New Evil di _Joanna_ (/viewuser.php?uid=539983)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
1.1
Prologo
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Misurava la stanza a
grandi passi. Il pavimento di dura pietra echeggiava in modo sinistro
mentre Octavio lo calpestava, più violentemente di quanto
avrebbe voluto. Di lì a poco avrebbe incontrato il famoso
Signore Oscuro, Lord Voldemort. Aveva lavorato sodo per ottenere quel
privilegio e intendeva sfruttare a pieno quella possibilità che
avrebbe potuto essere l’unica. Non doveva fallire.
Era giunto in Inghilterra solo qualche mese prima. Il potente Lord
Voldemort aveva fatto ritorno e presto avrebbe recuperato il tempo
perduto, avrebbe distrutto i suoi nemici e avrebbe preso il controllo
assoluto sul mondo magico. Octavio non aveva resistito al richiamo di
una forza così potente.
In verità, era
partito con un doppio intento. Non era stato solo il desiderio di
unirsi al grande mago oscuro a destare la sua attenzione. Le voci su
Voldemort e sul piccolo Potter che era scampato alla sua maledizione
avevano fatto il giro del mondo, anche se lui all’epoca non era
altro che un bambino, ignaro del suo potere, della sua vera natura.
Aveva passato i primi undici anni della sua vita in un anonimo e
patetico paesino tra le montagne andaluse. Ogni giornata si svolgeva
sempre allo stesso modo, ogni gesto, ogni parola, sempre uguali a
sé stessi.
Poi, un mattino
d’estate, Octavio aveva percepito qualcosa di diverso
nell’aria, anche se non aveva davvero capito che cosa fosse, o a
che cosa fosse dovuto.
Come ogni giorno si era
alzato di buon ora. Si era lavato, si era vestito ed era uscito fuori,
nel cortile che circondava il vecchio edificio rurale.
Nella piccola stalla
adiacente, Maya, la vecchia mucca di famiglia, aveva girato il muso
stanco nella sua direzione, avendolo sentito arrivare. Aveva un aspetto
ancora più macilento del solito, evidentemente la sua ora
sarebbe giunta molto presto.
Aveva sbrigato le sue
faccende in fretta, ma il sole era già completamente sorto
quando finalmente si era chiuso il recinto dell’aia alle spalle.
Era rientrato nella
piccola cucina dell’abitazione, un locale umido e mal concepito.
Sul tavolo rozzamente intagliato lo attendeva la sua misera colazione.
Sua madre doveva già essere uscita per andare in paese.
Tuttavia, qualcosa aveva catturato la sua attenzione.
C’era un colombo bianco appollaiato sul davanzale della piccola finestra.
Octavio si era
avvicinato per scacciarlo via, ma quello era rimasto immobile a
fissarlo, minimante impensierito dall’umano che agitava le
braccia minaccioso.
Ben presto Octavio aveva
notato una busta. L’animale la tratteneva saldamente tra le sue
zampette rosa e sembrava volesse invitarlo a prenderla.
Era di un
bell’azzurro pastello e l’indirizzo era scritto in un
elegante calligrafia dorata. Il colombo aveva quasi ammiccato prima di
spiccare il volo. Octavio lo aveva seguito con lo sguardo, quindi aveva
spostato la sua attenzione alla lettera.
Era indirizzata inequivocabilmente a lui, un fatto decisamente strano.
L’aveva aperta con le dita leggermente tremanti.
Proveniva da un’accademia, un istituto di cui Octavio non aveva mai sentito il nome.
Annunciava che era stato
ammesso a quella che veniva descritta come “La Prestigiosissima
Accademia di Magia di Beauxbatons”.
Octavio aveva strizzato
gli occhi confuso, credendo di aver letto male, ma quando era tornato a
osservare il testo, quello recitava ancora le stesse parole.
C’era anche un
secondo foglio, scritto nella medesima calligrafia dorata. Era un lungo
elenco di libri, oggetti e altre cose dai nomi sconosciuti.
C’erano parole come “Incantesimi” ,
“Magia” e “Stregoneria”.
Octavio si era chiesto se non fosse per caso impazzito di colpo.
In fondo alla pagina,
c’era una nota, scritta con un inchiostro di un viola acceso.
Diceva “Tutti gli studenti che non possiedono una buona
conoscenza della lingua francese sono obbligati a frequentare un corso
della durata di due settimane che si terrà a Parigi. La data di
inizio del corso verrà comunicata tramite piccione nei prossimi
giorni”.
Insieme ai due fogli c’era anche un biglietto ferroviario dall’aria ufficiale.
Octavio era tornato a
leggere sul primo foglio cercando una spiegazione, che infatti
c’era. Il testo proseguiva: “Lo studente è pregato
di recarsi alla stazione di Sevilla – Santa Justa, munito di
tutto il materiale scolastico, il giorno 1 del mese di settembre. La
partenza avrà luogo al binario 13 X”.
Che diavolo aveva appena letto?
Aveva deciso di
attendere il ritorno dei suoi genitori. Si era seduto sulla staccionata
che delimitava il piccolo podere, lo stomaco ormai completamente chiuso.
Circa un’ora dopo
sua madre era tornata. Suo padre non era con lei, un fatto insolito
perché la riaccompagnava sempre a casa con il suo piccolo
furgoncino. Poi aveva capito il perché.
Sua madre non aveva
fatto acquisti in paese, in compenso stringeva tra le mani una busta,
la carta del medesimo colore azzurro della lettera che aveva ricevuto
lui.
A quanto pareva, chi
dirigeva l’istituto di Magia (davvero esisteva una cosa simile?)
si era premurato di informare i suoi genitori che il loro unico figlio
era un mago e che quindi era loro dovere permettergli di ricevere
un’istruzione appropriata.
Dopo lo shock iniziale, per Octavio era stato semplice adattarsi alla
nuova realtà. In fondo lui lo aveva sempre saputo di essere
diverso, migliore dei suoi coetanei Moldus.
Era questa la parola,
Moldu, quella che i maghi usavano per definire una persona senza poteri
magici, come i genitori di Octavio.
E così, una
settimana dopo la prima lettera, ne era giunta un’altra. Il dieci
di agosto sarebbe dovuto andare a Parigi per il “Corso di
Francese Accelerato per Giovani Maghi Stranieri”, poi sarebbe
ritornato a casa, avrebbe fatto i bagagli e sarebbe partito per
Beauxbatons.
Il corso si era tenuto in vecchio edificio nel cuore della capitale, in
un palazzo lussuoso, dall’aria imponente, che però agli
occhi dei Moldus appariva completamente abbandonato e in rovina.
Anche il treno che lo avrebbe condotto all’Accademia era celato
alla vista dei non maghi. Il binario non era segnato su nessuna mappa
ferroviaria, ma a Parigi aveva ricevuto istruzioni precise su come
raggiungerlo.
Era entrato in uno dei
bagni della stazione, il più lontano dai binari, con un grosso
cartello con scritto “Guasto” attaccato alla porta. Era
talmente fetente che nessuno se ne sarebbe mai servito di sua spontanea
volontà.
Oltre la porta
dell’ultimo cubicolo, infine, si apriva finalmente la banchina
del treno, gremita di maghi e streghe, giovani e non.
La grande locomotiva a
vapore era azzurra, con vagoni di un bianco perlaceo. Gli
scompartimenti erano riccamente decorati e a pranzo a tutti erano state
servite delicate zuppe Vichyssoise, seguite da un vasto assortimento di
formaggi francesi e, per ultima, un’abbondante porzione di Tarte
Tatin.
L’Accademia poi, era stupenda.
Era un bel palazzo dalle
mura bianche, solide eppure leggere, quasi fosse stato semplicemente
posato sulla soffice erba del vasto prato, pronto per sollevarsi in
aria, fluttuando dolcemente tra le nuvole.
Appena scesi dal treno,
gli studenti più grandi si erano diretti verso alcune carrozze,
ciascuna trainata da splenditi cavalli alati dal manto palomino.
Octavio si era unito
agli altri studenti del primo anno e, insieme, guidati da una strega in
uniforme azzurra, avevano preso a salire il dolce rilievo che portava
alla scuola.
Era stata una lunga scampagnata, ma il luogo era così pregno di magia che nessuno ci aveva fatto caso.
Una grande fontana si
trovava nel centro esatto del parco e le sue acque zampillanti erano
cristalline e sembravano brillare di luce propria.
Una volta varcato
l’imponente portone dorato, erano stati introdotti in una grande
Sala candida. Quelle che Octavio scoprì più tardi essere
Ninfee dei Boschi, si erano messe a cantare al loro ingresso.
A quel punto era stato chiesto loro di disporsi in fila di fronte al resto della scuola.
Gli altri studenti erano
ritti in piedi davanti ai lunghi tavoli di cristallo e avevano preso
posto sulle lisce panche azzurre solo dopo che una gigantesca donna si
era accomodata al centro del tavolo che si trovava in posizione
rialzata e che sembrava abbracciare l’intero locale.
A quel punto la stessa strega che li aveva scortati fin lì aveva fatto cenno ad alcuni uomini di farsi avanti.
Erano in quattro,
abbigliati in una perfetta uniforme azzurra, con il blasone della
scuola ricamato sul petto e sul cappello da mago che portavano sotto il
braccio.
Erano avanzati dal fondo
della Sala, in formazione, due per lato, le bacchette puntate in avanti
a sorreggere con fili invisibili un strano oggetto brillante.
Era un collare
d’oro, tempestato di pietre preziose. Era rimasto a fluttuare
davanti ai primini, finché la donna che dirigeva le
presentazioni non aveva estratto un lungo rotolo di pergamena dorata,
stendendolo poi delicatamente.
«Ora
chiamerò i vostri nomi» aveva esordito «E una volta
chiamati indosserete il Collare della Sapientiae, che vi
assegnerà alle vostre Case» aveva detto. Tra i ragazzi
più grandi era corso un mormorio eccitato.
«Le Case della
Nobile Accademia di Beauxbatons sono quattro e prendono il nome dai
fondatori della nostra amata scuola. Il collare è stato
incantato secoli fa perché potesse esaminare la magia degli
studenti e tentare così di determinare le vostre qualità
e attitudini» aveva proseguito.
«I nomi delle
quattro Casate sono: Faucony, Renardge, Chien-Loupie e Cougarden {*}.
Esse prediligono rispettivamente l’Acume, l’Ingegno, la
Fedeltà e la Forza» aveva concluso.
Era stato chiamato il
primo nome e uno dei ragazzini del primo anno si era fatto avanti, un
po’ titubante. Aveva indossato il collare e dopo pochi istanti
una lunga scia dorata si era snodata fino al tavolo più lontano
e lettere brillanti aveva composto il nome della Casa Chien-Lupie.
Il ragazzino, ora felice, si era affrettato a seguire la scia luminosa che, nell’istante in cui aveva preso posto, era svanita.
Erano andati avanti allo
stesso modo per quelle che a Octavio erano parse ore, finché la
strega non aveva pronunciato il suo nome: «García Torres
Octavio».
Lui si era fatto avanti
e aveva imitato gli altri. Il contatto con il metallo gelido del
Collare lo aveva fatto rabbrividire. Poi si era sentito investire da
una strana sensazione, calda e umida, come se un lungo sorso di
cioccolata bollente si fosse insinuato dentro di lui, nel suo stomaco,
nelle sue viscere, invadendolo completamente. Era stato strano, ma
anche piacevole. Per un attimo era stato come se una cappa fosse stata
posta sopra di lui e attraverso di essa poteva vedere il resto della
scolaresca osservarlo, i loro contorni non perfettamente a fuoco. Aveva
visto una sorta di campo energetico avvolgerlo completamente, mentre la
frastagliata immagine di uomo alto e imponente si componeva davanti ai
suoi occhi, invisibile agli altri. Era strano, ma gli sembrava di
conoscerlo.
E in attimo la scia
dorata era corsa in mezzo alla sala, disegnando un nome nell’aria
e, di colpo, così come si era formata, l’immagine e la
cappa che lo avvolgeva erano svanite. Octavio aveva seguito la striscia
luminosa fino al tavolo che ospitava i suoi nuovi compagni della Casa
Cougarden.
Si era adattato subito al nuovo ambiente, alle nuove persone e alle
nuove cose che ogni giorno imparava. Nel giro di pochi mesi aveva fatto
enormi passi avanti e in breve la differenza linguistica e di status
(la maggior parte dei suoi compagni aveva almeno un parente magico) si
era colmata, tanto che prima della fine dell’anno era diventato
uno degli studenti più brillanti.
Ma già dopo il terzo anno Octavio aveva cominciato a stufarsi di
quel luogo così frivolo e molle. Aveva fatto amicizia con pochi
ragazzi, gli unici che sembravano avere un qualche reale talento,
mentre la maggior parte si limitava a scuotere le bacchette e a
intontirsi con lo stucchevole cibo e le altre meraviglie fatate che
popolavano il palazzo e che, per Octavio, avevano perso ogni attrattiva
già da parecchio tempo.
I suoi sogni erano
popolati dai mitici eroi che si trovavano sui libri di Storia della
Magia, maghi e streghe potenti, che di certo non avevano perso il loro
tempo e i loro anni migliori a fare incantesimi inutili.
E poi c’erano le
storie su Harry Potter, un ragazzo che aveva sconfitto ad appena un
anno di età il più grande mago oscuro del secolo. Octavio
aveva immaginato più volte la vita meravigliosa che quel ragazzo
stava ora vivendo. Doveva essere un mago estremamente potente e spesso
Octavio si ritrovava a invidiarlo.
Poi, poco dopo la fine
del suo quarto anno, la Professoressa Dubois, la sua Capo-Casa, era
venuta a chiamarlo durante una noiosa lezione di Pozioni. Aveva
l’aria contrita, un fatto molto insolito. Lo aveva condotto nel
suo ufficio, senza dire una parola.
Lì ad aspettarli
c’era l’enorme Preside, Madame Maxime, che con voce cupa lo
aveva informato di un fatto terribile: i suoi genitori erano morti, la
loro vecchia casa distrutta da un’esplosione. La bombola del gas
era scoppiata durante la notte, riducendo in macerie la mal tenuta
abitazione, seppellendo i suoi genitori tra le macerie.
Quello era stato il segnale che Octavio aveva sempre aspettato senza
saperlo. Terminato l’anno scolastico, aveva preso con sé
solo le cose necessarie e aveva lasciato Beauxbatons per sempre.
Non vi avrebbe mai più fatto ritorno.
L’Accademia gli
aveva ormai fornito tutto quello che poteva e Octavio era pronto per
proseguire i suoi studi da solo, per perfezionarsi, per diventare a sua
volta grande e potente.
E così, quando le voci su Voldemort avevano ripreso a circolare,
Octavio non aveva avuto alcuna esitazione. Voleva unirsi a lui,
conoscerlo se ci riusciva, diventare suo allievo e apprendista.
Giravano molte storie sul suo conto e su quello di Harry Potter.
Erano molto discordanti
tra loro, tanto che l’unica cosa che avevano in comune era il
fatto che il potente mago si faceva chiamare Lord Voldemort (e questo
non poteva di certo dirsi una novità) e che il Ragazzo
Sopravvissuto, beh, non era altro che un ragazzo appunto.
Gli ci era voluto qualche tempo per organizzare il viaggio.
Aveva avuto parecchi
problemi a celare la propria vera natura, non solo agli occhi dei
Moldus, ma anche a quelli delle autorità magiche: temevano che
stesse compiendo incantesimi oscuri e proibiti. Octavio trovava
divertente pensare quanto quegli sciocchi ci fossero andati vicini,
senza però mai trovare prove per incastrarlo.
I burocrati, che esseri patetici.
Lord Voldemort li aveva
spazzati via tutti una volta tornato al potere. Incredibile pensare che
quegli incapaci del Ministero inglese fossero stati tanto ciechi da
ignorare i segnali per un intero anno. Avevano lasciato via libera
all’Oscuro Signore, che così ne aveva potuto approfittare
per rafforzarsi e per raccogliere seguaci.
Ad ogni modo, finalmente, in un caldo mattino di luglio, Octavio era sbarcato sulle coste inglesi.
Aveva cercato un posto
tranquillo e fuori vista, quindi si era Smaterializzato ed era
ricomparso a Londra. Non gli ci era voluto molto per trovare
l’ingresso nel mondo magico, aveva estorto molte informazioni
utili prima di avventurarsi fin lì.
La strada principale, che un tempo doveva essere stata colorata e piena di negozi stravaganti, ora era cupa e desolata.
Manifesti di ricercati erano appesi a ogni angolo, sovrapposti l’uno sull’altro, alcuni stracciati a metà.
Aveva visto tra tutti
spiccare quello che ritraeva Harry Potter, il nome scritto a chiare
lettere nere. Era un ragazzo dall’aspetto anonimo in effetti,
poco più giovane di lui, con magnetici occhi chiari, forse verdi
o azzurri, era difficile indovinarlo dall’immagine in bianco e
nero.
Octavio sapeva che le
apparenze spesso ingannavano e non si sarebbe fatto un’idea
precisa sul ragazzo senza prima aver avuto modo di incontrarlo. Forse
era stato sottovalutato, come spesso era accaduto a lui stesso.
Aveva gironzolato un
po’ tra le vetrine distrutte. Il panorama tetro e grigio era
spezzato solo dalla presenza di un edificio bianco come la neve, che
stonava parecchio con i negozi bui che lo circondavano.
Tuttavia, non gli ci era voluto molto per trovare chi stava cercando.
Alcuni Ghermidori,
attirati dall’improvvisa presenza estranea, lo avevano
accerchiato e condotto immediatamente al Ministero.
Octavio non aveva opposto resistenza.
Una volta arrivato nell’edificio istituzionale, gli era stato chiesto di chiarire la sua posizione e le sue intenzioni.
Octavio sapeva già cosa rispondere e con calma accettò dare le informazioni che gli venivano chieste.
«Mi chiamo Killian
Murphy e sono figlio di un Mago e di una Babbana» aveva detto,
mentre quelli si affrettavano a verificare la autenticità delle
sue affermazioni.
Lo erano.
Aveva ucciso un mago qualche settimana prima e ne aveva rubato le generalità.
Il suo inglese, poi, era
perfetto: aveva avuto modo di affinarlo durante i suoi numerosi viaggi
e infatti, nessuno sollevò dubbi.
«Sono qui
perché ho sentito delle grandi azioni dell’Oscuro Signore
e della sua grande potenza e voglio unirmi al suo esercito» aveva
dichiarato senza mezzi termini. Odiava dover perdere tempo con inutili
giri di parole, gli ricordavano i tempi passati a Beauxbatons, dove gli
insegnanti sprecavano ore per dire in realtà molto poco.
A queste parole molti visi avevano annuito soddisfatti: c’era sempre bisogno di una bacchetta in più.
Gli avevano fatto altre domande, ma era una perdita di tempo necessaria, si era detto.
Infine aveva dovuto dare
prova delle proprie abilità, che Octavio aveva volutamente
tenuto a freno. Non voleva rivelare troppo. Non subito almeno.
Ad ogni modo, il tutto era stato pienamente soddisfacente.
Nella stessa giornata
del suo arrivo, Octavio aveva ottenuto ciò che voleva: era stato
assegnato a una squadra di Ghermidori, composta da una mezza dozzina di
maghi dall’aspetto cattivo.
E ben presto avrebbe trovato il modo di distinguersi.
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°°°
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Note
I nomi della Case sono
un po’ bruttarelli, lo ammetto, così come quello del
Collare (sigh!) ma non sono particolarmente brava a inventare questo
genere di cose XD
Zia Row non ci ha detto
praticamente nulla (o almeno io non so nulla) sull’organizzazione
di Beauxbatons, perciò l’ho immaginata prendendo spunto da
Hogwarts e da Ilvermorny.
Ad ogni modo tutti nomi
delle Case prendono spunto dagli animali che io ho associato alle
caratteristiche della Case, tradotti poi in francese (con qualche
aggiunta per farli sembrare dei cognomi):
- Faucony: (faucon) è la traduzione francese di Falco,
animale nobile e divino che quindi simboleggia il “vedere
oltre”. Indica la caratteristica principale dei membri della
Casa, che sono molto sensibili agli aspetti nascosti della
realtà e che dedicano molto tempo allo studio della Divinazione,
oltre che di altre discipline, tutte però viste in
un’ottica di indagine approfondita (per capirci un Indicibile
probabilmente verrebbe smistato in questa Casa). Hanno dei tratti in
comune con i Corvonero
- Renardge: (renard) significa Volpe,
animale ovviamente associato alla furbizia. Gli studenti di questa Casa
hanno quindi caratteristiche comuni ai Corvonero e, a seconda
dell’indole di ciascuno, anche alle altre Case di Hogwarts.
- Chien-Loupie: (chien-loup) è la traduzione di cane-lupo
e ho voluto associare l’aspetto di fedeltà del cane, unito
però anche a una certa indipendenza (il lupo è un animale
sociale, che trova forza nel branco i cui membri si aiutano a vicenda,
ma può anche essere un leader forte che guida e protegge tutti,
o può anche essere, raramente, solitario). Le caratteristiche di
questa Casa la rendono quindi simile ai Tassorosso, ma anche ai
Grifondoro.
- Cougarden: (cougar) significa Puma.
Simboleggia la forza appunto, ma è un animale ambiguo. I membri
di questa Casa hanno un grande potenziale, anche se spesso tendono ad
avere troppa fiducia in sé stessi e quindi il confine tra il
Bene e il Male diventa molto sottile. Hanno perciò molti tratti
in comune sia con i Serpeverde che con i Grifondoro.
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Angolo Autrice
Salve a tutti!
Ecco un’altra fan fiction partorita della mia mente un po’ bacata.
Spero davvero che il prologo vi abbia incuriositi e a breve pubblicherò il primo capitolo!
_Jo
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Capitolo 2 *** Capitolo I ***
2.2
Capitolo I
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The First Dark Lord
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Continuava a marciare su e giù per la stanza, disegnando ampi cerchi invisibili sul pavimento.
La sala dove si trovava doveva essere stata lussuosa un tempo, ma della
vecchia gloria ormai rimanevano solo un bel divano di pelle scura e un
raffinato orologio d’argento. Le lancette puntavano sul numero 9,
finemente tratteggiato con piccoli smeraldi. Per il resto la stanza era
spoglia e buia e l’unica fonte di luce proveniva da un piccolo
candelabro appeso alla parete accanto alla porta.
Era lì da quasi due ore, considerò Octavio.
Un’attesa piuttosto lunga, ma era fiducioso che ne valesse la
pena.
Dopo qualche minuto, finalmente, la porta di legno lucido si spalancò.
Un ometto basso e quasi calvo entrò nella stanza. Aveva liquidi
occhi chiari che saettavano da tutte le parti e sembrava scosso da un
lieve tremito.
Dopo qualche istante il suo sguardo si fermò su Octavio e disse
«Il Signore Oscuro è pronto a riceverti» e senza
aspettare un cenno di assenso uscì dalla stanza.
Octavio lo seguì oltre la soglia, giù per le scale e
attraverso l’ampio ingresso fino a una doppia porta che,
pensò Octavio, doveva aprirsi sul salone principale della villa.
Il suo accompagnatore si fermò davanti alla soglia, bussò
delicatamente e dischiuse l’uscio quel tanto che bastava per far
passare un uomo grande la metà di lui. Tuttavia l’ometto
riuscì ad entrare agevolmente e Octavio, a fatica, fece lo
stesso.
La grande sala era immersa nella penombra.
Un lungo tavolo di lucido legno scuro occupava il centro della stanza.
Alle pareti quadri, un grande specchio e innumerevoli candelabri erano
avvolti dalle ombre che il grande camino non riusciva a penetrare.
Fiamme rosse e arancioni guizzavano pigre e lente, il loro bagliore
soffocato dall’atmosfera cupa e solenne.
Un’alta figura ammantata di nero si stagliava davanti alla grande finestra, dando loro le spalle.
La luce lunare la colpiva in modo diretto e gettava sul pavimento
un’ombra profonda, deformata dal timido sfavillio del fuoco.
«Puoi andare, Codaliscia» disse una voce acuta e fredda.
L’uomo chiamato Codaliscia, che nel frattempo aveva ricominciato
a tremare, fu scosso da brividi ancora più violenti.
Con inchini impacciati e una sequela di «Grazie, Padrone» e
«Sì, Padrone» uscì a testa bassa dalla
stanza, camminando all’indietro.
Evidentemente Voldemort era il genere di persona che incuteva un sacro
terrore nei suoi sottoposti. Tuttavia, Octavio non poté fare a
meno di chiedersi se, oltre a temerlo, i suoi servitori gli fossero
anche devoti.
Paura e ammirazione, timore e passione.
Octavio aveva da tempo capito che nessuno, per quanto grande e potente,
poteva davvero sperare di trionfare prescindendo da uno dei due.
Quanto ci avrebbe messo un servo fedele, devoto ma ambizioso, a
rivolgere altrove le proprie simpatie e qualità, una volta
trovato qualcuno più ben disposto a celebrarle?
E quanto avrebbe resistito un codardo spaurito prima di trovare la forza per fuggire?
Pensò a questo durante il lungo momento nel quale regnò il silenzio.
Poi Lord Voldemort, che ancora gli dava le spalle, parlò di nuovo.
«Siediti» disse con voce fredda e leziosa e nel mentre si
voltò per guardare finalmente in faccia il suo interlocutore.
Un singolo brivido percorse la schiena di Octavio: la nuca pallida e
glabra, scintillante alla luce della Luna, era nulla paragonata al
volto che c’era davanti.
Il teschio bianco era rivestito da un sottilissimo strato di pelle talmente teso sulle ossa da sembrare trasparente.
Un tempo, forse, Lord Voldemort era stato un uomo attraente: lo suggerivano gli alti zigomi e i rigidi lineamenti regolari.
Ma ora, laddove avrebbe dovuto esserci il naso, si aprivano due fessure
sottili. Gli occhi erano di un’intensa tonalità rossastra
e le pupille erano strette e allungate, nonostante la sala fosse
immersa nella semioscurità.
La bocca, infine, era sottile e priva di labbra.
E quella voce poi, così gelida, era più raccapricciante dell’urlo di una Banshee.
Octavio, represso un fremito di disgusto, obbedì e si sedette.
Lord Voldemort fece lo stesso, prendendo posto davanti a lui,
all’altra estremità del tavolo. Allungò le sinuose
dita bianche sui braccioli del suo scranno, distendendosi come un
serpente che svolge le sue spire, quindi cominciò «Ho
sentito parlare delle tue gesta, signor?»
Octavio dubitava che non si fosse informato sulla sua identità,
tuttavia riconobbe in quella domanda un’abitudine comune ai
potenti: non dimostrarsi mai più interessati del dovuto.
«Murphy, Killian Murphy» rispose prontamente Octavio.
«Molto bene, Killian» approvò Lord Voldemort
«Il Signore Oscuro ricompensa chi lo serve fedelmente, tuttavia
preferisco sempre sentire un resoconto di prima mano»
proseguì.
Octavio annuì brevemente e prese a raccontare.
Quando ebbe finito, entrambi rimasero in silenzio per un lungo minuto.
«Molto bene» ripetè Voldemort. La sua bocca senza
labbra si piegò in un ghigno orrendo, poi i suoi occhi si fecero
più scuri e profondi e il rosso sanguigno delle iridi
brillò per un attimo come vero sangue.
Tremendo, un dolore come mai ne aveva provati prima, si insinuò
nella testa di Octavio, minacciando di frantumarla: Lord Voldemort gli
stava leggendo la mente, cercando la conferma delle sue parole o la
prova che aveva mentito.
Octavio sapeva che sarebbe successo e si era preparato. Non distolse lo
sguardo e si concentrò: era un ottimo Occlumante e aveva
imparato a compartimentare i suoi ricordi.
Le immagini della sua infanzia, sfocate e frammentarie, sfrecciarono
davanti ai suoi occhi. Vide il volto di sua madre, una solitaria
casupola sulla montagne, una ragazza dai capelli d’argento. Tutte
cose per cui non provava altro che disprezzo.
Poi il suo arrivo in Inghilterra, le battute di caccia con i
Ghermidori, la cattura dei traditori; Octavio lasciò che ognuna
di queste cose riaffiorasse facilmente nella sua mente, mentre ogni
particolare si disegnava in maniera nitida e precisa, accompagnato da
una sensazione di esaltazione e di feroce soddisfazione.
E poi, così come era arrivato, il dolore cessò.
«Bene, Killian» disse Voldemort «Sono molto
compiaciuto. Tuttavia, ho notato qualcosa, qualcosa che forse desideri
tenere nascosto al tuo Signore» aggiunse, la voce simile a un
sibilo, fredda e inquietante. Non era una domanda.
Octavio si era aspettato anche quello: dopotutto Voldemort era un Legilimens di grande abilità.
Tacque per un po’, fingendo di ponderare una questione. Poi, come
se ogni sillaba pronunciata gli costasse un enorme sforzo, disse
«Sì, mio Signore. Ci sono cose, cose del mio passato, di
cui mi vergogno. Da ragazzo, diciamo che non sono stato cresciuto come
un vero mago».
In fondo era la verità, una parte della verità.
Come era una parte della verità quello che aveva detto quando
era stato portato al Ministero. Aveva dovuto rispondere a molte
domande, incluse alcune riguardanti la sua famiglia. Octavio aveva
così raccontato che i suoi genitori, una Babbana e un mago,
erano morti prima che lui iniziasse la scuola, in seguito a una brutta
infezione da Vaiolo di Drago mal curata. Era così stato istruito
privatamente da una lontana parente e una volta appresi gli incantesimi
fondamentali, aveva imparato il resto da solo.
Era una menzogna e Voldemort lo sapeva, ma lasciò che il Signore Oscuro percepisse i suoi sentimenti.
Non c’era tristezza o dolore in quei ricordi falsi, così
come non c’era stata tristezza nel momento in cui aveva saputo
dell’accaduto.
Una fuga di gas.
Solo la più misera e inutile delle creature avrebbe potuto morire per una banale fuga di gas.
Era forse colpa sua se i suoi genitori erano deboli?
Era colpa sua se era un Nato Babbano, come dicevano lì in Inghilterra?
Doveva essere sminuito solo perché i suoi genitori erano degli
sporchi Moldus? Avrebbe dovuto rischiare di essere estromesso dal
mondo magico, quando non c’era mago o strega più degno di
lui di farne parte?
La storia delle sue origini era una menzogna, ma i sentimenti di odio e di disprezzo erano veri e sinceri.
E tanto bastò al Signore Oscuro che disse «Non importa, nessuno è responsabile delle scelte dei propri padri»
Aveva parlato con una voce ancora più fredda e crudele. Forse
anche lui aveva dovuto nascondere un’eredità scomoda?
Voldemort arricciò le labbra inesistenti in una smorfia terribile, quindi si alzò dalla sedia.
«Puoi andare, ora» disse con la consueta voce leggermente
stridula, poi, senza più guardarlo, rivolse la propria
attenzione al fuoco morente.
Octavio esitò per un istante, quindi con un rigido inchino lasciò la sala.
Uscì nell’aria gelida della notte.
Era già ottobre inoltrato e il cielo blu scuro era limpido e
stellato. Decisamente una visione rara: gran parte del Paese, infatti,
era ormai da mesi stretto nella morsa dei Dissennatori e una nebbia
pesante e malinconica ricopriva ogni cosa.
Inspirò l’aria pulita della notte, quindi varcò i confini della proprietà e si Smaterializzò.
Un secondo più tardi comparve in viottolo sudicio della
periferia di Londra. Si avviò a passo svelto, calpestando con
foga l’asfalto irregolare lavato dalla pioggia gelida.
Svoltò un angolo percorse un altro tratto di strada, quindi si fermò un momento, assicurandosi di essere solo.
Tirò su il colletto del mantello per ripararsi dal vento feroce e riprese a camminare.
Dopo qualche minuto giunse davanti a una ripida rampa di scale. Era
fradicio e con le scarpe infangate. Tuttavia, sapeva che non era
prudente Materializzarsi troppo vicini alla destinazione, era una cosa
che aveva imparato a proprie spese qualche anno prima.
Scese gli stetti gradini consunti, attraversò il piccolo cortile
e raggiunse l’angolo più lontano, completamente al buio,
dove c’era un pannello di legno umido.
Octavio avvicinò la propria bacchetta dove in una porta normale
ci sarebbe stata la serratura e mormorò «Le Cougar est
Libre». Il pannello scattò di lato, quindi con una leggera
pressione, lo fece scorrere fino a rivelare un’apertura
abbastanza grande da consentire il passaggio di un uomo adulto.
Octavio vi si infilò, quindi il pannello ritorno al suo posto con un lieve click.
Levò la bacchetta, fece altri incantesimi per assicurarsi che
nessuno fosse entrato lì in sua assenza, quindi percorse lo
stretto tunnel che scendeva di qualche metro sotto terra.
Dopo circa un minuto, sbucò in un piccolo locale buio. Con un
rapido tocco, le molte lampade a olio si accesero all’istante,
illuminando una stanza accogliente e sobria.
Nonostante la morbida poltrona di chintz lo chiamasse invitante,
Octavio si diresse a passo sicuro nell’unico altro locale del
suo spartano rifugio.
Una pesante porta di ferro ne sbarrava l’ingresso e molti incantesimi lo proteggevano.
Octavio li attraversò senza problemi, sciolse i catenacci e spalancò la porta.
La stanza era piccola, tuttavia il moncherino di cera, che ancora
bruciava su un basso tavolino al centro del locale, non riusciva a
scacciare del tutto le ombre. I quattro angoli della camera erano bui.
Octavio li setacciò con gli occhi.
Nell’angolo in fondo a destra, rannicchiata tra le coperte
ruvide, c’era una figura minuta. Il groviglio di capelli
argentati le copriva il volto.
Se anche l’aveva sentito aprire la cella, non ne diede alcun segno.
Octavio passò il suo sguardo indagatore sul resto del locale,
quindi evocò dal cucinino nell’altra stanza una ciotola di
riso scondito, una pagnotta di pane duro e raffermo, una brocca d’acqua e
una candela nuova.
Dispose il tutto sul basso tavolino al centro, quindi ritornò davanti alla soglia.
La ragazza era rimasta per tutto il tempo immobile.
«Non ti permetterò di morire, Mademoiselle Delacour»
disse sprezzante «Non ancora» aggiunse e con un gesto
rapido sbarrò la porta.
Nella luce tremula, la prigioniera
sollevò leggermente il bel viso, contemplando con occhi
sconsolati quello scenario misero e tremendo.
Lentamente si avvicinò alla ciotola di riso. Aveva
un odore terribile, ma lei ne ingurgitò il contenuto senza quasi masticarlo.
“Hai ragione” si disse “Non morirò in questo buco orribile”.
°°°
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Angolo Autrice
Benritrovati!
Allora mi scuso subito per il ritardo nella pubblicazione e per il
contenuto del capitolo che è prettamente di transizione.
Nel prossimo avremo un po' più di azione e prometto anche che
sarà più curato nella forma (l'ho scritto un po' di
fretta e non è venuto come lo avevo in testa qualche giorno
fa... devo cominciare a portarmi carta e penna ovunque XD)
Grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le
seguite/ricordate/preferite e a chi ha recensito e che recensirà.
Alla prossima,
_Jo
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Capitolo 3 *** Capitolo II ***
3.3
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ANGOLO AUTRICE
Salve a tutti!
Un GRAZIE
di cuore a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le
seguite/ricordate/preferite e un grazie speciale sopratutto a blackjessamine ,
che fino a questo momento è l'unica ad aver trovato il tempo per
recensire (su su, non siate timidi, vi assicuro che non mordo, chiedete
pure a lei)
By the way, spero proprio che questo capitolo vi piaccia, perchè è da qui che inizia il "bello" (si fa per dire) .
Un abbraccio a tutti e buona lettura,
_Jo
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Capitolo II
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The First Play
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Il villaggio di Oxen era stato distrutto.
Percorrevano la strada principale, circondati da null’altro che macerie.
Le abitazioni erano crollate, alcune completamente rase al suolo, altre solo sventrate, la loro intimità violata.
Qua e là si sollevavano ancora spessi vortici di fumo denso e
scuro; piccoli focolai continuavano a bruciare, le fiamme non ancora
del tutto saziate; l'odore del sangue ammorbava l'aria, rendendola
quasi irrespirabile.
I corpi dei Babbani trucidati erano dappertutto.
Quelli più vicini all’ingresso del piccolo paese erano
stati i più fortunati: le maledizioni Avada Kedavra li avevano
uccisi sul colpo, senza dolore.
Tutti gli altri, invece, avevano conosciuto una sorte ben peggiore.
Cadaveri carbonizzati, smembrati, torturati, prima e dopo la morte, giacevano silenziosi.
Alcuni erano caduti nel tentativo di mettersi in salvo, altri avevano
cercato di proteggere i propri cari, altri ancora forse non avevano
neanche avuto il tempo di reagire, di capire.
Uomini, donne, vecchi, bambini, non c’era stata pietà per nessuno.
Harry si costrinse a proseguire. Doveva guardare. Quella era
l’opera di un mostro, del suo mostro, Voldemort, e lui, Harry,
non avrebbe voltato le spalle a quegli innocenti, non avrebbe chiuso
gli occhi davanti a quelle atrocità.
Il quartetto procedette, continuando la sua macabra sfilata attraverso quel teatro di morte e di orrore.
Ogni tanto, un rumore li faceva fermare tutti con le orecchie tese e
gli occhi spalancati, nel disperato desiderio di scorgere un movimento,
un lamento, un segno di vita.
Ma, fino a quel momento, loro continuavano ad essere gli unici che ancora respiravano.
«C’è qualcosa che non va» disse a un tratto Bill.
Harry avrebbe voluto ribattere che decisamente c’era qualcosa che
non andava, ma le parole gli rimasero incastrate in gola.
Aveva ragione, oltre all’evidente orrore di quel massacro, qualcosa era sbagliato.
Anche gli altri se ne accorsero.
«Io dico di andarcene» propose Ron, ma Piton lo zittì con un rapido gesto della mano.
«Il Marchio Nero» risolse infine «Non c’è»
Tutti sollevarono lo sguardo. Il cielo nero e nuvoloso era vuoto. Nessun teschio gigante, nessun serpente.
Era decisamente molto strano.
Un altro pensiero attraversò la mente di Harry: se davvero
Voldemort non aveva compiuto quella carneficina, allora chi era stato?
C’era forse un altro mago oscuro altrettanto folle e crudele in
giro?
Si guardò intorno, cercando un indizio, qualcosa che potesse spiegare perché il Marchio non era stato lanciato.
E ben presto lo trovò.
Nel giardinetto davanti a una semplice villetta, seminascosto tra le
macerie della veranda distrutta, un uomo con maschera e mantello
da Mangiamorte giaceva immobile e scomposto. Era morto e recava i segni
inconfondibili di una maledizione.
«Di qua!» urlò Bill che aveva trovato un altro
Mangiamorte morto, disteso a faccia in giù sull’asfalto,
anche lui quasi totalmente sepolto dai resti di un edificio.
«È Avery» sentenziò dopo averlo esaminato.
Scovarono altri tre Mangiamorte, tutti inequivocabilmente uccisi con la magia.
Questo spiegava una parte del mistero.
Forse qualcuno si era ribellato? Harry dubitava che i Mangiamorte
avessero una coscienza, eppure … A quel pensiero il suo sguardo
saettò subito verso Piton che tanti anni prima si era sottratto
al controllo di Voldemort.
Ma questa era una cosa diversa, si disse.
«Dovremmo chiamare rinforzi, prima che arrivi la polizia Babbana» suggerì Bill.
Harry però non lo stava ascoltando. La cicatrice, che da mesi
ormai bruciava ininterrottamente, gli aveva appena inferto una stoccata
terribile.
Si guardò intorno, ma non vide niente di potenzialmente pericoloso. Forse era colpa di quella situazione.
Ma non appena voltò la testa, di nuovo la cicatrice avvampò feroce e violenta.
Accecato dal dolore, con gli occhi ridotti a fessure, si
avvicinò a uno dei tanti edifici crollati che sembrava essere la
causa di quelle fitte lancinanti.
L’insegna di un negozio, decorata con vivaci motivi floreali, era
stata spezzata di netto in due. Oggetti di ogni forma e dimensione
erano sparsi sul terreno accidentato, tra massi, schegge di vetro e
pezzi di legno bruciato.
Un mantello scuro chiazzato di sangue sputava da sotto i resti di una bella cassapanca di mogano.
Pallide dita simili a ragni erano strette intorno al nulla; il manico
di una bacchetta spezzata giaceva qualche metro più in là.
«Che diavolo?» mormorò Ron alle sue spalle.
In un attimo anche gli altri li raggiunsero e tutti e quattro rimasero
lì, in silenzio, accanto al corpo inerte di Lord Voldemort.
.
.
° ° °
.
.
«Deve essere successo qualcosa» disse Hermione, senza smettere di misurare la stanza a passi svelti e nervosi.
«Non è che deve per forza» si inserì Minerva.
«Sei sempre così tragica, Hermione» sentenziò George
«Già, come quella volta che …» stava
continuando Fred, ma prima che potesse aggiungere altro, Hermione smise
di pestare il rozzo pavimento di pietra e protestò «Sono
partiti più di due ore fa, avevano detto che ci avrebbero
impiegato mezz’ora, un’ora al massimo e invece sono
già due ore e … .»
«Per favore, Hermione, sei peggio della mamma» sbottò Ginny.
A queste parole Hermione tacque, e riprese a marciare nervosamente su e giù.
In fondo alla stanza, gentilmente appoggiato allo schienale di una
rigida sedia di frassino, il ritratto di uomo anziano osservava la
scena.
L’ospite della cornice si chiese se non fosse il caso di
richiamare l’attenzione, ma decise che per il momento non
avrebbero avuto bisogno di lui. Non c’era ancora da preoccuparsi,
non più del solito comunque.
E pensare che aveva pianificato tutto nei minimi dettagli.
Sapeva che i suoi giorni erano ormai contati, sia a causa della
maledizione di Voldemort, sia, soprattutto, della sua stessa
ingenuità. O meglio, della sua stupidità: alla sua
età quel gesto sconsiderato poteva tranquillamente essere
definito così.
Albus sapeva anche del compito che Voldemort aveva assegnato al giovane
Malfoy. Un incarico gravoso, terribile e impossibile: Draco avrebbe
dovuto ucciderlo.
Già, assassinare proprio lui, Albus Silente, uno dei più
grandi maghi mai vissuti, Preside di Hogwarts, Stregone Capo del
Wizengamot, Supremo Pezzo Grosso. Voldemort naturalmente si aspettava
che Draco fallisse, voleva che il grande onore si tramutasse in una
crudele condanna a morte, una punizione per il padre che aveva osato
deluderlo.
Ma lui aveva programmato tutto.
Piton avrebbe adempiuto alle richieste di Voldemort, l’anima di
Draco sarebbe stata salva e Voldemort avrebbe finalmente riposto una
totale fiducia nella sua spia.
Certo, lui, Albus, sarebbe morto, ma dopotutto era un destino
inevitabile. Sarebbe stato ucciso per suo stesso volere con un rapido,
indolore lampo di luce verde e per mano di un amico: c’erano modi
peggiori per andarsene.
Ma, all’improvviso, tutto era precipitato.
Era una notte tiepida e serena.
Piton aveva raggiunto i suoi compagni Mangiamorte sulla Torre di Astronomia.
Albus era lassù, debole e disarmato.
Gli occhi neri e straordinariamente inespressivi di Severus si erano
piantati nei suoi, azzurri e calorosi, totalmente diversi. Per un
attimo aveva temuto che la sua spia si sarebbe tirata indietro.
Poi però, per la prima volta, Albus si era sentito come
trapassato da quello sguardo di tenebra e aveva capito che sarebbe
successo.
Non ricordava nient’altro, né il lampo di luce verde,
né la caduta nel vuoto, solo quegli occhi incredibilmente vuoti
eppure pieni di significati.
Ce l’avevano fatta.
Aveva percepito, o forse lo aveva solo immaginato, gran parte del suo
essere scivolare nell’oblio, mentre il frammento cosciente di
sé aveva acquistato di nuovo forma e si era incarnato nel
dipinto a olio.
Per un attimo si era sentito in pace, sereno come mai lo era stato in vita.
Poi le grida e le urla di terrore. Nel castello era infuriato un combattimento feroce.
Si era aspettato anche questo in realtà.
Poi la porta del suo studio era stata spalancata. Remus, ancora
più stravolto del solito, aveva fatto irruzione, seguito a ruota
da Shacklebolt, anche lui provato dalla battaglia, i cui rumori
continuavano a echeggiare incessantemente, e dal giovane Paciock.
«Prendi il ritratto del Preside, Neville» aveva ordinato Remus.
Neville aveva obbedito, mentre gli altri due avevano cominciato a raccogliere e appellare alcuni oggetti e vari pesanti volumi.
«Che succede?» aveva chiesto Albus, la domanda appena
udibile sopra il frastuono della lotta di sotto e delle voci degli
altri presidi che stavano tutti chiedendo la stessa cosa.
«Non c’è tempo, Silente» aveva risposto
Shacklebolt, la voce di solito profonda e rassicurante, ora
pericolosamente incrinata dal panico.
Soltanto parecchie ore più tardi, dopo essere stato infilato di
mala grazia in una sacca di stoffa e averci passato le ore più
seccanti della sua vita, o della sua nuova non vita, aveva finalmente
avuto una risposta.
I Mangiamorte avevano deciso di fare le cose in grande.
Dopo la sua spettacolare caduta, Bellatrix, Gibbon, Greyback e molti
altri avevano scatenato la loro folle crudeltà su Hogwarts.
Severus aveva pilotato Draco lontano dalla battaglia, poi era tornato
indietro a richiamare gli altri. Gli ordini di Voldemort erano stati
precisi: uccidere Silente e poi fuggire.
“Ah, preferisco selezionare adesso i miei nuovi studenti”
aveva esclamato Amycus quando Piton gli aveva intimato di interrompere
i duelli e, come per sottolineare il suo messaggio, aveva lanciato un
tremendo incantesimo che aveva fatto fare un volo di tre metri al suo
avversario.
Tutto intorno nel frattempo, la follia dei Mangiamorte continuava a infuriare, terribile e implacabile.
Un lampo di luce rossa e Piton si era trovato davanti a una scena
orribile: Minerva e Pomona giacevano a terra prive di sensi, una
ragazza di Corvonero era accanto a loro ed era appena stata disarmata
da Gibbon.
Severus non aveva avuto scelta: proprio quando il Mangiamorte aveva
levato la bacchetta contro la ragazza, Severus gli aveva lanciato un
Sectumsempra che lo aveva colpito in pieno tra le spalle.
Forse era stato visto in quel momento, o forse più tardi, quando
aveva salvato Arthur Weasley dal letale anatema di Bellatrix.
Ad ogni modo, quella notte, la copertura di Severus era saltata.
Erano riusciti a scacciare i Mangiamorte, che miracolosamente non
avevano lasciato vittime, anche se alcuni feriti erano stati ridotti
piuttosto male.
Alla fine avevano dovuto lasciare la scuola e si erano tutti rifugiati al numero 12 di Grimmauld Place.
E adesso si trovavano lì, nella tetra cucina dell’abitazione che era appartenuta ai Black.
Un debole crack mise a tacere tutti i presenti: qualcuno si era appena
Materializzato sull’ultimo gradino avanti alla porta
d’ingresso.
E infatti, un momento dopo, la porta venne aperta.
Hermione si precipitò per prima su per le scale che portavano al lugubre corridoio, seguita a ruota dagli altri.
Albus stava per trasferirsi in uno dei quadri di sopra per godere di
una vista migliore quando sentì qualcosa che lo fece arrestare.
Di sopra, tutti avevano emesso gemiti di terrore e sconcerto.
«Che cosa è successo, Potter?» udì Minerva chiedere, la voce pericolosamente alterata.
Quello che rispose Harry, fu soffocato dalle grida della signora Black.
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Capitolo 4 *** Capitolo III ***
4.4
Sakve a tutti, come sempre un grazie di cuore a tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia :)
Spero che anche questo capitolo vi piaccia.
Buona lettura e un abbraccio a tutti,
_Jo
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Capitolo III
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ENEMIES
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«È morto?» chiese Ron esitante.
«No» rispose Harry dopo un momento. Non sapeva da dove gli
giungesse quella sicurezza, ma era certo che fosse la verità.
Si inginocchiò cautamente accanto al corpo del suo acerrimo
nemico che giaceva immobile e apparentemente indifeso. Udì gli
altri trattenere il respiro mentre allungava una mano verso di lui,
reprimendo l’impulso di ritrarla, per tastargli una vena.
Era vivo, ferito, debole, ma vivo. Lo comunicò agli altri.
«Che cosa facciamo adesso?» chiese Bill.
«È ovvio no? Lo uccidiamo» sentenziò rapidamente Ron.
«No» ripetè Harry.
«Oh avanti, Harry» protestò Ron, prima che Harry
potesse aggiungere altro «Non è questo il momento di
essere nobili, facciamolo fuori adesso così tutto sarà
finito»
Harry non riusciva a pensare. Si rialzò, la bacchetta ancora
stretta saldamente in pugno, incapace di prendere una decisione.
«Come al solito, Weasley» disse Piton «Non afferri il
punto della situazione. Cinque Mangiamorte sono stati uccisi e il
Signore Oscuro è stato attaccato. È evidente che qui
è successo qualcosa e il Signore Oscuro ne è
l’unico testimone. Sarebbe saggio …»
«Risparmiarlo?» ruggì Ron «Secondo te lui lo
farebbe? Harry,» aggiunse, rivolgendosi a lui «Chiunque sia
stato ci ha fatto un favore, finiamolo e basta o ce ne pentiremo»
Aveva ragione, rifletté Harry. Ma aveva ragione anche Piton.
Rivolse di nuovo lo sguardo a Voldemort. La cicatrice bruciava ancora,
ma era un dolore sopportabile. Che cosa doveva fare? Che cosa avrebbe
fatto Silente?
Silente! Era questa la risposta, Silente avrebbe saputo che cosa fare.
«Portiamolo con noi» decise, interrompendo gli altri che ancora stavano discutendo.
«Sei matto?» esclamò Ron che ormai stava cedendo al panico.
«Dobbiamo sapere che cosa è successo qui, Ron»
spiegò all’amico, tentando di mantenere un tono di voce
neutro. Era un rischio, lo sapeva, anzi, quasi certamente si trattava di
pura follia; ma come aveva capito subito che Voldemort era vivo, nello
stesso modo in cui conosceva le emozioni e gli stati d’animo del
suo nemico, così sentiva che quella era l’unica cosa da
fare.
E mentre legavano il corpo di Voldemort e si preparavano a
Materializzarsi, Harry sperò ardentemente di non stare
commettendo lo sbaglio più grosso della sua vita.
.
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° ° °
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Il loro arrivo a Grimmauld Place era stato accolto con sconcerto e terrore.
Dopo aver dato agli altri alcune frettolose spiegazioni, lui e Piton
erano riusciti a sgattaiolare in cucina. Era una sola la persona con
cui avevano bisogno di parlare: Silente.
Gli avevano fatto un resoconto completo dell’accaduto, riferendogli tutti i dettagli che erano riusciti a ricordare.
L’ex-preside era rimasto in silenzio per tutto il tempo,
ascoltando attentamente ogni parola. Quando poi finalmente avevano
terminato il racconto, Silente aveva chiuso gli occhi e aveva unito le
punte delle lunghe dita, un gesto che Harry gli aveva visto fare
innumerevoli volte.
«Credo che abbiate fatto bene» aveva commentato alla fine
«E concordo con te, Severus: un attacco di questa portata non
sarebbe riuscito a molti, anzi credo di non conoscere nessun mago che
sarebbe in grado di eliminare cinque Mangiamorte e ferire così
gravemente il loro capo. E al momento non disponiamo di abbastanza
elementi per poter stabile se questo individuo sia amico e
nemico» aveva concluso. Harry e Piton avevano annuito e per un
po’ nessuno aveva più parlato: stavano tutti riflettendo
sulle possibili implicazioni di quello che era accaduto.
«Ora, se non ti dispiace Severus» aveva ripreso il preside «Vorrei scambiare due parole con Harry»
.
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° ° °
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«È fuori discussione» stava dicendo Hermione
«Non puoi andare là dentro. Nessuno dovrebbe entrarci e di
certo non dovresti farlo tu!»
Harry aveva raccontato a Ron e a Hermione quello che lui e Silente si
erano detti. Il piano era molto semplice: Harry avrebbe parlato con
Voldemort e avrebbe cercato di spingerlo a rivelargli quello che era
successo a Oxen. Non era un gran piano in effetti, ma era l’unica
cosa che potessero fare.
«Non possiamo leggergli la mente?» propose Ron.
«È un Legilimens e un Occlumante molto abile, Ron» spiegò Hermione in tono sbrigativo.
«Beh ma è debole, no? E Harry ha una specie di canale preferenziale con lui …»
«Non se ne parla, Harry deve cercare di chiudere la mente a Tu-Sai-Chi» ribatté Hermione.
«Sentite» si inserì Harry, che ne aveva abbastanza
di sentirli litigare e discutere di lui come se non fosse lì con
loro «È legato, debole e senza bacchetta»
cominciò «Mi basterà osservare le sue reazioni, mi
terrò a distanza di sicurezza e voi tutti sarete dietro la
porta, non può succedermi niente» assicurò,
sperando in questo modo di convincere anche se stesso. Quell’idea
era davvero orribile e ogni giorno Harry ne diventava sempre più
consapevole.
Guardò i suoi due migliori amici che evidentemente stavano
cercando le parole migliori per ribadirgli che quell’idea era
pura follia. Senza aspettare che le trovassero, Harry uscì dalla
camera che era appartenuta a Sirius e salì le scale.
Voldemort era stato rinchiuso nella vecchia soffitta che era stata la
cuccia di Fierobecco. Avevano attuato ogni genere di precauzione, ma la
tensione all’interno del numero 12 cresceva man mano che le
condizioni di salute di Voldemort miglioravano. Si trovava lì da
una settimana ormai e non sapevano per quanto ancora avrebbero potuto
trattenerlo. Avrebbero dovuto abbandonare il Quartier Generale,
considerò amaramente.
Remus e Bill stavano facendo la guardia. Si erano organizzati in turni
perché ci fosse sempre qualcuno che tenesse d’occhio
Voldemort.
«Allora ne sei proprio sicuro?» chiese Bill.
Harry annuì, la bocca gli era diventata improvvisamente asciutta.
Sciolsero alcuni degli incantesimi, quindi tolsero i pesanti lucchetti che sbarravano la porta.
«Dieci minuti» ricordò Remus a Harry
«Stai attento» si raccomandò Bill. Harry rispose
debolmente al suo sorriso, quindi spinse in giù la maniglia ed
entrò.
La stanza era, se possibile, ancora più buia e tetra del resto della dimora.
Un letto era stato sistemato in un angolo, accanto a un basso tavolino
ingombro di bende e medicinali. Voldemort era sdraiato su in fianco. I
polsi e le caviglie erano cinti da pesanti catene che luccicavano
debolmente alla luce della lampada a olio. Gli dava le spalle.
Notò che portava ancora la tunica e il mantello neri incrostati di sangue: nessuno si era voluto azzardare a spogliarlo.
Per un attimo Harry ebbe la visione di Voldemort vestito di uno dei
vecchi pigiami di Ron e si scoprì a mordersi il labbro per
trattenere una risata.
Avanzò lentamente, la bacchetta abbassata ma ben salda nel suo pugno.
Ora si trovava a circa tre metri da Voldemort e decise di fermarsi. Non era prudente avvicinarsi oltre.
Si schiarì la gola.
Niente. Se Voldemort lo aveva sentito, non ne diede alcun segno.
Riprovò, ma anche questa volta Voldemort non si mosse.
Doveva avvicinarsi ancora, scuoterlo? Il pensiero di toccarlo gli faceva rivoltare lo stomaco.
Rimase in attesa per un po’, quindi ripetè il verso, questa volta più forte.
Stava ormai cominciando a cedere all’esasperazione, quando
finalmente Voldemort si riscosse. Si voltò finalmente a
guardarlo, compiendo il gesto con lentezza infinita.
«Non sei così sciocco come pensavo, Harry Potter»
disse, flettendo le lunghe dita pallide. La sua consueta voce, acuta e
fredda, suonava, se possibile, ancora più raccapricciante in
quello spazio piccolo e chiuso.
Si era messo a sedere, gli occhi rossi piantati su Harry. Sapeva che se
avesse avuto una bacchetta non avrebbe esitato a colpirlo.
«Anche se portarmi qui non è stata proprio una mossa
geniale» considerò Voldemort «Silente non ti ha
insegnato che i nemici si uccidono?» lo derise, la bocca piegata
in un ghigno disgustoso che si trasformò subito in una smorfia
di dolore: un profondo taglio, non ancora del tutto rimarginato, si
apriva dalla tempia destra fino a metà della guancia.
«Dipende da chi sono i miei nemici» rispose Harry, ostentando una calma che non aveva.
Doveva fare attenzione ai particolari adesso, un cenno,
un’esitazione, piccole cose che avrebbero potuto aiutarli a
ricostruire l’accaduto. Dubitava che Voldemort ne avrebbe parlato
con lui e infatti non lo fece.
«Io ti voglio morto Harry Potter, direi che è
più che evidente quali sono i tuoi nemici» ribatté
serafico Voldemort.
«E che mi dici dei tuoi nemici? Quello che è successo al
villaggio, cinque dei tuoi sono stati uccisi, direi che non sono
l’unico a volere te morto» disse Harry.
«Il nemico del mio nemico è mio amico, non si dice
così?» lo canzonò Voldemort, ignorando il dolore
alla guancia «Ma ti posso assicurare che di solito non funziona
così»
«Che cosa vuoi … ?» stava dicendo Harry, ma un
deciso bussare alla porta gli comunicò che i dieci minuti erano
scaduti. Era tempo di andare, ma ora che era entrato non gli sembrava
più tanto difficile stare alla presenza di Voldemort. Tuttavia
aveva fatto una promessa e così si costrinse a tornare sui suoi
passi. Aveva già la mano sulla maniglia, quando Voldemort
parlò di nuovo «Non hai alcuna possibilità,
Potter» disse, tornando a distendersi.
Con il presentimento che Voldemort avesse ragione, Harry uscì dalla stanza.
.
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° ° °
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Octavio richiuse in fretta la cella. La sua prigioniera si era
dimostrata piuttosto restia a condividere i propri ricordi. Ma ora non
aveva tempo, avrebbe pensato più tardi a un modo per renderla
più docile. C’erano questioni più urgenti che
richiedevano la sua attenzione.
Passò accanto a un vecchio baule e non poté resistere
alla tentazione di ammirare i suoi preziosi trofei. Prese tra le mani
il più recente, accarezzandolo delicatamente e immediatamente
ripensò alle circostanze in cui l’aveva conquistato.
Aveva preparato tutto nei minimi particolari.
Aveva estorto alla Delacour molte, preziose informazioni, sufficienti a guadagnarsi la fiducia di Potter e dei suoi alleati.
Aveva capito ben presto che non c’era niente di speciale in quel
ragazzo e, con suo enorme disappunto, aveva dovuto ricredersi anche nei
confronti del Signore Oscuro.
Al loro primo incontro ne erano seguiti altri due. Voldemort gli aveva
affidato alcune missioni che sarebbero state premiate, aveva detto, con
il Marchio Nero.
Un onore, tuttavia, a cui Octavio si scoprì presto totalmente
indifferente. Voldemort non era il grande e potente mago oscuro di cui
aveva sentito parlare. Forse lo era stato all’inizio, ma ora non
era altro che un relitto, una patetica imitazione di quello che era
stato un tempo.
Forse, quando Potter lo aveva sconfitto, qualcosa si era spezzato e la
reincarnazione di quell’anima errabonda non poteva reggere il
confronto con ciò che era stato.
O forse erano stati tutti quegli anni di solitudine: chiunque sarebbe impazzito in quelle condizioni.
O semplicemente Voldemort si era spinto troppo in là, oltre i limiti concessi all’uomo dalla natura.
Nessun mago dovrebbe mai sfidare le leggi universali che mantengono
l’equilibrio della magia stessa, Octavio lo sapeva bene.
Era un errore comune a molti uomini, dopotutto e in Voldemort questo
risultava amplificato in proporzione al suo innegabile potere.
E così Octavio aveva cominciato a raccogliere seguaci per proprio conto, preparandosi a colpire.
E finalmente, dopo alcune settimane, Voldemort lo aveva voluto con
sé in una delle sue inutili battute di caccia al Babbano.
Fremeva ancora di eccitazione al pensiero di quello che era accaduto.
Voldemort era davanti a lui, l’orrido ghigno stampato sul suo volto mostruoso.
«Non ti diverte, Killian?» gli aveva chiesto Voldemort.
Aveva notato che Octavio era rimasto indietro, limitandosi a scagliare qualche pigra fattura.
«Non approvi, per caso?» aveva chiesto Voldemort, la
bacchetta levata, la maledizione Cruciatus che affiorava sulle labbra
inesistenti.
Ma Octavio era stato più rapido, con un’agile scatto, era
balzato lontano dal raggio d’azione di Voldemort, poi, in un
attimo, era piombato alle sue spalle e lo aveva colpito.
Alcuni Mangiamorte avevano visto l’azione e si erano scagliati
contro di lui. Ma era stato tutto inutile: in un attimo si era
sbarazzato di Avery, il suo potente Anatema lo aveva colpito in pieno
petto, scagliandolo a decine di metri. Poi era toccato a Mulciber e a
innumerevoli altri scagnozzi, troppo insignificanti perché
Octavio si prendesse il disturbo di conoscerne il nome.
Infine anche gli altri avevano interrotto la carneficina.
Alcuni avevano pensato che si trattasse degli Auror, così si
erano Smaterializzati, ma la maggior parte era rimasta a combattere:
Dolohov aveva duellato con Roockwood, che Octavio aveva persuaso a
passare dalla sua parte, così come Rowle, che con
facilità aveva atterrato e disarmato Goyle.
Octavio li aveva richiamati subito, però, perché sapeva che non ci sarebbe stato tempo per stupide tenzoni.
Con una singola, potente maledizione aveva raso al suolo il piccolo
villaggio, uccidendo i Mangiamorte e i Babbani rimasti. Probabilmente
anche Voldemort era tra le vittime, ma Octavio aveva voluto esserne
certo.
Si era messo a cercare tra le macerie in modo febbrile, sopprimendo di
quando in quando un lamento o un movimento di qualche sopravvissuto.
Poi aveva sentito dei sonori crack.
In fondo al viale principale, si erano Materializzate quattro figure.
Potter e alcuni dei suoi, aveva intuito Octavio, che non poteva farsi
trovare lì, non aveva ragione per essere in quel luogo.
Così era stato costretto ad allontanarsi in fretta con i suoi nuovi compagni e insieme si erano Smaterializzati.
E ora Potter lo aveva convocato d’urgenza.
Aveva mandato il suo Patronus e il bel cervo aveva parlato con la voce
di Harry: “È successa una cosa inaspettata, vieni subito a
Grimmauld Place per una riunione”.
Octavio aveva pensato che si trattasse della morte di Voldemort,
tuttavia non era riuscito a scacciare la fastidiosa sensazione di
pericolo che lo aveva colto non appena il Patronus si era dissolto in
graziosi vortici d’argento.
Richiuse in fretta il baule, indossò il mantello da viaggio e si
Smaterializzo, per comparire subito dopo sull’ultimo gradino
davanti al numero 12.
Bussò garbatamente alla porta. Una strega di nome Tonks, una
ragazza bizzarra e decisamente goffa, venne ad aprire e lo condusse in
cucina, dove generalmente si tenevano le riunioni dell’Ordine.
Tuttavia, una volta entrato, si accorse che erano presenti solo pochi membri dell’organizzazione.
Si avvicinò a Potter che stava discutendo con Lupin e Piton.
«Non ho altra scelta» stava dicendo Harry «Devo tornare là sopra, costringerlo a parlare»
«Non lo farà, sa che se lo avessimo voluto morto lo
avremmo già ucciso, è in vantaggio» ribatté
Lupin.
«Devo tentare» risolse infine Harry, alzandosi dalla sedia
e dirigendosi verso le scale, imitato dagli altri due «Voldemort
è nostro prigioniero, è la nostra migliore occasione per
… » stava continuando, ma il resto della frase si spense
nel corridoio che portava ai piani superiori.
Octavio sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Voldemort era sopravvissuto, era in quella casa in quello stesso
momento e nel giro di pochi minuti avrebbe potuto raccontare a Potter
quello che era davvero accaduto a Oxen.
Doveva trovare un modo per uscire di lì e subito.
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° ° °
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Capitolo 5 *** Capitolo IV ***
5.5
Angolo Autrice
Salve a tutti, eccomi qui con un nuovo capitolo :)
Vi anticipo già, e mi
scuso per questo, che il capitolo sarà prettamente di
transizione, succederanno delle cose importanti, ma non
sarà denso di azione; spero comunque che vi piaccia e vi
aspetto tutti nei commenti, ogni critica è bene accetta,
specilamente in capitoli come questi di cui non sono sicurissima .
Un GRAZIE a tutto coloro che seguono la mia storia e un ringraziamento particolare a blackjessamine, marthalestrange e Angela_Potter che sono state tanto gentili da lasciare una recensione.
_Jo
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Capitolo IV
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Bad News
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Erano passate due settimane da
quando avevano trovato Voldemort, ferito e moribondo, tra i resti del
piccolo villaggio di Oxen. Lo avevano portato a Grimmauld Place, lo
avevano curato e rifocillato, non per pietà verso di lui, ma per
avere delle risposte.
Fino a quel momento però, non avevano avuto fortuna.
L’autore di quel massacro continuava a rimanere ignoto e non
c’era stato nessun sostanziale cambiamento nella guerra che
continuava a infuriare crudele e incessante. Anzi, pareva che
l’improvvisa scomparsa di Voldemort fosse passata completamente
inosservata.
Quanto al mago che aveva cercato di uccidere Voldemort, chiunque egli fosse, non sembrava essere intenzionato a rivelarsi.
Voldemort, d’altro canto, non era da meno in materia di rivelazioni.
Non aveva detto loro niente e il suo mutismo non dava segni di cedimento.
Dopo la loro prima, breve chiacchierata, Harry era tornato
più volte a fare visita al suo nemico, ma questi non gli aveva
più rivolto la parola. Se ne restava sdraiato nel suo letto,
oppure seduto sulla vecchia sedia traballante o in piedi davanti alla
piccola finestra sporca, senza mai degnarlo di uno sguardo.
Una volta Harry si era arrischiato a rimanere in quella stanza per
più di un’ora, ben oltre il limite ragionevole di
permanenza, senza comunque riuscire a suscitare in lui la minima
reazione.
Le sue visite si erano fatte tanto frequenti quanto brevi, fino a
quando, stanco di sopportare quei silenzi tesi e snervanti, aveva
deciso di smettere. Erano tre giorni che non andava di sopra e,
ripensandoci, Harry aveva la sgradevole sensazione di aver fatto
esattamente quello che Voldemort voleva.
«Scendiamo?» chiese Ron dall’altra parte della camera che condividevano, distogliendo Harry dai suoi pensieri.
La signora Weasley aveva già preparato un’ottima
colazione per tutti e aveva mandato prima Hermione e poi Ginny a
chiamarli. Sentendo dei passi sul corridoio, Harry agguantò un
paio di jeans, finì di cambiarsi e scese in cucina con Ron e
Ginny, che era venuta a chiamarli di nuovo.
I signori Weasley, Hermione e Remus stavano commentando le notizie
del giorno, o meglio, le non notizie, come Harry constatò
scorrendo velocemente la prima pagina della Gazzetta del Profeta.
Si servì di un’abbondante porzione di porridge e
ritornò a concentrarsi su Voldemort: doveva trovare al
più presto una soluzione.
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° ° °
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Era già mattino inoltrato quando Severus riuscì finalmente a congedarsi dal suo sconveniente compagno.
Si Materializzò subito a Grimmauld Place e trovò i
suoi abitanti immersi in una delle loro solite discussioni che, come
sempre, non avrebbero portato a niente.
«Vieni Severus, è avanzato sicuramente qualcosa dalla
colazione» stava dicendo Molly Weasley, che lo aveva accolto
all’ingresso.
Ma lui non aveva fame di cibo, ma di parole. Doveva immediatamente
riferire quello che aveva scoperto, anche se, lo sapeva, a qualcuno non
sarebbe andato a genio il modo in cui aveva ottenuto quelle
informazioni.
Prese posto in una delle sedie della cucina, quindi interruppe
Remus e Hermione che, come al solito, non sembravano intendersi
riguardo la questione dei Lupi Mannari.
«Qualche novità, Severus?» chiese Molly.
Annuì e, dopo un momento, prese a raccontare.
«Ho ricevuto una lettera da Lucius, sembrava preoccupato e
diceva di avere delle informazioni che, secondo lui, avrebbero potuto
essermi utili» esordì, studiando poi attentamente i volti
dei suoi interlocutori. Harry, Remus e Arthur rimasero in silenzio,
Hermione esibì un’espressione scioccata, mentre Ron e sua
madre si lasciarono andare all’indignazione.
«Malfoy?» esclamò quindi Molly, sputando letteralmente fuori il nome.
«Sì, Malfoy» replicò Severus tranquillo
«Aveva delle informazioni e in cambio sperava che io potessi
dargli qualche delucidazione, diciamo, sulle attuali condizioni del
Signore Oscuro.
«Naturalmente gli ho detto che non ne avevo
idea, ma sembrava troppo spaventato per deludersene. Pare che un mago,
qualcuno dell’esercito del Signore Oscuro, abbia preso il
controllo del Ministero, invitando i seguaci del Signore Oscuro a
unirsi a lui»
«Deve trattarsi dello stesso mago che ha aggredito Voi-Sapete-Chi» constatò Remus.
«È probabile» concordò Severus, prima di
continuare «Lucius mi ha detto che metà dei Mangiamorte
hanno già risposto alla chiamata. Yaxley, Travers, Rowle,
Roockwood e i Carrow si sono uniti a lui e molto presto lo faranno
anche Greyback e suoi Mannari. Molti dei Dissennatori sono propensi a
fare lo stesso e quanto ai Ghermidori, a loro non è mai
importato nulla di Voldemort e non penso che se ne interesseranno
adesso che è scomparso. Minus e Macnair avevano intenzione di
fuggire, quanto a Bellatrix, nessuno sa che fine abbia fatto»
concluse Severus.
Per un po’ nessuno parlò, tutti avevano assorbito la
moltitudine di informazioni e ora stavano cercando di afferrarne le
implicazioni.
«Quindi abbiamo a che fare con un altro Signore
Oscuro?» disse Hermione, dando voce alla domanda che tormentava
Severus da quando aveva lasciato Malfoy.
«Non saprei, pare che molti al Ministero vedano la cosa con
favore. Le persecuzioni ai danni dei Nati Babbani si sono arrestate,
anche se rimane l’obbligo di dichiarare il proprio stato di
sangue e il divieto per i Nati Babbani di possedere bacchette e altri
oggetti magici» proseguì Severus «Ma Lucius è
certo che non sarà finita qui. Molti oppositori del Signore
Oscuro vedono questo nuovo signore
con favore, lo credono una sorta di liberatore, pensano che abbia
sconfitto il Signore Oscuro, ma ovviamente continuano ad avere paura.
Per questo la Gazzetta del Profeta non dice nulla, nessuno sa che cosa
sia successo; né Harry, né nessuno di quelli che
combattono apertamente contro il Signore Oscuro si è fatto
vedere al Ministero e finché non avranno la prova che il Signore
Oscuro …» stava dicendo Severus, ma venne interrotto da
Ron che esclamò «Potresti piantarla di ripetere “Il Signore Oscuro”? I Mangiamorte lo chiamano così, è irritante»
Severus lo ignorò, ma prima che potesse continuare, Harry
prese la parola per la prima volta «Credo che dovremmo dirlo a
Voldemort» disse «Se qualcuno sta cercando di prendere il
suo posto, questo fatto lo manderà su tutte le furie e potrebbe
decidersi a parlare»
«O magari potrebbe tentare di fuggire» ribatté Hermione
«Bé, che senso ha tenerlo qui allora?» disse
Harry calmo «Ogni giorno diventa sempre più rischioso,
quindi o lo lasciamo andare o …»
«Lo uccidiamo» completò Ron «Che è quello che avremmo dovuto fare subito»
«Ma lui deve sapere chi è questo nuovo capo»
esclamò Harry «E il fatto che stia chiamando a raccolta i
vecchi seguaci di Voldemort non mi fa pensare a nulla di buono. Non
credo che sia nostro amico, altrimenti perché restare
nell’ombra? Sta raccogliendo le forze, approfittando della
confusione che c’è al momento e se non ci muoviamo adesso
sarà troppo tardi. Avevamo un vantaggio e lo stiamo perdendo
ogni secondo che passa» concluse, cominciando a passeggiare su e
giù per la cucina.
«Se posso, vorrei esprimere il mio modesto parere»
disse una voce calma e misurata. Tutti la riconobbero e si voltarono a
guardare il ritratto di Silente che li osservava dalla mensola sul
caminetto.
Severus aveva visto la cornice vuota quando era entrato, ma aveva
avvertito su di sé lo sguardo azzurro del preside non appena si
era voltato.
«Credo che Harry abbia ragione» proseguì Silente
«E penso sia giunta l’ora che io faccia una chiacchierata
con il nostro ospite»
.
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° ° °
.
.
Era rimasto
davanti alla finestra per ore, osservando il cielo scuro tingersi di
rosa e di giallo, finché sottili lame di luce opaca non avevano
illuminato il piccolo locale nel quale era stato confinato.
Ancora non ci credeva: lui, il grande Lord Voldemort, era stato
tradito da uno dei suoi servi e ora si trovava prigioniero di Potter e
della sua banda di eroi idioti. Era una situazione decisamente
umiliante.
L’unica consolazione era stata constatare quanto i discorsi
di Silente sull’Amore avevano fatto presa su Potter: avrebbero
dovuto ucciderlo, ma non l’avevano ancora fatto e Voldemort era
certo che non sarebbe mai successo.
Non che gli importasse granché di essere ucciso, in
effetti; aveva preso le sue precauzioni in merito già da tempo.
Tuttavia, non poteva fare a meno di chiedersi se anche questa
volta qualcuno sarebbe andato a cercarlo. I suoi Mangiamorte dovevano
crederlo morto ormai, forse si erano già uniti al traditore o,
magari, erano tornati a strisciare nell'ombra del Ministero,
spergiurando di non aver mai avuto a che fare con il Signore Oscuro.
Ma non poteva saperlo con certezza: di quanto stesse accadendo all’esterno, Voldemort non aveva alcuna notizia.
Malgrado Potter fosse venuto da lui ogni giorno, non aveva fatto
altro che porgergli sempre le stesse, inutili domande, a cui lui non
aveva risposto. Durante quelle visite, infatti, aveva un’unica
preoccupazione: evadere. Cercava di scorgere un punto debole, qualcosa
che avrebbe potuto consentirgli di fuggire, ma aveva dovuto ammettere
che non sarebbe stato così facile come si era aspettato: gli
incantesimi erano potenti e lui era senza bacchetta.
Tuttavia, adesso un’altra inquietudine si era fatta strada dentro di lui: erano tre giorni che non vedeva anima viva.
Gli stessi incantesimi che gli impedivano di fuggire escludevano
anche i suoni, le emozioni, ogni minima vibrazione all’interno
della casa e per quanto si concentrasse non riusciva a percepire
niente. In effetti, per quel che ne sapeva, in quella dimora
sconosciuta poteva essere rimasto solamente lui.
Ora era seduto sul bordo del letto, lo sguardo basso e vuoto, mentre le
pallide dita bianche contorcevano senza posa alcune pagliuzze. Gli
mancava stringere tra le mani il legno caldo della sua bacchetta.
Gli sembrava di essere tornato in quel tetro orfanotrofio Babbano,
dove aveva passato i primi undici anni della sua vita. A quei tempi
portava ancora il sudicio nome di suo padre e non sapeva di essere un
mago. Ma almeno allora c’era qualcosa da fare, bambinetti
insignificanti da torturare e soprattutto poteva controllare e servirsi
delle sue fidate serpi.
Sperò che Nagini fosse riuscita a scappare. Non gli piaceva
affatto l’idea che un pezzo della sua preziosissima anima potesse
andarsene a zonzo per il Paese senza il suo controllo, ma di certo la
preferiva alla possibilità che questa potesse essere stata
distrutta.
Odiava quella sensazione, detestava essere incerto o irrequieto.
Fin da quando aveva messo piede a Hogwarts si era sempre
curato di essere costantemente al corrente e sicuro di tutto. E adesso
invece ignorava e dubitava.
Un rumore improvviso lo destò dalle sue preoccupazioni.
Dopo giorni, quello era il primo suono che udiva, oltre al suo respiro
e al leggero echeggiare dei suoi stessi passi.
Poteva percepire gli incantesimi che venivano sciolti, poi la porta si aprì.
Potter comparve sulla soglia. Aveva la bacchetta sguainata e sotto il braccio sinistro reggeva qualcosa di piatto e voluminoso.
Suo malgrado, Voldemort non riuscì a non essere incuriosito.
Potter intanto era entrato, si era richiuso la porta alle spalle e
procedeva verso di lui; la bacchetta, sempre puntata nella sua
direzione, sprizzava scintille rosse e dorate. Che percepisse il
pericolo, o, forse, la presenza del proprietario della sua gemella?
L’oggetto rettangolare era stato sistemato sulla vecchia
sedia di legno, sotto la finestra dai vetri sudici, e finalmente
Voldemort poté vederlo chiaramente: era il ritratto di Silente
che, comodamente seduto sulla sua morbida poltrona dipinta, lo
osservava attraverso gli occhiali a mezzaluna.
Potter si sistemò in piedi accanto alla sedia, senza dire una parola.
«Buonasera, Tom» disse il vecchio mago.
Voldemort non represse un’espressione di disgusto: detestava quel nome, così banale, così sporco.
«Silente» disse sprezzante rivolto al viso rugoso del
suo antico rivale. Era morto, ucciso per suo ordine, eppure continuava
a tormentarlo.
«Abbiamo delle novità che potrebbero
interessarti» esordì Silente, ma prima che potesse
continuare, Voldemort lo interruppe. Se prima era stato deciso a
mostrarsi indifferente e distaccato, ora sentiva l’odio e la
frustrazione montare dentro di lui. Non aveva intenzione di stare a
sentire quel vecchio rimbambito e defunto e il suo ragazzo prodigio.
«Ascoltami, Tom» disse Silente, cercando di placare la sua ira.
«Non chiamarmi così!» protestò lui
«Quello non è più il mio nome. Non ho intenzione di
ascoltarti, niente che tu possa dirmi potrebbe avere un qualche
interesse per me. Sono finiti i tempi in cui io ero lo studente e tu il
professore. Adesso io sono Lord Voldemort, il più grande mago
oscuro mai esistito e tu sei morto»
«È vero» concesse l’ex-preside dalla sua
cornice «Ma devo contraddirti. Non sei più tu il mago che
tutto il Paese teme. E tu sai di chi parlo»
Voldemort non voleva ascoltare, ma quella poteva essere la sua
unica occasione di sapere che cosa stava succedendo. Dov’erano i
suoi Mangiamorte? Che cosa stavano facendo? E che n’era stato di
quel piccolo, sudicio traditore di Murphy? Improvvisamente,
però, capì che forse né Silente, né
tantomeno quella banda di ragazzini sciocchi e disgustosi ibridi,
sapeva di Murphy.
Voldemort aveva accolto con qualche riserva il suo
spirito di iniziativa, preferiva essere lui quello che decideva e che
dava ordini, ma una spia, una serpe in seno ai suoi più tenaci
oppositori, era stata un’occasione troppo ghiotta per farsela
scappare.
Avrebbe dovuto capirlo, però. La sua ultima spia, Piton, lo
aveva clamorosamente tradito. Con Murphy aveva fatto lo stesso errore,
aveva contato sulla fedeltà assoluta del suo servo e le
conseguenze erano state terribili. Non sarebbe successo mai più,
si era ripromesso.
«Forse» concesse alla fine e Silente sembrò soddisfatto.
«Ha preso lui il potere, controlla gran parte del tuo
esercito e i Mangiamorte che non ha ucciso ora sono passati al suo
servizio» spiegò.
Per un lungo momento nessuno parlò. Potter era rimasto in
silenzio per tutto il tempo, spostando lo sguardo nervoso ora sul suo
mentore, ora su di lui.
«E di chi è la colpa?» disse Voldemort,
rompendo quell’attimo di quiete surreale. Stava parlando
più a se stesso in realtà e non notò le reazioni
dei due.
Aveva perso tutto, di nuovo, e ancora una volta c’era di mezzo quel maledetto Harry Potter.
Contrasse le dita, serrando i pugni, tanto che le nocche pallide
divennero livide. Il pavimento della piccola stanza tremò e
così fecero le pareti e il soffitto. I vetri della finestra
sudicia vibrarono violentemente fino a frantumarsi. Vide il Ragazzo
Sopravvissuto chinarsi verso il dipinto, ma non udì quello stava
dicendo.
Forse era spaventato? Se era così, ne aveva tutte le ragioni.
Sentì qualcuno bussare violentemente alla porta, urla e
grida, ma Voldemort concentrò tutto il suo potere per
respingerli. Non gli serviva una bacchetta per uccidere. Ma una
bacchetta c'era, era davanti a lui, stretta nel pugno del suo nemico,
così simile a quella che lo aveva scelto tanti anni prima.
Sprizzava scintille di mille colori, vibrava e sembrava impazzita.
«Lord Voldemort, ora basta!» tuonò Silente e la
sua voce gli giunse da molto lontano. Poi un singolo lampo di
luce dorata partì dalla bacchetta di Potter, colpendolo in
pieno petto. Non gli fece male, ma sembrò prosciugargli ogni riserva di energia.
Un po' spossato, decise di rimettersi a sedere.
Controllo e freddezza, si disse. Nonostante non avesse capito bene che cosa
era successo, sapeva che avrebbe comunque potuto uccidere Potter in
qualsiasi momento, ma sapeva anche che non avrebbe risolto niente.
Il suo esercito non esisteva più e una piccola parte di lui
aveva cominciato a sussurragli maligna che neanche i suoi più
fidati Mangiamorte sarebbero stati felici di rivederlo. Forse Bellatrix
e i fratelli Lestrange, ammesso che fossero ancora vivi.
Con uno sforzo immenso, decise di ricomporsi.
«Dicevamo, questo signore ha preso il potere e abbiamo
ragione di credere che non sarà più bendisposto nei
nostro confronti di quanto non lo sia stato nei tuoi» riprese
Silente.
Potter era ancora accanto a lui, ma sembrava meno nervoso di quanto non lo fosse stato prima del suo accesso di rabbia.
«Ebbene?» chiese Voldemort. Erano arrivati al nocciolo della questione, il motivo per cui erano venuti a parlargli.
«Devi dirci chi è questa persona, da dove viene, che
cosa fa, ogni dettaglio che riesci a ricordare» disse il vecchio
con semplicità.
«Devo?» esclamò Voldemort, scoppiando in una risata fredda e senza gioia.
«Sì, devi» rispose con calma Silente
«Harry ti ha salvato la vita, sei in debito con lui, molto
più di quanto lo fossi stato già prima comunque»
«E che cosa otterrei in cambio?» chiese di nuovo.
Voleva godersi quel momento, capire fini a che punto i suoi nemici
fossero disperati.
Potter stava per rispondere, ma ancora una volta fu Silente a
parlare «Nulla. Se ci aiuterai in futuro però, potremmo
concederti un trattamento più morbido» disse, il disgusto
che grondava da ogni parola mentre lo scrutava con sguardo freddo e
penetrante.
«D’accordo» risolse infine Voldemort. Non
c’era niente di male a metterli sulle tracce del mago che aveva
osato tradirlo. Si sarebbero scannati a vicenda e nel frattempo lui
sarebbe rimasto a guardare, preparandosi per il suo trionfale ritorno.
«Si chiama Killian Murphy, è un giovane di circa
vent’anni e non è di queste parti» cominciò a
dire, poi, sfoderando un ghigno malefico aggiunse «E l’ho
infiltrato tra i vostri ranghi».
.
.
.
Piccola riflessione dell'autrice
Stavo scrivendo
il capitolo oggi e in sottofondo alla TV sentivo gli aggiornamenti di
quanto stava accadendo a Barcellona. Sono andata avanti a scrivere,
anche perchè non è che potessi fare granché da
chilometri di distanza, ma sinceramente mi sono chiesta se fosse il
caso di pubblicare il capitolo. Questa è una storia che parla di
guerra, con tutto il dolore e la paura che una guerra si trascina
dietro, e noi siamo qui che "sguazziamo" in queste tematiche, parlando
attraverso personaggi inventati di cose tremendamente reali. Voldemort
è la personificazione del male, una delle tante, che si usa per
esorcizzare il male reale, quello di Barcellona oggi, di Londra e
Parigi ieri (mi riferisco solo ai fatti "eclatanti" non è questo
il luogo per aprire un dibattito etico o geopolitico o altro).
Lo so, non sono nessuno,
per carità, ma me lo sono chiesta comunque. E ho deciso che non
sarebbe servito a niente rimandare la pubblicazione, non solo
perchè tanto non frega a nessuno, ma perchè è
quello che vogliono loro, le persone malvagie di ogni Paese,
lingua e colore: porre fine a una vita, materialmente e
metaforicamente; vogliono che la gente abbia paura e smetta di vivere e
fare le cose che ama. E io non ci sto.
Non è un gran pensiero e non ho di certo scoperto l'acqua calda, ma ci tenevo a esporlo.
Un abbraccio a tutti,
specialmente a chi magari mi sta leggendo e ha conosciuto sulla sua
pelle o su quella di un amico i fatti a cui ho fatto riferimento. Spero
che non vediate la mia modesta riflessione come uno sproloquio privo di
tatto, perché non era assolutamente questa la mia intenzione.
A presto,
_Jo
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Capitolo 6 *** Capitolo V ***
6.6
Angolo Autrice
Salve a tutti!
Scusate
il leggero ritardo nell’aggiornamento, ma i capitoli stanno
diventando un po’ più complicati da scrivere e preferisco
non affrettarmi nella pubblicazione (non è vero, semplicemente
sono una scrittrice pessima!)
Anche
questo sarà un capitolo di transizione, perché volevo
tirare un po’ le somme e dipingere più chiaramente il
quadro della situazione. Se non sarete tutti morti di noia, vi prometto
(davvero!) che dal prossimo capitolo le cose cominceranno a muoversi.
A
proposito di chiarimenti, prima di lasciarvi alla lettura del capitolo,
vorrei rispondere ai messaggi di alcuni di voi che mi hanno chiesto di
precisare alcuni punti e ho pensato che fissarli qui potesse essere
utile a tutti:
1. In che momento della guerra ci troviamo?
Durante il VII libro.
Octavio arriva in Inghilterra e si unisce ai Mangiamorte poco dopo la morte di Silente.
L’aggressione
a Voldemort avviene intorno a Pasqua (1998), per questo Ginny è
a Grimmauld Place (ho scelto di attenermi all’originale, dove i
Weasley decidono di non farla tornare Hogwarts dopo le vacanze pasquali)
Nel mezzo, come abbiamo visto, Octavio si guadagna la fiducia del Signore Oscuro e di Harry.
2. Esistono gli Horcrux?
Sì e sono i 6 + 1 (Harry non lo sa ancora) come nell’originale.
Harry
& Co hanno distrutto il Medaglione di Serpeverde con
l’Ardemonio, quindi ora sono a - 3 (Diario, Anello e Medaglione)
e credono di sapere quali siano gli altri tre, ma non possono prenderli
perché:
-
Nagini è sempre con Voldemort (almeno fino
all’aggressione, ora nessuno sa dove sia) e quindi, per il
momento, inavvicinabile.
- Sanno che la Coppa di Tassorosso è un Horcrux, ma non sanno dove sia stata nascosta.
-
Qualcosa che ha a che fare con Corvonero o Grifondoro è a
Hogwarts, Harry e gli altri hanno provato a fare irruzione nella scuola
per rubare la Spada e per cercare l’Horcrux, ma sono stati quasi
catturati e quindi costretti a fuggire.
Ginny,
Neville e Luna hanno a loro volta provato a rubare la Spada, ma sono
stati scoperti e puniti duramente dai Carrow, perciò Harry ha
proibito a tutti i membri dell’ES di riprovarci.
3. Voldemort ha preso la bacchetta di Sambuco?
No.
4. Chi vive a Grimmauld Place?
Praticamente
tutti, perché: la Tana è stata distrutta da un attacco
dei Mangiamorte a Pasqua (tutta la famiglia era a Grimmauld Place,
quindi non è successo loro nulla); la copertura di Ron è
saltata; il signor Weasley e Bill sono stati costretti a lasciare il
lavoro; i gemelli Weasley hanno dovuto chiudere i Tiri
Vispi; Ginny ha momentaneamente interrotto gli studi.
Il trio e Piton vivono lì.
Remus e Tonks vivono dalla madre di quest’ultima, ora che si avvicina il parto.
Bill e Fleur hanno Villa Conchiglia.
Gli
altri membri dell’Ordine non vivono lì, anche se
ovviamente vi si recano spesso per portare notizie o per partecipare
alle riunioni.
5. Non me l’avete chiesto, ma lo dico io: qui i Mangiamorte sono un po’ più svegli.
Spero
di essere stata sufficientemente esaustiva, se aveste qualche altro
dubbio o se rilevaste qualche incongruenza, vi basta mandarmi un
messaggio privato o scrivere nelle recensioni :)
Ora vi lascio,
Buona lettura
_Jo
.
Capitolo V
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Mimosa
.
.
.
.
«E l’ho infiltrato tra i vostri ranghi»
Le sue parole rimasero sospese nell’aria greve.
Potter si voltò a guardare Silente e Voldemort si compiacque nel
vedere un’espressione di puro terrore disegnarsi sul giovane
volto che tanto detestava.
«Molto scaltro» commentò l’anziano preside
dopo un lungo momento «Sebbene fossi persuaso che non avresti
più riposto la tua fiducia in spie e infiltrati»
Voldemort rimase impassibile a quella affermazione. Aveva fatto un
errore di valutazione, era vero, ma non per questo avrebbe permesso che
i suoi nemici godessero della sua ingenuità.
«Chi sarebbe, dunque, questa astuta talpa?» chiese Silente.
«Mi pare di avertelo già detto, vecchio» rispose lui irritato.
«Beh, noi non conosciamo nessuno con quel nome, vero
Harry?» proseguì Silente tranquillo «Deve averne
usato uno falso e, se è furbo quanto le sue azioni hanno
dimostrato, suppongo che neanche Murphy sia il suo vero nome»
Dovette ammettere che era possibile, ma come poteva essere stato tanto
stupido? Piccole cose, dettagli insignificanti, ogni volta una di
queste inezie lo rovinava, come era stato con la Babbana Evans o con la
maledetta bacchetta gemella di Potter.
«Potresti descrivercelo, Tom?» riprese Silente «Come
è fatto, come si comporta, che cosa ti ha detto, qualche
particolare magari, qualcosa di poco conto che potrebbe non essersi
curato di nascondere a te o a noi»
«No» rispose lui immediatamente. Era umiliante restarsene
lì a rispondere a tutte quelle domande. Era Lord Voldemort che
chiedeva, che ordinava, ed erano gli altri a dover obbedire, a dover
strisciare ai suoi piedi invocando clemenza, supplicando i suoi favori.
«Tom, ci hai dato la tua parola …»
«Per la garanzia di un trattamento più morbido»
ripetè Voldemort con un ghigno «Sai che è solo
questione di tempo prima che i vostri insulsi incantesimi cedano, il
mio potere è troppo grande! Non avete speranza di trattenermi e
non avete nulla con cui costringermi ad aiutarvi!» disse, con
tutto l’odio di cui era capace, con il disprezzo dipinto nei suoi
occhi sanguigni che immaginò brillare sinistri e spaventosi
nella luce smorzata. Ne aveva abbastanza, non si sarebbe lasciato
trattare in quel modo da quella banda di traditori, Sanguemarcio e
ibridi.
«Hai ragione» disse Silente, abbassando il capo, mentre Potter accanto a lui dava segni di turbamento.
«Dove andrai, però, quando le nostre barriere non
riusciranno più a trattenerti?» riprese Silente, piantando
gli occhi azzurri nei suoi, sostenendo il suo sguardo come
nessun’altro era mai riuscito a fare. Forse solo Potter,
ripensandoci, quella volta nel cimitero, ma non poteva esserne certo.
Era appena risorto, i suoi Mangiamorte si erano inginocchiati a lui
supplicando il perdono, era stato così vicino al trionfo quella
volta! Ma Potter gli era sfuggito di nuovo.
«L’uomo che ha cercato di ucciderti ha il tuo esercito ora
e, se davvero è riuscito a infiltrarsi in mezzo a noi,
saprà di certo che sei ancora vivo» continuò
Silente «Puoi sempre tacere, naturalmente, e sperare di
acciuffare il tuo uomo da solo, di vendicarti, di riprenderti
ciò che ti ha sottratto.
«O forse, potresti dirci quello che sai, aiutarci a
identificarlo, a combatterlo. Ti consiglierei, poi, di riflettere su
una questione: questa persona è riuscita a guadagnarsi in breve
tempo la fiducia di alcuni dei tuoi più fedeli seguaci. Credo
dunque che sia giunto il momento per te di ammettere la verità:
hai fallito; come leader, come mago oscuro, in tutto. Loro non ti
temono più e, soprattutto, non ti vogliono più.
«Riflettici, Tom. Hai di nuovo la possibilità
di fare la scelta giusta. Non sprecarla, ti prego» concluse e,
con un cenno, indicò la porta.
La discussione era finita.
.
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° ° °
.
.
Harry non sapeva esattamente che cosa fosse successo.
Avevano raccontato a Voldemort quello che era successo dopo il suo
ferimento e lui si era infuriato. Fino a questo dunque, nulla di
insolito.
Harry, infatti, aveva avuto i suoi dubbi a quel proposito: andare da
Voldemort e dirgli, senza mezzi termini, che aveva di nuovo perso
tutto, era un azzardo, e anche bello grosso.
“Credo che sarai sufficientemente al sicuro, Harry” gli
aveva detto Silente quando lui aveva esposto le sue preoccupazioni. Non
esisteva uomo di cui Harry si fidasse di più, ad eccezione di
Ron e Hermione ovviamente, ma il punto era proprio quello: il Preside
non esisteva più, ormai.
Così, quando Voldemort aveva richiamato tutto il suo spaventoso
potere, Harry aveva cercato di fermarlo; dopotutto, Harry era il solo
in quella stanza ad avere la bacchetta.
Aveva provato a Schiantare Voldemort, ma la bacchetta non aveva
risposto. Vibrava e fumava, sprizzava scintille a raffica e Harry, per
quanto tentasse, non riusciva a controllarla. Si era chinato,
disperato, verso Silente e questi gli aveva semplicemente detto
“Lasciala fare”.
Harry, senza davvero capire, aveva obbedito. Non appena aveva smesso di
cercare di padroneggiare quel bastoncino di legno magico impazzito,
quello, finalmente libero di agire, aveva fatto di nuovo quella cosa
strana, lo stesso incantesimo che aveva prodotto la notte del 27
luglio.
Probabilmente, ora che ci stava pensando, Silente doveva averlo saputo.
La bacchetta di Harry doveva avere un qualche potere speciale su
Voldemort che, finché Harry l’avesse avuta con sé,
non avrebbe potuto toccarlo.
Era una strana sensazione, ma per il momento non vedeva motivo di lamentarsene.
Una volta calmatosi, Voldemort aveva acconsentito a dar loro
informazioni e ciò che aveva rivelato era stato un colpo al
cuore di Harry.
Un infiltrato.
Harry aveva percepito l’orrore disegnarsi sul suo volto e con
ribrezzo avrebbe voluto nascondersi agli occhi sanguigni e avidi di
Voldemort.
Silente era rimasto calmo, come se Voldemort lo avesse appena informato del meteo del giorno.
Harry si sentiva sconvolto, abbattuto e voleva disperatamente credere che quello di Voldemort fosse un bluff.
In quel momento poi, mentre guardava Silente rivolgersi
tranquillamente a Voldemort, si era chiesto se sarebbe mai stato in
grado, un giorno, di ostentare una simile calma; o di simularla, quanto
meno.
Ma neanche le rodate tecniche dell’anziano preside avevano fatto breccia nella corazza di odio e disprezzo di Voldemort.
Si era rifiutato di dire loro altro, li aveva minacciati, ritrovando il suo antico orgoglio e la sua immancabile ferocia.
Erano arrivati a un punto morto, Harry lo sapeva.
Silente gli aveva fatto un discorso strano, prima di congedarsi da lui con Harry.
Si era appellato al lato umano di Voldemort, una parte di lui che, ammesso che fosse esistita, era ormai morta da anni.
Avrebbero dovuto cercare la spia da soli, senza sapere di chi fidarsi.
C’erano stati così tanti avvicendamenti nell’Ordine:
almeno una mezza dozzina di persone si era unita a loro negli ultimi
mesi, senza contare gli oltre venti maghi che avevano scelto di restare
fuori dall’Organizzazione, continuando però a passare loro
informazioni, rifornimenti e decine di nomi di possibili nuove reclute.
Sarebbe stato impossibile identificare la spia senza altro indizio che
un nome falso.
.
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° ° °
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.
«Qualche progresso con Tu-Sai-Chi?» chiese Ron
quando l’amico si lasciò crollare sulla sedia accanto a
lui.
Harry scosse la testa.
Erano passati due giorni da quando Voldemort aveva raccontato loro di
Murphy; da allora si era richiuso nel suo mutismo inquietante e Harry
stava cominciando a cedere allo sconforto un’altra volta.
Non c’era ragione di credere alle parole di Voldemort, ma Harry
era ormai convinto che avesse detto la verità. In quel momento
lui non aveva percepito altro che odio e disprezzo e, forse, anche se
era difficile esserne certi, qualcosa di simile alla vergogna. Se
Voldemort avesse mentito le sue emozioni sarebbero state diverse.
Come se gli avesse appena letto nel pensiero, Ron disse «Senti,
io ci ho pensato, non è che magari Tu-Sai-Chi ha mentito? Non
sarebbe la prima volta, no?»
Harry scosse la testa di nuovo «No, ha detto la
verità» disse semplicemente, passandosi una mano sulla
cicatrice. Era strano, ma da quando lui e Voldemort vivevano sotto lo
stesso tetto, la cicatrice aveva smesso di bruciare. Non c’erano
state fitte, nessuna incursione non voluta nella mente del nemico,
nulla. Quando Harry si trovava in sua presenza la cicatrice prudeva
leggermente, ma non appena si richiudeva la porta della soffitta alle
spalle, il fastidio cessava.
Doveva essere a causa degli incantesimi di protezione. Harry avrebbe
voluto sentirsi grato per questo, invece la mancanza della connessione
con Voldemort lo innervosiva.
«D’accordo» aveva ripreso Ron «Allora chi potrebbe essere secondo te?»
Sinceramente, Harry non riusciva a pensare a nessuno come a un
traditore. Non poteva e non voleva cominciare a dubitare dei propri
compagni.
C’erano state solo due persone di cui aveva sospettato,
più o meno a ragione, ma si era trattato di Piton e di Malfoy,
persone che a quei tempi detestava.
Adesso invece si trattava di mettere sotto la lente d'ingrandimento i
suoi amici, i suoi compagni d’arme, persone di cui si fidava e a
cui in molti casi era profondamente affezionato.
«Ehi, Bill!» esclamò Ron, distogliendo Harry dai suoi gravosi pensieri.
«Harry,» lo salutò Bill, dopo aver abbracciato il
fratello. Insieme a lui c’era anche Fleur. Aveva un’aria
nervosa e tirata che deformava in maniera tutt’altro che
affascinante la sua consueta bellezza.
Con lo sguardo che saettava impaziente, prese posto su una delle sedie
della cucina; le mani intrecciate in grembo erano scosse da un leggero
tremito. Bill rimase in piedi; sembrava imbarazzato.
«Credevamo che avreste passato le vacanze di Pasqua a Villa
Conchiglia» disse la signora Weasley, che li aveva accolti
all’ingresso.
«Infatti, ma è successa una cosa» cominciò
Bill «Harry, ti spiace se andiamo in camera tua?»
«Non disturborti, Arrì» sbottò Fleur, prima
di lasciare sbuffando la cucina seguita da una perplessa signora
Weasley.
Ron, confuso, guardava il punto dove un attimo prima erano sparite le
due donne, indeciso se seguirle o restare. Alla fine, non si mosse.
«Che cos’ha Fleur?» chiese Harry.
«Gabrielle» rispose Bill.
«Gabrielle?» ripetè Harry, ancora perplesso
«La sorella di Fleur» spiegò Bill, prendendo posto sulla sedia lasciata vuota da sua moglie.
«Le è successo qualcosa?» domandò Harry alla fine, visto che Bill taceva.
«Non proprio» rispose Bill «Non lo so, io non credo»
Harry e Ron si scambiarono un’occhiata perplessa, ma rimasero in silenzio, in attesa che Bill si spiegasse.
«Fleur ha ricevuto ieri una lettera da parte dei suoi
genitori» cominciò Bill «Ricordate quello che
è successo dopo il matrimonio?»
Annuirono. In effetti, Harry lo rammentava fin troppo bene.
Il bilancio era stato già molto critico appena pochi giorni prima.
I membri dell’Ordine erano venuti a prenderlo a casa dei Dursley.
Avevano un piano, orribile secondo Harry, che avrebbe dovuto garantire
un trasferimento sicuro.
Harry, infatti, era ancora minorenne, perciò aveva ancora
addosso la Traccia. Non avrebbe potuto Materializzarsi, né
utilizzare alcun tipo di magia o incantesimo senza rischiare di essere
intercettato dal Ministero, e quindi da Voldemort.
Non avrebbero neppure potuto andare a Grimmauld Place. Shacklebolt
aveva trovato e distrutto tutte le carte, il testamento di Sirius
e ogni documento o prova che avrebbe potuto collegare Harry a Sirius e
alla dimora al numero 12; tuttavia, Malocchio aveva deciso che non
sarebbe stato prudente lo stesso, Incanto Fidelius o meno.
Finché Harry fosse stato “segnato” la cosa migliore
sarebbe stata confondere le acque e non avvicinarsi per nessun motivo
all’unico luogo sicuro.
E così era stato deciso: Pozione Polisucco, scope, Thestral e la
moto volante che lo aveva portato via da Godric’s Hollow sedici
anni prima, questi sarebbero stati gli strumenti che avrebbero
utilizzato per sfuggire ai Mangiamorte. Sei amici di Harry avrebbero
bevuto la Pozione, sette Harry Potter si sarebbero librati in volo
insieme a sette accompagnatori, prendendo poi sette direzioni
differenti. La meta finale sarebbe stata la Tana.
Ma alcuni Mangiamorte erano stati piazzati di guardia e, non appena
avevano visto i Dursley lasciare il numero 4 di Privet Drive, avevano
subito informato Voldemort.
Malocchio era morto e George era stato ferito gravemente da una
Maledizione ignota che gli aveva bruciato metà della faccia e
gran parte del collo, della spalla e del braccio destro.
Fortunatamente, la signora Weasley era diventata esperta in materia di
ferite maledette ed era riuscita a limitare i danni e la perdita
dell’occhio. Adesso George si ritrovava solo una brutta cicatrice
a ragnatela che gli dava l’aspetto di una persona colpita di
sbieco da un fulmine.
Alla mezzanotte e un minuto del 31 luglio, Harry aveva preso
zaino e bacchetta, deciso a Materializzarsi a Grimmauld Place, ma Ron
glielo aveva impedito: c’era il matrimonio di Bill e Fleur da
celebrare.
E, proprio durante il ricevimento, il Patronus di Shacklebolt, una
bella lince d’argento, era piombato in mezzo agli invitati,
informandoli che il Ministero era caduto e che Scrimgeour era morto.
Pochi secondi dopo, i Mangiamorte erano arrivati, mentre gli ospiti
tentavano la fuga. Harry, Ron e Hermione si erano Materializzati al
numero 12, lasciando gli altri a combattere i servi di Voldemort,
ignari delle loro condizioni. A uno a uno, poi, li avevano raggiunti.
La prima ad arrivare, stravolta e spaventata, era stata Tonks, gli
ultimi Piton e Remus.
Era stato un vero miracolo che ne fossero usciti tutti incolumi.
«I genitori di Fleur erano riusciti a
scappare mentre Gabrielle era rimasta con noi» stava continuando
Bill «Una volta arrivati a Villa Conchiglia però, abbiamo
subito capito che non sarebbe stato prudente per Gabrielle uscire:
sapevano che era alla festa e sapevano del suo stato di sangue.
Così Fleur ha inviato un Patronus ai suoi genitori dicendo loro
di lasciare il Paese e che Gabrielle li avrebbe raggiunti non appena le
acque si fossero calmate. E così è stato: dopo qualche
settimana Gabrielle è partita.
«Siamo sorvegliati, le nostre lettere sono in
codice, non facciamo mai i nomi, ma l’ultima che Fleur ha
ricevuto …» si interruppe ed estrasse un foglio di
pergamena azzurrina dalla tasca della giacca «Fleur è
sicura che sua madre si stesse riferendo a Gabrielle»
spiegò, indicando loro una riga del testo, che, con un leggero tocco della bacchetta di Bill, divenne leggibile anche per loro «Secondo Fleur
significa che i suoi pensano che sia ancora con noi, che non sia mai
tornata in Francia. Sinceramente, non so cosa pensare. L’ho
accompagnata io stesso alla nave e Fleur aveva scritto una lettera ai
suoi per informarli, non è possibile» concluse.
Harry osservava ancora le parole che Bill gli aveva indicato, scritte in un’elegante calligrafia larga e precisa.
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“ qui stiamo bene e speriamo sia lo stesso per voi. La piccola Mimosa che vi abbiamo regalato la scorsa estate è ancora in fiore ”
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«Che significa?» chiese infine Ron «Vi hanno regalato una mimosa e quindi?»
Bill trasse un profondo respiro prima rispondere «No, no, Mimosa, secondo Fleur, significa Gabrielle»
Harry e Ron si guardarono perplessi.
«Mimosa è il soprannome di Gabrielle quando era
piccola» spiegò Bill «E Fiore è Fleur; lei crede che i suoi
genitori vogliano sapere quando Gabrielle tornerà a casa»
«Ma» cominciò Harry, che non riusciva a vedere nulla
di preoccupante o misterioso in quelle parole «hai detto che
Fleur ha spedito una lettera per informare i suoi genitori della
partenza di Gabrielle» riassunse «Sono passati mesi,
avrebbero dovuto chiedere allora notizie della figlia»
«Le lettere possono essere intercettate» disse Bill
«È quello che pensa Fleur» aggiunse poi a mo’
di scusa «Come vi ho detto, non ci sono stati molti contatti, ma
scrivevamo in codice, senza fare nomi o altro e Fleur ha sempre pensato
che i vari “state bene” o “che cosa fate”
fossero riferiti a lei e a me»
Harry aveva imparato a non trascurare i piccoli dettagli e decise che
sarebbe stato meglio non ignorare la preoccupazione di Fleur.
«Lo ha detto ai genitori?» chiese Harry dopo un po’.
«No, non vuole metterli in agitazione» rispose Bill
«Non so Harry, è improbabile, ma l’unico modo per
saperlo è chiedere ai Delacour»
«Voglio parlare con lei» decise Harry «E con Silente»
Bill annuì e andò a chiamare sua moglie.
Forse non era nulla, forse Fleur aveva solo frainteso.
O forse aveva ragione e, anche se non sapeva come, la scomparsa di Gabrielle avrebbe potuto condurli alla spia.
.
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° ° °
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Non molto lontano da Grimmauld Place, in un’elegante stradina di periferia, Octavio sedeva tranquillo davanti al camino.
Si sentiva alquanto soddisfatto: aveva preso il controllo del Ministero
e di gran parte delle forze che erano appartenute a Voldemort; persino
molti oppositori dell’Oscuro Signore nutrivano ora una certa
speranza in lui.
Naturalmente, Harry Potter rimaneva il loro faro di speranza, la luce
in quei tempi tenebrosi, ma per ora il giovane Prescelto restava
nascosto e Octavio aveva bisogno che lo rimanesse ancora per poco, solo
per il tempo sufficiente a realizzare il suo piano.
Presto l’intero Mondo Magico sarebbe stato dalla sua e il suo progetto, la sua guerra, avrebbe avuto finalmente inizio.
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.
Angolo Autrice (di nuovo)
Voglio solo ringraziare tutti coloro che seguono e recensiscono la storia, siete stupendi e mi riempite il cuore di gioia ^_^
GRAZIE a ognuno di voi, davvero!
Al prossimo capitolo,
_Jo
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Capitolo 7 *** Capitolo VI ***
7.7
Angolo Autrice
Ohilà
gente, mi scuso per il ritardo nell’aggiornamento, ma ho avuto un
po’ di problemi con la mia Musa ispiratrice, con la mia vena
creativa, insomma non sono riuscita a scrivere due righe, fino ad ora.
In
verità ho riscritto questo capitolo almeno quattro volte, ma non
riuscivo mai ad esserne soddisfatta. È stato particolarmente
complicato, perché, come vedrete, qui vengono date molte
spiegazioni e si entrerà davvero nel vivo nella storia
(già, dopo tutti questi capitoli, sono leggermente prolissa)
Comunque
ci tengo a rassicuravi: la storia non rimarrà incompleta, anche
se adesso, con l’inizio delle lezioni in università, non
so con quanta regolarità riuscirò a pubblicare...
comunque, spero una volta alla settimana! Come ho detto, la storia
avrà certamente un finale, l’ho già perfettamente
in mente e alcuni capitoli sono già stati abbozzati, quindi
spero davvero di riuscire a mantenere un ritmo di pubblicazione
abbastanza costante d’ora in poi.
Bene,
ora vi lascio alla lettura. Come sempre, grazie a chi segue la storia e
a chi sceglie di dedicare un po’ del suo tempo per commentarla; i
vostri pareri sono sempre uno stimolo per continuare e
un’occasione per imparare.
Buona lettura :)
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Capitolo VI
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Planning
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Il cielo era plumbeo e violaceo.
Da qualche
settimana, tuttavia, vi era stato un sostanziale mutamento nelle
condizioni climatiche. La foschia, greve e opprimente, che per mesi
aveva strangolato l’Inghilterra e i suoi abitanti, era diminuita,
e il clima generale si era fatto più mite e felice.
I Babbani avevano
creduto che ciò fosse dovuto alla bella stagione, che,
finalmente, aveva preso il sopravvento su quel gelo innaturale e
soffocante, ma i Maghi sapevano che quella nebbia era legata ai
Dissennatori, e la sua improvvisa assenza poteva significare una cosa
sola: quegli esseri mostruosi e rivoltanti erano stati cacciati.
La pendola batté cinque, secchi rintocchi.
Octavio si guardò intorno, percorrendo il locale con un’unica, vasta e rapida occhiata.
La grande sala dove
si trovava era stata arredata con gusto sobrio, ma raffinato ed era
decisamente più appropriata rispetto all’angusto tinello
della sua vecchia dimora.
Aveva deciso di
abbandonare il suo vecchio seminterrato e trasferirsi lì, in
quella semplice villetta in stile vittoriano, per un motivo preciso:
qui, infatti, avrebbe potuto ricevere i suoi nuovi seguaci, così
abbagliati dal comune senso di potere e dagli status che da esso
derivano. Loro non avrebbero mai accettato, lo sapeva, un capo che
aveva una cantina come covo segreto.
Erano solo degli
sciocchi, pensò. Tutti loro sarebbero stati pronti a farsi
uccidere pur di poter vantare il privilegio di possedere un lussuoso
maniero.
Per non parlare dei loro stupidi, inutili, pregiudizi sui Sanguemarcio e gli ibridi.
Non era il sangue a
fare di un Mago un grande stregone, non erano le origini a determinare
chi sarebbe diventato o che cosa avrebbe fatto.
Octavio questo lo sapeva molto bene.
Era stato un bel
problema convincere i suoi nuovi seguaci ad abbandonare le idee che per
tanto tempo li avevano accompagnati, cullandoli nel loro rassicurante
significato, sostenendo le loro pretese di superiorità. Octavio,
infatti, non aveva scelto i membri della sua cerchia ristretta in base
al sangue: abilità, questa era l’unica cosa importante.
Un sonoro crack lo distolse dai propri pensieri.
Qualcuno si era appena Materializzato davanti alla sua casa.
Si avvicinò
alla finestra, scostò leggermente la tenda e riconobbe
Roockwood, che usciva dall’anfratto scuro nel quale era appena
comparso.
Dopo pochi secondi bussò alla porta.
«Mio
signore» lo salutò Roockwood, prima di essere invitato a
entrare «È fatta» annunciò, non senza un
evidente tono di autocompiacimento.
Octavio non vi badò, doveva pensare a cose più importanti del bisogno di conferme del suo servitore.
«Molto bene,
ora aspettiamo che arrivino anche gli altri» disse lui,
riaccomodandosi sulla poltrona davanti al camino.
Venti minuti dopo una mezza dozzina di maghi era riunita attorno a un
lungo tavolo di legno scuro e lucido, molto simile a quello dove
sedevano i Mangiamorte di Voldemort a Villa Malfoy.
I suoi nuovi
seguaci stavano facendo il loro rapporto; in ordine avevano parlato
Roockwood, Rowle, Selwyn e Travers, poi sarebbe toccato a Yaxley e
Brown. Quest’ultimo non era stato un seguace di Voldemort, dal
momento che era un Nato Babbano; tuttavia, ne condivideva alcune idee
e, quando Octavio aveva sospeso le attività della Commissione
per il Censimento dei Nati Babbani, si era unito a lui con molto
entusiasmo. Gli altri avevano protestato e continuavano a guardarlo con
disprezzo, ma Octavio aveva messo in chiaro le cose: il sangue magico
era prezioso e i Nati Babbani erano la prova del suo enorme potere;
aveva poi spiegato come maghi e streghe del calibro di Morgana,
Paracelso e Flamel, la cui grandezza era oggi unanimemente rispettata,
erano probabilmente nati da famiglie Babbane, a riprova di come il
lignaggio non significasse nulla.
Ci sarebbe voluto del tempo, ma Octavio confidava che i loro risentimenti sarebbero presto svaniti.
«Così
hanno trovato due intere famiglie Babbane trucidate» stava
intanto dicendo Travers «Non ci vorrà molto ormai, la
guerra inizierà presto» concluse trionfante.
Octavio si concesse un sorriso; tutto stava procedendo come lui aveva deciso.
La tempestività era stata un elemento essenziale nel suo piano.
Dopo aver sconfitto
Voldemort, Octavio si era recato immediatamente al Ministero; lì
aveva radunato i seguaci del Signore Oscuro, comunicando loro la
notizia e illustrando il suo glorioso progetto, che era stato accolto
con entusiasmo. Quindi, aveva ordinato loro ritirarsi e di restare, per
il momento, nell’ombra, mentre lui si presentava al resto della
comunità magica come il loro liberatore.
Per accrescere la
sua credibilità in tal senso, si era subito dato da fare,
sospendendo tutti gli ordini di cattura per i Nati Babbani e
allontanando i Dissennatori.
La notizia della
fine di Voldemort e delle riforme attuate dal Ministro ad interim erano
circolate in fretta tra i maghi e, in breve, Octavio si era conquistato
il favore e la fiducia di molti dei vecchi oppositori del Signore
Oscuro.
Tuttavia, non aveva
potuto rendere noto il suo vero obiettivo, non subito almeno: il suo
più ambizioso progetto, il controllo di tutto il Paese, e non
solo, doveva aspettare; la guerra contro i Babbani, infatti, non poteva
essere dichiarata senza motivo.
Per riuscirci,
doveva occuparsi di due cose: eliminare Potter, o quanto meno la stima
che molti nutrivano nei suoi confronti, e scatenare l’odio dei
maghi contro i Babbani.
Quest’ultimo intento sarebbe stato raggiunto molto presto: la
sera prima, infatti, mentre Yaxley e Brown si introducevano nel
Ministero Babbano e lanciavano una Maledizione Imperius sul Primo
Ministro, il resto dei suoi seguaci si era diviso in tre gruppi: i
primi due avevano attaccato alcuni villaggi Babbani, abitati anche da
famiglie di maghi, curandosi di lasciare evidenti tracce di magia,
l’altro si era diretto a Villa Malfoy.
Octavio si era
premurato di scegliere i suoi bersagli in modo eterogeneo: aperti
sostenitori di Potter, maghi comuni e Mangiamorte dichiarati. In questo
modo, pensava, non ci sarebbe stato un colpevole evidente e confusione,
paura e insicurezza si sarebbero insinuati facilmente nei cuori dei
maghi.
Quanto ai Malfoy,
comunque, l’attacco contro di loro si era rivelato non solo
funzionale ad avallare il suo piano di depistaggio, ma anche di vitale
importanza per la sua personale lotta contro ciò che restava di
Voldemort.
Gli ormai ex
Mangiamorte, infatti, pur non avendo incontrato difficoltà a
penetrare nel grande maniero di famiglia, erano stati accolti in
maniera inaspettata: alcuni vecchi compagni, ancora fedeli al Signore
Oscuro, si erano riuniti là e quella che avrebbe dovuto essere
una semplice incursione, si era trasformata in una lotta furiosa.
Purtroppo, Narcissa, il figlio Draco e Rodolphus Lestrange erano
riusciti a fuggire, mentre Macnair e l’altro fratello Lestrange
erano stati uccisi e Malfoy catturato.
Octavio non aveva
ancora avuto il tempo di interrogarlo, ma l’avrebbe fatto molto
presto: doveva assolutamente scoprire dove si era rifugiato il resto
della famiglia Malfoy e, soprattutto, doveva trovare Bellatrix.
Intanto la paura, come Octavio aveva previsto, aveva già preso
il sopravvento: il Ministro Babbano, posto sotto il suo controllo,
aveva lasciato alcune dichiarazioni: aveva promesso risposte ai suoi
concittadini in merito agli eventi della notte precedente, accennando
poi a “mostri che vivono tra noi”.
Molto presto, poi,
Octavio avrebbe nuovamente inviato i suoi al Ministero: sotto
l’influsso della Maledizione Imperius, il capo dei Babbani
avrebbe rivelato l’esistenza del mondo magico, gettando
così il suo popolo direttamente nelle fameliche fauci dei maghi.
Maghi, che,
d’altro canto, non lo avevano deluso: messi al corrente dei
terribili attacchi e delle dichiarazioni preoccupanti del Primo
Ministro, tutti si erano sentiti inquieti e oppressi da una cupa ombra
di minaccia: il loro tanto agognato muro di segretezza si stava
sgretolando e, presto, sarebbe stato del tutto abbattuto.
E, quando
ciò sarebbe avvenuto, indignazione e risentimento sarebbero
esplosi all’improvviso, facendo leva su vecchi rancori e antichi
timori.
Naturalmente qualcuno avrebbe protestato, levando alta e insistente la propria voce in difesa dei Babbani.
Non sarebbe stato per molto: ben presto, infatti, la vendetta e l’odio avrebbero soffocato ogni traccia di pietà.
Il Ministero sarebbe stato chiamato a prendere una posizione ferma e la risposta di Octavio sarebbe stata una sola: guerra.
Presto i Babbani,
esseri deboli, sarebbero stati distrutti e schiacciati;
l’Inghilterra sarebbe stato il primo Paese governato dai maghi,
ma non l’ultimo. Entro l’anno, Octavio confidava che
l’intera popolazione magica europea avrebbe seguito
l’esempio Britannico, creando così il primo Continente
controllato dai maghi.
Il Male che lui
avrebbe portato sarebbe stato necessario: la sua specie avrebbe
finalmente avuto il posto che le spettava di diritto: come i Sapiens
avevano preso il sopravvento sui Neanderthal (*), così i maghi,
uomini dalle abilità superiori, avrebbero dominato sui Babbani.
Niente più
guerre, niente più stupide lotte di potere: Octavio avrebbe
creato un mondo giusto e pacifico, dove i maghi non avrebbero
più dovuto vivere nell’ombra, ma anzi, sarebbero stati
venerati; dove un bambino Nato Babbano non avrebbe dovuto nascondersi
agli altri, ma sarebbe stato l’orgoglio della famiglia, ammirato
e rispettato.
Ibridi, Lupi Mannari e altre creature sarebbero venute subito sotto di loro, dal momento che erano dotate di poteri magici.
Per ultimi i
Babbani, i quali sarebbero stati protetti dai maghi se avessero
accettato di sottomettersi, trucidati se avessero osato disobbedire;
premiati con aiuti e strumenti magici per la loro fedeltà,
puniti e maledetti se si fossero rifiutati di sottostare alla legge.
La comunità
magica, accecata dall’odio, avrebbe accolto con favore le sue
proposte, ma prima avrebbe dovuto dimenticare il Bambino Sopravvissuto;
Voldemort era ormai il passato e Octavio, meglio noto come Damon, era
il futuro.
«Dobbiamo annientare Potter e i suoi» stava appunto dicendo
Rowle. La sua dichiarazione venne accolta con mormorii di assenso:
l’argomento più spinoso di quel consesso era stato toccato.
«Voi siete
stato nella loro base, dobbiamo attaccarli adesso, sfruttare
l’elemento sorpresa» propose Selwyn, rivolgendosi a
Octavio, che ribatté irritato «Per l’ultima volta,
non sono il Custode Segreto, non posso condurvi là» e,
dopo una pausa, aggiunse «Per ora, comunque, non rappresentano un
pericolo. Quando apprenderanno la notizia di quanto accaduto saranno
costretti ad agire, dobbiamo solo aspettare che facciano un passo
falso»
«Ma se
lasciassero il loro covo, forse l’hanno già fatt-»
stava dicendo Rowle, ma qualcosa lo fece zittire.
«Non è
possibile» mormorò Yaxley, incredulo «Il Marchio
Nero, Lui … Lui ci sta chiamando»
Octavio sorrise soddisfatto: Potter aveva appena commesso il suo errore più grande.
.
.
* * *
.
.
«Quindi tu e
Bill eravate gli unici a sapere quando Gabrielle sarebbe dovuta tornare
a casa?» stava chiedendo Harry. Accanto a lui c’era Piton,
che ascoltava in silenzio.
«Oui» rispose Fleur «Nous ne l’avevomo detto a nessuno, era tropo pericoloso»
Harry non sapeva
che cosa pensare. Silente gli aveva detto che quella della scomparsa di
Gabrielle era una coincidenza troppo strana e che doveva fidarsi
dell’intuito di Fleur. Tuttavia, almeno fino a quel momento, non
erano riusciti a scoprire nulla di nuovo o di utile: se Fleur e Bill
erano gli unici a sapere, ed era certo che i traditori non fossero
loro, qualcuno doveva averli spiati di nascosto, il che portava a un
altro vicolo cieco.
«Sei proprio
sicura di non averne parlato con nessun altro, anche solo un accenno,
senza entrare nei dettagli?» chiese Piton, parlando per la prima
volta,
«No, no,
sapevomo solo noi» ripetè lei «Billì e moi,
nessuno …» aggiunse, interrompendosi all’improvviso
«Mon Dieu, la nove!» esclamò.
Harry e Piton si
scambiarono uno sguardo perplesso, prima di riportare l’attenzione su Fleur
che continuò «Oh, Arrì sono stata così
naïf ! Octavio! Una volta stavomo parlondo e mi ha detto che avevo
fatto bien a usar la nove, nessun altro poteva saporlo, solo chi aveva
letto il messoggio pour i mes paronti!»
«Ma, forse glielo hai detto tu» cominciò Harry calmo.
Octavio era stato
uno dei loro migliori acquisti: compagno di scuola di Fleur, si era
rivelato un eccellente combattente e aveva fornito loro molte
informazioni utili; inoltre, aveva salvato la famiglia di un Nato
Babbano dall’attacco di alcuni Mangiamorte e, nello stesso
frangente, aveva salvato la vita anche a Tonks, che era andata con lui
e Fred a prestare soccorso. Non poteva essere lui il traditore, Harry
ne era certo.
«No, no sono
sicura» ribatté subito Fleur, ormai in preda alle lacrime
«Era mio companio a Beauxbatons, mais è stato lui»
farfugliò, scuotendo la bella chioma argentata.
«Dobbiamo
parlarne con lui» disse Harry a Piton «Non è una
prova schiacciante, ma se Fleur pens-» stava aggiungendo, quando
udì delle grida; provenivano da uno dei piani di sopra, la
stanza di Fred e George o di … «Voldemort!»
urlò Harry, scattando in piedi, proprio nell’attimo in cui
la porta della stanza veniva aperta.
«È
evaso!» gridò Remus «Dobbiamo andarcene,
adesso!» aggiunse, prima di scomparire di nuovo nel corridoio.
Harry e Piton si
scambiarono un altro sguardo, ma prima che uno dei due potesse dire
qualcosa, una fitta lancinante perforò il cranio di Harry: la
cicatrice aveva ricominciato a bruciare e il dolore era divampato
improvviso e violento, accecandolo.
«Potter,
andiamo» gli sembrò di udire, ma la cicatrice mandava
stilettate talmente acute e brutali da escludere qualunque suono,
che quindi gli giungeva ovattato e remoto.
E, mentre si
trovava ancora piegato in due, accasciato in avanti sullo schienale
della sedia, vide un’ombra pallida stagliarsi sulla soglia.
Con uno sforzo terribile sollevò la testa, cercando a tentoni la bacchetta, la sua unica difesa.
Voldemort
avanzò rapidamente, ma non si diresse verso di lui; puntava a
Piton che, dall’altro angolo della stanza, scagliava incantesimi
a raffica, che sembravano non riuscire neanche a sfiorare il Signore
Oscuro.
In un attimo gli fu
addosso; Voldemort era disarmato, ma sapeva praticare la magia senza
bacchetta. Scagliò Piton dall’altro lato della stanza,
oltre il letto di Harry, quindi si avventò di nuovo sul suo
vecchio servitore, strappandogli via la bacchetta.
Harry riuscì
finalmente a sollevarsi completamente, si aggrappò alla sua
bacchetta, pronto a colpire, ma non fu abbastanza rapido.
Voldemort
afferrò il braccio sinistro di Piton, gli sollevò la
manica e premette il lungo dito pallido sopra il Marchio Nero.
Un fremito, come di
un battito d’ali e poi un boato, subito seguito dagli
inconfondibili schiocchi delle Materializzazioni.
.
.
* * *
.
.
Doveva essere ormai pomeriggio inoltrato, calcolò Gabrielle (**).
Dopo mesi di
prigionia, senza poter vedere la luce del sole, aveva imparato a fare
affidamento su altri elementi per misurare il trascorrere del tempo.
Era un esercizio, questo di tener conto dei giorni, che la faceva
tranquillizzare, che le dava la certezza di essere ancora lucida e
presente.
Ogni tanto lo
sconforto e la disperazione prendevano il sopravvento: si chiedeva se e
quando gli altri si sarebbero accorti della sua scomparsa e se
sarebbero mai riusciti a trovarla.
Non che potesse biasimarli, dopotutto era stata tutta colpa sua.
Era stata così stupida!
Bill l’aveva
accompagnata al porto di Dover con la Materializzazione Congiunta; da
lì, Gabrielle avrebbe dovuto proseguire da sola su un traghetto
Babbano e, dopo poco più di un’ora, sarebbe sbarcata in
Francia, dove sarebbe stata finalmente al sicuro.
Già, al sicuro.
Forse, pensava, si era lasciata ingannare tanto facilmente perché, in cuor suo, non voleva davvero tornare a casa.
Dopo che i motori
si erano accesi e la nave aveva cominciato a lasciare lentamente la
fonda, Gabrielle aveva visto Bill Smaterializzarsi.
“Ormai è troppo tardi” si era detta, cominciando a camminare avanti e indietro sul ponte.
«Gabrielle!»
si era sentita chiamare all’improvviso e, sollevando lo sguardo,
aveva visto Octavio, una delle nuove reclute dell’Ordine,
correrle incontro.
«Gabrielle,»
aveva ripetuto dopo averla raggiunta «Hanno preso Fleur, sanno
che sei qui, dobbiamo andarcene adesso!» aveva detto e Gabrielle
non aveva trovato alcun motivo per non credergli.
Aveva afferrato il
braccio che lui le aveva offerto e si erano Smaterializzati, per
ricomparire in un vicolo umido e buio. Si era voltata per chiedere a
Octavio dove fossero, ma qualcosa l’aveva colpita, stordendola.
Tutto quello che
ricordava era di essersi risvegliata in quella cella. Aveva poi visto
Octavio, seduto davanti a lei, ogni traccia di gentilezza sparita sul
suo volto.
«Che cosa
stai facendo, Octavio?» aveva chiesto, cercando di dominare il
panico che cresceva ogni secondo, di pari passo con la consapevolezza
di quello che era accaduto.
«Non è
più il mio nome» aveva detto Octavio «Da oggi sono
Damon, il dominatore, colui che sottomette» aveva spiegato.
«Che cosa
dici, tu fai parte dell’Ordine, sei nostro amico!» aveva
gridato, ma Octavio era scoppiato in una risata terribile e fredda.
«Amico
vostro?» aveva ripetuto «No, non credo» aveva
affermato, quindi, improvvisamente, aveva estratto la bacchetta e
l’aveva puntata contro di lei: un dolore terribile le aveva
perforato la testa, mentre immagini e sensazioni erano fluite
liberamente nella sua mente. Il tutto era durato solo pochi istanti, ma
Gabrielle si era sentita svuotata e debole come mai prima di allora.
Octavio aveva applicato la Legilimanzia su di lei molte altre volte.
Quando lei si
rifiutava di collaborare o cercava di resistere con troppa ostinazione,
lui le scagliava la Maledizione Imperius e una volta, anche la
Cruciatus; quello era stato un momento orribile, non aveva mai provato
una sofferenza simile.
«Ci sono
moltissime cose che conosci, anche se non ne sei consapevole» le
aveva detto Octavio un giorno, durante una di quelle sedute.
E aveva ragione:
frasi, immagini, piccoli dettagli che Gabrielle aveva visto o sentito
per caso e di cui non si era mai accorta, scorrevano rapide e nitide
nella sua testa e, per quanto ci avesse provato, non era mai riuscita a
bloccarle del tutto. Il dolore poi, era talmente intenso e le punizioni
talmente dure, che aveva finito per rinunciarvi, desiderando soltanto
che quell’incubo finisse.
C’era una
cosa, però, che non riusciva a capire: Octavio aveva estratto
molte informazioni utili sull’Ordine, sui turni di guardia e su
tanto altro, ma, aveva riflettuto, quelli erano, tutto sommato,
elementi di poco conto. Octavio, infatti, si era già guadagnato
la fiducia di Fleur e le informazioni estorte dovevano certamente
averla rafforzata, dandogli così la possibilità di
assicurarsi anche la stima di Harry, ma la maggior parte dei ricordi
che l’aveva costretta a rivivere erano legati alla sua
famiglia, alla scuola e al Torneo Tremaghi.
Non conosceva il
motivo di tanto interesse, ma sentiva che doveva essere importante e
per questo pericoloso; se solo ne fosse stata capace, glielo avrebbe
impedito.
Invece, tutto
quello che Gabrielle era riuscita a fare era stato sopravvivere, per
chi o per che cosa, però, stava cominciando a dimenticarlo.
Un rumore, simile a
un grugnito, la distolse dai suoi pensieri. Si voltò verso
l’angolo opposto, dove un uomo si stava rigirando in quello che
sembrava essere un sonno inquieto e per nulla riposante.
Era stato rinchiuso in quella cella la notte prima.
Gabrielle non
sapeva chi fosse e Damon (ormai aveva imparato a chiamarlo così)
non aveva voluto fornirle informazioni; «Feccia» aveva
detto, prima di chiudersi la pesante porta alle spalle.
Il suo nuovo compagno, tuttavia, non era stato più loquace.
Si era rannicchiato in quell’angolo buio e sudicio, ostinandosi a rimanere silenzioso e cupo quanto quel luogo.
Alla fine si era
addormentato, ma neanche nel sonno aveva trovato pace: era scosso da
continui e violenti brividi e, ogni tanto, qualche parola sfuggiva da
qualunque incubo stesse vivendo.
Gabrielle non aveva osato avvicinarsi, né tentare di riscuoterlo.
Lo guardò agitarsi ancora per qualche minuto, poi, improvvisamente, l’uomo rimase immobile, come paralizzato.
Che fosse morto?
Pensò Gabrielle, allarmata non tanto per la tragica
eventualità, quanto più per il sollievo che quel pensiero
sembrava suscitare in lei: quell’uomo, chiunque fosse, le faceva
paura.
Si alzò,
decisa a fare qualche passo verso di lui, quando questi urlò. Un
grido terribile, agghiacciante, che rimbombò in modo spaventoso
in quella cella cavernosa.
I freddi occhi
grigi dell’uomo si spalancarono all’istante mentre, con
mano tremante, si artigliava il braccio sinistro, dove un orrendo
tatuaggio pulsava disgustoso.
«È
vivo» bisbigliò, ma l’ombra di gioia folle che era
comparsa sul suo viso scemò presto in un’espressione di
acuto terrore.
«È
vivo» ripetè, prima di girarsi di nuovo sul fianco
«Non andare, Draco» mormorò in un soffio appena
udibile, per ripiombare poi in quel suo torbido e inquieto torpore.
.
.
* * *
.
.
Note:
.
(*)
Probabilmente vi sarete accorti che ho preso il discorso
Neanderthal/Sapiens dai film degli X-Men: credo che possa essere adatto
anche a questo contesto, dove i maghi si sentono superiori ai Babbani,
così come i mutanti si reputano migliori degli uomini
“normali”.
.
(**)
Tecnicamente, nel 1998 Gabrielle dovrebbe avere undici anni. Nella mia
storia è più grande e ha sedici anni, quindi ha solo due
anni in meno di Harry e cinque meno della sorella.
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Capitolo 8 *** Capitolo VII ***
8.8
.
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Capitolo VII
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PAIN
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«Sei impazzito!» urlò Harry, la bacchetta ancora
puntata contro Voldemort, ma nessun incantesimo venne lanciato.
Non riusciva a connettere e il suo cervello sembrava lavorare a rilento.
Dimentico del fatto che
decine di Mangiamorte si erano appena Materializzati all’interno
della casa, Harry si chiese come avesse fatto Voldemort a liberarsi e
che ne fosse stato delle persone a guardia della soffitta. Il dolore
alla cicatrice era stato talmente violento e improvviso, che non era
riuscito a distinguere alcuna emozione precisa.
L’immagine di una
lunga scia di cadaveri si disegnò nella sua mente; era la sua
fantasia o si trattava di una reale visione ricevuta dalla sua nemesi?
Non ebbe modo di
rifletterci ancora, perché, proprio in quell’istante, due
uomini mascherati fecero irruzione nella stanza.
«Mio
signore» esordì uno, profondendosi in un rigido inchino;
un po’ troppo rigido, osservò Harry.
«Ah»
sospirò Voldemort soddisfatto «miei fedeli amici, sapevo
che i miei leali servitori non avevano abbandonato il loro
padrone»
Avanzò verso i due Mangiamorte, ma quelli, anziché farsi da parte, puntarono le bacchette verso il Lord Oscuro.
Voldemort aprì la
bocca, l’indignazione dipinta sul suo volto mostruoso, ma il suo
disappunto venne soffocato dai fruscii delle mute Maledizioni.
I due, ormai ex,
Mangiamorte cominciarono a scagliare incantesimi a raffica; Voldemort,
colto alla sprovvista, riuscì a sollevare la bacchetta di Piton
appena in tempo, intercettando così i brutali colpi inferti dai
suoi vecchi seguaci.
Harry non sapeva che
cosa fare, chi colpire; individuò Piton, che, semicosciente e
disarmato, stava rannicchiato dietro al letto, cercando di farsi scudo
contro le Maledizioni che piovevano da tutte le parti. Cercò poi
con lo sguardo Fleur, ma la ragazza non c’era; immaginò
che avesse avuto i riflessi più rapidi rispetto a loro e avesse
seguito Remus fuori dalla stanza dopo che era stato dato
l’allarme.
Harry sperò con tutto il cuore che stessero bene.
Voldemort, intanto,
indietreggiava: nonostante il suo enorme potere, probabilmente per la
prima volta, era costretto sulla difensiva, lottando per la propria
stessa vita.
La bacchetta di Piton,
inoltre, per quanto sottratta con la forza, non sembrava rispondere
perfettamente ai comandi dell’Oscuro, che così non poteva
caricare troppo i propri incantesimi.
«Sei morto,
vecchio!» ruggì uno dei due uomini, togliendosi la
maschera: era Travers, riconobbe Harry; il compagno lo imitò,
rivelandosi come Selwyn.
I tre continuarono a combattere, senza fare il minimo caso agli altri maghi presenti nella stanza.
Un lampo di luce verde
passò a pochi centimetri dalla guancia di Harry: Voldemort aveva
appena deviato un mortale Anatema, non senza difficoltà
però. Travers approfittò del momento e lanciò una
Maledizione Non Verbale che centrò in pieno Voldemort, il quale
venne scagliato con forza contro il muro. Travers non perse tempo e si
avventò su di lui, ma il Lord fu più veloce;
strisciò dietro al letto, accanto a Piton, proprio
nell’istante in cui un altro Anatema Mortale sfrigolava
nell’aria, mancando il bersaglio.
Selwyn raggiunse il
compagno, pronto a sferrare il colpo decisivo. Entrambi però,
erano troppo concentrati sul loro vecchio Signore, e, quando si
avventarono, finirono col dare le spalle a Harry che, rapido, ne
approfittò. Scagliò uno Schiantesimo, colpendo Travers
alle spalle, in pieno: quello cadde bocconi sul letto, svenuto.
Selwyn si voltò
subito dopo per fronteggiarlo, ma proprio allora due incantesimi gli
passarono accanto: Remus e Arthur erano appena comparsi davanti alla
soglia, bacchette puntate contro il nemico, che, ritrovandosi
circondato, cominciò a menare Maledizioni alla cieca. Harry si
accucciò a terra per evitare i letali lampi verdi, quando un
grido di dolore pose fine all’attacco selvaggio: Selwyn era a
terra, agonizzante, e Voldemort torreggiava su di lui.
«Come hai osato
tradire il tuo Signore, patetico ammasso di carne?» sibilò
Voldemort, i terribili occhi rossi puntati sull’uomo che
continuava a contorcersi sul pavimento, urlando, in balia della
spietata Cruciatus.
Intanto, i rumori della
battaglia li avevano raggiunti; Harry si precipitò fuori dalla
stanza, proprio nel momento in cui le grida di Selwyn cessavano: era
svenuto o morto? Scoprì che non gli importava.
Nel corridoio vide
Hermione e Ginny, impegnate a duellare contro un altro Mangiamorte;
Harry gli giunse alle spalle e lo colpì con un altro
Schiantesimo.
«Harry,
stai-» stava dicendo Hermione, ma Harry era già sulle
scale e, senza voltarsi, gridò «Andatevene, ora!»
Di sotto la situazione
era, se possibile, anche peggiore; la battaglia infuriava terribile e
gli incantesimi volavano da tutte le parti.
Harry superò di
corsa la signora Weasley che sembrava cavarsela piuttosto bene contro
il mal capitato avversario. Raggiunse il corridoio d’ingresso,
che si era trasformato in un angusto, letale budello.
Harry lanciò su
di sé un Sortilegio Scudo e cominciò a farsi strada tra i duelli
e le Maledizioni, cercando di individuare Ron.
Un corpo venne scagliato
dall’altra parte del corridoio e Harry ebbe la fugace visione di
macchia scarlatta, ma era tutto troppo confuso perché potesse
riconoscere il Weasley colpito.
«Prendete Ginny e Smaterializzatevi!»
Udì
all’improvviso, sopra tutto quel frastuono, la voce del Signor
Weasley e, quando si voltò, vide Fred e George impegnati in una
lotta contro Roockwood. Ginny era alle loro spalle, risoluta e
fermamente intenzionata a dare il proprio contribuito.
Harry sciolse il
Sortilegio, deciso a tornare indietro, quando improvvisamente si
ritrovò la strada sbarrata. La porta della cucina venne
spalancata e da essa ne emerse il profilo aguzzo di Yaxley, che,
salendo le scale a ritroso, continuava a combattere contro Ron e
un’agguerrita Fleur.
Harry stava per unire le
proprie forze alle loro, quando un grido terribile, quasi primitivo,
sembrò lacerare l’aria.
Voldemort piombò in mezzo alla battaglia, tra vecchi amici e antichi nemici.
Avanzò verso
Yaxley, che prese a scagliare Maledizioni contro di lui; alcune
mancarono il bersaglio, mentre altre si abbatterono sul Lord Oscuro, ma
questo non sembrò arrestare la sua corsa furiosa.
«CRUCIO!»
urlò l’ex Mangiamorte «ZILERIUS …
DIFFINDO» l’ultima Maledizione lacerante colpì in
pieno Voldemort, che fu costretto a rallentare.
Yaxley si concesse un ghigno di soddisfazione, convinto di aver atterrato il suo vecchio Signore.
Fu un grave errore.
Voldemort non cadde e l’altro rimase, per un istante, sbigottito.
Un istante di troppo.
«AVADA
KEDAVRA!» ruggì Voldemort e il lampo di luce smeraldina
centrò in pieno Yaxley che, con un’ultima espressione
ottusamente sorpresa, si accasciò a terra, morto.
«CHI ALTRI OSA
ATTACCARMI!» strillò Voldemort, mentre il sangue, quasi
nero, fluiva rapido dalle numerose ferite aperte; anche le vecchie
cicatrici avevano ripreso a sanguinare e metà del suo viso era
ricoperto da una rilucente e viscida maschera cremisi. Ma il mago
oscuro si sentiva più vivo che mai, e i suoi occhi brillavano
sinistri sul suo volto mostruoso e spettrale.
Un altro Mangiamorte si
avventò contro di lui che, rapido, cambiò posizione,
pronto a scagliare un altro Anatema Mortale.
«NO!»
Un altro grido squarciò l’aria, tanto che tutti i duelli si interruppero bruscamente.
La voce, orribilmente familiare, strillò ancora «Mio Signore, aspettate!»
Bellatrix Lestrange,
animata dalla sua insana passione, si lanciò verso di loro,
prostrandosi ai piedi del suo Lord. Il Mangiamorte fece lo stesso,
togliendosi la maschera: era Rodolphus, il marito di Bellatrix.
«Mio signore» cinguettò la donna «Siete vivo, lo sapevo!»
«Smettila
Bella» ringhiò Voldemort, scrollandosi di dosso la
Mangiamorte che si era aggrappata con forza alla sua tunica «
Uccidete i traditori! UCCIDETELI!» strillò, spalancando
gli occhi vermigli.
Harry non perse tempo;
mentre i combattimenti venivano ripresi, riuscì ad agguantare
Ron, trascinandolo verso l’uscita. Hermione, Ginny e Remus li
seguirono e insieme varcano la soglia.
Il gruppo apparve dal nulla in una Grimmauld Place stranamente popolosa.
Al debole chiarore
dall’aurora, Harry riconobbe alcune facce: membri del Ministero,
alcuni Auror, un intero esercito di Maghi attendeva davanti al numero
12.
“Siamo
salvi” sospirò Harry tra sé, finché un
Auror, di cui non conosceva il nome, chiese
«Dov’è?»
Il suo tono urgente
suonava quasi minaccioso, ma prima ancora che Harry potesse rispondere,
un’altra domanda fece eco alla prima «Sì Potter,
dicci dov’è»
Avrebbe riconosciuto ovunque quella disturbante vocetta infantile.
Dolores Umbridge e il suo fiocco onnipresente si fecero strada tra i ranghi.
«Dov’è
che cosa?» chiese Harry, riprendendosi dalla brutta sorpresa,
ponendo la stessa domanda che gli era stata fatta dalla quella donna
due anni prima.
«Lui, signor Potter, dove lo nascondi?» rispose dolcemente la Umbridge.
Non ci fu neanche il tempo per riflettere.
La porta del numero 12
venne aperta di nuovo e sulla soglia comparve Voldemort, attorniato dai
suoi fedelissimi: Bellatrix, Rodolphus e, accucciato tra le pieghe del
mantello del suo Lord, Codaliscia.
«Aveva ragione!» esclamò qualcuno.
«Ci ha traditi!» disse un altro.
«É alleato con l’Oscuro!» gli fecero eco in molti.
Urla indignate
serpeggiarono tra la folla e fu allora che Harry scorse, ai margini
della piazza gremita, alcuni volti a lui tristemente noti: Scabior, un
Capo Ghermidore e, animalesco come non mai, Fenrir Greyback.
Ron aprì la bocca
per dire qualcosa, probabilmente per tentare, inutilmente, di dare
spiegazioni ai maghi infuriati, ma proprio allora il resto degli
abitanti del numero 12 si riversò in strada; dei Mangiamorte che
li avevano attaccati non c’era traccia.
«Arrestateli!»
urlò qualcuno e rapidi tutti gli altri puntarono le bacchette
contro Harry e i suoi, pronti a eseguire l’ordine.
«Aspettate!» gridò Ron, ma la sua supplica rimase inascoltata.
E poi accadde.
Voldemort, inferocito,
ma anche ritemprato dalla lotta, attaccò per primo; la risposta
degli Auror non si fece attendere e in pochi secondi la situazione
degenerò.
Harry rotolò
giù dalle scale per evitare una brutta Fattura, ma gli
incantesimi gli piovevano addosso da ogni parte e fu costretto a
difendersi e, talvolta, a contrattaccare.
La piazza, satura di grida, strilli di dolore e lampi di magia di mille colori, divenne un vero e proprio campo di battaglia.
Ben presto, poi, lo
scontro cominciò a esigere il suo tributo di sangue. I primi
morti caddero, ma nessuno sembrò prestar loro molta attenzione:
il fulcro di tutta l’azione era Voldemort, che roteava la
bacchetta in aria, scagliando Anatemi, Imperdonabili e ogni genere di
incantesimo oscuro. Bellatrix, letale quanto folle, era nel suo
elemento: accanto al suo Lord, completamente ubriaca della sua
presenza, scagliava Maledizioni a ripetizione, per nulla preoccupata
dai bagliori sinistri che le strisciavano vicino.
Alcuni Babbani,
terrorizzati, ancora in pigiama e camicia da notte, erano usciti dalle
case lì intorno, riversandosi in strada, ritrovandosi quindi
intrappolati in quell’inferno di fuoco e lampi; anche le sirene
della polizia Babbana risuonarono in lontananza e poco dopo le volanti
fecero irruzione in una Grimmauld Place devastata.
«Ginny, sta
giù!» urlò Hermione e Harry si voltò di
scatto, in tempo per vedere la sua migliore amica salvare la sua
ragazza da una potente Fattura Lacerante.
«Devi andare via, Harry!» era Remus, che gli si affiancò, continuando a combattere.
«Mi hai sentito?» chiese il Licantropo.
«Non posso – IMPEDIMENTA! – lasciarvi qui!» ribatté Harry.
«Sì che
puoi, non– EXPULSO! – non preoccuparti per noi» disse
l’altro, appoggiandogli una mano sulla spalla e stringendola per
un istante, prima di rigettarsi nella mischia.
Il colpo di pistola di un agente Babbano gli sibilò accanto all'orecchio; la polizia stava sparando alla cieca, cercando di riportare l'ordine, confusa da quello scontro combattuto con armi che non conosceva.
«HARRY
POTTER!» una voce ruggì il suo nome; Harry si
guardò intorno più volte, finché non
individuò la persona che lo aveva chiamato.
Torreggiante su una
distesa di cadaveri, almeno una mezza dozzina, c’era Lord
Voldemort; brandiva ancora la bacchetta, ma l’assalto di tutti
quei maghi era troppo forte da respingere, persino per l’Oscuro.
Stava indietreggiando e sanguinava copiosamente.
«Portami via da
qui e ti aiuterò!» gridò di nuovo Voldemort, prima
di scagliare una tremenda Maledizione contro un Auror, che si
accasciò a terra urlando, il corpo che velocemente si ricopriva
di piaghe, che altrettanto rapidamente si gonfiavano e si infettavano.
«Mi hai sentito, Harry Potter?!»
Harry rifletté rapidamente, quindi prese una decisione.
«SCAPPATE!
SMATERIALIZZATEVI!» urlò, con quanta voce aveva in gola,
sperando che fosse sufficiente a sovrastare il frastuono dei
combattimenti.
Remus si voltò a
guardarlo, scoccandogli uno sguardo d’intesa; Harry non perse
tempo e si diresse verso Voldemort, dall’altro lato della piazza.
«CONJUNCTIVITIS!»
La fattura lambì
i capelli di Harry prima di continuare la sua corsa e colpire un
Ghermidore, accecandolo; Hermione gli fu subito accanto «Che vuoi
fare?» gli chiese.
Harry non rispose e continuò a correre, evitando le Maledizioni che si riversavano su di loro incessantemente.
«Harry, no!» gridò la ragazza quando capì i suoi propositi «Non puoi farlo!»
«Hai un’idea
migliore?» le chiese, spazientito, quindi, senza attendere
risposta, raggiunse Voldemort; era in condizioni pietose ed era chiaro
perché avesse chiesto l’aiuto di Harry, anziché
approfittare della confusione e fuggire: non era in grado di
Materializzarsi, non da solo almeno.
Voldemort ghignò quando lo vide arrivare, quindi atterrò due maghi contemporaneamente.
«Vogliamo andare?» chiese.
Harry esitò; che diamine stava facendo?
«Non abbiamo tutto
il giorno, Potter» strillò Voldemort, indicando gli Auror
che, poco lontano, si stavano rapidamente riorganizzando per un nuovo
attacco.
«Conosci un luogo
sicuro?» replicò Harry, ormai mosso dal terrore più
che dalla ragione. Hermione si teneva a distanza, anche lei spaventata,
ma non al punto da guardare al Lord Oscuro come l’ultima speranza.
«Riddle Manor» sibilò Voldemort, artigliando il braccio di Harry.
Harry, quasi senza
volontà, afferrò Hermione e si preparò per la
Materializzazione Congiunta, quando udì un grido tremendo e vide
Bellatrix, colpita da almeno una mezza dozzina di potenti incantesimi,
contorcersi e urlare, ma non di dolore, quanto di rabbia, cieca e
furiosa, inumana.
Respinse i suoi
avversari e strisciò verso di loro. Era ferita, ma lo sguardo
fiero e folle era lo stesso; Harry si ritrovò a pensare a quella
notte, al Ministero, quando aveva cercato di torturare Bellatrix, senza
però riuscirci.
«Mio Signore, portatemi con voi!» disse la donna, rivolgendosi con occhi adoranti al suo Signore, il suo Maestro.
Voldemort ricambiò il suo sguardo con una smorfia di assoluto disprezzo.
«Andiamo!» disse alla fine, stringendo ancora di più la presa sul braccio di Harry.
«No, mio Signore,
non lasciatemi!» supplicò Bellatrix, la voce rotta dalla
disperazione: il suo Lord la stava abbandonando.
«Mi dispiace, Bella» dichiarò Voldemort, ma non c’era nessuna traccia di rammarico in lui.
Harry non perse altro
tempo e, proprio nell’istante in cui una decina di lampi verdi
colpivano una sconvolta Bellatrix, si Smaterializzò.
.
.
* * *
.
.
Buio e la famigliare, quanto sgradevole sensazione di essere infilati a forza in un tubo di gomma troppo stretto.
Per la terza volta in quell’eterna giornata, Harry si Materializzò a Riddle Manor.
«Ci siamo tutti?» chiese, dopo aver ripreso fiato.
«Piton non
è ancora tornato» rispose Ginny, lasciando quindi
intendere che il signor Weasley non era ancora stato rintracciato; era
l’unico Membro dell’Ordine a mancare all’appello e,
man mano che le ore passavano, gli animi si facevano sempre più
cupi.
Fleur lo
ringraziò stancamente per averla portata lì, quindi si
affrettò dietro la signora Weasley che le indicò la
stanza in cui era stato sistemato Bill; era sua, la chioma rossa che
Harry aveva intravisto nel corridoio di Grimmauld Place. Era stato
colpito dalla Maledizione di Dolohov, che consisteva in una sorta di
sferzata, come una frusta di fuoco che colpiva l’avversario,
ferendolo gravemente. Bill si era già ripreso del tutto, ma
Piton gli aveva ordinato di stare a riposo e la signora Weasley aveva
concordato, irremovibile.
Harry si sedette accanto a Ginny e le passò un braccio intorno alle spalle.
«Andrà tutto bene» le disse.
Ginny gli sorrise con
gli occhi, quegli occhi grandi, color nocciola che tanto amava.
Appoggiò la testa sul suo petto e Harry le diede un bacio in
fronte, sentendosi completamente inutile.
Si era già
trovato in quella situazione, intruso nel dolore della famiglia; quella
volta si era risolto tutto per il meglio.
Ma adesso era tutto
diverso: Grimmauld Place era perduta, così come Sirius, Silente,
Malocchio; e poi la guerra, Voldemort, senza contare che ora
l’intera comunità magica sembrava odiare lui e il resto
dell’Ordine.
Harry si guardò
attorno; il grande salotto di Villa Riddle era infestato dalle
ragnatele e ogni cosa, dai mobili, ai quadri, ai candelabri era
ricoperto da uno spesso strato di polvere, nera e dura. Doveva essere
stata una dimora elegante e maestosa, ma i lunghi decenni di abbandono
non la rendevano molto diversa da Grimmauld Place o dalla Stamberga
Strillante.
I vetri alle finestre
erano stati riparati, ma qua e là si rinvenivano ancora le
tracce degli atti vandalici: la parete destra era annerita dal fumo e
sul soffitto si aprivano delle crepe, attorno alle quali si erano
formate larghe chiazze di umidità.
Un basso tavolino, senza
una gamba, giaceva rovesciato su un fianco e tutt’intorno erano
sparsi dei cocci di porcellana, alcuni grossi, altri più
piccoli, quasi polverizzati.
La pietra dura del
pavimento poi, era foderata di polvere, la cui uniformità era
stata intaccata dalle impronte dei loro piedi. Tuttavia, neanche prima
del loro arrivo, quella era stata una coltre perfetta: c’erano
tre punti ben distinti, ancora visibili ora, dove la polvere sembrava
non riuscire a insinuarsi. Tre ombre scure, grandi ciascuna come la
sagoma di uomo, si allargavano sull’impiantito e Harry era
abbastanza sicuro che si trattasse delle tracce degli Anatemi Mortali
scagliati dal sedicenne Voldemort. Non lo turbava restare lì,
comunque, anche se non aveva potuto fare a meno di chiedersi se anche a
Godric’s Hollow, nella casa dei Potter, ammesso che esistesse
ancora, ci fossero i contorni delle Maledizioni che avevano ucciso i
suoi genitori.
Un debole crack lo fece
sobbalzare. Anche gli altri si riscossero dal torpore nervoso in cui
erano caduti e Ginny si rizzò a sedere, evidentemente inquieta.
Piton entrò nella stanza, solo.
«Papà?» chiese Ron a mezza voce, chiaramente spaventato dalla risposta.
La Signora Weasley era ricomparsa sulla soglia, seguita da Bill, leggermente pallido, e da Fleur, che lo aiutava a sorreggersi.
Un rumore di passi li fece trattenere il respiro, ma l’alta figura che sopraggiunse non era Arthur Weasley.
Kingsley Shacklebolt, dopo un lungo, teso silenzio, rispose «Non ce l’ha fatta, mi dispiace»
Harry sentì il cuore perdere uno o due battiti.
Ginny, sempre accanto a
lui, rimase zitta e impassibile, come se non avesse udito una parola;
un secondo dopo, era tra le braccia di Harry, in lacrime.
Ron era in piedi davanti
a una delle grandi finestre a bovindo, lo sguardo vuoto e perso;
Hermione era dietro di lui, con le mani tese in avanti, incapaci di
raggiungere il ragazzo.
Fred e George, piangevano l’uno sulla spalla dell’altro.
La signora Weasley invece, era stata portata nella stanza di Bill, ovviamente devastata dalla tremenda notizia.
«Vieni,
Potter» si sentì chiamare Harry dopo qualche minuto; Piton
era a pochi passi da lui e stava facendo segno a Hermione di seguirlo.
«Ho bisogno che
qualcuno rimanga lucido adesso» esordì l’ex Maestro
di Pozioni, chiudendosi la porta alle spalle.
Si trovavano nella
biblioteca della villa e il fuoco magico evocato da Kingsley gettava
ombre spettrali sugli scaffali polverosi, stipati di grossi volumi di
letteratura Babbana.
Hermione aprì la bocca per protestare, ma Piton la zittì con un sguardo cupo e severo.
«La perdita di
Arthur è un duro colpo» disse Kingsley, con voce profonda
e tranquillizzante, nonostante il tono urgente «Ma dobbiamo agire
adesso se non vogliamo che accada di nuovo»
«Di che si tratta?» chiese Harry, cercando di ignorare il magone che gli opprimeva il petto.
«Il Ministro
Babbano» rispose «Credo sia vittima di qualche Sortilegio,
forse un Cofundus molto potente, o la Maledizione Imperius»
dichiarò.
Harry e Hermione si
scambiarono uno sguardo perplesso, mentre le possibili implicazioni del
fatto cominciavano a farsi strada nelle loro menti.
«Quando Severus mi
ha avvertito di quello che è successo a Grimmauld Place, sono
corso dal Primo Ministro» continuò Kingsley «La
notizia era arrivata anche alle autorità Babbane, anche se
ovviamente non erano in grado di darsi una spiegazione. Il Primo
Ministro era infuriato, si contavano quattro vittime tra i Babbani,
senza considerare i morti e i feriti tra i maghi. Ha cominciato a dire
alcune cose molto strane, borbottava tra sé, era nervoso e
aggressivo. Mi ha cacciato via, dicendo che non ne voleva più
sapere di Signori Oscuri e che presto la verità sarebbe venuta a
galla.
«E al
nostro Ministero le cose non vanno certo meglio» continuò
dopo una pausa «Questo mago, che si fa chiamare Damon, ha aizzato
la comunità magica contro di te, Harry, e contro l’Ordine.
Ci credono dei traditori e sinceramente non so per quanto tempo
riuscirò a mantenere la mia posizione. Per ora non sospettano
nulla, ma dovevate vederli, erano tutti impazziti, la morte di Arthur
è stata accolta con gioia, come una vittoria» concluse,
scuotendo il capo.
«Che facciamo
allora?» chiese Harry. Gli eventi di quella giornata si erano
susseguiti con una velocità impressionante e Harry sentiva il
bisogno di agire, di prendere il controllo, o almeno di provare a farlo.
Dopo quattro ore di discussioni, congetture e pianificazioni, giunsero a una decisione.
«Allora è deciso» riassunse Harry «Domani andremo a Londra e fermeremo il Ministro Babbano»
Hermione, Piton, Kingsley, Remus e Bill, che si erano uniti
a loro, annuirono gravemente, ma ormai risoluti.
«Credo sia meglio
andare a riposare, domani sarà una giornata impegnativa»
dichiarò Kingsley e gli altri accettarono di buon grado la
proposta.
“Se falliamo
domani” pensò Harry, dopo essere salito al piano di sopra ed essersi infilato in un letto roso dai
tarli “Tutto sarà perduto”
E con questa inquietante osservazione, sprofondò nel sonno.
.
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* * *
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«Ancora in piedi Severus?» sibilò Voldemort.
Severus ignorò il
commento. Non era il momento di stare al gioco del Signore Oscuro,
né di provocarlo più del necessario.
«Perché hai detto a Potter di venire qui?» esordì senza mezzi termini.
«Perché continuate a tenermi prigioniero in casa mia?» ribatté l’Oscuro.
«Non ci fidiamo di
te, mi pare ovvio» rispose «Tu avevi un piano»
riprese, senza dare modo al suo vecchio Signore di replicare
«Pensavi che sarebbe successo qualcosa, qualcosa che invece non
è accaduto» concluse.
Voldemort rimase impassibile alla sua affermazione.
“Dannazione”
pensò Severus “Non sono mai stato bravo in queste cose,
dov’è Silente quando serve?” si chiese,
rispondendosi che il ritratto del Preside doveva ormai essere andato
distrutto. “Questa non ci voleva, non ci voleva davvero”.
«Ho imposto io
stesso gli incantesimi su questa dimora» disse Voldemort
all’improvviso «Tu sai come funzionano i miei Scudi, non
è vero?»
Severus rifletté un momento, quindi annuì.
Solo poche persone
potevano accedere alla villa; il Signore Oscuro, naturalmente, i
possessori del Marchio Nero e i prigionieri condotti lì dai
Mangiamorte. Chiunque avesse cercato di introdursi di nascosto o avesse
tentato di Materializzarsi direttamente dentro le mura sarebbe stato
completamente disintegrato, ricordò.
Voldemort era stato
portato lì con la Materializzazione congiunta di Potter, quindi
era evidente che il Lord Oscuro si aspettasse che gli Scudi svolgessero
il loro compito, eliminando i due ragazzi per lui. Ma non era successo
e, a giudicare dall’atteggiamento di Voldemort, neanche lui
sapeva il perché.
Severus e Potter avevano
poi fatto la spola, portando lì tutti i sopravvissuti della
battaglia, che quindi erano entrati senza problemi.
Rimasero entrambi in
silenzio, per un lungo, teso momento, quindi Severus decise di
raggiungere gli altri: dovevano sostituire gli scudi, o al risveglio
avrebbero potuto trovare una sgradita sorpresa.
«Severus,»
lo richiamò Voldemort «Non potete sconfiggerli senza di
me» affermò, quindi scomparve tra le ombre della sua cella
sotterranea.
Severus si allontanò in fretta, con la spiacevole sensazione di essere seguito da quegli occhi vermigli.
.
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* * *
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«Mio
Signore, sono fuggiti» lo informò Roockwood, inchinandosi
«Travers, Yaxley e Selwyn sono morti»
Octavio assottigliò gli occhi, furioso.
Il numero 12 di
Grimmauld Place era stato ridotto a una rovina fumante; scale franate,
muri sventrati, mobili e suppellettili distrutti. Tre dei suoi uomini
erano stati uccisi e tutto per niente.
«Mio Signore, abbiamo un prigioniero» disse Rowle, trascinando un uomo ai suoi piedi.
Arthur Weasley, legato con funi invisibili, gli lanciò un’occhiata di sfida.
«Arthur,» esordì Octavio «Il tuo prezioso Potter ti ha dimenticato qui?» lo sbeffeggiò.
«Traditore» ringhiò Weasley.
Octavio ignorò il commento «Dove sono andati?»
«Non lo so»
rispose l’uomo «E anche se lo sapessi non lo te verrei di
certo a dire» aggiunse, con sorprendente risolutezza.
«Naturalmente» commentò Octavio con leggerezza.
«Che ne facciamo di lui, mio Signore?» chiese Rowle.
«Torturiamolo» propose Roockwood, rabbioso.
«No» decise Octavio «Sarebbe uno spreco di tempo e di energie, non parlerà mai»
I due ex Mangiamorte si guardarono l’un l’altro, perplessi, ma non contestarono.
«Sei un
brav’uomo, Arthur» riprese Octavio, quindi, voltando
già le spalle al prigioniero, sentenziò
«Uccidetelo»
.
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* * *
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Narcissa Malfoy percorreva a piccoli, nervosi passi il piccolo salotto.
Avevano trovato rifugio
a casa di Peter Minus dopo l’aggressione a Villa Malfoy; Rabastan
era stato ucciso quasi subito, mentre Lucius e Macnair erano rimasti
indietro, nel tentativo di rallentare i loro ex compagni e consentendo
così a lei e a Draco di fuggire.
Rodolphus li aveva
raggiunti qualche ora dopo, comunicando loro che Macnair era morto e
Lucius fatto prigioniero. Narcissa sperava che il peggio non fosse
accaduto.
Decise di tornare nella
stanza dove suo figlio stava dormendo. Aveva dovuto somministrargli una
potente pozione di Sonno Senza Sogni, per alleviare il tremendo dolore
al braccio sinistro, dove il Marchio Nero aveva preso a bruciare e a
pulsare improvviso:
«Hai controllato a Riddle Manor?» chiese Rodolphus per
quella che Narcissa credeva fosse la cinquantesima volta.
«Sì,
sì ci sono andato subito, ma non c’era nessuno»
rispose Minus, tremante «È morto, sono morti tutti e
due» aggiunse nervoso.
«No!» esclamò Rodolphus «Sei cieco? Lo vedi il Marchio è vivido, non è morto!»
«Va bene»
concesse l’altro «Ma non ha senso cercarlo se non sappiamo
nulla di quello che è successo»
«Codardo» ringhiò Rodolphus.
Per un po’ nessuno
parlò, finché Minus non ululò terrorizzato
«Il Marchio» piagnucolò, artigliandosi il braccio.
«Lo so, idiota, lo sento anch’io» ringhiò Rodolphus.
«Anche io» disse Draco, guardando sua madre spaventato.
«Che facciamo?» mugolò Peter.
«Andiamo» rispose Lestrange, deciso.
«Ma potrebbe essere una trappola» intervenne Narcissa «Non sappiamo che cosa-»
«Il Signore Oscuro
ci sta chiamando, ha bisogno di noi» la interruppe Rodolphus,
ormai pienamente risoluto «Vieni Draco»
«Mamma …»
«No, Rodolphus, è troppo giovane» tentò Narcissa.
«È un Mangiamorte, deve venire anche lui» ribatté lui.
«Ho già
perso Lucius, non posso mettere in pericolo anche mio figlio»
disse lei, alzandosi in piedi e frapponendosi tra il figlio e il
cognato.
«Molto bene»
concesse Rodolphus alla fine «Ma il Signore Oscuro ne sarà
informato. Muoviti Codaliscia!» aggiunse con un ringhio.
Minus, titubante, si affiancò al compagno nel centro del salotto; quindi, con un debole crack, entrambi scomparvero.
Narcissa aveva dato la Pozione a Draco che, lentamente, era scivolato nell’oblio.
Ora dormiva sereno e non sembrava molto diverso da un qualunque altro ragazzo della sua età.
Narcissa
accarezzò il viso di suo figlio, così simile a quello di
Lucius, pregando che tutto si risolvesse per il meglio.
“Noi gli siamo rimasti fedeli” si disse “Che questo possa servire a qualcosa”
Dalla piccola finestra
filtrava la debole luce della Luna; Narcissa si alzò e
scostò le semplici tende grigie, guardando di fuori. La notte
era muta e tranquilla, l’esatto opposto del suo cuore, che
gridava inquieto di paura e di disperazione.
Tornò accanto al figlio e prese la sua mano tra le proprie.
Per Narcissa
iniziò la lunga attesa, ma quando i primi raggi del sole
squarciarono la tenebra vellutata della notte, nessuno aveva ancora
fatto ritorno.
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* * *
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«Riproviamo,
forse questa volta sarò più fortunato» disse
Octavio, serafico, abbassando la bacchetta e interrompendo
l’incantesimo «Dove sono tua moglie e il tuo
moccioso?»
«Vai a farti fottere» ringhiò Lucius, sputando un grumo di sangue.
«Più tardi» ribatté Octavio, con voce misurata, prima di lanciare una nuova Cruciatus sul biondo.
Malfoy prese a contorcersi sul pavimento, ma tenne la bocca sigillata, senza lasciarsi sfuggire neanche un gemito.
“Ha del coraggio” concesse a sé stesso “E un orgoglio, del tutto inutili”
Gabrielle era rannicchiata nell’angolo opposto e osservava la tortura in atto.
«Se no ti decidi a
parlare» disse Octavio, ponendo fine alla Maledizione «Non
c’è ragione per cui dovrei tenerti in vita, lo sai non
è vero?»
«Allora
uccidimi» lo sfidò Lucius, sputando ancora sangue insieme
a un dente spezzato «Che aspetti, è quello che vuoi,
no?» ghignò, con voce rasposa.
«Non ancora, non
oggi» ripose Octavio «Ho tutto il tempo che voglio»
aggiunse, inginocchiandosi davanti al suo prigioniero e afferrandogli
il mento tra le dita. Occhi grigi contro occhi marroni, disperata
determinazione contro fredda spietatezza.
«Domani
verrà dichiarata guerra al nostro mondo» annunciò
«Dimmi dove si trova la tua famiglia o loro saranno i primi a
morire per la causa» minacciò.
Malfoy lo ricambiò con uno sguardo di puro disprezzo e disgusto.
“Molto bene, se ti
piace giocare” si disse, prima di gridare, richiamando a
sé tutto il proprio potere «CRUCIO!»
Questa volta, Malfoy urlò.
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Angolo Autrice
Salve a tutti quanti!
Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo, che spero tanto vi sia piaciuto (o non dispiaciuto, quanto meno!)
Grazie come sempre a tutti coloro che seguono la storia, sia ai lettori
silenziosi sia a chi riesce a trovare il tempo e la voglia di lasciarmi
un commento; davvero GRAZIE di cuore.
A presto con un nuovo aggiornamento,
_Jo
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