A MAN WITHOUT A FUTURE
Silente stava facendo pattugliare da due giorni
tutti i possibili ingressi di Hogwarts e Lupin era di guardia nelle varie
uscite non autorizzate della scuola.
Non si aspettava di trovarlo e di certo non in
quelle condizioni.
Era sporco, lacero. Il corpo sembrava disarticolato.
Gli si avvicinò fino a sfiorargli un braccio. Piton lanciò un urlo. Lupin si allontanò
e facendo luce con la bacchetta lo osservò per capire come poteva aiutarlo.
Le braccia e il petto erano incandescenti,
sembravano bruciare. Non sembravano esserci ossa rotte.
“Severus, mi senti?”
Gli rispose un sospiro che poteva essere un sì.
“Riesci a muoverti se ti sostengo?”
Scosse leggermente la testa.
“Vado a chiamare Madama Chips.”
Piton perse totalmente la percezione del tempo.
Sentì le voci di Silente, di Madama Chips e di Schakebolt, vide lo sguardo
inorridito di quest’ultimo e di Lupin mentre lo spogliavano, lo lavavano e lo
medicavano. Sentiva urla e lamenti, ma si rese conto di essere lui.
Quando si svegliò capì di essere nella sua stanza,
nel suo letto. Era sdraiato con solo i pantaloni. Aveva un lenzuolo fino alla
vita.
Sentì la voce di Schakebolt: “Non possiamo ancora
appoggiare nulla sulla ferita, non lo sopporti. Riposa”
Quando aprì nuovamente gli occhi vide Silente e lo
chiamò.
“Riposa Severus.”
“No, attaccano.”
“Dimmi…”
”Vogliono trovare Potter…” ogni parola era una fitta di dolore “Vogliono
colpire lei… Hogsmaede… durante le uscite…”
“Va bene, basta, riposati. Ci occupiamo noi del
resto.”
La terza volta che aprì gli occhi vide una folta
chioma di capelli vicino a lui.
Tonks stava sistemando un piccolo bacile con del
liquido bluastro dentro.
“Tu… qui…”
Tonks si girò. Aveva gli occhi lucidi. Era entrata
da poco nella stanza per dare il cambio a Lupin. Sapeva delle ferite, sapeva
cosa aveva ricevuto, ma non credeva che le avrebbe fatto così male.
“Sono qui per assisterla. Ci diamo il cambio con
Remus e Kingsley. Madama Chips l’ha appena visitata. Mi ha lasciato questo
preparato per le ferite. So che le fa male essere toccato, ma dovremo provare.”
Aveva nuovamente chiuso gli occhi.
“Mi hanno lasciato anche qualcosa da mangiare.
Vuole?”
“Sete.”
Prese un bicchiere di argento vicino al letto e lo
riempì di acqua fresca a metà. Lentamente lo avvicinò alla bocca di Piton
facendo attenzione a non sfiorare la ferita e lo fece bere. Bagnò un pezzo di
stoffa e glielo passò sul volto per rinfrescarlo.
Era bianco quanto il lenzuolo, disidratato. I
capelli neri risaltavano sul cuscino. Il naso sembrava ancora più grande nella
faccia scarna.
“Provo a darle del brodo. Ordini dell’infermiera.”
Usando la stessa tecnica riuscì a fargli bere gran
parte di quello che aveva lasciato Madama Chips, compresi i medicinali. Piton
era talmente stremato da disinteressarsi completamente del fatto che lei fosse
lì ad assisterlo, nella sua stanza.
Durante la notte, nel sonno, arrivò un incubo che lo
agitò e di conseguenza aumentò il dolore. Facendo attenzione Tonks gli bloccò
le spalle per evitare che si muovesse troppo.
Alla fine di questa tortura, con pazienza e con
l’aiuto di Madama Chips, cambiò le lenzuola, movendolo il meno possibile.
Provarono a passare un telo bagnato con il preparato bluastro, ma il dolore era
ancora troppo forte e si limitarono a lasciarlo cadere, a gocce, sulle ferite.
Si estendevano su gran parte degli avambracci e da una spalla, sullo sterno
fino a sotto le costole.
La sera dopo la situazione era migliorata. Aveva
riposato per gran parte del giorno ed era riuscito a mangiare nuovamente
qualcosa. Grazie alle dosi massicce di medicamento che erano arrivate da San
Mungo e che Madama Chips aveva fermamente somministrato era possibile anche appoggiare
per qualche momento le bende direttamente sulla ferita aumentando l’efficacia
dell’intervento.
I ragazzi erano in subbuglio per la folle novità di
Piton assente dalle lezioni per malattia. Erano anche notevolmente incuriositi
dal fatto che nessuno dava spiegazioni di cosa gli fosse accaduto. Certamente
la presenza di Lupin a sostituirlo creava una situazione quasi idilliaca. La
minaccia costante che le valutazioni sarebbero state comunque di Piton non
sembrava minare la gioia della novità.
Tonks si stava preparando per la seconda nottata.
Per la maggior parte del giorno aveva lavorato nelle aule come il solito, ma
aveva insistito per poter rimanere di nuovo con lui dalla sera. Sapeva cosa
aspettarsi e tra tutti era quella con meno impegni durante il giorno. Era anche
riuscita a dormire un’oretta nel pomeriggio.
Kingsley l’aveva appena lasciata e lei stava
sistemando una pila di garze in fondo al letto.
Mise una mano sulla fronte di Piton, come volesse
sentire se c’era febbre.
“Come sta?” Silente era entrato silenziosamente
nella stanza.
“Sempre in lento miglioramento. Adesso non soffre
più quando le lenzuola vengono appoggiate alle cicatrici. Sono riuscita a
fargli prendere anche del cibo solido questa sera.”
Silente lanciò uno sguardo fugace verso il muro alla
sua destra.
Fissò quel punto per alcuni secondi, con una
espressione prima incerta, poi leggermente infastidita.
“Perché Professor Silente? Perché arrivare a tanto?”
chiese Tonks, con lo sguardo addolorato, rivolto prima a Piton poi a Silente.
“Per loro è un traditore. E come tale va punito. Non
esistono messe misure Tonks. O con Lui o con noi. Da quando Piton ha scelto
noi, sapeva quali potevano essere i rischi. Quando è arrivato, anni fa, poco
prima della morte dei Potter, era ridotto molto peggio. Ci sono volute
settimane di duro impegno da parte di Madama Chips per riuscire a farlo guarire
nel fisico e anni per riuscire a farlo guarire dal senso di colpa.
“Era necessario che ci andasse? Che si facesse
riconoscere?” chiese Tonks sottovoce.
“Era necessario dal suo punto di vista. La stessa
inflessibilità che ha verso gli altri la dimostra verso se stesso: la scelta
che ha fatto richiede la sua totale partecipazione. Ma non si fa riconoscere.
Quando cerca informazioni non ha lo stesso aspetto che ha ora. Credo abbiamo
cercato nel mucchio e questa volta lo hanno preso.”
“Angimagus?” chiese, curiosa, Tonks.
“Credo possa bastare Ninfadora.” Piton aveva
sussurrato la frase senza aprire gli occhi, ma con tono chiaro e deciso.
“Conosci anche troppo.”
Tonks, sollevata dal sentirlo parlare, ma stizzita
dalla risposta, lo osservò mentre, appoggiate le mani sul letto, si metteva
seduto, appoggiandosi allo schienale, con evidenti smorfie di dolore mentre
piegava braccia e sterno. Il lenzuolo scese e la cicatrice divenne ancora più
visibile e spaventosa. Si fermava sotto le costole, ma sembrava pulsare e
diventare più scura con il movimento. Non sembravano graffi o tagli, ma un
marchio impresso a fuoco.
“Bello spettacolo, ragazza?” le chiese, sostenuto,
con gli occhi ridotti a fessure. I capelli neri e lunghi ricadevano a lato del
viso.
“Niente di eccezionale se si riferisce a se stesso,
professore. Molto brutto se parla della cicatrice” Il sollievo di vederlo
attivo, unito ai commenti spiacevoli, la resero acida.
Prese delle garze, le bagnò dentro una bacinella
alla sua destra contenente il liquido bluastro, e gliele porse. “Provi ad
appoggiare queste, se non le da fastidio.”
Piton si appoggiò una garza sul petto, con un
leggero sussulto per la fitta di dolore. Ne avvolse altre due lungo gli
avambracci, sulle cicatrici.
“Dopo quello che vi ho riferito ci sono cambiamenti
o novità?” chiese rivolto a Silente
“Ne parleremo con calma domani. Non è il momento.
Posso solo dirti che ci stiamo lavorando”
“Mi pareva fossimo in troppi.” Anche Piton aveva
percepito la presenza di qualcun altro nella stanza, pur non riuscendo a
definirlo. “I ragazzi fanno di testa loro come il solito?”
“Esatto.”
Tonks pensava fosse un cambio di argomento assurdo.
Cosa c’entravano gli alunni e le lezioni? Ma rimase in silenzio. Se doveva
assistere il professore quella notte, non voleva trovarsi a discutere fin
dall’inizio.
Silente salutò Piton e uscì dalla stanza lasciando
la porta aperta.
Tonks si stava risvegliando da un profondo sonno.
Aveva passato al notte nella stanza, in una comoda poltrona arancione con
girasoli rossi e foglie gialle che aveva fatto comparire per l’occasione dopo
una breve litigata con Piton sulla necessità di rimanere a portata di voce nel
caso fosse stato male durante la notte.
La risposta di Piton fosse stata molto secca:
“Soffro da prima di conoscerti Ninfadora, anche se per punizioni diverse da
questa, e ne sono sopravvissuto da solo. Non mi serve una balia, tu non sei
infermiera e non voglio immaginarti mentre mi guardi mezzo nudo in un letto!”
Tonks, per ripicca, in silenzio aveva fatto apparire
la poltrona sotto lo sguardo allucinato e schifato di Piton e vi si era
accoccolata sopra dandogli le spalle.
“Eviterò di prendermi un choc guardandola allora. Se
ha bisogno urli!”
Durante la notte aveva avuto un solo incubo,
sufficiente a far passare ad entrambi una brutta mezz’ora tra il dolore fisico
dato dal movimento continuo per proteggersi dal nemico sognato, e il dolore di
vederlo agitarsi, urlando in silenzio, fino a strappare le lenzuola. Nessuno
dei due aveva parlato del contenuto dell’incubo, neppure mentre Tonks lo
medicava e lo aiutava a sistemare le lenzuola. Avevano fatto tutto senza
guardarsi, veloci, efficienti (tranne due vasi rotti da Tonks movendo bruscamente
un braccio).
Piton non aveva ringraziato.
Al risveglio Tonks sentì scorrere l’acqua del
lavandino in bagno.
Mentre si alzava si rese conto che qualcuno, nella
notte, aveva sistemato i cuscini dietro la sua testa e le aveva messo una
coperta addosso. In tinta con i girasoli. Sorrise.
Stava decisamente meglio. Abbastanza da sopportare
una maglia sopra le cicatrici e potersi muovere dentro la stanza senza
rischiare di crollare a terra per il dolore.
Per fortuna la ragazza se ne era andata.
Una poltrona rossa con dei girasoli!
Era pazza. Aveva il collo talmente piegato, all’alba
quando l’aveva vista mentre tentava di alzarsi la prima volta, che senza
pensarci troppo le aveva infilato dei cuscini sotto la testa. Con uno sforzo
enorme che gli era costato almeno 10 minuti di dolore tanto forte da
immobilizzarlo con la bacchetta stretta nella mano.
Metterle la coperta era stato molto più semplice.
Non aveva usato la magia.
In realtà la ripresa fu molto più lenta di quanto
desiderasse. Dopo una settimana non poteva ancora allontanarsi di molto dalla
sua stanza. Il dolore continuava a perseguitarlo, ogni movimento del corpo
risuonava nelle braccia e nello sterno come un’eco.
Riusciva a parlare, lentamente e controllando il
fiato, mangiava quasi tutto, con attenzione e poteva stare in piedi o seduto
sempre più a lungo.
Ma aveva bisogno di lunghi periodi anche a letto o
seduto, movendosi il meno possibile e riposando.
Era insopportabile l’inattività.
Continuavano però gli incontri dell’Ordine della
Fenice.
Utilizzavano sempre lo studio di Silente, seduti
sulle sedie e sui tavoli.
Quel giorno oltre al Preside erano presenti Minerva
McGrannit, Malocchio Moody, Remus Lupin, Ninfadora Tonks, Kingsley Shacklebolt,
Emmeline Vance, Hestia Jones, Elphias Doge, Sturgis Podmore, Dedalus Lux, la
professoressa Caporal e il professor Piton. Tutti gli altri insegnati erano
impegnati nelle attività della scuola, ma erano in attesa delle decisioni che
il gruppo avrebbe preso con la loro piena approvazione.
Silente stava spiegando:
“Credo che le informazioni ottenute così duramente
da Severus ci permettano di circoscrivere il luogo del prossimo attacco
dell’esercito di Voldemort. L’obiettivo è colpire vicino a noi. Dato che
Hogwarts è inaccessibile, credo che Hogsmeade rappresenti il luogo più
significativo. Londra è un obiettivo inutile in questo momento. Non sono alla
ricerca di un obiettivo che li mostri a tutto il mondo, ma di un obiettivo che
gli permetta di colpirci al cuore. E’ corretto Severus?”
“Le indicazioni dell’Oscuro Signore erano chiare
fino a quando le ho potute sentire: colpire lei Preside, e quello che lei
rappresenta per il Ministero della Magia e per la scuola. Destabilizzarla.
Malfoy ha chiarito che non doveva essere colpito suo figlio o altri Serpeverde.
Hanno parlato di Hogsmeade e dei fine settimana degli allievi.”
“Impedire agli studenti di andarci?” chiese Lux
“Sarà il minimo.” affermò la Mc Grannit, “ma ci
saranno studenti che vorranno disubbidire e altri che andranno in panico.
Dobbiamo pensare a come motivare la scelta.”
”Credo che sia importante..” aggiunse Lupin
“ricordarsi che non ci sarà nessun attacco se non ci saranno studenti a
Hogsamde e quindi che, togliendo l’obiettivo, li costringiamo a cambiare i
piani e così non abbiamo alcuna indicazione di cosa potranno fare.”
“Non penserai di usare gli studenti come
bersagli?!?” esclamò sorpresa Emmeline Vance.
“Certo che no, Emmeline! Stavo pensando alle
conseguenze delle nostre decisioni.” replicò Lupin.
“Potremmo perdere il vantaggio e l’occasione per
vincere una battaglia. Non erano sicuri che fossi lì, non mi hanno visto, non
possono immaginare che siamo in loro attesa. Questo non possiamo dimenticarlo.”
sussurrò, ansimando per il dolore, Piton.
“Ma ti hanno ferito, Severus. Come puoi sapere che
non si sono resi conto della tua presenza e che puoi averli ascoltati?” chiese
Moody, con entrambi gli occhi fissi sul professore, tanta era l’interesse per
la risposta.
Anche Tonks e gli altri attendevano. Piton non aveva
raccontato a nessuno quanto era successo. Anche Silente lo immaginava, ma non
ne conosceva i particolari.
“Credo sia importante essere sicuri che non stiamo
lavorando su informazioni deviate da Voldemort e dai suoi, Severus.” Lo
incoraggiò il preside.
Raccontò lentamente il minimo indispensabile, senza
parlare di sè o del suo dolore, limitandosi ai fatti.
Era sicuro che si fossero accorti di lui solo
all’ingresso della grotta e Bellatrix era convinta che lui stesse arrivando.
Nessuno conosceva la sua seconda natura e non potevano sapere che era appena
stato cacciato fuori.
Tonks aveva i brividi lungo la schiena. Piton non
aveva parlato dei calci e erano state curate sono le feriti visibili. Quante ce
c’erano di invisibili, fisiche ed emotive, ancora da sanare?
Shacklebolt disse, nel silenzio generale: “Hai un
livello di sopportazione troppo elevato Severus. Dovresti arrabbiarti ogni
tanto… e mostrare le tue emozioni.”
“Se lo facessi semineri morte Kingsley. Non intendo
ritrovarmi ancora in quella situazione.” Il tono non era aggressivo, ma
rassegnato.
Il silenzio che seguì era come ghiaccio.
“Cosa facciamo?” chiese Lupin “Oltre ad una corretta
pozione ricostituente adatta a Severus, naturalmente. E’ nella mia stanza, poi
te la porto.” aggiunse rivolto al collega che annuì.
“Ok.” disse Podmore “Sappiamo dove attaccheranno,
non sappiamo quando esattamente, ma il giorno della gita degli allievi è quello
più probabile. Ma senza gli allievi questo non sarà possibile. Idee per
aggirare il problema?”
“Gli allievi del settimo anno? Sono maggiorenni,
possono scegliere.” propose Moody.
“Non se ne parla. Siamo noi responsabili per loro.
No. Per nessun motivo.” sentenziò la professoressa McGrannit rigidamente.
“Quando sarà la prossima uscita?”chiese Doge.
“Tra due settimane.” informò Piton
“Potremmo informare gli studenti che vista la grave
situazione non è possibile garantire la sicurezza per tutti a Hogsmeade per
cui, in previsione del Natale, ogni Casa vi si recherà separatamente dalle
altre, in quattro fine settimana consecutivi, accompagnati da un servizio di sicurezza
garantito dagli Auror e dagli insegnanti. Cominceremo con la Casa dei
Serpeverde che non sarà certamente aggredita vista la forte presenza di figli
di seguaci di Voldemort.” propose Silente.
Aggiunse: “Faremo questo il primo fine settimana e
ci prepareremo al successivo per un’altra Casa. Griffondoro direi, per
aumentare la possibilità di un attacco verso Harry Potter. Ci organizzeremo
fino alla partenza. Poi, solo all’ultimo momento, raduneremo tutti nella Sala
Comune, per motivi di sicurezza e invieremo, al loro posto, un gruppo ristretto
di Auror con le divise della Casa prescelta. Ci sarà comunque la preparazione
all’attacco. Dovremo sorvegliare molto bene Hogsmeade nei giorni precedenti con
l’aiuto dei residenti e individuare i punti possibili dell’attacco. Poi dovremo
aspettare la loro mossa.”
Ne discussero a lungo tutti insieme, ridefinendo i
particolari, ma era una strategia che tutti approvavano. Individuarono altre
persone da coinvolgere (i fratelli Weasley più grandi ad esempio e altri ex-allievi
che avevano manifestato la loro simpatia e collaborazione a Silente) e si
divisero i compiti per definire i tempi, le modalità, il materiale necessario e
i mezzi di comunicazione.
Gli Auror dimostrarono tutta l’efficienza del loro
addestramento elaborando un piano di controllo e di azione molto minuzioso nei
compiti e nell’organizzazione.
Tutto era stato organizzato e fu sperimentato
durante la prima uscita dei Serpeverde. Naturalmente non attaccò nessuno. Ma il
gruppo degli Auror riuscì ad individuare i punti di sorveglianza, di accesso,
di fuga.
Il lavoro fu fatto in gruppo, velocemente,
efficacemente.
Senza alcuna conseguenza.
La settimana successiva Piton riprese le lezioni,
nonostante il parere negativo del guaritore di San Mungo che l’aveva visitato e
che riteneva troppo affrettato il rientro.
Piton aveva ascoltato, ma poi aveva preso la decisione opposta.
Tonks se lo vide arrivare. Appariva dimagrito e
provato, ma camminava rigido e severo come sempre.
Gli sorrise. Da quando se n’era andato non avevano
più parlato dello sconto nell’aula e si ritrovavano lì.
“Credevo sarebbe rimasto ancora fermo con
l’insegnamento…”
“Hai consultato il guaritore a mia insaputa? Ho
deciso che sarebbe stato meglio per tutti che io rientrassi a dare una parvenza
di competenza a questi ragazzini.”
Arrivò alla cattedra e si sedette aprendo un libro.
Tonks aveva un solo pensiero in testa: fagli
chiedere scusa per lo schiaffo che aveva rischiato di darle.
“Come le sembra l’aula? In ordine?”
Piton si guardò attorno, poi annuì.
“Non ho rotto quasi nulla in questo periodo, dopo le
provette dell’ultima volta.”
Silenzio
“Le ho anche sostituite. Sa con gli oggetti è
possibile farlo.”
Silenzio. Tonks continuava indifferente a spostare
contenitori, sacchetti, bottigliette facendo, a suo modo, ordine negli
scaffali.
“Certo, i sentimenti sono un’altra cosa. Li
conosce?”
Silenzio
“Beh, per capirci: sono quelle sensazioni che uno
prova quando sta insieme ad altre persone. Possono essere anche positive, a
volte. Certo non è facile controllale, perché scappano da ogni parte. A volte
non sappiamo neppure dargli un nome, tanto sono complicate. Per esempio mi è
capitato di desiderare di picchiare un uomo, una volta… sa l’avrei steso, in
effetti …, ma poi mi sono chiesta come ci sarebbe rimasto, così a terra,
battuto da una donna… così ho deciso di fare proprio la donna. Mi è piaciuto.
Non ho più saputo cosa ne pensasse lui della mia scelta. Chissà se anche gli
uomini provano le stesse sensazioni.”
“Forse quando parli e agisci senza che ti venga
chiesto, Ninfadora, provochi rabbia più che gentilezza. E quando uno si arrabbia reagisce.”
“Beh certo, è naturale. E cosa mi dice della sua
reazione?”
Silenzio.
Un sibilo sottovoce: “Non lo avrei fatto, Ninfadora.
Non lo ho mai fatto a persone come te. So cosa si prova. Non lo rifarei ad
altri. Anche se mi fanno esasperare.”
“Certo che se spiegasse come si sente forse chi le
sta accanto potrebbe non esasperarla.”
“Come mi sento?” chiese lui di rimando
“Frustrato, arrabbiato, deluso, preoccupato?”
Piton capì che comunicava bene anche senza parlare:
“E allora a cosa serve che te lo dica, se lo sai?” Chiuse il libro mentre
entravano gli allievi.
Quell’uomo era impossibile. Perché continuava a
cercare lo scontro?! E cosa voleva dire “come te”?
L’attesa per l’uscita dei Griffondoro era altissima
tra gli insegnanti e l’Ordine della Fenice.
La richiesta dell’E.S. di poter avere un qualche
ruolo nella battaglia che si prospettava (avevano orecchie ovunque i ragazzi…)
era stata cortesemente rifiutata dal Preside.
Mentre Lupin e Piton si assicurarono di chiudere il
passaggio dal Platano Picchiatore alla Stamberga Strillante, era stato ancora
Remus a fare da mediatore con Severus, per convincerlo a non mettersi in mezzo.
Ancora non riusciva a stare tutta una giornata in piedi e attivo, sicuramente
non poteva prendere parte in alcun modo allo scontro, neppure insieme a Madama
Chips, che nel negozio di Mielandia aveva organizzato una base medica insieme
ad un guaritore di San Mungo, membro dell’Ordine.
Piton di era arrabbiato parecchio e entrambi avevano
alzato la voce, ma quando questo aveva costretto Piton per il dolore a crollare
su una sedia, cercando di controllare il proprio respiro, Lupin si era limitato
a stare in silenzio, aspettando che Severus riconoscesse i limiti del proprio
corpo.
Tonks era preoccupata e pronta all’azione. Sentiva
crescere la tensione dell’attesa, che aveva imparato a conoscere negli anni.
Desiderava dare il meglio, sentiva di essere al meglio. L’esperienza,
pesantissima, dello scontro al Ministero della Magia non aveva aumentato la
paura, ma il desiderio di rivincita.
Si sentiva sempre più un soldato in queste
occasioni.
Il fatto che Piton sarebbe rimasto a Hogwarts la
rassicurava. Sapeva che niente poteva essere peggio che affrontare in nemico da
solo, nel suo territorio, ma preferiva sapere che si tormentava dalla
frustrazione e dalla rabbia, piuttosto che rischiare la vita scontrandosi
direttamente con i Mangiamorte, insieme a loro.
Tutti erano al massimo della tensione la mattina dell’uscita.
Mentre Minerva McGrannit teneva sotto controllo gli
allievi della sua casa, nell’ingresso come se dovessero uscire a minuti, il
resto dei professori si era occupato di radunare tutte le altre case,
controllando che tutti fossero presenti.
Quando mancavano pochi minuti alla partenza i
Griffondoro videro il resto della scuola, tutte le Case al completo,
raggiungerli vicino all’uscita, controllati da tutti gli insegnanti.
In mezzo al brusio di sorpresa generale Silente
prese la parola:
“Mi spiace di dovevi informare che non sarà
possibile la gita a Hogsmeade in quanto è arrivata notizia di un possibile
attacco. Dobbiamo rinviare. Rimarrete qui sotto la protezione degli
insegnanti.”
Si scatenò il finimondo. Mentre tutti gli insegnanti
si occupavano di tenere sotto controllo la situazione, Piton cercò di
individuare, nel gruppo Potter e gli amici, per vedere cosa facessero.
Anche a Hogsmeade tutto era pronto. Tonks era vicina
al negozio di Mielalandia e osservava attivare un gruppo di ex-allievi vestiti
con i colori del Griffondoro.
Il gruppo del finto Griffondoro cercava di
dimostrarsi il più possibile affiatato e allegro. Molti di loro non si vedevano
dalla scuola e riuscivano con molta naturalezza a dimostrare interesse e
curiosità reciproca e a muoversi con sicurezza lungo il paese. Ma tutti avevano
una parte del cervello concentrata sul dialogo e l’altra attenta ad ogni
possibile movimento sospetto. In particolare, uno di loro, tenuto per sicurezza
all’interno del gruppo, aveva capelli neri e la stessa altezza di Potter.
Vicino si muoveva Bill Weasley il più somigliante a Ron e una ragazza della
casa di Tassorosso con dei voluminosi capelli castani.
Mentre decidevano se entrare o meno nel negozio una violenta esplosione arrivò dalla loro destra,
illuminando tutta la zona.
Mentre gli sguardi si giravano in quella direzione,
dalla parte opposta, dall’interno di una casa apparentemente chiusa, uscì un
numero sempre maggiore di Mangiamorte.
Il finto gruppo di Griffondoro sguainò le bacchette
e si schierò pronto alla battaglia, mentre gli Auror, richiamati da un grido di
Emmeline Vance, convergeva verso lo stesso punto.
In pochi secondi uscirono lampi di luce da ogni
bacchetta, mentre i due schieramenti si ricomponevano e cercavano di
fronteggiarsi, valutando le forze dell’avversario.
Dalla casa continuavano però ad uscire Mangiamorte,
senza alcuna interruzione.
“Blocchiamoli!” urlò Lupin. “Sturgis, vieni con me!
Charlie, Willy, Rose… fate scudo!!”
Mentre gli ex-allievi chiamati da Lupin si
toglievano dal gruppo e proteggevano gli Auror con una serie di incantesimi
distraenti, Remus e Podmore si lanciarono verso la casa.
Elphias e altri due Auror concentrarono le forze
verso l’ingresso della casa, bloccando l’uscita dei Mangiamorte, costretti a
proteggersi e quindi a rallentare notevolmente la loro irruenza.
Lupin e Podmore crearono una barriera di massi
vicino alla porta, bloccandola e, agendo dalle finestre, bloccarono
parzialmente o totalmente tutti i Mangiamorte all’interno della casa, togliendo
loro le bacchette e creando corde che li tenessero fermi.
In realtà ne erano rimasti molto pochi e riuscirono
ad arrestare definitivamente il loro ingresso nel paese.
Lupin aveva intravisto Lucius, Bellatrix e Goyle
nella mischia e molti altri dei quali non ricordava il nome.
Sulla strada intanto c’erano i primi caduti delle
due parti.
Mentre però l’Ordine della Fenice continuava a
portare i propri feriti da Madama Rosmerta dalla parte dei Mangiamorte nessuno
di occupava dei feriti, lasciandoli per strada.
Tonks aveva notato Bellatrix e altri spostarsi
lontano dal negozio e li aveva seguiti insieme ad altri.
La battaglia si stava infuocando. Era difficile
mantenere l’attenzione su tutti, ma la sorpresa giocava a loro favore.
Circondata da Kingsley, Emmeline, Charlie Weasley e
un’altra ex-allieva (sempre vicina a Charlie, notò Tonks) si diresse verso il
gruppo dei fedelissimi di Voldemort, al centro della battaglia.
Per ognuno di loro c’era ancora un Mangiamorte
pronto ad abbatterli. Non venivano risparmiati incantesimi da nessuna delle due
parti. Le urla erano molto forti e i colori si incendiavano da ogni parte.
Tonks era alle prese con un uomo sfregiato (aveva sentito qualcuno chiamarlo
Adam), ma non sapeva di chi si trattasse.
Era riuscita a metterlo ad un angolo della casa,
movendosi con rabbia e agilità tra i suoi incantesimi. Quando, con un colpo ben
centrato, lo costrinse a terra, dolorante e con un braccio rotto, si girò verso
il resto del suo piccolo gruppetto. La ragazza e Charlie stavano avendo la
meglio contro un omone enorme, mentre Kingsley e Emmeline cercavano di schivare
la rabbia di Bellatrix, che sembrava fuori di sé.
Per caso si incrociarono i loro sguardi e sua zia la
fissò, spalancando gli occhi.
Tonks rimase immobile, colpita dalla somiglianza con
la madre: non se la aspettava, non in quel momento.
Bellatrix lanciò un violento attacco a Tonks,
pronunciando un Crucio interrotto a metà da Kingsley che deviò il colpo verso
il basso, ma Tonks fu raggiunta da un lampo della bacchetta di Bellatrix.
Sentì bruciare al fianco sinistro come se una spada
infuocata l’avesse colpita. Si sentì crollare a terra, senza fiato, senza voce.
Emmeline le arrivò accanto immediatamente, mentre
Kingsley continuava la battaglia contro Bellatrix, raggiunto da Lupin e da molti
altri.
Vance la chiamò ripetutamente, a voce alta, fino a
quando Tonks riaprì improvvisamente gli occhi, terrorizzata. Cercò di alzarsi,
ma crollò a terra stringendosi il fianco.
Lupin le guardò da poco distante. Emmeline gli fece
cenno che avrebbe portato Tonks al negozio da Madama Chips.
La fece alzare, tenendola quasi di peso contro si sé
e aiutandosi con un incantesimo “Mobili Corpus” iniziò a dirigersi dalla parte
opposta rispetto al gruppo.
Lupin vide arrivare da lontano Dean Thomas e Luna
Lovegood. Accidenti a loro! Non potevano starsene tranquilli! Dovevano arrivare
anche loro. E se c’erano loro doveva esserci anche Harry. Piton non aveva
segnalato nulla. Come potevano essergli sfuggiti?
Decise di tornare indietro, da Madama Rosmerta per
avvisare Silente.
Si materializzò nel negozio vide Piton entrare dal
retro.
“Cosa fai qui?”
“Ho trovato i ragazzi dell’E.S. che controllavano
una entrata che non conoscevamo per Hogsmade. Harry e altri cinque sono qui.”
“Ho visto Dean e Luna. Volevo avvisare Silente.”
“Ho già mandato due ragazzi ad avvisarlo con la
professoressa McGrannit che era con me.”
“Sta arrivando Tonks, E’ ferita. Pensaci tu.”
E Lupin si smaterializzò, ritornando nel pieno della
battaglia a fianco dei compagni.
Non poteva essere vero, non di nuovo, non lei. Fu il
primo pensiero che fece, immediato, incontrollato.
Vide entrare Emmeline, la vide chiamare la
guaritrice e affidarle Tonks per uscire di nuovo, verso la battaglia.
Non aveva mai avuto tanta paura per qualcun altro.
Aveva paura anche solo di vedere come stava.
Piton si avvicinò alla guaritrice e vide Tonks,
distesa a terra con gli occhi chiusi e il respiro accelerato. La divisa era
strappata lungo il fianco sinistro e si vedeva una lunga e profonda linea rossa
sulla pelle.
“Un attacco riuscito a metà grazie all’intervento di
Kingsley” lo informò.
Piton si inginocchio a terra, a fianco della sua
collaboratrice, guardando la ferita con gli occhi socchiusi.
“Come sta?”
“Sicuramente non in pericolo di vita, ma non può
tornare a combattere.” La guaritrice affidò l’Auror a Piton e andò ad occuparsi
di Susan che stava entrando in braccio a Neville.
“Hanno bisogno di me, mettetemi in piedi!” chiese
Tonks con la voce rotta
“Non se ne parla, ragazza!” esclamò Piton “Rimani
qui. Distesa. E non ci sono obiezioni.”
Tonks lo guardò irritata. Cosa accidenti voleva?
Decidere per lei?
“Non sono una vostra allieva! Penso io per me.”
“Non sei nelle condizioni di pensare per te. Sei
stata schiantata a terra. Sei probabilmente svenuta. Hai bisogno di riprenderti,
non di costringere gli altri ad aiutarti a sopravvivere lì fuori!”
Accidenti a quella specie di uomo! Sapeva essere
irritante, indisponente e dittatoriale. Tonks tentò di alzarsi, appoggiandosi
sulle mani, ma non riuscì a sorreggersi e crollò all’indietro.
Si senti prendere da Piton che le circondò le spalle
con un braccio portandola verso di sé. La tenne stretta mentre tentava
nuovamente ad alzarsi.
“Smettila Ninfadora. Stai male, fermati.” Il tono
era diventato più sommesso, quasi gentile.
Tonks si lasciò andare contro il Professore. Si rese
conto che si era irrigidito. Anche lui doveva sentire ancora molto dolore per
le sue ferite, eppure non la lasciava. Lei si sentiva in realtà esausta e la
ferita bruciava dannatamente. Le girava la testa, respirava male e il cuore
batteva accelerato. Stava per svenire. Sapeva che le conseguenze di quello che
aveva ricevuto l’avrebbero costretta a letto per giorni, ma le sembrava di
abbandonare gli amici.
“Ti capisco, è difficile doverne stare fuori. Ma è
necessario in alcuni momenti, per non compromettere tutto.”
Le accarezzo leggermente la fronte con la mano
destra, poi la appoggiò nuovamente a terra. Prese delle garze imbevute di una
pozione medica e la appoggiò sulla ferita, dandole sollievo. Tonks chiuse gli occhi,
piangendo per la frustrazione. Piton la osservò, inerme, sentendosi inutile,
anche per lei.
I pochi feriti che arrivavano portavano informazioni
di vittoria imminente.
Susan e Neville erano già stati curati e rinviati a
Hogwarts.
Piton rimase a fianco di Tonks per tutto il tempo,
mettendole costantemente la pozione, senza parlare.
Lei tenne gli occhi chiusi per la maggior parte del
tempo.
Perché non aveva reagito di fronte a Bellatrix?
Perché si era fatta prendere in contropiede?
Doveva capirlo, doveva parlarne con il suo
istruttore e capirlo.
Improvvisamente apparve Silente, con lo sguardo
preoccupato. Attraversò la stanza e uscì silenziosamente. Andava sicuramente a
proteggere il piccolo Potter, pensò Piton.
Si rese conto, all’improvviso, che le mani di
Severus la accarezzavano lievemente mentre le metteva le garze. Lo guardò. Lui
stava osservando la porta del negozio, sembrava perso in altri pensieri. Lo
stava facendo inconsapevolmente.
Mise la propria mano sulla sua. Piton trasalì,
guardandola.
“Vai fuori e dimmi cosa accade.”
Lui tolse la mano dalla sua, le accarezzò la fronte
e uscì.
Rientrò poco dopo, chiaramente sollevato,
accompagnando Dean perché fosse medicato.
“Stanno rientrando.” le disse “È finita. Sono
sconfitti. Saranno riportati in prigione tutti quelli che non sono fuggiti.”
Quasi le sorrise. Tonks sospirò.
Si chinò nuovamente su di lei e l’aiutò ad alzarsi,
tenendole un braccio attorno alla vita. Tonks allungò il suo sulla spalla del
Professore, lasciandosi quasi andare di peso, non trovando la forza per
sorreggersi.
Mentre tutti rientravano per ritornare a Hagwarts,
Piton lentamente la accompagnò fino
alla sua stanza, lasciandola nelle mani della Professoressa McGrannit, in
attesa di Madama Chips, per andare ad aiutare il resto dei professori a
tranquillizzare la scuola.
Alla sera tornò a trovarla.
La scuola stava lentamente ritornando alla solita
quotidianità. C’erano solo i signori Weasley e i gemelli a creare un po’ di
subbuglio tra i Griffondoro. Erano arrivati a vedere come stava il resto della
famiglia, lasciando Percy di sorveglianza al Ministero.
Kinglsey era di fianco al suo letto, seduto in
quella improbabile poltrona con i girasoli.
Aveva davanti a sé un vassoio con la cena. Era vuoto
ormai.
Dalla porta li vide chiacchierare, ridendo. Stavano
parlando di ricordi comuni, del loro lavoro di Auror.
Erano felici e rilassati.
Rimase a lungo dietro la porta ascoltando le loro
voci e domandandosi perché lui si era sempre trovato al di fuori di situazioni
come quelle.
Nessuno ricordo comune da condividere, nessuna
risata, nessuna ragazza che avesse trascorso con lui un periodo di tempo
sufficiente per poter parlare di amicizia o di una relazione.
Alla fine, la ragazza con la quale aveva trascorso
più tempo e condiviso più ricordi ed emozioni era quel piccolo Auror lì dentro.
Rimase con le spalle contro il muro, immobile,
concentrato sul proprio respiro, per non perdersi nei suoi pensieri.
Si mosse solo quando sentì Kinsley dire:
“Dovrebbe arrivare Piton, ma forse è impegnato a
controllare gli studenti. Stasera c’era parecchio caos. Adesso vado a mangiare
qualcosa e poi esco. Domani ti racconto?”
Tonks rise.
“Per favore, lasciami fuori dalle tu sconclusionate
conquiste!”
“Come va la tua?” chiese gentilmente lui
“Non so neppure cosa sia… a volte vorrei scuoterlo e
chiedergli se mi vede, altre volte sembra quasi gentile o addirittura dolce…,
ma mi piace, nonostante tutto.”
Severus strinse la mano su braccio. Sentirla parlare
dei suoi sentimenti per altri uomini lo irritava.
Irritarsi per una donna, lui?
Ma cosa stava accadendo?
Entrò a passo marziale nella stanza.
Kingsley lo accolse con un sorriso.
“Grazie per essere arrivato. Sta meglio,
decisamente. Adesso vado.”
Salutò con la mano Tonks e uscì.
Piton si guardò attorno.
“C’è solo la poltrona con i girasoli, ma la
autorizzo a cambiare la stoffa se lo desidera.”
Era quasi seduta sul letto, appoggiata ai cuscini.
Gli indicava la poltrona con un largo sorriso.
Piton con uno sguardo rassegnato si mise seduto.
“Come stai, Ninfadora?”
“Molto meglio, grazie. Credevo di metterci molto più
tempo a riprendermi… o forse sono ancora piena di adrenalina…”
Rimasero in silenzio per parecchi secondi.
Tonks aveva spesso ripensato al fatto che non
avrebbe picchiato una persona come lei, ma non era arrivata a nessuna
conclusione. Era solo diventato più forte il desiderio di parlaci insieme, di
capirlo, di sentirsi accarezzare, di … coccolarlo?! Involontariamente cominciò
a ridere. Non era possibile, eppure si sentiva così attratta da lui!
Piton la guardò.
“Cosa c’è da ridere?”
Oh, accidente, pensò Tonks, cosa aveva da perderci?
“Prima Kingsley parlava delle sue conquiste e mi ha
chiesto come andava con l’uomo che mi piace… adesso pensavo che coccolarlo
sarebbe assurdo… A voi uomini come piace essere trattati?”
Piton passò dall’irritazione alla confusione.
“Non credo di essere il più adatto per questi
consigli. Dovresti chiedere a uno della tua età.” Era su un terreno minato,
adesso.
“Già fatto. Anche a Lupin, ma mi hanno detto di
essere me stessa. Non è servito a molto finora.”
“A Remus?” Un lupo mannaro esperto di donne gli
pareva strano, molto strano.
Tonks annuì. E adesso cosa poteva fare lei?
Dichiararsi?
“Beh, avevo bisogno di sapere cosa pensava uno della
stessa età.”
“Della stessa età di chi?” chiese stupito Piton.
No, troppo rischioso.
“Cosa intendeva dire con la frase che non lo avrebbe
mai fatto ad una come me?”
Piton rimase interdetto dal cambio di argomento. Poi
si ricordò della frase che gli era sfuggita prima della lezione.
Prese un gran respiro e disse: “Solo che non avrei
mai fatto del male a persone… significative.” Lo disse senza guardarla.
“Oh…” disse Tonks. Era significativa. Grandioso.
“Non riesco a capire.” aggiunse.
Piton cercò le parole migliori per rendere l’idea il
più impersonale possibile.
“Sei una persona importante per l’Ordine, per quello
che stiamo facendo.”
Tonks si stava irritando. Si sentiva presa in giro.
Si irrigidì e sbottò:
“Questo lo potrebbe dire il Ministro della Magia
dandomi un buffetto sulla guancia! Sono mesi che lavoriamo insieme, che
collaboriamo, l’ho affiancata e assistita nonostante i commenti acidi, ho
cercato di … capirti quando eri arrabbiato, ho cercato di non soffrire troppo
quando stavi soffrendo, ho desiderato sentirti vicino a me e sono
significativa? Secondo te chi altro ha l’età di Remus in questa scuola?”
Piton pensò all’impossibile. No, non era lui. Non
poteva essere lui.
La guardò. Aveva gli occhi spalancati, le mani
strette sulle lenzuola. Era arrabbiata.
“Perché io?” Era la frase più stupida, ma quella
riuscì a dire.
“Non lo so. Ti trovo insopportabile da quando ero a
scuola, ma è successo. Anche se parlare con te è come parlare con un pezzo di
ghiaccio!”
“Sono fatto di ghiaccio, Ninfadora.”
“Beh, accidenti a te, sciogliti un po’!”
“Non ce la faccio.”
“Severus, io… ho visto qualcosa che non esiste?” la
voce di Tonks si stava incrinando.
“No. Hai visto giusto. E il consiglio che ti hanno
dato era giusto. E hai colpito il cuore e la mente in pieno. Ma non ce la
faccio. Non c’è un futuro per me e quindi non c’è per noi.”
Dal sole alla notte. Dalla luce al buio più
profondo. Per entrambi.
Piton si alzò e andò verso la porta. Si sentiva
sfinito. Sentiva il bisogno di lei tanto forte da stare male e non sapeva cosa
fare. Aveva toccato la felicità e non l’aveva afferrata. Oppure stava salvando
lei e se stesso da… se stesso?
Quando arrivò di fronte alla porta si fermò e chinò
il capo, immobile. Cosa poteva fare? Non poteva lasciarla andare così, non
poteva perdere questo raggio di sole.
“Se ho colpito perché ti allontani? Lasciami provare
a… convincerti che puoi farlo. Stare in due e non da solo.” gli disse Tonks.
Era stato rifiutato e allontanato così tante volte.
Cosa poteva accadere di diverso da solito? Sapeva cosa lo aspettava, al peggio.
Chissà se … sarebbe riuscito a farsi illuminare da
un po’ di luce.
Si girò a guardarla. Lei aveva lo sguardo
interrogativo, non capiva perché se ne stava andando.
Ritornò verso il letto, tenendo lo sguardo su di
lei.
Lentamente, per poter vedere la sua reazione, si
avvicinò, appoggiò le mani al lato delle sue e si chinò.
Sul volto di Tonks si allargò lentamente un sorriso.
“Ero stanca di aspettare.” gli disse.
Piton rispose con uno sguardo ironico, ma lo prese
come un incoraggiamento.
Si chinò fino a sfiorarle il volto con i suoi
capelli, mentre lei allungava le mani ad accarezzargli la barba che stava
crescendo sulle guance. Sentì il calore delle sue mani. Si guardarono, senza
parlare per parecchi secondi, immobili. Poi lui appoggiò dolcemente le sue
labbra su quelle di lei. Lei aprì leggermente la bocca. Stava ancora sorridendo
la ragazzina.
Questo presente sarebbe stato un dolce passato da
ricordare.
E forse, col tempo, avrebbe potuto pensare anche di
avere un domani.
Ma per ora il presente, un lungo intenso presente,
era tutto quello che desiderava.