhia via tutta la mia energia vitale come una
dannata sanguisuga se necessario, ma fa’
qualcosa! Non c’è un alter ego pronto a salvarti le chiappe, non sei un
dannato supereroe babbano».
Ci sei
solo tu.
No, non è
vero, c’è Katrina.
Katrina non sembrava voler prendere il suo posto.
C’era silenzio dentro di lei ed era un silenzio che non riusciva a spiegarsi.
«Bell!».
«Non ci riesco, sono… sono bloccata!».
Lo scudo era ogni secondo più debole, il braccio
di Malfoy tremava in modo incontrollato. Sembrava passato più tempo dei pochi
secondi che lei credeva fossero
trascorsi e la cosa non le piacque affatto. Stava perdendo conoscenza, forse?
Stava decisamente perdendo
conoscenza, non ricordava di essere finita in ginocchio. E il rumore delle
bestie era ad ogni secondo più forte, perché loro erano vicine anche se lei non
ricordava di averle viste muoversi. Sentiva una pressione all’altezza del
petto, una pressione che stava diventando insopportabile, un dolore sordo che
le imponeva di piegarsi, di sottomettersi.
Obbedisci,
obbedisci, OBBEDISCI!
«NO!» urlò
così forte che i suoi polmoni sembrarono sul punto di esplodere, dando un pugno
al suolo per guadagnare un minimo di controllo su se stessa. Malfoy sembrava
sul punto di cedere, ma ebbe abbastanza sangue freddo da guardarla come se
fosse impazzita. Ma lei non era pazza, oh no.
Volevano farglielo credere, per poterla sottomettere meglio.
Katrina era pazza, per questo lei era caduta, si era sottomessa. Per questo
sentiva quella pressione nel petto. Era lei,
che la implorava di seguirla, di cedere e sottomettersi al Negromante più
forte, di supplicare per la loro sopravvivenza.
Lo
stronzo non sa che gli Irlandesi sono peggio degli Ippogrifi.
Sapeva che non avrebbe avuto indietro Katrina,
quella parte di lei era stata assorbita da chiunque stesse cercando di
controllarla, strappata via perché, sì,
era uno schermo che era stato creato per proteggere se stessa da quel potere
che non aveva chiesto, ne era sempre stata consapevole, ma era anche
una difesa per gli altri. Dividere il
suo potere fra due entità era stata la diga che la sua anima aveva creato per
evitare che il flusso di magia incontrollato potesse distruggerla dall’interno,
non essendo cresciuta con la preparazione adeguata. Per evitare che potesse
distruggere gli altri.
Chiunque l’avesse appena attaccata, aveva
scambiato la diga per il fiume e
l’aveva distrutto.
Beh, buon
compleanno stronzo, hai enormi problemi in arrivo.
Con un ringhio animalesco, Katie puntò un piede a
terra e si spinse fino a rialzarsi, le ginocchia sul punto di cedere allo
sforzo, la testa sul punto di esplodere perché divisa fra l’ordine di
sottomettersi e la volontà di restare,
di combattere fino alla fine.
Ma la diga c’era ancora. Nell’angolo più nascosto
di lei, l’ordine di sottomettersi le impediva di reagire e attingere all’Oscurità.
«Tu,
con gli occhi neri, devi andare a cercare il libro nella montagna».
«Eddie,
cosa deve fare?».
«Deve
portare solo il signore con i capelli bianchi, ma è un segreto, altrimenti lui
non vuole più andare».
«Malfoy» sbottò, guardando l’uomo con furia cieca.
In quel momento era chiaro perché la
bambina avesse chiesto che fosse proprio lui a seguirla e perché li avesse
obbligati a non riferirglielo. Lui le serviva. «Malfoy, prima hai detto una
cosa».
«Cosa? Bell, non abbiamo tempo per gli indovinelli
del cazzo, questi ci mangiano!».
«Tu sei il mio Auctor, il mio Creatore, tu hai
liberato il mio potere la prima volta, quando la tua collana mi ha quasi
uccisa» sbottò, deglutendo quello che avrebbe potuto essere il suo cuore, un
pezzo d’intestino o la sua anima. «Il mio potere è legato a te ed ora io ho bisogno che tu lo faccia di nuovo.
Devi… devi spezzare la diga» gli mormorò, afferrando il suo braccio libero per
potersi reggere in piedi.
Obbedisci!
Obbedisci!
«Cosa devo fare? Non ho collane maledette con me,
sai? Non posso semplicemente ucciderti, maledizione
Bell! Lo scudo sta per cedere, parla chiaro!» la supplicò, stringendo i denti
nel vano tentativo di resistere ai colpi delle creature che, imperterrite,
avevano continuato ad avanzare, sempre più velocemente e con sempre più fame e
violenza. «Katie!».
«Sono una succubus, testa di
cazzo» mugugnò la negromante, mentre una piccolissima parte di lei arrossiva
miseramente al pensiero di cosa avrebbe dovuto fare. «Non è niente di
personale» lo avvisò, tirandolo verso di sé fino a poter posare le labbra sulle
sue in un bacio che non avrebbe mai pensato
di dare proprio a lui. In realtà non pensava che avrebbe più baciato qualcuno,
e basta. Ma che fosse Malfoy era letteralmente fuori da qualunque sua
previsione.
Che poi lui si fosse lasciato prendere la mano e
fosse finito a stringerla a sé come se fosse stata la sua unica fonte
d’ossigeno, piegandosi per renderle la vicinanza più semplice e prolungare un
contatto che non sarebbe dovuto esistere…
Katie, tuttavia, non si sentiva piena di
repulsione. Non provava alcun desiderio d’allontanarsi da lui, di spingerlo via
e schiantarlo fino a fargli dimenticare il suo stesso nome.
Oh, no.
La pressione nel suo petto era cresciuta fino a
schiacciarla, ma non era più gelida,
non era più una massa ghiacciata sul suo cuore, tutt’altro. C’era lava nelle
sue vene, acido sulle sue labbra, la Morte non era più il pericolo da contenere
ma una passione, una pulsione più
forte di qualunque cosa lei avesse mai provato.
La Morte era vita,
per lei, non poteva più spingerla via.
La diga
era caduta10.
Per la prima volta in due anni, Katie scoppiò a
ridere di cuore, ancora premuta contro Malfoy, quasi soffocata dalla sua presa
ma per nulla tentata dall’idea di allontanarlo, le labbra contro le sue mentre
assorbiva la sua energia come se fosse stato il suo nuovo sole.
Lui l’aveva creata e in quel momento la stava
facendo risorgere come una fenice.
Katie rise più forte, spingendo Draco di lato e
voltandosi finalmente a fronteggiare il suo vero nemico. Sapeva che i suoi
occhi erano cambiati, ma di Katrina non c’era neppure l’ombra. Il potere
scorreva in lei come il sangue, la inebriava piuttosto che avvelenarla, la
spingeva in alto e non più a terra.
Katrina non c’era più e della vecchia Katie non
era davvero rimasto nulla.
«Bell» la chiamò Malfoy, caduto in ginocchio poco
lontano, evidentemente provato a causa di tutta l’energia vitale persa ma con
una scintilla oscura nello sguardo, un desiderio di vendetta che lei poteva capire benissimo. Le sue
labbra erano gonfie, i capelli scompigliati: nulla avrebbe potuto rendere più
forte il suo potere succube. Lui la
stava rendendo forte. L’aveva resa forte dal primo momento, ma lei non l’aveva
capito.
Katie lo aveva odiato, Katrina ne era rimasta
affascinata.
La Negromante
gli era riconoscente.
«Bell, falli
a pezzi».
La Negromante sorrise, consapevole di essere uno
spettacolo a dir poco agghiacciante ma per nulla sorpresa dal fatto che lui non
fosse terrorizzato. Come poteva, quando era stato lui a crearla?
«Con immenso piacere».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Ed ecco la nuova OTP che
nessuno aveva chiesto.
Proporrei #Dratie, ma in teoria Katie non c’è più. Magari #Malbell? Ha una vibrazione agrodolce, lo adoro.
Sì. È un gran casino.
Sì. Li adoro.
Vai Negromante, falli a
pezzi.
(Katie è morta, sì).
Punti importanti:
» *
- È difficile ballare con un diavolo
sulla schiena, quindi scuotilo via/ perché
ho finito con il mio cuore sgraziato/ quindi stanotte lo taglierò fuori e lo
riavvierò/ Perché mi piace tenere a bada i miei problemi/ È sempre più buio
prima dell’alba. Questa è una delle mie canzoni preferite e da quando ho
iniziato a scrivere questa fanfiction ho aspettato il
momento giusto per tirarla fuori! Ero indecisa se usarla per Katie o per
Winnie, ma questo capitolo ha preteso questa canzone. Potrebbe tornare anche
nel prossimo, in realtà, chi lo sa!
» 1
– Uno dei miei tanti headcanon per Katie e per
gli altri. Katie è figlia unica di stirpe purosangue, i suoi genitori non si sono
uniti a Voldemort solo per una questione di interessi, aiutandolo probabilmente
da dietro le quinte. Katie, quindi, è cresciuta in un ambiente razzista ma è
stata abbastanza forte – o testarda? – da venirne fuori. Mi piace pensare a lei
come ad una nuova Sirius, soprattutto a causa della relazione con sua madre.
Diversamente da Sirius, però, lei non ha mai “esagerato” e non è stata mai
cacciata. In effetti lei non è stata una testurbante
per una questione di pochi secondi, si è imposta con così tanta forza al
Cappello da non lasciargli modo di pensare
di mandarla a Serpeverde. Tutto pur di irritare mammina cara.
» 2
– Come ho già detto, Katie è una negromante particolare, una Succubus capace
di sfruttare la lussuria ed altre emozioni per attirare vittime da usare come “carburante”
per i suoi giochini con i morti. Lei sta involontariamente proiettando le sue
emozioni su Draco, che tuttavia non ha intenzione di sopportare le sue
stronzate, detta molto finemente. #DracoTakesNoneOfYourShitKatie
» 3
– “Figliola”, in rumeno. Come ho già detto, la famiglia materna di Katie
(quella di negromanti) è rumena, motivo per cui spesso e volentieri ci sono dei
riferimenti a termini in questa lingua. Solitamente, comunque, i negromanti
usano il latino (Es. Katie parla di transitio per il suo cambiamento e di Auctor per Malfoy, perché lui ha
causato detto cambiamento).
» 4
– Katie apre spesso la bocca senza pensare, soprattutto da quando il suo background culturale è cambiato. Il suo
controllo si è ridotto ulteriormente da quando ha ottenuto i suoi poteri, perché
il problemino della personalità multipla è difficile da gestire.
» 5
– Come ho già detto, Katie viene da una classica famiglia purosague.
Classica nel senso che i Bell sono i tipici Malfoy di belle speranze, senza l’oscurità
che far parte dei mangiamorte comporta. Sua madre l’ha detestata dal momento
stesso in cui ha scoperto che fosse una femmina ed il suo odio è solo aumentato
quando Katie non ha mostrato alcun potere da Negromante (esattamente come lei! La
madre di Katie non ha i poteri e sperava che sua figlia li ereditasse, cosa che
poi ha fatto, ma da bambina era
normalissima, con suo grande orrore). Katie è cresciuta con decine di tate e
sentendosi dire cose come “Sei ingrassata, Trina”, “Ancora sporca di fango, Trina?
Come i maiali”, “Quella è una divisa da Quidditch?????”.
» 6
– Negromanti is the new famiglie reali europee dei
primi del ‘900. Così come nel secolo scorso le famiglie reali d’Europa, essendo
tutte imparentate in un modo o nell’altro alla Regina Victoria, erano
flagellate dall’anemia, allo stesso modo i negromanti sono perseguitati dall’allergia
all’argento, cosa che ha portato alle leggende sui vampiri e l’argento. Non è
niente di importante, ma questo dettaglio mi ha entusiasmata da morire dal
primo momento.
» 7
– Altro Headcanon, Katie e Malfoy alle stesse feste,
crescendo, ma lui al centro dell’attenzione e lei messa all’angolo per guardare
tutti malissimo e vantarsi dei suoi amici sanguesporco
e traditori del loro sangue. Era una cosa che faceva impazzire sua madre. Katie ha smesso di andare a queste feste una
volta compiuti quindici anni, prima del ritorno di Voldemort.
» 8 – Come ho detto spesso, io non sono una psicologa, non
studio psicologia o cose simili. Distacco emotivo è qualcosa che si presenta
quando si agisce senza provare emozioni,
muovendosi come un automa. Spesso ci si dimentica anche di ciò che si è fatto,
subito dopo. Il povero Lord l’ha presa malissimo e Draco è piuttosto convinto
che Katie abbia la stessa cosa.
»9 – Sarebbe un “porca
puttana” in gaelico. Katie è un fiore delicato che merita protezione.
»10 – Bene, cerchiamo di
capire questa cosa della diga, perché potrebbe essere parecchio difficile da
digerire. Quello che è successo a Katie verrà spiegato meglio nel prossimo
capitolo, ma ora voglio che voi immaginate un fiume. Ora, questo fiume nasce
all’improvviso, dopo un terremoto (il terremoto è la “morte” di Katie causata
dalla collana), e il rischio è che ci sia un allagamento di massa che potrebbe
distruggere non solo l’ambiente (quindi Katie) ma anche le persone che ci
vivono (chi la circonda). Per cercare di limitare i danni e fare in modo che l’ecosistema
si adegui a questa nuova situazione, si costruisce una diga (che a questo punto è Katrina) che cerca di limitare la
portata del fiume per consentire al mondo di adeguarsi. Così abbiamo il
fiumiciattolo (Katie stessa), la diga (Katrina, che interviene quando la
pressione aumenta e rilascia un po’ di potere alla volta) e poi abbiamo il
fiume vero e proprio. Chiunque avesse mandato quei cinque zombie ha distrutto la
diga, convinto che non ci fosse nulla dietro, senza sapere di aver invece
liberato il vero mostro. Katrina, quindi, non è “un’altra persona”, come
credevano tutti. E non è vero che Katie non si rendeva conto di lei. Katrina
stava difendendo Katie e gli altri dalla negromante,
che invece ha finalmente preso il suo posto al mondo. È importante che
capiate una cosa: Katrina non esiste,
è un qualcosa che è stato costruito.
Katie non esiste più, era solo uno
spettro di se stessa che restava lì come una facciata. La negromante è una persona completamente diversa che adesso vuole
fare un po’ di casino. Se guardate bene ai capitoli precedenti (soprattutto
questo e quello subito precedente), noterete che Katie non parla mai di Katrina,
ma dell’altra, così come Edelweiss
non fa mai direttamente il nome di Katrina. So che ci sono dei fan di DoctorWho(❤) tra di voi: immaginate la negromante come
una rigenerazione di Katie, uguale ma diversa. Katrina è una cosa intermedia,
più come quel Ten “umano” che poi è andato a vivere
con Rose.
Spero di essermi spiegata! Nel caso, sono pronta a qualunque
domanda!
Sì, se ve lo state chiedendo io vi posso già dire che la
Malbell era in programma fin dall’inizio. Mi dispiace per le Dramione in giro, ma stavolta mi sono fatta predere la mano. E per Hermione ho altri piani.
Draco
ha bisogno di qualcuno pronto a dirgli in faccia quanto è testa di cazzo, pur
comprendendo il suo stile di vita. E “la
negromante” ha bisogno di qualcuno che non abbia paura di lei.
#OTP
Vi
aspetto tutti lunedì prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 18 *** Atto VII, Parte III - La Negromante ***
L’Erede del Male.
“And I'm damned if I do and I'm
damned if I don't
So here's to drinks in the dark at the end of my road
And I'm ready to suffer and I'm ready to hope
It's a shot in the dark and right at my throat 'Cause looking for heaven, found the devil in me
Looking for heaven, for the devil in me
Well what the hell I'm gonna let it happen to me.*”.
Non quando ancora la sua vita poteva essere
definita normale ed il massimo dell’avventura era stata appendersi a testa in
giù sulla scopa e segnare un punto ad uno sconvolto portiere serpeverde alla partita del suo debutto1. Non
quando, ormai grande, aveva deciso di non essere più cauta e di accettare
quelle sue strane emozioni per il proprio Capitano, gioendo nell’essere così
apertamente ricambiata. Non quando, ormai cambiata, aveva visto il suo giovane
amore crollare sotto il peso del dubbio e finire fra le braccia di una donna
che lei non credeva sarebbe mai stata nulla più di una insignificante mosca
nella sua vita.
Katie credeva che non avrebbe mai più provato emozioni
forti come quella notte. Credeva che non si sarebbe mai più sentita talmente
distrutta dal dolore come quando, dopo aver deciso di tornare indietro, di darsi una possibilità, aveva assistito
alla morte dichiarata di un rapporto che probabilmente non era mai stato
destinato ad iniziare2.
Oliver
Baston non le apparteneva più e lei si era convinta che
null’altro avrebbe più avuto importanza. Un cuore quasi morto poteva spezzarsi
ma non più guarire, tanto valeva mettersi l’anima in pace e lasciarsi consumare
dall’orrore di un’esistenza a metà. Katie si era lasciata morire, cullata solo
dalla memoria di ciò che era stata e che non avrebbe vissuto mai più, perché le
era stata tolta quella scintilla d’umanità che riteneva necessaria.
Si era
sbagliata.
Quando era solo una bambina, sua madre le aveva
rivelato che molte delle sue cugine presto o tardi avrebbero iniziato a dare
dimostrazione di poteri strani,
circondandosi di esseri spaventosi e rinunciando alla loro stessa anima pur di
diventare sempre più forte. Lei, così come Katie, era stata risparmiata a
quello strazio e per questo non avrebbero più dovuto mettere piede a casa di bunică3, perché sarebbe
stato troppo pericoloso per loro, perché sarebbero state delle vittime nella
stessa casa in cui Katie aveva adorato andare a giocare.
Naturalmente, Katie aveva compreso le bugie di sua
madre già pochi anni dopo. Quale modo migliore di nascondere il suo
risentimento verso l’unica figlia, se non metterla contro quegli stessi parenti
di cui era morbosamente invidiosa? Charis Bell era
stata fra le poche donne della famiglia a non ereditare il potere della Morte
e, una volta che Katie ebbe compiuto sei anni senza dimostrare a sua volta
alcuna capacità speciale, l’idea di non essere alla stessa altezza delle sue
sorelle e dei suoi fratelli, tutti sacerdoti o genitori di giovani negromanti,
l’aveva riempita di un veleno che non avrebbe mai potuto sfogare in libertà,
non in Romania. Allora aveva deciso di voltare le spalle a tutto e tornare in
Irlanda, tagliare tutti i ponti rimasti in piedi dopo il suo matrimonio e
tentare di mettere la sua stessa bambina contro la loro famiglia.
Charis aveva
programmato tutto, degradando la figlia così da poter sfogare su di lei anni di
inadeguatezza, perché neppure Katie sarebbe mai stata speciale4, nonostante il Quidditch e nonostante i buoni
voti a scuola. Sarebbe stata mediocre, come lei. L’aveva resa felice della sua mediocrità, almeno
finché qualcosa non era cambiato.
Almeno finché il caso non aveva voluto che lei finisse fra le grinfie inesperte di
Draco Malfoy e dei suoi bizzarri tentativi d’omicidio. Finché la Morte non aveva guardato Katie negli
occhi ed aveva riconosciuto quel marchio che ai sacerdoti era sfuggito,
reclamando di prepotenza una vita che era una sua proprietà, incurante di
lasciarsi dietro solo distruzione e confusione.
Un
miracolo, l’avevano definita i suoi zii, quando un confuso Viktor Bell
li aveva mandati a chiamare, nonostante le proteste della moglie, dopo che sua
figlia aveva quasi ucciso tutto il personale che il San Mungo aveva messo a sua
disposizione per tentare di rianimarla. Un
miracolo voluto dalla Madre.
I negromanti sviluppavano il loro potere entro il
quarto anno di vita, i più forti generalmente lo sviluppavano entro il sesto e
raramente oltre, perché il prezzo da pagare per la conversione era troppo alto
per chi non avesse un’età tanto tenera5. Katie aveva subito il suo
cambiamento a diciassette anni ed il suo potere era stato talmente grande da
spingere il suo subconscio a difendersi, a cercare un qualsiasi aiuto affinché
il prezzo non venisse pagato per intero, non subito. Katie non era pronta a
rinunciare a se stessa, non era pronta a rinascere ed il Gran Sacerdote l’aveva
aiutata.
Potresti
essere la più forte, vuoi davvero fermarlo?
Nessuno sapeva, nessuno avrebbe potuto sapere.
Non il Dottor Crave,
così convinto che lei non sapesse,
che lei non volesse essere aiutata.
Non Winnie, che era cresciuta con un peso troppo grande sulle spalle e non
accettava che qualcun altro potesse trovarsi nella sua posizione. Non Ophelia e
Barry, che avevano imparato ad amare quella problematica ragazza troppo fragile
per il suo stesso potere.
Quando
cambierai, non potrai più tornare indietro, dragă6. Quando il potere acquisirà coscienza, allora
niente potrà fermarlo.
Quante volte le avevano detto che Katrina, in
realtà, non fosse altro che una proiezione della sua mente, credendo di
rivelarle qualcosa di cui lei non avesse la minima idea? Quante volte lei aveva
resistito alla tentazione di urlare, di cadere in ginocchio e supplicarli di liberarla, di portare via quel freno che
la teneva bloccata a metà fra un’esistenza che non le apparteneva più ed una
che ancora non le apparteneva completamente? Katrina esisteva, ma non era viva. Katrina non esisteva più di quanto
esistesse Katie, a quel punto. Una era potere senza coscienza, l’altra
coscienza senza potere.
E nessuno
doveva sapere.
Il suo potere era cresciuto, straripando da quei
limiti che il Gran Sacerdote le aveva imposto. Era cresciuto ed era mutato,
acquistando la tinta oscura e densa della Morte macchiata di Sesso, della
lussuria portata all’ultimo respiro. Katie aveva sedotto uomini e donne senza
potersi controllare, li aveva sfruttati, spremuti fino all’ultima goccia di
linfa vitale, poi era crollata sotto il peso di ricordi mancanti e più forza di
quanto quel suo corpo cambiato a metà potesse sopportare.
Le piaceva sentirsi così forte. Le piaceva, ma ne
era terrorizzata. Era come stuzzicare una cicatrice non ancora perfettamente
guarita: la curiosità era troppa per limitarsi ad ignorarla, ma il dolore dopo
averla toccata poteva lasciarla senza respiro. C’era un masochistico piacere
nel richiamare Katrina, spingendo contro i limiti che lei stessa aveva voluto
per ottenere qualcosa in più,
nonostante la sola idea la facesse star male. Avrebbe dovuto aspettare la cerimonia prima di lasciarsi andare,
così da affrontare il cambiamento fra i suoi simili, davanti a Sacerdoti che
avrebbero saputo controllarla, che avrebbero potuto aiutarla ad accettare la nuova sé.
Ma qualcuno aveva stuzzicato il potere con un
bastoncino affilato, svegliandolo di prepotenza e chiedendogli poi di
sottomettersi. Come avrebbe potuto farlo? Era sottomesso da anni e finalmente
qualcuno lo aveva svegliato.
Le era servita solo una spinta in più e Malfoy – la causa di tutto, il motivo per cui la
Morte l’aveva trovata – era stato ben lieto di dargliela, cedendole
quell’energia vitale che già una prima volta l’aveva fatta cambiare.
Era strano, sentirsi potente senza dover prima
tirare vai da se stessa la Morte, tormentando la sua anima con aghi imbevuti di
dolore e rimorso. Non c’era più bisogno di pensare ad un amore perduto o alla
folle gelosia verso una donna che lei non aveva neppure mai conosciuto7.
Tutto stava passando in secondo piano, perché, dopotutto, non era più Katie
Bell a dover attingere al Potere. Katie Bell era morta per mano di Draco Malfoy
a soli diciassette anni. Era rimasta in agonia, tuttavia, bloccata nel limbo
che Katrina aveva creato come se fosse stato il suo Purgatorio personale,
finché quell’ostacolo non era stato rimosso e, così come l’aveva uccisa, Draco
Malfoy era riuscito a riportarla alla vita, nella
Morte.
Oliver Baston non c’era più.
Katie non c’era più.
Era
libera.
E così, libera, scoppiò a ridere.
***
Una risata come quella avrebbe fatto gelare
l’inferno ed avrebbe mandato a fuoco il paradiso, Draco ne era assolutamente
certo, nonostante la confusione che la stanchezza di quel bacio mortale gli
aveva lasciato dentro. Seduto a terra, non riusciva a staccare gli occhi dalla creatura che aveva preso il posto della
Katie Bell che, seppur diversa dalla ragazza che lui aveva condannato a morte
anni prima, aveva imparato nuovamente a conoscere.
Era ancora bassa com’era sempre stata, eppure il
suo modo di rapportarsi con lo spazio intorno a lei era totalmente differente.
Katie Bell era stata una ragazza capace di passare inosservata se lontana da
una scopa, poi era diventata una donna così terrorizzata da se stessa da
preferire raggomitolarsi in un angolo e urlare contro chiunque si intromettesse
nel suo spazio vitale. Katrina era stata differente, sicura di sé ma ancora
cauta, seppur a modo suo. In quel momento, la donna davanti a lui aveva la
schiena dritta, il mento alto in un gesto di sfida verso l’universo e di pura e
semplice regalità. I suoi capelli
biondi, che prima erano sembrati quasi paglia
nelle poche volte in cui il potere aveva
preso di prepotenza il controllo di lei, apparivano ormai bianchi e perfetti,
esattamente come la sua pelle. Gli occhi brillavano come diamanti neri, terribili
nella loro magnificenza. Draco aveva visto un accenno di quella potente
bellezza quando Katrina aveva provato a sedurlo, dopo il suo risveglio, ma non
avrebbe mai immaginato che potesse
cambiare così.
C’erano storie su Incubi e Succubi, nella
biblioteca del Manor. C’erano tanti romanzetti rosa
che sua madre era solita leggere che vertevano sull’argomento: creature
bellissime, capaci di uccidere con un bacio e con un altro riportare
l’esistenza in corpi ormai morti. In pochi li collegavano ai negromanti – maghi e streghe schivi
verso la società, rinchiusi nelle loro famiglie e nei loro segreti – e al loro
aspetto cadaverico, che fondamentalmente era il motivo per cui Draco stesso era
rimasto sorpreso nello scoprire la vera natura di Bell. Succubi e Incubi erano
una razza differente che si era unita a quella dei negromanti nei secoli,
entrambe stirpi figlie della Morte seppur differenti.
Gli studiosi parlavano di un gene recessivo8, capace di manifestarsi
solo raramente e che di solito si presentava
fin dalla prima infanzia tramite bambini meravigliosi, capaci di spezzare cuori
solo sbattendo le ciglia. Katie Bell, pur dopo il cambiamento, non era stata
nulla di eccezionale. Spaventosa, sì, ma non incredibile.
In quel momento, osservandola splendere, Draco comprese il perché di quel fiume di parole speso
per descrivere la meraviglia di persone così forti da poter uccidere con la
forza di un bacio. Al diavolo, lui
stava per morire a causa di un bacio, ma non avrebbe potuto importargliene di
meno! Se lei avesse chiesto, avrebbe sacrificato tutto, ancora una volta.
Falli a
pezzi, le aveva detto, e lei aveva iniziato a ridere. Se lui fosse
stato normale, quel suono lo avrebbe
fatto morire di paura e lo avrebbe spinto a scappare, pregando per una fine
veloce e indolore. Ma Draco Malfoy non era sano di mente da anni, a quel punto,
e non c’era nulla che avrebbe potuto renderlo più felice dell’assistere alla distruzione di quelle creature che
sembravano intenzionate a mangiarli.
Non c’erano più mostri capaci di togliergli il
sonno, non quando il mostro più pericoloso di tutti era una sua creazione,
seppur involontaria.
La osservò avvicinarsi lentamente alle creature,
che in quei pochi momenti che le erano serviti per cambiare non si erano mossi, come curiosi di scoprire cosa sarebbe
successo. Si muoveva con una grazia non umana, ma priva di qualunque tipo di
malizia avesse potuto utilizzare durante il suo incontro con Draco stesso
nell’infermeria delle Banshee. Non stava usando i suoi poteri legati alle
emozioni umane, non avrebbe avuto senso contro dei cadaveri, ma era comunque forte, molto più forte di quanto lui
potesse sopportare. Gli bruciavano gli occhi, come se avesse iniziato a fissare
il sole con troppa intensità, ma non se la sentì di distogliere lo sguardo.
Katie Bell avanzò e ad ogni suo passo le creature
arretrarono, come schiacciate da una forza inarrestabile.
«State davvero opponendo resistenza?» chiese, la
voce incredibilmente melodiosa. «Non potete piegarmi, non più. Adesso siete miei» continuò, smettendo
di ridere ed allargando le braccia, come ad invitare i cinque mostri ad
avvicinarsi, a stringersi a lei come se fosse stata una madre o una sorella. E loro lo fecero. Uno ad uno,
strisciarono ai suoi piedi, allungando le mani ossute per poterla sfiorare ed
emettendo versi gutturali incomprensibili e patetici, esprimendo la loro sottomissione
nei pochi modi che le loro menti controllate dovevano consentire loro.
Per un istante, Draco pensò che lei li avrebbe
coccolati o li avrebbe rimandati nelle loro tane
o qualcosa di altrettanto sdolcinato. Ma
dovette ricredersi immediatamente. Con un gesto veloce, Katie prese per il
collo la creatura più vicina, sollevandolo finché non si trovarono occhi negli
occhi e allora rise più forte,
stringendo la presa su quelle ossa polverose fino a sbriciolarle fra le proprie
dita. Un piede trapassò, un attimo dopo, la gabbia toracica di un altro mostro,
proprio dove avrebbe dovuto trovarsi il cuore.
Gli altri non ebbero una fine più misericordiosa.
Immobile fra la polvere e pezzi di corpi in
decomposizione, la Negromante apparve davvero in tutta la sua gloria. Aveva
smesso di ridere, ma un ghigno soddisfatto le incurvava ancora le labbra quando,
con un gesto distratto, si pulì uno schizzo di sangue nero che le era finito
sul viso e, tranquilla, se lo portò alle labbra.
Avrebbe dovuto sentirsi disgustato, ma Draco
fremeva all’idea di sentire ancora una volta la sua voce, pur percependo la propria
coscienza cedere lentamente il passo all’oscurità. Gli occhi erano pesanti, le
orecchie gli fischiavano in modo che non era assolutamente naturale, eppure lui
non riusciva a trovare la forza di chiedersi cosa ci fosse di sbagliato il lui,
cosa potesse fare per non sentirsi ancora una volta ad un passo della tomba.
Emise un flebile gemito di dolore, portandosi inconsciamente le mani al petto
ed attirando l’attenzione della donna.
Quando lei gli sorrise, non lo fece con quella
crudeltà che l’aveva animata fino a qualche istante prima. «Non ti lascerò
morire in questo modo, Malfoy» sembrò volerlo rassicurare, avanzando sicura
nella sua direzione, fino ad inginocchiarglisi accanto.
No, non
accanto.
In un qualunque altro momento, Draco si sarebbe
sentito vagamente eccitato all’idea di avere una donna talmente intrigante fra
le proprie braccia, a cavallo del suo inguine, talmente vicina da lasciar quasi
pensare che volesse trasformarlo in un giocattolino sessuale – possibilità che lui non avrebbe certo
rifiutato – e portarlo dolcemente alla morte. In quegli istanti, tuttavia,
letteralmente con un piede nella fossa, il poveretto pensò soltanto a quanto
patetica sarebbe apparsa quella scena ad occhi estranei.
Fortunatamente, la Negromante non sembrava
intenzionata a lasciarlo andare. Con un’ultima risata, si avventò su di lui,
baciandolo ancora una volta come se la sopravvivenza del mondo – o solo quella di Draco? – dipendesse da
quel contatto. Lo strinse a lei per un tempo che gli sembrò interminabile,
aiutandolo a respirare, regalandogli di nuovo quel calore che lui stesso le
aveva dato non più di una manciata di minuti prima. Senza quasi rendersene
conto, Draco era tornato a vivere,
passando dall’essere una creatura morente fra le braccia della negromante al
tornare nella sua forma migliore, le braccia strette al corpo di lei e le
labbra ansiose di ricambiare qualunque cosa lei avesse voluto concedergli.
«Basta così» gli disse però alla fine, con
un’altra risata, staccandosi leggermente per poterlo osservare negli occhi. I
suoi non erano più neri ma erano tornati del solito verde acqua, seppur più
oscuri di quanto non fossero mai stati. Erano occhi che portavano con sé i
segreti dell’esistenza, occhi consapevoli del mondo intorno a loro e della
propria capacità di controllarlo. «Non vorrai esplodere, vero, a mhuirnín?9 Abbiamo ancora
tante cose da fare, è inopportuno restare qui a giocherellare quando il Mondo
ha bisogno di quel libro» continuò, tranquilla, rialzandosi nonostante i vaghi
– e involontari - tentativi di Draco di tenerla lì con lui ed
allungandogli la mano affinché potesse rialzarsi a sua volta.
Allontanatasi seppur leggermente la negromante,
lui si sentì improvvisamente più lucido. La realizzazione di ciò che era appena
successo – di come lei avesse appena distrutto cinque zombie a mani nude, di
come avessero appena smesso di baciarsi come se fossero stati amanti e non
vecchi nemici – piombò su di lui con il peso di mille tonnellate di pensieri e
colpe. Si ritrovò ad accettare l’aiuto che gli veniva offerto con parecchia più
confusione di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere e, malvolentieri, le impedì
di allontanarsi, così da poterla guardare negli occhi. Anche in quel momento,
tornata normale, quell’aura di innaturalità
era rimasta su di lei, rendendola diversa, nonostante non ci fosse nulla di
fisicamente evidente a testimonianza. «Bell? Ti senti… bene?».
Lei si strinse nelle spalle. «Ancora non lo so,
devo abituarmi a questa nuova realtà. Sono appena tornata in vita, credo di
sentirmi proprio come si sentono i bambini appena nati. Quando i miei cugini mi
raccontavano della loro trasformazione, dicevano sempre che era come respirare
aria fresca per la prima volta… ma erano solo dei bambini, quindi forse anche
loro si sentivano così, ma non sapevano spiegarlo» mormorò, corrugando le
sopracciglia bionde. «Mi sento forte.
E mi sento anche spaventata, credo. E voglio mangiare pancake con sciroppo
d’acero».
Draco la fissò come se fosse impazzita. Era
riuscito a seguire – parzialmente – la sua spiegazione. In molti dicevano che
acquisire i poteri da negromante implicasse spesso perdere se stessi e poi ritrovarsi, ma lui si era convinto che la
Bell avesse subito il cambiamento anni prima, evidentemente sbagliandosi. Ma era
altro a confonderlo. «Perché proprio
sciroppo d’acero?».
Lei sorrise, allegra. «Oh, non ho mai avuto modo
di assaggiarlo! Mi sa di esotico,
così canadese» cinguettò, sbattendo
le ciglia con aria rilassata. «Quando troveremo quel libro, dovresti davvero
portarmi a mangiare dei pancake. Me lo devi, dopo avermi sbaciucchiata per ben due volte» gli fece notare, con l’aria
saputa di chi avesse la certezza di aver vinto una qualche discussione,
sollevando due dita e sventolandogliele sotto al naso.
Se già alle parole “esotico” e “canadese” lui
si era accigliato, in quel momento non riuscì più a trattenere l’espressione
confusa che gli si dipinse in viso. «Non è che io abbia avuto molta scelta al
riguardo, Bell. Mi pare che tu ne abbia beneficiato parecchio. Tu dovresti portare me a prendere i dannati pancake canadesi».
Il modo in cui lei gli sorrise lo fece arrossire e
– che fosse dannato! – Draco immaginò cosa sarebbe successo se Theo l’avesse
visto in quel momento. Non l’avrebbe più lasciato vivere in pace. «Se non
sbaglio,» iniziò lei, accostandosi fino ad accarezzargli la guancia con la
punta dell’indice, così vicina da fargli sentire il suo calore sulla pelle,
«anche tu ti sei divertito parecchio»
continuò, indicando con un cenno ai pantaloni di lui, incapaci di nascondere
quanto, in effetti, avesse apprezzato il precedente scambio di energie che c’era stato con la donna.
Maledizione.
«Katie…»
Lei fece una smorfia. «Non sono sicura che quello
sia ancora il mio nome. O che io riesca a percepirlo come il mio nome» si
lagnò, arretrando e guardandosi la punta degli stivaletti, corrucciata. «Non mi
sento Katie. E non mi sento Katrina. Io non sono quella di prima».
Non
sembrava neppure quella di prima, si ritrovò a pensare Draco,
passandosi la lingua sulle labbra ancora leggermente gonfie. «È per questo che
non sembri volere la mia testa su un vassoio d’oro, in questo momento? Sei
passata dal volermi morto al salvarmi. Ed allo scherzare come se fossimo vecchi
amici».
Lei ridacchiò. «Ah, Katie ti odiava parecchio,
vero? Non puoi darle torto, tu l’hai uccisa. E Katrina era divertita da te,
perché Katie di certo provava qualcosa di forte
e lei voleva capirne il motivo. Io sono diversa».
«Perché?».
«Perché io esisto
solo a grazie a te. Ti devo la mia vita»
gli fece notare, alzando gli occhi al cielo come se fosse ovvio. «E noi stiamo
condividendo energia vitale10, credo sia più che normale che io non
ti detesti più, sarebbe come detestare me stessa e, sinceramente, ne ho abbastanza.
Ho passato quattro anni divisa fra Katie che detestava Katrina e Katrina che
amava follemente Katie. Sono stufa di
tutte quelle emozioni complesse. Adesso sto finalmente bene e non ti detesto perché noi condividiamo la stessa forza e lo
faremo finché non andremo dal Gran Sacerdote a… sistemare la questione».
Draco strinse le labbra, per nulla convinto.
«Condividiamo l’energia vitale? Quindi se uno di noi muore…?» rabbrividì
all’idea di cosa questo avrebbe potuto comportare. «Hai detto che questo Gran Sacerdote può sistemare tutto?».
«Oh, assolutamente» lei annuì, tranquilla. «E no,
se uno di noi dovesse morire l’altro potrebbe sopravvivere… sarebbe stanco per
un po’, ma ce la farebbe. E soffrirebbe le stesse pene, almeno per un certo
periodo di tempo» spiegò, con una smorfia. «Quindi cerca di non farti del male
finché non sistemeremo questo pasticcio, che ne dici? Se fai il bravo, magari
più tardi vedremo di riprendere quel discorso che prima ti stava piacendo tanto».
E ammiccò
nella sua direzione.
La stronza ammiccò
e si allontanò, come se nulla fosse, bacchetta alla mano e atteggiamento
rilassato di chi fosse diretto verso una scampagnata e non alla ricerca del
libro più pericoloso che fosse mai stato scritto. Come se non avesse appena
detto…
Perché
lui stava arrossendo in quel modo?
«Bell, maledizione, aspettami! Per quanto io non
possa morire, preferirei comunque non soffrire le pene dell’inferno perché tu
sei una sconsiderata che si butta fra le braccia dei mostri» le urlò dietro,
cercando di ricomporsi prima di recuperare la sua bacchetta dal suolo e
seguirla, il cuore impazzito nel petto e
non per la corsa.
«Anche Bell
mi suona strano, ma non quanto Katie» si lagnò lei, con una smorfia. «Questo è
il problema principale che segue al cambiamento! Di solito tocca ai bambini e
loro sono abituati al cambiamento,
non hanno problemi ad adattarsi! Io sono troppo vecchia per queste cose ed ora
rischio di sentirmi inadeguata per sempre».
Una volta raggiunta, Draco la osservò con
curiosità. «I tuoi amici ti chiamano Trina. Neanche quello ti sta bene?».
Lei parve rifletterci per qualche istante, poi
sorrise. «Trina mi piace. Posso conviverci» tentò, imbronciando ancora le sue
belle labbra. Erano gonfie ed arrossate per i baci che si erano appena
scambiati. Per una qualche ragione, lui sentì un calore strano nello stomaco e la pulsione di farsi più vicino per poco non
lo fece cedere alla tentazione di posarle una mano sul braccio. Maledizione, meno di un’ora prima lei aveva
voluto ucciderlo! «Trina va bene, ma… non
lo so, non mi piace. Immagino che loro continueranno a chiamarmi così».
«Ma a te non piace» constatò lui, scuotendo il
capo. «Finché non deciderai di chiamarti Mary
o Sue, qualsiasi cosa andrà bene. Ma credo che dovresti trovare qualcosa di
simile al tuo nome, non credo sia il caso di stravolgere ancora di più
l’esistenza di chi ti conosce già». Restò in silenzio per qualche istante,
prima di ridacchiare. «Che ne dici di Kate? Molto di classe, un ottimo
diminutivo di Katrina e più maturo di Katie.
Ormai non sei più una ragazzina che corre con una scopa da Quidditch».
Il modo in cui lei si illuminò al suo suggerimento
lo fece sorridere fra sé e sé. Ben fatto,
pensò, congratulando se stesso con un certo orgoglio.
«Kate mi piace tantissimo! Ha davvero un qualcosa di regale, non credi? È davvero il momento di
farla finita con quella sciocchezza di
Katie, non ho più undici anni. E non sono neppure sicura che il Quidditch
mi piaccia ancora!».
«In che senso non ti piace più il Quidditch?».
Draco era sbalordito,
a dir poco. Katie Bell – la migliore
cacciatrice che Grifondoro abbia mai visto, destinata alla Nazionale ma
strappata via al suo destino proprio da lui
– lontana da un manico di scopa era assolutamente inconcepibile. L’universo
non l’avrebbe perdonato se, aiutandola a cambiare, lui avesse fatto sparire un
talento come il suo.
«Ho detto solo che non so se mi piace ancora il Quidditch» sbottò lei, alzando gli
occhi al cielo. «Sono tutta nuova, mi
sento tutta nuova, devo solo capire come vivere con me stessa, tutto qui»
mormorò, improvvisamente più indecisa. «Tante cose sono cambiate. Adesso non ho
più paura del mio potere, ormai il mio prezzo l’ho pagato. E sono piuttosto
sicura di non essere più arrabbiata con Oliver Baston». Si fermò, portandosi
una mano al petto con fare drammatico. «No, cancella l’ultima parte. Sono furiosa verso Oliver Baston. Aveva
promesso di aspettarmi ma si è fidanzato con quella bagascia! Ed ha continuato a mandarmi i biglietti per le sue
partite di Quidditch! Che diavolo ha in mente?» domandò, guardando Draco come
se lui avesse dovuto sapere la
risposta.
Draco si strinse nelle spalle. Sinceramente, lui
era abbastanza confuso dal fiotto di irritazione provato nel sapere che lei
venisse ancora invitata da Baston alle partite. «Cosa diamine dovrei saperne io? La bagascia è la giovane Smith, non è
vero? Ho visto una loro foto sul Settimanale delle Streghe, mi sono sembrati
piuttosto tranquilli insieme» commentò, allontanandosi di un passo per paura
che lei potesse perdere la testa per l’irritazione. «Forse ti manda i biglietti
perché spera che possiate ancora essere amici, no? È una cosa in cui voi
Grifondoro credete tanto».
«Stronzate» sbottò, parecchio irritata, svoltando
automaticamente a destra lungo il corridoio. «È una delle cose che non ho mai
capito, neppure durante gli anni di scuola. Noi Grifondoro non siamo come i
Tassorosso, sia chiaro, non vogliamo essere amici di tutti. Ma questa loro
volontà di… chiarirsi, di fare la
cosa giusta… ci sono state volte in cui avrei voluto soltanto chiudermi in
camera e portare rancore in pace! Ma
loro no, loro sono per i chiarimenti,
sono per il prendere il coraggio fra le mani e porre fine al caos», Kate fece
un verso disgustato. «Oliver mi aveva quasi convinto a parlare con mia madre,
ma per fortuna tu sei intervenuto
prima che fosse troppo tardi. Ed ora posso continuare a portare rancore per
sempre, non è fantastico?».
Draco, che era rimasto in silenzio per tutto il
suo sproloqui, sentì qualcosa crescere nel suo petto e, quando sentì se stesso
ridere, quasi non se ne capacitò. «Ah, Bell, sei una fonte continua di
sorprese» le disse dopo qualche istante, asciugandosi una lacrima. «Un Grifondoro
che parla male dei Grifondoro è…» non riuscì a trattenere un’altra risata a
pernacchia. «Finalmente riconoscete la vostra inferiorità!».
Il modo in cui lei lo fissò avrebbe dovuto
preoccuparlo, ma non lo fece. «Chiedo scusa? Ho mai detto che i grifondoro sono inferiori?
Rispetto a chi, poi? Ai Serpeverde? Ma
puoi scordartelo» gli disse, fissandolo come se fosse diventato matto.
«Incredibile! Per quanto io possa lamentarmi, di certo non arriverei mai al punto da negare la nostra
naturale superiorità. La professoressa McGranitt mi metterebbe il broncio e di
certo io non posso permetterlo».
La sua espressione combattiva era adorabile e Draco proprio non riusciva a
capacitarsi del motivo per cui fosse tanto affascinato all’improvviso. Non
aveva senso. Eppure…
«Mi piace quando fai quella smorfia» le confessò,
tentato di sbattersi la mano sulla bocca per zittirsi. Era diventato matto?
Lei, che era nel bel mezzo della sua dichiarazione
di superiorità, si fermò e lo fissò senza espressione per qualche istante, per
poi aprirsi in un sorriso immenso. «È un modo per distrarmi? No, perché puoi
continuare, sta funzionando» gli disse, sbattendo le palpebre e sfarfallando le
sue adorabili ciglia.
«Bell-».
«Aspetta». Aveva alzato l’indice della mano libera
all’improvviso, intimandogli il silenzio. In un battito di ciglia era cambiata
di nuovo e la Succubus aveva preso il posto di Kate
con una facilità incredibile. Aveva il capo piegato di lato, quasi avesse
voluto ascoltare qualcosa di flebile e di nascosto a Draco stesso, che non
aveva avvertito nulla. Poi, con un sorriso spaventoso e tutto denti –
sembravano più aguzzi, era normale? – riportò la sua attenzione su di lui.
«Che succede?».
«Percepisco la fonte
che ha mandato i nostri cinque amici, prima. E percepisco qualcosa di
incredibilmente potente vicino a lui, credo sia il libro» lo avvisò.
«Preparati, Draco. È ora di andare a
caccia».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
#Malbell
Pensate che questo
capitolo sia stato l’apice del mio delirio? Ahahah
non avete idea di cosa sto scrivendo per la settimana prossima. Follia pura (e
mitologia greca yeaaah).
Queste note sono assurde,
perdonatemi.
Punti importanti:
» *
- Sono dannata se lo faccio, sono dannata se non lo faccio/ Quindi sono
qui a bere nel buio alla fine della mia strada/ Sono pronta a soffrire, sono
pronta a sperare/ è un bicchiere nel buio e va dritto alla mia gola/ Cercando il
paradiso, ho trovato il diavolo in me/ Cercando il paradiso, il diavolo dentro
di me/ Allora al diavolo! Lascerò che accada. Questa è la canzone perfetta per Katie, l’ho dovuta usare di
nuovo. Katie voleva la pace e l’ha trovata nel suo demone personale. Se questa
non è crescita personale…
» 1
– Nel primo libro, durante la prima partita di Harry, si dice chiaramente
che Katie sia stata una riserva durante l’anno precedente. Harry non è il più giovane giocatore dell’ultimo
secolo, quindi, ma è il più giovane titolare.
Durante il suo primo anno, Katie ha giocato una sola partita (per una mezzoretta
sola, in realtà) ed ha segnato un punto appendendosi a testa in giù sulla
scopa. Perché Katie è la migliore Cacciatrice di Grifondoro e nessuno mi
convincerà altrimenti.
» 2
– Dovete sapere che Oliver Baston è stato il primo, grande amore della mia vita
e ancora lo è. Però qui è un po’ stronzo. Poiché non penso che si parlerà più
di lui, vi racconto cos’è successo: il signor Baston e Katie si sono
corteggiati a vicenda per tutti i primi tre anni di Harry a scuola, finendo col
mettersi insieme durante i festeggiamenti alla fine della partita con i
Corvonero (non la prima finale vinta, la penultima partita). Sono stati insieme
– felicissimi – fino al settimo anno di Katie, quando Draco le ha rifilato la
collana e lei è cambiata (parzialmente). Katie era spaventata dal suo stesso
potere e allora ha detto ad Oliver “Non sei tu, sono io, ti sto mollando”, ma
lui ha insistito e alla fine lei ha accettato la promessa fatta da lui di “aspettarla
anche tutta la vita, se necessario, perché lei è il grande amore della su vita”.
Indovinate un po’, però? Meno di un anno dopo ecco che spuntano le foto di
Oliver e della sua nuova ragazza, che lui, nell’intervista, chiama “il grande
amore della sua vita”. Katie come sappiamo perde la testa e i suoi amici sono
costretti a fermarla prima che faccia la pelle ad Oliver. Il problema, però,
sta nel fatto che Oliver non solo chiede alla tipa di sposarlo, ma continua a
voler parlare con Katie ed a tentare di riconquistarla. Quali sono i piani del
ragazzo? Nessuno lo sa, ma è stronzo. Scusami Oliver, sappi che io ancora ti
amo un sacco!
» 3
– “Nonna”, in rumeno.
» 4
– Come ho già detto, Katie non viene da una bella famiglia. Suo padre non c’era
mai e se c’era la guardava con sdegno perché è una femmina. Sua madre la
detestava perché apparentemente neppure lei aveva ereditato i poteri da
negromante che le avrebbero consentito di fare la figa in Romania. Ovviamente Charis, la madre, non aveva idea che Katie avesse un potere
ancora più grande e raro, altrimenti avrebbe finto di volerle bene. Invece no,
l’ha sempre fatta sentire inadeguata. Come dirò meglio nel prossimo capitolo,
il non essere amata ha praticamente sopito di più il potere di Katie,
ritardandolo e facendolo diventare più
forte.
» 5
– Eccoci di nuovo con le follie, eh? Il fantomatico prezzo che
negromanti/Succubi/Incubi devono pagare è praticamente il loro essere, la loro identità.
Perdono se stessi, diventano qualcuno completamente diverso. Per i bambini è
effettivamente più facile, perché ancora non sono definiti, non hanno un carattere.
Più grandi si è, più grande è il prezzo pagato e, quindi, più grande è il
potere. Katie ha perso tutta se
stessa perché è cambiata tardissimo, ma il suo potere è anche incredibilmente
più forte della media. In pratica: più tardi cambi, più “paghi” in termini di
identità e quindi più sei forte. È il tipico rapporto prezzo/oggetto: più
paghi, più ottieni. Katie ha pagato tanto.
Forse troppo.
» 6
– “Cara”, sempre in rumeno. Il Gran Sacerdote (non dimenticatevi che la
Negromanzia è prima di tutto una religione) usa termini dolci con Katie perché
è consapevole del trauma che lei sta subendo (lui è cambiato a quattordici
anni) e perché vuole un po’ fare il ruffiano, essendo consapevole che lei, all’apice
della sua potenza, potrebbe letteralmente prenderlo a calci nel sedere. E
comunque, essendo lei una Succubus, le emozioni
positive (amore, affetto, lussuria) la mettono a suo agio. Quantomeno, la
metteranno a suo agio ora che ha abbracciato il suo potere, prima non tanto. E
Katie è rara, voi non vorreste essere
amici di un genio? (Diciamo pure che questa “genialità” viene pagata con
un filino di pazzia, ma shh).
» 7
– Sempre collegata al paragone “Katrina-Diga”. Per far uscire più acqua e
ottenere più potenza, la Diga doveva essere sottoposta ad una pressione
maggiore. In pratica, per avere più potere, Katie doveva stuzzicare le sue
stesse emozioni. Quale modo migliore che pensare al tuo ex con la sua nuova
fiamma? Katie, praticamente, faceva opera di masochismo su se stessa,
costringendosi a soffrire per ottenere più potere (es. Capitolo 8, quando va
alla partita di Oliver per “richiamare Katrina”).
» 8
– Ecco, vedete, io studio giurisprudenza, ma ho studiato al liceo scientifico.
E sapete cosa mi piaceva davvero tanto? La genetica.
La magia è un gene. Un gene
recessivo, che viene ereditato fra le generazioni e poi sbam! Ecco che viene fuori un Nato Babbano.
Fra i negromanti, il gene “a sorpresa” e quello di Incubi e Succubi. E i maghi
non sono portati alla ricerca con metodi babbani, altrimenti saprebbero già chi
potrebbe diventarlo e chi no.
AVVISO DELIRIO SCIENTIFICO potete non leggere, è
davvero delirante (*Marne prende la sua espressione da Alberto Angela die
poveri*): Perché Katie è una Succube e tutto il resto della sua famiglia no? Partiamo
dal presupposto che ogni persona ha due “pacchetti” di geni, uno preso dalla
madre e uno dal padre, ok? Ci sono geni che per manifestarsi hanno bisogno di
essere in entrambi i pacchetti di geni,
fra questi la magia (MM) e il potere
da Incubo/Succube (SS). La
negromanzia (N) è dominante, quindi
di solito basta un genitore negromante per avere il potere, ma c’è sempre un
50% di possibilità.
Veniamo
ora a Katie. Il nonno materno di Katie (MN)
ha sposato una “mezzosangue” figlia di Incubus e
strega normale (SM), che ha passato
il gene S recessivo (nel senso da solo, non funzionante) alla madre di Katie (MS). Quindi la mamma di Katie è una
strega normale senza il potere che deriva da S, perché pur essendoci non
funziona da solo. S, tuttavia, contiene pure la magia, motivo per cui è come se
fosse (Mm), per questo motivo è comunque capace di usare la magia normale. Una
strega un po’ incapace, perché il suo potere è molto debole, ma comunque una
strega. Veniamo a Katie. Katie ha i pacchetti (MS) come sua madre, ma, a causa
di una mutazione geneticacausata dal fatto che la collana di Draco
praticamente l’abbia uccisa, il suo pacchetto
S si è “attivato” comunque. La mutazione, tuttavia, è stata bloccata da “Katrina”
e Draco, dandole la sua energia, ha fatto in modo che potesse continuare.
Adesso, Katie è (SS).
Delirante, ve l’avevo detto. Questo capitolo è tutto
dedicato alla mia prof del liceo ❤
»9 – Termine dolce in
irlandese, una specie di “tesoro mio” o “amore mio”.
»10 – Eheh,
che bello delirare. Come ho già detto, Succubi e Incubi assorbono l’energia
vitale delle loro vittime e la usano come “prezzo” per giocare con i morti.
Ebbene, in questo caso quella morta
era Katie stessa, lei ha dovuto usare l’energia di Malfoy per far completare la
mutazione e far nascere Kate. Tuttavia ha preso più energia del dovuto e Draco
stava praticamente per morire. Per questo motivo, alla fine, gliene ha
restituita un po’. L’energia di una persona sola è divisa in due, c’è
praticamente una “porta” fra le loro anime (motivo per cui Draco si sente le
ginocchia molli davanti a lei 😉)
Gente,
sono consapevole di aver scritto follie in queste note, per qualunque cosa sono
disponibile alle vostre domante! Soprattutto per la parte “scientifica”, ho appunti e schemi per quella follia.
Chiedetemi qualunque
cosa.
E ricordate, #Malbell
nel cuore.
Se credete che le assurdità siano finite, aspettate il prossimo capitolo.
Vi
aspetto tutti lunedì prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 19 *** Atto VII, Parte IV - Amore e Morte ***
L’Erede del Male.
“And perhaps it is the greater grief,
after all,
to be left on Earth
when another is gone.*”.
[A. Miller – La Canzone di Achille]
Atto VII, Parte IV
– Amore e Morte
Draco avrebbe voluto sentirsi a disagio nel
seguire Kate1 come un cagnolino fedele ma la realtà era ben diversa.
Non gli dispiaceva essere trascinato qui e lì, soprattutto perché era ben
conscio del fatto che, fra i due, lei fosse la più forte e la vera responsabile
della sopravvivenza di entrambi. Si stavano avvicinando al Negromante che aveva
tentato di farli uccidere da ben cinque zombie e, nonostante stesse bruciando
dalla rabbia e dalla voglia di prenderlo a schiaffi, era ben consapevole di non
avere la minima possibilità contro di lui. O contro di lei, naturalmente.
Sperava, tuttavia, si trattasse di un uomo: si sarebbe sentito meno maleducato
a prenderlo a calci, una volta che Kate avesse finito con lui.
Perché, sì, Draco si fidava ciecamente della Succubus che lo
precedeva quasi a passo di danza, gli occhi oscuri come la notte ed il sorriso
di chi stesse vivendo l’avventura più entusiasmante di tutta una vita. Sentiva
la forza di lei scorrergli nelle vene, quasi la sua eccitazione lo stesse
contagiando – cosa da non escludere, in realtà, conoscendo i poteri di lei – e
anche lui non vedesse l’ora del faccia a faccia che sicuramente ci sarebbe stato.
La galleria sembrava interminabile davanti a loro.
Avevano trascorso gli ultimi dieci minuti camminando per i cunicoli bui e non
c’era stato nulla che avesse potuto suggerire un loro avvicinamento
all’obiettivo. Draco era sempre stato un tipo poco paziente, di solito tendeva
a concludere i suoi affari con la massima celerità proprio per evitare di farsi
assalire dall’ansia, come stava accadendo in quel momento. Certo, era un
Serpeverde, era stato cresciuto con l’idea di dover aspettare – che cosa, poi, nessuno sapeva dirlo: Voldemort? Harry
Potter? – ed aveva imparato che fremere non fosse d’aiuto a nessuno. Tuttavia
in quell’istante, mentre l’oscurità intorno a lui sembrava quasi voler sussurrare, l’idea di dover continuare
ancora a lungo lo faceva rabbrividire. Era sinceramente terrorizzato e la tentazione di mettersi ad urlare come un matto
stava diventando sempre più irresistibile.
«Sei nervoso» constatò Kate, guardandolo con
confusione per un lungo istante e rallentando fino a poterlo affiancare.
«Perché sei nervoso? Non hai nulla da temere finché ci sarò io» provò a dirgli,
palesemente sforzandosi di sembrare rassicurante nonostante l’aspetto
ultraterreno la rendesse una delle creature più pericolose che avrebbe potuto
incontrare in quel luogo.
Draco grugnì, grattandosi la guancia con la mano
libera e rifiutandosi di guardarla per più di qualche istante. Tutto pur di non
mostrarle quanto davvero si sentisse
a disagio. «Fino a poco fa tu volevi farmi fuori» le fece notare, il tono fermo
che suo padre aveva tentato di inculcargli fin da quando era solo un bambino.
«E sono queste gallerie, per una qualche ragione mi fanno sentire sempre
osservato. Mi sembra di avere il fiato di qualcuno sul collo» rabbrividì,
pronunciando quelle parole, e si azzardò a spostare lo sguardo su di lei.
Stranamente dispiaciuta, Kate strinse le labbra.
«Non so dirti nulla di fiati, ma ci
sono almeno una decina di zombie alle nostre spalle» lo avvisò, con
tranquillità, impedendogli di voltarsi per controllare e, subito dopo,
impedendogli di dare di matto come avrebbe sicuramente voluto fare. «Ehi, calma, la metà li ho richiamati io e gli
altri non sembrano incattiviti. Credo ci stiano accompagnando da chi di dovere
per fare quattro chiacchiere. Siamo al sicuro» gli disse, accennando un
sorriso. «Non devi avere paura di loro, non quando sei con me» aggiunse e, a
conferma del suo incoraggiamento, allungò la mano per prendere quella di lui e
stringerla leggermente. «Non fare il coniglio, Draco Malfoy, non quando la
famiglia di tua madre ha sfornato due fra i maghi più coraggiosi della
generazione precedente. Sei l’ultimo Black, per Merlino, comportati come
tale!».
Nessuno lo aveva mai collegato alla famiglia
Black, fino a quel momento. Per tutta la sua vita non c’era stato motivo
d’orgoglio, in realtà, considerando che oltre a sua zia Bella e sua madre non
ci fossero stati membri onorati della
famiglia. Naturalmente, da quando la Guerra era finita e la verità su Regulus e
Sirius era saltata fuori, la stirpe si era parzialmente riabilitata agli occhi
della società, quindi lui, figlio di Mangiamorte reietto, non aveva alcuna
ragione di esservi paragonato, non avendo alcun tipo di merito. Non credeva
neppure che qualcuno ricordasse
quella parentela.
«Io sono un Malfoy» le fece notare, le sopracciglia
inarcate. Ancora non le aveva mollato la mano e, in tutta sincerità, non era
intenzionato a farlo. Si sentiva più forte, probabilmente perché in quel modo
la tranquillità di lei più facilmente avrebbe potuto influenzarlo. «E l’ultimo
Black, in teoria è il figlio di mia cugina Ninfadora».
Lo sguardo – ancora oscuro – privo di qualunque
emozione che lei gli dedicò lo fece vagamente preoccupare. «Non è quello che
dice Regulus Black. A me sembra piuttosto orgoglioso,
in realtà». Con orrore, Draco si rese conto che lei stesse guardando un punto
imprecisato sopra la sua testa. Pur voltandosi, naturalmente, non vide nulla. «E
per quanto riguarda il piccolo lupo, lui ha già qualcuno a guardargli le spalle».
«Regulus Black?2».
«Ah, sì, la sua anima ti segue da un bel po’.
Penso sia sempre rimasto ad osservarti e a darti una mano, lui sa cosa vuol dire essere pressato dalle
aspettative familiari e sentirsi solo» spiegò, distogliendo gli occhi da quello
stesso punto e ricominciando a camminare, tirando Draco con sé. «Non
preoccuparti, non ti sta spiando. Molte anime dei nostri antenati ci seguono,
un po’ come angeli custodi. Sono… uhm… come degli scudi, ok? Non sono fantasmi,
sono sensazioni, estensioni del
nostro stesso essere. Spesso anche chi non conosce la negromanzia riesce a
percepirle, solo che non riesce a identificarle.
Io so chi ci segue».
Draco restò
in silenzio per qualche istante, stringendo le labbra. Una parte di lui era
effettivamente inquietata da quella
scoperta, come chiunque avesse un po’ di buon senso in corpo: avere un parente
morto alle spalle poteva essere spaventosa come idea. Un’altra parte, però, si
stava potendo un’altra domanda. «Regulus Black mi tiene d’occhio. Ma… mia
madre? Mio padre? Di loro non sai nulla?».
Prima di rispondergli, Kate gli strinse con
maggiore forza la mano. «Mi dispiace, Draco, ma… non ho idea di cosa sia
successo alle anime dei tuoi genitori. Tutte le vittime dell’attacco in
Germania sembrano aver subito il bacio del Dissennatore, prima di…» si fermò,
stringendo le labbra con fare indeciso. Evidentemente la nuova Kate non voleva mantenere la schiettezza di Katie e, in quel
momento, lui gliene fu grato. Non era il momento per sentirsi fare del
sarcasmo. «Mi dispiace, Draco. Ma sappi che non sei mai stato da solo, dopo la
loro morte». Restò qualche secondo in silenzio, prima di azzardare un leggero
sorriso, stringendo ancora la sua mano. «Non sei solo neppure adesso».
Stranamente, lui riuscì a tirare fuori una smorfia
vagamente rassicurante. «No, evidentemente non sono solo, visto che abbiamo dieci morti che ci camminano alle spalle
ed a cui, a quanto pare, non devo prestare attenzione» sbottò, cercando di
recuperare tutta la sua ironia in un colpo solo. Non gli piaceva mostrarsi
debole, neppure davanti a lei che condivideva la sua stessa energia vitale.
«Quanti altri ce ne sono qui dentro? Ho idea che non siano solo quelli».
Palesemente sollevata dalla distrazione che lui
aveva fornito, lei ridacchiò. «Queste gallerie sono chiamate Inferno dai negromanti, si ritiene che
Dante Alighieri, nello scrivere la sua Commedia, abbia preso ispirazione da
questi cunicoli. Era qui che venivano mandati i traditori delle prime comunità magiche stanziate sul territorio. In
molti credono che in questo luogo siano stati sepolti i grandi negromanti, quelli le cui storie vengono raccontate ai
piccoli apprendisti. La carica magica di questo luogo, soprattutto di Negromanzia, è impressionante. Ci sono
mostri e creature di ogni tipo che però per la maggior parte sono
definitivamente morti, ormai».
«Rassicurante» commentò Draco, con una smorfia.
«Quale luogo migliore per nascondere il libro con tutti i segreti
dell’esistenza?».
Kate si strinse nelle spalle, anche se più nervosa
di quanto non fosse stata poco prima. «Immagino che scopriremo a breve se hai
ragione e questo è il nascondiglio perfetto. Siamo arrivati. Non vedo l’ora di
prendere questo negromante, costringerlo a mangiare milioni di pancake fino a
farlo soffocare perché non ci sarà più spazio nei suoi polmoni. Poi gli
strapperò il cuore e userò la sua anima per divertirmi un po’. Magari lo farò
anche implorare!».
Draco la fissò ammirato per qualche istante. «Sei
una psicopatica» disse, con un certo orgoglio nella voce.
«Io preferisco creativa».
***
Quando si ritrovarono faccia a faccia con
l’artefice dei loro ultimi problemi, tutte le aspirazioni di gloria che Kate
aveva avuto svanirono nel nulla, soffocate dalla sorpresa.
Erano giunti in quella che sembrava essere una sala
al centro della montagna: il grande spazio circolare era circondato da decine
di sbocchi per altrettanti tunnel nascosti, quasi ci fossero state tante altre
strade che avrebbero potuto portare proprio lì.
La luce emanata dalle torce appese alle pareti era rossastra, molto più sanguinolenta di qualunque altra fiamma
Draco avesse mai visto e colorava in modo inquietante i loro visi,
riflettendosi in modo quasi innaturale negli occhi completamente oscurati della
negromante. Lì, al centro di quello che sembrava essere un lago fatto di fiamme
liquide – avrebbe potuto dire lava, ma la consistenza sembrava proprio quella
delle fiamme – c’era una singola roccia e, su quella, un vecchio con lunghi
capelli bianchi ed una barba che avrebbe fatto invidia al non compianto Albus Silente3.
Le somiglianze con il vecchio preside, tuttavia, si fermavano a quel dettaglio
estetico: la pelle dell’uomo era scura seppur stranamene grigiastra, le sue
labbra, piegate in un ghigno, completamente blu. Draco lo riconobbe subito come
un Negromante, ma a togliergli la certezza furono i suoi occhi: non neri come
quelli di Kate ma rossi come il
sangue vivo.
Con sua enorme sorpresa, piuttosto che iniziare a
sbraitare o lanciarsi direttamente contro di lui, Kate cadde in ginocchio, il
capo chino in un gesto di immediata sottomissione. Lui si preoccupò che quella
lotta interiore che, come lei gli aveva raccontato, l’aveva portata a cambiare
definitivamente fosse ritornata, più forte perché in presenza diretta
dell’artefice. Tuttavia lei scacciò tutti i suoi dubbi quasi immediatamente. «Dominus4, io non avevo idea
che fossi tu» sussurrò, la voce rotta
da un’emozione che Draco avrebbe voluto identificare come paura ma che, in
realtà, fu molto più simile alla più sincera gioia. «Credevo… credevamo…».
L’uomo rise, rivelando una gentilezza che Draco
non si sarebbe mai aspettato. «Credevate ciò che io ho voluto farvi credere, bambina» le disse, quasi divertito. «Non
che i tuoi sacerdoti abbiano tentato di trovarmi con tutte le loro forze. Credo
abbiano rinunciato dopo il terzo decennio, classificandomi come una stupida
leggenda».
«Non abbiamo mai smesso di credere in te» sbottò
lei, alzando di scatto il capo per mostrare quanto fosse scandalizzata. «Dominus, noi non abbiamo mai smesso di
credere che un giorno saresti tornato da noi» mormorò, più docile,
occhieggiando infine Draco. Con orrore, notò che lui fosse rimasto in piedi,
apparentemente confuso ed ancora in posizione di difesa, con la bacchetta alta.
Per quanto possibile – visto il suo colorito cadaverico – impallidì, facendogli
cenno di imitarla. Quando lui finse di non capire, strinse per un istante gli
occhi e, improvvisamente debole, Draco si ritrovò con le ginocchia fra la
polvere.
No, non debole. I movimenti veloci – troppo veloci, maledizione! – che
c’erano stati nei suoi pantaloni erano chiara testimonianza che la sua fosse,
più che stanchezza, una vera e propria, oltre che fulminea, estasi post-orgasmo5.
Che
diavolo!
«Credo che il tuo accompagnatore non abbia gradito
che tu usassi i tuoi poteri su di lui, bambina» le fece notare il vecchio, con
una risata dalla stessa consistenza del velluto, anche se incredibilmente
spaventosa. «Si tratta del tuo Auctor, non è così? Vedo bene ciò che vi lega. Le parche
devono aver giocato uno dei loro trucchetti su di voi, per portarvi entrambi
qui» sbottò, stranamente allegro. «Farai bene a presentarci, prima che io mi
senta personalmente offeso».
Kate, che aveva allungato la mano per posargliela
sul braccio – per tenerlo buono? Per scusarsi? Non ne aveva idea -, accennò un
sorriso ironico. «Direi che a giocarci un trucchetto sia stata più che altro
una piccola veggente» sbottò, scuotendo il capo. «Perdonami, Dominus, per non aver provveduto
immediatamente. Draco» disse poi, voltandosi finalmente per guardarlo. Una
strana patina era sui suoi occhi neri, qualcosa di rossastro le sporcava le
guance. Aveva pianto sangue?6
«Draco, sei di fronte al Re e Padre di tutti i negromanti, il Dio della Morte»
presentò, la voce ridotta ad un sussurro colmo di amore. «Sei di fronte a Thanatos».
Pronunciato il nome, l’uomo sembrò improvvisamente
crescere in stazza, nonostante il suo corpo non fosse cambiato di un millimetro,
dietro di lui si aprirono due immense ali nere, lucenti e spaventose. Draco si
sentì grato di essere già finito in ginocchio, perché l’orrore che lo colpì in
quell’istante lo avrebbe sicuramente fatto cadere e non ci sarebbe stata alcuna
delizia fisica, per quanto veloce, a salvargli parzialmente l’onore. Avrebbe
voluto non credere a quanto aveva appena sentito, avrebbe voluto scoppiare a
ridere e dirle che le divinità come Thanatos non fossero mai esistite.
Osservando quegli occhi di sangue, tuttavia, sentì
di non provare neppure un accenno di dubbio. Doveva essere un Dio.
«Ah, del sano terrore mortale» si rallegrò proprio
lui, con una risatina, osservando Draco. «Erano millenni che non ne godevo! Da
quando i miei negromanti sono venuti alla luce mi sono sempre sentito
circondato da amore, avevo quasi
scordato quest’altra sensazione! Ma non temere, Mortale» lo rassicurò, con un
gesto blando della mano. «Non farei mai del male ad una persona tanto legata ad
uno dei miei figli. Non sono crudele» gli disse, allargando le braccia con un
gesto vagamente drammatico, lasciandosi cadere su di un trono di fiamme7
che Draco era certo non fosse stato lì fino a pochi istanti prima.
«Grazie, Dominus»
disse Kate, con un sorriso sincero sulle labbra, rialzandosi e tirando anche
Draco con sé. «Io ed il mio Auctor condividiamo
l’energia vitale, se avessi voluto fargli del male anche io avrei sofferto
incredibilmente» spiegò, sorprendendo Draco nel rivelare la loro più grande
debolezza. Era incredibile quanto lei fosse fiduciosa
e felice, in quell’istante. Sembrava assurdo. «Spero tu non sia risentito nei
miei confronti per aver distrutto i tuoi zombie».
Thanatos – gli
sembrava ancora assurdo pensare di lui in quei termini – rise più forte,
scuotendo il capo. Era una sua impressione o la divinità stava ringiovanendo a vista d’occhio? Barba e
capelli non erano più lunghi come prima, pur essendo sempre candidi. Anche il
suo viso era meno rugoso, ne era assolutamente certo. «Come potrei essere
risentito, bambina? Io sono fiero!
Sei riuscita a resistere al mio richiamo ed hai eliminato cinque Richiamati pur avendo appena subito il cambiamento! Neppure
l’attuale Gran Sacerdote ci sarebbe riuscito, ai tempi della sua
trasformazione. Anche lui credo sia cambiato molto tardi, come te» si rallegrò,
quasi ruggendo la sua approvazione.
Senza capire il perché, anche Draco si sentì molto
orgoglioso della ragazza e non riuscì a trattenere un sorrisino compiaciuto.
Kate ghignò. «Lui aveva tredici anni, Dominus. Io ne avevo diciassette» disse,
tranquilla nonostante fosse evidente che volesse vantarsi di quel suo successo.
Successo ottenuto grazie a Draco. «Ho
solo reagito d’impulso, sono Irlandese e non mi piace che mi si dica come
comportarmi. Una reazione involontaria, nulla di più».
«Strabiliante» corresse invece Thanatos, scuotendo
il capo. Era davvero ringiovanito! Nonostante
i capelli fossero ancora bianchi, il suo corpo si era trasformato, abbandonando
l’apparenza di vecchio mendicante per assumere quella di un uomo nel fiore
della virilità. Era bellissimo.
«Solitamente uccido chiunque si avvicini al nascondiglio del libro, ma questa volta
dovevo vederti, bambina. E dovevo
conoscere il tuo Auctor»
spiegò, incrociando le braccia al petto. Anche il suo atteggiamento era
cambiato: sembrava che improvvisamente fosse diventato cosciente della sua
prestanza e volesse metterla in mostra a tutti i costi. «Siete qui per il Necromicon, immagino».
«Sì, Dominus»
confermò Kate, mentre Draco si limitò ad annuire. La parola sembrava mancargli,
davanti a quell’essere mitologico. «Crediamo che Sisifo stia tornando. Se non
prenderemo noi il libro, il piano di quel mostro verrà portato a termine e
l’umanità finirà nuovamente fra le sue mani» mormorò, dispiaciuta. «Ti prego, Dominus, dacci il libro. Dobbiamo
fermarlo, una volta per tutte. Tu non puoi intervenire8, ma noi sì».
Per un lungo istante, Thanatos non disse
assolutamente nulla. Fermo sul suo trono di fuoco, restò a fissare i suoi due
visitatori in silenzio, le sopracciglia aggrottate e gli occhi rossi ridotti ad
una fessura. Poi, sospirando, alzò gli occhi verso il soffitto. «Dimmi,
bambina, i tuoi sacerdoti ti hanno mai raccontato come è nato il Libro?»
domandò, solo apparentemente distratto.
Kate si morse leggermente il labbro inferiore,
prima di annuire. «Sì, Dominus.
Sisifo… lui è tornato dal Regno dei Morti, dopo…».
«Dopo avermi intrappolato» continuò proprio lui,
con una risata senza allegria. «Dillo pure, mia cara, non mi offenderò per la
verità. Lui mi ha intrappolato e, una volta essermi liberato, l’ho
personalmente trascinato al suo posto, negli Inferi. Ma è tornato indietro e,
con i miei segreti, ha scritto il Necromicon». I suoi occhi rossi si fermarono nuovamente su
Kate e Draco. «Ma tu sai come mi ha
intrappolato? Oppure i tuoi sacerdoti hanno ben pensato di insabbiare il
tutto?».
Kate si accigliò, piegando il capo di lato. «Noi
non… non ne ho idea, Dominus. Non ho
mai chiesto».
«E come te, bambina, non ha chiesto nessun altro.
Ma immagino sia questo il prezzo da pagare per essermi mostrato così debole»
sbottò, mostrando i denti in un ringhio feroce. Draco, tuttavia, non percepì
rabbia o vergogna nel suo tono, ma solo un enorme dolore. Nostalgia, forse. «Io non ero andato da Sisifo per ucciderlo,
quando sono stato catturato. Non sarei mai stato tanto stupido da camminare
nella sua trappola, dopotutto» mormorò, scuotendo il capo. I suoi capelli
bianchi gli dondolarono in modo quasi ipnotico sulle spalle. «Non sono stato io ad essere rapito da lui, ma il mio
Eros. Quel mostro ha approfittato di
lui, quando è andato a recuperare l’arco e le frecce che Tiresias,
che all’epoca era il suo coppiere, aveva rubato per far un piacere al suo
amante. Dopo che Eros stesso aveva
trovato l’amore per lui!9».
Qualcosa di simile ad un pugno invisibile si
scagliò contro di Draco, facendolo arretrare. Fortunatamente i suoi riflessi da
cercatore lo aiutarono a mantenere abbastanza concentrazione da notare la
caduta di Kate ed allungare le braccia per afferrarla prima che potesse toccare
il suolo. Il dolore che lui aveva
provato doveva essere il fantasma di quello che aveva colpito lei, come
conseguenza della rabbia della divinità.
Aveva ragione, la sua era nostalgia. Nostalgia dell’amore perduto.
Eros e Thanatos, le due pulsioni alla base
dell’esistenza. Amore e Morte, principio ed inizio di qualunque essere vivente.
Forze complementari che, evidentemente, erano tali non soltanto a livello
filosofico.
«Tu amavi
il dio dell’amore al punto da voler mettere a rischio uno dei principi
fondamentali del mondo? Al punto da far sparire la morte dal mondo?» gli chiese Draco, cercando di riprendere fiato
ed aiutando Kate a tornare in piedi, nonostante il rivolo di sangue che vide
uscirle dalle labbra bluastre. Sembrava quasi che l’avessero picchiata
selvaggiamente, nonostante nessuno l’avesse davvero toccata.
«Avrei fatto qualunque cosa per lui» sbottò
Thanatos, balzando in piedi e passandosi le mani fra i capelli con fare folle.
«Lui era il mio compagno immortale, la ragione della mia esistenza. Una Morte senza amore è una vita senza amore. E una vita senza amore non è nulla» sibilò. «Senza Eros, dove credi che sarebbe la donna che
stringi fra le braccia, Mortale? Chi sono Incubi e Succubi, se non nostri figli
prediletti? Tu non avresti rischiato tutto per l’altro genitore dei tuoi figli
più amati?». Le gambe di Draco tremarono violentemente e per un istante lui
temette che Kate avesse definitivamente perso i sensi, fra le sue braccia. Ad
ogni sibilo della divinità sembrava perdere sempre più stabilità, accasciandosi
a peso morto ed emettendo dei gemiti addolorati. «Mi sono consegnato, sapevo che gli altri sarebbero venuti a
liberarmi, presto o tardi. Un mondo in cui nessuno muore è un mondo che attira
facilmente l’attenzione. Ma un mondo senza amore? Gli umani non se ne sarebbero
resi conto per anni, se non secoli. Siete una razza così irriconoscente!» continuò Thanatos,
scuotendo il capo. Kate piagnucolò.
«Smettila, maledizione!» ringhiò Draco, crollando
al suolo e stringendo il corpo della negromante al petto, nel vano tentativo di
proteggerla da qualcosa che, fisicamente, non esisteva. «Dici di amare Eros e
di esserti sacrificato per lui, ma credi davvero che ti ringrazierebbe per aver
causato la morte di lei? È una Succubus, è una dei vostri
figli e con i tuoi capricci da bambino la stai uccidendo!» gli urlò, disperato, preparandosi ad un altro scoppio
d’ira che avrebbe potuto spazzare via non solo lei, ma anche lui.
Invece, così come era iniziato, il dolore della
divinità si assopì e, in una frazione di secondo, Draco lo vide al suo fianco,
le mani pallide e affusolate allungate in direzione di Katie, così da poterle
sfiorare il viso. «La mia bambina» lo
sentì mormorare, colmo d’orrore. Le dita perfette le toccarono le guance,
portando con sé un po’ di colore. «Perdonami, figlia mia. Non avrei mai dovuto
farti male. Tuo padre non me l’avrebbe mai perdonato, se mi avesse visto»
aggiunse, allungandosi per toglierla dalla presa di Draco stesso – con
parecchia resistenza da parte sua – e poterla stringere al suo petto. Con
sorpresa, Malfoy rivide la vita tornare nei tratti della giovane, che aprì
lentamente gli occhi, ricominciando a respirare. «Siamo lontani da così tanto
tempo, tendo a dimenticare cosa significhi amare
davvero».
«Hai detto che i negromanti ti hanno sempre tenuto
in altissima considerazione» notò Malfoy, le sopracciglia aggrottate,
stringendo le mani a pugno per reprimere la tentazione di allungarle e tirare
via Kate, nonostante lei sembrasse piuttosto tranquilla lì dov’era. «Sono tuoi
figli anche loro, no?».
Thanatos non lo degnò di uno sguardo, continuando
ad accarezzare il viso di Kate e sorridendole con dolcezza. Era impressionante la velocità con cui
quell’essere fosse capace di cambiare le proprie emozioni. «I negromanti sono
figli miei, solo miei. Vivono nella
Morte, perché io sono Morte. Sono
nati quando Sisifo ha creato quel maledettissimo libro ed ha rivelato ad altri
mortali i segreti dell’esistenza, perché qualcuno
avrebbe dovuto aiutarmi a tenerlo lontano da ciò che aveva fatto e non avevo
intenzione di sacrificare loro»
spiegò, spostando una ciocca di capelli biondi dal viso di Kate. «Non li ho
creati per amore, non li ho voluti, ma sono nati da me, quindi ho dovuto assumerne la responsabilità, pur odiandoli
con tutto me stesso. Col tempo si sono uniti ai nostri figli ed io non ho più potuto fare una differenza. Sono
diventato insofferente verso tutti loro e, alla fine, ho preso il libro e sono
andato via. Non volevo più sentirli lamentarsi di Sisifo e dei suoi
catastrofici ritorni provvisori. Finché io avessi tenuto il libro al sicuro,
loro non avrebbero avuto di che preoccuparsi, quantomeno non nel lungo
periodo». Sospirò, scuotendo il capo. «Immagino di aver sbagliato, se non mi
fossi allontanato avrei potuto aiutarli a risolvere questi problemi in meno
tempo e, forse, sarei già riuscito a tornare indietro».
«Tornare indietro
dove?» domandò Kate, con tono gentile, senza allontanarsi dalla stretta della
divinità ma allungando la mano per stringere quella di Draco. «Perché hai tu il libro?».
Il sorriso triste che lui le dedicò fece stringere
il cuore a Draco. «Sono stato punito per la mia impulsività, bambina. Gli altri
dei mi chiamarono sciocco per essermi
consegnato, nonostante la seconda fuga di Thanatos fosse stata colpa altrui. Venni
condannato a preservare il Necromicon, così che Tiresias, il traditore, non potesse trovarlo per restituire
l’esistenza a Sisifo stesso. Mi impedirono di rivedere il mio Eros, portandolo
con sé e vietandogli di scendere fra i mortali». La sua voce si spezzò, colma
di dolore. «Quel giorno punirono me, condannandomi a vivere fra i mortali e
assistere all’opera del mio sposo, pur non potendone godere più in prima
persona. Ma punirono anche i nostri figli, che lo dimenticarono, vivendo senza
la gioia di ricevere la sua benedizione oltre che le mie, oltretutto deboli a
causa del risentimento che avevo iniziato a maturare». Con un gesto gentile,
posò le labbra sulla fronte di Kate. «Mi dispiace, bambina mia. Sono stato uno
sciocco e tu hai pagato per i miei errori. Se Eros fosse stato qui con me,
avrebbe riconosciuto subito il nostro sangue in te e ti avrebbe allontanata da
quella spregevole Mortale che ha dato vita al tuo corpo mortale10».
Kate gli sorrise di nuovo, delicatamente. Il
sorriso che Draco aveva spesso visto sua madre dedicare proprio a lui, quando
credeva che non guardasse. Un sorriso pieno di amore incondizionato. «Non
scusarti, il tuo è stato un errore fatto per amore. Anche la Morte sbaglia» lo
rassicurò, dandogli dei colpetti amichevoli sul braccio. «Anche la tua
punizione è senza una fine, come quella di Sisifo e Tiresias?».
Thanatos annuì. Non aveva mai distolto gli occhi
da lei, quasi Draco non fosse neppure lì con loro. «Finché ci sarà bisogno di
proteggere il libro da quei due folli, io sarò bloccato qui. E Poiché la loro
punizione è eterna…».
«Ma se noi riuscissimo a porre fine a queste
follia…» iniziò Kate, stringendo le labbra e lanciando uno sguardo a Draco, che
annuì. «Se riuscissimo a fermarli una volta per tutte, allora tu potresti
tornare da lui, no? La tua punizione sarebbe finita e potresti andare
finalmente dal tuo Eros».
Il sorriso triste che incurvò le labbra del dio
fece stringere il cuore di Draco. «In teoria, sì. Ma non ti darò il libro,
bambina mia. Non rischierò che tu perda il controllo11 e distrugga
te stessa. Hai così tanto di lui, in
te…».
Draco si schiarì la voce, attirando finalmente
l’attenzione di Thanatos. «Lei non perderà il controllo. Non lo permetterò. Non
lo permetteremo. Ma se non faremo nulla, allora Sisifo tornerà e tutti i tuoi…
tutti i vostri figli saranno
distrutti. Credi che lui vorrebbe questo? Amore è prendere dei rischi. Tu hai
corso dei rischi. Lascia che siamo noi, adesso, a prenderli».
«Tu hai perso tutto per amore» continuò Kate,
accarezzando il viso della divinità, il padre della sua Succubus.
«Adesso lascia che noi proviamo a restituirtelo».
I due si fissarono per un lungo istante, quasi
stessero continuando a discutere in una lingua sconosciuta a chiunque non
appartenesse alla loro stirpe. Alla fine, con un sospiro, Thanatos allungò la
mano verso di Draco, lasciando che in un turbinio di fiamme vi apparisse un
rotolo di pergamena ancora perfetto, nonostante fosse palesemente antico, forse più di quanto lo fosse il
documento più vecchio ritrovato dagli uomini. Lo guardò negli occhi, prima di
lasciare che lo prendesse, fulminandolo con quei due pozzi infiammati, animati
da una determinazione immortale. «Ti sto affidando questo libro, Mortale, così
che tu possa aiutare la mia progenie a porre fine alla nostra maledizione. Se
qualcosa dovrà accadere a lei o a questo libro, tu avrai la Morte a caccia della tua inutile anima. Sei pronto ad accettare
questo compito?».
Quando lui allungò la mano libera e prese il
libro, Kate strinse più forte la presa che ancora li legava.
«Sono più che pronto».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
IO L’AVEVO DETTO CHE LA
FOLLIA ERA APPENA INIZIATA.
Eros e Thanatos, perché
Patroclo e Achille dell’altra FF non erano abbastanza.
Oh, l’hashtag di questo
capitolo è certamente #DramaQueenThanatos.
Punti importanti:
» *
- E forse il più grande dei dolori, dopotutto, è essere lasciato sulla
Terra quando l’altro è oltre. Questa è una traduzione mia, non ho idea se nel libro (che è il mio preferito, comunque)
sia trascritta proprio così (io ho letto la versione inglese, sto aspettando
che mi venga consegnata quella in italiano!). La Canzone di Achille è davvero il mio libro preferito e, in un
certo senso, Eros e Thanatos rispecchiano molto l’esistenza di quei due. Solo
che Thanatos/Achille non può uccidersi per tornare dal suo amato. #Angst
» 1
– Ricordiamo: dopo il suo cambiamento definitivo Katie non si è più
sentita una Katie. Kate è il nomignolo che Draco le ha dato e con cui lei
adesso può identificarsi. Da adesso in poi sarà sempre Kate a parlare.
» 2
– Immaginate un po’ gli angeli custodi, ma più “immateriali”, una vocina sul
fondo della coscienza, un sussurro che quasi non si sente. Non è un fantasma
che segue, è una parte dell’anima che resta vicina al sangue del suo sangue.
Regulus è rimasto indietro per Draco, perché loro due si somigliano tantissimo
dal mio punto di vista. Teddy, invece, è ovviamente
seguito dai suoi genitori.
» 3
– Silente non era un santo e Draco di certo non aveva buoni motivi per
amarlo. Il vecchio era di parte, lo sappiamo tutti, e non è mai stato poi così
carino con i serpeverde. Se poi consideriamo che
Draco per provare ad ucciderlo è quasi morto ed ha praticamente ucciso Katie…
» 4
– Eheh, l’avevo detto che mi sono scatenata. Prima di
tutto, Dominus: come ho anticipato,
la lingua che viene prevalentemente usata dai negromanti è il latino e dominus
indica il padrone, il capo.
Veniamo
all’identità del suddetto Dominus! Esistono gli dei greci? Più o meno. Sono
creature magiche eccezionali, antiche ed immortali che hanno fatto la loro
apparizione davanti ai mortali per secoli,
prima di ritirarsi a vita privata (da qui
le divinità greche e romane e tutte le altre, sono ricordi di un tempo passato).
Dio della Morte? Sì, nel senso che controlla, con la sua magia, tutto ciò che
riguarda la morte. Nei tempi antichi (quando il numero delle persone era ancora
miracolosamente ridotto) era lui a
portare via le anime, ma ad un certo punto (guardare nota sotto), quando tutti
gli altri si sono ritirati, ha smesso di occuparsene personalmente. Per
qualsiasi chiarimento, chiedete!
» 5
– Ehm… sì. Kate è una Succubus,
i succubus sono capaci di manipolare le emozioni
delle loro vittime, soprattutto il desiderio sessuale. Presa dal panico, la
povera Kate ha pensato che il modo migliore di far finire velocemente Draco in
ginocchio fosse farlo divertire
TROPPO. In pratica, Draco ha avuto un orgasmo fulmineo. Poverino, non ha
neanche potuto tenere l’onore alto.
» 6
– Se qualcuno di voi ha visto True Blood o ha letto Intervista col Vampiro (credo!),
saprà che spesso i vampiri vengono dipinti come capaci di piangere lacrime
rosate, perché miste a sangue. I negromanti, quando sono in versione “occhi
neri”, hanno la stessa capacità. Altro motivo per cui spesso è difficile
distinguere i negromanti dalle loro creature. Kate stava piangendo per la
gioia, immaginate di incontrare il vostro Dio all’improvviso, in carne ed ossa.
Un’emozione piuttosto intensa, secondo me.
» 7
- Come ho detto prima #DramaQueenThanatos
» 8
– Come vi ho anticipato, le divinità ad un certo punto si sono ritirate. Quando Sisifo è riuscito nel
suo piano malefico, hanno capito quanto pericoloso fosse mettere il loro potere
a disposizione dei Mortali, così hanno prestato tutti un giuramento assolutamente vincolante (come un Voto
Infrangibile) e hanno promesso di non intervenire mai più fra i mortali. Quindi
Thanatos deve semplicemente nascondere il
libro, non può distruggere Sisifo o Tiresias, non può
intervenire. I mortali hanno libero
arbitrio su tutto.
»9 – VENIAMO ALLA PARTE
SULL’AMORE TRAGICO CHE MI PIACE TANTO. Immaginate questo scenario: Eros e
Thanatos vivono felici con i loro figlioli (poi spiegheremo in che senso
figlioli), passeggiando per il mondo ed osservando gente morire e fare sesso
come se non ci fosse un domani. Tutto meraviglioso. Eros però è un tenerone e
quando il suo coppiere (una specie di maggiordomo che porta il vino) – Tiresias, il famoso veggente che già ne aveva passate tante nella sua vita – gli chiede di
aiutarlo a conquistare l’uomo di cui si è innamorato, lui cede ed usa una delle
sue frecce. Sisifo, però, era ben consapevole di quanto Tiresias
fosse debole e allora sfruttò il suo ascendente per convincerlo a rubare arco e
frecce della divinità dell’amore. Eros, furioso, lascia indietro il suo
compagno immortale e va a riprendersi ciò che è suo, finendo in una trappola
che il suo coppiere gli aveva teso,
insieme all’uomo che lui gli aveva
trovato (perché alla fine Sisifo amaTiresias a modo suo). Poi succede quel che racconta lo
stesso Thanatos: tutto arrabbiato va a salvare il suo amato, ma finisce a sua
volta in trappola e bla bla bla. Eros e Thanatos sono stati separati perché
Eros è stato troppo tenero e tutti i loro figlioli assetati di sangue e sesso
si sono ritrovati senza uno dei loro papà.
»10 – Veniamo al delirio “scientifico-filosofico”
di questo capitolo. In che senso Succubi e Incubi sono figli di Eros e
Thanatos? E i negromanti solo di Thanatos? Perché Thanatos si sta scusando con
Kate?
-Risposta 1: Ovviamente non sono genitori biologici, sono più che altro genitori metafisici (nel senso dell’essenza,
della realtà primordiale). Loro sono genitori del potere dei Succubi. Avete presente ape e fiore? Qui abbiamo amore e
morte che si uniscono per formare l’anima,
l’essenza di Incubi e Succubi. Fisicamente parlando, quindi, non sono
genitori, ma lo sono a livello spirituale. Ogni succube o incubo è FIGLIO
di quei due, non nipote o simili, il potere ha direttamente origine da loro, nasce direttamente da loro. Quindi Kate non è una discendente, è proprio una loro figlia¸
per questo Thanatos poi le dirà di rivedere tanto di Eros in lei.
Letteralmente, la sua anima è figlia di Thanatos ed Eros (Ovviamente per ogni
anima non serve che quei due abbiano rapporti sessuali o simili, è una nascita
spontanea, legata al loro essere “sposati”).
-Risposta 2: Qui vale un po’ la regola della riproduzione asessuata,
diciamo. Il potere di Thanatos si è riprodotto da solo, creando tanti piccoli minions tutti suoi che lui detesta. Sono la dimostrazione del suo fallimento e della sua
lontananza da Eros. Lui è molto drammatico.
-Risposta 3: Si sta scusando perché se lui ed Eros fossero ancora stati
insieme, avrebbero viaggiato per la terra insieme e avrebbero riconosciuto
immediatamente in Kate una loro figlia, portandola via dalla sua mammina
cattiva e facendola crescere con loro stessi o con qualcun altro dei loro figli
(se Eros dovesse essere liberato, la madre di Kate potrebbe passare un brutto
quarto d’ora, perché Eros è buono e carino, ma se fai del male ai suoi figli...).
» 11
- Perché perdere il controllo? Perché nel
libro c’è troppo potere e Kate
potrebbe perdere la testa come è successo a Sisifo. Thanatos non vuole vederla
diventare un mostro e se per caso Draco non dovesse mantenere la sua promessa…
Ve l’ho
detto che era una follia.
Ma
AMO #DramaThanatos e #IngenuoEros
da morire e io mi vedo troppo il povero Eros in mezzo alle nuvole che urla e
scuote le sue alucce bianche imprecando come uno scaricatore di porto (tale
padre, tale figlia) perché suo marito non si prende cura dei loro figli e quel
maledetto Tiresias non la smette di fare guai.
Amore
mio.
Chiedetemi qualunque cosa, ribadisco.
Nel prossimo capitolo tornano gli orrori.
PS:
domani ho un esame, come al solito tenetemi nei vostri pensieri ☹
Vi
aspetto tutti lunedì prossimo! E scusatemi per l’ultimo ritardo, settimana da
impazzire!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 20 *** Atto VIII, Parte I - La Caduta ***
L’Erede del Male.
“Did I request thee, Maker, from my
clay
to mould me man? Did I solicit thee
from darkness to promote me?*”.
[John Milton – Paradiso Perduto]
Atto VIII, Parte I
– La Caduta
C’era uno strano silenzio nella stanza degli
interrogatori. Era strano, perché
Winter non aveva mai sperimentato il silenzio in vita sua, neppure una volta.
Per un lungo periodo si era convinta che, semplicemente, non fosse capace di ricordare
quella breve parentesi della sua infanzia in cui il suo potere doveva essere
stato così debole da consentirle qualche ora di pace, ma suo padre era stato
molto veloce a distruggere quella sua piccola consolazione.
Sei nata
per essere magnifica, le aveva detto, pizzicandole la guancia con
finto affetto. Il tuo potere è nato con
te.
Un modo come un altro per vantarsi di quella sua
vittoria, naturalmente. Vantarsi di come fosse riuscito a mettere alle strette
sua madre fin dalla tenera età, circuirla al punto da costringerla a sposarlo e
dargli una figlia, che fosse così potente da poter assorbire le loro abilità
congiunte e diventare la più grande arma mai apparsa sulla faccia della Terra.
Perché Silas Mulciber
poteva essere un talentuoso Legilimens, ma Berenice Vane era una naturale1, il suo potere era
nato da solo, spontaneo come i fiori selvaggi. Unire il loro patrimonio
genetico sarebbe dovuto essere vietato dalla legge, se non dalla natura stessa. Winter era un fenomeno da
baraccone e ne era sempre stata consapevole.
Ma non
era colpa sua se era nata.
Fin dal primo battito del suo cuore, prima ancora
che potesse abbandonare il ventre materno, prima ancora che la magia iniziasse
a mostrare segni della sua presenza o che la sua stessa mente potesse iniziare
a formulare dei veri pensieri, Elladora era stata
capace di esplorare e distruggere la psiche di chiunque si trovasse intorno a
lei. Non c’era stato mai del silenzio e per anni era stata convinta di non
averne bisogno: non sarebbe riuscita a ragionare senza i pensieri di centinaia
e centinaia di persone ad affollarle la mente, figurarsi poi far cose come
dormire o studiare. Era stato solo dopo, quando le Banshee l’avevano portata
via e le avevano insegnato a schermarsi, seppur parzialmente, e ad abbassare il volume che aveva capito una cosa
fondamentale: lei non aveva mai dormito davvero.
Sì, il suo corpo si abbandonava all’incoscienza.
Sì, perdeva la capacità di pensare razionalmente. Ma la sua mente era sempre attiva. Sempre presente e sempre
capace di captare qualsiasi pensiero fluttuasse intorno a lei.
Era come vivere sott’acqua, aveva realizzato alla
fine. Per tutta l’infanzia era rimasta nelle profondità dell’Oceano, nascosta
alla luce, convinta che il calore non le servisse. Le Banshee, poi, l’avevano
trascinata sempre più su, fin quasi alla superficie. Aveva luce, aveva calore,
ma l’acqua era sempre intorno a lei, sempre dentro
di lei.
Lo sarebbe sempre stata.
In quell’istante, tuttavia, non sentiva alcun tipo
di voce. Nulla, se non i suoi stessi, confusi pensieri. Si permise addirittura
di sentirsi felice, ma fu un’emozione
estremamente breve.
Non era normale.
«Aveva ragione, sei diventata meravigliosa».
Qualcuno di non identificato – qualcuno di cui
lei, evidentemente, non riusciva a percepire i pensieri – parlò con voce piena
di una tristezza incomprensibile, quasi fosse dispiaciuto per lei. Accigliata e preoccupata, Winter allungò la
mano per prendere la propria bacchetta dalla tasca interna della giacca, senza
tuttavia trovarla. Qualcuno aveva preso la sua arma, forse? Quando? Era
piuttosto certa di essere stata sempre da sola.
«Chi sei? Fatti vedere!».
La Sala Interrogatori era piccola, le quattro mura
ben visibili e, fatta eccezione per la porta da cui lei era appena entrata, senza altro accesso. Non
c’era neppure la tipica vetrata a specchio2 che ormai tutti i
Quartier Generali tendevano ad utilizzare, così da consentire alle reclute di
assistere agli interrogatori senza disturbare nessun altro dei presenti.
Non c’era un angolo in cui il suo accompagnatore –
o accompagnatrice – potesse nascondersi.
«Davvero non mi riconosci?» cantilenò ancora la
voce, questa volta con dolcezza e suonando decisamente più femminile. C’era
qualcosa di noto in quell’intonazione, ma lei non poteva comprendere cosa
fosse. Era una vibrazione di fondo, una sicurezza che certamente non aveva
conosciuto più da anni. «Mi ferisci, stellina».
Sentendo il mondo tremare sotto ai suoi piedi,
Winter arretrò fino a sentire la solidità della porta alle spalle. Le luci
tremolarono, oppure fu la sua vista ad oscurarsi per qualche istante, ma non le
importò scoprire la verità. Non c’era nessuno nella stanza, così come non c’era
stato nessuno a chiamarla in quel modo negli ultimi dieci anni. Nessuno.
Nessuno
sapeva.
Come avrebbero potuto? Quelle parole non avevano
mai lasciato i sotterranei del castello di famiglia. Non avevano mai lasciato
la cella, per quel che valeva. Dubitava fortemente che i ragni nascosti nelle
pareti potessero parlarle in quel modo e di certo non erano animagi:
se n’era assicurata più di una volta, schiacciandoli fra le dita per
trascorrere le ore di silenzio degli ultimi giorni, oppure quando lui
richiedeva i suoi servigi,
dissanguandola e restituendola rotta
a Winter.
“Non
piangere, stellina. Il mondo non è brutto come può sembrare”
“Si che
lo è. Io so cosa pensano”
“I
pensieri non sono tutto ciò che esiste nel cuore di una persona, stellina. Non
dimenticarlo mai”.
Le ginocchia le cedettero sotto il peso dei
ricordi. Dieci anni dall’ultima volta in cui si era permessa di pensare, eppure il dolore non era
cambiato affatto, sempre affilato come una lama e velenoso come una serpe in
seno.
“Perché ti
sei nascosta lì sotto?”
“Perché sto
giocando con il tuo papà, stellina. Prometti di non rovinare il nostro gioco?”
“Te lo
prometto. Posso giocare anche io?”
“Oh,
stellina, vorrei tanto che anche tu potessi giocare. Forse un giorno ce la
farai”
Faceva improvvisamente più freddo e – ne era certa
– le luci avevano smesso di funzionare da un bel pezzo. La sua visione notturna
non era mai stata buona, sicuramente non ai livelli di Barry – capace di
distinguere il profilo di un Petardo Cinese da quello di un Grugnocorto
Svedese nell’oscurità totale – o ai livelli di Katie – che viveva fra le ombre la
maggior parte del suo tempo – , ma non aveva mai avuto motivo di lamentarsi,
soprattutto perché lei non aveva mai avuto problemi a percepire. Non distingueva ciò che la circondava? Bastava leggere
la mente di chiunque fosse intorno a lei.
Il buio no nera mai stato buio, prima.
«Chi sei? Dove
sei?» esalò ancora, terrorizzata, mentre scivolava di più su se stessa e, in un
attimo di panico, si afferrava le gambe fra le braccia, raggomitolandosi in un
inutile tentativo di proteggersi da una minaccia che non riusciva neppure ad
individuare. Le ombre la stavano soffocando, infiltrandosi sotto la sua pelle
come piccole punture d’ago, dolorose e gelide, anche se il suo sangue sembrava
bruciare ogni istante di più.
Attacco
di panico, pensò, quasi con distacco, una parte della sua mente, mentre
la restante si crogiolava nell’orrore di un silenzio che non aveva nulla della
rassicurante tranquillità che così spesso aveva immaginato di poter ottenere.
Non si sentiva tranquilla, non si sentiva al sicuro. Non si sentiva neppure
sana di mente, se doveva essere sincera.
«Non mi riconosci, stellina?» ribatté la voce,
provenendo inspiegabilmente sia dalle sue spalle che dai suoi lati, provenendo
dal soffitto e dal pavimento insieme. La voce era ovunque e lei era in nessun
luogo, sospesa in un istante di assoluta ed orribile inesistenza.
Non
poteva essere.
«Tu sei morta! Io ti ho vista morire» sputò, colma di paura e, forse, una punta di
speranza. Non si era mai concessa di provare una simile emozione, nei suoi
ventitré anni di vita. Non si era mai concessa quella possibilità. Non aveva senso, lei l’aveva vista con i suoi occhi. Era successo proprio davanti a lei,
non era spazio a dubbi.
Aveva visto il sangue, aveva sentito le urla.
Aveva guardato la Morte in faccia e lei l’aveva
salutata, sorridendo come se avesse appena vissuto il suo momento di maggiore
gloria, come se lei avesse appena assistito ad una grande conquista.
Non era
la Morte, si disse, in un istante di lucidità. Non poteva esserlo.
Era solo
suo padre.
Curioso come Mulciber
avesse sempre negato, anche davanti ai suoi amici, di averla annientata come
Winter gli aveva chiaramente visto fare. Naturalmente, nessuno aveva creduto ad
una bambina, non quando quella donna aveva sempre mostrato segni di debolezza
mentale che, probabilmente, la povera
bambina aveva ereditato. E poi, lei stessa aveva visto qualcun altro togliere la vita a sua madre.
Katie le aveva confermato che fosse impossibile,
che La Morte in realtà non fosse
nulla di visibile.
Ma lei sapeva cosa aveva visto.
«Certo che sono morta, ma perché sei tanto
sorpresa che io sia qui?» le chiese, curiosa, la voce a lei nota, facendola
rabbrividire più di quanto non stesse già facendo. Perché arrivava da ogni
angolo? Era una voce nell’aria? Era dentro
di lei, forse? Perché il silenzio ancora la stava torturando, se la voce era lì con lei?
«Non è possibile».
«Non avere paura, stellina. Ti ho mai voluto far del male? Apri i tuoi occhi,
guardami» la incitò la voce, con dolcezza infinita, attirandola come la luce
avrebbe attirato una falena.
Troppe volte quella voce l’aveva consolata, non
poteva permettersi di deluderla.
Non dopo l’ultima volta.
“Promettimi
che non tornai più in questa stanza!”
“Te lo
prometto”.
Non aveva mantenuto la promessa e la Morte le
aveva sorriso. Quella era la sua punizione, forse? Erano passati anni, ma Katie diceva sempre che il
tempo è relativo, quando la Madre ha scelto qualcuno. Forse lei era stata scelta,
forse aveva assistito a qualcosa di proibito ed era appena stata chiamata a
pagare il suo debito.
Lentamente, aprì gli occhi che non credeva di aver
chiuso.
Lei non era
più lei. Non aveva alcun tipo di dubbio al riguardo. I suoi capelli non erano mai
stati color topo, neppure quando la prigionia l’aveva spenta dall’intero, ed i
suoi occhi non erano mai stati neri come l’onice più pura3. Lei aveva sempre avuto i capelli come
l’oro e lo sguardo d’acquamarina, proprio come Winter.
Non come Elladora.
«Guardami bene, stellina, sono io» provò ancora la
creatura davanti a lei – la voce? Ma era davvero quella la sua voce? Era sempre stata così oppure la sua mente le stava giocando un tiro mancino? La
creatura non le somigliava, eppure i suoi occhi si erano riempiti di lacrime.
Con stizza, si portò la mano sulla guancia per pulirsi, ma quando la ritirò era
rossa di sangue.
C’era un nauseabondo odore di marcio nella stanza.
«Non puoi essere tu».
«Sono tornata per te, per aiutarti» cantilenò la
creatura, piegando il capo di lato per lasciarsi scivolare delle ciocche di
stopposi capelli grigiastri sulla spalla. La sua mascella era molto più
squadrata, il suo collo molto meno fine. «Nessuno di loro ti ha saputa aiutare, non è vero, mia stellina? Nessuno dei
tuoi amici. Hanno promesso di
salvarti, invece ti hanno tenuta come fenomeno da baraccone».
È
ingiusto! Tuonò la parte razionale della sua mente. Loro ti vogliono bene, lo sai benissimo!
Tuttavia non negò le accuse della creatura.
Non
l’avevano mai aiutata.
«Povera la mia stellina, loro non lo sanno, non è vero? Non capiscono cosa ti tormenta. Pensano
sia tuo padre, non è vero? Così
superficiali, così spaventati della verità…» mormorò la creatura, facendosi
avanti di qualche passo. Il suo odore era acre, mascolino nonostante lei lo
ricordasse completamente differente. «Non ti hanno mai voluta capire».
Hai
voluto nasconderti, non è colpa loro!
«Io sono necessaria alla squadra» disse invece, la
voce bloccata in gola e capace di lasciare le sue labbra solo come un gemito
strozzato dalla paura. La puzza di rancido era sempre più forte, sempre più
disgustosa. «Il mio segreto non è rilevante».
La creatura mise il broncio, allungando la mano
affusolata per sfiorarle la guancia umida con la punta delle dita. Gli occhi
neri brillarono come se un fuoco oscuro avesse iniziato ad ardervi all’interno.
«Tu sei il tuo segreto, se quello per
loro non è rilevante allora non lo sei neppure tu. Ma non per me» le disse, una dolcezza quasi
stucchevole sulla lingua. «Per me, tu sarai sempre la mia stellina».
«Tu sei
il mio segreto» le fece notare, sentendo il cuore battere all’impazzata nel suo
petto. «Tu dovresti odiarmi».
«Odiare la mia stellina?» il tono oltraggiato
della creatura la fece tremare di aspettativa. Era così reale. «Non potrei mai farlo!».
Winter avrebbe voluto chiederle se fosse sicura,
se davvero non potesse odiarla, se davvero…
«Come puoi? Io ti ho uccisa».
La Morte
le aveva sorriso.
Le dita si fermarono sulla sua pelle, gelide come
il ghiaccio. «No, mia stellina, tu hai solo fatto come ti era stato ordinato.
La Morte ha sempre bisogno di un araldo per annunciarsi, non è vero?» la
tranquillizzò, dolcemente, avvicinandosi finché le sue labbra non sfiorarono la
fronte di Winter.
«La Morte non esiste».
«Oh, ma il suo figlio prediletto sì. E tu, piccina
mia, sei stata scelta da lui» la rassicurò, con una risata che di femminile
aveva ben poco. «Vieni con me. Abbraccia il tuo destino e allora sarai
perdonata».
«Lui?».
«Vieni, stellina mia. Sisifo ti sta aspettando».
***
Hermione Granger aveva visto tante cose, nella sua
giovane vita.
Nelle ultime settimane si era convinta di averne
viste troppe e di non poter più provare il brivido della paura o della
sorpresa. Credeva, forse non senza una punta di egocentrismo, di essere
diventata immune a qualsiasi cosa non fossero noia o rabbia.
Si era sbagliata.
«Hermione».
Non si avvicinò, non subito. La sua mente sembrava
aver completamente smesso di funzionare, fissata sull’immagine che le si apriva
davanti agli occhi, nitida ma al tempo stesso così assurda da non poter essere
reale.
L’Uomo Vitruviano, ecco cosa stava guardando,
nonostante fosse estremamente più realistico e sanguinolento. E disgustoso. Lei vedeva rosso, ma non
erano solo i capelli del protagonista di quello spettacolo degli orrori ad
esserlo: rosso era il pavimento, rossi erano i resti dei suoi vestiti, rossa la
ferita che gli apriva in due il torace dallo sterno all’ombelico.
Rosso,
rosso, rosso.
«Hermione» tentò di nuovo l’Uomo Vitruviano, che non era Fred, non poteva esserlo, la
voce ridotta ad un sussurro colmo di orrore. Era sorprendente che stesse
parlando, una ferita di quelle non causava la morte immediata? Non era troppo, per poter restare in vita? «A-Aiu-ta-mi».
Con braccia e gambe divaricate ed appeso al muro
come se qualcuno l’avesse crocifisso, Fred Weasley era troppo debole per poter
sollevare il collo e tenere gli occhi su di lei. Lui doveva raggiungere Winter
nella sala degli interrogatori, ma Winter non c’era.
Ed era tutto rosso.
La sua ferita era troppo profonda, troppo grave
perché potesse essere ancora vivo. Probabilmente era per quel motivo che lei
ancora non aveva dato di matto, correndo nella sua direzione per poterlo
raggiungere, per poterlo salvare.
Doveva essere una allucinazione, no? Forse qualcuno la stava attaccando usando
la Legilimanzia. Forse Winter era impazzita. Era più probabile che lei si fosse
rivoltata contro le Banshee, attaccandola, piuttosto che Fred fosse davvero lì,
in quelle condizioni.
Quando fece un passo avanti e scivolò sul sangue,
atterrandovi in mezzo e sporcando le proprie mani, si rese conto che non ci
fosse alcuna pressione contro le sue difese mentali.
Nessuno la stava attaccando.
Non era una finzione.
Il suo primo istinto fu quello di urlare, ma il
suo addestramento degli ultimi due anni le impedì di farlo, spingendola però a
portarsi la mano a coprire, istintivamente, le labbra. La mano sporca di
sangue. Del sangue di Fred.
Rosso,
così rosso.
Un conato di vomito la piegò in due, ma non vomitò
nulla. Come avrebbe potuto? Fred aveva promesso di portarla fuori a pranzo, una
volta che lui e Winter avessero concluso gli interrogatori e che lei avesse
letto almeno metà dei suoi rapporti.
Fred,
Fred era l’Uomo Vitruviano, il sangue a terra era di Fred.
Scivolò ancora, nel tentativo di rimettersi in
piedi, e sentì il sapore del sangue sulle labbra sporche. Era sufficientemente
vicina da poter vedere tutti quei macabri dettagli di un corpo troppo
maltrattato per essere ancora vivo. Il sangue ancora gocciolava – troppo lentamente, troppo poco sangue in
quel corpo – ed il cuore batteva sotto al suo sguardo. Perché i polmoni si
allargavano? Perché Fred si stava lamentando?
Era vivo, ma non poteva esserlo.
Era vivo, ma ancora per poco.
Non lui, ti
prego, non lui. La sua mente aveva ricominciato a funzionare, ma
era stata la sua parte più debole a tornare in vita, non quella necessaria, non
quella coraggiosa. Era stata
l’Hermione non ancora addestrata a farsi avanti, perché l’idea di perderlo – non
anche lui, non Fred – l’aveva scossa
al punto da riemergere dal cassetto in cui la Banshee l’aveva rinchiusa. Era
impotente, era spaventata.
«Hermione» tentò ancora l’Uomo Vitruviano, che era
Fred ma non poteva esserlo. Non lui, non
lui. Chiamava lei, ma Hermione non era sicura che potesse vederla. I suoi
occhi erano spenti, erano fissati al suolo – contro il suo stesso sangue che
inzuppava il pavimento ed i vestiti di lei – ed il suo viso era così pallido da
non sembrare più vivo. Come poteva
esserlo?
«Andrà tutto bene» fu tutto ciò che lei riuscì a
dire, rialzandosi per non essere più ad altezza di quella ferita insensata –
avrebbe dovuto ucciderlo sul colpo ma lui era ancora lì – e per potergli sfiorare la guancia incavata con la punta delle
dita. Era troppo freddo, troppo morto.
Per favore, per favore non lui. «Andrà tutto bene, Fred».
«Tir-Tiresias» sputò
l’uomo che non poteva essere, la voce
ogni secondo più debole, più rasposa. «Preso… Win».
«Shhh» sussurrò lei,
ignorando qualsiasi cosa non fosse il suo respiro o il movimento di quei
polmoni che lei riusciva a vedere e del
cuore che vi batteva in mezzo. «Non parlare, non parlare… adesso troveremo
aiuto, adesso…».
Cosa avrebbero potuto fare, i guaritori? Chi li avrebbe aiutati?
Lui era vivo, ma avrebbe dovuto essere morto.
Vivo.
Morto. Tiresias.
Lo sentì sussurrare qualcosa di incomprensibile –
o forse incomprensibile solo a lei –
prima di perdere i sensi.
«Fred…».
Il rumore di una porta sbattuta con violenza
avrebbe dovuto farla trasalire, ma lei appena la sentì. Restò lì, senza
speranze e indifesa, proprio davanti a colui che aveva preferito perderla
piuttosto che vederla in quelle condizioni4.
Non Fred,
non Fred.
Delle braccia forti la tirarono indietro, lontana
da Fred, ed un attimo dopo si ritrovò
con il viso premuto contro il petto di Malfoy, la camicia un tempo bianca
subito sporca di sangue. Sangue di Fred.
«Mezzosangue» la chiamò, la voce lontana come se fosse giunta dalla fine di un
tunnel. «Respira, Mezzosangue, respira.
Se continui così, perderai i sensi» la ammonì, stringendo più forte intorno
alle sue spalle come se avesse temuto che le ginocchia potessero cederle.
«Non lui»
fu tutto ciò che lei riuscì a dire alla fine, la voce ridotta ad un sibilo
strozzato. Stava singhiozzando, ma quando aveva iniziato?
Malfoy imprecò sottovoce. «Cosa cazzo gli è successo?» chiese, ma non a
lei. C’era qualcun altro nella stanza, con loro. Qualcuno che forse capiva, qualcuno che poteva dirle che non era Fred? «Dimmi che puoi far
qualcosa, quella dannata famiglia ha perso troppo».
Lei aveva
perso troppo.
Singhiozzò più forte, ma combatté per potersi girare
e fronteggiare chiunque fosse lì con loro. Doveva chiedere, doveva sapere.
Non
poteva perdere anche Fred.
Davanti ai suoi occhi, una Katie Bell che non era
Katie ma non era neppure Katrina, aveva le mani all’interno della ferita di
Fred, i suoi occhi neri come la morte ma il suo viso neppur lontanamente
spaventoso com’era sempre stato.
Aiutalo,
aiutami.
«Una vecchia maledizione che i Negromanti usavano millenni fa» rispose la donna,
accigliata. Non sembrava preoccupata, non sembrava spaventata. Ma era Fred, Katie era amica di Fred. «Gli ha impedito di morire»
continuò, stringendosi nelle spalle. Il suo sorriso fece tremare Hermione. Con
uno strattone, tirò fuori dal corpo di
Fred un ammasso nero e viscido, praticamente irriconoscibile. «Ah, ho sempre sperato di vederne uno. Si
chiamano Mangianima5,
Barry impazzirà di gioia» cinguettò, irriconoscibile.
«Puoi aiutarlo?».
Era stata davvero Hermione a parlare? Era stata
lei a far uscire quelle parole dalle sue labbra?
«Oh, lui è già morto».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Non odiatemi, la Trama ha
richiesto questo cambiamento d’eventi, io sono innocente.
Dopotutto lui anche nel
Canon è morto.
Punti importanti:
» *
- Ti chiesi io, Creatore, di crearmi uomo dall’argilla, ti chiesi io
dall’oscurità di promuovermi?. Il Paradiso Perduto di Milton è fra le mie
opere preferite, un capolavoro assolutamente incredibile, l’esaltazione
dell’Antieroe per eccellenza (Lucifero, un tempo angelo del paradiso e poi
sovrano dell’Inferno). Oltretutto, questa stessa citazione è stata ripresa
anche nel Frankenstein di Mary Shelley. Parlare di mostri che vengono creati
contro la loro volontà è come parlare di Winter Vane.
» 1
– Naturale: qualcuno nato con un certo potere. Per esempio i Metamorfomagus sono naturali,
Winnie è a sua volta una naturale.
» 2
– Avete presente quegli specchi che sono a doppia via? Si vedono tantissimo nei
film americani per gli interrogatori!
» 3
– Se non fosse chiaro, si tratta di Tiresias!
Gli occhi neri non sono come quelli di Kate, non sono occhi COMPLETAMENTE neri (anche
la sclera) ma soltanto l’iride. Semplici occhi neri, come quelli di
Voldemort/Tom Riddle o della piccola Horcrux.
» 4
– Fred ha proposto Hermione per le Banshee, ma non perché credeva che lei
fosse perfetta ma perché era consapevole
che solo loro potessero tirarla via da quella spirale di depressione in cui era
caduta dopo la Guerra. Lui ha preferito vederla andare via piuttosto che
saperla sofferente. (Non dimentichiamoci che Freddie
aveva anche certi sentimenti mal nascosti).
» 5
– Mangianima, sono bestioline piccole e nere che i
negromanti mettevano dentro i moribondi come punizione per non farli morire.
Impediscono all’anima di lasciare un corpo, estendendone le sofferenze. Sono
bestiole praticamente estinte, per
questo Barry sarà entusiasta.
Mi dispiace.
Vi
aspetto tutti lunedì prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 21 *** Atto VIII, Parte II - Salvare una vita ***
L’Erede del Male.
“Let him know that you know best
Cause after all, you do know best
Try to slip past his defense
Without granting innocence*”.
[The Fray – How to save a life]
Atto VIII, Parte II
– Salvare una vita
Hermione non aveva mai lasciato quel letto
d’ospedale1. Le sue mani erano ancora sporche di sangue, così come
il suo viso, ma i suoi vestiti erano presto stati sostituiti da una divisa
pulita che Ophelia le aveva fatto indossare quasi di prepotenza poche ore dopo
il suo arrivo nella stanza. Se gliel’aveva consentito era stato solo perché non
aveva dovuto spostarsi dal suo fianco.
Lui è già
morto.
Il momento di panico assoluto che l’aveva colpita
era durato secoli, per lei, anche se in realtà non erano trascorsi più di pochi
secondi. Kate – come lei aveva preteso
di essere chiamata – aveva sorriso, gioviale, ed aveva semplicemente chiesto
che le venissero portati animali di grossa taglia, come una mucca e un paio di
capre. Ophelia si era opposta, Barry le aveva urlato di smetterla di dire
sciocchezze. Lei non li aveva ascoltati e, pochi minuti dopo aver ricevuto ciò
che aveva chiesto, li aveva sbattuti tutti fuori dalla stanza, compresa una
recalcitrante Hermione. Malfoy non l’aveva mai lasciata andare, nonostante i
pugni e i calci con cui lei aveva tentato di liberarsi. L’aveva tenuta ferma,
immobilizzandola contro il suo petto e mormorandole di smetterla, di aspettare, di fidarsi di lei.
Come avrebbe potuto fidarsi di lei, quando lei non
si era mai fidata di se stessa?
Ma Kate non era più la stessa. Kate non era più
insicura e di certo non era più spaventata.
Un minuto, udirono il muggito addolorato del
bovino.
Cinque minuti, il belato terrorizzato delle capre2.
Quindici minuti, l’urlo terrorizzato di Fred
Weasley, improvvisamente tornato in vita.
Hermione raggiunse il suo fianco in un battito di
ciglia, sconvolta nel ritrovarlo finalmente addolorato come chiunque sarebbe
stato. La sua ferita si era richiusa, anche se non del tutto. «Ha perso tantissimo sangue» l’aveva
avvisata la negromante, stranamente debole3. «Non è ancora fuori pericolo!».
Malfoy era arrivato alle sue spalle prima che
Hermione potesse urlarle di fare di più, ma fortunatamente era intervenuta
Ophelia. Lei, che era un medico, ma era specializzata con i morti.
Provò ad allontanarla.
Non lui,
non lui.
Se Barry non l’avesse tenuta lontana, Fred non
avrebbe ricevuto alcun aiuto. Se lui non l’avesse fermata, Fred sarebbe morto di nuovo. Kate le aveva urlato contro degli
improperi di ogni tipo, stretta fra le braccia stranamente amorevoli di Malfoy.
In un altro momento lei si sarebbe chiesta cosa fosse successo.
«Philly dice che avrà bisogno di rimpolpasangue per un bel po’». La voce di Kate,
proveniente dalle sue spalle, la fece trasalire leggermente, ma senza farla
sconvolgere più di tanto. Nulla l’avrebbe smossa. Non questa volta. Non più.
Neppure il corpo della sua vecchia amica, completamente trasfigurato da una
Magia troppo antica per essere conosciuta, fu abbastanza da distrarla. Neppure
la morbosità con cui Malfoy le era rimasto accanto fino a quel momento era
riuscito a preoccuparla.
Fortunatamente la sua curiosità non era del tutto
morta.
«Dove hai lasciato il tuo fedele accompagnatore?»
le chiese, ignorando completamente la sua affermazione di poco prima. Avrebbe
dovuto ripensare a quanto vicina fosse andata a perderlo per sempre, senza
neppure confessare. Non poteva
permetterselo. «Per caso lo hai incantato? Dovremmo avvertire il Supervisore».
Kate rise – non
era più Katie, lei non avrebbe mai riso –, avvicinandosi a Fred con la
confidenza dei vecchi amici. «Non è un maleficio, ma qualcosa di più complicato
che non sto qui a spiegarti, non credo tu sia in condizione di capire». Allungò
la mano, sfiorando la spalla dell’uomo privo di sensi e, stranamente, mantenne
il sorriso. Non c’era compassione nei suoi occhi ed Hermione dubitava che ce ne
sarebbe stata mai più. «Non preoccuparti per lui, ormai è vicino a
risvegliarsi, non sento traccia di morte imminente» provò a rassicurarla,
parlando come se avesse appena riscontrato un dato scientifico, inconfutabile.
Per qualche motivo, lei si sentì meglio. «Quanto a Draco, credo sia fuori dalla
porta. Dice di non volermi perdere d’occhio, tiene troppo alla sua stessa
salute».
Hermione fece una smorfia ma non disse nulla: la
situazione non la riguardava.
«Ophelia aveva detto qualcosa sul Necromicon. L’hai travato alla fine? Immagino fosse ben
difeso» mormorò, tornando ad osservare Fred. Nei pochi secondi in cui si era
distratta, lui già le appariva differente: meno pallido, più vivo. Forse era colpa di Kate, forse lei
l’aveva condizionata con le sue parole stranamente rassicuranti4.
«Naturalmente. Aveva una difesa bella da morire» rise, come se avesse appena
detto una barzelletta estremamente divertente. «Non è stato poi così difficile,
Draco ha aiutato tantissimo, sai. Decisamente è meno tardo di Harry».
Harry, che in quel momento si trovava alla Tana
per calmare gli animi dopo che l’orologio, per almeno venti minuti, aveva
segnato Fred come morto. Harry che la
stava aspettando, perché lei avrebbe dovuto dire la verità, avrebbe dovuto
spiegarsi con tutti i presenti. Avrebbe dovuto spiegare perché un altro di loro
aveva perso la vita per colpa sua.
Kate si spostò al suo fianco, posandole la mano
gelida sulla spalla. «Hermione, davvero, lui sta bene. Ormai sta solo facendo
un riposino di bellezza» provò a confortarla, senza riuscire a nascondere il
suo disagio5. «Ho fatto un ottimo lavoro con lui, non c’è una sola
cellula in quel corpo che non sia tornata in vita, anche se il Negromante al
servizio di Tiresias si è impegnato davvero tanto».
Hermione sospirò, improvvisamente stanca. «Grazie,
Kate» le disse, cercando di mostrarsi più tranquilla di quanto non fosse. Il
motivo della sua ansia sarebbe dovuto rimanere soltanto fra lei e i Weasley. Il
Voto pronunciato al momento di vestire la divisa da Banshee era diventato solo parole al vento6. «Vuoi che
io dia un’occhiata al libro? È scritto in una lingua arcaica? Preferirei non
coinvolgere altri specialisti, se per te non è un problema».
«Oh, no, non puoi leggerlo neppure tu» si sbrigò a
dirle lei, scuotendo leggiadramente il capo. Da quando era diventata così aggraziata? «Il libro è scritto in una
lingua che posso io posso leggere e, comunque, tu probabilmente dovresti
morire, nel caso. I nostri segreti
sono vincolati al nostro sangue, chiunque non lo condivida è troppo pericoloso»
spiegò, quasi recitando a memoria. «Misura di sicurezza necessaria, non vorrei
doverne rispondere a qualcuno più in alto di me».
La
Negromanzia è una religione, ricordò Hermione pigramente. Le religioni si basano sui segreti. E
lei era stanca di dover combattere, quando Fred era la dimostrazione lampante
che anni di addestramento erano nulli
davanti ai veri pericoli.
«Molto bene» concesse, annuendo leggermente. «Hai
scoperto qualcosa? Abbiamo poco più di quattro giorni prima della Luna Sanguinis
e davvero vorrei evitare di essere uccisa da uno psicopatico con più di tremila
anni».
«In realtà credo sia più vecchio di così» borbottò
la negromante, stringendosi nelle spalle. «Comunque sì, ho scoperto parecchie
informazioni, soprattutto su come richiamare un gran numero di zombie. Lo
sapevi che fino ad oggi il più grande è stato il Governatore White, nella
colonia di Roanoke del 15887. Uccise tutti i coloni e poi li
richiamò come il suo esercito personale. Ovviamente i nostri sacerdoti lo fermarono
subito, ma-».
«Qualcosa di interessante per la missione, Katie» la rimbeccò, nervosa, Hermione, lanciandole
uno sguardo esasperato. Lei ebbe il buongusto di mostrarsi imbarazzata, seppur
per pochi istanti.
«So come uccidere definitivamente quel mostro»
rettificò allora lei. «Ed è Kate,
adesso, lo sai».
Lo sguardo esasperato di Hermione non fu
sufficiente a farle comprendere di dover dare più dettagli. «Per Merlino, Bell,
vuoi parlare oppure devo utilizzare la Legilimanzia su di te?».
Kate arretrò di un passo ed Hermione fu certa di
aver sentito movimenti strani da poco oltre fuori la porta, come se qualcuno
avesse fatto per entrare ma si fosse fermato all’ultimo istante. «Non è nulla
di semplice. Mi servirà il sangue dei tre prescelti, oltre che di Sisifo
stesso. Questo è, fondamentalmente, il problema».
«In che senso?».
Kate strinse le labbra, trattenendo il respiro.
«Mi serve il sangue di Sisifo, per
ucciderlo. Il sangue del suo attuale
tramite umano».
Hermione la guardò per qualche istante, preoccupata.
«Credi che Tiresias l’abbia già trovato?».
«Questo è quello che ha detto la piccola veggente»
confermò la negromante, annuendo. «Ma il problema è un altro, Hermione. Dopo
aver aiutato Fred, io e Draco abbiamo cercato Winnie ovunque, anche usando i sistemi delle Banshee».
«Non l’avete trovata?».
«Oh, no, l’abbiamo trovata anche con troppa
facilità, credo che il problema sia questo».
Lei annuì, comprendendo al volo a cosa si stesse
riferendo la collega. «Ci stanno aspettando. Sanno che abbiamo il libro e che
abbiamo bisogno sia di lei che del tramite».
«Dopo millenni, Tiresias
non ha bisogno di vedere i negromanti per capire come le cose potrebbero
svilupparsi. Ha giocato d’anticipo ed ha fatto in modo che noi non potessimo
recarci da lui già parzialmente preparati. Senza Winnie, io non posso neppure
iniziare a preparare la pozione per eliminare quel mostro. Quindi dobbiamo
andare a prenderla».
«Se anche andassimo, potremmo lasciare la sicuro
il libro, no? Oppure potremo andare solo noi, mentre tu resterai qui a fare la
guardia» propose, con un tono di voce che a lei stessa suonò spento,
noncurante. Non le importava un granché, in quell’istante. Fred era ancora
senza coscienza, steso su quel lettino come se fosse morto.
«Tiresias ha un
negromante dalla sua parte» mormorò Kate, scuotendo il capo. «Devo venire
anch’io. Ed il libro non può separarsi da me. Lui lo sapeva, ha fatto in modo
di spingerci a portare tutto a casa sua, così da non doverlo neppure scomodare.
Dubito che noi potremmo bastare, non scordarti la strage in Germania. Non
abbiamo idea di quali forze siano al suo servizio».
«E non abbiamo idea di come abbia fatto a
trascinare via Winter. Qualcuno con il suo potere… devono averla letteralmente
caricata in spalla. Winnie tiene sempre la guardia alta e, tranne suo padre,
nessuno è mai riuscito a far funzionare un Imperio su di lei, neppure il
Supervisore» commentò, voltandosi per un istante a fissare Kate, ma girandosi
di nuovo quando percepì Fred muoversi leggermente. Con il cuore praticamente in
gola, le sue mani corsero al viso di lui, reggendolo come se avesse temuto
fosse fatto di cristallo. «Fred?».
Un istante dopo, lui si tirò a sedere di colpo,
quasi qualcuno gli avesse dato la scossa, facendo balzare sia Hermione che
Kate, che in un attimo fu davanti a lei, gli occhi neri e i denti scoperti in
un ringhio. Dalla porta, addirittura, anche Malfoy fece il suo ingresso, la
bacchetta sguainata e lo sguardo di qualcuno pronto a dare battaglia.
«Che cazzo succede qui dentro?».
Ignorandolo – ed ignorando tutti gli altri – Fred
si portò una mano al petto, ansimando come se avesse appena finito una corsa
interminabile.
«È stata
Winter!».
***
Ophelia Perderghast
aveva dovuto sedersi, quando Trina le aveva portato la notizia. Immersa fino ai
gomiti nei liquami prodotti dal cadavere che stava esaminando, si era
improvvisamente sentita mancare la terra sotto ai piedi ed il suo stomaco si
era rivoltato. Suo marito era intervenuto subito per sostenerla, ma era mancato
poco che trascinasse anche lui nella sua caduta. Draco Malfoy, dal suo posto al
fianco della ragazza più giovane, le dedicò un’occhiata divisa fra la
compassione ed il disgusto.
«Sei sicura?» erano state le prime parole che
aveva pronunciato, guardandola con orrore, mentre con un Gratta e Netta il povero Barry cercava di darle un aspetto più
presentabile. «Lui era sicuro? Era davvero lei? Potrebbe essere stata una
conseguenza di un Imperius» propose, facendosi aria con la mano per cercare di
abbassare lievemente la sua temperatura corporea. Sapeva bene di star sprecando
solo energie e di dover probabilmente restare immobile per ottenere un vero
risultato, ma non era il momento per essere ragionevoli. «Sappiamo tutti cos’ha
fatto lei, quando la controllava suo padre. L’ultima volta ha quasi ucciso
Harry».
«Ed ha quasi ucciso me» fece notare Malfoy, con le sopracciglia inarcate. «Davvero, non
capisco tutta questa preoccupazione per Potter! Sembra quasi che le importi
solo di lui, non ha fatto altro che mettermi da parte da quando siamo tornati»
si lamentò, guardando Trina. Lei rise, assurdamente
tranquilla, dandogli delle pacche sul braccio più vicino.
«Non essere drammatico, ricorda che è stata Philly
a prendersi cura di te, quando ti hanno riportato qui» gli fece notare,
perdendo poi il sorriso in favore di un’espressione contrita che dedicò a lei e
Barry, troppo sconvolto da quello scambio per poter dire nulla. Con
un’occhiata, suo marito le aveva già comunicato quanto ridicola fosse la
situazione.
Avevano mandato in missione Katie e Malfoy,
convinti che lui avrebbe potuto perdere qualche pezzo lungo la strada. A
tornare era stata una donna completamente diversa, verso cui Malfoy sembrava
nutrire qualcosa di molto simile alla pura adorazione.
L’idea di
aver perso per sempre Katie le faceva tornare la nausea. Non era
il momento di pensarci, quantomeno fisicamente era tutta intera, forse più sana
di quanto non fosse mai stata negli ultimi anni, poteva convivere con il resto.
Avrebbe trovato il modo di capire e
di accettarla, in un modo o nell’altro.
Non le importava chi fosse, a patto che fosse felice.
Anche se
avrebbe potuto mettere un paio di paletti riguardo Malfoy ed i suoi sguardi da marpione.
«Cos’ha detto Weasley?» insistette Barry,
posandole una mano sulle spalle ma concentrando tutta la sua attenzione sulla
negromante. «Lui è l’ultimo ad aver visto Winnie ed Hermione lo ha portato via
prima che potessimo interrogarlo come si deve» sbottò, scuotendo il capo. «Il
Supervisore era furioso, probabilmente considererà anche delle sanzioni, lui
era un testimone chiave».
Trina fece una smorfia, spostando il peso da un
piede all’altro con aria nervosa. «Io non credo che ad Hermione importi nulla
del Supervisore, adesso. E… beh, io ho parlato
con il testimone, credo valga come interrogatorio» mormorò, nervosa, senza
tuttavia abbassare mai lo sguardo o smettere di concentrarsi su di loro
direttamente. Solo il giorno prima avrebbe fissato il suolo, magari una parete.
Ma lei non era più la stessa. Non lo sarebbe più stata. «Fred ha detto che è
stata Winnie a ridurlo in quel modo. Ma
Winnie non avrebbe mai potuto farlo, quel maleficio usato su di lui viene
trasmesso di famiglia in famiglia fra i negromanti, se anche lei fosse stata
una negromante – ed ho detto se,
perché è impossibile – non avrebbe avuto modo di conoscerlo! Io l’ho visto
praticare una volta sola, durante il mio addestramento in Romania, e non credo
potrei rifarlo. Neppure Tiresias potrebbe, non è un
negromante» spiegò, stringendosi nelle spalle con aria davvero confusa.
«Ma Fred dice di averla vista chiaramente» mormorò
Ophelia, scuotendo il capo. «E dubito fosse in condizioni fisiche di mentire,
quando si è svegliato» aggiunse, voltandosi un momento in direzione di Barry,
che annuì, grattandosi leggermente la guancia con la punta dell’uncino. «Credi
di avere una qualche spiegazione, Trina?».
Kate li guardò entrambi per un lungo istante,
espirando pesantemente dal naso. «Temo che Tiresias
abbia trovato il tramite di Sisifo e che lo abbia iniziato alla Negromanzia. E
temo che questa sua incarnazione sia molto più forte delle altre o che,
comunque, abbia memoria della sua prima vita già da adesso, perché la mia unica
spiegazione è un rituale che ho appena trovato nel Necromicon.
Spiegherebbe anche perché Tiresias si sia preso la
briga di rapire il vecchio Silas».
«Cosa significa? Che rituale?».
«Non… non posso parlarne, sono vincolata alla
segretezza rispetto al libro, come tutti i negromanti» si scusò le, stranamente
poco rammaricata, voltandosi in direzione di Malfoy, che annuì7.
«Crediamo che il negromante in cui Sisifo si è
incarnato abbia controllato Mulciber – o che lui si
sia fatto controllare - e che tramite lui Tiresias
sia riuscito a mettere le sue mani su Winnie» cominciò velocemente a spiegare,
probabilmente ripetendo qualcosa che doveva aver visto o sentito in precedenza.
A quel punto, in poche ore era già chiaro a tutti che Kate e Malfoy
condividessero molto più che il loro passato. «Ci sono ottime probabilità che
in questo momento quei mostri stiano aspettando solo noi, nella loro tana, per
concludere il rituale ed avere tutto pronto per la Luna Sanguinis.
Hanno preso Winnie perché era la più facile da controllare, con Kate capace di
riconoscerli e Potter fin troppo bravo a salvarsi la pellaccia. Suppongo che Tiresias abbia valutato i diversi scenari e scelto il
migliore. Senza di lei noi siamo
rovinati, mentre loro possono portare a termine il loro piano».
«Quindi dobbiamo andare a prenderla». Barry non
era entusiasta, Ophelia riusciva bene a capire il perché. «Quali sono le nostre
possibilità di uscirne vivi? Dubito che chiamare in causa più di una squadra
possa a servire a qualcosa».
«Non ci serve aiuto, se è quello che mi stai
chiedendo» rispose Kate, scuotendo il capo. «Finiremmo soltanto col mettere a
rischio anche tutti gli altri, non possiamo fare molto contro qualcuno capace
di prevedere molte delle vostre mosse. Più persone vorrebbe dire solo più
informazioni per Tiresias. Meglio andare solamente
noi» mormorò, indicando Barry, se stessa e forse Malfoy. Si morse il labbro
inferiore, prima di guardare nuovamente Ophelia. «Ho già chiesto al Supervisore
di sospendere te dalla squadra».
Cosa?
Lo shock, per un istante, le impedì di parlare. Un
istante che fu sufficiente a Kate per raggiungerla ed accosciarsi accanto a
lei, tenendola seduta.
«Cosa diavolo…?» provò a chiedere, quando lei le
prese la mano e la posò sul suo stesso stomaco. «Kate?».
«Non posso permettere che tu venga con noi,
Philly. Non posso, non dopo tutte le lacrime che hai versato, non dopo tutto il
tempo in cui hai solo sperato» le
disse, la voce ridotta ad un sussurro incredibilmente gentile, le labbra
piegate in un sorriso preoccupato ma al tempo stesso dolce. «Hai aspettato
tanto ed ora che finalmente ce l’hai fatta non posso permettere che ti venga
tolto tutto dalle mani».
Oh,
Merlino.
Dietro di lei, Barry inspirò violentemente,
sconvolto dalla realizzazione8.
«Se dovessi venire con noi, credo che non te lo
perdoneresti mai».
Ore dopo, molte Banshee si ritrovarono ad alzare
gli occhi e fissarsi l’uno con l’altro, sconcertati, sentendo provenire delle
urla furiose dalla stanza di Katrina Bell. Non perché fosse assurdo, c’era sempre qualche morto un
po’ più vocale degli altri pronto a farsi sentire. No, quella volta le urla
erano di qualcuno ancora molto vivo e apparentemente arrabbiato con lei.
Nessuno si arrabbiava mai con lei, non fino a quel
punto.
Non era saggio far arrabbiare qualcuno capace di
uccidere con un bacio, ma Draco Mafoy non doveva aver
ricevuto il promemoria.
«Cosa cazzo
significa, Bell?».
«Significa
che tu non verrai con noi in missione».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
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Non avrei mai resuscitato
Fred solo per poi ucciderlo di nuovo, ovviamente. Meglio uccidere di nuovo
Ronald.
Punti importanti:
» *
- Fagli sapere che sai cosa dici/ perché, dopotutto, tu sai cosa dici/
prova ad andare oltre le sue difese/ senza concedergli l’innocenza. Questa
canzone è fra le mie preferite, anche se non sono sicura sia proprio
pertinente. Così come il titolo. Ugh, questo capitolo
è stato un dramma, perdonatemi.
» 1
– Yaaay, Fred non è morto ed Hermione non si è
allontanata un solo istante da lui! Aspettate il prossimo capitolo con ansia,
mi raccomando 😉
» 2
– Animalisti perdonatemi, ma le regole della negromanzia non le decido io.
Erano tre animali o una persona e credo che la scala di priorità di Kate l’abbia
spinta a scegliere gli animali. Una vita per una vita (in questo caso, una vita
per un gruppo di vite più giovani). Affare disgustoso la negromanzia.
» 3
– Di nuovo: brutto affare la negromanzia. Kate è stanca perché ha dovuto
usare la sua forza vitale per
incanalare il cambiamento. Se non avesse usato gli animali, sarebbe dovuta
morire lei.
» 4
– Per quanto Kate possa sembrare strana
(sullo stile Harley Quinn), gli affetti che provava prima sono ancora ben
radicati nel suo cuore. Kate adora Fred e George e vorrebbe tornare ad essere
riaccolta nel vecchio gruppo, ma il suo modo di dimostrarlo è peculiare. In quel momento, quando lo ha
toccato, lei ha sacrificato un altro po’ della sua aura vita per farlo
riprendere più velocemente. Non era nulla di dovuto, avendolo resuscitato, ma
ha voluto aiutarlo perché gli vuole bene.
» 5
– Kate non ci sa fare con le persone, proprio per niente. Oltre Draco e,
relativamente, Ophelia e Barry, lei non ha la minima idea di come rapportarsi alle persone.
» 6 –
Tutte le Banshee, alla fine del loro addestramento, devono prestare un
giuramento che richiede loro la massima fedeltà al lavoro e di priorizzare la sicurezza internazionale alle questioni
personali. Hermione non potrebbe fregarsene di meno, adesso.
» 7 –
Draco non rientra nei giuramenti dei negromanti perché lui fa indirettamente
parte di quel mondo. Nel prossimo capitolo capirete meglio il perché, tranquilli!
Vi dico soltanto che nessuno si sorprenderebbe, in Romania, se lui se ne
andasse a spasso per i loro santuari.
» 8 –
Ebbene sì! Ophelia è finalmente in dolce attesa. Peccato che stiano morire
tutti.
Il
prossimo capitolo sarà una doccia fredda. Più o meno.
Vi
aspetto tutti lunedì prossimo!
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Capitolo 22 *** Atto VIII, Parte III - Bacio d'addio ***
L’Erede del Male.
“Oh, the storm is raging against us
now
If you’re afraid of falling, then don’t look down
But we took the step, and we took the leap
And we’ll take what comes, take what comes.*”.
[Imagine Dragons –Walking the wire]
Atto VIII, Parte III
– Bacio d’addio
Chiunque fosse passato davanti alla camera di
Katrina Bell presso il quartier generale delle Banshee di Ginevra, avrebbe
sentito – come accadeva spesso – delle urla. Queste urla, tuttavia, non
appartenevano a cadaveri in via di decomposizione ma al giovane rampollo della
famiglia Malfoy, talmente furioso da aver già buttato per aria due tavolini,
una teiera e almeno quattro tazze e tre piattini. Nessuno sapeva bene cosa
facessero tutte quelle porcellane nella stanza della negromante ma le
possibilità non erano poi così felici. Forse Malfoy le aveva personalmente
evocate una per una solo per poi distruggerle, dimostrando un livello di follia
sopra la media. Forse lei aveva tutte quelle tazzine perché era solita prendere
il tè con i suoi amichetti morti.
Immagine
raccapricciante.
In verità, Kate Bell, da brava ragazza purosangue,
conservava nella sua camera il servizio nuziale che la sua bisnonna aveva avuto
il piacere di preparare proprio per lei, in vista di un suo futuro matrimonio.
Erano ceramiche di Limoges1
e Malfoy le stava distruggendo.
«Ti rendi conto del valore di quel piattino che
hai appena scagliato contro il muro? Dovrò mandarle a riparare in Francia ed io ho rinunciato alla mia eredità
quando sono entrata a far parte delle Banshee» sbottò, osservando con dolore i
frammenti al suolo. La povera Bisnonna con ottime probabilità avrebbe trovato
il modo di sistemare tutto personalmente, ma lei non era mai stata un asso in
quel genere di incantesimi.
Draco la guardò come se le fosse spuntata una terza – non una seconda, addirittura una
terza – testa, allargando le braccia come se avesse voluto evidenziare
l’assurdità della situazione. «Ti sembra il momento di parlare della porcellana?» le domandò, basito. «Come
diavolo faccio a non seguirti, eh? Ti preoccupi dei piatti in un momento del
genere, riusciresti a farti uccidere perché troppo impegnata a guardare delle
dannate farfalle! Quindi, non me ne
importa nulla, io vengo con te» ringhiò, scuotendole l’indice della mano
sinistra proprio sotto al naso, il viso pallido e contratto in una smorfia
rabbiosa.
Kate, tuttavia, non era tipo da spaventarsi
facilmente. «Non agitarti caro, somigli troppo a tua zia Bellatrix quando perdi
la testa. E Belllatrix non era poi così sexy2» gli fece notare,
alzando gli occhi al cielo ed incrociando le caviglie con la grazia consumata
di una regina. Le sembrava quasi di sentire la prozia Betsy: “Le vere signore non accavallano mai le gambe”3.
Lei era una duchessa, probabilmente ne capiva molto più di lei di certe cose.
Lui inarcò le sopracciglia, improvvisamente
confuso. «Io sono sempre sexy, anche
quando perdo la testa, grazie tante» le disse, con una punta di acidità
immancabile. Il cipiglio arrabbiato, tuttavia, tornò presto alla carica. «E non
pensare di distrarmi, ho detto che verrò con te e non c’è nulla che me lo
impedirà. Che vuoi fare, incatenarmi qui sotto? Sono un asso delle fughe! È
stato Rabastan in persona ad addestrarmi e lo
sai che Rabastan di certo non scherzava sull’argomento» sbottò, incrociando
le braccia ma continuando a camminare nervosamente per la piccola stanza,
calpestando senza troppe cerimonie i cocci del povero servizio da tè.
«Rabastan ha preso lezioni da Houdini in persona,
lo so, è una storiella che amava raccontare a tutte le feste» confermò,
sbuffando subito dopo. «Devi proprio
calpestare i poveri resti del mio servizio? Fa parte della mia dote, Malfoy! Probabilmente risale al
diciottesimo secolo» mugugnò, sinceramente addolorata.
Lui la liquidò con un gesto della mano. «Ci sono i
servizi del Manor, non ti serve neppure una dote» sbottò, probabilmente senza
pensarci troppo, solo per poi fermarsi come fulminato dalla realizzazione del peso delle sue parole. Lentamente, si
voltò a poterla guardare negli occhi, mordendosi il labbro inferiore come a
voler cercare disperatamente una scusa per ritirare quanto appena detto e non
sembrare idiota come probabilmente si stava sentendo. «Non intendevo… io…».
Kate rise, deliziata, grufolando leggermente.
«Malfoy, mantieni la calma» lo ammonì, inarcando a sua volta le sopracciglia e
cercando di non scoppiare e perdere definitivamente il controllo su se stessa.
«Sei il mio Auctor, siamo destinati,
in un modo o nell’altro. Di solito è un genitore ad essere l’Auctor di un
giovane negromante, ma le rare volte in cui è un estraneo, probabilmente
quell’estraneo non è destinato a restare tale per un lungo periodo. È una
questione biologica, se vuoi metterla su questo piano. Il tuo corredo genetico ti spinge a volerti unire a quello della
mia famiglia4» gli spiegò, allegra. «A meno che tu non voglia
corteggiare qualcuno dei miei cugini, dubito tu abbia scelta oltre me, essendo
io l’unica donna con meno di cinquant’anni».
Lo sbalordimento di Malfoy era divertente. Aveva la bocca così
spalancata che a breve avrebbe dovuto raccoglierla dal suolo!
«Cosa… Tu… quindi è normale?» le chiese, sconvolto, guardando ovunque tranne che nella
sua direzione. «Come fai ad essere così tranquilla? Hai praticamente detto che
siamo destinati, quindi non abbiamo
una scelta! Credevo fosse un effetto
collaterale dell’energia vitale, non…» esasperato, si pizzicò la radice del
naso. «Come puoi accettarlo? Stai
vivendo una vita che la vecchia te non avrebbe mai voluto e ti sei appena
ritrovata a… ad essere destinata a finire con me, perché i nostri corpi o le
anime o quello che vuoi, hanno deciso
che dobbiamo. Non vuoi scegliere? Non
vuoi avere libertà almeno per questo?».
Scosse il capo, spaventato. «No, non posso accettarlo. Non ho intenzione di lasciare che qualcun altro si imponga su di me,
non più».
Il sorriso sulle labbra di Katie si ammorbidì
leggermente, perdendo la nota allegra in favore di una decisamente più cupa.
«Mi stai chiedendo se sono pronta ad ammettere che esista una persona che mi
accetterà per quella che sono? Che non mi guarderà mai con disgusto e non mi
volterà mai le spalle, a prescindere da quanto bui possano diventare i miei
giorni?» gli chiese, in risposta, abbassando lo sguardo per fissare le proprie
mani in grembo. «Non sei costretto a far nulla, Draco, nessuna magia può
controllare l’amore ed io di certo non ti vieterei mai di vivere. Tu, però, non puoi impedirmi di essere felice. Anche se la
mia piccola sicurezza riguardo il nostro legame è solo un effetto collaterale
di quello che io sono, almeno tu non mi guarderai mai con disgusto».
Una strana espressione attraversò il viso del
giovane Malfoy. «Maine e la Penderghast non ti hanno mai guardata con disgusto»
le fece notare, stringendo le labbra un attimo dopo come se avesse detto
qualcosa di sbagliato o, comunque, non la cosa più importante.
Kate scosse il capo, stringendosi poi nelle
spalle. «Un genitore che guarda un figlio con disgusto per qualcosa che non
dipende dalla sua volontà, anche se il figlio non è davvero suo, non è un vero genitore» spiegò, gentile. «Barry e
Ophelia mi amano come se fossi carne della loro carne, ma non è la stessa cosa.
Non sarà mai la stessa cosa, soprattutto non adesso che finalmente il loro
desiderio di avere un bambino tutto loro potrebbe diventare realtà». Sospirò,
voltandosi per osservare qualcosa di indefinito alla sua sinistra. «Katie aveva
l’amore dei suoi amici, Trina ha trovato dei genitori surrogato… ma Kate
potrebbe non avere nessuno, se non chi il destino le ha messo davanti» spiegò,
indicandolo con un gesto vago della mano.
«Io non ero disgustato da te neppure prima. Spaventato, forse. Oppure impressionato, ma non ho mai provato
disgusto nei tuoi confronti».
«Per questo sei il mio Auctor» fu la spiegazione
che ottenne a quel punto. «Non… non è qualcosa iniziato solo perché io sono diventata così, non c’è stato un cambiamento
improvviso. Sarebbe successo comunque, ma con la nostra energia vitale
congiunta il nostro legame è troppo solido per poter essere semplicemente messo
da parte». Si alzò in piedi, avvicinandosi a lui fino ad essere a pochi
centimetri di distanza. Era così piccola da arrivare appena sotto al mento di
lui e Malfoy non era mai stato poi così alto. «Ma, come ho già detto, nessuno
ti forzerà mai a far nulla, non devi preoccuparti. La tua libertà ti
appartiene».
Malfoy la fissò per qualche istante, come se
avesse appena avuto una rivelazione, prima di stringere di nuovo le labbra.
«Dici che siamo destinati e che comunque saremmo finiti insieme, ma allora
perché non vuoi portarmi con te? Se… se davvero
c’è un legame, fra noi, non credi sia più che normale che anche io venga in
missione? Per… aiutarti?».
Kate rise, senza alcuna allegria nella voce. Con
delicatezza si alzò sulle punte e posò un leggerissimo bacio sulle labbra di
lui, facendo poi un passo indietro e fissandolo negli occhi spalancati e colmi
di orrore e confusione. «Io mi rendo
conto del legame, per te è solo un qualcosa di reale ma non ancora abbastanza vero. Tu non vuoi venire per aiutarmi ma
solo per vendicarti. L’odio è cieco, la
collera sorda, e colui che vi mesce la vendetta, corre pericolo di bere una
bevanda amara5» gli disse, probabilmente citando qualcuno. «Se ti portassi con me, ti faresti
uccidere in poco tempo», arretrata di un altro passo, alzò la bacchetta e
gliela puntò contro. «Tranquillo, il veleno del mio rossetto ha un effetto
temporaneo, riacquisterai le tue abilità motorie, anche se a breve credo che
Philly verrà a darti un’occhiata» gli spiegò, sorridendo nonostante i suoi
occhi fossero tristi. «Ho usato un anestetico molto forte per prepararlo, così quando io…» esitò per un istante,
chiudendo gli occhi come a voler trovare la forza di continuare. «Se io non dovessi farcela, almeno tu non
soffrirai. È l’unico regalo che ho potuto fare all’amore che potrei non vivere
mai, ti prego di accettarlo» gli disse, ignorando i movimenti furiosi dei suoi
occhi e i lamenti inarticolati colmi di orrore, di suppliche.
Ti prego,
no. Ti prego, non farlo.
Ti prego,
non morire.
«Come dicevano gli Spartani? “Torna con il tuo scudo o sopra di esso”?» gli chiese, falsamente
divertita, inchinandosi con la grazia di una dama, la versione satirica del
saluto di un cavaliere alla sua principessa. «Che io possa incontrarti di nuovo,
Draco Malfoy, e che io possa avere il tempo di conquistarti».
Quando sparì oltre la porta, chiudendola alle
proprie spalle, nessuno si azzardò chiederle cosa fosse successo a Malfoy. I
più coraggiosi, che trovarono la forza di avvicinarsi alla porta della stanza,
sentirono gemiti pieni di orrore, un pianto soffocato capace di farli
rabbrividire e, così com’erano venuti, sparirono per sbrigare le loro faccende.
Forse lei
lo aveva ucciso.
***
George Weasley l’aveva presa da parte non appena
suo fratello era stato sistemato in una delle ormai vuote camere della Tana.
Hermione se l’era aspettato, in realtà, perché Fred stesso aveva fortemente
dubitato di poter tenere il suo segreto ancora per molto tempo, quantomeno con
George. E, comunque, Percy aveva già scoperto tutto senza perdere la testa, era
più che giusto che anche lui sapesse.
«Hai intenzione di parlare da sola o devo
incatenarti e darti il Veritaserum?» le chiese, acido, indicando con un cenno
brusco la vecchia poltrona nell’angolo che lei ricordava appartenere a Molly e
che era stata spostata quando Percy ne aveva comprata una nuova, più comoda e
utile per i suoi problemi alla schiena. «Devo ripetermi?» insistette il gemello
– così simile a Fred, eppure così
differente – con una certa fretta, chiudendosi la porta alle spalle per
mormorare un Muffliato ed impedire
che potessero ascoltarli dall’esterno.
Intelligente.
«Non preoccuparti, non ci sarà bisogno di pozioni»
lo tranquillizzò, senza tuttavia specificare quanto inutile sarebbe stata quella
misura verso di lei. Tutte le Banshee erano immuni al Veritaserum6,
era uno dei requisiti fondamentali per ottenere l’abilitazione. «Credo che Fred
avrebbe preferito parlartene di persona, ma deve assolutamente riposare.
Immagino che non sia poi un gran problema lasciare che sia io a fare gli onori»
mormorò, accomodandosi ed indicando a lui il letto. «Ti conviene sederti, stare
lì come un Asticello sull’albero non cambierà nulla di quello che dovrò dirti».
Con un mugugno irritato, George fece come gli era
stato detto, le sopracciglia inarcate in un implicito invito a parlare. «Mio fratello mi nasconde
qualcosa da anni, non sono un idiota. Credevo che fossi semplicemente tu, nascosta da qualche parte, ma
evidentemente mi sbagliavo» constatò, spostandosi con un gesto brusco i capelli
rossi dal viso. Li aveva fatti crescere più di Fred, probabilmente per coprire
l’orecchio mancante.
«Io sono parte
del Segreto» confermò Hermione, prendendo un profondo respiro. «George, cosa-».
Toc toc.
Confusi, i due occupanti della piccola stanza si
voltarono in direzione della porta, ancora chiusa. Come avevano fatto a
trovarli? Nessuno avrebbe potuto sentire la loro discussione, George era un
maestro del Muffliato.
«Sono Rose, vi dispiace se vi faccio compagnia?»
chiese una voce da donna, gentile ma abbastanza autoritaria da lasciar capire
bene che lei non avesse la minima intenzione di accettare un no come risposta. Pochi istanti dopo,
senza che loro dicessero nulla, la testa bruna della fidanzata di Charlie fece
capolinea, priva del famoso sorriso che, a detta di Fred, non sembrava volerla
mai abbandonare. «Mi dispiace interrompervi, ma mi hanno detto che
probabilmente la mia presenza avrebbe aiutato a far chiarezza» spiegò, quasi
volendosi scusare – ma non davvero, si comportava quasi sapesse già che alla fine l’avrebbero ringraziata –, dopo essersi
chiusa la porta alle spalle.
«Chi ti
ha detto di venire?» sbottò Hermione, probabilmente ancora troppo estranea alla
ragazza per sentire necessario l’uso di un minimo di gentilezza. Il suo era un
lavoro che e aveva insegnato a non essere
cordiale.
Rose si strinse nelle spalle, indicando con un
cenno vago il piano di sopra, dove probabilmente gli altri Weasley erano troppo
occupati a prendersi cura del gemello ferito per pensare a loro tre. Fred
l’aveva mandata, quindi. «Oh, certo, anche mio padre mi ha chiesto di passare e
dare una mano. Ha detto che prima o poi un guaio simile sarebbe successo e tu
non avresti conosciuto tutti i dettagli da riferire a George» aggiunse, tirando
fuori un sogghigno che fece rabbrividire la giovane Banshee.
Lei conosceva quell’espressione.
La conosceva fin troppo bene.
«Per Merlino Rose, odio quell’espressione» si
lagnò George, alzando gli occhi al cielo ma facendole comunque cenno di
avvicinarsi al letto. «Mi ricorda troppo tuo padre ed il modo in cui guarda
Charlie. Credo sia l’oggetto principale dei suoi incubi, da quando lo hai fatto
venire alla Tana per conoscere la famiglia».
Hermione si accigliò, il dubbio sempre più
radicato in lei. «Suo… padre?» domandò, osservandola con attenzione quasi
maniacale che solitamente avrebbe dedicato ad un antico manoscritto o ad un
mandato d’arresto. Capelli scuri,
atteggiamento da padroni dell’universo, bellezza sorprendente7…
«Ti prego, lascia che io mi presenti come si deve»
cinguettò la ragazza, facendosi avanti per afferrarle la mano e scuoterla con
entusiasmo. «Rosemary Crave, viceresponsabile del Settore Draghi acquatici
della Riserva dei Carpazi8. E figlia del Dottor Crave».
Ovviamente.
«Avrei dovuto immaginarlo, tuo padre è sempre
stato un po’ troppo acido con Fred» fu tutto ciò che le disse, alzando gli
occhi al cielo. «Credevo che anche lui fosse arrabbiato per il suo rifiuto di
far parte dell’Organizzazione, invece era per Charlie, non è così?».
Rose scoppiò in una risata allegra, annuendo ed
accomodandosi vicino ad un sempre più confuso George. «Papà ancora ha un po’ di
difficoltà ad accettare questa situazione. Fred, oltretutto, somiglia molto al
mio Charlie, oltre a non avere paura di lui. Lo irritava da morire trovarselo
davanti, con il suo atteggiamento da sbruffone» ammise, esasperata. «Prima o
poi si rassegnerà. Credo di dovergli sfornare almeno una nipotina per compensare,
ma c’è tempo». Si fermò un attimo, scambiando un’occhiata con George, quasi ci
fosse una qualche battuta ad Hermione sconosciuta. «Beh, un po’ di tempo».
«Possiamo tornare al nostro argomento principale?
Non ho tutto il giorno» si intromise la Banshee, le sopracciglia inarcate e
giusto un po’ di stizza nell’essere esclusa dalla conversazione in quel modo.
C’era stato un tempo in cui lei era
stata l’unica non appartenente alla famiglia capace di scherzare e capire i
sottintesi. Ma era stato più di due anni fa. Lei era praticamente una estranea,
checché ne dicessero Ginny, Fred e Molly. «George, cosa sai tu delle Banshee?».
Lui la osservò confuso, per qualche istante,
lasciando che i suoi occhi cadessero senza tante cerimonie sul pentacolo cucito
sulla divisa che lei ancora indossava. Non era più sporca del sangue di Fred e
forse quello poteva essere considerato un successo. Chi sapeva come avrebbe
reagito, se avesse visto com’era ridotta? Se avesse immaginato le condizioni del suo gemello?
«Lo sapevo che non aveva davvero detto di no, lo sapevo» sbottò, incrociando le
braccia al petto. «Quando mi ha detto che l’avevano avvicinato ma che lui aveva
scartato l’offerta, io mi sono rifiutato di credergli, ma lui è stato talmente convincente! Ah!» aggiunse, con una
smorfia stanca. «Si è fatto del male in missione, non è vero? Ha sempre detto
che non sarebbe mai diventato un
militare, di alcun tipo! Figuriamoci uno talmente pericoloso! Quell’idiota».
Hermione iniziò a scuotere il capo prima che lui
potesse finire. «Lui non fa parte
delle Banshee. Ha rifiutato la proposta, come ti ha detto, ma ha suggerito me al suo posto. Ed ha accettato il
ruolo di consulente, viste le sue capacità creative. Le vostre capacità» spiegò, esitando poi per qualche istante. «Il Supervisore
avrebbe voluto entrambi, ma tu non eri compatibile».
«La perdita dell’orecchio ha danneggiato il tuo
senso dell’equilibrio in modo irrecuperabile» si intromise Rose, tranquilla.
«Ricordi quella volta in cui mio padre si è spacciato per un medico del
Ministero? Stava semplicemente verificando i tuoi requisiti» spiegò, indicando
poi un punto imprecisato all’altezza dello stomaco del futuro cognato. «Hai
fatto qualcosa per quel principio di gastrite, poi?».
Le sopracciglia di George avevano raggiunto un’altezza
incredibile. «Sono stato trattato come un gerbillo da laboratorio senza neppure
saperlo? Credo sia contrario ad una qualche legge» commentò, confuso e
parecchio irritato. Tornò a guardare Hermione, senza preoccuparsi di nascondere
la sua irritazione. «Ti dispiacerebbe dirmi la verità? Mio fratello non avrebbe
mai fatto il consulente. Tutto o niente, è così che Fred ed io l’abbiamo sempre
pensata. Se davvero non ha voluto entrar a far parte della vostra Squadra, di
certo non si sarebbe limitato ad aiutare».
Anche lei
se l’era sempre chiesto.
Fred e George Weasley non facevano mai nulla a
metà. Avevano lasciato la scuola con esplosioni di fuochi d’artificio, avevano
aperto un negozio di scherzi nel periodo più buio di Diagon Alley.
Perché li stava aiutando?
«Non ti sto mentendo».
«Non ti sta mentendo» si intromise di nuovo
Rosemary, guardando solamente George. «Non è per le Banshee che lui è rimasto e
non è per l’avventura che ha continuato a mettersi in pericolo. Se ci pensi
bene, probabilmente puoi capire perché».
Lentamente, George si voltò a guardare Hermione.
«Quel romantico bastardo, sapevo che si sarebbe
fatto ammazzare prima o poi».
La confusione della Banshee dovette essere
piuttosto evidente, visto il sospiro che Rosemary le dedicò, prima di
avvicinarsi e posarle una mano sulla spalla. «Noi non ci conosciamo, ma mio
padre crede tu debba sapere un paio di cose. Personalmente, eviterei di
buttarti altri pesi sulle spalle ma per quanto lui non abbia rispetto per il
cuore degli altri è comunque bravo in quello che fa, se crede sia giunto il
momento, io non mi oppongo. Detto questo, credo sia meglio che tu torni a
sederti» le disse, spingendola nuovamente sulla poltrona con un tonfo secco.
Non si era neppure resa conto di essersi alzata, se doveva esser sincera.
«Cosa diavolo
sta succedendo?» sbottò alla fine, incrociando le braccia al petto ed
osservando i due davanti a lei. Credeva di dover dare delle spiegazioni, non certo di doverle ricevere! Di certo non
da George!
«Io ho capito solo parte di tutta la questione,
quindi meglio che mi limiti ad integrare»
rifletté ad alta voce proprio il gemello, lanciando uno sguardo alla giovane
cognata, che annuì. «Hai detto che è stato Fred a proporti per le Banshee?».
Confusa, Hermione annuì. «Quando lui ha rifiutato,
ha indicato me come sostituto. Quando ho superato il test iniziale mi hanno
aiutata a sparire dalla circolazione, solo Fred sapeva. Senza l’Ordine ed il
Dottor Crave, probabilmente oggi non sarei qui».
E neanche
Harry, pensò, senza tuttavia dire nulla. Lipsia era una questione
privata, non le importava che loro fossero molto più simili ad una famiglia,
per Harry, di quanto non fosse lei a quel punto.
Rosemary accennò un sorriso che tuttavia si perse
quasi immediatamente. «Tu hai… superato
il test?» le chiese, esitante, mordicchiandosi il labbro inferiore come se già
quell’ovvietà non fosse poi tanto sicura
ai suoi occhi.
«Beh, ovviamente».
La ragazza scosse il capo. «Hermione, tu non hai mai
superato il test, proprio come Harry e George» le disse, incrociando le braccia
al petto. «È stato mio padre stesso a negare il permesso per voi tre. Siete
stati esaminati contemporaneamente, ma solo Fred e George sono riusciti a
superare i test psicologici e ad arrivare a quelli fisici, dove lui» indicò
George con un cenno del capo, «è stato poi bocciato. Tu non eri idonea».
Hermione restò in silenzio per un lungo istante,
fissando Rosemary come se le fosse spuntata un’altra testa. Avrebbe voluto reagire,
in qualche modo, ma l’intensità della sua espressione glielo impedì. C’era
qualcosa, nel suo modo di stringere le labbra, che la paralizzò sul posto.
Forse era un riflesso pavloviano conseguente alla lunga relazione professionale che aveva intrattenuto con il dottore:
ormai sapeva quando era autorizzata a parlare e quando, invece, era meglio
restare in silenzio in attesa della sentenza.
«Però lei è passata, alla fine» commentò George al
suo posto, accigliato. «Non sono sicuro che i miei sospetti siano corretti».
Rosemary sbuffò, alla ricerca delle parole giuste.
«Io l’avevo detto a papà che avrebbe dovuto sbrigarsela da solo» si lagnò,
mentre Hermione involontariamente si chiedeva chi potesse davvero lagnarsi con Crave senza ritrovarsi ad
affrontare traumi che non credeva neppure d’avere. Essere sangue del suo sangue
doveva averla aiutata. «D’accordo, via il dente e via il dolore. Hermione, tu
sei passata perché Fred ha supplicato
mio padre di prenderti» le disse, guardandola direttamente negli occhi. «Papà è
il migliore nel suo lavoro ma può seguire soltanto le Banshee, non può più
prendere altri pazienti esterni per evitare di…» fece un gesto vago con la
mano, «non lo so, forse confondersi. Comunque, Fred aveva già capito quanto pessima fosse la tua situazione e
durante il primo colloquio con papà lo ha praticamente supplicato di prendersi cura di te, anche a costo di prenderti fra
le Banshee. È arrivato direttamente davanti al Supervisore per perorare la tua
causa, dimostrandogli quanto potessi essere utile all’Ordine. È per questo che lui lavora con le Banshee
senza alcun riconoscimento, Hermione. Lui non avrebbe mai fatto parte di una
cosa del genere, se non… se non come prezzo per aiutare te».
«Dopo quello che è successo a Ron, io e Fred
abbiamo giurato non avremmo mai messo noi stessi in pericolo come durante la
guerra, se non fosse stato necessario» si intromise George, cupo. «Nostra madre
non avrebbe sopportato la perdita di un altro di noi, questo lo sai anche tu,
Hermione. Per questo mi sono fidato, quando Freddie ha detto che… che non aveva
accettato. Sarebbe stato un pericolo assurdo».
Flash di conversazioni, di piccoli gesti e ansie
tornarono alla memoria di Hermione. Fred era sempre sembrato piuttosto restio a
svolgere quelle sue piccole missioni, prima di poter aiutare direttamente lei.
Era sempre stato terrorizzato all’idea che qualcuno in famiglia potesse
scoprirlo, che George potesse capire
cosa faceva in quelle sue improvvisate fughe.
«Ma… perché? Perché rischiare così tanto solo per
me?» domandò, con un filo di voce. «È per… per Ron?» aggiunse, con il senso di
colpa sul punto di soffocarla, come se le avessero strappato il cuore solo per
riposizionarlo nella sua gola. Lei aveva
smesso di amare Ron da anni, eppure suo fratello rischiava la morte in onore
della sua memoria.
«Oh, no».
Quasi non sentì l’esclamazione colma di orrore di Rosemary, prima che le sue
mani calde cominciassero a sfiorarle il viso, con delicatezza. «Io l’avevo
detto a quel vecchio caprone! Sta
avendo un attacco di panico, George, smettila di guardarla come se fosse
impazzita! Non tirare fuori la tua bacchetta, potresti farla spaventare»
continuò, la voce simile ad una cantilena che Hermione non riusciva a
comprendere. Le stava esplodendo la testa, ma forse era a causa del cuore
incastrato in gola, forse non le faceva arrivare sangue al cervello. Ophelia
avrebbe saputo aiutarla, senza orma di dubbio. Ophelia era bravissima nel suo
lavoro, anche se era più a suo agio con i morti.
I morti.
Come Ron.
Come era stato Fred.
Fred, morto per omaggiare la memoria di Ron.
Lei aveva dimenticato Ron, lui stava morendo in
nome di un sentimento che non esisteva più.
«Hermione»
il tono autoritario di Rosemary le fece sollevare lo sguardo, annegandola in un
universo con lo stesso colore dei laghi ghiacciati della Svizzera. Erano così diversi da quelli di suo padre, ma
altrettanto profondi e capaci di incantarla. «Va tutto bene» continuò, mentre le sue mani si muovevano lentamente
sul suo viso con movimenti ciclici e ripetitivi. «Respira».
Senza potersi fermare, lei prese un respiro
profondo. Poi un altro. Poi un altro ancora.
Così come era arrivato, il cuore in gola scivolò
al suo posto, la sua testa smise di pulsare e le mani smisero di tremare.
«Come diavolo
hai fatto?» chiese George, pieno di ammirazione. Voltandosi, Hermione lo vide
accosciato al suo fianco, diviso fra lo shock e l’ammirazione. «Era un
incantesimo? Non hai neanche toccato la tua bacchetta!».
«Ipnosi» sbottò Rosemary, con una smorfia. «È un
trucchetto di famiglia, di solito lo uso sui draghi, non mi piace forzare la
volontà delle persone, ma in questo caso…» si strinse nelle spalle. «Hermione,
adesso cerca di star calma, probabilmente non hai capito un accidente, proprio
come aveva previsto papà» aggiunse, borbottando, per poi inginocchiarsi meglio
davanti a lei e prenderle una mano fra le sue. «Fred non ha fatto nulla per suo
fratello».
George grugnì un «Puoi dirlo forte», prima di
lasciarsi andare ad una risata senza allegria. «Quell’idiota è innamorato di te
da quando eravamo poco più che bambini,
Hermione. Non mi sorprenderei se avesse deciso di aiutare le Banshee anche per
poterti tenere d’occhio. Quell’imbecille di un romanticone si sarebbe
volentieri fatto uccidere per te» le disse, diretto, senza il minimo riguardo
per lo shock nell’espressione di lei. «Durante il vostro sesto anno ha anche
pensato di rifilarti una pozione, pur di non farti più soffrire a causa di Ron
e Lavanda».
Rose inarcò le sopracciglia, guardandolo. «Non è una
cosa molto carina da fare».
«Credimi, tu non hai idea di cosa fosse diventato
mio fratello con Lavanda. Non credo di aver mai visto Fred più furioso, ha
passato le vacanze di Natale minacciando di strozzarlo. Non sopportava l’idea
che lui trattasse male l’unica ragazza che lui…» strinse le labbra, scuotendo
poi il capo. «Non è giusto che io dica certe cose, Ron si è ripreso alla fine,
nel poco tempo che hanno avuto a disposizione. Io so che Freddie non si è mai
pentito di non aver agito scorrettamente».
«Io… io l’ho sorpreso con un mio capello» esalò
Hermione, ricordando la conversazione avuta non più di una manciata di giorni
prima proprio con il gemello. «Credevo che volesse dare la pozione a Ron. Se lui era già…preso da me, perché avrebbe avuto bisogno di
un mio capello?».
George sbatté le palpebre un paio di volte,
confuso, per poi scuotere il capo. «Credevi forse che ti avrebbe mai rifilato
un filtro per farti innamorare di lui?
Non l’avrebbe mai fatto» disse, vagamente indignato. «Voleva solo che tu…
superassi Ron. Era l’opposto di una
pozione d’amore. Col senno di poi, forse avrebbe dovuto farlo e tu ti saresti
risparmiata…» con un gesto indicò la situazione in cui si stavano trovando,
«tutto questo. E non avresti rischiato la vita, proprio come quell’idiota al
piano di sopra».
Sono decisamente più egoista di quanto tu
non creda.
Le tremarono le mani e, per un lungo istante, fu
lieta che Rosemary gliele stesse ancora stringendo, nascondendo almeno un po’
la sua debolezza. C’era così tanto
che all’improvviso aveva un senso diverso da quello che lei aveva inizialmente
trovato. Così tanto.
Nessuno
ti ha mai detto quanto tu sia affascinante, Hermione cara?
Ma era molto più vecchia la questione, non si
trattava solo delle ultime settimane. C’era Fred che la consolava al Ballo del
Ceppo, Fred terrorizzato all’idea che il suo esperimento le avesse fatto del
male, Fred che quasi l’aveva supplicata di concedergli almeno un ballo al
matrimonio di Bill9.
C’era Fred che la rassicurava, che comprendeva la sua confusione nel non
riuscire a soffrire per Ron il giorno del funerale, che la abbracciava e le
augurava di avere un futuro brillante con le Banshee.
Come aveva fatto a capire l’origine del suo
dolore, il giorno del funerale?
Era stata
una stupida. Lui aveva sempre saputo.
Perché Fred, diversamene da Ron, l’aveva vista fin
dal primo giorno. L’aveva vista come Hermione, non come l’altra amica di Harry, non come secchiona Granger.
Come
Hermione.
«Quell’idiota» sbottò, sentendo le lacrime
bagnarle le guance. «Quel grandissimo
idiota» aggiunse, alzandosi in piedi e scansando i due che erano ancora
seduti accanto a lei e la stavano osservando come se fosse definitivamente
impazzita. «Se solo avesse parlato
prima, adesso…» scosse il capo, marciando verso la porta come se avesse voluto
buttarla giù con lo sguardo. «Quell’idiota ha detto di amarmi un attimo prima
di morire» sbottò, voltandosi un
attimo verso George e Rose, più confusi che mai. «L’idiota non sapeva che Katie
lo avrebbe riportato indietro, quindi era pronto ad andarsene senza assicurarsi
che io gli credessi! Senza chiedermi
se per caso io ricambiassi!»
aggiunse, allargando le braccia come se avesse voluto prendersela con
l’immensità del Cielo. O forse direttamente con l’ignaro Fred, al piano di
sopra. «È una cosa così… così… stupida
da essere perfettamente da lui! Ed
ora che è sano e salvo ed io ho finalmente capito? Ah! Adesso io sto per partecipare ad una missione suicida!»
continuò, suonando un po’ matta, dato lo sguardo confuso e poi preoccupato
degli altri due. «Oh no, io non ho la minima intenzione di diventare la
protagonista di una tragedia, il dramma lo può lasciare a qualcun’altra».
Con la furia di una vera Banshee, allora, spalancò
la porta e si precipitò su per le scale, probabilmente saltandole due alla
volta. Fece irruzione nella stanza in cui avevano depositato Fred come se
avesse voluto strangolarlo e quasi non aspettò che Molly, parecchio confusa, si
allontanasse da lui, prima di afferrarlo per il bavero del camice che ancora
indossava e scuoterlo come se non ci fosse un domani.
Ophelia
le aveva assicurato che fosse totalmente guarito, magari solo un po’ stanco per
lo shock di essere resuscitato.
Si fermò solo quando lui aprì gli occhi, lo
sguardo pieno di confusione e paura, incurante delle affermazioni oltraggiate
di tutti gli altri occupanti della stanza. Ginny doveva aver imprecato ed era
piuttosto certa che Harry avesse messo le mani sul pancione per schermare le
orecchie dei bambini dal linguaggio scurrile della madre.
«Hermione?».
«Quel filtro, al sesto anno» gli disse lei, fra le
lacrime. «Quel filtro non avrebbe funzionato, io non ero innamorata davvero di lui10» sbottò, senza
lasciarlo andare, osservando la consapevolezza affiorare nei suoi occhi chiari.
«E se tu avessi parlato prima di morire, brutto pezzo di Troll, adesso io
non andrei a morire senza aver amato
davvero!».
Un silenzio agghiacciato cadde sugli occupanti
della piccola stanza mentre una affannata Rose li spingeva tutti fuori, senza tante
cerimonie, probabilmente volendo concedere loro qualche minuto di pace.
Lei sapeva
che in pochi istanti gli altri membri della squadra sarebbero andati a
reclamare sia Hermione che Harry. Sapeva
che le loro speranze erano davvero poche. Non c’era verso che il Dottore non le
avesse detto tutto.
Anche Ginny lo sapeva, l’aveva sentita imprecare
contro Harry non appena era arrivata alla Tana.
«Hermione, cosa… che vuol dire morire?» fu la prima cosa che le chiese
lui, le mani sulle sue braccia, come a volerla tenere proprio lì vicino, a
portata di mano. Quasi potesse già sparire. «Cosa… Winnie? L’avete trovata?».
«Stiamo andando a prenderla e a distruggere quel
mostro, se possibile» fu la breve risposta che ottenne, fra le lacrime di lei.
«Perché non me l’hai mai detto, brutto idiota? Avremmo potuto sistemare questa
faccenda anni fa! E tu non saresti qui».
Fred scosse il capo. «Era… era così che doveva
andare. Ma ora dimmi della missione! Che significa che stai andando a morire?
Cosa diavolo credete di fare? Harry è
coinvolto? Maine? Lui di certo non vi manderebbe a morire! Katie potrebbe, ma
lei è con Malfoy» blaterò, scuotendola leggermente. «Hermione, io vengo con te!
Cosa dobbiamo fare? Hermione, dimmi-».
Senza preavviso, lei lo baciò. «Questo vale per
gli anni passati» gli disse, allontanandosi di un passo e sfuggendo dalla sua
presa. «Sai di non poterti muovere, Weasley, non rendere le cose più difficili»
aggiunse, un leggero sorriso ad incurvarle le labbra. «Farò del mio meglio per
tornare e, quando lo farò, riprenderemo questo discorso. Sono stata chiara?».
«Hermione…».
Lei era ormai arrivata alla porta, lui stava
ancora faticosamente lottando con le sue coperte. Probabilmente ogni arto
doveva pesare tonnellate, ma era disposto a combattere. «Per quello che vale,
credo di essermi innamorata di te anni fa».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi
per futuri aggiornamenti!
Se sentite qualcuno
piangere, probabilmente sono io.
Ho un Malfoy che minaccia
di uccidermi, una donna incinta che mi sorride con in mano un bisturi e Fred
che mi guarda e dice “mi hai resuscitato per farmi soffrire????”.
Vorrei dirvi che il lieto
fine sarà assicurato.
Vorrei, ma non mi piace
mentire.
Punti importanti:
» *
- Oh la
tempesta si sta scatenando contro di noi / Se hai paura di cadere allora non
guardare giù / Ma abbiamo fatto questo passo, abbiamo fatto questo salto / E
prenderemo ciò che verrà, prenderemo ciò che verrà. Io vivo per gli Imagine Dragons e questa canzone credo sia molto
adatta alle coppie di questa storia, soprattutto Fred ed Hermione, che in
realtà non sono una coppia. Veramente neppure Kate e Draco lo sono. Mi restano
solo Philly e Barry ❤
» 1
– Mi è stato riferito che a Limoges, in Francia, sono famosi per le
ceramiche, non è un’informazione di primo pelo, quindi se si tratta di una
sciocchezza dovete perdonarmi, a casa non mi fanno avvicinare alla roba di
porcellana ¯_(ツ)_/¯.
» 2
– Oltre al suo lavoro da Banshee, che spesso e volentieri l’ha portata a dover
memorizzare i dati ed i visi dei peggiori criminali in circolazione, non
dimenticatevi che Kate è una purosangue. Ci sono famiglie dell’alta società che
hanno foto di Bellatrix come mia nonna ha quelle del Papa.
» 3
– Nessuno coglie il riferimento a Pretty Princess? Una vera regina non
accavalla mai le gambe! Regina Clarisse nel ❤. Una ragazza vuole solo
tre cose nella vita: mangiare senza ingrassare, parità di trattamento e
diventare principessa di Genovia.
» 4
– Lasciate che vi spieghi: Selezione
Naturale. Draco è geneticamente
perfetto per fare figli negromanti, probabilmente ha qualche antenato a sua
volta. E l’accoppiata perfetta è proprio con Kate. Da qui il suo essere Auctor. L’unica cosa da capire è che
sono geneticamente perfetti insieme, innamorati proprio a causa della biologia.
» 5
– Citazione da “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas.
» 6
– Stesso principio di quelli che vogliono diventare immuni ai veleni: ogni
giorno una dose sempre maggiore finché non ha più effetto. Le Banshee devono essere immuni al Veritaserum,
conoscono troppi segreti importanti.
» 7
– Se i Weasley si riconoscono per “capelli rossi, una vecchia toga di seconda
mano” [Cit. Draco Malfoy], i Crave si riconoscono perché sono belli, dannati e
con i capelli scuri. Oltre gli occhi, Rosie è tutta figlia di suo padre.
» 8
– Rose è figlia di un genio. Ed è nipote di un genio (il padre del Dottor Crave
era un pozionista famosissimo. Lei ha studiato con i migliori Magizoologi e a
vent’anni è diventata la più giovane viceresponsabile di un’intera sezione
della Riserva in Romania. Suo padre le ha proibito di entrare a far parte delle
Banshee e lei lo ha ripagato trovandosi un fidanzato di dieci anni più grande
di lei. Povero Dottore, cuore spezzato.
»9 – Episodi che
ovviamente ho inventato io, tranne quello dell’invenzione impazzita. Nel sesto
libro Hermione viene colpita da un pugno in scatola (o una cosa simile) ed è
Fred a darle la pomata per il livido ❤
»10 – Non sto dicendo
che Hermione non fosse legatissima a Ron, posate i forconi. Ma per me fra loro
è stata più una questione di abitudine
e forte amicizia magari unita ad attrazione, non vero amore. Ehi, nella mia
ultima ff l’ho fatto diventare un pazzo, qui sono stata clemente, è morto da eroe.
Amo
Rosemary Crave alla follia e amo anche tutti gli altri.
Oh,
vi conviene dare un’occhiata a due capitoli fa, mi sono accorta di aver
pubblicato la versione sbagliata (ho solo aggiunto una frase, nulla di
assurdo)!
Essere in una relazione con una Banshee non è molto comodo.
Potrei non riuscire ad aggiornare la settimana
prossima! Farò del mio meglio!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
“You see me standing, but I'm dying
on the floor
Stone cold, stone cold
Maybe if I don't cry, I won't feel anymore*”
[Demi Lovato – Stone Cold]
Atto IX, Parte I
– Legami
Il Magazzino era abbandonato da almeno una
trentina d’anni, stando alle sue informazioni. Ad un primo sguardo, Hermione
non avrebbe dedicato più di un pensiero ad un luogo simile, convinta che fosse
davvero nulla più di una bettola piena di drogati. Accanto a lei, Barry mugugnò
qualcosa molto simile ai suoi pensieri, mentre Kate si limitò a scuotere il
capo.
«Non è quello che sembra» intervenne Harry, secco,
alzando la mano per indicare qualcosa alla loro sinistra. Hermione non vedeva
altro che mura distrutte e i resti del giaciglio di qualche barbone. Il suo
migliore amico aveva un’espressione cupa, molto simile a quella che lei aveva
visto la mattina dell’incidente di Lipsia, anche se meno tormentata, meno autodistruttiva. Pensandoci bene, quella
era la stessa espressione che lei aveva visto sul suo viso prima che
distruggesse Voldemort definitivamente.
«Cosa vuoi dire, Potter?» chiese Barry, ansioso,
stingendo di più la presa sulla sua bacchetta. La fede nuziale brillava al suo
anulare, stranamente: non era solito portarla con sé in missione. Ma
solitamente sua moglie era giusto al suo fianco, mentre in quel caso era
rimasta a casa. Perché? Hermione non aveva chiesto, quando erano partiti per
raggiungere la loro destinazione1. In quel momento non le importava
un granché di nulla, avrebbe accettato anche di andare in missione da sola.
Dentro di
sé, sapeva che non sarebbe tornata a casa, da Fred.
«Ha ragione, non è quello che sembra» confermò
Kate, facendo un passo avanti ed osservando con criticità la porta d’ingresso
che si stagliava, stranamente solida, a pochi passi da loro. Erano arrivati fin
nel cuore dell’Isola di Yell, nel nord della Scozia,
e una volta lì avevano dovuto trovare il luogo più sperduto nelle coste a nord.
Faceva freddo come poche volte Hermione aveva provato in vita sua, nonostante
il mantello delle Banshee fosse praticamente un enorme thermos. Non osava
immaginare come dovesse sentirsi Harry. Kate, dal canto suo, era passata ad una
versione inquietante ma non troppo di Katrina, con gli stessi agghiaccianti
occhi neri ma senza l’aura da cadavere che l’aveva sempre accompagnata. Neppure
lei sembrava infreddolita. «Ci sono molte Creature all’interno. Un numero
impressionante, se devo essere totalmente sincera. Dubito, inoltre, che
l’entrata non sia stata incantata» aggiunse, il capo leggermente piegato di
lato. «Ci stanno aspettando, certo, ma ciò non significa che vogliano stenderci
il tappeto rosso».
«Hanno bisogno del vostro sangue, non credo siano
tanto disposti a sprecarlo» rifletté Barry ad alta voce, guardando Harry e
Kate, le sopracciglia inarcate. «Certo, potrebbero voler far fuori me ed
Hermione, siamo solo un peso».
La Negromante annuì, con un sorriso davvero poco
sensato in quel momento. Hermione la osservò avvicinarsi al Magizoologo e
prendergli la mano in un gesto delicato di conforto. Poco più di un giorno
prima lei non avrebbe potuto fare nulla del genere senza ucciderlo all’istante.
«Non preoccuparti, non permetterò che ti facciano del male. Tornerai a casa da
Philly, fosse l’ultima cosa che faccio».
L’uomo la osservò per qualche istante,
probabilmente cercando qualcosa nel suo sguardo. Dovette trovarlo, perché
sospirò e sorrise. «Se dovessi tornare senza di te, credo che lei andrebbe fino
in Romania pur di trovare qualcuno capace di riportarti indietro. Sono le
regole del branco, Trina» le disse, dolcemente, per poi indicare con un cenno
la porta davanti a loro. «Credi sia il momento di farci avanti? Riesci a capire
di cosa si tratta?».
Quando Kate si strinse nelle spalle e poi si voltò
verso di lei, Hermione sospirò e tirò fuori la bacchetta. Era il momento di un
po’ di lavoro in vecchio stile per lei, evidentemente. Aveva trascorso quasi
tre mesi interi del suo addestramento a ricercare vecchi incantesimi nascosti,
con intere giornate chiusa in vecchie piramidi egizie. Poteva farcela. Era il
suo campo, era il suo talento speciale.
«Hermione» la chiamò Harry, posandole una mano
sulla spalla e sorridendole con una scintilla divertita nello sguardo. «Ti
ricordi la ricerca degli Horcrux? Se siamo riusciti a trovare quelli, questa
deve essere una sciocchezza, no? Voglio dire, a undici anni mi hai fatto
arrivare alla Pietra Filosofale, adesso puoi fare qualunque cosa» le disse, con
un occhiolino complice.
«In realtà non ho fatto tutto da sola, lo sai».
«Ti prego, risparmiami la falsa modestia. Sarei
morto più volte di quanto mi piacerebbe ammettere senza di te».
Si sorrisero come se gli ultimi quattro anni non
fossero mai trascorsi, come avrebbero fatto prima della Battaglia, prima delle
ferite impossibili da guarire davvero. Fu un sorriso che rinvigorì Hermione,
consentendole di concentrarsi sulla prova che le si stagliava davanti.
Stranamente, quella seconda occhiata le consentì di notare dettagli che poco
prima le erano completamente sfuggiti: c’era una strana curvatura nell’angolo
sinistro della grande porta di ferro ed il colore variava in modo innaturale,
la parte arrugginita molto più accentuata sul lato destro che sul sinistro. In
qualunque altro momento, sarebbe stata quella che lei avrebbe scelto per aprire
la strada agli altri, ma le sembrò troppo
facile. Tiresias avrebbe potuto prevedere quella
sua mossa.
«Kate» chiamò allora lei, con un gesto impaziente
della mano, senza neppure voltarsi per verificare che la compagna si fosse
avvicinata. «Tiresias non può vederti, giusto?
Qualsiasi cosa tu faccia, anche se diretta da me?» domandò, cominciando a
calcolare le sue mosse ma senza scendere troppo nel dettaglio. Avrebbe dovuto
pensare a tutto un piano molto lentamente, senza rivelare troppo o troppo
velocemente.
«Qualsiasi cosa io faccia, per Tiresias
è un buco nero» confermò lei, con un cinguettio allegro. «Immagino tu voglia
usare l’Imperius, così da non dover parlare, uhm?» chiese poi, stringendo per
un singolo istante le labbra, come se avesse voluto lamentarsi ma non avesse
trovato il coraggio. O non avesse valutato abbastanza le proprie lamentele da
arrivare a porle ad alta voce. «Dopotutto può vedere, non può certo sentire i tuoi pensieri2» spiegò,
incrociando le braccia al petto.
«Sei sicura?»
le chiese, incerta, guardandosi intorno quasi avesse potuto scoprire Tiresias intento a spiarli da dietro un qualche cespuglio. «Un
Imperius non è una sciocchezza da sopportare, non vorrei fosse anche inutile. L’ultima volta che l’ho usato
ho quasi mandato al diavolo una missione intera perché poi Ophelia si è
ribellata senza rendersene conto».
Da dietro di loro, Barry grugnì, mentre Kate alzò
gli occhi al cielo. «Io non mi ribellerò e sì, puoi star certa che non mi
vedrà. Ho avuto modo di parlare con qualcuno abbastanza preparato sull’argomento,
siamo coperti».
Barry si accigliò, osservandola con il capo
inclinato. «Con chi hai parlato?» le domandò, osservandola farsi avanti fino a
fronteggiare Hermione in un chiaro invito ad essere messa sotto incantesimo.
La risatina che lei gli dedicò avrebbe fatto
rabbrividire un po’ chiunque. «Mio padre»
gli rispose, macabra, allargando le braccia come ulteriore incoraggiamento per
lei. «E voi non avete idea di quanto io stia godendo all’idea che quell’essere
non sappia nulla del nostro incontro».
Hermione non perse tempo in spiegazioni inutili,
sollevò la bacchetta e, dopo un respiro profondo, si concentrò per poter
scagliare l’incantesimo. Il vecchio formicolio al braccio le diede una scarica
d’adrenalina, una sensazione di onnipotenza che per troppo tempo aveva dovuto
mettere da parte. «Imperio».
Kate aveva promesso che non si sarebbe ribellata
ed Hermione le credette, nonostante le resistenze involontarie che incontrò nel
prendere il controllo di lei. Era come
tentare di nuotare controcorrente, realizzò, stringendo i denti ed
osservando la patina nebbiosa oscurare lo sguardo nero della Negromante. Era
una resistenza naturale, niente di forzato, e alla fine riuscì anche a
vincerla.
Osserva
la porta, Kate.
Come un pupazzetto, la vide girarsi e fermarsi,
immobile, davanti alla porta.
«È fin troppo brava con questa roba, non è vero?»
chiese, incerto, Harry, voltato probabilmente in direzione di Barry, che
ridacchiò.
«Stai parlando con la migliore Incantatrice e Spezzaincantesimi delle Banshee. Hermione ha così tanti
talenti che ormai il Supervisore credo abbia iniziato già ad addestrarla come
sua erede».
Se solo loro avessero saputo quanto, invece, la sua candidatura fosse stata un rischio.
Se solo avessero immaginato le
contrattazioni che quella sua posizione era costata a Fred.
Distruggi
il sigillo nebbioso nell’angolo sinistro della porta. Usa l’incanto di
dissipamento.
Lentamente, Kate alzò la propria bacchetta,
puntandola contro l’angolo che lei stessa aveva indicato. Hermione la osservò
agire come se fosse stata lei stessa a muoversi, ma non aprì bocca. Una parola avrebbe potuto distruggerli tutti.
Hermione ignorò le chiacchiere dei suoi amici,
prestando attenzione solamente alla giovane davanti a lei. Avrebbe voluto
chiedere loro di fare silenzio, ma non si azzardò. Con tutta l’attenzione
disponibile, a Kate servì una buona ventina di minuti prima di riuscire ad
ottenere qualche risultato. Quando, finalmente, la porta si spalancò, Hermione
si azzardò a sollevare la Maledizione da lei. Riuscì ad afferrarla prima che
cadesse al suolo, per poi spostarsi leggermente e lasciare che fosse Barry a
prenderla fra le braccia ed accompagnarla delicatamente al suolo.
Non sembrava esserci nessuno oltre la soglia,
potevano lasciarle qualche istante per riprendersi: per le Banshee non resistere ad un Imperius era
estenuante3.
«È una fortuna che non ti sia portata dietro
Malfoy» commentò Barry, quando lei sembrò ritrovare abbastanza fiato da poter
parlare con relativa tranquillità. «Avrebbe perso la testa, considerando gli
ultimi sviluppo. Anzi, sono abbastanza certo che in questo momento stia
distruggendo qualcosa in preda alla rabbia».
Harry inarcò le sopracciglia, porgendo un
fazzolettino alla negromante, così che potesse asciugarsi il viso. «Dubito che
quello sia un comportamento da Malfoy, non gli importa molto oltre la sua
pellaccia» gli fece notare, inarcando le sopracciglia ma senza alcun tipo di
battuta sul passato in comune che lui e la sua vecchia nemesi condividevano.
«Forse hai ragione, dubito possa iniziare ad avere
un qualche interesse per me» concordò Kate, con un sorriso che anche ad
Hermione sembrò vuoto, falso. «Ma è un
egoista con l’orgoglio ferito e che condivide la mia energia vitale. Darebbe
qualunque cosa pur di vendicarsi ed assicurarsi che io non muoia e gli faccia
passare le pene dell’Inferno».
«Philly lo saprà tenere sotto controllo» la
tranquillizzò Barry, lasciandola andare solo quando lei gli assicurò che
potesse reggersi in piedi. «E magari gli farà anche qualche domanda che io avrei voluto fargli. Non mi piace il
modo in cui ti è stato attaccato da quando siete tornati, Trina».
Il suo tono burbero fece ridere la Negromante e
sorridere anche Hermione. Barry era sempre stato estremamente protettivo verso
tutte loro, ma con Katie – e poi con Katie, di conseguenza – aveva sempre avuto
un rapporto tutto particolare.
Facendo cenno verso l’interno, Kate cercò di
liquidarlo. «Non preoccuparti, non è una condizione duratura. In questo momento
starà già pensando a come vendicarsi per la mia trappola».
***
Il rumore di un’ennesima sedia scaraventata contro
il muro portò Ophelia ad un passo dall’usare i suoi incantesimi di dissezione
contro un essere vivente, sempre che tale potesse essere la definizione dello
stato in cui, in quel momento, si trovava Draco Malfoy. Kate le aveva spiegato
qualcosa del legame che esisteva fra di loro, specificando come probabilmente
lui avrebbe potuto risentire leggermente di qualunque cosa fosse accaduta a lei
ma rassicurandola sull’efficacia dell’anestetico che lo stesso dottor Crave le aveva consigliato. In teoria, Malfoy avrebbe
dovuto passare le seguenti dodici ore seduto in un angolino a mugugnare cose
incomprensibili, stordito dal veleno e troppo debole per fare qualunque cosa
non fosse solo imbronciarsi.
Quando lui puntò il tavolino all’angolo, Ophelia
si pizzicò stancamente la radice del naso, contando fino a dieci prima di
rendere quell’insignificante sgorbietto il suo ennesimo esperimento.
Trina doveva aver calcolato male le dosi, perché
Malfoy era tutto tranne che docile e
stordito.
«Se ti avvicinerai di un passo a quel vaso, giuro che ti darò in pasto al Nundu4
di mio marito» gli sibilò contro, balzando in piedi ed avvicinandosi,
protettiva, al pezzo di ceramica in questione. Gli avrebbe lasciato distruggere
tutto, se necessario, ma non quello.
«Tuo marito non
ha un Nundu a portata di mano» sbottò lui,
sbruffone, fissandola come un toro avrebbe fissato il torero pochi istanti
prima di fargli fare una bruttissima
fine. E lei lo sapeva per esperienza, Barry l’aveva trascinata a Pamplona per
tentare di sabotare quante più corride possibili, durante il loro viaggio di
nozze. A suo parere era un’attività romantica.
«E tieniti pure lo stupido vaso, a patto che tu mi faccia andare via».
Le sue sopracciglia scure si alzarono alla
velocità della luce e, sbattendo le ciglia con incredulità, si risollevò gli
occhiali sul naso. Aveva pianto troppo per poter indossare le lenti a contatto,
erano la sua ultima risorsa per non scambiare Malfoy con una scopa5.
«Come ho già detto, tu sei agli arresti domiciliari tanto quanto me. Siamo
bloccati qui dentro tutti e due, non
solo tu» gli fece notare, incrociando le braccia ad altezza del ventre. Era già
un riflesso incondizionato alla gravidanza? Lei
ancora non poteva crederci. «Quanto al Nundu… una
volta finita questa incresciosa situazione, ricordami di portarti a casa mia.
Sono certa che Ikeadorerà avere un nuovo compagno di giochi».
Malfoy sbuffò, irritato, passandosi una mano fra i
capelli già sconvolti. Era una fortuna che avesse smesso di riempirli di
disgustosa gelatina come lei ricordava facesse da ragazzino, sarebbe stato
alquanto disgustoso. «Come fai ad essere tanto tranquilla? Tuo marito è lì da solo, non vuoi raggiungerlo ed
aiutarlo?» le chiese, irritato.
Ophelia avrebbe voluto sorridere, ma scoprì di non
esserne capace. Fu una rivelazione che, per un istante, la riempì di paura: non
aveva più avuto un problema simile da quando aveva conosciuto Barry.
«Non sono tranquilla»
gli fece notare, tornando ad accomodarsi sull’unica poltrona rimasta ancora
intera. «Come potrei esserlo? Mio marito è in una missione potenzialmente
suicida con Trina e con Harry. Ed Hermione non ha ricevuto il via libera da
parte dello psicologo per partecipare. Ho mandato le tre6 persone
più importanti della mia vita in una missione potenzialmente suicida con una
ragazza instabile» gli fece notare,
stringendo le labbra in un momento di senso di colpa. Lei adorava Hermione come se fosse una sorella più giovane, ma Crave era stato molto chiaro poco prima che partissero.
Lei era
ancora sotto shock, non era la
loro Hermione.
Malfoy si accigliò, forse perché preoccupato per
la notizia sull’instabilità della sua vecchia nemica. «Perché ti importa così
tanto di Potter?» le chiese invece, una nota curiosa nella voce, quasi
totalmente oscurata dall’ansia. «Non è la prima volta che ti sento essere tanto
parziale. Credevo fosse perché lui è il
Prescelto e altre stronzate, ma c’è dell’altro, non è vero?».
Decisamente Malfoy era più sveglio di Harry,
doveva dargliene credito. Ma, dopotutto, era imparentato anche con Sirius e
Sirius aveva sempre avuto occhio per certi dettagli.
«Harry è tutto ciò che è rimasto della mia
famiglia» gli rispose, semplicemente, indicando la fotografia ancora
miracolosamente integra sul mobile all’angolo della stanza. Malfoy si avvicinò
lentamente, osservando uno dei pochi resti della sua vita passata. Nella
fotografia, una sua versione ancora sedicenne sorrideva fra le braccia di un
uomo incredibilmente simile ad Harry,
mentre una donna con i capelli rossi ed estremamente incita li guardava nascondendo
un sorriso dietro la mano. «La nonna di Harry – la madre di James – era mia
zia. Quando mia madre è morta e mio padre si è dovuto trasferire in America per
lavoro ho praticamente vissuto con loro, io e James eravamo come fratelli»
spiegò, lasciando che la vecchia, dolce
ferita si riaprisse nel suo cuore. «Quella fotografia è stata scattata poche
settimane prima della nascita di Harry, è l’ultima che ho potuto fare con loro
due. Il vaso è un regalo di James, sai».
Con ancora la fotografia fra le mani, Malfoy si
voltò a fissare il vaso in questione, il naso leggermente arricciato. «È un
regalo orribile» le fece notare,
stranamente meno crudele di quanto lei si sarebbe aspettata. «Ed il padre di
Potter era disgustosamente uguale a
lui. Anche tu gli somigli, in realtà».
«Tranne per gli occhi» lo interruppe, con una
risatina triste. «Lui non ha gli occhi dei Penderghast, sfortunatamente. Non
che questo abbia una qualche importanza, naturalmente» liquidò, con un gesto
blando della mano. «Da quando i suoi nonni e mio padre sono morti, io non ho
più nessuno, se non Harry. E vuoi sapere la parte più tragicomica di questa
storia?» gli chiese, scuotendo il capo come se lei stessa non credesse
all’assurdità della situazione.
«Cosa?».
«Harry non ha la minima idea di chi io sia» gli rivelò, lasciandosi andare contro lo
schienale della poltrona con fare drammatico. «Per anni ho ripetuto a me stessa
che fosse preferibile lasciarlo andare, che dirgli la verità fosse troppo
pericoloso, soprattutto considerato il suo destino.
Quando ci siamo rivisti… non ho avuto il coraggio. Cosa avrei fatto se mi
avesse odiata?».
Malfoy la guardò come se avesse detto un’eresia. «Potter? Odiarti? Mi dispiace dirtelo, ma
lui odiava me e mi ha salvato dall’Ardemonio. Tu sei l’ultimo membro della sua famiglia,
probabilmente si sarebbe trasformato in una zecca e te lo saresti ritrovato
sempre alle spalle, come un fedele cagnolino» sbottò, incredibilmente serio.
«Ma posso capire i tuoi timori, immagino. L’illusione è migliore della realtà,
eh?».
Senza alcuna allegria, Ophelia annuì.
«L’incertezza fa parte del genere umano» concordò. «Nella nostra mente, invece,
possiamo avere tutte le certezze di cui abbiamo bisogno e nessuno può impedircelo. E se devo dirla tutta, negli ultimi anni
credo di aver… uhm… proiettato molto
su Trina. L’ho praticamente adottata
con la forza. Credo di aver visto molto di Harry in lei».
Malfoy sbuffò, dubbioso. «Kate e Potter sono il
giorno e la notte» le fece notare, mettendo al suo posto la fotografia e
tirando fuori la bacchetta per ricostruire l’altra poltrona – distrutta per
prima – ed accomodarcisi sopra con estrema eleganza.
Ophelia sentì un sorrisino crudele pizzicarle
l’angolo delle labbra. «Oh, davvero? Perché? Entrambi hanno avuto figure
genitoriali pessime ed hanno dovuto
affrontare un destino avverso. Entrambi sono predestinati».
«Potter è un idiota,
senza offesa» le disse allora lui, quasi sconvolto dal fatto che lei avesse
dovuto chiedere il perché. «La sua
sopravvivenza è stata una lunga serie di colpi di fortuna e macchinazioni del
vecchio preside. Kate era da sola ed
è riuscita a sopravvivere dove molti si sarebbero solamente lasciati andare».
«Katie non è mai stata davvero da sola» gli fece
notare lei, le sopracciglia inarcate ed il sorriso ben nascosto dietro
l’espressione dubbiosa. «Ma immagino possa essersi sentita abbandonata,
soprattutto adesso. Era pronta a non portare in missione neppure Barry, pur di
tenerlo qui con me e con il nostro bambino. Anche se così facendo sarebbero
aumentate le sue possibilità di morire. Nonostante noi non la abbandoneremmo
mai, potrebbe comunque credere di non avere più nessuno».
«Questa è una follia» sbottò Malfoy, irritato.
«Kate ha me. Ed io ho lei».
Cercando di mostrarsi quanto più impassibile
possibile, Ophelia si osservò le unghie della mano sinistra, falsamente
incantata dai giochi di luce che il suo anello di fidanzamento, con la fede,
produceva. «Eppure credevo che tu ti fossi rifiutato
di accettare il vostro legame. Anche se condividete l’energia vitale, da lì a
voler essere al suo fianco ce ne vuole. Dovresti volerti allontanare da lei, piuttosto. Cercare un modo per non sentire
nulla nel caso dovesse… non farcela». A quel pensiero, non riuscì a trattenere un
brivido ed un conato di nausea. Trina sarebbe tornata da lei, così come Barry,
e sarebbe diventata la migliore madrina mai passata per il Regno Unito.
Suo figlio non avrebbe passato la sua vita come
Harry, chiedendosi chi fosse la sua famiglia.
«Tu come diavolo
fai a sapere del mio rifiuto?» le domandò lui, cauto ed anche piuttosto
imbarazzato, rifiutandosi di guardarla negli occhi. «Eravamo soli».
«Segreti madre-figlia, non mi aspetto che tu possa
capire» liquidò lei, con un gesto veloce. In realtà era stata proprio Trina a
raggiungerla, in lacrime, dopo averlo lasciato immobilizzato nella sua stanza.
Il rifiuto del legame predestinato, stando a quanto aveva capito, era una brutta faccenda, spesso richiedeva settimane per perdere i suoi effetti
negativi, ma lei aveva avuto solo dieci minuti ed un abbraccio per ritrovare la
forza di asciugarsi il viso, indossare la sua migliore maschera coraggiosa e
farsi avanti. In realtà sospettava che la stabilità mentale ed emotiva di
quella povera creatura fosse stata definitivamente danneggiata, era a suo modo
una bomba ad orologeria ed Ophelia temeva
il momento in cui sarebbe scoppiata. «Per caso vorresti ritrattare?».
«Io…» esitò, stringendo le labbra con fare
imbarazzato. «Non lo so, d’accordo? Per una volta, nella mia vita, mi
piacerebbe poter scegliere! Una volta, una sola. Da piccolo ho sempre avuto mio
padre ad indicarmi la strada, poi il Signore Oscuro, poi ancora gli Auror. Sono diventato un imprenditore in proprio per poter
mantenere un po’ di autonomia, ma anche così sono più le regole da seguire che
le scelte che mi sono consentite. Almeno…» deglutì, fissando con ansia le
proprie mani raccolte in grembo. «Almeno in amore vorrei poter scegliere. Anche
se dovessi finire con lo scegliere comunque lei, vorrei poterlo fare».
Senza poter nascondere il sorriso, questa volta
condito da una certa stizza, Ophelia lo guardò finché lui non alzò lo sguardo.
«Sei consapevole che potresti finire comunque con lo scegliere lei, quindi non…
non credi che non meriti neppure un tentativo?».
Draco la fissò come se fosse stupida. «Stai scherzando? Io ho avuto una cotta per
Katie Bell da quando avevo undici anni» sbottò, arrossendo furiosamente intorno
alle orecchie. «Era una purosangue di ottima famiglia, incredibilmente bella ed
una campionessa di Quidditch. Eravamo
tutti innamorati di lei7,
anche Baston, ma probabilmente non abbastanza» ringhiò quel nome con una certa
stizza. «Se non mi sono mai fatto avanti è stata colpa sua. E quando l’ho visto ad Hogsmeade, quella mattina…» chiuse gli
occhi, sopraffatto dalla stizza.
Philly si raddrizzò sulla poltrona, la mano
davanti alle labbra per impedirsi di lasciar scappare un verso tutt’altro che
dignitoso. «Stai parlando del giorno in cui le hai dato la collana maledetta?
L’hai fatto perché hai visto Oliver Baston ad Hogsmeade?».
Malfoy ebbe il buongusto di arrossire di più.
«Avevo sedici anni, Voldemort che mi alitava sul collo e lui… lui era lì come a
sbattermi sotto al naso di aver ottenuto tutto
ciò che io ho sempre voluto! Ero così arrabbiato che non ho pensato ad altro
che a vendicarmi, non… io volevo solo sentirla vicina, per una volta sola! E
comunque quello non contava neppure come un bacio vero».
«Tu mi stai- bacio?»
domandò, sconvolta, per poi scuotere il capo e cercare di concentrarsi di
nuovo. Non era il momento di cedere all’irritazione per il modo vile con cui
lui aveva approfittato di Katie sotto Imperius8, c’erano cose più
importanti. «No, lascia perdere. Hai detto di aver visto Oliver Baston ad
Hogsmeade, il giorno dell’incidente di Katie?» gli chiese, ansiosa. «Draco…
Baston quel giorno aveva una partita in Galles. Io lo so, ero lì».
Malfoy la fissò senza alcuna espressione per un
lungo istante, prima di scoprire i denti in un ringhio. «Tiresias» sbottò, dandosi un
pugno sulla coscia. «Lo sapevo, sapevo
di essere stato manipolato. Mettere Katie sotto Imperio era stata una mossa troppo stupida da parte mia9»
si lagnò, nonostante fosse leggermente sollevato. «Dopo anni passati ad
elaborare un piano dopo l’altro per convincerla a scegliere me e non Baston, non avrei mai buttato tutto alle ortiche volontariamente».
«Sapevamo che ci avesse manipolati tutti, ma non
avevamo ancora capito fino a che punto» convenne lei, annuendo lentamente.
«Credo che non sia stato solo tu a
non avere una scelta, in tutta la tua vita».
Malfoy sbuffò, prendendosi la testa fra le mani.
«In questo momento non mi importa neppure un granché, vorrei solo che aprissero
quella dannata porta e mi facessero raggiungere quell’idiota. Non posso lasciare che muoia pensando che io…» si
fermò, incapace di continuare. Dal canto suo, Ophelia capiva benissimo come si
stesse sentendo. L’idea di Barry in missione le tagliava il respiro. Se Barry
fosse andato via credendo che lei lo
volesse rifiutare…
Lei, tuttavia, aveva una missione più importante
da portare a termine e sapeva bene che suo marito non l’avrebbe mai perdonata se avesse messo
volontariamente in pericolo ste stessa o il bambino. Non quando, a detta del
medico della base, non aveva ancora concluso il secondo mese di gravidanza10.
Troppo
presto per rischiare.
Il rumore della porta che veniva aperta di colpo
li fece trasalire e, al tempo stesso, riempire di gioia. Forse era stato deciso
che potessero aiutare in qualche modo! Forse avrebbero permesso almeno a Malfoy
di raggiungerli! Forse erano già tornati! Forse-
Quando un giovane uomo dai capelli rossi venne
poco delicatamente scaraventato nella stanza con loro da parte del Supervisore,
incurante degli improperi che detto uomo gli stava rivolgendo, sia Ophelia che
Draco si sgonfiarono, lasciandosi andare contro le rispettive poltrone.
«Ti conviene sederti Weasley. E benvenuto ai tuoi
arresti domiciliari».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Hello darkness my old frieeeeeeend…
Sempre gioie per i miei
bambini. Ed ho appena iniziato a maltrattarli come si deve! ψ(`∇´)ψ
Draco ha la rabbia
distruttiva, Ophelia è stanca e Fred
non ha avuto neppure il tempo di riprendersi che è stato sbattuto in “galera”.
Harry e Barry vogliono
solo andare a prendersi una benedetta birra.
Hermione e Kate vogliono
solo ricoverarsi in psichiatria.
Aiutateli, sono problematici.
Punti importanti:
» *
- Mi vedi stare in piedi, ma sto morendo
sul pavimento / Fredda come la pietra, fredda come la pietra / Forse se non
piangerò non sentirò più nulla. Questa canzone ha recentemente
preso possesso del mio povero cuoricino. Kate è stata rifiutata e non vuole
farlo vedere, Hermione è convinta che non tornerà indietro e non vuole farlo
vedere… Harry è sempre a pezzi e cerca di non farlo vedere.
» 1
– Hermione non ha idea che Philly sia incinta, perché Hermione era troppo
presa da ciò che era successo a Fred per prestarle attenzione. Hermione è in
una fase molto “egoistica”, diciamo. Per essere specifici, è talmente
traumatizzata che avrebbero fatto bene a chiuderla da qualche parte per un paio
d’anni.
» 2
– Immaginate il cinema. Tendenzialmente al cinema non si sentono i pensieri,
no? E se non ci mostrano chiaramente qualcuno, noi non lo vediamo. Quando c’è
di mezzo Kate, Tiresias vede solo una grossa macchia
nera che non parla MAI. Se Hermione dovesse chiedere “che ore sono?” e Kate
dovesse rispondere “le cinque!”, Tiresias non
sentirebbe la risposta.
» 3
– Vale la regola del Veritaserum. Degli Agenti
come le Banshee che possono essere controllati da un semplice Imperius
sarebbero ridicoli. Devono tutti
sviluppare una tendenza naturale alla resistenza, per superare il loro test.
» 4
– Nundu: L'Ufficio Regolazione e Controllo
delle Creature Magiche ha classificato il Nundu
come XXXXX (Noto Ammazzamaghi). Il suo fiato provoca
epidemie letali, sterminando interi villaggi. La bestia, per via della sua
pericolosità, è stata soggiogata con la collaborazione di numerosissimi maghi
molto esperti. [Da: Animali Fantastici e dove trovarli]
» 5
– Credo di averlo già accennato, ma Ophelia è cieca quanto Harry e quanto il
compianto James. Si tratta di un tratto caratteristico dei Penderghast,
purtroppo!
» 6
– Perché tre? Ophelia vuole bene ad Hermione, è una sua carissima amica, ma Harry,
Kate e Barry sono la sua famiglia.
Hermione è una collega, oltretutto
instabile. Non è insensibile, è solo umana.
» 7
– Mi è stato fatto notare precedentemente (non ricordo da chi e, perdonatemi,
non ho proprio il tempo di andare a cercare) che Kate sia un po’ una Mary Sue. È
lo scopo del personaggio, anche se
indirettamente. Kate ha un potere figlio di Amore e Morte, è bella da morire, perfetta da morire. Deve attirare sguardi, deve attirare tutta l’attenzione
possibile. I suoi geni inizialmente le impedivano di sviluppare il potere attivo, ma non per questo lei non
aveva la predisposizione. Lo stesso Thanatos dice che lui o Eros avrebbero
potuto “riconoscere il potere in lei”. Lei è sempre stata geneticamente
predisposta alla perfezione, solo che sfortunatamente questa perfezione non si
è mai estesa a livello psichico, rendendola una ragazzina estremamente testa
calda da giovane e poi instabile da adulta. Lei è perfetta, ma non si ritiene lontanamente accettabile.
» 8
– Non è un comportamento da giustificare ragazzi, è violenza sessuale! Non si
baciano le ragazze messe sotto Imperius, anche se ve le sognate la notte da
quando avevate dodici anni. Non si fa. Oltretutto quel bacio è stato, in
effetti, tutta opera della volontà di Draco.
»9 – Ebbene, Draco non ha
agito solo per puro spirito d’idiozia. Non sto dicendo che non avrebbe
incantato qualcuno per portare la collana al preside, no. Draco non avrebbe
scelto, poco ma sicuro, la ragazza per cui ha sempre avuto una cotta atroce. Ma
Tiresias ha tirato i suoi fili in modo molto astuto.
»10 – Altra domanda
che mi è stata posta: come faceva Kate a sapere della gravidanza prima di
Ophelia? Kate percepisce le cose vive e le cose morte. Quando ha toccato Ophelia per controllare
che lei non fosse entrata in contatto con il sangue del famoso negromante, ha
percepito un’altra vita in lei. Ophelia attualmente è all’ottava
settimana, il cuore del bambino batte già. Se tornate indietro al capitolo di Diagon Alley potrete notare il momento esatto in cui lei l’ha
capito!
Grazie
a chiunque mi abbia dedicato un pensiero la settimana scorsa, il mio esame è
andato alla grande ed io ancora non ci credo! (Potrebbe essere un effetto
collaterale di tutte le medicine che sono costretta a prendere nell’ultimo
periodo – non c’è mai fine alla gioia-
ma non mi importa, la sessione estiva è finita!!!)
Il prossimo capitolo potrebbe essere parecchio più corto del normale, ma è necessario!
Vi aspetto tutti lunedì prossimo!
Per qualunque domanda, scrivete pure, sono pronta a
rispondere (o quantomeno ad aggiungere alla luuuunga
lista di super chiarimenti che devo ancora dare :S)
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
“Until they became conscious they
will never rebel,
and until after they have rebelled they cannot become conscious.*”
[George Orwell - 1984]
Atto IX, Parte II
– Utopia
Harry si rese conto che qualcosa non fosse andato
per il verso giusto un attimo dopo essersi voltato per poter scambiare qualche
parola con Barry, senza trovarlo. Era sicuro
che fosse alle sue spalle, così come era sicuro
che Hermione e Kate fossero davanti a lui. Ed era anche più che certo di non
essere mai tornato a casa, pur trovandosi lì.
Grimmauld
Place non aveva mai avuto tutti quei giochi sparsi per le stanze, però.
Confuso, si chinò a raccogliere un ranocchio di
peluche, tenendolo fra le dita come se fosse stato sul punto di esplodere.
Somigliava a quello che lui aveva comprato a Teddy
quando era andato a trovarlo per la prima volta, ma non poteva certo essere lo
stesso. Quello appartenuto al suo figlioccio aveva fatto una fine non troppo
onorevole durante il suo allenamento con il vasino. Neppure Andromeda era
riuscita a salvarlo.
«Harry, sei tu?» lo chiamò Ginny
dalla cucina, facendolo irrigidire. Era abbastanza sicuro che lei non avesse
usato quel tono esasperato, nei suoi confronti, per almeno sei mesi. Era sempre
stata molto attenta con lui, soprattutto dopo Lipsia. Sentirla nuovamente
abbastanza a suo agio da trattarlo come l’idiota che era consapevole di essere
gli provocò una scossa al cuore. Stava finalmente
per riottenere ciò che credeva di aver perso? «Potter, porta il tuo flaccido culo da Sopravvissuto in questa
stanza, tuo figlio mi sta facendo
impazzire».
«Arrivo, Gin» le rispose, quasi in automatico,
spogliandosi del mantello ed avviandosi meccanicamente verso la stanza da cui
sentiva provenire rumori di un bimbo agitato e di una mamma esasperata. Fu con
una certa sorpresa che non si sentì
sorpreso nel ritrovare un bimbo decisamente più grande del feto che i suoi
gemelli dovevano ancora essere, con grandi occhi scuri ed una chiazza di
capelli castani e disordinati sulla fronte. «Jimmy! Cosa stai facendo alla tua
mamma, uhm?» domandò, con un sorriso enorme, sentendo il cuore scaldarsi quando
il bimbo lo imitò prontamente, mettendo in mostra due dentini nuovi di zecca.
Sua moglie, da poco lontano, gli
dedicò uno sguardo totalmente esasperato, indicandogli con un certo disgusto la
propria maglia sporca di quella che sembrava essere una purea verdastra.
«Tuo figlio si è dato all’arte, stasera».
«Sono piselli? Lo sai che odia i piselli» le disse lui, le sopracciglia inarcate,
avvicinandosi per poterle lasciare un piccolo bacio sulle labbra, schivando per
un pelo l’abbraccio con cui lei aveva tentato di sporcarlo a sua volta.
Ginny alzò gli
occhi al cielo, allontanandosi per poter dare una pulita al viso del suo
bambino. «Solo perché a te non
piacciono i piselli, Harry, non significa che non debbano piacere anche a lui. Non
proiettarti su nostro figlio, per favore» lo riprese, senza riuscire, tuttavia,
a nascondere il proprio sorriso. «Oggi ha morso Ron sul naso, è mancato poco
che glielo staccasse via. James è molto più cannibale di quanto non avessi
immaginato1» si lagnò, scuotendo il capo e lasciando che i capelli
rossi le dondolassero sulle spalle.
Una campanella d’allarme suonò nel retro del
cervello di Harry.
«Hai detto… Ron?»
le chiese, incerto e terrorizzato all’idea di far riaprire una vecchia ferita.
Avevano imparato tutti, alla Tana, che fosse preferibile evitare certi
argomenti, soprattutto davanti alla povera Molly. Era una donna forte, ma il
suo cuore di mamma aveva accusato il colpo molto, molto male.
Ginny lo
guardò come se fosse impazzito. «Ron, mio
fratello» specificò, confusa. «Sai, il tuo migliore amico, testimone di
nozze e padrino di tuo figlio» continuò, quando lui non sembrò voler dare alcun
segno di ripresa. «Harry, ti senti bene? Sei impallidito di colpo! Che cos’è
successo? Hai avuto problemi in ufficio?» si agitò, avvicinandosi di più per
potergli prendere il viso fra le mani. Gli accarezzò le guance con la stessa
dolcezza che sua madre aveva usato con lui quando era solo un dodicenne
spaventato, facendogli tremare di più le ginocchia. Lei non era più stata così dolce con lui. «Harry?».
«Io non… Ron?»
chiese lui, ancora una volta, posando le mani su quelle di lei ma distogliendo
lo sguardo per poterlo puntare sul suo piccolo James. Il suo unico figlio. Che aveva Ron come padrino. «Dov’è Hermione?».
Se possibile, lo sconcerto di Ginny
crebbe. Lo costrinse a voltarsi nuovamente per guardarla e poi, con dolcezza lo
spinse a sedere ad uno degli sgabelli vicini. «Harry, Hermione è a casa sua,
con Ron. Lo sai che nelle sue condizioni non può più andare in ufficio».
«Nelle sue condizioni?».
«Harry, Hermione sta per partorire. Ti ricordi che
è incinta, non è vero? L’abbiamo
accompagnata all’ultima ecografia giusto ieri»2.
Hermione
incinta.
Era impossibile, la sua migliore amica non era nelle condizioni di avere un bambino. Di
certo non con un morto. Perché lui
era certo che i ricordi della morte
di Ron non fossero semplicemente stati inventati
dalla sua mente contorta. Il cuore gli faceva troppo male al solo pensiero, la
sua mente non era mai stata tanto
masochista. Era già sfortunato di suo, perché infierire?
Oltretutto aveva assistito in prima persona alla
stramba presa di coscienza che Hermione aveva avuto riguardo Fred, dubitava di
avere abbastanza immaginazione per una cosa simile.
Non che i segnali non ci fossero stati, negli
anni, ma credeva che Fred si fosse rassegnato, alla fine.
«Gin… tuo fratello è morto da due anni».
Il sangue gli si gelò nelle vele alla risposta di
lei.
«Lo so,
sciocchino! Ma è tornato in vita grazie al Grande Sisifo! Il nostro Padrone è
stato abbastanza benevolo da riportarlo indietro, non lo ricordi più?».
Lo sguardo che si scambiarono avrebbe fatto storia
nell’enciclopedia degli sguardi assurdi,
Harry ne era assolutamente certo. Per un istante pensò di aver sentito male, di
aver confuso le parole. Poi, con una certezza che aveva quasi dell’inquietante,
pensò che dovesse essersi fatto molto male nella ricerca di Winnie per avere
delle visioni tanto chiare. Sperò vivamente che la sua immaginazione avesse
iniziato a galoppare ben lontana dalla realtà.
«Ginny… spero solo di
svegliarmi presto» sospirò alla fine, passandosi una mano fra i capelli. «Avrei
dovuto capirlo dal primo istate, tutto questo non può essere vero. Tu non sei
stata così carina con me da Lipsia, quindi probabilmente sto immaginando che
non sia mai successo. E lui» con un
certo dolore nella voce, si voltò a guardare il piccolo James, tutto preso a
ciucciarsi le dita sporche di purea di piselli. All’improvviso sembrava
piacergli quella robaccia, quasi a voler dimostrare l’assurdità del tutto. Impossibile che suo figlio avesse finto
di odiare qualcosa solo per poter fare tutti i guai che voleva con sua madre3.
«Lui non ha senso. Tu aspettavi dei gemelli».
La velocità con cui Ginny
lo zittì lo fece sussultare leggermente. «Ovviamente io ho partorito due gemelli, ma abbiamo dovuto rinunciare ad uno
quando il Padrone lo ha chiesto, possibile che tu non lo ricordi?» gli domandò,
spaventata, portandogli una mano alla fronte per poter controllare se avesse la
febbre. «Harry, sei stato tu a proporre lo scambio. L’anima della bambina per
la nostra libertà».
Harry fu sul punto di negare. Non avrebbe mai chiesto una cosa del genere, no? Lui
non avrebbe mai sacrificato qualcun
altro, di certo non il sangue del suo sangue. Lo aveva giurato il giorno in cui
Voldemort gli aveva rinfacciato la morte di tutti gli innocenti accorsi per
salvare la sua stupida pellaccia. Tuttavia non riuscì a trovare le parole per
opporsi, per dire chiaramente a Ginny quanto fosse assurda quella sua affermazione, quanto ridicolo fosse anche solo il pensiero
che lui avesse sacrificato sua figlia.
Non riuscì a negare, perché qualcosa dentro di lui
stava urlando che in realtà sì,
l’avesse proprio fatto. Urlava che si fosse trovato in una situazione tanto
tragica da non poter trovare altra via di fuga. Urlava che avrebbe fatto bene
ad abbracciare il senso di colpa, perché quello aveva tutte le ragioni
d’esistere.
«Oh, caro» mormorò sua moglie – quando si erano
sposati? Non lo ricordava più. Era stato prima o dopo aver condannato sua
figlia? – mentre continuava ad accarezzargli il viso con dolcezza. «Sono certa
che questa tua confusione passerà presto, abbiamo avuto tutti dei momenti
difficili nell’ultimo anno. È normale che tu ne stia risentendo di più» provò a
rassicurarlo. «Abbiamo tutti dovuto rinunciare a qualcosa per vivere nel nostro
nuovo mondo. Ogni utopia ha un prezzo, non è così? Io ho rinunciato al mio
coraggio, tu alla nostra bambina. Va bene sentirsi tristi, ogni tanto, a patto
di ricordare sempre quanto siamo fortunati ad aver finalmente trovato la pace.
Cos’è una piccola sofferenza in cambio della vita eterna?».
Vita
eterna.
Stranamente fu solo quel dettaglio a colpirlo.
Come un’eco, gli ritornò in mente una scena passata, lontana come se fosse
accaduta mesi prima, nonostante lui
non ricordasse nulla nel mezzo. Vita
eterna, gli era già stata proposta una cosa simile, ne era piuttosto certo.
Ricordava lo sconcerto, ricordava la paura. Ricordava la risata con cui aveva
liquidato la proposta.
Lui non
voleva la vita eterna, non l’avrebbe mai voluta.
«Davvero un’illusione credibile» commentò, facendo
un passo indietro per sottrarsi alla presa delicata di Ginny.
«Ottima, lo dico con sincerità. Per un momento ho anche avuto dei dubbi,
credevo d’esser impazzito. Ma hai usato le parole sbagliate, Sandman» aggiunse, in un sibilo irritato,
guardandosi attorno con fare sempre più attento. Sperava di notare dei bordi
sfocati, magari colori più intensi del normale, tutti segni di un’illusione da
Legilimanzia. Era stato il più bravo del corso Auror
nel resistere ai controlli mentali: nessuno combatteva Voldemort per poi farsi
prendere per i fondelli in quel modo. Non si scoraggiò neppure quando non notò
alcun segno di alterazione.
Dopotutto, Mulciber era il migliore.
«Harry?».
«Mossa intelligente, quella di mettere in mezzo Ginny. Lei avrebbe rinunciato a se stessa pur di salvare noi, ma mai ad uno dei nostri bambini, mentre io, razionalmente, sarei
arrivato a quell’estremo pur di salvare gli altri… è stato il tuo primo errore,
lei non mi avrebbe permesso di arrivare a tanto, neppure rinunciando al proprio
coraggio. A volte credo che lei sia rimasta al mio fianco nonostante tutte le
cazzate che ho combinato proprio per amore dei nostri figli. E la storia della
vita eterna? Ho tentato di suicidarmi
a Lipsia, ho praticamente dato involontariamente fuoco ad un palazzo per farlo,
credi davvero che la proposta possa attirarmi? Solo perché sono disposto a
soffrire e andare avanti pur di non rendere i miei figli orfani non significa
che io creda che valga la pena vivere5».
Il silenzio che accolse quella sua dichiarazione
sembrò dilatarsi in eternò, come se il mondo avesse deciso di trattenere il
fiato in attesa che qualcosa cambiasse.
Dietro di loro, James smise improvvisamente di giocare, fissando il padre con
una serietà di certo non appartenente a qualcuno di quell’età che lui dimostrava.
Il viso di Ginny, in un
istante, si contorse in un ghigno spaventoso. Poi, quasi come se l’effetto di
una Polisucco fosse finito, i suoi contorni si
dissolsero, facendole prendere forme completamente diverse. Dell’amore della
sua misera vita non restò nulla e, al suo posto, ancora indefinito come la
sostanza degli incubi stessi, c’era Silas Mulciber,
con il suo sorriso da folle omicida ed i suoi occhi di cristallo.
«Sei una sorpresa continua, Harry Potter» si
congratulò il Mangiamorte, con una risata terrificante, mentre intorno a loro
la stanza mutava, assumendo l’aspetto di un magazzino abbandonato. Harry si
ritrovò bloccato contro il muro da quella che aveva tutta l’aria di essere una
ragnatela estremamente appiccicosa.
Oppure un bozzolo, non poteva esserne certo: qualcuno aveva preso i suoi
occhiali. Riuscì comunque a notare altri bozzoli intorno a lui, molto più
chiusi. Controluce riusciva quasi a distinguere al loro interno delle figurine
raggomitolate.
Erano
stati attaccati.
«È meraviglioso cosa possono fare i Ragni Velenosi
della Thailandia, non credi anche tu? Un morso e puff, il cervello umano diventa
creta da manipolare. In tempi migliori, un Legilimens avrebbe avuto tutto il
diritto di servirsene per sfruttare i suoi nemici, renderli schiavi del suo
volere. Se non sbaglio, però, sono più di duemila anni che questa pratica è
stata abolita. Sono diventate bestiole rare e il concetto di dignità umana ha portato al divieto di
controllo. Addirittura uno scherzetto come l’Imperio
è stato considerato una Maledizione Senza
Perdono. Come se potesse esistere qualcosa abbastanza grave da non meritare perdono».
«Credo che mangiare il cervello altrui sia un
filino più grave che controllarlo e tu ti sei spinto al massimo, non è vero?»
rispose Harry, disgustato, sentendo tuttavia la lingua impastata. Aveva avuto
una certa difficoltà a parlare, quasi fosse stato perso in quello strano sogno
indotto per ore.
«Un giorno intero, in realtà, ed io non posso
negare di essere sorpreso, Harry Potter» si congratulò, fissandolo sul posto
con quegli occhi così assurdamente
chiari. «Non pensavo che saresti stato tu
il primo. Immagino che gli altri siano più pronti ad accettare il loro nuovo
destino. Non che abbiano una scelta». Con un gesto vago, il Mostro si voltò ad
indicare gli altri bozzoli. «Sai, è stata un’idea di Tiresias.
Ai tempi era lui quello che assisteva
agli spettacoli. Un morso del ragno, un buon Legilimens e puff! Lo spettacolo era pronto4. Osservare la vita
risucchiata da bozzoli urlanti era sempre la parte migliore, naturalmente, ma
anche poter assistere ai loro sogni più remoti diventare realtà era divertente.
Non ho mai avuto modo di partecipare, sfortunatamente».
Harry ricordava qualcosa del genere dalle lezioni
di Storia della Magia del primo anno, ricordi di un’epoca in cui la differenza
fra buono e cattivo non esisteva ancora, in cui i maghi e le streghe dominavano
il mondo senza alcun controllo. Un’epoca in cui i babbani venivano usati come
intrattenitori, lasciando che con incantesimi e talenti naturali per la
legilimanzia si mettessero a nudo le loro paure ed i loro sogni. Una versione magica ed inquietante della
televisione, così l’aveva definito Hermione. Nessun babbano
era mai sopravvissuto a quelle pratiche ed i pochi maghi e streghe che ne erano
stati vittima nella maggioranza dei casi si erano lasciati consumare dal morso
del ragno oppure dalla pazzia.
No, non era una sorpresa che lui si fosse
svegliato per primo. Era già impazzito e non teneva abbastanza alla sua vita
per lasciarsi tentare da dei fuochi fatui come la promessa della vita eterna o
l’amore incondizionato di Ginny. La prima non gli era
mai interessata – come avrebbe potuto? Aveva visto come quel desiderio aveva
ridotto Tom Riddle – e il secondo…
Il secondo sapeva di non meritarlo più.
No, Harry non era sorpreso. Quel mondo gli era
troppo estraneo, non sarebbe mai caduto per l’incantesimo.
«Dovresti essere felice, stai vivendo il tuo
sogno» sbottò allora, cercando di racimolare tutta la forza che il bozzolo
stesso doveva aver assorbito in quel giorno di prigionia. «Questa roba sta già
seccando, presto mi libererò. Non mi hai neppure tolto la bacchetta, brutto
idiota».
Mulciber inarcò
le sopracciglia, quasi confuso. «Sì, in effetti il bozzolo non ti potrà più
trattenere, a breve. E sì, hai ancora la tua bacchetta. Ma per quale motivo
dovresti sentirti autorizzato a chiamarmi idiota?
Credi di poter fare qualcosa contro di me,
Harry Potter? La Magia moderna non ha mai avuto effetto. Neppure quello sciocco
di Tom Riddle ha mai potuto nulla contro di me» si vantò, con una risata
agghiacciante. «Nel tempo che tu impiegherai a liberarti del tutto, Tiresias tornerà dal suo viaggio con la mia bambina e
allora io risorgerò».
Nel profondo, Harry realizzò cosa significassero
quelle parole prima ancora che la parte cosciente del suo cervello potesse
arrivarci.
«Solo qualche ora, Harry Potter. Nel frattempo, tu
ed io faremo un giro per la mente degli altri tuoi amichetti, che ne dici? Ti
offrirò il tuo spettacolo privato! Tutti i grandi imperatori del passato
celebravano con dei giochi, no?» ridacchiò come se fosse stato un ragazzino,
allargando le braccia come a volerlo abbracciare. Harry avrebbe mangiato il
guscio appicicaticcio che ancora lo soffocava,
piuttosto. «Lunga vita al nuovo Padrone della Morte!»6.
Un attimo dopo, della stanza non restò nulla se
non l’eco lontano della puzza di muffa e aria stantia.
***
Sua madre le stava ancora sorridendo, nonostante
tutto.
Le aveva promesso che non l’avrebbe mai lasciata
ed aveva mantenuto la sua promessa. Camminando in quella strana oscurità
tutt’intorno, non aveva mai smesso di sussurrarle dolcezze senza senso,
accarezzandole la mano ed ogni tanto i capelli. I suoi non erano più biondi, ma
neppure quelli della mamma lo erano. Erano diventati grigi, così come i suoi
occhi non erano più verdi ma neri come il carbone. Forse la Morte, nel suo
abbraccio, l’aveva cambiata. Forse gli ultimi dieci anni erano stati poco
clementi con il suo cadavere.
Avrebbe dovuto chiedere a Katie come aiutarla a
tornare in se stessa.
«Non preoccuparti per me, stellina» la rassicurò,
con quella strana voce praticamente sconosciuta, mentre un sorriso freddo
riusciva comunque a scaldarle il cuore. «Devi solo sforzarti un altro po’, che
ne dici? Sei già stata bravissima, hai sconfitto quel mostro e lo hai maledetto
con immensa maestria».
Il ricordo del mostro le faceva ancora stringere
lo stomaco.
«Aveva la stessa voce di Fred Weasley7».
Sua madre le accarezzò i capelli. «Lo so, ma tu ti
sei fidata di me e lo hai sconfitto. Era un trucco per farci del male, amore
mio».
Seppur dubbiosa, Winter annuì.
«Adesso dovremo solo sconfiggere tre mostri e poi tu tornerai da me, mia
stella. Sarà terribile, cercheranno di fermarti… ma noi ce la faremo, non è
vero? Perché noi ci amiamo».
«Sì mamma. Ti voglio bene».
«Ti voglio bene anche io, stellina».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Vi aspetto tutti all’Inferno
con me 😉
Punti importanti:
» *
- Finché non diventeranno coscienti, non
si ribelleranno mai e finché non si saranno ribellati non potranno diventare
coscienti. Partiamo col dire che io amo questo libro, aggiungiamo poi che si tratta anche di un libro
che io considero estremamente attuale e allora capirete bene perché ve lo
consiglio caldamente. È stato fatto
anche un film che non è poi tanto male,
magari cercatevelo! Orwell era un genio.
» 1
– Story time: a circa otto mesi ho quasi staccato il naso a mio nonno con
un morso. James Jr è un bricconcello peggiore di quanto io non fossi mai stata.
Oltretutto potrei avergli dato questa tendenza cannibale per far male a Ron. #SorryNotSorry
» 2
– Non sono certa che maghi e streghe usino l’ecografia, ma ritengo che dovrebbero. Non avendo altre
informazioni, do per scontato che Hermione vada da un ginecologo babbano per i suoi ipotetici controlli. O comunque così
immagina Harry, che effettivamente è cresciuto da babbano.
» 3
– James Jr piccola canaglia 2.0.
» 4
– Allora, delirio time. Ho ipotizzato che
in tempi antichissimi (dalla serie
quando ancora non esisteva la società) i babbani fossero usati come poco più di
bestiole per intrattenere i maghi. La tv e la radio non c’erano, la gente si
stancava dei giochi d’ombra, quindi il passo avanti quale è stato? TeleLegilimante, l’utilizzo delle visioni indotte dal
veleno di un ragno antichissimo per intrattenere grandi folle. Come funzionava?
I Legilimanti sceglievano le vittime, le facevano
mordere e manipolavano le loro menti deboli così da utilizzare se stessi come
Pensatoi giganti e fare da “antenna”, diciamo. Manipolavano le menti delle
vittime, le costringevano a guardare ai loro sogni/paure più nascosti o magari
a ricordi del proprio passato, fino a ridurli alla pazzia o consumarli dall’interno.
» 5
– Yaaaay abbiamo scoperto cos’è successo a Lipsia!
Lasciate che vi faccia un riassuntino facile facile:
Harry è stanco, depresso e vuole morire. Harry viene mandato in missione a
Lipsia per recuperare non si sa quale mago oscuro. Harry si ritrova faccia a
faccia con un brutto fantasma del suo passato, perde la testa, la sua magia
accidentale fa partire un incendio mentre lui è ancora bloccato dentro. Harry
potrebbe smaterializzarsi, ma non lo fa. Harry vuole morire, ma qualcuno – non è
ancora dato sapere chi – si rende conto di cosa diavolo sta succedendo e fa una chiamata d’emergenza. Hermione
collega subito tutto. Hermione si precipita a salvare Harry, incurante di tutto. Ovviamente il tutto è molto più complicato di così, ma per
adesso può bastare.
» 6 – Ahaha see you in
hell, my friends.
» 7
– Ebbene, è stata proprio Winter ad
uccidere Fred. Come? Perché? Spoiler 😉
Il
capitolo è più breve del solito, lo so, ma ci sono tante informazioni da digerire. Tante.
Vi
aspetto tutti lunedì prossimo!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 25 *** Atto IX, Parte III - Segreto di Famiglia ***
L’Erede del Male.
“Sweet dreams are made of this
Who am I to disagree?
I travel the world
And the seven seas,
Everybody's looking for something.*”
[Eurythmics – Sweet Dreams]
Atto IX, Parte III
– Segreto di famiglia
La realtà alternativa in cui Bartholomew
Maine era stato intrappolato non avrebbe potuto essere più diversa da quella di
Harry. Non perché i due non volessero, in effetti, la stessa cosa, ma piuttosto
per il modo in cui sembravano averla
ottenuta. Se la psiche di Harry era stata ingannata nel credere che l’unica via
per ottenere la pace fosse arrendersi a Sisifo e rinunciare, Maine doveva essere stato troppo ottimista per cadere
in quella trappola.
La visione iniziò in quella che sembrava essere
una tomba. Una tomba antica, naturalmente, ma comunque una tomba. Harry osservò
il Magizoologo accarezzare con strana
tranquillità quella che aveva tutta l’aria di essere una sfinge, prima di
voltarsi alla ricerca di qualcos’altro. O di qualcuno. Mulciber
era sparito dalla circolazione, probabilmente uno spettatore esterno ancora più
estraneo di Harry. Doveva sentirsi
come un dio, così capace di guidare gli altri nei sogni più sperduti delle sue
vittime.
«Non muoverti di lì, Beatrix,
fra poco torneremo a casa» disse Barry, lanciando un’occhiata alla sfinge che,
con un borbottio annoiato, si accomodò sulle quattro zampe da leone,
stiracchiandosi come un gatto in palese attesa che lui sbrigasse i suoi affari.
«Per Diana, ci sono giorni in cui mi chiedo perché mi ostino a portarti con noi
quando veniamo in Egitto. Sei una piccola ingrata».
«Ho voglia
di enchilladas».
«Le enchilladas non sono neppure egizie, per Merlino!»1.
Scuotendo il capo e senza notare la confusione di
Harry – come avrebbe potuto? Tecnicamente lui non era lì – Barry le voltò le spalle e cominciò ad avviarsi lungo
un corridoio stretto e polveroso. Doveva essere normale, per lui, che una sfinge chiedesse delle Enchilladas. E probabilmente doveva avere una confidenza tale
da non preoccuparsi a voltarle le spalle. Come fosse possibile, Harry non lo
sapeva proprio.
Seguendo il compagno di avventure, Harry si
ritrovò in quella che avrebbe dovuto essere una Sala Mortuaria e, immersa fino
ai gomiti dentro ad un sarcofago, ritrovò Ophelia, intenta a rimettere insieme
quelli che sembravano essere cadaveri troppo
freschi per essere considerati delle Mummie. Lei indossava degli occhiali
parecchio spessi, che per un momento lo sorpresero. Il suo sguardo era terribilmente familiare, in quell’istante2.
«Trovato nulla, cara?» le chiese Barry, facendosi
avanti fino a potersi affacciare oltre il sarcofago. «Ti prego, dimmi che
possiamo confermare che sia solo un incantesimo di conservazione portato
all’ennesimo livello. Non ho voglia di andare a cercare la bestiola che
potrebbe aver rapito qualcuno per nasconderlo qui. Le bestiole egizie, una volta addomesticate, sono difficili da
allontanare e non mi serve un’altra Beatrix da
mantenere3».
La donna sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Ha
chiesto di nuovo le Enchilladas, non è vero? Te l’avevo detto che sarebbe stata la
nostra condanna. Quella bestiola ormai non mangia altro. Proprio come con Chip4»
lo rimproverò, osservandolo da oltre le lenti con le sopracciglia inarcate.
Doveva essere normale per loro avere
certe discussioni.
«Chip dovrebbe mangiare carne umana, che abbia
sviluppato amore per gli hot dog è il male minore, tesoro» mugugnò lui,
incrociando le braccia al petto. «E, comunque, sai anche tu che nel caso di Beatrix non è stata interamente colpa mia! Il nanerottolo
dovrebbe imparare a tenere la cena nel suo piatto, piuttosto che nutrirci gli
animali».
Lo sguardo esasperato di Ophelia fece arrossire
Barry ma anche ridacchiare Harry. C’era davvero
qualcosa di incredibilmente familiare nel suo modo di rivolgersi a suo marito.
Una familiarità che Harry doveva aver conosciuto anni addietro, senza averne,
addirittura, una piena coscienza. Una memoria rimossa? Era possibile, il
protocollo delle Banshee prevedeva che spesso e volentieri i soggetti non
coinvolti direttamente nelle loro missioni avessero i ricordi cancellati.
«Il
Nanerottolo è scappato!» tuonò la voce della sfinge dall’altra stanza,
anticipando di qualche istante l’arrivo di un ragazzino sui sette anni, con
enormi occhi scuri coperti da degli spessi occhiali e da una matassa di capelli
neri. Il bambino arrivò con una risatina da mascalzone che avrebbe fatto
intenerire un po’ chiunque, a patto che non lo si osservasse dal collo in giù.
Lo stato pietoso in cui erano ridotti i suoi vestiti suggerivano che, come
minimo, fosse passato in mezzo alle fiamme, poi dentro ad un fiume melmoso ed
infine in mezzo a degli arbusti.
Il modo in cui Barry si irrigidì fu un chiaro
segno di quanto dovesse essere responsabile dell’accaduto.
«Bartholomew Maine»
sussurrò Ophelia, con un tale gelo nella voce da far rabbrividire anche Harry,
che era innocente. «Cosa è successo a
mio figlio?».
Il piccoletto, sentendosi palesemente chiamare in
causa, tentò una fuga strategica sotto il più vicino sarcofago rialzato, ma
venne acciuffato prontamente dal padre, che lo sollevò per aria così che
potesse trovarsi allo stesso livello con Philly. Harry, trovandosi praticamente
accanto a lei, ebbe modo di osservarlo come si deve, occhi negli occhi.
Avrebbe preferito non farlo.
Il bambino era una copia a carboncino di come lui era stato a sette anni, meno la
cicatrice ed i vestiti smessi di Dudley, oltre che con qualche chiletto in più
che gli davano un’aria ben più sana di quanto la sua non fosse stata da
piccino.
Erano
uguali, come se il bambino fosse stato figlio suo. Il fatto che
avesse gli occhi di Ophelia, però, lo stranì ancora di più. Lui poteva essere
uguale ad Harry, ma Harry era uguale a…
«James, cosa hai combinato?».
Confuso, Harry sussultò come se qualcuno l’avesse
beccato ad origliare una conversazione segreta e, per un istante, si domandò se
forse non l’avessero visto. Quando, tuttavia, vide che l’attenzione dei due
adulti fosse concentrata esclusivamente sul piccolo combinaguai,
si permise di ricominciare a fissarlo con attenzione quasi maniacale.
Quello era il mondo alternativo di Barry Maine,
non il suo. Perché il figlio di Barry Maine era identico a suo padre?
Prima che il bambino potesse parlare, dalle loro
spalle si udì il rumore di un crollo lontano, che lo fece impallidire
velocemente.
«Giuro che non è colpa mia» fu la sua difesa
immediata, le mani alzate per rendere ancora più evidente la sua innocenza.
Quantomeno, sarebbe stato più evidente se non fossero state sporche oltre ogni
immaginazione. «Io stavo… io…», Harry lo osservò guardarsi intorno alla ricerca
di una scusa, impossibilitato a trattenere un sorrisino. «Vedi, mamma, io ero
seduto dove mi hai lasciato tu, proprio nello stesso punto! E stavo… stavo
costruendo un campo da Quidditch! Però… però…».
«Però cosa?»
domandò sua madre, accigliata, mentre Barry continuò a tenerlo sollevato per le
bretelle della salopette che stava indossando e che probabilmente non sarebbe
stata salvata da alcun tipo di incantesimo di lavaggio.
«Però poi ho visto
uno scarafaggio d’oro!» sbottò lui alla fine, dondolando le gambe per
potersi girare a sufficienza da guardare il padre negli occhi. «Era lì, da
solo… ho promesso a zio Harry che gli avrei portato un regalo!».
Se fino a quel momento la scenetta era stata
abbastanza buffa da fargli mettere da parte i dubbi riguardo il nome di suo
padre in quell’istante i dubbi tornarono alla carica ancora più di prima. Era
di lui che stavano parlando?
«Tuo zio probabilmente parlava di qualcosa
comprato al negozio, non certo di
andare a profanare i gioielli magici di una tomba» lo riprese Barry, alzando
gli occhi al cielo ma rimettendolo a terra. «In quante trappole sei finito? Gli
scarabei d’oro sono usati per questo, di solito. Per intrappolare gli sciocchi che si fanno prendere troppo
facilmente dall’entusiasmo».
Zio.
Ophelia guardò suo marito esasperata. «Stiamo
parlando del figlio di James Potter, quel ragazzo se non fa guai allora istiga gli altri a farli. Ancora mi chiedo come sia diventato un Auror» si lagnò, asciugandosi la fronte sudata con la
manica della camicia miracolosamente non sporca. Quantomeno non sporca come
quella di suo figlio.
Barry ridacchiò, tenendo comunque il piccolo James
per braghe, così da evitargli una fuga strategica. «Lo hai cresciuto tu, cara».
Cosa?
«E ancora oggi la Professoressa McGranitt mi
rinfaccia che forse avrei fatto bene a non vincere la custodia esclusiva5».
Il Magizoologo scosse il capo. «Lo fa soltanto
perché così le hai tolto la possibilità di far impazzire i suoi parenti
babbani».
«Vero» convenne lei, arrampicandosi fuori dal
sarcofago. «Ma meglio divertimento in meno che lasciare il figlio di mio cugino
in mano a Petunia Evans e suo marito6» sbottò, rabbrividendo con
disgusto. «Quando sono riuscita a tirarlo via, aveva addosso i vestiti smessi
di quel loro porcellino da compagnia, ci credi?».
Il figlio
di suo cugino.
Come un flash, Harry ricordò di aver avuto sotto
lo sguardo, una volta, l’albero genealogico della famiglia Potter: sua nonna
paterna, prima di sposarsi, aveva fatto proprio Penderghast di cognome.
«Faremo bene ad andare a casa» mormorò Ophelia,
osservando con un certo disgusto suo figlio, ancora imbrattato da solo lui sapeva cosa. «Abbiamo un libro da
scrivere, non è vero?7 E tu, signorino» puntò il dito contro il
ragazzino, che, una volta tornato con i piedi per terra, indietreggiò con
l’aria più innocente di cui dovesse essere in possesso. «Tu hai bisogno di un lungo bagno. Tuo padre se ne occuperà
personalmente».
Osservando il modo in cui Barry ridacchiò, Harry
sentì un peso sul cuore. Se anche fosse riuscito a svegliarlo da quella visione che Mulciber
aveva indotto, rivelando i suoi più ardenti segreti, come avrebbe preso
l’essere catapultato nella realtà? Per lui era stato facile – era troppo
abituato a soffrire per poter accettare che le cose stessero andando bene – ma per un uomo come Maine? Cosa
lo avrebbe spinto ad invertire la rotta di marcia senza perdere la testa?
Serviva qualcosa di imprevedibile, qualcosa che le manipolazioni di Tiresias e Mulciber non avessero
considerato. Per Harry era stata la prospettiva della vita eterna, poiché erano
stati convinti che quel dettaglio avrebbe attirato di più uno come lui quando
invece l’aveva solo fatto spaventare.
Ma per Barry Maine?
«Posso sempre lasciare l’onore a Trina» si lagnò
Maine, sollevando ancora il ragazzino per le bretelle, vagamente disgustato
all’idea di toccarlo. «Con tutta la robaccia che è solita toccare, non credo
che liquame egizio possa far eccezione». La tranquillità con cui parlò fece
stringere il cuore di Harry. Era totalmente diverso dalla pacata incredulità
con cui lui aveva accolto quel nuovo
mondo che gli era stato proposto, ma doveva ammettere che il non aver
rinunciato ad uno dei propri figli forse aveva fatto la differenza in questa
versione.
Ophelia guardò curiosa suo marito, piegando il
capo di lato dopo essersi ripulita le mani con un veloce incantesimo. «Trina?
Chi è Trina?» domandò, prima di
sbuffare. «Ti prego, dimmi che non hai trovato qualche altra bestiola da
portare a casa! Abbiamo il giardino pieno,
non ne posso più. Non puoi semplicemente goderti la tua collezione? Basta
portare roba strana in casa».
Sconvolto, Maine fece un passo indietro, fissando
sua moglie come se all’improvviso avesse stentato a riconoscerla. «Di cosa stai
parlando? Non paragonare Trina agli animali, lo sai che le da
fastidio8» insistette, agitato, cominciando a guardarsi intorno come
se, in effetti, qualcosa avesse iniziato a non quadrare più. «Trina, Philly. È impossibile che tu non
la ricordi, l’abbiamo praticamente adottata cinque anni fa8».
Ophelia strinse le labbra, sempre più confusa.
«Cinque anni fa? Noi non abbiamo adottato nessuno, abbiamo già Harry e James»
gli fece notare. «Che motivo avremmo di adottare
qualcun altro? Non che sia una brutta cosa, ma… no. Siamo già abbastanza impegnati così com’è, senza ulteriori pesi
sulle spalle» aggiunse, stringendosi nelle spalle. «Adesso andiamo, tuo figlio puzza».
Barry arretrò con un balzo e sollevò l’uncino come
a volerlo usare per difendersi dalla sua famiglia. «Tu non sei mia moglie» sputò, fissando la donna davanti a lui. «Non
esiste una realtà in cui potrebbe dimenticare
Trina. Lei fa parte della famiglia e la famiglia non viene mai dimenticata9». Con un gesto secco, tirò
fuori la bacchetta dal bavero della sua giacca e la puntò contro la donna, i
denti scoperti in un ringhio. «Adesso non mi ripeterò più: chi diavolo sei?».
In un momento di atroce silenzio, Harry notò gli
occhi di Barry puntarsi improvvisamente su di lui senza tuttavia avere il tempo
di dirgli alcunché. Il bambino – James,
identico a suo padre e con il suo stesso nome – iniziò a ridere in modo
maniacale, piegandosi quasi in due e tenendosi lo stomaco con entrambe le mani.
«Incredibile!» tuonò, con una voce molto più
adulta di quella che avrebbe dovuto avere un bambino di sette anni. Molto più
spaventosa. «Tu e Potter sembravate i più facili da accontentare, invece siete
stati i più veloci a riprendervi! Chi l’avrebbe mai detto che quest’idiota» e,
nel dirlo, indicò Harry «sia terrorizzato dalla vita eterna e che tu, ancora più idiota, sia pronto a
rinunciare alla vita che tu e tua moglie avete sempre voluto per una negromante».
«Sei tu»
sibilò il Magizoologo, facendosi avanti con il palese intento di sgozzarlo con
il proprio uncino. «Cosa diavolo hai fatto? Quando ci hai attaccati? Dov’è Winter?» domandò, a raffica,
balzando verso il bambino ma ritrovandosi con in mano un pugno di mosche. La
visione era cambiata e tutt’intorno a loro solamente l’oscurità sembrava
regnare sovrana. Mulciber, nella sua reale forma, li
osservò entrambi come se fossero stati due creature estremamente buffe, oltre
che un po’ esasperanti.
«Sono curioso e, devo ammetterlo, non mi succede
quasi mai» ammise, muovendosi di qualche passo sulla destra quando Barry fece
per attaccarlo ancora una volta. Poteva prevedere
le sue mosse, perché tentare di attaccarlo? «Il signor Potter ha ragione,
Maine. Provare ad attaccarmi quando sei psicologicamente connesso a me è
alquanto stupido. Prova a toccare la tua stessa fronte, credo che la sentirai
viscida» propose, con una risatina, schivando ancora un altro attacco.
Seppur dubbioso, Barry fece come gli era stato
chiesto e, quando ritirò la mano ritrovandola coperta da una sostanza
verdognola ed appiccicosa, imprecò sonoramente. «Questa è seta dell’Aracne Thailandese» sibilò, sollevando il capo per
fulminare con lo sguardo il loro aguzzino. «Stai sfruttando una creatura
praticamente estinta per i tuoi
giochetti di potere» aggiunse, avanzando lentamente ma senza l’apparente
intenzione di saltargli nuovamente alla gola. «Ringrazia che questa sia solo
un’illusione, altrimenti ti avrei già dato un cazzotto sul naso, brutto mangiacervelli».
«Sono ammirato, Maine» si rallegrò invece il
Legilimens, per nulla toccato dall’appellativo usato. Dopotutto, era la verità.
«Non tutti i Magizoologi moderni conoscono quella
creatura. Ma tu sei speciale, non è vero? Tuo zio… tuo zio è stato l’ultimo a
studiarne uno dal vivo, con te»
mormorò, ripetendo ad alta voce quelli che dovevano essere stati i pensieri
dell’uomo. «Ah, quindi sai bene cosa sto facendo! Sai, è sempre stato il mio
sogno. Un tempo questi ragni venivano utilizzati per spettacoli molto più grandi
di questo! Qui ho quattro vittime e nessuno spettatore» si lagnò, con un
broncio che di sano di mente aveva
ben poco, per poi allargare le braccia. «Ma ora voi due vi siete liberati! Ed
io posso divertirmi con quelle altre due sciocchine che vi siete portati
dietro. Sono certo che loro saranno molto più difficili da svegliare» disse,
allegro, per poi accigliarsi. «Beh, almeno una di loro. Per l’altra
sinceramente non sono molto convinto, è forte,
ma… la sua visione è speciale» si
strinse nelle spalle, incurante.
«Perché ci stai facendo questo?» chiese Harry, parlando per la prima volta senza paura di
nascondere la sua confusione. Non avrebbe avuto senso con lui, che poteva
leggere ogni particella del suo essere al solo guardarlo. «Cosa ci guadagni?
Noi ci siamo liberati, presto o tardi anche Hermione e Kate ce la faranno. E tu
cosa otterrai? Vuoi ucciderci? L’avresti già fatto».
Mulciber
ridacchiò, facendoli palesemente rabbrividire entrambi. «Ovviamente non voglio
uccidervi, come potrei?» sbottò, quasi
offeso che lui avesse proposto una
simile possibilità. «Sto solo aspettando che Tiresias
prepari tutto il necessario insieme alla mia bambina, devo pur intrattenermi! E
voi quattro… non avrei potuto chiedere di meglio! Ho il Bambino Sopravvissuto, ho il più brillante fra i giovani Magizoologi… e
poi ho la strega più brillante della sua generazione, si dice che il suo
cervello sia una fonte inesauribile di conoscenza!». Quasi danzando, indicò un
punto sulla loro sinistra dove, dall’oscurità, sembrò emergere uno dei bozzoli
che Harry aveva già visto prima. Il modo affamato
in cui si leccò le labbra gli fece venire la nausea. «E, naturalmente, ho una Succubus!»
quel dettaglio sembrò rallegrarlo più di qualunque altra cosa al mondo. «Sarà così bello mangiarla, sapendo che i suoi
genitori non potranno intervenire! Quel vecchio idiota alato si starà mangiando
arco e frecce, in questo momento, ah!10».
«Non ti hanno mai insegnato che non si gioca con
il cibo, Mulciber?» fu tutto ciò che Harry riuscì a
sputare, sentendo la rabbia esplodergli nel petto come un vulcano in eruzione.
Lui doveva tornare dai suoi figli, da Ginny. Non si sarebbe lasciato mangiare da quello
psicopatico senza prima aver fatto di tutto per potersi difendere e liberare. E
di certo non avrebbe lasciato lì Hermione, non dopo due anni convinto di averla
persa.
Ginny non
l’avrebbe perdonato. Quello era un
affronto che non le avrebbe mai
fatto, di certo non dopo Lipsia.
«Ma a me piace
giocare con voi! E, come ho già detto, devo pur occupare il tempo» si
giustificò il Legilimens, stringendosi nelle spalle. Tornò a guardare Maine,
inchiodandolo sul posto con i suoi spaventosi occhi grigi. «Dimmi, perché ti
interessa tanto della Succubus? Non fa davvero parte
della tua famiglia, probabilmente ha portato più danni che piaceri negli ultimi
anni». Lo guardò per qualche istante, piegando il capo di lato. «Non ti ha
sedotto, non ha mai usato i suoi poteri su di te. Allora perché? Non sono creature da amare, queste. Sono abomini della magia».
«Perché, tu credi d’esser migliore?» sputò il
Magizoologo, cercando di avanzare di nuovo ma ritrovandosi bloccato. Osservando
con attenzione, Harry riuscì ad intravedere i bordi del bozzolo intorno a lui.
L’oscurità, evidentemente, era solo una conseguenza del leggero controllo
mentale in via di dissipazione. Erano usciti dalla mente di Barry per tornare
nel vecchio magazzino. «Trina è parte della famiglia, non permetterò che tu le
torca un solo capello».
«Ma perché?».
«Perché lei è nostra,
anche se non lo è davvero! Fa parte della famiglia, come puoi non capire?» sibilò, cercando forse di
liberarsi, forse di fare qualunque cosa che potesse aiutarlo ad allontanarsi.
«Hai anche tu una figlia, maledizione!».
«Ah, sì» Mulciber annuì,
con un sorriso incredibilmente spaventoso. «La mia principessina, in questo
momento starà sicuramente trucidando tutti i vostri amici. Sono molto fiero di
lei».
«Winter non lo farebbe mai» sibilò Harry, senza
nascondere un sorriso vittorioso. «Si è già opposta al tuo volere e tu eri presente! Cosa potrebbe spingerla ad
agire in modo tanto sconsiderato adesso?».
Mulciber rise più
forte. «Ah, credi davvero che arriverei a rivelarti
il nostro piano? Lo stiamo progettando da secoli» gongolò, voltandosi in
direzione opposta al bozzolo in cui Harry aveva dedotto stesse “sognando”
Hermione. «Ed ora, miei cari, vediamo un po’ che cosa ha in serbo per noi la
signorina Granger!» batté le mani, soddisfatto di se stesso. «Ah, non vedo
l’ora!».
Harry rabbrividì. Non osava immaginare cosa
avrebbero trovato nella mente di Hermione o se lei ne sarebbe mai uscita. Era
una possibilità che non lo attirava neppure un po’, considerando il destino di
coloro incapaci di liberarsi dal veleno del ragno. E se anche fossero riusciti
a liberare lei e Kate?
«Ah, allora non è tardo come sembra, signor
Potter» si rallegrò Mulciber, con una risatina. «Se
anche doveste liberarvi tutti e quattro e, soprattutto grazie alla vostra
amichetta fenomeno da baraccone,» quando indicò Kate, Barry ringhiò qualcosa di
incomprensibile, cercando ancora di divincolarsi, «se riusciste a superare me – cosa di cui dubito – dovrete
comunque affrontare tutti i nostri alleati. Credete davvero che possa essere così facile? Ve l’ho detto, abbiamo
previsto tutto da secoli».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Devo essere sincera, sto faticando. La storia ha raggiunto un
punto particolare ed io sono stanca.
Ho anticipato su facebook che questo sarebbe stato
l’ultimo capitolo prima della mia pausa, il prossimo dovrebbe arrivare intorno
al 21 agosto, ho bisogno di un po’ di tempo per prendere aria e riacquistare
abbastanza stabilità da scrivere una storia come questa. Potrei pubblicare
altro nel frattempo, qualcosa di leggero, ma non faccio promesse.
Scusate per l’assenza
prolungata, ma ho proprio bisogno di staccare la spina ☹ spero che continuerete
comunque a seguirmi!
Ah, ovviamente
#BarryPadreDellAnno2k17
Punti importanti:
» *
- Dolci sogni sono fatti di questo/ chi
sono io per dissentire?/ Ho girato il mondo/ e i sette mari/ tutti cercano
qualcosa. La versione di Manson è quella che conosco io, quindi
penso che con il contesto in generale sia più in linea.
» 1
– Io, come qualcuno di voi credo saprà, sono una fanatica di Percy Jackson. L’ispirazione per la sfinge amante delle echilladas arriva da lì, non è niente di sensato a livello
mitologico, abbiate pazienza.
» 2
– Prima che qualcuno possa balzare e dire “Ehii!!!
Harry era troppo giovane per ricordare suo padre!!!!!!”, vorrei sottolineare
che Harry ha avuto modo, in più occasioni, di trovarsi davanti James, anche
solo nelle fotografie. Harry conosce suo
padre e le sue espressioni più comuni.
» 3
– Fun fact 1: l’ho già accennato, ma Barry ha la
sindrome di Hagrid. Se ci sono bestiole abbandonate che non possono restare nel
loro habitat, lui le deve adottare. A
prescindere dalla realtà alternativa, ha un vizio terribile che gli ha fatto
riempire casa di bestiole. Barry e Ophelia, come pochi altri colleghi, oltre
alle loro stanze al Quartier Generale hanno anche una casa privata, completa di
giardino e bestiole.
» 4
– Chip è il famoso Nundu
a cui Ophelia aveva fatto riferimento due capitoli fa! Nomi molto adatti!
» 5
– Spieghiamoci, poiché dubito di averne occasione nel testo e non mi piace
lasciare le cose a metà. Quando James e Lily sono morti, Ophilia
aveva sedici anni e frequentava il sesto anno ad Hogwarts. Durante il suo
settimo anno si è ritrovata Piton come professore – vi lascio immaginare la
reciproca gioia di quei due – e con
il divieto assoluto di incontrare Harry. Suo padre lavorava all’estero ma in
quello stesso periodo ha contratto una malattia debilitante che gli ha impedito
di farsi avanti per il pronipotino. Non avendo idea della protezione di Lily,
non appena Ophelia ha compiuto diciotto anni si è rivolta al professor Silente
per fare pressioni al Ministero e ottenere la custodia del cuginetto, essendo a
sua volta una parente e di certo molto più entusiasta di Petunia. Nel “canon” della storia, però, Silente si è rifiutatodi aiutarla, senza spiegarle perché. Senza silente, ovviamente, la sua
causa è stata immediatamente rigettata. In questa nuova realtà alternativa,
invece, Silente l’ha aiutata, lei ha ottenuto il permesso di crescere Harry e
l’ha cresciuto. Ovviamente in questa realtà il padre di lei non è morto poco
dopo, lei ha comunque avuto modo di studiare medicina e (ovviamente in modo
assurdo, non essendo una banshee) incontrare Barry. Loro due hanno cresciuto
Harry insieme ed hanno avuto subito
un bambino, James. Famigliola del Mulino Bianco.
» 6
– Perché Petunia Evans? Perché lei ha
conosciuto la sorella di Lily quando ancora era una Evans, le è rimasto
impresso quel cognome. E comunque si è sempre rifiutata di guardare in direzione di Vernon.
» 7
– Barry sogna di scrivere una versione aggiornata e ampliata (grazie a Ophelia)
di Animali Fantastici, per portare avanti l’eredità del prozio. Ovviamente,
essendo parte delle Banshee, non ne avrà mai modo.
» 8
– Ophelia e Barry hanno incontrato Katie quando lei, appena diplomata, si è
ritrovata a non sapere cosa fare della sua miserabile vita. All’inizio la loro
relazione è stata burrascosa (per
usare un eufemismo), ma lentamente lei si è ammorbidita e aperta con loro e
loro si sono innamorati di quella
piccola irlandese con evidenti problemi a convivere con se stessa. L’istinto
paterno/materno fa brutti scherzi, ragazzi. Spesso e volentieri Katie è stata
con loro nella loro casa privata (ha anche la sua stanza e tante delle sue cose
lì), ha conosciuto il prozio Newt (che ha tentato di
studiarla) e più di una volta ha litigato con Barry perché lui, scherzando, le
ha detto sempre che “il suo carattere unito agli ormoni da teenager la rendono
pericolosa come le sue bestiole”. #HappyFamily
»9 – Lo sentite Lilo e Stitch? Kate no cattiva,
Kate coccolosa!!!!!!
»10 – Mulciber fa riferimento ad Eros e Thanatos, ma nello
specifico al povero Eros, abbandonato nella sua dimensione ultraterrena senza
poter intervenire. Ops,
lui sa di Eroe e Thanatos?
Grazie
a tutti per avermi seguita fin qui, giuro che tornerò presto o che comunque mi
farò viva, soprattutto su Facebook per varie comunicazioni! Spero di tornare
entro il 21!
Un bacione a tutti!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 26 *** Atto X, Parte I - Il Castello di diamante ***
L’Erede del Male.
“If I could help you forget
Would you take my regrets 'Cause I remember everything
Oh, dear brother, just don't hate me
For never standing by you or being by your side.”*
[Five finger death punch – Remember everything]
Atto X, Parte I
– Il Castello di diamante
Aveva capito di essere vittima di un qualche controllo della
mente nel momento stesso in cui si era ritrovata a fissare una se stessa
undicenne negli occhi. In un primo istante, in realtà, si ritrovò a chiedersi
se fosse davvero mai stata così piccola, così entusiasta della magia. Si
osservò fare acquisti per Diagon Alley insieme ai
suoi genitori ed a quella che sarebbe stata la sua futura professoressa di
Aritmanzia1 come se si fosse trovata davanti un film parecchio
avvincente ma irrealistico. Era incredibile,
davvero. Il modo in cui tutto le era apparso nuovo, l’esaltazione nel
ritrovarsi circondata da gente come lei
senza doversi necessariamente nascondere come se fosse stata un terribile
mostro o comunque una creatura da dover controllare. Si era sentita libera per la prima volta e le era
piaciuto terribilmente.
Perché?
Sapeva bene che quella finestra sul suo passato dovesse essere
una qualche conseguenza di un attacco di Mulciber e
si chiese cosa dovesse significare.
Non si sentiva minacciata e non si sentiva neppure male. Se doveva essere completamente sincera, si sentiva bene come
poche volte le era successo negli ultimi anni. La sua mente era chiara,
riusciva a ragionare con una tranquillità che per un momento le sembrò quasi strana. Non si era neppure mai resa
conto di aver avuto la mente annebbiata negli ultimi mesi.
O negli
ultimi anni?
Confusa, continuò a seguire se stessa, osservandosi nell’atto
di prendere i libri per il suo primo anno di scuola. Sorprendentemente – o
forse no – non era stato scegliere la bacchetta a farla emozionare di più. Una
bacchetta le avrebbe solo consentito di usare qualcosa che lei già possedeva,
una bacchetta avrebbe richiesto preparazione magica che da sola lei non avrebbe
mai potuto ottenere. Erano i libri la
vera scoperta. I libri l’avevano davvero introdotta in quella nuova realtà di
cui quasi non riusciva a capacitarsi, quella bellezza che solo in quel modo
lei, figlia di due dentisti, avrebbe potuto conoscere. I libri, che per anni
l’avevano salvata e accompagnata nelle avventure che lei di certo non aveva
volontariamente scelto di affrontare ma che comunque erano ricadute su di lei
come macigni al collo di carcerati.
Hermione non aveva mai amato davvero il pericolo, ma era
riuscita ad apprezzarne gli aspetti positivi. In quel momento però, guardando
negli occhi la bambina che osservava il Ghirigoro come qualunque altro Nato Babbano avrebbe osservato il negozio di attrezzature per il
Quidditch, quegli aspetti positivi persero qualunque attrattiva. Avrebbe voluto
inginocchiarsi davanti a quella bambina innocente e chiederle scusa per tutto
ciò che avrebbe dovuto affrontare. Avrebbe voluto scusarsi per averla costretta
a rinunciare a tutto ciò che credeva
le fosse caro.
«Possiamo sempre cambiare idea, cara» sentì sua madre
sussurrare, proprio come aveva fatto durante quella prima uscita a Diagon Alley. Hermione aveva rimosso quel dettaglio, perché
da quel momento in poi Jane si era mantenuta il più silenziosa possibile sulle
questioni riguardanti la scuola, supportandola ed incoraggiandola a fare del
suo meglio finché lei non l’aveva
pugnalata alle spalle e spedita in Australia. Con il senno di un’adulta,
vide il vero terrore negli occhi della donna: il terrore di una madre che
avrebbe presto salutato sua figlia in un salto nell’ignoto, lasciandola alle
cure di un insieme di insegnanti con
buffi cappelli a punta e capaci di far apparire fiori e diavolerie varie dal
nulla2.
La bambina, naturalmente, rise con tutta l’eccitazione che
solo i bambini avrebbero mai potuto avere. «Ma mamma! Certo che sono sicura! Guarda, quel libro riguarda la trasfigurazione! Non è eccitante?» le aveva chiesto, quasi saltellando
sul posto dalla gioia. «Oh, mamma, ti prometto che sarò la più brava e porterò
a casa tantissimi voti alti. Nessuno sarà più bravo di me, ti renderò fiera!».
Suo padre le accarezzò la testa riccioluta, sorridendo
dolcemente ma anche con una strana angoscia ad oscurargli lo sguardo. Come aveva potuto non notarlo mai? «Noi
saremo sempre fieri di te, tesoro. Sei la nostra fatina dei denti, non è così?»
le chiese, tirando fuori una risata forzata
quando la piccola, scandalizzata, gli fece notare la presenza poco lontana
dell’insegnante di Hogwarts incaricata di accompagnarli per il primo giro
d’esplorazione. «Saremo sempre fieri
di te».
Il sorriso della piccola Hermione, se possibile, si allargò a
dismisura finché non sembrò notare, assurdamente, gli occhi della sua versione
futura. La guardò intensamente mentre la curva delle sue labbra cambiava,
capovolgendosi, e la gioia del suo viso si trasfigurava in puro e orrore
terrore.
«Come hai potuto? Li hai traditi»
esalò, spaventata, portando le manine davanti alle labbra come a voler
nascondere i denti ancora troppo grandi per il resto del suo viso. «Perché
l’hai fatto? Loro erano fieri di me e tu li hai portati alla morte».
Il dolore allo stomaco che la colpì la fece quasi piegare in
due in preda ai conati di vomito. Riuscì a trattenersi, forse perché il suo
stomaco era vuoto da un numero quasi sconsiderato di ore. Restò in silenzio il
tempo necessario per ottenere il pieno controllo sulle proprie budella e per
riordinare i pensieri, poi, lentamente, fece un passo avanti. «L’ho fatto
perché è stato necessario. Non mi
aspetto che tu… che chiunque possa
capirlo».
La bambina pestò i piedi per terra, il viso gonfio e rosso.
Aveva iniziato a piangere ma lei non se n’era quasi resa conto. «Io sono te! Siamo la stessa persona! Se io non
lo capisco, come puoi tu?».
La tipica risposta da adulta – sei una bambina, fra qualche anno capirai – fu sul punto di
lasciare le sue labbra, ma si fermò appena in tempo. Prima di risvegliarsi in
quella strana realtà alterata, neppure la sua versione adulta aveva capito.
Dubitava che l’avrebbe fatto una volta liberata da quello strano mondo. «Non l’ho
capito neppure io. Ancora oggi mi sveglio piangendo, ogni tanto, ma so che è stato tutto necessario, ho
imparato ad accettarlo. Senza il dottor Crave, oggi
non sarei stata capace di guardarli negli occhi. Ma adesso io so, anche se non lo capisco».
La bambina fece una smorfia furiosa.
«Non ti perdonerò mai!».
«Lo so e lo accetto».
Quando si voltò, fu quasi come se la loro discussione non
fosse mai avvenuta. La bambina continuò a sorridere ai genitori, a qualche
passo di distanza dall’insegnante accompagnatrice. Fu proprio osservando lei
che Hermione si ritrovò a notare un dettaglio che non aveva mai toccato la sua
attenzione, prima di quel momento. Accanto alla professoressa, infatti, stava
una persona incappucciata, con lunghi capelli grigi e occhi neri come il
carbone. Aveva la pelle pallida come quella di un morto e dei tratti delicati
che rendevano difficile capire se si trattasse di un uomo o una donna. In
circostanze normali, non le sarebbe importato più di tanto: la divisione fra
maschi e femmine aveva dell’assurdo ai suoi occhi. Tuttavia qualcosa, nel modo
in cui la persona si pose, la fece irrigidire nella consapevolezza.
Tiresias.
«Oh, signori Granger, sono mortificata ma credo di dover
rientrare ad Hogwarts. Se doveste aver bisogno di aiuto, sono certa che i
negozianti saranno ben lieti di assistervi» mormorò con tono vago l’insegnante,
sorridendo con l’espressione tipica di chi fosse stato soggetto ad un basilare
Imperius. «Oh, nel negozio c’è anche il signor Malfoy! Mia cara, sono certa che
se gli chiederai aiuto lui sarà più che pronto a dartelo».
Con orrore, l’Hermione adulta si voltò verso l’ingresso del
Ghirigoro, dove, in effetti, sapeva avrebbe trovato un piccolo, appiccicaticcio
e borioso Draco Malfoy che, di lì a breve, l’avrebbe trattata male davanti a
tutti gli occupanti, spingendola verso un’inimicizia pluriennale. Draco Malfoy,
a causa del quale avrebbe avuto modo di iniziare una discussione con Ron ed
Harry. Draco Malfoy, che per la prima volta l’avrebbe fatta sentire inadeguata,
spingendola a dare sempre di più, ad
essere davvero la migliore.
Se non ci
avesse abbandonati, io non l’avrei conosciuto in questi termini. Non sarei
stata quella che sono.
Era stata tutta opera di Tiresias.
***
Aveva appena scoperto il segreto della Camera3,
quando la seconda visione ebbe inizio. La sua versione dodicenne la precedeva,
uno specchietto in mano ed il terrore dipinto nello sguardo. Era diretta alla
partita di Quidditch, lo ricordava bene, perché lì avrebbe potuto avvertire
Harry e Ron e tutti gli altri, avrebbe potuto dire a tutti di stare attenti, di
aspettarsi l’attacco di un mostro talmente raro da essere considerato quasi
estinto. Aveva anche pensato di rintanarsi direttamente in Sala Comune, ma il
buonsenso aveva avuto il sopravvento.
Sfortunatamente.
Proprio come ricordava, Penelope Light emerse da oltre una
porta, agitata e confusa, finendole contro come se non l’avesse vista arrivare.
L’allora prefetto di Corvonero era stata una rara bellezza, ai tempi della
scuola, e nessuno aveva mai capito come
esattamente fosse finita fra le braccia di Percy
Weasley, fra tutti i possibili pretendenti. Hermione, naturalmente, aveva
sempre saputo che fra loro fosse stata una questione di affinità mentali: anche
lei, più di una volta, si era ritrovata attratta dalla compagnia dei Corvonero
così come doveva esser successo a Percy. In
quell’istante, quando quasi fece cadere la bambina per terra, Hermione notò
qualcos’altro oltre alla sua famosa bellezza.
Pupille dilatate, espressione vuota.
Oh, no.
«Prefetto Light! Cosa facevi in quell’aula vuota?» chiese la
bambina, prendendola per le spalle per aiutarla a rimettersi in piedi e restare
in equilibrio. Era convinta fosse strana a causa di solo lei sapeva cosa, in
quel momento, invece, riconobbe tutti i segnali. Sapeva che, se si fosse presa
la briga di aprire la classe e controllarla, l’avrebbe probabilmente trovata
occupata da una creatura con lunghi capelli grigi ed occhi neri.
«Devo andare in bagno» esalò la ragazza più grande, fissandola
come se lei fosse stata la responsabile di tutti i mali dell’universo. «Devo
proprio andare in bagno».
«Oh, no, torna nella
tua Sala Comune, è troppo pericoloso» tentò, disperatamente, afferrandola per
la manica della tunica e cerando di riportarla indietro. La versione adulta
ricordava l’ansia, il panico all’idea di essere già fra le fauci della belva. Era
stato quasi un miracolo che avesse
trovato quel libro, in quel momento tuttavia la paura che potesse trattarsi non
di un colpo di fortuna ma, sfortunatamente, di un piano ben architettato nei
secoli la fece rabbrividire di più.
Quanto aveva manipolato, Tiresias?
Quanto era stato davvero frutto del suo libero arbitrio?
«Devo andare in bagno»
insistette il Prefetto, ribellandosi alla sua presa finché non riuscì a
liberarsi. Partì di gran carriera, allora, incurante della bambina che la
tallonava presa dall’angoscia, quasi fosse stata certa che lei non l’avrebbe abbandonata.
I
Grifondoro erano prevedibili, stupidi. Hermione non era da meno.
«Prefetto Light! Aspetta!» disperata, la bambina trasfigurò
una piuma di riserva trovata nella tasca del mantello in uno specchietto. «Devi
usare questo! Devi-».
Ancora una volta, Hermione non sentì il rumore del corpo della
bestia che le attendeva proprio dietro la porta del bagno delle ragazze. Ancora
una volta, fu soltanto un attimo prima di perdere qualunque contatto con il
mondo che lei ebbe coscienza di ciò che stava per accadere. Ma Hermione – la
sua versione più giovane, la sua versione più innocente che ancora non aveva idea di quanto dolore avrebbe dovuto
sopportare – non aveva avuto paura. Non si era spaventata. Lei aveva ancora
fiducia nel mondo, nei suoi amici.
Sarebbe dovuta cadere, tuttavia restò in piedi, pallida come
un cadavere ma ancora apparentemente viva.
Si voltò a guardare la sua versione futura, piena di rabbia e risentimento.
«Perché? Perché sei
diventata una vigliacca?» le domandò,
la voce ridotta ad un sussurro furioso.
C’erano tante ragioni, in realtà. Una più ragionevole e
sensata dell’altra, probabilmente anche la bambina avrebbe capito se lei si
fosse presa la briga di spiegare.
«Non è stata una mia decisione» fu tutto ciò che disse,
stringendosi nelle spalle. Non c’era difesa che potesse tenere.
«Essere vigliacchi è più facile, ma io non voglio la strada
facile».
«Io, invece, vorrei proprio avere una scelta facile, una volta
tanto». Con un sospiro, si voltò verso la porta dietro cui sapeva avrebbe
trovato Tiresias. «Credevo di essere qui dove sono a
causa mia. Invece temo di non aver mai avuto libertà».
***
Sapeva che quel momento sarebbe tornato a tormentarla, era
addirittura sorpresa che non fosse
giunto prima. Forse le sue illusioni erano talmente razionali da ammettere che
potessero presentarsi in modo non cronologico. Oppure era arrivata ad un tale
livello di masochismo da volersi prima riscaldare,
così da essere pronta al ricordo.
Non si trattava di un episodio estremamente doloroso, in
effetti. Non a livello oggettivo. Non
si trattava di una promessa infranta fatta ai suoi genitori o della prima,
tragica esperienza di quasi morte.
Era stato solo il suo cuore a soffrire, quel giorno.
Era ancora seduta in un angolo delle scale, raggomitolata su
se stessa e con il viso ancora bagnato di lacrime. Non era stata una bella
serata, nonostante tutte le sue aspettative, nonostante fosse stata consapevole
di essere invidiata da tutte le ragazze delle tre scuole che avevano sperato di
attirare l’attenzione di Viktor Krum. Le era sembrato
assurdo che lui l’avesse invitata,
che lui avesse scelto proprio lei.
Che Tiresias lo avesse stregato? No,
impossibile, Viktor era sempre stato molto più che lucido in sua presenza,
restando a guardarla in Biblioteca per settimane prima di farsi avanti e
chiederle di accompagnarlo. Almeno lui
l’aveva avvicinata di propria volontà. Che in quest’occasione fosse la sua
miseria ad essere messa in primo piano?
«Avresti dovuto invitarla tu, idiota».
La voce di George, più vicina di quanto avesse immaginato, la
fece sobbalzare violentemente. Voltandosi notò i gemelli, nascosti poco dietro
la porta della Sala Grande ed intenti a guardarla. Angelina, che avrebbe dovuto
accompagnare Fred, era ancora dentro la Sala, intenta a chiacchierare con Katie
– era così giovane e felice! Difficile
collegarla a Kate – e a lanciare occhiate furtive a… George. Ah, allora quel loro matrimonio non era stato poi così
tanto assurdo. Fred aveva sempre
avuto ragione di non prendersela perché l’ex Cacciatrice alla fine aveva scelto
il suo gemello.
Non che il Fred del passato sembrasse vagamente interessato a
lei, i suoi occhi erano focalizzati solo su Hermione. A breve, infatti, sarebbe
andato da lei per offrirle un abbraccio ed un fazzolettino, rassicurandola che
Ron fosse un idiota orgoglioso e che lei non dovesse prendersela, essendo la
ragazza più invidiata della serata.
Vali
molto di più, Hermione.
«Sai perché non l’ho fatto, Georgie.
Non mettere la bacchetta nella piaga» lo rimbeccò, con un sospiro secco e lo
sguardo pieno di pena. «Se devo esser sincero, però, avevo deciso di… di farmi avanti, prima ancora che Krum iniziasse a girarle intorno».
Aveva
notato Krum, nonostante neppure Harry e Ron se ne
fossero accorti.
George fissò il gemello con aria curiosa, perdendo
l’esasperazione con cui l’aveva guardato fino a quel momento. «Davvero? Perché
hai cambiato idea?» domandò, diviso fra la curiosità e la stizza. «Ti saresti
risparmiato d’invitare la mia futura moglie, fratello. È piuttosto evidente che
Angelina avrebbe dato una gamba per essere qui con me».
La risatina di Fred le fece stringere il cuore. «Così come
buona parte della fauna maschile e anche femminile della scuola avrebbe fatto
per essere al tuo posto con Katie.
Non ci metterei la mano sul fuoco, ma credo di aver visto Malfoy lanciarti un
paio di sguardi assassini quando le hai chiesto di accompagnarti e lei ha accettato».
Il ghigno di George lo fece somigliare ad un demonietto
soddisfatto. «Katie non risponde di se stessa davanti alle Api Frizzole. È bastato sventolargliene un pacco sotto al naso
e non ci ha pensato due volte a cadermi fra le braccia».
«Come ti ha definito Seamus Finnigan?».
«Fortunato Bastardo». Il sorriso di George era quasi difficile
da sopportare, in quel momento. «Ma non deviare, fratellino. Perché non sei
andato dalla tua bella? Considerando come quell’idiota di Ron l’ha trattata le
avresti risparmiato un sacco di grattacapi» mugugnò, dando leggermente di
gomito a Fred. «E Krum, per quanto… uh… grandioso sul campo da Quidditch è un
po’…» fece un gesto vago con la mano, alla ricerca della parola giusta. «… arido».
Fred gli dedicò un’occhiata curiosa. «Con un mondo di insulti
che avresti potuto utilizzare tu scegli arido?
Per caso la nostra bella Katie ti ha sbaciucchiato troppo e ti ha tirato via il
cervello?».
Il modo in cui George si finse sconvolto fece ridacchiare
Hermione. «Katie è una sorella per
me! E credo che Oliver mi ucciderebbe se solo mi permettessi a pensarci. È stato lui a mettermi sulla
strada delle Api Frizzole, per evitare che qualcuno
potesse invitarla». Si morse il labbro inferiore, stranamente nervoso,
soprattutto rispetto alla spavalderia mostrata poco prima. «Anche se… le hai
viste anche tu le foto con quella strana ragazza. Non credo che lei voglia solo
essere sua amica».
«Ah, Oliver non lo farebbe mai4» liquidò Fred,
tranquillo. Quando tornò a guardare la giovane Hermione, ancora in lacrime, il
suo sguardo si oscurò. «Quanto a lei… ero ad un passo dal dirglielo, davvero.
Però…».
«Però?».
Si strinse nelle spalle, sconfitto. «Non lo so. All’improvviso
mi sono convinto che fosse meglio lasciare la strada libera a Ron. Non so per
quale motivo, ma… qualcosa mi dice
che loro siano destinati».
George strinse le labbra. «Negli ultimi quattro anni, Ron non
ha fatto altro che farla arrabbiare, innervosire e farsi passare per scemo. Chi
è che l’ha accompagnata in classe, quando ha rischiato di perdersi il suo primo
giorno?».
«… io».
«Chi è che l’ha aiutata a spedire il gufo per salvare Harry,
durante il primo anno? E chi le ha portato fiori tutti i giorni, quando era pietrificata, passando anche per un
povero idiota con l’infermiera?5».
Fred ebbe il buongusto di arrossire miseramente. «Non c’è
bisogno di ricordarmelo, ok? Solo perché mi sono messo leggermente in imbarazzo-».
«Lee ti chiama Casanova
Fallito».
«Ron potrebbe essere felice con lei, ok? Pensa a nostro
fratello. Quali sono le possibilità che possa trovare una ragazza capace di
andare oltre la sua stupidità?» la sua voce era incerta, quasi si fosse
convinto di quell’idea ma gli sembrasse ogni giorno più assurda.
«Ma lei potrebbe essere felice con Ron?» fu la domanda di
George, estremamente preoccupato. «Io non sono sicuro che dovresti tirarti
indietro. Hermione sembra cocciuta,
ma alla fine potrebbe cedere a nostro fratello solo perché tutti si aspettano
che lo faccia6. Sappiamo entrambi che Krum
non le interessa più di tanto».
Tutt’altro che interessato alle parole del fratello, Fred
sembrò udirlo appena, troppo interessato ad Hermione ed alle sue lacrime. «Non
so perché non l’ho fatto, d’accordo? Ma ormai non è tempo di discuterne. Vado
da lei».
Qualcosa attirò lo sguardo di Hermione – la versione adulta,
quella che ricordava appena il rumore del cuore spezzato – e, sollevati gli
occhi, si ritrovò a fissare la se stessa in lacrime a pochi passi di distanza.
«Eravamo le più belle»
le rinfacciò, allargando le braccia. «Perché hai dovuto tradirci così? Se tu ti
fossi abbassata a chiederglielo per prima, lui non avrebbe mai detto di no».
«Stai parlando di Ron o di Fred?» le domandò allora,
sinceramente confusa.
«Credi che importi qualcosa? Stupido orgoglio, ci ha rovinate!».
«Sì, forse il nostro orgoglio ci ha rovinate. Dopotutto, è per
questo che abbiamo rovinato la nostra serata più importante e che altre mille
disavventure ci hanno colpite» concordò lei, annuendo leggermente «Ma era tutto
necessario. L’orgoglio fa parte di me».
«Essere te è la cosa peggiore che mi sia capitata».
«Oh, lo so anche io».
Quando la giovane piangente tornò al suo posto, Hermione ebbe
appena il tempo di voltarsi e ritrovarsi faccia a faccia con una creatura
incappucciata. Tiresias, naturalmente.
Tiresias, che aveva spinto Fred a
lasciarla andare, a lasciarla a Ron. Che aveva manipolato il mondo intorno a
lei così che la sua vita potesse effettivamente andare a rotoli.
Ancora una volta, era colpa sua.
Se Fred l’avesse invitata, buona parte dei suoi problemi
futuri avrebbe potuto risolversi in nulla, lasciandole quella finestra di
speranza, quella boccata d’aria fresca la cui assenza l’aveva quasi spinta a cadere.
«Brutto figlio di puttana, è stata tutta colpa tua».
***
«Credi sia saggio?».
«Non abbiamo poi molta scelta, non credi anche tu?» aveva
risposto ad Harry, osservando la mappa di Godric’sHollow con cipiglio confuso. «Tutti gli indizi portano qui,
credevo fossimo concordi su questo punto. Ne abbiamo già discusso».
Harry – più giovane e meno tormentato, nonostante tutto –
annuì, senza sembrare neppure lontanamente più tranquillo. «Grazie, Hermione.
Mi rendo conto che tutto questo debba essere… difficile, per te» le disse,
abbassando lo sguardo come se si stesse profondamente vergognando di se stesso.
«Quello che ti ho detto… tempo fa è
ancora valido, lo sai. Puoi andare via, se vuoi. Puoi tornare a casa o… o
potresti tornare alla Tana. I Weasley ti aiuterebbero anche a ritrovare i tuoi
genitori».
La giovane scosse il capo, testarda nonostante l’evidente
pallore che le notti insonni le avevano recentemente provocato. «Ho promesso
che ti avrei aiutato, Harry, ed io non mi rimangio le mie promesse.
Oltretutto…» si fermò per un istante, cercando le parole giuste ma poi
cambiando bruscamente direzione, preferendo dire qualcosa di diverso.
«Oltretutto, credi davvero di potercela fare senza di me? Ti ho salvato il
fondoschiena da quando avevamo undici anni».
Il sorriso esitante di Harry riuscì a riempirle il cuore
nonostante fossero passati anni. Era così solo,
il suo migliore amico. Lo era sempre stato, nonostante la presenza sua e di
Ron. Loro non l’avevano mai capito davvero e, almeno così credeva all’epoca,
non l’avrebbero mai fatto.
Col senno di poi, Hermione stessa era stata messa davanti a
traumi molto simili ai suoi ed abbastanza orribili da farle capire, seppur
parzialmente, la sua posizione.
«Se dovessi cambiare idea, però…».
«Nel caso, tu saresti il primo a saperlo».
Dietro i due ragazzi, confusa fra le ombre, la creatura
immortale dai terribili occhi neri sorrise, compiaciuta7.
Non c’era
stato bisogno del suo intervento.
«Saresti potuta tornare
a casa» le rinfacciò invece la sua versione più giovane, voltandosi per
fissarla con rabbia nello sguardo. «Saremmo potute andare a casa, ma non
l’abbiamo fatto».
«A quest’ora non saremmo riuscite a guardarci negli occhi. Non
mi pento di essere rimasta al fianco del mio migliore amico, non potrei mai
pentirmene. Neppure tu sei davvero arrabbiata per questo» le fece notare,
piegando il capo di lato. «La prima Hermione mi ha rinfacciato una promessa
infranta, la seconda mi ha rinfacciato di essere una vigliacca, la terza di
essere troppo orgogliosa. Tu non mi
stai davvero rimproverando per essere rimasta al suo fianco».
«No» concordò la
giovane, mentre intorno a loro tutto cambiava e la tenda veniva sostituita da
un palazzo in fiamme. Si sentivano urla disperate, crolli nei piani superiori,
il muoversi frenetico di persone all’esterno. «Ti sto rinfacciando di non aver
continuato a proteggerlo. Se tu non fossi scappata, se tu avessi mantenuto la
tua promessa e l’avessi avvertito della tua volontà di arruolarti nelle
banshee… questo non sarebbe successo».
Dietro di lei, un Harry coperto di cenere e scottature fece la
sua apparizione, lo sguardo vuoto, carico di un orrore inimmaginabile.
Lipsia.
Il senso di colpa che la assalì per poco non la fece cadere a
terra. Era vero, se solo lei avesse parlato
con Harry, lui non avrebbe avuto anche la sua ipotetica morte di cui accusarsi.
Se lei non fosse stata una vigliacca,
orgogliosa e incapace di mantenere le promesse, Harry non avrebbe provato a suicidarsi.
«Mi sono sempre chiesta cosa possa avermi mai spinto a
mentirgli così a lungo» rifletté, stringendosi nelle proprie braccia in un vano
tentativo di proteggersi. «Per un secondo, poco fa, ho pensato potesse essere
stata opera di Tiresias, ma non è così».
La versione giovane – era cresciuta, molto più simile a lei, con indosso la divisa Banshee –
annuì, piena di disgusto. «Èstata
solo opera tua. Tu hai scelto di scappare».
«Perché sono diventata una vigliacca».
«Perché sei diventata debole, proprio come Tiresias
voleva».
Le due Hermione si guardarono per un lungo istante, mentre
intorno a loro l’inferno bruciava.
«Cosa posso fare, allora? Come posso…» tentò, stringendo poi
le labbra per l’incapacità di proseguire, di trovare le parole giuste. «Come posso aiutarmi e aiutarli?».
La sua versione più giovane sorrise, quasi si fosse aspettata
quella domanda. «Sai, un tempo una persona molto saggia ti definì “la strega più brillante della tua
generazione”».
Hermione sorrise, passandosi stancamente una mano fra i
capelli. «Il mio cervello, quindi? Immagino che sia l’unica cosa che Tiresias non abbia avuto modo di corrompere» rifletté,
guardandosi intorno. «Molto bene… direi che, partendo dal presupposto che io
non mi sia sentita così lucida da anni,
questa specie di visione mi stia aiutando a liberarmi di ciò che mi ha bloccata
negli ultimi tempi, no?».
La sua controparte annuì, mentre dietro di lei facevano la
loro apparizione le altre tre Hermione che aveva già incontrato: l’undicenne,
la dodicenne, la quattordicenne. Loro erano, in effetti, parte di lei,
rappresentazioni dei suoi più atroci dubbi, dei pesi che nel tempo aveva posto
su se stessa e che nessuno era riuscito a toglierle. Come avrebbero potuto? La
sua mente era come un castello di diamante purissimo, prezioso ma impenetrabile. Lì, in quell’illusione,
era chiusa dentro le mura, capace di fronteggiare se stessa direttamente.
Capace di pensare lucidamente.
In reazione a quel suo pensiero, lo scenario cambiò ancora e
si ritrovò chiusa in una stanza dalle pareti splendenti.
«Deve essere opera di Mulciber,
naturalmente» rifletté ad alta voce, osservando le sue cloni ma senza
aspettarsi delle risposte. «Mi ha rinchiusa nella mia mente, mossa
intelligente. Dubito di potermi liberare con facilità… non senza le mie piene
facoltà su di voi» aggiunse, indicando sempre le sue interlocutrici. «Non credo
immaginasse che la mia condizione mentale fosse tanto tragica, non dev’essere
divertente, per lui. E non credo avesse messo in conto che, odiando me stessa,
avrei anche rivisto molti episodi in cui Tiresias si
è fatto avanti» mormorò, senza riuscire a nascondere un sorriso. «Ho anche la
sensazione che il veggente fosse coinvolto nel suo arresto. Troppo strano che
nessuno abbia mai pensato di sottoporlo al Bacio del Dissennatore».
L’Hermione quattordicenne annuì. «Hai ragione, ma non dare
troppe cose per scontate» la ammonì, con una smorfia. «L’hai fatto troppe volte
e questo è il risultato».
«Proteggerlo a tutti i costi… perché? Che sia lui?» si chiese, mordendosi il labbro
inferiore. «È possibile, certo. Spiegherebbe perché anche Voldemort l’abbia
sempre tenuto in alta considerazione, quasi avesse paura».
Le altre concordarono.
«Se lui fosse davvero Sisifo…
dovrebbe averlo già scoperto. E dovrebbe aver già riscoperto parte dei suoi
poteri».
«In effetti, signorina Granger, mi aspettavo anch’io una tale
evoluzione». Dalle sue spalle, la voce dell’uomo chiamato in causa la fece
trasalire. Voltatasi, Hermione si ritrovò a fronteggiare Mulciber
– o Sisifo? – ed il suo ghigno compiaciuto, mentre Harry e Barry, fermi alle
sue spalle, si guardavano intorno con aria confusa. «I suoi amici non hanno
idea di cosa stia succedendo, signorina Granger, e di certo non ho intenzione
di renderli partecipi. Ho provato a lasciare indizi qui e lì, ma non sembrano
aver recepito poi così bene, sa?» si rallegrò l’uomo, con una risatina. «Ma sapevo che lei mi avrebbe dato
soddisfazione. Questo castello che si
è costruita… è incantevole» si
congratulò, battendo le mani. «Ed il fatto che sia consapevole di non poter
scappare è ancora più eccitante, sapevo che sarebbe successo. I suoi amici sono
scappati via dall’illusione, sa? Non ho messo in conto un paio di cosucce e si
sono liberati. Ma lei… lei mi somiglia troppo. Anche lei è brillante».
L’essere paragonata ad un serial killer, cannibale e
probabilmente immortale non le fece molto piacere, ma non trovò nulla da
controbattere. «Perché mi hai messa sotto illusione? Sapevi che sarebbe finita
così, che avrei capito».
Mulciber rise più forte. «Per
poterti mangiare, mia cara, devo indebolirti. Il veleno che in questo momento
scorre nelle tue vene ti sta spegnendo lentamente e, nel tempo che impiegherò
per accompagnare i due signori a dare uno sguardo alla Negromante, tu sarai
sufficientemente prosciugata da poter essere cotta a puntino. Non c’è modo che
tu possa liberarti, lo sai, quindi inutile provare».
Se fosse stata in se
stessa, il suo orgoglio l’avrebbe spinta a ribattere che, invece, lei ce
l’avrebbe fatta, che l’avrebbe aggirato in qualche modo. Tuttavia il suo
orgoglio la fissava da svariati passi di distanza, disinteressato a tutto. «Hai
ragione» concordò alla fine, «ma io ci proverò lo stesso, spero non te ne
dispiaccia. Niente mi impedirà di tentare di fermarvi, anche se dovessi
riuscire soltanto ad avvisare Harry e morire nel tentativo».
Il sorriso di Mulciber si allargò.
«Hai davvero capito, allora?».
«Non ti permetterò di toccarlo».
Il Legilimens rise più forte, prima di darle le spalle.
«Mettiti comoda, signorina Granger. Io ho tutto il tempo di portare quei due
dalla Negromante. Sarà un piacere far vedere loro quanto terribile sia la sua
esistenza, prima di uccidervi tutti».
«Ho solo una domanda» lo interruppe lei, incrociando le
braccia al petto. Quando lui si girò, lei gli sorrise. «Hai già detto di essere
rimasto sorpreso da Harry e Barry… credi davvero che Kate sarà da meno?».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Sono viva! Ho riposato
(un po’, in realtà mi sono lasciata stressare dalla vita e dal caldo, quindi
non so bene quanto positivo sia stato questo break) ed ora sono pronta a farvi male.
Stavo giusto pensando che
fino ad ora sono stata collegata ad Hitchcock e Moffat,
ma ancora nessuno mi ha paragonata a George RR Martin.
Devo porre rimedio.
Che questi personaggi
siano la vera #SuicideSquad?
Punti importanti:
» * - Se potessi aiutarti a dimenticare/ accetteresti il mio
rimpianto?/ Perché mi ricordo tutto./ Caro fratello/ ti prego non odiarmi/ per
non averti mai supportato/ e non essere rimasta al tuo fianco. Hermione
sta soffrendo e si vergogna, il solo guardare Harry negli
occhi la uccide.
» 1 – Nei libri si
dice spesso che la lettera di Hogwarts venisse consegnata ai Nati Babbani da un
professore. Io ho ipotizzato (non ricordo se fosse davvero così) che un
professore accompagnasse le famiglie a Diagon Alley
proprio come Hagrid fece con Harry. Non potevano certo abbandonarli a se
stessi, no?
» 2 – Hermione aveva undici anni, quale genitore sano di
mente l’avrebbe mandata a cuor leggero nel culo
della Scozia a studiare magia insieme
a gente capace di indossare cappelli a punta? Tutto il concetto di Hogwarts è
inquietantissimo.
» 3 – Contesto
storico: ci troviamo durante la famosa partita di Quidditch non giocata (“Non può cancellare il Quidditch!” [Cit.
Oliver Baston]) proprio perché Hermione e Penelope vennero ritrovate
pietrificate.
» 4 – Fred e George fanno riferimento a quella che diventerà
la futura moglie di Oliver. Lui ha ceduto già all’epoca oppure lei ha
approfittato della (futura) separazione fra lui e Katie per farsi avanti? In ogni
caso, ti prego Oliver perdonami per
quello che ti sto facendo. Io sono la sua fan n.1 e trattarlo male mi sta uccidendo. I ♥ U
Oliver!!!!!!!!!!!!!!
» 5 – Sono tutti episodi
sostanzialmente fanon,
che io immagino siano davvero
esistiti. Nello specifico:
-Come Harry e Ron (ovviamente nel film, non avevo voglia di controllare il
libro, abbiate pietà), anche Hermione ha rischiato
di perdersi e arrivare tardi, il suo primo giorno, perché troppo presa dall’osservare
i quadri per seguire il Prefetto. Per sua fortuna è finita dritta dritta fra le braccia di un improvvisamente paonazzo Fred,
così intrigato da quella ragazzina da
farsi avanti e accompagnarla personalmente.
-Alla fine del primo libro, Hermione scappa dal nascondiglio della Pietra con
un Ron svenuto (l’ultima volta in cui ha davvero fatto qualcosa di buono, per
quanto mi riguarda) e manda un gufo a Silente. Per me, Fred l’ha beccata a metà
strada e l’ha aiutata.
-Secondo libro: quando Hermione è stata pietrificata, Fred è andato a trovarla
tutti i giorni. La Chips non sapeva
se ridere di lui o intenerirsi. Nel dubbio, lo ha costretto ad aiutarla a
riordinare l’infermeria.
-Abbiamo poi l’episodio della “scena”, cioè Fred che la rassicura al Ballo
del Ceppo.
-Fred che durante il sesto anno ha quasi dato una pozione ad Hermione per
farle dimenticare Ron (non per farla innamorare di lui invece che di suo fratello, perché Fred era innamorato ed è una persona meravigliosa.
#ProtectFredWeasley2k17
» 6 – Nessuno mi
convincerà che Ron ed Hermione siano una bella coppia. Sono palesemente un
contentino della Rowling ed una presa a pietà per Ron, che essenzialmente è un
idiota. No, non mi farete cambiare idea, nell’altra mia ff
l’ho fatto diventare un mostro, non
provocatemi per una volta che gli ho dato una morte onorevole. Nonostante
tutto, però, è innegabile che, secondo me, non siano mai stati una buona coppia
ma che, semplicemente, Hermione abbia avuto una sbandatella
per l’amico e che alla fine si siano messi insieme perché tutti se l’aspettavano
un po’.
» 7
– Tiresias era lì,
perché se Hermione avesse deciso di tornare a casa avrebbe dovuto intervenire
per impedirglielo. Generalmente, se Tiresias è
presente in determinate circostanze ma non tocca nessuno è perché il futuro
previsto è molto incerto, quindi meglio essere presente ed intervenire se
necessario.
DunDun DUUUUUUUUUUUUUUUHN!!!!
Qualcuno aveva ipotizzato
che Sisifo e Mulciber fossero una persona sola.
A queste persone, io
dedico questa: https://us.v-cdn.net/5019940/uploads/editor/4t/ivr7tp9i2efj.gif
Un bacione a tutti! A
lunedì prossimo con il capitolo più lungo
che io abbia scritto per questa ff! E indovinate un
po’ chi sarà la vittima protagonista?
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 27 *** Atto X, Parte II - Terrori notturni ***
L’Erede del Male.
“Never trust a
demon.
He has a hundred
motives for anything he does...
Ninety-nine of them,
at least, are malevolent. ”*
[Neil Gaiman – Preludi e Notturni]
Atto X, Parte II
– Terrori notturni
L’uomo seduto ad un capo del lungo tavolo aveva
l’aria di essere sull’orlo di una crisi di nervi1.
Aveva i capelli neri, corti ed ordinati, il viso
dolce e meraviglioso come lei aveva sempre immaginato quello di un angelo.
Anche le morbidissime ali bianche che si stagliavano alle sue spalle sembravano
confermare quella sua immagine. Non tanto angelici, invece, erano l’arco e le
frecce che erano state palesemente scaraventate sul tavolo, in quello che
doveva essere stato uno scatto d’ira. Erano armi di evidente elevata
manifattura, d’oro purissimo e apparentemente molto pesanti, simili ai cimeli
dei folletti che lei aveva visto esposti in più di una delle ville dei
purosangue d’alta società, però ancora più belli.
Kate aveva capito immediatamente chi fosse
l’Essere che la fronteggiava e che non sembrava essersi reso conto della sua
presenza. L’aveva capito, ma non aveva idea del perché o del come fosse
riuscita a raggiungerlo. Ci aveva pensato spesso, soprattutto dopo l’incontro
con Thanatos, ma non pensava che sarebbe mai successo, almeno non finché tutto
quel guaio con Tiresias non fosse stato risolto.
Vagamente a disagio nel non essere ancora stata
notata, si guardò intorno alla ricerca di un qualche appiglio, senza trovarlo.
Allora, armandosi di coraggio, fece qualche passo avanti, schiarendosi la voce
con un colpo di tosse. «Uhm…» tentò, cercando di raccapezzarsi del giusto modo
di salutarlo. Quando era toccato a Thanatos, le era stato relativamente facile,
considerando il timore reverenziale che i Sacerdoti le avevano trasmesso
soprattutto da quando aveva subito la prima trasformazione. Con lui, tuttavia… Thanatos era stato
piuttosto aperto nel suo amore paterno, una volta passato il momento di crisi
isterica, ma Eros, a dispetto del suo essere una divinità dell’Amore, avrebbe
potuto dimostrarsi differente, avendo vissuto lontano dai mortali per così
tanto tempo. Forse un semplice “come
butta?” non sarebbe stato proprio l’ideale. Magari avrebbe dovuto
inginocchiarsi, usare qualche formula del Necromicon,
offrire del sangue-
«Oh, Kate!
Sia ringraziato Crono2, temevo di non essere riuscito ad
intercettarti» praticamente squittì
la divinità, balzando in piedi e ritrovandosi davanti a lei nel tempo di un
battito di ciglia. Il tono isterico non aveva nulla di quella potenza opprimente con cui Thanatos l’aveva quasi
uccisa e, invece di cercare di intimidirla, nell’avvicinarsi lui le aveva preso
il viso fra le mani, come a voler controllare che stesse bene. La stava osservando con gli occhi spalancati e pieni
di ansia, toccandola ed osservandola come se lei fosse appena tornata da una
qualche missione suicida.
No, come un
genitore l’avrebbe osservata. Un
genitore parecchio ansioso, ma comunque un genitore.
Kate, avendo nel campo un’esperienza simile a quella
di Harry Potter, si paralizzò, incerta sul come reagire. Nel dubbio, grugnì.
«Quando ho visto tuo padre darti quel dannato libro ho creduto di impazzire!
Sapevo che saresti finita nei guai, non ne esce mai nulla di buono da quella
robaccia» si lamentò l’uomo, lasciandole andare il viso per poterla
abbracciare, con suo immenso sconcerto. Incurante, continuò a stringerla ed a
borbottare. «E quella creatura disgustosa!
Forse dovrei ringraziarlo, senza il veleno non sarei riuscito a contattarti,
ma… cara, tu hai il cuore spezzato!»
sbottò, ad un certo punto, fermandosi per allontanarla e guardarla negli occhi.
«Ti hanno spezzato il cuore per ben due
volte?» continuò a chiedere, probabilmente in modo retorico.
Quando Kate si rese conto che lui stesse aspettando
una risposta, si schiarì nuovamente la voce. «Uh… la seconda volta credo sia giustificabile, dopotutto non… non
condividiamo la stessa biologia, ciò che io sento per lui potrebbe non essere
uguale. Ed anche la prima… credo sia pure colpa mia, in realtà» provò a
giustificare, quasi inquietata dalle ombre in quegli occhi dorati. Una parte di
lei era legittimamente preoccupata che lui potesse trovare il modo di… intervenire come solo una creatura
immortale avrebbe potuto. Per quanto più paffutello e carino del consorte, Eros non poteva essere meno pericoloso di
Thanatos.
Fiamme vive si agitarono nello sguardo della
divinità mentre la scrutava con attenzione. La sua espressione non si
ammorbidì. «Draco Malfoy è un bugiardo seriale, piccola mia, non crucciarti per
lui. Si è innamorato di te quando era poco più di un bambino e la cosa non ha
fatto che peggiorare» tentò, forse, di rassicurarla. «Che abbia negato il
vostro legame è ridicolo, anche
adesso si sta tormentando. Ho voluto che voi aveste delle bestiole da compagnia3
perché non soffriste mai l’abbandono, piccola, quindi non credere che possa
semplicemente non amarti». Kate si
chiese quanto quell’affermazione potesse essere di conforto a Draco e cercò di
trattenere una risatina. Il venir definito “bestiola da compagnia” non doveva
essere proprio nella topten
di Lord Malfoy e del suo ego. «Ma non è questo il vero cuore spezzato a cui mi
riferisco» continuò Eros, fissandola negli occhi con aria sempre più
corrucciata che presto si trasformò in vera rabbia.
«Oliver Baston» sibilò quindi,
rigido. «Ti ha fatta soffrire così tanto,
povera piccola mia» esalò, la voce incrinata da qualcosa di spaventoso. Era come un rombo di
sottofondo, un qualcosa che nessuna voce umana avrebbe mai potuto possedere e
che per questo capace di instillare in chiunque un inconsapevole terrore.
Furia
immortale.
«Uhm… Dominus-» provò ad intervenire, ritrovandosi
tuttavia velocemente zittita con un dito sulle labbra ed una divinità con un
gran sorriso orgoglioso in viso.
«Padre,
mia cara. Credevo avessimo superato questo dettaglio, no?» la corresse, la voce
così piena di miele da fare quasi
impressione.
«Padre non c’è
bisogno di… uh… prendersela tanto»
riprese allora lei, incerta su come fosse più opportuno rivolgerglisi. «Oliver è
stato una parentesi della mia vita, ma ormai è tutto passato. Neppure della mia vita, se vogliamo essere pignoli, ma
della vita di Katie. Io non sono più
lei, non mi importa più di tanto» azzardò, pregando che il dolore per il
rifiuto di Draco fosse sufficientemente forte da impedirle di mandare al
diavolo l’esistenza di Oliver Baston. Le faceva ancora male, per quanto fosse
effettivamente tutto passato. Faceva male, ma non abbastanza da giustificare
l’ira funesta della divinità dell’amore. «Davvero, non disturbarti».
La carezza che Eros le diede la spinse
involontariamente a rilassarsi, lasciando che la propria guancia aderisse
meglio alla sua mano, come un gatto alla ricerca di coccole. Gli occhi dorati
di lui, che fino a quel momento erano stati duri, si riempirono di dolcezza.
«Ah, tu mi somigli troppo, bambina» si lamentò, pieno di dolcezza paterna. Kate
aveva visto quella stessa espressione negli occhi di Barry, in più di
un’occasione1. «Ho imparato che cedere ai buoni sentimenti non porta
sempre a qualcosa di buono e non
vorrei che tu dovessi seguire il mio esempio».
Kate arricciò il naso, raddrizzandosi quando lui
le lasciò andare il viso ma tallonandolo quando iniziò a trascinarla verso
l’unica sedia presente nella stanza, la stessa su cui lui era prima seduto.
Quando lui si accomodò, lei non perse tempo a sistemarsi ai suoi piedi. «Le
situazioni sono leggermente diverse, padre.
Io non mi sto fidando di una creatura viscida e approfittatrice ma solo… beh,
di un Portiere con abbastanza neuroni da potersi concentrare solo sul
Quidditch» lo rassicurò, con una risata che tuttavia non suonò convinta neppure
alle sue orecchie. Stava mentendo ed Eros lo sapeva fin troppo bene,
considerato come le accarezzò i capelli.
«Avrebbe funzionato fra voi, sai? Se non fossi
cambiata, naturalmente» le mormorò, dolcemente. «Avevo previsto tutto, se
avessi potuto intervenire avrei fatto l’impossibile affinché il destino non vi
mettesse i bastoni fra le ruote» aggiunse, con il rimpianto ad impregnare ogni
sillaba fuoriuscita dalle sue labbra. «Se fosse andato tutto come io speravo andasse, tu ti saresti diplomata
e saresti diventata una grande giocatrice di Quidditch, forse la migliore in
assoluto. E lui sarebbe rimasto al tuo fianco, incoraggiandoti e sostenendoti
come ogni amante avrebbe dovuto fare».
Colpita in pieno nelle profondità del proprio
cuore, dove i desideri di una quindicenne speranzosa ancora riuscivano a
trovare un po’ di agio, Kate chiuse gli occhi e cercò di nascondersi al
genitore immortale. Si sarebbe raggomitolata su se
stessa se ciò non avesse implicato mostrarsi debole proprio come sapeva
d’essere.
«Ah, allora non è poi così passata, non è vero,
bambina?» si rammaricò Eros, sfiorandole il viso con la punta delle dita. Le
sue bianche ali si chiusero come un bozzolo intorno ad entrambi, creando un
rifugio apparentemente sicuro, dove nessuno l’avrebbe mai toccata. «Mi dispiace
così tanto… se non fosse stato per questo peso che io e tuo padre abbiamo
scaricato su di te, tu saresti stata felice. Una ragazza come tante, con un
amore come tanti altri e per questo speciale».
Kate tremò, le lacrime ormai libere di scorrere
sulle sue guance. «Mi dispiace» sussurrò, sentendo il fiato impigliarsi in
gola. «Mi dispiace così tanto». Il
suo cuore era spezzato sotto il peso delle aspettative, dei dolori che negli
ultimi anni aveva dovuto sopportare. Era stato troppo per lei, ma aveva sempre
stretto i denti. Credeva di aver trovato un equilibrio grazie alla sua
trasformazione definitiva, credeva di aver trovato pace grazie a Draco, ma era stata un’illusione molto breve, che lui e la realtà avevano impiegato molto poco tempo a distruggere.
Le sue prospettive future non esistevano. Lei aveva provato, aveva provato con tutta se stessa, si era ripetuta che ce l’avrebbe fatta, che
avrebbe trovato il modo di aiutarli tutti, anche a costo di rinunciare a se
stessa.
Ma se non avesse voluto fare un tale sacrificio?
«Io ho rinunciato alla mia influenza sulla terra,
ma forse…» il tono della divinità fu esitante per un istante, cosa che lei non
credeva potesse effettivamente accadere. C’era qualcosa nascosto nella sua
voce, una esitante speranza, una possibilità minima. «Sappiamo entrambi che
questa volta nulla potrà fermare Sisifo e che tutto il mondo pagherà il… il mio errore. Ma io sono ancora una
divinità e forse posso fare qualcosa per
te, bambina, prima che questo piccolo spazio che mi sono ritagliato
sparisca e l’incanto di quel Legilimens ti assorba. Posso darti quello che
vuoi, bambina, posso portarti dove sarai felice» le propose, sollevandole il
viso per costringerla a guardarlo negli occhi. Erano così sinceri, così dolci. Gli occhi di un padre pronto a
tutto. «Non posso salvarvi tutti, la mia essenza
non è più sufficiente, ma almeno tu…
tu potresti essere felice».
Felicità. Era un concetto astratto, qualcosa cui
Kate aveva rinunciato e che non credeva avrebbe mai ottenuto. Eppure quella
creatura, quel padre immortale così
diverso da quello biologico e così simile a quello adottivo, le stava offrendo
proprio quell’utopia, rinunciando a se stesso4.
«Non posso, io… Thanatos-».
Eros sorrise, tristemente. «Thanatos ed io ci
ameremo per sempre, anche quando le nostre essenze si consumeranno. Stiamo
soffrendo e continueremo a farlo, ma fin troppi nostri figli hanno perso tutto
per il nostro amore. Adesso sono pronto a perdere tutto per l’amore di qualcun
altro, soprattutto se sei tu, la mia
sfortunata bambina».
Sfortunata
bambina, così l’aveva chiamata il Gran Sacerdote, dopo averla appena
salvata da una morte certa solo per prolungare
di qualche anno la sua agonia. Sfortunata
bambina, cui era appena stata offerta una via di fuga1.
«Ti prego cara, lasciamelo fare».
«Io…»
«Non c’è tempo! A breve il veleno farà effetto,
devi accettare, ora o mai più! Katie!».
«D’accordo!».
***
Si svegliò con la sensazione di forti braccia
strette intorno al proprio busto, calde e confortevoli come lo sarebbe stata la
più morbida fra le coperte. C’era un leggero profumo di muschio bianco e pino
nell’aria, un profumo confortevole e impresso a fuoco nella sua memoria. Un
ricordo di mattine lontane quando due ragazzini si davano appuntamento al Campo
per potersi allenare più degli altri e spesso si abbracciavano per riscaldarsi
a vicenda, non essendo proprio capaci di farlo con dei semplici incantesimi.
Oppure non volendo imparare per non rischiare di perdere quel piccolo conforto.
Il cuore di Kate si riempì di una gioia quasi
selvaggia tanto era incontenibile. Ebbe paura di voltarsi, di assicurarsi di
essere davvero lì, fra le sue braccia e di non aver semplicemente immaginato
tutto. Era tutto troppo bello, troppo
perfetto.
«Trinaaa» l’uomo alle sue spalle si lagnò come un bambino,
nascondendo il viso contro l’incavo fra la sua spalla e il collo. «Oggi è
giovedì, tocca a te preparare la colazione» aggiunse, con un borbottio,
strusciando la guancia barbuta contro la sua pelle delicata. «Avevi promesso,
oggi è il nostro giorno libero e io voglio pancake».
Troppo
bello per essere vero, fu il suo primo pensiero. Immobile e
terrorizzata al solo pensiero di voltarsi e non trovare nulla o, peggio,
trovare qualcosa di diverso da ciò che stava immaginando, Kate cominciò a
cercare – senza impegnarsi troppo, in realtà – i segni di una possibile
alterazione mentale. Non trovandone, comunque, non se la sentì di tirare un
sospiro di sollievo: non era mai stata brava con certe cose, non senza prima
trasformarsi anche solo parzialmente.
«Bheithir5,
ti sento pensare anche da qui e non è normale per te a quest’ora del mattino»
continuò l’uomo, stringendola di più a sé con l’evidentissimo intento di
voltarla e costringerla a guardarlo. Resistere sarebbe stato inutile, lei lo
sapeva benissimo: era sempre stato
molto più forte. Un buon portiere avrebbe dovuto esserlo per forza. Grazie a
questa consapevolezza ed al suo coraggio da leone, naturalmente, quando lui
riuscì nel suo intento la ritrovò con gli occhi serrati. «Non far finta di
dormire, di solito russi come Hagrid dopo tre bottiglie di Whiskey».
Lo sdegno fu troppo forte da consentirle di
continuare quella ridicola falsa: spalancati gli occhi, non si diede neppure il
tempo di mettere a fuoco la figura che ancora la stringeva prima di colpirlo
piuttosto violentemente con un pugno al petto. Un istante dopo, comunque, la
mascella squadrata e appena barbuta di
Oliver Baston, accompagnata dagli occhi scuri di Oliver Baston e dal sorriso un po’ idiota di Oliver Baston le confermarono che davanti a lei, in effetti, ci
fosse proprio Oliver Baston, in tutta
la sua scozzese virilità e imbranataggine6.
«Ah, questa è la mia Bheithir! Cos’hai? Per essere così attiva devi essere sveglia da almeno un
paio d’ora e di certo non è da te, brutta pigrona» le chiese di nuovo, il tono
trionfante che lentamente scolorì in uno preoccupato. Si avvicinò di più a lei,
finché non riuscì a far sfiorare i loro nasi in una gentile carezza. Era un
gesto che le aveva dedicato fin dal primo momento in cui si era sentito
abbastanza tranquillo da poterselo permettere senza essere picchiato. Un gesto
che le era mancato terribilmente. «Trina?».
Forse fu il calore della sua stretta, forse fu il
fatto che l’alito di lui fosse troppo pesante per poter essere parte di una
bellissima illusione, ma, alla fine, lei decise di cedere. Rilassò le spalle,
socchiudendo gli occhi per poter prendere un lungo respiro e calmarsi davvero.
Alla fine, finalmente, parlò. «Ho fatto un brutto incubo, tutto qui» tentò di
rassicurarlo, rassicurando lentamente anche se stessa.
«È stato davvero terribile, ma adesso è finita, adesso sono sveglia».
Il viso di Oliver si addolcì incredibilmente,
facendolo sembrare ancora un quindicenne alla presa con una cottarella
adolescenziale7. «Sì, adesso sei sveglia e se qui con me» mormorò,
avvicinandosi per lasciarle un bacino sul naso. «La Guerra è stata dura per
tutti, Bheithir,
non devi vergognarti di portarne ancora le cicatrici. George ancora si rifiuta
di guardarsi allo specchio7, nonostante Harry e Ron abbiano fatto di
tutto per convincerlo ad andare in analisi. Tu ed io siamo stati fortunati ad
essere rimasti insieme, non posso immaginare cos’avrei fatto se ti avessi
persa».
Kate non riuscì ad evitare di fare una smorfia.
«Probabilmente avresti trovato una qualche altra ragazza da corteggiare ed a
cui dedicare le tue partite di Quidditch, facendole la proposta di matrimonio
nascondendo l’anello in un boccino» si lagnò, rifiutandosi categoricamente di
guardarlo negli occhi. Lei ricordava fin troppo bene il giorno in cui la prima – quella non più vera? – versione
di Oliver si era proposta a quella donna. Meglio, ricordava i primi istanti di
quella proposta: il resto era totalmente confuso nella sua memoria, per quanto
impressa a fuoco in quella dei suoi – forse ex
– colleghi.
Vedere il
suo Oliver fare una smorfia disgustata le alleggerì incredibilmente il
cuore. «Posso smontare questa tua teoria evidenziando solo tre particolari» le
disse, sollevandole la mano sinistra tenendola per il dito indice, così che
potesse farle tenere il conto. «Prima di tutto,» iniziò, lasciando un bacino
sul polpastrello del dito in questione, «qualunque altra donna per me sarebbe
solo una scialba imitazione. Nessun’altra potrebbe mai conquistarmi lanciandomi
una pluffa in faccia e facendomi cadere dalla scopa a soli undici anni. E nessun’altra potrebbe
tenermi testa in una gara di bevute. E nessun’altra
potrebbe mai e poi mai convincermi a festeggiare San Patrizio oltre Sant’Andrea8» spiegò,
sollevandole poi il dito medio e lasciando un bacino anche su quello. «Secondo,
una proposta del genere, oltre ad essere eccessivamente smielata, non sarebbe
comunque vera. Avrei messo
l’ipotetica donna in difficoltà, rischiando di farla passare per stronza
davanti a migliaia di miei tifosi,
nel caso avesse voluto dire no» aggiunse, per poi sollevare finalmente
l’anulare, dove stava già brillando un anellino piccolo ma molto grazioso,
privo di diamante ma con un piccolo rubino. «Terzo, io sono già felicemente fidanzato ed ho tutta l’intenzione
di sposarmi il diciassette luglio, dopo aver vinto i Mondiali per la Scozia»6.
Non si rese quasi conto di aver iniziato a
piangere, finché lui non le asciugò le guance bagnate. «Cosa ti assicura che
vincerai i Mondiali e che riuscirai a convincermi a presentarmi all’altare?»
gli chiese, nascondendo malamente l’ilarità dietro un’espressione seria.
Oliver si chinò a baciarla, spostandole i capelli
da davanti al viso. «Se sono riuscito a chiedertelo ed a farti dire sì, è mio
sacrosanto dovere consegnarti una Coppa e l’intera Scozia».
Quell’affermazione, per un attimo, le fece
storcere il naso. Ricordi confusi di una proposta fatta nella tranquillità
della loro piccola casa, davanti ad un hamburger e delle patatine fritte,
cominciarono a rifiorire dal fondo del suo cervello. Lei aveva pianto, per
quanto le sembrasse assurdo: doveva essere stato terribilmente romantico, nei
limiti delle capacità romantiche di Oliver Baston.
«L’intera Scozia offerta in sacrificio ad una
fiera irlandese… i tuoi antenati si staranno rivoltando nella tomba» scherzò,
senza sentire – per la prima volta dopo anni
– detti antenati intervenire personalmente, riversandole addosso tutto il
loro sdegno. C’era finalmente silenzio,
nessun’anima pronta a sussurrarle all’orecchio qualcosa di incomprensibile,
facendole venire i brividi e costringendola ad una vigilanza costante. Non
c’era nulla di tutto ciò, in quella camera da letto di una anonima casetta
nelle Highlands scozzesi.
Oliver rise, alzando gli occhi al cielo e
rotolando fino a trovarsi con la schiena contro il materasso ed un avambraccio
a coprire gli occhi ancora un po’ assonnati. «I miei antenati credo concordino
nell’essere sollevati. Mi sarebbe potuta andare molto peggio, Bheithir» le fece
notare, aprendo un solo occhio e lanciandole uno sguardo divertito. «Saresti
potuta essere inglese».
Il brivido d’orrore che gli dedicò lo fece ridere
più forte. «Gli inglesi sono gli unici capaci di far andare d’accordo scozzesi ed irlandesi» mormorò allora lei, tirandosi a sedere
nonostante il braccio di Oliver ancora stretto intorno alla vita. «Però
dobbiamo ringraziarli».
«E perché mai?».
«Senza di loro, noi non avremmo avuto nessuno
contro cui far fronte comune ed avremmo finito per odiarci a vicenda».
Tiratosi a sedere a sua volta, Oliver le lasciò un
tenero bacio sulla spalla nuda. «E questa sarebbe la cosa peggiore che potrebbe
capitarmi».
***
C’era stato un tempo in cui Katrina Bell si era
convinta di essere un’eccellente cuoca e di non aver bisogno degli elfi
domestici di famiglia per sopravvivere durante i mesi di vacanza estiva. Questa
sua convinzione l’aveva portata ad imparare a preparare qualcosa di semplice –
tanto per iniziare – ed a trascorrere quattro ore nella cucina della villa di
famiglia per acquisire la tecnica perfetta per la preparazione dei pancake.
Dopo svariati tentativi che avrebbero potuto condurla a morte certa per avvelenamento e dopo qualche intruglio che avrebbe
fatto piangere il non compianto Piton9 di gioia, finalmente, aveva
potuto dirsi soddisfatta del suo risultato, promettendo tuttavia di non
avventurarsi in ricette più complesse. Era fiera
dei suoi pancake, meritavano di essere unici e soli nel suo libro di ricette.
«Sono totalmente bruciati ed insapori, Bheithir».
«Va’ un po’ a farti fottere, Baston!». Per buona
misura, si premurò di lanciargli lo strofinaccio usato per asciugare le tre padelle usate, tirando fuori la
migliore fra le sue occhiate sdegnate. Lui, naturalmente,
schivò il colpo e le dedicò il suo miglior sorriso mascalzone. «Se sei tanto
bravo a criticare, perché non li fai tu? Sono curiosa».
Oliver ebbe la decenza di arrossire. «Lo sai che
non so preparare neppure il té» grugnì, vergognandosi
di se stesso e riempiendosi velocemente la bocca di
una manciata di pancake bruciacchiati. «Fai,
in uh fecoddoaffaddio fono
boni!» aggiunse, sorridendola con le guance ancora piene e somigliando ad
un grosso scoiattolo con problemi di autocontrollo.
Kate alzò gli occhi al cielo, con una risatina.
«Dobbiamo davvero imparare a cucinare, Oliver, non possiamo passare la vita
ordinando cibo» gli fece notare, appellando lo strofinaccio per continuare ad
asciugare i vari utensili. «Ed io dovrò farmi insegnare qualche incantesimo
domestico dalla signora Weasley, mi sento una babbana.
Ed incapace» aggiunse, con un borbottio.
Lui si alzò per avvicinarsi e passarle le braccia
intorno ai fianchi. Strusciò la guancia barbuta contro il suo collo, per poi
lasciarci un bacino. «Per me vai benissimo anche così» le disse, dolce. «Hai
detto che ti senti una babbana quasi fosse un
insulto. Mia nonna potrebbe risentirsene, sai?».
Sua nonna
è babbana, ricordò, cercando di non fare una
smorfia al pensiero. Nonna Baston era una donna gentilissima ed i suoi natali
non la rendevano certo meno incredibile. La stupida educazione che i suoi
genitori le avevano imposto non si sarebbe mai messa fra la sua nuova famiglia
e la felicità futura. Anche a costo di
mentire per sempre.
«Adoro tua nonna e tua nonna adora me».
«Diciamo che ti è estremamente grata per avermi
reso un uomo onorevole» rettificò lui, con una risata tonante, baciandole la
guancia per poi allontanarsi di nuovo. «Forse temeva che sarei rimasto solo
come un cane a progettare schemi per il Quidditch» rifletté, afferrando la sua
tazza preferita – blu e oro, con il marchio del Puddlemere
in rilievo – e sorseggiando quello che avrebbe dovuto essere tè ma che in
realtà era solo una terribile imitazione.
«Ah, prima o poi qualcuna avrebbe allungato le
manine su di te, signor Miglior Portiere
delle ultime due stagioni» gli rispose lei, voltandosi per lanciargli uno
sguardo esasperato. «Ammettilo, ti piace sentirti elogiare, per questo fai il
finto umile. Ma con me cadi molto male, sono io che voglio essere elogiata in continuazione».
«Hai l’autostima migliore del mondo, Trina, non
credo che tu ne abbia davvero bisogno».
Lei gli rispose con un broncio forse non troppo finto. Tornò ai suoi piatti,
senza prestare poi molta attenzione a ciò che la circondava, ed iniziò a
canticchiare una ninna nanna che davvero non credeva di aver mai sentito in
vita sua. Meglio, lo fece finché un dolore acutissimo al petto non le mozzò il
respiro, facendole cadere il piatto di mano e facendolo schiantare
violentemente contro il pavimento.
«Kat!». Con la
velocità di un fulmine, Oliver fu al suo fianco, afferrandola per le spalle
prima che potesse fare la stessa fine del piatto ed accompagnandola a sedere sulle
piastrelle gelide. «Kat, che succede? Ti fa male
qualcosa? Sei pallida come un cadavere!» continuò ad urlarle praticamente
nell’orecchio, voltandola così da poterla osservare bene. «Bheithir, ti prego, parlami»
supplicò ancora, la voce ridotta ad un sussurro spaventato.
In tutta sincerità, Kate non credeva di avere nulla di sbagliato, dopo quel dolore
lancinante non c’era stato nulla, neppure un formicolio. Sì, sembrava quasi che
tutto il sangue le fosse defluito dal corpo e le gambe non potessero più reggere
il suo peso, ma non c’era altro,
nulla se non le conseguenze normali di un brutto spavento, quasi…
Quasi non
fosse stata lei ad essere colpita.
«Oh… oh no, ti prego, no» scoppiò in lacrime, mentre quel lamento disperato lasciava le
sue labbra. Sapeva bene di star perdendo quel minimo di dignità di cui si era
sempre vantata, ma il terrore di perdere tutto era troppo grande. No, ti prego, no, era tutto ciò cui
riusciva a pensare. «Oliver…» implorò ancora, voltandosi per poterlo stringere
di più a sé, per rassicurare se stessa che sì, è tutto vero, sono al sicuro.
«Non piangere Beirthir, va tutto- Kat!». Oliver non ebbe il tempo di
aggiungere altro, dovendola sorreggere quando un’altra ondata di dolore
insopportabile la tagliò in due. «Amore ti prego… cosa sta succedendo? Katie!».
«No… no no no no!».
Naturalmente lui aveva usato quel nome. Una ulteriore conferma che quel mondo non fosse più suo, che non lo sarebbe mai stato. Un
ulteriore promemoria dell’impossibilità di ottenere davvero una opportunità così
ghiotta, così meravigliosa. Una
opportunità per cui lei sarebbe stata pronta a sacrificare chiunque, anche coloro che aveva sempre considerato come dei nuovi
genitori e l’uomo che sapeva l’avrebbe amata più di qualunque altra cosa al
mondo, se ne avesse avuto modo.
Li avrebbe sacrificati tutti, per un solo atto di puro egoismo. Uno solo,
nulla di più. Non le importava neppure che quella fosse un’illusione, davvero.
Non le importava che in realtà Eros non si fosse sacrificato, che probabilmente
in quello stesso istante qualcuno stesse portando il suo corpo mortale al
patibolo. Avrebbe rinunciato a tutto per
altri cinque minuti di pace.
«Katie!».
«No, non
voglio andare! Voglio restare qui! Ti prego!».
Il mondo, tuttavia, non sembrava disposto a
lasciarla andare.
«Ah, incredibile!»
la voce di Oliver, tuttavia diversa, in cambiamento, le sussurrò direttamente
nell’orecchio quelle parole, un secondo prima di spingerla via con violenza e
direttamente fra le braccia aperte di… di
qualcun altro.
Barry la stava guardando con quella che lei
avrebbe potuto definire solo pietà.
Alle sue spalle, Harry Potter si rifiutava categoricamente di poggiare gli
occhi su di lei, ma non perché la stesse biasimando.
Harry
Potter era dispiaciuto per lei.
A pochi passi da dov’era caduta, Katie vide colui
che era stato il suo Oliver cambiare,
plasmare se stesso fino a prendere la forma di Mulciber.
La rabbia
che la assalì avrebbe potuto ucciderla, non avesse imparato a controllarsi.
«Sapevo che tu
non mi avresti deluso, Succbus»
si rallegrò il Legilimens, rialzandosi e spolverandosi i pantaloni immacolati.
«Siete delle creature deboli, schiave delle vostre emozioni. Lo siete sempre
state» si rallegrò, osservandola come se fosse stata un curioso animale. «Sai,
eri ad un passo dal perdere per sempre la possibilità di tornare indietro, ma
sfortunatamente Tiresias mi aveva avvisato del tuo
legame con… con Malfoy» aggiunse, con
uno sbuffo che fece accapponare la pelle alle tre vittime presenti. «Immagino
che la mia bambina sia giunta a tutti loro, eh? Probabilmente starà soffrendo
come un cane, se il suo dolore è riuscito ad arrivare a te… eppure tu saresti
stata felice di lasciarlo a se stesso, per questa
illusione».
Un
acutissimo senso di vergogna la spinse ad abbassare gli occhi al suolo. Mulciber aveva ragione,
ovviamente. Le speranze di prendere in giro uno come lui erano praticamente
nulle. «Io-».
«Se anche avesse voluto farlo, ne avrebbe avute
tutte le ragioni» Barry intervenne in sua difesa, ringhiando come le creature
che tanto amava studiare. «La vita è stata ingiusta con lei, molto più che con
molti di noi. Non posso biasimarla per le sue scelte, anche le mie sarebbero
state uguali se non avessi avuto qualcosa
ad aspettarmi nella realtà».
L’affetto che le si sprigionò nel petto la fece
sentire peggio. Lei avrebbe
rinunciato anche a lui e Philly, se ne avesse avuta la possibilità. Non
meritava tutto quell’amore, non meritava di essere difesa.
Mulciber lo
ignorò, lasciando che lui ed Harry la aiutassero a rimettersi in piedi nonostante
il dolore al petto stesse diventando sempre più pressante, sempre più
insopportabile.
«Ah, soffri ancora? Forse è una chiamata d’aiuto,
ho sentito che accade spesso a quelli come voi»
disse l’ultima parola come se fosse stata il peggiore fra gli insulti. «Sai, mi
chiedo cosa potrebbe succedergli, se io decidessi di mangiarti per prima»
rifletté poi ad alta voce, facendo un passo avanti. «Ah, Maine, credi davvero
di potermelo impedire? È carino che tu ci stia pensando, ma no, non potresti essere abbastanza
veloce. E tu, Potter… hai sconfitto
Tom Riddle perché era un idiota borioso, credi davvero di farcela con me? Io sono immortale».
A quelle parole, Kate si irrigidì. Con una
lentezza che non le apparteneva, sollevò lo sguardo dal suolo e lo puntò su di
lui, dubbiosa. Era stata un’affermazione dettata da pura e semplice mania di
grandezza? Tiresias gli aveva insegnato qualche
trucchetto per aggirare la morte? Quelli
come lei erano sempre stati messi in guardia da certi atteggiamenti: erano
figli della Morte, qualsiasi atto contro questa era un attentato alla loro
stessa esistenza ed all’equilibrio di tutto il cosmo. Osservandolo, però, non
notò nulla di strano in lui, se non quell’oscurità che qualunque anima avrebbe
attirato, considerato il suo curriculum.
Non c’era
nulla, ma a lui era stato detto l’opposto.
«No, tu non sei immortale» gli disse, continuando
a fissarlo con il capo inclinato, quasi fosse stato un animaletto da
esibizione. «Credi di esserlo, non è vero? Credi di essere un Evocato» continuò, lasciando che la sua
voce potesse trasmettere un pizzico del divertimento che stava provando e
cercando di raddrizzarsi nonostante le fitte. L’unica soluzione per tollerare
meglio ciò che le stava accadendo era rispondere
alla chiamata del suo potere, diventare forte
per poter correre in aiuto di Draco. Per farlo, naturalmente, avrebbe dovuto uscire da quell’illusione.
Dire
addio a Katie, definitivamente.
«Trina?» la chiamò Barry, incerto, quando lei scrollò
via la presa sua e di Harry. Dietro di lui, proprio l’ex Bambino Sopravvissuto
la fissò dubbioso, ponendole tantissime domande senza neppure doverle
pronunciare ad alta voce. «Cosa…?».
Evocare la
morte che risiedeva nel suo sangue fu facile, molto più del previsto.
L’illusione in cui era stata intrappolata non le aveva tolto il potere, lo
aveva soltanto assopito quel minimo necessario da renderla più facile da
manipolare. Le bastò concentrarsi per spezzare quell’incanto di cui non
conosceva l’origine e ritrovarsi, piuttosto che nella cucina della casetta
immaginaria, in un grande magazzino polveroso, rinchiusa in un bozzolo che
lentamente stava cadendo in pezzi, lasciandola coperta di una sostanza
appiccicosa10.
Un battito di ciglia e la Negromante riacquistò il suo legittimo ruolo al mondo,
fronteggiando il Legilimens che aveva tentato di intrappolarla sfruttando i
suoi più profondi desideri e coprendola di ridicolo davanti a persone
evidentemente abbastanza coraggiose da esser pronte a rinunciare a quella
trappola per tornare indietro.
Inutile dirlo, Kate
era furiosa.
«Possibile che proprio tu, che porti dentro di te
il marchio immortale di due divinità,
non sia ancora riuscita a riconoscermi?» le domandò Mulciber,
a parecchi passi di distanza da lei, la mano comodamente poggiata sull’ultimo
bozzolo ancora intatto. Alle sue spalle, Harry e Barry si stavano lentamente
riprendendo, nonostante fossero ancora bloccati nelle loro prigioni. «Mi
deludi, Succubus. I tuoi fratelli e sorelle, ai loro
tempi, capirono subito quanto io fossi pericoloso e tentarono di avvisare i
tuoi idioti genitori, senza successo»
continuò, l’espressione altera di un immortale, di qualcuno abituato a non
dover temere nulla.
Che tutte le sue azioni passate fossero state
programmate da Tiresias? Che l’avesse convinto d’essere il suo compagno
immortale? Nel caso, perché farlo? Perché corromperlo a tal punto, dandogli un
potere immeritato? Perché…?
Kate rise, ripulendosi della sostanza con un colpo
di bacchetta. I suoi occhi erano ormai cambiati e quella bellezza
sovrannaturale che per tanto tempo aveva detestato doveva aver preso possesso
del suo viso. «I miei fratelli e sorelle capirono che Sisifo fosse pericoloso. Tu, invece?
Tu sei solo un idiota» gli disse, sorridendo. Sapeva benissimo cosa avrebbe visto lui: una creatura apparentemente
sovrumana con occhi della stessa oscurità della notte ed un sorriso capace di
sterminare imperi. Il sorriso che era
stato di Nefertiti, di Cleopatra11, di Lucrezia Borgia. Un sorriso
che lo fece tremare, nonostante le sue pretese d’immortalità. «Credi davvero di
essere lui? Di essere l’uomo capace
di raggirare due divinità? Non sei stato capace di renderti conto d’essere
stato raggirato tu stesso» gli fece notare, divertita.
La sicurezza di Mulciber
non vacillò.
Come lei
aveva sperato.
«Credi di farmi paura, ragazza? Solo perché non
posso ancora controllarti non
significa certo che tu possa combattermi! Io sono il più forte, il migliore!Tiresias mi ha lasciato qui così che io possa
sacrificarvi e rinascere» si vantò,
senza rendersi neppure conto di aver appena ceduto al più vecchio trucco di
Incubi e Succubi: il desiderio. Lui voleva, quindi aveva una debolezza. Lui desiderava, quindi lei poteva colpirlo.
«Io sono stato Caligola, io sono
stato Jack lo Squartatore! Sono il Mostro che si nasconde in fondo al tuo
letto e si ciba dei tuoi incubi!»
continuò ad urlare, dando voce a quella vocina che dal fondo della sua anima
aveva iniziato a pretendere di essere
ascoltata, pretendere di farsi notare.
«Oh, lo sei»
si congratulò Kate, lasciando che il suo sorriso assumesse delle tinte
delicate, predatorie. Avanzò come una pantera avrebbe fatto davanti alla sua
preda, lasciando che i propri movimenti potessero incantarlo, potessero stuzzicare il suo desiderio. Lui voleva e la Succubusaveva fame. «Sei il più forte, lo
spauracchio più orribile che sia mai esistito» riprese, la voce ricoperta di
miele, lasciando che lo spazio fra loro diminuisse sempre di più. Era riuscita
a controllarlo quando ancora Katrina le impediva di rinascere, in quel momento lui non era poi così diverso da tutti
gli altri uomini affamati di desiderio che nei secoli erano periti fra le mani
delle sue sorelle e dei suoi fratelli. Il vantaggio che la presenza di Tiresias – doveva essere
stato lui ad aiutarlo, a farlo apparire più forte di quanto in realtà non
fosse, negli ultimi trent’anni – era sparito, ma lui non l’aveva ancora capito.
Quando lo raggiunse, la sua mano salì a sfiorargli il petto mentre il resto del
corpo aderì al suo, come un boa avrebbe fatto con la sua vittima prima di
stritolarla e soffiargli via l’ultimo respiro con un bacio. Le sue labbra gli
sfiorarono lo zigomo e gli occhi di lui si offuscarono mentre il desiderio
insorgeva in lui come una fiamma gelida. «Da bambina ero terrorizzata all’idea che tu venissi a mangiarmi come hai fatto con
tanti, tanti altri» gli soffiò all’orecchio, lasciando che la punta della sua
lingua gli accarezzasse il lobo. Mulcibertremò sotto le sue mani. «Adesso muoio dalla voglia che tu lo faccia… e
tu lo vuoi, non è vero? Ti piacerebbe mangiarmi
viva?» propose, quasi gemendo.
Sentì il momento in cui perse completamente ogni
collegamento con la realtà come un rush di adrenalina liberata nel suo flusso
sanguigno. Il suo cuore aumentò il numero di battiti, la fame insorse come mai prima.
Perché nonostante tutte le sue convinzioni,
nonostante fosse assurdamente certo di essere la reincarnazione della creatura
più pericolosa mai esistita, in realtà Silas Mulciber
era solo un altro burattino nelle mani del veggente, un altro filo della sua
tela di intrighi che, diversamente dagli altri, era stato ricoperto da una
gloria non totalmente meritata. Lo aveva scelto, lo aveva corrotto e l’aveva
convinto di essere l’artefice di cattiverie terribili, quando in realtà era
solo debole.
Lo sentì cedere fra le sue mani come creta molle,
pronto a tutto pur di soddisfarla, pur di spegnere quel desiderio impellente
che lei gli aveva scatenato dentro. Era la prima volta che il suo potere veniva
usato al massimo, eppure le sembrava di non aver mai fatto altro.
Il Gran Sacerdote le aveva sempre ripetuto di
portare con sé un coltellino d’argento, perché nel loro mondo una bacchetta
spesso si sarebbe potuta dimostrare utile come un bastoncino di legno
qualunque. Una lama, invece, avrebbe potuto fare la differenza. Una lama
avrebbe portato sangue, il sangue avrebbe richiamato la morte.
Quando il suo pugnale d’argento – l’ultimo dono di
sua madre - passò sul collo dell’uomo cui si era ormai avvinghiata, il sangue
rosso cominciò a scorrere via velocemente, inzuppandoli entrambi.
Tutto ciò
che sanguina è umano. Tutto ciò che è umano può morire.
Nonostante tutto, Mulciber
era solo umano.
Mulciber poteva
morire.
Il bacio di una Succubus
era, a detta dei pochi fortunati sopravvissuti, la migliore via per morire,
terribile e meraviglioso come essere soffocati dall’ambrosia più dolce,
ubriacati dal vino più pregiato. Molti credevano che il principio fosse
identico a quello del Bacio del Dissennatore e, in un certo senso, non erano
poi molto lontani dalla realtà. Il bacio di una Succubus,
tuttavia, non strappava via l’anima: la consumava.
Un bacio e di Silas Mulciber,
il più grande spauracchio che avesse mai tormentato l’infanzia dei giovani
maghi e streghe inglesi, non restò che un cadavere rinsecchito, un cumulo di
tessuti secchi senza volontà propria ed i cui occhi grigi avevano perso
qualunque sentore di grandezza.
Un bacio e Silas Mulciber
cessò di esistere, diventando nulla più di un pupazzo.
«Trina?».
Lentamente, la Succubus
si voltò in direzione della voce che l’aveva chiamata per nome, ritrovandosi a
fissare negli occhi l’uomo che avrebbe volentieri chiamato padre, se ne avesse
avuta l’occasione. Era spaventato, lei lo sentiva bene, ma era anche
estremamente orgoglioso. Forse temeva per lei, per la sua anima. Ne avrebbe avute tutte le ragioni, ma quello di certo
non sarebbe stato il momento giusto per parlarne. Avevano problemi più
importanti di cui occuparsi.
«Dobbiamo andare via immediatamente» li avvisò, lasciando
cadere la mummia fra le sue braccia con un tonfo sordo. «Mulciber
era convinto di essere Sisifo, motivo per cui non ha fatto storie nell’essere
lasciato qui con noi da solo. Probabilmente era solo una distrazione ed in
questo stesso istante Tiresias sta portando avanti il
suo piano ben lontano da qui. Malfoy stava male, quindi probabilmente è
coinvolto. Non ho idea del perché abbia messo in mezzo quest’idiota, per quanto
possa avere dei sospetti, ma non possiamo permetterci di rallentare. Ho il-».
«Trina»
chiamò ancora Maine, questa volta palesemente preoccupato al solo guardarla. Temeva davvero per lei. «Trina, sembri
più cadavere del solito. Le tue labbra sono nere»
le fece notare, ansioso, ma restando saggiamente a parecchi passi di distanza
da lei e senza far cenno di volerla toccare. «Non era mai successo prima, non a
questi livelli».
Tra le varie possibilità a sua disposizione, Kate
convenne che mentire fosse la più saggia.
«È solo eccesso di potere, non avevo mai consumato
un’anima, prima. Finché non troverò modo di smaltirla resteranno così, ma non
c’è nulla da temere, mi rendono semplicemente più forte». Per buona misura,
sorrise nel modo più rassicurante possibile e l’uomo, seppur ancora dubbioso,
si tranquillizzò leggermente. «Adesso, però, dobbiamo andare. Per quanto Tiresias non abbia avuto modo di prevedere il modo in cui
io l’avrei distrutto, non dubito che lo sapesse già. Potrebbe aver già messo in
atto il suo dannatissimo piano, qualunque esso sia, contando in un minimo
rallentamento». Accigliata, si voltò a fissare la mummia ormai raggomitolata ai
suoi piedi, per poi controllare la tasca della propria giacca, trovandola
naturalmente vuota. «Sapeva che noi
saremmo stati mandati e che io avrei portato con me il Necromicon…
immagino che Mulciber gliel’abbia consegnato dopo
avermi colpita con la sua illusione. Ma perché ci ha lasciati qui? Perché io e
Potter siamo ancora qui? Siamo due terzi del sangue necessario per completare
il rituale dell’Evocazione».
Harry, chiamato in causa, scostò lo sguardo dal
bozzolo in cui doveva essere ancora rinchiusa Hermione. Avrebbero dovuto
liberarla, prima che potesse succedere l’irreparabile. Fortunatamente la sua
energia vitale era ancora a livelli accettabili, non rischiava nulla. «Potrebbe
essere parte della trappola. Ha preso il libro, ha avuto il tempo di cercare
gli altri ingredienti e, ovviamente, sa che andremo a recuperare Winnie, come
previsto» ragionò l’Auror, stringendosi nelle spalle.
Barry annuì, avvicinandosi ad Hermione per cercare
un modo di liberarla. Kate sospettò ci fosse lo zampino di qualche animale,
visto il suo coinvolgimento. Quindi Tiresias aveva previsto la necessità di un Magizoologo.
«Immagino sia così. Cosa che ci porta alla domanda più importante: dov’è Winnie?».
Il dolore al petto, che fino a quel momento non si
era mai assopito, la fece quasi piegare nuovamente in due, mozzandole il
respiro.
Condividere
l’energia vitale è come condividere lo spirito.
Non era un pensiero suo, ne era piuttosto sicura.
Non aveva mai pensato con una voce differente dalla propria, quindi era
piuttosto certa che quel sussurro appartenente ad un uomo non di sua conoscenza ma comunque parecchio familiare non fosse
stato semplicemente frutto della sua immaginazione12, tuttavia non
si soffermò a preoccuparsene. Chiunque le avesse sussurrato quel dettaglio le
fece un enorme favore.
Condividere lo spirito, per le e Malfoy,
significava condividere parte dell’essenza, parte dell’anima. E Draco, dopo averla aiutata a cambiare, aveva giurato a suo
padre che non avrebbe permesso che si facesse del male.
Aveva fatto una promessa a suo padre.
L’Araldo
di Thanatos.
«Trina?» la chiamò Barry, dopo che Harry,
preoccupato, gli aveva dato un colpo sulla spalla, distraendolo dal bozzolo di
Hermione. Quando lei si voltò a guardarlo, con l’orrore negli occhi, non
impiegò più di tre secondi a balzare in piedi e raggiungerla. «Che succede?».
I pensieri nella sua mente avevano iniziato ad
accavallarsi fra loro, desiderosi di diventare coscienti e gettarla ancora di
più nello sconforto più nero. «Tua moglie è incinta»
gli fece notare, secca. «Incinta, nel senso che una vita sta crescendo dentro di lei» continuò, deglutendo
rumorosamente. «Lei sta custodendo
un’anima, può decidere cosa farne. È la
padrona di un’anima». Lentamente, i suoi occhi neri si spostarono su Harry,
rimasto a fissarla basito. «Malfoy. Lui è un Araldo della Morte a causa mia».
Fortunatamente il Bambino Sopravvissuto dimostrò
di non essere tardo come lei gli
aveva più volte rimproverato. Lo osservò impallidire e reggersi al bozzolo di
Hermione, quasi si fosse sentito ad un passo dal perdere i sensi. «Perché ho la
sensazione che Fred, che tu hai
resuscitato, in questo momento si trovi con loro?».
Fred,
colui che è ritornato.
«Siamo stati così egocentrici da non capire» sussurrò, piena di orrore, lasciando che
quel dolore al petto la soffocasse, ma solo per un attimo. «Lui è da loro, sono loro le vittime, perché noi
saremmo stati troppo difficili da controllare e per questo dovevamo essere
allontanati» esalò ancora, tornando a guardare Barry, evidentemente sull’orlo
di una crisi di panico. «E tu. Se tu
non fossi stato qui, Philly non sarebbe stata rinchiusa. Stessa cosa per
Hermione» aggiunse, collegando i pezzi come se fosse stata intenta a ricostruire
un enorme puzzle.
«E se non avesse costretto Winnie a uccidere Fred,
tu non lo avresti resuscitato, lui non sarebbe ritornato» intervenne Harry,
passandosi nervosamente le mani fra i capelli. «E… e se non ci fosse stato
l’attacco a Diagon Alley, tu non avresti saputo che
Ophelia era incinta e non le avresti impedito di venire qui. E Malfoy… Tiresiassapeva
che sareste andati insieme a cercare il libro».
«Io-». Il dolore al petto divenne nuovamente
insopportabile e per un istante – un terribile
istante – Kate vide chiaramente il viso di Draco contorcersi per il dolore.
«Dobbiamo andare, subito! Per quanto
ne sappiamo, quel mostro potrebbe essersi introdotto nella base senza neppure
essere notato!» urlò, guardandosi
intorno in preda all’ansia.
Fu in quell’istante che notò la porta. E ciò che si nascondeva giusto dietro.
«Hermione. Dobbiamo liberare anche lei, non
possiamo lasciarla qui, finirebbe col morire» la fermò il Magizoologo, il tono
quasi impassibile. «Immagino che io dovrò restare e aiutarla» continuò,
tornando ad inginocchiarsi per riprendere da dov’era stato interrotto. Quello
non era un atteggiamento da Barry Maine, ma se c’era una cosa che sia lui che
Kate avevano imparato era arrendersi
all’inevitabile. E tutto ciò che era accaduto loro probabilmente fin dalla
nascita era inevitabile.
Harry lo guardò come se fosse impazzito. «Ophelia
è in pericolo! Possiamo lavorare
insieme per liberare Hermione e poi andare, non ti lasceremo qui da solo, potrebbero esserci altre mille
trappole e il dannato ragno che ha fatto
questo! Non dirmi che non è ancora in giro, non ti crederei» squittì,
istericamente, avvicinandosi per prenderlo per il braccio e costringerlo a
rialzarsi.
Fu Kate a fermarlo, le guance sporche di lacrime
rossastre.
Barry
aveva ragione.
«In un modo o nell’altro, lui resterà qui» gli
fece notare. «Tiresias non l’avrebbe fatto venire
qui, altrimenti. Vuole allontanarlo» continuò, voltandosi per osservare la
porta d’ingresso al magazzino, ancora sbarrata. «E tu resterai con lui».
«Sei forse
impazzita?».Fu un coro a due
voci che la aggredì, ma lei non vi diede molto peso.
«Era tutto previsto. Harry, tu dovrai assicurarti
che lui possa finire il suo lavoro e che non venga attaccato, così che anche
Hermione possa uscirne sana e salva. Io
andrò a fronteggiare Tiresias, da sola». Alzò la mano per impedire ai due di ribattere. Era terrorizzata. «Non lo capite? È una resa
dei conti, questa. Vuole che io
assista, che fallisca nel tentativo di fermarlo e che muoia sotto lo sguardo
impotente di chi li ha condannati all’Indefinito. Dietro quella porta» ed
indicò l’ingresso che aveva continuato a fissare, «ci sono così tante creature oscure da richiedere qualcosa
in più di unAuror
o un Magizoologo. Se dovessimo uscire
tutti insieme o se solo uno di voi dovesse seguirmi, verremmo certamente
attaccati».
«E tu
allora? Come pensi di farcela da sola?». La voce di Barry era priva di
qualunque emozione, tanto era l’orrore al pensiero di perdere tutte le persone
che aveva più care. «Una Succubus potrebbe mai
farcela da sola?».
Kate sorrise, nonostante dentro di sé volesse solo
mettersi ad urlare. «Non mi faranno del male. Probabilmente molti di loro sono
qui per scortarmi da Tiresias» gli fece notare,
iniziando ad avviarsi all’uscita, la bacchetta in una mano ed il pugnale
nell’altra. «Liberate Hermione, sono certa che tutti e tre riuscirete a trovare
un modo per raggiungerci e… salvare il
salvabile».
«Kate-».
«Harry, non mi faranno del male» lo interruppe,
voltandosi per dedicargli un’ultima occhiata, la bacchetta già alzata per
spalancare l’ultima difesa fra lei e l’oscurità. Con la coda dell’occhio, notò
mani artigliate pronte ad afferrarla e trascinarla via, proprio come aveva
immaginato sarebbe successo. «Io sono
l’ospite d’onore».
Un passo ed i Terrori Notturni la inghiottirono.
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Io ve l’avevo detto che
non c’era da star tranquilli per Sisifo.
La #SuicideSquad
è diventata #SuicideSoloMission
Ah, sì, #PrayForDraco
Punti importanti:
» * - Mai fidarsi di un demone. Ha cento motivi per qualunque
cosa faccia e almeno novantanove sono cattivi.Tiresias è parecchio più lungimirante del previsto.
» 1 – Kate sta,
effettivamente, immaginando Eros, ma si tratta solo di una ricostruzione della
sua mente basata su ciò che ha studiato nel tempo. Eros, poverino, non è
riuscito mai a parlarle direttamente (fatta eccezione per dopo, c’è la nota
specifica) e lei ha semplicemente immaginato tutto per autoconvincersi di poter
cedere, di potersi sentire fortunata nonostante tutto. Quindi no, Katie non è
mai finita davanti all’altro padre immortale, era solo frutto del veleno. Ci
sono tante tracce di questo suo aver “creato” l’incontro con Eros (lo sguardo
di Barry, il modo in cui lui le parla…).
» 2 – Non avevo idea di cosa fargli dire. “Per l’amor del
Cielo” non mi è sembrata una frase poi tanto adatta, quindi boh…
» 3 – “Bestione da
compagnia” è la definizione che il Gran Sacerdote usò per spiegare gli Auctor/Amanti. Non essendoci rapporti familiari (come
invece accadeva quasi sempre) i Negromanti hanno sviluppato una certa stizza
verso questi legami, cominciando a paragonare un Auctor
ad un cagnolino federe.
» 4 – Nella mente di Katie, Eros si è “consumato” per
ottenere abbastanza potere da spedirla in una realtà alternativa. Eros non
avrebbe potuto farlo e, comunque, spesso amare vuol dire sacrificarsi, non
l’avrebbe salvata così a cuor leggero.
» 5 – Significa fulmine. Perché Katie era velocissima
sulla scopa. E Oliver è un biscottino alla crema che va protetto.
» 6 – IO AMO OLIVER BASTON
FOREVER NEL MIO CUORE!!! AMORE PERDONAMI PER QUELLO CHE TI STO FACENDO!!!!!!!!
SEI IL N.1!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! TI AMO OLIVER <3
» 7 – Questo “mondo”
che Kate ha creato con Oliver è quello che io immagino sia successo nel canon. Quindi Oliver ha avuto la sua cotta fin dal primo
anno di Katie (all’epoca non era una cosa razionale ovviamente, era solo grande
affetto) e pian piano l’ha sviluppata fino a scoppiare alla penultima partita
del terzo anno di Harry (Grifondoro vs Corvonero), quando poi sono finalmente
finiti insieme. È così e basta, non vi permettete a contraddirmi. Katie/Oliver
nel cuore proprio.
» 8 – Sant’Andrea è il
Santo Patrono della Scozia, il corrispettivo di San Patrizio in Irlanda! E
Oliver è un fierissimo scozzese che ha sempre festeggiato insieme a tutta la
sua patria. Ma poi si è ammorbidito per amore della sua Katie. Rimando alla
nota 6 per sottolineare come mi sento in questo momento.
» 9 – Katie era una
Grifondoro. Piton era un mostro con i Grifondoro. Non parlatemi bene di Piton
perché davvero mi viene l’acidità di stomaco. <3
» 10 – Come ha fatto Kate
a liberarsi del tutto prima degli altri due? Katie non è del tutto umana. Così come lo Stupeficium non fa volare via
Hagrid, un semplice veleno non la trattiene come gli altri. Quando ha evocato
il suo potere (che si era assopito), ha bruciato via tutto.
» 11 – Headcanon: Marco Antonio era l’Auctor
di Cleopatra. Hanno deciso di morire insieme. Passo e chiudo.
»12 – Si tratta della voce di Eros, my boy <3
DunDun DUUUUUUUUUUUUUUUHN!!!!
2.0
Il grande Mulciber, questo mostro
orrendo in realtà era soltanto il tipico pallone gonfiato con la
raccomandazione. Sì, si mangiava davvero le sue vittime e le torturava
psicologicamente, ma è diventato tanto grande
solo perché Tiresias da dietro le quinte tirava i
fili, rendendolo apparentemente più forte del previsto.
Poverello, se non avesse
torturato Winnie mi farebbe quasi pena.
Kate ha davvero bisogno
di aiuto.
E io ho un girone
infernale riservato.
E voi non avete ancora idea.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 28 *** Atto XI, Parte I - L'Erede del Male ***
L’Erede del Male.
“Even if I seem dangerous,
Would you be scared?
I get the feeling just because,
Everything I touch isn’t dark enough
If this problem lies in me.”*
[Imagine Dragons - Monster]
Atto XI, Parte I
– L’Erede del Male
Non era un buongiorno, quello che li svegliò quella mattina.
Prima di tutto, Draco si ritrovò ad essere praticamente scavalcato da una Ophelia Perderghast in preda a quelle che col senno di poi tutti
riuscirono a riconoscere come dannatissime nausee mattutine. Poi, come se già
la vergogna di essersi addormentato accanto
alla donna non fosse stata abbastanza, si ritrovò a bisticciare – non c’era
termine migliore, davvero, era proprio quello che avevano fatto, lanciandosi
sguardi accusatori a vicenda – con Fred Weasley per decidere chi dovesse avere il piacere di assistere la vomitante
donna nell’unico bagnetto della piccola prigione-appartamento in cui erano
stati rinchiusi, perdendo miseramente
dopo tre veloci colpi di sasso-carta-forbice.
Quel maledetto gemello doveva avere un qualche trucchetto su
per la manica del mantello. Forse aveva usato la legilimanzia senza che Draco
se ne rendesse propriamente conto. Il
bastardo.
Per concludere in bellezza il quadro già tragico, subito dopo
aver finito di buttare fuori qualunque cosa avesse mangiato la sera prima,
Ophelia, completamente ripresa, sembrò acquisire tre volte l’energia che un
essere umano non avrebbe dovuto avere a quell’indegna ora del mattino,
iniziando a chiacchierare come un grillo impazzito ed a chiedere ai loro
controllori, nonché suoi colleghi, se ci fossero novità.
Fu una ragazza a far loro visita per portare, in teoria, delle
risposte. Non avrebbe potuto avere più di una ventina d’anni, forse lievemente più
grande di Draco stesso, anche se solo di un annetto o giù di lì. Non appena
aprì la porta e si ritrovò accerchiata, Draco non la biasimò per essere quasi
balzata via per lo spavento. Anche lui l’avrebbe fatto, se fosse stato aggredito verbalmente da un
ex-Mangiamorte, da una collega anziana e da un Weasley. Era piuttosto certo che tutta la famiglia fosse portatrice
sana di qualche malattia altamente contagiosa, altrimenti non avrebbe potuto
spiegarsi perché quasi tutte le persone a loro collegate fossero in qualche
modo bizzarre1.
La ragazza, fra i tre assalitori e le loro mille domande,
preferì concentrarsi, ragionevolmente, su quelle dell’unica persona con cui
dovesse aver avuto un qualche rapporto negli anni. «Philly, come ti senti? Il
Dottore mi ha chiesto di venire a portarti delle pozioni contro le nausee
mattutine, anche se ha raccomandato di prenderne dosi minime perché portano un
fastidiosissimo irsutismo» sbottò, la voce ridotta ad uno squittio per poter
sovrastare tutte le loro voci e farsi finalmente ascoltare. Quando la donna la
fissò come se fosse impazzita, lei arrossì miseramente, allungando un set di
ampolline colorate. «Scusa, io… mi dispiace, io non volevo neppure venire qui,
ma il Dottore…» continuò, presa vagamente dall’ansia, arretrando quanto
possibile sotto le occhiate sempre più allibite dei tre. Alla fine, in tutta
sincerità, Draco sentì un moto di pietà nei suoi confronti che credeva di non
aver mai provato prima.
Era così piccola. E
con quella matassa di capelli nerissimi sembrava un cucciolo di barboncino
caduto nella cenere. Ed aveva l’ansia.
«Ivy, respira, stai avendo un attacco di panico» le fece notare Ophelia,
senza avvicinarsi e facendo cenno a Weasley di non farlo a sua volta. Non
voleva che la toccasse, forse per non peggiorare lo stato d’angoscia in cui già
la poveretta sembrava trovarsi. Ma perché, poi? L’avevano solo assalita di domande, mettendola alle strette senza neppure
darle il tempo di dire buongiorno.
La ragazza – Ivy– la fissò con
ancora più orrore. «Mi dispiace, non
dovrei farti agitare, io l’avevo detto al dottor Crave
di mandare Jordan al mio posto» si lamentò allora, fissando la collega più
anziana con quella che Draco avrebbe potuto definire disperazione dipinta negli
occhi verdini. «Lui crede che parlare potrebbe aiutarmi con i miei problemi di
relazione interpersonale ma sicuramente è una sciocchezza, di solito inizio a
sparlare e alla fine vomito».
Il suo colorito verdognolo confermò quella possibilità,
spingendo sia Draco che Weasley ad arretrare. Ophelia, invece, dovette farsi
prendere dall’istinto materno, perché si ammorbidì e le sorrise gentilmente.
«Il Dottore ha ragione, parlare ti farà certamente bene, cara» la rassicurò,
prendendo le pozioni dalle sue mani con delicatezza, pur dovendole, alla fine,
quasi strappare via a forza a causa della presa assassina in cui lei le aveva
strette. «E ti ringrazio anche per queste, sono certa che mi saranno utili
nonostante l’irsutismo» continuò, ottenendo addirittura un sorriso – o forse
una smorfia? – dalla ragazza. Stava finalmente tornando ad avere un colorito
piuttosto normale, fortunatamente. «Adesso, però, puoi dirci se ci sono notizie
degli altri in missione? Ci sono notizie da Barry?».
Se inizialmente il colore era svanito leggermente dalle sue guance, in quell’istante sembrò svanire da
tutto il suo corpo, facendo temere a Draco che fosse sul punto di svenire. Un
brivido gli corse lungo la spina dorsale al solo pensiero delle notizie che dovesse
essere stata costretta a portare loro. Avevano inviato una pecorella indifesa
per evitare grandi scenate? Se davvero fosse successo qualcosa a Kate, lui non
avrebbe dovuto percepirlo?
E se fosse stata una morte tanto brusca da non lasciare segni?
Se non fosse stata una morte vera e
propria ma qualcosa nel mezzo?
Se le fosse successo qualcosa mentre lui era costretto lì
dentro non avrebbe risposto di se stesso.
Ivy deglutì. «Non… non abbiamo avuto
notizie da nessuno di loro» mormorò, stringendo poi le labbra. Sembrava
tormentata da qualcosa e, se normalmente Draco non avrebbe dato più di un
pensiero ad una cosa simile, in quell’istante si ritrovò ansioso come mai.
«Ma?» la incitò Weasley, prima che lui potesse farlo,
rubandogli anche l’occasione di tirar fuori la vecchia voce da purosangue
arrabbiato2 che Lucius aveva avuto la
decenza di insegnargli, prima di darsela a gambe e morire in un modo che
neppure Kate, figlia della Morte,
aveva potuto comprendere. Ovviamente, considerando quanto la ragazza fosse sul
punto di mettersi a strillare per l’ansia, forse l’approccio del rosso fu
migliore. «Lo so che c’è un ma».
«Ivy, ti prego» si inserì anche
Ophelia, dedicandole i migliori occhioni da unicorno abbandonato di cui dovesse
essere in possesso e che a Draco fecero alquanto impressione: aveva visto la
stessa faccia su Potter un numero indefinito di volte. «Ti prego, se è successo
qualcosa a mio marito…».
La ragazza scosse il capo, ritornando in se stessa. «Non
abbiamo alcuna notizia, positiva o negativa. Sono solo un po’ confusa sul
perché non abbiamo mandato una squadra di ricognizione, quando non abbiamo
ricevuto alcuna risposta» mormorò, mordicchiandosi le labbra con fare nervoso.
«Avevo proposto di inviare una cavia,
ma non hanno voluto dare l’autorizzazione».
Weasley si accigliò, ma Draco, con un che di presuntuoso, lo
anticipò. «Una cavia?».
Ophelia sorrise, indicando la ragazza. «La nostra Ivy qui sta lavorando nel settore di ricerca e sviluppo.
Cavie create con tecnologia ibrida, babbana e magica3»
spiegò, orgogliosa. «Un piccolo genietto, dopo Ilvermorny
è riuscita a laurearsi in una università babbana di…
uhm… ingegneria, non è vero?».
La ragazza arrossì di nuovo, questa volta come reazione
complimento. «Ingegneria meccanica, sì» mormorò, grattandosi distrattamente il
collo. «Mio padre non si è mai rassegnato al fatto che fossi una strega come la
mamma e ha continuato a darmi lezioni per tutta la vita. Alla fine ho trovato
un compromesso e mi sono laureata al MIT dopo aver finito Ilvermorny4».
«MIT? E cos’è precisamente l’ingegneria meccanica? Come hai
fatto ad unire magia e roba dei babbani? Non è esploso tutto subito?» sparò a raffica il gemello,
palesemente intrigato da quella scoperta. «Tuo padre è un babbano
che ha studiato ingegneria?».
Il colorito di Ivy sfiorò tonalità
nuove alla razza umana, mentre Ophelia la osservava con cipiglio parecchio
divertito. «Il MassachussetsInstitute of
Technology, è un college americano specializzato in vari settori, fra cui
l’ingegneria meccanica. Io… uh… costruisco cose. Ho sempre costruito cose. Ho scoperto di essere una strega perché
mentre giocavo con dei Lego questi hanno iniziato a levitarmi intorno». Il suo
sorriso si allargò quando iniziò a parlare di suo padre. «Mio padre, Anthony4,
è a capo di una… industria, credo
possiamo chiamarla così. Voleva che lavorassi con lui, dopo la laurea, ma ho
preferito venire qui. Non è stato molto contento».
«Ma tornando alla magia ed alla tecnologia babbana,
come-».
«Quello che Weasley vuole dire» interruppe Draco, che
sinceramente ne aveva abbastanza di chiacchiere su babbani capaci di costruire
cose e su università, soprattutto
quando la donna di cui era innamorato si trovava in qualche luogo dimenticato
da Merlino e con il serio rischio di non tornare più, «è perché non ti hanno fatto mandare queste cavie? È procedura
standard, di solito?».
Ivy, leggermente rossa, annuì. Gli
occhi verdi sembrarono scintillare dall’entusiasmo che la discussione stava
portando. «Io stavo per mandarle, il Dottore però mi ha consigliato di chiedere
perché se poi mi avessero rimproverata avrei fatto passi indietro con la
terapia» ammise, con una certa vergogna. Crave doveva
averla in cura per quel suo leggerissimo problema d’ansia. Era mai possibile
che fra le banshee non ci fosse qualcuno sano di mente? «Quando il Supervisore
mi ha urlato in faccia di farmi i fatti miei sono tornata a dirglielo. Mi è
sembrato assurdo».
Ophelia fece una smorfia. «Mi puzza tantissimo di richiesta
avanzata da Kate, questa. Non le è mai piaciuto avere Cavie alle spalle» si
lagnò, passandosi una mano sullo stomaco con fare pensieroso. Che stesse già
cercando di accarezzare il bambino? Un medico avrebbe dovuto sapere che lassù
non avrebbe trovato nulla. Forse aveva bruciore di stomaco.
Weasley la imitò. «Anche Hermione è tipo da fare queste
sciocchezze. Forse credevano che con le Cavie avremmo potuto rintracciarli?
Potrebbero averlo richiesto per lavorare in pace e tenerci fuori da tutto».
Era una spiegazione sensata, naturalmente, ma il sesto senso
di Draco non sembrava esserne particolarmente convinto. C’era qualcosa di
assurdo in tutta quella situazione, qualcosa che aveva continuato a puzzargli
di marcio da ben prima di essere coinvolto.
Ivy, incerta, si guardò un momento
intorno prima di fare un passo avanti con aria cospiratoria. «Sentite, potrei
finire in un mare di guai per questo»
mormorò, tirando fuori quello che aveva tutta l’aria di essere uno specchietto.
«Non volevo farlo ma… io… Katie5 è una Succubus, io ho letto di loro solo
nei miei libri di scuola ed ero curiosa, così…».
Draco si irrigidì, fissandola storto per una manciata di
secondi. Poi le implicazioni di quell’affermazione presero possesso di lui. In
un balzo la prese per le spalle, scuotendola leggermente. «Hai mandato qualcosa
a seguirla? Sai dov’è? Sta bene?».
Nel panico totale e con le pupille dilatate al massimo, Ivy piagnucolò finché Ophelia non lo tirò via,
intimandogli, con un sibilo, di non toccarla. Le servirono una manciata di
secondi prima di trovare sufficiente forza d’animo per riprendere a parlare.
«Qualcosa li ha attaccati, stando alle registrazioni, ma i parametri vitali di
Kate sono normali, io… non so cos’è successo, ma so che sono ancora bloccati nel
nord della Scozia6».
Nord
della Scozia.
Non era una indicazione precisa ma, se necessario, Draco non
si sarebbe fatto alcun problema nel rivoltare l’intera isola finché non
l’avesse trovata. Il pensiero che potesse succederle qualcosa e che le sue
ultime parole fossero state di ripudio per il loro legame lo uccideva. Non
aveva potuto dire addio ai suoi genitori, non avrebbe permesso che succedesse
anche con lei.
Armato di determinazione capace di sfiorare il ridicolo, si
voltò immediatamente verso l’appendiabiti dove aveva lasciato il suo mantello
dopo essere stato rinchiuso molto amabilmente da un paio di Banshee annoiati.
Avrebbe dovuto richiedere più informazioni ed elaborare un piano, non era certo
uno stupido Grifondoro pronto a lanciarsi allo sbaraglio senza aver prima
elaborato un modus operandi. Non era un
idiota. In quel momento, però, l’ansia fu tale che per non si preoccupò di
nulla, se non di preparare se stesso e lanciare uno sguardo a Weasley. «Io vado
a recuperare Kate, tu vuoi venire?».
L’entusiasmo con cui Fred si precipitò a recuperare il proprio
mantello lo avrebbe fatto accigliare, in tempi normali, ma non si sentiva poi
tanto differente da lui. Se non fosse stato allenato
a controllare le proprie reazioni avrebbe inciampato nei propri piedi in più di
un’occasione.
«Vengo anche io» si intromise Ophelia, lo sguardo fiero che
tuttavia sparì non appena Fred inarcò le sopracciglia nella sua direzione,
scettico. «Che c’è? Credi forse che io non sia capace di aiutarvi?».
Weasley scosse il capo, esasperato. «Tu sei l’unica che deve restare al sicuro, non ho la minima
intenzione di portarmi dietro una donna incinta. Una cara amica di famiglia
partecipò alla Battaglia di Hogwarts pur avendo partorito da poco e solo per
stare vicina a suo marito» le disse, la voce improvvisamente triste. «Suo
figlio è rimasto orfano di entrambi, il tuo potrebbe non nascere affatto. Hai
un’altra priorità e tuo marito concorderebbe con me, se potesse» le fece
notare, mentre Draco, un paio di passi lontano da lui, si irrigidiva.
Stava parlando di sua cugina Ninfadora, che Bellatrix, loro zia,
aveva ucciso a sangue freddo. Teddy stava crescendo
con la nonna, Andromeda, e con Potter
come padrino. Era stato sfortunato, povero piccolo.
«Comunque non me la sento di mandare voi due da soli in una
missione non autorizzata! Non conoscete le procedure, non siete neppure delle Ban-» proprio nel bel mezzo della sua predica, Ophelia si
fermò per lanciare uno sguardo significativo alla ragazza – Ivy
– che era rimasta a fissarli tutti con una certa curiosità mista ad
inquietudine. «Hai detto che il Dottore ti ha mandata qui?7».
Improvvisamente al centro dell’attenzione, la ragazza squittì.
«Uhm… sì? Per migliorare le mie relazioni interpersonali, perché non posso
vivere più in sintonia con le macchine che con i miei colleghi, rischio di non
essere mai pronta per una vera
missione» ammise, seppur parecchio imbarazzata. «Perché me lo stai chiedendo?».
Il sorriso malevolo che lei gli dedicò la fece impallidire di
colpo. «Dimmi, cara, quanto manca alla fine del tuo addestramento?».
«Oh, no, no, per
favore, no» supplicò invece Ivy, stringendo lo specchietto al petto come se quello
avesse potuto salvarla. «Ti prego,
non farmelo fare. Non sarei di grande aiuto sul campo, rischierei di farmi
prendere dal panico nel bel mezzo dell’azione e… e comunque non ho ancora
superato la mia prova d’azione8, non vorrai davvero rischiare…».
«Quanto ti manca, Ivy?».
Lei sospirò, sconfitta e vagamente spaventata. «Solo la prova d’azione,
che dovrei sostenere la settimana prossima» ammise, prima di tornare a
guardarla con aria vagamente più battagliera. «Però se dovessero scoprirmi rischierei di essere punita come la
Granger8 e allora-».
«Ma se non dovessero
scoprirti» la interruppe Weasley, che stranamente sembrava propenso all’idea di
portarsi dietro quella sottospecie di squittente topino nero di campagna, «e la
missione dovesse riuscire, allora questa potrebbe essere considerata una prova
d’azione e addirittura potresti ottenere gli
onori, proprio come Hermione».
Lei, giustamente, apparì dubbiosa. «Non sono
comunque sicura che sia una buona idea, davvero. Non voglio rallentarvi, io…»
si fermò, per un istante, fissando Draco dritto negli occhi. La sua indecisione
sembrò raggiungere il picco ma, quando lui la fissò con esasperazione, sparì
nel nulla. «D’accordo,» concesse alla
fine, probabilmente punta nell’orgoglio, «verrò con voi, ma solo perché ci sono
anche Katie e Barry coinvolti. Lo faccio solo per loro» mugugnò, lanciando
un’occhiata storta a Fred, che appariva confuso. «Niente offesa per la tua
amica Granger e per Harry Potter, ma lei ha fatto esplodere tre dei miei droni e lui è inquietante».
Weasley ebbe il buongusto di ridacchiare. «Hermione non è mai
andata davvero d’accordo con la tecnologia babbana,
per questo si trova tanto bene con i maghi, ed Harry è solo… incompreso». Per nulla preoccupato dall’antipatia
dimostrata verso le due persone verso cui doveva essere più legato, lui le
indicò la porta. «Dopo di te, Agente Ivy. Dopotutto
sei tu ad avere l’aggeggio per rintracciarli».
La ragazzina arrossì miseramente, ridacchiando. «Agente Ivy… mio padre mi chiama sempre così» spiegò, dati i loro
sguardi sorpresi. «Quando sono entrata nelle Banshee ha minacciato di non
parlarmi più, perché aveva paura che potessi… beh, farmi uccidere. Però io l’ho
rassicurato, gli ho promesso che avrei badato a me stessa e allor lui ha
iniziato a chiamarmi così». Con un sospiro, accettò il mantello che Ophelia le
stava porgendo. Evidentemente lei ne era sprovvista e la donna incinta non
voleva che andasse in giro scoperta. Forse era davvero istinto materno. «Quindi…
uhm… vengo con voi? Siete sicuri?».
«Non abbiamo poi così tanta scelta» commentò Draco, secco. «La
missione non è autorizzata, dubito che qualcun altro sia disposto a rischiare
così tanto per Kate e gli altri, non penso che siano poi tanto popolari».
Ophelia fece una smorfia. «Trina non ha mai raccolto molte
simpatie, fatta eccezione per Ivy ed un altro paio, e
tanti sanno bene chi sia Winnie.
Quanto ad Hermione… non è stata mai molto aperta alle amicizie» mormorò,
stringendosi poi nelle spalle. «Ed io e Barry ci troviamo bene fra noi, grazie
mille».
«Lui però attira un sacco di amici» si intromise Ivy, volendo forse essere utile. «Tutti si chiedono sempre
come abbia fatto a perdere la mano! Io ho scommesso su un Nundu
poco simpatico».
Per una qualche ragione, Ophelia grugnì una risata. «Chiedilo
a lui, sono certa che sarà lieto di risponderti non appena lo avrete recuperato
da qualunque guaio lo abbia inghiottit- oh. Buongiorno capo, come mai da queste
parti?».
Alla porta, il Supervisore li osservava tutti come se fossero
stati un gregge di pecorelle sorprese a fare le bulle con un lupacchiotto. Li
fissò uno ad uno per un lungo momento, il cipiglio tedesco ben evidente nel
modo in cui teneva il mento alto. Faceva un po’ paura, con quei suoi lunghi capelli neri e gli occhi azzurri.
A Draco ricordò terribilmente il suo prozio Ivan.
«Cozazignificaqvesto?» domandò lui, ignorando bellamente Ophelia ed
il suo tentativo di mostrarsi gentile. «Cretevo di
aver ordinato voi di ztare in camera zoli, per voztrasicureza» continuò, algido, fissando la più giovane Banshee
come se fosse stata un moscerino e spingendola ad arretrare velocemente fino a
nascondersi dietro Draco e Weasley. Lui non riuscì ad evitare di constatare che
lei fosse appena riuscita ad aprirsi un po’, prima che lui la riducesse a
condizioni peggiori di quelle iniziali. Il Dottore non sarebbe stato felice di
quella involuzione.
Ophelia, unica, vera
Banshee, si fece avanti. «Signore, non si arrabbi con l’Agente Stark4,
sono stata io a chiederle di farsi avanti. Gli altri membri della mia squadra
sono in pericolo e sono trascorse le ore necessarie per inviare una missione di
recupero, che però non è stata autorizzata. Per quale motivo? Possiamo
trovarli, no? Saremmo dovuti partire ore fa».
Il supervisore la fissò male per qualche istante, prima di
liquidarla con un gesto. «Non c’è bizogno di tanto
clamore» disse, secco, facendo cenno a qualcuno dietro di lui di farsi avanti.
«Missione è riuscita, Agente Vane è ztata recuperato»
annunciò, vagamente fiero, mentre Winter – proprio lei, con i suoi capelli
biondi e gli occhi verdi pieni di tristezza – faceva il suo ingresso, come se
non fosse stata appena rapita. «Altri zono in ufficio, tevonoscrifere rapporto».
Draco avrebbe tirato un sospiro di sollievo, se Ivy, dietro di lui, non avesse grugnito qualcosa di molto
simile a «Non è possibile». Con la
coda dell’occhio, la vide chiaramente fissare il suo specchietto e poi puntare
gli occhi su di lui, accorgendosi di essere osservata. «Loro sono ancora in Scozia».
Allungare la mano per tirare indietro Ophelia ed alzare
l’altra con la bacchetta fu quasi automatico, per lui. Weasley, pur non avendo
sentito, capì velocemente che ci fosse qualcosa di sbagliato.
«Coza volete?» chiese pigramente il
Supervisore, fissandoli tutti come se fossero stati delle stupide formiche.
«Giù bacchette, adesso» ordinò, senza
tuttavia accennare a farsi avanti, senza fingere
di volersi difendere. Al suo fianco, Winter restò impassibile.
«Non è vero che sono tornati» fu proprio Ivy
a farsi avanti, pallida ma determinata, sventolando davanti a sé il suo
specchietto. «Sono ancora in Scozia,
vittime di una qualche trappola! E
scommetto quello che vuole che quella lì non è neppure la vera Winter» sbottò,
sempre in uno squittio, superando tutti gli altri per potersi piazzare di
fronte ai due. «Le mie cavie non possono sbagliare. Loro non sono qui».
Il Supervisore la fissò solo per un paio di istanti, annoiato.
Quando parlò, la sua voce era differente, priva di qualunque accento e molto
più femminile. «Credevo fossi soltanto una piccola noia, ragazza» sbottò, con una smorfia. «Ti sei rivelata un altro dei
miei calcoli sbagliati, ma poco male» aggiunse, voltandosi a questo punto verso
Winnie. «Pensaci tu, amore mio».
Draco non ebbe neppure il tempo di realizzare cosa fosse successo. Un momento prima,
Winnie stava guardando Ivy come se non fosse nulla di
rilevante, quello dopo la sua mano le era sprofondata in petto, riemergendone
con un cuore ancora pulsante stretto fra le dita ed il sangue probabilmente
caldo che le gocciolava fin sul gomito.
IvyStark,
prima strega laureata del MIT e promettente Banshee, con un padre che la
credeva al sicuro, cadde a terra come se all’improvviso averse perso tutte le
ossa del corpo.
Il suo viso era ancora contorto nell’espressione più
coraggiosa che dovesse aver mai fatto.
Lo sarebbe sempre stato.
***
Ophelia era stata sul punto di balzare in avanti e,
probabilmente, dare un pugno a Winnie, senza neppure preoccuparsi di prendere
la bacchetta. Draco era stato veloce nel tirarla indietro, facendola quasi
cadere per terra tanto fu la forza che dovette usare. Fred, che fortunatamente
era stato altrettanto veloce, aveva già la propria arma puntata contro i due e
si era spostato prontamente davanti alla donna incinta. Non che entrambi
credessero che Ophelia non fosse perfettamente in grado di difendersi da sola –
era più grande e preparata di loro, oltre ad essere una Banshee esperta – ma
era incinta ed imparentata con Potter.
Non c’era da sorprendersi che sembrasse davvero pronta a prendere a cazzotti
quegli esseri davanti a loro.
Un atteggiamento sufficientemente stupido da confermare la
parentela.
«Chi diavolo siete?»
domandò Draco, proprio mentre colui che credeva essere il Supervisore – o che
forse lo era davvero? – sorrideva nell’osservare il corpo della giovane riverso
al suolo, immerso in un lago di sangue. La Non-Winter
al suo fianco era rimasta immobile, impassibile, il cuore ancora stretto in
mano. Somigliava al padre in modo disgustoso,
nonostante i colori appartenessero a sua madre. Per un istante temette che
fosse davvero lei, che non fosse una
sosia.
Ma Winter – la stessa ragazza che aveva sofferto così tanto nella sua vita – non avrebbe
mai fatto una cosa del genere.
Oppure si?
«Perché l’avete fatto?» urlò quasi immediatamente Ophelia, che
ancora tentava di scavalcare i due uomini per potersi lanciare contro i loro
nemici. «Aveva solo ventitrè anni! Era nostra amica, Win!».
Il Supervisore guardò Ophelia con scherno, voltandosi poi
verso la sua bionda accompagnatrice. «Oh,
tu credi di star parlando con Winter?» rise, un suono troppo acuto per
appartenere ad un uomo. I timori di Draco cominciavano ad essere sempre più
vicini alle certezze. «Patetico, quasi quanto quella ridicola copertura. Ho
dovuto aspettare più di vent’anni senza far nulla, credi che non avrei distrutto
quell’identità non appena avuta la possibilità?».
Fu a quel punto che Winter
sorrise, una smorfia così macabra da far accapponare anche la pelle a Draco,
che credeva di aver guardato negli occhi il
peggio del peggio degli uomini.
«Voi mortali siete così buffi,
con tutte le vostre emozioni» disse lei, sollevando il pugno in cui ancora
stringeva il cuore per poterlo osservare come chiunque avrebbe fatto con
qualcosa di particolarmente intrigante. «Buffi ma fragili. Se avessi già riottenuto tutta la mia essenza9, probabilmente sarei riuscito a trapassarla
completamente nella metà del tempo».
Sì, Draco aveva visto il peggio
degli uomini. Ma davanti a lui non c’era più Winter Vane.
«Sisifo» esalò,
scoprendo i denti come se fosse stato un animale messo alle strette da un
predatore molto più grosso e pericoloso. «Winter è sempre stata una copertura?
E Mulciber? Dove avete lasciato quel mostro? Dov’è
Kate?».
Attirato da una imprecazione di Weasley, Draco si voltò appena
in tempo per osservare il Supervisore cambiare forma ed assumere quella già
relativamente nota di Tiresias. Draco, non avendolo
mai fronteggiato prima, si ritrovò a sgranare gli occhi per la sorpresa.
L’aveva già incontrato, durante la permanenza di Voldemort a casa sua. Lo aveva
incontrato anche ad Hogsmeade, prima di usare l’Imperius su Katie Bell.
«Quante domande, Malfoy» cantilenò Sisifo, usando la stessa
voce di Winter, di sua cugina. «Sarei
tentato di non risponderti, ma, in fondo, tu ed i tuoi amici state per morire,
quindi che male c’è? Non c’è nessuno che possa venire a salvarvi» annunciò, con
una allegria quasi infantile. «Oh, ma voi ancora non avete capito, non è vero?
Eppure sono sicuro che potrete arrivarci» aggiunse, portandosi l’indice al
mento per assumere una posa riflessiva.
Non c’era niente di Winter in quella creatura.
«Dobbiamo per forza perdere tutto questo tempo?» chiese Tiresias, vagamente ansioso, voltandosi per osservare la
porta chiusa alle loro spalle. Era estremamente diverso da come Draco lo aveva
conosciuto. Non aveva mai tradito tante emozioni tutte insieme. «Non ho modo di
prevedere cosa succederà, le creature sono fuori dal mio controllo, lo sai».
Con un gesto dolce che tuttavia riuscì ad apparire strano, possessivo se non abusivo, Sisifo gli prese il mento fra
le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi. Gli stessi occhi verdi che
Winter aveva scelto ispirandosi a sua madre. «Di cosa hai paura, amore mio?
Credi forse che quel gruppetto di mortali sopravvissuto possa far qualcosa?
Abbiamo dalla nostra parte creature così oscure che molti di loro dubito ne
abbiano avuta conoscenza. Probabilmente in meno di qualche minuto saranno tutti
morti».
Dalla loro posizione, Draco e gli altri due si guardarono,
senza sapere come comportarsi, come reagire. Li stavano ignorando, come se fossero stati così insignificanti da non
meritare la minima attenzione.
Il pensiero, per quanto fastidioso, era anche terrificante.
Davanti a lui si stagliavano un veggente leggendario che per millenni aveva tirato i fili
dell’umanità direttamente dalle ombre, senza mai farsi notare ma senza fallire
del tutto, ed il suo amante immortale, momentaneamente nella forma di sua cugina.
«Tu sottovaluti il dottor Crave,
amore mio» sussurrò Tiresias, la voce ridotta ad un
mormorio innamorato – o sottomesso? – e gli occhi sgranati. Sembrava quasi debole in quel momento. «Avrei dovuto
ucciderlo anni fa, ma sono riuscito
ad ottenere la carica di Supervisore10 solo dopo che lui aveva
ottenuto la sua. Ucciderlo dopo avrebbe aperto scenari catastrofici per noi».
Quindi il
Dottore non era coinvolto.
«Cosa credi che possa fare? È un guaritore messo a capo di…
quanti, trenta agenti? Sono quasi tutti in missione, perché tu sei stato
abbastanza lungimirante, e tutti gli altri stanno combattendo nei sotterranei.
Non che io avessi dubbi, non mi avresti mai deluso, non di nuovo, vero?» chiese
allora Sisifo, stringendo di più la presa sul veggente, abbastanza forte da
farsi sbiancare le nocche.
«Non voglio più deluderti, amore mio».
«È proprio quello che pensavo» lo liquidò, lasciandogli un
bacio languido sulle labbra. Quando ricominciò a parlare – sembravano complimenti
o sciocchezzuole da innamorati – lo fece in una lingua a loro sconosciuta,
totalmente preso dal compagno, incurante di loro.
Quando Draco formulò il pensiero di creare un diversivo e
scappare – perché non ci aveva provato subito? – si rese conto, tuttavia, di un
dettaglio.
Non
poteva muoversi.
«Credevi davvero che vi avrei lasciati lì senza alcuna misura
di sicurezza, Malfoy?» rise Sisifo, somigliando così tanto a Winter da fargli
venire la nausea. «Non potete muovervi, nessuno di voi. Non avrei lasciato
qualcuno con la benedizione di Thanatos libero da qualsiasi costrizione» gli
fece notare, staccandosi da Tiresias per avvicinarsi
a lui. Gli prese il mento fra le dita, come aveva fatto con il suo compagno ma
in modo molto più violento, costringendolo ad abbassarsi fino a poter colpire
leggermente un punto sulla sua fronte, che sembrò bruciare al suo tocco. «Ah,
deve averti dato una missione importante da compiere, non è vero? Forse
qualcosa su quella tua piccola Succubus, uhm? Lui e
quell’altro pennuto sono sempre stati terribilmente possessivi verso i loro
figli».
Se qualcosa dovrà
accadere a lei o a questo libro, tu avrai la Morte a caccia della tua
inutile anima.
Thanatos gli aveva affidato una missione e lui la stava
fallendo su tutti i fronti. Non aveva idea di che fine avesse fatto il libro e
non aveva modo di raggiungere Kate e proteggerla, come aveva promesso. Il
fallimento alitava su di lui come una spada di Damocle, minacciando di colpirlo
nonostante la consapevolezza di essere il portatore di un compito affidatogli
da una divinità.
Le sue pupille dovettero dilatarsi comicamente, perché quando
fissò la donna – o uomo? – davanti a lui, ritrovò uno sguardo divertito ad
accoglierlo.
«Ah, vedo che hai capito» si complimentò Sisifo, dandogli un
buffetto sulla guancia con abbastanza forza da fargli sentire un crack sospetto alla mascella.
Stranamente non sentì dolore, forse per lo shock. «Per voi poveri ignari,
invece, lasciate che sia io a spiegare» trillò, facendo un passo indietro ed
indicando Draco con un fare altamente teatrale. «Mentre i vostri supposti tre prescelti si trovano insieme al
nostro amico Mulciber, io ho qui con me un Araldo di Thanatos,» iniziò a
presentare, indicando poi Ophelia, immobile nella sua espressione bellicosa,
«una Padrona di anime, una donna incinta che sta custodendo un’anima in via di
sviluppo», si spostò, allora, fronteggiando Fred, che ancora aveva la bacchetta
alzata. «Infine, abbiamo anche un Ritornato. La Succubus
ha fatto un ottimo lavoro con te, non è vero? Sei stato un po’ un azzardo, Tiresias non sapeva se l’abominio avrebbe avuto abbastanza
potere da riportarti in vita, ma io sapevo.
Ho rivisto Eros in lei, nonostante questo tramite umano non fosse ancora sparito».
Tramite
umano.
Forse Winter non era stata una copertura. Forse lei c’era
stata, in tutto quel tempo. Forse c’era ancora.
Sisifo ridacchiò, tornando davanti a lui. «Ah, sei davvero
intelligente! Sì, naturalmente tua cugina c’era, io non mi ero certo incarnato
in lei, all’inizio» spiegò, allegramente. «Ma sua madre era una creatura troppo
buona, troppo debole per me. Il mio povero Tiresias ha
dovuto sfruttare quel poco di buono di Mulciber,
convincerlo di essere potentissimo nonostante fosse solo uno psicopatico e
spingerlo a vedere il potenziale Beatrice per la generazione di prole. Poi
abbiamo solo dovuto preparare l’Erede e, alla fine, prenderne possesso11».
Soddisfatto di se stesso, fece cenno a Tiresias, che
tirò fuori dalla giacca una pergamena davvero
familiare. «Adesso procederemo al rituale, così quando la Succubus
arriverà potremo farla assistere alla mia rinascita, proprio come i suoi
genitori al momento della mia prima ascesa» si rallegrò, avvicinandosi a Draco
per dargli un altro buffetto sulla guancia. «Ah, naturalmente tu sarai il primo
a morire».
Un momento dopo, qualcosa di incandescente lo colpì al petto.
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Nessuno aveva capito chi
fosse Sisifo, io sono molto soddisfatta.
È proprio da me creare un
OC con il solo scopo di ucciderlo. Mi sto odiando da morire.
Ivy meritava una madre
migliore di me.
PS: Sto aspirando al
titolo “George R.R. Martin”, nessun personaggio è al sicuro dalla morte.
Punti importanti:
» * - Anche se sembro pericoloso/ ti
spaventeresti?/ Ho questa sensazione solo perché/ qualsiasi cosa tocchi non è
oscura abbastanza/ se questo problema è dentro me. Povera, povera Winnie. Nascondeva
ben altro che un padre psicopatico e non lo sapeva neppure.
» 1 – Draco ha
ribattezzato detta malattia come Poverite. Amore mio, ha senso dell’umorismo da riccone.
» 2 – Sapete, quella voce
stizzosissima che Lucius usa alla fine del secondo
film con Harry? Quella da vecchietta acida? Draco è un maestro di quella voce.
» 3 – Non
giudicatemi, reputo ridicolo che non
siano riusciti ad evolversi almeno un pochino. Trovandoci in un contesto
storico vicino a quello dei libri, ovviamente non ho potuto rendere questa collaborazione diffusa, ma le Banshee hanno
un grandissimo centro di ricerca che proprio Ivy, in
un certo senso, sta guidando. Non urlate alla Mary Sue perfetta, perché le Banshee
vogliono solo il meglio. Ed Ivy era la migliore
in assoluto, un genio della meccanica. Però in Pozioni faceva piuttosto schifo.
» 4 – Io questa informazione la appoggio qui, chi vuol
capire capisca. Suo padre è un riccone (non lo specifico nel testo, ma è ricco
da far paura) americano, laureato al MIT (probabilmente fra le migliori e più
note università per quanto riguarda l’ingegneria) e proprietario di una
industria. E si chiama Anthony Stark. Io non dico altro, chi vuol capire capisca
(ovviamente levategli la storia eroica,
eh). Per chi ancora non avesse capito a chi ho dato una figlia solo per poterla
ammazzare, vi consiglio di guardare questa pagina. <3
Ah, Stark anche in omaggio alla mia casata in Game of Thrones. Che
oltretutto ha vinto al FantaGoT.
» 5 – Appunto: Ivy parla di Katie perché lei non è stata lì per tutto il
cambiamento Katie>Kate. Per lei è rimasta Katie. Perché le vuole bene, se
lei è inquietante da morire (LOL)? Perché Katie è nonostante tutto una Grifondoro. Delle Banshee più grandi stavano
facendo i bulli con una Ivy di appena ventun anni e
lei è intervenuta a difenderla. Stare tanto vicino alle macchine le avrà
impedito di sviluppare relazioni umane, ma le ha anche impedito di avere
pregiudizi. E, comunque, era curiosa
(cosa che l’ha spinta a mettere la Cavia su Kate e, di conseguenza, salvare tutti).
» 6 – La cavia è come un
chip, solo che si lega all’energia magica della sua “vittima”. Controlla la
posizione e che il soggetto abbia ancora dei parametri vitali ottimi,
riportando i dati nello specchietto che Ivy porta
sempre con se’.
» 7
– Il Dottore ha sentito puzza di complotto ed ha mandato Ivy dove credeva
si sarebbe potuta rendere utile. Se ha fatto bene perché, in effetti, al piano
di sotto sarebbe morta subito, l’ha comunque condannata a morte. Dopo aver
ritardato la morte di quei tre.
» 8
– Le Banshee hanno un periodo di addestramento variabile, tendenzialmente a
ritardare tutto è la prova d’azione. Si
tratta di una prova su campo per verificare la vera esistenza dei requisiti.
Perché Ivy parla di Hermione? Perché Hermione, per
salvare Harry, è andata contro gli ordini. Andando contro gli ordini, ha dovuto
aumentare di sei mesi il suo apprendistato. Tuttavia il suo comportamento fu
talmente eroico da consentirle di ottenere grandi onori.
» 9
– L’Essenza di cui parla Sisifo è la sua massima
potenza, il suo potere immortale. Sisifo non è un umano, ma non è una
divinità. Il suo Essere è qualcosa di differente che ancora non si è
presentato. “Winter” ha qualcosa di questa forza, ma non ancora tutto. Ha
ucciso facilmente Ivy – lei era fisicamente debole,
il suo potere era nel cervello – ma non facilmente come se avesse avuto i suoi
poteri. Per questo non è riuscito ad uccidere completamente Fred, qualche
capitolo fa (avevo detto che fosse stata Winter e, fisicamente, era lei, ma non mentalmente).
» 10
– Sotto copertura per oltre quarant’anni, Tiresias si
è fatto passare prima per Agente e poi, alla fine, per Supervisore. No, non
esiste alcun vero Supervisore, è sempre stato lui.
» 11
– Cos’è successo? La vera incarnazione di Sisifo non era Winnie ma sua madre. Sua madre tuttavia
era debole, troppo debole, e non
riusciva a reggere il peso della presenza di Sisifo in lei. Consapevole dell’impossibilità
di ritornare in un corpo tanto debole, Tiresias
convinse Mulciber a prendere quella donna con sé e
farci una figlia. Quando è avvenuto il passaggio? Quando la madre di lei è
morta (non posso dire nulla sul come)
c’è stato il trasferimento di “Sisifo” da madre a figlia, ma lui ha acquisito
coscienza soltanto qualche capitolo fa, quando Fred è stato colpito.
Inchinatevi ad IvyStark che ha impedito a quei
tre di fare la figura degli imbecilli.
Il Dottore non si perdonerà
mai per la sua morte.
Sempre se anche lui
sopravvivrà, cosa improbabile.
Poiché in questa
settimana ci sarà una festa nella mia città, io non avrò tempo di
scrivere fra quella e lo studio (soprattutto per lo studio maledetto, mi sento
più esaurita di luglio). Anche se la
prossima settimana non ci sarà l’aggiornamento, non rilassatevi che ancora i
danni non sono neppure iniziati :D
Ps: il dolore al petto
potrebbe implicare un cuore strappato via??? Una pugnalata? Una morte
immediata? Qualcosa di peggio? Chi lo sa! ¯_(ツ)_/¯
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 29 *** Atto XI, Parte II - Il Non-Morto ***
L’Erede del Male.
“Il vero
coraggio, tu credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano.
Aver coraggio
significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare,
e cominciare
egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.
È raro vincere,
in questi casi, ma qualche volta succede.*”.
[Harper Lee – Il buio
oltre la siepe]
Atto XI, Parte II
– Il Non-Morto
Kate non era sorpresa. Era assai improbabile che Sisifo avesse
intenzione di spostare troppo i suoi tre prescelti, a prescindere dal luogo in
cui fossero. Non aveva sentito nulla mentre le creature la portavano via,
trascinandola fra le ombre come se fosse stata una di loro, ma ritrovarsi
all’ingresso del Quartier Generale fu quasi banale,
dal suo punto di vista. Era molto probabile che Tiresias
avesse trovato il modo di mettere le mani sull’Organizzazione, addirittura
avrebbe potuto essere responsabile della sua fondazione, essendo abbastanza vecchio1.
Accanto a lei, una bestia dal pelo nero come la notte ringhiò
nella sua direzione, quasi a volerle intimare di continuare a procedere, di
andare avanti ed incontrare il suo destino. Non che lei avesse intenzione di
esitare, non quando la pena di Draco Malfoy era come un pugnale piantato nel
suo petto da oltre un’ora. L’istinto le urlava di correre, di raggiungerlo ed
assicurarsi che fosse al sicuro, che stesse bene, ma lei non era solo guidata dalla sua biologia da Succubus, lei era una
Banshee ed una Banshee riconosceva una trappola quando si ritrovava ad
esserne la vittima. Dentro di lei era fin troppo consapevole che, con ottime
probabilità, non avrebbe trovato nulla di prevedibile ad attenderla.
Avrebbe dovuto elaborare un piano, giocare sull’incapacità di Tiresias di prevedere le sue mosse. Ma se lei riusciva già
a percepire l’immenso potere, ancora intrappolato, di Sisifo sprigionarsi dalla
Sala Centrale, era ben probabile che il Tramite – cosciente della sua vera
identità, ne era piuttosto sicura – l’avesse sentita arrivare a sua volta.
Esitare avrebbe solo fatto aumentare il numero di bestie inviate per
controllarla, rischiando di toglierle quel minimo margine d’azione che ancora
dava speranza ai tre intrappolati di sopravvivere.
Porta
onore al tuo sangue, si ripeté, cercando di isolare la stessa voce
che aveva già sentito nel Magazzino e che le aveva consentito di realizzare
quanto terribile fosse la loro
condizione. Non sapeva a chi appartenesse, ma aveva delle idee sufficientemente
plausibili da farla sentire meno sola. Chiunque fosse la stava osservando, la
stava accompagnando. Non era sola e
non poteva permettersi di farsi prendere dal panico, non in quel momento, non
in quel modo. Allora, raddrizzando le spalle e decidendo di ignorare totalmente
le bestie intorno a lei – oltre alla prima versione onirica e quasi immateriale
di un licantropo in piena trasformazione, se ne erano aggiunti tanti altri, dalle forme più disparate
ma tutti in qualche modo protagonisti delle più grandi paure degli uomini, come
ogni Terrore Notturno degno di quel nome –, si avviò su per le scale
d’ingresso, senza incontrare anima viva.
Da qualche parte, nei sotterranei, c’era ancora qualcuno
intento a combattere, c’erano anime vive
che stentavano ad andare avanti e che lei non poteva aiutare. Non c’erano
rimedi, non c’erano cure, avrebbero solo dovuto resistere e sperare in un
miracolo.
Ecco come sono morti gli ex Mangiamorte. Li hanno usati per richiamare le bestie. 2
Il portone in mogano e cemento che per secoli, grazie alle
rune protettive scavate dai più grandi maghi e streghe del tempo e
periodicamente aggiornate, aveva protetto l’ingresso al Quartier Generale era
spalancato, lasciandole subito intravedere il lungo corridoio, solitamente
affollato da agenti e reclute e perennemente illuminato, totalmente deserto ed
immerso nell’oscurità. C’erano occhi che la osservavano, mani ed artigli pronti
ad afferrarla, ma niente e nessuno si fece avanti, niente la disturbò nel suo
veloce incedere. Era piuttosto certa che quella fosse una semplice parata della
vittoria per Sisifo e Tiresias, un’esibizione del
potere che aveva portato lei, figlia dei
suoi nemici, a camminare da sola in mezzo ai loro seguaci, diretta al
patibolo.
Sarebbe
morta con l’orgoglio di una regina: guardando negli occhi il suo boia e senza
piangere.
La Sala Centrale era stata sede della firma di innumerevoli
Trattati di pace, ma anche Tribunale per i più grandi maghi oscuri degli ultimi
settecento anni. In uno scranno era ricordato il Gran Processo riservato a
Grindelwald, in un altro erano trascritti i nomi dei giudici che avevano
gestito il Tribunale di Hogwarts dopo la fine dell’ultima guerra. Al centro,
fin dalla costruzione del castello, c’era stata una enorme fontana d’oro
zecchino che quasi tutti i Ministeri degli Stati membri della Confederazione
avevano emulato con maggiore o minore fedeltà. In Inghilterra avevano preferito
complicare le relazioni con Maridi, Goblin e
Centauri, in Canada, invece, si erano avvicinati molto di più al trionfo di
creature abbracciate in un gesto di fratellanza che i Fondatori dell’Ordine
avevano commissionato per il Quartier Generale.
In quel momento, la fontana non esisteva più.
Tutto il corpo centrale, che aveva incantato Kate fin dal
primo sguardo, era stato sciolto e plasmato fino a ricreare due troni – di cui
uno nettamente più maestoso, giusto per evidenziare quanto paritaria dovesse essere quella loro relazione – e quella che aveva
tutta l’aria d’essere un’enorme vasca dorata, al cui interno Kate sapeva che
avrebbe trovato il sangue di tutti i Mangiamorte sacrificati settimane prima.
La fonte
dei Terrori.
I terrori
che avevano aiutato l’attentato di Diagon Alley, che
avevano aiutato Jack lo Squartatore, Hitler e tutte le altre incarnazioni di
Sisifo.
Tiresias aveva sempre saputo come riportare indietro Sisifo,
ma aveva avuto bisogno di arrivare alle sue tre vittime sacrificali. Aveva
bisogno che Kate fosse pronta ad assistere senza poter far nulla. Aveva bisogno
che lei fosse disperata.
«Ciao signora» salutò una vocina nascosta poco dietro l’enorme
sagoma dorata, giusto un attimo prima che una bimba dai lunghi capelli neri
facesse la sua apparizione, coperta da un grazioso vestitino in pizzo bianco. «Tiresias ha detto che sei la mia nuova schiava» le
comunicò, tranquilla, come se fosse stata una cosa perfettamente normale, oltre
che scontata. Kate la riconobbe
immediatamente come la piccola Obscurus, nonché come Horcrux. La carica magica nascosta in
quel piccolo corpo era spaventosa,
eccessiva, comprimeva la sua piccola essenza vitale al limite del possibile.
Non sarebbe sopravvissuta molto, forse solo un’ultima
esplosione di potere prima del nulla.
E lei non
ne aveva idea?
«Tiresias avrebbe dovuto spiegarti
che la schiavitù è stata abolita da un po’ di tempo, quantomeno qui in
Svizzera» le fece notare, pacata, inginocchiandosi davanti a lei per poterla
guardare negli occhi. Erano neri, ma non semplicemente a causa della naturale
conformazione dell’iride. C’era così tanta oscurità dentro di lei, così tanto
orrore. La sua innocenza era stata strappata via prima ancora che potesse
assaporarla. «Sai dirmi dove sono? Prima di morire ho intenzione di provare a
vendicare la vita che avresti dovuto avere».
La bambina la fissò con tanto d’occhi, per nulla spaventata ma
estremamente curiosa. Allungò una mano per toccarle la guancia ma, come
scottata, arretrò quasi immediatamente di un paio di passi. «I tuoi occhi sono
bui e sei tanto fredda» constatò, il capo piegato per poterla osservare meglio.
«Non sei come tutti gli altri, ma non sei neppure come me. Perché dici che vuoi
vendicarmi?».
Kate avrebbe voluto prendere a pugni Tiresias,
ma sapeva che non ci sarebbe riuscita se anche l’avesse voluto. «Non mi aspetto
che tu possa capire, per quanto tu possa essere intelligente» le disse,
rialzandosi. «Ti hanno mandata qui nella speranza che io ti uccida, lo sai,
vero? Quella storia della schiava non regge molto, se neppure tu ne sei davvero
convinta».
La piccola sorrise, stringendosi nelle spalle. «Tiresias mi ha sempre detto che tu mi avresti uccisa, è
necessario, sai» le disse, sussurrando come se fosse stato un importantissimo
segreto. «Dice che poi Sisifo mi riporterà in vita senza… senza il dolore»
spiegò, portandosi una manina al piccolo petto, come a voler sottolineare la
propria sofferenza. Tutto quel potere doveva essere soffocante, bruciandola
dall’interno come una fiamma viva sempre accesa.
«Perché mai dovrebbe farlo?».
La bambina si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma non mi
importa, Tiresias ha sempre mantenuto le sue promesse
ed io voglio smettere di soffrire» sbottò, improvvisamente nervosa, sbattendo
il piedino per terra. Per un istante la sua immagine sembrò tremolare, i suoi
contorni indefiniti. «Voglio morire! Adesso!».
Potresti
anche accontentare il piccolo mostro3.
«No, non adesso, non così» la liquidò velocemente Kate,
guardandola come avrebbe guardato le bestiole di Barry, se ne avesse avuto il
coraggio. La sua abilità nel controllare le passioni umane era inutile con lei:
troppo giovane per provare libido e troppo poco umana per essere davvero
manipolabile. Se fosse stata meno desiderosa di morire e Kate, di per sé, non
fosse stata già con un piede nella fossa, avrebbe potuto trovare in lei una
giusta avversaria. Ma non in quelle condizioni. «Tiresias! Vieni fuori e porta con te quella specie di sottosviluppato
ibrido immortale, ho voglia di guardarlo negli occhi e dirgli quanto mi fa schifo».
Non
esattamente un discorso da diplomatica, ma niente male.
La bambina, come un cagnolino da guardia stuzzicato, si fece
avanti a braccia larghe, quasi invitandola a scontrarsi con lei e con
l’inquietante velocità con cui il potere stava prendendo possesso del suo
corpicino, ma un rumore sordo dalle sue spalle la fermò in un istante,
spingendola ad allontanarsi con un sibilo ferito, quasi si fosse aspettata
d’esser colpita. Come se fosse stata addestrata a rispondere al suono con terrore. Come un animale.
E proprio dalle sue spalle, etereo come lei l’aveva sempre
immaginato, il Veggente fece il suo ingresso, vestito di una tunica fuori moda
da almeno tremila anni e con il capo ornato di foglie d’alloro dorato, come se
fosse stato una divinità. Il suo sguardo era serio, intenso, ma il resto del
suo viso era inespressivo. Sulla sua guancia destra svettava un livido violaceo
che nessun mortale avrebbe mai potuto causargli, poiché non ne avrebbe avuto il
tempo.
Non è mai
vero amore, se l’ossessione diventa parte dell’equazione.
«Mi direi dispiaciuta del trattamento che Sisifo ti sta
riservando, se tu non fossi ancora più psicopatico di lui e meritevole di un
trattamento anche peggiore» fu il modo in cui lo accolse, il naso arricciato in
una smorfia disgustata4. «Il tuo padrone ha deciso che in questi
millenni non sei stato abbastanza sottomesso? Oppure ha semplicemente deciso di
sfogarsi un po’ sul suo giocattolino preferito?».
Tiresias non si mostrò affatto
turbato dalle sue parole, limitandosi a sorridere con scherno. «Non mi aspetto
che tu possa capire il vero amore, Succubus. Voi bestiole conoscete solo la lussuria, pur
essendo figli di Eros» le disse, con tranquillità, accomodandosi delicatamente
sul trono più piccolo, come se ci fossero
dubbi su chi fosse il proprietario dell’altro. «Tu mi sorprendi, però. Ti
fai venire gli scrupoli di coscienza ad uccidere qualcuno già condannato, anche se il tuo sangue sta
ancora marcendo per aver preso la vita di Mulciber».
«Sapevi che l’avrei ucciso, allora. Credevo non potessi
prevedere le mie mosse».
Il Veggente sorrise, questa volta per nascondere
l’irritazione. «Quell’essere è sempre stato debole, nulla più di un parassita.
Tu sei una creatura di discendenza immortale e, con te, ci sarebbero stati tre
fra i maghi più abili attualmente in vita, non ci avreste messo molto ad
ucciderlo. Speravo, però, che tutti decideste di venire fuori, i miei Terrori
avevano fame».
Kate non riuscì ad impedirsi di stringere i denti. «Mi
dispiace averti deluso, ma noi Negromanti siamo parecchio familiari con le creature oscure. Prima che il tuo Padrone se ne impadronisse, loro
appartenevano a mio Padre. So come difendere me stessa da loro», il suo sorriso
si allargò, assumendo sfumature macabre. «E sono convinta che anche Barry ed
Hermione sapranno cavarsela. Non sono molto convinta di Harry, ma se gli
diranno cosa fare sono piuttosto certa che anche lui saprà rendersi utile»
aggiunse, stranamente allegra. «Ma tu questo lo sai, non è vero? Tu vuoi che vengano qui».
Tiresias ricambiò il suo sorriso,
accomodandosi meglio sul suo piccolo trono. «Il mio Amore desidera che il suo
trionfo sia pubblico. E forse spera di far assistere Maine alla tua dipartita,
non essendo disponibili i tuoi altri genitori.
Quanto alla donna, lei è la prossima in lista, dubito rivedrà mai il marito».
Qualcosa di oscuro ed amaro le risalì la gola, facendola quasi
sentire male. Avrebbe dato qualunque cosa per potersi far avanti e dare un
pugno a quel mostro che la fissava come se fosse stata una sciocca. Forse lo era, ma di certo lei non gli
aveva mai dato il permesso di considerarla tale. Era maleducazione pura e semplice e Kate odiava i maleducati. «Tu non puoi sapere per certo cosa succederà,
sei cieco dal momento stesso in cui
Sisifo ha riacquistato coscienza, non è vero?5 Tu non hai la minima
idea di cosa succederà e per questo hai
paura» sbottò, facendo un paio di passi avanti ma fermandosi prima di
toccare l’oro delle scale. Non aveva idea
di cosa stesse dicendo, non sapeva se
Tiresias fosse davvero preoccupato o cieco. Aveva
semplicemente aperto la bocca per dare fiato alla stizza, tirando fuori dei
sospetti che avrebbe fatto bene a mantenere tali, soprattutto considerando
quanto poco sapesse ancora dell’Evocato. Quello non era modo di preparare un
piano d’attacco e se per caso le sue supposizioni si fossero rivelate sbagliate
probabilmente avrebbe pagato cara la sua impertinenza.
Da brava
figlia del dio caduto in una trappola sciocca.
«Ah, non essere così dura con te stessa, il mio Tiresias è davvero terrorizzato»rise una voce fin troppo nota,
direttamente dalle sue spalle, un attimo prima che Winter Vane la affiancasse,
sorridendole come era solita fare nelle sue giornate buone, quando Winter era più forte di Elladora. Il suo
accento però non imitava quello strascicato del Sud degli Stati Uniti ma,
invece, ne era completamente privo. Sembrava che a parlare fosse stato un
automa. O peggio, una creatura esistita
prima di qualunque lingua moderna. «Ah, sì, lei amava quella falsa della
gentildonna del sud, non è vero? Io la trovo insopportabile, ma tutti voi
mortali lo siete, alla fine dei conti» riprese, facendole l’occhiolino quando,
fulminata dalla comprensione, Kate arretrò bruscamente di un paio di passi. Il
sorriso divenne una risata quando, dalla fretta, inciampò sui suoi stessi piedi
e cadde senza la minima grazia.
«Questo spiega tante cose» riuscì a tirare fuori,
fortunatamente senza fare troppe smorfie per il dolore alle ossa. A breve
avrebbe sofferto molto di più, avrebbe fatto bene a mantenere la dignità finché
le fosse stato possibile. «Ho sempre sentito qualcosa di sbagliato in lei e
l’ha sentito anche il Dottore» aggiunse, con una smorfia. «Mulciber
vi è servito per torturarla per benino, non è vero? Renderla più debole per il
tuo stupido Risveglio» sputò con disgusto, rialzandosi e mostrandosi molto più
grande di quanto in realtà non fosse. «Non hai alcun rispetto per la vita
umana?».
Sisifo-Winter rise, accomodandosi sul suo enorme trono. «Senti
chi parla! Stai esplodendo con il potere dell’anima del povero Silas e vieni a
fare la predica a me? Tuo padre è una
divinità della Morte, anche se tu sembri vergognarti di lui. Non che io possa
darti torto, anche io mi vergogno dell’idiota capace di mandare tutto al
diavolo per amore».
«Mio padre è stato pronto a sacrificare tutto per il suo compagno, io non potrei esserne più
fiera» sibilò lei, facendosi avanti ancora una volta. «Se non fosse stato per
l’amore di… di… di quel tuo schiavo, adesso
tu non saresti qui!».
«Se non fosse stato per l’amore di Tiresias
che Eros gli garantì, loro non si
sarebbero mai separati» le fece notare allora Sisifo, con una risata. «Non puoi
girarci intorno, Succubus, l’amore è stato la causa
di tutti i vostri problemi mentre a me ha portato solo grandezza. Adesso ho un
corpo molto più potente di quanto il mio non fosse mai stato e, una volta
riacquistate le mie piene capacità, potrò finalmente porre fine a tutto e diventare tutto! Non ci sarà nulla che io non avrò creato, nulla che non dipenderà da me». Si rialzò, spingendola involontariamente ad arretrare ancora
una volta. Era inquietante essere fissata in quel modo da un viso che fino a
poco prima aveva sempre considerato amico.
«Sarei diventato infallibile millenni fa, se alla fine i tuoi genitori non
fossero riusciti a fermarmi, ma ora loro non potranno più intervenire e
dovranno assistere inermi alla distruzione
della loro progenie».
La presunzione – o forse era l’idiozia? – la spinse a parlare
di nuovo. «Se avessi voluto e potuto
uccidermi, l’avresti già fatto» gli sibilò dietro, impassibile al suo sorriso
sornione. «Ho letto anche io il Necromicon, so che
non puoi toccarmi a meno che non sia io
a permettertelo e non c’è nulla che
mi spingerebbe a tanto! Neppure se dovessi costringermi a scegliere fra il
bambino di Ophelia e me stessa! Neppure se dovessi uccidere Draco!».
Sisifo rise, stranamente allegro, indicandole con un cenno
l’enorme vasca in cui il sangue raccolto veniva rimescolato. «Oh, io non voglio
ucciderti, siamo entrambi consapevoli che con questo corpo ancora fragile non
ne avrei modo. Ho detto solo che voglio distruggerti» specificò. «Ti prego
cara, avvicinati, sono certa che vorrai vedere. In effetti è curioso che tu
abbia nominato proprio Malfoy…».
Un inaspettato senso di terrore le strinse il petto,
impedendole di rispondergli con tutti i dolcissimi epiteti che fino a
quell’istante avevano occupato la sua mente. Era impossibile che fosse successo qualcosa a Draco, no? Lei l’avrebbe
sentito, l’avrebbe capito subito. Poteva aver sofferto molto, ma nulla più di
una leggerissima tortura, non… non poteva essergli successo qualcosa di peggio
senza che se ne rendesse conto. Sisifo stava bluffando, non c’erano altre spiegazioni. Fare gli ultimi passi
avanti ed osservare il disgustoso contenuto della vasca dorata fu tuttavia
difficile come se avesse dovuto combattere contro una forza irresistibile che
spingeva per tenerla il più lontana possibile.
«Una cosa curiosa, la condivisione della forza vitale. In
molti credono che le anime gemelle siano naturalmente portate a certi tipi di
legami, sviluppandoli anche volontariamente» iniziò a spiegare Sisifo,
affiancando Kate ed osservando a sua volta l’interno della vasca. Qualcosa si
mosse sotto la superficie nerastra, come avrebbe fatto uno squalo prima di
attaccare. «Condividere la forza vitale, però, spesso non significa condividere
la vita vera. Una persona in coma
sarebbe viva ma non più vitale. I Risvegliati tanto cari a noi seguaci della morte, invece,
sembrerebbero essere vitali anche se
non più vivi. È una differenza così sottile che, in un momento di dolore,
potrebbe quasi passare inosservata».
Da oltre il sottile velo del sangue, un corpo cominciò a
risalire, gli occhi coperti dalla patina biancastra della morte e la pelle
bluastra, fermandosi davanti al suo nuovo Padrone, lo stesso essere che l’aveva
trascinato in quel limbo di non-esistenza.
Kate sentì le ginocchia cedere nel momento stesso in cui il cadavere di Draco Malfoy spostò la sua
fragile attenzione su di lei, fissandola senza riconoscerla. Intorno a lei
sentì un verso strano, come di un animale in agonia, e, con orrore, quasi non
si rese conto di esserne lei la
fonte.
Se credeva di aver
vissuto un cuore spezzato, era stata solo una sciocca ed una ingenua. Cosa
poteva essere la fine di una cotta adolescenziale, se paragonata alla distruzione di un’anima predestinata, di
un legame che era stato voluto dall’universo?
Draco avrebbe dovuto amarla anche dopo la morte, ma la Morte non sarebbe mai
arrivata per lui, non se prima lei non avesse distrutto il mostro.
E lei non
poteva far nulla contro di lui.
Voleva distruggerla e c’era riuscito. Quella spavalderia che
l’aveva portata fin lì, che l’aveva convinta ad andare davvero da sola – doveva andare, doveva provare ad aiutare
Draco e Ophelia e Fred – era sparita, inghiottita dagli occhi vuoti
dell’amore che non avrebbe più avuto modo di vivere. L’amore che Sisifo le
aveva portato via.
«Dov’è la forza
dell’Amore, adesso?» rise Sisifo, per nulla toccato, osservando Malfoy
uscire dalla vasca e fermarsi fra lui e Kate, osservandoli entrambi senza
alcuna espressione in viso. «Adesso faremo in modo che il cadavere di Draco possa rendersi utile, che ne dici?
Credo proprio sia giunto il momento del sangue della tua amica, si? Ophelia Perderghast… Tiresias ha faticato
così tanto per impedirle di avere
altri figli, sai?6 Sarà un piacere toglierle quella creatura dal
grembo. Forse potrebbe non accorgersene neppure! Ma, oh, soffrirà così tanto!».
Quelle parole avrebbero dovuto irritarla, ne era consapevole,
ma Kate aveva perso qualsiasi contatto con la realtà, arrivata a quel punto.
Sentiva la voce di colei che era stata sua amica, vedeva Draco ancora fermo a pochi passi da lei, ma non c’era nulla in lei. Nulla, se non dolore, orrore, rabbia.
«Trina!».
Quando risollevò gli occhi dalle proprie mani – le unghie
erano penetrate a tal punto nella sua stessa pelle da ferirla, lasciando
gocciolare sangue scuro e denso, profumato come un mazzo di fiori appena raccolti7
- si rese conto che, approfittando della sua confusione, Draco dovesse aver
recuperato le altre due vittime, trascinando il corpo apparentemente senza
sensi di Fred e tirando per un braccio Ophelia, il cui viso era ancora
macchiato di lacrime ormai asciutte e stravolto dal dolore. Aveva urlato il suo
nome lasciando che l’angoscia pesasse su ogni singola lettera, resistendo alla
presa ferrea di qualcuno che non aveva più neppure una vita da perdere,
figurarsi una coscienza.
«Trina, mi dispiace»
continuò, imperterrita. «Ho provato, io… non ho potuto far nulla» esalò, quando Draco la fece cadere a terra senza troppe
cerimonie. L’orrore che emanava ogni suo movimento le avrebbe spezzato il
cuore, se già Sisifo non fosse riuscito a distruggerlo. «Mi dispiace».
Fu un cambiamento istantaneo quello che colpì Kate in quel
singolo istante. Non era una novità, Succubi ed Incubi erano creature che si
nutrivano di vita e la vita era emozione. Solitamente incanalavano la
lussuria, ma in generale propendevano per assorbire – e provare – una sola forte emozione alla volta.
Poteva essere paura, poteva essere eccitazione o, come in quel momento, rabbia.
Rabbia, perché Ophelia – la madre che avrebbe sempre voluto,
in quel momento terrorizzata – si stava scusando
per non aver saputo proteggere Draco, nonostante quella avesse dovuto essere
una preoccupazione di Kate e di nessun altro. Si stava scusando, perché sapeva che lei avrebbe avuto il cuore
spezzato, poteva vederla ridotta in
pezzi, in ginocchio e con il viso sporco di lacrime insanguinate. Ophelia stava
per morire, eppure si stava scusando
con lei.
Non poteva permetterlo.
Lentamente si alzò in piedi, lo sguardo buio puntato sulla
donna, che ancora si disperava, quel tanto necessario a tornare in posizione
eretta. A quel punto, tutta la sua attenzione venne concentrata su Sisifo, nel
corpo di Winter, che continuò ad osservarla con un bel sorriso sornione e
l’aria di qualcuno che avesse ottenuto esattamente quanto sperato. Dopotutto,
Sisifo non aveva certo bisogno di Tiresias per
prevedere come lei avrebbe reagito.
Ma, per una volta, Kate non si sarebbe preoccupata di cadere in una qualche
trappola, di essere prevedibile.
Voleva
vendicarsi.
Un passo, poi un altro. Non sentiva altro rumore che il sangue
che le scorreva nelle vene e quello che scorreva in tutti gli altri esseri
viventi nella stanza. Il silenzio proveniente da Draco era solo un altro
incentivo a continuare sempre più spedita, sempre più velocemente, finché non
le bastò alzare la mano per poter stringere il collo che era appartenuto alla
sua compagna di squadra ma che ormai non aveva più nulla di lei. Strinse la
carne debole finché non riuscì a sentire il pulsare del sangue sotto le dita,
beandosi del verso strozzato che giunse alle sue orecchie.
«Fallo, Succubus» la incitò proprio
Sisifo, senza mai smettere di sorridere nonostante i suoi occhi si fossero
annacquati. «Fallo, dopotutto è colpa
mia se tu sei tanto miserabile adesso. È solo colpa mia».
Ah, la tentazione era forte.
Ogni singola cellula del suo corpo la stava implorando di prendere quella vita,
di tirar fuori l’ultimo sospiro di quel mostro
e vendicare Draco. Vendicare Ophelia ed il bambino che lei sapeva stesse ormai perdendo8, poteva sentire la vita
abbandonarlo con la stessa velocità con cui a breve il sangue avrebbe iniziato
a scorrere giù per le gambe della donna. Vendicare Fred, senza sensi a causa di
quella che doveva essere stata una battaglia estenuante.
Li avrebbe vendicati tutti, se solo avesse stretto di più le
mani.
«Trina, rifletti!»
urlò invece proprio Ophelia, dal punto poco lontano in cui si era accasciata al
suolo, le mani strette intorno al proprio busto. «Concentrati!».
Concentrarsi. Perché avrebbe dovuto farlo? Non serviva certo
un ragionamento complesso per ucciderlo. A lei non era mai piaciuto analizzare,
era sempre stata una donna d’azione. Un’agente.
Un’agente
deve sempre comprendere le motivazioni del suo nemico, prima di fermarlo.
Era stato il Supervisore a ripeterglielo, in più di
un’occasione9. Comprendere il nemico, per evitare le trappole.
Comprendere il nemico, per vincere.
Era stata la tecnica che anche Sisifo e Tiresias
avevano utilizzato con i suoi genitori, imprigionando il più intelligente e
lasciando che l’emotivo reagisse in base all’istinto. Era quello che stavano facendo anche con lei.
Ma lei non era una divinità, non aveva la loro stessa
presunzione. Lei era una Banshee.
Sorrise, allora, stringendo la presa solo per un altro
istante, per poi spingerlo via con un gesto brusco. «Ti piacerebbe se ti
uccidessi, non è vero? Se dovessi farlo, probabilmente moriremmo tutti a causa
di un qualche trucchetto di negromanzia basilare. E tu torneresti, perché ormai
la Luna Sanguinis è vicina, e saresti ancora più
forte. Ed io diventerei una padrona di anime troppo debole per controllare se
stessa, un’ottima sostituzione per la perdita che tu hai causato, uccidendo il mio fratellino» gli sputò contro, riversandogli contro tutto il suo
disgusto. Era tutto così ovvio, in
quel momento, così banale. Lei non
era stata invitata semplicemente per assistere, lei era il piano di riserva. Il dolore aveva colpito Philly più duramente
del previsto e, nel tempo che avrebbero impiegato a poter utilizzare il suo
sangue, non ci sarebbe più stata un’anima da proteggere, in lei. Kate, invece, era una Padrona d’anime
fatta e finita, avendo già assorbito Mulciber. Se
avesse ucciso anche Sisifo, avrebbe perso qualunque controllo su se stessa e da
lì a dargli il permesso di sfruttarla sarebbe bastato un nulla. «Ma io non
seguirò i tuoi piani» continuò, voltandosi per poter osservare dapprima il
veggente, rimasto raggomitolato sul suo trono come un gattino spaventato, e,
alla fine, Draco Malfoy, ad ogni secondo più debole, ogni secondo meno vitale.
Dopotutto, Sisifo non era ancora un negromante completo, non
poteva concludere il rituale nel corpo di Winnie, non finché non avesse avuto
tutti gli ingredienti.
«Vuoi davvero resuscitarlo?» le chiese Sisifo, con una risata.
«Sei troppo instabile, dopo quello che hai fatto a Mulciber!
Non sopravvivresti» le fece notare,
ridendo come se lei avesse detto una cosa assurda. Come se fosse stata un’idiota.
«Non ho intenzione di resuscitarlo e morire» si limitò allora a dirgli, tuttavia alzando la mano ancora
ferita – quella che sanguinava, perché lei era una Negromante, lei non coagulava – in direzione dello
zombie, che la fissò senza espressione per pochi istanti, prima di farsi
lentamente avanti. «Ma se credi che il legame che esiste con il tuo sangue, così debole, possa valere più di quello che potrei creare io…» riprese,
con un sorriso soddisfatto, «non hai
proprio capito nulla».
Il momento in cui Draco balzò per afferrarle la mano e bere dalle sue ferite fu fra i più
dolorosi della sua esistenza, ma non per questo non soddisfacente. In quel modo,
naturalmente, non l’avrebbe riportato totalmente alla vita, ma avrebbe potuto
legarlo a lei e ridargli coscienza di
se stesso, ridargli una patetica imitazione di vita, anche se solo per poche
ore. Come lei aveva sperato, i suoi occhi vacui acquisirono sempre maggiore
focus e, quando si staccò da lei, lo fece con l’orrore dipinto in viso.
«Kate? Io sono morto».
Lei annuì, un sorriso triste ad incurvarle le labbra. «Non
preoccuparti, sistemeremo anche questa faccenda molto presto» lo rassicurò,
mentre lui, involontariamente, si portava la stessa mano da cui aveva bevuto
alla guancia, chiedendo implicitamente di essere accarezzato. Era un riflesso
involontario, naturalmente: tutti i Risvegliati erano servi del loro Negromante, pronti a tutti per lui, innamorati più
per necessità di sopravvivenza che per vero sentimento. Con Draco, però, la
faccenda era diversa. Lui era il suo Auctor.
«Non è vero che non voglio credere al nostro legame, penso tu
debba saperlo. Io sono davvero convinto di essere innamorato di te».
Kate rise, nonostante volesse solo piangere. «Oh, lo so» gli disse, voltandosi poi verso
Sisifo, rimasto al suolo e con gli occhi pieni di furia. «Oh, ho rovinato i
tuoi piani?» gli disse, con un sorriso che lei sapeva essere inquietante. Il sorriso che aveva sperato di non
sentir mai comparire sul proprio viso. Il sorriso della follia.
Troppo
potere tutto insieme, bambina mia. Sei solo una mortale.
«Disgustosa creatura, credi davvero-».
Kate non gli consentì di continuare. «Forse non sei intelligente
come credevi, fratello» gli disse,
ridendo maniacalmente. «Probabilmente è per questo che nostro padre ti ha sempre detestato più di tutte le altre creature10».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Ho ucciso Draco Malfoy,
la lalalaaaaaaa.
Adesso metto da parte la
mia Bellatrix interiore (che in realtà non esiste,
sono troppo buona) e piango al pensiero di quanto male ancora dovrò causare.
Punti importanti:
» * -Amo questo libro e ritengo che tutti
debbano leggerlo. Così, come consiglio random. Chi non volesse leggere il libro
potrebbe comunque guardare il film (non è la stessa cosa, ma meglio di niente).
» 1 – Senza volerlo,
Kate ha effettivamente pensato una cosa verissima: Tiresias
ha davvero collaborato alla nascita
dell’Ordine delle Banshee. Naturalmente per lei è ancora una supposizione,
nulla di più.
» 2 – Cosa sono i terrori
notturni? I terrori notturni, letteralmente, sono quei “sogni horror ad occhi
aperti” che crediamo di vedere quando ci “svegliamo” prima del nostro cervello
(un fenomeno vero, non è una mia invenzione qui). Nello specifico sembra di
vedere dei mostri ma non si riesce a scappare o a muoversi in generale, perché,
appunto, il cervello dorme ancora.
Non è una bella esperienza, lo garantisco. Nella storia i Terrori sono creature
di “magia oscura”, incubi che hanno preso vita, possiamo dire, e che per essere
evocati richiedono enormi sacrifici.
Nel nostro caso, tutti i Mangiamorte sono stati sacrificati proprio per evocare
quelle creature e per dare inizio al rituale per richiamare Sisifo.
» 3 – Quando sembra
che qualcuno stia parlando con Kate, qualcuno sta effettivamente parlando con
lei. Chi? Sta a voi capirlo.
» 4 – Né io né Kate approviamo la violenza, in alcun caso
(lei in realtà non è nuova alle risse nei pub, ma shh),
ma qui la situazione è un po’ particolare. Tiresias è
vittima quasi quanto gli altri, ma non si può biasimare quella poveretta per
avergli augurato di peggio.
» 5 – Perché Tiresias non vede più nulla del futuro? Perché Sisifo è un negromante. Tiresias è stato condannato a non vedere nulla dei
negromanti. Dal momento stesso in cui lui si è svegliato dentro Winnie (cioè un
paio di capitoli fa), Tiresias ha perso qualsiasi
controllo sulla situazione. Tutte le sue previsioni sono precedenti, quindi
possono cambiare. Ha paura perché non
vede.
» 6 – Passatemi il
francesismo: quel figlio di puttana di
Tiresias ha impedito che Barry e Ophelia potessero
avere figli negli anni precedenti.
» 7
– Qualche capitolo fa avevo accennato a qualcosa sul sangue dei negromanti,
che ora vi ripropongo. I Negromanti normali
hanno sangue puzzolente ed acido, per scoraggiare vampiri e company
dall’ucciderli. Kate, invece, è una Succubus ed il suo sangue è come il più pregiato dei vini,
proprio perché le creature di ogni tipo devono essere attirate da lei. In
entrambi i casi il sangue non coagula (per il prossimo capitolo, ricordate che
lei già sta sanguinando dalla mano).
» 8
– La seconda vittima ufficiale della storia è quella povera creatura. Sì,
Ophelia sta abortendo. No, non c’è nulla da fare.
» 9
– Senza rendersene conto, Tiresias ha aiutato Kate a
capire. No, non è una cosa cosciente per sabotare implicitamente Sisifo e
aiutare “i buoni”, Tiresias ha solo fatto una
cazzata.
» 10
– Chi è davvero Sisifo? Sisifo è il
primogenito di Thanatos. Tutto questo casino non è altro che frutto di una
millenaria lite padre/figlio frutto dell’invidia verso “il matrigno”
e i fratellastri più piccini. Sisifo, in pratica, è il figlio grande che si è
stufato di vivere all’ombra della nuova famiglia del padre ed ha deciso di fare cazzate. Sisifo Big Brother del
secolo.
Se
penso alla povera Kate mi viene da piangere. Se penso a Winter sto pure peggio.
Draco mi rifiuto di considerarlo e Ophelia fingo che non esista.
In questa settimana avrò
il mio esame e non mi sento per niente
pronta, quindi perdonate se il prossimo capitolo sarà un po’ una schifezza.
Farò del mio meglio e voi, vi prego,
pregate per me, perché ho davvero paura di dare di matto stavolta.
<3
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 30 *** Atto XII, Parte I - L'Inganno della veggente ***
L’Erede del Male.
“It is difficult, when faced with a situation you
cannot control,
to admit you can do nothing*”.
[Lemony Snicket –
Horseradish: bitter truths you can’t avoid]
Atto XII, Parte I
– L’inganno della Veggente
Era peggiorato tutto fin troppo velocemente, per i gusti di
Kate. C’era stato un singolo istante in cui Sisifo l’aveva fissata in silenzio,
pietrificato nel corpo che apparteneva a Winter ma con un orrore che era tutto immortale.
Però, appunto, era stato un singolo istante. Un momento dopo la sua mano si era
sollevata e Kate si era ritrovata catapultata dall’altra parte della stanza, la
schiena sbattuta violentemente contro il pavimento di marmo ed il rumore del
sangue che pompava violentemente a riempirle le orecchie. Se l’era ritrovato
addosso nel giro di secondi, rabbia
cieca a muovere le sue mani mentre la colpivano e cercavano di toglierle il
sorriso dalle labbra, con pochissimo successo.
«Credi che il dolore fisico possa farmi qualcosa?» gli chiese,
durante un momento di paura, sentendo il sapore dolciastro del proprio sangue
in bocca. Non avrebbe coagulato se non fosse intervenuta con il fuoco, lo
sapeva, ma in quel momento non percepiva nulla.
«Perché non dai un’occhiata ai ricordi di Winter, eh? Guarda com’ero ridotta,
prima che le Banshee mi salvassero1» incoraggiò il suo nemico,
ridendo spudoratamente della rabbia che non sembrava più riuscire a contenere.
Tutto ciò che Kate avrebbe potuto fare, in quel momento, era prendere tempo. Sapeva che, in un modo o
nell’altro, solamente il suo sacrificio volontario avrebbe consentito a quel
mostro di ritornare completamente, non essendoci più Ophelia, e sapeva che se
fosse riuscita a tenerlo impegnato solo per un
altro po’, forse gli altri avrebbero fatto in tempo a tornare e allora…
«Sei così identica a
lui» sputò Sisifo, osservandola disgustato dalla sua posizione di supremazia,
inginocchiato nel sangue di lei come se fosse stato acqua. Il viso di Winter
era sporco ed il cuore di Kate pianse a quella vista: la sua amica non avrebbe
tollerato quella situazione, non dopo l’infanzia che aveva passato. «Così
identica ad Eros» riprese il Primogenito della Morte, tenendola per
la collottola della maglia e scuotendola leggermente. «Così sicura di te, non è
vero? Così piena di speranza».
Nonostante il dolore, Kate riuscì a sorridere di più. «Lo dici
come se fosse un insulto» sbottò, fermandosi a causa di un colpo di tosse
insanguinato. Le sembrava quasi di percepire il pianto asciutto di Draco,
bloccato a metri di distanza e con l’ordine di tenere stretta Ophelia, così che
lei non rischiasse di perdere più di quanto non avesse già perso. Fred, stranamente svenuto, era stato lasciato
in un angolo. Tiresias, come una statua di sale, fissava la scena quasi
annoiato, il mento affilato poggiato sulle mani delicate.
Qualcosa
non quadra.
«Oh, ma è un
insulto» ringhiò Sisifo, lasciandola cadere di colpo e pulendosi le mani sulla
tunica ormai rovinata. «Proprio come lui, ti stai illudendo che le tue speranze
possano portare a qualcosa di buono, ma…» rise, proprio come Winter era solita ridere, «ti sbagli così tanto, mia cara». Con un movimento
della mano, fece cenno al suo amante immortale di farsi avanti, stringendo fra
le mani quella che aveva tutta l’aria di essere una… una coppa? «Vedi, sapevo
che tu non avresti donato il tuo sangue neppure se avessi minacciato di
sterminare l’intera razza umana. E sapevo
che tu avresti confidato nel ritorno dei tuoi amichetti per cercare di
riequilibrare il potere ed impedirmi di tornare. Dopotutto, anche voi potreste essere dei prescelti,
no? Harry Potter è tornato dal Regno
di Thanatos e tu sei sia una Padrona
d’Anime che un Araldo di nostro padre» rifletté ad alta voce, faticando
palesemente nel contenere l’ilarità. «Però, vedi… non hai messo in conto tutto».
Con un gesto aggraziato, Tiresias si chinò, tirando fuori
dalla tasca la bacchetta che Kate sapeva appartenere a Draco, ed aspirò il
sangue accumulato al suolo, riversandolo poi nella coppa.
«Non potresti neppure
avvicinarti al mio sangue» ringhiò allora lei, agitata, osservando il
Veggente procedere lentamente verso la vasca più grande, il viso oscurato dai
capelli grigiastri ma l’espressione trionfante stampata in viso. «Cosa…?».
«È la mia bacchetta»
ruggì Draco, dall’angolo in cui era confinato, un’ormai svenuta Ophelia stretta
fra le braccia. Il sangue le macchiava irrimediabilmente i pantaloni, la vita
che il suo ventre aveva protetto per poche –
oh, così poche – settimane ormai sul punto di scivolare via per sempre. Lo
shock del vedere Kate- che era stata coma una figlia per lei – trattata come
una bambola di pezza doveva essere stato troppo. «Sta usando la mia bacchetta».
Sisifo rise più forse, deliziato. «Vedi, Succubus, io e Tiresias non possiamo usare il tuo
sangue, perché siamo bloccati dalla maledizione delle divinità più potenti mai
esistite. Io, oltretutto, non potrei comunque far nulla… sangue del mio sangue, anche se solo spiritualmente, sì? Un
negromante che usi un fratello per i propri scopi è condannato all’istantanea
dipartita, grazie al nostro genitore in comune ed ai suoi sistemi di sicurezza folli2» spiegò, facendo una
smorfia disgustata alla fine. «Ma, sai,
tecnicamente è stata la bacchetta di Draco Malfoy a fare tutto. La bacchetta
che fino ad una manciata di minuti fa non era appartenuta a nessun essere
cosciente, non finché tu non gli hai restituito parte della sua vitalità.
Allora anche quella è tornata
indietro ed ha potuto assolvere al suo compito3».
Un’esplosione al piano di sotto fece tremare i vetri alle
finestre, ma nessuno, se non un sempre ansioso Tiresias, vi diede molto peso.
«Brutto figlio di-» il tentativo d’insulto di Kate venne
bruscamente interrotto da un altro colpo di tosse insanguinato. Doveva essersi
indebolita al punto da non reggersi più in piedi. Non aveva modo di recuperare
la propria bacchetta – probabilmente finita in un qualche angolo della Sala
dopo la prima caduta – e non aveva modo di intervenire. Avrebbe potuto ordinare
a Draco di far qualcosa, ma il rischio di mettere definitivamente fine alla sua
esistenza la torturava. E qualcuno avrebbe dovuto prendersi cura di lui. Perché Fred non si stava svegliando? «Winter! Winter Vane, io so che sei
ancora lì dentro» tentò allora, disperata, cercando disperatamente di tirarsi a
sedere per poter continuare a ricercare lo sguardo di colei che era stata sua
amica. Era una mossa disperata, quasi assurda,
ma non aveva più nulla da tentare. Una volta versato il suo sangue nella vasca,
sarebbe bastato solo qualche goccia di quello di Fred per porre fine a tutto.
Sisifo la osservò come se all’improvviso fosse diventata stupida. «Ti prego, stai puntato sul
risveglio dell’Anima Perduta, adesso? Sappiamo entrambi che Elladora sia
ridotta ad un nulla, ormai. È felice
nel suo angolo di coscienza, convinta di essere con sua madre» ridacchiò,
alzando gli occhi al cielo proprio mentre Tiresias, silenzioso ma efficiente,
versava il contenuto della Coppa nella vasca. Nel silenzio, il rumore
dell’ebollizione che stava spontaneamente avvenendo all’interno dell’enorme
contenitore la fece rabbrividire. «E di certo non sarai tu a farla ritornare» aggiunse, incredulo. «Credi sia un caso che
voi due non vi siate mai piaciute particolarmente? Tutto il mio odio per te
l’ha resa nervosa e l’ha spinta a tenerti il più lontana possibile. Quanto
credi che avresti impiegato per capire,
altrimenti?».
Maledizione.
Maledizione. Maledizione.
«È tutto pronto, amore mio» avvisò Tiresias, la voce dolce
come la carezza di un’amante nel cuore della notte, sorridendo in direzione di
Sisifo come se nella stanza ci fossero stati solo loro due. «Posso procedere
con l’ultimo?».
No, no!
«Winter, Winter ti prego!» chiamò ancora, disperata, decidendo alla fine di strisciare verso di lei, pronta a tutto pur di fermarli, di dare
un’ultima possibilità all’intera razza umana. Un’altra possibilità ad Eros e
Thanatos, che altrimenti non avrebbero potuto più riunirsi. L’aveva promesso. «Winter, ti stanno
facendo diventare un mostro! Tu non lo
sei!».
Qualcosa di indefinito si mosse dietro gli occhi grigiastri –
avevano perso la tonalità verdognola da un bel po’, ormai – di Sisifo, ma
Winter non tornò alla realtà, non ci fu alcun rinsavimento improvviso capace di
porre fine a quella follia. Invece, imperturbato, Tiresias trascinò un Fred
estremamente stordito verso la vasca, afferrandogli la mano per lasciar cadere
gocce del suo sangue dentro la grande vasca d’oro. Lui si era appena svegliato,
con un macabro tempismo.
Quando il rumore dell’ebollizione aumentò, diventando quasi
assordante, Kate sentì il proprio cuore fermarsi per la paura. Aveva
definitivamente fallito, non c’era
più nulla che potesse salvarsi. Nulla che potesse fermare il processo già
iniziato.
Non avrebbe mai scordato la risata di Sisifo, nonostante la
sua vita fosse comunque sul punto di interrompersi per sempre. «Ed ora tocca a me!».
In quell’istante, tuttavia, Fred scoppiò a ridere.
***
L’istante di silenzio fu la massima dimostrazione di quanto nessuno si stesse aspettando quella risata.
Kate, ridotta a poco più di un cadavere, ebbe la forza d’animo di stringere gli
occhi per paura di aver visto male. I suoi problemi di miopia erano spariti da
quando aveva subito la sua prima trasformazione, ma forse quella era una
conseguenza dell’aver perso abbastanza sangue da poter resuscitare un intero
cimitero. Però davanti a lei c’era davvero Fred, ancora bloccato fra le mani di
Tiresias ed ancora preso dalla sua risata quasi isterica.
«Che cazzo?» fu il
sussurro, sofferto, che Draco esalò, tenendo ancora Ophelia fra le braccia e
fissando prima il rosso e poi Kate come se si aspettasse che lei avesse delle
risposte.
Ancora più sconvolto fu Sisifo che, con due grandi falcate lo
raggiunse, afferrandolo per la collottola e sollevandolo fino a poterlo
guardare negli occhi. «Cosa significa questo? Com’è possibile che il tuo sangue
non abbia funzionato?» domandò, scaraventandolo lontano con sufficiente forza
da farlo quasi rimbalzare contro il pavimento. Con rabbia si voltò ad osservare
il contenuto della vasca, confuso ed irritato. Non era cambiato assolutamente
nulla da quando il sangue di Fred era stato aggiunto e Kate sapeva con certezza che fosse assurdo, a
meno che….
A meno
che quello non fosse Fred.
«Non avrei dovuto mettere in dubbio le parole di Eddie, ci
siede davvero cascati come dei polli4» si rallegrò il non-Fred, rialzandosi a fatica. Quando
sollevò la mano per tirare via quello che si stava scoprendo essere un orecchio
finto, Kate non riuscì ad impedire ad una risatina addolorata di lasciare le
sue labbra, mentre si abbandonava nella pozza del suo stesso sangue,
improvvisamente più sollevata. Era George,
aveva preso il posto del fratello su consiglio della loro veggente.Edelweiss li
aveva salvati. Una bambina era riuscita ad evitare l’orrore che loro, una squadra di agenti super
addestrati, non erano riusciti a fermare.
Edelweiss.
«Cosa?» urlò
Sisifo, con abbastanza forza da far arretrare un terrorizzato Tiresias, quasi
lui avesse saputo cosa fosse sul punto di succedere. Dimostrando di essere un
vero veggente, pochi secondi dopo si ritrovò riverso al suolo, l’impronta di
una mano ancora ben stampata sulla guancia pallida e non ancora coperta da
lividi. «Com’è possibile? Come hai potuto non
vedere?».
Approfittando del momento di distrazione, George era riuscito
a strisciare accanto a Kate, osservandola senza l’ilarità che aveva mantenuto
fino a quel momento. Lontano da loro, i due amanti erano immersi nel loro mondo
di violenza. Lei non riusciva a più a distinguerlo con nitidezza, ma i capelli
rossi erano impossibili da non notare.
«Non sono… mai stata…così felice di vederti da- dal Ballo del
Ceppo» esalò, cercando – malamente – di sorridergli. L’imprecazione sussurrata
con cui le rispose, tuttavia, le fece capire di essere ridotta ad uno
spettacolo orrendo. «Ignora… me… Philly…». Tentò, indicando un punto non
proprio preciso alle sue spalle dove credeva
si potesse trovare Ophelia. La sua intuizione era prevalentemente basata
sui lamenti patetici di Draco, bloccato fra il dover necessariamente obbedire
ad un ordine e la volontà di avvicinarsi ad aiutarla5.
Una mano gentile le accarezzò il viso con fermezza, cercando
forse di fermare l’emorragia dalla ferita alla fronte. Lei stava morendo a causa di una serie di graffietti che una persona normale non
avrebbe quasi sentito. «Non parlare Kat» la rassicurò il gemello, palesemente
ansioso. «Adesso… adesso ti chiuderò le ferite, ok? Sono sicuro che… uhm…».
«No… porta… portala via» insistette di nuovo, scuotendo il
capo, per quanto possibile. In sottofondo le sembrava quasi di sentire il
pianto disperato del Veggente. «Io… Draco può… può venire da me».
Forte di quella concessione appena sussurrata, il non-morto
impiegò poco più di una manciata di secondi a raggiungerla, lasciando a se
stessa Ophelia e fermandosi solo per raccogliere da terra la propria bacchetta.
«Mi prenderò cura io di lei, tu va’»
ordinò, con il suo miglior tono autoritario, poggiando le mani gelide sul viso
di Kate. «Puoi ancora portarla via, se c’è una cosa che ho imparato e che
nessuno può distrarre quel mostro quando perde la testa» aggiunse, in un filo
di voce. «Quando si è accanito su di me non ha notato il tentativo di fuga di
Ophelia finché Tiresias non l’ha riacciuffata».
Ovviamente, pensò
Kate, senza tuttavia riuscire a dar voce al suo pensiero. Doveva essere così affollato, in quella testa, da non consentirgli di
gestire più di un’idea per volta. Per quel motivo non aveva mai notato
l’orecchio finto. Significava che, dopotutto, Winter non era poi debole
come lui voleva far intendere: se il suo controllo era ancora tanto debole,
forse potevano ridarle abbastanza controllo da riacquistare coscienza.
E se
Winter avesse riacquistato coscienza solo per qualche secondo…
Un bruciore terribile le toccò il viso, interrompendo la sua
linea di pensiero. Draco doveva aver usato la magia per cauterizzare le ferite6
e, se lei fosse stata giusto un po’ più cosciente di se stessa, probabilmente
avrebbe urlato per il dolore terribile che la colpì.
«Riprendi parte della mia energia» le propose il non morto,
chinandosi per poggiare la guancia contro la sua, spostandosi poi per
avvicinare le loro labbra. «Non posso ridarti il tuo sangue, ma condividiamo
già un legame, potrai recuperare un po’ di forza in questo modo» continuò,
ansioso, passandole una mano dietro le spalle per sollevarla anche solo un
minimo. «Non essere testarda, Bell, abbiamo pochi secondi prima che quel folle
si ricordi di noi e Weasley non è riuscito ancora a raggiungere la porta per
smaterializzarsi».
Avevano
bisogno di tempo per raggiungere la porta e scappare.
Ophelia
aveva bisogno di tempo.
Winter
aveva bisogno di tempo.
Arrendendosi alla necessità, Kate lasciò che il bacio di Draco
la avvolgesse, risucchiando quella vitalità che, fortunatamente, Sisifo gli
aveva lasciato. Lentamente sentì un briciolo di forza tornare, formicolando
dalle sue labbra fin alla punta delle dita, rinvigorendola e rendendola sempre
più cosciente. La sua vista finalmente si schiarì ed il gelo ad altezza del suo
petto cominciò a ritirarsi, sostituito dal calore infernale del potere che,
finalmente, riuscì a riprendere possesso di lei.
Quando riaprì gli occhi – nuovamente neri come l’oscurità
della notte – si ritrovò a fissare quelli ancora velati ma coscienti di Draco.
Appariva ben più morto di qualche minuto prima, ma lei avrebbe risolto anche
quel piccolo problema, non appena ne avesse avuto il tempo. Lentamente si fece
aiutare a rimettersi in piedi, cercando con lo sguardo gli altri occupanti
della stanza. George stava trascinando via Ophelia, ancora senza sensi, ma
c’era qualcosa di sbagliato nel suo modo di muoversi, quasi… quasi non si stesse muovendo.
«Si chiama Captio
Temporis» la avvisò Draco, con un sospiro. «Una trappola che rallenta il
trascorrere del tempo, sono immobilizzati in un istante prolungato
all’infinito, credo che qualsiasi essere vivente tutt’intorno alla Sala lo sia.
Sisifo è vittima delle sue emozioni, ma non è uno stupido, sapeva che avremmo
potuto trovare il modo di scappare».
Kate annuì, fidandosi ciecamente. Non pretendeva certo di
avere le stesse conoscenze sulla Magia Oscura di un Malfoy. «Forse è meglio così, quando gli ho chiesto di portarla via
non ero propriamente lucida. Fuori di qui ci sono mostri terrificanti che
nessuno di loro due saprebbe sconfiggere» mormorò, osservando i propri vestiti
ancora zuppi di sangue con un cipiglio disgustato. «Non abbiamo molto tempo, ho
bisogno che tu mi racconti tutto quello che sai su Beatrice Vane e sul modo in
cui è morta. E qualcosa sulla sua personalità non sarebbe male».
Confuso, Draco si accigliò. «Perché?».
«Perché stiamo per richiamarla dalla tomba» gli confidò, con
un sospiro, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il suo coltellino d’argento
e pregustando già con un certo fastidio il dolore che avrebbe sentito una volta
tagliata – di nuovo, maledizione – la
sua stessa pelle. La parte più vanitosa di lei si stava sforzando di non
pensare alla condizione in cui il suo viso fosse stato ridotto dopo la brutta
esperienza. Dover cauterizzare le ferite con il fuoco aveva quella piccola conseguenza antiestetica di cui
lei non era una gran ammiratrice. «Se c’è qualcuno capace di riportare Winnie
alla realtà è lei».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e bentornati,
cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Qui succedono cose.
Prima di tutto voglio scusarmi,
so che il capitolo è corto ed è pure bruttino, ma quest’esame mi ha tolto la
vita ed il professore ha trovato il modo di rendermi l’esistenza un inferno a
modo suo. Tranquilli, niente di grave, è andato tutto alla grande alla fine dei
conti ahaha!
Però sono esasperata e
temo di essermi sfogata sui miei personaggi. Perdonatemi se questo capitolo
sarà risultato un po’ giù di tono, oltre che più corto. Prometto che la
settimana prossima ucciderò qualcuno, così saremo tutti più sollevati :D
Punti importanti:
» * -“È difficile, davanti ad una situazione che
non si può controllare, ammettere di non poter fare nulla”. Kate è
consapevole di non essere abbastanza forte, non da sola. Se non fosse stato per
l’intervento leggermente Deus ex machina
di Edelweiss probabilmente sarebbe già morta. Ed ora deve per forza tentare con
Beatrice Vane. Da sola, lei non può fare nulla. E questa cosa la terrorizza.
» 1 – Background:
dopo essersi diplomata e dopo essere stata in Romania per controllare la sua
prima trasformazione, Katie Bell era ridotta ad un cadavere vivente. È stata Ophelia ad avvicinarla e, lentamente, a
ridarle una minima parvenza di umanità. Winnie c’era, ha visto quanto era
ridotta male, e Kate ha usato quei ricordi per far capire a Sisifo quanto,
teoricamente, fosse inutile il suo accanirsi contro di lei.
» 2 – Piccola
spiegazione: usare il sangue di un altro negromante/Succubus/Incubus fa
“surriscaldare” il potere di ciascuno di questi, un po’ come una misura di
sicurezza. Quanto credete che sarebbero durati, se avessero potuto usare il
reciproco sangue per diventare potenti? È un po’ come quegli animali che usano
il proprio veleno per difendersi: un figlio della Morte che dovesse toccare
(per acquisire potere) il sangue di un suo fratello, sarà un figlio della Morte
morto, per questo Sisifo non ha
potuto costringere subito Kate a collaborare.
» 3 – Qui ho proprio
costruito castelli per aria. Draco è stato ucciso senza l’uso di una bacchetta,
quindi la sua bacchetta tecnicamente è “morta” con lui. Quando però Kate gli ha
restituito parte della sua vitalità, anche la bacchetta si è ripresa, restando
sempre legata a Draco. Tiresias non è umano, la bacchetta non lo riconosce come
creatura, quindi è stato come se fosse stato direttamente Draco a prendere il
sangue di Kate da terra.
» 4 – Credevate che la piccola veggente avesse finito di
sorprenderci? Ovviamente no! Eddie si è fatta portare alla Tana ed ha costretto
i gemelli a fare lo scambio. Ci saranno migliori spiegazioni più avanti,
soprattutto per quanto riguarda il motivo del sonnellino forzato di George.
» 5 – Credo di averlo già spiegato, ma per sicurezza: Kate ha dato il
suo sangue a Draco per riportarlo parzialmente indietro, lui adesso è uno schiavo, per lei. Lei gli ha
ordinato di non lasciare il fianco di Ophelia (mentre lei era cosciente, prima
che il dolore del vedere Kate malmenata la stordisse completamente) e lui non
può muoversi senza un ordine opposto.
» 6 – Draco sta usando un
incantesimo vecchio, cauterizzando
tutte le ferite di lei con il fuoco senza doverle toccare una per una. È un po’
assurdo, ma credo che i maghi, soprattutto nel Medioevo, abbiano avuto rimedi
simili. Mi sembra il minimo che Draco li conosca.
Come ho già detto, mi scuso
tanto per il capitolino insignificante, ma ho avuto una settimana di inferno e
sto ancora cercando di riprendermi.
Vi aspetto tutti lunedì
prossimo! Ci allontaneremo leggermente da quello che sta succedendo qui per
scoprire come se la passano tutti gli altri!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
Capitolo 31 *** Atto XII, Parte II – Il piano della Veggente ***
L’Erede del Male.
“Time is a valuable thing
Watch it fly by as the pendulum swings
Watch it count down to the end of the day
The clock ticks life away*”.
[Linkin Park – In the
End]
Atto XII, Parte II
– Il piano della Veggente
Maine non aveva aperto bocca dal momento in cui Kate era stata
risucchiata via dall’oscurità, lasciando Harry a dannarsi per comprendere la
natura di quelle bestie. Lui era consapevolissimo delle sue avanzate conoscenze
in materia di Arti Oscure, ma era piuttosto certo di non essersi mai imbattuto
in creature di quella natura. Sembravano non
esistere, pur essendo stranamente familiari. Che le avesse già viste
durante la Guerra? Che le avesse viste tramite Voldemort?
Non c’era modo di trovare risposta ai suoi dubbi, non senza
prima far uscire il suo partner da quell’ostinato mutismo in cui si era
rinchiuso.
«Maine, non possiamo continuare così, se non ti decidi a
parlarmi non potrò aiutarti a liberare Hermione. Sei lì da almeno venti minuti
e non sei riuscito a fare passi avanti, di questo passo non la libereremo mai»
mormorò, piuttosto seccato, passandosi una mano fra i capelli e rendendoli
ancora più disordinati di quanto già non fossero.
Lo sguardo che il Magizoologo gli dedicò lo fece sentire un
opossum fra le fauci di un ippogrifo. Fortunatamente il suo addestramento era
stato abbastanza oscuro da
consentirgli di mantenere il sangue freddo. «Se credi di poter fare di meglio
per Hermione, prego, accomodati» gli
ringhiò contro, sventolandogli l’uncino sotto al naso come se avesse appena
pensato di usarlo per motivi illeciti. «Ho tentato ogni incantesimo di mia
conoscenza, ma il ragno che ha fatto questo è praticamente estinto, non ci sono
molte informazioni sulle sue vittime, soprattutto perché quasi nessuno è sopravvissuto» spiegò,
esasperato, lanciando un’occhiata al bozzolo di Hermione come se avesse potuto
scioglierlo per pura stizza. «Senza Kate non abbiamo idea delle sue condizioni,
non sappiamo se sta bene, se si sente indebolita o se grazie alla morte di Mulciber
il collegamento si è spezzato, almeno un po’».
C’era molto di più dietro le sue parole, Harry riusciva a
percepirlo. Quante volte si era ritrovato con il peso del mondo sulle spalle,
ma senza avere la più pallida idea di come intervenire, di come aiutare tutti?
Quante volte aveva saputo che la sua
famiglia fosse in pericolo, sentendosi inutile? I suoi primi sette anni nel
Mondo Magico non erano stati che un lungo periodo di inadeguatezza e
disperazione.
Barry Maine aveva appena visto sua figlia venire inghiottita dall’Oscurità, mentre sua moglie ed
il loro bambino non ancora nato rischiavano la vita fra le mani di una coppia
di millenari pazzi assassini. E lui era lì,
con Harry, incapace di aiutare Hermione nonostante fosse proprio il suo campo
ad essere coinvolto.
«Sai,» tentò allora Harry, stringendo per un attimo le labbra
mentre osservava con aria critica il bozzolo, «nei primi sei anni di scuola io,
Hermione e Ron ci siamo spesso trovati in situazioni assurde… magari potremmo
seguire quella strategia».
Maine alzò lo sguardo azzurrino su di lui, chiedendogli
implicitamente quale fosse il senso di quell’ulteriore interruzione. Dalle loro
spalle si sentì un sinistro scricchiolio, ma nessuno vi diede molto peso. O,
quantomeno, Harry non vi prestò attenzione. «E allora? La storiella del
Prescelto e dei suoi amichetti risparmiamela, Potter, da quando conosco
Hermione credo di averle sentite tutte. So che è sempre stata lei a salvarvi le
chiappe, ma in questo caso dubito che ci sia un modo per contattarla. Sempre
che tu non sia un Legilimante e me l’abbia tenuto segreto fino ad ora. In quel
caso mi sentirò autorizzato a darti un cazzotto dritto sul naso».
Con un riflesso incondizionato, Harry fece un passo indietro.
«No, mi dispiace, sono discreto come
Occlumante grazie al Professor Piton, ma l’inverso non mi è mai riuscito molto
bene» ammise, stringendosi nelle labbra. «Non mi riferivo alla strategia del “chiedilo
ad Hermione”, comunque, ma a quella di riserva che usavamo quando anche
Hermione non aveva idea di che pesci prendere».
Inarcando un sopracciglio, Maine calò le braccia lungo i
fianchi, esasperato. «Perché dovrebbe prendere dei pesci?» gli chiese,
scettico, per poi scuotere il capo, chiedendogli di lasciar perdere. «Qual è
questa strategia?».
Con un sorriso malandrino che Harry era certo di non aver sentito spuntare sul suo viso da anni, si avvicinò fino a potersi
inginocchiare accanto a lui, così da essere alla sua stessa altezza. «Quando
niente funziona, la nostra tecnica era la più antica di tutte e forse proprio
per questo la più efficace» spiegò, con macabra allegria. Indicò con un cenno
del capo l’uncino. «L’improvvisazione».
Per un singolo istante, Barry Maine lo fissò stralunato, poi
ridacchiò. «Probabilmente non hai idea del perché io sti stia dicendo questo,
Potter1» gli disse, rialzandosi lentamente e facendo un passo
indietro per avere una migliore visuale del bozzolo di Hermione. «Ma hai la
stessa espressione di mia moglie quando tira fuori uno dei suoi piani
potenzialmente suicidi che comunque funzionano sempre».
«Sarà un tratto dei Penderghast?» gli rispose lui, con una
domanda retorica, lasciandogli intendere di sapere
e di non essere arrabbiato2. «Adesso non perdiamoci in
chiacchiere però, se questo piano non funzionerà potremmo non avere tempo per salvarci la pelle».
Annuendo, nonostante la risatina ancora presente agli angoli
delle sue labbra, Maine si concentrò completamente su Hermione, o ciò che la
conteneva. Lentamente, poi, tirò indietro il braccio uncinato e, presa la mira
o recitata una qualche preghiera, colpì il guscio con tutta la forza di cui era
in possesso, perforandola come tutti gli incantesimi fino a quel momento non
erano riusciti a fare.
Resistente
alla magia ma non alla vecchia e cara forza bruta, fortunatamente.
Il rumore viscido di una membrana spaccata anticipò di qualche
istante il fluido verdastro che defluì come sangue al suolo, un momento prima
che, grazie a Barry, la stessa Hermione scivolasse via dalla spaccatura,
precipitando fra le braccia aperte e pronte di Harry. C’erano così tante cose
che sarebbero potute andare storte e nessuno dei due ci aveva davvero pensato.
Magari Hermione non si sarebbe mai svegliata, oppure avrebbe subito qualche
danno a causa del risveglio improvviso. Magari l’avrebbero ritrovata
completamente fuori di testa.
«Mettila a terra» lo ammonì Maine, che nel frattempo aveva
esaminato l’interno del guscio e si era ripulito l’uncino, inginocchiandosi
accanto a loro per potersi avvicinare più facilmente alla compagna ancora senza
sensi. Non appena Harry obbedì, lui le toccò prima il viso e poi il collo,
probabilmente ricercando il battito cardiaco. Il fatto che dovesse proprio cercarlo terrorizzò Harry, che tuttavia
rimase da parte senza neppure un fiato. Aveva imparato che ostacolare gli
esperti portasse solo a danni. «Non
sta respirando, il cuore è debolissimo» sbottò il Magizoologo, guardando
l’unica mano a disposizione con Rabbia. «Potter, sai praticare la
respirazione?».
Harry avrebbe voluto dire no,
non ho la minima idea di cosa fare,
ma non ci riuscì. «Sta… sta morendo?».
«Morirà se non farai come ti dico io» ringhiò l’uomo,
afferrandolo per la spalla con la mano buona e scuotendolo abbastanza
violentemente da fargli sbattere i denti. «Potter!»
sbottò ancora, riuscendo finalmente ad ottenere uno sguardo un po’ più
cosciente da lui, seppur non totalmente partecipe. «Prendi la bacchetta e
puntala alla sua gola» cominciò ad istruirlo, usando la mano libera per tenere
la testa di Hermione ferma. Non appena lui ubbidì, annuì e ricominciò a
spiegare. «Con l’altra mano, devi premere all’altezza dello sterno.
L’incantesimo la costringerà a riempirsi i polmoni, tu dovrai spingere l’aria
fuori. Dovrebbe bastare per farle sputare via tutto il fluido che la sta
soffocando. Appena sei pronto, pronuncia Ventus3».
Harry avrebbe voluto chiedergli come facesse a sapere del
fluido nei polmoni o se fosse certo che quell’incantesimo avrebbe funzionato,
essendo usato per sollevare brezze d’aria piuttosto forti. Voleva chiedergli se
fosse certo che così facendo non avrebbe ucciso
definitivamente Hermione. Alla fine, però, si limitò ad annuire, deglutire e
fare esattamente come gli era stato ordinato.
La velocità con cui Hermione spalancò gli occhi, voltandosi su
di un fianco per tossire via fluido verdastro lo fece quasi piangere per il
sollievo. Oppure pianse davvero, un attimo prima di afferrare la sua migliore
amica per le spalle e costringerla fra le sue braccia, così da accertarsi che
fosse ancora viva e vegeta, ancora lì
con lui. Ancora lei.
Lo spettro di Ron, che l’aveva perseguitato per due anni,
sembrò allontanarsi di nuovo, soddisfatto che lui fosse riuscito almeno4 ad aiutare Hermione.
«Oh, Merlino, stai
bene?» le domandò, sentendosi un po’ un idiota, lasciandola andare così che
Barry potesse continuare ad esaminarla nonostante stesse ancora sputacchiando
robaccia non identificata.
«Hermione, riesci a comprenderci? Puoi rispondermi?» le chiese
proprio il Magizoologo, ansioso, dandole dei colpetti sul viso come se avesse
temuto che lei non fosse propriamente sveglia. I suoi occhi, in effetti,
sembravano fin troppo vaghi rispetto a quelli sempre attenti della strega più brillante della sua generazione.
«Hermione, ti ricordi di me?».
Che lei non avesse risposto immediatamente era già
terrificante di suo, ma che poi si fosse voltata a fissare il vuoto fra i due
uomini lo fu ancora di più. Barry ed Harry si fissarono per un lungo istante,
ansiosi, scambiandosi teorie terribili su teorie terribili senza neppure
sentire il reale bisogno di parlare.
«Hermione?».
Fu allora che lei si decise ad aprire la bocca, tuttavia non
per parlare ma per lanciare il più spaventoso fra gli urli terrorizzati.
Quando Harry si voltò, delle tenaglie si chiusero a meno di venti centimetri dal suo viso ed il
ragno – probabilmente l’ultimo della sua specie – partì all’attacco.
***
Harry si fermò, gli occhi serrati, aspettandosi un attacco da
un istante all’altro. Non c’era stato il tempo di recuperare la propria
bacchetta, non quando era stato troppo impegnato a reggere Hermione per
impedirle di cadere come un sacco di patate. Aveva avuto il riflesso di
mettersi davanti a lei per schermarla, almeno la cavalleria era sopravvissuta a
quegli anni di distruzione mentale cui si era sottoposto.
Tuttavia, il dolore che si era atteso non arrivò mai,
nonostante i versi dell’animale fossero ancora vicinissimi e parecchio
spaventosi. Aperti gli occhi che aveva involontariamente chiuso, si ritrovò
protetto da una barriera appena evocata, Barry Maine in ginocchio davanti a
lui, le braccia aperte e la bacchetta nell’unica mano puntata davanti a loro
per mantenere fermo l’unico scudo posto a loro difesa. Barry Maine li aveva salvati tutti.
La bestia davanti a loro non aveva nulla di Aragog5, se non lo stesso numero di zampe e la
taglia. Le sue tenaglie erano almeno tre volte più grandi, decisamente
sproporzionate e probabilmente capaci di impedirgli di vedere bene nonostante
gli svariati occhi. Le lunghissime
zampe erano nere e lucide come pelle di drago, il corpo però era rosso intenso
con particolari linee dorate, quasi stesse indossando un cappotto riccamente
decorato. Gli occhietti verdi brillavano alla luce delle torce del magazzino in
modo terribilmente sinistro, fissando tutti e tre gli umani come se fossero
state succulente bistecche.
«Bestiola combattiva, eh?» sbottò il Magizoologo, stranamente allegro6,
rialzandosi con lentezza e stando bene attento a non far cedere le loro difese.
Harry strinse di più Hermione, ancora palesemente stordita ed incapace di
badare a se stessa. Quantomeno fu la menzogna che raccontò a se stesso: si
sentiva così inutile, in quel momento, da avere la necessità di un minimo
conforto. «Potter, tutto bene?».
Seppur preoccupato, Harry annuì. «Grazie per i riflessi
pronti» disse, senza fiato come se avesse appena finito una corsa di svariati
chilometri. L’effetto dell’adrenalina, probabilmente. «Pensi di poter… uh…
gestire la bestia? Mi sembra piuttosto arrabbiata».
La risata di Barry lo fece rabbrividire.
«Ah, non ne ho idea! Ogni animale è diverso dall’altro, non ho la pretesa di
conoscerli tutti quanti» spiegò, cominciando assurdamente ad avanzare. Il luccichio nel suo sguardo non aveva nulla a che vedere con la pacata
dolcezza che Hagrid o Newt Scamander7 usavano con le bestie
selvatiche. «Questa bellezza deve essere rimasta da sola per secoli».
Tentando di mantenere ferma una piuttosto agitata Hermione,
Harry gli lanciò uno sguardo stralunato. Ovviamente lo fissò solo per un
istante, le tenaglie a pochi metri da lui erano decisamente più inquietanti. E
lo era anche quella sostanza verdognola che ne usciva. «Secoli? Questa roba vive così a lungo? Aragog non avrà avuto più di
settant’anni ed aveva quella stazza!» squittì
– non era, in effetti, un verso molto virile da parte sua, ma in quel momento
non se ne preoccupò – dopo un istante di calcoli. Hagrid lo aveva ricevuto da
cucciolo per poi vederlo morire durante il suo sesto anno. Per quanto il
Guardiacaccia si portasse bene gli anni, non era in dubbio che non ne fossero
passati di più di sessanta, settanta al massimo.
«Ti riferisci all’Acromantula della Foresta Proibita? Mia
moglie mi ha raccontato qualcosa al riguardo8. Mi sarebbe piaciuto
studiarla, ormai non è molto facile trovarne in giro» gli rispose Maine,
tranquillo come se fossero stati seduti al bancone di un pub per bere una birra
insieme. Inconcepibile.
«Se sopravvivremo, ricordami di portarti a conoscere i suoi
figli».
Nonostante non si fosse girato per guardarlo, la postura di
Maine tradì quanto fosse segretamente esaltato dalla prospettiva. «Dici sul
serio? Sei certo che abbia ancora dei
figli?».
Il ricordo dell’orda che, quasi dieci anni prima, aveva
attaccato lui e Ron lo fece rabbrividire. I flashback della Guerra e di come
quelle bestiacce avessero deciso di unirsi al Lato Oscuro non furono da meno.
«Oh, credimi, sono piuttosto certo.
Ma perché hai detto secoli? Come fai ad esserne sicuro?».
Barry Maine, nonostante la loro adorabile chiacchierata, aveva
continuato a spostarsi ed avanzare, senza mai rompere il contatto visivo con
l’enorme aracnide a pochi metri da loro. Erano entrambi così tranquilli che per un attimo Harry si
chiese se, caduto lo scudo, la bestia avrebbe deciso di lasciarli stare o si
sarebbe buttata in avanti per mangiarli. Probabilmente la seconda possibilità,
il suo era un pensiero ridicolo. «Sai come si dichiarano estinti gli Animali
Fantastici, Potter?» gli chiese, retorico, il Magizoologo, senza attendere una
risposta prima di continuare. «Esistono incantesimi di ricerca che ci
consentono di verificare l’esistenza di bestie in vita che siano allo stato brado. Circa trecento anni fa è stato
fatto l’ultimo controllo per questa
tipologia di ragno e non c’è stato alcun riscontro. Da qui deduco che trecento
anni fa fosse già tenuto in cattività».
Harry si accigliò, confuso. «Potrebbe tranquillamente essere
nato da genitori in cattività non più
di settanta o ottanta anni fa, no?».
Dalle sue braccia, dopo dei movimenti piuttosto lenti ed
affaticati, giunse la voce di Hermione, che doveva finalmente essersi ripresa. «L’Aracne
Thailandese non può nascere in cattività» spiegò, con una smorfia, cercando
di raddrizzarsi con l’aiuto dell’amico. «Non so molto sull’argomento, ma se non
sbaglio può nascere solamente in un’area isolata della Provincia del Chumophon,
solo da una covata di tredici uova che sia stata generata da un mostro marino
sulle spiagge e poi covata da un serpente a sonagli. Hanno provato a riprodurre
l’esperimento al sicuro, nelle riserve, ma nessuno ha idea del perché non sia
mai riuscito9».
La risatina di Barry fu un’eco del sollievo che anche Harry
provò nel sentirla. «Mi sei mancata, Hermione» le comunicò l’uomo, senza
voltarsi a guardarla. «Comunque non ci sono mai riusciti perché nessuno ha idea di quale sia questo mostro marino,
molti credono sia invisibile o comunque estinto» spiegò, con la stessa allegria
che Hagrid aveva avuto presentando ai ragazzi del terzo anno i loro primi
Ippogrifi. Doveva essere una qualche deformazione professionale, davvero. Harry aveva sentito Rosemary e
Charlie usare lo stesso tono per parlare di piccoli Dorsorugosi. «Per questo
credo che la bestiola sia nata prima
dell’ultima verifica e sia stata poi tenuta in cattività. Immagino che Tiresias
abbia avuto tutto il tempo del mondo» aggiunse, piuttosto seccato.
«Avremo tutto il tempo per accusarlo di crudeltà contro le
Bestie, Barry, una volta che avrai fatto il possibile per liberarci di questa
qui ancora perfettamente sana e funzionale» sbottò Hermione, occhieggiando con
disgusto alla condizione dei suoi vestiti. «C’è qualcosa che possiamo fare per
aiutarti? Io non sono sicura di potermi reggere in piedi, ma Harry diventa meno
tonto quando siamo nel mezzo dell’azione».
Piuttosto ferito, lui le lanciò un’occhiataccia. «Grazie
tante, Hermione, anche io ti voglio bene» le disse, con una smorfia, sospirando
quando lei gli rispose con un sorrisino ed una stretta di spalle. «C’è qualcosa
di diverso in te, non è vero? Non sei stata così… attiva, prima».
Il modo in cui lei gli sorrise fu sufficiente come conferma.
«Diciamo che ho avuto modo di fare una bella chiacchierata con me stessa ed
accettare cose che prima mi ero
rifiutata anche solo di vedere. Non sto ancora bene, ma almeno sto meglio» ammise, dandogli una delicata
pacca sul braccio, quasi a volerlo incoraggiare. «Se sopravvivremo, magari
potremo far visita al dottor Crave insieme, che ne dici? Prepararci all’arrivo
dei gemelli».
La prospettiva di un futuro abbastanza pacifico da consentire
loro quella libertà lo fece rincuorare,
anche se solo per un momento. C’era speranza, ci sarebbe sempre stata finché
fossero stati insieme, almeno loro
due. «Magari potremmo farlo, sì».
«Per quanto toccante, temo di dover interrompere la vostra
adorabile riunioncina», la voce di Barry era stranamente agitata, nonostante
l’animale non si fosse mosso di un singolo centimetro. «Ho bisogno che voi due
restiate in silenzio, voglio provare una tecnica di ipnosi che mi ha insegnato
zio Newt ma per farlo dovete essere praticamente due statue di sale, non posso
rischiare che l’Aracne si distragga».
Piuttosto preoccupati, Hermione ed Harry si lanciarono uno sguardo,
per poi annuire e restare in perfetto silenzio. Harry dubitava che fosse il
dover fermare la bestiola a preoccupare il magizoologo, probabilmente era stato
il riferimento ai suoi gemelli a ricordargli quanto terribile fosse la
situazione di tutti gli altri. Naturalmente, l’unica persona capace di far
qualcosa per aiutare Ophelia era Kate e lei, forse, l’aveva già raggiunta. Ma non si trattava certo di un
pensiero particolarmente rincuorante.
Lentamente, Barry iniziò a muovere la bacchetta per compiere
strani cerchi concentrici, facendo realizzare ai suoi due compagni d’avventura
di aver fatto cadere l’unica protezione fra loro e le tenaglie avvelenate.
C’era una strana scia verdastra intorno alla punta della sua arma che lasciava
una scia capace di resistere qualche secondo prima di sparire e che stava
realizzando, con i suoi movimenti, dei disegni astratti apparentemente
inspiegabili ma capaci di incantare chiunque vi ci concentrasse per più di
pochi attimi. Era palese che quello non fosse il suo primo tentativo, tuttavia
non c’era presunzione nei suoi movimenti, solo una concentrazione assoluta,
guidata da puro terrore.
Rischiava di non poter raggiungere sua moglie ed il suo
bambino. Rischiava di perderli entrambi senza poter far nulla per aiutarli.
Con una punta di orrore, Harry osservò l’uomo farsi avanti di
un passo alla volta, lo sguardo fisso sugli occhi della bestia che a sua volta
erano puntati sui movimenti della sua mano. Era assurdo che non si stesse muovendo. Assurdo che lui fosse arrivato a pochi centimetri.
Assurdo
che fosse riuscito a spostare la bacchetta e puntargliela in mezzo agli occhi,
stendendolo con un colpo solo.
«Non lo
chiamano Re delle Bestie senza
motivo, sai?».
***
Con la bestia ridotta ad un enorme ammasso informe dai colori
sgargianti, Harry riuscì a tirare un minimo sospiro di sollievo. Una parte di
lui ancora tremava all’idea di cosa
sarebbe stato di loro, se Maine avesse avuto dei riflessi meno pronti, ma
fortunatamente era sovrastata da quella tremendamente grata ed iperattiva al
pensiero di potersi finalmente rendere utile.
«Cosa significa che
avete lasciato andare Kate da sola?»
sbottò Hermione, sconvolta, passeggiando davanti ad entrambi gli uomini come se
fermandosi avesse potuto scatenare un incidente diplomatico internazionale. Non
aveva degnato neppure uno di loro di uno sguardo che non fosse carico di
disappunto e che fosse durato più di tre secondi. Ad Harry era mancata
quell’aria di esasperata superiorità, non la vedeva da anni. «La prima regola
del Codice Banshee è mai andare in
missione da soli, nonostante possa sembrare la scelta migliore!».
Maine strinse le labbra, continuando ad arrotolare magicamente
una corda dorata intorno all’imponente corpo dell’animale addormentato. «Non
credi che avremmo preferito andare con lei? Dovevamo prenderci cura di te. La seconda regola del codice Banshee dice di non lasciare mai qualcuno indietro. Non potevamo certo lasciarti
qui» le fece notare, piuttosto seccato. Sbuffò, una volta finito il suo lavoro,
voltandosi per fronteggiarli entrambi. «Tu non hai visto cos’è successo quando
lei ha aperto la porta, Hermione. Ci sono bestie
qui fuori, bestie che anche io sto faticando a riconoscere. Dubitavo che lei
avesse ragione, quando ha detto che non avrebbero consentito a nessuno di
seguirla, come se fossero state coscienti… ma quando lei ha spalancato la porta
e quelle cose l’hanno afferrata...» rabbrividì, senza poterlo evitare. I suoi
occhi blu si puntarono sulla porta di metallo che li separava dall’oscurità,
quasi avesse potuto scorgere qualunque cosa vi fosse dall’altra parte.
«L’hanno afferrata,
Herm» si premurò di specificare Harry, con una smorfia. «Ho visto mani
artigliate, zampe… era come se delle ombre avessero assunto forma fisica solo
per poterla portare via. Avrebbero potuto fare irruzione in qualunque momento,
probabilmente potrebbero farlo anche ora… ma non lo stanno facendo».
Lei si pizzicò la radice del naso con un sospiro. «Tutto parte
del piano di Tiresias, ovviamente» si
lagnò, guardando a sua volta la porta con aria disgustata. «Hai detto che
sembrano delle ombre? Ed hanno forme diverse e spaventose?» chiese quindi, riflettendo
su quelle che avrebbero dovuto essere le loro possibilità. «Barry?».
L’uomo si grattò la guancia con l’uncino, preoccupato. «Non lo
so, Hermione, non ho mai visto nulla di simile. Non credo siano creature,
quantomeno non conosciute o non tradizionali, sembrano essere usciti
direttamente dai miei incubi di quand’ero bambino».
Un brivido fece sbattere i denti di Harry. Sì, anche lui aveva
avuto incubi simili: bestie informi sbucate dall’oscurità sotto al suo letto,
dalle fessure delle scale che scricchiolavano sopra la sua testa. Quelle ombre
lo avevano perseguitato finché non era stato abbastanza grande da illudersi di non vederle più, finché i
mostri della vita reale non erano diventati abbastanza spaventosi da
sostituirli e dare forma a quelle paure irrazionali dei bambini.
Loro erano sempre stati lì, però. In un angolo del suo
inconscio, nascosti da strati e strati di convinzioni, di coraggio posticcio e
di razionalità. Erano rimasti lì, in silenzio, aspettando solo quell’istante
per emergere dalle sue notti e torturarlo come non avevano più potuto fare da
anni.
«Dai tuoi incubi»
ripeté Hermione, riflessiva, lasciando che il suo sguardo si assottigliasse
come se anche lei avesse potuto improvvisamente sviluppare la capacità di
guardare oltre i muri. Non si era ancora completamente ripresa dalla brutta
avventura nel mondo dei sogni, eppure
era quella che sembrava capace di ragionare meglio, come se l’impatto con la
realtà alternativa non l’avesse sconvolta come era accaduto a loro. Forse
perché vi era rimasta più tempo senza l’influenza di Mulciber? «Dai tuoi incubi!» ripeté, questa volta
più forte, coprendosi le labbra con le mani come se si fosse sorpresa del suo
stesso urlo. I suoi occhi scuri si spostarono da Barry ad Harry e vice versa
per un paio di volte, prima di fissarsi nuovamente sulla porta. «Loro vengono dagli incubi».
Barry la fissò per qualche istante senza comprendere, per poi
sbiancare più di quanto non avesse già fatto e voltarsi a sua volta verso la
porta. In quel momento, Harry comprese tutta la stizza che Ron aveva maturato
negli anni verso lui ed Hermione: era decisamente
fastidioso essere il più stupido del gruppo.
«Qualcuno vuole spiegare a questo semplice Auror cosa sta
succedendo?» azzardò, preoccupato, odiandosi per non aver mai approfondito lo
studio delle creature durante il sesto anno. Avrebbe fatto bene a seguire
Hagrid, magari avrebbe avuto modo di migliorare le sue conoscenze e capire da solo, senza bisogno che gli
venisse spiegata ogni sciocchezza.
Quei due lo ignorarono completamente.
«Kate è riuscita a percepirli immediatamente perché sono creature
oscure? Possono avere a che fare con la morte, credi?».
«Il mondo dei sogni è ciò che più si avvicina al fenomeno
della morte, non mi stupirei se quei cosi
fossero dipendenti dalla morte stessa».
Spazientito, Harry sbuffò abbastanza forte da attirare
finalmente la loro attenzione. «Qualcuno
vuole dirmi qualcosa? Mi sento leggermente escluso, qui».
Hermione gli posò la mano sul braccio, ansiosa. «Harry, quelli
sono Terrori Notturni, sono letteralmente ciò che popola i tuoi
incubi, però riportati alla realtà. Tutto ciò di cui l’uomo ha paura, ma libero
dalle catene dell’immaginazione. Kate aveva ragione quando ha detto che non
c’era modo che voi poteste scappare con lei, se dovessimo mettere un solo piede
qui fuori probabilmente verremmo annientati dal terrore più acuto mai provato».
Il brivido tornò più forte di prima, lasciandolo quasi
stordito. «Cosa possiamo fare? Non possiamo restare qui per sempre e di certo
non possiamo smaterializzarci» mormorò, ansioso, occhieggiando a sua volta alla
porta. Quelle cose avrebbero potuto
fare irruzione da un secondo all’altro, forse aspettavano solo che loro si
spaventassero per bene. «Come li combattiamo?».
Indecisa, Hermione si voltò in direzione di Maine, che aveva
le labbra strette in una linea sottile. «Loro sono paura, tutto ciò che di negativo l’uomo può immaginare» tentò,
passandosi la mano fra i capelli. «Non posso che seguire la stessa linea usata
per Dissennatori e Lethifold».
Il gemito preoccupato della sua migliore amica
confermò il pensiero che si era appena formato nella mente di Harry. Dopotutto,
c’era solo un incantesimo che le
aveva sempre dato problemi.
«Tu vuoi usare l’Incanto
Patronus».
***
Fred Weasley non era mai stato un uomo paziente. Mai, in tutta la sua vita. Si era
sforzato nei due anni che erano serviti ad Hermione per ottenere il suo nuovo
incarico, così che potesse farlo nella massima tranquillità possibile. Aveva
atteso un tempo anche più lungo per farle conoscere i suoi sentimenti, ma in
quel caso era stata più che altro la rassegnazione a parlare, non la pazienza.
Non credeva certo che lei avrebbe messo da parte Ron, non per lui almeno.
Fred non era paziente, ma aveva imparato ad esserlo per le
questioni davvero, davvero
importanti. Tuttavia, mentre aspettava fuori dal Quartier Generale delle
Banshee, insieme ad una piuttosto agitata Rosemary, Theodore Nott e Miss
Peregrine del Ministero, quella piccola stabilità che tanto duramente aveva
conquistato sembrò vacillare pericolosamente.
«Non ho intenzione di aspettare un altro istante» sibilò per l’ennesima volta sua cognata, cercando di
liberarsi dall’incantesimo di costrizione che l’altra donna le aveva lanciato
circa tre minuti dopo essere giunti a destinazione. Quindi parecchio tempo prima. «Non me ne importa un fico secco che lei sia
una Banshee sotto copertura, Peregrine! Mi lasci andare immediatamente, mio padre sta rischiando la vita lì dentro ed io non resterò qui con le mani in mano in
attesa di neppure lei sa cosa!».
Pizzicandosi la radice del naso, la personificazione della
Malasorte sospirò pesantemente. «Credimi, signorina Crave, neppure io vorrei
essere in questa spiacevole situazione mentre i miei pochi colleghi superstiti
combattono contro un male mai affrontato prima» le disse, arricciando la sua
eccezionalmente lunga appendice nasale. «Ma come la piccola signorina Runcorn
ci ha fatto notare, “se entrate nel
castello da soli i mostri vi mangiano”» ripeté alla lettera, sfoderando uno
dei vari talenti che si era scoperto avesse solo nel momento in cui aveva fatto
la sua entrata scenica alla Tana insieme ad un confuso Percy.
Era stata Edelweiss a gestire quel piano, con il suo lessico
da bambina e la sua determinazione da Veggente. Li aveva costretti a fare uno
scambio a dir poco inconcepibile – quantomeno per Fred – e poi aveva chiesto
solamente a quel piccolo gruppo di prepararsi alla battaglia, attendendo un
segnale che avrebbero riconosciuto.
Fred avrebbe giurato che il segnale in questione fosse stato lo scoppio della
battaglia – e Rose aveva immediatamente concordato con lui – ma la Peregrine
era stata lesta nel sottolineare quanto assurda fosse la sua idea. Non avevano
alcuna informazione in più, se anche si fossero buttati nella mischia
difficilmente ne sarebbero usciti vivi.
A pochi metri di distanza da loro, Theodore Nott non aveva
smesso un solo istante di cercare informazioni sulla biblioteca che si era portato dietro. Lui era stato a sua volta
contattato grazie ad Edelweiss, che aveva chiesto a sua madre di chiamare suo
cugino “quello carino”. Audrey aveva
a quel punto informato Percy della bizzarra storia d’amore che era nata fra sua
figlia ed il figlio della sua compianta zia, l’ultimo erede Nott10,
chiedendogli di andare a cercarlo immediatamente. Ritrovato il giovane, erano
bastati pochi minuti in solitudine con la bambina per convincerlo a
partecipare. Nessuno sapeva perché,
nessuno sapeva come, ma le fiamme che
si erano accese nello sguardo dell’ex Serpeverde non avevano consentito che si
potesse mettere in dubbio la sua motivazione.
«Siamo tutti ansiosi di entrare in azione, Rosie» mormorò
allora Fred, dando alla ragazza più giovane una pacca sulla spalla. «Il mio
gemello si sta spacciando per me,
mentre Hermione è ancora dispersa, come Harry e gli altri». Il suo sguardo si
perse sul castello davanti a lui. «Ho visto una delle mie più vecchie amiche
entrare in quel castello completamente circondata da bestie senza forma e non
so quanto possa positiva possa essere questa cosa. Le Banshee non escono mai da
sole».
Miss Peregrine annuì. «Katie Bell non ha mai avuto il permesso
di uscire da sola, se davvero quella che abbiamo visto era lei, deve esserci
una buonissima ragione dietro quel suo comportamento11. Le rare
volte in cui l’ho vista, al Quartier Generale, è sempre stata circondata dai
coniugi Maine».
«Bell è una Succubus» si intromise Nott, sollevando lo sguardo
dai suoi libri solo per un istante. «Se quelle bestie sono davvero ciò che credo che siano, allora lei è l’unica
che potrebbe avere una speranza di sopravvivenza» disse, alzandosi in piedi e
raggiungendoli. «I Terrori Notturni sono creature d’oscurità, sono fatte della
stessa sostanza del potere della Bell, quindi potrebbe non esserne affetta come
noi».
«Hai trovato altro sui tuoi libri? Non c’è un modo per
distruggerli?» si intromise Rosemary, dimenandosi ancora come una bestia in
agonia. In quel momento lui capì perché suo fratello fosse stato tanto
reticente all’idea di lasciarla andare senza di lui. Non era preoccupato che
lei non sapesse difendersi ma, piuttosto, che loro non sapessero tenerla buona. Rosemary Crave non aveva nulla da
invidiare ai draghi cui era tanto legata, soprattutto quando il suo adorato papà era in pericolo.
«Nott, per Merlino!».
«Non c’è nulla sul modo di distruggerli» sbottò lui,
esasperato. «So che per crearli serve un sacrificio di sangue immenso, cosa che credo potremmo
ricollegare alla strage degli ex Mangiamorte, ma per il resto il libro è molto
vago. Sono creature apparse raramente
nella storia, di solito sparivano insieme a chiunque avesse provocato le
stragi».
Fred sospirò. «Quindi dobbiamo uccidere Sisifo o, quantomeno,
la sua incarnazione momentanea» sbottò, portandosi una mano alla fronte e
stringendosi le tempie per cercare di alleviare il terribile mal di testa che
l’aveva colpito. Tornare in vita non era stata la passeggiata che lui aveva
sperato fosse, ma non poteva certo lamentarsi. «Se vi può consolare, dubito che
lui sia tornato del tutto, quantomeno non ancora. Ma è forte».
«Come fai a dirlo, Weasley?» si intromise la Peregrine,
osservandolo come qualcun altro avrebbe osservato una bestia rara. «La vostra
famiglia non ha mai avuto alcun collegamento con il sangue della Morte».
«Sono stato resuscitato non più di due giorni fa, da quel
momento ho come una… uhm… sensazione»
ammise, con una smorfia. «So con assoluta certezza, per esempio, che Kate sia
decisamente meno al sicuro di quanto non pensiamo».
Nott annuì. «È perché lei
ti ha riportato in vita» spiegò, indicando il suo libro. «Esiste un
collegamento molto forte fra Negromante e Risvegliati, probabilmente tu saresti
il primo a sentire se lei dovesse tirare le cuoia».
«Confortante».
«Preferirei non mettere in conto la morte di nessuno,
sinceramente» proclamò una voce dalla loro spalle, un attimo prima che da oltre
gli alberi facesse la sua comparsa Barry Maine, seguito a ruota da Harry ed
Hermione. Fred non si sentì mai tanto sollevato come in quel momento.
«Soprattutto non quella di Trina».
A sua volta sollevata, la Peregrine si fece avanti, allungando
la mano per stringere quella di Barry. «Siete vivi, non sapevamo cosa fare, quando il Dottore mi ha detto di
stare all’erta perché non era stata autorizzata una missione di salvataggio ho
davvero temuto per il peggio» sbottò, azzardandosi addirittura ad abbracciare
leggermente Hermione, sotto lo sguardo attonito di Harry.
È davvero
un po’ tardo, pensò Fred, sentendo la voce di Kate risuonare
nei meandri del suo cervello, mentre si faceva avanti per strappare Hermione
dalle braccia della Peregrine e la stringeva a sé.
«Il Dottore aveva dei sospetti, quindi» sospirò Maine,
lanciando un’occhiata ansiosa al Quartier Generale. «E se lui aveva sospetti,
non dubito che fossero più che fondati. Voi cosa state facendo qui?».
«Aspettiamo che dal cielo cada la soluzione per sconfiggere o,
quantomeno, rallentare i Terrori Notturni, così da aiutare i pochi agenti
ancora in vita e andare ad aiutare Draco, la Bell e gli altri, tra cui anche
l’altro gemello Weasley» spiegò velocemente Nott, decisamente arrabbiato ma
capace di contenersi molto meglio di Rosemary, che non aveva prestato la minima
attenzione a nessuno di loro perché troppo presa dai suoi tentativi di fuga.
«Cosa fa George al
Quartier Generale?»
«Siete fortunati, allora» si intromise Harry, impedendo ad
Hermione di chiedere ulteriori spiegazioni, facendosi avanti ed indicando il
grosso castello in subbuglio. «Noi
abbiamo la soluzione adatta».
«Era ora, cazzo» si
lamentò proprio Rose, riuscendo finalmente a liberarsi, complice il movimento
silenzioso della bacchetta di Miss Peregrine. «Possiamo far saltare in aria il
dannato portone, adesso?».
Svariate paia di occhi su puntarono su Fred.
Oh, beh…
«Fatevi da parte, Seamus Finnigan mi ha insegnato un paio di
trucchetti che potrebbero fare giusto al caso nostro».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Nessuno aveva capito chi
fosse Sisifo, io sono molto soddisfatta.
Una bella riunioncina
prima della botta finale, non credete fosse necessaria?
Ah, io amo Rosemary Crave con tutto il mio
cuore e sono così felice di averla lasciata sana e salva almeno in questa ff.
Peccato per il Dottore.
Punti importanti:
» * - Il tempo è una cosa preziosa/ guardalo volare mentre
il pendolo oscilla/ guardalo passare fino alla fine dei giorni/ l’orologio
ticchetta via la vita. In una
fedele imitazione del Bianconiglio, mi sento di specificare che il tempo sta
effettivamente finendo.
» 1 – Harry è stato
il primo a riprendersi, quindi gli altri non hanno idea di cos’abbia visto.
Barry non sapeva che Harry avesse scoperto della parentela con Ophelia.
» 2 – Come Draco aveva
detto ad Ophelia, Harry non potrebbe mai
arrabbiarsi con la sua ultima parente “paterna” in vita.
» 3 – Ho scritto una
cosa inventatissima, non ci sono riscontri di alcun tipo nei libri ma non
sapevo bene che pesci prendere. Abbiate pazienza, studio legge e non medicina,
non sono proprio sicurissima che una pratica simile possa effettivamente fare
del bene, ma, ehi, magia.
» 4 – Chi crede che Harry non si incolpi della morte di Ron
è pregato di alzarsi, mettersi in un angolo e vergognarsi. Ovviamente Harry non
riesce a chiudere gli occhi senza vedere il suo migliore amico ridotto ad un
vegetale. Ovviamente si è sentito
responsabile sia per lui che per l’ipotetica morte di Hermione.
» 5 – Fun Fact: non ho la
minima idea di come funzionino i
ragni, quindi qualsiasi riferimento successivo è puramente frutto della mia
fantasia. I ragni mi fanno piuttosto schifo (anche se mai quanto gli scarafaggi).
» 6 – Finalmente il mio Barry è nel suo vero
elemento! No, non è pazzo, è semplicemente entusiasta di rendersi utile. A lui
piacciono le bestiole, come piacciono ad Hagrid. O a suo zio Newt. Che bello avere a che fare con le
bestiole. Ci piacciono tanto, soprattutto quando sono grosse e con tanti denti,
zampe, occhi ecc…
» 7
– Random Fact: Harry ha incontrato Newt in più di un’occasione ed ha avuto
modo di sorprendersi per come un vecchietto potesse essere così arzillo con
bestione dieci volte più grosse di lui. Chi lo sa da chi ha preso Barry.
» 8
– Piccola Backstory: Ophelia ha avuto un faccia
a faccia con Aragog durante una punizione serale con Hagrid. Perché era in
punizione? Perché durante il suo ultimo anno – il primo anno del professor Piton – è stata misteriosamente coinvolta
in una serie di strani avvenimenti nei sotterranei, tutti con vittima il povero insegnante di Pozioni. E io difenderò la mia Philly fino alla
morte, è stato Piton ad iniziare con i dispetti. Provate ad immaginare l’essere
l’unica parente in vita di James Potter e di dover superare i MAGO in Pozioni
con Piton. Vi sfido a provarci.
Sfortunatamente
per Mocciosus, Ophelia aveva un raro talento per gli intrugli, quindi è
riuscita comunque a diplomarsi con il massimo dei voti e ad essere ammessa al
Corso al San Mungo. AH!
» 9
– Per caso si nota tanto il mio aver inventato tutto di sana pianta?
» 10
– Come ho accennato, Audrey ed Edelweiss sono delle Runcorn e i Runcorn sono
una vecchia e spocchiosa famiglia purosangue. Nella nostra situazione, la madre
di Theodore Nott era sorella del padre di Audrey, quindi lui è suo cugino. Per
quanto Nott padre non abbia alcun rapporto con loro, Audrey e Theodore si sono
visti più volte ed Edelweiss si è totalmente innamorata di lui. Anche se la
poverina sa di non avere speranza.
» 11
– Ovviamente loro non hanno la minima idea di cosa stia succedendo, non
sanno perché Kate era da sola. E
perché Katie non era mai lasciata a se stessa al Quartier Generale? La sua
instabilità, prima di Draco, unita al temperamento da fiera irlandese, la
rendevano piuttosto irascibile. Una Succubus irascibile non è una buona cosa.
ØPiccolo appunto: l’esplosione
del portone è la stessa esplosione che Kate ha sentito nel capitolo precedente,
giusto per darvi il contesto temporale. Mentre loro si fanno strada al piano di
sotto, Kate viene “rianimata” da Draco e decide di provare il tutto per tutto
con la madre di Winter.
Sono stata sul punto di
mettere in mezzo il mio adorato Seamus, ma ho pensato che avrebbe rischiato di
morire e così ho evitato. Almeno lui devo salvarlo.
Ormai mancano due o tre
capitoli al massimo, wow. Ci siamo
quasi gente, preparate i vestiti per il lutto, perché ne avrete bisogno.
Mi dispiace.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
“«Or discendiam qua giùnelciecomondo», cominciòilpoetatuttosmorto. «Io sarò primo, e tu sarai secondo».
E io, che del color mi fui accorto,
dissi: «Come verrò, se tu paventi
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
Ed elli a me: «L’angoscia de le genti
che son qua giù, nel viso mi dipigne
quella pietà che tu per tema senti. Andiam, ché la via lunga ne sospigne».
Così si mise e così mi féintrare
nel primo cerchio che l’abisso cigne.*”.
[Dante Alighieri –
Inferno, Canto IV]
Atto XII, Parte III
– Limbo
I viaggi nell’Aldilà erano stati vietati per millenni, eppure generazioni e
generazioni di giovani Negromanti avevano avuto modo di conoscere alla
perfezione ogni minimo dettaglio di quella particolare realtà. Erano solo
dicerie, per la maggior parte. Racconti tramandati dai primi Negromanti e, in
rarissimi casi, esperienze dirette raccontate da Thanatos in persona. Kate era
la prima ad avventurarsi in quel luogo dal momento della caduta dei suoi padri immortali.
Era una sensazione bizzarra,
per usare un’espressione decisamente vaga. Lei percepiva con esattezza la
realtà del mondo umano in cui il suo
corpo era bloccato1, eppure la sua anima era altrove, proiettata in
quel luogo fumoso dai contorni indefiniti. Le anime intorno a lei erano
tormentate, per la maggior parte, ma in tante erano pacificamente in attesa di qualcosa di cui esse stesse potevano non
essere consapevoli. Muovendosi fra loro non riuscì a capire cosa stessero vivendo, avrebbe dovuto
avvicinarsi per ritrovarsi nella loro versione
del limbo, quindi il comportamento buffo di alcuni non poté trovare
giustificazione. Alcune sembravano intente a prendere il tè, altre leggevano
libri o combattevano con spade per lei invisibili.
Il Limbo
è ciò che ognuno desidera.
C’erano tante anime a lei sfortunatamente note, in quel luogo.
Si trattava delle più giovani, per la maggior parte vittime di Voldemort che
non avevano trovato la loro pace. Lontano da lei, invece, poteva scorgere delle
anime minuscole, disinteressate a tutto e tutti: i bambini nati prima di poter
sviluppare la loro piena essenza2.
«Katie?».
Una presa gelida – un’impressione, naturalmente, non
esistevano vere sensazioni in quel luogo – seguì al richiamo, spingendola a
balzare via per lo spavento. Quando si voltò, si ritrovò faccia a faccia con
l’ultima persona – poteva ancora definirla tale? – che avrebbe voluto
incontrare. L’espressione di quegli occhi verdi era dolce proprio come lei la
ricordava, il sorriso gentile nonostante l’evidente preoccupazione. Kate sentì
il cuore stringersi nel petto e la tentazione di piangere per poco non ebbe la
meglio su di lei.
«Oh, no» esalò,
portandosi una mano al viso, consapevole di quanto triste dovesse essere la sua
espressione. Intorno a lei la nebbia era mutata, prendendo l’aspetto di un
piccolo ma confortevole soggiorno. «Professor Lupin, cosa ci fa lei qui? Dovrebbe essere oltre, con sua
moglie».
Lo sguardo del suo ex insegnante di Difesa si addolcì ancora
di più. «Non temere, anche Dora è qui con me. Credo sia andata a fare un giro
fra… fra i bambini3»
mormorò, esitando prima delle ultime parole. «Non potremmo mai riposare in
pace, senza la certezza che Teddy abbia avuto una
buona vita» le spiegò, gentile, indicando qualcosa fuori dalle false mura.
«Anche James e Lily Potter hanno avuto una sorte simile, ma con la morte di
Voldemort sono riusciti ad andare avanti. Per noi è stato… differente. Preferiamo aspettarlo personalmente, forse perché
abbiamo avuto troppo poco tempo con lui».
Tentare di spiegare le ragioni di un’anima bloccata era
un’attività su cui Kate non poteva permettersi di indugiare, nonostante il
cuore le piangesse in petto al pensiero del più gentile fra i suoi professori
costretto a quell’esistenza a metà.
«Sono sicura che quando sarete pronti potrete procedere
insieme» lo rassicurò, cercando di suonare convincente anche alle proprie
orecchie.
Lupin sorrise, dandole un buffetto sul braccio. «Ne sono
certo, cara» mormorò, prima di accigliarsi. «Tu, piuttosto. Sei ancora viva, per quanto… maltrattata» le fece
notare, indicando il suo viso. «Come fai ad essere qui?».
Una smorfia fu tutto ciò che lei si lasciò sfuggire. «Diciamo
che ho i miei collegamenti,
professore» mormorò, prima di realizzare un piccolo
dettaglio. Lupin era stato a scuola nello stesso periodo della madre di
Winter, quindi avrebbe dovuto conoscerla ed aiutarla a scovarla, così da
dimezzare il suo tempo di ricerca. «Professore, lei per caso può portarmi da
Beatrice Vane? Il Limbo è leggermente
infinito, rischierei di perdere troppo tempo e, ugh, stare troppo qui potrebbe rendere difficile il mio
ritorno fra i vivi4».
L’espressione dell’insegnante cambiò improvvisamente, passando
da curiosa a preoccupata nel tempo di un battito di ciglia. «Non credo sia una
buona idea, signorina Bell» le fece notare, mentre intorno a loro il soggiorno
spariva, rimpiazzato dalla vecchia nebbia. «Beatrice è fra le anime più
tormentate, non esce mai dal suo
mondo. Potrebbe non voler parlare con te».
Per nulla sconfortata, Kate scosse il capo. «Mi creda, sono
piuttosto convinta di avere argomenti molto più che convincenti a supporto
delle mie richieste» gli fece notare, tranquilla. «Può accompagnarmi? Ho una
certa fretta, mi serve lei per evitare che il mondo vada in rovina».
Lupin sospirò. «Un altro guaio, eh?5 Mi auguro che
riusciate a risolverlo e che Harry non perda nessun altro» mormorò, triste.
«Quando Ron è passato di qui, prima di andare avanti, ho temuto che in poco
tempo avrei accolto anche lui ed Hermione.
Di positivo, quindi, c’era che nessuno dei due fosse ancora morto mentre lei sbrigava quelle
faccende.
«Faremo del nostro meglio. Mi può accompagnare, quindi?».
Il professore annuì, cominciando a far strada. «Quando
tornerai indietro… potresti portare un messaggio ad Harry?».
***
«Io non ti conosco».
La giovane donna era accucciata in un angolo o, quantomeno, lo
era la sua anima. Kate aveva sempre saputo che l’avrebbe trovata nel Limbo,
prima ancora di tentare altri tipi di contatto. Era il luogo in perenne
crepuscolo in cui il potere di Thanatos era minimo ma in cui non esisteva
neppure alcuna altra forza dominante, in cui le anime irrequiete erano
costrette a rivivere i traumi del loro passato senza avere alcuna possibilità
di andare oltre, poiché impossibilitate a risolvere le loro faccende in
sospeso. Non avevano scelto di tornare come fantasmi, tuttavia non erano
neppure pronte a proseguire. Non lo
sarebbero mai state. La condizione ideale per Beatrice Vane.
Kate cercò di sorridere, ma scoprì di non riuscirci. Le nuove
cicatrici al viso6 le impedivano di muoversi con la stessa disinvoltura
di un tempo, avrebbe necessitato di tempo
per abituarsi, tempo che non aveva.
«No, non mi conosci ed io non ti ho mai conosciuta in vita, Beatrice» confermò,
suonando il più rassicurante possibile.
Lo spirito la fissò per un lungo istante, accigliandosi. «Dici
di non avermi conosciuta, eppure mi chiami per nome. Le Porte ti hanno fatta entrare, eppure tu sei ancora in vita»
constatò, sbattendo un paio di volte le palpebre. Non che ne avesse davvero
bisogno, doveva essere un tic ereditato dalla sua vita passata. «Cosa sei tu?».
La Negromante strinse le labbra, usando il tono più gentile di
cui fosse in possesso. «Non crucciarti, sappi solo che non voglio farti alcun
male» la rassicurò, stando bene attenta alle proprie parole. In quel luogo non
poteva mentire7. «Sono venuta qui perché ho bisogno del tuo aiuto,
Beatrice. Del tuo aiuto nel mondo dei vivi».
Con un gesto pieno d’orrore, l’anima balzò in piedi,
allontanandosi da lei con una velocità sovrumana. «No» disse, ferma, appiattendosi contro una parete inesistente, come
tutto ciò che le circondava. Kate sapeva che ogni anima, in quel luogo, avrebbe
visto il luogo che più avrebbe ritenuto appropriato. Spesso era un luogo di
transito, altre volte una riproduzione del luogo in cui avevano trascorso gli
ultimi momenti. Per Beatrice Vane si trattava della cella di un sotterraneo.
«Io non voglio avere a che fare con quel mondo, mai più».
Esasperata, Kate si pizzicò la radice del naso. Era piuttosto
seccante che Draco avesse avuto ragione nel credere che lei non li avrebbe mai aiutati immediatamente, di certo non
seguendo il piano che lei aveva velocemente architettato. Avrebbe dovuto
scusarsi, prima o poi. «Posso
immaginare le tue ragioni, Beatrice» provò a dirle, un sorriso appena accennato
ad incurvarle le labbra. «Eri tranquilla a rimuginare sulla tua pessima sorte
ed all’improvviso è comparsa questa Respirante
tutta piena di cicatrici e sporca di sangue a chiederti di lasciare questa pace
per tornare nel luogo in cui hai sofferto così tanto» aggiunse, mostrandosi
accomodante. «Lo capisco, davvero, ed odio doverti disturbare, ma è importante».
L’enfasi delle sue parole non turbò affatto lo spirito, che
inarcò le sopracciglia con incredulità. «Non credo che possa esistere qualcosa
di abbastanza importante, grazie tante» la congedò, indicandole la porta
spalancata della cella, quasi fosse stata reale,
quasi fosse stato possibile, per lei, essere sbattuta fuori. Il Limbo neppure
esisteva, per la miseria!
«Per favore, Berenice» tentò ancora Kate, addolcendo sempre di
più il suo tono, ricoprendo ognuna delle sue parole in uno strato di densa
melassa. «Si tratta dell’unica ragione che io so ti spingerebbe a tornare indietro. Credimi» mormorò, puntando probabilmente sulla pietà. «Non vuoi
aiutare Winter? Non vuoi aiutare la tua bambina? Sta soffrendo così tanto».
Fra tutte le reazioni che Kate aveva messo in conto, la totale
indifferenza non era stata proprio considerata. Eppure fu proprio quella la
risposta di Beatrice: una stretta nelle spalle ed un sguardo apatico. Kate
sentì la propria mascella toccare terra.
«Che c’è?» le chiese lo spirito, confuso. «Credevi davvero che
mettere in mezzo la ragazzina avrebbe avuto qualche effetto su di me? Non l’ho
mai sopportata, troppo simile a quel mostro
di suo padre» spiegò, con una tranquillità spaventosa. «Certo, prima non me ne
sono mai resa conto, credo fosse tutta colpa di quella cosa che viveva dentro di me. Ma adesso che sono libera…».
Il cuore di Kate sembrava essersi fermato nel suo petto e lei dubitava che fosse colpa di quel rituale
che l’aveva spedita – quasi letteralmente – nell’aldilà. Né lei né Draco si
erano aspettati l’indifferenza, lui era stato certo che sarebbe stata la paura
ad impedirle di tornare e fare del bene.
«Ma Winter è tua
figlia. Sangue del tuo sangue» le fece notare, piuttosto accigliata. «Per
quanto sia frutto di Mulciber, sei stata tu a crescerla, a prenderti cura di lei…
è impossibile che tu non provi
proprio nulla. L’istinto materno appartiene a tutti gli animali, che diamine».
Rendendola ancora più sconvolta, l’anima rise alla sua
affermazione. «L’hai mai guardata negli occhi? Quella creatura non ha nulla di me, se non il naso» sbottò,
riavvicinandosi con fare spavaldo. «No, umana,
non mi convincerai a tornare indietro, di certo non per aiutare quell’essere.
Come potrei amarla, se ho odiato ogni istante in cui l’ho avuta in grembo? Ogni
carezza era il ricordo delle violenze che suo padre ha usato su di me» sputò,
continuando ad avanzare fino a ritrovarsi a pochi centimetri da lei. «Se avessi
avuto controllo di me stessa, avrei strappato via quella cosa dal mio ventre con le mie stesse mani».
Una sensazione strana alla bocca dello stomaco impedì a Kate
di rispondere, nonostante la sua mente stesse arrancando per elencare tutti gli
insulti disponibili nel suo repertorio. Le servirono un paio di secondi per
comprendere e, quando ci riuscì, la voce le morì definitivamente in gola. Non
si trattava della semplice
consapevolezza di essere davanti ad un muro cieco, ma, piuttosto, della
realizzazione di aver avuto una vita molto più simile a quella di Winter di
quello che avrebbe sempre immaginato. Quelle stesse parole sua madre le aveva
rivolte a lei, quando, stremata, aveva deciso di rinfacciarle gli anni di
soprusi.
Piccola
irriconoscente, sarebbe stato meglio se avessi seguito il mio desiderio e tu
non fossi mai nata!
Non si era mai soffermata a riflettere su quanto quelle parole
l’avessero ferita. Non aveva mai pensato che l’avessero segnata tanto a fondo.
Eppure, nell’osservare lo sguardo pieno di cattiveria di quella donna, non
riuscì a reprimere la rabbia. Con un gesto dettato più dalla stizza che da un
ragionamento serio e maturo, Kate afferrò l’anima per il collo – naturalmente
si trattava di una raffigurazione puramente mentale, non esistevano colli o muri o qualunque altra realtà fisica
– e le impedì di continuare, piegandola ai suoi ordini.
«Adesso tu farai esattamente
quello che io ti ordinerò» le comunicò, secca, scoprendo i denti in una smorfia
infastidita che avrebbe reso orgogliosi i vari vampiri che aveva avuto sotto il
suo controllo, primo fra tutti il suo compianto Jacques, che proprio Tiresias aveva eliminato. Era stata Kate a dover comunicare
alla sua compagna, Arthemis, la perdita del suo
eterno amore, nonché creatore. Arthemis si era
lasciata uccidere dal dolore, soffrendo una solitudine che solo gli immortali
avrebbero mai potuto comprendere. Jacques era stato sacrificato nel tentativo
di salvare Winnie, eppure sua madre
si stava rifiutando di collaborare.
Assolutamente
no.
Lo sguardo terrorizzato dell’anima le diede una scarica di
adrenalina. La fissava come se all’improvviso fosse diventata un mostro a sei
teste, spostando la propria attenzione fra il suo viso ed un punto imprecisato
alle sue spalle.
«Cosa sei tu?».
«Cosa sono non è di tuo interesse, ma se non collaborerai ti
assicuro che diventerò la protagonista di tutti i tuoi incubi» la avvisò, in un
sibilo. «Potrei non essere ancora morta, ma presto o tardi anch’io passerò per
questo luogo e allora mi assicurerò di usare tutti i privilegi che la mia posizione
mi garantirà e di questo tuo angolo di pace non resterà nulla».
«Perché ti interessa tanto?» urlò allora Beatrice, dimenandosi
inutilmente. Per quanto in vita fosse stata più alta e probabilmente più forte
di Kate, in quel luogo ogni suo vantaggio cedeva davanti al potere della Morte.
«Stai per morire, perché ti importa tanto di quella creatura?».
«Perché il peccato dei padri non appartiene ai figli» sbottò,
furiosa. «Perché Winter ha sofferto molto più di te e merita la salvezza molto
più di quanto tu meriti la tua pace. Non me ne importa un cazzo del fatto che tu sia già morta, che sia stata costretta ad un
matrimonio violento e che Sisifo ti abbia fatta morire per poter raggiungere il
suo nuovo tramite» riprese, stringendo di più la presa. «Winnie ha vissuto i tuoi traumi più tanti altri, anche lei
deve essere salvata ed è proprio quello che tu
farai. Sono stata chiara?».
Beatrice si divincolò di più. «No! Non tornerò indietro e non
la aiuterò, non c’è nulla che tu possa fare per costringermi».
Fu a quel punto che il sorriso di Kate si allargò, nonostante
fosse terribilmente doloroso per il suo viso maltrattato. «Credimi, potrei trascinarti in un luogo ben peggiore del mondo dei
vivi, se non dovessi collaborare. Quindi ti consiglio bene di stare al gioco ed
aiutarmi a riportare indietro Winter» la avvisò, con macabra allegria.
«Possibile tu non voglia vendicarti di Sisifo e Tiresias?».
Qualcosa cambiò nello sguardo dell’anima, qualcosa che spinse
Kate a lasciare la presa e consentirle di arretrare. «Vendetta?».
«Voglio riportare indietro Winter e, nel farlo, potrei anche
riuscire a porre fine alla follia di quei due imbecilli immortali. Potresti
prendertela con i veri artefici di ogni tuo dolore, magari riuscire anche ad
andare avanti» le spiegò, dandosi mentalmente dell’idiota. Gli esseri del Limbo
generalmente restavano bloccati per due motivi principali: desiderio di attendere
una persona amata o desiderio di ottenere vendetta. I secondi erano quelli che
generalmente non riuscivano mai ad
andare oltre, non potendo più intervenire nel mondo dei vivi. Ma in quel caso…«Pensaci,
Beatrice. Potresti vendicarti. Infliggere
loro lo stesso dolore che è stato imposto a te».
Kate seppe di aver vinto con un solo sguardo.
***
Il Dottor Newton Crave aveva vissuto
parecchie avventure nella sua vita. Per esempio, era stato mandato per il mondo
già durante il suo apprendistato, così da poter studiare rimedi magici per ogni tipo di malattia. Oppure, era stato
invitato a tenere conferenze nelle più importanti sedi accademiche del mondo
magico. Da quando aveva accettato il suo incarico con le Banshee non aveva
fatto altro che collezionare casi umani
come se fossero stati figurine delle Cioccorane.
Naturalmente, però, la sua avventura più grande era stata prendersi cura della
sua adoratissima bambina, nonostante fosse stato poco più che ventenne e la
madre non avesse voluto aver nulla a che fare con loro8. Non si era
mai pentito di aver preso con sé Rosemary – grazie anche all’aiuto dei suoi
genitori, da solo non sarebbe stato capace di curare un cactus – e mai l’avrebbe fatto. Certo, l’idea che lei avesse
deciso di sposare quel… quel Weasley
non lo rendeva felice. O fiero. Tuttavia aveva sempre pensato che avrebbe avuto
tutto il tempo per convincerla a desistere e trovare qualcuno che fosse alla
sua altezza.
Osservando un altro fra i suoi colleghi cadere in preda alle
convulsioni, cominciò a temere che quel tempo di cui era sempre stato sicuro
non fosse in realtà nelle sue disponibilità immediate. Erano rimasti in pochi e le creature stavano avanzando,
per nulla colpite dai loro nulli tentativi di fermarle. Avevano provato qualunque cosa, ma le bestie erano come
fumo e nulla sembrava infastidirle più di tanto. L’unico effetto vagamente
positivo era stato raggiunto dall’Agente Rogers9 e solo con la sua
polvere d’oppio10, nonostante lui avesse previsto di ritrovare le cose che li attaccavano morte e non semplicemente stordite. Le
sue allegre imprecazioni da beneducato Canadese lo avrebbero fatto sorridere,
in un qualunque altro momento.
Perché
Rosie non si è innamorata di uno come lui?
«Doc» lo richiamò proprio Steve, dandogli un leggero colpo sul
braccio e distraendolo dalle sue cupe elucubrazioni. «Non ci resta molta
polvere, Spykoros l’aveva finita poco prima di essere
preso» lo avvisò, lanciando un’occhiata piena di dispiacere al corpo martoriato
del loro collega, ormai irriconoscibile. «Ha idea di cosa… di cosa gli abbiano
fatto?».
Il suo disgusto era quasi commovente.
Crave sospirò, pizzicandosi la
radice del naso. «Mentirei se ti dicessi di si, Rogers»
gli comunicò a malincuore. «Sembra quasi una possessione demoniaca, eppure
nessun tipo di esorcismo riesce a funzionare» continuò, inginocchiandosi per
poter avere una visione ravvicinata del cadavere. Era stato, ovviamene,
circondato da polvere d’oppio, così da non rischiare che qualunque cosa
l’avesse colpito potesse intaccare altri. «Una volta che la creatura penetra
nel corpo della sua vittima, questa perde qualunque controllo. Tutti hanno
avuto iniziali convulsioni prima di cavarsi gli occhi e morire dissanguati».
«Però perdevano sangue da bocca, orecchie e naso ben prima di
tirarsi via gli occhi» gli fece notare l’agente, con una smorfia. «Crede
abbiano già avuto emorragie celebrali in corso?».
Crave accennò un sorriso
stanco, rialzandosi e dando una pacca sulla spalla all’uomo più giovane. «Se
usciremo vivi da questo posto, ricordami di presentarti mia figlia Rosemary»
gli disse, confermando implicitamente la sua idea. Era un bravo ragazzo, Steve Rogers. In alcuni casi era fin troppo buono e con principi troppo
sani, ma era un male che Newton era disposto a superare, davvero.
Soprattutto per la sua bambina. «Dubito, comunque, che ne usciremo vivi. Non
quando l’uomo più potente di tutto l’Ordine è anche lo stesso che ci ha
venduti».
Lui
l’aveva sempre saputo che quell’uomo non era normale. Non si
era mai azzardato ad analizzarlo, poiché il regolamento lo impediva, ma la sua
curiosità aveva fortunatamente avuto la meglio non più di un mese prima.
Ufficialmente, infatti, Newton era entrato nel suo ufficio solo per lasciare
dei referti. Ufficiosamente aveva indugiato fra i suoi documenti fino a trovare
la sua scheda personale. Non aveva trovato nulla, ovviamente, ma l’impeccabilità
della stessa era fin troppo strana
per poter essere normale.
«Non perda le speranze, Doc, sono sicuro che gli altri
verranno a cercarci. Non si dimentichi che la Peregrine è probabilmente la
migliore fra tutti noi. Sicuramente ideerà qualcosa di brillante» provò a
rassicurarlo Steve, prima di lanciargli un’occhiata furtiva ed anche piuttosto
imbarazzata. «Quanto a sua figlia… mi dispiace, ma credo che le manchi qualcosa di fondamentale affinché la
storia fra noi possa funzionare» confessò, passandosi una mano fra i corti
capelli biondi. Il modo eloquentissimo in cui arrossì quando Newton si voltò a
guardarlo con le sopracciglia inarcate lo avrebbe fatto scoppiare a ridere, in
un altro momento.
«Buon per te, Rogers, fors-».
«Dottore!».
L’urlo terrorizzato dell’Agente Williams9 gli fece
sprofondare il cuore fra i piedi, rendendolo pesante come il piombo. Fece
appena in tempo a voltarsi prima che un’orda
di bestie senza forma si scagliasse contro la loro ridicola difesa di
polvere d’oppio, già ridotta all’osso dalla lunghissima attesa. Il rumore dello
scontro con la debole barriera fu devastante
oltre che inevitabile. Non c’era più nulla
che loro potessero fare, nulla che
potesse salvarli. Nonostante ogni cellula del suo corpo stesse urlando di
non voler morire, di non voler abbandonare la vita senza aver almeno salutato
Rose, non ci sarebbe stato nulla da fare per lui.
Mi
dispiace, bambina mia.
Il colpo tanto atteso, tuttavia, non arrivò mai.
Pur avendo chiuso gli occhi per il terrore, Newton riuscì
comunque a percepire un movimento strano tutt’intorno. Un movimento che di
certo non apparteneva ad una bestia pronta a sbranarlo. Sbattendo le palpebre
con giusto un filo d’ansia, si ritrovò occhi negli occhi con… con una pecorella?
La bestiolina evanescente trotterellava tutt’intorno a lui,
accompagnata da animali della stessa natura ma, per la maggior parte, ben più
grossi.
Un cervo,
una lontra, un Thunderbird, un corvo, una volpe ed un
leone11.
L’illuminazione colpì Newton nello stesso momento in cui la
pecorella lo prese a testate, come se fosse stata una capra. «Usate l’Incanto Patronus!
È l’unico modo per allontanarli, presto!».
La manciata di agenti rimasti, probabilmente racimolando tutta
la forza rimasta nei loro corpi, si fece avanti evocando sempre più animali.
L’aquila di Rogers e l’alce di Oswin
Williams si unirono velocemente al pavone di Crave
stesso e agli altri evocati, disperdendo velocemente le creature di fumo nero
ed interrompendo, finalmente, il
continuo rumore della battaglia a senso unico che li aveva quasi uccisi tutti.
Un momento dopo, Crave si ritrovò
assalito dalla sua pecorella in carne
ed ossa, furiosa per il rischio che aveva corso e sollevata di averlo ritrovato
ancora sano e salvo.
«Porca puttana papà!»
gli sbraitò in faccia, aggrappandosi a lui con braccia e gambe. «La prossima
volta ti incatenerò nel recinto degli Spinati, almeno correrai meno rischi».
«Mi dispiace, bambina» le rispose lui, sentendo lacrime di
sollievo pizzicargli gli occhi. «Mi dispiace di averti fatta preoccupare. Avrei
dovuto sapere che saresti venuta a s- perché
sei venuta a salvarmi? È pericoloso!».
«Se non
fossi venuta a prenderti, saresti morto! Possibile che tu non possa
mettere da parte la sciocchezza del padre protettivo dopo che ti ho salvato le chiappe?» rispose lei,
furiosa, senza tuttavia staccarsi dall’abbraccio. «Non è modo di mostrare la
tua riconoscenza, signorino, lo sai?».
«Avresti
potuto mandare un dannatissimo patronus e basta! Io avrei capito!».
«Dubito che avrebbe capito qualcosa, dottor Crave» lo avvisò Hermione Granger, facendosi spazio fra gli
altri suoi accompagnatori. Era un sollievo vedere che fosse sopravvissuta alla
missione. «Questa non è una soluzione definitiva, in men che non si dica si
ricostruiranno e torneranno a colpirvi».
«Si chiamano Terrori Notturni» si intromise un giovanotto a
lui sconosciuto, con i tratti del viso che lo rendevano simile ad un roditore,
nonostante fosse decisamente più grosso. Ed intelligente. «Non possono essere
uccisi perché, in effetti, non esistono. Sono la materializzazione degli
incubi, motivo per cui cambiano forma e sembrano non aveva un corpo vero e
proprio».
«Tuttavia hanno ucciso i nostri colleghi» gli fece notare Rogers, che aveva appena finito di salutare con enorme
entusiasmo Barry. Forse troppo entusiasmo.
Newton avrebbe dovuto ricordare ad Ophelia di tenere gli occhi aperti. Sempre
che Ophelia… «Emorragie interne, a quanto pare. Prima che si strappassero via
gli occhi».
Il giovanotto strinse le labbra. «Potremmo dire che uccidano
con la paura. Troppa paura tutta d’un colpo».
«L’eccessiva pressione sanguigna fa esplodere le arterie
celebrali e pur di porre fine alle loro visioni ed al dolore, le vittime
preferiscono strapparsi via gli occhi che continuare a soffrire» mormorò
proprio Crave, con una smorfia. «Tutto torna. Ma il
problema resta: come ce ne sbarazziamo?».
«L’unico modo è interrompere l’incantesimo che li genera»
riprese nuovamente il ragazzo. «Stando alle nostre ipotesi, da qualche parte al
piano di sopra dovrebbe trovarsi la fonte, oltre che il nemico in prima
persona». Il suo sguardo si puntò sui suoi vari accompagnatori, in quel momento
impegnati ad aiutare i vari agenti ancora sopravvissuti. «Abbiamo bisogno che
voi teniate a bada le bestie e impediate loro di seguirci. Il rischio di essere
fermati è troppo».
Crave annuì, allungando la mano
per afferrare forse poco gentilmente sua figlia. «Tu torni a casa. Adesso» la avvisò, secco, senza tuttavia
sorprendersi quando lei sollevò un sopracciglio nella sua direzione.
«D’accordo, però resti qui dove posso controllarti».
Rosemary annuì, esasperata. «Era il mio piano, papà. Se
dobbiamo morire, almeno lo faremo insieme».
Non era
in dubbio da chi avesse preso la drammaticità.
«Preferirei non morisse nessuno» sbottò Hermione, facendosi
avanti per lanciare uno sguardo verso le scale che li avrebbero condotti al
piano terra. «Noi dobbiamo andare, voi fate attenzione» si raccomandò, facendo
un cenno agli altri con cui era arrivata. Solo Rosemary e la Peregrine rimasero
lì, aiutando i sopravvissuti e, soprattutto, spostando i cadaveri così che, se
fossero sopravvissuti, avrebbero potuto aiutare gli altri.
«Credi che ce la faranno?» domandò il Dottore, lanciando
un’occhiata a sua figlia. Avrebbe voluto rimandarla a casa, al sicuro, ma
dubitava che lo sarebbe stata, a prescindere da quanto lontano potesse
nascondersi.
Rosie si strinse un momento nelle spalle, prima di tornare ad
abbracciarlo forte, proprio come quando era bambina. «Non lo so, papà. Ma se
non dovessero farcela…».
Sentendo il cuore stringersi nel petto, Newton ricambiò la
stretta. «Almeno siamo insieme».
«Sì, almeno siamo insieme».
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
Mi mancava Dante.
Questo
è il penultimo capitolo, in teoria. Il prossimo sarà l’ultimo, poi solo l’epilogo.
Spero.
No,
diciamola tutta, deve essere così, il venti ottobre inizia il GrandPrix di pattinaggio e io mi
devo concentrare.
Io
non ho una vita, ahah.
Punti importanti:
» * - DANTE! DANTE! DANTE!!!!!!
Mi mancava Dante. Mi piace Dante. Adoro l’Inferno. Dante <3 Il Limbo vale un po’ per tutto, non credete? Kate era
nel Limbo, ma anche il Dottore egli altri si trovavano in una specie di mondo a
metà? Fra la vita e la morte.
» 1 – Ok, come
funziona tutto? Avete mai visto streghe? La proiezione astrale di Prue? Katie è
rimasta al suo posto con il corpo, ma il suo spirito si è proiettato nel Limbo.
Lei sente di avere il proprio corpo, in realtà non è così.
» 2 – Ho ripreso un po’
il Limbo dantesco, con i bambini non battezzati. In questo caso sono i bimbi
troppo piccoli per aver avuto un’anima
pienamente realizzata, come dei sogni, speranze e così via.
» 3 – Lupin. Sono
pentita. Tanto. Dovrebbero essere felici e invece io li ho messi qui. Però vi
assicuro che non soffrono. Dora visita spesso i bimbi perché l’istinto materno
l’ha accompagnata anche lì.
» 4 – Stare troppo fra i morti potrebbe render difficile
tornare fra i vivi. Cose di anime, non crucciatevi troppo.
» 5 – Lupin è così
tranquillo, riguardo l’imminente catastrofe, perché lui è già morto. La cosa lo tocca molto relativamente.
» 6 – Ricordiamoci
che le ferite di Kate sono state cauterizzate col fuoco. Nessun altro incantesimo potrebbe
funzionare. Quindi ha così tante cicatrici, per ora, da fare invidia a Lupin
stesso.
» 7
– I morti non mentono. Quello è il regno dei morti. Vale la stessa regola
di Thanatos, gente.
» 8
– Backstory: Crave ha avuto
una storia con una geniale ma piuttosto egocentrica ricercatrice. Lei è rimasta
incinta e gli ha detto di voler abortire. Newt si è
fatto prendere dall’angoscia e le ha detto che avrebbe cresciuto la bimba da
solo (o meglio, con i suoi genitori). Rosie è cresciuta alla grande, anche se
padre e figlia sono giusto leggermente
morbosamente legati.
» 9
– Sì, Steve Rogers. Captain
America. Ovviamente non è davvero Captain America,
sia chiaro, è solo un gentilissimo Canadese (io adoro il Canada). La seconda, Oswin
Williams, è un incrocio fra “i Pond” e Oswin Oswald, chiunque abbia seguito DoctorWho li riconoscerà. <3
» 10
– Perché polvere d’oppio? L’oppio viene usato per la morfina, la morfina viene
usata per le anestesie (più o meno, non siate pignoli). In uncerto senso l’oppio li rimanda nel loro mondo
d’origine, quindi la Terra degli “Incubi”
» 11
– Sinceramente non avevo idea di come tradurre Thunderbird
senza farlo sembrare meno figo. È la mia casa di Ilvermorny,
ci tengo. Quanto ai collegamenti mago/Patronus:
Rosemary/Pecorella
Hermione/Lontra
Harry/Cervo
Barry/Thunderbird
Theo/Leone
Fred/Volpe
Peregrine/Corvo (LOL)
Se sono riuscita a
pubblicare di lunedì, sono fiera di me
stessa.
Ci siamo quasi, gente.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
“Réquiemaetérnam dona
eis, Dómine,
et lux perpétualúceateis. Requiéscant in pace.”.
[derivata
dall'apocrifo “Apocalisse di Esdra”]
Atto XIII – Requiem
aeternam
Theodore Nott era un giovane uomo
che si era sempre vantato di avere delle chiarissime priorità nella vita. Al
primo posto, per quasi ventun anni, c’era stata la sua sopravvivenza. Era
assolutamente normale, da parte sua, voler evitare di fare una brutta fine in
un contesto in cui suo padre sembrava non veder l’ora di buttarlo fra le fauci
dei Mangiamorte ed i suoi ipotetici compagni di classe non vedevano l’ora di
punirlo per le sue origini non perfettamente immacolate. Non aveva scelto lui di essere l’unico figlio sopravvissuto
di uno dei tirapiedi più importanti di Lord Voldemort, dopotutto, quindi era
più che naturale che il suo scopo principale fosse stato quello di evitare implicazioni che potessero
portarlo ad una veloce dipartita. Le cose erano cambiate, tuttavia, con
l’arrivo di Beth. Non era stato un cambiamento
immediato, non c’erano stati momenti di rivelazione come quelli dei libri, in
cui il protagonista si limitava a guardare negli occhi la più bella ragazza del
posto e ad innamorarsene perdutamente.
Assolutamente
no.
Il loro primo incontro era stato burrascoso ed era quasi finito in rissa. Poi lei gli aveva puntato contro un
indice accusatore, l’aveva minacciato di infilare un cucchiaio di legno in
posti occulti e l’aveva informato di
conoscere almeno sei vie differenti per nascondere un cadavere senza farsi
scoprire. In quel momento Theo era
caduto ai suoi piedi come una pera cotta ed aveva iniziato quel non troppo
lungo processo di devozione che l’aveva spinto a mandare al diavolo tutti i
suoi più cari principi e partecipare ad una missione di salvataggio a dir poco
suicida.
Edelweiss era stata molto chiara, quando Weasley l’aveva
scaricata davanti a lui come un grazioso ma inquietante pacco regalo. Se non si
fosse unito a quel tentativo di suicidio di massa, Beth
non sarebbe sopravvissuta al suo prossimo compleanno, che era piuttosto vicino.
Non gli aveva spiegato perché, non gli aveva detto come la sua morte sarebbe
potuta giungere e, sinceramente, Theo non si era neppure sprecato a chiederlo.
Come fare a decifrare immagini oniriche di una bambina di quattro anni, quando
lei stessa era troppo giovane ed inesperta per capire
davvero il significato delle sue visioni? Una parte di lui dubitava che
Edelweiss avesse compreso l’effettiva gravità di ciò che li stava costringendo
ad affrontare. Però aveva toccato le corde giuste e, mosso da un feroce istinto
di protezione, Theodore aveva messo da parte la sua scala di valori personali e
si era materializzato a Casa Weasley, per unirsi a chiunque fosse stato richiamato
alle armi.
Prima di partire, riportando a galla una delle poche abitudini
materne che aveva mantenuto, aveva avuto il buonsenso di fermarsi al Manor dei Malfoy – in cui ancora aveva libero accesso,
proprio come da ragazzo – e rastrellare tutti i libri che potessero contenere
una qualche informazione utile su Negromanti, Succubi, Incubi e Magia della
Morte in generale. Il totale dei volumi che aveva trovato poteva essere contato
sulle dita di una singola mano e la sua ansia non aveva fatto che crescere a
dismisura1. Non gli piaceva non avere informazioni sul suo
avversario, non gli piaceva neppure avere poche
informazioni su cosa avrebbe mangiato per cena.
La sua frustrazione era tanta.
«Cosa crederete che troveremo, una volta raggiunti gli altri?»
chiese la Granger, facendo strada lungo i bui corridoi. I loro patronus erano stati mandati avanti in avanscoperta, così
da evitare che potessero presentarsi brutte
sorprese lungo la strada, ma fino a quel momento nulla li aveva ostacolati.
Theodore non era riuscito a condividere il sollievo di Weasley, quando proprio
lui aveva fatto notare quel dettaglio. Nessuna guardia, di solito, indicava una
trappola imminente.
No,
Theodore non era sollevato. Soprattutto perché era piuttosto sicuro che
qualcosa si stesse muovendo alle loro spalle, silenzioso.
«Difficile a dirsi» le rispose Potter, a meno di dieci
centimetri di distanza dall’amica. C’era qualcosa, in lui, che aveva fatto
accigliare Nott. Qualcosa nel suo sguardo, forse,
oppure nel suo modo di camminare. Non era riuscito a comprendere cosa fosse e,
forse, non gli importava neppure scoprirlo. Però c’era e lui non riusciva a non vederlo. «Kate è ancora viva, in un
modo o nell’altro credo che la troveremo lì, possibilmente insieme agli altri. In che condizioni li troveremo è
un’altra domanda».
Weasley fece una smorfia. «Domanda che nessuno ha posto»
precisò, voltandosi per un istante per cercare qualcosa nell’oscurità che li
tallonava. Anche lui se n’era accorto,
allora. «Cos’ha detto di preciso Eddie?» Qualcosa riguardo una vasca da
bagno».
«Buttate la vasca con
tutto il sangue» specificò Theo, con una smorfia. C’era stata qualche
indicazione piuttosto vaga riguardo la necessità di controllare il sangue di
qualcuno di loro, ma non era una informazione rivolta a lui, quindi non si era
concentrato per ricordarla. Forse avrebbe dovuto. Stava iniziando a realizzare
quanto poco sapesse del loro nemico,
quanto dannatamente stupida fosse tutta quella spedizione. Edelweiss non gli
aveva neppure assicurato che la sua partecipazione avrebbe scongiurato la morte
di Beth.
«Immagino che capiremo una volta che l’avremo davanti agli
occhi» azzardò il Magizoologo – Maine? Wisconsin?2 Era sicuramente
uno dei cinquanta Stati americani – con una voce fin troppo ottimista per la
situazione tragica in cui si stavano trovando. Theo non lo considerò pazzo solo
perché, gettandogli un’occhiata, notò quanto fosse pallido e palesemente
nervoso. Sua moglie era lì da qualche parte, stando alle informazioni ricevute
da Weasley. Ed era incinta.
Al riguardo, Theodore aveva davvero un pessimo presentimento.
«Sempre se sopravvivremo abbastanza a lungo da raggiungere
suddetta vasca» fece notare allora, tetro, imponendo a se
stesso di andare contro qualsiasi istinto di autoconservazione e smetterla di
voltarsi a fissare il vuoto assoluto. Qualunque cosa li stesse seguendo, era
abbastanza veloce o talentuosa da non farsi scoprire da almeno tre persone –
lui, Weasley e Potter – e palesemente non era intenzionata a rivelarsi
nell’immediato futuro. Perché stuzzicare il can che dorme? Forse si trattava
solo di qualche bestiolina arrivata lì per caso o fuggita dal sotterraneo del
castello. Non era un mistero che le Banshee avessero laboratori di ricerca
sulle più disparate scoperte magiche, che riguardassero nuovi incantesimi o
creature era irrilevante per i suoi interessi.
La Granger gli lanciò un’occhiata storta. «Sai, Nott, avevo quasi
dimenticato il tuo solare ottimismo» sbottò, senza riuscire più a nascondere un
piccolissimo sorriso. «Era tutto ciò che mi motivava a non addormentarmi
durante le lezioni di Storia della Magia al sesto anno3» aggiunse,
stringendo le labbra per evitare che il sorriso potesse allargarsi a dismisura.
Doveva aver ricordato l’episodio della Grande
Carestia di Mandragole del 1271, uno dei momenti più alti della carriera di
Theodore come studente.
Anche lui, nonostante l’ansia, non riuscì ad impedirsi di
sorridere lievemente, attirandosi le occhiate strabiliate di Potter e Weasley.
Washington – o Maine, Vermont, Hawaii che fosse – non stava prestando loro
alcuna attenzione, comprensibilmente. Theodore si ritrovò a simpatizzare per
lui. Aveva delle buone priorità nella vita. «Neppure le lezioni di Aritmanzia erano poi così male, Granger. Il tuo calcolo sul
risultato delle gare di Quidditch è ancora utile».
A quelle sue parole, le sopracciglia di Weasley e Potter
raggiunsero altezze spropositate. Fu il rosso a parlare per primo, mettendo una
mano sul braccio della donna. «Hermione»
disse, serio come Theodore probabilmente non l’aveva mai visto. «Hermione,
usare l’Aritmanzia per il Quidditch è gioco d’azzardo» sbottò, senza riuscire
a nascondere il tono decisamente entusiasta. Sembrava ammirato e, conoscendo il
giro d’affari che intratteneva con il fratello, non c’era di che essere
sorpresi.
«Ed il gioco d’azzardo è un reato» aggiunse Potter, molto meno felice del futuro cognato.
«Hermione, non me lo sarei mai aspettato da te. Usare l’Aritmanzia
per le scommesse… soprattutto quando hai sempre minacciato di fare la spia con
la McGranitt se io e Ron avessimo anche solo pensato di provarci».
La Granger si strinse nelle spalle, tranquilla. «Io non l’ho mai usato, non mi piace il
Quidditch e di certo non ho mai avuto intenzione di farmelo piacere. E per far
scommettere te e Ron avrei dovuto usare
quel calcolo. Che altri del mio corso
abbiano dato uno sguardo alla mia idea per poi riproporla non mi riguarda» si
giustificò. «E comunque, io godo dell’immunità».
Theo inarcò le sopracciglia a quella sua affermazione. «Sai,
Granger, non sono certo che valga ancora. È evidente che l’Ordine sia caduto»
le fece notare, indicando con un cenno le mura che li circondavano. Il silenzio
innaturale intorno a loro era da brividi.
«In quanti siete rimasti? Una trentina? Gli agenti sotto copertura di certo non
potranno abbandonare tutto per correre ad aiutarvi».
«Gli agenti sotto copertura avranno ricevuto immediatamente il
messaggio che li avvisava di non tornare indietro» confermò Hermione, con una
smorfia. «L’Olimpo è caduto4,
alla fine» sbottò, lanciando uno sguardo al suo unico collega presente, che
abbassò gli occhi al suolo. «In questa particolare evenienza, tutti noi siamo
ancora coperti dall’immunità diplomatica totale ed obbligati a dare la vita per
fermare chiunque abbia provocato il collasso. Abbiamo prestato un giuramento
quando il nostro ruolo è diventato effettivo».
«Un giuramento? Nel senso di un voto infrangibile?», lo sconcerto di Weasley era piuttosto
evidente.
La Granger scosse il capo. «No, naturalmente no. È solo una
questione d’onore, diciamo. In fondo, però, morire per fermare Sisifo e Tiresias è proprio la nostra intenzione, sempre che si
riveli necessario. Noi Banshee siamo nate per questo, per difendere la Comunità
Magica fino alla Morte».
«Ed oltre» aggiunse
il Magizoologo, stizzito. «Avevo detto a mia moglie che avremmo fatto bene a
ritirarci a vita privata anni fa».
«Dubito che se anche avesse voluto avreste potuto farlo» gli
fece notare Potter, scuotendo il capo. Osservandolo, Theodore notò una certa
rigidità nelle spalle, forse per lo stesso motivo che aveva stretto il suo
stomaco in una morsa. Chiunque li stesse seguendo si era fatto molto più
vicino. «Stando a quanto mi è parso di capire, siamo stati tutti manipolati da
quel bastardo di un veggente. In questo momento ho paura che anche la scelta
dello spazzolino da denti non sia stata mia».
La Granger rabbrividì, mordendosi il labbro. Doveva essere un
argomento parecchio delicato per lei e – stando alle sue occhiate non troppo
furtive – per un inconsapevole Weasley.
Un crepitio ben
distinto li fece fermare tutti, come agghiacciati. Chiunque li stesse seguendo
doveva aver deciso che fosse giunto il momento di palesarsi. Fu Potter a
voltarsi per primo, la bacchetta in mano e negli occhi una determinazione che
Theodore ricordava di aver già visto
la notte in cui Hogwarts era arrivata al collasso. Lo sguardo di qualcuno deciso a fronteggiare qualunque cosa il
destino avesse deciso di mettergli davanti. Theodore non amava quello sguardo,
di solito anticipava esperienze suicide.
Nel tempo che tutti impiegarono a voltarsi, una figurina era
riemersa dalle ombre, i lunghi capelli scuri lasciati liberi sulle spalle
delicate ed i grandi occhi curiosi puntati proprio sull’Auror,
quasi avesse voluto studiarlo attentamente. Quasi fosse stato un cagnolino
molto buffo e apparentemente amichevole. Theodore non aveva la minima idea di chi fosse quella piccoletta, ma il suo
sesto senso lo stava avvisando di tenere gli occhi aperti. Era assai
improbabile che una bimba normale potesse trovarsi lì, al buio e circondata da
creature praticamente appena uscite da un incubo.
Sempre che la bambina stessa non fosse un incubo.
«Andate via» fu tutto ciò che Potter disse, senza staccare gli
occhi dalla piccola neppure per un istante. I due avevano preso a fissarsi come
se anche solo in quel modo avessero potuto comunicare. «Andate adesso, non credo che impiegherà molto
prima di esplodere come un petardo a Capodanno».
La Granger si fece avanti, una mano sulla spalla dell’amico.
«Harry, cosa diavolo credi di poter
fare? Nessuno ha idea di come fermare gli Obscuriali,
men che meno tu» gli fece notare,
cercando di tirarlo indietro, ma senza successo.
Anche il Magizoologo si fece avanti, ansioso. «Non essere
idiota, sai bene cos’è lei, non puoi far nulla».
Evidentemente tutti e tre condividevano un’informazione che
non si erano premurati di condividere con lui. Quattro, considerando lo sguardo
preoccupato di Weasley. L’ansia di Theodore non fece che crescere ad ogni
secondo battuto dall’orologio.
Potter scosse il capo. «Proprio perché so cos’è lei sono sicuro di cosa dico, quando vi chiedo di andare
via» comunicò, senza tuttavia staccare lo sguardo da quello della bambina.
C’era qualcosa, in lei, che terrorizzava Theodore. Gli sembrava di averla già
vista, di averla già incrociata a qualche parte.
Ma dove? Non
avrebbe potuto avere più di cinque o sei anni, lui non aveva conoscenze che
rispecchiassero quei caratteri. L’unica eccezione era la figlia di Bellatrix e Rodolphus, ma lei
era-
Paralizzato dalla realizzazione, Theodore dovette far forza su
se stesso per non arretrare di colpo. Doveva essere lei, la bambina che tutti
credevano fosse morta prima della battaglia. La bambina concepita ricorrendo ad
una magia così oscura da non poter essere condivisa neppure con i fedelissimi
di Lord Voldemort. La stessa magia che suo
padre aveva usato quando a sua madre era stato comunicato che non avrebbe
potuto generare figli suoi5.
Il più grande fallimento di Augustus Nott
era stato il non essere riuscito a dare a BellatrixLestrange la stessa possibilità che lui aveva dato a sua
moglie. Tutti lo ripetevano come un mantra, quasi volendosi confortare
nell’idea che il pozionista più brillante mai passato per la Gran Bretagna non fosse poi così
infallibile, che neppure lui fosse davvero riuscito a tirare i fili della
natura, della biologia al punto di
rendere fertile un corpo sterile. Lo avevano accusato di aver mentito riguardo
la miracolosa nascita di Theodore,
avevano ritirato tutte le onorificenze ed i premi che gli erano stati
riconosciuti per la sua ricerca. Dopotutto, aveva fallito nel dare a Bellatrix – l’unica per cui avrebbe certamente fatto un’eccezione al suo famoso divieto di
commercializzazione del siero – ciò che lei, il marito ed il Signore Oscuro
desideravano, non c’era dubbio che avesse sempre mentito. Quel fallimento ne
era sempre stata la prova.
Ma
Augustus non aveva mai fallito.
«Quel laido figlio di puttana» fu il commento con cui Theodore
attirò l’attenzione di tutti. «Ha davvero permesso che quel mostro si
riproducesse, alla fine» sibilò, tentato di tirarsi via i capelli per la
rabbia. Era un vizio che, a detta di Beth, gli
sarebbe costato la calvizie prematura. Beth, che suo padre aveva promesso di non toccare nonostante fosse furioso con entrambi. Beth, che
probabilmente era stata la vittima di uno scambio premeditato anni prima6. Si spiegava tutto. Partendo dalla volontà di
collaborare con Voldemort nonostante avesse giurato di non utilizzare mai più
il siero fin al suo volerlo abbandonare prima della battaglia. Suo padre sapeva cosa sarebbe successo, sapeva che
lui un giorno avrebbe abbandonato tutto per amore di una Magonò
e che nessun mago avrebbe mai potuto avvicinarla senza trovarsi Theodore stesso
fra i piedi. Se lui non fosse stato lì ad aiutare quella squadra di pazzi, Tiresias avrebbe pagato il prezzo pattuito cinque anni
prima ed avrebbe ucciso Beth, liberando l’unico erede della famiglia Nott
dal suo peso. «Potter ha ragione, dovete andare via. Resterò io ad aiutarlo».
«Sei diventato scemo?»
ruggì la Granger, voltandosi verso di lui come se avesse voluto fracassargli il
cranio contro il muro. «Quella è una Obscurus! Ed un Horcrux».
Theodore strinse i denti, ringraziando mentalmente Edelweiss
ed appuntandosi di comprarle il più bel vestitino da damigella mai creato, se
fosse riuscito a sopravvivere e, quindi, a sposarsi. Le fialette che la piccola
gli aveva fatto portare con sé erano un confortante peso all’altezza del cuore.
«Un Horcrux può essere distrutto solo da un altro Horcrux e credo che Potter,
anche se in minima parte, lo sia ancora» fu tutto ciò che disse, guardando la
bambina dai capelli neri, immobile a circa settanta, ottanta metri di distanza.
Non si era mossa da quando loro avevano iniziato a discutere. Dandosi poi un
colpetto ad altezza del petto, Theodore si passò la lingua sul labbro
inferiore. «Quanto all’altro piccolo problema, credo di poter fare qualcosa».
«Nott-».
«Hermione» sbottò Potter, decisamente più irritato di quanto
non fosse stato fino a quel momento, «andate.
Se anche non riusciremo a fermarla, potremo rallentarla abbastanza da darvi il
tempo di raggiungere gli altri. Ophelia è fra le mani di quel mostro, così come
George e Malfoy e Katie. Noi ce la caveremo, non sappiamo invece in che
condizioni siano loro» spiegò, deglutendo rumorosamente. Era impallidito, ma
era piuttosto comprensibile. «Barry, andate.
Pensa a tua moglie, maledizione».
Il Magizoologo lo guardò per un lungo istante, prima di
poggiare la mano sulla spalla della Granger. Weasley sembrava pronto ad andare,
probabilmente spinto dal pensiero del gemello e della negromante cui era
collegato. «Potter, fa’ in modo di sopravvivere. Tua cugina non se lo perdonerebbe mai se non dovessi farcela».
Potter sorrise leggermente. «Nel caso, chiamate vostro figlio
come me. E cercate Ginny, voglio che i miei figli
abbiano anche dei parenti dal ramo paterno che non siano disgustati al solo
pensiero della Magia».
***
Rimasti soli, Harry si voltò in direzione di un Nott ben più cupo del solito. «Allora, credi di potermi
illuminare riguardo il tuo segreto sugli Obscuriali?
Tutta quella scenata coraggiosa di poco fa mi sta abbandonando e mi farebbe
piacere una minima rassicurazione».
Nott lo guardò per un solo
istante, tornando poi a concentrarsi sulla bambina. «Sono un pozionista, io… faccio
pozioni. Di ogni tipo. Pozioni curative, pozioni d’attacco o di difesa.
Posso avvelenare una persona in almeno settanta modi diversi, trentadue dei
quali non lasciano segni» gli disse, cupo. «Potrei
avere qualcosa capace di congelare la magia e questo qualcosa potrebbe
riportare la bambina ad uno stato più umano,
anche se solo temporaneamente. Quindi non rallegrarti, dovrai comunque farla
fuori, con o senza esplosioni magiche».
Harry lo fissò per un lungo istante, consapevole dell’orrore
dipinto sul suo viso. «Tu hai inventato
cosa?» gli chiese, indeciso fra il sentirsi spaventato o disgustato. Bloccare
la magia era… assurdo. E
potenzialmente disastroso. Congelarla per farne cosa? Era forse un progetto
voluto da Voldemort? Suonava come un progetto di quel folle. E perché lui lo
stava sviluppando? Quali erano i suoi interessi?
Nott strinse le labbra.
«Potter, calmati. Ho semplicemente
portato a termine un progetto che il Ministero mi ha richiesto, volevano usarlo
come metodo punitivo sostitutivo dei Dissennatori, ma c’è stato un veto della
Confederazione, non verranno mai usate. Io ho l’unica fialetta ancora esistente
e non sono neppure sicuro che funzionerà» ammise, esasperato. «Ammetto di aver
sperato di invertire il processo e sviluppare la magia nella mia fidanzata, ma
lei non me l’avrebbe mai permesso» aggiunse, con un certo imbarazzo. «Adesso ti
dispiace concentrarti sul vero problema? La piccoletta ha iniziato a ridere ed
io sono sinceramente inquietato».
«Per lei è divertente»
sbottò Harry, guardando il piccolo Horcrux come se lei personalmente avesse
preso a schiaffi la sua ritrovata, per quanto fasulla, serenità. Perché avrebbe
dovuto preoccuparsi, dopotutto, se ai suoi occhi loro due non erano altro che
due pivellini? Per lei, quello che si sarebbe svolto da un momento all’altro
sarebbe stato solo un momentaneo intoppo. «Quando ho ricominciato ad avere i
miei incubi, ho anche ricominciato a sentire il collegamento con l’altra parte
dell’anima di Voldemort» spiegò, avanzando di qualche passo. «Mi ero chiesto il
perché della sua presenza nel Limbo, ma non immaginavo certo che fosse perché
ce n’era ancora uno ben nascosto7».
«Intendi dire che il Signore Oscuro non è davvero morto?»
chiese Nott, le sopracciglia scure aggrottate. «Hanno
seppellito il suo corpo, la notizia era su tutti i giornali. Non hanno neppure
detto dove proprio per evitare che la
sua tomba potesse essere oggetto di attenzioni indesiderate o, ovviamente,
della prosecuzione di un culto sulle sue opere».
Harry strinse le labbra. «Hai letto dei libri sulla
Negromanzia, Theodore. Hai già una pallida idea di cosa Kate e quelli come lei possano fare. Credi davvero che la
morte del corpo possa porre fine all’anima? Voldemort è sopravvissuto per
tredici anni senza un vero corpo,
immagino che parte della sua essenza possa ancora sopravvivere in noi» spiegò, indicando con un cenno la
piccola. Lei si era avvicinata lentamente, come per studiarli meglio, e non
sembrava intenzionata a far loro alcun male. Per il momento, ovviamente. Testando un po’ la sua fortuna, Harry
decise di provare qualcosa che credeva di non aver più la capacità di fare. O
almeno così aveva sperato. «Tu sai chi
sono io?». Le parole uscirono dalle sue labbra con la stessa naturalezza di
un tempo, quasi non avesse mai smesso di praticarle. Non si rese quasi conto di
aver cambiato lingua, a tradirlo fu solo la sensazione decisamente estranea della
lingua contro i denti. Nott, al suo fianco, si
irrigidì. Non doveva aver mai visto quel talento al di fuori di Voldemort.
Forse lui non si era iscritto al Club dei Duellanti, quasi dieci anni prima8.
La bambina si illuminò di un sorriso immenso, facendo
internamente morire Harry. Una parte di lui era colmo d’orrore nel vederla così
tranquilla, così normale e innocente.
Un’altra parte aveva ricevuto conferma della sua reale natura e temeva di non
poter fare nulla per fermarla. Non aveva una spada o del veleno di basilisco,
con sé. A sostegno di quel suo insensato gesto di coraggio c’era solo l’assurda
convinzione che Horcrux potesse distruggere Horcrux, proprio come credeva fosse accaduto quattro anni
prima.
«Certo che ti conosco!
Tu sei quello che ha ucciso mio padre» rispose la bambina, puntandogli
contro il piccolo indice della mano paffutella. «Anche tu parli con i serpenti!
Neppure Tiresias ci riesce. Non mi piace che anche tu
sappia farlo» gli comunicò, incrociando quindi le braccia al petto. I contorni
del suo corpo sembrarono tremolare, la sua immagine farsi più sfocata. «Perché
sei venuto qui? Io non voglio parlarti». Voltatasi leggermente, la piccola
scorse Theodore, che sembrava ad un passo dal volersi fondere con la parete di
pietra. «Lui mi piace, anche se ha la pozione che mi toglie la magia».
Il mugolio terrorizzato che Nott
emise avrebbe fatto sorridere Harry, se lui stesso non fosse stato sul punto di
farsela sotto.
«Non avere paura, ti ucciderò in modo poco doloroso» tentò di
rassicurarlo la piccola, con un gran sorriso tutto fossette. «Nessuno si è mai
lamentato e Tiresias ha sempre detto che sono una
bambina molto pulita e beneducata» continuò, dondolandosi sui talloni con un
sorriso incantevole quanto lei.
«Com’è… confortante»
mormorò Nott, lanciando un’occhiata ad Harry, una
mano già infilata nel mantello, forse per recuperare la pozione. «Che ne dici
di non uccidermi afffatto? Sai, avrei un matrimonio a
cui prendere parte».
La bimba sorrise di più. «Quale matrimonio? Mi piacciono i
matrimoni, le signore si mettono vestiti da principesse! Tireasias
dice che quando tornerò in vita anche io potrò mettere un vestito come quelli»
spiegò, sbattendo quasi subito il piedino per terra e lasciando che, ancora una
volta, i suoi contorni sbiadissero
pericolosamente. Harry non aveva mai assistito alla trasformazione di un Obscurus e non era decisamente pronto a farlo in quel
momento. «Vuoi dirmi chi si sposa?».
«Io, io dovrei
sposarmi. Non posso farlo se tu mi uccidi, sai?».
La piccola bocca si aprì leggermente in una smorfia di
scontento. «Oh, è un peccato. Mi
sarebbe piaciuto vedere un matrimonio, ma tu devi morire, Tiresias
ha detto che nessuno deve raggiungere lui e la signora che fa paura».
«Hai fatto passare gli altri, però» le fece notare Nott, attirandosi un’occhiata allibita da parte di Harry.
Invece che farle scordare gli altri
lui li stava usando per rinfacciare un qualche trattamento di favore? Avrebbe
potuto mettere a rischio l’intera missione, per Merlino! «Mi rifiuto di credere
che tu li abbia dimenticati davvero. Dimmi, credi che ucciderci sarà così tanto
un giochetto da ragazzi da poterli poi raggiungere senza che Tiresias se ne renda conto? Sei una povera sciocca».
Che
diavolo…?
«La stai facendo irritare» gli fece notare l’Auror, con una certa stizza. «Cosa credi di f-», qualunque
cosa avesse voluto dirgli, gli morì in gola sotto il peso di un incantesimo
silenziatore. Nel panico totale, Harry si voltò a fissarlo, ritrovandolo tutto
intento a ricambiare lo sguardo della bambina.
«Credi ci abbiano lasciati qui senza un motivo? Noi possiamo distruggerti in modo tale
che neppure Sisifo potrà riportarti in vita. Possiamo fare in modo che tu non
torni mai più in vita» continuò a
stuzzicarla, facendosi coraggiosamente avanti di vari passi. Quando abbassò la
mano in cui non reggeva la bacchetta, Harry notò che stesse tenendo un’ampolla
con dentro un liquido bluastro. La pozione.
I contorni della bambina tremolarono di più ed un brivido
gelido attraversò Harry. Doveva essere il suo istinto di autoconservazione che,
dopo essere tornato in servizio per quattro anni, decideva nuovamente di fare i
bagagli e tornare nello steso paradiso tropicale in cui doveva aver trascorso i
sette anni che Harry aveva trascorso in guerra – più o meno dichiarata – contro
Voldemort ed i suoi scagnozzi. Il suo pensiero corse a Ginny,
in quel momento probabilmente rinchiusa in una stanza dai suoi fratelli così
che non li raggiungesse per combattere, ed ai suoi bambini. Se quella creatura
avesse perso il senno, lui non avrebbe avuto alcuna possibilità di conoscerli.
Sarebbero
stati degli orfani, proprio come lui.
Ma Nott non sembrava curarsi dei
suoi crucci interiori.
«Sei una bambina viziata, credi davvero che una volta morta ti
riporteranno in vita? Probabilmente ti hanno mandata qui perché così ti saresti
tolta dai piedi» insistette, beffardo, avanzando con un cipiglio sempre più
fiero e superbioso. La pozione era ben stretta nel suo pugno, nascosta alla
vista della piccola ma ancora visibile ad un ammutolito Harry. Condividere il
suo piano non doveva essere nelle sue intenzioni. Forse far morire il povero
Bambino Sopravvissuto senza dargli modo di partecipare attivamente era un modo
perverso per aiutarlo. Voleva evitargli l’angoscia, forse.
Oppure non aveva la minima considerazione dei suoi interessi e
credeva che Harry l’avrebbe seguito a prescindere da tutto.
«Stai zitto» intimò la bambina, le labbra strette con furia.
Qualcosa di oscuro si stava sprigionando da lei, quasi la sua ombra avesse
improvvisamente deciso di estendersi nella terza dimensione per assorbire tutto
ciò che avrebbe potuto trovare sul suo cammino. Come se avesse voluto
inghiottirli tutti, lei per prima.
«Non farmi arrabbiare, signore. Io non voglio arrabbiarmi» aggiunse ancora lei,
questa volta con una strana nota di preoccupazione ad incrinarle la vocina
angelica.
La realizzazione colpì Harry come un pugno allo stomaco.
Credeva di aver già realizzato quanto giovane
fosse quella vittima innocente di Voldemort e Tiresias,
ma si era sbagliato. Si era sbagliato terribilmente. Nessun Obscuriale
era mai sopravvissuto e l’unico con cui NewtScamander avesse avuto modo di parlare9 aveva
solo accennato al terribile dolore che le esplosioni di magia potevano portare.
Era uno shock terribile che aveva spinto tanti bambini, fra cui anche Ariana
Silente, a rinchiudersi in se stessi, scollegarsi
dalla realtà per illudersi che quell’orrore non stesse accadendo proprio a loro. E quella bambina non era
diversa, nonostante la sua mente fosse stata controllata per tutta la sua vita.
Nonostante fosse stata plasmata affinché potesse diventare un’arma di
distruzione di massa.
Era solo una bambina ed aveva paura del dolore.
E loro
avrebbero dovuto ucciderla.
La paura di morire era solo un ingrediente nell’enorme
miscuglio che si stava agitando nel suo piccolo cuore, solo un mattone nella muraglia
che le stava precipitando addosso. La bambina sarebbe dovuta morire a prescindere, perché così era stato
previsto, così le era stato inculcato. Morire l’avrebbe liberata dal suo
dolore, ma morire faceva paura, quasi più paura del dolore ma non a sufficienza
da spingerla a ribellarsi ai suoi padroni.
«Potter». Il richiamo di Nott lo
tirò via bruscamente dalla sua trance, facendogli sbattere le palpebre un paio
di volte. «Conosco quello sguardo e non ti permetterò di mandare tutto
all’aria» lo avvisò, con una smorfia irata. Era arretrato nuovamente fino ad
affiancarlo, la fiala non più nascosta perché la bambina era ormai troppo presa
dai suoi dolori per prestare loro alcuna attenzione. La trasformazione era
stata innescata, l’esplosione era sul punto di presentarsi.
«È solo una bambina, dovremmo tentare di aiutarla» esalò
Harry, senza riuscire a guardarla per un secondo in più. In una parte recondita
della sua mente sentiva il suo dolore, la sua disperazione e la paura. Le
percepiva come se fossero l’eco di sue
emozioni passate. Forse lo erano. Dopotutto, anche lui era stato solo un
bambino spaventato rinchiuso in un sottoscala buio e polveroso quanto doveva
esserlo la gabbia in cui la bambina aveva costretto la sua innocenza per poter
sopravvivere tanto a lungo.
«È quello che stiamo tentando di fare, Potter». Nott lo afferrò per il braccio, scuotendolo piuttosto
violentemente. «Credi davvero ci sia un’altra possibilità di salvezza, per lei?
Preferiresti condannarla a vivere con quello spettro dentro di lei? Mettiti nei suoi panni. Se qualcosa ti
stesse soffocando dall’interno, giorno dopo giorno, e tu non potessi far nulla
per fermarlo o rallentarlo… non preferiresti mettere fine a tutto?».
Harry non riusciva neppure a contemplare quell’idea. La possibilità
di dover porre fine ad una vita così
innocente, così giovane lo stroncava.
«Togli la testa dal culo, Potter, e guardala!» sbottò di nuovo l’altro, indicando la massa informe ed
oscura che lentamente stava esplodendo dal petto della bambina. «Io non posso far altro che darti modo di
aiutarla, ma solo tu puoi ucciderla, tu sei
un Horcrux, sai cosa vuol dire. Toglile quel mostro dall’anima e lasciala libera» gli intimò, secco, abbassando
tuttavia il tono di voce così da renderlo più gentile. «La mia pozione dovrebbe
poterla rallentare, tu hai qualche minima idea di come… finirla?».
Stranamente – e miracolosamente
– Harry riuscì a riprendere il controllo di se stesso.
Aveva pensato alla bambina come un Obscuriale,
qualcosa che nessuno conosceva e che lui aveva solo associato con una paura ed
un dolore a lui sconosciuti. Lui non
aveva mai avuto timore della propria magia. Ma Nott
aveva ragione, loro erano entrambi
Horcrux. Harry sapeva cosa
significava avere quel mostro nero sul fondo del cuore. Lui era stato libero
per anni, prima di subire gli effetti di quel parassita, lei, invece…
Doveva
aiutarla.
«Per distruggere un Horcrux, bisogna distruggere il suo
contenitore in modo che non possa più essere ricostruito» spiegò, senza degnare
di un’occhiata Nott, che aveva già tolto il tappo
alla sua pozione. L’Obsurus era sempre più grande,
sempre più potente. Solitamente si trattava di esplosioni di magia, ma quel mostro era fin troppo esperto nel
cambiamento, aveva imparato a mangiare la sua piccola ospite un morso alla
volta, lasciando che soffrisse. «Credo che un’AvadaKedavra possa funzionare, se scagliato da me».
Nott strinse le labbra. «Tu, però? Credi di essere ancora un
Horcrux?».
Harry si strinse nelle spalle, sentendo il cuore quasi esplodergli nel petto. «Non lo so, il
mio Horcrux potrebbe essere rimasto al suo posto, ma potrebbe essere solo un
eco. La Magia nera lascia sempre dei segni, ovunque passi… se lei dovesse morire per mano mia, allora
io stesso potrei morire».
«Sei disposto a rischiare?».
«No, ma dovrò farlo comunque. Per Ginny,
per i miei figli e per tutti gli altri».
I due si guardarono per un lungo istante, poi Nott annuì. «Draco aveva ragione nel dire che voi
Grifondoro siete dei veri martiri» fu il suo commento, vagamente ilare. Il suo black humour era famoso in tutta Hogwarts, dopotutto.
«Tieniti pronto, non ho idea di cosa succederà quando la colp-
sta arrivando!» urlò all’improvviso,
dando ad Harry il minimo preavviso necessario ad alzare la sua bacchetta e
puntarla dritto davanti ad entrambi, evocando uno scudo come minima difesa.
L’impatto dell’essere oscuro contro di esso gli fece tremare le gambe, l’intero
braccio si contrasse come in preda ad uno spasmo.
Non aveva
mai risposto ad un attacco così potente.
Stretti i denti, tentò di raddrizzarsi e avanzare ma,
nonostante l’aiuto dello scudo evocato da Theodore, non riuscì a far altro che limitare il proprio arretramento a pochi
passi. «Non possiamo trattenerlo! Serve la pozione! Aspetta che torni indietro
per prendere la mira, allora io abbasserò la protezione per un istante e tu la
colpirai!» gli urlò, lanciandogli uno sguardo velocissimo solo per assicurarsi
che fosse capace di muoversi. Un altro potentissimo attacco della creatura li
fece balzare indietro di parecchi centimetri. Oltre al braccio, anche la spalla
aveva iniziato a dolergli. «Nott, adesso!»
Il movimento fulmineo con cui Nott
scagliò la fiala fu ammirevole, soprattutto perché riuscì a centrare il suo
terrificante obiettivo, aprendogli un foro luminoso proprio al centro. Sembrò
quasi che un raggio ghiacciato l’avesse attraversato, lasciando che il gelo si
diramasse da quella prima feritoia con una velocità impressionante.
Cristallizzato, l’Obscurus restò a pochi metri da
loro, bloccato nella sua purissima essenza magica, come un’ombra imprigionata
in un cristallo.
Sfiniti, i due crollarono in ginocchio al suolo, tenendosi il
petto e respirando a fatica.
«La mia pozione blocca la magia, la cristallizza e la rende
inutilizzabile» spiegò Nott, una volta recuperato il
fiato. «Un Obscuriale è pura magia incontrollata. L’ho… pietrificato».
Harry restò per un istante immobile a fissare quella strana statua davanti a loro, una brutta
sensazione allo stomaco. «Ho la sensazione che se dovessi colpirlo con
qualunque incantesimo finirebbe con l’esplodere. Ti prego, dimmi che sto
esagerando e che sono un pessimista».
Nott strinse le labbra,
scuotendo poi il capo. «Mi dispiace, Potter, ma temo tu abbia ragione. Credevo
che sarebbe regredita al suo corpo umano, mentre così… posso solo ipotizzare
che sarà come far scontrare due incantesimi potentissimi. Spezzeremo il fisico
ma l’impatto sarà… distruttivo».
Lentamente si passò una mano sugli occhi, forse cercando di nascondere le
lacrime di rabbia e paura che involontariamente avevano cercato di fuggire via.
«Non c’è via d’uscita, Potter. La pozione non è infinita, a breve dovrebbe
perdere i suoi effetti».
«Tu puoi smaterliazzarti via, Nott. Solo io devo morire» gli disse, in un modo di
cavalleria che non era del tutto scomparsa in quegli anni. «Va’ via, trova la
mia fidanzata e dille che mi dispiace e che non ho mai smesso di amarla,
neppure un istante».
La risata di Nott suonò disperata
anche alle orecchie di Harry, che non poteva negare di essere un po’ tardo. «Potter, io non posso
andare da nessuna parte. Non ci si smaterializza dal Quartier Generale delle
Banshee e l’unica uscita è…» indicò l’Obscuriale,
«proprio lì dietro. Sono incastrato qui tanto quanto te, non potrò portare
alcun messaggio a tua moglie. O baciare la mia per l’ultima volta» confessò, la
voce roca. «Non c’è niente da fare, al riguardo, quindi tira fuori il coraggio
Grifondoro e uccidi quel mostro».
Harry lo fissò per qualche istante. «Non ho mai pensato che
sarei morto al fianco di un figlio di Mangiamorte10» gli disse,
rialzandosi ed allungandogli la mano libera affinché potesse imitarlo.
«Siamo tutti uguali davanti alla morte, Potter. Adesso fallo, prima che io me la faccia sotto
dalla paura. Voglio morire con dignità».
Era il massimo che avrebbe ottenuto da lui, ma ad Harry fu
sufficiente. Avrebbe voluto morire circondato da persone amate, avrebbe voluto
dire i suoi addii come l’ultima volta.
Avrebbe dovuto sentirsi abbandonato, disperato. Aveva paura,
era desolato, ma l’inevitabilità del
suo destino gli impedì di perdersi. Ancora una volta, tutto si riduceva ad un
faccia a faccia con i suoi incubi. Ancora una volta, il Bambino Sopravvissuto
doveva affrontare la Morte a testa alta.
Questa volta, semplicemente, non sarebbe tornato indietro.
Sollevò la bacchetta, distogliendo lo sguardo dall’unica
lacrima sfuggita al controllo di Nott.
Mi
dispiace Ginny.
Inspirò profondamente, lasciando che i muscoli delle spalle si
rilassassero.
Mi
dispiace, ti prego di perdonarmi.
«AvadaKedavra».
Ti amerò
per sempre.
***
Kate si svegliò dalla sua trance inspirando bruscamente,
liberandosi dalla presa di Draco e tossendo per cercare di riacquistare la
funzionalità della gola più velocemente. Nonostante lo sguardo appannato,
riuscì a scorgere benissimo l’espressione straziata del suo Auctor, le mani portate al petto quasi avesse provato il suo stesso
dolore. Quasi avesse voluto nasconderle anche alla propria vista, tanto era
l’orrore di ciò che lei l’aveva costretto a fare. Era pallido – prevedibile,
essendo morto – ed appariva piuttosto malaticcio. Se avesse avuto un battito
cardiaco ed uno stomaco funzionante probabilmente avrebbe dato di stomaco per
l’ansia.
«Quanto… quanto tempo è… passato?» gli domandò lei,
afferrandolo per il braccio così da potersi tirare a sedere, seppur con
parecchie difficoltà. La testa le girava e le ferite cauterizzate bruciavano e
prudevano in modo infernale.
Draco la fissò per un istante come se avesse voluto
ricominciare a strozzarla11. «Neppure un minuto. Non chiedermelo mai
più, ti prego» la supplicò, respirando velocemente come se fosse stato sul
punto di iperventilare. «Credevo di averti uccisa» esalò poi, a bassa voce. Kate
riuscì appena a sentirlo a causa del fracasso che Sisifo e la sua rabbia stavano
provocando a pochi passi da loro.
«Tranquillo caro, un lieve soffocamento per alcuni è
addirittura piacevole».
«Lasciamo questo tipo di negoziazioni per la camera da letto,
che ne dici?» fu la risposta che lui le dedicò, sarcastico. Gettò un’occhiata
alle sue spalle, probabilmente preoccupato dai gemiti addolorati di Tiresias. «Non credo che quel teatrino durerà ancora a
lungo. Sei riuscita a trovarla? Ha deciso di aiutarti?».
Kate strinse le labbra, piuttosto restia a confessare le
dinamiche del suo delizioso incontro
con Beatrice Vane. «Ha deciso di aiutarci, sta solo aspettando che io le faccia
superare il confine fra i due mondi» mormorò, lanciando un’occhiata preoccupata
alle spalle che Winter stava voltando loro. Aveva smesso di colpire l’amante
immortale ma ancora non si era voltata a guardarli. Che stesse riprendendo il
controllo di sé? Che stesse combattendo una lotta interiore fra i due aspetti
del suo essere?
C’era
speranza.
«Vi farà piacere sapere che abbiamo visite» commentò
all’improvviso, quasi l’avesse sentita. Lentamente Sisifo si voltò, un sorriso
sadico ad incurvare le labbra di Winter mentre i suoi occhi si puntavano alle
spalle di Kate e Draco, oltre anche i corpi pietrificati nella fuga di Ophelia
e George. Con orrore, Kate realizzò che dovesse esserci qualcun altro con loro,
qualcuno che lei non aveva previsto si presentasse. «Fred Weasley, proprio
l’uomo di cui avevo bisogno».
Kate avrebbe voluto voltarsi e prendere a schiaffi il gemello apparentemente
oltre la barriera temporale. Se Sisifo avesse ottenuto anche solo una goccia
del suo sangue – e l’avrebbe ottenuto senza orma di dubbio – sarebbe stata la
fine per tutti loro.
«Cos’hai fatto a mia moglie?» fu il sibilo terribile di Barry
a far stringere il cuore di Kate e darle il coraggio, finalmente, di voltarsi.
Erano lì, tutti e tre, uno più pallido e terrorizzato dell’altro, fermi sulla
porta a causa della barriera temporale. Hermione aveva le braccia alzate nel vano
tentativo di distruggere l’ostacolo, pietrificata dalla scoperta che le si era
parata davanti agli occhi.
«Io nulla, ma temo
che la sua angoscia abbia ucciso il vostro embrione»
rispose Sisifo, ridacchiando. I suoi occhi si spostarono velocemente sull’unica
donna del gruppo, brillando d’irritazione. «Hermione Granger, che razza di
volgarità ci sono nella tua testolina!» la riprese, tirando fuori il vecchio
accento strascicato del sud degli Stati Uniti che era stato tanto caro a
Winter. «Naturalmente ti sto leggendo
nel pensiero, questo corpo apparteneva alla più grande Legilimens mai passata
per questo mondo, credevi forse che io avrei rinunciato a questo privilegio,
dopo che il povero Tiresias ha dovuto faticare tanto
per convincere Mulciber a riprodursi?» le chiese,
scuotendo il capo e lasciando dondolare i capelli neri sulle spalle.
L’incantesimo di dissimulazione con cui Winnie li aveva sempre resi biondi non
era più attivo, Sisifo non aveva alcun motivo di continuare a mantenerlo
attivo.
Con un gesto, Kate intimò a Draco di stare in silenzio e di
allontanarsi da lei. Il suo tentativo di lamentarsi venne immediatamente
stroncato sul nascere con un solo sguardo da parte sua. Lui, dopotutto, doveva
obbedirle. Nel frattempo, Barry aveva raggiunto sua moglie e George, separato
da loro solo da una barriera invisibile. Kate non riuscì ad immaginare cosa
stesse provando e preferì non pensarci. Se le cose fossero andate come lei
aveva ipotizzato, quel suo dolore non sarebbe stato eterno.
La sua certezza tuttavia vacillò quando Barry spostò lo
sguardo e, finalmente, notò anche lei.
«Ah, sì, anche quella è opera mia» si rallegrò Sisifo, con un
sorrisino. Tornò a guardare Kate, la sua tranquillità quasi disturbante.
«Certo, fosse per me sarebbe morta, Malfoy è riuscito a ricucirla. Ma non
preoccupatevi per il suo viso, non permetterò che vada in giro così sfregiata!
Ho intenzione di ucciderla per… uhm… seconda» rifletté, piegando il capo di
lato. «Il primo a morire dovrai essere tu, Fred. Una volta morto tu, potrò finalmente
occuparmi di quella creatura».
«Prima di uccidere Trina, dovrai passare sul mio cadavere!» ringhiò Barry, scagliandosi con violenza contro la
barriera e facendola vibrare. Si trattava di una vera e propria cupola che li
circondava in ogni direzione, spessa almeno un paio di metri. Philly e George
erano incastrati lì in mezzo, pietrificati in un istante eterno. Kate sentì gli
occhi pizzicarle al solo guardare l’orrore nel viso dell’uomo che avrebbe
voluto poter chiamare padre. Il suo dolore non sarebbe mai scomparso davvero.
«Posso sempre uccidervi tutti davanti ai suoi occhi» rifletté
Sisifo, fingendo di riflettere su quella possibilità. «Ovviamene lei non può
nulla contro di me e ne è consapevolissima, però spera davvero di potermi
rallentare abbastanza da consentirvi di fuggire ed aiutarvi, altrimenti dubito
che sarebbe rimasta in silenzio per tutto questo tempo».
«Sempre geniale, Sisifo» si congratulò la Succubus,
tentando di inarcare le sopracciglia ma rinunciando in partenza. Il suo viso
era quasi completamente atrofizzato, le cicatrici le rendevano difficili anche
le parole più semplici.
Fu Hermione a parlare, a quel punto, un sorriso vittorioso. «Mi
sembra di ricordare che la CaptioTemporis possa essere spezzata solo dall’esterno e
soltanto da una persona diversa da quella che l’ha evocata. Una misura di
sicurezza dei tempi antichi, si dice che Morgana l’avesse inventata per
consentire che nessuno potesse toccare Camelot fino al ritorno di Re Artù e,
con lui, dell’altro grande Mago, Merlino». La guardò con un sorriso vittorioso.
«Non puoi fare assolutamente nulla».
Sisifo annuì, stringendo le labbra per tentare di nascondere
un sorriso. «Hai ragione, naturalmente. Tuttavia non hai forse notato il
silenzio di qualcuno? Qualcuno solitamente molto
loquace?» le chiese quindi, accennando con il capo alla destra di Hermione.
Kate, con orrore, vide Fred con le braccia alzate e lo sguardo completamente
vuoto, intento ad eliminare tutto ciò che impediva a Sisifo di poter completare
il suo piano malefico.
«Non toccarlo,
Hermione!» l’urlo di Kate arrivò un attimo prima che l’altra donna potesse
muoversi in direzione di Fred. «È controllato da Sisifo, non ci penserebbe un
momento ad ucciderti e lui non se lo perdonerebbe mai» la avvisò, tentando di
rialzarsi proprio mentre la CaptioTemporis crollava tutt’intorno a loro, disperdendosi in
una nube traslucida. George riprese la sua corsa, fermandosi, confuso, quando
Barry gli strappò Ophelia dalle braccia, stringendola a sé con cupa
disperazione. Lei era ancora senza sensi, sporca di sangue sfortunatamente suo.
«Non sei poi così sciocca, allora, Succubus»
si complimentò Sisifo, mentre Fred avanzava lentamente verso la vasca,
incurante dello sguardo disperato di Hermione. «Osserva il destino arrivare al
suo naturale compimento, dopo millenni
d’attesa!». Un dolore sordo impedì a Kate di risponderle, mozzandole il respiro
in petto e facendole piegare le ginocchia. Maledizione
Cruciatus, realizzò una parte di lei, quella
abbastanza lucida e non impegnata ad urlare con tutto il fiato che aveva a
disposizione. Sisifo aveva recuperato la bacchetta di Winter, anche se Kate
dubitava fortemente ne avesse davvero bisogno.
Le braccia di Draco si strinsero intorno a lei in un momento e
velocemente anche Hermione la raggiunse, aiutandolo a sorreggerla. Fred era
quasi giunto all’enorme vasca d’oro.
Ora o mai
più.
Tutte le forze di Kate si concentrarono in quella singola
azione, in quella preghiera.
«Stellina mia, fermati».
***
Sisifo si congelò, improvvisamente rigido. I suoi occhi
chiarissimi si spostarono lentamente fra i vari occupanti della Sala, passando
da George, Philly e Barry – i più lontani –, per poi spostarsi su Hermione e
Draco. Solo alla fine guardò Kate, ancora accasciata al suolo ma con i grandi
occhi neri spalancati e puntati su di lui. Su loro. A parlare non era stata la sua voce, non c’era traccia del
suo pesante accento irlandese. Al suo posto c’era un tono gentile, garbato, dolce
come quello di qualunque madre.
«Sei andata a recuperare uno spirito nel Limbo?» chiese
Sisifo, inarcando le sopracciglia. Hermione sentì le proprie gambe tremare al
solo sentire il suo tono. Era gelido,
terrorizzato. Avrebbe giurato ci fosse anche una nota di rispetto sotto il più
evidente disappunto. «Nostro padre ha sempre proibito di avventurarsi lì senza
di lui, ti ammiro per il tuo coraggio, Succubus, ma temo che sia stato un rischio inutile».
Alle loro spalle, Fred ricominciò a camminare verso la vasca,
entrambe le braccia sollevate. Hermione – che sinceramente non aveva idea di
cosa stesse succedendo – fissò prima lui, che per tanto tempo aveva amato senza
neppure rendersene conto, e poi George, intimandogli in silenzio di arretrare.
Barry sapeva come difendersi dai Terrori Notturni e Philly aveva immediato
bisogno di assistenza medica. Avrebbero dovuto approfittare di quel momento di
distrazione per mettersi in salvo.
«No, Granger» fu il sussurro di Draco ad impedirle di rendere
più evidenti le sue intenzioni all’altro gemello, che restò a fissarla finché
Sisifo non ricominciò a ridere in modo maniacale. «Ophelia e suo marito sono
gli unici che possono aiutare Kate a mantenere il controllo. Averli qui, per
quanto terribile, la aiuterà a non abbandonarsi allo spirito».
«È davvero posseduta?» gli chiese, sconvolta, osservando
proprio la Succubus rialzarsi ed avvicinarsi
lentamente al loro nemico. Per un istante le parve quasi che i suoi tratti
fossero cambiati e che gli occhi neri si fossero trasformati in gemme verdi.
«Ha richiamato Beatrice Vane?» aggiunse, completamente allibita. «Credevo che
le possessioni fossero solo-».
«Una leggenda?» la interruppe proprio Malfoy, con un
sorrisino. «Guardami, Granger, sono praticamente un morto vivente. Gli zombie
come me secondo alcuni non dovrebbero esistere, sei certa di voler toccare il
tasto della leggendarietà proprio adesso?».
«Cosa credi di ottenere?» stava chiedendo Sisifo, con un
ringhio furioso, arretrando ad ogni passo che Kate stava facendo verso di lui.
«Lei è morta, sua madre non potrà far
nulla per riportarla indietro» aggiunse, senza tuttavia poter nascondere la
nota di panico nella voce. C’era qualcosa nel suo modo di guardarsi intorno che
fece accigliare Hermione. Se non avesse saputo che davanti a lei ci fosse
Sisifo, avrebbe pensato solo e soltanto alla vecchia Winter, con la sua perenne
paura di aver fatto la cosa sbagliata, di aver fatto del male a qualcuno che
non lo meritava.
«Stellina, non
ascoltarlo. Quel mostro ha sussurrato al tuo orecchio per così tanti anni ma tu
sei sempre riuscita a mandarlo via» disse invece Beatrice, sfruttando il corpo
di Kate per potersi avvicinare, per poterla guardare direttamente negli occhi.
«Piccola mia, cosa ti hanno fatto?» la sua voce sembrò tremare come se fosse
stata sull’orlo delle lacrime ed Hermione percepì distintamente il proprio
cuore stringersi in una morsa. «Ricordi cosa facevamo quando venivi a trovarmi,
nonostante i divieti di tuo padre?».
Sisifo strinse le labbra, impallidendo. Alle sue spalle, Fred
si fermò di colpo, sbattendo un paio di volte le palpebre con aria
particolarmente confusa. L’incantesimo
stava perdendo i suoi effetti. «Non riuscirai a riportarla abbastanza
indietro da riprendere il controllo di questo corpo! E per ogni istante che lo spirito passerà qui, tu sarai più
debole, sciocca di una Succubus!» le rinfacciò urlando, completamente
preso dal panico. Hermione non si lasciò prendere dall’entusiasmo e men che
meno dal sollievo. Non aveva idea di cosa stesse succedendo ad Harry e non
sapeva come aiutare Fred. Senza contare Malfoy ridotto a poco più di un
cadavere che le restava accanto, completamente immobile.
«Winter, stellina,
tu sei migliore di così, sei migliore di lui» rincarò la dose Beatrice. «Pensa
a quei bambini che hai salvato, pensa a tutte quelle vite innocenti… Io ti ho
vista, lo sai? Ti ho vista e sono stata così
tanto fiera di te! Hai dimostrato di non essere come tuo padre, di essere
diversa dal mostro che ti sta controllando» le mormorò, avanzando imperterrita
e con un sorriso gentile a curvare le labbra deturpate di Kate. «Vuoi davvero
lasciare che lui possa renderti ciò che non sei?».
«Cosa diavolo sta
succedendo qui?» sbottò Fred, guardandosi intorno proprio mentre Sisifo si
prendeva la testa fra le mani, ringhiando ed urlando a Winter di smetterla di combattere, perché tanto sarebbe stato
tutto inutile, tanto niente l’avrebbe
salvata. Come attirato da una calamita, gli occhi scuri di Fred si posarono
dapprima su George, inginocchiato vicino alla porta per poter aiutare Barry a
far riprendere Ophelia, poi immediatamente su Hermione, che non riuscì a
trattenere un sorriso sollevato. «Quella è Winter?»
chiese allora lui, sconvolto. «E cos’è successo a Kate? E… Merlino! Malfoy, ma tu sei morto?».
Accanto ad Hermione, Draco inspirò bruscamente, come a voler
impedire a se stesso di fare qualcosa di molto
stupido. «Potresti zittire il tuo fidanzato? Tutti gli sforzi di Kate rischiano
di essere mandati al diavolo perché lui le sta distraendo» le chiese, indicando
con un cenno proprio la Negromante, arretrata di tanti passi quanti Sisifo era avanzato.
La confusione sembrava sparita dal suo volto, sostituita da rabbia cieca. «Maledizione, ha ripreso il controllo».
Anche Kate/Beatrice dovette realizzare quanto grave fosse diventata la loro
situazione. «Stellina» ritentò
infatti, guardandosi intorno alla ricerca disperata di un qualche appiglio, di
un consiglio su cosa dire per
riottenere ancora l’attenzione di una sempre più debole Winter. «Ti ricordi la
notte della mia morte?» tentò allora, disperata. «Ricordi cosa successe?».
Sisifo si fermò, una smorfia addolorata sul viso. «Io ti ho
uccisa» rispose, attirando nuovamente l’attenzione di tutti i presenti nella
stanza. La sua voce era suonata strana, come se fossero state due persone a
parlare e non una soltanto, quasi ci fosse stato un eco di sottofondo, molto
più addolorato e disperato. Winter.
Kate/Beatrice scosse il capo, cercando nuovamente di
sorridere. Le sue guance erano macchiate di lacrime rosse. «Non lo ricordi più,
è per questo che lui riesce a controllarti così bene» la rassicurò, tornando ad
avanzare. «Ricordati quella notte, stellina.
Ricorda come Tiresias ti tenne stretta per impedirti
di salvarmi. Ricorda come mi tagliò la gola e ti costrinse a bere il mio
sangue. Ricorda il tuo dolore, Winter»
insistette, alzando la voce nel momento in cui riuscì a raggiungere nuovamente
il corpo di colei che era stata una collega ed amica di Hermione, afferrandola
per le spalle e costringendola a guardarla in viso. «Ricorda come dovettero
tenerti ferma, come dovettero imbavagliarti! Non lasciare che lo facciano
ancora, piccola mia! Non lasciare che ti distruggano di nuovo».
Sisifo urlò con tutto il fiato che dovette trovare in corpo,
prima di cadere in ginocchio ai piedi del corpo posseduto dalla madre di
Winter. Stava piangendo, le spalle tremavano incontrollate a causa della forza
dei singhiozzi ed Hermione, che non si era neppure resa conto di aver
trattenuto il fiato, espirò lentamente.
«Mi dispiace, mamma. Mi dispiace così tanto» mormorò Winter – finalmente tornata se
stessa, abbracciando le gambe di Kate come se fossero state il suo unico
appiglio con la realtà. Guardando la Negromante, Hermione dovette concentrarsi
per riuscire a scorgere i suoi veri
tratti dietro quelli sfocati di Beatrice. Sembrava quasi che lo spirito avesse
acquistato più forza dalla vittoria riportata contro Sisifo. C’era da preoccuparsi? Malfoy le aveva
afferrato il braccio, quasi a volersi far forza e non la lasciò mai andare.
Guardandolo meglio, Hermione notò quanto stesse iniziando a sembrare più morto di prima.
«Malfoy?».
«Kate sta morendo» fu tutto ciò che le disse, la voce ridotta
ad un sussurro roco. «Sento la sua vita scivolare via. Se non lascerà andare
Beatrice, la perderò per sempre».
Hermione non ebbe il tempo di rassicurarlo, di dirgli che
sarebbe andato tutto bene, perché in quell’istante Fred urlò.
Alzati gli occhi, lei vide quasi a rallentatore Tiresias – lo stesso Tiresias di
cui tutti sembravano essersi
dimenticati, troppo presi da Sisifo e dal dramma che Kate aveva tentato di
risolvere – estrarre una lama dalla schiena dell’uomo che probabilmente l’aveva
amata di più in tutta la sua vita. Il Veggente era coperto del suo stesso
sangue, a stento capace di reggersi in piedi, ma il sorriso vittorioso con cui
lanciò la lama sporca nella grande vasca non permise a nessuno di dubitare
quanto fosse soddisfatto.
Fred la guardò, un attimo prima di accasciarsi al suolo fra le
urla di George e, sorprendentemente, di Hermione stessa. Non si era resa conto
di aver aperto la bocca finché non cominciò a dolerle la gola e le gambe
decisero di cedere all’improvviso, lasciandola cadere fra le braccia di Draco.
No, ti
prego, no! Era tutto ciò cui riusciva a pensare, nella memoria impressa
l’espressione vuota di Fred un attimo prima di cadere. Ti prego, non posso perdere anche lui.
«Niente potrà fermarci!» urlò Tiresias,
aggrappandosi al bordo della vasca, per potersi reggere in piedi. Il contenuto
iniziò a ribollire, cambiare colore ed emettere strani fumi nerastri. Kate
sembrò tornare se stessa solo per un istante, l’orrore
dipinto in viso. «Credevi di avercela fatta? Nessuno è più forte di noi, neppure tu! Ed i prossimi a morire
saranno i tuoi stupidi genitori» sibilò, respirando a fatica. Hermione osservò
la scena come se stesse accadendo tutto all’interno di un televisore, lontano da lei, lontano dal suo shock.
Non si sentiva più le gambe. «Vieni, amore mio, dimostra a questi mortali la
forza del nostro amore».
Con l’orrore di tutti – soprattutto di Kate, che non fece
nulla per impedirlo – Winter si rialzò, sorridendo nello stesso inquietante
modo che in poco tempo Hermione aveva imparato ad associare a Sisifo. La
osservarono raddrizzare le spalle, sollevarsi e fare l’occhiolino alla Succubus, prima di darle le spalle ed incamminarsi verso la
vasca. «Ce ne hai messo di tempo, Sisifo, stavo per perdere il controllo di me»
disse all’amante immortale, raggiungendolo fino a mettersi alle sue spalle.
«Ah, io non ti abbandonerò mai» gli rispose proprio il
Veggente, osservando con dolcezza il contenuto della vasca. «Poche gocce
dovrebbero bastare e allora tu tornerai per sempre, amore mio» aggiunse, senza
tuttavia voltarsi. Le sue mani accarezzarono le dita di Winter, strette sulle
sue spalle con la dolcezza di un innamorato.
Kate sbatté le palpebre un paio di volte, prima di deglutire.
Qualcosa di Beatrice ancora aleggiava su lei, ma sembrava quasi completamente
scomparso. «L’immersione totale vi distruggerebbe entrambi» disse, con una nota
d’avvertimento nella voce. «Non si torna indietro da lì, non resterà
assolutamente nulla da salvare».
Tiresias la fissò come se fosse
diventata pazza. «Grazie per il tuo aiuto, Succubus,
ma sarai comunque la prima a morire» le disse, facendole l’occhiolino.
«Coraggio, amore mio, è giunto il nostro momento».
Stranamente, Sisifo sorrise. Una lacrima scivolò sulla guancia
pallida, mentre i suoi occhi si posavano lentamente su tutti gli occupanti la
sala. «Sì, è giunto il nostro momento» confermò, la voce sicura ed in netto
contrasto con la sua espressione. Anche Hermione notò il modo in cui le sue
mani si strinsero di più sulle spalle del Veggente, che si irrigidì. «Il Nulla è meglio di tutto questo»
aggiunse, lasciando che l’emozione iniziasse a trasparire. Anche nel suo stato
quasi comatoso, Hermione capì. Winter inspirò
per l’ultima volta, mentre l’orrore si dipingeva sul volto di Tiresias. «Mi dispiace».
Quando saltò, il tempo sembrò fermarsi per un lungo istante e
poi esplodere come un nuovo, terrificante e sanguinario Big Bang.
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho una pagina facebook!
Seguitemi per futuri aggiornamenti!
La sentite la marcia
funebre?
Sono
passati dieci mesi ed io sono arrivata all’ultimo capitolo. Se vogliamo essere
precisi, ho già iniziato a scrivere l’Epilogo. Non mentirò, questa storia è
stata molto più difficile del previsto ed ammetto di aver perso spesso e
volentieri la mia ispirazione andando avanti, ma mi auguro comunque di avervi
presentato una conclusione degna e sensata, soprattutto considerando i deliri a
cui vi ho sottoposti.
Le morti non sono finite
qui.
Rimando al prossimo
capitolo per i ringraziamenti finali ed il discorso strappalacrime. Se comunque
siete sopravvissuti a queste (circa) diecimila parole avete tutto il mio
rispetto.
Punti importanti:
» * - “Eterno riposo dona loro o Signore, e splenda ad essi
la luce perpetua. Riposino in pace”. Una cosa delicata e adatta al capitolo
» 1 – Nott ha tante cose della sottoscritta, fra cui l’ansia, la
passione per le pozioni ed il black humour. A lui non piace non avere idea di cosa stia
facendo.
» 2 – Il Maine è uno
stato degli USA, Theodore poverino non ha ben capito quale fra i cinquanta è
quello di Barry. Diciamo pure che non è che gli importi particolarmente, quindi
non si è neppure preso la briga di chiedere.
» 3 – Cosa avrà
detto Nott alla lezione di Storia della Magia? È un
segreto fra i quattro gatti che frequentavano la lezione, nessuno esterno saprà mai. L’idea di Theodore ed Hermione che
condividono una specie di legame (non amicizia ma neppure reciproco odio) mi
entusiasma particolarmente. Lui era il più brillante, subito dopo di lei.
» 4 – Tipica frase da filmone americano su un attacco
terroristico, lo so, ma in questo caso parlare di Olimpo di mi divertiva. Nello
specifico si tratta della frase in codice che viene comunicata agli agenti
sotto copertura ed ai sopravvissuti.
» 5 – Diciamo pure che NottSr ha inventato un siero
della fertilità super potente e che grazie a questo – di cui si è sempre
rifiutato di condividere la ricetta – è riuscito a far nascere Theo.
Fortunatamente è nato da un rapporto d’amore, altrimenti avremmo avuto
Voldemort 2.0. Quando Voldy gli ha chiesto il siero
per Bellatrix e RODOLPHUS (niente stronzata alla Delphini a casa mia!!!!!!) lui si è inizialmente rifiutato
di collaborare.
» 6 – NottSr non ha voluto collaborare
con Voldemort, all’inizio, ma è allora che Tiresias
gli ha raccontato di cosa avrebbe fatto suo figlio con una Magonò,
comprandosi il suo silenzio. Nott era consapevole che
progenie di Bellatrix sarebbe stata solo un abominio,
ma il terrore di cosa Beth
avrebbe fatto a suo figlio l’ha fatto cedere. La pozione in cambio della promessa
di uccidere la Magonò e far sopravvivere Theo.
» 7
– Avete presente la scena in cui Harry è a “King’s
Cross” e si ritrova a guardare FetoVoldemort? Quella
è l’anima di Voldemort bloccata nel Limbo. Kate nello scorso capitolo avrebbe
anche potuto inciamparci sopra. Sostanzialmente la bambina è il motivo per cui Voldy non è finito all’inferno o, comunque, altrove.
» 8
– Secondo anno, Club dei Duellanti di Allock,
Harry “litiga” con Draco e si fa quattro chiacchiere con una vipera. Tutta la
scuola ha scoperto che lui fosse rettilofono ma
Theodore, che per natura se ne infischia
dei pettegolezzi, non ci ha mai fatto caso. Per lui l’Erede di Serpeverde era
solo una sciocchezza. Oltretutto sapeva
che la linea di sangue di Salazar si fosse interrotta con i Gaunt.
» 9
– Riferimento ad “Animali Fantastici”, Newt ha
conosciuto Credence ed io spero vivamente che lui sia
sopravvissuto per fare altre quattro chiacchiere con il nostro adorato
Magizoologo.
» 10
– Pseudo citazione da “Il Signore degli Anelli” in cui Harry è Gimli e Theodore è Legolas.
» 11
– Sì, per fare un salto nel Limbo Kate ha dovuto farsi quasi ammazzare.
Draco non era proprio contento.
Mi dispiace, ma non è
ancora finita.
Winter
Vane resterà per sempre nel mio cuore come uno dei personaggi più sfortunati
mai esistiti nella storia.
Manca solo l’Epilogo.
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!
“[…] con ambedue le mani prese la polvere arsa,
la rovesciò sul capo, sporcando lo splendido viso,
e sulla veste fragrante cadde la cenere.
Lui stesso, grande disteso in mezzo alla polvere,
giaceva, e con le mani si sfigurava strappando i capelli.”*.
[Iliade XVIII, 23-27;
traduzione di Guido Paduano]
Epilogo.
Ginny Weasley si strinse di più nel suo cappotto,
stando bene attenta a non prendere troppo freddo. Sua madre era stata molto
chiara: le avrebbe consentito di partecipare alla cerimonia soltanto se le avesse giurato di non
rischiare alcun tipo di malanno. A quel punto della gravidanza, dopo tutto il
suo stress, sarebbe stato davvero troppo pericoloso per lei e per i bambini. A
meno di due mesi dalla data del parto era sconsigliabile qualunque fonte di
stress eccessivo ed un funerale era già un azzardo.
Poco lontano
da lei, Rosemary tirò su col naso, stringendosi di più fra le braccia di
Charlie ma con una mano stretta caparbiamente a quella di suo padre, fin troppo
addolorato per potersi preoccupare di tener separati figlia e genero. Il
Dottore, che Ginny sapeva fosse il responsabile della
sopravvivenza di Hermione ai traumi della Guerra, aveva gli occhi arrossati ma
non lucidi, il viso pallido e non rasato da un bel po’ di giorni. Il fascino
trascurato che comunque riusciva ad emanare era offuscato dalle sue forti e
tormentate emozioni. Era stato nominato nuovo Supervisore delle Banshee1,
stando alle notizie che le erano giunte, ma non sembrava entusiasta.
Chi lo
sarebbe stato, al posto suo?
A pochi
passi di distanza da loro, il celebrante continuava a parlare ininterrotto,
raccontando di quanto le vittime di quel terribile attacco fossero da
considerare eroi, di quanto tutti le
avrebbero dovute tenere nel proprio cuore, ringraziandole per il loro
sacrificio.
Tutte cazzate, pensò lei cinicamente. Tra una settimana vi dimenticherete che siano mai esistite.
«Quante
stronzate» sussurrò proprio il Dottor Crave, con una
smorfia. «Le uniche persone che avrebbero dovuto essere qui sono da tutt’altra
parte» aggiunse, socchiudendo gli occhi per poter sospirare. Lei sapeva che
l’uomo aveva richiesto di rimandare i funerali ad un momento consono, in cui i
sopravvissuti avrebbero avuto modo di partecipare e rendere i loro rispetti, ma
la Confederazione non gli aveva dato ascolto. Via il dente, via il dolore, doveva essere stato il loro pensiero.
Tanto più quei funerali sarebbero stati rimandati, tanto più difficilmente
avrebbero potuto nascondere le tracce del disastro che loro avevano evitato.
«Sarebbero
passati mesi, papà, lo sai anche tu» gli rispose Rose, sollevando il viso dal
petto di Charlie il tanto necessario per potergli lanciare uno sguardo triste.
«Ophelia sarà incatenata al letto fino al momento del parto, aspettare lei
sarebbe stato deleterio per tutti» aggiunse, voltando gli occhi in direzione
dell’unico uomo seduto in prima fila, coperto da un mantello nero e con una
mano finta al posto della sinistra. Il suo uncino era stato perduto durante lo
scontro finale e lui aveva deciso di non sostituirlo, almeno per il momento.
«Almeno Barry è qui».
Crave sorrise leggermente, senza alcuna allegria.
«Barry Maine non esiste più e non credo ritornerà mai. Quello lì? È solo un
manichino conciato a dovere per portare a termine questa falsa. Non dubito che
lui voglia solo tornare da sua moglie ed assicurarsi che almeno lei non gli svanisca fra le braccia».
«Sono
certa che sia qui perché vuole, papà». Non sembrava che Rosemary fosse
particolarmente convinta delle proprie parole. «Sta dicendo anche lui il suo
addio, dopotutto. Da parte sua e da parte di Ophelia».
«Addio?
Sono solo due bare vuote2, bambina. Due bare vuote ed un gruppo di
persone che sono qui solo perché qualcuno ha detto loro che avrebbero fatto
bene a presentarsi. Non c’è una sola persona che stia piangendo, guardati
intorno». Con un gesto stanco, il Dottore si passò una mano sul viso,
stropicciandosi gli occhi. «Il suo addio l’ha dato ieri, all’inceneritoio».
Ginny rabbrividì, sentendo quelle parole. George
era andato ad assistere, preoccupato che nessuno volesse o potesse farlo.
Audrey, Edelweiss3 e Percy lo avevano
accompagnato, ma lui era stato costretto ad una uscita defilata dopo solo pochi
minuti. Era stata la bambina a prendere per mano il gemello, osservando la
scena che le si presentava davanti come se non fosse stata una macabra
esibizione di eccessive precauzioni. Stando a quanto Perce
le aveva detto, due agenti erano stati costretti a trattenere Barry Maine per
evitare che fermasse le fiamme. In tre, invece, avevano dovuto impedire che
Draco Malfoy balzasse sulla piattaforma e seguisse il corpo di Kate nel suo
destino di cenere.
Il corpo di una Negromante è la più
pericolosa delle armi, solo le fiamme potrebbero domarlo.
«La
cerimonia è stata allestita soprattutto per Winter, però» notò Charlie, senza
suonare molto convinto. «Anche lei meritava un addio, nonostante non ci sia
alcun corpo».
«E
sappiamo tutti che se non avessero messo in mezzo anche Kate, nessuno si
sarebbe presentato» si intromise Ginny, secca.
«Nessuno sarebbe venuto al funerale della figlia di Silas Mulciber,
tantomeno i rappresentati del nostro Ministero».
Crave accennò un sorriso nella sua direzione, ma
fu molto più simile ad una smorfia addolorata. «Avrei dovuto immaginare che ci
fosse qualcosa in più in lei, se avessi saputo forse sarei riuscito ad aiutarla
meglio. Ho passato quattro anni reprimendola, quando invece avrei potuto…».
Rose
scosse il capo, mentre il celebrante alzava le mani affinché le due bare vuote
potessero discendere nel terreno. C’erano già tue pietre tombali bianche alla
testa delle due fosse, identiche nella forma. In fondo, avevano ricevuto l’onore di essere seppellite nel
cimitero delle più alte personalità della Confederazione4, non c’era
da pretendere che fossero differenti dalle centinaia di altre presenti.
Winter Vane, coraggiosa fino alla fine, recitava la prima, in una grafia
elegantissima e circondata da delicati ghirigori. Era stata Hermione a
scegliere la fotografia che svettava al centro, una delle poche in cui la
ragazza era sorridente, apparentemente libera da qualunque male. Era una foto di Winter, non di Elladora:
non c’era traccia dei capelli neri o degli occhi grigi di Mulciber,
così come non c’era traccia della nera crudeltà con cui Sisifo, a detta di
Barry, aveva invaso il suo sguardo.
Katrina Bell, amatissima figlia, recitava invece l’altra, molto meno
delicata e priva di fotografie, ma coperta da molti più fiori di quanto non
fosse la prima. L’incisione era stata scelta da Barry, ma non era stato lui ad
opporsi alla scelta di una fotografia.
Kate non è mai stata fotografata, non da
quando è diventata se stessa5.
Accanto
al celebrante era apparso un uomo a Ginny
completamente sconosciuto ma dal forte accento irlandese, con folti capelli
biondi e grandi occhi verdi. Suo fratello,
pensò, riuscendo appena a trattenere una smorfia disgustata. Lo stesso fratello
che era sparito dalla vita di Katie ben prima dei suoi genitori e che si era
sempre rifiutato anche solo di parlarle dal momento in cui era stata smistata a
Grifondoro. Quel fratello era stato
chiamato a prestare l’ultimo saluto, perché nessun altro se l’era sentita.
Nessuno aveva pensato di conoscerla abbastanza bene da poterlo fare. Barry non
lo stava guardando, ma non aveva neppure accennato a lamentarsi. Il suo sguardo
era semplicemente puntato sulle due lapidi bianche, quasi sperasse di vederle
frantumarsi all’improvviso.
Con un
gesto delicato, Ginny si posò la mano sul ventre
rigonfio, pregando mentalmente che i suoi figli si calmassero. Erano stati
molti attivi nelle ultime settimane, forse in risposta a tutto il suo dolore.
Lei era felicissima, naturalmente: erano stati loro l’unico appiglio che le
aveva consentito di non crollare, di non lasciarsi andare sotto il peso di
quanto era successo. Di non lasciarsi annegare nella disperazione.
«Mia sorella…».
«Mi da fastidio anche solo sentirlo parlare, quel figlio di
puttana» sibilò il Dottore, pizzicandosi nervosamente la radice del naso. «Dopo
essere arrivato a romperle il naso per evitare che facesse la spia ai loro
genitori, ha anche l’ardire di venire e parlare al suo funerale! Se solo mi
avessero lasciato organizzare questa pagliacciata, non l’avrei permesso»
ringhiò, furioso, incurante di aver attirato gli sguardi confusi di molti dei
presenti. Ginny ricordò improvvisamente quel primo di
settembre del suo quinto anno, quando Katie si presentò a scuola con il naso
tutto storto e chiese alla Chips di sistemarlo, lamentandosi di un incidente
con la scopa.
Oh, Merlino.
Tutt’intorno
a loro era riuscita a riconoscere tanti ex compagni di scuola, partendo da un
distrutto Oliver Baston – fortunatamente non accompagnato da sua moglie6
– fino ad arrivare a Marcus Flint6, passando per tanti altri che
avevano solo avuto modo di conoscere Katie superficialmente ma che avevano
voluto comunque porgerle l’ultimo saluto. Nessuno
di loro, neppure Oliver, l’avrebbe rimpianta davvero e certamente non per
troppo tempo. Katie era riuscita ad annullare se
stessa, negli ultimi anni, fino a diventare un semplice ricordo d’infanzia.
Winter, invece, semplicemente era come se non fosse mai esistita, solo l’ultimo
nome di un albero genealogico che aveva dato i natali a pazzi ed assassini.
Questo funerale è una sciocchezza.
Quando anche
un cugino di quarto grado dei Mulciber prese la
parola, lei decise di averne avute abbastanza. Con un gesto veloce si congedò
dal fratello e dagli altri, tranquillizzandoli velocemente sul suo non aver
bisogno di essere accompagnata. Aveva ancora l’autorizzazione a
smaterializzarsi, a patto che non lo facesse mai per distanze eccessive e che
non lo facesse troppo spesso. Buttarsi alle spalle la lunga distesa di tombe di
Hero’sTears e ritrovarsi all’ingresso del San
Mungo non fu affatto difficile ma, anzi, ebbe un che di liberatorio. I corridoi
dell’ospedale le erano familiari quasi come quelli della Tana e le infermiere
avevano preso a sorriderle come se fossero state delle sorelle.
La stanza
cui era diretta era l’ultima sulla sinistra nel lungo corridoio riservato alla
lungodegenza. Era una stanza privata, su sua insistenza, così che potesse
andare e venire a suo piacimento, senza le restrizioni che l’ospedale le
avrebbe sicuramente imposto. Era un ambiente apparentemente più ampio rispetto
alle altre stanze, ma si trattava più che altro di un’illusione dettata dal
ristretto numero di letti presenti. Dove altrove se ne sarebbero potuti trovare
quattro o cinque, lì ce n’erano solo due, di cui uno dotato di separatori verdi
con fiorellini rosa. In quel letto, anche in quel momento, Hermione era intenta
a fissare le pagine di un libro qualunque, illudendosi di star leggendo
nonostante la sua mente fosse offuscata dai pensieri. Seduto accanto a lei,
come sempre, Fred le accarezzava una spalla, fornendole il minimo conforto
sufficiente affinché non si dimenticasse che lui fosse ancora lì, con lei.
Nonostante fosse migliorata molto, dal suo risveglio, ancora la notte si
svegliava in preda al terrore più cupo e più di una volta Fred stesso era stato
costretto a restare al suo fianco, così che lei potesse trovarlo sano e salvo.
«Ciao,
Gin» la salutò la sua migliore amica, mettendo fine a quella pagliacciata del
libro e sorridendole stancamente. «La cerimonia è già finita?» le chiese,
facendole cenno di avvicinarsi e di sedersi all’unica poltrona che le
infermiere avevano portato nella stanza proprio per lei.
Anche
Fred le sorrise, allungandosi per darle un leggero buffetto sulla guancia e poi
una carezza sul ventre gonfio. «Spero tu non ti sia stancata troppo, la mamma
potrebbe perdere la testa per la preoccupazione e tu ti ritroveresti in castigo
come quando avevi cinque anni».
Scuotendo
il capo, Ginny cercò di mostrarsi almeno un po’ più
tranquilla di quanto in realtà non fosse. «No, ma quando hanno chiamato Liam Bell per ricordare Katie ho deciso che non ne valeva
la pena. Avrei dovuto darvi ascolto e restare qui» ammise, sospirando. Si voltò
un momento ad indicare il letto vuoto di Harry. «È andato da Ophelia? Credevo
che avrebbe usato la sua unica ora d’aria per dopo il funerale, al ritorno di Barry. Soprattutto dopo quello che
è successo ieri».
Hermione
tremò visibilmente, facendola pentire di aver aperto bocca. Parlare del
funerale davanti a lei non era certamente una buona idea. «Ha chiesto al medico
uno strappo alla regola. Andrà comunque da Ophelia, ma ci andrà dopo» spiegò,
mordendosi il labbro inferiore per aiutarsi a mantenere la calma. «Ieri,
quando… quando Barry è tornato, lo abbiamo sentito crollare davanti a sua
moglie» mormorò, asciugandosi una lacrima dalla guancia. «Lo abbiamo sentito
piangere ed io… io non lo avevo mai
sentito piangere» ammise, la voce ridotta ad un sussurro.
«Come
dargli torto? George è stato sul punto di uscire e se non l’ha fatto è stato
solo per Edelweiss» si intromise Fred, senza guardare la sorella negli occhi.
Il suo sguardo era puntato al soffitto, le braccia incrociate al petto. Neppure lui era andato all’inceneritoio. «La bambina gli ha detto che Kate
meritava che la sua famiglia le dicesse addio… anch’io sarei dovuto andare, ma
l’idea di restare lì mentre…».
Ginny strinse per un istante le labbra, indecisa
se chiedere o meno. Fra le persone informate dei fatti, Hermione e Fred erano
quelli che più difficilmente le avrebbero dato dell’insensibile. «Ha urlato?
Harry… Harry ha detto che aveva gli occhi aperti».
Fred
rabbrividì, piegandosi in avanti per poggiare i gomiti sulle ginocchia e
prendersi il viso fra le mani. «Capisci perché non sono potuto andare? Io…
quando l’ho vista mi è sembrato quasi stesse per alzarsi da quel lettino e
parlarmi. Non avrei sopportato di vederla bruciare, avrei dato di matto quasi
quanto Malfoy».
«Era
davvero l’unica via? Siete sicuri di non…» di
non averla uccisa voi? Non riuscì a finire la frase, ma l’occhiata che
Hermione le lanciò le fece comprendere che il messaggio fosse giunto a
destinazione.
Fu
proprio l’altra donna a parlare, dopo aver espirato dal naso. «Quando ci siamo
svegliati dall’esplosione, Kate era…» alzò la mano per fare un gesto vago. «Non
so spiegarlo, ma non sembrava più umana.
I suoi occhi neri sembravano quasi brillare e la sua pelle era di un bianco ben
più puro dell’avorio. Non ho mai visto una creatura più spaventosa e potente,
credimi. Non c’era nulla della vecchia Katie lì, si era lasciata annientare per
assorbire il potere emanato da Sisifo ed evitare che noi potessimo morire tutti
nell’esplosione». Per un istante, Ginny la vide
lanciare un’occhiata pensierosa in giro, quasi avesse temuto che qualcuno
potesse balzar fuori per impedirle di parlare. «Non era da sola. Al suo fianco
c’era qualcuno. Non avevo idea di chi
fosse ma era così… così bello, Gin.
La creatura più bella che avessi mai visto, con capelli bianchissimi e grandi
ali nere. Ha preso Kate fra le braccia e l’ha stretta con così tanta
delicatezza…».
Ginny si accigliò, curiosa. Harry non le aveva
dato dettagli, lui era stato ritrovato molto dopo, quando le Banshee avevano
ben pensato di cercare sotto le macerie che l’esplosione dell’Obscurus aveva provocato. Lui e Nott
erano sopravvissuti per miracolo, incastrati sotto strati e strati di pietre e
colonne che avevano fornito loro un provvidenziale rifugio. Erano entrambi
malridotti ma fortunatamente ancora vivi. Ginny non
avrebbe mai smesso di ringraziare per la sua fortuna sfacciata. Dover lasciare
che lui restasse in osservazione per un mesetto era il minore dei mali. «Chi
era? L’avete scoperto? Gli angeli non
esistono, Hermione».
Fred
accennò un sorriso, scuotendo leggermente il capo. «Lo sappiamo, sorellina» la
rassicurò, grattandosi la fronte aggrottata. «Ma se già ti senti scettica, è
inutile che Hermione continui. Questa storia è piuttosto irreale, devi avere
una mente aperta ed essere certa che nessuno di noi due potrebbe mai mentirti
al riguardo».
Le
premesse non erano certo delle migliori.
«Da sola,
Kate si sarebbe immediatamente ridotta ad un guscio vuoto, dopo aver assorbito
il contraccolpo dell’esplosione causata da Winnie» spiegò la donna, stringendo
per un istante le labbra. «È stata aiutata dall’unica creatura che avrebbe
potuto ridarle abbastanza stabilità da tornare indietro e dare i suoi addii.
L’unica creatura che non potrebbe mai risentire del potere della morte perché,
in fondo, è essa stessa morte, il Capostipite di tutti i negromanti» riprese,
lanciando a Ginny un’occhiata che sembrò promettere
follie d’ogni tipo. «Sto parlando di Thanatos, il dio della Morte. So che ti sembrerà ridicolo ed assurdo
ed ogni altra cosa che ti verrà in mente, potrò anche trovarti delle vere prove
dopo, ma per adesso ti posso garantire che sia la verità. Lui era lì per Kate».
Quelle
erano… informazioni ben più folli di quanto Ginny non
avesse messo in conto ed in qualunque altro istante avrebbe riso e cercato di
far confessare loro lo scherzo. Purtroppo, però, Fred non sembrava in vena di
scherzi ed Hermione non lo era mai stata, non per le questioni davvero serie.
Qualcosa le suggeriva che fare ironia sul sacrificio di una sua cara amica non
fosse proprio nel suo stile. Con un certo sforzo, allora, si costrinse ad
annuire ed assorbire, per quanto parzialmente, quell’informazione. «Se davvero
era il dio della Morte… perché Kate alla fine è morta lo stesso? Hai detto che
l’ha riportata indietro».
«Il suo
danno era troppo grave» spiegò, Fred, la voce ridotta ad un sussurro. «La sua
anima era già indebolita per aver resuscitato prima me e poi parzialmente
Malfoy, aver riportato indietro lo spirito della madre di Winter le ha dato il
colpo di grazia. La sua… essenza? Sì,
credo di poterla definire così, la sua essenza
si è consumata, è diventata così debole da non avere più potere sul suo corpo.
Era letteralmente più morta che viva,
nonostante il suo corpo fosse intatto». Hermione si allungò per stringergli la
mano e dargli coraggio. Non tentò di sorridere, ma riuscì comunque ad
infondergli un po’ di tranquillità.
«La sua
anima era in agonia. Quando la Morte l’ha riportata indietro, la prima cosa che
ha fatto è stata urlare» si intromise
Hermione, con una smorfia. Le sue braccia nude erano ricoperte da pelle d’oca,
il suo sguardo vacuo.
«Il suo
dolore era terribile» mormorò Fred. «Io ero legato
a lei, sentivo… sentivo la sua agonia come un dolore nel petto. Era solo un’eco
ma… era così nitido, Ginny, come se l’avessi vissuto io stesso ma tanto tempo
fa, come se lo stessi ricordando. Era come se qualcuno la stesse spellando
viva, gettando acido sulla sua carne scoperta».
Ginny avrebbe potuto tentare di immaginare cosa potesse voler dire, ma il movimento dei
suoi bambini nel ventre la fermò. La sua priorità era mantenere il pieno
controllo sulle sue emozioni, così da non metterli a rischio, non più. «Credevo
che tu fossi… beh, incosciente». Quella era stata la versione che il Dottor Crave le aveva riferito, quantomeno, quando era giunto alla
Tana per portare notizia alla famiglia.
Fred
accennò un sorriso senza ilarità. «Io ero morto,
Ginny. Mi sono risvegliato percependo questa
terribile sensazione, abbastanza forte da farmi vomitare anche il pranzo di
Natale di sei anni fa» le disse, fermandosi un istante per deglutire e
riprendere fiato. «Ero morto di nuovo,
eppure ero improvvisamente tornato in vita e non sapevo perché».
«Anche
Malfoy era morto. Anche il bambino di Ophelia» si intromise Hermione. «Anch’io
ero morta, perché troppo vicina all’esplosione. Eppure ero di nuovo lì, a
guardare Thanatos negli occhi ed a sentire le urla disperate di Kate».
«È stato
lui?».
Fred
singhiozzò, una mano a coprirgli il viso. Ginny si
sentì morire all’idea di ciò che la sua famiglia avrebbe passato se nessuno di
loro fosse ritornato. «È stata lei, Ginny. Thanatos ha detto che… che lei ha voluto riportarci tutti indietro».
«Non
sappiamo perché, non sappiamo come. Il dio della Morte ci ha solo detto che la
sua bambina ha sacrificato ogni sua speranza per dare a noi una nuova
possibilità e che avremmo fatto bene a vivere ciò che ci restava al meglio, per
onorare i suoi desideri», Hermione strinse di più la presa su Fred, voltandosi
per un istante verso la porta. «Lui ci avrebbe lasciati marcire tutti per
essere stati così inutili. Se siamo
qui, è solo grazie a Kate».
«Ma…
come? Perché? Cos’è successo dopo?».
«Ha fatto
qualcosa per calmare Kate, le ha dato un paio di minuti per porgere i suoi
saluti. Non ho idea di cosa abbia detto a Barry ed Ophelia, so solo che lei ha
perso di nuovo i sensi e lui… credo sia morto un po’. Non ha più detto una
parola a nessuno, se non a sua moglie
e… beh, a Malfoy» spiegò velocemente lei, allungando la mano libera per
prendere quella di Ginny. «Quando poi lei si è
voltata verso Draco… oh, Gin, credo
che lui fosse certo che sarebbe morto con lei. Le ha sorriso così dolcemente, non sembrava neppure lui. Ma
lei lo ha baciato e lui…».
Un
campanello d’allarme risuonò nella mente di Ginny.
«Tu sei stata ricoverata per l’intossicazione per l’eccessiva esposizione al
veleno del ragno. Harry perché non c’era un solo osso integro nel suo corpo.
Ophelia è in condizioni fin troppo delicate. Ma Malfoy…» deglutì, guardando in
viso il fratello e l’amica. «Ha tentato di suicidarsi, non è vero?».
«Il
legame che lo univa a Kate era ben più forte di quello che la legava a me. Se
esistessero delle anime gemelle, probabilmente loro lo sarebbero state. Quando
ha capito che lei non lo avrebbe portato con sé ha perso la testa, ha tentato
di usare la Maledizione che Uccide su se stesso, poi
ha provato a pugnalarsi. È stato Barry a tirarlo via, gli ha detto che avrebbe
dovuto prendersi cura del corpo di Kate».
«Per
questo non è uscito dalla camera ardente per settimane».
Hermione
annuì. «Dopo ieri… lo hanno dovuto placcare in tre. Harry ha pensato di raggiungerlo e assicurarsi che non faccia
sciocchezze. Se c’è qualcuno che ha imparato a trattare con il lutto, quello è
lui».
Nonostante
fosse ancora piuttosto piena di domande, Ginny annuì.
Portandosi
una mano al ventre, sentì il piccolo Sirius fare le capriole, spingendo anche
sua sorella a muoversi.
Erano tutti vivi e lei non avrebbe mai smesso
di ringraziare Katie Bell per questo.
***
«Non è un
buon posto per pensare, questo».
Con una
certa difficoltà, Draco trovò la forza di voltarsi e guardare Potter negli
occhi per una totalità di tre secondi, per poi tornare a concentrarsi sulla
piccola tomba davanti a lui. Era seduto lì da prima dell’alba e, guardandosi
intorno, si rese conto che fosse ormai quasi il tramonto. Non si scomodò a
stiracchiarsi, non aveva dubbi che braccia e gambe fossero intorpidite.
«Questa è
proprietà privata, Potter» commentò, mentre l’altro si sedeva al suo fianco,
senza neppure chiedergli il permesso, proprio come il villano che lui aveva
sempre saputo fosse. Non si cresce fra i
babbani senza risentire della loro pessima educazione, pensò, senza
tuttavia esternare l’insulto ad alta voce. Non ne valeva la pena. «Come facevi
a sapere che mi avresti trovato qui?».
Lui gli
dedicò un’occhiata esasperata. «Non saresti mai andato al funerale di una bara
vuota ed il dottor Crave mi ha detto che le ceneri di
Kate sono sparite dal suo laboratorio. Eri tu
a dire che lei avrebbe dovuto riposare nel suo giusto posto e non in un vaso su
una mensola» gli disse, alzando gli occhi al cielo. Anche lui, poi, guardò la
piccola pietra tombale davanti a lui. «Sono contento che tu l’abbia portata
via, comunque. Non sono certo che la sua promessa di non usarla per esperimenti
potesse essere considerata affidabile».
Una morsa
gelida strinse lo stomaco di Draco, facendogli venire il voltastomaco. Se
avesse mangiato qualcosa, negli ultimi due giorni, avrebbe certamente vomitato
anche l’anima. «Non era il suo posto. Lei deve stare qui, con me».
Potter si
guardò intorno, curioso. «Non avrei mai pensato di mettere piede nel mausoleo
dei Malfoy, tantomeno non senza un mandato di perquisizione» ammise, arricciando
il naso alla vista dell’appariscente
catafalco del prozio Herbert, decorato con bassorilievi erotici per commemorare le sue innumerevoli storie d’amore. Il
prozio Herbert era sempre stato un po’ particolare. «Non sono certo che lei
avrebbe apprezzato la compagnia».
Draco gli
lanciò un’occhiata storta, senza prestargli troppa attenzione. La sua mano si
allungò per sfiorare leggermente le parole incise nel marmo. «Tutti i Malfoy
riposano qui, anche i miei genitori. Anch’io resterò qui, presto o tardi. È il
nostro posto ed il suo è accanto a me. Sarebbe diventata la moglie di Lord
Malfoy, come tale dovrà riposare».
Potter
strinse le labbra ma, alla fine, annuì. «Ophelia mi ha spiegato qualcosa al
riguardo. Per quanto irreale, immagino che tu abbia i tuoi motivi per parlare
così» disse, passandosi distrattamente una mano fra i capelli. «Era proprio
necessario quel nome? Non eravate
certo sposati».
Le dita
di Draco ebbero uno spasmo, ancora posate sulle lettere dorate dell’incisione.
Kate
Malfoy
13/02/1979
– 26/03/2002
Nella
morte ha trovato il suo trionfo.
«Katie
Bell è morta in una caverna in Romania7» spiegò, ritirando la mano e
nascondendola in grembo, come se si fosse scottato. «Nel momento in cui è
rinata, lei è stata mia, come io sono
stato suo. Sono stato io a trovarle il suo nuovo nome ed io mi ero ripromesso
di darle un nuovo cognome, di… di riabilitarci entrambi ed avere una lunga vita insieme». Si rese conto di
aver iniziato a piangere solo quando una lacrima lasciò la sua guancia,
infrangendosi al suolo. «Merlino,
guardare Ophelia mi aveva anche fatto pensare che un giorno avremmo avuto dei
bambini e che saremmo stati dei genitori migliori dei nostri. Sono stato un
idiota».
Sorprendentemente,
non scansò via la mano di Potter quando lui la posò sulla sua spalla. «Non
idiota, solo umano. Non c’è nulla di
male in questo. Come non c’è nulla di male nel soffrire come cani nell’essere
lasciati qui, vivi, mentre chi amiamo non ce l’ha fatta».
Con un
gesto disperato, Draco si prese la testa fra le mani. «Avrebbe potuto sopravvivere,
Potter. Suo padre avrebbe potuto aiutarla, se lei non si fosse consumata per
riportarci tutti indietro. Ha detto che non poteva permettere che tutti noi
morissimo per un errore della sua
famiglia» sputò, sentendo l’odio verso Thanatos, Eros, Sisifo e tutti gli
altri dannati mostri della sua vita crescere dentro di sé. Kate si era
sacrificata perché non poteva permettere che qualcun altro pagasse per gli
errori della sua famiglia.
«Sei… sei
sicuro che sia quello il motivo?» gli chiese Potter, suonando improvvisamente
indeciso. «Perché tu eri fra i morti,
Malfoy. Per sopravvivere, lei non avrebbe potuto riportarti indietro e di certo
non avresti voluto continuare ad andare avanti come uno zombie» gli fece
notare, parlando lentamente. «Hermione, nonostante tutto, era sua amica, Fred
era praticamente un fratello. Quanto al figlio di mia cugina…» accennò un lieve
sorriso, triste al pensiero delle pene che Ophelia stava attraversando per
sfruttare al meglio la seconda possibilità ottenuta. «Credi che avrebbe mai
accettato che qualcuno di voi potesse morire?».
Draco
restò in silenzio. Ovviamente aveva
pensato a quella possibilità, faceva solo troppo male per poterla considerare reale. «Lei aveva già deciso che sarebbe
morta» ammise, con un filo di voce. «Dal momento stesso in cui mi ha
parzialmente riportato indietro, lei… lei aveva deciso che non sarebbe più
uscita da quella stanza».
«Grifondoro,
coraggiosi fino alla stupidità, disposti a sacrificare tutto per il bene
altrui». Potter gli strinse più forte la mano sulla spalla, allungandogli un
fazzolettino. «Sarò sempre in debito con tutte le persone che si sono
sacrificate per me, partendo dai miei genitori ed arrivando anche a Ron, ma…»
scosse il capo, sospirando. «Non li perdonerò mai per avermi reso un sopravvissuto. Chi muore smette di
soffrire, chi resta… chi resta soffre anche per loro».
Draco
singhiozzò più forte. «Come fai a sopportarlo? Come? Ogni respiro è come una pugnalata, non vorrei far altro che
porre fine a tutto e raggiungerla». Alzò lo sguardo cristallino in quello verde
di lui, distrutto. «Come posso sopravvivere se ogni cellula del mio corpo mi
sta supplicando di morire?».
«Devi
ricordare a te stesso perché chi ami
ha dato la vita. Devi ricordarlo e vivere per evitare che la loro morte sia
stata inutile» gli rispose lui, guardando la pietra tombale con un leggero
sorriso. «È difficile, lo so, ma tu
dovrai stringere i denti ed andare avanti. Quando vi rivedrete, non dovrai
darle motivo di essere arrabbiata con te per aver sprecato il suo dono. È un
modo di onorarla, in un certo senso, di portarle rispetto. Sirius è morto come
un fuorilegge, ma io sono riuscito a rendere nota la verità. Remus è morto dopo
una vita trascorsa da reietto, io sono riuscito a fargli ottenere l’Ordine di
Merlino postumo8, così che suo figlio possa sempre essere fiero di
lui» spiegò, tornando a guardarlo. «Kate è morta da eroina, ma nessuno, se non noi, terrà il suo ricordo nel cuore. Lei
non è stata mai amata in vita, non davvero… quale potrebbe essere il miglior
modo di ripagarla, se non ricordarla?».
Draco si
passò la mano fra i capelli, accettando il dannato fazzolettino che lui gli
stava ancora porgendo. «Vivrò una vita a metà, lei lo sa. Avrebbe potuto portarmi con lei, sarebbe morta comunque e
saremmo stati insieme. Ophelia non avrebbe mai permesso che venisse
dimenticata».
«Ma chi
si sarebbe ricordato di te?». Potter
inarcò le sopracciglia. «Non prendertela, Malfoy, ma non sei esattamente la
nostra persona preferita. Non hai fatto nulla di buono nella tua vita, nulla
per cui qualcuno potrebbe volerti ricordare. Non pensi che lei abbia preferito
darti la possibilità di realizzarti, prima di passare oltre?». Stranamente,
Potter trovò il coraggio di sorridere. «Oppure, semplicemente, ha voluto farti
un dispetto. Sapeva che saresti stato estremamente infastidito».
Un’immagine
di Kate intenta a ridergli in faccia lo fece sorridere fra le lacrime.
«Scommetto che è questo il motivo» rimbeccò l’altro, sentendo il petto dolere a
causa della risata. Gli faceva male, sembrava che il suo corpo si stesse
ribellando a quella ridicola ilarità. Avrebbe dovuto vergognarsi di se stesso. «Credo abbia avuto motivazioni meno nobili, però»
ammise, sollevando gli occhi sulla lapide. «Qualcuno dovrà far attenzione che
nessuno metta le mani sulle sue ceneri. Ophelia e Barry non avrebbero mai
capito i danni che quelle potrebbero provocare, nelle mani sbagliate. I
negromanti possono essere più pericolosi da morti che da vivi. E comunque non
l’avrebbero mai seppellita con il suo nuovo nome, tutti avrebbero saputo chi era lei e cos’era. Così, invece, non è nulla più di una giovane donna sposata
all’ultimo dei Malfoy».
«Immagino
che questo segreto dovrà morire con
noi due» convenne Potter, dimostrando d’essere meno tardo di quanto Kate avesse
tentato di fargli credere. «Non è detto che sarai l’ultimo dei Malfoy, Draco.
Potresti innamorarti di nuovo».
Draco
sorrise, senza allegria. «No, non accadrà, la mia linea di sangue morirà con me
e, quando anche io morirò, farò in modo che le mie ceneri vengano mescolate
alle sue9, così che nessuno possa più distinguerci ed usarla per
scopi che lei non avrebbe supportato». Sospirò, sentendo un peso sollevarsi dal
suo petto. Aveva bisogno di dire quelle parole ad alta voce, far sapere a
qualcun altro quanto immenso fosse il
suo legame con Kate. «Saremo di nuovo insieme, per sempre».
«È per
questo che hai tentato di seguirla sulla pira, non è vero? Non perché il suo
corpo era ancora vivo e non volevi che la bruciassero10». Convenne
Harry, annuendo leggermente. «Hai deciso che saresti bruciato con lei nel
momento stesso in cui ti ha detto addio».
«Il mio
piano non ha funzionato bene, però» convenne Draco, scuotendo il capo. «E Maine
ha minacciato di andare a cercare un altro negromante per farmi riportare di
nuovo in vita». Si voltò a guardare Potter, con un sospiro. «Immagino che mi
toccherà aspettare ed assicurarmi che le buone azioni della mia Kate non vadano
sprecate» realizzò, scuotendo il capo. «Non prendertela quando sarò io il padrino del figlio di Maine e
Ophelia. O quando mi farò nominare testimone di nozze dalla Granger e Weasley.
Non permetterò a nessuno di loro di fare cazzate e farmi fare una cattiva
figura una volta che tornerò davanti a lei. I Malfoy non fanno mai cattiva figura».
Potter
inarcò le sopracciglia, forse perché lui lo aveva praticamente sfidato. «È incredibile, hai trasformato
un progetto di vita estremamente altruista in qualcosa di egoista. Sono strabiliato».
«È un
talento raro, sei troppo tardo per capire, Potter».
Piuttosto
che lanciargli contro una maledizione, come avrebbe fatto mesi prima, Potter alzò gli occhi al cielo e, a fatica, si rialzò.
Doveva essere ancora dolorante. «Ti lascio venti minuti, Malfoy, poi ti voglio
fuori di qui. La mia copertura con la caposala non sarà eterna e se non
tornerai presto credo che manderanno mezzo ospedale a cercarti» lo avvisò,
esasperato.
«Non fare
il precisino, Potter, non ti si addice».
«Va’ al
diavolo, Malfoy».
Nelle
ombre, una figura accennò un lievissimo sorriso nello scrutare i due uomini
battibeccare. Il suo tempo in quel mondo era scaduto, ma uno strappo alla
regola, alla fine, le era stato comunque concesso.
«Ti amerà
per sempre, ma riuscirà ad andare avanti» la avvisò la figura alla sua
sinistra, posandole una mano sulla spalla proprio mentre le ali bianche e
dorate li avvolgevano entrambi, spingendoli a ritirarsi fra le tenebre, diretti
in un luogo in cui sarebbero stati insieme, felici. Un luogo in cui lei lo
avrebbe aspettato. «Non devi preoccuparti per lui, bambina mia».
«Oh,
adesso lo so».
Andava tutto bene.
» Marnie’s Corner
Bentrovati e
bentornati, cari amici di EFP!
Prima di tutto, ho
una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!
È finita.
È
la terza volta che, nella mia carriera su EFP, mi ritrovo a tirar fuori quelle
due paroline in conclusione di una long.
Non
vi mentirò, finché non ho riletto questo capitolo per inserire le note e
correggere quanto più possibile non mi sono sentita soddisfatta. Credevo che
l’Epilogo non fosse adatto, che non fosse capace di dare una giusta conclusione
a tutte le vite che si sono intrecciate in questi trentatré capitoli + 1
(numero assolutamente casuale, non ho di certo fatto capitoli più lunghi per
avere lo stesso numero finale dell’Inferno dantesco, non sono certo così
psicopatica…), ma, alla fine, credo di potermi dire soddisfatta.
No,
non c’è stata una strage, addirittura è tornata in vita gente che era già
morta. La verità, nonostante le battutine fatte con vari recensori, è che io
non ho nulla di Martin, non mi piace uccidere per il solo gusto di farlo e, se
possibile, sono un’amante dell’happy ending. Kate e
Winter non avrebbero mai avuto un vero lieto fine diverso dalla sorte
che è toccata loro, quindi, in un certo senso, credo di poter dire che è
bene ciò che finisce bene. Soffriranno tutti, ma sarà una sofferenza che
con il tempo diverrà sopportabile, pur senza sparire.
Adesso
che sono sul punto di cliccare su quel “completa”, credo di riuscire finalmente
a sentire quell’attaccamento emotivo alla storia che fino ad ora non ho mai
percepito. Ho sempre fatto paragoni con Lo Specchio, perché quella era la mia
prima long, ma mi sono resa conto di aver sempre sbagliato. Storie diverse,
situazioni diverse, emozioni diverse. Sono maturata molto con questa storia, ho
approfondito questioni che non avevo mai considerato prima e di questo sono estremamente
fiera. La mia storia non è perfetta e non credo che, con tutte le possibili
correzioni, potrebbe diventarlo. La mia più grande speranza è che sia riuscita
a suscitare emozioni in almeno una persona oltre me, così che io possa
sentirmi soddisfatta.
Vorrei
davvero ringraziare tutte le persone che, in questi dieci mesi, mi hanno
aiutata a scrivere. Tutti voi che avete anche solo letto mi avete dato uno
stimolo in più a continuare, quindi anche voi siete compresi nel gruppo. Non
smetterò mai di sentirmi estremamente grata ed entusiasta del vostro supporto.
Grazie.
L’ultima
volta ho fatto un pippone assurdo con i miei
ringraziamenti ed anche questa volta rischio di ripetere me stessa, quindi
credo che mi fermerò qui. Dopotutto, cosa potrei fare più che ringraziare?
Ubriacarvi di parole non mi pare corretto, non dopo trentaquattro capitoli.
Grazie
davvero, per tutto.
Ah,
dopo le note non perdetevi il “cos’è successo dopo?”. Mi piace dare
altre informazioni inutili, lo sapete!
Punti importanti:
» * - Chi mi conosce dai tempi de “Lo Specchio” SA del mio
amore infinito per Patroclo e Achille. Lasciate
che i miei bambini siano gay in pace, dico io. Dovevo usarli anche qui, per
il gran finale. In questo caso, abbiamo un Draco/Achille ed una Patroclo/Kate. Ahahaha adesso mi viene da piangere.
» 1 – Credevate che
le Banshee si fossero sciolte? Assolutamente no. La Confederazione si è
sbrigata ad affidare la loro riorganizzazione al Dottore, che invece avrebbe
voluto ritirarsi. Il senso del dovere ha vinto su tutto (soprattutto perché non
gli avrebbero mai permesso di esercitare la sua professione in pace,
altrimenti).
» 2 – Perché vuote? Come
avete probabilmente letto o leggerete, Kate è stata bruciata, mentre Winter è
finita nel calderone e di lei non è rimasto assolutamente nulla.
» 3 – Voi direte
“chi è lo psicopatico che porta una bambina tanto piccola in quel postaccio?”, ed vi risponderò “lo
psicopatico che si è sentito svegliare nel cuore della notte con suddetta
bambina che descriveva dettagliatamente l’incenerimento di un cadavere”. Non
c’è nulla che turba Edelweiss, perché lei ha già visto tutto. Provate a farle
un regalo di Natale!
» 4 – Mi sono ispirata al cimitero di Arlington, negli Stati Uniti. Credo esista un luogo in cui le più
alte cariche vengono seppellite, così che possano essere ricordate. Ovviamente
Silente è stato un’eccezione.
» 5 – In che senso? Kate
è diventata Kate dopo la sua avventura in Romania con Draco, a partire dal
capitolo 17. Prima d’allora non era se stessa, quindi
le foto erano di Katie Bell, non di Kate.
» 6 – PERDONAMI
OLIVER PER AVERTI FATTO DIVENTARE LO STRONZO CHE SI SPOSA UNA SETTIMANA DOPO LA
MORTE DELLA SUA EX. PERDONAMI. Ah,
nella mia visione contorta, Katie e Marcus Flint sono diventati amici una volta
che lui ha finito la scuola. Come mai? Boh. IO DEVO SCRIVERE QUALCOSA DI FELICE
PER OLIVER PER FARMI PERDONARE, IL MIO CUORE NON CE LA FA.
» 7 – Sempre
collegamento al capitolo 17.
» 8 – Mi rifiuto di credere
che Remus, Tonks e, nel caso della mia fan fiction,
Ron non abbiano ricevuto l’Ordine di Merlino postumo. Mi rifiuto. L’hanno dato
a Codaliscia, per amor di Dio.
» 9 – Altro riferimento a Patroclo e Ulisse perché io faccio schifo e
ancora piango dietro quei due adorabili innamorati che hanno sofferto tanto.
» 10 – Si fa spesso riferimento al fatto che Kate sia stata bruciata da
viva. Il suo corpo era vivo.
Vivissimo. Ma era vuoto. Non c’era
un’anima dentro, non c’era assolutamente nulla. In casa non c’era nessuno, per dirla semplicemente. Non potendo
lasciare che il suo corpo restasse così e deperisse lentamente, dopo circa un
mese dall’esplosione (che è il tempo trascorso dall’ultimo capitolo) è stata
bruciata e le sue ceneri portate via, perché parecchio pericolose.
» Voglio sottolineare una cosa. Avrete notato che il capitolo sia
incentrato soprattutto su Kate e sul segno che lei ha lasciato. Perché? Perché Winter è sempre stata un fantasma. Anche Draco che è suo
cugino non ha mai avuto un gran rapporto con lei, quindi non sente la sua
mancanza quanto invece potrebbe sentire quella di Katie. Chi ha sofferto di più
è anche chi verrà ricordato di meno. La vita è ingiusta.
» Sì, alla fine ci sono Kate ed Eros che finalmente si sono incontrati e
stanno tenendo d’occhio Draco ed Harry. Kate è molto felice del nome che lui ha
usato per la lapide.
Cosa è successo dopo l’epilogo?
» Harry ha iniziato la sua terapia con il Dottore e, per quanto possibile,
ha finalmente superato molti dei suoi traumi, ovviamente dandosi il tempo
necessario. Lui e Ginny hanno avuto due gemelli:
Sirius James e Lily Kate. Inutile dirvi che, alla fine, Draco è diventato il
padrino di Lily e che ha passato tutta la sua vita a viziarla da far schifo. Sirius, invece, è il
figlioccio di Hermione e Fred. Harry e Ginny si sono
sposati tre mesi dalla nascita dei loro bambini. Anni dopo hanno avuto un altro
figlio, Ronald Harry. Sirius e Ron saranno Grifondoro, Lily – con immenso
gaudio del suo padrino – sarà una Serpeverde.
» Hermione e Fred hanno dovuto aspettare un po’ di tempo prima di
riprendere dall’inizio la loro storia d’amore ma, dopo un paio d’anni, si sono
sposati. Hanno avuto un solo figlio, Andrew Arthur, che sarà un Corvonero ed il
miglior battitore che la squadra abbia avuto da tempi immemori, oltre che il
più gran burlone dai tempi dei gemelli (con suo cugino Fred Jr). Il professor Vitious è al tempo stesso deliziato e distrutto dall’averlo
nella sua Casata.
» Ophelia e Barry avranno due figli: James (figlioccio di Draco, perché
quel compito sarebbe dovuto spettare a Kate) e Winter (la più piccola,
figlioccia di Harry)
. Harry non chiamerà suo figlio James per lasciare a Philly quella
possibilità, memore della sua visione. Entrambi saranno dei Grifondoro. Perché
non hanno chiamato la bambina come Kate? Perché per loro lei era loro figlia, voi dareste alla sorellina lo stesso nome?
Naturalmente nessuno di loro ha mai smesso di soffrire ed entrambi faranno
visita alla tomba vuota almeno una volta al mese, per il resto delle loro vite.
» Draco non si sposerà mai ma si innamorerà perdutamente (in senso
platonico) della sua figlioccia e tratterà James come se fosse un figlio. Sarà
l’ultimo dei Malfoy e alla fine, dopo tanti anni, si ricongiungerà con Kate.
» Theodore e Beth si sposeranno qualche mese dopo
la morte del padre di lui, per la quale Theodore non soffrirà affatto. Avranno
quattro figli, tre femmine (Avery, Rosalinde e Jacqueline) ed un maschio (Maximilian). Avery e Max saranno Serpeverde, Rosalinde
sarà Tassorosso e Jacqueline Corvonero.
» Gossip time: Sirius e James saranno i
migliori amici per eccellenza. L’incubo della scuola e della preside
McGranitt. Neville arriverà spesso a minacciarli di rinchiuderli nella serra
delle Mandragole, tanto sarà sfinito.
Adesso è davvero finita.
Grazie a tutti.
Non
faccio promesse su un possibile ritorno, ma tenete gli occhi aperti!
Per altre
comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!