Una nuova generazione - l'erede di Merlino

di Bibliotecaria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 La fine dell'estate ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 Si ricomincia ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 Lezioni notturne, draghi e sparizioni ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 Cosa si nasconde nell'ombra? ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 Ciò che più temiamo ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 Samhain ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 La disperazione e l'ra ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 Un erede ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 Aria di paura ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 Un natale in nero ***
Capitolo 12: *** Cap. 11 La realtà ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 Per un'amica ***
Capitolo 14: *** Cap. 13 Allievo e maestro ***
Capitolo 15: *** Cap. 14 Ostara ***
Capitolo 16: *** Cap. 15 L'erede di Serpeverde ***
Capitolo 17: *** Cap. 16 Inizia la battaglia ***
Capitolo 18: *** Cap. 17 L'erede di Merlino ***
Capitolo 19: *** Cap. 18 Risveglio e spiegazioni ***
Capitolo 20: *** Cap. 19 La forza di andare avanti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Libro 2° L’erede di Merlino

Prologo

Cara Hanna,

sinceramente non so perché non te l’abbia detto appena l’ho scoperto, ma spero che tu mi possa perdonare anche se mi meriterei la tua ira, poiché io stesso ti ho rimproverata quando l’uno era al posto dell’altra. Sarò sincero: io sono un druido, o meglio un apprendista druido. Tutto è iniziato durante Beltate: io non ho mai impugnato il coltello di Nath, questo si muoveva da solo seguendo la mia volontà. All’inizio ho creduto di aver perso il controllo della mia magia, come mi è accaduto qualche volta durante l’infanzia, ma questa volta era diverso: non era uno sfogo incontrollato e istintivo, era qualcosa che veniva da un mio espresso desiderio, ero confuso ma una parte di me sapeva quello che facevo. L’ultimo giorno di scuola ho incontrato un vecchio di nome Ehogan. È un tipo strano e sfuggevole che per tutta l’estate mi ha insegnato come controllare la mia magia druida, diversa dalla nostra. Non oso scrivere altro perché se mi dilago di sicuro ti arrabbierai ancora di più di quanto lo sei ora che leggi. Sei la prima persona a cui lo dico. Con affetto,

                                                                                                                                   Arthur

 

Hanna rilesse la lettera tre volte a occhi sgranati cercando di capire quel che il suo amico le avesse detto, una volta compreso afferrò una piuma e una pergamena e scrisse.

 

BEN VENUTO NEL CLUB DEI MAGHI STRANI ARTHUR!!!!

Però santo cielo dovevi dirmelo subito!!!

Druido!?! Tu sei un druido? Cosa fai tutto il giorno? Il tuo maestro è affidabile? Lo hai detto a tuo padre? Intendi lasciare la scuola? (Se lo fai ti uccido). Hai informato Elaine e Nathaniel? Posso vedere un tuo incantesimo? Se è no sappi che lo farò di nascosto! Dammi presto tue notizie, con affetto;

Hanna

 

Mi fece piacere ricevere la lettera di Hanna prima del Litha. Alzai lo sguardo alle fronde, la leggera brezza estiva le scuoteva placide e lasciava a tratti intravedere il cielo e qualche stella. “È proprio necessario?” Chiesi per l’ennesima volta a Ehogan. “Ragazzo l’ho detto e l’ho ripetuto: sì!” Esclamò esausto il druido. Guardai perplesso la ghirlanda di trifoglio, rosa, ruta, iperico e verbena e il fuoco che scoppiettava già da un po’ malgrado la calura estiva. “Sì, ma mi pare un po’ esagerato.” Dissi cercando di far cambiare idea al vecchio. “Si può sapere che cos’ha di così tanto spaventoso questo rituale?” Domandò l’uomo continuando a ravvivare il fuoco. “Niente… a parte il fatto che proverò un dolore tremendo!” Urlai sottolineando l’evidenza. “Oh per gli dei! Io l’ho fatto a sei anni e ne ho un bellissimo ricordo.” Disse Ehogan seccato. “Sì, ma tu avevi una schiera di persone che ti guardava con orgoglio, io ho solo un vecchio druido malconcio che mi fa da aguzzino.” Mi lamentai. “Che melodrammatico. Avanti, è quasi ora, togliti la maglia e falla finita!” Non aveva alzato più di tanto la voce però il suo tono imperativo non ammetteva repliche. Così mi tolsi la maglietta e rimasi a torso nudo nella foresta dietro casa mia. Ehogan prese il tizzone di metallo che aveva lasciato a scaldare nel fuoco per tutto questo tempo e pronunciò una formula a dir poco strana che non mi è concesso scrivere, però posso descrivere. Era una nenia profonda ma dai suoni dolci, essa serviva a sancire il legame che avrei avuto con l’antica religione e con Avalon. Al termine della poesia chiusi gli occhi. Allora lo sentii: un bruciore devastante sulla zona alta del petto destro, era il calore dell’inferno, ogni singola cellula del mio corpo urlava di muoversi, di separarsi e di allontanarsi da questa follia, il mio istinto mi urlava di scappare, ma una parte di me, quella che avevo scoperto in quei due mesi, quel fuoco azzurro, mi diceva che questo dolore lo avevano provato tutti prima di me e che sarebbe stato sbagliato nei loro confronti rifiutare tutto ciò, benché apparisse al limite della barbarie. Dopo interminabili istanti d’agonia il tizzone si separò dalla mia pelle trascinando con sé i primi strati di quest’ultima. Mi afflosciai a terra sullo stomaco imprecando mentalmente, stringendo i denti per il dolore, gli occhi mi pizzicavano ma le lacrime non scesero, volevo urlare, scalciare, ma non mi mossi; rimasi lì immobile ad assorbire tutto il mio dolore, a comprenderlo e a razionalizzarlo fino a quando, dopo pochi minuti, riuscii a conviverci. Ehogan allora mi aiutò ad alzarmi sollevandomi con delicatezza prendendomi dalle spalle. Osservò il mio petto che aveva appena guadagnato un simbolo importante per i druidi. “È venuto bene. La cicatrice ti resterà a vita… vuoi un po’ d’acqua?” Domandò gentilmente. Accennai un sì in risposta. Il vecchio mi passò una caraffa da cui bevvi due lunghi sorsi mentre Ehogan passava dell’acqua fredda sulla ferita aiutandosi con uno straccio e applicandovi una mistura di erbe per prevenire un’infiammazione. L’impasto e l’acqua fredda mi davano fastidio e mi venne naturale scrollarmi dal freddo contatto, Ehogan non si lamentò, però afferrò saldamente, con le sue mani ossute, la zona sana della spalla destra, tenendomi fermo e continuando pazientemente il suo lavoro. “Il triskell è l’unico simbolo per cui dovrò sopportare questo?” Chiesi sforzandomi di non far scorrere le lacrime che tanto avrei voluto versare. “Credimi, mio giovane allievo: per noi druidi i mali fisici sono nulla in confronto ai mali dello spirito.” Non sapevo se sentirmi rincuorato o se spaventarmi di più alle parole del vecchio. “Ehogan, il tuo triskell… posso…” Iniziai tentennante. “Credevo non me lo avresti mai chiesto.” Rivelò il vecchio sfoggiando uno stanco sorriso. Allora con naturalezza si tolse la parte superiore della tunica e lo rivelò: sulla spalla destra, nello stesso punto dove il fuoco aveva bruciato la mia carne, v’era una flebile cicatrice color avorio sinuosa e ondulata, con tre spirali che si univano nel punto centrale formando un triangolo, un triskell. Restai ad osservarlo per un po’ poi una pressante inquietudine avvolse il mio cuore.

“Ehogan…” Iniziai io oramai sul orlo delle lacrime. “Sì?” Chiese l’uomo guardandomi con dolcezza. “Fa male.” Dissi lasciando finalmente libere le lacrime. “Lo so Arthur.” Così dicendo il vecchio si affiancò a me e mi abbracciò con una dolcezza con la quale nessuno mi aveva mai accolto. Non erano come gli abbracci di Hanna caldi e devastanti che ti lasciano sconvolto e senza fiato, né come quelli di Elaine leggeri e avvolgenti ma mai invasivi, né come quelli di Nathaniel forti e tesi, sempre un po’ titubanti, né come quelli di mio padre, duri, sempre pronti a distaccarsi. Questo abbraccio era caldo e freddo, avvolgente e soffocante, sincero ma incerto, forte nella sua delicatezza, sentii un leggero dolore al cuore -Era così che tu mi abbracciavi. Non è vero… mamma?- Affondai la testa nel petto di Ehogan e respirai a fondo il suo odore cercando di calmarmi e dimenticare il dolore, fino a quando non mi addormentai.

 

 

Note dell’autrice:

Ed eccomi qua, lo so in leggero ritardo rispetto a quel che avevo detto ma ho avuto problemi con il computer.  Comunque sia…. Piccolo avvertimento per chi ha letto il prologo per curiosità, non temete: Hogwarts esiste, non ho sbagliato a inserire la storia. Per chi mi seguiva già ed pensa di continuare: vi ringrazio infinitamente *Si inginocchia e inizia a venerarvi. Poi si rialza e si tira su le maniche.* Bene, ora si ricomincia a lavorare e ho preparato un po’ di rogne per i nostri cari ragazzi, leggete e capirete. Per il momento vi auguro un buon Natale, anche se un po’ in ritardo, e un felice anno nuovo, anche se un po’ in anticipo.

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Capitolo 2
*** Cap. 1 La fine dell'estate ***


Cap. 1 La fine dell’estate

A svegliarmi fu la recente cicatrice alla spalla che, in quel momento, mi aveva generato un'altra fitta. Ehogan mi aveva lasciato un impacco per la ferita vietandomi di usare qualsiasi altra medicina, soprattutto se moderna, dato che, secondo il suo parere, avrebbe interferito con la magia. Sconsolato presi tre cucchiai di quel impasto farinoso e verdognolo, vi aggiunsi un goccio d’acqua fresca, lo mescolai fino a ché l’impacco divenne pastoso e lo applicai abbondantemente sulla ferita, bloccandolo con delle garze nuove trattenendo gli urli che bruciavano nella mia gola. Allora scesi a fare colazione, lì c’era mio padre che come tutti i giorni faceva colazione con pomodori e salsicce. Io invece mi limitavo a del latte e dell’avena; un tempo facevo colazioni anche più abbondanti, ma, per colpa di Ehogan, avevo dovuto iniziare una dieta più semplice e prevalentemente vegetariana, come si addice ad un druido. In certi momenti era un’autentica scocciatura e nei primi tempi non mangiavo quasi nulla, però dopo un po’ scoprii qualche cibo alternativo e la mia dieta divenne un po’ più varia. “Oggi dobbiamo andare a comprare il tuo nuovo materiale scolastico, Arthur. Ci saranno anche gli Uther da quel che so.” Mi comunicò mio padre continuando a masticare la sua colazione. “Sì, verranno anche Nath ed Elaine.” Dissi io distrattamente. “Non mi piace la famiglia di quella ragazza: sono troppo strani… nel senso, una pazza, una dark e uno che ha come seconda casa la prigione non è una famiglia che si frequenta volentieri.” Commentò mio padre. Non potevo che concordare sulla stranezza degli zii e della cugina di Elaine, ma era mia amica, e poi, anche se fosse, se non l’avevo lasciata per via dei suoi due draghi da compagnia, non sarebbero stati degli zii mezzi folli a farmi cambiare idea. Così rimasi zitto e finsi di non aver sentito. “Hai con te la lettera?” Chiese d’un tratto mio padre per rompere il silenzio; in tutto risposta la estrassi dalla tasca e gliela mostrai. “Bene. Va’ a lavarti i denti e poi partiamo.” Corsi di sopra e tornai di sotto in meno di cinque minuti. Mi misi su un vecchio cappellino blu un po’ logoro e saltai nel camino assieme a mio padre mentre diceva. “Diagon Alley.” Allora mi sentii come avvolgere dalle fiamme e portai di riflesso la mano sulla spalla, sentendo il dolore improvvisamente più forte, ma non era reale, mi ripetei, era solo il ricordo del dolore.

Ci ritrovammo in un camino pubblico vicino all’entrata sul muro. Lì vicino c’erano i miei amici con le loro famiglie. “Arthur!!” Mi chiamò Hanna agitando il braccio. Io mi avvicinai trotterellando cercando di ignorare il forte dolore alla spalla. -Fortuna che era un rimedio infallibile ed efficacissimo!- Pensai maledicendo Ehogan e i suoi rimedi naturali. “Arthur! Fatti un po’ vedere!” Esclamò Hanna afferrandomi per le spalle e facendomi alzare lo sguardo. “Hanna, ci siamo visti due mesi fa, non siamo cambiati più di tan….” Mi dovetti rimangiare la parola: Hanna era cresciuta di minimo tre o quattro centimetri, il viso tondo da bambina era diventato appena più affilato e pareva più muscolosa in oltre non era più piatta ma mostrava qualche leggera curva, Nath, grazie al cielo, era rimasto lo stesso tranne forse un mezzo centimetro in più d’altezza e qualche vago cambiamento nei tratti del viso, Elaine invece aveva preso sette o otto centimetri d’altezza, già che io gli arrivavo appena al petto, il quale aveva subito un certo cambiamento quell’estate, infatti il seno da appena visibile era diventato più grande e in bella vista anche se indossava una semplice t-shorts larga marroncina, anzi sembrava quasi che lo mettesse in risalto, e sembrava più matura, il viso più allungato e gli occhi più seri, ma era scontato che Elaine avesse un’aria da adulta, tuttavia ora ci si metteva anche il fisico. “Ti stanno bene gli occhiali.” Disse Hanna facendomi riprendere dal mio complesso di inferiorità visto che ero tale e quale a quando ci eravamo lasciati l’ultimo giorno di scuola. –Già, gli occhiali, ci devo ancora fare l’abitudine- Pensai, all’inizio li dimenticavo dappertutto, e spesso restavano sul comodino, ma quando mi resi conto di vederci decisamente più nitido e di non aver più mal di testa anomali avevo preso la sana abitudine di indossarli sempre. E poi non erano male anche se semplici, erano squadrati con la montatura in ferro. “Sembri più grande.” Aggiunse Hanna. “Il che ti serve.” Disse stuzzicandomi con una gomitata amichevole. “Sta zitta.” Le dissi offeso, dato che era evidente che io non ero cresciuto neanche di mezzo centimetro. “Allora, prima tappa?” Chiese Hanna riferendosi a tutti. “Direi la Gringot: noi dobbiamo fare un prelievo e la signora Galleric e la signora Zannet devono cambiare la moneta.” Disse il padre di Hanna mentre rimetteva il portafogli nei pantaloni. “Perché, siamo in un altro stato?” Chiese la zia di Elaine che nel frattempo si era sbattuta la mano sulla faccia. “No zia, è solo una tradizione dei maghi usare queste monete.” Spiegò la ragazza esasperata facendo intuire di averglielo già spiegato minimo tremila volte. “Una tradizione stupida come ostinarsi a tenere le sterline.” A quelle parole vidi mio padre e quello di Hanna accendersi: erano entrambi conservatori e raramente perdevano occasione per ribadirlo. “Mamma, andiamo e basta! Non serve fare polemiche.” Disse la ragazza dark lì accanto che malgrado l’insolito caldo vestiva di nero e con le maniche lunghe. “E va bene.” Disse la donna stancamente. Mentre queste parlavano una bambina dai capelli castano scuro quasi neri di circa otto anni saltò in spalle a Nath abbracciandogli il collo da dietro. “Andiamo fratellone!” Disse la bambina indicando la strada scalciando come se Nath fosse un cavallo. “Vai giù piccola peste!” Gli ordinò il ragazzo cercando di liberarsi dalla morsa della sorella. “Smettetela voi due.” Ordinò la madre di Nath obbligando la più piccola a scendere dalla schiena del maggiore. “Sì, mamma.” Risposero i due in coro e subito si scambiarono uno sguardo complice. Improvvisamente provai invidia per Nathaniel. –Deve essere bello avere una sorellina.- Pensai.

Arrivati alla Gringot mi sentii stranamente osservato da quei folletti: i loro piccoli occhi neri mi scrutavano in maniera quasi ossessiva, così abbassai il capo e cercai di far finta di niente ma comunque rimase quella strana sensazione. Mentre gli adulti facevano i loro prelievi noi restammo in una delle panche di legno vicine all’entrata ad aspettare. “Allora, come le avete passate le vacanze?” Chiese Nath rompendo il ghiaccio. “Io ho iniziato a seguire dei corsi di difesa personale da mio cugino.” Dichiarò Hanna, a sentire ciò tutti la fissammo. “Cosa intendi con corsi di difesa personale?” Domandò Nath confuso. “Sapete che mio padre da giovane era un campione di arti marziali, giusto?” Chiese Hanna perplessa. “No, non lo sapevamo. O almeno io e Elaine” Disse il ragazzo guardando Elaine che era sorpresa quanto lui. “Beh… ora lo sapete.” Disse con pochezza Hanna. “Quando inizierà la scuola mi manderà tre volte a settimana delle lettere con gli esercizi da fare.” Spiegò Hanna con semplicità. “E con chi intendi allenarti, sentiamo?” Chiesi io incrociando le braccia dato che non avevo la benché minima intenzione di ritrovarmi livido tre volte a settimana. “Potresti allenarti con lei, Naty.” Intervenne la sorellina di Nathaniel. “Sta zitta.” La sgridò a mezza voce il ragazzo terrorizzato all’idea di essere usato come sacco da box da Hanna. “Che c’è: tu sai picchiare. Difendi me e la mamma.” Disse la bambina. “Difendevo, te e la mamma, e poi non vorrai che miss furia rossa mi riduca a un budino.” Dichiarò il ragazzo scompigliando i capelli della bambina la quale cercò di liberarsi dalle grinfie del fratello agitando le braccia. Potevo comprendere Nath: infatti Hanna anche senza diventare un’orsa era molto forte, e dato che ora aveva iniziato ad allenarsi sarebbe potuta diventare davvero pericolosa in un combattimento corpo a corpo. “Andiamo Nath, che c’è, hai paura?” Lo stuzzicò Hanna dandogli una gomitata amichevole sul braccio. “No, solo vorrei raggiungere i miei tredici anni ancora tutto intero.” Disse il ragazzo massaggiandosi la parte lesa non poi tanto amichevolmente. “Su avanti… sarà divertente!” Lo incitò Hanna; però Nath si voltò dall’altra parte come per dire che non lo avrebbe fatto neanche morto. “E se diventi più forte di sicuro sarai più bravo nel Quidditch.” Hanna aveva appena toccato un punto dolente, infatti Nathaniel si voltò verso di lei e la guardò dritta negli occhi. “Prometti di controllarti e di non fare pazzie?” Le ordinò Nath allungando la mano verso di lei. “Prometto” Disse Hanna stringendola. “Ragazzi!” Alzammo lo sguardo: la zia di Elaine ci stava chiamando tenendo in mano il portafogli pieno di monete. Raggiungemmo lei e gli altri in un secondo e allora vidi che erano arrivati anche i due fratelli gemelli di Hanna. “Eccovi, sfaticati!” Li prese in giro quest’ultima. “A chi hai dato dello sfaticato?” Chiese Harold afferrando il collo della sorella e iniziando a strofinargli la testa con vigore, allora Hanna, giocando, sollevò il maggiore da terra e spezzò la presa che aveva su di lei. I due allora iniziarono a fare la lotta amorevolmente, era quasi un abbraccio e i pugni erano quasi carezze ma si notava che sapevano quel che facevano: Hanna bloccava i colpi del fratello attuando anche leve e una volta fece quasi uno strangolamento, invece Harold colpiva, anche se con leggerezza, le parti sensibili del corpo con precisione chirurgica. “Voi due! Smettetela!” Tuonò il signor Uther fulminandoli con lo sguardo; i due si congelarono seduta stante e si separarono mettendo le mani dietro la schiena sorridendo come due ebeti. “Che infantili.” Commentò Luke, beccandosi un’occhiataccia dai due fratelli. Appena uscite la zia e la cugina di Elaine si accesero una sigaretta. “Dovete proprio fumare?” Chiese la ragazza guardando le due con disappunto. “Che c’è, lo sai che fumo per questioni mediche.” Disse la zia inspirando il fumo. “Certo, questioni mediche….” Disse Elaine avvicinandosi. “La questione medica della dipendenza, zia.” Disse la ragazza togliendole la sigaretta dalla bocca e spegnendola a terra, ripetendo la procedura per la cugina. “Che palla che sei cuginetta! È una cicca, per la miseria!” Elaine lanciò un’occhiataccia a sua cugina e continuò a camminare verso la libreria con noi increduli che le stavamo accanto e lasciò intendere di non commentare. Teneva la testa bassa e trascinava i piedi con vergogna. Mi chiesi cosa l’avesse spinta a fare la parte dell’adulta.

Fatti gli acquisti in libreria ci dirigemmo all’emporio per comprare il necessario per quell’anno e fare nuove scorte di ingredienti per pozioni. Dopo di ché Elaine andò a comprarsi una divisa nuova dato che la vecchia, per ovvi motivi, le era diventata piccola e così fece anche Hanna per non ritrovarsi maglioni o camice piccole a metà o a fine anno.

Tornato a casa andai di sopra in camera mia dicendo di voler sistemare la valigia. La mia stanza era la soffitta, il tetto era più basso ai lati e si vedevano le travi in legno, c’era un'unica finestra tonda rivolta a sud da cui entrava sempre molta luce, la stanza era tinta di celeste, c’era un vecchio armadio in legno d’abete in cui tenevo i miei vestiti, un tavolo di dimensioni medie con una lucetta per la lettura e con dei libri chiusi ordinatamente sopra, accanto alla finestra sul lato destro c’era il mio letto, era un singolo da una piazza con sopra delle coperte verde scuro e lì accanto sulla parete c’era una biblioteca con libri scolastici sia vecchi che nuovi, non c’erano romanzi, gli unici libri da lettura li avevo letti alle elementari e non mi erano mai piaciuti. Ai piedi del letto v’era la valigia con il materiale per Hogwarts e la gabbia per Anacleto che in quel momento era fuori per il suo giretto quotidiano. Stavo iniziando a mettere i libri in valigia quando una voce mi distrasse. “Eccoti qua, ragazzino.” Sussultai nel sentire la voce di Ehogan. Non sapevo come facesse, ma tutte le volte appariva dal nulla senza preavviso, sapevo solo che lo incontravo almeno una volta al giorno quando voleva lui. “Che ci fai in casa mia?” Chiesi io sussurrando, spaventato all’idea che mio padre ci scoprisse. “Te ne intendi di leggende antiche?” Mi chiese l’uomo ignorando del tutto la domanda. “No, non mi piace la letteratura.” Dissi io senza vergogna. “Beh ragazzino, te la dovrai far piacere, dato che da oggi ti insegnerò i versi che devi sapere a memoria.” Disse quello stranamente allegro. “Che cosa?” Chiesi io esasperato e confuso. “Fa parte delle mansioni dei druidi l’essere un bardo.” Rivelò Ehogan. “E poi molti incantesimi potenti richiedono canti e musica.” Disse con ovvietà. “Canti e musica?” Chiesi io terrorizzato. “Sì. Cosa credi, che tutta la magia sia come quella che ti ho insegnato fino ad ora? La telecinesi e l’uso dell’energia interna sono un conto. Ma per controllare gli elementi, il clima, la vita, la morte, l’amore e l’odio servono formule e pozioni.” Spiegò il druido. “Per tanto… devi costruirti un’arpa!” Decretò questo solenne e fiero. “Una ché?” Chiesi io confuso guardandolo come se avesse appena detto che gli asini volano. “Un’arpa.” Ripeté. “È fondamentale: non si possono cantare questi antichi testi senza musica.” Dichiarò il vecchio brandendo con orgoglio la sua vecchia arpa come se fosse un’arma o un tesoro prezioso. –Inizio a credere che a questo vecchio manchino delle rotelle.- Pensai guardandolo sempre più confuso. “Mi prendi in giro? Io non so suonare e sono un pessimo cantante!” Rivelai sperando che ci fosse una via di fuga. “Oh, tutto si impara! Avanti fammi sentire un… Do.” Cantò accompagnando quel dolce do con la rispettiva nota musicale. “Potrebbero sentirci.” Dissi io preoccupato alla reazione che mio padre avrebbe avuto, già vedevo le pareti andare in frantumi. “Tuo padre è appena uscito.” Rivelò il vecchio indicandomi la finestra, guardai e non potei che constatare che era appena uscito. “Avanti, Do.” Insistette il vecchio. Presi un bel respiro, il vecchio suonò la nota e io… “Do.” La mia nota era stridula e poco musicale e il vecchio mi guardò perplesso e accigliato. “Ci dobbiamo lavorare… e tanto... tanto.” Lo guardai disperato. “Non posso evitare?” Domandai giocando l’ultima carta, ma conoscevo già la risposta. “No!” Tuonò Ehogan.

 

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Capitolo 3
*** Cap. 2 Si ricomincia ***


Cap. 2 Si ricomincia

Quella mattina venni svegliata dalla solita sveglia che mi ricordava delle medicine per mia zia. Scesi dal letto silenziosamente fino alla camera dei miei zii con in mano il bicchiere d’acqua e la pastiglia verde, quella del mattino. Aprii delicatamente la porta e, dopo essermi assicurata che non stessero facendo le loro cose, scossi leggermente mia zia sdraiata accanto a mio zio. Questa si svegliò e prese la sua medicina senza fare storie e si riaddormentò subito dopo avermi dato un bacio per salutarmi. Lasciai accanto al letto un elenco delle cose da fare tutti i giorni e, facendo il giro del letto, raggiunsi mio zio dandogli un bacio sulla guancia lasciandogli sul comodino un biglietto delle cose che lo pregavo di non fare durante la mia assenza. Subito dopo andai fino in camera di mia cugina e le diedi un bacio unito a un piccolo pacchetto per il suo tredicesimo compleanno che sarebbe stato tra due giorni. Allora andai a lavarmi, mi misi su la divisa nuova, e, con la valigia in mano e lo zaino in spalla, uscii da quella piccola casa di Worthing e andai a prendere il treno per la stazione Vittoria a Londra. Worthing era una piccola cittadina composta da case identiche tra loro, quadrate, attaccate due a due, con all’esterno dei giardini alberati e ben curati delimitati da dei muretti facili da scavalcare per la maggior parte. Camminai lungo un’ampia via poco trafficata fino a raggiungere la stazione, era un po’ vecchia, le mura in mattoni scuri, minuscola rispetto a quelle di Londra, ma efficiente. Una volta raggiunta la stazione Vittoria, il capolinea della corsa, presi la metro fino a King Kross dove raggiunsi il binario 9 ¾ in un baleno. Era tardi e c’era già molta gente che stava sistemando i bagagli. Con fatica raggiunsi il vagone apposito e cercai di tirar su quell’immenso bagaglio, ma non voleva saperne di alzarsi: era troppo pesante e io troppo debole. Scoraggiata mi guardai attorno, ma non c’era nessuno a cui chiedere, e i miei draghi oramai dovevano essere a metà strada per Hogwarts e anche se fosse non avrei chiesto aiuto a loro. “Serve una mano?” Mi voltai: era Jack, uno dei cacciatori della squadra Serpeverde. “Sì, grazie Jack.” Dissi imbarazzata. “Ci conosciamo?” Chiese il ragazzo fissandomi mentre appoggiava con facilità il suo bagaglio nel vagone. “Ehm… no, ma… Nath è un mio amico e…” Iniziai. “Ah, sei la Tassorosso… com’è ti chiami…” Disse il ragazzo sforzandosi di ricordare il mio nome. “Elaine Zannet” Gli dissi passandogli il mio bagaglio. “Ah giusto.” Disse mentre si stava aiutando appena con il ginocchio per sollevare da terra il mio bagaglio, neanche fosse una piuma, e lo mise assieme agli altri. “Grazie Jack. Buona fortuna quest’anno per il torneo e i G.U.F.O., sei al quinto giusto?” “Sì.” Disse il ragazzo con quella che pareva sorpresa. “e tu sei al secondo…” Pensò ad alta voce. Mi sentivo leggermente fissata, così incrociai le braccia al petto nervosamente e me ne andai dicendo. “Sì, g-grazie ancora!” Ero rossissima, i suoi occhi mi stavano guardando in un modo che faceva a dir poco paura così freddi e lontani. Corsi sulla carrozza e raggiunsi il vagone dove mi stavano aspettando gli altri.

******

Sull’espresso per Hogwarts Hanna finalmente si decise a chiedere a Arthur quella cosa. “Allora Arthur?” Chiese l’amica. “Allora ché?” Rispose il ragazzo confuso. “Come procede il tuo addestramento da…” La ragazza si guardò intorno guardinga e sussurrò. “Druido?” “È vero, nelle tue lettere non dicevi quasi nulla a riguardo.” disse Elaine. “Sì, hanno ragione le ragazze, avanti, sputa il rospo.” Disse Nath dandogli un leggero pugno sulla spalla che face oscillare Arthur. “Beh, che dire… passo molto tempo nei boschi e faccio pratica nella telecinesi, nel preparare intrugli, talismani e sto imparando a cantare e a fare arpe.” Disse il Corvonero rassegnato. “Perché… arpe?” Chiese perplesso Nath “Perché, a quanto pare, i druidi devono anche essere bardi!” Esclamò Arthur seccato. “Ma Arthur, tu non sei… insomma… stonato come una campana?” Disse Hanna diretta. “Sì, lo so. Ma per Ehogan si può risolvere.” “Ehogan?” Chiese Elaine confusa. “Il mio maestro.” Spiegò il ragazzo. “Ma che razza di nome è?” Domandò Hanna. “Non lo so. Chiedilo a lui…. E tu Elaine, come procede con Itrandil e il piccoletto?” Chiese il Corvonero cambiando argomento. “Godren…” Sussurrò Elaine. “Come?” Chiese confuso il ragazzo. “Il nome del drago d’oro è Godren.” Spiegò la ragazza. “Itrandil, Godren… che razza di nomi sono?” Esclamò Nathaniel. “Lo chiedi alla persona sbagliata Nath: sono i draghi a scegliersi i nomi, per cui non saprei dirti che significato possano avere o che origine.” Spiegò Elaine stiracchiandosi un po’. “Tornando alla tua domanda, Arthur…” Iniziò ricomponendosi. “Procede abbastanza bene: avere un bosco dietro casa aiuta, ma decisamente mi trovo meglio quando sono a Hogwarts, dato che hanno più spazio in cui muoversi e non c’è il rischio continuo che dei babbani li scoprano.” Concluse la ragazza. “E i tuoi zii, lo sanno?” Chiese Nath curioso. “Diciamo di no. Ma mia cugina lo sa: mi aiuta con la paghetta a comprare la carne per Itrandil e Godren fino a quando non impareranno a cacciare. Itrandil ci prova, ma riesce a cacciare solo piccole prede.” Spiegò la Tassorosso leggermente rassegnata. “Potresti metterle alla fame così sono spinte alla caccia per istinto.” Propose Hanna. “Primo, Godren è un maschio. Secondo, non credo che ne avrei il cuore. Però potrebbe funzionare.” Dichiarò Elaine. “Elaine, a proposito di draghi non ci hai più detto nulla dei cuccioli rimasti ad Hogwarts.” Disse Nath incuriosito. “In circa una settimana io e Itrandil avevamo trasferito tutti i cuccioli da Hogwarts al bosco dietro casa mia.” Iniziò l’interessata. “E come avete fatto ad entrare con la barriera magica? Attorno ad Hogwarts?” Domandò Arthur. “Durante l’estate non la tengono attiva, per fortuna.” Spiegò. “Comunque neanche il tempo di tornare a casa con gli ultimi cuccioli che io ed Itrandil siamo state intercettate da un paio di draghi parecchio furibondi che hanno iniziato a lanciarci fuoco addosso. Sono riuscita a bloccare l’attacco grazie alla barriera magica, ma dopo qualche tentativo di elusione i cuccioli che portavo si sono messi a fare richiami e ad uno rispondevano.” Narrò la ragazza. “Quindi avevi uno dei cuccioli di quella coppia?..... Merda!” Esclamò Nathaniel. “Eh sì, proprio merda. Comunque Itrandil è riuscita a far ragionare quella coppia, e hanno cessato il fuoco il tempo necessario perché restituissi a loro il cucciolo.” Prese un bel respiro. “Da quel giorno spesso Itrandil fiutò draghi nelle vicinanze e spesso abbiamo dovuto spostare i cuccioli in zone abbastanza isolate per restituirli ai loro genitori. Non vi dico che fatica tenerli buoni durante il volo: avete presente i bambini che aspettano i genitori che li vengano a prendere al campus? Peggio! Era un continuo graffiare, ruggire, piagnucolare e agitarsi.” Si lamentò la ragazza sprofondando nel divanetto. “Però alla fine sono tornati tutti dai loro genitori, per mia e loro fortuna: non avevo idea di dove nasconderli una volta cresciuti.” Confessò. “Elaine, non potevi dircelo?” Chiese Nath. “Avrei potuto, ma ero un tantino presa da fare da balia a una dozzina di lucertole sputafuoco iperattive e una in formato gigante.” Spiegò la ragazza. “Tu Hanna, invece, cos’è questa novità dei corsi di difesa personale?” Chiese Elaine cambiando di nuovo argomento. “Beh… era da un po’ che ci pensavo: ho molta forza ma non la so usare e controllare. Ho pensato che se avessi praticato un’arte marziale sarei stata in grado di migliorare le mie abilità.” Spiegò l’interessata che nel tempo medesimo pensò: -E di proteggervi tutti.- “Tu Nath, invece, passate delle belle vacanze?” Chiese Hanna cambiando nuovamente l’argomento. “Niente di speciale. Però ho una novità: da quest’anno il capitano è Jack, quindi….” E qui fece un sorriso falsissimo a trentadue denti. “Sono rovinato! Mi caccerà dalla squadra con tanto di calci in culo dopo il pasticcio dell’anno scorso!” Disse il ragazzo. “Condoglianze.” Lo prese in giro Hanna. “Hanna, sono serio. Quello mi caccia!” Ribadì Nath. “Ma smettila! E poi non ti permetterò di abbandonare la squadra.” Decretò Hanna. “E perché?” Domandò Nath. “Perché da quest’anno intendo entrare a far parte della squadra di quidditch. L’anno scorso non ce la facevo più a metà anno: ero troppo nervosa, e trasformarmi in orso per qualche ora non mi bastava. Dovevo assolutamente trovare un modo per sfogare tutta la mia adrenalina, così mi sono detta: ehi, perché non il quidditch, c’è azione, divertimento e volo.” Disse Hanna lasciando a bocca aperta tutti. “Che c’è?” Chiese la ragazzina perplessa. “Ma non eri tu quella contraria alla rivalità tra case?” Chiese Arthur perplesso. “Sì, ma non ho mai detto di essere contraria ai tornei di quidditch. Quella è competizione sportiva, una cosa assai diversa.” Disse la Grifondoro convinta. “Va bene, purché tu vada meglio a scuola.” Disse Arthur che non aveva intenzione di passare il resto dell’anno a fare ripetizioni che non servivano a molto alla sua amica. “Tranquillo, alternerò gli allenamenti di difesa personale e di quidditch allo studio.” Disse Hanna rilassandosi portando le mani dietro la nuca stravaccandosi sul sedile neanche fosse la regina della cabina.

“Ehi Galleric!” Tutti e quattro si voltarono al udire quella voce dalla porta: era appena entrato Jack. “Salve capitano, di cosa mi voleva parlare?” Chiese il ragazzo leggermente nervoso scattando in piedi. “L’anno scorso all’ultima partita non ti sei impegnato a dovere.” Nathaniel alle parole di Jack divenne verdino, si vedeva già silurato dalla squadra. “Ma se ai provini mi dimostri che hai intenzione di impegnarti e manterrai l’impegno durante tutto l’anno sei in squadra. Tutto dipende da come ti comporti ai provini che saranno dopo tre settimane dall’inizio della scuola, quindi datti da fare.” Decretò il neocapitano serio e risoluto, ma Nath comunque fece un sorriso a trentadue denti e disse. “Sì capitano!” Esclamò il giovane contento.

Appena Jack uscì, Nath si sedette sorridendo come un ebete. “Ho una possibilità. E vai!!!” Urlò il ragazzo spiccando il volo andando a sbattere la testa sul tetto del treno. “Ahi!” Esclamo il Serpeverde massaggiandosi il capo dolorante, però scoppiò a ridere assieme ai suoi compagni. Appena Hanna si calmò disse. “A quanto pare saremo rivali quest’anno.” La ragazza allungò la mano. “Che vinca la squadra migliore.” Aggiunse Nath stringendole la mano con la destra e massaggiandosi il cranio con la sinistra. “Niente è certo.” Ricordai loro; ma i due si erano già stretti la mano fregandosene del commento del Corvonero.

Verso sera arrivammo a scuola e seguimmo i ragazzi degli altri anni fino a uno spiazzo con delle carrozze trainate da dei magri cavalli neri con ali da pipistrello. “Che animali sono?” Chiesi ad Hanna. “Quali animali?” Chiese a sua volta la mia amica fissandomi preoccupata. “Quei cavalli neri, non li vedi?” Domandai. “Ehm… sicuro che Ehogan non ti dia allucinogeni?” Chiese Nathaniel guardando nella mia stessa direzione. “Come fate a non vederli? Li vedo anch’io.” Disse Elaine fissando quelle strane creature. “Credo che voi due abbiate dei problemi oculistici.” Disse Nathaniel fissando me e Elaine come se avessimo appena detto di aver visto un UFO. “Chi ha problemi oculistici?” Chiese Brian che si era appena ancorato alle spalle di Nathaniel abbracciandolo da dietro facendolo quasi inciampare. “Brian! Come stai amico!?!” Esclamò Nath abbracciando il ragazzo con un pugno chiuso sulla spalla. “Bene Nath! Passate buone vacanze?” Chiese il ragazzo sciogliendo l’abbraccio. “Normali, e tu?” Chiese l’altro a sua volta. “Ah, niente di speciale, sono solo andato in Francia da dei parenti.” Disse il ragazzo. “Certo, perché passare le vacanze in Francia è normale!” Lo prese in giro Nath. I due continuando a scambiarsi battute e mezzi cazzotti amichevoli conducendoci in una carrozza quasi vuota in cui erano seduti solo un ragazzo e una ragazza che stavano evidentemente insieme e che, purtroppo, vennero interrotti da noi del secondo anno. Infatti intravedi una occhiata fulminea da parte del ragazzo.

Arrivati a scuola ci sistemammo ai nostri tavoli e una volta finita la cerimonia di smistamento ci fu un gran bel banchetto. Conclusasi andammo nelle nostre stanze. Stavo per addormentarmi quando sentii una specie un ronzio assordarmi le orecchie, mi alzai, agguantai gli occhiali, e iniziai a cercare l’origine di quel suono simile a uno sciame d’api. Ma non vidi nessuno né niente, così tornai a letto e mi addormentai profondamente. –Me lo sarò immaginato.- Pensai.

 

Note dell’autrice:

Ed eccomi qua! Per prima cosa scusate se ho pubblicato di Sabato, ma, per una semplice questione di tempo e organizzazione, preferisco questo giorno.

Ho aggiunto questo segno ( ****** ) per indicare i cambi di narratore che varieranno tra narratore onnisciente esterno e due interno, quello di Arthur ed Elaine. Lo so forse mi sono complicata la vita da sola ma… non mi importa.

Per il resto un grosso saluto e fatemi qualche recensione, alla prossima settimana, Bibliotecaria.

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Capitolo 4
*** Cap. 3 Lezioni notturne, draghi e sparizioni ***


Cap. 3 Lezioni notturne, draghi e sparizioni

"Quanto a me, mentre altri scrive belle parole, 
penso buoni pensieri, 
e, da scrittorello illetterato quale sono, 
rispondo sempre amen agli inni che ingegni eletti 
sciolgono a voi con stile elegante e penna forbita." 

(Shakespeare sonetto 85)

“Fortuna che sei un illetterato altrimenti sarei nei guai! Ah! Non ne posso più di Shakespeare!” Urlò Elaine in uno sfogo dopo l’ennesimo sonetto di cui non capiva una parola. “Perché a me?” Si chiese la ragazza guardando sconsolata le schede mandate dalla sua famiglia. “Perché insisti con quelle schede, non servono a niente.” Gli disse Nath che oramai ne aveva pure lui le scatole piene di William e dei sui sonetti. “Poche parole: ultime volontà di mia madre.” Disse Elaine, con naturalezza quasi senza pensarci. Ma subito il suo sguardo divenne più cupo. “Elaine non c’è l’hai mai detto ma… i tuoi… come…?” Tentò Hanna, ma Elaine si irrigidì all’istante e volse lo sguardo da un’altra parte. “Non ne voglio parlare.” Disse la Tassorosso con astio e acidità. La risposta un po’ me l’aspettavo: in fondo Elaine odiava parlare della sua famiglia o della sua infanzia, odiava persino parlare dei suoi problemi. “Piuttosto Arthur, il tuo mentore quando dovrebbe arrivare?” Chiese la ragazza sforzando un po’ un mezzo sorriso. “Non ne ho idea: aveva detto che si sarebbe fatto vivo verso il tramonto ed è il tramonto, sarà in…” “Un druido non arriva mai in ritardo: avevo detto il crepuscolo, non il tramonto e adesso è il crepuscolo.” Puntualizzò una voce alle mie spalle. “Loro chi sarebbero?” Chiese Ehogan rivolgendosi ai miei amici. “Oh, loro sono dei miei cari amici: il ragazzo è Nathaniel, la ragazza rossa è Hanna e quella più alta è Elaine.” Dissi io indicandoli con la mano mentre loro salutarono muovendo timidamente la mano. “Non possono restare qui.” Decretò il mio maestro autoritario. “Cosa?” Protestò Hanna. “La gente comune non può assistere a queste lezioni per una lunga serie di motivi. Primo tra tutti, il segreto della nostra magia deve restale tale. Non mi interessa se fai vedere a loro gli incantesimi che ti insegno, non mi interessa se chiedi a loro di aiutarti con il canto, non mi interessa se pratichi la magia Romana. Ma non ammetterò mai che dei maghi, agitatori di insulse bacchette, predicatori di dei fasulli, partecipino a una mia lezione, e per l’amor di Avalon, se succedesse, che io possa morire incenerito. Quindi mandali via, Arthur!” Il tono della sua voce era chiaramente arrabbiato ma non aveva urlato rendendolo in qualche modo pure più terrificante. “Scusa, ma hai qualche problema vecchio!?!” -Ed eccola la sfuriata di Hanna, ci mancava.- Pensai vedendo già partire incantesimi. “Noi saremo anche una protestante, una cattolica e un ebreo ma siamo aperti alle altre religioni! E poi le posso assicurare che non siamo stregoni comuni!” Hanna si era alzata e stava raggiungendo Ehogan ad una velocità pericolosa, la bloccai con una mano e le feci cenno di lasciar perdere. “Mi dispiace Hanna.” Dissi tentando di calmarla. “Ti prometto che un giorno ti farò vedere di cosa sono capace. Voi andate a scuola, il coprifuoco è appena cominciato. Quando finisco mi arrangerò a tornare alla mia casa.” Dissi cercando di placarla, e malgrado Hanna non nascondesse il suo sdegno si voltò e si diresse verso la scuola seguita dal resto del terzetto. “Non avresti neanche dovuto dire loro che sei un druido.” Aggiunse Ehogan a mezza voce, ma non abbastanza silenzioso da non farsi sentire. “Godren!” Lo chiamò Hanna. Allora il draghetto, che era rimasto nascosto lì in giro, saltò addosso a Ehogan facendo fare a quest’ultimo una ridicola danza per tentare di liberarsene mentre il cucciolo zampettava sul corpo di lui. “Hanna! Che fai?” Chiese Elaine irritata. “Mi vendico. Scusa se ho usato Godren ma era lì sopra da un pezzo e ne volevo approfittare.” Mentre Hanna si giustificava, un draghetto grande come metà avambraccio iniziò a saltellare fino a raggiungere Elaine e si arrampicò a mo’ di lucertola fino alla spalla sinistra di quest’ultima che diede al cucciolo una mezza carezza. “Comunque non devi usare i miei draghi per i tuoi scopi infantili.” La sgridò la ragazza sottolineando i due aggettivi possessivi. “E poi non ti sai trasformare in orso? Se proprio dovevi mostrargli che non sei una strega come le altre almeno usa le tue abilità!” aggiunse continuando a camminare verso la scuola noncurante dell’occhiata che il druido le stava rivolgendo. “Scusa Ehogan.” Dissi una volta che i miei tre amici si furono allontanati. “Sono brave persone ma Hanna ha la tendenza ad arrabbiarsi facilmente.” La giustificai io. “La tua amica… Elaine… è la signora dei draghi?” Chiese il vecchio continuando a guardare in quella direzione. “Sì: possiede il drago d’oro anche se ogni tanto, come hai visto, dà ascolto anche a noi, ma di rado diamo ai draghi di Elaine un ordine.” Spiegai io. “Aspetta; ha più di un drago?” Domandò il vecchio. “Sì, ha l’abilità speciale di poter possedere più draghi.” Spiegai. “Di potersi legare con più draghi è diverso.” Mi corresse il vecchio. “Comunque, iniziamo la lezione, oggi, astronomia…” La lezione fu relativamente semplice: molte delle cose che mi spiegò le conoscevo già dall’anno precedente a Hogwarts, l’unica cosa che variava erano i nomi delle stelle ed ero sempre stato affascinato da quella materia, quindi la imparavo con facilità. Verso mezzanotte la lezione finì e fui libero di andare a dormire. Passai per una finestra che dava sulle cucine, dove gli unici di guardia erano un paio di elfi a cui bastava pagare il solito pedaggio perché non dicessero neanche una parola. Dopodiché bastava stare attenti al guardiano Gazza, il quale era vecchio come il cucco e lento come una lumaca, quindi facile da evitare. Raggiunta la torre Corvonero mi coricai il più silenziosamente possibile e cercai di dormire qualche ora.

All’alba venni svegliato nuovamente da quel ronzio, questa volta molto più insistente della scorsa notte. Mi guardai attorno: il rumore sembrava provenire dalla parete ma non ne ero certo. Cercai di riaddormentarmi, ma il ronzio persisteva. Quando finalmente si placò mi addormentai. Una fitta mi trapassò il cranio.

“Una donna incappucciata stringeva l’uovo d’oro con Elaine” -questa scena la conosco- “Un teschio da cui esce una vipera. Una bacchetta sostenuta da un cerchio metallico di cui quest’ultima era il diametro muovendosi in maniera costante da destra a sinistra. Un vento terribile mi annebbia la vista. Due persone sanguinanti. Una bambina dal volto coperto. Dei ricci rossi. Il buio”.

Mi svegliai di colpo tutto sudato e trovai attorno a me l’intero dormitorio Corvonero. “Che succede Hunter?” Mi chiese uno dei ragazzi. “Niente… un incubo… credo.” Risposi balbettante ancora in preda al fiatone. Volsi lo sguardo alla finestra: era buio, nuvoloni neri volavano sopra la scuola presagendo tempesta e non si vedeva appena una sottile striscia color salmone verso est, doveva essere ancora presto; ma mi rimangiai la parola quando sentii le campane suonare, la nostra sveglia. Tutti, anche quelli che erano rimasti nei loro letti malgrado il mio urlo, andarono ai loro bauli e tirano fuori le divise. Io dopo qualche secondo, in cui cercai di tornare nel mondo presente e di riordinare le idee, faci lo stesso. Una volta raggiunta la sala grande vidi Elaine sullo stipite del portone e come mi scorse si avvicinò a me con l’aria tesa: gli occhi erano solcati dalle occhiaie, la coda era disordinata e mezza disfatta, leggevo ansia nei suoi occhi verdi. “Dobbiamo parlare, tutti e quattro…” Mi sussurrò. Un moto d’angoscia mi colpì al petto: c’era qualcosa di cupo in agguato. “Appena finisce la scuola, va bene?” Domandai; la ragazza accennò un sì e mi rilassai. -Almeno non è un pericolo imminente.- Pensai tirando un sospiro di sollievo.

*****

Quando le lezioni finirono i quattro ragazzi si ritrovano sotto l’albero al limite della foresta e al quel punto Elaine disse ciò che la preoccupava. “Itrandil e Godren questa mattina mi hanno parlato.” Iniziò la ragazza. “Parevano nervosi e sono stati molto vaghi.” Spiegò mentre continuava a spostare il suo peso da un piede all’altro e si rigirava le mani strofinandole. “Mi hanno detto che c’è il male a Hogwarts. C’è una creatura tremenda e distruttiva. Dicono che si comporta come uno sciame d’api. Non sanno dire di chi o cosa si tratti, sanno solo che c’è, ed è pericoloso. Mi hanno raccomandata di non andare in giro da sola per la scuola e di guardarmi le spalle per i corridoi. Mi hanno anche detto che la minaccia non supera le mura scolastiche.” Alle parole di Elaine i quattro amici si guardano l’un l’altro spaventati. “In effetti….” Iniziò Hanna. “Da quando è iniziata la scuola continuo a sentirmi in pericolo, ma appena esco mi sento al sicuro. Forse io e i tuoi draghi sentiamo la stessa cosa?” Chiese la ragazza guardando Elaine. “Non lo so. Mi hanno detto che il male si manifesta come un ronzio. Hai sentito dei ronzii?” Chiese la Tassorosso. “No, niente di simile.” Disse la Grifondoro. “Io sì.” Dichiarò Nath abbastanza tranquillo malgrado tutto. “Anzi, tutta la casa Serpeverde li sente. Oggi i prefetti hanno chiesto al professor Jhonson di verificare cosa sia l’origine, perché se continua così non dormiamo più.” Spiegò il Serpeverde. “Anche io li ho sentiti. Ma solo un paio di volte.” Aggiunse Arthur. “Che cosa potrebbe essere?” Si chiese il Corvonero. “Non lo so. Forse è pericoloso, forse no, forse è di passaggio, forse no. L’unica cosa certa è che per ora non ha causato danni. Per il momento credo sia meglio rimanere guardinghi e non fare mosse avventate, vorrei passare un anno tranquillo a Hogwarts dato che non c’è un nido di draghi controllati da una pazza nella foresta.” Disse Nathaniel cercando di sdrammatizzare un po’. “L’unica cosa certa è che tra poco io e Hanna abbiamo le selezioni, quindi… Hanna, iniziamo!” Così dicendo il ragazzo afferrò la sua Faierbolt e la Tormenta 3000 della sua amica e dichiarò ufficialmente l’inizio degli allenamenti obbligando i suoi amici a distrarsi da quei cupi pensieri, soprattutto Elaine, che probabilmente stava prendendo la cosa troppo seriamente.

“Per che ruolo provi?” Domandò il ragazzo. “Battitore.” Affermò Hanna. Nathaniel a quella notizia si sentì male: si ricordava le palle che Hanna gli lanciava l’anno scorso ed erano sempre le più difficili da prendere poiché più veloci e dolorose al contatto con la mano. Infatti la ragazza riusciva a battere tutte le palline che gli lanciava e le ricacciava indietro con forza. -Se Hanna viene presa alla partita contro i Grifondoro la giocheremo guardandoci le spalle e con le orecchie tese…. Ma tra i tanti ruoli proprio battitore doveva scegliere?- Pensò mentre bloccava una palla arrivata nella sua mano alla velocità di dodici chilometri orari. Nathaniel si massaggiò il polso e pensò che in un certo senso Hanna barava: la sua forza e prontezza di riflessi erano dovuti alla sua parte orso che le consentiva una certa quantità di vantaggi fisici sui suoi compagni. Ma se messa così anche lui barava: riusciva a prevedere la direzione del vento, aveva una maggiore agilità in aria e anche se non teneva la scopa con le mani riusciva a starci sopra. Quindi decise di accantonare quei pensieri e li giustificò dicendosi che non ci potevano fare niente perché parte della loro natura.

******

Cercai di concentrarmi sull’acqua davanti me ma non riuscivo a sollevarla neanche di un millimetro. “Non ci riesco!” Esclamai frustrato. “Mi pare naturale: hai appena iniziato. Per questo ti devi allenare più spesso.” Mi riprese il druido. “Ma come posso fare queste cose se tu non mi spieghi neanche come fare?” Mi lamentai visto che la sua spiegazione per questo esercizio era stata: solleva quest’acqua in una sfera. “La questione non è spiegato o no, ragazzo, ma se c’è o no. Se non hai il talento dentro di te non serve a nulla spiegarti come funziona.” Disse Ehogan, e allora frustrato, e sempre più confuso, sbattei le mani sulle cosce. In quel momento l’acqua si mosse in un movimento ondulato, eppure non v’era stato vento e non avevo toccato la ciotola. “Come ho fatto?” Esclamai sorpreso. “L’acqua è il primo elemento: quello da cui la vita ha inizio, è l’elemento della rinascita, è l’elemento che fluisce, l’elemento del mutamento, l’elemento della purificazione. Per controllarlo bisogna attingere dalle emozioni e lasciare che escano come magia.” Mentre diceva questo generò una sfera d’acqua che si sollevò a mezz’aria risplendendo alla luce della luna. Il vecchio a quel punto iniziò a cantarmi una melodia antica che parlava dell’origine del mondo, di grandi piogge, di meravigliosi laghi, di mari profondi, di tempeste, di mari in tempesta, del ciclo delle lune e della bellezza dello scorrere. Ne rimasi affascinato: la voce veniva accompagnata da una dolce melodia dell’arpa. “Ora prova insieme a me.” Mi disse Ehogan porgendomi la mia arpa. Con mani tremanti l’afferrai e con fatica cercai di seguire il ritmo del vecchio ma mentre lui era un cigno io ero un ranocchio. Abbassai lo sguardo con vergogna. “Sei migliorato molto nel canto, un giorno riuscirai a non stridere.” Aveva appena finito di parlare, che sparì inghiottito dalle nebbie. Io gli avevo chiesto svariate volte come faceva, ma lui mi diceva sempre che era un mistero per cui non ero ancora pronto.

******

Era l’alba, il sole era opaco dietro le nuvole. Era il primo fine settimana dell’anno scolastico: il giorno perfetto per un voletto. Con velocità afferrai dei pantaloni da equitazione in cuoio, una maglia pesante, mi raccolsi i capelli in una lunga treccia e corsi giù alla sala grande dove presi al volo una brioche con della marmellata e uscii all’aria fresca della mattina masticando velocemente la colazione. La giornata grigia non mi spaventava: oggi non avrebbe piovuto seriamente prima di sera. Corsi nella foresta proibita e chiamai Itrandil e Godren, i due comparvero seduta stante. Itrandil quell’estate era cresciuta: ora raggiungeva i due metri e sessanta e si era allungata di un metro, inoltre si era rinforzata. Godren invece era cresciuto appena di qualche centimetro e aveva mantenuto l’aspetto che aveva appena uscito dall’uovo. Tirai fuori da una radice contorta lì vicino una sella e la legai intorno a Itrandil. Avevo costruito la sella quell’estate con l’aiuto di mio zio che, per quanto ne sapesse, era un compito per casa. Saltai in sella e con un colpo di tacco e diedi il via al volo. Il primo colpo d’ali potente ci staccò da terra, un secondo ci innalzò, un altro e un altro ancora, fino a sfiorare le nuvole. Allora si posizionò dritta e iniziammo a cavalcare i venti d’alta quota. Ci scambiammo un’occhiata d’intesa e Itrandil compì una giravolta su se stessa e puntò verso il basso; una volta sfiorati i rami riprendemmo quota velocemente e ci dirigemmo verso il lago sfiorando la superfice creando delle leggere onde di mille gocce. Ripresa quota mi alzai leggermente e iniziammo una serie di virate a destra e a sinistra. Infine mi alzai sulla sella e con una spinta mi lanciai in aria e riatterrai sul dorso della draghessa. A quel punto ci buttammo di schiena e ci rialzammo a poco meno d’un chilometro dagli alberi e ci lasciammo trasportare dal vento -Bel volo Itrandil.- -Modestamente.- Disse la draghessa. Già ci scherzavamo ma quell’estate avevamo fatto salti da gigante con il volo: all’inizio riuscivo a stento a stare seduta, ora invece mi fidavo ciecamente di Itrandil e riuscivo ad avere il pieno controllo dei nostri due corpi giacché di tanto in tanto mi chiedevo chi tra noi due guidasse. Atterrammo nel punto da cui eravamo decollate. Lì ad aspettarci c’era Hanna “Ehi, voletto mattutino?” Chiese Hanna quasi nuda. “E tu, giretto notturno?” “Ne ho approfittato dato che oggi non c’è scuola e anche tu lo hai fatto.” disse la rossa rivestendosi con dei pantaloni da tuta e una maglia simile. “Come mai l’abbigliamento sportivo?” Chiesi togliendo la sella a Itrandil. “Oggi io e Nath facciamo il primo allenamento di lotta libera e non volevo rovinare la divisa.” Dichiarò con semplicità “Ah okay. Io allora ne approfitterò per dare lezioni di volo a Godren: non riesce a volare: ha le ali troppo deboli.” Spiegai mentre il draghetto si arrampicava dalla mia gamba fino alla mia spalla destra. “Non saprà volare ma sull’arrampicarsi non lo batte nessuno.” Disse Hanna sorpresa dalla velocità con cui il cucciolo era salito sulla mia spalla. “Sì, in effetti è un tipetto veloce.” Commentai dando all’interessato una grattatina. “Perché Godren?” Mi chiese d’un tratto Hanna. “Non lo so… credo di aver sentito che quello fosse il suo nome, un po’ com’è avvenuto con Itrandil. Non lo so spiegare: è come se fosse stato lui a dirmi come chiamarlo.” Dissi cercando di spiegargli quel sussurro che avevo sentito nella mia testa due mesi dopo che era nato. “Oppure non avevi idee e lo hai chiamato così per non chiamarlo sempre piccoletto.” Mi prese in giro Hanna facendomi una linguaccia, io sorrisi. “Sì può essere.” Dissi continuando ad accarezzare Godren, in quell’istante si avvicinò anche Itrandil e iniziai a grattare la sua testa con dolcezza. “Itrandil è cresciuta molto quest’estate.” Affermò Hanna alzandosi per confrontarsi con la draghessa. “Sì, ma è ancora piccola per essere un drago adulto… mi sono informata sui draghi quest’estate, dato che dovrò conviverci per il resto della vita. Tu Hanna, invece? Quest’estate da quel che mi hai detto l’hai passata ad allenarti nella lotta libera e nell’atletica. Perché questa improvvisa scelta?” Le chiesi. Hanna abbassò lo sguardo “Lo sai che non sono una strega potente e che ho difficoltà nell’imparare gli incantesimi.” Iniziò lei impacciata. “Ma quando li impari riesci a impregnarci molta più energia della media.” La fermai io. “Sì, ma comunque io… voglio diventare più forte. L’anno scorso hai dovuto affrontare quella prova da sola e io non ho retto più di cinque minuti contro quella strega malgrado fossi nella forma orso. So che può sembrare stupido ma se non riesco a difendere me stessa, come posso pretendere di difendere gli altri.” Disse passandosi una mano trai capelli in imbarazzo. “Invece ti capisco Hanna. Anche io ho avuto paura per voi quella notte, ma sapevo di non potercela fare da sola. Non c’è niente di sbagliato nel chiedere aiuto: siamo ancora giovani, la strada per diventare i più forti è lunga, non fartene una colpa.” Hanna distolse lo sguardo. “Oppure non capisco. Non capisco cosa provi perché solo tu lo sai. Ti senti debole, non è vero? Ma tu non sei debole Hanna, sei già molto forte perché ammetti di non essere la più forte.” Gli occhi allora le brillarono d’una luce calda. “Grazie Elaine.” -Lo sai che continuerà per questa strada.- Mi disse Itrandil -È giusto così. Tutti hanno il diritto di diventare più forti.- Dissi alla draghessa la quale stava provando un leggero disappunto ma non ci diedi peso.

******

Era pomeriggio quando i quattro amici, appena tornati dalla foresta inosservati, si diressero verso la sala comune, e incontrarono Brian tutto trafelato e terrorizzato. Gli occhi chiari erano la rappresentazione del terrore, correva inciampando sui suoi passi e urlava. “Aiuto! Aiutatemi!” La sua voce era soffocata e imbevuta di terrore. “Brian, che succede?” Chiese Nath preoccupato nel vedere l’amico così stravolto, lo era a tal punto che quando lo raggiunse si aggrappò a lui e, dopo aver deglutito un paio di volte, iniziò a parlare in maniera sconnessa e confusa. “Ho… ho…. Peter!” Esclamò. “Peter?” Domandò Nathaniel. “Il caposcuola… il Corvonero… è… è stato….” Brian deglutì in preda al terrore. “Cosa Brian, è stato cosa Brian?” Insistette Nath cercando di riscuotere l’amico con scosse. “Trascinato via… da… da…” Il ragazzo emise un verso stridolo e si raggomitolò su se stesso coprendosi le orecchie e chiudendo gli occhi. Nath si accucciò accanto a lui sempre più terrorizzato. “Cosa, Brian?” Domandò premuroso il ragazzo. “Una creatura… fatta di fulmini e oscurità.” Gli occhi verdi di Brian erano spalancati in maniera innaturale e le sue labbra tremavano. “Brian dov’è Peter ora?” Domandò Elaine dolcemente ma senza nascondere la sua angoscia. “Accanto a quell’altro…” Disse Braian. “Ma è tardi, è tardi…” Continuò a ripetere il giovane. “Ci puoi portare da lui?” Domandò Elaine sempre più in ansia. Brian scosse la testa. Allora Nath sollevò il suo amico per il bavero della camicia e con un tono che non ammetteva repliche disse: “Brian, portaci da Peter! Ora!” Alle urla del amico, Brian, come ubriaco di adrenalina, iniziò a correre verso un corridoio secondario. I quattro lo seguirono velocemente e dopo aver svoltato una volta a destra, una volta a sinistra e ancora una a destra si trovarono davanti una lunga scia di sangue scuro che segnava il percorso della morte. I cinque giovani si bloccarono un secondo alla vista del sangue, ma quando un urlo raggiunse le loro orecchie questi lo seguirono con l’angoscia nel cuore. E allora videro Peter, un giovane studente, venir trascinato via da una corda di fumo nera. “Oh DIO!” Urlò Hanna che come una saetta raggiunse il giovane e riuscì ad afferrarlo prima che venisse trascinato dentro ad un buco. Hanna stringeva le spalle del ragazzo con forza ma da sola non avrebbe resistito a lungo. “Aiutatemi!” Imperò la ragazza, allora corsero ad aiutarla gli altri che usando tutte le loro forze continuarono a trattenere Peter che continuava a urlare disperato a causa della ferita alle costole da cui continuava ad uscire sangue a fiotti, e dalla sua bocca scendeva lenta una bava rossa. “Forza, continuate a tirare!” Disse Nath sperando che qualcuno si accorgesse di loro. “Forza Peter, resisti.” Disse Elaine mentre tentava di tirare fuori il ragazzo da quel buco sfruttando tutta la forza che non aveva. Hanna teneva il ragazzo da sotto le ascelle e sentiva che per quanto avrebbero potuto tirare non sarebbero riusciti a vincere. Tuttavia continuava a tirare e Peter urlava sempre più forte. D’un tratto, con uno strattone dal basso più forte degli altri, Hanna scivolò cadendo seduta e si ritrovò sorretta dal resto del gruppo, mentre Peter oramai quasi incosciente era ancora saldo tra le sue braccia. La ragazza si sentì sollevata e cercò di usare le strette pareti del buco come appoggio per i piedi, ma la forza trascinava Peter sempre più verso il basso. Dopo lunghi attimi d’attesa Hanna si era convinta che ce la potevano fare: non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno si accorgesse di loro e poi ora aveva trovato la sua stabilità. Tuttavia fu proprio in quell’istante che Peter sussurrò. “Scusa…” Hanna lo guardò senza capire. Il ragazzo così liberò della presa di Hanna con uno strattone e si lasciò trascinare verso il basso. “Peter!!!” Urlò Hanna con tutto il fiato in corpo. Ma era troppo tardi, il ragazzo era sparito: inghiottito dall’oscurità. I quattro ragazzi trascinarono Hanna fuori da lì prima che si gettasse giù anche lei. Tuttavia la ragazza non si mosse, incredula: gli occhi erano spalancati, le labbra tremanti, il viso rivolto verso il basso e le mani ancora intente a reggere un peso che non c’era. “Hanna.” La chiamò Nath, era così vicino, eppure le pareva che fosse lontano anni luce da lei. “Hanna. Hanna!” Insistette Nath fino a quando la ragazza non rispose con un sussulto. “Dobbiamo avvisare i professori, loro sapranno cosa fare.” Completò Brian, che dopo la sfuriata di Nath era tornato lucido. “Sì…” Sussurrò Hanna senza accorgersene. Fu così che i cinque ragazzi scossi e confusi raggiunsero l’aula di difesa contro le arti oscure e da lì si gettarono nella stanza del professor Johnson ma non c’era. Lo chiamarono ripetutamente, poiché tra i vari professori era probabilmente l’unico con una possibile risposta, ma non lo trovarono. Allora corsero verso la stanza della professoressa di Astronomia, Miss Right, la quale essendo la direttrice della casa Corvonero era interessata direttamente. “Professoressa Right!!!” Urlarono in coro i ragazzi irrompendo nella stanza della professoressa ancora in vestaglia malgrado l’ora del pomeriggio. “Ragazzi, calmatevi.” Disse la donna con l’aria di chi aveva passato tutto il pomeriggio a dormire. “Si può sapere che succede?” Disse la professoressa mentre con estrema calma sorseggiava il suo tè senza accennare minimamente ad alzarsi dalla poltrona imbottita verde militare. “Peter è stato…” Iniziò Arthur tuttavia le parole gli morivano in gola, incapace di descrivere ciò che era appena accaduto. “Se Peter vi ha mandati per espormi la sua tesi per modernizzare Hogwarts sappiate che la conosco già a memoria, ma non spetta a me la decisione.” Dichiarò la professoressa in maniera spiccia e svogliata. Arthur guardò la donna: possibile che persone così vicine ad un crimine possano essere così indifferenti? Si domandò mentre finalmente riuscì a buttar fuori le parole. “Peter è stato rapito da una creatura fatta di ombra e elettricità!” Buttò fuori il ragazzo usando tutto il fiato in corpo. Per poco la professoressa non si strozzò nell’udire un cosa del genere, e dopo che la tosse da soffocamento se ne fu andata la sua voce risuonò per tutto il castello. “Che!?!” Urlò. “Come? Quando?” Domandò la donna chiaramente in ansia. Tutti guardarono Brian, l’unico ad aver assistito alla scena dal principio. “Stavo camminando per il secondo piano, quando ho incontrato Peter, stava scappando da quella creatura, e quando mi ha incontrato mi ha detto di andare a cercare aiuto. Mi ha difeso, ma è stato catturato e ferito. Dopo ho trovato loro e… abbiamo tentato di salvarlo ma è stato trascinato in un buco da quella cosa… e… e…” Brian si bloccò incapace di continuare. “P…. Ah!!!! Jonas!!!!! Minerva!!!! Paciock!!!!” Urlò la donna uscendo all’impazzata dalla sua stanza chiamando ripetutamente quei tre nomi all’infinito.

Il professor Johnson si alzò dalla posizione supina dopo aver studiato il buco per ore. “Quando è successo?” Chiese l’uomo guardando con attenzione i cinque ragazzi. “Circa mezz’ora fa, professore.”  Disse Nathaniel. L’uomo si passò pensieroso una mano sul mento. “Ah…” Sospirò. “Farò del mio meglio, ma dopo tutto questo tempo…” Però il professore si bloccò quando vide gli occhi impietriti e stravolti di Elaine e Brian in particolare, ma anche quelli di Nathaniel e Arthur erano parecchio provati, Hanna, invece, benché fosse più lucida, era chiaramente stanca, e aveva l’aria di chi stava per esplodere. “Comunque vi siete comportati benissimo, tutti e cinque. Non eravate in una situazione facile e avete fatto la cosa migliore.” Li incoraggiò esibendo per la prima volta davanti a quei giovani studenti un sorriso sincero. Tuttavia non bastò a calmarli ne tantomeno distrarli per qualche secondo. “Neville, per favore, accompagna tutti alle loro case e assicurati che vi rientrino. Non voglio spargere il panico, perciò per ora terremo il silenzio con gli studenti. Minerva, scrivi un gufo alla famiglia del ragazzo, e chiama anche gli auror, temo che ci serviranno.” E mentre diceva questo i cinque vennero accompagnati premurosamente dal professor Paciock nelle rispettive case.

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Capitolo 5
*** Cap. 4 Cosa si nasconde nell'ombra? ***


Cap. 4 Cosa si nasconde nell’ombra?

Passarono due settimane dall’evento e ai tre venne fatto promettere di non dire a nessuno cosa avevano visto o saputo per non causare il panico generale. Passato quel tempo arrivò il giorno dei provini. La mattina ci furono quelli dei Grifondoro.

Hanna stava aspettando sulla scopa il suo turno per mettersi alla prova. Infine, dopo la terza coppia, toccò a lei e a Salomon, un ragazzo del suo stesso anno il quale si proponeva come battitore, esattamente come lei. I due tenevano d’occhio i bolidi e non appena si accorgevano che si avvicinavano troppo ai loro compagni, con uno scatto li raggiungevano, e li lanciavano alla squadra avversaria con un’ottima potenza di fuoco. Hanna stava dando del suo meglio ma il livello di gioco era molto elevato, pertanto iniziò a temere di aver fatto il passo più lungo della gamba e che l’avrebbero esclusa. Tuttavia, per qualche assurdo motivo, i due del secondo anno vennero scelti come battitori. La ragazza, appena uscì dallo spogliatoio, saltò in aria e con un grido di gioia portò il gomito verso il basso in segno di vittoria.

****

Il pomeriggio toccò ai Serpeverde. Nath diede tutto se stesso: fu veloce nei passaggi, nelle azioni singole e nelle schivate. Jack lo aveva osservato al microscopio per tutto il tempo senza concedergli di battere la fiacca, ma alla fine mantenne il suo posto. Una volta conclusi i provini per i cacciatori, Nath si sedette sulle tribune assieme ai suoi amici per vedere i provini dei cercatori, ai quali partecipava anche Brian. Era stato abile e veloce, però aveva delle difficoltà nelle virate improvvise e per un cercatore sono abbastanza importanti. “Mi dispiace Brian.” Disse il Serpeverde all’amico. “Oh, non fa niente, c’è comunque l’anno prossimo. Certo che Jack è pretenzioso.” Commentò Brian a mezza voce, allorché Nathaniel sbuffò. “Non sai quanto.” Commentò Nath soffocando una mezza risata. “Senti… hai idea di cosa… sia… insomma… quella cosa…” Domandò Nath incerto cambiando improvvisamente la propria espressione. “Non lo so, amico mio.” Disse il ragazzo incupendosi al ricordo del rapimento di Peter. “Ma credo che… qualunque cosa fosse, avesse qualcuno che la guidava, e che quel qualcuno non si fermerà a questo. Non lo credi anche tu, Nath?” Disse Brian nervoso. L’altro ragazzo si passò una mano sotto il mento. “Temo che tu abbia ragione.” Disse Nath. “Spero solo che non tormenti più la nostra scuola.” Aggiunse preoccupato.

****

Quel mattino Hanna venne svegliata dal uno strano ronzio, lo stesso che aveva sentito Arthur in quei giorni. Si mise a sedere sul letto a baldacchino e si voltò verso la finestra da cui traspariva una leggera luce mattutina. Per qualche motivo sentiva che oggi sarebbe accaduto qualcosa, qualcosa di brutto. Hanna si diresse verso l’origine del rumore: era la parete. Incuriosita appoggiò l’orecchio al muro: il ronzio stava scemando lentamente, era come uno sciame d’api ma più leggero, veloce e metallico. La Grifondoro accarezzò la parete pensierosa; sentiva il pericolo intorno a sé, come se fosse circondata da migliaia di nemici invisibili, le mani le prudevano da quanto desiderava colpire qualcosa solo per non sentirsi passiva, le orecchie percepivano di continuo quel rumore da tutte le direzioni e gli occhi color miele danzavano da una parte all’altra del dormitorio. Poi, tutto d’un tratto, la sensazione di pericolo finì. Hanna si allontanò dalla parete e andò in bagno per cercare di rilassarsi, ma essendo oramai l’ora di alzarsi ben presto non ebbe più tempo per sé, poiché circondata da una folla soffocante e rumorosa. Con velocità uscì dal bagno delle ragazze e si vestì in velocità. Arrivata nell’aula di trasfigurazione si sedette accanto a Nath che le aveva tenuto il posto. Ma la ragazza non riusciva a concentrarsi “Hanna… cosa succede?” La richiamò il Serpeverde. “Sento che qualcosa non va.” Disse la giovane cercando di portare indietro una ciocca ribelle. “Cosa non va?” Insistette l’amico. “Non lo so. È solo una sensazione, ma è come se mi sentissi spiata.” Così dicendo Hanna volse lo sguardo in direzione di un armadio infondo la classe aspettandosi che all’improvviso una creatura uscisse da lì. “Signorina Uther.” La richiamò la professoressa Crezzy. “S-sì professoressa?” Chiese la ragazza. “Abbiamo la testa tra le nuvole oggi?” “No, assolutamente no, mi è solo parso di sentire qualcosa.” Tentò di giustificarsi la ragazza. “Lo sa che se non prende buoni voti non potrà partecipare agli allenamenti e alle partite di Quidditch?” “COSA!?!” Esclamò Hanna come buttata giù dalle nuvole. “Nessuno me l’aveva detto!” Aggiunse in preda al panico. “Beh, ora lo sa. Veda di impegnarsi.” Detto questo la professoressa tornò a spiegare, e Hanna, in preda al panico, batté la testa sul banco portandosi le dita tra i capelli in un momento di disperazione. “Perché non me lo hai detto?” Chiese Hanna al moro leggermente furiosa. “Pensavo che lo sapessi.” Disse Nath guardando l’amica confuso. “No Nath, non lo sapevo.” Confessò l’amica con la disperazione disegnata in volto. “Beh, almeno ora lo sai.” Commentò l’amico.

Dopo la pausa pranzo Hanna sentì più intensamente quella sensazione d’angoscia e andò avanti così fino a tardo pomeriggio quando raggiunse il suo apice. Si sentiva circondata, a destra, a sinistra, dietro di lei, davanti a lei, sopra, sotto; tutto era un continuo pungente ronzio, riusciva a palpare la sete di sangue di quelle creature, riusciva a sentire la loro voglia di uccidere, il pericolo. “Hanna…?” Elaine la stava tenendo d’occhio da un po’ con fare preoccupato, i suoi occhi verdi erano confusi e preoccupati. “Cosa succede?” Domandò Elaine, e allora incrociò gli occhi di Hanna: erano spalancati e privi di qualunque cosa che non fosse paura, le pupille ristrette al massimo, sottili rughe circondavano i suoi occhi color del miele terrorizzati. “Ha… Hanna…” Sussurrò Elaine allontanandosi d’un passo terrorizzata. In quell’istante Hanna sollevò lo sguardo e iniziò a guardarsi intorno senza vedere nulla, tutto girava e si confondeva, sfocava e si schiariva all’improvviso. Disperata si portò le mani alle orecchie, stringendole così forte fino a graffiarle. Perse la condizione di sé e si inginocchiò aprendo la bocca per urlare in silenzio la sua disperazione. -Qualcuno vuole uccidere, qualcuno vuole uccidere, qualcuno sta cacciando!- Era quello che sentiva: era come se qualcuno la stesse braccando. Voltò lo sguardo terrorizzato verso Elaine, che si era accucciata accanto a lei e la stava scuotendo con delicatezza, cercando di riportarla alla realtà. “Hanna!” L’urlo dell’amica superò la barriera che aveva generato la paura e allora percepì tutto con chiarezza, dal dolce battito del cuore di Elaine, alla sete di sangue di quelle creature. Ma in maniera diversa, distaccata. Gli occhi si stavano rilassando, liberò le orecchie dalla stretta delle sue mani, e annusò l’aria. Poteva sentire il lento fluire nelle pareti di quelle creature, poteva sentire la loro direzione e allora capì. “Non sono io…” Sussurrò d’un tratto alzando la testa verso il soffitto con uno scatto. “Hanna?” Domandò Elaine sempre più spaventata. Hanna si alzò lentamente e si guardò attorno fino a quando il suo sguardo cadde su un corridoio laterale e stretto a sinistra. “La sua preda è lì.” Disse Hanna, oramai sempre più orso che ragazza, infatti la sua figura si stava ingigantendo e sul volto stavano comparendo peli. “Hanna…” La chiamò Elaine. “Hanna, per favore, andiamo via…” Ma come la Tassorosso toccò il braccio della ragazza, questa la scacciò addentrandosi nel corridoio. Elaine seguì l’amica terrorizzata: anche lei sentiva che qualcosa non andava, ma questo le era dettato solo dal folle e delirante comportamento dell’amica. Hanna, contrariamente, percepiva questo fin troppo chiaramente, tutto le diceva una sola parola: sangue. Hanna, seguendo quell’istinto primordiale, raggiunse un punto nascosto tra le statue. C’era qualcosa lì, qualcosa che parevano piedi scalzi. Hanna lo vide per prima.

Elaine guardò gli occhi dell’amica riflettere una strana luce concentrata e fredda, inespressiva, che la rese indifferente ma continuò a camminare. Poi lo videro: c’era un elfo sdraiato a pancia all’aria morto, gli occhi azzurri e grandi spenti di qualsiasi luce, la pelle era ritratta come disidratata e c’erano delle lunghe linee nere e sottili, bruciature probabilmente, che attraversavano la sua pelle. Elaine si portò una mano alla bocca, e, dopo istanti di terrorizzata contemplazione, iniziò a piangere alla vista del corpo senza vita. Le gambe le tremavano e le mani premevano contro le labbra per bloccare i singhiozzi e i tremori, mentre teneva gli occhi chiusi nel tentativo di dimenticare, di non vedere. Hanna invece rimase ferma immobile alla vista della morte, la testa alta e gli occhi freddi e ardenti allo stesso tempo, le labbra serrate dalla rabbia, lo sguardo corrucciato e severo, le braccia distese lungo i fianchi e i pugni serrati, poteva sentire la sua parte orso uscire sempre di più, quel fuoco rosso crescere, ancora e ancora, alimentato da quelle sensazioni a lei nuove. Non provava paura, né tristezza, solo un vuoto roso dalla rabbia, stava per lasciarsi andare e trasformarsi, ma Elaine si aggrappò, disperata, alle sue braccia sempre più grosse. Allora Hanna ritornò, almeno in parte, se stessa, accarezzò dolcemente la schiena dell’amica rendendosi conto che le sue unghie erano diventate nere e lunghe e che erano macchiate del suo sangue. Allora Elaine aprì gli occhi, la sua immagine così debole rimase impressa a lungo nella mente di Hanna, sembrava una bambina smarrita, proprio lei che si sforzava di essere matura e che si accollava le responsabilità senza difficoltà. Però quel giorno gli occhi affettuosi, anche se distaccati e duri, di Hanna, furono un’ancora di salvezza, per Elaine, dall’abisso in cui stava lentamente cadendo. Quando Elaine si fu calmata almeno un poco, e Hanna riuscì a tornare se stessa, la Grifondoro prese l’amica per le spalle e la guardò dritta negli occhi senza un’espressione precisa. “Elaine, cerca un professore o un elfo, fallo venire qui. Puoi farcela da sola?” Domandò Hanna parlando con il tono che avrebbe usato con una bambina. Elaine rispose con un sì poco convinto, appena un cenno della testa, e si girò di spalle andando a cercare confusa un aiuto. Quando Hanna fu certa che Elaine non l’avrebbe vista, si abbassò con naturalezza sul corpo del cadavere e lo annusò. “È morto pochi secondi fa.” Pensò ad alta voce Hanna. “Da qualcosa che…” Osservò meglio i segni neri. “Assomiglia ad una bruciatura, ma non credo che sarebbe bastata ad ucciderlo.” Gli occhi della ragazzina iniziarono a vagare, cercando qualcosa che potesse essere un indizio. Hanna si chinò ulteriormente a studiare il cadavere. Qualunque cosa lo avesse ucciso doveva avergli iniettato del veleno, o non si spiegava la rapida morte. Studiò meglio la bruciatura nera: partiva dalla mano destra, dove la carne aveva lasciato una ferita rosea aperta, era appena un graffio, ma da lì partiva l’intrinseca rete nera, che era procedeva per tutto il braccio destro con linee sottili e intricate ma pulite, inusuali per delle bruciature, e ciò fino alla coppa dove le bruciature si fermavano. Il resto del corpo non presentava alcun segno di lesione o di combattimento, probabilmente perché era stato colto di sorpresa.

Dopo qualche minuto arrivò Elaine, ancora in lacrime, con appresso la preside confusa e disorientata, la quale, alla vista dell’elfo, spalancò gli occhi terrorizzata e dopo qualche istante di confusione afferrò la spalla di Hanna con le sue ossute e vecchie mani. “Hanna, allontanati!” Disse la donna a questa trascinandola con delicata forza verso di lei premendo il viso della Grifondoro sulla sua veste verde per proteggerla in qualche modo, ma Hanna non distoglieva lo sguardo ambrato dal cadavere. -La morte è l’ultima avventura.- Pensò mentre la Mcgranitt includeva anche Elaine nel suo abbraccio e cercando di calmare i suoi tremori accarezzandola ma ciò non ebbe nessun effetto. Quando arrivò l’auror, a cui era stato affidato il caso di Peter, accompagnato da Madama Cips, erano tutti trafelati ed Elaine era riuscita a riprendersi un poco, mentre Hanna sembrava essere tornata normale, ma il suo cuore sentiva ancora occhi pressanti fissarla. -Dove sei?- Si chiese la Grifondoro sprezzante del pericolo guardandosi attorno circospetta. “Quando è avvenuto?” Chiese Madama Cips studiando il cadavere. “Poco meno di venti minuti fa.” Disse Hanna fissando la parete. “Chi è stato?” Chiese l’auror. “Non lo sappiamo.” Rispose Hanna. L’uomo guardò Elaine cercando conferma. “Ero con lei quando lo abbiamo trovato.” Disse Elaine asciugandosi le guance ancora inumidite dalle lacrime. “Non dite a nessuno di questo.” Le ammonì l’auror. “Se lo direte in giro generete solo il caos e finche non capiamo di che cosa si tratta meglio non allarmare gli studenti per un elfo.” A quelle parole tutti in quel corridoio ebbero lo stesso pensiero ma fu Hanna a esprimerlo. “Solo un elfo!?!” Urlò la ragazza accendendo d’ira i suoi occhi. “Lui non era solo un elfo, era una persona! Aveva amici e forse famiglia!” Continuò la giovane sprezzante. “Ma a voi cosa importa, tanto è solo un elfo!” Disse sprezzante. “Ragazzina, hai frainteso.” Cercò di giustificarsi l’uomo. “Come si fa a fraintendere, brutto…” Tuttavia Hanna venne bloccata da Elaine, che le toccò la spalla e fece incrociare i loro occhi lanciandole un silenzioso messaggio, infatti nessuno l’aveva notato, ma le unghie di Hanna avevano iniziato a scurirsi, e quindi la ragazza cercò di calmarsi compiendo respiri profondi e stringendo a pugno le dita fino a farsi male. “Già uno studente è sparito a inizio anno, ora c’è stato un morto, io direi che hanno il diritto di sapere.” Concluse sprezzante Hanna. “Signorina Uther.” La chiamò la Mcgranitt con tono grave. “Non faccia parola con nessuno di questo.” Ordinò la donna con sofferenza. Hanna sbuffò un assenso e, trascinando Elaine al suo fianco, si diresse verso i dormitori. La Mcgranitt guardò da lontano Hanna la quale, malgrado i suoi metodi poco disciplinati, aveva mostrato nuovamente una qualche forma di saggezza.

“La tua casa è in questo piano?” Chiese retorica Hanna ad Elaine, che accennò un sì. “Ti accompagno.” Decretò la ragazza categorica, ed Elaine non poteva che esserle grata: appariva uno zombie da quando aveva visto il cadavere. Hanna sapeva che vedere morti aveva uno strano effetto sulle persone sensibili come Elaine, ma la conosceva, e le pareva strano che fosse ancora in quello stato. Una volta che Hanna si fu assicurata che l’amica fosse entrata dove nessuno la avrebbe attaccata, salì velocemente le scale fino alla casa Grifondoro, e solo lì si rilassò percependo un leggero strato di sicurezza in più dovuto alla famigliarità con quelli ambienti rosso e dorati. Una minaccia era all’interno di Hogwarts e loro erano di nuovo coinvolti. -No!- Si impose Hanna. -No, non indagheremo. Resterò buona e tranquilla nelle mie stanze a vivere la vita da studente per loro, per proteggerli. Non voglio che rischino la vita ancora.-

*****

Sentii qualcosa quel tardo pomeriggio, come se qualcosa avesse varcato un confine. “Lo senti?” Mi chiese Ehogan guardando come me in direzione della scuola. “Cos’è, Ehogan?” Chiesi confuso. “Qualcuno è morto.” Spiegò il vecchio. “Come… non è possibile…” Mi sentii soffocare all’improvviso e i fantasmi del mio passato tornarono alla luce. L’aria continuava a diminuire, e improvvisamente la cravatta mi parve troppo stretta, abbassai il viso cercando di calmarmi ma non funzionava. Poi una mano secca e callosa mi accarezzò placidamente la schiena e in breve il respiro tornò. “Morire fa parte del vivere ragazzo mio, non devi fartene una colpa.” Mi spiegò Ehogan. “Ma… ma…” Provai a ribattere. “Ciò che è avvenuto a tua madre non deve condizionarti.” Mi rimproverò dolce il druido. “Mia madre… E tu cosa ne sai!” Urlai con rabbia. -Malgrado tutti quegli anni la ferita era rimasta aperta e tutte le volte che parlano di lei sento un sentimento contrastante, ancora ora, mi invade, vorrei che mi dicessero tutto di lei e allo stesso tempo nulla.- “Molto, mio giovane allievo, molto… Anzi tutto.” Si spiegò il druido. Ad un estraneo queste parole suoneranno certamente strane, ma per me furono trasparenti. Mi passai una mano sul viso nascondendolo con il dorso. “Non piangere Arthur. Per i morti neanche la più potente delle magie può farci niente. Quando qualcuno ha separato l’anima dal corpo è per sempre, e anche se fosse, non sarebbe la persona che tu conosci a tornare, ma una persona che ha visto il potere della morte e che ha vissuto qualcosa di incomprensibile per i vivi. Per i morti non c’è niente da fare.” Tale affermazione mi turbò molto. -Anche se ci fosse un modo per farla tornare, la mamma non sarebbe la mamma.- Pensai sentendo un macigno al cuore. Poi mi venne in mente una cosa che avevo letto da qualche parte. “Ma Voldemort ha conservato un pezzo della sua anima in degli oggetti, ed è riuscito a tornare in vita.” Tentai. “Quello non era un uomo, ma l’ombra d’un uomo relegata di in un fantoccio come corpo. Questo Voldemort credeva di aver trovato una soluzione alla morte, ma la verità è che ha solo condannato il suo spirito a diventare polvere e a non trovare mai la via per Avalon.” Disse il vecchio. “Avalon? L’isola leggendaria?” Domandai divertito. “Non ridere delle leggende, mio giovane allievo: esiste quell’isola, e ci sono stato in gioventù. Ma io non parlo di quella Avalon, parlo dell’Avalon che sta aldilà della umana comprensione. Quella che i cristiani chiamano paradiso, i greci campi elisi, i vichinghi valhalla… sono la stessa cosa, ma chiamati con nomi diversi.” Mi spiegò il vecchio facendomi aprire la bocca leggermente: non avrei mai immaginato, che quel vecchio druido, avrebbe mai detto una cosa così moderna e aperta. “Quindi non esiste una religione sbagliata?” Chiesi perplesso stuzzicandolo un po’. “In un certo senso... Ora però torna a scuola: meglio non restare soli in notti come queste.” Mi ordinò l’uomo. Non capii cosa intendesse il druido, ma mi allontanai senza commentare. Solo la mattina dopo venni a sapere chi era morto.

 

“Un Elfo?” Chiesi perplesso. “Sì.” Disse Hanna freddamente. “E sei sicura che si tratti della stessa cosa che ha preso Peter?” Hanna accennò un sì in risposta. “Percepivo la stessa sete di sangue di quella cosa.” Mi spiegò continuando a guardare un punto nel vuoto. “Elaine si è ripresa?” Domandai ad Hanna guardando verso il tavolo Tassorosso. “Sì, è più forte di quel che fa credere. Questa mattina me ne ha parlato con naturalezza, e si è scusata con me per la reazione che ha avuto.” Raccontò Hanna guardando l’amica che si sforzava di parlare con una ragazza dai ricci capelli castani. “L’hai detto a Nath?” Domandai. “Non ancora, ma lo farò appena lo vedo a Pozioni.” Disse lei guardando in direzione dell’interessato intento a parlare con Brian. Osservai Hanna: aveva le occhiaie, i capelli ricci erano più in disordine del solito, sporchi e raccolti in una coda mal fatta e gonfia; inoltre continuava a torturarsi le mani. “Hai ancora la sensazione di pericolo?” Chiesi io. “Sì. Anche oggi attaccherà, lo sento.” Spiegò lei guardando le pareti nervosa. “Dov’è?” Le chiesi. “Ovunque, è come se ci fossero mille occhi per tutta la scuola che mi seguono ma al contempo non osservassero proprio me, è estenuante.” Disse grattandosi la mano oramai rossa. Le spostai le unghie dalla sua pelle. “Basta Hanna: hai bisogno di rilassarti. Sai a cosa mi riferisco.” Dissi tenendole ferme le mani. “Non è come quelle volte: ho voglia di uccidere Arthur, di braccare e di non essere braccata.” Spalancai gli occhi terrorizzato. “Tranquillo: non voglio uccidere il primo che passa. Voglio uccidere chi ci bracca: sono un predatore, non una preda.” Tentò di tranquillizzarmi lei senza alcun successo. “Hanna capisco che per un… orso…” Sussurrai. “Sentirsi in gabbia non deve essere bello. Ma non essere impulsiva. Oggi ne parliamo nella foresta proibita… okay?” Le ordinai cercando di guardarla negli occhi ma lei non mi degnò d’un occhiata e si limitò a dire. “Oggi ho gli allenamenti.” Mangiò una salsiccia che teneva nel piatto. “Va bene, ma poi vieni dritta da noi.” Le ordinai preoccupato per ciò che sarebbe potuto avvenire.

****

Nathaniel continuò a guardare il libro. “No, non coincide neanche con questo.” Disse guardando il suo anello. Brian emise un sospiro esasperato. Erano passati dei giorni dalla morte dell’elfo, e ancora di più dalla cattura di Peter, e con gli animi più cheti che mai, i due ragazzi avevano deciso di passare del tempo assieme cercando lo stemma rappresentato nell’anello di Nathaniel. “Possibile? Sono sicuro che sia uno stemma di famiglia!” Disse chiudendo il librone con un tonfo. “Brian, non fa niente, probabilmente a lui non interesso neanche.” Disse l’altro sconsolato. “È solo un capriccio, non è così importante.” Mentì il giovane. “Bugiardo. A nessuno non interessano le proprie origini.” Disse Brian aprendo un altro libro. “Lo abbiamo già letto quello, non ricordi?” Bofonchiò Nathaniel; a quel punto Brian, come ripresosi da un sogno, scosse la testa e andò a mettere a posto i due libri. Nathaniel guardò Brian allontanarsi fino a che non venne nascosto dagli scaffali. Era strano: per quanto si vedessero di continuo non riuscivano a non procurarsi più di qualche minuto alla settimana solo per loro due, era quasi una necessità, quasi come se fossero legati, e lo stesso sentiva per Arthur, Hanna e Elaine, ma allo stesso tempo era diverso, come se avesse un'altra origine. Nath si stiracchiò un poco, e non poté fare a meno di pensare a ciò che gli aveva detto Hanna qualche giorno prima. Qualcosa stava minacciando Hogwarts, e al contrario dell’anno scorso questo era pronto ad uccidere chiunque; quest’ultimo particolare preoccupava particolarmente Nathaniel: se quella creatura era pronta a catturare uno studente e a uccidere un elfo non sarebbe passato molto prima che puntasse ai professori, e per le sue vittime avrebbe prima scelto i più vulnerabili, poi avrebbe attaccato chi gli interessava. A Nath non interessava più di tanto il suo obbiettivo, gli interessava lo schema che avrebbe usato quella creatura, così forse sarebbe riuscito a salvarsi la pelle. Di sicuro avrebbe preso le sue vittime una alla volta, e in momenti di vulnerabilità o solitudine, quindi per ora la tecnica migliore per non essere attaccati era stare in gruppo. Con questo pensiero si alzò e andò da Brian che stava recuperando un altro libro. “Non l’hai ancora trovato?” Chiese Nath una volta raggiunto l’amico. “No, ma lo troverò presto…” Lo rassicurò Brian. Nath si appoggiò pensoso allo scaffale. “Stavo pensando all’anno scorso.” Iniziò Brian ad un certo punto. Nath scattò sull’attenti. “Ti ricordi ciò che ti ho mostrato?” Chiese Brian. Nath accennò un sì lentamente. -Come potrei dimenticarlo?- Pensò: vedere il suo amico uccidere quella vipera lo aveva scombussolato un po’. “Quest’estate ho imparato a usare questo potere.” Disse il giovane passando la mano sulla copertina dei libri. “All’inizio mi faceva paura…” Confessò il ragazzo continuando a guardare davanti a sé. “Ma poi ho capito: è la persona, e non il potere a fare il bene e il male. Quindi ora sto pensando di coltivarlo e usarlo, se mai sarà necessario.” Confessò il giovane. “Sono sicuro che lo userai per i giusti scopi.” Disse Nathaniel fiducioso. “È quello che spero.” Sussurrò Brian. “E dimmi, come pensi di fare pratica qui a scuola?” Chiese Nathaniel curioso. Allora Brian sollevò la manica della divisa e mostrò un serpentello arrotolato sul suo braccio che si muoveva lentamente ma con costanza: aveva le squame verdi, nere e ocra, e i suoi occhi neri e acquosi fissavano Nath con meticolosa attenzione. “Si chiama Wisp.” Lo presentò Brian. “È un nome stupido, ma è l’unico che mi è venuto in mente.” Spiegò lui. Una volta che l’amico smise di parlare Nath si staccò dalla parete e gli diede una pacca sulla spalla. “Visto che puoi essere meglio di quel che credevi.” Disse Nath, inconscio di quanta strada ancora avrebbero dovuto affrontare prima di determinare il loro destino. “Sono contento che ti piaccia. Anche se…” Sussurrò Brian. “Cosa?” Domandò Nath. “Anche Tu-sai-chi aveva un serpente e parlava il serpentese.” Sussurrò Brian cupo. “Brian, che cavolo stai dicendo?” Domandò Nath. “Sai chi era Voldemort?” Domandò il ragazzo. “Mi pare di averne sentito parlare vagamente una volta o due.” Spiegò il ragazzo. “Era il mago più oscuro della nostra epoca e ha ucciso, solo lui, centinaia se non migliaia di persone e i suoi seguaci altrettante. E anche lui parlava il serpentese e teneva con sé un serpente.” Spiegò cupo Brian. “E allora?” Domandò Nath. “Senti: tu lo fai per motivi diversi da lui. Parli il serpentese, e questa non è una tua scelta. E ti sei fatto per amico un serpente per forza di cose. Vero, potresti apparire un po’ un suo seguace.” Commentò Nath. “Nath, non scherzare!” Urlò Brian. “Dico solo la verità. Se vedo un tipo che porta uno sputacchio di baffi quadrati sotto il naso, il mio primo pensiero è che sia nazista. Però io so che tu non lo fai con l’intento di perseguire le sue orme.” Disse Nath. “Grazie…” Sussurrò Brian.

*****

Era sera tarda quando tutti e quattro ci ritrovammo nella foresta proibita. Itrandil e Godren erano accovacciati accanto a Elaine, e lei li accarezzava dolcemente; Hanna era sdraiata su una radice lì vicino con la camicia mezza sbottonata e sotto la gonna non portava né calze né scarpe, e aveva un aspetto stanco e disordinato, continuando però a mantenere un’aria leggermente tesa; Nath era a penzoloni su un ramo basso con le gambe all’aria e gli occhi fissi su di me, che ero lì in piedi con accanto Ehogan. La prima a parlare fu Elaine. “Cosa facciamo?” Sussurrò la ragazza guardandomi negli occhi. “Niente, per ora.” Disse Nath. “Rischiare il collo alla cieca non vale la pena, e anche se fosse, potrebbe darsi che i professori abbiano già risolto la questione.” Disse il Serpeverde positivo. “Concordo con Nath.” Dichiarai. “Ma sento che qualcosa quaggiù non va, e non sono l’unico.” Confessai; Hanna confermò quel che avevo detto, infatti molta della sua stanchezza non era dovuta all’allenamento di Quidditch ma alla sensazione pressante che aveva da giorni. “Quella creatura” Iniziò Hanna. “È come un cacciatore: non si sazia mai. Sento il suo desiderio di sangue in continuazione. È come se non potesse viverne senza. Ho il cattivo presentimento che ucciderà ancora.” Disse lei cercando di restare calma. “Lo sento pure io, giovane figlia degli orsi. Questa creatura però ha una magia che non ho mai percepito finora nei miei lunghi anni di vita, come non ho mai percepito una magia come la vostra: lady Hanna e sir Nathaniel. Invece della vostra ne ho solo sentito parlare lady Elaine.” Dichiarò l’uomo con una certa deferenza. “Domanda!” Iniziò Nath guardando Ehogan. “Perché lui è qui?” Sospirai, stavo per rispondere, ma Ehogan mi precedette. “Io sono il maestro di Arthur: qualsiasi cosa dica o faccia mi riguarda.” Dichiarò con semplicità. “Fine del divertimento.” Sussurrò il Serpeverde, Ehogan lo sentì ma fece finta di nulla. “Ad ogni modo, credo che dovreste intervenire.” Otto occhi umani e quattro di drago fissarono il vecchio druido. “Voi, ne sono sicuro, sarete in grado di affrontare questa avversità: siete così potenti, e neanche ve ne accorgete. Ma è normale: conoscere i propri limiti è un lento processo che avete appena iniziato.” Continuò il vecchio con fare altisonante. Noi quattro ci scambiammo un’occhiata: una ragazzina iperattiva che in forma d’orso diventa incontrollabile, un ragazzino che vola di qua e di là, una ragazzina troppo buona per mettere a repentaglio i suoi draghi o fare del male ad alcuno e io, uno stecchino vivente che ha appena scoperto d’essere un druido a dir poco scarso, e tutti e quattro non siamo neanche dei grandi maghi. –Non saremo esattamente degli sfigati ma…- Pensai rendendomi conto che in effetti eravamo riusciti a tener testa ad una strega ma comunque avevamo avuto parecchia fortuna. “Ad ogni modo, cosa dovremmo fare? Andargli contro armati di buona volontà e coraggio? Per morire in meno d’un istante?” Disse Hanna che, forse, era l’unica a rendersi conto di quanto fosse pericolosa quella creatura. “Dovete capirlo voi con le vostre forze.” Disse il vecchio. “Cosa?” Feci io. “Ma tu non ci aiuterai?” Chiesi sorpreso e irritato. “No, non interferirò con la vostra guerra, io ho già la mia.” Così dicendo le nebbie si alzarono attorno al corpo del vecchio che scomparve col dissolversi delle nebbie. “Ma fa sempre così?” Chiese Elaine fissando il punto in cui prima c’era il vecchio. “Sì, sempre… E non smette mai di stupirmi!” Esclamai. “Ti capisco fratello, ti capisco.” Disse Nath con la bocca semi aperta. “Fa uno stile…”

 

Note dell’autrice:

Ciao a tutti! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, recensite, ci sentiamo la prossima settimana.

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Capitolo 6
*** Cap. 5 Ciò che più temiamo ***


Cap. 5 Ciò che più temiamo
Guardai fuori dalla finestra della classe, non riuscivo a concentrarmi quella mattina. C’era qualcosa che non andava, lo sentivo. Era come se tutto fosse troppo silenzioso. Osservai il cielo dalla finestra, niente era fuori posto: la pioggia cadeva leggera e costante, le foglie tinte dei colori del fuoco cadevano e si inzuppavano divenendo una fanghiglia scivolosa, l’erba iniziava ad ingiallirsi e non cresceva più molto, l’aria era diventata più fredda e tagliente, l’autunno era oramai avanzato e con l’avvicinarsi di Halloween per Hogwarts iniziavano ad apparire zucche sorridenti con all’interno spettrali candele. Pensai a quella creatura: era da qualche giorno che Hanna non era nervosa se non in qualche momento, sembrava che la creatura non si sarebbe fatta più vedere o, più probabile, i professori nascondevano bene il suo passaggio. Suonarono le campane che segnavano la fine delle lezioni e uscii dall’aula con accanto Arthur che osservava in maniera ossessiva un foglietto. “Cos’è?” Chiesi curiosa. “Una lista di piante che devo recuperare per Samhain, una festa druida che precedeva Halloween. A quanto pare dovrò fare una qualche forma di festa. Ma essendoci solo io ed Ehogan sarà noiosissima. Non so neanche perché lo facciamo, è così insensato e stupido: tutte quelle leggende, feste, credenze e superstizioni prive addirittura d’un fondamento magico… vorrei farne a meno.” Mi rivelò il giovane liberando un po’ di frustrazione. “Ma le religioni sono questo Arthur. Chiedilo a chiunque sia credente: tre quarti delle cose che dicono possono essere confutate con nulla. Ma per qualche strano motivo ci fanno sentire protetti, ed è questo il loro scopo.” Ribattei. “Sì, ma... io … non so… vorrei poterne fare a meno. Non dico che le leggende siano noiose, anzi le trovo affascinanti, e gli incantesimi sono così….” Sorrise leggermente e sgranò gli occhi sognante. “Diversi…” Sussurrò dolcemente. “Ma le regole etiche, le festività, la musica non ne parliamo e i rituali… è troppo per un ex-ateo come me.” Confessò Arthur guardando a terra. “Non lo metto in dubbio.” Dichiarai sincera. “Però il problema è che tu non sei un ex-ateo, Arthur, tu sei ateo.” Spiegai seria. “Scusa! Ho fatto il rituale per diventare druido!... O meglio sono entrato nella società, questo non fa di me un credente?” Mi contraddisse un po’ stizzito. “No. Fare parte d’una comunità religiosa è un conto ma credere veramente alle cose che dicono è un'altra. Tu sei praticamente un ateo Arthur.” Gli spiegai mentre ci avvicinavamo all’uscita della scuola. “Non è colpa mia se ciò che mi insegna Ehogan [EZ1] per me è senza senso.” Disse incrociando le braccia. “Non lo metto in dubbio. Ma forse dovresti guardare più al significato intrinseco che c’è nella tua religione per apprezzarla e comprenderla maggiormente.” Dissi mettendomi su il cappuccio per ripararmi dalla sottile pioggerella, corsi accanto a lui fino alla foresta dove grazie alla la protezione delle piante si stava quasi all’asciutto. Nel solito spiazzo trovammo Ehogan intento a macinare delle erbe odorose con movimenti energici ma pieni d’attenzione, e in qualche modo delicati. Si voltò tutto ad un tratto. “Arthur! Finalmente!” Esclamò l’uomo fermandosi. “Ho qui per te le erbe per la tua lezione di medicina.” Spiegò Ehogan mostrandogli, tutto contento, una borsa piena di erbe che fece uscire un sospiro esasperato al povero Arthur. “Io vi lascio soli: devo fare pratica con le correnti ascensionali con Itrandil.” Lo salutai andando a cambiarmi dietro un cespuglio. “Ti odio.” Sussurrò Arthur conscio che lui avrebbe passato altre ore di noiose lezioni ed io, invece, sarei andata a divertirmi con Itrandil sotto la pioggia. “Spero che ti prenda un accidente.” Continuò l’apprendista druido. “Non sarebbe male.” Esclamò Ehogan oggi stranamente di buon umore. “Così possiamo valutare la loro efficacia.” Disse il vecchio druido agitando la borsa piena di erbe. Risi alla battuta e uscii dai cespugli con addosso dei pantaloni di pelle, un vecchio maglione blu dal collo alto, un impermeabile rosso fuoco e le solite scarpe da ginnastica che usavo a scuola. “Nath oggi deve fare pozioni con Hanna, quindi non verranno prima delle quattro. Vedi di tornare per allora.” Mi raccomandò Arthur mentre Itrandil compariva dalla selva con la sella tra i denti. “Sì, tranquillo,” Sellai la draghessa. “Volerò solo per un’oretta.” Saltai in sella e spiccai il volo. Il vento freddo e bagnato mi inzuppò in un istante ma non importava, quando ero lassù potevo sopportare qualsiasi clima.
*****
Hanna e Nath assieme a Brian stavano tornando dalla sala grande con la ricerca di pozioni appena finita quando incrociarono Salomon. “Ehi Hanna, Brian!” Li salutò il ragazzo sorridendo. “Ehi, Sal!” Lo salutò Brian. “Vi conoscete?” Chiese Nath fissando il ragazzo avvicinarsi; era un po’ più alto di loro, ma comunque più basso di Elaine, aveva i capelli dorati e mossi tagliati corti ai lati e tenuti con un leggero ciuffo sul centro, gli occhi castano scuro, il viso leggermente più adulto del loro, più squadrato, l’intero corpo era muscoloso, la pelle era caffelatte ed emanava una strana aura autoritaria, anche se aveva qualcosa di rassicurante nei lineamenti. “Sì, le nostre famiglie sono amiche e ci conosciamo dall’infanzia.” Spiegò il Grifondoro scostando il ciuffo ribelle da un lato. “Hanna ti stavo cercando: Jenny ha ordinato un allenamento extra.” Spiegò il ragazzo. “Cosa? E quando li faccio i compiti? Sono indietrissimo! E se non porto i compiti Johnson come minimo mi uccide!” Urlò Hanna passandosi le mani tra i capelli scompigliandoli esasperata. “Calma, abbiamo Arthur.” Disse Nathaniel. “Lui non mi passerà mai i compiti!” Gli ricordò l’interessata con le dita che iniziavano ad infilzare la cute. “Te li passo io.” Si propose Salomon. “Davvero? Grazie!” Urlò Hanna che, in un impeto di gioia, abbracciò il giovane rischiando quasi di soffocarlo. “Su andiamo, o Jenny ci ammazza.” Disse il compagno liberandosi dalla presa micidiale della ragazza. I due così si diressero verso il campo da Quidditch. “Sei piuttosto forte, per una ragazza,” Hanna gli lanciò una saetta infuocata con gli occhi, ma il ragazzo non se ne accorse e continuò a parlare. “Eppure sei mingherlina, come fai?” Chiese Salomon ad un certo punto. “Faccio molto esercizio fisico e sono sempre stata abbastanza forte di mio. Non saprei dirti il perché con esattezza.” Era una bugia bella e buona ma non poteva di certo dirgli che la sua forza era dovuta alla sua parte orso. D’un tratto Hanna sentì come un pizzicorio alla nuca: qualcuno la stava fissando, guardò verso un corridoio in penombra e percepì del movimento. “Cosa c’è?” Chiese Salomon notando il cambiamento nella compagna. “Niente.” Sussurrò tetra. Camminarono per un po’, quando un forte ronzio li circondò. Un campanello d’allarme risuonò nella mente di Hanna. “Aumenta il passo” Sussurrò la ragazza al compagno. “Che cosa…?” Chiese confuso il giovane ignaro del pericolo. Ma fu fiato sprecato: dal corridoio apparve un fulmine luminoso che si muoveva sinuosamente, sbarrando loro la strada, come un serpente che attende la preda. “Qualche idea?” Chiese il ragazzo. “Attacca!” Rispose la ragazza. “Expelliarmus!” Urlò Hanna, ma quelle creature invece di ritirarsi sembrarono indifferenti al colpo subito. “Merda!” esclamò la ragazza. Allora le creature gli attaccarono all’unisono come un’onda di saette mortali. “Protego!” Dalla bacchetta di Salomon apparve uno scudo incredibile: li stava circondando per intero bloccando l’avanzata di quelle creature fatte d’energia. La luce azzurra che scaturiva dalla bacchetta incantò Hanna per un secondo, ma poi si riprese e iniziò a pensare in fretta. -Un incantesimo contro queste creature, quale… quale… quale..?- Poi le venne in mente un’idea. Lo scudo li stava proteggendo come se quell’energia non potesse essere attraversata da quelle creature, invece avevano assorbito il suo incantesimo che non era altro che una scarica d’energia in fondo. Allora le venne un’illuminazione. Si concentrò “Immobilus!” Le creature si bloccarono un’istante e smisero di ruotare intorno a loro, ma subito si ripresero. “Com’è possibile?” Sussurrò Salomon incredulo. Ma Hanna non rispose e iniziò a focalizzarsi su ciò che voleva fare, prese un profondo respiro, alzò la bacchetta e sussurrò. “Protego" Dalla bacchetta apparve uno scudo che prese la forma di tunnel bloccando il movimento delle creature, la ragazza trascinò Salomon lungo questo tunnel e uscirono dalla morsa. Allora ripresero a correre più veloci che mai verso una via di fuga. Le creature ci misero un po’ a riprendere l’inseguimento e Hanna sorrise: ce la potevano fare. Ma non fece in tempo a girare un incrocio che il suo istinto non le fece fare un salto indietro così da evitare lo scontro con un fulmine. Dopo un istante di confusione Hanna trascinò Sal dal lato opposto ma un'altra creatura tentò di colpirli e Hanna fu costretta ad un'altra virata che la portò quasi a scontrarsi con un altro fulmine e se Sal non avesse evocato l’incanto protego, di lei sarebbero rimaste solo le ceneri. I due riuscirono a bloccarli tre, quattro, cinque volte. Ma alla sesta si trovarono circondati da tutti i lati, le creature si erano raggruppate intorno a loro formando una gabbia d’uccello che impediva loro ogni via di fuga. I loro incantesimi non funzionavano a dovere poiché ogni volta che li colpivano pareva che li rifornissero d’energia. Così le creature dopo aver compiuto un movimento verso l’esterno si scagliarono contro di loro come una falange per trafiggerli, ma l’attacco non arrivò mai. I due si trovarono protetti da una bolla d’acqua che bloccò le creature. Allora la bolla si allontanò da loro e con movimenti rapidi raccolse tutte le creature di fulmine che si agitarono dentro quell’acqua in maniera casuale per pochi istanti, per poi fermarsi ed estinguersi. Allora l’incantesimo si bloccò, e da dietro una porta comparve il professor Johnson con la bacchetta alta e gli occhi verdi concentrati e determinati come quelli d’un vecchio guerriero. “State bene?” Chiese continuando a tenere la bacchetta alta lanciando uno sguardo ai due giovani. Allora si radunarono degli studenti che avevano visto tutto dal giardino lì affianco. “Professore, cos’erano queste creature?” Chiesero in molti. Ma il professore non rispose, stava studiando il punto in cui fino a pochi istanti prima c’erano quelle creature e Hanna notò il professore chinarsi e cogliere qualcosa con un fazzoletto di stoffa e per poi riporlo nella tasca. Hanna osservò meglio e allora notò alcuni minuscoli puntini neri raggruppati dove prima c’erano le creature d’elettricità, la ragazza iniziò a guardarsi intorno e ne vide uno accanto al suo piede, non se lo ripeté due volte, lo raccolse e lo depose in tasca senza farsi vedere: non erano più grandi di un unghia, neri, dalla forma cubica, dagli angoli affilati, d’un materiale strano e insolitamente duro. -Non sembrano magici. Eppure assorbivano gli incantesimi… forse Arthur potrà fare luce sulla loro natura…- E mentre pensava ciò arrivò la preside Mcgranitt tutta trafelata “P… P-professor Johnson! Cosa è successo?” Chiese la donna. “Hanno attaccato la signorina Uther e il signorino Atlants.” Disse l’uomo indicando i due ragazzi ancora storditi. “Voi due; in infermeria!” Ordinò la preside, cosicché Hanna e Salomon non poterono fare a meno d’ubbidire. Arrivati lì Madama Cips verificò che stavano bene, a parte la stanchezza per gli incantesimi più potenti del solito e il leggero trauma psichico dovuto alla situazione di pericolo.
 
Quella stessa sera la preside parlò agli studenti. “Cari ragazzi, dall’inizio dell’anno qui ad Hogwarts, si è verificato il rapimento d’uno studente e una morte di un elfo. Oggi la creatura ha attuato un altro attacco mettendo a repentaglio la vita di alcuni dei vostri compagni. Per tanto d’ora in avanti a Hogwarts verrà imposto il coprifuoco, verrete accompagnati da un aula all’altra dai professori, quando andrete ai bagni dovrete essere accompagnati da almeno un altro studente, non sarà permesso uscire dai dormitori se non nei momenti di lezioni, allenamento o studio e comunque mai al di fuori del coprifuoco e sempre in gruppo. So che siete spaventati, ma credetemi: Hogwarts è esperta di situazioni come questa. Ritroveremo il vostro compagno scomparso e troveremo la tana delle creature. Fino ad allora i professori collaboreranno con gli auror per scoprire cosa mai stia succedendo. Questo è quanto. Siate coraggiosi e cercate di non attrarre a voi i guai. Buona cena ragazzi.” Così dicendo la Mcgranitt si andò a sedere. Nathaniel guardò il suo piatto conscio che ciò voleva dire molte cose ma allo stesso tempo nessuna. –Siate coraggiosi- Belle parole ma avrebbero avuto un valore se avessero potuto fare qualcosa, invece non potevano fare niente.
*******
Il giorno seguente ci ritrovammo nel bosco, eravamo nervosi e indecisi, poiché nessuno di noi sapeva esattamente cosa aspettarsi. “Hanna, cosa ci dovevi dire di così importante?” Domandò Nathaniel. “Ecco, dopo che l’attacco è finito ho trovato questo.” Così dicendo Hanna mostrò un minuscolo cubo nero. “Era all’interno della creatura. Non so cosa sia, però immagino sia importante.” Sostenne Hanna rigirandoselo tra le mani. “Hanna, dammelo un secondo.” Chiese Nath porgendo la mano. Hanna glielo consegnò cauta, però appena un angolo dell’oggetto sfiorò la pelle di Nathaniel questi si graffiò. “Ahi.” Esclamò, ma dopo averlo preso per la parte piatta sparì l’espressione di dolore. “Mhm... non ho la più pallida idea di cosa possa essere. Però penso che sia grazie a questi che quei cosi si muovono.” Dichiarò Nath passando l’oggetto nelle mani di Elaine che iniziò ad osservarlo con molta cura. “L’ho pensato pure io, però credo che servano anche a qualcos’altro.” Dichiarò Hanna. “Probabile, inoltre questo materiale sembra una lega piuttosto insolita, una qualche forma di metallo.” Continuò la ragazza. “Hanna, e se ci fosse qualcosa dentro?” Propose Elaine. “Forse questa è solo la corazza protettiva.” Propose lei già afferrando la bacchetta. “Alohomora.” Sussurrò lei, e con uno scatto l’oggetto si aprì. Mi avvicinai incuriosito, e ciò che vidi mi spiazzò. “Un chip?” Esclamò Elaine stupefatta. “Sì, non può che essere un chip, vedi quella cosa tonda centrale, deve essere la batteria.” Continuò Nathaniel. “Ma come può essere? Non esistono oggetti elettronici di questo genere!” Esclamò Elaine. “Sì, è vero… ah, non capisco.” Ammise seccato Nath prendendo l’oggetto e iniziando a rigirarselo tra le mani. “Elaine, conosci qualcuno che si intenda di elettronica?” Domandò Nath dopo aver osservato quel chip finché non gli fecero male gli occhi. “No, nessuno. E se me lo domandi deduco che neppure tu ne conosca. Voi ragazzi?” Chiese Elaine rivolgendosi a me e Hanna. “Siamo entrambi maghi, provenienti da famiglie di maghi, secondo te come possiamo conoscere l’elettronica? Soprattutto se di questo genere?” Domandò Hanna irritata. “Sì, scusa è che non volevo chiudere nessuna strada.” Affermò Elaine mentre io mi avvicinavo a Nath ancora intento ad osservare il chip. “Non si direbbe che siano stati fatti da qualche azienda, ho notato un paio di marchi di fabbrica e dubito che possa avvenire una cosa del genere nella norma.” Affermò Nath continuando a studiare l’oggetto nelle sue mani. “Nath, posso un secondo.” Gli domandai facendomelo porgere, come sfiorò la mia pelle percepii una piccole scarica elettrica che colpì il dorso di Nathaniel. “Ahia! Diamine che male.” Osservai la bruciatura sul bordo del palmo di Nathaniel, c’era una piccola ustione rossastra che aveva lasciato scoperta la pelle viva. “Nathaniel, che ti sei fatto?” Domandò Elaine prendendogli la mano e osservando la ferita. “Non sembra grave, ma ti accompagno in infermeria.” Disse seria afferrando il braccio del ragazzo e trascinandolo verso la scuola. “Elaine, non è niente, sto bene.” Affermò Nath cercando di calmarla senza successo visto che in breve uscirono dalla radura senza che Nath potesse fare alcun ché. Dopo aver osservato i miei due amici allontanarsi tornai a studiare il chip. “Hanna ti è parso di percepire qualcuno di ostile mentre ti attaccavano?” Domandai alla ragazza sperando in una risposta positiva. “No, ho solo sentito la presenza dei chip e credo che se anche ci fosse stata la presenza si sarebbe confusa con la loro.” Spiegò Hanna dispiaciuta abbassando lo sguardo. Anche io lo feci e tornai ad osservare i cip. Poi presi la parte che si era separata con l’apertura e lo chiusi. “Hanna questo tienilo tu in un posto sicuro, sotto chiave, forse un giorno ci tornerà utile.” Pensai ad alta voce porgendolo nelle sue mani.
******
Io e Nathaniel ci stavamo dirigendo verso l’infermeria quando sentimmo dei lamenti provenire da un corridoio lì vicino. Nath si tese come una corda di violino e mi fece cenno di seguirlo scattando subito a correre, e lo seguii preoccupata. Quando i lamenti si fecero vicini ci nascondemmo dietro l’angolo del corridoio ed estraemmo le bacchette, Nathaniel appariva teso, concentrato e pronto all’azione, io invece sentivo che stavo tremando come una foglia. Dopo un istante in cui chiusi gli occhi per farmi coraggio svoltammo l’angolo e ci trovammo davanti una scena agghiacciante.
Un Corvonero, forse del settimo anno, era sdraiato a terra intento a contorcersi per il dolore in scatti rapidi e ravvicinati, le sue urla erano soffocate rendendole rauche e simili a lamenti di morte, gli occhi spalancati dal terrore e tinti di rosso, il viso era deturpato da un taglio all’altezza dell’occhio destro e dei lunghi segni neri, le bruciature, che andavano ad avanzare dal centro della fronte espandendosi per il viso con righe nere sotto la pelle seguendo il percorso delle vene e si stavano muovendo verso il basso, si sentiva un forte odore di carne bruciata.
All’improvviso mi sentii mancare la forza nelle gambe che iniziarono a tremare, inconsciamente mollai la presa sulla bacchetta che cadde a terra. Il ragazzo continuava a contorcersi il suoi tenui lamenti mi riempivano le orecchie e i miei occhi guardavano i suoi disperati chiedenti aiuto. Nath accanto a me dopo qualche secondo scattò verso il ragazzo e con fatica se lo caricò in spalla. “Elaine, aiutami!” Mi urlò Nathaniel, tremante sollevai il ragazzo quel poco che bastava perché Nath lo potesse tenere in spalla. Allora il Serpeverde iniziò a correre come poteva verso l’infermeria e io lo seguii con fatica dopo essermi chinata a raccogliere la bacchetta. La testa mi girava, il cure batteva così forte da assordarmi, le gambe le sentivo molli e tremanti a tal punto che ad ogni passo credevo di inciampare, gli occhi carichi di lacrime mi offuscavano la vista, lo stomaco si rigirava su se stesso serrandosi e contorcendosi e, inevitabilmente, i ricordi stavano facendo spazio nella mia mente. Cercai di combatterli ma oramai non ce la facevo più e quelle immagini apparvero vivide nella mia mente.
L’autostrada che va via a grande velocità, la leggera pioggia sopra di noi, tutto sembra tranquillo, poi il suono d’un clacson. Mio padre che tenta una frenata improvvisa, una lunga e inesorabile slittata, lo schianto del metallo sul metallo. Poi ci fu qualche secondo in cui tutto mi parve ovattato: i suoni, i colori, l’odore del fumo e il calore del fuoco. Tutto torna chiaro quando mia madre mi toglie la cintura mentre mio padre rompe il finestrino sul retro con un pugno e dice alla mamma di uscire con me subito, io che vengo afferrata della macchina e costretta ad uscire dall’auto da dietro cadendo a terra, mi segue mia madre che mi prende in braccio e mi fa allontanare. Vedo mio padre che sta uscendo dall’auto, poi un fischio improvviso seguito da un’esplosione. L’onda d’urto spinge me e la mamma a terra, ricordo il calore delle fiamme e mia madre che mi fa da scudo con il suo corpo. Ricordo lei che si solleva per guardarmi donandomi un sorriso e le sue parole. “Promettimi… di essere sempre buona piccola mia… sei stata molto brava…….” Furono le sue ultime parole, dopo ricordo di vederla cadere a terra di lato e io che la chiamo stringendo la sua mano sul mio viso, alzo lo sguardo per chiamare papà ma lo vedo per metà fuori dal finestrino bruciato dall’esplosione e sanguinante. Il suono delle sirene e poi il buio.
Con le lacrime agli occhi continuai a correre dietro a Nathaniel fino all’infermeria dove Madama Cips fece fluttuare il corpo del ragazzo fino al lettino. Ci disse d’uscire e noi ubbidimmo. Nath mi passò un braccio sulle spalle abbracciandomi. “Tranquilla, Madama Cips conosce il suo mestiere. Vedrai che se la caverà.” Tentò di consolarmi stringendomi ancora più forte. “Sì, se la caverà.” Ripeté Nath stringendomi con maggior forza. Però io come aprii la bocca mi chiusi in quei ricordi che per quanto ci provassi ricomparivano sempre. Rimanemmo così per un po’ di tempo, ovvero fino a quando il professor Paciock non ci raggiunge con un altro studente. “Zannet, Galleric cosa succede?” Chiede il professore notando subito che qualcosa non andava. “La creatura…” Iniziò Nathaniel. “Ha attaccato uno studente. Madama Cips se ne sta occupando ora.” Rivelò abbassando lo sguardo lasciando infine cadere le sue lacrime.

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Capitolo 7
*** Cap. 6 Samhain ***


SCUSATEMI TANTO!!! Avevo inserito il capitolo successivo. Ditelo che sono una frana! Quello giusto è questo.

 

Cap. 6 Samhain

 

Mi guardai attorno: nessuno in vista. Avanzai velocemente per il corridoio fino ai piani inferiori. Da lì raggiunsi il quadro che portava alle cucine, lasciai un calzino ai due elfi di guardia, e mi lasciai cadere sull’erba dalla finestra. Era passato un giorno da quando la bestia aveva ucciso quello studente; già, alla fine quel ragazzo era morto, ma io dovevo comunque uscire tardi la sera da solo, il che andava già contro il regolamento regolare ma in questa situazione era più simile ad un suicidio. Però se non fossi andato da Ehogan questa notte mi avrebbe ucciso lui in modo lento e crudele, quindi mi conveniva rischiare la sorte con il mostro ronzante che con quel vecchio pazzo. -E poi- Mi dicevo mentre appoggiavo i piedi sull’erba. -Hanna mi ha detto che le creature stanno sempre all’interno della scuola, pertanto ora sono al sicuro.- Corsi velocemente verso la foresta fino al solito spiazzo dove ad attendermi v’era Ehogan. Nel vederlo mi venne un colpo: non indossava più la sua solita tunica coprente, ma era a dorso nudo con solo un pezzetto di stoffa a coprirgli i genitali, la pelle vecchia, rugosa e cadente era uno spettacolo terribile e inoltre allora vidi quanto fosse scheletrico: infatti, tra le grinze e le pieghe della pelle e degli strani disegni fatti con una pittura blu si vedevano perfettamente le ossa. “Sei arrivato…” Disse il vecchio voltandosi verso di me, deglutii spaventato: il suo corpo era pieno di quella pittura che aveva messo in rilievo il triskell e molti altri simboli, rabbrividii all’idea di dover subire così tanti marchi in futuro. “Togliti i vestiti e mettiti addosso questi.” Disse il vecchio lanciandomi un pezzo di stoffa simile ai suoi. “Ma così congelerò!” Mi lamentai. “No, non accadrà. Spogliati!” Deglutii: odiavo che qualcuno vedesse la mia pelle, l’ho sempre odiato. Quando mi tolsi la canottiera rivelando oltre al triskell la miriade di lentiggini che avevo sulle spalle e sulla schiena, mostrai quanto fossi mingherlino e debole, la mia carne bastava appena a ricoprire il braccio e le costole si vedevano perfettamente, le gambe poi erano secche e prive di muscolo. Arrossii, ma Ehogan non se ne accorse e iniziò a spalmarmi una strana crema puzzolente per tutto il corpo. “Ma cos’è?” Chiesi nauseato. “Grasso d’orso, serve per non farti patire il freddo.” Quando ebbe finito prese un po’ di quella vernice blu e la mise sul triskell ma si fermò lì. “Tutto qui?” Chiesi sorpreso, dato che il suo corpo era ricoperto da quella vernice dalla testa ai piedi. “Sei troppo giovane.” Rispose semplicemente avvicinandosi al focolare e prendendo la sua arpa. “Ti ricordi il poema degli spiriti reclusi?” Mi chiese il vecchio. “In parte.” Confessai prendendo la mia arpa. “Recitalo con me e mantieni il ritmo.” Mi ordinò Ehogan. Quando la musica iniziò mi sentii strano, come se tutta la mia energia stesse convergendo nel fuoco alimentandolo, e questi cresceva e cresceva, l’aria si fece sempre più calda e prima che me ne accorgessi ero in piedi e battevo i piedi al ritmo della musica. Ad un certo punto vidi Ehogan alzarsi e prendere delle erbe che bruciò nel fuoco ma io non mi fermai: continuai a suonare il poema che ora il vecchio druido cantava solamente. Il fuoco si accese e fece fumo, quel fumo entrò nelle narici e mi stordì, non saprei bene descrivere cosa avvenne dopo, so solo che in qualche modo mi addormentai in preda all’estasi di vivere.

-Tutto era offuscato, ma riconobbi chiaramente l’esile figura di Elaine che teneva le mani sull’uovo d’oro mentre la strega cercava di liberarsi dall’attacco di Hanna. Crollò il buio. Da un teschio umano uscì un serpente, era un posto umido e putrido. Buio.  Una bacchetta si muove costantemente da destra verso sinistra e da sinistra a destra all’interno d’un cerchio metallico di cui lei è il diametro. Ancora buio. Un vento potente, caldo e tagliente mi annebbia la vista e mi sento sbattuto a terra. Ritornano le tenebre. Due corpi irriconoscibili a terra morti e sanguinanti e mi sembra di conoscerli. Calano le tenebre. Una bambina incappucciata e tetra che mi spaventa eppure sento d’essere legato a lei. Le ombre mi avvolgono. Dei ricci rossi che sono sicuro di conoscere mi coprono la vista. Infine il buio più totale.-

Mi rialzai tutto sudato. -Queste scene le ho già viste.- Pensai mettendomi lentamente a sedere. “Non ci credo… sei così giovane…” Mi voltai, a parlare era stato Ehogan, di nuovo vestito e pulito. “Hai le visioni.” Guardai il druido stordito. “Cosa?” Gli chiesi io ma era come se non mi avesse sentito. “Com’è possibile, il dio non usa persone giovani come te per tramite, a meno che….” Il vecchio mi guardava dritto negli occhi con i suoi grigi, profondi, saggi e malinconici che mi perforarono l’anima. “Infine sei tu.” Disse emozionato con la voce tremante. “Io cosa? Ehogan cosa? Cosa succede che non mi stai dicendo?” Gli chiesi confuso. “L’erede di Merlino. Non avrei mai creduto di trovarti in questi tempi.” Non capii le parole di Ehogan so solo che si mise a piangere dalla gioia. Allora le nebbie iniziarono ad alzarsi, gli occhi del druido si spaventarono. “No, non ora!” Bofonchiò furioso. “Arthur ascoltami: quello che hai visto questa notte non è un sogno, è il futuro. Il dio ti ha usato come tramite. Usa ciò che hai visto per capire il futuro. Io ora devo andare ma quando tornerò, tra tre giorni, ti spiegherò tutto.” Con questa promessa le nebbie lo avvolsero facendolo sparire. “Ehogan!” Lo chiamai ma le nebbie si erano diradate e con loro, come sempre, Ehogan era scomparso lasciando dietro di sé una scia di dubbi e misteri che mi avrebbero perseguitato per i prossimi tre giorni. “L’erede di Merlino… cosa vuol dire Ehogan?”

*****

A svegliare Nath quella mattina fu il ronzio oramai famigliare all’intera casa Serpeverde ma il ragazzo non poté fare a meno di svegliarsi e porsi sul chi vive a quel ronzio mortale. Si guardò attorno in cerca di una qualche minaccia ma non ne vide. Allora tirò un sospiro di sollievo e rilassò la schiena. -Chissà se Arthur è già tornato nel suo dormitorio?- Si chiese il giovane. Se avessero potuto, lui, Hanna ed Elaine sarebbero andati volentieri con Arthur a Samhain ma Ehogan era stato categorico: “Nessuno che non sia iniziato può partecipare ai sacri riti! Se si trattasse dei semplici festeggiamenti che si facevano millenni fa vi accoglierei volentieri ma oggi non mi posso prendere il lusso di passare un Samhain a divertirmi: questa festa è fondamentale per la tua formazione, Arthur!”. Quel vecchietto, pur facendo l’isterico, assoggettava Nathaniel in qualche modo, non sapeva perché ma ogni volta che lo incontrava sentiva che quel vecchio fosse più potente di quanto lasciasse credere, e non solo come magia ma come influenza sociale. Ma scacciò quei pensieri; ora doveva cercare di riaddormentarsi: erano le quattro del mattino e Nath non aveva alcuna intenzione di svegliarsi presto in un giorno festivo, dopo tutto era il giorno dei morti. Così il Serpeverde si sdraiò sul letto a baldacchino dalle lenzuola di seta vede, e si accasciò sul cuscino ma non prese sonno: quel dannato ronzio lo inquietava quanto un presagio di morte. Cercando di calmarsi volse lo sguardo verso Brian che dormiva nel letto accanto al suo, era pacifico. Improvvisamente lo invidiò: malgrado parlasse il serpentese lui conduceva una vita, per quanto sia possibile essendo un mago, normale. Lui invece stava entrando in contatto con cose sempre più grandi, se lo sentiva. Forse avrebbero dovuto dare ascolto a Fernand. “Questa faccenda è più grande di voi” Aveva detto. “Non immischiatevi” Aveva detto, ma loro avevano dovuto per forza combattere contro quella strega ed Elaine si era legata al drago d’oro diventando una specie di signora dei draghi, ma secondo lui in lei non era cambiato niente: era la solita vecchia Elaine.

Un movimento nell’ombra distolse il moro dai suoi pensieri, aguzzò gli occhi senza muoversi cercando di capire cosa fosse. Sgranò gli occhi: dei minuscoli lampi luminosi, come un topo in dispensa, si stavano muovendo sinuose verso di lui. Nathaniel trattenne il fiato in preda al panico. -Calmati!- Si impose, forse erano solo di passaggio e non avrebbero fatto del male a nessuno. Ma comunque tese i muscoli sotto le coperte per un eventuale fuga dell’ultimo secondo. Controllava con occhi cupi quelle creature studiandole, notò che il flusso elettrico proveniva direttamente dalle pareti ma diventavano visibili solo quando diventavano un po’ più spessi d’un ramoscello e si muovevano come sardine assumendo svariate forme geometriche, tuttavia a Nath non apparve che avessero una loro volontà: la loro coordinazione era troppo perfetta per essere compiuta da singoli individui, ci doveva essere qualcuno che controllava quella specie di serpente elettrico. Le creature continuarono ad avvicinarsi ma si spostarono leggermente a destra rispetto a lui e formarono un'unica grande e tagliente stalattite puntata verso Brian. Le creature si sporsero all’indietro per prendere la rincorsa. Allora Nath scostò le coperte e si lanciò verso l’amico aiutandosi con il potere del vento che lo catapultò sull’amico. “Brian!!!” Urlò il ragazzo, allora il biondo si svegliò mentre un corpo amico lo gettava giù dal letto appena in tempo prima che la lancia elettrica lo infilzasse. L’intero dormitorio maschile venne svegliato da un tuono. Qualcuno aprì la luce e allora apparvero quelle creature di fulmine che minacciose puntavano le loro spine verso il resto del dormitorio. Per un secondo nessuno si mosse, poi tutti si buttarono giù dal letto urlando e allo stesso tempo le creature attaccarono i giovani come un serpente si accanisce sulle sue prede con scatti rapidi e precisi. Ma per fortuna nessuno riuscì ad andare a segno: alcuni studenti che avevano avuto l’acutezza e la buona abitudine di dormire con la bacchetta sul comodino o, meglio ancora, sotto il cuscino, bloccarono gli attacchi con incantesimi di protezione e immobilizzazione, ma solo i primi ebbero un buon effetto, i secondi riuscivano a bloccare solo una misera parte di quelle creature. Tutti si diedero alla fuga uscendo da quella stanza alla rinfusa. Nelle sala comune v’erano alcune studentesse che si erano svegliate a sentire il gran baccano proveniente dalla stanza accanto. Allora il prefetto urlò in preda al panico ma con autorità. “Fuori! Fuori! Tutti fuori!!!” Nessuno se lo fece ripetere due volte: tutti, inclusi Nathaniel e Brian corsero verso il muro che sarebbe stato la loro salvezza ma tutti vennero bloccati all’uscita dalle creature che avevano formato un muro ad alta tensione, guizzi elettrici volavano di quando in quando come zampe di tigre che giocavano con la preda. Nessuno osava muoversi poiché anche questa non si spostava d’un millimetro. Nathaniel poteva sentire la tensione presente nascosta dall’apparente calma, gli studenti più vicini retrocedevano lenti, marionette sotto il giogo dei fili della paura. Poi il muro si animò d’una poderosa scossa e ogni membro della casa Serpeverde urlò saltando all’indietro incontrando per la prima volta la paura. Brian buttò l’occhio su un kit di pozioni lasciato lì suo tavolo, lo studiò un secondo e, approfittando del tumulto, scattò verso questo, avvicinandosi alla creatura. “Brian che fai!?!” Urlò preoccupato Nathaniel, ma lui non lo ascoltò e iniziò a studiare due pozioni, in quel momento il muro ad alta tensione si trasformò in una stalattite che attaccò il ragazzo con ferocia. “Protego!” Urlò Nath, le due energie, una azzurra e una gialla si avvicinarono velocemente. Brian, in quello stesso istante, afferrò tre boccette come scosso dall’imminente pericolo. Un istante dopo la luce azzurra sbocciò in uno scudo e quella gialla vi scontrò con una tale forza da obbligare Nath a compiere un passo indietro. Allora la magia di fulmine compì un cambio di direzione improvviso andando contro colui che aveva eretto lo scudo ma sbagliò mira e sfiorò il viso di Nathaniel tagliandogli una ciocca di capelli. Nel contempo Brian aveva mischiato assieme il liquido nelle tre ampolle e l’agitò velocemente. Poi all’ultimo aggiunse una polvere metallica e una luce bianca illuminò la stanza. “Buttatevi a terra!!!!” Così dicendo lanciò la pozione verso le creature, ed essa ruotò in aria per alcuni istanti. Colpì in pieno il suo bersaglio e un istante dopo la pozione esplose. Allora tutti coloro che non avevano fatto in tempo ad accasciarsi al suolo vennero gettati a terra dall’onda d’urto con una forza impressionante. Nath venne colpito in pieno petto dall’energia magica e cadde di schiena addosso ad un suo compagno. Subito dopo l’esplosione Nath si alzò barcollante, inciampando nei suoi stessi piedi, tutto aveva assunto tonalità bianche e vedeva ad intermittenza, l’esplosione l’aveva mezzo assordato e un fischio gli riempiva le orecchie rendendolo ancora più confuso. Quando riuscì a mettere a fuoco gli si presentò davanti una scena raccapricciante. Una ragazza era stata infilzata da quelle creature, trapassata da fronte a retro al centro del busto, le braccia accasciate a terra immobili, la bocca schiusa, gli occhi spalancati in quella espressione di terrore, la testa e la schiena inclinate a formare un arco perfetto, su di una poltrona rovesciata i piedi nudi sfioravano il pavimento e il sangue sgorgava lento dal busto, a volte gocciolante, altre come lava colante. “Clara!” Urlò una ragazza avvicinandosi al corpo inerte della ragazza. “Ti prego, ti prego Clara rispondimi!” Disse la ragazza accarezzando in lacrime la scura chioma della ragazza. “Ti prego… ti prego….” Supplicò, ma l’amica non rispose, rimase lì immobile oramai accolta tra le braccia della morte. Allora la giovane si piegò su se stessa e pianse sul corpo immobile dell’amica. Tutta la casa Serpeverde rimase immobile, incapace di reagire, né tantomeno di consolare quella ragazza. Quando si fermò guardò nella direzione di Brian e i suoi occhi brillarono. “Tu…” Sussurrò con tutta l’ira e l’astio generatesi nel suo corpo. Si avvicinò a Brian a grandi passi con una luce assassina negli occhi. “Sei stato tu! È colpa tua se Clara è morta!” Urlava la ragazza allungando le braccia con l’intento di strozzare il ragazzo, ma in quell’istante Jack la bloccò con un singolo braccio. “La colpa non è di Brian, Sahara.” Disse il ragazzo freddo ma con gli occhi chiaramente pieni di disperazione. -Sahara!- Pensò Nath il quale non aveva riconosciuto la compagna di squadra da come la disperazione l’aveva storpiata. “Anzi, se non avesse lanciato quella pozione a breve saremo morti tutti.” Disse con estrema calma. “È così che reagisci alla morte di una tua compagna? Dannazione Jack, siete stati assieme per del tempo, dovresti capire cosa provo!” Gli urlò in faccia Sahara con disprezzo, allora lui le lanciò un’occhiata carica d’odio ma non disse niente. Allora intervenne il prefetto. “Sahara, va a chiamare il professor Jhonson, Daniela vai con lei.” Allora Jack mollò la presa su Sahara che venne presa tra le braccia di Daniela e condotta dal professore.

Quando le due ragazze se ne furono andate Jack cacciò un urlo con ira buttando all’aria una sedia con un calcio e rivelando, finalmente la sua disperazione, si portò le mani tra i capelli graffiando la cute, nei suoi occhi Nath lesse per la prima volta la disperazione. Nessuno osò avvicinarsi a Jack, anche se tutti gli occhi erano puntati su di lui, e nessuno osò anche solo guardare di sfuggita il cadavere. Probabilmente sarebbero rimasti lì in attesa, con il tetro gocciolare del sangue di sottofondo se Brian non si fosse mosso in fine, avvicinandosi al cadavere. “Nath aiutami.” Lo intimò Brian, Nathaniel lo raggiunse subito intuendo cosa volesse fare. I due ragazzi, sotto lo sguardo di tutti toccarono il corpo privo di vita, e mentre Nathaniel prendeva in braccio il corpo della ragazza, reggendolo con impacciata solennità e riguardo, Brian alzò la panca e aiutò l’amico a deporla nel divano. Distrattamente Nathaniel scostò i capelli dal volto della giovane e allora lo notò: gli occhi stavano divenendo lentamente vitrei, ciechi da sottili nebbie. Inquietato avvicinò la mano agli occhi e li chiuse sopprimendo il senso d’angoscia che gli stava donando il sangue sulla maglia, un sangue non suo, ma sapeva che si sarebbe potuto trovare lui al posto di quella ragazza. Molti stavano piangendo, altri si stavano leccando le leggere ferite che l’esplosione aveva loro causato e altri se ne stavano da soli per calmare i loro tremori. Quando i due giovani si allontanarono da corpo in religioso silenzio il prefetto si avvicinò ai due amici e disse. “Perché?” Fu l’unica cosa che chiese. “Non serve a niente lasciare il suo corpo in quello stato.” Disse Brian cupo in viso, i suoi occhi chiari parevano avvolti dalle ombre, quelle ombre che Nath gli aveva visto addosso solo una volta: quando aveva ucciso la vipera. Un brivido percosse il ragazzo a rievocare quel ricordo.

Pochi istanti dopo entrò il professore: aveva i neri capelli più arruffati del solito, sul naso erano posti degli occhiali tondi da vista e indossava solo un pigiama azzurro troppo largo, il viso pallido e stravolto. Appena vide le condizioni della sala il professore si avvicinò al prefetto e gli chiese. “Cos’è successo? Dragonfly? Spiegazioni, subito!” Ordinò il professore agitato ma comunque lucido. “Quelle creature ci hanno attaccato, siamo scappati dal dormitorio e anche le ragazze ci hanno sentiti e sono scappate anche loro, stavamo per uscire ma ci avevano sbarrato la strada, allora Brian ha lanciato una pozione esplosiva sulle creature che si erano radunate tutte all’entrata ma durante l’esplosione…” La voce morì in gola per un secondo ma il prefetto si riprese. “Durante l’esplosione un lampo ha trafitto Clara.” Continuò il ragazzo. “E come sta?” Insistette il professore preoccupato. In tutta risposta il prefetto si scansò dalla visuale del professore rivelando il corpo freddo della ragazza. Il professor Jhonson si accasciò sul corpo della studentessa e con una delicatezza impressionante lo accolse tra le sue braccia, aveva gli occhi lucidi e lo sguardo perso. “Tutti voi, venite con me, ora!” Ordinò il professore. Ogni singolo presente lo seguì senza mettersi niente di più addosso. Lo seguirono fino all’infermeria dove, oltre al solito ammalato, in una stanza aderente, v’era Madama Cips ancora immersa nei suoi sogni. Il professore di difesa poggiò il corpo della studentessa in un letto e bussò alla porta dell’infermiera. “Jonas.” Disse la donna sbadigliando. “Che succede?” Chiese la donna. “Vi è stato un altro morto.” Disse lui serio. “Chi?” Domandò la donna stringendosi la vestaglia in chiaro disagio. “Clara Esmoufe.” L’infermiera allora s’accorse del cadavere della giovane studentessa: doveva essere al quinto anno, così giovane, non aveva neanche avuto il tempo di assaggiare tutte quelle cose brutte e belle che la vita offre ad ognuno. La donna allora si avvicinò ad un cassetto dal quale estrasse una cartella e scrisse qualcosa. “Deceduta il 1° novembre 2034 ore 4:05.” Nessuno dei ragazzi seppe come reagire correttamente all’istante, poiché, ciò che li colpì in quel momento non fu rabbia o dolore, bensì il vuoto più assoluto. A Nathaniel mancava il fiato: una loro compagna era morta e un altro era morto poco tempo fa. -Hogwarts non è più un posto sicuro. È diventato il luogo più pericoloso al mondo e ora tutti lo sanno.- Era questo ciò che pensava il giovane mentre vedeva la compagna fredda i cui occhi erano stati chiusi per l’ultima e definitiva volta.

*****

Arrivato nella sala grande capii subito che qualcosa non andava: i Serpeverde non c’erano, il loro tavolo era vuoto. Presi posto accanto a Elisabeth, una ragazza del mio stesso anno. “Elisabeth cosa succede? Dove sono i Serpeverde?” Chiesi angosciato. “Non ne ho idea: l’intera scuola non sa niente. Ho chiesto in giro ma nessuno mi ha saputo rispondere e molti hanno chiesto a me. Ma nessuno sa cosa è avvenuto stanotte.” D’un tratto entrò la preside seguita da due adulti, un uomo e una donna dagli occhi rossi e spenti, e l’intera casa Serpeverde che prese posto al suo tavolo, tra la folla riconobbi Nathaniel accompagnato da Brian e tirai un sospiro di sollievo: almeno lui stava bene. “Cari studenti!” Iniziò la preside con voce grave attirando l’attenzione di tutti. “Oggi una vostra compagna è… passata a miglior vita.” Tutti iniziarono a bisbigliare alla notizia. “Silenzio.” Ci zittì la preside debolmente, ma comunque ottenne l’effetto desiderato. “Questo oramai è il secondo caso d’uno studente morto per questa creatura. Per tanto…” La donna sembrava tesa e preoccupata. “D’ora in avanti a Hogwarts vi sarà la presenza degli auror in ogni corridoio e se ciò non basterà… Hogwarts chiuderà.” Molti studenti ricominciarono a parlare tra loro chiaramente sorpresi da tutta quella situazione ma la preside non disse nient’altro. “Se Hogwarts chiude dove andremo noi? Le lezioni private costano troppo e senza un’istruzione…” Iniziò Elisabeth in preda al panico. “Calma.” Disse un ragazzo. “Agitarsi è inutile. Prima vediamo come evolvono le cose. Potrebbe avvenire come l’anno scorso, in fondo anche i draghi hanno attaccato ad Halloween.” Disse il ragazza fiducioso. Ma io non ci credevo: qualunque cosa sia quella creatura attaccherà ancora. Non sapevo come e quando ma di questo ero certo.

 

Note dell’autrice:

Salve… lo so, questo giro è stato un po’ cupo ma… ci voleva a mio parere.

Un grazie speciale a Potter_92, per la recensione.

Allora alla prossima settimana, forse, con un nuovo capitolo.

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Capitolo 8
*** Cap. 7 La disperazione e l'ra ***


Cap. 7 La disperazione e l’ira
 
Appena la preside finì il suo discorso corsi all’uscita dove mi aspettavano già Hanna e Arthur, Nath invece si stava avvicinando. Aveva gli occhi spenti e stanchi, in un certo senso mi ritrovai in quegli occhi. “Cosa è successo Nath?” Chiese subito Arthur con la solita delicatezza d’elefante, ma capì subito d’aver usato le parole sbagliate e aggiunse. “Ma non sentirti costretto, cioè se vuoi…” Nath lo interruppe alzando una mano. “Sì, vi spiegherò com’è andata, ma non qui. Vediamoci al solito posto tra un po’: devo fare le condoglianze ai genitori di Clara e controllare che Sahara non se la prenda con Brian… di nuovo.” Così dicendo si voltò coperto da un mantello che non pareva suo poiché troppo grande e nel girarsi notai che lui, come tutti i Serpeverde, non aveva le scarpe e aveva l’aria di chi non si era ancora lavato e non ha dormito. Mi soffermai un secondo a fissare quel triste quadro: non avevo mai visto i Serpeverde così abbattuti e vedendoli così provai pena, per tutti loro. Tuttavia mi voltai e, assieme ai miei due amici, mi diressi verso la foresta con una lenta angoscia.
Mentre camminavamo inosservati guardai Arthur: era pensieroso. “Cosa c’è Arthur?” Chiesi risvegliandolo dai suoi pensieri. “Niente… sono solo molto stanco: questa notte mi ha prosciugato molte energie e mi sento stanchissimo.” C’era da immaginarlo: non aveva dormito tutta la notte. “Com’è andata la… diciamo “festa”” Domandò Hanna facendo le virgolette. “Beh… chiamarla festa non credo sia appropriato….” Arthur si zittì di colpo e guardò davanti a sé irrigidendosi all’improvviso. Io e Hanna guardammo nella stessa direzione: suo padre si stava avvicinando a noi con passi pesanti seguito da una schiera non indifferente di genitori. “Papà!” Esclamò Arthur sorpreso attirando l’attenzione di svariati adulti, ma solamente lui si fermò. “Cosa ci fai qui?” Chiese il ragazzo confuso. “Sono venuto a prenderti.” Decretò l’uomo secco allungando la mano verso la spalla del figlio. “Cosa? No!” Controbatté Arthur rifiutando il tocco paterno scansando la mano dell’uomo dal suo braccio. “Sai cosa è successo questa notte?” Chiese l’uomo afferrando la spalla di Arthur mentre il resto dei genitori ci superava indifferente a quella scena. “Sì.” Rispose Arthur sicuro. “Ma non intendo andarmene da Hogwarts. Io resterò qui per tutto l’anno. Se vuoi tornerò per Natale, ma non sperare che rinunci alla scuola. Io non ho paura di quella cosa.” Era la prima volta che Arthur aveva un’espressione così convinta in volto: in quel momento emanava qualcosa che esprimeva autorità e ne rimasi incantata e confusa per un secondo come il padre di Arthur. “Arthur, non essere sciocco. Rischi la vita se resti qui.” Gli ricordò Saleric afferrando con maggior forza il braccio del ragazzo, Arthur tentò di liberarsi della sua presa con uno scatto ma in risposta il padre strinse con più forza. “Io resto qui.” Alle dure parole del ragazzo padre e figlio si guardarono negli occhi con sfida. “Mi vuoi disobbedire? Non lo sto facendo per me, Arthur, ma per tua madre, per… Lena.” Un ombra oscurò il volto dei due uomini. “Non me lo perdonerebbe mai se ti succedesse qualcosa.” Ma le parole del padre scivolarono su Arthur come acqua e il ragazzo alzò lo sguardo fiero. “Io decido della mia vita e posso difendermi da solo e qui io non sono solo anche se fosse.” Disse Arthur con una tale sicurezza che il padre allentò la presa e Arthur si liberò dalla sua presa con un movimento lento e composto andando ad abbracciare il busto mio e di Hanna. Sentii una strana energia provenire dalle mani di Arthur, non era semplice sicurezza, sembrava quasi che ci stesse racchiudendo dentro di sé. Guardai Hanna preoccupata e incredula, ma lei era stoica nella sua posizione e fissava il signor Saleric con calcolato orgoglio. “Lo proteggerete voi?” Chiese Saleric a noi due con tono quasi ironico. In risposta alzai lo sguardo fissando l’uomo negli occhi lanciandogli il mio messaggio silenzioso. Hanna invece fu più diretta, a testa alta e con uno sguardo maestoso rispose con un secco “Sì.” “E tu? Tassorosso?” Mi domandò. Guardai Saleric negli occhi con dolcezza lasciandolo di stucco un secondo. “Non deve temere per Arthur, qui con noi nessuno gli farà del male. E posso parlare a nome di tutti e quattro se dico che finché saremo assieme nessuno potrà fare del male a uno di noi.” Dichiarai sostenendo lo sguardo duro del padre di Arthur con il mio sorriso più sincero. “Molto bene. Se preferisci loro alla mia casa sappi che ti accontento. Ma non venire a piangere da me quando la situazione degenererà.” Così dicendo si voltò e se ne andò. Arthur non si soffermò a lungo sulla schiena del signor Saleric e riprese a camminare.
Camminammo fino alla foresta e lì gli chiesi. “Perché hai scelto noi?” Arthur si voltò e mi guardò negli occhi. “Perché voi siete la mia famiglia e perché sento che senza di me sareste in pericolo.” Rivelò abbassando lo sguardo imbarazzato e continuò a camminare, ma Hanna  gli mise una mano sul capo e gli arruffò i capelli. “Sei sempre il solito Arthur: credi davvero che mi servano ancora i rinforzi? Sono migliorata dall’anno scorso. Ora sono in grado di difendermi… più o meno.” Hanna aveva un dolce sorriso mentre lo diceva malgrado l’aria un po’ da sbruffona. “Non ne dubito.” Confessò il giovane cercando di sistemarsi i capelli e gli occhiali che erano stati scostati lateralmente dalla dimostrazione d’affetto dell’amica. “Ma quando siamo insieme siamo più forti che da soli.” Sorrisi all’affermazione di Arthur e li abbracciai da dietro e vista la mia altezza riuscii ad appoggiare le loro teste sul mio petto. “Non solo siamo più forti, siamo anche più vivi.” Affermai stringendoli ancora più forte. “Elaine…” Balbettò in imbarazzo Arthur, in risposta gli sorrisi pienamente.
Arrivati nella radura, totalmente inosservati, vedemmo subito Itrandil e Godren venirci incontro: il più piccolo saltellando nella mia direzione, e una volta che mi raggiunge si arrampicò sul mio corpo fino alla spalla; la più grande, invece, in sei passi fu subito da noi e iniziò a strusciare il suo muso sul mio volto. -Facciamo un volo?- Mi supplicò lei allontanandosi leggermente da me. -Non ora Itrandil, tra poco: prima devo parlare con Nath di una cosa che è successa questa notte- Le spiegai restando sul vago. Allora questa impettita si volse e si sedette in un angolo della radura dandomi le ali. “Che è successo?” Domandò Hanna vedendo l’insolito comportamento di Itrandil. “Fa l’offesa.” Spiegai accarezzando la testa di Godren che continuava a strusciarsi come un gattino contro il mio collo. Dopo un po’ di tempo, che a noi parve infinito, vedemmo arrivare Nath. I suoi passi erano trascinati, il suo sguardo basso, la fronte corrugata, i dolci occhi marroni spenti, era scalzo, vestiva solo il pigiama e un giaccotto chiaramente non suo, i capelli neri erano più stravolti del solito e una strana ombra lo seguiva come un alone di malinconia. Quando alzò lo sguardo tentò di fare un mezzo sorriso ma era talmente tirato che non fece che preoccuparmi ancora di più. Hanna si avvicinò a lui e lo guardò dritto negli occhi e dopo un secondo lo attirò a sé abbracciandolo. “Se devi piangere, piangi.” Le ordinò lei. All’inizio Nathaniel si irrigidì per la sorpresa, poi afflosciò la sua testa nell’incavo del collo di Hanna e, a seguito dell’annuncio di un paio di singhiozzi trattenuti, pianse tutte le lacrime che era riuscito a trattenere fino ad allora. Si aggrappò con disperazione alle maniche del pullover di Hanna e un vento piano piano sempre più potente iniziò ad alzarsi là dove erano i miei due amici. Il vento investì me e Arthur come un uragano e allora lo percepii: in quel vento v’era tutta la paura, la frustrazione, la tristezza, l’adrenalina, i rimpianti, il terrore e il lutto di quella notte. Il vento saliva sempre di più penetrando caldo nelle mie ossa facendomi vivere attraverso gli sbuffi, i tagli sul mio viso, la sensazione di confusione, la scarsa vista per il polverone mischiato alle foglie cadute che Nathaniel stava scatenando al di fuori di sé. Era una sensazione così profonda e travolgente da cui non sarei riuscita a fatica a farne a meno, non ne ero mai sazia malgrado facesse così male che alcune calde lacrime solcarono il mio viso per poi volare via trascinate dal vento. Quella sensazione, in un certo senso, rassomigliava al legame che v’era tra me e i draghi, solo che questo era talmente intenso e così effimero che mi trovai impreparata. Così rimasi ferma immobile sul mio posto lasciando che la tempesta passasse. Dopo minuti lenti ed estenuanti il vento si placò e Nathaniel alzò la testa dal collo di Hanna a cui aveva lasciato una chiazza umida, rivelando i suoi occhi arrossati. Per qualche strano motivo mi tornarono in mente le parole di mio zio: “I maschi non devono piangere. Urlano, sbraitano, si chiudono in loro stessi, si deprimono ma non piangono. Soprattutto se siamo in compagnia: sembreremo ridicoli.” Mi avvicinai a Nath, che nel frattempo si era separato da Hanna, e gli asciugai una lacrima con premura. -Ti sbagliavi zio.- Pensai in quell’istante. Nath mi abbracciò con uno slancio in cerca di sicurezza. -Non si è ridicoli: si è solo… umani.- E così gli accarezzai la testa lasciando che il suo dolore entrasse nel mio cuore.
*****
Quando si fu calmato, Nathaniel ci spiegò cos’era successo, la cosa turbò parecchio tutti noi. “Ciò vuol dire che non siamo al sicuro neppure se in gruppo.” Dissi scostando da un lato la folta frangetta per vederli meglio, li osservai per un po’ ma non dissi una parola e lasciai che i capelli ricadessero sul volto. “Dobbiamo trovare un modo per difenderci che non consista solo in incantesimi di protezione.” Disse Hanna che dal nervosismo aveva iniziato a giocare con un ramoscello riducendolo a un nodo di fili legnosi. “Non c’è modo…” Disse Nath ancora provato e di conseguenza pessimista. “Invece c’è: hai detto tu stesso che la pozione che ha fatto Brian li ha distrutti…. Ma allora perché gli incantesimi d’attacco no, eppure non riescono a perforare gli incantesimi come protego e sono vulnerabili alle magie che controllano gli elementi….” Mentre dicevo ciò camminavo avanti e indietro borbottando e gesticolando sotto lo sguardo interdetto dei miei compagni. “Probabilmente gli incantesimi fatti di pura energia magica non hanno effetto perché quelle creature si muovono grazie ai chip che ci ha fatto vedere Hanna e pertanto si nutrono di quella energia. Ma l’energia magica e quella elettrica sono differenti anche se di poco, pertanto quei chip devono essere alimentati da entrambe le energie. Per questo gli incantesimi come stupeficium non hanno effetto su di loro: la magia delle bacchette deve essere in parte la loro fonte energetica….” Continuai a camminare avanti e indietro ancora per un po’ e dopo che ebbi creato un leggero solco nel terreno fangoso ripresi a parlare. “Per le pozioni non esiste questo problema: sono reazioni chimiche in fondo, sebbene l’energia magica sia presente, tuttavia essendo di natura totalmente diversa i chip non devono essere in grado d’assorbirla…. Gli incantesimi che riguardano gli elementi invece… facile: ciò che colpisce i chip non è l’energia magica ma l’elemento in sé per sé... Inoltre chiunque abbia creato questi chip deve essere in grado di alimentarli con una enorme fonte magica…. Ma quale?....” Mi portai una mano al mento grattandolo pensieroso. “Un oggetto magico molto probabilmente…. Un talismano…? Una reliquia…? La pietra filosofale… no, è andata distrutta… ehm… una pozione… no, impossibile:” Dissi agitando le braccia per cancellare l’idea. “Non c’è modo di domare accuratamente la magia dentro i talismani… l’unica opzione è una…” Allora mi illuminai e ripensai al sogno di quella notte. “Una bacchetta!” Esclamai. “Deve essere una bacchetta! È per questo che gli incantesimi di pura magia non hanno effetto! È per questo che si bloccano agli incantesimo protego! Essenzialmente non possono scalfirli perché non sono solo controllati dalla magia, ma sono imbevuti di magia!” Mi sentivo entusiasta e soddisfatto e provai un forte moto d’orgoglio e sicurezza. “Ora capisco perché sei tu il Corvonero.” Disse Hanna che finalmente aveva smesso di giocare con il rametto e mi stava fissando incredula a bocca semiaperta. “Ma come ci proteggiamo allora?” Chiese lei ricordandomi il vero problema della questione guardandomi negli occhi con eloquenza. “Semplice! Dobbiamo combatterli come se fossero degli incantesimi: ovvero se ci attaccano difenderci e se si fermano attaccarli con incantesimi che non implicano un uso diretto della magia.” Spiegai ancora gasato dalla mia scoperta. “E come facciamo, genio? Siamo al secondo anno: non sappiamo maneggiare nessuno di questi incantesimi.” Mi ricordò Nath alzandosi. “Ehm….” Tentai di ribattere ma non risposi poiché sapevo che era vero: cosa usare per difenderci? “I nostri poteri…” Tutti ci voltammo increduli verso Elaine. “Io con il mio scudo posso difendermi abbastanza bene e riesco ad assorbire l’energia degli incantesimi, tu Arthur puoi usare i tuoi incantesimi da druido, essendo di natura magica diversa dovresti quanto meno riuscire a rallentarli o difenderti, Nath può utilizzare il suo vento che di sicuro riuscirebbe a disperdere i chip che comandano i fulmini per un po’…” Mentre diceva questo Elaine pareva assorta nei suoi pensieri, in un’altra dimensione. “E io?” Chiese Hanna con durezza guardando l’amica negli occhi. “Corri.” Rispose semplicemente Elaine. “Io non scappo! Io non li temo!” Urlò Hanna avvicinandosi ad Elaine in modalità furia rossa. Elaine alzò appena lo sguardo: era profondo e allo stesso tempo freddo. “Preferisco vederti scappare che morire Hanna, e tu stessa sai che ora come ora sei la più vulnerabile…” Disse Elaine con una logica tremenda ma vera: Hanna sarebbe stata un bersaglio facile per quelle creature. Mi aspettavo una sfuriata da parte di Hanna, ma non arrivò, rimase ferma immobile, intenta a fissare Elaine con odio. Mi voltai sollevato. –Ha preso la questione con maturità.- Pensai rilassato. “Expelliarmus!” Mi voltai con uno scatto giusto in tempo per vedere un getto verde colpire Elaine in pieno petto facendola sbattere contro un albero dove rimase stesa a terra con poco fiato. Guardai Hanna: i suoi occhi bruciavano d’ira e stava diventando più grossa, mentre i peli stavano avvolgendo il suo corpo rendendola qualcosa di terribilmente animalesco. Dopo essersi schioccata il collo con un suono agghiacciante Hanna puntò nuovamente la bacchetta verso Elaine. “Sei tu la debole!” Urlò Hanna con una voce che non riconobbi da quanto era roca e gracchiante. “Inpedimenta!” E al comando di Hanna delle funi magiche si alzarono e avvolsero il corpo di Elaine soffocandola. Io e Nath ci guardammo un secondo preoccupati e decidemmo d’agire. “Hanna adesso ba…” Tentò di bloccarla Nathaniel avvicinandosi, ma lei attaccò anche lui non appena compì un ulteriore passo nella sua direzione. “Expelliarmus!” Pronunciando questa formula Nathaniel venne scaraventato a terra dopo aver rotolato in aria per pochi attimi. Rimase immobile sul posto, reggendosi lo stomaco dolorante ed emettendo lamenti. Corsi verso di lui preoccupato. “Nath, Nath… come stai?” Domandai al ragazzo appoggiandogli una mano sulla fronte. “AH!” Si lamentò Nath appena lo sfiorai. Preoccupato controllai il suo stomaco, presentava una piccola bruciatura dovuta all’impatto con l’incantesimo ma non sembrava presentare altre lesioni. Guardai Hanna, ci stava osservando con uno sguardo vitreo che poi si trasformò in un sorriso sadico. Spaventato indietreggiai a carponi e Hanna si voltò soddisfatta e tornò a rivolgere le sue attenzioni verso Elaine. I draghi si erano accucciati in posizione d’attacco: il muso basso, le zampe anteriori flesse del tutto, mentre quelle posteriori solo in parte, la schiena ad arco, le ali appena spiegate, la coda frustava l’aria nervosa e del fumo usciva dalle narici, ma non si muovevano di un millimetro malgrado si notasse quanto desiderassero raggiungere la loro padrona. Cercai di capire cosa li bloccasse, poiché a me pareva evidente la superiorità di Itrandil ad Hanna, ma parevano terrorizzati da quest’ultima che aveva perso il senno. Guardai Elaine: stava soffocando sempre di più, e se non avessi fatto qualcosa l’avrebbe di sicuro uccisa. Guardai Itrandil supplicante, ma questa rimase indietro con una chiara ira negli occhi mentre proteggeva Godren con la zampa. Allora capii: Elaine aveva ordinato ad Itrandil di proteggere Godren. Feci un passo verso di lei. “Non ti avvicinare!” Urlò Hanna voltandosi e allora li vidi: i suoi occhi ambra stavano annegando nell’oblio della distruzione rinunciando alla sua natura umana e perdendo anche ciò che Hanna anche come orso amava. Potevo vedere il fuoco che stava lentamente bruciando l’anima e il senno della mia amica. “Hanna calmati…” Provai guardandola negli occhi ma questo la fece infuriare ancora di più e mi lanciò contro un incantesimo ma non mi sfiorò neppure: colpì il punto di fronte a me generando una leggera cortina di fumo. Alzai nuovamente lo sguardo, si stava trasformando: ma questa volta il pelo al posto del solito rossiccio era nero. “Ha… Han… na…” A chiamarla era stata la flebile voce di Elaine a cui oramai rimanevano pochi secondi prima di svenire. Hanna si voltò verso di lei e colsi un istante di lucidità, una flebile paura unito al senso di colpa, che venne però ricacciato e gli occhi tornarono oscuri. Disperato mi inginocchia e abbassai lo sguardo. -Questa non è Hanna e neppure Uther, l’orsa in cui si trasforma, ma qualcos’altro.- Pensai. Se volevo salvare Elaine v’era solo un modo. “Hanna Uther figlia degli orsi, ti prego di perdonare le parole di Elaine e di Nathaniel.” Sentii Elaine tirare un grosso respiro strozzato alla ricerca disperata d’ossigeno. “Hanna? Osi tu chiamarmi con quel nome insignificante?” Alzai lo sguardo incredulo: i suoi occhi erano neri come la pece e vi leggevo odio in loro. “Han…na” Ripeté Elaine con un soffio disperato. Hanna si voltò prima verso Elaine e poi verso di me furiosa, terrorizzato abbassai lo sguardo. Ci fu un lungo silenzio e poi sentii Elaine tossire secca e prendere profondi respiri faticosamente. Alzai lo sguardo: Elaine era libera, ma di Hanna nessuna traccia; era scappata, scomparsa.
******
Hanna correva, non sapeva neanche dove ma correva. -Cosa ho fatto? Cosa stavo facendo? Cosa mi è preso?- Pensava la ragazza mentre saltava e schivava agilmente gli ostacoli del sottobosco. Gambe aggiravano gli ostacoli con salti e schivate, andando così veloci che Hanna quasi non sentiva più il terreno sotto i piedi, il suo respiro era veloce ma non affannato, le braccia si muovevano avanti e indietro sempre più veloci al ritmo delle gambe. -Perché volevo Elaine morta? Va bene, mi sono offesa, ma perché ho reagito così? Questa non sono io, questa non posso essere io!- Mentre formulava questi pensieri Hanna scivolò su di una pozzanghera e cadde rovinosamente a terra. La ragazza si guardò attorno un secondo, non c’era nessuno. Allora abbassò lo sguardo ed urlò tutta la sua frustrazione, delle lacrime lottarono per uscire ma Hanna non si concesse il pianto. Rimase lì a terra per un tempo indeterminato, non pensava a nulla, voleva essere nulla e per qualche secondo trovò un po’ di tregua. Poi sentì un rametto spezzarsi, si voltò velocemente in quella direzione, si alzò con un unico movimento fluido e riprese a correre. –No, non mi posso avvicinare a loro. Mi odieranno, ne sono certa. Volevo uccidere Elaine… ma perché? Cosa mi è successo prima!?! Io voglio bene ad Elaine, certo mi sono arrabbiata ma… aveva anche ragione… Ah!!! Cosa mi è successo!?!?!- E mentre questi pensieri fluivano rapidi nella mente di Hanna si ritrovò fuori dalla foresta e inconsciamente si diresse verso la scuola. Le sue gambe veloci e forti battevano contro il terreno scosceso e bagnato del prato e in ogni passo Hanna lanciava tutta la sua forza, i polpacci e le caviglie le facevano male da quanta forza ci stava mettendo ma non aveva intenzione di rallentare o diminuire la forza. Così in breve tempo raggiunse i corridoi della scuola e si ritrovò a correre veloce come un lampo. Non si accorgeva di niente, non percepiva niente, tutto era offuscato dalle lacrime, che ancora lottavano ad uscire, dalla velocità e dai suoi pensieri che con rabbia la invadevano. Durante quella corsa si scontrò con un numero infinito di persone a cui neanche badò, né le furono d’intralcio o la fecero rallentare, buttava giù chiunque le si parasse davanti anche se molto più grossi di lei e nessuno riusciva bene a distinguerla poiché troppo veloce. Però d’un tratto si scontrò con un’ennesima persona, la scontrò in pieno petto e cadde in avanti con lui. Quando sbatté la faccia a terra il dolore le concesse quel minimo di lucidità e si accorse d’aver urtato Salomon, il suo coetaneo battitore. “Hanna, dannazione! Guarda dove vai!” La sgridò lui scacciandola di peso dal suo corpo. “Fottiti!” Urlò Hanna già intenta a rialzarsi. “Fottetevi tutti! Si fotta la scuola! La Gran Bretagna! L’Europa! Il Mondo! Dio e tutti i santi!” Sbraitò Hanna con tutta l’ira che la corrodeva, e avrebbe ripreso la sua folle corsa se Salomon non le avesse afferrato un braccio e bloccata. “Eh no! Ora tu ti scusi dannazione! Sarò anche un tuo coetaneo ma non mi parlare così per i tuoi complessi!” Urlò questi a tono guardandola dritta negli occhi. “Io parlo a te come mi pare e piace!” Rispose Hanna aggredendolo con il singolo suono della sua voce rispondendo con sfida allo sguardo. “Ah, davvero? Chi ti credi di essere Uther? Una regina?” A sentire quelle parole Hanna abbassò lo sguardo. –Già… chi sono io per comportarmi così?- “No.” Rispose la ragazza. “Una principessa?” “No.” “Una dea?” “No.” “Allora cosa ti dà il permesso di trattarmi così!?!” Alle urla di Sal Hanna abbassò ulteriormente lo sguardo, strinse i pugni così forte da rendere le nocche bianche e disse questo: “Sono un mostro! Ecco cosa mi dà il permesso!” L’urlo disperato e irato di Hanna generò silenzio totale attorno ai due giovani in quel corridoio vuoto, e dopo la sorpresa iniziale Sal allentò la presa al braccio fino a lasciarlo completamente. I due Grifondoro si scambiarono uno sguardo di sfuggita ma Hanna cedette piena di vergogna e abbassò il capo lasciando che venisse coperto dai suoi capelli. “Scusa…” Iniziò. “Non sono me stessa oggi…” Disse Hanna piena di vergogna verso se stessa poiché tutto quello che era successo in meno di venti minuti aveva distrutto ciò che era riuscita a costruire in un anno a causa sua. Quando aveva lanciato l’incantesimo non era più lei, ma un altro essere, un mostro assetato di sangue e cieco, era stata la voce di Elaine a salvarla –Una voce che non ci sarà più- Pensò Hanna conscia che non si meritava alcun perdono. Riassumendo un aspetto più dignitoso Hanna iniziò a riprendere lentamente la strada verso il dormitorio, poiché, benché fosse solo mattina inoltrata, si sentiva stanca e debole. “Vuoi una cioccorana?” Chiese di punto in bianco Sal porgendogliela. “Cosa?” Domandò la ragazza confusa. “Quando sono di cattivo umore mangiarne una mi tira su di morale. Avanti, prendila.” Insistette il ragazzo porgendole la confezione, Hanna prese con freddezza la cioccorana, aprì il pacchetto e ne uscì la rana che riuscì a sfuggire alle mani di Hanna ma lei l’afferrò un istante prima che toccasse terra senza neanche molto sforzo. “Però sei brava: io se non le afferro subito dopo non le prendo più e pensare che fanno appena tre salti decenti.” Disse il ragazzo dagli occhi marroni. Hanna staccò la testa della rana con un morso animalesco e soddisfatto, le cioccorane le erano sempre piaciute per quello: poter mangiare una creatura in un certo senso viva, doveva essere la sua parte predatrice a parlare per lei. “Ti piace?” Chiese il battitore alla battitrice, Hanna deglutì. “Sì…. Grazie” E così dicendo staccò con un singolo morso la zampa che ancora si contorceva con spasmi masticandola piano mentre la zampa palmata restava parzialmente fuori dalla bocca. “Figurati…” Sal tentò di trattenersi ma gli sfuggì una risatina. “Cosa c’è di divertente?” Domandò seccata Hanna. “No è che… fai ridere con quella zampa mezza dentro e mezza fuori, sembri un cane che si sta godendo la preda.” Affermò il ragazzo. –Non me ne stupirei.- Pensò Hanna troppo stanca anche per irritarsi. “Vuoi fare qualche tiro? Mi stavo giusto andando ad allenare in privato ma in due mi troverei meglio.” Le propose il ragazzo quando lei ebbe finito il dolce, Hanna ci pensò su un secondo: da una parte era tentata, ma dall’altra non ne voleva sapere. Poi però vide Nath, Arthur ed Elaine attraversare il corridoio senza vederla e i sensi di colpa tornarono invasivi. Così infine accennò un sì. Poiché adesso non avrebbe mai avuto la forza di affrontare i suoi amici.
*****
Rimasi ferma immobile sdraiata sull’erba per un tempo che mi parve infinito cercando di capire cosa fosse successo. La testa mi girava e mi sentivo il collo bruciare, le dita dei piedi erano intorpidite e scricchiavano al più piccolo movimento, mi sentivo la testa calda e arrossata, mi sembrava quasi di avere un incendio in fronte. “Elaine, Elaine… Elaine mi senti.” Strizzai un po’ gli occhi e riconobbi il volto di Arthur, era estremamente preoccupato e mi teneva una mano sulla fronte, era incredibilmente fresca. “A…” Provai a parlare ma l’interessato mi mise una mano sulle labbra con delicatezza. “Non ti sforzare. Ecco, bevi un po’ d’acqua.” Mi ordinò passandomi una bottiglietta che teneva nella borsa. A fatica mi sedetti e iniziai a sorseggiare a piccoli sorsi l’acqua, la gola mi bruciò terribilmente. Tuttavia a quel punto Arthur appoggiò delicatamente una mano sulla gola e sentii una strana energia fluirvi, come un tenero fuoco freddo che vi scivolava giù dandogli sollievo. “Bene, l’incantesimo ha funzionato. Ora resta qui seduta per un po’ e cerca di riprenderti, vado a vedere cos’ha Nathaniel, è dolorante.” Mi spiegò alzandosi lentamente. Però quando si voltò vedemmo Godren intento a strofinarsi contro il viso di Nathaniel risplendendo di una flebile luce. Dopo pochi istanti Nath si alzò con facilità e con un’espressione adirata in volto. “Io quella l’ammazzo!” Dichiarò lui alzandosi già intento a correre verso Hanna. Mi alzai troppo velocemente e malgrado rischiassi di sfracellarmi a terra ad ogni passo mi frapposi tra Nath e Hanna. “Spostati Elaine!” Urlò Nath furioso. “No…” Sussurrai rauca. “Ma hai visto come ti ha ridotta!?!” Urlò lui furioso, non lo ascoltai, mi chinai per raccogliere Godren da terra, e lasciai che la sua magia facesse effetto. Poi, con assoluta calma, risposi. “Quella non era Hanna.” Spiegai. “Ci credo! Era partita di zucca!” Disse Nath irritato ma io lo ignorai e continuai il mio discorso. “No, Nath, hai capito male: quando dico che lei non era Hanna intendo letteralmente questo. Quando mi ha attaccata non vedevo più la luce che hanno i suoi occhi ogni volta che si arrabbia, ma erano oscuri e hai visto il suo comportamento: sembrava quello di un’altra persona. La conosci quanto me: Hanna ha un carattere difficile, ma non ci farebbe mai del male.” La difesi. “E come fai a dirlo? Chi ci dice che Hanna non abbia perso il controllo della sua parte orso e non abbia dato di matto.” Continuò Nathaniel tentando di superarmi. “Non era neppure Uther!” Continuai bloccandolo. “Qualcosa aveva preso il controllo di Hanna, me l’hanno detto i draghi! Qualcuno ha sfruttato il carattere, o l’ira, o la paura di Hanna per controllarla.” Spiegai, sperando che Nath credesse alle mie parole. “Allora perché ne io, ne nessun’altro a parte i tuoi draghi se né accorto?” Domandò Nathaniel cercando ancora di superarmi. “Perché…” Spiegai mentre bloccavo ancora il ragazzo. “Non era una magia comune.” Spiegai fermandolo ancora una volta. “I draghi mi hanno detto che quella cosa è avvenuta perché senza volerlo ho colpito un tasto molto più delicato di quel che pensavo per Hanna, così qualcosa ha percepito questa sua debolezza ed è entrata in lei. Mi devi credere Nath!” Urlai speranzosa. Nathaniel si voltò verso Itrandil e la draghessa intuendo la domanda chinò il capo in maniera affermativa. Nath mi guardò pieno d’apprensione. “Scusa, non immaginavo…” “Neanche io, ma ora dobbiamo pensare a trovare Hanna. Così fragile rischia di essere posseduta, o quel che è, un’altra volta.” Spiegai voltandomi verso Arthur che pareva perso nel nulla. “Arthur…” Lo chiamai, ma non mi rispose. Sgranai gli occhi preoccupata e a grandi passi mi diressi verso di lui, gli afferrai le spalle e lo chiamai un’altra volta. “Arthur!!!
Note dell’autrice:
E rieccomi qua! Per chi lo avesse già letto rinnovo le mie scuse è che l’ho pubblicato la mattina presto e mi sono confusa, sono davvero una stupida. Scusatemi ancora. Detto ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto.
A presto, Bibliotecaria

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Capitolo 9
*** Cap. 8 Un erede ***


Cap. 8 Un erede

“Non era una magia comune.” La spiegazione di Elaine mi fece venire un dubbio che andava risolto al più presto. Preoccupato mi concentrai e percepii qualcosa di terribilmente familiare: come un ricordo velenoso. Mi concentrai più a fondo, c’era qualcosa: una traccia magica. La seguii quasi istintivamente, non sapevo neanche esattamente cosa stavo facendo, sapevo solo che quando raggiunsi quel luogo percepii una voce. –Trovato!- Esclamò questa. Subito mi sentii invadere la mente dall’oscurità, e una nebbia avvolse la mia vista. Mi sentivo strano, vuoto. Poi una voce mi riportò alla vita. “Arthur!!!” Mi ripresi subito. “Hai ragione Elaine. Ora anche io sento quella magia. Dobbiamo trovare Hanna, e subito!” Aggiunsi preoccupato.

Cercammo Hanna in lungo e in largo per tutta la scuola, non lasciammo inesplorato un solo luogo, dalla torre di astronomia, fino ai sotterranei. E ad ogni minuto che trascorreva mi sentivo sempre più in ansia per lei. La cercammo tutto il resto della mattina, fino a ché, a pranzo, non la vidimo tornare assieme ad un altro ragazzo Grifondoro, Salomon, con cui stava amichevolmente chiacchierando. In quel momento desiderai ucciderla e allo stesso tempo benedire il dio e la dea per averla protetta. Tutti e tre ci fiondammo da Hanna come delle molle, Nathaniel la prese per il colletto e la trascinò in un punto in cui avremmo potuto parlare isolati. “Hanna… Cazzo!” Esclamò Nath a metà tra il furioso e il contento. “Lasciatemi andare!” Ordinò lei liberandosi dalla presa di Nath con un solo movimento. “Hanna, aspetta!” Cercò di bloccarla Elaine, ma Hanna continuò a camminare. “Non è stata colpa tua, qualcuno ti stava controllando.” Cercò di spiegare. “Sospetto che sia lo stesso che sta dietro ai chip.” Spiegò Elaine. “Non mi importa più!” Urlò Hanna scostando Elaine con rudezza facendola cadere a terra. “Io ho chiuso con voi tre! Non siamo più amici! Cercatevi qualcun altro.” Decretò lei andandosene. “Hanna…” Sussurrai incredulo. “Hanna… ma che cazzo dici…” Un pugno allo stomaco colpì Nathaniel zittendolo. “Vattene Nath. D’ora in poi non mi rivolgete mai più la parola.” Decretò Hanna andandosene. Quando Hanna se ne fu andata l’unico rumore che sentimmo furono le lacrime di Elaine. Si stava stringendo le braccia abbracciandosi, singhiozzando senza ritegno o vergogna, le lacrime solcavano il suo bel viso sfregiandolo di un dolore che avrei preferito non vedere mai negli occhi della mia amica e in quel momento desiderai che non fosse Elaine a soffrire poiché né io né Nath sapevamo come consolarla, poiché lo stesso vuoto ci stava attanagliando l’animo.

***

Hanna camminò a grandi passi fino all’entrata. “Hanna che è successo?” Mi domandò Sal. “Niente.” Rispose secca. –Scusatemi ragazzi, ma se anche fosse vero quello che mi avete detto, non potrei più stare con voi, perché sarei comunque troppo pericolosa.- Con questo pensiero Hanna entrò nella sala comune e affogò i suoi sentimenti nel piatto. Non incrociò lo sguardo con Elaine ne con gli altri per tutto il pranzo e attese che esso finisse per liberarsi di quella tortura. “Hanna, sei sicura che…” Iniziò Sal ma venne subito interrotto. “Non ne voglio parlare. Io con loro ho chiuso.” Affermò la ragazza; avevo uno sguardo irritato e arrabbiato, ma a Salomon non sfuggì il modo in cui stava stringendo la gonna e percepì che qualcosa non quadrava: quel gruppo era sempre stato inseparabile durante quell’anno e Brian gli aveva detto quanto ci tenessero a stare uniti. Qualcosa non quadrava e lo si poteva vedere chiaramente. “Avete litigato?” Domandò Sal, Hanna all’inizio gli lanciò uno sguardo di astio poi però, a sguardo basso, sussurrò la risposta. “Peggio: li ho feriti.” Disse lei iniziando a giocare con il cibo. Sal guardò Hanna ed improvvisamente si sentì in dovere di aiutarla, così le diede un pugnetto amichevole sulla spalla. “Dai, non sarà così grave. Nel peggiore dei casi avrai solo me come amico.” Hanna lo guardò sorpresa: Sal gli era stato simpatico quasi fin da subito ma da qui a vederlo come amico gli pareva quasi un tradimento nei confronti dei suoi amici. Però si rese conto di quanto avesse fatto per lei in quel breve tempo. “Sì… hai ragione.” Affermò la ragazza sorridendogli appena. “Eccolo, un sorriso! Sai, si è molto più belli con un sorriso.” Affermò questi rivolgendogliene uno, ma Hanna pensò che sembrasse solo più sciocco tuttavia se ne stette zitta sogghignante.

Per tre lunghi giorni Hanna non osò avvicinarsi ai suoi amici, soprattutto a Elaine: dopo quello che gli aveva fatto non si meritava neanche un minimo di perdono, eppure gli occhi della compagna cercavano i suoi ogni volta, senza il minimo rimprovero, solo un dolce e triste richiamo. Hanna non era così sciocca da non capire che Elaine stava soffrendo terribilmente ma non poteva restarle accanto, poiché se una volta quella persona aveva preso il controllo di lei niente le impediva di farlo una seconda volta. Oltretutto si tenne ben lontana dalla foresta, sicura che i draghi, soprattutto Itrandil, desiderassero la sua testa dopo quello che aveva fatto. Hanna non aveva la forza di pensare cosa sarebbe successo se Elaine non l’avesse richiamata al mondo reale, quel pensiero la perseguitava e agghiacciava ogni volta che era sola e pensava. Così, per evitare di pensare, aveva passato tutto il tempo con Sal che si era rivelato una persona piacevole anche se un po’ troppo scherzosa in certi momenti e con una certa tendenza a deriderla per certi suoi atteggiamenti da maschiaccio.

“Hanna, ma come ti sei conciata?” Domandò Sal vedendola vestita con una tuta blu scuro così ampia che lasciava una certa distanza tra la pelle e la stoffa, ed era chiaramente da uomo. “Che c’è, devo sudare, una tuta vale l’altra.” Commentò lei continuando ad allungarsi. “Sì, ma sei ridicola così. Nemmeno io mi concerei in questo modo.” Disse Salomon compiendo un piegamento. –Ci credo, visto come ti sei conciato.- Pensò Hanna. Quando aveva proposto a Sal di aiutarla con l’allenamento Hanna gli aveva spiegato di indossare una tuta sacrificabile, e Sal era venuto con una bella maglietta grigia attillata che metteva in rilievo gli ancora piccoli, ma sempre sviluppati muscoli, dei pantaloni neri che cadevano quasi perfettamente sul suo corpo e delle scarpe da ginnastica quasi nuove. Le veniva da pensare a come si vestisse Nath per gli allenamenti: veniva con una maglia così piccola e malconcia, forse un tempo bianca, e dei pantaloni che sarebbero andati bene se fosse stato alto dieci centimetri in più e grasso altrettanti. Hanna scacciò via il pensiero e si mise in posizione. “Pronto?” Domandò Hanna. Sal accennò un sì. “Via!!!” Urlò Hanna caricando.

Sal cadde a terra per l’ennesima volta: Hanna gli stava stringendo il collo e il braccio sinistro a tenaglia con le gambe, e con le mani teneva il braccio sinistro in tensione così da attuargli contemporaneamente una leva e uno strangolamento. “Ti arrendi?” Domandò Hanna divertita. Sal ci aveva provato e si era dimostrato quasi pari a lei in forza, ma gli mancava del tutto la tecnica, così batterlo era stato fin troppo semplice per Hanna. Sal batté con il piede un paio di volte e allora Hanna mollò la presa lasciando il ragazzo riprendersi dallo strangolamento. “Ma chi era il folle con cui ti allenavi prima?” Domandò Sal massaggiandosi il collo. “Con… il Serpeverde.” Spiegò Hanna amara. “Mamma mia… ma i professori non ti dicono niente?” Domandò il ragazzo. “Non mi hanno mai scoperta fino ad ora per cui…” “Occhio non vede, cuore non duole, giusto?” Completò Salomon per lei. “Giusto. E sai Sal…” Iniziò Hanna. “Se non mi sopporti basta che lo dici e me ne vado.” Dichiarò Hanna. “No Hanna, non mi dai fastidio, anzi, per non so quale stramaledetto motivo mi sento dannatamente a mio agio con te.” La cosa da parte di Hanna era reciproca ma non lo avrebbe mai ammesso. Si limitò a dargli un ultimo cazzotto sulla spalla per poi tornare verso la scuola.

In quei giorni Hanna riuscì a capire cosa provasse Nath a stare con Brian: era come se si nutrisse della compagnia di quella persona, in qualche modo erano in perfetta sintonia e legati in maniera strana da una estrema e assurda fiducia. Furono tre giorni utopici dove la vita sembrava essere tornata nomale: niente più draghi, niente più druidi, niente più venti strani, neanche i chip avevano dato segni di vita e non aveva neanche più sentito il bisogno di trasformarsi. Però dopo un allenamento di Quidditch al fine del terzo giorno Hanna si trovò di fronte un Nathaniel decisamente incazzato chiaramente intento ad aspettarla. La Grifondoro era sola in quel momento e sapeva che non poteva nascondersi in eterno. “Ciao Hanna.” La salutò freddo il Serpeverde. “Nath.” Rispose lei. Si scambiarono uno sguardo e tutti e due iniziarono di già a combattersi. “Mi dici che cazzo stai facendo?” Iniziò il Serpeverde trattenendo i toni ma non il linguaggio. “Secondo te? Sto tagliando i ponti!” Urlò la ragazza avvicinandosi a lui guardandolo dal basso all’alto. “Tu non lo farai.” Rispose con rabbia controllata Nath. “Oh, sì che lo farò, perché sono libera di farlo!” Lo minacciò Hanna. “E sai una cosa? Sto incredibilmente bene senza di voi: niente problemi, niente perdite di controllo, niente trasformazioni, solo io, la scuola, i miei fratelli, i miei genitori e Sal!” Disse Hanna sottolineando il nome di Salomon. “Fammi indovinare? Ti sei innamorata di lui?” Disse Nathaniel sbeffeggiandola. La ragazza si infiammò. “Non lo amo, solo mi trovo bene con lui: mi sento normale finalmente, e compresa più di quanto possa immaginare e sicura!” Hanna, così dicendo, si diresse verso il suo dormitorio ma non riuscì a fare tre passi che Nath la bloccò prendendola per un braccio. “Elaine ti perdona e ti prega di tornare. Arthur dice che non è niente, che è solo colpa di quell’individuo se hai fatto quello che hai fatto.” Disse Nath a nome dei suoi amici stringendo forte il braccio della compagna. “E tu cos’hai da dire?” Chiese Hanna in tono di sfida. “Anche tu fingerai che non è niente di grave, che è un caso isolato, che è dovuto alla mia inesperienza e debolezza?” Disse Hanna già pronta ad un discorso sdolcinato. “Io…” Iniziò Nath. “non ti perdono.” Così dicendo sferrò un pugno alla compagna la quale, però, lo schivò facilmente. Hanna colpì al polso Nathaniel e con uno scatto delle spalle si liberò dalla presa salda di quest’ultimo e fece un passo indietro, voltandosi e mettendosi in posizione di difesa, Nath fece lo stesso; si studiarono un secondo per poi partire all’attacco. Nath cercò di dare un calcio laterale da sinistra ma Hanna lo bloccò senza difficoltà con il braccio destro e spazzò il piede di Nath con il suo, facendolo cadere a terra lateralmente, poi gli afferrò il braccio, appoggiò un ginocchio su una scapola e gli fece una leva facendolo urlare di dolore l’amico. “Hanna!” Urlò il ragazzo e solo allora lei si bloccò e si scostò da lui come una molla. “Visto! Sono un pericolo!” Disse continuando per la sua strada. “Non riesco a controllarmi neppure quando sono me stessa.” Affermò lei iniziando ad allontanarsi. “Non ti perdonerò mai Hanna! Non per ciò che hai fatto a me, a Arthur o a Elaine!” Hanna si sentì pugnalata: lei invece voleva che la disprezzassero e la cacciassero lontana come si meritava, sapeva di aver sbagliato e sapeva che si meritava il loro odio, allora perché nessuno glielo urlava in faccia? “Ti odierò perché così facendo disprezzi te stessa: sei diventata pericolosa per proteggerci, giusto? Allora fallo: sarai una stupida cocciuta, ma senza di te non avremmo trovato il nido l’anno scorso, ne Elaine si sarebbe legata al drago d’oro. Hanna, tu ci servi! Pregi e difetti! Per questo io ti odio: perché odi te stessa!” Disse Nath alzandosi a fatica reggendosi la spalla dolorante. “Però per quanto ti odi non posso negare che ci manchi Hanna, mi manchi: abbiamo bisogno di te.” A quelle parole Hanna si voltò sconcertata. “Ma non capite che sono un pericolo pubblico! Non posso proteggervi da me stessa!” Urlò la giovane disperata. “No Hanna, devi solo imparare a convivere con la tua parte orso. Forse ti ci vorranno anni ma non ci importa purché tu torni con noi…. Ti prego….” “ E se quella persona prendesse di nuovo il controllo su di me? Ci hai pensato?” Domandò la ragazza. “Sì, e la chiave è quella che ti ho detto: devi imparare a convivere con la tua forza e la tua rabbia, vedrai che le cose si sistemeranno.” I due rimasero in silenzio scambiandosi uno sguardo in cui espressero tutto ciò che avevano da dirsi. A rompere quel sacro silenzio fu il Serpeverde. “Persino Ehogan ha chiesto di te e si rifiuta di dirci cosa sia l’erede di Merlino se tu non ci sei.” Disse Nath sorridendo leggermente, cosa che venne imitata da Hanna. “Mi prometti che se succedesse di nuovo una cosa simile mi fermerai con ogni mezzo, anche se rischiassi di uccidermi?” Chiese la ragazza guardando Nathaniel dritta negli occhi autoritaria ma questi distolse lo sguardo. “Promettilo Nathaniel Galleric…” Il ragazzo non rispose. “Promettilo!” Ripeté la ragazza con forza. Allora Nath incrociò gli occhi di Hanna coi suoi marroni. “Lo prometto!” Nella sua voce non v’era esitazione e non lasciava spazio a dubbi. “Hanna...” La ragazza si voltò verso il suo interlocutore: era Sal. “Sì?” Chiese la ragazza. “Niente… va pure da loro, ci vediamo più tardi.” Disse il ragazzo salutandola con la mano. “Ciao Sal.” Disse la ragazza avvicinandosi a Nath, contenta che avesse capito, e aiutò il Serpeverde a sorreggersi. “Scusa…” Sussurrò la giovane a capo chino. “Fa niente, ne ho ricevute di peggiori. Ma ora andiamo, Arthur si starà rodendo lo stomaco. Se lo avessi visto quando Ehogan gli ha detto che non avrebbe parlato senza di te: cielo, era buffissimo.” Confessò divertito il ragazzo con un sorrisetto malevolo. I due ragazzi allora si avviarono verso la foresta. Durante il tragitto Nath raccontò a Hanna ciò che aveva rivelato a loro Arthur su Samhain e la ragazza ne rimase confusa ma non insistette nel fare domande.

Fecero la strada in silenzio poiché si erano detti tutto prima, tuttavia la richiesta dell’amica stava tormentando Nathaniel: se sarebbe di nuovo impazzita avrebbe dovuto fermarla anche rischiando di ucciderla. Nathaniel sapeva che tra loro lui era l’unico che avrebbe svolto quel compito anche se gravoso, però il ragazzo pregò che non arrivasse mai quel giorno poiché sapeva che se fosse successo non si sarebbe mai perdonato.

Arrivati alla radura Hanna vide i suoi due amici seduti sulle radici d’un albero accanto a Ehogan. Gli occhi ambra della Grifondoro caddero su quelli foresta della Tassorosso. Il suo sguardo era serio e penetrante ma non mostrava nessuna emozione in particolare, Hanna abbassò lo sguardo incapace di esprimere a parole il suo senso di colpa. Fu allora che Elaine si alzò si diresse dall’amica, Godren e Itrandil le venivano dietro minacciosi, ma Elaine li ignorava e continuava a camminare verso di lei. Arrivata di fronte a Hanna la ragazza attese fino a quando l’amica non sollevò lo sguardo timidamente e a quel punto l’attirò a sé e l’abbracciò con quel tenero calore che caratterizzavano gli abbracci di Elaine. “Non fare mai più una cosa simile…” Gli sussurrò la ragazza abbracciandola con maggior forza. “Ti voglio bene Hanna, e te ne vorrò sempre.” Hanna affondò il suo volto nel petto di Elaine. “Anch’io te ne voglio…” Rispose la ragazza con vergogna. “Ed è per questo che ti prego… dammi un pugno.” La supplicò Hanna stringendo le sue mani alle spalle dell’interessata e guardandola in viso. “No, Hanna: se lo facessi sbaglierei più di te.” Disse Elaine separandosi dolcemente. “È bello riaverti tra noi.” Aggiunse e le sue labbra si schiusero in un magnifico sorriso. Hanna gli rispose e pensò: -Sei troppo buona, stupida saggia.-

*****

Quando Hanna mi si avvicinò timidamente, aspettai che fosse sopra di me prima di alzarmi lentamente, allora le diedi una sberla che le fece voltare lasciandole un livido rosso sulla guancia. “Non fare mai più una cosa del genere!” In quelle parole vi sputai tutto il rancore accumulato in quei giorni che mi aveva roso più del acido. Il contatto con la sua pelle sebbene breve e non particolarmente forte aveva fatto voltare il viso di Hanna dall’altro lato e quando si voltò aveva gli occhi nascosti dai capelli e il capo chino umiliata, mi intenerii e i sensi di colpa mi investirono. -Cosa sto facendo?- Pensai stupendomi di me stesso, eppure quando alzò lo sguardo mi sorrise vagamente appagata, come se desiderasse quella punizione. Dopo essermi ripreso dalla sorpresa mi sciolsi in un sorriso. “Mi sei mancata.” Dissi allora accarezzandole la guancia lesa, i nostri occhi si incrociarono e ci lanciammo delle silenziose scuse e perdoni.

Ad interrompere quel momento d’intimità però fu un debole tossicchiare da parte di Ehogan. “Sono contento che vi siate riconciliati, ma ora credo di dovervi delle spiegazioni su ciò che ti ho detto la scorsa notte Arthur.” Spiegò il vecchio avvicinandosi a me. “Perché hai richiesto la presenza di Hanna?” Domandai serio ma lui non rispose, anzi cambiò totalmente argomento. “Arthur, tu conosci la storia di Merlino, vero?” Chiese il druido serio. “No, sono un totale ignorante… Certo che la conosco Ehogan! Chi non conosce la leggenda di re Arthur e dei cavalieri della tavola rotonda, di Ginevra, di Merlino e Morgana!” Commentai nervoso, ma il druido rimase indifferente alla mia scena e sospirò riprendendo il discorso. “Ebbene… molti non sanno che Merlino era solo il titolo che veniva dato ai sommi druidi di Avalon, per questo v’è sempre stato un Merlino fin dai tempi antichi. Questi druidi erano caratterizzati da una forza magica, un’attitudine ad essa, una saggezza, una intelligenza e una spiritualità superiore a qualsiasi altro druido. La sua forza era pari solo a quella della Dama del lago, titolo conferito alla somma sacerdotessa di Avalon. Sta di fatto che l’ultimo Merlino è quello che tu conosci, quello che guidò re Artù nel suo viaggio, combatté per Camelot e un’unione tra la magia romana, ovvero quella che voi usate, e quella celtica, ergo quella che ti sto insegnando Arthur. L’ultimo Merlino non scelse mai un erede, né addestrò mai un druido.” Allora Ehogan fece una pausa come se quello che stesse per dire fosse fatto di piombo. “Merlino non scelse nessuno perché il suo erede non era ancora nato, infatti, come tutti i Merlino precedenti a lui, aveva previsto la nascita del suo erede. Questi però sarebbe nato secoli dopo la sua morte. Quindi, per evitare di spezzare in eterno il potere dei druidi, decise di utilizzare il potere più grande che la sua posizione gli concedeva: viaggiare nel tempo. Cercò in svariate epoche, ovunque la storia fosse prossima ad una svolta importante, poiché quello era il suo unico indizio. Cercò per anni senza risultati, ma ora finalmente l’ha trovato: il suo erede, colui che è destinato a riaprire le porte di Avalon, di trovare un nuovo Artù, che costruirà una nuova Camelot e che guiderà il mondo verso una nuova epoca che potrebbe essere oscura o luminosa. Poiché da anni il mondo è entrato in definitiva in una nuova epoca, un’epoca in cui il mondo magico e non magico subiranno un profondo mutamento.” Iniziai ad avere paura -Ehogan cosa succede? Non dirmi che…!- “Arthur… io sono il precedente Merlino e tu sei il mio erede.” All’improvviso sentii tutto il peso della gravità e mi sedetti privo di forza. “Ti ho cercato in ogni secolo e in fine ti ho trovato, così lontano dal mio tempo e così vicino al luogo in cui ho vissuto i miei anni più duri. Arthur so che è molto quello che ti sto dicendo, ma fidati: ho provato ad addestrare tre ragazzi prima di te che avevano delle vaghe capacità di druidi e tu sei l’unico che può essere l’erede. Arthur, tu sei il futuro Merlino.” Concluse Ehogan solenne, rimasi zittito non sapevo che dire. Mi sentivo spaesato, confuso e incerto. –Io il futuro Merlino, Ehogan è Merlino, non può essere possibile, non può essere vero.- Pensai. “COOOOOOSA!!!????!!!!” Urlò Hanna incredula al posto mio. “ARTHUR, IL NOSTRO ARTHUR, È IL FUTURO MERLINO? IL SOMMO DRUIDO? E TU SEI IL MERLINO DELLE LEGGENDE?.... E CE LO DICI SOLO ADESSO!!!!” La mia amica aveva urlato talmente forte da far alzare tutti gli uccelli che non erano migrati a sud e fatto scappare molti animali nel raggio di un miglio. “Calmati, figlia degli orsi. Se ho nascosto tutto ciò, compresa la mia identità, è perché non ero sicuro che il tuo amico fosse il mio erede.” Dichiarò il vecchio con estrema calma. “Questo vuol dire che Arthur è una specie di prescelto o che so io?” Chiese Nath sconvolto a tal punto che non soffiava un filo di vento. “In un certo senso sì, giovane Galleric, come lo ero io e come lo era il mio maestro e così il suo maestro.” Spiegò tranquillo il druido sedendosi su una pietra elegantemente. “Non ci credo…” Sussurrò Nath. “Cioè, Arthur diventerà il mago più potente della nostra epoca!” Esclamò Nathaniel facendomi improvvisamente sentire peggio di prima. “Non esattamente.” Intervenne il vecchio. Lo guardai senza comprendere. “Diventerà, sicuramente, il druido più potente della vostra generazione, non so dirvi se diventerà anche un potente stregone.” Affermò questi con estrema placidità. “Però da come si applica non credo che sarà un mago debole.” -Ehogan mi ha fatto complimento!- Guardai il druido stravolto, non era molto propenso ai complimenti tanto meno se si riferivano alle altre mie materie di studio però questa volta me lo aveva fatto. Ehogan si accorse che lo stavo guardando e mi fece un piccolo cenno d’empatia. “Aspetta un secondo ma com’è possibile che tu sia qui? L’unica magia che permette di viaggiare nel tempo è la giratempo e permette solo di andare nel passato, chi ci dice che tu sia quel Merlino?” Chiese Elaine sospettosa esprimendo anche un mio dubbio. “La magia druida ha molti misteri ragazzina, uno di questi è il viaggio nel tempo, il più potente incantesimo nelle mani d’un solo druido. Usandolo sono andato contro i miei doveri come protettore del segreto, ma non avevo altra scelta.” Spiegò il vecchio. “Provaci che vieni dal passato!” Lo sfidò Nathaniel. “Molto bene.” Sussurrò il vecchio. Questi rivelò nel sotto coscia un vecchio bubbone nero. “Sono stato malato di peste anni fa. Sono sopravvissuto solo perché ne avevo preso una forma debole e sono stato graziato dal dio.” Disse riabbassando la tunica sulle sue scheletriche gambe. “Non è abbastanza.” Insistette il Serpeverde sospettoso. Allora il druido tirò fuori un libro nuovo in pelle riccamente decorato. Lo aprì: era una bibbia scritta a mano. Aveva un ché di famigliare. “Appartiene alla chiesa di Londra. Guardate la calligrafia, la forma e l’uso del latino, le miniature, il lavoro amanuense, la carta di pelle, la copertina, i materiali per scrivere, credete che sarei stato in grado di riprodurre una bibbia in soli tre giorni tenendo conto che non so scrivere nulla.” Mi voltai verso il vecchio e mi avvicinai, studiai il manoscritto, era realistico. “Parlami di Camelot.” Gli ordinai e i suoi occhi si illuminarono di commozione. “Oh, è la città più incredibile e civile che io abbia mai avuto l’onore di conoscere. La legge è giusta, Artù è il miglior re che si potesse desiderare, i cristiani ci lasciano in pace, l’unico problema è che…” Lì i suoi occhi si incupirono. “Le malelingue vi sono sempre.” Disse sbrigativo, ma chiaramente pieno di vergogna. “Ehogan chi era?” Chiesi ancora guardandolo negli occhi. “Era il nome che usavo prima d’essere nominato Merlino. E un giorno anche tu potrai usare questo titolo al posto mio.” Mi confessò con dolcezza. “E se io non volessi?” Domandai autoritario alzandomi. In un istante il mondo parve cadere addosso a Ehogan: potevo vedere nei suoi occhi grigi la disperazione di chi vedeva andare in fumo tutto quello per cui aveva dedicato la vita, gli occhi si sgranarono e vennero illuminati dalla paura e dalla rabbia e quando si richiusero delle lacrime si formarono tra le palpebre come diamanti. Provai pena per lui. “Se non… se non vuoi… io non posso obbligarti ma sappi che… che… io sarò sempre pronto a…” Ehogan stava per piangere, non sopportai l’idea di vederlo in quello stato, così compii tre lunghi passi e lo abbracciai. “Ehogan, stavo mentendo: io voglio continuare le lezioni con te, ma non potevo farlo se mi stavi mentendo.” Rivelai. Il vecchio mi accarezzò il capo. “Vedo che le mie lezioni iniziano a dare i loro frutti, erede di Merlino.” Mi disse il druido accarezzandomi dolcemente i capelli. –Erede di Merlino… mi piace, ha un bel suono- Pensai mentre mi separavo da lui. Avevo potuto sentire a pieno l’amore che Ehogan aveva messo in quell’abbraccio, un amore caldo e freddo, avvolgente ma non invadente. “Quindi tu sei Merlino e io Arthur il tuo erede… forte!” Esclamai sorridendo e il vecchio rispose con un cenno del capo e un mezzo sorriso. “Ma il giorno in cui prenderai il mio posto è ancora lontano da oggi. Per il momento direi di continuare le lezioni.” Disse lui tirando fuori da una borsa a tracolla delle erbe fresche e un familiare coltello argenteo con la lama a forma di mezza luna. “È proprio necessario?” Chiesi annoiato all’idea di studiare erbologia. “Sì! E se non vi dispiace ragazzi queste lezioni…” Iniziò Ehogan pacato. “Lo sappiamo: sono proibite a chi non è druido eccetera eccetera.” Disse Nath già intento ad allontanandosi portandosi a presso le ragazze da me. Quando il druido fu sicuro che non ci potessero sentire mi afferrò la spalla e mi guardò dritto negli occhi. “Allora, cosa hai visto a Samhain?” Domandò curioso e preoccupato. “Ehm… io non so… ricordo qualcosa in cui centrava Elaine, una bacchetta dentro ad un cerchio e del rosso ma soprattutto tanto buio.” Spiegai, in quei tre giorni avevo obliato la visione sebbene avessi tentato di preservarla il più a lungo possibile. Ma questa se ne era andata senza che io potessi fare nulla. “D’accordo ho capito, scusa, avrei dovuto chiederti subito cosa avevi visto, il fatto che ero troppo emozionato. Sai, alla mia età non si spera più in certe cose.” Affermò lui accarezzandomi amorevolmente la fronte. “Sai Ehogan, tu sei molto più vicino ad un padre di quanto lo sia il mio.” Confessai, non so perché lo dissi, ma Ehogan divenne furioso. “Arthur!” Iniziò con tono grave e di rimprovero. “Non parlare di tuo padre in quel modo. Per quanto tu possa essere in disaccordo con lui devi portargli rispetto ed essergli devoto. Ricordati poi che un giorno spetterà a te seppellirlo per tanto, comunque vadano le cose, un giorno non avrai più occasione per scusarti con lui. Quindi ti conviene donargli più affetto.” Mi rimproverò il druido. “Anche se fosse, lui mi odierebbe ancora.” Affermai. “Forse, ma io credo che farebbe più fatica ad odiarti.” Mi spiegò lui.

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Capitolo 10
*** Cap. 9 Aria di paura ***


Cap. 9 Aria di paura

 

Quel giorno pioveva a catinelle, l’acqua non ne voleva sapere di fermarsi o di diminuire, e come se non bastasse in lontananza c’erano dei tuoni e fulmini, il vento era così forte che le chiome degli alberi si agitavano producendo un cupo sibilo e un incessante frusciare. Tuttavia la partita di Quidditch tra Grifondoro e Serpeverde non sarebbe stata rimandata, come aveva detto il professor Gregori, per due gocce. -Peccato che per lui due gocce fossero il diluvio universale.- Pensò Hanna mentre si stava raccogliendo quella massa informe dei suoi capelli in una coda perché non le finissero negli occhi e non si annodassero più di quanto non lo fossero già; aggiunse il berrettino in cuoio con gli occhiali da aviatore ed era pronta. Genny, la caposquadra, le diede una pacca sulla spalla per incoraggiarla. “Mi raccomando Hanna: picchia duro su tutti i Serpeverde, soprattutto sul portiere e sul cercatore, se perdono quelli sono fritti.” Disse la ragazza. “Sì, Genny.” Rispose la ragazza convinta. “Ah! E non ti azzardare ad andarci delicata con Galleric. So che siete amici, ma durante le partite fingi che sia un coglione che ti importuna.” Le consigliò la più grande. “Non preoccuparti Genny, io e Nath adoriamo picchiarci.” Disse Hanna afferrando la sua mazza e battendola delicatamente sul palmo libero con aria divertita.  La capitana guardò perplessa la più giovane ma fece finta di niente ed entrò nello spogliatoio maschile dove risiedeva il resto della squadra. “Allora ragazzi!” Urlò la ragazza spalancando la porta. “Genny! Cazzo! Non siamo ancora pronti!” Urlò Mick, il portiere della squadra, coperto solo da un asciugamano. “Genny, esci subito di qui!” Tuonò Harold a petto nudo. “Ah, santo cielo! E meno male che sono le donne quelle lente!” Esclamò il capitano richiudendo la porta con un mezzo sorriso sadico sulle labbra. Hanna lanciò un’occhiataccia al capitano. “Che c’è?” Chiese lei indifferente. –Guarda mio fratello in quel modo un’altra volta e ti strappo gli occhi.- Pensò la giovane mentre stringeva con più forza la mazza.

*****

“Ragazze…. Ragazze!... Dobbiamo rivedere la strategia. Ragazze!!... Ragazze!!!” Jack oramai stava bussando a quello spogliatoio da dieci minuti e iniziava davvero a essere esasperato assieme al resto del gruppo. Allora alzò gli occhi al cielo e disse. “Va bene! Se non siete pronte entro i prossimi dieci secondi io entro! Dieci.” Le minacciò mettendo la mano sulla porta. “Cosa, no!” Urlarono le ragazze all’unisono ma Jack aveva già iniziato il conto alla rovescia. “Sette!” Continuò il giovane indifferente. “Questo è ingiusto!” Urlò Sahara. “Sei!” “Sei uno stronzo Jack!” “Cinque!” “No!” “Quattro!....Tre!.... Due!” “Jack non entrare!” “Uno!” “Sei uno stronzo!” Mentre Delfina diceva questo Jack aprì la porta. “Zero!” Tutti loro si trovarono davanti due bellissime ragazze del sesto e quinto anno intente a mettersi su la maglia. “Ah!!! Maniaci!” Urlò Sahara mentre Delfina lanciava loro contro una scarpa non colpendo per un soffio Jack ma che prese in pieno Eric che si dovette massaggiare il naso un paio di volte. Le ragazze si misero su la maglia velocemente e si raccolsero i capelli mentre Jack, con fin troppa indifferenza, rispiegava la strategia mentre i più giovani fissavano le ragazze con fin troppo interesse.

*****

Hanna oramai si stava divorando lo stomaco da quanto era nervosa, ma non si lasciò intimidire di fronte allo stadio, anzi tutta quella adrenalina la caricò come se si stesse nutrendo d’energia. Montò sulla scopa e, già zuppa come un pulcino, si librò in aria. Il boccino venne rilasciato per primo sotto lo sguardo attento dei due cercatori che però lo persero di vista subito dopo, poi i due bolidi schizzarono subito da una parte all’altra del campo, i quali per poco non colpirono dei giocatori, e infine la pluffa. Allora per Hanna il tempo rallentò per un istante, prese un profondo respiro, aprì gli occhi e schizzò verso sinistra mentre la pluffa veniva presa dai Serpeverde o meglio da Nathaniel. Tuttavia non restò in mano sua a lungo, poiché mentre stava per eseguire il passaggio un bolide gli venne scagliato addosso con una forza impressionante da Hanna, lo avrebbe colpito in piena testa se Nath non avesse avuto i riflessi pronti schivandolo, ma il lancio venne deviato e Genny prese la pluffa al volo dando indicazione ai suoi di avanzare. “Hanna, mi vuoi uccidere!?!” Domandò il ragazzo furioso. “Che melodrammatico!” Rispose lei allontanandosi di lì.

Nel frattempo il bolide aveva colpito le tribune lasciando un buco nella stoffa nera e blu, ma subito questo rischizzò verso il campo lasciando la tribuna dei Corvonero senza parole. La pluffa in tanto raggiunse gli anelli dei Serpeverde e fece punto data l’abilità di Harold e l’inesperienza del nuovo portiere, non ancora all’altezza del precedente. “Drake, dannazione! Resta concentrato!” Lo rimproverò Jack che aveva i nervi a fior di pelle. “Jack!” Urlò Delfina mentre bloccava un bolide diretto proprio sul capitano con un colpo da maestra. Jack non si fermò a ringraziare, tornò subito in gioco. “Sahara, Eric! Recuperate la pluffa!” Ordinò il capitano della squadra Serpeverde. “Daine, va verso gli anelli!” Disse Genny passandogli la pluffa tornata in mano loro, ma un bolide, lanciato da Sahara, colpì in pieno il ragazzo facendolo disarcionare ma, grazie al pronto intervento del professore d’incantesimi Filius Vitious, il quale, pur essendo oramai anziano, possedeva ancora riflessi pronti, evitò che si sfracellasse a terra.

Nel frattempo i Serpeverde riconquistano la pluffa e, grazie ad una azione solitaria di Nathaniel, il quale aveva percorso tutto il campo ad una velocità impressionante zigzagando da una parte al altra, recuperarono un punto. Tuttavia, appena Nath riafferrò la pluffa, venne subito preso di mira da un altro bolide, questa volta lanciato da Sal, però riuscì ad evitarlo con una giravolta, tuttavia fu costretto ad attuare un passaggio a Eric che venne intercettato da Harold a meno d’un metro dal compagno.

Eric e Delfina si posizionarono al confine di metà campo mentre Harold avanzava velocemente, tenendo d’occhio la posizione di Genny, la quale stava procedendo lateralmente affinché Harold gliela passasse una volta superata la linea di difesa avversaria, ma Nath la notò e iniziò a marcarla, cosicché Harold rimase solo con i due Serpeverde, impossibilitato ad avanzare. Fu costretto a passarla indietro, per evitare che finisse nelle mani dei Serpeverde.

La pluffa venne intercettata da Daine, che era appena rientrato in campo, e riprese l’avanzata, ma a causa di un bolide lanciato da Sahara venne disarcionato e perse la pluffa permettendo a Jack di recuperarla così da avanzare indisturbato fino a tre quarti del campo dove venne ostacolato da Mik, che era stato costretto ad avanzare per difendere gli anelli. Ma ne contempo Eric era avanzato lateralmente e Jack gli passò la pluffa. Eric stava per lanciare quando un bolide lo colpì in pieno facendola cadere a terra. Jack guardò furioso in direzione di Hanna che guardava soddisfatta l’avversario caduto a terra.

La pluffa cadde a terra e il gioco venne ripreso da centro campo senza due cacciatori poiché Daine e Eric erano troppo provati per continuare il gioco. Genny recuperò la palla e la passò ad Harold mentre Sal rilanciava il bolide a Sahara costringendola a deviare la sua traiettoria di volo. Nel frattempo a metà campo c’era un continuo rubarsi di palla tra i quattro cacciatori.

Nel contempo i due cercatori stavano perlustrando insistentemente il campo dall’inizio della partita senza riportare risultati dato che la pioggia, oltre a rendere difficili i movimenti, rendeva la visuale sempre più limitata poiché oramai si era trasformata in una tempesta coi fiocchi generando un turbinio di venti fortissimo che impediva a tutti di giocare, tranne, per qualche strano motivo, a Nathaniel, il quale intuiva in anticipo la direzione in cui lo avrebbe portato il vento, e questo non perché fosse lui a generarlo, ma perché con gli anni aveva acquisito le abilità necessaria per riconoscere le varie caratteristiche dei venti e delle correnti ascensionali rendendolo avvantaggiato in una situazione del genere. Hanna questo lo sapeva, giacché di tutti i bolidi che aveva ricevuto la metà erano stati destinati a Nathaniel, ma li aveva sempre schivati con maestria.

La tempesta non diede segno di diminuire e tutti i ragazzi erano oramai distrutti oltre che provati dal freddo, e tra le tribune i meno interessati erano già andati via da due ore poiché, pur essendo una partita avvincente, la pioggia la rendeva quasi insopportabile. “Preside, ritengo che bisogna concedere ai ragazzi qualche minuto di pausa, sono distrutti.” Propose la direttrice della casa Grifondoro. “Concordo professoressa Crezzy.” Disse la preside ma non fece in tempo a rivolgersi al professor Gregori che in quel momento un bolide venne lanciato dalla battitrice Grifondoro andando a colpire le tribune dei professori causando un enorme scompiglio tra quest’ultimi. “UTHER!!!!!” Urlò la preside in preda all’ira. “MI SCUSI!” Urlò la ragazza senza neanche voltarsi. Solo allora i professori notarono i due cercatori i quali, accortisi di un inconfondibile bagliore, erano scattati verso le tribune dei professori causando il disordine generale. Infatti Hanna aveva lanciato il bolide nella speranza di colpire il cercatore Serpeverde, ma questi lo aveva schivato per un soffio.

Il boccino compì un ulteriore giro delle tribune e costrinse tutti gli studenti e i professori ad abbassarsi per evitare di venir investiti dai due giovani. Poi il boccino volò alto e i due cercatori lo inseguirono ignorando l’intemperia che avrebbe potuto causare loro la morte. I due ragazzi accelerarono sempre di più fino ad essere vicinissimi: spalla contro spalla e il boccino sempre più vicino. I due allungarono ulteriormente le loro mani.

Giù nelle tribune erano con il fiato sospeso. Mentre tra gli altri membri delle due squadre si stava giocando un’ultima disperata azione fatta di passaggi e sviste improvvise. Nathaniel si era impossessato della pluffa che venne passata a Jack il quale però venne braccato da Genny e Harold i quali, con un spintone, riuscirono a far sfuggire la pluffa dalle mani dell’esausto ragazzo, ma Delfina scagliò con forza un bolide contro Harold che venne quasi disarcionato dalla scopa. Allora Hanna furiosa scattò in avanti, pronta a lanciare un altro bolide ma il fischio dell’arbitro la interruppe. Fu allora che vide arrivare i due cercatori intenti a guardarsi in cagnesco.

Su oltre le nuvole i due cercatori avevano volato in verticale per interminabili secondi, ma nessuno riusciva a prevalere sull’altro. I due arrivarono a strattonarsi nel tentativo di buttare giù dalla scopa l’altro, e dopo lunghi istanti di tensione afferrarono l’ambito premio contemporaneamente.

Tutta la scuola rimasta sugli spalti era in attesa del giudizio del professor Gregori. Il quale, dopo aver fatto scendere tutti i membri delle squadre, lo porse prima al cercatore dei Serpeverde, ma non avvenne nulla, dopo a quello dei Grifondoro e una frase apparve sul boccino. “Mi apro alla chiusura.” Frase che lasciò interdetto il ragazzo Grifondoro, ma solo un secondo. “I vincitori sono i Grifondoro!” All’annuncio del professor Gregori tutta la sezione Grifondoro si alzò esultante e Hanna, in preda all’euforia, abbracciò Sal sollevandolo da terra e stringendolo con forza togliendogli quasi il respiro. “Abbiamo vinto!” Urlò la ragazza, allora Genny venne sollevata da Harold urlando: “Evviva il nostro capitano!” Quella sera nella casa dei Grifondoro ci fu gran festa con bicchieri di burrobirra e musica a tutto volume, fino a quando la professoressa Crezzy non entrò nella sala comune ordinando a tutti di andare a dormire borbottando maledizioni e frasi del tipo: “Perché non ho accettato quell’impiego in libreria?”.

*****

“Ciao Nathaniel.” Lo salutò Hanna il pomeriggio successivo con ancora un sorriso a trentadue denti. “Hanna.” La salutò Nath che portava ancora il broncio. “Come ti senti?” Lo stuzzicò la ragazza. “Sono stato meglio.” Rispose seccato questo. “Ah…” Esclamò la ragazza avvicinandosi a lunghi passi portando le mani dietro la schiena e piegandola in avanti seguendo il ritmo dei suoi passi. “Cos’hai? Non digerisci la sconfitta?” Lo sbeffeggiò questa. “Brutta piccola…!” Così dicendo Nathaniel si alzò e iniziò ad inseguire la Grifondoro fino a ché non le afferrò una spalla, allora Hanna si voltò e alzò un pugno verso Nath, ma questi lo bloccò con la mano e alzò un calcio per colpirle il ventre ma, anche se per un pelo, Hanna lo schivò. “Sei lenta come un orso, Hanna!” La beffeggiò Nath riuscendo a colpirla agli addominali con un pugno che non fece nulla alla ragazza. “E tu picchi come un uomo.” Così dicendo Hanna agganciò il collo di Nathaniel con il braccio destro e con il sinistro gli scompigliò i capelli, i due si buttarono a terra e iniziarono a rotolare sotto gli occhi di Elaine e Arthur che erano rimasti del tutto indifferenti alla scena. “Dovremmo intervenire?” Chiese Elaine notando che quei due non avrebbero smesso molto presto dato che avevano estratto le bacchette e avevano iniziato a lanciarsi incantesimi. Arthur alzò leggermente lo sguardo dal libro che stava leggendo. “No… lasciamo che si sfoghino. Piuttosto, hai capito come si fanno le radici quadrate?” Domandò il ragazzo mentre un urlo disumano seguito dallo schioccare d’un incantesimo si ampliava nell’aria. “Sì, ma mi ci è voluto un po’.” Ammise la ragazza mentre Nathaniel ergeva uno scudo. “Me lo spieghi, tra Merlino e la scuola non sono riuscito a vedere le schede che mi avevi imprestato.” Disse Arthur abbassandosi giusto in tempo per evitare un incantesimo. “Certo…” Rispose Elaine mentre Hanna si tuffò su Nathaniel sotto forma di orso.

Solo dopo una mezz’ora il Serpeverde e la Grifondoro si erano fermati, più per stanchezza che per vittoria di uno o dell’altro. “Vi siete calmati, finalmente.” Disse Arthur. “E ora…” Aggiunse chinandosi per prendere qualcosa. “Studio!” I due amici guardarono male Arthur mentre gli sorrideva tenendo un libro in mano. “Ehi, tra poco ci sono gli esami di metà anno e dobbiamo iniziare a studiare.” Li riprese Hunter porgendo ad Hanna il suo libro. Questa lo afferrò di malavoglia e iniziò ad esercitarsi con trasfigurazione assieme ad Elaine, mentre Arthur aiutava Nath in astronomia.

*****

Stavo spiegando a Nath le varie fasi della luna quando percepii una strana sensazione al petto. Alzai lo sguardo verso la scuola con il volto pieno d’ansia: un altro morto. Chi fosse non lo sapevo ma quella morte mi ricordò che questi giorni erano stati delle effimere illusioni e me lo ricordava di continuo la presenza degli auror, del coprifuoco alle otto, degli spostamenti di gruppo da un’aula all’altra e dalla sala comune alla sala grande. Tutto, sotto quella corazza di spensieratezza, era impregnato di paura. “Arthur, cos’hai?” Mi chiese Nath portandomi alla realtà. “Un altro morto.” Rivelai senza ritegno. A sentire ciò ci alzammo dal nostro posto e ci dirigemmo verso la scuola uscendo dalla foresta proibita. Quando arrivammo a scuola un discreto gruppo tra i Grifondoro era attorno all’infermeria “Harold, che succede?” Chiese Hanna individuando il fratello in lacrime. “Harold?” Sussurrò Hanna incredula. “Genny è…..” Hanna divenne improvvisamente rigida. “Di nuovo quella creatura?” Chiese la ragazza stringendo i pugni. “Sì.” Rispose il fratello. Con un urlo disumano Hanna colpì il muro con un pugno. “Dannazione!” Urlò la ragazza e rimanendo in quella posizione lasciò che una lacrima solitaria scendesse sulla sua guancia, la mia amica iniziò a tremare ma non lasciò scendere nessun’altra lacrima. “Hanna…” Provai avvicinandomi ma lei mi respinse sottraendosi al mio contatto. “Scusa, non è il momento Arthur.” In quel preciso istante arrivarono i genitori della ragazza accompagnati dalla preside, erano in lacrime e distrutti. -Niente deve essere peggio di perdere un figlio così giovane.- Pensai guardandoli entrare. Lì, in quel momento, intravidi Genny, tutto il suo corpo dal ginocchio al collo era coperto a quelle cicatrici nere inequivocabili segni dei chip. Scostai lo sguardo, cosa potevo fare io per evitare che qualcun altro venisse ucciso in quel modo? –Arthur- Mi voltai sentendo il mio nome. “Sì?” Sussurrai. -Non parlare Arthur pensa ciò che mi vuoi dire.- Ripeté quella voce. -Ehogan? Come fai a…- -Ascolta, non ho molto tempo- Mi interruppe il mio maestro. –Hai sentito anche tu la morte, vero?- Gli chiesi preoccupato. –Non sono qui per questo, questa sera vieni al solito posto, dobbiamo fare una cosa importante. Mi raccomando: solito posto, alle 11.- Mi ordinò interrompendo la conversazione. Mi guardai attorno, non c’era traccia di quel vecchio. Solo persone disperate e con il lutto negli occhi. Erano quasi tutti Grifondoro, ma c’era anche qualche Corvonero e Tassorosso e perfino due Serpeverde. “Arthur.” Mi chiamò Elaine. “È meglio andare, siamo di troppo.” Mi spiegò la ragazza afferrando Nathaniel e me per un braccio e portandoci via con una espressione grave in viso unita alla consapevolezza di non poter fare nulla per quelle persone. Mi voltai un’ultima volta: Hanna si stava abbracciando con Sal e Harold e capii che sebbene conoscessi il dolore della perdita, non sarei stato di nessun aiuto ad Hanna in quel momento, poiché non conoscevo Genny quindi non avrei potuto provare nulla a parte compassione.

Quella sera quando tutti andarono a dormire io mi alzai dal letto e silenziosamente uscii dalla sala comune Corvonero. Mi nascosi nelle ombre della stanza e procedetti piano cercando di non farmi notare dall’auror. Camminavo a carponi lungo la parete trattenendo il fiato. Ad ogni passo mi sembrava di far esplodere una bomba e temevo che quel vecchio legno scricchiolasse. Per fortuna l’auror non sembrò accorgersi di nulla e riuscii ad uscire dalla casa Corvonero. Percorsi le scale il più velocemente possibile cercando di non pensare troppo a che altezza mi trovassi ed evitando tutte le vedette di cui avevo imparato i percorsi quasi a memoria. Una volta raggiunto il piano terra uscii per la solita finestra posizionata nelle cucine. Superai velocemente il cortile e raggiunsi lo spiazzo nella foresta, lì c’era Ehogan ancora avvolto in parte dalle nebbie. “Cosa succede Ehogan?” Chiesi saltellando al suo fianco. “Non riesco a vedere oltre la prossima settimana, dal prossimo mese non sarò più in grado di vedere se sopravvivrete o se morirete.” Disse Ehogan sconfortato. “Ehogan, di cosa stai parlando?” Chiesi confuso. Ehogan sospirò. “Alcuni di noi possono avere visioni del futuro durante le cerimonie. Tu a quanto pare possiedi quel talento, e anche io lo possedevo, ma a quanto pare non posso andare oltre questo momento della storia.” Mi spiegò grave. Rimasi qualche secondo in silenzio. “Lo fai spesso?” Chiesi io. “No, la morte… conoscere il futuro può essere estremamente pericoloso, e presto te ne renderai conto Arthur.” Il suo sguardo era distaccato e lontano. “Arthur, mio caro ragazzo, mi serve che preveda una cosa per me.” Dichiarò l’anziano. “Cosa devo prevedere?” Domandai “Un nome, questo nome sarà fondamentale per te un giorno.” Disse Ehogan portandosi una mano alla folta barba bianca. “Che nome?” chiesi io. “Il nome d’un erede: il nome dell’erede di Re Artù.” Lo guardai confuso. “Sdraiati, ragazzo.” Proseguì lui, lo guardai: i suoi occhi erano più scavati e stanchi del solito, il suo viso più consumato, le rughe più profonde e scavate, provai pena per lui e così mi sdraiai senza fare domande. “Ora chiudi gli occhi.” Lo feci, uno strano odore mi invase le narici e una strana musica riempì le mie orecchie. Mi sentii fluttuare e poi…

Un viso d’un bambino mi apparve e un'unica parola riempì le mie orecchie.

Aprii gli occhi Ehogan era seduto accanto a me. “Lo hai visto?” Chiese; accennai di sì con il capo. “Era così vivido come se lo stessi vivendo.” Dichiarai. “Le visioni sono più vivide se ti mostrano una situazione in cui dovrai essere presente e quel bambino e quel nome quando sarai adulto riempiranno le tue giornate.” Mi disse mentre una lacrima usciva dai suoi occhi. “Cosa succede Ehogan?” Domandai preoccupato “Arthur tu non sai molto del mondo e quel poco che sai lo devi ai maestri e ai libri. Ma fidati che tutto ciò che vivrai ti sarà necessario un giorno e che tutti quelli che amerai sono più preziosi di quanto possa una metafora descrivere.” Confessò Ehogan con le lacrime agli occhi. Mi chiesi cosa gli fosse successo. “Ora devi prevedere un'altra cosa.” Mi ordinò serio. “Cosa?” Chiesi spaventato. “Come fermare quei… come li chiamate… ah sì, chip.” Tornai sdraiato e chiusi gli occhi. Ricominciò quella strana melodia, ma questa volta più incalzante e, in qualche modo, invasiva. Mi parve che una morsa mi strinse il cuore…

-Tutto era offuscato, ma riconobbi chiaramente l’esile figura di Elaine che teneva le mani sull’uovo d’oro mentre la strega cercava di liberarsi dall’attacco di Hanna. Crollò il buio. Da un teschio umano uscì un serpente, era un posto umido e putrido. Buio.  Una bacchetta si muove costantemente da destra verso sinistra e da sinistra a destra all’interno d’un cerchio metallico di cui lei è il diametro. Ancora buio. Un vento potente, caldo e tagliente mi annebbia la vista e mi sento sbattuto a terra. Ritornano le tenebre. Due corpi irriconoscibili a terra morti e sanguinanti e mi sembra di conoscerli. Calano le tenebre. Una bambina incappucciata e tetra che mi spaventa eppure sento d’essere legato a lei. Le ombre mi avvolgono. Dei ricci rossi che sono sicuro di conoscere mi coprono la vista. Infine il buio più totale.-

Mi risvegliai di colpo tutto sudato. Mi misi a sedere e vomitai, Ehogan mi fu subito accanto e iniziò a massaggiarmi la schiena fino a quando non smisi. Quelle immagini mi apparivano famigliari, mi concentrai e poi capii: le avevo già viste almeno due volte. Guardai Ehogan con occhi spalancati e gli raccontai la visione parola per parola. “Capisco… questa faccenda allora è davvero importante.” Pensò l’uomo ad alta voce. “Che dici, Ehogan?” Chiesi confuso. “Quelle immagini sono le prove che tu dovrai affrontare e una che hai già affrontato.” Disse pacato. Lo guardai negli occhi “Cosa?” Esclamai incredulo. “Quindi io sarei una specie di prescelto oltre che l’erede di Merlino?” Chiesi confuso pervaso da una improvvisa angoscia. “Essere Merlino vuol dire tante cose, una di queste è di vivere una vita frastagliata.” Mi spiegò poggiando una mano sulla mia spalla cercando di farmi forza. “Ora devo andare e non aver paura: questo luogo ne è già impregnato.” Così dicendo venne avvolto dalle nebbie. “No, Ehogan! Aspetta!” Cercai di bloccarlo ma non lo fece. “Cosa significa! E i miei amici? Perché sento che loro centrano? Cosa significa quel sogno, Ehogan?” Urlai, ma lui non mi rispose, mi donò un tenue e triste sorriso. “Questo lo devi capire da te.” E così dicendo sparì.

Rimasi a lungo a riflettere: se quelle immagini erano vere allora anche Elaine, Hanna e Nathaniel erano coinvolti in tutto ciò. Uno strano moto d’angoscia mi avvolse fino ad opprimermi. In silenzio tornai verso la casa Corvonero con più dubbi che mai in cuore.

 

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Capitolo 11
*** Cap. 10 Un natale in nero ***


Cap. 10 Un natale in nero

 

A svegliarmi fu la voce di Itrandil che mi chiamava per il nostro solito volo del sabato. Mi alzai con lentezza ma dopo che appoggiai i piedi a terra mi preparai velocemente e in due minuti fui pronta, ma l’auror che era stato affidato al nostro dormitorio mi fermò. “Dove credi di andare?” Mi chiese serio, sebbene gli avessi già detto mille volte, sempre nei fine settimana, la medesima risposta. “Fuori.” Risposi con la solita vaghezza. “Con il freddo che fa?” Insistette lui. “Sì, oggi nevica.” Dissi indicando la finestra con un leggero sorriso. “Certo, comunque non uscirai fino alle otto come tutti.” Mi disse indicandomi il dormitorio femminile con l’indice. -Che stronzo! Se me lo ritrovo tra gli artigli lo divoro.- Disse Itrandil irritata. -Calma piccola, alle otto corro fuori da te, e poi ha ragione, con i chip in giro non è una buona idea aggirarsi per i corridoi senza nessuno che ci possa aiutare.- Le ricordai. -Sì, sì… come se tu non fossi quella più vulnerabile.- Mi disse Itrandil. -Ma che…- Cercai di contraddirla. –Avanti, con i tuoi scudi di sicuro i chip non avrebbero effetto.- -Perché scusa? Sono ottimi contro il fuoco, ma non credo che funzionerebbero contro i chip che producono fulmini.- Dissi alla draghessa che allora stranamente si ammutolì. -Cos’hai?- Domandai preoccupata. -Non mi piace che tu stia lontana da noi, saresti più al sicuro fuori dalla scuola.- Mi ricordò lei nervosamente. -Sai che se fossi in pericolo la prima cosa che farò sarà saltare fuori da una finestra e chiamarti.- Risposi tranquilla, attesi una risposta ma Itrandil chiuse il discorso, era chiaramente preoccupata e di recente le avevo dedicato poco tempo, ma tra la scuola, i chip e gli auror era diventato difficile incontrarci.

Afferrai un libro per ammazzare il tempo e quando arrivarono le otto scesi assieme ad altri due ragazzi, ma non andai alla sala grande, uscii subito fuori e in men che non si dica mi ritrovai a sellare Itrandil. Stavo chiudendo l’ultimo gancio quando Godren salì sulla mia spalla strofinandosi sul mio capo. –Uffa… ma ci devi seguire proprio dappertutto piccola peste?- Si lamentò Itrandil. –Io vengo!- Decretò il draghetto irremovibile. “Dai Itrandil, un po’ di peso in più non sarà un problema.”  Le dissi incoraggiante. –Ovvio che no! Ma, e che cavoli, ce l’ho incollato ventiquattro ore al giorno.- Continuò la draghessa, la quale però mi fece salire senza mostrare particolare irritazione per la presenza di Godren.

“Okay, andiamo.” Con queste mie parole Itrandil si piegò sulle ginocchia e con un balzo, accompagnato da due potenti sbatter d’ali, si librò in aria sconfiggendo la gravità. In breve superammo le cime degli alberi e volammo su oltre le nuvole, nascosti e protetti dalla neve che confondeva l’ombra di Itrandil. In un primo momento la draghessa volò lentamente e fece un paio di giri ad ampio raggio per avere una visione generale della situazione. –Mi pare tutto tranquillo.- Affermò Itrandil che con i suoi occhi gialli vedeva mille volte meglio di me. La draghessa inclinò leggermente in su le labbra in quello che doveva essere un vago sorriso e con un possente battito d’ali partì a tutta velocità sopra il panorama innevato. “Wuhu!!!” Urlai al vento liberando l’adrenalina. Itrandil in risposta ruggì. “Esibizionista!” Urlai mentre la neve si attaccava ai miei capelli e Itrandil rispose con un grugnito che ricordava una risata e accelerò il volo. Godren, per non essere da meno, lanciò una sferetta di fuoco e dovetti evocare lo scudo per non bruciarmi. -Sei migliorato, piccoletto.- Commentò Itrandil ironica. -Ah, ah. Questo è ancora niente.- Pensò il draghetto strusciandosi su di me mentre si stringeva ancora più saldamente sulla mia spalla. –Nota per me: farsi una spalliera o qualcosa per limitare i danni degli artigli di Godren.- Pensai trattenendo una smorfia di dolore. Sorrisi e grattai la testolina al piccolo cercando di nascondere il dolore. Subito dopo Itrandil si innalzò oltre le nuvole e iniziò a compiere giri su se stessa e numerose giravolte seguendo il vento. Strini forte le mani sulla sella e mi lasciai trasportare svuotandomi dei pensieri quotidiani. Tutto divenne improvvisamente lontano. Mi ritrovai così ad osservare quel cucciolo, per ora minuscolo, che sorrideva ed agitava la coda come un bambino o un cucciolo al parco. Per ora non riusciva ancora a volare, sputava appena qualche sfera di fuoco e non era neanche lontanamente autoritario, in certi momenti mi pareva incredibile che quel cucciolo sarebbe diventato come lo avevo visto la notte di Beltate poco più di sette mesi fa, per ora vederlo mi suscitava solo affetto e senso di protezione.

Dopo un po’ che Itrandil volava compiendo le sue solite acrobazie, scese a terra in uno spiazzo a me familiare: si vedeva ancora la struttura in cui era nato Godren e in cui ci eravamo scontrati con quella strega, non l’avevamo più vista da allora. Uno strano senso di inquietudine mi invase ma lo ignorai e scesi dalla sella. Quello spazio innevato era ancora più spettrale ma meno spoglio, pareva che la neve lo riempisse e gli donasse una luce particolare la quale però non mi toglieva quel senso di inquietudine o di angoscia che quel luogo riusciva a trasmettermi. Pure Itrandil era inquieta mentre osservava la struttura. Però d’un tratto si voltò e iniziò a ringhiare, mi voltai e vidi i centauri al limitare della selva. Parevano leggermente violenti visto che tenevano in pugno gli archi e le spade ed i loro occhi erano truci. Per istinto estrassi la bacchetta. “Che succede?” Chiesi seria e preoccupata. “Elaine Zannet!” Mi convocò il più anziano. “Sì?” Chiesi abbassando la bacchetta lentamente ma tenendola salda tra le mie mani. “Dobbiamo parlarle!” Disse il vecchio centauro con uno sguardo che non ammetteva repliche. Mi incamminai verso di loro riponendo la bacchetta nella tasca dell’uniforme e alzai appena una mano facendo cenno ad Itrandil e Godren di fermare il loro ringhiare e di restare calmi, come sempre ubbidirono ma rimasero comunque sul chi va là e mantennero le loro arie minacciose e stettero accucciati come tigri prossime al assalto. In un attimo arrivai di fronte al centauro. “Da qualche notte continuiamo a sentire l’interferenza della magia di Arthur e la cosa ci impedisce di fare le nostre cerimonie. Digli che si trovi un posto più lontano per fare i suoi incantesimi, il confine della foresta dovrebbe andare.” Mi comunicò il centauro “Tutto qui?” Chiesi sollevata e anche scettica. “E perché portate le armi?” Domandai sperando di non esserceli inimicati. “Arthur non immaginava niente di simile, ma tranquilli, troveremo un posto che non interferisca con la vostra magia e permetta ad Arthur di restare nascosto.” Dissi cercando di non far trapelare il mio disagio. “Non siamo qui solo per questo.” Aggiunse il centauro. Mi irrigidii e sperai che fossero notizie banali ma era fin troppo chiaro che sarebbero state cattive. “La scorsa notte abbiamo previsto che tu sarai a breve in pericolo a causa delle creature di fulmine e che se la camera del fondatore che ha tradito non verrà riaperta non troverete mai la fonte di quel potere.” Dichiarò il centauro enigmatico. “Che dici? Non è compito mio o dei miei amici quello di fermare quei chip.” Dissi facendo un passo indietro. “Il vostro destino è stato predetto numerose volte nella storia dalla caduta di Camelot, e più di recente dal tuo amico Arthur.” Disse lui avvicinandosi ulteriormente, Itrandil ringhiò minacciosa, ma io mi voltai e la calmai. “Che centra Arthur?” Domandai seria tornando a guardare il centauro il quale iniziò a girarmi intorno con una certa aria di superiorità causando l’ira di Itrandil, ma la convinsi a non fare nulla. “Centra, poiché è nel vostro destino.” Rispose lui. “No, noi siamo dei normali studenti.” Allora quell’anziano mi studiò dalla sua posizione elevata e il suo sguardo così profondo mi costrinse ad ammettere una evidente verità. “Con delle abilità particolari.” Dissi con riluttanza. Lui continuò a fissarmi. “Che hanno risolto la sfida dell’anno scorso.” Apostrofò il centauro. “No! L’anno scorso è stato diverso: noi lo abbiamo fatto perché… perché…” Cercai una risposta ma questa arrivò in ritardo. “Se lo avessimo detto la nostra vita sarebbe finita!” Urlai dall’ira, ma subito abbassai lo sguardo piena di vergogna conscia che la risposta si distruggeva da sola. “Oh, anche quest’anno avrete un buon motivo per combattere, credimi.”  Disse il centauro guardandomi serio e forse un po’ triste. “No! Non abbiamo alcun motivo per immischiarci!” Urlai furiosa. Allora mi voltai e corsi in groppa ad Itrandil la quale con un salto spiccò il volo. “Non potete scappare al vostro destino!” Mi urlò il vecchio. –Vuoi andartene?- Mi chiese Itrandil già pronta per raggiungere le nuvole. Guardai in basso rassegnata. –No, ascoltiamoli: i centauri conoscono fin troppi segreti.- “Quale destino?” Chiesi a due metri da terra. “Non mi è concesso rivelartelo. È compito di un altro.” Si giustificò lui tristemente. “Sappilo: io non credo nel destino, né ci crederò mai.” Dissi dando alla draghessa il segno per decollare. Il vento mi colpiva il volto e la neve lo graffiava ma non lo sentivo, non per la gioia del volo, ma per i dubbi iniettati nelle mie vene dai centauri. Che fosse vero? Che fosse giusto? Che fosse un pericolo tangibile? Non conoscevo la risposta, l’unica cosa certa era io non intendevo crederci. Infatti quando mi trovai davanti ai miei amici non dissi loro quasi niente. “Arthur!” Lo chiamai appena scesa dalla draghessa. “Ho un messaggio per te dai centauri!” Arthur alzò leggermente lo sguardo per poi rivolgere la sua attenzione agli incantesimi. “Di che si tratta?” Chiese senza distogliere lo sguardo dal libro. “Dicono che ti devi allontanare di più dalle loro terre quando fai i tuoi incantesimi, interferiscono con i loro rituali.” Dissi. “Ah, che noia!” Esclamò il ragazzo. “Va beh, in fondo questa è la loro foresta… vorrà dire che mi metterò in al livello del vecchio nido, lì sono molto più vicino al confine del bosco, però abbastanza lontano da passare inosservato.” Confabulò tra sé e sé. Allora afferrai la mia borsa e mi dissi di non pensarci più. Però una cosa mi tormentò per tutta una giornata. –Presto sarai in pericolo… avrete un buon motivo per lottare…- Queste parole mi inquietarono parecchio. Che un destino più oscuro mi aspettasse dietro l’angolo?

*****

Scesi il più velocemente possibile giù per il prato ed entrai nella foresta, dopo una corsa disperata durante la quale rischiai il collo una dozzina di volte raggiunsi lo spiazzo con il vecchio nido, lì ad aspettarmi, leggermente irritato, c’era Ehogan. “Sì lo so, sono in ritardo. Mi dispiace ma non riuscivo a liberarmi degli auror.” Dissi tutto d’un fiato, il vecchio druido sospirò. “Non riesci ancora a controllare il metallo, prima che ti possa insegnare qualche incantesimo d’illusione ci vorrà un po’.” Disse più a se stesso che a me. “Comunque qui ci sono le erbe e il fuoco, per Yule.” Disse passandomi il vischio, l’agrifoglio e i rametti di quercia. “Sai cosa fare.” Mi disse. Subito mi tolsi i vestiti, evidenziai la cicatrice con la pittura blu e misi su lo straccetto che avevo usato anche a Samhain. Allora presi per primo l’agrifoglio e, mentre Ehogan iniziava a intonare un antico canto accompagnato dalla cetra, lo intrecciai ramo dopo ramo. Mentre compivo quest’atto mi sentivo strano, come se stessi reggendo tra le mie mani qualcosa di delicato e distruttivo. Poi afferrai la quercia e intrecciai quei rami fino a crearne una corona. Anche durante questa operazione mi sentivo come assorto in un universo impregnato di magia, la cicatrice evidenziata con la pittura blu mi bruciava ma non mi infastidiva, anzi lo trovavo stranamente piacevole. Infine presi il vischio e lo feci bruciare, l’odore del legno fresco mi riempì le narici e allora percepii qualcosa di strano in quel tramonto: sentivo l’energia della terra spegnersi, come se il sole quest’oggi avesse compiuto il suo ultimo respiro, iniziai a respirare a fatica e a sudare, sudavo così tanto da annebbiarmi la vista e sentirmi disidratato, eppure la neve mi circondava e il freddo vento invernale mi passava tra le gambe e il petto, l’angoscia invase il mio cuore che batteva sempre più forte, vi portai una mano e la strinsi cercando di controllarlo ma il respiro divenne sempre più affannato. Il fumo si alzò e allora vidi qualcosa: un bagliore. Spalancai gli occhi per il dolore e vidi una luce immensa come milioni di stelle e lune di mille colori, sentii infinite voci di persone morenti e morte e infinite voci di persone vive e nascenti. Tutto stava chiudendo il ciclo della vita, una strana energia mi invase il corpo. In un primo momento fu solo un passo, poi due, infine iniziai a danzare lento sulle note dolenti di Ehogan che suonava esperto una complessa e grave melodia. Allora continuando a danzare andai a prendere la corona d’agrifoglio e la posai sul capo di Ehogan e quella di quercia la posai sul mio capo. Appena la posai sui miei capelli mi sentii potente e investito di qualcosa che andava ben oltre la mia comprensione. Continuai a danzare ubriaco della musica e del calore del fuoco in contrasto con il freddo della neve. La testa mi girava e iniziavo a vedere tutto sfocato, eppure i miei passi e la mia voce, almeno credo che fosse la mia, non perdevano di eleganza, quei suoni gutturali e melodici e quei passi ritmati e fluidi continuavano ad essere perfetti. D’un tratto svenni per la stanchezza. Per un istante pensai di morire, poi i miei poteri si risvegliarono e iniziai a vedere cose senza senso come sogni d’un sogno: v’erano animali e persone che si muovevano a ritmo della musica che Ehogan stava suonando, facevano il loro verso e poi si zittivano, sentivo le voci degli antenati sussurrarmi cose prive di senso ed infine una luce bianca. Riaprii gli occhi svegliandomi di colpo tutto sudato: il sole era sorto. Mi voltai alla ricerca di Ehogan. “Cos’è successo?” Chiesi in preda al batticuore. “È avvenuto: il sole che stava morendo ora è rinato assieme alla nuova era degli uomini. D’ora in poi io non posso predire cosa vi accadrà, posso solo aiutarti fino a quando non diverrai pronto per essere Merlino. Allora sei pronto per questo nuovo anno, mio allievo?” Mi chiese il druido guardandomi dritto negli occhi. “Sì… maestro.” Era la prima volta che lo chiamavo in quel modo e solo allora mi accorsi dell’importanza di questa parola. “Arthur, ragazzo mio, ora hai capito cosa c’è in questo mondo che è segreto a chi non è eletto. Tu ora conosci il segreto del ciclo della vita, ma hai ancora molte cose da imparare su ciò che vuol dire essere un druido e, se me lo permetterai, io ti insegnerò ogni segreto della magia del dio.” Mi disse Merlino mostrandosi per la prima volta a me come capo supremo d’una religione antica rimasta per troppo tempo senza una guida. “Sì, maestro. Io voglio capire i segreti di questa magia e religione, voglio essere pronto per quando diverrò Merlino, anche se il mio popolo sarà composto da due persone.” Dissi entusiasta.

Non so cosa mi sia preso quel giorno, ero in una sorta di delirio e continuavo a fare incantesimi e a studiare i libri di testo quasi volessi scoprire ogni segreto della magia. “Arthur, stai bene?” Mi chiese Hanna notando che ero leggermente fuori di testa. “Sì, sto bene!” Esclamai. “Hai fumato qualche strana sostanza alla festa?” Mi chiese Nath notando com’ero ridotto: la camicia sbottonata e mezza fuori, la cravatta molla e lasciata a se stessa, i capelli lunghi unti e arruffati, gli occhi circondati da due profonde occhiaie, le mani, le braccia, i piedi e le gambe rossi e pieni di graffi superficiali per il continuo contatto con la neve, il viso sudato e lo sguardo strabuzzato. “No, che dici Nath ho solo ascoltato un po’ di musica e mi deve essere finito il fumo della legna nei polmoni ma per il resto non ho bevuto pozioni o masticato bacche o radici.” Dissi continuando a leggere il libro sugli incantesimi di quest’anno. “Amico, ti serve una doccia e una disintossicazione: sembra che tu abbia sniffato eroina!” Esclamò il Serpeverde che di gente così ne aveva conosciuta parecchia. “No… sto… bene.” Dissi ricacciando indentro il conato di vomito. “Ecco, ci manca solo che tu ora abbia le allucinazioni e siamo apposto!” Disse Nath tirando fuori dalla sua borsa un candelabro con otto braci ancora vuote. “Che stai facendo Nath?” Domandai isterico. “Preparo Hanukà, così magari ti ricordi che a me non mene frega un bel niente di Yue.” Disse Nath. “Yule ignorante! E poi fa come vuoi tanto a me non infastidisce: che lo chiami Dio, Allah, Budda o Yahuwe celebrate sempre un dio che vi spinge a compiere del bene e per tanto noi tutti celebriamo lo stesso dio o dei o dea solo con nomi diversi.” Esclamai alzando le braccia al cielo. Hanna, Nathaniel e Elaine mi guardarono in modo strano, così come fecero tutti gli studenti in biblioteca e la bibliotecaria. “Va a dirlo ai talebani.” Sussurrò Hanna. “Oppure a qualche altro fanatico religioso. Vedrai come ti accoglieranno bene. Arthur, se la gente la pensasse come te sarebbe tutto molto più facile.” Disse la Grifondoro. “Non ho mai detto che sarebbe stato semplice!” Contestò il ragazzo. “Questo, aimè, è un concetto utopico.” Dissi alzandomi dalla sedia. “Elaine ti prego, cerca di calmarlo, oramai questo qui è nel tunnel!” Disse Nath sbattendo la testa sul libro. “Macché, io sto benissimo!” Canticchiai, allora Elaine prese il libro che stava leggendo e disse: “Aguamenti.” Uno schizzo mi colpì in pieno facendomi rinsavire. “Ora ti senti meglio?” Mi chiese Elaine tornando seduta. Mi risistemai gli occhiali sul naso. “Sì… ehm… meglio che vada a calmarmi.” Corsi il più velocemente possibile lontano dalla biblioteca e mi feci nota mentale di bere tre litri di camomilla dopo Yule d’ora in poi. Raggiunta la torre dei Corvonero chiusi la porta del dormitorio, fortunatamente vuoto e corsi sul mio letto, lì Anacleto mi stava aspettando sul suo poggiolo con una lettera nel becco. Agguantai la lettera dando un topo morto ad gufo e iniziai a leggerla, era di mio padre. C’era scritto che non sarebbe stato a casa per Natale e che era impegnato con un basilisco illegale da qualche parte nel Galles. La cosa non mi sorprese, il Natale oramai lo passavo da solo tutti gli anni ma quest’anno non sarei tornato a casa.

****

Nathaniel cinque sere dopo accese la quinta candela. “Nath devi proprio lasciarla accesa quella candela?” Chiese Brian. “Sì! O mia madre mi uccide, poi mi risuscita e mi manda da Rabbi e lì sono cavoli amari.” “Rabbi?” Chiese Brian confuso. “Il Rabbino.” Spiegò con ovvietà Nath ma Brian continuava a non capire niente. “Una specie di prete ebraico.” Tagliò corto il ragazzo. “Ed è così terribile?” Domandò Brian. “Non sai quanto.” Commentò grave Nath causando una risatina tra i due. “Non pensavo che tenessi a queste cose.” Disse il giovane che di religione non si era mai interessato. “Se non lo facessi: uno, verrei meno alle mie tradizioni, due, rinuncerei alla libertà di religione e tre, se Delfina può portare il crocifisso al collo non vedo motivo per cui io non possa accendere delle candele, e poi se danno fastidio al massimo le spengo la notte e le riaccendo la mattina.” Disse Nath con tranquillità. “Te ne volevo proprio parlare.” Intervenne il prefetto dei Serpeverde. “Ti prego, spegni le candele quando si va a dormire, danno fastidio a tutti.” Disse supplichevole. “No problema” Disse Nath soffiando su queste spegnendole in un colpo. “Domani mattina le riaccendo comunque.” Comunicò autoritario. “Di giorno fa come ti pare ma la sera, per favore….” Lo supplicò il prefetto. “Sì, tranquillo.” Disse Nath chiudendo la questione.

La mattina dopo tutti i ragazzi Serpeverde si ritrovarono a scartare gli enormi regali delle loro famiglie e amici. Mentre Nath si limitò ad aprire una confezione Sufganiot, delle ciambelline con la marmellata, e Levivot, delle frittelle di patate, inviate dalla sua famiglia e un pacchetto da parte di Elaine, Hanna e Arthur che conteneva un libro sul volo planato il che gli era estremamente utile. “Ehi, Nath.” Lo chiamò Brian ad un certo punto, Nath gli si avvicinò. “Buon Natale!” Disse porgendogli un pacchetto quadrato. “Grazie…” Disse il Serpeverde leggermente imbarazzato. Nathaniel aprì il pacchetto: dentro c’erano un paio di scarpe identiche alle sue, solo un po’ più grandi e nuove. “Ho notato che hanno i buchi e visto che è Natale ho pensato che fosse l’occasione giusta.” Disse il ragazzo. “Dannazione Brian, e ora come ti ripago… in tanto prendi un Sufganiot!” Esclamò porgendogli la confezione “Sufganiot? Va bene…” Sussurrò il ragazzo incerto, Brian li assaggiò. “Mica male questa roba.” Disse leccandosi le dita. “E ne ho la scorta che dovrebbe durare due mesi.” Disse Nath guardando Brian con un sorrisetto furbo. “Dovrebbe?” Gli fece eco l’interessato. “Dovrebbe…” Affermò Nath.

****

“Elaine!!!!” Saltai letteralmente giù dal letto nel sentire le urla di mio zio. “Che succede?” Urlai a mia volta. “Se non inizi a cucinare arriveranno gli ospiti e tu sarai ancora dietro a preparare il sugo!” Urlò mio zio facendomi correre giù dalle scale mentre mi mettevo su la prima maglia e jeans che avevo trovato. Ero dovuta tornare a casa perché la zia era entrata in depressione ultimamente e le sarebbe servito avere me e i loro amici a Natale. Corsi di sotto tre gradini alla volta e, dopo aver evitato di sfracellarmi sul pavimento, iniziai a cucinare l’anatra enorme che avevamo comprato il giorno prima. “Per il ripieno ti puoi arrangiare?” Domandò mio zio, alzai il pollice in su continuando a pulire l’anatra. “Allora io, la zia e Mary andiamo a messa. Sei sicura di non voler venire?” Chiese prima d’uscire. “Lo sai che non mi piace andare a messa, e poi ho fin troppo lavoro qui.” Dissi continuando a guardare l’anatra mentre toglievo la bile dal fegato. “Okay, allora a più tardi.” Quando sentii la macchina lasciare il vialetto presi il mio CD lo misi nel lettore, subito il suono d’un vecchio musical invase la cucina. Da piccola lo ascoltavo spesso a causa di mia mamma, ma oramai lo ascoltavo solo quando ero sola dato che mia zia non la sopportava questo genere di musica.

Tre ore dopo arrivarono i miei zii. “Mary?” Chiesi io notando la sua assenza. “A fare un giro con il suo ragazzo ei suoi amici.” Disse mio zio mentre metteva via il cappotto. “Ascolti ancora questa musica? È la stessa da quando hai quattro anni.” Esclamò mio zio che oramai conosceva questo musical da quando mi ero trasferita da loro. “Mi piace, è un crimine?” Controbattei “Va be’, senti, la zia ha bisogno di altre medicine potresti andare a farti dare la ricetta e comprarle nei prossimi giorni?” Chiese mio zio. “Ho già pensato ieri alla ricetta e le ho già comprate, sono in camera mia.” Dissi continuando ad impastare il ripieno dell’anatra affinché si amalgamasse. “Sei la migliore Elaine.” Così dicendo salì di sopra, nel frattempo sentii mia zia uscire per andare a fare un provino per uno spettacolo: era qualche anno che non riusciva più ad ottenere una parte, però continuava ad insistere. Quando tornò Mary, più o meno verso le sei, io avevo appena finito di fare il primo, una zuppa di cipolle, e l’anatra era pronta. “Sei arrivata all’ultimo, lo sai? Hai un’ora per prepararti.” La avvisai. “E tu sei pronta, vestita da cuoca?” Mi chiese lei ricordandomi che vestivo ancora la mega maglia di mio padre che usavo come vestaglia da quando era morto. “Scusa, ma sai com’è: tra la preparazione della cena, il pulire la casa, buttare l’erba…” Mary sembrò sul punto di dire qualcosa, ma la bloccai. “No, non sperare che creda alla favoletta che è d’un tuo amico…” La interruppi già sentendo le sue giustificazioni. “E preparare la tavola non ho avuto il tempo di cambiarmi.” Le dissi un po’ irritata. “Scusa… vuoi che porti gli scarti ai tuoi… tu sai cosa.” Chiese cercando di farsi perdonare. “Ci ho già pensato io. Va a metterti qualcosa di più natalizio o almeno meno dark.” Allora Mary, facendo il saluto militare, corse di sopra e si preparò. Io riuscii a prepararmi l’ultima mezz’ora e dovetti fare i salti mortali per togliermi l’odore di cibo dai capelli. Gli amici degli zii come al solito furono rumorosi e volgari, ma in maniera simpatica. A fine serata ci diedero i regali: per me c’erano sei libri di svariati autori. “Spero che ti bastino per la fine dell’anno scolastico.” Mi disse Mary sapendo che io ero una lettrice accanita. “Tranquilla non li finirò, tutti, durante le vacanze natalizie.” La rassicurai scherzando. Quando infine crollai a letto non potei fare a meno di chiedermi come stessero i miei amici.

*****

Hanna cercava di dormire ma non ci riusciva: quella presenza di morte le toglieva il sonno da giorni oramai e sentiva che quei dannati chip e il loro burattinaio stavano per uccidere di nuovo. Frustrata si buttò giù dal letto, fuori nevicava ma aveva bisogno d’uscire e di respirare aria fresca. Si mise su un cappotto, la sciarpa, le scarpe e uscì dal dormitorio. Il loro auror era sbronzo dal cenone natalizio, così riuscì a svignarsela facilmente. Silenziosa uscì dalla sala comune e scappò verso la solita finestra ma mentre si addentrava in un corridoi laterale per evitare le ronde degli auror si scontrò con Sal. “Ahi!” Esclamò la ragazza. “Sal? Che ci fai qui? Sono le tre di mattina.” Chiese Hanna sorpresa, anche lui era in pigiama ed era tutto sudato. “Che ci faccio io? Che ci fai tu qui?” Disse il giovane a mezza voce. “Volevo prendere un po’ d’aria: non riesco a dormire.” Spiegò la ragazzina. “Neanche io, ho gli incubi e speravo di distrarmi un po’ ma come vedrai tutte le porte sono serrate e anche le finestre.” Spiegò Sal. “No, non tutte.” Confessò Hanna non vedendoci niente di male a condividere questo segreto con qualcun altro. “Cosa? C’è un modo per uscire?” Domandò il ragazzo entusiasta ottenendo in risposta un sì appena accennato da parte di Hanna. “Grandioso! Sai, anche a me serve un po’ d’aria.” Rivelò il ragazzo. “Da questa parte.” Disse Hanna conducendolo verso le cucine.

A metà strada Hanna sentì un suono famigliare. “Sal.” Iniziò Hanna afferrando il braccio del ragazzo che parve intuire subito. “Corri.” Subito i due giovani iniziarono a correre il più velocemente possibile. Sal aveva riconosciuto l’espressione di Hanna, era la stessa che aveva avuto quella volta che li avevano inseguiti i chip. Superarono un paio di corridoi in velocità ma si ritrovarono i chip alle calcagna. “Merda!” Bofonchiò Hanna trascinando Sal in un corridoio laterale appena in tempo per evitare un colpo da parte dei chip. Hanna cercò nelle sue tasche ma non trovò la bacchetta. “Cazzo!” Esclamò quest’ultima, mentre scendevano giù per le scale trascinandosi Sal come se fosse un sacco. I chip nel frattempo continuarono ad inseguirli sebbene ci fosse una certa distanza tra loro. Ma stavano riguadagnando terreno lanciandosi da una rampa all’altra della scala. Hanna e Salomon oramai saltavano i gradini a tre per cercare di guadagnare terreno. Però ad un tratto le scale cambiarono direzione portandoli in un vicolo cieco. “Oh no! Merda.” Disse Hanna sbattendo sul muro spoglio e cercando il modo più veloce per scendere o chiamare un auror, ma erano tutti spariti. E nel frattempo i chip li avevano quasi raggiunti. “Sal, hai la bacchetta?” Domandò Hanna disperata. “No.” Sussurrò Salomon. “Ma posso fare qualcosa.” Disse il ragazzo mentre il suo sguardo cadde sull’armatura lì accanto. Salomon afferrò la mazza ferrata e la posizionò di fronte a sé in posizione d’attacco. “Si può sapere cos’hai in testa!” Urlò Hanna mentre Sal iniziava a roteare la mazza per aria con fare minaccioso. “Sal, quel arma non farà nulla ai chip.” Ma il ragazzo la ignorò. I suoi occhi si erano concentrati sui chip oramai vicinissimi. E quando oramai Hanna si era convinta che questa sarebbe stata la sua fine una scarica d’energia, provenuta dalla mazza di Sal, colpì i fulmini prossimi ad infilzarli disperdendoli. “Ma che…?” Sussurrò Hanna a bocca aperta. I fulmini tentarono un ulteriore attacco, ma, quando stettero per colpirli, Sal agitò la sua mazza e con un colpo poderoso la sua energia magica venne liberata allontanando nuovamente i fulmini che stavano studiando Sal come un serpente studia la preda. Sal alzò nuovamente la mazza pronto per un altro contrattacco ma i fulmini si ritrassero e scomparvero dalla vista.

Dopo qualche minuto in cui Sal era rimasto fermo immobile coi nervi a fior di pelle Hanna si avvicinò al ragazzo e disse poche parole. “Se ne sono andati.” Sal espirò rilassandosi ma subito si fece serio. “Non dire a nessuno ciò che hai visto.”  Gli ordinò Salomon con una leggera supplica nella voce. Gli occhi ambra della ragazza e quelli terra del ragazzo si incrociarono studiandosi un secondo. Hanna sospirò. “Va bene. Prometto di non dirlo a nessuno. Ma spiegami cos’è questo.” Disse lei indicando l’arma. “È una cosa che riesco a fare da quando sono bambino: quando impugno un arma creo queste scariche d’energia e più forza uso più energia rilascio.” Spiegò il ragazzo. “Ma come fai allora a giocare a Quidditch come battitore allora?” Chiese la ragazza con rabbia, ma in realtà era solo stupore. “Controllo molto bene questo potere e inoltre riesco a rilasciare energia solo attraverso armi bianche, come questa mazza ferrata.” Spiegò alzando leggermente l’oggetto per evidenziare ciò che stava dicendo. “So che può sembrare pericoloso e assurdo. Ma ti giuro Hanna, che so controllare perfettamente questo potere e i miei sono d’accordo, anche se spaventati, da queste mie capacità.” Hanna guardò Salomon per un lungo minuto e fu come guardarsi allo specchio. “Mi fido di te e del tuo giudizio.” Affermò la ragazza serissima. “Presuppongo che tu non mi voglia più parlare d’ora in poi.” Disse il ragazzo con imbarazzo. “No.” Salomon guardò Hanna incredulo. “Io e te resteremo amici.” Allora Sal in preda alla gioia abbracciò Hanna con forza sollevandola da terra. “Sei la migliore Hanna! Grazie.” Disse il giovane Grifondoro abbracciando la sua amica. Hanna rispose all’abbraccio. I due uscirono da Hogwarts quella notte e fu la cosa migliore che potessero fare.

****

All’inizio era appena percettibile; nessuno, neppure io, me ne accorsi. Poi percepii qualcosa, come un vago ronzio, uno sfregolino, c’era qualcosa all’esterno, delle leggere luci e una strana tensione. Aprii gli occhi infastidito, ma bastò una prima occhiata per bloccare ogni mio movimento. Ero accerchiato, i chip mi avevano circondato, e come scorpioni mi studiavano con le loro lunghe code avvelenante pronte a colpirmi da un momento all’altro. Trattenni il respiro per qualche istante pregando che non si accorgessero del mio stato di veglia, avevo le mani sudate, e il respiro si fece sempre più ansioso. Cercando di non farmi notare spostai lentamente la mano fingendo di starmi rigirando nel letto ed afferrai la bacchetta. Tuttavia si accorsero che ero sveglio. Quelle saette si protrassero indietro, e come la lama di una pugnale, calarono su di me. Non ebbi il tempo di pensare, rotolai lateralmente evitando la maggior parte dei colpi, ma venni comunque ferito alla spalla sinistra; una scarica elettrica invase la carne bruciandola, non fece in tempo ad uscire l’urlo dalla mia gola, che sentii qualcosa che tentava di penetrare nella mia carne, molto probabilmente un chip. Urlai per il dolore e assieme al mio urlo dal mio corpo fuoriuscì una scarica d’energia magica che si liberò allontanando i fulmini e scacciando il chip che aveva tentato di entrare nella mia carne. Le mie urla, seguite dal tonfo del mio corpo sul pavimento, allertarono tutto il dormitorio Corvonero che si era svegliato circondato dai fulmini assassini.

In preda al panico tutti gli studenti si alzarono dai loro letti e iniziarono a correre alla rinfusa verso l’uscita. Tuttavia nessuno ebbe il tempo di fare un passo che tutti i chip attaccarono, senza uno schema o una logica, sembrava quasi che i fulmini fossero spaventati, infatti molti vennero feriti ma nessuno esalò l’ultimo respiro.

L’auror che era di guardia entrò di colpo sprangando la porta urlandoci di uscire in fretta e di raggiungere la sala comune e, mentre le sue urla riempivano l’aria, iniziò a contenere i fulmini come poteva con incantesimi d’ogni sorta mentre tutti si precipitavano fuori, anche quelli che avevano una gamba praticamente trapassata da in fulmine e si vedeva il sangue zampillare sulla carne viva e bruciata correvano trascinandosi a forza verso la porta.

Mi sollevai dalla base del letto e arrancai per i primi passi costringendomi ad uscire da lì. La spalla mi faceva male, e dovevo stringere i denti per non urlare, tuttavia non era niente in confronto che avevo provato a Litha, così strinsi i denti in breve riuscii ad ignorarlo e con spintoni riuscii a raggiungere la sala comune. Però anche lì c’erano fulmini che con la loro confusa danza cercavano di colpire più studenti possibili generando il caos più totale. In preda al panico iniziai a farmi strada, ma i miei piedi mi stavano trascinando dalla parte sbagliata, infatti una folle parte di me mi fece salire i gradini che portavano alla camera delle ragazze, non so perché lo feci, so solo che sentivo che quella era la cosa giusta da fare. Non si trattava di un atto di generosità o coraggio, solo una consapevolezza: io dovevo andare lì.

I gradini, come tentai di salire, divennero inspiegabilmente uno scivolo ma riuscii comunque a raggiungere la porta. La spalancai, anche le ragazze erano in difficolta: i chip avevano creato un muro di fulmini che copriva l’uscita impedendo a tutte le studentesse di uscire. In perda al terrore urlai il primo incantesimo che mi venne in mente. “Bombarda!” Urlai mirando al soffitto. L’onda d’urto generatasi e le macerie del soffitto crearono un valico e allora tutte le ragazze, con uno scatto impressionante, uscirono difendendosi con scudi di qual si voglia genere quando un fulmine tentava di colpirle. Stavo per seguire l’esempio delle ragazze quando notai che una era stata accerchiata dai fulmini. Un moto d’angoscia mi investì. “Protego!” Urlai, e con quello scudo riuscii a proteggere quella ragazza dall’attacco. Scattai verso di lei proteggendomi come potevo, le afferrai la mano e la trascinai di peso fuori dalla stanza.

Una volta fuori mi passò davanti e riconobbi il suo volto: era Elisabeth ed era viva. Lei saltò giù per le scale con la bacchetta in mano e iniziò a dire ad una velocità impressionante tutti gli incantesimi che le venivano in mente facendosi strada assieme a me e agli altri Corvonero per uscire dalla sala comune.

Ero quasi al uscita quando mi accorsi di un movimento, in preda al panico afferrai Elisabeth e un altro ragazzo nella medesima direzione e li trascinai dietro ad una colonna evitando loro un colpo altrimenti fatale di un fulmine che ci avrebbe trasformato come il cassettone oramai ridotto a cenere. Dopo due secondi in cui vidi il volto dei due miei compagni guardarmi con una leggera sorpresa li buttai fuori dalla porta con uno spintone e ripresi a correre conscio che se restavamo lì sarebbe stata la nostra fine.

Tutti i Corvonero correvano il più velocemente possibile allontanandosi più che potevano dai fulmini che erano anche riusciti ad uscire dalla sala e ci rincorrevano. Gli auror correvano in direzione contraria alla nostra spingendoci e urlandoci per raggiungere il loro collega e per dirci di scappare ai piani inferiori restando su di un lato delle scale, ma ovviamente nessuno li ascoltò: eravamo tutti troppo presi dal salvare la nostra vita.

La situazione era confusa: vedevo tutto offuscato, in parte per l’oscurità della notte ma anche l’assenza degli occhiali mi rendevano la cosa più difficile. Non vedevo bene dove mettevo i piedi e, nella frenesia della fuga, misi male un piede e caddi a terra sbattendo la testa. Il colpo mi stordì a tal punto che iniziai a vedere tutto oscurarsi. Tentai di rialzarmi ma venni pestato da alcuni miei compagni e quel poco di lucidità che mi rimase scemò mentre qualcuno mi pestava, o forse mi stava afferrando, non saprei dire cosa fosse successo. Chiusi gli occhi e rimasi immobile.

 

 

Note dell’autrice:

Prima che qualcuno mi lanci addosso le verdure! *Dico indicando i lettori intenti a rigirarsi le “armi” in mano.*  Voglio che sappiate che mi dispiace infinitamente per il ritardo, ma in queste settimane sono stata sommersa dallo studio e questo capitolo non ne voleva sapere di farsi sistemare. *Qualcuno abbassa i vegetali.* Detto ciò, sempre per motivi tecnici, vi informo che la prossima settimana non potrò pubblicare, ciao! *Dico dandomi alla fuga, ma vengo comunque colpita da qualche verdura.*

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Capitolo 12
*** Cap. 11 La realtà ***


Cap. 11 La realtà

 

Mi risvegliai in infermeria, vedevo tutto sfocato, come se le nebbie velassero i miei occhi e i colori mi parevano confusi tra loro. “Arthur!” Urlò una voce a me famigliare e riconobbi in quelle nebbie il colore rosso dei capelli di Hanna. “Arthur come stai?” Mi stava guardando negli occhi, lo capivo, ma non riuscivo a delineare i tratti del suo viso paffuto, degli occhi tondi e marrone chiaro, unici nel loro genere, e i suoi capelli mi parevano qualcosa che appartenesse allo sfondo. “Hanna….” Iniziai in preda al panico ma ero così privo di forze che il mio parve appena un sussurro. “Che succede, non riesco a vedere: tutto è sfocato, non riesco a vederti.” Allungai spossato la mano per cercare di accarezzarle la guancia e trovare un po’ di conforto, ma continuavo a mancarla, giacché la mia mano vagava attorno al suo viso. Lei afferrò la mia mano e la strinse forte tra le sue e riacquisii un po’ di calma, erano così calde le sue mani e lei così dolce e apprensiva, di norma non mi avrebbe mai dato quelle attenzioni. “Quanto ho dormito?” Chiesi cercando di farmi il quadro della situazione ancora molto confuso. “Due settimane.” Voltai lo sguardo in direzione della voce di Nath, non sarei riuscito a distinguerlo se non fosse stato per essa, i colori che riuscivo appena a distinguere non mi avrebbero permesso di riconoscerlo con qualunque altro ragazzo dai capelli scuri, accanto a lui c’era un’altra sagoma, molto più alta di lui e con qualcosa come una lunga linea gialla, doveva essere Elaine. “Ci hai fatto prendere un colpo, stupido.” Mi rimproverò lui con voce strozzata. “Scusate” Sussurrai, era una frase stupida ma non sapevo che altro dire. “Cosa è successo? Le creature hanno fatto altri morti?” Chiesi preoccupato ma mantenendo comunque una certa prudenza: solo noi chiamavamo le creature “chip”. “Sì, hanno ucciso tre auror ma… non hanno fatto vittime tra gli studenti.” Mi disse il mio amico.

“Arthur.” Riconobbi subito quella voce così poderosa e profonda. “Ciao papà.” Lo salutai debolmente. “Madama Cips mi ha detto che hai subito un brutto colpo in testa e ha causato un danno piuttosto grave al tuo occhio sinistro. In altre parole sei quasi cieco, questo difetto può essere corretto con degli occhiali molto forti ma comunque senza vedrai come stai vedendo ora. Li ho ordinati qualche giorno fa, entro domani dovrebbero arrivarti per gufo.” Mi spiegò lui, lo sentivo strano, come se stesse contenendo qualcosa in sé. “Uhm.” Sussurrai fingendo di restare calmo. “C’è dell’altro che devo sapere?” Domandai, non volevo avere altre sorprese quel giorno. “No, sei stato fortunato: la caduta non ti ha causato altri danni e la bruciatura se né quasi del tutto andata.” Non lo vidi ma sentii la sua enorme persona sedersi sul letto mentre parlava. “Sei sicuro di voler restare ad Hogwarts?” Mi chiese. “Sì.” Risposi determinato. “Mi domando quando hai iniziato ad essere così sicuro di te, Arthur….” Disse mio padre rassegnato. Mi stupii, non era da lui essere così arrendevole, forse era la presenza dei miei amici. “Di certo ho preso da qualcuno.” Gli dissi atono, non era una battuta nei suoi confronti, solo una semplice ed inesorabile constatazione. “Allora ci vediamo all’arrivo dell’estate.” Così dicendo se ne andò.

“Arthur…” Questa volta a parlare era stata Elaine, aveva aspettato che tutti se ne fossero andati. “Ho paura che… i chip potrebbero ferirci ulteriormente.” Disse lei con voce tremante, cercai di guardarla negli occhi ma probabilmente le fissai la fronte, la guancia o il mento. “Non accadrà.” La rassicurai. “E se accadesse? Se uccidessero uno di noi, cosa faremo?” Disse serissima con dei leggeri singhiozzi. “Non avverrà, Elaine: staremo bene.” La contraddissi ostentando sicurezza. Ma lei non pareva convinta poiché si avvicinò a me tanto che riuscivo a distinguerne, più o meno, i tratti del viso. “E se avvenisse?” La sua voce era carica d’una strana forza che mi fece rispondere più sinceramente di quanto volessi. “Non lo so.” La sentii trattenere il fiato. “Arthur…” Iniziò con voce tremante. “Elaine, non serve, probabilmente è una sciocchezza!” La bloccò Nathaniel. “No, Nath! Basta con i segreti! L’anno scorso ci hanno portato solo guai! Anzi… avrei dovuto dirvelo prima…. Mi sento una tale scema…” Borbottò seriamente dispiaciuta. “Elaine, di cosa stai parlando?” Domandai preoccupato. “I centauri hanno detto ad Elaine quello che ci ha già detto Ehogan una volta: questo è il nostro destino e….” Iniziò Hanna ma la bloccai subito. “Che vadano a fanculo.” Decretai serio, sentivo di già il discorso nelle orecchie, perché tutti sembravano insistere che fosse il nostro destino? A me bastava che i miei amici stessero bene, il resto non contava. “Arthur, avevano predetto questo attacco.” Disse Hanna d’un fiato. “Cosa? Elaine….” Guardai in direzione di lei incredulo, da Elaine non mi sarei mai aspettato un comportamento simile. “Perdonami Arthur… è tutta colpa…” Elaine non riuscì a dire la frase che si bloccò di colpo.

***

Mi ritrovai Hanna attaccata al mio collo come se fossi la sua ultima ancora di salvezza. “Non lo dire neanche per sogno, ti sei già compatita abbastanza Elaine, basta piangersi addosso. Sei o non sei la signora dei draghi, comportati come tale.” Guardai incredula la mia dolce Hanna, così impetuosa e collerica, ma anche così attenta, le accarezzai la testa con gratitudine. “Grazie Hanna, ma per colpa mia Arthur…” “Ehi! Guarda che se è per i miei occhi non fartene un problema! E anche se fosse Hanna ha ragione: anche se ce l’avessi detto le cose non sarebbero cambiate. Me l’ha detto Ehogan poco dopo Yule: un destino predetto non può essere cambiato.” Spiegò Arthur come se fosse la cosa più naturale del mondo. In quel momento mi sentii il peso del mondo cadermi addosso. –No, non è vero, non può essere vero.- “CHE COSA!!!” Urlò Nathaniel sbattendo le mani ai fianchi di Arthur.

***

Guadai incredulo la espressione chiaramente furiosa di Nathaniel, ma c’era qualcos’altro nel suo tono di voce, disperazione? “Dimmi che è uno scherzo, Arthur quel vecchio babbeo non può avere di certo ragione!” Urlò Nath ancora più furibondo. “Nathaniel, è tutto apposto.” Cercò di calmarlo Elaine. “No, Elaine non è tutto apposto. Ti prego, dimmi che quel damerino si sbaglia, ti prego…” La voce di Nath si era stranamente inclinata alla fine del discorso. “No Elaine, tranquilla, non ti succederà niente.” Esclamò Hanna. “Hanna, tranquilla, davvero, non è nulla.” La tranquillizzò Elaine, ma con ancora il pianto in gola. “Qualcuno mi dice che sta succedendo?” Domandai isterico. –Cavoli, solo due settimane di assenza ed ecco cosa mi perdo!- Pensai con estrema leggerezza, non avrei mai immaginato le parole di Nathaniel in quel momento. “I centauri… hanno detto che Elaine sarebbe stata in pericolo a causa dei chip… e crediamo che si riferisca alla morte di….” Nathaniel si bloccò incapace di proseguire. “La mia morte.” Concluse Elaine in un singhiozzo. Per un secondo mi sentii crollare. –Morte? Elaine… sarebbe morta?-

Avrei voluto fare altre mille domande, ma venni interrotto dall’arrivo di Madama Cips. “Signorino Hunter, le posso parlare un minuto?” Domandò la donna il più professionalmente possibile davanti alla scena che le si presentò davanti: Elaine in lacrime con Hanna avvinghiata a lei, Nathaniel arrabbiato e triste che mi imprigionava con le sue braccia e io pallido come un cadavere. “Sì…” Risposi in maniera quasi meccanica. “Potete andare cari.” Li congedò Madama Cips. Nathaniel si allontanò da me, raggiunse le ragazze e le accompagnò alla porta. Quando fummo da soli Madama Cips si sedette sul letto e con un sospiro iniziò a parlarmi. “Arthur… senti…” –E ora che succede?- Pensai esasperato. “Ho visto la cicatrice… quel nodo celtico.” “Triskell.” La corressi. “Triskell…. Mi devo preoccupare?” Domandò lei apprensiva. Le sorrisi e con estrema sincerità le diedi una mezza verità. “Non si preoccupi: non è quel che sembra e le assicuro che si è fatta un’idea sbagliata. Quella cicatrice non è stata una violenza.” Confessai con tranquillità. “Sicuro?” Insistette lei, con il medesimo sorriso accennai un sì. “Non sembri mentire, ma la storia è talmente assurda che mi pare una bugia.” Confessò la donna. “Lo immagino.” Sospirai rassegnato. “Sicuro di non… beh… ecco… essertelo autoinflitto oppure che… tuo padre…. Insomma….” Madama Cips era chiaramente a disagio ma non la potevo rimproverare. Allora decisi di alzare la maglietta e le feci vedere il triskell. “Glielo giuro, quando l’ho fatto ero pienamente cosciente di quello che facevo e di cosa significava. E non mi pento di averlo fatto, ne ora ne mai. Questo simbolo ha un valore immenso per me.” Non seppi mai cosa pensò Madama Cips o cosa vide nei miei occhi, so solo che non ne parlò più e la notizia non si diffuse. “Ah… va bene… ora fammi controllare i tuoi occhi.” Mi ordinò puntandomi una luce su di un primo.

 

 

Non riuscire a vedere è una cosa orribile: sembra di camminare in mezzo ad un quadro impressionista, tutto era nebbioso, le cose vicine apparivano chiare come le cose lontane. Quando arrivarono gli occhiali fui veramente felice; le lenti erano leggermente più spesse rispetto a quelli di prima ma per il resto erano identici a quelli che avevo comprato quel giorno d’estate. “Allora, come ti senti?” Mi chiese Ehogan quando potei tornare a frequentare le sue lezioni pochi giorni dopo. “Madama Cips mi ha detto che resterò così per il resto della vita se porterò sempre gli occhiali e non sforzerò troppo gli occhi ma potrei anche peggiorare e arrivare a non vedere più nulla.” Spiegai giochicchiando con la bacchetta per poi riporla nella tasca della giacca. “Fammi un attimo vedere i tuoi occhi.” Mi ordinò il mio vecchio maestro, gli arrivai di fronte e mi tolsi gli occhiali, riuscivo con difficoltà a distinguere i suoi tratti a me così cari ma sentivo chiaramente le sue mani vecchie, secche, callose e ossute tenermi il viso tra le mani e aprire i miei occhi in modo da studiarli meglio per qualche lungo secondo. “Non mi pare che le nebbie avvolgeranno i tuoi occhi.” Mi confessò il druido leggermente sollevato, e se lui lo era, voleva dire che non c’era da preoccuparsi: non lo dava a vedere, ma Ehogan era un ottimo medico, tenendo conto dell’epoca Medievale da cui veniva. “E anche se fosse la vista non è l’unico senso che hai mio giovane amico, esiste il tatto, l’udito, l’olfatto e il gusto e per un druido è importante non lasciarsi ingannare dagli occhi e usare tutti i sensi per scoprire le verità più profonde” Così dicendo mi rimise gli occhiali in modo da ritornare a vedere. “Quindi dici che dovrei mettermi su una benda e usare un bastone per camminare?” Chiesi scherzoso. “No: tu vedi, anche se male, ma questo non ti deve limitare o scoraggiare. E poi sei anche fortunato: con questi occhiali, mi pare che vedi bene.” Mi incoraggiò lui, e accennai un sì.

“Maestro… Le volevo chiedere una cosa.” Ehogan si bloccò, non usavo mai queste formule con lui al di fuori dei rituali. “Ha saputo ciò che i centauri hanno predetto, vero?” Ehogan sospirò amareggiato. “Sì.” Mi confessò sincero e pacato. “Non accadrà vero? Elaine non morirà?” Domandai disperato. “Non lo so Arthur. I centauri sono stati molto vaghi nel loro chiaro ammonimento. Ma… conoscendovi… solo un coinvolgimento completo vi farà fare qualcosa. Forse Hanna vuole fare qualcosa, ma si blocca per amor vostro, Nathaniel è troppo furbo per fare una sciocchezza simile, Elaine non ricorrerebbe mai alla violenza se non costretta e tu Arthur… ti ostini a credere che non sia vero, non credo che altro vi farebbe smuovere dalla situazione in cui siete ora: le cose vanno male ma non vi toccano a fondo.” Abbassai il capo pieno di vergogna. “Ehi… nessuno può obbligarvi, ma al destino non si sfugge e ciò che viene predetto si realizza… sempre.” Cercò di consolarmi lui ma mi fece sentire peggio, eppure era chiaro che volesse farmi trovare il bello di quelle parole. “Nessuna eccezione?” Domandai guardandolo negli occhi. “Nessuna eccezione.” Fu la sua risposta. Una tristezza enorme mi avvolse il cuore e in contemporanea un senso di impotenza mi scombussolò le viscere unito ad un vago senso di ammirazione verso il mio maestro, che era così calmo anche di fronte ad un destino crudele, scoprii di invidiarlo.

Ad un certo punto della lezione, mentre stavo pestando dell’erica in un mortaio mi decisi a domandargli una cosa che da un po’ mi ronzava per la testa. “Maestro…” Sussurrai ancora. “Crede che riuscirò un giorno a raggiungerti? Non sono come te: non ho la tua forza, la tua spiritualità…” “Zitto Arthur! Tu non devi diventare me, tu devi diventare te stesso e superarmi, poiché se non avverrà io avrò fallito come maestro!” Era furioso e non capivo neanche il perché. “Ora basta con i brutti pensieri Arthur, come ho già detto questo posto non ne ha bisogno, riprendiamo le lezioni altrimenti arriverà Imboloc e non saremo pronti.” Disse mettendo da parte il suo mortaio e afferrando la cetra. “È proprio necessario festeggiare anche le feste minori?” Chiesi ancora molto provato dalla convalescenza. “Che stai dicendo Arthur? Imboloc è una festa le cui cerimonie spettano alle sacerdotesse, noi uomini dobbiamo solo pensare a purificare l’anima in questo periodo.” Mi disse rivolgendomi uno sguardo che pareva dire: ascolti quando parlo? O sto facendo lezioni agli alberi?

“Davvero? Ma come mai solo le donne?” Chiesi perplesso e sollevato: non avrei retto una festa al pari di Yule. “Ma ascolti le mie lezioni o parlo al vento?” Disse il druido seccato. “Sono le donne a detenere il potere della nascita, della crescita e della morte. Noi uomini abbiamo il potere di mantenere l’equilibrio del mondo. Per tanto è logico che in una festa come Imboloc in cui la primavera è tenuta nel grembo dell’inverno siano le donne a tenerne le cerimonie. E poi, fidati, noi uomini possiamo comprendere molte cose, ma la logica della magia della nascita no: è una cosa a noi sigillata poiché pur piantando il nostro seme non capiamo quale complessa magia avvenga nel grembo d’una donna.” Disse il vecchio con un mezzo sorriso. “Queste lezioni per prepararmi alle feste sono proprio necessarie?” Chiesi senza guardarlo negli occhi. “Le leggende sono qualcosa a noi necessario Arthur: senza di esse l’equilibrio verrebbe perso. Per di più è grazie a queste feste se un giorno potrai prendere le vesti del dio e unirti alla dea vergine e allora….” Ma si bloccò come se si fosse reso conto di chi avesse davanti. Guardai il vecchio perplesso mentre faceva uno strano sorriso e scuoteva la testa divertito. “In che senso maestro?” Domandai confuso, qualcosa mi diceva che aveva a che fare con la riproduzione ma non avevo in mente di cosa si trattasse, all’epoca ero ancora molto ingenuo. “Lo capirai crescendo.” Disse con un mezzo sorriso. Le ore che seguirono le passai a memorizzare un brano e a studiare le proprietà di alcune piante.

 

 Quando finimmo vidi arrivare Hanna dall’allenamento di Quidditch, Nath dalla biblioteca in cui aveva passato del tempo con Brian ed Elaine ci raggiunse subito dopo entrando in gran stile scendendo da Itrandil con Godren sulla spalla in maniera assolutamente elegante. Oltretutto, ora che Itrandil raggiungeva i due metri e sessanta circa, riusciva decisamente a creare una certa maestosità vedendoli arrivare tutti e tre assieme, ma Elaine, ovviamente, non se ne accorgeva neppure. “Esibizionista!” La derise Hanna la quale per contrasto aveva i capelli sudati e gonfi il doppio del solito, la faccia calda e rossa per la fatica, la divisa lasciata a se stessa mezza sbottonata e sgualcita e con ancora il sudore in viso. “Perché Hanna, che ho fatto?” Disse Elaine cercando di sistemare i suoi lunghi capelli biondi appena scompigliatisi durante il volo. “Ahh… Lascia stare.” Sbottò lei seccata.

Dopo due chiacchere veloci ci mettemmo a fare i compiti.

 

***

 

Oramai erano passate settimane dalla fine delle vacanze Natalizie e non v’erano stati attacchi da parte dei chip, anche se Hanna continuava a percepire la loro presenza e di giorno in giorno tornava ad essere più nervosa. Sospettavamo che il prossimo attacco fosse imminente, quindi accelerai il passo per arrivare in una zona affollata il prima possibile. Camminavo per i corridoi da sola: stavo tornando da un volo con Itrandil e tenevo la borsa di scuola a tracolla intenta a raggiungere la casa dei Tassorosso. -Stai pensando a quello che è avvenuto prima di Natale?- Mi chiese Itrandil sentendo la mia ansia. –Sì.- Confessai rassegnata. -Mi chiedo se quello che abbiano detto fosse vero…- Pensai percependo un terribile vuoto alla bocca dello stomaco e un moto di paura misto a tristezza mi invase corrosiva. Percepii la dolcezza di Itrandil avvolgermi. -Non fartene un…- Ma non concluse la frase che all’improvviso persi il contatto con la draghessa. -Itrandil?- La chiamai preoccupata, ma niente, non vi fu risposta. Il respiro iniziò ad accelerare, il principio un attacco di panico mi invase il petto. Tuttavia presi due profondi respiri e mi imposi di camminare: non era il tempo ne il luogo per una crisi. Continuai ad andare dritta davanti a me cercando di mantenere la calma ripetendomi che era solo la mia testa a giocarmi brutti scherzi. Però un ronzio alla mia sinistra attirò la mia attenzione. Mi voltai lentamente: dal corridoio laterale intravidi delle scintille luminose iniziare a muoversi verso di me insidiose. Trattenni il fiato per qualche secondo sperando che non mi avessero vista, però quei fulmini, la cui forma ricordava quella d’un serpente, volsero il loro sguardo verso di me, scattai.

Corsi verso le scale nel tentativo di seminarli addentrandomi in qualche corridoio principale, ma la mia via di fuga venne bloccata da un muro di fulmini che scivolò di fronte a me costringendomi a voltare l’angolo in uno dei numerosi corridoi di servizio. Malgrado fossero a pochi metri di distanza, riuscii, in qualche modo, a raggiungere una rampa di scale, e mi arrampicai su quest’ultime con i fulmini mortali alle calcagna. Mi inseguivano come lucertole lungo le pareti e i pavimenti muovendosi vorticose e instancabili.

Mentre salivo una rampa di scale questa iniziò a cambiare direzione, la paura e l’adrenalina mi diedero la forza per correre ad una velocità che non ritenevo possibile e proprio prima che la scala si distaccasse del tutto saltai nell’altra rampa. Tuttavia misi male il piede, così caddi a terra, un dolore lancinante mi colpì la caviglia. Con un enorme sforzo di volontà ignorai il dolore, mi alzai e mi addentrai nel corridoio di fronte a me.

Mi voltai un istante, i chip non si erano fermati un secondo, erano così vicini che per poco non mi raggiungevano, spalancai gli occhi terrorizzata e ripresi a correre ancora più veloce ma senza successo. Avevo il fiato mozzo, la caviglia faceva così male che ero convinta che si spezzasse, non potevo più scappare. “AIUTO!!!” Urlai con tutto il fiato che il mio corpo possedeva ma nessuno avrebbe risposto. Mi appoggiai alle ginocchia cercando di riprende fiato: sapevo che ero troppo debole per correre ancora o per vincere in uno scontro frontale, ma non mi restava altra scelta. –Mamma, Papa…- Pensai estraendo la bacchetta. –Proteggetemi, parteggiate ancora un po’ per me con la morte.- Pensai e il mio urlo si espanse per il corridoio. “Protego!” Uno scudo blu si espanse dalla mia bacchetta e bloccò i fulmini a un metro da me e riuscii a fermarli, ma solo per pochi istanti. Ridissi l’incantesimo innumerevoli volte e ogni volta l’incantesimo era più potente, più esplosivo, riuscivo a creare scudi più resistenti, però i fulmini continuavano implacabili la loro avanzata. Alla fine, quando furono ad un millimetro dal viso la mia forza magica li scaraventò lontani allontanandoli con la forza dello scudo, trascinandoli fino al livello delle scale.

Ripresi a correre lungo il corridoio zoppicando un po’, ma con rinnovata energia. Scesi lungo un’altra rampa di scale saltando a due a due i gradini. Però misi male il piede già ferito e caddi giù dalle scale rotolando per mezza rampa, nella caduta mi ferii le mani e le ginocchia, e persi la bacchetta. Mi scivolò di mano durante la caduta e cadde giù verso il piano inferiore. In un lampo ero stata circondata dai chip che presero la forma di lance e guidate dalla stessa sete degli Spartani mi vennero addosso come un sol uomo. Disperata mi accovacciai in posizione fetale a terra coprendomi il capo con le braccia.

Il colpo non arrivò, alzai lo sguardo: inconsciamente avevo evocato il mio scudo e mi stava proteggendo da quei fulmini che continuavano a battere contro quest’ultimo sapendo che non avrebbe retto in eterno, già iniziavano a sentire che sotto ogni colpo andava ad assottigliarsi. Era finita: nessuno mi avrebbe sentito da questo punto della scuola, ma non potevo arrendermi, ci doveva essere un modo per fermare queste creature.

Ci fu un altro colpo, la barriera tremò, allora compresi che non potevo più fare nulla. “E sia.” Dissi in lacrime, tirai fuori la penna e un foglio di carta, solo allora notai di non avere l’inchiostro. Per poco non piansi per quel destino crudele ma dovevo far arrivare a loro il messaggio. Strinsi i denti, alzai la penna e infilzai con un colpo deciso e rapido il mio polso sinistro con il pennino, facendo uscire il sangue che divenne il mio inchiostro. Respiravo affannosamente, mi pareva che l’aria non esistesse più, avevo le guance rigate da lacrime salate e continuavano a scendere calde offuscandomi la vista, il panico mi annebbiava la mente e mi faceva tremare le ossa. Ciononostante con un profondo respiro mi feci forza e trascrissi velocemente quelle poche righe: i miei amici dovevano sapere. Piegai il biglietto in quattro parti e, infilzando un’ultima volta le mie carni con il ferro, scrissi i loro nomi: Hanna, Nathaniel, Arthur. Piegata in due dal pianto e dal dolore riposi la lettera in tasca e alzai lo sguardo, sapevo che stava per succedere. Un istante dopo, con un ultimo letale colpo, la barriera venne infranta. Percepii un dolore acuto al polso sinistro e poi tutto divenne nero.

 

****

 

Quella mattina non vidi Elaine a mensa, chiesi a qualche suo compagno ma nessuno mi seppe dire dove fosse. A lezione i professori mentre facevano l’appello e cadevano sul nome di Elaine sembravano rattristirsi un secondo per poi proseguire la lezione indifferenti. Nel pomeriggio mentre ci dirigevamo alla radura continuavamo a guardarci di sottecchi preoccupati. Molto probabilmente una parte di noi conosceva di già la risposta ma non volevamo accettarla, non volevamo credere che fosse vera.

“Voi siete gli amici di Elaine Zannet?” Ci voltammo, un auror ci stava raggiungendo a grandi falcate, la sua espressione era seria e corrucciata, ma leggermente celata riuscii ad intravedere una nota di tristezza nei suoi occhi scuri. “Sì.” Rispondemmo in coro, eravamo in ansia, se un auror era venuto a chiamarci non poteva che voler dire una cosa. Ma mi rifiutai di crederci, non volevo crederci per nessuna ragione al mondo. “Venite con me.” Eseguimmo l’ordine scambiandoci furtiva occhiate spaventate. A metà strada mi resi conto che ci stavamo dirigendo in infermeria, il mio cuore perse un battito. -No, ti prego, non può essere, non è vero, non è possibile.- Mi ripetevo mentre il cuore mi batté così forte da assordarmi.

Entrati in infermeria ci accolse madama Cips con un triste sorriso. “Salve ragazzi…” Ci salutò con pena. “Da questa parte.” Ci disse accompagnandoci in una parte nascosta dell’infermeria, guardai i miei amici. Hanna era rigida e tesa, sembrava che stesse per esplodere, la sua espressione era corrucciata e i suoi occhi ambra erano così fissi da parere quelli di una statua, Nathaniel aveva stretto le braccia al petto e si stava torturando le maniche della divisa con le unghie, stringendo sempre più forte. Avevano entrambi il mio stesso presentimento che oramai era quasi una certezza. Raggiungemmo un lettino coperto da delle tende bianche, l’infermiera con un gesto tristemente rassegnato le scostò.

Mi sentii mancare il respiro e il mio cuore accelerò ulteriormente. Improvvisamente senza forze nelle gambe, fu Hanna a sorreggermi quel poco che bastava per farmi riprendere l’equilibro. A contatto con il suo petto sentii il respiro di Hanna farsi affannoso e le sue unghie conficcarsi nella mia carne, il corpo teso fino all’innaturale, oramai priva della lucidità. Nathaniel invece tremava e la guardava incredulo con occhi vitrei incapace di fare altro. Io, d’altro canto, non avevo la forza per guardarla, non potevo accettare l’idea che Elaine fosse morta: tutto ma non questo. Improvvisamente un fuoco nero e freddo iniziò a corrodermi da dentro, era odio. Potevo palpare la sua consistenza e la sua forza in ogni mio respiro, ed a ogni inspiro percepivo una strana estasi e fui tentato di cedermi a quest’ultimo, di lasciar andare il resto e diventare schiavo dell’odio. Il mio respiro si fece più profondo e sentii la magia in me ribollire chiamando a sé quella di Elaine. I chip avevano compiuto uno sbaglio tremendo nell’uccidere Elaine, avrebbero pagato con la stessa moneta.

 

 

Note dell’autrice:

*Schivo velocemente una mezza dozzina di verdure arrivate dal palco.* Lo so sono in ritardo. Ma non ho potuto farci niente, ho avuto pochissimo tempo per dedicarmi alla storia in queste settimane, e vi giuro che mi dispiace moltissimo, ma non ho potuto fare altrimenti. E mi è dispiaciuto (almeno in parte) tenervi con l’acqua alla gola con Arthur.

Per quanto riguarda Elaine beh…. Vedete voi che cosa dire.

Al prossimo capitolo,  Bibliotecaria.

 

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Capitolo 13
*** Cap. 12 Per un'amica ***


Cap. 12 Per un’amica

 

“Non è morta.” Ci disse Madama Cips. Improvvisamente mi sentii svuotato e tornai a respirare regolarmente mentre le ombre dell’odio scemavano, Hanna riprese a respirare uscendo dallo stato di apnea in cui era caduta distendendo i muscoli e Nathaniel si riscosse tornando a guardare Elaine incredulo. “È in una specie di coma: sembra che il suo organismo sia entrato in questo stato dormiente per riuscire a contrastare i fulmini e questi.” Disse mostrandoci i chip. “Ho provato ad estrarli con la magia, ma ogni forma magica non ha effetto e più ci provavo più questi… cosi avanzavano. Temo che se non troviamo entro breve un modo alternativo per estrarli la signorina Zannet potrebbe… non uscire più da questo stato.” Ci spiegò tentando di essere il più delicata possibile.

I miei occhi caddero su Elaine: era stesa, con gli occhi chiusi, immobile, l’espressione crucciata ma, solo allora me ne resi conto, respirava ancora. “L’abbiamo trovata ieri sera in questo stato.” Ci rivelò la donna. “La sua bacchetta era al piano di sotto, le deve essere caduta nella fuga.” Mentre parlava notai che nel braccio destro di Elaine c’erano delle cicatrici nere, proprio come i ragazzi che erano stati uccisi dai chip, solo che le sue si limitavano al livello del polso e poco più avanti, bloccate dal suo potere. “In qualche modo riesce a resistere a questi.” Ci spiegò indicandoci il chip. “Potrebbe resistere qualche settimana in questo stato, ma se i fulmini continueranno ad avanzare e non si sveglierà entro breve le dovremmo… amputare il braccio.” Ci spiegò tristemente, mi sentii mancare a quella notizia, incapace di pensare ad Elaine in quello stato: era semplicemente inconcepibile per il mio cervello un’idea simile, Elaine non poteva rischiare di perdere un braccio, la vita o qualunque altra cosa per quei dannati chip. “Ho contattato la sua famiglia, un suo parente dovrebbe arrivare tra breve. Ho spiegato la situazione, saranno loro a decidere cosa fare.” Disse la donna con una calma che trovai addirittura fredda. Hanna era accanto a me, lo sguardo cupo e perso nel vuoto, Nath invece stava stringendo i denti e gli occhi gli luccicavano leggermente. Nessuno di noi sapeva cosa dire. “Vi lascio un po’ da soli con lei.” Disse Madama Cips allontanandosi lentamente.

Quando se ne fu andata Hanna si inginocchiò accanto al letto e iniziò ad accarezzare il viso di Elaine con le lacrime agli occhi ma senza permettere che uscissero. “Elaine, apri gli occhi…. ti prego… non mi puoi lasciare così… ti prego sve…” Hanna si bloccò: al suo contatto Elaine aveva mosso il braccio con un movimento che ricordava vagamente una carezza. Hanna a quel punto non resistette più e scoppiò in lacrime e si butto nel petto dell’amica abbracciandola con delicatezza ma anche con forza ripetendo più e più volte il suo nome. “Hanna…” Sussurrò Nathaniel prendendo l’interessata per le spalle avvolgendola in un abbraccio rispettoso ma tenero a cui Hanna non si sottrasse, anzi si fece avvolgere del tutto. “Adesso basta. Piangere non serve…” Diceva queste parole, ma anche a lui tremava la voce e i suoi occhi esprimessero più tristezza che sicurezza. “Lo so, ma non posso farne a meno.” Disse Hanna cercando di asciugarsi gli occhi con il dorso delle mani. Nath coprì le orecchie di Hanna e iniziò a dirle parole di conforto, quasi una nenia, anzi era una ninnananna ma in una lingua che non comprendevo. Continuò così fino a quando non si calmò.

Tremante mi avvicinai al corpo di Elaine e le sfiorai la mano. La scoprii calda e pulsante, non fredda e morta come temevo. Guardai il polso da cui i chip dovevano essere entrati, era chiaro che stavano avanzando verso l’alto come se a loro la mano non interessasse. Feci appena in tempo a constatare questo che Madama Cips arrivò con un foglietto piegato in quattro con scritto qualcosa in rosso. “Lo abbiamo trovato nella tasca della sua divisa, era indirizzato a voi.” Disse la donna porgendocelo. Né Hanna né Nath si mossero, così con mano tremante presi il biglietto. Sul fronte c’erano scritti i nostri nomi con una calligrafia che non pareva quella di Elaine da quanto era disordinata, sfiorai quei quattro nomi con i polpastrelli e solo a quel punto mi accorsi che erano stati scritti con il sangue. Il mio corpo venne pervaso da un tremito. Stavo per aprire la lettera quando la porta dell’infermeria si aprì e una ragazzina che conoscevo solo di vista entrò di corsa da sola. “Elaine! Elaine!” Urlava la ragazza raggiungendo la cugina. Questa si bloccò appena la vide. “Elaine…” Sussurrò e così delle grosse lacrime sgorgarono dai suoi occhi facendo colare tutto il pesante trucco nero. “No, non puoi farmi questo…” Sussurrò lei inginocchiandosi al capezzale della cugina. “Chi si prenderà più cura di noi, eh?” Sussurrò con una dolcezza scherzosa ma piena di lacrime e singhiozzi. “Elaine ti prego svegliati, ho bisogno di te, la mamma ha bisogno di te e anche papà… ti prego non ci lasciare ora… senza di te io non ho nessuno….” Diceva cose per la metà incomprensibili ma cariche di sentimento e piene d’amore e tristezza. “Elaine, so che ce la puoi fare: tu sei forte, sei sempre stata forte. Chi se non tu sarebbe riuscita a crescere da sola in una famiglia come la nostra?” Le domandò scuotendola leggermente. “Chi se non tu sarebbe stata in grado di aiutare papà con la malattia della mamma?” Aggiunse scuotendola ancora. “Elaine tu hai fatto di tutto per noi, e forse sarò egoistica ma ti prego di fare un ultima cosa per noi: svegliati, torna alla vita e giuro che farò tutto ciò che vuoi… ma ti prego… Elaine… cuginetta…” Scostai lo sguardo per via della terribile fitta che provai: la scena mi era tristemente famigliare.

Feci appena in tempo a voltarmi che due smeraldi si aprirono lenti. “Mary…” Sussurrò quella voce angelica ma distrutta. “Elaine!!!” Urlò Mary buttandosi tra le sue braccia. “Ascoltami….” Sussurrò Elaine priva di fiato con la voce roca a causa della gola troppo secca. “Io dovrò dormire per tanto tempo: se voglio resistere a questi chip devo risparmiare le energie.” Spiegò, Mary si separò appena. Guardai spaventato Madama Cips, poiché se avesse scoperto come li chiamavamo avrebbe iniziato a fare domande, ma mi parve che si fosse accorta solo in quel momento che Elaine si fosse svegliata. “Posso batterli, ma mi serve tempo, dì a madama Cips di non procedere con l’operazione…” Così dicendo si riaddormentò. “Elaine!” Urlò la ragazza. “No… non…” Le urla della ragazza però andarono a vuoto. Dopo aver preso due profondi respiri si calmò, si asciugò le lacrime che le avevano fatto colare il mascara creando due lunghe linee nere sul suo volto e, alzandosi, guardò Elaine con un doloroso orgoglio. “Va bene cuginetta, mi fido di te…. Signora Cips!” Tuonò la ragazza voltandosi, l’infermiera le si avvicinò ancora spaesata. “Non faccia l’operazione.” Decretò la giovane seria. “Cosa? Ma è l’unico…” Provò la donna tuttavia Mary la bloccò con un risoluto gesto della mano. “Io mi fido di Elaine, e si fidi, non è la prima volta che sopravvive a una cosa del genere, ce la farà: lo ha fatto a cinque anni e lo farà ancora.” Lessi qualcosa negli occhi di quella adolescente: un estrema e sincera fiducia unita ad un orgoglio incrollabile. Madama Cips non poté far a meno di sospirare come se avesse compreso che questa decisione andasse oltre la sua comprensione. “Come vuole. Ma devono essere i tutori della ragazza a decidere.” Disse la donna con autorità. “Mio padre e mia madre non sono i tutori di Elaine, i suoi tutori sono gli agenti sociali e non sanno che Elaine è una strega.” Disse seria Mary. “Quindi mi dispiace ma qui l’unica ad avere l’autorità è la sua famiglia e io mi fido di mia cugina e se lei dice di non operare voi non lo farete.” Madama Cips sebbene confusa accennò un sì e se ne andò.

“Prima hai detto che…” Cercai di chiederle ma lei mi anticipò. “Da piccola ha avuto un incidente in cui sono morti i suoi genitori.” Spiegò Mary tristemente. “Tutti i coinvolti sono morti, tranne lei.” Continuò guardando dolcemente la cugina. “I miei chiesero la custodia ma il tribunale non li ritenne adatti a prendere certe decisioni per Elaine, però lei si rifiutò di andare con qualunque altro, così il tribunale accettò di lasciare Elaine ai miei genitori, ma venendo sostenuti da degli assistenti sociali, ma praticamente non si sono mai interessati tanto a Elaine, è sempre stata troppo tranquilla per causare qualsiasi problema.” Sussurrò infine accarezzando ancora il viso contratto della cara cugina. “Non ditele che ve l’ho detto o mi uccide!” Cercò di sdrammatizzare alla fine.

Mary rimase lì per quasi due ore ma alla fine, con le lacrime agli occhi, dovette andare. “Ora io devo andare. Verrò ogni fine settimana, te lo prometto Elaine. Voi la terrete d’occhio per me, okay?” Chiese con occhi supplicanti. “I tuoi genitori verranno?” Chiese Nath preoccupato. “Mio papà ha ancora la libertà vigilata e si può muovere solo se va al lavoro o entro il nostro quartiere oppure in chiesa e mia mamma… diciamo che vedere Elaine in questo stato non le farebbe bene.” Finendo di parlare si avvicinò alla nostra Elaine e le diede un bacio in fronte così dolce e così intenso da causarmi una stretta al cuore. “Sii forte cuginetta. Lo sei sempre.” Così dicendo si allontanò e uscì dalla porta dell’infermeria. “Una famiglia singolare ti è capitata Elaine.” Disse Nath e, forse me lo immaginai, ma sulle labbra rosee di Elaine apparve qualcosa di simile ad un sorriso.

Dopo non molto tempo nell’infermeria risuonò un forte eco di passi. “Oh… santo cielo…” Riconobbi subito quella voce. “Fernand!” Esclamò Hanna sorpresa. “Che ci fai qui?” Chiese lei mentre il professore si accucciava accanto al letto. “Che domande. Sono venuto appena ho saputo, sapete non è facile ricevere notizie quando la propria aula è fuori da scuola e si passa più tempo nella foresta proibita che tra queste quattro mura.” Disse Fernand guardando dolcemente Elaine. “Sei davvero forte ragazzina… ah… Elaine… lo dicevo agli altri che è solo timida… è una ragazza… piena di sorprese…” Guardai incredulo Fernand: due grossi lacrimoni uscirono dai suoi occhi, se li asciugò rapidamente ma altri due fecero capolino incontrollati. “E pensare che ho appena rimproverato Neville per essersi messo a piangere come una fontanella!” Si rimproverò mentre accarezzava il braccio sano della ragazza. “Ci stai facendo preoccupare, lo sai Elaine? Ragazzina testarda, sei proprio forte, io mi sarei già arreso. A quanto pare hai molte sorprese in serbo per noi.” Sussurrò Fernand accarezzandole il volto con fare paterno. “Fernand.” Ci voltammo: il professor Jhonson e Paciock erano sullo stipite della porta e si avvicinarono. Il professore di erbologia aveva gli occhi rossi dal pianto mentre quello di difesa contro le arti oscure pur essendo scuro in volto sembrava deciso a non piangere. “Come sta?” Domandò il professor Jhonson. “Come vuoi che stia? Resiste, ma di sicuro non bene.” Affermò l’altro uomo. “Ragazzi… è meglio se non state qui…. Non sono…” “Noi non ci muoviamo!” Protestò Hanna. “Signorina Uther… lo so cosa si prova, ma… ora dobbiamo discutere di alcune cose con Madama Cips. E preferiremo che…” “Va bene ho capito.” Interferii così da bloccare l’altrimenti inevitabile sfuriata di Hanna.

Una volta fuori mi ricordai del foglio che avevo in mano da ore. “Ragazzi.” Li chiamai per attirare l’attenzione su di me. “Credo che dovremmo leggerlo.” Sussurrai mostrando loro il pezzo di carta. “Va bene, aprilo.” Ordinò Hanna mettendosi accanto a me seguita da Nathaniel. Con le dita tremanti aprii il foglio.

“Fate ciò che ritenete più giusto. Ma siate prudenti.”

 

 

Passai il biglietto ad Hanna e Nath. “Secondo voi che significa?” Chiese Hanna perplessa. “È un invito” Spiegò Nathaniel. “Un invito ad agire liberamente, Elaine probabilmente sospettava che facessimo qualche pazzia e deve averci scritto questo per assicurarsi che non andassimo contro i chip. Quella stupida si è preoccupata per noi in un momento simile.” Nathaniel era seccato, ma pareva anche felice, in qualche modo, di quella strana attenzione. “Dovremmo dire ciò che sappiamo alla preside, ai professori o agli auror, loro sapranno cosa fare.” Concluse Nathaniel, ma i suoi occhi dicevano ben altro, però decisi di assecondarlo. “Sì, è la cosa più logica.” lo seguii io. Ripensai alla profezia dei centauri: “tu sarai a breve in pericolo a causa delle creature di fulmine e che se la camera del fondatore che ha tradito non verrà riaperta non troverete mai la fonte di quel potere”. Queste parole erano un indizio importante, ma non sarei stato in grado di interpretarle o sfruttarle correttamente, forse. “Ma siete scemi?” Urlò Hanna furiosa. “Avete letto a chi è indirizzato il biglietto?” Urlò Hanna. “A Noi, i suoi amici, se Elaine lo ha dato a noi ci deve essere un motivo!” Sbraitò sbattendo in faccia a me e Nathaniel i nostri nomi scritti con il suo sangue. “La realtà è che noi ora più che mai siamo emotivamente coinvolti in questa faccenda! Adesso basta fingere che le cose si risolveranno, basta sperare che i grandi sistemeranno tutto. I centauri avrebbero potuto dire la profezia ai professori e non l’hanno fatto, l’hanno data ad Elaine perché lei la comunicasse anche a noi! Chiunque controlli quei… quei chip…” Mormorò sputando veleno. “Ha osato toccare Elaine e adesso pagherà il prezzo per ciò che ha fatto con la sua testa!” Hanna non sembrava del tutto se stessa, era un po’ come quando Elaine le aveva detto che avrebbe avuto meno probabilità contro i chip, ma questa volta non stava perdendo del tutto il controllo, ne percepivo strane presenze intorno a lei. “Hanna, da quanto non ti trasformi?” Sussurrai preoccupato. “Da un giorno Arthur, sono lucida e so quel che voglio.” Prese un profondo respiro ad occhi chiusi e quando li riaprì fu come vedere fuoco vivo. “Voglio evitare la catastrofe, voglio salvare Elaine!” Decretò lei con autorità. “Forse è davvero il nostro destino, forse no, io voglio credere di no Hanna.” Disse Nathaniel, Hanna lo guardò con ira e sembrò sul punto di ribattere, però un gesto di Nathaniel la zittì. “Ma desidero farla pagare a quelle creature, voglio vendetta, voglio distruggere quei chip.” Affermò Nath con gli occhi più scuri del solito. “Non fate pazzie, non sapete neppure cos’è la camera del fondatore che ha tradito!” Urlai sperando di farli ragionare. “Di pure ciò che vuoi Arthur, ma la maggioranza vince, noi scopriremo dove cazzo sono quei chip e giuro che li distruggerò.” Disse Hanna senza la minima esitazione. “Sono con te.” Riaffermò Nathaniel. “E tu Arthur?” Mi domandò Nath guardandomi dritto negli occhi. Nessuno mi obbligava a farlo, ma allora perché dall’inizio dell’anno sentivo che i chip erano una cosa che dovevamo risolvere noi quattro, che Ehogan ci aveva detto di investigare non per caso, che noi avevamo trovato Brian lì per un motivo, che Hanna sentiva la loro presenza per un motivo e che l’anno scorso avevamo affrontato tutto da soli per un motivo e lo stesso motivo ora mi diceva di afferrare la bacchetta e scoprire dove si nascondevano quei dannati chip. “Va bene. Solo per salvare Elaine, il resto non mi interessa.” Dissi cercando di mantenere la lucidità poiché senza Elaine quelli che ragionano si riducevano ad uno.

****

La notizia dello stato di Elaine volò per i corridoi della scuola, fino ad ora nessuno era sopravvissuto, fosse elfo o studente, e tutti si chiedevano come facesse Elaine, una ragazzina del secondo anno a cui nessuno badava, maga nella media e Tassorosso, a resistere a quei chip. Inutile dire che quando i tre giovani lo dissero ad Itrandil e a Godren ne furono sconvolti. La prima furiosa e triste volò via andando per due lunghe settimane chissà dove tornando dimagrita e stanca, il secondo invece essendo troppo piccolo per capire la situazione si rattristò dopo notando che la sua padroncina non poteva venirlo a trovare.

Sei giorni dopo l’avvenuto, a Nath venne un’idea per aiutare Elaine. “Ragazzi e se portassimo Godren da Elaine? Il piccoletto ha il potere di curare le persone no? Forse potrebbe salvarla.” Propose il Serpeverde osservando il cucciolo mentre se ne stava da una parte a testa china ad aspettare l’arrivo della padroncina. “È possibile.” Disse Arthur. “C’è solo un piccolo problema.” Sottolineò il Corvonero. “Come facciamo a far passare inosservato un drago?” “Un drago di quaranta centimetri contando la coda, andiamo Arthur lo nascondiamo in una borsa e il gioco è fatto.” Lo Controbatté Nathaniel con ovvietà. “E se ci scoprono, e se starnutisce dando fuoco alla borsa, e se Madama Cips lo vede, e se…” Iniziò Arthur. “E se, e se, e se… Arthur: chi non risica non rosica, è risaputo, bisogna rischiare qualche volta nella vita, andrà bene, andrà male, almeno non avremo lasciato niente al caso.” Sottolineò Nathaniel annoiato dalle paranoie dell’amico. “Che cosa non lasceremo al caso?” Chiese la Grifondoro appena tornata umana dopo un giro per i boschi mentre si copriva con il primo straccetto che trovò davanti. “A quanto pare porteremo Godren da Elaine.” Disse Arthur arresosi all’idea del amico.

La sera stessa i tre chiusero, con una certa difficoltà, vista l’attitudine del draghetto a sfuggire dalle mani dei ragazzi, il povero Godren nella tracolla di Nathaniel. “Taci, per la miseria!” Sussurrò innervosito Nath durante il tragitto, ma il piccolo continuava ad agitarsi e a fare versi gutturali, allora intervenne Hanna. Aprì la borsa e lanciò al draghetto un’occhiata fulminante facendolo stare finalmente zitto. Attraversarono i corridoi tesissimi, ogni volta che si avvicinava qualcuno si spingevano ai lati del corridoio, prendevano corridoi poco frequentati ed evitavano chiunque, soprattutto gli auror. Quando finalmente arrivarono in infermeria la trovarono vuota e allora corsero nel letto di Elaine la quale, sebbene ci fossero dei rari momenti di semi coscienza, dormiva di continuo. I tre le si avvicinarono, Nath ancora non aveva osato toccarla, troppo spaventato da cosa avrebbe potuto sentire, troppo spaventato da ciò che il tatto avrebbe potuto confermare agli occhi, poiché malgrado tutto pareva morta se non fosse stato per il leggerissimo alzarsi ed abbassarsi del diaframma. Dopo essersi guardato attorno Nathaniel tirò fuori dalla tracolla il piccolo draghetto e lo appoggiò sul petto della ragazza. Subito Godren iniziò a saltellare sul petto della padroncina tutto contento, ma quando si accorse che non si risvegliava si raggomitolò sul sé stesso e una fievole luce avvolse il cucciolo di drago. Uno strano tepore invase il corpo di Elaine, la quale, dopo un piccolo sforzo, aprì gli occhi per richiuderli subito. Il piccolo drago sollevò la testa guardando la padroncina, zampettò fino alla sua testa e le diede un colpetto con il muso. Un sorriso fievole fece capolino tra le labbra di Elaine. “Ciao piccolo.” Sussurrò la ragazza stancamente. “Elaine… ci senti?” Chiese Nath inginocchiandosi accanto a lei incredulo. “Sì che vi sento.” Iniziò la ragazza voltando la testa verso Nathaniel. “Vi ho sempre sentiti. Solo che…” Sospirò. “Bloccare i chip richiede molta energia.” Confessò la ragazza portando la mano sana a Godren accarezzandogli la testolina mentre questo si strusciava come un gattino contro quest’ultima. “Elaine… ora come stai?” Domandò Hanna posizionandosi accanto a Nathaniel. “Ho qualche energia in più ma ho bisogno di riposo, mi fa malissimo il braccio sinistro…” Sussurrò sollevandolo e controllando quanto fossero avanzati i chip. “E ho fame.” Disse sorridendo. “Ma non vi preoccupate.” Disse appoggiando il braccio sul letto. “Riesco a tenerli bada con facilità questi chip.” “Però devi utilizzare tutte le tue energie.” Le fece notare Hanna preoccupata. “Non preoccupatevi io sto bene, davvero, venite a trovarmi ogni tanto, okay?” Disse la ragazza guardandoli negli occhi. “Okay.” Disse Arthur per tutti. “Bene… ora devo riposare, scusatemi.” Così dicendo si riaddormentò. Nath rinfilò, con non poca difficoltà, il draghetto nella borsa. Non era intenzionato a lasciare la sua padroncina, ma non avevano altra scelta: se lo avessero trovato lì sarebbe stata la fine, ma comunque Hanna si accorse quanto dolore provasse quel piccolo drago a separarsi da Elaine. “Non è servito a niente.” Disse Nathaniel tristemente mentre si dirigevano verso le loro case. “Forse perché i chip non sono proprio una malattia.” Pensò Arthur ad alta voce. “Ma comunque sarà un bene portare qui Godren ogni tanto per curare il braccio da eventuali lesioni interne e darle un po’ di energia in più.” Disse il Corvonero. “Sì, concordo, non la libererà dai chip ma di certo la aiuterà in questa lotta.” Disse Hanna portandosi le mani dietro la nuca.

 

Il giorno seguente alla medesima ora, come sempre nell’arco di quella settimana, i tre ragazzi erano in libreria a cercare qualunque cosa avesse a che fare con la camera del fondatore che ha tradito. Con il risultato che fino ad ora non avevano trovato un bel niente, neanche uno schifo di leggenda. Tuttavia sapevano che non sarebbe stata una ricerca facile, così Arthur aveva recuperato una lista con un numero spropositato di libri per poter trovare ciò che cercavano. Hanna e Nathaniel erano distrutti ma c’era in gioco la vita di centinaia di studenti e della loro migliore amica, quindi non si sarebbero fermati fino a quando non avrebbero trovato qualcosa o non li avrebbero cacciati di lì a forza.

“Hanna!” L’interessata si voltò verso la voce dell’amico per poi far ricadere lo sguardo sul libro sospirando. “Oh Sal, che ci fai qui?” Chiese lei alzando la testa da un mega volume sulla cronaca magica sperando che si trattasse di una cosa veloce. “Oh, nulla di speciale: cerco un libro per la ricerca di difesa. E voi tre che state combinando?” Chiese Sal notando la quantità immane di materiale di ricerca usato dai tre ragazzi. “Una ricerca extra.” Inventò Arthur. “Ah, davvero? Cosa avete combinato?” Chiese il Grifondoro curioso chiaramente intenzionato a non andarsene. “Siamo entrati in ritardo e ci hanno beccati.” Continuò Nath reggendo il gioco all’amico. “In effetti tu, Hanna, arrivi spesso tardi in dormitorio.” Notò il giovane. “Sì, lo so, è un brutto vizio ma visto che studiamo sempre fuori è normale che ci metta un po’ ad arrivare.” Si difese l’interessata continuando a guardare, o almeno provandoci, le pagine del libro sperando che il suo amico se ne andasse. “Su cos’è la ricerca?” Domandò Salomon incuriosito. “Sulla camera del fondatore che ha tradito.” Confessò Nath tranquillamente. A sentire quel nome, Sal all’inizio sembrò confuso, poi però si irrigidì. “Sal… tutto bene?” Chiese Hanna preoccupata e confusa dal comportamento dell’amico. “Sì, beh…. io so… cos’è.” Spiegò il giovane impacciato. “Davvero!?!” Esclamò Hanna distogliendo le sue attenzioni dal libro e focalizzandola tutta sull’amico a tale livello che Sal si ritrovò il viso dell’amica a cinque centimetri di distanza. “Sì… me lo ha raccontato mio padre: si tratta di una stanza nascosta.” Hanna lo guardò sconsolata. “Fin qui c’eravamo arrivati anche noi, genio.” Disse lei irritata. “Spiritosa…..” Brontolò Sal. “Vuoi che ti dica sì o no ciò che so?” Chiese il ragazzo innervosito. “Sì, per favore.” Intervenne Nathaniel. “Scusa Hanna, ma sai com’è: è allergica allo studio e agli spazi chiusi, le biblioteche la rendono più irritabile del solito.” Scherzò il giovane. “Non è vero!” Abbaiò Hanna. “Appunto” Disse il Serpeverde indicandola con l’indice. “Allora Sal… posso chiamarti Sal giusto…? Cosa sai sulla camera?” Domandò Nath rivolgendo tutta l’attenzione del ragazzo su di lui. “Beh non è che sappia molto.” Disse Sal sedendosi sul tavolo. “So che è stata costruita dal Salazar Serpeverde” “Chi?” Domandò Nath confuso. “Uno dei quattro fondatori di Hogwarts, quello che per appunto li ha traditi. Nonché simbolo della casa Serpeverde, la tua Nath.” Spiegò il Grifondoro. “So anche che è stata costruita all’interno della scuola affinché l’erede di Serpeverde uccidesse tutti i mezzosangue una volta che si fosse rivelato. So anche che la camera dei segreti è stata già aperta due volte: la prima volta negli anni sessanta da…” Il ragazzo si guardò attorno per un secondo e sussurrò. “Lord Voldemort in persona.” A sentire il nome del più terribile mago del secolo precedente e di questo, probabilmente, Arthur e Hanna tremarono. “E la seconda?” Chiese Nath non dando peso alla reazione dei compagni. “Verso gli anni ottanta ma non si è mai capito da chi, gli unici a sapere cosa sia successo sono, da quel che mi è stato detto: Harry Potter, Ermione Granger, Ron Weasley e Ginny Weasley. So anche che la creatura all’interno della camera dei segreti era un Basilisco ma ora di quello resteranno solo le ossa.” Narrò il ragazzo divertito. “Hai idea di chi ci possa dire dove si trovi?” Chiese Nathaniel speranzoso. “Oh non saprei… so solo che dopo la ristrutturazione di Hogwarts la camera venne sigillata e, comunque, nessuno ha mai rivelato dove si trovasse si sa solo che è dentro la scuola.” Confessò il ragazzo. “Mi dispiace ma non so altro.” “Grazie Sal, ci hai salvato la pelle.” Disse Hanna all’amico che a quel punto li salutò. I tre amici si guardarono. “Vado a prendere gli archivi dei giornali.” Disse Arthur. “Io penso a recuperare qualche leggenda sui fondatori.” Continuò Hanna. “Io recupero una cartina di Hogwarts.” Proseguì Nathaniel sperando di trovare ciò che gli serviva.

Nath cercò accuratamente la cartina di Hogwarts e recuperò una vecchia carta che mostrava Hogwarts ai tempi dei fondatori, una più recente precedente alla guerra di Hogwarts e una fatta tre anni fa. Con cura iniziò a studiarle e notò che la sua scuola nei secoli era mutata pochissimo. Nath per giorni studiò i corridoi e notò che gli assalti erano avvenuti tutti vicino a dei punti di scolo delle tubature, allora iniziò a studiare i movimenti di quest’ultime confrontandole con gli assalti dei chip e notò le coincidenze, il loro modo di agire rapido e veloce tutto lo riportava alle vecchie tubature presenti a Hogwarts dalla sua fondazione, piano piano districò la matassa di linee rosse e blu di corridoi e stanze e infine capì dove era la camera dei segreti.

 

 

Erano passati giorni, anzi tre settimane da quando Elaine era stata attaccata, ma i chip avevano guadagnato appena pochi millimetri lungo il polso della ragazza. Elaine si era svegliata solo un paio di volte e per pochi minuti rassicurando Hanna la quale era con lei in ogni suo momento libero: le stava accanto e aspettava che si svegliasse anche solo per pochi secondi. I suoi amici e i professori iniziavano ad essere preoccupati di questo suo comportamento che andava a riflettersi sul rendimento scolastico il quale stava, a mano a mano, peggiorando. Una sera nella casa Grifondoro suo fratello Harold si decise a discutere della questione. “Hanna, i professori ieri mi hanno parlato della tua condotta scolastica.” Iniziò il fratello maggiore cautamente. “Sono tutti preoccupati: capisco che tu voglia restare accanto ad Elaine ma devi reagire e fare del tuo meglio, rischi la bocciatura se non migliori i tuoi voti.” La avvertì il ragazzo. Però Hanna non lo stette a sentire. “Che me ne frega dei voti? Io voglio aiutare Elaine, voglio esserle accanto!” Urlò Hanna diventando scura in volto. “Va bene… va bene.” Cercò di tranquillizzarla il fratello. “Però Hanna ti devo avvertire: se non ci saranno miglioramenti verrai sospesa dalla squadra.” Decretò il fratello risoluto anche se dispiaciuto. “Cosa!?! No!! Non è giusto! Non possono farlo!” Urlò la giovane furiosa. “Non lo faccio io le regole, Hanna!” Urlò di rimando il fratello. “Non ho scelta! Cosa dovrei fare secondo te?” Gli domandò calmandosi un po’. “Sono le regole: cattiva rendita uguale sospensione dalla squadra! Vedi di capirlo in fretta! Già una volta ti hanno avvisata!” Gli ricordò Harold. “Assicurati di rimediare, o alla prossima partita non potrai giocare. Hai due mesi, due mesi per rimediare ai tuoi voti. Fino ad allora non venire più agli allenamenti!” Decise il fratello in qualità di nuovo capitano, visto che in precedenza era il vice. “Sei un idiota!” Sbottò Hanna gettandosi addosso al fratello iniziando una baruffa tra i due, che vennero prontamente separati dai membri della squadra. “Vaffanculo!” Urlò Hanna al fratello. E con questa esclamazione corse di sopra e si chiuse nel dormitorio sotto gli occhi spaventati e critici delle sue compagne. In preda all’ira stracciò il cuscino a forza di strappi maledicendo mentalmente tutto e tutti, fregandosene dei sussurri delle sue compagnie. Nessuno osò avvicinarsi a lei, tutti troppo spaventati da come avrebbe potuto reagire. Nessuno, tranne un micio tigrato rosso con le strisce bianche che, ignorando del tutto la rabbia della padroncina si sedette accanto a lei nel letto con aria superba. Il micio si strusciò contro la padroncina. “Va via, stupido gatto!” Urlò la ragazza scaraventando il micio sul pavimento.

La mano era ancora a mezz’aria quando Hanna si accorse di quel che aveva fatto. In preda ai sensi di colpa si accucciò per controllare come stesse il gatto, il quale, appena Hanna provò ad accarezzarlo, le graffiò il viso miagolando e soffiando. “Sì lo so hai ragione.” Sussurrò Hanna paziente ignorando il debole bruciore alla guancia. Tigre si rimise in piedi e, muovendo la coda da destra verso sinistra irritato, uscì dal dormitorio indignato. Hanna lo seguì con sguardo triste: che cosa le stava prendendo di recente? Il suo cuore era così oscurato da ferire l’unico animale a cui si fosse mai affezionata? Si ricordava ancora di quando lo aveva trovato.

Era la primavera precedente alla sua partenza per Hogwarts, stava tornando da scuola in bici quando un suono appena percettibile, un lamento, le arrivò alle orecchie. Hanna incuriosita frenò e andò al bordo della strada montanara cercando di capire cosa fosse: in un sacchetto di plastica, di quelli che si usano per fare la spesa, c’era un gattino scheletrico, di appena un mese, dal pelo rosso, arruffato, macchiato di terra e incrostato dal fango. Il micio aveva una zampetta incastrata nel sacchetto e dall’altra usciva sangue, alla punta della coda mancava qualche pelo e aveva un orecchio forato sulla punta. Intenerita Hanna scese dalla strada nel leggero pendio che dava sulla foresta e si avvicinò cauta al micetto. Lentamente porse la mano al gatto perché l’annusasse ma, appena gli fu vicina, il gatto la graffiò e soffiò minaccioso. Hanna ritrasse la mano e irritata si avvicinò di nuovo, questa volta più decisa, ma venne nuovamente graffiata. Allora incrociò gli occhi miele con quelli verdi del gatto, all’inizio l’animaletto retrocesse un po’, spaventato o assoggettato, come tutti gli animali quando la guardavano negli occhi. Però, dopo un secondo di esitazione, il micio scosse la testolina e tornò sulla difensiva soffiando e alzando il pelo spelacchiato seppur a testa bassa. Ad Hanna irritò ma allo stesso tempo piacque la reazione del micio e, dato che non si arrendeva, afferrò, con un gesto fulmineo, per la collottola il gattino. Questi continuò a tentare di graffiarla ma Hanna lo teneva a distanza di sicurezza e, con non poche difficoltà, lo rinchiuse nel suo cestino. Subito il micio saltò giù dal cesto e si mise al bordo strada. Tuttavia Hanna lo rincorse e lo riprese per la collottola, questa volta lo mise dentro al suo zaino semi vuoto, chiuse la cerniera lasciando appena aperto per far circolare l’aria, e lo posizionò nel cestino. Il gatto continuò a lamentarsi e a cercare di fuggire dallo zaino per tutto il tragitto, miagolando e graffiando lo zaino come un dannato. Ciononostante Hanna non aveva intenzione di lasciarlo scappare. Quando Hanna arrivò a casa aprì lo zaino in camera sua e si accorse che il gatto aveva usato quest’ultimo come una lettiera e aveva ridotto l’unico libro che aveva portato con sé ei suoi quattro quaderni in coriandoli. Lo afferrò per la collottola fissandolo truce, in risposta il micio le lanciò un graffio a vuoto. Hanna, irritata, lo trasportò in bagno e lo lasciò dentro la vasca. “Resta qui!” Gli ordinò Hanna imperativa. Nel giro di pochi minuti la bambina tornò assieme a suo padre, e, mentre gli spiegava le condizioni in cui aveva trovato quel povero gattino, aprì la porta trovandosi davanti uno spettacolo assurdo: il gatto aveva ridotto il bagno ad un porcile, la carta igienica era stata srotolata del tutto, strappata e trascinata per tutto il pavimento, il tappeto era stato graffiato, come del resto la vasca, gli spazzolini erano stati morsi e gettati a terra assieme al dentifricio, tutti gli sciampi erano a terra svuotati, mischiati con i giornali lasciati sopra la lavatrice, i profumi erano tutti sparsi sul pavimento e il gatto era sopra al water come se fosse il re del bagno contemplante del suo lavoro. Il padre di Hanna furioso disse alla bambina che quel gatto doveva sparire entro tre giorni e che i danni li avrebbe pagati lei con la sua paghetta. In tre giorni Hanna lavò e curò il gatto meglio che poté e lo nutrì con del latte poiché ancora troppo piccolo per qualunque altro cibo. Ma quel gatto era una peste e aveva distrutto ancora di più il bagno, in particolar modo le riviste che erano oramai dei coriandoli sparsi in giro per il bagno. Il terzo giorno il gatto stava per essere portato dal veterinario ma essendo chiuso per ristrutturazione, decisero di tenerlo ancora per qualche giorno. Hanna in quell’unica settimana, non aveva mai capito bene come, riuscì a domare il gatto quel tanto che bastasse perché non distruggesse più la casa. Nel contempo quel micio non si separò più da lei, anzi se si allontanava la seguiva, e se non glielo permettevano stava sull’uscio della porta di casa fino a ché non tornava. Così alla fine, un po’ per pietà un po’ perché si erano abituati a quel casinista di un gatto, decisero di tenerlo.

Ora Hanna qualche volta lo incontrava nei suoi giri sotto forma d’orso, quasi sapesse quando si trasformava, ma prima che arrivasse al loro spiazzo se ne andava probabilmente spaventato dai draghi. E, comunque, lo trovava sempre nel suo letto ad aspettarla o in giro per il dormitorio a fare baruffa con qualche altro gatto.

 

Hanna, arrabbiata con se stessa, scese al piano di sotto e trovò Tigre intento ad essere coccolato sconsolato da Sal. La ragazzina si avvicinò fino ad afferrare il gatto per la collottola e portarselo in braccio. “Scusa… scemotto…” Bofonchiò la ragazza a bassa voce per evitare che qualcuno aldilà di Sal la sentisse. Il gatto in tutta risposta fece un lungo verso lamentoso che Hanna sapeva esattamente cosa significasse: dammi del cibo vero e siamo apposto cocca. Hanna sorrise, stava per tornare di sopra quando la voce di Sal attirò la sua attenzione. “Hanna…” L’interessata si voltò. “Se vuoi ti posso aiutare io con lo studio.” Si propose il ragazzo per la seconda volta quell’anno. “Grazie Sal, mi farebbe piacere.” Sal la guardò confuso e anche Hanna si stupì della risposta data, da quando era così cortese? “O-k-kay… allora… domani qui alle due e niente scuse!” Decretò il ragazzo. Hanna accennò un sì ma sospirò rassegnata all’idea di dover fare le ore piccole altrimenti non sarebbe stata di alcun aiuto ai suoi amici.

Quando salì il gatto prese della pergamena e iniziò a strapparla soddisfatto. Hanna lo lasciò fare rassegnata, quello era un vizio che continuava ad avere: strappare riviste, giornali, carta anche vecchi libri di scuola, era il suo passatempo preferito. Hanna aprì sul letto il librone che Arthur le aveva assegnato, ma proprio quando stava per girare pagina, Tigre si sedette sopra al libro e Hanna lo scacciò seccata con un paio di colpetti alla pancia.


​Note dell'autrice:
​Scherzetto! Avanti che l'avevate creduto... eh... no... va' beh.
​Ebbene le (dis)avventure dei nostro quartetto non sono ancora finite.
​A presto, per una buona volta che sono in orario,
Bibliotecaria
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Capitolo 14
*** Cap. 13 Allievo e maestro ***


Cap. 13 Allievo e maestro

 

 

Mi svegliai, una strana inquietudine mi mordeva lo stomaco impedendomi di dormire malgrado l’ora tarda. Mi sedetti sul letto e guardai davanti a me, oggi era Ostara. Ehogan mi aveva detto che era una festa a cui per ora non era necessario che partecipassi, poiché ero troppo giovane, non capivo il senso completo di quelle parole ma intuivo che centrasse qualcosa con il divenire uomo. Scesi dal letto, non riuscivo più a dormire e mi diressi verso il bagno.

Da quando Elaine era entrata in coma sentivo continuamente inquietudine e strani movimenti nell’aria, come un’energia vagamente famigliare, ed era più forte in queste ore tra il sonno e la veglia. Tuttavia i chip non si erano più fatti vedere, malgrado sentissi quella strana energia e Hanna fosse sempre più nervosa. Raggiunto il bagno mi sciacquai la faccia, fissai il mio riflesso per qualche secondo e abbassai la maglia sulla spalla destra: il Triskell era divenuto rossiccio all’interno e bianco all’esterno, oramai non mi dava più fastidio, anzi non mi infastidiva più da mesi, eppure sentivo ogni tanto come un pizzicorino a quella spalla, soprattutto quando attuavo incantesimi di qualsiasi genere, come a ricordarmi il mio patto e il peso che questo comportava. Strinsi la bacchetta cercando di calmare il mio animo, da quando la casa Corvonero era stata attaccata avevo preso la buona abitudine di dormire con la bacchetta sul comodino e di portarmela sempre dietro, non mi avrebbero trovato debole e impreparato una seconda volta. Iniziai a cambiarmi e, mentre facevo questo, cercavo di venire a capo dal mistero dei chip ripensando a tutto quello che avevo scoperto in questi giorni dai libri e dalle preziose informazioni di Sal. Tentai anche di comprendere la logica dei loro schemi d’attacco: non si erano incentrati su un particolare categoria di studenti o una casa in particolare, anzi oramai ero sicuro che presto avrebbero attuato un attacco alla casa Tassorosso, ma questo era fin troppo prevedibile e la sorveglianza era già diventata molto più alta in quella casa giacché diventava sempre più difficile per me tornare dalle lezioni serali con il mio maestro passando inosservato. Tirai su la frangetta per guardarmi gli occhi –Mamma, che schema stanno usando i chip? C’è una logica? Qual è il loro obbiettivo? Se lo sai dimmelo, ti prego- Pregai silenzioso, non lo avevo mai fatto prima, ma da quando Ehogan era diventato il mio maestro iniziavo a sentire qualcosa intorno a me, come una striscia d’energia che mi collegava al tutto, era appena percettibile ma c’era. Ehogan mi aveva detto che si trattava dell’essenza vitale, di quello che i filosofi chiamano essere, i cristiani anima e molti altri spirito. Mi aveva anche spiegato che è l’energia che ci permette di essere vivi e anche che grazie a questa si può comprendere se si possiede la magia e con quali caratteristiche la possediamo. Avevo raccontato a Ehogan dello scorso Beltate e di quei due fuochi dentro di me, lui mi aveva detto che probabilmente era la mia anima con la mia doppia natura: druido e stregone, quale dei due sarebbe prevalso non mi era concesso saperlo, lo avrei scoperto con lo scorrere del tempo.

Quando le campane suonarono andai nella sala grande passando per i corridoi principali, nei quali, ad ogni angolo, in ogni scala, c’erano degli auror intenti a fare la guardia come mastini. C’è n’erano anche ai lati della sala grande, vigili e con i nervi a fior di pelle, sebbene i tavoli fossero quasi vuoti eccetto qualche professore tra cui il professor Jhonson. Questi si avvicinò a me con un certo imbarazzo ma comunque con decisione. “Signorino Hunter.” Iniziò lui incerto guardandomi negli occhi, in risposta scostai lo sguardo imbarazzato. “Avrei voluto parlarle prima ma…” Lo vidi esitare un secondo per poi riprendere il discorso con maggior scioltezza. “Mi dispiace per la vostra compagna, so cosa si prova.” Confessò a sguardo basso, come se si sentisse colpevole di qualcosa. “No, professore.” Contestai infastidito. “Lei non sa cosa si prova, non può saperlo.” Dissi stringendo i pugni stranamente arrabbiato, non avevo urlato eppure avevo una gran voglia di farlo. “Si fidi giovane Hunter, so benissimo cosa si prova: il senso di impotenza, di debolezza, il desiderio che niente di tutto questo sia vero, la voglia di rendersi utili ma non sai come…” Sgranai gli occhi a quelle parole che esprimevano perfettamente il mio stato d’animo e improvvisamente mi sentii in colpa. “Sono sentimenti che conosco fin troppo bene.” Guardai il professore, nel dire questo i suoi occhi verdi erano diventati lucidi, si asciugò le lacrime con il dorso d’una mano per poi esibire un triste sorriso. “Lei c’era quando sono stati pietrificati quei ragazzi anni fa.” Dissi capendo finalmente la sua reazione. “Sì, ero uno dei compagni di Harry Potter. Ma non li ho mai conosciuti veramente, sai la scuola è grande ed è difficile conoscere tutti.” Disse navigando nei ricordi vagamente imbarazzato. “Mi scusi…” Sussurrai abbassando il capo. “Non lo potevo…” “Non preoccuparti, anch’io avrei reagito così, anzi mi sarei messo ad urlare. Comunque sappi che farò di tutto per aiutare la vostra amica. Troveremo una soluzione.” Le rassicuranti parole del professore mi rincuorarono un poco ma non credetti che quell’uomo, o chiunque altro, sarebbe mai riuscito a salvare Elaine: solo noi potevamo. “Grazie.” Sussurrai, il professore sorrise leggermente. –Alcune volte mi dimentico che i professori sono prima di tutto persone- pensai.

***

Nath quel pomeriggio, appena concluse le lezioni, si era diretto in infermeria con Godren nella borsa: erano giorni che Elaine non si svegliava e i chip erano leggermente avanzati, aveva chiaramente bisogno del draghetto per riprendersi almeno un po’. Assicuratosi d’essere solo posizionò il cucciolo sul petto di Elaine e un flebile tepore invase il corpo della giovane accompagnato dalla flebile luce emanata dal draghetto. “Ehi… Nath.” Sussurrò appena la ragazza aprendo gli occhi debolmente. “Ciao, Elaine… come ti…?” Iniziai impacciato, ma venni interrotto da un brusco ma debole sussurro. “Come una mummia, dopo questa esperienza non voglio più stare in ospedale una sola notte in più nella vita, qui non si respira…” Spiegò Elaine sciogliendosi in un caldo sorriso che contagiò Nath, ma al con tempo gli fece scendere due lacrime dal volto. “Nath, cos’hai?” Chiese la ragazza porgendo una mano al ragazzo il quale l’afferrò prontamente. “Non è giusto.” Sussurrò il giovane. “Perché tu Elaine?” Domandò buttando finalmente fuori di sé il peso che l’opprimeva. “Ho pregato numerose volte perché riuscissi a scacciare i chip. Ma non è servito a niente!” Sfuriò il giovane stringendo ulteriormente la mano della ragazza. “Dio... sa essere sadico Nathaniel, sa essere crudele, ma se mi ha dato la forza per resistere a questi chip e a voi la chiave per fermarli, forse, ha in mente un altro progetto per noi.” Mentre diceva questo Elaine accarezzava il piccolo Godren come se fosse la cosa più preziosa al mondo e il cucciolo rispondeva a quella piccola attenzione con estremo amore. Per la prima volta Nathaniel si rese conto di quanto forte fosse il legame tra lei e i suoi draghi. Già in passato dava quelle attenzioni al cucciolo o ad Itrandil, ma solo ora Nathaniel si rendeva conto di quale valore avessero per loro le carezze di Elaine. Così Nath pensò a quanto doveva essere preoccupata Elaine per loro, visto che dormiva per la maggior parte del tempo. “Itrandil era sparita per un paio di settimane dopo che sei stata attaccata, ma quando è tornata stava bene, aveva solo bisogno di… assimilare la cosa… credo.” Disse il Serpeverde imbarazzato. “Itrandil… quella draghessa preadolescente mi fa impazzire.” Scherzò Elaine mentre i suoi occhi verdi sorridevano, si voltò verso la finestra. “Ora devo riposare.” Disse portando un braccio sopra la fronte, quello sano. “Va bene, a presto… Elaine.” Così si addormentò. Nathaniel le accarezzò i capelli. “Tranquilla, troverò un modo per entrare nella camera dei segreti, dovessi cercare in eterno, e fermerò i chip, dovessi rimetterci la vita.” Sussurrò il ragazzo prendendo il drago per la collottola e rimettendolo nella borsa.

“Anche tu qui Nath?” “Hanna!” Esclamò il giovane voltandosi di scatto. “Che ci fai qui?” Chiese l’interessato sorpreso. “Io vengo sempre qui dopo le lezioni, per fare un saluto ad Elaine, credo che le faccia piacere.” Disse la giovane raggiungendo il letto, distese il braccio dell’amica lungo il corpo, e le sistemò i capelli. A quel punto iniziò a scuoterla leggermente come se stesse cercando di svegliarla. “Lo sai, che non si sveglierà così.” Disse Nath voltandosi cupo. “Lo so.” Disse Hanna continuando a coccolare l’amica. “Allora perché lo fai?” Domandò il ragazzo stringendo i pugni. Hanna diede un bacio sulla fronte ad Elaine, si alzò, prese Nath sotto braccio e si diresse verso l’uscita. Una volta fuori Hanna rispose. “Le persone in questo stato reagiscono sempre ai contatti così e se prestassi maggiore attenzione te ne accorgeresti, Nathaniel.” Mentre parlava il capo era chino i suoi occhi erano cupi e tristi, il giovane rimase sorpreso nel vedere la sua amica così come non lo era mai stata prima. “Ora andiamo in classe o Arthur inizierà a chiedersi dove siamo finiti.” Disse Hanna tornata allegra, o almeno provandoci. “Hanna…” “Dimmi Nathaniel.” Lo incitò lei. “Io so dov’è la camera dei segreti.” La ragazza si voltò sgranando gli occhi e, dopo un attimo in cui sembrò bloccarsi, esplose. “E cosa aspettavi a dirmelo!?!?!” Sbraitò Hanna alzando le braccia al cielo e incurvandosi verso Nath, che era leggermente più basso di lei. Da quella posizione Nath riusciva a vedere il fuoco ardere negli occhi della ragazza per la rabbia e l’adrenalina. “L’ho scoperto ieri pomeriggio.” Spiegò il ragazzo imbarazzato. “Non vi ho detto niente perché volevo essere sicuro prima di informarvi.” Spiegò il giovane cercando di giustificarsi. “Lo sai che se lo avessi detto subito ci avremmo messo metà tempo?” Lo sgridò Hanna mentre gesticolava parole poco carine ma a Nath parevano solo gesti senza senso. “Sì hai ragione, però…” “Però un corno!” Lo interruppe la ragazza la quale, dopo aver fatto valere tutto il suo metro e sessantatré riprese a camminare verso il cortile. “Nathaniel Galleric.” Iniziò sempre adirata ma con maggior controllo. “Noi, io, te, Arthur ed Elaine, non siamo semplici amici: siamo una squadra e una squadra deve condividere le informazioni. E se qualcuno pensa di avere qualcosa di buono o cattivo, privato o tecnico tra le mani, deve dirlo, porco cane!” Malgrado Hanna avesse detto tutto ciò con toni che avrebbero portato chiunque a ribattere, Nath si ritrovò ad assentire e comprendeva le ragioni dell’amica, ma il posto che aveva individuato era così assurdo che aveva preferito ricontrollare prima di dare la sua decisione finale.

***

Guardai la cartina di Nath per l’ennesima volta, oramai l’avevo consumata da quanto l’avevo studiata. “Nath, sei un genio! Dovresti essere trasferito a Corvonero solo per questo!” Esultai alzandomi dalla radice e abbracciandolo con forza. “Bene… Arthur.” Iniziò il Serpeverde spingendomi via con imbarazzo. “E ora che si fa?” Chiese incerto. “Adesso dobbiamo trovare l’entrata, la chiave e un modo per affrontare i chip.” Elencai, con il cervello che già fumava per le idee e possibilità che avevo in testa. Ma venni interrotto da una stanca voce. “Arthur!” Mi voltai. “Maestro, non ora!” Esclamai sbuffando. “Siamo ad un punto cruciale!” Cercai di spiegare mentre tornavo a studiare la cartina. “Punto cruciale o no, oggi è Ostara e tu devi imparare la leggenda di questa festa!” Decretò. “Cosa? Ma non posso impararla in un altro momento? Magari quando la scuola sarà sana e salva da quei dannati chip?” Domandai, di già ero nervoso per via di Ostara, se si aggiungeva lui con le sue lezioni sarei impazzito. “NO! Ora tu…” Disse indicandomi con il suo ossuto indice, ed infilzandomi con i suoi piccoli occhi. “ti siedi qui, prendi la tua arpa e segui la lezione!” Decretò. “Ma…” Tentai di ribattere sconcertato dall’inusuale atteggiamento del mio maestro. “Niente ma Artù! Tu devi ascoltarmi quando ti parlo! Devi rispettarmi e ubbidirmi! Sono il tuo consigliere per un motivo, no?” Scossi il volto confuso e guardai il mio maestro: non lo avevo mai visto perdere le staffe in questo modo e inoltre perché si era definito consigliere, se lui era il mio maestro. Ripensai alla frase un secondo e allora compresi. “Ehogan… io sono Arthur, Artù è il re di Camelot ed è morto secoli fa.” Lo corressi imbarazzato. Il vecchio si passò una mano in volto stancatamene e rimase così per un po’ di tempo. L’angoscia mi attanagliò le viscere. “Maestro… tutto bene?” Chiesi cauto avvicinandomi impaurito. “Bene? Come potrebbero le cose non andare bene? Sono Merlino, il consigliere di Artù, il sommo druido, il portavoce del dio sulla terra ma non riesco a tenere a bada mio nipote! Sono un autentico fallimento, Artù ora non si fiderà più di…” Il vecchio uomo si accasciò a terra, una mano gli copriva gli occhi e l’altra penzolava lungo il corpo quasi che fosse morta. Non avevo idea di cosa fosse potuto succedere, ma di qualunque cosa si trattasse era certo che dovevo fare qualcosa. Ero in dovere di fare qualcosa per aiutare il mio maestro. Feci cenno ai miei due amici di allontanarsi e loro eseguirono facendomi intuire che intanto avrebbero studiato delle possibilità. “Maestro… c’è qualcosa che posso fare per voi?” Chiesi con gentilezza una volta che fummo soli. All’inizio mi ignorò totalmente, poi però, dopo non so quali riflessioni, parlò. “Arthur, ti ricordi la leggenda degli abissi, quella che parla del drago marino e del suo lungo viaggio?” Accennai un sì speranzoso. “Me la canteresti, mi ha sempre aiutato a trovare la pace.” Con tenerezza e premura tirai fuori l’arpa dalla mia borsa, mi sedetti accanto al mio maestro e iniziai a suonarla.

In un primo momento si sentivano solo il dolce e pacato echeggiare delle note, iniziai a cantare poco dopo con un ritmo lento e cadente, dolce e melodico. Cantavo dell’inizio del lungo viaggio verso l’acqua dolce e di come un sogno avesse ispirato il drago marino. Piano piano la musica saliva di intensità fino a divenire potente e angosciosa per dei suoni gravi alternati a suoni acuti, riproducendo la tempesta marina contro cui il drago dovette lottare per sopravvivere. Quando le acque si placarono e il drago ricominciò a viaggiare, ripresi il ritornello in cui si narrava del lento viaggio del drago. Narrai del suo primo incontro con un uccello che gli descrisse la terra e i suoi abitanti, il verde delle foreste, il grigio delle rocce, le pecore dal vello di nuvola, i cervi agili e veloci, i lupi grandi cacciatori, i fieri orsi e il debole uomo. Ripresi il ritornello, lento, cadente e avvolgente come le onde del mare quando il drago riprese a viaggiare. Narrai del raggiungimento al bacino e della corrente insidiosa che lo spingeva lungo il mare, si alternarono suoni piccoli, rapidi e acuti accompagnati da altri a lenti e gravi. Quando batté la corrente ripresi il ritornello ma questa volta la musica era più dura e grave poiché il drago stava viaggiando contro corrente. Cantai del suo primo incontro con l’uomo, il quale lo cacciò e lo derise per il suo sogno irrealizzabile. Ripresi un’ultima volta il ritornello in cui il drago viaggiò sconsolato finché non giunse al lago bellissimo che aveva sognato della sua felicità e della sua quasi istantanea morte.

Allora posai l’arpa e tornai a guardare il mio maestro. “Sei migliorato, mio caro ragazzo.” Disse il vecchio alzandosi. “Sai, credo che oggi abbia imparato io una lezione dal mio allievo.” Rivelò il druido sorridendo, mi sorpresi di quella affermazione: io non avevo fatto nulla, come io avrei mai potuto insegnare qualcosa al mio maestro, quando a stento comprendevo le sue lezioni. “Per oggi può bastare, ti ringrazio.” Sussurrò affaticato e fu lì, che per la prima volta, mi resi conto dell’avanzata età del mio maestro. “Che vuoi dire… maestro?” Chiesi perplesso. “Io sono vecchio, conosco queste leggende da anni, ma di alcune ne comprendo il significato profondo solo ora.” Mi confessò guardandomi negli occhi con un velo di tristezza. “Arthur per un po’ non potrò venire, sai… dei problemi nel mio tempo, esercitati con gli incantesimi. Quando tornerò inizieremo con gli incantesimi avanzati…direi che sei pronto.” Così dicendo sparì nella nebbia, lascandomi solo con una strana inquietudine.

Trovai Nathaniel e Hanna intenti a confabulare tra loro sulla camera dei segreti poco più in là. “Arthur, eccoti finalmente!” Esclamò Hanna. “Com’è andata?” Mi domandò curiosa. La guardai e lei cominciò a studiarmi da capo a piedi. “Che è successo? Quel vecchietto te le ha cantate?” Domandò divertita. “Non chiamarlo vecchietto.” Sussurrai arrabbiato. “Lui è il mio maestro ed è un grande druido, il più grande, non parlare di lui come se fosse un vecchio qualsiasi.” La rimproverai, non sapevo neppure io perché mi aveva dato così fastidio, so solo che oramai per me era intollerabile che qualcuno gli mancasse di rispetto, dopo che io avevo faticato tanto a comprendere quanto il rispetto fosse fondamentale. “Va bene… tranquillo… è che hai una faccia: sembra che ti abbiano prosciugato tutte le energie.” Confessò lei confusa. “Hanna ha ragione, hai la faccia da cane bastonato. Ci dobbiamo preoccupare?” Domandò Nathaniel dandomi una pacca sulla spalla. “No… io… sto bene, ho solo un po’ di pensieri in testa, tutto qui.” Confessai. Nathaniel mi lanciò una lunga occhiata. “Se lo dici tu.” Decretò infine capendo, forse, che non era nulla di grave, che ne avrei anche potuto parlare e probabilmente ne avremmo anche riso, ma doveva aver capito che per me era una cosa da poco importante, come i pupazzi per i bambini, non sono importanti come la mamma o il papà, ma di notte quando si è soli sono la cosa più importante del mondo. Hanna tentò di andare alla carica ma Nath la bloccò, per fortuna. “Lascialo stare Hanna, gli serve solo un po’ di tempo e poi starà meglio, in fondo il nostro Arthur è forte.” Il complimento di Nathaniel invece di aiutarmi mi fece sentire peggio. Io non mi sentivo forte, saggio o intelligente abbastanza da insegnare qualunque cosa a qualcuno, allora perché oggi avevo insegnato qualcosa al mio maestro? Non potevo avergli insegnato il significato di quella leggenda, insomma per me era solo la storia dell’origine del mostro di Lochness, allora cosa gli avevo insegnato, dannazione!

***

Ehogan salì le scale fino a raggiungere gli appartamenti di quella persona. Davanti alla porta si fermò e prese un profondo respiro, bussò. “Avanti!” Esclamò qualcuno dall’altra parte. Ehogan entrò. “Merlino!” Esclamò sorpreso quell’uomo. “Che ci fai tu qui?” Domandò quasi seccato. “Sono venuto qui per parlarti.” Confessò il druido tranquillo. “Sappi che non cambio idea!” Si impuntò e il druido non poté fare a meno di rivedere suo padre, un flebile sorriso gli dipinse il volto lasciando di stucco l’interlocutore. “Lo so, ma mi spieghi il perché, Artù?” Domandò il druido mettendo in pratica ciò che gli aveva insegnato il quasi omonimo di Artù quel pomeriggio. Arthur avrebbe potuto scacciarlo, avrebbe potuto mettere davanti a tutto l’urgenza di quel momento, ma non lo aveva fatto, aveva deciso di stare con lui e di aiutarlo. Non poteva pretendere che quel ragazzino lo potesse aiutare in una faccenda di un’altra epoca, però gli aveva ricordato del vero significato di una leggenda narratagli anni fa, quando era ancora bambino, ma solo ora aveva capito: impuntarsi non sarebbe servito a niente, aprirsi e ascoltare l’altro l’avrebbe invece aiutato e questo valeva con tutto e tutti, anche con quel testone di un re che si trovava di fronte.

***

I ragazzi avevano deciso di concedersi una pausa mangiando qualcosa affinché tornassi concentrato, ed ebbe effetto. Infatti, pochi minuti dopo avevo smesso di crucciarmi ed ero tornato a focalizzarmi sul vero problema. “Allora, cosa avete da dirmi?” Domandai dopo aver riposto la bottiglia nello zaino. “Io e Nath abbiamo fatto delle ipotesi su cosa potremmo trovare all’interno della camera dei segreti. Abbiamo anche pensato di consultare i giornali.” Mi spiegò Hanna. “Abbiamo anche pensato che la chiave sia la magia altrimenti nessuno aldilà di tu-sai-chi sarebbe mai riuscito ad entrare.” Continuò Hanna. “Ieri sera avevo anche fatto un sopraluogo, ma a parte una fantasma adolescente con la lacrima facile, non ho trovato altro. Solo un rubinetto che perdeva.” Confessò sconsolato Nathaniel. “Potremmo fare un altro sopraluogo, magari tutti insieme troveremo qualcosa.” Ipotizzò Hanna. “Non serve.” Dissi deciso. “Che stai dicendo Arthur?” Domandò Hanna confusa. “Ti sei dimenticata che oggi è Ostara?” Domandai con uno sguardo che Hanna non credeva che avrebbe mai visto sul mio volto, poiché preannunciava guai. “E questo che centra?” Domandò Nathaniel. “Proverò a vedere nel futuro.” Decretai convinto. I miei due amici mi guardarono perplessi. “Arthur, che cavolo stai dicendo?” Mi chiese Nathaniel al limite tra il confuso e lo scettico. “Ci vorresti dire che riesci a vedere nel futuro?” Esclamò Hanna incredula. “Sì, ma solo nelle notti dei Sabba posso farlo a comando, nel resto dell’anno le visioni avvengono quando vogliono loro.” Confessai, ma subito dopo, all’idea di ciò che mi avrebbe detto Ehogan per aver rivelato un dettaglio cruciale dei segreti dei druidi mi sentii male, ma in fondo occhio non vede cuore non duole. “Davvero? Ma è grandioso!” Esclamò Hanna. “Però anche tu, potevi farlo prima!” Scherzò abbracciandomi. “Hanna… l’ho fatto solo una volta, e il giorno dopo neanche mi ricordavo il sogno. E poi all’ultima festa non ho neppure compiuto la cerimonia.” Spiegai. “E perché scusa?” Domandò Nathaniel. “Perché sono un maschio.” Hanna e Nath mi guardarono confusi. “È la prima volta che sento i maschi esclusi da un rituale che non sia il parto.” Confessò Hanna divertita. “Comunque sei sicuro di volerlo fare da solo, senza Ehogan?” Mi domandò Hanna preoccupata. “Hanna sei sicura di stare bene?” Le domandai scherzando. “Sta tranquilla, è una cosa da nulla, recupero qualche erba e il gioco è fatto.” Spiegai tranquillo. “Se lo dici tu, mi fido Arthur. Ma sei sicuro che non vuoi che ti aiutiamo?” Mi domandò Nath un po’ preoccupato. “Uhm… un aiuto mi farebbe comodo…allora…” –Quali erano le piante per vedere nel futuro nel giorno di Ostara?...ah sì- “Mi servono delle violette e dei rami novelli flessibili…ehm” Cercai di ricordarmi l’altro ingrediente, ma ebbi un vuoto di memoria incredibile. “Forza Arthur… com’era la poesia…”  Pensai ad alta voce afferrando l’arpa e iniziai a cantare per cercare di ricordarmi.

Le piante, che grandi misteri esse, la magia ci doneranno.

Samhain festa delle fate, del nuovo inizio, sambuco e tasso.

Yule festa della luce, degli dei, agrifoglio e quercia.

Imbolc festa della nascita, delle dee, bucaneve e sorbo.

Ostara festa della vita, della vita che cresce, salice e viole.

Beltate festa dell’amore, della fertilità, rose e abete.

Litha festa degli iniziati, della maturità, trifoglio e biancospino.

Lammas festa dell’abbondanza, della fine, grano e agrifoglio.

“Salice! Mi serve del salice!” Esclamai quando conclusi la canzone più per abitudine che per altro. “Ragazzi, potete recuperami anche dei rami di salice mentre inizio a preparare il focolare.” Esclamai già cercando delle pietre per la base. “Arthur…” Iniziò Hanna imbarazzata. “Eh?” Domandai allegro. “Che cos’è il salice?” Chiese Hanna in imbarazzo. Guardai Nath speranzoso, ma mi fece un cenno di diniego, incredulo, per l’ignoranza dei miei amici, mi sbattei una mano in fronte esasperato. “Lo recupero io, voi pensate alle viole.” Dissi sperando che almeno quelle le sapessero riconoscere. Corsi nei pressi del lago dove ero sicuro di aver visto un salice una volta. Lo trovai e sorridendo strappai qualche ramo e poi corsi fino alla solita radura. E iniziai a fare i preparativi.

“Arthur, sei sicuro di quello che fai?” Mi chiese Nath, un’ultima volta, leggermente preoccupato. “Sì.” Lo rassicurai. “Ora però silenzio, mi serve concentrazione.” La verità è che non avevo la più pallida idea a che cosa stessi andando incontro ma non potevamo sprecare giorni interi per cercare l’entrata, poi chissà quanti per trovare la chiave e chissà quanti altri ancora per affrontare i chip.

Accesi il fuoco nello stesso istante in cui calò la notte. Subito sentii le narici essere invase dall’odore del fumo e una energia potentissima penetrò nel petto, nelle braccia, nelle gambe, per poi estendersi alle mani e ai piedi, iniziai sudare. Avevo il respiro affannoso per via della enorme quantità di energia magica, e pensare che avevo fatto il falò piccolo appunto per evitare questo genere di problemi. Tuttavia presi un profondo respiro e iniziai a muovermi lentamente in una danza ritmica che seguiva le melodie d’una musica a me sconosciuta eppure famigliare, era antica quanto il mondo e seguiva il battito del mio cuore che si espandevano in spasmi nel mio corpo. La musica che sentivo dentro me era composta da tamburi, flauti, sonagli, tutti strumenti primordiali che mi caricavano sempre più di quella energia magica oramai quasi incontenibile. Mi faceva male al cuore, mi sentivo solo in balia di quella magia troppo grande per essere gestita facilmente, forse Ehogan aveva ragione a dire che non ero pronto, ma oramai ero andato troppo avanti con il rituale per potermi fermare, così mi feci forza e, con estrema fatica tentai di imbrigliare quell’energia. Però c’era qualcosa che non andava, lo sentivo. Ma non capivo cosa, era come se mancasse un ingrediente fondamentale, eppure mi sfuggiva. Mi guardai attorno disperato e alla fine mi brillò davanti agli occhi: Hanna, era lei ciò che mancava. Feci una prova e con movimenti sinuosi lanciai la magia verso di lei. Hanna la percepì, e con un respiro la rimandò a me che la imbrigliai e la rilanciai a lei affinché non scappasse e potessi ricominciare la danza. Capii che Hanna se n’era accorta, tanto ché incominciò a respirare solo quando le passavo la magia. In quel muto colloquio percepii finalmente a pieno il potenziale di quella magia. Era così potente che mi sentii in estasi e anche Hanna sorrise mentre mi restituiva la magia. Andammo avanti così per non so quante ore o forse erano pochi muniti, non lo so sinceramente, so solo che l’energia continuava a crescere e che tutto era diventato più scuro o più chiaro, le ombre intorno a me si erano espanse e i contorni degli oggetti si erano chiariti. La testa mi girava e i miei movimenti si erano fatti più vorticosi, sempre di più, sempre di più, sempre di più. Fino a quando qualcosa mi colpì in pieno petto. Urlai per il dolore e caddi a terra contorcendomi con forza. Era diverso da Samhain in cui questo momento di transizione non lo avevo neppure percepito, adesso era doloroso, anzi dolorosissimo, tutto vorticava e la musica era divenuta di maggior intensità come il mio battito cardiaco era aumentato. Mi sembrava di soffocare, anzi stavo soffocando, mi mancava l’aria, il mio corpo si muoveva con spasmi, fino a quando, tutto si placò.

 

Note dell’autrice:

Allora, per prima cosa non crediate che voglia iniziare a narrare la storia di re Artù, quello era solo un piccolo inserto per chiarire le parole del nostro caro Merlino.

Secondo punto: quanti di voi erano convinti che Arthur avrebbe fatto un casino facendo di testa sua alzi la mano. Insomma, se Ehogan dice una cosa ci sarà un motivo!

Al prossimo capitolo!!!

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Capitolo 15
*** Cap. 14 Ostara ***


Cap. 14 Ostara

 

Hanna e Nathaniel osservavano preoccupati Arthur mentre cantava in una lingua arcana parole prive di un senso logico e ballava al ritmo di una musica che loro non riuscivano a sentire. Pareva un pazzo, eppure non vi era pazzia nei suoi occhi, ma un’estrema concentrazione, unita ad una totale perdizione e anche un celato dolore. Le sue mani compievano movimenti fluidi come se stesse tentando di imbrigliare qualcosa ma gli continuava a sfuggire e ogni volta compiva movimenti simili ma mai uguali per tentare di catturare quella cosa invisibile.

“Non mi piace…” Sussurrò Hanna apprensiva mentre Arthur cantava qualche parola affaticato. “Neanche a me piace, ma Arthur è coscienzioso, saprà quello che fa.” Sperò Nathaniel abbracciando le spalle dell’amica, anche se lui stesso dubitava del buon senso del suo compagno in quel momento. Arthur continuò a muoversi attorno a quel piccolo focolare seguendo il ritmo di quella musica a loro inudibile. Hanna iniziava a soffocare, l’aria era opprimente e densa dal fumo. Iniziò ad accarezzarsi il collo e a sudare, il fiato si fece più corto, gli occhi rossi e una potente inquietudine la impossessò portandola a ciondolare sul posto. Hanna non conosceva chiaramente l’origine di quella sensazione, ma le venne improvvisamente voglia di trasformarsi e di scappare lontano da lì. “Hanna… stai bene?” Domandò Nathaniel dopo qualche tempo che l’amica continuava ad agitarsi sul posto. “Sì, non è nulla di grave, è che questo posto… mi fa mancare l’aria.” Confessò con il fiato mozzo. “Sei sicura di farcela a restare?” Domandò Nathaniel, il quale, a parte un cattivo presentimento, non percepiva nulla da quel rituale. “No, ce la faccio, e poi non possiamo di certo rientrare a quest’ora. Tutti se ne accorgerebbero.” Confessò Hanna. Nathaniel annuì ma comunque non le piaceva come stava reagendo Hanna alla vicinanza con il rituale.

Passarono interminabili minuti in cui Hanna continuava a peggiorare, oramai la ragazza era al limite, si sentiva attratta e spaventata dal focolare e il suo istinto orso le stava urlando qualcosa che non era paura, ma comunque la stava avvisando di un pericolo imminente. Fu allora che Arthur posò gli occhi su di lei per un infinito istante. In quel istante un’onda di energia magica investì Hanna come un vento caldo, all’inizio ne fu spaventata e fu tentata di scappare per via dell’enormità di quell’energia, poi però un senso di rinascita, unito ad una forte eccitazione che le cresceva nel petto, unito ad un vago senso di curiosità, come se ci fosse qualcosa di proibito, le invasero le membra. Voleva correre, voleva saltare, voleva raggiungere Arthur, saltargli addosso e… non sapeva neppure lei molto bene cosa voleva. Però comprese che questa non era lei a parlare, bensì Uther, così inspirò a fondo, appellandosi al suo essere umano, e, nello stesso istante in cui Arthur si voltò verso di lei in quella strana danza, espirò. Allora l’energia la lasciò e ritornò ad Arthur, il quale, e solo allora Hanna lo capì, la imbrigliò e poi la rilanciò a lei, che l’accolse in sé per poi restituirla ad Arthur. Per qualche strano motivo questo continuo scambio di energia ricordava una seduzione, anche se lei non ne conosceva precisamente le dinamiche, tuttavia sentiva che questo continuo contatto, questo continuo avvicinarsi e allontanarsi erano seducenti e dolci. Ad Hanna non sfuggì come Arthur apparisse più rilassato e come i movimenti fossero più fluidi e, benché restasse comunque concentrato, più spontanei. A tal punto che Hanna si convinse che Arthur molto presto sarebbe riuscito nel suo intento.

L’energia aveva appena riavvolto Hanna quando incrociò i suoi occhi con quelli di Arthur. Per un istante le arrivò un pizzicorio alle iridi e credette di non vedere il solito Arthur, ma un altro Arthur, più sicuro, più determinato, più forte, più saggio, e le parve pure di vedere un altro cambiamento: il modo in cui la guardava era dolce ma al contempo appassionato. Fu solo un’istante però, poiché un secondo dopo il fastidio svanì e tutto tornò come prima. Poi, nello stesso istante in cui ricevette l’energia, Arthur svenne, cadendo a terra di colpo, come se la gravità lo avesse chiamato a sé con tutta la sua forza. Il suo corpo iniziò a contorcersi con scatti febbrili e frenetici e dalla sua bocca uscivano lamenti soffocati e sommessi. “Arthur!” Urlarono all’unisono i due ragazzi che corsero il più velocemente possibile verso l’amico.

***

L’universo si restrinse e attraversai lo spazio e il tempo, vidi tante cose che non sono in grado di descrivere, vidi la vita, la morte, l’amore e l’odio. Andai avanti così per un tempo infinito vedendo cose oltre la mia comprensione e la paura mi avvolse.

La testa mi stava esplodendo e sentivo dolore d’ovunque.

Dopo un tempo infinito riuscii a distinguere qualcosa: Ehogan, e mi stava parlando. “Devi trovare l’erede di Serpeverde.” Non mi diede il tempo di formulare una domanda che al posto di Ehogan apparve un ragazzo nascosto dalle ombre. Cercai di capire chi fosse ma aveva il viso coperto, non sembrava tanto più alto di me, ma era decisamente più alto e in carne. Distinsi chiaramente la divisa scolastica della casa Serpeverde ma non colsi altro dei suoi lineamenti. Tutto un tratto scomparve e al suo posto apparve un uomo: la pelle pallida, privo del naso, colpo lungo e sottile, e vestito totalmente di nero. Era lord Voldemort ma non ebbi paura. Corse verso di me ma divenne cenere, allora riprese forma in un'altra persona. Un ragazzo girato di spalle, voltò appena il volto verso di me e distinsi la divisa scolastica Serpeverde, i capelli scuri e gli occhi, e notai che erano gli stessi che avevo visto prima, fu così che capii che quel ragazzo sarebbe diventato Lord Voldemort. Sentii la sua voce compiere strani sibili, doveva essere serpentese. Però non fece in tempo a dire altro che un uomo dai lunghi capelli nero corvino sostituì il giovane mago oscuro.

Mi si avvicinò e sussurrò queste parole: “Quattro persone dai fondatori discendenti.” Non compresi del tutto il senso di quelle parole, però non ebbi il tempo di vedere altro poiché divenne tutto buio.

Comparve un teschio da cui usciva un serpente. Si scompose e divenne un bagno di Hogwarts, si concentrò su uno dei rubinetti rivelando un bassorilievo sul metallo a forma di serpente, apparve il primo ragazzo in penombra che sussurrò “apriti”, poi una scala, un corridoio, un buco nel corridoio, una grotta, un percorso in mezzo a degli acquitrini e allora apparve: la bacchetta tenuta dentro a quel cerchio di metallo. E poi il buio.

***

“Arthur!” Urlò nuovamente Hanna vedendo l’amico contorcersi dal dolore e per istinto iniziò a correre verso di lui. “Ferma Hanna!” La bloccò Nathaniel afferrando l’amica per la spalla. “Arthur ha detto che non dobbiamo interferire con la cerimonia, che potrebbe essere pericoloso.” Le ricordò il giovane, ma anche nei suoi occhi si leggeva la preoccupazione per l’amico e il desiderio di aiutarlo. “Ma ci vedi!?! Guardalo: sta soffrendo!” Urlò Hanna arrabbiata. Nathaniel volse lo sguardo: Arthur stava inarcato la schiena seguendo gli spasmi del suo corpo, si contorceva come un serpente morente, ringhiava e urlava per il dolore, gli occhi a momenti erano serrati ad altri spalancati, le pupille così alzate da lasciar vedere solo il bianco dell’occhio, le braccia battevano sul terreno e le mani si stringevano, strappando l’erba, i piedi scalciavano e le gambe si muovevano fuori controllo. “Nathaniel… lo so sembra assurdo, ma sento che c’è qualcosa che non va, è come se conoscessi il senso di tutto questo!” Cercò di convincerlo Hanna guardando Nathaniel negli occhi, con i suoi rabbiosi, preoccupati e tristi in un solo momento. Nath prese un profondo respiro e si accorse anche lui che c’era qualcosa che non andava, e andava ben oltre i lamenti dell’amico: il vento proveniente dal nord era caldo, un fatto insolito. “Va bene.” Si decise alla fine. “Ma come ci muoviamo?” Chiese il ragazzo guardando Hanna che stava studiando attentamente Arthur. Si concentrò sui movimenti dell’amico e notò come fossero in sintonia con il fuoco. “Spegni il fuoco, deve essere lì la fonte di quel potere.” Decise Hanna sperando che il suo istinto non l’avesse tradita. Nathaniel prese un profondo respiro, portò le braccia dietro le sue orecchie e le lanciò in avanti generando un vento tanto forte da spegnere il fuoco. Per qualche secondo Arthur si bloccò, ma riprese ad agitarsi anche se con minor violenza di prima, e il fuoco, per qualche assurdo motivo, stava riprendendo vigore. Hanna fece qualche passo verso Arthur decisa ad allontanarlo da lì, ma a più di dieci metri dal falò percepì una voragine nel petto e a forza delle immagini le arrivarono.

*

Era lei, o almeno credeva di essere lei, era più grande e il suo volto era stranamente rilassato e felice. Due braccia l’abbracciarono da dietro e si trasformò in Uther, era più grande, più forte. Poi l’immagine cambiò: fame, morte, dolore, disperazione.

*

“HANNA!” Urlò Nathaniel notando come Uther tentasse di uscire. Oramai il corpo si stava già ingrossando, la pelliccia era apparsa e si iniziavano a vedere i tratti di orso prendere il sopravvento su quelli umani. Nathaniel si inginocchiò a terra e vide gli occhi di Hanna supplicanti. “Nath….” Soffiò la ragazza tentando di controllare l’animale in lei. “Prendi… Arthur…” La sua voce usciva come rantoli lenti e affannati, e così retrocesse a gattoni riprendendo, man mano che si allontanava, il controllo di sé e riassumendo la sua forma umana.

Nathaniel fece uno scatto e raggiunto l’amico dovette lottare a lungo per riuscire a tenerlo fermo e poterselo caricare sulla sue spalle ma dopo svariati tentativi vi riuscì, pareva un soldato in guerra che solleva il suo amico ferito. “E ora?” Chiese Hanna quando l’amico la raggiunse. Nathaniel ci pensò un secondo. Non potevano fare un granché ma per il momento era meglio assicurarsi che Arthur si svegliasse. “Intanto allontaniamoci da qui, ci verrà in mente qualcosa.” Sussurrò Nathaniel affaticato dalla vicinanza da quel focolare imbevuto di magia che aveva soggiogato anche lui.

I due ragazzi camminarono per un po’ allontanandosi dal focolare, tuttavia Arthur continuava a contorcersi e non accennava a migliorare. “È inutile Hanna: non si calma… se solo Ehogan fosse qui…” Borbottò il Serpeverde nervoso. “Mai che ci sia quando serve quel vecchietto!” Esclamò Nathaniel infuriato. “Dannazione, cosa facciamo? Non possiamo di certo portarlo dal professore di divinazione.” Disse Hanna cercando di bloccare i movimenti frenetici del giovane con le mani. “Non possiamo portarlo dentro la scuola in generale: se gli auror lo vedono si metteranno a fare domande e se scoprissero il suo segreto sarebbero guai.” Continuò Nathaniel distrutto dal peso e continuo agitarsi dell’amico. “I centauri?” Propose Hanna. “Non mi fido di quelli: dopo quella profezia…” Ma Nath venne interrotto da un calcio allo stomaco da parte di Arthur, che lo portò ad afflosciarsi trattenendo un urlo. Allora Hanna, afferrando Arthur per la schiena, sollevò di peso il compagno dalle spalle di Nathaniel e lo tenne in braccio come se fosse un bambino delle materne in un suo fianco.  “Grazie Hanna…” Bofonchiò Nathaniel rialzandosi con il fiato ancora mozzo. E notò come Arthur si fosse in qualche modo chetato al contatto con Hanna, ma continuava ad agitarsi.

Stavano ancora camminando quando il suono di passi pesanti portò sull’attenti i due giovani, i quali estrassero le bacchette in preda al panico. Ma quando un uomo dai lunghi capelli biondo rossicci comparve da dietro un cespuglio i due le ritrassero. “Fernand!” Esclamarono i ragazzi. “Ragazzi, ma cosa ci….” Iniziò l’uomo, ma quando vide il Corvonero cambiò subito espressione. “Che è successo ad Arthur?” Domandò il professore avvicinandosi preoccupato lasciando cadere una vecchia torcia, la quale si spense appena entrò a contatto con l’erba bagnata e la fanghiglia primaverile. Il professore tentò di prendere Arthur dalle braccia di Hanna ma questa si ritrasse stringendolo ulteriormente a sé. “Fernand… ti prego… aiutaci.” Lo supplicò Hanna. Il professore prese un profondo respiro e fece loro cenno di seguirli. “Mi dite che gli prende? Ha ingerito qualche pianta o altro? È stato morso o punto da qualche animale?” Domandò a raffica il professore mentre praticamente correvano verso la sua casa. Ma la risposta non arrivava. “Mi dite che cazzo gli è successo!?!” Urlò l’uomo al limite della pazienza. I due amici si guardarono negli occhi e si decisero a parlare. “Ha respirato del fumo.” Spiegò Nathaniel. “Un fumo?” Domandò sorpreso l’uomo. “Che cosa? Erba, ascisc…” Iniziò ad elencare ma venne subito interrotto. “No, legno fresco e viole.” Continuò il giovane. “Cosa?...” Domandò l’uomo incredulo. “Un focolare.” Spiegò Nathaniel. “Devo controllare alcune cose. Portiamolo da me in tanto.” Ordinò il professore confuso da quella spiegazione.

I tre corsero fino alla vecchia baracca in cui viveva il professore e guardiacaccia. Appena entrati il professore liberò il tavolo da tutto quello che conteneva con un gesto del braccio rompendo un vaso, piatti e bicchieri. “Hanna, appoggialo qui.” Ordinò l’uomo, lei eseguì. Subito il professore prese una boccetta in vetro con dentro un liquido giallo chiarissimo e la aprì sotto il naso di Arthur. “Cos’è, una pozione?” Chiese Nathaniel. “No, un liquore è molto forte, se si tratta solo di fumo in teoria dovrebbe farlo riprendere.” Spiegò, ma Arthur non accennò a riprendersi e continuò ad agitarsi e ad emettere lamenti sommessi. Allora Fernand gli aprì gli occhi per trovarsi davanti le sue pupille che si restringevano e dilatavano senza controllo. “Oh… cielo!” Urlò saltando all’indietro per lo spavento. “Sicuri che non abbia assunto nient’altro?” Domandò il professore mentre correva verso la sua mensola. I due ragazzi assentirono. “Diamine, non so che fare.” Disse l’uomo cercando freneticamente trai suoi scaffali qualunque cosa potesse far riprendere Arthur. Il professore iniziò a svestire Arthur controllando che non avesse subito punture o che ci fossero segni di erbe velenose o morsi. “Oh cielo….” Sussurrò il professore appena scoprì la spalla destra. I due amici si avvicinarono: una cicatrice da ustione, dalla forma arcaica, stava brillando leggermente sulla pelle del ragazzo d’un leggero azzurro. “Non ho mai visto niente di simile…” Sussurrò il professore sfiorandola ma ritrasse la mano. “Scotta.” Sussurrò correndo a prendere dell’acqua fresca e bagnò la ferita, ma questa continuò a brillare e ad essere calda. “Non so cosa fare… Nathaniel, Hanna mi dispiace ma dobbiamo correre in infermeria: devo chiamare Madama Cips, lei forse sa cosa fare o almeno spero.” Il professore era sul punto di aprire la porta quando un uomo dal viso incappucciato piombò dentro bloccando il professore sull’entrata. “Non chiami Madama Cips, a lui ci penso io.” Ordinò il nuovo venuto autoritario. “E tu chi sei?” Chiese minacciosa Hanna estraendo la bacchetta, subito l’uomo si scoprì la spalla destra, aveva una cicatrice identica a quella di Arthur. “Posso aiutarlo ma tu.” Disse indicando il professore. “Mi devi procurare queste piante dalla serra della scuola.” Disse il nuovo venuto. “Aspetta! Chi sei? Cos’hai a che fare con Arthur?” Domandò Fernand con i nervi a fior di pelle. Hanna si concentrò sull’uomo, aveva qualcosa di famigliare ma non riusciva a determinarlo. “La cosa non ti riguarda.” Disse l’uomo, allora Hanna e Nathaniel riconobbero la voce: era Ehogan, ma camuffato con quel mantello non l’avevano riconosciuto. “Mi riguarda e come! È un alunno di questa scuola e io sono un professore nonché guardiacaccia, se succede qualcosa ad uno studente nella foresta la responsabilità cade su di me. Ho pieno diritto di sapere cosa sta avvenendo.” Continuò Fernand furioso. Allora Ehogan calò il cappuccio rivelando il suo volto scarno. “Osi accusare me di volere il male di questo ragazzo?” Domandò Ehogan guardando il professore negli occhi. Fernand parve retrocedere un secondo, spaventato da quegli occhi grigi di falco, tuttavia scacciò la sua paura e parlò. “Non so chi sei.” Affermò lui serio come se gli volesse ricordare in che mondo viveva. Allora il druido lo guardò negli occhi. “Sono il maestro di Arthur, lui è mio allievo più di quanto potrebbe essere tuo o di chiunque altro in questa scuola. Io voglio molto di più il bene di questo ragazzo di quanto chiunque altro lo possa desiderare. E se non collabori e non esegui i miei ordini, Arthur resterà bloccato nelle nebbie del tempo per sempre, e non ci sarà medicina, incantesimo o pozione in grado di salvarlo. Quindi va’ e prendimi le erbe che ti elencherò.” Decretò Ehogan. Fernand esitò ancora un secondo, poi si diresse verso un angolo della casa e recuperò carta e penna e iniziò a trascrivere ciò che gli serviva. “Ecco, vado e torno. Ma non sperare di andartene tanto velocemente, faremo una bella chiacchierata, e questo vale anche per voi due.” Disse Fernand uscendo finalmente dalla capanna con mille quesiti per la testa, ma avrebbe dovuto aspettare, ora Arthur aveva la precedenza.

“Nathaniel.” Lo chiamò Ehogan facendo voltare con uno scatto il ragazzo. “Va’, e prendermi le braci del falò, usa questi.” Disse estraendo un sacco che pareva essere fatto di iuta e delle pinze in metallo. “Va’!” Lo incitò ancora l’uomo. Allora Nath corse rapido lungo il campo, accarezzato dal freddo pungente degli ultimi geli ed una pioggerellina sottile e persistente gli accarezzava il viso e gli impasticciava i capelli. “Deve aver cominciato adesso.” Pensò ad alta voce il ragazzo mentre una corrente gli sfiorava il viso.

“Hanna.” Continuò l’uomo rivolgendosi all’ultima rimasta. “Va’ al lago qui vicino e prendimi dell’acqua di lago, il più velocemente possibile, poi entra qui, dammelo e assicurati che quell’uomo non entri. Sono stato chiaro?” Quando il druido concluse il discorso Hanna accennò un sì determinata. La ragazza stava per scappare fuori ma Ehogan l’acchiappò per il cappuccio della divisa fermandola. “Dove corri senza un contenitore? Prendi quel calderone e riempilo, chiaro?” Hanna afferrò il calderone pieno di brodaglia che gettò appena fu fuori dalla porta e corse più velocemente che potevano permetterle le sue gambe fino al lago ignorando tutto e volando lungo l’erba molle. Arrivata al lago immerse il calderone nelle nere acque e sciacquò via i rimasugli di cibo per poi riempirlo con acqua pulita. Allora Hanna sollevò il pesante fardello e corse rapida ma cauta per la via del ritorno.

Nella baracca Ehogan estrasse dal mantello la pittura blu, che aveva già usato a Samhain e Yule, e la mise sulla cicatrice del triskell. “Sei proprio un idiota incosciente, Arthur.” Borbottò il vecchio mentre gli spasmi andavano a placarsi e il respiro si faceva più regolare. “Un idiota incosciente con nelle mani il destino del modo.” Sussurrò accarezzandogli i capelli, bagnati dal sudore, paternamente, riuscendo finalmente a calmarlo. “Bene, la visione si sta stabilizzando. Ma questa energia è troppa per te Arthur…. Però è strano… senza una sacerdotessa non avresti dovuto neppure ricevere la visione.” Pensò il druido ad alta voce. “Ma di questo me ne occuperò dopo, per adesso è meglio estrarre l’energia.” Così dicendo il vecchio estrasse un sonaglio e lo agitò ritmicamente sopra il corpo del ragazzo seguendo lo stesso ritmo con cui Arthur aveva danzato fino a pochi minuti prima. Quando finalmente la luce del triskell divenne opaca Ehogan si fermò. “Bene! Ora l’energia si è dispersa.” Disse l’uomo toccando la fronte del ragazzo: aveva un po’ di febbre. “Sciocco, se ti dico che sei troppo giovane per certe esperienze ci sarà un motivo.” Ehogan non era arrabbiato, non più di tanto almeno, era solo preoccupato e forse un po’ deluso, ma poteva anche comprendere le sue ragioni.

In quel preciso istante entrò Hanna con il calderone stracolmo. “Come sta?” Chiese la ragazza tutta trafelata appoggiando il calderone sopra il fuoco. “Starà bene quando la visione si concluderà.” Rivelò Ehogan iniziando ad estrarre un mortaio. “Cosa! Non lo puoi… non so… disvisionare?” Domandò la giovane nervosa. “Uno questa parola non esiste, due è in uno stato troppo profondo della visione, se lo portassi indietro adesso la sua anima si potrebbe scindere o peggio.” Spiegò lui, Hanna abbassò lo sguardo con colpa. “Avrei dovuto fermarlo.” Confessò colpevole. “Arthur si sarebbe dovuto fermare da solo, non è colpa tua, figlia degli orsi, né colpa di Nathaniel o Arthur, la colpa è mia che non l’ho avvisato dei rischi.” Ad udire quelle parole Hanna fissò il druido incredula per pochi istanti fino a quando Ehogan non gli poggiò una mano sulla spalla e le ordinò di uscire. Hanna eseguì seduta stante e rimase fuori ad attendere sul bordo della porta.

Quando Nath arrivò con le braci ancora calde nel sacco erano passati solo pochi minuti dall’arrivo di Hanna. “Entra Nathaniel!” Lo invitò il druido aprendo la porta prima ancora che il ragazzo bussasse. Nathaniel entrò lesto nella capanna e lanciò uno sguardo preoccupato ad Arthur ancora in preda alle visioni. Ehogan gli prese con dolcezza le braci dalle mani e le gettò nel focolare rigenerando il fumo magico causando un capogiro al Serpeverde che per un’istante gli parve di vedere qualcosa ma subito sparì. Così, Nathaniel tornò a guardare Arthur preoccupato che avesse subito un peggioramento, ma il druido gli fece capire, con un caldo sorriso, che non si doveva preoccupare: Ehogan sapeva quel che faceva, cosa stava succedendo e non avrebbe permesso ad Arthur di farsi del male. “Aspetta fuori.” Gli sussurrò accompagnandolo alla porta mettendogli una mano sulla spalla. “Grazie…” Sussurrò infine il giovane quando la porta fu quasi chiusa.

Quando il professor Fernand tornò con le erbe per poco non si gettò dentro la casa, ma Hanna si piazzò in mezzo. “Non può entrare.” Le ordinò Hanna. “Cosa? Perché?” Domandò l’uomo, Hanna gli lanciò un lungo sguardo con il quale gli fece intuire il motivo. “È stato quell’uomo, vero?” Domandò Fernand stringendo i pugni. “Sì…” Sussurrò Hanna mentre la porta cigolava rivelando la presenza del druido. “Grazie, ma da qui ci penso io, ci vorrà del tempo, ma Arthur sta migliorando, entro qualche ora dovrebbe riprendere coscienza.” Spiegò il druido prendendo le erbe dalle mani del professore. “Non temi, tutto si risolverà.” Lo tranquillizzò e Fernand decise di affidarsi a lui.

Come ottenne le erbe Ehogan rientrò nella capanna e le triturò con calma e premura. Quando non rimase altro che una sottile polvere le avvolse in un panno che immense nell’acqua calda, la stessa che Hanna aveva portato, e ne fece un impacco; quando fu pronto, verso le tre della mattina, il druido appoggiò l’impacco sulla cicatrice dell’allievo.

***

Aprii gli occhi, mi venne un infarto quando riconobbi gli occhi del mio maestro. “Maestro…” Sussurrai incapace di pensare. “Io…” Mi volevo scusare, giustificare, c’erano mille cose che avrei voluto dire, ma non potei. “Arthur, se ti dico che non sei pronto vuol dire che non sei pronto, lo capisci questo?” Mi chiese severo ma con la voce estremamente calma. “Sì.” Sussurrai volgendo lo sguardo dall’altra parte. “No, Arthur. A me non sembra che tu capisca l’importanza dell’ubbidienza.” Disse lui portandomi una mano al viso e obbligandomi a guardarlo negli occhi. “Questa volta sei stato fortunato: Hanna e Nathaniel ti hanno allontanato dal falò originale, sei entrato in un edificio umano e io ho percepito dal passato le tue urla. Ma la prossima volta potresti essere solo, lo capisci questo?” La domanda del maestro mi strinse il cuore, mi misi a sedere e mi alzai dal tavolo con gambe tremanti, allora, a capo chino, lo dissi. “Perdonatemi…” Sussurrai incapace di dire quant’altro, o come esprimere i mille pensieri che mi avvolgevano la testa. “Non chiedere mai perdono a me Arthur: io sono il tuo maestro e se sbagli qualcosa sono io per primo a sbagliare.” Una lacrima cadde sulle lenti dei miei occhiali, avrei voluto che mi urlasse contro, come faceva mio padre, ma non solo non lo faceva, si era anche preso la responsabilità dell’accaduto; mi sentivo il cuore pugnalato. “Ora dimmi della visione. Che almeno tutto questo abbia avuto un senso.” Mi ordinò Ehogan. Alzai appena lo sguardo e gli narrai cosa avevo visto e sentito. “Mhm… mi pare abbastanza chiaro: la chiave è il serpentese, e c’è qualcuno nella vostra scuola che lo parla e che possiede la chiave che a quanto pare è apriti. Oltretutto è l’erede di Serpeverde.” Mi spiegò infine. “Ha anche un senso: da quel che mi hai detto questo Salazar Serpeverde parlava il serpentese, che è un’abilità rara da ché mi risulta.” Disse accarezzandosi la barba. “Ma ancora non capisco una cosa, che cosa intendeva Salazar con quella frase?” Domandai preoccupato. “È qualcosa che non ti posso spiegare questa notte Arthur, purtroppo lo devi capire da solo. E comunque non è ancora il tempo.” Mi spiegò alzandosi. “Adesso va dai tuoi amici: sono molto preoccupati” Disse il mio maestro, stavo per farlo quando mi richiamò. “E Arthur… per caso uno dei tuoi amici è entrato in contatto con la magia?” Mi domandò Ehogan. “Oh… cielo… mi ero dimenticato di aver passato la magia ad Hanna durante il rituale!” Esclamai in preda al panico. “Perché? Sta male, le è successo qualcosa?” Domandai a raffica. “Niente di tutto questo, ma è meglio che non lo fai mai più, o rischi di ferirla.” Mi spiegò Ehogan facendomi cenno che ora potevo uscire.

Aprii la porta: Hanna e Nathaniel si erano accucciati su una panchina sonnecchianti, Fernand invece era in piedi le braccia incrociate e lo sguardo preoccupato. Hanna mi vide per prima. “Arthur!!!!” Sfuriò e, in preda all’ira, mi sferrò un pugno potentissimo che mi gettò a terra e per poco non svenni. Per un’istante credetti che avesse perso il senno, però i suoi occhi non era folli ed estranei, come quella volta, bensì ardenti d’ira. Hanna si piegò mi sollevò per i lembi sbottonati della camicia e, strattonandomi, mi urlò in faccia. “Fammi un altro scherzo del genere e giuro che ti ammazzo!” A quel punto mi abbracciò in un miscuglio di ira, gioia e pianto; qualche secondo dopo anche Nath si unì all’abbraccio e per qualche minuto dimenticai tutto, fosse dolore o paura. Tuttavia la voce di Fernand mi riportò alla realtà. “Ora… qualcuno mi spiega cosa è successo?” Domandò guardandoci arrabbiato ma soprattutto preoccupato. Il panico mi pervase: come avrei potuto spiegare tutto questo senza rivelare troppo? Se avessero scoperto il nostro piano ci avrebbero fermati, questo era poco ma sicuro. Che fare allora? “Glielo posso spiegare io.”  Disse Ehogan comparendo da dietro la porta e piazzandosi tra me e Fernand. “Arthur è riuscito a sopravvivere ad una esperienza ultra sensoriale che di norma si pratica dopo anni di addestramento. Ma grazie al suo potere molto sviluppato e il vostro intervento, signorino Nathaniel e signorina Hanna, il suo corpo ha assorbito relativamente poca energia magica, ma comunque una quantità potenzialmente letale.” Abbassai lo sguardo pieno di vergogna e gratitudine. -Se il mio maestro da un ordine c’è sempre un perché.- Mi ripetei mentre le viscere si contorcevano per il senso di colpa. “Ma che storia è mai questa?” Chiese il guardiacaccia fissando me e poi i miei due amici. “Sì, è una storia a dir poco strana.” Disse il mio maestro attirando nuovamente l’attenzione del professore su di sé e appena guardò Ehogan negli occhi il mio maestro spalancò le palpebre e sussurrò una parola, Fernand cadde subito dopo addormentato. Guardammo tutti e tre il mio maestro sbalorditi. “Ma cosa…?” Iniziò Nathaniel incredulo. “Gli ho solo modificato i ricordi.” Ci spiegò il mio maestro. “Sarà convinto di aver sognato, ti spiegherò come farlo tra qualche anno.” Disse vago tornando a guardare Fernand. “Riportatelo a letto, questa notte restate qui, ho fatto in modo che sia convinto di aver mangiato con voi e di essersi ubriacato, ho già svuotato tre bottiglie di vino per essere sicuro.” Ci spiegò. “Ora portatelo dentro e andate a dormire. Io e te.” Disse fissandomi negli occhi. “Parleremo meglio di questa notte domani.” Decise iniziando ad allontanarsi. “Sei arrabbiato, vero?” Chiesi ingenuamente. “Arrabbiato? Sono furibondo. Ma parlarne ora non ha senso. Va’ a dormire.” E così dicendo le nebbie lo avvolsero fino a farlo sparire in esse. “Arthur, adesso ci spieghi cos’hai visto?” Domandò Nath. “No, Nath, adesso dobbiamo dormire: siete entrambi distrutti e sono le tre di mattina.” Lo contraddissi. “Ma…” “Non salveremo comunque Elaine questa notte, ora è meglio che ci riposiamo così che domani possiamo combattere.” Dissi sicuro mentre mi avvicinavo a Fernand e tentai di sollevarlo da terra con scarso successo.

 

 

Note dell’autrice:

Scusatemi, sono in ritardo, di nuovo. Ma con la fine della scuola faccio fatica a conciliare studio, scrivere e tutto il resto, quindi, mi dispiace.

Detto ciò spero che il capitoletto vi sia piaciuto! Aspetto vostre notizie,

Bibliotecaria.

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Capitolo 16
*** Cap. 15 L'erede di Serpeverde ***


Cap. 15 L’erede di Serpeverde

 

Quella mattina, al risveglio, Fernand si ritrovò stravaccato nel letto in malo modo, mezzo dentro e mezzo fuori, una bottiglia di vino ancora in mano e tre preadolescenti ronfanti sul suo letto. Hanna nel sonno si era appoggiata nel suo petto e si stava dolcemente strusciando contro, Nathaniel, d’altro canto, si era rannicchiato dall’altra parte del letto stringendosi ad un vecchio e logoro cuscino, Arthur, invece, dormiva abbastanza composto, anche se si teneva una mano sotto la maglietta. All’inizio Fernand non si ricordava cosa fosse successo quella notte, si ricordava che... –Cos’è successo ieri sera?- Si domandò confuso. Aveva i ricordi chiari fino ad un attimo prima di uscire di casa per il suo solito giro notturno, poi tutto era confuso, gli era chiaro che i ragazzi avessero dormito da lui perché era stato lui ad insistere, e gli era anche chiaro che aveva bevuto un bicchierino di troppo a giudicare dalle due bottiglie vuote. –E io che mi ero ripromesso di smettere in maniera definitiva, cielo, devo decidermi a liberarmi di questi alcolici, questa sera devo aver esagerato.- Pensò Fernand notando la bottiglia ancora in mano. Poi però aveva il vuoto, non si ricordava cos’era successo, probabilmente a causa dell’alcol. Però aveva una strana sensazione: era convinto che fosse successo qualcosa di grave ad Arthur, solo non ricordava cosa. Ci pensò su e gli venne in mente quel sogno assurdo avuto quella notte, probabilmente ne era stato influenzato. Guardò l’orologio, era tardi, le nove e mezza, ma essendo sabato poteva lasciarli dormire, avevano un’aria distrutta e non sembravano neppure avere una buona cera. Così Fernand rimase fermo immobile fino a quando, verso le dieci, Arthur non si svegliò di colpo. “Ehi, Arthur.” Lo salutò Fernand a passa voce. Il ragazzo non rispose, e a testa china si alzò, pieno di vergogna e si diresse all’uscita. Confuso Fernand si liberò piano di Hanna e raggiunse il ragazzo. “Ehi, Arthur, che succede?” Domandò il guardiacaccia confuso. “Ho bisogno d’un po’ d’aria.” Spiegò atono il ragazzo mostrando le profonde occhiaie che cerchiavano i suoi occhi stanchi e il viso pallido e consumato. –Cielo… che brutta cera, deve aver avuto gli incubi o deve aver dormito male, fortuna che l’ho lasciato dormire o adesso starebbe peggio. “Va bene, ma non andare via, ti do un po’ di pane e marmellata, così ti carichi un po’.” Disse il professore recuperando in fretta un coltello, finito a terra assieme a tutto quello che c’era sul tavolo la sera prima, inclusa la tovaglia, e un vaso con un fiore. –Cielo, ho davvero bevuto parecchio ieri sera.- Pensò il professore mentre superava i cocci di un vaso e prendeva una pagnotta dalla dispensa, da cui tagliò una generosa fetta per Arthur e vi aggiunse un altrettanto generosa dose di burro e di marmellata di frutti di bosco fatta in casa. “Ecco!” Esclamò a mezza voce Fernand porgendo la colazione al ragazzo, il quale, senza tanti preamboli, la mangiò tutta in un battibaleno. “C’è una po’ di latte?” Domandò Arthur a capo chino accortosi solo ora della fame mostruosa che aveva. Il professore gli sorrise e recuperò dalla dispensa il latte che versò in un grosso bicchiere, e lo appoggiò sul tavolo assieme ad un’altra fetta di pane. Arthur mangiò tutto in silenzio, ma con appetito. “Grazie…” Sussurrò il ragazzo. “Figurati, per così poco.” Disse il professore. “Meglio che torni a scuola, i tuoi amici credo che saranno fuori combattimento ancora per un po’.” Spiegò Fernand. “E se qualcuno ti fa delle domande digli che siete venuti da me a parlare e vista l’ora che si era fatta ho preferito tenervi da me, John non ne sarà contento, ma non è la prima volta che succede, non dovrebbero esserci problemi.” Spiegò il professore. “Va bene, allora io vado.” Disse Arthur alzandosi e uscendo finalmente.

***

Mi diressi fino alla sala centrale, volevo andare nella sala grande e sperare di trovare qualcosa da mangiare poiché avevo ancora una fame da lupi. Non avevo mangiato niente ieri sera e quelle due fette di pane non mi bastavano a saziarmi.  Mi ero appena seduto al tavolo, oramai semi vuoto, quando qualcuno mi chiamò. “Arthur.” Mi voltai: Brian e Sal erano dietro di me. “Mi dici dove cazzo è finito Nath?” Iniziò Brian. “Così lo posso picchiare.” Continuò l’interlocutore. “E Hanna? Diamine, nessuno l’ha vista. E lei non salterebbe mai la colazione!” Continuò Sal. “Oh… ehm…” Pensai velocemente che cosa dire. “Stanno bene, sono da Fernand.” Spiegai vago pensando che la verità fosse il modo più rapido per sbarazzarsi di loro. “Fernand?” Domandò Brian confuso. “Il professor Change.” Spiegai, ma le loro facce restarono confuse. “Quello con le cicatrici.” “Oh… lui… sì…” Iniziò Sal tornando tranquillo, poi però fece una faccia strana, ironica, e mi urlò contro. “Ma cosa cazzo ci facevate da un professore di notte!?!” Dopo aver fatto un mezzo salto indietro lo guardai esasperato. “Solo una cena, ma si era fatto tardi e Fernand ci ha ordinato di dormire da lui, è una persona molto gentile, se lo conosceste lo sapreste.” Spiegai seccato: non era il caso di infastidirmi quella mattina, avevo uno strano senso di insoddisfazione, oltre che i sensi di colpa. “E allora loro dove sono?” Insistette Brian. “A dormire, quando mi sono svegliato ronfavano nella grossa. Temo che prima di mezzogiorno non si sveglieranno.” Spiegai continuando a mangiare le mie uova. “Oh, e va bene, ma di a Nath che mi deve un favore, l’ho coperto io.” Spiegò Brian seccato. “Ho detto che si sentiva male e che era andato in infermeria.” Accennai un grazie. “Hanna invece?” Domandai rivolgendomi a Sal. “Nessuno si è accorto di nulla, sai c’è talmente tanto casino nei dormitori, e Hanna non sta molto simpatica alle ragazze, quindi ne sono rimasti indifferenti.” Spiegò Sal. “Okay, dirò a loro di raggiungervi appena sarà possibile.” Dissi sperando che se ne andassero, non che provassi antipatia nei loro confronti, ma quando Hanna e Nath stavano reciprocamente con Sal e Brian sembravano fregarsene degli altri, compreso me e gli altri due membri rimanenti del quartetto. “Bene, perché lo voglio picchiare quel tipo!” Esclamò Brian furioso andandosene. “Brian, non è che Nath ti piace?” Domandò Sal malizioso. “E a te? Non è che piace Hanna?” Continuò Brian, a quelle parole Sal fece un salto e disse qualcosa, probabilmente offensivo e concitato, che non udii. Sorrisi divertito, poi però tornai a concentrarmi sul problema più prossimo: Ehogan. Il mio maestro non mi aveva ancora chiamato, e forse era meglio così, però presto o tardi lo avrei dovuto affrontare, quindi era meglio che mi preparassi psicologicamente a confrontarmi con lui. Inoltre c’era la questione della camera dei segreti, dovevamo assolutamente capire come si diceva apriti in serpentese. A rigor di logica doveva essere uno nella casa Serpeverde e di circa la nostra età, massimo un paio d’anni più grande minimo un anno più piccolo in base al ricordo che avevo dell’immagine. Iniziai a giochicchiare con il cibo. E poi c’era la questione dell’affrontare i chip, ma di quello ce ne saremo occupati quando avremmo trovato un modo per entrare. Inghiottii un boccone. Per di più il tempo iniziava a stringere: Elaine resisteva bene ma non poteva andare avanti ancora a lungo, e poi la scuola a breve sarebbe finita e una volta chiusa non avremmo più avuto modo di agire, e, inoltre, c’era un forte rischio di attacchi da parte dei chip, era passato troppo tempo dall’ultimo attacco.

***

Hanna e Nathaniel si svegliarono che era mezzogiorno e solo perché il professor Fernand non poteva continuare a tenerli a letto. “Ehi, Nathaniel… Hanna… Ragazzi…” Iniziò con un sussurro, Hanna in tutta risposta si aggrappò al cuscino con un mugugno di protesta, mentre Nath sollevò appena la testa borbottando qualcosa di simile a “cinque minuti”. A quel punto Fernand, stufo di usare le buone maniere, afferrò il materasso e butto letteralmente giù dal letto Hanna e Nathaniel, i quali si ritrovarono una sopra l’altro. “Fernand!” Protestò Hanna. “Hanna, è mezzogiorno, noto che eravate stanchi, ma non potete dormire tutto il giorno.” Decretò il professore. “Vi ho preparato un caffelatte per dopo, così vi svegliate, ma adesso pranzate, o arriveranno le otto e sarete svegli come due grilli.” A quel punto i due ragazzi si sedettero a tavola e mangiarono di gusto, effettivamente avevano proprio fame. “Visto, ora come vi sentite?” Domandò il professore mentre finiva il suo pasto. “Meglio, ma io ho ancora sonno.” Si lamentò Hanna bevendo il caffelatte. “Ma fino a che ora vi ho tenuti svegli?” Domandò Fernand stupendosi di sé stesso. “Saranno state le tre.” Spiegò Nath, anche se sospettava che erano più vicini alle quattro che alle tre. –Fortuna che Ehogan ci ha spediti a letto, o oggi non avrei neanche avuto la forza per pensare.- Pensò il ragazzo sorseggiando il suo caffelatte. “Le tre!” Esclamò il professore. “Cielo! Devo aver bevuto come un Irlandese! Hanna, Nath, se la prossima volta mi metto a bere anche solo un bicchierino, voi, fermatemi!” Decretò imbarazzato. “La colpa è anche nostra che ti abbiamo incoraggiato a fare tardi, poi tu eri anche un po’ brillo, quindi è comprensibile.” Lo giustificò Hanna. “Cielo! E pensare che sono un professore, che vergogna!”

***

Mi addentrai per i corridoi del secondo piano in silenzio. Non c’era nessuno, ma era meglio essere prudenti: non volevo che qualcuno si mettesse a fare domande sul perché stavo andando nel bagno delle ragazze. Entrai quatto quatto e sbirciai controllando che non ci fosse nessuno. Pareva deserto, quando un lungo ululato, qualcosa di simile ad un pianto mi fece retrocedere. –E ora che faccio? Non posso di certo farmi beccare, e come ci si comporta con una ragazza che piange? Oh... perché Ehogan non mi insegna anche queste cose.- Pensai battendo in ritirata dicendomi che quando sarei tornato con Hanna e Nath la ragazza avrebbe smesso di piangere e se ne sarebbe andata, e poi nel peggiore dei casi potevamo mandare Hanna da sola in avanscoperta.

***

Hanna e Nathaniel stavano camminando lungo il corridoio quando una voce attirò la loro attenzione. “NATHANIEL!!!” L’interessato si voltò. “Ehilà Jack!” Lo salutò il Serpeverde. “Dove cazzo eri finito? Questa mattina avevamo l’allenamento!” –Merda! Me n’ero completamente dimenticato, ora questo qui mi ammazza.- Pensò il ragazzo vedendo la mole del suo compagno minacciarlo. “S-scusa… J-jack, ma ecco… vedi…” “Nono mi interessa un accidenti di niente!” Urlò il caposquadra afferrando Nathaniel per i baveri della camicia. “Ora, visto che è la prima volta sei avvisato, ma se salti un altro allenamento…” “Sono fuori, giusto?” Lo anticipò il ragazzo spaventato. “No, peggio, prima ti pesto a sangue, poi sarai mio schiavo per un allenamento extra! Sono stato chiaro!?” A quella domanda Nathaniel agitò vorticosamente la testa in segno d’assenso facendosi l’appunto mentale di non saltare mai più un allenamento mentre Jack aveva il ruolo di capitano. Solo quando Jack fu soddisfatto del terrore negli occhi di Nathaniel lo lasciò andare e se ne andò borbottando insulti fino a raggiungere Eric.

“Certo che lo tratti tanto male.” Scherzò Eric. “Devi avere davvero tanto interesse per lui se lo hai trattato così.” Continuò il ragazzo, nonché suo migliore amico. Jack sbuffò. “Non so di cosa tu stia parlando.” Sussurrò trascinando via l’amico.

“Che stronzo!” Si lamentò Nathaniel mentre si sistemava la camicia. “Magnifico, mia madre mi uccide se strappo la camicia.” Borbottò il ragazzo. “Sì, concordo, è un bello stronzo. Spero che venga investito da un auto.” Lo appoggiò Hanna. Stavano per continuare il loro percorso quando qualcuno afferrò Hanna per i fianchi sollevandola da terra. “MIA!” Urlò Sal stringendola. “Brutto idiota! Molla l’osso!” Urlò Hanna liberandosi sforzando appena le braccia. “Okay, okay permalosa.” Disse Sal facendo segno ad Hanna di calmarsi. “Dove sei sparita oggi?” Gli domandò l’amico cominciando a camminare accanto a loro, che avevano ripreso a dirigersi verso la casa Corvonero, dove speravano di trovare Arthur. “Ieri siamo stati da Fernand e abbiamo dormito da lui.” Spiegò Hanna. “Sì, questo Arthur me lo aveva detto. Ma perché ci onorate della vostra presenza solo adesso?” Domandò il ragazzo imitando un inchino. “Niente, avevamo molto sonno, siamo stati svegli fino a tardi.” Spiegò Nathaniel sperando di liberarsi presto di quella cozza. “Ah, capisco, e senti Nath Brian ti sta cercando, è molto preoccupato.” Spiegò il Grifondoro. –Oh, cielo! Povero Brian, appena lo trovo gli dovrò una montagna di scuse, lo andrei a cercare se non fosse per… le priorità.- Pensò sconsolato Nathaniel. “Sal, scusa se non ti ho detto nulla, ma è stata un’improvvisata.” Spiegò Hanna seriamente dispiaciuta. “Sì, immagino, anche i tuoi fratelli ti stavano cercando, e quando ho detto loro dov’eri si sono calmati, ma comunque erano parecchio incazzati. È meglio se ti scusi con loro dopo.” “Sì, certo.” Disse Nathaniel, facendosi nota di andare a cercare Brian per scusarsi più tardi. “Senti, ma hai visto Arthur? Lo abbiamo cercato d’ovunque ma è sparito.” Domandò Nathaniel speranzoso. “L’ultima volta che l’ho visto è a pranzo, pareva pensieroso.” Spiegò Sal rievocando l’immagine di un agitato Arthur che continuava a guardarsi avanti e indietro nella speranza di vedere qualcuno dei suoi amici. “Va bene, grazie comunque.” Disse Nathaniel continuando a camminare. Stavano salendo le scale quando Hanna si bloccò. “Arthur!” Urlò la ragazza verso il lato opposto delle scale. Arthur, accortosi solo in quell’istante della loro presenza, fece loro cenno di venire con lui. “Okay, ora io vi lascio, ho una ricerca da fare. E dovresti farla anche tu Hanna, e ricordati che dobbiamo studiare assieme più tardi.” Le ricordò il ragazzo imboccando uno dei corridoi. “Certo, certo, non ti preoccupare.” Disse Hanna tranquilla mentre salutava l’amico con la mano.

Quando Sal sparì dietro l’angolo, Hanna afferrò Nathaniel per il colletto della divisa e lo trascinò fino ad Arthur con una velocità impressionante saltando i gradini a due a due e spintonando il ragazzo affinché andasse più veloce. Ad un certo punto, Nathaniel, si divincolò, ma venne riacchiappato subito da Hanna la quale, dopo averlo fatto quasi cadere giù dalle scale, mollò la presa e Nathaniel si scontrò contro Arthur finendo l’uno, scompostamente avvinghiato all’altro. “Allora? Che hai visto?” Domandò Hanna senza tanti preamboli fissando Arthur da sotto il corpo di Nathaniel. Dopo che Arthur venne rimesso in piedi ed ebbe spiegato a grandi linee ciò che aveva visto. “Sei già andato nel bagno?” Domandò Nathaniel il quale per tutto il discorso si era messo da parte e aveva ascoltato in religioso silenzio ciò che Arthur aveva detto con il volto cupo. “No, o meglio ci sarei andato ma ho sentito qualcuno piangere e mi sono dato alla fuga.” Spiegò il ragazzo imbarazzato. “E ci credo, quella è Mirtilla Malcontenta, io ed Elaine stavamo per entrare lì una volta, ma ci hanno bloccate avvertendoci che lì c’è questo fantasma che non fa altro che piangere per ogni sciocchezza.” Spiegò Hanna con sufficienza. “Aspetta… perché non ho mai sentito parlare di questo fantasma prima d’ora?” Domandò Nathaniel perplesso. “Perché tendenzialmente resta sempre lì, si dice che quello sia il luogo in cui sia morta.” Aggiunse Hanna diventando all’improvviso più lugubre. Arthur sentì i brividi freddi lungo la schiena ma si impose di calmarsi. “Va bene, se è davvero sempre deserto dovrebbe essere semplice accedere alla camera, muoviamoci.” Esclamò Nathaniel iniziando a dirigersi verso il secondo piano, ma venne subito superato da Hanna che gli fece strada mentre Arthur stava dietro iniziando a pensare a come muoversi in seguito.

Arrivati al bagno Hanna si diresse subito verso il lavandino indicatogli da Arthur e iniziò ad ispezionarlo. “Ehi, ma tu guarda, giovani studenti in cerca di guai.” Iniziò un fantasma dall’aspetto d’una giovane studentessa con due lunghi codini appena sopra le orecchie e degli spessi occhiali, di quelli orribili a bottiglia, come li definiva Hanna, che le coprivano i piccoli occhi vispi. “Ah, sei tu Mirtilla, sparisci, non abbiamo tempo per te.” La liquidò Hanna facendola scoppiare a piangere e con un urlo buttarsi dentro un gabinetto. Nathaniel e Arthur guardarono Hanna in una via di mezzo tra il confuso e lo schifato. “Si sarebbe messa a piangere comunque, non ho ne voglia ne tempo di mentire ad un fantasma.” Spiegò Hanna mentre un piccolo rilievo veniva calcato dalle sue dita, era contorto e piccolo, con una estremità tondeggiante. Hanna si chinò per vederlo: un serpente con un piccolo occhio smeraldo. “BINGO!” Esclamò Hanna facendo vedere il piccolo serpente ad Arthur e Nathaniel. “Arthur, sei stato mitico! Queste tue visioni sono davvero utili!” Commentò Hanna abbracciando Arthur in perda all’euforia. “C-certo.” Balbettò Arthur improvvisamente in imbarazzo. Per qualche strano motivo quel giorno Hanna le pareva diversa, anche se non sapeva bene come, una debole indefinitezza che fino ad ora aveva ignorato, ma che ora gli appariva chiara, e allora Arthur parve accorgersi per la prima volta che Hanna era una femmina e non un maschiaccio come l’aveva sempre vista. Ma fu solo un attimo perché subito dopo Hanna gli mollò un pugno sulla spalla facendogli i complimenti.

“Okay, a questo punto Arthur non ci resta che capire chi mai sia l’erede di Serpeverde. Sei sicuro di non avere nessun altro indizio?” Domandò Hanna speranzosa. “No, Hanna, non lo so. L’unica speranza è quella di trovare qualcuno che parli serpentese appartenente ai Serpeverde, ma dubito che sarà semplice: di norma chi ha questa abilità se la tiene per sé, soprattutto se appartiene alla casa Serpeverde, dopo l’ultimo che si è dichiarato tale, nessuno ci tiene ad assumere questo titolo.” Spiegò Arthur tornando a guardare il serpente. “Beh… qualunque cosa sia non lo risolveremo oggi, e di certo non tu Hanna: sbaglio o oggi hai da studiare?” Domandò Nath. “Ma non voglio starmene qui con le mani in mano, vi voglio aiutare!” Si lamentò Hanna. “Lo sappiamo, ma se vieni bocciata poi chi la sente Elaine? Si sentirà in colpa a vita perché non ti ha permesso di finire l’anno, e tu di certo non ci tieni ad affrontare l’ira di tuo padre e di tua madre, ed essere canzonata dai tuoi fratelli.” Le ricordò Nathaniel. “Ma… ma…” Iniziò Hanna pensando a come ribattere: sapeva di essere indietro e che se non si dava una mossa la finale la guardava con il binocolo, ma non voleva lasciarli soli. “Tranquilla, adesso non puoi fare molto Hanna, non sei mai stata brava con le ricerche e non sei neppure un membro dei Serpeverde, per adesso è meglio che pensi alla scuola, poiché esiste anche quella.” In risposta Hanna borbottò qualcosa di vagamente simile ad un sì e si voltò seccata andando verso la sua casa dove sapeva che Sal la stava aspettando. “Sei stato saggio Nath. Hanna è troppo nervosa per poter pensare lucidamente.” Disse Arthur. “Anche tu Arthur, va nella tua casa, sei quello che ha lavorato di più in questi giorni, devi riposarti.” Arthur squadrò il suo amico attentamente. “Nathaniel… mi nascondi qualcosa?” Domandò il ragazzo serio. “No, nulla, dico solo la verità: questa ricerca è la mia.” Spiegò Nathaniel sperando di non tradirsi troppo. “Nathaniel?” Insistette il giovane druido. “Arthur per favore… fidati.” Sussurrò Nathaniel in fine. “Va bene, mi fido, basta che fai quel che devi fare.” Decise Arthur, stava per andarsene, ma qualcosa lo trattenne. “Un giorno ce lo dirai chi è?” Domandò Arthur preoccupato. “Non so se sia lui, ma… devo provare.” Sussurrò Nath. “E sia… mi fido del tuo giudizio, ma ricordati che in gioco c’è la vita di Elaine e di un altro centinaio di studenti.” “Come potrei dimenticarlo?” Domandò retorico il ragazzo mentre Arthur se ne andava effettivamente provato dalla lunga notte.

Nath andò in biblioteca e in breve trovò gli articoli che gli interessavano, se li portò in dormitorio, nello stesso luogo trovò la persona che gli interessava. “Nath!” Urlò la voce del suo amico. “Si può sapere dove cazzo eri sparito!?! Dio santissimo!  Iniziavo a credere che fossi stato ammazzato dai fulmini come ti meriti!” Sbraitò il ragazzo. “Scusa… ho passato una nottataccia ieri, mi sono svegliato che era ora di pranzo e solo perché mi hanno buttato giù dal letto.” Confessò Nathaniel dispiaciuto, poi però tirò fuori un sorrisetto divertito e aggiunse. “E va a purificarti o quel che è da un parroco: non si nomina il nome di dio* invano.” Scherzò Nathaniel mettendosi le mani davanti alla bocca. “Vaffanculo!” “È con quella bocca che baci tua madre?” Continuò scandalizzato.

 

“Lord Voldemort, in passato conosciuto anche come Tom Orvoloson Riddel, era il mago più oscuro di questo secolo, il suo potere non conosceva limiti e il suo desiderio di potere e la sua paura di morire erano così grandi da spingerlo a dividere la sua anima in sette parti così da poter rinascere altrettante volte. Nessuno era mai riuscito a batterlo prima di Harry Potter, a seguito della sua scomparsa tutti erano convinti che fosse stato sconfitto per sempre, ma si sbagliavano: quattordici anni dopo la sua scomparsa ricomparve al torneo tre maghi (vedi voce) alla quale partecipavano Harry Potter, Sedric Diggory, deceduto per mano di un mangiamorte durante il torneo, Fleur de la Cure e Victor Krunch. Solo durante la battaglia di Hogwarts avvenuta tre anni dopo Voldemort venne ucciso dal giovane Harry Potter. Su Lord Voldemort non ci sono molte certezze: si sa che parlava il serpentese, che da giovane frequentò la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts rivelandosi un brillante studente, da piccolo fu affidato ad un orfanotrofio e, girano voci, che fosse l’erede di Serpeverde poiché anni addietro risvegliò il Basilisco causando la morte di una studentessa.

Erede di Serpeverde…. Secondo la leggenda sarà in grado di parlare il Serpentese e porterà ad Hogwarts un male talmente grande da distruggere la scuola.”

Nathaniel aveva riletto quelle frasi centinaia di volte, le aveva analizzate e aveva consunto quelle pagine da quante volte erano state lette. Lui però non ci voleva credere, non poteva essere vero, non poteva essere lui. Si stiracchiò la schiena portando indietro le braccia –No, lui non può esserlo, insomma centinaia di persone parleranno il serpentese… e appartengono alla casa Serpeverde… e sono ottimi studenti… e hanno un atteggiamento un po’ oscuro… e…- Nath bloccò i suoi pensieri. “Nathaniel.” Il ragazzo si voltò. “Brian.” Lo salutò. “Che hai di recente: non riesco quasi più a parlarti, sei sempre preso da quella mappa!” Disse indicando la mappa con le tubature che in effetti era bene distesa sul tavolo. “Scusa… è che… con Elaine in quello stato…” Sussurrò Nathaniel pentendosi subito di usare lo stato dell’amica come scusa. “Ah… sì scusa… sono stato insensibile…” Borbottò Brian abbassando lo sguardo. “Senti… ti va se cerchiamo qualcosa su tuo padre… è da un po’ che non lo facciamo.” Propose Brian sperando di staccarlo da quei libri, ieri avevano parlato, o meglio battibeccato un po’, ma aveva voglia di passare un po’ di tempo con il suo amico. Nath guardò fuori dalla finestra sovrappensiero. “Non mi va di passare altro tempo sui libri. Piuttosto usciamo un po’: sono stanco della biblioteca, ho bisogno d’aria.” Disse Nathaniel alzandosi. “Sì, va bene…” Acconsentì l’altro sorpreso. “Che c’è?” Chiese Nath notando la faccia strana dell’amico. “Niente… solo che… di solito non dici mai di no alle ricerche su tuo padre…” Spiegò il ragazzo grattandosi la nuca. “Beh… non è così importante… insomma anche se fosse, di sicuro non vorrebbe sapere di me…” Brian guardò l’amico dispiaciuto. “Non dovresti vederla così.” Stava per aggiungere altro ma Nathaniel lo stroncò sul nascere, adesso c’era un’altra priorità. “Possiamo parlare d’altro! Ho bisogno di distrarmi: sono nervoso di recente.” Lo interruppe Nathaniel abbassando lo sguardo.

Parlarono per un po’ camminando senza pensare, senza una meta precisa, ma si bloccarono quando le loro gambe li portarono di fronte all’infermeria. Nath fissò per qualche istante la porta: erano giorni che non andava da Elaine e un vago senso di colpa, unito alla nostalgia, fece capolino nel suo cuore. “Pensi spesso a Elaine.” Notò Brian, Nathaniel non se n’era accorto, ma la sua espressione si era fatta improvvisamente più grave. “Siamo amici… è ovvio che penso spesso a lei.” Non finì il suo pensiero che, in quel momento, uscì Hanna dall’infermeria, si muoveva furtiva e, questo, per fortuna, lo notò solo Nath, la sua borsa si muoveva. “Ma mai quanto Hanna.” Commentò con un triste sorriso. “Per lei è dura… non ama stare con le mani in mano… anche per Arthur è dura: non sa come comportarsi e fa fatica a starle vicino…” Pensò il giovane ad alta voce. “E tu Nath? Come stai?” Chiese Brian, sapeva perfettamente che per Nathaniel era difficile vedere Elaine in quello stato, ma non osava parlarne con nessuno, anche se il suo sguardo lo tradiva. “Come vuoi che mi senta: uno schifo, non posso fare niente contro quei cosi e lei è in bilico tra la vita e la morte.” Era una mezza verità ma Brian voleva capire anche come mai l’amico fosse così in pena. “Non sono ancora andato a vederla…” Iniziò Brian sperando di convincerlo. “Potresti accompagnarmi, non me la sento di andarci da solo.” Spiegò il ragazzo anche lui con una mezza verità. “Meglio di no: Madama Cips dice che non può ricevere troppe visite al giorno o rischiamo di stancarla…. Andiamocene per favore.” Decise Nathaniel dirigendosi in direzione dell’uscita. Nath non ce la faceva a vederla in quelle condizioni, per lui e per Arthur era troppo. Invece Hanna andava da lei in qualsiasi momento, con o senza Godren. Hanna era una persona coraggiosa, ma spesso il suo coraggio coincideva con la sua impulsività, invece ora si stava dimostrando molto più coraggiosa e leale di Arthur e Nathaniel, per questo Nath invidiava e rispettava Hanna, che malgrado la situazione sorrideva sempre quando andava a trovare Elaine.

Una volta fuori, lontano dalle preoccupazioni, Nathaniel poté finalmente liberare la mente. –Okay, o ora o mai più.- Si decise il ragazzo. “Brian….” Iniziò Nath tranquillo. “Sì?” “Come procede con... il Serpentese?” Nathaniel sussurrò quest’ultima parola pur sapendo che non c’era nessuno nei dintorni. Brian si incupì leggermente: non amava parlarne e questo era anche comprensibile, ma ora Nath non poteva farne a meno, e doveva sperare che Brian non si insospettisse. “Beh… sto facendo pratica… sai non è che ci sia molto da sapere: parlo, impongo la mia volontà e i serpenti mi obbediscono.” Spiegò Brian mentre tirava dei leggeri calci a terra. “Hai mai… non so… provato a controllare qualcosa di più grosso di quella tua serpe?” Domandò Nathaniel. “No, perché mi fai questa domanda?” Chiese Brian sorpreso da questo improvviso interesse, da parte di Nath, per i suoi poteri. “Si chiama conversare Brian.” Lo rimproverò Nathaniel. “Certo okay, e che domanda intendi farmi adesso per conversare?” Domandò Brian scherzoso. Nathaniel sgranò gli occhi, era un’occasione irripetibile, anche se avesse posto la domanda che aveva in mente Brian non si sarebbe sorpreso per la sua richiesta strana. Fece un profondo respiro. “Dimmi come si dice “Apriti” in serpentese?” Ordinò Nathaniel ostentando una falsa autorità. “Che razza di domanda scema è?” Esclamò Brian a metà tra il perplesso e il divertito. Nath fece spallucce. “Sarà anche una domanda scema, ma è la mia domanda scema, avanti rispondi!” Brian scrutò ancora per un po’ Nathaniel con un sorrisetto divertito. –Questo scemo, non ha idea di quanto sia oscuro questo potere.- Pensò Brian prima di pronunciare una sequenza di lettere sibilanti e profonde che fecero venire i brividi a Nathaniel. Brian alzò lo sguardo e gli bastò un’occhiata per capire che Nath non gli avrebbe mai più chiesto di parlare serpentese. “Sembra un sibilo di morte, vero?” Scherzò Brian ma Nathaniel non rispose, fu solo sicuro di aver percepito qualcosa in quel potere, qualcosa che già una volta aveva fatto tremare quelle mura. “Nath?” Al richiamo di Brian, Nathaniel si riscosse. “Sai, se parlassi il serpentese durante le lezioni faresti prendere un colpo persino a Jhonson.” Scherzò Nathaniel. “Magari, così ci liberiamo di quel vecchio auror scorbutico!” Esclamò Brian.

 

Hanna si stava dirigendo verso la biblioteca, nella speranza di trovare Nathaniel, quando lo percepì di nuovo: quella sensazione di braccaggio. Immediatamente il suo istinto di orso la investì facendo urlare ai muscoli di muoversi, di scappare via di lì. Ma Hanna si impose e iniziò a muoversi velocemente per i corridoi fino a ché non raggiunse un corridoi affollato, ma lì la situazione non migliorò. Quella sete di sangue che ora impregnava ogni parete la tormentava e dovette fare uno sforzo enorme per riuscire a contenere la trasformazione. Camminò a grandi falcate, sperando di allontanarsi abbastanza. Ma, come sempre, si rivelò inutile. La paura le attanagliava lo stomaco, e i suoi istinti più grandi le impedivano di stare calma. Poi ci fu il culmine, un’immensa sete di sangue le invase la mente, in quello stesso istante un urlo di dolore e terrore invase i corridoi. –Un’altra persona… maledizione!- Urlò Hanna dentro di sé picchiando con forza contro la parete. Subito gli auror lì intorno corsero in quella direzione alla ricerca dell’ennesima vittima.

La notizia si espanse a macchia d’olio, appena trovarono il corpo, che si contorceva, in preda ad atroci agonie, il bacino e la parte bassa della schiena circondate da quei chip maledetti, era una Tassorosso, era del secondo anno, era viva. Hanna la vide mentre la portavano in infermeria su una barella, nessuno sapeva che fare: se i chip avessero colpito un arto com’era successo ad Elaine questa volta avrebbero agito senza richieste, ma questa volta i chip avevano raggiunto la colonna vertebrale, facendo muovere a scatti il corpo della ragazza.

Hanna si allontanò da lì con furia. –Dobbiamo agire presto: gli attacchi non si fermeranno, Elaine è sempre più debole, abbiamo quasi tutti i pezzi del puzzle. Manca poco amica mia, resisti solo un altro po’.- Pensò Hanna mentre si stringeva con forza le braccia per farsi forza. Quando raggiunse il piano terra si trovò davanti Arthur distrutto: Ehogan lo aveva chiamato quella domenica mattina ed era tornato ora alle sei di sera. Hanna quasi inconsciamente allungò le braccia fermando la caduta del giovane verso il pavimento. Era tutto sudato e i suoi occhi erano vuoti. “Arthur…” Iniziò Hanna con in mente già un paio di imprecazioni verso quel vecchiaccio. “Niente domande.” Disse il giovane espirando l’aria dai polmoni. Il suoi respiri erano lunghi e irregolari, l’aria usciva a fatica con sbuffi. Distrutto si reggeva a stento sulle sue gambe e a fatica comprendeva cosa gli stava attorno e dove si trovasse. Era così disfatto che la ragazza lo dovette trasportare fino al suo dormitorio sulle spalle e dovette attendere che qualcuno dei Corvonero uscisse prima di poter entrare nella casa e adagiare il suo amico sul letto a baldacchino nelle soffici coperte nere. Hanna gli rimase accanto per un po’ aspettando che lui fosse pronto a parlare. Quando Arthur riprese quel minimo di lucidità si decise a parlare. “Hanna… vattene.” Due parole taglienti come il ghiaccio ferirono il cuore di Hanna: voleva urlare, voleva imprecare voleva… probabilmente neanche lei sapeva bene cosa voleva, ma sa bene quel che fece; inspirò lentamente con gravezza ed espirò liberando la sua rabbia insensata. La giovane si alzò lentamente e uscì dalla stanza come gli era stato chiesto trattenendo la sua rabbia e pronta a scaricarla contro il primo malcapitato.

***

Poggiai un braccio sopra i miei occhi cercando di non far sgorgare le lacrime. –Scusa Hanna, ma ciò che ho fatto con Ehogan… mi ha svuotato.- Quando tutti uscirono per andare a cena, io rimasi nella sala comune e andai in bagno. Lì mi tolsi la camicia e studiai il mio Triskell, oramai rosato, nel petto, con la mano lo ripassai. Quel giorno da Ehogan mi aspettavo che mi avrebbe sgridato, che mi avrebbe fatto ragionare sui miei errori oppure che mi avrebbe punito come si fa con i bambini e invece no. Era rimasto zitto, lasciandomi capire dal suo sguardo la sua rabbia e la sua delusione. Mi aveva messo alla prova per decidere cosa fare con me, se stavo prendendo seriamente ciò che mi stava insegnando o se per me era solo uno scherzo. Mi aveva fatto provare ogni singolo incantesimo che mi aveva insegnato: un incantesimo d’acqua, uno di terra, uno di fuoco, uno di aria uno di magia pura o, come lo chiamano i druidi, di nebbia, uno d’energia, uno di spirito, la telecinesi, cinque poemi, centoventicinque stelle con le reciproche costellazioni, dozzine di piante e le loro proprietà curative, sedici leggende, quattro riti e tutte le regole dei druidi. Ero distrutto, non avevo neanche la forza per scendere e mangiare, non avevo la forza per pensare, volevo solo dormire, ma pure quello mi pareva dispendere troppe forze.

Mi appoggiai al lavandino, chinando la testa e respirando a fondo. Oggi Ehogan avrebbe deciso se era il caso di impartirmi una lezione, poiché avevo mostrato leggerezza usando una festa potente come Ostara per scoprire qualcosa che in realtà potevo scoprire con altri mezzi. Eppure Ehogan sapeva perché lo avevo fatto: per amore d’un’amica, niente di più, niente di meno. È vero non avevo pensato alle conseguenze, ma per me in quel momento era troppo importante scoprire la verità. Sperai che Ehogan capisse che non lo avevo fatto con leggerezza solo perché mi pareva la via più semplice, non perché volessi ostentare il mio potere, avevo delle grandi abilità, lo riconosceva, anche se a modo suo, lui stesso, perché non potevo usarli?

Mi tolsi anche i pantaloni e mi gettai sotto la doccia con questi pensieri in testa. Il contatto con l’acqua calda mi fece subito sentire rilassato, i muscoli si sciolsero, le membra si distesero, gli occhi si socchiusero, tutta la stanchezza e la tensione della giornata mi scivolarono via con l’acqua della doccia fino a sparire. Non mi asciugai neppure o mi coprii, andai direttamente a letto raccogliendo distrattamente i miei vestiti. Le membra erano diventate pesanti e si muovevano trascinandosi. Scostai appena le coperte, poggiai meccanicamente occhiali e bacchetta sul comodino e crollai in un sonno senza sogni.

***

Nathaniel cercò Hanna e Arthur per tutta la sera senza trovarli, li cercò con lo sguardo, camminando per i corridoi, per la sala grande, ma niente, non li trovò. Il suo cure pulsava nervoso al ritmo dei suoi veloci pensieri, si guardava intorno come una fiera smarrita con scatti della testa cercando in continuazione dove sperava di trovare i suoi amici, andò persino da Elaine. Ma non trovò nessuno, tranne l’amica e un’altra ragazza che stava combattendo tra la vita e la morte. Aveva sentito la notizia a cena assieme a Brian.

C’era stata una grande agitazione ad un certo punto fuori dai corridoi. All’inizio non ci aveva fatto caso, poi un fiume di gente iniziò ad uscire. Brian e Nathaniel si erano guardati attorno perplessi, indecisi sul da farsi. Si scambiarono un’occhiata e si alzarono, dirigendosi verso l’uscita, seguiti poco dopo da altri compagni e professori. I due ragazzi camminarono per un po’ senza sapere bene cosa fare, incerti ad ogni passo compiuto, mentre la calca si faceva sempre più invadente e voci sommesse riempivano le orecchie. Senza accorgersene i due ragazzi si ritrovarono ad accelerare piano piano, sempre di più, un passo alla volta, fino a correre spaventati dall’ignoto. Una corsa all’inizio lenta, poi sempre più veloce e angosciata. Nathaniel non aveva il sesto senso di Hanna e desiderò che lei fosse lì con lui, malgrado fosse una testa calda, li avrebbe condotti in un luogo sicuro, invece ora poteva solo correre tenendo d’occhio Brian, correvano spalla a spalla, senza parlare, senza aspettarsi niente, correvano. Nathaniel iniziò a sentire il petto stringergli il cuore con le sue corde forti ed invisibili, sentiva un dolore fisico al petto, una paura attanagliante e opprimente, così forte da spingerlo ad afferrare la manica di Brian per non perderlo in quella calca. Brian si voltò a guardare Nathaniel, e gli venne in mente quella volta nella foresta proibita, anche in quell’occasione gli occhi di Nathaniel parevano argento vivo. Occhi concentrati e taglienti in contrasto con il calore di quel marrone scuro, occhi preoccupati certo, ma soprattutto concentrati nel momento presente, senza distrazioni o pensieri. Brian respirò a fondo, confortato dall’appoggio dell’amico. “Nath….” Ma le parole di Brian vennero interrotte da un urlo acuto e agghiacciante. Nathaniel e Brian si fecero spazio a spallate, sgattaiolando tra gli spiragli degli studenti più grandi e scansando i più piccoli. Dopo numerose spallate contro muri invalicabili Nathaniel la vide: una ragazza, una Tassorosso, del secondo anno, si stava contorcendo per il dolore sul pavimento della scuola. A Nathaniel mancò il respiro e si lasciò cadere a terra. “Ehi, Nath!” Lo chiamò preoccupato Brian, ma il ragazzo non rispose. La ragazza davanti a lui non assomigliava neanche lontanamente ad Elaine, però vederla le fece tornare in mente il terrore provato quel giorno, la paura di perderla gli si iniettò nelle vene fino a farlo tremare di rabbia. “Brian… io… distruggerò i chip…” Non gli importava che lo sentisse, che importanza avrebbe avuto, ora contava solo la salvezza di Elaine e del resto della scuola. “Nathaniel ma che stai dicendo?”

Scocciato Nath cancellò il ricordo e si diresse fino all’entrata dei Corvonero e chiese in giro se avevano visto Arthur o Hanna, la maggior parte gli rispose che non lo aveva visto per l’intera giornata, a quel punto Nath iniziò a temere il peggio e chiese a tutti quelli dei Corvonero finché uno di questi non gli disse che lo aveva visto arrivare lì prima di cena distrutto accompagnato da una ragazza che sicuramente era Hanna e che era andato direttamente a letto. Allora Nath corse fino alla torre Grifondoro e lì trovò Salomon che stava per raggiungere l’entrata. “Sal!” Lo chiamò il Serpeverde fermandolo prima che entrasse. “Sì?” Rispose il ragazzo voltandosi. “Sal hai visto Hanna, le devo parlare.” Spiegò Nathaniel speranzoso. “Avete litigato?” Chiese il Grifondoro. “No… perché?” Domandò il ragazzo allungando le vocali esprimendo tutta la sua perplessità. “Quando l’ho vista arrivare era d’un umore nero, se le devi parlare meglio che aspetti domani.” Gli consigliò l’amico. Ma Nath non poteva aspettare, era questione di vita e di morte. Poteva salvare una vita o più se agivano quella stessa notte. “Sal, lasciami entrare, le devo parlare!” Si impose il giovane. “Nath!” Urlò il Grifondoro. “È tardi, Hanna è stanca, è arrabbiata, seriamente arrabbiata, a meno che Elaine non stia rischiando qualcosa meglio se per oggi la lasci stare. Domani le potrai parlare.” Disse il Grifondoro cercando di farlo ragionare “Domani?” Esclamò il giovane “Sì, domani.” Con queste parole il Grifondoro chiuse la porta alla cui guardia c’era una donna grassa dipinta. “Parola d’ordine?” chiese la signora. “Vaffanculo!” Si sfogò il giovane con ira.

Scese le scale a grandi passi pesantemente con furia. Per mesi aveva ignorato il problema illudendosi di poter far finta di niente, ora che tutti i pezzi del puzzle combaciavano non riusciva ad agire. Se fosse stato un altro sarebbe corso al secondo piano, avrebbe pronunciato la parola stampata a fuoco nella sua mente, sarebbe sceso in quei corridoi inesplorati, avrebbe affrontato i chip da solo e la persona che li controllava anche a costo della vita. Ma non era un’altra persona, era Nath e lui conosceva i suoi limiti, e sapeva di non poterli affrontare da solo, senza la forza di Hanna e l’intelligenza di Arthur. Il Serpeverde si diresse alla sua casa con ira e irritazione. Si gettò nelle sue coperte e si addormentò.

 

Note dell’autrice:

* Per chi non lo sapesse gli ebrei non chiamano dio come i cristiani ma bensì Yhwh, ma di norma si riferiscono a lui come Hashem letteralmente “il nome”, inoltre per gli ebrei la prima legge la prendono molto più seriamente dei cristiani, e non lo pronunciano mai, per di più l’utilizzo delle quattro consonanti è apposito per cui sia impronunciabile.

Lo so *Arrivano a raffica verdure e frutti marci* Possiamo discuterne in maniera civile? *Domando nascondendomi dietro un ombrello che viene tempestato da cavoli amari, frutta ed altre verdure* Vi giuro che c’è una spiegazione. *Altra raffica di frutta e verdura* La scuola mi ha presa parecchio in queste ultime settimane e ho trovato davvero poco tempo per sistemare il capitolo, mi dispiace infinitamente, mi meriterei qualcosa in più delle verdure. *A quel punto qualcuno, dalla folla mi lancia contro il libro di letteratura italiana, fisica, filosofia e inglese che mi colpiscono in pieno e mi fanno cadere a terra svenuta, a quel punto entra l’ambasciatore che mi prende per le gambe e  mi trascina via.* Il prossimo capitolo arriverà a breve, saluti da Bibliotecaria. *Dice mentre mi trascina via.* Ma non potevi lasciar perdere e prenderti un 4? *Mi domanda.* Se prendo 4 i miei mi uccidono!

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Capitolo 17
*** Cap. 16 Inizia la battaglia ***


Cap. 16 Inizia la battaglia

 

Quando mi risvegliai quella mattina mi sentivo delle strane fitte a livello del triskell; Ehogan in passato mi aveva spiegato che un uso continuo della magia poteva portare a questo, ma non immaginavo che potesse fare così male. La spalla destra era come bloccata e avvertivo come un flusso lungo quest’ultima. Iniziai a compiere dei movimenti circolari con la spalla, ma non ebbero effetto. Poi mi resi conto di una cosa: non c’era alcun rumore intorno a me. Scostai le tende dal letto e allora mi resi conto che il dormitorio era vuoto. Guardai l’orologio, segnava le otto. In preda al panico saltai giù dal letto e a tutta velocità recuperai libri e quaderni, sbattendoli malamente dentro la borsa, afferrai la prima camicia e pantaloni che trovai nel mio cassetto, me li infilai velocemente, e, mentre correvo verso l’uscita, mi infilai il maglione e mi legai la cravatta. Lì fuori c’era l’auror di guardia. “Alla buon ora, ragazzino, ho provato a svegliarti ma non ne volevi sapere.” Mi disse l’uomo divertito. Non risposi e continuai a correre lungo i corridoi saltando i gradini a due a due, e maledicendo chi avesse deciso di mettere pozioni alla prima ora. Ero a metà strada quando, inavvertitamente, sbattei contro il professor Jhonson facendogli cadere tutte le scartoffie che portava con sé. “Scusi!” Urlai continuando la corsa. “Hunter!” Mi urlò dietro il prof, ma lo ignorai e ripresi la mia folle corsa. Stavo scendendo le scale quando mi resi conto che non avevo fatto niente, neanche aperto un libro in quei due giorni. Ma oramai non c’era modo di rimediare. Imprecando a mezza voce corsi fino all’aula e irruppi al suo interno gridando. “Mi scusi per il ritardo prof!” L’intera classe si voltò, Hanna mi stava fissando cupa, era seduta accanto a Sal, e il ragazzo spostò lo sguardo da lei a me e fece una faccia di chi avesse appena scoperto il mistero della vita. “Hunter…” Iniziò la professoressa, mi bloccai sul posto: sentivo i suoi occhi azzurri lanciarmi saette. “Siediti e apri il libro a pagina centotrentatre e vedi di non fare casino.” Mi ordinò categorica. “Sì, prof.” Sussurrai sedendomi vicino ad Hanna.

Quando la lezione riprese Hanna si voltò. “Come stai?” Mi domandò con controllata rabbia. “Ora meglio… Hanna senti…” Ma come alzò lo sguardo mi bloccai: i suoi occhi ambrati erano cupi e taglienti, c’era frustrazione e disprezzo, rabbia e odio. Sentii il respiro bloccarsi e dei brividi freddi corrermi lungo la schiena. Ebbi paura che mi saltasse addosso da un momento all’altro, ma non lo fece, si voltò e tornò a concentrarsi sulla lezione, i suoi capelli le coprivano disordinatamente il volto, però continuavo a percepire quell’aura oscura aleggiare intorno a lei. Seguii l’esempio di Hanna e mi concentrai sul libro. Anche Sal l’aveva vista e dal breve sguardo che ci eravamo lanciati era chiaro ad entrambi che Hanna faceva davvero paura, era molto meglio quando ti urlava in faccia: quanto meno si sapeva come reagire.

Conclusa la lezione mi avvicinai di nuovo ad Hanna, ma lei mi ignorò senza tanti preamboli. “Hanna! Ti giuro che non volevo trattarti male, è solo che…” “Solo che cosa!?” La sua domanda mi bloccò. –Già, come mai ero così stanco ieri?- Hanna alzò leggermente lo sguardo ma non si voltò. “Sai una cosa, ogni tanto mi domando cosa ci faccio io in questo gruppo? Per quanto mi sforzi non mi sento in grado di fare nulla per voi… però…” Allora si voltò e mi sputò in faccia tutto il suo rancore. “VEDI DI NON TRATTARMI MAI PIÙ COME UN FERRO VECCHIO O GIURO CHE TI STRANGOLO!!!” Si avvicinò a me a grandi falcate. Iniziai a guardarmi a destra e a sinistra disperato sperando di trovare una via di fuga, ma non c’era possibilità di scampo, oltretutto anche se avessi corso non avrei ottenuto nulla. Sapevo che stava per arrivare un pugno e per giunta me lo sarei meritato. Hanna arrivò a meno di mezzo metro da me e caricò il suo gancio, chiusi gli occhi, non sentii nulla.

Aprii gli occhi: Sal aveva afferrato il braccio di Hanna bloccandola.

Hanna si voltò adirata, sembrava pronta a sganciare un pugno anche a Sal, ma, al contrario, inspirò affondo, rassegnata, e fece per tornare sui suoi passi, però la mia voce la bloccò. “Hai ragione Hanna, ti ho trattata male, e non lo meriti, anzi mi hai aiutata molto ieri, pertanto scusami, ma ieri… non so neanche che mi sia preso, però qualunque fosse il motivo non dovevo trattarti così.” Aspettai una risposta che non arrivò, o almeno non subito.

Dopo qualche istante vidi le braccia di Hanna, sopra la sua testa, stava facendo un movimento che conoscevo bene: portò le mani parallele l’una all’altra e poi fece combaciare il pollice e l’anulare destro, creando un cerchio, fece lo stesso con i rispettivi a sinistra, e fece toccare le quattro dita, il destro in posizione verticale, il sinistro in posizione orizzontale. Sapevo perfettamente cosa voleva dire: amicizia. Un sorriso affiorò sulle mie labbra. “Anche per me…” Sussurrai. –Siamo uniti da un legame che non può essere spezzato, come mi hai insegnato tu.- Pensai mentre riproducevo il gesto, anche se sapevo che lei non poteva vederlo. “Hanna, che stai facendo?” Le domandò Sal ad un certo punto. “Sto parlando, mi pare logico.” Rispose Hanna tranquilla. “A me non sembra, mi appari più come una pazza.” Commentò Sal beccandosi un cazzotto sul braccio. “È il linguaggio dei segni, ignorante!” Urlò Hanna continuando a camminare mentre Sal si massaggiava il braccio dolorante. –E questa è fatta.- Pensai sorridente.

***

Nathaniel oramai aveva roso la sua matita da quante volte l’aveva morsa. “Nathaniel… mi dici che ti prende?” Domandò Brian notando l’esaurimento nervoso dell’amico. “Niente…” Bofonchiò Nath imprecando perché Hanna non era ancora arrivata, perché avrebbe dovuto aspettare fino alla fine delle lezioni per riuscire ad avvisare entrambi con maggior chiarezza. “Amico… è da ieri che sei teso come una corda di violino, mi dici che succede? Se è per l’incontro della prossima settimana mi pare che tu stia esagerando, sono solo i Tassorosso.” Commentò Brian. –Cosa, la partita… me ne ero totalmente dimenticato! Ecco perché Jack era così furioso ieri!- In quel momento Hanna, accompagnata da Sal, entrò. “Hanna!” La chiamò Nathaniel facendole cenno di sedersi accanto a loro. La ragazza trascinò Sal fino al banco tutta allegra. “Hanna, finalmente, ma quanto ci avete messo?” Domandò Nathaniel seccato. “Ehi, eravamo a pozioni, ovvio che ci si mette un po’.” Commentò Hanna mentre il professore d’incantesimi entrava. “E Hanna, dopo, al solito posto, ti devo dire una cosa.” Sussurrò Nath a bassa voce. Hanna lanciò un occhiata interlocutrice a Nath, e quest’ultimo accennò un piccolo segno d’assenso. Non fu necessario aggiungere altro.

La giornata passò lenta e soffocante, più del solito, e quando i tre ragazzi si poterono ritrovare nella foresta Nath spiegò loro ciò che aveva scoperto, omettendo del tutto il nome da cui aveva appreso quella parola, Arthur non insistette per saperlo e Hanna era troppo in presa dalla notizia per pensare a quel dettaglio. “Bene! Ora andiamo laggiù e picchiamo a sangue quei chip! Voglio disintegrarli!” Urlò Hanna facendo scappare molti animali nei dintorni e facendo innervosire i due draghi che parevano aver compreso il senso del discorso. “Hanna, no, non possiamo: non abbiamo idea di come affrontarli.” La interruppe Arthur. “Ma così faremo passare troppo tempo! Elaine non può aspettare a lungo! E la ragazza dell’altro giorno? Come la mettiamo?” Domandò Hanna infuriata. “Hanna!” La interruppe Nathaniel. “Lo sai anche tu che non possiamo affrontarli di petto. Sono troppo forti, e senza gli scudi di Elaine cala molto la nostra difesa.” La rimproverò Nathaniel mentre l’interessata lo guardava adirata. “Sono solo realista Hanna, come pensi di affrontare i chip senza un piano? Eh? Affidandoti all’istinto? Rischiando il tutto per tutto? Hanna, è troppo pericoloso. Io per primo non ne posso più di stare con le mani in mano, ma ha ragione Arthur, senza qualche elemento di supporto siamo rovinati.” Spiegò il ragazzo. “E allora che si fa?” Domandò Hanna. “Fate esattamente ciò che avete già fatto.” Intervenne Ehogan, che fino ad ora era stato zitto e in disparte. “Usate tutte le vostre forze e conoscenze per affrontarli, e vedrete che tutto andrà per il meglio.” Disse il vecchio poggiando una mano sulla spalla di Arthur. “E ora, scusatemi, ma credo che ad Arthur serva apprendere un incanto prima di questa sfida.” Spiegò il vecchio.

***

Guardai incredulo il mio maestro: mi aveva perdonato, avevo superato la prova, o qualunque cosa fosse quella di ieri, avevo di nuovo la sua fiducia. Posò i suoi occhi su di me per un secondo per poi rivolgere subito la sua attenzione agli altri. “Perciò ora filate!” Ordinò Ehogan indicando loro mentre tutti, per sino i draghi, alzavano gli occhi al cielo e si defilavano in un altro posto.

Ehogan subito dopo tornò a rivolgere l’attenzione a me. “E non ti venga più in mente di fare di testa tua!” Mi sgridò mollandomi un pugno in testa facendomi scappare un’esclamazione di dolore. “Razza di stupido.” Mi massaggiai il capo e sorrisi. “Certo maestro.” Sussurrai felice.

***

Appena Hanna e Arthur si allontanarono iniziarono a confabulare a riguardo di come affrontare i chip, e purtroppo furono costretti a constatare che avrebbero avuto bisogno di qualche oggetto di supporto, come pozioni esplosive e magneti, che avrebbero potuto distruggere i chip con maggiore facilità, inoltre Nathaniel stava pensando ad un modo per riuscire a disturbare le frequenze dei chip, attraverso il suo vento. Continuarono a confabulare per quasi più di tre ore, ovvero fino a quando non arrivò Arthur zuppo da capo a piedi, e non si stravaccò su di una radice massaggiandosi le tempie per il mal di testa fortissimo. “Arthur, ma come ti ha conciato Ehogan?” Domandò Nath incredulo. “E non lo hai visto ieri, pareva un calzino ribaltato, consumato e sgualcito.” Spiegò Hanna beccandosi un’occhiata indecifrabile da Arthur che la fece zittire. “Ehogan mi ha dato un paio di dritte su come affrontare gli attacchi elettrici con le mie conoscenze, e ci è andato giù pesante, cielo quell’uomo mi fa paura.” Pensò Arthur mentre gli tornava in mente l’ultima fase dell’allenamento con il suo maestro.

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Ehogan si era posizionato davanti a lui, eretto e con gli occhi fissi su di me. Aveva alzato le mani e con un gesto rapido aveva evocato dei fulmini che come erano apparsi mi si erano lanciati contro. Istintivamente alzai le braccia e i fulmini mi colpirono in pieno, ma non sentii alcun dolore, tuttavia, l’onda d’urto mi scagliò a terra e rotolai per qualche metro. “Arthur!” Mi rimproverò, mentre mi alzavo a fatica. –Se fosse stato un fulmine alla massima potenza mi avrebbe incenerito.- Pensai guardandomi il braccio che presentava una lieve abrasione, di norma i druidi non combattevano tra di loro neanche per allenarsi, ma Ehogan aveva un controllo tale della magia che per lui indebolire e trattenere i fulmini era un gioco da ragazzi. “Riprova!” Mi sgridò mentre preparava un’altra scarica che questa volta riuscii a bloccare con la bacchetta. “Arrrthuurrr….” Ringhiò sdegnato mentre mi colpiva in peno petto con un’altra scarica. “Alzati! E fa come ti ho detto!” Mi rimproverò. “Ci sto provando, ma non riesco a concentrarmi!” Esclamai distrutto, mentre mi rialzavo a fatica e cercavo un modo per riuscire a compiere quell’incantesimo. “Se non ci riesci con me come pensi di riuscire ad affrontare i chip? Devi sforzarti, o non ci riuscirai mai! Forza! Usa il tuo vero potere! So che ne sei in grado, puoi usare il tuo potere!” Mi urlò preparando un’altra scarica, scagliò il fulmine e per un istante mi parve che il tempo si fosse fermato, quella mano d’energia che andava verso di me, era potente e dovevo bloccarla, sentii quel fuoco blu bruciare dentro di me e un istante dopo dei tentacoli d’acqua comparvero alle mie spalle bloccando l’attacco. Scagliai quei tentacoli contro il mio maestro con tutte le mie forze, ma questi vennero respinti da un colpo di vento che riversò tutta l’acqua su di me inzuppandomi e risvegliandomi. Guardai il mio maestro, pareva incredulo. “Bravo Arthur, sei migliorato…” Sussurrò porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi. “Però… stai bene..?” Mi domandò preoccupato. “Sì, perché?” Domandai incerto, c’era qualcosa che non andava, per un istante mi era parso di perdere la cognizione di me. “Ecco… vedi… per un istante hai lasciato che la magia ti sopraffacesse, di norma accade quando ci si sente in pericolo di vita… ma tu l’hai risvegliata al momento che ritenevi più opportuno senza neanche rendertene conto… di norma un apprendista non dovrebbe saperlo fare, io stesso ci ho messo anni per riuscire a richiamare le magie più semplici senza usare le canzoni e le preghiere… ma tu sì.” Guardai incredulo il mio maestro, pareva preoccupato e allo stesso tempo orgoglioso. “Sei proprio un degno erede di Merlino, Arthur, quando riuscirai a controllare tutta la magia druida sarai un pericolo per ogni tuo nemico.” Pensò ad alta voce mentre mi arruffava i capelli bagnati con la mano.

-Io un degno erede…- Pensai stravaccato in quell’albero. –Non diciamo stupidaggini.- Mi dissi alzandomi dalla radice e tornando a guardare Hanna e Nath. Per un istante mi apparve uno sfavillio, non erano più i ragazzini di allora, ma dei giovani uomini, fu solo un istante, subito dopo tornarono quelli di sempre. –Una visione? Come adesso? Che significa?- Pensai mentre mi apparve davanti il me più grande, o almeno credo che lo fosse. “Arthur, sei con noi?” Domandò Hanna poggiandomi una mano sulla spalla riscuotendomi da quel sogno. “Ehm… sì…” Sussurrai incantato. “Allora capo!” Esclamò Nath. “Qual è il piano?” Domandò mentre nei suoi occhi riluceva la stessa forza dell’acciaio, era pronto ad agire; guardai Hanna i suoi occhi bruciavano per la frenesia; presi un profondo respiro e sentii come se Elaine fosse lì con noi, i suoi occhi verdi rilucenti di una luce particolare, di chi è pronto a tutto. “Andiamo a prendere a calci in culo quei chip e chi li controlla. Tra due settimane saremo pronti.” Dissi sicuro. “Due settimane?” Domandò Hanna incredula. “Ci serve del tempo per preparare quel che ho in mente.” Spiegai. “E cosa la tua mente geniale ha elaborato, Arthur?” Domandò Nath che seppur impaziente era pronto ad agire. Gli lanciai un’occhiata. “Tu non ne hai la più pallida idea.” Spiegai serio.

***

Come predetto da Arthur la ricerca degli ingredienti e armi contro i chip durò due settimane. Nathaniel riuscì, un po’ per vicinanza, un po’ perché tutti glielo avevano chiesto, a farsi rivelare da Brian gli ingredienti della pozione di quella notte di Natale. Hanna si era messa d’impegno per imparare al meglio gli incantesimi di difesa e nello stesso tempo era stata costretta da Sal a ore di studio forzato, i quali però, avevano giovato alla sua media, e l’avevano fatta riammettere in squadra. Arthur invece si stava addestrando con Ehogan al fine di sapersi difendere dagli attacchi elettrici, tralasciando un po’ lo studio e il proseguimento del suo percorso come druido, ma comunque questo era necessario. Ehogan d’altronde non aveva mai fatto grandi commenti, ma era chiaro a tutti che fosse preoccupato, Arthur ci provò anche a parlarci, ma inconcludentemente, portandolo ad arrendersi. Tuttavia il giorno della missione Ehogan si rivolse ai tre ragazzi.

“Domani non potrò essere con voi, questa è la vostra battaglia, e io non posso e non voglio fare nulla per impedirvelo, anzi, sono il primo a sostenervi, ma sono anche il primo ad essere preoccupato per voi; pertanto ho degli ultimi consigli da darvi.” Ehogan compì un profondo respiro e la sua mano scarna andò ad indicare l’oggetto del suo interesse. “Hanna!” La ragazza presa in causa iniziò a guardarsi a destra e a sinistra per la sorpresa del momento. “Tu sei forte, non dimenticarlo mai, ma anche Uther, la tua forma animale è forte, usala quando tu così come sei non basterai più.” Hanna guardò sorpresa Ehogan, fino ad ora l’aveva sempre chiamata ragazza o signorina Uther, che fosse un segno d’apprezzamento da parte del druido, o semplicemente volesse essere più incisivo era impossibile da capire; restò il fatto che il consiglio di Ehogan rimase nel cuore di Hanna, a tal punto da risvegliare la guerriera in lei e far vedere la pallida ombra di ciò che sarebbe potuta diventare.

Quando Ehogan fu sicuro che il messaggio avesse colto il cuore della ragazza passò al secondo in causa. “Nathaniel!” A sentire il suo nome Nath percepì un freddo brivido lungo la schiena, inoltre il lungo dito ossuto del mago che lo puntava lo innervosiva assai. “Il tuo potere può battere quello, usalo come meglio ritieni e non ti risparmiare, ma tieni per te quello che ti ho detto i giorni scorsi come ultima risorsa.” Nathaniel guardò il vecchio druido dritto negli occhi, quegli occhi azzurri come un cielo annuvolato così piccoli e taglienti a volte, così profondi e rassicuranti altre, e vi vide la sua forza e la sua saggezza. Così, con un secco movimento del capo, fece capire che avrebbe seguito quel consiglio, e che avrebbe dato se stesso in questa missione. Ehogan lo soppesò per qualche istante, per comprendere se aveva davvero accettato il suo consiglio, o se lo avrebbe ignorato come avrebbero fatto tanti altri, e quando lo comprese posò gli occhi sul suo giovane allievo.

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Abbassai il capo quando giunse il confronto con il mio maestro. Cosa mi avrebbe detto, quale consiglio mi avrebbe donato, sarebbe stato quello che mi aspettavo, o mi avrebbe dato una bella strigliata perché da dopo quella volta non ero più riuscito a controllare l’acqua senza l’uso dell’arpa e dei canti. “E… Arthur…” Mi preparai ad un potenziale insulto perché era questo che mi meritavo. Lo sentii avvicinarsi, e due braccia magre, vecchie, sottili, scarne eppure più rassicuranti di quelle forti di mio padre mi avvolsero in un tenero abbraccio paterno. “Resta in vita, e ricordati ciò che ti ho insegnato.” Sussurrò solamente preso dalla commozione. “C-certo maestro.” Sussurrai incredulo. “Bene, allora buona fortuna ragazzi.” Così dicendo ci salutò e come si allontanò da me le nebbie lo fecero sparire avvolgendolo nel loro freddo mantello.

Per un’istante rimanemmo in silenzio, poi, con lentezza, mi voltai e mi diressi verso la scuola mentre Nathaniel raccoglieva la borsa con Godren, non c’era bisogno di parole: ognuno sapeva esattamente cosa fare.

***

Quella notte nel cuore delle tenebre Harry si svegliò nel cuore della notte, tutto sudato: un incubo, ma non uno dei soliti. Pensieroso si portò alla finestra per godere di quel panorama così famigliare, la sua casa, la sua vera casa, eppure qualcosa lo turbava. Forse era stato solo un sogno, eppure era convinto che la cicatrice gli stava facendo male fino ad un secondo fa. Si portò distrattamente una mano sulla fronte e se la ricalcò con delicatezza. “Va tutto bene, è solo un sogno.” Si ripeté nel tentativo di convincersi che quello era stato davvero solo un sogno. –Ma allora cos’è questa strana inquietudine?- Si domandò prima di addormentarsi nel suo letto.

***

Mi alzai dal letto che era l’una, nessuno era sveglio, tutti erano crollati in un sonno profondo. Lentamente uscii dal dormitorio e, approfittando di una momentanea assenza di un auror, per via di uno strategico mal di stomaco, uscii dalla casa Corvonero nel più religioso silenzio. Scesi le scale fino a raggiungere il secondo piano e, evitando due o tre auror, riuscii ad entrare nel bagno delle ragazze. Non c’era traccia né di Mirtillamalcontenta, né di Hanna o Nathaniel. Mi sedetti su di un lavandino in attesa, sperando che arrivassero in fretta. Nel fare ciò diedi un’ultima occhiata alla mia borsa: bacchetta, pozioni in delle boccette, creme curative e magneti. Non sapevo se sarebbero stati di una qualche utilità, ma oramai era troppo tardi per tirarsi in dietro. Non feci in tempo a concludere questo mio pensiero che Hanna e Nathaniel mi raggiunsero, avevano il fiato corto e stavano sudando. Hanna mandò giù la saliva. “Scusaci il ritardo, ma i nostri auror non erano caduti nel tranello e abbiamo dovuto aspettare che si distraessero.” Spiegò Hanna con un po’ di fiatone. “Tranquilla Hanna, i chip non scappano mica.” Hanna mi sorrise e si innalzò facendomi capire che era pronta. “Bene, ora Nath, tocca a te.” Come finii di parlare Nathaniel si alzò e si diresse di fronte al lavandino con il serpente, lo cercò un secondo e poi sussurrò un'unica parola, un vento gelido mi avvolse, era magia, ma non era di Nathaniel, proveniva da qualcun altro, qualcuno di molto potente, di oscuro, un mago.

Improvvisamente mi mancò un battito e davanti ai miei occhi apparve una figura, era uno stregone, doveva entrare nella mezza età, i capelli neri striati di bianco, il viso scarno e affilato, gli occhi piccoli verdi come smeraldi, le labbra sottile, mani lunghe e affusolate, alto un po’ incurvato, lo riconobbi, era il mago che mi aveva detto quella frase senza senso durante la visione di Ostara. Mi scrutò un secondo e poi accennò un sì con il capo per scomparire nel nulla, allora compresi: era Salazar Serpeverde.

Un brivido mi percorse quando il lavandino iniziò a muoversi rivelando l’entrata, era tutto buio là sotto, e percepii tutta l’energia oscura di quei luoghi, anche Godren doveva essersene accorto, poiché si nascose dentro la borsa e non uscì di lì per un bel po’; l’aria iniziò a mancarmi ma il colpo in mezzo alle scapole che ricevetti da Hanna mi aiutò a scacciare via la paura. “Andiamo!” Esclamò Hanna addentrandosi nelle viscere di Hogwarts. Nathaniel la seguì un istante dopo senza esitare. Mi lasciarono indietro e in preda al terrore corsi verso di loro. “Ehi, aspettatemi!” Li supplicai entrando nel nero più nero che avessi mai visto. Afferrai la bacchetta, oppresso da tutto quel buio. “Lumus.” Con un sussurro la luce riempì il corridoio illuminando i volti di Hanna e Nathaniel con quella luce fredda. “Ottimo, Nath da che parte?” Chiese Hanna mentre il ragazzo consultava la cartina con i suoi appunti. “Da questa.” Disse seguendo il corridoio.

Con mia grande sorpresa non c’erano molti passaggi, e quei pochi che c’erano erano chiaramente tubature, per tanto il sentiero da seguire ci fu chiaro fin da subito. La strada era stretta e tortuosa, era stata chiaramente progettata secoli fa con la costruzione di Hogwarts, o comunque poco dopo. Era tutto estremamente umido, l’acqua gocciolava da ogni parte e, a questo si aggiungeva, un costante e pesante fetore d’acqua stagnante. Più di una volta mi portai la mano al naso nel tentativo di scacciare quel pessimo odore, ma senza alcun successo: non potevo fare niente per quel terribile odore. Stavamo camminando da un po’, quando una risata, cristallina, infantile, innocente, si estese per lo stretto cunicolo. Ci bloccammo terrorizzati, Hanna aveva tuti i muscoli in tensione, era pronta ad attaccare, Nathaniel invece compì un passo indietro mettendosi sulla difensiva, io invece mi sentii bloccato, paralizzato, da quella risata. Un’altra echeggiò per le strette pareti. “Chi è stato?” Sussurrai in preda ad una strana angoscia, unita ad un profondo fascino. “Sembra di essere in un film horror.” Commentò Nathaniel a mezza voce. Hanna rimase immobile per qualche minuto, annusando l’aria con profondi respiri e cercando di distendere i muscoli, sono quando si rilassò riprese a camminare con passo sicuro. “Se n’è andata, chiunque fosse se n’è andata.” Sussurrò Hanna precedendoci lungo il corridoio, la seguimmo un istante dopo.

Stavamo procedendo lungo il corridoio già da un po’, quando un foro nella parete attirò la nostra attenzione, Hanna lo studiò. “Sembra che sia stato aperto per magia, guardate, questi segni non sono naturali.” Mi abbassai e controllai il punto indicato da Hanna che, effettivamente, presentava dei segni un po’ troppo netti per essere dovuti ad un crollo, e poi era un foro dalla forma praticamente ad arco, e raggiungeva il suo apice a metà parete, altro fatto insolito. “Che dite? Entriamo?” Domandò Hanna che fissava quell’ampio spazio acquitrinoso con sospetto. Nathaniel passò la mano lungo la parete e rifletté un secondo con gli occhi socchiusi. “Potrebbe essere un modo per sviarci: avete visto anche voi che la strada procede in quella direzione.” Commentò il ragazzo. “D’altronde non sembra che ci sia una strada da seguire lungo quegli acquitrini, non c’è un sentiero o qualche segno che ci possa far capire dove siamo, rischiamo di perderci e basta.” Io non li ascoltai, stavo fissando quel foro incantato. –Io l’ho già visto.- Alzai gli occhi verso quegli acquitrini in cui si erano formati numerose colonne, stalagmiti e stalattiti. –E anche questo mi sembra di conoscerlo.- Arthur si ritrovò ad accarezzare la superfice ruvida dell’apertura e, dopo lunghi istanti di esitazione, entrò in quello spazio. “Arthur che fai?” Domandò Hanna spaventata. “Nella mia visione, non si raggiungeva la camera dei segreti, ma si procedeva lungo un passaggio come questo. Se vogliamo raggiungere i chip questa è la direzione giusta.” Così dicendo ripresi a camminare venendo subito dopo seguito da Hanna e Nathaniel.

***

Hanna e Nathaniel osservavano Arthur da dietro: era leggermente ricurvo, concentrato, sforzandosi di ricordare la strada per raggiungere il nascondiglio di chi controllava i chip. Hanna si guardò in giro: era una grotta alta come una casa a tre piani, dai soffitti scendevano stalattiti, dal pavimento si innalzavano stalagmiti, ma soprattutto c’erano colonne, grosse come quelle dei tempi greci, e si estendevano a vista d’occhio in quella semi oscurità, non ne aveva mai viste tante, e mai avrebbe pensato che ce ne potessero essere. Il pavimento era ricoperto da piccoli acquitrini, più o meno profondi, dalle acque scure e ma limpide, questi erano delimitati da piccoli sentieri labirintici di calcare. Hanna alzò il viso: probabilmente si dovevano trovare sotto il lago Nero, ma non aveva mai sentito parlare di queste grotte. –Probabilmente nessuno le ha mai viste prima d’ora.- Si giustificò la ragazza. –Oppure si sa che esistono ma sono state dimenticate.- Pensò di nuovo.

Dopo che ebbero attraversato un lungo pezzo di strada con le caviglie immerse nell’acqua o su piccoli sentieri tentando di non scivolare, quella risata cristallina e malevola si espanse nuovamente per le pareti. Hanna si bloccò in allerta; non riuscì a comprendere da dove potesse provenire a causa del rimbombo che si espandeva tra le pareti e le colonne, ma riavvertì la sensazione di braccaggio che da mesi la stava perseguitando. Si guardò intorno alla ricerca di una fonte luminosa, ma non ne trovò altre oltre alla sua bacchetta. La cosa tuttavia non la tranquillizzò, anzi la mise il doppio in allerta. “Questa risata mi dà i brividi…” Sussurrò tra sé e sé Nathaniel mentre un gelo ingiustificato raggiungeva le sue membra percuotendogli le ossa. “Ragazzi…” Al richiamo della ragazza i due giovani si voltarono seduta stante per guardarla. “Si stanno avvicinando: dovrebbero essere qui tra breve.” A quella semplice spiegazione i tre studenti si posizionarono spalla contro spalla mentre un silenzio sordo penetrava nelle loro vene fino a farli raggelare. Hanna si concentrò fino a quando le sue orecchie non percepirono un ronzio appena percettibile, proveniva dalla direzione in cui si stavano dirigendo: ovunque fossero diretti, era la strada giusta e dovevano essere vicini. Sentì Arthur stringere qualcosa sotto i vestiti, Hanna sapeva che lì, nascosta, c’era la sua arpa, gelosamente custodita tra le pieghe della sua divisa; Hanna poteva percepire la sicurezza che riceveva Arthur dalla vicinanza con quel semplice oggetto, era la stessa che lei provava nello stringere la sua bacchetta, e così Nathaniel.

Il ronzio si fece più intenso, più invadente, fino a divenire soffocante, una debole luce si stava avvicinando a grande velocità tra le colonne: erano i chip, che con rapidi movimenti ingannatori si stavano avvicinando a loro. Hanna strinse forte la bacchetta preparandosi al peggio. “Qualsiasi cosa succeda…” Iniziò Nathaniel. “Non fatevi ammazzare.” Sussurrò puntando il suo sguardo sui chip, Hanna gli lanciò un’occhiata. “Vale anche per te, stupido.” Sussurrò l’interessata mentre i chip si avvicinavano pericolosamente. “ORA!” Urlò Arthur quando i chip furono a meno di venti metri da loro. A quel punto Hanna lanciò una fiala che come venne colpita dai fulmini causò un’esplosione che ne coinvolse buona parte. Ci fu un momento di confusione in cui all’esplosione si unirono le macerie di una colonna che crollò a terra in un tonfo alzando un’onda che investì i tre ragazzi. Arthur e Nathaniel si guardarono speranzosi, mentre Hanna fissava divertita la polvere che si stava lentamente diradando. I tre ripresero a camminare, ma come raggiunsero il punto in cui la pozione era esplosa si avvertì un ronzio e un istante dopo furono accerchiati dai chip, ma non riuscirono a colpirli, grazie all’intervento di Arthur che aveva eretto una barriera all’ultimo. “Merda…” Ringhiò Nath estraendo dalla sua tunica un’altra pozione. “No!” Esclamò Arthur. “Se la lanci adesso ci farai ammazzare.” Esclamò il ragazzo mentre si sforzava di tenere alta la barriera, sebbene i chip continuassero a colpirla con una forza impressionante. Ma Nathaniel lo ignorò e frantumò la boccetta rilasciando una nube densa. “Zonco?” Sussurrò Hanna. “No, Weasley.” Rispose il ragazzo sgattaiolando via con i suoi compagni approfittando della scarsa visibilità. Arthur si lasciò trascinare, ma i chip, dopo aver interrotto l’attacco per qualche attimo, come disorientati, incominciarono a colpire alla cieca creando l’impressione ai giovani ragazzi di essere inseguiti da frecce.

Hanna, Nathaniel e Arthur schivavano rapidamente e si sforzavano al massimo per riuscire a sopravvivere a quell’assalto, ma come il fumo andò a diradarsi gli attacchi dei chip si fecero sempre più precisi. Li attaccavano a gruppo come se fossero armate romane con le loro lance pronte ad infilzare i nemici, e loro non potevano che difendersi, ancora e ancora, senza fermarsi, senza riposo. Oramai era chiaro che non sarebbero sopravvissuti se non avessero trovato alla svelta una soluzione.

Hanna si guardò attorno, disperata, in cerca di una soluzione. Tutto intorno a lei le era chiaro come la luce del sole, malgrado la paura, l’adrenalina, i rumori e Uther che spingeva da dentro di lei per rivelarsi, per combattere; eppure non c’era confusione nella mente di Hanna, riusciva a distinguere chiaramente ogni dettaglio dei movimenti dei chip, e spesso li anticipava, per questo si era permessa di guardarsi intorno, in cerca di una soluzione, e la trovò, quattro metri sopra di lei.

“Bombara!” Un boato investì la caverna mentre l’incanto si schiantava sulle stalattiti sopra le loro teste. In principio tremarono, poi scricchiolarono, infine si spezzarono, e con un tonfo sordo caddero su di loro. Di riflesso i chip si allontanarono e lo stesso fecero i ragazzi nella direzione opposta. Hanna approfittò del disordine per afferrare Arthur e Nathaniel e trascinarli di peso lontano da lì. La ragazza correva rapida in quegli stretti sentieri che separavano loro dalle nere acque profonde. Ma i chip furono più rapidi, e prima che i tre giovani potessero trovare riparo dietro ad una colonna, i chip li caricarono con forza andando loro addosso come un unico possente fulmine. Hanna e Nathaniel alzarono le bacchette in preda al panico, ma non poterono nulla, uno scudo blu già li avvolgeva. Arthur era in piedi contro i chip e con la sua sola magia stava combattendo per reggere la barriera. “Andate…” Sussurrò il ragazzo con voce tremante per lo sforzo. Contro ogni loro aspettativa lo fecero, Hanna e Nathaniel si allontanarono da Arthur mettendosi al riparo dietro ad una colonna. Quando Arthur fu sicuro che si fossero ritirati abbassò lo scudo e si gettò a terra. Poté sentire la potenza di quella scarica elettrica passargli sopra la testa e un brivido gli invase le membra facendogli perdere parte del controllo del suo corpo, ora scosso da tremori, per lo spavento. Arthur si rialzò come i fulmini lo ebbero superato, e si voltò verso i suoi amici tentando di raggiungerli ma venne bloccato da un muro di chip. Il ragazzo terrorizzato estrasse una boccetta e la lanciò con forza contro la base del muro, sperando di ottenere l’effetto desiderato, ma non riuscì a generare un foro quella volta, l’onda d’urto lo aveva gettato a terra ma non aveva decomposto la formazione a muro dei fulmini. Arthur arretrò terrorizzato spingendosi all’indietro con le mani mentre i chip si scagliavano contro di lui come un solo uomo. “Protego!” Urlò riuscendo a bloccare l’attacco. I fulmini si infransero con uno stridio metallico ed elettrico sulla sua barriera assordandolo e scuotendolo da capo a piedi.

Arthur teneva saldamente la bacchetta cercando di non mollare la presa e di prolungare il più a lungo possibile l’incantesimo, ma sentiva che a breve si sarebbe spezzato, aveva usato troppa magia e le energie iniziavano a venirgli meno.

Proprio in quel momento un'altra ondata di chip colpì il suo scudo infrangendolo. Venne assalito e stretto in una morsa che lo obbligava all’immobilità, sarebbe bastato un passo e avrebbe ottenuto una scarica da 300000 volt. “ARTHUR!!!” L’urlo disperato e furente di Hanna attirò l’attenzione dei chip che dalla forma cilindrica che avevano assunto intorno al suo corpo sporsero uno sperone in direzione della ragazza. Arthur intravide Hanna lanciarsi verso di lui alla massima velocità con la bacchetta alta. “Vingardium leviosa!” Urlò questa sollevando una stalattite caduta a terra che gettò contro i chip che tenevano Arthur sospeso in quella tenaglia.

I fulmini si scagliarono su di quella stalattite e come la sfiorarono l’onda d’urto che si generò fu così potente che scagliò Arthur lontano, nelle acque di uno stagno profondo, non aveva subito gravi ferite nell’impatto, solo qualche lieve graffio dovuto all’esplosione, ma comunque, il contatto con l’acqua fredda del lago lo privò del fiato e dell’energia. E, come un sasso, Arthur si lasciò cullare dolcemente verso il fondale.

 Note dell'autrice:
​Volevo solo dire che questo ritardo è colpa del computer che ha perso il capiolo e... vi prego ditemi cosa ne pensate della scena di battaglia!
​A presto, Bibliotecaria

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Capitolo 18
*** Cap. 17 L'erede di Merlino ***


Cap 16 L’erede di Merlino

 

“Arthur!” L’urlo di Hanna si propagò nello stesso istante in cui il corpo di Arthur sfiorò la superfice dell’acqua propagando un tonfo sordo. Per un’istante il tempo si bloccò per Hanna, le pupille si dilatarono e una furia la invase, l’aveva già conosciuta, all’inizio di quell’anno, ma era diversa, non era oscura, o quanto meno non del tutto, era un fuoco, un fuoco rosso al centro del suo cuore e bruciava tremendamente, tanto da farle male al cuore, nelle ossa, nella carne, nel sangue fino agli occhi.

Si voltò di scatto, tra la sua mente e il suo corpo non c’erano più freni, era come se ciò che l’avesse tenuta a freno per anni quella coscienza umana che le aveva impedito di dare il peggio di sé se ne fosse andata; anzi no, non era scomparsa, si era messa da una parte, pronta a ritornare quando fosse stato necessario, una flebile luce argentea nel suo essere. Gli occhi le bruciavano d’ira e come una furia si scagliò contro i chip. “Vingardium leviosa!” Con l’urlo più simile ad un ruggito sollevò la colonna e come prima con movimenti rapidi la diresse, come un martello che cade sulla spada, sui fulmini distruggendone la formazione e annientando alcuni chip caduti sul peso di quella roccia. Per tre volte Hanna fece cadere la colonna sui fulmini: dall’alto, da destra e obliquamente. In risposta i fulmini si divisero in gruppi sempre più piccoli e distanti attaccando da più direzioni, rendendo sempre meno efficaci i colpi di Hanna che si dovette concentrare sulla difesa, ma lei non si fermava: la furia che l’aveva invasa le impediva di bloccarsi, e non lo avrebbe fatto fino a quando ogni singolo chip sarebbe stato distrutto.

Nathaniel era rimasto nascosto dietro la colonna, incredulo, dinnanzi a quella scena: sapeva che Hanna aveva una forza d’animo incredibile, lo aveva potuto sperimentare sulla sua pelle svariate volte, ma non credeva che sarebbe potuta divenire addirittura pericolosa adoperando un incantesimo banale come quello della levitazione.

Nath desiderò muoversi da lì, di correre verso Hanna per salvare Arthur, ma qualcosa lo bloccava. Non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento, da quando Arthur era caduto in acqua, la paura lo aveva paralizzato, eppure una parte di sé desiderava combattere. –Gambe muovetevi…- Si ripeteva disperato cercando di alzarsi. -Forza…- Nathaniel portò una mano ai pantaloni e si strinse fino ad artigliare le cosce, cercando di risvegliare quei muscoli intorpiditi. -Forza…- Strinse gli occhi per il dolore, sentiva chiaramente il suo potere ruggire dentro di sé, un’energia potente, che lo chiamava per nome dicendogli di alzarsi e combattere, eppure l’istinto di preservazione lo bloccava, poteva sentire i brividi lungo le sue cicatrici avvertirlo del pericolo, per questo non riusciva a muoversi. Portò una mano nella tasca dei pantaloni in cerca del suo coltello, e quando lo trovò uno strano sollievo lo invase al contatto con il metallo. -Forza Nathaniel!- Aprì gli occhi e con uno scatto, che sorprese anche lui, si lanciò contro i fulmini dissipandoli ulteriormente con un potente colpo d’aria.

Quando ricadde a terra, Nath si difese da un attacco imminente con uno scudo d’aria: un insieme di vortici che con forza respinsero i fulmini facendoli scivolare lungo la corrente. Quando furono lontani da lui Nathaniel lanciò una boccetta esplosiva e distrusse numerosi chip, al punto che i fulmini che si riformarono erano appena dei rigagnoli d’energia. Un sorriso crudele, quasi malato, si dipinse sul volto di Nathaniel. Stava godendo della distruzione in torno a lui, e non si sarebbe fermato.

Una cieca ira aveva invaso i due ragazzi che, con una forza rinnovata stavano attaccando i fulmini. Non contava più nulla: il loro obbiettivo era la distruzione.

***

Aprii gli occhi, potevo vedere al disopra dell’acqua la battaglia infuriare. Sentivo le esplosioni e le urla di Hanna come lontani rimbombi distorti, confusi, come un eco lontano o un vago ricordo.

–Sto annegando.- Non avevo la forza di muovermi, l’impatto con l’acqua mi aveva privato di forza ed energie, intorpidendo i muscoli. Così, semplicemente, il mio corpo si stava lentamente trascinando nell’oblio di quelle acque scure e profonde appena tre metri. Le forze mi stavano venendo meno e sentivo un tremendo bisogno di respirare, la gola mi bruciava e stavo combattendo contro il mio istinto per riuscire a trattenere il respiro ancora per un pochino, le orecchie mi fischiavano per la pressione, e stavo combattendo per tenere gli occhi aperti. Sapevo che l’aria mi sarebbe bastata ancora per poco, dopo di ché e allora sarei svenuto e subito dopo morto. Fui tentato di lasciarmi andare, di abbandonarmi in quel dolce oblio. Chiusi gli occhi e lasciai uscire l’aria. –Sì, è meglio così…-

*

“Arthur…” Credo che fosse una visione oppure un ricordo, non l’ho mai veramente capito. “Vivi Arthur…” Quando riconobbi quella voce un brivido mi percorse la schiena. Era mia madre, quella voce era la sua, corsi nel tentativo di raggiungerla, avevo così tanto da dirle, mille parole non dette nel arco di una vita, volevo raggiungerla e dirle quanto mi dispiaceva e mi sentivo in colpa, che avrei fatto di tutto per riaverla con me, e che mi mancava da morire, anche se già allora ne servavo solo pochi, ma preziosissimi, ricordi. Tuttavia, ad ogni passo che compivo mi allontanavo di altri cinque, provai ad accelerare, ma fu tutto inutile; caddi in quel terreno bianco inconsistente e piansi: volevo raggiungerla ad ogni costo, non volevo essere di nuovo solo. La chiamai per nome, il nome con cui l’avevo sempre chiamata, come un bambino spaventato, perché ero questo: un bambino spaventato dalla vita.

Una mano ossuta apparve nel mio campo visivo: era di Ehogan, l’avrei riconosciuta ovunque, quelle mani che, anche se solo in un anno, mi avevano dato più carezze e rimproveri di quanto avessero fatto quelle di mio padre in quasi tredici anni di vita. “Arthur…” Alzai lo sguardo, quei piccoli occhi azzurri mi stavano fissando con dolcezza, la stessa che avevo visto innumerevoli volte nell’arco di quei mesi, una dolcezze paterna eppure diversa da quella di un padre. “Resta in vita.” Così dicendo afferrai la sua mano.

*

Strinsi saldamente l’arpa sopra di me, e con uno sforzo immane aprii gli occhi risvegliandomi dall’oblio. –Vediamo se a questi chip piace bagnarsi- Pensai mentre le mie dita sfiorarono le corde dell’arpa e dalla mia gola uscivano parole stampate a fuoco nella mia mente.

***

Improvvisamente una frusta d’acqua colpì in pieno un gruppo di fulmini, e nel inutile tentativo di affrontare l’improvvisa minaccia, vennero racchiusi dentro alla frusta, poi la parte in cui si erano stati intrappolati i fulmini si distaccò dal resto della frusta, così continuarono ad agitarsi all’interno della bolla acqua, come intrappolati da una forza invisibile, fino a quando non si estinsero con un’ultima potente scarica d’energia, illuminando a giorno la caverna per un’istante.

Hanna e Nathaniel guardarono la scena allibiti, e persino i fulmini parvero ritrarsi spaventati dall’immensità di quel potere. I due ragazzi si voltarono increduli al suono d’un rombo pari a quello d’una cascata. Hanna e Nathaniel sgranarono gli occhi quando umanamente possibile alla vista d’un’alta colonna d’acqua innalzatasi fino al soffitto della grotta come una colonna. Un istante dopo questa si aprì come un fiore rivelando Arthur sospeso in aria, a pochi centimetri dalla superficie dell’acqua mentre suonava delle note cupe e precise cantando una poesia triste incomprensibile. Era zuppo da capo a piedi, eppure non ne dava conto, una stana energia gli avvolgeva il corpo, facendo svolazzare i capelli e i vestiti ed inducendo l’acqua al suo giogo.

Hanna e Nathaniel rimasero basiti alla vista del loro amico, non pareva più neppure lui: i suoi occhi erano illuminati da una luce azzurra e bianca e parevano del tutto privi di vita.

L’acqua si diffuse come tentacoli di un kraken e iniziò a danzare con movimenti lenti come la morte. I fulmini parvero bloccarsi per qualche secondo, sorpresi dal nuovo nemico, poi si scagliarono contro Arthur con una furia rinnovata a piena potenza in un unico grande fulmine. Però i tentacoli furono più rapidi e, come avevano fatto prima, si pararono davanti al druido bloccando l’impatto infrangendosi in mille gocce che poi si riunirono rinchiudendo la punta dei fulmini all’interno dell’acqua e, staccandosi dal resto dei tentacoli, lasciavano che fossero gli sessi fulmini a distruggersi. Nel frattempo, i fulmini che erano riusciti a ritrarsi vennero attaccati da possenti frustate e obbligati a separarsi e perdendo potenza d’attacco mano a mano che si separavano. Così facendo ogni tentativo di raggiungere Arthur fu reso vano dai tentacoli di cui lui era il conducente.

Hanna e Nathaniel tentarono ad intervenire, ma, quando stavano per lanciarsi alla carica, una cupola d’acqua li bloccò dov’erano, Hanna digrignò i denti, mentre Nathaniel provò a sfiorare la superfice dell’acqua, fu così che si accorse che era più densa dell’acqua normale e, a causa del continuo flusso sferico dell’acqua, non avrebbero comunque potuto attraversare la barriera, così non poterono che assistere alla scena con impotenza.

Il mostro d’acqua si espanse per la grotta intrappolando i chip ed i suoi fulmini nella sua morsa distruggendoli a piccoli gruppi, ad uno ad uno, con la stessa pazienza d’un cacciatore esperto. D’altra parte i chip stavano tentando una fuga confusa, ma ogni qual volta in cui si allontanassero dal raggio d’azione dei tentacoli, uno di questi si staccava e raggiungeva il manipolo fuggiasco annientandolo al momento. I chip tentarono di infrangere la formazione a piovra dell’incantesimo facendo crollare colonne e stalattiti, ma queste oltrepassavano l’acqua senza arrecargli alcun danno e quando si avvicinavano ad Arthur venivano allontanate con potenti frustate d’acqua. Mentre avveniva questo, il livello degli acquitrini si abbassavano a dismisura fino a prosciugarsi, e così i tentacoli si allungavano sempre di più fino a poter coprire un raggio di ben oltre cinquanta metri cubi.

L’acqua si muoveva dolcemente, seguendo le note di quella danza mortale e distruttiva il cui direttore era Arthur. Il mostro d’acqua fece il suo dovere distruttivo e impetuoso. La lotta fu feroce: acqua e fulmini si scontravano generando scintille che si riflettevano nelle gocce illuminando a giorno ogni volta che i fulmini si estinguevano.

Quando Arthur terminò il canto non c’era più un chip funzionante e, con loro, anche i fulmini erano stati annientati.  Un istante dopo il mostro d’acqua e la cupola s’infransero ricadendo negli acquitrini in mille gocce, in un improvviso caos.

Nathaniel dovette afferrare Hanna e portarla in aria fino a due metri per evitare che lui e l’amica venissero sommersi. Arthur perse i sensi afflosciandosi elegantemente chiudendo gli occhi mentre l’incantesimo di disfava. Nathaniel con uno scatto volò verso l’amico, lo prese al volo e portò lui, Hanna e Arthur sulla terra ferma.

Nathaniel iniziò a schiaffeggiare l’amico cercando di fargli riprendere i sensi preoccupato. –Dunque è questo il vero potenziale di Arthur.- Pensò il Serpeverde mentre guardava l’amico inerme. –Ma se questo è il vero potenziale dei druidi, perché due millenni fa non hanno respinto i Romani?- Mentre dubbi di questa natura sorgevano nella mente del ragazzo, Godren, che fino ad ora era stato nella borsa di Nathaniel senza emettere un fiato, saltò sul petto di Arthur e un debole tepore avvolse il corpo del ragazzo unito ad una luce d’orata. Un istante dopo Arthur iniziò a tossire rumorosamente riprendendo conoscenza.

“Arthur!” Urlò Hanna lanciandosi addosso al amico strozzandolo con un forte abbraccio e mettendo in fuga il draghetto. La ragazza si separò dal Corvonero un secondo dopo con uno sguardo del tutto diverso. “Brutto scemo!” Urlò dandogli un pugno in testa, causando una protesta da parte dell’interessato. “Ci hai fatto prendere un colpo!” Mentre Hanna sbraitava, Godren rientrò nelle borsa di Nathaniel rassicurato dalla sottile protezione che questa le donava. “Scusate.” Sussurrò semplicemente Arthur incapace di dire quant’altro. “Ma… Arthur come hai fatto quella cosa?” Chiese Nath tornando a fissare il punto in cui fino a pochi istanti fa una creatura d’acqua stava distruggendo tutti i chip. “Quella?” Domandò Arthur perplesso. “Ah, sì! Quel incantesimo è una forma di dominio sugli elementi, in questo caso l’acqua, con le mie singole forze non sarei mai riuscito a fare quello che ho fatto ora così mi sono dovuto aiutare con una preghiera al dio Dagda, ma mi ha risucchiato tutte le energie, mi dovete concedere un momento.” Disse il ragazzo stringendosi le ginocchia al petto e infossando la testa tra esse compiendo profondi respiri per ritrovare le forze mancanti, malgrado l’intervento di Godren gliene avesse restituite alcune. “Dagda? Preghiera? Dominio? Arthur che hai combinato quest’anno?” Chiese Hanna perplessa. “Un bel po’ di cose Hanna.” Disse vago Arthur alzando appena la testa per poi farla ricadere tra le gambe. “Ma, scusa, perché sei ridotto così?” Chiese Nath. “La magia non ha mai avuto reazioni sul corpo, certo un uso prolungato di questa ci stanca ma bisogna proprio esagerare!” Esclamò il Serpeverde. “Il mio maestro mi ha spiegato la magia druida attinge energia dalla magia in noi quindi dalle energie del nostro corpo, per questo sono così stanco, ma in compenso è estremamente potente.” Spiegò il ragazzo senza alzare la testa. “In oltre la magia che apprendiamo ad Hogwarts viene incanalata dalla bacchetta, che, essendo un oggetto magico, evita che attingiamo solo alle nostre forze, invece la magia druida non ha canali: è energia allo stato puro, per questo è molto difficile da usare se non si ha una conoscenza intrinseca e mistica della magia e degli dei.” Spiegò Arthur. “Quindi mi stai dicendo che puoi fare cose spettacolari come questa ma solo una volta in una ampio lasso di tempo o vai k.o.” Parafrasò Hanna. “In sostanza sì.” Disse Arthur continuando a riprendere energie. “Ecco perché due settimane fa sembravi un cencio usato per pulire i pavimenti!” Esclamò Hanna ricordandosi perfettamente lo stato penoso del amico. “Arthur, forse ti stiamo chiedendo troppo, ma cela fai ad alzarti, probabilmente li hai decimati ma non credo che questi siano gli unici.” Disse Nath mettendosi accanto al amico. “Mi serve ancora qualche minuto.” Confessò il giovane senza vergogna. Sapeva di essere un peso in quel momento, ma se voleva riprendere energia gli serviva tempo, e Godren aveva già fatto il possibile.

Nathaniel lanciò uno sguardo d’intesa a Hanna la quale afferrò Arthur per il colletto e, con poca eleganza, se lo caricò sulle spalle come se fosse un soldato ferito. “Hanna…” Si lamentò Arthur con rassegnazione. “Taci! Ogni momento è prezioso e ne abbiamo sprecati troppi! Ti riprenderai mentre sei sulle mie spalle! Almeno ora l’odore dei chip è così forte che riuscirei a seguirlo anche durante una processione con l’incenso! Quindi poche storie e cerca di rilassarti!” Decretò la ragazza iniziando a camminare nella direzione da cui aveva visto arrivare i chip.

Hanna si muoveva sicura lungo il sentiero naturale pietroso facendo giri assurdi e intricati camminando sicura e inarrestabile. “Hanna ora mi puoi anche mettere giù, sto molto meglio.” Disse Arthur da quella sua strana posizione. “Riposati ancora un po’, ci serviranno i tuoi poteri al massimo. Se sono così forti di certo per te non sarà un problema annientarli tutti.” Disse Hanna sicura. “Non posso Hanna: se usassi in tempi così vicini un altro incantesimo di questa portata probabilmente mi ritroverei morto o in coma nel migliore dei casi.” Spiegò Arthur, Hanna si bloccò. “Hai rischiato di morire per salvarci?” Chiese la ragazza incredula e arrabbiata. “Certo che l’ho fatto! Siete i miei migliori amici, non potevo lasciarvi morire.” Disse il ragazzo con una sicurezza infantile. “Arthur sei un perfetto idiota! Lo sai questo!” Urlò Nath da dietro di lui. “Lo so, lo so… ma non voglio più perdere nessuno per la mia inerzia.” Disse il ragazzo lasciando intravedere per un istante che genere di uomo sarebbe potuto diventare. Hanna lo accasciò dolcemente a terra. “Vedi di non morire o troverò un modo per farti resuscitare e per ucciderti.” Disse fredda la ragazza “Tranquilla non intendo morire…. Certo che però quest’anno non me ne va’ una giusta: è la terza volta che rischio di morire!” Alle parole di Arthur scoppiò una risata generale che li spinse a continuare con maggiore determinazione.

***

Mi concentrai: c’era una strana atmosfera in quel luogo. Un brivido mi scosse la schiena facendomi stringere le scapole. Poi la sentii di nuovo quella risata cristallina e agghiacciante ma allo stesso tempo così pura e infantile.  “Mi fa venire i brividi.” Confessò Nathaniel. “A me sembra solo la brutta copia di un film horror.” Disse Hanna che da quando eravamo entrati era estremamente calma e lucida malgrado i suoi occhi bruciassero di determinazione.

Proseguimmo e infine, dopo aver percorso un breve tratto lungo una parete, incrociammo una grotta. -È qui.- Pensai riconoscendo il luogo dalle mie visioni. Feci un cenno e i miei amici capirono, alzammo le bacchette, ci scambiammo uno sguardo veloce e, spezzando il silenzio mortale delle tre del mattino, attaccammo.

L’urlo liberatorio di Nathaniel fu il primo ad udirsi mentre correva verso l’entrata, seguito a breve distanza da Hanna accompagnata dalle sue urlava disumane. Io rimasi bloccato un secondo all’entrata, preso da una improvvisa stizza che mi attanagliò lo stomaco, però li seguii subito dopo, trattenendo a stento l’istinto di fuga. Sorpassato l’arco Hanna passò in prima linea, la bacchetta alzata e pronta a tutto, ma un muro di fulmini ci bloccò il passaggio. Hanna indietreggiò evitando di scontrarsi con il muro. I chip rimasero immobili per qualche secondo, studiandoci, c’era un silenzio di morte, interrotto solo dal ronzio elettrico dei fulmini e dell’acqua che gocciolava. Io e Nath la raggiungemmo Hanna in pochi istanti: Nathaniel pareva calmo, eppure giuro di aver sentito una strana ombra provenire dalla sua anima mentre stringeva la bacchetta, Hanna era un predatore che attende la preda, paziente e intrepida, io invece ero così spaventato che cercai conforto nel tocco dell’arpa e tentai di resistere al impulso della fuga.

Poi, all’improvviso, un fulmine ci andò contro. Hanna compì un balzo all’indietro assieme a me e Nath, evitandolo con relativa facilità, ma a questo ne seguì un altro, e poi un altro ancora, ne divennero mille. Era impossibile bloccarli tutti, e allo stesso tempo avanzare, fummo costretti a retrocedere un passo alla volta. Avevo il fiato corto e ad ogni incantesimo, non avevo neppure il tempo di trovare una falla che un’altra scarica mi attaccava, mi accorsi che erano fulmini inferiori per potenza d’attacco e volume, ma così piccoli e veloci era un’impresa bloccarli, e per giunta la maggior parte era ancorata al muro impedendoci di proseguire. “Arthur così non va!” Mi urlò Nath quando tornammo spalla a spalla. “Lo so, ma non riesco a pronunciare…” Un fulmine sbucò a pochi centimetri dal mio volto. “Protego!” Urlai per poi riprendere il discorso. “Molti incantesimi, e le preghiere druide richiedono tempo, cosa che non hoooohhh!” Urlai mentre Nathaniel mi afferrava per la giacca e mi lanciava con una delle sue raffiche dall’altra parte della caverna. “Neppure io riesco ad andare contro questa formazione, sono troppo compatti. Servirebbe anche a me tempo per aprire un varco.” Feci appena in tempo a percepire lo spostamento d’aria e ad intravedere il fulmine passarci a pochi centimetri di distanza che Nathaniel mi trascinò in un altro punto della grotta accanto ad Hanna che era rimasta isolata. “Se solo Elaine fosse qui….” Borbottò Nath lasciandomi cadere a terra.

“Nathaniel, Arthur…” Sussurrò Hanna avanzando lentamente mentre si scioglieva la cravatta e la lasciava cadere a terra. “Quando si apre un varco passate, io vi raggiungo, ve lo prometto.” Capii cosa voleva fare troppo tardi. “Hanna, no!” ma oramai le mie parole erano vaghe per le orecchie di Hanna mentre si sfilava la giacca e ce la lanciava addosso con la sua borsa e la bacchetta che ricaddero tra le braccia di Nathaniel. Mentre io proteggevo Nath dall’ennesimo fulmine, Hanna si trasformò, strappandosi i vestiti di dosso, mentre compiva un salto contro i chip e con un ruglio poderoso si scagliò contro la parete di fulmini. “Hanna….”

***

Un dolore immenso la scosse all’impatto con il muro intricato di fulmini, facendole rabbrividire la schiena e rizzandole la pelliccia, bruciandola persino in alcuni punti, ma questo non la bloccò.

Combatté come una furia contro il muro di chip. La sua parte più bestiale, che fino ad ora aveva tenuto a bada si era scatenata, Hanna poteva sentire i fulmini tentare di scalfirle e trapassarle la pelle, ma era inutile, la sua pelliccia, la sua pelle e il suo grasso erano troppo spessi perché quei fulmini potessero scalfirla, e solo allora Hanna si rese conto che in realtà la potenza dei fulmini era inferiore a quello che si aspettava: avrebbero ferito, anche gravemente, un uomo adulto, certo, ma non sarebbero riusciti ad ucciderlo sul colpo, e non sarebbero riusciti a scalfirla nella sua forma d’orso, al massimo le avrebbero procurato qualche ferita superficiale, ma di quello si sarebbe preoccupata dopo.

Per il momento Hanna sentiva solo l’estasi della battaglia. Teneva gli occhi socchiusi per cercare di difenderli e si copriva il muso con una zampa all’occorrenza. Però i suoi fendenti costrinsero i chip ad accalcarsi su di lei come aveva sperato. Hanna provò una malata soddisfazione nel sentire i chip infrangersi al suo tocco e i fulmini venir spazzati via dalla sua potenza. Godette di quella battaglia in cui lottò con le unghie e con i denti, rotolandosi e scalciando. I fulmini la colpivano ai fianchi ma non le causavano più fastidio di quanto gliene avrebbe procurato una quarantina di volpi. Erano fastidiosi e a lungo andare l’avrebbero potuta sopraffare o stancare, ma non le procuravano veri e propri danni, eppure trovò quella battaglia magnifica: si sentiva superiore e sapeva di esserlo eppure adorava l’ostinata determinazione con cui i fulmini l’attaccavano. Provava un sadico gusto nella cecità di quei chip che proprio non capivano che non l’avrebbero mai battuta, una cecità buffa, umana. E nel frattempo la carne e il pelo bruciavano, gli artigli squarciavano l’energia e il suo corpo si muoveva inarrestabile.

La furia di Hanna portò i chip a concentrarsi maggiormente su di lei e iniziò ad aprirsi una minuscola falla in quel muro impenetrabile, fu Nathaniel ad accorgersene, e appena gli fu possibile, afferrò Arthur per la giacca. “Ehi! Ma che fai!?!” Urlò Arthur sentendosi mancare la terra sotto i piedi, ma Nathaniel lo ignorò e con un balzo si lanciò a tutta velocità verso quella minuscola falla a due metri da terra. Quando i due ragazzi furono sul punto di raggiungerla Nathaniel si accorse che un fulmine stava per colpirli in pieno. Sgranò gli occhi in preda al panico: il suo vento avrebbe potuto aprire la breccia lì dove la difesa veniva meno, ma non sarebbe riuscito a bloccare l’attacco, non con Arthur in braccio. Cercò di accelerare e creò un vortice che avrebbe aperto definitivamente un varco. –Almeno farò passare Arthur…- Pensò già preparandosi a lanciare l’amico nello stesso istante in cui il vento avesse infranto la rete di fulmini. Nathaniel stava per lanciare Arthur quando uno sferragliare gli riempì le orecchie, aprì gli occhi: Arthur aveva eretto una barriera all’ultimo secondo. –Cosa farei senza Arthur?- Pensò il ragazzo mentre attraversava il muro di fulmini protetto dalla barriera di Arthur. -Sei un grande.- Pensò il ragazzo quando ricaddero dall’altra parte.

L’atterraggio non fu morbido: nel ultimo tratto Nathaniel perse il controllo del suo potere per scansare un fulmine facendo rotolare lui e Arthur per qualche metro uno addosso all’altro, in un complicato intreccio di gambe e braccia. A Nathaniel girò la testa per qualche secondo: non riusciva più a capire dove fosse o cosa stesse succedendo, fu la voce di Arthur a riportarlo alla realtà. “Protego!” Arthur aveva appena bloccato un altro fulmine. Un sorriso soddisfatto affiorò sulle labbra di Nathaniel. –E ora che farai, burattinaio?-

Hanna era ancora dall’altra parte, si era accorta che i suoi compagni erano passati dall’altra parte e che doveva agire in fretta se voleva riuscire ad andare dall’altra parte. Così, con una zampata e un ruglio finale, si liberò dei chip che oramai l’avevano circondata e con uno scatto raggiunse il punto in cui la falla si stava rapidamente richiudendo, ma che le continue raffiche di Nathaniel impedivano che si ristabilizzasse. Con un ultimo sforzo Uther fece forza sulle zampe anteriori e, ritrasformandosi in Hanna, spiccò un salto. Grazie alla forza delle zampe dell’orso e la leggerezza del corpo della ragazza, Hanna riuscì a compiere il salto necessario per raggiungere il foro sempre più piccolo. La ragazza si nascose il viso con le braccia preparandosi alla bruciatura che la sua pelle avrebbe subito, ma il dolore non arrivò: il suo corpo era stato protetto da una bolla d’energia, le bastò alzare appena lo sguardo per vedere la bacchetta di Arthur alzata nella sua direzione, i suoi occhi grigi e azzurri fissi su di lei. –Grazie… secchione…- Pensò Hanna con un sorrisetto sulle labbra mentre ricadeva a terra piegando le ginocchia e poi, allungandosi leggermente in avanti con il resto del corpo, si lasciò rotolare a terra con una caduta in avanti, ferendosi i palmi delle mani, e rialzandosi senza alcun danno, dopo aver compiuto una capriola, come se nulla fosse riprendendo a correre verso i suoi amici*. Nathaniel le passò la bacchetta appena le fu vicina, le porse anche la giacca ma Hanna lo ignorò e prese solo la bacchetta: poco le importava di essere nuda, in quel momento, per lei, esisteva solamente la battaglia.

Da così vicino i ragazzi poterono vedere le leggere bruciature che le segnavano tutto il corpo, come una miriade di cicatrici rosate, facendola apparire una tigre, eppure non accennava a sentire dolore o a lamentarsi.

***

“Muoviamoci!” Ci incitò Hanna. Ma non potemmo compiere un passo che un fulmine, grosso quanto una colonna, si schiantò ad un centimetro da noi, e se non fosse stato per i riflessi di Nath, che ci aveva spinti in avanti con i suoi venti, saremmo divenuti cenere.  Mi spinsi in avanti assieme a loro, i chip tentavano di ostacolarci cercando di riformare la barriera. Ma noi li bloccavamo usando tutto quello che avevamo stando spalla contro spalla continuando a muoverci in avanti, lentamente certo, ma un passo alla volta stavamo riuscendo a raggiugere il luogo in cui l’artefice di tutto ciò si stava nascondendo, il burattinaio che reggeva i fili di questi chip. Ma comunque non riuscivamo mai a vedere chiaramente dove stavamo andando, seguivamo l’istinto e le informazioni della mia visione. Non sapevo molto, sapevo solo che era qui il suo nascondiglio e che era davanti a noi.

Ad un tratto, fu solo un secondo, lo vidi: uno strano complesso, molto simile ad un laboratorio di fortuna, sorgeva a poco più di duecento metri da noi. “Lo avete visto? Protego!” Chiesi bloccando l’ennesima ondata. “Cosa?” Chiese Nath mentre lanciava una delle sue ultime fiale contro un gruppo di fulmini che si era ammassato a qualche metro da noi sulla destra.  “C’era una tenda là in fondo! È la stessa della mia visione! Scommetto che è lì da dove controllano i chip!” Urlai nella speranza che mi ascoltassero. “Vingardium leviosa!” Urlò Hanna scagliando contro i chip dei barili che avevamo visto lì e che quando si avvicinarono ai fulmini questi si ritrassero evitandoli del tutto lasciando Hanna leggermente interdetta. “Come intendi raggiungerla!!!” Urlò Hanna lanciando contro dei macigni dovuti alle recente esplosione contro i chip. “Non lo so ma…” “Protego!” Mi interruppe Nathaniel proteggendomi da delle lanche mortali. “Voglio provare a raggiungerla! Potete aprirmi un varco?” Li supplicai speranzoso. Nathaniel mi lanciò uno sguardo serio con qualcosa di minaccioso. “Solo per pochi secondi.” Decretò tornando a guardare davanti a sé. “Dopo dovrai vedertela da solo.” Mi avvertì. “Okay.” Risposi spaventato. Hanna mi lanciò una breve occhiata seria e preoccupata. “Vengo con te.” Decise subito. “No, tu mi servi per dopo Hanna, e mi devi coprire mentre mi preparo.” La bloccò Nathaniel subito dopo aver bloccato l’ennesimo tentativo dei fulmini di ricreare la barriera. Hanna guardò con un leggero odio Nathaniel. “Almeno assicurati di dare un vantaggio ad Arthur.” Decretò seria Hanna mentre lanciava un altro masso contro i chip. “Non ti preoccupare, lo avrà.” Disse Nathaniel posizionandosi alle spalle di Hanna.

“Pronto Arthur?” Mi domandò, accennai un sì. Allora Nath si alzò in volo, a poco più di due metri da terra, e generò un vento circolare attorno al suo corpo, sempre più potente. All’inizio non capivo l’azione di Nathaniel, poi mi resi conto che ogni volta che i fulmini si avvicinavano a Nathaniel facevano sempre più fatica ad sottrarsi ai suoi venti. In fine si generò una vera e propria tromba d’aria che in un secondo spinse tutti i fulmine in una spirale attorno al corpo di Nathaniel che vorticavano velocemente e pericolosamente vicino al suo corpo.

“VAI!!!” La forza del suo urlo mi ridestò. Non me lo feci ripetere due volte: corsi con tutta la forza che avevo. Il vento mi sferzava il viso e mi rendeva difficile la corsa, ma quanto meno non dovevo preoccuparmi di essere fulminato da un momento all’altro. Guadagnai un metro, poi due e avanti così, con l’acqua alla gola, gli occhi lacrimanti per il troppo vento e un pugnale infilzato tra le budella per l’angoscia, non importava come, dovevo raggiungere quel complesso. Corsi così fino a centoventi metri. Fu allora che il tornado si bloccò improvvisamente. Sentii un tonfo, ma continuai a correre mentre i chip tentavano di raggiungermi. Corsi più veloce che potei, corsi con tutto il fiato che possedevo senza mai voltarmi. Non mi importava dei muscoli doloranti o del fatto che i chip fossero a neanche un secondo da me, dovevo solo correre guardando dritto davanti a me.

***

Nathaniel resistette più che poté dentro a quel vortice, poiché anche solo un secondo, un attimo, un passo in più potevano significare la vita per Arthur, ma anche per lui un secondo di troppo voleva dire la morte. Si stava letteralmente rosolando lì dentro, e l’aria iniziava a mancargli. Sapeva che era rischioso, ma non aveva avuto altra scelta: se avessero tardato troppo tutti si sarebbero accorti della loro assenza e a quel punto avrebbero dovuto rinunciare ai loro segreti. Nathaniel percepì una zampa artigliata sfiorargli la pelle: Godren lo stava curando. –Questo piccoletto… ci è costato quasi la vita ma è molto utile.- Pensò il ragazzo mentre una luce d’orata e un diverso tepore gli avvolgevano il corpo donandogli un tenue sollievo. Fu allora che Nathaniel perse i sensi.

Hanna vide Nathaniel cadere a terra mentre i fulmini si liberavano dalla sua morsa scagliandosi contro Arthur. Con un balzo la ragazza afferrò Nathaniel prima che si sfracellasse a terra e con un tonfo si schiantò contro il terreno. –Il resto è nelle tue mani, Arthur.-

 ***

Vedevo chiaramente il mio obbiettivo: un laboratorio pieno di computer e armesi simili al interno di una tenda in plastica ingiallita un tempo trasparente come nei laboratori improvvisati. Corsi ancora ma a meno di trenta metro di distanza inciampai e sbattei la faccia a terra, la bacchetta mi scivolò di mano rotolando lontano, il ronzio assordante dei chip era vicinissimo. –Questa è la fine.- Pensai mentre chiudevo gli occhi in attesa della morte, ma dopo svariati secondi non sentii niente: non ero stato trapassato, non sentivo chip avvolgermi il corpo, solo la dura pietra contro la pelle. Alzai lo sguardo e allora notai di essere inciampato proprio su una linea colorata di rosso leggermente rialzata. Alzai lo sguardo e notai che i fulmini sbattevano contro una parete invisibile. –Sarò all’interno d’una barriera, una zona sicura nel caso in cui i chip non so… perdano il controllo.- Pensai alzandomi a fatica e recuperando la bacchetta. “Hanna, Nath!” Urlai con tutto il fiato che avevo in gola. “Cercate di raggiungermi, qui i chip non possono entrare!” Continuai nella speranza che mi sentissero.

Presi un profondo respiro; chiunque fosse là dentro era di certo un abile mago e lo avrei dovuto affrontare con tutta la forza che avevo. Scostai la plastica lasciandomi sommergere dal fastidioso ronzio e odore dei computer surriscaldati.

***

Le urla di Arthur raggiunsero gli altri due ragazzi, ma non erano nelle condizione di procedere: Nath aveva perso i sensi e non accennava a riprendersi, e Hanna, con il suo amico sulle palle, oltre ad essere rallentata, non poteva muoversi come voleva o trasformarsi in orso poiché avrebbe esposto Nath a rischi troppo grandi, e per di più le abrasioni che aveva ignorato fino a quel momento iniziavano a bruciarle e a renderla a mano a mano sempre meno lucida. Era costretta a procedere lentamente, non le era concesso margine d’errore, quindi ogni movimento doveva essere calcolato, ma la sua natura le rendeva le cose difficili, poiché percepiva tutto con estrema chiarezza, malgrado la stanchezza sempre maggiore di più di minuto in minuto, però era il suo istinto a consigliarle come muoversi e di norma funzionava, ma avere Nathaniel a peso morto sulle spalle la bloccava. –Arthur, qualunque cosa tu stia facendo falla in fretta: non reggerò ancora a lungo.- Pensò la giovane bloccando l’ennesima ondata di fulmini.

***

Rimasi di stucco. Davanti a me, oltre a decine di computer funzionanti e casse per l’analisi e conservazione dei dati, c’era un ragazzo con la divisa Corvonero, sporca, sgualcita e puzzolente, in condizioni simili, se non peggiori, era ridotto il proprietario di quel corpo: era magro, la testa coperta da un enorme casco nero, da cui si riuscivano ad intravedere i capelli lunghi e sudici, le lunghe mani affusolate erano lasciate penzolanti lungo la sedia come il resto del corpo, la testa inclinata all’indietro, la schiena incurvata e le gambe divaricate lasciate cadenti senza forza. Il pavimento lì vicino odorava di sudore, bava, piscio ed escrementi. Mi venne un improvviso senso di nausea e un conato di vomito. Ma lo ricaccia in dietro e tornai a concentrarmi sulla stanza. La prima cosa che notai era che il casco era direttamente collegato al computer e lì a neanche cinquanta centimetri di distanza c’era una bacchetta, ma non era una bacchetta qualsiasi: era contenuta dentro ad un anello di ferro che la racchiudeva per l’intera lunghezza, e questa si muoveva a destra e a sinistra come un ago. -È la bacchetta delle mie visioni!- Pensai incredulo. Mi avvicinai sorpreso per osservarla: era esattamente come sulla mia visione, compiva gli stessi movimenti e aveva lo stesso aspetto. Ero incredulo –Allora è vero! tutto quello che mi ha insegnato Ehogan è vero! La magia, le visioni, i rituali, gli dei… beh forse quelli no… ma tutto il resto è sicuramente vero!- Mi passai una mano trai capelli alzando per un attimo la frangetta che ricadde quasi subito sugli occhi. Rimasi qualche secondo in contemplazione però un urlo disumano di Hanna mi ricordò che dovevo agire in fretta. Mi avvicinai al mago che era rimasto immobile per tutto questo tempo.

Fui tentato di ucciderlo, una piccola parte di me mi urlò di afferrare una delle pozioni nella mia borsa e di fargliela ingerire, ma un’altra parte di me, mi suggerì di fare altro. Con cautela gli toccai la fronte. Una energia magica mi respinse, era qualcosa di simile ad una scossa. Ritrassi la mano sorpreso, Ehogan mi aveva accennato qualcosa a riguardo della lettura della mente e del fatto che è possibile erigere delle barriere, ma non avevamo mai affrontato l’argomento seriamente prima. L’istinto mi suggerì di riprovare, così strinsi i denti e toccai nuovamente la fronte. Un pensiero non mio rimbombò nella mia mente. –Aiuto!- Allontanai nuovamente la mano incredulo. “Aiuto?” Ripetei tra me e me guardandomi la mano. “Questa persona mi sta chiedendo aiuto?” Un moto di ribrezzo mi invase. –Osa chiedermi aiuto quando lui stesso ha ucciso centinai di persone!- Strinsi forte i pugni. E un moto d’ira mi accolse portandomi a stringergli la gola per soffocarlo.

–Aiuto! Aiuto! Aiuto! No! Non voglio! Aiuto!-

Mi allontanai in preda al panico: avevo sentito quella disperazione come se fosse mia, non era la paura di morire, era qualcosa di diverso, qualcosa che io conoscevo: un senso di impotenza, la disperazione che si prova quando qualcuno ha già deciso per te. Ripensai a quella voce: era giovanile, maschile, disperata e supplicante verso di me. Mi feci coraggio e appoggiai un ultima volta la mano sulla fronte.

*

Mi ritrovai sospeso nel buio, mi guardai attorno in cerca di qualcosa, ma non trovai nulla. Stavo per spostarmi quando un urlo riempì le mie orecchie scuotendomi l’anima. “Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi sente? Aiuto! Non voglio! Non voglio! Aiuto! Aiuto!” La disperazione in quella voce era più intensa di qualunque altra voce avrebbe mai potuto, non era solo una manifestazione di un’emozione, quella voce era quell’emozione e riempiva l’aria attanagliandomi il cuore.

“Sono qui.” Bastò questo mio sussurro per bloccarla. Ci furono lunghi istanti di silenzio. “Chi sei tu!?” Chiese terrorizzata la voce mettendosi sulla difensiva. “Sono un amico.” Dissi cercando di essere cordiale e di esprimere fiducia. “Lo aveva detto anche lei!” Sbraitò il ragazzo terrorizzato “Lei?” Domandai perplesso. “Lei chi?” Insistetti. “Lei!” Ripeté e un’infinità di sensazioni mi investì come uno tsunami: dolore, odio, paura, terrore, e dolore, dolore ancora, ribrezzo e dolore, tanto dolore, troppo dolore. Sentii la mia anima vacillare, ma ripresi il controllo di me stesso. “È stata lei a farmi fare quelle cose! È stata lei a bloccarmi qui! Se non faccio come dice lei mi ucciderà!” Urlò il ragazzo, poiché ero certo che di un ragazzo si trattasse, disperato, confuso e alterato. Con gentilezza lo chiamai “Dove sei? Non riesco a vederti.” “Aiutami ti prego! Prima che lei torni! È vicina, lei è sempre vicina!” Tornò ad urlare entrando nel panico. “Okay, calmati! O non uscirai mai di qui.” Tuonai spingendolo finalmente a calmarsi o quanto meno a diminuire la sua angoscia. “Dimmi il tuo nome.” Ordinai pacato ma autoritario. “Peter Brown sono il prefetto Corvonero, o almeno lo ero a inizio anno.” Disse spaventato e sconsolato il ragazzo. -Peter? Ma…- Il ricordo di quel giorno oramai lontano mi investì e quel senso d’angoscia provato tornò come nuovo. –Per tutto questo tempo era Peter…- “Ti prego liberami, portami fuori da queste tenebre!” L’urlo del mio compagno di casa mi fece tornare nel momento presente. “D’accordo, ma calmati, devi placare la tua mente.” Gli imposi, seguì qualche secondo di silenzio, in cui però continuò ad esserci quell’aria di paura che aveva impregnato la mente di Peter fino ad ora. “Non ci riesco! I UIMT-013 (Unit individual magic thunderbolt versione 13) continuano a mandarmi informazioni! Aiutami ti prego!” Mi supplicò sempre più spaventato, feci un profondo respiro.

Ehogan mi aveva detto che la lettura della mente era una azione complicata di norma, per via delle difese, consce o inconsce che una persona possiede, ma in questo caso non avevo trovato ostacoli, se non una minuscola barriera, la quale però era ceduta all’istante, il ché voleva dire che questa persona aveva di già ceduto tutte le sue difese mentali, probabilmente a causa di quella Lei di cui continuava a blaterare. “Okay, proviamo così: ascolta il suono della mia voce e cerca di guardare verso di me.” Dissi pacato. “Non ti vedo! È tutto così buio!” Urlò spaventato, potei percepire la sua confusione. “Calmo, calmo. Ascolta me e solo me.” Con queste mie parole Peter si placò. Iniziai ad intonare un canto rivolto al dio Belenos, il dio della luce, una melodia dolce, di supplica per illuminare il cammino Peter. Allora una piccola sfera bianca e luminosa riempì le tenebre della mente di Peter. “Cos’è questa luce!” Urlò sorpreso. “Ti spiegherò tutto dopo, ora vieni da me, segui la luce.” Dissi pacato. “Sono quaggiù.” Urlò Peter facendomi abbassare lo sguardo.

Vidi una mano affusolata sollevarsi: era incatenato nell’antro più remoto della sua mente nel suo volto c’era disperazione, e il suo corpo pareva essere di tenebra. Mi chinai sulle ginocchia e con la mano libera dal incantesimo afferrai quella magra mano saldamente.

 

Note dall’autrice

*Per chi non lo sapesse uso il termine caduta perché quello che fa Hanna è una classica ruota di Judo, arte marziale di origine Giapponese, conosciuta anche come Judo Kodokan, nonché sport praticato dalla sottoscritta. Lo so, poco femminile ma… sfracellare a terra un avversario, o avversaria, ti dà una soddisfazione di quelle…. Se non lo si prova non lo si comprende!

Si lo so sono in ritardo, di nuovo, per questo pubblico eccezionalmente di giovedì, ma questa volta cercate di capirmi: era un capitolo in cui praticamente combattevano e basta, mi ci è voluto più tempo del previsto, chiedo umilmente scusa.

 Cambiando argomento che ve ne pare dei poteri di Arthur? Lo so, sono un po’ diversi dalla magia a cui siete abituati nel mondo di Harry Potter, però hanno un loro perché.

Allora… chi aveva capito che dietro a tutto ciò c’era Peter… eh…? *Nella sala sorge un silenzio di tomba* Va beh, in fondo l’obbiettivo era quello.

Reggete, sono gli ultimi capitoli.

Alla prossima,

Bibliotecaria

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Capitolo 19
*** Cap. 18 Risveglio e spiegazioni ***


Cap. 18 Risveglio e spiegazioni

 

Hanna caricò in avanti facendosi strada con un incantesimo bombara mirato al soffitto che fece crollare svariati massi su un piccolo gruppo di chip. Ma non riuscì ad avanzare di più d’un passo che subito venne attaccata, la ragazza imprecò: stava diventando sempre più difficile colpirli, era come se prevedessero le sue mosse. Con furia lanciò i massi contro un gruppo di chip che stava preparando un attacco. Un secondo dopo si difese dai fulmini che stavano per colpirla alla schiena. Si caricò meglio Nathaniel ancora incosciente. –Dannato stupido!- Pensò Hanna lanciando un masso contro l’ennesima ondata disperdendoli.

Nel tentativo di difendere Nathaniel da un fulmine, venne colpita al braccio sinistro. La ragazza imprecò, stringendo i denti, e con un urlo sovrumano riprese ad attaccarli con le pietre avanzando come una furia lanciando i rocce a destra e a sinistra, creando scudi e bloccando, anche se per istanti, i fulmini. La ferita bruciava ma doveva continuare a sorreggere Nathaniel con quel braccio, doveva riuscirci a qualunque costo.

Hanna continuò la sua avanzata lottando per ogni falcata, per ogni metro accumulato, ogni passo. Era stremata, il fiato spezzato, le membra doloranti ma non se ne curava: se avesse raggiunto Arthur sarebbe stata al sicuro, o ameno i chip non li avrebbero più attaccati. Ma mano a mano che avanzava i chip diventavano sempre più difficili da contrastare e, sola com’era, poteva solo sperare di raggiungere la zona sicura. Si fece coraggio e avanzò un passo alla volta, combattendo e urlando, tuttavia i chip la prendevano di striscio sempre più spesso e anche Nath aveva riportato leggeri graffi, malgrado Hanna cercasse in ogni modo di proteggerlo, facendo anche scudo con il proprio corpo.

Come aveva notato prima, non le sembrava che stessero cercando di ucciderla, o almeno non stavano usando la massima potenza d’attacco. Sperò che questo fosse un segno positivo, e che Arthur stesse facendo progressi. Altrimenti la sua fine era già segnata.

 

Stava combattendo senza risparmio con quei pochi incantesimi che conosceva in grado di offendere e inventandosi modi sempre meno originali e veloci per usarli. –Se solo Elaine fosse qui.- Si ritrovò a pensare con un’amara nostalgia. Per lei dei nemici così erano una bazzecola con qualcuno che le copriva le spalle sarebbe stata in grado di affrontare questo genere di nemico. Hanna si era convinta che quel giorno, se solo uno di loro fosse stato presente, Elaine sarebbe ancora con loro, magari le avrebbe coperto le spalle in quel preciso momento.

Hanna ignorò il dolore che le procurava il pensiero dell’amica, non si poteva concedere il lusso di distrarsi. Continuò ad attaccare i chip con tutto quello che le restava: il desiderio di proteggere, il suo coraggio e la sua voglia di vivere.

Poi però un onda di fulmini la accerchiò avvolgendola, alzò velocemente la barriera evitando che la fulminassero. Tuttavia ora, era circondata dai fulmini, in una gabbia ad alta tensione. Guardò a destra e a sinistra cercando un modo per uscirne viva ma non v’era scampo, solo un muro di luce invalicabile. Hanna strinse gli occhi brucianti per la luce intensa e si preparò al peggio, trasse un profondo respiro. –Se devo morire, morirò combattendo!- Si disse e si preparò a respingere l’onda d’urto che a breve sarebbe arrivato. I fulmini si innalzarono per un istante e piombarono su di lei come serpenti di morte.

***

Estrassi il casco dal capo a Peter. Era un ragazzo del settimo anno, dalle poche volte che lo aveva visto ricordava un ragazzo sano, forse un po’ in carne, i capelli castano chiaro corti e sempre in ordine, alto e fiero, con un bel carisma, ora di lui non c’era più traccia: i capelli erano lunghi fino alle spalle, sporchi e disordinati, le mani erano ossute, probabilmente per la denutrizione e gli occhi azzurro grigio erano infossati e contornati da profonde e violacee occhiaie, il viso scarno e pallido.

Peter si portò una mano davanti agni occhi e sorrise un sorriso incredulo e in qualche modo spaventato. “Libero…” Sussurrò incredulo. “LIBERO!” Ripeté più forte scoppiando a ridere, una risata isterica, folle, di chi ha per so ogni speranza, e con ancora quel sorriso malato in volto posò lo sguardo su di me e fece una faccia scettica. “Salvato da un bambino del primo anno e imprigionato da una bambina di sette anni, questo è il colmo!” Esclamò, stava per rimettersi a ridere, ma venne interrotto un mio pugno in piena faccia. “Ahi! Ma che ho fatto!” Urlò massaggiandosi appena la zona lesa, non doveva essere molto forte, visto che a tirarlo ero stato io, ma comunque gli avrei lasciato un livido. “Cos’hai fatto?” Sussurrai rabbioso. “Cos’hai fatto!?!” Tuonai furioso, facendo arretrare il ragazzo sulla sedia. “Osi chiedermelo!!!” Urlai più forte quasi saltandogli addosso. “Hai ucciso molte persone con i tuoi stupidi chip!” Gli ricordai bloccandolo sulla sedia. “Quello non ero io.” Rispose spaventato, ritirandosi ulteriormente. “Non eri tu? Che cazzo vuol dire non eri tu?” Urlai ancora, poi mi ricordai dell’esperienza vissuta: quello che avevo sentito era vero, lo sapevo per certo. “Ma mi hai sentito prima?” Mi domandò il ragazzo arrabbiato. “Tutto ciò che ho fatto in questi mesi non l’ho fatto di mia volontà. Lei, quella bambina, può sembrare buona e innocente, ma in realtà è… non so bene cos’è, usa la magia ma con formule che non ho mai sentito e non usa la bacchetta. È stata lei a sottopormi al suo volere facendomi uccidere quelle persone. Diceva che era per un fine più grande, farfugliava qualcosa al riguardo a otto ragazzi speciali che dovevo uccidere. Non ho mai ben capito di cosa si trattasse. Però se non facevo come diceva…” Il ragazzo rabbrividì un secondo bloccando la sua concitata spiegazione. “Mi lasciava attaccato alla macchina per giorni, obbligandomi a cercare persone con abilità magiche fuori dal comune. Voleva che le uccidessi.” Disse rabbrividendo e potei vedere nei suoi occhi il terrore e l’orrore dell’incubo. “Era terribile, mi guardava con occhi… al solo pensarci…” I suoi occhi si fecero bui dalla paura e tremò. “Quindi… tu… sei solo una marionetta?” Chiesi, più a me stesso che a lui. “Sì.” Affermò senza ombra di menzogna.

***

Hanna strinse la bacchetta, sperando che lo scudo resistesse, e i chip si scontrarono su di esso. Era la fine, se Arthur non disattivava in fretta qualunque cosa permettesse ai chip di muoversi sarebbe morta. Il ronzio elettrico la spinse a stringersi le orecchie. Poi tutto fu silenzio.

Per qualche strano motivo i cip si bloccarono, appena entrarono in contatto con la sua barriera rimasero immobili, congelati sul posto. Hanna osservò quei fulmini: erano bloccati come se qualcuno li avesse congelati. Hanna provò a toccarli, ma a parte un piccola scossa dovuta alla vicinanza, non ci furono altre reazione. Hanna venne presa da un piccolo attacco di claustrofobia, per via del luogo ristretto, ma lo ricacciò in dietro cercando di concentrarsi su qualcos’altro. “Calma!” Si impose colpendo il pavimento. “Pensa ad un modo per liberarti!” Si ripeté, poi si ricordò delle pozioni esplosive, ne aveva proprio una nella… –Tasca della divisa…- Si ricordò notando solo ora di essere nuda.

Hanna si guardò e venne percossa da un brivido quando si accorse che la sua pelle era solcata da superficiali, ma comunque tante e ampie, bruciature. –Devo essermele fatte quando sono andata contro la barriera….- Un leggero ribrezzo scosse le membra di Hanna, non erano un bello spettacolo, ma sapeva che era fortunata e che in realtà erano ferite di poco conto. –Forse Ehogan potrebbe curarmi, e anche se non potesse fa niente, me ne farò una ragione… ma dovrò spiegare come me le sono procurate….- Hanna provò a pensare ad una scusa, ma non ebbe successo. –Ci penserò al momento opportuno, ora le cose più urgenti!- Decretò tornando a concentrarsi e a ragionare con mente fredda.

Pose Nath a terra e gli rubò la giacca della divisa per coprirsi colta improvvisamente dal freddo e da degli strani pizzicori nelle ferite, che fino ad un secondo fa non aveva percepito, oltretutto sentiva improvvisamente un forte bisogno di coprirsi. –Sono proprio un animale!- Si rimproverò la ragazza rendendosi conto solo ora di aver combattuto nuda tutto quel tempo. –Cielo, mi prenderanno in giro per questa storia a vita!- Pensò mentre schiaffeggiava Nath nel tentativo di fargli riprendere i sensi. “Nath! Nath! Nath riprenditi!” Urlò la ragazza fino a quando il ragazzo non reagì con un mezzo borbottio. “Eh?” Chiese ancora mezzo rintontito il Serpeverde. “Ti sei ripreso finalmente!” Esclamò la ragazza. “Hanna? Ma cosa…?” Chiese stordito cercando di rialzarsi ma fallendo miseramente, cedendo sotto il peso del suo stesso corpo. “Hai perso i sensi mentre trattenevi quel vortice.” Tagliò corto Hanna. “Ah, la caduta certo…” Disse Nath confuso, poi si guardò in torno. “Ma che cavolo…?” Urlò spaventato accortosi solo in quel momento di essere circondato da fulmini. “Non lo so neppure io Nath: sono fermi così da qualche minuto.” Spiegò Hanna guardando preoccupata i fulmini che ancora non davano segni di vita. “Arthur?” Domandò il ragazzo. “Si è salvato dai fulmini ma non so come stia ora.” Lo aggiornò Hanna. “Dobbiamo uscire da qui.” Decretò Nathaniel mettendosi seduto e iniziando ad analizzare il muro di chip. Hanna stava per chiedergli come, ma in quel preciso momento i chip vennero scossi da una scarica elettrica e iniziarono a ritrarsi lentamente. Hanna e Nathaniel si ritrassero spaventati e alzarono una barriera, ma inutilmente.

I fulmini si alzarono a mezz’aria e poi si diressero lenti verso uno strano complesso simile ad un laboratorio. Lì un ragazzo stava chiamando a sé i chip con un semplice movimento della mano, non aveva nessuna bacchetta in mano.

***

Ero nel oblio. Vedevo luci e colori, sentivo voci e percepivo di tanto in tanto che qualcuno mi stava stringendo la mano o accarezzando i capelli. C’erano dei pensieri che solleticavano la mia mente come parole lontane. Ma in quel oblio di luce ai miei confini c’era l’ombra che spingeva sempre di più verso di me, un dolore costante una presenza pressante. Ricordo che ero debole e indifesa poiché tutte le mie forze erano canalizzate in quel sottile confine. Era un infinito di pensieri, un acquarello di mille sfumature era la mia mente, credo. Poi l’ombra si ritrasse tutta d’un colpo.

*

Mi alzai di soprassalto nel letto del infermeria improvvisamente carica d’energie. Era buio ma la luce della luna che filtrava dalla finestra mi permetteva di vedere i chip appena usciti dal mio corpo scomparire chissà dove al limitare della parete. Guardai la luna, sorrisi –Ce l’hanno fatta…-

***

Peter si tolse il casco. “Ecco, ho richiamato tutti i UIMT-013 ora le due Tassorosso dovrebbero essere fuori pericolo, ma non so dirvi che conseguenze avrà su di loro questo periodo a contatto con i UIMT-013.” Spiegò il giovane. “Adesso ci spieghi per quale dannato motivo non ti dovrei spaccare la faccia!?!” Sbottò Hanna guardandolo storto, le braccia incrociate e lo sguardo nero di rabbia.

Peter si irrigidì e poi sospirò: un chiaro tentativo di placare la sua anima. Probabilmente stava pensando a come, solo pochi istanti fa, Hanna, gli fosse corso in contro con tutta l’intenzione omicida che aveva potuto osservare dai suoi chip, ma dal vivo doveva averla considerata molto più terrificante, perché aveva iniziato a ritirarsi spaventato. Hanna gli avrebbe spaccato la faccia, e non solo, se non fossi intervenuto bloccando la furia di Hanna urlando. “Sta con noi!”

“Tutto ebbe inizio quando ero solo un bambino…” Iniziò Peter. “Non ci interessa la tua biografia!” Lo interruppe Nath scocciato e diffidente. “Mi lasciate spiegare!” Sbottò Peter per poi riprendere da dove si era interrotto. “Fin da bambino ho posseduto l’abilità di dominare i fulmini o l’elettricità in generale.” Spiegò mentre dal semplice contatto con un computer generò un fulmine che iniziò a girargli intorno al braccio come un serpente. “Quando arrivò la lettera da Hogwarts ero convinto che il mistero fosse svelato; invece continuavo a fare queste cose. Capii in fretta che la mia era una magia separata da quella dei maghi comuni. In certi versi assomiglia alla tua Nathaniel, solo che al posto dell’aria domino i fulmini.” Apostrofò guardando l’interessato dritto negli occhi. “Ehi, ma come lo sai?” Chiese il ragazzo allarmato. Peter sospirò. “Quando indosso il casco i chip mi mandano informazioni e, studiando il tuo potere sul vento, sono riuscito a dedurre che ha un origine simile alla mia.” Prese un profondo respiro. “Comunque sia… questa mia abilità mi ha spinto a fare delle ricerche per fondere la scienza informatica e tecnologica con la magia, e ci sono riuscito. Quelli che voi chiamate banalmente chip, sono in verità delle Unità indipendenti che grazie ad una risonanza elettro magnetica, che io mando dal casco con l’aiuto di tutti questi computer, assumono la forma che io desidero, e grazie alla mia magia che li alimenta, assumono la forma che desiderano. Sono riuscito ad ottenere questo risultato al quarto anno, modesti a parte ho un QI di 168, c’è un motivo se sono capitato a Corvonero dopotutto.” Spiegò con un certo orgoglio. “Però il prototipo UIMT-04 aveva delle limitazioni: dovevo trovarmi entro un certo raggio ed erano estremamente delicati. Così ho iniziato a programmarli con nuove leghe e a progettare questo.” Disse indicando la complessa struttura. “Ho trovato questo posto il primo anno grazie ad una ricerca che ho fatto sulla storia più recente di Hogwarts e in seguito sono riuscito ad estrapolare a Mirtilla la parola d’ordine per l’apertura. Ho scoperto questo complesso di gallerie naturali e da allora ho prodotto qui i miei UIMT.” Spiegò. “Ma io ero convinto che non funzionassero tecnologie ad Hogwarts.” Intervenni curioso di capire come potessero quei computer funzionare. “Ho portato delle batterie enormi.” Disse indicando una qualche forma di conteiner dove erano connessi numerose spine elettriche e uno dei barili che Hanna aveva lanciato. –Ora capisco perché li ha evitati.- Pensai immaginandomi l’esplosione che ci sarebbe stata. “No! Io intendevo che c’è una magia ad Hogwarts che impedisce l’utilizzo di oggetti elettrici.” Riformulai. “Ah, sì… ho essenzialmente aggiunto una fonte magica, la mia bacchetta e i miei fulmini, per confondere l’incantesimo.” Spiegò semplicemente. –Questo tipo è geniale.- Pensai stupefatto. “Non ci hai ancora detto però come mai non ti debba ammazzare!” Sbottò Hanna oramai al limite della pazienza. “Ci sto arrivando.” Spiegò Peter seccato. “All’inizio di quest’anno è successo che una bambina…” Tremò al pensiero. “Non l’ho vista in faccia: indossava sempre una maschera bianca e si copriva i capelli con il cappuccio, ma credo non superi i sette anni. Però è crudele: mi aveva proposto di usare la mia invenzione per stanare otto studenti con abilità magiche fuori dal comune come voi tre, le vostre due amiche Tassorosso e… insomma… avete capito.” Tagliò corto nettamente a disagio e potei leggere i sensi di colpa sul suo viso. “Mi rifiutai e tentai di portarla via con me, ma con mia enorme sorpresa usò uno strano incantesimo e mi rapì in bagno.” Si fermò un secondo cercando di liberarsi dello spiacevole ricordo. “In fine quella bambina mi ha obbligato a progettare i chip per uccidere queste persone o prenderne il controllo. Allora riuscii a trovare un modo per guadagnare tempo: mi inventai che se riuscivo a raggiungere la colonna vertebrale c’erano buone probabilità che riuscissi a tenere il controllo del corpo. Così potei allungare e modificare i miei UIMT, o almeno fingere di modificarli. Provai numerose volte a scappare, ma ogni volta che ci provavo lei mi bloccava usando incantesimi che in qualche modo ricordano quello che hai compiuto tu Arthur, anche lei cantava e faceva fluttuare acqua e altri elementi.” –Una sacerdotessa!- Capii incredulo. Ehogan mi aveva accennato che oltre ai druidi c’erano anche delle sacerdotesse con poteri come i nostri, solo che erano maggiormente devote alla dea Epona, dea dei cavalli, e alle tre dee. “Dunque tu sei stato usato come un burattino da una bambina?” Chiese Hanna scettica. “Sì, me ne rendo conto che sembra incredibile, ma giuro che è la verità.” Disse, nella sua voce non c’era ombra di menzogna. “E ora che si fa?” Chiese Nath. “Non saprei…” Iniziò Peter. “Non posso di certo aspettarmi che il mondo mi capisca o che capisca voi….” Rimase in silenzio a lungo. “Forse ho un idea. Ma mi serve il vostro aiuto.” Disse Peter con una luce triste negli occhi.

***

-Se sperano che io me ne resti qui buona buona si sbagliano di grosso.- Mi dissi mentre con uno sforzo immane mi alzavo dal letto, le gambe erano molli e i piedi mi facevano male da quanto erano intorpiditi, ma ignorai il dolore e lentamente mi alzai sorreggendomi allo schienale del letto. Stavo per compiere un passo quando un’altra persona si svegliò. “Dove sono? I fulmini! Mi hanno aggredita! Cosa…” Sospirai nel sentire quelle urla: adesso non sarei riuscita a svignarmela. “Calmati!” Dissi cercando di avvicinarmi tenendomi saldamente ad un corrimano. “Come ti chiami?” Chiesi, la voce era famigliare ma non riuscivo a collegarla ad un nome. “Sono Liz Wild, Tassorosso, secondo anno.” Disse già più tranquilla. “Liz! Sono Elaine Zannet.” La salutai cercando di usare un tono allegro. “Elaine? Ma non eri…” Iniziò perplessa. “Sì, lo so. Ma i fulmini sono usciti dal mio corpo e ho ripreso conoscenza. Ma tu che ci fai qui?” Chiesi confusa. “Sono stata aggredita anch’io, credevo di morire.” Affermò spaventata. “Tranquilla, probabilmente ti è successa una cosa simile alla mia e non ti hanno uccisa.” Dissi continuando a camminare lentamente verso di lei aiutandomi con una sola mano, visto che la sinistra era dolorante. “Elaine c’è qualcosa di strano…” Iniziò preoccupata. “Le gambe, non sento più le gambe!” Esclamò lei preoccupata. “Calmati, a volte succede di non riuscire più a camminare dopo essere rimasti in uno stato dormiente per molto tempo. Ma si risolve da solo con il tempo, vedrai che tra qualche giorno tornerai a correre e saltare come un grillo.” Dissi ottimista avvicinandomi al letto.

Stavo per compiere un passo quando per poco non inciampai da quanto la potenza di quei pensieri mi investirono. –ELAINE!!!- Urlarono in coro nella mia testa Itrandil e Godren. –Elaine allora stai bene!- Urlò Godren. –Elaine brutta stupida! Mi hai fatto preoccupare!- Urlò a sua volta Itrandil. –Ciao ragazzi. Come state?- Chiesi premurosa continuando a camminare lungo la parete. –Io bene, tu Godren?- Chiese Itrandil –Perché non è con te?- Domandai preoccupata. –No, sono nella borsa di Nathaniel, stanno tutti bene me compreso.- Mi bloccai un secondo. –Quando mi riprendo quei tre mi sentono. Oh… se mi sentono!- Pensai furiosa. Sentii Itrandil ritirarsi alla mia minaccia, poi tornò nella mia mente –Non fare sforzi inutili, ti sei appena ripresa.- Mi raccomandò la dragonessa. “Elaine…” Mi chiamò Liz preoccupata. “Tranquilla sono qui.” Dissi cercando di tranquillizzarla. “È che anch’io faccio fatica a camminare, devi darmi qualche minuto.” Spiegai cercando di accelerare il passo. –Chi è la persona che ti parla?- Chiese Itrandil curiosa. -È Liz, una mia compagna di anno, non la conosco molto ma è spaventata. Itrandil, Godren ci vediamo appena esco di qui. Vi voglio bene.- -Anch’io- Dissero i due in coro.

Quando i due si ritrassero dalla mente, con un ultimo sforzo, mi separai da muro e con dei passi incerti e tremanti molto simili a degli inciampi, raggiunsi la base del letto di Liz poggiando le mani alla sbarra, la testa china, inginocchiata e con il fiatone. Alzai lo sguardo e incrociai gli occhi della compagna.

Liz aveva gli occhi marroni con delle sfumature verdi, da cerbiatto, i capelli d’un castano scuro riccissimi che andavano a formare una serie di piccoli boccoli che assomigliavano a delle molle, molto diversi dal cespuglio disordinato di Hanna, meno gonfi e più ordinati, la pelle pallida in contrasto con le labbra rosso scuro, i lineamenti sottili e affilati, mingherlina all’invero simile, sembrava che con niente l’avrei potuta spezzare, le mani piccole e ben curate, due orecchini dai pendenti violacei, blu e indaco erano appesi alle piccole orecchie. “Ciao.” la salutai dolcemente ma con incertezza “Ciao.”

***

“Allora siamo d’accordo.” Disse Nathaniel stringendo la mano a Peter dopo aver rivisto ogni singolo dettaglio del piano. “Sì, ma per ora dove intendete lasciarmi: non posso lasciare incustodito il laboratorio, ma non voglio rischiare che quella strega di una bambina riprenda il controllo su di me.” Spiegò Peter il quale, malgrado ora si fosse calmato e cercasse di non darlo a vedere, tremava ogni volta che la nominava. “Per questo avrei io una soluzione.” Dissi alzandomi e concentrandomi sull’immagine del mio maestro. “Cosa…” Iniziò Peter, ma venne interrotto da un sibilo seccato di Hanna. Dopo diversi istanti iniziarono a formarsi delle nebbie al di fuori del laboratorio e da esse, come un ombra, apparve Ehogan. “Mi stavi cercando Arthur?” Domandò il druido avvicinandomisi. “Sì, mi servirebbero due favori.” Spiegai avvicinandomi. “Parla pure e vedrò cosa posso fare.” Mi invitò il mio maestro. “Per prima cosa: vorrei che restassi quaggiù fino a domani pomeriggio, assieme a quel ragazzo, si chiama Peter, ed è con noi, solo che… è complicato da spiegare.” “Parla pure.” Mi incoraggiò, così gli spiegai la strana posizione di Peter in quella storia. “Capisco… ma non sarebbe più semplice dire la verità?” Mi domandò il mio maestro. “La gente non capirebbe: né Peter, né noi.” Vidi Ehogan sospirare rassegnato, ma non arrivò una predica come mi aspettavo. “Bene, farò come mi hai chiesto, cos’altro?” Domandò. “Potresti curare Hanna?” Chiesi gentilmente. “Non avete il drago d’oro con voi?” Domandò sorpreso il mio maestro. “Sì, ma… se lasciasse delle cicatrici?” “Non lo farà, fidati la magia di quel piccolo drago è superiore a quella che tu immagini, lady Elaine ha scelto bene il dono del proprio drago.” Spiegò Ehogan. “Okay, allora non c’è altro.” Dissi sorridendo. “Molto bene. E… Arthur…” Iniziò Ehogan con un certo imbarazzo. “Sì?” “Vieni qui.” Con queste parole mi attirò a sé e mi abbracciò con forza. Rimasi un secondo di stucco, poi ricambiai l’abbraccio. “Anche voi due, venite.” Li invitò Ehogan aprendo un braccio. Hanna e Nathaniel in principio furono titubanti, poi si lasciarono coinvolgere nell’abbraccio. “Okay, adesso basta con le smancerie.” Ci interruppe Peter in netto imbarazzo. “Vi accompagno all’uscita.” Decretò. “No, tu resti qui, o non servirebbe a nulla.” Spiegai sciogliendo l’abbraccio. “E poi prima dobbiamo fare un’altra cosa.” Spiegai prendendo Godren dalla borsa di Nathaniel e poggiandolo tra le braccia di Hanna.

Il piccoletto rimase immobile per alcuni istanti, osservando le ferite di Hanna. Poi, con una tenue luce dorata, le curò. Hanna si guardò la pelle stupefatta: non era rimasto neppure un segno delle bruciature, anzi la pelle pareva più liscia rispetto al resto del corpo. “Com’è possibile?” Domandò Hanna stupefatta continuandosi a guardare i dorsi delle mani che fino ad un istante prima erano rossi e le bruciavano. “Non erano ferite gravi, lady Hanna, e il potere curativo del drago d’oro è molto grande, anche se per adesso non sembra. E il suo potere supera quello di ogni altra creatura magica.” Mentre Ehogan diceva questo, Godren sbadigliò tra le mie braccia e si accoccolò tra le mie mani. Guardai Ehogan esterrefatto: sapevo che Godren era diverso dal resto dei draghi, ma non immaginavo fino a questo punto.

Il tragitto del ritorno fu silenzioso, nessuno aveva voglia di parlare, un po’ per la stanchezza e un po’ per la quantità di informazioni acquisite. Ci separammo una volta fuori dal bagno, e, dopo aver sgattaiolato per i corridoi, riuscii a raggiungere il mio letto inosservato. Tuttavia, malgrado il sonno e la spossatezza che mi aveva causato la battaglia, non riuscii ad addormentarmi: avevo una leggera angoscia nel cuore –Esiste un’altra come me, una sacerdotessa.- Alzai lo sguardo sul soffitto portandomi una mano sulla fronte. –Eppure il destino ha scelto vie diverse per noi due.- Cercai di immaginarmi mille motivi per cui quella bambina avesse fatto quelle cose, ma non trovai risposte quella notte: il sonno mi accolse tra le sue braccia prima che un’idea si potesse sviluppare.

***

Quando Hanna quella mattina scese in infermeria, con i suoi due amici, per vedere come stesse effettivamente Elaine, trovarono un letto vuoto e disfatto. Hanna raggiunse il letto e iniziò a sollevare le coperte cercando l’amica in mezzo alle lenzuola. –Dov’è? Dov’è? Dov’è quella ragazza!?!- Urlò Hanna dentro di sé, in preda ad un improvviso dubbio: e se quella persona avesse trovato Elaine, e se l’avesse portata via con lei?

Il fiume di pensieri però vennero bloccati quando la mano di Nathaniel le sfiorò la spalla. Solo quando Hanna si voltò, con già un insulto pronto a fior di labbra, poté vedere Elaine addormentata in un altro letto, accanto alla ragazza che era stata attaccata. Hanna sorrise improvvisamente a cuor leggero, Elaine dormiva un sonno tranquillo, finalmente, e quasi le dispiacque quando Nath le si avvicinò e iniziò a scrollarla. “Elaine… Elaine…” Al dolce richiamo del ragazzo l’interessata emise un mugugno ed aprì lentamente gli occhi mettendosi a sedere con un mezzo sbadiglio scomposto.

Nathaniel per poco non pianse, era lì accanto a lui, era in disordine, puzzava, pareva più addormentata che sveglia, ma non gli importò, e con uno slancio l’abbracciò fino a quasi soffocarla. “Nath!” Esclamò sorpresa la ragazza svegliandosi del tutto e svegliando anche la ragazza lì accanto. “Elaine!” Urlò Arthur aggiungendosi al abbraccio stringendo l’amica al collo, dopo una corsa pazza verso al letto. “Arthur!” Esclamò Elaine rispondendo all’abbraccio con una leggera carezza al capo. “Anch’io sono felice di rivederti, ma mi stai soffocando…” Disse la ragazza con voce strozzata ma divertita. Allora Hanna si aggiunse al abbraccio quasi saltando loro addosso e raccogliendo tutti tra le sue braccia e coprendoli protettiva e possessiva. “Hanna…” Sussurrò sorpresa Elaine; Hanna stava piangendo, furono solo poche lacrime silenziose, di gioia, ma lasciò tutti di stucco. Fu così che tronarono di nuovo insieme, e silenziosamente, scambiandosi quei sorrisi e quegli abbracci, si ripromisero che una cosa simile non sarebbe mai più avvenuta.

“Si può sapere cos’è questa invasione?” Chiese Liz con finta arrabbiatura. “Fate le vostre effusioni fuori dal mio letto!” Decretò la giovane mettendosi a fatica seduta e potando le braccia a pugno sui fianchi. Tutti scoppiarono a ridere. “Liz, loro sono Nathaniel, Arthur e Hanna.” “Sì, ho presente: stai sempre con loro durante le lezioni.” Disse la ragazza. “Si può sapere cos’è questo trambusto?” Urlò Madama Cips dal altro lato del infermeria entrando come un generale pronto a riportare l’ordine. “Signorina Hanna!” Urlò distinguendo la massa rossa dei capelli dell’interessata. “Le ho spiegato un milione di volte che non deve…” Ma la anziana arzilla signora si bloccò di colpo incredula alla vista di due sue pazienti in sesto. “Wild… Zannet… state…” “Bene signora!” Completò Liz con un sorriso. “Quando?” “Ieri notte, mi sono svegliata e ho visto qualcosa uscire dal mio braccio. Non sono mai stata meglio!” Spiegò Elaine mentre cercava di liberarsi dolcemente da quel abbraccio. Subito madama Cips andò a prendere due schede e iniziò a controllarle. “Zannet ti sei spostata tu dal tuo letto?” Chiese la signora. “Sì.” Rispose Elaine “Anche se ho fatto un po’ di fatica a muovermi.” Aggiunse. “Okay… hai qualche fastidio o dolore?” Chiese l’infermiera. “Mi fa un po’ male al avambraccio sinistro.” “Quanto in una scala da uno a dieci?” Elaine ci rifletté un po’. “Mah, non so forse un due è poco più di un fastidio.” Spiegò. “Fammi vedere.” Ordinò l’infermiera ed Elaine porse il braccio ancora rigato da linee nere. La donna lo studiò con l’aiuto di qualche incantesimo poi espresse il suo verdetto. “Non mi sembra che siano rimasto nulla e per il dolore…” “Non servono antidolorifici, non mi fa così male.” La fermò Elaine tranquilla. “Certo, ma preferisco darti un antibiotico per togliere eventuali residui di scorie o quant’altro. Non posso fare nulla per le cicatrici, mi dispiace.” Confessò l’infermiera. Elaine sospirò. “Fa niente, ci farò l’abitudine, non è grave.” Disse la ragazza con un sospiro. “Ora però… mi potete lasciare sola con la signorina Wild. Le dovrei parlare in privato.” I quattro ragazzi si spostarono dal letto. “Madama Cips potrei… ehm…” Chiese Elaine indicando fuori. La donna sospirò: il sole di fine primavera era già alto nel cielo e una dolce brezza penetrava dalla finestra leggermente aperta. “Sì, ma non sforzarti. Per quanto riguarda voi tre.” Disse la donna severa. “Filate a lezione.” I ragazzi uscirono accompagnati dai poco gentili borbottii di Hanna.

***

Nath una volta fuori mi consegnò una borsa in cuoio stranamente pesante, l’aprii. “Godren…” Sussurrai al settimo cielo mentre due occhi d’orati mi guardavano con dolcezza. Con mano tremante accarezzai la testa squamosa di quel cucciolo. “È stato bravissimo: è rimasto buono buono nella borsa tutta la notte e nessuno si è accorto di nulla.” Mi spiegò Nathaniel. Gli occhi mi brillarono. –Elaine… cosa c’è?- Mi chiese Godren preoccupato. “Mi sei mancato piccolo.” Confessai accarezzandolo ancora con dolcezza. “Elaine noi ora dobbiamo filare a lezione.” Disse Arthur. “Alla terza io e Nath abbiamo lezione con Paciock, ci penseremo noi ad avvisare il professore, coccolati un po’ Godren, ma ricordati di lasciarlo andare prima che venga a cercarti il professore. Se vuoi Fernand oggi ha il suo giorno libero, poi andare a salutarlo.” Arthur era chiaramente in imbarazzo e mi venne da ridere. “Arthur se c’è qualcos’altro che mi vuoi dire, dimmelo.” Lo rassicurai sorridendo. Vidi Arthur torcersi le mani e giocare con i piedi per qualche secondo, ma infine parlò. “Temevo di non vederti più così. Sono felice che tu sia tornata.” Gli passai una mano trai capelli arruffandoli scherzosamente. “Ci vuole ben altro di qualche chip per buttarmi giù. E a proposito di chip quando abbiamo un po’ di tempo esigo un resoconto dettagliato.” Dissi puntando il dito sul petto di Nathaniel, il più vicino a me. “Sì, tranquilla ti daremo un resoconto dettagliato. E fidati è meglio che ti prepari perché è una storia assurda. Ma questo non è né il luogo né il momento. Va da Fernand e restaci.” Così dicendo ci salutammo. Camminai piano, un po’ traballante fino al uscita da scuola del tutto inosservata, poi proseguii fino ad un punto riparato da alcuni alberi e lì tirai fuori Godren –Mammina che puzza di cuoio! Non lo sopportavo più! Mi fa venir una fame!- Si lamentò il cucciolo. –Tranquillo quando arrivi c’è una coppia di conigli tutta per te.- Disse Itrandil che ascoltava la nostra conversazione. “Itrandil! Hai imparato a cacciare!” Esclamai contenta. –Ovvio! Sono un drago! È nel mio istinto cacciare!- Spiegò con ovvietà la draghessa mentre Godren si arrampicava sulle mie gambe e io iniziavo a coccolarlo come se fosse un gatto. -Ne sono felice Itrandil, quanto meno non mi farai più impazzire per comprare tre tonnellate di carne in un estate.- Dissi ricordandomi la passata estate dove ogni giorno facevo sparire dal frigo almeno un chilo e passa di carne. –Ah, ah, ah…- Mi beffeggiò la draghessa. –Spiritosa…. Godren però ora torna qui senza farti vedere: Elaine deve riaccumulare le forze e non ha tempo da dedicare a te.- lo rimproverò Itrandil –Come se non lo sapessi!- Sbotto il piccolo facendo uscire uno sbuffo di fumo dalle narici. –Uffa, sempre a dirmi cosa devo fare…- borbottò il piccolo mentre saltava giù dalle mie gambe allontanandosi tra l’erba alta. Lo guardai allontanarsi impettito –E comunque sia.- Riprese Itrandil. –Quando ti riprenderai, non sperare di toccare più terra per qualche mese.- Mi minacciò. –Esagerata.- Pensai mentre mi alzavo e a fatica mi dirigevo verso la casa di Fernand.

Me la presi con comodo, in fondo era il suo giorno libero, l’ultima cosa che volevo fare era svegliarlo. Quando raggiunsi la porta, un eternità di tempo dopo, sentii il suono di tazze e di tè a bollire, bussai. I passi pesanti di Fernand seguirono a un cupo cigolio di legno “Sì....?” Rimase in silenzio, senza parole per qualche secondo “Elaine…” Sussurrò incredulo. “Ciao Fernand.” Lo salutai. In uno slancio di gioia l’omone mi prese in braccio e mi strinse forte a sé. “Fammi prendere un altro colpo del genere e… ma che sto dicendo? Sono così felice di vedere che stai bene!” Esclamò sollevandomi da terra e trascinandomi in casa. Mi fece accomodare e mi offrì una abbondante colazione anche se in fine mangiai poco: avevo lo stomaco serrato. Mi chiese come mi sentivo, cosa avevo intenzione di fare ora e se avessi già informato i miei zii. “A dire il vero no: non avendo un gufo mio ed essendomi svegliata adesso…” Il mio parlare venne interrotto dal vocione di Fernand.  “Ahaha… Dovevi dirmelo prima!” Agitò un secondo la bacchetta e pochi attimi dopo arrivò un vecchi gufo. “È uno dei gufi che usiamo per le comunicazioni con le famiglie, ma se lo usi un secondo non succede nulla.” Mi spiegò consegnandomi carta e penna. Lo ringraziai silenziosamente e scrissi una breve lettera al mio indirizzo e pregai che arrivasse in fretta.

Fernand mi intrattenne ancora un po’ dicendomi alcune novità del mondo di fuori ma la nostra conversazione venne interrotta da una porta sprangata. “Zannet!” Esclamò il professor Paciock stravolto, con il fiatone e il cuore a mille. “Salve professore.” Lo salutai così, come se tutto fosse un vago ricordo. “Per la barba di Merlino, Zannet! Stai bene, sei tutta intera! Volevo dire… sapevo che eri tutta intera, ma non mi aspettavo che stessi già così bene! Fernand dannazione! Dovevi mandarmi una lettera sai quanto ero preoccupato!” Si lamentò il professore “Scusa Nevil.” Il professor Paciock sembrò lanciargli un occhiataccia ma Fernand non vi diede peso. “Quando l’ho vista qui mi sono ritrovato a fare la parte del amicone.” Si giustificò senza problemi Fernand. “Ah, sei sempre il solito! Fai sempre amicizia con i ragazzi: è più forte di te!” Sbottò Paciock scherzando. “Che ci vuoi fare? Professore giovane, innovativo, carismatico, moderno se fossi un po’ più bello avrei tutti ai miei piedi.” Scherzò Fernand indicando i brutti tagli sulla faccia. “Ah… Zannet, tornando a te, devi tornare in infermeria, ce la fai a camminare?” Mi domandò il professore. “Sì, ma sono un po’ lenta è meglio che lei torni in classe, io posso farcela anche da sola.” Dissi alzandomi aiutandomi appena con le braccia e compiendo qualche passo verso il professore che però non parve convinto, così gli rivolsi un dolce sorriso. “Visto, sto una meraviglia per essere stata in coma per mesi.” Dissi sorridendo “D’accordo ma il professor Johnson vorrebbe farti un paio di domande quando arrivi.” Mi spiegò il professore, mi irrigidii ma accennai un sì. “Bene!” Esclamò il professore di erbologia. “Nevil ci penso io ad Elaine, torna pure a lezione.” Disse Fernand tranquillizzandolo. “Grazie! Ora volo!” Disse correndo in direzione della foresta. Io e Fernand lo guardammo perplessi, stavamo per urlargli che quella era la strada sbagliata, ma prima ancora di poterlo contraddire ci ripassò davanti urlandoci: “Sbagliato strada!” Io d Fernand scoppiammo a ridere. “Fernand, non serve che mi accompagni, ce la faccio anche da sola.” Lo rassicurai quando smettemmo di ridere. “Per me è un piacere Elaine, mi hai fatto preoccupare in questi mesi.” Confessò mentre uscivamo.

Una volta in infermeria trovai Liz in una sedia a rotelle, aveva gli occhi rossi dal pianto. Mi avvicinai preoccupata ma venni bloccata dalla cupa presenza del professor Johnson. “Signorina Zannet posso parlarle in privato un minuto?” Mandai giù il magone a vuoto ma seguii il professore in una stanza a parte. “Elaine….” Rabbrividii: non avevo mai sentito il professor Jhonson chiamare i suoi studenti per nome. -Cosa mi dovrà dire?- Mi chiesi preoccupata. “La preside e il resto del consiglio è d’accordo sul farti passare l’anno in via del tutto eccezionale senza svolgere gli ultimi esami, ma dovrai recuperare gli argomenti durante l’estate.” Mi spiegò calmo. “Sì, va bene.” Risposi sorpresa e imbarazzata. “Elaine…” Riprese con maggior serietà. “Tutti si stanno chiedendo come hai fatto a resistere a quella cosa. Mi sapresi dire come hai fatto?” Chiese pacato guardandomi dritto negli occhi. Per un istante mi parve che i suoi occhi verdi mi stessero penetrando l’anima, distolsi lo sguardo un secondo, però lo rialzai e incominciai a parlare.

“Non… non saprei professore.” Risposi in imbarazzo, sperando che credesse alla storiella che mi ero inventata in quelle poche ore. “Sicura? Non hai qualche ricordo su come avresti potuto fare?” Insistette lui sporgendosi leggermente sulla sedia. “Ciò che mi ricordo è che mentre dormivo era come se un ombra premesse su di una barriera ai miei confini.” Spiegai vaga, era una mezza verità, e forse fu per questo che Johnson dopo avermi studiato un secondo, scavando nella mia anima, mi lasciò andare. “D’accordo. Se ti viene in mente qualcos’altro dimmelo.” Mi ordinò aprendo la porta. Mi invitò ad uscire con un elegante gesto della mano. Mi sentii osservata mentre oltrepassavo quella porta, come se fossi improvvisamente diventata un sospettato.

Quando uscii mi avvicinai a Liz che era rimasta lì immobile tutto il tempo. “Cosa ti ha chiesto?” Mi domandò la ragazza con voce strozzata. “Niente di particolare: passerò l’anno senza fare gli ultimi esami.” Raccontai. “Ah, sì. Lo ha detto anche a me.” Disse la ragazza abbracciandosi e accarezzandosi come se stesse scacciando il freddo. Riconobbi quel gesto: lo avevo fatto io non so quante volte solo sette anni fa. Mi avvicinai appoggiando una mano ai braccioli. “Liz che succede?” La ragazza scostò lo sguardo. “Sono le gambe giusto?” Allora un singhiozzo riempì la stanza.

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Okay, so cosa pensate: ma Peter non era morto? Ebbene no signori, era solo scomparso! So che la spiegazione in questo capitolo è un po’ strampalata e al limite dell’assurdo, ma siamo in un fantasy e l’assurdo è l’ordinario, quindi… se avete domande, o non vi è chiara una cosa scrivetemi pure e vedrò di darvi una spiegazione.

Detto ciò, meno uno! Ebbene sì gente, il prossimo è l’ultimo capitolo! Farò del mio meglio per pubblicarlo alla svelta.

Ci sentiamo presto, Bibliotecaria.

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Capitolo 20
*** Cap. 19 La forza di andare avanti ***


Cap. 19 La forza di andare avanti

 

“Dai Liz andiamo!” La incoraggiai, ma subito mi bloccai notando le scale. “Magnifico! Prima ora e digià ci tocca astronomia!” Sbottai imprecando chi non avesse avuto la sana idea di non aggiungere almeno un ascensore in quella dannata scuola. Liz guardò il pavimento giù di morale. “Liz.” La ripresi facendola tornare in sé. “Ah, sì… va pure avanti. Io ti raggiungo…” Disse già dirigendosi da un'altra parte. La bloccai afferrando i manici della sedia a rotelle. “Eh, no! Non sperare che ti lasci saltare così la lezione!” Esclamai tirandola verso di me in retro marcia e poi davanti alle scale. –E ora?- Mi chiesi guardando i sette piani che ci aspettavano. Le scale erano troppo ripide per essere affrontate con la sedia a rotelle. Stavo per rinunciarci pure io, quando una mano gentile mi spostò dal manubrio. “Lascia, la portiamo noi.” Disse Brain prendendo la sedia rotelle da dietro mentre Nath la prendeva da davanti. “Ma che fate!?” Urlò Liz improvvisamente rinsavita. “Secondo te?” Chiese Nath guardandola negli occhi. “Pronto Brain?” Domandò il mio amico guardando il ragazzo negli occhi. “Pronto Nath!” Rispose l’altro. “Allora al tre. Uno, due, tre…” Con un certo sforzo sollevarono sedia a rotelle e ragazza sotto i miei occhi preoccupati. Fecero un passo sui gradini ma io sclerai in preda al panico. “Ma siete pazzi!” I due si bloccarono. “Se dobbiamo farlo, facciamolo bene!” Decretai facendo poggiare di nuovo la sedia a terra. “Nath, Brain, Liz datemi le vostre borse. Nath e Brain: uno porti la sedia a rotelle, l’altro porti sulla schiena Liz o in braccio, l’importante è che non cada!” Ordinai con un tono che non ammetteva repliche e che lasciò di stucco i due ragazzi che in risposta fecero un ironico saluto militare e dissero: “Agli ordini capitano!” “Non chiamatemi capitano.” Risposi seccata.

Alla fine Nath si sistemò sulle spalle Liz, mentre Brain prese la sedia a rotelle. Io chiudevo il corteo con quattro cartelle in spalla pregando che nessuno cadesse.

Per funzionare funzionava, e Liz era leggera, ma dovevamo procedere piano per evitare cadute e che Brain non si facesse scivolare la sedia a rotelle dalle dita. Così le scale cambiarono quattro volte costringendoci a fare il giro lungo. “Dannate scale!” imprecò Brain ad un certo punto. “Ma cosa diamine è passato per la testa dei fondatori quella volta? Ci volevano solo far dannare l’anima!” Sbottò il giovane irritato. “Vero! E poi non c’è un cazzo di passaggio per le rotelle in questa scuola!?! Di regola ce ne dovrebbe essere uno!” Aggiunse Nath esprimendo il mio pensiero. Eravamo, guarda caso, difronte all’aula di trasfigurazione. “Ma che succede qui?” Urlò la professoressa Crezzy spalancando la porta congelandoci sul posto. “E voi che ci fate qui? Dovreste essere nel aula di astronomia.” Ci rimproverò lei. “Come se non lo sapessimo.” Borbottò seccato Nath. “Signorino Galleric!” Lo riprese la professoressa già pronta a fargli la predica. “Quello che il mio compagno intendeva dire…” Intervenne Brain salvando Nathaniel e tutti noi da una strigliata di capo. “È che noi stiamo andando al aula di Astronomia, ma a causa della limitata mobilità di questo arnese.” Spiegò Brain indicando la sedia a rotelle. “Abbiamo dovuto fare il giro lungo perché alcune scale hanno deviato il nostro tragitto.” Concluse il ragazzo lasciando la professoressa Crezzy di stucco.

La professoressa diede uno sguardo a Nath che teneva ancora in braccio Liz, la quale aveva affondato la testa nelle spalle del compagno nel tentativo di nascondersi. “Va bene, ho capito.” Disse la donna a seguito d’un sospiro. “Forse ho una soluzione. Nath la tua scopa è una firebolt giusto?” Chiese la professoressa al ragazzo. “Sì… ma perché?” Chiese Nath perplesso, ma la donna non rispose. “Accio Firebolt Nathaniel.” In pochi secondi la scopa di Nath arrivò a tutta velocità nelle mani della professoressa. “Usa questa per trasportare la signorina Liz fino alla torre di astronomia e riferite al professoressa Sinistra che la sedia a rotelle è ancora qui. E voi due.” Disse riferendosi a me e Brain. “Correte fino al aula, niente deviazioni.” Ci ordinò la donna. Allora Nath caricò Liz sulla scopa e partì ad una discreta velocità verso l’aula. Io e Brain lo seguimmo di corsa. E, dopo un minuto, una sedia a rotelle ci superò a tutta velocità come trainata da un filo invisibile. “Temo che arriveremo a metà lezione.” Commentò Brain scocciato. Ma io non ascoltavo.

–Se non fossi stata egoista, se avessi rivelato la profezia, se avessimo seguito il consiglio di Ehogan… Liz ora potrebbe camminare e molte persone sarebbero vive!- Pensai con rabbia. –Sono stata immatura ed egoista! Sarà un miracolo se Liz potrà curarsi la colonna vertebrale e non vi sarà miracolo che riporterà in vita quelle persone!- Ero furiosa con me stessa, perché ero stata così stupida da cercare di evitare il destino. Desiderai picchiarmi, desiderai essere punita e desiderai morire. Tutto era accaduto per colpa mia, colpa nostra, una colpa dovuta alla paura, e di cosa poi? Paura di perdere la nostra finta normalità, la paura di andare incontro al destino? Ma che colpe avevamo veramente? Adesso se ripenso a quel periodo mi rendo conto che ciò che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto nelle migliori delle nostre intenzioni, e che probabilmente non avremmo scoperto nulla prima di Ostara in qualunque caso. Eravamo obliati nell’ignoranza del importanza dei nostri poteri, quale speranza rappresentassero e in cosa ci stavamo immischiando, anzi io vi ero già molto più immischiata e Arthur era immischiato quanto me. Ma c’era un’altra persona che in quello stesso momento si stava crogiolando nei sensi di colpa, colpa molto più grande della nostra.

***

“Peter lei è Elaine, Elaine questo è Peter” Li presentai nervoso. Elaine aveva insistito per incontrare Peter malgrado non fosse necessario per ciò che volevamo fare. “Dunque sei tu colui che ha creato i chip.” Affermò Elaine tesa ma non dimostrò aperta ostilità, anzi, era spaventosamente calma. “UIMT.” Specificò Peter timidamente. Elaine lo scrutò per qualche momento e, malgrado fosse più bassa di Peter d’una spanna, in quel momento il ragazzo sembrò piccolo sotto il suo sguardo serio e perforante della mia amica.

Dopo lunghi istanti in cui Elaine sembrò memorizzare ogni dettaglio di Peter, abbassò le spalle e si rilassò. “È un peccato che la tua invenzione sia stata usata per un fine così losco, in altre circostanze ti avrei consigliato di mostrarla al mondo.” Disse Elaine con un mezzo sorriso tirato ma le parole suonarono sincere. –Fortuna che Elaine non è il tipo che porta rancore e che ha capito la situazione.-  Pensai alleggerendomi di colpo da una forte angoscia. “Allora? È tutto pronto?” Chiesi a Peter battendo le mani per spezzare la tensione. “Sì, gli UIMT sono stati posizionati, a breve potremmo dimenticare questa brutta storia!” Disse il ragazzo mettendosi seduto per un ultima volta in quella sedia. “Okay.” Dissi soddisfatto. “Però fa in fretta oggi: è Beltate e se non arrivo nella foresta prima del tramonto il mio maestro mi ammazza!” Avevamo rivelato a Peter i dettagli dei nostri poteri, fu l’unica persona a cui rivelammo il segreto in molti anni. Così con un mezzo sorriso si inserì per un ultima volta quel casco.

***

Nath cammina per il corridoi della scuola intrattenendo il professor Jhonson facendosi rispiegare un esercizio che era stato assegnato e cercando di dilungare il discorso, mentre Hanna intratteneva il professor Paciock facendogli parlare a ruota libera delle piante e delle loro proprietà ascoltando sì e no un minuto su trenta fingendosi interessata. Vi erano molti studenti e un auror ma i due non se ne preoccupavano: più testimoni c’erano più possibilità di riuscita aveva il loro piano. Hanna pensò a quanto fosse costata a Peter quella decisione. Aveva detto che era l’unica soluzione, e la migliore, ma Hanna non osava immaginare il suo stato d’animo in questo momento.

I pensieri di Hanna vennero interrotti da un ronzio oramai famigliare. I due professori videro i chip comparire da tutte le parti, subito iniziarono a lanciare incantesimi per distruggerli, ma i chip continuarono a raggrupparsi al centro del corridoio andando a formare una sfera luminosa. I due professori e l’auror concentrarono le loro forze alla sfera e così fecero gli studenti nei dintorni lanciando incantesimi che Hanna ancora non conosceva, come aguamenti e incendio. A breve tutti i chip vennero distrutti. -È fatta.- pensò Hanna.

***

“Ecco. Ora la mia invenzione non nuocerà più a nessuno.” Disse Peter sfilandosi il casco. Io ed Elaine accennammo un sì in risposta. “Sei sicuro di questa tua scelta? Vivrai da fuggiasco in eterno.” Tentò di dissuaderlo Elaine. “Oramai è una cosa che ho deciso, non posso più tornare indietro.” Spiegò il diciottenne. “Va bene, ma sappi che noi ti ricorderemo Peter.” Il ragazzo si sorprese. “Non ce l’hai con me?” Domandò ad Elaine fissandola con un certo stupore. “Ce l’ho con la tua invenzione e con la persona che ti ha manovrato, ma non ce l’ho con te.” Disse Elaine mostrando, a parere mio, o una grande ingenuità o una grande maturità.

Ci spostammo da quel luogo. “Credo che sia il momento…” Disse Peter voltandosi. Teneva sotto braccio solo una serie di fogli e quaderni, probabilmente le sue ricerche, ma comunque si voltò e fece ciò che doveva. “Reducto.” Un lampo rosso partì dalla sua bacchetta e colpì i suoi macchinari. Il metallo si inclinò si contorse e si spezzò, i circuiti si fusero, le macchine esplosero, vetri s’infransero e tutto prese fuoco. “Mesi e mesi, ma che dico, anni di lavoro e ricerca perduti.” Pensò Peter ad alta voce. “Beh… quantomeno ora potrò lavorare in pace, isolato, senza compagni o professori fastidiosi nei dintorni.” Si consolò Peter sforzando un sorriso.

Durante il tragitto me ne rimasi in disparte immerso nei miei pensieri, i quali, come un fulmine a ciel sereno, vennero interrotti da una risata cristallina, infantile ma in qualche modo agghiacciante. Peter si irrigidì e in qualche modo anche io ed Elaine ne venimmo turbati. Aguzzai le orecchie per cercare di capire da dove provenisse quella risata e aguzzai la vista cercando una qualche traccia, quando vidi quel che doveva essere lo strascico d’un vestito nero. Corsi in quella direzione senza badare agli altri che mi gridavano di lasciar perdere. Seguii il suono di quella risata lungo le colonne e i laghi. Mi portò davanti all’entrata e corsi lungo lo stretto corridoio, raggiunsi una porta spalancata con raffigurati dei serpenti caduta a terra, spezzata in due. Vi saltai sopra ed entrai nella stanza dove si presentò uno scheletro quasi del tutto spolpato, lì nascosta tra le ossa v’era una bambina. Aveva lunghi capelli neri leggermente mossi e folti, li teneva pettinati semplicemente con la riga in mezzo, aveva occhi scuri, quasi neri, piccoli dolci nei lineamenti, un piccolo naso, le labbra piccole ma non sottili, il corpo esile, bassina, mani piccole e curate, pelle liscia e pallida, vestiva un lungo abito nero che le fasciava il corpo di bambina. Mi guardò per qualche minuto coi suoi profondi occhi allegri e maligni nel medesimo tempo. Mi avvicinai a quella divina visione, poiché benché sapessi di quali nefandezze fosse capace a me parve una dea scesa in terra sotto forma di bambina. –Bella…- Fu quello il mio pensiero, non vi era né malizia né desiderio, ma una semplice constatazione. Mi sentii protettivo nei suoi confronti, quegli occhi ora non più lucenti ma profondi e seri come diamanti neri, e mi fissavano con ponderazione e strategia. “Merlino!” Mi chiamò maestosa con quella voce di bambina così dolce, sussultai. “Io sono Morgana!” Si presentò con un vago orgoglio controllato. “Ci vediamo ad Avalon!” Si congedò a questo modo, mentre le nebbie l’avvolgevano e si volse camminando elegante fin oltre le nebbie scomparendo. Il cuore mi batté forte, avevo uno strano desiderio verso quella bambina: desideravo averla tra le mie braccia e proteggerla, desideravo poterla sapere al sicuro.

“Ehogan!” Chiamai il mio maestro mentre correvo verso la radura. “Ehogan!” Urlai ancora guardandomi attorno cercandolo in quello spiazzo. “Maestro!” Urlai un ultima volta. “Mi stavi cercando?” Mi chiese lui intento a cogliere erbe in un punto in cui prima avevo giurato che non ci fosse. “Maestro…” Iniziai pieno di quella assurda emozione. “Ho visto una bambina.” Affermai in estasi. “Di bambine ve ne sono molte in una scuola.” Mi fece notare lui. “No, non è della scuola, era più piccola di me di almeno cinque anni, e aveva qualcosa che….” Mi bloccai cercando di radunare i pensieri. “Era bellissima… perfetta! Era una dea!” Affermai passandomi le dita nella cute. Ehogan rise dolcemente e nostalgicamente. “Presto detto: hai incontrato la futura Dama del Lago, la somma sacerdotessa. È normale che tu sia in estasi per la sua visione.” Disse divertito. “Non era una visione, era lì, in carne e ossa.” Allora Ehogan si interruppe e mi guardò confuso. “Ma cosa ci faceva una bambina così piccola in questa scuola?” Mi domandò. “Lei…” Inizia energico ed entusiasta. “Lei…” Ripetei questa volta rassegnato e triste. “Lei… ha indetto queste uccisioni.” Dissi tristemente. Il mio maestro sospirò mestamente, celando una tristezza enorme. “La Dama del Lago a quanto pare è stata nuovamente indottrinata al male.” Disse lui tornando ad occuparsi di alcune erbe. “Si chiama Morgana.” Sussurrai. “Un nome condannato per una persona condannata.” Disse il mio maestro con voce rotta. “Maestro… io… ehm… mi vergogno a dirlo…” Confessai. “Te ne sei innamorato, vero?” Accennai un sì. Non sapevo neppure io come spiegare quel sentimento: c’era e basta, non aveva bisogno di spiegazioni. “Non temere, non c’è niente di male.” Affermò sereno. “Maestro!” Esclamai scandalizzato. “È la Dama del Lago, inevitabilmente la amerai, sempre, lei e le sue predecessore e le sue successore, poiché il vostro è un amore voluto dagli dei che attraverso i vostri corpi esprimono il loro amore.” Spiegò Ehogan senza spiegarmi i dettagli che a quell’età mi avrebbero solo fatto arrossire o scandalizzare. “Non comprendo.” Confessai. “Comprenderai quando sarà il momento.” Tagliò corto lui.

“Arthur!” Mi voltai al sentire il mio nome. “Arthur!” Urlò un’altra voce. Mi voltai verso il mio maestro ma era già scomparso. “Arthur!” Urlò un’altra voce ancora mentre quattro figure mi raggiungevano. “Ragazzino…” Iniziò Peter con il fiatone per la corsa, era vestito come uno studente, il viso coperto dal cappuccio della divisa e aveva sostituito la sua vecchia divisa con una pulita puliti, era passato del tutto inosservato, e poi, con tutto il baccano al primo piano, nessuno aveva badato a lui. “Si può sapere che ti è preso?” Domandò Peter che mi aveva visto correre come un dannato due volte, la prima volta con furia, la seconda volta invocando il mio maestro. “Niente.” Mentii. “Beh! Sei stato fortunato che quella piccola demone non ti abbia confuso il cervello, giuro che un paio di volte mi deve essere entrata nella testa!” Disse Peter rabbrividendo al ricordo.

In quel momento Itrandil comparve dalla vegetazione guardando truce Peter. “Ma che….” Disse il ragazzo, alzando il tono di voce d’un’ottava, indicando con un dito il drago e guardando noi confuso e spaventato. “Peter.” Iniziò Elaine. “Ti presento Itrandil. Itrandil, Peter.” La draghessa in risposta ringhiò verso Peter con fare minaccioso. “Sbaglio o non gli sono simpatico.” Constatò il diciottenne. “Itrandil è il mio drago.” Spiegò Elaine passandogli davanti con indifferenza andando a recuperare la sella e mettendo i filacci ad Itrandil sotto lo sguardo spaventato di Peter. “Non sarebbe meglio una scopa?” Propose lui atterrito. “No, una scopa verrebbe notata dalla barriera magica, un drago no.” Spiegò Elaine che aveva fatto parecchie entrate e uscite via cielo quel estate. “Va bene.” Squittì Peter rassegnato al voletto di cui non invidiavo nulla. Elaine salì davanti e Peter si posizionò dietro. “Reggiti, voliamo veloci.” Disse Elaine mentre Itrandil si preparava a spiccare il volo. “Aspetta!” La bloccò Peter. “Quasi dimenticavo!” Esclamò iniziando a rovistare dentro la sua borsa. “Questi sono per voi.” Disse il ragazzo passandoci dei telefonini con delle tastiere di qualche anno fa. “Li potete usare per chiamarmi: è una linea sicura che posso cambiare io con nulla.” Spiegò il ragazzo lanciandoci i telefoni, uno a testa. Erano dei modelli piuttosto vecchi, probabilmente degli anni novanta, neri, poco più grandi della media, ma decisamente più grossi, dotati di antenna e con dei fili esposti. “Funzionano anche all’interno di Hogwarts, basta che dite un qualsiasi incantesimo che lanci una scarica d’energia, come expelliarmus o stupeficium, e si ricarica. Però dovete anche attaccarlo alla corrente con questi!” Aggiunse lanciandoci delle prese che si collegavano a delle batterie da megawatt. “Li ho costruiti io quindi non saranno esattamente una bellezza esteticamente, ma funzionano!” Esclamò orgoglioso. “Ora possiamo andare? Itrandil inizia ad innervosirsi e sta dicendo cose poco carine sul conto tuo.” Alle parole di Elaine Peter si riprese. “Ah, ecco sì!” Come finì di parlare Itrandil spiccò il volo con forza facendo lanciare a Peter un urlo spaventato. –Eh, come lo capisco.- Pensai ricordandomi del mio unico breve volo su una scopa.

***

“Aaaahahhahahahahhahah!” Urlò Peter terrorizzato. “La vuoi smettere!” Tuonai ringhiando assieme ad Itrandil. “Sì, sì! Sì, sì, sì! Sì!” balbettò lui e dopo una mia occhiataccia si calmò. Rimanemmo in silenzio per circa un minuto quando lui si decise a parlare “Senti… Elaine, giusto?... io… so che non potrò mai pretendere il tuo perdono, ma sappi che mi dispiace, per tutto.” Confessò il giovane sincero. –Brutto schifoso… se spera che otterrà il perdono così…- Iniziò Itrandil pensando ai peggiori insulti. “Accetto le tue scuse e ti perdono” Dissi interrompendo Itrandil e facendo scappare un sussulto sorpreso alla draghessa e al ragazzo. “Non l’hai fatto spontaneamente. E anch’io ho le mie colpe in questa storia. Tutto quello che ora puoi fare e cercare di rimediare.” Spiegai seria, continuando a guardare il cielo davanti a me. “Cercherò un modo per ridare a Liz le gambe allora!” Decise sicuro. “Dovessi metterci una vita!” –Magari mettici un po’ meno, così riesce a godersele le gambe.- Pensò Itrandil facendomi sorridere. “Senti ma tu e gli altri… insomma… cosa siete esattamente?” Chiese Peter. “Beh… Nath è più o meno come te, solo che al posto dei fulmini ha l’aria. Hanna muta il suo aspetto in quello d’un orso. Arthur è un druido. E io dovrei essere una qualche sorta di signora dei draghi o roba del genere.”  Spiegai. “Questo lo so. Ma come hanno fatto quattro ragazzini ad avere tutti gli indizi che a centinaia di adulti sono sfuggiti. Sembra quasi… il destino…. Tu credi nel destino Elaine?” “Siamo arrivati.” Dissi iniziando a preparare l’atterraggio ignorando deliberatamente l’ultima domanda. “Governi bene questo drago.” Notò Peter una volta atterrati. “Io non governo nulla. Io volo con Itrandil, decidiamo assieme come muoverci.” Spiegai mestamente. “Forte.” Esclamò il ragazzo.

Quando atterrammo Itrandil lo buttò giù usando la coda a mo’ di frusta. “Ahio!” Esclamò il ragazzo al contatto duro con la terra. –Consideralo un pegno da pagare.- Disse Itrandil ringhiando un po’, lo tradussi e lui sorrise. “Hai ragione drago.” Itrandil sbuffò offesa. “È una lei.” Spiegai, e subito Peter iniziò a sudare freddo, ma si riprese in fretta e si corresse. “Ah… allora draghessa. Hai ragione: devo pur pagar pegno per il volo.” Si inchinò elegantemente. “Allora arrivederci Elaine, signora dei draghi!” Mi salutò così e si voltò per andarsene. “Arrivederci Dottor Peter.” Dissi io. “Dottore… spero che tu non stia pensando a qualche scienziato pazzo dei fumetti.” Disse tra sé e sé divertito. Spiccai il volo e ci lasciammo. Non disse mai cosa fece in quel periodo, né mi interessa, so solo che fece ciò che doveva e sentiva di fare.

***

Il treno fischiò. “Mi mancherete un mondo ragazzi!” Esclamò Hanna abbracciandoci prima di scendere dal treno.

La scuola era finita in un battito di ciglia, e, a seguito di un’accorta indagine, aveva lasciato sospeso il caso dei chip, come avevano fatto con quello dei draghi l’anno prima.

“Anche tu mi mancherai Hanna.” Disse Elaine abbracciandoci con maggior forza. “E anche voi ragazzi.” Sciogliemmo l’abbraccio strappalacrime con riluttanza. “Vi raccomando di scrivermi, o vi ritroverete con un lucertolone troppo cresciuto in giardino.” Ci minacciò Elaine indicandoci il cielo, dove Itrandil stava volando, nascosta trai i nuvoloni estivi, con a dorso Godren. Nel dire questo delle piccole lacrime avevano fatto capolino sui suoi occhi. “Ovvio che lo faremo!” Esclamò Nathaniel allegro asciugando le lacrime di Elaine. “E ricordatevi: a luglio tutti a Londra! Guai a chi manca alla mia festa! O giuro che vi lancio delle maledizioni.” Aggiunse Nathaniel scompigliando la coda ad Elaine facendole tornare il sorriso. “Hanna!!!!” Urlò Salomon saltando addosso a Hanna da dietro nel fallito tentativo di farla cadere a terra. “Mi raccomando! Studia, divertiti e scrivimi!” Urlò il ragazzo abbracciando con forza la ragazza. “Certo idiota! Ma anche tu scrivimi!” Ordinò la ragazza mentre l’altro le scompigliava i capelli iniziando una giocosa lotta che si concluse con Sal schiantato a terra. Da parte mia potei solo sbuffare anche se in realtà mi divertiva vederli così. “Ehi, Nath!” Esclamò Brian salutando l’amico da lontano un ultima volta: si erano già salutati in cabina con una serie di spintoni e battute quindi non si riavvicinarono per un ultimo saluto. “Ehi!” Rispose Nathaniel alzando le braccia al cielo. “Elaine!” Urlò Liz che da un quarto d’ora stava aspettando Elaine assieme ai suoi genitori per accompagnare la mia amica alla stazione. “Arrivo subito!” Urlò Elaine e voltandosi ci diede un ultimo breve abbraccio e se ne andò di corsa, continuando a salutarci. Subito dopo se ne andò Sal, richiamato dalla voce dei suoi genitori. Ma solo dopo aver dato un ultimo buffetto ad Hanna, e un saluto veloce a noi, raggiunse la sua famiglia di tutta fretta. Pochi istanti dopo una bambina saltò addosso a Nathaniel. “Emily!” Esclamò Nathaniel afferrando la sorellina e iniziando a coccolarsela. “Nathaniel…” Al richiamo della voce di sua madre, Nathaniel ci salutò tutti in fretta, e con la sorellina al fianco se ne andò. Poco dopo anche Hanna venne individuata dai suoi fratelli e, tra uno spintone e l’altro, raggiunsero i loro genitori che li accolsero con abbracci e baci. Da parte mia sorrisi mestamente, aspettando e cercando il mio unico parente. “Arthur.” Mi voltai: mio padre era dietro di me. “Ciao papà.” Lo salutai così, senza nessuna intonazione. “Torniamo a casa.” Decretò senza neanche abbracciarmi. Un velo di tristezza mi avvolse il cuore: avevo sperato che qualcosa nel suo cuore fosse cambiato, ma mi sbagliavo, non era cambiato nulla. Ancora mi odiava per ciò che era successo alla mamma.

 

Note dell’autrice:

Lo so, iper-iper-ritardo! Mi dispiace, mi inchino ai vostri piedi e supplico perdono! Mi dispiace, ero convinta che dove stessi andando in vacanza ci fosse il Wi-Fi ma, come al solito, mi illudevo.

Comunque, questo è l’ultimo capitolo! *Faccio scoppiare una serie di coriandoli*. Spero che il finale di quest’anno vi sia piaciuto e che la storia non vi sia risultata noiosa in certi passaggi. Perché sono… 195 pagine… wow, un record per me!

Ovviamente tornerò a rompervi le scatole con il prossimo libro, che sarà disponibile in un momento non ben preciso dell’anno prossimo. Sì, lo so, è molto tempo, ma non sono ancora riuscita a stendere il terzo libro e non me la sentirei mai di iniziare a pubblicare senza avere una bozza a cui fare riferimento.

Tranquilli, ho già in mente quali sofferenze dovranno patire questi poveri sprovveduti. Devo solo trovare il tempo per trascrivere tutto.

Vi dico solo che il prossimo anno avrà al centro della scena Nathaniel e … no, non ve lo dico, o rovino la sorpresa.

Detto ciò, un grosso abbraccione a quelli che mi seguono, spero di sentirvi presto, con affetto,

Bibliotecaria.

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