Se fossi il tuo rimorso

di dark tears
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultima risata ***
Capitolo 2: *** Operazione d'urgenza ***
Capitolo 3: *** Consapevolezza ***
Capitolo 4: *** La ragione è dei folli ***
Capitolo 5: *** Aurora boreale ***
Capitolo 6: *** Rossetto rosso ***



Capitolo 1
*** L'ultima risata ***



SE FOSSI IL TUO RIMORSO





Capitolo I
L’ultima risata

Il sangue rosso scuro gocciolava dal guanto nero e lucido, cadendo a terra e confondendosi con l’asfalto nero. Era notte – notte fonda – perciò ogni cosa appariva più scura e buia di quanto in realtà non fosse; nero che si stagliava su altro nero. Una notte senza luna, fredda e inospitale. Quel sangue non era il suo. Batman scrollò con forza il braccio destro, nel tentativo di togliersi di dosso un po’ di quel fluido acre e appiccicoso.
< È finita > pronunciò col suo tono roco e tagliente, un tono che non ammetteva repliche o scappatoie < Arrenditi Joker, consegnati alla giustizia >.
Gli occhi blu dell’uomo-pipistrello fissarono il volto insanguinato del suo nemico contorcersi in un’espressione grottesca, a metà fra il divertimento ed il disgusto. Una risata terribile e acuta si levò nel cielo color della pece
< AHAHAHAHAHAHAH!!! Sei uno spasso Batsy! > ghignò l’uomo dai capelli verdi al massimo dell’ilarità, fregandosene di tutto quel sangue che gli scorreva giù dal naso e dalla bocca, nonché dalla ferita aperta sulla fronte < Dopo tutti questi anni ti aspetti davvero che mi consegni alla giustizia di mia spontanea volontà!? > guardò l’altro uomo con aria di sfida < Eppure dovresti conoscermi, dovresti sapere che sono un combattente.. E cosa fanno i combattenti??.. Non si arrendono fino alla fine! >.
Gli occhi verdi luccicarono di insana e folle determinazione e dalla tasca del gilet estrasse come per magia un telecomando delle dimensioni di un taccuino con un unico grosso bottone rosso. Senza dire una parola e continuando a ghignare, Joker sollevò in aria il telecomando e con l’indice dell’altra fece per pigiare il bottone.
< No, fermo! Non lo fare! > il grido autoritario di Batman risuonò nell’aria statica della notte, rimbombando nel cielo vuoto e spento come un lugubre allarme.
< Ooooh, sì che lo faccio! > replicò il clown con quell’espressione compiaciuta e malsana che creava un inquietante contrasto con il sangue che gli grondava dal viso.
< Ci ucciderai tutti e due! > protestò l’eroe facendo un passo istintivo verso la sua nemesi e poggiando la mano sulla cintura super accessoriata che teneva allacciata introno alla vita. Magari gli era restato ancora qualche batrang da usare in extremis contro il pagliaccio..
In quel momento un rombo assordante squarciò d’improvviso il silenzio della notte buia, facendo sobbalzare istintivamente i due uomini sul tetto dell’edificio. Non era stato l’ordigno piazzato da Joker ad esplodere, il dito sottile ancora esitava sul tasto grosso e rotondo del telecomando. Un nuovo rombo, meno forte del precedente, seguì subito dopo, ma questa volta non riuscì a sorprendere i due antagonisti. Era in arrivo un temporale, uno di quelli violenti e improvvisi che non danno nemmeno il tempo di tirare fuori l’ombrello.
< Andiamo, a che ti serve far saltare un intero edificio!? > domandò all’improvviso Batman con un grido esasperato < Non è nemmeno un luogo-simbolo, è solamente pieno di ignari innocenti >.
< È proprio questo il bello, no!? > incalzò Joker dall’altra parte del tetto < Distruggere e sterminare una manciata di vite senza un reale motivo apparente! >.
Ghignò assolutamente convinto e sicuro, come se quella sadica affermazione fosse una chiara e lucida dichiarazione d’intenti. Batman strinse i pugni ancora sporchi del sangue del nemico e digrignò i denti lasciandosi sfuggire un basso ringhio di rabbia e frustrazione.
< Salterai in aria anche tu, a questo ci hai pensato? >
< Certo che ci ho pensato! > esclamò l’altro in tono quasi offeso, sentendosi sottovalutato dal pipistrello < Vuol dire che finalmente ti trascinerò all’Inferno con me! > replicò in tono sprezzante, ridendo in faccia al giustiziere e lanciandogli sguardi ammiccanti e sinistri. Non può essere, Joker non è un soggetto incline all’autodistruzione, pensò Bruce a denti stretti, deve avere sicuramente un asso nella manica, un elicottero forse.. Ad ogni modo non poteva rischiare che Joker facesse saltare in aria un intero edificio di trenta piani, non glielo avrebbe permesso. Una grossa goccia gli cadde sul viso, scivolando lungo il mento squadrato, mentre con la mano destra andava alla ricerca di un pulsantino specifico sul suo cinturone. La risata di Joker – del tutto ignaro di ciò che Batman stava per fare – risuonò alta e forsennata nel cielo oscuro
< Pensa che bello che sarebbe Batsy: io e te morire insieme.. Non la trovi una cosa incredibilmente romantica!? > gridò il pagliaccio con voce raggiante e tono quasi amorevole, come se stesse parlando di un’esaltate avventura o di una piacevole gita domenicale. Batman strinse le labbra, del tutto scettico riguardo a quell’improvvisa quanto improbabile smania di autodistruzione del Joker
< La trovo una cosa orribile > replicò con durezza guardando dritto in direzione del pagliaccio, tenendo le iridi incollate sul telecomando nero e sul minaccioso dito bianco che ne sfiorava il pulsante.
Di nuovo una goccia, poi una seconda, poi un’altra ancora. Il cielo si spalancò di colpo ed una cascata d’acqua gelata prese a riversarsi su Gotham, bagnando strade, palazzi, persone ed automobili con una furia impetuosa. Il temporale si rovesciò addosso ai due uomini sul tetto, inzuppando in un minuto i loro vestiti e facendo risplendere i loro volti concentrati e severi. Forse era tutto un grande scherzo, forse da quel telecomando non sarebbe uscito altro che una bandierina colorata con la scritta “BOOM”. Dopotutto non sarebbe stata la prima volta, da Joker c’era da aspettarsi quel genere di macabre goliardate. Magari si stava preoccupando per niente, ma non poteva comunque rischiare. Batman vide il dito sottile di Joker posarsi sul pulsante rosso e lucido di pioggia e fare una leggera pressione. Senza pensarci due volte pigiò il bottone sulla cintura e prese la mira. Un improvviso lampo illuminò il cielo notturno accecando con la sua luce improvvisa e bianca l’eroe mascherato, per poi scagliarsi a terra a chilometri di distanza dall’edificio. Un instate dopo, un batrang sfrecciò dalla cintura di Batman volando con un’inclinazione verso l’alto, diretto a colpire il criminale. L’uomo si accorse troppo tardi di aver preso male la mira; quel lampo improvviso ed imprevisto gli aveva fatto sbagliare la traiettoria di lancio ed il batrang, anziché colpire la mano destra del clown come avrebbe dovuto fare, lo aveva centrato in pieno petto.
Immobilizzato dalla sorpresa più che dal terrore, Joker lasciò cadere a terra il telecomando, scongiurando così l’imminente esplosione di tutto lo stabile. Con gli occhi e le labbra spalancate in un’espressione di stupore, chinò lentamente la testa ad osservare l’oggetto appuntito che gli si era conficcato nel petto. Le pupille nere si dilatarono alla vista del batrang conficcato per metà dentro la carne, esattamente all’altezza del cuore. Istintivamente si portò entrambe le mani sul petto, sfiorando con le dita tremanti la stoffa della camicia fradicia di sangue e di pioggia. Con uno strano e inopportuno sorriso sulle labbra scarlatte, il pagliaccio si lasciò cadere a terra, battendo prima le ginocchia sul freddo pavimento e poi crollando disteso su un fianco.
Agghiacciato dall’accaduto, Batman si lanciò verso il suo nemico appena realizzò la gravità della situazione, inginocchiandosi al suo fianco e voltandolo cautamente sulla schiena. Gli occhi blu del giustiziere vagarono febbrili su quel corpo magro freddo e sempre più debole, squassato da violenti brividi e gemiti di dolore.
< Oh dio, che cosa ho fatto??.. > mormorò frastornato e in preda alla paura più cupa, forse addirittura più spaventato della sua accidentale vittima. < Io.. Non volevo.. > biascicò terrorizzato prendendo delicatamente Joker fra le braccia e sollevandogli la testa in modo da poterlo guardare in volto. Dalle labbra del criminale uscì un gemito di dolore, eppure un istante dopo si piegarono in quello che al pipistrello sembrò l’ombra di un dolce sorriso.
< Sa-sapevo che sarebbe finita così.. > prese a dire con un filo di voce, sforzandosi di parlare nonostante il dolore e la debolezza crescenti < Che.. che uno di noi avrebbe.. a-avrebbe ucciso l’altro, è.. così che doveva andare B-Batsy >
< Shhht non parlare, risparmia le energie > disse Batman in un roco sussurro, sentendosi francamente a disagio per la dedizione che la sua nemesi gli dimostrava anche in un momento drammatico ed estremo come quello, quando invece avrebbe dovuto odiarlo e maledirlo. Si sentiva tremendamente in colpa e aveva paura, una fottuta e dilaniante paura di aver varcato per la prima volta la linea invisibile che si era imposto di non oltrepassare mai con nessuno. Lui non era un assassino, combatteva per la giustizia non per la cieca vendetta. Eppure l’uomo che si stava lentamente spegnendo fra le sue braccia era a tutti gli effetti una sua vittima. La prima.. Forse la prima di una lunga serie? L’orrore strinse lo stomaco di Bruce in una morsa di ghiaccio, lasciandolo insensibile alla pioggia che gli scivolava sulla maschera e lungo il viso, scorrendogli davanti agli occhi talmente fitta da offuscargli la vista. Joker mosse le labbra per dire qualcos’altro, ma improvvisamente perse i sensi, chiudendo pesantemente gli occhi e reclinando la testa all’indietro.
< NOOOOO!! > il grido di Batman squarciò con violenza la notte nera e tempestosa, risuonando forte e straziante come il pianto disperato di un uomo ridotto in rovina. Non poteva finire così, non doveva.. Strinse forte gli occhi, respirando a fondo per raccogliere velocemente i pensieri ed agire in fretta ed in maniera logica, senza lasciarsi prendere dal panico. Forse non era morto, forse esisteva una labile speranza di potergli salvare la vita.. Con la mascella rigidamente contratta ed il respiro trattenuto nei polmoni, Batman andò a tastare il polso sinistro del Joker, restando in “ascolto” con il fiato sospeso, tremando dalla paura per ciò che avrebbe potuto non sentire. Il battito c’era! Debolissimo e spaventosamente lento, ma c’era. Batman allora non perse tempo; rincuorato e improvvisamente rinvigorito da quella insperata scoperta, raccolse Joker dal pavimento, sollevandolo con estrema attenzione e sorreggendolo con le braccia forti e sicure.
La discesa dal palazzo non fu affatto semplice: col pagliaccio ridotto in quello stato e con le braccia quasi completamente impegnate, Batman impiegò diverso tempo a ridiscendere i trenta piani che lo separavano da terra, arrivando alla sua batmobile con una stanchezza prostrante ed il cuore ancora in tumulto. Fortunatamente alla tecnologica automobile bastò un semplice comando vocale per aprirsi, ed il Cavaliere Oscuro poté depositare finalmente il criminale ferito, adagiandolo con cura sul sedile del passeggero. Prese posto alla guida e spingendo un pulsante richiuse la tettoia della vettura, accendendone il motore con un altro tasto. Mise in moto e partì sfrecciando a tutta velocità, ignorando il freddo pungente che sentiva addosso a causa della pioggia che aveva preso ed evitando di voltarsi a guardare il Joker per paura di vederlo morto. Mentre la batmobile percorreva rapida le strade desolate di Gotham, Batman pigiò un altro pulsante e pochi secondi dopo una voce maschile rispose provenendo forte e chiara da un altoparlante installato sul cruscotto.
< Sì, signorino Bruce? >
< Alfred! Ho un problema grave e urgente >
< Che cosa è successo? > gracchiò la voce con tono preoccupato
< Non ho tempo di spiegarti. Avverti Nightwing e gli altri di recarsi all’edificio al numero 879 sulla Ventitreesima, c’è bisogno di un capillare disinnesco >
< D’accordo padron Bruce. Altro? >
< Sì. Avvisa immediatamente il dottor Anderson di venire alla batcaverna e di prepararsi per un’operazione chirurgica d’emergenza >. La voce dall’altro capo del ricevitore esitò per qualche istante, poi domandò un po’ incerta:
< ..Di chi si tratta? >
< Del Joker >.

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Capitolo 2
*** Operazione d'urgenza ***


Capitolo II
Operazione d’urgenza

 

La batmobile sfrecciò attraverso le acque della cascata che celavano l’ingresso della grotta ad una velocità tale da rischiare seriamente lo sbandamento; eppure l’uomo alla guida era un abilissimo pilota, uno abituato alle alte velocità e agli inseguimenti all’ultimo respiro. Quando l’automobile fu parcheggiata con una sonora sgommata delle ruote sulla nuda roccia, Alfred accorse immediatamente sul posto andando incontro all’uomo che da tanti anni serviva con affettuosa dedizione. Bruce sbucò fuori dalla vettura con un agile balzo, portandosi immediatamente dal lato del passeggero senza degnare di uno sguardo il suo maggiordomo.
< Cos’è accaduto? > domandò l’uomo anziano con tono piuttosto neutro, lanciando una rapida occhiata al clown criminale disteso privo di sensi nella macchina del giustiziere.
< Sono stato io Alfred, è colpa mia > ammise il giovane eroe con una spontaneità che stupì perfino sé stesso, stringendo le labbra dal rimorso e dalla vergogna ed afferrando il corpo esanime di Joker con le braccia forti e sicure. < Volevo colpirgli la mano per impedirgli di fare una strage, invece ho sbagliato a prendere la mira e l’ho centrato in pieno petto >.
Alfred sollevò le sopracciglia in un’espressione che la diceva lunga su quanto non fosse affatto dispiaciuto per l’accaduto, e che anzi biasimasse il suo padrone per la pena che si stava prendendo. Lo osservò sollevare il pagliaccio dal sedile e trasportarlo rapidamente verso il fondo della stanza, là dove una porta in metallo immetteva ad un corto corridoio con infondo una sorta di sala operatoria approntata con lo stretto necessario. La camicia un tempo color verde acqua del pagliaccio, era ora diventata del rosso cupo del sangue che la inzuppava completamente, lo stesso che macchiava il volto magro e pallido, trasfigurandolo in una grottesca maschera di sangue. Mentre lo trasportava in tutta fretta verso la stanza, Batman non ebbe il coraggio di posare gli occhi su quel misero corpo inerme e ferito, che sembrava esistere solo per ricordargli l’orrore del suo peccato.
< Il dottor Anderson sarà qui a momenti > informò Alfred da dietro le larghe spalle del giustiziere, sforzandosi di mantenere il passo e di stare dietro ai due uomini. Batman non disse niente, ma si limitò ad aprire la maniglia della porta aiutandosi con il gomito per poi entrare nella piccola sala operatoria. Aveva fatto approntare quella stanza solo pochi mesi prima, quando se l’era vista davvero brutta per una pallottola che gli si era conficcata ad un soffio dallo stomaco, rischiando di ucciderlo sul colpo o di lasciarlo dissanguato. Da quel giorno aveva compreso l’importanza di avere a disposizione nella batcaverna un luogo dove potesse ricevere tutte le cure necessarie in caso di emergenza – comprese le operazioni chirurgiche – e di poter contare su un medico abile e riservato che si sarebbe offerto di operare al di fuori del normale circuito ospedaliero. In quel momento ringraziò mentalmente sé stesso per aver avuto quell’utile idea. Non avrebbe potuto affidare Joker ai dei medici del pronto soccorso come se si trattasse un qualsiasi ferito, primo perché considerata la fama che aveva lo avrebbero probabilmente lasciato morire in barba a qualsiasi principio del Giuramento di Ippocrate, e secondo perché chiunque avrebbe notato il batrang conficcato nel petto del malcapitato, ed allora l’onta della propria vergogna sarebbe stata troppo difficile da scrollarsi di dosso perfino per uno come Batman.
Bruce depositò il suo nemico sul freddo tavolo operatorio, afferrando poi un grosso paio di forbici sistemate su un vassoio di metallo e avvicinandole al torace del “paziente” per tagliar via i vestiti in modo da levarli di mezzo in modo facile e veloce. Le gelide lame tagliarono prima le maniche della giacca che fu subito rimossa, e poi la camicia intrisa di sangue, evitando di passare vicino al punto dove in batrang affondava nella carne bianca e tenera. Con l’aiuto di un contrariato ma obbediente Alfred, Bruce liberò in poco tempo il torace di Joker dai vestiti, predisponendolo così per l’imminente operazione. L’eroe osservò con una fitta allo stomaco il petto insanguinato sul quale si stagliava netta e prepontente una metà dell’arma che lo aveva trapassato, come una lugubre vela nera issata in un mare di bianco latte e di rosso sangue.
< Padron Bruce, non è colpa sua.. > mormorò all’improvviso Alfred con tono dolce e confortante, sollevando lo sguardo dal clown riverso sul tavolo al viso serio e contrito del giovane uomo che tanto stimava. Fortunatamente l’arrivo imminente del chirurgo che stavano aspettando sollevò Bruce dall’onere di replicare a quel tentativo di rassicurazione.
< Buonasera signor Wayne. Mi ha fatto chiamare, di chi si tratta? > domandò la voce bassa e burbera del dottor Anderson mentre si avvicinava al tavolo operatorio. L’ultima volta che c’era stato bisogno del suo intervento si era trattato di Nightwing, anche lui ferito gravemente per un’arma da taglio ed anche lui impossibilitato a recarsi in ospedale per proteggere l’anonimato. Batman sospirò affranto e si voltò a guardare il medico.
< Si tratta del Joker > disse in tono asciutto senza badare alle occhiate che si scambiarono i due uomini maturi < Per errore l’ho colpito con una delle mie armi ferendolo gravemente, ed ora versa in condizioni disperate > anche se la vergogna gli suggeriva di parlare il più in fretta possibile, Batman si sforzò di scandire bene ogni frase, spostandosi poi di lato per permettere al dottore di avvicinarsi al ferito. < Temo di averlo colpito al cuore.. > aggiunse con quello che fu poco più di un basso borbottio, tenendo gli occhi bassi e i pungi stretti. Senza fare commenti o esternazioni, il dottor Anderson si avvicinò al criminale e prese ad esaminare da vicino la ferita, andando poi a tastare il polso bianco dove il battito era quasi assente. Le folte sopracciglia grigie si aggrottarono di colpo, segnando sul viso dell’uomo un cipiglio di severa preoccupazione.
< Dobbiamo agire immediatamente, non c’è un attimo da perdere > asserì con tono fermo e sicuro, rassicurando Bruce sul suo professionale proposito di tentare di salvare la vita ad un rifiuto come il Joker. Evidentemente il dottor Anderson era un medico di vecchio stampo, legato in maniera indissolubile e quasi religiosa a quelle regole dettate da Ippocrate sulle quali tanti anni prima aveva fedelmente giurato.
< Come al solito, non avendo a disposizione la mia equipe, dovrete essere voi i miei assistenti > avvisò Anderson con il solito tono, vestendosi del camice verde e lavandosi per bene gli avambracci e le mani. < Certamente! > asserì Bruce togliendosi veloce i guanti e la maschera nera del costume, mostrando il volto arrossato e sofferente. Alfred aiutò il chirurgo a prepararsi e ad indossare i guanti di lattice, per poi fare lo stesso con Bruce e con sé stesso.
< Non ho rimosso il batrang per paura di scatenare un’improvvisa emorragia > disse Bruce mentre il medico si sistemava la mascherina davanti alla bocca e tornava al capezzale del paziente.
< Saggia decisione > convenne l’uomo con un cenno del capo < Dobbiamo intubarlo e procedere ad una blanda anestesia, giusto per sicurezza >. Bruce ed il suo maggiordomo improvvisati aiuti-chirurghi si fecero vicini al medico e si scambiarono un rapido cenno d’intesa, armandosi di coraggio e concentrazione per dare inizio all’operazione.

* * *

L’intervento durò appena due ore, ma fu ugualmente insidioso e molto delicato. Come previsto da Bruce, la punta del batrang aveva raggiunto il cuore di Joker, conficcandosi nella membrana di rivestimento muscolare e fermandosi ad un soffio dall’aorta, senza creare danni letali per puro miracolo. L’arma fu estratta e la ferita curata e ricucita, ma Joker aveva perso molto sangue, sia prima che durante l’intervento e, dato che in quella sala operatoria in miniatura non disponevano di sacche per un’eventuale trasfusione, le condizioni cliniche del paziente rimasero gravi nonostante l’ottima riuscita dell’operazione. Sotto la responsabilità del dottor Anderson, Joker fu perciò messo in coma farmacologico, un sonno artificiale e controllato garantito dalla somministrazione di apposite sostanze a intervalli regolari.
< Tenetelo così per un paio di giorni > disse con la sua voce ferma e baritonale il dottor Anderson, mentre si liberava dal camice e dai guani sporchi di sangue < Almeno finché le funzioni vitali non torneranno nella norma. Se si verificherà un recupero in tal senso, allora potrete interrompere la sedazione e risvegliarlo dal coma >. Mentre appendeva la flebo all’apposito sostegno, l’uomo parlava rivolgendosi sia ad Alfred che a Bruce, ma solo quest’ultimo prestò attenzione e prese nota mentalmente di tutte le cose da fare. Joker fu trasportato in una stanzetta attigua alla sala operatoria, dotata di un vero letto da ospedale e di qualche misero arredo. Il paziente fu spostato sul suo nuovo giaciglio dalle lenzuola bianche e pulite, poi venne attaccato al monitor su cui comparvero i parametri di pressione sanguigna, saturazione e frequenza cardiaca; il secondo di questi tre valori era decisamente critico, al ché il medico decise di apporre una mascherina per l’ossigeno davanti alla bocca sottile e priva di rossetto del criminale.
< La ringrazio per l’aiuto e per la sua proverbiale tempestività > disse Bruce con un sorriso stanco, stringendo la mano al dottore.
< Dovere signor Wayne, dovere! Per qualsiasi necessità non esiti a chiamarmi, arrivederci >
< Grazie. Il mio maggiordomo le pagherà il giusto compenso >. Il chirurgo si ritirò con un ossequioso cenno del capo e subito dopo lasciò la stanza seguito da Alfred.
Rimasto solo nella stanza, Bruce si avvicinò a Joker, osservandolo con gli occhi stretti e leggermente arrossati da sopra la sponda del letto. Non riusciva a credere di avere davanti a sé il criminale più efferato e pericoloso di tutta Gotham City..! Quell’uomo pallido e privo di sensi, trascinato a forza in un sonno senza sogni, sembrava così debole e indifeso – così fragile – che nessuno avrebbe mai detto che si trattasse del folle killer che solo poche ore prima stava per far saltare in aria un intero edificio gremito di persone. Quell’individuo ora così inoffensivo e vulnerabile era in realtà capace di strappare vite umane a suo piacimento con la stessa incuranza e leggerezza con la quale avrebbe strappato un mucchio di carte inutili. Sapeva perfettamente che avrebbe dovuto odiarlo, che avrebbe dovuto disprezzarlo con la stessa implacabile ferocia con cui lo aveva sempre odiato e disprezzato. Eppure non ci riusciva. In quel momento surreale e inatteso, vedendo così ridotto il suo eterno nemico, non riusciva a provare che un profondo e sconfinato senso di rammarico e di rimorso. Quel sentimento lo fece incupire e arrabbiare con sé stesso. Possibile che bastasse così poco per cancellare in un attimo anni e anni di terrore, di stragi, di inseguimenti, di sangue e dolore? No, non doveva provare pena per un essere spregevole come Joker, non lo meritava.
Afferrò con gesto meccanico l’unica sedia presente nella stanza e con pesantezza la trascinò fino al letto di Joker, facendo stridere con un acuto fastidioso i piedi di metallo contro il pavimento senza preoccuparsi di far rumore. Si lasciò cadere sulla sedia con un movimento pesante, avvertendo in quel momento tutta la stanchezza mentale e fisica calare come una mannaia affilata sopra le sue membra tese e indolenzite. Si passò una mano a massaggiarsi gli occhi e le tempie, sospirando con forza nel palmo nudo e leggermente graffiato. Si guardò addosso e si rese conto solo in quel momento di indossare ancora la tuta nera da supereroe; quel pensiero gli strappò un leggero sorriso, e lo portò a domandarsi che ore fossero. Forse fuori era ancora notte fonda o magari stava già spuntando l’alba di un nuovo, faticoso giorno. Quella mattina lo attendeva una lunga e noiosa riunione di lavoro alla Wayne Enetrprises, e sapeva che avrebbe dovuto dormire almeno qualche ora per non rischiare di crollare sul tavolo davanti agli sguardi sdegnati dei suoi soci come spesso accadeva. Buffo pensare che quelle persone avrebbero fantasticato su una notte brava passata fra champagne e belle donne, quando in realtà Bruce si ritrovava a vegliare cupo e solitario sul corpo inerme del suo acerrimo nemico. Sospirò, stanco e affranto, e sollevò le iridi azzurre sul volto pallidissimo di Joker che dormiva ignaro di tutto. Il bip piatto e continuo del macchinario a cui il pagliaccio era attaccato riempiva con sinistra monotonia il silenzio statico della stanza, coprendo il flebile ronzio prodotto dalla bombola d’ossigeno. Il giustiziere strizzò forte gli occhi, intenzionato a resistere all’impulso sempre più impellente di addormentarsi, poi appoggiò gli avambracci incrociati sulla bassa sponda del letto ospedaliero poggiandovi sopra il mento squadrato. Con le palpebre sempre più gonfie e pesanti, Bruce prese ad osservare il clown placidamente addormentato e incosciente, percorrendo con le iridi blu il profilo bianco e affilato del suo viso. Era davvero strano vedere quelle labbra sottili private del solito rossetto, così come lo era osservare le cicatrici frastagliate ai lati di quella bocca sempre beffarda e sorridente. Il bel miliardario gettò un’occhiata accigliata al monitor sulla propria testa, passando in rassegna i valori non proprio incoraggianti rilevati sul corpo del Joker. Sospirò pesantemente, tormentato dalla gelida angoscia che da un momento all’altro quell’uomo avrebbe potuto morire, spegnandosi con un rantolo flebile e soffocato. Avrebbe sentito il segnale acustico diventare lugubre e ininterrotto, e sarebbe stata tutta colpa sua.. Lui, il valoroso giustiziere mascherato fiero e incorruttibile, il temibile Cavaliere Nero guidato dal lume della giustizia e delle proprie convinzioni morali si sarebbe trasformato in un volgare assassino, un criminale mosso dalla vendetta e dalla collera. Pur sapendo benissimo che alla base di quella situazione non c’era nulla del genere, ma che si era trattato di un fatale incidente, Bruce continuò a rimuginare amaramente sul peso delle sue responsabilità, finché il suono ritmico di tutti quei bip non lo trascinò inesorabilmente in un sonno pesante e agitato.

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Capitolo 3
*** Consapevolezza ***


 
Capitolo III
Consapevolezza
 

< ..Padron Bruce.. Padron Bruce, mi sente?.. > una voce maschile, piatta e famigliare calò come una goccia d’inchiostro in un bicchiere pieno d’acqua a inoltrarsi nella mente del giustiziere, offuscando i suoi sogni confusi.
< ..Signorino Bruce si svegli! Farà tardi alla riunione.. >.
Di colpo il ragazzo aprì gli occhi, perdendosi per un momento nella vulnerabile inconsapevolezza che attanaglia lo stomaco e la gola come una sensazione di panico quando ci si sveglia di soprassalto nel bel mezzo della fase più profonda del sonno. Bruce sentì una mano premere con delicatezza e premura sulla sua spalla sinistra e d’istinto si voltò a guardare la faccia seria e pensierosa del maggiordomo che lo stava fissando con una vaga apprensione negli occhi
< A-Alfred, sei tu.. > mormorò con la bocca impastata dal sonno, strizzando le palpebre pesanti e sforzandosi di mettere a fuoco il viso dell’uomo < Che.. che ore sono? > domandò senza ancora rendersi conto di dove si trovava.
< Sono le 8:10, fra meno di un’ora dovrà presenziare alla riunione con i soci della Wayne Enterprises > le sopracciglia del maggiordomo si inarcarono avvicinandosi fra loro in un’espressione apprensiva < E deve ancora vestirsi.. > precisò con una chiara nota di disapprovazione. Bruce aggrottò la fronte senza capire, ma poi si guardò addosso e si rese conto di portare ancora il costume da Batman seppur privo dei guanti e della maschera. Solo in quell’istante gli venne in mente di guardarsi intorno, e la prima cosa che vide quando spostò lo sguardo dal viso di Alfred fu un bianco lenzuolo macchiato da alcune goccioline di sangue e la bassa sponda metallica di un letto che non era il suo. Frastornato e con la mente ancora intorpidita dal sonno, spinse lo sguardo più in là, in direzione del guanciale, verso quel viso estremamente pallido e quella chioma di capelli verdi che gli ricordarono immediatamente dove si trovava e perché.
< Joker! > esclamò Bruce raddrizzandosi di scatto sulla sedia ed aggrappandosi alla sponda del letto ospedaliero. Improvvisamente tutto il sonno era sparito ed ora le sue iridi azzurre si ritrovavano a percorrere il viso ed il corpo del suo nemico alla ricerca del più piccolo segno di miglioramento.
< Si è addormentato qui.. > la voce di Alfred giunse alle orecchie di Bruce di nuovo con quella sfumatura di disapprovazione < Ho provato a svegliarla per dirle di andarsene a letto, ma non c’è stato verso! > alle parole seguì un sospiro di contegnosa rassegnazione.
< Non importa Alfred.. > biascicò distrattamente l’eroe, mentre si alzava dalla sedia e si avvicinava di qualche passo al capezzale del clown criminale < Credi che stia bene? > domandò con malcelata preoccupazione, accigliandosi nel vedere il tubo per la respirazione uscire dalle labbra di Joker innaturalmente spalancate e prive del caratteristico rossetto. Il maggiordomo si strinse nelle spalle, francamente incapace di azzardare una prognosi  < Sono passate poche ore dall’intervento, è presto per avanzare ipotesi > rispose con cautela e con quanto più tatto gli era possibile, evitando accuratamente di guardare in faccia il criminale che ora giaceva inerme e privo di conoscenza. Gli occhi azzurri di Bruce balzarono al monitor che riportava i valori ancora alterati, per poi tornare su quel viso sofferente e su quel corpo che sembrava ancor più magro di quanto non fosse in realtà. Le mani si strinsero inconsciamente intorno alla sponda di metallo, al punto che le nocche sbiancarono; una mano amica si posò leggera ma salda sulla sua spalla sinistra < Coraggio padron Bruce, è ora di andare >. Il giovane annuì all’invito perentorio del suo saggio maggiordomo e, con un notevole sforzo, si decise a distogliere lo sguardo dal Joker.
< Tienilo sotto controllo in mia assenza > disse voltandosi e muovendo qualche lento passo verso la porta < E mi raccomando, chiamami se ci sono problemi o novità. D’accordo? >
< Certamente signorino Bruce > rispose Alfred annuendo solennemente, per poi aprire la porta per lasciar passare il ragazzo. Bruce fu tentato dall’impulso di voltarsi un’ultima volta, ma resistette ed oltrepassò la soglia lasciandosi alle spalle Joker ed il lugubre suono del monitor a cui era attaccato.

 
* * *
 
La riunione – com’era del resto prevedibile – fu di una noia mortale. Per tutta la durata dell’incontro, Bruce era stato distratto e con la testa da tutt’altra parte, ed i pezzi grossi della Wayne Enterprises se ne erano accorti, dando spesso evidenti segni di malumore e fastidio. Del resto il giovane miliardario non aveva fatto nulla per dissimulare la cosa, anzi più di una volta si era lasciato sfuggire un sonoro sbadiglio, seguito da qualche sospiro di esasperazione, mentre gli occhi correvano un po’ troppo spesso al cellulare poggiato accanto al blocco per appunti. A circa metà delle riunione, quando era passata più di un’ora e mezza dall’inizio della seduta, Bruce non aveva più resistito e, cellulare alla mano, si era alzato biascicando una mezza scusa e sgattaiolando rapido oltre la porta scorrevole tra gli sguardi interrogativi e i mormorii ostili dei presenti. Una volta fuori da quella stanza infernale, si era appartato il più possibile ed aveva composto il primo numero in rubrica, socchiudendo gli occhi e respirando a fondo per tenere a bada quel filo d’ansia che sentiva stringergli la gola. Dall’altra parte aveva risposto Alfred, un tantino allarmato nel trovarsi una chiamata del suo padrone a quell’ora insolita. Ma Bruce non doveva comunicare nulla di preoccupante, né incaricare l’uomo di qualche urgente ed imprevisto compito top secret. Semplicemente, voleva avere notizie sulle condizioni di Joker. Aveva lasciato l’importante riunione di lavoro esclusivamente per sapere se c’erano state novità e per accertarsi che il suo eterno nemico fosse ancora vivo.
Era a quella breve telefonata che Bruce ripensava mentre, al volante della sua lussuosa Lamborghini, faceva ritorno a Villa Wayne. Gli strappò un sorriso ripensare all’incredulità nella voce di Alfred e alla ramanzina che era seguita per aver piantato in asso, seppur per pochi minuti, i magnati dell’industria di famiglia. Era chiaro che all’anziano maggiordomo non andasse a genio quella scomoda presenza in casa propria, né che condividesse la preoccupazione per le condizioni di quell’ospite indesiderato. Era comprensibile quell’atteggiamento; dopo tutto si trattava del Joker, il più spietato criminale e diabolico terrorista di tutta Gotham City, se non addirittura dell’intero globo terrestre. Solo un’altra mente malata ed instabile come la sua avrebbe potuto provare pietà per un simile essere. Ma Batman non era Harley Quinn; egli non provava pena per il Joker, ma solamente un senso di doverosa responsabilità, un’opprimente senso di colpa che gli stringeva la bocca dello stomaco e gli imponeva, in maniera imperiosa, di rimediare a ciò che aveva fatto.
Fu con questa salda convinzione nel cuore e nella mente che Bruce attraversò a passo svelto le sontuose stanze della sua villa, diretto alla batcaverna senza fermarsi nemmeno per un bicchiere d’acqua. Scese in fretta nelle profondità umide e oscure del suo rifugio segreto, raggiungendo rapido la stanza dove era sistemato Joker. Quando aprì la porta, la scena che si presentò d’innanzi ai suoi occhi blu e seri fu la stessa di alcune ore prima: il pagliaccio disteso nel letto, coperto dal lenzuolo bianco fino alle clavicole, con tubi e fili che spuntavano da tutte le parti ed il piatto bip del monitor a riempire il silenzio della stanza. Nemmeno la luce era cambiata; non essendoci finestre a lasciar filtrare i raggi del sole con le sue molteplici sfumature, l’unica luce presente era quella data dalle plafoniere a neon, che si manteneva fredda e piatta così di giorno come di notte. Entrando in quella stanza Bruce ebbe la sgradevole sensazione di addentrarsi in una specie di loop infinito, un tunnel stretto e asettico nel quale forme e colori si ripetevano sempre uguali a loro stesse, così come le sensazioni d’ansia e d’angoscia che non mutavano mai. Joker era riverso su quel letto d’ospedale da meno di ventiquattro ore, eppure a Bruce sembrava passata un’eternità. Quanto a lungo avrebbe dovuto ripetere il rituale meccanico di entrare, sedersi, preoccuparsi, per poi alzarsi, sospirare ed andarsene? Per quanti altri giorni, mesi o addirittura anni avrebbe avuto davanti agli occhi la misera visione di quel corpo abbandonato a sé stesso? Forse avrebbe visto Joker consumarsi lentamente, invecchiare pur rimanendo sempre fermo ed immutabile. Quell’odioso bip lo avrebbe accompagnato per sempre, fino alla follia. Cosa sarebbe stato peggio, infondo? Uccidere un uomo o condannarlo al sonno perenne, all’immobilità dello spirito e della carne, guardandolo sfiorire giorno dopo giorno?
Quel pensiero gli fece gelare il sangue nelle vene. Prima di quel momento Bruce non aveva mai preso in considerazione l’ipotesi che Joker avrebbe potuto non riprendersi dal coma e ridursi allo stato di un vegetale. Stordito e profondamente spaventato come non gli succedeva da tempo, Bruce si mise a sedere su quella stessa seggiola sulla quale aveva dormito la notte prima e si prese la testa fra le mani, stringendo con disperazione le ciocche di capelli neri < Dio, fa che non accada! > mormorò con voce lamentosa stringendo forte gli occhi e tappandosi le orecchie per non sentire quel suono insopportabile e monotono. In quel momento il senso di colpa era talmente lancinante e insostenibile da spingere Bruce a gridare e prendere a calci ogni mobile e suppellettile presente nella stanza. Dovette far appello a tutto il suo autocontrollo conquistato faticosamente nel corso degli anni per resistere a quell’impulso irrazionale di sfogarsi attraverso la violenza e la distruzione. Respirò a fondo, inspirando aria dalle narici e gettandola fuori attraverso la bocca, nel tentativo di placare la mente ed i sensi. Dopo un po’ sollevò la testa e riaprì gli occhi, andandoli a posare sul viso del degente, indugiando sulle palpebre cerchiate e irrimediabilmente chiuse. Forse, se le avesse fissate con intensa concentrazione si sarebbero sollevate.. Era un pensiero sciocco e ingenuo da fare, lo sapeva bene, eppure per un fugace istante aveva creduto che fosse possibile. 
< Per favore, svegliati. Apri gli occhi e svegliati.. > un timido sussurro scivolò dalle labbra appena schiuse dell’eroe, mentre osservava con caparbia attenzione il volto del suo nemico, prima di chiudere gli occhi e strofinarli con entrambe le mani nel vano tentativo di scacciare la stanchezza e l’angoscia.

 
* * *
 
Nei giorni che seguirono, Bruce fece visita al malato assiduamente. Inizialmente aveva preso l’abitudine di andarlo a trovare prima di uscire e poi al rientro, sia che si trattasse di un’informale e rilassata colazione di lavoro, che di una notte sul filo del rasoio nelle vesti di Batman. Il giovane eroe si ritagliava sempre quei cinque o dieci minuti da passare al capezzale del suo nemico, osservandone il viso immobile e controllando i valori riportati dal monitor che sostanzialmente si mantenevano invariati. Ben presto però, le visite al malato si fecero decisamente più frequenti e sistematiche, nonché lunghe. Bruce non perdeva occasione per recarsi nella stanza di Joker; approfittava di ogni momento libero e ritaglio fra un impegno e l’altro per andare a fargli visita e per passare con lui più tempo possibile. Quei venti/trenta minuti giornalieri erano diventati ore, ed il tutto accadeva sotto lo sguardo sempre più perplesso e contrariato del povero Alfred, che non sapeva più che pesci prendere con quel testardo del suo giovane padrone.
Un paio di settimane dopo il ricovero di Joker accadde qualcosa di positivo: le funzioni vitali tornarono nella norma e così Bruce poté finalmente sospendere la sedazione, interrompendo il coma farmacologico. Sotto la supervisione del giustiziere, Alfred sfilò cautamente il tubo per la respirazione dalla gola del criminale e lo sostituì con una più rassicurante mascherina d’ossigeno, ora che i polmoni del convalescente potevano tornare a respirare da soli, senza l’aiuto di una macchina. Il sollievo di Bruce durò tuttavia ben poco: nonostante il miglioramento delle condizioni generali, Joker restava ancora profondamente addormentato ed il coma reale sembrava aver sostituito quello indotto artificialmente. Quella situazione era però prevedibile e normale, per cui Bruce cercò di non scoraggiarsi ulteriormente e di concentrarsi invece sui segnali positivi che il monitor del macchinario continuava ad inviargli.
La notizia che Joker giaceva in coma nelle profondità della batcaverna e che Bruce si stava prendendo cura di lui in maniera quasi ossessiva, si diffuse ben presto fra i più stretti collaboratori di Batman e qualche lontana eco arrivò addirittura a Selina Kyle. In molti domandarono per quale motivo Joker fosse finito in quella situazione, e praticamente tutti dissuasero Bruce dal continuare ad occuparsi di quel criminale. Qualcuno aveva proposto di spedirlo ad Arkham così come si trovava o almeno di mollarlo ad un ospedale; qualcun altro – di certo meno sensibile ed animato da pragmatico cinismo – aveva suggerito di staccare respiratore e macchinari e di mettere così fine, seppur in maniera piuttosto infame, all’inutile vita di quel criminale. L’esasperazione di Bruce di fronte alle ingerenze dei suoi amici e collaboratori e alle loro continue pretese di sapere quale fosse la cosa giusta da fare, lo spinse a prendere una drastica decisione. Stabilì infatti che, finché Joker fosse restato sotto la sua responsabilità, le porte della batcaverna sarebbero rimaste chiuse per chiunque, eccetto Alfred e, in caso di estrema necessità, il dottor Andersen. Inutile dire che tutti presero male la decisione e ci fu anche chi rimase profondamente allibito, se non addirittura ferito dall’insensatezza di quello strano comportamento. Bruce di certo non provava alcuna gioia né soddisfazione nel chiudere le porte in faccia ai suoi migliori amici, ma era stanco di sentirsi addosso tutta quella pressione esterna, come se non fosse già abbastanza l’ansia e la preoccupazione che gli venivano da dentro.
Mentre era seduto accanto a Joker come ogni sera prima di uscire per l’abituale ronda notturna, Bruce si ritrovò a pensare con profondo rammarico all’espressione sconcertata di Dick quando gli aveva strillato in faccia che quello che stava accadendo non era affar suo.
< Cosa mi hai fatto fare Joker..?! > sospirò con voce sommessa passandosi una mano sul viso stanco < Ho tagliato fuori tutti coloro a cui tengo e che mi sono sempre stati vicino. Immagino che sarai contento.. > un sorriso amaro increspò le labbra dell’eroe, mentre appoggiava gli avambracci sulla fredda sponda metallica che lo separava dal criminale. Durante le sue veglie sempre più continue e regolari, Bruce aveva iniziato a rivolgersi a Joker come se potesse sentirlo; evidentemente aveva visto troppi film in cui i parenti o gli amici più fedeli e fiduciosi passano ore a parlare al proprio caro in stato di coma, sicuri che le loro parole siano di grande aiuto e conforto al povero malcapitato. Ormai non era più solo il senso di responsabilità a motivare quelle continue visite; Bruce lo sapeva, se ne era reso conto da tempo senza eccessivo bisogno di mentire a sé stesso. Per quanto la cosa non gli piacesse e lo lasciasse piuttosto disorientato e turbato, aveva sviluppato una sorta di attaccamento per l’uomo riverso in quel letto d’ospedale. A furia di passare intere ore a fissare quel corpo addormentato e a rimuginare sui ricordi del passato e sui fantasmi del futuro, Bruce aveva finito per legarsi a quel folle disgraziato e, gradualmente, il rimorso si era trasformato in qualcosa di più intimo e complesso, qualcosa di più profondo e sincero. Dire che Bruce Wayne provasse dell’affetto per il Joker sarebbe stato di certo azzardato, eppure c’era ben altro oltre il senso di colpa.. Non era più solamente la paura di trasformarsi in un assassino, ma un altro, nuovo timore serpeggiava ormai sotto la pelle e nella mente del giustiziere, qualcosa di sottile ma potente capace di farlo sentire profondamente a disagio.
Bruce temeva la morte di Joker e, in barba a tutti i suoi incrollabili ed inviolabili principi morali, l’idea che più lo spaventava era quella di poter perdere un punto di riferimento. Sì, perché il clown criminale era diventato proprio quello per il giovane eroe mascherato: un punto di riferimento, una solida certezza, per quanto malvagia e sbagliata fosse. Non era stato semplice ammettere una cosa del genere, eppure Bruce aveva sorpreso perfino sé stesso accettando onestamente la scomoda verità che si celava dietro quella massa indistinta e confusa di pensieri che via via si faceva sempre più nitida e comprensibile. Cosa ne sarebbe stato di Batman se Joker fosse morto? È vero, aveva tanti altri nemici, pericolosi e folli al pari del pagliaccio – di certo non correva il rischio di annoiarsi! Eppure sentiva che con quell’uomo instabile e morbosamente contorto c’era qualcosa di più profondo, come una sorta di insana alchimia capace di avvilupparli fino a confonderli.
Batman non poteva fare a meno del Joker, era questa la verità. Quel folle dai capelli verdi glielo aveva ripetuto così tante volte, ma Bruce non aveva mai voluto crederci. Aveva sempre considerato quelle parole prive di senso, oltraggiosi sproloqui frutto di una mente malata e perversa, stronzate volte solo a fargli perdere la pazienza. Quanto si era sbagliato..! Solo adesso lo capiva, ora che la sua nemesi lottava fra la vita e la morte a causa sua, ora che guardava quel volto e non vedeva più un mostro sanguinario, ma semplicemente un uomo. Finalmente possedeva la chiave per comprendere la sensatezza di quelle parole, la verità lampante che per tanto, troppo tempo aveva negato a sé stesso. Non aveva mai veramente desiderato la morte di quell’uomo – questo già lo sapeva – né credeva che avrebbe potuto gioirne, ma mai avrebbe immaginato che la sola concreta eventualità potesse causargli tutto quel tormento.
< Te la stai ridendo, non è vero?! > la voce roca di Bruce sferzò il silenzio della stanza, sovrapponendosi quasi con prepotenza ai continui bip del monitor e al ronzio delle lampade a neon.
< Ma sì, ne sono certo.. In qualche modo riesci a sentire la mia preoccupazione e a leggere i miei pensieri, e dentro di te stai ridendo fino alle lacrime > piegò le labbra in un sorriso amaro, per poi lasciarsi sfuggire un pesante sospiro ed avvicinare il proprio viso a quello del clown.
< Ti diverte tutta questa situazione, godi nel sapermi così afflitto e tormentato.. per te.. >.
Quelle ultime due parole uscirono dalle labbra del giustiziere quasi per errore, scivolate fuori come fragili farfalle in fuga da una ragnatela appiccicosa. Bruce staccò le mani dalla sponda del letto e se le portò alla testa, stropicciandosi i capelli e poi la faccia, mugugnando gemiti d’insofferenza ad ogni rude tocco.
< Ngh.. Sei un bastardo, lo stai facendo apposta, lo so! > asserì fermamente convinto, lasciando cadere le mani sulle ginocchia e sorridendo appena < Scommetto che hai architettato tutta questa messinscena solo per farmi impazzire! > scosse piano la testa, sentendosi sciocco per l’assurdità di quelle patetiche esternazioni. Forse stava davvero diventando matto.. Si alzò in piedi di scatto, stanco e con la schiena dolorante per essere stato quasi due ore su quella sedia; si passò una mano fra i capelli corvini, a sistemare alla meglio quella chioma più arruffata che mai. Rilassò le braccia e le spalle, chinando leggermente il mento verso il basso, gli occhi azzurri nuovamente puntati sul viso pallido del pagliaccio. Passò un intero minuto, poi un altro ed un altro ancora, ma non accadde nulla. Le palpebre rimanevano abbassate sopra quelle iridi verde acido che tante volte erano state attraversate da un bagliore d’insana eccitazione, di febbrile voglia di vivere. Non accadeva nulla, tutto restava fermo e immutato: la luce fredda, il ronzio della bombola d’ossigeno, il suono ipnotico dei macchinari. Joker rimaneva profondamente addormentato, apparentemente disinteressato a tornare alla vita. Bruce sentì gli occhi bruciargli intensamente ed un fastidioso groppo stringergli la gola fino a impedirgli di deglutire. Strinse i pungi e trattene il respiro, poi avvertì le ciglia inumidirsi e allora capì che era arrivato il momento di uscire da quella maledetta stanza.

 

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Capitolo 4
*** La ragione è dei folli ***


Capitolo IV
La ragione è dei folli

 
 
A quasi un mese dalla notte del fatale incidente e del ricovero di Joker, le visite di Bruce si erano ormai trasformate in vere e proprie veglie passate al capezzale del malato, silenziose o animate da sommessi monologhi in cui l’eroe si rivolgeva al criminale sperando che potesse sentirlo. Le raccomandazioni e le ramanzine di Alfred non avevano alcun effetto, e nulla più riusciva a distogliere il giustiziere dal suo intento, nemmeno le preghiere degli amici più fedeli che pian piano cominciavano a prendere le distanze da lui. Bruce appariva in uno stato alquanto preoccupante; ormai non provava interesse per nulla all’infuori delle ronde notturne e dell’uomo che lui stesso aveva ridotto in coma. Joker era diventata una vera e propria ossessione; non passava giorno che Bruce non prestasse fede all’impegno che si prefissato di fargli compagnia e, anche quando era lontano da casa, il volto del criminale gli fluttuava davanti agli occhi e nella mente, costantemente, come se fosse un fantasma persecutore o un’immagine impressa nella retina. La consapevolezza del giovane eroe era maturata giorno dopo giorno, alla luce fredda delle lampade a neon, corroborata dai ronzii dei macchinari ospedalieri e da quella costante visione di fragilità e precarietà. Il viso del pagliaccio appariva fermo e immutabile, con la pelle bianca che lo contraddistingueva e le cicatrici a proseguimento della bocca, un tempo sorridente e beffarda, ora ridotta ad una linea piatta ed inespressiva.
Un pensiero si era radicato nella mente di Bruce facendosi strada fra la paura ed il rimorso, una domanda assillante che mai avrebbe immaginato potesse formulare: se Joker muore, che ne sarà di Batman? Questa domanda assurda e scomoda lo metteva profondamente a disagio, sia per il tormento intrinseco che essa comportava, sia perché andava a smantellare ogni solida certezza avuta fino a quel momento. Quante volte Joker aveva millantato la loro affinità, il fatto di essere due anime opposte e perciò complementari! E quante altrettante volte lui si era rifiutato di credergli, perfino di starlo a sentire, fieramente convinto che fra loro non ci fosse alcun possibile legame.. Dio, come si era sbagliato! Quel clown criminale, pur nella sua delirante follia era sempre riuscito a vedere le cose per come stavano, nella loro nuda e cruda verità, fermamente convinto di qualcosa che sembrava esistere solo nella sua testa e che invece adesso si rivelava reale e tangibile anche agli occhi del giustiziere. Joker aveva perfettamente ragione: lui e Batman erano complementari, due forze contrapposte in costante e pericolosa attrazione, lo yin e lo yang di quella marcia e caotica città d’America. Batman era il pallino nero nella metà bianca, Joker il pallino bianco nella metà nera. Le loro esistenze erano in qualche modo incastrate, coese, l’uno poteva agire se l’altro agiva; erano fatti per respingersi e rincorrersi in eterno, come in un loop infinito dove, ad un certo punto, si sarebbero fusi e confusi l’un l’altro.
Joker aveva ragione, aveva sempre avuto ragione.. E Bruce ormai non era più nemmeno spaventato o sconcertato per la cosa, semplicemente aveva imparato ad accettarla. Aveva raggiunto la consapevolezza e, con essa, in qualche modo aveva trovato un equilibrio interiore che riusciva a infondergli un minimo di serenità. Ma, al tempo stesso, questa nuova presa di coscienza gli pesava sulle spalle come un macigno proprio perché temeva di perdere il Joker ora che finalmente aveva compreso quanto fosse importante nella vita di Batman e, forse, anche in quella di Bruce Wayne.  

 
* * *
 
Come ogni pomeriggio dopo pranzo, Bruce si era recato a far visita al Joker, annullando un impegno di lavoro ed un appuntamento con un’attraente dottoressa. Era già da parecchi minuti che il ragazzo fissava imperterrito il viso altrettanto immobile del criminale, sospirando di tanto in tanto e mantenendo una postura rigida e composta. Ad un certo punto l’eroe cambiò espressione e sul suo volto comparve un cipiglio severo e insofferente
< Svegliati dannazione! > esclamò brusco rivolgendosi al pagliaccio < Apri gli occhi e svegliati. Non faccio altro che vegliare e preoccuparmi per te da quasi un mese, questo me lo devi! >. Tacque, sentendosi improvvisamente stupido e patetico. Sospirò e fece un passo in avanti, a tesa china, posando una mano sulla fredda sponda metallica del letto e aggrappandovisi come se fosse un’ancora di salvezza.
< Perché mi stai facendo questo, Joker? > prese a dire con voce bassa, sconfortata < Vuoi punirmi, non è vero? Punirmi per averti quasi ferito a morte, per averti fatto male sul serio questa volta.. >.
Un nuovo sospiro uscì dalle labbra corrucciate dell’eroe, mentre spostava faticosamente le iridi blu sul volto addormentato e inerte del criminale. Scosse lentamente la testa facendo un sorriso amaro, come se si sentisse realmente preso in giro e sbeffeggiato da quell’uomo evidentemente intenzionato a fargli perdere la ragione.
Un rumore lento e familiare strappò improvvisamente Bruce alle sue riflessioni. La porta alle sue spalle si aprì, lasciando passare il fedele maggiordomo che lo raggiunse ponendosi al suo fianco. L’uomo anziano scorse attentamente – e di sottecchi –  il volto del più giovane prima di prendere la parola
< Padron Bruce, sono ore che sta qui sotto. Deve salire a mangiare qualcosa o non avrà le forze per affrontare la ronda notturna >.
A quelle parole Bruce aggrottò la fronte e si voltò lentamente verso l’uomo
< Cosa?.. Perché, è già ora di cena? >
Domandò con lo stesso sguardo interrogativo, andando poi alla ricerca dell’orologio appeso alla parete di fronte che però era fermo da diversi giorni. Alfred sospirò, annuendo gravemente
< In realtà l’ora di cena è passata da una mezzora abbondante.. > ci tenne a puntualizzare < Non può andarsene in giro per Gotham City tutta la notte a saltare da un palazzo all’altro e a pestare criminali senza prima mettere qualcosa nello stomaco >.
Bruce sorrise tenuemente, poi scrollò le spalle con noncuranza, affrettandosi a rassicurare il suo paterno maggiordomo
< Sta tranquillo Alfred, non ho intenzione di digiunare. Fra poco salgo >.
Quella risposta tuttavia non convinse l’uomo, che dopo una breve pausa di silenzio tornò subito all’attacco
< Senta Padron Bruce, è da un po’ che volevo dirglielo.. > si interruppe di colpo, indeciso se proseguire o ingoiare il rospo per l’ennesima volta.
Bruce si voltò a guardarlo, scrutandolo per un lungo momento per poi incoraggiarlo a proseguire
< Vai, continua >
< Forse non le piacerà quello che ho da dire.. >
< Non importa. Vai avanti, ti ascolto >
< Ecco, è solo che.. Insomma, se ne sta qui a vegliare su questo.. Questo criminale tutto il giorno, senza vedere anima viva né dare spiegazioni ai suoi amici > strinse le labbra, prendendo coraggio < Mi spiace dirlo, ma non è così che ci si comporta con le persone care, con chi le è sempre stato vicino.. Io, io penso che meritino un po’ più di rispetto e di considerazione >.
A quelle parole – uscite con estrema difficoltà dalla bocca di Alfred che detestava rimproverare il suo padrone – Bruce sgranò per un secondo gli occhi chiari, come se fosse rimasto sorpreso, ma poi abbassò lo sguardo e si limitò ad annuire stringendo le labbra carnose
< Lo so Alfred, hai perfettamente ragione > ammise con onestà < Sei deluso, non è vero? >.
Gli occhi velati di tristezza del giovane eroe incontrarono quelli scuri dell’altro uomo che scosse prontamente la testa
< No, solo molto preoccupato. Come tutti i suoi amici del resto >
< Non devi esserlo, non per me almeno >.
Le sopracciglia del maggiordomo si sollevarono in un’espressione vagamente sdegnata, e immancabilmente lo sguardo andò a cadere sul criminale disteso nel letto. Sospirò, distogliendo lo sguardo e cercando di riprendere le redini del discorso che tanto gli premeva fare
< Cerchi di ragionare padron Bruce, stare qui ore ed ore non migliorerà certo le cose. Quel clown non si sveglierà all’improvviso solo perché lei lo sta a fissare >
Asserì con un pizzico in più di veemenza, ottenendo per tutta risposta un’occhiataccia dal suo giovane padrone
< E cosa dovrei fare allora, fregarmene e lasciarlo qui a marcire!? >
La mano che stingeva la sponda metallica si serrò maggiormente intorno ad essa.
< Non ho detto questo > replicò Alfred estremamente pacato, quasi con dolcezza < Qui il Joker ha tutto quello che gli occorre: farmaci, appositi macchinari, assistenza da parte del sottoscritto a intervalli regolari. La sua presenza assidua e costante non è affatto necessaria >.
Bruce scosse vigorosamente la testa e serrò le labbra, come a voler reprimere un fiotto di dolore che sentiva trafiggergli il petto; tacque per un lungo momento, replicando alle parole di Alfred solo dopo aver preso un profondo respiro
< Voglio rimanere qui con lui, fine della discussione. Voglio esserci quando si sveglierà o quando.. > esitò per un istante, ma subito le sue labbra ripresero a muoversi < ..O quando le sue funzioni vitali si azzereranno e quel bip da intermittente diverrà continuo. Io voglio esserci >
E detto questo sollevò il mento e la testa quasi con fierezza, determinato e sicuro di quella sua ferrea volontà. Lo sguardo velato di tristezza, ma pur sempre caparbio si spostò brevemente sul viso del Joker e sul suo corpo magro che quasi si confondeva con le lenzuola del letto.
Dopo aver concesso al suo padrone quella pausa di rispettoso silenzio, Alfred tornò a parlare, schiarendosi debolmente la voce e fissando il profilo duro e mascolino del giovane
< ..Ha valutato la terza ipotesi? >
Domandò con quanto più garbo e tatto gli fossero possibili
< Quale? >
Chiese a sua volta Bruce con tono secco, conoscendo già la risposta.. Alfred si fece coraggio e proseguì, le braccia rigide lungo i fianchi e lo sguardo alla ricerca di quello del giovane
< Potrebbe non svegliarsi più.. > disse con un filo di voce, quasi un sussurro, salvo poi aggiungere con maggior decisione < Se Joker dovesse restare in coma per il resto della vita, ha intenzione di sprecare anche la sua per stare qui a fargli compagnia? >.
Stranamente Bruce non si sentì ferito né adirato per quelle parole che, infondo, erano sagge e comprensibili. Sospirò senza degnare il maggiordomo di uno sguardo – non per ripicca, ma semplicemente perché i suoi occhi restavano incollati al viso di Joker – e finalmente lasciò la presa sulla sponda del letto, sollevando la mano destra e passandosela lentamente sul viso e poi fra i capelli
< Tu non capisci, Alfred.. >
Disse con voce bassa e cavernosa, un tono afflitto che contrastava col mezzo sorriso – del tutto amaro – stampato sulle sue labbra. Alfred aggrottò la fronte, perplesso ed esasperato, e, non riuscendo più a trattenere la rabbia che sentiva dentro, sbottò con veemenza:
< Cosa c’è da capire?! È stato un incidente, non deve addossarsi una colpa che non ha! Lasci andare quest’ennesimo fardello o rischierà di rimanervi schiacciato >.
Quelle parole burbere, pronunciate con lo stesso ardore severo ed apprensivo che userebbe un padre, erano più che sensate e logiche e Bruce lo sapeva, ma ugualmente non riusciva a farne tesoro come avrebbe dovuto e forse voluto. Semplicemente gli scivolavano addosso senza lasciargli nulla in cambio, sterili e vane parole che per lui non avevano alcun senso. Nessuno poteva comprendere il suo stato d’animo, nessuno poteva sentire ciò che lui sentiva in quel momento, nemmeno Alfred che era sempre stata la persona più vicina al giovane eroe, colui capace di comprenderlo e consigliarlo sempre per il meglio. Ma non questa volta. Questa volta davvero Alfred non capiva e, del resto, come avrebbe potuto? Il fedele maggiordomo ignorava che ormai a tormentare Bruce non vi era solo il senso di colpa, ma c’era ben altro. Nessuno avrebbe mai sospettato che fra il giustiziere mascherato di Gotham City ed il vile e spietato criminale chiamato Joker fosse nato un legame, una sorta di fragile filo del colore del sangue, intessuto di silenzio, ossessione, paura e devozione.
Lentamente Bruce tornò a voltarsi verso Alfred, dedicandogli un mezzo sorriso
< Non devi stare in pensiero per me Alfred, sul serio > disse con il tono più convincente che gli era possibile, tentando di rassicurarlo anche attraverso lo sguardo < Dammi solo altri cinque minuti e salgo su a mettere qualcosa sotto i denti >
< Come desidera, Padron Bruce >
Alfred accennò un piccolo inchino, quindi si ritirò silenziosamente, dando le spalle al ragazzo e defilandosi rapido e discreto come uno spettro.
Rimasto nuovamente da solo col malato, Bruce si lasciò andare ad un sospiro pesante e liberatorio, crollando pesantemente sulla sedia come se il suo corpo fosse improvvisamente diventato una massa di panni zuppi d’acqua. Rialzò la testa con uno sforzo notevole e ancora una volta le sue iridi blu andarono a posarsi sul viso pallido del criminale addormentato. Restò in silenzio a fissarlo per diversi minuti poi, sentendo la necessità impellente di sfogare tutto il dolore e la preoccupazione che aveva dentro, iniziò un lungo e accorato monologo
< Joker, ti prego svegliati.. > le sue labbra tremavano, ma la voce era ferma e sicura < Ho bisogno di te.. Ho bisogno di saperti vivo e pronto a darmi filo da torcere. Lo so, sono un pessimo eroe a desiderare una cosa del genere > piegò la bocca in un sorrisetto amaro < Ma non posso farne a meno.. Tutti gli innocenti che sono morti per tua mano e che non sono riuscito a salvare mi stanno maledicendo dalle loro tombe in questo momento, ed hanno ragione. Ma se tu non ci fossi temo che l’esistenza di Batman avrebbe meno senso e, forse, anche la mia.. > quella confessione gli stava prosciugando energie più di un combattimento all’ultimo respiro, ma non intendeva lasciarla a metà < Per quanti criminali, delinquenti, pazzi ed assassini possa affrontare, nessun altro potrà essere la mia nemesi. Quel ruolo spetta a te, è stato così fin dal principio e sempre lo sarà.. Se muori, Batman non avrà più la sua nemesi. Ed un supereroe ha estremo bisogno di averne una > trasse un profondo sospiro e si apprestò alla conclusione < Avevi ragione tu, hai sempre avuto ragione tu su questo: noi due ci completiamo, c’è un legame profondo che ci unisce, nel bene e nel male, che mi piaccia o no >.
Così dicendo si sollevò dalla sedia e si avvicinò di un passo al capezzale di Joker, facendosi più vicino alla sua magra figura distesa
< Solo adesso ho iniziato a capirlo, ad accettarlo. Tu invece lo hai sempre saputo >
La mano destra di Bruce si sollevò piano e, lentamente, raggiunse il viso scavato del Joker, posandovi sopra una carezza leggera fatta col dorso, pelle contro pelle, nocche ruvide e ferite sulla guancia fredda e pallida. Gli occhi azzurri del giustiziere seguirono il movimento adagio della sua stessa mano, sorridendo senza rendersene conto, quasi rincuorato da quel gesto che gli era venuto spontaneo e che sentiva come una cosa naturale, per nulla ambigua o fuori luogo. Bruce sospirò e con un lento e fluido movimento si allontanò dal letto del malato, voltandogli le spalle qualche momento dopo. Aveva esaurito le parole e quell’ennesimo lungo monologo gli era costato talmente tanta fatica che ora si sentiva come spossato e svuotato da ogni energia. Doveva dar retta ad Alfred e salire a mangiare qualcosa, altrimenti non si sarebbe retto in piedi durante la ronda notturna. Uscì senza voltarsi, timoroso di tornare sui propri passi qualora avesse nuovamente posato lo sguardo su Joker.

 
* * *
 
Quella notte fu più tranquilla del solito. Gotham City sembrava stranamente rigare dritto e Batman dovette intervenire solo per un paio di reati comuni, delinquenti da quattro soldi che ebbero la sfortuna di agire in una delle rare notti in cui i pesci grossi se ne stavano in disparte attirando su di essi tutta l’attenzione del vigilante mascherato.
Bruce parcheggiò la batmobile con una piccola frenata, quindi emerse con un agile balzo dalla vettura, facendo frusciare il lungo mantello nero contro la carrozzeria del medesimo colore. Era ormai l’alba, ma nella batcaverna come sempre regnava sovrana l’oscurità delle profondità della terra che rendeva uguale ogni cosa di giorno come di notte. Il giovane eroe non ebbe tempo di togliersi la maschera, che Alfred gli corse incontro con passo svelto ed espressione trafelata. A quella vista, immediatamente Bruce si accigliò e, anziché avanzare verso il proprio maggiordomo, piantò i piedi a terra con straordinaria tenacia. Alfred agitò una mano in sua direzione
< Signorino Bruce! Presto, venga! >.
In una frazione di secondo il sangue gli si gelò nelle vene ed il suo cuore forte e vigoroso mancò un battito, come una vecchia pendola che inizia a perder colpi. Sentì un acuto ronzio nelle orecchie ed uno strano calore accendergli il volto sotto la maschera; serrò i pugni e fissò con espressione attonita l’uomo sempre più vicino. La mente gli si annebbiò ed un solo pensiero riuscì ad emergere con intensa ed arrogante forza: era successo qualcosa a Joker. Doveva per forza trattarsi di questo, altrimenti non si sarebbe spiegata l’agitazione di Alfred ed il suo tono concitato. No, non poteva essere.. Improvvisamente Bruce si sentì vulnerabile e impaurito come non gli capitava da molto tempo, attanagliato da un’angoscia talmente potente che avrebbe avuto l’istinto di ignorare totalmente Alfred, voltandogli le spalle e rituffandosi nell’abitacolo sicuro e confortante della sua auto. Ma lui era Batman, dannazione! Non poteva cedere alla paura, né a qualsiasi altra sensazione che gli impedisse di tirar fuori il suo coraggio.
Racimolò ogni brandello di forza e, con gli occhi fisso come d’innanzi ad uno spettro, avanzò a passi lenti e pesanti verso Alfred, riuscendo ad articolare le parole fra labbra tremanti
< Che succede?? >.

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Capitolo 5
*** Aurora boreale ***


Capitolo V
Aurora boreale

 
 
L’azzurro delle iridi di Batman si assottigliò di colpo, invaso dal nero della pupilla che andava dilatandosi per la paura.
< Che cosa succede?? >
Domandò nuovamente con la voce impastata di preoccupazione mentre consumava con ampie falcate la distanza che lo separava dal maggiordomo.
< Si tratta di Joker > la voce di Alfred confermò i timori del Giustiziere < Stavo per chiamarla, ma poi ho sentito il rombo della batmobile >.
Bruce si arrestò di fronte all’altro uomo, immobile come una statua di sale, teso come una corda di violino in procinto di spezzarsi, incapace di formulare pensieri o parole sensate. Fece per muovere le labbra – senza sapere bene che cosa dire – ma la voce di Alfred lo anticipò bloccandolo
< Si è svegliato >
Disse semplicemente l’uomo, accompagnando quelle tre parole ad un tenue e sorriso rassicurante.
Si è svegliato. Quella frase risuonò nelle orecchie e nel petto di Bruce, facendogli credere per un lungo istante di trovarsi nel bel mezzo di uno strano sogno. Era talmente convinto di dover ricevere una brutta notizia, che adesso quasi non riusciva a credere alle proprie orecchie. Si è svegliato. Quella frase finalmente prendeva forma e consistenza nella sua coscienza; quella frase era tutto.
< Dici sul serio Alfred!? >
Domandò con tono enfatico Bruce, afferrando il maggiordomo per le spalle in uno slancio d’entusiasmo, senza preoccuparsi di dissimulare la propria contentezza. L’uomo anziano annuì lentamente, accentuando il sorriso sulle labbra sottili poiché sapeva di aver dato una splendida notizia al ragazzo che amava come un figlio
< Sì padron Bruce. Ero andato nella stanza per controllare le sue condizioni, e nel giro di pochi minuti ha cominciato a lamentarsi debolmente poi pian piano ha riaperto gli occhi >
< È fantastico! Vado subito a vederlo >
Esclamò raggiante Bruce da dietro la severa maschera di Batman, lieto che finalmente l’incubo fosse finito ed il pericolo di trasformarsi in un assassino ormai scampato. Ma, oltre queste motivazioni, ve ne era un’altra a provocare il sorriso ed il sollievo dell’eroe; ne prese coscienza mentre attraversava a passo svelto l’ambiente centrale della caverna e poi i vari corridoi che conducevano alla camera ospedaliera. Era felice che Joker fosse ancora vivo. Pensiero schietto e disarmante nella sua semplicità, eppure altrettanto assurdo e difficile da metabolizzare. Fino a poche settimane prima, se qualcuno gli avesse detto che avrebbe provato gioia nel sapere Joker sano e salvo, Bruce si sarebbe fatto una grassa risata ed avrebbe mandato al diavolo lo sprovveduto in questione. Ora invece quella realtà giudicata assurda e surreale fino a prova contraria prendeva vita, ed aumentava d’intensità e vigore ad ogni singolo passo compiuto verso la “meta”, ora che Bruce accorciava a grandi falcate la distanza che lo separava dal suo eterno nemico.
La mano coperta dal guanto nero finalmente si posò sulla maniglia e, con cautela ed un pizzico irrazionale di apprensione spinse in avanti la porta, spalancandola con un lento cigolio. La sagoma nera ed imponente del Cavaliere Oscuro si stagliò in tutta la sua minacciosa maestosità sulla soglia d’ingresso, rilucendo al freddo bagliore dalla lampada a neon. Gli occhi azzurri e profondi si posarono immediatamente sul bianco letto d’ospedale, e su colui che lo occupava.
< Joker.. >
Un accorato sussurro fluì leggero e spontaneo dalle labbra di Batman, mentre a passi lenti si avvicinava al letto. Il malato alzò piano lo sguardo sull’uomo che – involontariamente – lo aveva ridotto in quello stato e sorrise debolmente.
< Ba-Batman.. >
La sua voce era ridotta ad un rauco sussurro appena udibile ed il suo viso era più pallido e scavato che mai. Ancorò lo sguardo stanco e sofferente alle iridi di ghiaccio del Vigilante di Gotham, per poi tentare di alzarsi sui gomiti senza tuttavia ottenere successo.
Bruce raggiunse il letto e adagiò le mani sulla fredda sponda di metallo. Il suo sguardo austero ma addolcito da una strana luce percorse il magro corpo del criminale, fino a posarsi e poi sprofondare nel verde acido di quelle iridi finalmente vigili, che lo fissavano con morbosa tenerezza ed una vaga nota di riconoscenza.
< Come ti senti? >
Domandò Bruce sforzandosi di mantenere un tono basso e neutrale, deciso a non lasciar trasparire l’emozione che stava provando in quel fatidico momento. Joker arricciò le lebbra in una smorfia di dolore che subito si premurò di mutare in uno spavaldo sorriso
< Bene. Come appena uscito da un tritacarne: massacrato, ma ancora vivo! >
Il sorriso sulle sue labbra esangui si accentuò, quasi volesse sbattere in faccia al mondo intero la soddisfazione di essere ancora vivo e vegeto nonostante tutto. Fece per aggiungere qualcos’altro, ma un violento colpo di tosse lo dissuase dall’intento. D’istinto Bruce si piegò su di lui e gli mise una mano dietro la nuca per sollevarlo ed aiutarlo a respirare. In quel momento, la mancina di Joker andò in cerca della mano sinistra dell’eroe, rimasta adagiata sulla sponda del letto. Le dita bianche e affusolate si allacciarono intorno al polso guantato di nero, in una stretta debole ma tenace al tempo stesso. Bruce lasciò andare lentamente la testa dell’altro uomo sul cuscino e spostò lo sguardo su quella mano così pallida e ossuta da sembrare quella di uno scheletro allacciata con fiducia al suo polso. In quel momento ebbe l’impulso di sfiorare con le dita quella pelle diafana, di accarezzarla con semplicità e dolcezza, come se Joker fosse solo un semplice malato in convalescenza e non uno spietato e folle assassino. Strinse gli occhi ed allontanò da sé quell’assurda e ambigua tentazione, evitando qualsiasi slancio emotivo e mantenendo il controllo su sé stesso.
< Ascoltami > prese a dire lentamente dopo essersi schiarito la voce < Non so se ricordi com’è andata.. >
< Certo che lo ricordo! > lo interruppe Joker sforzandosi di mantenere un tono di voce acuto e vivace < Mi hai colpito al cuore..! >
Disse come se fosse una cosa meravigliosa, facendo sfarfallare le ciglia e poggiando la mano destra sul petto nudo, in corrispondenza della fresca cicatrice. Sebbene non vi fosse traccia di rimprovero o rancore nella voce del criminale, Bruce provò ugualmente una forte vergogna nel ripensare all’accaduto e sentì un freddo senso di colpa attraversarlo come la lama di un fioretto particolarmente affilato.
< Io.. Non l’ho fatto di proposito, è stato un incidente.. >
Farfugliò accigliandosi e sentendosi dannatamente stupido, alla stregua di un bambino pestifero intento a giustificarsi con scuse banali. A placare il disagio dell’eroe, come un balsamo salvifico arrivò il sorriso indulgente del criminale, che ora intensificava la stretta delle dita intorno al polso fermo e rigido dell’altro uomo
< Lo so dolcezza, non preoccuparti > replicò con tono stranamente rassicurante < Ambrogio mi ha spiegato tutto > asserì spostando la mano destra dal petto per lasciarla ricadere lungo il fianco.
Bruce, sinceramente rincuorato e placato da quelle parole, fece per aprir bocca ed aggiungere dell’altro, ma Joker non gliene diede il tempo
< Perché lo hai fatto? >
Domandò improvvisamente serio, scrutando apertamente il mistero tormentoso e affascinate nascosto dietro quelle due pozze di ghiaccio. Bruce strinse le labbra e si accigliò lievemente
< Cosa? >
Domandò pacato, ma vagamente ansioso
< Perché mi hai salvato? > Joker fissò Bruce con un’intensità quasi fisica < Io per te non avrei fatto lo stesso.. Hihihihi! >
Sogghignò divertito e maligno, anche se era palese che quella domanda per lui fosse di cruciale importanza. Batman sospirò piano dalle narici ed i suoi nervi si distesero. Quella domanda non era poi così difficile o delicata, bastava solo riportare la mente a quella notte, ricordare i motivi che in quel momento lo avevano spinto ad agire, tralasciando tutto il resto venuto dopo.
< L’ho fatto per le ragioni che già conosci, per preservare la mia integrità morale >
Rispose tranquillamente, ma con fare vagamente meccanico, come se fosse una risposta preconfezionata, una battuta preparata e collaudata prima dell’ingresso in scena.
Palesemente insoddisfatto, Joker alzò gli occhi al cielo e scosse la testa sul cuscino sgualcito
< Uffaaaa, sempre la solita solfa! > si lagnò a gran voce < Quando ti deciderai ad ammettere che proprio non puoi fare a meno di me?? > rimbeccò ostinato, voltandosi verso l’eroe e fissandolo con uno sguardo languido e provocatorio, le ciglia sfarfallanti sugli occhi verde acido.
Bruce strinse le labbra, ricambiando lo sguardo del Joker con la stessa intensità, e per un momento temette di veder crollare tutta la sua granitica sicurezza. Quel pazzo criminale aveva ragione.. Aveva dannatamente ragione! Lo sapeva ed aveva imparato ad accettarlo; da giorni ormai viveva in relativa pace – o per meglio dire, in uno stato di non belligeranza – con quella dispettosa e scomoda consapevolezza di cui aveva preso coscienza solo dopo lunghi anni ed innumerevoli battaglie. Eppure, ora che si trovava faccia a faccia con il diretto interessato, con l’oggetto di tutti i suoi tormentosi ragionamenti e di tutte le sue notte insonni, ora non riusciva più ad ammettere la realtà dei fatti con altrettanta serenità, tutto sembrava nuovamente difficile e incredibilmente imbarazzante.
Fu Bruce ad abbassare per primo lo sguardo, stanco di sostenere il peso di quegli occhi da felino predatore. Fece scivolare le splendide iridi di ghiaccio lungo il viso smunto eppure vitale di Joker, soffermandosi per un istante di troppo sulla mano del criminale che ancora indugiava sul suo polso sinistro, debole eppure tenace come il corpo a cui apparteneva.
< Pensa quello che vuoi >
Si decise a commentare alla fine Bruce, sconfitto ancora una volta da sé stesso e amareggiato per quell’insopportabile mancanza di coraggio.
< Oh, suvvia! A chi vuoi darla a bere Batsy!? > rimbeccò prontamente Joker, issandosi leggermente sul gomito destro e rinsaldando la stretta sul polso di Batman < Tu mi salveresti sempre e comunque.. Potrei massacrare la città intera che tu troveresti comunque una scusa plausibile per salvarmi la pelle > un sorriso dolce e sfrontato si dipinse sulle sue labbra sottili e pallide < Tu non puoi più fare a meno di me, io lo so Batsy! Hihihihi >
< … >
< E sai qual è il vero dramma? > continuò senza attendere risposta in tono melodrammatico < Che oramai vale lo stesso anche per me >
Detto ciò strinse le labbra sottili e distolse lo sguardo fissando un punto indefinito, come se stesse riflettendo attentamente sulle parole appena pronunciate, poi si strinse nelle esili spalle, come se quella considerazione fosse qualcosa di ineluttabile e fatale, qualcosa che non si può combattere ma solo accettare.
Batman sospirò piano senza farsi sentire dalla sua nemesi, ad occhi bassi e con un nodo alla gola. Le parole di Joker erano taglienti come rasoi, pronte a colpire e ferire nei punti più deboli e vulnerabili. Era vero tutto ciò che aveva detto, anche questa volta. Lui lo avrebbe salvato sempre e comunque, avrebbe trovato una scusa plausibile per tirarlo fuori da ogni situazione disperata, per giustificarsi con sé stesso prima ancora che davanti agli occhi del mondo. Persone innocenti avrebbero seguitato a morire per quell’assurdo gioco al massacro, vittime sacrificate in nome del legame morboso fra il sedicente eroe di Gotham e la sua eterna e micidiale nemesi.
< Puoi pensare quello che preferisci, Joker > prese a dire rompendo il silenzio insidioso che si era venuto a creare < Non mi interessano le tue strane fantasie su noi due. Ti ho salvato la vita perché lo ritenevo giusto, punto e basta >
Ancora una volta le sue parole erano state totalmente incoerenti con ciò che pensava veramente. Joker sospirò e si lasciò ricadere sul cuscino, mollando finalmente la presa dal polso di Bruce
< Ah! Ed io che pensavo che ti fossi affezionato a me! Che ingenuo sentimentale che sono..! >
Esclamò con enfasi teatrale, voltando il capo dall’altra fingendosi offeso. Bruce si strinse nelle forti ed ampie spalle, incapace o semplicemente disinteressato a replicare. Si limitò a lasciar scivolare le braccia lungo i fianchi e lo sguardo sulla bianca schiena del Joker che adesso gli voltava completamente le spalle, steso com’era sul fianco destro. Per un attimo fu assalito dall’impulso di afferrare quelle due sporgenze nude e spigolose e di abbracciare con trasporto il criminale, tenendolo stretto al petto come la più indifesa e innocente delle creature. Tuttavia, anche in quel caso riuscì a domare i propri istinti con il rigore e la disciplina che negli anni avevano forgiato il suo carattere. Scosse piano la testa e respirò a fondo, scrollandosi via dalla mente e dalla pelle quell’assurda ed impellente esigenza di contatto fisico.
< Hai bisogno di qualcosa? >
Domandò Bruce con tono pacato, seppur serio come al solito. Joker si voltò lentamente, posando le sue iridi verdi sul viso dell’altro uomo
< Un bicchiere d’acqua, per cortesia. Ho molta sete >
Chiese col tono educato degno di un damerino, abbandonando poi nuovamente la testa sul cuscino. Bruce andò subito a riempire un bicchiere posto su un tavolino insieme ad una brocca d’acqua, una penna blu ed una rivista ormai vecchia di mesi. Tornato da Joker lo aiutò a sollevarsi, cingendogli le spalle con il braccio destro e porgendogli il bicchiere con la mancina. Il criminale si accomodò a sedere lentamente, senza badare alla ferita che tirava né al vago giramento di testa. Si lasciò sostenere da quel braccio muscoloso dalla presa solida e sicura, poi avvicinò le labbra all’orlo del bicchiere, impaziente di bagnarle con l’acqua che in quel momento gli sembrava preziosa come champagne. Batman si piegò maggiormente sul Joker, in modo da farlo sforzare il meno possibile, e nel farlo si avvicinò inavvertitamente al suo viso pallido e freddo. Joker bevve avidamente, godendo di quella sensazione di ristoro e freschezza che dava sollievo alle sue fauci secche. Terminata l’acqua, Bruce allontanò il bicchiere dalle labbra dell’uomo, ma, anziché aiutarlo a stendersi per poi allontanarsi, restò immobile dov’era col bicchiere sospeso a mezz’aria e lo sguardo smarrito nelle iridi del Joker. Avrebbe potuto – e forse anche voluto – affogare in quel verde acido e intossicante, dimenticare sé stesso e la sua missione da supereroe, dimenticare Gotham e tutti i suoi maledetti abitanti. Joker, naturalmente, ricambiò appieno quello sguardo curiosamente intenso ed inquieto con altrettanta intensa inquietudine.
< Che cosa c’è?.. >
Domandò il criminale con voce flautata, poco più udibile di un sussurro. Bruce non disse nulla, incapace di trovare una risposta sia per l’altro uomo che per sé stesso. Il viso di Joker – vagamente sogghignante – si avvicinò pericolosamente a quello teso e frastornato del supereroe che non oppose alcuna resistenza; vicino, ancora più vicino, finché le labbra umide e sottili di Joker non arrivarono a sfiorare quelle rosee e carnose di Batman, posandovi un bacio incredibilmente delicato. Quel morbido contatto durò il battito d’ali di una farfalla, poiché Bruce si tirò indietro di scatto, con la stessa rapidità con cui era caduto vittima dell’incantesimo venefico di quegli occhi crudeli.
Lasciò andare bruscamente la presa dalla schiena di Joker – che di colpo ripiombò sul letto – evitando di scagliare in aria il bicchiere per puro miracolo. Preso dallo sgomento, Bruce si portò la mano destra sulle labbra, tastandole e sfiorandole come se avessero appena ricevuto il morso velenoso e bruciante di un serpente. Gli occhi sgranati per lo shock fissarono con attenzione maniacale il pavimento, mentre il cuore martellava violentemente dando l’impressione di voler schizzare fuori dalla gola. Non poteva credere a ciò che era appena successo, ma soprattutto non poteva concepire la sensazione che aveva accompagnato quel fugace contatto di bocche. Si era sentito bene, oltre che tremendamente eccitato.
Dal suo freddo letto d’ospedale, Joker fissò divertito l’espressione atterrita di Batman, perfettamente intuibile benché il suo volto fosse celato per metà dalla maschera. Joker si leccò lentamente le labbra, portando via le ultime goccioline d’acqua rimaste ed assaporando il delizioso sapore della bocca del Giustiziere.
< Non dirmi che basta così poco per spaventare l’indomito pipistrello di Gotham City..!? >
Cinguettò malizioso e beffardo, girandosi sul fianco sinistro e puntellando il gomito sul materasso in modo da poter poggiare il mento sulle nocche della mano. A quelle parole, Bruce sentì avvampare il viso da sotto la maschera fino alla punta estrema delle orecchie. Preso seriamente dal panico, si voltò di scatto dirigendosi al tavolino dall’altra parte della stanza, sfruttando la scusa di dover poggiare il bicchiere che per un soffio si era salvato dall’andare in mille pezzi. Sentì il respiro tornare pian piano regolare e, a mente lucida, realizzò che doveva uscire da quella stanza il prima possibile. Fece uno sforzo titanico per voltarsi e tornare accanto a Joker, pur rimanendo ora a distanza di sicurezza dal suo letto.
< Dunque?! Sto aspettando una risposta.. >
Insistette il clown sfidando l’altro con un’occhiata sfacciata ed impertinente. In un mondo ideale privo di emozioni e confusione, Bruce avrebbe risposto con un’invettiva dura e minacciosa del tipo “Prova a rifarlo e giuro che ti spezzo a metà la spina dorsale”. Ma in questo mondo così imperfetto ed imbevuto dei toni di grigio delle umane passioni, una risposta del genere era ormai impensabile; forse avrebbe avuto senso un mese prima, ma non ora. Rassegnato alla consapevolezza che qualsiasi minaccia sarebbe suonata vuota e palesemente falsa, Batman si limitò a stringersi nelle spalle, imponendosi tuttavia di sostenere quello sguardo di fuoco misto ad acido.
< Non c’è nulla da rispondere > replicò atono < Ti sei avvicinato troppo ed è successo quel che è successo >.
La risposta, naturalmente, non soddisfò il clown criminale, che tuttavia si limitò a sogghignare beatamente, resistendo alla tentazione di infierire sull’altro uomo.
< Adesso me ne vado > disse Bruce dopo una pausa di silenzio che sembrò durare un’eternità < Tornerò questa sera a vedere come stai. Se hai bisogno di qualcosa suona il campanello ed Alfred arriverà subito >.
La sua voce era tornata calma e risoluta, sembrava aver recuperato quella patina di distacco e di freddezza essenziale per non cedere al ricatto delle emozioni. Joker si lasciò scivolare nuovamente sul cuscino, portando con un leggero sforzo entrambe le mani dietro la testa.
< D’accordo infermiera > replicò ironico fissando il soffitto < Ma non stare via troppo a lungo, soffrirei la tua mancanza e non è bello affliggere ulteriormente un povero malato >
< Ah, sia chiara una cosa > disse Bruce ignorando il tono lamentoso di Joker ed il modo ridicolo con cui lo aveva chiamato < Quando sarai totalmente ristabilito verrai ricondotto ad Arkham >
Disse col tono freddo e severo di sempre. Joker roteò gli occhi al cielo e si limitò a sbuffare, rispondendo poi con tono indifferente un vago:
< Va bene.. >.
Bruce lo fissò con attenzione, insospettito da quell’apparente aria di rassegnazione
< Non costringermi ad ammanettarti al letto >
Disse in tono aspro, suscitando per tutta risposta un risolino ambiguo
< Hihihihihi! >
< Cosa c’è da ridere?! >
Domandò interdetto
< Nulla Batsy, nulla.. >
Joker scosse la testa e cercò di darsi un contegno, evitando di far sapere a Bruce che, in altre circostanze, avrebbe assai gradito di essere ammanettato alla testiera del letto da Batman in persona. Il Giustiziere si sforzò di distogliere lo sguardo dal criminale, e senza aggiungere una parola si voltò diretto verso la porta. Doveva uscire di lì, lasciare al più presto quella maledetta stanza per recuperare ossigeno e schiarirsi un po’ le idee.
< Ah Batsy, una cosa! >
La voce sorprendentemente squillante di Joker lo costrinse ad arrestare i propri passi e a voltarsi nuovamente verso quel viso sogghignante e quelle due iridi impertinenti.
< Cosa c’è? >
< Potresti procurarmi un rossetto rosso? >
Domandò con naturalezza, come se fosse la più logica e ovvia delle richieste. Bruce aggrottò le sopracciglia e fissò il clown con aria perplessa
< Un rossetto..!? E che cosa devi farci? >
< Metterlo sulle labbra, naturalmente! Cosa potrei farci altrimenti!? > replicò Joker sarcastico < Detesto restare senza trucco.. Non sopporto di avere la bocca così pallida e scialba! > aggiunse con un moto di stizza, quasi con rabbia, mutando improvvisamente espressione come un prato assolato adombrato di colpo da un funesto nuvolone. Bruce si strinse nelle spalle, sospirando e acconsentendo a quella frivola follia
< D’accordo. Incaricherò Alfred di fartelo avere >
Disse con tono paziente, come se stesse parlando ad un bambino capriccioso.
< Evviva! >
Joker esultò battendo le mani e tornando sereno ed affabile come un momento prima. 
< C’è altro o posso andare? >
Domandò Bruce tradendo una certa impazienza nel tono di voce. Per fortuna il criminale scosse la testa
< No, nient’altro! >
< Bene. Passerò a trovarti questa sera. Ora cerca di riposare >
E detto ciò voltò definitivamente le spalle al Joker, raggiungendo rapidamente la porta e sparendo dietro ad essa facendo frusciare il nero mantello.
 

 
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Macciao a tutte/i! ^_^
Vi ho fatto venire almeno un po’ paura per le sorti del Joker?? Ghghghgh! Pur essendo la vestale dell’Angst (titolo che mi sono auto-conferita), non avrei mai potuto far crepare il nostro amato Joker in un modo così poco onorevole e rocambolesco u_u
E poi proprio ora che Batman ha finalmente compreso la natura dei suoi sentimenti verso il criminale più folle di Gotham!? Ehnnò, non sono mica così sadica! (:
Cooomunque, ho da fare un paio di precisazioni:
1) il titolo del capitolo che, in apparenza non c’entra una cippa, fa in realtà riferimento agli occhi di Joker e al momento della giornata in cui il capitolo si svolge, essendo l’alba ed essendo di un verde particolare le iridi di Joker (che potrebbero richiamare appunto il colore dell’aurora boreale). Fa riferimento anche allo sguardo del criminale che è ormai magnetico nei confronti di Bruce.. visto che romanticona!? :P
2) il bacio che Joker dà a Batman potrebbe sembrare OOC, perché da lui ci si aspetterebbe qualcosa di molto più veemente e possessivo. Ho scelto volutamente questa modalità di bacio che è quasi più un semplice sfioramento di labbra; Joker lo fa per provocare Bruce e metterlo alla prova, curioso di vedere la sua reazione. Se si fosse scagliato con impeto sulla sua bocca, di sicuro avrebbe ottenuto una reazione altrettanto impulsiva e violenta, con l’altro che si sarebbe scansato di colpo e lo avrebbe magari spinto con forza lontano da sé. È tutto calcolato mie care lettrici, tutto calcolato.. ;)
Detto ciò, vi ringrazio per aver letto fin qui e vi do appuntamento (a data da destinarsi) per il prossimo capitolo che quasi sicuramente sarà anche l’ultimo.
A presto ed un abbraccio avviluppante a tutte/i!! :3

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Capitolo 6
*** Rossetto rosso ***


Capitolo VI
Rossetto rosso
 
Erano passate diverse ore dall’incontro col Joker in infermeria, e quel bacio continuava a bruciargli terribilmente le labbra. Disteso sul letto a baldacchino, Bruce si passò le dita sulla bocca, sfiorando con i polpastrelli quei lembi di pelle carnosa e morbida. In un attimo rivide le iridi accese del Joker che lo fissavano, che si avvicinavano sempre di più, inesorabilmente, senza che nulla potesse fermarle. Un forte brivido attraversò tutto il suo corpo, costringendolo a chiudere gli occhi di scatto. Difficile dire se fosse più per il disagio o l’eccitazione. Le sensazioni contrastanti che avevano dominato la sua mente in quell’ultimo mese continuavano a inseguirsi e vorticare, creando una tempesta sempre più caotica e informe, un buco nero che risucchiava tutto: pensieri, intenzioni, razionalità e passioni. Bruce rilasciò un profondo e sonoro sospiro, carico di tutta la sua esasperazione, poi si portò le mani al capo e iniziò a massaggiare le tempie, come per calmare il caos che aveva dentro la testa. Non trovando alcun giovamento in quel gesto, le dita sprofondarono tra i capelli scuri, aggrappandosi alle ciocche corte come fossero l’ultimo appiglio rimasto.
< Joker.. Come devo fare con te!? >
Sospirò scuotendo piano la testa, sforzandosi di trovare il bandolo di quella matassa di confusi sentimenti. Era così felice che Joker si fosse ripreso, che avesse recuperato così in fretta tanto da sfoderare fin da subito frecciatine e sarcasmo. I suoi occhi blu avevano gioito nel guardare la pelle diafana riprendere un minimo di colore, le dita ossute tornare a muoversi e le palpebre spalancarsi su quelle fiamme ardenti di follia e voglia di vivere. E quel bacio.. Quel rapido, soave e sfuggente contatto di labbra, cos’era stato se non un sogno evanescente, un incubo a occhi aperti oltraggioso e indelebile? Dio, quanto gli era costato fuggire via da quella bocca invitante e crudele! Che immane sforzo aveva compiuto per sottrarsi al baratro incandescente del desiderio, facendo un balzo indietro verso il buonsenso e la ragione. Ma cosa c’era di ragionevole, ormai, in tutto questo?! Perché si ostinava a tutti i costi a mettere la logica e il controllo in una situazione che di logico e controllato non aveva più niente?
< Maledizione a te, Joker! >
Imprecò con rabbia e frustrazione passandosi una mano sulla faccia, incapace di trovare l’uscita da quel labirinto di dubbi e sensazioni proibite. Una parte di sé gli intimava di smetterla con tutta quella faccenda, di fermarsi finché era ancora in tempo, di cacciare a calci nel sedere quel perverso criminale dalla batcaverna. Un’altra voce, insidiosa e ostinata, gli suggeriva invece di fregarsene di tutti quegli scrupoli morali, di vivere, almeno per una volta, di puro istinto facendosi guidare da ciò che desiderava e non da ciò che era giusto fare. Non esisteva pacificazione tra le due parti della sua coscienza, una doveva vincere necessariamente sull’altra o sarebbe impazzito.
Bruce fece un altro forte sospiro e con un agile scatto si mise a sedere sul letto. Guardò fuori dalla finestra, si stava facendo buio. Tra poche ore lo aspettava la ronda notturna e, come al solito, non aveva ancora cenato. Non per mancanza di tempo, ma perché non aveva fame. Mangiare era l’ultimo dei suoi pensieri in quel periodo, si nutriva solo per pura esigenza biologica, giusto per mantenersi in forze.
Controvoglia si alzò dal letto e infilò velocemente la vestaglia di seta, trascinandosi fino alla porta della camera e oltrepassando la soglia con poca convinzione. Avrebbe mangiato un boccone veloce e si sarebbe preparato per il suo dovere, svestendo i panni di Bruce Wayne e indossando quelli di Batman. Poi, prima di salire a bordo della bat-mobile, sarebbe passato a trovare Joker, assicurandosi che stesse bene per affrontare più serenamente la caccia notturna a pazzoidi e criminali. Quel pensiero gli regalò un’improvvisa tranquillità, facendo comparire l’ombra di un sorriso sulle sue labbra rigide e severe. Pensare al momento in cui avrebbe rivisto Joker lo faceva sentire bene.
 
La sorpresa fu due volte più devastante e clamorosa.
Quando Bruce scese in infermeria e aprì la porta della camera, il buonumore svanì in un istante come il sorriso dalle sue labbra. Non aveva messo in conto di trovarsi davanti ad una scena del genere. Stranamente aveva pensato a tutto, ma non a quello.
Joker era sparito. Il letto dove fino a poche ore prima giaceva convalescente era vuoto, sgualcito e chiazzato di qualche goccia di sangue fresco. Il monitor del macchinario, i cui elettrodi erano stati staccati, segnava un’ininterrotta linea rossa circondata da punti interrogativi dello stesso colore. La flebo ormai vuota era ferma al suo posto, ma con l’ago penzoloni sul pavimento. A Bruce mancò il fiato – per la sorpresa, per la rabbia, per il dispiacere – tanto da doversi togliere la maschera che aveva sulla testa. La strappò via con un unico gesto secco, scagliandola sul pavimento come se fosse uno straccio inutile. Gli occhi, di un blu straordinariamente cupo, si misero a cercare febbrilmente per la stanza, illudendosi di riuscire a scovare il criminale nascosto in qualche angolo. Ma del Joker non c’era alcuna traccia. Bruce avanzò frastornato nella stanza, aggrappandosi alla sponda del letto per sorreggersi.
< Ma come diavolo ha fatto..?! >
Mormorò fra i denti, sentendo calare sulle spalle una profonda e opprimente stanchezza. A sconvolgerlo maggiormente fu il sentimento che aveva accompagnato quella scoperta: non preoccupazione all’idea che un criminale fosse di nuovo a piede libero, ma solo una pungente tristezza, un sordo scontento al pensiero di non poter vedere quell’uomo, adesso e subito. Ma che accidenti di pensieri gli passavano per la testa!? Possibile che fosse diventato così sciocco ed egoista da anteporre un suo capriccio all’incolumità di un’intera metropoli?! Non era da lui, no.. Quel maledetto clown criminale lo aveva cambiato, era riuscito a trasformarlo in qualcosa di anomalo e disturbato, a sua immagine e somiglianza. Sentendosi quasi impotente, Bruce sospirò forte e si stropicciò gli occhi stanchi e arrossati. Proprio in quel momento si accorse di una cosa che prima non aveva notato. Sul mobiletto addossato alla parete, vi era un foglio con una penna biro poggiata sopra. Bruce si scostò dal letto e senza pensarci due volte afferrò il foglio con dita leggermente tremanti. La carta bianca era vergata per intero da una grafia sottile e frenetica, dall’andamento un po' sbilenco e con qualche sbavatura d’inchiostro qua e là. Alla fine dello scritto, nell’angolo inferiore sinistro del foglio, vi era stampato un grosso bacio col rossetto rosso. Bruce si accomodò sulla sedia accanto al muro e prese a leggere il contenuto di quella lettera:
 
Suuu Batsy, non fare quella faccia! So che ti aspettavi di trovarmi nel letto da bravo convalescente, ma sono dovuto scappare all’improvviso. Mi sarebbe piaciuto restare nella tua bella caverna a stuzzicarti e farti diventare rosso, ma, sinceramente, ho altre priorità al momento, come evitare di finire in prigione. Grazie per esserti preso cura di me, mio premuroso pipistrello, me ne ricorderò la prossima volta che tenterò di ucciderti, promesso!
Se non altro la mia degenza nel tuo batospedale è servita a farti capire quanto io sia importante per te e quanto tu non possa più fare a meno di me. Come ho fatto a capirlo?!! Semplice! Mi è bastato guardarti in faccia, scrutare oltre la maschera per trovare tutto quello che io ho sempre saputo. Mentre ero tra la vita e la morte, ho sognato che mi parlavi, che mi accarezzavi e mi stavi vicino mandando all’inferno tutto il resto. Forse è stato solo un sogno tossico provocato dai medicinali o forse è successo davvero. Questo non posso saperlo e non lo saprò mai. Quello che so con certezza è che hai tremato nel momento in cui le nostre bocche si sono toccate, e non per paura.
Non dire di no, sii sincero almeno con te stesso. Sappi che la prossima volta non avrò bisogno di una scusa per avvicinarmi alle tue labbra. Me le prenderò e basta.
Ho sentito che lo volevi anche tu, che fremevi, scalpitavi e ti contorcevi al bisogno di soffocare nella mia bocca, di prendermi con la forza e sbattermi su quel letto d’ospedale. Oooh checcarino!! Riesco già a immaginare la tua bella faccia che diventa rossa come una pozza di sangue! Che dolce ingenuo pipistrello che sei! <3 Non ti facevo così passionale, sai? E pensare che volevi farmi la pelle! Ma come diamine avresti fatto senza di me, eh??! Chi ti rimane al mondo di davvero fedele a parte il tuo Joker? Io per te e contro di te ci sarò sempre. Tutto quello che faccio lo faccio per te, Batsy.. Gotham è sempre stata una grande casa delle bambole e i suoi abitanti nient’altro che pupazzetti.. E tu il mio fedele compagno di giochi, l’amichetto burbero e serioso pronto a farmi la ramanzina per ogni bambola con la tesa staccata. Voglio continuare a giocare con te Batsy, a fare a pezzi questa città per darti la possibilità di aggiustarla.
Ora, non rimanerci troppo male perché non sono più lì con te. Ci rivedremo presto, mio bel pipistrello, molto prima di quanto immagini. Questa volta considerala una promessa, non una minaccia.
Con devozione, amore e odio, il tuo persemprenemico
Joker.
 
Rilesse un paio di volte la lettera, soffermandosi per qualche secondo di troppo sul marchio rosso impresso come un sigillo di garanzia alla fine del foglio. Quelle parole gli fecero uno strano effetto.. Si sentì in qualche modo in contatto col suo nemico, come se quel pezzo di carta fosse un ponte capace di collegarli in quel preciso istante. Gli sembrò di sentire addosso le iridi verde acido di Joker, quelle sue pupille piccole e immobili come spilli, pronte a dilatarsi leggermente solo quando incontravano la sagoma scura del suo mantello. Non capiva cosa accidenti gli stesse succedendo, ma decise di non farci caso, di ignorare tutto ciò che la logica, la morale e il buon senso gli sbandieravano davanti agli occhi, di mettere a tacere le voci severe della sua coscienza, almeno per i minuti che gli restavano prima di uscire da quella stanza. Adagiò il foglio sulle gambe e abbandonò la testa all’indietro, fino a incontrare la superficie liscia del muro. Fissò per alcuni secondi il soffitto asettico, poi chiuse lentamente gli occhi, lasciando affiorare sulle sue labbra sensuali uno stanco, dolce sorriso. Sospirò e, con estrema serenità, decise che quella notte non si sarebbe messo sulle tracce del Joker, ma che avrebbe solo fatto finta, per non dare motivo ad Alfred e agli altri di intromettersi ulteriormente in quella faccenda. Era folle concedere vantaggio a un criminale del genere, lo sapeva, ma non gli importava. Dopo tutto Joker era pur sempre convalescente, appena ripresosi dal coma e con le energie ridotte al minimo. Non aveva nessuna fretta di gettarlo in pasto ad Arkham, preferiva saperlo libero e intenzionato a dargli filo da torcere, pronto a tornare a essere la sua degna nemesi.
Era un folle a pensarla così, se ne rendeva perfettamente conto, ma continuava a non importargli. Magari un giorno sarebbe rinsavito, avrebbe riso o sarebbe sprofondato nel senso di colpa ripensando a tutta quella storia. Ma non adesso. Adesso contava solo il vivido ricordo di quel bacio a fior di labbra, la gioia e il sollievo di non dover piangere su una bara. Contava solo che Joker era vivo e che Batman aveva finalmente capito.
Bruce si alzò dalla sedia con la mente incredibilmente schiarita e il cuore alleggerito dal macigno che lo aveva tenuto in scacco per tutto quel tempo. Raccolse la maschera da supereroe e se la calzò in testa, uscendo dalla stanza senza guardarsi indietro. Piegò con cura la lettera di Joker e se la mise in tasca, prima di scivolare agilmente nella sua batmobile, pronto ad affrontare un’altra tenebrosa notte.

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Dopo una partenza col razzo e una lunga pausa di oblio (dovuta a blocchi creativi e un mare d’impegni) finalmente ce l’ho fatta a concludere questa storia! È tipo la seconda fiction a capitoli che riesco a portare a termine in vita mia, quindi sono particolarmente soddisfatta! XD
Spero che il finale non vi sembri frettoloso o scritto tanto per chiudere. In realtà l’ho pensato così fin dall’inizio, da quando ho stilato la scaletta oltre due anni fa (due anni!! Oh god!).
Niente, spero che il capitolo e la storia vi siano piaciuti e che siano riusciti a regalarvi delle emozioni. Vi ringrazio per averla letta e per essere state/i pazienti per la lunghissima attesa. Vi chiedo scusa per averci messo così tanto ad aggiornare, ma del resto meglio tardi che mai, no!? :-P
Un abbraccio a tutte/i e alla prossima Batjokes! <3 ^^

 

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