High Society

di mononokehime
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Il tempo sembrava quasi faticare a farsi strada attraverso il grigiore di quel pomeriggio di tarda primavera, in cui ogni istante sembrava appiattito e dilatato all’infinito.
Sospirai per l’ennesima volta, lasciando vagare pigramente lo sguardo per lo splendido parco della tenuta di Rangemore Hall, che potevo ammirare dalla finestra della mia stanza.
La mia stanza.
Erano ormai due settimane che vivevo lì, eppure non potevo evitare di sentirmi ancora una scolaretta in gita con la propria classe mentre camminavo per le sfarzose sale ottocentesche, traboccanti di preziosi mobili d’antiquariato e magnifiche opere d’arte.
Che ci facevo io, una comunissima ragazza della periferia di Dover, in una tenuta regale dello Staffordshire?
Me lo chiedo tuttora, nonostante conosca già la risposta.

 
***
 
«Lizzie, tesoro, vieni a sederti qui con noi! Io e papà abbiamo una splendida notizia da darti»
Mi sistemai sul divano accanto a mamma, che mi prese le mani guardandomi sorridente.
«Sai, circa trent’anni fa un vecchio amico di papà ha fondato una società finanziaria che è diventata un colosso a Londra. Per puro caso ieri sono incontrati in centro e si sono fermati a chiacchierare, e hanno deciso di organizzare una cena per trascorrere una serata insieme finché l’amico di tuo padre è ancora a Dover. Ceneremo con la sua famiglia la prossima settimana»
Ero parecchio confusa, perciò la interruppi.
«Mamma, non capisco. Quale sarebbe la splendida notizia?»
«Ci stavo arrivando! Sai, pare che abbia un figlio poco più grande di te. Un ragazzo magnifico, intelligente e sveglio. Farebbe proprio al caso tuo. A ben pensarci, a chi non farebbe caso un uomo così accanto? Con tutti i soldi che hanno… Se papà riuscisse a farli investire nella nostra piccola impresa edile saremmo sistemati per bene! Pensaci, tesoro…»
«Quello che mamma intende dire» intervenne papà, notando la mia espressione sempre più confusa, «è che sarebbe bello se tu ed il ragazzo andaste d’accordo, come dire… Se le nostre famiglie si avvicinassero, sarebbe molto più facile per noi ottenere dei fondi stabili che ci aiutino a rimetterci in sesto. Sai che non ce la stiamo passando troppo bene ultimamente…»
Un momento.
Stanno sottilmente cercando di combinare un matrimonio tra me e il rampollo? Ma questo genere di cose non era passato di moda qualche secolo fa?
«…e poi dovrai pure iniziare a pensare al tuo futuro! Hai ventiquattro anni ormai, non sei più una bambina, Lizzie»
«Papà ha ragione, tesoro. Sono sicura che andrete subito d’accordo. Non è fantastico? Con una sola cena potremmo risolvere tutti i nostri problemi!»
Fantastico, peccato che ora i problemi li avrò io.
Come faccio a rifiutarmi di incontrarlo? Abbiamo davvero bisogno di quei soldi.
E poi ormai mamma e papà sono partiti per la tangente, chi li ferma più ora che hanno scoperto la magica vita degli arrampicatori sociali.
«Ehm... Va bene, sono proprio curiosa di conoscerlo. A quando la cena?»

 
***
 
Chiusi gli occhi, ripensando a quella conversazione avvenuta solo pochi mesi prima che aveva dato inizio alla spirale di eventi più surreale della mia vita.
La famosa cena era stata un successone – perlomeno per i miei genitori – e a quanto pare andavo fin troppo a genio al rampollo, tantoché aveva subito iniziato a corteggiarmi spudoratamente. Certo, era innegabilmente un bel ragazzo e la sua istruzione era delle più raffinate, da vero principino, ma era anche un vanesio e aveva una spiccata passione per quelle imbarazzanti frecciatine sessualmente esplicite che metterebbero a disagio chiunque.
In ogni caso mamma e papà ne erano estasiati, anche se sospettavo che avessero i sensi ottenebrati dall’aura di ricchezza e potere che emanava l’intera famiglia.
Quando ricevetti la proposta di trasferirmi a Rangemore Hall quasi svennero dall’emozione, e non vollero sentire ragioni. In un batter d’occhio mi ritrovai catapultata nell’equivalente inglese del castello delle fiabe, senza poter fare nulla per arrestare o perlomeno controllare il turbine di eventi che mi stava sconvolgendo la vita.
Piccola Elizabeth, mi sa che ormai il tuo Mr. Darcy non lo troverai più.



Spazio autrice
Ciao a tutti! Dopo mesi e mesi di indecisione ho deciso di iniziare a pubblicare questa storia a cui sono molto legata, nonostante non abbia ancora finito di scriverla. Avevo interrotto la stesura in parte per mancanza di ispirazione (anche se la trama era già completa nella mia testa) ed in parte per una serie di altre ragioni, ma pochi giorni fa mi sono "sbloccata" e ho ricominciato a scrivere a tutto spiano ahah
Pubblicherò una volta alla settimana, ogni mercoledì - purtroppo non posso darvi certezze aggiuntive sull'orario - in modo da avere il tempo di scrivere gli ultimi capitoli con calma.
Il prologo fa eccezione, infatti per aggiungere un po' di pepe appena lo caricherò aggiungerò anche il primo vero capitolo della storia.
Spero che la storia vi piaccia; naturalmente ogni recensione sarà molto apprezzata <3

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***



Giocherellavo distrattamente con il dragoncello tritato nel mio piatto, distribuendolo con la forchetta quanto più uniformemente possibile sulla salsa che ricopriva la tagliata di pregiatissimo manzo.
Filet de boeuf au poivre et sauce béarnaise.
Evidentemente nella upper class non si poteva comprendere il contenuto di un qualunque piatto senza aver frequentato un corso avanzato di francese. Difatti io andavo ad intuito.
Sentivo un paio di occhi azzurri che mi fissavano intensamente, ma decisi che il dragoncello non era ancora sistemato alla perfezione.
«Elizabeth?»
Ma non può chiamarmi Liz o Lizzie come fanno tutti?
Amavo il mio nome – ero una fan di Jane Austen – però non ero abituata a sentirlo pronunciare per intero. Era troppo... formale.
«Elizabeth, per l'amor del cielo, non tormentare quella carne. Hai idea di quanto valga un etto di quel manzo?»
Alzai finalmente gli occhi, guardandolo torva.
«No, Louis, non ne ho la minima idea visto che fino a poco tempo fa l'unica carne che potevo permettermi di mangiare erano le alette di pollo fritte» ribattei piccata.
Louis si lasciò andare ad un risolino, coprendosi la bocca con la mano.
«Non offenderti, cara, ma allora dovresti approfittarne adesso che puoi» rispose, alludendo al piatto che stavo tanto irrispettosamente denigrando.
Trattenni a stento un rumoroso sbuffo e mangiai qualche boccone di carne, tanto per non protrarre ulteriormente il discorso.
Era deliziosa, naturalmente, ma avevo lo stomaco chiuso. Avrei preferito mille volte una pizza scadente sul divano di casa mia, a Dover.
Mi pulii la bocca con il tovagliolo e mi alzai dal tavolo.
«Scusami Louis, non ho fame. Andrò in camera mia a riposare un po'»
Mi osservò per qualche secondo, cercando forse di captare la vera ragione del mio comportamento distaccato.
«D'accordo» sospirò infine, «buonanotte, Elizabeth»
«Buonanotte, Louis»
Uscita dalla lussuosa sala da pranzo mi avviai verso la mia stanza, e quando vi arrivai mi gettai a peso morto sull'immenso letto a baldacchino.
Tutto questo mi sta soffocando.
Decisi di regalarmi un bel bagno caldo per distendere il groviglio di nervi che mi attanagliava lo stomaco.
Notai con un vago senso di inquietudine che qualche domestica mi aveva già riempito la vasca di calda acqua schiumosa.
Ma come ci riescono?
Mi spogliai, legai i capelli biondi in un disordinato chignon alto e mi immersi con un sospiro.
Non sapevo quanto sarei riuscita a resistere, ma dovevo farlo per mamma e papà. Louis non era un ragazzo malvagio, dopotutto; talvolta era un po' fastidioso, ma forse ero troppo dura con lui. Probabilmente gli riversavo addosso il mio disappunto per essere stata catapultata in un contesto che non desideravo, e quindi attribuivo una connotazione negativa anche a lui.
Sì, doveva essere così.
Cercai di riportare alla mente la sua figura, smilza e scattante, i suoi vispi occhi azzurri ed il suo portamento elegante. Il suo modo compito di mangiare, la sua stretta di mano ferma ma non eccessiva, la serietà con cui discuteva di alta finanza con i colleghi di suo padre.
Tutte le note positive che avevo faticosamente cercato di raccogliere coesistettero per alcuni secondi prima di collassare su loro stesse e frantumarsi in mille pezzi quando mi sovvennero le sue battute disgustose, il modo in cui una sua mano era casualmente scesa sul mio sedere appena ci eravamo conosciuti, il suo insopportabile modo di ricordarmi la sua ricchezza in ogni occasione.
Andiamo, chi voglio prendere in giro? Louis Tomlinson è solo un borioso rampollo da strapazzo, non mi piacerà mai e poi mai!
Gemetti per la frustrazione e decisi di uscire dalla vasca. Forse una notte di sonno mi avrebbe aiutato a chiarirmi le idee.
Dopo essermi asciugata mi infilai una vecchia t-shirt oversize e un paio di comodi shorts – non degnai nemmeno di uno sguardo la cortissima vestaglia da notte in seta rosa antico che Louis mi aveva regalato – e mi misi a letto.
Mi girai e rigirai per circa due ore, ma nonostante la comodità del mio enorme baldacchino non riuscivo ad addormentarmi.
Tanto vale alzarmi e fare due passi nel parco.
Con un sospiro rassegnato mi alzai, mi misi un paio di jeans lunghi, presi con me una felpa e uscii nella fresca notte di inizio maggio. Il cielo era scoperto, si vedevano le stelle ed una spessa falce di luna calante. Il silenzio era piacevolmente interrotto dal leggero scroscio dell'acqua che proveniva dalla fontana di pietra al centro del parco.
Infilai le mani nelle tasche della felpa, mentre camminavo lentamente godendomi quel raro momento di tranquillità lontano dall'opprimente sfarzo di Rangemore Hall. Proprio mentre stavo per tornare indietro notai una figura di spalle seduta su un muretto ai limiti del parco.
Incuriosita, mi avvicinai più silenziosamente che potevo. Quando fui a pochi metri sentii il cane di Louis abbaiare in lontananza, al che la persona seduta sul muretto si girò di scatto e mi vide.
Era un ragazzo dai lunghi capelli castani, che gli ricadevano in onde sulle spalle. Gli occhi, che mi guardavano sorpresi, erano chiari; potevo dirlo con certezza anche se era notte fonda.
Nonostante il freddo indossava solo una t-shirt bianca, che lasciava intravedere i numerosi tatuaggi sul braccio sinistro.
Rimanemmo a guardarci in silenzio per alcuni secondi, quando lui accennò un piccolo sorriso.
«Tu devi essere la famosa principessina di Tomlinson»
Storsi leggermente la bocca, contrariata.
«Non è esattamente il modo in cui mi definirei, ma suppongo che ormai tutta Rangemore Hall mi conosca come tale»
Il ragazzo ridacchiò divertito.
«In effetti non posso darti torto. Qui si parlava di te ancora prima che arrivassi»
Sospirai con rassegnazione.
Qualcosa mi dice che sarà sempre peggio.
«Beh, allora sarai deluso di sapere che sono solo una qualunque ragazza di Dover che si è ritrovata dalle scogliere al palazzo delle fiabe senza ancora aver ben capito come sia successo»
Lui sorrise e saltò giù dal muretto, tendendomi la mano.
«Allora piacere di conoscerti, ragazza delle scogliere. Io sono Harry, e sono solo un qualunque ragazzo tuttofare che è sempre vissuto alla dépendance di Rangemore Hall»
Sorrisi di rimando e gli strinsi la mano.
«Elizabeth. Ma suppongo che lo sapessi già» scherzai, e lui rise.
«Mi hai scoperto» replicò con tono melodrammatico.
Avevamo iniziato a camminare lungo il vialetto da cui ero venuta, dirigendoci verso la villa.
«Che facevi seduto su quel muretto?» domandai d'impulso, rompendo il breve silenzio che si era creato.
«Guardavo il cielo» rispose con semplicità. «Amo sedermi lì nel cuore della notte ed osservare la luna e le stelle. È un momento tutto per me; non c'è nessuno che mi cerca, che mi affibbia lavori o che mi urla nelle orecchie. Mi fa ritrovare una parte di me stesso di cui mi dimentico perfino l'esistenza, durante il giorno»
«Le scogliere erano lo stesso per me, a Dover» dissi io, quasi in un sussurro. «Quando avevo bisogno di stare da sola prendevo la bici e pedalavo fino alla costa, e mi avvicinavo quanto più potevo allo strapiombo. Era come se tutti i miei problemi scivolassero giù dalla scogliera e venissero inghiottiti dal mare»
Harry mi guardò con un sorriso.
«Direi che ci capiamo, allora»
Annuii sorridendo a mia volta. Era un ragazzo alla mano, mi ci ero trovata subito a mio agio.
Era piuttosto alto, gli arrivavo a stento alla spalla. I lunghi capelli scuri dondolavano morbidamente seguendo il ritmo dei suoi passi. Camminammo in silenzio fino all'ingresso della villa, dove ci fermammo.
Stavo per ringraziarlo della compagnia, ma Harry mi precedette.
«Non c'è bisogno di ringraziarmi, l'avevo capito subito che stavi scappando da qualcosa che ti tormentava. Spero solo di averti migliorato la serata. Buonanotte, ragazza delle scogliere» sorrise ammiccando, prima di girarsi e andarsene con le mani nelle tasche.
Rimasi a bocca aperta per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Tornai a letto con il cuore più leggero, e riuscii finalmente ad addormentarmi serena.
Buonanotte a te, ragazzo che guarda il cielo.




Spazio autrice
Eccomi di nuovo! Come vedete la storia sta già iniziando a prendere forma, così come i personaggi.
Il nostro ragazzo misterioso è nientemeno che Harry Styles! La nostra Lizzie avrà il suo daffare a scoprirne di più su di lui.
Vi lascio alle vostre congetture, a mercoledì prossimo! :D

Un abbraccio,
mononokehime

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***




 
Il mattino dopo mi svegliai decisamente riposata. Un timido sole faceva capolino attraverso i vetri delle alte finestre, dal momento che non tiravo mai le tende prima di andare a dormire.
È un nuovo magnifico giorno per la principessina di Rangemore Hall.
L'appellativo mi fece ripensare a Harry, e sorrisi ricordando quel bizzarro incontro. Da quando vivevo lì era la prima persona che non mi aveva trattata come una reginetta da servire e riverire.
Mi aveva fatta sentire... quasi a casa.
Casa.
Sospirai.
Chissà se riuscirò mai a considerare questo posto casa mia.
Mi mancava Dover, mi mancavano la mia routine, i miei amici e le mie scogliere.
Improvvisamente ebbi un'idea: avrei trascorso il weekend a Dover. In fondo non avevo nulla da fare a Rangemore Hall; Louis lavorava tutto il giorno, e spesso a pranzo aveva incontri d'affari con qualche pezzo grosso della finanza.
Rinfrancata da questa prospettiva saltai giù dal letto come una molla, e dopo essermi data una rapida rinfrescata mi vestii e mi diressi verso la sala da pranzo dove trovai allestita, come tutte le mattine, una colazione che non aveva nulla da invidiare ad un banchetto regale.
Accidenti, quanta roba credono che possa ingurgitare in un solo pasto? E dove diavolo va a finire tutto il resto?
Cercai di non fare caso a quell'eccessiva abbondanza di cibo e mi sedetti di fronte a Louis, che leggeva il bollettino economico sorseggiando un caffè dall'aroma delizioso. Quando mi sentì arrivare alzò lo sguardo e sorrise con una luce maliziosa negli occhi.
«Buongiorno, mia cara Elizabeth. Ti vedo particolarmente radiosa oggi; per caso questa notte hai sognato me?»
Se avessi sognato te sarebbe sicuramente stato un incubo.
Sfoderai il mio miglior sorriso a denti stretti ed ignorai la domanda; non avevo nessuna intenzione di farmi rovinare l'umore dall'odioso rampollo.
«Buongiorno, Louis. Pensavo fossi già al lavoro»
Scosse la testa, senza perdere il sorriso.
«La prima riunione sarà in tarda mattinata, perciò ho pensato che sarebbe stato piacevole fare colazione insieme oggi»
Ehi wow, non dovevi disturbarti. Cioè, in realtà avrei preferito non vederti proprio.
«Ehm... Grazie del pensiero» risposi con un sorrisetto più finto di una banconota da tre sterline mentre davo un morso ad una fetta di pane tostato.
«Volevo dirti che oggi andrò a Dover e ci resterò per il weekend» dissi dopo un po' con tono casuale.
Mi fissò con espressione indecifrabile.
«Come pensi di arrivarci, a Dover?»
A piedi, Sherlock.
«Pensavo di andare in taxi fino a Stafford, poi prendere il treno per Dover. Dovrebbe esserci il cambio a Londra» ragionai.
Louis alzò gli occhi al cielo.
«Elizabeth, è ovvio che non metterai piede su un treno. Dirò al mio autista di accompagnarti, e ti verrà a riprendere lunedì mattina a Dover»
Rimasi a bocca aperta. Non mi sarei mai abituata ai lussi della vita da ricconi.
«Il tuo autista? E tu come farai mentre lui sarà in giro a scarrozzare me su e giù per l'Inghilterra?»
«Di macchine ne ho, e so anche guidarle piuttosto bene» rispose facendomi l'occhiolino. «Se non altro per una volta me le potrò godere un po'»
Annuii, dubbiosa.
«Beh, allora... Grazie»
Louis finì l'ultimo sorso di caffè, si pulì la bocca e si alzò dalla sedia, venendo nella mia direzione.
«Non c'è di che, piccola» mi sussurrò all'orecchio, lasciandomi un bacio sulle labbra. Non riuscii a fare a meno di irrigidirmi, ma cercai di non darlo a vedere.
«Mi mancherai questo weekend, Elizabeth. Farai meglio a non perdere la testa per nessun ragazzo in mia assenza, ricordati che ormai mi appartieni» rimarcò lanciandomi un'occhiata eloquente mentre usciva dalla sala da pranzo.
«Lascerò detto al mio autista di essere a tua disposizione» disse poi, prima di girare l'angolo e sparire dalla mia vista.
Rimasi imbambolata per qualche secondo, poi scossi la testa come a voler scacciare il ricordo dell'invadente mania di controllo di Louis. Prima o poi sarei impazzita, ne ero certa. Ma non prima di regalarmi un rigenerante weekend nella mia amata Dover.
 
***
 
Dopo pranzo avevo chiamato mamma per avvisarla che entro sera sarei tornata a casa, e lei ne era stata felicissima. Non vedeva l'ora di scoprire come stesse procedendo la mia dorata vita a Rangemore Hall e naturalmente tutti i dettagli della mia appassionata storia d'amore con Louis.
Una volta preparato il bagaglio per il weekend – che consisteva in uno zaino con un paio di cambi, biancheria e beauty case – decisi di farmi una passeggiata nel parco, spingendomi fino al grande stagno vicino cui sorgeva la dépendance della tenuta.
In cuor mio speravo di rivedere Harry; mi sarebbe piaciuto conoscerlo meglio. Sentivo che avrei avuto bisogno di un amico a Rangemore Hall, qualcuno con cui potevo semplicemente tornare ad essere la ragazza delle scogliere senza maschere di circostanza né opportunismi.
Arrivai al limitare del parco fino al muretto dove avevo incontrato Harry. Qui una lunga ed alta siepe nascondeva lo stagno alla vista; esso si poteva raggiungere tramite un arco di pietra incastonato nella siepe come una gemma su un anello.
Non mi ero mai spinta così lontano dalla villa, per cui ero curiosa di vedere come fosse questo stagno di cui avevo solo sentito parlare. Quando oltrepassai l'arco in pietra rimasi a bocca aperta.
Mi trovavo in un grande giardino verdeggiante recintato da un alto muro di pietra quasi completamente ricoperto di glicine, nel pieno della sua rigogliosa fioritura blu-violetta. Lo stagno, che occupava buona parte del giardino, ne era l'indubbio protagonista; l'acqua era verde e limpida, e accoglieva sulla sua superficie numerosi fiori di loto bianchi e rosa. All'interno vi nuotavano grosse carpe koi variopinte ed altri pesci più piccoli che non riconobbi. Vicino alla riva vi era una graziosa dépendance in massello, e a pochi metri troneggiava un magnifico acero rosso di almeno dieci metri d'altezza.
Il giardino era elegantemente punteggiato di alberi e piante ornamentali, disposte strategicamente in modo da rendere l'ambiente ordinato ma non troppo impostato. Il risultato complessivo era un piccolo angolo di paradiso, e decisi all'istante che quello sarebbe stato il mio posto preferito dell'intera tenuta.
Mi avvicinai allo stagno, ammirando lo splendido acero. Appoggiai una mano sul tronco e chiusi gli occhi, ascoltando il piacevole fruscio delle foglie accarezzate dalla brezza di maggio.
Rimasi così per un paio di minuti, finché il rumore della porta della dépendance che si apriva non mi riscosse facendomi voltare di scatto. Mi ritrovai davanti Harry, che dopo un primo momento di sorpresa si aprì in un sorriso.
«Ehi, Dover! Sei venuta a goderti la pace del piccolo Eden di Rangemore Hall?»
I suoi capelli erano tenuti a bada da una classica bandana Hav-A-Hank blu notte indossata a mo' di fascia, e gli occhi – alla luce del giorno potevo vedere quanto fossero verdi – erano anche più luminosi di quanto ricordassi.
«Più o meno... a dire la verità sono in esplorazione, non ero mai venuta qui» confessai, sorridendo di rimando.
L'espressione di Harry si trasformò in una smorfia giocosamente scandalizzata.
«E tu vivresti qui da due settimane? Questo dovrebbe essere il primo posto da vedere una volta arrivati a Rangemore Hall, è il fiore all'occhiello della tenuta; non per niente ci abito io» scherzò facendomi l'occhiolino. Ridacchiai e alzai le mani, con aria colpevole.
«Hai ragione, chiedo umilmente perdono. Prometto che ci tornerò molto spesso, è un posto incantevole» dissi guardandomi ancora intorno e soffermandomi sull'enorme acero.
«È una bellezza, vero?»
Trasalii, non l'avevo sentito avvicinarsi. Era talmente vicino che potevo quasi avvertire il calore del suo corpo.
«È splendido» sussurrai. «Quanti anni ha?»
Corrugò la fronte, cercando di ricordare.
«Non ne sono sicuro. Io e Phil l'abbiamo piantato insieme quando ero ancora un ragazzino, ma non ricordo di preciso quanti anni siano passati»
«Phil?»
«Ah, è il capo giardiniere della tenuta» spiegò sorridendo. «Vivo con lui qui alla dépendance da quando ho memoria. È diventato un po' più burbero col passare degli anni, ma è ancora in gamba e sa fare il suo lavoro come nessun altro. Gli voglio bene, si è sempre preso cura di me»
Mille domande avevano iniziato a frullarmi nella testa, ma non avevo il coraggio di formularne nemmeno una ad alta voce.
Vive da sempre con il capo giardiniere? E i suoi genitori? È stato abbandonato? È destinato a fare il tuttofare a Rangemore Hall per il resto della sua vita?
Harry doveva aver intuito la mia perplessità; si leccò le labbra e si passò una mano tra i capelli, sembrava improvvisamente a disagio e non volli approfondire il discorso.
«Si vede che Phil ci sa fare: questo giardino è incredibile, e anche il parco è stupendo. Immagino che anche tu abbia contribuito, perciò anche tu meriti la tua fetta di complimenti» dissi alla fine con sincerità.
I lineamenti di Harry si distesero in un sorriso e annuì. Potevo quasi tastare il suo sollievo.
«Sono contento che ti piaccia. Mantenerlo sempre al massimo del suo splendore è un lavoraccio, ma ne vale la pena» commentò soddisfatto, lanciando uno sguardo carico di orgoglio all'acero che ci sovrastava.
Sorrisi, felice di essere riuscita ad alleggerire l'atmosfera dopo quel momento di imbarazzo, e di colpo mi ricordai del programma che avevo maturato quella mattina.
Lanciai uno sguardo all'orario sul display del mio iPhone; era tardi, probabilmente l'autista di Louis mi stava già aspettando davanti all'ingresso della villa.
«Sei in ritardo per qualcosa? Hai un appuntamento con il tuo bel principe?» scherzò Harry, e credetti per un momento di aver colto una nota amara nella sua voce.
«No, no» risposi scuotendo la testa, «avevo in programma di tornare a Dover per il weekend, e se non mi sbrigo a partire arriverò a notte fonda»
Il viso di Harry si illuminò.
«Quindi torni alle tue amate scogliere! Sono felice per te, qualcosa mi dice che ne hai un gran bisogno» disse facendomi l'occhiolino con aria di complicità.
Risi e annuii, mentre per l'ennesima volta mi sorprendevo di come potesse indovinare sempre il mio stato d'animo nonostante ci fossimo appena conosciuti.
«Allora passa un buon weekend, ci rivedremo al tuo ritorno. Sempre se avrai voglia di venire a trovarmi» ridacchiò lui. Gli diedi una leggera spallata, senza smettere di sorridere.
«Tornerò, anche se il tuo bel giardinetto non potrà mai competere con le colossali Bianche Scogliere di Dover» asserii con tono di finta superiorità.
«Forse, ma quel che conta è che ritornerai» replicò, aprendosi nel suo luminoso sorriso. «Buon viaggio, Liz»
«Grazie, Harry. A presto!» lo salutai di rimando, prima di girarmi ed incamminarmi verso l'ingresso della villa.
Sorrisi tra me e me.
Mi ha chiamata per nome.
Per la prima volta.



Spazio autrice
Salve a tutti! Innanzitutto mi scuso per il ritardo - iniziamo bene con le tempistiche di pubblicazione ahah - ma in questo paio di giorni il mio amato pc mi ha definitivamente abbandonato e sono tuttora in lutto. Ieri sera ne ho preso uno usato e solo ora sono riuscita a portarlo alle condizioni minime operative. Ma ora veniamo a noi :D
Il capitolo è breve ma più avanti nella storia i capitoli si allungheranno, lo prometto. Qui Lizzie inizia a farsi le prime domande su Harry, che sembra avere un passato piuttosto particolare. Tuttavia la sua imminente partenza per Dover la porta a risparmiarsi la curiosità per quando tornerà indietro, e fidatevi che ne avrà da soddisfare :D
Ringrazio tutti voi lettori silenziosi - ci siete solo voi per ora ahah - e spero che continuiate a seguire High Society fino alla fine <3

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***




 
Come avevo previsto, una lucida Audi nera era parcheggiata di fronte all'ingresso.
L'autista, un bell'uomo in giacca e cravatta dai corti capelli castani, si inchinò leggermente quando mi vide arrivare.
«Salve, signorina Elizabeth. È pronta per partire?»
«Sì James, grazie. Possiamo partire subito»
I film non mentono mai, in qualche modo tutti gli autisti personali si chiamano James.
Salii nell'auto e mi accomodai sul sedile posteriore rivestito in pelle. Sentii il rombo del motore propagarsi per i sedili mentre James metteva in moto e chiusi gli occhi.
Entro poche ore avrei potuto di nuovo respirare l'aria lievemente salmastra della costa meridionale, mescolata al secco profumo calcareo delle mie scogliere.
James non disse una parola per tutto il viaggio, da perfetto autista inglese. Mi piaceva la sua compagnia, era tutt'altro che complimentoso e adulatore. Faceva il suo lavoro in modo impeccabile, con devozione e rigore, dicendo appena una manciata di parole ogni giorno.
Mi ci trovavo a mio agio, nonostante fosse completamente diverso da Harry.
Sorrisi tra me e me, scuotendo la testa.
In qualche modo riesco sempre a pensare a lui, eh?
Era così facile riportare alla mente il suo sorriso, che gli disegnava un paio di fossette sulle guance – quella sinistra era decisamente più marcata – ed illuminava i begli occhi verdi.
Mi addormentai così, ripensando alla figura di Harry che rideva, cullata dal sordo rombo del motore mentre ogni secondo mi avvicinava di più a Dover.
 
***
 
«Signorina Elizabeth, siamo arrivati»
La voce di James mi fece aprire gli occhi e mi guardai intorno. Il sole era tramontato da poco, e dal finestrino riconobbi il profilo della mia casa.
Sono a Dover. Sono a casa.
Questa consapevolezza dissipò del tutto il mio torpore e scesi dall'auto sgranchendomi braccia e gambe.
Recuperai lo zaino e ringraziai James, che mi rispose solo con un cenno prima di entrare in auto e ripartire alla volta di Rangemore Hall.
Aprii il cancelletto per poi percorrere i pochi metri che mi separavano dalla porta d'ingresso e suonai il campanello.
Venne ad aprirmi mamma, che subito si lasciò andare ad un urletto eccitato abbracciandomi stretta. Sorrisi ed alzai gli occhi al cielo mentre ricambiavo l'abbraccio. Mamma era ancora esuberante come la ricordavo, e forse anche di più.
Sembrano passati mesi dall'ultima volta che sono stata qui.
«Lizzie, tesoro! Come stai? Com'è andato il viaggio? Entra, ho giusto finito di preparare la cena»
«Tutto bene, grazie. O almeno, suppongo che il viaggio sia andato bene; mi sono addormentata all'istante e James mi ha svegliata solo davanti a casa» confessai mentre seguivo mia madre in cucina.
La sentii ridacchiare ma non vi feci caso, perché mi era arrivato un messaggio.
 

E così tu pensavi di venire qui senza dire nulla a nessuno? Questa me la segno, Elizabeth Jane Thompson. Comunque alle 22 in punto sarò a casa tua; inizia a pensare ad un modo per farti perdonare.
Liam

 
Restai di stucco quando lessi il messaggio.
Liam era il mio migliore amico da sempre; abitava nella casa di fianco alla mia, da piccoli eravamo praticamente inseparabili. Crescendo avevamo continuato ad essere molto legati, non c'era un giorno in cui non ci vedessimo o sentissimo per telefono per raccontarci anche i dettagli più insignificanti delle nostre giornate. Era stata dura separarmi da lui quando mi ero trasferita a Rangemore Hall; all'inizio Liam l'aveva presa quasi come un abbandono, ma poi aveva riconosciuto la sua immaturità e mi aveva assicurato che se avessi avuto voglia di scappare via lui mi avrebbe accolta a braccia aperte.
Mi mancava moltissimo, da quando me ne ero andata da Dover non ci sentivamo nemmeno più granché. Non ne ero sicura, ma sospettavo che sotto sotto fosse ancora ferito dal fatto che avessi deciso di lasciare tutto per andare a vivere con Louis. Avevo tentato di spiegargli la situazione, ma lui aveva solo fatto buon viso a cattivo gioco senza essere realmente persuaso del fatto che io non volessi affatto andarmene.
Gli avevo tenuto segreto il mio ritorno per fargli una sorpresa, ma allora come faceva a saperlo? L'unica persona a cui l'avevo detto era mamma, quello stesso pomeriggio, quando le avevo telefonato.
Un momento...
«Mamma! Hai detto tu a Liam che sarei tornata per il weekend?»
Lei mi guardò con aria colpevole.
«Ecco... Diciamo che potrei aver incontrato Karen dopo la tua chiamata, e potrebbe essermi sfuggito il fatto che saresti arrivata» ammise alla fine.
Sospirai alzando gli occhi al cielo.
Karen Payne era la madre di Liam; lei e mamma si erano conosciute in quanto vicine di casa quando i Payne si erano trasferiti a Dover da Wolverhampton, nella contea di West Midlands. All'epoca Liam aveva tre anni; aveva diversi problemi respiratori, tra cui una brutta asma, ragion per cui il suo medico aveva consigliato di allontanarlo dallo smog di West Midlands – una delle zone più urbanizzate di tutta la Gran Bretagna – in favore di un clima marittimo, che avrebbe giovato ai suoi polmoni. Geoff e Karen Payne avevano optato per la periferia di Dover: una zona tranquilla ad un paio di miglia dalle scogliere dove il piccolo Liam avrebbe potuto beneficiare della salutare aria di mare, un vero toccasana per i suoi polmoni delicati.
La soluzione adottata aveva dato i suoi frutti; la salute di Liam era migliorata anno dopo anno ed era diventato forte come un torello, a dieci anni aveva anche iniziato a fare sport. Amava soprattutto correre: da quando aveva quindici anni andava ogni mattina alle scogliere a fare jogging e talvolta riusciva a trascinarvi anche me. Diceva che correre lungo la costa all'alba, accompagnato dal suono delle onde che si infrangevano contro i pallidi bastioni calcarei, gli regalava una sensazione di libertà che nient'altro gli dava.
Liam amava profondamente Dover; era il luogo che gli aveva permesso di crescere sano e forte, e non riusciva mai a separarsene per lunghi periodi.
Ecco perché per lui la notizia della mia partenza era stata uno shock. Sapeva quanto anch'io fossi legata alla mia città, e l'idea che io la abbandonassi per sempre lo sconvolgeva come se la dovesse lasciare lui stesso.
Se da un lato non vedevo l'ora di rivederlo, dall'altro temevo che il rapporto tra di noi si potesse essere incrinato irreversibilmente a causa della mia decisione. Non avrei sopportato di perdere il mio più caro amico a causa di una scelta obbligata che ripudiavo con tutte le mie forze.
Questa sensazione di ansia rimase a covare in fondo al mio stomaco durante tutta la cena, appesantendosi via via che le lancette dell'orologio si avvicinavano all'ora X.
Alle 22 in punto sentii suonare il campanello; Liam era puntualissimo come sempre. Mentre andavo verso la porta sentivo come se mi fosse appena cresciuto un macigno nello stomaco.
Con il cuore che mi martellava contro il petto aprii la porta d'ingresso, trovandomi davanti la figura di Liam che mi guardava torvo a braccia conserte. I suoi occhi castani, dallo sguardo solitamente dolce e caldo, sembravano lanciare fulmini e saette.
Deglutii a vuoto e mossi incerta un passo verso di lui.
«Liam, io...»
«Lizzie Thompson!» tuonò lui, interrompendomi.
Mi puntò un dito contro, mentre io mi sentivo mancare dall'angoscia.
«Tu... tu...» masticò, probabilmente cercando di trovare l'insulto giusto da scagliarmi addosso.
Improvvisamente mi corse incontro e mi abbracciò stretta, mentre io in un primo momento ero talmente sorpresa da non riuscire nemmeno a ricambiare l'abbraccio.
«Mi sei mancata un sacco, Lizzie, accidenti a te» sussurrò, con la voce che gli tremava leggermente.
Liberai un sospiro di sollievo e sorrisi, stringendolo forte.
«Anche tu mi sei mancato, Liam. Non vedevo l'ora di rivederti»
In un batter d'occhio ci ritrovammo seduti sul letto della mia camera a mangiare After Eight mentre ci facevamo un resoconto delle nostre vite nell'ultimo paio di settimane.
«Non puoi capire, Lizzie! Ultimamente mezza Dover mi ha bombardato di domande su di te e sul tuo terno al lotto di nome Louis Tomlinson» commentò con una smorfia.
«Vorrei proprio vederli, al mio posto» borbottai. «Essere costretti a stare insieme ad un odioso ragazzino vanesio e pervertito senza possibilità di fuga! Rinuncerei al doppio del valore di Rangemore Hall pur di tornare alla mia vecchia vita. Per fortuna ho conosciuto Harry, che sembra l'unica persona genuina in quel covo di montati»
Liam mi lanciò un'occhiata significativa.
«Harry?» domandò con la bocca piena.
Sorrisi d'istinto e annuii.
«È un ragazzo che lavora alla tenuta come tuttofare. L'ho conosciuto ieri per puro caso; era notte fonda, non riuscivo a dormire, così sono uscita per fare una passeggiata nel parco e l'ho trovato seduto su un muretto a guardare le stelle» ricordai. «Abbiamo chiacchierato mentre mi riaccompagnava alla villa, mi sembrava di conoscerlo da sempre»
Man mano che raccontavo lo sguardo di Liam si era assottigliato sempre di più, come se stesse cercando di scrutare nei recessi della mia memoria per carpire qualche eventuale dettaglio che stavo omettendo.
«Harry, eh? Mhm...» si accarezzò il mento con aria indagatrice. «L'hai rivisto ancora?»
«Sì, oggi prima di partire sono stata nel giardino dietro al parco e l'ho incontrato ancora. Vive alla dépendance che si trova proprio lì»
Liam continuò a guardarmi di sottecchi mentre si infilava in bocca l'ennesimo After Eight.
«Raccontami un po' di lui. Che tipo è?» domandò dopo aver deglutito, tentando invano di nascondere la bruciante curiosità dietro al suo contegno inquisitore.
Riflettei qualche secondo per trovare le parole giuste.
«Harry è una persona affabile e spontanea; è perspicace e sembra sempre sapere cosa mi passa per la testa, ma è tutt'altro che invadente. Mi sono trovata a mio agio con lui fin dal primo momento, cosa che non mi era mai successa da quando mi sono trasferita a Rangemore Hall. E poi è allegro e simpatico; in qualche modo sembra brillare di luce propria, non so come spiegarlo»
Liam mi lanciò un sorrisetto carico di malizia.
«E questa sarebbe la descrizione di un ragazzo che conosci da appena un giorno?» domandò sarcasticamente, ma sempre sorridendo. «Qui c'è qualcosa che non quadra, Lizzie»
«Te l'ho detto che mi sembrava di conoscerlo da sempre» mi giustificai. «E poi tutto quello che ti ho detto è una mia impressione, potrei benissimo sbagliarmi»
Sapevo perfettamente che non me la sarei cavata con così poco, difatti Liam tornò subito alla carica.
«Sia quel che vuoi, ma io ti conosco meglio di te stessa. Se questo Harry non ti interessasse in qualche modo non ti saresti ricordata di lui nemmeno se avesse avuto le mutande in testa» replicò, facendomi ridere mentre mi immaginavo la scena.
«Non saprei, Liam», dissi dopo un po' tornando seria. «Credo che nella mia situazione non sia difficile apprezzare fin da subito l'unica persona che non mi tratta come se fossi la regina in persona»
«Beh, il nome è quello» ridacchiò Liam. «Comunque non mi hai ancora parlato dell'aspetto più importante. È carino?» chiese maliziosamente dandomi di gomito.
Sorrisi alzando gli occhi al cielo.
«Sì, è carino. È alto, parecchio più di me. Ha i capelli castani lunghi fino alle spalle, gli occhi verdissimi ed un sorriso magnifico» enumerai, notando poi l'occhiata eloquente che mi stava lanciando il mio migliore amico.
«Comunque questo non vuol dire nulla, e smettila di guardarmi così» tagliai corto, al che Liam si lasciò andare ad una risata sorpresa mentre indicava il mio viso.
«Sei arrossita! Elizabeth Thompson che arrossisce!» esclamò meravigliato. «Devo proprio conoscerlo anch'io questo Harry, se riesce a ridurre in queste condizioni la mia Lizzie!»
Spalancai la bocca, punta sul vivo.
«Non sono arrossita! Finiscila di prendermi in giro, Liam James Payne!» protestai, tirandogli addosso il mio cuscino mentre lui rideva a crepapelle.
Dentro di me, tuttavia, non potevo negare che almeno un pizzico di ragione ce l'avesse lui.
Liam mi conosceva molto bene, spesso mi fidavo più del suo giudizio nei miei confronti che di quello che pensavo io stessa; probabilmente ci aveva azzeccato di nuovo.
In effetti avevo pensato spesso a Harry durante la giornata; faceva capolino nella mia mente di continuo, con i suoi luminosi occhi verdi che brillavano mentre sorrideva.
Ero felice di essere di nuovo a casa, ma in quel momento sapevo anche di avere una ragione per tornare a Rangemore Hall.



Spazio autrice
Ciao a tutti! A 20 minuti dalla deadline sono qui a pubblicare il capitolo, heheh.
In questo capitolo viene introdotto il migliore amico di Lizzie; un ragazzo protettivo e dal cuore enorme - e chi mai poteva essere se non il nostro Liam?
Abbiate pazienza per questi capitoli di assestamento, presto la storia decollerà e allora se ne vedranno delle belle...

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***



Il weekend a Dover era iniziato nel migliore dei modi con la serata insieme al mio migliore amico, ma avevo ancora due lunghi giorni per godermi il meglio della mia città.
Il sabato mattina mi svegliai fresca e riposata, nonostante la sera precedente io e Liam fossimo rimasti alzati fino alle tre. Feci colazione insieme ai miei genitori, e dopo essermi lavata e vestita saltai in sella alla mia fedele mountain bike con una destinazione ben precisa in mente.
Il percorso ormai mi era così familiare che procedevo in automatico; in pochi minuti vidi aprirsi davanti a me il canale della Manica. Subito piegai ad est e raggiunsi la costa, al che scesi dalla bici e mi avvicinai allo strapiombo.
Chiusi gli occhi e respirai a pieni polmoni la fresca brezza salata. Lo sciabordare incessante delle onde era musica per le mie orecchie; solo allora realizzai quanto mi fosse mancato.
Mi guardai attorno, notando con una stretta al cuore che era tutto esattamente come me lo ricordavo. Le immense pareti bianche resistevano agli strenui attacchi delle onde e la giornata straordinariamente serena mi permetteva di scorgere la costa francese al di là del mare.
Una sensazione di immenso benessere mi pervase e mi tornarono alla mente tutte le migliaia di ricordi che avevo creato in quei luoghi. In quel momento desiderai poterli condividere con qualcuno.
Vorrei che Harry fosse qui.
Quel pensiero improvviso mi colpì con più forza di quanto mi aspettassi, e scossi la testa come ad allontanarlo.
Non aveva senso pensare così tanto ad una persona che non conoscevo nemmeno da due giorni; oltretutto sarebbe potuto essere giustificabile se fossi stata ancora a Rangemore Hall, dove la solitudine ed il clima opprimente mi rendevano emotivamente instabile, ma essendo a Dover che senso aveva?
Devo essermi bevuta il cervello. Sono finalmente tornata alle scogliere e sto ripensando allo Staffordshire.
Emisi un sospiro frustrato e recuperai la bici. Un ultimo sguardo al mare ed ero di nuovo in sella, diretta a casa. Quando arrivai mi fiondai in cucina a bere un bicchiere d'acqua, cercando di scacciare i pensieri scomodi che nemmeno l'aria della mia città riusciva ad allontanare.
Mi guardai intorno; era tutto così familiare. I soprammobili sulle mensole, gli orribili magneti colorati attaccati al frigorifero, le padelle di rame appese alla parete, il centrino che mia nonna aveva fatto all'uncinetto diversi anni prima, lo sportello della credenza che non si chiudeva bene... Se avessi chiuso gli occhi avrei potuto immaginare ogni dettaglio di quella stanza al proprio posto. Casa mia era ancora praticamente la stessa di quando ero piccola; era cambiata solo la mia stanza, che si era adattata alle varie fasi della mia crescita. Sospirai e lasciai che la familiarità dell'ambiente mi rinfrancasse, colmando il vuoto che mi trascinavo dentro da settimane.
Posai il bicchiere e tamburellai con le dita sul ripiano di marmo della cucina, riflettendo su come proseguire la giornata. Dopo qualche minuto mi illuminai; presi il telefono e digitai in fretta poche parole.

 
Pic-nic a Connaught Park fra mezz'ora. Non accetto un rifiuto, Payne. 

Dopo che ebbi inviato il messaggio sorrisi tra me e andai in bagno a farmi una doccia. Mentre l'acqua calda mi accarezzava ripensai all'ultima volta che ero stata a Connaught Park.
Era il primo giorno di primavera e per l'occasione io e Liam avevamo deciso di fare jogging al parco. Avevamo quasi completato il giro della parte inferiore – quella più antica – quando ci eravamo imbattuti in una vecchietta che era caduta a terra e non riusciva a rialzarsi. Ovviamente ci eravamo fermati ad aiutarla e l'avevamo riaccompagnata a casa; per fortuna abitava poco lontana dal parco.
Lei aveva voluto a tutti i costi ricambiare la nostra gentilezza offrendoci dei biscottini fatti in casa ("con le mie manine d'oro", aveva detto) che purtroppo si erano rivelati insapore e duri come il marmo. Per non deluderla ne avevamo eroicamente mangiati diversi a testa; ci eravamo entrambi sentiti male dopo essere tornati a casa.
Sorrisi a quel ricordo mentre uscivo dalla doccia. Io e Liam ne avevamo passate tante insieme, in tutti quegli anni.
Sogni, speranze, ricordi, delusioni, dubbi, problemi, traguardi, fallimenti... Non c'era niente che non avessimo condiviso e superato insieme.
Non sarebbe bastata la distanza a rovinare la nostra amicizia. L'avevamo costruita un mattone per volta da prima che potessimo ricordarlo, anno dopo anno, e sarebbe sopravvissuta a qualunque attacco dello spazio e del tempo.
 
***
 
«Non ha senso, ti dico!»
«E invece sì!»
«Ma no! Com'è possibile che un bestione della sua stazza riesca a volare dopo chissà quanti decenni di panciolle nel nido?»
«Le ali sono proporzionate al resto del corpo, e con quel che mangia di energie ne avrà più che a sufficienza!»
«Proprio perché non fa altro che mangiare sarà ormai grasso e pesante, non esiste che possa riuscire a volare!»
Era domenica sera, e a quanto pare io e Liam non avevamo nulla di meglio da fare che guardare Dragon Trainer impegnati nell'acceso dibattito che aveva come tema "è possibile che l'enorme drago che abita nel cuore dell'isola-nido possa volare a dispetto della sua stazza?"
Naturalmente io, da brava petulante fanatica del ragionamento analitico, propendevo per il "no". Liam era decisamente più incline di me ai compromessi con la razionalità.
«Di' quello che ti pare, ma intanto volava. E il film è bellissimo» sentenziò soddisfatto quando il film fu finito, mentre spegneva la TV.
Alzai le spalle sbadigliando e diedi un'occhiata alla radiosveglia digitale sul mio comodino. Era tardi, il mattino dopo sarebbe arrivato James per riportarmi a Rangemore Hall.
«Direi che è il caso di andare a nanna. Domani torno al dorato inferno dello Staffordshire» mugugnai.
«Verrò a trovarti» promise Liam. «E fatti sentire ogni tanto. Dovrai pur tenermi aggiornato su come procede con il tuo principe azzurro... e anche con Louis» scherzò, guadagnandosi una gomitata nelle costole.
«Non ci sarà proprio nulla su cui aggiornarti» replicai piccata.
Lui alzò le mani sorridendo e si alzò dal letto. Lo accompagnai alla porta d'ingresso e ci abbracciammo forte.
«Mi raccomando, fai la brava. Ricordati che per qualunque cosa io sono qui» mormorò mentre mi stringeva.
Annuii, godendomi il familiare senso di protezione che il suo abbraccio mi trasmetteva.
«Anche tu fai il bravo. Anzi, comincia col chiedere a Danielle di uscire; le verranno i capelli bianchi a forza di aspettare che tu faccia il primo passo» suggerii con tono casuale. Liam si allontanò leggermente da me per guardarmi negli occhi.
«Danielle? L'hai vista? Le hai parlato? Ti ha detto qualcosa di me?»
Ridacchiai nel vedere la sua preoccupazione.
«Frena, Payne. L'ho incontrata stamattina in centro, e a giudicare dall'impazienza con cui mi ha chiesto tue notizie ho intuito che le interessasse molto più di te che non della mia vita a Rangemore Hall» confidai rivolgendogli uno sguardo malizioso. Liam non riuscì a trattenere un enorme sorriso.
«Fantastico! Allora la inviterò a bere qualcosa in questi giorni»
«Ottima scelta» risposi, facendogli l'occhiolino. Mi guardò con tenerezza.
«Mi mancherai, Lizzie. Non dimenticarti di me, oppure verrò dritto nello Staffordshire a rinfrescarti la memoria in modi tutt'altro che piacevoli» mi minacciò scherzosamente, facendomi ridere.
«Promesso... Buonanotte, Liam» lo salutai, richiudendo la porta quando se ne fu andato salutandomi con la mano.
Chissà quando lo rivedrò.
Repressi immediatamente quel pensiero scomodo e andai a dormire, ma non riuscii quasi a chiudere occhio.
 
Il mattino dopo mi alzai piuttosto presto, in modo da essere pronta a qualunque ora fosse arrivato James. Mamma era ancora a letto; mi sorpresi invece di trovare papà alzato, alle prese con la moka.
Appena mi sentì entrare in cucina si girò e sorrise.
«Buongiorno, Lizzie. Ti va del caffè?»
«Certo, grazie. Come mai già sveglio?»
Alzò le spalle, mentre versava il caffè fumante in due tazze. Lo ringraziai con un sorriso quando me ne porse una.
«Avevo voglia di passare un po' di tempo con la mia bimba» rispose poi in tono casuale.
Quella semplice frase mi fece venire un nodo alla gola. Non era da lui, generalmente le situazioni troppo affettuose lo mettevano a disagio.
«Papà...»
Scosse la testa con un risolino soffocato, cercando di nascondere l'imbarazzo, poi mi guardò con un lampo di tenerezza che non ricordavo di avergli visto da molto tempo.
«È che sei così... cresciuta, Lizzie. Ti sei presa la responsabilità di andare via di casa, vivere con un ragazzo... Sono tutte cose che fanno un certo effetto al vecchio cuore di un padre» disse, una sfumatura di nostalgia nella voce. «Eppure non potrei essere più orgoglioso di te. Hai un degno compagno al tuo fianco e non ti manca nulla, senza contare il fatto che grazie ai fondi di Mark Tomlinson la nostra impresa non è mai stata più fiorente» aggiunse sorridendo fiero, mentre io cercavo di reprimere un sospiro.
Sono tutti convinti che io sia la persona più felice del mondo con Louis a Rangemore Hall. E ora chi glielo spiega che mi sento in gabbia?
Non potevo farlo, ormai mi ero spinta troppo oltre. Dovevo andare fino in fondo, per il mio bene ed il bene della mia famiglia.
«Sono felice che stia andando tutto per il meglio. È bello vedere te e mamma sereni, finalmente» dissi alla fine con calore.
Non era una bugia, dopotutto. Non vedevo i miei genitori così spensierati da... In effetti non ricordavo nemmeno più da quando.
Papà annuì, visibilmente commosso. Mi sentivo un po' a disagio, forse erano i sensi di colpa? Non ero abituata a tenermi dentro un segreto di quella portata; nonostante una piccola parte di me si crogiolasse nell'orgoglio di figlia martire immolata per il bene supremo della famiglia, sentivo che se un giorno non ce l'avessi più fatta a reggere quella farsa avrei combinato un bel disastro.
Era una strada a senso unico; una volta imboccata non si poteva tornare indietro.
Lo capii definitivamente vedendo lo sguardo commosso di mio padre. Non avrei distrutto la felicità della mia famiglia per il mio egoismo. E poi potevo cercare la mia personale felicità in quel mondo: forse un giorno avrei potuto addirittura provare qualcosa per Louis.
Avrei lavorato pazientemente su me stessa, limando gli spigoli del mio risentimento e abbattendo mattone dopo mattone le barriere che mi ero costruita per proteggermi da un mondo che sentivo completamente estraneo.
Prima o poi sarei stata felice.



Spazio autrice
Ciao gente! Come al solito pubblico con il mio proverbiale ritardo ahah
Ho avuto un esame ieri ed ero completamente allucinata - il mio gatto non mi fa dormire da alcune notti e necessito di riposo.
Coooomunque - capitolo molto "familiare" per certi versi, Lizzie è tornata alle origini e viene coccolata un po' dalla sua famiglia e dal suo migliore amico. Torna anche alle sue amate scogliere, ma si rende conto che c'è un certo filo che in qualche modo la tiene legata allo Staffordshire. Cosa succederà quando tornerà indietro?
Lo scopriremo nella prossima puntata - anzi, VOI lo scoprirete... io lo so già, heheh.

Un abbraccio (e portate pazienza per la mia terribile incapacità ad essere puntuale con le deadlines),
mononokehime

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***



Appena arrivai a Rangemore Hall mi precipitai nella mia stanza, camminando quanto più velocemente potevo senza dare troppo nell'occhio. Non ci tenevo a vedere Louis; sentivo che ogni traccia di serenità che Dover mi aveva lasciato si sarebbe dissolta nel momento in cui l'avessi rivisto.
«Elizabeth, quanta fretta. Non mi dai un bacio?»
...Troppo tardi.
Serrai le labbra e chiusi gli occhi, reprimendo l'impulso di fingere di non aver sentito quella voce troppo familiare alle mie spalle. Preparai invece un sorriso completamente artefatto e mi voltai, incrociando lo sguardo di Louis che si avvicinava pigramente a me.
«Ehi, Louis» fu tutto quello che mi venne in mente, ma lui sembrò non farci caso. Non appena mi raggiunse mi attirò a sé e mi baciò con urgenza, non tardando a far scivolare le mani giù lungo la mia schiena. Un po' troppo giù per i miei gusti.
«Mi sei mancata» sussurrò contro le mie labbra riprendendo fiato, mentre io cercavo di impedire ad una smorfia di spuntare sul mio viso.
«Ehm, allora....» balbettai, allontanandolo da me, «Come mai a casa a quest'ora? Non dovevi lavorare stamattina?»
Louis si sistemò la giacca con un sorrisetto. Notai troppo bene il suo sguardo che indugiava più del dovuto lungo il mio corpo.
«Mamma e papà verranno a pranzo oggi. Sono di ritorno da Vancouver, ma stasera ripartiranno per Londra. Hanno una delle solite cene con il Rotary Club. Immagino che dovrò andare anch'io, mi costringono tutte le volte» si lamentò.
Sì, ti prego, vai anche tu così sarò libera ancora per una sera.
Feci per rispondere, ma improvvisamente il telefono di Louis iniziò a squillare. Lui aggrottò le sopracciglia nel leggere il mittente.
«Scusa Elizabeth, devo rispondere. Sto organizzando un importante incontro d'affari con il dirigente di una grossa impresa cinese, si parla di finanziamenti di milioni di sterline. Ci vediamo a pranzo» spiegò velocemente mentre già si allontanava appoggiando il telefono all'orecchio.
Solo quando non sentii più la sua voce mi concessi di liberare un sospiro di sollievo.
Iniziai con calma a disfare lo zaino, lanciando a terra i vestiti da lavare. Arrivata al fondo mi bloccai; la mia mano aveva raggiunto una piccola scatola di After Eight. La tirai fuori e notai un cuore disegnato con un UniPosca rosso sulla confezione.
Liam.
Sorrisi e riposi la scatola nel cassetto più alto del mio comodino, poi iniziai a pensare a cos'avrei indossato a pranzo.
Mark e Johannah Tomlinson erano persone distinte ed eleganti, fanatici dell'etichetta ed appassionati di golf.
Veneravano il loro lavoro; erano quasi sempre in giro per il mondo ad allacciare rapporti con qualche pezzo grosso o combinare incontri d'affari con importanti imprenditori. Dopo la famosa cena organizzata da mio padre li avevo visti solo un'altra volta, un mese prima; per festeggiare il fatto che avessi accettato di trasferirmi a Rangemore Hall avevano portato me e Louis a cena all'Alain Ducasse at the Dorchester di Londra – "uno dei ristoranti più cari del mondo", aveva tenuto a precisare Louis. Di quella cena, a parte il mio disagio più profondo, ricordavo solo di essere uscita dal ristorante con lo stomaco che brontolava ancora nonostante le diverse centinaia di sterline sborsate dal padre di Louis. Il cibo era naturalmente delizioso, ma le porzioni erano talmente striminzite – come quelle di ogni ristorante di lusso che si rispetti – che alla fine della cena avevo quasi più fame di prima.
Se non altro qui a Rangemore Hall preparano da mangiare per un esercito ad ogni pasto.
Aprii il mio immenso guardaroba, straripante di vestiti e completi che Louis aveva preteso di comprarmi quando mi ero trasferita. Dopo diversi minuti passati a lasciar vagare lo sguardo per i vari capi senza avere la più pallida idea di dove sbattere la testa mi lasciai andare ad un gemito di sconforto sedendomi di peso sul letto.
Come diavolo ci si veste per un pranzo snob con i genitori snob del proprio fidanzato snob?
Passai qualche minuto a fissare a vuoto i drappeggi del baldacchino, poi mi riscossi e decisi di optare per la soluzione più semplice: infilare a caso la mano nel guardaroba ed indossare il primo capo che avessi afferrato.
Il metodo sembrò funzionare: mi capitò tra le mano un grazioso abito bordeaux al ginocchio con scollo a barchetta ed un gioco di panneggi che lo rendevano dinamico e particolare nella sua semplicità. Decisi di abbinarvi un paio di semplici décolleté nere, non ne sapevo abbastanza da tentare accostamenti azzardati. Ricordavo di aver letto su Google che quel tipo di scarpe poteva andar bene ad ogni occasione e mi fidai, pregando di non urtare la sensibilità dei genitori di Louis.
Risolto il problema dell'outfit mi concessi una lungo bagno rigenerante. Era ormai quasi mezzogiorno e mezzo quando uscii dalla mia camera, cercando di non barcollare su quei trampoli neri che visti nella scarpiera non sembravano così alti.
Avevo lasciato i capelli leggermente ondulati e sciolti sulle spalle, definendoli con un po' di schiuma. Non mi ero truccata granché, solo un filo di eyeliner e mascara; non volevo esagerare.
Scesi in sala da pranzo, notando che i coniugi Tomlinson erano già seduti a tavola con Louis. Aspettavano me.
Merda. Cominciamo bene.
Sfoderai un sorriso smagliante e mi diressi verso il tavolo, prendendo posto accanto a Louis.
«Signor Tomlinson, signora Tomlinson... Spero che il viaggio da Vancouver sia andato bene»
Mark inarcò un sopracciglio indirizzandomi un sorrisetto di circostanza che puzzava di sarcasmo.
«Tutto a meraviglia, grazie, Elizabeth. Anche se non capisco come sia possibile che noi siamo riusciti ad essere puntuali per il pranzo nonostante venissimo dall'altra parte del mondo, al contrario di te»
Accusai il colpo abbassando lo sguardo.
«Le chiedo scusa, signor Tomlinson. Non accadrà più» dissi con aria abbattuta, quando in realtà avrei solo voluto strangolarlo.
Tale padre, tale figlio. Li detesto tutti e due.
Mentre ci veniva servito un antipasto di gamberi, Johannah mi rivolse un sorriso dopo aver preso un sorso di vino bianco.
«Louis ci ha detto che sei appena stata a Dover, Elizabeth. Sei andata a trovare i tuoi genitori?»
Annuii mentre masticavo un boccone. Mark inarcò di nuovo un sopracciglio, ma cercai di non farci caso e deglutii.
È contro il galateo annuire a bocca piena?
«Sì, ma ne ho anche approfittato per rivedere qualche amico che non vedevo da un po'» le risposi con un sorriso, pensando a Liam.
«Spero che Louis non abbia valide ragioni per dubitare di te» si intromise velenoso Mark.
«Tesoro! Non è elegante parlare così ad Elizabeth» lo rimproverò Johannah.
Non è esattamente un'arringa in mia difesa ma sempre meglio di nulla, suppongo.
«Stai tranquillo papà, io ed Elizabeth siamo perfettamente felici insieme» intervenne Louis, indirizzandomi un sorriso dai mille significati mentre allungava una mano sul tavolo per stringere la mia.
Non potei fare altro che abbozzare un sorrisetto a mia volta, mentre Johannah annuiva compiaciuta.
Il pranzo proseguì senza particolari incidenti, anche se dentro di me pregavo che quell'agonia terminasse il prima possibile; l'atmosfera era tesa e scomoda, percepivo il costante radar inquisitore di Mark Tomlinson scrutare ogni mio movimento per coglierne le pecche ed evidenziarle con qualche frecciatina sarcastica.
Come se non bastasse, la mano di Louis si era poggiata sulla mia coscia ed aveva iniziato ad accarezzarla lentamente, triplicando l'imbarazzo che già provavo.
Johannah era l'unica che sembrava non volermi mettere a disagio di proposito, nonostante percepissi chiaramente che le cortesi domande che mi poneva erano solo vuoti argomenti di conversazione senza alcun interesse reale ad animarle.
Fortunatamente i coniugi Tomlinson erano stanchi per il viaggio – che faticaccia doveva essere stata quel volo in jet privato – e quando anche la frutta fu servita e degustata si congedarono per andare a riposarsi in vista dell'imminente partenza per Londra, prevista per il tardo pomeriggio.
Come pronosticato, Louis sarebbe andato con loro; le cene del Rotary Club erano un'occasione troppo ghiotta di far conoscere il rampollo agli altri membri, tutti pezzi grossi dell'imprenditoria, della finanza o della politica.
Ringraziai silenziosamente di non essere ammessa a questo genere di cerimonie e mi avviai verso l'ingresso della villa. Avevo bisogno di respirare un po' d'aria fresca; certo, i giardini di Rangemore Hall non erano le scogliere di Dover, ma sarebbero bastati allo scopo.
Dopo aver capito che camminare con i tacchi a spillo sul vialetto di ghiaia era un'impresa al di là delle mie capacità, decisi molto semplicemente di toglierle e proseguire a piedi nudi. Mi spostai sull'erba, ad occhi semichiusi, godendo della piacevole sensazione, e quasi non mi accorsi della figura sorridente contro cui stavo andando a sbattere.
«Voglio sperare che non cammini ad occhi chiusi anche sulle scogliere, Dover, altrimenti avrei il dubbio di non parlare con il tuo fantasma»
«Harry!» esclamai sorpresa.
Il ragazzo rise, scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli sfuggita alla bandana.
«È così che mi chiamano» replicò scherzoso, prima di squadrarmi da capo a piedi. «Wow, ti hanno invitata alla festa di compleanno della regina?»
Scossi la testa, ridacchiando.
«No, no, i genitori di Louis sono venuti a pranzo. Loro... diciamo che tengono parecchio a questo tipo di cose» risposi senza riuscire a trattenere una smorfia.
Harry mi scrutò, diventando improvvisamente serio per un secondo, al che capii che doveva aver intuito tutto quello che mi passava per la testa.
Tuttavia fu solo un momento; il suo bel sorriso tornò subito ad illuminargli il volto.
Solo allora notai che aveva i vestiti sporchi di terra ed indossava dei guanti da giardinaggio.
«Cosa stai facendo?» chiesi curiosa.
«Stavo rinvasando queste campanule nelle aiuole; ora che la fioritura è in pieno corso avranno bisogno di più spazio» rispose, indicando con il mento i numerosi fiorellini bianchi e blu.
Mi piegai sulle ginocchia e sfiorai le piccole corolle a cinque punte con le dita.
«Sono bellissime» mormorai, ammirandone la forma a stella.
Harry sorrise, si tolse i guanti e colse una campanula blu per poi porgermela.
«Temo che non durerà molto, ma se non altro mi permette di fare la figura del perfetto gentiluomo» disse, un lampo scherzoso negli occhi.
La accettai ringraziandolo con un sorriso.
Harry stava per dire qualcosa, ma fu interrotto da qualcuno che camminava nella nostra direzione.
«Harry, dannazione! Hai ancora tre quarti delle campanule da rinvasare e te ne stai lì a perdere tempo? Quante volte ti ho detto di non...»
La persona che aveva apostrofato Harry così bruscamente si bloccò non appena mi vide.
Si trattava di un uomo intorno alla sessantina, ma ciononostante si muoveva ancora con vigore ed agilità. Era piuttosto alto; portava una salopette verde da giardinaggio, un paio di guanti come quelli di Harry ed un berretto con visiera.
Improvvisamente pensai che dovesse essere Phil, il capo giardiniere.
Quello che si è sempre preso cura di Harry.
Mi alzai in fretta, sistemandomi al meglio il vestito, e lui tossicchiò un po' imbarazzato.
«Mi perdoni, non l'avevo vista. Lei deve essere la signorina Elizabeth; le chiedo scusa se questo scapestrato la stava disturbando. Ha la brutta abitudine di ciondolare in giro durante il lavoro. Io sono Phil Anderson, il capo giardiniere, per servirla» si presentò, toccandosi il berretto.
Scossi la testa con un sorriso.
«Non mi stava affatto disturbando, anzi; in realtà se ha interrotto il lavoro la colpa è mia. Non se la prenda con lui, davvero» dissi, al che Harry rise di gusto.
«Non preoccuparti, Lizzie. Phil ha ragione, sono uno scansafatiche» commentò, beccandosi un'occhiataccia da Phil.
«Rivolgiti alla signorina Elizabeth con rispetto, ragazzo. Prima o poi la tua sfacciataggine ti farà finire male» lo rimproverò.
«La prego, non dica così, signor Anderson; sono felice che Harry si comporti in modo naturale con me. Questo tipo di vita è completamente nuovo per me e non mi sento a mio agio nel venire servita e riverita» spiegai, notando lo sguardo di Phil ammorbidirsi.
«Capisco, allora spero di non averla messa a disagio. In ogni caso, mi chiami Phil; "signor Anderson" mi fa sentire più vecchio di quanto mi piaccia ammettere» precisò con un mezzo sorriso.
«Phil» annuii sorridendo a mia volta.
Harry ci osservava divertito.
«Mi pare che sia tu ora quello che sta ciondolando invece che lavorare, eh?» commentò rivolto a Phil, che subito gli rifilò un leggero scappellotto dietro la testa.
«Chiudi il becco ed inizia a lavorare, ragazzo, altrimenti sottoterra ci finirai tu, al posto delle radici delle campanule» replicò piccato Phil, mentre Harry rideva massaggiandosi la nuca.
«Va bene, mi arrendo» rispose con tono melodrammatico, alzando le mani. «Ci si vede, Lizzie, e se non ci rivedremo prima di domani già che ci sono ti auguro anche la buonanotte» ridacchiò facendomi l'occhiolino.
«Credo che stasera sarò di nuovo a vagabondare qui fuori, visto che la famigliola Tomlinson al gran completo sarà a cena a Londra, perciò probabilmente ci rivedremo prima di quanto pensi» commentai rigirando lo stelo della campanula tra il pollice e l'indice.
Harry si bloccò, guardandomi fisso negli occhi.
«A Londra? Ti lasciano qui da sola?»
«Non è che mi lasciano da sola... È una cena del Rotary Club, non sono eventi a cui può partecipare chiunque» precisai, con un'alzata di spalle.
Scosse piano la testa, con aria di disapprovazione, poi fece per dire qualcosa ma si bloccò, lanciando un'occhiata a Phil. Questi ricambiò lo sguardo con aria confusa, al che Harry tornò a guardarmi.
«Vuoi... ti andrebbe di venire a cena da noi?» chiese lentamente, come se l'idea gli fosse venuta solo mentre poneva la domanda.
Phil sgranò gli occhi e spostò subito lo sguardo su di me, nel timore di una mia reazione negativa.
«Se ti va, ovviamente, e se non hai niente di meglio da fare» aggiunse Harry precipitosamente. «Pensavo che ti avrebbe fatto piacere un po' di compagnia, ma se non vuoi è logico che non sei obbligata, insomma...»
«Mi piacerebbe molto» risposi con un sorriso, interrompendo il suo soliloquio. «Sempre se non è un disturbo, naturalmente» precisai rivolgendomi soprattutto a Phil, che deglutì visibilmente sollevato scuotendo la testa.
Sulle labbra di Harry si disegnò un sorriso enorme.
«Fantastico! Ti aspetto per le sette. Il menu sarà sopraffino: bistecca con patate, acqua freschissima del frigorifero e come dessert la dolcezza della mia presenza» declamò con aria teatrale, facendomi scoppiare a ridere.
«Direi che è perfetto» risposi poi, una volta smaltita l'ilarità. «A dopo, allora»
Harry mi salutò con la mano, sorridente, al che mi incamminai verso la villa dopo aver recuperato le scarpe, mentre l'impercettibile peso della campanula blu nella mia mano mi ricordava che, dopotutto, lo Staffordshire non era così male.



Spazio autrice
Ciao a tutti! Questa volta sono puntualissima :D
Allora, Lizzie torna a Rangemore Hall e viene invischiata in un pranzo con i genitori di Louis. La situazione la mette terribilmente a disagio, ma uno dei suoi incontri casuali con Harry riesce a farle recuperare subito il buonumore.
Non solo; mister Occhi Verdi da Capogiro la invita a cena nella dépendance! Qualcosa mi dice che sarà decisamente più interessante che mangiare insieme ai Tomlinson...
Succederà qualcosa di rilevante durante la cena? Beh... Lo scoprirete la prossima settimana <3

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***



Mancava un minuto alle sette quando bussai alla porta in massello della dépendance di Rangemore Hall. Non potevo negare di essere emozionata, complice la malizia di Liam cui avevo raccontato dell'accaduto quel pomeriggio per telefono. Naturalmente lui non aveva perso l'occasione di sottolineare quanto fosse bizzarro essere invitata a cena a casa di un ragazzo che conoscevo da così poco, ma non vi avevo fatto caso. Liam aveva la tendenza ad esagerare le situazioni, per cui non avevo dato retta alle sue allusioni. In ogni caso il suo entusiasmo mi aveva contagiata; inoltre sentivo proprio il bisogno di una serata tranquilla in buona compagnia per smaltire la tensione del pranzo con i genitori di Louis.
Aprì la porta un allegro Harry, che sorridendo mi invitò ad entrare.
Mi ritrovai in un graziosa zona giorno open space, con l'angolo cottura alla mia destra ed il soggiorno davanti a me. Il mobilio era semplice e funzionale, arricchiva l'ambiente senza ingombrare. Un divano a due posti color crema era accostato alla parete; un tavolino basso di vetro ed un mobile con TV completavano l'arredamento del soggiorno. L'angolo cottura ospitava un piccolo tavolo quadrato con quattro sedie, apparecchiato per tre persone. Dalla cucina si apriva un piccolo disimpegno che dava accesso alla zona notte. Gli interni in legno contribuivano a creare un'atmosfera calda ed accogliente, in cui mi sentii a mio agio fin dal primo momento nonostante le dimensioni evidentemente ridotte della dépendance, che sicuramente non superava i trenta metri quadrati.
«È bellissima» mormorai, senza smettere di guardarmi intorno.
Harry ridacchiò nel vedermi così assorta ad ammirare l'arredamento della dépendance.
«Sono felice che ti piaccia, Lizzie, ma ora torna sulla Terra» commentò facendomi l'occhiolino.
Sorrisi scuotendo la testa e mi avvicinai a Phil, affaccendato ai fornelli, che si girò verso di me per salutarmi.
«Buonasera, signorina Elizabeth. Mi perdoni se non posso accoglierla meglio di così, ma lo faccio a beneficio delle bistecche che ho sul fuoco»
«Non si preoccupi, Phil» lo rassicurai, con un sorriso. «Posso dare una mano?»
Harry mi lanciò un'occhiata furba.
«Certo!» rispose. «Il tuo compito è di sederti e stare buona mentre Phil finisce di cucinare»
Alzai gli occhi al cielo ma mi sedetti al tavolo. Harry annuì con espressione soddisfatta e si sedette accanto a me, appoggiando i gomiti al tavolo.
La t-shirt blu notte che indossava lasciava in bella mostra i tatuaggi sul braccio sinistro.
«Quando li hai fatti?» domandai, indicando con il mento i disegni che gli decoravano la pelle.
«Ho fatto il primo sette anni fa...» cominciò, per poi rabbuiarsi subito ed interrompersi.
Allarmata, mi resi conto che forse era un argomento delicato e mi pentii di avergli fatto quella domanda.
«Ti chiedo scusa... Non devi parlarmene, se non te la senti. Non volevo metterti in difficoltà» dissi cautamente, osservandolo timorosa per cogliere una reazione nel suo sguardo turbato.
Harry scosse lentamente la testa, aprì la bocca per rispondere ma fu interrotto da Phil, che con voce allegra annunciò l'arrivo delle bistecche.
«Ecco qua, la cena è servita! Harry, dammi una mano con le patate»
Il ragazzo annuì, recuperando in fretta il sorriso, e aiutò Phil a disporre le vivande sulla tavola.
Io però non riuscivo a fare finta di nulla; il suo sguardo cupo di poco prima continuava a tornarmi in mente, senza sosta, e non potevo fare a meno di pensare di averlo causato io con la mia domanda forse troppo invadente.
Era stato un attimo, una nuvola scura che aveva per un momento offuscato la sua perenne allegria. Certo, non potevo sapere che quell'argomento fosse un tabù, ma mi sentivo comunque colpevole per aver distorto l'atmosfera tranquilla e serena di poco prima.
«Lizzie?»
La voce di Harry mi distolse dai miei pensieri amari, e quando alzai lo sguardo mi ritrovai davanti due familiari fossette.
«Mangi anche tu, vero?» domandò con un sorriso furbo ad illuminargli il viso, porgendomi il vassoio delle bistecche. Annuii sollevata, ricambiando il sorriso mentre Harry mi riempiva il piatto.
«Phil, sei un ingordo!» esclamò poi il ragazzo, additando le due bistecche nel piatto di Phil. Questi lo guardò in cagnesco.
«Siccome io lavoro, al contrario di te, ho bisogno di mangiare in abbondanza a fine giornata» replicò indignato, al che Harry gli fece una linguaccia degna di un bambino di cinque anni. Scoppiai a ridere, lieta che fosse tornato tutto come prima.
Avevo bisogno che Harry sorridesse, che i suoi occhi verdi restassero luminosi ed allegri, che il calore della sua compagnia riscaldasse le mie giornate nello Staffordshire.
Mentre lo guardavo battibeccare con Phil, rubargli le patate dal piatto e ridere gettando la testa all'indietro mi resi conto che volevo vederlo sempre così: spensierato, felice, giocoso.
Con quei capelli lunghi e ricci, perennemente scompigliati, quella fossetta sinistra più pronunciata della destra, quegli occhi verdi e liquidi.
Fu così che sentii una specie di piccola fitta formicolante alla bocca dello stomaco che si intensificò quando incontrai il suo sguardo.
Mi sentii avvampare e per darmi un contegno abbassai gli occhi sul mio piatto iniziando a riempirmi la bocca di carne, grata del fatto che i capelli lasciati sciolti mi nascondessero le orecchie che probabilmente ormai erano del colore delle foglie dell'acero nel giardino.
Accidenti, mi sono scottata.
 
***
 
«Un altro episodio che non dimenticherò mai è quella volta che Harry ha catturato una delle rane dello stagno e l'ha liberata di nascosto nella sala da pranzo, mentre i Tomlinson stavano mangiando con un gruppo di finanzieri tedeschi e le loro mogli. Quelle hanno iniziato ad urlare così forte che i vetri delle finestre quasi si sono frantumati, parola mia! Io stavo potando le siepi proprio lì sotto» raccontò Phil, mentre io mi asciugavo le lacrime dagli occhi e cercavo di tenere sotto controllo le risate che mi stavano piegando in due, tra un aneddoto e l'altro.
«Me lo ricordo come fosse ieri. Harry non aveva neanche dieci anni, era un maledetto terremoto. Combinava un sacco di disastri, ma in qualche modo se la cavava sempre. Le cameriere erano innamorate di lui, tutti i dipendenti della tenuta lo adoravano e coprivano le sue marachelle» ricordò, con lo sguardo perso nel vuoto ed un sorriso sulle labbra.
Mi lasciai andare contro il comodo schienale del divano mentre Harry ancora ridacchiava, seduto accanto a me.
«Modestamente, ero affascinante anche da bambino» sentenziò, gonfiando il petto ed arricciando le labbra, al che gli tirai una gomitata nelle costole guadagnandomi uno sguardo di approvazione da parte di Phil.
«Da quanto tempo lavora qui, Phil?» domandai curiosa.
«Sono trentasei anni, ormai» rispose orgoglioso. «Ne avevo appena ventitré quando sono venuto qui da Nottingham, dove sono nato. Niente servizio militare, la leva obbligatoria l'avevano abolita ancora nel 1960. Mi avevano assunto come apprendista del capo giardiniere; da allora abito qui. Il mio superiore era di Rangemore, sa, il paesino in cui si trova la tenuta, perciò non aveva bisogno di alloggiare alla dépendance: quello andava e veniva ogni giorno. Nel corso degli anni ho imparato il mestiere, fino a diventare capo giardiniere io stesso...»
Ascoltavo rapita le parole di Phil, che si lasciava andare ai ricordi del passato. Un passato che impregnava le pareti di legno che mi circondavano, che aveva radici profonde nel terreno di Rangemore Hall.
Un passato che comprende anche tutta la vita di Harry.
Chissà se sarei mai riuscita a scoprire qualcosa di più su di lui, al di là degli aneddoti che aveva raccontato Phil durante la serata.
Cosa nascondeva l'infanzia del ragazzo che mi sedeva accanto? Perché mai un bambino era cresciuto nella dépendance di una tenuta da milioni di sterline con il capo giardiniere? Perché entrambi avevano accuratamente evitato di nominare i genitori di Harry? Perché lui si era improvvisamente incupito quando gli avevo chiesto dei suoi tatuaggi?
Ancora una volta una miriade di domande senza risposta mi vorticava nella mente, ma ne fui presto distolta da una mano che mi si era gentilmente posata sulla spalla.
«È tardi, Lizzie; dovresti andare a riposare» mi disse Harry con un sorriso. Phil annuì, alzandosi dalla sedia.
«È stato un piacere averla qui, signorina Elizabeth. Spero che la cena sia stata di suo gradimento»
Annuii sorridendo, dopo essermi alzata in piedi.
«Era tutto delizioso, Phil. Avrei solo una richiesta da farle» replicai, restando sul vago.
«Quale, signorina Elizabeth?» domandò titubante.
«La prego, mi chiami Lizzie e mi dia del tu. Non sono la padrona di nessuno, e nonostante tutti dicano che ormai il mio status sociale è cambiato io mi sento ancora una normalissima ragazza di ventiquattro anni che ama le felpe oversize e porta le stesse scarpe bucate da secoli, che non conosce la differenza tra le forchette da pesce e quelle normali e che non ha mai letto una riga di galateo in vita sua» mi ritrovai a dire tutto d'un fiato, sentendomi subito due paia di occhi sorpresi puntati addosso.
Quando mi interruppi mi pentii immediatamente del mio stupido monologo. Avevo esagerato? L'espressione interdetta di Phil mi faceva venire voglia di picchiarmi da sola, mentre Harry si stava palesemente sforzando di reprimere una risatina divertita.
Dopo un silenzio che mi sembrò interminabile, Phil accennò un sorriso.
«Come preferisci... Lizzie» rispose poi, leggermente incerto.
Liberai un sospiro di sollievo, rendendomi conto solo allora che avevo trattenuto il respiro per tutto il tempo, e ricambiai il sorriso. Harry applaudì teatralmente, guadagnandosi l'ennesima occhiataccia di Phil, quindi si rivolse a me.
«È ora di andare, Liz. Ti accompagno alla villa»
Dopo aver di nuovo salutato e ringraziato Phil uscii dalla dépendance, seguita da Harry. La fresca aria notturna mi accarezzò la pelle, facendomi rabbrividire, e mi strinsi nella felpa grigia.
Ci avviammo con passo tranquillo, in silenzio, mentre qualche raro grillo friniva nell'oscurità.
Camminavamo già da qualche minuto, fianco a fianco, quando Harry improvvisamente si fermò a pochi metri dall'ingresso della villa. Me ne resi conto solo pochi passi più avanti, al che mi girai a guardarlo confusa. Aveva lo sguardo fisso in un punto indefinito davanti a sé.
«Mia sorella» disse poi lentamente, spostando gli occhi su di me.
«Il mio primo tatuaggio, quello che ho fatto sette anni fa... è il nome di mia sorella Gemma, in ebraico. Non l'ho mai conosciuta; è nata morta quattro anni prima che nascessi io»
Sgranai gli occhi a quella rivelazione inaspettata, ma mi ricomposi in fretta e repressi il desiderio di subissarlo di domande. Avevo avvertito la difficoltà con cui aveva pronunciato quelle parole, e l'ultima cosa che avrei voluto era farlo sentire sotto pressione; perciò lasciai semplicemente che si prendesse il suo tempo per continuare il delicato discorso che aveva iniziato.
Harry alzò lo sguardo, osservando gli squarci di cielo stellato liberi dalle nuvole scure.
«I miei genitori erano degli spiriti liberi; amavano viaggiare e vivere alla giornata in giro per il mondo. Eppure in tutto questo avevano trovato spazio per lei, dopo aver scoperto che mamma era incinta»
Raccolse da terra un ciottolo particolarmente ovale e liscio, che soppesò nella mano.
«Stava andando tutto bene, mancavano pochissime settimane al parto. Eppure all'ultima ecografia si scoprì che il suo cuore non batteva più da giorni, ormai»
Tornò a guardare un punto lontano del parco, facendo rimbalzare il ciottolo sul palmo della mano.
«Non hanno mai saputo perché Gemma non ce l'avesse fatta... forse non volevano nemmeno saperlo. Erano devastati. Ecco perché quando sono entrato in scena io non ero esattamente il benvenuto»
Scagliò con forza il ciottolo davanti a sé ed esso si perse in fretta nella notte con un sibilo soffocato.
«Non mi volevano, ma mamma non avrebbe mai avuto il coraggio di abortire dopo quello che era successo a Gemma. Perciò appena nacqui si limitarono a lasciarmi qui, affidandomi a Phil, e partirono per l'Illinois; immagino volessero lasciarsi tutta questa storia alle spalle. Sono morti in un incidente d'auto un paio d'anni dopo»
Si passò una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi per qualche secondo. La fioca luce dei lampioncini lungo il vialetto illuminava scarsamente l'ambiente circostante, lasciando ampie pennellate d'ombra sul suo viso che appariva ancora più serio e grave.
«Phil mi ha cresciuto come se fossi sangue del suo sangue. Per me è un padre, una madre, un fratello, uno zio, un maestro, un amico, tutto quello di cui abbia mai potuto avere bisogno. Tutto quello che so sulla mia famiglia me l'ha raccontato lui. Certo, un po' per volta; ne aveva di rivelazioni scomode da fare ad un bambino, eppure ha sempre trovato il modo di raccontarmi la verità. Sono pochissime le persone che l'avrebbero fatto»
Tornò a guardarmi negli occhi, rivolgendomi un debole sorriso, e si avvicinò a me.
Alzò la manica della t-shirt fin sopra la spalla sinistra, scoprendo quei pochi simboli che componevano il nome di sua sorella.
«Perché in ebraico?» chiesi, con voce leggermente spezzata.
Harry sorrise ed alzò le spalle con fare casuale.
«Non c'è un vero e proprio motivo, in realtà. I genitori di Phil erano ebrei, e io volevo che il nome fosse scritto in modo tale che non potesse leggerlo chiunque; suppongo di aver combinato le due cose quando sono andato a farmi fare il tatuaggio. L'ho deciso al momento»
Sentii una lacrima rigarmi la guancia mentre con una mano sfioravo il tatuaggio.
Quelle poche linee indelebili raccontavano una storia talmente dura e amara che avrebbe potuto annientare fin dal primo giorno la felicità di quel bimbo che, ormai cresciuto, mi stava di fronte; eppure l'avevo conosciuto così allegro e sorridente da fare affidamento su di lui per il mio benessere a Rangemore Hall.
Restavano ancora tanti interrogativi aperti nella mia testa, ma il carico di nuove informazioni acquisite era così grande che non vi badai nemmeno.
D'istinto lo abbracciai, stringendolo forte, mentre altre lacrime seguivano la prima lungo il mio viso. Dopo un primo momento di sorpresa Harry allacciò le sue braccia alla mia schiena; mi parve quasi di poterlo vedere sorridere flebilmente, nonostante avessi il viso nascosto nell'incavo del suo collo e gli occhi chiusi.
Sentivo le sue mani accarezzarmi piano la schiena, mentre i miei singhiozzi si facevano più frequenti ed irregolari.
Non dovrei essere io a piangere, maledizione! Non dovrebbe essere lui a consolare me!
Questo pensiero mi impose di controllarmi e riuscii ad interrompere le lacrime che avevano trovato sfogo nella maglietta blu di Harry. Sollevai il viso per ritrovarmi davanti gli occhi del ragazzo, che mi guardavano in un misto di tenerezza ed apprensione.
Mi sentivo una stupida, non sapevo cosa dirgli per farlo sentire meglio. Aprii la bocca e la richiusi un paio di volte, scuotendo la testa, finché lo sentii ridacchiare leggermente. Il suo petto vibrava contro il mio, e solo allora realizzai quanto fossimo vicini.
Non ebbi nemmeno il tempo di avvampare prima di sentire le sue labbra posarsi sulla mia tempia per qualche secondo.
«Grazie» mormorò poi, stringendomi leggermente a sé.
«Di cosa?» chiesi confusa.
«Di avermi ascoltato. E di aver provato a farmi sentire meglio, nonostante tu non sia riuscita a trovare le parole giuste da dire ad alta voce» rispose lui con semplicità, sciogliendo l'abbraccio ed allontanandosi di un paio di passi.
Rimase ad osservarmi per qualche secondo, con tenerezza, per poi scompigliarmi i capelli ed allontanarsi con le mani in tasca.
«Buonanotte, Lizzie, e grazie della compagnia» lo sentii dire, mentre la sua figura si perdeva nella fioca luce passo dopo passo, fino a scomparire oltre la grande siepe del giardino.
Restai lì in piedi per qualche minuto, ancora scossa, prima di sorridere tra me e rientrare in fretta nella villa.
Assurdo... ha capito tutto di nuovo. Ma come diavolo fa?




Spazio autrice
Ciao a tutti :D per tutta la settimana sono stata impaziente di pubblicare questo capitolo.
Finalmente la storia inizia ad avere un certo spessore, il passato di Harry emerge piano piano e Lizzie ne è sempre più incuriosita. Il bel ragazzo nasconde molto più dolore di quanto ne mostri, forse come forma di autodifesa, forse per riguardo a chi lo circonda; in ogni caso rivelazioni di questo calibro non sono facili da digerire, specialmente per la nostra Lizzie. Come si comporterà dopo questa serata piena di sorprese? Ovviamente inizieremo a scoprirlo la prossima settimana :D
Tra parentesi, ci tenevo tantissimo a ringraziare chi ha messo la storia tra le preferite (
anto99___, BraveIceHeart e Life_me), tra le ricordate (sempre anto99___:3) e tra le seguite (Sheflies_). Me ne sono accorta letteralmente solo ieri - non so usare questo sito, heh - e mi ha reso davvero felicissima. Quindi grazie ancora di cuore <3

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***



Per i tre giorni successivi non vidi Harry.
Louis non aveva fatto altro che portarmi con sé ovunque andasse, usando come scusa il fatto che non passavamo mai del tempo insieme. In realtà ne stava approfittando per farmi conoscere a tutti come sua fidanzata, esibendo il suo miglior lato appassionato e facendo sospirare d'invidia qualunque donna a cui mi presentasse.
Detestavo quell'ambiente, quei costosi profumi, quegli ambienti di design, quell'ipocrisia che si nascondeva dietro a lussuose auto e pregiati capi firmati. Non c'era un briciolo di sincerità in quel mondo: tutto era opportunismo, tutto girava intorno al potere ed ai soldi.
A qualunque festa, ricevimento o cocktail party a cui mi portasse, Louis si comportava con un doppiogiochismo tanto studiato quanto disgustoso: quando intravedeva qualche pezzo grosso che secondo lui avrei dovuto conoscere, prima mi sussurrava all'orecchio un paio di nozioni sulla sua posizione sociale e su come avrei dovuto comportarmi, poi me lo presentava e ci chiacchierava insieme per qualche minuto adulandolo spudoratamente, infine dopo essersi congedato ed allontanato a sufficienza iniziava a commentare l'arrivismo della sua famiglia, o quanto fosse brutta la cravatta che indossava, oppure come lo tradisse la moglie a sua insaputa.
Era tutto un grande gioco di ruolo in cui ciascuno mostrava il proprio lato migliore, in realtà sempre costruito ad hoc, e tentava di arrivare più in alto possibile senza che la propria maschera venisse scalzata. Chiunque vi prendesse parte sapeva perfettamente che gli altri non erano da meno; eppure in qualche modo quel grande meccanismo ipocrita continuava a ticchettare, lucido e ben oliato.
Dal canto mio mi sforzavo di assecondare le mosse di Louis, ma ora dopo ora il disgusto che provavo nei confronti di quel sistema mi dava sempre più la nausea. Nulla era genuino e spontaneo, era così lontano dal mondo a cui ero abituata che mi sentivo soffocare.
Mi manca Harry.
Ormai non fingevo nemmeno più di negarlo a me stessa; avevo bisogno della sua compagnia, era l'unico modo per sentirmi a casa in quell'ambiente ostile.
Eppure da quando mi aveva raccontato del suo passato non riuscivo a non vederlo con occhi diversi. Prima mi era facile e naturale assorbire semplicemente la sua allegria come una spugna per fuggire da un contesto che mi era estraneo; ma potevo davvero continuare a farlo dopo che avevo scoperto a quale prezzo lui stesse vivendo la sua vita a Rangemore Hall?
Non riuscivo nemmeno ad immaginare come fosse possibile che Harry potesse trasmettere tanta serenità e spensieratezza nonostante la vita gliele avesse strappate via fin dalla nascita.
Un bambino che decide di venire al mondo nel peggior momento possibile, niente più che uno sgradito imprevisto per i suoi genitori. L'hanno abbandonato e sono morti dall'altra parte del mondo. Non sanno nemmeno che persona meravigliosa è diventato.
Erano questi i pensieri che mi riempivano la mente durante le lunghe giornate con Louis; non provavo nemmeno a seguire le inutili chiacchiere che intratteneva con i vari finanzieri a cui mi presentava.
Quando tornavamo a casa – sempre dopo cena – mi guardavo intorno senza farmi notare per vedere se Harry fosse ancora in giro, ma non c'era mai. L'indomani ricominciava puntualmente il tour de force nell'alta società, perciò passarono alcuni giorni senza che io vedessi né lui né Phil.
Il venerdì mattina Louis dovette prendere parte ad una riunione con i membri più importanti della società finanziaria di suo padre; la mia presenza lì sarebbe stata inutile, pertanto ero riuscita a convincerlo a lasciarmi a casa.
Dopo aver fatto colazione ed essermi lavata uscii dalla villa, diretta verso il giardino di Rangemore Hall. Pioveva leggermente, al che mi tirai su il cappuccio della felpa ed accelerai il passo. Quando arrivai davanti alla dépendance alzai una mano per bussare, ma proprio in quel momento la porta si aprì.
Mi ritrovai davanti un ragazzo dai corti capelli biondi, evidentemente decolorati, portati all'insù in un pittoresco disordine che sembrava quasi studiato. Gli occhi, di un bel colore azzurro-grigio, mi osservavano con un'aria perplessa che probabilmente dovevo avere anch'io. Restammo una manciata di secondi a guardarci in silenzio, un po' imbarazzati, senza sapere cosa fare o dire.
«Niall! Che cavolo ci fai sulla porta?»
La voce di Harry proveniva dall'interno della dépendance, e il ragazzo biondo si voltò per rispondergli.
«Ehm, Harry... c'è una ragazza qui» farfugliò incerto, con un marcato accento irlandese.
Sentii dei passi avvicinarsi all'ingresso, finché la figura longilinea di Harry non comparve alle spalle del biondo. Non appena mi vide un sorriso si aprì sul suo volto.
«Lizzie, che sorpresa! Come mai da queste parti?»
Il ragazzo irlandese spostò più volte lo sguardo da me a Harry, prima di illuminarsi e rivolgersi all'amico.
«Lizzie? Sarebbe lei la famosa Lizzie? Quella che hai invitato a cena qualche sera fa?» domandò eccitato, al che Harry lo fulminò con lo sguardo e gli tirò una gomitata nelle costole.
«Niall, sei un idiota» sbottò esasperato. «Così la farai scappare a gambe levate. Vieni dentro, Lizzie, e non badare a lui»
Soffocai una risatina e seguii i ragazzi nella dépendance.
«Ero passata a salutarti, non sapevo avessi compagnia» spiegai, per rispondere alla sua domanda di poco prima.
«Ehi, posso andarmene se avete bisogno di privacy» si intromise Niall, guadagnandosi un'altra gomitata dall'amico.
«Lizzie, l'idiota biondo qui é Niall Horan, il mio migliore amico. Perdonalo già per tutte le sue stupidaggini inopportune passate, presenti e future»
Scoppiai a ridere e gli strinsi la mano.
«Sei irlandese?» gli chiesi, nonostante il suo accento parlasse da sé. Lui annuì con un sorriso fiero.
«Sì, vengo da Mullingar, una città nel cuore dell'Irlanda. Sono venuto a vivere in Inghilterra a dieci anni, quando i miei hanno divorziato; mia madre aveva degli amici da queste parti e voleva cambiare aria, perciò non è stato difficile trovare una nuova casa qui. Stiamo a Burton»
Niall era un tipo piuttosto loquace, ma comunque simpatico; aveva un'espressione gentile e un viso da bambino che lo rendevano una presenza gradevole. Inoltre era senza dubbio un bel ragazzo.
«Ok, ok, non ti ha chiesto la storia della tua vita» tagliò corto Harry. «Ma poi, che ci facevi alla porta?»
«Volevo vedere se pioveva ancora, ma quando ho aperto la porta lei era lì davanti» rispose Niall con un'alzata di spalle.
«Ci sono le finestre per questo tipo di cose!»
«Ma dalle finestre non si capisce mai quanto forte sta piovendo!»
Harry scosse la testa e si lasciò andare ad una risata, poi tornò a guardarmi.
«É da qualche giorno che non ci si vede» disse dolcemente, dandomi l'impressione che quella frase nascondesse una muta domanda.
«Louis ha voluto presentarmi alcune sue conoscenze» spiegai, restando sul vago.
Tanto lo so che mi leggerai nel pensiero come fai sempre.
Socchiuse gli occhi e mi scrutò in silenzio per un lungo istante. Il suo sguardo inchiodato al mio mi provocò di nuovo quella sensazione di formicolio alla bocca dello stomaco, al che iniziai a sentire le mie orecchie diventare bollenti.
«Capisco» rispose infine, ed i suoi occhi allentarono la presa sui miei. «Sono felice che tu sia venuta»
Sorrisi in risposta, mentre lo sguardo di Niall si faceva sempre più eloquente e malizioso.
Lui e Liam andrebbero decisamente d'accordo.
«Avete voglia di fare qualcosa o restiamo qui a guardarci teneramente negli occhi tutto il giorno?» commentò il biondo con aria canzonatoria, al che l'amico alzò gli occhi al cielo.
«Guardiamo un film?» domandò Harry. Annuii spostando lo sguardo su Niall, che a sua volta approvò.
«Fight Club, Inception, Shutter Island, Memento... hai un solo film che non sia un thriller ansiogeno?» si lamentò Niall, esaminando i Blu-ray all'interno del mobile sotto la TV.
«Scusa se sia io che Phil detestiamo quelle stupide commedie che tu adori» replicò piccato Harry.
«Se ti riferisci ad Anchorman prima o poi ti farò capire quanto ti sbagli»
«Buona fortuna, Ron Burgundy dei miei stivali»
«Non avrò bisogno di fortuna, il grande cinema comico d'America parla da sé»
Harry roteò gli occhi e non gli rispose. Io decisi di prendere l'iniziativa, altrimenti avremmo finito per non guardare nulla.
«Facciamo così» proposi, sventolando un Blu-ray che avevo recuperato sotto gli altri. «Guardiamo La Compagnia dell'Anello e non se ne parli più»
Niall mi guardò storto.
«Lo sai quanto dura, vero?» domandò con una punta di sarcasmo.
«Certo» risposi, con un'alzata di spalle. «Però é da parecchio tempo che non lo vedo. E poi la trilogia dell'Anello é l'unica alternativa che vedo ai thriller ansiogeni di Harry»
Harry afferrò prontamente la scatola dalla mia mano, la aprì ed inserì il Blu-ray nel lettore.
«Ottima scelta, Lizzie. Hai buon gusto»
Il biondo si arrese ed andò a prendere una coperta, dal momento che la pioggia era aumentata ed aveva iniziato a fare più freddo. Dopo aver spento la luce ci accomodammo sul divano, un po' stretti, con Harry in mezzo, dispiegando la coperta sulle nostre gambe.
Appena ci fummo sistemati non potei fare a meno di notare che tutta la parte sinistra del mio corpo era letteralmente incollata a Harry; questa consapevolezza mi fece avvampare all'istante. Ringraziai il cielo che la stanza fosse in penombra e il mio rossore non si notasse.
Dai, Lizzie, non hai dodici anni.
Quando il film partì, i familiari paesaggi della Terra di Mezzo mi aiutarono a distrarmi dal martellare incessante del mio cuore. Almeno fino a quando Harry non mi rivolse la parola.
«Tutto bene? Sei un fascio di nervi, hai freddo?» chiese sottovoce, lanciandomi un'occhiata preoccupata.
«Un po'...» farfugliai in risposta, senza riuscire a pensare ad una risposta migliore.
Harry sorrise e mi avvolse un braccio intorno alle spalle, attirandomi a sé e sistemandomi meglio la coperta.
«Va un po' meglio?»
«Sì... grazie»
Stupida. Stupida. Stupida.
Cos'avevo in testa? Mi stavo davvero permettendo di pensare a Harry in quel modo? Forse mi ero dimenticata in che situazione mi trovavo? Non ero in vacanza a Rangemore Hall, avevo un fidanzato e un impegno nei confronti della mia famiglia. Certo, vivevo il tutto come una soffocante prigione senza via d'uscita, ma questo non mi permetteva di prendermi libertà di questo tipo.
Cosa avrebbe potuto farmi ottenere un mio interesse nei confronti di Harry? Solo ed esclusivamente problemi. Non avrei di certo potuto dire ai miei genitori che avrei buttato all'aria il benessere della famiglia per correre dietro ad un tuttofare orfano pieno di tatuaggi che aveva meno risorse di me, senza contare il fatto che avevo mentito alla mia famiglia per mesi – e questo di certo non sarebbe stato apprezzato.
Dovevo liberarmi il prima possibile di quelle stupide idee su Harry che mi impedivano di mantenere la tacita promessa che avevo fatto a me stessa ed ai miei genitori.
Ma poi, da quand'è che ho iniziato a pensare a lui in questo modo?
Forse era stato quando mi aveva raccontato del suo passato. Oppure quando mi aveva regalato la campanula blu che conservavo ancora, infilata tra le pagine della mia vecchia copia di Orgoglio e Pregiudizio. O magari quella volta che si era avvicinato a me mentre ammiravo l'acero rosso accanto alla dépendance. O forse la prima volta che l'avevo guardato negli occhi, la notte in cui ci eravamo conosciuti.
Ormai non stavo nemmeno più seguendo il film, che peraltro conoscevo a memoria; il mio cervello lavorava senza sosta, analizzando e razionalizzando, nel tentativo di liberarsi di quella morsa allo stomaco così illogica e dolorosamente piacevole che si intensificava ogni volta che la mano di Harry prendeva ad accarezzarmi distrattamente la spalla.
Non volevo ammettere che stavo bene come non succedeva da parecchio tempo, che non avrei voluto altro che lasciarmi andare e godermi quella sensazione di piacevole rilassamento, che avrei desiderato con tutto il cuore poter semplicemente cancellare Louis dalla mia esistenza senza curarmi di tutte le problematiche annesse e connesse.
Mi limitai a stabilire una temporanea tregua con me stessa, concedendomi di non sottrarmi all'abbraccio di Harry e ripromettendomi che sarebbe stata solo un'eccezione.
Solo per questa volta. Che sarà mai?



Spazio autrice
Ciao a tutti!
So che questo capitolo è un po' più corto del precedente, ma lo ritengo comunque uno dei più importanti della storia. Qui infatti Lizzie capisce di provare qualcosa per Harry... e tutti i suoi problemi a Rangemore Hall si ridimensionano drasticamente. Ora cammina sul filo di due rasoi, se vogliamo; da un lato deve far funzionare la sua relazione con Louis, dall'altro deve stare attenta a non alimentare dei sentimenti che potrebbero mandare all'aria tutto quello per cui si sta sacrificando.
Sarà mooolto dura... come gestirà il prossimo futuro la nostra eroina?
Come sempre, lo scoprirete mercoledì prossimo :D

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***



Cinquantuno, trentasette, quarantotto, trentanove.
Erano ore che me ne stavo distesa sul mio letto, passando il tempo con attività inutili come quella di contare le pieghe del prezioso broccato che decorava ognuno dei quattro lati del baldacchino sopra di me.
Prima delle pieghe avevo contato le frange del tessuto, gli avvolgimenti delle colonnine del letto dal fusto a tortiglione, i cristalli del lampadario e le foglie dorate ricamate sul tessuto del copriletto.
Sbuffai rumorosamente e mi alzai a sedere. I miei capelli erano tutti in disordine, ma per la frustrazione me li scompigliai ancora di più.
Sto impazzendo, non ne posso più di stare chiusa qua dentro.
Erano passati cinque giorni da quando ero stata da Harry ed avevamo guardato La Compagnia dell'Anello insieme a Niall – o meglio, loro due l'avevano guardato. Io avevo passato tutte e tre le ore del film in preda a conflitti interiori e ad una grande confusione, senza contare la tachicardia dovuta alla vicinanza ad Harry.
Da allora mi ero costretta a prendere una decisione drastica: avrei evitato il ragazzo a qualunque costo. Non potevo permettermi di illudermi che sarebbe mai accaduto qualcosa tra noi due, perché se così fosse stato avrei rovinato tutto quello che avevo fatto per la mia famiglia fino a quel momento. I Tomlinson avrebbero ritirato gli investimenti nell'impresa edile dei miei genitori, e probabilmente data la loro influenza sarebbero riusciti ad indurre anche gli altri investitori a fare altrettanto, per vendicarsi dell'affronto subìto. L'impresa avrebbe fallito e ci saremmo trovati sul lastrico; tutto per colpa del mio egoismo.
Ne valeva davvero la pena? Certo che no. La mia famiglia mi aveva dato tutto, era arrivato il momento di fare la mia parte. Dopotutto ero stata molto più fortunata di quanto mi sarebbe piaciuto ammettere: a quante ragazze che conoscevo era capitato di conquistare il rampollo di una delle famiglie più ricche d'Inghilterra e di andare a vivere in una tenuta che aveva ben poco da invidiare al palazzo della regina?
Tutti questi ragionamenti non facevano una piega nella mia mente, eppure puntualmente mi ritrovavo a pensare ad Harry e non ero più convinta di nulla. Non potevo non sentire la sua mancanza, ma speravo che evitando di stare in sua compagnia prima o poi sarei riuscita a togliermi quei pensieri confusionari dalla testa e ad abituarmi al clima opprimente della mia nuova vita a Rangemore Hall.
Purtroppo evitare il ragazzo non era affatto facile; aveva ogni giorno lavori da svolgere nel parco o nel giardino, perciò uscire era un'opzione da scartare per quanto possibile. Le alternative erano restare chiusa in casa o seguire Louis nei suoi incontri d'affari; alternavo le due cose per avere almeno un po' di varietà nelle mie giornate, ma ciò comunque non bastava per alleviare quel senso di soffocamento che pareva quasi permeare l'aria.
Quel pomeriggio Louis era in ufficio ed io avevo scelto di restare a casa, ma sentivo di essere sull'orlo di una crisi di nervi. Ero stata quasi due ore al telefono con Liam, anche se non avevo avuto il coraggio di dirgli come mi sentivo nei confronti di Harry. L'ultima cosa di cui avevo bisogno era di sentire i te l'avevo detto del mio migliore amico.
Era stato lui a suggerirmi di contare degli oggetti se mi fossi annoiata; l'aveva detto per scherzo, ovviamente, ma quel pomeriggio ero così disperata che l'avevo fatto davvero. Ad un certo punto, tuttavia, mi resi conto che continuare a restare chiusa in camera mi avrebbe davvero fatto perdere il senno.
Se esco solo un attimo e faccio attenzione a non incrociare Harry andrà bene, no?
Repressi con forza la vocina che mi diceva che dopotutto avrei voluto incontrarlo, quindi mi alzai dal letto e scesi le scale per poi dirigermi verso l'ingresso della villa.
Aprii cautamente la porta, guardando fuori con circospezione per assicurarmi che il ragazzo non fosse nei paraggi. Mi sentivo quasi una ladra; era una situazione piuttosto ridicola, me ne rendevo conto io stessa, ma purtroppo non avevo scelta.
Dopo essermi assicurata che Harry non ci fosse uscii dalla villa ed inspirai la fresca ed umida aria del pomeriggio. Il cielo era coperto da un sottile ma uniforme velo di nuvole color grigio perlato, da cui la luce del sole filtrava solo debolmente.
Decisi di fare due passi nei paraggi; se avessi trovato Harry me ne sarei andata subito con la prima scusa che avessi trovato. Oltrepassai le aiuole e la fontana antistanti l'ingresso e mi avvicinai alla siepe che correva parallela al lato lungo della villa.
Non appena iniziai a costeggiarla notai in lontananza una figura con un paio di cesoie in mano intenta a potare la siepe accanto alla quale stavo camminando.
Il mio cuore immediatamente iniziò a battere al triplo della velocità, ma osservando meglio realizzai che la persona che avevo visto era Phil e non Harry.
È meglio così. È decisamente meglio così.
Pensai che dopotutto non ci sarebbe stato nulla di male ad andare a salutarlo; in fondo era Harry quello che dovevo evitare, giusto?
Continuai a camminare in direzione dell'uomo, che appena mi sentì avvicinarmi si voltò e mi sorrise con calore.
«Lizzie, che piacere vederti. Come stai?»
«Bene, grazie» sorrisi a mia volta. «Lei come sta, Phil?»
«Non c'è male» rispose, passandosi una mano sulla fronte. «Harry sta pulendo lo stagno, se ti va poi passa a salutarlo»
«Certo, lo farò» mentii a malincuore. Non potevo certo dirgli che lo stavo evitando di proposito, pertanto mi limitai a sperare che non gli riferisse del nostro incontro.
Lui esaminò soddisfatto la porzione di siepe già potata, poi si mise di buona lena a recidere i rami ancora lunghi.
«C'è una piccola siepe nel giardino di casa mia, a Dover» ricordai con un sorriso. «Mio papà ha sempre odiato potarla. Non ne è proprio capace; ha sempre detto che vorrebbe sradicarla e buttarla giù dalle scogliere pur di non doverci perdere tempo. Ma alla fine non l'ha mai fatto; in fondo gli piace starsene seduto all'ombra della siepe a leggere»
Phil ridacchiò, sistemandosi meglio i consunti guanti che indossava.
«Mia moglie era un vero talento della potatura» disse poi, tra un colpo di cesoia e l'altro. «Non capiva assolutamente nulla di giardinaggio, quant'è vero Dio. Eppure, quando le ho insegnato a potare pareva fosse nata per quello. Le siepi della tenuta erano magnifiche quando c'era lei»
Il suo inaspettato riferimento alla moglie mi sorprese. Non sapevo che Phil fosse sposato; non ne aveva mai accennato prima.
 «Sua moglie?» chiesi, un po' impacciata ma con tutta la delicatezza possibile.
«Sarah... era mia moglie, molto tempo fa. Siamo rimasti insieme pochi anni, molti meno di quelli che avrei sperato. Se n'è andata quando abbiamo scoperto che non avrei potuto darle i figli che desiderava tanto»
Il secco rumore dei rami tagliati di netto riempì per qualche secondo il silenzio che si era creato. Non sapevo bene come comportarmi a quella rivelazione; potevo fargli delle domande o sarebbe stato meglio lasciargli decidere cosa raccontare?
«Mi dispiace, Phil» mormorai, odiandomi per non aver saputo trovare nulla di meglio.
Lui sorrise ed avvicinò le cesoie agli occhi per verificare che le lame non avessero perso il filo.
«Non parlavo di lei da tempo. Me la ricordi un po', sai? Anche lei aveva i capelli biondi e gli occhi grigi come i tuoi»
Era ancora innamorato di lei, lo capivo dal suo sguardo carico di nostalgia e di rimpianto.
«La vita ha avuto un bel senso dell'umorismo, con me. Sarah se n'è andata perché non avremmo potuto avere figli e tre anni dopo è arrivato Harry» commentò con una punta di amarezza nella voce.
Scossi la testa, incredula. In effetti l'ironia della sorte era quasi surreale.
Phil recise gli ultimi rami in alto, poi si spostò a sinistra per proseguire la potatura.
«Credo che questo sia il motivo per cui ho accettato di prendermi cura del bambino. Suppongo che dentro di me sentissi di riparare un torto fatto a Sarah, nonostante lei non lo sapesse»
«Non l'ha più vista né sentita da allora?» domandai, pur sapendo già la risposta in cuor mio.
«No, mai» rispose infatti Phil. Depose le cesoie a lama seghettata che aveva in mano per prenderne un paio a lama liscia, con cui tagliò qualche rametto più piccolo.
«A volte penso che Harry sia proprio il figlio che lei avrebbe voluto» disse poi sottovoce, come parlando tra sé e sé.
Quella frase mi riempì di tenerezza. Condensava l'affetto che provava sia nei confronti della donna che l'aveva lasciato sia nei confronti del ragazzo che aveva cresciuto.
«Harry è stato fortunato ad avere lei come padre, Phil» dissi d'impulso, ma con sincerità.
Lui sorrise con gratitudine, recuperando le cesoie di prima e piegandosi per riprendere a potare la siepe dal basso.
«Sei una brava ragazza, Lizzie. Sono felice che tu ed Harry siate amici»
Repressi un sospiro ed annuii.
Lo sono anche io, forse troppo. È questo il problema.
Phil si rialzò e spostò col piede alcune ramaglie che lo intralciavano, poi tornò a lavorare di cesoie.
«È cresciuto bene, il ragazzo. Il vecchio Des ne sarebbe fiero, suo malgrado»
«Des?» domandai curiosa, aggrottando leggermente le sopracciglia.
«Il padre di Harry, Desmond Styles» rispose Phil, raddrizzando la schiena e guardandomi negli occhi con un sorriso.
Non avevo mai pensato al fatto che non conoscevo il cognome di Harry.
«Lei lo conosceva bene?» chiesi allora, al che Phil annuì.
«Eravamo amici da tempo, sì. Des era il figlio del maggiordomo in carica quando sono arrivato a Rangemore Hall»
Piano piano, tutti i pezzi iniziavano ad andare al loro posto.
«Harry ha conosciuto suo nonno?» domandai, cercando di riordinare le informazioni ottenute.
«Sì e no... il vecchio Keith Frederick Styles è morto improvvisamente di infarto quando il bambino aveva appena cinque anni. Harry ha scoperto solo qualche anno dopo che il maggiordomo era suo nonno»
Annuii sovrappensiero.
«I Tomlinson erano già a Rangemore Hall allora?»
Phil diede gli ultimi colpi di cesoia alla porzione di siepe a cui stava lavorando, quindi posò l'attrezzo e si sgranchì le braccia.
«Quando Harry è nato, il vecchio padrone della tenuta era ancora in vita. Era un ricco barone senza un solo parente al mondo, viveva arroccato nella sua dimora come un'aquila reale nel suo nido. L'unica persona con cui avesse un legame era Keith; si fidava solo di lui, oserei quasi dire che fossero amici. Quando il vecchio padrone è morto, Keith l'ha seguito pochi mesi dopo»
Ascoltavo con interesse il racconto di Phil; più mi parlava, più la mia curiosità cresceva.
«Dopo che il barone è morto, che ne è stato di Rangemore Hall?»
Phil alzò le spalle ed iniziò a raggruppare le ramaglie cadute a terra e a caricarle nella carriola lì vicino.
«Poiché il vecchio padrone non aveva parenti in vita che la ereditassero, la tenuta divenne bene di Stato. Io ed il resto del personale di servizio continuammo a prendercene cura. Eravamo più o meno degli impiegati statali, se vogliamo vederla così. Mark Tomlinson la acquistò circa un anno e mezzo dopo; da allora è di sua proprietà»
Rimasi in silenzio finché Phil finiva di ripulire il prato dai rami recisi. Ripensavo a quello che mi aveva raccontato, tentando di dare un ordine a tutti i dettagli.
Ho scoperto molto del passato di queste persone, ma quante cose ancora non so?
Avevo la testa così satura di nuove informazioni che non mi venivano neppure in mente altre domande da porre. Probabilmente era meglio così; avevo approfittato fin troppo del tempo e della loquacità di Phil.
Quest'ultimo nel frattempo aveva completato il carico, al che si voltò verso di me con un sorriso gentile.
«Io qui ho finito, Lizzie; ora devo andare a dare una mano al ragazzo. È stato bello fare due chiacchiere con te»
Gli sorrisi a mia volta, muovendo un paio di passi verso di lui.
«Anche per me, Phil. Grazie per quello che mi ha raccontato»
Lui rise, scuotendo la testa.
«Grazie a te per aver ascoltato le chiacchiere di un vecchio nostalgico. A presto, vieni a trovarci quando ti va» mi salutò, impugnando i manici della carriola e dirigendosi verso il giardino della tenuta.
Lo guardai in silenzio per qualche secondo, finché una domanda non mi si fece strada nella mente.
«Un momento, Phil!» lo richiamai allora, alzando una mano.
L'uomo si fermò, girandosi a guardarmi con le sopracciglia aggrottate. Deglutii, improvvisamente incerta se porgli o meno la domanda che in quel momento mi pareva inopportuna e priva di fondamento. Tuttavia ormai il sasso era stato lanciato, tanto valeva andare fino in fondo.
«Il nome di Harry... chi l'ha scelto?» chiesi incerta, soppesando ogni parola.
Phil mi osservò per un lungo istante, e potei percepire un iniziale lampo di sorpresa nei suoi occhi per quella domanda inaspettata.
«Sono stato io a chiamarlo così, quando Des me l'ha affidato. I suoi genitori non ne volevano sapere nulla di lui, non si erano certo dati la pena di scegliere un nome da dargli»
Sentii una stretta al cuore, nonostante in fondo avessi potuto immaginare la risposta.
Nemmeno un nome. Harry non ha ricevuto nulla di buono dai suoi genitori.
Phil si avvicinò a me con aria grave e mi posò una mano sulla spalla, guardandomi negli occhi.
«Lizzie, non ho mai raccontato questo dettaglio ad Harry perché ritenevo che non sarebbe servito ad altro che a fargli del male, ed io credo che non lo meriti. Perciò ti prego di tenerlo per te, d'accordo?»
Annuii debolmente, abbassando la testa. Mi sentivo come se con quella domanda avessi oltrepassato un limite che non andava superato, e desiderai di non averlo mai scoperto.
Lui mi rivolse un piccolo sorriso, prima di voltarsi ed incamminarsi verso il giardino spingendo la carriola davanti a sé.
In quel momento provai un forte desiderio di andare da Harry ed abbracciarlo, senza dire nulla, un po' come avevo fatto la sera che mi aveva raccontato di Gemma. Probabilmente sarebbe servito a confortare più me stessa che lui, ma poco importava. Avevo bisogno di stringerlo tra le braccia, chiudere gli occhi e fingere che non gli fosse mai successo nulla di brutto, che era diventato la persona allegra e piena di entusiasmo che conoscevo senza che la vita gli avesse chiesto nessun prezzo da pagare.
Sarei voluta andare da lui più di ogni cosa, ma non lo feci. Lasciai che la razionalità prendesse di nuovo il sopravvento sull'istinto e per diversi minuti rimasi in piedi accanto alla siepe che Phil aveva appena potato, con lo sguardo fisso in direzione del giardino, mentre una prima goccia di pioggia – era pioggia, vero? – mi bagnava il viso.



Spazio autrice
Eccomi di nuovo qui :) altro capitolo piuttosto denso, mi sentirei di dire. Diverse domande sul passato di Harry e di Phil ora hanno risposta, ma Lizzie non è comunque tranquilla. Sente la mancanza del ragazzo e si sente in qualche modo in debito nei suoi confronti, ma sa di trovarsi in una situazione delicata ed ogni passo che compie verso di lui rende più precaria la sua condizione a Rangemore Hall.
Ne vedremo delle belle... a partire da mercoledì prossimo <3
Ringrazio tantissimo
 
_graa__ per aver inserito High Society tra le storie seguite :')

Un abbraccio,
mononokehime

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***



Avevo sette anni quando avevo avuto la mia prima cotta.
Lui si chiamava Tom Parker e frequentava la mia stessa scuola; era un vispo ragazzino biondo, sempre pieno di energie, che veniva a scuola con metà delle cose che servivano e doveva immancabilmente chiedere il resto in prestito agli altri. Era simpatico, allegro ed estroverso; l'esatto opposto di me, che da piccola ero timida e riservata.
Avevo avuto una cotta segreta per lui per più di un anno, finché non mi ero decisa a scrivergli un bigliettino in cui gli rivelavo i miei sentimenti. Ero riuscita a farglielo avere senza farmi vedere da nessuno, ma Tom pensò bene di leggerlo ad alta voce davanti a tutta la classe. Naturalmente fui lo zimbello della scuola per giorni; ogni minuto passato a scuola era un'agonia, sarei voluta diventare invisibile per non subire più gli sberleffi dei miei compagni. L'unica consolazione che ebbi fu quando Liam, venuto a sapere della faccenda, andò dritto da Tom e gli tirò un pugno sul naso mentre mezza scuola assisteva alla scena. Da quel momento nessuno mi infastidì più.
La delusione era stata grande, tanto che per diversi anni mi guardai bene dal provare interesse romantico nei confronti dei ragazzi che conoscevo. Inoltre Liam mi stava sempre accanto e non sentivo di avere alcun vuoto da riempire.
Avevo avuto alcune brevi relazioni durante la mia adolescenza; nulla di importante, ma erano bastate a farmi provare il desiderio di incontrare qualcuno con cui avrei condiviso un amore sincero e duraturo.
E invece sono invischiata in un matrimonio di convenienza con un odioso rampollo.
Scossi la testa per allontanare quel pensiero intrusivo che si affacciava troppo spesso alla mia mente, negli ultimi tempi. Con un sospiro lasciai che i deboli raggi del sole pomeridiano filtrassero tra le nuvole sottili ed arrivassero ad accarezzarmi il viso. Ero nella mia stanza, seduta sul davanzale della finestra lasciata aperta. Maggio era ormai alla sua ultima settimana e le rose bianche fiorivano splendide nel parco della tenuta. Phil e Harry avevano fatto un lavoro magnifico per portare i roseti al massimo della loro bellezza.
Harry.
Chiusi Orgoglio e Pregiudizio, rassegnata. Non riuscivo a concentrarmi su quello che leggevo, nonostante ormai ricordassi ogni dettaglio della storia. Mentre scendevo dal davanzale con un piccolo salto, il libro mi sfuggì di mano e cadde sul pavimento con un tonfo sordo.
Raccogliendolo notai le punte blu della campanula spuntare tra le pagine. Aprii il libro e osservai per qualche secondo il fiore ormai secco, sfiorandolo con le dita, e richiusi di scatto il volume non appena sentii un nodo formarsi in gola.
Nei giorni seguenti alla chiacchierata con Phil ero uscita alcune altre volte nel giardino della villa, stando sempre ben attenta a non ritrovarmi faccia a faccia con il ragazzo. In una di queste uscite l'avevo visto da lontano mentre curava i roseti insieme al vecchio giardiniere. Li avevo osservati lavorare per una buona mezz'ora, restando nascosta dietro ad una siepe.
Vedere Harry ridere allegramente mi aveva provocato una dolorosa stretta al cuore e avevo ricacciato indietro le lacrime che spingevano per uscire. Ad un certo punto si era girato nella mia direzione, probabilmente vedendomi, al che ero subito scappata via. Mi era anche parso di sentirlo chiamare il mio nome, ma non mi ero fermata a verificare la mia impressione.
Quanto vorrei poter passare del tempo con lui. Chissà se...
«Elizabeth!»
Roteai gli occhi quando sentii la voce di Louis chiamarmi dal corridoio al di fuori della mia stanza.
«Cosa c'è, Louis?»
Senza darsi la pena di bussare, il ragazzo entrò esibendo il suo sorrisetto più irritante. Istintivamente strinsi il libro tra le mani.
«Potresti anche bussare» dissi senza riuscire a trattenermi.
Louis si avvicinò a passo lento con una risatina, tenendo lo sguardo inchiodato al mio.
«E perché mai?» ribatté, una nota beffarda nella voce. «È casa mia, e poi cosa c'è di male? Hai qualcosa da nascondere per caso?»
Serrai le labbra, mentre in me cresceva il desiderio pungente di tirargli un pugno.
Calma, Liz. Fai un respiro profondo e rilassati.
Si fermò a pochi centimetri dal mio viso e chiuse gli occhi, inspirando rumorosamente.
«Hai sempre un profumo così delizioso, Elizabeth» mormorò, con le labbra arricciate ad un ghigno. Puzzava di alcol.
Faticai a reprimere un brivido di disgusto mentre lui mi attirava a sé, premendo una mano alla base della mia schiena per avvicinarmi ancora di più.
«Louis, lasciami! Hai bevuto» esclamai, cercando di divincolarmi.
Lui non mi diede retta e iniziò a lasciare umidi baci lascivi lungo il mio collo, tenendomi stretta contro il suo petto. Le sue mani si chiusero intorno al mio sedere, stringendo ad intermittenza.
Quando feci per scappare mi prese per i polsi, strattonandomi fino al letto su cui mi spinse con brutalità. Senza darmi il tempo di rialzarmi mi bloccò con il suo corpo, sovrastandomi e prendendo possesso della mia bocca. Il sapore di alcol mi dava la nausea, sommandosi al disgusto che ormai provavo in tutto il corpo ad ogni contatto tra di noi.
Louis mi teneva le mani ancorate al letto e si era infilato in mezzo alle mie gambe, dimodoché i miei tentativi di divincolarmi erano del tutto inutili. In un impulso disperato gli morsi il labbro inferiore più forte che potei, al che lui si tirò di scatto indietro con una bestemmia portandosi una mano alla bocca e tastando il punto in cui l’avevo morso. Le dita erano sporche di sangue.
Approfittando di quell’attimo di distrazione riuscii a sfuggire alla sua presa e corsi fuori dalla stanza, con il cuore che mi batteva così forte da sembrare che mi stesse sfondando la gabbia toracica. Mi precipitai fuori dalla villa, dirigendomi alla cieca il più lontano possibile da Louis. Le lacrime che avevano iniziato ad uscire mi offuscavano lo sguardo impedendomi di vedere dove stessi andando, ma non mi importava. Volevo solo scrollarmi di dosso quella sensazione viscida e disgustosa il prima possibile.
La mia corsa disordinata si interruppe ben presto contro il petto di una persona che barcollò, presa alla sprovvista dal brusco scontro.
«Ma che... Lizzie??»
Oh no. Non questa voce. Non adesso, no, ti prego...
Due occhi verdi carichi di sorpresa ed apprensione mi si puntarono addosso, mentre tentavo di riprendere il controllo delle mie gambe e fare dietrofront.
«Aspetta, Lizzie! Cosa succede? Fermati un secondo...»
Mi afferrò un braccio quando feci per scappare via di nuovo, una presa salda ma gentile. Dovetti fermarmi, ma non avevo il coraggio di guardarlo in faccia. Rimasi ferma, la mano libera stretta a pugno, gli occhi serrati, il labbro tremante. Le lacrime riuscirono comunque a farsi strada lungo le guance; ogni tanto qualche leggero singulto si liberava dal mio petto, nonostante i miei tentativi di reprimere il pianto.
La presa sul mio braccio si sciolse, e Harry appoggiò le mani sulle mie spalle facendomi delicatamente voltare verso di lui. Mi costrinsi a tenere basso lo sguardo, sapevo bene che non sarei riuscita a sostenere la tempesta verde dei suoi occhi. Non cercò di farmi sollevare il viso; si limitò ad ad avvicinarmi a lui, avvolgendomi con le sue braccia e accarezzandomi la schiena in un silenzioso gesto di conforto.
A quel punto non riuscii più a trattenere il pianto che esplose in una serie di singhiozzi rotti, mentre le lacrime inzuppavano il tessuto morbido della sua t-shirt bordeaux contro cui nascondevo il viso. Non era un pianto liberatorio; era un pianto frustrato, confuso, pieno di sconforto. Harry sembrò capirlo, poiché mi strinse più forte a sé appoggiando le labbra sulla mia testa e cullandomi lievemente, cercando di aiutarmi a calmarmi.
Dopo qualche minuto i singhiozzi iniziarono ad indebolirsi fino a sparire, e lasciai la presa sulla sua maglietta che non mi ero accorta di aver stretto nel pugno per tutto il tempo. Emisi un sospiro ancora un po' tremante, senza ben sapere come comportarmi.
Devo ringraziarlo? Chiedergli scusa? Scappare senza dire nulla?
Mi asciugai rapidamente gli occhi con il dorso della mano, indecisa sul da farsi. Stavo quasi per scegliere la terza opzione quando la sua voce ruppe il silenzio.
«Non sei costretta a spiegarmi cosa sta succedendo, Liz. Vorrei solo assicurarmi che tu stia meglio prima di lasciarti correre via di nuovo»
Mi sentii ragionevolmente divorare dai sensi di colpa. Non era arrabbiato con me per essere sparita nelle ultime settimane e riusciva a starmi vicino a modo suo senza fare domande a cui sapeva che per me sarebbe stato difficile rispondere. Avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per pretendere almeno una spiegazione sul mio comportamento, ma aveva scelto di capirmi e assecondarmi. Come faceva sempre.
Alzai finalmente lo sguardo e il mio cuore saltò un battito quando finalmente incontrai i suoi occhi; potevo chiaramente leggervi la preoccupazione che li pervadeva. Meritava che gli dicessi tutto, glielo dovevo. Aveva perlomeno il diritto di capire perché non mi fossi più fatta vedere, ma non potevo raccontare solo una parte della storia. Non avrei potuto spiegargli la situazione senza far trasparire i sentimenti che provavo per lui, cosa che non potevo assolutamente permettermi.
«Scusami» riuscii solo a farfugliare, sentendomi un'idiota. Harry sospirò, chiudendo gli occhi per qualche secondo. Quando li riaprì la sua espressione era più seria di prima, ma in qualche modo ancora gentile.
«Posso almeno farti compagnia fino a quando non sarai più tranquilla?»
La sua domanda mi spiazzò completamente. Non avrei mai immaginato che nonostante tutto volesse passare del tempo con me, senza fare domande né aspettarsi risposte. Mi ritrovai ad annuire debolmente, anche se il mio cervello mi stava urlando che era sbagliato e che avrei solo reso più complicata la situazione. Ma in quel momento non mi importava; avevo bisogno di lui, mi era mancato più di quanto fossi in grado di esprimere a parole.
Harry sorrise – da quanto tempo non lo vedevo sorridermi? – e con un cenno mi invitò ad incamminarmi con lui. Fu una passeggiata breve e silenziosa; nessuno dei due aprì bocca, ma potevo percepire l'atmosfera alleggerirsi lentamente passo dopo passo.
Ci fermammo in riva allo stagno, nel punto più remoto del giardino della tenuta. Harry si sedette a terra e mi invitò a fare altrettanto. Restammo alcuni minuti ad ascoltare il cinguettio degli uccelli, il lieve ronzio delle libellule ed il fruscio delle foglie; un soffio di brezza ci sfiorava la pelle, passando poi oltre a giocare con i corti fili d'erba.
Ero così rapita dalla pace di quell'angolo di paradiso che quasi sobbalzai quando sentii il ragazzo canticchiare a bocca chiusa. Mi girai sorpresa verso di lui; aveva gli occhi chiusi, le braccia buttate indietro a sostenere il corpo, le gambe distese sul prato, il viso sollevato. Lo ammirai per diversi secondi prima di riconoscere la canzone.
«Elton John...» mormorai, quasi sovrappensiero.
Harry sorrise, sempre ad occhi chiusi, ed iniziò a cantare.
 
And while I'm away
Dust out the demons inside
And it won't be long before you and me run
To the place in our hearts where we hide...
 
La sua voce era particolare, limpida ma leggermente graffiata. Mentre lo ascoltavo il mio cuore faceva le capriole e non tentavo nemmeno più di tenerlo a bada; mi godevo semplicemente la sua presenza, di cui avevo così tanto sentito il bisogno. Quando smise di cantare riaprì gli occhi, ed il sorriso sulle sue labbra si trasformò in un'espressione preoccupata.
«Lizzie, stai piangendo di nuovo?»
Mi toccai le guance e mi sorpresi di sentirle umide. Non mi ero nemmeno accorta delle lacrime che erano uscite nei minuti precedenti. Mi asciugai il viso e scossi la testa.
«Non è nulla, sto bene. Hai una voce stupenda»
Harry mi rivolse il più luminoso dei suoi sorrisi, facendo spuntare le fossette.
«Grazie, ma esageri. Dovresti sentire Phil sotto la doccia, sono sicuro che poi gli chiederesti un autografo»
Mi ritrovai a ridere mio malgrado. D'un tratto era come se fossi tornata a qualche settimana prima, quando ancora potevo essere spensierata accanto a lui, prima di scoprire il suo passato ed i miei sentimenti nei suoi confronti.
Il ragazzo rise insieme a me, distendendosi sull'erba e portando le braccia dietro la testa. Mi abbracciai le ginocchia, poggiandovi il mento. Tra noi scese di nuovo il silenzio. Osservai Harry coprirsi gli occhi con un braccio mentre si metteva più comodo.
«Louis ha bevuto e mi ha messo le mani addosso» sussurrai poco dopo senza quasi rendermene conto.
Harry con uno scatto tolse il braccio dal viso e sollevò la schiena dal prato, guardandomi con gli occhi spalancati e carichi di apprensione.
«Che cosa?»
«Il motivo per cui ti sono venuta addosso prima...» mormorai, chiudendo gli occhi e nascondendo il viso contro le mie ginocchia. «Stavo scappando da Louis. Era ubriaco, ha tentato di... v...»
«Lizzie»
Prima che potessi sollevare il viso sentii Harry stringermi a sé in un abbraccio che mi fece mancare il respiro. Dopo qualche momento di iniziale sorpresa ricambiai l'abbraccio, aggrappandomi alla sua maglietta come poco prima.
«Mi dispiace» lo sentii dire con delicatezza, anche se sentivo la sua voce tremare di rabbia. «Vorrei poter fare qualcosa per farti stare meglio, ma in questo momento riesco a malapena a trattenermi dall'andare da quel bastardo e fargli saltare la testa»
Deglutii nel tentativo di sciogliere il nodo che mi si era formato in gola a quelle parole. Scossi piano la testa, stringendolo di più a me.
«A-allora... fammi rimanere così ancora un pochino» balbettai senza avere il coraggio di guardarlo, sperando che non mi considerasse una povera stupida in cerca di compassione. Ma Harry appoggiò la guancia alla mia testa, accarezzandomi dolcemente la schiena. Dai suoi gesti sembrava quasi che stesse cercando di calmare anche se stesso oltre che a me, e questo se possibile mi fece battere il cuore ancora più forte.
Rimanemmo abbracciati per un tempo indefinito, nessuno dei due intenzionato a lasciar andare l'altro. Io sapevo bene che se me ne fossi andata sarei dovuta tornare alla villa, dove probabilmente c'era Louis ad aspettarmi; d'altra parte però restare con Harry era sbagliato, come mi ero resa conto un paio di settimane prima. Ma come potevo allontanarmi da lui? In quel momento non avevo bisogno di altro che delle sue braccia che mi tenevano strette a sé, del suo profumo fresco e familiare, del suo sorriso...
«Vieni alla dépendance con me»
Cosa?
Sollevai lo sguardo, incontrando i suoi occhi fissi su di me. Era serio.
«Non posso, Harry... L-Louis mi...»
«Solo per stanotte. Non puoi tornare alla villa adesso, lo sai meglio di me»
Sapevo che aveva ragione. Però, in ogni caso... andava bene così?
«Se dipendesse da me ti impedirei con tutte le mie forze di mettere di nuovo piede in quella villa, ma so che se sei a Rangemore Hall devi avere le tue ragioni. Perciò almeno permettimi di proteggerti adesso, in questo modo» disse ancora, con quegli occhi impossibilmente verdi inchiodati ai miei. Sospirai prima di annuire.
Perdonatemi, mamma e papà... Ho bisogno di questo, per il momento, ma prometto che sistemerò tutto quanto.
Il viso di Harry si distese; il ragazzo sciolse l'abbraccio per alzarsi in piedi, scrollandosi via l'erba rimasta attaccata ai jeans, poi mi tese una mano per aiutarmi ad alzarmi a mia volta. Ci incamminammo verso la dépendance, nella luce dorata del tardo pomeriggio, e io non riuscii a non sentirmi – nonostante tutto – felice.



Spazio autrice
Salve! Scusate il ritardo, ma sono stata in Dolomiti in questo paio di giorni ed ero leggermente impossibilitata a pubblicare :/
Dunque... immagino che non vi sareste aspettati eventi così drastici tutto d'un tratto 
– in realtà nemmeno io, ma chi scrive sa che spesso gli eventi delle storie sembrano prendere la piega che vogliono indipendentemente dalla volontà dell'autore, ahah
Questo è stato indubbiamente un capitolo molto difficile da scrivere; corrisponde al punto della storia in cui sono rimasta bloccata per mesi, ero già convinta di voler abbandonare ma ad un certo punto ho ripreso in mano il file e mi sono imposta di proseguire.
L'incontro tanto atteso tra Harry e Lizzie avviene nel più inaspettato e scomodo dei modi, ma forse questa situazione disperata potrebbe essere l'unica soluzione per farli avvicinare di nuovo... oppure allontanarli irrimediabilmente.
Come andrà a finire? Ve lo racconterò mercoledì prossimo <3

Un abbraccio,
mononokehime

P.S.: ho iniziato ad usare Wattpad e a pubblicare anche lì High Society. Vi lascio il link qui <3

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***



Chiacchieravo del più e del meno con Phil, mentre Harry lavava i piatti della cena ed interveniva di tanto in tanto con qualche battuta spesso inopportuna per farci ridere. Non aveva raccontato nulla a Phil di quello che mi era successo; gli aveva solo annunciato candidamente che mi sarei fermata a dormire e lui, anche se perplesso, aveva accettato di buon grado.
Nella dépendance si respirava l'aria distesa e tranquilla che già avevo avuto modo di apprezzare poche settimane prima; mi ero ormai ripresa dalla brutta esperienza passata nel pomeriggio, e se stavo meglio era tutto grazie a Harry. Per l'ennesima volta il ragazzo era stato la ragione del mio benessere a Rangemore Hall.
Temo che non sarò più in grado di restare lontana da lui, ormai.
Trascorremmo ancora un paio d'ore a chiacchierare tutti insieme, quindi Phil si alzò dalla sedia e mi sorrise.
«Credo che andrò a dormire ora, Lizzie. Non sono più in forma come quando ero giovane» scherzò, facendomi l'occhiolino.
«Andiamo, Phil, tu non sei mai stato giovane» replicò Harry sogghignando, e si beccò il consueto scappellotto.
«Buonanotte Phil, grazie dell'ospitalità e della cena» dissi sorridendo. Phil si schermì, ricambiando il sorriso, quindi si diresse verso la camera da letto che condivideva con Harry. Quest'ultimo si girò verso di me.
«Tu che vuoi fare, Lizzie? Hai sonno?»
«Un pochino, ma non granché» risposi scrollando le spalle e raddrizzando la schiena. In realtà mi sarei potuta addormentare in qualunque momento, ma volevo più di ogni altra cosa stare ancora in sua compagnia.
Harry si allontanò dal piano di lavoro della cucina a cui era appoggiato e si diresse verso il divano, vi si sedette di peso e con aria soddisfatta batté con la mano accanto a sé per invitarmi a sedermi insieme a lui. Arrossii leggermente ma mi alzai dalla sedia e lo raggiunsi sul divano, un po' imbarazzata.
«Ti cederei il mio letto stanotte, ma è in stanza con Phil e ho pensato che non ti andrebbe di sentirlo russare tutta la notte» commentò lui con una risatina, rompendo il silenzio. Non potei fare a meno di ridere a mia volta.
«Non ti preoccupare, il divano andrà benissimo» risposi con un sorriso.
Harry assunse un'aria pensierosa, mordendosi l'interno della guancia e guardando un punto indefinito davanti a sé.
«Ti presterò qualcosa di comodo per dormire» disse poi, tornando a guardarmi negli occhi. «Dovrei anche avere uno spazzolino nuovo in bagno, e se vuoi farti una doccia ti porto un asciugamano pulito»
Il solo pensiero di indossare dei vestiti di Harry contribuì a farmi diventare le gambe come gelatina.
Per fortuna sono seduta, altrimenti credo che non sarei stata in grado di reggermi in piedi.
Scossi la testa per scacciare quel pensiero; da quando in qua ero diventata una tale rammollita? Se Liam mi avesse vista in quelle condizioni mi avrebbe probabilmente presa in giro per il resto dei miei giorni. Ma che dovevo fare? La vicinanza di Harry mi mandava in tilt, non riuscivo a trovare nulla di intelligente da dire.
«Lizzie?» mi chiamò Harry, cercando di attirare la mia attenzione.
Mi riscossi in un sussulto e aprii la bocca per rispondere ma non mi venne in mente nulla, perciò la richiusi stupidamente. Mi limitai a rivolgergli un piccolo sorriso ed annuire. Il ragazzo sorrise a sua volta e lasciò andare la testa all'indietro, appoggiandola sul morbido schienale del divano e chiudendo gli occhi.
Mi piaceva poterlo osservare liberamente, quando aveva gli occhi chiusi. Seguivo il profilo deciso della sua mascella, risalivo fino alla fronte, studiavo il modo in cui i lunghi capelli gli incorniciavano il viso, quindi passavo ai dettagli del volto. Il taglio delle sopracciglia, il naso dritto e appena pronunciato, le labbra sottili, il leggerissimo velo di barba serale, il neo sulla guancia sinistra.
Proprio quando iniziai a credere che si fosse addormentato, Harry parlò.
«È bello averti qui. Non ti vedevo da parecchio»
Abbassai lo sguardo, colpevole.
Touché.
«Suppongo che dirti che avevo da fare non sia credibile, giusto?» tentai, ben sapendo che tanto avrebbe capito tutto comunque. Lui ridacchiò.
«Non molto, no. Ma non ti preoccupare, non volevo costringerti a darmi spiegazioni»
Riesce sempre a dire la cosa giusta, maledizione.
«Mi sei mancato» mi sfuggì, e me ne pentii immediatamente. Avevo parlato d'impulso, dando voce al pensiero che mi stava riempiendo il cervello da quando mi ero scontrata con lui ore prima. Io, al contrario di lui, non ne azzeccavo una. Avrei voluto prendermi a pugni.
Harry aprì gli occhi e girò la testa dalla mia parte, guardandomi con una punta di sorpresa, ma quasi subito il suo sguardo si addolcì.
«Anche tu mi sei mancata, Liz»
A quelle parole il mio cuore raddoppiò la velocità. Harry mi sorrise e si alzò in piedi.
«Vado a prenderti qualcosa per dormire» annunciò prima di uscire dalla stanza.
Io rimasi seduta, cercando di calmare il martellare nel mio petto portandovi sopra una mano. Mi affrettai a toglierla quando sentii il ragazzo tornare indietro poco dopo.
«Ecco qui, ti ho portato una t-shirt ed un paio di pantaloncini. Probabilmente ti andranno grandi, ma hanno il laccio e li puoi stringere. Qui c'è lo spazzolino, per lavarti i denti puoi usare il dentifricio che c'è in bagno. Gli asciugamani puliti sono nel mobile sotto al lavandino» enumerò, porgendomi il tutto.
«D'accordo, allora... io vado in bagno» dissi, un po' incerta. «Torno subito»
Che frase brillante, Elizabeth Jane Thompson. Degna di un Nobel per la letteratura.
Trattenni un sospiro frustrato e mi diressi spedita verso il bagno, senza nemmeno guardare la faccia di Harry. Sarei morta dentro se vi avessi letto anche solo una briciola di perplessità.
Richiusi la porta alle mie spalle e respirai per la prima volta in diversi secondi. Mi appoggiai al lavandino, riflettendo sul da farsi; decisi infine di farmi una rapida doccia. Dopo essermi spogliata entrai nel box, in cui avevo già iniziato a far scorrere l’acqua affinché arrivasse alla temperatura giusta. Assaporai per alcuni secondi la piacevole sensazione dell'acqua calda sulla pelle, quindi mi versai sulla mano un po' di quello che presumevo essere il bagnoschiuma di Harry. Non avevo scelta, è vero, ma quando pensavo che mi stavo lavando nella sua doccia con il suo bagnoschiuma non potevo fare a meno di andare in iperventilazione.
Cercai di sopprimere questi pensieri decisamente inopportuni risciacquandomi sotto un getto di acqua ghiacciata che quasi mi mozzò il respiro, ma resistetti stoicamente per un paio di minuti prima di chiudere il rubinetto ed uscire dalla doccia per asciugarmi.
Quando presi tra le mano la t-shirt di Harry non potei trattenermi dall'annusarla; era impregnata del suo profumo, esattamente come avevo immaginato. La indossai in fretta, così come i pantaloncini, quindi mi lavai i denti con lo spazzolino che mi aveva dato il ragazzo ed uscii dal bagno.
Tornata in salotto mi accorsi che Harry aveva sistemato una coperta ed un cuscino sul divano. Non appena mi sentì arrivare si girò e mi sorrise.
«Hai fatto tutto? Ti serve qualcos'altro?» domandò premuroso, avvicinandosi di qualche passo. Sorrisi, leggermente imbarazzata, passandomi una mano tra i capelli.
«No grazie, tutto a posto. Vai pure a dormire, sarai stanco»
Harry annuì.
«Allora... buonanotte, Lizzie» mormorò, lasciandomi un rapido bacio sulla guancia ed incamminandosi con passo spedito verso la sua stanza. D'istinto la mia mano salì a sfiorare il punto in cui si erano posate le labbra di Harry e chiusi gli occhi, sospirando.
Buonanotte a te, Harry.
 
***
 
Erano passate forse un paio d'ore da quando il ragazzo mi aveva salutata, ma io non ero riuscita a chiudere occhio neppure per un minuto. Dopo aver spento la luce mi ero distesa sul divano e mi ero girata e rigirata in ogni posizione possibile, ma nulla da fare. Erano successe troppe cose in troppo poco tempo, quel giorno, ed il mio cervello non era ancora riuscito a processarle tutte.
Stavo osservando la disposizione delle travi sul soffitto della dépendance, lievemente illuminate dalla luce della luna piena, quando sentii dei passi avvicinarsi. Pochi secondi dopo individuai la sagoma longilinea di Harry dirigersi silenziosamente verso il frigorifero per tirarne fuori una bottiglia d'acqua da cui prese diversi sorsi.
Lo sentii sospirare, si passò una mano tra i capelli e si avvicinò alla finestra del salotto per guardare la luna. Quando oltrepassò il divano chiusi subito gli occhi, fingendo di dormire. Non appena mi ebbe superato li riaprii, in modo da poter osservare il suo bel profilo rivolto verso l'esterno. Aveva le sopracciglia lievemente aggrottate e la mascella tesa; sembrava preoccupato o tormentato da qualcosa, ed il desiderio che mi assalì di alzarmi ed abbracciarlo fu quasi impossibile da reprimere.
Ero così rapita nell'ammirarlo che quando si girò verso di me non ebbi la prontezza di richiudere subito gli occhi. Harry sussultò leggermente, ma poi sorrise.
«Scusami. Ti ho svegliata?» mormorò avvicinandosi al divano.
Scossi la testa, sollevandomi su un gomito.
«No, a dire la verità ero già sveglia. Non riuscivo a dormire» confessai, scrollando le spalle.
«Nemmeno io» replicò, mentre il suo viso si faceva più serio.
Mi spostai verso lo schienale del divano, in un muto invito ad Harry di sedersi accanto a me. Il ragazzo accettò, sistemandosi in modo da lasciarmi abbastanza spazio, quindi tornò a posare lo sguardo su di me.
«Stai un po' meglio?» chiese allora con delicatezza, socchiudendo gli occhi per vedermi meglio nella penombra bluastra della stanza. Annuii con un sorriso per rassicurarlo.
«Sì, ora sto bene, davvero. E, a questo proposito...» deglutii, improvvisamente insicura, «...grazie. Non so in che condizioni sarei se non fosse stato per te»
Harry sorrise, e nonostante il buio riuscii ad individuare le fossette sulle sue guance. Avrei voluto poter allungare una mano e toccarle.
«Non ho fatto niente di che, Lizzie. Anzi, mi dispiace non aver potuto fare di più» sussurrò, quasi come se stesse parlando più a se stesso che a me. Nascose il volto tra le mani, con un sospiro frustrato. «Se penso a cosa ti ha fatto, e a cosa stava per farti…»
Non volevo che soffrisse per questo, non doveva sentirsi in colpa. Come poteva credere di non aver fatto abbastanza per me? Harry era stato l’unica ragione della mia felicità da quando avevo messo piede a Rangemore Hall più di un mese prima, ero io a dovermi sentire inadeguata. Non certo lui.
Mi sollevai dal divano mettendomi a sedere e con delicatezza presi le sue mani tra le mie, allontanandole dal suo viso. Le strinsi piano.
«Non dire così, Harry… sei una persona meravigliosa, hai fatto più di quanto immagini per me da quando sono qui. Nonostante tutto quello che hai passato, sei sempre riuscito a trasmettermi la tua allegria ed il tuo buonumore, non hai nulla da rimproverarti»
Harry mi osservava nella penombra, le sopracciglia aggrottate che pian piano si distendevano di nuovo facendo tornare liscia la sua fronte. Liberò un piccolo sospiro e scosse leggermente la testa, distogliendo lo sguardo.
Raccolsi tutto il mio coraggio e, trattenendo il fiato, sfiorai la sua guancia con le dita. Harry si voltò quasi subito verso di me, con un’espressione indecifrabile. Gli occhi sembravano quasi trasudare un conflitto interiore che non riuscivano a contenere completamente.
Ero quasi inebriata dalla sua vicinanza, dalla penombra che in qualche modo rendeva tutto più intimo, dalla sensazione della sua pelle sotto le mie dita. Guidata da un impulso più forte della mia volontà mi avvicinai ancora di più a lui, fino a che il suo viso non fu appena a pochi centimetri dal mio.
Harry sembrò combattere con se stesso ancora per un secondo, prima di farsi sfuggire un ultimo sospiro tra i denti e colmare definitivamente la distanza tra di noi.
Mi baciò con un’urgenza inaspettata, ma senza fretta; era un bacio delicato e allo stesso tempo saturo di silenziosa frustrazione. Le sue labbra si modellavano sulle mie mentre il bacio si caricava di un senso di bisogno sempre più grande ed incontenibile.
Portai entrambe le mani sulla sua nuca, attirandolo ancora più vicino a me. Harry mi strinse a sé, premendo sui miei fianchi per invitarmi a sedermi sulle sue gambe. Con il cuore che batteva così forte da farmi quasi male mi misi a cavalcioni su di lui e avvolsi il suo bacino con le gambe, senza smettere un solo secondo di baciarlo.
Infilai le dita tra i suoi capelli, che gli ricadevano disordinati ai lati del viso. Harry allacciò le braccia alla mia schiena, mentre io stringevo la presa sui suoi fianchi con le gambe. Avevo bisogno di sentirlo ancora più vicino, sembrava non bastare mai. Sentivo i nostri respiri farsi sempre più disordinati, fino a quando la sua lingua sfiorò le mie labbra e mi sentii quasi svenire. Lasciai che incontrasse la mia, in un bacio avvolgente che produsse una scarica di brividi in tutto il mio corpo. Il suo sapore mi dava alla testa, mi sentivo mancare l’aria, e dal suo respiro pesante sapevo che lui non era messo molto meglio di me.
Allontanai a malincuore le labbra dalle sue, assetata di ossigeno, e lui non perse tempo a spostarsi lungo il profilo della mia mandibola per poi arrivare al collo che iniziò a torturare con lenti baci a labbra aperte facendomi sfuggire un gemito soffocato, al che Harry ritornò rapidamente alla mia bocca, riprendendo il bacio lasciato a metà.
Le sue mani non trovavano pace lungo la mia schiena; mi tenevano incollata al suo petto, come se anche un solo centimetro di distanza tra noi fosse intollerabile, come se pensare di mettere fine a quel bacio fosse profondamente sbagliato.
Quando le sue dita sfiorarono la mia pelle accaldata, lasciata per un momento scoperta dalla t-shirt, presi un respiro così secco tra i denti che lui si paralizzò, temendo di aver esagerato. Per tranquillizzarlo guidai la sua mano con la mia sul fianco, lentamente, invitandolo a continuare. Lui prese un sospiro incerto.
«Liz…»
«Shh» lo interruppi, riprendendo possesso delle sue labbra ed intrecciando nuovamente le dita ai suoi capelli.
La mano di Harry si aprì sulla mia schiena e a quel contatto così diretto infilai i denti nel suo labbro inferiore, guadagnandomi un mugolio sordo che sentii vibrare nel suo petto. Mi baciò ancora e ancora, sempre più impaziente, mentre univa l’altra mano a quella che già stava accarezzando la pelle bollente della mia schiena.
Quando sentii di non poter più sopportare il calore che si era ormai diffuso in tutto il mio corpo, feci per sfilarmi la t-shirt ma mi bloccò.
«Liz, Liz, aspetta»
Lo guardai aggrottando le sopracciglia, confusa. Lui ricambiò il mio sguardo con un sospiro tremante, passandosi una mano tra i capelli.
«Cosa stiamo facendo, Liz?» chiese retorico, leccandosi le labbra mentre si sforzava di trovare le parole giuste, anche se aveva ancora il fiato corto per i baci. «Non voglio che tutto questo sia uno sfogo momentaneo dovuto a quello che è successo oggi tra te e Louis, non è giusto per nessuno»
Ero ancora stordita per la situazione di poco prima, per cui in un primo momento non riuscii a capire cosa stesse succedendo.
Perché mi ha fermata? Non avrei dovuto provare a spogliarmi?
«Non nego di avere la mia grossa fetta di responsabilità, visto che ancora adesso sto cercando con tutte le mie forze di impedirmi di baciarti…» si interruppe per passarsi una mano sugli occhi chiusi, in un gesto che non tentava nemmeno di nascondere la frustrazione, «…ma questo cosa risolverà? Tu probabilmente domattina te ne pentirai, e se non sarai divorata dai sensi di colpa sarai come minimo furiosa con te stessa. In tutto questo io non potrò starti accanto perché sarò l’ultima persona che vorrai vedere… e questa è l’ultima cosa che voglio, Lizzie. Lo so che è ipocrita da parte mia fare questo discorso in un momento simile, ma cerca di capirmi»
Mentre ascoltavo le sue parole sentivo crescere un senso di oppressione che mi pesava sul petto come un macigno. Pensava davvero di essere solo un ripiego? Un giocattolo con cui mi sarei divertita una notte e che avrei buttato via il giorno dopo? Non potevo sopportarlo.
Mi sollevai dalle sue gambe e tornai a sedermi sul divano, abbracciandomi le ginocchia come quel pomeriggio allo stagno.
«Non è come pensi» sussurrai. Harry inchiodò il suo sguardo al mio, aspettando una spiegazione più chiara. In quel momento decisi di raccontargli tutta la verità, perciò presi un respiro profondo ed iniziai a parlare.



Spazio autrice
Buongiorno e buon ferragosto in ritardo <3
Ero impazientissima di pubblicare questo capitolo fin da quando l'avevo scritto. Siamo finalmente arrivati al momento che tutti aspettavamo (chi dice il contrario sta mentendo, IO VI VEDO) ma emerge qualcosa, un dubbio, una paura di Harry che Lizzie non può accettare. La nostra protagonista infatti decide di dargli spiegazioni... cosa gli dirà? Quali saranno le reazioni del ragazzo? E le conseguenze?
Vi racconterò tutto mercoledì prossimo <3

Ringrazio di cuore freakingscared per aver inserito High Society tra le storie preferite e tra le seguite e Phigadelphia per averla inserita tra le seguite <3

Un abbraccio,
mononokehime
  

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***



«Il mio fidanzamento con Louis è solo di convenienza. Mio padre conosce Mark Tomlinson da quando erano giovanissimi; si sono incontrati di nuovo un paio di mesi fa e ai miei genitori è venuta la brillante idea di approfittare della ricchezza dei Tomlinson per rimettere in piedi l’azienda edile di famiglia. Ovviamente a quanto pare il modo migliore per farlo era quello di farmi sposare il loro nobile figliolo»
Harry mi guardava con un’espressione sbalordita, come se non riuscisse a credere alle mie parole. Tuttavia non accennava a volermi interrompere, perciò proseguii.
«Non l’ho mai sopportato. Fin da quando ci siamo conosciuti è sempre stato odioso, vanesio e pervertito» riuscii a cogliere il disgusto di Harry a quest’ultima parola, «ma per rispetto alla mia famiglia non mi sono mai lamentata. Sono venuta a vivere qui a Rangemore Hall, detestando in silenzio ogni singolo minuto… fino a quando una notte, non riuscendo a dormire, durante una passeggiata nel parco ho conosciuto una persona»
Harry trasalì leggermente. Gli rivolsi un piccolo sorriso, quindi puntai lo sguardo nel buio di fronte a me e continuai a raccontare.
«Improvvisamente era come se vivere qui fosse più facile. Avevo qualcuno con cui potevo essere me stessa, che in qualche modo riusciva sempre a capire cosa mi passasse per la testa, che mi aveva fatto scoprire che anche a Rangemore Hall potevo aver trovato un modo per essere felice»
Sorrisi tra me ripensando ai momenti trascorsi insieme a lui, e d’improvviso mi colpì la consapevolezza che dopotutto non rimpiangevo di essere stata costretta a stare con Louis, se questo aveva voluto dire aver potuto conoscere Harry.
«Purtroppo per me, la situazione è sfuggita piuttosto in fretta al mio controllo. Questa persona ha iniziato a piacermi più di quanto avrebbe dovuto, e mi sono ritrovata a dover combattere con me stessa per non fare stupidaggini che avrebbero compromesso la mia situazione qui. Sono arrivata a costringermi di evitarla a tutti i costi, nonostante mi mancasse più di qualunque altra cosa, perché temevo che appena l’avessi rivista la mia razionalità non sarebbe più riuscita ad avere la meglio. E avevo ragione» osservai con una risata, incrociando le gambe e lasciandomi andare all’indietro verso lo schienale del divano. Harry continuava a restare in silenzio; sembrava parecchio turbato dal mio racconto.
«Scusami, non volevo trasformarlo in un sermone» dissi poi ridacchiando, per cercare di alleggerire l’atmosfera. «Temo di non avere il dono della sintesi»
Tuttavia l’umore di Harry non sembrò essere granché migliorato. Lo vidi chiudere gli occhi e sospirare; incrociò le braccia, restando in quella posizione diversi secondi come a voler registrare tutte le informazioni ottenute. Quando parlò la sua voce era leggermente più rauca del solito.
«Non puoi rifiutarti di sposarlo? Cristo, Lizzie, ha tentato di stuprarti! Ti rendi conto che avresti tutto il diritto di denunciarlo?»
Scossi la testa con un sorriso amaro.
«Non posso. I soldi dei Tomlinson sono l’unico modo sicuro per salvare l’azienda di famiglia; se mando a monte il matrimonio presto l’impresa fallirà e ci troveremo pieni di debiti. Abbiamo il mutuo sulla casa e non potremo più permetterci di pagarlo…» appoggiai la testa all’indietro sul divano, chiudendo gli occhi. «Non ho scelta. La mia famiglia fa affidamento su di me, non posso deluderli. È una questione di sopravvivenza»
«Cos’hai in mente di fare allora?» domandò con voce tesa. «Lo sai che cose come queste in genere non sono episodi isolati. Potrebbe succedere ancora in futuro»
Gemetti massaggiandomi la fronte con una mano, gli occhi serrati.
«Credi che non ci abbia già pensato? Non ho alternative, Harry! Se non lo sposerò tutta la mia famiglia ne pagherà le conseguenze. Per non parlare delle famiglie dei dipendenti dell’azienda» dissi amareggiata, incrociando le braccia al petto. «Qualcuno deve andarci di mezzo per forza, e a questo punto è meglio che sia una persona sola»
Harry aprì la bocca per parlare ma la richiuse quasi subito senza dire nulla, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa con aria sconfitta. Quando tornò a guardarmi si passò nervosamente una mano tra i capelli, sospirando.
«Mi dispiace, non so che dire. Davvero, è… è incredibile»
«Lo so. Purtroppo non ci si può fare nulla. Scusami per averti coinvolto in questo casino»
Il ragazzo sbuffò e si lasciò andare ad una mezza risata per niente divertita, tornando poi a guardarmi incredulo.
«Non dire cazzate, Lizzie, ti stai davvero prendendo la colpa per questo? Come se tu sia stata l’unica ad aver iniziato a provare qualcosa, settimane fa. Ci sono dentro anche io, credimi, e molto più di quanto tu possa immaginare»
Quelle parole risuonarono nella mia testa come un campanello.
Sta dicendo che… anche lui prova qualcosa per me?
«Che intendi dire?» domandai, con la bocca improvvisamente asciutta ed il cuore che iniziava a martellarmi contro il petto. Harry sospirò per l’ennesima volta, prima di guardarmi dritto negli occhi e parlare.
«Che mi piaci, Lizzie, probabilmente dal primo momento che ti ho vista. Che vorrei uccidere quello stronzo di Louis per come ti ha trattata, e che impazzirò se non ti bacio nei prossimi tre secondi»
Non feci neppure in tempo ad andare in fibrillazione alle sue parole, perché Harry prese il mio viso tra le mani e si precipitò sulle mie labbra. Un sollievo immediato mi pervase, come se ogni mio problema potesse essersi risolto in quel bacio così desiderato da entrambi.
Percorsi il suo petto con le dita da sopra la t-shirt, sentendo chiaramente il suo respiro farsi più serrato. Afferrai il tessuto leggero e trascinai Harry con me mentre mi distendevo lentamente sul divano, senza interrompere il bacio.
Il ragazzo si sistemò meglio sopra di me, puntellandosi sui gomiti per stare più comodo. La sua lingua accarezzò il mio labbro inferiore, guadagnandosi l’accesso immediato alla mia bocca che non desiderava altro. Sentivo i suoi capelli solleticarmi le guance, ma non persi tempo a spostarli; le mie mani erano molto più impegnate a tenere il suo viso quanto più vicino possibile al mio.
Rimanemmo a baciarci nella penombra della stanza per un tempo indefinito. Quando entrambi ci sentimmo mancare il fiato Harry si staccò leggermente dalle mie labbra, accarezzandomi il viso con delicatezza. Era così bello averlo lì con me, con il suo corpo intrecciato al mio, che sentii il cuore quasi esplodermi dalla felicità.
«Harry?»
«Mhm?»
Rimasi in silenzio alcuni secondi prima di rispondergli, pensando a come formulare la frase.
«Cosa significa tutto questo… per te?»
Harry sorrise e mi lasciò un bacio leggero sulle labbra.
«Per me… significa che se prima avevo una ragione per tenere le distanze con te adesso non c’è più nulla che mi trattenga. E significa anche che farò tutto quello che posso per toglierti da questa situazione»
Con un nodo in gola per la commozione avvolsi le braccia intorno al collo di Harry e lo strinsi a me, più forte che potevo. Sentii le sue labbra premere ripetutamente sull’incavo tra la spalla e la gola, mentre con una mano mi accarezzava il fianco risalendo fino alla spalla.
Mi spostai un po’ per lasciargli spazio, in modo che potesse distendersi accanto a me appoggiando la testa sul mio petto. Intrecciò una gamba alle mie e mi cinse un fianco con il braccio, sospirando soddisfatto quando iniziai a passare le dita tra i suoi capelli. Li accarezzavo lentamente, massaggiando la cute con i polpastrelli; dai suoi mugolii mi feci pian piano un’idea di quali fossero i suoi punti più sensibili e imparai a concentrarmi su quelli, trattenendomi dal ridere alla sua espressione estatica.
«Sai, Lizzie…» disse dopo un lungo silenzio, con voce impastata dal sonno, «ora capisco tante cose. Per esempio quando ti ho vista l’ultima volta nel parco mentre ero insieme a Phil; eri dietro ad una siepe e quando ti ho vista te ne sei subito andata di corsa, senza tornare indietro quando ti ho chiamata»
Quindi mi aveva vista davvero, quella volta.
«Non avevo molta scelta. Mi ero ripromessa che ti sarei rimasta lontana, per rendere più semplice la mia situazione… ma in realtà era tutto molto più difficile» ammisi.
La mano di Harry prese ad accarezzarmi dolcemente il fianco.
«In queste settimane mi sono logorato i neuroni nel tentativo di capire se avevo fatto qualcosa di sbagliato nei tuoi confronti. Mi sono perfino incazzato con Niall, convinto che se non mi volevi più vedere era colpa del suo comportamento idiota»
Mi coprii la bocca con una mano per soffocare una risata.
«Davvero?»
«Te lo giuro»
«Oh mio Dio» questa volta la risata mi scappò un po’ più forte, e sperai di non aver svegliato Phil. «Chiedigli scusa da parte mia»
Harry rise sottovoce insieme a me, annuendo.
«Lo farò»
Restammo abbracciati per diversi minuti, fino a quando ad Harry non sfuggì uno sbadiglio.
«È meglio che tu vada» sospirai. «È tardi»
«Sai che non vorrei andarmene»
«Neanch’io vorrei che tu te ne andassi. Ma potrebbe essere un problema se Phil si svegliasse e non ti vedesse nel tuo letto»
Harry annuì suo malgrado, quindi si mise a sedere sul bordo del divano e mi guardò con tenerezza.
«Buonanotte, Lizzie» sussurrò, abbassandosi verso di me e lasciandomi ripetuti baci delicati sulle labbra.
Cinsi di nuovo il suo collo con le braccia per impedirgli di allontanarsi.
«Se mi saluti così trovo molto difficile riuscire a farti andare via» mugugnai contro la sua bocca. Harry soffocò un risolino e mi baciò di nuovo, questa volta più a lungo, facendomi girare la testa. Quando si staccò lo liberai con un sospiro.
«Buonanotte Harry» mormorai, accarezzandogli delicatamente una guancia. Il ragazzo mi diede un ultimo bacio e si avviò verso la sua stanza, muovendosi con attenzione per non sbattere addosso a qualche mobile.
Rimasi da sola ad osservare il soffitto, cercando di razionalizzare tutto quello che era appena successo. La sensazione delle labbra di Harry sulle mie era ancora vivida, così come quella delle sue mani e del suo corpo. Non potevo credere a come si era evoluta la situazione in quelle poche ore; fino a mezza giornata prima facevo il possibile per evitarlo, eppure pochi minuti prima ci eravamo baciati su quello stesso divano.
Chiusi gli occhi e mi coprii il volto con le mani, ridendo silenziosamente tra me e me come un’adolescente alla sua prima cotta. Harry provava qualcosa per me e me l’aveva confessato senza mezzi termini né esitazioni. Gli avevo raccontato tutta la verità riguardo ai miei sentimenti ed al motivo per cui ero a Rangemore Hall. Poteva forse andare meglio di così?
Certo che sì, stupida. Ti sei dimenticata di Louis, per caso?
A quel pensiero, così scomodo eppure così maledettamente vero, il sorriso mi morì sulle labbra. Già, e con Louis che avrei fatto? Il problema del matrimonio non era di certo scomparso, anzi; per certi versi era perfino diventato più grave e complicato, tenendo conto degli avvenimenti della giornata.
Nelle ultime ore insieme a Harry avevo dimenticato perché non fosse una buona idea riavvicinarmi a lui, men che meno a quei livelli. Non era una buona idea semplicemente perché non ci era permesso di avere un futuro insieme, per cause completamente estranee alla nostra volontà.
Avevo ormai perso il conto delle ore passate negli ultimi due mesi ad esaminare la mia situazione da ogni prospettiva, studiandola con una minuzia ed un’attenzione ai dettagli che non avevo mai avuto per nient’altro in vita mia, ma ero sempre giunta alla stessa avvilente conclusione: il matrimonio era l’unica strada percorribile. Le alternative che avevo trovato – come vincere una fortuna a qualche lotteria o essere magnanimamente liberata dall’onere delle nozze dagli stessi Tomlinson senza però implicazioni finanziarie negative –  erano decisamente troppo utopistiche per essere prese sul serio in considerazione.
Improvvisamente mi sentii risucchiata in un vortice di ansia e sconforto. Ero stata estremamente irresponsabile a confessare i miei sentimenti a Harry, cosa che l’aveva portato ad esporsi a sua volta nei miei confronti. Avevo trovato comodo dimenticarmi delle conseguenze delle mie azioni rifugiandomi tra le braccia del ragazzo, dopo interminabili giornate chiusa nella mia stanza extralusso a marcire logorandomi i nervi sull’inevitabile percorso futuro della mia vita.
Era stato così facile perdermi tra quelle mani e quelle labbra, le uniche che avessi mai desiderato davvero, i suoi occhi verdi così luminosi e vividi, il sorriso che mi toglieva il respiro ogni volta e che avrebbe sempre continuato a farlo, le fossette che scavavano le sue guance quando rideva – la sinistra decisamente più marcata della destra, ricordai con un tuffo al cuore.
Come avrei dovuto comportarmi con lui? Illuderlo di poter stare insieme quando invece sapevo perfettamente che non sarebbe mai potuto essere così?
L’hai appena fatto, Thompson.
Un sospiro frustrato si liberò dalle mie labbra, mentre mi passavo ripetutamente una mano tra i capelli in un gesto carico di nervosismo.
Avevo combinato uno dei miei soliti casini, e questa volta non sarebbe stato affatto banale rimediare. La soluzione più semplice – anche se il solo pensarci mi fece più male di una coltellata – era quella di iniziare di nuovo ad evitarlo. Forse avrebbe cercato di farmi cambiare idea all’inizio, ma poi si sarebbe rassegnato e avrebbe continuato la sua vita.
È quello che devi fare, quello che farai. Devi pagare le conseguenze della tua cazzata.
Mi ritrovai a pregare che i baci di Harry l’indomani mattina fossero freddi ed insapore, che i suoi occhi non incontrassero i miei nemmeno una volta. Sapevo che il mio autocontrollo da quel punto di vista era ormai demolito ma sapevo altrettanto bene che avrei comunque dovuto lottare con tutte le mie forze per non cedere.
Odiavo dover rinunciare all’unico ragazzo per cui avessi mai provato sentimenti così forti, così come odiavo il pensiero di averlo illuso – e di aver illuso me stessa – che ci sarebbe potuto essere qualcosa tra di noi, nonostante tutto.
Con la mente infestata da questi pensieri ed una lacrima che faceva capolino all’angolo dell’occhio in qualche modo mi addormentai, desiderando di potermi svegliare il giorno seguente nella mia stanza a Dover senza che nulla fosse mai successo.



Spazio autrice
Buondì <3 eccoci qua, stiamo entrando nel vivo della parte più problematica della storia. Ormai si gioca a carte scoperte, e non è facile gestire il conflitto tra i propri sentimenti ed il contesto in cui ci si trova.
Cosa succederà al risveglio dei nostri protagonisti? Ve lo racconterò...... sabato.
Già, perché sabato sarà il mio compleanno - che bello invecchiare - e ho deciso che farò un'eccezione e pubblicherò il prossimo capitolo come regalo(?). Non temete, il capitolo successivo ritornerà mercoledì come da programma <3
Tra parentesi, ringrazio tantissimo 
ele_mr per aver inserito High Society tra le storie preferite e tra le seguite :3 mi fa sempre un piacere immenso, davvero.

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***



Purtroppo per me, il cielo che intravedevo attraverso la finestra la mattina successiva non era affatto quello della città nel sud dell’Inghilterra dove ero cresciuta.
Era ancora presto; nonostante la notte precedente mi fossi addormentata tardissimo, l’orologio appeso alla parete segnava appena le 6:30. Con uno sbadiglio mi alzai stiracchiandomi dal divano, mentre tutti i pensieri che mi avevano tormentata la sera prima tornavano a riversarmisi addosso come una secchiata di acqua fredda. Riflettei sul da farsi, ancora intontita; non avevo il coraggio di guardare in faccia Harry, questo era assodato, ma cosa fare?
Pensavo e ripensavo alle possibili soluzioni, mentre mi toglievo i vestiti del ragazzo per infilarmi di nuovo i miei. Piegai la t-shirt, i pantaloncini e la coperta disponendoli in una pila ordinata sopra il divano.
Avrei potuto lasciargli un biglietto in cui gli chiedevo scusa per averlo illuso e andarmene, tornando ad evitarlo in ogni modo possibile. Era da stronzi e da vigliacchi, lo sapevo perfettamente, ma vederlo e parlargli di persona mi avrebbe solo fatto ricadere nella cieca illusione della sera precedente e saremmo stati di nuovo punto e a capo.
Gemetti con un sospiro, ma prima di cambiare idea recuperai in fretta una penna ed un foglietto dal blocco che era appoggiato sopra al mobile della TV. Scrissi poche righe, disgustata dalla mia stessa codardia, quindi infilai in fretta il biglietto all’interno della t-shirt di Harry e mi diressi verso la porta d’ingresso.
Prima che potessi afferrare la maniglia sentii dei passi ovattati alle mie spalle. Serrai gli occhi e mi morsi il labbro inferiore trattenendo il respiro, quindi mi voltai con l’aria più casuale che riuscii a tirare fuori.
Con mio immenso sollievo, la figura che mi guardava con aria perplessa era quella di Phil, senza ciabatte sul pavimento di legno. L’uomo mi sorrise, senza però alterare la propria espressione dubbiosa.
«Buongiorno, Lizzie, te ne vai di già? Harry sta ancora dormendo, ma posso andare a svegliarlo…»
Scossi la testa e le mani in un gesto forse troppo teatrale ed affrettato, perché Phil sollevò le sopracciglia ancora più perplesso. Tentai di rimediare con un mezzo sorriso.
«No, grazie Phil. È ancora presto, e poi mi sono ricordata di avere degli impegni stamattina… mi dispiace, stavo andando via senza salutare nessuno ma non volevo svegliarvi» mi giustificai con una risatina nervosa, sperando con tutto il cuore che non si accorgesse del mio pietoso tentativo di trovare una scusa.
Phil sembrò comunque farsi bastare la mia spiegazione, perché il suo viso si distese.
«Beh, d’accordo allora. È stato bello averti qui, passa pure di nuovo quando vuoi. Sei sempre la benvenuta»
«Grazie di tutto, Phil. Ci vediamo presto» mentii a malincuore con un mezzo sorriso, distogliendo poi lo sguardo e voltandomi nuovamente verso la porta.
Quando uscii dalla dépendance l’aria fredda e umida mi si appiccicò in faccia, facendomi istintivamente rabbrividire. Il cielo era parecchio coperto, sicuramente sarebbe piovuto in mattinata. Richiusi la porta in massello prendendo un respiro profondo per farmi coraggio; era come lasciarsi alle spalle tutte le speranze e le illusioni che avevo accumulato nel corso di una singola notte.
Diedi un ultimo sguardo al cielo grigio, sentendolo quasi piacevolmente affine a me, e con un ultimo sospiro mi diressi a passo lento ma costante verso la villa.
 
***
 
Harry’s POV
 
Quando aprii gli occhi, quella mattina, il mio primo pensiero fu Lizzie. Un sorriso enorme si disegnò spontaneo sulle mie labbra al ricordo della notte appena trascorsa; in una scarica di adrenalina mi sollevai a sedere sul letto, sgranchendomi le braccia e la schiena.
Guardai verso il letto di Phil; il vecchio non c’era, come al solito. Si alzava sempre all’alba, amava bersi un caffè caldo nel silenzio della dépendance, appoggiato al piano di lavoro della cucina.
Ne avrà approfittato per preparare la colazione anche a lei.
Mi alzai di ottimo umore, facendo una sosta al bagno per lavarmi la faccia, quindi mi diressi verso il soggiorno. Appena arrivai mi fermai sulla soglia, confuso.
Phil era seduto al tavolo, senza la sua tazza di caffè. Non l’aveva neppure preparato, dal momento che non ne sentivo il profumo. Ed era… da solo.
«Dov’è Lizzie?» domandai perplesso. Poi notai la coperta ed i vestiti piegati sul divano.
Non se ne sarà mica…?
«Tornata alla villa, quasi mezz’ora fa ormai» rispose Phil con voce piatta, guardandomi negli occhi come se fosse lui a cercare una spiegazione da me e non viceversa.
Scossi la testa, incredulo, credendo di non aver capito bene.
«Come sarebbe a dire “tornata alla villa”?» chiesi con una punta di esasperazione. Phil tornò a guardare un punto indefinito davanti a sé.
«Credo che tu abbia sicuramente più strumenti di me per capire cosa sia successo, ragazzo. Mi sbaglio?»
Premetti le labbra tra loro, scottato dalle parole inaspettatamente taglienti di Phil. Era vero, a lui non avevo mai detto nulla riguardo ciò che provavo per Lizzie, ma a quel punto doveva aver sospettato qualcosa.
Perché Lizzie se n’era andata? Sembrava che fossimo finalmente riusciti a trovarci, quella notte; ricordavo il suo sorriso, era felice. Sospirai, abbassando la testa ed allargando le braccia.
«Forse questo potrà fare almeno un po’ di luce sui tuoi dubbi» disse Phil atono mentre mi porgeva un foglietto, continuando a non guardarmi negli occhi.
Aggrottai le sopracciglia e afferrai il biglietto, con un leggero tremore alle mani. Le poche parole che vi erano scritte mi fecero crollare il pavimento sotto i piedi.
 
Perdonami, Harry. So che è vigliacco da parte mia scriverti queste parole, ma ci ho riflettuto ed è meglio per tutti se dimentichiamo quello che è successo stanotte. Ti prego di capire quanto sia difficile per me questa decisione.
Spero che potrai perdonarmi.
Liz
 
Rilessi il breve testo così tante volte che quasi consumai la carta con lo sguardo. Accartocciai il foglietto nella mano e mi lasciai andare all’indietro contro lo stipite della porta, serrando gli occhi e sfregandoli con le dita. Phil non disse nulla, ed in silenzio si alzò dalla sedia per iniziare a preparare il caffè.
Scivolai lentamente verso il pavimento fino a sedermici, il foglietto sempre stretto nel pugno chiuso. Non potevo credere a quello che avevo appena letto, nonostante una fastidiosa vocina nella mia testa continuasse a ripetermi che non avrei potuto aspettarmi nulla di diverso. Certo, quella notte mi ero riempito la bocca con la promessa che l’avrei tirata fuori da quel casino, ma cos’avevo in mano per poterle dare qualche sicurezza concreta?
Assolutamente nulla, ecco cosa. Erano tutte cazzate e tu sei solo uno stronzo egoista. Volevi soltanto legarla a te, fare la parte del supereroe, marcare il territorio. Ma la verità è che non puoi fare niente di niente, e lo sa benissimo anche lei.
Non potevo biasimarla per il suo comportamento, era la parte più amara da accettare. Non ero riuscito a fare nulla per lei, anzi; l’avevo messa in una situazione ancora più delicata e scomoda di quanto già non fosse e alla fine ne era dovuta uscire da sola, nel modo più difficile e doloroso. Avrei voluto picchiarmi da solo, ma non avrei comunque risolto nulla.
Riaprii gli occhi quando sentii profumo di caffè proprio sotto al mio naso. Phil mi stava porgendo una tazza fumante, e anche se non sorrideva la sua espressione era gentile.
Accettai il caffè con un cenno del capo, quindi mi alzai dal pavimento dirigendomi verso il tavolo a cui mi sedetti insieme a Phil. Entrambi iniziammo a sorseggiare la bevanda bollente, ascoltando la pioggia fitta ma leggera che nel frattempo aveva cominciato a cadere.
Dopo un lungo silenzio il vecchio parlò.
«Ho trovato il biglietto nella tua maglietta. Volevo mettere a posto i tuoi vestiti e quando li ho presi in mano ho sentito un rumore di carta che si stropicciava, così l’ho tirato fuori e l’ho letto. Immagino che se avesse voluto che lo vedessi anche io l’avrebbe semplicemente lasciato sul tavolo, quindi ti chiedo scusa per aver ficcato il naso dove non dovevo»
Scossi leggermente la testa, mentre passavo ripetutamente il pollice sul bordo della tazza.
«No, non ti preoccupare. Avrei dovuto dirtelo in ogni caso»
Phil non rispose subito, prendendo invece un altro piccolo sorso di caffè.
«Ti va di spiegarmi com’è andata?» chiese infine, guardandomi negli occhi.
Presi un sospiro, cercando di rimettere insieme i pezzi di quelle settimane, quindi iniziai a raccontare.
«Lizzie mi è sempre piaciuta, immagino, anche prima che me ne rendessi conto. Insomma, l’hai vista… è simpatica, vivace, bellissima, vera. È stato assolutamente naturale entrare in sintonia con lei, voler farla ridere e consolarla quando era triste. Sapevo che non potevo andare oltre, visto che stava con Tomlinson, ma a me in un certo senso andava bene così. Mi bastava vederla felice»
Mi passai una mano sulle labbra, senza sapere dove posare lo sguardo. Non volevo che Phil vedesse quanto stessi male nel parlare di quelle cose.
«Poi ad un certo punto è sparita. Non passava più a trovarmi, non la vedevo più passeggiare nel parco. L’unica volta che sono riuscita a vederla, dopo quasi due settimane, è scappata appena mi sono accorto che era lì. Era come se mi stesse evitando, e non riuscivo a capire il perché»
Mi lasciai andare ad una mezza risata amara.
«Ieri pomeriggio avevo appena finito di sistemare quell’innaffiatoio automatico del parco che si era bloccato, quando mi è praticamente atterrata addosso. Piangeva e stava correndo senza guardare dove andava; voleva scappare via di nuovo ma sono riuscito a passare un po’ di tempo con lei e tranquillizzarla. Mi ha detto… che quello stronzo di Tomlinson ha tentato di violentarla»
Phil mi guardò con l’espressione più sorpresa che gli avessi visto in diverso tempo. Ingoiai il disgusto che provavo ogni volta che pensavo a quella vicenda e mi costrinsi a continuare.
«Inutile dire che non avrei potuto farla tornare alla villa ieri sera. L’ho portata qui, ero riuscito a farle quasi dimenticare quello che era successo… Quello che non avevo previsto era quello che mi ha detto stanotte; che i suoi genitori avevano combinato un matrimonio tra lei e Tomlinson, in modo da poter salvare l’azienda di famiglia. E poi… mi ha detto di provare qualcosa per me»
Improvvisamente mi piovvero davanti agli occhi immagini di Lizzie mentre parlava osservando il buio davanti a sé, il suo modo di portare le ginocchia al petto ed appoggiarvi il mento, le sue mani che non riuscivano a stare ferme.
«Cos’avrei potuto fare? Non sono riuscito a trattenermi dal dirle che per me era lo stesso. Ci… ci siamo baciati. Le ho fatto promesse che non avrei potuto mantenere. Ero completamente accecato dalla felicità di aver scoperto come si sentiva nei miei confronti. Sono stato un coglione irresponsabile, e l’ho fatta soffrire ancora di più»
Phil rifletté qualche minuto sulle mie parole, in silenzio, rigirandosi di tanto in tanto la tazza ormai vuota tra le mani. La pioggia grigia continuava a cadere noiosa, tracciando sentieri zoppicanti sul vetro delle finestre, e le foglie degli alberi si piegavano sotto il peso dell’acqua.
«Sarò franco, ragazzo, voi due vi siete cacciati in un bel pasticcio» sentenziò infine Phil con aria grave. «Sarà difficile per entrambi superare questa situazione. Tuttavia non si può dare la colpa a nessuno, suppongo; non avete deciso voi di provare questi sentimenti l’uno per l’altra»
Sospirai, sempre più scoraggiato, ma lo lasciai proseguire.
«Vorrei dirti che per voi c’è una possibilità, ma purtroppo non posso farlo. Da quel che ho capito Lizzie non è del tutto libera di scegliere di non sposare il signorino Tomlinson, perciò forse la cosa migliore è che cerchiate di dimenticare i sentimenti che vi legano»
Gemetti, nascondendomi il viso tra le mani. Cosa mi aspettavo? Che Phil tirasse fuori qualche soluzione geniale a cui né io né Lizzie avevamo pensato?
Tornai a guardarlo stringendo i pugni.
«Tomlinson le ha messo le mani addosso, Cristo santo! Come posso starmene qui con le mani in mano senza fare nulla, mentre lui probabilmente lo rifarà ancora e ancora?»
«Quelli come noi non valgono niente qui, Harry!» replicò lui esasperato. «Dobbiamo fare il nostro dovere a testa bassa senza protestare, o ci sbattono fuori tutti e due, mi hai capito?»
«Non mi interessa di venire sbattuto fuori, ma non permetterò che quello stronzo alzi ancora un dito su di lei!» sbottai. «Non esiste che io me ne stia a guardare, piuttosto mi faccio arrestare»
«Non dire cretinate, ragazzo! A che servirebbe se tu ti facessi buttare fuori?» tuonò Phil, battendo con violenza le mani sul tavolo. «Faresti solo il suo gioco, per Dio, riflettici un secondo. Lui potrebbe continuare indisturbato a rendere la vita di Lizzie un inferno, e lei non avrebbe più nessuno accanto a lei. Resterebbe da sola»
Quelle parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. Non avevo considerato questo aspetto, ma il vecchio aveva perfettamente ragione. Ero l’unica persona a Rangemore Hall che poteva starle vicino. Non potevo nemmeno combattere per aiutarla, ribellarmi ai Tomlinson, uscire dall’ombra per potermi schierare apertamente con lei; l’avrei solo esposta ancora di più. Non potevo fare niente di niente.
«Cosa devo fare?» chiesi in un sussurro, guardando implorante Phil. Lui sospirò, passandosi una mano sul mento liscio.
«Niente, Harry, è questo il punto. Devi restarle accanto, ma per poterlo fare non ti puoi permettere di fare stupidaggini. Ha bisogno di te, ora più che mai»
Avrei dovuto lasciare che sposasse Louis? Starmene buono e vederla soffrire, gettando alle ortiche giorno dopo giorno la sua vita?
Il vecchio ha ragione, non c’è nient’altro che tu possa fare. È l’unico modo per aiutarla.
Presi un respiro profondo, a testa bassa, quindi annuii debolmente. Phil addolcì lo sguardo, posandomi una mano sulla spalla e stringendo leggermente.
«Coraggio ragazzo, andrà tutto bene» disse piano, probabilmente senza nemmeno crederci più di tanto. Gli rivolsi comunque un piccolo sorriso, come a ringraziarlo in silenzio per avermi ascoltato ed aiutato. Sarebbe stata una lunga giornata; la pioggia ci impediva di lavorare in giardino e gli attrezzi non avevano bisogno di manutenzione, perciò non avrei avuto nulla da fare per tenere occupata la mente ed evitare di pensare a lei.
Emisi un piccolo sbuffo rassegnato e mi alzai in piedi. Decisi di uscire comunque e fare una passeggiata nel parco sotto la pioggia, come facevo ogni tanto quando volevo distrarmi da qualche pensiero scomodo. Aprii la porta e uscii all’esterno, venendo subito investito da una miriade di goccioline fredde che mi provocarono un brivido lungo la schiena.
Non vi badai, iniziando a camminare a passo tranquillo godendomi la sensazione dell’acqua fresca contro la pelle delle braccia lasciata scoperta dalle maniche corte della t-shirt. I capelli non tardarono ad attaccarsi al mio viso in ciocche fradicie che non tentai nemmeno di spostare, la maglietta ormai inzuppata aderiva perfettamente al mio corpo.
Alzai il viso, socchiudendo gli occhi per non farvi entrare le gocce di pioggia, fingendo che quelle che mi scorrevano sul viso fossero le lacrime che tanto odiavo far uscire. Avevo pianto pochissime volte nella mia vita, detestavo il senso di impotenza che mi schiacciava mentre piangevo. Preferivo sempre soffrire in silenzio e lasciare che il dolore facesse il suo corso spontaneamente.
Tuttavia in quel momento desiderai piangere; prendendo in prestito l’acqua del cielo sfogai tutta la rabbia e la frustrazione che non sapevo come far uscire, illudendomi di essermi liberato, almeno in parte, della cappa di inesorabile solitudine che mi avvolgeva il petto. 



Spazio autrice
Salve a tutti! Come promesso, ecco qui il capitolo di compleanno :D
Spero che non mi odierete ahah
Lizzie si trova di fronte al solito doloroso bivio, e purtroppo è una ragazza troppo razionale per mettersi le proverbiali fette di prosciutto davanti agli occhi ed ignorare le conseguenze delle proprie azioni. In cuor suo sa che, nonostante il metodo scelto non sia decisamente dei meno vigliacchi, doveva troncare il suo rapporto con Harry sul nascere per salvaguardare entrambi - oltre che la propria famiglia, che ama molto.
Per la prima volta, poi, abbiamo la storia raccontata dal punto di vista di Harry. Il ragazzo si rende conto di avere le mani legate e Phil gli raccomanda di tenere un profilo basso, in modo da poter stare accanto come può alla nostra protagonista.
Come si svilupperanno le cose? Aspetto i vostri commenti e le vostre opinioni <3
Noi ci rivediamo come sempre mercoledì prossimo :*
Un grazie immenso a
ArtAttack69 per aver messo High Society tra le storie preferite <3

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***



Quando ero tornata alla villa non avevo incontrato nessuno, a parte un paio di domestiche che si affaccendavano correndo qua e là per le pulizie mattutine. Camminavo a passo spedito verso la mia stanza, con il cuore in tumulto per la paura di incrociare Louis. Quante volte mi ero trovata in quella situazione?
Non appena arrivai mi chiusi dentro, con il fiato corto, tentando di ricompormi. Dovevo pensare in fretta ad un piano d’azione per l’immediato futuro. Come avrei dovuto comportarmi con Louis? Avrei dovuto sottomettermi? Ribellarmi? Implorarlo di avere pietà? Cercare un dialogo costruttivo e maturo?
Ma soprattutto… come si comporterà lui con me quando lo rivedrò?
Questo pensiero aveva covato in un angolo del mio cervello fin da quando ero scappata dalla villa il pomeriggio precedente. Non era una questione da trascurare; non avevo idea di quale sarebbe stato il suo atteggiamento nei miei confronti. Forse mi aspettava il secondo round, oppure avrebbe fatto finta di nulla, continuando a comportarsi come aveva sempre fatto. Forse mi avrebbe chiesto scusa.
Scossi la testa con una risatina silenziosa.
Macché… Louis Tomlinson non chiede mai scusa a nessuno.
Non negavo di essere terribilmente in ansia per quello che mi aspettava.
E se si mettesse a chiedermi dove ho passato la notte? Non ho preso nulla con me quando sono scappata, e per giunta non ho una macchina… cosa dovrei inventarmi? Non posso di certo dirgli che ho dormito da Harry…
Gemetti serrando gli occhi.
Già, cosa avrei potuto rispondere a Louis se avesse iniziato un interrogatorio su questo argomento? Non potevo aver chiamato un taxi né tantomeno dormito in un hotel, visto che non avevo con me né il telefono né il portafogli.
Parlargli di Harry avrebbe significato guai sia per lui che per Phil, perché sicuramente a Louis non sarebbe andato a genio che io conoscessi Harry così bene da poter dormire a casa sua. Non aveva nemmeno idea che io ed il ragazzo ci conoscessimo, a dirla tutta. Non gliene avevo mai parlato per ovvi motivi, e questo avrebbe solo contribuito a peggiorare la situazione se la verità fosse venuta a galla.
Oltretutto non avevo ancora idea di come avrei dovuto affrontarlo. Sarei dovuta scendere a fare colazione con lui? Forse in un ambiente di quel tipo, circondato dai domestici, non avrebbe potuto fare mosse compromettenti.
Sì, credo sia la soluzione migliore. Almeno per ora.
Recuperai il telefono dal comodino e controllai l’ora: segnava le 7:13. Era ancora presto, quella mattina Louis sarebbe sceso a fare colazione verso le 8:00. Se non ricordavo male aveva una riunione alle 9:30, ma doveva uscire con largo anticipo per recuperare dei documenti.
Sospirai e premetti nuovamente il tasto di blocco dell’iPhone per guardare ancora una volta la foto che avevo messo come sfondo; eravamo io e Liam, abbracciati e sorridenti, alle scogliere. La foto risaliva ad un paio di mesi prima, a pochi giorni dal mio trasloco a Rangemore Hall. Cercavamo entrambi di combattere il senso di nostalgia precoce che stranamente invadeva le nostre giornate ancora prima che io partissi, perciò passavamo insieme ogni minuto disponibile. Di solito se il tempo era bello andavamo alle scogliere con una coperta, del cibo e dei libri e restavamo lì qualche ora a leggere, mangiare e chiacchierare.
Un sorriso un po’ triste si fece largo tra le mie labbra.
Mi mancava Liam, ci sentivamo davvero poco e mi sentivo un po’ in colpa per questo. Gli dicevo sempre che parlare per telefono mi faceva solo sentire di più la sua mancanza e allora avevamo gradualmente ridotto la frequenza delle chiamate.
Liam non sapeva ancora nulla di tutto quello che stava succedendo; non avevo mai ammesso con lui i miei sentimenti nei confronti di Harry.
Sono una pessima migliore amica.
Forse avrei dovuto chiamarlo. Era sempre stato un punto di riferimento per me ed era ancora strano non poterlo vedere quando volevo.
Prima di rendermene conto avevo già selezionato il suo contatto nella rubrica e fatto partire la chiamata.
A quest’ora si starà preparando per andare a fare jogging.
Chiusi gli occhi, sedendomi sul letto, mentre ascoltavo il suono sterile della linea telefonica libera. Liam rispose dopo cinque squilli.
«Pronto, Lizzie?»
«Ehi» mi ritrovai a dire, senza sapere cosa aggiungere. Sentire la sua voce calda e familiare mi aveva improvvisamente fatto venire un nodo alla gola.
«È successo qualcosa? Non è da te chiamare a quest’ora» osservò, e la sua voce non riusciva a nascondere una nota di preoccupazione.
«Avevo voglia di sentirti» risposi in un sussurro mentre delle lacrime iniziavano senza preavviso a riempirmi gli occhi, rendendo tutto sfocato. Sentii Liam sospirare all’altro capo del telefono.
«Lizzie, dimmi qual è il problema. Mi sto preoccupando, davvero. Lo sai che a me puoi dire qualsiasi cosa, ci sarò sempre per te»
A quelle parole non riuscii più a trattenere il pianto, che esplose in una serie di singhiozzi disordinati e silenziosi. D’un tratto tutto il peso dei recenti avvenimenti mi schiacciò il petto come un macigno. Faceva male.
L’immagine di Harry ritornò prepotente davanti ai miei occhi, vivida e precisa in ogni dettaglio. I suoi occhi verdi mi guardavano con un nonsoche di accusatorio, le sopracciglia leggermente aggrottate, le labbra strette tra loro in quel modo particolare che faceva comunque spuntare la fossetta sinistra che mi piaceva tanto. Harry doveva essere confuso ed arrabbiato per il mio comportamento, che si era di nuovo dimostrato maledettamente incoerente, e quel che era peggio è che sapevo che aveva tutte le ragioni al mondo per avercela con me.
«Lizzie…?» Liam tentò di richiamare dolcemente la mia attenzione.
«Scusami» farfugliai, facendo del mio meglio per tenere sotto controllo il pianto.
Lo sentii sospirare di nuovo.
«Hai voglia di parlarne?» chiese dopo qualche secondo.
Deglutii per sciogliere il nodo che mi stringeva la gola, senza successo.
«S-sono successe tante cose, Liam… ora non so che fare, ho paura che Louis lo f-faccia di nuovo, e… e… che H-Harry sia troppo arrabbiato con me…»
«Che Louis faccia cosa, Liz? Non ho capito nulla. Fai un bel respiro, cerca di tranquillizzarti e comincia dall’inizio»
Il respiro profondo che presi fu molto più tremante di quello che avrei voluto, ma me lo feci bastare. In poche parole – anche se bastarono comunque a farmi sgradevolmente rivivere il tutto – raccontai a Liam quello che era successo con Louis. Qualcosa dentro di me mi impedì di aggiungere anche l’argomento “Harry”, ma Liam diventò così furioso quando sentì la storia che se ne dimenticò.
«Quello stronzo deve ringraziare il cielo che tu stai bene, Liz! Se solo ti avesse fatto del male avrei fatto saltare per aria lui e tutta la sua maledetta tenuta» esclamò tra improperi non meglio identificati, facendomi in qualche modo sorridere nonostante le lacrime.
«È bello sentirti, Liam. Mi sei mancato» sussurrai quando si fu calmato.
«Anche tu, piccola Thompson. Quando riuscirai a tornare a Dover?»
«Non lo so» sospirai, passandomi una mano tra i capelli. «Non ho nemmeno idea di come sarà la mia vita tra due ore»
Liam rimase in silenzio per diversi secondi; riuscivo perfettamente a visualizzare la sua aria pensierosa.
«E se venissi a trovarti io?»
Spalancai gli occhi a quella domanda. Non ci avevo assolutamente pensato; poteva essere una buona soluzione. Tuttavia dovevo prima capire come gestire la situazione con Louis.
«Mi piacerebbe un sacco, ma qua è un po’ tutto un casino. Se aspetti che torni dalla colazione ti scrivo un messaggio, sperando di saperne più di prima»
«Andata. Se mi dai la conferma posso partire anche oggi stesso, mi hai beccato giusto nella mia settimana di ferie» esclamò allegro. Ridacchiai nel constatare come fosse sempre così facile per Liam alleggerire l’atmosfera.
«Allora ti scrivo più tardi» risposi con un sorriso, alzandomi dal letto e andando verso la finestra. Non appena rivolsi lo sguardo all’esterno, verso il parco, il sorriso mi morì sulle labbra.
La pioggia fitta e leggera aveva iniziato a cadere da diversi minuti senza che me ne accorgessi, tingendo il paesaggio di una fredda nota grigia e innaffiando senza pietà una figura che passeggiava noncurante tra le aiuole.
Harry.
«D’accordo, ci sentiamo dopo» replicò Liam prima di riattaccare, senza accorgersi di nulla.
Rimasi paralizzata per qualche minuto, ancora con il telefono all’orecchio, senza riuscire a staccare gli occhi dal ragazzo che vedevo fuori dalla mia finestra. Camminava con passo lento e svogliato, senza nemmeno tentare di ripararsi dalla pioggia, come se non gli importasse nulla di quello che succedeva intorno a lui. Come se sperasse che l’acqua del cielo lavasse via qualche pensiero troppo scomodo e persistente.
Avvertii una dolorosa stretta al cuore.
Quanto vorrei poter correre da lui e abbracciarlo e baciarlo e fingere che Louis Tomlinson non sia mai esistito.
Ma non potevo. Non sapevo nemmeno quando avrei potuto parlargli di nuovo.
Premetti le labbra tra loro, in un gesto inconscio che forse voleva far riemergere il sapore dei baci che ci eravamo scambiati quella notte. Funzionò troppo bene, perché sentii di nuovo le lacrime spingere per uscire; le ricacciai indietro a forza e mi costrinsi ad allontanarmi dalla finestra.
Sospirai in un misto di angoscia e frustrazione, gettandomi di peso sul letto.
Che cavolo sto facendo della mia vita?
Non avrei mai immaginato di potermi trovare in una situazione del genere. Quando ero arrivata a Rangemore Hall – e anche prima di trasferirmici concretamente – mi ero semplicemente rassegnata al fatto che avrei dovuto sacrificare per sempre tutti i sogni e le aspettative che avevo accumulato negli anni nei confronti della mia vita sentimentale. In qualche modo non avevo nemmeno considerato la possibilità di conoscere una persona che potesse farmi stare così bene, in quell’ambiente. Ero convinta che intorno a me avrei avuto solo vecchi finanzieri ed i loro figli boriosi e vanesi. Tante fotocopie di Louis Tomlinson, insomma.
Conoscere Harry era stato un imprevisto che aveva completamente stravolto la mia vita nello Staffordshire. Era entrato nella mia quotidianità in modo così naturale e spontaneo che quasi non me n’ero resa conto, ma una volta entrato era impossibile farlo uscire. Ed ero certa che sarebbe stato così anche se non mi fossi innamorata di lui.
Io… mi sono innamorata di lui alla fine, vero?
Sì, era così. Non era una semplice cotta o infatuazione; avevo avuto modo di apprezzare il carattere allegro e premuroso di Harry, la sua simpatia, la sua forza d’animo.
Mi sono innamorata di Harry Styles.
Era la prima volta che lo ammettevo apertamente, ed in qualche modo mi dava sollievo poterlo affermare. Certo, pensare a lui era come ricevere una coltellata nel petto, ma se non altro potevo essere onesta almeno con me stessa.
Osservai i panneggi del baldacchino sopra di me, come avevo fatto migliaia di volte da quando quella era la mia stanza; speravo sempre di potervi leggere magicamente una risposta a tutti i miei problemi.
In realtà sto soltanto cercando ogni modo possibile per togliermi Harry dalla testa. Senza ovviamente riuscirci.
Ad un certo punto mi arresi semplicemente alla piega che i miei pensieri desideravano così tanto prendere, e la figura snella del ragazzo tornò a riempire la mia mente. Ricordai con un senso di agrodolce nostalgia gli avvenimenti della notte precedente, i nostri incontri nel parco della villa, la prima cena alla dépendance, il racconto del suo passato, la mattina passata a guardare il Signore degli Anelli sul suo divano. Le risate, gli abbracci, i suoi sguardi che sapevano sempre leggermi dentro.
Più pensavo a lui e più mi tornavano alla mente piccoli dettagli, quasi impercettibili, che non mi ero nemmeno resa conto di aver registrato.
Quando rideva a gola spiegata la sua lingua era appoggiata ai denti inferiori e vi fuoriusciva leggermente. Quando faceva un discorso serio si muovevano solo le sue labbra, mentre il resto del viso rimaneva perfettamente immobile come una maschera di pietra. Quando voleva raccontare qualcosa di divertente cercava di mantenere un’espressione seria e neutrale, ma gli angoli della bocca gli tremavano alzandosi inevitabilmente verso l’alto e spesso finiva per ridere alla sua stessa battuta prima ancora di finire di dirla. Quando parlava sovrappensiero si sfregava il pollice destro contro l’avambraccio sinistro, seguendo a memoria la forma del tatuaggio di un’àncora che si trovava proprio lì. Si passava una mano tra i capelli molto più spesso di quanto si rendesse conto di fare, e riuscivo perfino a ricordare il gesto esatto come se ce l’avessi davanti agli occhi: con uno scatto rapido tirava indietro i capelli, quindi muoveva la mano a zig zag con le dita ancora infilate tra le ciocche per assestarle ed infine lasciava scivolare la mano a destra, sfilandola gradualmente, per far ricadere i capelli da quel lato del viso.
Scossi la testa e mi sfregai forte gli occhi con le mani per troncare quel flusso di ricordi che mi stava travolgendo. Quando diedi uno sguardo al telefono per leggere l’ora quasi caddi dal letto; mancava pochissimo alle 8, Louis probabilmente era già sceso a fare colazione.
Decisi di cambiarmi i vestiti, per non rendere troppo palese il fatto che fossi appena rientrata dopo aver passato la notte fuori. Dopo essermi infilata un paio di jeans e una delle poche t-shirts sopravvissute all’impietoso cambio di guardaroba a cui mi avevano costretta, passai in bagno per controllare in che condizioni fossi.
Lo specchio non fu clemente; constatai scoraggiata di avere due occhiaie orrende, la pelle del viso tiratissima ed i capelli in uno stato pietoso. Armeggiai alla bell’e meglio con correttore e fondotinta, mi pettinai come potevo e pochi minuti più tardi iniziai già a scendere le scale verso la sala da pranzo.
Il cuore aveva ricominciato a martellarmi furiosamente nel petto e l’ansia mi faceva sudare le mani. Il mio cervello continuava senza sosta a passare in rassegna tutte le peggiori situazioni che potevano attendermi quando avessi incontrato Louis, facendomi venire voglia di scappare dalla villa una volta per tutte; tuttavia prima che me ne rendessi conto ero già arrivata davanti alla porta della sala da pranzo.
Ormai non posso tirarmi indietro. Ora o mai più.
Presi un sospiro profondo ad occhi chiusi, quindi appoggiai una mano alla maniglia e la abbassai; la porta si aprì mostrandomi la consueta scena del tavolo apparecchiato. Le domestiche vi disponevano il cibo versando caffè nella tazza di Louis Tomlinson che, non appena mi sentì entrare, alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo e sorrise.





READ ME PLS  c:

Spazio autrice
Ciau <3
Sono quasi le due di notte e pubblico il capitolo perché ho zero sonno e poi è già mercoledì quindi tutto fa brodo.
Dunque... ennesimo capitolo strapieno di pipponi mentali di Liz ahah
La nostra protagonista è giustamente in ansia per l'incontro imminente con Louis, e per scaricare la tensione telefona a Liam che come al solito si dimostra il miglior amico che una ragazza vorrebbe avere :')
Come si svolgerà la colazione con il giovane Tomlinson?
Lo scoprirete... quando vorrete voi.

...EH.
Infatti, ne approfitto per annunciare che HO FINITO DI SCRIVERE LA STORIA (piango tantissimo) per cui potrei anche iniziare a postare anche un capitolo al giorno, visto che non ho più bisogno di un buon margine temporale per riuscire a scrivere i capitoli.
Per cui, se volete che acceleri i tempi di pubblicazione, vi invito caldamente a lasciarmelo scritto qua sotto (o anche per messaggio privato se volete) <3
Vi lascio, in via del tutto eccezionale, un'adorabile GIF di Harry per spronarvi.
Susu.

Un abbraccio,
mononokehime



 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 
Rimasi impalata sulla soglia per diversi secondi, tentando di raccogliere il coraggio che mi serviva per muovere gli ultimi passi e sedermi accanto a Louis. Quest’ultimo nel frattempo non aveva mai smesso di guardarmi dritto negli occhi con aria indecifrabile, sulle labbra lo stesso sorriso che aveva assunto da quando mi aveva vista entrare.
Mi obbligai a percorrere la sala da pranzo e a prendere posto a tavola, dove afferrai subito una fetta di pane tostato che iniziai diligentemente ad imburrare con cura.
Dio, fa’ solo che finisca in fretta.
Louis tornò a leggere il giornale. Sembrava in qualche modo… tranquillo, anche se non aveva esattamente un splendida cera.
«Dormito bene, Elizabeth?» chiese, mentre i suoi occhi scorrevano rapidamente colonne di cifre a me incomprensibili.
«S-sì, direi di sì…» mormorai, senza ben sapere dove andasse a parare la sua domanda. Non riuscivo a capire se nascondesse tracce di sarcasmo.
Lui annuì con un leggero sorriso sulle labbra, continuando a leggere avidamente le ultime notizie del bollettino economico. Sembrava una mattina esattamente identica alle altre, non c’era nulla nel suo atteggiamento che lasciasse intendere qualcosa di preoccupante.
Finita la sua lettura mattutina Louis finì in un sorso il caffè rimasto, si pulì la bocca e si alzò dal tavolo afferrando contemporaneamente la giacca poggiata sulla sedia accanto. Mentre passava a fianco a me per uscire dalla sala da pranzo posò un bacio sulla mia testa lasciandomi un po’ interdetta.
È tutto così… normale. Sta bluffando oppure fa sul serio?
Louis era già praticamente fuori dalla porta quando parlò.
«Ah, a proposito, Elizabeth» disse, girandosi a guardarmi. «Ieri ho bevuto parecchio con un mio collega, non mi ricordo praticamente nulla ma se ho fatto qualcosa di strano ti chiedo scusa»
Riuscii quasi a sentire il rumore della mia mascella che sfondava il pavimento.
Louis William Tomlinson si è scusato con me.
Il ragazzo sembrava in attesa di una mia risposta, perciò mi affrettai a scuotere la testa in segno di diniego.
«No, non… tutto a posto, Louis» farfugliai completamente presa alla sprovvista. Lui mi rivolse un sorriso sollevato – sollevato? – e annuì, passandosi una mano sulla fronte.
«Sto da schifo» si lamentò. «Ho un mal di testa terribile, ma non posso proprio rimandare questa riunione. Come se non bastasse ho una serie infinita di appuntamenti nel pomeriggio, chissà come mi è venuto in mente di ridurmi in questo stato proprio ieri»
Ogni tanto Louis aveva qualche momento in cui riusciva ad essere una persona quasi piacevole con cui scambiare due parole; in quelle rare occasioni si comportava più come un ragazzo della sua età che come un insopportabile damerino snob. Quando accadeva arrivavo addirittura a pensare che se fosse stato sempre così avrei potuto anche andarci d’accordo.
«In effetti non è stata un’ottima idea» commentai con un sorrisetto divertito, anche se teso.
Louis sospirò teatralmente, mentre si aggiustava la cravatta e lisciava le pieghe della camicia.
Potrei approfittare di questo suo sprazzo di umanità per chiedergli se posso invitare Liam.
«Beh, ora devo andare. Tornerò nel tardo pomeriggio» si congedò brevemente, facendo per andarsene.
«Ehm, Louis…» lo chiamai, al che si girò a guardarmi con aria interrogativa. «È un problema se faccio venire qui un mio amico di Dover per un paio di giorni?»
Il ragazzo sollevò un sopracciglio.
«Un tuo… amico, Elizabeth?» indagò sospettoso, socchiudendo gli occhi.
«Oh eddai, Louis» esclamai con una punta di esasperazione. «Siamo praticamente fratelli da quando ho un anno, a Dover casa mia era a non più di dieci metri dalla sua e raramente passava un giorno senza che ci vedessimo almeno una volta. È ovvio che mi manca, ma nulla di più»
Sollevò le mani con aria sconfitta, scuotendo la testa.
«Va bene, va bene» concesse magnanimo. «Però se lo vedo uscire dalla tua stanza in piena notte con i pantaloni in mano appenderò la sua testa nell’atrio d’ingresso della villa»
Roteai gli occhi. Doveva sempre essere così… esagerato.
«Non succederà, te lo prometto»
Louis annuì e mi salutò con la mano, prima di voltarsi e dirigersi a passo svelto verso l’uscita.
Quando anche l’eco dei suoi passi non fu più udibile liberai un rumoroso sospiro di sollievo, ancora sbalordita dalla piega che aveva preso la situazione. Se Louis non ricordava nulla di quello che era successo era tutto molto più semplice; niente terzo grado su dove avessi passato la notte, né timore che sarebbe potuto accadere di nuovo in qualunque momento. Mi sarebbe bastato comportarmi come avevo sempre fatto e sarebbe andato tutto bene.
E se stesse solo fingendo di non ricordare? Se si stesse solo dando un contegno, aspettando il momento giusto per il secondo round?
Misi immediatamente a tacere la scomoda vocina che minacciava di spezzare il sottilissimo filo di serenità che ero appena riuscita ad afferrare. Mi passai una mano tra i capelli, cercando di rilasciare almeno in parte la tensione che mi aveva irrigidita durante tutta la conversazione.
Lo stomaco completamente chiuso mi portò ad abbandonare sul tavolo anche la solitaria fetta di pane imburrato che avevo in mano, prima di avviarmi verso la mia camera e recuperare il telefono.
Dopo che ebbi scritto a Liam, dicendogli di partire quando voleva, non riuscii a resistere dall’andare di nuovo verso la mia finestra e sbirciare all’esterno. Constatai con una leggera stretta al cuore che di Harry non c’era traccia. Stava ancora piovendo, e non dava l’impressione di voler smettere tanto presto; si prospettava una giornata di noia mortale, almeno fino all’arrivo di Liam.
Decisi di recuperare il portatile e cercare su Netflix un film da guardare. Cliccai su un titolo a caso dopo aver passato alcuni minuti a scorrere infinite locandine della sezione “Consigliati”. Avviai il film e lasciai che le immagini in movimento riempissero lo schermo, smettendo di seguirle appena pochi secondi dopo, mentre un paio di occhi verdi mi invadeva irrimediabilmente i pensieri senza che io potessi fare nulla per impedirglielo.
 
***
 
Harry’s POV
 
Ero stravaccato sul divano con il cellulare in mano e le cuffiette nelle orecchie, stavo cercando di battere il mio record a Temple Run mentre Master of Puppets dei Metallica infuriava a tutto volume pompando nel mio sangue quella carica extra di adrenalina che mi aveva appena fatto raggiungere il notevole punteggio di 17 milioni.
Quando il personaggio si schiantò contro un tronco d’albero un paio di minuti dopo mi strappai le cuffiette di dosso e lanciai il telefono verso il fondo del divano con un ringhio frustrato. La musica era talmente alta che riuscivo a sentirla perfettamente anche a distanza di un paio di metri.
Mi lasciai andare contro lo schienale, chiudendo gli occhi e passandomi una mano tra i capelli. Odiavo quelle giornate che sembravano morte, in cui non c’era assolutamente nulla da fare. Non si poteva lavorare in giardino ma non potevo nemmeno andarmene dalla tenuta, perché tecnicamente ero in servizio e avrebbero potuto chiamarmi in qualunque momento per fare piccoli lavori di manutenzione alla villa – sostituire lampadine, sbrinare i freezer della cucina, spostare mobili pesanti eccetera.
Sospirai, tentando di inventarmi un escamotage per trascorrere quella giornata più nera del solito in modo da non avere tempo per pensare. Non erano nemmeno le tre di pomeriggio, Phil era stato chiamato alla villa e la dépendance era immersa nel silenzio, fatta eccezione per la musica che le cuffiette continuavano a vomitare e le gocce di pioggia che picchiettavano sul tetto, sulle pareti e sui vetri delle finestre.
Allungai una mano e presi il cellulare, interrompendo la musica, al che l’occhio mi cadde sul giorno segnato dal calendario digitale.
27 maggio.
Mancavano solo due settimane al mio venticinquesimo compleanno, ed in qualche modo l’idea di raggiungere il traguardo di un quarto di secolo mi metteva un po’ a disagio. La mia vita era stata tutt’altro che entusiasmante e non si prospettava granché diversa nel futuro; certo, avrei potuto licenziarmi e andarmene da Rangemore Hall, ma questo avrebbe significato abbandonare Phil come i miei genitori avevano abbandonato me.
Phil si era sempre preso cura di me come se fossi il suo vero figlio, ed era giusto che anche io facessi lo stesso con lui. Volevo bene al vecchio ed ero orgoglioso della persona che ero diventato grazie a lui, anche se spesso non riuscivo a non sentirmi prigioniero di una vita che non mi ero scelto io.
Come Lizzie.
Sbuffai rumorosamente, strofinandomi gli occhi con una mano. In quel momento la porta della dépendance si aprì e Phil entrò, infilando l’ombrello fradicio nel portaombrelli contro la parete e togliendosi la giacca a vento blu.
«C’è un ospite fuori dal cancello, ragazzo» disse, mentre posava la giacca sull’appendiabiti. «Prendi l’ombrello, vai ad aprirgli e a parcheggia la sua auto»
Fare il parcheggiatore era un altro dei miei doveri di tuttofare. Talvolta capitava che qualche riccone venisse a trovare i Tomlinson e, se non avevano il loro autista personale, sistemare la loro auto negli ampi garages della tenuta era compito mio.
«Chi è stavolta? Il fondatore della Sono Ricco e me ne Vanto LTD?» chiesi con un ghigno, indossando il mio giubbotto e recuperando l’ombrello.
Phil ridacchiò, scuotendo la testa.
«Non era atteso, perciò non si sa chi sia. Nessuno dei Tomlinson è in casa, chissà cos’è venuto a fare» borbottò, quasi più a se stesso che a me. «Ad ogni modo questo non è affar nostro. Ora sbrigati, ragazzo, l’ospite sta già aspettando da qualche minuto»
Dopo aver recuperato il telecomandino per aprire il cancello uscii dalla dépendance aprendo l’ombrello, e mi diressi a passo svelto verso il viale d’ingresso della villa.
Quando arrivai rimasi parecchio sorpreso di trovarmi davanti una comunissima – per non dire vecchia – Peugeot 207 bianca, che si discostava decisamente dallo standard di auto che in genere vedevo arrivare a Rangemore Hall.
Di solito gli ospiti dei Tomlinson possedevano i modelli più costosi di BMW, Mercedes e Audi; una volta avevo perfino visto entrare dal cancello una Lamborghini, che ovviamente non mi era stato permesso di parcheggiare.
Decisi di non farmi troppe domande e premetti il pulsante di apertura del cancello sul telecomandino, permettendo alla Peugeot di entrare nella tenuta. Non appena il cancello si fu richiuso mi avvicinai al finestrino del guidatore, che subito si abbassò rivelando un ragazzo dai corti capelli castani che doveva avere all’incirca la mia età. Aveva un’aria piuttosto disorientata.
«Salve, sono qui per parcheggiare la sua auto» gli dissi, senza essere ben sicuro su che grado di formalità dovessi rivolgergli. «Può prendere il mio ombrello e darmi le chiavi, l’ingresso della villa è da quella parte»
Il ragazzo spalancò gli occhi e si lasciò andare ad una mezza risata sorpresa, spiazzandomi completamente.
«Wow, incredibile» commentò, passandosi una mano sul mento. «Sapevo che questo posto era praticamente un castello, ma non credevo ci fossero pure i parcheggiatori»
Ero piuttosto divertito dalla sua meraviglia, ma sapevo di dover fare il mio lavoro senza perdere troppo tempo. Il ragazzo scese dalla macchina e gli passai subito il mio ombrello, richiudendo in fretta la portiera non appena mi fui seduto al posto di guida. Gli indicai di nuovo la direzione che doveva prendere, raccomandandogli di aspettarmi davanti al portone d’ingresso in modo che potessi restituirgli le chiavi, ed ingranai la marcia conducendo l’auto fino al garage.
Quando spensi il motore e scesi dalla macchina battei piano una mano sul cofano.
«Un vero bolide» borbottai, prima di allontanarmi in direzione dell’ingresso principale della villa. Una volta uscito all’esterno dovetti correre per bagnarmi il meno possibile; la pioggia continuava a cadere, fitta e noiosa, e non mi era nemmeno venuto in mente di prendere con me un ombrello in più. Imprecai sottovoce, cercando di correre più in fretta senza scivolare, e quando svoltai sbucando sotto la tettoia all’ingresso mi paralizzai.
Insieme al proprietario della Peugeot c’era Lizzie, che appena mi vide spalancò gli occhi e si strinse di più nella larga felpa verde bosco che indossava.
«Harry» mormorò, al che il ragazzo mi guardò con stupore puntando l’indice verso di me.
«Harry? Lui è Harry?» chiese rivolgendosi a Lizzie, che sembrava presa alla sprovvista quanto me.
«Liam… ti spiegherò meglio dopo» rispose debolmente, senza sapere dove posare lo sguardo. Lui socchiuse gli occhi e non rispose, facendo però intendere che per lui non era finita lì.
Calò un silenzio scomodo, rotto soltanto dal rumore monotono e leggero delle gocce di pioggia; Lizzie si tormentava le mani, chiaramente in imbarazzo, ed io riuscivo a pensare solo al fatto che dovevo assolutamente parlarle. Non sapevo quando avrei avuto un’altra occasione per vederla, perciò non potevo andarmene senza aver almeno provato a risolvere le cose con lei.
Porsi le chiavi della Peugeot a Liam, che le accettò con un cenno del capo, quindi tornai a guardare Lizzie. Lei prese un sospiro nervoso, quindi parlò.
«Ecco… ora noi entriamo, quindi… ci vediamo, Harry»
Fece per aprire la porta d’ingresso ma le afferrai il braccio per trattenerla. Liam mi guardò sospettoso, anche se io non vi badai.
«Aspetta, Liz. Ti prego, ho bisogno di parlarti» la implorai, al che esitò combattuta.
Liam dovette capire l’antifona perché le lanciò uno sguardo denso di sottintesi e sparì dietro la porta, ignorando le silenziose suppliche di lei.
Ci ritrovammo soli, l’uno di fronte all’altra, avvolti dallo stesso silenzio pesante di poco prima. Potevo sentire chiaramente il suo respiro teso, vedevo i suoi occhi saettare incerti a destra e a sinistra e le sue braccia che si avvolgevano intorno al corpo infagottato nella felpa oversize. Era a disagio e avrei fatto qualsiasi cosa per dissipare l’imbarazzo che c’era tra di noi.
«Prima di tutto voglio dirti che non sono arrabbiato, nel caso avessi avuto questo dubbio, e che mi dispiace per averti costretta a prendere questa decisione così drastica» cominciai tutto d’un fiato, mentre con una mano tiravo indietro alcune ciocche umide di capelli che mi erano finite davanti agli occhi. «Sono stato egoista ed irresponsabile, non avrei dovuto lasciare che fossi solo tu ad essere razionale»
Lizzie si mordeva un labbro, cercando con tutte le tue forze di non far uscire la prima lacrima. Era bellissima, constatai con una stretta al cuore.
«So che questa situazione è uno schifo, soprattutto per te» continuai con un sospiro, senza smettere di guardarla, «ma in tutto questo siamo da soli, Liz. Vorrei più di ogni altra cosa poterti portare lontano da qui, ma sappiamo entrambi che non è possibile. L’unica cosa che possiamo fare è non abbandonarci a vicenda, perché non abbiamo altro modo per sopportare tutto questo senza impazzire»
«Harry…» tentò debolmente di protestare, gli occhi già irrimediabilmente lucidi, ma la interruppi.
«Perciò ti prego, non scappare da me. Non evitarmi, non fingere che io non esista, e soprattutto non cercare di farti carico di tutto questo da sola. Permettimi di starti accanto, Lizzie»
Il pianto che aveva cercato di dominare esplose senza che lei potesse impedirlo, ed io impulsivamente coprii la distanza di pochi passi che ci separava e la strinsi tra le braccia. Singhiozzava in silenzio come il pomeriggio precedente, contro la mia maglietta, ma non potevo fare a meno di sentirmi finalmente di nuovo completo e vivo.
Portai le labbra tra i suoi capelli, chiudendo gli occhi, e vi lasciai un bacio delicato che durò diversi secondi. Il suo profumo morbido e fresco mi riempiva le narici, facendomi sentire a casa. La sensazione che provavo sentendo il suo corpo sotto le mie dita era così intensa e vivida da darmi quasi alla testa.
I singulti si affievolirono con il passare dei minuti, e mentre si tranquillizzava le accarezzavo piano la schiena. Non ci volle molto perché tornasse a respirare regolarmente, al che mi allontanai quel tanto che mi bastava a poterla guardare negli occhi.
«Non volevo andarmene così, stamattina» sussurrò, con la voce ancora un po’ tremante dal pianto. Le rivolsi un piccolo sorriso, sfiorandole una guancia con le dita.
«Lo so, è tutto a posto. Non preoccuparti di nulla»
Sembrava più tranquilla, anche se il suo viso mostrava tracce di apprensione.
«Devi andare… sarebbero guai se Louis tornasse e ti vedesse qui» mormorò, abbassando lo sguardo. Annuii, lasciandole un leggero bacio sulle labbra.
«Prima dammi il tuo telefono, così potrò salvare il mio numero» proposi, al che lei tirò subito fuori il suo iPhone dalla tasca della felpa e me lo porse. Creai in fretta il contatto e lo memorizzai nella rubrica, quindi le restituii il cellulare.
«Ti scrivo più tardi» promise, finalmente sorridendo. La strinsi un’ultima volta tra le braccia, baciandola ancora prima di salutarla e recuperare l’ombrello, e mi allontanai in direzione della dépendance.
Mi sentivo di nuovo vivo, carico di un entusiasmo che non avrei creduto possibile. Ce l’avevo fatta, ero riuscito a sistemare le cose con Lizzie ed ora nient’altro aveva importanza. Non riuscii a trattenere un ampio sorriso trionfante, che mi rimase stampato sul viso per diversi minuti fino a che le guance non iniziarono a farmi male.
Ormai nulla avrebbe potuto separarci; avremmo trovato un nostro equilibrio, ci saremmo ritagliati il nostro angolo di mondo dove poter stare insieme.
Lizzie, prima o poi ti libererò da questa prigione, fosse l’ultima cosa che faccio. Te lo prometto, e questa volta ho intenzione di fare sul serio.




Spazio autrice
Salve a tutti <3 eccomi di nuovo qui, come sempre attesissima dai miei soliti due lettori e mezzo xD
Lizzie riesce a far venire Liam a Rangemore Hall, ed entrambi incontrano Harry in una scena che personalmente ho adorato scrivere :')
I nostri due piccioncini decidono di riprovarci... riusciranno ad avere un po' di pace finalmente? Lo vedremo presto :') 
Ho deciso infatti di aggiornare la storia ogni paio di giorni, a seconda di quando avrò tempo. So già che probabilmente piangerò quando pubblicherò l'ultimo capitolo, ma non voglio pensarci ora ahah
Però....... sto scrivendo una nuova storia a tema 1D, e posso dire con relativa sicurezza che sarà completamente diversa da qualsiasi cosa abbiate letto di questo fandom :D
Vi lascio qui sotto il banner che avevo progettato per questa nuova storia, e chi vuole avere qualche info in più mi scriva in privato :3
Tra parentesi, grazie di cuore a 
_RoBeRtInA96_ per aver inserito High Society tra le storie seguite <3

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***



Feci appena in tempo a richiudermi la porta d’ingresso alle spalle che Liam mi assalì come un uragano.
«Elizabeth Jane Thompson, ho come la sensazione che hai omesso di raccontarmi un sacco di cose e se non mi racconti tutto all’istante me ne tornerò a Dover e non vorrò più rivederti!»
Scoppiai a ridere, abbracciandolo forte, con il cuore ancora in tumulto. In men che non si dica eravamo nella mia stanza, seduti sul letto, a dare fondo alla nostra consueta scatola di After Eight – quella che mi aveva regalato a Dover era ormai finita da un pezzo, perciò aveva ben pensato di portare i rifornimenti.
«Così vorresti farmi credere che quella notte da lui vi siete solo baciati?» domandò Liam con fare inquisitorio. Gli tirai un pugno sul braccio.
«È così, idiota» ribadii con una risata, mentre lui si massaggiava il muscolo colpito con finta espressione dolorante.
Eviterò casualmente di menzionare il fatto che avevo iniziato a spogliarmi ma Harry mi aveva fermata.
«A parte gli scherzi, Liz» disse, mentre la sua espressione si faceva seria. «Come farete a gestire la cosa? Stamattina te ne sei andata da casa di Harry perché sapevi che non poteva esserci futuro per voi due, cos’è cambiato?»
Sospirai, abbassando lo sguardo.
«Quello che Harry mi ha detto poco fa è vero. Continuare ad esserci l’uno per l’altra è l’unico modo per riuscire ad andare avanti in questa situazione assurda» spiegai, giocherellando con uno dei lacci della mia felpa. «È ovvio che preferirei poter stare con lui in tutt’altro modo, ma che alternative ho? Evitarlo e costringermi a stare lontana da lui non funziona; ho già provato, e fa così male che non voglio nemmeno pensare di provarci ancora»
Liam annuì con aria grave, tirando fuori un altro After Eight dalla scatola.
«Capisco, ma quanto riuscirete a sopportarlo? Dovervi nascondere, vivere nel terrore che Louis scopra tutto… vi logorerà, Lizzie»
«Non ha senso fasciarsi la testa fin da ora» ribattei, un po’ scottata dalle sue parole. «Voglio almeno provare a far funzionare le cose. Ho bisogno di Harry, Liam, e anche se è un discorso egoista non posso e non voglio rinunciare a lui adesso»
«Cosa farete se Louis si accorgerà di quello che c’è tra di voi? Sai anche tu che ci saranno delle conseguenze… potrebbe cacciare Harry dalla tenuta e potrebbe fare lo stesso con te! Ci sono troppe persone in ballo, non puoi non tenerne conto»
«Credi che non lo stia facendo?» sbottai, forse un po’ troppo violentemente, visto che Liam trasalì. «Sono due mesi che ho questo pensiero martellante in testa, ogni singolo giorno. Da quando sono qui gli unici momenti in cui sono riuscita ad avere un po’ di serenità sono stati quelli passati con Harry! Non posso pensare di vivere il resto della mia vita qui senza avere accanto l’unica persona con cui poter essere me stessa, con cui poter essere felice»
Il ragazzo seduto davanti a me sospirò, spostando lo sguardo verso la finestra. La pioggia stava diminuendo d’intensità, probabilmente avrebbe smesso entro sera.
«Liz, lo sai che voglio solo che tu sia felice. Sono certo che Harry tiene a te almeno quanto tu tieni a lui, e questo mi rassicura… spero soltanto che vada tutto bene»
Le sue parole mi commossero, e d’istinto lo abbracciai forte.
«Grazie, Liam. Sono felice che tu sia qui»
«Anche io, piccola Thompson»
Rimanemmo abbracciati per qualche minuto, fino a quando non sentii il rumore del portone d’ingresso della villa che si apriva.
«Deve essere tornato Louis» mormorai con una smorfia. Il mio migliore amico alzò le spalle, quindi si alzò in piedi lisciandosi le pieghe della t-shirt.
Uscimmo dalla stanza e scendemmo le scale, al che Louis ci vide e sorrise.
«Elizabeth» disse semplicemente, prima di darmi un bacio sulle labbra. Quindi spostò lo sguardo su Liam, che sembrava leggermente a disagio.
«Tu devi essere il grande amico di Elizabeth. Louis Tomlinson» si presentò, porgendo la mano al mio migliore amico che la strinse con presa salda.
«Liam Payne, è un piacere» replicò un po’ impacciato, sotto lo sguardo di ghiaccio di Louis che non ricambiò il “piacere”.
«Com’è andata oggi?» chiesi, nel tentativo di distendere almeno un po’ quell’atmosfera pesante. Louis scosse la testa ed alzò le spalle, allentando il nodo della cravatta.
«L’accordo con i cinesi si sta rivelando problematico, pretendono una fetta troppo grossa della torta e non vogliono retrocedere di un passo. Non possiamo perdere l’affare, anche se trovare una soluzione ora come ora sembrerebbe impossibile»
Annuii, un gesto di pura circostanza dal momento che non capivo nulla di business e di finanza. Era evidente che Louis non vedeva l’ora di mettersi a letto a riposare – era anche comprensibile, considerando il fatto che il giorno precedente era ubriaco fradicio – perciò mi congedai rapidamente con la scusa di far fare a Liam un giro turistico della villa.
Trascinai con me il mio migliore amico fino a quando fui sicura che Louis non potesse più sentire i nostri discorsi, quindi tirai un sospiro di sollievo.
«Ho come la sensazione che tu passi le tue giornate a sfuggire da quel damerino» commentò Liam con una risatina, guardandosi intorno.
«Non posso nemmeno darti torto» mugugnai sbuffando. Mi sedetti di peso su un divanetto antico, osservando divertita il mio amico che gironzolava per il largo corridoio ammirando i quadri appesi alle pareti.
«Sembra di essere in un museo» disse voltandosi verso di me. Annuii in risposta, mordendomi l’interno della guancia destra.
«È quello che penso dal primo giorno che sono qui» replicai, lasciandomi andare contro lo schienale del divanetto. «Tutto questo non c’entra nulla con me… o forse è il contrario»
«Liz, in qualunque modo rigiri la frittata tu non te ne saresti mai dovuta andare da Dover. Sarebbe stato tutto più semplice»
«Però…»
«…però non avresti conosciuto Harry» completò al mio posto. Sorrisi e chinai il capo, estraendo l’iPhone dalla tasca della felpa.
Aprii il contatto di Harry e lo osservai per diversi secondi, sfiorando a vuoto lo schermo.
«Scrivigli, che aspetti?» mi esortò dolcemente il mio migliore amico. «Scommetto che ha il telefono in mano da quando se n’è andato, aspettando un tuo messaggio»
Mi coprii il viso con le mani, ridacchiando.
«Sei un idiota, Payne»
«Coraggio, Liz! Se non lo fai tu lo faccio io» mi minacciò scherzosamente, allungando in fretta una mano per afferrare il mio iPhone. Schivai il suo affondo appena in tempo.
«Apprezzo l’offerta, ma credo di potermi arrangiare» commentai, trattenendo una risata.
Riflettei qualche secondo su cosa scrivere, quindi digitai velocemente alcune parole sulla tastiera virtuale.
 
È difficile pensare a cosa scrivere come primo messaggio senza rischiare di sembrare sdolcinati, ma mi manchi già.
L

 
Inviai senza pensarci troppo, ricevendo risposta quasi istantaneamente. Liam si lasciò andare ad un risolino, gli occhi color nocciola che trasudavano malizia.
 
È ancora più difficile pensare a cosa rispondere ad un primo messaggio così dolce senza sembrare sdolcinati, ma mi manchi anche tu. E tanto, anche. Ti troverò al parco stanotte?
H

 
«Da come sorridi sembrerebbe una conversazione interessante» mi prese in giro il mio migliore amico. Roteai gli occhi senza comunque riuscire a trattenere un sorriso enorme. Ero felice, mi sentivo il cuore leggero come se avessi la certezza che nulla sarebbe mai andato storto.
Certo, i rischi erano alti, ma in quel momento volevo godermi l’esplosione di spensieratezza che mi aveva invasa, rilassandomi e donandomi fiducia. Non volevo rovinare tutto riportando a galla l’angoscia e l’insicurezza che dominavano le mie giornate da ormai troppe settimane.
«Chiede se stanotte ci incontriamo al parco» rivelai senza riuscire a dissimulare l’entusiasmo. Non ce ne fu bisogno, in realtà, perché Liam non ci provò nemmeno.
«Un romantico rendez-vous notturno, Lizzie! Come in Romeo e Giulietta» commentò con aria sognante, facendomi scoppiare a ridere.
«Beh, oddio, spero che a me andrà meglio di loro» replicai poi con una smorfia. Il ragazzo sghignazzò, ma non vi badai più di tanto perché ero già impegnata a rispondere al messaggio.
 
A mezzanotte, al muretto in fondo al parco.
 
Dopo un paio di minuti il mio cellulare vibrò e mi affrettai a sbloccarlo, impaziente di leggere.

Sarò lì prima di te. Non vedo l’ora.
 
Sorrisi tra me, riponendo definitivamente il telefono nella tasca della felpa. Non ero mai stata amante dei messaggi, delle chat e dei social network; se qualcuno mi avesse detto che a quasi venticinque anni sarei stata felice di ricevere messaggi e di rispondere, probabilmente mi sarei messa a ridere.
Erano appena le sei di sera, mancava ancora qualche ora al mio incontro con Harry ed ero già impaziente di vederlo. Era surreale pensare alla sequenza di eventi che ci aveva portati a vivere questa situazione; in appena un giorno l’avevo perso e ritrovato più volte, come se qualcuno avesse drasticamente accelerato lo scorrere delle nostre vite.
C’è solo da sperare che adesso la mia vita smetta di sembrare un giro sulle montagne russe.
«Allora? Che vi siete detti?» inquisì curioso Liam.
«Ci siamo dati appuntamento per stanotte» ammisi, con un sorriso un po’ imbarazzato. Il mio migliore amico batté le mani, strappandomi una risata.
«Lo dici come se ti avessero invitata ad un funerale! Sei assurda, Liz» commentò con una smorfia divertita. Scossi la testa ridacchiando all’entusiasmo del mio migliore amico mentre lui mi tempestava di domande, ansioso di sapere ogni singola parola che ci eravamo scambiati io e Harry.
Sembrava di essere di nuovo a Dover, in uno di quei pomeriggi che passavamo insieme a chiacchierare e a ridere. In fin dei conti, l’unica cosa che sembrava essere cambiata era la stanza in cui ci trovavamo. La mia amicizia con Liam non sembrava essere stata minimamente intaccata dalla distanza, nonostante ci sentissimo poco e ci vedessimo ancor meno spesso.
Era bello poter contare su un amico come lui; in un contesto dove le persone di cui potevo fidarmi si contavano sulle dita di una mano, la presenza di Liam mi confortava e mi rassicurava. Avrei avuto bisogno di tutto il suo supporto per far fronte ad un futuro incerto che, mio malgrado, mi aspettava.
 
***
 
Il cielo notturno era inaspettatamente sereno; durante la sera si era alzato un forte vento che aveva disperso le nuvole accumulatesi nel corso della la giornata. Inspirai soddisfatta l’aria fresca della notte, che profumava leggermente di pioggia ed erba bagnata.
Richiusi la porta d’ingresso della villa alle mie spalle, facendo attenzione a non fare rumore, quindi mi incamminai verso il limitare del parco. La luce calda dei lampioni illuminava fiocamente i miei passi, facendomi sperare che Louis non fosse affacciato alla sua finestra in quel momento.
Probabilmente dormiva della grossa già da un pezzo; non aveva avuto la possibilità di riposare prima della cena – aveva ricevuto una lunga telefonata dai suoi genitori, che in quel momento si trovavano a Wall Street – perciò aveva mangiato piuttosto in fretta e si era più o meno precipitato nella sua stanza a dormire.
Liam l’aveva trovato troppo rigido ed impostato nei modi e nella conversazione; gli aveva lasciato un’impressione decisamente sgradevole, nonostante Louis si fosse comunque trattenuto dall’esibire il suo repertorio di battute inopportune.
Sospirai scuotendo la testa, ripensando alle parole del mio migliore amico dopo che Louis se n’era andato dalla sala da pranzo.
"Non so dove trovi il coraggio di sopportarlo tutti i giorni, Lizzie, ma sappi che hai la mia più profonda ammirazione", aveva detto. In effetti io stessa mi chiedevo da un pezzo come fosse possibile che riuscissi a resistere così strenuamente, dato il mio carattere solitamente insofferente verso personaggi di quel tipo.
Il mio rimuginare silenzioso si interruppe non appena vidi una figura familiare seduta sul muretto, rivolta verso di me. Il mio cuore accelerò furiosamente ed un sorriso mi spuntò sulle labbra quando la figura sollevò un braccio salutandomi da lontano.
Affrettai il passo fino a trovarmi faccia a faccia con Harry che subito saltò giù dal muretto con agilità, prendendo il mio viso tra le mani e baciandomi con una dolcezza che mi fece mancare il respiro.
«Mi sei mancata» sussurrò dopo essersi staccato, appoggiando la fronte alla mia e stringendomi tra le sue braccia. Chiusi gli occhi, sorridendo, mentre assaporavo la piacevole sensazione del suo profumo che mi avvolgeva e del suo corpo tiepido nonostante la temperatura non proprio alta.
«Anche tu» risposi, abbracciandolo a mia volta e nascondendo il viso contro il suo petto. Restammo in silenzio alcuni minuti, godendo semplicemente la presenza l’uno dell’altra, mentre sentivo le sue mani accarezzarmi delicatamente la schiena.
«Dunque… com’è andato il tuo pomeriggio con Liam?» chiese con una punta di malizia, facendomi scoppiare a ridere. Mi allontanai da lui, colpendolo al petto con un pugno leggero.
«Non cominciare anche tu» lo ammonii scherzosamente, puntando un indice verso il suo viso sorridente. «Liam è il mio migliore amico da sempre, è solo venuto a trovarmi per un paio di giorni»
Harry annuì, le fossette ben marcate sulle guance.
«Pare che sapesse chi sono, quando ci siamo incontrati oggi» osservò, tornando serio. «Gli hai raccontato di noi due?»
«Sì, Liam è la persona di cui mi fido di più. Parlarne con qualcuno mi ha tolto un peso, non avrei potuto sopportare di mantenere il segreto con tutti per sempre»
«Sono d’accordo» convenne Harry, rivolgendomi uno sguardo luminoso. «Anche io ne ho parlato con Phil. Aveva trovato il tuo biglietto, stamattina, perciò ho dovuto spiegargli la situazione»
Gemetti, scuotendo la testa.
Fantastico, che figura splendida ho fatto con Phil. Degna di me, non c’è che dire.
Harry dovette notare il mio imbarazzo, perché ridacchiò sottovoce premendo le labbra contro la mia tempia.
«Non ti preoccupare» sussurrò al mio orecchio, stringendomi a sé. «Non hai nulla per cui sentirti a disagio. Durante la cena gli ho raccontato di oggi pomeriggio, era molto felice per noi»
Tirai un sospiro di sollievo, avvolgendo le braccia attorno alla sua schiena.
Chiacchierammo per diversi minuti del più e del meno, fino a quando non realizzai che era ormai ora di rientrare. Harry mi lasciò un bacio delicato sulle labbra, sfiorandomi il profilo della mascella con la punta delle dita. Chiusi gli occhi e sospirai, assaporando il suo tocco lieve sulla mia pelle.
Feci appello a tutta la mia buona volontà per staccarmi da lui. Osservai il suo viso nella penombra; Harry sembrava sereno, la sua fronte era distesa ed aveva un bel sorriso disegnato sulle labbra. I capelli ormai gli arrivavano sotto le spalle – crescevano a vista d’occhio, ma gli donavano molto.
Era bello.
«Devo tornare alla villa, ora» dissi a malincuore. Il ragazzo – il mio ragazzo, pensai con una stretta al cuore – mi salutò con un ultimo bacio, prima di scivolare via nell’ombra verso la dépendance. Restai qualche secondo a fissare il buio, cercando senza successo di distinguere la sagoma di Harry nel nero della notte.
Sarà sempre così, d’ora in poi. Ci dovremo sempre incontrare di nascosto, con il perenne terrore di essere scoperti da qualcuno.
Strinsi i pugni nelle tasche della felpa e mi incamminai a passo deciso verso la villa. Dentro di me sapevo che, pur di stare con Harry, avrei affrontato senza fatica le difficoltà che ci aspettavano. Avremmo combattuto – e l’avremmo fatto insieme.




Spazio autrice
Buongiorno <3
Sono alle porte di ben due esami in quattro giorni, ma siccome non ho le forze di studiare ho pensato che aggiornare potrebbe essere un'ottima idea lol
Lizzie e Harry sembrano vivere in una bolla di vetro tutta loro... quanto durerà questa felicità? Ve lo racconterò tra un paio di giorni :3
Ringrazio tantissimo
 gli 
per aver inserito High Society tra le storie seguite <3

Un abbraccio,
mononokehime

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***



Passarono una decina di giorni da quell’incontro notturno; furono probabilmente i miei giorni più felici a Rangemore Hall. Liam era ripartito il pomeriggio successivo, e da allora avevo trascorso insieme a Harry quasi tutto il tempo in cui Louis non era alla villa. Di solito lo guardavo lavorare, spesso gli davo anche una mano nei compiti meno tecnici. Parlavamo di qualsiasi cosa; io gli raccontavo della mia vita a Dover, lui ricordava i giorni in cui era bambino e immaginava che la tenuta fosse il suo castello.
Mi rivelò la sua passione per la musica e per il canto. Si era comprato una chitarra acustica diversi anni prima, e da allora aveva sempre strimpellato da autodidatta – e con un modesto aiuto da parte di YouTube – fino ad acquisire una discreta padronanza dello strumento. Naturalmente non appena appresi di questo suo inaspettato talento insistetti affinché mi suonasse qualcosa, riuscendo finalmente ad abbattere il suo iniziale imbarazzo in un pomeriggio piovoso che ci aveva costretti a rinchiuderci nella dépendance.
Phil si trovava fuori dalla tenuta per sbrigare delle commissioni; doveva incontrare un nuovo fornitore per la vendita di materiali da giardinaggio, perciò io ed il ragazzo eravamo soli nella casetta di massello.
Harry, seduto sul suo letto, mi osservava di sottecchi mentre esaminavo la splendida chitarra color miele appesa ad una parete della sua camera. Ero un’avida ascoltatrice di musica, ma non avevo mai imparato a suonare uno strumento nonostante l’avessi sempre desiderato. Avrei voluto prendere lezioni di pianoforte, tuttavia non potevamo permettercelo e avevo dovuto accontentarmi di una piccola pianola giocattolo come regalo di Natale; inutile dire che non era mai stata sufficiente a fare di me una pianista degna di questo nome.
Mi girai verso Harry, indicando la chitarra alle mie spalle.
«Ormai non puoi tirarti indietro» affermai decisa, al che lui si alzò con uno sbuffo divertito camminando nella mia direzione. Con un gesto delicato ma sicuro tolse la chitarra dal supporto a cui era appoggiata – rubandomi un bacio leggero mentre mi passava davanti – e tornò a sedersi sul letto, appoggiando lo strumento sulla coscia destra.
Mi accomodai sul letto di Phil, osservando il ragazzo con impazienza mentre si assicurava che la chitarra fosse accordata. Il suo viso aveva assunto un’espressione particolare, concentrata e distante, come se si trovasse in un’altra dimensione. Probabilmente per lui la musica era sempre stata un rifugio, un mondo privato che lo accoglieva tra le sue braccia ogni volta che ne sentiva il bisogno. Un po’ come le scogliere per me.
Ci fu qualche secondo di silenzio prima che Harry iniziasse a pizzicare le corde con le dita, producendo una melodia dolce ed arpeggiata.
 
Sweet creature
Had another talk about where it’s going wrong
But we’re still young
We don’t know where we’re going
But we know where we belong
 
Oh, we started
Two hearts in one home
It’s hard when we argue
We’re both stubborn, I know…
 
Ascoltavo la voce di Harry come ipnotizzata. Era ancora più bella di quanto ricordassi; secca e decisa ma in qualche modo calda, sembrava quasi accarezzare le note una per una mentre cantava. Le parole erano stranamente familiari, come se parlassero proprio di noi due.
 
But oh – sweet creature, sweet creature
Everywhere I go, you bring me home
Sweet creature, sweet creature
When I run out of rope, you bring me home.
 
Sentii un nodo formarsi all’altezza della gola quando Harry mi guardò negli occhi, continuando a suonare. Sentivo che non sarei potuta essere più felice di così; il mio cuore sembrava non riuscire a contenere il tumulto di sentimenti che mi riempivano in quel momento.
 
Sweet creature
We’re running through the garden
Oh, where nothing bothered us
But we’re still young
I always think about you and how we don’t speak enough
 
I know when we started
Just two hearts in one home
It gets harder when we argue
We’re both stubborn I know…
 
La canzone proseguì, delicata e semplice, fino a chiudersi con gli ultimi arpeggi che parvero quasi dissolversi nell’aria immobile intorno a noi. Vidi un sorriso luminoso aprirsi sulle labbra di Harry, mentre cercavo le parole migliori per descrivere quello che avevo appena ascoltato.
«È stato… incredibile, davvero. Non avevo mai sentito questa canzone. Di chi è?»
«È mia» rispose semplicemente lui, al che spalancai gli occhi.
«L’hai scritta tu?» chiesi sbalordita. Harry annuì, ridacchiando leggermente al mio stupore mentre scuotevo la testa incredula. Quel ragazzo non avrebbe mai smesso di sorprendermi, ne ero certa.
«Mi è venuta fuori di getto un paio di giorni fa. Era da tanto che non scrivevo qualcosa, ma gli eventi degli ultimi giorni me l’hanno fatta nascere in testa spontaneamente»
Quindi avevo ragione… la canzone parla di noi.
«Non avresti potuto farmi un regalo più bello. Grazie» sussurrai commossa, andando a sedermi accanto a lui ed abbracciandolo forte. Harry appoggiò la chitarra sul letto per potermi stringere a sua volta. Sospirai profondamente, chiudendo gli occhi e godendomi ogni secondo di quel contatto dolce e rassicurante.
Dopo qualche minuto mi allontanai leggermente solo per poter prendere il suo viso tra le mani e posargli un lieve bacio sulle labbra. Percepii la fronte di Harry incresparsi ed il suo respiro farsi più pesante quando approfondii il contatto tra noi; le sue mani iniziarono a risalire lentamente la mia schiena, provocandomi un brivido lungo tutta la spina dorsale.
Harry dovette percepirlo, perché mi parve di sentirlo sorridere contro la mia bocca. La sua lingua scivolò quasi con cautela tra le mie labbra, senza trovare alcuna opposizione, e proseguì fino ad incontrare la mia. Il bacio si caricò presto di impazienza, i nostri respiri irregolari che accompagnavano i nostri movimenti, i nostri corpi che desideravano un contatto sempre più diretto.
Quando Harry colpì accidentalmente la chitarra, rimasta appoggiata accanto a noi, gli sfuggì un’imprecazione a mezza voce.
«Scusa» mormorò, staccandosi da me. «Faccio in un secondo»
Si alzò agilmente dal letto afferrando lo strumento, percorse in un paio di falcate la distanza che lo separava dal supporto attaccato al muro e vi appese la chitarra, per poi tornare da me dopo appena qualche istante.
Le nostre labbra si incontrarono ancora, liberando sospiri di sollievo che si infransero l’uno contro l’altro. Mi aggrappai alle sue spalle, tirandolo giù con me mentre mi distendevo sul letto. Si sistemò meglio sopra di me, baciandomi il collo e le clavicole, mentre le sue mani accarezzavano languide i miei fianchi, dall’alto verso il basso, per poi risalire portandosi dietro la t-shirt che indossavo. Si fermò appena sotto i miei seni, un gesto da gentiluomo che mi avrebbe quasi fatta sorridere se Harry non avesse spostato le labbra sulla mia pancia, sfiorandone la pelle con piccoli baci che mi fecero trattenere a fatica un gemito.
Infilai le dita tra i suoi capelli, invitandolo d’istinto a continuare, e lui obbedì spostandosi gradualmente verso il bordo dei jeans. Arrivato a quel punto alzò la testa come a chiedermi un permesso che non mi sentii di negargli, e al mio muto consenso sbottonò delicatamente i jeans tirando giù la zip senza smettere di guardarmi negli occhi. Sfilò l’indumento lentamente, trattenendo il respiro, mentre il cuore mi batteva così forte da farmi quasi male.
Quando sentii il tonfo leggero dei jeans che toccavano il pavimento mi sollevai sulle ginocchia raggiungendo il volto del ragazzo, affamata delle sue labbra, le mie mani che percorrevano il suo petto scendendo verso l’addome. Harry soffocò un gemito quando raggiunsi il cavallo dei joggers grigi, avvertendo chiaramente la sua eccitazione. Serrò gli occhi al mio tocco, che da leggero si fece via via sempre più intenso, e quando non riuscì più a resistere feci scivolare in fretta lungo le sue gambe i pantaloni, che raggiunsero presto i miei jeans sul pavimento.
Harry mi baciò famelico, affondando le dita nelle mie cosce nude mentre tornava a distendersi sopra di me. La mia mente era annebbiata, non esisteva nulla che non fossero i nostri respiri disordinati, i nostri corpi che si cercavano ed il calore pulsante che ci avvolgeva. In uno slancio di impazienza afferrai la sua t-shirt e gliela sfilai, interrompendo il bacio nel momento in cui l’indumento leggero passava oltre la sua testa e le sue braccia. Lui non tardò a fare lo stesso, liberandomi della maglietta che volò ben presto in un punto imprecisato della stanza.
Restò seduto sopra di me per diversi secondi, in silenzio, osservando ogni centimetro del mio corpo rimasto coperto ormai solo dall’intimo. Non c’era imbarazzo, era semplicemente il momento più giusto della mia vita.
«Non li avevo mai visti, questi» mormorai, sollevandomi su un gomito per sfiorare i tatuaggi che fino ad allora erano sempre rimasti coperti dai vestiti. Due rondini sotto le clavicole, una grossa farfalla alla bocca dello stomaco e due felci sui fianchi.
«Ti piacciono?»
Socchiusi gli occhi, assumendo un’espressione concentrata mentre tracciavo il profilo di ciascun disegno. Harry seguiva in silenzio ogni mio movimento.
«Le rondini e le foglie sì» decisi infine, scrollando le spalle. «La farfalla a dire il vero non molto, è pacchiana»
Harry ridacchiò, allungandosi verso di me e posandomi un bacio sulle labbra.
«Ci farai l’abitudine» sussurrò con un sorriso malizioso, facendomi andare in fibrillazione. Quella frase poteva avere un solo significato, e cioè che in futuro ci saremmo trovati spesso in quella situazione. Harry credeva davvero in noi, perciò per quale motivo non avrei dovuto fare altrettanto?
Pochi istanti e la stanza si riempì di nuovo dei nostri sospiri, che si intrecciavano tra le lenzuola stropicciate e i nostri corpi accaldati. Facemmo l’amore senza fretta, con la delicata premura della prima volta insieme, mentre la pioggia smetteva di cadere e le ombre del pomeriggio si allungavano lentamente nel giardino.
E per la prima volta da quando ero a Rangemore Hall mi sentii davvero a casa.
 
***
 
«E questo?»
«Beh, dai, non credo che il tatuaggio di una rosa richieda una particolare spiegazione. Specialmente se sono cresciuto con un giardiniere»
La mia risata spezzò il silenzio, altrimenti interrotto solo dai nostri sussurri. Spostai il dito più in alto lungo il braccio sinistro di Harry, fino ad incontrare la sagoma di uno splendido veliero.
«Questo è bellissimo. Cosa significa?» domandai affascinata, osservandone ogni dettaglio.
«Il mio desiderio di vedere il mondo. Non sono mai uscito dallo Staffordshire ma ho sempre voluto viaggiare, fin da quando ero piccolo»
«Mai? Davvero?» chiesi meravigliata, al che Harry annuì in risposta. Non riuscivo ad immaginare un ragazzo di quasi venticinque anni che non avesse mai messo piede fuori dalla contea in cui era nato.
«Però c’è questa, vedi» precisò, mostrandomi l’àncora vicino al polso sinistro, «che rappresenta il legame che ho con questo luogo. Un veliero non può salpare senza la sua àncora; ha bisogno di un posto in cui tornare, un porto sicuro che lo accolga»
Avrei potuto ascoltare Harry per ore, mentre mi raccontava la storia che si nascondeva dietro ciascuno dei suoi tatuaggi. Guardando attentamente, sulla sua pelle era marchiata in modo indelebile tutta la sua vita; quelli che sembravano solo disegni decorativi avevano sempre un significato. Non ero mai stata una particolare amante dei tatuaggi – non ne avevo nessuno – ma era affascinante scoprire piccoli dettagli di lui da quelle linee nere sul suo corpo, come affreschi sulle volte di una chiesa antica.
«Tu non hai mai pensato di fartene uno?»
«Ci ho pensato, ma non ho mai trovato nulla che valesse la pena portarmi sulla pelle per sempre» confessai, vedendo Harry aggrottare le sopracciglia divertito.
«Andiamo, non è una decisione così importante da prendere. La maggior parte dei miei tatuaggi li ho fatti per ispirazione momentanea»
«Tu sei un caso a parte» replicai dandogli un leggero buffetto in fronte. Harry rise, baciandomi la punta del naso, quindi tornò serio con un sospiro.
«Sai già quando dovrà tornare Louis?»
Scossi la testa, cercando a tentoni il telefono sul suo comodino. Quando premetti il tasto di blocco quasi mi venne un infarto nel vedere che erano le sei passate.
«Dio, Harry, devo scappare! Sarà sicuramente già tornato alla villa» gemetti, tirandomi su dal letto ed esaminando il pavimento per ritrovare i miei vestiti.
Mi rivestii velocemente, mentre Harry si infilava solo un paio di boxer ed i joggers, restando a petto nudo. La tentazione di trascinarlo di nuovo con me a letto era forte, ma mi imposi di resistere e recuperai l’iPhone per uscire. Il ragazzo mi accompagnò alla porta della dépendance, prendendomi a tradimento tra le braccia quando stavo per abbassare la maniglia ed attirandomi a sé.
«Vorresti andartene così?» mormorò, poggiando la sua fronte contro la mia. Sorrisi in risposta, mentre assaporavo la sensazione dei suoi bicipiti nudi sotto le mani. Lo baciai ancora e ancora, incapace di staccarmi da lui, ma sapevo che se non fossi tornata in fretta alla villa sarebbero stati guai.
Senza liberarmi dalla sua stretta mi voltai per afferrare la maniglia, ridacchiando nel sentire le sue labbra sul mio collo ed il suo petto fare pressione sulla mia schiena. Quando la porta si aprì, tuttavia, il sorriso mi si spense sul viso.
Harry non si rese subito conto del mio repentino cambio di umore, ma non appena ne comprese il motivo si irrigidì anche lui. Davanti a me – a noi – elegantissimo nel suo completo Gucci blu scuro, a guardarci con un’espressione indecifrabile, c’era Louis.



Spazio autrice
*si nasconde*
Non odiatemi per come ho fatto finire il capitolo ahah
Insomma, non ci si poteva aspettare che sarebbero sempre riusciti a vedersi senza farsi scoprire. Louis ha fiuto e, ahimé, pare che per Lizzie e Harry la festa sia finita. Saranno guai per i nostri protagonisti? Vi racconterò tutto tra un paio di giorni ;)
Tra parentesi, quanto è dolce Harry che canta Sweet Creature a Liz? <3
Se non l'avete ancora ascoltata fatelo, è proprio carina e molto romantica.
Detto questo mi dileguo - ma non prima di aver ringraziato
 buvrberry per aver inserito High Society tra le storie preferite :*

Un abbraccio,
mononokehime

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***



Louis esibì un sorrisetto denso di sarcasmo, mentre applaudiva teatralmente.
«Complimenti, ragazzi. Davvero, immaginavo che ci fosse qualcosa sotto ma non pensavo che vi sareste fatti scoprire in modo così stupido. Confesso che sono piuttosto deluso»
Sentivo la bocca asciutta, un ronzio nelle orecchie, non riuscivo a formulare un solo pensiero coerente. Harry lasciò rapidamente la presa sui miei fianchi, l’espressione indurita; era teso come una corda di violino. Louis ci squadrò con malcelata aria disgustata, quindi scosse la testa.
«Mi aspettavo di più da te, Harry. Ci conosciamo da quando eravamo piccoli, eravamo amici, ti ricordi?»
Il ragazzo dietro di me avanzò di un paio di passi, superandomi. Strinse i pugni.
«Lo eravamo prima che tu ti facessi fare il lavaggio del cervello dai tuoi genitori. Sono passati più di dieci anni da allora» rispose secco, al che Louis alzò le spalle. Io ero sempre più confusa.
Harry e Louis… amici?
«La verità è che non sei mai riuscito ad accettare che la mia vita fosse migliore della tua. Mi hai sempre invidiato tutto, a partire dai miei genitori» a quelle parole un lampo gelido attraversò lo sguardo di Harry, «fino ad arrivare ad Elizabeth, che a quanto pare non hai tardato a sedurre per tentare di portarti inutilmente, ancora una volta, al mio livello»
«Prova a ripeterlo, stronzo!»
Harry si precipitò contro Louis, pronto a fargliela pagare a pugni, ma in un impulso di lucidità lo precedetti trattenendolo dal peggiorare ulteriormente la situazione.
«Harry, Harry… ti prego, calmati» riuscivo solo a sussurrare, con le lacrime che mi bagnavano le ciglia, aggrappandomi a lui per impedirgli di aggredire il ragazzo che gli stava di fronte. Sentivo i suoi muscoli flettersi nervosamente, il suo respiro pesante e carico di frustrazione, e non avevo idea di cosa fare.
«Vedo che non sei cambiato, a quanto pare risolvi ancora le situazioni in questo modo» commentò velenoso Louis, accompagnando le sue parole con un gesto eloquente. Il sorriso sarcastico che aveva mostrato fino a quel momento si dissolse, lasciando spazio ad un’espressione che mi mise i brividi.
«Credo sia inutile specificare che tu hai chiuso con me, Styles. Ti voglio fuori da questa tenuta entro domattina» disse con voce tagliente, gli occhi azzurri ridotti a due fessure. Fu come se la terra si aprisse sotto i miei piedi in un secondo.
Non può essere… non sta succedendo davvero.
«Louis…» tentai di mediare, con voce rotta, ma lui mi interruppe.
«Tu non hai alcun diritto di difenderlo, Elizabeth. Ti ricordo che non sei in una situazione migliore della sua»
Abbassai la testa, sconfitta in partenza, mentre un uragano di pensieri mi invadeva il cervello. Era finita; Harry sarebbe stato cacciato da Rangemore Hall, e probabilmente anch’io. Phil sarebbe rimasto solo, la mia famiglia avrebbe perso la sua unica fonte di sostentamento, l’azienda edile sarebbe dovuta chiudere e decine di persone ne avrebbero risentito. Ed io avrei perso l’unico ragazzo che avessi mai amato.
In un solo istante era crollato tutto il mio mondo, proprio come un fragile castello di carte. Il peso di quella consapevolezza mi opprimeva dolorosamente, facendomi avvertire l’entità della mia responsabilità. La parte peggiore era che non potevo fare niente per migliorare, anche solo di poco, lo stato della situazione.
«Con te discuterò dopo» tagliò corto Louis, rivolto verso di me. «Ora rientriamo. È tardi»
Non potei far altro che seguirlo mentre si avviava in direzione della villa, mentre sentivo le lacrime pungermi gli occhi. Harry rimase immobile, lo sguardo fisso a terra e la mascella tesa; potevo immaginare il suo stato d’animo, perché mi sentivo come lui – se non peggio.
Passammo accanto ad una figura, appena arrivata, che si era fermata a pochi metri da noi con aria sorpresa.
«Signorino Tomlinson, posso chiedere cosa…»
«No, Anderson. Credo che Harry le spiegherà tutto meglio di quanto potrei fare io»
Louis proseguì, impassibile, mentre Phil mi osservava, mille domande che gli attraversavano gli occhi. Scossi impercettibilmente la testa, distogliendo lo sguardo; non avevo il coraggio di guardarlo in faccia e leggervi anche solo un’ombra di disapprovazione. Continuai a camminare, la sera bluastra che avvolgeva rapidamente il cielo, e mentre mi allontanavo dal ragazzo di cui ero innamorata sentivo come se mi stessi lasciando cadere alle spalle, ad ogni passo, un pezzo di cuore.
 
***
 
Harry’s POV
 
Che cazzo stai facendo lì fermo? Reagisci! Corri da lei e portala via da quel bastardo!
Serrai gli occhi, affondando le unghie corte nel palmo delle mani mentre stringevo i pugni fino a farmi sbiancare le nocche. Sapevo di non poter fare assolutamente nulla per rimediare a quel casino, ma il pensiero di Lizzie sola in balìa di Tomlinson mi faceva impazzire.
Ero talmente preda della mia frustrazione che quasi non mi accorsi di una mano che mi si poggiò sulla spalla. Alzai lo sguardo di scatto, incontrando il viso di Phil.
«Che è successo, ragazzo?» mi chiese preoccupato, aggrottando le sopracciglia.
«Ci ha visti insieme» risposi con un filo di voce. Il vecchio sgranò gli occhi, guardandosi rapidamente intorno per assicurarsi che fossimo rimasti soli, quindi mi trascinò nella dépendance. Richiuse la porta alle sue spalle, invitandomi in silenzio a sedermi con lui al tavolo della cucina. Obbedii con un sospiro, appoggiando i gomiti alla superficie di legno e coprendomi il viso con le mani.
«Avanti, raccontami com’è andata» mi incoraggiò Phil, una punta di apprensione nella voce.
«Che importanza ha?» replicai con una risata per niente divertita, allargando le braccia. «Sa di noi due, e ora devo sloggiare. Mi ha buttato fuori, Phil. Devo andarmene entro domattina»
«N-non è possibile» balbettò lui, completamente preso alla sprovvista.
Annuii, chiudendo gli occhi. Quello che sembrava solo un surreale incubo era davvero la realtà che stavo vivendo; era dura non lasciarsi sprofondare nella voragine, ma in qualche modo dovevo restare presente a me stesso.
«Mi dispiace, Phil. Sai meglio di me che lasciarti qui da solo è l’ultima cosa che farei volontariamente; sei sempre stato come un padre per me, il migliore che potessi desiderare. Non me ne sarei mai andato»
Scosse la testa, cercando di nascondere gli occhi lucidi.
«Cosa farai adesso?» domandò, la voce leggermente tremante.
«Non lo so» sospirai, passandomi una mano sugli occhi. «Per il momento chiederò a Niall di ospitarmi qualche giorno da lui, a Burton upon Trent, finché non trovo un lavoro ed una sistemazione definitiva. Poi si vedrà»
Phil non rispose, e lo conoscevo abbastanza per sapere che stava tentando di incassare il colpo ricevuto. Rimanemmo in silenzio per lunghi minuti, un silenzio saturo di dubbi, ricordi ed interrogativi scomodi, mentre il buio riempiva la stanza di cui ci eravamo dimenticati di accendere la luce.
«Preparo la cena» mormorò Phil, riscossosi dopo un tempo che mi parve infinito, alzandosi per premere l’interruttore della luce vicino all’ingresso. Annuii e senza aggiungere altro lo aiutai ad apparecchiare la nostra solita tavola scarna.
Domani sera, per colpa tua, lo sarà ancora di più.
Ingoiai a fatica il boccone amaro, mentre appoggiavo i bicchieri davanti ai piatti. Era dura pensare che non avrei più cenato a quel tavolo con Phil, ma era ancora più dura pensare che Lizzie non sarebbe più stata con me. Quei giorni erano stati i più belli della mia vita; dovervi rinunciare così presto era semplicemente troppo da sopportare.
La cena fu semplice e silenziosa; nessuno dei due aveva il coraggio di menzionare gli eventi del pomeriggio, né di fingere una conversazione leggera e casuale. Lavammo i piatti senza dire una parola, e quando anche l’ultima posata fu asciugata e riposta nel cassetto uno strano senso di imbarazzo invase la stanza. Era arrivato il momento di preparare le valigie; sembrava quasi che la mia partenza fosse diventata reale solo allora.
«Ti do una mano a mettere via le tue cose» disse Phil con voce tranquilla, senza però guardarmi in faccia. Mi precedette nella nostra stanza prima ancora che potessi rispondergli, e sospirai chiudendo gli occhi.
Dovevo mandare un messaggio a Niall per chiedergli ospitalità; non c’era nessun altro a cui avrei potuto scrivere con così poco preavviso sperando in una risposta affermativa. Tirai fuori il telefono dalla tasca ed inviai le poche parole che avevo digitato in fretta, ricevendo una risposta quasi istantanea.
 
Casa mia è casa tua, lo sai. Vieni senza farti problemi, mi spiegherai meglio domani.
 
Nonostante il mio umore pessimo mi sentii scaldare il cuore dalla disponibilità di Niall. Quando la situazione lo richiedeva sapeva non essere troppo invadente e dimostrarsi l’amico migliore che avrei potuto chiedere.
Infilai di nuovo il telefono nella tasca dei joggers e mi diressi verso la camera da letto, in cui Phil aveva già aperto una valigia vuota sul letto. Quando mi sentì entrare si girò verso di me e sorrise.
«Ti ho tirato fuori questa, dovrebbe essere abbastanza capiente per contenere tutta la tua roba»
Annuii, guardandomi intorno e sentendomi improvvisamente perso. Avrei dovuto, da un certo punto di vista, mettere tutta la mia vita in valigia.
Cosa devo portare con me per andarmene per sempre da casa mia?
Forse dentro di me non riuscivo ad accettare la pesante realtà che mi era piombata addosso come un macigno; in qualche modo mi sembrava di dovermi allontanare solo temporaneamente, che sarei tornato presto. Non riuscivo a convincermi del fatto che non sarei più potuto ritornare indietro.
Con un sospiro mi riscossi, iniziando a tirare fuori vestiti dall’armadio. Phil radunava i pochi oggetti che avevo lasciato in disordine sulla scrivania. Un paio di libri, le cuffiette, il quaderno pentagrammato dove scrivevo le mie canzoni; c’era anche quella che avevo dedicato a Lizzie appena poche ore prima. Provai una dolorosa stretta al cuore, e per darmi un contegno iniziai furiosamente ad organizzare le pile di vestiti piegati nella valigia.
«Sarà il tuo compleanno tra pochi giorni. Credi che riuscirai a passare a trovarmi?» chiese Phil dopo qualche minuto, rompendo il silenzio.
«Temo di no» risposi afflitto scuotendo la testa, mentre mi passavo una mano tra i capelli. «Probabilmente ti metterei nei casini se mi facessi vedere qui»
Phil abbassò la testa, appoggiandosi alla scrivania. Sembrò riflettere su qualcosa, prima di parlare ancora.
«Ho una cosa per te» affermò infine con aria misteriosa, dirigendosi fuori dalla stanza senza aspettare una mia risposta. Tornò qualche istante più tardi, portando con sé un oggetto che mi porse in silenzio. Lo accettai aggrottando le sopracciglia, rigirandomelo poi tra le mani.
Era un semplice plico color sabbia, sigillato e non molto spesso. Sul retro c’erano scritte poche parole in inchiostro indelebile nero.
 
  Per mio nipote Harry

 
Non aprirlo prima del compimento dei tuoi 25 anni.
 Tuo nonno,
 Keith Frederick Styles
  
«Un plico? Da parte di nonno Keith?» domandai meravigliato, al che Phil annuì.
«Me l’ha dato lui stesso più di vent’anni fa» dichiarò, sorridendo alla mia espressione sbalordita. «Eri ancora un bambino, ne è passato di tempo. Non ho idea di cosa ci sia dentro; il signor Styles mi ha raccomandato di rispettare quanto c’era scritto sulla busta e non fartelo aprire prima del tempo»
Sfiorai le lettere nere, ancora incredulo. Mio nonno aveva preparato quel plico per me prima ancora che sapessi di essere suo nipote, e quella busta aveva aspettato più di due decenni prima di arrivare nelle mie mani.
«Te lo do ora così potrai aprirlo il giorno del tuo compleanno» aggiunse, stringendosi nelle spalle. «Visto che… che non potrai tornare a Rangemore Hall, ho pensato che questa potesse essere un’alternativa»
«Non posso aprirlo ora?» implorai, divorato dalla curiosità, ricevendo in risposta un netto cenno di diniego.
«Il 10 giugno è fra soli tre giorni, Harry. Non mancare di rispetto ad un morto infrangendo la sua volontà per pura impazienza» mi rimproverò Phil, puntando l’indice verso di me. «Non provare ad aprirlo prima di allora, d’accordo?»
«Va bene, va bene» replicai rassegnato, alzando le mani. «Aspetterò il mio compleanno»
Il viso di Phil si distese e un lampo di nostalgia prematura gli attraversò gli occhi. Sapevo a cosa stava pensando; era esattamente ciò che riempiva anche la mia mente, in quel momento.
«Mi mancherai, ragazzo» mormorò infatti, gli occhi leggermente lucidi.
«Anche tu. Non caricarti troppo di lavoro, quando sarò via; so di essere insostituibile, ma fatti dare una mano da qualcuno»
Phil si lasciò andare ad una breve risata, quindi si avvicinò a me per stringermi in un abbraccio che mi lasciò interdetto, inizialmente, ma che subito dopo ricambiai con più affetto di quanto gli avessi mai dimostrato in tutti quegli anni.
In quel momento decisi che non sarebbe finita lì; avrei trovato il modo di riprendermi tutto ciò a cui tenevo, e nessuno – neppure Louis Tomlinson – sarebbe riuscito ad impedirmelo.




Spazio autrice
Ciao gente <3
A Rangemore Hall sta succedendo un bel casino. Harry deve andarsene dalla tenuta ed è completamente smarrito. Cerca di farsi forza anche per non rendere le cose più difficili per Phil, ed in qualche modo riesce perfino a sdrammatizzare con le sue solite battute, ma l'atmosfera è decisamente pesante.
Ad un certo punto della serata Phil dà al ragazzo un misterioso plico da parte di suo nonno, e Harry è comprensibilmente curiosissimo di scoprirne il contenuto. Lo siete anche voi, vero? Abbiate pazienza e lo scoprirete :D
Nel frattempo io ringrazio 
xlovesharoldo per aver aggiunto High Society tra le storie seguite <3

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***



Era una sensazione estremamente amara e frustrante essere a Dover, alle scogliere, e desiderare invece di essere proprio nel posto che avevo odiato con tutta me stessa per quasi tre mesi. Sentivo che tutto stava andando alla rovescia e mi sembrava di non avere più alcuna certezza a cui aggrapparmi.
Era una bella giornata, c’erano poche nuvole in cielo grazie al forte vento che soffiava da sud, ma questo sembrava non bastare a farmi passare il malumore. Mi avvicinai al precipizio, per osservare meglio le onde che si gettavano schiumose contro la roccia bianca. I miei genitori mi avevano sempre raccomandato di stare almeno a qualche metro dal bordo delle scogliere, perché in qualunque momento la roccia avrebbe potuto erodersi e crollare facendomi precipitare in mare. Tuttavia in quel momento era come se tutto quanto intorno a me fosse distante ed ovattato, anche il rumore delle pesanti masse d’acqua contro i bastioni rocciosi era solo un tonfo sordo e lontano.
«Lizzie, che stai facendo?»
Una voce, quella voce, risuonò limpidissima nelle mie orecchie a dispetto del torpore che mi aveva invasa fino a quell’istante.
Non può essere lui. Abbiamo dovuto separarci, lui è andato chissà dove e non poteva sapere che ero qui. Sì, è sicuramente qualcun altro.
«Liz, ti prego, allontanati da lì, è pericoloso»
Come potevo negare di sapere perfettamente chi stesse parlando? Si trattava pur sempre del timbro inconfondibile che avevo imparato ad amare nelle ultime settimane. Quella voce profonda e vibrante, leggermente roca, come avrei potuto non riconoscerla?
«Harry…» mormorai, mentre mi voltavo di scatto in direzione di quel suono che mi era mancato così tanto. Non appena inchiodai lo sguardo sui suoi occhi mi sentii subito completa e felice, e desiderai correre da lui per stringerlo tra le braccia.
Successe tutto molto in fretta, anche se fu come se stessi vivendo la scena al rallentatore.
Nel momento in cui feci leva con il piede destro sul terreno per alzarmi sentii l’erba e la roccia disgregarsi sotto di me. Gli occhi di Harry si spalancarono, pieni di terrore, e lui urlò qualcosa che non sentii.
Ero completamente sorda mentre mi sbilanciavo all’indietro, precipitando insieme al fianco roccioso della scogliera verso il mare. Mi sentii stranamente sospesa per aria, il primo secondo, e l’ultima cosa che vidi fu l’espressione inorridita di Harry. Impiegai solo un istante per rendermi conto che stavo cadendo, ed il mio cuore accelerò furiosamente facendomi andare nel panico mentre volavo nel vuoto…
 
Mi risvegliai di scatto, madida di sudore, il battito cardiaco che impazzava ed il fiato corto. Cercai di controllare il respiro irregolare e pesante, guardandomi intorno per recuperare un po’ di lucidità. Tutto era al suo posto, come sempre.
Il comodino accanto al letto, la finestra ampia, le falde del baldacchino, l’enorme armadio antico.
Sono nella mia stanza, a Rangemore Hall. Sono viva.
Chiusi gli occhi, aspettando che il mio cuore rallentasse, e presi un respiro profondo. Era la terza notte di fila che facevo quel sogno, ed ogni volta mi sembrava così vivido e reale che non avevo dubbi di essere davvero a Dover. Mi lasciava addosso per diverse ore un orrendo senso di angoscia e di inquietudine che faticavo a scacciare, senza contare il dolore bruciante nel realizzare che Harry non era davvero con me.
Non posso andare avanti così.
La situazione con Louis era tornata quasi alla normalità. Quando eravamo rientrati alla villa, quella sera, mi aveva detto che mi avrebbe perdonata a condizione che cambiassi numero di telefono e che promettessi di non contattare più Harry in nessun modo. Ero stata costretta ad accettare, per salvaguardare la mia famiglia, ma dentro di me soffrivo giorno dopo giorno. Piangevo spesso, mi sentivo costantemente esausta e priva di energie.
Louis era sempre lo stesso, e non riuscivo a capire cosa gli passasse per la testa. Perché non mi aveva cacciata? Se davvero non gli importava nulla di me, come mai faceva di tutto per tenermi a Rangemore Hall? In fondo io non ero né ricca né famosa, non ero di famiglia altolocata e non potevo in nessun modo fruttare qualcosa ai Tomlinson. Non mi spiegavo perché non fosse mai sembrato turbato dalla mia freddezza nei suoi confronti, e nemmeno perché non avesse usato l’episodio del mio “tradimento” per liberarsi di me.
Si comportava come se nulla gli interessasse davvero, aveva la sua routine ed io ne facevo parte quanto il giornale che leggeva la mattina. Era un abitudinario, e forse questo lo portava a non cambiare molti aspetti della sua vita – tra cui me, probabilmente. La cosa mi infastidiva, non riuscivo ad accettare che la mia vita fosse stata rovinata gratuitamente da una persona che mi considerava tanto quanto l’arredamento della sua casa.
Mi passai una mano sul viso con un sospiro, cercando di recuperare le forze necessarie ad alzarmi. Le mie giornate, se possibile, erano diventate ancora più noiose e monotone; restavo chiusa in camera a leggere dal mattino alla sera, uscendo solo negli orari dei pasti. Leggere mi aiutava a tenere occupata la mente e mi permetteva di vivere, almeno nella mia fantasia, una vita migliore lontano dallo Staffordshire.
Ancora leggermente scossa dall’incubo, presi in mano il telefono per controllare l’ora. Quando il display si illuminò, tuttavia, la prima cosa che notai fu la data.
10 giugno… oggi è il compleanno di Harry.
Sentii un nodo stringermi impietoso la gola quando gli occhi impossibilmente verdi del ragazzo mi si inchiodarono in testa. Ricordai di quando mi aveva parlato del suo compleanno, appena pochi giorni prima; mi aveva detto che nonostante il 10 giugno fosse il giorno della sua nascita, a lui piaceva pensare che il suo compleanno fosse l’11 – ovvero quando era stato lasciato a Rangemore Hall da Phil.
Non appena mi tornò in mente il vecchio giardiniere mi riscossi, come punta da uno spillo. Come avevo fatto a non pensarci prima? Ero stata così tormentata dal pensiero di Harry da non aver mai preso in considerazione l’idea di andare a parlare con Phil. Era rischioso, certo, ma dovevo sapere dove fosse andato il ragazzo e se stesse bene. Inoltre avrei avuto l’opportunità di parlare liberamente con qualcuno che fosse al corrente della situazione.
Incapace di togliermi questo chiodo fisso dalla testa, mi alzai in fretta dal letto e mi precipitai in bagno a lavarmi e sistemarmi. Da un’ulteriore occhiata all’iPhone avevo appurato che era ormai metà mattina – la prima volta che avevo guardato mi ero dimenticata di controllare l’orario, distratta com’ero dalla data – perciò mi dissi che sarei potuta andare da Phil senza correre troppi rischi.
La sera precedente avevo sentito Louis discutere al telefono di un’importante riunione che si sarebbe tenuta proprio quella mattina, quindi a meno che non stesse bluffando avevo ragione di supporre che non sarebbe stato a Rangemore Hall mentre io facevo visita al suo capo giardiniere.
Come avevo immaginato, non trovai il ragazzo in sala da pranzo; tuttavia il tavolo era ancora apparecchiato e straripante di cibo come al solito. Nonostante la mia impazienza, il mio stomaco che brontolava mi costrinse ad approfittare di un’abbondante colazione dopo la quale iniziai a sentirmi decisamente meglio. L’inquietudine del sogno si faceva ancora debolmente sentire ai margini della mia mente, ma il desiderio di vedere un volto amico aveva rapidamente preso il sopravvento su qualsiasi altro pensiero.
Pochi minuti dopo ero già fuori dalla villa, diretta con passo nervoso verso la dépendance. Non sapevo dove trovare Phil, ma immaginavo fosse in quella zona a prendersi cura del giardino.
Le mie previsioni si rivelarono esatte; lo trovai vicino allo stagno, impegnato a potare gli alberelli decorativi che punteggiavano l’ampio prato. Quando fui a pochi passi da lui mi sentì e si voltò verso di me, trasalendo leggermente quando si rese conto di chi fossi.
«Lizzie…!»
Annuii brevemente, guardandomi intorno circospetta.
«Mi dispiace capitare così all’improvviso, Phil, ma sentivo il bisogno di parlare con lei. Ha qualche minuto?»
Lui si riscosse dalla momentanea sorpresa, posando le piccole cesoie dentro la carriola che conteneva già diverse foglie e ramaglie. Mi fece cenno di seguirlo mentre si dirigeva verso la dépendance, e subito mi affrettai ad obbedire.
Una volta entrati ci sedemmo entrambi al tavolo, dopo che ebbi gentilmente rifiutato il caffè che mi aveva offerto. Mi scrutò con aria grave, come se stesse cercando di indovinare la ragione della mia visita improvvisa. Il suo viso sembrava quasi scavato, gli occhi erano spenti; la partenza di Harry aveva sicuramente lasciato un segno profondo sulla sua vita.
«Di cosa volevi parlare?» domandò diversi secondi dopo, intrecciando le dita sopra il tavolo.
«Ecco… di Harry» risposi sentendomi improvvisamente un po’ insicura ed impacciata. Chi ero io per entrare in casa sua e parlare di Harry, quando era proprio colpa mia se il ragazzo aveva dovuto lasciare la tenuta?
«Questo l’avevo immaginato» replicò con un piccolo sorriso. «Non avere paura, puoi parlare con me senza problemi»
Incoraggiata dal suo atteggiamento positivo mi sistemai meglio sulla sedia, passandomi una mano tra i capelli.
«In realtà non so nemmeno io perché sono qui» confessai, abbassando lo sguardo. «Immagino che… che avessi semplicemente bisogno di parlare con qualcuno. E poi… volevo chiederle scusa»
Phil aggrottò le sopracciglia, tirandosi leggermente indietro.
«Chiedermi scusa? E perché mai…?»
«Beh, ecco…» cominciai piano, leccandomi le labbra, mentre tormentavo l’orlo della t-shirt con le dita. «È a causa mia che Harry ha dovuto andarsene, perciò…»
Il vecchio giardiniere mi interruppe, mettendo le mani avanti e scuotendo la testa.
«Non pensarci nemmeno, Lizzie. Il ragazzo è grande abbastanza da prendere le proprie decisioni da solo, non si sarebbe fatto coinvolgere se non l’avesse voluto. Lui tiene molto a te, mia cara, ed io non potrei essere più orgoglioso di lui per essersi messo in gioco nonostante i rischi che correva. Lui sa che ne valeva la pena»
Il viso sorridente del ragazzo tornò di prepotenza nella mia mente, scacciando qualsiasi altro pensiero. Le parole di Phil, sommate ai miei sogni ricorrenti e al dolore costante che provavo da alcuni giorni, mi fecero risalire diverse lacrime agli occhi.
«Anche io tengo a lui, Phil» riuscii in qualche modo a mormorare, con voce rotta. «Non riesco a sopportare l’idea che se ne sia andato, e non posso fare a meno di pensare che se non gli avessi mai rivelato quello che provavo per lui nulla di tutto questo sarebbe successo»
«Non dire così» mi rimproverò con dolcezza il vecchio, visibilmente commosso. «Non ho mai visto il ragazzo così felice come negli ultimi tempi. Ha avuto una vita difficile, io ho sempre cercato di dargli il meglio che potevo ma lo vedevo spesso solo; in tutti gli anni di scuola l’unico vero amico che si era fatto è stato quell’irlandesino»
Niall, pensai tra me con un piccolo sorriso.
«Tuttavia, da quando sei arrivata qui lui è come rifiorito» continuò, la voce più ferma di poco prima. «Lavorava più volentieri, e se possibile era ancora più allegro del solito. Credimi, non hai portato altro che positività nella sua vita»
Sospirai, ricacciando indietro a fatica le lacrime. Phil era troppo buono, sapevo che mi stava togliendo la mia parte di colpe solo per farmi stare un po’ meglio. Lui aveva perso il ragazzo di cui si era preso cura per venticinque anni come un figlio, avrebbe avuto tutte le ragioni al mondo per prendersela con me.
«Sa dov’è adesso?» domandai, ricordandomi solo allora della domanda che tanto mi premeva fargli.
«È da Niall, a Burton upon Trent. Quel ragazzo è stato tanto gentile da permettergli di stare da lui fino a quando Harry non avrà trovato un lavoro ed un posto dove stare»
Annuii, mentre mi tornava in mente la loquacità del biondino che, dopo essersi presentato, mi aveva subito raccontato di essersi trasferito a Burton con sua madre quando aveva dieci anni.
Se non altro Harry è al sicuro e sta bene.
«Non vi siete più sentiti, Lizzie?» chiese cauto, osservando attentamente il mio viso per cogliervi eventuali cambiamenti di espressione. Scossi la testa, stringendomi nelle spalle.
«Louis mi ha costretta a cambiare numero di telefono, per cui non ho più avuto modo di contattarlo» ammisi, abbassando lo sguardo.
Phil sgranò gli occhi, le labbra che si arricciavano in una smorfia di disapprovazione. Lasciai vagare lo sguardo per la stanza, con aria evasiva, vergognandomi parecchio del comportamento assurdo di Louis. Era come se fossi in prigione, né più né meno.
«Pensavo di chiamarlo, visto che è il suo compleanno» buttò lì Phil, vedendomi da qualche minuto assorta nei miei pensieri. «Se ti va posso farlo ora, così potrai salutarlo. Che ne dici?»
Al pensiero di sentire di nuovo la voce di Harry il mio cuore sprofondò. Mi rendevo conto che parlare con lui non solo andava esattamente contro le condizioni di Louis, ma mi avrebbe fatta precipitare ancor più nel vortice di sconforto di cui ero preda da tre giorni; nonostante ciò percepii la mia testa annuire da sola alle parole di Phil, che si aprì in un caldo sorriso e si diresse nella sua stanza per recuperare il suo telefono. Ritornò con un vecchio cellulare in mano, di quelli con la tastiera T9 incorporata. Un po’ goffamente recuperò il contatto di Harry e schiacciò il tasto verde di chiamata.
Squillò libero diverse volte prima che vedessi il viso di Phil illuminarsi.
«Ehi, ragazzo mio, buon compleanno!» esclamò, mentre io mi sentivo sempre più invasa dall’ansia. Il vecchio rimase in silenzio alcuni secondi – potevo vagamente sentire la voce di Harry, nonostante non riuscissi a distinguere le parole – poi si lasciò andare ad una piccola risata.
«Come avrei potuto dimenticarlo? Vedo che gli anni passano anche per te, ma a quanto pare non hai ancora imparato a fidarti della mia memoria di ferro»
Passarono alcuni minuti, durante i quali osservai Phil chiacchierare del più e del meno con Harry, quando il giardiniere mi guardò con aria complice facendomi un occhiolino. Realizzai che la mia entrata in scena sarebbe avvenuta a momenti, e se possibile la mia ansia si triplicò.
«Beh, ragazzo, è stato un piacere sentirti. Fammi sapere quando aprirai il plico, ma prima goditi il mio regalo» disse misterioso, affrettandosi a passarmi il cellulare. Lo afferrai, facendolo quasi cadere da quanto ero nervosa, e me lo portai all’orecchio.
Sentivo Harry ripetere “pronto?” e per qualche secondo mi bloccai, ancora incredula di sentire la sua voce.
«Buon compleanno, Harry» riuscii a dire in un soffio, prima che una morsa mi chiudesse la gola impedendomi di tirare fuori una qualsiasi frase più articolata. Immediatamente all’altro capo della linea scese il silenzio per diversi secondi.
«Lizzie, sei tu?» domandò a voce bassissima, dopo un tempo che mi parve infinito.
«Sono io» confermai, recuperando chissà come la capacità di parlare. Quasi automaticamente iniziai a camminare per il soggiorno, con Phil che mi osservò inizialmente divertito decidendo poi di uscire dalla dépendance per lasciarmi un po’ di privacy.
«Non posso crederci» sentii mormorare Harry, e per qualche motivo me lo immaginai mentre si passava incredulo una mano tra i lunghi capelli ondulati. «Cos’è successo? Ho provato un sacco di volte a scriverti, ma non ho mai ricevuto risposta»
«Louis ha preteso che cambiassi numero e mi ha proibito di contattarti. Era la sua condizione per farmi restare qui» spiegai, guardando fuori dalla finestra del soggiorno con una punta di frustrazione. C’erano così tante cose che volevo dirgli, ma non potevo nemmeno guardarlo in faccia mentre gli parlavo. Il suono della sua voce, che tanto amavo, mi sembrava pesantemente rovinato ed alterato attraverso il misero audio del telefono, che non gli rendeva affatto giustizia.
«Che figlio di puttana» commentò, facendomi sorridere quasi automaticamente. «Tu come stai?»
Sospirai, accarezzando il davanzale della finestra con la mano libera.
«Come posso stare? Mi sento uno schifo, e mi manchi da morire» decisi di confessare, nonostante questo avrebbe probabilmente solo fatto stare peggio entrambi. Sentii Harry sospirare a sua volta.
«Dio, anche tu mi manchi, Lizzie. Non so cosa darei per essere lì da te in questo momento»
Tenere a bada le lacrime si stava rendendo decisamente più duro del previsto, ma lottavo con tutta me stessa per non iniziare a piangere.
«Cosa dobbiamo fare, Harry?» mi venne spontaneo domandargli, il petto che bruciava. «Non possiamo sentirci né vederci, sei stato praticamente esiliato dalla villa mentre io sono rinchiusa qui. Anche il solo fatto che io stia parlando con te ora è un rischio, come possiamo pensare di andare avanti in questo modo?»
Harry gemette piano, e dai rumori indistinti sulla linea immaginai che si fosse messo a camminare su e giù per la stanza.
«Io non voglio rinunciare a te, Lizzie» affermò dopo una lunga pausa, con voce ferma anche se venata di angoscia. «Non voglio e non posso. Lo so che in questo momento ci sembra tutto impossibile, ma sicuramente troverò il modo e…»
«È troppo tardi, Harry» lo interruppi, gli occhi ormai gonfi di lacrime. Percepivo la sua confusione nonostante non potessi vederlo in viso. In quel momento presi la decisione più drastica degli ultimi mesi, e mi ci volle tutto il coraggio che avevo per pronunciare quelle semplici parole.
«Ieri Louis mi ha chiesto di sposarlo… ed io ho deciso di accettare»



Spazio autrice
Ciao gente :') non mi sorprenderebbe se a quest'ora vi foste tutti dileguati ahah, mi odierei anche io xD
Non dirò assolutamente nulla, se avete voglia di lasciarmi qualche commento voi beh... qua sotto è pieno di spazio :D
Vi ringrazio per continuare a seguire la storia, siete tutti fantastici <3

Un abbraccio,
mononokehime

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***



Harry’s POV
 
Rimasi paralizzato con il telefono in mano, senza riuscire a dare un significato a quello che Lizzie aveva appena detto. La mia mente si rifiutava di accettare quelle parole per ciò che erano, e cioè l’equivalente di una condanna a morte.
«Dimmi che stai scherzando» sussurrai, quasi senza voce. «Dimmi che non è vero, Lizzie, ti prego»
«Mi dispiace» rispose soltanto, chiudendosi in un silenzio che durò un paio di minuti.
Dentro di me si stava scatenando un uragano di emozioni contrastanti. Rabbia, rimpianto, delusione, frustrazione, dolore… era davvero possibile provare così tante cose insieme e non implodere?
Faticavo a conservare la lucidità, ma dovevo farlo per impedirmi di accettare quella situazione assurda. Come aveva potuto accettare la proposta di matrimonio di quell’animale di Tomlinson, dopo soli tre giorni – tre giorni – che eravamo stati separati? Dopo tutto quello che ci eravamo detti mi sembrava impossibile che quelle parole fossero uscite proprio da lei.
Abbiamo anche fatto l’amore quel giorno…
«Lizzie» tentai ancora una volta con voce spezzata, aggrappandomi alla speranza che un’inutile conversazione telefonica potesse essere sufficiente a farle cambiare idea, «so che sei spaventata e scoraggiata, ma non puoi buttare via la tua vita così. Sposare Louis ti logorerà, senza contare che sarai in pericolo, maledizione!»
Strinsi a pugno la mano libera e me la portai alla bocca, cercando con tutte le mie forze di mantenere il controllo di me stesso. Dall’altra parte del telefono Lizzie iniziò a piangere sottovoce.
«Perdonami, io non…» serrai gli occhi, dandomi dell’imbecille. «Non voglio renderti le cose più difficili, voglio solo che tu sia felice»
«Potrei essere felice solo con te, idiota» gridò improvvisamente, facendomi trasalire. «Trovami un modo, uno solo, in cui possiamo riuscire a stare insieme senza rovinare la vita alla mia famiglia e me ne andrò all’istante da questo posto, te lo giuro»
Rimasi con la bocca mezza aperta, colto alla sprovvista, ma com’era logico non trovai nulla da rispondere. I secondi passavano con una lentezza devastante, facendomi sprofondare sempre di più nella consapevolezza della mia inutilità.
«Come immaginavo» mormorò infine, con amarezza, prima di riattaccare.
«No, Lizzie, aspetta…» provai a fermarla, ma mi rispose solo il suono regolare della linea interrotta.
«CAZZO!» urlai, gettando il telefono sul letto e coprendomi il viso con le mani. Era davvero finita, e questa volta per sempre. Non avevo più alcuna possibilità di recuperare quello che avevo perso; ero bandito a vita da Rangemore Hall e lei si sarebbe sposata con la persona che detestavo di più al mondo.
D’altra parte non potevo nemmeno prendermela con lei per la sua decisione. In fin dei conti come al solito aveva ragione, pensare di trascinare una relazione senza mai potersi vedere era assurdo e ci avrebbe solo fatto soffrire più di quanto avremmo potuto sopportare. Il matrimonio era comunque una minaccia incombente, perciò prima o poi si sarebbe dovuta sposare in ogni caso.
Ancora una volta era stata costretta a prendere la decisione più difficile da sola, ed io non sapevo in quale lingua maledirmi. Lei stava soffrendo quanto me, ne ero sicuro, ma se non altro io avevo almeno la possibilità di rimettere in carreggiata la mia vita. Lizzie, invece, era in trappola.
Mi scompigliai furiosamente i capelli, la frustrazione che saliva a livelli esorbitanti; mi precipitai d’impulso fuori dalla casa di Niall ed iniziai a correre lungo Tennyson Road in direzione del grande parco della città. Corsi al massimo delle mie capacità per quasi mezz’ora, attraversando l’ampia distesa erbosa in lungo e in largo, quindi mi arenai piegandomi in avanti con le mani sui fianchi.
Ansimavo pesantemente, numerose gocce di sudore mi colavano lungo la fronte ed il mento raccogliendosi sulla punta del naso. I capelli mi si appiccicavano al viso ma non vi badavo, ero troppo impegnato a tenere a bada il bruciore alla gola ed i pensieri sconnessi. Mi lasciai cadere a terra, distendendomi a pancia in su sull’erba, mentre il mio respiro lentamente si regolarizzava ed il sole tiepido faceva capolino di tanto in tanto da dietro le nuvole.
Che bel compleanno di merda.
Mi veniva quasi da ridere per quanto era ridicola tutta quella situazione. Quando ero piccolo, ingenuamente, fantasticavo spesso sulla ricompensa che mi avrebbe riservato la vita per avermi tolto i miei genitori; amavo pensare che sarei stato ricco e felice, senza un solo problema al mondo. Mai avrei immaginato che a soli venticinque anni sarei stato cacciato dalla stessa casa in cui ero stato abbandonato.
Soppesai diverse alternative, senza escluderne completamente nessuna. Forse avrei potuto andarmene dall’Inghilterra, partire verso un Paese lontano dove avrei potuto ricominciare la mia vita da zero. Forse invece avrei potuto iniziare subito a lavorare, e mettere da parte soldi sufficienti per affittare un appartamento in cui far venire ad abitare anche Phil in modo da non restare separati. Oppure avrei potuto semplicemente iniziare a bere fin quando non mi sarei dimenticato perfino il mio nome, visto che sembrava l’unica soluzione per non pensare più a Lizzie.
Sospirai, chiudendo gli occhi e passandomi entrambe le mani sul viso. La corsa mi aveva aiutato a scaricare gran parte della frustrazione, ma mi aveva anche lasciato come svuotato. Facevo fatica a seguire il filo dei miei pensieri, che si trascinavano stanchi uno dietro l’altro senza una successione logica.
Frammenti della mia vita a Rangemore Hall, dei miei momenti con Lizzie e dei miei sogni infantili mi attraversarono le palpebre, lasciandomi in un limbo di dormiveglia che durò probabilmente quasi un paio d’ore. Quando recuperai il contatto con la realtà mi sollevai a sedere, un po’ indolenzito, e sbattei più volte le palpebre per riabituarmi alla luce del giorno.
Forse era il caso di tornare da Niall e Maura; probabilmente erano già preoccupati notando che ero sparito da casa loro senza alcuna spiegazione il giorno del mio compleanno. Mi alzai in piedi sbuffando, gli occhi socchiusi mentre mi guardavo intorno per capire esattamente dove fossi. Ero in prossimità del boschetto nell’angolo sud-est, quindi avrei dovuto attraversare di nuovo tutto il parco per arrivare a casa di Niall; ci avrei messo appena un quarto d’ora, andando di buon passo.
Mi incamminai senza troppe cerimonie, sperando che Maura non fosse troppo arrabbiata per il mio comportamento. La madre di Niall era piuttosto apprensiva; tutte le volte che in quegli anni ero stato a casa del mio migliore amico dovevamo sempre dirle dove saremmo andati, con chi e fino a che ora. Informazioni sbagliate risultavano sistematicamente in una bella lavata di capo ad entrambi, al nostro ritorno.
Affrettai il passo quando avvistai la casa, una bifamiliare di mattoni dal colore rosso spento esattamente identica a tutte le altre case della zona. Niall era uscito in strada, e appena mi vide mi corse incontro. Il suo viso era una maschera di preoccupazione.
«Dove cavolo eri finito?» si lamentò quando mi raggiunse. «Ti ho sentito urlare mentre ero in bagno, e quando sono arrivato in camera non c’eri più»
«Ho avuto… una telefonata poco piacevole, e ho sentito il bisogno di farmi una corsa» spiegai restando sul vago, nella speranza che Niall non facesse mille domande.
I suoi occhi chiari mi scrutarono per diversi secondi, quindi il mio migliore amico sospirò e scosse la testa.
«Se non vuoi parlarmene non farlo, Harry. Però sappi che non potrò aiutarti se non mi dici nulla, e tirare fuori quello che ti fa male potrebbe solo farti stare meglio alla fine»
Annuii, abbassando lo sguardo verso i miei piedi mentre tormentavo un sassolino con la punta della scarpa.
«Lo so, Niall, grazie. Probabilmente più tardi te ne parlerò, è che… ora ho bisogno di rendermi conto io stesso di come stanno le cose, prima di potertele raccontare»
Lui aggrottò per un secondo le sopracciglia, quindi si strinse nelle spalle.
«Quando vuoi, amico» disse semplicemente, sollevando il pugno che io colpii con un piccolo sorriso. «Ehi, buon compleanno comunque»
Ridacchiai, attirandolo in un mezzo abbraccio. Ci incamminammo verso casa, ma a pochi metri dalla porta mi bloccai.
«Tua mamma… si è accorta che…?»
Niall prontamente scosse la testa.
«Non ti ha sentito urlare perché aveva la musica accesa e la porta chiusa in cucina. E anche avesse sentito, non poteva capire che eri tu; poteva benissimo essere qualcuno del vicinato. Quando sei sparito le ho detto che avevi voglia di fare un po’ di jogging, pregando che saresti tornato in tempi plausibili»
Tirai un sospiro di sollievo. Per fortuna Niall aveva avuto la prontezza di inventarsi una scusa; non avrei potuto sostenere anche il peso di una ramanzina di Maura, quel giorno.
Il mio migliore amico iniziò a chiacchierare allegramente, ed io gli fui grato per il suo tentativo di distrarmi dal mio malumore. Tuttavia quel giorno il suo fiume di parole non riuscì a coprire il frastuono dei miei pensieri; desideravo solo buttarmi a letto e dormire, per dimenticare almeno temporaneamente tutti i miei problemi.
 
***
 
«Styles, sei proprio uno stronzo! Avevamo detto che non vale sbirciare nello schermo dell’avversario per capire dove si trova» frignò Niall, facendomi ridere di gusto.
«Le regole sono fatte per essere infrante» replicai soddisfatto, socchiudendo gli occhi per individuare l’avatar di Niall nello schermo. Da buon cecchino mi bastò un colpo per farlo fuori, nonostante si stesse muovendo per tentare di sfuggire al mio mirino infallibile.
«Non vale, questa mappa non la conosco bene come te» borbottò, posando il controller dell’Xbox accanto a sé mentre mi sgranchivo le braccia. Era sempre divertente stracciare Niall a Call of Duty; quando perdeva si lamentava tantissimo, voleva la rivincita e poi perdeva miseramente di nuovo.
«È tutta questione di tattica, Horan» lo punzecchiai con un sorrisetto, godendomi la sua espressione fintamente imbronciata.
«Stronzate» commentò sottovoce, ma abbastanza forte perché potessi comunque sentirlo. Con un ghigno trionfante stampato sulle labbra mi alzai in piedi, raccogliendo i due controller per poi riporli nel mobile su cui era poggiato l’ampio schermo TV. Niall si alzò a sua volta, con aria rassegnata, stropicciandosi gli occhi.
«Direi che potremmo anche andarcene a letto» propose con uno sbadiglio, gettando uno sguardo all’orario sul display del suo HTC. Era da poco passata l’una di notte, Maura dormiva già da un pezzo e noi avevamo giocato all’Xbox per circa tre ore, a conti fatti. Annuii, avviandomi verso la camera che condividevamo – dormivo sul letto riservato al fratello di Niall, Greg, che abitava a Mullingar con il padre – per recuperare un paio di boxer puliti ed una t-shirt, quindi andai ad infilarmi sotto la doccia.
Il getto di acqua ghiacciata mi colpì come una mazzata, ma resistetti impassibile e mi sciacquai in fretta insaponandomi poi il corpo e facendo attenzione a non bagnare i capelli. Amavo le docce fredde, mi rinvigorivano e mi lasciavano addosso una sensazione di benessere. Uscii dal box doccia dopo essermi risciacquato, tamponandomi con un asciugamano, ed infilati i vestiti tornai in camera.
Trovai Niall di spalle, intento ad esaminare un oggetto che vidi con chiarezza solo quando si voltò.
«Ehi, Harry, e questo cos’è?»
Aveva in mano il plico che mi aveva dato Phil. Aggrottai le sopracciglia; mi ero completamente dimenticato di aprirlo, nonostante la mia impazienza, a causa degli eventi accaduti in mattinata. Feci un cenno a Niall che subito mi porse la spessa busta gialla, e quando la afferrai sentii ritornare la curiosità di scoprirne il contenuto.
«È un plico che mi ha lasciato mio nonno, il vecchio maggiordomo della tenuta. Me l’ha dato Phil prima che me ne andassi» mormorai, al che gli occhi del mio migliore amico si illuminarono dall’entusiasmo.
«Che aspetti ad aprirlo, allora? Forza, vediamo cosa c’è dentro»
Facendo attenzione a non distruggere completamente la busta sollevai con delicatezza il lembo adesivo che chiudeva il plico fin quando non si staccò completamente. Ne uscirono diversi fogli, in cima ai quali campeggiava una lettera scritta a mano. Con il cuore che aveva improvvisamente iniziato a battere più forte sollevai la lettera ed iniziai a leggerla nervosamente.
 
 
Rangemore Hall, 25 febbraio 1996
 
Caro Harry,
 
Se stai leggendo questa lettera il giorno previsto ti faccio i miei migliori auguri di buon compleanno. Sei diventato un uomo, ormai, ed è giunto il momento che io ti riveli alcune cose che probabilmente cambieranno per sempre il corso della tua vita.
Immagino che Phil ti abbia già raccontato la storia di come sei arrivato qui, così come ti avrà detto della parentela che ci lega; spero che nel corso degli anni sarai riuscito a perdonare i tuoi genitori per averti abbandonato a Rangemore Hall. Phil è sempre stato un buon amico di tuo padre. È una brava persona, e sono certo che ti ha cresciuto al meglio delle sue possibilità.
Quello che sto per rivelarti non è facile da digerire, ma sono certo che se leggerai con attenzione le mie parole riuscirai ad agire nel migliore dei modi.
Come saprai, il mio padrone era il barone William Albert Wardegrave. È morto un paio di mesi fa; non aveva famiglia, era l’ultimo della sua dinastia e non si è mai sposato. Per questo alla sua morte Rangemore Hall è diventata proprietà dello Stato, prima o poi qualcuno la acquisterà e verrà ad abitarci.
Tuttavia, devi sapere che io ed il barone Wardegrave condividevamo una profonda amicizia. Il nostro rapporto era molto più stretto di quello che solitamente c’è tra un nobile ed il suo maggiordomo, e per questo motivo pochi mesi prima che lui morisse è stato redatto un testamento segreto in presenza di me e mia moglie come testimoni.
Questo testamento, Harry, stabilisce che Rangemore Hall venga assegnata a me dopo la morte del barone Wardegrave. Ciò significa che, quando me ne sarò andato anch’io, la tenuta sarà tua.
Io sono vecchio, non ho bisogno di rilevare la proprietà; ci vivo già e amo prendermene cura da maggiordomo, come faccio da anni. Preferisco mantenere il segreto ed affidare la tenuta a te, siccome Des e Anne non ci sono più. So che non è la stessa cosa, ma spero che contribuirà a riparare almeno in parte a quello che ti è stato tolto quando sei nato.
Nessuno sa nulla di tutto questo; insieme alla mia lettera troverai il testamento e l’atto di proprietà di Rangemore Hall. Non ne sono mai state fatte copie, e ho affidato il plico sigillato a Phil senza ulteriori spiegazioni. Gli ho raccomandato di consegnartelo solo quando avessi compiuto venticinque anni, in modo tale che fossi abbastanza maturo da poter decidere da solo come gestire questa responsabilità.
Sono sicuro che saprai prendere la decisione migliore per il tuo futuro.
 
Con affetto,
 
Tuo nonno
Keith Frederick Styles



 
Spazio autrice
Ci siamo.
Questo è il momento che aspettavo fin dal primo istante in cui ho iniziato a pubblicare la storia - anzi, ancora da prima; fin da quando ho iniziato a concepirla nella mia mente.
Sono curiosissima di sentire le vostre opinioni; vi aspettavate questa svolta nel corso degli eventi? Cosa credete che succederà ora?
Aspetto i vostri commenti, anche in privato :)
Un grazie dal cuore a 
theredone_ per aver inserito High Society tra le storie seguite <3

Un abbraccio,
mononokehime

  

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***



Harry’s POV
 
Dovetti rileggere la lettera tre volte prima che il peso della realizzazione mi colpisse, e quando le parole del nonno mi furono completamente chiare sbiancai e mi dovetti sedere sul letto. Niall mi aveva osservato con aria preoccupata tutto il tempo, e quando notò quel gesto si precipitò a controllare che stessi bene.
«Ehi, ehi, Harry! Che succede? Cosa c’era scritto in quella lettera?»
Senza dire una parola e con lo sguardo fisso nel vuoto gli allungai il foglio che lui afferrò prontamente, iniziando a leggere in fretta le parole scritte in inchiostro blu. Passarono alcuni minuti prima che Niall si voltasse verso di me con la stessa espressione che probabilmente avevo anch’io.
«Aspetta un secondo, vuoi dirmi che… Rangemore Hall è…?»
«È mia, a quanto pare» completai atono la sua frase, e quelle parole mi sembrarono così incredibili che le pronunciai senza darvi peso – come se fosse solo una frase detta tanto per dire.
Il mio migliore amico sgranò gli occhi e scosse piano la testa, scorrendo rapidamente le righe di testo ancora una volta.
«Non ci posso credere» mormorò incredulo, restituendomi la lettera. «Quindi gli altri fogli sarebbero tutte le scartoffie che dimostrano che la tenuta è tua?»
«Immagino di sì» risposi, sfogliando i fascicoli ordinatamente pinzati. Non capivo granché dei termini tecnici, ma comprendevo perfettamente il significato del testamento ed alcuni punti salienti dell’atto di proprietà. In particolare il valore della tenuta.
£2,200,000.00…
«Due milioni e duecentomila sterline??» gridai, avvicinando il foglio per leggere meglio. Niall strabuzzò gli occhi e si precipitò a leggere accanto a me. Dopo qualche secondo si lasciò andare ad una risata sorpresa, guardandomi in viso.
«Amico, hai fatto jackpot! Puoi letteralmente buttare fuori Tomlinson a calci in culo!»
Mi unii alla sua risata, passandomi una mano tra i capelli. La notizia era così assurda ed inaspettata che non riuscivo ancora a crederci del tutto. Eppure tutti quei documenti parlavano chiaro; Rangemore Hall era stata lasciata a mio nonno dal barone Wardegrave, e ciò poteva significare solo una cosa. Alla sua morte avevo ereditato una tenuta del valore di più di due milioni di sterline senza che nessuno – men che meno io – ne avesse la minima idea.
Avevo solo un dubbio: Mark Tomlinson aveva regolarmente acquistato la tenuta dallo Stato, quindi avevo il diritto di rivendicarne la proprietà? Forse sì, dato che l’atto di proprietà in mio possesso era indubbiamente più vecchio del suo, ma se fossimo andati per vie legali probabilmente avrei impiegato anni per far valere i miei diritti di erede.
Bisognava trovare il modo di sistemare in fretta la faccenda senza che io restassi con un pugno di mosche in mano; se Louis avesse deciso di intraprendere la via legale con ogni probabilità sarei stato sconfitto in partenza, in quanto non avrei potuto permettermi di sostenere le spese di una causa contro una famiglia potente come i Tomlinson. Sarei stato costretto a rinunciare ai miei diritti, e tutto sarebbe stato inutile.
Ma forse una soluzione posso trovarla…
Mi morsi il labbro inferiore, riflettendo sull’idea che mi era appena venuta in mente.
Se Louis avesse rifiutato un accordo pacifico avrei potuto minacciarlo di rendere pubblica la faccenda dell’eredità, in modo da mettere la sua famiglia sotto pressione di fronte all’opinione pubblica. La società finanziaria di Mark era molto conosciuta ed aveva le mani in pasta ovunque, per cui uno scandalo del genere avrebbe minato notevolmente la credibilità dell’azienda con importanti ricadute a livello economico.
I Tomlinson avevano da sempre un’immagine impeccabile di sé ed un ottimo senso degli affari, perciò avevo ragione di credere che non avrebbero rischiato di perdere la fiducia dei propri clienti. Era una buona idea; dovevo soltanto avere un appoggio, qualcuno che eventualmente mi aiutasse a divulgare in modo efficace la notizia se Louis non avesse accettato la mia proposta.
«Niall, tua madre è una giornalista, giusto?» domandai improvvisamente, al che lui annuì con aria un po’ incerta.
«Beh, cura una sezione del sito del Daily Telegraph ma ha diverse conoscenze anche in sede a Londra. Perché me lo chiedi?»
Sorrisi, per la prima volta sicuro di me.
«Ho un piano»
 
***
 
Niall mi osservava dubbioso, cercando di ricapitolare tutto quello che gli avevo detto.
«Quindi, dimmi se ho capito bene… tu vorresti proporre a Louis un passaggio di proprietà segreto a condizione che lasci libera Lizzie, altrimenti farai sapere a tutta l’Inghilterra che i grandi Tomlinson stanno occupando abusivamente la tenuta di un orfano abbandonato?»
Annuii serio. Poteva funzionare; avrei dovuto fare leva sull’effetto sorpresa, cogliere Louis completamente alla sprovvista e farlo sentire in trappola. Per ottenere il risultato migliore avrei dovuto agire quando meno se lo sarebbe aspettato, ovvero il prima possibile; non poteva immaginare che a distanza di appena tre giorni dal mio “esilio” sarei ritornato a minacciare la sua serena vita a Rangemore Hall.
«Non mi sembra una cattiva idea, anche perché il Daily Telegraph è sempre alla ricerca di scoop da dare in pasto alle masse… ma sei sicuro che uscirai vivo dalla villa? Per quanto ne so, Louis sarebbe in grado di servirti per cena al suo cane ancora prima che tu possa iniziare il discorso»
Niall non aveva tutti i torti, ma io ero fiducioso. Dovevo ad ogni costo riprendermi quello che Louis mi aveva strappato via, a partire dalla ragazza di cui ero innamorato. Avrei finalmente dimostrato a Lizzie che le mie promesse erano fondate, che la sua vita poteva ancora cambiare e che ci sarebbe stato un futuro migliore per lei, un futuro che avremmo potuto vivere insieme.
 
Il mattino seguente mi svegliai con un notevole carico di ansia sulle spalle. Avevo deciso di andare a parlare con Louis quella sera stessa, prendendomi solo il tempo necessario per discutere con Phil dell’intera faccenda.
Telefonai al vecchio un paio d’ore dopo, ed ebbi l’impressione che il cumulo di notizie incredibili che gli riversai addosso gli avesse quasi fatto venire un infarto. Gli raccomandai di non dire nulla a Lizzie; se fosse trapelato qualcosa a Louis il piano non sarebbe stato efficace, mentre io volevo sfruttare al meglio questa opportunità.
«Tuo nonno non avrebbe mai immaginato che il suo regalino sarebbe arrivato con un tempismo così perfetto» commentò Phil, facendomi sorridere.
«Già» mormorai, scuotendo la testa. Era ancora difficile riuscire a circoscrivere l’idea di essere diventato praticamente milionario, complice il fatto che c’era ancora il problema di Louis da risolvere, ma i documenti in mio possesso parlavano chiaro.
«Ragazzo… non ho ben capito come si è conclusa la telefonata tra te e Lizzie, ieri mattina. È uscita dalla dépendance, mi ha restituito il telefono ma sembrava stesse piangendo. È successo qualcosa?» chiese cauto, forse immaginando la mia risposta.
«Mi ha detto che Louis le aveva fatto la proposta di matrimonio, e che lei avrebbe accettato» risposi con un sospiro, mentre il ricordo amaro di quella conversazione tornava ad invadermi la testa.
«Credi che ti stesse dicendo la verità?» domandò inaspettatamente Phil. Aggrottai le sopracciglia, dubbioso; non avevo considerato questa eventualità.
«In realtà l’ho dato per scontato. Era in ogni caso solo una questione di tempo prima che succedesse» puntualizzai stringendomi nelle spalle.
«Sai, Harry… quando è venuta a trovarmi quella mattina non aveva il viso di una ragazza che aveva deciso di affidare la propria vita nelle mani di uno come il signorino Tomlinson. Si sentiva responsabile della tua partenza, e ne soffriva più di chiunque altro»
Serrai gli occhi con un sospiro secco, mentre mi strofinavo la fronte con la mano libera. L’ipotesi di Phil era plausibile; Lizzie sarebbe stata in grado di fare una cosa del genere, allontanarmi da lei per darmi la possibilità di dimenticarla e ricominciare la mia vita.
«Non permetterò mai che Louis me la porti via» affermai, la voce improvvisamente carica di una rinnovata sicurezza. «Questa volta riuscirò a farmi valere, cascasse il mondo riuscirò a portarla via da lì»
Sentii Phil sorridere all’altro capo del telefono.
«Non ho dubbi che ce la farai, Harry. Conta su di me, per quello che potrò fare»
«Lo farò» risposi, sentendomi bruciare dentro un pizzico di nostalgia per il vecchio giardiniere che mi aveva cresciuto. «Ci vediamo presto, Phil»
Aspettai che ricambiasse il saluto e riattaccai, riflettendo sulla situazione. Se tutto fosse andato a buon fine mi sarei ritrovato più ricco di un paio di milioni di sterline, più che sufficienti per garantire la stabilità economica di cui la famiglia di Lizzie necessitava. Ero più che sicuro di voler stare con lei, e se i debiti dell’azienda edile dei suoi genitori erano l’unico ostacolo allora avrei fatto questo ed altro per superarlo.
Ero sempre vissuto modestamente insieme a Phil, e nonostante i miei sciocchi sogni infantili lo stile di vita dei milionari non mi attirava affatto. Ero cresciuto a Rangemore Hall, ma nemmeno per un giorno avrei scambiato il mio posto alla dépendance con i lussi della villa. Fin da bambino ero stato abituato ad arrangiarmi e a lavorare per quello che volevo ottenere, e non avevo intenzione di cambiare questa parte di me.
Questi erano i pensieri che mi accompagnarono nelle ore successive, fino a quando nel tardo pomeriggio mi incamminai di buona lena verso la fermata del bus. Rangemore Hall era abbastanza tagliata fuori dalle principali linee di circolazione dei trasporti, per cui dopo una corsa sul 402A della Midland Classic avrei avuto circa tre chilometri da percorrere a piedi dalla fermata di New Inn Farm.
Quando andavo a scuola a Burton dovevo cambiare due autobus, oltre al tragitto scoperto dai trasporti. All’epoca il tratto fino alla fermata lo percorrevo in bicicletta, e talvolta se faceva bel tempo pedalavo fino alla scuola. Erano circa una decina di chilometri, e nel periodo in cui ero più allenato riuscivo a cavarmela in appena venti minuti.
Una volta salito sull’autobus mi sedetti con un sospiro, infilandomi le cuffiette e lasciando vagare lo sguardo fuori dal finestrino. L’iconico riff di apertura di Ain’t no love in the heart of the city dei Whitesnake mi riempì piacevolmente le orecchie, mentre mi estraniavo dal mondo lasciando che l’autobus mi portasse sempre più vicino al momento in cui avrei cambiato irrimediabilmente il mio futuro.
 
***
 
Elizabeth’s POV
 
Ero immersa nella lettura di Delitto e Castigo, seguendo con interesse l’infiammata discussione tra Raskol’nikov e Lužin, quando l’allarme dell’iPhone suonò avvisandomi che era ora di scendere per la cena.
Disattivai il promemoria e mi sollevai dal letto di malavoglia, sistemando il segnalibro al punto in cui ero arrivata prima di chiudere il libro e riporlo sul comodino. Quando ero a Dover era mia mamma a chiamarmi per dirmi che la cena era pronta; dal giorno in cui ero andata ad abitare a Rangemore Hall invece avevo scoperto che Louis cenava sempre alla stessa ora ed avevo imparato a regolarmi da sola, poiché la vista di una domestica che entrava nella mia camera per invitarmi a scendere mi metteva a disagio.
Quando entrai in sala da pranzo Louis mi aspettava già, seduto come al solito a capotavola, ed io mi accomodai al lato opposto del lungo tavolo. Fino a pochi mesi prima non avrei mai immaginato che nelle ville i commensali mangiassero davvero così lontani tra loro come avevo visto fare nei film, ma avevo presto dovuto ricredermi.
Di sera Louis era solitamente stanco per la giornata di lavoro, quindi le cene erano piuttosto silenziose. Ciò di norma non poteva che farmi piacere, ma quel giorno stranamente il silenzio mi pesava. L’atmosfera era tesa da un paio di giorni, il grosso affare con i cinesi non sembrava riuscire ad andare in porto e Louis era sempre più nervoso. Quello che nessuno di noi aveva previsto, tuttavia, era che lo sarebbe stato ancora di più dal momento in cui uno dei domestici della villa fosse entrato nella sala da pranzo.
«Credevo di essere stato sufficientemente chiaro sul fatto che non amo essere disturbato mentre ceno» disse freddamente il ragazzo, senza nemmeno alzare gli occhi dal piatto. L’altro si agitò, palesemente a disagio, ma rimase al suo posto.
«C’è Styles… Harry Styles, che desidera vederla, signorino Tomlinson» balbettò incerto il povero domestico, subito fulminato con lo sguardo da Louis. Io spalancai gli occhi e deglutii a vuoto, completamente presa alla sprovvista, ma tentai di non darlo a vedere.
«Che hai detto, Stevens?» ruggì il ragazzo seduto di fronte a me, battendo con forza un pugno sul tavolo e facendo tintinnare posate e stoviglie.
«Ecco, signorino Tomlinson… ha una visita da parte di…»
«Ho capito perfettamente quello che hai detto!» sbottò Louis interrompendolo, ormai fuori di sé. «Quello che voglio capire è perché abbia avuto il coraggio di riportare qui il suo inutile culo quando l’ho chiaramente cacciato dalla villa impedendogli di tornare!»
Stevens faceva saettare lo sguardo qua e là, estremamente imbarazzato e mortificato.
«Dice di avere urgente bisogno di discutere con lei, e che se non lo riceverà…» deglutì, sempre più a disagio, «…se non lo riceverà, mi perdoni, la butterà fuori da Rangemore Hall con le sue mani»
Louis sbiancò dalla rabbia e si alzò di scatto in piedi. Stevens trasalì leggermente, come se avesse paura che il suo padrone l’avrebbe preso a pugni per sfogare la sua ira. Forse non aveva nemmeno tutti i torti ad esserne terrorizzato, data l’espressione glaciale con cui il ragazzo lo stava squadrando.
«Fallo entrare» sibilò furioso Louis prima di sedersi di nuovo, con un tono che avrebbe potuto mettere i brividi a chiunque. «Sono davvero curioso di sentire il suo discorsetto. Ma ti avverto che, quando la mia pazienza si sarà esaurita, Styles dovrà essere gettato oltre il cancello diviso in almeno cinque pezzi diversi»
Trattenni il respiro, preoccupata, lanciando una fugace occhiata di sottecchi a Louis.
Cos’hai in mente, Harry?
Era davvero imprudente da parte sua presentarsi alla villa dopo così poco tempo, ma dentro di me sentivo che non stava entrando nella gabbia del leone alla cieca. Doveva esserci qualcosa che lo rendeva sicuro di sé, e pregavo con tutto il cuore che il suo piano, qualunque fosse, potesse funzionare.
Passarono pochi minuti – anche se a me sembrarono un’eternità – prima che la porta della sala da pranzo si aprisse di nuovo facendo entrare Harry, che sfoderava il suo miglior sorriso beffardo. Rivederlo fece irrimediabilmente riemergere in me tutti i sentimenti che avevo tentato di reprimere, e non potei fare a meno di pensare che fosse ancora più bello di come lo ricordavo.
«Buonasera, signori» esordì teatrale, puntando lo sguardo su Louis. «Mi dispiace interrompere la cena, ma porto notizie che vi potranno sicuramente interessare»



Spazio autrice
Buondì :3
Scusate per il ritardo, ma ho avuto un paio di cose a cui badare ahah
Nello Staffordshire si respira aria di battaglia, e dal momento in cui Harry si è ritrovato tra le mani un'opportunità così ghiotta di riscattare la propria vita non ha di certo intenzione di farsela scappare.
Vedremo nel prossimo capitolo cosa combinerà :D
Ci tenevo a ringraziare di cuore 
andry04 pazzasusy per aver inserito High Society tra le storie ricordate (probabilmente l'avevate fatto tempo fa e non me ne ero accorta, ma ho rimediato ahah) e _xneverlosehope per averla inserita tra le seguite <3
Ci vediamo tra un paio di giorni, grazie per continuare a leggermi :*

Un abbraccio,
mononokehime

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***



«Spero che tu abbia un ottimo motivo per presentarti qui durante la mia cena, Styles, perché ho una voglia incredibile di farti sbattere fuori fin da subito» sputò Louis minaccioso. Harry non batté ciglio, anzi sorrise candidamente nel rispondere.
«In effetti ce l’ho» ribatté tranquillo. «Non ci crederai, ma sono venuto qui per discutere d’affari con te»
Un lampo di perplessità attraversò lo sguardo furente di Louis.
«Da che mondo e mondo tu verresti a casa mia per discutere d’affari con me?» chiese incredulo Louis, completamente colto alla sprovvista.
«Ecco, vedi, è qui che ti sbagli» puntualizzò Harry, facendo aggrottare le sopracciglia al suo interlocutore. «Si dà il caso che mi siano capitati tra le mani certi documenti che attestano che, a quanto pare, il legittimo proprietario di Rangemore Hall sono io»
Sia io che Louis strabuzzammo gli occhi a quell’affermazione.
«Che scherzo è questo, Styles?» gridò il ragazzo seduto di fronte a me, ormai livido.
«Nessuno scherzo, Tomlinson» replicò impassibile Harry. Aprì la tracolla che portava addosso – non l’avevo nemmeno notata, presa com’ero ad osservare il suo viso – e ne estrasse alcuni fascicoli che porse a Louis senza fare una piega. Quest’ultimo li afferrò con mano leggermente tremante, ed iniziò ad esaminarli nervosamente.
Passarono diversi minuti, durante i quali il silenzio fu interrotto solo dal frusciare dei fogli. Io mi sentivo divorare dall’ansia, il mio cuore batteva così forte che temevo potessero sentirlo anche gli altri. Di tanto in tanto lanciavo un’occhiata a Harry; lui sembrava completamente rilassato e sicuro di sé, restava fermo a braccia incrociate ad osservare pazientemente Louis che studiava i documenti foglio per foglio.
Spero che tu sappia cosa stai facendo… se è un imbroglio Louis te la farà pagare cara.
Tuttavia non vedevo un briciolo di tensione in lui, quindi forse quello che diceva poteva essere vero, per quanto assurdo mi sembrasse. Mi arrovellai nel richiamare alla memoria qualunque elemento che potesse spiegare quella situazione incredibile, ma nulla sembrava avervi a che fare.
Harry è stato abbandonato a Rangemore Hall… i suoi genitori sono partiti per l’Illinois e sono morti… il maggiordomo era suo nonno… il maggiordomo era suo nonno.
D’un tratto mi venne in mente, come un flash, una frase che Phil mi aveva detto settimane prima quando ancora evitavo Harry. Mi stava raccontando del vecchio padrone della villa, un vecchio barone senza parenti in vita.
L'unica persona con cui avesse un legame era Keith; si fidava solo di lui, oserei quasi dire che fossero amici”, questo aveva detto Phil. Era forse possibile che…?
«Sono solo stronzate!» gridò Louis improvvisamente, facendomi trasalire ed interrompendo i miei pensieri. Strappò con violenza i fogli che teneva in mano, al che sentii il mio cuore sprofondare nel panico.
«Mi prendi in giro?» domandò sarcastico Harry, sollevando un sopracciglio. «Siccome immaginavo una tua reazione del genere ho fatto diverse copie dei documenti. Naturalmente quelli che hai strappato non sono gli originali»
Louis rimase interdetto per un istante, quindi scosse con forza la testa.
«Non so a che gioco tu stia giocando, Styles, ma sappi che appena troverò l’inghippo tu sarai finito»
Harry scrollò le spalle, con aria fintamente noncurante.
«Risparmiati la fatica, perché non c’è nessun inghippo. Forse questa potrà toglierti ogni dubbio – ah, ovviamente è una fotocopia, quindi puoi anche fare a meno di strapparla» disse beffardo, porgendogli un foglio scritto a mano che aveva tutto l’aspetto di una lettera.
Louis lo afferrò bruscamente, un lampo omicida negli occhi, ed il suo sguardo iniziò a saettare tra una riga e l’altra. Man mano che leggeva la sua espressione sembrava spegnersi sempre di più, fino a lasciarlo come inebetito.
«Puoi sempre far fare una perizia calligrafica, se vuoi» propose laconico Harry, senza aspettare un commento di Louis. «Dovrebbero esserci ancora dei vecchi libri contabili compilati da mio nonno, in giro per le soffitte della villa»
Il nonno di Harry? Allora avevo indovinato…?
Louis fece un leggero cenno di diniego con la testa, rassegnato.
«E ora cosa vuoi, eh?» gli chiese, spingendo via la lettera sul tavolo. «Vuoi fare la parte del principe azzurro che salva la principessa e resta a vivere con lei nel castello reale?»
Il pungente sarcasmo di Louis non riusciva a nascondere del tutto il senso di sconfitta, e per un secondo mi dispiacque per lui. Harry scosse la testa a quelle parole.
 «Non voglio buttare fuori te o la tua famiglia da Rangemore Hall, Louis. La tenuta è legalmente mia, è vero, ma ho pensato che potremmo trovare un accordo»
«Fammi indovinare» disse Louis, intrecciando le dita delle mani e portandosi i pollici alle labbra, i gomiti appoggiati al tavolo. «Mi cederai la tenuta – per il valore indicato nell’atto di proprietà, immagino, dal momento che penso tu abbia almeno sfogliato i documenti – e mi chiederai di rompere il mio fidanzamento con Elizabeth, altrimenti mi farai causa o farai scoppiare uno scandalo?»
Questa volta fu il turno di Harry di restare interdetto. Probabilmente Louis aveva fatto centro, come ci si aspettava dal figlio di uno dei più grandi imprenditori del Regno Unito.
«Beh, non posso dire che tu non abbia un ottimo intuito, Tomlinson» replicò infatti, recuperando in fretta la sicurezza. «Effettivamente ci hai azzeccato. Vorrei che tutti risolvessimo i nostri problemi nel modo più pacifico possibile, ma se non dovessi accettare ho un aggancio al Daily Telegraph che potrebbe far esplodere una bomba mediatica anche domattina»
Louis emise un fischio fintamente ammirato, alzando le mani.
«L’hai pensata bene, Styles, questo te lo devo concedere. Non ho voglia di aggiungere altri grattacapi ai miei genitori, quindi considererò tutta la faccenda una specie di regalino da un paio di milioni di sterline e forse finalmente ti leverai dai piedi»
Un paio di milioni di… cosa?
Lo sguardo di Harry si illuminò, ma la sua espressione rimase studiatamente tranquilla.
«Hai preso la decisione migliore, Tomlinson. Si vede che hai il senso degli affari»
Gli porse una mano che Louis strinse di malavoglia qualche secondo più tardi. Harry sorrise, spostando lo sguardo su di me per la prima volta da quando era entrato. Ero così felice che avrei potuto alzarmi e correre a stringerlo tra le braccia, ma feci del mio meglio per darmi un contegno.
Louis sospirò, sfregandosi gli occhi con una mano.
«Hai ottenuto quello che volevi, no?» domandò retorico, rivolto a Harry. «Ora tornatene alla tua dépendance. Immagino che avrai voglia di salutare il tuo vecchio, e io vorrei finire in pace la mia cena. Domani vedremo di iniziare la parte burocratica di questa pagliacciata»
Harry annuì piano, piuttosto sorpreso, quindi si congedò lanciandomi un’ultima occhiata ed uscì dalla sala da pranzo. Louis ricominciò a mangiare, come se non fossimo mai stati interrotti. A chiunque sarebbe potuto sembrare perfettamente tranquillo, ma io avevo in qualche modo imparato a conoscerlo e sapevo che era parecchio turbato da quello che era appena successo.
«Louis, ascolta…» iniziai, ma lui mi interruppe subito.
«So cosa vuoi dirmi ed è molto gentile da parte tua preoccuparti per me, ma posso assicurarti che non ho la minima intenzione di farmi destabilizzare da tutto questo»
Abbassai lo sguardo sul mio piatto, colta nel segno, senza ben sapere cosa dire. Nonostante avessi odiato i mesi passati a Rangemore Hall e non avessi affatto dimenticato quello che Louis mi aveva fatto un paio di settimane prima, d’improvviso mi sembrava così solo che mi dispiaceva non tentare di dirgli nemmeno una parola di conforto.
«So bene che tu non sei innamorata di me, Elizabeth, tanto quanto so che lo sei di Harry» disse qualche minuto dopo in tono più delicato, guardandomi negli occhi. Trasalii, non aspettandomi una frase del genere da lui.
«Allora perché…»
«…Perché ti ho tenuta comunque qui?» completò la mia domanda, lasciandomi spiazzata. «Secondo te perché?»
Ero a disagio, non ero abituata ad avere conversazioni di quel tipo con Louis; non avrei mai pensato che riuscisse a leggermi dentro in quel modo. Mi strinsi nelle spalle, senza sapere cosa rispondere.
«Perché, che tu ci creda o meno, anch’io sono in grado di provare dei sentimenti. Sono innamorato di te, Elizabeth, per quanto possa risultarti difficile da credere»
Le sue parole mi colpirono come macigni, al che rimasi completamente ammutolita.
Possibile…?
Louis si lasciò andare ad una mezza risata silenziosa, chiudendo gli occhi.
«Certo, mi rendo conto che mi sono comportato in modo pessimo in questi mesi» ammise, pulendosi le labbra con il tovagliolo e posandolo di nuovo sul tavolo. «Purtroppo spesso non me ne accorgo, e poi nell’ambiente in cui vivo a nessuno importa davvero di come si è realmente. Me ne sono reso pienamente conto solo quando ti ho vista con Harry, che tu cercavi tutt’altro»
Louis ormai parlava a ruota libera, come se volesse togliersi un peso che si portava dentro da chissà quanto tempo.
«Da un certo punto di vista la realizzazione mi ha demolito, dall’altro immagino di averlo sempre saputo in qualche modo. Ho tentato comunque di tenerti legata a me, nella speranza che iniziassi a provare qualcosa per me, ma era decisamente l’approccio sbagliato. Ho notato come hai guardato Harry quando è entrato» si lasciò sfuggire un sospiro, sorridendo amaro. «Non mi hai mai guardato così e mai l’avresti fatto, questo ormai era chiaro. Ecco perché ho accettato la sua proposta»
Ascoltavo le sue parole passivamente, sforzandomi di associarle alla persona che mi trovavo di fronte. Era così incredibile che non riuscivo a reagire. Louis Tomlinson, che io avevo sempre considerato un freddo calcolatore snob e pervertito, si stava aprendo a me mostrandomi il suo lato più umano.
«Qualche giorno fa ho detto ad Harry che lui mi aveva sempre invidiato tutto… beh, la verità è che ero io ad invidiare la sua vita, fin da quando eravamo bambini» confessò, spiazzandomi per l’ennesima volta in pochi minuti. «Lui era perennemente felice e spensierato, Phil lo adorava così come ogni singolo dipendente della tenuta. Io ero ricco, certo, ma non vedevo quasi mai i miei genitori – erano sempre in giro per il mondo – e tutti sembravano quasi avere perennemente paura di farmi arrabbiare»
Ricordavo bene quelle parole di Louis ad Harry; le aveva pronunciate quando ci aveva trovati alla dépendance insieme, appena pochi giorni prima.
«Com’era possibile che lui, un orfanello cresciuto da un giardiniere, avesse una vita più felice della mia?» domandò con una punta di amarezza, più a se stesso che a me. «Non potevo sopportarlo. Ero verde di invidia e mi odiavo per questo. Per recuperare fiducia in me stesso ho iniziato a venire assorbito nel mondo della finanza fino a diventare quello che sono oggi, ma a quanto pare nemmeno questo bastava. È riuscito ad avere la meglio su di me anche con la ragazza di cui mi ero innamorato…»
Si lasciò andare indietro contro lo schienale, cosa che solitamente non faceva mai. Era abituato a mantenere una postura molto rigida ed elegante a tavola.
«Stasera ho deciso di chiudere questo conto in sospeso con il mio passato, e l’ho fatto permettendogli di portarti via da me. Probabilmente è la prima cosa buona che faccio per te da quando ti ho conosciuta… se non altro spero che Harry ti renderà più felice di quanto non avrei potuto fare io»
Un lungo silenzio seguì quel monologo di Louis, un silenzio che si dilatò nell’ampia sala da pranzo fino a riempirla e rimbombarci nelle orecchie. Lo sguardo di entrambi era perso nel vuoto ed avevo quasi il timore di muovermi per poi scoprire che quel discorso era stato solo un frutto della mia fantasia.
Il rumore di una sedia che veniva allontanata dal tavolo mi riportò alla realtà.
«Beh, credo che me ne andrò a riposare» sentenziò Louis, alzandosi in piedi. «Non ti tratterrò qui, perciò vai da lui. Ti starà di sicuro aspettando»
Lo guardai smarrita, senza avere il coraggio di alzarmi dalla sedia. Lui mi osservò per un paio di secondi, quindi emise uno sbuffo divertito.
«Che aspetti? Vai, prima che cambi idea» mi incitò, al che mi alzai dalla sedia come un automa. Mossi alcuni passi in direzione della porta, quindi mi voltai verso di lui.
«Io… ecco, grazie» farfugliai, senza ben sapere come continuare. «Ho apprezzato molto quello che mi hai detto, e anche se siamo partiti con il piede sbagliato sappi che ti ho davvero rivalutato»
Louis sorrise amaro, scuotendo la testa.
«Sei troppo buona, lo sei sempre stata. Un’ultima cosa… prima che tu te ne vada vorrei che tu sapessi che non smetterò mai di detestarmi per averti messo le mani addosso un paio di settimane fa, e per quel che vale spero con tutto il cuore che non ti abbia segnata in modo irreversibile»
Fu come se mi si aprisse una voragine sotto ai piedi.
Allora si ricordava di quell’episodio… forse non l’ha più tirato fuori perché non aveva il coraggio di affrontare apertamente i suoi sensi di colpa e ha fatto finta che l’alcol gliel’avesse fatto dimenticare.
«È vero, avevo bevuto, ma questo non giustificherà mai le mie azioni. Quel giorno bere mi aveva solo caricato di una frustrazione maggiore per il fatto che non riuscivo ad ottenere il tuo apprezzamento, e da lì la situazione è degenerata»
Si passò una mano sulla nuca, imbarazzato.
«Ti capisco se non mi perdonerai mai per questo; io stesso non lo farò, perciò va bene così. Ora corri da Styles, così me ne potrò andare finalmente a riposare»
I suoi tentativi di mostrarsi spavaldo erano ormai fallimentari, ma non ci feci caso. D’improvviso vedevo Louis sotto una luce drasticamente diversa, e nonostante tutto sentivo di potermi lasciare alle spalle la sofferenza degli ultimi mesi. Non ero una persona che amava portare rancore, perciò decisi di non farlo nemmeno allora.
«Ti perdono» mormorai, guadagnandomi lo sguardo incredulo di Louis. «Ti perdono, e mi dispiace di non aver mai visto questo lato di te. Cerca anche tu di lasciarti alle spalle tutto questo e di vivere sereno, d’accordo?»
Lui deglutì a vuoto ed annuì, rivolgendomi per la prima volta un sorriso sincero e luminoso che ricambiai volentieri. Senza più dire nulla uscimmo entrambi dalla sala da pranzo, e quando dovemmo separarci ci rivolgemmo un semplice cenno di saluto, come se ci saremmo rivisti presto, anche se entrambi sapevamo che non sarebbe stato così.
Quando mi chiusi la porta d’ingresso della villa alle spalle l’aria fresca e umida che respirai mi sembrò d’un tratto molto più leggera. Il cielo si scuriva in fretta, coperto da ampi sprazzi di nuvole grigio-bluastre, ed una lieve brezza faceva fremere piano le foglie delle siepi.
Mi incamminai verso la dépendance con il cuore che batteva all’impazzata dall’emozione. Harry era a poche decine di metri da me e non esistevano più ostacoli che avrebbero potuto impedirci di stare insieme. Ad ogni passo acceleravo l’andatura, fino a quando non iniziai a correre senza badare al fatto di poter sembrare una completa squilibrata.
Arrivai trafelata alla porta in massello, con i capelli in disordine ed il fiato corto. Bussai impaziente e ci vollero solo pochi secondi prima che la porta si aprisse facendomi trovare davanti la figura longilinea del ragazzo, che superato lo stupore iniziale mi rivolse un sorriso enorme.
Mi gettai tra le sue braccia e lo strinsi a me con tutta la forza che avevo, mentre un sospiro di sollievo usciva dalle mie labbra per scontrarsi con il suo petto caldo. Harry ricambiò l’abbraccio, baciandomi ripetutamente i capelli, e lo sentii ridere leggermente contro di me.
«Scusa per quello che ti ho detto al telefono ieri» sussurrai, affondando ancora di più il viso nella sua maglietta. «Sono stata una stupida, e ti ho anche mentito sulla proposta di matrimonio di Louis…»
«È tutto a posto» rispose tranquillo, accarezzandomi la schiena. «L’avevo immaginato»
«Davvero?» chiesi sorpresa, sollevando il viso per guardarlo. Lui annuì, lasciandomi un lungo bacio sulla fronte che mi portò istintivamente a chiudere gli occhi.
«Sono io a dovermi scusare. Ti avevo costretta ancora una volta a prendere la decisione più difficile da sola, ma ormai nulla di tutto questo ha più importanza»
Scossi con forza la testa, pronta a ribattere, ma lui mi anticipò prendendo il mio viso tra le mani e baciandomi con una dolcezza che mi provocò una scarica di brividi lungo la colonna vertebrale.
«Credevo che non ti avrei più rivisto» mormorai, la tempesta verde dei suoi occhi che sembrava quasi brillare di luce propria. Harry sorrise, facendo spuntare le fossette.
«E invece pare che ti dovrai abituare a vedermi ancora per molto, molto tempo»




IMPORTANTE! READ ME!

Spazio autrice
Ciao a tutti <3
Prima di dire qualsiasi altra cosa voglio informarvi che questo è l'ultimo capitolo di High Society.
Non iniziate a piangere disperati, però; DOMANI (verso le 11 di mattina) pubblicherò l'epilogo - corto, sì, ma sarà comunque qualcosa.
Intanto ci terrei a dire due parole su Louis. Spero che non lascerete questa storia con un'idea troppo negativa di lui; è cresciuto in un ambiente che gli ha riversato addosso, fin da piccolo, un'enorme pressione. Non è facile restarne immuni e lui non ha fatto eccezione. Gli è costato un notevole sforzo confessare a Lizzie quello che aveva dentro. Sia questo che il consenso alla proposta di Harry gli sono serviti per fare finalmente pace con il proprio passato, era un passo indispensabile e lui ha avuto la maturità di prendere questa difficile decisione. Quindi vogliategli un pochino di bene in più adesso, pls <3
Vorrei dire tante cose strappalacrime, ma facciamo che rimanderò i convenevoli nostalgici all'epilogo così avrò il tempo di procurarmi sufficienti fazzoletti :')
Nel frattempo ringrazio di cuore
 Caro_Malik per aver inserito High Society tra le storie ricordate <3

Un abbraccio,
mononokehime

   

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Capitolo 23
*** Epilogo ***



– Un anno dopo –
 
«Credo che potrei restare qui per sempre»
Mi girai verso Harry con un sorriso. Era disteso sull’erba, ad occhi chiusi, e si faceva accarezzare dalla fresca brezza salata. Le onde si scontravano ritmicamente con le alte pareti rocciose, permettendomi quasi di percepire la sorda vibrazione che vi si propagava. Qualche gabbiano sorvolava le scogliere, giocando con il vento e liberando di tanto in tanto uno stridio.
«Ti capisco. È da sempre il mio posto preferito, mi fa sentire a casa» risposi, lo sguardo perso nel mare lontano a sud. Affondavo le mani nella corta erba su cui ero seduta, assaporando il leggero solletico che mi provocava sui palmi.
Sentii le dita di Harry iniziare ad accarezzarmi pigramente la base della schiena e mi abbandonai al suo tocco dolce e delicato. Tracciava percorsi invisibili sulla mia pelle al di sotto della t-shirt, da un fianco all’altro, disegni irregolari che mi provocavano come sempre una piacevole pelle d’oca.
Quando rischiai di crollare addormentata – una volta era anche successo, non c’era nulla che mi rilassasse come le carezze di Harry – mi riscossi e mi distesi accanto a lui, cingendo il suo busto con un braccio ed intrecciando le gambe alle sue, mentre allungavo il viso verso il suo collo per posarvi un piccolo bacio.
Harry mi strinse a sé in un gesto quasi automatico, continuando a far scorrere le dita lungo la mia schiena. Era una sensazione meravigliosa, come se non ci fosse nulla di più giusto che restare lì abbracciati a sentire l’aria del mare sulla pelle. Sospirai, stringendomi un po’ di più a lui.
«Sono felice» affermai, rompendo il silenzio dopo diversi minuti. Era vero; non riuscivo ad immaginare una situazione più serena di quella. In generale da quando stavo con Harry la mia vita aveva preso una direzione drasticamente positiva, e ogni giorno che passava mi faceva realizzare la mia fortuna.
«Anch’io, Liz» mormorò, posandomi un bacio tra i capelli. «Quest’anno con te è stato incredibile, ed il merito è solo tuo»
Scossi la testa con un sorriso.
«Sei tu che hai permesso che tutto questo accadesse, Harry. Hai salvato l’azienda dei miei genitori, hai salvato me da un futuro che non avrebbe mai potuta rendermi felice… cosa sarebbe successo se tuo nonno non ti avesse mai lasciato quel plico?»
 Il ragazzo restò in silenzio a lungo, riflettendo sulle mie parole.
«Un modo me lo sarei inventato, ne sono certo» disse infine, stringendosi nelle spalle. «In qualche maniera sarei comunque riuscito ad arrivare a farti una certa domanda che avevo in mente»
Aggrottai le sopracciglia ed alzai il viso per guardarlo negli occhi. Lui sorrise districando l’abbraccio e si tirò su, invitandomi silenziosamente a fare altrettanto. Quando fui in piedi prese le sue mani tra le mie, stringendole piano.
«Liz» esordì, puntando i suoi occhi impossibilmente verdi nei miei, «dal momento in cui ti ho conosciuta, quella notte nel parco, ho saputo che eri speciale. Il solo pensiero di perderti mi ha sempre fatto impazzire, e ho fatto di tutto per ritagliare un angolo di futuro che potessimo condividere»
Le sue parole mi facevano battere il cuore all’impazzata, e guardare il suo viso mentre le pronunciava non faceva che aumentare di secondo in secondo il mio amore nei suoi confronti.
Lo vidi rovistare nella tasca dei jeans e immediatamente mi portai una mano alla bocca, intuendo cosa stava per succedere. Harry estrasse dalla tasca una piccola scatolina di velluto blu notte e si inginocchiò, un po’ goffamente, davanti a me.
«Insieme abbiamo superato ostacoli che molti non avrebbero nemmeno pensato di affrontare» proseguì, un leggero sorriso sulle labbra. «Per questo sono convinto che potremo superare qualsiasi altro ostacolo ci si presenti davanti. Ti amo, Elizabeth Jane Thompson, e ti amerò fino all’ultimo dei miei giorni. Vuoi sposarmi?»
Fu impossibile per me trattenere le lacrime quando annuii, ricevendo in risposta un enorme sorriso sul volto di Harry. Il ragazzo aprì la scatolina, rivelando un anello meraviglioso che mi infilò all’anulare sinistro. Non fece nemmeno in tempo ad alzarsi in piedi che mi gettai al suo collo, stringendolo a me con tutte le mie forze. Sentivo la sua risata vibrargli nel petto ampio mentre ricambiava il mio abbraccio.
«Immagino di doverlo prendere come un sì» sogghignò, facendo ridere anche me.
«Certo. Ma certo che devi» mormorai, asciugandomi le lacrime e portandomi la mano sinistra vicino agli occhi per osservare meglio l’anello. Era formato da due sottili fasce intrecciate tra loro, una d’oro bianco e l’altra tempestata diamanti, che formavano un grazioso nodo sul davanti. Era semplice ma particolare, assolutamente perfetto.
«Lo adoro. Grazie» dissi in un sussurro, stampandogli un bacio sulle labbra. Harry sorrise contro la mia bocca, alzandosi improvvisamente in piedi e sollevando anche me. Mi fece roteare un paio di volte in aria, ridendo di gusto ai miei finti gridolini terrorizzati, quindi mi posò a terra baciandomi ancora e ancora.
Il mare ruggiva decine di metri sotto i nostri piedi, mentre il profumo della salsedine risaliva i bianchi spalti rocciosi e giungeva fino alle nostre narici. La brezza umida giocava allegra intorno a noi, avvolgendoci nel suo abbraccio e scompigliandoci i capelli, per poi salutarci e proseguire oltre, lontano, lasciando dietro di sé solo una scia salata ed il suono di due cuori che battevano insieme.
 
 
The End


 
Spazio autrice
Eccomi qui, a mettere finalmente la spunta su "Completa".
Sto cercando di trovare un modo efficace per descrivere in breve quanto sia stata significativa questa storia per me, ma come condensare un anno abbondante in poche stupide parole?
Probabilmente nessuno leggerà sul serio questo delirio, quindi tanto vale lasciarmi andare ai ricordi.
Ho iniziato a scrivere High Society grazie ad un'amica conosciuta qui su EFP, che con la sua inarrivabile bravura mi ha ispirata a buttarmi sulla scrittura e mettere finalmente nero su bianco questa trama che mi rigiravo in testa da mesi e mesi.
Questa persona ad un certo punto è sparita dalla mia vita
forse spero ancora che, senza dire nulla, abbia comunque letto anche lei High Society fino a questo epilogo. Se stai leggendo, sappi che te la dedico. So che non è al livello delle tue storie, ma ho davvero fatto del mio meglio.
Ringrazio di cuore ogni singola persona che ha letto anche un solo capitolo, chi ha recensito, chi mi ha scritto in privato, chi leggerà e recensirà e mi scriverà. E' stato un viaggio splendido che mi ha insegnato molto e mi ha fatto scoprire una passione che avevo sempre snobbato.
Mi mancherà scrivere di Lizzie, di Harry e degli altri; tuttavia non ho intenzione di scrivere sequel di alcun tipo. Ho un paio di idee per delle altre long con Harry come coprotagonista, e vediamo se riuscirò a concludere qualcosa.
Grazie ancora a tutti, scusate il sermone ma sono una persona ignobilmente emotiva e nostalgica :')

Un abbraccio immenso,
monokehime

 

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