Act III

di Signorina Granger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eltanin & Aiden ***
Capitolo 2: *** Markus & Berenike ***
Capitolo 3: *** Lucas & Kristal ***
Capitolo 4: *** James & Veronica ***
Capitolo 5: *** Delilah & Nathaniel ***



Capitolo 1
*** Eltanin & Aiden ***


Eltanin & Aiden          
 

 
Eltanin Black IMG_4929 e Aiden Burke IMG_4931




Quando si svegliò, la prima cosa che Eltanin Black fece fu rigirarsi su un fianco sul materasso per lanciare un’occhiata alla sveglia che teneva sul comodino, rendendosi conto con disappunto che non era affatto mattina, ma notte fonda. 

Eppure lei non si svegliava mai nel cuore della notte. 
Ci mise solo pochi secondi ad individuare ciò che aveva interrotto il suo sonno, ossia un lieve rumore di passi fuori dalla sua camera, nel corridoio. Ed era abbastanza sicura di essersi svegliata perché aveva sentito qualcosa cadere poco prima. 

Di norma si sarebbe girata dall’altra parte e avrebbe continuato a dormire, ma quella sera era praticamente da sola in casa, visto che suo padre molto probabilmente era ancora fuori e anche i suoi fratelli. E da qualche tempo stare tranquilli era diventato sempre più difficile. 

Scostò le coperte, alzandosi dal letto senza far rumore e allungando una mano verso il comodino per prendere la sua bacchetta prima di avvicinarsi alla porta, aprendola silenziosamente. 
La ragazza si guardò intorno prima di uscire nel corridoio, seguendo la direzione dei passi che aveva sentito poco prima, avvicinandosi così alle scale. 

L’ex Corvonero si sporse leggermente oltre la ringhiera per vedere se ci fosse qualcuno sulle scale, ma non scorgendo nessuno si affrettò a scendere il più piano possibile, tendendo le orecchie per sentire anche il minimo rumore.   
Mentre scendeva i gradini si disse che forse non era una grande idea, che magari avrebbe dovuto andare a controllare in camera di sua madre… forse era solo suo padre che era tornato a casa, ma quello non era decisamente il suo passo. 
 
Scorgendo distintamente una lieve luce in un corridoio Eltanin esitò, non sapendo cosa fare prima di avvicinarsi al muro e maledicendo mentalmente i suoi fratelli: proprio quella sera dovevano essere fuori? Se ci fossero stati sarebbe già corsa in camera di Elnath per implorarlo di andare a controllare se ci fosse qualcuno in casa per poi incollarglisi addosso peggio di un koala con la sua mamma. 
  
Andiamo El, non fare la fifona!  
  

La giovane strega, sentendo che i passi si stavano avvicinando proprio nella sua direzione, respirò profondamente prima di sporgersi con la bacchetta in una mano e nell’altra il pesante candeliere d’argento che aveva appena preso dalla cassettiera lì accanto.  

Fortunatamente prima di scagliare un qualche incantesimo realizzò CHI si stesse trovando davanti, incontrando così la familiare espressione scettica di sua madre, che le stava davanti con le braccia conserte, in vestaglia e la bacchetta in mano:

“Avevi intenzione di tramortire il Mangiamorte che pensavi fossi con un candeliere, El?” 
“MAMMA? Che ci fai in giro alle tre, mi hai spaventata!” 

Eltanin sospirò, abbassando immediatamente il braccio mentre la madre sbuffava, prendendole il candeliere dalle mani per metterlo a posto:

“Io? Tu stavi per uccidermi, come la mettiamo? Perché ti sei alzata?” 
“Ti ho sentita… E tu? Perché sei ancora in giro a quest’ora? Stai aspettando papà alzata, vero?” 
 
Le labbra di Eltanin si inclinarono in un sorriso, parlando quasi con aria divertita mentre invece la madre rimase impassibile, limitandosi ad osservarla con aria annoiata:
   
“No, volevo bere un bicchiere d’acqua.” 
“Hai sempre la brocca sul comodino, bugiarda.” 

“Non parlare così a tua madre! Vai a letto.” 
“Mamma non sono più una bambina, ho diciannove anni!” 
“Vai a letto comunque.” 
 
Di fronte al tono fermo e leggermente seccato della madre Eltanin roteò gli occhi, annuendo prima di sorriderle di nuovo, sapendo che non avrebbe mai ammesso che non dormiva quasi per niente da quando il padre aveva cominciato a fare il doppio dei turni notturni.  
 
“Va bene… salutami papà, visto che sappiamo tutte e due che lo aspetti sempre sveglia perché non riesci a dormire quando è fuori.” 
“Sposati un Auror, poi ne riparliamo.”   

“Sì, lo capisco, Markus è ancora all’Accademia ma Berenike già si preoccupa…” 
“El, vai a dormire!”  



*

 
 Maggio 1972

  
Aiden Burke si guardava intorno con aria quasi annoiata, chiedendosi quanto ci sarebbe voluto per cominciare: i matrimoni erano sempre estremamente lunghi, quando poi si trattava di quelli tra due Purosangue si prolungavano parecchio visto il gran numero di invitati. 
La cerimonia doveva ancora iniziare ma gli invitati avevano già preso posto sulle sedie bianche disposte sul prato, sotto alla grandissima tenda bianca che occupava una buona porzione del parco della residenza.  

Gli occhi chiari di Aiden si posarono sullo sposo, già fermo davanti all’altare, e poi sul ragazzo biondo che gli stava accanto e con cui stava parlando, suo “cognato” Elnath.
Edward Shafiq stava per sposarsi, eppure aveva solo tre anni più di lui, 23… del resto però quasi tutti nella loro società si sposavano molto presto. Specialmente in quel periodo. 
 
Sentendo una voce decisamente familiare il ragazzo si voltò, sorridendo quasi senza volerlo nel scorgere una ragazza dai capelli scuri e con un vestito color corallo addosso camminare sul tappeto bianco che di lì a poco sarebbe stato attraversato da sua sorella, dispensando sorrisi e saluti a destra e a sinistra tra gli invitati.  
Eltanin si era fermata un paio di file più indietro per salutare le cugine Berenike e Libra con i rispettivi fidanzati, ma quando lo vide gli sorrise, congedandosi per raggiungerlo e prendere posto accanto a lui, in prima fila.  
 
“Eccoti… Sei riuscito a trovare il tuo posto in mezzo a questa miriade di sedie, complimenti.”  
“Lascia perdere, stavo per dare vita ad una rissa con quella rompiscatole dell’organizzatrice, che non credeva che il posto fosse in prima fila, dove si siede la famiglia.” 

“Ma tu sei praticamente di famiglia! Lei hai detto che stai con me?” 
“Certo, ma non ci voleva credere! Lasciamo perdere… sei bellissima, comunque. Tua sorella è nervosa?” 

“No, felicissima… mio padre invece negli ultimi due giorni si aggira per casa come in trance, mormorando cose come “la mia bambina si sposa” ogni volta in cui mette gli occhi su Elly.”   

Eltanin si strinse nelle spalle, facendo sorridere il fidanzato. 
Poco dopo i due vennero raggiunti anche dalla madre della ragazza, che prese posto accanto alla figlia minore. 
  
“Ciao mamma! Avete risolto il problema del velo?” 
“Sì, e abbiamo anche trovato i petali che Selene deve spargere… Ora forse potrò mettermi comoda e rilassarmi, organizzare questo matrimonio è stato più stressante dei mesi di gravidanza, in pratica.” 

“Non me ne parlare mamma, siamo piani di matrimoni… Oggi si sposa Elly, a Settembre si sposano Libra e Robert e a Giugno dell’anno prossimo Elnath e Danae!” 

Aiden sgranò gli occhi quasi con orrore al pensiero di tutti i lunghissimi matrimoni che lo aspettavano in futuro vista la grande quantità di cugine che la fidanzata aveva. Matrimoni in cui avrebbe dovuto sentirsi porre la domanda “E voi, quando vi sposerete?” almeno cento volte. 


“Ti sei scordata di Bella e Rodolphus Lestrange!” 
 
Oh no
 
“Hai ragione! E se ci dessimo malate?”  
“Potremmo farlo!” 
“Ma sì, tanto quei due si sposano per convenienza, non gliene fregherà niente se manchiamo!” 

“Signora Black, io mi aggrego alla sua idea!”  


*


Un anno dopo


Eltanin entrò in casa praticamente di corsa, con un enorme sorriso stampato sul volto e rischiando quasi di travolgere l’elfa che era andata ad accoglierla:

“Nelly! Dov’è mia madre?” 
“In Sala da Pranzo signorina Eltanin…” 

“Grazie!” 

La ragazza superò l’elfa, così felice che forse si sarebbe anche fermata per abbracciarla se non avesse avuto tanta fretta di trovare sua madre.

Elizabeth era effettivamente nella sala da pranzo più piccola che usavano tutti i giorni, seduta al grande tavolo di mogano in compagnia di Electra, che sfoggiava un considerevole pancione, e di Danae Rosier. 

“Ragazze! Scusate il ritardo…” 
“Ah, eccoti… stiamo scegliendo i fiori, ci dai un parere?”  

Elizabeth si voltò, rivolgendo un’occhiata curiosa alla figlia minore mentre la ragazza annuiva senza smettere di sorridere, quasi saltellando sul posto:
  
“Certo… e presto dovrete darmene uno anche voi!” 

Le tre ammutolirono simultaneamente, guardandola senza proferire parola… o almeno finché Eltanin sollevò la mano sinistra, mostrandola a madre, sorella e futura cognata:

“Mi ha chiesto di sposarlo!” 


*

 
Settembre 1973


“Se avessi saputo che nel giro di un anno e mezzo tutti i miei ragazzi si sarebbero sposati… Non mi sembra vero.” 

Eltanin sorrise mentre abbracciava sua madre, vestita, truccata e pettinata e pronta per sposarsi. 

“Neanche a me mamma.” 
“Liz, ti stai per caso commuovendo?” 

“Stai zitto Altair! Dev’essere la mia allergia al polline.” 
“Abbiamo festeggiato tre mesi fa le Nozze d’Argento e non ti ho mai sentito accennare ad una qualche allergia, in 25 anni.” 

Altair roteò gli occhi, guadagnandosi un’occhiata torva da parte della moglie mentre scioglieva l’abbraccio con la figlia, sorridendole prima di rivolgersi alla nipote che era in piedi accanto a loro:

“Ok Selene… sei pronta?”  
“Certo zia! Ormai sono esperta.”  
 
“Non hai tutti i torti, è la quinta volta in due anni… tieni i tuoi petali.” 

Lizzy sorrise alla nipotina di otto anni, porgendole il piccolo cestino mentre la bambina sorrideva, dicendo ad Eltanin quanto fosse bella mentre Elnath, che teneva la piccola Alhena in braccio, si rivolgeva nervosamente alla sorella gemella, in piedi accanto a lui:

“Ehm… Elly, credo che voglia la sua mamma, è un po’ nervosa.” 
“Ok, dammela.” 

Electra annuì, facendogli cenno di passarle la figlia di quattro mesi per poi sorridere teneramente alla bambina mentre Eltanin si lisciava le pieghe della gonna, sorridendo:

“Ok, possiamo andare… mamma, Nath, andate pure a sedervi… papà, sei pronto?” 
“A vedere anche la mia terza figlia che si sposa? Onestamente non penso proprio, ma non ho molta scelta. Sei felice?” 

“Tantissimo.” 
“Allora va bene così. Ti voglio bene.” 

Altair sorrise alla figlia più piccola per poi chinarsi e darle un bacio sulla fronte mentre El sorrideva a sua volta prendendolo sottobraccio, guardandolo con affetto:

“Anche io.” 


*


“Eltanin, hai iniziato a prepararti tre ore fa. Quanto ci vuole ancora?”   

Il numero delle feste a cui aveva preso parte negli ultimi anni, da quando aveva finito di studiare ad Hogwarts, era decisamente calato rispetto a quanto era stato abituato in precedenza… sembrava che con l’arrivo della guerra pochi avessero voglia di festeggiare, ma non se ne faceva un cruccio, anzi, era quasi felice di dover prendere parte a quegli eventi solo per festività o qualche fidanzamento.  

Aiden si fermò sulla soglia della camera da letto deserta, la giacca del completo in mano mentre sentiva la moglie rispondergli dal bagno:

“Sono quasi pronta, lo sai che è un processo lungo… mi dovevo lavare i capelli, sistemare le unghie, fare la maschera… e soprattutto scegliere cosa mettere.” 
“Forse se avessi meno vestiti sarebbe più semplice…” 

Il borbottio di Aiden non sembrò arrivare alle orecchie di Eltanin, o in alternativa la ragazza decise di ignorarla mentre metteva finalmente piede fuori dal bagno con un vestito blu addosso:

“Avevo pensato di mettere questo, non l’ho ancora mai indossato, ma ora che ce l’ho addosso so per certo che cosa mi dirai.” 

La Corvonero rivolse un’occhiata scettica al marito, intuendo cosa stesse per dire vedendolo sgranare gli occhi, osservando il suo vestito con sincero disappunto:

“Vuoi metterti questo? Ma non morirai di freddo con la scollatura sulla schiena? E quella davanti? E lo spacco?” 
“Ecco, appunto… ho capito, vado a mettermi quello color argento.” 

Eltanin roteò gli occhi e fece per girare sui tacchi e andare a cambiarsi, ma fu costretta a fermarsi quando Aiden la prese per un braccio, rivolgendole un lieve sorrisetto:

“Buona idea, ma aspetta… ti do’ una mano a toglierlo.” 


*

  

Aiden Burke teneva gli occhi fissi su un punto della parete che aveva davanti, seduto su una sedia nel bel mezzo del corridoio, a pochi metri dalla porta che conduceva alla sua camera da letto. 
Teneva le mani intrecciate, tormentandosi leggermente le dita mentre sedeva leggermente incurvato, la schiena protesa in avanti di qualche centimetro mentre aspettava, in silenzio. 
 

Solo sentendo delle voci e dei passi affrettati il pozionista alzò lo sguardo, provando un po’ di sollievo vedendo i suoceri. 

“È in camera?” 
“Sì, ma non so se la faranno entrare, Signora Black…” 

Elizabeth non sembrò prestare caso alle parole del genero, puntando dritta alla porta della camera per bussare con leggera impazienza, aprendola senza nemmeno aspettare una risposta anche se la protesta da parte del medimago non tardò ad arrivare:

“Signora, preferirei che non ci fosse un pubblico mentre visito i pazienti!” 
“Sono sua madre, e dopo 20 ore di travaglio per farla nascere sa quanto me ne può fregare delle sue preferenze?” 

La porta si richiuse con uno scatto alle spalle di Lizzy, mentre Altair invece si fermava di fronte ad Aiden, restando in piedi e appoggiandosi al muro:

“Che cos’ha?” 

“Non lo so. È da un paio di giorni che non sta bene.” 

Aiden scosse leggermente il capo, sospirando rumorosamente mentre si rimetteva dritto sulla sedia, appoggiando la testa contro la parete mentre aspettava. Non sapeva di preciso da quanto fosse seduto lì, ma gli sembrava che il medico fosse arrivato da un’eternità. 

Per diversi minuti il silenzio calò nuovamente nel corridoio, mentre sia Altair che Aiden stavano in silenzio ad aspettare che qualcuno uscisse dalla camera per portare qualche notizia, possibilmente buona.  
 
Le preghiere dei due vennero esaudite quando la porta si aprì ed Elizabeth uscì dalla camera, rivolgendo un sorriso a trentadue denti al marito:

“Aiden, penso che tu possa entrare adesso. Altair, andiamo a casa.” 
“Adesso? Voglio vedere El prima! Come sta?”
“La vedrai domani, ora si deve riposare… e deve parlare con Aiden. Su, muoviti.” 
 
La donna rivolse al marito un’occhiata eloquente mentre lo prendeva sottobraccio, affrettandosi a salutare Aiden prima di allontanarsi, trascinandosi appresso un Altair sempre più confuso:

“Lizzy, ti senti bene? Perché sorridi così?” 
“E me lo chiedi? Finalmente una buona notizia in un periodo del genere… diventerò nonna per la terza volta! Anzi, quarta, perché anche Danae è incinta!” 

“Quattro nipoti a 49 anni, credo sia una specie di record…” 


*


Dopo aver ricevuto un flebile invito ad entrare Berenike Black in Fawley aprì la porta, rivolgendo un piccolo sorriso alla ragazza che la guardava di rimando, seduta sul suo letto sotto le coperte. 

“Ehy… Come stai?” 
“Sono stata anche meglio. Spero davvero che tu te la stia passando meglio di me.” 

Eltanin piegò le labbra in una smorfia, mettendosi più dritta contro la pila di cuscini che Aiden le aveva sistemato poche ore prima mentre la cugina le si avvicinava, sorridendole mentre sedeva davanti a lei, sul materasso:
 
“Sono stata male anche io, all’inizio… passerà, vedrai.” 
“Ti prego, sappiamo tutte e due che non è normale stare così, non a questo punto.” 
 
Eltanin scosse leggermente il capo, incupendosi leggermente mentre la cugina la osservava con occhio critico, studiandone il volto pallido:

“Perché a parte il pancione sembri quasi dimagrita anziché ingrassata? El, mangi?” 
“No. Se mangio poi sto peggio, va così da quasi cinque mesi. Persino bere acqua mi dà la nausea… e non ne posso più di stare a letto, ma non riesco a fare niente! Mi vengono le vertigini anche solo se mi alzo in piedi.” 
 
Eltanin sospirò, incrociando le braccia al petto e sprofondando nei cuscini mentre ripensava alla costante preoccupazione con cui i suoi fratelli, i genitori e soprattutto Aiden la guardavano e trattavano. Non lo sopportava davvero più, ma disgraziatamente mancavano ancora due lunghissimi mesi al parto. 

“Immagino che capiti, a volte. Ma non preoccuparti, sono sicura che andrà tutto bene.” 
“Lo spero.” 

“So a cosa stai pensando, El… ti ricordi quanto fossi terrorizzata quando ho scoperto di essere incinta? Volevo avere figli, certo, ma non facevo che pensare a mia madre. Ma poi Libra, Markus, tua madre e soprattutto TU mi avete convinta che non deve andare così per forza… forse sono ancora un po’ preoccupata, ma non certo come nelle prime settimane. E ti assicuro, Eltanin, che tra qualche settimana avrai il tuo bambino e starai di nuovo benissimo.” 

Berenike sorrise, allungando una mano per prendere quella della cugina e stringerla, guadagnandosi un lieve sorriso da parte della mora:

“Grazie.” 


*


“Perché ci vuole così tanto?” 
 
Elnath Black, incapace di restare seduto per più di cinque secondi di fila, continuava a fare avanti e indietro per il salotto dove si era radunata parte della sua famiglia, tenendo tra le braccia la nipotina di ormai un anno e mezzo.  
Quando Electra era comparsa al Dipartimento per avvertirli lui e il padre stavano lavorando, ma non ci avevano pensato un attimo a lasciare tutto di punto in bianco per precipitarsi a casa di Eltanin e di Aiden, dove ad aspettarli avevano trovato Lizzy. 
 
“Nath, è il parto, ci vuole un po’ di tempo! Danae come sta, invece?” 
“Bene, ma le ho detto di restare a casa con Enif.” 

Elnath continuò a misurare la stanza, come stava facendo da quasi cinque ore, mentre il silenzio tornava ad avvolgere i presenti, mentre Lizzy e Altair erano seduti vicini su un divanetto e, di fronte a loro, Aiden era vicino a sua sorella, in silenzio e con lo sguardo quasi vacuo. Aveva anche provato ad entrare in realtà, ma era stato mandato fuori subito dopo… anche se, da quello che aveva potuto capire, il travaglio non stava andando propriamente benissimo per la moglie. 
 
“Andrà tutto bene, vedrai.” 

Kayla sorrise al fratello, appoggiandogli una mano sulla spalla ma senza ottenere una risposta visto che Aiden si limitò ad annuire distrattamente, continuando a tenere le mani premute contro le labbra, i gomiti appoggiati sulle ginocchia.



Quando si sentirono dei passi tutti i presenti alzarono lo sguardo, trovandosi davanti una Berenike sorridente:

“Allora?” 
“Potete cominciare a sorridere… è un maschio. O almeno, uno dei due lo è.” 

“Uno dei due?” 
Aiden guardò la rossa quasi con gli occhi fuori dalle orbite, ma la ragazza si limitò a sorridere, annuendo prima di girare sui tacchi e tornare dalla cugina, che era in compagnia di Electra e dei medici. 

“Due? Beh, congratulazioni.”   Kayla sorrise, dando una leggera pacca sulla spalla del fratello che invece non disse niente, ancora leggermente stralunato dalla notizia.  




“Aiden? Puoi venire, se vuoi.” 
 
Electra comparve sulla soglia della stanza circa mezz’ora dopo, sorridendo al cognato e invitandolo con un cenno a raggiungere la sorella nella loro camera per poi annunciare alla famiglia che il secondo bambino era una femmina. 

E mentre reagirono tutti con gioia alla notizia Lizzy e Altair sgranarono gli occhi quasi con orrore, mentre la Tassorosso si metteva praticamente le mani nei capelli:

Merlino, due gemelli…” 
“Un maschio e una femmina…” 
“Non di nuovo…” 
“Cosa abbiamo fatto di male?” 





“Come stai?”
Aiden si fermò sulla soglia della camera, gli occhi verdi fissi su Eltanin, che gli rivolse un lieve sorriso mentre teneva un bambino tra le braccia, e accanto a lei, Berenike l’altro. 

“Meglio, adesso.” 
Il Serpeverde si avvicinò al letto quasi con leggera titubanza, restando in piedi e sbirciando i due bambini mentre alle sue spalle Electra sorrideva, suggerendo alla cugina di lasciarli soli. Prima di uscire dalla stanza Berenike gli mise la bambina tra le braccia, sorridendogli prima di strizzargli l’occhio e seguire la cugina, chiudendosi la porta alle spalle. 
 
“Direi che questo proprio non l’avevamo previsto.” 

Eltanin rise leggermente, annuendo alle parole del marito mentre Aiden sedeva sul materasso accanto a lei, sfiorando con un dito le minuscole mani della bambina:

“Beh, avevamo deciso un nome da femmina e uno da maschio, no? Così possiamo usarli tutti e due. Ciao Alexander.” 
 
Eltanin sorrise, lasciando un bacio sulla fronte del figlio mentre Aiden sorrideva, appoggiando il capo contro il suo:

“Sono felice che tu stia bene, ho passato le ultime settimane praticamente in agonia visto che sei stata malissimo per tutta la gravidanza.” 
“Lo so, anche io. Ma come puoi vedere stiamo tutti bene, a quanto pare ci vuole ben altro per togliermi di mezzo che due bambini.” 


*


“Mi stavo chiedendo dove fossi sparito… Che cosa ci fai qui?” 

“Sto guardando il vostro albero genealogico… è davvero impressionante.” 

Eltanin sorrise appena, attraversando la stanza per raggiungere il marito e prenderlo sottobraccio, appoggiando il capo contro la sua spalla:

“Diciamo che siamo in tanti.” 
“Le bruciature sono le persone che sono state ripudiate, suppongo. Perché Cedrella Black è stata cancellata dall’albero?” 

“Mia madre mi ha detto che ha sposato un Weasley… la mia famiglia non l’ha presa bene, pare. Quanto ad Andromeda… beh, già lo sai.” 
Eltanin si strinse leggermente nelle spalle, lanciando un’occhiata quasi malinconica alla bruciatura riportata sopra al nome della cugina, ripensando all’ultima volta in cui l’aveva vista, anni prima. 
 
“Vieni di sotto? Elaine reclama la tua presenza per giocare a cavalluccio.” 
“Ma ho mal di schiena da quante volte mi ha usato da trasportino!” 
“E tu dille di no!” 
“È tua figlia, secondo te ci riesco? Te lo dico io, no.” 
 
“Lo so, ed è molto divertente vederti rincretinirti quando ti chiama “papino”.” 

Eltanin rise ma il marito non la imitò, borbottando che lui non si rincretiniva affatto mentre uscivano insieme dalla stanza per tornare dalla famiglia della ragazza.
 

*

“Non sei felice, quindi.” 
“No. Lo sono, solo che… forse non è sicuro, ci hai pensato?” 

Aiden inarcò un sopracciglio, guardando la moglie seduta di fronte a lui con leggera preoccupazione, ma Eltanin sembrò non farci caso, scuotendo il capo:

“Forse, ma non mi interessa.” 
“A me sì. El, quando hai avuto i gemelli i medici hanno detto che avresti potuto avere altri figli, ma che visto quanto sei stata male per praticamente otto mesi su nove non sarebbe stato per niente sicuro per te.” 
“Me lo ricordo, ma non deve andare male per forza, magari questa volta starò meglio!” 

“Non lo puoi sapere. Forse dovremmo… hanno detto che forse dovremmo prendere in considerazione l’idea di interrompere…” 

Eltanin non lo lasciò finire, alzandosi per poi parlare con tono fermo, allontanandosi dal tavolo:
“Io non interrompo un bel niente, scordatelo. Avrò questo bambino Aiden Burke, hai la mia parola.” 
“Credi che io non lo voglia? Lo dico perché non ti voglio perdere!” 
 
Aiden si alzò a sua volta e a quelle parole Eltanin si fermò, sorridendogli leggermente mentre gli prendeva il viso tra le mani, guardandolo quasi con cipiglio intenerito:

“Lo so. E infatti non mi perderai.” 
“Perché devi essere sempre così testarda?” 
“Sono nata così, fattene una ragione… ma mi ami lo stesso, no?” 


*

 
Seduta su una poltrona nel soggiorno, Eltanin Black in Burke stava leggendo la posta in tutta tranquillità, mentre Alexander ed Elaine giocavano davanti a lei, sul tappeto. 
Se tre anni anni prima non aveva fatto i salti di gioia quando aveva dovuto smettere di lavorare con largo anticipo a causa della sua precaria situazione, con quel terzo figlio le cose sembravano destinate ad andare meglio, tanto che aveva continuato a lavorare fino a poco meno di tre mesi prima… e quando era a casa era ben felice di occuparsi dei gemelli, forse stare qualche settimana lontana dalla sua scrivania dove scriveva articoli su articoli non le avrebbe fatto male. 

Aprì per prima la lettera che le era appena arrivata da sua cugina Libra, leggendo le pochissime parole che la ragazza ci aveva scarabocchiato sopra con evidente fretta prima di sbarrare gli occhi e parlare a voce molto alta per farsi sentire dal marito:

“AIDEN! Vieni qui, subito!” 
“Cosa c’è mamy?” 

Elaine distolse lo sguardo dal suo puzzle per rivolgersi alla madre, guardandola con curiosità mentre Eltanin invece sorrise, lasciando le lettere sul tavolino sistemato accanto alla poltrona. 

“Ragazzi, adesso andiamo a trovare la zia Berenike, ok? Probabilmente ci saranno anche la nonna, il nonno e gli altri zii.” 
 
La strega fece per alzarsi e si trattenne dall’imprecare davanti ai figli quando si rese conto che non ci riusciva a causa del pancione.

“Ecco, non sono neanche capace di alzarmi adesso, non vedo l’ora che nasca… AIDEN, MUOVITI!”
“Sono qui! È successo qualcosa?” 

Aiden comparve sulla soglia della stanza quasi con il fiatone, come se avesse corso, mentre la moglie annuì, rispondendo con fare sbrigativo:

“Sì, si sono rotte le acque!” 
“Cosa? Ma El, è troppo presto, manca un mese!” 

“Non a me, a Berenike! Coraggio, andiamo… e dammi una mano, questa poltrona sprofonda troppo!” 

Aiden roteò gli occhi, avvicinandosi alla moglie per prenderle una mano e aiutarla ad alzarsi, guardandola prendere Elaine per mano subito dopo per uscire dalla stanza.  

Lui invece raccolse Alexander dal pavimento, prendendo in braccio il bambino di tre anni e mezzo prima di seguire moglie e figlia:

“Papà, cosa vuol dire che l’acqua si è rotta?” 
“Te lo spiego un’altra volta Alex… su, andiamo.” 


*


“Io davvero non comprendo come tu abbia fatto a perdere Adhara. Come si fa a perdere una bambina che neanche cammina, di cinque mesi, in casa propria?” 

Aiden Burke sbuffò sonoramente mentre, inginocchiato accanto al suo letto, sollevava il bordo del piumone per controllare che la bambina non si fosse intrufolata sotto al letto mentre la voce di Eltanin arrivava alle sue orecchie dalla stanza accanto:
 
“Ma l’hai vista gattonare? È velocissima, una cosa assurda! Mi giro e lei è già sparita!” 
“Sei un caso perso. Mai avrei pensato di tornare dal lavoro e dover cercare una bambina di cinque mesi.” 

Aiden si rimise in piedi per uscire dalla stanza, percorrendo il corridoio per raggiungere le scale quando incrociò Elaine, che teneva il suo orso polare di peluche – più grande di lei – sottobraccio e che sorrise allegramente al padre:

“Papy, state giocando a nascondino?” 
“Sì. La mamma non riesce a trovare tua sorella… mi dai una mano a trovarla?” 
“Va bene! Io vado di qua, sono bravissima in questo gioco!” 

 
La bambina sorrise prima di girare sui tacchi e allontanarsi lungo il corridoio, mentre il padre roteava gli occhi:

“El, finirà che nostra figlia di quattro anni la troverà prima di noi.” 
“Beh, allora invece di far prendere aria alla bocca cercala! Io vado a destra, tu a sinistra.” 
 

Quando, pochi minuti dopo, Aiden si fermò davanti ad un corridoio sorrise nel vedere una bambina avvolta in un piccolo body, con i capelli castani spettinati e il ciuccio in bocca che gattonava sul pavimento liscio e freddo, apparentemente incurante di essersi allontanata dai genitori.

“Eccoti qui… la mamma ha ragione, sei un fulmine… ma per oggi hai fatto l’esploratrice abbastanza, non pensi?” 
Aiden fece per raggiungere la bambina e prenderla in braccio, ma questa vedendolo rise e invece di avvicinarsi al padre si girò e si diede bellamente alla fuga, continuando a gattonare come se nulla fosse.

“Ma dove pensi di andare? Adhara, vieni qui!”


*


Alexander Altair Burke Image and video hosting by TinyPic  Elaine Elizabeth Burke  Image and video hosting by TinyPic  Adhara Calliope Burke  Image and video hosting by TinyPic  Enif Electra Black  Image and video hosting by TinyPic   Mira Eltanin Black  Image and video hosting by TinyPic
 Alhena Shafiq Image and video hosting by TinyPic   Caleb Shafiq  Image and video hosting by TinyPic   Diadema Shafiq Image and video hosting by TinyPic


1978



“Solo io trovo che sia strano?” 
“Strano? Scioccante!” 
“Dite che sia successo qualcosa? È pressoché irriconoscibile!” 
“Direi, non l’avevamo mai vista così!” 
“Forse ha sbattuto la testa da qualche parte… dovremmo chiedere a papà, magari.” 


Elnath, Electra ed Eltanin Black erano in piedi, fermi uno accanto all’altro sulla soglia del grande salotto dove loro, per anni, avevano passato interi pomeriggi a giocare quando erano piccoli. Ormai si ritrovavano a guardare i loro figli giocare in quella stanza, ma in particolare i tre fratelli si stavano concentrando sulla madre, che era seduta sul divano con Adhara in braccio, impegnata a sorridere ai nipoti come probabilmente mai l’avevano vista fare. 
 
“Di cosa state parlando?” 

Sentendo la voce del padre i tre si voltarono verso l’uomo, che teneva il nipote Caleb di tre anni per mano, Diadema di uno in braccio mentre Elaine di quattro gli stava vicino, stringendogli un lembo dei pantaloni con una mano.

“Della mamma! L’hai vista?” 
“Vivo con lei da diversi anni quindi oserei dire di sì.” 
“Ma non ti sembra strana? Guardala! Sorride, ha gli occhi a cuoricino, dispensa baci e carezze a destra e a sinistra…” 

“Rilassatevi, è l’effetto che le fanno i bambini, quando eravate piccoli era uguale.” 
“Davvero? Elly, tu ti ricordi?” 

“Affatto. Ma forse perché ci sgridava molto spesso perché combinavano macelli dalla mattina alla sera.” 

Electra sorrise, stringendosi nelle spalle mentre Elaine si rivolgeva al nonno, sollevando entrambe le braccia nella sua direzione:

“Nonno, anche io voglio stare in braccio!” 
“Anche io!” 

“Di questo passo la mia schiena cederà ben prima dei sessant’anni… vieni tesoro.” 

Altair si chinò, prendendo in braccio anche Elaine, che sorrise con aria soddisfatta mentre il cugino invece si rivolse alla zia, sfoggiando un largo sorriso:

“Zia?” 
“Ti prendo in braccio io, tesoro.” 

Eltanin sorrise a Caleb prima di sollevarlo, dandogli un bacio su una guancia mentre a qualche metro di distanza Enif, Mira e Alhena litigavano per chi dovesse stare in braccio alla nonna: 

“Nonna, perché tieni sempre Adhara?” 
“Mira, lei è piccola, non sa camminare, per questo la teniamo sempre in braccio.” 

“Ma anche noi vogliamo stare in braccio!” 

“Il nonno sarà ben felice di coccolarvi tutte, fanciulle.” 

Lizzy piegò le labbra in un sorriso, continuando a solleticare distrattamente i piedi di Adhara mentre le tre bambine si rivolgevano al nonno, sfoggiando tre enormi sorrisi prima di corrergli incontro. 

“Nonno, ci leggi una storia?” 
“Nonno, mi tieni in braccio?” 
“Giochiamo a prendere il thè?” 

“Oddio, altre tre… Lizzy, grazie tante!” 
“Ma tesoro, non prendertela con me, sei tu che dici sempre che le donne non sanno resisterti… ora sei pieno di donne che ti reclamano!” 


*


“A che cosa serve?” 

Alexander continuò a rigirarsi tra le piccole mano l’orologio che vedeva sempre al polso del nonno e che, pochi minuti prima, gli aveva chiesto di poter vedere. 
L’Auror, seduto accanto a lui sulla sua sedia, nel suo ufficio, sorrise al bambino, sporgendosi leggermente per indicargli i numeri sul quadrante:

“Serve per capire che ore sono.” 
“E come si fa?” 
“Magari la prossima volta in cui vieni a trovarmi te lo insegno.”

Alexander annuì prima di abbassare nuovamente gli occhi sull’orologio d’oro bianco, girandolo e sfiorando con le dita le tre lettere incise sul retro del quadrante.

“A, A, B. Cosa vuol dire?” 
“Sono le mie iniziali… e anche le tue, in effetti. Me lo ha regalato la nonna, ma quando sarai più grande potrai averlo tu.” 

Alexander alzò nuovamente lo sguardo, indirizzando un sorriso al nonno che invece allungò una mano per spettinargli i lisci capelli biondo cenere mentre la porta dell’ufficio si apriva e Eltanin compariva sulla soglia, sorridendo a padre e figlio:

“Ciao… grazie per averlo tenuto papà. Elaine è stata con Aiden, ma di lasciarli tutti e due da lui non me la sono sentita, ho il terrore che possano ingerire per sbaglio chissà quale intruglio.” 
“Io ormai sono abituato con i marmocchi El, c’è da capirlo… Ciao ometto, ci vediamo domenica. Elaine, non mi vieni a salutare?” 

La bambina non se lo fece ripetere due volte, sorridendo per poi avvicinarsi al nonno e abbracciarlo, sottolineando di aver visto il padre preparare un sacco di intrugli fino a poco prima. 

“Davvero? La prossima volta vieni a lavorare con me invece che con papà? Mi devi fare da assistente!” 
“Va bene!” 
“Anche io voglio farlo!” 

“Papà, se proprio ci tieni te li lascio qui anche tutti i giorni, nessun problema…” 
“Ora non esagerare, signorina…” 


*

 
1998




“Papà?” 
Aiden Burke distolse lo sguardo dal giornale dove, per la prima volta dopo molto tempo, erano riportate delle buone notizie, per concentrarsi sulla figlia che era in piedi sulla soglia della stanza, gli occhi fissi su di lui:

“Sí?”
“Come sta la mamma?” 
“Va avanti, come tutti.” 

“È ancora lì?” 
“Penso di sì.” 

Aiden annuì, ripiegando il giornale e facendo cenno alla figlia di avvicinarsi. Elaine non se lo fece ripetere due volte, andando a sedersi accanto a lui sul divano e appoggiando la testa sulla sua spalla, parlando a bassa voce:

“Secondo te è arrabbiata con me?” 
“Certo che no… tesoro, tua madre ti adora. È a pezzi per lo zio, ma se fossi morta tu lo sarebbe stata ancora di più, non farti certe idee… è solo un po’ difficile per lei, ultimamente.” 

Aiden si sforzò di sorridere alla figlia, accarezzandole i capelli e guardandola annuire leggermente. 

“La mamma ti vuole bene. E anche lo zio te ne voleva.” 



Ci sono giorni in cui sei circondato da tanta gente, ma ti senti comunque tremendamente solo



Non sapeva perché fosse lì, in piedi davanti a quella lapide per l’ennesima volta.
Fissarla per ore non lo riporterà indietro, Eltanin

Suo marito aveva ragione, ne era consapevole, ma non poteva fare a meno di andare lì. Stare davanti a quel pezzo di pietra conficcato malamente nel terreno, davanti a lui. 

Eltanin respirò profondamente, ricacciando indietro le lacrime.
Aiden le aveva detto più volte di smettere di andare lì, in quella specie di cimitero improvvisato per le vittime della battaglia del 2 Maggio ad Hogwarts, ma non lo aveva ancora ascoltato. 

Forse avrebbe dovuto stare con la sua famiglia, che stava soffrendo al suo stesso modo. Eppure, non aveva ancora visto i suoi genitori dal funerale, non era mai andata a trovarli in quelle settimane. 
 Era piena di persone che l’amavano, eppure si era completamente chiusa dietro un muro. 


“Ciao.” 
Eltanin si voltò, incontrando così lo sguardo di sua sorella Electra, in piedi ad un paio di metri da lei. 

“Ciao.” 
Electra si avvicinò di qualche passo, abbassano lo sguardo per posarlo sulla lapide senza dire niente per qualche istante. Non aveva più visto nemmeno sua sorella, anche se forse era stato stupido visto che era l’unica a capire come si sentisse.

“È strano, vero? Pensare che se ne sia andato per sempre.” 
“Molto. Tu come stai?” 
“Mi manca.” 

Electra si strinse nelle spalle, parlando a bassa voce mentre un lieve sorriso carico di amarezza le increspava il volto, osservando il nome del gemello inciso sulla pietra. 

“Anche a me.” 



Tutto quello che vuoi è andare a casa, nel conforto della tua famiglia


Lo sentì sedersi accanto a lei ma non ci fece molto caso, continuando a tenere gli occhi fissi sulla finestra, osservando il giardino dove anni prima aveva guardato i figli giocare. 

“Tutto bene?” 
“Sì.” 

Annuì distrattamente, sentendo la mano del marito sfiorarle la sua ma non accennò a distogliere lo sguardo, completamente persa in ricordi ormai sfuocati nella sua mente. 

“Sai, ero assolutamente convinta che me ne sarei andata per prima tra noi. Prima di te, ma soprattutto ben prima dei ragazzi. Le persone vengono a dirti che la vita è piena di cose inaspettate, magari anche di debolezze. Forse una proprio qui, vicino al cuore… e ti spiegano che semplicemente non c’è nessuna spiegazione, che è così, che è la vita e basta. E che un giorno mi addormenterò e semplicemente non mi sveglierò mai più. Ma nessuno viene a spiegarti perché ti ritrovi a dover seppellire tuo figlio che dovrebbe andarsene ben dopo di te. Nessuno viene a spiegarti che cosa devi fare, a quel punto.” 

“Non c’è un manuale, Liz. Ognuno reagisce a modo suo… Non abbiamo ancora visto El dal funerale, credo che non abbia visto nemmeno Elly. E Aiden dice che va lì tutti i giorni.” 
“Lo facevo anche io. Quando mia madre è morta. Vorrei vederla, ma forse bisogna dare a tutti il tempo di cui necessitano.” 



Ma a volte neanche la tua famiglia riesce a darti conforto… perché viene fuori che anche loro hanno avuto uno di quei giorni 



“Non riesco a spiegarlo. Un fratello non è come un genitore, non è un amico e nemmeno un partner, dovrebbe essere l’unica persona che ti sta vicino dall’inizio, fino alla fine. Ma a volte se ne va troppo presto.” 
“Troppo.” 

Eltanin annuì leggermente, parlando con un filo di voce e continuando a fissare il nome del fratello mentre accanto a lei Electra faceva lo stesso. Erano in piedi, vicine, ma senza toccarsi. 

“Io e lui… lo sai, facevamo tutto insieme. Quando eravamo piccoli eravamo insperabili, ad Hogwarts siamo stati smistati nella stessa Casa, abbiamo studiato insieme all”Accademia… abbiamo lavorato insieme. Anche quando le nostre strade si sono divise, eravamo ancora insieme, in un certo senso. Sempre, ogni giorno. E pensare che non ci sia più… è come se avessi perso una metà, una metà fondamentale.” 

“Lo so. Come se non potessi più essere la stessa.”   
Eltanin annuì, asciugandosi la singola lacrima che le stava rigando una guancia mentre la sorella si voltava verso di lei, sorridendole:

“La mamma dice che solo gli stupidi nascondono il dolore. Il lutto è la prova che hai amato.”
“Ironico visto che la mamma non piange mai e fatica ad esternare quello che prova.” 
“Dovresti conoscerla abbastanza da aver capito che non le piace essere così. Che vorrebbe dirci più spesso quanto ci vuole bene, a noi e a papà.” 

“Forse… dovremmo andare da loro. Forse hanno bisogno di noi adesso.” 

Eltanin tentennò, parlando con un filo di voce mentre la sorella maggiore imbeve annuì, sorridendo appena:

“Oppure siamo noi ad aver bisogno di loro. Andiamo… E smettila di venire qui, Aiden me lo ha detto.” 

Electra prese la sorella sottobraccio, che sbuffò e borbottò qualcosa sul fatto che Aiden a volte esagerasse mentre la maggiore le sorrideva, camminando sul prato, in mezzo alle lapidi accattaste l’una sull’altra 

“Non ti ho ancora chiesto scusa.” 
“Per che cosa?” 
“Per averti chiusa nello sgabuzzino quando avevi tre anni… forse la tua claustrofobia è colpa nostra.” 
“Ma davvero? Non ci avevo mai pensato, tu pensa.” 

“Beh, a nome mio e di Nath… scusa, El.” 


Tutto quello che puoi fare è aspettare che giorni così passino 



Non appena se le era trovate davanti le aveva strette in un duplice abbraccio, stritolandole per poi sorridere alle figlie, facendo loro cenno di seguirlo. 

“Liz? Abbiamo visite.” 

La donna si voltò, esitando nel trovare entrambe le figlie davanti a lei, sulla soglia della stanza. Ma poi, per la prima volta dopo giorni, Elizabeth Black sorrise. Ma Eltanin la imitò, limitandosi a guardarla. 




Risate 
Chiudeva gli occhi, e sentiva le risate. La sua, quella di sua sorella, quella di suo fratello. 
Chiudeva gli occhi, e le sembrava di ricordare il prato in mezzo al quale stava correndo, gli occhi fissi sul bambino che la precedeva. 

Rideva, ma allo stesso tempo era arrabbiata, perché non riusciva a prenderlo. Era più veloce di lei, più grande e più alto. 

“Aspettami!” 
Allungò una mano, ma non riuscì a toccare il fratello, che si girò, sorridendole con aria divertita:

“Sei troppo lenta, piccoletta.” 
“Un giorno sarò più veloce di te, Nath. Di te e di Elly.” 

“Non credo proprio.” 

Si sentì afferrare da dietro e un attimo dopo la bambina era distesa sull’erba, ridendo, ancora. Ridendo perché i fratelli le stavano facendo il solletico.

E vedeva ancora gli occhi dei gemelli, così chiari e così simili, guardarla ridenti. 


“Ragazzi! È pronto, venite dentro!” 

“Arriviamo!” 
Elnath si voltò verso la madre, che li chiamava dalla soglia di casa, per poi rivolgersi di nuovo alla sorellina, sorridendole prima di alzarsi e aiutarla a fare altrettanto. 

“Non sei riuscita a prendermi El, ho vinto io.” 

La bambina sbuffò ma prese comunque sia il fratello che la sorella per mano, camminando sul prato per raggiungere la madre:

“Vinci sempre tu, non è giusto!” 
“Magari un giorno vincerai tu, chissà. Ma sarò sempre il tuo fratellone, più grande e più alto di te.” 



“Ciao mamma.” 

Eltanin sorrise alla madre prima di avvicinarlesi, lasciandosi scivolare accanto a lei sul divano per poi abbracciarla, raggiunta ben presto anche dalla sorella. E alla fine, anche da Altair.

“Scusa se ci ho messo tanto.” 


Così, puoi andare a letto. E sperare di svegliarti in un domani migliore 








…………………………………………………………………………
Angolo Autrice:

Sono riuscita a mettere le mani su una connessione, quindi eccomi qui… ovviamente spero che vi sia piaciuta, la prossima sarà dedicata a Markus e a Berenike, molto probabilmente.

A presto, 
Signorina Granger 





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Capitolo 2
*** Markus & Berenike ***


Markus & Berenike 


 
Markus Fawley IMG_4956 e Berenike Black IMG_4955



“Immagino che non ci sia niente che io possa fare per farti cambiare idea.” 

Il tono rassegnato con cui Berenike parlò lo fece quasi sorridere, continuando a camminare accanto a lei sul marciapiede lungo la strada buia, tenendola per mano. 

“Perché? Non vuoi che diventi un Auror?” 
“Io voglio che tu sia felice, Mark, e so che sogni di fare lo stesso lavoro di tuo padre da anni… ed è una cosa molto bella, davvero. Però non posso fare a meno di pensare che tu lo voglia diventare proprio nel periodo più sbagliato.” 

Vedendo la ragazza rabbuiarsi leggermente l’oramai ex Grifondoro sorrise, sollevando il braccio per appoggiarglielo sulle spalle e attirarla a sé, lasciandole un bacio tra i capelli rossi:

“Forse non ho un gran tempismo, ma sarei ben felice di poter dare una mano in questo momento. Molti di noi sono del parere che dovremmo starcene a guadare con le mani in mano, adagiarsi sugli allori visto che sicuramente non verranno a prendersela con noi Purosangue… ma non sono d’accordo. E poi è ancora presto per preoccuparsi Berenike, non so ancora se sono riuscito ad entrare all’Accademia o meno dopotutto.” 

“Non essere sciocco, sappiamo entrambi che sei passato.” 
“Non puoi esserne sicura!” 
“Sì invece, ho chiesto a mio zio di dare una sbirciatina ai risultati… perciò congratulazioni! Forse non mi rende molto felice, ma sono fiera di te.” 

Berenike sfoggiò un piccolo sorriso, guardando il ragazzo sgranare gli occhi, guardandola con evidente stupore:

“E quando pensavi di dirmelo?” 
“Avevo pensato di non dirti niente in realtà, ma non ce l’ho fatta, mi conosci… ora devi solo darti da fare e sopravvivere ai prossimi tre anni Mark. E poi, se possibile, anche alla vera vita da Auror.” 


*


“Berenike ci aveva detto che volevi intraprendere questa strada… e sei passato con un punteggio molto alto, complimenti.” 
“Grazie, Signor Black.” 

Le labbra di Markus si piegarono in un sorriso mentre, seduto accanto a Berenike su un divano, aveva di fronte gli zii della ragazza, che aveva insistito per presentargli. 

“Sai già a chi ti hanno assegnato?” 
“Zio, volevo presentare Mark a te e alla zia, ma non per parlare solo dell’Accademia! Eltanin non c’è?” 

“No, al momento sta scorrazzando per Londra insieme ad Electra per scegliere le partecipazioni… Il povero Edward se ne è lavato le mani dell’organizzazione quando ha capito che la fidanzata avrebbe dato molta più retta alla sorella che a lui.” 
Elizabeth si strinse nelle spalle prima di rivolgere un sorriso gentile a Markus, chiedendogli dolcemente se volesse altro thè. 

“Sì, grazie Signora Black… In ogni caso non abbiamo ancora incontrato gli istruttori che ci seguiranno, Signore, ci hanno lasciato soltanto i nominativi ieri mattina. Accanto al mio nome c’era scritto “Selwyn-Cavendish”, non mi è ben chiaro se si tratti di due persone o meno.” 

“Zio, ti viene in mente qualcuno?” 

Alla domanda di Berenike Altair sollevò leggermente un sopracciglio, sforzandosi visibilmente per non ridere mentre lanciava un’occhiata in direzione della moglie, che ricambiò prima di parlare:

“Pensi si tratti di lei?”
“E di chi altro?” 

“Lei? Quindi è una donna?” 
“Sì Markus… Temo proprio che tu sia stato assegnato a Charlotte Selwyn. In realtà il suo cognome da sposata è Cavendish, ma ti sconsiglio vivamente di chiamarla così se non vuoi inimicartela dal primo giorno… ed è una di quelle persone, per intenderci, che è meglio non contrariare mai.” 

“Zio, non spaventarlo!” 

“Non spavento nessuno Berenike, dico le cose come stanno… Charlotte negli ultimi anni passa alcuni mesi ad aiutare all’Accademia per la formazione delle matricole, ed è senza dubbio una dei migliori. Se sopravvivi sarai un ottimo Auror, Markus.” 
“Ma è così ferrea?” 
“Una volta ha mandato tuo padre a lavare i piatti perché era arrivato in ritardo alla sua lezione.” 

Altair si strinse nelle spalle prima di bere un sorso della sua tazza, dove poco prima aveva cercato di versare furtivamente dello scotch che era subito stato sequestrato dalla moglie. 
Berenike invece rimase spiazzata per un attimo prima di stendere le labbra in un sorriso, quasi illuminandosi al sentire quelle parole mentre continuava a tenere la mano stretta in quella di Markus:

“… davvero? Posso conoscerla?” 


*



La stanza era piuttosto affollata, mentre alle sue spalle le sue sorelle, ormai tutte pronte, chiacchieravano e ridevano insieme alle cugine. 
Non tutte, in realtà: Berenike osservò il riflesso delle ragazze presenti nella stanza nello specchio ovale che aveva davanti, non riuscendo a non notare l’assenza di Andromeda. 
La cugina se n’era andata di casa da circa un anno, e da un anno nessuno l’aveva praticamente più nominata, o almeno non davanti ai suoi genitori, Bellatrix o Narcissa. 

Le aveva comunque spedito l’invito qualche mese prima, ma la ragazza aveva gentilmente declinato l’offerta, facendole i migliori auguri ma sostenendo che non volesse assolutamente creare scompiglio durante la cerimonia anche se le sarebbe piaciuto molto esserci. 
E anche a lei sarebbe piaciuto averla lì, insieme a tutto il resto della famiglia. 


Berenike tornò a concentrarsi sul velo, sistemandosi nervosamente il fermaglio che lo teneva fisso sulla nuca. Era così assorta nei suoi stessi pensieri che quasi non si accorse quando la porta della stanza si aprì e l’ennesima Black entrò, avvicinandosi alla ragazza e sedendo accanto a lei. 

“Siamo davvero in tante, non pensi?”

La rossa si voltò, rivolgendo un piccolo sorriso alla zia mentre annuiva:

“Senza dubbio… Anche se tra poco anche io, come Libra, cambierò cognome.” 
“Formalmente lo cambierai, ma sarai sempre una Black, tesoro.” 

Elizabeth ricambiò il sorriso, allungando una mano per sistemarle il velo sulla spalla prima di parlare nuovamente, lanciando una fugace occhiata a figlie e nipoti:

“Sì, questa stanza è davvero affollata… ma so che l’unica che vorresti avere accanto oggi non può essere presente.” 

La rossa esitò alle parole della zia prima di annuire, abbassando lo sguardo sul legno bianco della toeletta prima di parlare a mezza voce, con tono quasi tetro:

“È così evidente?” 
“No. Ma ci sono passata anche io, quindi lo capisco… é normale. L’ho detto anche a tua sorella quando si è sposata… È naturale che vorreste averla vicino in momenti simili. Se avrai figli sarà la stessa cosa.” 
“Ho una famiglia enorme, eppure negli ultimi giorni, a volte, mi sono comunque sentita sola. A te è successo?” 

“Qualche volta, sì… ma passerà, te l’assicuro. Non appena lo vedrai sorriderai e smetterai di chiederti se a lei Markus sarebbe piaciuto, se avrebbe approvato, se le sarebbe piaciuto il tuo vestito, come sarebbe stato organizzare le nozze con lei… me lo domandavo anche io, ma passerà.” 

“Spero che tu abbia ragione… grazie.” 
“Tesoro, dovresti sapere che io ho sempre ragione. Persino quando ho torto ho ragione, tuo zio lo sa bene.” 


Alle parole della zia Berenike sorrise, guardandola con affetto prima di rivolgersi alla brigata di cugine e sorelle, annunciando che era pronta e che potessero finalmente andare. 


Forse non essere mai riuscita a presentare Markus a sua madre era uno dei suoi più grandi rimpianti… e Lizzy aveva ragione, si era spesso chiesta come sarebbe stato organizzare il matrimonio con sua madre, averla vicino quel giorno. Ma era assolutamente sicura che se Lyra l’avesse conosciuto le sarebbe piaciuto moltissimo e, soprattutto, avrebbe approvato quell’unione. 


*


“Invece di tornare in Inghilterra non potremmo restare qui per il prossimo decennio? El aveva ragione, non dovevamo venire qui, ora me ne voglio più andare.” 

Berenike, stesa su una sdraio con gli occhiali da sole sugli occhi, si lasciò sfuggire un piccolo sospiro seccato mentre invece Markus sorrise, voltandosi verso di lei:

“Non ti manca la grigia, triste Inghilterra?” 
“Neanche un po’, noi questo clima caldo e soleggiato ce lo sogniamo… anche se non sono comunque riuscita ad abbronzarmi minimamente in tre settimane, mi chiedo che problema abbia la mia pelle. E poi vorrei restare qui perché in questo modo non sentirei parlare di “Mangiamorte”, “Tu-Sai-Chi” e attacchi tutto il giorno.” 

Vedendo la ragazza rabbuiarsi Markus sorrise, allungando una mano per stringere quella ancora pallida di Berenike nonostante il cuocente sole dei Caraibi:
“Lo so, piacerebbe anche a me restare qui ancora per un po’ a sorridere e a fare finta che vada tutto bene… ma le lune di miele finiscono, rossa. E prima o poi si deve tornare alla vita reale, con i piedi ben piantati per terra.” 
“Lo so, ma tu ti sei Diplomato poco prima di sposarci e questo significa che ora inizierai a lavorare davvero sul campo come lo zio Altair. So che è quello che hai sempre voluto e sono davvero felice che tu ce l’abbia fatta Mark, ma in questo periodo non posso non preoccuparmi almeno un po’.” 


“Andrà tutto bene rossa, vedrai.” 

Markus le sorrise e Berenike si sforzò di ricambiare e di credere alle sue parole, anche se con scarsi risultati. Erano in guerra solo da due anni e aveva la netta sensazione che le cose non sarebbero cambiate tanto in fretta.


*


“Si può sapere perché ci hai chiesto di venire con così tanta urgenza?” 

Alla domanda di Libra Berenike esitò, seduta accanto a Cara nel salotto con la sorella maggiore, Eltanin ed Electra di fronte. 
Sentendo che la sorella non rispondeva Cara le rivolse un’occhiata eloquente, suggerendole silenziosamente di farla finita e di dirlo anche a loro. 

“Vi deve dire una cosa… e se non lo farà lo farò io, sei avvisata.” 

Berenike smise di fissarsi le mani che teneva sulle ginocchia per fulminare la sorella con lo sguardo, quasi pentendosi di averglielo confidato due settimane prima. 
Del resto non farlo sarebbe stato difficile visto che Cara viveva con lei e Markus.

Libra le rivolse un’occhiata inquisitoria, così tremendamente simile allo sguardo della madre quando carpiva qualcosa di strano nell’aria da non permetterle mai di dissimulare: la rossa sospirò, continuano a guardarsi le mani mentre parlava a mezza voce.

“Sono incinta.” 

“Grazie al cielo, cominciavo a pensare ad una malattia terminale…” 
Eltanin si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo mentre accanto a lei Electra, con Alhena sulle ginocchia che giocava distrattamente con un sonaglio, sorrideva alla cugina:

“Congratulazioni, allora. Lo so che un po’ spaventa rossa, ma non appena lo o la vedrai sarà bellissimo, fidati.” 
“Sei felice?” 

Berenike esitò alla domanda della sorella maggiore, osservando Electra e la bambina di un anno e mezzo che teneva in braccio con leggera fatica a causa del pancione. 
In famiglia non c’era nessuno che non adorasse Alhena, la prima nata tra tutti i numerosi cugini, seguita poco dopo da Enif, la figlia di Elnath. Lei stessa stravedeva per le due bambine, ma non era sicura di sentirsi pronta. 

“Credo di sì.” 
“Lo hai detto a Markus?”
“Non ancora, volevo prima parlarne con voi.” 
“Per favore, ci pensate voi a dirle che DEVE parlarne con Mark? Lo sa da due settimane e lo ha detto a me solo perché l’ho incastrata!” 

“E me ne sto anche pentendo.” 

Berenike sbuffò, fulminando la sorella minore con un’occhiata mentre Libra invece roteò gli occhi:

“Berenike, so che pensi alla mamma, è normale. Ma lei ha avuto sei figlie e sei parti perfetti, andrà tutto bene… e non sarai da sola, ci saremo noi e la zia Liz. Non diremo niente, neanche a lei e allo zio Altair finché non l’avrai detto a Mark… sono sicuro che sarà felicissimo, tesoro.” 

“E se così non dovesse essere ci penseremo noi a sistemarlo, riceverà una visitina da parte della sorellanza Black, più la mamma.  E vi ricordo che io sono un’Auror e la mamma vale per dieci, quindi fossi in lui accoglierei la notizia con grande gioia.” 


Berenike sorrise alle parole della cugina, guardando lei, Libra ed Eltanin con sincera gratitudine.
Certo, aveva perso sua madre troppo presto, ma almeno non era sola. 

“Grazie ragazze… ma Libra, non dire niente ad Hydra o alle piccole, altrimenti lo saprà anche il Ministro della Corea del Sud entro sabato prossimo!” 


*


Quando uno degli elfi le aveva annunciato che era arrivata una visita per lei Eltanin aveva raggiunto l’ingresso sorridendo, certa di trovarsi davanti Veronica visto che si erano date appuntamento… ma la persona che la ragazza si trovò davanti era molto più alta, con capelli molto più rossi e decisamente non di sesso femminile:

“Mark? Ciao! Che ci fai qui?” 
“Ciao El… scusa l’intrusione, non voglio disturbare… oggi hai visto Berenike, per caso?” 
“Sì, siamo andate fuori a pranzo con mia madre, mia sorella e Alhena, non te lo aveva detto?” 

Eltanin inarcò un sopracciglio, guardando il cognato annuire con leggera perplessità, non capendo il perché dell’espressione cupa del ragazzo:

“Sì, me lo ha detto, volevo solo chiederti conferma. Ultimamente resta parecchio fuori casa, o è al lavoro oppure vede voi… Forse penserai che sono paranoico, ma mi aveva detto che sabato sarebbe uscita con Veronica. Peccato che io abbia incontrato Vee al Ministero.” 

Merda

Eltanin dovette mordersi la lingua per evitare di imprecare ad alta voce, dire a Markus che la cugina era una perfetta cretina perché non si era ancora decisa a dirgli nulla… e lei sapeva benissimo dove fosse stata sabato, ma di certo non poteva dire a Markus della sua visita dal ginecologo. 


“Forse hai capito male Mark, credo che sabato Berenike sia andata a trovare Electra per aiutarla con Ally… sai, ormai mancano poche settimane alla nascita del pargolo e fa un po’ fatica.” 


La Corvonero si costrinse a sorridere, suggerendo mentalmente alla cugina di ringraziare le sue ottime doti da ballista nata. Crescere cercando di coprire i guai che combinava da piccola con la madre le aveva permesso di sviluppare una considerevole inventiva.

“Capisco. Scusa il disturbo, volevo solo chiederti questo.” 
“Non preoccuparti. Ah, Mark… non fasciarti la testa, Berenike non ti mentirebbe mai.” 

Circa


Guardò il ragazzo annuire con scarsa convinzione prima di salutarla, girare sui tacchi e andarsene.
 
E la porta gli si era appena chiusa alle spalle quando Eltanin si voltò, camminando a passo di marcia verso il salotto per raggiungere il camino, cogliendo di sfuggita l’occhiata perplessa che le rivolse Aiden, seduto su una poltrona leggendo il giornale:

“Chi era alla porta?” 
“Mark. Ora devo fare una chiacchierata con mia cugina.” 

Due minuti dopo la Black, china sulle fiamme con il salotto della cugina davanti, la stava chiamano avran voce, ordinandole di farsi vedere mentre Aiden seguiva la scena con aria smarrita ma preferendo saggiamente starne fuori.

“BERENIKE! Vieni subito qui, ti devo fare una ramanzina!” 
“El? Che cosa c’è?” 
“Cara, chiamami tua sorella, le dobbiamo parlare! Il povero Markus penserà che lo stia tradendo, di questo passo!” 


*



“Lo sai da tre settimane? Perché non me lo hai detto prima?” 

Berenike, seduta accanto al marito sul divano, continuò ad evitare di guardarlo in faccia, tormentandosi nervosamente le mani pallide mentre Markus la guardava, confuso ma felice:

“Non lo so. Ho pensato a quello che è successo a mia madre… voglio avere figli, adoro i bambini, ma credo di aver avuto paura. Non solo per come è morta mia madre, ma anche per te, per il tuo lavoro e quello che sta succedendo in questi anni… forse ho paura di restare sola e non dirtelo lo rendeva meno reale.” 


Di fronte alla confessione della moglie lo sguardo di Markus si addolcì, sorridendo prima di prenderle il viso tra le mani per costringerlo a guardarla:

“Non resterai sola rossa… forse pensi che il periodo non sia dei migliori per avere figli, ma credimi, è la cosa più bella che io abbia sentito negli ultimi mesi. E non pensare a tua madre, hai 22 anni, sei giovane e sanissima, andrà tutto bene. Te lo prometto.” 


*


Dormire
Ecco che cosa avrebbe tanto voluto fare in quel momento, mentre saliva le scale di corsa, al buio, circondata dal rumore della pioggia che si abbatteva violentemente sulle finestre accompagnato dai tuoni assordanti.

Non le erano mai piaciuti i temporali, e a giudicare da quegli strilli nemmeno a suo figlio… 

Berenike aprì la porta della camera del bambino prima di avvicinarsi alla culla quasi di corsa, sollevando il bambino di pochi mesi in lacrime e sistemandoselo in braccio. 

“Sì, non piacciono nemmeno a me, ti capisco.” 

Berenike sospirò, massaggiando con delicatezza la schiena del piccolo Castor mentre, con un colpo di bacchetta, chiudeva le finestre e le tende per attutire il fastidioso frastuono che aveva svegliato il bambino. 
Sedette sulla poltroncina con il bambino in braccio, lanciando un’occhiata al cielo scuro ma illuminato di continuo dai fulmini mentre Castor smetteva lentamente di piangere, chiudendo gli occhi azzurri e lasciandosi cullare dalla madre. 

Avrebbe tanto voluto avere ancora sua sorella vicino, ma Cara si era trasferita poco tempo prima ad Amburgo… si scrivevano di continuo ma le mancava tremendamente, si sentiva molto spesso sola in quella grande casa, in compagnia solo del figlio ancora molto piccolo. 


Sicuramente il fatto che Markus passasse intere notti fuori non l’aiutava, quasi non chiudeva occhio da una settimana tra la preoccupazione e la tendenza di Castor a svegliarsi e a richiamare attenzioni ogni due ore. 




“Lo so tesoro, ti capisco, è difficile. Io e tuo zio abbiamo discusso decine di volte sull’argomento, ma da quando siamo in guerra ho dovuto accettarlo.”
“La paura passa, prima o poi?” 

“Non credo passerà mai del tutto, tesoro… io mi preoccupo di non vedere Altair tornare a casa da anni, e ora ho anche due figli per cui morire di paura tutti i giorni. Augurati che nessuno dei tuoi figli voglia seguire le orme del padre, in futuro.” 


Finalmente capiva davvero la preoccupazione di sua zia, e non voleva neanche immaginare come dovesse sentirsi dovendo pensare anche ai due figli maggiori… lei, per cercare di non pensarci, tendeva a concentrare tutta la sua attenzione e le sue energie sul figlio, ma Elizabeth non poteva farlo. E per questo Electra, Elnath e Eltanin le chiedevano spesso di occuparsi dei nipoti, fornendole almeno una piccola distrazione di tanto in tanto. 


Lanciò un’occhiata all’orologio: le tre. E di Markus ancora nessuna traccia, ma ormai ci aveva praticamente fatto l’abitudine, a non vederlo tornare prima dell’alba. 
Di recente Bartemius Crouch aveva concesso agli Auror l’utilizzo delle Maledizioni senza Perdono a causa di quella precaria situazione, e non sapeva se esserne felice o meno, forse da quando era stata promossa quella legge la sua preoccupazione era solo aumentata.


“Beato te, che non hai nessun pensiero…” 

Berenike sospirò, appoggiandosi allo schienale della poltrona mentre Castor ormai dormiva placidamente tra le sue braccia. La madre lanciò un’occhiata al bambino, invidiandolo per la facilità con cui dormiva… avrebbe tanto voluto chiudere gli occhi anche lei.

Forse poteva farlo, in fin dei conti. Chiudere gli occhi, solo per un attimo. 




Di solito, al suo ritorno, trovava la moglie ad aspettarlo raggomitolata sul divano o impegnata a girovagare per casa come un fantasma, ma quella sera non vedendola pensò che fosse andata a dormire, come lui le ripeteva di fare da mesi invece di aspettarlo sveglia.

Mentre saliva silenziosamente le scale per raggiungere la camera pensò di fermarsi a salutare il figlio, che con suo profondo rammarico riusciva a vedere molto di rado. 
Aprì la porta senza far rumore, ma finì col esitare sulla soglia mentre i suoi occhi indugiavano sulla poltrona sistemata accanto alla finestra, dove trovò la moglie con Castor in braccio, entrambi profondamente addormentati.

Non riuscì a non sorridere di fronte a quello spettacolo, quasi rammaricandosi di non avere una macchina fotografica sottomano mente entrava nella stanza con passo felpato, sistemando su moglie e figlio il pail trovato sopra la cesta dei giochi del bambino. 
Prima di uscire dalla camera e chiudersi la porta alle spalle lasciò solo un bacio sulla fronte della moglie, promettendole silenziosamente che non avrebbe mai fatto la stessa fine di suo padre. 


*


“C’è qualcosa che non mi stai dicendo, lo so.”
“Stai diventando paranoico, Markus Fawley, smettila di assillarmi, non ti nascondo nulla!” 


Berenike sbuffò, camminando quasi a passo di marcia lungo il corridoio per cercare di seminare il marito, ma inutilmente visto che il rosso le stava alle calcagna, deciso a farla parlare:

“Non sono affatto paranoico Berenike, ti conosco e so che c’è qualcosa che non vuoi dirmi.” 
“Ti sbagli!” 
“No che non mi sbaglio! Ogni volta in cui dici che non c’è assolutamente niente che dovresti dirmi le tue pupille si spostano per una frazione di secondo in alto a destra, si chiama “visivo costruito” e vuol dire che stai mentendo! Se stessi dicendo il vero le pupille si sposterebbero a sinistra, si chiama “visivo ricordato”, cosa che NON accade nel tuo caso.” 

“Che cavolo stai blaterando adesso?” 
“Ce lo hanno insegnato all’Accademia per capire quando le perone mentono, agli interrogatori… Berenike guardami.” 

Markus sbuffò, prendendo la moglie per un braccio e costringendola così a fermarsi e a guardarlo, osservandola con attenzione prima di formulare nuovamente la stessa domanda:

“So che c’è qualcosa, hai continuamente la testa tra le nuvole. Dimmi che cosa succede!” 
“Parla piano, Castor dorme.” 
“Berenike, continuerò a chiedertelo finché non cederai, e sai quanto possa diventare insistente, volendo.” 


La ragazza non disse niente per qualche secondo, evitando di confermare le parole del marito che invece continuava a guardarla, in attesa. 

“Non volevo dirtelo, non ancora almeno, perché non ne sono sicura, ma visto che insisti e continui ad assillarmi da ieri con questa storia… credo di essere incinta, ma prima che tu ti metta ad esultare per poi avvertire tutta la famiglia più il Dipartimento al completo ripeto che non ne sono sicura, domani ho la visita dal gineco-“ 

Quando si ritrovò stretta in un abbraccio soffocante da parte del marito Berenike capì di aver parlato per niente visto che Markus aveva già un enorme sorriso stampato sul volto, senza aver appartenete sentito l’ultima parte del discorso della ragazza:

“Un altro marmocchio? È meraviglioso, perché eri così restia a dirmelo?” 
“MA CI SENTI? Ho detto che non ne sono sicura, volevo aspettare una conferma!” 

“Vado a scrivere a James, gli chiederò di fare da padrino!” 
“Mark, ma ho appena detto… va beh, fai come ti pare.” 


Berenike roteò gli occhi mentre Markus, senza smettere di sorridere, sembrava già partito per la tangente se stava allontanò probabilmente proprio per scrivere all’amico… ma dopo un paio di secondi il Grifondoro si fermò per girare sui tacchi e tornare dalla moglie, sorridendole prima di baciarla. 


“Sono felice che questa volta tu non ci abbia messo quasi un mese, rossa… spero davvero che tu sia effettivamente incinta, voglio una frotta di piccoli pel di carota che corrono per casa.” 

Fece per dirgli che era comprensibile visto che a dover soffrire non era certo lui, così come non era lui a doversene occupare per interi mesi prima di tornare al lavoro… ma non lo fece, limitandosi a ricambiare il sorriso del marito:

“Anche io.” 


*



“Mamma, voglio quello!” 
“No.” 
“Perché?”
“Perché no.” 
“Ma Alex ce l’ha!” 
“E allora? Se Alex si butta sotto un treno tu lo fai?” 
“Che cos’è un treno mamy?” 
“Niente amore.” 
“Voglio saperlo!” 
“Te lo dirà papà a casa, io mi sono dimenticata cos’è.”   

Berenike Black in Fawley camminava in mezzo alla calca che affollava Diagon Alley, tenendo saldamente Castor di tre anni per una mano e Pollux di due per l’altra, ignorando e stroncando sul nascere le loro infinite richieste e domande assillanti. Adorava i figli, ma a volte la tentazione di scappare era molto alta… Quando aveva scoperto che anche il secondo figlio era un maschio non aveva saputo se ridere o trovare quella situazione di un’ironia che sfiorava il crudele: sua madre aveva desiderato un maschio per anni, non lo aveva mai avuto ed era stata proprio quell’ultima gravidanza ad ucciderla… lei invece, a soli 25 anni, di maschi ne aveva già avuti due. 
E si stava chiedendo perché quel secondo figlio non fosse stato femmina, forse sarebbe stato molto più semplice. 

E il fatto che i due fossero circondati da una grande famiglia che li coccolava e viziava al limite dell’inverosimile di certo non l’aiutava.

Stava giusto spiegando al piccolo Pollux che ancora non aveva l’età per usare una scopa come quella di suo padre quando le parole le morirono in gola, accorgendosi di una persona che la stava osservando a qualche metro di distanza, ferma davanti alla gelateria di Florian Fortebraccio. 

“Mamy! Perché non posso usarla?” 

Pollux sbuffò, tirando la manica del mantello della madre che però sembrò non sentire le sue parole, troppo impegnata ad osservare la figura familiare di sua cugina Andromeda, che non vedeva da alcuni anni. 
Eppure non era cambiata, non molto almeno, e sarebbe stato impossibile non riconoscerla. 

Berenike vide la cugina inclinare leggermente le labbra in un sorriso ma lei non ricambiò, i suoi occhi scivolarono sulla bambina ferma accanto a lei, che aveva un enorme cono gelato in mano che minacciava di sciogliersi da un momento all’altro e la bocca sporca di cioccolato.
Sua cugina aveva avuto una figlia. E lei nemmeno lo sapeva. 

“Mamy? Chi stai guardando?”
“Chi è quella signora? La conosci?” 


I suoi figli erano sempre stati decisamente precoci con le chiacchiere e le domande, ma per una volta Berenike li sentì solo distrattamente, limitandosi ad annuire:

“Sì, la conosco. Lei… è mia cugina. Come la zia El.”
“E come si chiama?” 
“Andromeda.” 


Da quanto tempo non pronunciava quel nome ad alta voce? Troppo, probabilmente. 

“Mamma! Aiutami, si scioglie!” 

La bambina, che probabilmente aveva la stessa età di Castor o un anno in più , richiamò l’attenzione della madre con tono disperato, che distolse a sua volta lo sguardo dalla cugina per concentrarsi su di lei:

“Ecco… Dora, possibile che ti sporchi sempre?” 
“Ma non è colpa mia se si scioglie!” 


“Mamma, voglio il gelato anche io!”
“Anche io.” 

“Va bene, vada per il gelato…” 

Berenike annuì, decidendo di arrendersi alle richieste dei due e sperando che con il gelato avrebbero smesso di assillarla per una decina di minuti… ma a stupirla fu il sorriso allegro che Castor rivolse ad Andromeda quando le passò accanto:

“Ciao, cugina Andromeda!” 

L’ex Serpeverde osservò il bambino di rimando con sincera sorpresa prima di sorridere, guardandolo con curiosità:

“Ciao… come ti chiami?” 
“Castor.”

“Che bel nome… bella scelta.”    Andromeda sorrise al bambino prima di rivolgere un’occhiata eloquente in direzione della cugina, che sfoggiò un sorriso colpevole prima di rivolgersi alla nipotina completamente sporca di gelato: 
“Grazie. Lei come si chiama?” 

“Ninfadora.” 
“Il mio nome fa schifo, lo voglio cambiare!” 

“Non dire sciocchezze, non si può. Sii educata e saluta, Dora.” 

La bambina obbedì, rivolgendo un sorriso allegro a quella che probabilmente non sapeva essere parte della sua famiglia. Poi i suoi occhi vivaci indugiarono sui capelli color carota dei bambini che aveva davanti e sorrise con aria divertita prima che anche i suoi diventassero di quello stesso colore, sotto gli occhi sconcertati dei due e di Berenike:

“È una…” 
“Sì. È molto speciale.” 

Andromeda annuì, sfiorando i capelli della bambina e guardandola con affetto. 

“Mamma! Hai visto? Come hai fatto? Lo voglio fare anche io!”   Castor sgranò gli occhi azzurri, osservando la cugina con aria affascinata mentre Ninfadora sorrideva, stringendosi nelle spalle:


“Mi spiace, non puoi, la mamma dice che non si può imparare, io lo faccio da sempre… vuoi un po’ di gelato? Per me è troppo.” 

“Grazie. Hai un nome strano.” 
“Lo so, infatti lo cambierò, ma non dirlo alla mia mamma, se no si arrabbia. Mia mamma è tua cugina? Allora anche sei anche mio cugino, penso. Quanti anni hai? Io ne ho quattro… e tu come ti chiami?” 

“Parla parecchio, vedo…” 
“Oh, sì. Non sta mai zitta un attimo.” 


*


“BRUTTO PEZZO DI STERCO DI…” 

“ELTANIN CATHERINE BLACK, IL LINGUAGGIO!” 


L’esclamazione della ragazza venne provvidenzialmente stroncata a metà dalla voce di Elizabeth, che stava seguendo da una finestra quella che lei aveva definito “un’enorme perdita di tempo” ma che in realtà era una partita di Quidditch familiare. 
Eltanin lanciò un’occhiata ai bambini, figli e nipoti, che ridacchiavano, seduti sul prato intorno al nonno, e si costrinse a non completare la frase indirizzata a suo fratello maggiore:

“Papà! Mi ha tagliato la strada e sono quasi caduta, era fallo!” 
“Scusa tesoro, avevo il sole negli occhi e non ho visto niente.” 

“Come sarebbe a dire?!” 
“El, ti devo forse ricordare che ciò che dice l’arbitro è legge?” 


Aiden si fermò accanto a lei con un sorrisetto stampato sul volto, che però sparì di fronte all’occhiata che la moglie gli rivolse mentre Electra si univa alle proteste, sostenendo che il padre fosse decisamente di parte nel giudicare:

“Giochiamo maschi contro femmine, chissà perché quando fanno fallo loro hai sempre il sole negli occhi, papà…”
“Beh tesoro, dopotutto si dice che il sole bacia i belli, no? Lizzy, perché stai ridendo?” 



Altair fulminò la moglie con lo sguardo, che alla sua constatazione era sparita dalla cornice della finestra con un attacco di ilarità in corso, mentre intorno a lui i numerosi bambini non facevano altro che chiedere quando avrebbero potuto giocare a Quidditch anche loro invece di restare solo a guardare. 
Le uniche a non sembrare molto interessate erano le tre piccole di casa, tutte intorno all’anno di età e impegnate a farsi coccolare dall’arbitro, che le teneva tutte sulle ginocchia in una volta. 


“Ok, papà è ovviamente di parte per quei cerebrolesi che abbiamo sposato, qui occorre un piano strategico. Berenike, fingi di farti male, così Markus si deconcentra!” 
“Non ci penso nemmeno, l’altra volta ho finto di prendermi una storta e Pollux si è spaventato per me, povero piccolo.” 

“Va bene, allora fallo tu Libra! Elly? Danae?”
“Perché non lo fai tu?” 
“Non posso essere sempre io a giocare sporco ragazze, un po’ di iniziativa!” 

Eltanin sbuffò, gesticolando nervosamente alle cugine, sorella e cognata mentre diversi metri più in basso Lizzy faceva la sua comparsa nel grande giardino sul retro della villa con un vassoio in mano:

“Bambini, vi ho portato la merenda!” 

“Che cosa sono?” 
“Tramezzini con la crema al cioccolato… giù le mani, non sono per te!” 

Mentre la frotta di bambini si affollava intorno alla nonna/prozia per prendere i tramezzini la donna assestò uno scappellotto sul coppino del marito, che sfoggiò un’espressione mortificata prima di parlare con tono grave:

“Ma Lizzy, fare l’arbitro mi toglie un sacco di energie, devo assumere calorie! 
“Sei seduto su una sedia. All’ombra di un albero.” 
“Ma ho tre marmocchie in braccio!” 

Elizabeth roteò gli occhi scuri mentre porgeva un panino al marito, che le sorrise con aria soddisfatta e fece per addentarlo quando si accorse di avere due enormi occhi azzurri puntati addosso e un paio di mani pallide protese verso di lui:

“Non ti darò il mio panino, Didi.”

Per tutta risposta la bambina si imbronciò, guardandolo male e con una minuscola ruga in mezzo alla fronte:
“Mio!” 

Bene, ha un anno e sta diventando la versione bionda di sua nonna 


“No, è mio. Non mi guardare così! È inutile, non attacca… forse. Va bene, tieni. Non so come farai a mangiarlo con i tre denti in croce che ti ritrovi, ma contenta tu. Lizzy, ha i tuoi geni.” 

L’Auror sbuffò prima di cedere il tramezzino alla bambina bionda, che sorrise allegramente mentre lo prendeva con le mani paffute, scatenano sonore proteste da parte di Adhara e Miranda, che volevano fare merenda a loro volta.

“Queste tre mangiano quasi quanto me… Lizzy, dammene altri due!” 
“Cosa sono, la serva? Aspetta il tuo turno.”

Alexander, Caleb, Castor e Pollux iniziarono a ridere alle parole della donna, smettendo immediatamente di fronte all’occhiata torva che Altair rivolse loro. 

“Abbiamo deciso di fare una pausa… c’è qualcosa da mangiare anche per noi?” 

Elnath planò di fronte alla famiglia, sorridendo con fare speranzoso mentre Mira ed Enif, vedendolo, si alzavano da terra per andare ad abbracciare il padre. 

“Conoscendovi ne ho preparati tre vassoi, prenderò anche gli altri…” 


Lizzy appellò il resto dello spuntino con un pigro colpo di bacchetta mentre anche Markus planava sul prato, guadagnandosi un enorme sorriso da parte della figlia, che parve illuminarsi quando vide il padre:

“Su, vai a salutare papà.” 

Altair sorrise, prendendo delicatamente la bambina per la vita per metterla in piedi sul prato, guardandola sorridere prima di trotterellare verso il padre con i capelli color carota scintillanti sotto il sole e un vestitino bianco addosso:

“Papà!” 

 
Sentendo la familiare vocina della figlia Markus abbassò lo sguardo, sorridendo e allungando ostinatamente le braccia per sollevarla non appena gli si fu avvicinata, stampandole un bacio su una guancia:

“Ciao, principessa… fai il tifo per me, vero?” 
Miranda annuì mentre anche Castor raggiungeva il padre, incollandoglisi ad una gamba e chiedendogli se stesse vincendo:

“Certo campione.” 
“Non per molto.” 

Berenike rivolse un’occhiata in tralice al marito, che invece le sorrise con aria divertita:

“Non amate perdere, vero tesoro?” 
“Per nulla. E chissà perché lo zio sta facendo vincere voi uomini…” 

“Sarà solidarietà.” 

“Spero che sia più forte della zia Lizzy, perché le abbiamo appena chiesto di suggerire caldamente allo zio di essere più imparziale.” 

“Siete sleali, lei se lo rigira come vuole!” 
“Lo sappiamo!” 


*



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1979



Avevano insistito così tanto perché li portasse a vedere dove lavorassero non solo il padre, ma anche lo zio Nath, la zia Elly e lo zio Altair che alla fine aveva dovuto cedere, accompagnando tutti e tre i figli al Dipartimento un mercoledì mattina.


“Dov’è papà?” 
“Di qua… mi raccomando, comportatevi bene, qui le persone devono lavorare e non dobbiamo disturbare.” 

La Corvonero rivolse un’occhiata in tralice ai due figli maschi, tenendo Pollux per una mano e Miranda in braccio mentre Castor invece camminava accanto al fratello con un largo sorriso stampato sul volto mentre si guardava intorno con curiosità. 

“Lo sappiamo mamma, ce lo hai detto dieci volte!” 
“Con voi non si può mai sapere, avete preso da vostro padre l’indole a combinare guai di quando era piccolo, a sentire la nonna.” 


La strega continuò a camminare a passo svelto lungo il corridoio, tenendo i figli per mano mentre si guardava intorno con una punta di nervosismo che non passò inosservata agli occhi fin troppo attenti del suo primogenito:

“Mamma, che cos’hai?” 
“Niente, sto solo cercando papà.” 


No, in verità stava maledicendo mentalmente l’idiota che aveva pensato bene di piazzare sia il Quartier Generale degli Auror sia la sede amministrativa del Wizengamot sul secondo livello. 
In effetti aveva un senso logico, ma in quel momento avrebbe preferito che i piani non fossero stati gestiti in quel modo. 


Per fortuna poco dopo Markus andò incontro alla famiglia, attirando su di sé l’attenzione dei due figli maschi che gli corsero incontro per abbracciarlo e chiedergli di poter fare un giro.

“Solo se alla mamma va bene… Capo, che ne dici?” 
“Sì, va bene, ma assicurati che non disturbino nessuno con la loro parlantina… C’è mio zio?” 

“Dovrebbe tornare a momenti, lo aspetti qui?” 

Berenike annuì, guardando il marito allontanarsi tenendo i figli per mano, visibilmente felice di aver ricevuto quella visita. Miranda invece non accennò a volersi staccare dalla madre, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo mentre tutti i passanti si fermavano per salutare la madre e complimentarsi con lei per la bambina. 


Stava aspettando di poter salutare lo zio quando, sentendosi osservata, la Corvonero si voltò, pentendosene immediatamente quando i suoi occhi incontrarono quelli azzurri e molto familiari di un uomo che la stava effettivamente guardando, in piedi dall’altra parte della corsia con dei fogli in mano. 

Eccolo, il motivo per cui era sempre stata restia a portare i bambini a trovare il padre al lavoro. 
L’idea di trovarsi faccia a faccia per la prima volta dopo anni con suo padre non le aveva mai fatto fare i salti di gioia, anzi. 


Nessuno dei due si mosse o accennò un saluto, limitandosi ad osservarsi reciprocamente per qualche istante. Poi Berenike vide gli occhi chiari del padre scivolare dal suo viso per posarsi sulla bambina che teneva in braccio, bambina di cui sicuramente conosceva il nome grazie ad Altair e a Lizzy, ma che non aveva mai visto. 


Per un attimo si chiese se si sarebbe avvicinato per salutarla, chiederle come stessero lei o i nipoti che neanche lo conoscevano, praticamente… ma come aveva previsto Antares non lo fece, distogliendo lo sguardo per poi allontanarsi. 
E non seppe mai dirsi se quel gesto le fece piacere o meno. 


*



“Mi raccomando, fai il bravo… non come tuo padre alla tua età.” 

Berenike sciolse l’abbraccio con il figlio più grande mentre, accanto a lei, Markus teneva Miranda per mano con un sorriso stampato sul volto. 

“E non divertirti troppo insieme ad Alex.” 
“Ok mamma, faremo i bravi, lo prometto.” 

Castor sorrise senza convincere per niente la madre, che lanciò un’occhiata incerta in direzione dei gemelli, che stavano salutato i genitori a loro volta. 

“Non vedo l’ora di andare a scuola anche io, l’anno prossimo.” Pollux sorrise, guardando il fratello maggiore con una piccola nota d’invidia. Il padre gli sorrise, assicurandogli che quell’anno saprebbe trascorso in fretta mentre invece Berenike sentì quasi lo stomaco contorcerlesi al solo pensiero di diversi separare da entrambi i suoi ometti.

E probabilmente Eltanin stava pensando la medesima cosa, da come stava cercando con scarsi risultati di trattenere le lacrime. 

“Non piangere mamma, ci vediamo a Natale!” 

Elaine sorrise alla madre, che annuì, asciugandosi gli occhi:

“Lo so… spero che vi comporterete meglio dei vostri zii, altrimenti la McGranitt avrà un colpo al cuore. E anche Lumacorno.” 
“Beh, quello non mi dispiacerebbe particolarmente.” 


Aiden sorrise con aria colpevole di fronte all’occhiata che gli rivolse la moglie, mentre Castor si avvicinava ai cugini per suggerire ai gemelli di andare a prendere posto sul treno. 

“Ok, andate… ci vediamo a Natale. Elaine, tieni d’occhio quei due, capito?” 
“Va bene zia!” 


*


1998


Libra, seduta accanto a lei nel corridoio gremito, le stava stringendo la mano destra e Cara la sinistra, mentre Hydra era seduta accanto alla maggiore, in silenzio. 

Erano lì, tutte e quattro. 
Quasi come quando Lyra era morta, trent’anni prima. 

Solo che quella sera Lizzy e Altair non erano lì a cercare di confortarla, e nemmeno le sue cugine. 
Eltanin ed Electra stavano piangendo la perdita di Elnath, così come i genitori. Bellatrix era morta. 
Andromeda aveva perso sua figlia, quella sera, e suo marito solo poche settimane prima. 

Forse quella che ne era uscita meglio era Narcissa, in effetti. 

I suoi nipoti, o almeno tutti eccetto i figli di Eltanin, Electra ed Elnath erano rimasti ad Hogwarts per cercare di aiutare in qualche modo, ma i suoi tre figli erano lì, seduti dall’altra parte della corsia, tutti e tre in silenzio. Mentre riusciva distintamente a sentire il pianto disperato di Enif a qualche metro di distanza, seduta accanto al nonno che l’abbracciava senza dire niente.
Per una volta persino Altair Black non trovava le parole. 


“Perché ci vuole così tanto?” 

Berenike deglutì, sforzandosi di ricacciare le lacrime indietro mentre accanto a lei Libra sospirava scuotendo il capo:

“Ci sono così tanti feriti…” 
“Lo so. Ma voglio sapere come sta!” 

La donna appoggiò il capo contro la parete fredda mentre, davanti a lei, Miranda si era raggomitolata sulla sedia, il capo appoggiato sulla spalla di Castor mentre stringeva la mano di Pollux. 
Tutti e tre impegnati a pregare mentalmente. 


Libra la imitò, fissando lo sguardo su un punto della parete che aveva di fronte prima di parlare, sfoggiando un piccolo, amaro sorriso:

“Guardateci. Ecco che cos’è, la Nobile e Antichissima Casata dei Black, ecco che cosa è rimasto. Sirius e Regulus sono morti da anni, stasera li hanno seguiti anche Bellatrix ed Elnath… e Andromeda ha perso sua figlia. Nemmeno noi siamo mai stati intoccabili, nonostante il nostro cognome. È solo un’inutile gingillo che abbiamo sempre sfruttato. Ma un cognome non protegge, neanche il nostro che è sempre stato tanto acclamato.” 

“Non mi interessa. Non mi interessa della famiglia, del cognome… io non sono più una Black da un sacco di tempo per quanto mi riguarda, vale per tutte noi. A me interessa solo che mio marito stia bene.” 

“Lo so.” 



Libra annuì, sfiorandole un braccio con la mano mentre la sorella chinava il capo, prendendosi la testa tra le mani. 

“Signora Fawley?” 

Sentendosi chiamare Berenike quasi sobbalzò, deglutendo mentre puntava gli occhi sull’infermiera che aveva davanti con fare speranzoso, parlando con una nota implorante nella voce:

“Sì?” 


*



“Credo che parlare apertamente di quello che provi ti farebbe bene, sai?” 
“Non mi va di parlare.” 


Berenike non si fermò e non si voltò nemmeno, continuando a camminare a passo spedito mentre sentiva la voce del marito chiamarla alle sue spalle:

“Berenike, vieni qui. Berenike, non puoi scappare sempre… se non ti fermi, ti investo!” 

Al sentire le ultime parole del marito Berenike abbozzò un sorriso mentre si fermava, ma senza voltarsi. 

“Vieni qui, per favore? Perché non mi guardi?” 
“Mi dispiace. Non riesco a vederti così.” 

La donna scosse leggermente il capo, parlando con una voce rotta che lo fece sospirare, avvicinandolesi di un paio di metri prima di allungare una mano, sfiorando la sua:

“Fai uno sforzo per me, allora.” 
Berenike si voltò, lentamente, per poi abbassare lo sguardo sul marito, che le sorrise facendole un cenno:

“Vieni qui, su.” 
“Ok…” 

La donna cedette, sedendo con leggera titubanza sulle ginocchia di Markus:

“Sicuro che sia il caso?”
“Tesoro, non sento assolutamente niente, non mi pesi di certo.”

Markus sorrise, accarezzandole i capelli mentre lei si rabbuiava di nuovo, allacciandogli le braccia intorno al collo e appoggiando il capo contro il suo. 

“Mi dispiace, so che sembra egoistico e non è giusto nei tuoi confronti, sei tu quello che dovrebbe reagire male.” 
“E infatti è stato così, all’inizio. Ma poteva andarmi peggio, rossa, lo sappiamo entrambi… per lo meno sono ancora qui. Pensa a Danae, invece.” 
“No, non ci voglio pensare. Sono felice di non averti perso.” 

“E io di essere ancora qui. C’è solo da chiedersi se vorrai passare il resto della tua vita ad occuparti di un marito sulla sedia a rotelle, dopotutto abbiamo solo 46 anni…” 

Markus sorrise quando la moglie sbuffò, lanciandogli un’occhiataccia prima di assestargli un leggero colpetto sulla spalla:

“Idiota, vicino a chi altro pensi che vorrei stare se non a te? Non riesco più ad immaginarmi senza di te, Mark.” 

Berenike sospirò mentre invece Markus sorrise, annuendo:

“Lo stesso. E infatti continuerò a ronzarti intorno per almeno i prossimi 45 anni, non temere.” 
“Me lo prometti?” 
“Te lo prometto, rossa.” 






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Capitolo 3
*** Lucas & Kristal ***


Lucas & Kristal 

 
Lucas Kroll IMG_4961e Kristal Jackson IMG_4962




“Devo essere veramente una stupida, ti conosco da anni e nonostante questo continuo a darti retta, ecco perché il Cappello non mi ha smistata tra i Corvonero!” 
“Non capisco perché la fai tanto lunga Kris, sarà successo a tutti di perdersi, in vacanza!” 

“Vacanza? Sono in TUA compagnia Lucas, questo è più che altro un viaggio di lavoro. Allora, vediamo di capire dove siamo finiti.” 


Kristal si fermò, tirando fuori la cartina per spiegazzarla e cercare di capire quale linea della Metropolitana dovessero prendere per raggiungere Central Park. Si stava arrovellando sulle decine di linee colorate che affollavano la cartina mentre, accanto a lei, Lucas sembrava più che altro un bambino dentro un negozio di caramelle, ostinandosi a sorridere con aria allegra come se si stesse divertendo. 

“Ok, forse se prendiamo la 22 dovremmo arrivare, ma dobbiamo fare un cambio dopo cinque fermate… Ma perché non possiamo Smaterializzarci?” 
“E spuntare nel bel mezzo del parco in mezzo a fiumi di Babbani? No, grazie. E poi hai detto tu che prendere la metropolitana è divertente!” 

“Certo, quando non sei in compagnia di un bambino che non aiuta per niente a cercare di orientarsi in una città grande quanto la Scozia! Mio fratello prima di partire ti ha detto “mi raccomando, vedi di non farla perdere per Manhattan” e invece se non fosse per me saremmo finiti in Connecticut già da un pezzo.” 

“Aspetta… ma quello è Ladurée? Ci andiamo? Ho promesso a mia madre che le avrei portato una scatola di quei piccoli pasticcini colorati e deliziosi.” 
“Prima devo capire DOVE siamo. Qui la fanno facile, chiedi indicazioni e questi yankee ti rispondono “tra la quinta e la ventiseiesima”, secondo loro io dovrei sapere dov’è la ventiseiesima?” 

Kristal sbuffò, continuando a tenere gli occhi chiari incollati alla cartina ormai rattoppata per quanto era stata utilizzata nei giorni precedenti mentre accanto a lei Lucas continuava a fissare la famosa pasticceria e i colorati macarons che ne adornavano le vetrine. 

“In effetti ho un po’ di fame.” 
“Sono le due, abbiamo pranzato un’ora fa!”
“Sarà il jet leg…” 
“Ma se ci siamo Smaterializzati per arrivare qui?!” 

“Che c’entra, il fuso lo sento comunque!” 


*



“Kristal? C’è un ragazzo che chiede di te.” 

“Arrivo subito, grazie Peter… ha per caso detto come si chiama?” 

Kristal uscì dall’ufficio con un sorriso stampato sul volto, ben lieta di poter fare una pausa approfittando di quella visita inaspettata. 

“No, ha solo detto che cercava te. Hai detto di avere un fratello, no? Magari si tratta di lui.” 
“Oh, ne dubito fortemente, Kyle è Babbano come i miei genitori.” 

La Tassorosso scosse il capo, camminando a passo svelto per raggiungere l’atrio del piano. 

“Luke!” 

Quando scorse la familiare figura del suo migliore amico la ragazza sorrise, correndogli incontro per abbracciarlo:

“Sei sceso al terzo livello per salutarmi, che onore… Come va?”
“Non c’è male, qui invece?” 
“Bene, per me lavorare al Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici non sarà un problema, dopotutto ho molta esperienza alle spalle.” 

Kristal sorrise mentre scioglieva l’abbraccio con l’amico, che le rivolse un’occhiata torva:

“È un modo sottile per definirmi una catastrofe vivente?” 
“Sì, ma con molto affetto.” 

“Certo… hai tempo per fare una pausa e dedicarmi qualche minuto, Jackson?” 
“Naturalmente, andiamo a prendere un caffè.” 

Kristal annuì, prendendo l’amico sottobraccio per raggiungere l’ascensore mentre il ragazzo si lanciava una fugace occhiata alle spalle prima di parlare:

“Chi era il ragazzo che è venuto a chiamarti?” 
“Se lavora qui presumo che sia un mio collega, Lucas… Si chiama Peter. Perché me lo chiedi, lo conosci?” 

“No, mai visto in vita mia, ma dal modo in cui mi ha fulminato quando gli ho detto che ero passato a trovare te oserei dire che nutre una particolare simpatia nei tuoi confronti…” 

Kristal sbuffò, assestandogli una leggera gomitata ma senza riuscire a non arrossire:

“Non dire assurdità…” 
“Dico quello che penso, Kris. Facciamo così, digli che sono il tuo ragazzo, se si innervosisce saprai che ho ragione.” 
“Non ci penso neanche! E smettila di fare la comare!” 


*


“Come va?” 

Era china sulla stessa montagna di fogli da ore, non facendo altro che leggere, leggere e scarabocchiare annotazioni sui margini. 
Quando sentì la voce di Kyle la ragazza alzò lo sguardo, mentre il fratello si fermava accanto a lei, sfiorandole le spalle con le mani:

“Come al solito. C’è un sacco di roba da fare, al Ministero.” 
“Le cose continuano ad andare male?” 
“Già.” 

Kristal annuì, abbassando nuovamente lo sguardo sui fogli che doveva ancora finire di leggere mentre il fratello continuava a guardarla con leggera apprensione:

“Pensi che lavorare in quel “mondo” sia sicuro, Kris?” 
“Io penso che oggi nessuno sia al sicuro davvero, Kyle, neanche voi Babbani. Vivere in due mondi diversi non mi ha mai pesato tanto come in questi ultimi due anni.” 

“A me basta solo che tu stia bene, Kris. E non sopporto di non poterti più proteggere come quando eri piccola.” 
“A volte vorrei tornare ad essere quella bambina che si faceva coccolare dal fratellone, sai? Era tutto molto più facile.” 



*


“Davvero te ne vai?” 

Stava liberando la scrivania quando alzò lo sguardo sula fonte della voce, incontrandosi così il volto del collega che le stava davanti per poi abbozzare un sorriso:

“Diciamo di sì. Mi hanno chiesto se fossi disponibile a tenere sotto controllo i più grandi asili di Londra, sai, per via dei bambini Nati Babbani… nessuno sa meglio di me che danni si possano scatenare con la magia repressa di cui nemmeno si sa l’esistenza.” 

Kristal si strinse nelle spalle, riponendo con estrema cura la fotografia incorniciata che la ritraeva abbracciata a Kyle nello scatolone mentre di fronte a lei Peter restava in silenzio, limitandosi ad osservarla. 

“Dovrei passare lunedì mattina per riportare qui un paio di cose, ma per il resto ho finito. Ti cedo ufficialmente la mia scrivania Callaghan, dopotutto me l’hai inviata per mesi.” 
“Ti eri presa quella migliore, dopotutto.” 

Peter sorrise appena, stringendosi nelle spalle mentre la ragazza lo superava per uscire dall’ufficio. 
Kristal si fermò solo quando si sentì chiamare, voltandosi verso il ragazzo:

“Sì?” 
“Vuoi venire a cena con me?” 


*


Peter, seduto di fronte a lei, le stava dicendo qualcosa a proposito dei suoi anni a scuola, come lei stessa gli aveva chiesto di fare pochi minuti prima visto che non si erano mai nemmeno rivolti la parola all’interno del castello: lui aveva due anni più di lei, e non erano stati nemmeno compagni di Casa, lei Tassorosso e lui Corvonero. 

Kristal aveva, tuttavia, smesso di prestare particolare attenzione alle sue parole da un paio di minuti, continuando a distogliere lo sguardo dal ragazzo o dalla tazza di caffè che aveva davanti per lanciare occhiate criptiche ad un tavolo posto accanto alla finestra dall’altra parte della stanza, occupato da un paio di persone di cui aveva solo una fugace visuale. 
Le era sembrato di averle già viste, in effetti, in un primo momento. 

E più li guardava, più i suoi dubbi lasciavano il posto a delle certezze. 

Benché continuasse a dirsi che no, era assurdo, non potevano davvero essere loro, non potevano davvero essere tanto idioti… o forse sì, infondo lo erano. 
Del resto, chi li conosceva meglio di lei? 

“Vuoi scusarmi un minuto? Devo andare in bagno.”  La ragazza si stampò un sorriso sul volto mentre si voltava nuovamente verso il ragazzo per poi alzarsi e allontanarsi dal tavolo… e quando sparì dalla sua visuale invece che verso il bagno si diresse a passo di marcia verso il tavolo incriminato, sbattendo i palmi sulla superficie liscia e lucidata prima di sibilare qualcosa a mezza voce:

“Che. Cosa. Pensate. Di fare?” 

“Ciao Kris… ci prendiamo un caffè, come te immagino, visto che sei qui.” 

Il suo tono minaccioso non sembrò scalfire né Kyle né Lucas, che continuarono a mescolare il contenuto delle rispettive tazze con nonchalance mentre la Tassorosso si tratteneva dal sfoderare la bacchetta e ucciderli entrambi seduta stante. 
Non doveva fare altro che contare, contare e rilassarsi, ricordarsi di essere in un luogo pubblico e pieno di Babbani… Doveva pensare a qualcosa di carino che la rilassasse, come i bambini con cui passava buona parte delle sue giornate, 

Ecco, i bambini erano perfetti.

“Certo, lo vedo. E ditemi, da quando avete cominciato ad andare insieme a bere i caffè, esattamente?” 
“Da un po’. Scusa, non dicevi che volevi andassimo d’accordo visto che siamo molto importanti per te?” 

I bambini Kris, pensa ai bambini!


“Certo Kyle, ma non intendevo che doveste coalizzarvi per spiarmi! Luke, glie l’hai detto tu, immagino.” 
“Scusa, ma mi ha fatto il terzo grado e ho ceduto, alla fine.” 

“Siete due inutili idioti, sparite immediatamente dalla mia visuale… non ho 13 anni, so badare a me stessa, non mi serve la scorta. Quanto a te.” 

La ragazza si rivolse al fratello, fulminandolo con lo sguardo mentre accanto a lui Lucas rimpiccioliva alla velocità della luce, facendosi improvvisamente piccolo piccolo di fronte al tono e allo sguardo dell’amica:

“Hai 30 anni!” 
“28, prego.” 
“Quel che è! Pensa alla tua vita, alla tua povera fidanzata invece che a me… so che ti sei sempre sentito in dovere di badare a me, ma non sono più la tua piccolina. E ora sparite, o vi avadakedavarizzo, anche se siete le persone a cui tengo di più.” 

La Tassorosso staccò le mani dal tavolo come se si fosse scottata prima di girare sui tacchi e allontanarsi, tornando a sorridere con la sua solita espressione cordiale mentre tornava dall’ignaro Peter e Kyle si voltava verso Lucas, confuso:

“Che cosa ha detto?” 
“È un modo per dire che ci ucciderà, Kyle.” 


*


“Non dovrei essere io, quello nervoso? Si direbbe che tu sia ben più agitata di me.” 

Peter sorrise, guardando la fidanzata con aria divertita mentre Kristal continuava a tamburellare le dita sul tavolo con impazienza, lanciando occhiate all’entrata del ristorante ogni due minuti. 

“Hai paura che possa non piacergli?” 
“No, ho paura che si comportino da imbecilli, gli riesce molto bene, credimi.” 
“Ce la farò, vedrai. Sono felice che tu voglia farmi conoscere la tua famiglia.” 

Poter sorrise e la ragazza ricambiò a fatica, quasi pentendosi di aver avuto quell’idea. Anzi, non era stata sua a dire il vero, si era semplicemente fatta convincere da suo fratello, che da un paio di settimane insisteva per conoscere il fantomatico Peter di cui tanto le aveva sentito parlare. 

Sul momento si era detta che non sarebbe stata di certo una tragedia, ma stava iniziando a ricredersi. 

Quando vide un paio di persone ben note entrare distese le labbra in un sorriso, facendo loro un cenno per attirarne l’attenzione prima di voltarsi nuovamente verso Peter, sorridendo con leggere nervosismo:

“Beh, in tal caso… ti presento la mia famiglia disastrata, Pete.” 

“La tua famiglia?” 

Kristal annuì, sorridendo con una punta di divertimento di fronte al tono e all’espressione smarrita del ragazzo, che probabilmente si aspettava di vedere i suoi genitori.

“Sì, ce l’hai davanti… lui è mio fratello Kyle, e lui è ovviamente Luke, già lo conosci di sfuggita.” 



*




“Sto iniziando a pentirmi di essermi lasciato convincere.” 

Kristal, in piedi davanti a suo fratello vicino al gate del suo volo, scosse leggermente il capo alle parole di Kyle, guardandolo con un velo di malinconia:

“È la cosa migliore. Te l’ho detto, che cosa fanno ai Babbani, e non voglio che ti accada nulla.” 
“E allora vieni con me anche tu. Hai detto che odiano le persone come te, no? Non è sicuro nemmeno per te stare qui, Kris.” 

“Poco ma sicuro… ma devo stare qui, questa è la mia casa, e questa è la nostra guerra, non la vostra. In un modo o nell’altro prima o poi finirà Kyle, e per allora tu starai lontano dalla Gran Bretagna. Dicevi sempre di voler vedere l’America, no?” 
“Sì, ma non in queste circostanze. Non ti voglio lasciare in questa situazione.” 

“Non sono sola Kyle... ma mi mancherai, non posso negarlo. Ti voglio bene, scrivimi… e cerca di non mangiare solo schifezze!” 
“Io sto partendo per andare dall’altra parte del globo e tu mi parli di alimentazione?” 

Kyle sbuffò, roteando gli occhi prima di avvolgere la sorella in un abbraccio, lasciandole un bacio sulla testa:

“Fai attenzione, ok?” 
“Lo farò… se finirà bene tornerai presto qui, te l’assicuro.” 

Kristal si sforzò di sorridere, cercando di non prendere nemmeno in considerazione la seconda opzione mentre il fratello annuiva, non particolarmente convinto dalle sue parole:

“Lo spero. Ciao ragazzina.” 
“Ciao, vecchietto.”
 


*


Era in ritardo, di circa dieci minuti. 
Ma aveva smesso da molto tempo di farglielo notare, limitandosi a rivolgergli un’occhiata di rimprovero quando lui si presentava con un sorriso carico di scuse.

Quel giorno era particolarmente di buon umore, forse troppo anche per fare una ramanzina al suo migliore amico, che come da manuale la raggiunse al tavolo di corsa, la sciarpa messa male e i capelli leggermente scompigliati:

“Lo so, sono in ritardo, ma i folletti non mi mollavano più!” 
"Non eri tu quello che voleva lavorare a contatto con le creature magiche, Luke?” 
“Sì, ma non i Folletti, sono viscidi. Ma non parliamo di questo… come stai?” 

Il ragazzo sorrise all’amica, sfilandosi frettolosamente la sciarpa prima di sporgersi e darle un bacio su una guancia, ricevendo un sorriso:

“Bene, mi dispiace se non riusciamo a vederci molto di recente, ma il Ministero è decisamente in sobbuglio… Come sta Lisa?” 
“Mi chiedi come sta Lisa e non mi chiedi come sto IO?” 

“Beh, tu stai bene e lo vedo, ma la povera Lisa sta con te, quindi è sempre meglio chiedere…” 
“Bene, sta bene. Ma mia madre continua a chiedermi quando ti inviterò a cena, sembra gradire lantua compagnia più di quella della mi ragazza.” 

“Beh, Evangeline mi conosce da anni, se vuole spodestarmi deve mettersi in fila. Comunque... Noti niente di diverso?” 

Kristal piegò le labbra in un sorriso allegro, mentre l’amico quasi si allarmò a quella domanda: quando gli veniva posta, non riusciva mai ad azzeccare la risposta. Gli occhi verdi del ragazzo si catalizzarono sui capelli di Kristal, cercando di cogliere qualche possibile differenza… ma niente, sembravano proprio quelli di sempre. 
No, non notava proprio nulla di diverso, ma Kristal continuava a guardarlo, senza smettere di sorridere mentre gli occhi chiari dell’amico la osservavano con attenzione, arrovellandosi su cosa potesse essere cambiato rispetto all’ultima volta in cui si erano visti. 

Poi il suo sguardo indugiò leggermente più in basso rispetto al viso dell’amica, posandosi sulle sue mani appoggiate sul tavolo, davanti a lui.
In particolar modo, sulla sinistra. 

“Per l’intimo di Morgana… ti ha chiesto di sposarti? Finalmente una bella notizia, direi.”  
“Sì! Perciò, la domanda è semplice: mi farai da damigello, vero?” 

“Testimone mi suona meglio, ma sì, lo farò.” 


*



“Allora… volevo dirvi che, per un periodo, non verrò più a scuola.” 
“Perché?” 
“Devi andare via?” 

Kristal, seduta su una sedia, sorrise di fronte alle espressioni sinceramente tristi dei bambini che la circondavano, tutti che ascoltavano con attenzione ciò che la maestra stava dicendo:

“No Thomas, non devo andare via… starò per qualche mese a casa e poi tornerò.” 
“E perché devi andare a casa?” 
“Sei malata, maestra?” 

“No, sto benissimo… ma ho un bambino nella pancia e, sapete, bisogna riposarsi in questi casi, è successo anche alle vostre mamme.” 

Kristal sorrise, guardando i suoi “alunni” con sincero affetto mentre questo ammutolivano, iniziando a tempestarla di domande subito dopo, chiedendole se sarebbe tornata, se anche quando avrebbe avuto un bambino avrebbe ancora voluto loro bene eccetera. 

Stavano facendo quasi più domande di Lucas e di suo fratello, che quando avevano appreso la notizia erano, rispettivamente, uno quasi svenuto e l’altro l’aveva tenuta al telefono un’ora e mezza per farsi dire accuratamente come stesse e se andasse tutto bene.
Kyle le aveva chiesto se volesse che tornasse, e anche se gli mancava moltissimo, non lo vedeva dal giorno del suo matrimonio dopotutto, aveva declinato l’offerta, ricordandogli che non era ancora affatto sicuro per lui restare in Inghilterra.

Ma era riuscito a farsi promettere di essere tenuto informato, e Kristal era certa che il giorno del parto sarebbe corso a prendere il primo volo visto che di certo Lucas l’avrebbe aggiornato di nascosto per tutti i mesi successivi, informandolo di pressoché qualunque cosa.


*


“Ma sei sicuro che si faccia così? Secondo me è sbagliato.” 
“No, ti dico che il verso è questo, c’è scritto nelle istruzioni!” 


Kristal, comodamente stesa sul divano del salotto, teneva una rivista tra le mani, impegnata a leggere mentre, alle sue spalle, Peter e Lucas si stavano adoperando per riuscire a montare una culla. 
All’inizio aveva cercato di dare una mano, ma dopo pochi minuti aveva saggiamente deciso di lasciare la situazione in mano ai due e di mettersi comoda. 


“Sapete, ho abbastanza esperienza alle spalle da credere che Luke non abbia letto le istruzioni con questa poi così grande attenzione, forse bisognerebbe darci una seconda occhiata… e in ogni caso Luke, PERCHÉ sei qui? Non dovresti organizzare il tuo matrimonio, almeno in teoria?” 

“Sai bene quanto me che alla fine decide tutto la sposa, io non servo a niente, ci penserà Lisa. Nel vostro hai lasciato decidere a Peter solo le bomboniere!” 
“Solo perché il mio gusto è nettamente migliore, caro. In ogni caso non insisto, cercate solo di montarla in modo stabile, non vorrei crollasse.” 

“Prima o poi ce la faremo Kris… ora, questo DOVE va? C’è un disegno?” 
“No, ma penso sia la base. Ma perché è così difficile, mi sembra di essere tornato a scuola con la McGranitt, quando per quanto ci provassi non riuscivo a combinare un bel niente!” 



Lucas sbuffò, osservando le istruzioni con aria trova mentre la Tassorosso roteava gli occhi, evitando di chiedere perché non usassero semplicemente la magia invece di ostinarsi a voler fare tutto a mano come i Babbani.

Maschi. 


*


1975


“Posso tenerla?” 

Kristal annuì, mettendo con delicatezza la bambina tra le braccia del suo migliore amico, che era appena entrato nella stanza per salutare lei e la nuova “nipotina”. 

Lucas sorrise alla bambina, seduto accanto all’amica sul letto dell’ospedale:

“Ora mi vuoi dire come avete deciso di chiamarla?” 
“Daisy.” 

“Carino… è molto dolce.” 
“Lo so. Notizie di Kyle?” 
“Il suo volo era ieri sera, voleva arrivare per il parto ma temo che tu l’abbia battuto sul tempo… ma penso che stia arrivando. Scommetto che non vede l’ora di vederla.” 

“E io non vedo l’ora di vedere il MIO nipotino, se è per questo. Pete dov’è?” 
“Fuori, credo che sia ancora scioccato da quando tu lo hai preso ad insulti, ordinandogli di uscire dalla sala parto.” 
“In mia difesa posso dire di essere stata molto suscettibile durante il travaglio, penso sia comprensibile… e poi se permetti dà molto fastidio vedervi “sentivi male” assistendo al parto, non quando NOI soffriamo indescrivibilmente. Ma ne è valsa la pena.” 

Kristal sorrise alla figlia, sfiorandole il viso con un dito e ripensando a quando, da bambina, si era detta di voler avere una famiglia unita e magari anche abbastanza numerosa, un giorno. 
Una famiglia che non avrebbe mai messo da parte come i suoi genitori avevano sempre fatto con lei e Kyle: al primo posto avevano messo il lavoro, poi c’erano loro e avevano lasciato i figli solo al terzo. 

No, lei non sarebbe stata così, per niente.


“Kristal? Avete una visita.” 

Sentendo le parole dell’infermiera aveva alzato lo sguardo, ritrovandosi a guardare suo fratello in piedi sulla soglia della stanza, sorridendogli:

“Ce l’hai fatta, finalmente.” 
“Beh, avevi detto che avresti partorito la prossima settimana, mi avete battuto sul tempo. Come ti senti? Dov’è Pete?” 

“Qui fuori traumatizzato, poverino, dopo digli di entrare per favore… Comunque sto benissimo, fratellone, mai stata meglio credo.” 

Kristal sorrise mentre il fratello le si avvicinava, continuando a tenere gli occhi fissi sulla bambina che la sorella teneva in braccio. Lucas si alzò per cedergli il posto, sostenendo che sarebbe passato a vedere come stesse Peter per lasciarli da soli un paio di minuti.

Kyle sedette accanto a Kristal, sorridendo alla nipotina:

“Come si chiama?” 
“Daisy. Non è bellissima?” 
“Certo che lo è… mi sei mancata, piccoletta.” 

“Anche tu. Julia e il piccolo Ryan come stanno?” 
“Bene, Julia ti saluta e Ryan impara a camminare… avrei voluto portarlo con me per fartelo conoscere, ma è ancora piccolo.” 

“Se tutto andrà bene tra qualche anno la guerra finirà, Kyle, così se vorrai tornerai a vivere qui… e allora saremo di nuovo una famiglia.” 


*



“D’accordo, per oggi basta TV… è ora di andare a dormire.” 


Kristal entrò nel salotto trovando quattro bambini, due maschi e due femmine, seduti sul tappeto con gli occhi fissi sullo schermo della televisione. Alle sue parole si voltarono tutti verso la madre/zia, iniziando subito a protestare per poter vedere i cartoni ancora per un po’.

“Niente da fare, avete già guardato abbastanza… è tardi, ora si va a letto.” 
“Ma noi non siamo stanchi. Dormiremo dopo.” 

Sua figlia Daisy, di cinque anni, si strinse nelle spalle e poi si voltò di nuovo verso la TV, mentre accanto a lei Edward annuiva, sorridendo alla “zia”.

“Non penso proprio… è tardissimo, quasi mezzanotte, quindi si va a dormire.” 
La strega spense la TV prima di prendere Eloise in braccio, ignorando le proteste della figlia e di Edward mentre la bambina bionda la guardava con gli occhi sgranati:

“È già mezzanotte zia?” 
“Sì Elly… non vedi le lancette?” 

In realtà erano le nove, ma aveva solo quindici minuti per togliersi i bambini dai piedi mettendoli a letto prima che iniziasse Sabrina. 

Fortunatamente nessuno tra Daisy, Edward, Eloise e Lucas era in grado di leggere un’orologio, e finché poteva ne approfittava, ovviamente. 
Per quanto amasse i bambini si stava quasi pretendo di aver accettato di far dormire da loro i figli di Lucas, specie considerando che non c’era Peter ad aiutarla. 
“Come Cenerentola!” 
“Sì amore, come Cenerentola… quindi sarà meglio andare subito a dormire, non credi? Voi tre, venite.” 


*

1981


Sentendo suonare il campanello con tanta insistenza era quasi corso ad aprire, chiedendosi chi potesse fargli visita a quell’ora. Di chiunque si trattasse, avrebbe dovuto ringraziarlo per aver svegliato Eloise, che era diventata subito estremamente attiva e voleva giocare e fare merenda anche se erano le due del mattino. 

“Tesoro, no, non puoi mangiare adesso, è presto! Ma chi può essere a quest’ora?” 

Lisa sbuffò mentre prendeva in braccio la figlia di tre anni, ignorando le sue proteste mentre anche un Edward sorridente li raggiungeva, in pigiama e i con i capelli scuri spettinati, chiedendo se avessero visite. 

“Non lo so, vado a vedere.” 

Lucas sbuffò rumorosamente, camminando a piedi nudi sul parquet gelato per poi scendere le scale e raggiungere la porta d’ingresso, sperando vivamente che fosse importante. 

“Kristal? Che cosa ci fai qui a quest’ora? È successo qualcosa?” 

Nel trovarsi davanti la sua migliore amica, sorridente ma allo stesso tempo con gli occhi quasi lucidi, il Tassorosso si allarmò leggermente, spostandosi dall’uscio per farla entrare:

“Non sai niente? Merlino Luke, dove saresti se non ci fossi io…” 
“Chi è?” 
“Tranquilla, è Kris… di che cosa stai parlando? Stavo dormendo, fino a due minuti fa!” 

“Dormirai molto meglio da oggi, credimi… Pare che Tu-Sai-Chi sia stato sconfitto da un bambino, è finita, finalmente!” 


*


“Lucas, finisci di preparare la tavola… Sharon, aiutalo!” 
“Ok mamma…” 

“Martin, prendi il vino. Francis, renditi utile invece di poltrire, aiutami ad impiattare!” 

“Mamma, dovresti rilassarti, è la solita cena di Natale, non deve venire il Ministro!” 
“Beh, abbiamo ospiti. E se tra di noi siamo abituati al consueto caos di questa casa, gradirei che per questa sera tutto fosse in ordine.” 

Lucas si avvicinò alla madre per prendere i piatti, ritenendo gli occhi con esasperazione:

“Mamma, Kris ci conosce da anni, sa benissimo come vanno le cose qui dentro.” 
“Se hai ospiti è buon costume che sia tutto in ordine, Luke… ancora non mi capacito di come voi quattro torniate qui per neanche mezza giornata e si scateni così il caos, stamattina era tutto tranquillo.” 

Evangeline sospirò mentre tornava ad ultimare le portate, non rimpiangendo per niente i tempi in cui aveva tutti i figli in casa mentre questi l’aiutavano a preparare il tavolo e la cena, lasciando che i rispettivi consorti e figli nel caso di Lucas e Sharon aspettassero in salotto senza muovere un dito. 

“Non capisco perché puntualmente ci sfrutti mamma, tecnicamente siamo ospiti anche noi!” 
“Sta zitto Francis, voi siete ospiti che è permesso sfruttare. Hanno suonato, qualcuno vada ad aprire!” 


“Vado io.”  Lucas sorrise, cogliendo al volo l’occasione per defilarsi e affrettandosi ad uscire dalla cucina, superando rapidamente il salotto per poi aprire la porta con un gran sorriso stampato sulle labbra, accogliendo amica e famiglia:

“Eccovi qui, entrate pure… Kris, tu sei abituata al manicomio che questa casa diventa quando siamo tutto sotto lo stesso tetto, ma preferisco mettere Peter in guardia. Ciao ragazzi!” 
“Tranquillo, l’ho già fatto io… dov’è tua madre? Voglio salutarla e ringraziarla per l’invito.” 

“Te l’ho detto, ti adora, credo pagherebbe centinaia di Galeoni pur di avere una figlia come te. Su, entrate, Evangeline Kroll muore dalla figlia di spupazzare i suoi “nipotini acquisiti”.” 


*


Edward Kroll  Image and video hosting by TinyPicEloise Kristal Kroll Image and video hosting by TinyPic  Daisy Callaghan Image and video hosting by TinyPic Lucas Kyle Callaghan Image and video hosting by TinyPic Lilian CallaghanImage and video hosting by TinyPic



Quando entrò in cucina trovò suo figlio Edward insieme al figlioccio Lucas impegnati a fare merenda, sorridendo calorosamente ai due bambini mentre gli si avvicinava:

“Ciao ragazzi… la zia Kris?” 
“È uscita con Elly, Daisy e Lily.” 

Edward fece spallucce mentre il padre si accigliava, chiedendosi dove potessero essere andate… non ricordava per niente che l’amica gli avesse detto qualcosa a proposito di uscire. 


Stava per chiedere ai due quanto tempo fosse passato da quando era andata via quando l’ex Tassorosso sentì la porta dell’ingresso aprirsi, udendo subito dopo la familiare voce dell’amica:

“Luke, siamo a casa!” 
“Parli con me o con tuo figlio?” 

“Con te! Ah, eccovi qui. Abbiamo fatto shopping.” 

Kristal comparve sulla soglia della stanza con un enorme sorriso stampato sul volto, la piccola Lily in braccio e una mano che reggeva diverse buste. Eloise sorrise al padre, avvicinandoglisi per farsi prendere in braccio. 

“Sì, lo vedo. Fammi indovinare, hai di nuovo comprato ad Elly un mare di cose, come sempre.” 
“Luke, è la mia figlioccia, la devo viziare, altrimenti a cosa servono le madrine? Ti ricordo che TU coccoli Luke all’inverosimile, e mio fratello non fa altro che viziare Daisy e Lily.” 

La strega si strinse nelle spalle, avvicinandosi al figlio per dargli un bacio su una guancia e farsi raccontare tutti i guai che aveva di sicuro combinato insieme ad Edward in sua assenza. 
Aveva deciso di chiamarlo come il suo migliore amico e suo fratello, non immaginando che quel nome avrebbe trasmesso anche l’indole a combinare pasticci del suo padrino. 


“Mamma, lo zio ci ha fatto vedere come si fa a far esplodere le lampadine!”  Il bambino rivolse un sorriso allegro alla madre, gli occhi azzurro-verde luccicanti di divertimento mentre lo zio sfoderava un sorriso angelico in direzione dell’amica, che gli rivolse un’occhiata torva:

“Molto educativo, direi.” 
“È stato divertente!” 

“Luke, stai trasformando il mio piccolo angioletto nella tua versione mignon, i tuoi fratelli non ti sono bastati?” 
“Potrei farlo di professione, formare piccoli combina guai… sarei senza dubbio eccezionale.” 


“Papà, domani mi fai vedere come si rompono i vetri?” 
“No! E sono sicura che tua madre sarebbe d’accordo con me. Luke, smettila, o alla McGranitt verrà un infarto quando Edward andrà ad Hogwarts, tra cinque anni.” 


*


“Ieri la mamma mi ha telefonato.” 
“Ah sì? E che cosa ti ha detto?” 

Kyle, seduto sul divano del salotto accanto alla sorella con la TV accesa, si voltò verso di lei mentre i figli giocavano davanti a loro, sul tappeto. 
Kristal si strinse nelle spalle, continuando a tenere gli occhi chiari fissi sullo schermo della TV e la testa appoggiata sulla spalla del fratello:

“Mi ha chiesto se a Natale andiamo da lei e papà a pranzo.” 
“E tu che cosa le hai detto?” 
“Che ne avrei parlato con te. Tu che ne pensi?” 
“Beh, da quando sono diventati nonni sono improvvisamente molto più affettuosi e presenti… forse si sentono solo in colpa in realtà, ma forse dovremmo andarci. Sono pur sempre i nostri genitori.” 

“Oh, per favore, tu per me sei stato molto più paterno di loro messi insieme. Non si sono fatti scrupoli a passare le feste lontani da casa per anni, poi intraprendiamo le nostre strade, ci sposiamo, si rendono conto di essersi fatti sfuggire i figli dalle mani e diventano nei nonni affettuosi. Non mi va giù.” 
“Lo so. Ma fallo per loro… Nessuno sa meglio di noi come sia crescere senza una parte fondamentale della propria famiglia, sono sicuro che tu non voglia che accada lo stesso ai tuoi figli.” 

“E infatti non succederà, mai. Io e Peter siamo molto presenti per loro, e hanno anche due zii estremamente presenti e affettuosi… ma forse hanno bisogno anche dei nonni.” 
“Beh, almeno pensaci, prima di escluderli dalla loro vita. Puoi farlo con la tua, ma credi che per loro sarebbe la cosa migliore?” 

Kristal esitò prima di annuire, rivolgendo un’ultima occhiata ai bambini prima di voltarsi verso il fratello, guardandolo con lieve scetticismo:

“Da quando sei diventato così coscienzioso, Kyle?” 
“Sono sempre stato estremamente riflessivo e coscienzioso, Kris.” 

“Ti prego, quando ero piccola lasciavi i cancelletti sulle scale aperti in continuazione, è un miracolo che sia ancora viva!” 
“Sorella ingrata.” 


*


Era seduta sul muretto accanto al cancello aperto, facendo dondolare distrattamente le gambe mentre teneva lo zaino colorato ancora sulle spalle. 
Guardò gli ultimi bambini allontanarsi, sorridenti, insieme alle rispettive madri o padri… come succedeva praticamente tutti i giorni era l’ultima rimasta ad aspettare all’uscita della scuola. 


Qualche minuto prima le si era avvicinata la sua maestra, chiedendole se non volesse aspettare dentro e magari chiamare i suoi genitori… ma la bambina aveva declinato, sostenendo con fermezza che suo fratello sarebbe presto arrivato a prenderla. 
No, lui non l’avrebbe mai lasciata lí da sola… e poi era abituata ad aspettare, sua madre ci metteva secoli per andare a prenderla fin dall’asilo. 

La bambina di nove anni fece vagare lo sguardo sul parcheggio che aveva davanti, sperando di vedere Kyle avvicinarsi. 
Quando vide una moto avvicinarsi sorrise quasi senza pensarci, alzandosi un istante dopo per corrergli incontro e fermarsi accanto al ragazzo, che si sfilò il casco dalla testa prima di sorriderle:

“Ciao principessa… scusa l’attesa.” 
“Sto morendo di fame, dovevi venire venti minuti fa!” 
“Dieci.” 
“Venti!” 
“Io ho diciassette anni, tu nove, so contare meglio di te e dico dieci minuti. Punto e basta… coraggio, mettiti il casco.” 

Kyle roteò gli occhi prima di porgere alla sorella il piccolo casco blu che le aveva comprato per farsi scorrazzare in moto con lui, aiutandola poi a salire davanti a lui. 

“D’accordo… andiamo a mangiare da qualche parte?” 
“Non hai fatto la spesa, vero?” 
“Sei una piccola saputella, lo sai?” 





“Comportati bene, ok? Sono sicura che ti divertirai… Hogwarts ti piacerà moltissimo, vedrai.” 

Kristal sorrise alla figlia più grande, sistemandole i capelli biondi cenere mentre le ragazzina ricambiava il sorriso, guardandola con affetto:

“Lo spero.” 
“Io adoravo tornarci, dopo le vacanze… anche se mi mancava lo zio Kyle, certo. Scrivimi domani mattina, non vediamo l’ora di sapere in che Casa verrai smistata.” 
“Sono curiosa anche io… Tassorosso come te o Corvonero come papà?” 

“O magari nessuna delle due, chissà. Ma ricorda: se per caso finisci, al banchetto, seduta davanti ad un tuo nuovo compagno di Casa che ti saluta vivacemente e sembra simpatico scappa. Non potrai più tornare indietro e passerai la vita a fargli da baby-sitter, ricordandogli di allacciarsi le scarpe, te lo dico per esperienza.” 

“Parli dello zio Luke?” 
“Ovviamente, di chi se no… sai quanto tenga a lui, ma prenderlo in giro è sempre molto gratificante.” 

“Poteva andarti peggio mamma, lo zio è bello. Mi sono spesso chiesta, in effetti, perché non ci sia mai stato niente tra di voi.” 

“Se lo sono chiesti tutti…  ma per me è solo il mio secondo fratello. Il mio pasticcione, smemorato, divertente e affettuoso fratellino.” 





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Capitolo 4
*** James & Veronica ***


James & Veronica 

 
James Julius IMG_4966e Veronica ZabiniIMG_4965



“Alla buonora.” 

James, seduto ad un tavolo del bar del Ministero, accolse i suoi due migliori amici con un brontolio, osservando Jonathan e Kathleen avvicinarglisi tenendosi mollemente il capo con una mano:

“Scusa Jamie, la colpa è ovviamente di Jonathan, ci ho messo quasi dieci minuti a scollarlo dalla scrivania.” 
“Volevo finire di sistemare un paio di cose, Kathy.” 

Il biondo fulminò l’amica con lo sguardo mentre prendeva posto di fronte a James, maledicendo mentalmente il giorno in cui, mesi prima, avevano deciso di intraprendere la medesima strada. 
Non era sicuro di riuscire a sopportarla ogni giorno per il resto della sua vita, considerando che si vedevano comunque oltre il lavoro. 

“Il solito irritante pignolo… In ogni caso Jamie, come va?” 
“Bene.” 
“È da una settimana che non ci vediamo… il clan Julius sta bene?” 
“Come sempre.” 

James parlò senza battere ciglio, limitandosi ad osservare l’amica di rimando quasi con aria annoiata, parlando con un tono neutro che non sembrò farla demordere: dopotutto sapeva già che cosa volesse chiedergli realmente. 

“Kath, smettila con i convenevoli e chiediglielo e basta, credi non ti conosca?” 
“Come vuoi, io volevo essere carina e interessarmi prima anche ad altro, ma se proprio insisti… Allora Jimmy, come vanno le cose con Veronica?” 

Kathleen stese le labbra in un sorriso senza staccare gli occhi scuri dal volto dell’amico, che si limitò a stringersi nelle spalle con nonchalance come se stesse parlando del tempo:

“Bene.” 
“Bene? Smettila di parlare così, che fine ha fatto la tua parlantina?” 

“Kath, non ti dirò niente, e sai perché? Perché altrimenti tra due ore le mie sorelle e mia madre ne staranno parlando, visto che sicuramente tu andrai a riferire tutto per spettegolare alle mie spalle.”

Jonathan non riuscì a nascondere un sorriso, trovandosi completamente d’accordo con l’amico mentre invece la ragazza sbuffava, incrociando le braccia al petto:
 
“Come ti pare, non dire nulla… scrivi pure tutto nel tuo diario segreto senza condividere niente, tanto ne parlerai di certo con Jonathan… e io lo torchierò finché non saprò qualcosa, sono curiosa!” 
“E quando mai? Sei uguale allo zio Maxi.” 

“E tu allo zio Dan!” 

“Scusate, visto che tecnicamente siamo in un bar, possiamo ordinare qualcosa, avrei un certo appetito…” 
“Aspetta, prima torchio Jimmy, poi ordiniamo.” 


*


Stava quasi cominciando a pentirsi della sua scelta, visto il cumulo infinito di cose che aveva da studiare per preparare il suo terzo esame. 
Ma ormai era tardi per tirarsi indietro e voleva andare fino in fondo, non aveva alcuna intenzione di rinunciare. 


“Ciao, stagista… finito di prendere appunti?” 
Smise finalmente di pensare allo studio e agli esami quando vide un ragazzo piuttosto alto aspettarla infondo al corridoio, accanto agli ascensori, con un sorriso sulle labbra. 
La ragazza annuì, ricambiando mentre si avvicinava a James:

“Sì per oggi sì. Com’è che tu sembri sempre così rilassato mentre io sono un fascio di nervi?” 
“Anche mia madre è così, mio padre le ripete di rilassarsi da credo trent’anni… e ora io lo dico a te Veronica: rilassati, cerca di non pensare allo studio per un po’.” 

James sorrise alla bionda, mettendole un braccio sulle spalle mentre Veronica alzava lo sguardo, abbozzando un sorriso a sua volta:

“Ci proverò. Ora andiamo, o faremo tardi… e non mi va di far aspettare Berenike, lei non sopporta le persone che arrivano in ritardo agli appuntamenti.” 
“Davvero? Strano, Markus non ci fa mai molto caso… Ma stanno bene insieme comunque.”


*


Eltanin teneva gli occhi sulla lettera che le era appena arrivata, leggendo le poche righe che Veronica le aveva scritto. 
Aiden era seduto accanto a lei, impegnato a leggere a sua volta, ma quasi sobbalzò sulla sedia sentendo la voce della moglie esplodere nella stanza:

“Merlino El, che ti prende?” 
“Devo andare… ti spiego dopo!” 
“Qualcuno sta male?” 

“No, tutt’altro… ci vediamo dopo!” 

Eltanin si alzò con un largo sorriso sulle labbra, correndo verso il camino per poi sparire subito dopo, lasciando il ragazzo solo e decisamente confuso: sì, stare con lei era un lavoro a tempo pieno. 


Si disse che probabilmente era solo la sua ennesima pazzia e tornò a leggere, ma la pace ebbe vita breve visto che poco dopo qualcuno comparve nel camino, guardandosi intorno con lieve perplessità:

“Ciao Aiden, scusa il disturbo… c’è Eltanin?” 
“No, l’hai persa di pochissimo, è appena corsa via per qualche motivo. Perché la cerchi?” 
“Speravo sapesse dirmi qualcosa a proposito di Berenike, dieci minuti fa si è Smaterializzata dopo aver letto una lettera, pensavo fosse venuta qui.” 

“No, non l’ho vista… ma anche El stava leggendo una lettera.” 

Aiden alzò lo sguardo dal giornale per rivolgere un’occhiata perplessa a Markus, che ricambiò per un istante prima di parlare:

“Beh, se non si stavano scrivendo a vicenda, direi che rimane solo Veronica.” 



E infatti, a diversi km di distanza, le tre ex Corvonero stavano festeggiando il recente fidanzamento della bionda.


*


“Questo turno sembrava infinito, abbiamo avuto decine di visite… per lo meno non tutte cattive notizie, oltre a lesioni di qualunque tipo è anche arrivata una ragazza in dolce attesa.” 
“Finalmente una bella notizia, allora.” 

Jane sorrise alla collega mentre si sfilava il camice, guardandola annuire con aria arrota mentre teneva un fascicolo in mano:

“Sì, ho giusto qui la cartella clinica… direi che va tutto bene. Sai, il nome mi sembra familiare, in effetti… ti dice qualcosa?” 

Quando prese la cartella gli occhi azzurri della Medimaga finirono immediatamente sul nome scritto in un angolo, in alto a destra… e subito dopo Jane li strabuzzò, stentando a credere a quello che aveva davanti:

“Merlino… devo andare! È già andata a casa?” 
“Non credo, stanza 38… allora la conosci?” 

“Veronica Zabini è mia nuora! Diventerò nonna!” 

Jane sorrise prima di quasi correre fuori dallo spogliatoio, dimenticandosi di aver finito il turno per raggiungere Veronica e stritolarla, poco dopo, in un abbraccio che avrebbe fatto sicuramente invidia a suo marito. 


*


“Su, avanti, dillo: nonno. Non-no.” 

Jason teneva gli occhi fissi sul nonno paterno, che era seduto al tavolo della sala da pranzo accanto a lui per imboccare il nipotino, che però di parlare proprio non ne voleva sapere.

“Andiamo! Non è certo una parola difficile…” 

Dante Julius sbuffò, scoccando un’occhiata quasi di rimprovero in direzione del nipote di circa un anno, che però gli sorrise quasi a volerlo prendere in giro:

“Mi ridi anche in faccia? Bravo!” 

“Stai ancora cercando di fargli dire “nonno”? Dagli tempo, è piccolo!” 

Quando la voce della moglie arrivò alle sue orecchie Dante si voltò, rivolgendo un’occhiata grave in direzione di Jane, che si avvicinò a marito e nipote. 
Jason invece, non appena la vide, sfoggiò un larghissimo sorriso sdentato, allungando le braccia verso di lei prima di dire qualcosa:

Nonna!” 
“Ecco, lo vedi? Perché dice nonna e non nonno? Piccolo ruffiano.” 

Dante sbuffò, scoccando un’occhiata torva al nipote mentre Jason si lasciava prendere in braccio dalla nonna, godendosi le coccole con aria soddisfatta. 

“Non prendertela Dan, so per certo che ti adorerà. Tu stesso dici sempre che i bambini ti adorano, no?” 
“Certo che mi adorano Jane, ma il fatto che il mio primo e per ora unico nipote non si degni di dire “nonno” è un po’ deprimente.”


*


Quando vide un’inconfondibile ragazza dai capelli scuri avvicinarlesi Veronica sorrise, rivolgendole un lievissimo cenno con la mano prima di alzarsi e abbracciare l’amica non appena l’ebbe raggiunta:

“Ciao Vee… Berenike deve ancora arrivare?” 
“Sì, non si è ancora fatta vedere, ma non ama essere in ritardo, sono sicura che presto sarà qui.” 

Veronica sorrise all’amica prima di sedersi nuovamente sulla poltroncina mentre Eltanin prendeva posto di fronte a lei, aspettando che anche la cugina arrivasse. 
Le previsioni della bionda si confermarono quando, pochi minuti dopo, la rossa entrò quasi di volata per poi raggiungere le due sbuffando come una ciminiera:

“Scusate il ritardo, ma Pollux non la smetteva mai di piangere, Castor faceva i capricci… Sono felice di vedere qualcuno che parla correttamente, cammina, sa leggere e non piange in continuazione.” 
“Sì rossa, siamo felici di vederti anche noi, ora che siamo tutte e tre alle prese con un gruppo di marmocchi urlanti 12 h su 24 vedersi è diventato difficile… alla fine hai risolto con i bambini?” 

“Oh, sì, li ho lasciati da Libra, se la vedrà lei.”
Berenike si strinse nelle spalle mentre si sporgeva in avanti per prendere uno dei menù rilegati appoggiati sul tavolino da caffè che divideva la poltrona e il piccolo divano, mentre Eltanin sorrideva alle sue parole:

“Scaricare i figli sulle sorelle, ottima strategia.” 
“Io sono figlia unica, ma ho avuto la fortuna di sposare il maggiore di cinque figli, quindi credo che adotterò questa tattica anche io… anche se, a differenza vostra, di marmocchio ne ho ancora solo uno.” 

Veronica sorrise, pensando con affetto a Jason mentre gli occhi di Berenike correvano sul menù:

“La metà della fatica, in pratica. Che cosa prendete? Per me niente di alcolico, non posso bere.” 

“Sì, nemmeno io.” 
“Neanche io.” 


Alle parole di cugina e amica gli occhi della rossa saettarono dal menù che aveva davanti per posarsi prima su Eltanin e poi su Veronica, esitando prima di parlare con sincera perplessità, quasi indecisa se ridere o meno:

“… mi prendete in giro? … Tutte e tre?!” 


*



Mentre camminava sul vialetto di ghiaia ormai praticamente ghiacciato tenendo Victoria per mano e la piccola Jasmine di nemmeno un anno in braccio, Veronica Zabini si chiese se, anni prima, avrebbe mai ipotizzato di ritrovarsi alle prese con una famiglia tanto numerosa, un giorno. 


James camminava accanto a lei mentre Jason gli trotterellava accanto, il viso appena visibile sotto la sciarpa che la madre lo aveva costretto ad indossare mentre continuava a lanciare occhiate al sacco che il padre si portava appresso, pieno dei regali che avevano “trovato” quella mattina sotto l’albero. 

“Quando posso aprire i regali?” 
“Tra poco, ma prima dobbiamo distribuirli a cugini, zii e ai nonni.” 

James sorrise al bambino, dandogli un lieve buffetto sulla nuca mentre ripensava a tutti i Natali in cui era corso a svegliare i genitori praticamente all’alba per aprire finalmente i regali. 


“Sai, a volte mi chiedo COME facciamo a starci tutti, qui dentro. Insomma, tra noi cinque, i tuoi genitori, i tuoi fratelli con consorti e figli al seguito…” 
“Già, e ho anche la sensazione che tra qualche tempo saremo aumentati, in genere in famiglia abbiamo tutti più di due figli.” 

James si strinse nelle spalle mentre raggiungeva il portico della casa dove era cresciuto, non stupendosi per niente quando la porta si spalancò e sua madre comparve sulla soglia, un enorme sorriso stampato sul volto e un bambino in braccio:

“Eccovi, finalmente, il pranzo è pronto.” 
“Nonna, ho fame!” 
“Adesso si mangia Al, non preoccuparti. Su, entrare.” 

La donna si spostò per lasciar entrare figlio, nuora e nipoti, accogliendo con un abbraccio sia Jason che Victoria mentre Alberth continuava a tirarle un lembo del grembiule, reclamando il pranzo.


“Buon Natale mamma… non hai cucinato per un reggimento, vero? Ogni Natale sgobbi ai fornelli per tre giorni interi.” 
“Nessun reggimento Jimmy, ma siamo comunque in tanti, e questi bambini mangiano quasi più di voi. Ragazzi, gli altri sono in salotto… Dante, vieni!” 

Mentre Victoria e Jason schizzavano in salotto per raggiungere i cugini Veronica sfilò il berrettino di lana dalla testa di Jasmine, liberando i suoi folti capelli castani mentre la nonna le sorrideva:

“Ciao, tesorino… posso tenerla?” 
“Certo.” 

“Ma come siamo carine… Dante, muoviti! Sono arrivati Jimmy e Vee!” 

“Eccomi, sono qui… ciao ragazzi! Jimmy, lì ci sono i regali? Dammeli, i bambini stanno per sollevare una protesta.” 

James sorrise al padre, porgendogli i numerosi regali che si era portato da casa per poi seguirlo in salotto, guadagnandosi la consueta pacca sulla schiena che quasi gli distrusse una scapola. 


“Posso darti una mano, Jane?” 
“Certo che no, sei un’ospite… vieni, andiamo di là. Jasmine, vuoi andare a salutare le zie? Sì? Che dolce!”


“Già, sembra che invece del gene Julius abbia ereditato quello Prewett… non che mi dispiaccia, ovviamente.” 
“Credo che nessuno ti capisca meglio di me, stare al passo con questa famiglia non è sempre facile, se non ci si è abituati… sono figlia unica anche io.” 

Veronica sorrise alla suocera prima di seguirla in cucina, salutando allegramente le numerose cognate prima che Jane lasciasse la figlia più piccola tra le braccia di Grace per tornare a spignattare. 

Forse non era sempre facile, o almeno non lo era stato all’inizio… ma Veronica amava la sua nuova famiglia, e soprattutto amava farne parte. 


*


Se c’era una cosa che James Julius amava, era dormire. Specialmente in inverno, quando faceva freddo… specialmente nel weekend, quando poteva restare sotto il piumone quanto voleva. 

O almeno, un tempo era stato così. Ma ormai le cose erano cambiate. 
Stava facendo un sogno strano, all’improvviso era tornato ad Hogwarts e doveva ancora superare i M.A.G.O., sognava dei libri che lo inseguivano mentre la voce di Kathleen gli ricordava di dover studiare… 

“Papà!” 

Gli parve di sentire una vocina chiamarlo e una mano dargli una leggera spinta dalla sulla, ma continuò a tenere ostinatamente gli occhi chiusi, ignorandola. 

“Papà!” 

Un altro richiamo, un altro colpetto. 
Con un piccolo sbuffo il Grifondoro aprì gli occhi, puntandoli con leggera confusione sulla fonte della voce, che gli stava davanti in pigiama e i capelli raccolti in due treccine spettinate. 

“Ciao Jas… che cosa c’è?” 
“Dobbiamo giocare!” 

“Vai a giocare con le tue sorelle, allora.” 
“No, voglio giocare con te.” 

La bambina sorrise, mettendo nuovamente le piccole mani pallide sul suo braccio per spingerlo leggermente mentre il padre sbuffava, rivolgendosi alla donna che sonnecchiava accanto a lui:

“Veronica, mi spieghi perché abbiamo avuto quattro figli se poi non giocano tra di loro? Sto iniziando a compatire i miei genitori.” 
“Perché voi avete quella specie di tradizione, credo.” 

Il brontolio della bionda arrivò alle orecchie del marito solo vagamente, assorbito dal piumone sotto al quale era sparita. 

E quando Jasmine reclamò di nuovo la presenza del padre James sbuffò, afferrandola per poi sollevarla e metterla tra lui e la moglie, borbottando che avrebbero dormito ancora un po’. 

“Ma io non ho sonno!” 
“Allora facciamo il gioco del silenzio.” 

James chiuse nuovamente gli occhi mentre la figlia di tre anni lo abbracciava, udendo poco dopo l’inconfondibile rumore di piedi nudi che corronevano sul pavimento:

“Sono sveglia anche io, facciamo colazione?” 
“Ma perché i bambini si svegliano all’alba? Vicky, vieni qui anche tu.” 

“Ci manca solo che Violet si svegli piangendo e questo sabato mattina sarà perfetto.” 


Veronica aiutò la secondogenita a salire sul letto e ad infilarsi sotto le coperte accanto a lei, pregando che almeno la piccola di casa restasse nel mondo dei sogni ancora per un po’. 


Infondo però non poteva lamentarsi, era stata lei la prima a volere diversi bambini… quando James le aveva accennato alla “tradizione” della sua famiglia, secondo la quale in ogni nucleo familiare un figlio dovesse averne a sua volta sette, aveva detto “Ma sì, perché no? Cosa vuoi che sia?” 

Certo, una vera passeggiata.


*


La corsia del reparto maternità del San Mungo non era, probabilmente, mai stata affollata come quella sera: James Julius era seduto su una sedia, tra suo padre e suo fratello Jake, insieme alle sue tre sorelle, i suoceri, Jonathan e Markus.
Sua madre era in sala parto insieme a Berenike ed Eltanin mentre tutti aspettavano, irrequieti. 

Jason, Victoria, Jasmine e Violet erano rimasti a casa insieme a Kathleen, e per fortuna nessuno dei suoi fratelli si era portato i figli appresso, così come Markus, Jonathan o Eltanin… a quel punto sarebbe stato davvero tutto molto confusionario. 

“Rilassati, andrà tutto bene.” 
“Lo so papà, ma muoio dalla voglia di sapere il sesso!” 

James sbuffò, continuando a tamburellare un piede sul pavimento con impazienza mentre aspettava, morendo dalla voglia di vedere quella porta aprirsi. 

Le sue preghiere vennero esaudite circa una ventina di minuti dopo, quando sua madre aprì la porta con un largo sorriso ad illuminarle il volto:

“Jimmy, puoi venire dentro, se vuoi… congratulazioni, è un maschio.” 

“Grazie al cielo, dopo tre femmine di seguito finalmente un altro maschio!” 

James scattò in piedi, sorridendo prima di affrettarsi a raggiungere la moglie, sollevato: sopportare quattro femmine di seguito sarebbe stata dura, già in tre gli davano un bel da fare. 

E sembrava che Veronica fosse dello stesso avviso, mentre osservava il figlio con le due amiche accanto:

“Sei felice che sia un maschio?” 
“Molto, ci speravamo… Jamie? Vieni a salutare Jack.” 

Veronica sorrise al marito, rivolgendogli un cenno prima che James si avvicinasse al letto, rivolgendo un largo sorriso al bambino:

“Jason farà i salti di gioia, ieri mi ha solennemente annunciato che se fosse arrivata un’altra sorellina avrebbe fatto i bagagli e sarebbe andato a vivere dai miei genitori. Non che a loro dispiacerebbe, mia madre li vizia tremendamente…” 
“Ha le idee chiare per avere otto anni!”


*


1985


Jason Julius Image and video hosting by TinyPic  Victoria Julius  Image and video hosting by TinyPic Jasmine Julius Image and video hosting by TinyPic
  Violet Julius Image and video hosting by TinyPic  Vivian Julius Image and video hosting by TinyPic  Jack e Joseph JuliusImage and video hosting by TinyPic
 



Veronica Julius era in piedi, nel bel mezzo di un corridoio della propria casa, le braccia conserte e la sua miglior espressione severa dipinta sul volto mentre osservava i figli, o almeno la maggior parte, starle davanti.

“Allora. Presumo che non sia stato nessuno.” 

“Già.” 
“Non sono stata io!” 

“È quello che dite sempre… quindi suppongo che il vaso in cristalli di Boemia si sia rotto da solo.” 
“Può darsi.” 

Jason si strinse nelle spalle con nonchalance, guadagnandosi un’occhiata torva da parte della madre, che sbuffò prima di parlare, osservando ad uno ad uno i cinque bambini:

“Ora basta… voglio sapere chi è stato. Violet?” 
“Non sono stata io mamy!” 

“Vicky?” 
“Nemmeno. È stata Vivian!” 
“Vivian? Ironico, visto che vostra sorella cammina a malapena… Jack. Tesoro… non sei stato tu, vero? Vuoi dire alla mamma chi è stato?” 

Veronica sorrise, chinandosi leggermente per diminuire la differenza d’altezza tra lei e il bambino, che però tentennó senza dire nulla, lanciando un’occhiata timorosa in direzione dei fratelli maggiori, che lo stavano guardando con evidente avvertimento. 

“Non lo so mamma.” 

“Bene, visto che non volete parlare mi costringete ad usare questo tasto. Non potete rompere tutto quello con cui entrate in contatto, dovete imparare a comportarvi bene… Se non salta fuori un nome, userò questo.”   

Quando tirò fuori dalla tasca un foglietto ripiegato gli occhi dei figli si catalizzarono su di esso, osservandolo con leggera confusione:

“Che cos’è?” 

“L’indirizzo di Babbo Natale.” 
“Come fai ad averlo?”
 

Violet sgranò gli occhi azzurri, guardando la madre con sincera sorpresa mentre l’avvocato si stringeva nelle spalle:

“Conosco un tipo che conosce un tipo che conosce uno dei suoi elfi, e se non mi dite subito chi è stato dirò a Babbo Natale di portarvi LIBRI per Natale. Grossi libri SENZA immagini.” 

Un’ombra di terrore oltrepassò i visi dei bambini, fatta eccezione per Victoria, che sorrise quasi con allegria alla madre:

“A me piacciono i libri!” 
“Ah, è vero… allora per te ci saranno calzini. Pelosi.” 

Quando anche Victoria sfoggiò un’espressione disgustata la bionda sorrise con aria soddisfatta, facendo nuovamente vagare lo sguardo tra i figli:

“Allora? Siamo ancora a metà Agosto, ma non penso che Babbo Natale se la prenderà se gli scrivo con così largo anticipo…” 
“È stata Jasmine!” 

“Spiona!” 

Jasmine fulminò Violet con lo sguardo, promettendole silenziosamente vendetta mentre la madre invece sorrise, quasi sollevata:

“Bene, finalmente abbiamo chiarito. Voi quattro potete andare…” 

Stava per fare una ramanzina alla figlia quando un suono fin troppo familiare arrivò alle sue orecchie, facendola sospirare:

“Jasmine, ne parleremo dopo, vostro fratello si è svegliato…” 
“Mamma, perché Joe piange sempre quando si sveglia?” 

“I bambini piccoli lo fanno Vicky, lo facevate anche voi… credo di aver sentito più pianti io di tutto il mio ufficio insieme.” 


*


Minerva McGranitt aveva davanti la lista completa degli studenti che, di lì ad un paio di settimane, sarebbero arrivati ad Hogwarts per frequentare il primo anno. 
Voleva metterli in ordine alfabetico per tempo per lo Smistamento, e leggendo la lista non era riuscita a non soffermarsi su qualche nome piuttosto familiare: c’erano un paio di Julius, cognome a cui si era decisamente ormai abituata… e poi comparivano anche un “Jay Miller”, un “Simon Shacklebolt”, un “Castor Fawley” più quelli che sapeva essere i figli di Eltanin e Aiden Burke, Elaine e Alexander. I nipoti di Elnath ed Electra Black, quindi. 

La Vicepreside si ritrovò quasi ad impallidire, osservando quei nomi mentre sentiva il pavimento mancarle da sotto i piedi:

“No, non di nuovo!” 


*



1998



Procedeva quasi barcollando, cercando di riconoscere qualcuno in mezzo alla grande quantità di persone ammassate nella Sala Grande.

Era riuscita ad intravedere Eltanin e Berenike ed era sollevata che entrambe stessero bene… ma forse non si poteva dire lo stesso dei loro cari: aveva visto la prima in lacrime insieme ad Aiden, ai genitori e alla sorella attorno al corpo privo di vita di Elnath, mentre Berenike era insieme alle sorelle e ai figli vicino a Markus, cosciente ma ricoperto di sangue. 


E la sua famiglia? 

Riuscì a scorgere James e con un tuffo al cuore cercò di avvicinarsi al marito districandosi tra la ressa, e prima di riuscire a raggiungerlo vide dei corpi accanto a lui, abbandonati attorno ai suoi figli e ai cognati. 
E non le ci volle molto per rendersi conto che non tutti erano presenti. 

Deglutì a fatica, abbassando lo sguardo su Phoebe, inginocchiata sul pavimento mentre, in lacrime, era china sul corpo privo di vita della sorella gemella insieme ai figli di Cecily. 
James era in piedi, teneva Violet stretta a sé mentre i suoi occhi erano fissi sul corpo adagiato accanto a quello della sorella minore. Una ragazza dai capelli scuri che la donna non tardò a riconoscere, avvicinandosi quasi di corsa prima di parlare, praticamente senza fiato:

“Jas…” 

Victoria e Jason erano inginocchiati accanto alla sorella, la ragazza si teneva una mano premuta sulle labbra per soffocare i singhiozzi che la scuotevano mentre il fratello maggiore teneva un braccio sulle sue spalle, attirandola a sé senza battere ciglio o muovere un muscolo, gli occhi fissi sul volto pallido e ormai inespressivo della sorella.

“Jasmine…” 

Veronica sì lasciò cadere accanto alla figlia, smettendo improvvisamente di sentire o prestare attenzione a ciò che le accadeva intorno. Smise di sentire i singhiozzi di sua figlia o di sua cognata, non fece nemmeno più caso agli occhi lucidi di Jake e di Violet, in piedi e stretta al padre. 


“Vi avevo detto… di restare a casa.” 

Veronica allungò una mano tremante per sfiorare i capelli castani della figlia, di appena 19 anni, mentre Jason annuiva, parlando in un sussurro:

“Jack, Joe e Vivian sono dalla zia Grace.” 

La donna quasi non lo sentì, limitandosi a continuare a fissare il volto della ragazza quasi stentando a credere a ciò che vedeva, a ciò che era appena successo. 
Davvero sua figlia era morta? Una ragazza che si era Diplomata solo un anno prima? La bambina che aveva passato l’infanzia a farla tribolare? 

Aveva detto ai figli di restare a casa quella sera, ma Jason e Victoria non avevano voluto ascoltarla… e Jasmine e Violet li avevano seguiti a ruota. 
Una scelta che, a quanto sembrava, era costata la vita ad uno di loro. 


Mentre guardava sua figlia quasi perse la cognizione del tempo, si accorse che James si era inginocchiato accanto a lei solo quando sentì le sue braccia stringerla, attirandola dolcemente a sé. 

E solo allora le lacrime iniziarono a scorrere. 





“Jane? Jane!” 

Non faceva altro che guardarsi intorno con impazienza, pregando mentalmente di vederla rivolgergli il suo bellissimo, dolce sorriso che molti anni prima lo aveva fatto innamorare di lei. 

Perché non gli aveva dato retta? 
Perché? 

Quasi tremava, Dante Julius, mentre si faceva largo in mezzo alla ressa per trovare sua moglie. Sua moglie, che aveva pregato di restare a casa quella sera, sua moglie che non lo aveva ascoltato, insistendo per andare, per aiutare. 
La sua maledetta indole da crocerossina non se n’era mai andata, nemmeno con la pensione. 


No, si rifiutava anche solo di prendere in considerazione l’idea che potesse essere morta… Jane non era morta, Jane probabilmente si stava adoperando per ricucire qualcuno… Jane gli sarebbe andata presto incontro sorridendo per abbracciarlo. 

Il mago deglutì, cercando qualcuno della sua famiglia con lo sguardo. Il suo stomaco si contorse quando posò gli occhi su uno dei più vecchi amici di suo figlio ridotto in pessime condizioni… ma voleva trovare Jane prima di avvicinarsi al capezzale di Markus Fawley. 


“Dante!” 

Quando sentì quella voce chiamarlo si irrigidì, fermandosi di colpo e guardandosi intorno con un tuffo al cuore, pregando di non averlo solo immaginato. 
Sorrise con indescrivibile sollievo quando vide finalmente sua moglie, che gli si avvicinò di corsa per poi abbracciarlo con slancio. 

“Jane, meno male… perché sei venuta? Dovevi restare a casa.” 
Si lasciò sfuggire un sospiro mentre l’abbracciava, ma lei non sorrise mentre alzava lo sguardo per posare sul suo volto gli occhi azzurrissimi, che non lo guardavano con il sollievo che si sarebbe aspettato. 

No, gli occhi chiari di Jane erano lucidi. 

“Jane? Che cosa c’è?” 

Sua moglie aprì la bocca, ma poi la richiuse senza dire niente. 
Si limitò a voltarsi e Dante, seguendo il suo sguardo, finì col posare gli occhi su quella che riconobbe come la sua famiglia. I suoi figli, e buona parte dei suoi nipoti. 
Ma non erano tutti in piedi e impegnati ad abbracciarsi. 

Le parole gli morirono in gola quando posò gli occhi su sua figlia Phoebe, inginocchiata sul pavimento accanto ai figli di Cecily… impegnata a piangere proprio sul corpo privo di vita della gemella, di sua figlia. 
Notò con sollievo che Jake e James stavano bene, così come Veronica… ma erano tutti copiosamente in lacrime, così come Jason, Victoria e Violet. Sul corpo di sua nipote Jasmine. 

“Cecily.” 

Sciolse la presa sul corpo della moglie quasi senza rendersene conto, avvicinandosi con passo spedito alla sua famiglia per poi lasciarsi cadere accanto al corpo della figlia, stringendo Phoebe in un abbraccio. 

Jane invece non si mosse, osservando la scena a qualche metro di distanza. Aveva avuto la famiglia che aveva tanto agognato durante tutta l’infanzia e l’adolescenza… eppure, quella gioia e quel perfetto quadro si era appena irrimediabilmente rotto. 


*


“Veronica mi ha detto che non vuoi vedere neanche Jonny e Kath.” 
“Non mi va di chiacchierare molto, di recente.” 

James parlò in tono neutro senza nemmeno staccare gli occhi dalla finestra davanti alla quale era seduto, udendo i passi della madre avvicinarsi senza voltarsi. 

“Lo capisco… ma forse potrebbe aiutarti, sono come dei… fratelli per te.” 

Jane si costrinse a sorridere, pronunciando quella parola quasi a fatica mentre il figlio maggiore si rabbuiava, passandosi nervosamente una mano tra i capelli:

“Lo so, ma per ora non voglio vedere nessuno.” 
“Dovrei andare via, allora?” 
“No mamma, tu sei un caso a parte.” 

James si voltò finalmente verso la madre, rivolgendole un sorriso quasi impercettibile che la donna ricambiò, avvicinandoglisi per prendergli una mano tra le sue:

“So che è difficile, Jimmy… e sai benissimo che posso immedesimarmi in te, in questo momento. Ho perso una figlia anche io, anche se Jasmine era disgraziatamente molto più giovane di Cecily e con molta più vita davanti a sé.” 

“Mi manca anche lei. Bibi come sta?” 
“Non benissimo… per lei è molto difficile, del resto erano davvero legate.” 

Jane si rabbuiò, pensando alla figlia che aveva appena perso e a quella che ancora non si era ripresa dal lutto. E poi c’era suo figlio James, messo praticamente nella sua stessa situazione. 
L’ex Grifondoro si limitò ad annuire, riportando lo sguardo sulla finestra senza dire nulla finché la mano della madre non si appoggiò sul suo viso, costringendolo a guardarla:

“Sai, ho fatto davvero molta fatica ad averti. Te l’abbiamo mai detto?” 
“Non esplicitamente.” 
“Beh, prima di avere un figlio meraviglioso, con un considerevole ciuffo di capelli e più grande della media, ne ho persi tre. E non hai idea di quanto io ti abbia amato guardandoti per la prima volta… un amore che dura anche ora, che difficilmente si spezza. Lo so, perdere un figlio è tremendo, James, come perdere un fratello o un genitori, altra situazione che purtroppo conosciamo entrambi. La tristezza poi passa, il dolore resta.”


“E quanto ci mette, la tristezza, ad andarsene?” 

James parlò con un filo di voce, tenendo gli occhi quasi lucidi fissi in quelli della madre, che gli sorrise con una nota di amarezza mentre continuava ad accarezzargli il volto:

“Non lo so. Lo scopriremo insieme, immagino.” 



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Capitolo 5
*** Delilah & Nathaniel ***


Delilah & Nathaniel 
 
Delilah Moody IMG_4969e Nathaniel Travers IMG_4970



Stava attraversando il corridoio praticamente di corsa, maledicendosi mentalmente per essersi svegliata con quasi mezz’ora di ritardo mentre zigzaga tra i dipendenti del Ministero, cercando di non urtare nessuno e di arrivare agli ascensori il più rapidamente possibile. 

Forse girò l’angolo comunque troppo in fretta perché urtò accidentalmente qualcuno che stava procedendo nella direzione opposta, facendogli scivolare dalle mani la cassetta contenente una mezza dozzina di fialette colorate. 

Il suo primo impulso, dopo essersi fermata, fu quello di scusarsi e poi di correre via, ma quando si rese conto di chi avesse appena urtato si bloccò, mentre Nathaniel sospirò come se si stesse ripetendo di restare calmo dopo aver lanciato un’occhiata trova alle fialette ormai in frantumi:

“Oh, sei tu.” 
“Sí Moody, in persona, e ti ringrazio sentitamente per aver mandato letteralmente in frantumi il mio lavoro di tre settimane.” 

“Scusa Travers, ma vado di fretta.” 

Delilah rivolse un piccolo sorriso di scuse all’ex compagno di scuola prima di girare sui tacchi e allontanarsi di corsa, lasciandolo solo a riparare con un pigro colpo di bacchetta le fialette rotte, anche se le pozioni ormai erano andate irrimediabilmente perdute. 

“La prossima volta guarda dove vai, sei un pericolo pubblico quando arrivi in ritardo!” 


Il Serpeverde sistemò di nuovo le fialette di vetro nella cassetta prima di allontanarsi, immaginandosi chiaramente le risate di Aiden quando si sarebbe presentato in ufficio a mani vuote e avrebbe saputo che la causa era la loro ex compagna di Casa. 

Quel lunedì era iniziato proprio con il piede giusto. 


*



“Ciao.” 

Quando alzò lo sguardo sulla fonte della voce per poco non la scivolò il libro dalle mani, alzandosi di scatto:

“Che ci fai qui?” 
“Sono venuta a salutarti, non ci vediamo da quasi un anno.” 

Andromeda inarcò un sopracciglio mentre si chiudeva la porta alle spalle, parlando come se niente fosse mentre invece l’amica la guardava con tanto d’occhi:

“Sono felice di vederti, ma… siediti.” 
“Grazie… come stai?” 

“Bene, ma se permetti preferirei parlare di TE. Andromeda, credo che da qualche settimana non si parli praticamente d’altro se non della tua “fuga”.” 
“Io non sono scappata, non proprio almeno. E poi i miei genitori, come forse saprai, non ci hanno pensato due volti a ripudiarmi.” 

Andromeda sedette di fronte all’amica, sbuffando leggermente mentre Delilah la guardava con occhio critico, ripensando a tutte le lettere che le aveva scritto nell’arco dei mesi precedenti, mentre lei era all’ultimo anno di scuola e lei era impegnata a studiare e a fare il tirocinio. 

“Sì, l’ho sentito. Me lo ha detto Nathaniel, che ovviamente lo ha saputo da Aiden e Eltanin.” 
“Sai come sta? Non ho più visto o sentito nessuno.” 

“Bene, ma credo che loro non la pensino come i tuoi genitori, i tuoi nonni o alcuni tra i tuoi zii, penso che potresti vedere le tue cugine.” 
“Lo so, ma forse è meglio di no, se si sapesse i miei genitori si infurierebbero e non voglio sollevare tensione in famiglia più di quanto già non ci sia, credo che mia zia Elizabeth non abbia preso bene la scelta dei miei genitori e l’astio tra lei e mia zia Walburga può solo aumentare.” 

“Le tue sorelle?” 
“Silenzio totale, presumo siano dello stesso avviso dei miei genitori. Sai come la pensa Bellatrix sulle persone come Ted, specialmente da quando ha iniziato a seguire Tu-Sai-Chi… e Narcissa è ancora la bambolina che si fa plasmare totalmente dai miei genitori. E sono piuttosto sicura che Walburga e Orion siano dello stesso parere dei miei genitori, quindi…” 

Andromeda si strinse nelle spalle, sfoggiando un piccolo, amaro sorriso mentre l’amica si abbandonava contro lo schienale della sedia, studiandola con attenzione:

“Mi dispiace. Sei davvero sicura? Sono passate poche settimane, potresti sempre tornare dai tuoi genitori e dirgli che hai agito d’impulso, forse chiuderebbero un occhio.” 
“Me lo ha detto anche Ted, sai? Ma non lo farò, non tornerò sotto quella campana di vetro, non è mai stato il mondo adatto a me, credo.” 

Andromeda sorrise e Delilah, guardandola, si chiese se non fosse davvero più felice rispetto ad un anno prima.

“Quindi sei felice?” 
“Sì. Mi mancheranno le mie sorelle, certo, pensare di non poter avere più a che fare con la mia famiglia è dura a volte… ma lo supererò. Ci ho pensato per tutta la seconda metà del mio ultimo anno, anche se Ted continuava a dire che fossi matta, e alla fine ho deciso.” 

“Beh, se davvero sei felice, posso solo esserlo anche io, no?” 
“È quello che vorrei. Ma dimmi di te Delilah, sei ancora alle prese con qualche stramba creaturina?” 

“Mi sto quasi pentendo della mia scelta lavorativa, ieri mi hanno portato un dannato Kneazle da curare e quel maledetto gattaccio continua a scappare invece di farsi visitare! Non capisco, in genere ai gatti piaccio! A parte la maledetta gatta di Travers, a scuola cercava sempre di graffiarmi… tale padrone, tale gatta.”


*


Delilah Moody amava gli animali, le erano sempre piaciuti. Non per niente aveva scelto, dopo la scuola, di lavorare proprio nell’ambito delle creature magiche, occupandosi della loro cura. 
Delilah adorava gli animali, li amava davvero. 

A parte i crup. 
I crup li odiava proprio. 


“Torna subito qui, palla di pelo! Se scappi di nuovo giuro che ti faccio arrosto e poi dirò alla tua padrona che mi sei caduto in un calderone… Qualcuno lo fermi!” 

Delilah sbuffò mentre inseguiva il cane, che molto probabilmente si stava divertendo parecchio e pensava fosse tutto un gioco mentre scappava alla velocità della luce, scodinzolando. 


Stava cominciando a pensare che avrebbe dovuto davvero inseguirlo per tutto il Ministero quando le due labbra si inclinarono in un sorriso sincero nel posare lo sguardo su due persone decisamente note: Aiden Burke e Nathaniel Travers, in piedi uno accanto all’altro e impegnati a parlottare tra di loro. 

Probabilmente non fu mai felice di vederli come in quel momento. 

“Burke, Travers! Fermate il crup!” 

Sentendosi chiamare i due si voltarono verso di lei, sfoggiando per un istante due espressioni perplesse prima di rendersi conto di che cosa stesse parlando, abbassando lo sguardo sul cane che stava correndo loro incontro scodinzolando e con la lingua di fuori. 

La ragazza vide Nate roteare gli occhi con esasperazione prima di spostarsi di qualche passo, piazzandosi sulla traiettoria del cucciolo per poi afferrarlo quando cercò di sfrecciargli accanto. 

“I miei complimenti Moody, non sei neanche in grado di tenerti stretto un cucciolo?” 
“Burke, comprati un crup, poi ne riparliamo.” 

“Non ci penso neanche, Eltanin ha già invaso la casa di cani normali.” 

Aiden roteò gli occhi nel pensare alla considerevole quantità di quadrupedi che lo accoglievano tutte le sere quando tornava a casa mentre Nathaniel porgeva il crup a Delilah, tenendosi a debita distanza per impedirgli di leccargli la faccia. 

“Tieni Moody. E fai più attenzione.” 
“Non è colpa mia, questo qui è indemoniato… adesso sai che cosa ti succede, peste? Ti immobilizzo. Mi hanno detto che ha un qualche problema alla zampa anteriore sinistra, ma da come corre a me sembra che stia benissimo.” 

“Direi di sì.” 

La ragazza riprese il cucciolo tra le braccia, scoccandogli un’occhiata torva mentre lui invece cercava di divincolarsi. 

“Non è che avete un qualche intruglio da prestarmi per farlo dormire, vero?” 


*


1º Settembre 1974



“Smettila di dirmi di comportarmi bene, sai che lo farò.” 
“Lo credo bene.” 

Nathaniel sorrise alla sorellina, che invece sbuffò con aria esasperata mentre il fratello maggiore le assestava un leggero colpetto sulla spalla:

“Non sbuffare, piccoletta. Sono tuo fratello maggiore, mi devo assicurare che tu ti comporti bene a scuola come ho fatto io.” 
“Secondo me non eri poi di così perfetta condotta, chiederò ad Aiden.” 

“Come ti pare… ad ogni modo scrivici ogni tanto, ok?” 

“A te sicuramente.”  La ragazzina si rabbuiò leggermente, rivolgendo un’occhiata torva in direzione dei genitori mentre Nate le sorrideva:

“Non prendertela, ormai li conosciamo, no?” 
“Sì, ma ti devo ancora perdonare per essertene andato di casa e avermi lasciata sola con loro.” 

“Me ne sarei andato già dopo il diploma, sono rimasto quattro anni solo per te, Esme. Ma adesso andrai a scuola, che cosa mi lega a quella casa se non ci sei tu?” 

“Ma allora ogni tanto le dici anche tu, le cose carine!” 
“Io ti dico moltissimo cose carine, piccoletta.” 

“Smettila di chiamarmi così, Nate!” 
“Al momento ho il doppio dei tuoi anni, come ti dovrei chiamare, gigante?” 


*


Nathaniel Travers stava girando l’angolo per raggiungere gli ascensori e scendere al suo livello quando si trovò davanti un’ex compagna di scuola, che fortunatamente quella mattina non sembrava essere arrivata in ritardo e invece di correre stava semplicemente camminando. 

Il pozionista si fermò, stringendo quasi istintivamente la presa sulle fialette che teneva tra le braccia mentre Delilah invece sorrise, abbassando lo sguardo proprio sulle pozioni:

“Hai paura che possa distruggere il tuo prezioso carico, Nathaniel?” 
“Non si può mai sapere.” 

“Andiamo, sono passati ben tre lunghi anni!”
“Errato, l’anno scorso è ricapitato.” 

“Già, è vero… me n’ero scordata!” 
“Io no, visto che ho passato due settimane intere a rifare tutto da capo.” 

Il brontolio sommesso del ragazzo la fece quasi sorridere, ricordando chiaramente le imprecazioni che erano uscite dalla bocca del Serpeverde quando era successo. 

“Giuro che non ricapiterà, starò attenta a non correre.” 
“Lo spero, altrimenti per causa tua inizieranno a mettere cartelli stradali dentro il Ministero.” 

“Come sei acido questa mattina, capisco che è lunedì, ma sorridi alla vita… Continuo a chiedermi come faccia a sopportarti la povera Anne.” 

“Sì, so che questo dubbio ti affligge visto che quando l’hai incontrata le hai stretto la mano e le hai fatto le condoglianze.” 

Il tono seccato del ragazzo non sembrò scalfirla, o più probabilmente decise di ignorarlo mentre sorrideva, guardandolo con aria divertita:

“Hai una memoria ammirevole, ti ricordi un sacco di cose. Beh, ora scusa ma se resto qui a parlare con te finirò con arrivare in ritardo sul serio, e stamattina ho un paio di Ippogrifi da andare a visitare. Buona giornata!” 

Delilah sorrise prima di superarlo, lasciandolo solo con le fialette miracolosamente ancora intatte. 



*


“Signor Travers?” 

Sentendo i passi alle sue spalle Nathaniel aumentò di riflesso le sue falcate, sbuffando leggermente e chiedendosi perché non si decidessero a demordere e a lasciarlo in pace. 
Ancora non capivano che non avrebbe detto niente? Che non avrebbe rilasciato alcuna dichiarazione?

“Signor Travers!” 

La voce della giornalista giunse di nuovo alle sue orecchie quasi con una punta di impazienza, e il pozionista si trattenne dal voltarsi per suggerirle caldamente di andare ad importunare i familiari di qualche altro Mangiamorte. Era uscito di casa e se li era trovati tra i pieni diverse volte, avevano cominciato ad appostarsi davanti al cancello? 

“Non ho niente da dire.” 
Fece sprofondare le mani nelle tasche del cappotto mentre accelerava ulteriormente il passo, parlando con tono decisamente seccato anche se sapeva che quelle parole non sarebbero servite granché:

“Non ha niente da dire sul fatto che suo fratello abbia sterminato la famiglia McKinnon?” 

“No. Non ho proprio un bel niente da dire perché, come ho già detto ai suoi colleghi dozzine di volte, io non ho niente a che fare con mio fratello da prima del mio diploma ad Hogwarts, non lo vedo da anni e non so dove sia, né voglio saperlo. Ripeto: non ho niente da dire a riguardo.” 


“Allora potrebbe semplicemente descrivere suo fratello in tre parole?” 

A quella domanda il mago si fermò di colpo, smettendo di camminare prima di voltarsi finalmente verso la giornalista, parlando con tono piatto senza nemmeno esitare per un attimo, scandendo lentamente le parole:

“Certo: morto. Per. Me. La saluto, e state lontani dalla mia famiglia, d’ora in poi.” 


Poi girò sui tacchi e si Smaterializzò, consapevole che il giorno seguente avrebbe visto un articolo dedicato a Robert Travers e alla sua famiglia nella prima pagina della Gazzetta del Profeta. E sapeva anche che lo avrebbe cestinato senza nemmeno leggerlo.


*



Delilah entrò nell’ufficio quasi di corsa e con una busta in mano, cercando con lo sguardo un ragazzo alto, dai capelli neri e la carnagione chiara.

“Travers!” 

Nathaniel, seduto alla sua scrivania, alzò lo sguardo per rivolgerle un’occhiata perplessa, come a volerle chiedere il perché di quella inaspettata visita mentre la ragazza sollevava la busta che teneva in mano, mostrandogliela:

“Che cos’è questo?!” 
“Presumo che sia l’invito al mio matrimonio che ho spedito qualche giorno fa.” 

“Quindi ti sposi davvero?!” 
“Pensavi fosse un invito contraffatto?” 
“No, pensavo ad uno scherzo… immagino di doverti fare le congratulazioni, anche se questa notizia è quasi scioccante!” 

“Sì, ti capisco, anche io fatico ad immaginare Nathaniel Musone Solitario Travers che si sposa.” 

Aiden raggiunse i due con un sorriso divertito stampato sul volto mentre entrava tenendo i gemelli di tre anni per mano, guadagnandosi un’occhiata torva da parte dell’amico:

“Nessuno ti ha interpellato, mi pare.” 
“Beh, visto che dovrò fare da testimone devo avere un’opinione!” 

“Bene, ma nessuno te l’ha chiesta, mi basta l’ironia di Delilah, la tua non serve.” 

“Papà, cosa vuol dire ironia?” 
“Cos’è quello?” 

“Ciao ragazzi!” 

Delilah rivolse un largo sorriso ai gemelli, che ricambiarono prima di avvicinarlesi e tempestarla di domande, chiedendole chi fosse, quanti anni avesse, perché fosse lì e se conoscesse il loro papà.

“Mi chiamo Delilah… e sì, lo conosco da molto tempo, in effetti. È un gran rompiscatole, vero?” 
“Lo dice anche la mamma! Ma dice anche che noi non possiamo dirlo, è una parolaccia.” 


“Sì Moody, intrattienili pure per un po’, così io respiro per cinque minuti…” 
“Perché te li sei portati appresso? Non fraintendermi, qui tutti li adoriamo, ma con le loro chiacchiere concentrarsi è difficile.” 

“Lo so, ma insistono da settimane per venirmi a trovare al lavoro e stamattina nessuno poteva tenerli visto che Elizabeth e Altair sono in vacanza, Electra e Elnath lavorano e Berenike è incinta con altri due marmocchi al seguito, meglio non soppesarla di bambini.” 
“Perché non li hai lasciati a casa con El?” 

“Perché ti ricordo che è incinta, è stanca e quei due la fanno tribolare… quindi mi sono sacrificato io.” 
“Ma non farci ridere, lo sanno anche i muri che li adori!” 

“Papy, cos’è questo? Posso vedere?” 

Sentendo la vocina di Elaine Aiden, Nate e anche Delilah, impegnata a parlare con un curioso Alexander, si voltarono di scatto verso il calderone che ribolliva in un angolo, accanto al quale si era fermata la bambina, che stava allungando una mano verso il suo contenuto. 

Un attimo dopo Aiden, dopo aver strabuzzati gli occhi verdi con orrore, raggiunse la figlia di corsa per poi sollevarla e allontanarla dal calderone:

“Elly, che cosa ti ho detto? Quando vieni da papà, non devi toccare niente. Nessuna delle cose che prepariamo, ok?” 
“Perché?” 
“Perché hanno effetti… strani.” 
“Perché?” 
“Perché li prepariamo così.” 
“E perché?” 
“Perché è il nostro lavoro.” 
“Ma perché?” 

“Chiedilo allo zio Nate, lui lo sa di sicuro.” 


*


1980


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“Zia, andiamo a prendere un gelato?” 
“Ma non ne hai mangiato uno stamattina? Non so se la mamma sarebbe d’accordo.” 

“Ma lei non deve saperlo.” 

Il sorrisetto che Ninfadora le rivolse la fece sorridere prima di acconsentire, camminando per le vie di Diagon Alley tenendo la bambina di ormai sette anni per mano. 

Erano quasi arrivate davanti alla gelateria quando gli occhi verdi di Delilah si soffermarono su qualcuno che conosceva molto bene e nella sua stessa situazione, tenendo una bambina per mano e una in braccio. 

“Oh, guarda chi si vede… Ciao Travers, oggi sei in modalità padre modello?” 
“Ciao Delilah… ciao Dora.” 

Nathaniel rivolse un lieve sorriso alla bambina, che ricambiò mentre Delilah si rivolgeva alla bambina di quattro anni che Nathaniel teneva per mano, sorridendole con gentilezza:

“Ciao Ruby… fai compere con papà?” 
“Mi ha promesso che mi comprerà un vestito nuovo.” 

La bambina sfoggiò un enorme sorriso di fronte a quella piacevole prospettiva, mentre il padre invece roteò gli occhi:

“Forse.” 
“L’hai promesso!” 
“Nate, se l’hai promesso glielo devi comprare!” 

Delilah sollevò un sopracciglio, parlando con un tono grave che le fece guadagnare un’occhiataccia da parte dell’amico prima di concentrarsi sulla bambina piccola che teneva in braccio:

“Non la vedo da settimane e guarda com’è cresciuta… Hai due figlie davvero adorabili Travers, speriamo che anche Melody erediti il carattere gentile e dolce di sua madre invece del tuo.” 
“Passano gli anni ma tu rimani sempre così tremendamente simpatica, Delilah… se avrai figli spero anche io che non ereditino il tuo umorismo.” 

“Zia, prendiamo il gelato? Ho fame.” 
“Va bene, andiamo... ci vediamo al Ministero immagino, ti auguro un buon pomeriggio.” 


Delilah sorrise all’amico e alle bambine prima di farsi trascinare da Ninfadora verso l’entrata della gelateria, cercando di non ridere immaginandosi Nathaniel alle prese con la figlia maggiore e il suo vestito nuovo. 


“Zia?” 
“Sì?” 
“Se tu e lo zio Danny avrete figli starai ancora con me, vero?” 

Quella domanda, insieme al tono quasi preoccupato della bambina, la lasciò spiazzata per un attimo prima di sorridere, annuendo e accarezzandole i capelli, che quel giorno erano castani e ondulati:

“Ma certo Dora.”


*



La mano che stringeva la tazza piena di caffè si bloccò a mezz’aria mentre gli occhi chiari di Delilah indugiavano sulla lista di nomi riportati nell’articolo: nomi dei Babbani feriti, di quelli morti, degli Auror che erano intervenuti e dei Mangiamorte che erano stati presi. Solo che non tutti e tre erano stati messi davanti al giudizio del Wizengamot: uno era morto. 

Un nome che lei conosceva piuttosto bene, anche se evitava di pensarci ormai da molto tempo.

“Va tutto bene? Altri morti?” 

Daniel, seduto di fronte a lei al tavolo della cucina, le rivolse un’occhiata incerta quando notò che era rimasta immobile con gli occhi fissi sul giornale per qualche secondo, e sentendo la sua voce Delilah si affrettò ad annuire, lasciando il giornale sul tavolo prima di portarsi la tazza alle labbra:

“Sì… ma a quanto pare li hanno presi. È uno è morto.” 
“Suppongo che non sia una gran perdita.” 
“Già.” 

Delilah annuì, appoggiando la tazza di porcellana sul tavolo mentre evitava di guardare sia il giornale che il marito, che sembrò accorgersi subito del suo turbamento:

“Sicura che vada tutto bene?”
“Era… il mio fidanzato.” 

“Come? Quello che è morto?” 

L’ex Grifondoro strabuzzò gli occhi, certo di non averle mai sentito nominare un vecchio fidanzato che aveva scelto quella strada mentre Delilah annuiva, parlando con tono neutro.

“Sì. Era il mio ragazzo, a scuola. Aveva un anno in più rispetto a me e quando si è diplomato pensava di unirsi a loro, cosa che poi ha effettivamente fatto, ovviamente. Quando ho saputo della sua scelta non l’ho più voluto vedere o sentire.” 
“Non me l’hai mai detto… naturalmente è stata la scelta migliore che potessi fare. Non me lo ricordo, a scuola.” 
“Beh, tu sei più grande di lui di due anni, se è per questo non ti ricordi nemmeno di ME ad Hogwarts, e neanche io di te.” 

“Ma come, non ricordi di aver mai visto passare un bel ragazzo con la divisa di Grifondoro addosso per i corridoi?”
“Oh, beh, ne ho visti tanti. Non fare quella faccia Danny, sto scherzando. Perché nessuno capisce mai quando scherzo?” 

La Serpeverde sbuffò con leggera stizza, facendolo sorridere mentre allungava una mano sul tavolo per prendere la sua: 

“Nate dice che hai un pessimo umorismo, in effetti.” 
“Nate dice tantissime cose, se è per questo.” 

Delilah abbozzò un sorriso, ritrovandosi a dover forse quasi ringraziare Chase per aver fatto quella scelta, diversi anni prima: forse, se le cose non fossero andate in quel modo, non avrebbe nemmeno sposato Daniel dopo averlo incontrato al matrimonio di Nathaniel e Anne. 

Forse doveva ringraziare anche Travers, in effetti. 


*


 1997


Sentì bussare alla porta, ma non ebbe nemmeno il tempo di rispondere perché l’anta si aprì subito dopo, mostrando l’alta figura di Nathaniel sulla soglia.

“Ho saputo di tuo zio.” 

Delilah si limitò ad annuire alle parole dell’amico, che esitò sulla soglia prima di avvicinarlesi di qualche passo:

“Mi dispiace.” 
“Anche a noi. Insomma, era un tipo strano, di sicuro tutto il Dipartimento Auror sarebbe pronto a confermarlo, ma infondo era una personalità che sicuramente lasciava il segno.” 

Delilah sfoggiò un piccolo sorriso mentre Nate sedeva di fronte a lei, oltre la scrivania, rivolgendole un’occhiata incerta:

“Penso che chiunque ne abbia sentito parlare parecchio…” 
“Già. Chi non conosce di fama Alastor “Malocchio” Moody?” 

“Nessuna traccia del corpo?” 
“Ho parlato con Kingsley, nessuna.” 

“Mi dispiace, non potrete nemmeno seppellirlo…” 
“Non credo che per lui sarebbe stato un problema, penso che avrebbe bofonchiato qualcosa su come i funerali siano una grande ed inutile dispersione di tempo, denaro ed energie. Era abbastanza cinico.” 

Delilah sorrise appena mentre si stringeva nelle spalle, ripensando a quando lei e sua sorella cercavano in tutti i modi di non sedersi vicino a lui ai pranzi di famiglia… ma ora che era morto era piuttosto sicura che la sua assenza si sarebbe sentita non poco, durante quegli stessi pranzi. 


*


1998


“Come stai?” 

Si sentì davvero stupida nel pronunciare quella domanda, mentre guardava una delle sue amiche più care seduta su una poltrona, voltata leggermente verso una finestra con gli occhi castani fissi sul vetro. 

Era ovvio che non potesse stare bene, dopotutto. 
“Si va avanti.” 

Andromeda parlò senza battere ciglio, con un tono neutro e piatto che le aveva sentito usare ben di rado. Gli occhi verdi di Delilah, ancora in piedi sulla soglia del salotto, si spostarono dall’amica per posarsi sulla culla dove un bambino di poche settimane stava sonnecchiando. 

La strega si avvicinò alla culla, rivolgendo un caldo sorriso al piccolo Teddy e cercando di non ridere di fronte al suo ciuffo di capelli indaco. Non poté fare a meno di pensare a quando, molti anni prima, aveva visto per la prima volta Ninfadora, anche lei con capelli di un colore piuttosto improbabile. 

“Ciao Teddy…” 

La donna sorrise, allungando una mano per sfiorare con delicatezza il viso del bambino, che continuò a dormire della grossa, completamente incurante di quello che sua nonna stava passando e di aver perso entrambi i genitori senza aver avuto nemmeno il tempo per conoscerli. 

Delilah distolse lo sguardo dal bambino per tornare a concentrarsi sull’amica, che si voltò verso di lei e le fece cenno di sedersi prima di parlare di nuovo:

“Come stanno Emma e Anthony?” 
“Bene.” 

Grazie al cielo li aveva ancora


Cercava di stare vicino alla sua amica in tutti i modi da quel 2 Maggio e anche lei sentiva parecchio la mancanza di Ted e di Ninfadora… ma per fortuna non poteva immedesimarsi in Andromeda, lei non aveva perso i figli e neanche suo marito. 

La donna posò lo sguardo sulla culla dove il nipotino dormiva, continuando a tormentarsi le mani mentre parlava con un filo di voce:

“Ho rinunciato alla mia famiglia quando avevo 18 anni, e ora ho perso quella che mi sono costruita, mi resta soltanto lui.” 
“Lo so. E non smetterò mai di dire quanto sia stato ingiusto, ma non sei totalmente sola, ok? Se hai bisogno, la mia porta è sempre aperta per te.” 


*


Mentre risaliva il pendio erboso continuava a chiedersi perché lo stesse facendo e soprattutto se fosse la scelta giusta. 
Dopotutto non lo aveva visto per anni, se non nelle foto di qualche articolo sulla Gazzetta del Profeta… a volte aveva persino stentato a riconoscerlo. 

Eppure quel sabato mattina era lì, stava andando a fare visita alla tomba di un fratello che non vedeva da anni, che i suoi genitori avevano praticamente dimenticato, che a volte lui stesso aveva cercato di eliminare dai suoi ricordi ma senza grandi successi: Robert, in un modo o nell’altro, continuava a restare lì, nella sua testa.


Non c’era praticamente nessuno intorno a lui, fatta eccezione per una donna che non tardò a riconoscere, in piedi davanti a quella che doveva essere sicuramente la lapide di Robert. 

Nathaniel si avvicinò a sua sorella, che sentendo i suoi passi alzò lo sguardo per poi sorridergli debolmente:
“Ciao Nate.” 
“Ciao… non mi aspettavo di vederti qui.” 

“A dire il vero neanche io. Non ero neanche sicura di voler venire, ma a quanto pare alla fine abbiamo ceduto entrambi.” 
Il pozionista si fermò accanto alla sorella minore, mettendole un braccio sulle spalle mentre Esme appoggiava il capo sulla sua spalla, come faceva sempre quando era piccola. 


Per qualche istante nessuno dei due disse niente, gli occhi fissi sulla lapide che avevano davanti, conficcata nel terreno in malo modo, quasi come se la persona sepolta non meritasse nessun riguardo. E probabilmente era davvero così. 


“Sai, stento a ricordarlo. Per te è diverso, certo, ma io ero piccola quando è andato via di casa… infondo è quasi come se non l’avessi mai conosciuto.” 
“Ti voleva molto bene, però. Forse più di quanto ne volesse ai nostri genitori.” 

“Sì, beh… non ci ha comunque pensato due volte ad abbandonare anche me. Mi chiedo ancora che cosa gli sia passato per la testa.” 
“È cambiato da così a così, da un giorno all’altro… sembrava che gli avessero fatto davvero il lavaggio del cervello.” 


“Beh, a questo punto immagino che non lo sapremo mai con precisione.” 
Esme sollevò lo sguardo per poter guardare il fratello in faccia, parlando nuovamente:

“Forse dovremmo andare a trovare mamma e papà. Non li vediamo molto spesso, di recente.” 
“Forse hai ragione, credo che alla mamma farebbe piacere. Continua a non volerne parlare, ma so che la morte di Robert l’ha toccata… andiamo, piccoletta.” 

“Ho 35 anni Nate, falla finita.”


Nathaniel sorrise alle parole e all’occhiata truce che la sorella gli rivolse mentre, tenendole sempre un braccio intorno alle spalle, si allontanava insieme a lei dalla tomba di quello che, almeno un tempo, era stato suo fratello.










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Angolo Autrice:


Buonasera mie care… allora, temo di dovervi comunicare che questa è l’ultima OS della storia. 
Ovviamente ne avrei scritta una anche per Astrea e Sam, ma vi lascio immaginare il motivo della decisione di non farlo. 

Perciò, a questo punto, di nuovo grazie a tutte per aver partecipato e in particolare a chi mi ha “seguito” in questa storia da Magisterium o da History, alcune da entrambe. 
E grazie anche a te Phebe, perché so che ci sei.
Qualcuno mi ha chiesto se ho intenzione di scrivere il “quarto atto” e posso affermare che sì, molto probabilmente ci sarà, anche se forse non come lo immaginate e dovrete aspettare penso un mese o un mese e mezzo in quanto ora come ora ho altro per le mani.

Per chi partecipa a Secrets: dovrei aggiornare anche lì entro un paio di giorni al massimo, quanto alle altre, ovviamente spero di risentirvi :) 


Signorina Granger
 





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