We can hurt together

di LadyBones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When I messed up ***
Capitolo 2: *** When you come back ***
Capitolo 3: *** When I became your mission ***
Capitolo 4: *** When you made a choice ***
Capitolo 5: *** When we talked ***
Capitolo 6: *** When we faced our daemons ***
Capitolo 7: *** When you said you cared about me ***



Capitolo 1
*** When I messed up ***


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La normalià mi avrebbe ucciso. 

Per lo meno era quello che mi ero ritrovata a pensare, mentre il professore continuava a blaterare su qualcosa di non ben definito. Avevo optato per la facoltà di psicologia per risparmiarmi qualsiasi cosa che avesse a che fare con i numeri e, invece, adesso mi toccava preparare un esame di statistica. Da qualche parte doveva esserci sicuramente qualcuno che mi odiava particolarmente, altrimenti non si spiegava.

Per non parlare del fatto che sarebbe stato davvero difficile concentrarsi quando, nella mia testa, continuavo a rivivere quello che era successo appena una settimana prima. Era stata la più stupida, folle, emozionante e incredibile avventura che avessi mai vissuto nella mia vita. Credevo che dopo Bucky le sorprese sarebbero terminate e, invece, mi ero ritrovata a viaggiare indietro nel tempo trovandomi a vivere qualcosa che andava persino al di là di ogni mia aspettativa. Riuscivo ancora ad avvertire addosso quel senso di euforia che non mi aveva abbandonata da quando ero tornata. Tim ancora non si capacitava di quello che era successo e, onestamente, neanche io.

A dire la verità, sembrava quasi assurdo che adesso mi ritrovassi in aula in mezzo a tutti quegli studenti facendo finta che non fosse successo nulla, ma qualcosa era successo. E non mi riferivo al fatto di essere tornata indietro e aver avuto la possibilità di camminare in quella che era la prima sede dello S.H.I.E.L.D, no. Mi riferivo alle persone che avevo incontrato e che avevano finito per lasciare un segno del loro passaggio, e quello era un problema. Le persone entravano nella mia vita per poi scomparire. Era successo con i miei genitori, con Charlie. Bucky credevo che sarebbe stato l’ultimo, ma non avevo tenuto conto della cosa più ovvia: gli imprevisti.

Conoscere Peggy, Howard e tutto il resto di quelle persone – diamine, persino il signor Jarvis – aveva finito per essere l’imprevisto più incredibile di tutta la mia esistenza. Una parte di me avrebbe voluto che tutto quello non fosse mai accaduto risparmiandomi, così, il vuoto improvviso che sentivo alla bocca dello stomaco.  E, poi, c’era la parte di me più masochista che non smetteva di ringraziare il cielo per quello che aveva vissuto.

La verità era che, nonostante il dolore dell’assenza, avrei ripetuto tutto d’accapo. La mia vita non sarebbe stata la stessa senza mio padre. Il college non sarebbe stato così facile senza Charlie. Credere nell’impossibile non sarebbe stato possibile senza conoscere Peggy e, cavolo, non conoscere Bucky – conoscerlo per davvero – sarebbe stato il più grande rimpianto della mia vita.

Già, nonostante tutto, potevo tornare a casa con la consapevolezza che tutte le cicatrici che mi trascinavo avevano avuto un senso. Dio, era quasi confortevole sapere che loro fossero lì a ricordarmi di quel via vai che aveva caratterizzato la mia vita fino a quel momento. Sorrisi a quel pensiero, mentre raccattavo tutte le mie cose consapevole che un giorno avrei avuto parecchie cose da raccontare.

Stessa ora domani?

La voce di Tim finii per riportarmi con i piedi per terra. Sollevai lo sguardo nella sua direzione annuendo con un lieve cenno del capo. Avevo quasi dimenticato che l’indomani avrei dovuto presentarmi in università all’alba – di nuovo.

A domani.

Lo salutai con un cenno della mano prima di scomparire dalla sua vista. Tim e io avevamo finito per legare un po’ di più nell’ultimo periodo, ma da quando ero ritornata dal 1949 era diventato improvvisamente più apprensivo. Non che non lo capissi, ma ogni giorno puntualmente mi ritrovavo a doverlo rassicurare del fatto che non sarei andata da nessuna parte. Non nell’immediato futuro, quanto meno.

Povero ragazzo, dovevo averlo spaventato a morte. Sorrisi divertita a quel pensiero, decidendo che era decisamente il caso di farmi perdonare. Avrei potuto sempre preparare una cena, ma questa volta avrei accuratamente evitato la serata cinema. Avevo ancora ricordi troppo vividi dell’ultima che, per certi versi, non avrei voluto rivivere. Insomma, avevo fatto il pieno d’imbarazzo quella sera quindi una cena sarebbe stata più che sufficiente. Sì, non era poi una così pessima idea pensai mentre – inserita la chiave nella toppa e girata – mi infilavo nel mio appartamento. Magari avrei potuto chiedere aiuto a mia nonna. Sì, avrei dovuto decisamente chiedere aiuto all’esperta della famiglia. Mi disfai della borsa poggiandola sulla sedia all’ingresso, lanciando la chiavi nel portaoggetti avviandomi, subito dopo, in direzione del soggiorno. Cellulare alla mano pronta a digitare il numero di mia nonna quando con la coda dell’occhio non intravidi una figura alla mia sinistra, comodamente seduta su una delle poltrone.

Per la miseria!

Sussultai rischiando di farmi sfuggire il cellulare, e a stento riuscii a trattenere un mezzo urletto. D’accordo, avrei dovuto seriamente fare qualcosa per migliorare i miei sensi perché, a quanto sembrava, facevano letteralmente schifo.

Ha per caso intenzione di farmi venire un infarto alla mia giovane età? chiesi guardandolo con un sopracciglio alzato.

Lui, in tutta risposta, era rimasto immobile a fissarmi. Le braccia poggiate sui braccioli, gli occhiali da sole puntellati sul naso. Mai visione fu più inquietante, bisognava ammetterlo.

A proposito, come ha fatto a entrare?

Gli avevo chiesto con la speranza di ricevere risposta. Cosa che aveva funzionato, ma non nel modo che avevo sperato.

Ero nei paraggi e ho pensato di fare un salto per vedere come stavi.

Oh.

Oh. Porca. Miseria.

Lo sapeva. Ora, non ero del tutto certa di cosa lui effettivamente sapesse, ma alla fine dei conti non era importante. Se Fury aveva finito per fare irruzione nel salotto di casa mia non era certo per una tazza di thè e dei biscotti, no. C’era una sola spiegazione: sapeva che avevo combinato qualcosa. Bisognava capire quale fosse effettivamente il motivo per cui era venuto a cercarmi: Bucky o Peggy. Al momento, onestamente, non sapevo dire quale sarebbe stata la meno peggio. In fondo, però, me lo ero meritato perché aveva finito per tirare la corda troppo a lungo e, prima o poi, quel momento sarebbe arrivato. L’unico problema era che non pensavo che arrivasse così presto. Non mi ero preparata, anche se dubito che avrei mai potuto esserlo.

Oh, gentile da parte sua. Davvero gentile, sì. Thè?

Glielo chiesi velocemente e, altrettanto velocemente, mi avviai in direzione della cucina. Magari se fossi stata fortunata un varco spazio temporale avrebbe finito per inghiottirmi – di nuovo.

C’è niente che tu voglia dirmi, Eleanor?

Sentii la voce di Fury alle mie spalle e mi ritrovai a sollevare gli occhi al cielo. No, questa volta non avrei potuto scappare. L’unica soluzione possibile sarebbe stata negare. Certo, in fondo, qualsiasi cosa avrebbe potuto sentire con quelle sue antenne che si ritrovava al posto delle orecchie non c’era nessuna prova in giro. Non come quella volta in cui mi ero incatenata davanti al negozio di ciambelle – era su praticamente tutti i giornali. Questa volta c’era Bucky che era chissà dove al momento, e poi c’erano Tim ed Eddie. Loro li avrei potuti tranquillamente sotterrare, sì. Negare avrebbe sicuramente funzionato.

No, niente di particolare quanto meno. Lei, invece? È sparito per un bel po’. Pensavo che non l’avrei più rivista.

D’accordo, potrebbe darsi che una parte di me aveva sperato in quella opzione. Non che non gli fossi affezionata, ma c’era da capirmi. Quell’uomo riusciva a fulminarti con lo sguardo – proprio come stava facendo in quel momento – senza neanche aver bisogno di togliersi gli occhiali. L’avere un occhio solo doveva avergli permesso di affinare la sua tecnica, ne sono sempre stata convinta.

Ho continuato a tenere d’occhio la situazione anche a distanza.

Lo aveva sussurrato con una serietà tale che mi ero ritrovata a deglutire senza neanche rendermene conto. In quel momento, effettivamente, stavo rimpiangendo un paio delle cose che avevo fatto nell’ultimo periodo. Persino mangiare quella vaschetta intera di gelato guardando “Le pagine della nostra vita”, giusto la sera prima.

Avrei voluto poter ribattere con qualcosa di incredibilmente arguto e spavaldo, dico sul serio, ma sembrava che persino il mio coraggio avesse battuto la ritirata. Quando ero finalmente sul punto di dire qualcosa – qualsiasi cosa – lo vidi estrarre qualcosa dalla tasca interna della sua giacca di pelle e posarla sul bancone della cucina. Corrugai la fronte e, nonostante la mia curiosità, restai immobile indecisa se avvicinarmi o meno. Quando, però, lo vidi farmi un cenno con il capo non potei fare altro che farmi più vicina. Osservai quel pezzo di carta bianca a forma quadrata, e solo quando lo afferrai tra le mani girandolo capì che, in realtà, era una foto.

Non una foto qualsiasi, no. La persona che vi era ritratta sopra ero io nel 1949. Avevo riconosciuto le spalline nere del vestito. In realtà, avrei riconosciuto quell’immagine ovunque anche se, per quanto stupido potesse suonare, non sembravo neanche io.

Come?

Avevo sussurrato con un filo di voce, mentre con le dita avevo preso ad accarezzare quell’immagine sbiadita.

Questo dovresti dirmelo tu.

Sollevai lo sguardo a quelle parole, ritrovandomi a socchiudere gli occhi. Fu un attimo e, improvvisamente, un flash finì per travolgermi così come accadde quella sera. Avevo persino dimenticato il fotografo visto tutto quello che era successo. Mi morsi il labbro inferiore realizzando, improvvisamente, che mentire non mi avrebbe portato a nulla. Non dopo quella foto, accidentacci a me.

Posso spiegarle tutto.

Mi ero precipitata ad affermare e, ne ero certa, nei miei occhi doveva leggersi quello che era puro terrore. Non era colpa mia, insomma sì, avevo incasinato un po’ il tempo, ma alla fine dei conti c’erano cose peggiori nella vita, no? Tipo un Dio norreno altamente incazzato pronto a distruggere New York. Sì, decisamente. Fury, però, non sembrava essere della stessa opinione. Era rimasto immobile a braccia conserte non perdendomi per un attimo di vista, come se davvero fosse possibile prendere in considerazione l’idea che io potessi scappare in qualche modo. Non che non ci avessi pensato, ma – seriamente – mi ci avreste visto a precipitarmi da una scala anti-incendio? Come minimo avrei finito per inciampare al primo gradino – siamo realistici.

Sono tutt’orecchi.

Lo sentì sussurrare e io mi ritrovai a sorridere impacciata – sempre se quello si potesse chiamare un sorriso. Dove diavolo erano gli alcolici quando servivano? Sollevai gli occhi al cielo, tirando un enorme sospiro per farmi coraggio.

Non è colpa mia, o meglio sì lo è. Solo che… io ero solo uscita per andare a una festa e poi ho incontrato questo ragazzo che blaterava di varchi spazio-temporali. Insomma, sembrava del tutto impossibile come cosa anche se effettivamente se nel mondo esiste un Hulk perché non dovrebbero esistere anche questi varchi, giusto? Quindi quando me lo sono trovato davanti ho pensato che non sarebbe stata una cattiva idea entrarci dentro. Volevo solo vedere mio padre, ma sono finita nell’anno sbagliato. 1949, riesce a crederci? Perché io ho avuto qualche problema all’inizio, ma poi ho incontrato l’agente Carter e c’è stato un mezzo disguido, ma abbiamo risolto e poi ho incontrato il signor Stark e…

Avevo parlato talmente tanto velocemente che mi ero ritrovata a corto di fiato. Fury era rimasto al passo senza scomparsi più di tanto fino a che non mi aveva bloccata con un gesto della mano. Il che, onestamente, non sapevo se fosse un buon segno oppure no. A precauzione, mi ritrovai a fare un passo indietro – le mani dietro la schiena, come quando ero in castigo o sapevo che ci sarei andata da lì a poco.

Non so se essere più infuriato per il fatto che tu abbia fatto una cosa così stupida come viaggiare nel tempo, per il fatto che tu ti sia finta un agente dell’SSR, perché tu abbia alterato la linea temporale o, peggio, che tu ti sia lasciata scattare una dannatissima foto. sbraitò guardandomi dritta negli occhi.

Sussultai appena nel sentire la sua voce aumentare quasi di due ottave. E, ciononostante, era rimasto tutto d’un pezzo il che era impressionante. Io, invece, avevo finito per abbassare lo sguardo in direzione della punta delle mie scarpe, mordendomi il labbro. Cavolo, l’avevo fatta proprio grossa.

Mi spiace, dico davvero. Non volevo alterare proprio niente. Insomma, io… volevo solo rivedere mio padre e le cose mi sono sfuggite di mano. Per quanto riguarda l’essermi finta un agen… aspetti un attimo! Lei come diavolo fa a saperlo?!?

Sgranai gli occhi realizzando a pieno le sue parole solo in quel momento. Ero certa di non aver menzionato quel piccolo particolare. Visto che ero in una posizione già abbastanza precaria, non mi era sembrato il caso di aggiungerci anche quello alla lista di cose di cui sentirmi in colpa perché, onestamente, non andavo molto fiera di ciò che avevo fatto.

I viaggi nel tempo funzionano in modo davvero molto strano, Lenny. Per te è trascorsa appena una settimana da quanto successo nel 1949, ma per le persone che hai incontrato sono trascorsi ben sessantasei anni.

Corrugai la fronte provando a capire che cosa stesse cercando di dirmi, ma in realtà in quel momento il mio cervello sembrava rifiutarsi di collaborare.

Non credo di capire.

Quand’è stata la prima volta che hai incontrato Peggy Carter?

Il giorno del mio sesto compleanno.

Esatto, ma la prima volta che Peggy Carter ha incontrato te è stato nel 1949 molto tempo prima che tu incontrassi lei in quel museo.

Per la miseria.

Fu l’unica cosa di senso compiuto che riuscii a pensare. Adesso, riflettendoci bene, tutto aveva più senso. All’epoca ero solo una bambina, ma avrei dovuto quanto meno immaginare che quella non poteva essere stata solo una coincidenza.

Aveva conosciuto la me di adesso.

Fury si era ritrovato ad annuire prima di andarsi a sistemare in uno degli sgabelli. Io presi a muovermi per tutta la cucina – le mani all’altezza delle mie labbra – cercando di elaborare tutto quello che mi era appena stato detto.

Aspetti, quindi lei lo sapeva? Insomma, io non le ho mai parlato di essermi finta un agente dell’SSR, quindi lei doveva sapere qualcosa.

Solo altre due persone – oltre Peggy e Howard – erano a conoscenza di quello che sarebbe successo: me e tuo padre.

Nel sentire quelle parole mi voltai di scatto nella sua direzione. Le mani ancora a tormentarmi le labbra, gli occhi sgranati per la sorpresa così tanto da farmi quasi male.

Papà?

Il mio era stato sussurro lievissimo che, però, ero certa Fury avesse finito per udire. Era stato lui a portarmi allo Smithsonian il giorno del mio compleanno. Era stato sempre lui a parlarmi per la prima volta di Peggy, definendo la signora del museo una sua amica.

Peggy e Howard hanno contattato tuo padre il giorno in cui sei nata. Da allora ti hanno tenuto d’occhio fino a che hanno potuto, dopo di che sono subentrato io. Non che tu abbia reso le cose facili per tutti noi.

Lo aveva sussurrato inclinando di poco la testa di lato, lanciandomi un’occhiataccia. Sollevai gli occhi al cielo sapendo perfettamente a cosa si riferiva e, purtroppo, non avevo neanche la possibilità di obiettare a riguardo.

Beh, se lo avessi saputo… provai quanto meno a giustificarmi, ma non servì poi a molto.

Avresti finito per cacciarti nei guai prima del tempo.

Lo guardai male a quell’affermazione, incrociando le braccia al petto. Come se mi fossi messa consapevolmente nei guai… sì, ok va bene, lo avrei fatto. Questo però non significava che gli avrei dato alcun tipo di soddisfazione, avevo pur sempre una dignità da preservare – quello che ne rimaneva, quanto meno.

Per quale motivo hanno cercato mio padre? chiesi incuriosita.

Sapevano quanto tuo padre significasse per te e avrebbero voluto che fosse lui a darti questa, ma purtroppo lui non è qui adesso quindi dovrai accontentarti di me.

Rispose non lasciandosi sfuggire la mia espressione perplessa. Un secondo più tardi tirò fuori quella che sembrava una lettera, sistemandola al centro del bancone in attesa che io l’afferrassi. Mi feci un po’ più vicina osservando quell’involucro bianco su cui sopra era riportato il mio nome con una calligrafia elegante.

Questa cosa sarebbe?

Credo che loro lo abbiano chiamato, piano B.

A quelle parole i miei occhi finirono per sgranarsi. Prima di saltare nel varco temporale e tornare a casa, avevo suggerito a Peggy e Howard di trovare un piano B perché ce ne sarebbe stato bisogno. Non avrei dovuto farlo, ne ero consapevole allora come lo ero adesso, ma non ero riuscita a trattenermi. Loro, però, sembrava che mi avessero preso sul serio e quella lettera ne era la prova anche se, effettivamente, arrivava con un po’ di ritardo. Abbozzai un mezzo sorriso in direzione di Fury perché ero certa che prima o poi me ne avrebbe dette quattro a riguardo. E lo avrebbe fatto sul serio, ma probabilmente mi stava dando giusto il tempo di metabolizzare il tutto. Afferrai, così, la busta tirando fuori il foglio che conteneva e presi a leggere.

 

Cara Eleanor,

se stai leggendo questa lettera vuol dire che, dopotutto, abbiamo deciso di seguire il tuo consiglio. Non ho dimenticato quello che ci siamo dette l’ultima volta che ci siamo viste, prima che tu tornassi a casa. Credo che sia piuttosto difficile poterselo dimenticare, ma questa volta voglio essere io a raccontarti una storia.
Sai, c’è un motivo per cui l’organizzazione – lo Shield, come lo hai chiamato tu – è nata. Volevamo proteggere il mondo da quello che c’era lì fuori che fosse l’Hydra o qualcosa di più, perché di cose orribili ce ne sono a bizzeffe nel mondo. Non tutti sanno, però, il motivo per cui – ad anni di distanza – siamo ancora qui.
Era la seconda guerra mondiale, e io mi ritrovavo al campo di addestramento. Dovevo trasformare dei ragazzini in soldati – probabilmente, la cosa più complicata che mi sia capitato di fare. Era un giorno come tanti altri, non ricordo neanche su cosa stessi blaterando di preciso e, sicuramente, non avrei memoria di quel momento preciso se qualcosa di sorprendente non accadde. Fu un attimo, vidi qualcosa rotolare tra l’erba e il Colonnello Phillips gridare “granata”. Ci fu un fuggi fuggi generale. Io ero già pronta a farmi avanti, quando un ragazzino – uno di quelli che stavo provando ad addestrare – non vi saltò sopra urlando di stare indietro, in attesa che la granata esplodesse. Non successe. Quello del Colonnello era un semplice test, ma quel giorno credo che capimmo tutti una cosa: se quel ragazzino aveva avuto il coraggio di saltare su un granata e fare da scudo per gli altri, perché non avremmo potuto noi fare lo stesso? Credo che, in qualche modo, sia quello il giorno in cui lo Shield sia nato, solo che nessuno di noi ne era realmente consapevole. Quel ragazzo così mingherlino ci aveva appena insegnato che erano le persone a poter fare la differenza. Persone come lui, come me… come te. Come vedi, dietro ogni leggenda c’è sempre un essere umano. Captain America non sarebbe esistito senza il coraggio di quel ragazzino. Quello che sto cercando di dirti, Eleanor, è che lo Shield che tu conosci è ciò che è per le persone che vi sono all’interno. Senza di loro non sarebbe potuto esistere altrimenti. Né io e né Howard – o chi per noi – siamo riusciti a impedire che gli eventi del 2014 si verificassero. Onestamente, non ci abbiamo neanche provato, ma abbiamo trovato una soluzione. Sei tu il piano B, Eleanor. Non importa se l’organizzazione cadrà perché la verità è che fin quando ci sarà qualcuno, lì fuori, pronto a saltare su una dannata granata e a rischiare la propria vita per gli altri, allora lo Shield continuerà a esistere. Volevi essere un agente, ma non ti sei resa conto di essere molto di più. Tu sei lo Shield, Eleanor. Probabilmente io e Howard non saremmo neanche più qui – non nel 2014 – ma tu sarai lì, quindi prenditi cura di quello per cui abbiamo sacrificato le nostre vite. Lotta anche per noi, perché so che puoi farcela. E se mai ti capiterà di aver paura, ricordati che da qualche parte c’è qualcuno che crede in te. Sii coraggiosa, sempre.

Con affetto,

Peggy.



 

Avevo letto ciò che era scritto in quella lettera senza realizzare davvero ciò che stava succedendo. Era come se non fossi più nel mio corpo e mi ritrovassi a osservare quello che stava accadendo senza poter fare niente. Ero certa che, a un certo punto non ben precisato della lettura, i miei occhi non avevano retto più e una lacrima era sfuggita al mio controllo. Ciononostante, non riuscivo proprio a capire come tutto quello fosse possibile. Insomma, un attimo prima ero solo una qualunque studentessa sfigata di psicologia e, adesso, questo.

Cosa significa?

Significa che tu sei ciò che rimane di Peggy e Howard. È tutto nelle tue mani, adesso.

No, ci deve essere un qualche errore. Insomma, andiamo stiamo parlando della sottoscritta. Come pensate che io mi possa prendere cura di qualcosa come lo Shield quando a stento riesco a mantenere una piantina in vita?!?

Chiesi ormai al limite dell’isterismo indicando il vaso poggiato sul davanzale della finestra. La pianta che vi era all’interno era morta, ed era una di quelle grasse. Insomma, se questo non rendeva l’idea non sapevo cosa avrebbe potuto.

E se mi rifiutassi? sputai fuori di punto in bianco, leggermente nel panico.

Credo che sia un po’ tardi per quello.

E, perché? Non ho mica firmato da qualche parte e, poi…

Fury non mi diede neanche la possibilità di terminare la frase che lo vidi sventolare davanti la mia faccia la foto di poco prima, di nuovo. Corrugai la fronte spostando lo sguardo da quell’immagine a lui, e viceversa.

Hai commesso un passo falso quando eri nel 1949, questo. Qualcuno molto meno simpatico di me è riuscito a recuperare questa foto e, adesso, ti sta cercando. Tu sei il motivo per cui l’Hydra non ha del tutto vinto e io non ho intenzione di lasciare che ti succeda qualcosa. L’ho promesso a tuo padre, quindi adesso farai esattamente come ti dico.

Sgranai gli occhi a quelle parole e, per la prima volta nella mia vita, sentii il terrore scorrermi lungo la schiena. Adesso, non sembrava poi così male la normalità, pensandoci.

Non uscirai da questo appartamento per nessuna ragione al mondo. Raccogli le tue cose e domani verrai via con me, c’è un piccolo gruppo di agenti dello Shield superstiti ti unirai a loro per il momento.

Cosa?!? No. Che cosa dirò ai miei nonni? Per non parlare del fatto che non posso lasciare tutto così. Domani ho un esame importante, non posso prendere e andarmene.

Dovrai farlo, prima che sia troppo tardi.

Esclamò in tono risoluto e sapevo che ci sarebbe stato poco da controbattere a riguardo.

D’accordo, mi dia almeno il tempo di fare questo esame e salutare i miei nonni. Dopo di che andrò ovunque lei voglia che vada. Per favore, solo queste due cose prima che debba dire addio a quell’ultimo briciolo di normalità che mi resta.

Sussurrai guardandolo negli occhi. Ero riuscita a sopravvivere una settimana intera, sarei riuscita a farcela per un paio d’ore. Insomma, cosa mi sarebbe mai potuto succedere andando all’università? E poi ero certa che Fury non mi avrebbe persa di vista neanche per un solo istante quindi potevo stare tranquilla.

D’accordo, ma non un minuto di più o ti verrò a recuperare personalmente e non sarà un bello spettacolo.

Annuì con un cenno convinto della testa, mentre si avviava nella direzione dell’uscita. Quello sicuramente non era il pomeriggio che mi sarei immaginata di vivere. Non quel giorno, o qualsiasi altro giorno a dire il vero.

Quando dice qualcuno intende l’Hydra, non è così?

Glielo chiesi prima che potesse scomparire dalla mia vista. Lo vidi bloccarsi, la mano intorno alla maniglia della porta, la testa lievemente girata nella mia direzione. Mi ritrovai a trattenere il respiro in attesa della sua risposta e, quando finalmente arrivò, fu come ricevere una pugnalata in pieno petto.
 

No, non semplicemente l’Hydra, ma la loro arma migliore.






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NdA:

Con un immenso ritardo, eccomi di nuovo qui di nuovo con Eleanor e le sue avventure. Avevo promesso una nuova storia, ma a differenza di quello che avevo immaginato questa ha richiesto un pò più di tempo per essere scritta. Lo studio, la vita sociale e gli imprevisiti si sono messi in mezzo alla scrittura, ma ho fatto di tutto per riuscire a portarla a termine. Non se se quello che sia uscito fuori sia all'altezza delle storie precedenti, ma spero che anche quest'ultima parte vi piaccia allo stesso modo. Come al solito i capitoli uscirano una volta alla settimana, spero di poter leggere le vostre opinioni a riguardo. 

A presto, 
- LadyBones.






 

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Capitolo 2
*** When you come back ***


Non avevo chiuso occhio per tutta la notte continuando a rimuginare su quanto era appena successo. Mi ero ritrovata a desiderare fortemente qualcosa per così tanto tempo che, adesso, avere tutto ciò che avevo sempre voluto tra le mie mani mi spaventava da morire. Volevo solo poter fare ciò che mi piaceva, ciò in cui credevo. Non avevo mai chiesto nulla di più e, poteva anche essere da vigliacchi, ma tutta quella responsabilità mi terrorizzava.

Non ero Peggy, o Steve – cavolo – non ero neanche come mio padre, ero semplicemente io. Come si poteva anche solo pensare che fossi capace di occuparmi di qualcosa di così grande quando non ero capace neanche di badare a me stessa? Nessuno mai aveva riposto così tanta fiducia in me e la cosa avrebbe dovuto lusingarmi, ma la realtà era che avevo paura di fallire e deludere le persone che avevano creduto in me. Certo, lo Shield era ormai caduto quindi anche volendo non potevo fare di peggio. O quanto meno si sperava.

Sospirai frustrata a quel pensiero prima di gettare alla rinfusa alcuni dei miei vestiti nel borsone al centro del letto. Dopo aver salutato i miei nonni sarei dovuta andare con Fury prima che perdesse le staffe e mi trascinasse con lui con la forza. In realtà, mi meravigliava come non lo avesse già fatto. Per questa volta ero stata graziata, ma sapevo che non avrei potuto tirare la corda più del dovuto. A dire il vero, non avevo alcuna intenzione di farlo. Insomma, un conto era cercare di nascondersi da qualcuno quando non volevo essere infastidita. Un conto era cercare di sfuggire a qualcuno il cui unico scopo era piantarmi una pallottola in fronte. Rabbrividii a quel pensiero, dandomi mentalmente dell’idiota per aver pensato a una cosa del genere.

Il punto era che non stavamo parlando di un semplice qualcuno, ma dell’Hydra che conoscevo abbastanza da sapere di cosa fosse in grado di fare. Onestamente, non ero certa che allontanarmi mi avrebbe potuto in qualche modo aiutare. Ci avevo rimuginato sopra per tutta la notte ed ero giunta alla triste consapevolezza che non sarei riuscita a sfuggirgli neanche se fossi andata a vivere con gli Avengers in persona. Certo, sarebbe stato incredibilmente figo vivere con loro, ma non sarebbe bastato perché l’Hydra era come una malattia che piano piano riusciva a entrarti sottopelle e risucchiarti via anche l’ultimo briciolo di anima.

E per quanto arrendersi era fuori questione, ciò non toglieva che potessi vedere tutta quella situazione senza una via d’uscita. Sollevai gli occhi al cielo, chiudendo forse con troppa forza la zip del borsone. Una cosa però era certa, continuare a pensarci non mi avrebbe sicuramente aiutato. Di quel passo mi sarebbe venuto un gran mal di testa, cosa che volevo evitare visto la giornata che mi si prospettava davanti.

Afferrai il borsone avviandomi in direzione del salotto. Lo sistemai in un angolo vicino all’entrata, sarei ritornata a recuperarlo all’uscita dell’università prima di andare dai miei nonni. Avevo pensato a lungo a cosa dire loro una volta che me li sarei trovati difronte. Avevo persino fatto le prove la notte appena trascorsa, visto che dormire non era un’opzione. Alla fine, ero giunta all’unica conclusione possibile: avrei lasciato che fosse Fury a inventarsi qualcosa. Insomma, lui aveva un certo talento innato per quelle cose e chi ero io per impedirgli di dar sfogo al suo estro artistico?  E se proprio avrebbe avuto da obiettare, mi sarei appellata al mio ultimo desiderio prima di morire, come facevano i carcerati nel braccio della morte.

Sì, il piano poteva decisamente funzionare. Afferrai, così, la giacca di pelle e la mia borsa e uscii dall’appartamento. Non che mi allettasse poi molto l’idea di dirigermi all’università per dare un esame, ma visto e considerato gli avvenimenti delle ultime ore quella era decisamente la cosa più normale che potessi fare quel giorno. Onestamente, non ero neanche del tutto certa se e quando mi sarebbe capitata l’ebrezza di provare nuovamente l’ansia per un esame, quindi tanto valeva approfittarne. Giusto per ricordarmi che c’era stato un tempo in cui mi lamentavo di cose idiote come esami, cioccolata mancante e segnale della tv assente.

Scossi la testa sospirando appena, continuando a camminare a passo spedito lungo il marciapiedi. Ero a qualche metro di distanza dall’università, quando non mi ritrovai a bloccarmi di colpo con la strana sensazione che qualcuno mi stesse seguendo. Mi guardai intorno, facendo un giro completo su me stessa vedendo le persone sfrecciarmi davanti. Solo quando avvertii una donna finire per scontrarsi contro la mia spalla mi decisi a riprendere a camminare, o di quel passo avrei finito per bloccare il traffico di gente. Sorrisi appena scuotendo la testa.

Non facciamoci prendere dalla paranoia.

Lo sussurrai tra i denti mentre riprendevo a camminare e, quasi inconsciamente, mi ritrovai a sollevare il cappuccio della giacca, sistemandomelo sulla testa – giusto per essere sicuri. Tirai un sospiro di sollievo solo quando mi ritrovai al sicuro tra le mura dell’università, Tim a venirmi incontro. Non mi ero neanche accorta di aver trattenuto il fiato per tutto il tragitto appena percorso. Di quel passo non sarei arrivata alla sera, l’ansia mi avrebbe divorato prima.

Ehi, pronta per l’esame?

La voce squillante di Tim finì per raggiungermi, e mi ritrovai a ringraziare per quel briciolo di normalità.

Prontissima.

Mentii spudoratamente, a malapena ricordavo su che materia avremmo dovuto sostenere quel dannato esame. Figuriamoci se mi sentivo preparata. Peccato che, ancora una volta, non avrei potuto tirare fuori la scusa non-ho-potuto-concentrarmi-perché-un-branco-di-idioti-ha-decido-di-farmi-fuori.

Lenny, tutto bene?

Ahm..? Sì, sì, tutto ok non preoccuparti. Andiamo in aula o faremo tardi.

Mi ritrovai a rispondergli sorridendo appena, prima di trascinarlo per un braccio. Una manciata di minuti più tardi, ci ritrovammo seduti tra i banchi a due sedie di distanza l’uno dall’altra. Il cappuccio ancora calcato sulla testa, la gamba destra che non la smetteva di traballare e i denti a mordicchiare convulsamente il tappo della penna – alla faccia dell’autocontrollo. Non sapevo neanche come ci fossi arrivata a quel punto. Il giorno prima avevo insistito così tanto per convincere Fury a lasciarmi queste poche ore di tempo e adesso, improvvisamente, mi ero ritrovata a rimpiangere quella assurda decisione. Ma che diavolo mi era passato per la testa?!?

Continuavo a chiedermi come fosse saltato in mente a Peggy e Howard di scegliere me come loro eredità, o quello che era. Cavolo, dovevano essere decisamente disperati in quel momento. Non c’era altra spiegazione, sì. Se continuavo così il mio cervello avrebbe finito per fondersi se non fosse stato per Tim che – sportosi nella mia direzione – aveva finito per poggiare una mano sulla mia gamba bloccandola. Sussultai a quel contatto voltandomi nella sua direzione. Non lo avevo neanche sentito avvicinarsi tanto era concentrata nei pensieri e quello era decisamente un problema. Se non ero riuscita a sentire i suoi movimenti, figuriamoci quelli di soldati altamente addestrati.

Sei davvero sicura di star bene? mi chiese in un sussurro, allarmato.

Con un gesto veloce della mano mi liberai del cappuccio, prima di sorridergli annuendo. Avrei dovuto decisamente darmi una calmata prima che fosse troppo tardi, per il bene delle mie coronarie quanto meno.

Tutto ok, solo un po’ di ansia prima dell’esame.

Mi ritrovai a rassicurarlo, prima di vederlo risistemarsi al suo posto giusto in tempo. Un secondo più tardi il professore sistemò i fogli davanti a noi. Ci scambiammo un’ultima occhiata veloce con Tim, prima di iniziare.
 
 
 

***


 
 
Il tempo era letteralmente volato. Come si dice? Cinquantacinque minuti e non sentirli, o qualcosa del genere. Quando avevo posato la penna sul banco, mi ero ritrovata a fissare il foglio sorprendendomi di come fossi riuscita a rispondere a ogni domanda nonostante tutto. Certo, bisognava vedere come avevo risposto, ma avrei affrontato un problema alla volta. Adesso, era molto più urgente cercare di capire come diavolo fare a uscire da lì il più velocemente possibile.

Aspettai pazientemente che il professore ritirasse i compiti e quando lo vidi, finalmente, congedarci afferrai le mie cose schizzando verso l’uscita. A quanto sembrava, però, non ero stata poi così veloce come avevo creduto. Avvertii, infatti, la mano di Tim bloccarmi per un braccio e solo in quel momento mi ricordai della sua presenza. Dio – avrei potuto vincere il premio come peggior amica dell’anno di lì a poco.

Dove vai così di fretta? Pensavo che avessimo potuto prendere un caffè…

Lo sentì sussurrare sorridendomi appena, spostando il peso da una parte all’altra del corpo. Adesso era lui quello che non riusciva a star fermo. Lanciai un’occhiata in direzione dell’uscita e, poi, nuovamente verso Tim. Sapevo di avere i minuti contati, ma lui se ne stava lì a guardarmi con quell’aria da cane bastonato e allora non ce l’avevo fatta. Mi morsi il labbro inferiore valutando mentalmente i pro e i contri, e alla fine mi ero ritrovata a cedere. Insomma, un caffè non mi avrebbe mica ucciso, no?

Dovrei andare dai miei nonni, ma ho tempo per un caffè.

Nel sentire la mia risposta lo vidi illuminarsi completamente. Sorrise soddisfatto prima di farmi cenno di seguirlo in direzione della caffetteria. Ci sistemammo in uno dei tavolini liberi – lontano dalle finestre, in una posizione che mi permetteva di avere una visuale completa dell’intera sala. Adesso capivo per quale motivo mio padre si ritrovava, di tanto in tanto, a insegnarmi quei piccoli trucchetti del mestiere. All’inizio pensavo che lo facesse per la mia lieve tendenza a mettermi nei guai, ma sembrava proprio che in tutto quel tempo io non avessi capito proprio un bel niente. Mi aveva insegnato tutto quello che aveva potuto perché sapeva cosa sarebbe accaduto prima di chiunque altro.

Quel pensiero mi strappo un piccolo sorriso e le mie paure diventarono improvvisamente un po’ più leggere. L’arrivo del cameriere, però, finii per strapparmi dai miei pensieri e feci appena a tirarmi un po’ indietro per lasciargli lo spazio di posare le due tazzine sul tavolo. Lo ringraziammo entrambi prima di vederlo scomparire esattamente da dov’era venuto.

Oggi sembri davvero strana… si ritrovò a commentare Tim una volta rimasti soli.

Più del solito vorresti dire?

Lo presi in giro, afferrando la tazzina con entrambe le mani. Non potevo certo dargli torto, ma non potevo neanche raccontargli quello che stava succedendo. Aveva iniziato a capire che tutto quello che gli dicevo non erano delle semplici storie, ma a tutto c’era un limite.

Tranquillo, è tutto ok. Gli esami mi fanno sempre uno strano effetto.

Lo tranquillizzai, non riuscendo a trattenere l’impulso di lanciare un’occhiata al di là delle sue spalle. Mandai giù un sorso di caffè e – approfittando di un attimo di silenzio – continuai a spostare gli occhi da una parte all’altra della stanza, osservando il volto di ogni persona come se quello potesse aiutarmi in qualche modo.

Ahm… so che forse non è né il momento e né il luogo adatto, ma volevo parlarti di una cosa…

Aveva preso a parlare Tim improvvisamente nervoso, agitandosi appena sulla sedia. Spostai lo sguardo nella sua direzione, aggrottando le sopracciglia.

Certo, dimmi pure. lo incoraggiai.

Ecco, vedi, c’è una cosa che volevo già dirti da un po’, ma non sono mai riuscito a trovare l’occasione. È che non sono tanto bravo in questo cose, insomma…

Mi ritrovai a fissarlo con un sopracciglio alzato cercando di capire cosa stesse cercando di dirmi. Aspettai paziente, lasciandogli il tempo di parlare, quando non mi ritrovai a fissare un punto al di là della sua spalla e tutto il resto delle sue parole finì per perdersi nel vuoto. Un uomo si avvicinava a grandi falcate nella nostra direzione e, onestamente, non c’era niente che non andasse in lui. Uno studente come tanti, eppure c’era qualcosa che non quadrava in lui. Fu un attimo, lo vidi infilare una mano in un lato della giacca e il mio cuore prese a battere talmente forte che lo sentì rimbombarmi nelle orecchie.

Magari stava afferrando solo il suo cellulare, ma poi lo vidi. Un luccichio fare capolino dall’oscurità e fu una questione d’istinto. Afferrai Tim per un braccio trascinandolo a terra con me, appena in tempo. Il rumore degli spari si propagò per tutta la stanza insieme al panico generale.

Ma cosa…?

Sta giù, Tim.

Sbraitai dandomi della stupida. Avrei dovuto andarmene da lì quando ne avevo avuto l’opportunità, anzi non sarei dovuta proprio essere lì. Invece no, avevo deciso di sfidare la sorte e prendere un dannato caffè. Per non parlare del fatto che avevo trascinato in quella follia persino Tim e altre persone innocenti.

Dobbiamo andarcene da qui, ok? Alzati lentamente e corri in quella direzione. Io sarò subito dietro di te, ma tu non smettere di correre.

Cosa? Lenny…io…

Tim, sta zitto e fai come ti dico.

Sussurrai prima di dargli una spinta per farlo muovere. Lo vidi muoversi e correre esattamente nella direzione che gli avevo indicato. Un attimo più tardi, mi ritrovai a rovesciare il tavolino dove neanche qualche secondo prima stavo avendo una tranquillissima conversazione per cercare di proteggermi dai colpi di pistola, per poi sollevarmi e correre dietro Tim. Riuscii a raggiungerlo e afferrarlo per un braccio trascinandolo con me. Qualsiasi cosa sarebbe successa, lo avrei portato fuori da lì prima che fosse troppo tardi.

Lanciai un’occhiata alle mie spalle continuando a correre. Dell’uomo della caffetteria non c’era traccia. Ero sul punto di tirare un sospiro di sollievo, quando – tornata a guardare davanti a me – non mi accorsi di altri due uomini ad aspettarci alla fine di quel corridoio. Mi bloccai di colpo, sollevando un braccio bloccando a mia volta Tim.

Lenny, cosa diavolo sta succedendo? lo sentì chiedere avvertendo il panico nella sua voce.

Chiusi gli occhi per un attimo respirando a pieni polmoni. Dove diavolo era Fury quando serviva? Lui era l’uomo dalle entrate trionfali – santo cielo – possibile che si fosse improvvisamente volatilizzato? Sentii il cuore battere più forte, il respiro diventare affannosa e sapevo che da un momento all’altro il panico avrebbe finito per travolgermi. Lo sentivo camminare dentro, e la cosa non faceva che terrorizzarmi ancora di più.

Lenny!

Aprii gli occhi di scatto nel sentire la voce di Tim chiamarmi. Afferrai la borsa che avevo ancora a tracolla porgendola al mio amico che continuava a guardarmi con occhi sgranati.

Stai indietro, e cerca di nasconderti come puoi. Qualsiasi cosa succeda, prometto che ti farò uscire da qui.

Sussurrai con un filo di voce, facendogli segno di sistemarsi dietro una delle scrivanie in cui solitamente ci ritrovavamo a studiare. Solo quando fui certa che fosse al sicuro mi avvicinai in direzione di quei due uomini che finirono per imitarmi muovendosi verso di me.

Facciamo saltare questa dannata granata.

Lo dissi con un filo di voce, poco prima di vedere uno dei due accelerare il passo. Mi spostai appena di lato riuscendo a schivare il suo gancio destro. Quando ci riprovò la seconda volta, gli bloccai il braccio e – inclinatami appena – gli assestai un colpo tra le costole. Indietreggiò appena e ne approfittai per caricare un gancio sul suo volto avvertendo il naso scricchiolare. Fu in quel momento che il suo compare non si fece avanti. Un colpo ben assestato e mi ritrovai schiena a terra.

Un lamento involontario sfuggì al mio controllo quando mi scontrai con la superficie dura del pavimento. Vidi uno dei due troneggiare su di me, pronta a colpire per la seconda volta e non ci pensai due volte. Aspettai un secondo in più, lasciandogli credere di non riuscire a muovermi, quando non gli assestai un calcio all’inguine. Lo vidi piegarsi appena e con un colpo di reni mi ritrovai a sollevarmi. L’attimo dopo il mio pugno si scontrava contro il suo volto, contro il naso già martoriato prima di spingerlo contro l’altro uomo facendoli rovinare a terra.

Mi ritrovai a fissarli e mentre loro continuavano a dimenarsi per terra, incamerai tutto l’ossigeno che potei. La testa che mi pulsava appena nel punto in cui avevo sbattuto cadendo e il sopracciglio che bruciava. Probabilmente aveva finito per spaccarsi, quell’idiota aveva usato la mano in cui indossava un anello. Avevo sentito il metallo conficcarsi nella pelle e, in realtà, non fu l’unica cosa che sentii. Ero al centro di quel corridoio sapendo che i due uomini si sarebbero alzati da un momento all’altro, che non era finita. Per quanto fossi riuscita a stupire me stessa nell’essere riuscita a tenere testa a entrambi, avevo finito per tralasciare una cosa importante. Il rumore ravvicinato del grilletto di una pistola me ne diede la conferma.

L’uomo della caffetteria aveva finito per raggiungerci in nel corridoio e se fino a quel momento avevo avuto una piccola speranza, adesso, la situazione si era ribaltata. Quindi finiva così, un colpo di pistola a cancellare tutto. Avvertii gli occhi inumidirsi, mentre mi voltavo lentamente ritrovandomi faccia a faccia con quell’uomo. Lo vidi sorridere, mentre io rimanevo ferma lì – in attesa.

In attesa di sentire il rumore che avrebbe messo fine a tutto. Lo sentii un secondo più tardi. Schizzi di sangue a ricoprirmi il volto, il cuore che batteva così forte da farmi male e il corpo dell’uomo che fino a un attimo prima mi puntava una pistola contro, ai miei piedi – esamine. Restai a fissare la pozza di sangue che lentamente si stava allargando sotto di lui, ritrovandomi a sbattere un paio di volte gli occhi come in trance. Avvertii qualcuno strattonarmi per un braccio e solo quando sollevai lo sguardo alla mia sinistra mi accorsi di Tim.

Lenny, stai bene?

Io… sì… cosa è successo?

Gli chiesi inebetita come se non fossi davvero io a parlare. Lanciai un’occhiata alle mie spalle, notando gli altri due soldati dell’Hydra rimanenti. Finalmente in piedi, erano rimasti a qualche passo di distanza a fissare davanti a loro un punto non ben precisato. Corrugai la fronte cercando di capire per quale dannatissimo motivo se ne stavano lì immobili, quando non udì la voce di Tim.

Il tuo amico, Lenny.

Tornai a guardare verso di lui, avvertendo il sollievo invadermi il corpo. Fury, ce l’aveva fatta? Era arrivato giusto in tempo per aiutarci? Non riuscì nemmeno a pronunciare quelle parole se non nella mia testa che la voce familiare di qualcuno non si sovrappose ai miei pensieri.

Lei è la mia missione.

Poche semplici parole, prima che altri due colpi di pistola non finirono per squarciare il silenzio. E, poi, lo sentii. Sentii il mio cuore fermarsi per alcuni secondi, mentre i miei occhi non mettevano finalmente a fuoco la figura davanti a noi.

Bucky – in piedi, alla fine del corridoio – impugnava un fucile, lo sguardo puntato su di me. Avvertii gli occhi riempirsi di lacrime, e l’ultima cosa che riuscii a sentire fu la mia voce che gridava a Tim.

Corri!





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NdA:
Salve a tutti, come promesso ecco qui il nuovo capitolo. Spero vi possa piacere almeno tanto quanto sia piaciuto a me scriverlo. Le cose, come al solito, non si mettono poi così bene per Lenny ma credo che questa ormai non sia una vera e propria novità. Come sempre mi piacerebbe sapere che cosa ne pensate, i vostri commenti e le vostre reazioni sono davvero molto importanti per me che siano positivi o negativi. 

A presto,
-LadyBones.

 

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Capitolo 3
*** When I became your mission ***


 

 
Lei è la mia missione.

Lo avevo sentito pronunciare quelle parole perfettamente, e non riuscivo a togliermi la sua immagine dalla testa. Sapevo fin troppo bene che cosa significasse tutto quello. Era stato un po’ come essere colpita da una di quelle pallottole, senza che attraversasse per davvero il mio petto. Se lo avesse fatto, forse, avrebbe fatto meno male.

Mi reputavo una persona abbastanza intelligente, ma in realtà ero solo una stupida ragazzina che aveva preso a giocare con qualcosa più grande di lei. Avevo voluto cercare Bucky, nonostante fosse una follia, e avevo finito per affezionarmi a lui. Poi, avevo voluto sfidare la sorte viaggiando nel tempo e, adesso, mi trovavo in quel maledetto corridoio a guardare negli occhi qualcuno che, ormai, sembrava essere solo il fantasma di una vita passata. Una vita a cui avevo messo fine io stessa, inconsapevolmente.

Se avessi saputo.

Se solo avessi saputo che era quello il prezzo da pagare, allora, non avrei messo piede in quel maledetto varco temporale. Volevo tornare indietro per guarire il mio cuore malandato, ma avevo semplicemente finito per danneggiarlo più di quanto non lo fosse già.

Volevo che non si dimenticasse di me e, in qualche modo, ci ero riuscita anche se non come avrei voluto.
 
 
 

***

 
 
 
Risulta difficile restare al passo quando le persone che hai di fianco sono dei supereroi. E non dei supereroi qualsiasi, ma degli Avengers. Non riuscivo neanche a ricordare per quale motivo mi trovassi su quel ponte a correre come una dannata, quando avrei potuto essere rilegata nella mai camera a fare qualsiasi altra cosa.

Avrei dovuto ringraziare per quello Fury, peccato che al momento mi fosse impossibile. Mi aveva trascinata in quella situazione surreale e poi aveva deciso di morire – anche lui. Non gli avevo neanche detto che, nonostante tutto, gli ero grata per quello che stava facendo per me. Non che al momento avesse poi così tanto senso, ma da quando lo avevo visto su quel tavolo operatorio ci avevo preso a rimuginarci sopra. Mi sarebbe piaciuto dirglielo, ma ormai sembrava essere troppo tardi.

Non che, al momento, fosse poi così importante quello che pensassi o meno. L’unica cosa veramente essenziale era continuare a correre, cercando di non beccarmi una pallottola nel mentre. Ci ero andata vicina giusto un attimo prima, ma se non ero stata colpita era tutto merito di Sam. Se non si fosse messo in mezzo in tempo probabilmente la mia corsa sarebbe finita in quel preciso instante.

Invece, senza neanche rendermene conto, mi ero ritrovata ad avanzare lungo l’asfalto una falcata dopo l’altra. E, non so come fosse successo – davvero non lo so – ma mi ero ritrovata, senza volerlo, nel mezzo. Un attimo prima Natasha era stata colpita, Steve aveva guadagnato terreno e io mi ero ritrovata a qualche metro di distanza. Ero riuscita ad arrestare la mia corsa appena in tempo, avvertendo quasi bruciare l’asfalto sotto i miei piedi. Quando avevo sollevato lo sguardo davanti a me avevo realizzato che c’era qualcosa che non andava.

Steve era esattamente dove lo avevo visto un attimo prima, Natasha si era riparata chissà dove e Sam stava era rimasto poco più dietro. All’appello mancava solo una persona e quella consapevolezza finì per gelarmi il sangue nelle vene. Mi raddrizzai velocemente, prima di voltarmi. Il Soldato d’Inverno avanzava minaccioso – fucile alla mano – esattamente verso la mia direzione. Deglutii a fatica, avvertendo il cuore battere un po’ più veloce.

Restai a fissare la sua sagoma muoversi lentamente ed era come se ci fosse qualcosa di ipnotico nei suoi gesti perché, per quanto avrei voluto, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. La maschera che indossava gli copriva metà del volto, lasciando scoperto solo un paio di occhi chiari che puntavano nella mia direzione senza vedermi realmente. Avrei dovuto restare e provare a fare qualcosa – qualsiasi cosa – anche se quello significava che probabilmente non ne sarei uscita viva. Oppure, avrei dovuto semplicemente farmi da parte.

In realtà, non feci nessuna delle due cose.

Restai a guardarlo, il capo di poco inclinato, mentre avanzava lentamente. La sua mano continuava a stringere il fucile solo che, adesso, il dito aveva finito per spostarsi lungo il grilletto. Avrebbe sparato, lo sapevo. Esattamente come aveva fatto fuoco contro Natasha eppure c’era qualcosa in lui che mi spinse a concedergli il beneficio del dubbio.

Quattro passi.

Tre.

Due.

Un passo di distanza a dividerci e fu solo allora che mi mossi. Scivolai di lato di un passo, uno soltanto. Lo vidi colmare la distanza che ci separava – le nostre spalle quasi a sfiorarsi. Una semplice frazione di secondo, niente di più, e i nostri sguardi avevano finito per incrociarsi. Per un attimo, avevo creduto di rischiare di essere risucchiata nell’abisso dei suoi occhi, ma non successe. Restai lì, lo sguardo incollato alla sua schiena che si allontanava. Forse, dopotutto, qualcosa di umano - assopito da qualche parte – in quel mostro dagli occhi color cielo doveva ancora esserci.
 
 
 

***

 
 
 
Mi ci era voluto un battito di ciglia e la mano insistente di Tim che mi tirava per un braccio per ritornare alla realtà. Quella specie di trance in cui ero caduta era terminata velocemente, nell’esatto momento in cui avevo realizzato di non potermi fermare. Non con Tim lì con me, nonostante – per un attimo, uno soltanto – avevo persino dimenticato che lui fosse lì con me.

E, lo so – lo so – di essere una persona orribile, ma tutto era successo così in fretta che avevo finito per lasciarmi sfuggire qualche pezzo del puzzle. Dio – a stento ricordavo dove diavolo mi trovassi e la colpa era della comparsa di Bucky. Avevo così tanto sperato di poterlo rivedere ancora una volta, ma non in quel modo. No, decisamente non era questa la scena che mi ero immaginata.

Lenny, non credi che dovremmo quanto meno…

Corri.

Lenny, ma lui…

Posai le mie mani sulle rispettive braccia di Tim stringendo la presa, prima di voltarmi nella sua direzione fissandolo negli occhi.

Corri, e non voltarti indietro per nessuna ragione al mondo.

Sussurrai notando con la coda dell’occhio un movimento dall’altra parte del corridoio.

Non posso lasciarti qui!

Puoi, e lo farai. Non è te che vuole.

Senza aggiungere altro sospinsi Tim pregando il cielo che si desse una mossa prima che fosse troppo tardi. Non ero certa di essere stata così incredibilmente convincente, ma non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo quando lo vidi correre verso la fine di quello stanzone e poi dritto verso destra. Lo vidi scomparire dalla mia visuale prima di voltare lo sguardo nella direzione opposta. Bucky aveva preso a muoversi lentamente verso di me e per quanto la mia adrenalina fosse ormai alle stelle, era incredibilmente snervante vederlo avanzare lentamente in quel modo.

Era come se sapesse che ero praticamente in trappola e ovunque sarei andata lui avrebbe finito per raggiungermi. Ne ero tristemente consapevole. Era vero, nell’ultimo periodo ero migliorata ed ero quasi riuscita a tener testa agli uomini dell’Hydra, ma adesso non stavamo parlando di semplici soldati. No, stavamo parlando del Soldato d’Inverno. E, per quanto desiderassi essere ottimista, non riuscivo proprio a vedere vie d’uscita. Ciò, però, non voleva dire che gli avrei reso la cosa così semplice.

Fu così che, senza neanche pensarci due volte, presi a correre nella stessa direzione di Tim aspettandomi di udire da un momento all’altro il rumore di uno sparo e il dolore lancinante del proiettile conficcarsi nella mia schiena. Ancora una volta, però, niente di tutto quello successe. Dio – quella situazione mi avrebbe fatto impazzire lentamente. Avrebbe potuto sparare e farla finita lì, invece no.

Corsi a perdi fiato, fino a voltare verso destra. A qualche metro di distanza vidi Tim arrestare la sua corsa. Davanti a lui altri uomini armati dell’Hydra. Lo vidi sollevare le mani per aria, come se davvero quello sarebbe bastato per fermarli dal fargli del male. In quel momento rimpiansi di non aver mai imparato a usare una dannatissima pistola. Dannazione a me e alla mia goffaggine. Velocizzai, così, il passo sapendo che l’indomani avrei rimpianto tutta quella attività fisica – sempre se ci sarebbe stato un domani, pensandoci.

Feci appena in tempo a tirare per un braccio Tim costringendolo a muoversi e girare l’angolo, mentre con una mano lo aiutavo a piegarsi di poco per cercare di evitare i proiettili. Dio – se gli fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato. Fu in quel momento, mentre correvamo lungo il corridoio con il pericolo di non uscirne vivi, che realizzai quello che avevo sempre saputo ma che non avevo mai avuto il coraggio di ammettere ad alta voce: le persone intorno a me morivano, continuamente.

Piano piano li vedevo andare via per sempre senza poterci fare nulla e, adesso, rischiavo di perdere un amico perché avevo voluto giocare a fare l’eroe. Fu un po’ come ricevere un pugno al centro dello stomaco. Avvertii il fiato mancarmi improvvisamente, e fui costretta ad arrestare il passo incurante del fatto che dietro di noi ci fossero tre uomini pronti a fare fuoco. Non ci avrebbero messo poi molto ad arrivare, ma io non mi ero potuta impedire di bloccarmi lì in bella vista.

Le mani poggiate alle ginocchia, la testa reclinata in avanti cercando di fare respiri profondi. Sembrava che i miei polmoni non ne volessero sapere niente di collaborare, e il cuore pompava talmente tanto veloce che stavo iniziando a credere che potesse realmente scoppiarmi nel petto. Portai una delle mani all’altezza del petto, cercando di fare qualcosa – qualsiasi cosa – per far passare quel dolore lancinante quando non sentii le mani di qualcuno aiutarmi a sollevarmi. Un secondo più tardi mi ritrovai a fissare gli occhi castani di Tim.

Mi dispiace… sussurrai con quel po’ di fiato che mi era rimasto.

E’ tutto ok, Lenny. Non è colpa tua, ok?

Lo sentì dirmi consapevole che il suo fosse solo un modo per non farmi sentire più in colpa di quanto già non mi sentissi. Entrambi, però, sapevamo quale fosse la verità. Nonostante tutto, mi ritrovai a sorridere appena apprezzando il gesto. Sollevai gli occhi al cielo avvertendoli pizzicare, consapevole che se non fosse stata l’Hydra a uccidermi ci avrebbe pensato un attacco di panico.

Dobbiamo correre, ricordi? Me lo hai detto tu, qualsiasi cosa succeda non dobbiamo fermarci… avanti!

E così dicendo mi ritrovai ad annuire, avvertendo la pressione al petto arrestarsi. Ebbi giusto il tempo di tirare un sospiro di sollievo prima di riprendere a muoverci. Un secondo più tardi – voltatami per sbirciare dietro di noi – i tre uomini comparvero alle nostre spalle. Che non si dicesse che gli uomini dell’Hydra si arrendessero facilmente.

Vidi uno dei tre avanzare più velocemente e sapevo che avrebbe finito per fare fuoco e, questa volta, io e Tim non saremmo stati così fortunati. Mi ritrovai, così, ad arrestarmi di colpo cogliendolo alla sprovvista. Quel suo secondo di distrazione mi permise di bloccargli il fucile e assestargli un calcio all’inguine. Un rantolo di dolore partì dalla sua gola, mentre lentamente si piegava in avanti. Mi bastò strattonare con forza il fucile per riuscire a sfilarglielo dalle mani. Con il calcio dell’arma colpii l’uomo al volto che finì per accasciarsi a terra.

Indietreggiai facendo da scudo tra Tim e gli altri due uomini rimasti ancora in piedi. Puntai l’arma nella loro direzione pregando che fossi in grado, almeno per una volta, di fare la cosa giusta e non mancare il bersaglio. Chiusi gli occhi per un attimo prima di fare fuoco una, due, tre volte. D’accordo, avevo finito per mancarli una volta. La seconda era andata meglio, riuscendo a colpire ad una spalla uno dei due. L’altro aveva finito per beccarsi una pallottola in una rotula. Tutto sommato potevo ritenermi soddisfatta. E, lo so che non era proprio il momento opportuno, ma non potei impedirmi di sorridere.

E fu proprio in quel momento, mentre stringevo il fucile tra le mani continuando a stare – imperterrita – davanti a Tim, nonostante lui fosse più alto di me, che capii cosa Peggy voleva dirmi in quella lettera. Stavo rischiando la mia vita per salvare quella di una persona innocente che, suo malgrado, si era ritrovata in mezzo a qualcosa di molto più grande di lui. E, sorrisi come una perfetta idiota perché – in quel preciso momento – avevo appena realizzato che quello era esattamente ciò che avrebbe fatto un agente dello Shield.

Indietreggiai continuando a puntare davanti a me, sospingendo Tim per riprendere a muoversi. Il sorriso che avevo stampato in faccia, però, finì per morire molto più velocemente di com’era nato. Un luccichio attirò la mia attenzione e questa volta non si trattava del braccio metallico di Bucky, no. Uno dei due uomini – quello con la rotula ormai andata – stringeva qualcosa tra le mani. Riuscii a capire di cosa si trattasse solo nel momento in cui lo vidi tirare via la linguetta.

Quella non è ciò che penso, vero?

Non ebbi neanche il tempo di rispondere alla domanda di Tim. Non ce ne fu bisogno, in realtà. Una bomba a mano finì per rotolare ai nostri piedi, e avvertii il sangue gelarsi letteralmente.

Ebbi appena il tempo di trascinare via Tim, spingendolo al di là di uno di quegli armadietti usati come ripostigli dagli inservienti. Tutto quello che riuscii a fare fu allontanarmi di qualche metro, ma non così tanto da non subire l’impatto. Avvertii lo scoppio della bomba e il rumore assordante che ne segui, non riuscendo a udire nient’altro se non un fischio prolungato. Lo spazio ristretto non aveva aiutato e avevo letteralmente avvertito l’onda d’urto spostarmi dal punto in cui mi trovavo.

Ricordo di aver impattato contro qualcosa e subito dopo il rumore di vetri. Ero riuscita ad afferrare qualcosa con una mano, ma nel farlo avevo avvertito un dolore lancinante e del liquido appiccicaticcio colarmi lungo il polso. Quando riuscii, finalmente, a scrollarmi di dosso tutto quel frastuono e mettere a fuoco quello che mi circondava, non potei impedirmi di sgranare gli occhi.

L’impatto era stato talmente forte che aveva finito per sbalzarmi fuori dalla finestra, giusto a qualche passo da me. Ero riuscita a reggermi alla cornice in legno, su cui sbucavano ancora pezzetti di vetro. Lentamente iniziavo ad avvertire ogni singola piccola cosa, soprattutto del vuoto che c’era al di sotto di me. Lanciai uno sguardo in direzione del suolo, maledicendomi subito dopo. Un senso di nausea finii per travolgermi e fui costretta a chiudere gli occhi e respirare lentamente. Dovevo cercare di riprendere il controllo della situazione – di per sé già tragica – prima che fosse troppo tardi. Avvertii la mano sinistra cedere appena e piccoli frammenti di vetro conficcarsi ancora di più nella pelle. Con l’altra mano – quella rimasta a penzolare con il resto del mio corpo – cercai di tirarmi su facendomi forza in qualche modo. Riuscivo quasi a sfiorare il legno con la punta delle dita, ma senza riuscire mai ad afferrarlo.

Quindi, dopo tutto quello che era successo, finiva tutto così. Un salto nel vuoto e poi il nulla. Chiusi gli occhi per un attimo cercando di cacciare indietro le lacrime, avvertendo la presa allentarsi sempre di più. Avvertii la paura corrermi lungo tutto il corpo e allora mi sforzai di pensare a qualcosa di felice. Strizzai più forte che potei gli occhi e tutto quello che riuscii a vedere fu il sorriso di mio padre che mi accoglieva a braccia aperte. Una lacrima finì per scivolare via al mio controllo, così come la mia presa.

Fu questione di una frazione di secondo. La mia mano che lasciava andare il legno finendo per stringere il metallo. Aprii gli occhi di scatto, tutto quello che riuscii a vedere furono un paio di occhi chiari che mi fissavano. Tutto quello che mi impediva di precipitare al suolo era la mano di un uomo. 





 

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NdA:
Con parecchi giorni di ritardo mi ritrovo a pubblicarvi il nuovo capitolo. Ho cercato di pubblicarlo in tempo, ma purtroppo non mi è stato possibile così ne ho approfittato oggi. Mi spiace per l'attesa, ma spero che ne sia valsa comunque l'attesa. Grazie a tutti coloro che stanno seguendo anche questa storia, spero di poter leggere i vostri pareri. 

A presto,
-LadyBones.

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Capitolo 4
*** When you made a choice ***


È incredibile quanto riusciamo a dipendere dagli altri, nonostante ci vantiamo di essere delle persone totalmente indipendenti. Io credevo di esserlo, lo credevo sul serio. Insomma, vivevo da sola ormai da tempo e avevo la possibilità di fare le mie scelte indipendentemente dal fatto che fossero giuste o sbagliate. Eppure, tutto quello aveva finito per non avere senso nell’esatto momento in cui mi ero ritrovata a penzolare a un paio di metri di altezza.

L’unica cosa che mi impediva di precipitare al suolo era la mano di un uomo. Avevo creduto di non farcela solo qualche secondo prima, ma a voler essere onesta quando avevo avvertito quella presa trattenermi non ero riuscita a tirare un sospiro di sollievo. Aprire gli occhi di scatto era stato involontario perché, nonostante tutto, avvertire il metallo avvolgere il mio braccio era stata una sorpresa.

Mi ritrovai, così, a fissare due paia di occhi chiari così maledettamente familiari. Eravamo rimasti lì a fissarci per quelli che erano sembrati i secondi più lunghi della mia vita, mentre in lontananza riuscivo ad avvertire un suono indistinto – sicuramente le persone sotto di me, ma non avevo avuto il coraggio di distogliere lo sguardo. No, i miei occhi erano rimasti ancorati a quelli di Bucky come se fossero alla disperata ricerca di qualcosa – qualsiasi cosa. Sembrava, però, che tutto quell’azzurro avesse finito per trasformarsi di nuovo in un abisso. Lo stesso che avevo visto quel giorno sul ponte.

Avrei voluto trovare il coraggio di dirgli che mi dispiaceva per ciò che avevo fatto – per non aver mantenuto la mia promessa – ma non ne ebbi il tempo. Fu nel momento in cui credevo che mi avrebbe lasciata andare che notai qualcosa di diverso. Era stato veloce, talmente veloce che per un attimo ebbi la sensazione di essermi voluta semplicemente illudere. Era stato un po’ come vedere una piccola scintilla scoppiettare. Fu come rivedere quel ragazzo a cui avevo chiesto di non dimenticarmi e che si era preoccupato di farmi sapere – nel modo più tenero possibile – che non lo avrebbe fatto.

Lui aveva finito per mantenere la sua promessa.

Avvertii la stretta della sua mano farsi più salda mentre mi tirava su, l’altro braccio a cingermi la vita. Un secondo più tardi mi ritrovai a toccare terra e mi lasciai trascinare lontano da quella finestra senza opporre resistenza. Bucky si fermò solo quando le sue spalle non finirono per toccare il muro dietro di lui.

Sono qui, è tutto ok.

Lo aveva sussurrato al mio orecchio, piano. E sarà stato, forse, tutto lo stress accumulato o il fatto che appena un attimo prima avevo creduto di non farcela, ma avevo finito per crollare. Le lacrime avevano fatto capolino sulle mie guance non appena lo avevo sentito pronunciare quelle esatte parole. Dio, come ero stata stupida. Lo avevo sentito parlare di missioni e avevo temuto il peggio, ma lui ricordava tutto – ogni singola dannata parola.

Sentii le sue braccia avvolgermi un po’ più forte cercando di frenare i miei singhiozzi e non potei fare altro che affondare il mio viso nel suo petto. Inspirai a fondo, respirando quell’odore che sapeva di terra, vecchi ricordi e Bucky e non potei fare a meno che lasciarmi sfuggire un sorriso.

Ti porto via da qui. Sta sempre vicino a me, ok?

Lo aveva detto con uno strano tono nella voce che non ammetteva repliche e, onestamente, per una volta nella vita non avevo assolutamente intenzione di ribattere. Oh, col cavolo che lo avrei fatto.

Mi asciugai velocemente gli occhi con il dorso della mano, prima di fare un passo indietro a sciogliere a malincuore quell’abbraccio. Lo vidi stringere un po’ di più la presa sull’arma che teneva stretta in una mano, mentre con l’altra mi sospingeva lentamente verso il corridoio in direzione dell’uscita.

Aspetta, dobbiamo portare via con noi Tim.

Affermai decisa sollevando lo sguardo verso Bucky che dall’occhiata che finì per rivolgermi non sembrava molto entusiasta dell’idea.

Non c’è tempo.

Non posso lasciarlo indietro, gli ho promesso che lo avrei portato via da qui e ho intenzione di farlo.

Bucky sollevò gli occhi al cielo, ma non disse nulla. Si voltò semplicemente diretto verso la zona in cui era avvenuta l’esplosione, giusto a qualche metro da noi. Inutile dire che gli andai immediatamente dietro cercando di fare il meno rumore possibile. Magari se avessimo avuto un po’ di fortuna gli uomini che mi stavano dando la caccia avrebbero finito per credere che non ce l’avessi fatta dopo l’esplosione. Io di certo lo avevo pensato.

Seguii un passo dopo l’altro Bucky, ritrovandomi a calpestare pezzi di calcestruzzo avvertendoli scricchiolare sotto la suola delle mie scarpe. Mi ritrovai a trattenere involontariamente il respiro, pregando che Tim fosse sano e salvo. Quando vidi la sua maglietta blu e il suo ciuffo di capelli sbucare in mezzo ai due armadietti leggermente ammaccati, tirai un sospiro di sollievo. Dio, di quel passo avrei rischiato un infarto nonostante la mia giovane età.

Lo vidi sporgersi per sbirciare che il passaggio fosse libero, quando non si ritrovò – voltatosi – a fissare Bucky ancora armato. Vidi Tim balzare per lo spavento, sollevando le mani per aria.

Whoa, whoa! esclamò finendo per agitarsi.

Bucky sollevò una mano per aria portandosi un dito davanti la bocca facendogli segno di far silenzio. Senza pensarci due volte, feci un passo di lato lasciando notare la mia presenza a Tim che non appena mi vide sgranò gli occhi per la sorpresa prima di gettarmi le braccia al collo. Barcollai appena con le braccia a mezz’aria cercando di mantenere l’equilibrio.

Dio mio, Lenny, credevo fossi morta!

Lo disse in preda a quello che doveva essere un attacco di ansia a tutti gli effetti e la cosa, onestamente, non mi meravigliava più di tanto. Mi sarei preoccupata se dopo tutto ciò che fosse successo Tim fosse rimasto impassibile come una statua. Mi schiarii la gola lievemente imbarazzata, prima di sciogliere quella specie di abbraccio e fare un passo indietro.

Sono ancora tutta intera.

Lo rassicurai sorridendo appena, prima di avvertire Bucky farsi appena più vicino prima di prendere parola.

Non per molto se continuiamo a restare qui.

Mi ritrovai ad annuire sapendo che aveva ragione. Notai lo sguardo interrogativo che si ritrovò a lanciarmi Tim, visto e considerato che appena un attimo prima gli avevo urlato di correre non appena avevo posato il mio sguardo su Bucky.

Hai ragione, dobbiamo andare. Ti spiego tutto dopo… sussurrai prima di tirarlo per un braccio e sospingerlo nella direzione in cui eravamo appena arrivati.

Tim, dopo un attimo di esitazione, si decise a muoversi seguito a ruota da me e, subito dopo, da Bucky. Tra quei lievi scricchiolii provocati dai nostri passi ne avvertii uno di troppo. Onestamente, non saprei neanche dire cosa sia successo con precisione. Un attimo stavo camminando lungo il corridoio, rasente il muro e quello dopo mi ero ritrovata il corpo di Bucky a farmi da scudo dai proiettili. Avvertii la sua mano di metallo avvolgermi e attirarmi più vicina, mentre inclinava appena il busto dal lato della mano in cui impugnava la pistola scaricando il caricatore contro l’uomo che era sbucato dal nulla. Tim, invece, aveva avuto la prontezza di trovare riparo da quella pioggia di proiettili. Credo che stesse iniziando a capire come funzionava, così come io avevo capito che era arrivato il momento di imparare a usare uno di quei dannati aggeggi se volevo restare in vita. Decisamente.

Avvertii il corpo di Bucky sussultare appena, prima di avvertire il rumore assordante degli spari cessare. Il secondo più tardi stavamo correndo lungo quel dannato corridoio e, finalmente, riuscimmo a percorrerlo fino in fondo una volta per tutte.
 
 
 

***

 
 
 
Usciti dall’università confondersi con la folla era stato molto più facile di quanto avessi immaginato. Tutti erano intenti a cercare di capire che cosa fosse accaduto, chi fossero quegli uomini. C’era chi impugnava il proprio cellulare quasi come fosse un’arma, chi pronunciava i nomi dei propri amici o conoscenti a voce alta per cercare di capire dove fossero e chi non faceva che spingere per scappare da quello che si era trasformato in un vero e proprio inferno.

Continuammo a camminare facendoci largo tra la folla e qualche spintone più tardi riuscii, finalmente, a poter respirare normalmente. Velocemente ci infilammo nella prima stradina deserta sulla nostra destra, senza che nessuno si fosse realmente azzardato a dire nulla. Non che la cosa fosse poi così strana. Bucky era davanti a noi ed era risaputo che non fosse poi un così grande chiacchierone. Tim era alle mie spalle – le mani infilate nelle tasche dei jeans – con la solita espressione che aveva quando solitamente prendeva a rimuginare su qualcosa. Io, invece, mi ero ritrovata a camminare tra i due – il cappuccio calcato sulla testa, la mano destra infilata in tasca per nascondere il sangue – senza riuscire a smettere di incolparmi per quanto successo.

Ero talmente immersa nei miei pensieri che, onestamente, non saprei dire quanto tempo restammo a camminare tra i vicoli meno affollati della città sempre a qualche passo di distanza uno dall’altro. Adesso, capivo perfettamente cosa significava essere un fantasma. Sollevai lo sguardo in direzione di Bucky restando a fissare la sua schiena qualche secondo di troppo. Lo vidi voltarsi appena incrociando il mio sguardo, e fu un po’ come essere colta con le mani nel sacco. Distolsi velocemente lo sguardo, ma onestamente non riuscii a tenere i miei occhi per due secondi di fila lontani dalla sua schiena – il mio autocontrollo stava andando lentamente a farsi benedire, ormai non vi era alcun dubbio.

Scossi la testa a quel pensiero prima di vedere Bucky svoltare per l’ennesima volta, prima di dirigersi verso ciò che sembrava l’entrata posteriore di un palazzo semiabbandonato. Ci intrufolammo uno per volta all’interno, raggiungendo velocemente l’ascensore. Era uno di quelli che si usano solitamente in palazzi così grandi e non incredibilmente nuovi. Talmente grandi da poter benissimo contenere un pianoforte al loro interno e riuscire a trasportarlo fino all’ultimo piano.

Una volta al suo interno, Bucky afferrò la leva posta in alto tirando giù la porta dell’ascensore e qualche secondo più tardi ci stavamo muovendo. Ne avevo approfittato, così, per appoggiare le spalle al muro di metallo tirando un profondo sospiro di sollievo – per quanto mi fosse possibile. Potevo anche essere sopravvissuta ad un attacco da parte dell’Hydra, ma non sarei mai riuscita a sopravvivere a Fury. Già immaginavo la vena sulla sua fronte pulsare in maniera allarmante. Inclinai la testa all’indietro chiudendo gli occhi per un attimo e non potei fare a meno di darmi dell’idiota.

Fu in quel momento che avvertii Tim farsi più vicino e mi ritrovai, mio malgrado, a sussultare appena. Aprii gli occhi di scatto prendendo a fissarlo e sono certa di non essere riuscita a nascondere il mio senso di colpa. Prevedevo vederlo accusarmi da un momento all’altro, ma in realtà avevo dovuto ricredermi.

Ok, onestamente non credo di aver capito cosa diavolo sia appena successo, ma al momento c’è qualcosa di più urgente di cui forse dovremmo discutere…

Lo sentii sussurrare prima di lanciare un’occhiata allusiva in direzione di Bucky. Spostai lo sguardo dall’uno all’altro sapendo che avrei dovuto dare delle spiegazioni, ma non ero del tutto pronta. Decisi, così, di fare la parte di quella che non aveva la più pallida idea di che cosa si stesse parlando e la mia unica risposta fu un’alzata di spalle.

Il tuo amico ha fatto fuori delle persone davanti a noi! Quando lo hai visto hai tipo dato di matto dicendomi di correre via e lui… Dio, ha un fottuto braccio di metallo!!

Lo aveva praticamente sputato fuori, segno che ormai aveva raggiunto il suo limite. Non che la cosa non mi sorprendesse, ma per quanto Tim avesse cercato di mantenere un tono basso e, per quanto Bucky fosse rimasto immobile davanti a noi, sapevo che aveva sentito tutto. La sensazione che provai in quel momento non mi piacque, lo capii dal modo in cui mi misi sulla difensiva come se tutte quelle parole erano state sputate contro di me e non contro qualcun altro.

Mi ritrovai, così, a voltarmi in direzione di Tim trovandomi faccia a faccia con lui.

Ascolta, so che ciò che hai visto è davvero tanto poter digerire. Lo capisco, ok? Ma adesso puoi tirare un respiro di sollievo e stare tranquillo, sei al sicuro.

Come diavolo fai a stare tranquilla con qualcuno che ha appena…

Perché di quel qualcuno mi fido.

Probabilmente ero stata brusca e, forse, quello non era ciò che Tim si aspettava sentirsi dire da me, ma non avevo potuto farne a meno. Capivo ogni sua singola preoccupazione, ma nonostante tutto ciò che era successo quel giorno – nonostante i dubbi e le paure – non riuscivo proprio a vedere quel mostro che tutti si sforzavano di trovare in Bucky. Proprio non ci riuscivo.

Lanciai un’occhiata nella sua direzione, prima di avvertire l’ascensore fermarsi. Quando le porte finalmente si aprirono schizzai letteralmente fuori da quel quadrato di ferro. Dovevamo essere all’ultimo piano o quello che doveva essere stato un attico. Mi guardai intorno notando qualche mobile qui e lì, ma per il resto quel posto doveva essere disabitato da tempo ormai. In un angolo, il più vicino all’uscita, era posato uno zaino e non ci misi molto a riconoscerlo. Feci qualche passo in avanti quando il mio sguardo non fu attirato da un diario posato sul tavolo. Lo stesso che avevo regalato a Bucky prima che andasse via.

Sfiorai con i polpastrelli la pelle marrone, corrugando appena la fronte. Quel posto non era poi così disabitato come sembrava, ma la cosa non aveva senso. Per quale motivo Bucky aveva finito per ritrovarsi a vivere in quel posto?

Vivi qui…

La mia non era stata una domanda, ma una semplice constatazione. Bucky aveva annuito semplicemente senza aggiungere altro. Mi voltai nella sua direzione cercando un contatto con i suoi occhi e lo trovai.

Steve?

Non riuscii a impedirmi di chiederglielo. Insomma, lo avevo lasciato consapevole che sarebbe ritornato dal suo migliore amico per poter finalmente parlare con lui e, invece, si era ritrovato a vivere tra le quattro mura più tristi che avessi mai visto. Bucky non disse nulla, si avvicinò semplicemente nella mia direzione prima di sporgersi oltre la mia spalla aprendo il diario. Lanciai un’occhiata nella sua direzione, fino a che il mio sguardo non fu attirato da una foto incastrata tra quelle pagine – la mia foto. La stessa che Fury aveva tirato fuori quando era venuto a trovarmi per parlarmi.

Non l’ho mai incontrato.

Al suono di quelle parole i miei occhi finirono per sgranarsi e riempirsi improvvisamente di lacrime. Dio – che cosa avevo combinato. Avevo ottenuto, senza volerlo, ciò che avevo sempre desiderato privando lui dell’unica cosa di cui avesse realmente bisogno. E lo sentii chiaramente, il mio cuore spezzarsi. Avrei voluto dirgli che mi dispiaceva così tanto e se fossi potuta tornare indietro avrei cambiato tutto –ogni singola cosa – ma le parole mi morirono in gola. Sollevai gli occhi scontrandomi con l’azzurro dei suoi senza riuscire a leggerci cosa vi era al di là.

Restammo lì a fissarci senza dire nulla, quasi con la paura che tutto potesse scomparire se avessimo distolto lo sguardo. Fu Tim, schiarendosi la gola, a costringerci ad interrompere quel contatto.

Qui sarete al sicuro, almeno per il momento.

Quello di Bucky era stato un sussurro e – afferrato il suo diario – aveva finito per voltarci le spalle, raggiungendo una porta a vetri sparendo al di là di essa. Io me ne rimasi al mio posto come una perfetta idiota. Ero consapevole di riuscire a fare un disastro dopo l’altro, ma questa volta mi ero superata e se la cosa non fosse stata così grave mi sarei sicuramente congratulata con me stessa.

Non hai davvero intenzione di restare qui, vero?

Mi chiese Tim facendosi più vicino, le braccia incrociate al petto. Spostai lo sguardo verso di lui, prima di tornare a fissare la porta a vetri.

Per quanto ti possa sembrare assurdo, al momento, questo è il posto più sicuro per entrambi.

Sussurrai avvertendo il suo sguardo interrogativo puntarsi su di me. Sospirai sonoramente voltandomi verso di lui e posando le mie mani sulle sue braccia.

Ascolta, ho fatto un casino e mi dispiace. Non avrei voluto mai coinvolgerti in questa storia, non avrei mai voluto coinvolgere nessuno. A dire il vero, non avrei mai voluto niente di tutto questo eppure è successo. Ti ho promesso che non ti sarebbe successo niente ed è ancora così, devi fidarti di me. Troverò una soluzione, ma prima devo sistemare una cosa.

Iniziai a parlare e, stranamente, tutto uscì fuori così facilmente. Il problema, però, non era Tim, ma la persona che era sparita nella stanza di fianco. Sollevai lo sguardo e, solo quando il mio amico mi diede un cenno di assenso lievemente convinto, lascia andare la presa sulle sue braccia. Lo vidi sospirare e guardarsi intorno prima di andare a sistemarsi in quello che un tempo doveva aver avuto l’aspetto di un divano, quanto meno.

Lanciai ancora un’occhiata nella sua direzione avvicinandomi in direzione della porta a vetri. Bussai appena, prima di intrufolarmi all’interno della stanza. Bucky era vicino ai piedi del letto, la maglietta che aveva indosso poco prima tra le mani e sul fianco una macchia di sangue.

Sei ferito.

Sussurrai non riuscendo a impedirmi di avvicinarmi e sfiorare appena il suo fianco. Doveva essere stato colpito mentre cercava di farmi scudo con il suo corpo, ma fortunatamente sembrava solo una ferita di striscio. Lui in tutta risposta, afferrò la mia mano destra girandola il palmo verso l’alto.

Anche tu.

Abbassai lo sguardo sulla mia ferita ricordandomi improvvisamente che fosse ancora lì. Sicuramente non era una delle mie priorità del momento. Mi morsi il labbro inferiore, continuando a rimanere lì senza riuscire a muovermi di un solo millimetro così come sembrava non volerlo anche lui. Dio – quant’era difficile essere coraggiosi, soprattutto in quel momento. Tirai un respiro talmente profondo che avvertii quasi i polmoni bruciare. Sollevai gli occhi verso di lui, notando come non avesse smesso di guardarmi per tutto il tempo. Ero sul punto di parlare e togliermi finalmente quel peso dal petto, quando lui non finì per precedermi.

Hai avuto paura di me?

Lo chiese con un filo di voce ed era stata talmente tanto improvvisa la sua domanda che mi ero ritrovata a fissarlo perplessa, non riuscendo davvero a capire a cosa si stesse riferendo.

Prima, quando eravamo in quel corridoio… quando ho sparato e tu sei scappata…

Fu allora che capii a cosa si stesse riferendo e mi ritrovai ad annuire. Si riferiva al momento in cui aveva pronunciato quella frase. Lei è la mia missione.

Sì, ho avuto paura, ma è molto più complicato di così. Credevo che tu… insomma, che per colpa mia… ho avuto paura che ti fossi dimenticato di me.

Lo sussurrai piano sforzandomi di sorridere, ma avvertendo gli occhi pizzicare appena. Non avevo mai avuto paura di lui, ma avevo temuto che il mio tornare indietro avesse cancellato qualcosa a cui tenevo.

Dimenticato?

Mi aveva fatto eco e io ero improvvisamente esplosa.

Ho fatto un casino, mi dispiace.

Ti riferisci a quella foto?

Sì, è tutta colpa mia quello che è successo o se tu non hai incontrato Steve e quando ti ho visto lì… io… tu hai detto che ero la tua missione, e ho creduto che fossi lì per me. Capisci? Lì per me.

Parlai talmente velocemente che fui costretta a respirare a fondo una volta finito. Bucky si ritrovò a fissarmi negli occhi con un’intensità tale da farmi quasi paura per quello che avrebbe potuto significare. Un secondo più tardi, avvertii le sue braccia attirarmi più vicina e stringermi. Ricambiai quella stretta quasi d’istinto, come se improvvisamente non riuscissi a respirare e lui fosse l’unica fonte d’ossigeno nelle vicinanze.

Ero lì per te, ma ti avevo promesso che non mi sarei dimenticato di te ed è quello che ho fatto.






 


NdA:
Ciaooo, rieccomi con un nuovo capitolo. Dovete scusarmi, ma ultimamente vado davvero a rilento. Purtroppo studio e impegni vari alle volte mi impediscono di essere più puntuale, nonostante i capitoli siano già scritti. In ogni caso, ringrazio tutti voi che avete deciso di continuare a seguire questa storia e a chi di voi abbia perso un pò del suo tempo per commentare. Ringrazio tutti voi e mi auguro con tutto il cuore che questa storia stia continuando a piacervi. Se vi fa piacere fatemi sapere che cosa ne pensate. 
A presto, 
- LadyBones. 

 

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Capitolo 5
*** When we talked ***



Stesa sul letto ero rimasta a fissare il soffitto sopra di me. Mi ero sistemata al centro esatto del materasso, le gambe e le braccia allargate ad occupare gli spazi vuoti cercando di ignorare in qualche modo il dolore che aveva iniziato a pervadermi il corpo. Avrei voluto lamentarmene come facevo di solito, ma a dire il vero ero grata di riuscire a provare ancora qualcosa visto quello che ero successo appena poche ore prima. Quanto meno, il dolore era lì a ricordarmi che ero ancora viva.

Sospirai appena sapendo che, nonostante l’incredibile stanchezza, le mie palpebre non ne volevano sapere di chiudersi. Probabilmente avrei passato l’ennesima notte insonne, con tutto quel rumore che invadeva la mia testa. Dio, questa volta mi ero proprio superata riuscendo a sconvolgere non soltanto la mia vita ma anche quella di chi mi era intorno. Forse era vero che le persone nella mia vita non facevano poi una bella fine. Certo, questa volta l’avevamo tutti scampata, ma quanto ci sarebbe voluto perché le cose precipitassero ancora di più?

Quanto tempo ci sarebbe voluto prima di vedere le persone a cui tenevo morire, ancora?

Mi lasciai sfuggire un sospiro mentre – lentamente – mi sollevavo avviandomi in direzione di una delle tre grandi vetrate della stanza. Avevo finito per occupare l’unico letto a disposizione, Tim si era appropriato del divano e Bucky probabilmente si sarebbe accontentato di una sedia, conoscendolo. L’unico che aveva finito per chiudere occhio era stato Tim, distrutto da tutto quello che era successo. Riuscivo a sentire il suo lieve russare grazie alla porta della stanza leggermente aperta. Non avevamo parlato poi molto dopo quanto successo, perché sembrava proprio che avessi bisogno di fare i conti prima con il mio senso di colpa.

Mi appollaia sul bordo interno della finestra centrale, le braccia a stringere le gambe contro il petto, la fronte poggiata sul vetro freddo sferzato da piccole goccioline di pioggia. Tutto taceva e quel silenzio era così dannatamente confortante in quel momento. Restai a osservare la strada sotto di me. Piccoli punti colorati che cercavano di ripararsi dalla pioggia infilandosi nei pochi pub rimasti aperti. Posai istintivamente le dita sul vetro freddo accarezzando lentamente la superficie cercando di pensare a qualcosa che non avesse a che fare con gli ultimi avvenimenti della mia vita, ma sembravo essermi trasformata in un disco rotto che finiva per ripetere sempre la stessa melodia.

Non dovresti stare troppo vicina alle finestre.

Un sussurro alle mie spalle aveva finito per riscuotermi dal torpore in cui ero finita, facendomi sussultare appena. Mi voltai lentamente incrociando lo sguardo di Bucky, fermo sull’uscio della porta.

Non so se hai notato, ma questa stanza è fatta solo di finestre. Gli riposi sorridendo appena.

Scivolai leggermente all’indietro finendo per toccare la colonna alle mie spalle – le gambe ancora appoggiate contro il petto – facendo spazio davanti a me. Bucky non se lo fece ripetere due volte e, velocemente, si avvicinò andandosi a sistemare nella parte opposta alla mia. Adesso, eravamo uno difronte all’altra e per quanto cercassi di sforzarmi di guardare altrove i miei occhi continuavano a ritornare su di lui che, a differenza di me, non ci provava neanche a puntare lo sguardo in una direzione diversa. E, per la prima volta, mi sentii a disagio a essere guardata in quel modo così insistente. A essere guardata da lui.

Non aveva detto neanche una parola. Era rimasto in attesa che fossi io a dire qualcosa, qualsiasi cosa. Sapevo che raccontargli quanto successo sarebbe stato incredibilmente facile, ma era il dopo a spaventarmi. Cosa sarebbe successo una volta che gli avessi detto tutto? Cosa sarebbe successo se avesse finito per arrabbiarsi con me? Sospirai appena passandomi le mani sul viso fino ai capelli portandoli all’indietro, come se quello avrebbe potuto aiutarmi in qualche modo.

Cosa succederebbe se non ti piacesse quello che ho da raccontarti?

Sollevai incerta lo sguardo nella sua direzione notandolo inclinare di poco la testa verso sinistra. Lo vidi aggrottare la fronte e per un attimo mi ritrovai a trattenere il respiro.

Era davvero questo quello che volevi chiedermi?

Mi ritrovai a sorridere nel sentirlo pronunciare quella frase, la stessa che gli avevo rivolto io un po’ di tempo prima. Annuì con un lieve cenno del capo, rendendomi conto che la situazione si era improvvisamente capovolta e io mi trovavo esattamente al posto in cui era stato Bucky quando quello strano legame era iniziato. Dio, com’era strana la vita.

Te ne andrai?

Lo chiesi in un sussurro e nel farlo avevo avvertito il cuore battere un po’ più velocemente. Tra tutte le cose, quella era ciò che mi spaventava più di tutto il resto. Avrei potuto sopportare di fallire, di essere odiata e – Dio – persino di lasciare che il mio cuore finisse in pezzi, ma non sarei riuscita a vedere qualcun altro andare via dalla mia vita. Non per qualcosa che avrei potuto fare, ma che non avevo fatto. Sollevai lo sguardo nella sua direzione in attesa di una sua risposta e non riuscii a impedirmi di mordermi il labbro inferiore per il nervosismo.

No, non via da te.

Abbozzai un piccolo sorriso alle sue parole, ritrovandomi a tirare un sospiro di sollievo. Era stato sincero, lo avevo capito dal modo in cui mi aveva guardato mentre lo diceva e mi ero sentita improvvisamente un po’ più leggera. Annuii appena e, facendomi coraggio, iniziai a raccontargli quello che era successo.

Ho fatto una cosa davvero stupida. Lì per lì non lo sembrava… avevo sussurrato lanciando un’occhiata nella sua direzione.

Nel notare la sua espressione e il suo sopracciglio sollevarsi in modo allusivo, mi ritrovai a sollevare gli occhi al cielo.

D’accordo, era un’idea idiota sin dall’inizio. In mia difesa c’è da dire che io, quella sera, ero uscita per andare semplicemente a una festa come una qualsiasi ragazza normale. A quanto pare la parola normalità non rientra nel mio vocabolario.

Tirai un respiro profondo sistemandomi meglio contro il muro, cercando di riordinare tutte le idee in testa per capire da che parte incominciare.

Ho conosciuto un amico di Tim quella sera. Studia fisica o qualcosa del genere, quindi non era propriamente interessato alla festa. Stava lavorando a un progetto: un varco spazio-temporale. Onestamente, non eravamo per nulla convinti che funzionasse. Lui ci ha provato il contrario. Mi sono ritrovata a fissare questo ammasso gelatinoso di colore viola proprio davanti a me. Eddie – è questo il suo nome – era riuscito ad aprirne uno, ma aveva ammesso che non sapeva quanto effettivamente funzionasse, così, mi sono offerta di provarlo. Sì, lo so è stato incredibilmente stupido. Ti avevo promesso che non mi sarei cacciata nei guai e, invece, ho combinato un disastro. È solo che… io pensavo… ho visto la possibilità di tornare indietro nel tempo e credevo che…

… che avresti potuto rivedere tuo padre.

Aveva finito per terminare lui la frase per me lasciandomi senza fiato. Avevo sollevato di scatto lo sguardo nella sua direzione – gli occhi che pungevano appena – avvertendo per la prima volta, dopo tanto tempo, di essere capita davvero da qualcuno. Non c’era stato bisogno di dirgli nulla, aveva capito da solo il motivo per cui lo avevo fatto e quello aveva finito per farmi sentire meno stupida.

Volevo solo rivederlo una volta ancora, una sola. Avrei voluto dargli quell’abbraccio che non ero riuscita a dargli prima che andasse via per sempre. Volevo solo cinque minuti con lui, niente di più.

Sussurrai facendo spallucce e avvertendo una lacrima sfuggire al mio controllo. Cercai di asciugarla via con il dorso della mano, ma altre finirono per fare capolino dai miei occhi. Avvertì Bucky farsi un po’ più vicino sfiorando una delle mie guance con il metallo con una delicatezza che finii per farmi rabbrividire.

Non è andata come speravo, però. Non sono riuscita a vederlo, parlargli o fare una qualsiasi delle cose che avrei voluto perché sono finita nell’anno sbagliato. Lui non era neanche nato nel 1949, ma ho incontrato qualcun altro al suo posto.

Lo sussurrai con un filo di voce tirando su con il naso. Dovevo essere un vero e proprio disastro in quel momento, ma lui non sembrava farci veramente caso era più interessato a quello che gli stavo raccontando. Mi ascoltava, lo faceva per davvero e fino a quel momento solo un’altra persona si era preoccupato di ascoltare ciò che avevo da dire, la stessa per cui ero tornata indietro nel tempo.

Credo proprio che tu li abbia incontrati molto prima di me.

A quelle parole lo vidi corrugare la fronte e sapevo che una parte di lui era curiosa di sapere di chi stessi parlando, ma – a differenza di me – riusciva sempre e comunque a mantenere un certo tono. Io, prima o poi, sarei stata uccisa dalla mia curiosità e per questo lo invidiavo – giusto un po’.

Ho incontrato Peggy Carter e insieme a lei c’era anche Howard Stark. La foto che hai visto è stata scattata durante una delle sue feste.

Ricordo l’agente Carter, credo che tra lei e Steve ci fosse qualcosa.

Credo che lei lo amasse molto, anche ad anni di distanza dalla loro separazione. A dire il vero, credo che nessuno di loro abbia mai veramente dimenticato Steve. Se così non fosse stato probabilmente in questo momento non sarei qui… ammisi apertamente.

Effettivamente, se non avessi menzionato Steve durante quella specie di interrogatorio sicuramente avrei finito per essere reclusa da qualche parte a marcire nel 1949. Sospirai appena a quel pensiero nel notare lo sguardo interrogativo di Bucky, così mi ritrovai a sorridere leggermente colpevole prima di spiegargli quello che era successo.

Ecco, potrebbe esserci stato un piccolissimo equivoco per cui Peggy abbia finito per credere che fossi un agente altamente addestrato inviato dalla sede di Los Angeles per aiutarla a scovare degli agenti corrotti dall’Hydra. Sai, credo proprio che le tue lezioni abbiano dato i loro frutti. Insomma, un agente altamente addestrato… chi mai avrebbe pensato una cosa del genere della sottoscritta?

Ero riuscita a strappargli un mezzo sorriso e la cosa aveva finito per far sorridere anche a me.

Cosa è successo quando ti hanno scoperta?

Grazie tante per la fiducia… cosa ti fa credere che mi abbiano scoperta? lo chiesi di slancio fingendomi lievemente offesa.
Bucky si era ritrovato a scuotere appena la testa, prima di poggiarsi contro il muro continuando a tenere il suo sguardo su di me. Sospirai appena finendo per imitarlo, prima di riprendere a parlare del tutto rassegnata.

D’accordo, potrebbe – ad un certo punto, nel bel mezzo della festa – essere arrivato il direttore della sede di L.A. mascherandomi, ma stavo andando parecchio bene per essere alla mia seconda missione ufficiale, o quasi. Dopo di che potrei essermi beccata un pugno in piena faccia da Peggy, ma devo dire che è stato quasi un onore essere stata presa a pugni da lei.

Lo dissi convinta, non che non lo pensassi veramente. Insomma, quante persone possono affermare di aver ricevuto un pugno da Peggy Carter in persona? Per me, quella, era una cosa di cui andare decisamente molto fieri. Sì, probabilmente c’era qualcosa di sbagliato in me – non che non fosse ormai chiaro. Bucky si era ritrovato a sorridere suo malgrado, lanciandomi un’occhiata che non ero riuscita a decifrare appieno. Non era certa se quella nei suoi occhi fosse rassegnazione, o tenerezza, o indulgenza o tutte le cose insieme. In ogni caso, qualsiasi cosa fosse, non mi aveva fatto sentire fuori posto come spesso, invece, succedeva.

Qualcosa mi dice che non si è limitata solo a quello, però.

No, effettivamente no. Dopo sono iniziati i problemi e con quelli la parte migliore di tutta questa storia. Hanno finito per interrogarmi pensando che fossi un agente infiltrato dell’Hydra, riesci a crederci? Per fortuna, però, sono riuscita a spiegare come stavano le cose e, forse sarà stato l’aver menzionato Steve, non lo so, hanno deciso di credermi. A dire il vero, hanno finito per aiutarmi a tornare indietro, ma prima mi hanno portato all’interno della loro base operativa: la sede in cui è nato lo S.H.I.E.L.D.. E’ stato… è stato… non so neanche come descriverlo. Credo, magico… sì, magico è la parola esatta. Non avrei mai immaginato di poter vivere niente del genere ma, purtroppo, l’entusiasmo è sparito nel momento in cui sono ritornata qui.

Sussurrai con un filo di voce ritrovandomi a distogliere lo sguardo. Presi, così, a fissare la punta dei miei piedi. Quello che mi era successo era stato qualcosa di meravigliosa che, di certo, non ricapita due volte nella vita di una persona. Purtroppo, però, come ogni cosa, anche questa aveva avuto delle ripercussioni. E non parlavo di certo di ciò che era capitato a me a partire dalla lettera e finire all’inseguimento nella mia università, no. Parlavo degli effetti collaterali che avevano colpito Tim, Bucky e Dio solo sa quante altre persone. Ero stata egoista, ma lo avevo capito troppo tardi e – onestamente – non ero neanche poi tanto certa di poter rimediare. Come si faceva a rimediare a qualcosa del genere?

Non so per quale motivo tu non sia riuscito a incontrare Steve, a dire il vero non ha poi molta importanza il perché. Qualcosa è andato storto e quel qualcosa è stato causato da me. Mi dispiace così tanto, non volevo rovinarti la vita più di quanto non abbiano già fatto. Volevo davvero che tu trovassi un modo per tornare a casa, ma non avrei mai immaginato che… che tornare indietro… se lo avessi saputo, non lo avrei fatto. Non sarei mai saltata. E vorrei poter sistemare le cose, ma non so come fare… io… non lo so.

Avevo sussurrato avvertendo tremare appena la voce man mano che le parole uscivano fuori. Sarà stato il senso di colpa, o l’improvvisa consapevolezza di aver omesso un dettaglio importante di tutta quella faccenda. L’aver taciuto di aver udito cosa i due agenti dell’Hydra avevano finito per dirsi nel corridoio ignari della mia presenza. Stavano parlando proprio di lui, ma io avevo finito per tenere quel particolare per me sia con Peggy che, adesso, con lui – il diretto interessato. In entrambi i casi non avrei potuto dirlo, o forse semplicemente non volevo – difficile a dirsi. Mi morsi il labbro inferiore, continuando a evitare il suo sguardo il più a lungo possibile, fino a quando non avvertii il suo respiro più vicino di quanto ricordassi.

Dimentica per un attimo quello che è successo dopo. Dimentica che io non abbia incontrato Steve, o che tu sia nel mirino dell’Hydra. Dimenticati del tuo amico… dimentica tutto.

Sollevai lo sguardo nel sentirlo parlare in quel modo. Mi ritrovai a corrugare la fronte quasi involontariamente – perplessa – non riuscendo a capire dove volesse andare a parare. Nel vederlo incoraggiarmi con lo sguardo decisi di assecondarlo, infondo, lui aveva finito per assecondare me molte più volte di quante ne potessi contare. Mi ritrovai, così, ad annuire con un lieve cenno del capo.

N’è valsa la pena tornare indietro?

Inclinai la testa di lato nel sentire la sua domanda, osservando la sua espressione attentamente. Era la prima persona che mi avesse posto quella domanda, e la cosa mi lascio interdetta per un attimo. Quell’uomo aveva la capacità di sorprendermi più di un viaggio spazio-temporale.

Se dicessi di no, mentirei.

Lo ammisi abbozzando un lieve sorriso perché – dimenticando tutto il resto – incontrare Peggy e Howard, camminare all’interno dello S.H.I.E.L.D. e vivere quello che avevo vissuto ne era valsa decisamente la pena. Ogni minuto ne era valso la pena, dannazione, persino quel pugno aveva avuto il suo perché.

Bucky, nel sentire la mia risposta, aveva finito per annuire prima di tirarsi su e allungare una mano nella mia direzione. L’afferrai senza pensarci due volte, ritrovandoci – subito dopo – a due passi di distanza l’uno dall’altra.

E’ valsa la pena anche per me aspettare.

Nel sentire quelle parole mi ritrovai a sollevare lo sguardo di scatto, finendo per scontrarmi con i suoi occhi azzurri.

Steve?

Mi troverà, lo fa sempre.  







 


NdA:
Salve a tutti. Ne è passato di tempo dall'ultima volta che ho aggiornato questa storia, quindi lasciatemi iniziare con un bel mi dispiace. Purtroppo, alle volte, i mille impegni della vita quotidiana si infilano in mezzo tra un aggiornamento e l'altro e con gli esami sempre dietro l'altro tutto diventa sempre più complicato. Devo anche ammettere che una perte di me non era più sicura di questa storia e del fatto che a voi potesse ancora piacere così come la prima parte perchè, si sa, continuare una storia è sempre un rischio. La mia ansia e la mia insicurezza hanno quindi avuto la meglio, ma qualche giorno fa qualcuna di voi mi ha scritto un messaggio dicendomi quanto stesse amando leggere di Lenny e quanto si fosse immedesimata in lei ed è stata una bella botta di autostima. E' bello sapere di essere riuscita a creare qualcosa del genere, qualcosa che venga apprezzato e trasmetta qualcosa a voi che leggete. Spero che continuerete a seguire questa storia fino alla fine, e non esitate a farmi sapere cosa ne pensate perchè senza di voi questa storia non potrebbe continuare.

Buone feste e a preste,
-LadyBones.

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Capitolo 6
*** When we faced our daemons ***


Alla fine la stanchezza aveva avuto la meglio. Dopo la conversazione con Bucky, sentendomi un pochino più leggera, avevo finito per crollare sul letto – esausta. Lui era rimasto lì a vegliare su di me per tutto il tempo, ma quando avevo riaperto gli occhi quella mattina lui non c’era. Doveva essersi allontanato alle prime luci del giorno.

Mi sollevai a fatica sui gomiti lanciando un’occhiata tutt’intorno notando, attraverso la finestra, che il sole era ormai già alto in cielo. Quanto diavolo avevo finito per dormire? Sollevai un sopracciglio lievemente perplessa, per poi sporgermi verso il bordo del letto alla ricerca del cellulare. Tastai il pavimento cercando di mantenermi in equilibrio, fino a quando le mie dita non sfiorarono qualcosa di liscio e metallico. Trovato, pensai, mentre illuminavo lo schermo: 12,30. Strabuzzai gli occhi alla vista dell’orario cercando di scattare in piedi, ma tutto quello che ne uscì fuori fui io spalmata sul pavimento.

Per la miseria! esclamai cercando di ricompormi in vano.

Sollevai la testa perlustrando la stanza con sguardo circospetto. Perfetto, nessuno aveva assistito alla scena precipitandosi in camera a causa del rumore. Mi risollevai in fretta e furia, portando la schiena leggermente all’indietro e sistemandomi subito dopo i capelli, o quanto meno quelli che un tempo dovevano essere stati dei capelli. Sospirai appena, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi. Certo, se l’Hydra avesse avuto il piacere di assistere alla mia performance di poco prima ci avrebbe ripensato due volte sul volermi dare a tutti i costi la caccia. Probabilmente, avrebbero finito per aspettare che mi facessi fuori inciampando nei miei stessi piedi. Sicuramente sarebbe stata una mossa molto più intelligente.

Scossi la testa sorridendo appena, mentre mi avviavo in direzione di quella che doveva essere la cucina. Percorsi il breve corridoio corrugando di poco la fronte, rendendomi conto solo in quel momento che non avevo avvertito nessun rumore come se improvvisamente quel posto si fosse svuotato – cosa abbastanza improbabile. Mi avvicinai al muro coprendo il resto della distanza in punta di piedi e, una volta arrivata alla fine, sporsi di poco fuori la testa.

Tutto sembrava esattamente come lo avevo lasciato la sera prima, ma solo quando adocchiai Tim, curvato sul tavolo, mi concessi un sospiro di sollievo. Non mi aveva neanche sentito arrivare talmente impegnato in chissà che cosa. Di Bucky, invece, non c’era alcuna traccia. Mi feci ancora più vicina – incuriosita – non prima di aver richiamato l’attenzione di Tim. Sorprenderlo alle spalle, al momento, non sarebbe stata davvero una gran buona idea.

Cosa stai facendo? gli chiesi non prima di essermi schiarita la gola.

La sua reazione, però, aveva finito per rasentare l’infarto in ogni caso. Alzai le mani istintivamente, mentre lui saltava letteralmente dalla sedia voltandosi nella mia direzione allarmato. Mi ritrovai a mordermi il labbro inferiore improvvisamente in colpa nel vederlo così spaventato.

Tranquillo, è tutto ok. Mi spiace, non volevo spaventarti. Sussurrai mortificata.

Io… ecco… è tutto ok.

Si era affrettato a farfugliare, come quando lo avevo beccato a guardare una puntata di Buffy senza la sottoscritta. Certo, si dava il caso che quella puntata l’avessi vista e rivista, ma non era questo il punto. Al momento, però, la sua reazione era del tutto normale visto e considerata la situazione. Quanto meno era quello che credevo, fino a quando il mio sguardo non aveva finito per scivolare in basso in direzione dei suoi piedi. Dei fogli erano sparsi sul pavimento e di certo quelli non erano appunti, così, mi ritrovai a ripetergli la domanda di poco prima come una perfetta idiota.

Tim, cosa stai facendo?

Questa volta, però, avevo avuto quanto meno la decenza di non aspettare una sua risposta. Mi ero semplicemente avvicinata e quando avevo, finalmente, capito cosa fossero quell’ammasso di fogli mi ritrovai a sgranare gli occhi per la sorpresa: il fascicolo di Bucky.

Len, ascolta, non è come credi.

Dove lo hai preso?

Era qui… cioè, ecco… l’ho visto sbucare fuori da quello zaino, così… io…

Tu, cosa? chiesi più infastidita di quanto avrei voluto sembrare.

Sapevo che la mia, probabilmente, era una reazione eccessivamente esagerata ma non ero riuscita a impedirmi di reagire in nessun altro modo se non quello. Al di là di chi ne fosse il proprietario, quel fascicolo era qualcosa di personale. Leggerlo senza il consenso del diretto interessato era un po’ come leggere il diario di qualcuno, decisamente sbagliato. Era qualcosa di estremamente irrazionale da parte mia prendersela in quel modo, me ne rendevo conto. Ciò nonostante, era un po’ come se quel torto Tim lo avesse fatto a me. Solo perché Bucky era ciò che era non significava che bisognava trattarlo senza rispetto alcuno. Dio come odiavo quelle cose.

Lenny, è un assassino. Lo sai questo, vero? aveva finito per sbottare Tim, dall’altra parte.

Il suo volto si era improvvisamente infiammato, ma di certo non mi sarei fatta spaventare dalla sua reazione. Sembrava proprio che avessi visto di peggio ultimamente.

Onestamente, Tim, è un po’ più complicato di così.

E lo era, lo era davvero.

Solo perché non mi sia lasciato coinvolgere come te non significa che non abbia ben chiara la situazione.

Quindi tu, adesso, dopo aver sbirciato un fascicolo che chiaramente non appartiene a te, hai ben chiara la situazione. E sentiamo, cosa sarebbe così chiaro per te?

Stai proteggendo un assassino semplicemente perché è stato gentile con te, ma non ti sei accorta che, in realtà, lui ti sta manipolando. Andiamo, Len, non crederai davvero che tutta quella storia del volerti aiutare sia vera.

Chi dice che non possa essere così?

Perché le persone come lui non si interessano alle persone come te.

Lo aveva detto con un tono della voce che non gli apparteneva e a cui non ero riuscita a dare un significato. Di una cosa ero certa, però, quelle parole in qualche modo avevano finito per farmi male.

Cosa vorresti dire con questo?

Glielo chiesi senza neanche guardarlo negli occhi, sorpassandolo per raccogliere tutti i fogli ancora sparsi per terra.

Quello che voglio dire è come fai a sapere che non ti ucciderà da un momento all’altro?

A quella domanda non potei impedirmi di sollevare gli occhi di scatto e puntare lo sguardo su di lui.

Non lo farà.

Probabilmente, quella era una delle poche certezze che avevo nella vita. La risatina isterica che uscì furi a Tim nel sentire le mie parole, però, credo fu la cosiddetta goccia che fece traboccare il vaso.

Mi dispiace di averti trascinato in tutta questa enorme situazione era l’ultima cosa che avrei voluto, dico davvero. Ho commesso un passo falso e adesso ne sto pagando le conseguenze, ma questo non significa che debba trascinarti a fondo con me. Ti ho promesso che non ti sarebbe successo nulla e che saresti tornato a casa sano e salvo e ho tutte le intenzioni di mantenere quella promessa. Non so ancora come uscire fuori da tutto questo casino, ma di una cosa sono certa: Bucky non ucciderà nessuno dei due. Per quanto sia difficile crederci dopo aver letto quel fascicolo, non è lui il nemico. Non è sempre tutto bianco o nero.

Lo sussurrai realizzando che tutta la sicurezza che avevo, aveva finito per sparire lasciando il posto a qualcosa di non ben precisato.

Ne sei davvero sicura?

Fu tutto quello che Tim disse e io non potei fare a meno che corrugare la fronte perplessa. Nel notare la mia espressione confusa, finì per tirare fuori un foglio ripiegato che a quanto pare aveva conservato in tasca.

Perché non è certo la prima volta che uccide qualcuno che conosci.

Quelle parole non fecero altro che aumentare la mia confusione e, così, finii per concentrare la mia attenzione su quel pezzo di carta. Era la lista delle morti del Soldato d’Inverno. Non avevo mai voluto sapere chi ci fosse e volevo continuare a non saperlo perché quelli erano solo un mucchio di nomi, niente di più. Le parole di Tim avevano finito, però, per rimanere bloccate nella mia testa.

Hai menzionato molti nomi quando sei tornata dal viaggio spazio temporale, uno di quelli è su quella lista.

Fu istintivo, la questione di un attimo e con lo sguardo avevo finito per scorrere l’elenco fino a quando i miei occhi non ritrovarono qualcosa di dolorosamente familiare.

Howard Stark.

E fu un po’ come se il mondo mi fosse crollato addosso.
Avevo avvertito gli occhi riempirsi di lacrime senza che io potessi farci nulla.

Mi spiace, Len. Non volevo che lo sapessi in questo modo, ma non avresti capito altrimenti. Ci tengo davvero a te, più di quanto tu possa immaginare e non voglio che tu soffra o, peggio, ti succeda qualcosa per colpa sua.

Con il foglio ancora stretto tra le mani, indietreggiai di qualche passo mentre la voce di Tim sembrava essere solo un eco distante. Gli occhi ancora fissi su quel nome fino a quando non finì per trasformarsi in una macchia di inchiostro sbiadita. Tra tutte le emozioni che avevo finito per susseguirsi nelle ultime ore, quella era l’ultima che avrei voluto provare. Avrei voluto lasciare che le lacrime lavassero via tutto quel senso di colpa, ma non lo avrei di certo fatto di fronte a Tim. Feci appena in tempo a scostarmi dalla sua presa e, sorpassandolo, mi avviai nella camera da letto.

Lenny, aspetta… io non volevo… io…

Non avevo avuto neanche la forza di dirgli di lasciarmi in pace, ma semplicemente di sbattermi la porta alle spalle. Feci appena qualche passo all’interno della stanza prima di crollare sul pavimento, il foglio stretto al petto, e le lacrime che finirono per travolgermi con più forza di quanto avessi potuto immaginare.

Quattro ore, trenta minuti e una manciata di secondi.

Era il tempo esatto che avevo impiegato a conoscere e affezionarmi a Howard. E in tutto quello non avevo neanche provato a dir loro – nessuno di loro – quello che avevo scoperto riguardo al Soldato d’Inverno. Non avevo fatto assolutamente nulla, ma se ci avessi provato adesso – forse – non mi ritroverei sul pavimento freddo a piangere tutte le lacrime del mondo per qualcuno che conoscevo da quattro ore e trenta dannatissimi minuti.

Era tutta colpa mia e non c’era niente, assolutamente nulla, che potessi fare per sistemare quello che era appena successo. Fu in quel preciso momento che desiderai con tutta me stessa di non aver mai saltato in quel varco spazio-temporale, di non essere mai entrata nello Smithsonian, di non aver mai conosciuto lo S.H.I.E.L.D.. Di essere qualcuno di completamente diverso, qualcuno che non fosse me perché non ero più certa di quanto avrei potuto ancora sopportare prima che il mio cuore finisse in frantumi.
 

***

 
Non so per quanto ero rimasta lì, al centro della stanza, le ginocchia indolenzite e gli occhi gonfi. Avevo pianto fino a quando non era rimasto più nient’altro, ma nonostante questo non mi ero mossa. Era come se improvvisamente mi fossi svuotata di tutto, dalle lacrime a quell’ultima briciola di forza.

Avevo avvertito dei rumori provenire dall’altra parte della porta, seguiti da delle voci che avevo finito per ignorare. Poi tutto aveva finito per tacere, i miei singhiozzi per svanire lentamente. Avrei voluto chiudere gli occhi per qualche secondo e sperare che il sonno avesse la meglio, ma sapevo che in quel modo avrei solo lasciato che i ricordi finissero per farsi più vividi di quanto già non lo fossero.

Tim aveva bussato alla porta, cercando di riparare l’irreparabile. Non aveva provato a entrare, si era semplicemente scusato e mi ero ritrovata a tirare un sospiro di sollievo quando lo avevo sentito allontanarsi. Al momento non avevo il tempo di occuparmi anche di lui. Gli avevo promesso che sarebbe tornato a casa sano e salvo e sarebbe stato così, ma adesso avevo bisogno di alleviare quel senso di colpa che mi stava lentamente divorando. E non era semplice come quando da piccola avevo finito per rubare un elastico dei capelli a una mia compagna di banco perché il suo era molto più carino del mio, no. Questo senso di colpa andava ben oltre e io non sapevo come fare per liberarmene.

Ci stavo provando, ma i miei tentativi vennero bloccati dal rumore della porta alle mie spalle. Non c’era stato bisogno di girarmi per capire chi fosse appena entrato. Il silenzio che ne era seguito aveva spiegato tutto. Come avrei potuto guardarlo negli occhi? Come avrei potuto dirgli che se fossi stata meno egoista…

Avrei dovuto dirtelo…

Lo avevo sentito pronunciare quelle parole con un filo di voce prima di lasciar cadere la frase nel vuoto. Accartocciai quel foglio che avevo ancora in mano prima di alzarmi e, lentamente, girarmi in direzione di Bucky.

Non avrebbe cambiato nulla dirmelo.

Sarebbe stato meglio per tutti se Tim non avesse scoperchiato quel maledetto vaso di Pandora, ma adesso era troppo tardi per tornare indietro.

Io… non ricordavo neanche che fosse lui.

Lo aveva sussurrato evitando il mio sguardo, ma non ci sarebbe stato bisogno di guardarlo negli occhi per avvertire il suo senso di colpa. Improvvisamente sembrava che fossimo tornati ad essere due estranei che condividevano la stessa stanza.

Ti prego, non odiarmi.

Bucky lo aveva sputato fuori con una violenza che aveva finito per farmi quasi male. Non perché non mi aspettassi che potesse dire una cosa del genere, ma perché sentirlo quasi implorarmi di non odiarlo per quello che aveva fatto rendeva ancora più difficile dirgli la verità.

Ho mentito.

Mi ero ritrovata ad abbassare lo sguardo nel pronunciare quelle parole. Decisamente non era ciò che lui si aspettava sentirsi dire perché aveva finito per scostarsi dal muro e farsi più vicino.

Quando ero nel 1949 ho ascoltato la conversazione di due agenti dell’Hydra. Parlavano di un esperimento e di alcuni scienziati. Erano cose senza senso, fino a che non hanno parlato di ibernazione. È stato allora che ho capito che stavano parlando del Soldato d’Inverno. Di te.

A quel punto sollevai lo sguardo ritrovandomi faccia a faccia con i suoi occhi di ghiaccio e capì che avevo tutta la sua attenzione.

Avrei potuto dire a Peggy e Howard quello che avevo sentito. Avrei potuto indicargli dove trovarti e lasciare che ti aiutassero. Magari a quest’ora Howard sarebbe ancora vivo e tu avresti avuto qualcosa che non fosse questo… sussurrai con un lieve cenno della mano.

Se avessi detto qualcosa, qualsiasi cosa avrei potuto risparmiarti ogni singola tortura, ogni uccisione, ogni sofferenza… avrei potuto regalarti la vita che meritavi, ma non l’ho fatto.

Avvertì gli occhi pungere e nuove lacrime fare capolino. Mi morsi il labbro inferiore come se quello potesse davvero aiutarmi in quel momento.

E la parte peggiore è che non l’ho fatto per salvare la linea temporale, ma per me. Sono stata incredibilmente egoista, ma se avessi detto anche la più piccola cosa allora avrebbe significato dover rinunciare a conoscerti. Le nostre strade avrebbero finito per non incrociarsi mai…

Respirai a fondo avvertendo quasi dolore nel farlo, ma me lo meritavo.

Non ho potuto decidere chi tenere nella mia vita, ma ho potuto decidere di tenere te e non ci ho pensato due volte.

E ammetterlo ad alta voce non faceva che sottolineare quanto assurdo e stupido fosse quello che avevo fatto. Certo, probabilmente stravolgere la linea temporale non sarebbe stata una mossa più intelligente, ma il problema non era quello. Il problema era che avevo preso una decisione non in base a ciò che fosse più giusto fare, ma in base a ciò che era meglio per me ed era stato estremamente egoista da parte mia.

Adesso, chi dovrebbe odiare chi? sussurrai con l’ultimo filo di voce che mi rimaneva in gola.






 


NdA:
Ciao! Come al solito sono sempre in ritardo, ormai sta diventando un'abitudine ma purtroppo devo dare sempre dare più conto ai miei mille impegni. Nonostante questo, però, ci tenevo ad aggiornare quindi oggi mi sono ritagliato uno spazietto solo per voi. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguire Lenny e le sue mille (dis)avventure. In più spero di poter leggere qualche vostra opinione, i commenti sono sempre bene accetti belli o brutti che siano.
Un bacione a tutti e alla prossima,
-LadyBones.

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Capitolo 7
*** When you said you cared about me ***


Adesso, chi dovrebbe odiare chi?

Nessuno dei due aveva osato fiatare dopo quella domanda, probabilmente entrambi persi nei propri pensieri cercando di metabolizzare quello che era appena successo. Avevo avvertito il suo sguardo addosso, ma non ero riuscita a sollevare gli occhi nella sua direzione. Era stato vigliacco da parte mia, ne sono consapevole. Un conto, però, era restare a penzolare da una finestra a cinque metri di altezza e un altro era ritrovami faccia a faccia con l’espressione delusa di Bucky.

Avrei capito la rabbia, la frustrazione e le mille altre emozioni presenti sull’intera superficie terrestre, ma non la delusione – quella proprio no. Non che non avesse tutte le ragioni per esserlo, ma ciò avrebbe significato aver rotto qualcosa in quel meccanismo imperfetto che avevamo creato e che, stranamente, funzionava così bene per noi.

E tutto quel silenzio sicuramente non andava ad aiutare la mia ansia già a livelli altamente preoccupanti

Lo capisco, ok? lo avevo sussurrato non senza aver prima lottato contro il nodo che mi si era formato in gola.

Non era quello che ti aspettavi di sentire venendo qui. Non era quello che ti aspettavi da me. E non c’è scusa che tenga perché lo so che cosa hai dovuto sopportare. Io lo so. Nonostante tutto, se solo potessi prenderei metà di tutto quel dolore per alleggerirti il peso anche a costo di restarne schiacciata.

Avevo sollevato gli occhi per una sola frazione di secondo mentre parlavo, ma era bastato per rimanere intrappolata in mezzo al ghiaccio.

Ma non puoi.

E come al solito Bucky aveva finito per rispondere in modo conciso senza, però, mancare il colpo.

No, non posso. Avrei potuto, ma non l’ho fatto.

Mi morsi il labbro inferiore talmente tanto forte da sbiancare la pelle non appena avvertii una nuova ondata di lacrime prendere il sopravvento. In quel momento realizzai l’esatta portata delle mie azioni e fu un po’ come ricevere uno schiaffo in piena faccia.

Dio, come sono stupida. Ero così tanto concentrata su me stessa che ho finito per ferire tutte le persone che mi sono intorno. I miei nonni saranno preoccupati da morire in questo momento, ho quasi rischiato che Tim venisse ucciso. Howard è morto per colpa mia, perché non sono stata in grado per una dannatissima volta di fare la cosa giusta. E, adesso, tu mi odi e hai tutto il diritto di farlo perché non solo ti ho impedito di parlare con Steve ma, forse, a quest’ora tu avresti potuto vivere qualcosa che si avvicinava a una vita felice. Qualcosa… qualsiasi cosa, ma non questo.

Avevo parlato talmente tanto veloce da dimenticarmi di respirare. Il risultato era stato quello di avvertire i miei polmoni svuotarsi, prima di andare alla disperata ricerca di ossigeno senza trovarlo. Portai le mani ai capelli cercando di fare respiri profondi nella vana speranza di trovare sollievo. Più respiravo e più avevo bisogno d’aria, sembrava che non bastasse mai. Mi ritrovai a sgranare gli occhi, una mano sul petto alla ricerca di qualche appiglio a cui aggrapparmi. Il cuore che martellava sempre più forte tanto da farmi male, con la paura che da un momento all’altro avrebbe potuto scoppiarmi nel petto.

Chiusi gli occhi quasi d’istinto, la testa che volteggiava appena, indietreggiando alla cieca continuando a ripetermi che sarebbe passato. Qualche altro secondo e mi sarei sentita meglio, ma quel sollievo di cui tanto avevo bisogno sembrava non arrivare mai fino a quando non avevo avvertito la presa salda di due mani intorno alle mie braccia.

Lenny!

Il suono lontano di quella voce così dannatamente familiare aveva finito per riportarmi alla realtà. Spalancai così gli occhi ritrovandomi a fissare un Bucky spaventato, ma che per il resto continuava a rimanere impassibile. E se fino un attimo prima tutta quella consapevolezza aveva finito per travolgermi come un mare in piena, adesso, la sua espressione indecifrabile aveva finito per innervosirmi più di quanto avesse dovuto. Fu un po’ come la goccia che fa traboccare il vaso.

No, Lenny un cavolo. Per l’amor di Dio, per una volta – una soltanto – arrabbiati. Urlami contro, tira un pugno contro il muro, spacca tutto. Fa qualcosa, qualsiasi cosa.

Lo guardai quasi con occhi imploranti, prima di liberarmi dalla sua presa e fare un passo indietro. Lui era rimasto immobile, leggermente interdetto dalla mia reazione. Sicuramente non era quello che si aspettava, ma onestamente non me lo aspettavo neanche io di arrivare a quel punto. Insomma, non mi era mai capitato di ritrovarmi nella situazione di implorare qualcuno di arrabbiarsi con me.

Andiamo, non è poi così difficile. Perché non riesci a urlarmi contro quanto io ti abbia ferito, deluso… perché non puoi semplicemente odiarmi? Chiunque altro lo farebbe dopo quello che ti ho detto, perché tu non puoi?

Lo avevo visto sorridere a quelle parole. Un sorriso amaro che aveva piegato il suo labbro verso l’alto, ma senza riuscire ad arrivare fino ai suoi occhi. Si era ritrovato a scuotere la testa, spostando lo sguardo da una parte all’altra della stanza prima di lasciarlo posare nuovamente su di me.

Ho passato tre quarti della mia esistenza nell’odio. Prima quello di qualcun altro, poi in quello verso me stesso. Non puoi neanche immaginare quanto sarebbe facile per me odiarti in questo momento. La sensazione sarebbe così dannatamente familiare che il solo pensiero mi spaventa. Il loro odio mi ha trasformato in qualcosa che non riconosco. Non ricordo neanche che cosa significa non essere questo.

Si era fatto più vicino, parola dopo parola. Io ero rimasta in silenzio, per la prima volta senza sapere che cosa dire. Mi ero ritrovata, così, a restare a fissare i suoi occhi chiari che piano piano avevano finito per trasformarsi in acqua salata.

Sarebbe così facile odiarti Eleanor, ma se lo facessi darei a loro ancora altro potere. Il potere di portarti via da me. E io ho perso fin troppe cose per una vita intera…

E sono certa che in quel momento il mio cuore abbia finito per perdere qualche battito. Per un attimo, uno soltanto, non ho potuto impedire di chiedermi in cosa mi fossi cacciata perché quello non era decisamente ciò che avevo previsto quel famoso giorno al museo. Insomma, ammettiamolo, certe cose capitano soltanto alle eroine delle serie tv o di qualche libro di serie B.

Dio, ma cosa c’è di sbagliato in noi?

Tutto e niente.

Se solo…

Qualsiasi cosa tu stia dicendo, non dirla.

Non sai neanche cosa stessi per dire.

Che importanza ha? I se solo per noi non funzionano. Se solo io non fossi caduto da quel treno. Se solo tu non fossi tornata indietro. Se solo io non fossi diventato il Soldato d’Inverno. Se solo tu avessi detto loro che cosa sapevi… che cosa sarebbe cambiato? Non ho scelto io di cadere da quel treno o diventare qualcosa che non ero. E nessuno ci dà la certezza che se tu avessi agito diversamente le cose sarebbero andate per il meglio.

E se invece, adesso, tu fossi potuto essere felice?

E se, invece, io fossi ancora il mostro di cui tutti hanno paura?

Corrugai la fronte a quelle parole, interdetta. Bucky aveva ragione, non c’era nessuna certezza. Avrei potuto avvertire Peggy e Howard, ma poi cosa sarebbe successo? Forse avrei potuto sistemare le cose, o forse no. Le conseguenze ci sarebbero state in ogni caso, ma tanto meglio affrontare quelle con cui avevamo più familiarità.

Avrei voluto essere la persona che sarebbe riuscita a salvarti.

Lo sussurrai con un filo di voce, lo sguardo rivolto in basso in direzione della punta delle mie scarpe. Avvertii subito dopo il metallo freddo sulla mia guancia e fu quasi istintivo strizzare forte gli occhi, come a voler ritardare qualsiasi cosa sarebbe successa da lì in poi.

Ho incontrato quella persona davanti alla teca di un museo.

Sospirai appena a quelle parole, mentre un brivido finì per attraversarmi la schiena. Non potevo cambiare il passato, quello che avevo fatto o tanto meno quello che non avevo fatto. Di una cosa, però, ero certa. Potevo ancora avere il potere di sistemare ogni cosa strada facendo. E sarà stato che avevo finito per piangere tutte le lacrime che avevo in corpo, o il fatto che fossi incredibilmente esausta dopo tutto quello che era appena successo, ma non ci pensai due volte. Afferrai un lembo della maglietta di Bucky prima di attirarlo più vicino. Un secondo più tardi le mie labbra avevano finito per incontrare a metà strada le sue. Non era stato come il primo bacio che ci eravamo scambiati.

Aveva il sapore di qualcosa di diverso. Non era stato frettoloso, o precipitoso. Eravamo rimasti lì ad assaporare quel momento, un sospiro dopo l’altro. Lasciai scivolare una mano tra i suoi capelli, mentre la sua stretta intorno alla mia vita si faceva più salda. E, cavolo, le farfalle le avevo avvertite tutte nel mio stomaco.

Era sbagliato? Probabilmente sì, ma allora perché sembrava così dannatamente perfetto?

Ci ritrovammo fronte contro fronte, appena qualche secondo più tardi cercando di riprendere fiato. Le nostre erano vite incredibilmente complicate, ma onestamente non ero in grado di dire chi avesse incasinato la vita di chi al momento. 

Mi dispiace per Howard…

Lo sentì sussurrare qualche secondo più tardi, ancora così vicini da riuscire ad avvertire il suo respiro contro la pelle.

Spiace anche a me.

E non mentivo, non su quello. Peccato, però, che per Howard non potessi fare più niente. Avessi potuto, avrei messo il mondo sotto sopra per riportarlo indietro ma quello andava decisamente oltre le mie capacità. E fu in quel momento che mi ricordai della lettera che Fury mi aveva dato. D’accordo – non avrei potuto salvare Howard, ma avrei potuto tenerlo in vita prendendomi cura di quello che lui e Peggy avevano lasciato. Avrei fatto esattamente quello che mi avevano chiesto: lottare anche per loro.
 



 


NdA:
Ciao! Mi vergogno un pò a ritornare dopo tutto questo tempo senza essermi fatta viva per nulla, ma purtroppo gli impegni mi hanno tenuta occupata. Finalmente sono riuscita a liberarmi degli ultimi esami e a breve arriverà la tanto sospirata laurea, quindi è stato difficile per me cercare di fare tutto. Ho dovuto lasciare andare alcune cose, ma adesso sono qui per riprendere in mano questa storia. Non vi avrei mai e poi mai lasciate sul più bello, ci ho messo un pò e di questo mi scuso ma adesso eccomi qui. Spero che anche questo capitolo vi piaccia e continuerete a restare con me fino alla fine.

Un bacione e a presto,
-LadyBones.

 

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