Echoes in eternity

di Luana89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Creep ***
Capitolo 2: *** One way or another ***
Capitolo 3: *** Ex's & Oh's ***
Capitolo 4: *** Requiem for a Dream ***
Capitolo 5: *** Renegades ***
Capitolo 6: *** Cake by the ocean ***
Capitolo 7: *** War of hearts ***
Capitolo 8: *** Winter Sonata ***
Capitolo 9: *** A thousand years ***
Capitolo 10: *** Boulevard Of broken dreams ***
Capitolo 11: *** I kissed a boy ***
Capitolo 12: *** Do they know it's Christmas ***
Capitolo 13: *** Castle of glass ***
Capitolo 14: *** Monsters ***
Capitolo 15: *** Thunder ***
Capitolo 16: *** Shame ***
Capitolo 17: *** Wonderwall ***
Capitolo 18: *** Love the way you lie ***
Capitolo 19: *** Won't go home without you (ending) ***



Capitolo 1
*** Creep ***




 
Man mano che scendeva le scale in legno lucido l’odore di caffè diveniva sempre più forte, si aggrappò al corrimano con forza poggiando prima la gamba ingessata, un piccolo salto ed eccolo tra l’arco che separava la cucina dall’ampio salotto in stile vintage, tutto in quella casa urlava il nome ‘’AMANDA’’ con forza. La donna in questione si girò con un mezzo sorriso.
«Nicholas perché ti rifiuti di farti aiutare?» Il ragazzo sospirò afferrando la stampella poggiata al muro, procedendo zoppicando verso una delle sedie nella quale si accomodò, il solito rituale della colazione consisteva in un’abbondante dose di cereali immersi in un fiume di latte. Ne ficcò una cucchiaiata in bocca ascoltando il rumore dei fiocchi sbriciolati che faceva da eco nelle sue orecchie soffocando le lamentele della madre.
«Tra due settimane me lo toglieranno lo sai, e sono abbastanza autosufficiente comunque.» Si fissarono con quegli occhi daal taglio così simile, e Amanda fu la prima a desistere, in fondo conosceva bene il temperamento testardo del proprio figlio, non lo cresceva forse da diciassette anni ormai?
«Verrà Jeremy anche oggi?» Il ragazzo annuì continuando a mangiare con tutta calma, Jeremy era uno dei suoi migliori amici, cresciuti insieme da che ne avesse memoria lo accompagnava da qualsiasi parte senza mollarlo mai un minuto. Non che a Nicholas dispiacesse, anzi, anche se alle volte avrebbe preferito fosse Thomas a offrirsi. Faticò ad inghiottire l’ultimo boccone, si costrinse a bere un po’ d’acqua per non morire soffocato di fronte alla madre e infine si alzò.
«Che turno hai a lavoro?»
«Oh beh..» la madre sembrò tentennare un po’, da qualche tempo sembrava perennemente colta in fallo. «Ho da fare qualche turno in più stasera, tornerò tardi, ma ho lasciato la cena nel microonde.» Nicholas annuì senza ricambiare il sorriso della madre, l’amava molto ma scisso sempre tra i propri segreti e le bugie – parecchio scarse – della donna, si sentiva sempre in dovere di mantenere un’espressione neutra o seria il più delle volte. Si permise di fissarla per qualche istante, i capelli così simili ai suoi tendenti al castano chiarissimo, la carnagione pallida, ma a differenza di Nicholas lei aveva le iridi nocciola. Le sue, azzurre, le aveva decisamente ereditate dal padre scomparso circa dieci anni prima. Amanda all’età di trentotto anni era comunque più avvenente del figlio, o almeno questo era ciò che pensava lui sempre in lotta con se stesso, con tutto ciò che non andava bene in lui. Come ad esempio le proprie preferenze sessuali. Aggrottò la fronte a quel pensiero schiacciandolo con la stessa crudeltà con la quale uccideresti una zanzara che ti ha ronzato intorno tutta la notte senza farti chiudere occhio. Lui era normale, gli piacevano le ragazze e sua madre sarebbe stata fiera di lui, fine dei giochi.
 
«Pratichi quelle merdosissime arti marziali da anni, e poi che fai? Ti rompi la gamba cadendo da una cazzo di scala? Sei proprio un coglione.» Jeremy mosse appena il capo spostando uno dei suoi ricci rossicci che ricadevano fastidiosamente sugli occhi scuri, non li tagliava da un po’. Nicholas lo fissò con evidente espressione seccata lasciandosi andare contro il sedile della decappottabile nera, era una prerogativa dell'amico quella di prenderlo per il culo da tipo.. sempre?
«Ti ho spiegato trentamila volte di essere scivolato per evitare una merda spiaccicata.» Fissò il paesaggio alla sua destra, era una giornata soleggiata lì a New York nonostante l’aria iniziasse a raffreddarsi velocemente.
«Meglio una merda sotto la suola che una gamba inutilizzabile. Resti un coglione a prescindere, non è che cambi molto.» Jeremy lo fissò strabuzzando gli occhi in una smorfia e Nicholas si girò per non dargli la soddisfazione di vederlo ridere, nonostante il lieve tremolio delle sue spalle fosse abbastanza eloquente. Fissò il sole che faceva capolino tra un palazzo e l’altro, muoversi in auto lì a Manhattan spesso sembrava mera follia, eppure lo facevano da una vita. Sollevò una mano che coprì la palla infuocata, mille scintille esplosero nei suoi occhi oscurandogli per un istante la visuale, l’auto si fermò al semaforo ingorgato. Un auto parcheggiata di fronte la St.Jules attirò l’attenzione di Nicholas, strizzò gli occhi azzurri ancora feriti dal sole cercando di veder meglio, all’interno un ragazzo più o meno della sua età con indosso l’uniforme dell’istituto privato. Un piede ondeggiava annoiato fuori dal finestrino, l’altro poggiato con noncuranza sul cruscotto della berlina nera e costosa, portava la cravatta allentata, le spalle ricurve come se fosse concentrato a fissare qualcosa sul suo grembo, aveva un cipiglio attento. Nicholas si mosse nervoso sul sedile, solitamente non fissava così sfacciatamente i ragazzi sempre attento a non far sospettare nessuno delle sue ‘’preferenze’’, ma era impossibile non guardarlo. Gli zigomi appena pronunciati, l’arco delle sopracciglia nonostante fossero aggrottate era perfetto, e le labbra lievemente imbronciate, sottili ma piene nella parte centrale inferiore; lo sconosciuto alzò lo sguardo, era come se fosse stato richiamato da quei pensieri troppo lontani, i suoi occhi si posarono su Nicholas e si accesero, non riuscì a distinguerne il colore ma non aveva poi molta importanza. Respirò a fatica mentre lo studente in divisa staccava la schiena dal sedile, le labbra si curvarono in un sorrisetto malizioso e crudele tutto per lui. La gola di Nicholas sembrò serrarsi, la gamba ingessata pulsò appena e gli venne spontaneo toccarla, non riusciva a staccare gli occhi dalla sua figura. Il semaforo divenne verde, tutto sfocato mentre la berlina nera diveniva un puntino lontano. L’aria sferzò il suo viso, chiuse gli occhi sentendo le labbra secche.
«Hai visto Lex Luthor?» Jeremy vedeva fumetti ovunque, il suo mondo era un cartone vivente. Gli scoccò un’occhiata in tralice.
«No, ma se lo vedessi lo manderei sicuramente da te, tu si che sapresti apprezzare la sua psicosi.» Il rosso fendette l’aria con una mano aumentando la velocità dell’auto.
«Tu sei solo un eretico blasfemo. I cattivi sono sempre i migliori, curati fino al più piccolo dettaglio, e con tante cose da raccontare.»
«In definitiva mi stai dicendo che i cattivi sono meglio dei buoni?»
«In definitiva ti sto dicendo, che con i cattivi ti annoi poco.» Nicholas ripensò al ragazzo di poco prima, quel fuoco dentro i suoi occhi e quel sorriso malizioso e perfido al tempo stesso.
«Sicuramente, finché non decidono di ucciderti crudelmente.» Tornò a fissare il paesaggio cittadino sgomberando la mente da quel viso bello ma pericoloso, in fondo perché rimuginarci? Non l’avrebbe visto mai più.
 
«Hai fatto jackpot.» La portiera dell’auto sbatté senza troppa enfasi mentre Scott entrava fissando Christopher, il proprio assurdo e casinista figlio.
«Sono nato per fare jackpot, paparino.» Sorrise sghembo spegnendo il cellulare, non prima di aver salvato il punteggio di un inutile gioco scaricato per noia nell’attesa. L’auto si mise in moto e Chris – così chiamato da sempre – si abbandonò nuovamente contro il sedile. Una botta ben assestata lo costrinse a scendere il piede dal cruscotto.
«Essere espulso dalla St.Jules è un evento senza pari, ma esserlo per due volte in un mese è ..wow ..davvero sono ammirato.» Era evidente intendesse dire tutto il contrario, il ragazzo lo fissò con espressione neutra.
«Se quel coglione non si fosse messo sulla mia strada niente di tutto ciò sarebbe successo.»
«Quel ‘’coglione’’ come lo chiami tu, è il figlio del preside, lo hai picchiato di proposito per farti sbattere fuori?» Christopher curvò le labbra in una smorfia annoiata, era tutto così politicamente corretto nella mente del padre e in tutti quelli che aveva la disgrazia di frequentare. Tutti convinti di potergli far credere che il mondo fosse un posto bello e perfetto, ma lui sapeva quanto infida fosse quella bugia. Rimise il piede sul cruscotto, avrebbe tanto voluto una sigaretta in quel momento.
«Quindi che si fa?» Fissò interrogativamente il padre, aveva ereditato la sua altezza e il suo fisico, insieme alla forma del naso e delle labbra.
«Sono sicuro che la scuola pubblica ti amerà, e tu amerai lei.» In radio partì ‘’Creep’’ dei Radiohead, Christopher sorrise divertito, era forse un messaggio per lui?
 
«But I’m a creep
I’m a weirdo
What the hell am I doing here?
I don’t belong here»
 
Si, era decisamente per lui. Canticchiò a bassa voce tamburellando le dita sulla propria coscia, allentando definitivamente la cravatta che ormai gli sarebbe servita a poco. Era la terza scuola che cambiava, la prima in Inghilterra e le altre due lì a NYC, la sua città. Il suo dominio. Christopher Underwood era conosciuto parecchio in molti ambienti, soprattutto quelli facoltosi, grazie al padre Scott rinomato neurochirurgo nonché proprietario di un intero ospedale. Il suo illustre genitore salvava vite, e lui invece traeva alcune volte piacere dal rovinare la propria e camminare sui cocci a piedi nudi, sentendo le schegge perforare la propria carne. Un po’ contorto, malato forse, glielo dicevano gli occhi di tutti quelli che avevano avuto la malaugurata idea di stargli vicino. Chiuse gli occhi lasciandosi cullare dalle note di quella canzone.
 
«I want to have control
I want a perfect soul»
 
 
Jeremy sollevò la mano dando una botta sulla spalla di Nicholas, in bilico con la stampella, che per poco non lo fece ruzzolare lungo il prato ben curato della scuola. Lo fulminò con un’occhiata prendendo in seria considerazione l’ipotesi di infilzarlo con la stampella, Jeremy versione pollo allo spiedo non era male.
«Thomas è già arrivato, ci strapperà i coglioni per il ritardo.» Thomas Reed colui che chiudeva quello scalcinato trio, si era unito solo l’anno precedente a loro con buona pace di Jeremy che aveva trovato una specie di Guru in lui, e con timore di Nicholas che se ne sentiva lievemente attratto. Non sapeva (o forse non voleva) spiegarsi il perché, era semplicemente così.
Il soggetto dei suoi pensieri sedeva sopra un tavolo in legno rovinato da graffi e graffiti, i piedi sopra la panca e gli occhi fissi su di loro, o meglio su Nicholas zoppicante. Thomas aveva la carnagione lievemente scura, forse il suo sangue era per ¼ ispanico? Non avrebbe saputo dirlo. Occhi verde scuro e capelli biondi, le spalle larghe e un’altezza però non eccessiva, forse era l’unica pecca in lui se il tuo traguardo nella vita era giocare a Basket, almeno.
«Pensavo aveste marinato.» Si spostò appena per far posto a Nicholas che dal canto suo preferì sedersi sulla panca stendendo la gamba ingessata.
«Ma figurati, te lo avremmo detto. Piuttosto oggi pomeriggio è confermato? Partitina alla wii da me?» Jeremy fissò entrambi, due teste annuirono con espressioni diverse. Nicholas distratto, e Thomas sorridente.
«Nicholas.» La voce di Thomas lo fece quasi sobbalzare, la sua espressione stranamente seria. «Sei stato fortunato a romperti solo la gamba, sai? A Victor anni fa si ruppero entrambe le braccia.» Si sentì rabbrividire senza apparente motivo.
«E quindi?» Jeremy strabuzzò gli occhi avvicinandosi.
«E quindi la madre dovette andare in bagno con lui per due mesi.» Scandì quelle parole con gravità e solo in quel momento Nicholas capì che entrambi lo stavano prendendo per il culo.
«Andate a farvi fottere.» Le loro risate attirarono l’attenzione di alcuni studenti, tra i quali il famoso Victor che li liquidò come sempre con un’occhiata pregna di pietà. Se non avevi i voti migliori, e non passavi la tua vita sui libri, non eri degno della sua stima.
«Ma ti immagini la mia bella Amanda costretta a tenerti l’uccello?» Il pensiero di Jeremy provocò altre risate nei due, meno in Nicholas che adesso era sul punto di afferrare sul serio la stampella, cosa che fece due secondi netti dopo colpendo con precisione la giuntura interna del ginocchio di Jeremy costringendolo in ginocchio. Stavolta toccò a lui sorridere mentre Thomas applaudiva ammirato.
«Capisci perché Nicholas è indispensabile nel trio? Lui è l’eroe. EROE.» Iniziarono ad urlarlo con enfasi mentre ‘’l’eroe’’ si allontanava con le guance accaldate. Lo aveva definito sul serio indispensabile?
 
Osservò la giacca blu con i risvolti in velluto, gli occhi annoiati mentre scuoteva lentamente il capo gettandola nella pila di abiti dismessi sul grande letto.
«Stai uscendo?» La voce familiare del padre lo costrinse a girarsi, lo fissò vestito elegante e sorrise ambiguamente.
«No, è il mio nuovo passatempo impilare gli abiti sul letto formando una piccola montagnola così da ricordare l'inverno a Cortina. Appena andrai via proverò a sciarci sopra.» Il padre si mosse a disagio incassando il perenne sarcasmo dell'altro, sospirando infine seccamente, incrociando le braccia al petto.
«Ti diverti mentre provi a punzecchiare la gente, vero? Ti riesce in maniera sublime.» Christopher mosse la mano con noncuranza ed eleganza.
«Non darmi troppi meriti, te ne prego, potrei montarmi la testa.» Un altro sospiro snervato da un padre che sapeva non lo avrebbe mai punito davvero, una morsa attanagliò le sue budella. Non era semplice affetto, ma puro senso di colpa e questo lo raccapricciava. Bastò quel pensiero a rovinargli l’umore.
«Non fare tardi, domani tornerai a scuola.» Christopher inarcò un sopracciglio incuriosito, erano passati solo tre giorni dalla sua pseudo espulsione.
«Gli hai comprato un nuovo campo da tennis? Ottima scelta, mi sono slogato una caviglia il mese scorso giocando, troppi avvallamenti, livellano malissimo quel campo.» Una smorfia altezzosa alterò i suoi lineamenti e il padre sorrise stavolta sinceramente divertito.
«Sono sicuro che la Stuyvesant High School sarà di tuo gradimento.» La giacca bordeux tra le dita di Christopher si ritrovò in mezzo alle altre.
«Una mossa da stratega, non mi stupisce che tra i vegliardi al parco tu vinca sempre a scacchi.
»Un sorriso appena accennato, i lineamenti tesi. «Dovrò mischiarmi ai contadini, questo è così eccitante.»
Scott roteò gli occhi, la parola eccitante suonava come un insulto detto dal figlio. «E’ una scuola prestigiosa, non arerai i campetti te lo assicuro. Vai vestito così domani, sei affascinante.» Gli voltò le spalle lasciando Christopher a contemplare i pantaloni di seta del pigiama nero e la maglia dei ‘’metallica’’ in abbinamento. Adesso sapeva di non aver preso il senso dell’umorismo dal padre, era un ottimo traguardo.
 
Un braccio cinse le spalle di Nicholas così irruentemente da farlo quasi cadere a faccia in giù, la presa si serrò appena tenendolo in equilibrio, si era aspettato Jeremy con il solito sorriso da idiota ma gli occhi verdastri di Thomas lo spiazzarono. Aveva una predilezione per quel colore, trovava gli occhi azzurri come i suoi talmente insipidi e freddi da risultargli spesso e volentieri indifferenti.
«Dicono sia arrivato un nuovo studente, che lezione hai adesso?» Nicholas rincorse il filo dei suoi pensieri scavando nella mente.
«Chimica, credo, tu?» Thomas non rispose limitandosi a trascinarlo con se, era evidente fosse un ''anch'io'' non verbale quello.
Il professor White sembrava perennemente sull’orlo dell’affanno, aveva un modo di respirare così particolare da farti stare sempre con la sensazione di continua apnea. Il gessetto grattò la lavagna, Nicholas curvò le labbra in una smorfia guardando verso destra, due banchi più indietro Thomas ammiccò nella sua direzione. La porta si aprì, non guardò cosa stesse succedendo troppo preso a scarabocchiare un messaggio in codice per l’amico. Improvvisamente il silenzio sembrò irreale, aggrottò la fronte guardandosi intorno, i compagni sembravano statue di cera, alcuni imbambolati, altri – soprattutto le ragazze – assurdamente affascinate, fissò Thomas e la sua espressione lo raggelò: era livido.
«Lui è Christopher Underwood, frequenterà il nostro liceo da oggi.» Gli occhi di Nicholas si sollevarono mentre delle iridi color ghiaccio fuso erano inchiodate al suo viso, si mosse a disagio sulla sedia era come se il resto della classe fosse sparito, voci attutite e grottesche come la pellicola di un video corroso dall’acido, non riusciva a credere ai suoi occhi. Era lo stesso ragazzo del semaforo, e in quel preciso momento stava venendo verso di lui. Lo vide sorridere e tendergli la mano, la fissò come se non avesse mai visto un arto umano prima di allora.
«Che deliziosa coincidenza rivederti qui.» Il modo in cui aveva detto ‘’deliziosa’’ lo faceva sentire come una torta dalla glassa fruttata. Deglutì il bolo di saliva che restò incastrato nella trachea continuando a fissarlo, alla fine tese la mano stringendo quella altrui. Gli occhi di Christopher si illuminarono appena, un bagliore per niente rassicurante, la stretta sicura ed eccessiva mentre sorrideva con quel suo strano modo, come se curvasse un po’ di più l’angolo destro. Una scossa irrigidì la schiena di Nicholas.
«Christopher. Christopher Underwood.» Il suo tono sicuro, strascicato, somigliava ad un anestetico dolciastro.
«Nicholas McClair.» Si schiarì la voce lievemente stridula per il nervosismo, l’altro sembrò compiaciuto mentre mollava la presa prendendo posto a qualche metro di distanza, alla sua sinistra. Nicholas doveva decisamente ricredersi sul colore azzurro, mai come allora il termine ‘’noioso’’ suonò stupido e banale alle sue orecchie.  Si guardò intorno, alcuni lo fissavano scrollando poi le spalle annoiati, non era cambiato nulla. Erano passati solo pochi secondi dalla presentazione, il professor White continuava a scrivere alla lavagna, i compagni ascoltavano o scrivevano messaggi, si voltò verso destra per incrociare gli occhi di Thomas, ma lui non lo fissava più. Non fissava più nessuno.
 

 

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Capitolo 2
*** One way or another ***





 
In bilico sulla stampella con gli occhi rivolti verso un punto di fronte a se, Nicholas continuava a fissare la scena ambigua che si stava consumando a pochi metri da lui. Thomas aveva la linea delle labbra serrate, le spalle dritte e in tensione mentre fronteggiava il ragazzo che solo poche ore prima aveva fatto irruzione nella sua vita e nella sua classe. Strinse la stampella osservandoli, il metro e settanta dell’amico sembrava ben misero rispetto a quello di Christopher che lo superava di almeno quindici centimetri abbondanti, a differenza dell’interlocutore aveva un’espressione fredda quasi annoiata mentre lo ascoltava (ammesso lo stesse facendo) parlare concitatamente. Quindi si conoscevano? Avrebbe voluto uno dei super poteri di Superman, in modo tale da sentire cosa si stessero dicendo, aveva come l’impressione che fosse vitale per lui venirne a conoscenza.
Thomas strinse il braccio di Christopher tra le mani, sembrava una morsa senza vie di fuga, l’altro fissò le dita con un balenio curioso nello sguardo per poi sorridere arcigno, si sporse verso il più basso sussurrandogli qualcosa con tono quasi melenso e a Nicholas venne la nausea. Okay era evidente si conoscessero, ma quella familiarità tra loro era .. troppo intima, decisamente.
«Chissà che succede.» Jeremy era apparso così dal nulla che per poco la stampella non gli scivolò dalle mani, aggrottò la fronte staccando gli occhi a fatica dai due.
«Non ne ho idea..» mormorò quelle parole con tono frustrato e l’amico lo fissò incuriosito finché un’esclamazione di sorpresa non alterò i suoi lineamenti.
«Sta arrivando!» Nicholas si girò freneticamente per provare a capire a chi tra i due si stesse riferendo, e quando vide Thomas venirgli incontro una punta di delusione si accese dentro di lui. Era più un senso di curiosità, voleva sapere cosa volesse Christopher ecco perché desiderava parlargli.
«Nicholas.» Il tono tagliente dell’amico lo colse di sorpresa, farfugliò qualcosa restando poi in silenzio.
«Noi quel tipo lo abbiamo già visto, sai?» Sgranò gli occhi sentendo la voce di Jeremy, cristallina come sempre e senza sbavature d’esitazione, Thomas lo fissò con la stessa genuina sorpresa.
«Quando?»
«Oh circa tre giorni fa, ricordi Nicholas? Era fermo in quella scuola per ricconi, la St.Jules.» Sentiva la saliva prosciugarsi sotto lo sguardo inquisitore dei due.
«Oh..» balbettò con fatica deglutendo. «Non ricordo..»
«Ma che dici, lo stavi fissando, ricordi ‘’Lex Luthor’’?» Jeremy gli diede una bottarella che fu abbastanza per fargli perdere il precario equilibrio, Thomas fu lesto ad afferrarlo. Gli conficcò le dita sul braccio scrutandolo con attenzione.
«Non permettergli di avvicinarsi a te, è una scoria. Infetta.» Parole forse un po’ dure, no? Avrebbe voluto dirglielo ma Jeremy intervenne ancora.
«Sono d’accordo, ha lo sguardo infido.» Nicholas roteò gli occhi.
«Okay, è per caso Due Facce in incognito? O Il Joker sotto copertura?» Lo fissarono entrambi imbambolati.
«Fossi in te scherzerei poco.» Thomas non sorrise.
«Okay scusa. Cosa fa? Stupra bambini al parco? Ruba i bastoni alle vecchie gettandole contro le auto in corsa?» Il sospiro secco dell’altro e la risata di Jeremy stridettero tra loro.
«Lo difendi senza neppure conoscerlo? Sta diventando sempre più bravo ad ammaliare la gente.» Nicholas a quelle parole si irrigidì, gettò uno sguardo al rosso che li fissava confuso e si sentì accaldato. Strattonò il braccio dalla presa di Thomas.
«Bada bene a ciò che dici.» Sillabò quelle parole con talmente tanta rabbia che l’amico si scostò come se lo avesse schiaffeggiato, si sentì subito in colpa ma nessuna scusa uscì dalle sue labbra. Sentì un brivido lungo la spina dorsale, si voltò beccando Christopher sulle scalinate intento a osservarlo. Che diavolo voleva da lui? Ma soprattutto perché diavolo lo aveva fissato quel giorno di fronte l’istituto? Forse tutto quello non sarebbe successo.
«Tu lo conosci vero? Invece di sbraitarmi contro, perché non ci dici ciò che sai?» Thomas sembrò scosso, le mani in tasca e lo sguardo vitreo.
«Non è successo nulla, è solo un bugiardo infame, te l’ho detto. Lui si diverte a far soffrire la gente, è un ragazzo arido.» Ancora l’ennesimo giudizio un po’ duro per uno che sosteneva non fosse successo nulla. Nicholas evitò di sottolinearlo, aveva come l’impressione che Jeremy fosse la causa della sua reticenza. Un clacson li colse di sorpresa, Amanda salutava dal finestrino facendo cenni imbarazzanti.
«Mia madre non ha la benché minima idea del concetto di ‘’riserbo’’.»
«Neanche io, è una parola troppo complessa.» Fissarono entrambi Jeremy che sorrise candidamente, una risata quasi forzata uscì dalle loro bocche stemperando la tensione.
 
 
 
 
«Cerchi qualcuno? Non vieni mai a quest’ora.» La stecca colpì con precisione la palla arancione che andò in buca con violenza.
«Si, Johnny Depp.» Le labbra si scontrarono tra loro provocando un suono quasi forzato, l’uomo con la barba poco curata fissò Christopher con occhi taglienti.
«Molto spiritoso Underwood, continua così e vedrai come ti servirò ancora gli alcolici.» La stecca colpì un’altra palla che stavolta però deviò il tiro, sospirò fintamente deluso mentre qualcuno si faceva strada verso di loro. Apparve un ragazzo alto, occhiali tondi sulla pelle olivastra e capelli neri dal taglio strano o forse era la riga al centro a dare quell’effetto. Era la copia giovanile del famoso attore. Christopher lo indicò bevendo avidamente la propria birra, ridendo dell’espressione di Robert.
«Vedi? Dovresti fidarti di me.» Stronzate, nessuno sano di mente si sarebbe mai fidato di lui, eppure continuava a riuscirci ogni volta.
«Underwood per tua informazione ero a lezione di matematica, sai tu forse hai l’ingresso al college assicurato ma io no.» Il ragazzo di nome Evan si stagliò vicino a lui gettando un’occhiata interessata al tavolo da gioco.
«Evanuccio, tesoro, dovresti mantenere un atteggiamento più quieto sai? Rischi che le rughe solchino il tuo viso con anni di anticipo.» La voce stucchevole e melensa, mentre sorrideva al coetaneo in maniera accattivante.
«Mi domando perché io sia diventato tuo amico, seriamente.» Se lo chiedeva anche Christopher in effetti, ma non era il momento di dirglielo. Tornò a chinarsi riprendendo il gioco, come se non fosse stato disturbato da nessuno, mentre Evan si accomodava a uno sgabello lì vicino bevendo a scrocco la birra dell’amico. Era inutile forzare Christopher, lui parlava quando voleva, faceva tutto in base al suo umore e niente poteva soggiogarlo abbastanza da cambiare i suoi programmi.
Un’ora dopo, e tre birre, finalmente la stecca venne abbandonata al tavolo. «Evan, sei arrivato? Quando?» Il ragazzo si passò una mano sul viso con fare frustrato.
«Mi hai parlato un’ora fa, che cazzo sei senile?» Christopher sorrise ambiguamente muovendo le dita con alterigia.
«Scusa, ho troppe informazioni nel cervello al momento, scarto le inutili. Vieni con me.» Lo accompagnò verso un angolo appartato nella quale si sedettero. Evan indossava la divisa della St.Jules, Christopher dei jeans neri aderenti e un maglione leggero grigio perla.
«Non riesco a crederci che tuo padre si sia rifiutato di pagare per la tua espulsione.» Evan parlò con tono concitato e rabbioso.
«Quindi poteva scendere a patti?» Christopher aggrottò la fronte, le iridi azzurre si adombrarono appena come se stesse riflettendo.
«Ovvio che si, pensi che la preside avrebbe perso un Underwood così? Gli hanno detto che con una donazione la cosa si sarebbe chiusa pacificamente, e a tuo padre non credo manchino i contanti.» La ricchezza della sua famiglia non era un mistero, né nei quartieri di lusso né negli altri.
«Quindi non è un caso che mi abbia spedito lì, proprio come pensavo..» La schiena ondeggiò e il viso sembrò inghiottito dalle ombre, mentre un lento sorriso alterava i lineamenti come la crepa in un vaso di cristallo.
«Magari è il suo modo di punirti?» Azzardò Evan senza molta convinzione, da che ricordasse non c’era capriccio che Scott non concedesse al figlio. L’unico, tra l’altro.
«No.» Christopher sollevò l’indice ondeggiandolo lievemente. «No, lui ha ben altro in mente.»
«Tipo ‘’stai coi ragazzi semplici e smettila di essere un frivolo e bastardo tiranno??’’» sorrise amabilmente, e Christopher lo gelò con un’occhiata.
«Ci sono cose che mio padre pensa di potermi nascondere, peccato sia pressoché impossibile. Sarà divertente, davvero, una coincidenza che diventa arma.» Il suo sorriso luminoso e le parole sconnesse misero in agitazione l’amico che si sporse poggiandogli una mano sulla fronte.
«Hai la febbre?» Lo schiaffo sul palmo arrivò pochi istanti dopo.
«Andiamo a Soho, ho organizzato una festa in uno dei miei appartamenti.»
«Ma devo studiare porca troia.» A nulla valsero le flebili proteste mentre Christopher si alzava sicuro che l’altro lo avrebbe seguito, come succedeva sempre del resto. Continuò a sorridere lungo tutto il tragitto.
 
 
 
La pallina rimbalzava sistematicamente sul pavimento poi sul muro e infine tornava tra le sue dita, continuò quel gioco senza smettere cercando di mettere ordine tra i suoi pensieri confusi. Chi era Christopher Underwood? E perché Thomas sembrava conoscerlo così bene? Ma soprattutto perché lui se ne sentiva ..attratto? A quel pensiero la pallina rischiò di scivolargli dalle mani, la strinse con forza respirando profondamente. Sentiva la madre far rumore al piano di sotto, probabilmente immersa in qualche nuovo piatto esotico da propinargli quella sera a cena, sperava non fosse come l’ultimo che per poco non lo aveva ucciso rendendolo migliore amico col cesso. Il cellulare accanto a se squillò, fissò il numero senza riconoscerlo. Lo afferrò senza pensarci troppo, rispondendo e lanciando la pallina contro il muro.
 
– Pronto?
– Nicholas McClair, che piacere.
 
Avrebbe riconosciuto quella voce ormai ovunque, fu come se mille spilli si conficcassero sulla sua carne, vide solo la pallina sfrecciare veloce dal muro al suo viso ma aveva perso il controllo degli arti e questa finì dritta sulla sua faccia. Si accasciò soffocando un’imprecazione di dolore mentre sentiva le lacrime pungere i suoi occhi.
 
– Tutto bene?
– Si.. si, tutto benissimo.
– Sembri affaticato, non dirmi che stai facendo sesso.
– CHE COSA? NO.
– Non sarebbe mica così grave, a me una volta è capitato.
– …Cosa?
– Rispondere al cellulare mentre facevo sesso.
– Oh mio dio..
– E’ ciò che ha detto anche la tipa insieme a me, che coincidenza. Non ti ho comunque chiamato per parlarti delle mie esperienze sessuali. Non ancora almeno.
– ….
– Vieni da me, domani.
– Non credo..
– Vieni da me, domani. Upper East Side, hai presente no? Ti mando l’indirizzo con le dovute indicazioni.
– Io non credo sia una buona idea.
– Perché mai? Dovremmo diventare ‘’amici’’.
– Il modo in cui l’hai detto mi intimorisce.
– Sei così carino fiorellino, a domani.
– Pron—
 
Continuò a fissare il telefono come in trance, la testa gli ronzava pesantemente aveva come l’impressione di essersi ficcato in un guaio senza capire però il perché, o quale tanto per iniziare. Aveva detto di aver fatto sesso con una donna, quindi non era .. gay? La parola uscì a fatica nella sua mente, era deluso? Scosse il capo ridendo istericamente, ovvio che no a lui interessava di Thomas al massimo.
«Fiorellino è pronta la cena.»
«NON CHIAMARMI FIORELLINO, DIO SANTISSIMO.» La madre lo fissò sbigottita, Nicholas sbatté le palpebre deglutendo, era un po’ nervoso forse. «Cioè.. è imbarazzante, capisci?»
«Oh, certo cose da ometti.» La madre sorrise ambiguamente come se lo stesse prendendo in giro. Si alzò a fatica dal pavimento, sentiva lo zigomo accaldato, lo toccò trasalendo.
«Mamma credo di essermi fatto un occhio nero.» Amanda lo fissò afferrandolo per il mento, mettendolo sotto la luce del corridoio.
«Hai partecipato a una rissa?» Sembrava apprensiva.
«E’ ciò che racconterò ai miei amici, in realtà ho litigato con la pallina da tennis della mia camera.» Vide la madre cercare di non ridere mentre gli dava le spalle.
«La pomata è nel secondo cassetto in bagno, ‘’fiorellino’’.» Quel nomignolo gli diede quasi la nausea, detto da Christopher era quasi ambiguo mentre dalla madre sembrava solo patetico.
 
Il grattacielo immenso sembrava ergersi più in alto delle nuvole, lo fissò sbigottito mentre il portiere gli apriva silenziosamente il grosso portone elegante, lo ringraziò imbarazzato entrando nell’atrio curato e profumato.
«Gli Underwood..» non finì neppure la frase, il secondo portiere lo scortò all’ascensore premendo l’ultimo bottone, era evidente gli avessero parlato della sua visita. Sfregò i palmi delle mani sudaticci contro i jeans stinti ad arte, fissandosi allo specchio. Sembrava più pallido del solito e la felpa rosso sangue che indossava non aiutava di certo a dissimulare, era come una macchia sulla neve. Le porte si aprirono facendolo trasalire, sporse fuori il capo guardando il corridoio, vi era un’unica porta blindata impossibile sbagliare. Mandò giù il bolo amaro di saliva piazzandosi lì davanti, era restio a suonare forse avrebbe solo dovuto andar via in fondo non aveva fatto nessuna promessa. Ripensò a Thomas, gli aveva detto di stare lontano da Christopher, si sentiva come se lo stesse tradendo. Il dito esitò ma la porta si aprì di colpo facendolo sobbalzare, di fronte a se una donna probabilmente ispanica lo fissava con dolcezza.
«Prego?»
«Ecco..io.. sono Nicholas, Christopher mi ha chiesto di passare, e quindi..» si impappinò sentendo il cuore esplodere nella gabbia toracica, provò a darsi un contegno mentre la donna lo faceva passare richiudendosi la porta alle spalle.
«Il signorino sta facendo Yoga, non vuole essere disturbato ma appena si libera potrà entrare. Si accomodi lì.» Indicò una sedia in velluto rosso, sembrava parecchio costosa. Si sedette guardandosi attorno, l’attico era stupendo, una scala in ferro battuto conduceva al piano superiore, si chiese quali stanze vi fossero lì. Maria, così aveva detto di chiamarsi, intenta a spolverare lo fissava a scatti di due minuti, provò a darsi un tono sperando di esserci riuscito finché il telefono non suonò e si rese conto di non aver respirato. La donna corse a rispondere dal suo tono dedusse che chiunque ci fosse all’altro capo non era di certo un ospite.
«Subito signore.» Sorrise all’apparecchio poggiando la cornetta sul mobile, Nicholas si alzò seguendola con gli occhi finché non la vide aprire una porta poco distante, e alla fine lo vide. Si avvicinò ancora, sedeva a gambe incrociate sul letto, una maglia bianca con un teschio, le labbra strette e concentrate, le braccia larghe e sollevate nella tipica posa da meditazione.
«Signorino, suo padre al telefono.»
«Miriana, sai che non devi disturbarmi mentre medito.» Non aprì gli occhi.
«Mi chiamo Maria..»
«E' ciò che ho detto, Moana.» La donna si irrigidì appena.
«Suo padre vuole parlare con lei.» Un sospiro seccò uscì dalle labbra di Christopher che aprì gli occhi.
«Melinda, quante volte dovrò ripeterti di non fissarmi con quegli occhi truci e satanici?» Le sorrise asciutto e Nicholas riuscì a sentire l’astio della donna, che le era sembrata un angelo pochi minuti prima, diramarsi.
«Mi chiamo Maria, signorino, gradirei lo ricordasse. Lavoro qui da cinque mesi e non faccio altro che ripeterglielo.» Il ragazzo mosse la mano annoiato per poi sorridere.
«Milly.. Mi odi vero?» Reclinò il capo, sembrava divertito.
«Io ..no che non la odio. E mi chiamo Maria.» Bugiarda, lo pensò persino Nicholas.
«Vedi Maureen, sono un po’ scontento del tuo operato.»
«MI CHIAMO MARIA. FIGLIO DI PUTTANA.» Nicholas trasalì portandosi una mano al petto, Christopher rise scuotendo il capo.
«Hai appena alzato la voce con me, Mathilda?» Era proprio un bastardo.
«Mi chiamo MILLY.. CIOE’ MARIA. BRUTTO VERME. MI LICENZIO, HAI CAPITO? MI LICENZIO.» La donna sembrava sul punto di avere un collasso, Nicholas si avvicinò appena ma quella lo spinse con una foga disumana e lui barcollò con la gamba ancora ingessata, aggrappandosi allo stipite.
«Ti farò avere la liquidazione per posta, MELICENT.» I suoi occhi azzurri si posarono sul ragazzo e finalmente sembrarono accendersi di interesse.
«Oh, eri già qui?» Nicholas era troppo sbigottito per parlare, si limitò ad annuire ed entrare al suo cenno. Christopher si alzò e il biondino notò con sgomento portasse solo dei boxer sotto la maglia, avanzò con sicurezza lungo la stanza grande quanto un appartamento rovistando dentro il cassetto della scrivania, estrasse delle sigarette accendendone una.
«Siediti, non stare lì impalato non ti mangio mica.» Il modo in cui lo disse sembrava lasciar pensare il contrario. Nicholas si sedette sul bordo del letto, talmente ritto da rischiare di cadere, mentre Christopher con una spinta aggraziata prese posto sulla scrivania, continuando a fumare e fissarlo. «Vuoi del brandy?» Nicholas aggrottò la fronte, non era avvezzo ai liquori, a differenza dell’altro che sembrava un consumatore assiduo.
«Perché hai voluto vedermi?» Sentiva nuovamente le mani appiccicose, le sfregò fissando l’altro.
«Perché sei un cosetto bello da guardare, ho un debole per le cose belle.» Christopher percepì il turbamento provocato da quelle parole e rise divertito. Nicholas amalgamava perfettamente timidezza e virilità, un mix a suo dire esplosivo. E poi aveva le labbra carnose, finiva sempre col fissargliele affascinato.
«Da quanto conosci Thomas?» Le parole gli uscirono prima che potesse fermarle, l’altro sembrò vagamente stupito mentre gli lanciava il pacco di sigarette offrendogliene implicitamente una.
«Te lo dico, se tu mi dici da quanto..» si stoppò sorridendo ambiguo, e Nicholas fremette afferrando l’involucro accanto a se.
«Da quanto cosa?»
«Da quanto hai capito che ti piacciono i muscoli e non le tette?» Il pacchetto scivolò dalle sue mani, lo fissò sgomento e giurò di aver sentito il rumore dei suoi attributi fracassarsi al pavimento e ruzzolare sul lucido parquet.
«TI STAI SBAGLIANDO.» La veemenza fu eccessiva, mentre si alzava con tanta irruenza da barcollare a causa del gesso. Christopher dal canto suo sembrava perfettamente calmo, lo fissava con interesse fumando.
«Io non credo.» Scese agilmente dalla scrivania spegnendo la sigaretta ancora a metà, andandogli vicino.
«Ho fatto con Thomas ciò che tu speri di fare con lui. O forse con me?» Mormorò quelle parole con piacere quasi sadico e Nicholas si sentì schiaffeggiato, arretrò appena toccando il bordo del letto.
«Sei un bugiardo..» Negli occhi di Christopher si accese una luce simile alla pietà.
«Pensi ti piaccia Thomas vero? Ti immagino nel buio della tua cameretta a chiederti ‘’perché’’, non lo hai capito?» Nicholas lo fissò a labbra schiuse. «Ti piace perché hai percepito l’uguaglianza tra voi, hai capito subito che lui è come te e come tale avresti avuto una patetica opportunità, qualcuno che secondo te non si sarebbe voltato con ribrezzo schiacciandoti come un patetico verme.»
Sentì la rabbia ostruirgli le vie respiratorie, lo spinse con forza allontanandolo da se. «Che cazzo vuoi da me? Pensi di riuscire a ricavarne qualcosa con questi giochetti?»
«I giochetti non sarebbero interessanti senza persone come te, consideralo comunque un favore. Sono l’unico a parlarti sinceramente.» Nicholas aveva come l’impressione che quell’ammissione fosse sia vera che falsa. Christopher sembrava giocare con la verità mischiandola sapientemente alle menzogne, un manipolatore fatto e finito.
«Non so bene che tipo di idea ti sia fatto, ma a me piacciono le ragazze.» Strinse i pugni abbandonati contro i fianchi fino a sentirne le ossa scricchiolare appena, gli occhi dell’altro non smettevano di fissarlo rendendolo ancora più nervoso.
«Anche a me.» Quell’ammissione candida riuscì a lasciarlo senza parole.
«Hai appena detto che con Thomas.. sei un bugiardo.» Gli si scagliò contro ma la risata divertita del ragazzo lo immobilizzò.
«Che male c’è a volere entrambe le cose?» Lo disse con una tranquillità tale da destabilizzarlo, che male c’era? In effetti non trovava molto su cui ribattere.
«Beh tanto meglio per te, per quanto mi riguarda..» non riuscì a finire, Christopher si mosse veloce spingendolo, la gamba ingessata cedette e lui finì di schianto sul letto. L’odore delle lenzuola ferì le sue narici, così simile a quello del ragazzo che adesso gli stava sopra bloccandolo con le sue ginocchia. Sentì la gola seccarsi, Christopher poggiò le mani ai lati del suo viso, le braccia toniche e delineate in tensione mentre si chinava su di lui.
«Per quanto ti riguarda? Cos’è che dicevi?» I loro nasi sfregarono, Nicholas chiuse gli occhi sentendo la stanza girare freneticamente attorno a se. Riuscì a poggiare le mani sulla maglia altrui, sentì il calore irradiarsi attraverso il tessuto e lo spinse.
«Thomas aveva ragione, sei infido.» Sibilò quelle parole a un centimetro dal suo viso, il ragazzo sorrise sghembo senza spostarsi di un millimetro.
«Thomas ha sempre ragione in effetti, quel cosetto sembra sempre capire tutto. A differenza tua.» Nicholas respirò frammezzato, era come se una mano gli comprimesse la gola. Voleva baciarlo? Sentiva le loro labbra sfiorarsi ad ogni parola, ma proprio in quel momento il peso sopra di se venne mano e lui si ritrovò l’unico steso tra le lenzuola. Si alzò con veemenza sentendo la pelle scottare.
«Pensi che tormentando me lui torni da te?» La sua domanda sembrò accendere un moto di incredulità nell’altro, come se gli avesse appena detto che degli asini volavano lungo la via.
«Che idea assurda, perché dovrei rivolere qualcosa che ho gettato via?» Quel commento secco lasciò un’amarezza in Nicholas che non seppe spiegarsi. Si alzò cautamente mantenendosi a distanza.
«Vuoi dire a tutti quello che pensi di me?» Lo spaventava da morire, pensare che potessero fissarlo e ridere di lui. Christopher scosse la testa con espressione annoiata e severa.
«Ti stupirà saperlo, Nicholas McClair, ma le tue preferenze sessuali rendono infelice solo te. Gli altri se ne fottono, com’è giusto che sia.» Uno schiaffo sarebbe stato più gradito mentre rivedeva il viso di sua madre, di Jeremy. Non voleva deluderli.
«Non sai niente di me.»
«So quanto basta.» Il suo sorriso da predatore lo elettrizzò.
«Quanto basta per cosa?»
«Quanto basta per volerti.» Lo fissò divertito e Nicholas fuggì letteralmente via da quegli occhi adesso blu intenso, come liquefatti. Si fermò sullo stipite per guardarlo un’ultima volta.
«E per la cronaca.. la cameriera si chiama Maria, figlio di puttana.» La risata di Christopher fu l’ultima cosa che sentì mentre richiudeva con forza la porta dietro di se, il cuore che si esibiva in capriole dentro il petto e la gamba ingessata che pulsava a ogni passo.
Aveva detto di volerlo, ma volerlo in che senso? Si diede del coglione a quel pensiero, visto ciò che era successo poco fa non era poi così difficile immaginare. E perché non lo aveva baciato allora? Si scoprì quasi deluso ma ricacciò indietro quel pensiero malsano e inverso mentre scappava zoppicante via da lì, consapevole che ormai nessun posto sarebbe stato più sicuro.
 
 
Il dito affusolato accarezzò il bordo del bicchiere, il camino crepitava mentre l’ombra delle fiamme creava guizzi di luce sul viso bello ma immoto di Christopher. Bevve un sorso di brandy mentre la musica lenta si spandeva all’interno della casa. Gli Until The Ribbon Breaks con ‘’one way or another’’ lo costrinsero ad aggrottare la fronte. Canticchiò a bassa voce.
 
«One way or another, I’m gonna find ya’
I’m gonna get ya’, get ya’, get ya’, get ya’
One way or another, I’m gonna win ya’
I’m gonna get ya’, get ya’, get ya’, get ya’»
 
La cadenza malinconica e struggente sembrò entrargli sottopelle, chiuse gli occhi sorridendo. Una linea dritta e dura. 

 

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Capitolo 3
*** Ex's & Oh's ***




 
Le chiavi luccicarono tra le mani di Thomas, salì i pochi gradini restanti bloccandosi sull’ultimo, una figura in piedi contro la propria porta fissava con insistenza alcune macchie di sporcizia contro il muro da intonacare, sembrò riscuotersi pochi istanti dopo conscio della nuova presenza.
«Thomas, chi non muore si rivede.» I denti bianchi fecero capolino dalle labbra schiuse, il diretto interessato mantenne un’espressione neutra e quasi dura.
«Evan.» Il modo in cui pronunciò il suo nome sembrò quasi un insulto, l’altro non sembrò farci caso avvicinandosi.
«Christopher mi ha detto di averti rivisto a scuola, non trovi sia una piacevole coincidenza? Mi sono sempre chiesto che fine avessi fatto dopo.. insomma lo sai.» L’espressione vacua come se stesse parlando del tempo indispettì abbastanza Thomas che lo superò con una lieve spinta.
«Non trovo nulla di piacevole nel rivedere te, e tanto meno lui.» L’ultima parola venne quasi sputata dalle labbra ben disegnate del biondino che tornò a fissare Evan con occhi indagatori. Lo aveva conosciuto due anni prima, quando era ancora un ragazzino acerbo e l’altro il migliore amico in vacanza del ragazzo per la quale aveva una cotta cosmica.
«Sei ancora incazzato per quella stronzata? Cresci Thomas.» Era sicuro di non aver sentito bene, strabuzzò gli occhi voltandosi verso l’altro, sollevando il viso con sguardo di sfida.
«Vedi Evan, forse per te e per quel verme i sentimenti sono una stronzata, qualcosa che puoi maneggiare e rompere senza curartene troppo, ma non è così.» Evan si adombrò avvicinandosi appena.
«Non eri innamorato di lui, ma di ciò che pensavi fosse. Ti fermavi alla sua apparenza e io ti ho fatto un favore. Non parlare alla leggera, non di Christopher, se lo conoscessi davvero sapresti che nessuno meglio di lui sa cosa sia il dolore.» Quella parole lo bloccarono sul posto, strinse le chiavi conficcandosi la punta contro il palmo, non sembrò sentire alcun fastidio.
«E tu Evan? Tu lo sai?» Per la prima volta il ragazzo sembrò colto di sorpresa, arretrò appena per poi sorridere. Il silenzio sembrò prolungarsi eccessivamente, Thomas capì che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, non quel giorno almeno, quindi girò la chiave nella toppa sbattendo l’uscio in faccia al ragazzo. La casa silenziosa riportò come un potente effetto boomerang tutta la solitudine che sentiva sulle proprie spalle, fissò una foto posta su un piccolo tavolo, ritraeva lui insieme a due persone molto più grandi. Due persone che adesso sembravano così distanti.
 
 
La sala d’aspetto dell’ospedale quel giorno era più gremita del solito, entrò zoppicando guardandosi attorno finché non riconobbe un viso familiare.
«Emily!» Salutò la donna lievemente in sovrappeso col camice da infermiera che ricambiò il gesto con altrettanto calore, facendogli cenno di venire.
«Sei qui per toglierti il gesso?» Nicholas annuì con una smorfia, non vedeva l’ora di togliersi quella palla al piede, nel vero senso della parola, tornando finalmente a giocare e allenarsi nonché ad essere decisamente più autosufficiente.
«Mia madre è impegnata?» Preferiva fosse lei a occuparsi di lui, non che non avesse fiducia negli altri medici, ma quella era pur sempre sua madre. Amanda McClair era una rispettata oncologa del Lennox Hospital, e da che ne avesse memoria aveva sempre curato lei il proprio figlio.
«No, mi ha chiesto di avvisarla quando saresti venuto. Perché non vai nella solita stanza? Ti faccio raggiungere subito.» Si sorrisero con familiarità e Nicholas ricordò la prima volta in cui aveva visto Emily, circa nove anni prima. Era una cara amica della madre, e faceva fantastiche torte che non mancava mai di fargli recapitare.
Girò sullo sgabello di metallo fissando le pareti celestine ondeggiare lievemente, era un ottimo modo per non pensare a tutte le cose surreali che gli stavano accadendo in quel periodo, il viso di Christopher non sembrava voler scomparire dalla sua mente, come se fosse tatuato o peggio marchiato col fuoco.
«Hai resistito pure troppo.» La voce della madre lo costrinse a fermare l’infantile giostra che aveva creato, bloccandosi istantaneamente.
«Andiamo, manca solo l’ultima settimana puoi toglierlo, sto bene.» Diede due colpetti al gesso che produsse un rumore sordo, era ormai sformato e sporco, non osava immaginare come fosse la propria gamba.
«Sei impaziente proprio come tuo padre.» Un sospiro uscì dalle sue labbra mentre iniziava ad armeggiare col gesso e gli arnesi, non parlava spesso del marito probabilmente quella sarebbe stata una ferita sempre aperta o più semplicemente non voleva ledere la sensibilità del figlio. Probabilmente era quello lo stesso motivo che l’aveva portata a restare sola nell’ultimo decennio nonostante fosse rimasta vedova prima dei trent’anni, Nicholas alle volte soffriva per lei. Nonostante la punta di possesso e gelosia che lo faceva tremare all’idea che sposasse un altro, non riusciva a non desiderare il meglio per lei; quando sarebbe andato via chi le avrebbe fatto compagnia la notte? Chi le avrebbe tolto gli occhiali da vista tutte le volte che si addormentava davanti al pc? Chi le avrebbe preparato il caffè la mattina quando come al solito non sentiva la sveglia?
«Un giorno vorrei essere la metà del medico che sei tu.» Lo disse con una gravità tale da strappare un sorriso intenerito alla madre, era la prima volta che parlava delle sue aspirazioni future. Amanda gli accarezzò con fare materno la guancia.
«Sarai anche migliore, ne sono sicura.» Il gesso si ruppe a metà rivelando la gamba appena arrossata e sudata, fu una sensazione di puro benessere mentre l’aria sfiorava appena la pelle accaldata. La toccò con la mano sospirando.
«Dio santo, non lo sopportavo più.» Risero in maniera simile e Amanda si alzò.
«Vuoi un caffè? Ho ancora cinque minuti prima del prossimo turno.» Nicholas conosceva bene quello sguardo tentatore, non poteva di certo dirle di no. Si alzarono insieme procedendo spediti lungo il corridoio, i suoi occhi corsero alla scalinata centrale, la prima cosa che vide fu il giubbotto di pelle, i jeans stretti e le gambe agili che scendevano velocemente e poi il viso. Christopher alzò gli occhi come se per la seconda volta qualcosa lo avesse richiamato in maniera violenta a quel luogo, e incontrò l’espressione sgomenta di Nicholas. Gli occhi maliziosi si poggiarono poi sulla donna accendendosi appena, Nicholas provò un moto istintivo di protezione verso la madre, voleva scoparsi anche lei?
«Mamma credo che dovrei andare sai?» La voce uscì appena stridula, Amanda lo fissò incuriosita.
«Perché? Non vieni mai a trovarmi.» ‘’E menomale’’ avrebbe voluto aggiungere lui, gettò un’altra occhiata a Christopher vedendolo con sorpresa avviarsi verso la direzione opposta, non aveva mai avuto intenzione di fermarlo quindi?
«Nicholas?» La madre lo scrollò con tono allarmato, si ridestò deglutendo e sorridendo a stento.
«Hai ragione, dovremmo andare dai..» Si costrinse a non voltare mai il capo per seguire la direzione presa dall’altro, chiedendosi il motivo che lo aveva spinto lì. Che lo pedinasse? No impossibile, era venuto da tutt’altra parte.
«Mamma, che reparti ci sono al piano superiore?» Amanda sembrò colta di sorpresa da quell’improvviso interesse.
«Oh, beh in realtà l’ospedale ha molti piani. Sopra c’è l’oncologia e alcune sale operatorie, più su medicina interna, poi neurologia e psichiatria.» Che andasse lì? Ce lo vedeva come pazzo. Ignorò l’elenco che la madre continuava a stilare troppo immerso nei suoi pensieri. «All’ultimo ci sono gli uffici dei dirigenti, del direttore e di alcuni azionisti.»
«Capisco..» no a dirla tutta non capiva proprio per niente.
«Sei proprio strano, sai?» Oh lo sapeva eccome. Peccato la madre non avesse idea di quanto riuscisse a esserlo.
 
 
 
«Messicano o Thailandese?» Scott si versò da bere seguito a ruota dal figlio non senza il suo sguardo di biasimo.
«Ordiniamo la cena fuori?» Sembrò incuriosito, come se fosse un avvenimento fuori dalla norma. Cosa che in effetti era.
«Sai com’è, hai fatto licenziare la decima cameriera in nove mesi.» Sorrise sterile soffocando l’impulso di sbuffare incazzato, quel ragazzo procurava più guai che altro e lui continuava semplicemente a farglieli passare consapevole di quanto grande fosse il fardello che portava in così giovane età, e di quanto immenso fosse il suo debito nei confronti del figlio.
«Dovresti cercarne una meno permalosa e che capisca quanto sia fottutamente irrilevante che si chiami Mary o Maybelline.» Christopher sbatté le palpebre con espressione seriamente stupita e quasi oltraggiata.
«So che questa notizia potrebbe destabilizzarti, mio adorato figlio, ma alla gente non piace essere chiamata con nomi diversi dai propri.»
«Ah no?» Scrollò le spalle con indolenza come se la questione non lo riguardasse da vicino. «Ordiniamo Messicano.»
Scott annuì afferrando il telefono, componendo il numero scritto su un volantino. «Sto provando a convincere Maria a tornare, sento già che dovrò sborsare parecchi soldi.» Lo fulminò con un’occhiata e Christopher mosse la mano fendendo elegantemente l’aria.
«La nostra Melissa è saggia, non dirà mai di no a una cospicua somma di denaro.» Il padre roteò gli occhi sbuffando.
«Maria. M-a-r-i-a.» Sillabò il nome rendendosi conto che non sarebbe valso a nulla, gli occhi azzurri del figlio spenti e annoiati fissavano il liquido ambrato.
«E Morgana sia, quante storie.» La risata di Scott riecheggiò tra le pareti, un misto di isteria e incredulità mentre la voce dall’altro capo del telefono mormorava indistintamente.
«Sei proprio un bastardo.. NO NON DICEVO A LEI. Si..» Christopher sorrise arcigno gettando il capo indietro sulla poltrona, il viso corrucciato di Nicholas si introdusse negli anfratti della sua mente provocandogli una lieve scarica d’adrenalina. Era incredibile, come faceva a calamitare la sua attenzione solo guardandolo? Era già la seconda volta che succedeva, sentiva i suoi occhi addosso e non poteva fare a meno di sollevare i propri. Bevve avidamente il brandy schioccando la lingua contro il palato.
«Spero il piccante ti piaccia.»
«Oh paparino, io amo il ‘’piccante’’.» Scott evitò di chiedergli a quale ambito si riferisse sospirando stancamente.
 
 
Le costose scarpe di Christopher si mossero sulla pavimentazione in pietra del cortile, puntava dritto di fronte a se verso uno dei tanti tavoli in ferro battuto della scuola. Sei paia d’occhi lo accolsero astiosi.
«Adoro essere guardato così.» Sorrise accattivante beccandosi l’occhiata più torva del repertorio di Thomas. Jeremy fu il primo a parlare, indicandolo con la mano.
«Lex Luthor, giusto?»
«Anna dai capelli rossi, vero?» Nicholas soffocò la risata con un colpo di tosse, beccandosi una gomitata da parte dell’amico che in cuor suo sapeva di essersela meritata. La sedia libera stridette e Christopher prese posto.
«Underwood non sei il benvenuto.» Fu Thomas a prendere parola venendo liquidato con una semplice alzata di spalle.
«Reed è una mossa scorretta quella di parlar male di me ai tuoi amichetti dello Sleepover Club. Sono nuovo qui, è giusto che mi faccia amici.»
«Darci implicitamente delle checche non è un buon inizio.» La voce tagliente di Jeremy fece impallidire Nicholas, Christopher si mosse improvvisamente divertito.
«La comunità LGBT ti amerebbe, piccolo bocciolo.» Lo fissò con compassione e Nicholas interruppe sul nascere un argomento improvvisamente scomodo.
«Che cosa vuoi Christopher?» Gli occhi del ragazzo si poggiarono su di lui, l’elettricità era quasi percepibile tra loro e questo portò Thomas a stringere i denti.
«Invitarvi. Ho un locale qui a Manhattan, sono sicuro vi divertireste.» Uscì dalla tasca della giacca blu un bigliettino che poggiò di fronte a loro, Nicholas lo prese rigirandoselo tra le mani.
«Non ci andremo.» Thomas sorrise compiaciuto.
«Ben detto.»
«John lascia parlare i grandi, per cortesia.» Il rosso lo fulminò con un’occhiata.
«Mi chiamo Jeremy.»
«Ma è ciò che ho detto.» Il candore di quell’affermazione fece pensare a Jeremy di aver udito male.
«Lascia stare, è una battaglia persa.» Fu Nicholas a parlare, memore della povera cameriera e gli occhi di Christopher furono nuovamente su di lui.
«Vi aspetto domani sera.» Aveva usato il plurale ma era ovvio si riferisse solo a uno di loro, lo stesso che divorò con gli occhi prima di andarsene. Jeremy sbuffò sporgendosi per leggere tra le dita dell’amico.
«Era serio?» Thomas sbuffò.
«Christopher è sempre serio.» Gli sguardi increduli dell’altro lo fecero sospirare.
«Quasi sempre, va bene.»
«‘’Insomnia’’?» Jeremy lesse il nome con voce ironica. «E’ adatto in effetti a un disturbato come lui.»
«Disturbo?» Una voce femminile e parecchio seducente interruppe il siparietto, di fronte a loro una ragazza più o meno loro coetanea vista spesso nei corridoi.
«Ovvio che no.» Jeremy si sperticò eccessivamente per indicarle la sedia adesso libera.
«Il mio nome è..»
«Rebecca, lo sappiamo.» Nicholas aggrottò la fronte fissando il rosso, no che non lo sapevano. O almeno non lui, e neanche Thomas a giudicare dallo sguardo confuso. Rebecca rise portando una mano alle labbra, i lunghi capelli neri oscillarono appena e un profumo di fiori si sparse per l’aria.
«Non sapevo di essere famosa.» Le unghie laccate di un rosso borgogna picchiettarono contro il freddo metallo, a Nicholas sembrò calare la cortina nebulosa. Lei era una delle cheerleader della sua scuola. La fissò con attenzione, portava i capelli sciolti e lunghi, occhi dal taglio felino di un intenso color caramello e la pelle incredibilmente nivea, supponeva fosse considerata bellissima dalla maggior parte dei ragazzi. Persino lui faticava a staccarle gli occhi di dosso, la sua scollatura non era eccessiva ma spiccava. Improvvisamente la ragazza si sporse nella sua direzione.
«Ti osservo da un po’, volevo chiederti se magari non avessi programmi per il fine settimana.» Nicholas strabuzzò gli occhi, e sicuramente i due amici non furono da meno.
«Io ..no, non credo.» Rebecca sembrò fin troppo felice mentre sbatteva le mani l’una con l’altra.
«Allora ci vediamo sabato, ti lascio il mio numero.» Allungò verso di lui il secondo bigliettino della giornata ammiccando in maniera seducente.
«Io non ci posso credere..» fu Jeremy a parlare, dando probabilmente voce ai pensieri di tutti. Si voltò verso Nicholas spiaccicandogli le mani in viso, costringendolo a voltarsi. «Sei stato da uno sciamano indiano? Hai comprato un profumo tipo ‘’Essenza da trombatore’’?»
«Ma la pianti?» Nicholas si staccò con forza scoccandogli un’occhiata in tralice.
«Beh, è sexy .. se ti piacciono le tipe così.» Thomas la indicò, non era sicuro in effetti di come fossero ‘’le tipe come lei’’. Rebecca sarebbe potuta essere tranquillamente il tipo di tutti. E aveva scelto Nicholas che dal canto suo ancora faticava a crederci. Doveva sentirsi lusingato, e anche vagamente eccitato. Ricordò la conversazione in casa Underwood, aveva urlato quanto gli piacessero le ragazze, era la sua occasione di dimostrarlo ..no? Il bigliettino di Christopher sembrò divenire improvvisamente incandescente nelle sue mani.
 
 
Il misero cartoncino adesso spiegazzato e pure macchiato continuava a sostare tra le sue dita mentre lo rigirava ossessivamente fissando l’orologio, erano le dieci e sua madre non sarebbe tornata a causa del turno notturno in ospedale. Chiuse gli occhi schiacciando il senso sviscerale di eccitazione che sembrava salire e infuocare ogni parte del suo corpo, era curioso di sapere come fosse quel luogo e anche di vederne il proprietario. Anzi quella forse era la motivazione principale. Ma aveva promesso a Thomas e Jeremy che non sarebbe andato.
«Beh, non sarebbe la prima promessa che infrangi.» Il tono gli uscì più velenoso di quanto avrebbe voluto, in fondo aveva promesso anche di non vederlo, ed era andato a casa sua. Scattò in piedi come una molla iniziando a rovistare nel proprio armadio, non sapeva bene come ci si dovesse vestire in occasioni simili, alla fine optò per un paio di pantaloni beige dal taglio sportivo e una maglia bianca abbinata ad un giubbino in pelle, si guardò allo specchio valutandosi attentamente. La sua altezza gli consentiva di portare un po’ qualsiasi cosa con destrezza, il viso appena acceso di ansia, i capelli che sotto la luce del lampadario sembravano più biondi del normale, per un secondo forse intravide ciò che Rebecca sembrava aver visto. Le labbra carnose si strinsero in una smorfia mentre mollava i rimorsi come uno zaino troppo pesante, uscendo da casa.
Le luci colorate rendevano l’ambiente più caotico di quanto già non fosse, Christopher sedeva ad uno dei divanetti al piano superiore circondato da alcune ragazze che sembravano svenute sopra di se, il fatto che respirassero e lo accarezzassero gli dava la sicurezza di non flirtare con un cadavere. Nicholas salì i gradini fluorescenti fissando la calca al piano inferiore sulla pista, schivando corpi sudaticci fino ad arrivare laddove puntava. Lo aveva visto pochi istanti prima, come se Christopher tenesse un faro puntato addosso. Gli si piazzò davanti e gli occhi dell’altro si illuminarono di interesse, sciolse l’abbraccio di una ragazza dalla carnagione scura sporgendosi verso di lui.
«Sei venuto.» Una pausa seguita da un sorriso arcigno. «Da solo.»
«Gli altri non volevano vederti.» Nicholas mandò giù il nodo alla gola, o almeno ci provò.
«A differenza tua.» Sapeva di aver mosso uno scacco matto al biondino che dal canto suo sembrò riconsiderare la sua presenza in quel luogo. Prima che ci ripensasse del tutto però l’altro si alzò afferrandogli il polso. Nicholas lo fissò con la fronte aggrottata.
«Che stai facendo?»
«Provo a sedurti, che altro?» Lo disse come la cosa più ovvia e normale del mondo, e Nicholas sentì il pavimento scricchiolare lievemente come fosse pronto a spaccarsi di netto. Si lasciò trascinare lungo la pista, oltrepassando muri umani, per finire lungo il bancone.
«Io non bevo molto.» Provò a negarsi ma Christopher non sembrava ascoltarlo mentre ordinava due drink dal nome esotico per entrambi, tornando a squadrarlo. Si rese conto in quel momento della differenza d’abbigliamento, se lui aveva scelto un look sportivo con i pantaloni beige, l’altro indossava dei pantaloni scuri e aderenti una camicia del medesimo colore appena sbottonata sul collo e una giacca bordeux.
«Sei carino, cosetto.» Gli sorrise accattivante e Nicholas sentì un risucchio all’altezza dello stomaco. Fissò la mano dell’altro che afferrava i bicchieri porgendogliene uno, aveva molti anelli ma uno solo colpì la sua attenzione. Sembrava pesante, un incisione nel metallo risplendeva persino al buio.
«Sabato uscirò con una ragazza.» Non seppe bene il perché lo disse, forse era curioso di vedere l’espressione altrui che però non soddisfò le sue aspettative restando immota e ferma.
«Ah si? Ma non mi dire.» Giurò di averlo visto ridere, ma durò troppo poco perché le labbra vennero immediatamente oscurate dal bicchiere. Annusò il proprio con diffidenza decidendo di assaggiarlo, era forte anche se lievemente fruttato, probabilmente la sua espressione si alterò in una smorfia di sorpresa perché sentì la risata di Christopher accanto a se.
«E’ un po’ ..forte.»
«Come me?» Nicholas lo fissò senza saper bene cosa dire, a causa del frastuono attorno a loro parlavano a distanza ravvicinata. Forse troppo.
«No, tu non sei forte, sei fastidioso e infido.» Scoccò quel dardo infuocato con soddisfazione.
«Eppure sei qui, con me.» Vide le sue labbra sillabare quella frase, notò ancora la pienezza nella parte centrale inferiore e senti il bisogno di bere ancora, cosa che fece.
«Ero curioso sul locale, è abbastanza caotico..» non trovò aggettivo migliore. Christopher dal canto suo aveva iniziato a trascinarlo oltre il bordo della pista, laddove la calca si diradava e restavano solo ombre e corpi avvinghiati.
«Qui va meglio?» Nicholas si guardò intorno a disagio.
«No, per niente..» Mosse un passo indietro ma l’altro tornò a coprirne le distanze.
«E perché? Andiamo Nicholas, vuoi ancora giocare a fare il finto angioletto?» Inarcò un sopracciglio squadrando l’espressione sgomenta del biondino.
«Io non faccio proprio niente.»
«Ah no? Sei qui per tua scelta, perché volevi esserci. Perché sei attratto da me.» Si indicò con un sorrisino diabolico e Nicholas andò con gli occhi alle possibili uscite di sicurezza, era peggio di un possibile incendio quello. Quando tornò a fissarlo Christopher era praticamente addosso a lui, tentò di sgusciar via ma l’altro non glielo permise.
«Non ho intenzione di mangiarti Nicholas McClair.» Ancora una volta disse il suo nome come se fosse qualcosa di commestibile. Sentiva di star sudando mentre le dita di Christopher si poggiavano sulla sua nuca, tra i capelli lisci e chiari.
«Perché proprio io? Perché tormentare me?» Era sul serio un tormento? Sembrarono porsi la stessa domanda.
«Perché non tu?» Le dita si chiusero tra i suoi capelli, esercitò una leggera pressione costringendo l’altro a sollevare il viso riluttante. Nicholas si specchiò in quelle iridi che adesso sembravano due abissi senza fondo, due buchi neri. Eppure Christopher in se era come una supernova, accecante e potente. Lo vide avvicinarsi, il suo respiro solleticò le guance mentre sentiva la lingua altrui leccargli il labbro. Fu come un palloncino che scoppia, un fuoco d’artificio dritto in faccia. La mano che teneva il bicchiere si contrasse.
«Mollami.» Riuscì a dire solo quella pietosa parola, Christopher lo fissò e vide la menzogna nei suoi occhi, sorrise scaltro mordendogli il labbro inferiore gli piaceva il profumo di quel ragazzo. Si scostò indicandogli il cocktail, bevendo il proprio.
«Dirai ai tuoi amici di essere venuto?» Lo squadrò con compiacimento, sapeva già la risposta e percepì l’umiliazione dell’altro nel rendersene conto.
«No.» Chinò il capo sentendo le labbra ancora scottanti per quel contatto fugace. Improvvisamente rialzò la testa, gli occhi fieri e rabbiosi. «Pensi di avere potere su di me? Pensi che il fatto di far cose come questa ti renda quello col coltello sguainato?» Christopher sembrò sorpreso, per la prima volta.
«Pensi di riuscire ad avere il fegato di farlo anche tu?» Gli si avvicinò e stavolta Nicholas riuscì a svincolarsi, la testa gli girava appena.
«No, perché io non ne ho alcuna voglia. Non sono attratto da te, né mi piaci in quel senso.» Il sapore della bugia si mischiò a quello del drink fruttato. Christopher roteò gli occhi con fare annoiato finendo il contenuto del proprio bicchiere.
«Come vuoi tu biscottino, ti comunico che sei ufficialmente penoso.» Nicholas aggrottò la fronte senza capire, la stanza girava appena e l’istinto lo portava a sorridere in maniera stupita. Scosse il capo strizzando gli occhi.
«No, non lo sono.»
«Ah ma quindi dire stronzate palesi è proprio un vizio, un marchio di fabbrica.» La voce divertita perforò la cortina appannata dell’altro portandolo a ridere appena.
«No okay, sono sbronzo, non potrei mai trovarti gradevole e divertente altrimenti.» Christopher portò una mano al petto come fosse ferito, doveva ammettere che la sua sfacciataggine in certi momenti era esaltante.
«Ti offrirò da bere più spesso. In cambio di qualcosa.»
«Cosa?» Nicholas sapeva di non dover chiedere, forse in realtà sperava la risposta fosse quella che pensava. E Christopher lo capì, ghignò appena accarezzandoli una guancia rovente. Le loro labbra si scontrarono appena, quasi una lenta carezza era come se quelle di Christopher imprigionassero solo la parte superiore di quelle altrui. Nicholas non respirò finché il contatto non finì.
«Un pegno abbastanza modesto, credimi solitamente esigo sempre di più.» A giudicare dalla sua espressione nessuno lo avrebbe messo in dubbio. La testa tornò a ronzare, il bicchiere ormai vuoto.
«Cosa esigi?» L’eccessiva curiosità una volta uccise il gatto, non diceva così il proverbio?
«Alle volte può essere un bacio, poi chiederò il tuo corpo, il tuo tempo e infine ..te.» Si fissarono senza parlare per quella che sembrò un’eternità.
«Ne vorrei un altro.» Sorrise appena.
«Parliamo del bacio o del drink?» Nicholas roteò gli occhi, era impossibile dialogare con quel demente. In effetti tra le due cose era ardua scegliere.
«Lo chiami bacio quello?» Lo provocò.
«Oh Dio, sei proprio adorabile. Non ne avrai un altro, ma posso provvedere al drink.» Gli fece cenno di seguirlo e fu un bene che gli rivolgesse le spalle, l’espressione devastata di Nicholas di fronte a quel rifiuto palese sarebbe stata una vergogna eccessiva.
 
 
Scostò appena le coperte mugugnando, voltandosi su un fianco e allungando una mano che toccò qualcosa di caldo. E liscio. Aggrottò la fronte a occhi chiusi continuando ad accarezzare, sembrava ..una persona?
«Stai provando a sedurmi?» La forma prese anche voce costringendolo a sbarrare gli occhi, si alzò di scatto ritrovandosi in un letto sconosciuto,con una persona invece sin troppo conosciuta: Christopher.
«Che diavolo..» sbiancò senza che le parole riuscissero a fluire fuori.
«Abbiamo dormito insieme.» L’ammissione candida lo fece sbiancare ancora di più, Christopher ne era sin troppo divertito e fu a malincuore che continuò a parlare. «Quando dico ‘’dormire’’, intendo dormire. Non ti ho deflorato, fiorellino.» L’occhiata furente dell’altro fu un balsamo lenitivo che gli fece persino passare il cerchio alla testa.
«Cosa ti fa pensare che tra i due sarei stato io quello ‘’deflorato’’?» Nicholas si alzò incespicando tra le coperte, cercando la propria maglia da qualche parte, Christopher invece poggiava comodamente la propria schiena nuda sui cuscini.
«Perché, punto uno: sono già stato deflorato, quindi anche volendo non potresti.» L’espressione sconvolta del biondo lo fece ridere. «E punto due: dove sta scritto che due uomini debbano per forza avere un ruolo? Tu chiedi a tua madre se quando scopa con tuo padre sta sopra o sotto? No, perché sarebbe stupido, oltre che inutile. E lo stesso vale per noi.» Nicholas restò imbambolato con la maglia in mano, come diavolo riusciva a snocciolare pensieri simili dopo una sbronza, ma soprattutto con quella tranquillità?
«Io e tu non..» non riuscì a finire, sentiva le guance in fiamme. Christopher sospirò frustrato.
«No, il mio pene al momento è in evidente erezione.» Scostò le coperte e il biondo balzò indietro voltandosi di scatto. «Tranquillo biscottino, questo morde ma giuro che riesco a domarlo.» Nicholas chiuse gli occhi snervato di fronte al tono malizioso e suadente dell’altro, voltandosi.
«Sei proprio senza morale.» Infilò la maglia con rabbia.
«Beh.. come darti torto?» Arricciò il naso in un smorfia ironica senza alcuna intenzione di coprirsi.
«Non dire a nessuno di oggi..né di ieri.»
«In cambio di cosa?» L’espressione sgomenta di Nicholas provocò un nuovo fiotto di risate. «Sei proprio ciò che voglio Nicholas McClair, lo giuro.» Quell’ammissione fece divampare un fuoco che preferì ignorare sviando lo sguardo per avviarsi alla porta. Si fermò con la mano sul pomello, era come se sentisse di dover dire qualcosa ma ignorasse però il ‘’cosa’’.
«Ieri mi hai fatto bere di proposito?» Persino di spalle riusciva a percepire l’espressione incredula dell’altro.
«Smettila di attribuire le tue voglie ad altri, smettila di non prenderti la responsabilità di ciò che fai. Non lo capisci? Posso averti anche senza un goccio di alcool nel tuo corpo.» Bastò quello per convincere Nicholas a uscire da quella stanza senza più voltarsi indietro.
Christopher fissò la porta adesso chiusa con un sorriso mesto, il cellulare squillò ne lesse il numero rispondendo.
 
– Stella del mattino.
– Lusinghiero da parte tua.
– Abbastanza se consideri l’orario.
– Christopher a quest’ora dovresti essere già a scuola.
– Che ragazza apprensiva.
– Ti ho chiamato solo per aggiornarti un po’, sai su quella cosa..
– Non c’è bisogno, credo di essermi fatto un’idea da solo.
– Oh.
– Sei perfetta, come sempre.
– E tu un bastardo, come sempre.
 
Si alzò in maniera svelta, la musica tornò a riempire l’intera casa mentre rovistava dentro l’armadio cercando qualcosa da mettersi. Sorrise, Elle King con Ex's & Oh's partì senza preavviso.
 
«I had me a boy, turned him into a man
I showed him all the things that he didn’t understand,
Whoa, then I let him go.»
 
Le labbra carnose di Nicholas tornarono prepotentemente alla sua mente, ancora e ancora.
 
 

 

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Capitolo 4
*** Requiem for a Dream ***






 
Il cappuccio della felpa copriva in parte il suo viso cadendo mollemente sugli occhi azzurri severi e ansiosi, vestito così semplicemente nessuno avrebbe riconosciuto in quel ragazzo con le cuffie alle orecchie Christopher Underwood. Il profilo del palazzo si stagliò di fronte a se, respirò profondamente, l’anello di famiglia all’indice della mano sinistra brillò sinistramente, strinse la mascella entrando all’interno dell’androne finemente arredato. Non aveva bisogno di annunciarsi, il portiere lo aveva visto crescere fino a tre anni prima, quando tutto era finito e ricominciato nella stessa notte. L’ascensore salì silenzioso, la musica nelle sue orecchie andava di pari passo coi propri respiri: Requiem for a Dream. E lui? Ne aveva sogni morti forse? Non ebbe l’agio di crogiolarsi in quella domanda, semplice e complessa al tempo stesso, le porte si spalancarono di fronte a lui e il piede si mosse senza apparente esitazione. Le porte in fila, tutte uguali, le percorse senza soffermarsi con lo sguardo fino all’ultima. Non vi era più affisso il proprio cognome, bensì ‘’Lewis’’. Afferrò le chiavi girandole dentro la toppa, entrò e l’odore di chiuso riempì le sue narici, richiuse l’uscio ascoltando il silenzio senza interruzioni della casa in penombra. Ogni settimana era sempre la stessa storia, alle volte non la trovava, altre veniva cacciato via, ma lui continuava a gettarsi nel suo inferno personale. Un respiro sommesso lo avvisò di non essere più solo.
«Che ci fai qui?» La voce un tempo melodiosa, adesso inasprita dal dolore e probabilmente dagli ansiolitici. La figura in penombra mosse un passo nella stanza, la mano lesta accese le luci e i loro occhi identici si soppesarono.
«Sono venuto a trovarti.» Non c’era la solita traccia altezzosa, non c’era lo sguardo annoiato, c’era solo un ragazzo in piedi di fronte alla propria madre.
«Lo sai perfettamente che non sei il benvenuto qui, non più.» Alcune foto giacevano sui mobili, nessuna che lo ritraesse, erano monocromatiche una sfilza di sorrisi prodotti dal medesimo viso ritratto in varie occasioni. Ruth si accorse della direzione dello sguardo, la mano si mosse lesta contro una delle tante cornici che cadde a terra rompendosi.
«Mamma..» il ragazzo mosse un passo incerto, indeciso se raccogliere o meno la foto.
«Non ti avvicinare. Non lo capisci? Io ti disprezzo, quante volte dovrò ripetertelo prima che te ne faccia una ragione?»
«Lo psicologo dice che dovremmo fare alcune sedute insieme.» Gli occhi azzurri della donna divennero puro acciaio.
«E’ già tanto io non abbia più tentato di uccidermi, non mettermi alla prova presentando il tuo viso qui.» Christopher si irrigidì, il suo volto sembrava adesso scolpito nella pietra, gli zigomi avvolti dalla pelle improvvisamente sottile come carta velina e il colorito grigiastro.
«E io? Cosa dovrei dire io? Mi hai visto quella notte, non ti importa davvero?» Restò fermo, la madre esitò, aspettava un’assoluzione che non era sicuro di sentire, una dannazione che non era sicuro di aver meritato.
«No, non mi importa. Tu muori e io sopravvivo.» La rabbia schizzò nel cervello, simile alla scarica di adrenalina che iniettano al petto quando il tuo cuore sta cedendo.
«Dovevi morire tu.» La voce di Christopher un sibilo di veleno. «Quel giorno saresti dovuta morire tu.» Il viso della donna una maschera di rancore mentre afferrava un posacenere in cristallo che il ragazzo schivò appena in tempo.
«SEI UN BASTARDO. UN ASSASSINO. SPARISCI, NON TORNARE MAI PIU’.» I pugni chiusi non si aprirono, le nocche bianche e il viso ancora livido mentre vedeva per l’ennesima volta il suo cuore battere agonizzante, come ogni volta del resto. Le voltò le spalle uscendo silenziosamente, consapevole che sarebbe tornato ancora, dopo aver ricostruito una parvenza di umanità e di dignità. Perché in fondo si sa, dal sangue del tuo sangue non puoi fuggire.
 
 
 
Nicholas poggiò la fantasiosa composizione floreale sulla tomba del padre, una lieve pioggia inzuppava il proprio giubbotto, la madre era da sempre una schiappa a tenere gli ombrelli. La fissò e lei ricambiò con un sorriso materno, stringendogli la mano con la propria, in silenzio a salutare l’uomo delle loro vite che adesso ‘’viveva’’ in un posto troppo lontano da raggiungere.
«Un giorno lo rivedremo, tuo padre sarebbe così orgoglioso di te.» Ne sei sicura mamma? Avrebbe voluto rispondere questo Nicholas mentre sentiva il proprio braccio ormai zuppo, mentre le immagini di pochi giorni prima strisciavano infide nella sua mente. ‘’Sono un invertito mamma’’, che cosa avrebbe risposto? Il padre lo sapeva già, ovunque fosse era lì a fissarlo ..e giudicarlo? Il solo pensiero di deluderlo provocava una fitta dolorosa al petto che mozzava il respiro.
«Sarebbe orgoglioso anche di te, e dovresti smetterla adesso..» la fissò con gravità, Amanda sembrò non capire mentre aggrottava la fronte lanciandogli uno sguardo incuriosito.
«Smetterla di fare cosa?» Sembrava esitante, così fragile nel suo metro e sessanta scarso d’altezza.
«Di non andare avanti, lui lo vorrebbe. E anche io..» sull’ultima cosa non ne era sicurissimo. «Dovresti vivere la tua relazione alla luce del sole, pensi non lo sappia?» Il viso della madre sembrò divenire ancora più pallido del normale.
«Nicholas io..» farfugliò qualcosa e il ragazzo abbozzò un mezzo sorrisino divertito.
«Sei troppo bella perché qualcuno non ti noti. Vorrei solo che ti amasse almeno la metà di come faceva papà.» Le lacrime punsero gli occhi della donna, provò a ricacciarle indietro con scarso successo.
«Non volevo stessi male..» Lo accarezzò lasciando che le dita sostassero sullo zigomo caldo del proprio figlio.
«Sto male se tu stai male mamma, voglio solo che tu sia felice, davvero.» Gli occhi nocciola della donna tornarono a fissare il volto sorridente in foto, era come se comunicasse silenziosamente col marito e alle volte Nicholas era sicuro ci riuscisse. Lui invece no. Non lo aveva mai sognato, neppure una volta e questo per molto tempo era stato fonte di dolore, sentiva come se non amasse abbastanza il padre. Poi era ‘’cresciuto’’, o almeno così pensava ma da qualche giorno a quella parte iniziava a nutrire seri dubbi sulla propria maturità.
«Te lo presenterò presto, credo voglia proporsi.» Il sorriso malizioso di Amanda provocò un grugnito infastidito nel figlio nonostante il luccichio divertito degli occhi azzurri.
«Fantastico, mi auguro non giri in boxer per casa sono sensibile alla bruttezza.» Si beccò una gomitata sul costato che incassò in silenzio mentre il cielo lentamente si rischiarava. Era un buon presagio quello?
 
Salì gli scalini velocemente bloccandosi solo all’ultimo per rallentare e riprendere fiato, tempo prima Thomas gli aveva detto che invidiava il suo sorriso, quindi ogni volta cercava di sfoderarlo il più possibile quando il ragazzo era nei paraggi. Suonò timidamente una volta infilando le mani nelle tasche dei jeans, sentiva ancora l’odore dei fiori portati al cimitero, non era ributtante però anzi. La porta si aprì e gli occhi verdi dell’amico lo fissarono con affetto.
«Pensavo non arrivassi più.» Come se fosse possibile.
«Sono dovuto andare con mamma al cimitero, oggi è l’anniversario di mio padre.» Thomas tacque guardandolo con calore, nonostante fossero amici da relativamente poco tra loro le parole erano superflue, era questo probabilmente a piacere maggiormente a Nicholas. Si lasciò guidare lungo il corridoio della casa che conosceva bene, Thomas viveva solo a detta sua i genitori erano rimasti in Inghilterra per il lavoro del padre, non aveva mai spiegato però il perché lui non fosse lì con loro. La camera da letto era tappezzata di poster dei Linkin Park, Thomas ne era un fan sfegatato, tanto da piangere alla morte di Chester. Ricordava che Jeremy si era talmente immedesimato da proporre di portare il lutto per qualche mese, inutile dire che fosse stato mandato a cagare da entrambi.
«Vuoi qualcosa da bere?»
«Coca, come sempre.» Nicholas sorrise sedendosi sul pavimento, iniziando a sfogliare i vari giochi interattivi con la quale avrebbero passato il tempo. L’amico tornò pochi minuti dopo porgendogli la bevanda, tenendo per se una specie di succo dal colore inquietante.
«Nicholas, vorrei parlarti.» Il tono greve fece rizzare la pelle del ragazzo che lo fissò con timore.
«Vuoi parlare di Christopher, vero?» Persino il solo pronunciare quel nome gli provocava scariche d’adrenalina, anche se l’altro sembrava più agonizzante ogni volta. Lo vide annuire e sedersi sul letto a gambe incrociate.
«Ho conosciuto Christopher in Inghilterra, frequentavamo lo stesso liceo privato, inutile dire che ne restai immediatamente affascinato.» Fissò Nicholas quasi con accusa facendolo sentire improvvisamente colto in fallo. «Avevo solo sedici anni, non avevo detto a nessuno delle mie insomma ..delle mie preferenze, ecco.» Aveva appena ammesso di essere gay, Nicholas temette che le bollicine della Coca lo soffocassero, smise di bere. «Iniziò a girarmi intorno, mi faceva sentire speciale e per niente diverso. Ci misi un po’ a capire che non disdegnava la mia compagnia non solo in amicizia, sai ero un po’ lento.» Nicholas avrebbe volentieri sbuffato sarcasticamente, ‘’era’’?? Perché adesso invece la scaltrezza rientrava tra le sue doti, come no. «Insomma iniziammo una relazione, ero innamorato di lui, lo ero davvero.» Sottolineò l’ultima parola come a voler esorcizzare le accuse di Evan sul suo aver amato un semplice idealismo.
«E poi che successe?» Perché era evidente fosse successo qualcosa.
«Dopo qualche mese divenne strano, più io mi sentivo invischiato e più lui sembrava inalberarsi. Pensavo fosse intimidito o spaventato dai sentimenti, non so. Venne a trovarlo Evan, il suo migliore amico.» Nicholas aggrottò la fronte, Christopher aveva un migliore amico? «Evan Cooper. Sembrava mi avesse preso in simpatia, uscivamo insieme, mi raccontava aneddoti su Chris..» Lo aveva chiamato con un diminutivo, c’erano così tante cose che sembrava non sapere di quel ragazzo da farlo sentire un perfetto imbecille. «Una sera mi invitò con lui a una festa, quando arrivammo lì iniziammo a bere e divertirci finché non vidi Christopher. Con una ragazza.» Thomas che fino a quel momento sembrava assente, come immerso nei ricordi, fissò le proprie iridi verdi su Nicholas che sbiancò.
«Evan ti ha fatto un favore..» Lo sguardo rabbioso dell’amico lo zittì.
«Un favore? No. Quei due sono diavoli, camminano sempre in coppia e io non lo avevo capito. Il giorno dopo li sentii parlare, era tutto organizzato. Evan mi aveva portato lì sapendo ciò che avrei visto, su richiesta di Christopher.» Thomas serrò la mascella e Nicholas non trovò niente di meglio da fare se non soffocarsi con la propria bevanda.
«Perché non dirtelo? Perché sbatterti crudelmente in faccia una cosa simile?»
«Perché è nella natura di Christopher, te l’ho detto ..lui è infido, e cattivo. Lui si diverte così, lasciare in maniera normale sarebbe noioso, calpestarti invece..» La voce divenne tagliente per poi quietarsi di colpo, scese dal letto sedendosi accanto all’amico, poggiò una mano sul suo ginocchio sentendolo irrigidirsi appena.
«Non permettergli di giocare con te.» Nicholas continuava a fissare quella mano calda e confortante, il suo tocco così diverso da quello di Christopher. Si ritrovò a paragonarli senza un reale motivo, come se volesse accertarsi di preferire quello dell’amico.
«Non lo farò..» Gli sorrise fiducioso, anche se mille dubbi affollavano la sua mente. Thomas si sporse verso di lui, sentì il respiro caldo solleticargli il viso.
«Se vuoi baciare qualcuno, bacia me.» Quelle parole provocarono in Nicholas un terremoto interiore difficile da camuffare, e probabilmente l’altro se ne accorse visto il sorriso divertito. «Non aver paura di ciò che sei, è l’unica cosa che mi ha insegnato quel bastardo. Anche se ho pagato lo scotto a caro prezzo.»
«Intendi la storia del tradimento?» Thomas si adombrò scuotendo la testa.
«No, dopo quella decisi di andarmene dall’istituto. I miei genitori sembravano impazziti mentre cercavano di capire perché volessi rovinarmi il futuro, quando glielo dissi vidi la delusione nei loro occhi. Forse si aspettavano nipoti e una nuora, e videro le loro speranze frantumarsi. Un mese dopo mi spedirono qui, credo vogliano un po’ di tempo per accettarlo.» Quale miglior modo per terrorizzare Nicholas di quello? Sentì l’aria mancare, portò una mano al colletto del cardigan provando ad allargarlo, anche sua madre avrebbe fatto la stessa cosa? Thomas sembrò leggergli nel pensiero, gli accarezzò i capelli con un mezzo sorrisino di conforto.
«Non sono forte come te, non sopporterei una cosa simile..»
«Vivi con coraggio Nicholas.» Il suo tono di voce, fermo e sicuro, lo fece trasalire. Lo fissò e per un istante desiderò essere baciato. Sbatté le palpebre riprendendo il controllo.
«Vorrei provarci davvero..»
«Partitina in sala giochi?» Si sorrisero complici.
 
 
«Sentite l’odore sublime dell’aria purissima?» Jeremy annusò come fosse un cane intento a scovare funghi o selvaggina. I due lo fissarono lievemente dubbiosi.
«Siamo a NYC e parli di aria ‘’purissima’’?» Il tono sarcastico di Nicholas non intaccò il buonumore dell’amico che dal canto suo si esibì in uno dei suoi mille sorrisi sornioni.
«La ‘’scoria’’.» Il nome dato a Christopher. «Non viene a scuola da un po’, mi sento così bene senza la sua voce altezzosa, i suoi sguardi snob.» Nicholas chinò gli occhi grattando improvvisamente concentratissimo della vernice dal banco, aveva fatto di tutto per fingere di non notare quell’assenza. Che gli fosse successo qualcosa? Impossibile, lo avrebbe saputo. ‘’E come?’’, la voce nella sua mente aveva lo stesso tono divertito di Christopher, ormai aveva finito col parlargli telepaticamente.
«Potremmo parlare di cose più importanti?» Si sentì un pessimo bugiardo.
«Parliamo del tuo appuntamento di domani con la favolosa Rebecca?» Forse era meglio tornare all’assenza del demonio. Aveva pensato tutte le notti a quel maledetto appuntamento, il risultato erano delle antiestetiche ombre sotto gli occhi che non giovavano sicuramente a farlo apparire più affascinante. Si passò una mano tra i capelli percependo su di se lo sguardo di Thomas, da quando avevano parlato sembravano più ‘’intimi’’ e questo lo portava a stare perennemente in tensione.
«Hai consigli su dove portarla? E prima che tu lo dica: no, un negozio da nerd non è un buon consiglio.» Sorrise sterile a Jeremy che dal canto suo lo fissò altezzoso.
«Sei solo un blasfemo del cazzo, sempre detto.» Il tono trasudava troppo affetto per poter essere preso come un vero e proprio insulto. Nicholas e Jeremy si conoscevano da tutta una vita, avevano frequentato insieme la materna, le elementari, ricordava l’amico al suo fianco durante i funerali del padre, lui era una presenza costante e continua. Il maglione bucherellato che non butteresti mai via, perché caldo e confortevole.
«Al massimo le chiederò se ama i fumetti.»
«Chiedile se è Team DC o Marvel, da quello capiremo se è degna.» Thomas gli diede una cinquina in fronte ridendo.
«Ma piantala, rimarrai vergine a vita con questa testaccia di cazzo che ti ritrovi.» Nicholas avrebbe volentieri aggiunto che continuando così avrebbe fatto compagnia all’amico, gli venne in mente il film ‘’40 anni vergine’’ e rabbrividì.
«Non che voi due ci diate dentro come tori da monta.» Jeremy sottolineò la cosa in linea coi pensieri di Nicholas che soffocò con la propria saliva. Dal corridoio intravide Rebecca, non poteva disdire. Doveva almeno provare, magari scopriva di essere come Christopher. In quel caso aveva una possibilità per non essere spedito in Africa dalla madre.
 
 
Le tende si aprirono di colpo ferendo i suoi occhi, grugnì rabbioso sollevando le lenzuola sopra la testa.
«Nosferatu, esci dal cazzo di loculo.» La voce squillante di Evan lo rese persino più rabbioso. Sbuffò mettendosi seduto, i capelli arruffati, la pelle tirata all’altezza degli zigomi sintomo di una stanchezza che non poteva essere cancellata con qualche ora di sonno extra.
«Mio piccolo virgulto, hai desideri di morte così pressanti?» La voce dolciastra, ancora impastata, un sorriso ispido.
«Andiamo, sono le due del pomeriggio.» Christopher inarcò un sopracciglio scuotendo appena il capo come a dire ‘’e quindi??’’. Evan sospirò tornando alla carica. «E’ sabato Chris.» Sottolineò quelle parole ottenendo l’effetto sperato. Le coperte vennero lanciate senza criterio, il fisico asciutto di Christopher impose la sua presenza lungo la stanza, afferrò una vestaglia in seta che indossò andando verso il minibar.
«Il sabato è un giorno così festoso.» Versò del whisky in un bicchiere finemente intarsiato, offrendone un po’ anche all’amico che lo fissò con biasimo.
«Sono le due del pomeriggio, dovresti mangiare non bere.»
«E’ sabato, il sabato si beve.» Evan aggrottò la fronte a quelle parole dalla dubbia logica.
«Chris, tu bevi a prescindere dal giorno settimanale.» L’amico lo fissò con un sorriso candido.
«In Russia bevono spesso per proteggersi dal freddo, è un’usanza.»
«Pronto?? NYC chiama Christopher Underwood convinto di essere a Mosca.» Il ‘’moscovita’’ sollevò una mano fendendo l’aria, sedendosi su una poltrona imbottita. Non usciva che la notte ormai da 3 giorni, Evan era sicuro fosse andato ancora dalla madre e il risultato era sempre il solito. Sospirò lasciandosi andare contro il letto che non emise un solo cigolio.
«Maria ti ha lasciato qualcosa di pronto da mangiare.»
«Chi?» Christopher sembrò cadere dalle nuvole.
«L’ispanica che hai quasi fatto impazzire.» Evan roteò gli occhi con fare snervato e Christopher sembrò risvegliarsi schioccando le dita.
«Ma certo, la mia carissima Berta.» Era inutile, sembrava averci preso gusto.
«Piuttosto, stai ancora provando a lavorarti il tuo nuovo giocattolino?» L’immagine di Nicholas si frappose tra loro come un muro di carta velina sottile ma evidente. Christopher soffocò uno sbadiglio lasciando ricadere mollemente la testa contro la poltrona, una gamba sopra il bracciolo che oscillava scomposta.
«Le nostre vite sembrano essere incrociate in maniera folle, è talmente esaltante da risultare terrificante.» La voce si ridusse ad un mugugno incomprensibile, gli occhi ebbero un lampo sinistro mentre fissava l’amico intento ad odorare alcune boccette di profumo.
«Lo hai comprato in Egitto?» Afferrò una boccetta d’olio dal colore simile allo champagne.
«Marocco. Adoro il Marocco.»
«Adori il ‘’fumo’’ del Marocco al massimo.» Evan lo fissò in tralice, Christopher scrollò le spalle con indolenza.
«E’ uguale.»
 
 
Nicholas continuava a fissare Rebecca accanto a lui, stretta in un vestitino rosso che lasciava poco spazio all’immaginazione. Il punto era che evidentemente a lui l’immaginazione mancava, visto che non riusciva a immaginarsela senza quello straccio addosso. Sospirò sorridendole, immaginava come potessero apparire a occhi esterni, due ragazzi giovani e belli alle prese con un appuntamento che a giudicare dalle mani possessiva di Rebecca sul proprio braccio, stava andando benissimo. La gente si chiedeva se sarebbero usciti ancora, magari insieme al College, poi sposarsi e avere figli. Tornò a fissarle le labbra, erano piene e ben delineate, belle in fondo. Persino gli occhi erano affascinanti, ma un paio di iridi azzurre si frapposero a quelle disturbandolo, le scacciò sbattendo le palpebre.
«E’ un peccato tu abbia rifiutato di giocare nella squadra della scuola.» Stava dicendo Rebecca.
«Oh, beh.. non ero molto interessato, e poi pratico arti marziali e mi porta via troppo tempo.» Gli occhi della ragazza ebbero un guizzo malizioso mentre stringeva tra le dita il braccio scolpito di lui.
«In effetti, a me piacciono i ragazzi ben piazzati sai?» Nicholas sorrise divertito, Rebecca aveva una vocina infantile quando toglieva l’aura da femme fatale che era difficile non trovare adorabile.
«Considerando che mi stai per stritolare il braccio..» si fissarono e l’altra mollò subito la presa ridendo, si morse il labbro come se fosse in difficoltà anche se aveva la vaga impressione fosse una semplice tattica, forse qualcuno le aveva detto che sembrava seducente.
«Oh al diavolo.» La sentì imprecare fissandola confusa, le dita della ragazza lo afferrarono per il bavero del giubbotto spingendolo verso di se, sentì il proprio petto cozzare col seno di lei prima che le loro labbra si scontrassero. Erano tiepide e appena screpolate, sbatté le palpebre restando rigido, era come se quella scena la stesse fissando anziché vivendo. Non respirò mentre sentiva le labbra schiudersi, la lingua umida toccò la propria, socchiuse gli occhi quello era il momento di dimostrare che preferiva le donne, quindi le poggiò la mano sul fianco tornito accarezzando la stoffa del vestito, il punto è che tra il dimostrare e il provare passava un abisso di sofferenza mentale. Il cuore batteva all’impazzata, ma per l’ansia non certo per l’emozione. Quando Rebecca lo mollò sorrideva, il rossetto intatto e gli occhi maliziosi.
«Credo dovremmo vederci spesso, Nicholas, sei qualcosa che mi piacerebbe avere attorno ancora.» Si allontanò di qualche passo, e lui sbatté le palpebre provando a riprendersi. Aveva appena baciato una ragazza? Questo era fantastico. O almeno era fantastico l’esserci riuscito, non il bacio in se.
«Devo andare.» La sua voce irruente fece trasalire entrambi, Rebecca lo fissò divertita non sembrava essersela presa.
«Dovrei andare anch’io, mi raccomando.. chiamami.» Imitò una cornetta ammiccando sensuale verso di lui. Nicholas non sentì il rumore dei tacchi sbattuti ripetutamente, stava già correndo via con una risata trionfante.
 
 
La scritta ‘’Insomnia’’ si illuminò di rosso, Nicholas sorrise arcigno entrando con molta più sicurezza della prima volta. Era andato lì in un impeto di megalomania che non sembrava ancora essere scemato, forse la saliva di Rebecca aveva un qualche potere? Avanzò tra i colpi accaldati e mollemente poggiati alle grandi colonne di marmo, riconobbe il barman, alcuni clienti sedevano ai divanetti immersi in ‘’pubbliche relazioni’’ e Nicholas notò che molti si intrattenevano con gente del medesimo sesso senza apparente vergogna. Ignorò il senso di nullità, non poteva rovinare tutto adesso.
Christopher sedeva al solito divanetto, i gomiti poggiati alle cosce, le spalle lievemente abbassate come se fossero pesanti, e la testa che si muoveva al ritmo della musica. Gli occhi sondavano ogni parte del suo regno, il suo microcosmo, una sorta di realtà parallela ben lontana dalla città nella quale si fondava. Vide Nicholas salire in maniera irruente le scale e un ghigno si formò sulle labbra rompendo i lineamenti perfetti. Non gli andò incontro aspettando fosse lui a venire e quando lo ebbe davanti restò in silenzio, in attesa.
«Ho baciato Rebecca. Cioè lei ha baciato me ma io ho ricambiato. Come vedi non sono gay.» Nicholas sembrava esaltato, Christopher invece incuriosito mentre si alzava lisciando le pieghe inesistenti di una giacca nera dai risvolti lucidi.
«E com’è stato? Ti sei eccitato?» Gli fissò la patta dei pantaloni come a dire ‘’io non vedo niente’’ e l’altro si schermì coprendola con una mano.
«DIO, NO. Ma che cazzo.. non siamo tutti arrapati come te. L’ho solo baciata.»
«Io ti ho chiesto com’è stato, Nicholas.» Il tono improvvisamente tagliente zittì l’altro, il frastuono in quel momento sembrava un mormorio indistinto.
«E’ stato esaltante.» Sorrise trionfante mentre Christopher gli si avvicinava.
«E il nostro? Com’è stato il nostro?» Quelle parole confusero il biondino che lo fissò basito.
«Noi non ci siamo baciati, non seriamente almeno.» Christopher sorrise, un sorriso che non aveva niente a che vedere col divertimento mentre schioccava le dita con eleganza.
«Hai ragione, dovremmo rimediare.» Non aggiunse altro, le sue labbra furono sopra quelle altrui, un contatto per niente fugace stavolta. Nicholas ansimò di sorpresa, le sentiva dure e tiranniche su di se, morbide al tempo stesso, e così calde da rischiare di farlo sciogliere lì. Si ritrovò ad annaspare alla ricerca di aria, le loro lingue si incontrarono in maniera lenta, come se si stessero gustando quel momento. Sentì una voragine spalancarsi all’altezza dei lombi mentre la mano di Christopher teneva la sua nuca costringendolo a non scappare. Si rese conto in quel momento che lui non ne aveva alcuna intenzione mentre ricambiava quel bacio come se avesse il fuoco nelle vene. Quando l’altro si staccò non riusciva ancora a respirare.
«Adesso, mentre fuggi via, chiediti quale ti sia piaciuto di più Nicholas McClair.»
Evan fissava la scena poggiato alla balaustra a pochi metri da loro, un sorrisino sulle labbra, un cocktail nella mano destra e il cellulare nella sinistra: non era ancora il momento di creare scompiglio, e quasi gli dispiacque. 

 

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Capitolo 5
*** Renegades ***




 
Sepolto sotto strati di coperte, ad occhi chiusi e labbra serrate, Nicholas continuava a rivedere le scene di due notti prima a rallentatore, come un film muto e senza colori, in un loop infinito. Si mosse appena serrando con forza le palpebre, era stato un vero imbecille a pensare di poter sfidare Christopher a quel gioco, non quando l’altro a differenza sua teneva le briglie immaginarie di quella partita. Non quando l’altro riusciva ad ammettere cose che lui soffocava dentro dolorosamente. Ricordava con spaventosa vividezza il sapore della sua lingua sulla propria, un misto d’alcool e di quel suo sapore così particolare da restarti incastrato dentro. Il bacio con Rebecca totalmente cancellato, come se non fosse mai esistito, aveva ricevuto alcuni messaggi dalla ragazza ma francamente la sua dignità era stata talmente calpestata che risponderle veniva alquanto difficoltoso.
Un sordo bussare alla porta lo fece mugugnare, non rispose sperando fosse la vecchia Cassandra, ma la porta si aprì e richiuse silenziosamente.
«C’è odore di depressione qui dentro.» La voce profonda di Thomas lo fece drizzare immediatamente, scostò le coperte fissando l’amico con occhi sorpresi.
«Non sei andato a scuola?» Il cenno di diniego fu la risposta dell’altro.
«Tu perché sei moribondo sul letto?» Nicholas si ritrasse appena, avrebbe voluto raccontargli tutto ma dubitava fosse una buona idea quella, anzi.
«Un po’ di febbre, niente di che.» Il tono debole e il colorito malaticcio avvalorarono quella tesi rendendola credibile agli occhi dell’amico che si sedette sulla sedia di fianco la scrivania, muovendola appena col proprio peso.
«Chi è quella strega in casa tua?» Indicò la porta adesso chiusa e Nicholas rise per la prima volta dopo due giorni.
«Cassandra? Abita qui di fianco, alle volte aiuta mamma con le pulizie, le è affezionata.» La donna in questione aveva un’età compresa tra i 70 e i non pervenuti, abbastanza eccentrica nel modo di vestire con quegli abiti lunghi e pieni di pailette, e la passione per i fondi di caffè. Lei li leggeva, diceva di riuscire a predire il futuro; due anni prima leggendo quella di Nicholas si era rivolta alla madre dicendole ‘’la persona che tuo figlio porterà nel cuore ti lascerà decisamente senza parole’’. Ricordava che per poco non era svenuto per la paura che la vecchia dicesse altro, non che credesse sul serio sapesse leggere il futuro e altre stronzate, semplicemente aveva notato come Nicholas probabilmente (non) guardava sua nipote Marissa, una bellissima ragazza nativa di Detroit, e aveva sommato il resto traendone le proprie convinzioni. Una cialtrona pericolosa in pratica, anche se simpatica. 
«Mi fissa come se volesse..»
«Leggerti il fondo del caffè?» Nicholas finì la frase per lui con un sorrisino.
«Era più un ‘’come se volesse spogliarmi’’, ma anche la tua tesi non è male.» Risero entrambi divertiti, supponeva quell’ipotesi non fosse poi così falsa, Cassandra aveva un debole per i bei ragazzi, aveva perso il conto di tutte le volte in cui a lui aveva palpato le natiche.
«Sii felice, vuol dire che hai fatto colpo. E finché non prova a toccarti il sedere, sei salvo.» Roteò gli occhi e l’amico mise su un’espressione di raccapriccio così convincente da farlo ridere ancora.
«Ero preoccupato per te, sabato sei uscito con Rebecca e non hai fatto sapere più nulla, Jeremy inizia a delirare per la tua mancanza.» La mano si mosse in aria in maniera annoiata.
«Stavo meditando.» Non trovò nulla di meglio da dire, e non riuscì a racimolare un sorriso abbastanza convincente per evitare le sue domande.
«Meditando su cosa?»
«Se mi sia piaciuto o meno, sai mi ha baciato.» Nicholas scandì bene quelle parole, evitando di fissare l’espressione di biasimo dell’altro, omettendo di dire che avrebbe dovuto scegliere tra due baci. Cosa comunque inutile, lui sapeva bene quale in fondo avesse vinto. Aveva come la strisciante convinzione di essersela cercata, Christopher manipolava e lui lo agevolava alla grande.
«Oh.» Thomas lo fissò con le labbra strette. «Allora dopo aver compreso, ci dirai il verdetto?»
«Ovvio..» la voce uscì nuovamente malaticcia, era sicuro di essere ripiombato nel pieno delle sue nevrosi.
 
 
Le dita scivolarono con destrezza sulla cartina, la lingua leccò il bordo chiudendola magistralmente. L’accendino scattò una volta e Christopher diede un lungo tiro rilasciandolo poi con un sospiro soddisfatto.
«Adoro il Marocco.» L’odore di erba si disperse nell’aria, passò la canna a Evan che dal canto suo stava chino su dei libri dall’aria complessa.
«Non sarò mai pronto per l’esame di giovedì, sono semplicemente fottuto.» Uno sbuffo unito al fumo, la sigaretta veniva passata tra le loro mani come un giocattolo usato.
«Abbiamo un esame anche noi, sai nella scuola dei plebei.» Christopher si esibì in una smorfia altezzosa. «Ma non ricordo quando.»
«Non che abbia molta importanza, lo passerai a pieni voti. Come sempre del resto.» Vi era un lieve tono d’accusa e invidia nelle parole del moretto che lo fece ridere.
«Probabilmente si.» Scrollò le spalle con indolenza, la modestia non era mai stata il suo forte. «Vedi di finire entro le nove, ho organizzato una partita a poker e non voglio che i miei ospiti ti vedano in queste condizioni pietose.» Calcò sull’ultima parola indicando la divisa spiegazzata e le occhiaie sotto gli occhi nocciola di Evan che richiuse il libro con un tonfo.
«Affanculo lo studio.»
«Finalmente qualcosa di sensato, sono fiero di te biscottino.» Christopher sorrise sterile aspirando il fumo acre e potente, chiudendo gli occhi come in estasi.
 

 
***
 
Jeremy tirò i bordi della maglia nera sulle mani guardandosi intorno. «Hanno detto che la festa è qui?» Fissò gli altri due con sguardo interrogativo.
«A me sono arrivate queste coordinate sul cellulare.» Thomas indicò l’apparecchio sulla propria mano, un invito sconosciuto che però aveva attirato praticamente metà studenti del proprio liceo. Nicholas giocherellò coi bottoni della propria camicia in denim fissando il quartiere, Soho non era male per niente anzi a lui piaceva.
«Nessuno dei nostri ha mai organizzato roba simile, mi sembra assurdo.» Il punto era proprio questo, tutti e tre temevano un po’ di scoprire l’artefice di quella da tutti descritta come ‘’la festa del mese’’, ma d’altro canto avevano pur sempre diciassette anni e troppa voglia di vivere e divertirsi per rifiutare un invito così allettante. Il portone era aperto, alcuni ragazzi più o meno conosciuti stavano già imbucandosi, e i tre li seguirono a ruota in modo tale da non essere notati troppo.
«Pensate ci sarà Rebecca??» Jeremy era quasi più eccitato di Nicholas all’idea di rivederla, il che faceva presupporre quanto la confusione del ragazzo non si fosse diradata (o forse si??). La ragazza però non aveva più chiamato, anzi era scomparsa da circa tre giorni, che si fosse stancata? Di certo Nicholas non poteva biasimarla per questo. Quale coglione non richiama dopo un bacio?
La musica era udibile già dal piano inferiore, gettarono uno sguardo di sopra vedendo la porta aperta e un gruppetto di gente con bicchieri in mano, si fissarono l’un l’altro varcando infine la soglia. L’appartamento era arredato in maniera eccentrica, i mobili parecchio lussuosi facevano pensare che chiunque lo possedesse non avesse di certo il pensiero su come pagare le bollette a fine mese. Nicholas puntò il tavolo degli alcolici seguito a ruota dagli altri due, alcuni bicchieri dal colore familiare lo indussero ad afferrarne uno e assaggiarlo. Riconobbe immediatamente il sapore, era lo stesso drink bevuto quella famosa notte all’Insomnia e lo sgomento divenne palese nel suo viso.
«Qualcosa non va?» Thomas si sporse preoccupato.
«No, no.» Nicholas scosse il capo sorridendo mesto, aveva la vaga impressione di essersi cacciato nell’ennesimo guaio. Un ragazzo gli passò davanti barcollando, riconobbe in lui un suo compagno di scuola e questo servì mediamente da calmante, quantomeno aveva visi conosciuti alla quale aggrapparsi. Anche se sbronzi.
Riuscirono a rilassarsi quanto bastava per godersi gran parte della serata senza intoppi, Nicholas iniziò persino ad apprezzare la musica e gli strani tipi che intravedeva, gente che non aveva mai visto ma dal chiaro status sociale elevato. Non che il suo non lo fosse, sua madre guadagnava abbastanza da permettere ad entrambi una vita agiata, ma non era una mondana e quindi si era sempre mantenuta ai margini di quel mondo sfarzoso. Thomas si irrigidì attirando la sua attenzione, seguì allarmato il suo sguardo che si posò su un ragazzo alto, occhiali da vista dalla montatura ricercata, capelli corvini e un’aria familiare che non seppe classificare, abbastanza attraente nel complesso. Lo sconosciuto fissò prima lui e poi il corridoio alla sua sinistra, a Nicholas sembrò quasi un messaggio in codice da decifrare. Guardò di rimando in quella direzione e vi si incamminò senza neppure avvisare gli altri; vi erano porte chiuse tranne una, l’ultima, dalla quale usciva una striscia di luce che tingeva il pavimento buio. Una risata familiare e femminile, aggrottò la fronte aprendo la porta e ciò che vide lo lasciò letteralmente senza parole. Rebecca seduta su un divanetto, un vestito succinto e le gambe accavallate mentre imboccava d’uva Christopher accanto a lei.
«Non ci posso credere.» La sua voce sembrò provenire da un barile vuoto e atono. I due lo fissarono e se Rebecca sembrò in difficoltà, il Diavolo (così chiamato ufficialmente dal trio) invece restò calmo e composto.
«Evan è sempre uno stronzetto sadico ed efficiente.» Quindi quel tipo gli aveva indicato di proposito il corridoio? Ricordò la storia di Thomas e la rabbia prese possesso del suo corpo.
«Lo hai fatto di proposito? Farti trovare qui con lei? Proprio come hai fatto con Thomas.» Christopher mostrò per la prima volta una punta di sorpresa, forse non si aspettava che sapesse la storia. Si riprese quasi subito masticando lentamente l’uva.
«Beh, la ragazza è uguale solo che all’epoca portava i capelli ..rossi? Non ricordo fiorellino, erano rossi?» Fissò Rebecca che aveva perso lo sguardo di disagio e adesso sembrava sicura di se.
«Si, pensavo Thomas mi avrebbe riconosciuta, e invece..» si fissò le unghie e sembrò quasi delusa. I suoi occhi nocciola tornarono a posarsi su di lui e poi su qualcosa oltre la porta, Nicholas si girò incrociando quelli sbigottiti dell’amico.
«Il lupo perde il pelo ma non il vizio.» Il tono sdegnoso di Thomas fece ridere Christopher che si schermì con le mani.
«A dirla tutta no. Sono stato io a mandare Rebecca da Nicholas, o pensi sul serio lei ti avesse notato?» I due ragazzi restarono impietriti sul posto. «Volevo solo confermare la mia teoria, ricordi cosa dicesti all’Insomnia?» Nicholas evitò accuratamente di fissare Thomas ignaro delle sue scorribande notturne. «Dicesti che ti piacevano le ragazze, e credimi ..nessun etero resiste a Rebecca Cooper.» Cooper? A quel cognome entrambi mossero un passo nella stanza e un’altra voce si unì al coro.
«Mia sorella è un’ammaliatrice nata.» Evan ritto dietro di loro, le mani in tasca e gli occhi fissi su Thomas che dal canto suo sembrava esplodere di rabbia.
«Sei viscido. Hai mandato lei da me per confutare le tue stupidissime tesi? Anche se fosse così, anche se davvero io non provassi interesse per le ragazze ..non proverei comunque interesse per te.» Nicholas parlò con tono calmo, le iridi luccicavano di rabbia.
«In realtà il bacio non era programmato, ma eri così bellino, non ho resistito.» Rebecca scrollò le spalle con innocenza e Christopher roteò gli occhi con disappunto, era evidente quella parte del piano non gli fosse piaciuta.
«Ne sei sicuro? Non mi risulta sai? All’Insomnia dopo il vostro bacio..» Nicholas lo stoppò prima che potesse finire, il cuore gli batteva all’impazzata.
«ZITTO. Sei solo un bastardo.»
«Mi dispiace rovinare l’atmosfera idilliaca, ma la polizia sarà qui a momenti.» La voce di Evan sembrò udibile solo a Rebecca che si alzò avviandosi alla porta, non prima di aver lanciato un bacio in direzione di Nicholas.
«Se può consolarti..» Fissò Thomas. «Io e lui non siamo mai andati a letto insieme.» Il ragazzo sbiancò appena mandando giù il groppo, e Nicholas provò pietà per lui. E pietà anche per se stesso. Tornò a fissare l’artefice di tutto che continuava a sorridere divertito come se niente potesse scalfirlo, mosse un altro passo in avanti sollevando le maniche della camicia.
«Vuoi picchiarmi?» Christopher sembrava affascinato all’idea, si alzò andandogli incontro e quando il primo pugno sferzò l’aria diretto verso di se lo schivò con destrezza bloccandogli il braccio che strattonò con ferocia. Nicholas strinse i denti per non urlare di dolore.
«Adoro i ragazzi combattivi.» Thomas disse qualcosa ma nessuno dei due sembrava in grado di sentirlo, gli occhi e le orecchie, tutto il loro intero corpo, erano proiettati l’uno verso l’altro.
«Ti riduco in pezzetti talmente piccoli da farci un puzzle per veri esperti.» Mosse il ginocchio velocemente centrando l’addome di Christopher che si piegò con un mugugno e una risata soffocata.
«Sei così aggressivo anche a letto?» Sollevò il viso, gli occhi lucidi mentre fissava la mano dell’altro chiudersi a  pugno.
«RAGAZZI.» Nicholas si bloccò, Jeremy sulla soglia sembrava parecchio affannato. «C’è..» non riuscì a finire, un forte frastuono prima della comparsa di alcuni uomini in divisa: la polizia era lì.
 
 
L’anello di Christopher sbatté contro le sbarre, in un’unica cella vi erano richiusi lui, Nicholas, Thomas e Jeremy che continuava a borbottare imprecazioni in una lingua sconosciuta.
«Solitamente vado via prima, ma Karate Kid ha pensato bene di sfidarmi.» Fissò il biondino che chinò lo sguardo sulle proprie scarpe, non era il caso di sentirsi in colpa ma in qualche modo quell’essere immondo riusciva a farsi ragione laddove sembrava impossibile. Christopher prese posto sulla brandina, si stese mollemente su un fianco sollevandosi col gomito a fissare Nicholas seduto nel medesimo posto.
«Smettila di fissarmi, siamo qui per colpa tua.»
«Tecnicamente no. Nessuno vi ha obbligati a venire alla mia festa.» Non aveva tutti i torti.
«Ma per cortesia, hai spedito gli inviti proprio per vederci arrivare.» Thomas lo fissò rabbioso e Jeremy accanto a lui sorrise trionfante.
«Il fatto che facciate sempre ciò che mi aspetto, rende voi degli idioti e me un piccolo genio. A prescindere da ciò.. Pocahontas e Anna dai capelli rossi, potreste gentilmente tacere? L’emicrania mi uccide.
»
«Stammi bene a sentire, figlio della merda.» Jeremy attaccò senza mezzi termini sollevandosi su un ginocchio, ma Thomas lo bloccò scuotendo il capo.
«Hai del fegato Jason, lo devo ammettere.»
«Mi chiamo Jeremy.» Era così snervante e avvilente stare accanto a un essere simile.
«Vogliamo fare un gioco? Obbligo o verità?» Christopher sorrise insinuante, e Nicholas capì che aveva in mente un altro tranello.
«No.»
«Perché? Hai qualcosa da nascondere?» Lo fissò suadente, un bagliore pericoloso nelle iridi azzurre.
«Okay, iniziamo da te però.» Thomas salvò l’amico in calcio d’angolo, o forse pensava solo al suo tornaconto momentaneo. «Obbligo o verità Chris?» Il diminutivo infastidì Nicholas.
«In vino veritas. E io ne ho bevuto parecchio.» Sbadigliò annoiato fissando l’ex fidanzato senza alcun interesse particolare.
«Hai chiesto tu a Cooper di baciarmi, quella notte, in Inghilterra?» Jeremy cadde dalla sua posizione sbattendo il culo sul pavimento freddo.
«Hai baciato Rebecca?? Ma questa limona tutti tranne me?» Nicholas lo fissò sgomento, solo lui non sapeva che Evan portava lo stesso cognome e Thomas aveva scelto di proposito le parole giuste. Aveva quindi mentito quel pomeriggio? Non aveva mai parlato di nessun bacio con Evan.
«Non gliel’ho chiesto io, anzi a dirla tutta lo scopro in questo preciso istante.» Christopher inarcò un sopracciglio, non sembrava infastidito ed era evidente stesse dicendo la verità. Nicholas spalancò la bocca provando a dire qualcosa di intelligente ma fissando l’espressione attonita di Thomas non gli venne in mente nulla e quindi preferì tacere.
«Tocca a me?» Christopher sembrò nuovamente pieno di energie mentre fissava l’oggetto dei suoi desideri. «Obbligo o verità, Nicholas McClair?» Aveva un modo di dire quel nome da far rabbrividire il soggetto in questione. Nicholas restò in silenzio a pensare, temeva un suo possibile obbligo. E se gli avesse proposto qualcosa di assurdo? C’era Jeremy lì davanti, non poteva rischiare.
«Verità..» fu un sussurro strozzato e agonizzante.
«Dicci, mio bellissimo baccello, l’ultima persona con la quale hai dormito.» Il silenzio calò nella cella, il viso di Nicholas divenne bianco mentre sentiva il cappio stringersi al suo collo. I suoi occhi corsero a Thomas che lo fissava confuso, Jeremy invece fissava Christopher con un’espressione assurda.
«Ti sei bruciato una domanda inutilmente, idiota. Nicholas non ha mai fatto sesso.. credo.» Il rosso sembrò titubante solo all’ultimo, forse per salvare la dignità dell’amico ancora vergine.
«Ho detto ‘’dormire’’, non altro.» Christopher sorrise con innocenza e Nicholas sembrò avere un attacco d’asma.
«Io..» un rumore sordo li interruppe facendo sospirare insoddisfatto l’altro mentre il viso di Evan appariva da dietro le sbarre.
«Sei arrivato al momento sbagliato per tirarmi fuori.» Il ragazzo sorrise divertito.
«Non sono venuto a tirare fuori te, ma lui.» Indicò Thomas che dal canto suo sembrò il più sorpreso di tutti.
«Quante verità in questa notte stellata.» La voce musicale di Christopher si frappose al cigolio della cella aperta. Thomas uscì mostrandosi impacciato e diffidente, Evan gli indicò la porta salutando gli altri con un cenno della mano.
«Tuo padre ha detto che una notte in cella è proprio quello che ci vuole.» Furono le sue ultime parole per l’amico prima di andare via.
Jeremy fu il secondo a uscire, dentro l’angusto spazio non volava una mosca ma gli sguardi parlavano da soli. Quando andò via fissò un’ultima volta Nicholas con riluttanza, come se lo stesse abbandonando nella gabbia del leone affamato e digiuno.
«Devo dirti qualcosa, e spero sia l’ultima volta in cui avrò il dispiacere di parlarti.» Il tono di Nicholas apparve talmente risoluto da far spianare la fronte dell’altro che lo incitò a continuare senza dire nulla. «Sei una persona meschina, forse la tua vita è parecchio triste, vuota e arida ed è per questo che la riempi del dolore altrui. Provi piacere a umiliare gli altri, a manipolarli.» Gli occhi di Christopher divennero taglienti come rasoi, l’azzurro incupito tanto da apparire grigio.
«Fossi in te mi fermerei, sento che stai scivolando in terreni a te sconosciuti.» Un solo avvertimento che però non venne ascoltato.
«Hai avuto tutto dalla vita, hai la fortuna di poter mostrare chi sei e ciò che vuoi senza rimpianti, e per questo ti senti in diritto di prevaricare chi come me è insicuro e impaurito. Probabilmente non sai cosa voglia dire lottare per l’approvazione di tua madre.»
«DEVI STARE ZITTO, NICHOLAS.» Da che ne avesse memoria era la prima volta che lo sentiva urlare, lo guardò e vide il fuoco nei suoi occhi. Non era più steso ma seduto, i muscoli in tensione sotto la camicia bianca e linda adesso sbottonata.
«Perché? Fa male? Beh, notizia del giorno Christopher Underwood, anche tu ferisci la gente.» Strinse i pugni sentendosi tremare.
«McClair, puoi uscire.» La guardia fece tintinnare le chiavi.
«Non voglio più rivederti,  stai lontano da me e dai miei amici. Le nostre vite si separano qui.»
«Forse hai fatto male i tuoi calcoli, come sempre mio piccolo fiore.» Christopher adesso rideva. Una risata che faceva accapponare la pelle. La cella si aprì.
«Stammi lontano.» La voce piena di tensione, le spalle rigide si voltarono verso l’uscita.
«Vorrei.» Il tono uscì carico di menzogna, quasi lamentoso. «Ma forse accontentarti sarà difficile.» Nicholas aggrottò la fronte fissandolo, era un altro dei suoi sporchi giochini ne era sicuro.
«Vuoi stare qui tutta la notte? Lo dico a tua madre se vuoi.» Il tono acido della guardia spezzò quel momento. Si voltò definitivamente lasciando in quella cella l’eco delle sue accuse e un Christopher adesso solo.
 
Rovistò nella tasca estraendo le cuffie che inserì al cellulare iniziando a sfogliare tra le canzoni che ormai riempivano la memoria. Steso su quella brandina sentiva come se il mondo non esistesse, come se tutto fosse imploso e lui fosse l’unico superstite. Lui e la sentinella maleodorante.
«Dovrò farmi un bagno con l’acqua santa una volta uscito da qui.» Parlò a voce abbastanza alta da essere udito..
«Attento, a contatto col tuo corpo potrebbe divenire incandescente come acido.» Aveva perso il conto della gente che lo paragonava a Satana. Non che gli importasse davvero, per lui era essenziale un’unica opinione. Quella che cercava e ricercava con insistenza in quell’appartamento che ormai non era più suo. Chiuse gli occhi rivedendosi bambino, quella mattina pioveva ma lui si rifiutava di starsene in casa a giocare in maniera noiosa, forse se non fosse uscito quel giorno.. Due grossi fanali apparirono nel buio facendogli spalancare gli occhi, era sudato e probabilmente si era addormentato senza rendersene conto. Al cellulare le ultime note di ‘’Renegades’’.
 
«it’s our time to make a move
it’s our time to make amends
it’s our time to break the rules
let’s begin…»
 
Le parole di Nicholas nella sua mente si mischiarono a quelle della canzone.
 
 

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Capitolo 6
*** Cake by the ocean ***



 
Le pupille tremarono appena nello sforzo di memorizzare nozioni utili, ma l’espressione tormentata e rabbiosa di Christopher continuava ad insinuarsi nella propria mente impedendo il normale atto di memorizzazione. Era passata circa una settimana dalla notte in prigione, e l’altro sembrava averlo preso in parola non rivolgendogli più un solo cenno. Quel pensiero lo disturbò, una punta di disagio fece formicolare la sua pelle. Amanda lo aveva messo in punizione per qualche giorno, e alla fine aveva ricevuto uno sconto di ‘’pena’’ visto che si parlava di un primo reato. Nonostante fosse un’oncologa le piaceva parecchio usare termini giuridici per trattare col figlio che non mancava mai di uscirne esasperato.
«Credo che studiare con il libro capovolto non sia molto comodo.» La voce di Thomas adesso seduto accanto a se lo fece sobbalzare, fissò il libro notando in effetti le parole al contrario e sospirò stizzito.
«Sento che la mia media subirà un calo mondiale, mia madre mi arrostirà e mangerà per cena.» Rabbrividì raddrizzando il grosso tomo.
«Diciamo che in questo periodo tutti noi abbiamo lasciato vagamente da parte il problema ‘’college’’.» Si fissarono con serietà, sapevano bene cosa li avesse distratti. O meglio chi.
«Beh, pure se accantonato resta ugualmente il più grosso problema da affrontare.» Nicholas corrucciò la fronte sbuffando, la sua media era molto alta, puntava a grosse università ma in quel periodo sembrava aver accantonato ogni sogno trascinato in quel vortice morboso e pazzo di Christopher.
«Ci sarebbe un altro problema.» Thomas lo fissò in tralice. «Cinese o Italiano?»
«Nel senso.. quale preferisco?» Gli occhi verdi dell’altro si illuminarono di divertimento.
«Ti sto chiedendo di uscire.» Nicholas era certo di non aver sentito bene, ma a giudicare dall’espressione altrui non vi erano possibili segnali equivoci. Un appuntamento. Un vero appuntamento. Si leccò le labbra improvvisamente secche, le dita contratte accarezzarono la copertina del libro mentre una lieve punta di euforia lo portò a sorridere stupefatto.
«Fortuna che trovate ragioni per sorridere. Dopo che verremo spediti ad Alcatraz dai nostri vecchi per aver fallito l’esame, voglio proprio vedere quanto riderete.» Jeremy si sedette con un tonfo sordo rompendo quella bolla nella quale i due sembravano chiusi. Nicholas si schiarì la voce sentendosi vagamente in colpa, solitamente era lui ad aiutare loro nello studio, ma con tutto quel materiale arretrato dubitava stavolta di poterci riuscire.
«Beh, dovremmo rinunciare alla nostra vita per due settimane, studiando sodo.» Lo sguardo del migliore amico si riempì di pietà.
«Peccato l’esame sia tra dieci giorni, genio.» Un silenzio imbarazzante calò nel tavolo, il sole sembrava essersi improvvisamente ghiacciato e Nicholas aveva come l’impressione che sopra di loro si fosse accesa una luce con su scritto: FOTTUTI.
«I bambini speciali hanno un gran bel problema.» La voce melodiosa di Rebecca spezzò quel tragico momento riempiendo l’aria di tensione, si accomodò al tavolo senza essere invitata afferrando il libro pesante e adesso chiuso. «Suppongo siamo tutti nella stessa tragica situazione.»
«Rebecca, che diavolo ci fai qui?» Thomas la fissò in cagnesco.
«Mi state simpatici, lo dico davvero. Dovremmo essere tutti amici.» Il suo tono infantile era impossibile da disprezzare, aveva dalla sua quel candore in netto contrasto con gli abiti succinti e la bellezza sensuale.
«Personalmente io diverrei un tuo amico ..intimo.» Jeremy la fissò adorante e Nicholas pensò che di lì a poco avrebbe sbavato. «Ma hai due pessimi amici, il tuo curriculum è orrendo.» L’ormone non aveva vinto quindi? Menomale.
«Con uno ho condiviso la pancia per nove mesi, sai liberarsene è un po’..» Rebecca arricciò con divertimento il naso, quindi lei e Evan erano gemelli? «Mentre con l’altro.. beh, lui vi salverebbe il culo in una situazione simile.» Sei paia d’occhi la fissarono increduli.
«Parlate come sempre alle mie spalle, è così fastidioso.» Nicholas trasalì al suono di quella voce, la cadenza annoiata non era cambiata di una virgola. Lo fissò sedersi accanto all’amica, accavallando le gambe con un sospiro. Rebecca gli avvolse le braccia attorno al collo e Nicholas provò una fitta allo stomaco a cui preferì non dare una definizione precisa.
«Nessuno ti ha chiamato a questo tavolo, lo dico a titolo informativo.» Jeremy lo fissò astioso.
«Sbagli come sempre Joshua, non che sia una novità.» I suoi occhi annoiati si soffermarono appena su di lui per poi spostarsi sull’amica d’infanzia.
«Qualcuno potrebbe farmi un cazzo di cartellino col mio nome inciso? Lo appendo alla maglia.» Rebecca rise guardando Jeremy che sembrò improvvisamente impappinarsi.
«L'ho pregato io di venire. Chris riuscirebbe a farvi passare l’esame, anzi è probabile che arriverà primo nella lista dei migliori studenti.» Il gruppo si ammutolì, Nicholas fissava il soggetto di quelle lodi incredulo.
«Lui arriva primo coi soldi, non penso pagherebbe tangenti anche per noi.» Thomas diede una gomitata a Jeremy che incassò con uno strillo non molto virile, era evidente la cosa non gli fosse nuova.
«Mio padre usa i suoi soldi solo quando mi espellono, il che succede molto spesso.» Christopher sporse appena le labbra e Nicholas si ritrovò a fissargliele con insistenza per poi riscuotersi.
«Nicholas è uno dei migliori studenti della scuola.» A quelle parole del migliore amico il ragazzo si schermì provando a minimizzare.
«Non sarà mai ai suoi livelli.» Rebecca lo disse con tono sicuro, per niente cattivo, come se fosse un dato di fatto. «Chris ha un QI pari a 180.» Stavolta il silenzio oltre che pesante trasudava sgomento da ogni parola non pronunciata.
«Adoro lasciare questi biscottini senza parole.» Un sorriso arcigno gli curvò le labbra, l’unico a non essere stupito sembrava Thomas.
«Pensate che alla St.Jules accetterebbero mazzette abbassando così la loro media? Da lì escono solo piccoli prodigi, ecco perché Rebecca è qui.» La ragazza lo fissò con malcelato disprezzo.
«Dovresti scopare un po’ di più Reed, è evidente la tua frustrazione.» Christopher rise compiaciuto come se fosse d’accordo.
«Magari qualcuno al tavolo provvederà presto.» I suoi occhi sprezzanti si poggiarono su Nicholas che sbiancò.
«Rebecca non dirmi che dopo Nicholas vuoi provarci con Thomas.» Fortuna che Jeremy non capiva mai un cazzo stemperando la tensione. La ragazza si sporse verso di lui.
«E se volessi provarci con te?»
«Per l’amor di Dio.» Christopher e il suo tono sprezzante fecero ridere gli altri, tranne il rosso che sedeva imbarazzato.
«Quindi? Accettate l’aiuto? Un po’ come un Calumet della pace.»
«Non abbiamo comunque niente da perdere.» Nicholas sembrò titubante mentre cercava l’approvazione degli altri. «Ammesso non voglia qualcosa in cambio, sapete Christopher ha un futuro come strozzino.» Lo fissò sprezzante ricevendo in cambio un sorriso di pura innocenza.
«Potrebbe non interessarmi più ciò che mi daresti.» Quelle parole furono peggio di uno schiaffo mentre lo fissava alzarsi e andar via, silenzioso e austero con quell’assurda camminata così singolare e solo sua. Cos’aveva voluto dire? Le parole in cella erano quindi andate a segno? Doveva esserne felice, eppure la sensazione di disagio non fece che aumentare mentre lo vedeva sparire all’interno di una limo nera.
 
 
‘’Cake by the ocean’’ riempiva di allegria il grande negozio, Scott fissò il figlio intento a provare una giacca dalla strana fantasia floreale a suo dire ‘’eccessiva’’.
«La comprerai seriamente?» I loro occhi si incrociarono allo specchio e il più piccolo tra i due sorrise divertito.
«Sai che amo l’eccentricità.»
«Fa comunque schifo, e inoltre siamo qui per me.» Si indicò sottolineando le ultime parole, il figlio tendeva spesso a dimenticare i motivi salienti delle situazioni. Christopher roteò gli occhi con fare annoiato annuendo appena, afferrando una giacca blu scuro che passò al padre.
«Provala.» Si sedette su una delle comode poltrone ignorando lo sguardo adorante di una commessa troppo in là con gli anni, e col peso, per poter essere presa in considerazione da un diciassettenne con l’ormone troppo vivo.
«Beh? Come mi sta?» Scott aveva dalla sua un fisico slanciato e delle spalle larghe, il figlio aveva preso da lui ecco perché non avevano grossissimi problemi nel vestire.
«Farai un figurone, d’altra parte la mia consulenza è stata decisiva.» Christopher e la modestia, due rette parallele destinate a non incrociarsi mai.
«Dovresti fare anche tu un figurone, sei mio figlio sai e come tale non puoi esimerti.» Sembrava lievemente nervoso, come se temesse chissà quale disgrazia.
«Sarò impeccabile paparino, te lo prometto. Hai già deciso quando?» Si fissò le unghie con la fronte aggrottata.
«Domenica, quindi tieniti libero.» Un bagliore arcigno sfrecciò lungo le iridi chiare mentre un lento sorriso curvava un solo angolo delle labbra.
«Credimi, non mi perderei questa cena per nulla al mondo.»
 
 
Decisero di iniziare quella sorta di ‘’doposcuola’’ a casa di Rebecca, si ritrovarono tutti lì il pomeriggio successivo con un Evan che li fissava perplesso sulla soglia dell’appartamento.
«Perché gli sfigati sono qui?» Richiamò l’attenzione della sorella che lo spinse senza troppe cerimonie facendo passare l’allegro gruppetto, che inutile da dire si sperticò in occhiate torve al ragazzo.
«Abbiamo indetto una sessione studio, e tu parteciperai.» La ragazza fissò il gemello con fare trionfante.
«Perché dovrei?»
«Perché lo dico io.» La voce di Christopher si frappose alla scaramuccia familiare, uscì da una stanza lungo il corridoio, i capelli lievemente scompigliati e l’aria assonnata. Nicholas si chiese con chi dei due gemelli avesse dormito, magari con entrambi? Eppure Rebecca era stata chiara quella notte giurando di non aver mai fatto sesso con lui. Scacciò quei pensieri dandosi dell’idiota, perché doveva rimuginare su cose simili? Aveva in vista un sensazionale appuntamento con Thomas, era a quello che doveva pensare.
Evan fissò Thomas con occhi severi e l’altro schivò lo sguardo superandolo con un borbottio sommesso che somigliava ad un saluto, probabilmente era ancora scioccato dalla rivelazione di Christopher su quel famoso ‘’bacio’’.
«Andiamo in camera di Evan, è la più spaziosa.» Il diretto interessato fissò la ragazza con espressione confusa.
«Anche la tua è spaziosa, più della mia.» Rebecca sospirò.
«Si ma io odio il caos.» Scrollò le spalle con indolenza e per un secondo Nicholas rivide in lei Christopher. Era proprio vero il detto: chi va con lo zoppo, impara a zoppicare.  O giù di lì. Camera di Evan era grande, parecchio spaziosa e sui toni dell’arancio e dell’ocra in un mix quasi perfetto. I ragazzi fissarono l’ambiente con interesse, possedeva una grande libreria piena di tomi, per lo più medici. Jeremy ne prese uno sollevandolo.
«Vuoi diventare medico?»
«No, cuoco.» La voce di Christopher suonò ironica mentre sottolineava un’ovvietà.
«Potresti mollarmi?» Jeremy lo fissò stizzito riponendo il grosso tomo al proprio posto.
«Jason dovresti mitigare il tuo pessimo carattere.»
«Ma uno con un QI da 180 è normale che sbagli i nomi?» La domanda appariva più sensata di quanto sembrasse a primo impatto.
«Incamero solo informazioni utili, i nomi della plebaglia non lo sono.» Il suo candore in netto contrasto con la maleducazione delle parole fecero pensare a Jeremy di aver capito male. Nicholas sospirò prendendo posto sul tappeto seguito a ruota da Thomas che gli si mise accanto come a voler scongiurare un possibile avvicinamento molesto. Christopher li fissò in maniera scocciata.
«Tu, vieni qui.» Indicò Nicholas e poi una sedia accanto a Evan già seduto.
«Perché deve star lì?»
«Perché sa molte più cose di voi, quindi aiuterà me e Chris a spiegarvele, e studierà anche per conto suo non possiamo rallentarci per aiutare gli inetti.» Nicholas non aveva mai prestato molta attenzione a Evan, ma adesso che lo aveva accanto non fissarlo era impossibile. I capelli talmente neri da avere riflessi quasi blu. La voce sempre bassa e pacata e gli occhi nocciola magnetici persino attraverso le lenti, somigliava molto alla sorella e aveva fascino da vendere.
«Ti ricordo che sono bravo anch’io.» Thomas gli scoccò un’occhiata risentita.
«Hai ragione, ma Chris non ti vuole accanto dice che il suo insegnante di yoga gli ha consigliato di evitare energie negative.» Gli occhi verdi incontrarono quelli azzurri dell’ex fidanzato che sorrise seraficamente.
«Dovresti trasferirti in Cambogia quindi, a NYC sei braccato.» La voce di Jeremy suonò squillante, Rebecca gli si sedette accanto ridendo divertita.
«Iniziamo?» Evan fissò il gruppo annoiato e infine Christopher che acconsentì.
Nicholas ebbe modo di vedere un lato nascosto del ragazzo, quella che pensava sarebbe stata una lezione inutile si rivelò invece più proficua del normale. Aveva un modo chiaro e limpido di spiegare le cose, arrivando a far comprendere nozioni che persino i professori rendevano complesse. Tre ore dopo il sole era ormai calato, il tempo aveva corso senza che nessuno se ne rendesse conto. Rebecca sbadigliò.
«Direi che altre tre lezioni simili e avremo la vittoria in tasca.» Persino Thomas si ritrovò ad annuire controvoglia.
«Allora ci rivediamo sabato, a casa mia.» Stavolta fu Christopher a parlare alzandosi dalla sedia, Nicholas lo seguì con lo sguardo osservandolo , indossava il sotto di una tuta rosso scuro e un maglione nero a collo alto, un mix che su di lui dava un effetto impeccabile, come ogni cosa del resto.
«Adesso miei adorabili baccelli, io andrei.» Sorrise sterile ai presenti facendo un cenno a Evan che annuì appena, per poi uscire dalla camera. I piedi di Nicholas si mossero da soli, sentì su di se lo sguardo di Thomas che ignorò mentre seguiva il ragazzo bloccandolo appena prima che aprisse la porta d’ingresso.
«Aspetta.» Sentiva il fiato uscire a fatica nonostante non avesse corso. Christopher fissò la mano sul proprio braccio che si ritrasse di scatto.
«Dimmi?» Sembrava incuriosito, gli occhi calmi, la rabbia di quella notte un ricordo lontano e nebuloso.
«Credo di aver detto qualcosa di totalmente sbagliato, e fuori luogo, quella notte in cella. Non so nulla della tua famiglia.» Nicholas si bloccò come se cercasse le parole adatte. «Ecco, credo che avrei dovuto mantenere fuori dalla nostra discussione tua madre.» Christopher lo fisso intensamente.
«Non credo a mia madre sarebbe dispiaciuto poi molto.» ‘’Sarebbe’’? Era come se parlasse di qualcuno che non c’era più e Nicholas si sentì ancora più mortificato.
«Non lo sapevo, sul serio. Posso capirti..» Gli occhi azzurri di Christopher ebbero un bagliore sinistro.
«Puoi capirmi sul serio?» Si avvicinò appena e l’altro retrocedette quasi automaticamente.
«Certo..» Poteva? In fondo aveva perso suo padre, supponeva che non fosse così differente.
«Frequentare Thomas è un grosso sbaglio, non gli interessi davvero.» Quel brusco cambio d’argomento lasciò interdetto il biondino.
«E tu che diavolo ne sai?» La rabbia tornò a prendere possesso del suo corpo.
«Raramente sbaglio, ma non credo tu voglia saperlo davvero. Sei troppo occupato a cercare qualcuno che rimpiazzi me.» Sorrise sicuro di se, era così fastidioso.
«Rimpiazzare te? Perché mai? Dovresti smussare il tuo egocentrismo.» Si pentì delle scuse fatte poco prima, come aveva potuto pensare che qualcuno riuscisse a cambiare dall’oggi al domani?
«Ci vediamo Venerdì.» Christopher lo fissò un’ultima volta mollandolo infine sulla soglia, sparendo oltre le porte dell’ascensore. Mentre queste si chiudevano i loro occhi si cercarono incatenandosi per pochi secondi che bastarono a scombussolare Nicholas.
 
 
Maria aprì la porta osservando il gruppetto che la fissava. Riconobbe Nicholas che però chinò lo sguardo terrorizzato dall’idea che dicesse qualcosa di fronte agli altri. Evan e Rebecca la salutarono con confidenza, era evidente si recassero spesso lì.
«Il signorino è nella sua camera.» La donna sorrise indicando loro una porta in fondo.
«Signorino?» Jeremy sillabò quella parola fissando Thomas e Nicholas che abbozzarono un sorriso divertito. La camera immensa era piena di scatoloni.
«Stai emigrando in Cambogia come ti ho consigliato?» Jeremy fissò Christopher sorridente.
«Oh salve Juan, a dirla tutta emigro al piano di sopra.» La smorfia del rosso stavolta non sparì neppure quando Rebecca lo fissò divertita.
«Perché?» Fu Evan stavolta a prendere parola mentre sedeva sul grande letto come se fosse il proprio. Christopher fissò Nicholas di sfuggita tornando poi con gli occhi sul proprio libro.
«Lo sai che mi piace cambiare, è da un po’ che penso alla camera al piano di sopra. Molto più grande, questa inizia a soffocarmi.» I ragazzi fissarono l’ambiente immenso attorno a loro, quella era già eccessivamente grande. La camera era arredata mischiando parecchi stili, dal vintage all’etnico fusi insieme. Eccentrica come il suo proprietario.
La lezione iniziò pochi minuti dopo, tra gli spuntini di Maria-Miriana-Berta che entrava ogni ora per rifocillare gli ospiti. Alla fine si levò un grosso sospiro da parte di quasi tutti i ragazzi.
«Avete dubbi?» Christopher fissò uno per uno le facce di quelli che volente o nolente sembravano diventati la cosa più simile a degli ‘’amici’’, anche se conoscenti era decisamente un appellativo migliore.
«Francamente si, io ne ho uno.» Jeremy prese parola fissando gli altri.
«Dimmi pure Rosso Malpelo.» Christopher mosse con eleganza la mano invogliandolo a parlare.
«La tizia che lavora per te.. Come cazzo si chiama quindi?» Nicholas proruppe in una risata disperata che non riuscì a contenere seguito a ruota da Rebecca e Thomas e persino da Evan che si voltò verso il terrazzo. Christopher sospirò con una smorfia.
 
 
 
Amanda si muoveva nervosa dal bagno alla propria camera, l’anello con il diamante incastonato spiccava al suo anulare rendendole la mano persino più affusolata di quanto già non fosse. Nicholas riusciva a sentire l’ansia e l’aspettativa della madre persino dalla sua camera, indossò dei pantaloni blu dal taglio casual e una camicia bianca che chiuse quasi del tutto, fissandosi allo specchio. Era incredibile quante cose fossero cambiate in quegli ultimi mesi, da quando aveva parlato alla madre di fronte la tomba del padre le cose sembravano essere scivolate via precipitosamente. E adesso Amanda era una futura sposa radiosa mentre si preparava per la primissima cena che avrebbe fatto finalmente conoscere il figlio col futuro marito, nonché fidanzato da tempo.
«Sei pronto?» La donna fece capolino dalla porta mettendo fretta al ragazzo che già di suo aveva ereditato le nevrosi della propria genitrice.
«Mamma smettila di mettermi pressione.» La gratificò con un’occhiata truce mentre sistemava i polsini della camicia.
«Beh farai meglio a muoverti perché l’auto è già qui sotto.» Ecco, una cosa positiva di quell’unione era che a quanto sembrava la madre aveva trovato un uomo facoltoso, niente meno che il proprietario del Lennox Hospital, da non credere. Nicholas respirò profondamente per poi raggiungere Amanda all’ingresso uscendo finalmente incontro alla berlina nera che li aspettava da dieci minuti abbondanti.
Le strade di Manhattan erano caotiche come sempre, Nicholas fissava fuori il finestrino passando in rassegna i giorni appena finiti di quella pazza settimana, le lezioni si stavano rivelando utili e Christopher aveva mostrato un lato di se che nessuno pensava possedesse. Eppure lui vedeva il fuoco che covava e ribolliva sotto quello strato di pelle, dietro quelle iridi azzurro ghiaccio. Restava ugualmente il solito manipolatore senza sentimenti.
«Come hai detto che si chiama? Sai com’è non vorrei esordire con un ‘’Ehilà Richard’’, dovrei optare per un classico ‘’ehilà vecchio mio?’’.» Amanda lo incenerì con un’occhiataccia che non riuscì però a camuffare il divertimento.
«Te l’ho già detto, si chiama Scott. Scott Uderwood per la precisione.» Nicholas sbiancò iniziando a tremare vistosamente mentre l’auto si fermava nei pressi di un famoso albergo.
«Non credo di aver capito. Il tuo capo si chiama Underwood?» La madre scese dall’auto e lui restò immobile sotto lo sguardo scocciato dell’autista.
«Ma ti muovi?» La voce della donna lo riscosse dal torpore, scese sentendo le gambe anchilosate e la testa improvvisamente pensante. Gli sovvenne un ricordo, era in ospedale a togliersi il gesso e Christopher era sbucato dal piano di sopra senza apparente ragione. Aveva chiesto alla madre che reparti ci fossero: «All’ultimo ci sono gli uffici dei dirigenti, del direttore e di alcuni azionisti.»
«Nicholas ti senti bene?» A dirla tutta no, e avrebbe anche voluto dirglielo se ormai non fosse stato troppo tardi. Il tavolo riservato a loro oscillò sotto i suoi occhi, stava per perdere i sensi lì? «Oh, ecco Scott e suo figlio Chrisopher.» Quel nome fu una coltellata in pieno petto mentre sollevava gli occhi in tempo per vedere un uomo affascinante venirgli incontro, indossava una giacca blu che non celava le spalle larghe e la sua somiglianza col ragazzo dietro era quasi nauseante.
«Fratellino.» La voce suadente e appena udibile del ragazzo lo costrinse ad aggrapparsi allo schienale della sedia. 
«Scott lui è mio figlio Nicholas. Nicholas lui è Scott.» L’uomo sorrise porgendogli la mano, il suo corpo sembrava quello di un automa fuori controllo. Si vide stringergliela ma non ne sentì il tocco troppo preso a fissare Christopher, vestito con un completo bianco d’alta sartoria che per contrasto lo faceva apparire ancora più dannato del solito.
«Credo voi due vi conosciate già, andate nello stesso liceo.» Amanda emise un gemito di sorpresa.
«Sul serio? Non ne avevo idea, ma è fantastico!» Fantastico? Nicholas avrebbe voluto dire alla madre che non lo era per niente, invece sorrise senza troppa enfasi prendendo posto accanto ad Amanda e di fronte a Christopher che dal canto suo sembrava a proprio agio. Lo aveva sempre saputo? Era per questo che si era avvicinato? Ma quale mente malata poteva pensare di sedurre il proprio fratellastro? Dio santissimo, quel matrimonio non poteva avvenire, doveva salvare sua madre. Sollevò il capo di scatto.
«Io..» non riuscì a finire, la voce di Christopher prevaricò la sua.
«Io e Nicholas dovremmo discutere di qualcosa, abbiamo un gruppo studio della quale ci occupiamo.» Nicholas lo fissò rabbioso mentre Amanda e Scott sembravano entusiasti della fantastica coincidenza. I loro occhi azzurri così diversi si soppesarono, Christopher fu il primo ad alzarsi seguito a ruota da Nicholas che si preparò alla guerra. Non ci sarebbe stato alcun matrimonio. Né adesso né mai.
 
«Ti consiglio di cenare e sorridere amabilmente, ‘’fratellino’’.» L’aria fredda della sera sferzò i capelli chiari di Nicholas.
«Io andrò lì dentro e dirò tutto a mia madre. Le dirò ciò che hai fatto, le dirò come mi tormenti e quanto tu sia folle.» La voce rabbiosa non sembrò scuotere Christopher immobile contro un pilastro in marmo del terrazzino. Le mani in tasca, gli occhi sereni.
«Non credo lo farai.» Sembrava sicuro di se. Forse troppo e questo avrebbe dovuto allarmare l’altro che però era soffocato da ansia e rabbia.
«Quale padre può crescere un mostro simile? Volevi sedurmi sapendo..» non riuscì a finire, Christopher si mosse appena.
«Non parlare di mio padre come se lo conoscessi. O mi toccherà ricambiare la cortesia.» Si soppesarono adesso nervosi. «Quale madre opprime così tanto il figlio da non lasciargli possibilità di scelta su ciò che ama e vuole?» Nicholas si irrigidì, sua madre non era così. Si rese conto che l’altro lo stava battendo al suo stesso gioco, probabilmente aveva commesso ancora una volta l’errore di mettere in mezzo i genitori nei loro scontri. Ma in quel momento erano proprio loro il fulcro principale.
«Da quanto lo sai?» Parlò a denti stretti, il viso livido.
«Non molto, che tu ci creda o no. Ho iniziato a sospettare da quando mio padre mi ha costretto a frequentare il tuo liceo rifiutandosi di pagare per farmi riammettere alla St.Jules. Ho fatto due più due, a differenza tua io osservo, chiedo e vedo.» Quella fu una frecciatina che Nicholas dovette incassare con profonda vergogna, se solo si fosse interessato un po’ di più alla relazione di sua madre questa gli avrebbe detto con chi si vedeva, e invece aveva pensato solo a se stesso e alla memoria del padre.
«Adesso io andrò dentro, anzi andremo entrambi, e diremo che non siamo d’accordo.» La risata dell’altro accolse quelle parole.
«Perché dovrei?»
«Perché dirò altrimenti a tuo padre del modo in cui ti diverti a giocare con le vite altrui.» Christopher lo soppesò con un sorrisino, la mano uscì dalla tasca tenendo il cellulare che iniziò a maneggiare.
«Vedi mia piccola stella, stasera ti insegnerò una lezione importante.» Fermò le dita sollevando gli occhi su Nicholas. «Stai per entrare in un mondo oscuro, la gente potente non fa mai nulla senza avere spalle coperte. Considerala una lezione gratuita da parte del tuo nuovo fratello.» Sembrava godere nel dire quella parola. Girò il cellulare azionando un video e Nicholas osservò con orrore le riprese all’Insomnia la notte dell’appuntamento con Rebecca. Si vide baciare Christopher, non si era neppure reso conto che qualcuno li riprendesse. Quando fissò il viso bello e dannato dell’altro, capì di essere stato sconfitto.
Un giorno Scott avrebbe dovuto ringraziare il proprio figlio: gli aveva appena salvato il matrimonio.
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** War of hearts ***





 
«La mia Amanda!» Il tono lamentoso di Jeremy sembrava quello di un cucciolo appena colpito da un calcio. Thomas accanto a lui lo fissava divertito, se avesse prestato un po’ d’attenzione al resto avrebbe notato quanto Nicholas non sembrasse condividere come sempre la sua ironia.
«Com’è potuto succedere? Ma con chi poi?» Il punto era proprio questo, il rosso si sporse appena verso il migliore amico che aveva appena dato loro la notizia imminente delle nozze, senza però entrare nei dettagli. Non ancora almeno.
«Beh..» chiuse gli occhi rivivendo le immagini di quella cena assurda, dopo il colloquio sul terrazzo erano tornati dai genitori, Nicholas era riuscito a mandar giù i bocconi di cibo a forza, costringendoli a scendere lungo la gola con massicce dosi d’acqua e il risultato era stata una notte insonne a causa dell’ansia e delle passeggiate al cesso. Si sfregò la fronte notando con sgomento di non essere sudato, eppure sentiva la pelle ghiacciata e appiccicosa. «E’ un po’ complicato, ragazzi.» I loro occhi improvvisamente attenti, finalmente notavano il nervosismo dell’amico.
«Non gliel’hai detto?» Quella voce lo fece sobbalzare e imprecare a bassa voce, possibile che se lo ritrovasse tra i piedi sempre? Si girò scoccando un’occhiata inferocita a Christopher, scoprendo con sorpresa non fosse solo. Evan lo fissò senza apparente cordialità, il suo solito sguardo serio, per un secondo però vide una lieve traccia di divertimento increspare l’angolo delle sue labbra.
«Dirci cosa?» Jeremy fissò entrambi con sospetto, Thomas staccò a forza gli occhi da Evan per fissare anche lui Nicholas.
«I nostri genitori hanno deciso di convolare a nozze.» Era stato Christopher a precederlo, talmente velocemente da fargli pensare per un attimo di essere stato lui a parlare. Ignorò i visi sgomenti degli amici per tornare a fissare il suo tormentatore.
«Potresti smetterla di parlare in mia vece?» Gli si fece vicino incrociando le braccia al petto, l’altro sorrise arcigno inarcando un sopracciglio.
«Stavi lì da tre ore, ho pensato solo di farti un favore.» Indicò gli altri due che ancora non davano cenni di vita. Evan invece era tranquillo, probabilmente lo sapeva già e fu a lui che si rivolse Nicholas.
«Te lo ha detto?» Lo vide annuire appena.
«Si.. circa un mese fa.» La risata dei due infastidì Nicholas, desiderò prenderli a pugni.
«LA MIA AMANDA SPOSERA’ SUO PADRE? TI PREGO DIMMI CHE NON E’ UN SATANISTA COME IL FIGLIO.» Jeremy sbatté le mani sul tavolo, alcuni clienti della gelateria li fissarono, Christopher sbuffò seccamente.
«John, credimi, mio padre è tutto ciò che una donna possa desiderare. Anzi, ti consiglio di prendere esempio da lui, potresti avere una possibilità con Rebecca.» La stoccata colpì appena il rosso che dal canto suo continuava a fissarlo con ostilità.
«Beh, non mi sembra che a te le sue lezioni siano servite molto.»
«Magari invece si.» E dicendolo guardò Nicholas che sviò abilmente lo sguardo sfregandosi gli occhi. «Ero venuto a dirti che che mio padre è da te, sta aiutando tua madre con gli scatoloni.. al posto tuo.» Il lieve tono d’accusa mortificò l’altro. Non stava facendo nulla per lei e lo sapeva, era probabile Amanda si sentisse ferita dalla sua distanza.
«Quali scatoloni?» Fu Thomas stavolta a parlare.
«Non gli hai detto neppure questo? Hai proprio un concetto astratto di amicizia.» Nicholas strinse i pugni fissandolo con rabbia.
«Non ti permettere.»
«Vivrà in casa mia, tra tre settimane avrà luogo il matrimonio. Ecco gli inviti.» Uscì due cartoncini eleganti finemente decorati poggiandoli sul tavolino, Jeremy riuscì solo a fissare Christopher bloccato alla prima parte della sua frase.
«Ossignore, vuol dire che quando verrò a trovare te ci sarà anche lui..»
«Non sei felice Jasmine?»
«MI CHIAMO JEREMY, FALLA FINITA.» Gli mostrò i denti con stizza ottenendo solo l’effetto di far ridere l’altro che fece un cenno silenzioso a Evan.
«Non siamo forse tutti ‘’amici’’? Rebecca lo pensa, continuate a farla sognare.» Fece a tutti e tre l’occhiolino per poi andar via, lasciando dietro di se tre visi sgomenti.
 
 
Amanda stava litigando con una valigia che non sembrava volersi chiudere, Nicholas la fissò rivedendola a quella cena. Christopher l’aveva conquistata, come faceva sempre del resto. Come poteva non vedere quanto diabolico fosse?
«Oh, sei qui?» Il tono appena aspro nonostante il sorriso.
«Hai bisogno d’aiuto?» Mosse un passo titubante, le braccia abbandonate lungo i fianchi si piegarono appena e le dita si strinsero tra loro.
«Se vuoi darmelo si, altrimenti lascia perdere.» Amanda non lo guardò tornando ad armeggiare con la cerniera.
«Mamma, mi dispiace, in questi giorni non sono stato molto presente.» Nicholas attaccò ma il viso della madre lo fece desistere.
«Presente? Nicholas io ho pensato ti fossi trasferito prima di me.» Il tono ironico ferì il figlio. «Pensavo avessi detto la verità sulla tomba di tuo padre, invece..» la voce venne meno, si alzò dal pavimento sedendosi su una sedia. «Adesso mi ritrovo con un trasloco che non so neppure se debba fare, mio figlio sembra detestare l’idea di vivere con l’uomo che amo, quindi esattamente come dovrei fingermi felice e spensierata mentre Scott mi porta a vagliare le varie sale per il matrimonio?» La mortificazione di Nicholas toccò vette mai viste prima.
«Mamma io non odio Scott..» ''al massimo odio suo figlio'', avrebbe voluto dire cosa che ovviamente non fece. Non era neppure sicuro fosse semplice odio il suo. «Vorrei solo.. insomma tu sei sicura siano brave persone? Prendi Christopher, beh posso assicurarti che lui non è un angelo.» Il tono divenne tagliente, la risata della madre lo lasciò sorpreso.
«E’ questo quindi? Hai avuto screzi con Chris? Beh, chi non li ha avuti?» Roteò gli occhi come se sapesse qualcosa, afferrando la tazza ancora piena di tè ormai tiepido.
«Pensavo ti piacesse..»
«E mi piace infatti.» Sorrise bevendo. «Mi piace come mi piacciono tutte le anime addolorate.» Nicholas smise per un secondo di respirare, era da sempre convinto che la madre fosse molto più empatica di lui, ma in quel momento temeva si sbagliasse. Quell’essere non sembrava conoscere pietà. Eppure lo rivide in prigione, i suoi occhi divennero vacui mentre si perdeva nei pensieri. «Mi piace, ma tu sei mio figlio è te che amo. Prima di tutto e tutti.» Quelle parole lo riportarono alla realtà strappandogli un sorriso.
«Sono stato un imbecille, vieni dai.. ti aiuto io con i bagagli. Questi Underwood non ne sono capaci, si vede.» Indicò una delle valigie, la cerniera per metà aperta, strappando una risatina alla madre che lo seguì di buona lena.
 
 
«Come to me
In the night hours
I will wait for you
And I can't sleep
'Cause thoughts devour
Thoughts of you consume»
 
La musica si abbassò improvvisamente costringendo Christopher a voltarsi, Evan poggiato allo stipite lo fissava.
«Ruelle?»
«Superba, non trovi?» Sollevò il calice di vino in un brindisi silenzioso osservando l’amico accomodarsi vicino al camino.
«Lo hai ricattato col video, vero?» L’ombra delle fiamme sembrò guizzare sul suo viso mentre sollevava lo sguardo inchiodandolo su Christopher.
«Era l’unico modo. Avrebbe solo creato problemi.» 
«Lo hai fatto per amore di tuo padre, o perché fremi dalla voglia di averlo intorno e torturarlo? La musica suonava in sottofondo dando un’aria solenne a quella conversazione.
«Torturarlo? Come siamo estremi.» Mosse in aria la mano con malcelato divertimento, sorseggiando il liquido rossastro. Gli occhi di Christopher vagarono per la grande sala, lui e Evan si conoscevano da talmente tanto tempo che quantificare quello ‘’senza’’ sarebbe stato decisamente più semplice.
«Con te bisogna esserlo.»
«Parli tu?» Il tono d’accusa e divertimento sembrarono raggelare Evan sulla poltrona.
«Io non tormento.»
«Oh beh, osservando il viso di Thomas sembra prossimo al suicidio. Che diamine stai facendo al pasticcino avariato?» Come se non lo sapesse poi. Evan sospirò.
«E’ un obbligo per me dirtelo?» Per la prima volta da che ne avesse memoria il silenzio tra loro sembrò innaturale.
«Pensi di fare ogni cosa per me con obbligo?» Il tono noncurante con cui lo disse fu peggio della rabbia, Christopher sapeva essere più pericoloso da calmo.
«Non ho detto questo.»
«Lo hai lasciato intendere.» Evan sbuffò allungando una mano verso di lui che strinse di lì a poco il calice ormai quasi finito. Lo bevve tutto.
«Sono nervoso per via del College, se non riesco a farcela..» non c’era bisogno di finire, suo nonno si aspettava grandi cose da lui.
«Evan sei l’unico ragazzo di mia conoscenza che pur avendo un QI normale riesce a fare cose grandiose.» Allargò le braccia con indolenza e l’altro sorrise. Era raro vederglielo fare, secondo Christopher uno spettacolo per pochi eletti, perché tutte le cose belle andavano viste solo dai meritevoli.
«In effetti lo sto un po’ tormentando.» Era evidente stesse tornando al discorso precedente, la loro amicizia era difficile da incrinare.
«Povero baccello, mi fa quasi tenerezza.» La fronte di Christopher si spianò, il suono della menzogna si spense insieme agli ultimi echi della canzone.
 
 
Maria li accolse con un sorriso e un inchino tutto per loro, a Nicholas sudavano le mani mentre si appoggiava stoicamente alla madre entrando nella loro nuova casa. L’ambiente attorno a se non era cambiato di una virgola, eppure adesso che in parte gli apparteneva, sembrava totalmente diverso. Ancora una volta osservò la scala in ferro, così elegante e bella.
«Siete qui finalmente!» Scott andò loro incontro con un sorriso, Nicholas non poteva dir nulla su quell’uomo, sembrava buono, generoso, spiritoso alle volte, eccessivamente diverso dal figlio. «Nicholas la tua stanza è di sopra, Christopher è già su, la sua stanza è di fronte la tua.» Quando le pessime notizie iniziavano a fioccare c’era poco che si potesse fare per fermarle. Respirò profondamente sorridendo il più sinceramente possibile afferrando la valigia che trascinò lungo le scale, rifiutando l’aiuto di Maria. Non si sarebbe fatto aiutare da una donna, neppure se questa veniva pagata, era avvilente e non intendeva cambiare il suo modo di vivere.
Il piano superiore era grande quanto quello inferiore, stanze su stanze che non aveva idea di cosa contenessero. Seguendo le istruzioni la sua camera era la seconda porta del corridoio, fu lì che si diresse con sicurezza girando la maniglia. Una risata lo bloccò sulla soglia, sollevò gli occhi e per poco la mascella non gli cadde al pavimento rumorosamente. Christopher sul letto, accanto a se (o avrebbe dovuto dire spalmata sopra il suo petto) una ragazza dai lunghi capelli biondi, inutile dire fossero nudi.
«E’ arrivato il mio fratellino, sei passato a salutarmi?» Nicholas provava fatica a controllare sguardi e parole, gli occhi sembravano incollati a quel letto. 
«A dirla tutta cercavo la mia camera.» Provò a darsi un contegno, sperando di riuscirci egregiamente.
«Se vuoi puoi unirti a noi.» Stavolta a parlare fu la ragazza, adesso seduta a seno scoperto.
«Impossibile, lui ha ..vedute diverse.» La voce di Christopher sembrava divertita.
«Tuo padre lo sa? Sa che hai ..ospiti in camera?» Calcò con astio la parola ‘’ospiti’’ occhieggiando la ragazza.
«Forse si, forse no. Chi lo sa?» Si alzò agilmente dal letto e Nicholas fissò il sedere sodo e perfetto in bella mostra con occhi spalancati prima che l’altro indossasse dei jeans e si voltasse.
«Vieni, ti faccio vedere la tua camera.» Piegò due dita con eleganza superandolo per poi uscire, fu solo dopo il secondo richiamo che riuscì a muoversi da lì lasciando in quel letto la ragazza che continuava a ridere di lui.
«Ti scopi le ragazze in casa?» Non riuscì a controllare il tono d’accusa.
«Sei geloso perché lei ha le tette e tu no?» Christopher lo fissò aprendo infine la porta di fronte la propria, Nicholas aveva sbagliato lato del corridoio.
«Ma fammi il piacere, sei disgustoso.» Poggiò la valigia sul pavimento e restò senza parole. La camera era arredata nei toni del blu, evidentemente qualcuno aveva detto a Scott fosse il suo colore preferito, sicuramente Amanda. Più grande della sua vecchia camera, faceva concorrenza ad un bivani in pratica. Una libreria prendeva tutta la parete di destra.
«Ti piace?» La voce di Christopher solleticò il suo collo, si ritrasse deglutendo.
«Molto.. ma non c’è l’armadio?» Ne seguì una risata divertita dell’altro che con sicurezza si mosse nella stanza indicando un pannello in vetro nella parete di fronte al letto, bussò due volte con le nocche.
«Cabina armadio. Anche se credo ti ci vorrà un po’ per riempirla. Anzi se mi facessi la cortesia di cedermene metà..»
«Scordatelo.» Il tono di Nicholas tagliente mentre provava a non fissare gli addominali dell’altro in tensione a causa della risata.
«Battibecchiamo già come dei fratellini, che cosa carina.» Incrociò le braccia al petto fissandolo con interesse.
«Personalmente sono figlio unico.» Sorrise sterile.
«Stasera c’è una festa in un locale, verrai?»
«Esco con Thomas, sai.. un appuntamento.» Si gratificò di quella piccola vittoria, sentendosi nettamente superiore almeno finché non vide gli occhi altrui restare statici e annoiati come sempre. 
«A voi due piace proprio complicarvi la vita, evidentemente le prese in giro vanno molto di moda.» Scrollò le spalle con indolenza superandolo per poi uscire, mollandolo lì da solo a chiedersi che diamine avesse voluto dire.
 
 
Il flipper suonava impazzito mentre Thomas provava a battere il nuovo record, Nicholas accanto a se beveva dell’acqua tonica incitando l’amico con urla e cori cosa che non servì poi molto quando la pallina d’acciaio si perse sul fondo dichiarando persa quella partita.
«Questi dannati flipper.» Gli diede un calcio senza troppa convinzione scoppiando poi a ridere. Erano riusciti finalmente ad avere il loro appuntamento, Nicholas era stato in tensione fino a quel momento con la paura che qualcosa andasse storto, che l’imbarazzo li rendesse rigidi e silenziosi. Invece sembrava procedere tutto in maniera perfetta, avevano cenato al fast-food, un giro nelle vie e poi in sala giochi. Tutto andava alla grande.
«Hai saputo anche tu della festa?» Thomas annuì portando le mani nelle tasche dei jeans scuri.
«Si, vuoi andarci?» Non sembrava infastidito, anzi, forse l’appuntamento lo aveva reso meno insicuro sull’altro?
«Se ti fa piacere vedere la faccia di Christopher.» Si fissarono in silenzio scoppiando a ridere all’unisono, di certo non era tra le loro vedute migliori.
Il grattacielo al centro di Manhattan sorgeva tra altri due palazzi che sembravano quasi oscurarlo, Nicholas col naso all’insù per fissarne la punta si chiedeva a chi appartenesse stavolta quel locale. Alcuni ragazzi uscirono barcollando da lì, e lui osservò la scritta al neon ‘’Krazy 8’s’’, sembrava un bel nome per iniziare una serata tranquilla e nel nome della sobrietà, come no.
«Forse dovremmo semplicemente cercare altro, sarà pieno di figli di papà.» Thomas rise a quelle parole voltandosi verso l’amico.
«Non lo sei diventato anche tu in teoria?» La battutina sortì l’effetto sperato vista l’irruenza con cui l’altro si voltò per fronteggiarlo.
«NO. Piantala di prendermi per il culo.» Lo indicò col dito e occhi taglienti, l’azzurro quasi rischiarato.
«Hai ragione, anche volendo tu non saresti come loro.» Occhieggiò il locale senza dire nello specifico a chi si riferisse anche se entrambi avevano una qualche idea. Improvvisamente Thomas colmò le distanze tra loro, una mano accarezzò il viso fresco di Nicholas che non si ritrasse.
«Noi siamo diversi.» Lo erano davvero? Non erano quindi bugiardi, meschini e manipolatori? Per un secondo mentre sentiva le labbra di Thomas sulle proprie non ne fu poi così sicuro. Fu questione di un attimo, il senso di colpa sparì mentre ricambiava quel bacio con sempre meno esitazione finché un applauso non fece sobbalzare entrambi che si staccarono ansimanti.
«Ma che scenetta a-d-o-r-a-b-i-l-e. Vero Evan?» Quella sera non portava stranamente gli occhiali, Thomas si irrigidì visibilmente fissando poi Christopher.
«Perché non ti cerchi un passatempo invece di tormentare noi?»
«Chi tormenta chi?» Le sue parole furono come lame sapientemente limate ed ebbero il potere di zittire l’ex fidanzato, Nicholas fissò tutti e tre con sgomento.
«Da quanto sei qui?»
«Beh..» Christopher sorrise. «Più o meno da quanto è qui lui.» Indicò qualcosa alle loro spalle, Nicholas non voleva girarsi sapeva cosa avrebbe visto e non poteva sopportarlo. Eppure il suo istinto masochistico obbedì invece a quel comando ritrovandosi faccia a faccia con un Jeremy attonito.
«Jeremy..» Entrambi gli amici mossero un passo verso di lui, ma quello retrocedette sollevando le mani. Non disse niente la sua espressione sprezzante parlava da se mentre voltava loro le spalle andando via. Nicholas si voltò furioso.
«SEI STATO TU. LO HAI CHIAMATO TU.» Si avventò su Christopher che con rapidità sollevò un piede calciandoglielo nell’addome con ferocia. Nicholas cadde e Thomas urlò frustrato correndo verso l’amico che però lo bloccò restando lì seduto, gli occhi infuocati solo per l’altro.
«E’ stata Rebecca a invitare Jeremy.» Era la prima volta che non sbagliava il suo nome, la voce sottile e tesa. «Ti avevo detto di venire ed evitare il tuo sciocco appuntamento.»
«Tu sei un…» Nicholas non riuscì a finire, si alzò quasi a fatica tenendosi lo stomaco appena dolente.
«Tu sei un ragazzino patetico.» Christopher sorrise completando per lui la frase. «Non lo capisci? Thomas ed Evan hanno scopato.» Il silenzio calò tra loro.
«GLIELO HAI DETTO?» Thomas si voltò rabbioso verso Evan che dal canto suo restò immobile.
«No.» Una semplice parola mentre Nicholas fissava i due incredulo.
«In effetti non me lo ha detto, ma c’ho beccato davvero a giudicare dalla tua reazione, biscottino.» Sorrise sprezzante voltandosi nuovamente verso il fratellastro. «Non lo capisci? Si scarta sempre ciò di cui si ha paura, e si cerca conforto tra le braccia sicure dell’amico. Quello che non ti fa provare magari brividi di piacere continui, ma neppure timore.» Evan a quel punto si incamminò rientrando verso il locale, Thomas sembrò volerlo raggiungere ma ci ripensò afferrando l’altro per un braccio. Tutti pensavano Christopher parlasse dell’amico e dell’ex, ma Nicholas sapeva si riferisse a lui.
«Senti..»
«Non toccarmi.» Si scrollò dalla sua presa ignorando la mortificazione che ne aveva prodotto.
«Queste piccole tragedie di vita sono molto meglio dei Martini Dry di Dimitri.» Christopher spianò la fronte mostrando l’espressione più sincera che aveva in repertorio.
Nicholas lo fissò con occhi spenti incamminandosi nella direzione opposta, il suo pensiero principale era Jeremy che aveva visto tutto. A seguire Thomas che lo aveva baciato, e poi sapere che si sentiva attratto da Evan. E tra tutti questi pensieri vi era il viso di Christopher a dominare dall’alto, bello come sempre, sfolgorante nella sua crudeltà. 

 

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Capitolo 8
*** Winter Sonata ***





 
I calici tintinnarono lievemente in un brindisi appena pronunciato, il cibo servito e ormai quasi finito sui piatti di fronte a quella che ad occhi esterni sembrava una famiglia agiata come tante. Scott e Amanda si sorridevano complici, ancora inebriati da quell’amore sbocciato e non appassito, Nicholas si chiese se avrebbe mai avuto la loro stessa fortuna. Era comunque sicuro che quel sentimento, se mai fosse nato, sarebbe stato riservato a qualcuno del proprio sesso, lo avrebbero giudicato tutti, indicato e bisbigliato alle sue spalle e probabilmente sarebbe avvizzito tra lacrime e dolore. Bevve avidamente l’acqua fissando da sopra il bordo un Christopher perfettamente a suo agio, lo vide sorseggiare il vino bianco in linea con le portate appena consumate. Si era mai innamorato lui? Riusciva soprattutto ad amare? Aveva forti dubbi in merito.
«Christopher è venuto a parlarmi oggi.» Scott interruppe il silenzio richiamando l’attenzione di tutti, specialmente quella di Nicholas che si mosse sulla sedia in evidente agitazione, con quel tipo doveva stare perennemente in guardia.
«Ebbene?» Fu la madre a prendere parola, fissando i due con curiosità.
«Beh, pensiamo che tornare alla St.Jules non sarebbe una cattiva idea.» Quindi Christopher si sarebbe trasferito? «E’ il migliore istituto della città, metterlo nel proprio curriculum scolastico agevola le entrate in università prestigiose.»
«Sono d’accordo, dovrebbe tornare lì.» Amanda sorrise annuendo appena.
«Si, ma non da solo.» Fu Christopher stavolta a parlare, sorrise per poi indicare il fratellastro. «Ci tornerò con lui. Ha una media abbastanza alta per entrare a occhi chiusi.» Il silenzio che ne derivò era più stupito che pesante.
«Non voglio cambiare liceo, ho i miei amici qui.» Nicholas fissò la madre parlando con veemenza, forse troppa.
«Quali amici?» La battuta crudele sui recenti avvenimenti mozzò il respiro dell’altro. «Non stai andando in guerra, puoi vederli quando vuoi, è del tuo futuro che parliamo.» Il tono del ragazzo così consapevole e maturo, nascondeva una punta di sadico divertimento. Una perenne partita a scacchi tra loro.
«Appunto, è il MIO futuro. Decido io.» I suoi occhi azzurri divennero freddi e taglienti, ma non sembrarono scalfire la corazza dell’altro ancora seduto tranquillamente. In fondo sapeva che amava contraddirlo per puro e semplice desiderio di sfida.
«Ne sei sicuro?» Le dita accarezzarono la tovaglia linda e color avorio spostandosi poi impercettibilmente al di sotto del tavolo. Quando le risollevò teneva in mano il proprio cellulare che poggiò accanto a se. Nicholas sbiancò, quello era un ricatto.
«Nicholas non sei obbligato, ovviamente.» Scott intervenne in suo aiuto, era così diverso dal figlio da far venire voglia di urlare dalla frustrazione. Strinse i pugni sulle cosce fissando Christopher con rabbia.
«Suppongo abbiate ragione, frequentare l’ultimo anno lì mi aiuterà.» Biascicò quelle parole a capo chino, il senso di bruciante sconfitta ostruiva la sua gola mentre fissava in tralice il cellulare maledetto, al suo interno quel video che lo rendeva un burattino nelle mani dell’altro. Doveva riprenderlo, a tutti i costi.
 
Osservò la sveglia sul comodino accanto a se, la mezzanotte era passata da quasi un’ora, ormai tutte le porte erano chiuse e le luci spente. In casa non volava una mosca, tutti coloro che vi abitavano immersi nei propri sogni mentre Nicholas era l’unico ad avere incubi da sveglio. Sin troppo sveglio. Scostò le coperte mettendosi a sedere, dalla tenda chiusa male filtrava la luce della luna, fissò il quadrato luminoso sul parquet con le pupille tremolanti, non poteva continuare così. Doveva cancellare quel video a tutti i costi e metter fine a quella scia di ricatti senza fine, oggi era la St.Jules e domani? Che altro avrebbe chiesto domani Christopher? Probabilmente la sua anima. Non lo aveva forse detto mesi prima all’Insomnia? Avrebbe finito col pretendere tutto di lui.
Il corridoio buio e silenzioso accolse i suoi passi silenziosi, in punta di piedi percorse pochi metri fino alla porta chiusa dell’altro, la mano tremò appena poggiandosi alla maniglia, esitò un attimo chiudendo gli occhi per poi respirare profondamente. I suoi occhi si abituarono presto alla penombra, osservò la sagoma stesa sul letto, vedeva il suo petto abbassarsi e alzarsi ad ogni respiro, era nudo? Un lieve movimento, le coperte si scostarono appena rivelando dei pantaloni a coprirlo appena sotto l’ombelico, menomale. Nicholas cercò di respirare il meno possibile, in punta di piedi simile ad un ballerino sgraziato percorse i dieci passi che lo separavano dal letto, e quindi dal comodino nella quale giaceva quel dannatissimo telefono. Allungò una mano con circospezione bloccandosi un secondo a fissare il fratellastro dormiente, non riusciva a vedere bene il suo viso, le ombre giocavano dispettose alterandone i lineamenti. Scosse il capo scacciando via la confusione momentanea, era ad un passo dalla vittoria il cuore sembrava esplodergli nel petto, le dita si chiusero sul cellulare sollevandolo piano, sarebbe uscito di lì avrebbe cancellato il video e poi lo avrebbe rimesso al suo posto. I piedi si mossero all’indietro ma una presa salda sul proprio polso lo fece quasi urlare di terrore, Christopher diede una botta feroce all’altezza del gomito, Nicholas registrò quel movimento eccessivamente preciso che aveva rischiato di fratturargli il polso, praticava arti marziali anche lui? Non era il momento comunque di soffermarsi su cose futili, non quando la seconda botta arrivò alla giuntura del ginocchio facendolo cadere a pancia in giù sul letto. L’altro gli salì sulla schiena a cavalcioni, torcendogli il braccio dolorosamente. Lo sentì chinarsi contro il suo orecchio.
«Ciao fratellino. Pensavo non arrivassi più, ero quasi sul punto di addormentarmi insoddisfatto.» La sua risata gli fece vibrare il corpo, Nicholas deglutì muovendo le iridi per cercare di vederlo.
«Mollami subito.» Era così quindi? Sapeva sarebbe andato in camera sua per fottergli il cellulare, quel lurido bastardo manipolatore.
«Dovrei?» Nicholas sbuffò, più si contorceva più la presa sul braccio diveniva dolorosa, era come se i suoi muscoli stessero bruciando, aveva mille aghi conficcati nella carne. Improvvisamente la presa si allentò fino a sparire del tutto, Christopher si sollevò appena puntellando le ginocchia contro il materasso lasciando all’altro la possibilità di strisciare sulle lenzuola voltandosi a pancia in su. Nicholas aveva il fiatone mentre fissava quel demonio torreggiare sopra di lui, fu questione di un attimo prima che lo vedesse riabbassarsi con irruenza lasciando scontrare i loro bacini. Soffocò un gemito di dolore e sorpresa.
«CHE CAZZO...» La mano di Christopher tappò la sua bocca immediatamente, il capo scosso in cenno di diniego.
«Vuoi svegliare i vicini? Li invitiamo qui in questo letto, ma non te lo consiglio, hanno settant’anni.» Il tono divertito in una situazione che per l’altro era terrificante, annuì comunque col capo per fargli capire di aver afferrato il concetto e finalmente fu libero di parlare.
«Scendi. Scendi subito, non so se l’hai notato ma sei sul mio..» Ringhiò quelle parole con veemenza.
«Oh, l’ho notato.» In risposta mosse appena i fianchi e Nicholas sentì una scossa pervaderlo da capo a piedi, i loro bacini sfregarono ancora mozzandogli il fiato.  «Perché sei qui? Per il video? Dovrai guadagnartelo.»
«Non sicuramente in questo modo.» Biascicò debolmente quelle parole fissandolo astioso.
«Perché no? E’ piacevole.» Si mosse ancora sopra di lui inducendo l’altro a serrare le palpebre. Si sentiva sul punto di svenire mentre la propria eccitazione cresceva all’interno dei pantaloni troppo leggeri per camuffare il tutto. Li riaprì improvvisamente, perché non batterlo al suo stesso gioco?
«Pensi non riesca a batterti? Tu mi sottovaluti troppo, Christopher.» Il suo nome detto come fosse scoria infetta, una botta coi fianchi e una sul fianco altrui che sbuffò di dolore mentre capovolgeva la situazione. Adesso era Christopher sotto di se, e lui a cavalcioni.
«Ti piace di più questa posizione?» Il tono innocente e beffardo al tempo stesso. Nicholas curvò la schiena, i loro visi vicinissimi, le fronti collisero appena.
«Dammi il video.»
«Altrimenti?» Continuava a sfidarlo, non ne era mai stanco. Nicholas venne distratto dai dettagli di quel viso bello e perverso alla luce della piccola lampada. Il naso che sulla punta sembrava appena schiacciato, la lieve fossetta sul mento, i capelli corti ma sempre in ordine e dall’apparenza ricercata. Continuò a fissarlo avvicinandosi sempre di più, come se non se ne rendesse conto.
«Perché mi torturi?» Le loro labbra talmente vicine da sfiorarsi.
«Perché mi eccita, sono un pazzo sadico forse.» Stava mentendo, ne era sicuro. Nicholas si bloccò un istante per poi baciarlo in maniera esitante. Aveva delle labbra morbide, calde, non ci aveva fatto caso all’Insomnia. Christopher restò immobile, quasi in attesa. Si fissarono ancora e stavolta si mossero nello stesso preciso istante, l’uno verso l’altro. Le loro bocche si scontrarono con violenza e desiderio. La mano di Nicholas sul viso altrui, mentre lo spingeva più vicino a se. Le lingue si toccarono, si attorcigliarono fondendosi al pari dei loro respiri.
Christopher sollevò d’improvviso la schiena, seduto adesso con Nicholas sopra di se, le dita si insinuarono sotto la maglietta del biondino strappandogli un ansimo. Gli morse il labbro inferiore succhiandolo con avidità mentre lo privava della maglia che gettò con poca cura sul pavimento. Percorse la linea della gola con la lingua, scendendo giù lungo il petto e fu lì che si fermò lasciando che i denti marchiassero quella pelle bianca. Nicholas ansimò, sentiva l’eccitazione bruciare come lava nelle sue vene, un rumore oltre la porta chiusa lo distrasse abbastanza da fargli riprendere contatto con la realtà. Lo spinse scendendo velocemente dal letto, fissando l’altro semi disteso coi gomiti poggiati al materasso.
«Non posso farlo.»
«Non puoi o non vuoi?» Nicholas si mosse nervoso nella stanza, Christopher adesso in ginocchio sul letto, le dita poggiate alla testiera in pelle nera del letto quasi fosse un appoggio, i muscoli delle braccia in tensione.
«Entrambe.» Non lo sapeva neppure lui, semplicemente non poteva. Fare sesso con lui equivaleva ad ammettere la propria omosessualità, come se adesso non l’avesse praticamente urlata ai quattro venti.
«Finché non accetterai te stesso, verrai sempre disprezzato dagli altri. Se tu per primo ti consideri un abominio, come dovrebbero considerarti gli altri?» Parole dure che ferirono l’altro, probabilmente per la loro veridicità.
«Hai visto Jeremy? Mi fissava disgustato, è questo che avrò per sempre. Disgusto e biasimo.»
«Sicuro? Sei sicuro Jeremy ti fissasse in quel modo perché baciavi un uomo?» Nicholas lo fissò confuso, Christopher scese dal letto avviandosi verso la porta, superandolo senza neppure sfiorarlo. La mano stretta contro la maniglia.
«So che non posso baciare te. Sei il mio fratellastro. Se già per mia madre sarà dura accettare un uomo nella mia vita, come pensi reagirebbe sapendo che quell’uomo ..sei tu?» La voce venne meno, i loro occhi fissi l’uno sul viso dell’altro.
«Chi ti dice che sia io l’uomo della tua vita?» Il suo sorriso spento per la prima volta nessuna cattiveria, nessuna ironia a macchiarlo.
«Perché mi vuoi?» A questo punto chiederlo era doveroso.
«Perché si.» Si stoppò leccandosi fugacemente il labbro. «Sei ciò che voglio, non ci deve essere un perché. Ciò che sento, ciò che provo, è abbastanza scombussolante da farmene desiderare ancora.» Nicholas si avvicinò.
«Uno come te può amare?» Lo vide irrigidirsi, le spalle dritte nella luce affusolata.
«L’amore è per gli sciocchi, non cadere mai in questo errore. Persino chi dovrebbe amarti incondizionatamente ti abbandona Nicholas, ama solo te stesso.» Attimi di silenzio pesanti come macigni.
«Non ci credo. Non ci credo tu non riesca ad amare.» Strinse i pugni, per qualche motivo rigettava l’idea di un Christopher vuoto e arido, per quanto bastardo fosse dentro di lui c’era molto. Nel bene o nel male.
«Vedi, ho un QI talmente alto da poter fare qualsiasi cosa nella mia vita, niente mi è precluso. Sai come si dice? ‘’Mente o cuore’’, io ho sviluppato mio malgrado la prima, è ciò che ho scelto di seguire.» Aprì la porta muovendo seccamente il capo. Nicholas uscì voltandosi un’ultima volta.
«Mi ricatterai ancora vero?» Finalmente lo vide sorridere e fu come tornare a respirare, l’aria improvvisamente più leggera.
«Ovvio. Sei eccitante nelle vesti del tormentato. Sei ciò che voglio Nicholas McClair, non te l’ho forse detto?» Gli chiuse in faccia la porta senza dagli l’agio di rispondere e in quel corridoio adesso silenzioso Nicholas sentì il sordo riecheggiare della voce di sua madre: «Mi piace come mi piacciono tutte le anime addolorate.»
 
La porta si aprì in maniera irruente, Jeremy a petto nudo sobbalzò alla vista di Christopher afferrando la maglia sul pavimento per gettarsela addosso e coprirsi.
«Ma che cazzo??» Lo fissò sgomento e l’altro ricambiò con un’occhiata pregna di sprezzo e pena.
«Se fosse entrato qualsiasi altro ragazzo, notoriamente etero, non credo ti saresti coperto. Inizio a capire il perché Nicholas ti abbia nascosto la sua omosessualità, sei una capra.» La voce suadente nonostante gli insulti, prese posto sulla sedia del compagno accanto la scrivania.
«Non è così, ero solo sorpreso..» Una punta di colpa nella voce lo tradì, si maledisse internamente lasciando ricadere la maglietta.
«Pensi che i gay vorrebbero saltare addosso ad ogni uomo che vedono? Un po’ come gli adolescenti in calore etero.» Schioccò le dita come se fosse arrivato a scoprire il segreto della vita, e Jeremy lo beneficiò di un’occhiata velenosa.
«Piantala. Ho fatto una cazzata, sei contento?» Lo era molto in effetti, non aveva bisogno di dirglielo sfacciatamente, avere ragione era gratificante. «Quindi tu, insomma sei anche tu..»
«Gay?» Si stoppò un secondo, le labbra si curvarono all’ingiù come se stesse riflettendoci. «No. Diciamo che alle donne viene più semplice eccitarmi, con gli uomini è un po’ più complesso.»
«Quindi bisex.» Il tono pratico del rosso suonò buffo.
«Bravissimo Jon, mi dai tante di quelle soddisfazioni.» Mimò un applauso e un sorriso statico.
«Perché sei qui? Per dirmi di far pace con Nicholas?» Lo fissò con sospetto sporgendosi appena verso di lui.
«Ma figurati, ve l’ho detto che amo le tragedie più dei Martini Dry. Continuate pure a ignorarvi, buttate nel cesso un’amicizia decennale mentre io fisso tutto dal mio pseudo trono immaginario.» La voce pungente, gli occhi furbi di un azzurro più intenso del solito.
«Mi ha ferito il fatto che non me l’abbia detto.»
«Lui soffre. Pensa di essere un abominio della natura.» Una smorfia di sconcerto alterò i bei lineamenti, più ci pensava e più trovava il suo fratellastro degno di un manicomio. «La tua reazione non lo ha sicuramente tranquillizzato, biscottino.»
«Amanda lo capirebbe.» Jeremy parlò con tono sicuro.
«Lo so. E tu?» Christopher lo inchiodò con lo sguardo e l’altro si mosse a disagio finendo poi per sospirare frustrato.
«Resta comunque il mio Nicholas, quello più intelligente e bravo negli sport. E’ solo che.. odio i segreti.» La sua voce si incrinò appena.
«Tutti abbiamo dei segreti.» Il tono solenne mise in allarme il rosso che lo fissò con sospetto.
«Anche tu?»
«Io? Io sono il re dei segreti.» Christopher si alzò afferrando una tazza raffigurante Spiderman che in mezzo ai tremila poster DC stonava alquanto.
«Non pensavo ti saresti prodigato per riappacificarci.» Sorrise insinuante e l’altro mimò il gesto di frantumare la tazza a terra cosa che portò Jeremy a urlare.
«Ero solo curioso, volevo confermare le mie teorie.»
«Ovvero?» Il rosso si alzò seguendolo con lo sguardo.
«Ovvero il tuo essere un amico fedele, un po’ come Evan per me.» Jeremy si fece improvvisamente attento, Christopher non parlava mai di se stesso. «Tra una settimana ci sarà il matrimonio, approfittane per chiarire.» Si fissarono in silenzio per qualche istante.
«Lo farò.»
«Hai una bella famiglia Rosso Malpelo, sai?» Indicò oltre la porta e il ragazzo immaginò sua madre intenta a riempire di glassa le torte e il padre imprecare contro la partita in tv.

«Tu no?»
«Sei più curioso di Nicholas, fastidiosi allo stesso modo.» Arricciò appena il naso sollevando la tazza. «Questa la prendo io, stona col tuo altarino da nerd e segaiolo sfigato della DC.» Eccolo che ritornava il solito figlio di puttana, Jeremy ne fu quasi sollevato.
 
 
Evan richiuse con un tonfo sordo il libro, qualcuno bussò alla porta prima che questa si aprisse rivelando la figura sinuosa di Rebecca.
«Hai visite.» Il suo tono malizioso gli rese palese l’identità dell’ospite prima ancora che Thomas apparisse dietro di lei, i suoi occhi appena socchiusi, il viso in tensione.
«Lasciaci soli.»
«Non avevo di certo intenzione di fare la terza incomoda.» La sorella sorrise andando via.
«Che ci fai qui?» Evan si alzò, le mani in tasca e gli occhi severi.
«Ho dimenticato il mio libro, credo.» Thomas sembrava pronto a fuggire da un momento all’altro.
«Bugiardo. Sei qui per me.» Il tono sicuro fece irrigidire l’altro, poteva dargli torto? Era lì per vederlo, perché non conosceva l’assurda ragione che continuava a spingerlo verso di lui. O forse si.
«Sono qui per te.» Lo ammise con difficoltà sorridendo teso, aprendo appena le braccia come a volersi scusare per quello.
«E’ andata male con Nicholas quindi?» Thomas avrebbe dovuto immaginare un tiro mancino simile, ma fu ugualmente avvilente sentirglielo dire.
«Non è mai iniziata, a dirla tutta.»
«Strano, dal modo in cui stavate baciandovi non lo avrei mai detto.» Evan gli andò vicino reclinando appena il viso, superava l’altro di almeno due teste.
«Sei geloso?» Lo provocò con un sorriso divertito.
«Molto. Sbaglio ad esserlo?» L’ammissione lasciò interdetto l’altro, si fissarono in silenzio finché il moro non tornò a sedersi indicandogli una sedia.
«Alle volte mi chiedo come tu possa essere amico di Chris. Siete così diversi.» Evan sospirò togliendosi gli occhiali.
«Scott è come un padre per me, a lui devo molto. Chris è una conseguenza, non era previsto eppure…» un sorriso increspò le labbra piene e ben disegnate.
«Sei un tale mistero Evan Cooper.» Thomas chinò il capo frustrato, era come se una barriera li dividesse sempre e questo lo rendeva solo più combattuto sui propri sentimenti.
«Scott ha concesso del tempo a me e Rebecca, e questo è un debito che non riuscirò mai a ripagare anche se lui probabilmente non si aspetta io lo faccia.»
«Tempo per cosa?» I suoi occhi furono nuovamente sull’altro.
«Tempo per amare mio padre, per stare ancora un po’ con lui.» Il silenzio calò pesante, come una coperta bagnata e fastidiosa avvolta sulla pelle. Thomas si alzò chinandosi su Evan, poggiandogli le mani sulle cosce. Non disse nulla, non ce n’era bisogno, sapeva che il ragazzo fosse orfano. I genitori ebbero un incidente stradale dodici anni prima, e Scott era il chirurgo incaricato. Un chirurgo molto amico della famiglia Cooper che fece il possibile pur fallendo. Evan si chinò su Thomas, le loro labbra si sfiorarono per un istante prima che l’incendio divampasse costringendoli sul pavimento, avvinghiati e ansanti.
 
 
Nella casa riecheggiava il suono di un violino, una melodia lenta e struggente che si spandeva filtrando attraverso i muri, ristagnandovi all’interno per quelli che sarebbero stati secoli.
«E’ Chris?» Amanda fissò Scott che a sua volta le sorrise guardando poi Nicholas e infine il piano superiore.
«Si, è lui. Vedete, il suo strabiliante QI gli permette di fare tante cose.» Lo disse come se fosse una tragedia. «Suonare, imparare sport come niente, essere un piccolo prodigio nello studio. Non gli impara però a esternare correttemente il dolore, o a essere empatico.» Gli occhi di un padre che portava addosso a se una sofferenza inaudita. Nicholas sentì una morsa stringergli il petto.
«Sta suonando una musica tristissima..» lo disse quasi tra se, ma fu ugualmente udito dagli altri due.
«E’ andato probabilmente a trovare sua madre, ancora.» Amanda chinò il capo, lei sapeva. Nicholas invece si fece attento.
«Dov’è sepolta?» Gli occhi sorpresi di Scott lo bloccarono su quella sedia, lo vide sorridere incredulo.
«Sua madre non è morta…» Nicholas ebbe come l’impressione che le pareti del suo cuore scricchiolassero, mentre un nuovo tassello veniva aggiunto al personale disegno di Christopher Underwood.
 

 

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Capitolo 9
*** A thousand years ***





 
Era una bella giornata soleggiata, nonostante l’aria pungente di fine novembre vi era il cielo azzurro senza neppure una nuvola. La sala gremita di gente fissava con insistenza gli sposi pronunciare i voti nuziali. Alla fine quel momento era arrivato sul serio. Nicholas accanto alla madre, Christopher al padre, vestiti il primo di bianco e il secondo di nero simile a due angeli schierati dal lato opposto di una guerra. Eppure in quelle ore sembrarono quasi percorrere la stessa strada mentre sorridevano con affetto ai due genitori. Nicholas ascoltò con attenzione la funzione, nonostante spesso il suo sguardo venisse calamitato dalla zazzera rossa di Jeremy seduto insieme agli altri, l’amico aveva evitato di parlargli da quella sera, inutile dire quanto gli mancasse e quanto volesse fare di tutto per sistemare le cose con lui. Ma come? La sala applaudì i novelli sposi, Christopher fissò quello che adesso era a tutti gli effetti il proprio fratellastro e il mondo sembrò perdere consistenza attorno a loro.
Scott e Amanda a braccetto giravano per i tavoli parlando del più e del meno con i loro ospiti, Nicholas fissava la madre mangiucchiando qualcosa mentre Christopher parlava con la propria accompagnatrice che rideva come fosse un’oca sgozzata.
«Patetico.» Bofonchiò quelle parole ficcandosi un pezzo di anatra in bocca.
«Chi è patetico?» La voce di Jeremy lo fece quasi strozzare, lo fissò sbigottito di fronte a se. «Vieni.» Nicholas non se lo fece ripetere due volte allontanandosi dalla calca per finire sul giardino di quella maestosa villa, affittata appositamente per le nozze.
«Jeremy..» Lo abbracciò con irruenza tenendogli le spalle con forza, scrollandolo appena. Sono contento tu sia venuto. L’amico fece una lieve smorfia di dolore a quella presa così salda.
«Evita di lussarmi una spalla, magari.» Si allontanò appena fissandolo con attenzione, quasi lo stesse soppesando. «Perché non me l’hai mai detto? Sei stupido o cosa?»
«Jeremy è complicato, insomma hai visto.. io non sono come te.» Chinò il capo mortificato e il rosso iniziò quasi a considerare l’ipotesi di Christopher sul manicomio attendibile.
«Tu sei esattamente come me, anzi decisamente più avvenente, e intelligente e bravo negli sport.»
«Invertito.» Quella parola piombò tra loro come una pesante incudine fatta di acciaio rovente.
«InvertiCosa?» Mosse un passo verso la figura di fronte a se mettendo la mano dietro l’orecchio, quasi volesse aiutarsi a sentire meglio. «Nicholas, se ti scopassi i cadaveri ti getterei in un pozzo abbastanza profondo da far compagnia a Samara. Ma tu non lo fai, essere ‘’diversi’’ non è sinonimo di ‘’sbagliati’’.» Nicholas annuì silenziosamente con poca convinzione, respirava appena sentendo quasi il petto comprimersi ad ogni contrazione.
«Mi perdoni? Per non avertelo detto dico..» Si arrischiò a guardarlo di sottecchi vedendolo con sua sorpresa sorridere divertito.
«Ti ho già perdonato giorni fa, volevo solo che cuocessi nel tuo brodo. Il minimo per anni di bugie.» Gli ficcò l’indice della mano destra sul petto, schiacciando i bordi della giacca. Risero insieme dandosi un abbraccio fraterno, finendo per rientrare spalla contro spalla. Jeremy non disse a Nicholas della visita di Christopher, aveva come l’impressione che quest’ultimo non volesse farlo sapere.
 
 
«Bella giacca.» La voce di Thomas sembrò vacillare un istante mentre si sedeva accanto a Evan rimasto solo al tavolo.
«Solo la giacca?» Lo beffeggiò bonariamente sorseggiando lo champagne, il calice appena sollevato scintillò alla luce dei grandi lampadari.
«Possiamo parlare?» Gli si fece più vicino spostando il busto in avanti, le loro dita si sfiorarono sulla tovaglia linda e nessuno dei due sembrò volersi ritrarre.
«Possiamo, si.»
«Nicholas andrà alla St.Jules, me lo ha detto.» Gli occhi nocciola dell’altro si fecero improvvisamente attenti.
«E quindi?» Il modo in cui lo disse sembrò mettere Thomas in difficoltà.
«Vorrei che lo tenessi sotto controllo, quel posto è un covo di lupi, e tu in fondo sei suo amico.» La risata dell’altro ebbe il potere di farlo innervosire.
«Mi hai preso per la sua balia?» Evan tolse la mano dal tavolo interrompendo il contatto tra le loro dita. «Ha Christopher, lui è la chiave che apre ogni porta, nessuno gli farà male. E se saranno così pazzi..» lasciò ondeggiare il calice in un gesto eloquente.
«Sei così sicuro di lui? A me fino ad oggi è sembrato lui il pericolo più grosso per noi.» La voce sprezzante non sembrò toccare l’altro. «Alle volte mi chiedo se tu non ne sia innamorato.» Lo disse per provocarlo e sembrò riuscirci per un vago momento, quando gli occhi nocciola si accesero di furia spegnendosi poco dopo.
«Stai sul serio dicendo a me queste cose? Tu che continui a fare il cagnolino di Nicholas? Pensi che ergendoti a suo protettore succederà qualcosa di diverso da quello che c’è adesso?» Le parole uscirono fuori con calma, tra un sorso di champagne e l’altro.
«Io non sono il cane né il protettore di nessuno.»
«Non venirmi ad accusare di cose, quando sei il primo a farle. Non sono stato io a baciare Christopher pur avendo una relazione con te.» La stoccata sul bacio con Nicholas sortì l’effetto sperato, Thomas chinò il viso e la sedia di Evan si mosse rumorosamente. Il ragazzo voltò le spalle pronto ad andare ma l’altro fu più veloce afferrandogli il polso, gli occhi nocciola si chinarono soppesando la figura seduta.
«Non andartene.» Thomas sollevò lo sguardo stringendo la presa, quasi implorante.
«Credo sia arrivato il momento di farlo invece. Inizia a venire tu da me, se proprio ci tieni.» Si liberò dalla presa con un gesto brusco mollandolo lì da solo, sparendo tra la folla.
 
 
Gli invitati in cerchio accolsero gli sposi sulla pista per aprire le danze, le note di ‘’A Thousand Years’’ riempirono la sala. Nicholas ai margini fissava la madre con calore, ricordava con spaventosa vividezza le sue lacrime il giorno del funerale del padre, il modo in cui stringeva un se stesso bambino sussurrandogli all’orecchio che sarebbe andato tutto bene. Serrò la mascella sbattendo più volte le palpebre.
«Non vorrai mica scioglierti in lacrime?» Christopher apparve accanto a se, il completo nero sembrava essergli stato cucito addosso, si fissarono senza alcun astio.
«Non sei contento per lui?» Indicò Scott che sorrideva bisbigliando all’orecchio della moglie e Christopher sembrò improvvisamente esposto al dolore.
«Pensi un amore possa durare così tanto come dice la canzone?» Guardò Nicholas furbamente sorseggiando il vino.
«Certo.» Una risata accolse la sua sicurezza. Christopher si spostò alle sue spalle, il braccio circondò il petto di Nicholas stringendosi appena sul collo, si irrigidì provando a sciogliersi da quell’abbraccio ma ottenne solo l’effetto di aderire ancora di più con la schiena al petto dell’altro. Respirò profondamente.
«Potresti non farlo, almeno per oggi? La gente ci guarderà.» Bisbigliò quel rimprovero con tensione, le spalle rigide, i pugni stretti.
«Non lo capisci? Sei tu stesso a far sospettare la gente, hai un viso che parla. Siamo solo due fratelli affettuosi, è questo ciò che vedono dall’esterno.» La voce carezzevole sussurrò al suo orecchio trasmettendogli un’ondata di brividi. Serrò le palpebre sentendo le labbra improvvisamente secche.
«Perché mi hai mentito?» Christopher sembrò allentare appena la presa per la sorpresa.
«Su cosa?» Aveva quindi ampia scelta in fatto di menzogne?
«Tua madre.. pensavo fosse morta.» Lo sentì trattenere il respiro per un breve istante.
«Non ho mai detto lo fosse, sei stato tu a trarre questa conclusione.»
«Hai parlato di lei al passato.» Voltò appena il viso ritrovando quello di Christopher troppo vicino, sentì il suo naso sfiorargli la guancia, l’odore del vino lo stordì.
«Lei è il passato. Vedi, ci sono persone che scelgono in quale luogo stare nella tua vita, alcune pretendono di avere un posto anche nel presente e nel futuro, altre si fermano alle prime due escludendo il futuro.» Nicholas fissò ancora una volta gli sposi.
«E tu? Tu che posto avrai nella mia vita?» Nonostante fosse girato poté giurare stesse sorridendo.
«Presente e futuro. E uno sprazzo di passato, in effetti.» Nicholas aggrottò la fronte voltandosi e stavolta l’altro lo lasciò andare concedendoglielo.
«Che passato?»
«Avevamo circa dieci anni, tua madre era appena rimasta vedova e ti portò con se in ospedale, io ero lì e così..» ricordi che Nicholas sembrava aver rimosso ma che sembrarono ugualmente scaldarlo da capo a piedi.
«Quindi conti di rimanere.»
«Non esserne così palesemente felice.» Christopher sorrise arcigno sollevando il calice in un brindisi silenzioso prima che una ragazza, dal nome che non si era premurato di chiedere e che lo aveva accompagnato al matrimonio, non venne a trascinarlo in pista. Mentre li fissava ballare Nicholas si sentì inadeguato, tutto sarebbe stato più semplice se anche lui fosse stato una donna, o Christopher, avrebbero potuto danzare anche loro senza gli sguardi di biasimo della gente. Gli tornarono in mente le parole pronunciate in quella notte di pochi giorni prima: ‘’l’amore è per gli sciocchi’’. Forse aveva ragione lui. E ancora: ‘’ama solo te stesso’’. Forse la chiave era proprio questa, se non amavi te stesso, come potevi pretendere di amare altri? Eppure mentre fissava Christopher, poté dire con assoluta certezza che l’altro non sembrava amarsi per niente.
 
 
«Dove andranno in luna di miele?» Thomas si avvicinò a Nicholas che lo trovò parecchio provato, sembrava non essersi goduto granché quel matrimonio.
«Parigi, banale ma mia madre è stata irremovibile.» Si sorrisero complici, entrambi conoscevano bene il caratterino dispotico di Amanda in certe situazioni. Il matrimonio era finito ormai da più di due ore, ma i festeggiamenti sembravano voler continuare tutta la notte. Christopher aveva affittato un’ala della villa, e adesso si trovavano lì tutti i ragazzi, gente mai vista prima, presi a bere e fare casino. Vide Jeremy con Rebecca intenta ad accarezzargli i capelli e provò un moto di pietà per l’amico che sembrava sul punto di svenire contro il pavimento.
«Quella se lo mangia a colazione, fidati.» Thomas sembrò leggergli nel pensiero esordendo con quella battuta che suo malgrado lo fece ridere. 
«Beh, a quanto pare è una dote naturale dei gemelli Cooper questa.» Lo fissò ambiguamente e l’amico chinò il capo sconfitto. Inutile negare ormai la relazione tra lui e Evan che in quel momento parlava con un ragazzo mai visto prima. Nicholas diede una gomitata a Thomas.
«Dovresti essere lì, non qui.» L’amico fece una smorfia infelice finendo l’intero contenuto del bicchiere.
«Non credo, mi odia. E sembra essersi già consolato.» Le parole vennero sputate via come fossero denti cariati e dolorosi.
«Perché dovrebbe odiarti?» Non riuscì comunque a saperlo, Christopher si avvicinò a loro, aveva ancora al braccio quell’assurda ragazza dai capelli biondi. Troppo biondi.
«Volete vi ceda una stanza?» Quattro paia d’occhi lo fissarono arcigni.
«Penso la stanza servirebbe più a te.» Nicholas sorrise sterile indicando la biondina che dal canto suo sembrava provare anch’essa un’antipatia innata per lui.
«Forse si.» La candida ammissione non fece altro che farlo infuriare di più, spinse Thomas indicandogli il bar senza più degnare di uno sguardo Christopher e la sua dolce compagnia.
«Sei geloso?» I piedi sembrarono piantarsi a terra.
«Ovvio che no.» Sorrise a denti stretti ordinando dell’acqua tonica, continuava a non amare molto l’alcool.
«A me puoi dirlo. Ti piace, vero?» Thomas voleva essere picchiato non c’era altra spiegazione.
«Thomas, vai da Evan.» Fu più un ordine che un consiglio, l’altro rise per la prima volta nell’arco di quella lunga giornata dandogli una pacca sulla schiena per poi andare via. Lo vide però dirigersi verso Jeremy, accorrendo in suo aiuto, piuttosto che da colui dalla quale avrebbe voluto andare. Nicholas scosse il capo sospirando.
«Codardo.»
«Chi?» Sobbalzò alla voce di Evan accanto a se, anche lui quel giorno vestiva elegante e doveva ammettere superasse in fascino molti dei presenti. 
«Dio santissimo, ma tu e l’amico tuo siete dei ninja?» Il ragazzo sorrise, neanche quel giorno indossava gli occhiali.
«Sei tu troppo disattento.» Lo guardò in tralice sedendosi poi sullo sgabello, Nicholas lo imitò.
«Hai litigato con Thomas?» I loro occhi si soppesarono. «So che dovrei farmi gli affari miei..»
«Dovresti.» Evan era famoso per l’agghiacciante sincerità.
«Dovrei, ma è mio amico.» Come se questo bastasse come scusante, l’altro scosse il capo ordinando da bere.
«Sei pronto per la St.Jules?» A dirla tutta Nicholas non lo era per niente, e difatti il suo sorriso insicuro valse più di mille parole per l’altro che rise. «Fai bene, è un luogo oscuro.»
«Confortante, Christopher voleva ci andassi per questo, per tormentarmi.» Allargò le narici rabbiosamente.
«Non ne sono così sicuro…» il suo sorriso sghembo mise curiosità nel biondino che gli si avvicinò.
«In che senso?»
«Credo solo ti volesse attorno. Non ce la fa proprio a stare senza tormentarti.» Nonostante la parola ‘’tormento’’ non fosse tra le più felici, Nicholas ebbe come l’impressione che Evan parlasse per metafore.
«Che sia un sadico è risaputo.»
«Ma che si fissi così tanto con qualcuno, no.» Scandì bene quelle parole zittendo l’altro. «Non so bene che tipo di rapporto abbiate, ma per quanto ti possa consigliare di stare attento..» si stoppò qualche istante come a voler cercare le parole adatte. «Posso solo dirti che lui non è così male.» Scrollò le spalle con indolenza scendendo dallo sgabello per perdersi in mezzo alla folla, lasciando un Nicholas solo e sbigottito.
Quella notte tutti sembravano voler giocare con lui agli indovinelli, ne aveva abbastanza francamente. Lasciò la villa con la musica ancora udibile lungo la strada, prendendo un taxi per dirigersi a casa. La madre era sicuramente già in aeroporto, non vedeva l’ora di lavarsi e mettersi a letto senza pensare più a nulla. Il viso di Christopher tornò prepotentemente nella sua mente, lo vide sorridere al braccio di quella ragazza.
«Ehi, ragazzino?» Sobbalzò raddrizzando la schiena, sbattendo le palpebre brucianti per mettere a fuoco l’uomo che lo fissava in tralice. Si era addormentato sul taxi, che cosa da bambini.
 
L’acqua bollente picchiò la schiena contratta sciogliendone i muscoli, si rilassò sotto il getto potente lavando via le fatiche di quella giornata, ripensando ancora a tutti gli avvenimenti accaduti. Adesso era entrato ufficialmente a far parte della famiglia Underwood, e Chris era il suo fratellastro.
Una pozza d’acqua si formò ai suoi piedi mentre afferrava un grosso telo con la quale si asciugò, indossò la biancheria e dei pantaloni uscendo dal bagno per dirigersi in camera. La luce sotto la porta di Christopher lo bloccò, tornò indietro a fissarla aggrottando la fronte. Non ci poteva credere, era tornato a casa per scoparsi quella tipa?
«Christopher giuro che stavolta..» aprì la porta con irruenza bloccandosi però sulla soglia, il ragazzo in piedi e poggiato alla scrivania sfogliava pigramente alcuni fogli. Sollevò il capo percorrendo l’intera figura di Nicholas con un mezzo sorriso.
«Stavolta cosa?» Poggiò i fogli incrociando le braccia al petto.
«Pensavo fossi..» non sapeva in effetti bene come esordire, né come rimediare a quell’entrata in scena infelice.
«Aaaah, pensavi mi fossi portato la ragazza qui.» Ci pensò egregiamente lui a svergognarlo.
«Come se fosse la prima volta.»
«E anche quando? Cosa ci sarebbe di male?» Christopher si mosse appena avvicinandosi all’altro che si irrigidì.
«Dipende, se siete rumorosi io non potrei dormire.» Farfugliò delle scuse approssimative mentre il fratello gli girava intorno continuando a scrutare ogni parte del suo corpo, adesso era dietro di lui.
«E tu? Vorrei sapere quanto sei rumoroso tu.» Si spostò appena piazzandosi ai lati, Nicholas voltò il capo incenerendolo con un’occhiata.
«Non ci riesci proprio vero?»
«A fare cosa?» Una finta innocenza che voleva essere scoperta.
«A mettermi in imbarazzo.» Pronunciò quelle parole a denti stretti e la porta si chiuse dietro di se con un boato. Sobbalzò voltandosi sbigottito, Christopher era poggiato contro di essa.
«Mi piace. Mi piace imbarazzarti, o spaventarti come in questo caso.» Gli si avvicinò, i loro visi quasi alla stessa altezza adesso vicinissimi.
«Perché?» Nicholas non seppe bene dove avesse racimolato il fiato.
«Perché..» sembrò pensarci attentamente mentre la mano gli accarezzava lo stomaco appena contratto, scendendo fino all’elastico dei pantaloni che allargò. «Tu ti poni troppe domande. Se qualcosa ti piace, è così e basta.» Nicholas per la prima volta vide la loro spaventosa differenza, lui così preciso sempre ansioso di avere risposte a ogni più piccolo quesito. Mentre Christopher, beh, lui sembrava vivere alla giornata nonostante la sua mente piena di troppe cose.
«Mi piaci, e non so neppure come sia possibile. Avrei voluto rispondessi tu per me, magari sapendo le tue motivazioni avrei scoperto le mie.» Le parole gli uscirono prima di poterle controllare, eppure non se ne pentì. Si sentì per la prima volta leggero, non era di certo così che aveva immaginato la sua prima dichiarazione a qualcuno. Christopher bloccò la mano già oltre il bordo dei pantaloni per scrutarlo con attenzione.
«Ti ho visto andare via, la festa aveva perso improvvisamente interesse.» Reclinò appena il capo, la voce uscì con una cadenza quasi distratta.
«Ho paura.»
«Di cosa?» Nicholas non riuscì a rispondere, forse perché non sapeva neppure lui con esattezza quali fossero queste paure. Ne aveva troppe. Aveva paura di come il suo stomaco si attorcigliava quando Christopher lo toccava, aveva paura di lui e di come sembrava trascinarlo in quell’inferno di desiderio, aveva paura del sesso. Aveva paura di ripugnarsi dopo averlo fatto. Aveva paura di troppe cose, talmente tante che si avventò sulle labbra dell’altro con irruenza. Lo sentì inspirare con forza per la sorpresa mentre ricambiava il bacio trascinandolo verso il letto. Nicholas si ritrovò ancora una volta steso tra quelle lenzuola, con Chris a torreggiare su di lui, impegnato a baciarlo con foga. Gli tolse la maglia gettandola lontano, toccando con dita tremanti ed esitanti ogni centimetro di pelle altrui, percorse i fasci di muscoli che si contraevano al suo passaggio.
«Hai ancora paura?» La voce affannosa di Christopher unita al suo viso così vicino, talmente tanto da sentirne il respiro infrangersi sulle proprie guance.
«Da morire. Ma non fermarti.»
Furono nuovamente avvinghiati, le dita esitanti del primo e sfacciate del secondo iniziarono a spogliarsi a vicenda. Non aveva mai mostrato il proprio corpo nudo a qualcuno che non fosse se stesso, eppure in quel preciso istante il desiderio oscurò la vergogna mentre si trascinava sopra l’altro guardandolo da quella prospettiva quasi privilegiata.
I gemiti di Nicholas somigliavano a fiori appena sbocciati mentre sentiva la bocca di Christopher scendere giù lungo l’addome e più giù ancora, nel punto più intimo del proprio corpo. Ne sentì la lingua, fu come una scossa elettrica che fece inarcare con ferocia la sua schiena, e la paura sembrò dissolversi mentre ne bramava ancora di più.
Un intenso bruciore pervase ogni fibra del suo corpo mentre sentiva qualcosa allargarlo e farsi strada dentro di lui, scoprendo poco dopo si trattasse di un semplice dito. Se quello era così ‘’ingombrante’’ come sarebbe stato il resto? La paura tornò ma fu questione di poco, lentamente si abituò al corpo estraneo rilassandosi, chiudendo gli occhi per cercare di controllare i battiti impazziti.
La mano di Nicholas scese chiudendosi sulla sua erezione, Christopher trattenne il respiro godendosi la sensazione di calore che andava diramandosi dentro ogni vena, il sangue pompava infuocato lungo tutto il suo corpo, temeva di bruciare lì tra quelle lenzuola ormai spiegazzate e calde.
Christopher gli fu nuovamente sopra, occhi negli occhi e per una volta i loro sguardi sembrarono simili. Nicholas allungò una mano sul comodino spegnendo la luce, sentì l’altro ridere per quell’improvviso sprazzo di vergogna ma ogni sua protesta venne soffocata da quelle labbra esigenti su di se. Fu dolore e piacere fusi insieme. All’inizio era come sentirsi aprire a metà, come se tutto il suo corpo si stesse spezzando, urlò di dolore aggrappandosi a quella schiena che adesso sembrava la sua unica ancora per non annegare. Ogni movimento era uno strappo doloroso, finché lentamente al dolore iniziò a seguire il piacere mentre il proprio membro sfregava contro l’addome contratto di Christopher. Chiuse gli occhi sentendosi madido di sudore, sollevò appena la schiena cingendogli i fianchi con le proprie gambe, stava lentamente naufragando. Sentiva il fuoco spandersi dentro di se e concentrarsi in un punto ben specifico, bruciava sempre di più e lui godeva senza alcun pudore mentre gli ansimi di entrambi si fondevano tra lingue e respiri intrecciati.
 
«La notte è più lunga di quanto pensi.» Furono queste le parole di Christopher mentre lo trascinava sopra di se, a ruoli capovolti adesso, sorridendo malizioso. 
 

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Capitolo 10
*** Boulevard Of broken dreams ***





 
«Pagherai l’affitto?» Jeremy non si girò, accucciato al pavimento a gambe incrociate continuava a giocare fissando lo schermo. Uomini morivano sotto i suoi occhi e Nicholas roteò gli occhi infastidito dal baccano di quel giochino idiota.
«Siamo migliori amici, io non ti farei pagare l’affitto per stare nella mia camera. E potrei ..è grande quasi quanto il tuo appartamento.» Un sorriso, più simile a una smorfia, rivolto verso la schiena altrui che si tese appena nell’istante in cui un guerriero lo attaccò dichiarando la sua sconfitta.
«Appunto.» Gettò il joystick lontano da se con fastidio guardando finalmente l’amico. «Perché ti costringi a stare qui, in questa stanzetta che ha ossigeno a stento per il mio criceto, e non torni nel tuo mega sfarzoso attico?» Lo fissò sbalordito e con una punta di sospetto. Per due giorni dopo la notte delle nozze, Nicholas si era rintanato lì, fuggendo letteralmente dalle conseguenze delle proprie azioni.
«Punto uno non hai un criceto. Punto due adoro i luoghi piccoli, non sono per niente claustrofobico.» Si accarezzò distrattamente il braccio sviando lo sguardo inquisitore di Jeremy.
«No non sei claustrofobico, sei un coglione.» Scandì bene quelle parole alzandosi dal pavimento per afferrare un fumetto poco distante e poi stravaccarsi sul letto. «Hai così paura di Christopher?»
«NON HO PAURA DI LUI.» La reazione immediata ed eccessiva fece sorridere l’altro che abbassò appena il libro per fissarlo.
«Penso proprio di si. E’ successo qualcosa Nicholas?» Le palpebre si socchiusero appena come se volessero vedere dentro quella bella testa.
«No..» era evidente mentisse, sentiva ancora su di se le mani del fratellastro, i suoi respiri, quel dolore atroce e poi tutto quel piacere. Ondate di piacere durate un’unica singola notte. Consumato. Ecco come si era sentito mentre prendeva e lasciava prendersi, la mattina dopo era scappato, non riusciva ad affrontare Christopher, non avrebbe sopportato battutine o altro. Aveva perso contro di lui, e per quanto sembrasse infantile nondimeno sapeva che con l’altro bisognava ragionare in questi termini; probabilmente neppure voleva vederlo, magari rideva alle sue spalle, in fondo non aveva chiamato neppure mezza volta.
«Ma mi stai ascoltando?» La voce di Jeremy spezzò la linea confusa di pensieri costringendolo a fissare l’altro attonito e quasi stupito. Jeremy sospirò leccandosi il labbro inferiore. «Torna a casa, se tua madre chiama lì..» non ci fu bisogno di aggiungere altro, come aveva potuto non pensarci? Finché chiamava al suo cellulare era okay, ma se avesse chiamato in quella casa? Christopher ci avrebbe messo tre secondi a sputtanarlo dicendo ad Amanda che era scappato.
«Devo andare.» Si alzò con irruenza raccattando le proprie cose, saltellando su un piede, ficcandole tutte dentro lo zaino di pelle nuovo. Regalo di Scott, lontano anni luce dal figlio decisamente. Sentì le risate di Jeremy accompagnarlo fin quando non fu sulle scale.
 
Maria aprì la porta fissandolo stupita, era come se non si aspettasse di vederlo tornare lì e questo non seppe bene se fosse positivo.
«Uhm, Maria… per caso..» era nervoso mentre si torceva le dita. «Per caso, ha chiamato qui mia madre?»
«Si signorino, stamattina. Il signorino Christopher le ha parlato.» Nicholas sbiancò, sentiva di poter perdere i sensi da un momento all’altro.
«Dov’è?» Era ovvio a chi si riferisse, la cameriera sorrise contrita indicando il giardino d’inverno. Vi si incamminò con passo malfermo. La prima volta in cui aveva visto quel luogo era rimasto incantato, pieno di piante e fiori, completamente al chiuso, con un grande spazio al centro ricoperto di terracotta color ocra. Seguì gli strani rumori provenienti proprio da lì finché non trovò Christopher con un lungo bastone in mano, intento ad allenarsi. Era sudato e forse stanco, ma continuava a muoversi in maniera precisa, che tipo di arte marziale era? L’aveva vista da qualche parte.
«E’ tornato il figliol prodigo.» Lo aveva visto già dal suo ingresso, Nicholas odorava di cose buone, di cose che lui non sembrava essere stato mai. Chiuse gli occhi inspirando appena, e quando li riaprì il suo sguardo era scisso tra la rabbia e la malizia.
«Hai detto a mia madre..»
«Ho detto a tua madre’’Nicholas è fuori con amici’’. Sono stanco di preoccuparmi dei sentimenti di Amanda al posto tuo.» Lo indicò con il bastone e Nicholas trasalì ferito.
«Io me ne preoccupo eccome.»
«Non credo, ti preoccupi solo dei tuoi mio giovane fiore sbocciato.» Sorrise mostrando un pizzico di lingua e Nicholas si sentì cedere le ginocchia. «Allenati con me.»
Christopher si mosse verso l’angolo, dove c’erano delle panche in pietra messe a circolo, e prese un bastone uguale al proprio persino in lunghezza, lanciandoglielo. Il biondino si mosse svelto afferrandolo in aria un secondo prima che cadesse. «Tu non sai niente di me.» Lo fissò in cagnesco e Christopher rise.
«Sei tu a non sapere niente, sai solo ciò che il tuo piccolo cervello bigotto e spaventato ti comanda.» Si mossero lentamente in circolo guardandosi con cautela, Nicholas colpì veloce e preciso ma Chris parò il colpo, il sordo rumore si perse in quel giardino.
«Non hai idea di come mi sia sentito.»
«Impaurito? Oh povero biscottino, deflorato e terrorizzato.» Strinse i denti colpendo la caviglia dell’altro che imprecò di dolore. Nicholas si rialzò e la danza ricominciò.
«Lo vedi? Lo vedi come sei? Ho ceduto a un coglione che non ha idea di come si senta la gente, non sa cosa siano i sentimenti, l’empatia.» Si avventò su di lui, il bastone colpì il fianco dell’altro facendolo accasciare. Gli occhi azzurri di Nicholas brillarono soddisfatti.
«Lo vedi? Parli troppo McClair, e senza prove.» Allargò le braccia, il bastone stretto con la mano destra si mosse improvviso, la punta colpì l’addome altrui facendolo cadere.
«‘’Mente o cuore’’, ricordi? Io si, perfettamente.» Nicholas lo fissò dal basso a denti stretti e Christopher lasciò cadere il bastone.
«Amo mio padre, amo me stesso.»
«Bugiardo. Non ami te stesso.» A quelle parole Christopher si zittì. «Dovevo rimanere su quel letto per darti modo di ridere di me? Di goderti la vittoria?»
«Ridere di te.» Non era una domanda mentre lo invitava ad alzarsi. «Sai, credo che il corpo a corpo si adatti più ai tuoi standard. Tua madre dice che pratichi arti marziali da anni, e allora.. vieni.» Lo invogliò ad attaccarlo e Nicholas non se lo fece ripetere due volte. La sua forza era dettata da mesi di soffocamento, mesi in cui aveva represso e ingoiato bocconi amari. Incastrò la gamba destra dell’altro con la propria, strinse con forza gettandolo a terra. Si chinò pronto a colpirlo ma Christopher fu più veloce, la pianta del piede colpì l’addome di Nicholas sbalzandolo lontano, a quel punto si alzò andandogli vicino e stavolta fu lui a salirgli a cavalcioni.
«Non azzardarti a scappare più. Non da me.» Ringhiò quelle parole afferrandogli i polsi pronti a colpirlo, incollandoglieli al petto con tutta la forza che aveva. Nicholas sbuffò desiderando dargli una craniata.
«Non mi hai cercato nemmeno una volta, perché fingi ti importi?» Si soppesarono per qualche istante.
«Jeremy mi ha avvisato quando sei arrivato da lui come un cucciolotto sfrattato da casa dall’orco cattivo.» L’espressione attonita del ragazzo fece ridere Christopher, un divertimento che durò ben poco. «Non pretendo di essere un eroe, una persona dai buoni sentimenti, qualcuno degno di stima. Ma non fare di me ciò che non sono, non dipingermi seguendo le tue paure.» Mosse il bacino con lentezza togliendogli il respiro, Nicholas serrò con forza le palpebre cercando di non mostrarsi eccitato e quando pensò di aver fallito l’altro lo lasciò andare con uno strattone alzandosi ansante, ripescò la bottiglietta d’acqua poggiata su una panca bevendo avidamente.
«Ho paura.» Eccole, ancora quelle parole. Christopher lo guardò rialzarsi e allargare le braccia.
«Lo so bene. Guardo ogni giorno le tue paure, una per una.» Sorrise senza gioia.
«Invidio te che ne sembri immune.» Deglutì ricacciando indietro le lacrime di frustrazione.
«C’è differenza tra ‘’vedere’’ e ‘’guardare’’, tu mi guardi ma non mi vedi Nicholas. Quindi, non sei migliore di me al momento.» Quelle parole furono come un pugno allo stomaco, fissò Christopher superarlo pronto ad andarsene.
«Dove vai.»
«Ricordi il discorso sul passato, il presente e il futuro?» Attese di vederlo annuire per poi proseguire. «Il passato è un luogo così dolce, fatto di ricordi, come una piccola e infida gabbia dorata.» Allargò le braccia, il viso una smorfia di ilarità grottesca. «Vado lì.»
«Sono così dolci quei ricordi?» Christopher era già di spalle, un piede oltre il giardino.
«Sono amari come la morte precoce di un bambino innocente.» Nicholas trasalì fissando la sua schiena allontanarsi.
 
 
 
La chiave si incastrò nella toppa, nonostante vi entrasse non riusciva a girare al suo interno. Christopher capì subito il perché: erano venuti a cambiare la serratura. Strinse i denti respirando profondamente, la mano contro il legno pesante.
«Mamma, aprimi.» Sussurrò quelle parole ascoltando il silenzio della casa, era sicuro lei ci fosse o il portiere non lo avrebbe nemmeno fatto salire.
«Aprimi.» Stavolta non fu un semplice sussurrò mentre fissava con rabbia quella dannata chiave adesso inutile. Sbatté il palmo una prima volta gentilmente e poi sempre più rabbiosamente, finendo col calciare disperato. «TI HO DETTO DI APRIRE.» Per un breve istante pensò che forse tre anni prima avrebbe dovuto trovare il coraggio.
 
I piedi ben fermi sul bordo del terrazzo, la musica di ‘’Boulevard of broken dreams’’ eseguita al violino superava la tenda tremolante giungendo fino a lui, lì in piedi pronto a lanciarsi. Le iridi tremarono appena nello sforzo di fissare il traffico sottostante senza che la vista si offuscasse, era tutto così microscopico a quell’altezza. Magari sarebbe morto in aria, i polmoni non avrebbero retto lo sforzo esplodendo. O forse sarebbe morto sul colpo appena toccato l’asfalto, nessun dolore, solo la morte. Strinse i denti piangendo, bastava un piccolo salto, solo un piccolo salto.
Cinque minuti dopo giaceva rannicchiato a terra, il freddo di febbraio feroce, la neve cadeva rendendo bianchi anche i suoi capelli. Le ginocchia al petto, le braccia che circondavano le sue gambe e la fronte contro le ginocchia. Lo trovò così Scott, le labbra livide e il corpo ghiacciato.
«Chris, che diavolo fai.» Si inginocchiò accanto a lui scrollandolo con forza, il figlio lo fissò con occhi vacui ancora bagnati di lacrime.
«Non ce l’ho fatta, sono un codardo.» Il padre lo scosse con più forza cercando di riportarlo alla lucidità ma Christopher iniziò a dimenarsi e urlare.
«NON E’ STATA COLPA MIA, LEI NON LO CAPISCE. MI ODIA, MI ODIA.» I singhiozzi squarciavano il suo petto rendendo la voce un urlo di dolore, le parole spezzate e pregne di dolore.
«Ti prego Christopher, non è così. Tua madre sta solo soffrendo.» ‘’E io?’’ avrebbe voluto rispondere così al padre, ‘’E io non sto forse soffrendo?’’.
«Ho provato a lanciarmi da qui, non ce l’ho fatta.» La presa si allentò mentre il genitore cadeva sconvolto accanto a lui. Una settimana dopo Scott presentò le carte del divorzio e lasciò quella casa insieme al figlio.
 
Ancora fermo su quel pianerottolo, la porta chiusa più invalicabile di qualsiasi muro. Il silenzio fu l’unica cosa che accolse le sue urla rabbiose. Non piangeva Christopher, aveva smesso di farlo quella notte sul terrazzo. Si allontanò strascicando i piedi, le spalle ricurve e il petto dolorante.
 
 
Evan aprì la porta facendo passare Nicholas che dal canto suo sembrava stupito da quella chiamata improvvisa, all’interno trovò Thomas che lo accolse con un sorriso tremulo.
«Non sei qui per lui.» La voce tagliente di Evan fece sbuffare Nicholas. 
«L’avevo capito da me, grazie. Quindi?» Allargò le braccia restando in attesa, e per un secondo vide il ragazzo esitare. Era un evento raro.
«Chris è qui, ha bevuto parecchio e non riuscirà a tornare a casa.» La voce esitante che indusse l’altro a non fidarsi.
«Dove sta la novità? Christopher beve sempre.» Sentì in risposta uno sbuffo carico di stress.
«Non sta bene, te lo posso assicurare, credo sia andato dalla madre.» Le cortine calarono dagli occhi di Nicholas che ricordò le parole del fratellastro prima di andare via. Improvvisamente divenne smanioso.
«Dove sta?» Mosse un passo nervosamente evitando di imprecare al silenzio dell’altro. «Ho detto dove sta.»
«In camera mia, Nicholas ..» lo fermò prima che muovesse ancora un passo. «E’ inutile parlargli adesso, non ascolterebbe.»
«Ma io non voglio parlargli.» A quelle parole seguì lo sguardo perplesso dei due mentre lo guardavano sparire lungo il corridoio.
«Non ho mai capito cosa sia successo con la madre.» Thomas guardò Evan con curiosità, come se si aspettasse una risposta.
«Ciò che succede spesso tra due persone che si amano troppo.»
«Ovvero?»
«Il legame si rompe, li consuma, e salvarlo è impossibile. Quell'amore troppo grande ti si rivolta contro, ti soffoca e uccide.» Le parole vennero giù come pioggia acida tra loro.
«Evan, mi dispiace, sono un idiota. Ma sono qui adesso, sono qui per te.» Thomas si mosse andandogli incontro.
«Lo so, te l’avevo detto che dovevi esser tu a venire stavolta.» Sorrise afferrandolo per la maglia, lasciò che le loro labbra si accarezzassero in maniera sempre più intima e profonda.
E mentre in una stanza un cuore spezzato si affannava a battere, nell’altra due cuori battevano all’unisono.
 
 
La stanza completamente in penombra, Nicholas vide la sagoma di Christopher sul letto in posizione supina, il viso rivolto contro la finestra dalla quale entravano pallidi raggi di luna.
«Il biscottino è qui.» La voce strascicata ma ugualmente ferma sembrava non aver perso quella punta d’ironia che lo contraddistingueva. Nicholas non rispose, tolse le scarpe salendo sul materasso che si piegò al suo peso.
«Sono troppo sbronzo per scopare.» La voce tagliente mirata a ferirlo, non ci riuscì comunque.
«Non sono qui per quello infatti.» Christopher si voltò appena fissando il viso dell’altro adesso vicinissimo.
«E perché sei qui?»
«Perché tutte le volte in cui ho avuto paura tu eri lì con me.. adesso tocca a me.» Le loro iridi del medesimo colore si fusero tra loro, Christopher tornò a poggiare la guancia sul cuscino mentre le braccia di Nicholas lo circondavano, cullandolo.
 
 
La berlina nera si fermò proprio all’ingresso dell’imponente struttura antica, simile ad un piccolo castello. Christopher scese allentandosi il nodo della cravatta e Nicholas lo seguì, sentiva i suoi movimenti legnosi a causa dell’ansia ma l’altro si girò proprio in quel momento sorridendogli divertito.
«Non dire una parola, non ti sopporto in questi momenti. Che per inciso comprendono il 90% del nostro tempo insieme.» La risata di Christopher lo infastidì ancora di più.
«L’altro 10% sei impegnato a gemere, giusto?» Nicholas chiuse gli occhi respirando profondamente, l’avrebbe sempre avuta vinta l’altro perché a differenza sua non aveva tabù e giocava sporchissimo.
«Andiamo.» Christpher si mostrò quasi stupito da quel comando ma si mosse ugualmente accanto a lui. Fissò visi a lui sconosciuti, non c’era il suo Jeremy né Thomas, c’erano solo facce di ricchi rampolli e giovani ereditiere, e qualche ragazzo comune la cui mente era fortunatamente la sua più grande ricchezza. Sentì il braccio di Christopher avvolgergli le spalle.
«Benvenuto alla St.Jules Nicholas McClair, benvenuto all’inferno.» E gli sembrò quasi di vedere le fiamme alte ergersi sopra la scuola, ma fu solo un impressione prima di salire gli imponenti gradini di marmo sotto gli occhi di mille studenti.
Quando Evan gli venne incontro nel corridoio la sua felicità fu così evidente da stupire più lui che l’altro.
«Sei qui, grazie a dio.» Il ragazzo rise scuotendo il capo.
«Va così male? Guarda che è bello sul serio qui. Hai campi da tennis, una biblioteca immensa, decine di laboratori.» Nicholas lo fissò sarcasticamente.
«Hai dimenticato milioni di studenti demoniaci come l’amico tuo.» Evan rise.
«No, lui credo sia il peggiore e hai imparato a gestirlo. Trattare con loro sarà una passeggiata.» Un mormorio indistinto si levò lungo il corridoio costringendo entrambi a voltarsi. Un ragazzo camminava spavaldo e sicuro accerchiato da altri coetanei, i capelli biondi e lisci, occhi castani che sembravano esprimere solo ribrezzo e delle labbra sottili contornate da un altezza di tutto rispetto che comunque non aiutava la bellezza.
«Chi è..» Nicholas tenne gli occhi fissi sullo sconosciuto mentre poneva quella domanda a Evan.
«Lui? Lucas Lancaster, il peggior nemico di Christopher.» Come se lo avessero chiamato apparve anche lui dall’altro lato del corridoio, quella divisa lo rendeva solo più bello.
«E tu saresti lo studente nuovo?» Lucas lo fissò con sprezzo, cosa che innervosì Nicholas parecchio.
«Ebbene si.» Il tono tagliente non sfuggì allo studente che si avvicinò appena sorridendo, quella specie di frattura delle labbra non era per niente simpatica.
«Sai chi sono io?»
«Un ammasso di merda che non riesce a farsi da solo il nodo della cravatta.» La voce di Christopher si frappose tra loro, Lucas si irrigidì fissando l’altro con odio malcelato.
«Underwood, quanto ci metterai stavolta a farti espellere?» Inarcò un sopracciglio incrociando le braccia al petto.
«Dipende, quanto ci metterai a trovare il coraggio di farti picchiare da me?» Il tono innocente, il labbro inferiore appena sporto. Nicholas trattenne il respiro sentendo Evan sospirare subito dopo.
«Ma quando vuoi, lo sai.» Allargò le braccia con scherno e Christopher si mosse oscurandogli la visuale di Nicholas. «E’ il tuo fratellino questo?»
«Così dicono. Sai cosa vuol dire vero?» Gli si fece appena più vicino.
«Che i vostri genitori ora scopano?» Evan bloccò il braccio di Nicholas prima che si slanciasse su Lucas.
«A differenza tua si, ma non solo loro tranquillo. Dovresti provare prima o poi.» Risate appena sussurrate accolsero quella battuta. «Significa che lui è mio, e tu sai cosa succede quando toccano le mie cose.» Nessuno parlò più, il viso di Christopher aveva perso qualsiasi traccia di divertimento, Lucas fissò i tre con occhi annoiati per poi superarli senza aggiungere altro.
«Fammi capire tu sei voluto tornare qui per dover vedere quel coglione ogni giorno?» Nicholas si mise davanti al fratellastro sbarrandogli la strada.
«Tu hai permesso a tua madre di sposare mio padre, sapendo che avresti visto questo coglione ogni giorno. Non siamo poi così diversi.» Evan rise probabilmente per la parte sul coglione spingendo un Nicholas ancora interdetto verso il cortile.
«Andiamo, ci aspettano lunghi mesi qui all’Inferno.»
 

 

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Capitolo 11
*** I kissed a boy ***





 
I piedi si mossero sotto le coperte scontrandosi con le gambe di Christopher ancora dormiente, e nudo, accanto a se. Nicholas si girò fissando quel viso dai lineamenti adesso addolciti a causa del sonno, avevano passato l’ennesima notte insieme, e più la loro intimità cresceva più si sentiva invischiato e coinvolto nei suoi confronti. Le dita accarezzarono le sopracciglia perfette del fratellastro, le ricordava in posizione imbronciata la prima volta in cui le aveva viste, di fronte la scuola, adesso erano serene come le labbra schiuse, il respiro calmo e tranquillo. Si avvicinò ancora scoccandogli un bacio leggero sulla bocca, lo vide muoversi appena e stiracchiarsi con un borbottio sordo.
«E già mattina?» La voce impastata dal sonno mentre giaceva in posizione supina fissando Nicholas con occhi socchiusi, sorrise appena passandogli una mano tra i capelli chiari e spettinati.
«Mancano dieci giorni al Natale.» Non c’era un reale motivo per quell’ammissione, personalmente adorava le feste anche se dopo la morte del padre erano divenute piuttosto malinconiche. Christopher sembrò divenire improvvisamente attento mentre lo scrutava con quelle pozze color ghiaccio, così fredde e inquietanti alle volte.
«Che regalo vorresti?» La voce sinceramente incuriosita lasciò l’altro piuttosto perplesso, non aveva pensato sicuramente all’idea di un regalo.
«A dirla tutta non ne ho idea, non so che regalo vorrei.» Scrollò le spalle sorridendo divertito, Christopher si sporse catturandogli le labbra tra le proprie, prima che se ne rendesse conto quel bacio era già divenuto qualcosa di più. Se lo ritrovò sopra di se, sentì le mano scivolare sotto le coperte, toccando i punti che l’altro sapeva fossero più sensibili. Ansimò inarcando la schiena, lasciando scie rossastre sulla schiena nuda di Christopher. Un rumore improvviso lo fece sobbalzare, si irrigidì fissandolo.
«Che giorno è oggi..»
«Quattordici?» Nell’istante in cui lo disse la risposta arrivò chiara anche alla sua mente, i loro genitori erano appena ritornati dalla luna di miele. Nicholas se lo scrollò di dosso alzandosi in fretta e furia sotto lo sguardo pigro e tranquillo del fratellastro che rimase comodamente disteso a fissare il corpo nudo che raccattava i propri abiti. Nicholas si fiondò alla porta l’aprì e uscì richiudendola con un tonfo. Christopher ebbe il tempo di chiudere gli occhi prima di sentirla nuovamente riaprire, quel viso bello e dai lineamenti dolci sbucò da oltre lo stipite.
«So cosa voglio. Il regalo, intendo.»
«Ah si? E cosa?» Si alzò a sedere, il lenzuolo copriva solo le sue cosce.
«Te. Cioè un appuntamento.. con te.» Fissò il sorriso di Nicholas e una risata gli sfuggì involontaria. Stava già annuendo prima ancora di averlo elaborato mentre lo vedeva sparire, stavolta senza più possibilità di ritorno. E questo gli dispiacque. Talmente tanto da turbarlo.
 
 
«Rebecca e Jeremy stanno insieme, non posso crederci.»
«Chi è Jeremy?» Nicholas fulminò Christopher con un’occhiata che a sua volta sbuffò fuori una risatina. «Oh, rosso malpelo, ma certo.» Ingoiò il boccone masticando tranquillamente, Evan accanto a lui non sembrava particolarmente colpito dalla cosa.
«Il fatto che esista ancora gente in grado di innamorarsi di mia sorella mi rende quasi stupito.» Sollevò appena gli occhiali da vista fissando il cibo con aria critica.
«A me stupisce che ci siano donne in grado di volere John.» Nicholas lo fissò nuovamente male beccandosi una strizzatina d’occhio che non servì a rabbonirlo, ma in compenso attorcigliò le sue budella.
Alla St.Jules persino il cibo della mensa era superbo, ormai si era quasi abituato all’ambiente, nessuno lo infastidiva consapevole della propria parentela, i corsi erano duri ma decisamente migliori di quelli frequentati fino a quel momento.
«Harvard è la mia meta da quando ero un moccioso.» Non seppe bene perché lo disse, cambiando drasticamente il percorso del dibattito.
«Consolati, non sei il solo qui, vero baccello?» Christopher fissò Evan che si esibì in una delle sue migliori smorfie.
«Tu no?» Nicholas sembrò stupito, era sicuro che il fratellastro sognasse la carriera medica tanto quanto lui ed Evan.
«No. Non ambisco ad Harvard anche se ne farò domanda.»
«Lui punta alla Johns Hopkins.» Il tono di Evan non conteneva ilarità, anzi sembrava quasi malinconico all’idea di separare la propria strada da quella del migliore amico, e Nicholas sentì immediata empatia per lui. Per tutto quel tempo era stato fermamente convinto di proseguire il proprio cammino fianco a fianco con Christopher, perché non si era mai prodigato a chiedergli nulla? Si rese conto di aver instaurato sino a quel momento una mera relazione sessuale, senza profondità o spessore. Gli passò la fame in quel momento, allontanò il piatto alzandosi dal tavolo per mollare gli altri due. Sentì i suoi penetranti occhi color del ghiaccio seguirlo lungo tutta la strada.
Sciacquò le mani fissandosi allo specchio, aveva occhiaie appena accennate sotto gli occhi sintomo di un riposo sconsiderato e poco rilassante. Ormai sputava metaforicamente sangue sui libri e quando li mollava correva (e non metaforicamente) da Christopher per lunghe notti d’amore. La conversazione avuta al tavolo tornò a dargli la nausea e fu sovrastata solo da una voce alle sue spalle.
«Guarda chi abbiamo qui.» Lucas sorrideva in compagnia di Robert una specie di braccio destro che lo seguiva ovunque, come un cane da guardia.
«E’ un bene tu lo sappia, vuol dire che la tua vista funziona ancora.» Sorrise attraverso il riflesso strappando della carta con la quale iniziò ad asciugarsi le mani, voltandosi verso i due che adesso non sembravano più così divertiti.
«Lascia che ti dia un consiglio, proteggerti dietro Underwood servirà a poco, quando si sarà stancato ti getterà in pasto a noi come l’ultimo degli scarti.» Lucas mosse un passo avanti pronunciando quella specie di sentenza.
«Lascia che ti spieghi una cosa: io non mi nascondo dietro nessuno. Non ho bisogno di Christopher, ce la faccio benissimo da me.» Robert ghignò palesemente scettico su quell’affermazione e fu verso di lui che Nicholas si diresse.
«Hai qualche problema con me?» Il ragazzo era basso e tarchiato, dalla corporatura massiccia e per nulla elegante.
«Ho molti problemi con te Robert, odio chi mi sghignazza in faccia.» Forse pensavano fosse uno stupido ragazzino debole e malaticcio, a dispetto della sua costituzione ben messa, che non sapeva difendersi da solo. Beh gli avrebbe dimostrato che così non era, e forse la prossima volta ci avrebbero pensato un po’ prima di provocarlo. Uno spintone abbastanza irruente gli fece perdere l’equilibrio, si girò fissando Lucas con le braccia ancora tese e la risata crescente sulle labbra, sorrise di rimando e il calcio che gli assestò al basso ventre arrivò inaspettato un po’ a tutti. Lucas cadde con un lamento e un’imprecazione fissando Nicholas con odio e poi Robert quasi a volergli dare un implicito ordine. Nicholas vide il ragazzo avventarsi contro di lui e fu pronto a reagire schivando il cazzotto che se ben piantato gli avrebbe come minimo slogato la mascella. Barcollò appena e l’altro ne approfittò per colpirlo di nuovo e stavolta con successo. Leccò il labbro pulsante che sicuramente sanguinava.
«Hai fatto una cosa stupida.» Si avventò su Robert gettandolo a terra, salendogli a cavalcioni, iniziando a colpirlo con forza. Solo la stretta improvvisa quanto ferrea sul colletto della camicia lo fece bloccare, e quasi strozzare, si sentì trascinato e infine sbattuto contro la porta di uno dei bagni. Fissò Lucas con un cipiglio rabbioso, aveva gli occhi del codardo doveva aspettarselo un attacco alle spalle.
«Sei fottuto.» Nicholas sorrise dicendolo fissando oltre le spalle di Lucas che non ebbe il tempo di girarsi prima che delle dita si serrassero tra i suoi capelli biondicci sbattendogli con violenza la fronte sul muro. Si accasciò tenendosi il naso accorgendosi solo in quel momento della presenza di Christopher ed Evan.
«Io ti avevo avvisato, ma tu continui a non prendermi seriamente quando dico che odio si tocchino le mie cose.» Robert provò a rialzarsi ma Evan lo bloccò sul pavimento lercio mettendogli il piede sopra il petto, pestandolo dolorosamente, caricando tutto il peso del proprio corpo sulla gamba rischiando di asfissiare l’altro. Gli occhi di Lucas sfrecciarono alla porta cercando un modo per scappare.
«Vuoi andar via?» Christopher accortosi dello sguardo altrui iniziò a canzonarlo e schiaffeggiarlo con un sorriso mesto. 
«Se arriva il professore saremo nei guai tutti.» Fu Nicholas stavolta a parlare piazzandosi accanto al fratellastro che lo degnò di un’occhiata superficiale prima di mollare il proprio giocattolo e andar via quasi riluttante, seguito a ruota da lui e Evan.
«Non finisce qui Underwood.» Lucas ringhiò con rabbia quelle parole che però non fecero tornare indietro il proprio nemico.
 
 
 
La neve ricopriva le strade come un manto candido, il traffico ingorgato e caotico come sempre reso più bello, e quasi magico, dalle decorazioni natalizie a ogni angolo di strada. Erano tutti lì, a ripararsi dal freddo in una famosa caffetteria di Manhattan. Vedere Christopher insieme a Thomas e Jeremy in atteggiamenti amichevoli era quasi più sconcertante di qualsiasi colpo di scena in un qualsiasi film alla tv. Eppure quel gruppo scalcinato, e senza apparenti punti in comune, continuava a frequentarsi e stringersi ancora di più. Evan e Thomas avevano ormai intrapreso una vera e propria relazione che sembrava destinata a durare, aveva qualche dubbio su Jeremy e Rebecca che però al momento sembravano i più innamorati del gruppo. Nicholas bevve la propria cioccolata calda guardando oltre la grande vetrata, doveva dire alla madre la verità. Doveva confessarle di essere omosessuale e accettare le conseguenze, era stanco di vivere come un bambino impaurito, era stanco di sentirsi insicuro dell’amore naturale che la madre provava per lui. Si alzò con un sospiro dirigendosi verso il bancone con la tazza adesso vuota, pronto a ordinare un’altra cioccolata. Si sedette su uno dei tanti sgabelli liberi nell’attesa e Rebecca gli fu subito accanto, indossava un maglione rosso aderente che metteva in evidenza le sue forme perfette, incredibile come il loro bacio ormai gli sembrasse appartenere a una vita fa.
«Cosa turba il mio piccolo principino?» Nicholas le scoccò un’occhiata abbastanza eloquente su quell’epiteto per nulla carino a suo dire. Guardò verso il tavolo, le teste more di Chris e Evan congiunte, bisbigliavano qualcosa tra loro con aria complice e Rebecca seguì il suo sguardo. «Quindi è questo? Sei geloso della loro amicizia?»
«Ma no, certo che no. E’ solo che lui sa molte più cose di me su Christopher, vorrei si fidasse almeno la metà di quanto si fida di lui.» Scrollò debolmente le spalle grattando l’unghia contro la superficie liscia del bancone.
«I nostri genitori ebbero un incidente, io ed Evan avevamo sette anni. Mia madre morì sul colpo, mio padre invece no.. grazie  a Scott. Lo operò ma rimase in uno stato vegetativo, questo però diede a Evan più tempo per stare con lui, lo vegliava notte e giorno sai?» Lo sguardo felino di Rebecca si addolcì di colpo. «Amava nostro padre, erano come un’anima scissa in due corpi, mentre io ero sempre stata più affezionata a mia madre. Per Evan quei pochi giorni valsero una vita intera, e fu lì che incontrammo Chris.» Sorrise a quel ricordo e Nicholas provò quasi nostalgia per degli anni che neppure aveva vissuto. «Christopher ha una personalità dominante, ed era così sin da bambino, anche se forse meno cinico e crudele..» gli occhi si incupirono appena. «Si amalgama alla perfezione con quella più burbera e silenziosa di Evan.» Scrollò le spalle tornando a sorridere, il cameriere consegnò loro due tazze fumanti di cioccolata e con queste tornarono al tavolo.
Christopher fissò Nicholas sedersi di fronte a lui, seguiva quasi involontariamente ogni suo movimento, lo aveva visto alzarsi, parlare con Rebecca, fissarlo, ogni suo più piccolo cambio d’umore o espressione immediatamente notato e incamerato. La sua mente era da sempre troppo vasta, memorizzare le cose era come un gioco per bambini, eppure non si era mai impegnato così tanto. Quando aveva detto a Nicholas di vederlo davvero non aveva mentito.
«Andiamo?» Il fratellastro con il cucchiaino ancora tra le labbra lo fissò.
«Dove?»
«Un po’ qui, un po’ lì.» La mano fendette elegantemente l’aria mentre si alzava imponendogli quasi di seguirlo. Nicholas dal canto suo non se lo fece ripetere due volte seguendolo fuori, l’aria fredda punse il suo naso e le sue guance, seppellì le labbra contro la spessa sciarpa camminando lungo il marciapiede innevato accanto a Christopher.
«Perché siamo andati via?» Si rivolse all’altro che camminava ancora in silenzio.
«Perché sei l’unico viso che non mi annoia mai
«Che tradotto dalla tua lingua cinica e bastarda, sarebbe: volevo stare solo con te.» Sorrise trionfante verso Christopher che lo gratificò di un’occhiata carica di divertimento.
«Stai imparando vedo.» Enigmatico come sempre, non la dava mai vinta.
«Cosa?»
«A vedere e non guardare, Nicholas McClair.»
 
 
«Hai presentato domanda solo per Harvard?» Thomas fissò Evan concentrato a imbucare una palla, la stecca colpì quella bianca con precisione quasi maniacale e il tiro andò a segno.
«No. Anche Stanford, e la Johns Hopkins.» Lo guardò con un mezzo sorrisino ambiguo e la reazione del fidanzato fu quella prevista.
«Oh certo, sia mai tu possa separarti da Christopher. Ho fatto domanda a Yale, non l’hai neppure presa in considerazione.» Si chinò rabbiosamente verso il tavolo pronto a tirare.
«A Yale non c’è la facoltà di medicina. Sai, se tu non fossi così preso dalla tua stupida e infantile gelosia, capiresti ciò che voglio, ciò che è davvero importante per me.» Thomas fallì il colpo e fissò Evan, la rabbia sparita dai suoi occhi verdi sostituita da una lieve traccia di colpevolezza.
«Non voglio separarmi da te.»
«No, non è questo.» Si chinò chiudendo un occhio come a voler prendere la mira. «Tu non sei sicuro di noi, pensi che la distanza distruggerà il rapporto, pensi che io ti tradirò.» Tirò con violenza, la palla andò in buca ma il pallino venne sbalzato fuori colpendo quasi Thomas per poi rimbombare fragorosamente a terra.
«Non succederà?» Strinse il pugno, le sue insicurezze da sempre ostacolo nei rapporti, prima l’ex fidanzato, poi i genitori e adesso anche Evan. L’unico che avesse sul serio contato qualcosa, non come Christopher che l’aveva ammaliato e conquistato ma solo fisicamente e mai emotivamente.
«Dimmelo tu Reed, succederà?» Si poggiò alla stecca come fosse un bastone e lui un vecchio centenario, lo sguardo restò fermo. «Forse dovremmo lasciar perdere prima di andare al college.»
«No. Non è ciò che voglio e lo sai, forse dovresti smetterla di usare una nostra ipotetica rottura come arma di ricatto continua.» Le iridi verdi luccicarono di rabbia.
«Io non la uso come arma di ricatto.»
«Ah no? E come cosa?» Thomas sorrise per nulla gioioso.
«La uso come arma per proteggere me stesso, da te. Da quello che provo, dal potere che hai su di me. Ho pensato di rivedere le mie ambizioni, ho pensato che magari potevo scegliere altro e non medicina ..seguire te a Yale, mi prenderebbero quasi sicuramente.» Si stoppò come se volesse riprendere fiato, e anche qualcos'altro. «Ma perché dovrei? Che amore è se non supera distanze e tempo?» Il silenzio regnò tra loro per qualche istante, troppo grave e pesante per poter essere sopportato a lungo.
«Non voglio perderti.» La voce appena un sussurro.
«E non mi perderai..» Evan si avvicinò a lui, un sorriso triste curvò le sue labbra. «E se dovesse succedere, avremmo avuto la risposta alla nostra domanda di oggi.»
 
 
«Ho una bellissima storia per voi, miei adorabili fiorellini.» Christopher si sedette accavallando le gambe, gli occhi del gruppetto si fissarono su di lui aspettando che continuasse. «Alcune voci celestiali mi hanno riportato un grandioso avvenimento.»
«Piantala di fare il cantastorie, e parla.» Thomas acido come al solito lo esortò con un cenno secco della mano, Evan dal canto suo continuava a sfogliare il proprio libro, Jeremy e Rebecca i più interessati si sporsero verso di lui come a volergli intimare di proseguire e Nicholas mandò giù il biscotto preparato da Maria.
«Oh Reed, ciò che sto per dirti ti lascerà di stucco.» La voce melodiosa di Christopher non sembrò scalfirsi, anzi. «A quanto pare uno studente modello della Stuyvesant High School ha invitato il proprio fidanzato durante la pausa pranzo.» Thomas assottigliò lo guardo, era evidente parlasse di lui. «I due si sono appartati nella palestra della scuola, sapete come funziona.. giovani e focosi.» Stavolta Evan chiuse il libro con un tonfo fissando il migliore amico.
«Ti interessano le mie scopate con Thomas?» Jeremy si strozzò con la propria saliva, Nicholas dal canto suo si ritrasse quasi spaventato dal tono. 
«Non molto, quindi avete scopato? I miei cantastorie parlavano di banali bacetti, devo addestrarli meglio.»
«No.» Lo dissero all’unisono ma con tonalità diverse per poi fissarsi complici. «Arriva al dunque.» Stavolta fu solo Evan a parlare.
«Beh, a quanto pare entro il fine settimana sarete famosi, vi ha beccato quel coglione che scrive per il giornale della scuola, ci sono delle foto..» sorrise ambiguamente sfregando tra loro pollice e indice, gli occhi indolenti e quasi annoiati osservarono lo sbigottimento generale.
«Questo potrebbe essere un problema.» Jeremy fissò tutti con la fronte aggrottata.
«Tu non scopi piccolo Joshua, non sei nei guai.»
«La potresti piantare una buona volta? Nicholas diglielo anche tu.» Il rosso chiese sostegno al migliore amico che dal canto suo scrollò il capo ancora troppo sbigottito.
«Beh, ce le riprenderemo.» Rebecca fissò Christopher con occhi taglienti.
«Hai parlato al plurale o sbaglio biscottino?» Il ragazzo si finse sorpreso, l’amica lo conosceva troppo bene per cascarci.
«Se mio nonno lo scopre, beh… ad Harvard hanno prigioni?» Fissò il gemello che dal canto suo non sembrava molto preoccupato, a differenza di Thomas memore già una volta delle conseguenze. I suoi genitori stavolta dove l’avrebbero spedito?
«Cosa suggerisci, esattamente?» Nicholas fissò la ragazza che al momento aveva occhi solo per Christopher.
«E’ molto semplice.. entreremo a scuola stanotte, e fotteremo quei maledetti rullini.» Il silenzio generale accolse quel piano, Christopher sollevò in aria le iridi come se stesse pregando o contemplando il tetto della propria camera.
«Ottimo, mi mancavano le celle della prigione.» Jeremy concluse così tra gli sguardi sconsolati e divertiti del gruppo.
 
 
«Potresti muovere il culo?» Thomas spintonò Nicholas davanti a lui che imbambolato nel corridoio buio della scuola intralciava il passaggio degli altri. Saltarono Christopher ed Evan subito dopo, lasciando Jeremy e Rebecca fuori a far da sentinelle.
«Okay, tutto molto bello e scenografico, adesso mi dite dove si trova l’aula di giornalismo?» Nicholas lo fissò per un istante indicandogli poi le scale alla fine del corridoio, i piedi dei quattro ragazzi si muovevano con cautela mentre gli occhi non smettevano di scandagliare le mura come se da un momento all’altro potesse apparire la guardia notturna come un fantasma. Christopher a capo del gruppo sembrava l’unico divertito, probabilmente perché in gioco non c’era la sua reputazione anche se Nicholas dubitava fortemente gliene sarebbe importato un granché.
«Hai paura?» La sua voce gli arrivò come un sussurro all’orecchio facendolo tremare, deglutì scuotendo il capo e l’altro rise divertito da quella penosa bugia.
«Mi indisponi, mi auguro tu lo sappia.» Biascicò quelle parole a denti stretti poco prima di sentirsi afferrare la mano, le loro dita si intrecciarono e Nicholas si ritrovò a fissarle tutto il tempo. Era forse un modo per rassicurarlo?
«Eccola.» La voce profonda di Thomas spezzò l’incantesimo costringendo tutti a ritornare alla realtà.
«Chris, muoviti e non prendertela comoda come tuo solito.» Evan indicò la serratura al migliore amico che uscì una piccola forcina dalla tasca dei jeans iniziando a trafficare con calma.
«Pure scassinatore? Mi mancava questa.» Nicholas lo punzecchiò ottenendo in cambio una breve occhiata divertita e la porta come per magia si aprì. La chiusero con cautela accendendo le torce dei telefoni, le luci della stanza erano troppo evidenti e avrebbero attirato l’attenzione. Evan cercò il proprio rendendosi conto di non averlo con se, che lo avesse dimenticato a casa? O a scuola quella mattina? Sospirò frustrato avvicinandosi all'amico. Thomas e Nicholas sapevano bene come muoversi, e furono proprio loro a cercare tra i negativi trovando infine quelli incriminati. Il biondino li passò all’amico che li mise in tasca mentre gli altri due trafficavano coi pc, cancellando le bozze dell’articolo e le relative foto nelle cartelle. Il cellulare vibrò facendo sobbalzare Nicholas, lesse il numero e rispose con voce strozzata.
«Jeremy.. ok.» Improvvisamente pallido scosse Christopher attirando la sua attenzione. «La guardia è qui, dobbiamo andarcene.» Spensero tutto tornando in corridoio, i passi della sentinella sembravano provenire da destra e quindi si diressero dalla parte opposta forzandosi a non correre per non essere sentiti. Scesero le scale ma una luce forte abbagliò il muro accanto a loro.
«Chi c’è lì?» Christopher fissò gli altri tre afferrando la mano di Nicholas.
«Bene biscottini, adesso ci dividiamo e ..mi auguro siate abbastanza veloci.» Non aggiunse altro mentre tenendo ancora per mano l’altro si scapicollava lungo il corridoio senza più curarsi del rumore. Alle sue spalle il respiro ansante di Nicholas e le urla della guardia. 
La porta si aprì conducendoli all’ingresso secondario, si fermarono pochi istanti giusto per riprendere fiato prima di lanciarsi nuovamente nella fuga, gli altri erano ormai un lontano ricordo e Nicholas si augurò che Thomas ed Evan fossero riusciti a scappare senza intoppi insieme a Jeremy e Rebecca.
 
«Credo di non sentirmi più le gambe.» Si lasciò cadere sulla poltrona della propria camera fissando Christopher.
«E le palle? Non le hai perse per strada per la troppa paura?» Nicholas lo incenerì con un’occhiata alzandosi per gettarsi di peso sul proprio letto, a pancia in su.
«Un giorno mi dirai chi ti ha detto di quelle foto?» Sollevò appena il viso notando che l’altro aveva tolto la maglia restando a petto nudo, provò a non distrarsi nonostante la saliva si seccò immediatamente sulla lingua.
«Ho parecchi amici in quello squallido liceo.» Scrollò le spalle con la solita altezzosità salendo sopra il letto, sovrastando l’altro che dal canto suo continuava a fissarlo come affascinato. «Ho pensato al regalo che vuoi, che ne dici di cenare qui con la famiglia e poi uscire solo noi due, ovviamente.» Nicholas annuì, non pensava lo avrebbe preso sul serio in quelle circostanze eppure così sembrava. Le dita di Christopher iniziarono a sbottonargli i jeans, trattenne il respiro mentre li sentiva scivolare via lasciandolo solo con i boxer.
«I nostri genitori sono a casa.» Nonostante il tono d’avvertimento si sporse verso le sue labbra che lo ricompensarono con un bacio. 
«Allora dovrai essere molto silenzioso, Nicholas.» Sorrise malizioso mentre la lingua iniziava il suo lento percorso, partendo dalle clavicole e sempre più giù.
Nicholas chiuse gli occhi ritrovandosi naufrago di un piacere che pensava lo avesse reso schiavo e dipendente, la stanchezza della corsa ormai un lontano ricordo mentre affondava le dita tra i capelli neri dell’altro, sollevando il bacino come a invogliarlo a continuare. Ansimò a voce bassa, violentando se stesso per non urlare eccitato, il ricordo di ciò che avrebbe voluto confessare alla madre ormai offuscato come se tra lui e il resto del mondo ci fosse una cortina fumosa invalicabile.
«Hai ancora paura, McClair?» Sentì a stento quelle parole, non sapeva neppure se l’altro le avesse pronunciate davvero. Si ritrovò a schiudere le labbra in un sorriso addolorato ed eccitato al tempo stesso.
«Ho più paura di prima.»
 
 
Dall’altra parte della città una mano tesa afferrò una piccola scheda di memoria, gli occhi color nocciola si illuminarono di sadico divertimento.
«Come sapevi che Evan aveva quel video al cellulare?» Il ragazzo di fronte a lui scrollò le spalle.
«Christopher ha parecchi studenti che a scuola ‘’ascoltano’’ i pettegolezzi per riferirli a lui, basta farsene amico uno per sapere quanto serve.»
«E come lo hai preso e riportato a quel bastardo di Cooper?» Inarcò un sopracciglio inchiodando l’altro con sguardo inquisitore.
«Diciamo che stasera erano abbastanza impegnati, Evan non avrebbe notato la mancanza del suo cellulare, l'ho preso stamattina a scuola e l’ho rimesso a posto in tempo poco fa.» Sorrise divertito e compiaciuto, far dire a Christopher di quelle foto era stato un diversivo magistrale. Presentarsi in casa di Evan ancora più semplice, il nonno era una persona parecchio cordiale, e mentre lui riponeva il cellulare nella stanza il legittimo proprietario correva dall’altro capo della città.
«Ottimo, bravo Robert. Adesso vedremo quanto sa fare lo sbruffone Underwood con i coglioni strizzati in gabbia.» Robert fissò Lucas e una risatina divertita si levò nella stanza.
 

 

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Capitolo 12
*** Do they know it's Christmas ***






 
La neve continuava a cadere lungo le strade, così placida e tranquilla come se non avesse fretta di riempire totalmente la città. Christopher fissò oltre la finestra, la tenda appena scostata e chiusa tra le sue dita, sarebbe dovuto andare da sua madre lo sapeva bene, ma dubitava avrebbe ottenuto qualcosa a parte il silenzio duro nella quale lei lo aveva condannato da più di dieci anni. Chiuse gli occhi e le palpebre tremarono appena, rivedeva sempre la stessa scena, quei fanali luminosi, lo stridio dei freni e l’odore d’asfalto bruciato. Qualcuno bussò alla porta, rimase fermo in quella posizione mentre la porta veniva aperta.
«Signorino, la cena sta per essere servita.» Restò di spalle, la schiena dritta e contratta.
«Grazie Maria.» Sentì la donna trattenere il respiro, probabilmente stupita dal fatto che finalmente l’avesse chiamata col proprio nome. Niente giochetti o stupidi scherzi in quella serata malinconica, in fondo era Natale e persino Christopher Underwood provava a essere più buono. Sentiva il brusio in sottofondo mentre scendeva le scale, la casa più calda del solito ed eccolo entrare in soggiorno. Gli occhi del padre si posarono su di lui in maniera affettuosa, avrebbe voluto farseli bastare. Avrebbe voluto che quegli occhi bastassero a compensare tutto, a fargli dimenticare ogni cosa, ma non ci riuscivano mai. Eppure quando fissò Nicholas, la sedia vuota accanto a lui, pensò che forse quel Natale non sarebbe stato così malinconico.
«Pensavamo non scendessi più.» Fu Amanda a parlare invogliandolo a sedersi, si accomodò accanto al fratellastro sorridendo cordiale.
«Avevo alcune cose da rivedere, i test scolastici ormai sono serrati e non posso farmi trovare impreparato.» Il padre sospirò divertito.
«Come se fosse possibile, tempo fa gli vidi memorizzare nozioni solo sfogliando un tomo.» Amanda rise e Nicholas lo fissò, lesse orgoglio nei suoi occhi come se quella dote innata fosse anche sua. Christopher deglutì e stavolta non sorrise, ci pensò Maria a toglierlo dall’impiccio portando le prime portate fumanti in tavola.
Le ore trascorsero piacevoli, Christopher li osservava ridere e poi sentiva il rumore della propria quasi con stupore. Cantarono tutti le canzoni natalizie mentre lui eseguiva i brani al violino, si scambiarono i regali e fu subito felicità.
La felicità era da sempre qualcosa di effimero, almeno per lui, l’afferrava per brevi istanti e poi la vedeva scivolare via e restava lì a chiedersi se in fondo l’avesse provata sul serio, o se si fosse semplicemente illuso per poter andare avanti ancora un giorno, un mese, un anno o una vita intera.
«Io e Christopher andiamo dagli altri.» Nicholas lo fissò complice e a lui venne da ridere per il candore di quella bugia. Si alzarono indossando i cappotti, lasciandosi dietro il tepore di un camino dalle braci ancora vive e due corpi abbracciati intenti a ballare una melodia udibile solo a loro, perché confinata dentro due cuori innamorati.
 
«Quindi? Dove sono gli altri?» Christopher lo canzonò ricevendo in risposta un’occhiataccia che si tramutò subito in sorriso.
«Non sapevo che altro dire.» Contrito arricciò il naso, l’altro gli afferrò la mano senza dargli alcuna possibilità di sfuggirgli.
«Non hai alcuna intenzione di parlare a tua madre?»
«Si.. devo solo trovare un momento.» O il coraggio, ma questo lo sapevano bene entrambi. «Dove mi stai portando?» Si guardò intorno, nonostante ormai conoscesse la zona non era sicuro di dove fossero.
«Nel mio vecchio quartiere.» Christopher non lo guardò mentre continuava a camminare, Nicholas pensò di non aver mai visto uno scenario più bello e crudele al tempo stesso, tra le strade bianche e l’altro che vi camminava in mezzo. Avrebbe ben presto cambiato idea.
«Dove vivevi?» Si guardò intorno, non erano lontanissimi dalla casa attuale.
«In quel palazzo.» Indicò un grattacielo a pochi metri, Nicholas lo fissò qualche secondo finché non sentì la presenza dell’altro muoversi e allontanarsi. La mano che fino a quel momento era stata stretta in quella altrui sembrò improvvisamente vuota e fredda, la mise in tasca seguendolo in silenzio, aveva come l’impressione che quella notte di Natale non l’avrebbe dimenticata facilmente. Uno spiazzale si aprì davanti ai suoi occhi, un piccolo parco giochi ormai abbandonato, i giochi consunti coperti dalla neve.
«Venivo a giocare qui con William.» A quel nome girò il capo in maniera irruenta fissando Christopher adesso seduto  su di un gradino in pietra incurante della sporcizia, quella sera indossava dei pantaloni dal taglio sportivo scuri e un maglione a collo alto celeste che risaltava il colore delle sue iridi.
«Chi è William?»
«Era mio fratello.» Il silenzio piombò in quel piccolo spiazzale, Nicholas mandò giù il bolo improvvisamente amaro di saliva. Non aveva mai visto in casa foto di William.
«Anche lui ha scelto di non far parte del tuo futuro? Come tua madre?» Aveva il timore di sentire la risposta, Christopher sollevò il capo piantandogli addosso le iridi adesso grigie come la tempesta più violenta.
«No. Lui è morto. Davvero.» Mandò giù il groppo tirando su col naso. «Avevo sei anni, William cinque. Ero un bambino iperattivo, apprendevo troppo facilmente e questo mi portava ad annoiarmi sempre. A quattro anni sapevo già leggere e scrivere meglio di molti adulti.» Sorrise sghembo, nessuna traccia di vanto stavolta ad adombrare i suoi lineamenti. «Ma, se io ero la mente, quello perfetto.. William era il cuore.» Nicholas ricordò le parole dette da lui nella camera in quella che sembrava ormai una vita fa. «Non aveva le mie abilità, ma era empatico, tutti lo amavano. Mia madre era pazza di lui, perché Will riusciva a dargli l’amore che io non sapevo trasmetterle pur provandolo.» Chinò il capo osservando l’impronta della propria scarpa sulla neve.
«Cosa è successo?» La voce di Nicholas fu un sussurro appena udibile.
«Volevo giocare, sempre. Ero perennemente imbronciato, finivo i compiti in pochi minuti e costringevo Will a seguirmi, era come la mia metà. Nevicava anche quella mattina, sai?» Lo guardò e Nicholas capì che quegli occhi non lo stavano più vedendo. «Mamma non voleva uscissimo, ma io non l’ascoltai. William mi seguì, lui mi seguiva sempre io ero il maggiore ..ero il suo cardine. Le strade erano ghiacciate, attraversai con la mia solita irruenza e lui mi seguì, in quel momento apparve un camion. Provò a frenare, sento ancora il rumore stridente dei suoi freni, ma il ghiaccio glielo impedì. Quando mi voltai William era a terra, sai cosa pensai?» Nicholas non riuscì a rispondere. «Pensai ‘’la neve è così rossa adesso, è quasi poetico’’.»
Christopher guardò il cielo scuro, non c’era nessuna stella a brillare, vedeva solo la neve continuare a cadere e cadere.
«Tua madre..» Nicholas mosse un passo verso di lui. «Tua madre..»
«Mia madre mi odia.» Lo disse con tranquillità alzandosi e togliendosi di dosso i fiocchi poggiati sul proprio cappotto. «Ha tentato due volte di uccidersi, credo dovesse per forza trovare un colpevole per non impazzire del tutto. E quel colpevole ero io.» Si fissarono in silenzio, il dolore muto urlava in silenzio strappandosi di dosso la carne. La neve si colorò ancora di rosso, Nicholas riusciva a vederla chiara e limpida come fosse pieno giorno.
«Tuo padre ha divorziato per questo?» Il sapere era come il piatto goloso che aspetta d’esser mangiato tutto.
«No, ha divorziato dopo che tentai di gettarmi dal terrazzo.» Nicholas si ritrasse come se fosse stato colpito, non voleva pensare al suo Christopher sopra il bordo e ad accoglierlo solo il nulla. L’altro sembrò leggergli nel pensiero, rise in maniera acuta e stridente. «Oh il mio piccolo baccello, così ansioso di far sempre la cosa giusta. Così ligio e corretto. Non lo avrei mai fatto, sono stato un codardo miseramente attaccato alla mia vita.»
«Perché me lo hai raccontato?» Nicholas colmò le distanze tra loro, dalle labbra schiuse uscivano piccole nuvole di fumo condensate.
«E’ per metà il mio regalo di Natale questo. Non eri forse geloso del fatto che Evan sembrasse sapere sempre più di te?» Gli occhi di Nicholas sbarrati per l’incredulità.
«Te lo ha detto Rebecca?» Si sentì tradito e umiliato, ma l’altro fu lesto e sbuffare fissando la strada appena visibile dalle mura di cinta.
«No. Quante volte dovrò dirtelo? Io ti vedo Nicholas.» Il biondo sentì un improvviso calore spandersi dentro di lui, le dita ghiacciate sembrarono riscaldarsi mentre le poggiava sul viso di Christopher. Si sporse appena catturandogli le labbra tra le proprie, le loro lingue calde si cercarono trovandosi e il mondo poté giurare che sparì in quel preciso istante, tra le sue braccia, con i respiri infranti sui visi, con le parole dolorose della quale adesso era custode.
«Buon Natale, Chris.» Sorrise allontanandosi appena.
«Buon Natale, McClair.» Sollevò l'indice sinistro rimuovendo l’anello in oro bianco con il marchio di famiglia inciso sopra. Una ‘’U’’ e un piccolo diamantino incastonato, mettendoglielo tra le mani. Nicholas lo fissò imbambolato.
«Perché me lo dai? E’ tuo, dovrebbe averlo tua moglie un giorno o tuo figlio.»
«Dovrebbe averlo chi dico io, e quel qualcuno sei tu.» Sospirò e il fumo condensato uscì ancora dalle sue labbra.
«Perché?» Per Nicholas sembrava vitale saperlo.
«Perché ti deluderò, prima o poi. E quando succederà, vorrei guardassi l’anello e ricordassi questa notte.»
 
E Nicholas si ricredette davvero, sotto quel cielo nero, con Christopher illuminato dalla pallida e biancastra luce dei lampioni e la neve sul suo capo. Era quello lo spettacolo più bello e crudele di tutti.
Un eco nell'eternità.
 
 
Una vecchia canzone natalizia passò alla radio in quel momento, la donna seduta sulla poltrona contemplava una vecchia foto rinchiusa in una cornice ben lavorata. Le dita tremanti accarezzarono il viso sorridente del bambino, aveva capelli neri come la pece e occhi azzurri brillanti, le guance rosse tinte dall’innocenza. Un’innocenza strappatagli violentemente. Le iridi color del cielo erano simili a quelle del fratello, ogni volta che camminavano l’uno accanto all’altro la gente pensava fossero gemelli, ma non lo erano. Erano diversi come il giorno e la notte. Una lacrima fredda cadde sulla sua guancia, il cuore avvizzito batteva lento, ogni battito doloroso come una lancia conficcata sulla carne. Abbracciò la cornice in quella casa spoglia e senza alcun calore, nessuna lucina natalizia ad addobbarla. L’unico addobbo presente era il dolore cupo e asfissiante, un dolore che aveva offuscato il suo giudizio annerendo l’amore di madre che sentiva ormai morto.
 
 
Il lampadario mandava nella stanza una luce fredda, quasi impersonale, era stata sempre così? Le cene da asporto non erano sicuramente la scelta migliore a Natale, ma in assenza di meglio bisognava comunque accontentarsi. Era stato sempre un fan sfegatato delle feste, così allegre e colorate mentre adesso la solitudine e la malinconia lo spingevano quasi ad odiarle. Ingoiò l’ultimo boccone, la scatola contenente gli involtini primavera ormai vuota. La fissò fino a sentire gli occhi bruciare, avrebbe voluto chiamare i genitori ma non era sicuro avrebbero risposto. Il campanello suonò seccamente una volta, fissò la porta chiusa come se volesse vedervi attraverso, la mezzanotte non era ancora scoccata, la maggior parte della gente ancora chiusa in casa con i propri familiari, nessuno sarebbe di certo uscito. Si alzò con passo strascicato, e quando l’aprì il viso di Evan comparve in tutta la sua severa bellezza.
«Che ci fai tu qui?» Forse non era la cosa più intelligente da dire, né la più dolce, ma Thomas non era mai stato bravo a nascondere lo stupore.
«Secondo te?» Lo superò senza dargli il tempo di farlo accomodare togliendosi il cappotto imbiancato dalla neve che appese all’ingresso, ogni suo movimento trasudava la classica sicurezza di chi conosceva bene l’ambiente, e infondo era sul serio così. Il fatto che Thomas vivesse solo rendeva la sua casa quella più sicura per passare del tempo insieme.
«Avevi detto di dover passare il Natale con i tuoi nonni.» Chiuse la porta continuando a fissarlo.
«So quello che ho detto.» La voce trasudava un impercettibile e buffo nervosismo, Evan odiava i discorsi banali e scontati. Thomas abbozzò un mezzo sorrisino muovendosi impacciato nella stanza.
«La cena è finita prima quindi?» Evan sembrò non sentirlo troppo preso a fissare le scatole vuote di cibo.
«No, sono andato via prima che portassero il dessert.» Si fissarono in silenzio.
«Perché?» Si sentiva un disco rotto.
«Perché saperti solo in questa casa mi aveva rovinato l’appetito. Vedevo mangiare i miei nonni, stanno insieme da sessant’anni sai? E poi c’era Rebecca che ciarlava e rideva. Ma io continuavo a forzarmi per far scendere giù i bocconi.» Si avvicinò a Thomas che sembrava aver smesso di respirare. «Ti vedevo qui da solo, volevo farti gli auguri e mangiare insieme a te, mentre fissavo mio nonno e il suo modo di guardare mia nonna ho pensato che questa notte la si dovrebbe passare con chi ami.» Si stoppò in attesa di una risposta, di un cenno da parte dell’altro che gli facesse capire che quanto aveva detto era stato recepito.
«Ti amo anch’io.» La voce uscì greve, quasi smozzicata per la tensione. Si sorrisero, Thomas era sicuro che un sorriso bello come quello di Evan non potesse esistere neppure girando il mondo per tre volte. Lo baciò respirando il suo odore, quella combinazione letale di bagnoschiuma e pelle che gli dava perennemente le vertigini. Spiegare la sua attrazione per l’altro era impossibile, ricordava quando lo aveva visto la prima volta sulla soglia della camera del dormitorio in Inghilterra, anche allora aveva sorriso e il suo cuore aveva iniziato a correre. Ma in quel periodo c’era Chris, e lui era fermamente convinto di amarlo e adorarlo. Poi ci fu quel bacio, Thomas non aveva mai detto a nessuno la verità: era stato lui a baciarlo e non viceversa, prima di scoprire Christopher con Rebecca.
«Buon natale, idiota.» La voce di Evan un sussurro divertito mentre con dita sicure lo spogliava del maglione, sotto la luce adesso improvvisamente calda e accogliente del lampadario.
 
 
 
«Direi di brindare a questo fantastico nuovo anno.» Jeremy sollevò il bicchiere, tutti riuniti per salutare il vecchio anno in favore del nuovo. L’Insomnia brulicava di gente con l’aria di chi cercava spasmodicamente un po’ di insano divertimento.
«Come sai che sarà un fantastico anno?» Rebecca lo stuzzicò sorridendo, era ovvio che si aspettasse di sentirsi dire che la causa di quelle positive aspettative fosse lei.
«Perché ha conosciuto me, giusto Jason?» Chris lo guardò con un mezzo sorrisino sorseggiando lo champagne frizzante, le bollicine solleticarono la sua lingua.
«Oh si, grazie a te ho scoperto ogni giorno di poter essere una persona diversa.» Il rosso lo fissò con astio, nonostante gli occhi luccicanti di qualcosa simile all’affetto. Nicholas seduto sul divanetto fissava insistentemente il proprio fratellastro, al suo dito adesso luccicava il famoso anello di famiglia. Non lo aveva più tolto da quella sera, unico testimone del loro amplesso sul tappeto di fronte al camino. Il nuovo proposito dell’anno era dire tutta la verità alla madre, o comunque la parte essenziale.
«Ti diverti?» La voce di Christopher si frappose ai suoi pensieri, adesso seduto accanto a se il busto girato verso di lui, il viso appena proteso.
«Molto, credo l’anno sia cominciato bene, no?» Era come se si aspettasse una rassicurazione, e questo provocò l’ilarità nell’altro.
«Inizierà bene solo quando sarai nudo sul mio letto, fiorellino.» La solita voce altezzosa, adesso bassa e carica di erotismo malcelato. Nicholas si schiarì la voce sporgendosi verso di lui.
«Stavolta sarai tu a soccombere, ‘’fratellino’’.» Gettò il guanto di sfida che l’altro sembrò ben felice di prendere, gli occhi scintillanti di malizia.
«Piantatela, per scopare avete tempo.» Evan si intromise sedendosi sul divanetto di fianco, Thomas si accomodò sul bracciolo odorando restio il proprio drink.
«Non è veleno, se volessi ucciderti ti investirei con la mia Ferrari biscottino.» Christopher lo disse con acre dolcezza beccandosi il cortese invito da part dell’altro di avviarsi verso una ‘’meta’’ parecchio conosciuta e frequentata. Nicholas fissò i due amici, sembravano guardarsi in maniera diversa come se avessero oltrepassato una certa barriera. E lui? A che punto era lui con Christopher? Non ne aveva idea. In realtà non c’erano ti amo urlati nella notte, o relazioni ufficiali, erano come due entità unite da qualcosa di inconsistente ma tremendamente presente che però non riusciva mai ad afferrare.
«Ho bisogno di qualcosa di decisamente più forte, Evan questo champagne è una merda.» Fissò il migliore amico con cipiglio critico.
«Ringrazia mio nonno, sicuramente sarà felice di sapere cosa pensi del suo champagne costoso.» Sollevò il calice in un brindisi silenzioso.
«Oh suvvia, non c’è bisogno di ferire i sentimenti del vecchio Cooper.» Sorrise diplomaticamente per poi curvare le labbra all’ingiù. «Nulla toglie comunque che sia una merda.» Si alzò mollando lì il gruppo, scendendo le scale che portavano al piano inferiore e quindi al bancone del bar. Nicholas si alzò a sua volta poggiandosi alla ringhiera in metallo, i suoi occhi non si staccavano dalla figura slanciata che pareva calamitare le attenzioni di chiunque lo incrociasse. Provò a soffocare la gelosia e in quel momento il cellulare squillò. Squillò subito dopo quello di Evan, e di Thomas, di Rebecca e di Jeremy finché non vide persino Christopher infilare la mano nella tasca dei jeans e afferrare il proprio. Nicholas sbloccò lo schermo, era un messaggio con allegato un video, prima ancora di aprirlo seppe bene cosa stava per guardare. Premette play e il frastuono di una notte ormai lontana si levò nell’aria, sentì il medesimo suono provenire anche dagli altri cellulari, sentì gli occhi dei suoi amici increduli e quasi sconvolti posarsi sulla sua schiena; immaginò Evan a chiedersi come il video del bacio fosse finito sui cellulari degli altri, e infine vide lui.
Christopher alzò il capo, i loro occhi si incrociarono e incatenarono.
 
In allegato al video un’unica frase: ‘’felice anno nuovo, Underwood’’. 
 

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Capitolo 13
*** Castle of glass ***





 
L’auto procedeva spedita lungo le strade innevate, i suoi occhi fissi oltre il finestrino non davano cenno di voler guardare il ragazzo accanto a se. Quella serata si era definitivamente conclusa con l’arrivo del video incriminato. «Non voglio tornare a casa.»
«Beh indovina? E’ proprio lì che stiamo andando.» Il tono beffardo di Christopher servì solo a tendere ancor di più i nervi già provati di Nicholas che si irrigidì sul sedile.  
«Ti diverte? Riesce a divertirti anche una cosa simile?» La voce uscì più aggressiva di quanto avesse voluto, mentre si voltava repentinamente verso l’altro immerso nella guida. «Se i nostri genitori hanno ricevuto quel video..»
«Non lo hanno ricevuto.» Sempre sicuro di se, non perdeva mai la calma come se non ci fosse nulla che potesse sgretolare la sua corazza inespugnabile, tranne una cosa. E Nicholas dalla notte di Natale ne era il custode.
«Come fai ad esserne così sicuro?»
«Pensi che Lucas si brucerebbe un’arma simile così?» Lo fissò incredulo come se fosse qualcosa di talmente banale e ovvio da essere evidente persino a un bambino. Nicholas respirò profondamente provando a mantenere la calma.
«E quindi, qual è il suo piano?» Tanto valeva ormai chiedere delucidazioni anche a costo di apparire uno sprovveduto.
«Chiedere qualcosa in cambio, qualcosa di banale in effetti.» Sorrise arcigno aumentando la velocità, Nicholas comprese che non avrebbe più parlato. Non durante il tragitto fino a casa almeno, e quindi restò in silenzio, accucciato contro il sedile a fissare i grattacieli come macchie indistinte di fianco a se. Era una situazione assurda e surreale, secondo Evan era successo la notte della scorribanda al suo vecchio liceo. Quel giorno sembrava aver perso il proprio telefono, salvo poi ritrovarlo sano e salvo sulla propria scrivania la sera stessa. A detta del nonno un compagno glielo aveva riportato, e se Evan non c’aveva prestato attenzione sino a quel momento adesso aveva una vaga idea di chi fosse stato. Era incredibile, fottuti senza neppure rendersene conto.
Entrarono in casa senza fare il minimo rumore salvo poi rendersi conto che i genitori non erano neppure in casa ancora, d’altra parte la mezzanotte era scoccata da poco e non tutti ricevevano video incriminati che li costringeva a correre via dai festeggiamenti.
«Ti aspetto nello studio.» Fu Christopher a parlare prima di voltargli le spalle e sparire lungo le scale. Nicholas lo seguì con lo sguardo finché non sparì per poi correre verso il corridoio nella camera matrimoniale della madre, iniziò a rovistare dentro i cassetti e poi passò alle borse, non c’era niente. Tornò all’ingresso e vide appesa la borsa che usava spesso, regalo di Scott, per uscire. L’afferrò guardandoci dentro e trovò il cellulare, le mani tremavano mentre provava a sbloccarlo e quando ci riuscì scoprì con sua immensa sorpresa che Chris aveva ragione: non aveva ricevuto nulla.
 
«Sei più tranquillo adesso?» Christopher era in piedi accanto al camino, un calice pieno di quello che sembrava vino tra le mani, non si era cambiato.
«Potrebbero inviarlo domani..»
«Piantala Nicholas, ho ragione io ammettilo e falla finita.» Il tono tagliente indispose il biondino che lo incenerì con un’occhiata per poi sedersi sulla poltrona accanto al fuoco.  
«Okay, quindi qual è il piano?» Lo vide bere tranquillamente continuando a fissare le fiamme crepitanti e guizzanti, un bagliore strano nei suoi occhi provocò un’intensa sensazione di disagio e paura nell’altro.
«Distruggerli.» Era una parola semplice ma dal contenuto parecchio pesante. Distruzione. Era il compito principale della guerra, loro vivevano in un’epoca dove le battaglie sembravano coinvolgerli sempre indirettamente.
«In che modo?» Si sporse appena ad occhi socchiusi e l’altro lo beneficiò di un’occhiata superficiale.
«Non è un’incombenza tua saperlo, piuttosto il tuo compito è annullare il ricatto.» Nicholas si irrigidì.
«E come diamine dovrei fare? Vado lì da lui e dico ‘’ehy amico, mi potresti tornare il video? Se non è di troppo disturbo ovviamente!’’», la voce in falsetto divenne roca e rabbiosa all’ultimo.
«Devi imparare a giocare come noi se vuoi sopravvivere biscottino, non vedi? Loro pensano tu sia la mia falla, il mio punto debole, la persona che mi porterà alla distruzione.» Si stoppò sorridendo e Nicholas si sentì quasi invidioso del non esserlo sul serio. «Cosa pensi che voglia Lucas? L’intero dominio a scuola e nella società. Il potere, è questo che piace a tutti.» Bevve ancora sedendosi.
«Beh a me no, non me ne frega un cazzo del potere.» Scrollò le spalle indolente beccandosi la risatina dell’altro.
«Non ti piace adesso, ma quando l’avrai provato..» lo fissò in maniera ambigua lasciando oscillare il liquido vermiglio dentro il calice. «Pensaci tu, fai vedere a Lancaster che non sei un ragazzino pronto a nascondersi dietro di me.»
«E come dovrei fare, non sono molto bravo nei giochi della manipolazione.» Il tono grondava sarcasmo e anche accusa verso il re dei manipolatori.
«Battilo al suo stesso gioco, vedi Nicholas ..tutti, e dico tutti, qui abbiamo dei segreti.» Sorrise e l’ombra delle fiamme rese i suoi lineamenti attraenti e spaventosi al tempo stesso. «Basta solo trovarli.»
 
 
«Lasciare tutto nelle mani di Nicholas è una follia, ti porterà alla rovina.» Evan aprì frustrato il proprio libro, la biblioteca quasi deserta.
«Forse. O forse no. Devono imparare a temerlo, o non finirà mai. Oggi è Lucas, domani sarà un altro stronzo.» La sua voce morbida e quasi carezzevole mentre leggeva con indifferenza un grosso volume di quella che sembrava chimica avanzata.
«Potrebbe non essercene bisogno, Lucas vi distruggerà prima.» Preoccupato per l’amico non riusciva a vedere alcun risvolto positivo a quella situazione, Christopher sospirò spazientito.
«Evan, hai dimenticato chi sono?» Inarcò un sopracciglio, nessun sorriso seguì quell’affermazione mentre attendeva una risposta.
«No, ed è per questo che vorrei te ne occupassi tu.» Si sporse verso di lui, voleva quasi supplicarlo.
«Lo sto facendo.» Chiuse il libro con un tonfo lasciandosi andare contro la sedia, fuori il sole splendeva freddo e maestoso, un sorriso cattivo increspò le sue labbra.
 
 
Seduto solo sugli spalti della palestra il capo chino e le spalle ricurve, continuava a pensare e ripensare a una possibile soluzione. Christopher gli aveva lasciato tutto il lavoro tra le mani, come una patata bollente che lentamente sembrava scorticargli la pelle. Serrò le palpebre pressandosi le tempie, costringendo i propri neuroni a pensare una possibile via di fuga. Supplicare era fuori discussione, il fratellastro lo avrebbe fustigato e conoscendolo dubitava parlasse per metafore anzi. Mugugnò lamentoso cercando di quietare il rumore dei suoi pensieri urlanti, concentrandosi solo sul problema. Se lui fosse stato Christopher, cosa avrebbe fatto? ‘’Distruggerlo’’, beh non era una soluzione, a parte gettarlo in un fosso che altro poteva fare? Le parole della famosa notte davanti al camino rimbalzarono nella sua mente, erano passati dieci giorni, aveva detto che tutti avevano segreti bastava solo trovarli.
«E come?» Borbottò quelle parole con rabbia, un ragazzo entrò nella palestra in quel momento Nicholas lo fissò senza apparente interesse finché qualcosa non sembrò riscuoterlo. «SI.» Lo studente sobbalzò a quel grido fissandolo male, lui sembrò non curarsene mentre raddrizzava il nodo della cravatta sistemando la divisa per poi uscire correndo da lì. Christopher aveva parecchie ‘’spie’’ dentro l’istituto, li chiamavano ‘’la piramide’’ erano le fondamenta stessa di quella società, chi meglio di loro poteva dargli informazioni utili?
Tra il dire e il fare c’era di mezzo un mare di diffidenza però. Quei ragazzi rispettavano e temevano Chris, non lui, quindi perché confidargli cose apparentemente segrete? Nicholas si rese conto che con la sua solita dolcezza non sarebbe andato da nessuna parte, doveva diventare un Underwood e questo costava parecchia fatica.
«Sei Logan, vero?» Il ragazzo lo fissò con diffidenza.
«Lo sai benissimo chi sono, e no. Non parlerò con te ragazzino.» Rise divertito voltandosi verso gli altri compagni, estraniandolo totalmente. Secondo fonti certe era da Logan che partiva quella sorta di piramide sussurrante che faceva arrivare voci a Christopher e altri del suo calibro. Nicholas respirò profondamente sedendosi accanto a lui, il ragazzo dai capelli di uno strano blu artefatto si girò scocciato ma non ebbe il tempo di lamentarsi, i suoi capelli vennero afferrati e torti dolorosamente strappandogli un urlo.
«O parli, o giuro che dovrai usare i soldi della tombola natalizia per rifarti i connotati facciali.» Sussurrò quella minaccia con tono dolce stringendo ancora più forte la presa. Il ragazzo digrignò i denti provando a divincolarsi con scarso successo.
«Mollami, ho capito cazzo.» Nicholas strinse un’ultima volta per ribadire il concetto e infine lo mollò aspettando. Logan si massaggiò la nuca con una smorfia. «Vuoi informazioni su Lucas, giusto?»
«E Robert.» Nicholas sorrise e l’altro sbuffò.
«Mi auguro per te che Christopher sia d’accordo, o giuro che..»
«Dovresti avere molta più paura di me, fidati.» Non era vero, aveva come l’impressione che il fratellastro non si limitasse a tirare i capelli in quei frangenti, ma poteva comunque mentire.
«Alcune ‘’voci’’ dicono che Lucas Lancaster si scopi la sua matrigna, sai cosa succederebbe se il generale Lancaster lo sapesse?» Rise divertito ma Nicholas non lo seguì, non era ancora pronto a godere della rovina altrui. «Mentre Robert.. ha una passione per la cocaina.» Sbarrò gli occhi incredulo alzandosi.
«Stai mentendo?» Si chinò assottigliando le palpebre.
«No, perché dovrei? Ma confutare i pettegolezzi tocca a te, io posso solo darti le ‘’voci’’, trasformarle in fatti è compito tuo bambino.» Gli sorrise divertito e Nicholas desiderò avergli spaccato la faccia prima.
 
 
«Mi sento nel pieno di una puntata di CSI.» Jeremy mosse il capo spostando come al solito il ciuffo rossiccio dalla fronte mentre seguiva una berlina nera a poca distanza.
«Non stiamo mica andando a scovare un cadavere, che cazzo c’entra?» Nicholas lo fissò di sottecchi.
«Beh.. diverrà un cadavere appena il padre saprà chi si scopa il figlio.» L’altro non rispose, ne era consapevole ed erano ore che provava a ricacciare il groppo alla gola e il senso di colpa. In fondo c’era in gioco la sua vita, preoccuparsi di chi voleva rovinarla era inutile, lo rendeva debole sempre e comunque, un bersaglio facile da colpire.
«Sta svoltando a destra.» Jeremy lo riscosse da quei pensieri, fissò la via con apprensione non era una zona frequentatissima quella.
«Perché diavolo è venuto qui?» Fissò sbigottito il rosso che sospirò come se avesse di fronte un demente.
«Perché qui ci sono i peggiori Motel della città, genio. E perché un Lancaster dovrebbe scoparsi qualcuno qui?» Si fissarono in silenzio.
«Perché sta per vedere la matrigna.» Lo dissero all’unisono scoppiando a ridere, si diedero il cinque fermando l’auto proprio nei pressi dell’ingresso, Jeremy afferrò il cellulare avviando la fotocamera.
 
 
 
«Non posso credere a ciò che sta succedendo.» Thomas scese dall’auto seguito da Evan.
«Neppure io francamente, mi sono fatto fottere il cellulare come un idiota e questo non può essere perdonato.» La voce tagliente fece sbuffare il fidanzato.
«Beh, se per prima cosa tu e quel coglione di Underwood non aveste girato quel video niente di tutto questo sarebbe successo.» Evan gli scoccò un’occhiata in tralice.
«Chris mi aveva detto di cancellarlo.» Il silenzio calò tra loro, Thomas lo fissò imbambolato aspettando che continuasse. «Ma io non l’ho fatto. Pensavo non potessi fidarmi di Nicholas, pensavo potesse nuocere Christopher, e quando poi volevo farlo.. era tardi.» Il tono tradì il senso di colpa e l’altro restò in silenzio per qualche istante.
«C’è qualcosa che non faresti per lui?» Ancora una volta la sua dannata gelosia, Evan però sorrise senza scomporsi.
«Non rinuncerei a te. E adesso muovi il culo quel ratto di Robert frequenta questo locale, è qui che solitamente si sfonda di coca.» Thomas restò imbambolato per qualche secondo, la seconda parte del discorso non era stata neppure memorizzata.
 
 
Christopher sedeva alla propria scrivania, il viso disteso non mostrava tracce di preoccupazione mentre continuava a scrivere con la sua calligrafia ordinata e scorrevole. Qualcuno bussò alla porta, si voltò e vide Amanda sulla soglia con un sorriso imbarazzato.
«Disturbo?»
«Certo che no, entra.» Gli fece cenno di accomodarsi indicandogli poi una poltrona in pelle poco distante.
«Ho finito prima il turno in ospedale, pensavo Nicholas fosse qui con te ma Maria mi ha detto che è uscito con Jeremy.» Chris sorrise divertito per qualcosa che sembrava sapere solo lui.
«Si, sono probabilmente in qualche negozio di fumetti o videogiochi.» Era bravo a mentire, lo era più di tutti. «Sarà qui presto comunque, è uscito parecchie ore fa.»
«Oh non importa, non stiamo mai insieme noi due.» Christopher fissò con attenzione Amanda, era bella con quei lineamenti eleganti e modellati sapientemente, aveva un tono perennemente dolce molto per una che affrontava la morte ogni giorno nel proprio ambulatorio. Le era piaciuta stranamente fin dall’inizio.
«Ti ha mandato mio padre vero?» La donna sembrò imbarazzata e colta in fallo, il ragazzo rise stemperando la tensione.
«Ecco, mi ha detto che sei andato ancora da tua madre.» Il silenzio pesò tra loro.
«Non dovrei? Secondo te non dovrei provare a chiedere perdono?» Amanda sembrò improvvisamente sicura di se.
«No. Se è il perdono quello che cerchi allora sbagli.» Christopher sembrò colpito dalla sua disarmante sincerità, se avesse avuto chiunque altro davanti si sarebbe inalberato divenendo freddo e duro. Eppure quella donna così materna riusciva in qualche modo a rabbonirlo.
«Non entrare in queste situazioni solo perché te lo chiede mio padre, mi sei simpatica Amanda, rendi felice Scott ma ..non sei mia madre.» Sorrise lasciando che quell’affermazione dura perdesse consistenza. «Una madre ce l’ho, e continuerò a rincorrerla finché avrò vita.» La porta si aprì in quel momento rivelando il volto trafelato di Nicholas che restò a bocca aperta trovando lì la propria genitrice.
«Oh, non pensavo fossi qui..»
«Stavo andando via, continuate pure.» Fece una carezza al figlio lasciandoli poi soli.
«Perché era qui?» Fissò Christopher sospettosamente sedendosi sulla poltrona vuota.
«Era qui per farmi innamorare ancora di più di lei.» Il tono fintamente lamentoso fece sbuffare l’altro. «Sbaglio o hai qualcosa per me?» Si sorrisero e Nicholas estrasse il telefono che gli lanciò, il fratellastro lo prese al volo muovendolo con soddisfazione.
«Adesso inviamo i nostri auguri tardivi a Lucas e Robert.» Nicholas annuì.
«Abbiamo vinto quindi?» Gli occhi di Christopher si incupirono.
«Tu si. Adesso tocca a me.» Quella semplice frase ebbe il potere di stroncarlo, come se fosse stato catapultato a mesi addietro, sembrava essere tornato il ragazzo spietato che aveva conosciuto.
 
 
Appena Nicholas scese dalla berlina comprese che qualcosa non andava, fissò Christopher che dal canto suo sembrava parecchio tranquillo. Alcuni ragazzi correvano verso altri bisbigliando concitatamente, vide Evan a pochi metri con le mani infossate nelle tasche dei pantaloni, gli si avvicinò.
«Che succede?» Il ragazzo lo guardò attraverso le lenti.
«Succede quello che solitamente accade quando fai incazzare Chris.» Nicholas si voltò e finalmente capì. A tappezzare i muri della scuola decine di foto, alcune ritraevano Robert intento a sniffare coca, altre invece due figure avvinghiate in un bacio appassionato, lo stesso che aveva fotografato lui stesso. Ma a differenza delle prime dove il viso di Robert era riconoscibile, in questo si poteva solo intuire chi fosse il soggetto. Guardò Christopher scuotendo il capo.
«Perché l’hai fatto? Avevamo comunque vinto noi, perché..» alzò appena la voce ma il fratellastro non rispose, qualcuno lo spinse rudemente facendolo barcollare, vide Robert avventarsi su Christopher afferrandolo per il bavero della giacca.
«SEI UN FOTTUTO FIGLIO DI PUTTANA.» Urlò quelle parole a un centimetro dal suo viso, Lucas osservava impietrito a pochi metri, era salvo solo per la misericordia del suo acerrimo nemico e i suoi occhi sembravano gridarlo a gran voce.
«Dovrai raccogliere i tuoi stracci dall’armadietto, credo proprio che la St.Jules non ammetta i tossici.» Nicholas lo sentì ridere divertito mentre l’altro continuava a scrollarlo con rabbia, qualcuno dietro afferrò Robert che oppose resistenza attaccandosi alla giacca di Christopher.
«MOLLATEMI.» Riuscirono a scrollarglielo di dosso pochi istanti dopo.
«Hai perso, e questo dovrebbe farti capire molte cose del mondo che invidi. Io non parlo mai a vanvera Robert, se tocchi le mie cose sei finito.» Gli diede un buffetto beffardo sul viso, mille occhi puntati su di loro. Christopher fece un cenno a Nicholas ed Evan che lo seguirono pochi istanti dopo.
 
«Perché lo hai fatto. Lo sbatteranno fuori da scuola.» Nicholas gesticolò, erano tutti e tre chiusi in un’aula dismessa.
«Non me ne frega un cazzo.» Christopher sbadigliò annoiato sedendosi sopra un tavolo.
«E LUCAS? PERCHE’ HAI PROTETTO LUCAS?»
«Ho salvato quello che detiene un certo peso, per il momento.» Ondeggiò le mani come se fossero una bilancia.
«Quindi? Ti sei accanito con Robert solo perché povero? Sei un..» digrignò i denti cercando di ricacciare le lacrime di frustrazione.
«No. Non l’ho fatto per questo. Lucas verrà rovinato tanto quanto il suo amico, ma con calma. Se il generale si accorgesse della relazione con la moglie spedirebbe quel coglione in Afghanistan come minimo, e io perderei il divertimento.» Scrollò con indolenza le spalle ed Evan si mosse in avanti.
«Nicholas, se non calpesti verrai calpestato.» Il biondo li fissò chinando il capo.
«Robert aveva uno sguardo…»
«Oh per l'amor di Dio, non verrà espulso.» Il tono sbrigativo e nervoso di Christopher fece sollevare il capo all'altro.
«Ma poco fa hai detto..»
«So quello che ho detto, ma se dovessero sbattere fuori ogni tossico della scuola, fidati, salterebbero le teste migliori. Non curarti più di lui, è finito. Totalmente finito.» La voce tagliente di Christopher non servì a confortare Nicholas.
 
Nessuno di loro aveva la benché minima idea di quanto un uomo finito potesse essere pericoloso. 
 

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Capitolo 14
*** Monsters ***





 
La cerniera si chiuse senza intoppi, Nicholas fissò la valigia sopra il proprio letto, il momento atteso da molti studenti era arrivato. Avrebbero passato due giorni nelle università scelte tempo addietro, avrebbe finalmente respirato l’aria di Harvard e il solo pensiero lo rendeva eccitato. La porta si aprì e il viso di Amanda comparve sorridente.
«Posso?» Nicholas le sorrise facendole cenno di entrare, sedendosi tra le lenzuola ancora sfatte.
«Non ci posso ancora credere.» I loro occhi si mossero nello stesso istante fissando tutti i gadget di Harvard che il ragazzo aveva collezionato in quegli anni.
«Sono sicura andrà benissimo, e sono sicura ti accetteranno. Hai voti ottimi, e poi.. si perderebbero un futuro medico di tutto rispetto.» Gli scompigliò i capelli ridendo, percepiva la tensione provata dal figlio e suppose non fosse solo semplice paura per il college.
«Mamma, quando torno vorrei parlarti. Parlarti di qualcosa, è molto importante.» La voce greve e profonda, pregna di ansia, fece storcere il naso ad Amanda che afferrò le mani del figlio.
«Nicholas, è successo qualcosa?» Il ragazzo sviò quegli occhi indagatori concentrandosi sulle loro mani intrecciate, voleva raccontarle finalmente tutto. Dirle ciò che voleva davvero, dirle di non poter sposare un giorno una ragazza perché attratto dagli uomini. Ma puntualmente finiva con il perdere il coraggio, quindi si era dato una scadenza e l’avrebbe rispettata. Un sordo bussare alla porta interruppe quel discorso improvvisamente scomodo, era Maria.
«Il signorino Underwood sta per andar via, volete scendere a salutare?» Nicholas si alzò in maniera talmente irruente da far trasalire anche Amanda. A differenza loro, lui stava partendo un giorno prima.
«Dio Nicholas, non sta mica andando in guerra.» La donna portò una mano al petto soffocando una risatina incredula ma il figlio era già sulle scale. Christopher in piedi sull’uscio parlava col padre, la sua posa era rilassata, l’espressione del viso non esprimeva alcuna tensione, tipico di lui. D’altronde qualcuno con un QI da 180 di cosa doveva preoccuparsi esattamente? Era già tanto non avesse deciso di diplomarsi prima degli altri.
«Oh, sei qui.» Una semplice frase, ma Nicholas vide il suo sguardo e si sentì improvvisamente riscaldare da dentro. Gli sorrise annuendo appena.
«Fai buon viaggio, Chris.» Lo vide abbozzare un sorrisino probabilmente dovuto all’udire il diminutivo che non usava quasi mai.
«Anche tu, Evan sarà una splendida compagnia per te.» Nicholas lo fissò in tralice, aveva parecchio da obiettare al riguardo, ma al momento poco gli importava. Non poteva abbracciarlo, né stringere la sua mano, quindi si limitò a fissarlo finché non fu in ascensore e anche allora i loro occhi non si abbandonarono mai finché l’ultimo spiraglio non venne sigillato dalle porte.
 
 
Era una giornata di fine Gennaio soleggiata quella, la gente correva da una parte all’altra come se avesse il diavolo alle calcagna. Evan accanto a lui si guardava intorno, e Thomas non riusciva a spiccicare parola. Alle volte pensava che tra i due il vero taciturno fosse lui e non il fidanzato.
«Prenditi cura di Nicholas.» Si guardarono per qualche istante, Evan gli accarezzò il ciuffo che ricadeva scomposto sulla fronte.
«E tu prenditi cura di te stesso, e mandami foto di Yale. Ho sempre avuto curiosità sulle voci che circolano.» Sorrisero nello stesso istante, Thomas pensava che non ci fosse nulla di peggiore del dirsi addio. Eppure quello non lo era, in fondo sarebbero stati solo due giorni, quella era solo una sorta di preparazione per il saluto finale e ben più prolungato.
«Sissignore.» Fece il saluto militare beccandosi un’occhiataccia da parte dell’altro che improvvisamente guardò alle sue spalle alzando la mano in segno di saluto. Nicholas corse loro incontro trafelato, il borsone sulla spalla destra e un sorriso stanco tutto per loro.
«Scusate, c’era un traffico atroce.» Prese un respiro profondo in attesa di andare, Evan tornò a fissare Thomas dandogli un bacio leggero sulle labbra, Nicholas scostò il viso imbarazzato e anche un po’ invidioso. Sarebbe stato tutto così semplice se lui non avesse avuto quella fottuta paura, e Christopher… beh se il suo pseudo ragazzo fosse stato una persona normale magari, avrebbe agevolato.
 
 
«Avanti.» La porta dell’ufficio di Scott si aprì e il viso sorridente della moglie sembrò rischiare la sua giornata.
«Caffè?» Sollevò i due bicchierini fumanti e l’uomo sospirò beato facendole cenno di sedersi.
«Ho una moglie decisamente premurosa, ma anche piuttosto preoccupata.. o sbaglio?» Aggrottò la fronte fissando il viso di Amanda che si distese in un sorriso insicuro sorseggiando la bevanda bollente.
«Pensi io sia una pessima madre?» Fissò il liquido scuro soffiandovi sopra osservandone la superficie incresparsi. Nicholas era ormai partito, si erano lasciati in una situazione di stallo e questo la preoccupava.
«Penso tu sia un’ottima madre, perché dici cose così assurde mia adorabile moglie?» Poggiò il bicchiere sulla scrivania sporgendosi verso la figura seduta di fronte a se che si lasciò andare contro lo schienale sbuffando.
«Dovrà pur esserci un motivo se Nicholas non mi ha mai detto di essere..» si stoppò per un istante, era assurdo ma le veniva da ridere. «Beh, di essere gay.» Scrollò le spalle e Scott rise.
«Credo tema di deluderti, è comprensibile.» Allargò appena le braccia con indolenza.
«Appunto, è colpa mia, evidentemente gli ho dato un cattivo esempio.» Tipico di Amanda colpevolizzarsi sempre e comunque. La vide pressarsi una tempia e notò le leggere occhiaie che solcavano gli occhi struccati. 
«Hai proprio la vocazione da crocerossina, come fai ad essere ancora qui? Dovresti flagellarti per ogni paziente morto.» La moglie lo ammonì con un’occhiata.
«E’ diverso, e tu lo sai. Forse ho parlato troppo poco con lui, forse..»
«Forse, forse, forse. L’unica cosa sicura è che te lo dirà una volta tornato.» Sorrise e sembrò la versione adulta di Christopher.
«Dovrò evitare di ridergli in faccia e fingermi sorpresa… anche se ..» Assottigliò lo sguardo sedendosi composta, sporgendosi verso il marito.
«Anche se cosa?»
«Pensi frequenti qualcuno? Lo vedo strano, ho come l’impressione che sia innamorato..» si accarezzò il mento pensierosa, raramente sbagliava ma chi poteva essere? Forse Thomas? Jeremy era escluso, le guardava il culo da che ne avesse memoria, quel piccolo depravato dai capelli infuocati.
«Mi domando chi sia.» Scott sporse le labbra, entrambi ignari di essere entrati nel pieno di una spirale sentimentale.
 
 
Nonostante la lontananza da Christopher, Nicholas non poté fare a meno di sentirsi felice ed eccitato in quei due giorni. Il campus superava qualsiasi sua aspettativa, persino la compagnia di Evan non sembrò sgradita anzi, era talmente preparato da oscurare quasi la loro guida personale.
Il colloquio col rettore sembrava essere andato bene, anche se l’amico era stato parecchio scettico e pessimista al riguardo giudicando la propria ‘’performance’’ al di sotto delle sue aspettative. Nicholas lo conosceva abbastanza bene da essere sicuro che Evan avesse fatto innamorare di se persino il rettore, e il tempo gli avrebbe dato ragione. Seduti sul prato si godevano l’aria così diversa dal liceo, l’amico impegnato a trafficare col cellulare.
«Mi domando come sopravvivrete tu e Thomas una volta al college, il tuo cellulare sta andando a fuoco.» Evan lo fissò beffardo.
«Parli per invidia? Christopher ti avrà mandato due messaggi in due giorni.» Nicholas lo fulminò con un’occhiata astiosa, era affezionato a quel ragazzo ma continuava a non digerire la sua crudele schiettezza.
«Io e Christopher non abbiamo quel tipo di relazione..» si rese vago di proposito, ma l’altro non cadde nel tranello.
«Ah no? E quando pensi di dirgli che sei innamorato di lui?» Posò il cellulare che sembrava essere divenuto improvvisamente poco interessante, piantando gli occhi color caramello su un Nicholas adesso a disagio.
«Io non.. ma che stai dicendo, è assurdo.» Cercò di ridere ma suppose non gli fosse venuto molto bene visto il modo in cui Evan lo stava fissando. «Piantala Cooper, sei fastidioso.»
«E tu un codardo.» Lo indicò con tono beffardo alzandosi dal prato con agilità. «Vado a salutare la biblioteca, chissà quando vedrò ancora qualcosa di così maestoso e bellissimo.» Mollò così l’altro ancora seduto e sconvolto.
 
 
Il camino scoppiettante donava una sensazione di calore più insolita delle altre volte, Nicholas posò i bagagli sul pavimento correndo ad abbracciare la madre che lo strinse a se con affetto.
«Ci sei mancato.» Lo accarezzò commossa e il ragazzo pensò che sarebbe stata dura allontanarsi da lei una volta finito il liceo.
«Christopher?» Fissò Amanda e Scott che lo guardarono scrollando le spalle.
«E’ uscito, non credo tornerà stanotte.» Nicholas non riuscì a camuffare lo sgomento nei suoi occhi, e la madre gli sorrise.
«Oggi è l’anniversario della morte di William, preferisce stare solo..» adesso capiva, ancora una volta lo aveva escluso in favore della solitudine dolorosa nella quale sembrava essersi chiuso anni prima. Annuì debolmente afferrando il borsone improvvisamente pesante, la stanchezza era tornata a farsi sentire più forte di prima.
«Andrò a dormire, non ho riposato granché in questi giorni.»
 
Christopher sedeva contro la balaustra di marmo pregiato, il mazzo di fiori poggiato accanto a lui mentre fissava con insistenza l’ovale nella quale vi era incorniciata la foto del fratello. Gli anni erano passati, ma non il dolore e il senso di colpa asfissiante. Chiuse le palpebre, le serrò con forza, ripensando al volto della madre e quei suoi occhi perennemente umidi e arrossati. Se quella mattina non avesse insistito per uscire a giocare, se non avesse avuto sempre quell’inclinazione al comando, se se se. Troppi se. La voce del padre rimbombò nelle sue orecchie strappandogli un sorriso, era sicuro si sarebbe incazzato immaginando il flusso di pensieri che lo tediavano ormai da anni.
Quando lasciò il cimitero il sole era ormai tramontato da un pezzo, pensò a Nicholas era certo fosse già tornato così com’era sicuro fosse incazzato nero nel non averlo trovato. Eppure non tornò sui propri passi, era una serata malinconica quella, aveva indossato la propria divisa scolastica consapevole che quella notte l’avrebbe trascorsa fuori.
Strade su strade, e ancora vie e vicoli, e locali e alcool, e risate strappate a bocche sconosciute, volti mai visti e altri conosciuti chissà dove. La perdizione era facile da conquistare, un po’ meno da lasciare andare. Eppure lui lo fece, non voleva un corpo nudo accanto a se, non se Nicholas appariva a disturbarlo non appena si soffermava un minuto in più a fissare qualcuno. Bevve la birra ghignando, il locale rumoroso, qualcuno bussò alla sua spalla, si voltò e il viso di Lucas gli apparve seguito da quello di Robert.
«Fatemi indovinare, siete qui per rovinarmi la serata.» Si girò con un sospiro fintamente stanco, le labbra del biondo si curvarono all’ingiù mentre mandava Robert a prendere qualcosa da bere.
«Sono qui per farti i miei complimenti, una mossa da vero maestro quella dei cartelloni.» Christopher sorrise arcigno scolandosi la birra sino all’ultima goccia.
«Hai solo da imparare.»
«L’ho mollata.» Era ovvio si riferisse alla propria matrigna. «Ho capito che avere debolezze e segreti è solo uno svantaggio, la prossima volta non mi coglierai impreparato.» Il barista mise loro davanti altre due bottiglie, le afferrarono sbattendole sonoramente l’una contro l’altra.
«Ne avrai altri, e io sarò lì ad aspettare.» Si fissarono in cagnesco bevendo all’unisono, Robert tornò senza alcuna voglia di aggregarsi. I suoi occhi grondavano odio.
«Non sei andato a nessun colloquio universitario vero? D’altra parte, chi vuoi che lo voglia un tossico tra le stimabili reclute di Stanford?» Chris lo punzecchiò con un mezzo sorrisino perfido.
«Non mi fermerò fin quando non ti avrò rovinato Underwood, puoi giurarci.» Il tono trasudava rancore, gli occhi ridotti a due fessure. Lucas sospirò spingendolo.
«Andiamo, si è fatto tardi.» Robert si scrollò dalla sua presa.
«Parli bene tu, il tuo viso non è stato messo alla gogna.»
«Robert non rompere il cazzo, non saresti comunque entrato alla Stanford, è già tanto se un’università pubblica avrà la decenza di prenderti con i voti pessimi dell'ultimo anno.» La cocaina era stata la rovina del ragazzo, lo sapevano tutti, da studente brillante a ultimo dei suoi corsi in un solo anno. Christopher rise ammiccando verso Lucas.
«Ha ragione lui biscottino, vai a casa è tardi.» Il ragazzo voltò ad entrambi le spalle incamminandosi verso l’uscita.
«Andrò anch’io, mi auguro ti possa strozzare con la tua merdosa birra. Ricordati Underwood, io e te siamo ancora in guerra.» Lo indicò con una risatina di sfida e Christopher chinò il capo restando nuovamente solo.
 
 
Continuava a fissare le sue mani sporche di sangue, ritto di fronte il commissariato mentre l’alba spuntava alle sue spalle. Mandò giù il bolo di saliva incespicando nei propri passi, grossi lividi adombravano il viso e graffi profondi sembravano deturpargli i lineamenti. Alcuni agenti lo fissarono sgomenti, i suoi occhi impauriti si poggiarono sul primo uomo sulla sua strada alla quale si aggrappò.
«Vi prego, vi prego.. aiutatemi.» Le ginocchia cedettero e il poliziotto riuscì ad afferrarlo prima che cadesse di schianto a terra, scortandolo in una delle sedie più vicine.
«Ragazzo qual è il tuo nome, sei ferito, che è successo?» Non sembrava avere intenzione di rispondere mentre continuava a fissare il pavimento e poi le mani sporche di sangue, era troppo perché potesse passare per suo.
«Robert. Robert Jefferson.» Fissò l’uomo ritraendo infine gli occhi spaventato, davanti a lui una piccola folla si era formata incuriosita o forse semplicemente apprensiva.
«Puoi dirci cosa è successo, Robert?» La mano insanguinata del ragazzo si aggrappò alla manica dell’ufficiale che lo fissò sorpreso, i suoi occhi si spalancarono.
«Il mio amico è morto. Lo hanno ammazzato, sono riuscito a scappare per miracolo.» Il silenzio calò nella sala per qualche istante.
«Okay adesso calmati, come si chiama il tuo amico e dove si trova.»
«A pochi isolati da qui, il suo nome è Lucas.. Lucas Lancaster.» Gli uomini si guardarono attorno impietriti.
«Stiamo parlando del figlio del Generale Lancaster?» Un senso di disagio serpeggiò tra loro, Robert tremò ancora annuendo.
«Va bene, resta qui.» Il più alto in grado diede l’ordine alla squadra ma Robert lo tirò ancora per la manica, improvvisamente il suo tremore sembrava cessato.
«So chi l’ha ucciso, ero lì.» Ancora silenzio, tutti aspettavano un nome. Un semplice e fottutissimo nome. «Christopher Underwood. E questa è la prova.» Dal pugno chiuso della sua mano venne fuori un bottone intarsiato, lo stemma della St.Jules inconfondibile e in rilievo. Ci fu del trambusto, uomini da una parte e dall’altra, nessuno badò più a quel ragazzo insanguinato. Nessuno notò come avesse smesso di tremare. Nessuno notò i suoi occhi freddi. E nessuno notò il suo sorriso agghiacciante.
 
 
La campanella quel giorno sembrava non aver voglia di suonare e dare il via alle lezioni, Christopher, Nicholas ed Evan sostavano appena fuori i gradini parlando del più e del meno tra uno sbadiglio e l’altro. Improvvisamente delle sirene squarciarono la quiete di quella mattinata apparentemente calma e statica, mille paia d’occhi si voltarono verso i cancelli laddove alcune auto della polizia si erano fermate. Scesero parecchi uomini, in testa a loro colui che teneva tra le mani un foglio. Christopher incontrò i suoi occhi e seppe che era lì per lui, si alzò lentamente con occhi dubbiosi e affilati.
«Christopher Underwood.» Il tono secco, quasi aspro. Nicholas si fece avanti ma venne immediatamente costretto ad allontanarsi.
«Sono io, ma questo lo sai bene, detective Sherman non ci vediamo da un po’.» L’uomo non ricambiò il sorriso, uscì prima un bottone custodito in un sacchetto trasparente, lo poggiò sulla giacca del ragazzo proprio laddove la stoffa scucita ne mostrava la mancanza. Si fissarono, Christopher sempre più consapevole e il detective sddisfatto mentre prendeva le manette che gli serrò sui polsi stringendoli più del dovuto. Nicholas urlò spingendo un uomo, Evan bianco come un cadavere sembrava aver perso l’uso della parola.
«Ti dichiaro in arresto per il tentato omicidio di Lucas Lancaster, e l’aggressione a Robert Jefferson..» Christopher lo fissò incredulo, non riuscì a parlare perché Nicholas si mise nuovamente in mezzo attaccandosi alla sua giacca.
«SIETE PAZZI, LASCIATELO ANDARE NON HA FATTO NULLA.» Spinse ancora alcuni uomini che tentavano di allontanarlo. «Non ti lascio con loro.» Si fissarono con gravità, l’incredulità era improvvisamente sparito dal viso dell’altro in favore di un'agghiacciante fermezza.
«Chiama mio padre, chiamalo e digli di chiamare gli avvocati.» A Nicholas sembrò di essere piombato in un incubo, sembrava avesse iniziato a piovere ma in realtà erano solo le sue lacrime.
«Andiamo, ho una cella tutta per te che ti aspetta.» Il detective lo spintonò con malgrazia beccandosi un’occhiata incendiaria.
«Due minuti, e mi avrai tutto per te.» Il tono lapidario infuriò ancor di più l’uomo che digrignò i denti. Christopher era nuovamente proteso verso Nicholas. «Andrà tutto bene.» Il ragazzo non sembrò sentirlo, mentre bianco come un cencio cercava di non versare altre lacrime. Successe tutto molto velocemente, allacciò le braccia la collo del fratellastro baciandolo con disperazione di fronte a tutti. Sentì Evan afferrarlo per la giacca allontanandolo da lui. Si fissarono un’ultima volta mentre il detective lo scortava all’interno dell’auto per poi sparire lungo la strada. Nicholas sentì le forze abbandonarlo e fu solo grazie all’aiuto dell’amico che non cadde sul prato, mentre tutti gli studenti fissavano sbigottiti e mormoranti. Alcune parole furono peggio di una coltellata ‘’me l’aspettavo’’ e ancora ‘’è sempre stato pericoloso, era solo questione di tempo’’ e ancora ‘’sempre detto fosse un killer mancato’’. Si voltò furente verso quelle voci ma Evan lo trascinò via.
«Non è il momento di litigare con loro, dobbiamo avvisare subito Scott.»
 
Il mondo si era appena rovesciato, aveva preso fuoco e Nicholas riusciva già a vedere cumuli di ceneri e detriti. 
 

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Capitolo 15
*** Thunder ***




 
La stanza degli interrogatori puzzava di stantio, forse facevano marcire lì la gente? Le manette continuavano ad adornare i suoi polsi, quel figlio di puttana del detective si era rifiutato persino di allentargliele nonostante gli avesse esplicitamente chiesto di toglierle del tutto più volte. Probabilmente pensava fosse una specie di pressione psicologica quella, non aveva compreso che per il ragazzo era tutt’altro.
«Te lo chiedo di nuovo, dov’eri ieri tra le quattro del mattino e le sei.» Seduto di fronte a lui lo fissava con un mezzo sorriso frustrato. Se si era aspettato altro, aveva fatto male i suoi calcoli.
«Perché non poni le domande in maniera chiara? ‘’Underwood hai un fottuto alibi?’’ e io ti risponderò ancora una volta: parlerò solo in presenza dei miei avvocati.» Christopher sollevò i polsi sporgendosi appena. «Toglimi queste manette, detective.» La mano dell’uomo afferrò la camicia sgualcita del ragazzo sollevandolo quasi dalla sedia scomoda e in metallo.
«Io so che sei stato tu, è da una vita che crei problemi e posso assicurarti che stavolta non la passerai liscia.» Scoprì i denti in una smorfia di rabbia, a tutti premeva parecchio quel caso. Tutti erano letteralmente terrorizzati dal generale Lancaster. «Sai qual è la pena massima per omicidio?»
«Quasi omicidio.» Christopher di nuovo seduto fissò freddamente l’altro concedendosi persino un sorriso. Lucas Lancaster giaceva in un letto d’ospedale in coma. Era stato trovato col cranio aperto in due come ‘’una noce di cocco’’ (parola di poliziotto) ma fortunatamente vivo. Peccato non potesse parlare e scagionare nessuno, così come colpevolizzare. Eccoli i due lati della medaglia che adesso si eguagliavano.
«Spiegami come mai il tuo bottone era stretto tra le mani della vittima.» Il detective tornò all’attacco sbattendo dei fascicoli sul tavolo, lanciandogli foto che ritraevano ogni fottuta angolazione di quel dannato bottone.
«Non mi ero neppure accorto mi mancasse, ma sicuramente non lo ha strappato Lucas. Forse qualcuno lo ha trovato. Il bottone lo hai visto tra le mani della vittima? Non credo, te lo ha dato Robert.» Christopher era quasi sicuro di chi fosse la colpa, non che ci volesse il suo straordinario QI da 180 per arrivarci, Robert non aveva nascosto la sua testimonianza a viso coperto. «Mi vuole incastrare, e tu come il peggiore dei babbei stai qui ad interrogarmi.» L’uomo si poggiò stancamente alla sedia, stavolta i suoi occhi esprimevano pietà e quasi riserbo, aveva pur sempre un ragazzino di appena diciotto anni di fronte a se.
«Christopher, sul bottone abbiamo le tue impronte e quelle di Lucas, con sopra il suo sangue. Vi hanno visti parlare animatamente al Krazy 8’s ieri sera intorno alle due.» Si stoppò lasciando che il ragazzo assimilasse quelle notizie ma la sua espressione restò immutata, il suo cervello incamerava e andava a ritroso nel tempo. Doveva capire come fosse apparso quel bottone, era la chiave di tutto probabilmente. «Il generale Lancaster ti rovinerà, il suo unico figlio giace in un fottuto letto d’ospedale e il suo migliore amico ha una cazzo di prognosi di tre settimane. LO CAPISCI?» Perse nuovamente la calma sbattendo il palmo contro il metallo del tavolo.
«Io capisco solo che non c’entro un cazzo di niente. Ho incontrato quei due al locale si, ma tutti possono testimoniare che non c’è stato nessun diverbio tra noi.»
«Neppure con Robert?» A quelle parole il viso di Christopher si affilò.
«Al massimo è stato lui ad aver litigato con me, non io. Ascoltami bene detective, ti giuro che io uscirò da questo casino.. e quando lo farò mi assicurerò di appiccare personalmente il fuoco che brucerà il tuo distintivo e la tua divisa.» Le labbra contratte di Christopher sputarono quelle parole con disgusto, gli occhi lucidi di rabbia e una punta di incredulità ben celata. La porta si aprì con un boato e da questa apparve Scott seguito da tre uomini ben vestiti.
«Stavolta ti rovino Sherman.» Fu Scott a parlare per primo indicando le manette ai polsi del figlio. «Togli quella merda immediatamente.» Si sporse verso l’uomo ma venne prontamente fermato da uno degli avvocati che scosse lievemente il capo.
«Non prendertela con me Underwood, tuo figlio è nella merda. Abbiamo un testimone e prove.»
«Prove circostanziali.» Fu Chris a intervenire indicando uno dei propri avvocati. «Come ad esempio un bottone della mia divisa, perso chissà quando.»
«Un tuo bottone insanguinato e con le impronte della vittima sopra, PORCA PUTTANA.» Il detective perse nuovamente la calma. In quella stanza tutti sapevano che sarebbe stato un lungo dibattito. Una guerra che esigeva un colpevole e delle vittime, ma il confine adesso sembrava non essere più così delineato.
 
 
Nicholas sedeva accanto a Evan alla centrale, l’interrogatorio durava ormai da ore aveva persino visto Scott entrare seguito da alcuni uomini che supposero fossero avvocati, ma ancora nessuno era uscito e sicuramente i poliziotti non avrebbero dato informazioni.
«Andrà tutto bene, il team legale di Scott è .. diabolico.» Evan fissò l’amico con un mezzo sorrisino nonostante gli occhi restassero freddi e spaventati. Non poteva ancora credere a tutto quello che era successo. Un messaggio interruppe i suoi pensieri, lo lesse senza alcuna intenzione di rispondere.
«E’ Thomas?» L’altro annuì lentamente.                                           
«E’ qui fuori, insieme a Jeremy e Rebecca. Gli ho detto di non fare entrare mia sorella, la conosco e verrebbe processata assieme a Chris.» La battuta riuscì a far ridere Nicholas che però si bloccò alla vista della madre che correva trafelata verso di loro. Le andò incontro abbracciandola di slancio, sentì il tocco delle sue dita tra i capelli mentre sedevano l’uno di fianco all’altra.
«Sono venuta il prima possibile, non potevo lasciare scoperto il reparto.» Aveva il respiro affannato mentre fissava i due giovani visi pallidi di preoccupazione quasi allo stesso modo.
«E’ stato orribile, una scena..» Nicholas non trovò parole adeguate, sembrava che il nodo alla gola volesse soffocarlo.
«Oh lo so.» Il tono tagliente della madre lo mise in allerta. «E’ stato talmente orribile da spingerti a baciare Christopher?» Abbassò appena il tono della voce, gli occhi lucidi di severità. Evan a quel punto si schiarì la voce giocandosi la carta degli amici ancora fuori ad attenderlo, andando via di fretta.
«Mamma..» Nicholas non sapeva bene cosa dire, passò una mano sul viso come se volesse lavar via tracce di paura ma il tremore lo tradì. «So che sei arrabbiata..»
«Arrabbiata? Per cosa pensi che lo sia esattamente?» Strinse la mano del figlio costringendolo a fissarla.
«Per.. tutto?» Le labbra si curvarono una smorfia che si accentuò quando la stretta divenne ancora più forte.
«No. Pensi non conosca mio figlio? Pensi non sappia cosa voglia davvero? Pensi solo la vecchia pazza nostra vicina di casa ti abbia osservato bene da capire le tue preferenze? MA CHRIS..» Si stoppò rendendosi conto di avere urlato. «Ma Chris? Cristo Nicholas.»
«Beh, ti stupirà saperlo ma quando è iniziata non sapevo neppure fosse il figlio di Scott. Magari se qualcuno me l’avesse detto.» Il tono di accusa mortificò la madre, Nicholas sciolse la presa dalla sua mano respirando profondamente. «Scusa. Ho mentito.»
«Su cosa?» Amanda lo fissò sbalordita.
«Sul fatto che se avessi saputo la sua identità, non me ne sarei innamorato.» Chinò il capo sconfitto, eppure la sensazione di terrore era sparita soffocata da pensieri ben più pressanti. Non gli interessava nulla del biasimo di sua madre, ma di vedere Christopher uscire da quella stanza da uomo libero.
«Oh Nicholas.» Il tono lamentoso della donna lo costrinse a sollevare lo sguardo.
«Mi dispiace mamma, lo hai detto anche tu anni fa ricordi? Quando mi raccontasti che papà non piaceva alla nonna, dicesti: non si sceglie chi amare.» Gli occhi di Amanda si riempirono di divertimento.
«Sei proprio bravo a rigirare la frittata, sicuro di non voler fare l’avvocato?» Risero a bassa voce, una piccola tregua in quel mare mosso e tragico nella quale erano stati sbalzati.
 
 
«Il nostro assistito si dichiara innocente, respingiamo ogni accusa.» L’avvocato Suarez fissò il detective e l’altro poliziotto accanto a se attraverso le lenti. Christopher in silenzio si sfregava i polsi arrossati adesso libri da costrizioni.
«Il suo assistito allora potrebbe dirci cosa ha fatto tra le quattro e le sei?» Sherman fissò il ragazzo sospirando.
«Ero sbronzo, molto sbronzo. Mi sono addormentato su una panca vicino la scuola. Puzzo molto in effetti, vuoi odorare?» Sorrise sghembo beccandosi un’occhiata incendiaria.
«Eri sbronzo quindi.» Il tono calmo non trasse in inganno Christopher. «Se avessi ucciso qualcuno non te lo ricorderesti.»
«E’ RIDICOLO.» Scott tuonò quelle parole alzandosi dalla sedia che si rovesciò. Ancora una volta venne fermato e minacciato non solo di essere sbattuto fuori ma anche arrestato.
«Mi stanno incastrando, e tu lo sai. Cos’hai contro di me? Un fottuto bottone insanguinato e la prova di un ragazzo che ovviamente mi odia.» Il tono di Christopher divenne accaldato e tagliente. «Parliamo di un ragazzo che da a me la colpa del rifiuto di Stanford alla sua richiesta.» Deglutì allargando appena le narici.
«Parliamo dello stesso ragazzo che fa notoriamente uso di cocaina.» L’avvocato sorrise trionfante.
«Quel ‘’ragazzo’’ è in ospedale con una prognosi di quasi un mese, non prendetemi per il culo. Secondo alcuni studenti pratichi arti marziali, e non è una novità per te picchiare altri ragazzi. Non sei forse stato espulso per questo?» Chris lo fissò in cagnesco.
«Sai che non c’entro, stai prendendo la persona sbagliata. E quando Lucas si sveglierà..»
«Se si sveglierà.» Sherman lo fissò con gravità. «I medici non sono ottimisti.»
«Chiediamo l’uscita su cauzione, in attesa del processo.» L’avvocato si fece avanti.
«Negata, parliamo di omicidio quindi resta in prigione fino al processo.» Si fissarono tutti attoniti.
«Non puoi farlo.» Scott lo indicò con rabbia.
«Chiedilo al Generale Lancaster cosa può e non può fare. Portami un fottuto colpevole e io libero tuo figlio.»
«Il colpevole è più vicino di quanto pensi, guarda la tv dal suo letto d’ospedale.» Fu Christopher a parlare stavolta un sorriso amaro dipinto sulle labbra, aveva occhiaie profonde e le labbra secche.
«Attento a quello che dici, Underwood, la tua posizione è già grave.»
«Preparami una suite confortevole, Detective, sono un tipo esigente.» Il poliziotto in silenzio sino a quel momento si alzò costringendo Christopher ad imitarlo, le manette vennero nuovamente chiuse attorno ai suoi polsi dietro la schiena.
«TOGLIETEGLI QUELLE DANNATE MANETTE.»
«SBATTETELO FUORI.» Fu Sherman ad urlare indicando Scott che lo fissò con rabbia.
«Sei rovinato, te lo giuro su Dio.»
 
 
Scott uscì trafelato dalla stanza, Nicholas e Amanda si alzarono andandogli incontro.
«Che è successo?» L’uomo dall’aria scarmigliata sembrò quasi non vederli.
«Lo vogliono in prigione, non sentono ragioni. Non la passeranno liscia, devo parlare con il generale Lancaster e mettere a soqquadro le fottute telecamere di ogni fottuta via della città.» Amanda gli strinse il braccio ammonendolo con lo sguardo, alcuni poliziotti li fissavano truci. La porta si aprì in quel momento, Nicholas mosse un passo avanti e finalmente lo vide, sembravano passati secoli. Strinse con forza la mascella, gli occhi lucidi incontrarono quelli del fratellastro. Christopher lo guardò con serietà e infine chinò il capo, non c’era sconfitta in quel gesto però era più un tacito messaggio. Ma quale?
 
 
Thomas stringeva la mano di Evan che si alzò improvvisamente non appena vide comparire Nicholas, tutti lo seguirono accerchiandolo ma il ragazzo sembrava incapace di proferire parola.
«Nicholas, parla.» Evan lo scosse e Thomas si frappose tra loro.
«E’ sconvolto, dagli tregua.» Si fissarono per un istante in cagnesco e alla fine fu il moro a cedere lasciando andare il braccio dell’amico.
«Giuro che mi incateno qui, nuda.» Rebecca pestò il piede a terra e Jeremy roteò gli occhi al cielo.
«Evita la parte del ‘’nudo’’, magari.» La fissò in tralice ricevendo in cambio solo una scrollata di spalle indolente. Quella ragazza non aveva il minimo pudore.
«Non lo lasceranno andare, nessuna cauzione. Resta in galera fino al processo.» Nicholas si sedette su una panca, le ginocchia sembravano cedergli. Sentiva gli occhi di tutti su di se. «Hanno prove circostanziali, Robert ha portato un bottone, un bottone mancante dalla divisa di Chris.»
«Non è stato lui, spero che su questo siamo tutti d’accordo.» Il tono lapidario di Evan abbracciò ogni viso e tutti annuirono fermamente. Nonostante sapessero quanto spesso crudele fosse stato, erano certi che non si sarebbe mai macchiato di un crimine simile. Ambiva a diventare medico, lui voleva salvarle le vite non stroncarle.
«Dobbiamo capire per prima cosa come abbia fatto quel bottone ad arrivare nelle mani di Robert.» Rebecca si intromise e tutti sembrarono d’accordo, aveva detto qualcosa di stranamente intelligente.
«Se Lucas non dovesse più svegliarsi..» Thomas non concluse la frase, era già abbastanza terrificante così. Il silenzio calò nel gruppo come un sudario simile a quello usato dai defunti, l’aria fredda sembrò solo ghiacciare ancor di più le loro anime congelate. Nicholas guardò la stazione di polizia ancora una volta, ricordando la famosa serata della festa, avrebbe dato qualsiasi cosa per stare ancora in una cella insieme a lui. Quanto doveva sentirsi solo?
«C’è qualcos’altro in effetti.» Evan interruppe quel silenzio, la sua voce tesa. «Il generale Lancaster ha sguinzagliato uno dei migliori studi legali della città, a quanto dice mio nonno.»
«Beh lo sapevamo, è pur sempre suo figlio.» Jeremy non sembrava particolarmente sorpreso.
«Non è questo il punto.. L’avvocato che terrà banco contro Chris è..»
 
 
Il rumore delle chiavi lungo il corridoio scandiva il ritmo delle sue ore dentro la cella, stava leggendo un libro uno dei tanti che il padre gli aveva portato. Odiava quella dannata tuta blu, odiava il cibo di merda, odiava l’essere chiuso lì senza poter fare nulla. Aveva ormai un quadro chiaro di come fossero andate le cose, e se il suo intuito non sbagliava era quasi sicuro di sapere anche come Robert potesse avere quel bottone con se, il punto era: come provarlo? Non poteva di certo rinchiuso lì. Nicholas aveva capito? Lo aveva fissato e infine chinato lo sguardo sulle proprie manette, aveva compreso fosse un messaggio quello? Voleva dirgli ‘’mi vedi? Sono bloccato, tocca a te’’. Chiuse gli occhi poggiando il libro contro il viso, respirò l’odore di carta che inebriò per un istante i suoi sensi. Si immaginò dentro la biblioteca della Johns Hopkins.
«Underwood, vieni con noi.» La voce gracchiante della guardia lo costrinse a mettersi seduto.
«Dove? L’incontro con gli avvocati è nel pomeriggio.» Inarcò un sopracciglio mentre gli venivano messe nuovamente le manette, neppure fosse Escobar o Al Capone. O Hannibal magari. Non vi fu risposta alla sua domanda mentre veniva scortato nella stanza dei colloqui, quando entrò ci mise pochi millesimi di secondo a capire chi fosse la figura di spalle. Si irrigidì bloccandosi, la guardia lo spinse per farlo camminare. Chinò il capo sfregando i denti l’uno contro l’altro, producendo un rumore sordo fastidioso per gli altri ma rilassante per se stesso. Quando si sedette restò in silenzio.
«Non sono qui per sapere come stai.» La voce femminile pacata e fredda, Christopher sorrise.
«Mamma, non farlo.» Scosse il capo allargando appena le narici, nonostante la voce dolce con la quale le aveva appena parlato gli era tutto talmente chiaro da risultare soffocante.
«Sono l’avvocato chiamato in causa per il tuo processo, ho già ricevuto tutti i fascicoli, le prove, le dichiarazioni..»
«Non farlo.» La bloccò nuovamente e stavolta i suoi occhi erano spaventosamente lucidi e vitrei.
«Se il colpevole sei tu, ti sbatterò in galera Christopher.» Raccolse le cose alzandosi, il figlio la imitò e la sedia stridette contro il pavimento.
«Non farmi questo. Lo sai che non c’entro niente, come puoi farlo..» per la prima volta sul suo viso venne mostrato un sentimento simile allo sgomento e al dolore più nero, neppure quando era stato trascinato al commissariato si era sentito così vulnerabile. La donna si voltò respirando profondamente.
«E’ il mio studio a occuparsene.»
«Chiedi a qualcun altro.» Strinse i denti e le labbra si rattrappirono una posa rabbiosa. Strinse forte i pugni e le nocche sbiancarono.
«Perché dovrei? La legge è legge, Christopher. La legge non conosce pietà, né parentela alcuna.»
«E’ conflitto di interessi e lo sai anche tu. Vuoi farmela pagare in questo modo?» Mosse un passo ma la donna gli intimò di restar fermo con un gesto imperioso della mano, la guardia entrò in quel momento fissandolo truce.
«Ci vedremo in tribunale suppongo.» Gli voltò le spalle pronta ad andarsene.
«Non ti perdonerò mai, per me sei morta. Proprio come lui.» La donna si bloccò forse indecisa se voltarsi o meno, ma alla fine lo abbandonò lì senza più tornare indietro.
 
 
Le mani giunte sopra il tavolo, gli occhi attenti fissavano la sala in maniera critica, i tavoli attorno a se vuoti, nel complesso trasudava tristezza da ogni poro quel luogo. La porta si aprì rivelando la figura di Christopher che gli venne incontro sedendosi di fronte.
«Allora, parliamo della brodaglia che mi servono qui? O di quanto mi stia d’incanto la tuta blu?» Sorrise all’amico che però non lo seguì.
«Ho ottenuto un permesso speciale grazie a mio nonno, ha rifiutato di presenziare al tuo processo.»Il giudice Cooper era troppo affezionato a quel ragazzo per rimanere impassibile di fronte a un’ipotetica condanna.
«Lo apprezzo.» Il tono adesso serio mentre si fissavano senza dir nulla, come se entrambi volessero accertarsi di come stesse l’altro.
«Ho saputo di tua madre..» Evan strinse i denti stoppandosi appena, l’incredulità e la rabbia lo avevano dominato in quella settimana.
«E’ solo la donna che mi ha messo al mondo, cosa vuoi che me ne importi.» Era bravo a mentire, peccato che le iridi tremando lo avessero tradito.
«Piangi Chris, adesso, qui davanti a me.» Il ragazzo sollevò di scatto il capo, quelle parole non gli erano nuove. «Ricordi quando me lo dicesti? Bene, ora sono io a dirlo a te. Piangi, sfogati e torna a combattere.»
 
Otto anni prima un Evan bambino sedeva composto e dritto sulla sedia accanto al letto nella quale giaceva il padre in stato vegetativo. La sua piccola mano non riusciva a coprire quella ben più grande del genitore, eppure il bambino era sicuro di trasmettergli calore. Scott lo aveva operato subito dopo l’incidente salvandolo dalla morte imminente, ma non dalla morte in generale. Era andato contro il nonno di Evan che voleva le macchine venissero staccate alla notizia del coma irreversibile, lasciando quel diritto al bambino. Il momento adesso era arrivato ed erano tutti lì ad attendere. Evan annuì appena e l’infermiera iniziò a liberare lentamente l’uomo da quella gabbia d’illusione. Le macchine vennero staccate, i tubi tolti sino all’ultimo. Le spie si spensero e il monitor divenne improvvisamente piatto, un solo rumore persistente che ne annunciava la morte.
«Uscite, per favore..» la sua vocetta infantile era seria e sicura, non c’era dolore apparente. Dietro di lui Christopher non si mosse, anzi mise un piede davanti all’altro e gli arrivò accanto. Si fissarono, uno con circospezione e l’altro con stanca convinzione.
«Piangi Evan, qui, adesso davanti a me.» Evan si irrigidì appena, il labbro gli tremò in maniera incontrollabile mentre un fiume di dolore scendeva improvviso dai suoi occhi impossibile da arginare.
 
Christopher serrò la mascella fissando il migliore amico che continuava a guardarlo, c’era dolore anche nei suoi occhi sebbene in dosi diverse e per motivazioni diverse. Era come se le iridi color nocciola del ragazzo fossero un semplice specchio riflettente del dolore antico e profondo di quelle azzurre dell’altro.
«Non posso perdonarla.» E le lacrime scesero anche dai suoi occhi, adesso come dieci anni prima l’uno spettatore silenzioso del dolore altrui. Christopher urlò, graffiò la sua gola col dolore, sbatté i pugni sul tavolo gridando quella sofferenza mentre Evan in silenzio e capo chino se ne faceva custode.
 
 
Christopher scelse di vedere Nicholas tra tutti i membri della sua famiglia e degli amici, a una settimana dal processo. Amanda e Scott non dissero nulla mentre lo guardavano dirigersi alla sala dei colloqui. Si era vestito bene, aveva pettinato i capelli, sciacquato il viso che adesso appariva disteso. Quando entrò lui era già lì, seduto con quel suo solito modo elegante e sfacciato che non sembrava risentirne nonostante la tuta blu, sorrise sghembo e con gli occhi indicò la sedia vuota.
«Sei carino biscottino.» Si leccò il labbro inferiore sporgendosi appena, il profumo di Nicholas era dolciastro, quietava i suoi sensi e gli faceva venire una gran voglia di baci e amore.
«Sono andato ogni giorno in ospedale da Lucas, gli parlo e gli chiedo di svegliarsi.» Deglutì con difficoltà e l’altro lo fissò con affetto e dolore.
«Potrebbe non svegliarsi più, non posso basare le mie speranze su un quasi morto.» Nicholas sapeva l’altro avesse ragione ma non riusciva ad accettarlo.
«Quando ti ho visto in corridoio.. volevi dirmi di cercare la verità vero?» Lo fissò speranzoso afferrandogli le mani, Christopher fissò le loro dita intrecciate annuendo appena.
«Tu sai chi è stato. Ma finché loro puntano i coltelli alla mia gola, non servirà a nulla.» Nicholas annuì improvvisamente serio e letale.
«Ha avuto in qualche modo il tuo bottone, ti ha incastrato.. ma perché ammazzare Lucas? Erano amici. E resta da capire come si sia ridotto in quel modo.» Incredulo scosse il capo e l’altro rafforzò la presa sulle proprie mani.
«Robert è un cane pazzo, un visionario cocainomane. Li ho sentiti battibeccare quella notte, non mi stupisce possa essere degenerata la cosa.» Fissò oltre le spalle di Nicholas come se stesse pensando a qualcosa.
«Io ti tiro fuori di qui, te lo giuro.» Chris sorrise improvvisamente malizioso.
«Non ci riesci proprio a stare senza di me, vero baccello?» L’altro schioccò la lingua contro il palato sbuffando stizzito.
«Ti sembra il momento?»
«Con te è sempre il momento. Mi hai baciato in pubblico, dovevo simulare prima il mio arresto per farti passare la paura.» Un calciò lo colpì nello stinco, lo incassò soffocando una risata.
«Se per dire a mia madre della mia omosessualità dovevo sacrificare la tua libertà, beh avrei volentieri continuato con la clandestinità.»
«Sei da baciare.» Sorrise divertito e Nicholas sbuffò ancora, non lo stava più prendendo seriamente. La sentinella interruppe quel momento, era evidente fosse finito il loro tempo insieme. Quando si alzò fissò le manette ai polsi e poi quel viso ancora sfacciatamente bello pur se stanco.
«Devi dirmi altro, Underwood?» Incrociò le braccia al petto in attesa, gli occhi illuminati da un sentimento difficile da contenere, magari gli avrebbe dato qualche pista da seguire.
«Sei ancora ciò che voglio, Nicholas McClair.» 
 

 

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Capitolo 16
*** Shame ***



 
Le dita accartocciarono con rabbia la lettera, la firma del padre spiccava alla fine di quel flusso di parole, dentro non vi era un minimo accenno a come stesse il figlio, la benché minima preoccupazione. Si erano ridotti a questo quindi? Lo aveva totalmente cancellato dalla sua mente se non per questioni concernenti il futuro e la reputazione della famiglia? Sembrava girasse tutto intorno a questo in fondo. Preso da un impulso di rabbia e dolore compose il numero aspettando di sentire dall’altro capo la voce baritonale del proprio genitore.
 
– Thomas, ero sicuro avresti chiamato.
– Tu sai sempre tutto, giusto papà?
– E’ per il tuo bene, considerala una specie di uscita secondaria.
– West Point?
– E’ rispettabile tanto quanto la tua amata Yale.
– Andrò a Yale.
– Non ho mai detto il contrario, ma dimmi… hai fatto domanda per altre università?
– Non ne ho bisogno, voglio andare a Yale da una vita e lo sai.
– E se non dovessero prenderti?
– Ho ottimi voti.
– Ma non un liceo decente alle spalle.
– Se tu non mi avessi sbattuto fuori di casa.
– Hai scelto tu di lasciare il collegio.
– Andrò a Yale.
– Me lo auguro, ma ciò non cambia la mia decisione. Hai bisogno di una seconda opzione.
– West point?
– Credo faccia al caso tuo.
– Tu non sai cosa fa al caso mio, ti sei sempre rifiutato di volerlo sapere.
– Ti conosco meglio di quanto pensi. Devo andare adesso, ci risentiamo.
 
Il telefono muto accolse la sua rabbia silenziosa, sbatté il pugno sul muro senza registrare l’acuto dolore che dalle nocche si diramò al braccio. Prese l’accendino bruciando quella lettera che si accartocciò su se stessa tra le proprie dita, finché non morì nelle proprie ceneri. Sedette sulla poltrona fissando un punto a caso della parete, qual’era il suo futuro? Desiderava andare a Yale e poi? Non aveva mai pensato con attenzione al resto, non sembrava avere una passione come tutti gli altri, persino Jeremy era euforico all’idea di studiare giornalismo. Chiuse gli occhi curvando le labbra all’ingiù, desiderava accanto a se Evan ma il ragazzo era in giro ad indagare. Tutti si davano da fare per Chris, tranne lui, lui che non sapeva neppure che diamine fare della propria vita. Il cellulare squillò ancora, lesse il numero e stavolta un lieve sorriso increspò le sue labbra.
 
– Nicholas.
 
 
I corridoi dell’ospedale sembravano tutti uguali, si guardarono attorno con circospezione finché Thomas non si bloccò.
«Dovremmo dividerci, Robert o Lucas?» Nicholas lo fissò con apprensione finché il suo sguardo non divenne improvvisamente risoluto.
«A Robert ci penso io, tu vai a vedere come sta Lucas, chi finisce prima va dall’altro.» Annuirono nello stesso istante per poi dividersi. Thomas proseguì lungo il corridoio mentre l’amico salì al piano superiore svoltando prima a destra, verso gli ascensori.
I giorni erano trascorsi da un lato con lentezza dolorosa e dall’altro con assurda velocità, la prima udienza si sarebbe tenuta il giorno successivo e in mano non avevano ancora nulla. Nonostante le passate discussioni Thomas voleva salvare Chris, era sicuro della sua innocenza e pensare ad una qualsiasi persona rinchiusa in cella per errore lo faceva star male, figurarsi se quella persona era un amico nonché ex fidanzato. La porta della camera era chiusa, l’aprì lentamente e la prima cosa che vide fu il letto con il ragazzo disteso e incosciente. La testa fasciata e il corpo coperto da miliardi di tubi attaccati a delle macchine, non era mai stato un credente accanito ma in quel periodo si ritrovava spesso a pregare che il ragazzo si svegliasse. Mosse un passo nella stanza accorgendosi solo alla fine di una seconda presenza, un uomo in divisa i gradi in bella mostra, l’aspetto severo e burbero ma gli occhi stanchi. Si fissarono.
«Sei uno degli amici di Underwood.» Il generale lo inchiodò sul posto, i suoi occhi glaciali trasudavano rigore e potere.
«Si.» Perché mentire? Chris era innocente, mostrare paura o vergogna equivaleva a tradirlo. L’uomo lo scrutò qualche istante per poi fargli cenno di avvicinarsi e sedersi, Thomas obbedì risoluto restando in silenzio.
«Sei qui per dirmi che credi nella sua innocenza?» Inarcò un sopracciglio, la voce profonda non conteneva rabbia, solo una latente stanchezza soffocata da anni di rigore.
«Io non lo credo, io lo so per certo.» L’uomo sembrò incassare bene la sicurezza quasi sfacciata del ragazzo, annuì lentamente indicando il proprio figlio.
«Lo vedi? Non sei padre, non potresti capire pur volendo. Mio figlio è lì, rischia di non svegliarsi mai più, cosa dovrei fare? Tu al posto mio cosa faresti?» Sembrava una domanda semplice e complessa al tempo stesso.
«Cercherei il colpevole, e farei di tutto per farlo marcire in galera.» Il generale sembrò soddisfatto.
«Abbiamo un colpevole, domani avremo la prima udienza.»
«Ho detto che cercherei il colpevole, non un fantoccio messo lì affinché quieti il mio dolore e la mia voglia di vendetta.» La voce di Thomas uscì bassa e risoluta, stavolta furono i suoi occhi verdi ad inchiodare il più grande.
«Fino a prova contraria è Christopher il colpevole.» Parlò lentamente scandendo bene ogni parola. «Pensi io voglia incastrarlo? No, io voglio semplicemente giustizia.»
«Giustizia.» Thomas sorrise. «Mio padre è come lei, un uomo tutto d’un pezzo, non ammette errori o sbavature sa? Sempre composto, crede di sapere sempre ogni cosa. Generale ..che giustizia è quella che manda a marcire in galera un diciottenne innocente?» Si alzò fissando il letto nella quale giaceva Lucas.
«Credo tu sia più simile a tuo padre di quanto pensi.» L’uomo sorrise mettendo in difficoltà Thomas.
«Io sono per i deboli, per gli oppressi, sono dalla loro parte. E sempre lo sarò.» Mosse qualche passo pronto a uscire dalla camera.
«Lo sono anch’io, ho dedicato la mia intera vita ai deboli, sai? Sono un soldato. Ma sono anche un padre, sono il padre di ogni singolo uomo che incrocio sul mio cammino, sono il padre di tanti bambini salvati da morte certa.» La voce si incrinò appena per poi tornare stoica e orgogliosa. Thomas si voltò e nel suo sguardo c’era quasi ammirazione.
«Suo figlio avrà giustizia, glielo prometto.»
«Noi soldati spesso facciamo promesse vuote che non possiamo mantenere.» Abbozzò un sorriso, immerso in chissà quale ricordo di chissà quale guerra.
«Beh.. io non sono un soldato.» Thomas inarcò un sopracciglio beffardo.
«Peccato, saresti un ottimo soldato.»
 
 
Il suono gracchiante di alcune voci poteva essere udito attraverso la porta socchiusa, Nicholas sbirciò dentro osservando Robert steso sul letto intento a guardare uno stupido programma in televisione. Aprì facendo di proposito molto rumore attirando l’attenzione dell’altro che non appena lo vide mutò espressione, dal divertito all’arcigno in un battito di ciglia.
«E’ sempre bello venire accolti con calore.» Nicholas si rivide in Chris, in quella che sembrava ormai un’epoca lontana.
«Mi sembrava strano non fossi ancora venuto a strisciare come un verme, ti ha mandato il galeotto?» I suoi occhi luccicarono di divertimento, l’altro però finse di non scomporsi mentre si piazzava ai piedi del letto, le mani poggiate al ferro ghiacciato si contrassero lievemente stringendolo.
«Io non ho alcuna intenzione di strisciare, Robert. Sono qui per darti un’ultima occasione, confessa o giuro che farò ogni cosa in mio potere per rovinarti.» Sorrise candidamente mentre una risata accoglieva quell’affermazione.
«Non sei nella posizione di minacciare, ho saputo che domani ci sarà la prima udienza.» Prese una pausa afferrando un biscotto che morse e masticò con calma. «E’ un peccato per me non poter assistere al tracollo del grande Christopher Underwood, oh ma non temere mi sono attrezzato..» indicò la televisione. «Lo trasmetteranno in diretta, non capita tutti i giorni che il figlio di uno dei magnati più potenti d’America rischi vent'anni di galera.» Le dita di Nicholas si contrassero contro l’asta in ferro, le nocche sbiancarono.
«Vorresti ti raccontassi la teoria di Chris al riguardo?» Inarcò un sopracciglio e l’altro annuì fingendosi interessatissimo.
«Oh si, ti prego.» Scandì per bene quelle parole mettendosi comodo.
«Secondo lui la pietra contro il cranio di Lucas l’hai scagliata tu. Io volevo invece darti il beneficio del dubbio, insomma.. come ti saresti procurato altrimenti i lividi?» I suoi occhi blu trasudarono finta innocenza e studiato stupore.
«E’ proprio un gran bel mistero.» Robert ondeggiò il capo scimmiottando l’altro che sorrise.
«E poi c’è il bottone, insomma è una prova schiacciante non trovi?» A quel punto il ragazzo steso si sollevò appena, il tono di Nicholas non gli piacque per nulla. «Continuavo a pensare, e pensare, e pensare a come diavolo fosse arrivato lì.» Si fissarono in silenzio.
«Io so come c'è arrivato, l'ha perso Christopher mentre picchiava Lucas.» Gli occhi infidi rimasero però attenti, quasi in guardia.
«Avrei un’altra teoria io, vuoi sentirla?» Si sporse appena abbassando drasticamente il tono di voce, come se temesse che altri potessero sentirlo. Robert mandò giù la saliva restando in silenzio, tacito assenso alla sua domanda. «Sei troppo stupido per aver architettato una cosa simile con largo anticipo, ma il tuo odio ti ha comunque spinto a conservare quel bottone.»
«Non so di cosa parli.» La voce del ragazzo adesso palesemente incattivita e nervosa.
«Io invece penso di si. Ricordi i cartelloni a scuola, vero? Hai aggredito Chris quella mattina, ricordo come fosse oggi il modo in cui hai afferrato la sua giacca.» Una pausa studiata mentre scrutava il viso dell’altro che improvvisamente divenne pallido. «Lo hai scrollato talmente forte da staccargli il bottone. Mi chiedo come mai tu non l’abbia gettato, forse lo hai tenuto come monito per accrescere la tua rabbia.»
«Sei pazzo, nessuno ti crederà.» Robert scostò le coperte rabbioso.
«Io troverò le prove, te lo giuro. Sono sicuro sia andata così, così come sono sicuro che quei lividi che porti addosso saranno la tua condanna..» Reclinò appena il viso sorridendo.
«LUI MARCIRA’ IN GALERA. E tu potrai andarci per farti scopare una volta al mese.» Il viso una maschera di odio e crudeltà.
«Ho pagato alcuni ragazzi della ‘’piramide’’, sono curioso di vedere quanto ci metteranno a trovare il tipo che ti ha ridotto così. Magari un amico che hai pagato.. nessuno andrebbe in prigione per te con l’accusa di falsa testimonianza.» Nicholas non disse altro, Thomas apparve in quel momento nei suoi occhi si leggeva confusione per la scena a cui stava assistendo.
«Andiamo, Robert deve riposare.» Fece un cenno all’amico prima di uscire da quella stanza e solo allora i suoi lineamenti si alterarono, il dolore arrivò ad ondate.
«Nicholas, credo tu lo abbia fatto incazzare, e soprattutto ..la ‘’piramide’’ cosa?»Thomas sottolineò l’ovvietà rimarcandola con un sorrisino.
«Lo so bene che sono poche le possibilità che trovino chi lo ha picchiato su commissione. Doveva aver paura, era questo lo scopo. Se è andata come penso farà un passo falso, adesso andiamo da Evan dobbiamo organizzare i turni.» Si incamminò velocemente lungo il corridoio.
«Che turni?» La voce stupita dell’amico arrivò pochi secondi dopo.
«I turni per tenerlo sotto controllo, te l’ho detto .. farà un passo falso.»
 
 
L’aula iniziò a riempirsi lentamente ma in maniera pressante. Scott, Amanda e Nicholas sedevano tra le prime file. L’uomo fissava l’ex moglie con biasimo ma questa non dava cenni di vederlo né di esserne intimorita. Christopher entrò per ultimo, la sala ebbe un fremito, mille bisbigli si levarono nell’aria, i suoi occhi azzurri cerchiati da profonde occhiaie non vedevano altro che la propria genitrice. Il giudice intimò il silenzio e l’udienza iniziò.
«Lo stato contro Christopher Underwood.» Queste le parole pronunciate, peggiori di qualsiasi sentenza. Nicholas aveva una gran voglia di alzarsi e urlare tutta la sua incredulità, invece non poté fare altro che restare in silenzio mentre Ruth Lewis faceva a pezzi il ragazzo che amava. Non aveva mai visto la madre di Christopher a lavoro, e adesso capiva anche il perché lavorasse per il miglior studio legale di NYC, era metodica e spietata, la voce sicura e gli occhi azzurri simili a pozze di ghiaccio identiche a quelle del figlio. Era sul serio la stessa donna prostrata e quasi uccisa dalla depressione quella? Gli veniva impossibile crederci. L’avvocato Suarez comunque non era da meno, se Ruth poteva paragonarsi ad un Pit Bull inferocito, l’altro era un Rottweiler di tutto rispetto.
«L’accusa chiama al banco dei testimoni Simon Tate.» Christopher a quel nome sorrise in maniera severa, aveva capito perfettamente il tipo di linea che stavano cucendogli addosso. Entrò un ragazzo basso e smilzo, occhiali tondi incorniciavano un ovale ben definito, occhi castani bassi e spaventati che non si poggiarono mai sul compagno di classe. Fece il proprio giuramento con voce tremante.
«Brutta stronza…» Scott mormorò quelle parole con odio, Nicholas capì solo in quel momento chi fosse lo studente della quale al momento vedeva solo le spalle. Il figlio del preside della St.Jules.
«Lei conosce l’imputato?» Simon annuì timorosamente, Ruth continuò. «Può dirci in che modo?»
«Siamo compagni di classe, condividiamo parecchi corsi insieme..» Si torse nervosamente le dita.
«L’imputato le ha mai dato fastidio?» La donna sorrise con calore provando a metterlo a suo agio, cosa parecchio difficile a detta del ragazzino che si sentiva accerchiato e pressato.
«Si.» Chinò il capo stoppandosi per un momento. «Christopher è stato espulso da scuola dopo avermi picchiato.» Nella sala si levò un mormorio udibile, il giudice intimò il silenzio con la minaccia di far sgomberare la sala, chiedendo all’avvocato di continuare.
«Abbiamo il referto medico, ecchimosi evidenti su viso e torace.» Ruth estrasse dei fogli, probabilmente i referti di cui parlava. «Signor Tate, secondo la sua personale esperienza, l’imputato sarebbe in grado di uccidere qualcuno?»
«OBIEZIONE, L’AVVOCATO STA MANIPOLANDO E CIRCUENDO IL TESTIMONE.» Suarez urlò indignato e il giudice annuì.
«Avvocato Lewis lasci gentilmente ‘’le personali visioni’’ fuori da quest’aula. Obiezione accolta.» Nicholas chinò il capo sentendo improvvisamente difficoltà a respirare, non era tanto la testimonianza a turbarlo quanto più il fissare troppo a lungo Ruth consapevole di chi fosse. Non riusciva a credere potesse scagliarsi così contro il proprio figlio, la propria carne. L’udienza continuò in maniera serrata, Suarez dal canto suo demolì il giovane Simon che per poco non pianse chiedendo perdono, questo finché Christopher non venne chiamato a deporre, fu con profondo dolore che Scott lo vide alzarsi in manette e sedere al centro dell’aula, i suoi occhi si inumidirono.
Gli chiesero di fare il giuramento e finalmente Nicholas poté sentire la sua voce, sembrava sempre la stessa tranne forse per la lieve stanchezza che ne sporcava il solito timbro profondo.
«Imputato è a conoscenza dei capi d’accusa mossi contro di lei?» Ruth gli si piazzò di fronte, il ragazzo annuì seccamente.
«Respingo ogni accusa.» Fissò la madre con disprezzo e questa sembrò per un secondo arretrare, come se fosse stata presa in contropiede.
«L’omicidio è un reato gravissimo imputato, lo sa?» Gli si avvicinò poggiando la mano sulla superficie in legno. Christopher restò in silenzio, Nicholas riusciva a percepire il rigore innaturale delle sue spalle. «Alcune testimonianze ci hanno riferito dei suoi continui litigi con le due vittime, lo nega?»
«No.» La voce profonda fu udibile per tutta l’aula.
«Magari in un impeto di rabbia..»
«OBIEZIONE VOSTRO ONORE, L’AVVOCATO FA SUPPOSIZIONI TENDENZIOSE.» Suarez era ormai stanco di urlare obiezioni, il giudice fissò Ruth con cipiglio severo, la donna fece per scusarsi ma Chris la interruppe.
«Se fossi io il colpevole sarei andato a scuola quella mattina come se niente fosse? Avrei lasciato scappare Robert così che potesse accusarmi? Insulti la mia intelligenza. Ma comprendo bene i tuoi dubbi, sono già stato un assassino per te una volta, no?» Suarez fissò Scott con occhi smarriti, Nicholas fece per alzarsi ma Amanda lo trattenne.
«Imputato parli solo se richiesto.» Il giudice lo ammonì mentre la madre fissava il proprio figlio con occhi lucidi di sgomento. Christopher non sembrò sentire l’ammonizione, le spalle tremarono mentre si alzava con violenza dalla sedia sbattendo le mani sul tavolo.
«RISPONDI ALLA MIA DOMANDA, STRONZA.» Urlò quelle parole in faccia alla donna che retrocesse. Nell’aula scoppiò il panico, le guardie fecero irruzione afferrando il ragazzo che non oppose resistenza continuando a fissare con disgusto la madre che dal canto suo sembrava ghiacciata sul posto. Nicholas provò a superare la calca ma la gente gli sbarrava il passo, continuava a sentire il martelletto incessante del giudice sbattuto con violenza.
«LA SEDUTA E’ SOSPESA. PORTATELO FUORI.»
 
 
Suarez parlava a Scott concitatamente, Nicholas li fissava desideroso di sapere cosa si stessero dicendo.
«Non doveva perdere la calma..» Amanda aveva la voce rotta dal pianto inespresso e dall’ansia, la scena di poco prima indelebile nelle loro menti. La seduta era stata sospesa ormai da mezzora. Videro Scott venire verso di loro con aria furibonda.
«Che vi siete detti?» Fu Nicholas a parlare alzandosi per andargli incontro, l’uomo sembrò non sentirlo mentre si guardava intorno come alla ricerca di qualcosa. E quando l’ebbe trovata superò moglie e figliastro a passo di carica. Ruth parlava con alcuni funzionari pubblici, una mano maschile le afferrò il braccio voltandola con irruenza.
«Sei una serpe.» Scott esordì così il volto tumefatto dalla rabbia. La donna mandò giù il bolo di saliva.
«Faccio solo il mio lavoro.» Provò a scrollarsi dalla sua presa ma quello la rinforzò strappandole un’esclamazione di dolore.
«Quando tutto sarà concluso, quando MIO figlio verrà scagionato.. e posso assicurarti che succederà, perché credimi io so che è innocente e lo sai anche tu.» Si fissarono con gravità. «Quando tutto finirà io te la farò pagare Ruth.» Arrivarono proprio in quel momento Amanda e Nicholas, la donna afferrò il marito per la giacca allontanandolo con sguardo severo. Non voleva finisse in manette anche lui. Il ragazzo invece continuava a studiare colei che aveva messo al mondo Chris, ne era sempre stato incuriosito. Era molto bella anche se la sua pelle portava i segni di tutti i farmaci e del continuo dolore che sembrava scavarla da dentro. Non provava pietà però, era come se avesse sviluppato odio verso chiunque facesse del male al ragazzo che amava.
«La giuria si sta esprimendo a sfavore.» Il silenzio a quelle parole calò tra loro quattro, Ruth continuò. «In mancanza di un colpevole reale prenderanno lui come capro espiatorio, in fondo lo sappiamo bene come siamo noi Americani.. a noi non importa la verità, importa l’apparenza sociale. E finché c’è un colpevole, tutti avranno ciò che vogliono.» Nicholas si sentì mancare il terreno da sotto i piedi.
«Perché me lo stai dicendo?» Scott la fronteggiò.
«Perché voglio che prepari meglio il tuo avvocato.» L’uomo la fissò incredulo e la donna sembrò in difficoltà, voleva per caso redimersi?
«Suarez è il migliore.»
«Lo è, ma non nei casi persi in partenza. Ripeto: trovate il colpevole o preparati a rivedere Chris attraverso un vetro per i prossimi dieci anni, ammesso Lancaster non muoia.. in quel caso raddoppia la pena.» Non disse altro voltando loro le spalle.
 
 
Evan compose il numero di Nicholas con urgenza, attese due squilli prima di sentire con suo sommo stupore la voce dall’altro capo.
 
– Pensavo l’udienza fosse ancora in corso.
– Se ti dicessi che è stata sospesa perché Chris ha chiamato sua madre ‘’stronza’’ facendo una scenata, tu che mi risponderesti?
– Che il tuo piano ha funzionato, abbiamo trovato il tipo che ha pestato Robert.
– Dove sei.
– Dietro l’ospedale, pensa un po’.
– Non muoverti, non fare niente da solo, arrivo.
 
Evan fissò il telefono adesso muto, il ragazzo di fronte a se lo fissava nervoso. Schioccò la lingua contro il palato riponendo il cellulare nella tasca, avvicinandosi con lentezza all’altro che arretrò appena.
«Quindi, questo tenero uccellino è pronto a cantare? Sai, è stata una pessima mossa quella di venire a trovare il tuo amichetto, scommetto ti ha detto lui di passare per istruirti ancora una volta a dovere.» Lo sconosciuto si sporse come se volesse scappare ma Evan gli sbarrò la strada con un sorrisino.
«AH. AH. AH. Non si fa, che bimbo birichino.» Il tono divenne improvvisamente letale. «Sai, vorrei diventare medico un giorno, ho come missione quella di salvare più vite possibili.. ma non esiterei un istante a stroncare la tua.» Come se volesse dargli una prova concreta le sue dita si chiusero a pugno, lo colpì forte al viso facendolo sbattere contro il muro con violenza.
«Sei.. pazzo.» Evan  lo fissò senza particolare espressione, afferrandolo per il collo che strinse con forza misurata. Lo lasciò andare solo quando vide il colorito dell’altro divenire rossastro, guardandolo accasciarsi e tossire.
«Hai picchiato tu Robert?» Il ragazzo non rispose ancora preso a recuperare ossigeno prezioso. Nicholas arrivò in quel momento, più si avvicinava e più i suoi occhi si riempivano di stupore.
«Non so niente.» La voce uscì flebile e quasi arrochita, Evan roteò gli occhi muovendo un altro passo minaccioso verso di lui ma l’amico lo fermò scuotendo imperiosamente il capo.
«Come ti chiami? Sai che rischi di andare in galera, vero?»
«Sam.» Era il suo vero nome? Probabilmente se lo stavano chiedendo entrambi al momento fissandolo.
«Sam, bel nome.» Nicholas annuì fissando l’amico che dal canto suo teneva le labbra contratte in una smorfia perenne. «Sam, conosci la legge? Il tuo amico Robert ha accusato di tentato omicidio e della sua aggressione un ragazzo innocente.» Il tizio si fissò attorno smarrito.
«Sentite io non voglio guai.»
«I guai li avrai se non parli.» Evan gli si avvicinò ancora e stavolta Nicholas non lo fermò, Sam alzò le mani come a volersi proteggere.
«E’ venuto da me, sembrava un pazzo mentre mi chiedeva di picchiarlo. Io non volevo, chi cazzo picchierebbe mai qualcuno senza motivo?» Li fissò come se cercasse la loro solidarietà e non trovandola chinò il capo. «Gli ho tirato qualche cazzotto, ma lui continuava a urlarmi ‘’ANCORA, COSI’ NON BASTA’’, ero sconvolto. Quando mi rifiutai lo vidi sbattersi la faccia contro il muro, lì...» Indicò un punto non ben precisato, era evidente si riferisse al vicolo dove avevano trovato anche Lucas, vicino la centrale. «Se andate e guardate bene troverete ancora il sangue.. beh a quel punto ho preferito picchiarlo io.» Scrollò le spalle e Nicholas lo afferrò per il braccio, si sentiva nauseato da quel racconto ma non lo fece vedere.
«Devi testimoniare, tu hai visto Lucas a terra agonizzante.» Sam si ritrasse rabbioso.
«Ascoltami bene amico, io sono solo un pezzo di merda qualsiasi che vive in periferia, ok? Mia madre pulisce cessi in un fast-food, mio padre è disperso chi sa dove e mia sorella ha solo tre anni. Se io finisco nei guai, loro muoiono di fame.» Si scrollò dalla presa del ragazzo fissando a intermittenza entrambi. «Robert mi ha pagato, con quei soldi ci tirerò almeno un mese, niente da fare.»
«Okay.» Evan scrollò le spalle e Nicholas lo fissò sgomento. «Ha ragione, ha troppo da perdere.»
«Ti pago il doppio. Anzi il triplo.» Nicholas non sembrava voler demordere.
«Non puoi salvarmi da Robert, non possono i tuoi soldi e non puoi tu ragazzino con più lusso che problemi.» Sputò a terra con sdegno.
«Vai via, sparisci prima che cambi idea e con la saliva ti ci strozzi.» La voce di Evan raggelò l’amico ma fu Sam a sembrare il più stupito di tutti mentre si allontanava con circospezione, quasi avesse il timore che quello cambiasse idea.
«CHE CAZZO HAI FATTO.» Il biondino gli si scagliò contro venendo bloccato con una sola mano che lo spinse appena.
«Mi fai così idiota? Non avrò un QI da 180, ma credimi ..per intelligenza vengo subito dopo il tuo ragazzo.» Nicholas sapeva di doversi sentire offeso ma non ci riuscì mentre fissava il cellulare che l’altro aveva appena preso dalla tasca, stava ancora registrando prima che Evan mettesse pausa.
«Non accetteranno mai questa prova, è stata presa con l’inganno…» eppure non riuscì a frenare e mascherar la speranza nella sua voce.
«Non me ne frega un cazzo, l’importante è che sia udita da chi di dovere. Come il generale Lancaster, sarà lui il nostro ‘’cane da caccia’’, credimi.. Robert è rovinato.» Un sorriso trionfante si dipinse sul suo viso. «Ed è merito tuo Nicholas, lo hai salvato. Tu hai salvato Christopher.» Il ragazzo a quelle parole piene di sentimento, come libero da un peso, si sciolse in lacrime.
 
 Christopher sedeva in una sala vuota, i polsi trattenuti dalle manette erano il male minore. Lo aveva sempre saputo, era ciò che predicava da una vita: in un mondo simile avere una debolezza costava la rovina. Lui l’aveva e adesso eccolo lì, vittima del suo stesso dolore. Mandò giù il bolo di saliva, le spalle si curvarono come se avessero ceduto a un peso disumano. Portò le mani a coprire il viso distorto dalla rabbia e mentre i suoi occhi si serravano un altro paio, molto distanti da lui, tremarono appena prima di spalancarsi nuovamente alla vita.
 
 

 

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Capitolo 17
*** Wonderwall ***




 
Suarez ascoltò più volte la registrazione in presenza di Scott, alla fine sospirò fissando i due ragazzi.
«Tralasciando l’ovvietà, se presentassi questa registrazione il prossimo a finire in manette saresti tu.» Indicò Evan che per tutta risposta sorrise candidamente chinando il capo in segno di finta costernazione, cosa che fece innervosire ancora di più l’avvocato.
«Non ti abbiamo portato questa registrazione per utilizzarla.» L’avvocato fissò stavolta Nicholas con cipiglio confuso.
«E per cosa, di grazia? Per provarmi che Chris è innocente? Ascoltami ragazzino, conoscono quel moccioso da anni e nessuno più di me crede in lui.» Lo indicò togliendosi poi gli occhiali, sfregò gli occhi con fare stanco e Scott si fece avanti.
«Che avete in mente?» Evan afferrò il proprio cellulare prima che Suarez potesse fermarlo fissandolo con ammonimento.
«La faremo ascoltare al generale Lancaster.» Si fissarono tutti e quattro in silenzio, la porta dell’ufficio si aprì con irruenza e Amanda comparve trafelata. Gli uomini nella stanza non si mossero restando in attesa.
«Lucas.. Lucas si è svegliato.» Il silenzio esplose in trambusto.
 
 
«Prova a seguire il mio dito.» Il medico chino sul letto continuava a muovere la propria mano davanti al viso del ragazzo. Lucas aveva parlato poco e niente, si sentiva confuso e asfissiato dalle troppe domande, la sua mente una misera stanza vuota e bianca. Cosa era successo? Continuavano a chiederglielo e lui continuava a scuotere la testa costernato. Non sapeva esattamente cosa lo avesse ridotto in quello stato, eppure a giudicare dalle facce di tutti i presenti era vitale per loro saperlo. Perché?
Il padre mandò via i medici accompagnandoli, lo fissò parlottare con loro senza captare neppure una parola la testa sembrava scoppiargli. Serrò le palpebre e quando le riaprì il generale era di nuovo lì accanto a lui.
«Che cosa sta succedendo..» provò a sollevarsi ma l’uomo glielo impedì sedendosi infine accanto a lui.
«Qualcuno ti ha aggredito, e quel qualcuno è in galera adesso.» Lucas sbatté le palpebre con sorpresa, infine questa divenne consapevolezza e poi rabbia.
«Chi. Dimmi chi.» Fissò il padre respirando affannosamente, chi lo voleva morto?
«Christopher Underwood.» Tra tutti i nomi che si era aspettato, quello era l’unico non contemplato il che era ironico visti i precedenti. Le tempie pulsarono dolorosamente, le pressò appena attraverso le bende e il viso del ragazzo incriminato gli apparve sfocato nei meandri della sua mente. Lo ricordava seduto al locale, perché lo aveva aggredito?
«Christopher? Ne sei sicuro?» Il tono sbigottito incuriosì il padre.
«Non ricordi nulla?» Al cenno di diniego proseguì con tono sicuro. «Il bottone della sua divisa è stato trovato tra le tue mani.» A quelle parole l’ennesima fitta gli strappò un urlo. Immagini confuse apparvero nella sua mente, vedeva Robert che gli tendeva la mano, c’era qualcosa di sbagliato in quella visione, era come se ricordasse i sentimenti provati in quel momento ed erano tutti negativi. Cosa c’entrava però quel bottone?
«Stai calmo Lucas, chiamo subito qualcuno.» Il padre allarmato uscì dalla stanza mentre il ragazzo continuava a pressarsi il capo.
 
Se Nicholas aveva pensato fosse semplice vedere Lucas si era sbagliato, il generale glielo vietò invitandolo a bere un caffè nel corridoio. Evan li seguì in silenzio, le mani infossate nelle tasche e gli occhi guardinghi.
«Ha avuto diverse crisi, non ricorda niente di quella notte..» Il generale sembrava preoccupato e parecchio spossato.
«Se solo potessi parlargli..» Nicholas attaccò senza alcuna riserba, avrebbe fatto di tutto ma la reazione dell’uomo lo spiazzò.
«NO. Stammi bene a sentire ragazzino, so quanto sia importante difendere tuo fratello, ma non al prezzo della salute di mio figlio. Pensi Christopher sia l’unico a soffrire?» Nicholas arretrò preso in contropiede da quell’aggressività. «Lucas è in un letto, la sua carriera universitaria rischia di andare a puttane, non sappiamo neppure in quanto si riprenderà e tu riesci solo a pensare a come scagionare il tuo fottuto fratello.» Gettò il bicchierino ancora pieno nel cestino voltando le spalle ad entrambi.
«Siamo qui anche per lei.» La voce di Evan lo bloccò sul posto, si voltò inarcando un sopracciglio come in attesa. «Ascolti questa registrazione, e valuti lei cosa sia giusto fare.» Gli passò un piccolo ipod che il Generale prese con sorpresa mista a sospetto. «Andiamo Nicholas.» Evan trascinò l’amico ancora turbato con se lasciando solo l’uomo che infilò le cuffie iniziando ad ascoltare.
 
 
Thomas nascosto dietro il muro aveva atteso di veder uscire il Generale con i due ragazzi prima di infilarsi furtivo nella stanza del convalescente. Lucas fissò lo sconosciuto con sorpresa assottigliando gli occhi.
«Ci conosciamo?» Provò a sollevarsi senza successo e l’altro gli intimò di restar fermo.
«Se tuo padre scopre che sono qui mi taglierà l’uccello, evita di muoverti troppo quantomeno potrò salvare la testa se non ti farò star male.» Sorrise in maniera scocciata andandogli vicino.
«Ti ho già visto per caso? La mia memoria..»
«Lo so. So che non ricordi molto, ma posso rassicurarti almeno su questo.. non ci conosciamo.» Lucas sembrò rilassarsi visibilmente, era evidente temesse di aver compromesso parecchie funzioni cerebrali con quell’incidente, nonostante le rassicurazioni dei medici.
«Okay, allora..» parlò lentamente e con cura come se si aspettasse spiegazioni doverose da parte di quel ragazzo biondo e dall’aria furtiva.
«Sono un amico di Chris.» Lucas si ritrasse appena a quel nome respirando affannosamente.
«No. No, non fare così, sono qui solo per dirti alcune cose.» Provò a calmarlo e sembrò riuscirci, forse il suo tono allarmato e spaventato aveva rassicurato abbastanza l’altro. Le loro teste vicine si somigliavano, entrambi biondi ma due tonalità ben diverse. Lucas tendente quasi al rame, Thomas sembrava portare il colore dell’oro, o del grano maturo e rigoglioso.
«So che è stato arrestato per avermi aggredito.» Si indicò la fasciatura con una smorfia. «Quel figlio di puttana..»
«Pensi sul serio sia stato lui?» A quelle parole un silenzio pesante calò tra loro. «Fino a prova contraria non ricordi nulla.» La legittimità di quell’affermazione spiazzò l’altro.
«Io non lo so. Ricordo di averlo visto quella notte, ed è l’unica cosa che so.» Lo ammise quasi con fatica, concedere il beneficio del dubbio al suo peggior nemico non era facile.
«Io invece si. So per certo che in tutto questo c’entra qualcuno..»
«Chi.» Lucas lo bloccò sporgendosi e afferrandolo per il braccio, la sua stretta era debole ma denotava alcune sfumature di carattere, era evidente fosse un ragazzo portato al comando.
«Non te lo dirò, sarebbe come imboccarti un ricordo forzato, e non posso farlo.» La mano lasciò lentamente la presa, quasi stupito da quella correttezza.
«Allora che ci fai qui.» Thomas sorrise fissando la porta ancora chiusa.
«Sono qui per chiederti di centuplicare i tuoi sforzi. Vogliamo la verità, e tu più di tutti dovresti volerla. Sei in questo letto per colpa di qualcuno, allora .. ricorda.» Un rumore proveniente dal corridoio mise in allerta entrambi, Lucas gli fece cenno di uscire e l’altro chinò il capo in segno di ringraziamento andando via frettolosamente.
 
 
«Uscirai presto, posso assicurartelo.» Scott fissò il figlio con sgomento e affetto e il ragazzo si concesse una risatina.
«Papà te l’hanno mai detto che fai schifo a rassicurare?» L’uomo curvò le labbra in una smorfia costernata sciogliendosi infine in una risata quasi colpevole, non gli sembrava il momento di ridere quello.
«Farò pure schifo, ma non sto mentendo. Lucas si è svegliato.» Afferrò la mano del figlio stringendola con forza, voleva traesse da quello coraggio anche se a giudicare dall’espressione del figlio non sembrava averne bisogno.
«Lo so. Ma non ricorda nulla, e questo non giova sicuramente.» Christopher ricambiò la stretta, nei suoi occhi vi era nuovamente quella luce pericolosa che lo aveva sempre contraddistinto e Scott non seppe bene se dovesse rallegrarsene.
«Devi tenere duro, ti prometto che uscirai di qui.» Il ragazzo annuì lentamente.
«Quando lo farò, sai già a chi dovrà pagare. Non fermarmi, non metterti sulla mia strada, spalleggiami invece.» Strinse i denti serrando la mascella, il padre chinò il capo sospirando controvoglia.
«Va bene, te lo prometto.» Christopher accennò un sorriso, nella sua mente i visi di coloro che lo avevano prostrato e umiliato, tutti in fila pronti per essere colpiti.
«Nicholas?» La domanda gli uscì spontanea.
«Non lo vedo praticamente mai, ha un futuro come detective quel ragazzino.» Risero entrambi sommessamente, quella di Scott però si spense prima in favore di un’espressione più severa. «Non ti chiederò da quanto è iniziata, né se hai intenzione di troncarla. Ma ti prego..non farne risentire la famiglia, non voglio che Amanda soffra.» Christopher chinò il capo in maniera seria.
«E io allora non ti dirò se penso o meno di aver fatto una stronzata.» Nei suoi occhi però Scott vi lesse la risposta, scosse il capo alzandosi prima che la guardia lo dicesse.
«Alle volte penso tu sia nato al contrario, un’entità a parte figlio mio.» La risata di Chris echeggiò nella sala.
«Cerco solo un senso, uno scopo, con la quale occupare il breve periodo che va dal parto al funerale, niente di più papà.»
 
 
Robert aveva lasciato l’ospedale prima del previsto, Sam in un messaggio lo aveva avvisato dell’incontro avuto poco dopo la sua visita, e se conosceva bene quei due bastardi sapeva con certezza avessero organizzato qualcosa ai suoi danni. Eppure Christopher marciva ancora in galera, la polizia non lo aveva convocato e tutto sembrava tranquillo. Tranne che per un particolare, per nulla insignificante, ovvero: il risveglio di Lucas. Quel bastardo non si decideva a morire, aveva la pelle dura ma la sua lo era di più. Doveva esserlo. Fu la curiosità e l’istinto di sopravvivenza a spingere Robert in quella stanza, voleva accertarsi che l’altro non ricordasse nulla e solo parlandoci ne avrebbe avuto la conferma. Aprì piano la porta controllando fosse solo, e quando l’ebbe appurato si decise a entrare. Lucas si voltò e i suoi occhi mostrarono un sentimento indefinito, quasi spaventoso, per poi tornare calmi.
«Sei qui finalmente.» Sorrise all’amico che si rilassò visibilmente avanzando sino al bordo del letto.
«Amico non sei stato il solo malconcio, guarda qui.» Indicò i lividi che ancora spiccavano sul suo viso. 
«Speravo venissi, solo tu puoi aiutarmi.» Tese una mano verso Robert che l’afferrò stringendola, aveva il palmo sudato a differenza di Lucas completamente padrone di se.
«Ed è per questo che sono qui..» Si sedette con cautela accanto al letto leccandosi le labbra secche. «Cosa ricordi?» L’amico si mostrò vago scuotendo il capo.
«Niente, l’ultima cosa che ricordo è di essere uscito dal Krazy 8’s con te.» Si sollevò con fatica e Robert lo aiutò solerte sistemandogli i cuscini per poi tornare a sedersi. «Ma so che tu mi dirai la verità, giusto?» Una domanda all’apparenza banale.
«Quel figlio di puttana ci ha seguiti, ho provato a fermarlo ma quando ho visto la pietra era già troppo tardi.» Un moto di disgusto passò negli occhi di Lucas.
«E poi?» Il tono stranamente tagliente.
«E poi ti ho visto a terra, c’era così tanto sangue..» sembrava assorto in un mondo precluso all’altro. «Ho provato ad aggredirlo e guarda qui.» Sollevò la maglia mostrandogli la fasciatura. Lucas sorrise benevolo.
«Non preoccuparti, chi mi ha fatto questo pagherà.»
«Puoi fidarti solo di me amico, lo sai.» Le loro mani si strinsero ancora. «Non posso stare molto, tuo padre è intransigente.. non vuole che tu veda nessuno.» Tremenda bugia quella, per quanto ne sapeva il Generale poteva anche volerlo morto dopo aver parlato con Nicholas.
«Certo, dovresti andare.» Lucas annuì con convinzione, i suoi occhi gentili lo seguirono sino a quando non restò solo e in quel momento lo sguardo cambiò. Il respiro divenne affannoso mentre premeva con insistenza il bottone accanto al letto. Un’infermiera apparve trafelata e insieme a lei un uomo della sicurezza assoldato dal Generale. Fu a lui che si rivolse con voce spietata.
«Chiami mio padre e gli dica di portarmi qui il detective Sherman, voglio accusare formalmente il mio aggressore
Un’ora dopo fissava il gruppo di uomini attorno a lui, non c’era voluto poi molto era sicuro che la matassa fosse quel dannato bottone. Più ci pensava e più sentiva che quel senso di disgusto fosse collegato all’oggetto che sembrava anche la chiave del mistero. Beh, alla fine gli era bastato vedere il viso del suo vecchio amico perché le immagini di quella notte tornassero alla sua mente, aveva mantenuto la calma con profondo odio celandola dietro sorrisi e rassicurazioni.
«Vuoi quindi formalizzare le tue accuse contro Christopher Underwood?» Lucas sorrise lasciandosi andare contro i cuscini.
«Se un giorno mi avessero detto che avrei salvato il culo a quel bastardo non ci avrei creduto.» Il silenzio calò pesante, i poliziotti si guardarono attorno a disagio, solo il Generale sembrava padrone di se mentre a braccia incrociate fissava il proprio figlio. «Vi ho chiamati qui per accusare il mio aggressore, detective, non ho mai detto però fosse Chris.»
 
 
Robert teneva le spalle contratte camminando rabbioso lungo la strada, si voltò con occhi luccicanti di ira verso l’amico indicandolo.
«PERCHE’ CAZZO NON LO ABBIAMO PESTATO LI’. SEI DALLA SUA PARTE ADESSO?» Lucas roteò gli occhi con aria annoiata superandolo con una spallata.
«Robert piantala, sta diventando una malattia la tua. Non abbiamo armi al momento, è giusto capire quando fermarsi.» La formazione del padre soldato era evidente in quelle parole, ma l’altro non sembrava dello stesso avviso.
«Pensi io sia stupido? Pensi vaneggi? Io un’arma ce l’ho, anzi NOI l’abbiamo.» Gli si avvicinò con fare cospiratorio rovistando tra le sue tasche. Lucas lo guardò aggrottando la fronte finché non vide un bottone luccicante nel palmo della sua mano.
«Bell’arma, quanti proiettili spara in un secondo?» Lo prese in giro con una risatina tornando a camminare finché Robert non lo afferrò con forza costringendolo a girarsi.
«Guarda quel barbone.» Gli indicò un uomo steso su una panca sotto la neve, probabilmente incosciente a causa della neve. L’altro iniziò a innervosirsi, scrollò il braccio dalla sua presa inchiodandolo sul posto con un’occhiata.
«Inizi a indispormi Robert, ti avviso, stai delirando.» L’amico rise in silenzio a capo chino.
«Uccidiamolo.» A quelle parole Lucas rischiò di perdere la mascella a furia di spalancare la bocca, ma l’altro non sembrò notarlo. «Lo ammazziamo e mettiamo il bottone tra le sue mani. Diremo alla polizia che è stato Christopher, lo incastreremo.» Non riusciva a credere a quelle parole, per anni erano stato vicini, amici avrebbe osato dire, non si era mai reso conto di ciò che era in realtà? La rabbia montò dentro di lui, afferrò il ragazzo per la giacca sbattendolo contro il muro, il suo viso distorto dall’ira ad un centimetro da quello altrui.
«Farò finta di non aver sentito nulla stavolta, adesso tu ti girerai, tornerai a casa tua e toglierai dalla tua testa queste assurde idee.» Lo mollò disgustato fissandolo un’ultima volta prima di dargli le spalle.
«Se non sei con me, sei contro di me.» Lo sentì pronunciare quelle parole prima che un acuto dolore alla testa non lo costringesse in ginocchio. Un altro colpo arrivò senza pietà facendolo capitolare contro il terreno ghiacciato, vide la neve tingersi di rosso, la guancia fredda e gli occhi annebbiati non riuscivano più a mettere a fuoco.
 
«Robert deve essersi reso conto di ciò che aveva fatto solo quando mi ha creduto morto.» Il silenzio nella camera era pieno di terrore, il Generale faticò a mantenere un’espressione neutra. «Allora è corso ai ripari, poco fa mio padre mi ha fatto ascoltare una registrazione.» Fissò il genitore che estrasse l’Ipod dalla tasca. «Conosco la voce del ragazzo, si chiama Samuel non Sam come ha detto, ed è un ex vicino di casa di Robert. Prendete entrambi, voglio giustizia per me e per tutti quelli coinvolti ingiustamente.» I suoi occhi fermi si piantarono sul detective che annuì ancora incredulo, d’altra parte essere presi per il culo da un diciottenne non era sicuramente qualcosa da inserire nel curriculum o di cui vantarsi coi posteri.
 
 
La cella si aprì e la sentinella fece cenno a Christopher di alzarsi, il ragazzo obbedì porgendo meccanicamente i polsi, l’uomo rise scuotendo il capo.
«I tuoi santi in paradiso devono essersi finalmente svegliati Underwood, torni a casa.» Christopher non mostrò alcuna emozione sul viso, solo un bagliore che rese azzurro intenso le sue iridi mentre finalmente varcava la soglia di quella cella da uomo libero. Percorse il corridoio fermandosi solo all’ultimo, voltandosi verso uno dei detenuti seduto sulla propria brandina.
«Te l’avevo detto moccioso, non avevi proprio la faccia dell’assassino. Dello stronzo arrogante si, ma non dell’assassino.» La sua risata rauca accompagnò gli ultimi passi del ragazzo sino alla libertà.
Scott gli aveva portato abiti puliti che indossò con estremo piacere, massaggiava i polsi quasi meccanicamente mentre firmava una serie infinita di scartoffie, alla fine la luce abbagliante del sole riscaldò il suo viso. Coprì la palla infuocata con la mano prima di fissare alcuni uomini di fronte a se, fu a quel punto che un sorriso spontaneo si formò a mezzaluna sulle labbra. A passo deciso colmò le distanze tra loro piazzandosi di fronte all’uomo brizzolato.
«Ricordi cosa ti dissi durante l’interrogatorio, vero Sherman?» Il detective restò in silenzio, il respiro lento e profondo. «Posso assicurarti che questo sarà il tuo ultimo mese di servizio, goditelo. Dicono che dirigere il traffico sia avvincente.» Sillabò l’ultima parola arricciando lievemente il naso per poi superarlo senza dire altro. Scott lo bloccò stringendogli il braccio.
«Tua madre è qui, hanno portato Robert e lei fa ancora parte dell’accusa.» Il figlio annuì proprio nell’istante in cui la figura della donna gli venne incontro. Il detective era stato tagliato dalla sua lista, ecco la prossima. Gli andò quasi addosso sbarrandogli la strada, Ruth lo guardò con gravità.
«Sono felice tutto sia stato chiarito.» Lo era sul serio? Probabilmente padre e figlio si stavano chiedendo la stessa cosa.
«Non ti credo.» Christopher le si avvicinò ancora. «Guardami bene, questa sarà l’ultima volta in cui mi vedrai. Ho pensato e ripensato, mentre ero in cella, a come schiacciarti.» La madre incassò il colpo allargando appena le narici, come ferita da quelle parole che meritava e in cuor suo lo sapeva. «E alla fine ci sono arrivato: tu hai adorato ogni singola volta in cui sono venuto a strisciare per il tuo perdono.»
«Chris..»
«NO.» L’ammonì alzando appena la voce. Scott mosse un passo avanti con fare guardingo ma il figlio lo bloccò sollevando una mano, quasi a dirgli ‘’va tutto bene’’. «Quindi questa sarà l’ultima volta in cui ci vedremo, devi pensare a me come se fossi morto, proprio come Will.» A quel nome la donna arretrò come se fosse stata schiaffeggiata. «E stavolta a uccidere l’altro tuo figlio ..sei stata tu. Adesso siamo pari, siamo assassini entrambi.» Le sorrise senza alcun sentimento per poi superarla.
«CHRISTOPHER.» Non si voltò a quel grido urlato con disperazione e rabbia, proseguì solo verso la berlina nera.
«Chris..» stavolta a chiamarlo la voce stanca del padre, si voltò con un sorrisino.
«Mi auguro la mia adorata Miranda abbia preparato una cena degna del mio ritorno.»
«Maria.» Il padre sbuffò esasperato.
«E’ proprio ciò che ho detto, paparino.»
 
 
I giornalisti assediavano ogni perimetro del palazzo, padre e figlio entrarono con fatica nel lussuoso androne grazie alle guardie che li circondavano in una sorta di muro protettivo. Christopher si rifiutò di rilasciare interviste trincerandosi in un silenzio strategico, nonostante i pareri opposti del proprio team legale.
Ad attenderlo Amanda e Nicholas, gli occhi dei due ragazzi si incrociarono senza più lasciarsi, non smisero neppure quando la donna abbracciò Christopher con calore, neppure quando Maria pianse di gioia (cosa che secondo Nicholas era pura follia), e neppure durante la cena.
«Che ne direste di andare tutti a riposare? Sono state notti dure e pesanti..» Amanda fissò i tre uomini con affetto, spossata ma stoica ancora una volta.
«Mi piacerebbe, ma ho promesso a Evan che sarei passato da lui.» A quelle parole Nicholas si irrigidì, aveva pensato finalmente di poter stare solo con lui e adesso? «Tu vieni?» Quando si rese conto che Christopher si era rivolto a lui tra tutti restò in silenzio qualche istante.
«Si..» Annuì lentamente pulendosi le labbra col tovagliolo, l’altro non aspettò oltre alzandosi e intimandogli con un’occhiata di seguirlo.
Cinque minuti dopo sfrecciavano in auto lungo le vie illuminate e piene di vita della città. Nicholas guardava ostinatamente fuori il finestrino con un cipiglio severo.
«Il mio biscottino sembra nervoso..» Il tono divertito indispose ancora di più l’altro.
«Non sono tuo.» Lo rimbeccò acidamente beccandosi in risposta una grassa risata. L’auto svoltò a destra invece che proseguire dritto, a quel punto Nicholas si mosse sul sedile fissando il proprio tormentatore che sedeva composto guidando come suo solito da spericolato.
«Hai sbagliato strada.»
«L’ho fatto?» Il tono stupito non lo trasse in inganno, assottigliò gli occhi.
«Qui siamo a Soho, Evan sta da tutt’altra parte.» Chris annuì schioccando la lingua contro il palato.
«Ops, potrei aver sbagliato, e adesso?» Per tutta risposta aumentò la velocità come se l’idea dell’errore non lo avesse minimamente toccato, e Nicholas non riuscì a capire se fosse più eccitato o ansioso in quella situazione. Riconobbe immediatamente il palazzo sotto il quale l’altro fermò l’auto, c’era stato mesi e mesi prima per poi venir spedito in una cella. Si augurava non fosse lì per un replay però, ne aveva decisamente abbastanza di prigioni e affini.
«Questo qui..» Indicò il grosso portone.
«Si?» Christopher lo guardò per la prima volta con aria innocente estraendo delle chiavi, gli fece cenno di seguirlo incamminandosi con passo sicuro. Il silenzio regnava sovrano dentro l’ascensore, Nicholas osservava la mano dell’altro intenta a giocare con le chiavi mentre la voragine nel proprio stomaco si spalancava sempre di più. Quando la porta dell’appartamento si chiuse alle sue spalle e il buio lo accolse la voragine era ormai un buco nero di proporzioni indescrivibili. Sentì il respiro altrui dietro di se, chiuse gli occhi sentendo il proprio velocizzarsi.
«Ti sono mancato?» Erano domande da Christopher quelle, decisamente. Non fece in tempo a rispondere, l’altro era già sparito dentro una camera, lo seguì trovandosi in quella che suppose fosse la stanza dove dormiva quando veniva lì, vista la presenza del letto. Christopher accese una lampada togliendosi la giacca che gettò sulla poltrona.
«Ti ho fatto una domanda, rispondimi.» La voce sicura, profonda proprio come la ricordava. Nicholas non rispose verbalmente, gli si avvicinò avvolgendo le braccia al suo collo e le loro bocche si unirono con disperazione e urgenza. Le mani dell’altro erano ovunque nel suo corpo, lo privavano degli abiti e anche della volontà. Non seppe bene come si ritrovarono a terra, gli salì a cavalcioni continuando a mordere e baciare quella pelle dal profumo famigliare e inebriante. La mano di Christopher si insinuò all’interno dei suoi pantaloni afferrandogli con possessione una natica, scivolando più giù proprio sul solco strappandogli un gemito.
«Pensavo non volessi stare con me.» La sua voce affannata strappò una risatina nell’altro che fermò per un attimo le sue carezze.
«Quindi non hai ascoltato niente del colloquio in prigione?» Nicholas si scostò appena fissandolo nella penombra e infine sorrise, la sua mano si chiuse sul viso del fratellastro con forza inaspettata ottenendo un’occhiata stupita che lo gratificò.
«Sei ciò che voglio, Christopher Underwood.» Lo scimmiottò e gli occhi azzurri altrui ebbero un bagliore malizioso a quelle parole, si alzò in maniera irruente trascinando Nicholas sul letto, salendogli sopra e bloccandolo tra il suo corpo e il materasso.
«La mia stanza stanotte sarebbe stata rischiosa.» Un brivido percorse la pelle del biondo a quelle parole mentre l’altro lo spogliava degli ultimi indumenti.
«Perché?» La voce uscì frammezzata dall’eccitazione.
«Perché urlerai.. e tanto.» Il sorriso di Christopher fu l’ultima cosa che vide prima che la spirale di passione e piacere non lo sommergesse del tutto.
 
Le loro dita intrecciate, sull’anulare di Nicholas spiccava l’anello di famiglia, il diamante scintillò alla luce della luna mentre con movimenti lenti sentiva l’altro farsi strada dentro di se, squarciarlo di netto con una cadenza quasi letale. Urlò il suo piacere finché non ribaltò le posizioni, baciando ogni centimetro di pelle sotto di se. Christopher disse qualcosa, ma lui non riuscì a sentirlo mentre mordeva, leccava e baciava quel corpo nudo che ormai amava incondizionatamente. Si chiese cosa provasse l’altro in quei frangenti, se riusciva a riempirlo proprio come faceva con lui, o se restavano brevi e sporadici momenti di piacere. Eppure quando si specchiava in quelle iridi così diverse e simili nel colore, il calore si diramava come uno spaventoso incendio. Non c’era nulla di sporadico e sterile nel suo modo di prenderlo.
 
Le dita avvinghiate alla sua schiena tracciarono scie rossastre, Nicholas si inarcò appena incassando quel dolore misto a piacere mentre saccheggiava quel corpo della quale non si sentiva mai sazio. I giorni erano diventati settimane, alla fine l’assenza di Christopher in prigione era divenuta insopportabile, talmente tanto da portarlo a porsi domande scomode. Da lì a qualche mese si sarebbero lasciati, cosa avrebbero fatto lontani l’uno dall’altro? L’anello brillò ancora e Nicholas ricordò le parole con la quale glielo aveva donato, rifiutandosi di credergli. Non lo avrebbe deluso, non lui e non in quella vita.
 
Christopher mantenne comunque la parola data quella notte, le urla si persero tra i sospiri e tra le lingue avvinghiate, tra i respiri spezzati e i gemiti soffocati.  
 

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Capitolo 18
*** Love the way you lie ***




 
La prima cosa che Evan vide entrando nella stanza fu una giacca blu fluttuare nell’aria, la guardò schiantarsi sul letto insieme al mucchio di vestiti tutti del medesimo colore.
«A Maggio solitamente vi è il White Party, ne hanno indetto uno in Blu?» La faccia di Christopher sbucò dalla cabina armadio, tra le mani un maglione del medesimo colore.
«Ciao fiorellino, è un piacere vederti come sempre.» Sorrise come suo solito sollevando il capo costoso con una smorfia costernata per poi gettarlo sul letto.
«Posso sapere che diavolo stai facendo?» L’amico mosse un altro passo con circospezione, ancora confuso.
«Sto gettando via ogni fottuto vestito blu che possiedo.» Al silenzio di Evan proseguì come se niente fosse. «So cosa stai pensando.»
«Sul serio?» Lo disse come se ne dubitasse.
«Ovvio, pensi che sia uno spreco privare del mondo una bellezza come me in abiti celesti.» Mosse in aria le dita con eleganza e l’altro sbuffò con sarcasmo. «Ma ho sviluppato un’avversità per questo colore, sai dopo i recenti avvenimenti.. Il che è un problema, perché il blu è praticamente metà del mio vestiario. Sai com’è, ho sempre saputo di somigliare a una specie di Dio con quel colore.» Sospirò insoddisfatto prima che la chioma bionda di Thomas non apparisse in camera.
«Le tue stronzate non mi erano mancate per niente.» La voce tagliente come al solito, ma gli occhi verdi lucidi di affetto e divertimento.
«Scommetto cinquecento dollari che tornerai a usarli entro un mese.» Evan sollevò una mano battendo il cinque al fidanzato che sembrava del medesimo parere.
«PER DIO.» Jeremy entrò mano nella mano con Rebecca, Christopher dava loro un limite massimo di sei mesi dall’inizio del college, era sicuro che per allora si sarebbero brutalmente mollati.
«Hip hip urrà?» Il rosso sbuffò sarcasticamente.
«Stai dando vita a una fiera dell’usato?»
«Mio carissimo Joshua..» Christopher sorrise candidamente fissandolo come si guarderebbe un bambino intento a provare gli abiti del padre.
«Jeremy, non Joshua.» Il soggetto in questione roteò gli occhi snervato.
«Mio caro Jeremy-non-Joshua, è un piacere vedere anche te.» Lo disse come se fosse esattamente il contrario cosa che fece ridere Rebecca che si beccò l’occhiataccia da parte del proprio fidanzato. Nicholas entrò proprio in quel momento e a Christopher sembrò come se quella stanza adesso fosse seriamente piena, piena di troppe cose che non voleva catalogare perché terrificanti. Gettò l’ennesima maglia blu sul letto e l’altro l’afferrò rigirandosela tra le mani.
«Quanto ti è costata tutta questa roba?» Christopher sporse le labbra fissando gli altri in attesa.
«Beh, se dovessi fare un breve calcolo di tutti gli abiti messi lì.. mezzo milione?»
«MEZZO MILIONE DI DOLLARI?» Jeremy si fiondò sul letto afferrando quanti più vestiti possibile. «Nicholas prendi il resto, andiamo a venderli.»
«Mi spiegate perché dobbiamo trascinarci sempre dietro questo plebeo?» Christopher lo indicò con un sorriso fintamente costernato.
«Perché sono il migliore amico del tuo ragazzo.» A quelle parole Nicholas si impietrì, non avevano mai parlato sul serio della loro relazione, non sapeva come l’altro lo vedesse né cosa esattamente si aspettasse da quel rapporto. Evitò di fissarlo mostrandosi impegnatissimo a piegare camicie e magliette. Christopher non rispose muovendo un passo verso l’uscita.
«Devo andare, ci vediamo più tardi piccoli gioielli.» Mollò tutti lì senza aggiungere altro. Evan guardò Nicholas con una punta di preoccupazione ma l’altro sviò il suo sguardo tornando a trafficare con il guardaroba.
 
 
Lucas si voltò al rumore della porta che si apriva, il suo sguardo si riempì di stupore alla vista di colui con la quale si era fatto guerra per tre anni.
«Non guardarmi così, potrei commuovermi.» Non era cambiato per niente, sempre il solito narcisista stronzo.
«Dovresti leccarmi i piedi, è grazie a me se hai evitato tatuaggi galeotti in prigione.» Lo beffeggiò indicandogli una sedia.
«Credo mi avrebbero donato, lo sai la mia bellezza è qualcosa di poco comune.» Lucas sbuffò stizzito mettendosi comodo contro i cuscini, portava ancora la benda sul capo ma nel complesso le cose andavano meglio, stava recuperando lentamente ogni ricordo, anche il più piccolo, nuovi particolari erano stati aggiunti alla deposizione contro Robert garantendo a questo quindici anni abbondanti di galera, anche se conoscendo Ruth Lewis temeva quasi per il povero malcapitato.
«Preferisco decisamente il tuo amico a te, il biondino hai presente? Viene quasi ogni giorno.» A quelle parole Chris si fece più attento, sorrise divertito sporgendosi in avanti.
«Se ti piacciono gli eroi con perenni crisi esistenziali e morali, si, suppongo Thomas faccia al caso tuo. Dovrei avvisarti che è felicemente fidanzato?» Lucas gli lanciò contro una patatina che l’altro tolse con disgusto dalla giacca.
«Dovrei ricordarti che adoro la figa?» Risero entrambi divertiti per poi restare in silenzio.
«Volevo ringraziarti. Non accade molto spesso, ma questo è un caso che urge io metta da parte il mio orgoglio, senza di te sarei uscito chissà quando. Prometto solennemente che quando una granata ti colpirà in culo, ti curerò gratis.» Gli sorrise candidamente e il biondo sospirò snervato.
«Dovevo lasciarti in galera, l’ho sempre detto che far del bene a un Underwood è tempo sprecato.» Lo indicò con finta colpevolezza.
«Vedi di tornare presto a scuola, è vuota senza la tua ingombrante nonché vanesia presenza, biscottino.» Si finse costernato poggiando una mano al petto, alla fine si sorrisero lasciando da parte rancori vecchi e solite scaramucce. Christopher passò lì l’intero pomeriggio, in compagnia del suo miglior nemico, gettando le basi per un rapporto che sarebbe durato nel tempo.
 
 
Seduto in cucina beveva il latte fissando il proprio ragazzo immerso in una lettura, sembrava quasi non vederlo ma Thomas lo conosceva fin troppo bene, era tutta apparenza.
«Devi dirmi qualcosa?» Evan a quelle parole sollevò gli occhi dal libro fissandolo.
«Pensavo dovessi dire tu qualcosa a me.» Eccola la conferma che aspettava, allontanò la tazza del latte come se ne avesse abbastanza togliendo di mano il libro al ragazzo che sbuffò stizzito.
«Sono andato spesso in ospedale da Lucas.» Si mordicchiò l’interno della guancia in attesa di una qualsiasi reazione.
«Dovrei essere geloso? Fino a prova contraria conosco bene i gusti di Lancaster, a preoccuparmi non è questo.» Evan si sporse appena, gli occhi divennero due fessure. «Vai a trovare lui ma perdi ore a parlare col padre, perché?» Thomas arretrò appena mandando giù il bolo di saliva.
«Sto solo cercando uno scopo, un senso. Ho sempre desiderato andare a Yale, ma per fare cosa? Non c’è nulla che sembra piacermi, non ho un sogno come te o come Nicholas.» Storse le labbra in una smorfia, inaspettatamente il fidanzato coprì il dorso della sua mano col proprio palmo.
«Thomas saresti in grado di fare qualsiasi cosa tu voglia, sei il ragazzo più capace che conosco.» Il tono grondava amore e sicurezza, l’altro gli strinse la mano con gratitudine annuendo appena.
«Mio padre ha fatto richiesta anche per West Point, come possibile seconda opzione.» Evan si irrigidì appena scuotendo lentamente il capo.
«E tu che ne pensi?» Thomas lo fissò con un cipiglio costernato.
«Sto valutando anche questo, se dovessi ..se dovessi intraprendere la carriera militare, tu..» Sembrava insicuro e tentennante.
«Ti sosterrò comunque, persino se domani ti svegliassi e mi dicessi che il tuo sogno nel cassetto è fare il travestito all’Insomnia.» Un momento di silenzio. «Dopo averti portato da un neurologo ovviamente.» Scoppiarono a ridere insieme, lasciando che il silenzio prendesse il posto dell’ilarità pochi secondi dopo.
«E’ difficile salutarti. E’ tremendamente difficile Evan.»
«Sarà solo un arrivederci, Thomas. Ci vedremo il più spesso possibile.» Sorrise e l’altro si sporse catturandogli le labbra tra le proprie, un bacio lento quasi sofferente come ogni loro approccio del resto. La loro relazione era da sempre un miscuglio di tormenti e gioie, una perenne giostra impazzita dalla quale Evan sembrava incapace di uscire, anzi era come se ogni volta pagasse l’extra per un altro giro.
 
 
Scott annunciò l’idea di un viaggio a fine diploma, tutta la famiglia accolse la notizia con allegria specialmente Nicholas allettato dall’idea di vedere L’Avana per la prima volta nella sua vita. Non aveva viaggiato molto, nonostante uno dei suoi tanti desideri fosse proprio quello di vedere più luoghi possibili. E poi l’idea di passare quindici giorni con Christopher, nonostante la presenza dei genitori, in un posto esotico era l’incentivo decisivo.
Lucas venne dimesso dall’ospedale tre settimane dopo tutti gli avvenimenti, tornò a scuola avvicinandosi ai tre ragazzi che sino ad allora aveva combattuto e guardato con sospetto. Lo aiutarono a rimettersi al passo con le lezioni, mentre dal canto loro l’ansia per le imminenti lettere li rendeva sovreccitati e nervosi. E Christopher tornò a vestirsi di blu.
Tutti ambivano ad entrare in università di prestigio, era il primo passo verso quello che sarebbe stato il loro futuro, da quello sarebbe dipesa la loro esistenza, il loro essere degli uomini che avrebbero fatto in qualche modo la differenza.
Non ci fu molto tempo per i divertimenti, quando non erano impegnati con lo studio e gli esami Nicholas e Christopher passavano tutto il loro tempo insieme, attenti e cauti a non toccare l’argomento ‘’relazione’’, il primo temeva che l’altro potesse inalberarsi e troncare il tutto, il secondo in silenzio elaborava ogni sensazione provando a catalogarla, pesandola in quell’assurda bilancia che era la propria vita. L’anello spiccava ancora al dito di Nicholas, e questa era l’unica cosa sulla quale Christopher era sicuro: era quello il suo posto, al dito del ragazzo.
Evan e Christopher tennero il discorso ufficiale il giorno del diploma, Thomas lo fece nella sua scuola. Urla liberatorie, risate non più contenute mentre le loro mani stringevano finalmente le lettere universitarie. Nicholas venne ammesso a Harvard, e così Evan che ricevette responsi positivi anche da Stanford. Christopher fu tra loro quello con più successi, ma l’unica università della quale gli importava era la Johns Hopkins.
 
«E’ quello che penso?» Evan fissò Thomas seduto sui gradini di casa, il ragazzo annuì consegnandogli la lettera ancora sigillata.
«Tienila tu, non voglio sapere il risultato.» Lo stemma di Yale spiccava sulla busta bianca, il ragazzo la rigirò cautamente tra le mani per poi fissare il fidanzato.
«Vuoi dire che hai scelto?» L’idea di saperlo a West Point non gli piaceva per niente, Thomas un soldato? Lo immaginava steso da qualche parte agonizzante.
«Ho scelto. Ho passato gli ultimi mesi a chiedermi cosa farne della mia vita, e infine l’ho capito. Sai ..i nostri desideri non sono poi così distanti.» Sorrise a Evan che a capo chino restava in piedi con quella lettera tra le mani. «Voglio aiutare il paese, e non solo ..voglio aiutare tutte le persone che soffrono, voglio provarci almeno.» Sapevano entrambi quanto spesso la parola ‘’soldato’’ portasse morte, ma quanto altrettanto spesso i soldati somigliassero ad angeli venuti da chissà dove per proteggere la gente indifesa.
«Sono fiero di te.» Evan sorrise, non si sforzò per farlo nonostante gli occhi pieni di ansia.
«Promettimi che non leggerai il contenuto, bruciala e basta.» Indicò la lettera di Yale e l’altro annuì, Thomas rise a bassa voce scuotendo il capo. «Fottuto bugiardo.»
Aveva ragione, Evan aprì quella lettera prima di gettarla nel fuoco, sarebbe stato l’unico a sapere se la scelta del fidanzato fosse stata oculata o meno. E mentre le fiamme ardevano la carta pregiata il suo cuore ebbe un lieve tonfo.
I due partirono insieme quell’estate, andarono in California per una settimana, godendosi il sole, le spiagge e il surf. Non parlarono più di Yale, di Harvard o di West Point. Si amarono, si amarono finché possibile e anche oltre.
 
 
Il Resort nella quale alloggiavano era la cosa più bella che Nicholas avesse mai visto. L’Avana aveva dalla sua quella sorta di magia, di primitiva e selvaggia bellezza impossibile da raccontare a voce, dovevi solo viverla.
«A Cuba tutti stanno bene, e tutti vogliono andarsene.» Esordì così Christopher passeggiando in una delle vie più povere della città, respirando odori tipici, i colori, le musiche latino americane che si spandevano da finestre rotte e muri scalcinati. Vi era tanta povertà, e tanta ricchezza, nessuna via di mezzo in quel luogo che sembrava un crudele scherzo del destino e allo stesso tempo un paradiso tentatore. Era passata una settimana circa dalla loro venuta e Nicholas non ricordava di essersi fermato un attimo, sempre in giro a vedere questo o quello insieme al fratellastro, gli unici momenti in cui vedeva la madre e Scott era durante le cene in albergo, raccontandosi ogni cosa con stupore. L’America sembrava quasi un altro mondo se vista da quella prospettiva.
«Strano a dirsi ma qui l’analfabetismo è praticamente inesistente.» Christopher bevve un sorso di vino e l’altro sorrise divertito. Viaggiare con lui equivaleva ad avere sempre con se un’enciclopedia vivente, il che non guastava se come Nicholas non sapevi un cazzo di niente del luogo. Le cose tra loro sembravano andare bene, uscivano a divertirsi, bevevano rum e tequila e poi ancora sbronzi si ritrovavano a far l’amore nel letto troppo grande, definito ‘’da bordello’’ da Christopher, della stanza. Non parlavano del futuro, uno dei due o forse entrambi avrebbero voluto, mancava il coraggio. E quel coraggio nacque per caso la penultima sera di viaggio. Non c’era molta voglia di uscire, i genitori dispersi chissà dove, e loro ascoltavano dei pezzi vecchissimi alla radio ridendo riguardo alcuni cubani visti a ballare ore prima in piazza.
«Partirai a fine mese, giusto?» Nicholas iniziò quella conversazione senza saper bene dove volesse andare a parare. Il caldo torrido sembrava avvolgerlo in una cappa oppressiva.
«Si.» Christopher lo guardò insistentemente per poi sospirare. «Dimmi quello che vuoi, e facciamola finita.» Il tono quasi brusco indispettì l’altro.
«Cosa vuoi che ti dica? Stai andando via, non so neppure cosa ne sarà di noi.» Si stoppò, il viso una maschera di tensione. «Ammesso esista un noi.»
«Esiste, il punto è che non so che tipo di ‘’noi’’ sia.» Christopher si alzò andando a versarsi da bere e Nicholas da quel gesto comprese che la discussione era ben più stressante di quanto avesse pensato.
«Questo noi continuerà ancora una volta che ci saremo divisi?» C’aveva girato attorno per mesi, ormai continuare a farlo sembrava infantile e stupido.
«Ho come l’impressione che il nostro ‘’noi’’ continuerà tutta la vita, siamo una famiglia adesso.» Non era di certo quello che l’altro si sarebbe aspettato di sentire.
«Non provo per te ciò che proverei per un fratello, smettila di girarci intorno.» Christopher ancora di spalle si irrigidì appena, respirò profondamente per poi voltarsi. «Sono ancora ciò che vuoi, Christopher?»
«Sei ancora ciò che voglio, Nicholas.» Sorrise ma l’altro non lo imitò.
«Forse non basterà più tra qualche tempo.» Il silenzio calò tra loro, non c’era bisogno di continuare a parlarne, era tutto fin troppo chiaro.
«Mi assicurerò che non succeda.» Nicholas accarezzò l’anello che portava al dito ripensando alle parole che l’altro gli aveva detto donandoglielo a Natale, era arrivato il loro tempo? Il capolinea che tanto temeva? Guardandolo avrebbe giurato di no, e continuò a giurarselo mentre una canzone struggente si librava nell’aria entrando nella loro stanza.
 
 

Three years later.
 

La separazione era arrivata per tutti, lenta o inesorabile, passati dall’età infantile a quella adulta, bagagli in mano e abbracci piangenti tutti loro avevano preso infine strade diverse.
Evan e Nicholas sembravano divenuti inseparabili, corsi insieme, persino uscite di gruppo, l’uno includeva automaticamente l’altro. Evan e Thomas ancora insieme dopo tre anni dalla partenza, nonostante negli ultimi tempi la tensione tra loro fosse palpabile. Nicholas lo sentiva spesso urlare nel cuore della notte al telefono, ma la mattina dopo l’altro si comportava come se nulla fosse successo e quindi rinviava sempre le domande. Jeremy e Rebecca si erano mollati pochi mesi dopo l’ingresso nelle rispettive università, e Christopher aveva intascato i soldi della scommessa su quei due con una grassa risata; inutile soffermarsi troppo, l’empatia non era mai stata il suo forte.
E Nicholas e Christopher? Beh, la risposta era anche la motivazione per la quale il primo era diretto alla Johns Hopkins con urgenza. Dopo i saluti ufficiali si erano rivisti cinque misere volte in tre anni, poche e sporadiche chiamate, messaggi inesistenti e risposte mai date da parte di Christopher che sembrava scomparso, immerso nello studio e nel futuro che aveva deciso di costruirsi per se.
«Vai da lui, è il momento di scegliere se dirsi ‘’Arrivederci’’ o ‘’Addio’’.» Fu Evan a dare quel consiglio all’apparenza spassionato, Nicholas non se lo fece ripetere due volte approfittando dei pochi giorni di vacanza e adesso era lì a fissare imbambolato decine di studenti dai visi sconosciuti, cercando tra loro quello amato.
«Cerco Christopher Underwood. Lo conosci?» Fermò una ragazza bassina dall’aria nevrotica che lo fissò in tralice, come se non si aspettasse quella domanda da lui. Lo chiamò ‘’il genio’’ e alla fine annuì indicando un blocco poco distante, l’università non aveva dormitori e lui non aveva la benché minima idea di come trovare l’appartamento dell’altro a Baltimora, visto e considerato che era la prima volta in cui vi metteva piede. Aveva quindi optato per incontrarlo lì, sicuramente non poteva perdersi dentro un’università. Cioè poteva, ma non era lo stesso che farlo in una metropoli.
Rivedere Christopher fu come sentire le campane suonare, o il rombo di un tuono che cade appena sopra di te folgorandoti. Lo vide parlottare e scherzare con un ragazzo, la cosa lo ferì più di quanto non avrebbe fatto normalmente; lui si struggeva, passava notti insonni nel dubbio, e l’altro si divertiva flirtando? Gli occhi glaciali di Christopher, quasi chiamati da parole mute, si poggiarono sul ragazzo dapprima con sospetto e poi con crescente sorpresa nel momento in cui probabilmente si era reso conto di non essere sotto l’effetto di qualche narcotico.
«Che ci fai qui?» Nicholas cercò di captare le diverse sfumature nella sua voce, era felice?
«Parlarti. Sai, pensavo che altrimenti ti avrei rivisto alla mia laurea.» La frecciata andò a segno nel modo sperato, Christopher mollò la presa su di lui annuendo seccamente.
«Vieni.» Gli indicò il corridoio continuando senza neppure accertarsi che l’altro lo stesse seguendo, fino a che non arrivarono ad un cortile rientrato e deserto, le lezioni erano ancora nel pieno dell’attività. Finalmente si voltò a fissare Nicholas, allargò le braccia e quello fu abbastanza per Nicholas.
«E’ arrivato finalmente quel giorno, giusto? E’ questo ciò che fai qui? Flirti con altri tenendo buono me con qualche scopata occasionale?» Sorrise senza alcuna gioia e Christopher provò ad avvicinarsi per vedersi respinto. «Non ci provare. Dimmelo in faccia.»
«Cosa vuoi che ti dica esattamente Nicholas? Stai prendendo un abbaglio, non ho fatto nulla di ciò che pensi.»
«DIMMI CHE E’ FINITA.» La rabbia sembrò scorrere come acido nelle vene.
«Abbassa la voce.» L’altro non sembrava da meno mentre si avvicinava col viso sgomento e infuriato.
«Tieni.» Si tolse l’anello lanciandoglielo addosso. «Hai detto ‘’ti deluderò, e quando succederà vorrei guardassi l’anello e ricordassi questa notte’’.» Christopher lasciò che l’oggetto luccicante scivolasse ai suoi piedi, senza distogliere lo sguardo dall’altro.
«Credo tu non abbia fatto ciò che volevo però. Deluderti non era nella mia lista dei desideri.» Sembrò sincero mentre il viso si distorceva in una maschera di dolore, Nicholas lo fissò interdetto.
«Bastava dirmi ‘’ti amo’’.» Christopher non rispose a quelle parole, e l’altro sentì il mondo crollargli. «Sono ancora ciò che vuoi, vero?»
«Nicholas..» Allargò le braccia, aveva pronunciato il suo nome come se dentro vi fossero contenute tutte le cose vitali del mondo, sembrava che anche respirare adesso costasse uno sforzo.
«Rispondimi.»
«Si, sei ancora ciò che voglio, sarai sempre ciò che voglio.» La voce si incrinò appena.
«Ma non sono ciò che ami, e questo fa la differenza.» Christopher sembrava quasi sconvolto, ma Nicholas era troppo preso dal proprio dolore per farci caso. Si sentiva travolgere da ondate di nausea e infelicità mentre si allontanava velocemente da lì. Giurò di aver sentito la voce dell’altro chiamarlo, non si voltò mai per accertarsene velocizzando invece il passo per fuggire via da lì e da quella persona che gli era a tutti gli effetti entrata dentro senza più uscirne.  E adesso? Cosa avrebbe fatto adesso? Come avrebbe affrontato cene, feste, ricorrenze seduto di fronte all’altro? In che modo l’avrebbe scacciato da mente e cuore se ormai era divenuto parte integrante della propria vita? Non aveva una spiegazione, né una soluzione tantomeno, dicevano che era il tempo a curare le ferite ma per ironia a Nicholas era proprio questo a spaventare. La vastità del tempo che ancora doveva vivere, senza Christopher. 

 

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Capitolo 19
*** Won't go home without you (ending) ***




 
Erano trascorse circa due settimane dall’epilogo funesto della sua tragica relazione, settimane che Nicholas aveva passato immerso nello studio sino a sentire la testa esplodere oppure a compiangersi e ‘’frignare come un moccioso’’ (parole di Evan stanco di sopportare l’atmosfera lugubre che aleggiava). In quel preciso istante si trovavano in gruppo a fissare un..cadavere. Quando il bisturi toccò la pelle aprendola di netto Nicholas sentì le ginocchia tremare, e fu grazie a quella lezione che capì di dover scartare chirurgia dalle possibili scelte. Perché si in effetti ancora non aveva scelto una reale specializzazione, Amanda premeva affinché optasse per oncologia, ma il figlio non era sicuro fosse quello il suo campo. Bisognava che arrivasse una scossa, un segno che gli facesse capire quale fosse la sua strada. La fantomatica ‘’scossa’’ arrivò invece per Evan, nel medesimo giorno. Nicholas capì cosa avrebbe scelto l’amico quando lo vide afferrare il cuore di quell’uomo ormai morto tra le mani, osservò i suoi occhi affascinati, le pupille dilatate e le labbra schiuse e in quel momento una fitta gli mozzò il respiro riportandolo indietro di parecchio tempo, in una stanza buia e soffusa: ‘’Mente o cuore?’’ gli aveva chiesto. Se Christopher aveva fatto della neurochirurgia la sua vocazione, Evan di contro aveva scelto la cardiochirurgia come branca specialistica. Erano le due metà perfette di una mela, per questo erano così amici, così inseparabili.
«Pensavo avresti vomitato dentro lo stomaco del tipo.» Nicholas scoccò un’occhiata in tralice all’altro che se la rideva alle sue spalle. Respirò a pieni polmoni l’aria aperta sorridendo.
«Quantomeno ho capito che la chirurgia potrebbe non fare per me.» Scrollò le spalle prendendosi quella piccola consolazione, di recente aveva pensato spesso alla psichiatria, insomma non era da scartare. La mente restava qualcosa di totalmente affascinante. 
«Non tornerai a casa domani?» Evan interruppe il flusso dei suoi pensieri, Nicholas scosse la testa e l’amico capì fosse meglio non insistere. Natale era ormai arrivato, la madre sperava di rivederlo peccato avesse dato per certa la presenza di Christopher cosa che lo aveva reso desideroso più che mai di non partecipare. Aveva dato come scusa alcuni corsi supplementari, era sicuro che se i genitori se la fossero bevuta lo stesso non sarebbe stato per il fratellastro. Non che gli importasse molto, erano passare ormai settimane dal loro addio e neppure una chiamata, un messaggio o un’improvvisata. Era fin troppo chiara la cosa: tra loro era finita. Per sempre.
 
 
Evan vagava per la stanza comune simile ad uno spettro, un calice di vino nelle mani e la sua solita aria distratta, i suoi movimenti leggiadri ricordavano quelli di un lord. Nicholas appollaiato sul divano lo guardava cercando di capire dove diamine volesse andare a parare con quella maratona improvvisata. Era da circa venti minuti che girava senza meta. La loro camera era composta in maniera molto semplice, avevano una zona ‘’comune’’ nella quale avevano messo divano, televisione, e persino un tavolo da biliardo sotto insistenza di Evan. Infine le loro camere e il bagno, non potevano lamentarsi, anzi.
«Hai intenzione di continuare per molto? Sento di avere ormai gli occhi storti.» Si indicò il viso alzando appena la voce per enfatizzare il sarcasmo, l’altro si fermò appena fissandolo per poi bere un altro sorso di vino.
«Hai deciso se uscire o meno con Carver?» Nicholas sbuffò stendendosi sul divano in posizione scomposta.
«Dovresti smetterla di preoccuparti per la mia situazione sentimentale.»
«Non hai risposto.» Bevve ancora sorridendo candidamente, Nicholas si chiese se perdesse mai la calma.
«Non lo so, non credo.» Tre mesi erano passati, scivolati via per tutti ma non per lui, per lui che aveva sentito ogni minuto scorrere nella pelle come lava bollente, ogni ora un’agonia, le settimane pesanti come macigni e quando un mese finiva ne strappava via il foglio pensando ‘’ecco, è passata, sono ancora vivo senza di lui’’.
«Dovresti andare.» Aveva come l’impressione che Evan volesse restare solo, e in quel momento notò la lieve tensione delle sue spalle. Immaginò aspettasse l’ennesima chiamata di Thomas, tra loro le cose stavano precipitando, nonostante l’altro non ne parlasse mai era evidente. La motivazione? Sconosciuta.
«Sai cosa? Credo andrò a farmi una birretta con i ragazzi del corso. Non aspettarmi.» Si alzò con movimenti agili stiracchiandosi con fare tranquillo, giusto per non far intuire all’altro che aveva capito. Evan però non sembrava applicato sulla cosa, anzi, si limitò ad annuire distrattamente tornando a bere e fissare oltre la finestra.
«Divertiti..» Fu il suo laconico commento poco prima che la porta di richiudesse alle spalle di Nicholas. Il ragazzo provava un’inquietudine che non sapeva spiegarsi.
 
 
Qualcuno bussò alla porta, Evan sorrise stancamente avviandosi con passo lento prima di aprire ritrovandosi davanti i suoi capelli biondi adesso corti e quegli occhi verdi pieni di troppe cose.
«Sei venuto.» La porta si richiuse con un tonfo.
 
 
I ragazzi del corso erano tutti simpatici, provenivano da zone diverse e quindi parlargli era un po’ come conoscere ogni parte d’America senza esserci neppure stato. Carver tra tutti era stato il più disponibile fin da subito e Nicholas non ci aveva messo molto a capire che la sua solerzia fosse più frutto di un’attrazione per lui, che di una bontà d’animo spiccata e innata. Eppure non gli interessava, più lo guardava e più sentiva il vuoto dentro di se. Niente stomaco aggrovigliato, niente cuore che batteva all’impazzata, niente fitte al bassoventre per denotare la crescente eccitazione. Era solo un ragazzo, di bell’aspetto sicuramente, che conversava con lui.
Mentre Carver parlava il suo cervello andò a ritroso nel tempo, ricordò la St.Jules, l’auto di Jeremy ferma al semaforo e Christopher dentro la berlina, seduto in maniera così scomposta e sfacciata. Quando i loro occhi si erano incrociati Nicholas ancora non lo sapeva ma era lì che tutto era iniziato, avevano legato le loro vite perché quello era il loro destino. Non avrebbe mai più provato un’attrazione simile per qualcuno, né tantomeno un amore così grande, lo sapeva bene e doveva imparare a conviverci.
«Vieni con me?» Carver gli sorrise, Nicholas si rese conto di non aver ascoltato nulla dei suoi discorsi, ma aveva comunque capito lo avesse appena invitato nella propria camera. I bivi capitano a tutti nella vita, se ad esempio non si fosse rotto la gamba anni prima, non sarebbe mai passato dall’istituto in auto e non avrebbe visto Christopher. O se sua madre fosse rimasta fedele alla memoria del padre, non vi sarebbe stato Scott; una vita senza Christopher era impossibile da concepire. Sbatté le palpebre rendendosi conto che l’altro era ancora in attesa, e quindi scelse. Si allontanò cinque minuti dopo dal locale con le mani nelle tasche, completamente solo.
 
Fuori dal corridoio giungevano rumori attutiti, Nicholas aggrottò la fronte aprendo la porta e non appena mise un piede dentro sentì il rumore di qualcosa che si rompeva. Sollevò la scarpa fissando quelli che sembravano i cocci di un vaso. Strabuzzò gli occhi osservando la zona comune completamente sottosopra, vetro in terra, vasi frantumati, il cuore gli schizzò in gola finché non vide Evan uscire dalla propria stanza, sembrava tranquillo mentre lo fissava con una punta di sorpresa. Nicholas notò avesse il labbro lievemente gonfio.
«Che diavolo è successo qui.» Indicò il caos attorno a se incredulo, richiudendosi la porta alle spalle.
«Sei arrivato finalmente, pensavo di rivederti nel duemilamai.» Al suono di quella voce rischiò di strozzarsi con la saliva, Christopher ritto contro lo stipite della camera di Evan lo fissava con un mezzo sorrisino nervoso. Lo indicò e poi indicò i cocci a terra, l’altro sollevò le mani in segno di difesa. «Non sono stato io. Perché cazzo avrei dovuto impiantare una scena madre da uomo virile se tu neppure c’eri?»
«Vi prego, chiudetevi in camera ho l’emicrania.» Fu Evan a intervenire mentre raccattava alcuni cocci aiutato prontamente dal migliore amico. Nicholas non riusciva a emettere neppure un suono, stava sognando?
«Posso sapere che diamine è successo?»
«Non saprei, suppongo riguardi il tornado coi capelli biondi e l’aria incazzata che ho visto uscire dalla stanza appena sono arrivato.» Fu Christopher a parlare, piuttosto laconicamente, riferendosi chiaramente a Thomas cosa che sconvolse ancora di più Nicholas.
«E’ stato qui?» Allargò appena le braccia muovendosi cautamente nella stanza.
«A meno che non fosse il suo gemello nascosto, penso proprio di si.» Il sarcasmo del fratellastro lo indispettì.
«Che diavolo ci fai tu qui.» Lo indicò sprezzante, adesso la rabbia tornava lentamente a farsi strada in lui. Erano passati tre mesi, e si degnava solo ora di arrivare?
«Volevo invitarti alla mia laurea.» Il tono calmo e pacato, Nicholas pensò di non aver sentito bene. Si stava laureando? Mancava ancora un anno pieno. Il suo sguardo sbigottito strappò uno sbuffo a Evan.
«Piantala di vantarti del tuo fantastico QI. Sparite, riordino io.»
«Se tu non mi avessi detto che Nicholas usciva con un ragazzo diverso a settimana, forse sarei venuto con più calma e non nel cuore della notte.» Nicholas si strozzò con l’acqua che si era malauguratamente versato per sopperire la carenza di saliva, fissando l’amico che dal canto suo non sembrava sentirsi minimamente in colpa per la bugia.
«Vivere con te è stressante da quando vi siete mollati, dovevo fare qualcosa per salvaguardare la mia sopravvivenza qui.» Indicò loro la porta della camera di Nicholas e Christopher sembrò felice di andarci facendo un cenno all’altro che lo seguì riluttante.
 
Christopher sedette sul letto guardandosi attorno, non era la prima volta che vedeva quella camera eppure appariva ogni volta diversa.
«Sono venuto a tornarti questo.» Uscì dalla tasca l’anello di famiglia che lanciò in direzione dell’altro, lo vide afferrarlo al volo fissandolo stralunato.
«E’ tuo, te l’ho ridato.» Il tono di voce duro mostrava tracce di dolore.
«Lo so, ma non mi ricordo di averti dato il permesso per farlo.» Christopher sorrise, non c’era malizia o ironia in quel gesto e solo allora Nicholas notò i suoi occhi stanchi, sembrava persino dimagrito. Una punta di preoccupazione si insinuò nei suoi occhi.
«Non ha senso per me tenerlo, adesso.» Parlò con ostinazione, non sapeva neppure lui il perché si accanisse così tanto. O forse si, lo sapeva bene.
«Avrebbe senso se tornassi da me. Se ricominciassimo.» Christopher si alzò andandogli incontro, ottenendo però solo l’allontanamento altrui verso il lato opposto della stanza. Sospirò stropicciandosi gli occhi, era lì per un motivo e doveva portarlo a termine, nonostante gli costasse fatica. Aveva messo a soqquadro il suo mondo in quei tre mesi, e se non avesse ottenuto nulla a che sarebbe valso?
«No. Sarebbe tutto uguale, io che ti corro dietro, che elemosino amore, un amore in cui tu non credi.» Abbassò il tono della voce come se non volesse che Evan sentisse, il tono disperato e pieno di lacrime non versate.
«Ho sempre pensato che amare solo se stessi fosse l’arma migliore per proteggersi. Sai, dopo mia madre..» si stoppò fissandolo in maniera eloquente. «Dopo di lei pensavo che l’amore fosse qualcosa di pericoloso e letale, come un dolce prelibato ripieno di cianuro. Se neppure la donna che mi aveva messo al mondo era in grado di restarmi accanto amandomi ..che speranze aveva qualcun altro?» Strinse la mascella fermandosi il tempo necessario a riprendere il controllo della propria voce. «Poi sei arrivato tu, penso di averti amato da subito, o quasi. Quando andai in galera, non riuscivo a pensare alla mia vita senza di te, ma nonostante questo cercavo una spiegazione logica alla cosa, qualcosa che mi illudesse d’essere ancora il padrone indiscusso della mia vita.» Si mosse con cautela verso l’altro che stranamente non si ritrasse troppo preso a fissarlo con occhi lucidi.
«Se fosse come dici, perché in questi tre anni mi hai relegato nell’angolo? E’ così che ami? O peggio, è questo che credi sia amare?» Si ritrasse al tocco della sua mano scuotendo il capo come a intimargli di non farlo.
«Ho pensato al nostro futuro, mi sono concentrato sullo studio, volevo raggiungere in fretta i miei traguardi. Prima lo avrei fatto e prima sarei tornato da te.» Respirò profondamente passandosi una mano tra i capelli lievemente scarmigliati. «Nicholas non sono stato con nessuno dopo di te, e non voglio nessuno oltre te. Io ti amo.» Il tono uscì lievemente disperato, aveva il timore di essere arrivato tardi, di aver rovinato tutto con quella sua solita freddezza che troppo spesso lo teneva lontano dalle persone, che le faceva dubitare del proprio affetto per loro. Chiuse gli occhi pensando a un modo, una soluzione, per far capire a Nicholas l’immensità delle cose sentite e provate. Sentì il palmo della sua mano sulla propria guancia, quando riaprì gli occhi l’altro era talmente vicino da riuscire a distinguere la spruzzata di lentiggini sul naso.
«Sapevo che era sbagliato, totalmente errato, attendere il tuo ritorno. Ma sono felice di averlo fatto..» Sorrise per poi coglierlo di sorpresa baciandolo con tale trasporto da farlo barcollare indietro nel tentativo di afferrarlo. Le loro lingue si mischiarono ai respiri, c’era urgenza in quei tocchi, urgenza nel modo in cui i loro vestiti cadevano a terra come foglie ormai mature. C’era urgenza nel modo in cui si presero, nel modo in cui si graffiarono e morsero, nel modo in cui accolsero l’acme del piacere che esplose contemporaneamente.
 
 
Nicholas giaceva nudo e dormiente sul letto, il respiro tranquillo, le ciglia accarezzavano quasi le guance. Christopher lo coprì con il lenzuolo strisciando fuori in silenzio, mettendo solo i pantaloni per poi uscire fuori dalla stanza. La zona comune era rischiarata dalla luce naturale della luna, i suoi occhi ci misero un po’ ad abituarsi finché non vide la sagoma in piedi contro la finestra, un bicchiere mezzo vuoto tra le mani, i capelli lisci lievemente scompigliati.
«Sono contento che finalmente ti sia deciso a fare la cosa giusta. L’ho sempre saputo, sai? Il modo in cui lo guardavi..» Evan parlò a bassa voce rendendo palese il fatto che si fosse accorto della presenza alle sue spalle. Christopher gli si avvicinò prendendogli il bicchiere dalle mani per berne una lunga sorsata.
«Me lo dirai?» Era evidente si riferisse a cosa fosse successo in quella stanza prima del suo arrivo.
«Ci siamo lasciati.» Evan parlò come se gli costasse fatica, era da sempre un vincitore uno alla quale i fallimenti piacevano poco, che fossero privati o professionali era irrilevante, ma Christopher intuì non fosse solo quello. Non stavolta.
«Sei stato tu vero? Sei stato tu a distruggere la stanza.» Indicò la sala adesso ordinata e l’altro sorrise sghembo.
«Ci sono amori destinati a consumarti. Amori circoscritti ad un determinato periodo della vita, che sembra insignificante se paragonato all’intera esistenza che ancora ti resta, eppure cambiano drasticamente tutto. Hanno la valenza di un tornado.» Si diresse verso il frigobar versandosi da bere, voltandosi infine verso il migliore amico.
«Vi siete detti addio quindi?» Inarcò un sopracciglio parlando con cautela.
«Lui mi ha detto arrivederci, io gli ho detto addio.» Scrollò le spalle ingollando una generosa dose di liquore che non spense l’incendio nella gola.
«Piuttosto severo come sempre, e sei sicuro di questa decisione?»
«No, per niente.» Risero amaramente a bassa voce.
«Come disse il grande Catullo: Ave atque vale, fratello.» Sollevò il bicchiere in un brindisi silenzioso e l’altro lo imitò.
 
 

Two years later.
 

 
La cerimonia sarebbe iniziata a breve, nel giardino adornato la gente iniziava a sedersi in attesa di vedere i due sposi entrare. Evan era il testimone di Christopher, fissava Jeremy dalla parte opposta testimone di Nicholas. Il fatto che stessero presenziando al matrimonio di quei due era la prova palese che l’amore spesso poteva bastare. Si chiese perché per lui quella regola non avesse contato poi molto. Non vedeva Thomas da due anni, non dopo quella notte almeno, aveva cestinato i suoi messaggi, distrutto le lettere prima di aprirle e deviato le chiamate. Poi il nulla, Thomas un bel giorno era semplicemente sparito probabilmente stanco o peggio indifferente, fino ad oggi almeno.
«E’ proprio vero che i soldati hanno fascino.» Rebecca gli si avvicinò con un sorrisino malizioso che venne accolto dall’occhiata più imperscrutabile del gemello, era evidente comunque si riferisse al proprio ex fidanzato che stava entrando giusto in quel momento. Era cambiato molto, capelli adesso corti, muscolatura ben più sviluppata, occhi severi come se avesse visto cose che l’avessero portato a indurirsi. I loro occhi non si incrociarono mai, eppure furono sempre consapevoli di dove fosse l’altro.
La cerimonia andò bene, si scambiarono gli anelli sotto gli occhi emozionati di tutti coloro che avevano vissuto quella relazione. Persino Lucas si era presentato, voci certe lo davano adesso molto amico di Thomas, entrambi nel medesimo reggimento non vi era missione che non facessero insieme.
«Lo avresti mai detto?» Christopher si avvicinò a Nicholas con un sorrisino.
«Cosa?» Aveva capito benissimo la domanda, ma stuzzicarlo era troppo divertente.
«Quel giorno quando ci fissammo, tu nell’auto di Jeremy e io in quella di mio padre. Avresti mai detto che sei anni dopo ci saremmo ritrovati qui?» Si sporse strappandogli un bacio a tradimento, non era cambiato di una virgola in quello.
«Ovvio che si. Ho tentato più volte di fuggire da te, da tutto quello che mi facevi provare, e più lo facevo più mi rendevo conto che saremmo finiti nel medesimo punto. Insieme.» Christopher annuì, sembrava soddisfatto della risposta.
«Sei un bugiardo patologico, mi piaci anche per questo.» Nicholas rise, cristallino come sempre. «E’ un bel punto questo, non per vantarmi ma la vista è fantastica.» Si beccò una gomitata che accolse con una risatina. I loro occhi abbracciarono tutta la sala, alcuni visi più amati di altri, alcuni erano entrati dopo nella loro vita e altri ne erano usciti senza più tornare. Spiccava tra tutte l’assenza di Ruth, Christopher si era mantenuto stoico e intransigente su questo, rifiutando di vederla da quel giorno fuori la prigione. Non che lei avesse fatto chissà che sforzo, eppure Nicholas a volte la pensava. Una donna sola, piena di dolore, forse adesso pentita.
«A prescindere da tutto, mio carissimo marito, ero sicuro saresti capitolato.» Lo stuzzicò nascondendo un sorriso contro il calice di champagne.
«Ah si? E come mai?»
«Sono da sempre ciò che vuoi, Christopher Underwood.» Una risata bassa accolse quelle parole che scimmiottavano l’altro, seguita da un bacio pieno di promesse imminenti che Nicholas scommetteva si sarebbero avverate non appena avessero messo piede nella stanza. 

 

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