Figlio dell'inverno

di Old Fashioned
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


FIGLIO DELL’INVERNO




Prologo

Nel silenzio della notte si udiva un sussurro: “Santa Maria Vergine, Sant’Anna e Santa Elisabetta, accogliete la mia unica preghiera...”
Al chiarore dorato di una candela, una donna pregava inginocchiata dinnanzi a un altare. Aveva i capelli biondi raccolti in una semplice treccia e i piedi scalzi, e indossava una pesante veste da camera scura.
Santa Maria Vergine,” ripeté. Si guardò intorno per accertarsi di essere sola, poi prese un involto di stoffa dal quale trasse un uovo, un mazzetto di erbe e un po’ di terra, allineò tutte quelle cose sull’altare, poi accese una seconda candela e pose anch’essa sulla superficie di pietra.
Fatto questo, intrecciò le dita così strettamente da far sbiancare le nocche. “Santa Maria,” invocò per la terza volta, “Maria, madre di Dio, ascolta la mia preghiera: fa che anch’io diventi madre.”
Chinò la testa fino a toccare con la fronte le dita intrecciate.
In quel momento echeggiò una voce maschile: “Hildegard? Sei tu?”
La donna scattò in piedi e si affrettò a raccogliere tutto ciò che aveva disposto sull’altare. Nascose l’involto nelle pieghe della veste giusto un attimo prima che un uomo biondo e imponente entrasse nella piccola cappella. “Che fai, Hildegard?” chiese il nuovo arrivato.
Stavo pregando la Vergine,” rispose la donna.
E non puoi farlo di giorno?” Si avvicinò, le circondò le spalle con un braccio.
Ella si limitò a scuotere la testa.
Fa freddo qui,” insisté l’uomo sospingendola dolcemente verso la porta, “torna a letto.”
Vorrei pregare ancora, marito.”
Per cosa preghi?”
La donna chinò la testa. “Lo sai. Per la grazia di un figlio.”
Arriverà.”
Sono tre anni che siamo sposati, e ancora non arriva.”
L’uomo la strinse a sé e nel movimento si accorse dell’involto di stoffa. “Cos’è?” chiese.
Niente.”
Fammi vedere,” disse lui allungando la mano.
La donna cercò di sottrarsi, ma nel movimento l’uovo cadde a terra. Al rumore del guscio che andava in frantumi, i due si immobilizzarono per un istante, poi l’uomo emise un sospiro e disse: “Quante volte ti avrò ripetuto che queste stupidaggini da vecchie comari non servono a niente?”
Hildegard si limitò a chinare la testa.
Torniamo a letto, su,” la esortò il marito, sospingendola verso la porta.
La donna non oppose resistenza.
Domenica, dopo la messa, chiederemo a padre Aloisius di pregare per noi.”

§

Ite, missa est,” proclamò padre Aloisius rivolto ai fedeli.
Tra i banchi della chiesa passò un mormorio, poi la gente cominciò a muoversi per uscire. Il conte Kuno von Hohenberg e sua moglie Hildegard si alzarono dai loro scanni, ma invece di percorrere la navata per dirigersi alla porta, si avvicinarono al prete.
Mentre la gente del paese sciamava lentamente verso l’uscita, il conte esordì: “Padre, dobbiamo parlarvi.”
Il religioso si voltò verso di lui, ma prima che potesse aprire bocca si udì il cigolio dei battenti che venivano spalancati. Subito dopo ci fu un attimo di trasecolato silenzio, poi una voce di donna esclamò: “Santa madre di Dio!”
Il tono era a metà fra la meraviglia e lo spavento.
Un bambino!” gridò qualcun altro, questa volta un uomo. “Un bambino in fasce!”
A quelle parole la contessa, che mesta accanto al marito sembrava indifferente a qualsiasi cosa, rialzò la testa con un movimento repentino e prese a scrutare intensamente il capannello che nel frattempo si andava formando.
Si udì un vagito.
Così lo fate piangere!” protestò una donna.
Hildegard svincolò il braccio da quello del marito e percorse rapida la navata. “Fate largo, fate passare!” diceva agitata a chiunque non fosse rapido a cederle il passo.
Il bambino cominciò a piangere forte.
Fate passare!” ripeté la contessa.
Il capannello si aprì al suo arrivo, ed ella si trovò di fronte una donna che teneva fra le braccia un fagotto di pellicce da cui proveniva un pianto disperato.
Che succede?” chiese agitata.
La donna si inchinò goffamente. “Un bambino, mia signora.”
Un bambino? Di chi?”
Non lo so, mia signora. Era sui gradini, quasi quasi Britta lo pestava quando è uscita.”
Da dove viene?”
La donna fece un altro inchino. “Iddio lo sa, mia signora. Qualcuno lo ha abbandonato.”
Hildegard aggrottò le sopracciglia senza preoccuparsi di nascondere lo sdegno. Tese le braccia. “Dammelo!” ordinò brusca. “Dammi subito quella povera creatura!”
Afferrò il viluppo di pellicce e se lo strinse al petto, poi cominciò a cullarlo dolcemente. Si sentì invadere da una sensazione di calore che quasi le fece dimenticare il gelo della neve appena caduta. “No, no… piccolino...” prese a mormorare.
Pochi attimi dopo, il conte la raggiunse, e anche lui chiese: “Di chi è quel bambino?”
La moglie sollevò lo sguardo e lo fissò nel suo. “È mio,” rispose tranquilla, “è un dono di Dio in risposta alle mie preghiere.” Sollevò un lembo della pelliccia per osservarlo meglio.
Quando il visetto del neonato fu messo a nudo, tutti, compreso il conte, si fecero indietro con un moto di orrore: per quanto apparisse vivace e robusto, il bambino era di un pallore cadaverico e aveva le ciglia, le sopracciglia e i capelli completamente bianchi. Gli occhi, di una strana fissità indagatrice, erano di un grigio bluastro che ricordava il metallo.
È il figlio di Satana!” esclamò qualcuno, segnandosi rapido. “O è frutto di stregoneria. Ecco perché lo hanno abbandonato qui.”
La folla fu attraversata da un mormorio spaventato, altri si fecero il segno della croce.
La contessa fece girare tutt’intorno uno sguardo di fuoco. “È figlio mio,” ripeté dura. “È il figlio che Dio ha voluto donarmi, e farò frustare chiunque oserà affermare il contrario.” Si voltò verso il marito.
Questi le restituì lo sguardo, quindi abbassò gli occhi sul misterioso bambino, che nel frattempo aveva smesso di piangere e stava fissando Hildegarde con l'intensità piena di meraviglia dei neonati.
Si limitò ad annuire. Stava per dire qualcosa, quando sopraggiunse padre Aloisius con fare sospettoso, la croce stretta in pugno come un’arma. Occhieggiò l’involto tra le braccia della contessa.
È tutto a posto, padre,” lo prevenne il conte. “Desidero crescere questo bambino come mio figlio.”
State attento a chi vi prendete in casa, mio signore,” lo ammonì il prete, “Il Maligno si annida nei luoghi più impensabili.”
È solo un povero innocente.”
Sotto lo sguardo dei conti von Hohenberg, padre Aloisius non ebbe il coraggio di replicare. Si limitò a inchinarsi farfugliando qualcosa in latino.
Battezzatelo, padre,” ordinò allora il conte, “così vedremo subito se è una creatura del demonio o se è un normale bambino.”
Ma...”
Se è figlio di Satana, non sopporterà i Sacramenti. In caso contrario, desidero che gli venga messo lo stesso nome di mio padre, ovvero Adalrich.”

§

Kuno von Hohenberg stava camminando lungo i bastioni. Al suo fianco si trovava Martin, il più vecchio e autorevole dei suoi sergenti, che in virtù della sua esperienza e del suo valore in battaglia, era spesso l'unico con cui il conte si confidasse su certi argomenti.
L'aria era gelida, e il respiro dei due uomini si condensava in nuvole bianche. Il cielo grigio prometteva altra neve.
E così ora avete un figlio, mio signore,” buttò lì il sergente quasi con noncuranza.
Il conte si aggiustò il mantello di pelliccia intorno al collo. Fece qualche altro passo, poi semplicemente rispose: “Così pare.”
Perché quel tono, mio signore? Il bambino è forse malato?”
L'altro crollò il capo. “È il bambino più sano che abbia mai visto: forte e vigoroso come un piccolo cinghiale. Certo che...” si interruppe pensoso e volse lo sguardo verso le campagne innevate.
Il sergente lo fissò stringendo appena gli occhi nella luce forte. “Che cosa, mio signore?”
È strano,” si decise a dire il conte dopo una lunga pausa.
L'altro assentì. “È vero quello che dicono, mio signore? Che è bianco come un morto e ha i capelli di un vecchio?” Poi, forse temendo di aver esagerato, soggiunse: “Scusate, mio signore.”
Non scusarti, Martin, è la verità.” Fece un gesto verso i campi innevati e disse: “Se lo buttassi là in mezzo, non si vedrebbe nemmeno.”
Martin non rispose, i due continuarono a camminare in silenzio per un po'. Da lontano, nitidi nell'aria tersa, giungevano i richiami di un istruttore che stava addestrando le nuove reclute. Dalle case del borgo si levavano esili fili di fumo.
Come parlando a se stesso, il conte proseguì: “Era avvolto in una pelliccia pregiata, ma non aveva alcun segno di riconoscimento, né stoffe, né ricami, né altro. Sa Dio chi può averlo abbandonato sui gradini della chiesa.”
La signora contessa è felice, mio signore?” chiese il sergente.
Kuno von Hohenberg sorrise. “Se è felice? È al settimo cielo. Non lo lascia un attimo. Non sembra nemmeno più la stessa donna.”
Prima era sempre triste, in effetti,” considerò Martin.
E adesso invece non fa altro che ridere. Forse quel bambino è davvero un dono di Dio.”

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Chiedo perdono a tutti i miei lettori e a tutte le mie lettrici, l’Alzheimer e la forza dell’abitudine mi hanno fatto dimenticare una cosa importantissima: i ringraziamenti a chi ha la pazienza di sciropparsi i miei scritti!!
Quindi sentitamente ringrazio per la cortese attenzione e per i gentili commenti Saelde_und_Ehre, fiore di girasole, Jordan Hemingway, morgengabe, Sagas, Dark_sky114, LyaStark, innominetuo, Syila, miciaSissi, Me91, GothicGaia e Spettro94.






Capitolo 1
Konrad von Obenstein si terse per l’ennesima volta il sudore dalla faccia. Il sole picchiava con cattiveria e il caldo era insopportabile.
Si guardò intorno: tolto suo padre e il loro seguito, il luogo sembrava completamente disabitato. La cosa peraltro non lo stupiva: ovunque volgesse lo sguardo, a perdita d’occhio, si estendevano alture brulle e disseminate di pietre giallicce. Qua e là crescevano cespugli contorti, dalle foglie dure come cuoio.
All’orizzonte si vedevano solo le creste frastagliate dei monti, ricoperte da una vegetazione aspra e scura. L’aria immobile odorava di lentisco e ginestra.
Staccò la borraccia dalla sella e bevve un sorso, quindi spronò il cavallo fino ad affiancarsi al padre. “Manca molto?” gli chiese. Avevano lasciato San Giovanni d’Acri da non più di due ore, e già gli sembrava un’eternità.
Si guardò intorno di nuovo. Era abituato ai boschi solenni delle sue parti, così fitti che spesso non vi penetrava nemmeno la luce del sole, alla brezza fresca e odorosa di resina, ai prati di smeraldo costellati di fiori, alle case a graticcio coi tetti di paglia.
Paragonato al suo paese, quel luogo gli pareva più inospitale di un girone dell’inferno.
Un’altra ora e ci siamo,” gli giunse la risposta del genitore, distraendolo bruscamente dalle sue riflessioni.
Konrad si limitò ad annuire.
Ci fermeremo qualche giorno presso il castello dell’Ordine,” soggiunse poi Ulrich von Obenstein, e il ragazzo notò che sembrava soddisfatto all’idea.
Purché non gli venga in mente di lasciarmi qui, pensò preoccupato. Per seguire il padre nel pellegrinaggio in Terra Santa aveva dovuto abbandonare le letture di retorica e poesia che stava frequentando a Norimberga, e la sua intenzione era quella di riprenderle il più presto possibile, magari addirittura presso la famosa Università di Bononia. Rimanere in una pietraia arroventata a combattere contro i nemici di Cristo, peraltro in compagnia di cavalieri che avevano fatto della rinuncia ai beni terreni la loro ragione di vita, era l’ultima cosa cui anelava.
Non era minimamente nei suoi programmi rinunciare ai beni terreni, né ai piaceri che la vita era in grado di offrire a un uomo di buone sostanze e fine sentire.
Proseguirono un altro po’ in silenzio, e dopo l’ennesima curva videro finalmente il castello di Starkenberg stagliarsi in tutta la sua imponenza su uno sperone di roccia a picco sulla strada.
Ulrich von Obenstein fermò il cavallo, quindi nonostante il cappello che portava si fece ombra con la mano e osservò a lungo la possente struttura. Infine soddisfatto proferì: “Magnifico. Non è vero, figliolo?”
Sì, padre.”
Un’opera superba. Da quando Hermann von Salza è diventato Gran Maestro, l’Ordine Teutonico è in continua espansione,” disse in tono soddisfatto. Dopo una pausa, soggiunse: “Spero proprio che mi darà udienza.”
Lo spero anch’io, padre,” sospirò Konrad, al quale le vicende dell’Ordine interessavano decisamente poco.
Prima noi tedeschi eravamo disprezzati,” proseguì imperterrito il genitore, “Templari e Ospitalieri ci trattavano dall’alto in basso.”
Ora non accadrà più, padre,” rispose il ragazzo.
Certamente! Guarda che fortezza possente. Ah, se avessi trent'anni di meno...”
Konrad sorrise. “Che cosa fareste, padre?”
Entrerei nell'Ordine, ovviamente.” Si voltò verso di lui con aria di vago rimprovero. “Mi stupisce che tu non ci abbia mai pensato.”
L'altro represse un brivido di orrore e con decisione rispose: “Non fa per me, padre. Preferisco lo studio e la contemplazione.”
Delle damigelle,” concluse Ulrich von Obenstein con un sorriso, e il figlio non poté fare a meno di sorridere a sua volta.

Nello stesso momento, sugli spalti del castello due soldati stavano scrutando la colonna in avvicinamento.
Uno dei due osservò il gruppo di uomini a cavallo e animali da soma e disse: “Sono civili di sicuro. Guarda come vanno in giro sparpagliati.” La voce aveva una vaga nota di disprezzo.
L'altro annuì. “Lo vedo. Riesci a capire di dove sono?”
Tedeschi. Secondo me stanno venendo qui.”
Quando al castello c’è il Gran Maestro, c'è più confusione che al mercato di Ulm. Sarà meglio avvertire il sergente.”
Vado.”
Il soldato corse lungo gli spalti e scese nel cortile. Individuò un uomo imponente, con un mantello grigio sul quale spiccava la croce nera dell’Ordine. Si fermò davanti a lui e annunciò: “Una colonna in avvicinamento, sergente!”
L’altro aggrottò le sopracciglia. “Dove?”
Lungo la strada di Acri, sergente.”
Sono cristiani?”
Il soldato assunse un’aria assorta. “Vestono come tali,” rispose alla fine.
Il graduato annuì, evidentemente soddisfatto della risposta. “Fammi vedere,” disse poi.
Insieme si recarono sugli spalti. La colonna nel frattempo si era fatta più vicina e già si distinguevano le insegne che esibiva. Il sergente la seguì con lo sguardo facendosi ombra con la mano, quindi disse: “Due nobili e il loro seguito. Sicuramente verranno qui.” Rimase un altro po’ a fissare il gruppetto con espressione vagamente infastidita, quindi brontolò: “Sarà meglio che vada ad avvisare i Fratelli Cavalieri.”
Quando se ne fu andato, i due soldati si scambiarono un’occhiata. Quello che era andato a chiamare il sergente ghignò e disse: “L’unica cosa che il vecchio Dorn odia più degli infedeli sono le delegazioni di pellegrini che vogliono fermarsi al castello.”
L’altro annuì. “Fanno disordine,” proclamò, imitando la voce possente del graduato.

Quando la piccola colonna arrivò alla base dello sperone di roccia su cui sorgeva Starkenberg, la porta della mura si aprì e da essa uscirono affiancati due cavalieri. Montavano due grandi destrieri grigi, portavano l’usbergo e l’elmo, e sul mantello bianco avevano una croce nera.
Si fermarono qualche istante a osservarli, poi cominciarono a procedere al passo lungo la discesa.
Stringendo gli occhi nella luce forte, Konrad li osservò, trovandoli al tempo stesso minacciosi e imponenti. Si volse verso il padre e a bassa voce chiese: “Sono loro?”
I Fratelli Cavalieri,” confermò il genitore. “Ne bastano venti per sbaragliare un esercito.”
Rimasero in attesa.
I due continuarono a scendere, gli unici rumori che si udivano, a parte lo sbuffare di qualche cavallo accaldato, erano lo scalpiccio degli zoccoli e il tinnire degli usberghi. Arrivarono sulla strada e di nuovo si fermarono.
Ci fu qualche lungo istante di silenzio, poi Ulrich von Obenstein si fece avanti e presentò se stesso e il figlio. “Veniamo da Dürnau, in Franconia,” disse poi. Scrutò indeciso le due figure immobili, nella speranza di leggere nel loro atteggiamento qualche segno che lo incoraggiasse a proseguire. “Siamo qui per compiere un pellegrinaggio,” disse infine.
Uno dei cavalieri si tolse l’elmo, rivelando il volto di un giovane dagli occhi chiari. Sulla guancia aveva una cicatrice che scompariva sotto il bordo del cappuccio di maglia. “Salute a voi,” disse serio, “Io sono fratello Friedrich e il mio compagno è fratello Albrecht.” Senza togliersi l’elmo, l’altro cavaliere chinò appena il capo in segno di saluto.
Il Priore di Starkenberg vi offre la sua ospitalità.”
La accettiamo volentieri,” rispose Ulrich von Obenstein.
Allora seguiteci.”
Senza aggiungere altro, i fratelli cavalieri fecero girare i destrieri e presero a percorrere la salita che portava alla fortezza.

Entrarono in un cortile lastricato, nel quale regnava un ordine scrupoloso. I due fratelli cavalieri smontarono da cavallo, e subito dei servi presero gli animali per le redini e li condussero via. Subito dopo arrivarono gli scudieri, ai quali essi consegnarono gli elmi.
Si fecero scivolare indietro il cappuccio di maglia con la disinvoltura di un gesto abituale, si scambiarono qualche parola a bassa voce. Uno disse qualcosa, l’altro assentì col capo. A Konrad diedero l’impressione di essere circondati da muri invisibili, che li separavano da chiunque altro.
Mentre i servi prendevano in consegna le cavalcature dei pellegrini, comparve sulla soglia dell’edificio principale un fratello cavaliere che poteva avere una quarantina d’anni. Era alto e imponente, con i capelli appena striati di grigio. La sua cotta d’arme non differiva da quella degli altri se non per un sottile ricamo d’oro che si sovrapponeva alla croce nera sul petto. Al suo apparire, i due che li avevano accompagnati si inchinarono rispettosamente.
Il nuovo arrivato si fece avanti e disse: “Salute a voi. Io sono fratello Burkhard, priore di Starkenberg. Vi porgo il benvenuto.”
A quelle parole, Ulrich von Obenstein rispose: “Vi rendo grazie, priore. È per noi un grande privilegio essere qui. Abbiamo sentito parlare molto e bene di questo luogo, ed eravamo ansiosi di vederlo.”
Per prima cosa entrate, così potrete riposarvi e bere un po’ d’acqua.”
Condusse padre e figlio in una sala dal mobilio essenziale, con volte a sesto acuto sostenute da colonne, nella quale regnava una piacevole penombra. Da lì proseguirono lungo un corridoio fino a una stanza grande e arredata con tavoli e panche di legno. In un angolo c’era un leggio con un libro aperto. Il segnalibro rosso che pendeva dal volume era l’unica nota di colore dell’ambiente e spiccava con insolita crudezza.
Sedete,” disse il cavaliere. La parola, pronunciata con l’intento di essere un cortese invito, suonò come un ordine.
Quando i due ebbero preso posto, a voce più alta chiamò: “Klaus!”
Da una delle porte arrivò un giovane servo, che si inchinò e disse: “Priore?”
Klaus, porta acqua fresca, frutta e pane per i nostri ospiti.”
Seduto su una panca, Konrad continuava a pensare alla taverna del Grifo, dove era solito andare la sera quando era a Norimberga. Avrebbe dato tutto quel che possedeva per un bel boccale di vino del Reno e un pasticcio di quelli che sapeva fare Grete, con la cannella e i chiodi di garofano. Emise un sospiro.
Fissò di nuovo lo sguardo sul segnalibro, che agitato appena da una lieve corrente sembrava una sottile lingua di fuoco.
La voce del priore lo distrasse dalle sue meditazioni: “Vi vedo pensieroso.”
Konrad quasi sussultò. “Non sono abituato a questo clima,” rispose.
L’altro ebbe un lieve sorriso. “Già, vi capisco. Io sono di Lubecca.”
Ulrich von Obenstein intervenne: “Allora soffrite più di noi con questo caldo.”
Ci ho fatto l’abitudine.”
Tornò il servo di nome Klaus, con un vassoio su cui si trovavano una brocca, dei bicchieri, una forma di pane, dei datteri e delle arance.
Il priore fece cenno al ragazzo di posarlo sul tavolo.
Questi obbedì, quindi si inchinò e si allontanò. A questo punto Fratello Burkhard dispose i bicchieri di terracotta davanti agli ospiti e li riempì d’acqua, poi disse: “Bevete, sarete sicuramente assetati.”
Konrad rimpiangeva senza dubbio il vino del Reno, ma di fronte alla tazza di acqua fresca non si fece pregare: la vuotò in un attimo, poi la posò con un sospiro soddisfatto. Il priore gliela riempì di nuovo, ed egli la vuotò con la stessa velocità della precedente.
Ti prenderai un malanno,” intervenne il padre.
Il malanno lo prendo se non bevo, padre mio,” rispose Konrad, vagamente ansante per aver tracannato il contenuto del recipiente tutto d’un fiato.
Per un po’ rimasero a parlare tra loro nella frescura del refettorio. Il priore chiese notizie della Germania, rispose alle domande di Ulrich von Obenstein e in generale spiegò al nobile quali riforme dell’Ordine stesse portando avanti il Gran Maestro Hermann von Salza.
Infine, l’altro chiese: “Sareste così gentile da mostrarci la fortezza, fratello Burkhard?”
Konrad represse un sospiro di esasperazione. Esausto e grondante di sudore dopo la cavalcata sotto il sole, avrebbe di gran lunga preferito continuare a sedere all’ombra bevendo acqua, in mancanza di vino fresco, e mangiando datteri, ma già il genitore si era alzato e lo fissava, certo che anelasse quanto lui a vedere il castello.
A malincuore, abbandonò la panca.

Il cavaliere condusse i due attraverso stanze e corridoi, spiegando di volta in volta quale fosse la funzione dei locali che visitavano. Videro armerie, magazzini, laboratori di artigiani, scuderie.
E qui è dove ci alleniamo,” disse infine fratello Burkhard, indicando ai due una porta che si apriva sull’esterno. Da essa provenivano clangore di armi, tramestio e voci.
Konrad si affacciò: al di là vi erano fantocci di paglia, rastrelliere con armi di legno o di metallo, scudi, protezioni per il corpo e in generale tutto quanto era necessario all’esercizio marziale.
C’erano due cavalieri che combattevano. Per quanto si stessero solo allenando, il duello era serrato, e i colpi erano portati quasi a pieno.
Il ragazzo rimase per un po’ a seguirli con lo sguardo, e così facendo notò una cosa che lo lasciò stupefatto: possibile che uno dei due fosse un vecchio? Aveva i capelli candidi. Eppure era alto e dritto come un abete, aveva spalle larghe, ma soprattutto si muoveva con una velocità e una potenza che non potevano essere quelle di una persona anziana.
Si voltò verso il priore in una muta richiesta di spiegazioni.
L’altro sorrise e annuì: evidentemente non era nuovo a tali reazioni di fronte a quel cavaliere. “Quello è fratello Adalrich,” disse semplicemente.
Konrad aggrottò le sopracciglia. Avrebbe voluto chiedere se per caso era ammalato, ma il vigore dei suoi movimenti faceva pensare a qualsiasi cosa tranne la presenza di una malattia. Notò che a parte le guance arrossate per lo sforzo, era di un pallore quasi diafano, come se il sole non avesse il potere di scurire la sua carnagione.
Quanti anni ha?” chiese semplicemente, senza staccare gli occhi da lui.
Ventuno.”
Ma ha i capelli bianchi.”
È nato così.”
Con la coda dell’occhio, Konrad notò che a quelle parole il padre aveva mosso la mano come per segnarsi, poi vi aveva rinunciato, forse temendo di offendere il priore.
I due si scambiarono un’occhiata.
Il cavaliere, nel frattempo, stava portando a termine un ennesimo assalto. Konrad lo vide incalzare l’avversario con forza, parando senza apparente difficoltà ogni suo attacco, arginando i suoi sempre più scomporti tentativi di difesa e rispondendo con precisione a ognuno di essi.
Alla fine, l’altro cavaliere lasciò cadere l’arma e alzò le mani in segno di resa.
Il primo, la spada ancora in posizione di attacco, si immobilizzò. I due si scambiarono qualche parola che a causa della distanza Konrad non riuscì a capire, poi quello con i capelli bianchi prese una brocca, versò da essa un bicchiere d’acqua e lo tese al compagno.
L'altro, un biondo con i capelli lunghi fino a coprire le orecchie e luminosi occhi azzurri dall'espressione allegra, lo accettò, ne bevve la metà e poi lo passò nuovamente al primo, che bevve a sua volta. Si scambiarono di nuovo qualche parola, Konrad intuì che il cavaliere con i capelli bianchi stava dicendo all'altro qualcosa sul duello che avevano appena combattuto.
Il biondo annuì, riprese la spada e la brandì. L'altro parve soddisfatto: posò il bicchiere da una parte, raccolse a sua volta l'arma e si mise in guardia. In breve stavano di nuovo duellando come se dal loro scontro fossero dipesi i destini della Cristianità in Terra Santa.
Il priore per un po' li lasciò fare, poi a voce alta chiamò: “Fratello Adalrich, fratello Hermann!”
I due si immobilizzarono. Entrambi abbassarono le spade, si voltarono verso di lui e si inchinarono rispettosamente.
Konrad considerò che visto di fronte il cavaliere con i capelli bianchi aveva un aspetto ancora più inquietante: non solo era candida la chioma, ma anche le ciglia e le sopracciglia. La pelle era di un pallore mortale.
In quel volto bianco, gli occhi grigio bluastri risaltavano in modo inquietante, e assieme ai lineamenti squadrati gli conferivano un aspetto severo che metteva quasi a disagio.
Peraltro, fratello Adalrich era alto almeno quattro dita più del compagno, che pure era di statura decisamente imponente.
Fratelli,” disse il priore, “questi sono pellegrini che provengono dalla Franconia. Sono il barone Ulrich von Obenstein e suo figlio Konrad. Saranno nostri ospiti.”
A quelle parole, il biondo esibì un largo sorriso. “Benvenuti!” esclamò, “Io sono Hermann von Seebach.” Si guadagnò un'occhiataccia da parte del priore. “Oppure solo fratello Hermann, è più pratico. Vi fermerete molto?”
Si fermeranno il necessario,” replicò fratello Burkhard.
Perché qui ci sono dei bei posti da visitare, magari...”
Fratello Hermann.”
Il giovanotto sorrise imbarazzato e chinò la testa. “Scusate, priore. Mi faccio sempre prendere dall'entusiasmo.”
L'altro sorrise a sua volta. “Non fa niente. Continuate ad allenarvi.” Poi, rivolto agli ospiti: “E ora, voglio mostrarvi la nostra chiesa.”
Si incamminò verso uno stretto sentiero lastricato.
Mentre alle loro spalle ricominciava il clangore delle armi, Konrad si soffermò a pensare ai due cavalieri. Per quanto fossero stati cortesi, perlomeno uno, aveva avuto di nuovo l'impressione di pareti invisibili che li separavano dal resto del mondo.
Si chiese come doveva essere, rinunciare a tutto per seguire i precetti di Bernardo da Chiaravalle.
Mentre era immerso in quei pensieri, udì suo padre chiedere al priore: “Per caso il Gran Maestro è al castello?”
Sì, non vedete la bandiera sul mastio?”
Konrad alzò gli occhi e in effetti vide sventolare il vessillo con la croce di Gerusalemme nera e oro in campo argento.
Il barone von Obenstein guardò a sua volta, poi chiese: “Potrei avere la grazia di parlargli? Anche solo per poco tempo.”
Il Gran Maestro è molto impegnato, io temo che...”
Per favore. Solo poche parole.”
L'altro sembrò esitare per qualche istante, poi rispose: “D'accordo, sentirò se in questi giorni troverà un po' di tempo per voi.”
Grazie, sarebbe veramente un grande dono.”
Faremo il possibile.”
Proseguirono. La chiesa, che comparve dietro una svolta, era un'imponente costruzione realizzata in pietra locale. Lo spessore delle pareti, l'esiguità delle finestre a sesto acuto e la potenza dei contrafforti suggerirono a Konrad che fosse stata pensata come estrema possibilità di difesa in caso di assalto al castello.
Molto bella,” apprezzò il barone von Obenstein.
È stata terminata meno di dieci anni fa. Una volta questo luogo era tutto in rovina, è stato l’Ordine a riportarlo all’antico splendore.”
Davvero?”
Il Gran Maestro l’ha acquistato dalla famiglia De Milly e l’ha fatto restaurare.” Il priore puntò i pugni sui fianchi e si guardò intorno con espressione fiera. “Prima si chiamava chateau Montfort, adesso è Starkenberg.”
È una costruzione imponente,” apprezzò il barone. Si rivolse al figlio: “Non è vero?”
Konrad, che durante lo scambio non aveva fatto altro che vagheggiare la frescura che sicuramente doveva regnare all’interno della chiesa, si limitò ad annuire.
Molto bello,” ripeté Ulrich von Obenstein.
Mentre stavano parlando fra loro, la porta della chiesa si socchiuse e da essa uscì un cavaliere che poteva essere un po’ più vecchio del priore. Aveva la barba brizzolata e i capelli dello stesso colore. Gli occhi castani avevano uno sguardo apparentemente morbido, dietro il quale si indovinavano però una viva intelligenza e una volontà adamantina. Vestiva una semplice cotta d’arme con la croce nera ricamata d’oro, e portava sulle spalle il mantello bianco.
Il priore si inchinò immediatamente. “Gran Maestro,” disse in tono rispettoso. Anche i due ospiti gli rivolsero un inchino.
Non fate così,” disse il nuovo arrivato con un sorriso, “mi mettete in imbarazzo. Siamo tutti uguali dinnanzi a Dio.”
I tre si raddrizzarono, poi il priore disse: “Gran Maestro, permettetemi di presentarvi il barone Ulrich von Obenstein e suo figlio Konrad. Arrivano dalla Franconia per compiere un pellegrinaggio.”
Von Salza sollevò le sopracciglia in un’espressione piacevolmente sorpresa. “Dalla Franconia?” ripeté.
Il barone assentì col capo. “Sì, Gran Maestro.”
L’altro lo prese familiarmente per una spalla. “Allora, mio caro amico, mi piacerebbe che mi raccontaste cosa sta succedendo in patria.” Si rivolse al ragazzo: “A voi non dispiace se mi intrattengo un po’ con vostro padre, Konrad?”
L’altro si affrettò a scuotere la testa. “No. Certo che no, Gran Maestro.”
Von Salza sorrise. “Torneremo presto.”
Il giovane annuì. Il Gran Maestro era amico e consigliere dell’Imperatore Federico II, parlava abitualmente con il papa, era stato decorato sul campo per il suo valore nell’assedio di Damietta, eppure sembrava quasi che si stesse scusando con lui perché intendeva sottrargli il genitore per un’ora. “Aspetterò in chiesa,” disse.
Saggia decisione,” approvò von Salza, “non siete ancora abituato al caldo di questi luoghi.”
Si allontanò al fianco di Ulrich von Obenstein.
Konrad rimase a guardarlo per un po’ mentre camminava lentamente insieme a suo padre, poi entrò in chiesa.

Dentro c’era fresco, perlomeno rispetto alla calura esterna, e regnava una piacevole penombra. Tolta l’eco dei passi sulle volte del soffitto, l’edificio era immerso nel silenzio. Le strette finestre erano chiuse da semplici vetri trasparenti e l’altare era di pietra liscia e senza decorazioni. Gli unici ornamenti si trovavano nei capitelli delle colonne, che rappresentavano scene di ispirazione sacra.
Si sedette su una delle panche e di nuovo ripensò a Norimberga. Si chiese cosa stessero facendo in quel momento i suoi compagni di studi. Data l’ora, probabilmente stavano andando tutti alla taverna del Grifo, alla ricerca di Grete e dei suoi pasticci.
Emise un sospiro mentre lo stomaco gli ricordava con un brontolio che era quasi ora di pranzo. Niente pasticci da quelle parti, né tanto meno belle ragazze. Nessuna lettura di poesia cortese, o di retorica. Ripensò a Hermann von Salza e gli parve strano che un uomo dall’aria così fine e intelligente riuscisse ad adattarsi a una vita così priva di ogni piacere.
Ma lui mica sta in questo posto dimenticato da Dio, se non è necessario, disse fra sé e sé, gira per le corti, vede luoghi piacevoli, parla con persone erudite.
Il rumore della porta che si apriva lo distrasse dalle sue considerazioni.
Si voltò e vide che stava entrando qualcuno che portava il mantello bianco dei cavalieri con il cappuccio tirato fin sugli occhi. Guardò incuriosito il nuovo arrivato, che percorse tutta la navata, quindi si fermò di fronte all’altare maggiore e si scoprì il capo. A quel punto Konrad riconobbe il cavaliere dai capelli bianchi.
Nello stesso momento, questi si accorse di lui e si voltò a fissarlo.
Fratello… Adalrich?” chiese il ragazzo, vagamente esitante sotto quello sguardo truce.
L’altro si limitò ad annuire.
Konrad si alzò, fece qualche passo verso di lui. “Combattete molto bene,” gli disse.
Il cavaliere gli rivolse un cenno del capo. “Grazie,” rispose poi. Successivamente tornò a girarsi verso l’altare, dinnanzi al quale si inginocchiò.
L’altro rimase per qualche istante a guardarlo. Riusciva difficile pensare che fosse di carne e sangue come chiunque altro. Sembrava piuttosto fatto di ghiaccio, o di pietra.
Si sedette di nuovo sulla panca. Il cavaliere rimase immobile, lo sguardo fisso alla croce.
Dopo un po’, Konrad si alzò e rinculò verso la porta cercando di fare meno rumore possibile. Fuori c’era caldo, ma la presenza di fratello Adalrich lo metteva talmente a disagio che il sole a picco gli risultava preferibile. Una volta uscito, si imbatté nel priore. Questi gli sorrise e gli chiese: “Cercate vostro padre?”
No, io…” Si morse il labbro inferiore. “C’era un cavaliere che pregava, non volevo disturbarlo.”
L’altro annuì consapevole. “Fratello Adalrich, vero?”
Il ragazzo annuì.
Non dovete lasciarvi spaventare,” gli disse.
Ma veramente...”
Suvvia, ho visto come lo guardavate, e so che effetto fa a chi lo vede per la prima volta. C’è chi parlerebbe di opera del Demonio, ma di certo fratello Adalrich non porterebbe la croce sul petto con tanto entusiasmo, se avesse qualcosa a che fare con il Maligno, non vi pare?”
Immagino di no.”
È la spada migliore di Starkenberg.”
Non stento a crederlo.”
L’altro emise un sospiro. “Eppure temo che nella sua vita abbia combattuto molto più contro i Cristiani che contro gli infedeli. Persino qui in Terra Santa hanno parlato di stregoneria.” Sorrise fra sé e sé. “Il Gran Maestro degli Ospitalieri è arrivato addirittura a insinuare che sia stato grazie ai suoi commerci con il Demonio che l’Ordine Teutonico è riuscito ad acquisire e restaurare questo castello. Non l'ha mai detto esplicitamente, è ovvio, ma la voce è girata.”
Konrad stava per rispondere quando cominciarono a farsi udire le voci di suo padre e di von Salza in avvicinamento. “Tutto ciò che mi avete narrato è del massimo interesse,” stava dicendo il Gran Maestro.
Sono solo piccoli fatti della nobiltà locale,” si schermì il barone.
Spesso dai piccoli fatti si possono apprendere cose che i grandi eventi non insegnano.”
Quando i due si avvicinarono, il ragazzo si inchinò nuovamente in segno di rispetto. Il Gran Maestro accolse quell’omaggio con un cenno del capo, ma subito dopo gli pose una mano sulla spalla e lo invitò a rialzarsi. “Il vostro signor padre mi ha detto che studiate retorica e poesia a Norimberga,” gli disse.
È così,” confermò Konrad.
E ditemi, vi piace?”
Nonostante ogni buon proposito di mantenersi impassibile, al ragazzo si illuminò il viso. “Oh, sì. Moltissimo.”
Che cosa vi piace di quella città?”
Konrad tacque confuso, nulla di ciò che avrebbe voluto dire era adatto alle orecchie di un frate combattente.
Coraggio, parlate. Non abbiate timore,” lo incoraggiò Hermann von Salza.
Ecco...” si decise a dire il ragazzo, certo di essere arrossito fino alla radice dei capelli, “Ecco, Gran Maestro, ci sono le letture di eruditi che vengono da tutta Europa, ci sono tanti altri studenti...”
E molte taverne,” soggiunse il cavaliere, “Dico bene?”
Ecco… sì. Credo che abbiate colto il problema.”
L’uomo sorrise divertito, quindi si voltò verso il barone von Obenstein e disse: “Vedete anche voi che vostro figlio non desidera questa vita. O si è pronti ad abbracciare la regola dell’Ordine con tutto il cuore, oppure essa diventa una sofferenza insopportabile. Il giovane Konrad vuole studiare e svagarsi, e l’unico viaggio che affronterebbe volentieri sarebbe quello per Bononia, dico bene?”
Konrad annuì, sentendosi stranamente imbarazzato.
Von Salza con tono tranquillo proseguì: “Il che non vieta comunque che trascorriate presso di noi qualche giorno, per riposare e prepararvi alle fatiche del viaggio che vi attende. Permettetemi inoltre di invitarvi al nostro desco. Vi devo però chiedere di non parlare durante il pasto: i fratelli cavalieri sono tenuti alla regola del silenzio ed essa si estende a chiunque sieda a tavola.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Adalrich 3 Ciao a tutti/e! Grazie per essere ancora qui, siete troppo gentili…
Ringrazio naturalmente tutti/e coloro che sono passati da queste parti e hanno anche solo buttato un occhio a tutta la vicenda, ma in particolare i miei ringraziamenti vanno a Saelde_und_Ehre, GothicGaia, morgengabe, Me91, innominetuo, Crilu_98, Jordan Hemingway, Syila, LyaStark, miciaSissi, Dark_sky114, Sagas, fiore di girasole e molang.








Capitolo 2

Il cappuccio tirato come sempre fin sugli occhi, fratello Adalrich rivolse un’occhiata torva ai cavalli dei due ospiti, che attendevano sellati e con le bisacce piene. Fratello Hermann, che si trovava al suo fianco, in tono bonario gli disse: “Non ti crucciare, almeno faremo un giro nei dintorni.”
Potevano mandare altri due.”
Che fai, discuti gli ordini? L’hai sentito anche tu il priore: la migliore spada di Starkenberg dietro agli ospiti.” Fece una breve risata, come se trovasse la cosa assai divertente.
Smetti di ripetere quell'appellativo stupido,” ringhiò l'altro.
Scusa, chi è che tenendo la spada nella sinistra ha sconfitto e disarmato fratello Friedrich e fratello Gerhard che attaccavano contemporaneamente?”
Non significa nulla.”
E gli infedeli?”
Non combatto né più né meno degli altri.”
Ah, certo. Dev'essere per quello che c'è una taglia sulla tua testa.”
Gli infedeli vogliono uccidere tutti i cavalieri dell'Ordine, non soltanto me.”
L'altro rinunciò a replicare. Con un'alzata di spalle soggiunse: “Speriamo che i nostri stimati ospiti si degnino di uscire, piuttosto. Tra un po' sarà più caldo che in una fornace.”
Certa gente dovrebbe restarsene a casa propria,” brontolò l'altro per tutta risposta.
Oh, dai. Li portiamo alle chiese, li stanchiamo ben bene e vedrai che si faranno passare la voglia di visitare la zona.”
Fratello Adalrich non rispose. Controllò il sottopancia del suo cavallo, un imponente destriero da guerra dal manto grigio, quindi montò in sella e si spostò verso la parte del cortile che si trovava ancora in ombra. Vide uscire dalla foresteria i due pellegrini: nonostante si trovassero a Starkenberg da alcuni giorni, il padre conservava l'espressione di commossa meraviglia che gli era comparsa sul viso non appena aveva messo piede nel castello. Il figlio, per contro, non faceva assolutamente nulla per nascondere il fastidio che la situazione doveva procurargli. Anzi, si poteva addirittura dire che lo ostentasse. Lo sguardo del cavaliere si fece sprezzante: un giovanotto sciocco, viziato e pigro, che sbuffava alle loro regole e cercava di sottrarvisi non appena se ne presentava l'occasione. Non c'era pasto in cui la lettura dei testi sacri non fosse disturbata dal cicaleccio ostinato dei suoi bisbigli, non c'era notte in cui non comparisse un giaciglio di fortuna nel giardinetto dietro la chiesa, dove il ragazzo aveva la pretesa di prendere il fresco.
Non facendo parte dell'Ordine, nessuno poteva frustarlo per quelle violazioni della Regola, e tutti si limitavano a sperare che prima o poi capisse. O che proseguisse per la sua strada, magari.
Mentre era immerso in quelle meditazioni, i due presero a guardarsi intorno, soprattutto il più giovane, con l'aria di aspettarsi valletti, battitori, cani e falconieri.
Lasciò che fosse fratello Hermann a raggiungerli e a spiegare loro come si sarebbe svolta la giornata.
Fratello Hermann aveva molta più pazienza di lui. Come il loro Gran Maestro, che per combinazione si chiamava allo stesso modo. Era anche più cortese, e sapeva parlare alla gente in un modo che lo rendeva gradito praticamente a chiunque. Non poté fare a meno di sorridere fra sé e sé: uno strano sodalizio, il loro. Il più amabile e il più odioso; quello più avvenente e quello la cui vista suscitava orrore; quello allegro, gentile e affabile e quello burbero, cupo e scostante.
Si passò una mano sugli occhi, che come sempre soffrivano della troppa luce, e rimase a osservare il confratello che parlava con i due ospiti.
Stette a guardarlo mentre illustrava ai due l'escursione che avevano intenzione di compiere. Lo vide indicare un punto generico oltre le creste dei monti più vicini, e annuire con vigore, come per convincere i due von Obenstein della piacevolezza e della facilità della passeggiata.

Poco dopo, percorrevano in fila il sentiero che dalla fortezza conduceva alla strada principale. Una volta che furono alla base dello sperone di roccia, fratello Hermann disse: “Ora proseguiremo sulla strada fino a che non incontreremo la deviazione per le chiese. La zona è tranquilla, ma vi chiedo di non allontanarvi. Sappiate che in ogni caso non avete nulla da temere: nessuno supera fratello Adalrich nel combattimento.”
A quelle parole, i due civili si voltarono nella sua direzione. Egli si fece scivolare all'indietro il cappuccio che gli teneva in ombra il volto. Per quanto il sole lo facesse soffrire, una volta fuori dalle rassicuranti mura di Starkenberg, era necessario che occhi e orecchie fossero liberi da impedimenti.
Senza dire nulla spronò il cavallo e li distanziò di qualche passo, infastidito da quegli sguardi, che nonostante i giorni di forzata convivenza erano ancora gravati della meraviglia mista a ribrezzo di chi sta osservando un animale strano.
Proseguì così, mantenendosi davanti a loro.
Era un mattino terso, nel cielo azzurro non c'era una nube. Il sole picchiava costringendolo a mantenere gli occhi rivolti verso il basso. Nella luce forte anche i colori del paesaggio sembravano scomparire, e la vegetazione che copriva i fianchi delle montagne diventava di un verde talmente scuro da sembrare nero.
Alle sue spalle fratello Hermann parlava delle chiese ai due ospiti. “Sono costruzioni molto antiche,” lo sentì dire, “e alcune sono ancora parzialmente o completamente sepolte. Il Gran Maestro dice che si trovavano qui prima dell’arrivo degli infedeli, e che si sono salvate dalla distruzione unicamente perché si trovano in una posizione nascosta e difficile da raggiungere.”
Sono lontane?” sentì chiedere al più giovane.
Un paio d’ore. Presto però abbandoneremo la strada principale e proseguiremo nella macchia.”
Il ragazzo sbuffò, peraltro senza nemmeno preoccuparsi di nasconderlo. Il più anziamo invece disse: “Sono curioso di vedere questi luoghi. Potete descrivermeli maggiormente, cavaliere?”
Ma certo,” rispose subito Hermann. Adalrich immaginò il sorriso affabile che doveva aver accompagnato quelle parole. “Sono camere scavate direttamente nella roccia. All’interno ci sono delle pitture con immagini della Vergine Maria, di Gesù e degli Apostoli. Ho portato anche un lume, così potremo vederle meglio.”
Si può pregare al loro interno?”
Nulla lo vieta,” rispose Hermann. Poi, dopo una pausa: “In effetti è un luogo molto suggestivo. Penso che lo troverete interessante.”
A quel punto intervenne il più giovane: “A parte gli affreschi, c’è rimasto qualcosa dentro?”
Purtroppo no. Prima del nostro arrivo, questi luoghi sono rimasti per secoli in mano agli infedeli, che le hanno depredate di ogni contenuto. In alcune hanno addirittura distrutto le immagini sacre sulle pareti.”
Il ragazzo non replicò. Anche il padre sembrava aver ricevuto tutte le informazioni che gli servivano, perché non interrogò oltre il cavaliere, e il gruppetto proseguì in silenzio.
Il sole ormai era alto sulla volta celeste e le ombre si facevano sempre più brevi. L’aria immobile era satura degli aromi di timo e tanaceto.
Adalrich si aggiustò meglio l’elmo alla normanna, il cui nasale col caldo cominciava a dargli fastidio. Strinse gli occhi cercando di ignorare la sensazione di bruciore della pelle esposta al sole.
A lui non piacevano quelle chiese. A differenza del confratello, trovava quel luogo sinistro e gravato di un'oscura sensazione di minaccia. Probabilmente qualcuno avrebbe parlato di superstizione, e avrebbe bollato le sue sensazioni come ennesima riprova del suo commercio con il Demonio, eppure non si sentiva mai tranquillo quando entrava nella gola su cui si affacciavano le chiese. Le loro porte gli ricordavano le orbite vuote dei teschi, e nonostante fossero, o almeno teoricamente dovessero essere, altrettante case del Signore, lo rendevano inquieto.

Raggiunsero i monumenti dopo circa due ore di cavalcata su un percorso quasi invisibile ad occhio nudo, che attraversava una macchia di lecci e ginepri in cui si udiva solo il frinire degli insetti.
Poco prima di giungere a destinazione, il sentiero si incanalò nel fondo di una gola polverosa e costellata di ginestre, quindi si allargò in un anfiteatro naturale che nonostante l'ora risultava quasi completamente in ombra.
Eccoci arrivati,” disse fratello Hermann.
Sulle pareti di roccia si trovavano delle porte e delle piccole finestre, alcune rozzamente quadrangolari, altre con un accenno di arco a tutto sesto.
Le chiese erano disposte su più livelli. Alle più basse si accedeva direttamente, per quelle più alte era necessario percorrere tortuose file di gradini scolpiti direttamente nella roccia.
Senza scendere da cavallo, Adalrich percorse tutta la circonferenza dell'anfiteatro. Per terra non c'erano tracce di alcun genere, e non c'erano nemmeno deiezioni di capra, sebbene quegli animali fossero perlopiù ghiotti del tipo di piante che crescevano nella gola.
Tirò le redini e rialzò il capo, quindi si guardò intorno lasciando scorrere lo sguardo sulla sommità delle pareti di roccia. Nemmeno lì c'era nulla di strano.
Potete smontare,” disse alla fine della sua ispezione.
Il ragazzo scese dal suo baio, lasciò le redini penzoloni e si stirò inarcandosi all'indietro, poi si inoltrò deciso nella vegetazione. “Dove vai?” gli gridò dietro suo padre.
Natura premit!” giunse la risposta. A dispetto di ogni raccomandazione, si udirono i passi allontanarsi e diventare sempre più fiochi.
Adalrich lanciò un'occhiata a Hermann, che annuì, smontò da cavallo e disse: “Vado a vedere.” Scomparve a sua volta nella vegetazione.
Calò di nuovo il silenzio. Ancora in sella, il cavaliere si limitò ad appoggiare le mani all'arcione e ad allentare le redini. Si girò verso il barone von Obenstein, che sentendosi osservato alzò gli occhi su di lui e chiese: “C'è pericolo?”
Non è mai consigliabile abbassare la guardia,” rispose l’altro laconico. “Io e il mio confratello siamo responsabili di voi, quindi è nostro dovere proteggervi.”
Pochi istanti dopo, si udì il ragazzo gridare: “Guardatemi, padre!” La voce proveniva dall’alto.
Adalrich si voltò e lo vide stagliarsi alla sommità della parete di roccia. Salutava facendo ampi gesti con un braccio. “C’è un sentiero per salire fin qui!” esclamò trionfante.
Il cavaliere strinse le labbra senza dire nulla, era sicuro che quello stupido bellimbusto si fosse dileguato in mezzo alle piante per il solo gusto di farsi inseguire da qualcuno obbligato a vigilare sulla sua incolumità.
È bellissimo quassù!” stava gridando frattanto il ragazzo, “Dovete assolutamente venire a vedere, c’è una vista magnifica.” Il suo noncurante vociare spinse Adalrich ad aggrottare le sopracciglia.
Ulrich von Obenstein smontò a sua volta da cavallo e disse: “Vieni giù, Konrad, non vorrei che ti facessi male. E poi i fratelli cavalieri dicono che non è bene abbassare la guardia.”
Non siamo mica in guerra, padre. Ho dato sfogo alla natura e ora do sfogo alla mia curiosità. Che c’è di male?”
Corse su e giù lungo il crinale, pericolosamente vicino al bordo. Di nuovo, fratello Adalrich aggrottò le sopracciglia con disapprovazione. “Vado a prenderlo,” ringhiò infine, smontando anche lui da cavallo.
È solo il suo modo di scherzare, cavaliere,” si sentì in dovere di specificare il padre.
Un modo di scherzare piuttosto irresponsabile. Questo luogo è antico e non sempre solido come appare.”
Non aveva finito di parlare che si udirono un rombo cupo di pietre che crollavano e un grido del ragazzo.
Konrad!” urlò il barone von Obenstein, quindi si lanciò di corsa nella direzione in cui il figlio si era allontanato.
Subito dopo comparve sul crinale anche Hermann, che disse: “Lega i cavalli da qualche parte, poi porta su la lanterna e la corda.”

Quando Adalrich raggiunse gli altri, scoprì che fortunatamente non c’era bisogno della corda: correndo su e giù, il ragazzo aveva fatto crollare la volta di una delle antiche chiese, ed era caduto dentro. Il volo però era stato molto breve, e le pietre rotolando giù avevano creato una sorta di rampa tramite la quale si poteva scendere nella camera anche senza ausili.
Il giovanotto era già in piedi, e a parte la polvere sui vestiti, sembrava non avesse riportato gravi danni.
Konrad, sei ferito?” chiese comunque il padre, infilandosi tra i due cavalieri per riuscire a vedere meglio. Si protese sulla cavità.
Dal basso, il ragazzo lo rassicurò: “Sto bene, padre. La Vergine Maria deve avermi protetto, non mi sono fatto nulla.”
Mentre i due parlavano, Adalrich scese con cautela. Se la luce era scarsa vedeva meglio degli altri, e nonostante la camera fosse quasi buia, non aveva bisogno della lanterna. Osservò l’ambiente: protetti per secoli dalle intemperie, gli affreschi delle pareti erano così vividi che sembrava fossero stati appena dipinti. Dietro l’altare vi erano un’immagine della Vergine, una del Cristo e una dell’Arcangelo Michele, rappresentato nell’atto di trionfare sul demonio. Le altre pareti erano coperte di scene bibliche.
Il cavaliere fece qualche passo nella piccola chiesa, si guardò intorno alla ricerca della porta e quando l’ebbe trovata aggrottò le sopracciglia perplesso. “È murata,” constatò.
Da fuori giunse la voce di Hermann: “Cosa, è murata?”
La porta. E anche le finestre. Ecco perché non si vedeva da fuori.”
Fammi vedere.” Scesero tutti nella chiesa. Il barone von Obenstein portò la lanterna accesa, e la fece girare tutt’intorno.
C’è qualcosa là in fondo,” disse Konrad indicando un angolo particolarmente buio.
Dove?”
Là. Si direbbe una cassa.”
Tutti si avvicinarono. In effetti si trattava di una cassa di legno, ancora robusta nonostante i secoli di abbandono. Era coperta da uno strato di polvere e chiusa da corde che una volta dovevano essere state robuste, ma ormai risentivano dell’azione inesorabile del tempo.
Le dimensioni erano quelle di una bara.
I quattro si guardarono perplessi. “Una sepoltura?” azzardò Hermann.
Ora vediamo,” rispose Adalrich, quindi sguainò la spada e recise quel che restava dei canapi, poi insinuò la lama sotto il coperchio e lo sollevò.
Non appena il contenuto della cassa fu visibile, nessuno degli astanti poté trattenere un’esclamazione di stupore: si trattava di un corpo incorrotto. Aveva la pelle scura e lucida come cuoio conciato, era di spaventosa magrezza, ma per il resto sembrava che si fosse appena addormentato. Pareva strano non vedere il petto che si alzava e si abbassava negli atti del respiro.
Era vestito di abiti di lino che il tempo aveva ormai ridotto a garze impalpabili, portava intorno al collo quel che rimaneva di una stola ricamata e in cintura aveva una fascia di stoffa annodata come una specie di cilicio. Le mani erano giunte sul petto e tenute insieme con una catena dalla quale pendevano una croce e un ciondolo di cristallo di rocca in cui era sigillato un cartiglio.
Adalrich si chinò per osservare meglio la misteriosa salma: aveva un volto scavato, ascetico, dall’espressione austera. Diversamente da ogni cadavere mummificato che aveva visto sino a quel momento, aveva le palpebre bombate e non incavate, il che significava che i globi oculari avevano conservato il loro turgore. Anche le labbra, per quanto sottili, non sembravano disseccate come normalmente accadeva.
Le mani avevano le unghie lunghe e adunche, ma la cosa non lo stupì più di tanto: era ben noto che unghie e capelli continuavano a crescere per settimane dopo che il cadavere era stato sepolto.
Prese fra le dita il ciondolo di cristallo di rocca: il cartiglio che conteneva recava una scritta in greco. “Athanasios,” lesse ad alta voce, con qualche difficoltà per le lettere ormai sbiadite.
Seguì un lungo silenzio. La luce danzante della lanterna guizzava sul volto immobile e scuro, conferendogli una parvenza di vita che al cavaliere parve piuttosto sinistra.
Infine fu Konrad a rompere il silenzio. “Io credo, padre, che questo sia un miracolo,” proferì in tono solenne.
L’uomo si riscosse dalla contemplazione e lo guardò stupito.
Un miracolo,” insisté l’altro caparbio. “È stata la Vergine Maria a muovere i miei passi fino a questa chiesa: vuole che il corpo incorrotto di Sant’Atanasio sia traslato nella chiesa di Dürnau.”
Sant’Atanasio?”
È scritto nel cartiglio. Non può essere che lui, padre.”
Intervenne a questo punto Adalrich: “Sant’Atanasio morì ad Alessandria, e poco dopo la sepoltura il suo corpo scomparve.”
Konrad lo guardò storto, poi indicò la cassa. “Ecco dov’era. Probabilmente è stato portato via per sottrarlo allo scempio degli infedeli ed è stato nascosto in questa chiesa, che successivamente è stata murata per far sì che nessuno potesse trovarlo.”
È un miracolo,” confermò il barone, contagiato dall’entusiasmo del figlio, poi si inginocchiò assieme a lui e giunse le mani in preghiera.
Alle spalle dei due pellegrini, Adalrich fece un cenno al confratello e gli indicò l’apertura da cui erano entrati. Si inerpicarono sulle pietre e uscirono sul crinale, dove frattanto il sole si era fatto ancora più cocente. “Tu che ne dici?” chiese poi quando furono all’esterno.
Hermann alzò le spalle. “Non saprei. Forse dovremmo andare a chiamare il priore, o magari il Gran Maestro, se può venire.”
Tu credi che si tratti veramente di Sant’Atanasio?”
Non lo so. Però quel corpo è molto strano. Non sembra nemmeno morto.”
L’ho notato anch’io. E mi chiedo perché si trovi lì.”
Forse è veramente una sacra reliquia.”
Potremmo far venire qui il nostro sacerdote, lui riuscirà a capirlo.” Detto questo, il cavaliere si tirò nuovamente il cappuccio fin sugli occhi.
Ti dà molto fastidio?” s’informò premurosamente l’altro.
Oggi il sole è davvero forte.”
Hermann alzò gli occhi verso il cielo, che a causa della calura era ormai quasi bianco, e disse: “Senti, io vado a Starkenberg ad avvisare, tu rimani qui a fare la guardia ai nostri ospiti, così magari te ne stai un po’ all’ombra dentro quella specie di chiesa.”
Non voglio che la mia condizione mi impedisca di fare il mio dovere.”
Ah, smettila. Tu sei molto più bravo di me con la spada, quindi la cosa più logica è che tu rimanga qui con gli ospiti e io vada a chiamare il sacerdote. Torno prima che posso.” Senza attendere risposta andò ai cavalli.

Inginocchiato davanti alla cassa, Konrad teneva le mani giunte e ogni tanto guardava di sottecchi il genitore, che stava pregando in silenzio.
Non sapeva se fosse stata davvero la Santa Vergine a suggerirgli di mettersi a saltellare su una volta pericolante, né sapeva se quello che stavano contemplando fosse davvero il corpo di un santo. Quello che gli era ben chiaro era che in fin dei conti a nessuno interessava veramente se le sante reliquie fossero davvero sante, l’importante era che si potessero venerare.
Una volta il suo maestro di retorica gli aveva raccontato che c’erano più pezzi della Vera Croce nelle chiese d’Europa che pulci addosso a un cane. Questo perché alla gente piaceva avere delle reliquie, davano un’idea di concretezza, facevano capire anche ai più ignoranti che le storie della Bibbia, dei Vangeli e dei Santi non erano solo vane chiacchiere.
Sollevò lo sguardo sulla salma, che così scura e ossuta dava un’idea di misticismo ascetico. La immaginò sull’altare maggiore della chiesa di Dürnau, in un’adeguata teca di cristallo adornata di gemme. Tutti sarebbero accorsi per ammirarla e per pregare. E per lasciare offerte, naturalmente, una parte delle quali sarebbe spettata di diritto al feudatario.
Io credo, padre, che questo sia un miracolo della Santa Vergine,” ripeté mantenendo le mani giunte, “dobbiamo riportare questo santo in terra cristiana.”
Certo, figlio. Quando torneremo dal nostro pellegrinaggio lo porteremo in patria.”
Konrad si girò accorato verso di lui. “No, padre, dobbiamo farlo adesso. La Vergine me l’ha fatto trovare adesso. Se avesse voluto farci andare al Santo Sepolcro, ce l’avrebbe fatto trovare al ritorno.” Fece una pausa, che utilizzò per lanciare uno sguardo affettuoso al corpo rinsecchito, quindi aggiunse: “La Vergine ripone in noi la sua fiducia.”
Vide il padre annuire commosso.
Tornò a raccogliersi in preghiera, pensando frattanto che il suo maestro di retorica sarebbe stato fiero di lui.
Sentì sulla nuca il tipico pizzicore di uno sguardo altrui. Si girò e vide che il cavaliere dai capelli bianchi lo stava fissando.
Per un attimo ebbe l’impressione che quelle iridi metalliche appartenessero alla coscienza. Il pensiero comunque non durò che un istante: in fin dei conti, cosa stava facendo di male? Sarebbero tornati a casa, avrebbero evitato tutti i pericoli della Terra Santa e in più avrebbero riportato una preziosissima reliquia, che avrebbe donato lustro e ricchezze a Dürnau e ai von Obesntein.
E in più, con i soldi dei pellegrinaggi avrebbe potuto finalmente coronare il suo sogno, ovvero studiare a Bononia e a Parigi.

§

Fu solo a pomeriggio inoltrato che una delegazione di sacerdoti e cavalieri arrivò da Starkenberg per esaminare la santa reliquia.
Per primo fece il suo ingresso nella chiesa padre Georg, che teoricamente era un mite agnello del Signore dedito al sacerdozio, e in pratica aveva passato a fil di spada più nemici di Dio di molti fratelli cavalieri. Si avvicinò al sarcofago spolverandosi la veste talare, che si era sporcata nel discendere la rampa di pietre smosse, quindi appoggiò la sinistra sul pomo della spada che portava al fianco e si rivolse al ragazzo: “Sei tu che l’hai trovato?”
Konrad si alzò rapido e dovette piegare un po’ all’indietro la testa per guardare in volto l’imponente religioso. “Sì, padre,” rispose subito. “Io dico che è stato un...”
Lo vedremo subito, cos’è stato,” lo interruppe brusco il prete, quindi lo spostò da una parte e chiese: “È questo?”
Sì, padre.”
Il religioso si inginocchiò. Indifferente agli sguardi carichi di aspettativa dei due nobili e dei cavalieri che nel frattempo erano entrati nella chiesa, si prese tutto il tempo per esaminare il corpo. Osservò dapprima i monili e gli abiti, decretando che per foggia e stato di conservazione non potevano avere meno di cinquecento anni. Un mormorio di meraviglia passò tra gli astanti.
In seguito, insinuò due dita sotto le mani giunte del cadavere e le sollevò leggermente. Con stupore di tutti, esse cedettero senza quasi opporre resistenza. “È un miracolo,” mormorò qualcuno.
Fate silenzio,” replicò ruvido padre Georg. “Anzi, fate una cosa: uscite tutti. Devo compiere le mie osservazioni in pace.”
Ma padre...” azzardò Konrad.
Anche tu. E lascia qui la lanterna, prima di andartene.”

All’ombra di un sicomoro, la schiena appoggiata al tronco, Adalrich osservava l’affaccendarsi della gente intorno alla chiesa rupestre. “Sembrano formiche intorno al loro nido,” disse.
Hanno solo trovato qualcosa di diverso dal solito,” rispose Hermann.
Il Gran Maestro non è venuto?”
Quando sono arrivato era già partito per Acri. Una questione urgente, mi hanno detto.”
Adalrich emise un sospiro. “Peccato, ci avrei tenuto a conoscere il suo parere.”
Tu pensi che quello non sia veramente un santo?”
Non lo so. Teoricamente si dovrebbe provare beatitudine di fronte a una santa reliquia, giusto? Sensazione di pace, di vicinanza col Signore.”
E tu non l’hai provata?”
L’altro strinse i denti, i suoi lineamenti squadrati si fecero ancora più duri. “Il contrario, direi. Qualcosa di simile a un senso di aspettativa funesta, come quando sta per succedere qualcosa di brutto.” Fece una pausa che utilizzò per contemplare gli astanti, molti dei quali già raccolti in preghiera, quindi continuò: “E non capisco se davvero la mia sensazione sia giusta, oppure se sia la mia natura che rifugge il Signore, e quando è al cospetto di una santa reliquia si contorce come una specie di serpe nell’avvicinarsi al fuoco.”
Hermann lo fissò stupito. “Ma che stai dicendo?”
È… per come sono fatto. Forse la mia reazione di fronte a quella santa reliquia è la riprova della mia natura diabolica.”
L’altro lo afferrò per le spalle, lo costrinse a guardarlo in faccia. “Tu porti la croce sul petto, Adalrich,” gli disse. “Hai votato la tua vita a Dio, hai sparso il tuo sangue per lui. Credi forse che il Signore ti avrebbe accettato nelle sue schiere, se la tua natura fosse diabolica?”
L’altro si svincolò dalla presa e volse lo sguardo altrove. Come avrebbe potuto il biondo, solare, allegro e cortese Hermann capire? Lui era una persona fiduciosa, onesta e soprattutto onorevole. Guardava al cuore del prossimo, non alla sua apparenza esteriore, e nella sua limpidezza non lo sfiorava nemmeno l’idea che altri potessero non farlo.
Non sapeva cosa volesse dire avere un aspetto che spingeva la gente a farsi il segno della croce, o ad arretrare come di fronte a un appestato.
Adalrich, mi ascolti?” La voce di Hermann lo distolse bruscamente dai suoi pensieri.
Sì, sì...” fu la risposta.
No, tu non mi ascolti,” sentenziò l’altro. “Ho appena detto che sta arrivando un carro, per trasportare la cassa a Starkenberg.”
In quel momento, padre Georg apparve sul crinale. Di nuovo si spolverò la veste, quindi scosse la testa e si incamminò per scendere.
Non sembra molto soddisfatto,” osservò Adalrich.
Hermann alzò le spalle e rispose: “Non vuol dire niente. Padre Georg non sembra mai soddisfatto. Dicono che anche all’assedio di Damietta, quando l’Ordine fu decorato sul campo per il valore dimostrato in battaglia, abbia trovato qualcosa per cui protestare.”
Con un gran frusciare di foglie, si fece avanti con ampie falcate il religioso. “Non avete niente da fare, voi due?” li apostrofò, vedendoli fermi sotto l’albero.
Stiamo aspettando voi, padre,” rispose compunto Hermann.
Non fare il furbo con me, cavaliere,” ringhiò l’altro, ma si vedeva che stava ridendo sotto i baffi.
Si fece avanti Adalrich. “Allora, padre?”
Il prete si pose i pugni sui fianchi e si erse in tutta la sua rispettabile altezza, senza peraltro arrivare a quella del suo interlocutore. “Allora che cosa, cavaliere?”
Quel corpo. È una santa reliquia o no?”
Da una parte sperava che lo fosse, ovviamente, ma dall’altra quasi si augurava che il sacerdote dicesse di no. Come avrebbe potuto spiegare, altrimenti, la sensazione orribile che l’aveva pervaso da quando aveva aperto la cassa e ancora non voleva abbandonarlo?
È materia complessa,” rispose padre Georg. “Ci sono elementi a favore, ma ci sono anche cose che non quadrano per nulla. Dovrò fare altri studi, e probabilmente dovrò chiedere il parere del vescovo. E ora avete qualcosa da bere? Oggi è un caldo infernale.”
Hermann gli porse una borraccia.

§

Fratello Adalrich si svegliò di soprassalto. Spalancò gli occhi con un sussulto e per qualche istante si guardò intorno ansimando. A parte il russare di qualche confratello, la camerata immersa nel silenzio. Il piccolo lume che doveva rimanervi sempre acceso stava ormai languendo prossimo a spegnersi, il che significava che entro breve sarebbe arrivata l’alba.
Si passò una mano fra i capelli sudati, quindi raccolse l’involto dei suoi vestiti e silenziosamente imboccò la porta.
La notte era fresca, le stelle erano così luminose che davano l’impressione di poter essere raggiunte semplicemente alzando una mano. Da qualche parte gorgheggiava un usignolo.
Il cavaliere salì sugli spalti, poi si appoggiò al bastione e lasciò vagare lo sguardo sulla pianura. Da quando il corpo era giunto a Starkenberg, non c’era notte in cui non si destasse in preda all’angoscia dopo aver fatto un sogno terribile.
Non riusciva a ricordare il sogno, ma era certo che fosse sempre lo stesso.
Un rumore lo fece voltare di scatto: dei passi si stavano avvicinando. “Hermann?” chiese, certo di aver riconosciuto l’andatura.
Non dormi, Adalrich?” gli giunse dal basso la voce del confratello.
Vieni su,” disse l’altro per tutta risposta. Hermann lo raggiunse, e quando fu al suo fianco ripeté la domanda.
Faccio sogni strani,” sospirò Adalrich.
Di che genere?”
Non lo so. Brutti, comunque.”
E da quando in qua? Hai sempre dormito come un sasso, persino alla viglia delle battaglie.”
L’altro emise un sospiro. “Da quando il corpo è arrivato qui. Di giorno ho un senso di oppressione che non mi abbandona mai, e di notte faccio questi sogni.”
Ma cosa sogni, esattamente?”
Te l’ho detto, non lo so. Però mi sveglio agitato, e devo uscire all’aria fresca.”
Ne hai parlato con padre Georg?”
Lo sai com’è fatto. Mi ha detto che l'ozio è il padre dei vizi, che mi devo stancare di più durante il giorno, così poi quando è ora dormirò sicuramente meglio.”
I due rimasero in silenzio per un po’, ascoltando i rumori della notte, quindi Hermann disse: “Domani arriverà il vescovo, finalmente.” Lasciò passare qualche istante, poi soggiunse: “Sai, neanche a me piace l’idea di avere una cassa con un cadavere qui al castello, anche se è chiusa in una stanza di cui solo il priore ha la chiave. Niente sacramenti, niente funerale. Mah...”

§

Un servo si affacciò sul cortile dove i cavalieri si stavano allenando con la spada e disse: “Fratello Adalrich, fratello Hermann, il priore chiede di parlare con voi.”
Subito i due rinfoderarono le armi e abbandonarono il luogo per andare a togliersi l’usbergo e prepararsi.
Poco dopo, si diressero verso lo studio di fratello Burkhard. Nel corridoio che conduceva a esso incrociarono Padre Georg. Di solito il sacerdote non aveva un carattere particolarmente amabile, ma in quel momento appariva addirittura furioso. Quando si accorse dei due, si immobilizzò e disse: “Quant’è vero Iddio, certa gente non capisce nulla. Prove inoppugnabili, dice, certezza assoluta. La certezza di essere una bestia senza cervello, dico io.”
I due si scambiarono un’occhiata perplessa. Non erano nuovi alle sfuriate del sanguigno sacerdote, ma di solito si capiva almeno l’argomento della requisitoria.
Il prete, comunque, imperterrito proseguì: “Viene da Acri in pompa magna con tanto di pastorale, si ferma giusto il tempo per far riposare i cavalli, dà un’occhiata a quello là e se ne va dicendo che sicuramente siamo di fronte a una santissima reliquia, che va portata in Germania senza indugio. Bah! Sapete cosa farei io, senza indugio? Ah, bocca mia, taci.”
Se ne andò a grandi passi, le mani allacciate dietro la schiena, continuando a imprecare.
I due cavalieri si voltarono per un attimo a seguirlo con lo sguardo, quindi andarono allo studio del priore, bussarono ed entrarono. Fratello Burkhard li accolse con affabilità, quindi disse: “Ho un compito da affidarvi.”
I due rimasero in silenzio.
Il vescovo ha decretato che la reliquia di Sant’Atanasio deve essere traslata in Germania prima possibile,” spiegò. I due notarono che neanche lui sembrava particolarmente convinto dalla faccenda. “È necessaria una scorta, quindi partirete voi due, il sergente Dorn e venti uomini.”
Adalrich si limitò ad annuire con un secco cenno del capo. “Quando?” chiese.
Partirete domani.”

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ciao cari/e,
per prima cosa vorrei ringraziare chi ha avuto l’abnegazione di sciropparsi il precedente capitolo, ovvero morgengabe, fiore di girasole, Saelde_und_Ehre, Syila, molang, Jordan Hemingway, innominetuo, LyaStark, miciaSissi, Crilu_98 e Dark_sky114.
Spero che resisterete, io faccio il tifo per voi!^^






Capitolo 3

Le ultime miglia prima di arrivare a Dürnau furono un tripudio di campane che suonavano, fiori gettati sulla strada e case ornate di drappi colorati come per la processione del Corpus Domini.
La voce era corsa, complice anche il messaggero che era stato inviato a portare la notizia, per far sì che fosse tutto pronto all'arrivo della santa reliquia, e la gente festante salutava il passaggio del convoglio.
Fratello Adalrich e fratello Hermann procedevano ai due lati del carro che trasportava la cassa, anch'esso ornato e inghirlandato per l'occasione.
Il primo era particolarmente torvo. A Starkenberg, più o meno tutti si erano abituati al suo aspetto, ma nei mesi di viaggio da San Giovanni d'Acri alla Germania era stato un continuo di gente che indietreggiava spaventata o si faceva il segno della croce al suo passaggio. E quello era il più piccolo dei problemi.
L'altro – il maggiore – era il suo personale rapporto con quello che c'era, o si supponeva ci fosse, all'interno della cassa.
I suoi sogni erano andati peggiorando con il passare dei giorni. Rimanevano sempre indistinti, ma adesso riusciva in qualche modo a coglierne gli elementi principali: c'era qualcosa che uccideva delle persone, e lui per qualche motivo non riusciva a fermarlo.
Aveva smesso di parlarne per non far preoccupare Hermann, ma notte dopo notte il carico di angoscia si faceva sempre più pesante da sopportare.
La preghiera peraltro non lo aiutava. Vi si dedicava con regolarità, ma a parte un sollievo momentaneo, non riusciva a trarre da essa altri vantaggi.
Fece girare intorno uno sguardo cupo. Il ragazzo, Konrad, trottava su e giù lungo la colonna salutando e stringendo le mani che si protendevano verso di lui, specialmente se si trattava di mani femminili. Il barone von Obesntein invece dava prova di maggiore compostezza, forse a causa della sua età. Procedeva in testa al gruppo, limitandosi a ringraziare quando qualcuno gli porgeva fiori o li infilava nei finimenti del suo cavallo.
Tutti gli animali peraltro, anche i buoi che tiravano il carro, erano così adornati di rose e margherite che quasi non si vedeva più il colore del loro manto. Anche i soldati ricevevano abbracci e pacche sulle spalle dalla gente festante.
Gli unici che rimanevano in un certo senso preservati da tali manifestazioni di entusiasmo erano proprio lui e Hermann. Il manto bianco, la croce nera e l'usbergo mettevano in soggezione, e nessuno aveva il coraggio di avvicinarsi troppo ai loro imponenti destrieri.
Solo una ragazza, più spavalda delle altre, con le trecce bionde raccolte sul capo e ornate con i nastri della festa, si svincolò dalla presa di quella che doveva essere la madre, corse verso Hermann e gli tirò piano la falda del mantello. Quando il cavaliere abbassò lo sguardo su di lei, ella gli porse timidamente un mazzetto di fiori di campo.
L'altro rimase per un attimo interdetto, non sapendo se prenderlo o no, poi le rivolse un sorriso e accettò il piccolo omaggio, giusto un attimo prima che la madre afferrasse la giovane per una manica e la tirasse bruscamente indietro.
Adalrich si voltò a guardarla e la vide ridacchiare con un'altra ragazza, forse una sua amica, fiera dell'impresa compiuta.
In quel momento, qualcosa come una vertigine lo costrinse a chiudere gli occhi per un attimo. Quando li riaprì, c'era una vecchia che con la mano ossuta teneva una redine del suo destriero. La cosa lo stupì, perché di solito l'animale non si faceva avvicinare dagli estranei. L'anziana donna, con i capelli grigi raccolti in una treccia e un lungo abito nero, sollevò lo sguardo fino a incontrare il suo e sussurrò: “Cavaliere di Ghiaccio, figlio dell’inverno, io vedo i tuoi sogni. Lui arriverà, ma la tua croce non potrà fermarlo.” Rapida intrecciò qualcosa alla testiera del cavallo, e poi scomparve.
Di nuovo, Adalrich scosse il capo stranito mentre la vista gli si annebbiava per un attimo. Fece per cercare la donna, ma non ve n'era più traccia. Legati ai finimenti c'erano dei fiori gialli: iperico, o erba di San Giovanni, un noto rimedio popolare contro le influenze del Demonio e la stregoneria.

Fu quasi grato al barone von Obenstein, quando decise che si sarebbe fermato a Waldheim perché invitato a pranzo dal castellano del luogo.
Naturalmente avrebbero dovuto partecipare al pasto anche lui e Hermann, mentre i soldati e il resto della scorta avrebbero trovato ristoro presso il convento, ma almeno si sarebbero fermati un po'. Lo strano incontro con la donna vestita di nero l'aveva lasciato scosso. Per tutto il tragitto non aveva fatto altro che fissare i fiori gialli che dondolavano appesi alle redini, e si sentiva esausto come se avesse combattuto per ore e ore.
Smontò da cavallo e per un istante dovette afferrarsi alla criniera. I fiori continuavano a ondeggiargli davanti agli occhi come lingue di fuoco.
Cos'hai?” la voce preoccupata di Hermann lo fece quasi sussultare.
Niente, non preoccuparti.”
Hai l'aria di uno che ha visto un fantasma.”
Adalrich fece un sorriso tirato. “Per caso mi vedi pallido?”
E dai.” Hermann gli diede un pugno scherzoso sulla spalla. “Lo sai cosa intendo.”
L'altro si tolse l'elmo alla normanna, si fece scivolare all'indietro il cappuccio di maglia e per un attimo rimase a occhi chiusi con il capo piegato all'indietro. “Ho incontrato una strana donna,” disse infine, “che mi ha guardato e ha detto che vedeva i miei sogni. Poi mi ha dato quei fiori.” Indicò l'iperico. “Da allora mi sento così.”
Hermann lo scrutò preoccupato. “Stregoneria?” mormorò. Si guardò intorno con aria guardinga, come se temesse di veder spuntare da qualche parte la vecchia vestita di nero.
Adalrich scosse la testa. “Io credo che volesse aiutarmi. L'erba di San Giovanni è benefica. Mi ha detto anche una cosa strana.”
Che cosa?”
Che lui arriverà, ma la mia croce non potrà fermarlo.”
Lui, chi?”
Non lo so.”
Hermann aggrottò le sopracciglia. “Non mi piace,” ringhiò. Stava per aggiungere altro quando si udì una vigorosa voce maschile che chiamava: “Cavalieri!”
Si voltarono: un uomo alto, dall'aspetto raffinato, in paramenti da ciambellano, li stava fissando. “Fratelli cavalieri,” ripeté, “il mio signore, il barone Otto von Neitschütz, sarebbe onorato se voleste sedere alla sua tavola.”
L'onore è nostro,” rispose Hermann per entrambi, “dite al vostro signore che arriveremo non appena avremo controllato la sistemazione dei soldati e della santa reliquia.” Quando l'uomo se ne fu andato, chiese al compagno: “Te la senti di mangiare?”
Sì, non preoccuparti.”

Tra portate e racconti, il pranzo si protrasse fino al pomeriggio inoltrato, e il barone von Neitschütz volle offrire a tutti ospitalità per la notte.
Ai cavalieri era stata assegnata una stanza molto semplice, con due letti, un tavolino e lo stretto necessario. L’unico ornamento che essa conteneva era un’immagine della Vergine appesa alla parete, sotto la quale si trovava una piccola mensola con un vaso che conteneva dei fiori d’iperico.
Rispetto alla camerata di Starkenberg, ai due parve comunque di un’opulenza straordinaria.
Adalrich si guardò intorno, poi tastò il letto con l’aria di non averne mai visto uno in vita sua.
Che c’è?” volle sapere Hermann.
È… molle.”
L’altro emise un sospiro. “È un normalissimo letto. Vacci dentro e dormi.”
Ma il confratello continuava a indugiare. Versò altro olio nel lume, controllò che la finestra fosse chiusa. Raddrizzò l’immagine sacra, che secondo lui era un po’ storta.
Adalrich?”
Sì?”
Si può sapere perché non ti decidi ad andare a letto? Eppure dovresti essere stanco.”
Io… penso che andrò a prendere una boccata d’aria.”
Mettiti il mantello, qui non siamo in Terra Santa.”
A quelle parole, l’altro si sedette finalmente sul letto, giunse le mani in grembo ed emise un sospiro. “Lo so.”
Hermann si mise a sedere a sua volta, appoggiando i piedi sul pavimento in modo da essere faccia a faccia con lui. “Ti dispiace di non essere più là?” gli chiese con voce sommessa.
Il confratello chinò la testa. “Sì.”
Perché?”
Non lo so. Qui non mi sento più a casa mia. Forse non mi ci sono mai sentito.”
Seguì un lungo silenzio, così profondo che l’unico suono che si udiva era il lieve crepitare della fiammella. Alla fine Hermann buttò lì: “Quanto tempo è che ci conosciamo? Quattro anni? Cinque?”
Di più. Eravamo novizi insieme.”
E quante volte ci saremo salvati la vita a vicenda? Tu più di me, per la verità.” Sorrise.
Non mi ricordo più.”
Parecchie, vero?”
Adalrich annuì. “Già.”
E non so nemmeno qual è il nome della tua famiglia.”
L’altro alzò gli occhi e li fissò nei suoi. Aggrottò appena le sopracciglia, le sue labbra si strinsero fino a diventare una linea sottile. “È importante?” chiese alla fine.
Hermann distolse lo sguardo. “No, è che io... insomma, ci conosciamo da tanto tempo, siamo come fratelli, e...”
Nell'Ordine siamo tutti fratelli,” lo interruppe Adalrich con voce fredda.
Di nuovo calò il silenzio. Hermann fissò l'amico, quindi si alzò, si rivestì sommariamente, si mise sulle spalle il mantello e propose: “Vogliamo andare a prendere quella famosa boccata d'aria?”
Senza attendere risposta mise anche a lui il manto sulle spalle e lo tirò per un braccio per convincerlo ad alzarsi. Adalrich lo lasciò fare. Pensieri indegni di un cavaliere gli saettarono per la testa: che Hermann gli stesse vicino per carità cristiana, che volesse conoscere le sue origini per qualche forma di morbosa curiosità, per capire da dove mai potesse arrivare uno con il suo aspetto. Si obbligò a distogliere la mente.
Ora andiamo,” si fece udire la voce dell'altro, richiamandolo alla realtà.
Lo seguì docile, quasi vergognandosi di quello che aveva pensato solo un attimo prima: Hermann era una persona troppo limpida per attribuirgli sentimenti così meschini. Si chiese se fosse la sua natura distorta a suggerirgli idee così malsane.
Sei sempre il solito: non mi stai ascoltando.” La voce dell'amico lo richiamò ancora una volta alla realtà.
Scusami.”
Stavo dicendo che questi corridoi sembrano il labirinto di Minosse.”
Già. Certo.” Adalrich notò che l'altro aveva abbandonato l'argomento delle ascendenze non appena aveva capito che la cosa gli dava fastidio.
Trovarono finalmente una porta che conduceva all'esterno. Nonostante fosse primavera inoltrata, la notte era fresca. Spirava una brezza leggera, carica di profumi ai quali ormai non erano più abituati. Raggiunsero gli spalti, e da lì rimasero a contemplare il paesaggio, morbide colline coperte di foreste, illuminato dalla luce lunare.
Per lunghi minuti rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, poi, come parlando a se stesso, Adalrich cominciò: “Non ti ho mai detto il nome della mia famiglia semplicemente perché non so quale sia. Fui abbandonato in fasce davanti alla chiesa di Dachwig, in Turingia, e furono il conte e la contessa von Hohenberg ad allevarmi come loro figlio. Lo sa Dio quello che hanno dovuto sopportare per causa mia.”
Perché?”
L'altro emise uno sbuffo infastidito. “Lo vedi anche tu come sono fatto. Se quei due bravi cristiani avessero ricevuto un Pfenning per tutte le volte che sono stato definito figlio di Satana e frutto di stregoneria, e per tutte le volte che si sono sentiti consigliare di annegarmi nel fiume, a questo punto abiterebbero in un palazzo tutto d'oro come l'Imperatore di Bisanzio.” Emise un sospiro. “Comunque, evidentemente la Vergine Maria ha voluto ricompensare quelle brave persone per la loro carità cristiana: poco tempo dopo il mio arrivo, la contessa riuscì finalmente a concepire e partorì un maschio. Nemmeno allora si liberarono di me.”
Lo credo bene,” replicò Hermann, “sei loro figlio.”
Adalrich si voltò verso di lui, e lapidario rispose: “Non direi proprio.” Fece un cenno a due sentinelle, che avevano interrotto il loro giro di ronda per scrutarli da lontano, poi riprese: “Fui io a liberarli della mia presenza appena ebbi l'età sufficiente per farlo. Dopo tutto quello che avevano fatto per me, glielo dovevo. Scelsi di entrare nell'Ordine, un po' perché la mia infermità a quanto pare non mi impedisce di brandire una spada, e un po' perché speravo che nell'Ordine avrebbero fatto meno caso al mio aspetto.”
Ed è stato così?”
Penso di sì. Ho dovuto sopportare nomignoli come 'neve', 'infarinato' o 'ricotta', ma perlomeno nessuno ha mai proposto di affogarmi o di bruciarmi vivo.”
Hermann gli appoggiò una mano sulla spalla. “Adesso però non ti chiamano più così.”
Non in mia presenza.”
L'altro sorrise. “Lo credo bene.” Poi, dopo una pausa: “E i tuoi li senti ancora?”
Non sono i miei. Comunque sì, mando loro delle lettere. Li informo di come sto e li ringrazio di tutto quello che hanno fatto per me. Non voglio che mi credano un ingrato.”
Non li hai più rivisti?”
No.”
Tornarono a rivolgere la loro attenzione alle campagne. Da qualche parte stava cantando un gufo, si udiva un latrare lontano di cani. Nel cavo dei fossi e sotto gli alberi si vedeva già qualche lucciola.
Dopo un po' Adalrich si rivolse al confratello e con voce sommessa chiese: “E tu, Hermann?”
Cosa?”
Perché sei entrato nell'Ordine?”
L'altro sorrise. “Ora che ci faccio caso, in tutti questi anni non me l'avevi mai chiesto. Sono il terzo figlio di un piccolo feudatario nemmeno tanto facoltoso, mi piace viaggiare e non ho la minima voglia di sposarmi, per cui eccomi qui.” Si inchinò con fare teatrale.
E tu li senti i tuoi?”
Il necessario per non fare la parte del figlio degenere. Adesso è l'Ordine la mia famiglia.”
Anche la mia.”
Hermann sorrise. “Quindi potremmo dire che siamo parenti. Saremo l’uno la famiglia dell’altro, che ne dici?”

§

Il giorno dopo, in pompa magna, la santa reliquia fu traslata finalmente a Dürnau. La strada era più carica di fiori che mai; tutti i paesani, con addosso gli abiti della festa, si assiepavano ai lati di essa; persino nobili di feudi vicini erano accorsi con tutto il loro seguito, e i vivaci colori di cotte d'armi e gualdrappe brillavano sotto il sole.
Preavvertiti dalle missive inviate in Patria, erano presenti sia il vescovo di Norimberga che quello di Fulda, che avrebbero concelebrato il servizio divino.
Il paese, normalmente quieto e laborioso, per l'occasione sembrava essersi trasformato nella piazza di una grande città: data la notizia che il feudatario avrebbe offerto un grande banchetto per ringraziare il Signore di avergli fatto trovare la santa reliquia, si erano dati convegno a Dürnau mendicanti, saltimbanchi e suonatori, venditori ambulanti e semplici curiosi provenienti dai paesi vicini. I bambini correvano su e giù eccitati dalla colorata novità, e senza capire nulla di quello che stava succedendo, cercavano comunque di intrufolarsi nei posti che offrivano una visuale migliore. Fin dal primo mattino, gli anziani avevano collocato sedie ai margini del sagrato, e pervicacemente le occupavano, in modo da non perdere il posto conquistato. Da tutte le finestre pendevano drappi colorati e ghirlande di fiori e foglie intrecciate con lunghi nastri; un chierico vagante era salito sul bordo della fontana e stava illustrando ai presenti, che già facevano capannello, le imprese del glorioso Santo Atanasio di Alessandria.
Apparentemente impassibili di fronte a tanta festosa confusione, i due cavalieri dell'Ordine Teutonico procedevano ai lati del carro che trasportava la cassa. Nel generale tripudio di colori, la severa sobrietà dei manti bianchi e delle croci nere metteva in soggezione. Quando passavano loro, gli strumenti musicali tacevano, i canti si affievolivano e i balli cessavano. Persino i bambini smettevano di fare chiasso, contagiati dal clima di rigore che sembrava circondarli come un’invisibile barriera.
Arrivarono davanti alla chiesa. Per l’occasione le porte erano state spalancate, e l’interno era illuminato da centinaia di candele. L’aria era opaca per le grandi quantità di incenso bruciate.
Padre Caspar, il parroco di Dürnau, si affannava dentro e fuori dal tempio, molto emozionato di avere ben due vescovi pronti a concelebrare una messa solenne.
Quando tutto fu pronto, la cassa fu scaricata con grande attenzione dal carro, e fu portata in chiesa da otto soldati.
A questo punto, arrivarono anche i due alti prelati. Uno si fece portare sul sagrato seduto su una specie di sedia gestatoria papale, l’altro arrivò a cavallo di una mula bianca, con un paio di servi che gli reggevano un parasole sulla testa e un terzo che conduceva la bestia per le redini.
La gente cominciò a sciamare in chiesa per la funzione.
Adalrich fece cenno a Hermann che si sarebbero messi ai lati della porta, ma uscì il barone von Obenstein in persona a chiamarli. “Senza di voi il corpo del santo non sarebbe mai giunto fin qui,” disse, sospingendoli verso la chiesa, “quindi ci tengo che siate al nostro fianco durante la messa.”

Adalrich approfittò dello svolgersi della cerimonia per osservare tutto. Era tornata la sensazione di inquietudine, più forte che mai. Era come trovarsi nel buio completo con la consapevolezza di avere alle spalle qualcuno che invece vedeva benissimo: lui poteva solo percepirlo, ma l’altro, chiunque o qualsiasi cosa fosse, sapeva perfettamente come muoversi per assalirlo.
Fece scorrere lo sguardo sulla navata gremita: davanti c’erano i nobili, vestiti con gli abiti più belli, e poi man mano gente di ceto sempre più basso, fino ai mendicanti, che avevano trovato a fatica un posto in fondo, verso la porta. Notò una giovane donna che si era rintanata in un angolo per allattare il figlio, e un vecchio che nonostante i cori si era addormentato, e se ne stava appoggiato a una colonna con il mento sul petto.
Vide un soldato fare un gesto repentino verso un ragazzotto che ostentava un’aria di perfetta indifferenza. Il giovane sussultò e fece per divincolarsi, ma l’altro gli piegò il braccio dietro la schiena, quindi gli frugò in tasca e ne trasse una scarsella, che restituì al legittimo proprietario. Soldato e ragazzo uscirono dalla chiesa.
Spostò lo sguardo sulla cassa. Essa era stata posata su un supporto ornato di drappi colorati. Il coperchio era stato tolto, in modo che tutti potessero vedere la reliquia che conteneva, ma il corpo era stato coperto da un velo di vera seta di Bononia che celava la maggior parte delle sue fattezze.
Tutt’intorno ardevano i ceri, e la luce danzante delle fiammelle diede di nuovo al cavaliere l’impressione che la figura si stesse muovendo lentamente all’interno del sarcofago. Quasi sussultò quando vide il velo sollevarsi appena, ma poi percepì una leggera corrente d’aria, che faceva increspare l’impalpabile stoffa.
Sul pavimento, accanto al supporto, c’era un sarcofago tutto d’argento, ornato di pietre preziose. Per quanto ricco e splendido, Adalrich sapeva che quello non era il reliquiario definitivo. Nel viaggio di rientro dalla Terra Santa il barone von Obenstein aveva ordinato a Venezia dei vetri di particolare pregio, che in quel momento stavano venendo inseriti in una teca che avrebbe consentito anche la visione del santo.
Cercò con lo sguardo il barone e suo figlio. I due erano inginocchiati a mani giunte. Il primo con la postura ieratica di un padre della Chiesa, il secondo con lo sguardo furbetto di chi ormai ha già saldamente in pugno tutto ciò che si era prefissato di ottenere.
Il suo ruolo, ma soprattutto la Regola che aveva giurato di seguire, deprecavano il pensare male degli altri, ma quel ragazzo metteva a dura prova la sua volontà ogni volta che il suo sguardo si posava su di lui.
Ricordava bene tutte le sue fandonie sul miracolo della Vergine Maria, e l’unica cosa che gli veniva in mente, guardandolo mentre ostentava a beneficio del genitore lo sguardo pio di un pastorello che contempla la Natività, era di frustarlo come avrebbe fatto con un servo sorpreso a rubare.
Era immerso in quei pensieri quando gli parve di notare in mezzo alla folla qualcuno vestito di nero. Si voltò in quella direzione e si trovò a fissare in viso la vecchia del giorno prima. Ella sollevò la mano ossuta, nella quale stringeva un mazzetto di fiori gialli. Fu solo un attimo, poi la gente ondeggiò, alcuni si spostarono e quando nel gruppo tornò la calma non si vedevano più né abiti neri, né trecce canute.

§

La messa era finita, ormai la liturgia aveva ceduto il posto ai festeggiamenti, che erano in corso un po' dappertutto.
Il parroco entrò nella chiesa accompagnato dall’orafo, dal fabbro ferraio, dal falegname con i suoi due apprendisti e dal macellaio. Seguivano alcuni frati del vicino convento.
Poiché ormai era calato il crepuscolo, egli accese due lumi. Uno lo tenne per sé e l’altro lo consegnò al più autorevole degli artigiani, ovvero l'orafo.
Si fermarono tutti intorno alla cassa con il corpo.
Il prete si fece il segno della croce, quindi si avvicinò e tolse il velo di seta, rivelando Sant'Atanasio in tutta la sua legnosa magrezza. Un mormorio passò fra gli astanti.
Ora bisogna metterlo nella teca,” disse.
Tutti si guardarono irresoluti. L’unico che dopo qualche istante si riprese fu il macellaio, che si fece avanti e osservò accuratamente la salma, poi la toccò con un dito e subito lo ritrasse con un’espressione indefinibile.
Che c’è?” gli chiese il fabbro.
Mi aspettavo che fosse rinsecchito.” Poi si girò verso il prete: “Con rispetto, padre.”
Certo, figliolo.”
Si avvicinò di nuovo alla cassa, ne osservò il contenuto con l’occhio dell’esperto, quindi proclamò: “Lo prendiamo in quattro, due dalle spalle e due dai piedi. Non dovrebbe rompersi. Sempre con rispetto, padre.”
Ho capito, figliolo. Fa’ il tuo dovere.”
Sì, padre.”
Sollevarono il corpo, che in effetti si rivelò docile come quello di un dormiente, e lo deposero nella teca ingioiellata. Con reverenza vi stesero sopra un drappo ricamato, quindi si apprestarono a chiudere la cassa con il coperchio.
Il falegname mandò i suoi ragazzi a prenderlo. Certo, il mastro orafo l'aveva coperto di lamine d'argento, bravo lui, ma la struttura, quella solida che avrebbe sfidato i secoli, era fatta di buon legno di quercia lavorato nella sua bottega. Gli apprendisti arrivarono, reggendo con attenzione il pesante oggetto.
Mettetelo su,” ordinò. Poi si voltò verso il prete e, con l'intento di fargli cosa gradita, aggiunse: “E dite un padre nostro, mentre lo fate. Questa è una santa reliquia.”
I due cominciarono obbedienti a recitare la preghiera. Si chinarono per appoggiare il coperchio, ma Hans, quello che si trovava dalla parte della testa, non poté fare a meno di fermarsi a fissare incuriosito quel volto ieratico, così ben conservato che sembrava quasi vivo. Rimase a guardarlo come ipnotizzato, mente il padre nostro si affievoliva fino a diventare un sussurro stentato.
Che fai, dormi?” La voce del mastro falegname lo fece riscuotere bruscamente. Il movimento fu così repentino che gli sfuggì la presa del coperchio, il quale gli cadde imprigionandogli una mano contro il bordo della cassa. Il ragazzo emise un urlo di dolore così forte che riecheggiò in tutta la navata e cercò senza successo di ritrarre la mano. Subito accorsero il fabbro e il falegname, che spostarono il pesante pezzo di rovere liberando il ragazzo.
Hans si era procurato un profondo taglio, dal quale il sangue era sprizzato su tutta la reliquia.
Santo cielo, guarda che cos'hai fatto,” brontolò il suo maestro, fasciandolo alla meglio per arrestare l’emorragia.
Scusate, mastro Oswald,” balbettò il ragazzo, da una parte vergognoso per quello che aveva combinato, ma dall'altra prossimo allo svenimento perché impressionato dal sangue.
Va' in quell'angolo a sederti, mi sembri un cencio!”
Scusate,” ripeté Hans, quindi barcollò via alla meglio e si lasciò cadere seduto alla base di un pilastro. La fasciatura di fortuna si stava già arrossando.
Gli altri tolsero il coperchio. “Che disastro,” grugnì scontento l'orafo. Tutti si guardavano senza saper bene che fare.
Nemmeno il prete, cui i mastri artigiani si volsero in cerca di consiglio, seppe dare istruzioni.
Alla fine fu mastro Kurt, il macellaio, che con grande senso pratico cavò tutti d'impaccio. “A cercare di ripulirlo rischiamo di fare peggio,” disse, “e due gocce di sangue non hanno mai ammazzato nessuno. Ora chiudiamo, e poi ci penseremo quando arriverà la cassa più bella.”
Le gocce per la verità erano ben più di due, ma tutti approvarono con grande sollievo, e fecero come l'uomo aveva suggerito.

Ancora mezzo intorpidito, Hans seguì quello che i mastri artigiani stavano facendo con l'impressione di avere la testa dentro la bambagia. Si passò la mano sana sulla fronte, ritirandola coperta di sudore gelido. Gli mancava il coraggio di guardare cos'era successo a quella ferita.
Gli altri trafficarono ancora un po', poi il falegname si girò verso di lui e disse: “Ce ne andiamo, vedi di muoverti.”
Il ragazzo si alzò alla meglio, appoggiandosi al pilastro. Gli altri si stavano già dirigendo verso la porta, e man mano che le lanterne si allontanavano, la navata di faceva sempre più oscura. Gli parve di udire un cigolio come di legno, e poi un fruscio alle sue spalle. Si voltò e vide un cane.
Pussa via, bestiaccia!” urlò indignato.
Gli altri tornarono indietro. “Che c'è?” chiese mastro Oswald.
Un cane.”
L'uomo sollevò la lanterna per fare luce nella navata ormai buia. “Si sarà infilato dentro quando è entrata la gente. Dov'è andato?”
Di là.”
Nella direzione indicata non c'era nulla. “Sei sicuro di averlo visto?” chiese il falegname.
Il ragazzo accennò di sì con la testa. “Era grande come i mastini del cacciatore, giallo e con delle macchie nere su tutto il corpo.”
Mai visto un cane del genere, secondo me te lo sei sognato.”

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Come sempre, grazie a tutti coloro che hanno dato un'occhiata a questa storia. Poiché tutti gli autori amano i commenti, ringrazio in particolare fiore di girasole, morgengabe, Saelde_und_Ehre, Syila, Dark_sky114, miciaSissi, Me91, innominetuo, TotalEclipseOfTheHeart, PawsOfFire e Spettro94 per avermene lasciato uno^^






Capitolo 4


Non era ancora l'alba quando Udo aprì gli occhi accanto a sua moglie Bertha. Stando attento a non svegliare né lei né i due figli più piccoli, che dormivano insieme a loro, scivolò fuori dalle coltri, raccolse l'involto dei vestiti e andò nella stanza del camino. Accese un lume, quindi frugò nella cenere alla ricerca di braci superstiti. Una volta che ebbe scavato fuori qualche scintilla arancione vi buttò sopra degli sterpi secchi.
Mangiò un pezzo di pane nell'attesa che il fuoco si ravvivasse, poi vi aggiunse qualche bastoncino più grosso e uscì. Il suo apparire fu salutato da un coro di grugniti.
Buoni, buoni,” disse, mentre dava sfogo alla natura, “Adesso papà Udo vi porta a mangiare.”
Finì di fare i suoi bisogni, si sistemò e tolse il paletto a un recinto, dal quale subito si riversò fuori un branco di maiali.
Andiamo nel bosco a cercare le ghiande,” annunciò, quindi prese un bastone che teneva appoggiato al muro per la bisogna e cominciò con quello a spingere gli animali verso la strada.
Il branco sapeva già dove andare, e Udo non doveva fare altro che stare attento a non farlo disperdere troppo. Inspirò soddisfatto e cominciò a fischiettare un'aria, che echeggiava nel silenzio del primo mattino.
Poi all'improvviso si udì un urlo. Qualcosa che non era né umano né animale, un lamento lungo e sinistro che gli fece ghiacciare il sangue nelle vene e spinse i maiali a fuggire stridendo in tutte le direzioni. “Signore Iddio!” esclamò il porcaro, tappandosi le orecchie. Si guardò intorno: il sole non era ancora comparso all'orizzonte, e nella penombra incerta si vedeva troppo poco per capire se ci fosse qualche belva, o per capire dove fossero andati a finire i porci.
Si spostò verso la strada e cominciò a chiamare i suoi animali. Mentre era così impegnato, notò che poco lontano c'era qualcosa per terra. Una sagoma scura e immobile.
Per un po' rimase a guardarla titubante, aveva ancora nelle orecchie quell'orrendo ululato e la paura gli rendeva i piedi più pesanti del piombo, poi pian piano si avvicinò, e quando fu alla distanza giusta si accorse che si trattava di un uomo raggomitolato.
Signore?” chiamò incerto. “Signore? Viandante?”
Nessuna risposta.
Signore?”
Si avvicinò ancora, l'uomo rimaneva immobile, rannicchiato in una specie di viluppo scuro.
Alla fine, Udo si fece coraggio, lo afferrò per una spalla e lo voltò sulla schiena.
Quello che vide gli fece fare uno scomposto salto indietro. Rotolò a terra con un gemito di raccapriccio, quindi si rialzò, si disinteressò del tutto dei maiali e corse in paese più forte che poteva, urlando con quanto fiato aveva in corpo.

§

Era da poco passata l’alba quando il porcaro fu introdotto nella sala delle udienze del barone von Obenstein.
Il pover’uomo stava ancora tremando, ed era pallido come un morto. Mio signore!” esordì prosternandosi, “Mio signore, una belva!”
Il nobile gli si fece più vicino. “Una belva? Dove?”
Ha ucciso un uomo sulla strada per Norimberga.”
Che stai dicendo?”
Von Obenstein cercò di cavare fuori altre notizie al porcaro, ma questi continuava a balbettare di orsi e lupi e sembrava non sentire nemmeno le sue domande.
Alla fine, il feudatario spazientito chiamò il guardiacaccia e alcuni armigeri, poi si risolse ad andare sul posto personalmente.
Quando arrivò, notò per prima cosa un capannello di gente che si scambiava commenti preoccupati. Qualche volenteroso aveva radunato i porci di Udo, soprattutto per impedire che andassero a grufolare intorno alle spoglie. Si palpava il sollievo derivante dal fatto che la vittima era un forestiero.
Ulrich von Obestein scese da cavallo, la folla fece ala al suo apparire. Il nobile ordinò per prima cosa agli armigeri di far allontanare tutti, e i paesani, brontolando sottovoce, si dispersero per tornare alle loro attività.
Successivamente si avvicinò alla vittima, che si trovava ancora nella posizione in cui il porcaro l’aveva lasciata. Si trattava di un uomo sui trent’anni, vestito con dignitosa sobrietà, in uno stile che faceva pensare più a un letterato o a un dottore in legge che a un mercante.
Il volto era cereo, impietrito in una spaventosa espressione di orrore. I capelli di un rosso fiammante, lunghi fino alle spalle, erano arruffati e impiastricciati. La gola era stata squarciata con una forza che non poteva essere umana.
Il barone si chinò per osservarlo meglio, e notò che oggetti di valore e denari erano ancora al loro posto. Il pugnale che il poveretto portava in cintura non era uscito dal fodero, il bastone da viandante giaceva abbandonato poco lontano.
Mentre era assorto nelle sue osservazioni, la voce di Wernhart, il suo capo-guardiacaccia, lo distrasse: “Voi permettete, mio signore?” Si inginocchiò anche lui accanto al corpo e lo esaminò.
Una cosa del genere potrebbero averla fatta dei lupi,” disse dopo un po’, “o forse un orso.” Fece una pausa, si tolse il cappello adorno di una lunga penna di urogallo, si grattò la testa. Poco convinto soggiunse: “Ma adesso non è stagione. Né di orsi né di lupi. Non si avvicinano così tanto al paese, in primavera inoltrata.”
Una lince, allora?” propose von Obenstein.
L’altro si strinse nelle spalle. “Non c’è un’impronta,” disse poi. Si alzò, fece un giro tutt’intorno scrutando il terreno, controllò anche le foglie dei cespugli e i tronchi degli alberi. Scosse la testa, sembrava più perplesso che deluso. “Niente,” concluse lapidario.
Un cinghiale?”
Mio signore, un cinghiale avrebbe lasciato molte più tracce, e data la sua altezza l’avrebbe colpito al ventre.”
Forse l’uomo era chinato per qualche motivo.”
E soprattutto, mio signore, né cinghiali, né linci, né orsi né lupi lasciano la loro preda praticamente intera ma senza più una goccia di sangue in corpo.”
Il Barone lo fissò stupito. “Che stai dicendo?”
Che io sia dannato se non è così, mio signore.” Indicò lo squarcio che la disgraziata vittima aveva sulla gola. “Dov’è finito tutto il sangue che sarebbe dovuto uscire da qui?” Si fece il segno della croce e soggiunse: “Che Sant’Uberto ci protegga tutti, mio signore.”
Il nobile alzò lo sguardo e notò che anche gli armigeri si stavano lanciando l’un l’altro occhiate cariche di preoccupazione. La cosa lo fece quasi sorridere: soldati che scendevano in guerra senza la minima esitazione, si ammucchiavano come pecore tremanti di fronte a un guardiacaccia che, probabilmente troppo ubriaco per riconoscere le tracce di selvatico, cercava di buttarla sul soprannaturale per salvare la faccia.
Basta con queste sciocchezze da comari!” esclamò. “Ordino che sia data sepoltura cristiana a queste spoglie. Oltre ad affidare a Dio l'anima di questo poveretto, padre Caspar si occuperà di risalire alla sua identità, se sarà possibile, e farà restituire i suoi averi alla famiglia. In caso contrario, li userà per opere di carità.”

Il barone rientrò al castello immerso in tetri pensieri: c'era una belva nelle sue terre. Che si trattasse di orso, lupo o lince, poco importava: era necessario stanarla e ucciderla.
Una belva libera di predare significava pericolo, e significava che i contadini non sarebbero andati nei campi, i pastori non avrebbero più portato fuori le greggi, e in generale nessuno avrebbe più fatto il proprio dovere.
Bisogna organizzare una caccia,” disse, rivolgendosi a Wernhart, che si trovava ancora al suo fianco.
Una caccia, certo, mio signore. Per quando?”
Partiamo il prima possibile. Raduna i battitori e fa preparare i cani.”
Volete dire oggi, mio signore?”
Sì, questa non sarà una caccia di piacere. Dobbiamo uccidere la belva.”
Mastro Wernhart assunse un'espressione indefinibile. Di nuovo si tolse il cappello, si ravviò i capelli brizzolati e se lo rimise in testa, quindi estrasse dalla camicia la medaglietta di Sant'Uberto che portava al collo.
Non sarà una caccia di piacere,” confermò.
I due si fissarono negli occhi per un istante, poi l'uomo si inchinò e disse: “Con il vostro permesso, barone, vado a preparare il necessario.”
Una volta che il guardiacaccia si fu allontanato, von Obenstein fece chiamare anche i due fratelli cavalieri.
È necessario stanare una belva,” li accolse sbrigativo, ancora sotto l'effetto dello strano comportamento di mastro Wernhart, “Ho dato ordine di approntare cani e battitori. L'animale è pericoloso, la notte scorsa ha ucciso un uomo sulla strada per Norimberga, per cui desidero che voi siate al mio fianco.”
I due chinarono il capo in segno di assenso. Fratello Adalrich chiese: “Di che belva si tratta?”
Non lo sappiamo. Neppure il mio capo-guardiacaccia è riuscito a capirlo.” Evitò di alludere alle strane preoccupazioni dell'uomo. “Partiremo appena possibile,” disse.

Tornarono solo all'imbrunire, con un niente di fatto. Una volta liberati, i cani avevano cominciato a ululare in modo strano, come se avessero trovato la migliore delle piste ma al tempo stesso fossero spaventati o confusi da qualcosa. Peraltro non si erano lanciati a seguirla, erano rimasti tutto il tempo intorno al gruppo dei cacciatori, badando a non allontanarsi troppo. Nemmeno i veltri più intraprendenti e vigorosi avevano mai interrotto il contatto visivo con i padroni.
I battitori avevano percorso il lungo e in largo la foresta, ma non avevano trovato traccia di grossi animali da nessuna parte.
Un po' in disparte rispetto al resto del gruppo, i due cavalieri dell'Ordine procedevano fianco a fianco. “Ti vedo pensieroso,” ruppe il silenzio fratello Hermann. “Cosa c'è?”
L'altro scosse la testa. “Niente di importante.”
La Regola consente la caccia. Inoltre, in questo caso non sarebbe neppure da considerare divertimento, dato che c'è in giro una belva pericolosa che bisogna uccidere.”
Fratello Adalrich emise un sospiro. “Non è questo il problema.”
E allora cosa c'è?”
Non lo so. Ho una brutta sensazione, non riesco a spiegartelo meglio. Io sapevo che oggi non avremmo trovato nulla, non chiedermi perché.”
Fai ancora quegli strani sogni?”
Sì.”
Hermann stava per ribattere, quando un grido lo riscosse: “Eccolo! Eccolo!”
I due si voltarono verso il gruppo dei cacciatori, e videro che era animato di un insolito fermento. C'erano uomini che preparavano picche e reti, i cani latravano e ululavano come impazziti, ma nessuno di essi sembrava volersi addentrare nella macchia.
Si avvicinarono al barone, che subito disse loro: “Hanno visto un animale grosso, dal manto giallo macchiato di nero.” Sorrise compiaciuto e aggiunse: “Lo dicevo, io, che era una lince.”
Adalrich aggrottò le sopracciglia. “Perché i cani non seguono la traccia?” chiese insospettito.
Sotto l'effetto della frenesia venatoria, il barone rispose: “E che ne so? Stupidi bastardi pulciosi, dirò al guardiacaccia di punirli a dovere. Però ora andiamo, non vorrei che scappasse!”
Spronò il cavallo e scomparve nella selva, salvo poi tornare dopo poco con le pive nel sacco: si stava facendo buio e la belva aveva fatto perdere le sue tracce. Non era più possibile cacciare. “Domani torneremo,” promise al misterioso animale, poi voltò il cavallo per rientrare.

§

Il bambino piangente in braccio, Gertrud stava facendo del suo meglio per addormentarlo, ma fino a quel momento senza alcun successo: la creatura continuava a vagire con quanto fiato aveva in gola. Aveva provato a dargli il seno, a cullarlo, a cambiarlo, ma il piccolo non ne voleva sapere di calmarsi.
Con un sospiro, la giovane donna si avvicinò alla finestra, appoggiò il lume sul davanzale e socchiuse lo scuro per far entrare un po' d'aria fresca. In quel momento udì un tramestio, e una figura passò rapida all'esterno, attraversando il quadrato di luce che la candela proiettava per terra. Era un uomo pallido come un morto, con i capelli rossi tutti arruffati e un abito nero. Aveva la gola squarciata da un orecchio all'altro.
Santa Vergine!” mormorò Gertrud, quindi si fece indietro e sbarrò la finestra, poi corse a letto e si rannicchiò accanto al suo sposo con ancora il figlio fra le braccia.
Svegliato di soprassalto, mastro Oswald chiese: “Che c'è, moglie?”
Tremante, la donna si strinse a lui e in un soffio disse: “Ho visto il morto.”
Il morto? Che morto?”
Quello di stamattina. È passato di corsa davanti alla finestra.”
L'altro emise uno sbuffo infastidito. “Gertrud, te l'ho sempre detto: tu immagini troppe cose. Chissà cos'avrai visto.”
Ti dico che era lui. L'ho guardato bene in faccia, quando Bertha e Leni l'hanno cucito nel sudario.”
Se l'hai guardato così bene, avrai anche visto che era morto, e i morti non camminano: giacciono sottoterra.”
Era lui,” ripeté caparbia Gertrud.
Ti ripeto che i morti non camminano,” rispose l'uomo accarezzandole la schiena. “Ora dormi. Domattina andremo a parlare con Padre Caspar, e vedrai che lui ti tranquillizzerà.”

§

Il giorno dopo, i coniugi Schreiner, Gertrud con il figlio più piccolo in braccio e mastro Oswald con quello più grandicello per mano, si presentarono alla canonica.
Il prete li accolse affabilmente, li condusse in chiesa. Mentre percorrevano a passi lenti la navata, chiese: “Ebbene, volete dirmi cosa c'è?”
Mastro Oswald prese la parola: “Mia moglie Gertrud ha bisogno della vostra rassicurazione, padre.”
Padre Caspar annuì. A volte capitava che le giovani mogli si sentissero rivolgere determinate richieste dai mariti, e spesso venivano proprio da lui a chiedere cosa Dio permettesse nel talamo e cosa invece no. Lo stupì che la giovane donna avesse con sé due figli: non era un po' tardi per avere dubbi su cosa accadesse tra marito e moglie?
Le fece comunque cenno di seguirlo, e continuando a camminare per la navata distanziò di un po' mastro Oswald. “Ebbene, figlia mia, di cosa volevi parlarmi?” le chiese.
Gertrud deglutì, prese un bel respiro, e infine disse: “Padre, io ho visto il morto ieri notte.”
Il sacerdote interruppe il suo lento passeggiare. “Eh?”
Il morto, quello di ieri. Io l'ho visto correre per il campo. Aveva i capelli rossi e la faccia bianca, e la gola aperta così.” Si passò sul collo la mano che non reggeva il figlio.
Padre Caspar emise un sospiro. “Figliola, ti sarai sbagliata. Quel pover'uomo giace sotto due braccia di terra dietro l'abside della chiesa.”
So quello che ho visto, padre,” rispose imperterrita Gertrud. Una ruga verticale le si disegnò al centro della fronte pallida.
Il religioso scosse la testa: dannate femmine dalla natura impressionabile, che vedevano sempre cose che non c'erano e si spaventavano della loro stessa immaginazione. “Quel pover'uomo era morto,” ripeté adagio, col tono che avrebbe usato per parlare a una bambina, “quindi certamente non poteva correre per il paese. Forse l'idea che ci sia una belva qui nei boschi ti ha scossa e hai creduto di vedere qualcuno.”
Gertrud abbassò la testa evitando di replicare.
Torna alle tue faccende, figlia mia,” le suggerì il religioso, ma la giovane donna sembrava tutt'altro che convinta.
E ora cosa c'è, mia cara?”
Padre, io l'ho visto. Ero affacciata alla finestra, e l'ho visto da qui a dove siede Oswald.” Indicò il marito, che stava facendo saltellare l'altro figlio sulle ginocchia.
Il prete sospirò di nuovo, poi disse: “Va bene, dal momento che le mie parole non hanno effetto, sai cosa facciamo? Ora andiamo fuori a vedere la tomba, così ti convincerai finalmente che ieri notte hai fatto solo un brutto sogno.”
Padre Caspar chiamò il falegname, quindi tutti in fila uscirono per andare sul retro della chiesa, dove, circondato da una siepe di prugnolo, si trovava il cimitero.
Ecco figli miei,” disse il prete, “guardate con i vostri occhi.” Poi volse lo sguardo in direzione della sepoltura, e l'unica parola che riuscì a proferire fu: “Ma...”
Si fece il segno della croce.
La terra era stata spinta ai lati della tomba, al posto della quale c'era solo una fossa irregolare. Anche la tomba accanto, nella quale era stata sepolta la povera Christine Klein, morta di parto due giorni prima, si trovava nelle stesse condizioni. I fiori che la coprivano erano stati sparsi un po' ovunque, la croce era stata divelta e la siepe era stata aperta da qualcosa di grosso che l’aveva attraversata spezzando un paio di rami. Padre Caspar azzardò un'occhiata in quel che restava della tomba e si ritrasse pallido come un cencio. “Signore Iddio,” mormorò con voce spenta.
In quel momento echeggiò un urlo disperato: “Hans! Il mio Hans!”
Si affacciarono sul sagrato e videro che stava arrivando di corsa una donna scarmigliata e piangente.
Il mio Hans!” ripeté ella.
Attirate dai clamori, dalle case intorno cominciarono a uscire altre donne. I negozianti si affacciarono alla porta delle botteghe, e in generale chiunque era sulla piazza rivolse la sua attenzione a quegli strazianti lamenti.
Oswald riconobbe la vedova Egger, madre del suo apprendista più giovane.
Corse verso di lei. “Martha! Che succede?”
La donna singhiozzava così forte che non riusciva ad articolare le parole. “Hans...” balbettò.
Il falegname ricordò che il giorno prima il ragazzo si era ferito. “La mano?” chiese, immaginò che il taglio si fosse infettato.
Non c’è più!” urlò la donna per tutta risposta. “Hans è sparito, non c’è più!” Di nuovo ruppe in singhiozzi scomposti.
Mastro Oswald la prese per le spalle, la costrinse a calmarsi. “Come sarebbe a dire che non c’è più? Oggi deve venire a bottega. Dov’è andato?”
Lo sa Iddio, dov’è andato. Questa notte l’ho sentito uscire per andare alla latrina. Mi sono riaddormentata prima che rientrasse, e quando mi sono svegliata stamattina lui non c’era più. È scomparso!”
Dal capannello di gente che stava ascoltando la vicenda si levò una voce: “Io questa notte ho sentito un ululato terribile!”
Anch’io!” esclamò un’altra, “E di certo non erano lupi!”
No, nessun lupo fa un verso del genere. Mi ha fatto ghiacciare il sangue nelle vene!”
A questo punto, si fece avanti anche il prete. “Basta! Ora calmatevi tutti!” esclamò.
L’autorevolezza della figura religiosa fece sì che pian piano la gente smettesse di agitarsi. Tutti si voltarono verso di lui con aspettativa.
Una belva feroce si sta aggirando intorno a Dürnau,” proclamò allora Padre Caspar, “Uccide le persone e profana le tombe.”
Un mormorio spaventato si levò dalla folla riunita, il sacerdote continuò: “Quindi ora andrò ad avvisare il barone, e gli spiegherò quello che sta accadendo qui in paese. Per grazia di Dio, ci sono presso di lui anche due fratelli cavalieri dell’Ordine Teutonico, e anche i loro soldati, che senza dubbio ci difenderanno.”

§

Seduti intorno al tavolo nella sala delle udienze, il barone, suo figlio Konrad, il comandante delle guardie, il capo-guardiacaccia e i due fratelli cavalieri ascoltavano quello che padre Caspar stava raccontando.
E quindi, mio signore,” terminò di narrare il prete, “morti che dovrebbero giacere in una sepoltura cristiana sono visti vagare per il paese, le tombe sono profanate, la gente scompare, si odono lamenti e ululati nella notte.” Fece una pausa durante la quale fissò negli occhi i presenti uno per uno, interrompendosi giusto un attimo prima di rivolgere lo sguardo su fratello Adalrich. Con voce cupa concluse: “Io credo che il Demonio sia all’opera in questo luogo.”
Io invece credo che si tratti di una lince,” rispose pacato von Obenstein, senza lasciarsi contagiare dal clima di terrore mistico che il prete aveva evocato. “Oggi andremo nuovamente a caccia e cercheremo di stanarla, così metteremo fine una volta per tutte a questa storia.”
Ma le tombe, mio signore...”
L’animale non ha discernimento. Avrà sentito l’odore del corpo sottoterra e avrà pensato a una preda facile.”
Padre Caspar continuava a essere poco convinto. “E l’uomo che è stato visto aggirarsi con la gola squarciata, mio signore?”
Un brutto sogno di quella donna.”
Alla lapidaria affermazione seguì un lungo silenzio, che fu interrotto dall’arrivo di un paggio che annunciava una delegazione di paesani nel cortile: era stato ritrovato il corpo del povero Hans: giaceva al limitare del bosco, poco lontano da casa sua. Il latore della notizia riferiva che il ragazzo aveva la gola squarciata ed era completamente dissanguato, esattamente come il viandante che avevano sepolto il giorno prima.

Partì immediatamente la seconda caccia, questa volta con molti più battitori e cani diversi. Fu mandato un messaggio anche ai nobili dei feudi vicini, non certo perché si trattasse di un evento mondano, quanto piuttosto per avere più occhi e più spade a disposizione.
Furono battute le foreste in lungo e in largo, ma la stagione non era adatta per la grossa selvaggina, che era perlopiù nel profondo della selva ad allevare i piccoli, e quindi la ricerca rimase infruttuosa.
Solo verso sera, mentre gli uomini stanchi rientravano al castello, il barone von Obenstein scorse di nuovo lo strano animale maculato, quasi invisibile nella penombra del crepuscolo.
Eccolo!” gridò, e spronò il cavallo per in seguirlo.
La misteriosa bestia si voltò per un istante nella sua direzione, puntandogli contro occhi che sembravano ardere di un fuoco verde, quindi si gettò di corsa nella foresta.
Il barone le galoppò dietro fino a che non sbucò in una specie di radura. Si guardò intorno: l’animale non c’era più, né si sentivano in giro rumori di frasche smosse. C’era però un vecchio che stava raccogliendo degli sterpi.
Il barone si voltò verso di lui: l’uomo sembrava completamente assorto nel suo lavoro, tant’è che al suo arrivo non aveva neppure alzato la testa. Preso da una strana curiosità, spronò il cavallo e gli si avvicinò. “Buon uomo,” disse.
L’altro fece come se non avesse neppure sentito. Portava una casacca scura, che nella penombra si confondeva con la vegetazione. Era a testa scoperta e aveva radi capelli bianchi che gli scendevano fin sulle spalle.
Buon uomo!” ripeté il barone, alzando la voce.
Il vecchio finalmente alzò la testa e lo fissò. Aveva un volto che sembrava antico di secoli, scuro e rugoso, ma con occhi come carboni ardenti. Von Obenstein dovette faticare per non indietreggiare sotto quello sguardo, che sembrava trapassare come una lama. “Buon uomo, hai visto un grosso animale giallo a macchie nere passare per di qua?”
Il misterioso vecchio esitò per qualche istante, poi gli rivolse uno strano sorriso, che nonostante l’età rivelò una dentatura inaspettatamente candida e robusta. Scosse la testa e si addentrò nella macchia prima che il nobile potesse replicare.
Il barone rimase per un po’ interdetto a fissare la vegetazione in cui l’uomo era scomparso. Non gli pareva di aver mai visto quel vecchio tra i suoi contadini, e si chiese da dove potesse venire.
Mentre era immerso in quei pensieri, udì il fioco richiamo di un corno. Quel suono lamentoso ebbe il potere di riportarlo alla realtà contingente: realizzò che stavano calando le tenebre, e che tra un po’ non avrebbe visto a un palmo oltre il suo naso. Spronò il cavallo per raggiungere i suoi.

Quando tornarono in paese videro una lunga fila di persone che, con provviste e fagotti, stava entrando in chiesa. Sulla porta c’era padre Caspar, che impartiva la benedizione a ogni paesano che varcava la soglia.
Il barone smontò da cavallo, chiamò i due cavalieri e si avvicinò al sacerdote. “Che succede?” gli chiese.
Il prete fece cenno ai fedeli di continuare a prendere posto in chiesa, quindi si allontanò di qualche passo, costringendo il barone e i due Teutonici a fare altrettanto. Quando furono al sicuro da orecchie indiscrete, a bassa voce spiegò: “Il figlio della vedova Egger non era morto.”
Come sarebbe a dire che non era morto?” replicò il barone incredulo. “Non aveva la gola squarciata?”
Il prete si strinse nelle spalle e con un sospiro rispose: “Al momento di chiuderlo nel sudario, quando sua madre si è chinata su di lui per dargli un ultimo bacio, ha aperto gli occhi e l’ha azzannata alla gola uccidendola all’istante. Subito dopo è saltato giù dal tavolo con la rapidità di una lontra, ha fatto lo stesso con Leni e avrebbe ucciso anche Bertha, ma per fortuna le urla hanno attirato mastro Kurt, che è arrivato con la mannaia che usa per tagliare le carcasse.”
Il barone rimase in silenzio per qualche istante, ponderando la spaventosa portata di ciò che aveva appena udito, poi chiese: “E adesso dov’è?”
Hans?”
Sì. È ancora qui? Si può vedere questo redivivo?”
I due cavalieri si scambiarono uno sguardo.
Padre Caspar lanciò un’occhiata alla fila di persone che stava continuando a entrare in chiesa. Passarono un uomo che portava in spalla un vecchio avvolto in una coperta e delle donne con i figli in braccio o attaccati alle gonne. Riconobbe alla luce delle fiaccole Lise che accompagnava per mano la madre cieca. La donna stava cantando in unno sacro, e la sua voce tremula echeggiava nel generale clima di mestizia.
Infine disse: “Hans è scappato, ma temo che possa tornare, e questo è il motivo per cui ho detto alla gente di rifugiarsi nella casa del Signore. Almeno ci sono muri solidi e porte di rovere rinforzato. E Dio, naturalmente.” Toccò la croce che gli pendeva dal collo.
Von Obenstein fissò a sua volta la fila di gente che ormai andava esaurendosi, quindi chiese: “E i corpi?”
Sono chiusi nella bottega di mastro Kurt. Domani vedremo in che condizioni sono. Mastro Kurt è già stato curato.”
Si era ferito?”
Hans l’ha morso, ma non in maniera mortale. Il macellaio si è difeso con la mannaia e gli ha fatto mollare la presa.”
Bertha?”
L’ha morsa solo leggermente, è già con gli altri.”
Manderò degli armigeri.”
Padre Caspar scosse la testa. “In chiesa non entrerà nessuno. Dio, prima dei muri e dei portoni, sarà la nostra fortezza.”
I paesani sono tutti dentro?” domandò il barone, senza farsi contagiare dall’empito mistico.
No, alcuni hanno preferito non abbandonare i loro averi, come se i beni materiali fossero più importanti della vita.”
Allora manderò i soldati a pattugliare il paese questa notte.”
A questo punto prese la parola fratello Adalrich: “Staremo noi in chiesa, e i soldati dell'Ordine daranno man forte ai vostri.” La frase aveva il tono di un’affermazione apodittica.
Il prete e il barone si guardarono, poi si voltarono all’unisono verso il cavaliere, che alla luce delle torce sembrava ancora più imponente e gelido di quanto non apparisse sotto i raggi del sole. Nessuno dei due ebbe il coraggio di contraddirlo. Lui e il confratello si accomiatarono dal barone con un sobrio inchino, quindi entrarono in chiesa. Attesero che anche il prete fosse dentro, quindi fratello Adalrich diede ordine di serrare le porte.

§

Le ore passavano. Tolti i classici rumori di un gruppo numeroso di persone, colpi di tosse, movimenti, parole sussurrate, nella chiesa c’era silenzio. Qua e là ardevano dei lumi, qualcuno aveva buttato a terra dei pagliericci e stava cercando di dormire. L’uomo che era entrato col vecchio sulle spalle aveva spezzettato un tozzo di pane in una scodella, vi aveva aggiunto un po’ di latte e ora lo stava imboccando.
Quello è un figlio affezionato,” osservò fratello Adalrich.
Fratello Hermann si voltò verso di lui. “Cosa?”
Guarda com'è premuroso.”
L’altro sorrise. “Hai ragione.”
Un bambino che poteva avere un paio d’anni sgusciò via dal viluppo di coperte nel quale era coricato e trotterellò nella loro direzione. Li guardò alternativamente entrambi, infine nella sua innocenza tese le braccine verso fratello Adalrich e fece qualche passo verso di lui. Il cavaliere lo fissò imbarazzato, senza sapere bene che fare.
Nello stesso momento, una giovane donna, probabilmente la madre del bambino, lo raggiunse di corsa e lo tirò indietro prima che potesse arrivare a sfiorare il cavaliere. Con il figlio saldamente in braccio alzò gli occhi su di lui, forse a disagio per quella plateale dimostrazione di sospetto nei suoi confronti, ma rinunciò a dire qualcosa. Si girò e tornò al suo giaciglio.
In quel momento, echeggiò all’esterno un ululato agghiacciante. Un lamento che cominciò cupo e roco, poi si alzò di tono fino a terminare con uno lungo urlo stridulo.
Nella chiesa calò un silenzio di tomba mentre tutti si scambiavano occhiate cariche di preoccupazione.
Padre Caspar sollevò il crocifisso e cominciò a recitare una preghiera, ma si udì un altro ululato, più vicino del precedente. A esso fece seguito un terzo orrendo lamento.
Qualcuno cominciò a singhiozzare, in più punti si udiva il mormorio di preghiere recitate a fior di labbra.
A bassa voce, Adalrich disse a Hermann: “È sotto le finestre.” Accennò con la testa in quella direzione.
Nello stesso momento, mastro Kurt con voce roca balbettò: “Non mi sento molto bene.”
I cavalieri si voltarono verso di lui: aveva il volto stranamente gonfio, pallido e umidiccio. Le occhiaie avevano preso una sfumatura livida. Il respiro si era fatto pesante, gli occhi febbrili. Come in cerca di aria, tentò di togliersi la benda che gli era stata applicata sulla ferita.
L’urlo all’esterno si fece udire nuovamente, qualcosa urtò contro una delle finestre, la gente gridò facendosi indietro. La voce di padre Caspar, che imperterrito continuava a recitare preghiere, salì di tono.
Poi si udì un coro di esclamazioni: mastro Kurt era crollato a terra e rantolava con il volto ormai illividito. La gente si faceva indietro urlando, si udivano pianti e strilli d’orrore.
Fratello Adalrich lo raggiunse a grandi falcate, lo scosse, ma l’uomo sembrava ormai in agonia. Un istante dopo, il cavaliere percepì l’impatto di un corpo contro il proprio: Bertha, il volto gonfio e biancastro come quello del macellaio, gli era crollata addosso priva di sensi, ed era nelle stesse condizioni dell’uomo. Il cavaliere spostò appena la benda e vide che la ferita si era gonfiata e arrossata, e secerneva liquido giallastro come una piaga infetta.
Sulla scena calò un silenzio attonito, rotto soltanto da qualche singhiozzo qua e là nella folla. Fuori continuavano a udirsi gli ululati orribili, che però erano mescolati a richiami e grida delle guardie, e di coloro che non avevano voluto entrare nella chiesa.
Il cavaliere si guardò intorno, poi fissò lo sguardo sul prete, che si fece il segno della croce e in un sussurro disse: “Il Demonio è all’opera qui a Dürnau.” Stava per aggiungere altro quando da fuori giunse una cacofonia particolarmente intensa di grida, colpi e lamenti.
Aprite la porta!” ordinò Adalrich.
Se apro, entreranno,” rispose il prete, “non posso.”
Aprite, vi dico! Io e il mio confratello dobbiamo uscire. Non sentite?”
Qualcuno stava chiamando aiuto, si udivano strida orrende, ringhi e soffi.
Aprite!”
Visto che padre Caspar non sembrava intenzionato a ottemperare alla sua richiesta, Adalrich si rivolse a Hermann: “Apri la porta!”
L’altro, abituato quanto lui a mantenere il sangue freddo in combattimento, senza una parola andò al catenaccio e lo tirò, poi schiuse il battente.
Fuori nel frattempo era calato un silenzio di morte. Qua e là erano infisse delle fiaccole, una giaceva abbandonata al suolo accanto al corpo immoto di un armigero. Il sagrato sembrava deserto.
I due cavalieri avanzarono cauti, le spade in pugno. Il soldato era morto, la gola squarciata come le altre vittime. Non una goccia di sangue a macchiare il terreno intorno. Adalrich percepì un fruscio e si girò di scatto, solo per scorgere un’ombra che scompariva dietro la chiesa. “Purché non trovino il modo di entrare,” disse, senza sapere bene di chi stava parlando. Si avvicinarono al grande edificio di pietra, e dietro l’abside cominciarono a udire il suono di qualcosa che veniva ripetutamente strappato, insieme ad ansiti e gorgogli. L’aria era gravata di un pesante tanfo di putrefazione.
Avanzarono ancora e si parò loro dinnanzi la seguente scena: un ragazzo dal volto cereo e gonfio, con una zazzera scomposta di capelli castani e una mano fasciata, era chino su una tomba aperta, dalla quale stava estraendo brani di carne che addentava e divorava. Al loro apparire, esso si voltò verso di loro, rivelando una ferita che gli apriva la gola da un orecchio all’altro. Con un grugnito di disappunto, saltò in piedi e si dileguò nel buio.
Fratello Adalrich estrasse la spada e senza esitare si lanciò al suo inseguimento. Uno dei pochi vantaggi della sua infermità era che di notte vedeva meglio degli altri, per cui anche nel fioco riverbero delle torce riusciva a scorgere la sagoma del ragazzo che si allontanava di corsa.
Lo raggiunse in poche falcate. “Ehi, tu!” lo chiamò.
Il ragazzo si immobilizzò come se fosse andato a sbattere contro un muro, quindi si girò con la repentinità di un serpente, piegandosi sulle gambe come per spiccare un salto. Nel buio il suo volto appariva come una macchia bianca nella quale si aprivano tre voragini nere: due erano gli occhi, e la terza, innaturalmente ampia, la bocca.
Balzò in avanti con un ululato gorgogliante, cercando di avventarsi contro di lui. Il cavaliere si fece sotto, parò il morso con l’avambraccio protetto dall’usbergo, lo passò da parte a parte con la spada, quindi indietreggiò, e nel momento in cui il ragazzo cadeva a terra lo decapitò. Il corpo si accasciò e rimase immobile.
Adalrich si guardò intorno. Il silenzio non era più perfetto, si udivano vaghi tramestii, l’eco lontana di qualche ringhio. Una sagoma, appena visibile nel vago chiarore delle torce, comparve al fondo del sagrato, rimase immobile per un istante e poi si rituffò nel buio del paese.
Stava ancora ponderando se lanciarsi all’inseguimento, quando notò quello che sulle prime gli parve un grosso cane. Era molto più robusto e alto di un cane normale, aveva il manto giallastro e screziato di nero, i quarti posteriori più bassi degli anteriori e le orecchie rotonde come quelle di un orso. La sua chiostra di denti dava l’impressione di poter staccare il braccio di un uomo con un solo morso.
L’animale alzò il muso verso di lui e rimase immobile a mascelle semiaperte, probabilmente cercando di fiutarlo. Adalrich si mosse deciso nella sua direzione, ma il misterioso cane si girò e scomparve nel buio. Quando il cavaliere raggiunse il punto in cui l’aveva scorto, non trovò nemmeno un’impronta.



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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Questa è una gara di resistenza, mi sa. Ringrazio sentitamente per il commento che mi hanno lasciato Saelde_und_Ehre, Crilu_98, innominetuo, fiore di girasole, morgengabe, Syila e miciaSissi.







Capitolo 5

Fratello Adalrich rinfoderò la spada. Stava albeggiando, e una luce lattiginosa stava pian piano rivelando la portata della devastazione notturna. Il cimitero era stato profanato, perlomeno nella sua parte più recente; le tombe erano aperte, e il loro contenuto era stato fatto a brani e divorato. La bottega del macellaio aveva la porta spalancata, i corpi che vi erano stati deposti erano spariti. Nel mezzo della piazza giaceva ancora l’armigero che era stato ucciso durante la notte, nella luce ancora incerta si intravedevano altri corpi più lontano.
Adalrich si guardò intorno alla ricerca del confratello. Lo vide sopraggiungere da un vicolo, il manto bianco spruzzato di sangue. “Hermann!” lo chiamò.
L’altro lo raggiunse.
Sei ferito?” gli chiese quando si fu avvicinato.
No, e tu?”
A posto.”
Rimasero a guardare in silenzio la devastazione che li circondava, poi Adalrich chiese: “Tu l’hai visto il cane giallo?”
Hermann annuì. “Più grande di un lupo, con una bocca che sembrava quella di un leone. L’ho inseguito per un po’ questa notte, ma mi è sfuggito. Emetteva delle urla che facevano ghiacciare il sangue, non ho mai sentito niente del genere.”
Neppure io.”
Con un sospiro, Adalrich si passò una mano fra i capelli. “Cosa credi che sia?” chiese.
Non lo so, ma non è una cosa… di questo mondo.”
È quello che ho pensato anch’io.” Poi, dopo una pausa: “È il mio sogno… qualcosa uccide tutti e io non sono in grado di fermarlo.”
Lo fermeremo. Dio è con noi.”
Tu credi?”
Hermann gli rivolse un sorriso. “Se non credessi non sarei un cavaliere dell’Ordine, non ti pare?”
Adalrich stava per ribattere quando si udì lo scatto del chiavistello della chiesa, che nel silenzio di morte che aleggiava ovunque risuonò come un rombo di tuono.
Dapprima uscì la gente, che si riversò sul sagrato come un’onda di piena, piangendo e gemendo. Tutti sciamarono verso le rispettive abitazioni, e qua e là presero a salire lamenti, laddove i paesani si imbattevano in qualche parente ucciso o abitazione devastata.
Dopo un po’ comparve sulla soglia anche il prete, reggendosi alla croce come se si fosse trattato del bastone di uno storpio. Aveva le occhiaie e i capelli scarmigliati. “Il Demonio è fra noi,” proferì lapidario non appena scorse i cavalieri.
I due lo raggiunsero. Prima che potessero aprire bocca, il religioso proseguì: “sebbene non fossero particolarmente gravi, sia mastro Kurt che Bertha sono morti questa notte fra atroci sofferenze, a nulla sono valse le cure. Le loro ferite non erano naturali, capite cosa intendo?”
I cavalieri annuirono in silenzio.
Facendo scorrere lo sguardo sulle loro tuniche chiazzate di sangue, padre Caspar chiese: “E fuori cos’è accaduto?”
Adalrich lo aggiornò brevemente.
Mentre stava parlando, sopraggiunse il barone, seguito dal capitano delle guardie e dal capo-guardiacaccia. Tutti e tre avevano l’aria di non aver chiuso occhio per tutta la notte.
Il cavaliere informò anche il nobile di quello che era successo durante la notte.
Mentre anche i soldati dell'Ordine si radunavano sul sagrato, fu padre Caspar a concludere il racconto con quello che era successo in chiesa. Infine in tono cupo ripeté: “Il Demonio è fra noi, riconosco le sue opere immonde.”
Von Obenstein diede un’occhiata tutt’intorno, quindi disse ai cavalieri: “Fratelli, vi dispiace seguirmi?”
Si incamminarono. Fecero il giro della piazza, il barone volle che gli fossero mostrati i punti dove si erano svolti gli scontri. Infine disse: “Voi siete combattenti esperti. Cosa ne pensate di tutto ciò?”
Prese la parola Adalrich: “L’unica cosa che possiamo dire con certezza, barone, è che non si tratta di un comune animale feroce. I morti non trovano riposo, assalgono i vivi e profanano le tombe, ferite di poco conto causano il decesso fra atroci dolori, e si aggira qui intorno una bestia che non è mai stata vista prima.” Tralasciò di aggiungere quello che gli aveva detto la vecchia vestita di nero, ma in effetti la sua profezia stava cominciando ad avere un senso: Lui arriverà.
Quindi ha ragione padre Caspar quando dice che il Demonio è fra noi?”
Nulla di quello che abbiamo visto si spiega secondo le leggi della natura.”
Alla frase seguì un lungo silenzio, rotto solo dai pianti e dai lamenti che si levavano fiochi qua e là.
Mentre erano fermi a parlare, padre Caspar li raggiunse.
Giusto voi, padre,” lo accolse il barone, “con i fratelli cavalieri stavamo per l’appunto valutando cosa sia opportuno fare.”
Per prima cosa sarà bene dare alle fiamme i corpi delle vittime di quel demone,” disse il sacerdote, “solo il fuoco può purificarli dalla presenza di Satana. Celebrerò anche una messa per la salvezza delle loro anime.”
E per i vivi, padre?”
Cercheremo la protezione del Signore, ci rifugeremo in chiesa al calare del sole.”
Noi resteremo qui fuori insieme ai soldati, barone,” intervenne Adalrich. “Se quell’essere tornerà qui in cerca di preda, lo uccideremo.”
Il prete annuì, poi dopo un po’ soggiunse: “Inoltre manderò una lettera al vescovo di Fulda, peccato che sia già ripartito per la sua città. Ma lo richiamerò indietro, lui o un suo plenipotenziario.”
Il barone aggrottò le sopracciglia. “Perché, padre?”
L’altro gli rivolse uno sguardo metà tra la degnazione e la sfida. “Perché laddove l’opera del Maligno si manifesta, è d’uopo che siano sacerdoti esperti in questo genere di cose ad occuparsene.”
State parlando di inquisitori, padre?”
Se il Maligno è arrivato, significa che qualcuno l’ha portato.” Si interruppe, fece girare lo sguardo dapprima sul sagrato, poi sui suoi interlocutori. Infine fissò Adalrich dritto negli occhi, quindi concluse: “E chi lo ha portato è ancora qui tra noi.”

§

Le ombre del tramonto si allungavano sulla piazza di Dürnau. Come la sera prima, una fila di persone stava entrando in chiesa. Per ordine del barone, questa volta nessuno aveva il permesso di rimanere presso il proprio focolare.
I due cavalieri erano già sul sagrato e camminavano lentamente su e giù. I soldati erano già stati inviati a gruppi di due o tre nei vari punti del paese. A un certo punto, Adalrich alzò gli occhi verso il cielo e disse: “Il sole sta per tramontare.”
Hermann annuì. “Entro breve potremo contare solo sulle torce. Che ne dici di fare un giro tra le case, finché c’è un po’ di luce?”
Quell'essere arriva col buio.”
A parte che non lo sappiamo per certo, e poi non sarebbe male avere un’idea di come è fatto questo posto prima di doverci girare in mezzo tentoni. Io non vedo al buio come te.”
Va bene.”
Cominciarono ad aggirarsi tra le abitazioni deserte. Nel frattempo si stava facendo buio, e stava calando un silenzio spettrale. Nemmeno i rapaci notturni facevano udire i loro richiami.
Le case sembravano disabitate da anni. Hermann fece un salto indietro quando un gatto balzò fuori da una finestra e scomparve gnaulando dietro un angolo.
Quanto tornarono davanti alla chiesa, notarono con stupore che la porta era ancora aperta. Sulla soglia c’era padre Caspar che si guardava ansiosamente intorno.
Qualcosa non va, padre?” si informò Adalrich.
Mancano tre persone. Avete visto se qualcuno è rimasto nella propria casa?”
I due scossero la testa, il prete si guardò intorno di nuovo, come aspettandosi di veder spuntare i tre assenti da qualche vicolo.
Volete che andiamo a controllare, padre?”
Mi fareste una grazia.”
I cavalieri presero una lanterna, visto che nel frattempo si era fatto buio, quindi si addentrarono di nuovo tra i vicoli sterrati di Dürnau. A un certo punto udirono provenire da una casa un rotolare di suppellettili e si voltarono rapidi in quella direzione, solo per vedere un’anta di finestra che oscillava lentamente. “C’è qualcuno?” chiese Hermann.
Non giunse risposta, ma più oltre si udì un altro rumore. Adalrich fece cenno al confratello di fare silenzio, quindi si mosse in quella direzione. Arrivarono davanti a una porta aperta, legato alla maniglia c'era un pezzo di corda che stava ancora oscillando.
I due si scambiarono un’occhiata. Manovrare una spada negli spazi angusti di una casa, peraltro al buio, rischiava di rivelarsi più pericoloso che entrare disarmati.
Adalrich rinfoderò l’arma ed estrasse il pugnale che portava in cintura. Hermann lo fissò e scosse la testa come per fargli capire che sarebbe stato troppo pericoloso, ma l’altro gli fece cenno di stare tranquillo ed entrò silenziosamente nella piccola abitazione
Rimase immobile per qualche istante attendendo che gli occhi si abituassero al buio, poi fece girare uno sguardo tutt’intorno. Il pavimento era ingombro di suppellettili, qualche piatto di terracotta era in frantumi. Uno dei pagliericci era stato squarciato e il suo contenuto era sparso in giro. Percepì un odore strano, come di sangue fresco e terra smossa.
Era una di quelle cose, sentiva su di sé il suo sguardo. Se si concentrava, riusciva addirittura a cogliere la brama famelica con cui lo stava guardando.
Avanzò di un altro passo, udì un rumore gorgogliante, e il raschiare di qualcosa che si spostava sul pavimento.
Poi la creatura attaccò. Fu più veloce del previsto, tanto che Adalrich dovette ripararsi la gola con l’avambraccio sinistro. L’usbergo evitò che i denti lo ferissero, ma la stretta delle mascelle lo fece comunque genere di dolore.
Prima che il mostro abbandonasse la presa, il cavaliere gli piantò il pugnale nel fianco fino all’elsa. L’essere ululò e si fece indietro rovesciando altri oggetti, poi balzò di nuovo in avanti, avvinghiandosi a lui con forza sovrumana. I due rotolarono al suolo, e Adalrich si trovò con la schiena a terra, e l’essere che cercava di azzannarlo nell’unica parte scoperta, ovvero il volto. Lo afferrò per i capelli cercando di tirargli la testa all’indietro, nel frattempo era riuscito a liberare l’altro braccio e di nuovo gli piantò il pugnale nel corpo. La creatura emise un secondo ululato, si divincolò furiosamente, cercò di nuovo di azzannarlo. Alla fine Adalrich riuscì a buttarla lontano da sé, quindi si rialzò rapido, estrasse la spada e non appena essa si avvicinò di nuovo la decapitò con un tondo rovescio, che data l'esiguità dell'ambiente finì la sua corsa abbattendo una mensola con tutto quello che c'era sopra.
Hermann,” ansimò.
Non gli giunse risposta.
Tornò fuori. “Hermann?”
Il suo confratello non c’era più. “Hermann!” chiamò a voce più alta. Si guardò intorno ansiosamente, lo chiamò di nuovo.
Alla fine ricevette una flebile risposta ai suoi richiami. Corse nella direzione da cui essa proveniva e vide il suo confratello che stava combattendo con il cane maculato. La lotta doveva protrarsi da un po’, perché Hermann era ormai esausto. Lo sentiva ansare e coglieva che i suoi movimenti stavano perdendo vigore. La cosa che lo stupì era che i colpi di spada andavano tutti a segno, ma l’essere sembrava non risentirne affatto.
Si avvicinò di corsa, sguainò la spada e colpì la creatura con un fendente che nelle sue previsioni avrebbe dovuto quasi tagliarla in due, ma che in pratica la costrinse solo a farsi indietro con un ringhio di disappunto.
Adalrich vide la ferita che le aveva procurato chiudersi a vista d’occhio.
La incalzò una seconda e una terza volta con colpi pieni, che lasciarono altrettanti profondi tagli.
L’essere rotolò indietro e di nuovo si fece sotto, emettendo un ringhio che faceva ghiacciare il sangue nelle vene.
Adalrich l’attese a pie’ fermo, e nel momento in cui esso balzò contro di lui, si abbassò e gli piantò la spada nel ventre. Il misterioso animale si torse nell’aria, ricadde all’indietro e per qualche istante rimase a terra immobile, poi, sotto i suoi occhi attoniti mutò aspetto trasformandosi in una figura umana alta e magra, e in quella forma scomparve nella notte.
Il cavaliere rinfoderò la spada, quindi si avvicinò al compagno. “Come stai?” gli chiese per prima cosa.
A posto.”
Ti ha ferito?”
No.”
Adalrich emise un sospiro di sollievo. “Dio sia lodato.”
E tu sei ferito?” chiese Hermann.
No, nemmeno io.” Si voltò nella direzione in cui la misteriosa belva era fuggita, e per un po’ rimase a scrutare nel buio. Infine tornò a voltarsi verso l’altro e disse: “Tre colpi che avrebbero abbattuto un toro, portati a pieno, ed è stato come se lo accarezzassi con una piuma. Le ferite scomparivano un attimo dopo essere state inferte.”
Me ne sono accorto.”
E poi ha cambiato forma”
Sì, l’ho visto.”
I due rimasero in silenzio per qualche istante, poi Adalrich disse: “Lui arriverà, ma la tua croce non potrà fermarlo.”
Cosa?”
È quello che mi ha detto la vecchia vestita di nero.”
Hermann alzò le spalle. “Visto che conosceva la faccenda così bene, quella vecchia poteva anche dirti cosa ci vuole per fermarlo.”

Cercarono ancora le tre persone che mancavano all’appello, ma ormai era notte inoltrata, e di esse non vi era traccia da nessuna parte.
Continuarono a pattugliare il villaggio, che sotto la luna aveva preso un aspetto spettrale. Per quanto il cielo fosse limpido, a livello del suolo aleggiava una nebbia che i raggi argentati rendevano fosforescente. Nulla turbava in silenzio.
Poi d’un tratto echeggiò di nuovo l’ululato spaventoso della creatura, e a quel grido agghiacciante risposero altri richiami, in vari punti del perimetro di Dürnau.
Stanno tornando,” disse semplicemente Adalrich, stringendo la presa sull’elsa della spada.
Le belve in effetti arrivarono. A due e a quattro zampe, perché non soltanto gli abitanti umani di Dürnau erano stati trasformati in creature folli e assetate di sangue, ma anche gli animali. I due videro passare al galoppo un maiale dal grugno spalancato e grondante bava, che emetteva strida nonostante la gola squarciata. La bestia diresse la sua folle corsa contro uno dei soldati, spiccò un balzo che un maiale normale non avrebbe mai potuto compiere e azzannò l'uomo, rovesciandolo poi a terra con il proprio peso. Altri soldati accorsero e uccisero la creatura, ma il commilitone era già stato fatto letteralmente a brani.
Poi si fece udire un altro ululato, questa volta vicinissimo ai due cavalieri. Era un grido spettrale, raggelante, carico di ferocia.
Sbucò da un vicolo quello che restava di una delle donne uccise: la sua bocca innaturalmente ampia era una voragine nera, gli occhi rossi e spalancati sembravano quelli di un demone. Le mani erano diventate grinfie adunche.
L'essere si accucciò per un istante guatando i due, quindi balzò verso Hermann con uno strido, le fauci che schioccavano bramose nell'aria.
Prima che potesse arrivare a ghermirlo, Adalrich la afferrò per i capelli e la strappò all'indietro. La creatura si torse, gli si avvinghiò, gli piantò i denti in una spalla, e di nuovo l'usbergo impedì che essa potesse ferirlo, anche se la stretta del morso fu tale che il cavaliere sentì le ossa scricchiolare.
A questo punto intervenne Hermann, che sfoderò il pugnale e glielo piantò nella schiena, quindi recuperò l'arma, afferrò a sua volta la creatura per i capelli e riuscì a decapitarla.
Questi affari fanno rimpiangere gli infedeli,” ansò, una volta che l'essere ebbe finito di agitarsi. Poi sollevò lo sguardo sul compagno e pose la solita domanda: “Sei ferito?”
Massaggiandosi la spalla, Adalrich rispose: “Sto bene.” Poi, dopo una pausa: “E tu?”
Bene anch'io.”
In lontananza si sentiva una cacofonia di richiami e urla, evidentemente una pattuglia di soldati aveva stanato uno di quei mostri. Fecero per muoversi, ma lo strido di agonia della creatura fece loro capire che la lotta era già finita.
Calò di nuovo il silenzio. Continuarono a girare per le vie del paese.

Solo quando il cielo cominciò a schiarirsi i due cavalieri si concessero un po’ di riposo. Rinfoderarono le spade, si tolsero gli elmi e si fecero scivolare all’indietro i cappucci di maglia, quindi raccolsero la lanterna ormai spenta si diressero verso la chiesa camminando fianco a fianco.
Strada facendo, incontrarono il loro sergente, con il quale scambiarono qualche commento sulla notte appena trascorsa.
Uomini e animali come impazziti,” disse alla fine il graduato, “una cosa del genere non si era mai vista.”
Abbiamo avuto molte perdite?” chiese Adalrich.
Quattro uomini. Ma abbiamo ucciso tutti quelli che abbiamo visto.”
Molto bene, sergente Dorn. Ora portate i soldati a riposare. Ai caduti penserà il prete.”
Agli ordini, cavaliere.”
I due continuarono. La gente stava cominciando a uscire dalla chiesa, e di nuovo si ripeteva la scena del giorno prima: si udivano i lamenti di chi si imbatteva nei resti straziati dei propri cari, o trovava casa e armenti devastati.
Passarono accanto al corpo di uno dei mostri. Era stato pietosamente coperto con un telo, ma ne usciva una mano trasformatasi in artiglio.
Tu cosa pensi che siano?” chiese Hermann.
Adalrich non poté fare a meno di rivolgergli uno sguardo carico di sospetto. “Perché lo chiedi a me?” ringhiò.
L'altro alzò le spalle. “Ero solo curioso. Perché all'improvviso gli abitanti di un pacifico villaggio diventano mostri? Cosa sta succedendo?”
E io cosa posso saperne, secondo te?” fu la brusca risposta del confratello.
Hermann si voltò verso di lui. “Ma... cos'hai?”
Come al solito, la limpidezza priva di malizia del compagno ebbe il potere di mandare Adalrich in confusione. “Scusami,” disse soltanto. Gli girò le spalle.
L'altro gli pose una mano sul braccio. “Che c'è?”
Niente di importante.”
Senza abbandonare la presa, Hermann gli disse: “Ormai ti conosco troppo bene: tu ti sei fatto l'idea che io ti volessi velatamente accusare di avere legami con la stregoneria.”
Adalrich scosse la testa. “No, questo mai.”
Eppure...”
È che sono troppo teso, scusami. So che non volevi dirmi nulla del genere, ma siccome tutti gli altri invece lo fanno, mi è venuto istintivo difendermi.” Si allontanò di qualche passo, e per un po' rimase in silenzio, dando l'impressione di essere assorto nei suoi pensieri. Infine disse: “Innanzitutto bisognerebbe sapere se questa cosa è cominciata quando siamo arrivati noi o se era successa anche prima.”
Secondo te è una pestilenza?”
Non lo so. Non ho mai visto niente del genere. Sembra che sia il morso di quegli esseri a trasmettere il contagio.”
Hermann annuì. Fissò lo sguardo sul cimitero devastato, poi disse: “D’accordo, ma… chi ha contagiato il primo di essi?”

§

Giunti al castello, i due si diressero con passo pesante verso la camera che il barone aveva assegnato loro. Dal tramonto all’alba avevano pattugliato il villaggio, affrontando anche vari combattimenti, ed erano molto stanchi.
Adalrich, in particolare, era anche dolorante. Per quanto non gli avessero bucato nemmeno il gambeson, i due morsi che aveva ricevuto erano stati come due tagliole che gli si erano strette addosso. Il dolore era andato aumentando con il passare delle ore, e ormai il braccio gli faceva così male che quasi non riusciva a muoverlo.
Entrò nella stanza e con fatica si slacciò la cintura della spada, poi lasciò cadere l’arma sul letto. Fece per togliersi l’usbergo, un movimento che in condizioni normali avrebbe compiuto senza nemmeno pensarci, ma provò una tale fitta di dolore che vide dei puntini luminosi danzargli davanti agli occhi. Gli sfuggì un gemito.
Subito Hermann si voltò verso di lui. “Che c’è?” gli chiese preoccupato. Lo scrutò attento, percorrendolo ansioso con lo sguardo, le sopracciglia appena aggrottate e gli occhi velati di apprensione. Era chiaro che temeva una ferita da parte di quelle creature malefiche.
L’altro gli rivolse un debole sorriso. “Non preoccuparti, la pelle è intatta. Però quegli affari mordono forte.”
Dove sei stato morso?”
Al braccio e alla spalla.”
Hermann lo toccò dove stava indicando, poi premette leggermente. “Fa male qui?” volle sapere.
Adalrich accennò di sì con la testa.
Purché non sia rotto...” mormorò l’altro continuando a palpargli il braccio.
No, non credo che lo sia. Però aiutami a togliere l’usbergo, per favore.”
D’accordo, dammi le braccia.”
La cotta di maglia si sfilò e si afflosciò a terra
E ora il gambeson, forza.”
Man mano, gli indumenti si ammucchiavano al suolo. Ogni volta che Hermann gli toglieva di dosso qualcosa, Adalrich doveva mordersi il labbro per non lamentarsi. “Mi chiedo come farò a reggere la spada quando arriverà la notte,” ansimò.
Ci penseremo quando sarà il momento. Ti ricordi quella battaglia… come si chiamava? Quando hai combattuto per tutta la notte con una freccia nel fianco.”
Alla fine mi ero quasi abituato. Mi ha fatto molto più male quando me l’hanno tolta.”
Lo credo bene, è stato il sergente Dorn a strappartela via, ricordi?”
Anche se campassi mille anni, è ben difficile che riesca a dimenticarmelo.”
I due si scambiarono un fugace sorriso come d’intesa, poi Hermann disse: “Adesso togliti la camicia, voglio vedere come sei conciato lì sotto.”
L’indumento raggiunse gli altri.
Sulla pelle candida di Adalrich c’erano due enormi lividi, uno quasi nero sull’avambraccio, e uno largo almeno un palmo sulla spalla, che si estendeva sia sul petto che sulla scapola. Hermann lo sfiorò con le dita, suscitando nel confratello un fremito di dolore. “Fa male?”
L’altro accennò di sì a denti stretti.
Ti metto un po’ di unguento, d’accordo? È quello dei frati, dovrebbe rimetterti a posto.”
Adalrich si sedette sul letto. Non gli piaceva per nulla farsi assistere in quel modo, nemmeno da Hermann. Non gli piaceva nemmeno che la gente lo vedesse spogliato, e più per il suo colore cadaverico che per l'imbarazzo della nudità. Emise un sospiro di disappunto.
Faccio subito,” gli assicurò l’altro.
Di nuovo, il primo si soffermò a pensare a quanto fosse limpido, gentile e generoso il suo confratello, e a quanto invece lui stesso fosse torvo, rabbioso e sempre portato ad attribuire agli altri i sentimenti più spregevoli.
Quando era lui l’unico a essere spregevole.
Per anni si era detto che il suo aspetto era una croce che Dio gli aveva dato per renderlo più vicino a Cristo, tanto che alle volte quasi si era insuperbito di essere così, ma probabilmente era piuttosto un marchio, come quello di Caino, in modo che tutti potessero riconoscerlo e stargli lontano.
Adalrich?” La voce di Hermann lo fece quasi sussultare.
Eh?”
Al solito. Quando sei perso nei tuoi pensieri non dai ascolto a nessuno. Ti stavo spiegando quali sono le piante che rendono questo medicinale così efficace.” Gli mostrò una scatoletta di legno dalla quale proveniva un penetrante odore di erbe officinali.
Scusami.”
Fa niente, tanto ormai so come sei fatto. Ora però sta fermo e lasciami lavorare.” Si sedette accanto a lui sul letto. “È un po’ freddo,” lo avvisò, quindi prese una generosa quantità di unguento e gliela depose sulla contusione che aveva sulla spalla.
Adalrich si costrinse a rimanere immobile. Dopo un po' si voltò verso il compagno, che in quel momento era talmente vicino che poteva sentire il suo respiro caldo sulla pelle. Gli fermò la mano che stava spalmando il medicamento e a voce bassa gli disse: “Hermann, se una di quelle cose mi mordesse, tu...”
L'altro fece per ritrarsi, ma il primo strinse leggermente la presa. “Tu... mi uccideresti?” Si voltò a fissarlo negli occhi.
Hermann distolse lo sguardo. “Ma cosa stai dicendo?”
Se venissi morso, diventerei come quei mostri. Non voglio che succeda.”
Adalrich, io...”
Il compagno lo zittì con un gesto, poi aggiunse: “Tu dirai che potrei porre fine da solo alla mia vita, che non è giusto che io ti obblighi a macchiarti di un peccato al posto mio, ma non so se una volta morso sarei ancora in grado di ragionare. Ho bisogno di essere sicuro che non farò del male a nessuno, ecco perché lo sto chiedendo a te.” Poi, dopo una pausa: “Dio capirà.”
Hermann rimase in silenzio.
Se venissi morso non sarei più io,” insisté Adalrich, “mi trasformerei in una bestia senza discernimento. Dimmi che lo farai.”
L'altro emise un lungo sospiro. La sua espressione si era indurita, le sopracciglia erano aggrottate, e gettavano un'ombra cupa sugli occhi altrimenti limpidi. Riprese a spalmare l'unguento. I movimenti, dapprima lievi e quasi esitanti, si fecero via via più nervosi, tanto che alla fine Adalrich genette di nuovo.
Hermann ritrasse la mano come se l'avesse posta sul ferro rovente. “Scusami.”
Non fa nulla.”
Vorrei poterti dire che lo farò,” sospirò l'altro alzandosi e mettendosi a guardare fuori dalla finestra, “E so che sarebbe giusto farlo, sarebbe un atto di pietà, se tu fossi colpito da quel morbo.” Fece una pausa. “Forse sarebbe l'atto d'amore più grande.” Di nuovo tacque. Adalrich, ancora seduto sul letto, vide i muscoli tendersi sulle sue mascelle. “La verità è che non so se ce la farei.” disse infine.
Siamo cavalieri, la nostra vita è al servizio di Dio. I nostri sentimenti non contano.”
Ma siamo anche uomini, Adalrich, e tu mi stai chiedendo se ucciderei la persona che amo di più al mondo. Non so se la mia mano e il mio cuore riuscirebbero a fare ciò che la ragione, pur nel giusto, ordinerebbe loro.”
L'altro si alzò e lo raggiunse. Si mise al suo fianco, così vicino che le loro spalle si sfioravano, e rimasero per un po' in silenzio a guardare fuori. Alla fine, a voce bassa disse: “È lo stesso anche per me, Hermann. Credi che mi sarebbe facile ucciderti, se per caso una di quelle cose ti mordesse? Eppure lo farei.”
Tacquero così a lungo che sembrava si fossero trasformati in due statue. Fuori il sole brillava, si udivano lo stormire gentile delle fronde e il cinguettio degli uccelli.
Alla fine, Hermann diede un colpetto con la spalla al compagno e disse: “Ma non indugiamo adesso su pensieri così foschi. Siamo cavalieri, sono anni che viviamo con la spada in mano: se sarà necessario faremo la cosa giusta, ne sono sicuro. E adesso va' a sederti, che devo finire di spalmarti l'unguento.”
Adalrich obbedì, grato all'amico per la sua capacità di alleggerire ogni atmosfera cupa, più che per quel graveolente linimento che insisteva con tanta pervicacia ad applicargli.

§

Padre Caspar fece cenno ai contadini di buttare le fascine sulla pira che stava facendo allestire. Se le cose fossero andate avanti di quel passo, presto non sarebbe più rimasta legna per l'inverno. E probabilmente non sarebbe rimasto più nessuno ad accendere dei focolari.
Ogni mattina era necessario bruciare sul rogo le spoglie di chi era rimasto vittima del morbo. I cavalieri e i loro soldati pattugliavano il villaggio tutte le notti, ma chissà come, quelle creature malefiche e votate al Demonio trovavano ogni volta il modo di spargere il loro infame contagio tra gli abitanti di Dürnau.
Forse qualcuno, invece di combattere la presenza del Demonio, la stava favorendo, chissà. Si rallegrò del fatto che presto sarebbe arrivato un inquisitore inviato proprio dal vescovo di Fulda, una persona notoriamente molto attenta alle contaminazioni da parte di Satana.
Avvicinò la torcia alla catasta, che impregnata di pece com'era prese subito ad ardere crepitando. Avvolti nei sudari, i corpi delle vittime cominciarono a consumarsi.
Quando il calore divenne insopportabile, il prete si allontanò di qualche passo, pur continuando a tenere d'occhio il rogo.
Mentre era impegnato in quel gravoso compito, udì rumore di zoccoli. Si voltò e vide che erano in arrivo il barone e suo figlio. Li salutò con un inchino del busto.
Entrambi avevano l'espressione preoccupata, ma il prete poteva supporre che i motivi fossero del tutto diversi: il primo era giustamente in apprensione per la sorte dei paesani. Come feudatario spettava a lui proteggerli, in cambio del lavoro e delle tasse che essi gli dovevano, ma pur con tutta la buona volontà non ci stava riuscendo, e quelle fiamme che ora si levavano così rabbiose rappresentavano principalmente una crepitante accusa nei suoi confronti.
Il giovane Konrad, invece, era sicuramente inquieto per tutt'altro motivo: dato il morbo che imperversava su Dürnau, egli vedeva sfumare la possibilità di darsi alla bella vita a Norimberga, tra letture di poesia e femmine compiacenti.
Il prete faticò a nascondere il proprio disprezzo: una creatura fatua e sciocca, che davvero non riusciva a immaginare come futuro feudatario di Dürnau.
La voce di Ulrich von Obenstein lo distolse dai suoi pensieri: “Ebbene, padre, cosa pensate di tutto questo?”
Il sacerdote sospirò: “Il Signore ci mette alla prova. Ma del resto, l'uomo nasce per soffrire, come la favilla per volare in alto[1].” Si interruppe, fece cenno a uno dei contadini che lo assistevano di spingere vicino al rogo le braci che ne erano rotolate via, poi compunto proseguì: “Sarà quel che Dio vuole.”
Il barone non replicò.
Il prete gli rivolse un'occhiata, aprì la bocca come per dire qualcosa, poi ci ripensò. Aveva in tasca la risposta del vescovo di Fulda: era in arrivo padre Gerold, noto per essere il più grande nemico delle opere del Demonio. Ci avrebbe pensato lui, a sistemare le cose.






[1] Giobbe 5:7 – 17

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Ciao a tutti/e! Procediamo con la nostra storia. Intanto grazie a Saelde_und_Ehre, morgengabe, fiore di girasole, crilu_98, innominetuo, Syila, LyaStark e miciaSissi per avermi lasciato un commento!





Capitolo 6

Seduto nel carro coperto, le tende di mussola ben chiuse per far entrare meno polvere possibile, padre Gerold stava tentando di scrivere una lettera. All’ennesimo sobbalzo del veicolo, staccò la penna dalla pergamena, richiuse il calamaio e sospirò: “Non è proprio possibile, povero me.”
Si tolse le lenti che usava per lavorare e le ripose in un astuccio foderato di seta, quindi si rivolse a un segaligno frate di mezz’età e gli disse: “Leggimi qualcosa, Peter, sii gentile.”
L’altro chinò la testa con fare rispettoso e rispose: “Sì, padre. Cosa preferite?”
Scegli tu, l’importante è passare un po’ il tempo. Ci vuole ancora molto per questo Dürnau?”
Ora chiedo, padre.”
Il frate si affacciò a uno dei finestrini della copertura e scambiò qualche parola con qualcuno del seguito.
Ancora un paio d’ore, padre,” rispose rientrando.
Molto bene, mio buon Peter, molto bene. E dimmi, cosa sappiamo di questa santa missione che siamo chiamati a compiere?” La voce aveva una vaga nota ironica.
Diligente, il frate spiegò: “Pare che in quel paese sia all’opera il Demonio, padre.”
Lo so, ho letto da cima a fondo il dettagliato memoriale che mi ha mandato il parroco del posto. Ma una missione così bislacca non si è mai vista né sentita: cani infernali che galoppano su e giù, morti che non trovano riposo… secondo le tue informazioni, è per caso dedito al bere, il parroco di Dürnau?”
Stando a quelle che ho raccolto, è uomo di specchiata virtù, padre.”
O almeno così pare. E che mi dici di quella preziosa reliquia che sarebbe stata riportata dalla Terra Santa? Come mai il vescovo non l’ha fatta trasferire a Fulda?”
Perché c’era anche il vescovo di Norimberga, padre. Sicuramente non sono riusciti a stabilire a quale delle due chiese spettasse.”
Il prete fece un lieve sorriso. “Già, vedo che hai colto il problema. E del feudatario del posto che cosa puoi dirmi?”
Pare sia uomo probo e giusto. Stava compiendo un pellegrinaggio in Terra Santa quando si è imbattuto nella reliquia, padre. Ho sentito dire che considera l'accaduto un miracolo della Vergine Maria. In ogni caso, ha interrotto il viaggio ed è rientrato nei propri possedimenti per traslarvi il corpo del santo. L'hanno accompagnato due cavalieri dell'Ordine Teutonico che sono ancora al castello.”
Il prete aggrottò le sopracciglia con aria infastidita. “Due cavalieri dell’Ordine Teutonico,” ripeté. “Sarà opportuno controllare quanto sono malleabili.”
Padre?”
Sì, i frati combattenti tendono a essere più bizzosi dei muli stanchi. Hanno la pretesa di applicare quei loro molesti principi della cavalleria in qualsiasi situazione, obbediscono solo ai loro comandanti, e in generale ignorano tutte le sottigliezze che ci sono richieste per compiere il nostro santo uffizio.” Emise un sospiro infastidito. “Di solito sono una pena. Sappiamo come si chiamano questi due?”
Ho preso informazioni: Hermann von Seebach e Adalrich von Hohenberg.”
Uhm. Dei conti Hohenberg di Turingia?”
Sì, padre. Si dice inoltre che quel cavaliere sia un... homo albus[1].”
Padre Gerold sollevò le sopracciglia. “Davvero?”
Frate Peter annuì con aria compiaciuta.
Opus diaboli,” commentò l'altro.
Sic est.”
Si scambiarono un'occhiata, poi di nuovo il prete sospirò con aria esasperata e si lamentò: “Per i vomeri infuocati di Santa Cunegonda, un cavaliere, e per di più dei conti Hohenberg nonché homo albus. E poi abbiamo morti che non trovano riposo e reliquie di dubbia attribuzione. Questa missione si preannuncia assai faticosa.”
Il frate annuì compunto.

Nello stesso momento, presso la sala delle udienze del castello di Dürnau, il barone von Obenstein stava parlando con il prete del paese.
Il nobile girava su e giù nervosamente, i suoi occhi stavano mandando lampi. “E quindi avete chiamato un inquisitore da Fulda,” sibilò, rivolgendo al religioso uno sguardo irato.
Era necessario, barone,” replicò padre Caspar.
Avreste dovuto interpellarmi.”
Il prete strinse gli occhi. “Per le questioni terrene vi do ragione, barone, ma per quelle celesti rispondo solo a Dio.”
Non è esatto,” replicò von Obenstein, “Io sono l'autorità suprema in questo feudo.”
Ma la vostra autorità viene da Dio.”
Nemmeno questo è esatto: viene dall'Imperatore.”
Ma all'Imperatore, barone, chi ha conferito il potere? Dio!”
L'altro fece un gesto di impazienza e rispose: “Non stiamo a speculare se sia nato prima l'uovo o la gallina, padre. Voi avreste dovuto avvisarmi prima di chiamare questo cosiddetto inquisitore, e non a cose fatte.”
Ma ero qui appunto per farlo!” si difese il prete, ritirando la testa fra le spalle di fronte al cipiglio dell'altro.
Dal momento che questo padre Gerold sarà qui fra due ore, direi che non vi siete certo mosso con soverchio tempismo.”
Vi chiedo perdono,” si limitò a rispondere il prete con fare sbrigativo. “La mia mente era oppressa dalle preoccupazioni degli ultimi eventi, l'avrò dimenticato. E ora, se me ne date licenza...” Con un ultimo inchino prese a rinculare verso la porta.
Il barone lo fermò con un gesto. “Non vi ho ancora congedato, padre.”
Comandate altro, barone?”
Avete usato la parola giusta: qui comando io, e voglio che lo teniate bene a mente. Quel vostro padre Gerold è un ospite, nemmeno tanto gradito, a dirla tutta. Potrà indagare e studiare le opere del Demonio a suo piacimento, ma per ogni azione di una certa importanza che ha in animo di compiere, che si parli di imprigionare o interrogare gente, o peggio di condannarla, dovrà ricevere la mia approvazione. E ora potete andare.”
Rimasto solo, il barone continuò a girare su e giù per un po', poi chiamò un valletto e gli chiese: “Erich, sono rientrati i cavalieri?”
Sì, mio signore.”
Dì loro che voglio vederli subito.”
Il giovane rispose con un inchino, quindi uscì.

I cavalieri dovevano arrivare direttamente da una notte trascorsa nel paese, perché avevano ancora l'usbergo addosso e la veste macchiata di sangue. Nonostante la stanchezza, avevano un'aria moderatamente soddisfatta.
Com'è andata, cavalieri?” li accolse il barone.
Prese la parola il più alto dei due: “Sono due notti che il cane infernale non si fa vedere, barone. I mostri erano meno del solito, e sono comparsi solo nelle prime ore. Poi c’è stata calma fino al mattino.”
Abbiamo avuto delle perdite?”
Nessuno, barone.”
Von Obenstein emise un sospiro sollevato e disse: “Meglio così. Pensate che la pestilenza sia finita?”
È presto per dirlo, barone,” fu la risposta.
Il nobile stava per invitare i due cavalieri a sedersi con lui, quando tornò il valletto e gli riferì che si stava avvicinando una delegazione di religiosi dalla città di Fulda.
Riferite al capo di costoro che mi aspetto di vederlo qui prima possibile,” proclamò il barone, poi si voltò verso i fratelli cavalieri e disse: “Il vescovo ha mandato qui un inquisitore.”
I due rimasero impassibili.
Quella è gente un po’ fastidiosa,” proseguì von Obenstein al protrarsi del silenzio, “ficcano il naso dappertutto, e non smettono di cercare finché non hanno trovato un colpevole.”
Il Demonio deve essere combattuto,” intervenne Fratello Adalrich con voce neutra.
Cavaliere, la vostra limpidezza vi fa indubbiamente onore,” replicò il nobile. Stava per aggiungere altro, quando il valletto gli annunciò che padre Gerold attendeva di essere ricevuto.
Fallo entrare,” ordinò il barone.
Le porte della sala si spalancarono su un ometto dall’espressione mite, con una calvizie incipiente e una pinguedine appena accennata. Portava una semplice tonaca nera e sul petto gli pendeva una croce d’argento.
Alle sue spalle c’era un frate alto e ossuto che reggeva tra le mani un rotolo di carte.
Venite pure, padre,” lo invitò il barone.
Il religioso si fece avanti. “Dominus vobiscum,” proclamò, non appena si trovò di fronte al feudatario.
Et cum spiritu tuo,” rispose il barone von Obenstein, poi calò il silenzio.
Il prete si girò verso il suo accompagnatore, che gli porse un rotolo di pergamena adorno di vistosi sigilli. Questi lo prese e a sua volta lo porse al barone. “Sono qui come plenipotenziario di sua eccellenza il vescovo di Fulda,” esordì.
Alla frase seguì un altro silenzio. Von Obenstein si limitò a far saltare i sigilli e a leggere minuziosamente il contenuto della missiva.
Infine alzò gli occhi fino a fissarli in quelli chiari e vagamente acquosi del nuovo arrivato e disse: “L’ho già detto a padre Caspar e lo ripeto a voi: qui l’autorità suprema sono io, non il vescovo di Fulda.”
Ma certo, ma certo,” rispose l’altro, non particolarmente impressionato da quello sfoggio di potere, “Io sono qui solo per porgere in tutta umiltà il mio aiuto, non certo per creare problemi. Per grazia di Dio voi siete il feudatario, e tutto dovrà passare attraverso la vostra approvazione.”
Mentre parlava all’iroso castellano – e mai gli era capitato un castellano che fosse felice di vederlo, quindi la cosa ormai non lo impressionava più di tanto – si dava da fare per osservare ciò che lo circondava. Piccola nobiltà, valori marziali. Un ambiente di buon gusto, moderatamente ampio, moderatamente opulento ma senza sfarzo, con degli arazzi alle pareti e un bel tavolo di quercia al centro. Notò che gli arazzi ritraevano scene di battaglia e blasoni, ma nessuno di essi era di ispirazione religiosa.
Alle spalle del barone si trovavano i due cavalieri dell’Ordine Teutonico, che da quando era entrato non avevano aperto bocca, e si erano limitati a rimanere immobili. Notò che erano tutti e due molto alti e ben piantati, come del resto ci si doveva aspettare da gente che aveva fatto del combattimento la propria professione.
Fissò in particolare lo sguardo sull’homo albus. Era la prima volta che ne vedeva uno, e ne era piuttosto incuriosito. Aveva la corporatura di un Atlante, era quattro dita più del suo confratello in altezza e in larghezza, ma aveva i capelli, le ciglia e le sopracciglia di un vecchio, ed era pallido come un morto. In quel volto bianco si coglievano a prima vista solo gli occhi, di uno strano colore metallico, dallo sguardo di rapace.
Si chiese se quell'aspetto fosse davvero un’opera del Demonio come dicevano.
Distolse lo sguardo da lui, poi si rivolse al barone e disse: “Desidero conferire con il parroco del paese, se è possibile, affinché mi aiuti a stilare una lista delle persone da interrogare.”
C’è il mio capitano delle guardie, per questo.”
Con un sorriso, il prete gli assicurò: “Verrà interrogato anche lui, statene certo.” Poi si rivolse ai due cavalieri e aggiunse: “Non ritiratevi, confratelli. Nel corso della giornata avrò bisogno di conferire anche con voi.”

Seduto nella stanza che gli era stata messa a disposizione per condurre gli interrogatori preliminari, padre Gerold si voltò verso il frate e chiese: “Hai visto l’homo albus, Peter?”
Sì, padre.”
E che ne pensi?”
Il frate si segnò. “Opus diaboli,” proferì poi lapidario.
Tu pensi che sia stato lui?”
E chi altri, padre? È un emissario del Demonio, non può essere stato che lui.” Scrutò il prete alla ricerca della sua approvazione, ma l’altro mantenne un atteggiamento piuttosto distaccato. Riordinò le carte che aveva sparso sul tavolo, raddrizzò impercettibilmente la penna e allineò i fogli con il sottomano, poi tirò fuori le sue lenti da lavoro e posò sul tavolo anche quelle, infine spostò la lanterna in modo che la sua mano non proiettasse ombra sul foglio mentre lui scriveva.
Perché siamo qui, Peter?” chiese poi distrattamente.
Per combattere il Demonio e le sue opere immonde,” rispose pronto il frate.
Padre Gerold sollevò la testa e gli rivolse un sorriso benevolo. “Beati pauperes spiritu,” sospirò. “Noi siamo qui per ben altra bisogna, amico mio: dobbiamo alzare un po’ di polverone, fare un po’ di paura a questi bravi cristiani e in definitiva rinsaldare il potere della Chiesa laddove esso rischia di vacillare. Mi capisci?”
Con aria zelante, Peter accennò vigorosamente di sì.
Molto bene,” rispose il prete compiaciuto, “E allora fa entrare la prima persona della nostra lista.”
Colui che si sedette di fronte al tavolo di padre Gerold per primo fu Udo Lang, il guardiano di porci. L'omone entrò imbarazzato, cincischiando il cappello tra le mani, e rimase a guardare i due religiosi con un'espressione al tempo stesso volonterosa e preoccupata.
Padre Gerold gli restituì un sorriso incoraggiante. Giunse meticolosamente le dita sul piano del tavolo, polpastrello contro polpastrello come se stesse incastrando fra loro due parti di un complicato meccanismo, quindi esordì: “Ebbene, mio buon Udo, che cosa puoi dirmi della persona che hai trovato lungo la strada?”
Il porcaro cominciò a raccontare. Mentre frate Peter annotava ciò che l'uomo stava dicendo, padre Gerold scrutava in viso Lang, la cui espressione stava virando verso il sollievo di essersi sentito rivolgere una domanda alla quale sapeva rispondere.
E dei cavalieri che mi dici?” lo interruppe a un certo punto.
Hanno lottato contro quei mostri infernali ogni notte,” gli assicurò convinto il porcaro.
Tutti e due? Anche l'homo albus?”
Non capisco, padre.”
Quello più alto, pallido, con i capelli bianchi.”
L'uomo accennò vigorosamente di sì.
E dove c'erano le creature del Demonio c'era sempre anche lui, dico bene?”
Sì, padre. Le combatteva.”
O almeno così è parso agli occhi di un umile guardiano di porci.” Gli rivolse un sorriso. “Molto bene, mio buon Udo, le tue informazioni sono state preziose. Puoi andare.”
L'uomo non se lo fece ripetere, e dopo qualche altro inchino e segno di croce si affrettò a uscire.
Subito dopo fecero entrare mastro Wernhart, capo-guardiacaccia del barone von Obenstein. L'uomo si presentò con tutt'altro atteggiamento rispetto a colui che l'aveva preceduto: si inchinò senza cerimonie, e quando si tolse il cappello fu solo per elargire un breve saluto, poi se lo rimise in capo subito dopo. Si sedette senza che il prete l'avesse invitato a farlo, quindi disse: “Facciamo presto, per favore, che ho i falchi giovani da nutrire.”
Il prete strinse appena gli occhi. Si lucidò le lenti da lavoro e le sistemò accanto al foglio parzialmente scritto con ostentata lentezza. Alla fine alzò lo sguardo fino a fissarlo in quello del suo interlocutore e rispose: “Solo il Signore sa quanto tempo sarà necessario.”
L'altro non replicò. Rimase comunque a fissarlo serio, in attesa delle domande.
Parlatemi di questa bestia misteriosa, mastro Wernhart,” chiese allora padre Gerold, “è vero che è un animale infernale?”
Non saprei, padre.”
Non è forse vero che uccide le sue vittime senza lasciare loro in corpo una goccia di sangue? E non è forse vero che alla vista della prima vittima vi siete fatto il segno della croce e avete invocato Sant'Uberto?”
Sant'Uberto è il patrono dei cacciatori,” gli ricordò mastro Wernhart a disagio.
Padre Gerold sorrise. “Non dovete sentirvi sotto accusa, mio buon guardiacaccia,” gli assicurò premuroso. “Sto solo cercando di ricostruire quello che è accaduto in questo villaggio flagellato dalla presenza nefasta del Demonio. Ora ditemi: hanno avuto fortuna le cacce che avete organizzato per prendere la bestia?”
No, padre.”
Mai una volta?”
L'altro scosse la testa.
C'erano quei cavalieri con voi?”
Intendete quelli dell'Ordine?”
Proprio loro.”
Mastro Wernhart annuì. “A volte.”
Anche quello con i capelli bianchi?”
Sì.”
E non avete preso niente, vero?”
Non abbiamo preso niente nemmeno quando quel cavaliere non era con noi, se è per questo,” replicò il guardiacaccia.
Il prete sollevò le sopracciglia. “E come mai vi siete sentito in dovere di fare questa precisazione, mastro Wernhart?”
L'altro rimase in silenzio.
Qui è del Demonio che stiamo parlando,” gli ricordò il sacerdote in tono tagliente, “non di una qualunque bestia selvatica. Dunque voi avete notato una correlazione fra la presenza del cavaliere dai capelli bianchi e quella della bestia misteriosa?”
Non ho detto questo.”
Invece me l'avete appena detto. Avete ritenuto di farmi notare che non avete preso la bestia nemmeno quando il cavaliere non era con voi. Questa è un'informazione molto utile, di cui state pur certo che farò buon uso.” Si rivolse al frate e chiese: “Hai scritto tutto, Peter?”
Sì, padre.”
Molto bene.” Poi, di nuovo al guardiacaccia: “E ora andate pure a nutrire i falchi giovani, mastro Wernhart, non ho più bisogno di voi.”
Uscito quello, fu il turno di Grete, una servetta del castello. La ragazza entrò molto intimidita, mordicchiandosi il labbro inferiore. Fece una riverenza e rimase in piedi al centro del locale.
Vieni pure, figliola,” le disse padre Gerold in tono benevolo, invitandola con un gesto ad avvicinarsi. “Siediti qui.”
Grete avanzò a passettini e si sedette con l'aria di accomodarsi sui carboni ardenti.
Il prete le rivolse un sorriso e le chiese: “Non hai paura di me, vero?”
Ella rimase in silenzio.
Suvvia, la incoraggiò il sacerdote con fare benevolo. “Non mangiamo nessuno. Non è vero, Peter?”
Certo che no, padre Gerold. Proprio nessuno.”
La ragazza, occhi verdi e una manciata di efelidi sul naso, sorrise, e le si crearono due graziose fossette sulle guance.
Molto bene,” approvò il prete, “molto bene. E ora ti farò qualche domanda, mia cara.”
Va bene, padre.”
Dimmi un po', al castello parlano di quello che sta succedendo in paese?”
Grete accennò di sì con la testa. “Oh sì, padre, non si parla d'altro.”
Il prete annuì. “E cosa si dice?”
Di nuovo, la ragazza si morse il labbro. “Che... c'è il Diavolo, padre,” mormorò. Poi, a voce più alta: “C'è davvero, padre?”
Eh, purtroppo temo di sì.”
Ma voi lo scaccerete, vero? Ci libererete dal Demonio che ora ci sta facendo tanto male, vero?”
L'altro accennò di sì con la testa. “Certo, figlia mia. Ma ho bisogno del vostro aiuto, del tuo aiuto per farlo.”
Tutto quello che volete, padre.”
Padre Gerold sorrise. “Brava ragazza. E ora dimmi: che ne pensi dei due cavalieri?”
Grete abbassò lo sguardo. “Stanno sempre per conto loro.”
Non si mescolano con gli altri?”
Hermann... voglio dire, il biondo è più gentile, delle volte parla con noi.”
L'altro vi tratta male?”
No, ma sta sempre per conto suo, non dà confidenza. E poi mi fa paura.”
Perché?”
Grete si guardò le mani, poi se le appoggiò in grembo. Infine disse: “È così strano... mia madre dice che è opera del Demonio oppure è figlio di una strega, e non capisce come faccia a portare la croce. Io non ci voglio avere niente a che fare con il figlio di una strega.”
Ma certo, come è giusto. E dimmi, Grete: di notte cosa fa?”
È sempre fuori, e dorme di giorno.”
Ah, molto interessante.”
Ma anche l'altro...”
Grazie, Grete,” la interruppe padre Gerold, “Ora puoi andare, le tue informazioni sono state davvero preziose.”
Ma padre, voi dovete sapere...”
Certo, certo. Ma ora lasciaci, figlia mia. Io e frate Peter abbiamo ancora molto lavoro da fare.”

Padre Gerold interrogò per ultimi i due cavalieri. La scelta di farli attendere era stata operata a ragion veduta: uno stallone selvaggio va fatto stancare, prima di provare a montargli in groppa.
Quei due non erano servi o contadini: si trattava di nobili abituati a comandare, gente che aveva fatto della battaglia la propria ragione di vita. Non sarebbe bastato fare la voce grossa per spaventarli.
Fece chiamare prima fratello Hermann. Questi entrò a testa alta, senza un'ombra di soggezione. Negli occhi azzurri gli brillava una luce gelida e rabbiosa.
Rimase in piedi in mezzo alla stanza.
Venite avanti, cavaliere,” lo invitò il prete.
L'altro si avvicinò mantenendo un silenzio carico di minaccia.
Sedetevi.”
Che cosa volete chiedermi?” ringhiò Hermann, rimanendo dritto in piedi.
Con tono conciliante, padre Gerold rispose: “Vorrei solo parlare un po' con voi.” Gli indicò di nuovo la sedia. “Sedete, suvvia. Siete così alto che se state in piedi mi fate venire il torcicollo.” Fece una risatina.
Il cavaliere si sedette senza mutare espressione. “Ebbene, cosa volete sapere?” gli chiese brusco. “È tutto il giorno che aspetto i vostri comodi.”
Il prete emise un sospiro. “Vi chiedo perdono, cavaliere, ma la mia santa missione purtroppo richiede a volte dei sacrifici. A me medesimo, oppure – cosa che mi fa soffrire molto di più – ad altri.”
Il cavaliere continuava a fissarlo impassibile.
Da quanto tempo conoscete il vostro confratello?” gli chiese allora padre Gerold.
Hermann aggrottò le sopracciglia. “Non si stava parlando della presenza del Demonio a Dürnau?” ringhiò sospettoso.
Ogni cosa a suo tempo, cavaliere. Che cosa potete dirmi del vostro confratello?”
Il crociato strinse gli occhi, che divennero due lame azzurre, poi replicò: “Posso dirvi che è la spada migliore della Palestina, e posso dirvi che non esiste persona più coraggiosa, prode e onorevole di lui.”
Ma certo, non lo metto in dubbio,” concesse il sacerdote, poi chiese: “E del suo aspetto che mi dite?”
L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore.[2]”
Vi paragonate al Signore, cavaliere?”
No, sto solo conformandomi al Suo insegnamento.”
Tra i due calò un silenzio pesante, rotto solo dallo scricchiolio della penna di frate Peter sulla carta.
Il prete decise di cambiare tattica: “È nel vostro interesse, o meglio in quello del vostro confratello, che voi parliate con cuore sincero, cavaliere. Tra le persone che ho interrogato prima di voi, non ce n'è una che non mi abbia riferito cose sospette su di lui.”
Questo capitò anche a Cristo, se non sbaglio.”
Padre Gerold fece un sorrisetto. “Volete combattere con me a colpi di Sacre Scritture, cavaliere? Vi avverto che se con la spada non avrei speranze di sconfiggervi, in questo campo sono un degno avversario.”
Se voi parlate di sconfiggermi, padre, è segno che siamo nemici, e quindi non vedo il motivo di porgervi aiuto. Ve lo ripeto: il mio confratello è più degno di tutti noi di vestire la croce, è impavido, nobile e generoso. Non ha nulla a che fare con demoni, streghe o chissà che altro.”
Il prete annuì come se si fosse aspettato da parte del cavaliere proprio quelle esatte parole, poi disse: “Io di streghe non avevo mai parlato. State attento, la troppa foga di difendere ottiene spesso l’effetto contrario. Sapete come si dice, del resto: excusatio non petita, accusatio manifesta.”
Il cavaliere rimase impassibile, ma padre Gerold fu certo di averlo colpito. “Potete andare, ora,” gli disse in tono benevolo, “sarete sicuramente stanco.”
Hermann si alzò e uscì senza dire una parola.

L’ultimo a essere interrogato, ormai al calare del sole, fu l’homo albus.
Nella stanza ormai in penombra, rischiarata appena dalla lanterna posta sul tavolo, il suo pallore e i suoi capelli bianchi risaltavano ancora di più, facendolo assomigliare a una statua di ghiaccio. Sulla spalla sinistra e sul petto aveva la croce nera dell’Ordine.
Venite avanti, cavaliere,” lo invitò padre Gerold. “Come vi chiamate?”
Adalrich.”
Adalrich, e poi?”
L’altro gli rivolse uno sguardo duro. “Fratello Adalrich. Questo è l’unico appellativo che in quanto membro dell’Ordine posso e voglio portare.”
Il prete lo squadrò in silenzio per qualche istante, poi disse: “Siete molto rigoroso, cavaliere.”
L’altro non rispose.
Sedetevi.”
Adalrich prese posto sulla sedia e rimase a fissare in silenzio il suo interlocutore.
Sapete che cosa mi hanno detto su di voi?” esordì padre Gerold.
No.”
Ne siete certo?” lo provocò. “Io credo che in realtà ve lo immaginiate.”
La penna di frate Peter continuava a stridere sulla carta.
Alla fine, fratello Adalrich rispose: “Che cosa conta qui, padre? I fatti o quello che io immagino?”
In verità, entrambe le cose. Voi avete un’idea, ad esempio, di quello che dicono di voi?” Poi, rivolto al suo aiutante: “Leggi un po’ la testimonianza della ragazza, per favore.”
Frate Peter scartabellò tra le sue carte, estrasse un foglio, quindi compunto lesse: “Mia madre dice che è opera del Demonio oppure è figlio di una strega, e non capisce come faccia a portare la croce.”
Il cavaliere aggrottò le sopracciglia.
Vogliamo leggerne un’altra?” propose padre Gerold. “Peter, quella del guardiano di porci, per favore.”
Dove c'erano le creature del Demonio c'era sempre anche lui.”
Adalrich rimase immobile. Solo dopo qualche istante, con voce dura disse: “Facciamola breve, padre: dove volete arrivare?”
L’altro emise un sospiro. “Voglio farvi capire, cavaliere, che voi vi trovate in una situazione piuttosto ambigua: da una parte affermate di combattere il male, ma dall’altra avete appena avuto la riprova di come tutti vi considerino emissario di quello stesso male.”
Io non affermo di combattere il male, padre,” ringhiò il cavaliere, mentre lo sguardo gli si incupiva, “Io lo combatto.” Strinse i pugni e per un istante fremette come se stesse per lanciarsi contro il sacerdote, che infatti si trovò ad arretrare preoccupato.
In ogni caso,” proseguì padre Gerold, a rispettosa distanza, “ritengo sia meglio non dare adito a ulteriori voci nei vostri confronti. Anzi, mi meraviglio che il barone von Obenstein non abbia già preso da tempo un provvedimento del genere.”
Di cosa state parlando?”
È meglio che questa notte rimaniate chiuso in una cella, così la gente si rassicurerà nei vostri confronti.”
A quelle parole, Adalrich scattò in piedi. “Cosa? Dovrei lasciare Hermann là fuori da solo con quei mostri? Non se ne parla nemmeno.” Rimase a guardarsi intorno come una belva in un branco di cani.
Il prete gli rimandò uno sguardo neutro. Nella sua carriera di inquisitore ne aveva vista fin troppa di gente che si agitava, sbraitava e minacciava. Quel cavaliere non era certo il peggiore che gli era capitato. “Devo ricordarvi il vostro voto di obbedienza? Io sono il plenipotenziario del vescovo.”
Imprigionatemi domattina, se proprio ci tenete. Questa notte c'è bisogno anche della mia spada là fuori.”
Padre Gerold sorrise. Fissò il cavaliere come se lo vedesse per la prima volta, sollevando addirittura le sopracciglia con aria di cortese interesse. Si accomodò all'indietro contro lo schienale, incrociò le braccia sul petto e disse: “Ma guarda un po': piuttosto furbetto, questo figlio del Demonio. Imprigionatemi domani. E intanto questa notte che cosa fai, eh?”
Adalrich spalancò gli occhi, spiazzato da quell'attacco frontale. “Cosa faccio?” ripeté. “Perché non venite a vedere con i vostri occhi, padre? Sempre che il cuore vi regga, naturalmente.”
Non ci tengo, di opere del Demonio ne ho viste fin troppe, nella mia carriera. Ora, per il rispetto che nutro per il vostro Ordine, abbiate la compiacenza di non creare problemi. Sarebbe davvero penoso trascinare in cella un cavaliere teutonico che sbraita e si agita come un volgare ladro di polli.”

Il barone non credeva alle sue orecchie. “Ma stiamo scherzando?” ringhiò.
Padre Gerold lo fissò con la più grande tranquillità. “Necesse est,” si limitò a comunicargli.
L'altro interruppe il passeggiare nervoso e lo fissò con occhi che mandavano lampi. “Il latino non rende le scempiaggini più assennate, padre. Sarebbe necessario, per che cosa?”
Il prete assunse l'espressione di Cristo dinnanzi al sinedrio. Con tono paziente, spiegò: “Barone, quel cavaliere è vittima di dicerie di ogni genere. Quale modo migliore per dimostrare la sua innocenza di quello che vi sto proponendo? Essendo chiuso in cella, nessuno potrà ritenerlo responsabile di alcunché.”
E allora perché non chiuderlo in una stanza?”
Potrebbe evadere.”
Non stiamo parlando di un criminale.”
Oppure potremmo dire: stiamo parlando di una persona che non sembra essere un criminale.”
I due rimasero a fissarsi negli occhi in silenzio. Persino i rumori dell'esterno sembravano essersi affievoliti. Infine, il barone trasse un profondo sospiro come per calmarsi, poi lentamente disse: “Fratello Adalrich è un cavaliere dell'Ordine Teutonico. Nel lungo viaggio dalla Palestina a qui ho imparato a conoscerlo bene, e vi posso dire che è una persona alla quale affiderei senza esitazione la mia vita. Voi avreste la pretesa che io lo buttassi in una segreta come una specie di delinquente comune, venendo meno alle regole dell'ospitalità e della cavalleria?”
Padre Gerold annuì, tranquillo come se stesse parlando del tempo. “È solo una misura precauzionale, non ho intenzione di fargli nulla. Voglio solo essere sicuro di alcune cose.”
Di cosa, se è lecito?”
Sapete anche voi cosa si dice di quelli come lui: che siano emissari del demonio e frutto di atti di stregoneria. Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci.[3]”
Von Obenstein strinse gli occhi. “Che cosa vorreste insinuare?” ringhiò, “Che quel cavaliere celi sotto il proprio aspetto una natura diabolica?”
In verità, barone, non cela proprio nulla. Quale sia la sua natura è evidente a chiunque.”
Non c'è niente di diabolico in lui.”
L'altro si strinse nelle spalle. “È quello che intendo provare, e se nel vostro cuore non albergasse il dubbio,” si protese in avanti a fissarlo negli occhi, “e io so che invece vi alberga, non trovereste nulla da eccepire nella mia proposta. Se il Signore è con lui, lo dimostrerà. E se non lo è... ogni albero che non produce frutti buoni verrà tagliato e gettato nel fuoco.[4]”






[1] Non ho trovato la definizione di “albino” nel medioevo da nessuna parte, quindi ho dovuto inventare. Se qualcuno la sa e me la dice mi fa un enorme piacere!
[2] Samuele, 16
[3] Matteo, 7:15-20
[4] Ibid.




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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Salve a tutti/e, eccomi qui con un nuovo aggiornamento della nostra storia medievale. Ringrazio tutti/e coloro che hanno avuto la gentilezza di commentarmi, ovvero morgengabe, Saelde_und_Ehre, Syila, innominetuo, fiore di girasole, Crilu_98, miciaSissi, LyaStark e naturalmente molang, che si è pure fatta la maratona dei capitoli^^
Ringrazio ovviamente anche tutti coloro che hanno messo la storia in qualche lista o sono solo passati a dare un’occhiata.






Capitolo 7

Per la prima volta da quando tutto era cominciato, Hermann si era trovato a pregare perché una di quelle creature saltasse fuori.
Aveva battuto il villaggio tutta la notte, aveva cercato nelle case, nelle stalle, intorno al cimitero. Si era infilato in tutti i luoghi più oscuri e pericolosi, quelli dove normalmente gli esseri si annidavano in attesa della notte.
Niente.
Certo non era bello desiderare il male, ma la sera prima aveva parlato con il barone e l’aveva visto preoccupato in un modo che non gli era piaciuto per nulla.
Si guardò intorno: stava sorgendo un'alba radiosa, sembrava che addirittura il sole fosse felice della notte appena trascorsa, nella quale invece dei lugubri ululati che avevano funestato le precedenti, non si erano uditi altro che il canto degli usignoli e il frinire dei grilli.
Le campane cominciarono a suonare. Hermann si spostò verso il sagrato e vide le porte della chiesa aprirsi, e da esse sciamare fuori gli abitanti di Dürnau. La gente aveva l'aria sollevata. Percepì risate e frasi scherzose.
Quando qualcuno gli passava di fianco, le frasi perlopiù si affievolivano.
Da dentro la chiesa sentì provenire la voce di padre Caspar: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati...[1]”
Poi il prete giunse sulla soglia, lo scorse e bruscamente tacque. Chinò lo sguardo e per un attimo sembrò sul punto di rientrare nell'ombra della navata.
Come va, padre?” gli chiese il cavaliere.
Oh, ehm... abbastanza bene, grazie.” L'uomo fece una pausa, si schiarì la gola, poi riprese: “Anzi, molto bene, direi. Finalmente la Santa Vergine e il Santissimo Atanasio di Alessandria, che abbiamo pregato per tutte queste notti, ci hanno fatto la grazia, e il flagello è scomparso.”
O almeno così pare,” replicò Hermann.
Il prete lo fissò con apprensione. “Che cosa vorreste dire, cavaliere?”
Non lo so, mi sembra strano che se ne siano andati così.”
Dio ci è venuto in soccorso.”

§

Nelle prigioni non c’era nessuno. Le celle erano tutte vuote, e l’unico rumore che si udiva era lo sgocciolio di qualche infiltrazione d’acqua negli angoli più bui e umidi. Nella penombra densa, appena rischiarata da una piccola finestra sbarrata da due ferri a croce, avvolto nel manto bianco, Adalrich sedeva sul pagliericcio.
Per tutta la notte aveva vegliato, tendendo ansiosamente l’orecchio alla comparsa dei raccapriccianti ululati di quei mostri, ma non aveva udito nulla. Era rimasto a passeggiare su e giù davanti alla porta della cella, pensando a Hermann, chiedendosi ansiosamente se stesse bene.
Aveva anche pregato, chiedendo a Dio che non fosse il suo confratello a pagare per le sue colpe, e che quelle cose non lo ferissero, perché in tal caso non avrebbe avuto accanto nessuno deciso a compiere l’ultimo e più necessario dovere nei suoi confronti.
Il rumore di un chiavistello che scattava attirò la sua attenzione. Si alzò in piedi e vide una lama di luce disegnarsi sul pavimento di pietra.
Afferrò le sbarre.
Avanzarono lentamente padre Gerold e il frate. Il secondo reggeva un pezzo di pane e una brocca d’acqua.
Buon giorno, cavaliere,” salutò il prete. “Spero che la sistemazione non sia risultata troppo scomoda.”
Come sta Hermann?” chiese Adalrich ignorando il saluto.
Volete dire il vostro confratello?”
Sì.”
Il sacerdote intrecciò le mani dietro la schiena e osservò il prigioniero dal basso verso l’alto, come se stesse guardando un animale particolarmente strano. “Difficile che possa stare male,” rispose alla fine, “Dal momento che questa è stata la notte più tranquilla che Dürnau abbia conosciuto da un anno a questa parte.”
Dio sia lodato,” sospirò il cavaliere. “Ora volete farmi uscire, per favore?”
L’altro lasciò passare qualche istante, poi lapidario rispose: “Non se ne parla nemmeno.”
Adalrich aggrottò le sopracciglia. “Come sarebbe a dire?”
La notte appena trascorsa eravate prigioniero e non è successo nulla, mentre da quando siete arrivato qui, ogni mattina sono stati trovati nuovi mostri e nuove vittime.”
Questo è ridicolo,” ringhiò il cavaliere. “Mi state accusando di aver ucciso quelle persone?”
Non lo sto facendo io. I fatti parlano da soli.”
Di nuovo calò il silenzio. Sotto lo sguardo cupo del crociato, il prete prese uno sgabello, si sedette e fece cenno al frate che lo accompagnava di deporre accanto alla cella il misero vitto che aveva portato. Fatto questo, si sistemò meglio la tonaca, lucidò su dorso della manica la croce che portava al collo e infine, col tono di una banale conversazione, disse: “Non nego di aver forzato un po’ la mano ieri, nel corso degli interrogatori preliminari. Ho fatto domande ad hoc e ho raccolto le risposte che volevo.” Fece un’altra pausa, annuì con l’aria di complimentarsi con se stesso. “Ma evidentemente era Dio che stava guidando le mie azioni, cavaliere, perché così facendo, ho maturato la decisione di rinchiudervi qui e ho messo fine al flagello che stava devastando il paese.”
Voi non avete messo fine proprio a nulla, quelle cose torneranno.”
Oh, ma certo. C’è stato un errore, vero?”
Torneranno.”
E voi come lo sapete, di grazia?”
Lo so e basta. Il mostro più pericoloso, il cane infernale, non è stato ucciso.”
Ripeto la domanda: e voi come lo sapete? Siete in contatto con lui, per caso?”
E io vi ripeto: non siate ridicolo. Lo deduco dal fatto che non l’avete neppure nominato.”
Il prete annuì grave. Fece passare qualche istante di silenzio, quindi con voce fredda disse: “Qui c’è un unico cane infernale, figlio di Satana ed emissario del Demonio, cavaliere, e in questo momento è dietro le sbarre, impossibilitato finalmente a compiere le sue opere nefaste.” Lo squadrò di nuovo come se stesse osservando un animale mai visto, quindi gli chiese: “Dite, come avete fatto a carpire la fiducia del barone von Obenstein? Eppure non mi è sembrato uno sprovveduto.”
Fratello Adalrich non rispose.
Certo, rimanete pure nel vostro sdegnoso silenzio, finché ne siete in grado,” fu la pacata risposta, “Ma sappiate che nessuno è mai riuscito a resistere ai miei interrogatori. Arriverà il momento in cui vi rammaricherete di non avere più cose da dirmi.”
Io non ho nulla da dirvi, né l’avrò mai.”
Vedremo, vedremo,” rispose padre Gerold in tono condiscendente.

§

Hermann rientrò al castello immerso in cupi presentimenti. Procedeva rapido, quasi senza fare caso al fatto che a differenza dei giorni precedenti, sul suo cammino non compariva anima viva.
A un certo punto svoltò per un viottolo che non aveva deviazioni, e una ragazza che camminava nella direzione opposta alla sua si appiattì al muro e si segnò quando si incrociarono.
Perplesso, il cavaliere la seguì per qualche istante con lo sguardo mentre si allontanava, poi però tornò deciso sui propri passi.
Vide le guardie all’entrata scambiarsi un’occhiata nervosa al suo apparire. Per un attimo fecero quasi il gesto di sbarrargli il passo, poi rinunciarono al loro proposito, ma evitarono di guardarlo, rimanendo con gli occhi fissi dinnanzi a sé.
Hermann cercò l’entrata delle prigioni e vi si diresse senza indugio.
Questa volta, la guardia lo fermò.
Fatemi passare,” gli intimò il cavaliere, già inquieto per la notte appena trascorsa e per l’atteggiamento strano dei paesani.
Ho ordine di non far passare nessuno.”
L’altro lo fissò torvo. “Ordine di chi?”
Il soldato si guardò intorno, constatò che erano soli e a bassa voce rispose: “Veramente non potrei nemmeno dirvelo. Ordine dell’inquisitore che è arrivato ieri.”
Il cavaliere aggrottò le sopracciglia. Avrebbe voluto chiedere da quando in qua in un castello un uomo di chiesa dava ordini al posto del feudatario, ma di sicuro non era il soldato con cui stava parlando colui che avrebbe potuto dargli una risposta. Lo salutò e si allontanò.
Andò a cercare il barone.
Trovò il nobile nella sala delle udienze, con lui c’era anche padre Gerold.
Voi dovete permettermi di interrogarlo secondo le prescrizioni del vescovo!” stava dicendo il prete.
Hermann non percepì alcuna risposta.
Dovete farlo! Quello che voi avete sempre considerato un servo di Dio, quello al quale avete accordato la vostra incondizionata fiducia, altri non è che un emissario di Satana.” Poi, dopo una pausa: “Prima firmerà la sua confessione, prima potremo procedere a eliminare definitivamente il male da Dürnau.”
Che cosa intendete per eliminare definitivamente?” disse il barone dopo un lungo silenzio.
Prima che il prete potesse rispondere, Hermann fece il suo ingresso nella stanza. “Qui non si interroga proprio nessuno,” disse in tono che non ammetteva repliche, “a meno che non sia presente un membro nel nostro Ordine.”
Io sono il plenipotenziario del vescovo,” ringhiò padre Gerold rivolgendogli un’occhiata velenosa, “quindi ho il diritto di portare avanti un interrogatorio con i mezzi che ritengo più adeguati, se ho il fondato sospetto che ci siano commerci con il Maligno.”
Fratello Hermann si erse in tutta la sua altezza, arrivando a sovrastare il religioso di tutta la testa. Sul suo volto normalmente amabile e sereno aleggiava l’espressione che egli assumeva nel corso delle battaglie più feroci. “E io vi ripeto, padre, che richiedo, anzi esigo un membro nel nostro Ordine che porti avanti l’eventuale interrogatorio insieme a voi.”
L’altro lo fissò bellicoso. “Altrimenti?”
Altrimenti...” cominciò facendo un passo verso di lui, la mano gli corse al pomo della spada.
Mentre il prete arretrava mormorando qualcosa d’indistinto, il barone afferrò il cavaliere per un braccio e lo trattenne. “Non giova a nessuno farsi prendere dai sentimenti,” gli ricordò.
A malincuore, Hermann si rilassò sotto la sua presa. Emise un sospiro sconsolato e disse: “Certo, avete ragione.” Volse lo sguardo verso di lui come per chiedergli aiuto.
Il nobile annuì appena, quindi a voce alta disse: “Concordo con quanto detto dal fratello cavaliere. Manderemo a chiamare un membro dell’Ordine esperto in questo genere di cose.”
Ma...” intervenne il prete indignato.
Così è deciso,” replicò von Obenstein prima che l’altro avesse tempo di finire la frase. “Potete tenere in cella il cavaliere, ma non potete interrogarlo in alcun modo fino a che non sarà giunto un cavaliere più anziano, o addirittura un fratello sacerdote che possa assistervi nella bisogna. L’Ordine Teutonico ha uno statuto particolare, del quale ovviamente non potete essere a conoscenza, quindi è necessario che qualcuno più sapiente di voi in questo campo vi affianchi e vi consigli.”
Il prete aggrottò le sopracciglia. “Volete lasciare che il male dilaghi nel vostro feudo?” lo provocò.
Se devo dar retta a voi, il male è attualmente chiuso in una cella del mio castello, e da lì non può scappare.”
Ma può sempre esercitare la sua nefasta influenza.” Il sacerdote dardeggiò occhiate verso i due interlocutori, che però gli rimandarono sguardi di pietra. Il barone anzi disse: “Sono certo che il nostro parroco, padre Caspar, gradirebbe molto scambiare altre quattro chiacchiere con voi. Non capita tutti i giorni di avere a che fare con un plenipotenziario del vescovo di Fulda.”
Ma, se permettete, barone...” tentò padre Gerold.
Andate. Il simile ama stare con i propri simili, non è così?”
Una volta che il prete, con molti inchini e qualche rispettosa ma inascoltata protesta fu uscito, Hermann si rivolse al barone e semplicemente disse: “Adalrich è innocente.”
Lo so.”
Sono pronto ad affrontare qualsiasi ordalia per provarlo, non temo il giudizio di Dio né quello degli uomini. Giuro sulla mia spada, e per la croce che porto sul petto, che il mio confratello non ha mai fatto altro che combattere quelle creature malefiche.”
Lo so, lo so,” sospirò di nuovo il barone, “non lo dovete dire a me.”
E allora perché non lo fate liberare?”
Non è così facile. Qui non siamo in Terra Santa, le cose sono più complesse. Ma posso pur sempre ordinare che al vostro confratello non sia fatto alcun male.” Si interruppe, guardò verso la porta come temendo di vedere affacciarsi l’inquisitore, poi soggiunse: “Per ora.”
Hermann lo fissò aggrottando le sopracciglia. “Come sarebbe a dire, per ora?”
Al momento il vostro confratello ha a suo favore solo i vostri giuramenti. Contro di lui invece ci sono prove purtroppo evidenti, oltre al fatto che è un… come l’ha chiamato il prete? Homo albus?”
Sì.”
Quelli come lui di solito vengono uccisi da piccoli, lo sapete bene. Lui si è salvato solo perché di famiglia nobile.”
È innocente,” ripeté Hermann per l’ennesima volta. Evitò di tirare fuori l’argomento delle vere origini del confratello. Si ripromise anzi, qualora le cose si fossero messe davvero male, di scrivere ai conti von Hohenberg: se essi avevano accolto Adalrich quando era in fasce e nonostante il suo aspetto lo avevano cresciuto come figlio loro, di certo dovevano volergli bene. La famiglia era antica e potente, e un suo appello a favore del cavaliere non sarebbe rimasto inascoltato.
Hermann chinò la testa, lasciando vagare per un po’ lo sguardo sulle macchie colorate che il sole creava su muri e pavimento attraversando i vetri delle finestre. Infine fissò il barone e chiese: “Posso vederlo?”
L’altro annuì. “Teoricamente, nessuno potrebbe avere contatti con il prigioniero, ma vi porterò comunque da lui. Basta che mi promettiate di trattenervi poco.”
Voglio solo scambiare due parole con lui, vedere come sta.”
Non gli è stato fatto del male,” si sentì in dovere di ricordargli il barone.
Senza quasi fare caso a quella rassicurazione, Hermann rispose: “Il problema non è la sofferenza del corpo, barone. Sarà furioso e umiliato, e quando è in quello stato d’animo tende a convincersi di cose stupide.”
Ad esempio?”
Ad esempio che il prete abbia ragione, o scempiaggini del genere, ed è troppo schietto per non dire con franchezza quello che pensa, anche a proprio discapito. Devo andare a parlargli prima che peggiori da solo la sua posizione.”

Inginocchiato accanto al pagliericcio, immobile, Adalrich sembrava una statua di marmo. La luce che penetrava dal finestrino lo investiva in pieno, facendo risaltare il suo candore contro il buio che lo circondava.
Hermann si avvicinò e rimase in piedi a guardarlo.
L’altro, che stava pregando, disgiunse le mani e si voltò verso di lui. “Sei tu,” disse. Gli rivolse un pallido sorriso.
Hermann si fece avanti, afferrò le sbarre. “Adalrich...”
Non saresti dovuto venire,” lo ammonì il prigioniero.
Perché?”
Non devono pensare che tu ed io siamo legati da altri vincoli a parte quello di appartenere allo stesso ordine, altrimenti finiranno per sospettare anche di te.”
Per tutta risposta, in tono rabbioso Hermann disse: “Non permetterò a quel prete di farti del male, dovessi frappormi fra te e lui con la spada in pugno.”
Adalrich non replicò. Si alzò in piedi, si avvicinò alle sbarre e pose le mani accanto alle sue, abbastanza vicino da sfiorarle. “E se… fosse vero?” mormorò evitando di guardarlo negli occhi.
Che cosa?”
Che io sono un emissario del Demonio. Che sono malvagio.”
Per la lancia di San Giorgio, Adalrich, ricominci?” sbottò il confratello, avendo cura di far sì che la sua voce suonasse particolarmente esasperata. “Se tu fossi di natura diabolica, come potresti portare la croce sul petto?”
L’altro abbassò gli occhi sulla propria cotta d’arme come se la vedesse per la prima volta. “Non lo so,” disse candidamente. Staccò una mano dalle sbarre e sfiorò con le dita la croce nera.
Adalrich, te l’ho sempre detto: dai un po’ troppo credito alle storie da comari. Se tu sei di natura diabolica, allora Starkenberg deve essere un girone dell’inferno, perché sei il migliore, il più valoroso e il più devoto di tutti noi.”
Adesso non esagerare.”
Dico le cose come sono.” Distolse lo sguardo dal confratello e lo girò verso la porta delle prigioni, constatando che essa era ancora chiusa. Tornò a fissare gli occhi su di lui e a voce bassa disse: “Cambiando discorso: tu che idea ti sei fatto di quello che è successo?”
L’altro fece per aprire la bocca, ma Hermann lo fermò con un gesto e lo ammonì: “Non tirare fuori delle assurdità sul fatto che eri rinchiuso qui. Lo sai meglio di me che non c’entri niente.”
Hm.”
Ne sei convinto, vero? Non è che cominci ad autoaccusarti come uno stupido appena giro l’angolo?”
Ma no, sta tranquillo.”
L’altro lo squadrò critico. “Vedremo. Comunque: tu credi che la questione dei mostri sia veramente finita?”
Adalrich scosse la testa. “No, non è finita. Ho ancora la brutta sensazione che mi porto dietro da quando abbiamo trovato quella reliquia.” Deglutì. “Anzi, adesso è più forte che mai.”
Credi che il cane infernale tornerà?”
Sì. Per prima cosa, non è morto nemmeno dopo che l’ho colpito in pieno almeno quattro volte. L’hai visto anche tu: si è rialzato ed è andato via come se niente fosse. E poi non compariva tutte le notti, ricordi? Si vede che esce solo quando è affamato, o qualcosa del genere.”
Quindi è ancora da qualche parte.”
Sì, e tornerà.”
Beh, nel caso spero che vada a bussare alle finestre di padre Gerold, così quella specie di rospo si convincerà che sei innocente.”
Un cigolio lo avvisò che la porta delle prigioni si stava schiudendo. Con un gesto repentino, egli pose la mano su quella che Adalrich teneva ancora posata sulle sbarre e la strinse. L’altro non si ritrasse. Si fissarono negli occhi, poi Hermann sussurrò: “Ricorda quello che ci siamo detti e non fare cose stupide. Io ti tirerò fuori di qui, fosse l’ultima azione che compio in vita.” Poi si girò e senza dare all’altro il tempo di replicare, si diresse rapido verso l’uscita.

Hermann uscì dalle segrete piuttosto pensieroso. Una frase di Adalrich non voleva uscirgli dalla testa: ho ancora la brutta sensazione che mi porto dietro da quando abbiamo trovato quella reliquia.
La comparsa del mostro era coincisa con l’arrivo del suo confratello al villaggio, e questo non si poteva negare, ma contestualmente era arrivata anche un’altra cosa nel villaggio.
E Adalrich aveva una brutta sensazione da quando l’avevano trovata.
Rifletté che nell’arco della loro lunga conoscenza quegli strani presentimenti erano comparsi molto di rado, ma invariabilmente si erano rivelati esatti.
La voce del barone lo distrasse dai suoi ragionamenti: “Ebbene, cavaliere, siete soddisfatto di quello che avete visto?”
Adalrich sta bene,” si limitò a rispondere Hermann.
Non gli è stato fatto alcun male,” si sentì in dovere di puntualizzare ancora una volta von Obenstein.
L’altro annuì. “Certo, ve ne sono grato. Posso sperare che non gliene verrà fatto nemmeno in futuro?”
Il barone si strinse nelle spalle e rispose: “Vorrei potervelo promettere, ma...”
Ma?...”
Venite con me, cavaliere. Sono certo che vi farà piacere visitare la nostra armeria.” Il nobile si incamminò senza attendere risposta.
Hermann non ebbe altra scelta che seguirlo.
Percorsero un corridoio dalle pareti coperte di arazzi, discesero un paio di rampe di scale e uscirono nel cortile, lo attraversarono e poi imboccarono una porta. Da lì, scendendo alcuni gradini, raggiunsero una stanza molto ampia, con i soffitti a volta di mattoni grezzi, a stento rischiarata da una lanterna posata su un supporto accanto all’entrata.
Tutto l’ambiente era occupato da rastrelliere sulle quali erano allineate armi di ogni tipo.
Venite,” ripeté il barone, “ora vi mostro le armi più belle.” Raccolse la lanterna e si addentrò fra gli scaffali.
Giunsero a una seconda scala, la discesero e arrivarono a un locale più piccolo, con il soffitto più basso, nel quale stagnava un penetrante odore di umidità. Non c’erano armi.
Ora possiamo parlare,” annunciò il barone. “Quando c’è in giro certa gente, anche i muri hanno occhi e orecchie. Quaggiù almeno abbiamo la garanzia che la conversazione rimarrà privata.” Spinse la porta in modo da chiuderla, quindi appese la lanterna a un gancio che usciva da una parete e disse: “Penso che l’avrete già capito: l’inquisitore vuole un’esecuzione.”
Il cavaliere fece qualche passo, il pavimento di terra battuta ne attutì il rumore. Infine rispose: “Lo immaginavo.”
Per ora gli sto impedendo di fare qualsiasi cosa, ma appena potrà comincerà con gli interrogatori.” Fece una pausa. “Voi sapete cosa significa, vero?”
Hermann si limitò ad annuire.
Il passo successivo sarà il rogo,” aggiunse il barone.
Voi potete negare il permesso. È il feudatario che autorizza la pena capitale nel feudo.”
Certo, ma ci vogliono dei motivi validi per farlo. Le prove sono tutte contro il vostro confratello, come vi ho già detto. Inoltre, se padre Gerold comincerà a interrogarlo potrebbe anche riuscire a ottenere una sua confessione, e in tal caso non avrei più nessuna possibilità di oppormi alla sentenza.”
Hermann strinse i denti. Si appoggiò con le spalle contro il muro e fissò negli occhi il suo interlocutore. “Ci dev’essere un modo per fermarlo,” disse alla fine, “Adalrich è innocente. Combatto spalla a spalla con lui da anni, lo conosco meglio di me stesso. Inoltre, ogni notte sono rimasto al suo fianco, non ha mai fatto altro che lottare contro quelle cose, anche a rischio della propria incolumità. Sono pronto a testimoniarlo di fronte a chiunque.”
Non ditelo troppo forte,” lo ammonì von Obenstein, “Per certa gente, da testimone a complice il passo è breve, e rischieremmo di avere due esecuzioni invece di una.”
Meglio morire con lui che rimproverarmi in futuro di non essere riuscito a salvarlo!” rispose Hermann con veemenza, gli occhi azzurri che mandavano lampi.
L’altro gli fece cenno di calmarsi, poi disse: “Dato che avete richiesto la presenza di un membro del vostro Ordine durante gli interrogatori, vale la pena di sceglierlo con oculatezza.”
Il cavaliere fece un sorriso tirato. “Potrei andare a chiamare il Gran Maestro, dato che conosce bene, e ovviamente stima fratello Adalrich. In fondo, da qui alla corte di Federico II non ci saranno più di due mesi di viaggio, no?”
Il nobile si concesse un fugace sorriso, quindi rispose: “Non c’è bisogno di affrontare uno spostamento così lungo e pericoloso. Credo che al convento di Marienbrunnen, a un giorno di cavallo da qui, troverete la persona che fa per voi.”
Allora parto subito.”
No, partirete domani, ufficialmente con il compito di scortare mio figlio verso Norimberga. Io dirò al prete che vi ho fatto allontanare con una scusa per impedirvi di comunicare con il vostro confratello.”
Devo chiedere di qualcuno in particolare?”
Fratello Hildebrand. È un anziano cavaliere che non avendo più l’età per portare le armi conduce una vita di studio e contemplazione presso il convento.”
Hermann immaginò un mite vecchietto, magari con qualche problema di memoria. “Siete sicuro che sia la persona giusta?” chiese dubbioso. Per come la vedeva lui, per rintuzzare le ignobili affermazioni dell’inquisitore ci sarebbe voluto un cavaliere agguerrito, esperto di Scritture ma anche abituato a combattere, che non si lasciasse intimidire dalle invettive di padre Gerold sul Demonio. Oppure uno di quei fratelli sacerdoti che avevano più spesso in mano la spada del messale, come padre Georg di Starkenberg.
Sono sicuro.” La voce di von Obenstein lo riportò alla realtà contingente. “E ora torniamo su, non vorrei che cominciassero a chiedersi dove siamo finiti. Partirete domattina, Konrad verrà con voi e vi indicherà la strada.”

§

Al calare del sole, fratello Hermann si presentò al barone armato di tutto punto. Nella sala delle udienze c’era anche padre Gerold, che lo fissò meravigliato e chiese: “Dove andate, cavaliere?” Poi, con una risatina: “Per caso c’è qualche drago da uccidere?”
Il cane infernale tornerà,” si limitò a rispondere Hermann.
Davvero? Per caso ve l'ha detto il vostro confratello?”
L'altro ignorò la provocazione e si voltò verso von Obenstein: “Con permesso,” gli disse, facendo un lieve inchino del busto. Si girò per andarsene, ma il prete lo richiamò: “Aspettate un attimo, non avete risposto alla mia domanda: è stato il vostro confratello ad avvertirvi?”
Hermann si morse il labbro inferiore. Scambiò un fugace sguardo con il barone, quindi si volse verso il religioso e rispose: “È solo prudenza da parte mia, padre.”
Una prudenza fuori luogo, direi.” Poi, dopo una pausa, rivolgendogli un'occhiata sospettosa: “A meno che voi non sappiate qualcosa che noi ignoriamo.”
Il cavaliere era certo di essere impallidito, tuttavia sostenne lo sguardo del sacerdote e con voce ferma rispose: “So quello che sapete anche voi: il cane infernale non è stato ucciso.”
Certo, non ancora,” rispose padre Gerold, “ma rassicuratevi: è chiuso in cella e non può fare danni.”
Adalrich non è un cane, e tanto meno infernale!” sbottò il cavaliere. Nella foga di difendere il confratello fece un passo verso il prete, che arretrò spaventato.
In quel momento, echeggiò, fioco ma inconfondibile, un lungo ululato.
I tre si irrigidirono e si scambiarono un'occhiata. Il suono si ripeté.
Un lupo?” ipotizzò padre Gerold nel silenzio che era calato.
È il cane infernale,” disse Hermann con voce dura, poi si voltò verso il barone: “È meglio che io vada.” Senza attendere risposta si diresse rapido verso la porta.
Corse fuori dalla sala delle udienze. Uscì a passo svelto dal castello, si diresse verso il borgo. Qua e là brillavano delle fiaccole, c'era gente sul sagrato, qualcuno stava piangendo. Vide che la siepe di prugnoli che circondava il cimitero era stata in parte divelta, e i rami degli arbusti giacevano sparsi qua e là. Da dietro la vegetazione superstite proveniva una luce. Il cavaliere si avvicinò e si imbatté in un gruppetto di persone che stavano contemplando una tomba profanata. Al posto della sepoltura, eseguita il giorno prima, era rimasta solo una fossa irregolare, intorno alla quale erano sparsi brandelli di stoffa e fiori calpestati.
Quando è successo?” chiese d'impulso.
I presenti si voltarono verso di lui e lo fissarono silenziosi. Qualcuno addirittura fece l'atto di arretrare di fronte alla sua croce nera.
Allora?” li richiamò alla realtà.
Fu una ragazza a parlare: “Poco fa. Abbiamo sentito dei rumori e siamo venuti a vedere, e abbiamo trovato... questo.” Fece un gesto verso lo sfacelo della sepoltura.
Dove abitate?” chiese il cavaliere.
La ragazza indicò un punto dall'altra parte del sagrato. “Hirtengasse, vicino alla fontana.”
Abitate tutti nello stesso posto?”
I paesani si limitarono ad annuire, sempre continuando a fissarlo con sguardi a metà tra il sospetto e la paura.
Vi accompagno là,” disse il cavaliere, “poi chiudetevi in casa e non aprite per nessun motivo fino a che non torna il sole.”
Un uomo scosse la testa. “Non ci veniamo con voi, siete amico dell'emissario di Satana.” Si fece il segno della croce.
Hermann stava per ribattere, quando dal buio dei vicoli che circondavano la piazza si levò ancora una volta l'ululato della bestia. Calò un silenzio carico di apprensione.
È vicinissima,” si limitò ad ammonirli il cavaliere. “State indietro.” Sfoderò la spada mentre la gente si appiattiva contro il muro della chiesa.
Il cane infernale uscì dall'ombra a grandi balzi, entrando nell'area fiocamente illuminata del sagrato. I suoi occhi verdi sembravano ardere di un fuoco interno, le mascelle irte di zanne grondavano sangue.
Qualcuno urlò alle spalle di Hermann, una donna scoppiò a piangere.
State indietro!” ripeté il cavaliere.
La bestia si piantò sulle quattro zampe in mezzo allo spiazzo. Aveva una cresta di pelo fulvo irta sulla schiena, ed era più possente di un lupo adulto. Alzò la testa come per fiutare l'aria mentre un ringhio basso le usciva dalla gola.
La spada stretta in pugno, Hermann fece qualche passo in avanti. Il mostro volse lo sguardo nella sua direzione, di nuovo emise un ringhio. Si raccolse preparandosi a balzare.
Fatti sotto,” la provocò il crociato.
Sulla spada, investita dalla luce delle fiaccole, guizzò un bagliore come di metallo incandescente.
Il mostro tese i muscoli, arricciò le labbra scoprendo ancora una volta le zanne candide. Gli occhi non erano quelli di una bestia bruta, brillavano anzi di un'astuzia e di una perfidia antiche.
Fatti sotto,” ripeté Hermann, facendo un altro passo avanti.
Il cane infernale balzò. Il cavaliere sottrasse bersaglio e intercettò la sua parabola con un fendente calato a due mani. Il colpo penetrò profondamente, e un violento spruzzo di sangue gli imbrattò la cotta d'arme. Con un urlo raccapricciante, il mostro rotolò da una parte, quindi balzò in piedi. Il colpo di spada, che avrebbe dovuto ucciderlo o perlomeno ferirlo gravemente, si stava richiudendo a vista d'occhio.
Ringhiò, si fece sotto di nuovo. Il cavaliere si raccolse, e mentre il mostro lo superava con un balzo alzò la spada per squarciargli il ventre. Si udì un orrendo ululato di dolore, la belva crollò al suolo e mentre rotolava trasfigurò in un uomo alto e ossuto, dal colorito scuro.
Fu solo un istante, poi di nuovo prese la forma di un animale, scattò in piedi e scomparve nel buio.
Ansante, il cavaliere rinfoderò la spada e si voltò verso il gruppetto. “Ora andiamo,” disse.
I paesani, tre donne e due uomini, ondeggiarono ma non si mossero.
Andiamo,” ripeté Hermann in tono duro, “non fatemelo ripetere. Quella cosa può tornare.”
Di nuovo, l'unica che si fece avanti fu la ragazza, che poi si voltò verso gli altri e disse: “Madre, padre: andiamo?”
Gli altri quattro si scambiarono mute occhiate. Di nuovo echeggiò nel buio l'ululato, i paesani ritirarono la testa fra le spalle ma non si mossero.
Il cavaliere porse una mano alla più giovane. “Come ti chiami?” le chiese.
Petra.”
Per favore, Petra, fidati di me. Se rimarrete qui fuori da soli morirete.”
Da qualche parte si udì un grido d'agonia. “Ha preso qualcuno!” esclamò il padre della ragazza.
Muoviamoci,” ripeté il cavaliere, “o rischiate di essere i prossimi.”
Petra fu la prima a farsi avanti, gli altri a malincuore la seguirono, stretti fra di loro come pecore, dardeggiando intorno occhiate di terrore.
Si udì il raschiare degli unghioli nel buio, di nuovo un ringhio. Hermann fu lesto ad abbandonare la mano della ragazza e a sfoderare la spada. Subito dopo fu sbattuto all'indietro dall'impatto del mostro. L'arma gli sfuggì. Vide il baluginare delle fauci nel buio e d'istinto si protesse il volto con l'avambraccio. La bestia lo afferrò, le sue zanne strapparono gli anelli di ferro dell'usbergo come se fossero stati di carta. Il cavaliere estrasse con l'altra mano il baselardo e glielo piantò nel collo fino all'impugnatura, il mostro si fece indietro con l'arma ancora conficcata nel corpo, il giovane ne approfittò per rialzarsi in piedi e recuperare la spada. Subito dopo incalzò la belva, caricò un fendente e glielo calò addosso a due mani. La lama penetrò nella folta pelliccia e produsse uno squarcio dal quale sgorgò un fiotto di sangue. Il cavaliere vibrò un secondo colpo, che di nuovo ferì il mostro, ma esso arretrò, e dritto sulle quattro zampe ringhiò con aria di sfida. Si udì il tintinnio del pugnale che cadeva a terra.
Andate!” ordinò il cavaliere ai paesani, senza perdere di vista l'orrendo animale, “Correte via e chiudetevi in casa mentre lo tengo impegnato.”
Petra protestò: “E voi?”
Andate!” ripeté Hermann. Sentì che alle sue spalle la madre della ragazza diceva qualcosa. I paesani si allontanarono rapidi.
La belva si raccolse per balzare di nuovo, ma in quel momento si fecero udire le voci di diversi uomini: con la coda dell'occhio il cavaliere si accorse che si trattava del sergente con una decina di soldati, tutti armati di fiaccole e picche. Con un ringhio rabbioso, il mostro si girò e scomparve nel buio.







[1] Matteo 23


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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Sapevatelo. Importanti rivelazioni sulla Bestia di Dürnau, su Rieducational Channel!
Scusate se non ho postato ieri, ma è stato un giorno un po’ caotico. Nel frattempo ringrazio sentitamente chi mi segue e mi commenta, in particolare Saelde_und_Ehre, fiore di girasole, morgengabe, LyaStark, molang, innominetuo, miciaSissi, Syila, Crilu_98 e la nuova maratoneta, che graziosamente si è sciroppata tutti gli arretrati per giungere fin qui, by a lady.
Grazie a tutti!!




Capitolo 8

Fratello Hermann uscì nel cortile del castello. Era prima mattina, e il piccolo spazio lastricato era ancora completamente in ombra. Le pietre erano scivolose per l’umidità della notte.
Fuori c’erano due cavalli già sellati: il suo destriero da guerra e uno snello palafreno dal manto grigio. Immaginò che il secondo fosse quello di Konrad von Obenstein.
Si guardò intorno: a parte lui e un paio di mozzi di stalla, il luogo era vuoto.
Raggiunse la propria cavalcatura e cominciò a controllare i finimenti come faceva ogni volta che doveva montare in sella.
Mentre era così impegnato, una voce alle sue spalle attirò la sua attenzione: “Siete pronto a partire, cavaliere?”
Hermann si voltò. “Buon giorno, barone. Sì, sono pronto, grazie.”
Il braccio vi fa ancora male?”
Non tanto,” rispose il giovane, ma quando tentò di sollevarlo per regolare la lunghezza dello staffile, dovette desistere mentre una smorfia di dolore gli tendeva i lineamenti. “Forse un po’...” si corresse.
Siete fortunato che quel mostro non ve l’abbia strappato. Ho visto il vostro usbergo: da non credere.”
Ha sorpreso anche me.” Il cavaliere fece una pausa, poi a voce più bassa chiese: “Difenderete Adalrich mentre sono via?”
Il barone si voltò a fissarlo negli occhi. “Come se fosse mio figlio.”
Vi sono molto obbligato.”
L’altro scosse la testa. “No, sono io che vi sono obbligato. Avete protetto i miei contadini a rischio della vostra vita.”
Era mio dovere farlo.”
E allora vedetela così: è mio dovere di feudatario proteggere le persone a cui do ospitalità.” Poi, dopo una pausa: “L’usbergo che vi ho fatto avere vi soddisfa?”
È di ottima fattura, barone. È anche più leggero del mio, sebbene non meno robusto.”
Spero che vi servirà bene. Lo portava mio padre in battaglia, è stato fatto dai migliori artigiani di Norimberga.”
Hermann stava per rispondere quando una voce chiese: “A proposito di Norimberga, padre, quando posso tornarci?”
I due si voltarono: sulla soglia c’era Konrad in abiti da viaggio. Dava l’idea di essersi alzato poco prima. “Salute a voi, cavaliere,” disse svogliato. Si sistemò il cappello bordato di passamaneria dorata.
Salute,” rispose neutro fratello Hermann, alzando appena lo sguardo verso di lui.
Il ragazzo si fece avanti e in tono meravigliato chiese: “Hai fatto sellare Habicht, padre?”
So che è il tuo preferito.”
Senza rispondere, il ragazzo montò in sella e fece qualche passo per il cortile. Anche a quell’andatura, lo snello animale sembrava letteralmente danzare sul selciato. Frustò l’aria un paio di volte con la coda e alzò la testa impaziente di mettersi in marcia.
Hermann gli rivolse uno sguardo. “È il vostro cavallo?” chiese.
È un corsiero berbero,” rispose Konrad orgoglioso.
È un bell’animale.”
Detto questo, anche lui montò in sella, quindi rivolse uno sguardo al ragazzo, come per invitarlo a partire e a fargli strada.
Con un sospiro, Konrad spronò il corsiero e uscì dal cortile al galoppo, sperando di distaccare il più pesante cavallo da guerra.

Cavalcarono in silenzio per un paio d’ore, ognuno immerso nei propri pensieri, poi Konrad di punto in bianco chiese: “Da quanto tempo siete nell’Ordine?”
Da quando avevo quattordici anni.”
Il ragazzo emise un fischio di meraviglia. “Quattordici?”
L’altro si limitò ad annuire.
Adesso quanti anni avete?”
Venti.”
Per i dardi di San Sebastiano! E come fate a godervi la vita?”
In modi che voi non apprezzereste.”
Il giovanotto scosse la testa con l’aria di non capacitarsi della cosa. Dopo un po’ chiese: “E vi piace?”
Sì.”
Konrad si voltò a fissarlo sempre più incredulo. “Davvero?”
Di nuovo, il cavaliere annuì.
Il ragazzo si tolse il cappello, scosse la testa facendo ondeggiare ben curati riccioli castani, quindi si rimise il copricapo. “Ma… ecco, scusate se ve lo chiedo: che cosa c’è di bello?”
Hermann gli rivolse un sorriso che aveva una vaga nota ironica, e poi rispose: “Non credo che vi interesserebbe saperlo.”
Continuarono a cavalcare in silenzio. Passò un altro po’ di tempo, attraversarono un villaggio, qualcuno li salutò con la mano, un paio di bambini li seguirono per un po’. Usciti dal centro abitato, si imbatterono in una locanda dalla quale scaturivano musica e allegro vociare. Konrad annusò l’aria con fare rapito, poi disse: “Qui fanno un magnifico pollo al melograno. Vogliamo approfittarne?”
Con permesso, preferirei proseguire.”
Ma il pollo...”
Lo mangerete un’altra volta. Ora proseguiamo, per favore.”
Il ragazzo emise un teatrale sospiro di esasperazione, brontolò qualcosa di indistinto sulla gente che non sapeva godersi la vita, quindi distaccò il cavaliere di qualche passo e proseguì così per un po’.
Hermann si limitò a seguirlo in silenzio, immerso nei suoi pensieri.
Dopo nemmeno due ore, il ragazzo fermò il cavallo, si voltò verso di lui e chiese: “Ci riposiamo un po’?” Indicò una radura ombreggiata.
No.”
Come no? Io sono stanco!”
Il cavaliere rimase impassibile.
Devo riposare.”
Riposerete a Marienbrunnen.”
State scherzando? Ci arriveremo questa sera.”
Se ci fermassimo, arriveremmo ancora più tardi.”
Se penso che mio padre avrebbe voluto farmi entrare nell’Ordine, mi sento male.”

§

Chiuso in cella, Adalrich girava su e giù nervosamente. Tutta la notte erano risuonati nell’aria gli ululati della belva infernale.
Il mostro, qualsiasi cosa esso fosse, aveva imperversato nel paese a suo piacimento, e l’unico vantaggio dell’accaduto era che a questo punto l’inquisitore avrebbe dovuto arrendersi di fronte alla prova della sua innocenza e liberarlo.
Per l’ennesima volta si chiese ansiosamente dove fosse Hermann, se stesse bene. Senza dubbio era uscito per combattere il mostro, pur consapevole del fatto che le armi normali non fossero in grado di colpirlo.
Mentre era immerso in quei tormentosi pensieri, un rumore lo fece sobbalzare: proprio padre Gerold stava entrando, accompagnato dall’immancabile frate Peter.
Il sacerdote prese lo sgabello e come sempre si sedette davanti alle sbarre. “Buon giorno,” salutò in tono ironico, “avete dormito bene?”
Il cavaliere si limitò a fissarlo senza parlare.
L’altro fece un sorrisetto. “Tacete pure, finché potete,” lo irrise.
La bestia è tornata,” ringhiò Adalrich per tutta risposta, “l’ho sentita ululare anche da qui.”
Forse vi stava salutando.”
Il cavaliere aggrottò le sopracciglia. “Che intendete dire?”
È la vostra bestia, no? Siete voi che la chiamate e la scatenate sul paese inerme.”
Non dite assurdità. Il mio confratello, piuttosto, sta bene?”
Il prete accentuò il suo sorriso compiaciuto. Con fare insinuante domandò: “Come mai ve ne preoccupate tanto? È vostro complice, per caso? È lui che intrattiene commerci col Demonio in vostra assenza?”
E vi aspettate che vi risponda?”
Padre Gerold scosse la testa. “No, sono ragionevolmente sicuro che continuerete a tacere con fare sdegnoso, onde dimostrare quanto siete disgustato dalle mie ignobili accuse.” Scosse la testa come di fronte al puntiglio sciocco di un bambino, quindi proseguì: “E ditemi, come mai vi preoccupate tanto di quel vostro confratello?”
Apparteniamo allo stesso Ordine, abbiamo combattuto insieme per anni, è ovvio il motivo.”
L'altro annuì. “Concordo, il motivo è ovvio. Sicuramente tra voi c'è un legame peccaminoso: siete complici nelle opere demoniache, l'avete appena dimostrato, e chissà, forse anche amanti.”
Come vi permettete?” sbottò Adalrich inferocito. Afferrò le sbarre come se avesse voluto strapparle via.
Il prete annuì come di fronte a un fenomeno ampiamente previsto e molto stupido. “Ma sì, ma sì. Fate pure la parte dell'indignato. Lo vedono tutti che non vi preoccupate altro che di lui, che lo cercate sempre, che volete sempre stare con lui...”
Smettetela con queste insinuazioni infamanti!” lo interruppe il cavaliere. Nel suo viso bianco, le guance arrossate per l'ira sembravano due pennellate di sangue.
Ma guarda un po': reagite con più veemenza a queste accuse che a quelle di stregoneria. Non avrete la coda di paglia?”
Fratello Adalrich non rispose. Rimase a fissarlo con le mani aggrappate alle sbarre, le sopracciglia aggrottate e lo sguardo torvo. Il prete notò che stava ansando leggermente.
Non potete accusarmi di nulla,” ringhiò alla fine il cavaliere, “né di questo, né della vostra supposta stregoneria. Non avete prove, e non le avete perché semplicemente non esistono.”
L'altro sollevò le sopracciglia con aria di cortese interesse. Lasciò passare lunghi istanti di silenzio, infine chiese: “Lo credete davvero?” Senza attendere la risposta si alzò in piedi e mise le mani dietro la schiena. Sotto lo sguardo feroce del prigioniero fece qualche passo su e giù. Infine disse: “Voi nobili cavalieri non vedete al di là del vostro naso. Avete solo tre concetti in testa, coraggio, lealtà e onore, il che va benissimo durante una battaglia, posto che il nemico ragioni allo stesso modo, ma vi rende dei poveri ingenui in tutte le altre situazioni della vita.”
Fissò il suo interlocutore, forse aspettandosi una risposta. Come prima, fratello Adalrich si limitò a fissarlo in silenzio.
Il vostro destino è segnato,” proseguì allora il prete, “voi sarete processato e arso sul rogo come stregone e sodomita. Ma rassicuratevi: perlomeno il vostro sacrificio, chiamiamolo così, servirà a rinsaldare in questo feudo il potere di Santa Madre Chiesa, che in fin dei conti è anche la stessa istituzione che avete giurato di servire a costo della vita. Non farete nulla di diverso da ciò che ci si aspetta da voi, alla fine.”
Il cavaliere rimase impassibile. Con voce di nuovo calma, rispose: “Io sono innocente da ogni accusa. Dio non vi permetterà di compiere questo abominio in suo nome.”
L'altro scosse la testa. “Povero idiota. Coraggio, lealtà e onore: non capite altro, vero?” Poi, rivolto al frate: “Andiamocene, Peter. Sarebbe più stimolante parlare con un bue.”

§

Era l'imbrunire quando finalmente le guglie della chiesa di Marienbrunnen si profilarono all'orizzonte.
A quella vista, Hermann spronò il cavallo, facendogli aumentare il passo.
Dietro di lui, Konrad disse: “Aspettate, fratello cavaliere. È tutto il giorno che siamo in sella.”
Lo so.”
Sì, so che lo sapete. Volevo solo trovare un modo elegante per farvi notare che sono esausto.” Poi, dopo una pausa: “Questa è retorica, per vostra informazione.”
So anche questo.”
Il cavaliere tornò a fissare lo sguardo sul convento. Alle sue spalle il ragazzo continuava a ciarlare, ma lui non lo sentiva nemmeno: aveva davanti agli occhi l'obiettivo, e null'altro aveva più importanza.
Insomma, mi ascoltate?” sbottò a un certo punto Konrad, che aveva spronato il cavallo fino ad affiancarlo.
Fratello Hermann inspirò profondamente a occhi socchiusi, quindi tirò le redini e si fermò nel bel mezzo della strada. Si voltò verso il suo petulante accompagnatore e chiese: “Chi è la persona che amate di più al mondo?”
Il giovanotto sbatté gli occhi, perplesso dall'inaspettata richiesta. “Cosa? E questa che domanda sarebbe?”
Una domanda alla quale gradirei una risposta.”
Mia madre e mio padre, immagino.” Avrebbe voluto aggiungere qualcuna delle cameriere della taverna del Grifo, ma non era proprio certo che facessero parte delle persone che amava di più al mondo.
Il cavaliere comunque annuì grave, quindi disse: “Ora immaginate che vostra madre o vostro padre stiano rischiando di essere arsi sul rogo, e che in questo convento ci sia qualcuno che forse può aiutarvi a evitarlo. Voi quante pause fareste lungo la strada?”
Konrad abbassò lo sguardo mordendosi il labbro inferiore, poi lo rialzò e rispose: “Nessuna, credo. Anzi, farei la strada al galoppo.”
Mi capite ora?”
L'altro annuì. Rimase in silenzio per un po', poi di punto in bianco disse: “Scusate, cavaliere.”
Hermann si voltò verso di lui. “Per cosa?”
Sono stato un po' sciocco. Scusatemi.”
Non fa niente.”
Di nuovo fra i due calò il silenzio.
Konrad rimase a fissarlo per un po', ma il cavaliere non aveva occhi che per il convento. Lo guardava come un assetato avrebbe fissato una polla d'acqua, o un affamato un'imbandigione.
Vide anzi le sue mani stringersi sulle redini al punto che le nocche sbiancarono.
Il cavallo aumentò ancora l'andatura.
Aspettate, cavaliere,” gli disse, ma già l'altro l'aveva distaccato, e ormai al trotto si stava dirigendo verso l'entrata di Marienbrunnen.

Fu un frate di mezz'età, pingue e dall'aria pacifica, ad aprire loro il portone. “Benvenuti, benvenuti!” li accolse, “venite dentro, stavamo giusto per metterci a tavola. Ma tu sei il piccolo Konrad! Quanto sei cresciuto? Mi ricordo di te che eri alto così!” Fece un segno con la mano poco più su della cintura. “E come sta il barone tuo padre?”
Bene, grazie.”
Ah, magnifico. Magnifico. Cosa ti porta da queste parti?”
Il ragazzo indicò Hermann. “Ho accompagnato questo cavaliere.”
Il frate sembrò accorgersi di lui solo in quel momento. “Un fratello dell'Ordine!” esclamò gioviale. “Noi amiamo molto l'Ordine, vedete la bandiera che sventola sul campanile? Croce nera in campo bianco, se capite quel che voglio dire! Siete venuto per stare un po' qui con noi? Troverete tanti altri confratelli, sia cavalieri che sacerdoti.”
Contagiato dal buonumore del religioso, Hermann non poté fare a meno, nonostante lo stato d'animo plumbeo, di restituirgli un lieve sorriso. “Mi piacerebbe molto,” rispose, “ma purtroppo sono qui per motivi assai poco piacevoli, che vi spiegherò magari in seguito. Sto cercando un mio confratello anziano di nome Hildebrand.”
Fratello Hildebrand? Sarà molto felice di vedervi, ne sono certo.”
Posso incontrarlo?”
Ma certamente. Lo vedrete nel refettorio assieme a tutti gli altri.”
No! Per favore, devo parlargli subito.”
Ma la cena sarà pronta fra poco.”
Adesso. Per favore.”
Sotto lo sguardo accorato del giovane, il frate non ebbe cuore di rifiutare. Gli pose un braccio intorno alle spalle e disse: “Venite con me, ragazzo mio.” Poi, rivolto a Konrad: “Tu ci aspetti qui, non è vero? Se hai fame puoi andare da frate Ewald, digli che ti ho mandato io.”
Si incamminarono attraverso il cortile. Il posto comunicava un senso di pace raccolta: vi era una bella chiesa in pietra bianca, circondata da edifici a graticcio. Nelle aiuole crescevano cespugli di rose e piante medicinali, alberi da frutto di ogni genere erano in fiore e nell’aria c’era profumo di miele e pane appena sfornato.
Entrarono nell’edificio accanto alla chiesa, anch’esso di pietra, e dall’ingresso percorsero un corridoio, per poi sbucare in un chiostro al centro del quale si trovava un pozzo coperto di edera. Tutt’intorno vi erano delle panche.
Nella scarsa luce del crepuscolo, Hermann vide che su una di esse sedeva qualcuno che portava il manto bianco dell’Ordine.
Si avvicinarono ai sedili, poi il frate chiamò: “Fratello Hildebrand!”
L’altro, che stava probabilmente meditando, si riscosse e si alzò in piedi. “Che cosa desideri, fratello Luitpold?”
Hermann, che si era aspettato un mite vecchietto un po’ curvo, dovette ricredersi: fratello Hildebrand era alto come lui, ma aveva le spalle di fratello Adalrich. Il volto dall’espressione decisa, con la fronte ampia e penetranti occhi grigi, era incorniciato da una capigliatura di neve che arrivava a lambire le spalle. La folta barba, che conservava qualche venatura di grigio, gli conferiva l’aspetto solenne di un patriarca biblico.
L’imponente vecchio volse nella sua direzione lo sguardo penetrante di un astore.
Il cavaliere si fece avanti. “Sia ringraziato il Cielo,” non poté fare a meno di dire. “Per fortuna vi ho trovato.”
L’uomo sorrise. “Che cosa volete da me, giovane confratello?”
Dovete aiutarmi!” esalò Hermann disperato. D’istinto gli prese la mano.
Fratello Hildebrand sollevò stupito le sopracciglia, quindi rispose: “Calma, ragazzo mio. Ditemi prima cosa vi sta succedendo.” Gli indicò il porticato. “Vogliamo passeggiare un po’ mentre mi parlate?”
Hermann prese a raccontare. Disse tutto, cercando di non tralasciare alcun particolare. Raccontò della belva, di quello che faceva e di come fosse apparentemente immune alle ferite che le venivano inferte. “Sia io che il mio confratello l’abbiamo colpita più volte,” spiegò, “sempre in pieno e con tutta la forza. Le ferite guarivano a vista d’occhio.”
Fratello Hildebrand annuì grave, poi chiese: “Com’era fatta questa bestia?”
Il giovane la descrisse, e l’altro aggrottò le sopracciglia con fare perplesso. “Non è possibile,” borbottò alla fine.
Cosa, non è possibile?”
Questa bestia. Se è come voi dite, non dovrebbe essere qui.”
Hermann non poté fare a meno di intravedere un tenue barlume di speranza. “Domando perdono,” chiese esitante, “voi sapete che cosa sia?”
Venite con me,” gli disse l’altro.
Uscirono dal chiostro, salirono per una rampa di scale e arrivarono a un vestibolo, dal quale accedettero a una sala immersa ormai nell’oscurità, ma che si intuiva grande e col soffitto a volta. Fratello Hildebrand accese un lume, rivelando pareti coperte di libri dal pavimento al soffitto. Si mosse con sicurezza verso uno scaffale, quindi estrasse un volume e lo pose sul tavolo che si trovava al centro della sala. Cominciò a sfogliarlo.
Hermann si fece avanti incuriosito: il libro era scritto in arabo e mostrava disegni di animali che lui non aveva mai visto. Riconobbe il cane infernale. “Ecco, è questo!” esclamò, indicando la figura di un animale fulvo e picchiettato di nero, dalle orecchie rotonde, tarchiato, con i quarti posteriori più bassi degli anteriori e una robusta chiostra di denti.
Siete sicuro?”
Lo riconoscerei fra mille. È lui, non sbaglio.”
Iena.”
Hermann lo fissò con sguardo interrogativo.
Iena. È il suo nome.” spiegò fratello Hildebrand. Poi, dopo una pausa: “E mi dite che l’avete visto trasformarsi in uomo?”
L’ha fatto due volte, sotto i miei occhi. La seconda volta ha anche ripreso la forma animale ed è scappato.”
L’altro si accarezzò pensoso la barba. “Non è possibile,” mormorò di nuovo a mezza voce.
Abbiate la bontà di spiegarmi, fratello Hildebrand,” disse Hermann dopo un lungo silenzio. “Continuate a ripetermi che non è possibile, ma non capisco di cosa stiate parlando.”
L’altro annuì grave, la sua espressione si era fatta cupa e carica di preoccupazione. “Avete ragione,” confermò. “Avete il diritto di sapere, ma non ora. Dovrò parlarvi, ma non è opportuno che lo faccia mentre regna l’oscurità, questi sono argomenti che non si possono affrontare al buio. Ora andiamo a prendere il pasto serale e preghiamo. Domattina vi spiegherò tutto.”
Hermann sbatté perplesso le palpebre. Si era immaginato una situazione grave, ma non così grave. “C’è di mezzo la stregoneria, per caso?” domandò titubante.
Domani. Ora non è bene nominare certe cose.”

§

Il giovane cavaliere trascorse la notte rigirandosi inquieto nel letto. Le parole dell’anziano confratello lo avevano messo in uno stato di tormentosa aspettativa, che si era unito alla preoccupazione per l’amico rendendola ancora più opprimente.
Che cosa stava succedendo? Perché non se ne poteva parlare se non alla luce del giorno?
Si alzò definitivamente dopo aver tentato invano di dormire, si vestì e uscì all’aperto. Era ancora buio, sebbene i primi uccelli cominciassero già a cantare. Scorse i frati che entravano in chiesa per il mattutino[1] e si unì a loro, ma neppure nel corso della preghiera riuscì a distogliere la mente dalle preoccupazioni, e le parole della liturgia gli scivolavano addosso come acqua.
Pensava ad Adalrich, tanto per cambiare, e costantemente si chiedeva se stesse bene, e se il barone fosse realmente riuscito a proteggerlo come gli aveva promesso.
Pensava anche alle parole di fratello Hildebrand, e non faceva che domandarsi cosa mai ci potesse essere di così terribile da non poter essere narrato se non alla luce del sole.
Fu il tramestio dei frati che uscivano dalla chiesa a distoglierlo dalle sue ansiose meditazioni.

Riuscì a incontrare fratello Hildebrand solo dopo la Prima[2]. “Voi volete sapere,” gli disse l’uomo, fissandolo severo negli occhi.
Sì, per favore,” rispose Hermann. “Il mio confratello è in pericolo. Ogni momento che trascorro lontano da Dürnau potrebbe essere quello fatale.”
L’altro annuì grave. “Venite con me,” gli disse alla fine.
Non tornarono alla biblioteca. Uscirono dal convento e attraversarono un frutteto bianco e rosa di fiori appena sbocciati, poi si addentrarono in un boschetto di querce e seguirono per un po’ il corso di un torrente.
Fratello Hildebrand si fermò solo quando raggiunsero le rovine di una piccola cappella ormai coperta di rampicanti. “Ci sono cose che non possono essere udite da tutte le orecchie,” spiegò.
Hermann annuì. “Ora mi racconterete del… Iena?” chiese fissandolo con aspettativa.
Per prima cosa devo farvi una domanda: voi conoscete il Corano?”
Il libro degli infedeli?”
Proprio quello. Mi rifugio nel Signore dell’alba nascente, contro il male che ha creato, e contro il male dell’oscurità che si estende, e contro il male delle soffianti sui nodi, e contro il male dell’invidioso quando invidia.[3]”
Il giovane cavaliere rimase per qualche istante in silenzio, quindi chiese: “E questo cosa significa?”
Questo è un versetto del Corano. Anche presso gli arabi – o gli infedeli, se preferite – c’è chi pratica la magia, e chi se ne serve per fare del male. Avete mai sentito parlare dei jinn?”
L'altro scosse la testa.
I jinn sono esseri soprannaturali creati da fiamme senza fumo, e possono essere buoni o cattivi. Si nascondono nelle rovine e nei luoghi disabitati. I più malvagi di essi sono definiti al-ghūl, o semplicemente ghul. Essi si muovono di notte. Possono mutare forma a piacimento, in esseri umani o nell’animale che avete visto, bevono il sangue, profanano le tombe divorando i cadaveri, ed emettono spaventosi ululati, in grado di ghiacciare il sangue nelle vene.”
È proprio ciò che fa quella creatura,” mormorò Hermann. “Esattamente le stesse cose.”
Inoltre creano progenie,” continuò l’altro, “contagiano le vittime cui succhiano il sangue, facendo sì che esse riprendano vita come versioni minori del ghul, che a differenza di esso, possono venire uccise anche dalle armi normali.”
E quelle a loro volta ne contagiano altre,” concluse il più giovane.
Proprio così.”
Hermann si sedette su un sasso poco lontano. Per un po’ rimase con lo sguardo rivolto all’acqua che scorreva, quindi sollevò la testa, fissò il confratello e disse: “Ma la domanda è: come ha fatto ad arrivare qui un ghul?”
È quello che non riesco a spiegarmi. In Terra Santa ho parlato con sapienti e guerrieri che li hanno combattuti, una volta penso di averne anche sentito uno ululare, ma qui...”
Il giovane buttò un sassolino nella corrente e rimase a osservarlo mentre esauriva la sua inerzia e si mescolava con gli altri ciottoli. Riandò con la mente all’escursione di qualche mese prima alle chiese rupestri, rivide la cassa con dentro il corpo. “Com’è fatto un ghul?” domandò, pregando di sbagliarsi, ma allo stesso tempo augurandosi che non fosse così.
Somiglia a un uomo straordinariamente magro, con la pelle come cuoio conciato. Veste ricchi abiti ricamati e ha da qualche parte qualcosa, una fascia, una cintura o altro, tutta annodata. Al posto delle unghie ha artigli ricurvi, i denti sono lunghi e aguzzi.”
Hermann si sentì gelare. “Che Dio mi aiuti, fratello,” mormorò dopo un po’, “siamo stati noi a portarlo qui.”
L’altro lo fissò stupefatto. “Che stai dicendo, figliolo?” E poiché il più giovane non rispondeva, lo afferrò per le spalle e lo scosse con vigore. “Che stai dicendo?” ripeté a voce più alta.
Con fatica, cercando di mantenere la voce ferma, Hermann gli raccontò della presunta reliquia di Sant’Atanasio di Alessandria. “L’abbiamo scortato fin qui, capite?” disse alla fine.
Fratello Hildebrand annuì grave, poi chiese: “Com’è possibile che un mostro del genere sia stato scambiato per un santo?”
Hanno pensato a un corpo incorrotto. Aveva la croce sul petto e in cintura una fascia con dei nodi, che è stata scambiata per un cilicio. Legato al polso aveva una specie di pendente di cristallo di rocca, nel quale si trovava un cartiglio con scritto in greco Athanasios.”
Il vecchio rimase in silenzio talmente a lungo che Hermann fu sul punto di chiedergli se si sentisse male. Alla fine, rialzò la testa e disse: “Non Athanasios, ma Athanatos, immortale. Poiché non riuscivano a ucciderlo con le armi normali, hanno pensato di murarlo dentro quella chiesa, ma lasciando un avviso sulla sua pericolosità.”
E noi ce lo siamo portato a casa,” concluse Hermann.
Proprio così.”
Ma perché ha ripreso vita solo a Dürnau?”
Di solito è un sacrificio di sangue che lo sottrae al suo letargo secolare.”
Seguì un lungo silenzio, infine il giovane disse: “Avete detto che non si può uccidere con le armi normali.”
L’hai visto con i tuoi occhi, ragazzo.”
Cosa lo uccide, allora?”
Vieni con me.”
Tornarono verso il convento. Attraversarono di nuovo il frutteto, questa volta incrociando frati intenti a svolgere i lavori quotidiani, che li salutarono rispettosamente al loro passaggio.
Qualche pollo fuggì chiocciando dinnanzi al loro incedere deciso.
Entrarono nell’edificio principale. Fratello Hildebrand si procurò una lanterna, quindi condusse il suo accompagnatore verso la porta dei sotterranei. Scesero alcune rampe di scale e arrivarono a una stanza umida e fredda, nella quale nessuno sembrava avere messo piede da anni. Lì il cavaliere più anziano estrasse dalla tunica una chiave che teneva assicurata al collo e andò a un baule che si trovava contro una parete.
Fece scattare la serratura, quindi sollevò il coperchio. “Vieni a vedere,” disse, facendo cenno all’altro di raggiungerlo.
Hermann si avvicinò.
Fratello Hildebrand estrasse da sotto un mucchio di stoffe un involto oblungo di pelle legato con delle fettucce, poi lo consegnò al confratello.
Che cos’è?” chiese il giovane.
Guarda tu stesso.”
Egli disfece l’involto, rivelando un’arma saracena dal semplice fodero di metallo ricoperto di pelle. Sollevò lo sguardo interrogativo su Fratello Hildebrand.
È un saif, o scimitarra, se preferisci. Immagino che ne avrai incontrati parecchi in Terra Santa.” Fece un cenno col capo. “Guardalo.”
Hermann lo afferrò, con qualche difficoltà data l’impugnatura stretta, e poi lo estrasse dal fodero: la lama era decorata con eleganti caratteri arabi, e lucida come se fosse stata appena forgiata. Il filo non aveva la più piccola intaccatura.
È stato benedetto da un Wali,” gli spiegò il più anziano, “che sarebbe l’equivalente di uno dei nostri santi.”
L’altro vi fece scorrere sopra uno sguardo ammirato, quindi alzò gli occhi sul confratello e chiese: “E questa ucciderà il ghul?”
Sarà in grado di ferirlo.”
Hermann fece un lieve sorriso. “Se può essere ferito, può anche morire.”

§

Il barone von Obenstein si affacciò al balcone della sala delle udienze. Nel cortile era radunata una folla di persone, contadini, artigiani e donne, composti ma inamovibili.
Alcuni di essi avevano in spalla falci e forconi, qua e là crepitavano fiaccole.
Cosa volete, buona gente?” chiese il nobile.
Si fece avanti mastro Norbert, il fabbro, che evidentemente era stato designato come portavoce. Si tolse il cappello con fare rispettoso, quindi disse: “Anche questa notte sono state uccise tre persone.”
Lo so e me ne dispiace,” rispose il barone. “Stiamo organizzando cacce tutti i giorni per trovare quella bestia infernale.”
L’altro annuì, ma era evidente che la spiegazione non lo aveva convinto per nulla. La folla rimase silenziosa, nessuno accennò ad andarsene.
Infine, una donna che teneva un figlio in braccio disse: “Dobbiamo stare ad aspettare che ci prenda uno per uno?”
Un altro si aggiunse all’invettiva: “La bestia va e viene come vuole, e se ci chiudiamo in chiesa devasta le nostre case e divora i nostri morti!”
Dalla folla cominciò a levarsi una cacofonia di proteste.
Il barone sopportò per un po’, quindi intimò il silenzio con un gesto. “Basta così,” disse poi. “Troveremo una soluzione, e fino a quel momento accoglierò tutti coloro che lo vorranno nelle sale del castello, dove la bestia non può entrare.”
Il fabbro scosse la testa. “Con licenza, mio signore, questa non è la soluzione.”
Cosa proponi allora?”
L’uomo si scambiò un’occhiata con quelli che lo circondavano, più d’uno gli diede una pacca sulla spalla come per incoraggiarlo. Quella che doveva essere sua moglie gli sussurrò qualcosa all’orecchio.
Quel cavaliere,” disse allora mastro Norbert.
Quale cavaliere?” chiese il barone, fingendo di non aver capito.
Quello tutto bianco, mio signore. Padre Caspar ha detto che è un emissario del Demonio, e che finché non sarà arso sul rogo la bestia tornerà.”
Un mormorio di approvazione attraversò la folla.
Il barone rientrò dal terrazzo e scese nel cortile. Avanzò fino a trovarsi faccia a faccia con il fabbro, quindi gli chiese: “Che ha detto padre Caspar?”
L’uomo tossicchiò imbarazzato. “Ha detto che quel cavaliere è figlio del Demonio, e che è lui che chiama la bestia, mio signore.”
Ma tu l’hai visto combattere, no?”
Ecco… mio signore...”
Sì?”
Mio signore, padre Caspar dice che faceva solo finta di combattere, mentre in realtà segnava le case per farci andare la bestia.”
E queste cose padre Caspar come le sa?”
Gliele ha dette sua eccellenza, mio signore.”
Chi?”
La moglie del fabbro intervenne: “Il prete che viene da Fulda, mio signore.”
Il barone annuì grave, poi fece un passo indietro e a voce alta disse: “Ascoltatemi tutti: d’ora in poi, chi oserà dire che il cavaliere dell’Ordine Teutonico è un emissario del Demonio sarà frustato, sono stato chiaro?”
Si fece avanti Till il gobbo, che in virtù della sua deformità si permetteva di dire a voce alta cose che molti altri non avevano nemmeno il coraggio di mugugnare. Fece una grottesca riverenza al barone e in tono forzatamente lamentoso gli chiese: “Ma allora, mio signore, se quel cavaliere è innocente, perché continuate a tenerlo in prigione?”







[1] preghiera che viene recitata prima del sorgere del sole
[2] preghiera delle 06.00 del mattino
[3] Sura Al-Falaq, n.113


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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Ghul scatenati, su Rieducational Channel! Ringrazio come sempre tutti/e coloro che mi hanno seguito fin qui, in particolare ringrazio per i commenti Saelde_und_Ehre, morgengabe, LyaStark, innominetuo, fiore di girasole, Syila, Crilu_98, minciaSissi e by a lady.





Capitolo 9

Era l'alba quando Hermann condusse il cavallo fuori dalle scuderie di Marienbrunnen. Dietro di lui, sbadigliando, Konrad faceva lo stesso con il corsiero berbero.
Non siete obbligato a seguirmi,” gli disse il cavaliere, “ormai conosco la strada.”
Per tutta risposta, il ragazzo sistemò il sottopancia del suo purosangue e si assicurò che fosse ben stretto. Hermann stava per dire qualcosa quando sulla porta del dormitorio comparve fratello Hildebrand.
Sei già in partenza, figliolo?” gli chiese quest'ultimo.
Sono due giorni che manco, non posso più aspettare.” Strinse i denti. “È ora di rimandare quel mostro nell'inferno dal quale è uscito.”
Sì, è l'unica cosa da fare.”
Hermann, che stava assicurando alla sella l'involto con la spada, abbassò le mani e si voltò verso di lui. Con voce dura disse: “Così tutti capiranno che fratello Adalrich è innocente. Spero solo di arrivare in tempo.”
Fratello Hildebrand si avvicinò e gli batté una mano sulla spalla. “Se è un uomo di polso, il feudatario impedirà qualsiasi cosa fino al mio arrivo.”
Il guaio è che non so quanto lo sia. Quel prete, con rispetto parlando, vuole un'esecuzione, e Adalrich è la vittima ideale, visto l'aspetto che ha.”
L'altro annuì grave. “Io non posso più cavalcare a lungo, quindi devo muovermi con un carro, ma tu va avanti e impedisci a chiunque di toccare il nostro confratello. Con le armi se è necessario.”
Con le armi?” ripeté il più giovane stupefatto.
È il compito a cui siamo chiamati: impedire con le armi l'opera del Demonio. Ora va, e sia Dio la tua guida.”
Hermann si limitò ad annuire, quindi montò in sella.
Allo stesso tempo, anche Konrad salì a cavallo, poi con decisione disse: “Andiamo, cavaliere.” Spronò l'animale, e pur con ampi gesti di saluto ai frati riuniti nel cortile, si diresse deciso verso il portone.
L'altro lo seguì.
Per un po' cavalcarono in silenzio, poi il ragazzo disse: “Vedrete, mio padre non permetterà a nessuno di toccare fratello Adalrich.”
Voglia il Cielo che sia così,” rispose Hermann.
Di nuovo calò il silenzio.
Incrociarono un gruppo di viandanti, che alla vista del manto bianco dell'Ordine si segnarono rispettosamente. Hermann rispose nello stesso modo, pensando frattanto a quanti segni della croce si sarebbero fatti quegli stessi uomini al passaggio di padre Gerold.
La voce di Konrad lo distrasse dalle sue meditazioni: “Vi ho portato nel posto giusto, vero, cavaliere?” Aveva l'aria fiera come se la decisione di accompagnarlo a Marienbrunnen fosse stata sua.
L'altro comunque annuì. “Sì, è stato Dio a porre sul mio cammino fratello Hildebrand.”
Mi sembra una brava persona,” osservò il ragazzo.
Se c'è qualcuno in grado di aiutare Adalrich, è lui.”

Data la rapida andatura che avevano mantenuto, arrivarono a Dürnau verso metà pomeriggio. Probabilmente gli abitanti del paese li avevano visti arrivare da lontano, e combattuti tra l'obbligo di porgere omaggio al figlio del feudatario e il terrore che ormai instillava in tutti la croce nera in campo bianco, avevano preferito non farsi trovare in giro.
Il due percorsero strade deserte e arrivarono al sagrato. Lì fratello Hermann si fermò e smontò da cavallo, poi disse: “Aspettatemi qui, devo controllare una cosa.”
Che cosa?”
Avete presente San Tommaso? Ecco, io sono come lui.”
Entrò in chiesa. Si sarebbe aspettato di trovare padre Caspar, ma non incontrò nemmeno lui, segno evidente che neanche il religioso voleva rischiare di finire tra l'incudine del collega di Fulda e il martello del barone von Obenstein.
Percorse la navata e raggiunse la cappella in cui era stato collocato il reliquiario del cosiddetto Sant'Atanasio. Corrusca di gemme, la cassa riluceva illuminata da due candele. Sul coperchio mirabilmente sbalzato erano raffigurate scene della vita del santo, incluso il momento in cui il suo corpo incorrotto era stato miracolosamente ritrovato dal giovane Konrad von Obenstein.
Inspirò profondamente come per calmarsi. Fece girare lo sguardo tutt'intorno, ma a parte lui, la chiesa era completamente vuota.
Si avvicinò alla cassa, quindi vi fece scorrere sopra le dita. Sapeva che non era stata chiusa in modo definitivo, perché nelle intenzioni del barone il corpo avrebbe dovuto essere trasferito in una teca più bella.
Insinuò le dita sotto il bordo del coperchio e fece forza, sollevandolo quel tanto da poter guardare dentro: i suoi occhi incontrarono solo la seta bianca del rivestimento.
Richiuse la cassa, fece per andarsene, poi tornò indietro e rimase a guardare la teca ingioiellata per qualche istante. Si morse il labbro inferiore.
Di nuovo si chinò, ma questa volta non si accontentò di una fessura: spostò il coperchio da una parte. Il sontuoso contenitore era desolatamente vuoto. Sul fondo erano rimasti solo il pendente di cristallo di rocca, la catenella e la croce.
Il cavaliere osservò il cartiglio: la scritta era ormai sbiadita, ma avvicinandola alla candela si riusciva a leggere chiaramente Athanatos. Immortale.
Chissà, forse per l'entusiasmo di aver trovato una santa reliquia, dopo che era uscito il nome di Athanasios nessuno aveva più ricontrollato il cartiglio.
Uscì pensieroso dalla chiesa.
Fuori c'era ancora Konrad, che nel frattempo era smontato di sella e stava tenendo i due animali per le redini. Al suo apparire esclamò: “Che faccia scura! Cos'è successo?”
Hermann lo fissò con durezza. In fin dei conti, era stato proprio il capriccio di quell'azzimato giovane bellimbusto a scatenare tutto il pandemonio. “Andate dentro,” gli suggerì, “e se avete forza sufficiente, sollevate il coperchio del reliquiario. Potreste avere una sorpresa.” Riprese le redini del suo cavallo e si preparò a montare in sella.
Che intendete dire?” chiese l'altro.
Andate e guardate voi stesso.” Spronò il destriero e si allontanò al trotto per il paese deserto.
Raggiunse il castello, entrò nel cortile e per prima cosa staccò dalla sella l'involto che vi aveva assicurato, poi andò alla ricerca del barone von Obenstein.
Il nobile lo ricevette subito nella sala delle udienze. “Adalrich?” fu la prima parola che Hermann pronunciò, ancora prima dei saluti.
Ho dovuto combattere.”
Il giovane deglutì. “Che intendete dire?”
Padre Gerold voleva cominciare con gli interrogatori, sperando di ottenere una confessione completa, potete immaginare con che metodi, prima dell'arrivo del fratello cavaliere da Marienbrunnen, in modo da rendergli impossibile un'eventuale difesa.”
L'altro emise un sospiro. “Lui sta bene?” chiese poi.
Non gli è stato fatto del male.”
Dio sia ringraziato,” mormorò il cavaliere. “Posso vederlo?”
L'altro tentennò per qualche istante, poi gli rispose: “Sì, venite con me. Vi accompagnerò personalmente.”

Quando si affacciò sulle prigioni, Hermann come sempre pensò che il candore del suo confratello rendeva ancora più cupa la penombra che lo circondava.
Egli era dritto in piedi nell'unico quadrato di luce che si disegnava sul pavimento, e teneva lo sguardo rivolto alla piccola finestra da cui essa penetrava come un rapace in cattività.
Adalrich!” lo chiamò.
Il cavaliere si volse rapido nella sua direzione. “Hermann!” Sul suo volto altrimenti severo comparve un accenno di sorriso.
Adalrich, come stai?”
Bene, non preoccuparti.”
L'altro lo raggiunse, pose la mano libera sulle sbarre e gli mostrò l'involto con il saif. “Guarda qui.”
Che cos'è?”
È una spada che può ferire quel mostro.” Fece sporgere l’impugnatura dell’arma dalla custodia di cuoio.
Davvero? Dove l'hai trovata?” Posò la propria mano accanto a quella del confratello.
Ora non ho tempo di raccontartelo, devo agire prima che faccia buio.”
L'altro lo fissò con apprensione. “Perché? Cosa vuoi fare?”
Vado a cercare quella bestia, la ammazzo e la porto qui, così la smetteranno di accusarti.”
Prima che il prigioniero potesse ribattere, si fece udire la voce di padre Gerold: “Bene, bene. Cosa c'è qui, strumenti del Demonio?”
Hermann si voltò verso di lui e lo squadrò come se avesse voluto incenerirlo. “Avete sentito benissimo,” ringhiò, “è un'arma che può colpire il mostro.”
Davvero? E chi ve l'ha data? Qualche stregone? Magari in questi due giorni vi siete recato da un servitore del Maligno per farvela forgiare?”
Me l'ha data un fratello cavaliere.”
Ah, uno della vostra risma, dunque.”
Hermann fece un passo verso di lui, cosa che provocò un suo brusco arretramento. “State attento,” lo ammonì in un ringhio, “non tirate troppo la corda.”
L'altro si rivoltò come una serpe: “No, state attento voi a non tirarla troppo. Io rappresento sua eccellenza reverendissima il vescovo di Fulda e voi, in quanto cavaliere crociato, mi dovete assoluta obbedienza. Ora, io vi chiedo, anzi vi ordino di darmi subito l'involto che avete in mano, affinché io possa mostrarne il contenuto a una commissione di sacerdoti esperti nelle opere del Demonio, che decideranno poi cosa farne.”
Hermann strinse la presa sulla spada. Lo fissò dritto negli occhi, e a voce alta proferì: “No.”
L'altro gli restituì uno sguardo di fuoco. “Osate disobbedirmi?”
Venite a prenderla,” lo provocò il primo con glaciale calma. “Provateci voi, o mandatemi contro tutta la risma di tirapiedi che vi siete portato dietro da Fulda, e vedremo se ci riuscirete.”
Il prete strinse i pugni adirato. “Cavaliere, voglio essere magnanimo: terrò conto del vostro stato di grande agitazione. Datemi quell'oggetto e dimentichiamo la faccenda.”
Ve l'ho detto: venite a prenderlo. E non sono agitato, voi non mi avete mai visto così distante dall'agitazione.” Si voltò verso Adalrich e gli disse: “Porterò qui il mostro, non preoccuparti.”
Hermann...” tentò l'altro, ma il confratello stava già correndo fuori.

Una volta fuori dalle prigioni, Hermann si imbatté nel barone. “Ci sono delle rovine qui in giro?” gli chiese senza preamboli.
L'altro sollevò perplesso le sopracciglia. “Delle rovine?”
Non ho tempo per spiegarvi, tra un paio d'ore sarà buio e il mostro uscirà per andare a caccia. So che si nasconde negli edifici diroccati e devo riuscire a stanarlo prima del tramonto.”
Volete cercare il mostro da solo?
Prima del tramonto,” precisò il cavaliere.
Aspettate,” disse l'altro, “faccio radunare i cacciatori, i soldati...”
No,” lo interruppe con foga Hermann, “vi prego: non c'è tempo. Io ho un'arma in grado di colpirlo, e devo usarla prima che sia troppo tardi.”
L'altro lo fissò serio, infine gli disse: “A nord, a circa una lega da qui, c'è una chiesa diroccata. La riconoscerete subito, perché si trova su un'altura priva di vegetazione. Nessuno ci va mai, perché la gente del luogo dice che la cripta è abitata da streghe e diavoli.”
La strada, per favore.”
Oltre il torrione nord c'è un sentiero. Ma vi prego, datemi almeno il tempo di chiamare mastro Wernhart.”
Ditegli di raggiungermi là.”
Hermann corse in cortile, montò in sella. Mentre spronava il cavallo, liberò la spada saracena dalla custodia di cuoio, che poi lasciò cadere per terra.
Spinse il destriero al galoppo. C'era ancora luce, ma le ombre si stavano allungando sui campi. Già gli animali cominciavano a tornare ai ricoveri notturni.
Poco dopo apparve in lontananza la chiesa. Era un rudere scuro, diroccato, dall'aria sinistra. Le finestre aperte sul vuoto gli evocarono occhi grifagni che lo scrutavano con malevolenza. Sebbene la zona fosse ricca di vegetazione, intorno a quel che rimaneva dell'edificio non si spingeva neppure il verde dell'erba.
Il cavaliere mise il destriero al passo e si avvicinò lentamente. Si chiese cos'avrebbe provato Adalrich di fronte a quelle rovine, perché lui stesso, che di certo non aveva la sua sensibilità, aveva l'impressione che un artiglio di ghiaccio gli stesse stringendo il petto. Inspirò profondamente a occhi socchiusi, combattendo il sempre più forte impulso di girare il destriero e fuggire al galoppo.
Mormorò una preghiera a fior di labbra e avanzò fino alla base della piccola altura. Lì smontò da cavallo, pose le redini sul collo dell'animale e sfoderò il saif. Lo mosse appena nell'aria, cercando di renderselo familiare, e dovette reprimere un gemito nel momento in cui un gesto diverso dal solito richiamò il dolore del morso che aveva ricevuto al braccio.
O forse era quel luogo che faceva tornare il dolore inflittogli dalla creatura?
Non perse tempo a speculare sulla questione, anche perché la luce stava rapidamente calando ed era necessario agire prima possibile.

§

Konrad entrò al galoppo nel cortile, e la prima cosa che vide fu la custodia di cuoio abbandonata in un angolo. Si guardò intorno alla ricerca di fratello Hermann, ma sia lui che il suo cavallo erano scomparsi. Smontò dal corsiero, affidò le redini a un mozzo di stalla e si lanciò su per le scale chiamando a gran voce suo padre.
Fu il barone a raggiungerlo. “Konrad! È successo qualcosa?” gli chiese preoccupato.
Dov’è il cavaliere, padre?” chiese il ragazzo per tutta risposta.
È andato alle rovine. Cosa sta succedendo?”
Perché alle rovine?”
Ha detto che il mostro si nasconde là, e che deve raggiungerlo prima che faccia buio. Ma in nome di Dio, mi vuoi dire cosa succede?”
La teca è vuota, padre! Non c’è niente dentro.”
L’altro lo fissò stupefatto. “Il santo?”
Non c’è mai stato nessun santo. Era quello il mostro, capite? È tutta colpa mia!”
Abbandonò il genitore, corse alle prigioni. Quando fu dinnanzi alla porta si fermò e si costrinse a calmarsi. Tirò il catenaccio lentamente, cercando di fare meno rumore possibile, quindi schiuse appena l’anta e sgusciò dentro in punta di piedi, poi andò a staccare dal gancio cui era appeso l’anello con le chiavi. Una volta che lo ebbe nascosto tra le pieghe dell’abito, raggiunse la cella in cui era rinchiuso fratello Adalrich.
Il cavaliere era inginocchiato accanto al pagliericcio e aveva le mani giunte. Il volto aveva un’espressione tesa e concentrata. Dava l’idea di essere convinto che la salvezza del mondo dipendesse dall’intensità delle sue preghiere.
Konrad si avvicinò piano e per un po’ rimase semplicemente a guardarlo. Se non fosse stato per il fatto che ogni tanto il crociato sbatteva le palpebre, si sarebbe detto un’immobile statua di marmo. Non si vedeva nemmeno il respiro, sotto l’ampio mantello.
Cavaliere,” lo chiamò sottovoce.
Fratello Adalrich, che sembrava totalmente concentrato in quello che stava facendo, si girò rapido e fissò lo sguardo nella sua direzione. “Siete Konrad?” sussurrò.
Il ragazzo si avvicinò. “Sì, sono io.
Che cosa volete?”
L’altro estrasse il mazzo di chiavi e cominciò a provarle una dopo l’altra sulla serratura. “State zitto e ascoltatemi,” diceva intanto, “dopo vi spiegherò tutto, ora non c’è tempo. Il vostro confratello è andato alle rovine per uccidere il mostro, ma si sta facendo buio, e temo che avrà bisogno di aiuto.”
Dove sono le rovine?”
A nord, a circa una lega da qui. Maledizione, questa chiave non si trova!”
Quanto tempo fa è partito fratello Hermann?”
Ormai sarà un’ora, dobbiamo sbrigarci.” Il mazzo gli scivolò dalle mani tremanti e cadde tintinnando sul pavimento. “Maledizione,” ringhiò fra i denti, poi cominciò a palpare il pavimento alla ricerca delle chiavi.
State tranquillo,” gli suggerì Adalrich, “respirate, non fatevi prendere dall’agitazione.”
È una parola. Io non sono un guerriero come voi.”
Continuò a muoversi sempre più frenetico. Gli sfuggì un singhiozzo.
Konrad,” lo richiamò allora il cavaliere.
È tutta colpa mia,” disse l’altro per tutta risposta.
Che cosa volete dire?”
Con voce rotta, il ragazzo rispose: “È colpa mia, sono stato io. Lo sapevo che non era un miracolo della Vergine, ma avete visto com’è mio padre: crede a tutto quello che gli dico. E allora, siccome volevo tornarmene qui, mi sono inventato la storia del santo.”
Il cavaliere cercò di mantenere un tono di voce neutro. “Konrad, per favore, ne parliamo dopo. Ora fatemi uscire, prima che arrivi qualcuno a impedirvelo.”
Sì, certo. Scusate. Non servo neppure a questo.” Ritrovò finalmente le chiavi, e tirando su col naso ricominciò a provarle una dopo l’altra nella serratura.
Alla fine si udì uno scatto, e la porta girò cigolando sui cardini.
Adalrich balzò fuori e con cautela stirò le membra irrigidite dalla cattività. “Mi servono un cavallo e una spada,” disse.
Aspettate, non volete il vostro usbergo?”
Non c’è tempo.”
Ma non potete andare così!”
Mi bastano la mia spada e il mio destriero.”

§

Il sole stava ormai avviandosi a scomparire dietro l’orizzonte quando fratello Adalrich poté lanciarsi al galoppo lungo il sentiero che conduceva alle rovine. Strinse gli occhi: anche quella poca luce, dopo il buio delle segrete, era forte come il sole a mezzogiorno.
I raggi aranciati del tramonto tingevano i prati già umidi di rugiada, dando loro una sfumatura dorata; le poche nubi che solcavano il cielo scintillavano come illuminate da un fuoco interno. Non c’era un alito di vento e la natura immobile sembrava in attesa di quello che sarebbe accaduto.
Il cavaliere si rizzò sulle staffe per avere una visione più ampia, e oltre una macchia vide sorgere la nuda collina su cui si stagliava il rudere, ormai nero nel cielo che andava facendosi sempre più scuro.
Arrivò ai piedi dell’altura e scorse il cavallo di Hermann che stava pascolando. Fermò il proprio e smontò, ma nel momento in cui i suoi piedi toccarono terra, si sentì cogliere da una vertigine e dovette aggrapparsi alla criniera dell’animale. “Non adesso,” mormorò fra i denti, mentre la vista gli si annebbiava. “Non adesso, maledizione.”
Si voltò verso la collina, che però apparve al suo sguardo annebbiato solo come una confusa macchia nera.
Qualcosa di giallo cadde ai suoi piedi. Abbassò lo sguardo e la vista pian piano gli si schiarì, rivelando un mazzetto di fiori di iperico.
Figlio dell’inverno,” lo chiamò una voce femminile.
Il cavaliere si voltò in quella direzione e si trovò davanti la vecchia vestita di nero. Era una donna alta, solenne, dal volto scavato e ieratico. Adalrich pensò che gli ricordava una Norna. “Chi siete, signora?” mormorò.
Nella chiesa alberga il male antico,” gli disse la vecchia ignorando la sua domanda. “Non fidarti dei tuoi occhi, perché esso può prendere qualsiasi forma.”
Che cosa significa?”
Chiedi a chi ami se ricorda il passato.”
Adalrich avrebbe voluto chiederle ancora qualcosa, ma di nuovo ebbe l’impressione di sentirsi mancare, e quando si riebbe la misteriosa figura era scomparsa. Solo il mazzetto di iperico, ancora per terra ai suoi pedi, testimoniava che non si era trattato di un sogno.
Alzò lo sguardo verso il rudere e subito percepì un artiglio di ghiaccio che gli stringeva il petto. Era come se l’oppressione che da mesi gli toglieva tranquillità e riposo si fosse moltiplicata all’infinito, e si trovò a respirare lentamente per combattere la sensazione di disastro incombente che sembrava inchiodargli i piedi al suolo.
Non vincerai tu,” ringhiò fra i denti, quindi sfoderò la spada e prese a salire con risolutezza lungo il fianco della collinetta.

§

Hermann si rammaricò di non essersi portato dietro una torcia. Era sceso nella cripta, e sebbene fuori ci si vedesse ancora, lì dentro la penombra era assai densa.
Peraltro, il sotterraneo era molto più ampio di quanto si sarebbe aspettato dalle dimensioni della chiesa, ed era ingombro di vecchie cose consumate dal tempo.
Fece qualche passo, udì qualcosa muoversi. Si guardò intorno e gli parve di vedere, nella luce che andava scemando, una figura in piedi, così immobile che si confondeva con le colonne della cripta.
Sfoderò la lama saracena, che sembrò emettere un lungo sospiro bramoso. Il filo arcuato catturò gli ultimi bagliori di luce mandando uno scintillio di metallo.
Fatti avanti,” disse Hermann.
Dal buio provenne un rumore raschiante, come di una lima che graffiasse un antico legno: il ghul stava ridendo.
Il cavaliere deglutì e si impose di non indietreggiare. Avanzò anzi, deciso a porre fine alla lotta finché riusciva a vedere qualcosa. Raggiunse quella che pensava essere la figura del mostro, ma si accorse che era solo un vecchio brandello di tenda che pendeva dal soffitto. Lo tagliò con un fendente ed esso si afflosciò al suolo in una nuvola di polvere.
Di nuovo udì il rumore raschiante, questa volta alle sue spalle.
Si girò di scatto, e la testa di una statuetta sacra rotolò ai suoi piedi. “Fatti avanti,” ripeté.
Qualcosa si mosse, delle assi caddero facendolo sussultare. Hermann si mosse in quella direzione, e si sentì proiettare in avanti da un colpo alla schiena che sembrava il calcio di un mulo. Crollò a terra con il respiro mozzo, rotolò sul dorso e pose la spada a difesa del collo giusto un attimo prima che la creatura gli piombasse addosso. Mentre si faceva indietro vide baluginare nel buio un’orrenda chiostra di denti, e colse il sinistro lucore di occhi senza pupille, lattiginosi ma accesi di un malvagio fuoco interno.
Si rialzò e tirò un tondo dritto, ma il movimento gli strappò un gemito di dolore. Il mostro ghignò, evidentemente consapevole della sua condizione. Si rintanò di nuovo nell’ombra, scomparendo dietro i mucchi di detriti.
Hermann arretrò verso la scala, sperando di attirare il mostro su un campo di scontro più favorevole, il ghul gli si avventò addosso e tentò di rovesciarlo al suolo, ma questa volta il cavaliere riuscì a puntellarsi con la schiena contro qualcosa e lo spinse via da sé. Sferrò un tondo rovescio che evidentemente colpì nel segno, perché l’essere emise un ululato di dolore, poi rimase a guatarlo ringhiante.
Il cavaliere non perse tempo: subito lo incalzò con un fendente dritto, e poi lo raddoppiò con un rovescio, causando ogni volta un arretramento della creatura. Tentò poi l’assalto finale, ma il ghul gli si aggrappò al braccio che reggeva l’arma e vi affondò i denti, strappando via la cotta di maglia come una vecchia stoffa. Piegò il collo da una parte torcendo il braccio di Hermann, che emise un gemito e lasciò andare la spada. Il mostro allora gli sferrò una zampata alla testa, facendolo crollare malamente al suolo.
Fece per chinarsi sul cavaliere privo di sensi, ma qualcosa gli fece alzare bruscamente la testa. Fiutò attento l’aria, quindi scomparve nel buio.
Hermann emise un gemito, e nonostante la testa gli girasse come impazzita, tentò di rialzarsi puntellandosi su un gomito.

Adalrich giunse alla sommità della collina quando ormai il cielo conservava solo una lieve linea aranciata all’orizzonte. Si guardò intorno, e nella luce incerta del crepuscolo percepì qualcosa di chiaro approssimarsi dall’interno della chiesa. Si voltò in quella direzione e gli mancò il respiro per l’orrore: era Hermann, che grondava sangue da una ferita alla testa e teneva il braccio destro penzoloni come se fosse rotto. Barcollava malamente e sembrava stremato.
Aiutami, Adalrich,” mormorò. Cercò di fare qualche passo in avanti, ma perse l’equilibrio e con un gemito appoggiò un ginocchio a terra. “Aiutami,” ripeté.
L’altro fece per lanciarsi in avanti, ma subito si fermò titubante, ripensando alle parole della vecchia.
Hermann alzò lo sguardo su di lui. “Per favore, sto perdendo molto sangue. Perché non mi aiuti?”
Adalrich aggrottò le sopracciglia. “Sei davvero tu, Hermann?”
E chi dovrei essere?”
Il mostro.”
Non essere ridicolo. Guardami: sono io, sono Hermann. Aiutami, per favore.”
L’altro strinse gli occhi. Era Hermann, ma al tempo stesso non lo era. Troppo sfrontato, troppo insistente nel chiedere aiuto. O faceva così solo perché stava soffrendo molto?
O era lui che si era lasciato influenzare eccessivamente dalle parole di una vecchia megera?
Però la sensazione opprimente era più forte che mai.
Adalrich...” lo richiamò alla realtà il confratello.
Hermann… dimmi che cosa ti ho detto quando ci siamo trovati io e te da soli in quel villaggio abbandonato, durante la missione per controllare il passo di Amka.”
Il cavaliere lo fissò con espressione stupita. “Ma ti sembra il momento?”
Dimmelo. Non puoi essertelo dimenticato.” Poi, dopo una pausa: “Ti ricordi? Eravamo solo tu ed io, la luna era alta, e c’era un gran silenzio.”
L’altro chinò la testa. “Ah, quello,” mormorò, poi rialzò su di lui occhi che anche in quella penombra sembravano brillare come zaffiri. “Hai detto che…” deglutì.
Che?...”
Che mi amavi.”
Adalrich, che stringeva ancora la spada in mano, rimase per qualche istante immobile. Fece un passo verso il compagno, che sorrise lieve e tese una mano verso di lui. Il primo si arrestò prima di venire toccato, poi caricò un fendente e glielo calò addosso con tutte le sue forze. Sotto quel colpo, Hermann trasfigurò, diventando una creatura magra e legnosa, con la pelle come cuoio conciato. Emise uno strido e scomparve nella cripta.
Quello l’ho solo pensato,” disse serio Adalrich.
Scese a sua volta nel sotterraneo. Nel buio vedeva un po’ meglio degli altri, e colse subito la sagoma della creatura che si chinava. La raggiunse e vide che Hermann – quello vero, stavolta – era a terra. Si sosteneva su un gomito e stava arretrando malamente, con l’altro braccio quasi inservibile e la parte destra del volto coperta di sangue. Accanto a lui c’era la spada che gli aveva mostrato quando era in cella.
Valutò velocemente la situazione: il mostro era tra lui e l’arma, ma doveva comunque fare un tentativo di prenderla, o non ci sarebbe stata alcuna speranza per Hermann.
Strinse la spada che aveva ancora in pugno e la piantò fino all’elsa nel corpo ossuto della bestia. Il colpo sarebbe stato letale per chiunque altro, ma essa emise un ululato e rapida come una serpe si torse nella sua direzione, spalancò le fauci e lo azzannò tra la spalla e il collo.
Il cavaliere emise un lamento e tentò di strapparsi di dosso il mostro, che però a ogni attimo rinsaldava la presa affondandogli maggiormente i canini nella carne, e muoveva la testa come per allagare sempre più lo squarcio che aveva prodotto.
Adalrich crollò a terra, e mentre con un braccio tentava di sciogliere la presa mortale della creatura, con l’altra mano palpava freneticamente il pavimento alla ricerca della spada.
Infine percepì l’impugnatura sotto le dita, la strinse e colpì la belva con la lama benedetta. Il mostro balzò via con un ululato, Adalrich si rialzò ansando e lo incalzò con un fendente, che di nuovo gli produsse un’ampia ferita. Il ghul si arrampicò soffiando come un gatto su una catasta di vecchi mobili, e da lì gli balzò addosso di nuovo. Rotolarono avvinghiati, il mostro dilaniava con artigli e denti, Adalrich colpiva con la spada, e ogni volta che la lama affondava nella carne della creatura, essa emetteva un ruggito di rabbia e dolore.
Alla fine il cavaliere riuscì a buttare il mostro lontano da sé, e nel momento in cui esso si muoveva per attaccarlo di nuovo, sferrò un fendente rovescio e lo decapitò di netto. La testa rotolò via con un rumore sordo mentre il corpo si afflosciava.
Poi il crociato lasciò cadere l’arma e crollò pesantemente al suolo, con la tunica zuppa del sangue che ancora gli sgorgava dallo squarcio che aveva nel collo.
Cercò di rialzarsi, ma le forze lo stavano abbandonando velocemente. Vide una figura chiara che si avvicinava e le labbra gli si stirarono in un lieve sorriso. “Hermann,” mormorò con voce appena udibile.
L’altro si chinò su di lui. Gli passò una mano dietro le spalle e lo strinse a sé. “Adalrich,” disse con voce tremante. “Adalrich, perché sei venuto qui?… Non dovevi… Non così...”
Hermann, sai… quello che devi… fare.”
Il confratello represse un singhiozzo. “Oh, no. Ti prego, non chiedermi questo.”
C’erano ancora così tante cose che doveva dirgli, e che dovevano fare insieme. C’era un mondo che sarebbe stato vuoto e buio senza di lui.
Ti prego… Non farmi morire così...”
Hermann lo adagiò sul pavimento, quindi estrasse il pugnale. Per quanto Adalrich fosse la persona che amava di più al mondo, razionalmente sapeva che se non l’avesse fatto, l’avrebbe condannato a riprendere vita come mostro assetato di sangue.
Le lacrime che gli scendevano copiose dagli occhi gli annebbiavano la vista, tuttavia puntò la lama contro il cuore del compagno, quindi pose le due mani sull’impugnatura e si preparò a fare forza con tutto il suo peso.

§

Una lunga mano ossuta si posò sulle sue fermando il gesto che stava per compiere. “No,” disse una voce di donna dalle note basse e solenni.
Hermann sollevò lo sguardo e nel buio ormai completo colse solo l’ovale di un viso femminile.
No,” ripeté.
Il cavaliere non abbandonò la lama. “Signora, io devo,” le rispose.
Ella annuì, come per dire che capiva, e Hermann ebbe la sensazione che davvero sapesse tutto. Lesse su quel volto scavato una saggezza antichissima. D’istinto, le disse: “Aiutatelo, signora. Sento che voi lo potete.”
Di nuovo balenarono nel buio i fiori gialli dell’iperico, poi la donna posò una mano sulla fronte di Adalrich e pronunciò parole in una lingua che Hermann non conosceva. Il cavaliere pensò fugacemente che l’atto cui stava assistendo era ciò che comunemente veniva definito stregoneria, ma rimase immobile.
Infine l’anziana donna gli disse: “Il male antico non prevarrà sul figlio dell’inverno. Egli ha il nostro sangue.”
Prima che Hermann avesse il tempo di chiederle di che sangue stesse parlando, ella si coprì il volto con un lembo dell’abito nero, confondendosi con l’oscurità che la circondava.
Subito dopo, il cavaliere cominciò a sentire un vociare confuso che proveniva dall’esterno, associato a latrare di cani e nitrire di cavalli. Qualcuno arrivò con delle fiaccole alla sommità delle scale, proiettando nella cripta fasci di luce.
Sono qui!” Gridò Hermann. “Siamo qui!”
Si voltò in direzione della donna, ma non la vide più. “Signora?” mormorò, ma in qualche modo gli fu chiaro che ella se n’era andata.
Siamo qui!” ripeté. “Presto, fratello Adalrich è ferito!”
Sentì i passi di numerose persone, la luce si fece più intensa man mano che scendevano uomini dotati di torce e lanterne. Abbassò gli occhi sul suo confratello e il cuore minacciò di fermarglisi nel petto: egli giaceva immobile, il volto era di un pallore ancora più intenso del solito, gli occhi erano chiusi. Tra la spalla e il collo aveva un'orribile squarcio, dal quale il sangue era sgorgato copioso, inzuppandogli completamente l'abito.
Mentre in fondo alla cripta si levavano i clamori di coloro che stavano osservando le spoglie del ghul, una mano sulla spalla lo fece quasi sussultare. La voce di fratello Hildebrand chiese: “È vivo?”
Non lo so,” rispose angosciato Hermann.
Ora vediamo,” rispose l’altro, e si chinò su Adalrich. Prese la lanterna che aveva con sé e la tenne sospesa per illuminarlo. Con la mano libera gli prese il mento fra le dita e gli voltò delicatamente la testa. Osservò la ferita e aggrottò le sopracciglia.
Hermann, che stava seguendo ogni suo movimento, gli chiese: “È molto grave, fratello?”
Lo vedi da te che è grave. Ma per qualche motivo ha smesso di sanguinare.”
Ma lui è...”
È vivo, sì. Ha perso molto sangue, è ferito ovunque, ma per qualche ragione che mi sfugge è ancora vivo.”
Il giovane cavaliere emise un sospiro. “Dio, ti ringrazio,” mormorò.


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Capitolo 11
*** Epilogo ***


Adalrich 11 Bene, gente, come vedete siamo giunti all’epilogo della vicenda. È stato molto bello portare avanti quest’avventura medievale con voi, sono stato molto felice di costruire una vicenda e dei personaggi e presentarveli. Ringrazio tutti coloro che sono passati di qui, e con la loro presenza hanno fatto sì che la storia prendesse vita.
In particolare, ringrazio sentitamente per avermi lasciato il loro parere LyaStark, morgengabe, Saelde_und_Ehre, fiore di girasole, Crilu_98, Iossy90, miciaSissi, innominetuo, Syila e GothicGaia, che si sta facendo tutta la maratona dei capitoli^^
Grazie davvero, è stato bellissimo condividere quest’avventura con voi!

Devo peraltro rivolgere un ringraziamento particolare all'ottima, bravissima e coltissima Saelde_und_Ehre, che con la sua costante supervisione ha fatto sì che il mo medioevo germanico fosse storicamente attendibile.






Epilogo

Fratello Adalrich aprì lentamente gli occhi. Da qualche parte, lontano, qualcuno stava cantando:

Da pacem Domine, in diebus nostris…

Cercò di mettere a fuoco quello che lo circondava: si trovava su un letto, in una stanza con il soffitto sostenuto da travi. C’era una candela, che proiettava intorno una debole luce ambrata.

...Quia non est alius qui pugnet pro nobis…

Rievocò la lotta contro la creatura, la ferita, la sensazione di cadere in un baratro buio e la strenua lotta contro la voluttà di abbandonarsi all’oblio. Gli ultimi ricordi che aveva erano quelli di Hermann chino su di lui, con il viso rigato di lacrime. Fece un tentativo di muoversi, ma il suo corpo gli rimandò un’immediata fitta di dolore. Emise un sospiro di frustrazione, riabbassò le palpebre e per un po’ si concentrò sul canto che percepiva fioco.

...Nisi tu Deus noster.
Fiat pax in virtute tua: et abundantia in turribus tuis.

Fu il rumore di un oggetto che cadeva ad attirare nuovamente la sua attenzione. Girò lo sguardo in quella direzione e si accorse che accanto al letto c’era Hermann addormentato su una sedia. Aveva le mani in grembo, nella posizione di chi sta reggendo qualcosa, ma ovviamente in mano non aveva più nulla.
Sul volto gli si compose un pallido sorriso. Chissà da quanto tempo era lì, e chissà quanto doveva essere stanco, se nemmeno il rumore l’aveva svegliato.
Provò a chiamarlo, ma l’unico suono che gli uscì dalla gola fu un rauco mormorio.
Strinse i denti, e concentrò tutta la propria volontà nel far uscire un braccio dalle coperte. Lo spinse piano verso il confratello, al quale riuscì a sfiorare una mano.
A quel pur lievissimo tocco, Hermann saltò su come qualcuno l’avesse punto. “Adalrich!” esclamò preoccupato.
Si sporse verso di lui e l’altro vide la sua espressione trasfigurare nel momento in cui si rendeva conto che aveva gli occhi aperti.
Adalrich!” ripeté. Sul volto gli passarono tutte le possibili sfumature di confusione, sollievo e gioia. “Adalrich, ti sei svegliato, finalmente.” Gli prese la mano e la strinse delicatamente fra le sue. “Ho temuto di perderti,” mormorò poi sedendosi accanto a lui sul letto.
Hermann...”
Dio, ti ringrazio,” disse semplicemente l’altro, quindi staccò una mano dalla sua e gliela passò adagio fra i capelli. Si chinò a baciarlo sulla fronte. “Ti ringrazio,” ripeté.
Adalrich socchiuse gli occhi.
Ancora chino su di lui, Hermann chiese: “Hai sete, vero?” Poi, senza aspettare risposta: “Sì che hai sete. Ora ci penso io.” Andò a prendere un bicchiere, quindi gli passò una mano dietro la nuca, gli sollevò delicatamente la testa e gli appoggiò il recipiente alle labbra.
Ho avuto paura di perderti,” ripeté mentre lo aiutava a bere.
Adalrich avrebbe forse dovuto rispondere che erano cavalieri, che i loro sentimenti non contavano, che la loro esistenza doveva essere votata a Dio e a nient’altro, ma l’unica cosa che riuscì a mormorare fu: “Anch’io.”
Quando si fu dissetato, Hermann lo fece riadagiare delicatamente sul cuscino. Nella luce dorata della candela i suoi occhi azzurri, lucidi di pianto trattenuto, erano trasparenti come acquemarine. Di nuovo gli accarezzò i capelli, facendosi scivolare tra le dita le ciocche candide. Continuava a guardarlo, come se non riuscisse a convincersi che si era davvero ripreso.
Sto bene,” si sentì in dovere di assicurargli Adalrich.
Sì, sia ringraziato Dio. Stai bene.” La mano che gli stava passando tra i capelli scese ad accarezzargli la guancia, poi Hermann si piegò di nuovo su di lui e in un gesto fugace, appena accennato, gli sfiorò le labbra con le proprie.

§

Che posto è questo?” chiese Adalrich guardandosi intorno. Non riconosceva nulla di ciò che lo circondava.
Seduto accanto a lui, Hermann gli spiegò: “Siamo nel convento di Marienbrunnen. Dopo quello che è successo, fratello Hildebrand ha insistito per farti portare qui, diceva che c’è un monaco particolarmente esperto nel curare le ferite.”
Chi è fratello Hildebrand?”
Sono io, giovanotto,” disse una voce profonda, “e da come ti sei ripreso, direi che la mia fiducia nelle capacità di fratello Walther è stata ben riposta.”
L’anziano cavaliere entrò nella camera. Squadrò Adalrich con occhio attento, poi chiese: “Ebbene, come ti senti ora?”
Molto meglio, grazie.”
L’altro prese una sedia e si accomodò accanto al letto, quindi gli chiese: “Vuoi sapere cos’è successo in questi giorni, ragazzo?”
Hermann sorrise fra sé e sé alla perplessità del rigido Adalrich nel venire apostrofato in quel modo. Per l’imponente fratello Hildebrand l’etichetta era un concetto piuttosto relativo. Dopo i primi formalismi, tutti i cavalieri che avevano meno di trent’anni, a prescindere da rango o titolo, diventavano ‘giovanotto’ o ‘ragazzo’. ‘Ragazzo mio’, se proprio gli risultavano simpatici.
Adalrich, che era nel convento già da qualche giorno, pur essendo rimasto sempre incosciente era già considerato ‘ragazzo’.
Vi sarei molto obbligato,” rispose il ferito, che invece aveva impiegato mesi per smettere di rivolgersi a Hermann con il voi.
Beh, ragazzo mio, pare che qualcuno, nella diocesi di Fulda, abbia fatto il passo più lungo della gamba. E soprattutto nella direzione sbagliata.”
Che intendete dire?”
Un certo padre Gerold ha dimostrato un notevole entusiasmo e una singolare mancanza di scrupoli nel portare avanti la sua santa missione. Chi di dovere ha ritenuto che tanto zelo meritasse obiettivi più elevati di un umile servo di Cristo dai colori un po’ inconsueti, e l’ha inviato a catechizzare i pagani in Prussia.” Fece una pausa, poi con fare modesto soggiunse: “Dati i trascorsi, qualcuno ha pensato di preparare un’adeguata accoglienza per il buon padre, e ha scritto un paio di lettere a qualche membro dell’Ordine, raccontando quello che è successo a Dürnau.” Ghignò soddisfatto, quindi concluse: “Penso proprio che lassù gli daranno un caloroso benvenuto.”
Adalrich rimase in silenzio per un po’, quindi chiese: “La bestia è davvero morta?”
Nemmeno un ghul sopravvive decapitato.”
Un… che cosa?”
Ghul. Jinn malvagio, se preferisci.”
È quello che chiamavamo cane infernale?”
Fratello Hildebrand assentì, soddisfatto come il precettore che sente l’allievo ripetere una poesia senza errori. “Proprio così. Il ghul può trasformarsi in una iena, che è una specie di cane, ma più grosso.”
Ho capito.”

§

Fratello Hermann e fratello Hildebrand stavano camminando fianco a fianco. “Come sta?” chiese il più anziano.
L’altro non poté fare a meno di atteggiare il volto a un lieve sorriso. “Si riprende a vista d’occhio. Ogni volta mi stupisco di quanto sia forte.”
In effetti è una specie di miracolo. Credevo proprio che quella ferita lo avrebbe ucciso.”
Hermann emise un sospiro. “Anch’io.” Si voltò in direzione nell’edificio in cui si trovava la camera di Adalrich. Rallentò il passo.
L’altro lo prese per una spalla. “Hai bisogno di riposare e di prendere un po’ d’aria. Lui è in buone mani.”
Lo so, fratello,” rispose Hermann ricominciando a camminare, “Sarà anzi in mani migliori delle mie, visto che frate Walther è esperto nella cura delle ferite, però...” Si interruppe, di nuovo si voltò verso l’edificio.
Fratello Hildebrand lo spinse in avanti. “Muoviti,” gli disse in tono bonario.
Camminarono per un po’ fianco a fianco, addentrandosi nel frutteto. Era pomeriggio inoltrato e il sole era ormai basso sull’orizzonte. Sull’erba si disegnavano ombre lunghe, spirava una lieve brezza.
Hermann abbassò lo sguardo e vide che per terra c’erano dei fiori gialli. Subito si guardò intorno, e al limitare del campo, confusa fra i tronchi, vide una snella figura vestita di nero. Diede un’occhiata a fratello Hildebrand, che stava continuando a camminare apparentemente ignaro, quindi si mosse verso la silenziosa presenza.
Chi siete, signora?” chiese quando si fu avvicinato.
Senza rispondere, la donna gli tese un mazzetto di fiori di iperico. “Portali a lui,” disse semplicemente.
Ditemi chi siete,” insisté Hermann, “voi gli avete salvato la vita.”
Ella scosse la testa. “Tu gliel’hai salvata. È rimasto per te.” Di nuovo gli porse i fiori.
Il giovane cavaliere si morse il labbro inferiore. “Io… stavo per ucciderlo, signora,” mormorò chinando la testa.
La donna gli accarezzò una guancia. Aveva dita ruvide e secche come legno antico. In tono grave gli disse: “È il sacrificio più grande, uccidere chi si ama per evitargli maggiore sofferenza.”
Hermann stava per rispondere, ma una voce alle sue spalle lo fece sussultare: “Ragazzo!”
Si girò: fratello Hildebrand lo stava fissando perplesso. “Che fai, parli agli alberi?” gli chiese.
Il giovane si voltò verso la donna, ma non c’era più nessuno. Abbassò gli occhi sulla propria mano, e si accorse che stringeva un mazzetto di fiori di iperico. “Signore Iddio,” mormorò stupefatto.
Il più anziano gli rivolse uno sguardo interrogativo. “Beh?”
Io… c’era una donna che mi stava parlando, e...” si interruppe: non c’era nessuno nel raggio di cento passi. Si voltò verso fratello Hildebrand con l’aria di chiedergli aiuto.
Forse è meglio che mi racconti tutto da principio, ragazzo mio,” gli consigliò il più anziano.

Alla fine del racconto, fratello Hildebrand non pareva né particolarmente stupito, né particolarmente spaventato. “Una strega,” disse.
Il più giovane fece tanto d’occhi. “Una strega?” ripeté.
In effetti sarebbe più corretto dire ‘una donna che pratica la magia’. Ce n’è ancora qualcuna.”
Ma...”
Fratello Hildebrand alzò le spalle, tranquillo come se stesse parlando del tempo. “Sì, so cosa stai pensando: le streghe sono malvagie. Ma così come ci sono uomini di chiesa che praticano il male, e tu ne hai conosciuto uno non più tardi di qualche giorno fa, ci sono anche streghe che praticano il bene. Anzi, per la verità sono la maggior parte.”
Hermann annuì. “Ha salvato la vita ad Adalrich,” disse dopo un po’, poi abbassò gli occhi sui fiori che aveva in mano e soggiunse: “Mi ha dato questi per lui.”
Io credo che l’abbia fatto per proteggerlo. Secondo la tradizione, l’iperico allontana il male.”
Il giovane ripensò a ciò che era successo nel sotterraneo della chiesa diroccata. Gli tornarono in mente le parole che la donna gli aveva detto: egli ha il nostro sangue.
Adalrich non sapeva chi fossero i suoi veri genitori, ed era stato abbandonato in fasce.
Ricordò una storia che aveva sentito quando era piccolo: la magia passava di madre in figlia, e i figli maschi delle streghe, se mai vedevano la luce, venivano generalmente uccisi appena nati. Forse la vera madre di Adalrich non se l’era sentita di ucciderlo, e l’aveva abbandonato dove sapeva che sarebbe stato cresciuto nel modo migliore. Forse le streghe riconoscevano in lui uno della loro razza, e lo aiutavano.
Si voltò verso fratello Hildebrand. Per un attimo lo sfiorò l’idea di metterlo a parte dei suoi dubbi, ma subito dopo rinunciò al proposito: di certe cose era meglio parlare il meno possibile. “Penso che andrò a portargli questi fiori prima che appassiscano,” disse semplicemente. Si inchinò appena. “Con licenza, fratello.”
L’altro sorrise bonario. “Va’ pure.” Riprese la sua passeggiata scuotendo affettuosamente la testa.

§

Vestito per la prima volta dopo giorni, Adalrich indugiava seduto sul letto. Aveva voglia di alzarsi, e per quanto detestasse il sole, gli mancavano l’aria e gli spazi aperti, ma si sentiva ancora terribilmente debole. Fratello Walther gli aveva spiegato, nel corso delle varie medicazioni, che aveva perso molto sangue, e già era un miracolo che fosse ancora vivo, tuttavia non riusciva a capacitarsi di come il suo corpo, una volta forte e scattante come quello di una belva, ora facesse fatica anche nelle minime cose.
Ti riprenderai,” gli disse Hermann, che come al solito aveva perfettamente indovinato quali fossero i suoi pensieri. “Hai solo bisogno di un altro po’ di riposo.”
Adalrich annuì e l’altro gli mise una mano sulla spalla. “Tornerai più forte di prima,” gli assicurò.
Lo spero.”
Certo che sarà così.” Poi, dopo una pausa: “C’è una persona che voglio presentarti.”
Adalrich lo fissò stupito. “Chi?”
Vedrai. Ora fa il bravo, appoggiati a me.”
Ma Hermann...”
Obbedisci.” Lo fece alzare e si passò il suo braccio intorno alle spalle. “Ce la fai così?”
Sì, non preoccuparti.”
Allora andiamo.”
Scesero nel chiostro. Lì, seduto su una panca, c’era il figlio del barone von Obenstein. Adalrich si voltò perplesso verso Hermann e gli chiese: “Dov’è la persona che mi devi presentare?”
Ce l’hai davanti.”
Ma è Konrad.”
L’altro scosse la testa. “No, è fratello Konrad. O perlomeno lo sarà quando avrà completato il noviziato.”
Stai scherzando?”
Mai stato così serio.” Poi, a voce più alta: “Fratello Konrad!”
Il ragazzo si alzò e li raggiunse. “Non sono ancora un fratello,” disse con un sorriso modesto, “ ma spero di diventarlo prima possibile.” Si volse verso Adalrich: “Salute a voi, fratello cavaliere.”
Voi nell’Ordine?” chiese l’altro per tutta risposta.
Il ragazzo emise un sospiro. “Sembra strano, vero? Eppure quello che è successo mi ha spinto a pensare, e ho capito delle cose.”
Adalrich lo fissò ancora diffidente. “Che cosa, ad esempio?”
Konrad chinò la testa. “Io credevo che ascoltare qualche lettura di retorica di giorno e far festa con gli amici di notte fosse tutto ciò che un uomo poteva chiedere dalla vita. Niente impegni, niente responsabilità. Solo divertimento.” Fece una pausa, deglutì imbarazzato. “E poi è successo quello che è successo, e sono morte molte persone a causa della mia ottusità.”
Adalrich continuava a fissarlo in silenzio.
E insomma, per farla breve, ho pensato che stare un po’ di tempo nell’Ordine non mi avrebbe fatto male, ecco tutto.” concluse alla fine il ragazzo.
L’altro era ancora muto.
Beh, che ne dite?” chiese Konrad dopo un po’. Dava l’idea di aspettarsi delle felicitazioni.
Lapidario, Adalrich rispose: “Penso che tornerò a sdraiarmi, è stata un’emozione troppo forte.”
Non siete contento?”
Ma certo che è contento,” intervenne Hermann prima che l’altro potesse replicare, “è solo troppo riservato per dimostrarlo.”
Konrad sorrise e disse: “Beh, avrà tempo di prendere confidenza con la cosa durante il viaggio di ritorno a Starkenberg.”
Adalrich lo fissò, questa volta francamente inorridito. “A Starkenberg?”
Ovviamente! Dove andrei senza i miei maestri?”
Chi sarebbero i vostri maestri?”
Ma voi e fratello Hermann, è chiaro. Ho già in mente un poema epico sulla vostra impresa, sapete? Come due cavalieri dell’Ordine Teutonico uccisero un terribile mostro del deserto. Volete sentire le prime strofe?”
Oh, no!”
Vi assicuro che sono bellissime. Prima di prendere i voti ho seguito le letture di poesia dei migliori maestri, sapete?”
Adalrich si svincolò dal sostegno del confratello, e nonostante la prostrazione fece per allontanarsi lungo il porticato, ma Konrad imperterrito gli tenne dietro.
Hermann rimase a fissarlo con un sorriso sulle labbra: Adalrich era cupo, scontroso, permaloso, di una franchezza imbarazzante, prendeva qualsiasi cosa sul serio, ringhiava peggio di un mastino da guerra, ma era anche la persona più coraggiosa, nobile e generosa che conoscesse, e qualcuno, chissà se era stato Dio o qualcun altro, gli aveva concesso di averlo accanto ancora per un po’.
Facci sentire un po’ di quella poesia, Konrad!” esclamò, già pregustando la reazione dell’amico.




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