Senza magia

di 7vite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il primo giorno di scuola ***
Capitolo 2: *** La nuova compagna di classe ***
Capitolo 3: *** La scelta ***
Capitolo 4: *** Passioni & Ideali ***
Capitolo 5: *** La ragazza che tutti vorrebbero essere ***
Capitolo 6: *** Una ragazza fortunata ***
Capitolo 7: *** Amicizia ***
Capitolo 8: *** Tempra morale ***
Capitolo 9: *** Una cotta improvvisa ***
Capitolo 10: *** L'atleta ***
Capitolo 11: *** Un fidanzato per Doremi ***
Capitolo 12: *** La partita ***
Capitolo 13: *** Legami preziosi ***
Capitolo 14: *** Doremi è ancora una bambina ***
Capitolo 15: *** Una cara vecchia amica ***
Capitolo 16: *** La caduta di una stella ***
Capitolo 17: *** Amica, ti presento la mia amica ***
Capitolo 18: *** Insieme ancora una volta ***
Capitolo 19: *** Vincitrice ***
Capitolo 20: *** L'intervista ***
Capitolo 21: *** Aria natalizia ***
Capitolo 22: *** Compagni di squadra ***
Capitolo 23: *** Un regalo speciale (parte 1) ***
Capitolo 24: *** Un regalo speciale (parte 2) ***
Capitolo 25: *** Christmas Special - Sinfony ***
Capitolo 26: *** Christmas Special - Mindy ***
Capitolo 27: *** Ritorno ad Hokkaido ***
Capitolo 28: *** Delusione d'amore ***
Capitolo 29: *** L'equivoco ***
Capitolo 30: *** La fine di un'amicizia ***
Capitolo 31: *** Più che un semplice amico ***
Capitolo 32: *** Ingenuità ***
Capitolo 33: *** Piccoli segreti innocenti ***
Capitolo 34: *** Il ballo ***
Capitolo 35: *** Una notte da (non) ricordare ***
Capitolo 36: *** Un invito inaspettato ***
Capitolo 37: *** La festa di compleanno ***
Capitolo 38: *** Problemi di cuore ***
Capitolo 39: *** Ritorno nel Mondo delle Streghe ***
Capitolo 40: *** Il consiglio ha votato ***
Capitolo 41: *** La dichiarazione ***
Capitolo 42: *** Ancora una volta riunite al MaHo ***
Capitolo 43: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il primo giorno di scuola ***


-IL PRIMO GIORNO DI SCUOLA-
 
 
Il cielo quella notte era di un nero inteso che pareva quasi fosse fatto di velluto, e le innumerevoli stelle che lo puntellavano sembravano in qualche modo più luminose del solito. La luna piena dominava sul firmamento più brillante che mai, come se possedesse luce propria.
Nessuno poteva ammirare quello spettacolo della natura a quell’ora tarda, perché in effetti quasi tutti gli abitanti di Misora si trovavano già sotto le coperte e dormivano profondamente.
Tutti tranne uno.
Una ragazzina di undici anni dai capelli color rosso fuoco raccolti in due odango, comoda dentro il suo pigiama giallo a pois viola, se ne stava al buio nella sua cameretta. Col viso schiacciato tra due pugni e la mente che vagava senza sosta, Doremi fissava con aria nostalgica fuori dalla finestra.
Si potrebbe pensare che a tenerla sveglia quella notte fosse l’ansia causata dal primo giorno di scuola media, ma in realtà c’era dell’altro; Doremi non riusciva scacciare l’idea che, a partire dal giorno seguente, sarebbe stata per la prima volta da sola.
Le sue cinque migliori amiche avevano preso strade ben diverse dalla sua da dopo il diploma di scuola elementare:
Melody, la ragazza buona e gentile dai modi affabili, che era stata sua compagna sin dai tempi dell’asilo, avrebbe frequentato l’accademia privata femminile Karen Girls’.
Sinfony, la sportiva del gruppo col dono della schiettezza, era tornata ad Osaka dove viveva coi genitori, che si erano finalmente ricongiunti dopo quasi quattro anni di separazione.
Lullaby, l’affascinante idol priva d’inibizioni, girovagava per il paese sostenendo provini e nel frattempo frequentava lezioni private.
Mindy, l’ambiziosa e vivace americana, era tornata a New York assieme ai suoi genitori e avrebbe frequentato lì la scuola media.
Hanna, la piccola streghetta che Doremi aveva cresciuto insieme alle sue amiche, era tornata nel mondo della Magia e avrebbe frequentato l’asilo assieme ai suoi coetanei.
Per quanto Doremi ci provasse, non riusciva ad allontanare il senso di solitudine che la assaliva ogni volta che s’immaginava in una nuova classe, lontana dalle persone più importanti della sua vita, quelle con cui aveva condiviso gioie e dolori, nonché il più grande segreto della sua vita.
Per tutta l’estate aveva cercato di tenersi impegnata facendo volontariato in uno studio veterinario, ma adesso che la scuola stava per ricominciare era tutto più difficile.
Sospirò chiedendosi se anche le altre ragazze provassero i suoi stessi sentimenti.
Dopo la cerimonia del diploma, solo pochi mesi prima, Doremi aveva tenuto una festa in casa e in quell’occasione tutte le ragazze avevano ricevuto un regalo dai loro genitori, come premio per essere state ammesse alla scuola media: un telefono cellulare nuovo di zecca, che gli avrebbe permesso di tenersi in contatto nonostante le distanze geografiche.
Doremi avrebbe voluto scrivere un messaggio alle sue amiche, ma sapeva che quello era l’orario meno opportuno. Pigiò un tasto che fece illuminare il display, e lesse l’ora. Avrebbe di sicuro fatto meglio a dormire, di lì a poche ore sarebbe iniziata la sua prima lezione alla scuola media.
Con le gambe pesanti si trascinò sul letto e vi si gettò con poca grazia. Afferrò la sveglia sul suo comodino e verificò che fosse stata attivata, poi si coprì interamente il corpo con il lenzuolo leggero che si trovava ai suoi piedi e chiuse gli occhi sforzandosi di vuotare la sua mente.
Ma a chi voleva darla a bere? La sua testa era più piena che mai, così piena che sarebbe potuta scoppiare da un momento all’altro.
 
 
La sveglia trillava insistentemente segnando le sette e mezza. Doremi zittì il fastidioso ronzio con un colpo ben assestato.  “Non può essere già mattina, sto sicuramente sognando.” Pensò e si riabbandonò sul letto ronfando.
Stava sognando di cavalcare un unicorno selvatico che si librava allegramente nel cielo, passando tra gli arcobaleni e facendo capriole pericolosissime. D’un tratto un pettirosso spennacchiato li raggiunse e  bloccò la strada, arrestando la loro corsa.
«Doremi, hai intenzione di arrivare in ritardo persino il primo giorno di scuola media?»
Le chiese con una fastidiosa voce familiare.
«Non credevo potessi arrivare a tanto, e dire che dovresti essere più matura e responsabile!»
Doremi serrava i pugni con aria offesa. L’unicorno si stava lentamente rimpicciolendo.
«E invece sei sempre la solita irresponsabile combina guai.»
Diventava sempre più piccolo, e sostenere il peso della ragazza era sempre più difficile.
«Ti avevo detto che neppure la sveglia musicale sarebbe servita, ma tu hai voluto insistere per comprarla.
»
Sempre più piccolo…
«E come al solito avevo ragione, guarda, l’hai già rotta. Come si può essere così imbranati?»
Non ne poteva più di sentirsi così insultata, fece per aprire bocca e controbattere, ma l’unicorno era sparito con un sonoro “puff” e Doremi stava precipitando per terra.
«Aaaah!»
Si ritrovò sdraiata sul pavimento della sua stanza, Bibì la fissava da sopra il suo letto.
«Ma che fai? Cadi?»
Le chiese con la stessa voce del fastidioso uccellino del suo sogno. Massaggiandosi il bernoccolo che le si era formato sulla fronte Doremi squadrò la sorellina minore dal basso verso l’alto.
«Eh? Ma sei già vestita.»
Bibì fece un salto e la raggiunse sul pavimento.
«Certo, non volevo rischiare di arrivare in ritardo per il primo giorno di scuola dopo le vacanze estive, a differenza di qualcun altro io ci tengo a certe cose.»
Allungò una gamba sorvolando la goffa figura di Doremi che giaceva ancora per terra e raggiunse la porta.
«Anzi ti consiglio di darti una mossa. Sono già le otto meno dieci.»
«Che cosa?»
Urlò Doremi, correndo da una parte all’altra della cameretta per raccattare la sua roba. Non riusciva a crederci, anche questa volta sarebbe arrivata in ritardo, che vergogna!
«Certo che Bibì poteva pensarci anche prima!»
Diceva tra sé e sé, infilando il collo dentro la sua maglietta rosa preferita.
Il suo stomaco brontolò rumorosamente.
«Oh che disastro, dovrò sbrigarmi se voglio mangiare qualcosa.»
Piagnucolò passandosi le mani sullo stomaco.
Una voce la raggiunse dal piano inferiore.
«Doremi stai ancora dormendo? Alzati, è tardissimo.»
“Uff, e me lo dici solo ora, mamm
a?

Rifletté mentre gettava alla rinfusa i libri nello zaino.
Quando finalmente fu pronta scese di corsa le scale e si diresse di volata in cucina, afferrò una fetta di pane tostato che la mamma aveva cosparso di burro e in un secondo era già di fronte all’ingresso di casa.
«CiaoScusateNonPossoFermarmiCiVediamoDopoScuola!»
Aveva urlato senza nemmeno scandire le parole. I signori Harukaze e Bibì fissavano la porta aperta con aria interrogativa.
«Ma quello… Era un uragano?»
Domandò Keisuike passandosi un dito sulla guancia. Sua moglie Haruka sospirò profondamente.
«No, solo tua figlia Doremi, che deve essersi appisolata.»
«Certe cose non cambieranno proprio mai.»
Sentenziò Bibì solenne, sorseggiando il suo the caldo.
I genitori annuirono con un’espressione delosata.
 
Stava correndo già da qualche minuto, quando finalmente la sagoma della scuola media pubblica di Misora invase la sua visuale.
Doremi arrestò la corsa riprendendo fiato. Tutto quel movimento di prima mattina le aveva già sciupato molte energie. Si poggiò le mani sulle ginocchia respirando affannosamente.
“Prometto che non mi addormenterò mai più.”
Giurò a se stessa, asciugandosi la fronte sudata col dorso della mano. Forse a questo punto poteva rallentare il passo.
Discese a grandi passi la collina che portava al vialetto privato della scuola media pubblica di Misora.
«Doremi!»
Una voce alle sue spalle la costrinse a voltarsi. Doremi fece un gran sorriso agitando la mano.
«Marina, che piacere vederti! Oh, sono così felice che ci sia anche tu.»
Affermò correndo ad abbracciarla.
«Avevo così tanta paura che sarei stata sola soletta, ma ora sono felice.»
Raccontò versando lacrime di commozione (insomma quelle divertenti degli anime).
Marina sorrise amabilmente ricambiando il suo abbraccio.
«Ma non sarai affatto sola! Non sai che buona parte della nostra vecchia classe frequenterà questa scuola?»
Gli occhi di Doremi si ridussero a due puntini. Scosse la testa.
«No, veramente non ne avevo idea.»
Confessò imbarazzata, grattandosi la nuca, ma Marina la rassicurò.
«Sì, non devi affatto preoccuparti, sono certa che capiterai in classe con qualcuno dei vecchi compagni. Capisco che non dev’essere stato semplice per te separarti da Melody, Sinfony e dalle altre.»
Doremi scosse la testa, mentre le due ragazze continuarono a camminare in direzione della scuola.
«No, ma non è così tremendo.»
Mentì.
«Siamo rimaste in contatto, e poi sono certa che farò tantissime nuove amicizie.»
Affermò, ripetendo le esatte parole che le aveva pronunciato Sinfony per telefono solo pochi giorni prima. Per un attimo Doremi provò un po’ di invidia nei confronti dell’amica; come poteva essere sempre così ottimista? Perché solamente lei sembrava soffrire la lontananza?
«…e anche Tetsuya.»
Mentre era persa nei suoi pensieri, Marina aveva fatto l’elenco degli ex alunni della scuola elementare che avrebbero ritrovato nella loro scuola.
«Che cosa anceh Tetsuya? Spero proprio di non ritrovarmelo in classe quest’anno!»
Aveva commentato Doremi stringendo un pungo. Marina, che non si era neppure accorta dell’attimo di estraniamento della sua amica, sorrise.
«Spero che capiteremo nella stessa classe noi due. Tu sei sempre così divertente.»
Le aveva confessato infine. Doremi sorrise di rimando. Anche lei si augurava lo stesso.
 
«Mh, ci sono meno studenti di quanto mi aspettassi.»
Commentò Doremi dopo che ebbero varcato il cancello principale della scuola.
«Ma come non lo sai? I ragazzi del primo anno cominciano un giorno prima rispetto a tutti gli altri, in modo che lo smistamento nelle nuove classi possa svolgersi con più calma.»
«Ah? Non lo sapevo.»
Marina annuì ed indicò una grande bacheca.
«Quelle liste costituiscono i nuovi appelli, andiamo a dare un’occhiata.»
Passarono un paio di minuti cercando i loro nomi sulla lista, insieme ad altre decine di studenti che facevano lo stesso.
«Qui non ci sono… Neanche qui… Ehi Marina, ho trovato Kaori, guarda! Pare che sarà in classe assieme a Oota del trio SOS, non la invidio proprio… Ehi ma qui c’è il tuo nome!»
Disse infine, facendo posto all’amica.
«Hai ragione, quella è la mia data di nascita. Doremi, guarda! Ci sei anche tu.»
La rossa seguì il dito che indicava proprio il suo nome. Improvvisamente sentì un tuffo al cuore, l’idea di essere nella stessa classe con qualcuno che conosceva già da sei anni la faceva sentire molto meglio.
«Vediamo chi altri c’è…  Sugiyama… Sachiko… Masaru… e Tetsuya. Ah che bello, ma siamo già in sei!»
Una gocciolina spuntò sulla fronte di Doremi.
«Anche Tetsuya… eeeh. Non c’è proprio possibilità di sfuggire al destino!»
Disse infine con un tono rassegnato, ma Marina era decisa a risollevarle il morale.
«Guarda il lato positivo, non sarai completamente da sola in una classe tutta nuova.»
Le disse infine, prendendola per mano e correndo verso la classe 1-C.
Doremi sorrise. Aveva proprio ragione.

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Capitolo 2
*** La nuova compagna di classe ***


-LA NUOVA COMPAGNA DI CLASSE-
 

La nuova classe di Doremi era al quarto piano di una struttura alta sette piani. L’uso dell’ascensore era consentito solamente agli insegnanti, per cui le ragazze salirono ad uno ad uno tutti gli ottanta gradini. Quando raggiunsero il quarto piano Doremi era esausta.
«Prima la corsa, poi anche la salita, giuro che non mi sveglierò mai più in ritardo.»
Piagnucolò aggrappandosi al corrimano.
«La sezione C è da questa parte andiamo.»
«Uff non ce la faccio più.»
Ansimò Doremi trascinando i piedi.
Quasi tutti i suoi nuovi compagni di classe erano arrivati e avevano preso posto. Quando lei e Marina avevano varcato la soglia tutti si erano voltati a fissarle con un’espressione confusa. Doremi li capiva bene, anche lei si sentiva un po’ spaesata in quel nuovo ambiente.
«Oh, guarda c’è Masaru, ciao Masaru! Hai preso posto all’ultimo banco come al solito, non è così?»
Gli aveva urlato Doremi dall’altro lato dell’aula. Il ragazzo, per tutta risposta, le aveva fatto un cenno con la mano con aria indifferente.
«Quel tipo non cambia proprio mai.»
Esclamò Doremi con un sospiro.
«Mi era sembrato di sentire i tuoi toni soavi, Dojimi*
La voce arrivava da un posto al centro esatto della classe. Doremi non ebbe bisogno di voltarsi per sapere a chi appartenesse.
«Tetsuya smettila di chiamarmi così!»
Urlò uscendo dalla bocca la lingua biforcuta. Il ragazzo rise di gusto, le piaceva così tanto torturarla.
Qualcuno aveva colpito dolcemente la spalla di Doremi con un giornale.
«Signorina, che ne dice di prendere posto ed iniziare la lezione e posticipare i convenevoli a più tardi?»
Una donna dall’aspetto severo la stava scrutando dall’alto.
“Oh no, questa deve essere la nostra nuova insegnante! Accidenti che figura. Se solo non fosse stato per Tetsuya ed i suoi stupidi scherzi…”
Doremi s’inchinò e balbettò delle scuse, poi corse a sedersi in uno dei pochi posti liberi che erano rimasti, che fatalità si trovava non troppo distante da Tetsuya. Mentre prendeva posto gli rivolse un’occhiataccia velenosa, ma lui di nascosto le fece la linguaccia.
“Che tipo, non cambierà mai!”
«Buongiorno a tutti quanti nuovi studenti della scuola media pubblica di Misora e benvenuti. Il mio nome è…-
La porta si aprì bruscamente interrompendo la professoressa. Una ragazza entrò in classe ansimando. Si avvicinò alla cattedra della professoressa e fece un profondo inchino.
«Chiedo scusa, sono in ritardo. Prometto che non capiterà mai più.»
La ragazza parlava con un forte accento delle regioni del nord. Aveva i capelli castano scuro lunghi fino alle spalle, decorati con graziose spille color turchese e gli occhi chiarissimi color verde acqua. La professoressa e gli studenti le rivolsero un’occhiataccia.
«Me lo auguro signorina, se è vero che le prime impressioni sono quelle che davvero contano, sappi che la tua è stata pessima. Adesso va’ a sederti.»
Con lo sguardo basso la ragazza percorse il piccolo corridoio tra i banchi e prese posto di fianco a Doremi. Lei non poteva affatto biasimarla, per poco non era capitato a lei essere in ritardo!
«Ora che ci siamo tutti, procederei con le presentazioni. Io sono la signorina Shuto*, la vostra nuova professoressa. Sono una donna molto esigente, non tollero la mancanza di rispetto e la violazione delle regole, per cui, se ci tenete ad essere miei alunni, vi consiglio di mantenere un atteggiamento impeccabile.»
La classe la fissava in religioso silenzio. Sembrava che persino le zanzare preferissero tenersi al largo da quell’aula.
«Dunque vi consiglio di attenervi alle regole dell’istituto, la puntualità in primis, e in quel caso vi prometto che diventeremo ottimi amici.»
La signorina fece una smorfia che pareva un sorriso, ma avrebbe anche potuto essere una paralisi.
«E adesso vi chiedo di raccontarmi qualcosa di voi, chi siete, da che scuola elementare provenite, quali sono i vostri hobby e quali obiettivi desiderate raggiungere in futuro. Cominciamo dai primi banchi.»
Ad uno ad uno i nuovi studenti si presentarono. I primi erano piuttosto nervosi e impacciati. Doremi non stava ascoltando nessuno, pensava piuttosto a cosa dire.
Voleva fare una bella figura con la sua nuova classe, ma davvero non sapeva cosa dire.
“Mi piace la musica, ma non suono nessuno strumento… (beh ma questo è a dir poco patetico) amo i dolciumi, ma non me la cavo tanto bene ai fornelli (così darai l’impressione di essere un’ingorda) mi piacciono gli animali e in particolare i cani (…ma non ne possiedo uno!) Uff com’è difficile, forse dovrei ascoltare qualcuno dei miei compagni e trarre l’ispirazione da loro”
«Grazie mille Marina, e tu, ragazzina dai capelli rosa, cosa ci racconti di te?»
La professoressa la stava fissando. Era talmente concentrata sul suo discorso che non si era neppure accorta di essere la prossima della lista. Rimase in silenzio per un attimo, completamente spiazzata.
“E adesso cosa dico?”
Si alzò in piedi con gambe tremanti, poi si schiarì la voce.
“Improvvisa!”
«Salve a tutti, io sono Doremi Harukaze, provengo dalla scuola elementare pubblica di Misora e mi sono diplomata con voti nella media. I miei hobby sono la magia e i Battle Rangers, amo le bistecche e il mio sogno nel cassetto è quello di possedere una bisteccheria un giorno, cos’ potrò mangiare tutte le bistecche che desidero gratis.»
In classe calò il silenzio più assoluto.
“Ma cosa mi salta in mente?”
Tutti la stavano osservando con un’espressione indecifrabile. Stava cominciando a sudare. All’improvviso una grassa risata ruppe il silenzio.
La ragazza dai capelli scuri che era arrivata in ritardo e sedeva al fianco di Doremi stava ridendo a crepapelle tenendosi lo stomaco.
«Come… sei… buffa»
Disse infine, e altre risate si unirono alla sua.
Doremi non capiva se quella tipa volesse farle un complimento o insultarla, nel dubbio si passò una mano dietro la testa e, con un sorriso forzatissimo, si rimise a sedere.
«Bene, signorina, le andrebbe di proseguire?»
La incalzò la professoressa, ignorando il siparietto che si era appena creato e riportando l’aula in silenzio. La ragazzina si alzò in piedi e si asciugò le lacrime dagli occhi, non riusciva ancora a smettere di sorridere.
«Il mio nome è Makoto Kyosuke e mi sono trasferita lo scorso mese da Hokkaido a causa del nuovo lavoro di mio padre. I miei hobby sono il calcio e le frittelle, e ora che ci penso, non sarebbe male gestire un ristorante che serva frittelle, potrei mangiarne a volontà senza dover neppure pagare.»
Makoto rivolse un sorriso raggiante a Doremi, che arrossì senza dire nulla.
«Sul serio ti piace il calcio?»
Domandò Tetsuya con interesse.
«Sì, nella mia vecchia scuola facevo parte di una squadra femminile, ma qui le squadre sono prettamente maschili e quindi non riesco più a praticare il mio sport preferito»
Makoto sorrise tristemente.
«Beh, io gioco sempre molto volentieri a calcio, ma non pensavo che anche le ragazze si interessassero a questo sport.»
«Ah sì, è la mia passione più grande, sono un'ottima attaccante.»
Gli occhi della ragazza scintillarono, ma Tetsuya le rivolse un’occhiata sbieca.
«Questa non me la bevo! E poi l'attaccante migliore della scuola ce l'hai proprio di fronte.»
Sugiyama e qualche altro ragazzo emisero un risolino, ma Makoto non vi diede peso.
«Dammi giusto il tempo di tornare in forma, poi vedremo chi riderà».
 
La lezione era finita prima quel giorno, Doremi faceva la strada di ritorno assieme a Marina.
«La professoressa è un vero incubo, nulla a che vedere con la signorina Seki.»
Si lamentò Doremi.
«Hai ragione, sembra una donna imperscrutabile, faremmo meglio a non darle del filo da torcere.»
Concordò Marina, leggendo l’orario scolastico che sarebbe entrato in vigore il giorno seguente.
«E che te ne pare dei nuovi compagni invece?»
«Non saprei, Doremi, non li conosco ancora bene, ma a prima vista sembrano tutti dei bravi ragazzi.»
«Sì, è la stessa impressione che ho avuto io.»
«Ehi, ragazze, ciao, aspettatemi!»
Ordinò una voce alle loro spalle. Makoto le stava raggiungendo di corsa.
«Vi ricordate di me? Sono una vostra nuova compagna di classe.»
«Sì, certo, siedi di fianco a Doremi.»
«Esattamente, sono Makoto. Sapete? Sono qui da poco tempo e non conosco praticamente nessuno, invece vedo che voi siete piuttosto affiatate.»
Doremi annuì con fare solenne.
«Sì esatto, noi siamo compagne sin dalle elementari, e anche se a partire dal quarto anno abbiamo frequentato due sezioni diverse siamo rimaste ottime amiche.»
«Uaooo, siete davvero così intime?»
Marina sorrise annuendo.
«Uff che invidia, io mi sento così sola. Da quando ho lasciato Hokkaido ho perso tutti i contatti con i miei amici.
»
Doremi divenne improvvisamente seria.
«Ti capisco. Una delle mie migliori amiche, Sinfony, è tornata ad Osaka dopo quattro anni passati qui a Misora, oggi è stato anche il suo primo giorno di scuola media, ma sono certa che se la sia cavata alla grande. Sinfony è una ragazza tosta, riesce a farsi voler bene da chiunque.
»
Marina confermò tutto quanto.
«E’ vero, è riuscita ad integrarsi perfettamente nella nostra classe, nonostante sia arrivata qualche mese dopo l’inizio del primo semestre. Credo che anche tu ti ambienterai bene, sai? Sembri un tipo socievole e la tua presentazione è stata  davvero divertente.»
Makoto sorrise, indicando Doremi.
-Questo lo devo tutto alla mia fonte d’ispirazione, Doremi mi hai fatta sbellicare dalle risate, ma da dove ti vengono certe battute?»
La ragazzina fece spallucce godendosi il suo momento di gloria.
«Che vuoi che ti dica? Io sono fatta così, sono piena di risorse.»
«Ehi Dojimi, non ti hanno mai detto che chi si vanta di se stesso è spesso solo un povero incapace?»
Tetsuya le superò correndo e si piazzò davanti a loro.
«Ti ho detto mille volte di smetterla di chiamarmi così, e poi io non sono un incapace, ma come osi?»
Il ragazzo sorrise beffardo, voltandosi in avanti e dando loro le spalle.
«Io stavo solo citando un vecchio proverbio, se poi ti senti chiamata in causa fatti due domande. Ci vediamo ragazze, Dojimi non prendertela!»
E, facendo loro un cenno, scattò in una corsa veloce.
«TI HO DETTO DI NON CHIAMARMI MAI PIU’ DOJIMI!»
La gola di Doremi si aprì così tanto da rivelare un’ugola enorme con le stesse sembianze della sua padrona.
«Uff, quant’è fastidioso, non lo sopporto!»
Si lamentava Doremi sbattendo i piedi per terra.
«Conoscete bene quel tipo?»
Domandò Makoto, indicando la sagoma ormai lontana di Tetsuya.
«Sì, anche lui era un nostro compagno di elementari, si chiama Tetsuya Kotake.»
Spiegò Marina con semplicità.
«Ed è un grandissimo maleducato, non ha nessun tipo di rispetto, ti consiglio di stargli il più lontano possibile.»
Gridò agitando il pugno verso il cielo.
Makoto rivolse un ultimo sguardo alla figura snella che ormai sembrava svanita nel nulla.
«Beh, pare proprio che qualcuno dovrà dargli una lezione.»


 
DIZIONARIO (JUST IN CASE)
*Dojimi è l'appellativo infelice con cui Tetsuya chiama Doremi nella versione giapponese. Sfortunatamente non conosco il significato della parola.
*Shuto, in giapponese 周到 significa "pignolo, minuzioso". Aggettivi che, a mio avviso, si addicono perfettamente alla loro nuova insegnate.

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Capitolo 3
*** La scelta ***


-LA SCELTA-
 
 
“La scuola media mi piace tantissimo! I miei nuovi compagni di classe sono dei tipi in gamba. Il professore è un tipo strano, gli piace mostrarsi rigido, ma sotto la corazza è un bonaccione che si diverte a ridere e scherzare coi propri studenti, non potrei desiderare di meglio. Dal mese prossimo cominceranno i corsi extracurriculari ed io non vedo l’ora di iscrivermi a qualche attività sportiva, mi sento piena di energie!
Mamma e papà vanno più d’accordo che mai, non li avevo mai visti così affiatati! Persino il nonno è diventato meno burbero adesso che comincia ad abituarsi alla nostra presenza, sono sicura che uno di questi giorni gli strapperò una risata.
A Osaka c’è ancora un clima stabile, nei pomeriggi in cui non ho molto da fare mi piace passare al parco pubblico che è sempre gremito di persone. Mi ricorda molto quello di Misora.
Confesso che mi mancate, ragazze, ma qui non me la passo affatto male. So che mi integrerò bene, prima o poi. Sì, sono felice.
E a voi come procedono le cose? E’ successo qualcosa di interessante in questa prima settimana scolastica? Aspetto quanto prima un vostro messaggio. Con affetto, Sinfony”

 
I cellulari di Doremi e Melody avevano vibrato nello stesso istante. Le due ragazze si trovavano a casa della seconda, sedevano in cucina e il tavolo da pranzo era cosparso di brochure e fogli di carta gettati alla rinfusa.
«Ehi, è un messaggio di Sinfony.»
Disse Doremi, premendo alcuni tasti sul suo apparecchio.
«Davvero? Cosa dice?»
Chiese Melody, senza nemmeno alzare la testa dal cumulo di carta che si trovava sotto il naso.
«Che sta bene. Sono felice per lei»
Sorrise Doremi, digitando qualcosa, ma Melody le afferrò un braccio impedendole di proseguire.
«Non è il momento di pensare ai messaggini Doremi, è una cosa seria, devi concentrarti.»
Le ricordò, spingendole il capo contro il questionario che avrebbe dovuto compilare.
«Uff, ma io non ne ho alcuna voglia adesso, non ne vedo l’utilità.»
«Sai bene che tutti gli studenti delle scuole medie devono iscriversi ad almeno un’attività extrascolastica, è il regolamento. Una volta che scegli un corso non puoi più tirarti indietro, anche se non è di tuo gradimento, quindi prendi la cosa seriamente se non vuoi che i tuoi voti finali vengano influenzati negativamente.»
La rimproverò l’amica, che con la penna in mano aveva tracciato linee invisibili nell’aria, alla quale Doremi parve piuttosto interessata.
«Non è giusto che ci facciano scegliere così presto, la scuola è iniziata da meno di una settimana, sono la ragazzina più infelice della terra!»
Piagnucolò portandosi le mani sopra le orecchie. Melody non la stava nemmeno a sentire, concentrata com’era. L’amica se ne accorse.
«Ma tu come mai stai ancora scrivendo? Pensavo che la tua decisione fosse ovvia: lezioni di musica. Non dirmi che adesso non ti interessa più diventare una violinista!»
Chiese allarmata, spalancando le palpebre. Melody sollevò finalmente la testa e la guardò dentro gli occhi a palla sorridendole in modo rassicurante.
«Certo che no, il violino è stata la mia prima scelta, ma ci sono talmente tanti altri corsi che mi incuriosiscono… Ad esempio questo qui, guarda»
Doremi osservò la brochure indicata dall’amica e socchiuse gli occhi poco convinta.
«Corso di cucito? Ma davvero?»
Domandò con un sopracciglio che vibrava.
«Ho pensato che, avendo già imparato a filare, non dovrebbe essere poi tanto difficile.»
«Beh, magari no… Che peccato non ci sia un corso che insegni a lavorare l’argilla, i ciondoli che creavi quando lavoravamo al MAHO andavano a ruba. I miei invece erano un disastro, rimanevano sempre invenduti.-
Sospirò, dando un’occhiata al suo elenco, vergognosamente vuoto.
«La verità è che, per quanto mi sforzi, non sono brava in nulla. Perché devo sempre essere così incapace?» Domandò più a se stessa che alla sua amica. Melody le rivolse un’occhiata comprensiva e la prese una mano fra le sue.
«Secondo me hai solo bisogno di tempo. Sono certa che un giorno troverai qualcosa in cui sarai veramente brava, anzi imbattibile.»
La rassicurò, ma la rossa non voleva saperne di tirarsi su.
«Ma quando scoprirò in cosa sono brava? Tutte voi avete delle abilità speciali che vi rendono uniche: tu sei un’ottima violinista, Sinfony eccelle in tutti gli sport o quasi, Mindy è una pasticcera coi fiocchi, Lullaby è una forza della natura e persino Bibì si è rivelata una pianista degna di nota, mentre io invece non so fare nulla, nulla! Da’ un’occhiata qui: corsi di cucina, pittura, manualità, teatro… Io non sono capace!»
Mugolò sprofondando sulla sua sedia.
«Tutti sanno già cosa fare della loro vita, eccetto la pasticciona Doremi.»
«Dai, non dire così! Come puoi affermare di non essere brava senza averci nemmeno provato? Ricordi quando incontrasti la strega Mirai
Doremi risollevò il capo e fissò gli occhi castani dell’amica.
«Lei ti insegnò a lavorare il vetro. Non fu certo facile, dato che non l’avevi mai fatto prima, ma lei si dimostrò paziente, e di volta in volta per te divenne sempre più semplice. Hai solo bisogno di qualcuno che creda in te e ti incoraggi, ma prima di tutto devi porti un obiettivo. Non arrenderti prima ancora di iniziare, o rischierai sul serio di fallire.»
Gli occhi di Doremi iniziarono a tremare.
«Non dimenticare che fino a poco tempo fa eri una strega a tutti gli effetti, e che ti sei guadagnata quel titolo superando un esame dopo l’altro. Non è certo cosa da poco.»
Melody le rivolse un sorriso gentile che la rese ancora più bella di quanto non fosse. Doremi le getto le braccia attorno al collo.
«Grazie.»
 
Quella sera dopo cena Doremi si rinchiuse nella sua camera e sparpagliò tutti i volantini dei corsi che proponeva la sua scuola sulla scrivania. Erano tantissimi, ma doveva scegliere. Ebbe la geniale idea di scartare tutti quelli in cui non sarebbe mai riuscita ad emergere, come pittura, manualità e teatro. Poi fece due pile; da una parte c’erano i corsi che riteneva interessanti, dall’altra quelli in cui forse non sarebbe stata un completo disastro, ad esempio musica.
“In fondo da piccola mia madre mi ha impartito lezioni di pianoforte.”
Si disse.
“Che peccato che non ci sia un’attività interessante come lavorare il vetro, sarei partita avvantaggiata rispetto a tutti gli altri.”
Gettò uno sguardo ai depliant riguardarti lo sport e sbuffò.
“Sono scoordinata come pochi, rischio di inciampare persino quando cammino.”
Si disse, appallottolando un volantino e lanciandolo contro al cestino dei rifiuti. Quello aveva urtato il bordo e poi era caduto all’esterno. Doremi sbuffò.
“Come volevasi dimostrare.”
Alla fine della selezione le rimasero solamente tre foglietti illustrativi, ma si era già fatto tardi ed era troppo stremata per poter scegliere.
“Meglio andare a dormire, o rischierò di svegliarmi tardi.”
Si infilò a letto e si coprì fin sotto il mento.
“Prometto solennemente che domani prenderò una decisione, costi quel che costi.”
 
 
Quella mattina si era svegliata puntualmente, determinata a diventare una nuova Doremi, una più matura e responsabile.
Fece colazione con the e biscotti e percorse la via che la conduceva a scuola con calma. Non le era mai capitato di camminare lentamente, di solito era in ritardo e doveva correre come un’ossessa per riuscire ad entrare in classe un secondo prima che suonasse la campanella.
Quella sensazione di calma le piaceva, magari avesse sempre potuto sentirsi così!
Mentre scendeva la collina si sentì bussare su una spalla. Quando si voltò trovò il viso sorridente di Makoto a darle il buongiorno.
«Che ci fai tu qui? Di solito sei sempre in ritardo!»
Le aveva detto con un gran sorriso sulle labbra.
«Senti chi parla, come osi farmi la predica proprio tu? UFF UFF UFF.»
Domandò Doremi mettendo il broncio.
Makoto si passò una mano dietro la testa.
«Hai ragione, forse farei meglio a tenere la bocca chiusa.»
Le due si guardarono il silenzio e dopo un attimo scoppiarono a ridere.
«Dimmi una cosa, Makoto.»
Iniziò Doremi.
«Hai già scelto il corso pomeridiano che seguirai quest’anno?»
«Ahh, non me ne parlare! Sono così furiosa.»
Strillò serrando un pugno con forza. Doremi scattò di lato e rimase imbambolata in una strana posizione, con le braccia in aria e in equilibrio su una sola gamba.
«Ma perché cos’ho detto di male?»
Makoto gonfiò le guance e sporse le labbra in avanti, quasi come se volesse dare un bacio.
«Volevo entrare a far parte della squadra di calcio della nostra classe, quindi ho compilato il mio modulo e l’ho consegnato di persona al preside, e sai quello cosa mi dice? Che non esiste una squadra femminile ed io non posso iscrivermi a quella maschile perché sarebbe una violazione del regolamento (ed anche perché abbiamo un solo spogliatoio), è così ingiusto!»
Makoto si tirava i capelli in preda alla rabbia, Doremi si sporse in indietro e quasi non perse l’equilibrio, ma Makoto l’afferrò per un braccio riportandola con entrambi i piedi saldati per terra.
«Pheew grazie. Mi…Mi dispiace. In effetti lo trovo scorretto.»
Ammise, mentre le due proseguirono il cammino.
«Ah, non puoi farci niente, non è certo colpa tua. Adesso però mi trovo costretta a scegliere un altro corso, e non ho la più pallida idea di quale mi si addica di più, sono nei guai.»
Sbuffò, chinando il capo verso terra.
«Bu-huu non dirlo a me, ho scartato quasi tutte le opzioni ieri sera, mi sono rimaste tre sole possibilità.»
Confessò con voce stridula. La compagna la guardò sollevando un sopracciglio.
«Davvero? E quali?»
Doremi tirò fuori dalle tasche dei foglietti di carta stropicciati e Makoto li lesse a voce alta.
«“Corso di computer: smetti di rintanarti nella tua caverna ed entra a far parte del nuovo millennio” wow, che pubblicità accattivante… Ma non rientra nei miei interessi “Corso di musica: perché parlare quando si può cantare?”  Niente male, ma non fa per me… E questo cos’è? “Club di dibattito: se non ti sta bene, allora vieni a dircelo di persona.” Ma è geniale!»
Strillò Makoto facendo trasalire Doremi.
«Come geniale?»
«Ma non capisci? Il club di dibattito è un’ottima occasione per lamentarsi della diseguaglianza che regna nella nostra scuola.»
Doremi si grattò la testa con un dito, evidentemente confusa.
«Ma di che parli?»
Makoto agitò un pugno verso il cielo.
«Del fatto che nella nostra scuola non esista una squadra femminile di calcio! Ma insomma, non hai detto che tu che la trovavi un’ingiustizia? E allora che stiamo aspettando? Lamentiamoci! Adesso siamo solo due matricole del primo anno e nessuno starà ad ascoltarci, ma se esponiamo le nostre idee sottoforma di dibattito e le sottoponiamo ad una corte di alunni e insegnati, sono certa che anche il preside dovrà starci a sentire, e allora sì che avremo una squadra femminile.»
Due stelle scintillarono negli occhi di Makoto, mentre la ragazza alzava la voce in preda all’euforia. Doremi non sembrava così convinta della cosa.
«Tu credi che basti questo?»
Domandò dubbiosa, cercando di riportare la compagna allo stato normale.
«Ma certo! Bisogna quantomeno provarci, arrendersi subito non servirà a nulla, o mi sbaglio?»
La mente di Doremi le ripropose in un flashback la conversazione avuta il giorno precedente con la sua migliore amica: Melody, seduta al tavolo del soggiorno di casa sua che le diceva “Non arrenderti prima ancora di iniziare, o rischierai sul serio di fallire”.
L’immagine svanì in fretta, ma non prima di aver fatto germogliare in Doremi una nuova forza.
La ragazza incrociò le sopracciglia e fissò Makoto dritta in mezzo agli occhi.
«Sai cosa ti dico? Hai proprio ragione. Dobbiamo dare voce ai nostri dubbi.»
Le due si guardarono come se si vedessero per la prima volta, lo sguardo risoluto di chi ha preso una decisione irrevocabile. Pervase da un’energia nuova che donava loro vigore e determinazione si scrutarono attentamente.
«Allora posso contare sul tuo appoggio?»
Domandò Makoto senza distogliere lo sguardo dagli occhi rosa della sua nuova complice. Allungò il braccio davanti a sé e le porse la mano. Senza indugiare Doremì l’afferrò nella sua e la strinse.
«Ci puoi giurare!»

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Capitolo 4
*** Passioni & Ideali ***


- PASSIONI & IDEALI-

 
Le foglie degli alberi del parco pubblico di Misora erano ancora verdi. Quell’anno l’autunno tardava ad arrivare, e qualcuno aveva detto che, a causa di quel ritardo, l’inverno sarebbe stato più rigido.
Soffiava una leggera brezza che faceva dondolare le chiome degli alti fusti. Il cicalio alla quale ormai tutti si erano abituati era notevolmente ridotto, ma non ci si faceva caso.
Poche ore prima aveva iniziato a piovere e l’odore di terra era diventato più intenso e piacevole. L’effetto che la luce del sole combinata alle gocce di pioggia produceva sui fiori faceva sembrare che le aiuole fossero cosparse di minuscoli brillantini.
I bambini che si dondolavano sull’altalena e raccoglievano bacche erano corsi via quando aveva iniziato a piovigginare, e lo stesso avevano fatto gli scolari che si erano trovati un posticino appartato sotto un albero per studiare.
Due ragazzine nascoste sotto un ombrello arancione passeggiavano per i sentieri umidi inspirando il profumo dell’erba bagnata. Non potendo sedersi sulle panchine, decisero di continuare la loro camminata.
«Come sarebbe a dire che ti sei iscritta a ben tre corsi diversi?»
Aveva chiesto la più alta delle due. Melody, che aveva già previsto la reazione di Doremi, non si lasciò sorprendere dal suo tono di voce.
«Ho pensato che sarebbe stata una buona idea, quella di tenersi impegnati. Le lezioni di violino e quelle di danza si svolgeranno due volte alla settimana, mentre il corso di cucito avrà luogo solo il giovedì.»
Aveva spiegato pazientemente, ignorando lo sguardo stupito che l’amica le rivolgeva.
«Ma avrai tempo a sufficienza per lo studio?»
La ragazza dai capelli castani annuì.
«Alla Karen Girls’ non lasciano molti compiti, e poi potrò sempre recuperare durante il week-end.»
«Ma questo significa che non avremo più molto tempo da passare insieme.»
Esordi Doremi con una nota di preoccupazione nella voce. Melody rimase in silenzio per un attimo. Sapeva che l’avrebbe detto, la conosceva troppo bene.
«Ma Doremi, anche tu sarai impegnata con lo studio ed il club di dibattito.»
Le ricordò, sentendo che un punto dietro al suo collo aveva iniziato a riscaldarsi. Che fossero i sensi di colpa? Doremi rimase ferita da quella sua decisione, le sopracciglia si corrugarono e le sue palpebre vibrarono per una frazione di secondo.
“Non fare la bambina adesso.”
Le aveva intimato una vocina nella sua testa. Pochi giorni prima aveva deciso che sarebbe diventata una persona nuova, una ragazza determinata che non si lascia abbattere dagli eventi improvvisi della vita, ma che invece impara a farne dei nuovi trampolini di lancio. Aveva deciso di maturare.
Allungò gli angoli della sua bocca e mostrò all’amica un sorriso radioso.
«Hai ragione, per un attimo me ne ero completamente dimenticata. E poi possiamo sempre sentirci per telefono, no?»
Melody la guardò con uno sguardo raggiante, lieta che l’avesse compresa.
«Ma sì, certo!»
L’amica le rivolse un’occhiata di gratitudine e poi tornò a fissare dritto davanti a lei per evitare di pestare qualche pozzanghera, raccontandole qualcosa a proposito della sua nuova classe.
Non si accorse dello sguardo infelice che era spuntato sul volto di Doremi.
“Chi prendo in giro? Io non sono quel tipo di persona. Non sono risoluta, non so cavalcare le onde, piuttosto mi faccio trascinare via dalla corrente. Eppure Melody non si è accorta della mia menzogna. Forse basta solo che reciti la parte della donna matura, forse basta solo che convinca gli altri. Magari col tempo imparerò a gestire meglio le mie emozioni, chi lo sa? Devo ancora fare pratica, in fondo sono solamente una bambina di undici anni che frequenta il primo anno delle medie.”
 
 
Il martedì seguente si tenne la prima riunione del club di dibattito. Il gruppo era formato da tredici studenti e comprendeva i ragazzi dal primo all’ultimo anno. Era coordinato da una professoressa smilza dal viso dolce, la signorina Asami.
Durante il primo incontro gli studenti si presentarono al resto della classe così come avevano fatto il primo giorno di scuola, poi spiegarono quali motivi li avevano indotti adi iscriversi proprio a quel corso lì. Doremì balbettò qualcosa come “voglio contribuire al cambiamento della mia scuola” che suonava non solo poco convinto, ma anche piuttosto ripetitivo, dato che era la stessa risposta che aveva già dato metà dei partecipanti.
«Adesso che ci conosciamo tutti quanti vorrei darvi un piccolo compito: desidero che scriviate su un foglio di carta tutto ciò che non vi piace della nostra scuola. Avete quindici minuti di tempo, buttate giù tutto quello che vi viene in mente senza vergognarvi, nessuno verrà giudicato.»
Alcuni membri cominciarono a scrivere immediatamente, tra cui Makoto che muoveva convulsamente il braccio graffiando con la punta della penna la superficie liscia del foglio di carta. Doremi la sbirciò da dietro le spalle e notò che aveva riempito quasi mezza pagina. Si accorse anche che molti altri studenti, proprio come lei, sembravano non avere neppure un’idea.
“Uff, ma cosa ci faccio qui? Non so nemmeno cosa scrivere. Cosa non mi piace della scuola? Non lo so, la frequento da poco più di due settimane.”
Pensò, sprofondando nella sedia.
“Finora non ho trovato qualcosa di cui potermi lamentare, c’è solo una cosa che renderebbe questo posto migliore.”
Improvvisamente ebbe un’illuminazione, sapeva benissimo di cosasi trattasse. Scrisse velocemente qualcosa in maniera disordinata prima che il tempo a loro disposizione scadesse.
«Allora, chi di voi ha scritto qualcosa? Vuoi iniziare tu, Doremi?»
La incalzò la professoressa, vedendola concentrata sul suo progetto. Doremi si alzò dalla sua sedia e si schiarì la voce.
«Ritengo che la scuola sia in buone condizioni ma riflettevo sul menu della mensa… Beh ecco io… Se toccasse a me decidere… Farei in modo che almeno una volta alla settimana agli studenti venga concesso di mangiare la bistecca.»
Il viso dei presenti cambiò; al posto degli occhi avevano dei puntini neri e la bocca era sparita, sulle loro fronti vagavano dei puntini di sospensione. L’angolo destro della bocca della signorina tremò.
«La… bistecca?»
Doremi, che fino a un attimo prima aveva creduto di partorire l’idea più geniale del mondo,  divenne improvvisamente seria.
«Che cosa c’è che non va?»
Aveva chiesto, notando le occhiate sbigottite che tutti le stavano rivolgendo.
Una fragorosa risata ruppe l’aria.
«Lei ama… Davvero tanto le bistecche… Che vuole persino mangiarle a scuola!»
Makoto era sdraiata sul pavimento, battendo i pugni per terra, incapace di contenere le lacrime che schizzavano da tutte le parti.
«Doremi quanto sei divertente!»
Le aveva detto additandola.
«Voi non capite, questa ragazza ama le bistecche, sono la sua passione più grande.»
Aggiunse, giustificandola col resto della classe, ancora in preda a risate isteriche. Una gocciolina scese sulla fronte di Doremi, che mise il broncio.
«Ma scusa signorina, lei aveva detto che non saremmo stati giudicati, UFF UFF UFF!»
La professoressa, in evidente imbarazzo, agitò le mani in senso di diniego.
«Ma no, scusami, non volevamo offenderti, è solo che pensavo a qualcosa di diverso dal menu della mensa scolastica, ma se non ci sono altre proposte direi di seguire il tuo consiglio e proporre al consiglio studentesco di approvare la tua mozione.»
Si affrettò a dire, augurandosi con tutta se stessa che un altro studente avesse avuto una qualsiasi altra idea.
«Io avrei una proposta.»
Un studentessa del terzo anno alzò la mano e la signorina Asami tirò un sospiro di sollievo.
«Sì, prego. Dicci pure Sora.»
«Faccio parte del club di dibattito da tre anni, ma non ho ancora visto realizzarsi il mio desiderio; vorrei che la scuola organizzasse un ballo, come accade in America.»
Le ragazze emisero uno squittio deliziato, evidentemente affascinate da quell’idea.
L’insegnate trasse un lungo sospiro.
«Sora, quante volte devo ripetertelo? Un evento del genere necessita di una lunga organizzazione, ed i costi per realizzarlo non sono certo bassi, anzi…»
Sora si alzò dalla sedia, stringendo i pugni.
«Ma io sono sicura che potremmo trovare il denaro sufficiente se solo ci impegnassimo tutti insieme nella realizzazione di questo progetto. Perché non volete darmi retta?»
Sora sembrava piuttosto delusa dalla risposta della professoressa, ma qualcosa nel suo tono di voce faceva intuire che se lo aspettava.
La signorina Asami la guardò con dolcezza, come se volesse accarezzarla con lo sguardo.
«Sai bene che la tua proposta non ha avuto successo gli anni passati, ed è per questo che non ci abbiamo mai nemmeno provato. In questa sede non sono io a decidere, ma tutti voi, esprimendo il vostro voto. So che ci tieni molto, ma non posso accontentare la tua richiesta solo perché mi fai simpatia, capisci?»
Sora abbassò lo sguardo per terra.
«Sì, lo so. Ma non voglio arrendermi. Se non riesco ad ottenerlo quest’anno, ci riproverò quello successivo. Farò in modo che la scuola media di Misora organizzi il più bel ballo di fine anno scolastico, e tutti gli studenti si ricorderanno di me. Non getterò la spugna.»
La professoressa sorrise compiaciuta, le piaceva vedere così tanta determinazione in una ragazzina di quell’età. Doremi guardava la sua compagna con sincera ammirazione. Avrebbe voluto somigliare un po’ di più a Sora, avrebbe voluto desiderare qualcosa così ardentemente da lottare con tutte le sue forze per ottenerla, senza lasciarsi scoraggiare dagli insuccessi. Sarebbe mai diventata quel tipo di persona?
La voce di Makoto la riportò alla realtà.
«Io ritengo che la nostra scuola dovrebbe fondare una squadra di calcio femminile. E’ ingiusto che a noi donne venga vietata quest’opportunità, chi ha mai detto che il calcio sia uno sport prettamente maschile? Il calcio è la mia passione, lo seguo sin da quando ero una bambina. A Hokkaido praticavo questo sport assiduamente, ma da quando vivo qui ho dovuto interrompere gli allenamenti perché tanto non servirebbe a nulla. Beh, sapete cosa? Non mi va giù. Io e tutte le altre bambine della scuola dovremmo poter avere il diritto di divertirci calciando un pallone, dovremmo poter partecipare alle competizioni sportive contro le altre scuole. Questa è la mia proposta, spero di ottenere il vostro voto per la mia causa.»
E, facendo un profondo inchino, tornò al suo posto. La signorina Asami era rimasta colpita dalle parole e dallo spirito combattivo di quella ragazzina. Quell’anno ci sarebbe stato da divertirsi al club!
«Molto bene. Abbiamo ascoltato i suggerimenti di tre alunne, adesso il resto di voi dovrà votare la causa del dibattito che affronteremo quest’anno. Prendetevi tutta la settimana per pensarci su e procederemo agli scrutini martedì prossimo, durante la seconda riunione. Ringrazio tutti voi per i vostri interventi, e che vinca il migliore.»
 
 
Doremi la prese in parola, pensò agli argomenti trattati alla riunione per tutto il pomeriggio.
Riflettendoci bene, l’idea di Makoto era sicuramente la più sensata, sostenere la sua causa avrebbe significato lottare per ottenere un diritto, ma allo stesso tempo era così attratta dall’idea di organizzare un ballo scolastico che non sapeva davvero per quale delle due mozioni votare.
Una cosa era certa: l’idea di mangiare bistecche a pranzo non interessava proprio a nessuno!

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Capitolo 5
*** La ragazza che tutti vorrebbero essere ***


-LA RAGAZZA CHE TUTTI VORREBBERO ESSERE-
 
 
La campanella era già suonata mentre lei si trovava ancora sulle scale.
«Questa non ci voleva!»
Disse a voce alta, pompando con più forza le gambe snelle. Si fermò solo quando si trovò davanti alla porta della sua classe. Rimase un attimo fuori tentando di riprendere fiato, le mani poggiate sulle ginocchia. Aveva fatto una lunga corsa, ma non era riuscita ad arrivare in tempo. Allungò la mano verso la maniglia e la girò velocemente.
«Sono desolata signorina. Spero che voglia lasciarmi entrare.»
Senza nemmeno varcare l’uscio s’inchinò in direzione della cattedra che avrebbe dovuto ospitare la sua insegnante. Avrebbe dovuto, ma in effetti dell’insegnate non c’era ombra. Ora che ci faceva caso, neanche i suoi compagni erano seduti ai loro posti, le sedie ed i banchi erano completamente vuoti, tutti ad eccezione di uno solo.
«Dove sono tutti gli altri?»
Aveva domandato la ragazza in tono greve all’unico presente; un ragazzo alto dalla capigliatura disordinata e gli occhi chiari e profondi come gli abissi dell’oceano.
«Non ricordi? Oggi la lezione di botanica si svolge nel giardino scolastico.»
Gli occhi della ragazza si spalancarono. L’aveva completamente rimosso dalla mente. Si voltò per ripercorrere lo stesso tragitto e tornare al piano di sotto, ma qualcosa le fece tornare sui suoi passi.
«Perché non sei con gli altri? Che cosa ci fai qui tutto solo?»
Lui la guardò dritto in mezzo agli occhi.
«Stavo aspettando te.»
«Me? E perché mai?»
«Beh non è ovvio? Volevo scusarmi.»
Le pupille della giovane si dilatarono. Che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto? Si guardò intorno cercando dei possibili complici, ma non scorse nessun altro. No, quei due erano da soli, ne era certa.
«So bene che mi sono comportato da stupido con te, anche se mi ci è voluto un po’ prima di rendermene conto.»
La fanciulla tremava di rabbia, se pensava di cavarsela con delle banali scuse era fuori strada.
«Se sai di aver sbagliato, allora perché hai continuato? Perché hai voluto fare di me il tuo sfogo? Hai idea di quanto le tue burle mi abbiano fatto male?»
Lui scattò in piedi, le gambe della sedia stridettero fastidiosamente sul pavimento della classe.
«Perché l’ho capito troppo tardi. Prima d’ora non mi ero mai reso conto di quanto fossi stato crudele nei tuoi confronti, ed adesso che tutto è chiaro voglio porgerti le mie più sentite scuse. Sono… Sono uno scemo, ecco tutto.»
Gli occhi di lei vibrarono. Cosa mai poteva averlo reso così saggio tutto d’un tratto?
«La verità è che…»
Le disse, facendo dei piccoli passi verso la sua direzione.
«…E’ difficile da ammettere.»
Le confessò, portandosi le mani sulle tempie. Doveva organizzare i suoi pensieri.
Lei lo guardava con i suoi grandi e lucenti occhi scuri, l’espressione vacua di chi non capisce cosa stia succedendo.
Il giovane trasse un profondo sospiro e la guardò. Gli tremavano le mani, non era mai successo prima d’allora. Si sentiva un emerito idiota, come poteva anche solo pensare che le interessasse cosa avesse da dirle? Ma ora che aveva iniziato, non poteva più fermarsi.
«Ascoltami. La verità è che mi sono comportato così solo perché tu mi piaci.»
Lei si portò le mani alle orecchie, rifiutandosi di ascoltarlo.
«Non prendermi in giro adesso.»
Lui si avvicinò con passo svelto, fino a quando non si trovò proprio di fronte a lei.
«Non sono mai stato più serio di così in tutta la mia vita. Mi piaci, mi sei sempre piaciuta, ho cercato di nasconderlo, ma non ci riesco. Ti penso continuamente, ti cerco quando non sei nei paraggi, ti osservo sempre da lontano, anche se tu non te ne sei mai accorta.»
Aveva preso le mani di lei nelle sue, ma lei non gli credeva. Con uno scatto voltò la testa di lato, non voleva sentire altro, tutto quello era assurdo e non poteva accettarlo. Lui sorrise dolcemente e le poggiò una mano sul viso.
«Non combattere i tuoi sentimenti, so che anche tu provi le mie stesse emozioni.»
Lei lo guardò finalmente negli occhi, incredula.
«Come fai a saperlo? Chi te lo ha detto?»
Lui le spostò una ciocca di capelli dalla fronte. Fece un sorriso beffardo.
«Ma come chi? Sei stata tu; il tuo sguardo, il tono della tua voce, il tuo comportamento. Non hai segreti per me.»
Una lacrima le scivolò sulla gote e scese fino al mento. Lui la guardò con serietà.
«Non devi piangere, sii felice. I tuoi sogni adesso stanno per avverarsi.»
Lentamente avvicinò il volto a quello di lei. Sporse le labbra quel poco che bastava per raggiungerla.
«STOP!»
Le luci si spensero all’istante.
«Bravissima Lullaby, sei stata molto convincente. Taichi, non è andata male, ma mettici più sentimento, ragazzo mio! Ricordati che il tuo personaggio è un ragazzo innamorato.»
I due giovani si allontanarono reciprocamente l’uno dall’altro. Lullaby si asciugò la guancia con la manica della sua maglietta.
«Questo prodotto è troppo forte, sembra di pelare un sacco pieno di cipolle!»
Disse a voce alta, e quattro truccatrici la raggiunsero per aiutarla a rimuovere la crema al peperoncino che avrebbe dovuto farle luccicare gli occhi.
«Sei stata bravissima!»
Sua madre, che aveva seguito l’intera scena la fissava con orgoglio.
«Mi sono quasi commossa vedendo quell’espressione assorta sul tuo viso, non ti avevo mai vista così incantata.»
Lullaby le rivolse un’occhiata divertita.
«Mamma, ricordati che si tratta solamente di lavoro, non sono mica innamorata per davvero.»
Scherzò, uscendole la lingua. Anche Miho le sorrise.
«Questo lo so bene.»
 
 
Poco dopo le riprese, mamma e figlia si trovavano in auto dirette verso casa. Lullaby ripassava il copione più pesante che avesse mai tenuto tra le mani. Sua madre la osservava con la coda dell’occhio.
«Spero che questo film non ti rubi troppe energie.»
Le aveva detto preoccupata.
«E’ una parte che richiede molto impegno. Pur non essendo la protagonista, appari in moltissime scene del film...»
Lullaby alzò lo sguardo e lo rivolse allo specchietto retrovisore che le permetteva di conversare con sua madre durante la guida.
«No, sto bene, in realtà mi piace molto questa sceneggiatura, anche se il mio nuovo personaggio non ha nulla in comune con quelli che ho interpretato precedentemente.»
Miho corrugò le sopracciglia, cambiando marcia.
«E’ troppo impegnativo, non è vero?»
Lullaby annuì con semplicità.
«Sì, ma è giusto che sia così. Oramai non posso più recitare la parte della bambina, se voglio crescere come attrice devo impegnarmi in ruoli sempre più complessi. Kai, la ragazza che rappresento sullo schermo, ha una personalità molto diversa dalla mia: è estremamente timida ed è talmente fragile che fatica ad esprimere i propri sentimenti. Per me non è certo facile entrare nei suoi panni e dare al pubblico la sensazione che siano i miei, ma è proprio questo che mi spinge a dare il meglio.»
Lullaby guardò attraverso il finestrino, le numerose insegne al neon degli edifici le sfrecciavano davanti colorando il suo viso.
«Il mio sogno è quello di diventare una grande attrice di fama mondiale, e non riuscirò a realizzarlo se continuerò ad accettare ruoli minori e ad interpretare personaggi con poco spessore.»
Gli occhi di Miho si incurvarono verso il basso. Non avrebbe potuto essere più fiera di sua figlia, e di sé stessa che l’aveva messo al mondo e cresciuta. Lullaby era forte, pavida, determinata, sicura di sé e delle sue abilità.
Come aveva fatto a creare un capolavoro del genere?
 
Tornata a casa, Lullaby cenò e fece un lungo bagno rilassante. Con ancora l’accappatoio addosso e una tovaglia in testa a mo’ di turbante, si sdraiò sul letto.
“Questa volta devo tirare fuori il meglio di me. Il regista è molto esigente, non si accontenterà di un’interpretazione mediocre. Ci sono tantissime aspiranti al mio ruolo, e alcune di queste sono davvero capaci, le ho notate durante i provini. Sono stata privilegiata solamente perché ho un viso conosciuto, ma se non prendo la cosa seriamente non si faranno scrupoli a sostituirmi e non posso assolutamente permettermelo.”
Affondò il viso tra le pagine del copione che si portava sempre dietro, rileggendo a voce alta per la decima volta la stessa conversazione.
Ad un certo punto il cellulare vibrò, distraendola. Lo afferrò in mano e lesse il messaggio che la sua amica Doremi le aveva mandato. Sorrise immaginandosela al club di dibattito, a sindacalizzare sul menu scolastico per ottenere la sua bistecca. Sentì una morsa al cuore, le sue amiche le mancavano davvero tanto. Si maledisse per non essersi ancora fatta sentire dall’inizio della scuola, anche se tutte le altre la aggiornavano regolarmente riguardo alle proprie vite.
Aprì l’icona rappresentante una busta chiusa e premette i piccoli tasti ancora troppo duri.
 
“Care ragazze, vi prego di perdonare la mia assenza in questi giorni.
Andrò al sodo dicendovi che sono stata molto impegnata con delle riprese. Sto girando un nuovo film intitolato “la primavera del mio amore” diretto da nientemeno che Yasu Nikitoshi.
Il progetto è faticoso, lo ammetto, ma anche piuttosto stimolante, e ci sto concentrando tutte le mie forze. Sono felice di sapere che anche voi ve la passiate bene, è bello ricevere vostre notizie, mi fa sentire vicina a tutte quante.
Prometto che mi farò vedere non appena avrò un po’ più di tempo libero, ho nostalgia di Misora e di tutte quante voi.
Un caloroso abbraccio,
Lullaby.”

 


Intromissione abusiva: Carissimi  (pochi) lettori, spero di non avervi illuso troppo con la prima parte del capitolo... Mi sono divertita  un sacco ad immaginare le vostre reazioni! Suona troppo perfido?
Per giutificarmi posso dire solo una cosa: ma davvero pensavate che avrei messo quelle parole sdolcinate nella bocca di Tetsuya? Naaah!
E poi è ancora troppo presto, ho iniziato la FF solo quattro capitoli fa! Non vorrei allarmarvi, ma questa storia mi diverte al punto tale che potrei benissimo farla durare fino al giorno della mia pensione...
Ok, forse ho un po' esagerato, non prendetemi sul serio, sono una fan di Doremi in fondo!

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Capitolo 6
*** Una ragazza fortunata ***


-UNA RAGAZZA FORTUNATA-
 
 
Un rumore improvviso l’aveva svegliata. Era già mattino?
Si mise a sedere sbadigliando sonoramente. Eppure quello che aveva sentito non era il rumore della sveglia, sembrava le fosse arrivato un messaggio. Prese il cellulare tra le mani e guardò l’orario, erano appena le 7 del mattino, chi mai poteva scriverle a quell’ora? Aprì l’icona che le mostrava una busta chiusa e lesse il nome del mittente, sorridendo. Ora che ci pensava, a Tokyo doveva essere sera, quindi non era poi così strano che Lullaby decidesse di farsi viva proprio a quell’ora lì. Dopo aver letto ciò che la sua amica avesse da raccontarle si sentì improvvisamente meglio. Balzò giù dal letto e si stiracchiò la schiena, la sveglia sarebbe suonata solo pochi minuti più tardi, tanto valeva alzarsi e iniziare a prepararsi per la scuola.
I suoi genitori furono sorpresi quando la videro scendere le scale di corsa.
«Mindy, cosa ci fai già sveglia?»
Le aveva chiesto sua madre, porgendole una porzione di uova all’occhio di bue.
«Sono stata svegliata da un messaggio di Lullaby.»
Aveva spiegato la ragazzina, applicandosi l’immancabile forcina color verde acqua sulla testa.
«Mi fa piacere sapere che siate rimaste in contatto, ma dovresti spegnere il cellulare quando vai a dormire. Le tue amiche potrebbero dimenticarsi delle tredici ore di fuso-orario che intercorrono tra Tokyo e New York, rischiando di svegliarti nel cuore della notte.»
Mindy non ci aveva mai pensato. Forse anche lei qualche volta le aveva disturbate durante le ore notturne.
«Hai ragione mamma, farò come mi hai detto. Da oggi presterò più attenzione anche quando toccherà a me inviare degli SMS.»
La donna le sorrise dolcemente, apprezzando il suo senso di responsabilità.
«Ricordati che devi sempre aggiungere tredici ore all’orario locale. Questo significa che se qui sono le otto del mattino, a Tokyo sono invece le ventuno. Tutto chiaro adesso?»
Le spiegò il padre pazientemente, versandosi del caffè nero.
Mindy rispose affermativamente, scrivendosi quel promemoria sulla mano, prima di addentare un pezzo di pane tostato condito con bacon e formaggio fuso.
«Come stanno le tue amiche, a proposito?»
Kenzou si sentiva un po’ in colpa per aver allontanato sua figlia dalle sue migliori amiche. Anche se Mindy non lo dava a vedere, lui sapeva che non l’aveva presa troppo bene all’inizio, anche se adesso sembrava si fosse abituata alla sua nuova/vecchia vita nella città che non dorme mai.
«Stanno molto bene, papà. La scuola è iniziata due settimane prima in Giappone e sembra che ognuno di loro si diverta.»
«Spero racconti loro delle belle cose.»
Si augurò la madre, e ancora una volta Mindy annuì felicemente.
«Ma certo, ho raccontato loro di essere nuovamente in classe con le mie vecchie amiche Beth e Mary, e anche loro ne sono entusiaste! Doremi non fa che ripetermi di essere fortunata, e in fondo lo penso anch’io. »
I genitori le sorrisero benevolmente. Spesso si chiesero se questa vita fatta di continui girovagare giovasse alla loro piccola. I continui spostamenti dovuti al lavoro di Kenzou avevano costretto Mindy a ricominciare da zero tante volte. Sin da quando era piccola infatti, la biondina aveva sempre dovuto faticare per mettersi al pari, imparare una nuova lingua, stringere nuove amicizie, ambientarsi in nuove città ed assorbire le loro culture. Per questo motivo i due giovani coniugi avevano presto abbandonato l’idea di mettere al mondo un altro figlio.
La ragazzina afferrò lo zaino e si diresse alla porta, ma si bloccò con la mano in aria, pronta ad abbassare la maniglia. Si girò verso i genitori, desiderosa di dire loro qualcosa.
«Sapete? Per me non è stato facile all’inizio. Quando ci siamo trasferiti in America la prima volta mi sentivo così persa, nessun bambino voleva parlarmi dato che capivo a stento l’inglese, ed è stato solamente grazie alla pasticcera Monroe se ho trovato il coraggio di farmi avanti. Poi un giorno, finalmente, ero diventata una di loro, ero un’americana a tutti gli effetti, ed ero felice nel mio piccolo mondo. Ma poi papà mi ha informata del trasferimento in Giappone. E’ stato come se il mondo mi crollasse addosso, avrei dovuto abbandonare i miei migliori amici, ricominciare da capo in una nazione di cui non conoscevo neppure la posizione esatta! E’ stata dura, non posso negarlo. Ho sperato tante volte che ci ripensaste, ma non è stato così e mio malgrado, sono stata costretta a salire su quell’aereo. Il volo sembrò interminabile.»
I due adulti la guardavano con curiosità. Mindy non aveva mai confessato loro le sue insicurezze, si era sempre mostrata forte e intraprendente, e quelle parole li lasciava interdetti, facendoli sentire colpevoli, responsabili di tutte le sofferenze che non avevano neppure notato.
«E poi è iniziata la scuola, ero così spaventata, non capivo niente di quello strano metodo di scrittura. Lì incontrai Doremi, e poco dopo feci la conoscenza di Melody, Sinfony, Lullaby, Hanna e in breve tempo mi ritrovai circondata da tantissimi amici. I miei nuovi compagni di classe si dimostrarono pazienti, mi aiutarono a perfezionare il giapponese, non ridevano mai dei miei errori, incoraggiandomi a migliorare. Sono molto grata a tutti loro, ma più di tutto, sono grata a voi due.»
Kenzou e Minori, che tennero gli occhi bassi per tutta la durata della conversazione, alzarono sorpresi lo sguardo. Avevano sentito bene?
«Perché mi avete dato l’opportunità di imparare a conoscere due mondi diversi, adesso vedo la realtò molto più chiaramente, conosco molte più cose di tutti gli altri studenti della mia scuola, e ho tantissimi amici sparsi per il mondo. Se non fosse stato per il tuo lavoro, papà, io adesso non sarei così felice. Se avessi passato tutta la vita in America, non avrei mai conosciuto Doremi e le altre, e credo che la mia vita adesso sarebbe molto più vuota, più noiosa. Volevo ringraziarvi per le opportunità che mi avete concesso.»
Gli occhi di Minori luccicarono, allora non avevano commesso degli errori! Guardò suo marito e la sua voce tremò un poco quando gli disse.
«Hai visto Kenzou? Non siamo dei cattivi genitori.»
Al marito tremarono leggermente le labbra.
Mindy li fissò un po’ interdetta, sorpresa dalla reazione che avevano suscitato le sue parole.
«Ma no che non lo siete, anzi, siete i genitori migliori del mondo!»
E, dopo quelle parole, corse ad abbracciare i suoi genitori, che la ricambiarono con affetto.
«Avevamo sempre creduto di farti del male, di essere degli egoisti senza cuore.»
«Affatto mamma, vi voglio tanto bene.»
«Te ne vogliamo anche noi!»
E rimasero abbracciati per un lasso di tempo che parve lunghissimo.
«Oh my God, what am I doing?»
Urlò improvvisamente Mindy, staccandosi le braccia dei suoi genitori di dosso.
«E’ tardissimo, dovrei già essere per strada!»
Si ricordò allarmata, correndo come una furia fuori da casa.
 
 
Beth e Mary l’aspettavano al solito posto, la seconda ostentava un’espressione contrariata. Mindy non la biasimava, sapeva quanto all’amica non piacesse attendere a lungo.
«Ma ti sembra questo l’orario di presentarti?»
 Mindy si portò una mano dietro la nuca, sperava che non Mary non la facesse tanto lunga.
«Ti ho già detto che non ho nessuna intenzione di perdere dei crediti solamente perché a te piace dormire un po’ più a lungo.»
La biondina scosse le mani davanti a sé.
«Ma no, cosa dici? Non porto ritardo perché non ho sentito la sveglia, al contrario, mi sono svegliata persino prima del solito.»
Mary usò il tono autoritario che le piaceva avere in quelle situazioni.
«Allora dovresti semplicemente imparare a gestire i tuoi tempi.»
Le consigliò tagliando corto e afferrando le amiche per le braccia incamminandosi in direzione della scuola.
«Sbrighiamoci o non arriveremo in tempo, ed io non ho alcuna intenzione di sorbirmi un rimprovero a causa di Mindy.»
Beth prese le sue difese, come faceva sempre in quei casi.
«Suvvia Mary, non prendertela, in fondo non capita tutti i giorni! Se Mindy ha ritardato ci sarà stata un’ottima motivazione, non credi?»
Mary, al centro tra le due, ignorò il suo ragionamento.
«Beh, in effetti non è che ci sia un vero e proprio motivo, ho solo perso la cognizione del tempo durante la colazione.»
«Cos però non mi aiuti! Non potevi inventarti una scusa migliore?»
«I’m so sorry!»
Mary sbuffò sonoramente, quando mai aveva deciso di diventare la loro babysitter?
 

“Hey girls, how are you doing?
Qui le cose procedono bene, a scuola mi diverto tanto (anche per merito delle mie amiche) e nel pomeriggio frequento un corso professionale di pasticceria.
Ho preso una decisione: quando sarò più grande acquisterò la proprietà del MAHO appartenuto a Majo Monroe e trasformerò l’edificio nella migliore pasticceria di New York! Forse è un progetto un po’ troppo ambizioso per il momento, ma impegnerò tutte le mie energie nella realizzazione del mio sogno.
Dite che riuscirò nella mia impresa?
Ad ogni modo, la notizia sensazionale è un’altra, ed ho deciso di lasciarla per ultimo: oggi ho scoperto dai miei genitori che tra qualche mese diventerò una sorella maggiore. Ma ci pensate?
Sono così emozionata dall’idea, non l’avevo mai neanche immaginato.
Spero di esserne all’altezza, ma credo che l’esperienza acquisita con Hanna mi aiuterà in questa nuova missione. In fondo un piccolo umano è niente da gestire in confronto alla capricciosa futura regina delle streghe, non trovate?
I miei genitori mi hanno permesso di scegliere il nome del nascituro non appena scopriremo il sesso, ho così tante idee che mi frullano in testa!
Lot of love,
your friend Mindy”

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Capitolo 7
*** Amicizia ***


-AMICIZIA-
 
 
La seconda riunione del club di dibattito si tenne il martedì seguente, come pattuito una settimana prima. Le tre studentesse che avevano avanzato delle proposte a proposito del piano da seguire durante l’intero corso dell’anno si trovavano in piedi davanti al resto della classe. La signorina Asami fissava la classe da un angolo.
«Adesso vorrei che ognuno di voi alzasse la mano per votare, argomentando la sua opinione su ognuno dei temi trattati dalle vostre compagne. Cominciamo da Sora, chi desidera seguire il suo suggerimento di organizzare un ballo scolastico?»
Alcune mani si levarono in alto.
«Io credo che dovremmo seguire tutti quanti questo tema, perché si tratta di un’idea divertente.»
Aveva detto a voce bassa una ragazzina del primo anno.
«Sono d’accordo, la nostra scuola non ha mai organizzato qualcosa di simile, potrebbe portare dei vantaggi.»
Concordava una seconda studentessa, evidentemente più grande.
«Non scherziamo, stiamo davvero giudicando un ballo scolastico più importante di un corso sportivo? Io appoggio Makoto al cento per cento!»
«Non per mancare di rispetto a Makoto ma personalmente trovo il calcio uno sport noioso e l’idea di praticarlo non mi sfiora nemmeno, non capisco perché mai dovrei votare per la sua proposta.»
«Ma non si tratta di amare o meno il calcio, stiamo parlando di diritti, ed è giusto che uomini e donne abbiano gli stessi diritti, se Makoto desidera giocare a calcio dovrebbe essere liberissima di farlo.»
«E perché mai Sora non dovrebbe veder realizzato il suo sogno di organizzare un ballo scolastico? Sono certa che la maggior parte delle ragazze della nostra scuola preferirebbe il ballo allo sport.»
«Sì, forse è vero, ma dimentichi che non spetta al resto della scuola a decidere, bensì a noi componenti del club di dibattito.»
Gli animi si riscaldarono in un battibaleno, tutti quanti avevano qualcosa da dire.
La signorina Asami sorrideva soddisfatta, quell’anno gli argomenti trattati sembravano stare a cuore ai membri del suo club. Ognuno esprimeva un’opinione in proposito, e il tutto avveniva nel massimo rispetto per gli altri studenti. Le sembrava un grande passo avanti se paragonato agli anni precedenti.
«Dico solo che dovrei sentirmi libera di scegliere, e non vincolata dalle disposizioni scolastiche, mi capisci?»
Mentre il dibattito proseguiva, non poté non notare il disappunto di una studentessa.
«Ehm scusate ragazzi, mi spiace interrompervi, ma nessuno di voi ha ancora preso in considerazione la mozione di Doremi, quella di servire bistecche nella mensa scolastica.
Una studentessa alzò le spalle con indifferenza.
«Per quanto mi riguarda, a me non importa più di tanto, in fondo posso mangiare bistecca per cena se proprio voglio.»
Un’altra acconsentì.
«A me la bistecca neanche piace, preferisco mangiare il pesce.»
«Io sono vegetariano, preferirei che la mensa scolastica smettesse di servire carne a priori, ma non posso neanche imporre la mia scelta di vita ai miei compagni.»
Doremi sospirò tristemente.
“Non mi aspettavo certamente di vincere, ma speravo quantomeno di ricevere uno o due voti. E così dovrò rinunciare alle mie amate bistecche, sono la bambina più sfortunata della terra.”
«E invece Doremi, tu cosa ne pensi?»
L’aveva sorpresa la signorina Asami, proprio mentre si auto commiserava nella sua testolina.
«Ehm io? Vuole sapere cosa ne penso io?»
«Certamente, tutti quanti stanno esprimendo il loro parere sulle questioni trattate, vorrei sentire anche il tuo.»
Doremi aggiustò la sua posizione, spinse il petto all’infuori e si erse in tutta la sua altezza.
«Beh, non è certo una decisione facile da prendere: da un  lato sono più che d’accordo con Makoto, reputo ingiusto che alle ragazze non sia permesso far parte di una squadra sportiva solo perché l’opinione pubblica vede nel calcio un’attività tipicamente maschile. Quando frequentavo la scuola elementare avevo una compagna con la passione per la lotta; il suo nome è Mutsumi e sin da bambina ha mostrato interesse per questa disciplina, nonché un vero e proprio talento naturale. Tutti i miei compagni di classe la prendevano in giro, affermando che una donna non sia capace di lottare, o che non dovrebbe farlo. Mutsumi a quei tempi aveva sfidato ogni maschio della classe battendolo, e ponendo finalmente fine a questo stereotipo privo di fondamenta. Noi oggi qui potremmo fare la stessa cosa, mettere a tacere questi pregiudizi infondati. Una passione non ha nessun genere; un uomo può amare la cucina, una donna può amare la lotta o il calcio, chi siamo noi per decidere chi deve fare cosa?
Dall’altra parte però confesso che mi piacerebbe anche avere l’opportunità di organizzare un evento scolastico come il ballo di fine anno. Nessuna scuola di Misora (o addirittura dell’intero Giappone) ha mai dato vita a qualcosa di così originale e noi potremmo essere i primi.»
Doremi abbassò lo sguardo, come a volersi scusare col resto del gruppo, che aveva ascoltato le sue parole attentamente e in assoluto silenzio.
«La verità è che io non saprei davvero per quale delle due ipotesi votare. Purtroppo sono una ragazza molto indecisa, per quanto cerchi di guardare le cose da diverse prospettive cercando di coglierne i pro ed i contro, non riesco mai a venire a capo di niente, e lascio che gli eventi mi trascinino.»
Il viso della sua insegnate si rabbuiò. Quella ragazzina era sveglia, intelligente, dotata di un forte senso di giustizia e di onestà, ma sembrava intrappolata in una rete di insicurezze che non la lasciavano libera di esprimere al meglio le sue emozioni e le impedivano di sprigionare la sua forte personalità.
«Avete sentito tutte quante Doremi? Ognuno di noi dovrebbe poter scegliere con assoluta libertà la sua strada.»
Aveva esordito la ragazza di prima, la fedele sostenitrice dell’opzione di Makoto.
«Aspetta un momento, se è per questo Doremi ha anche detto che potremmo essere i fondatori di qualcosa di unico nell’intero paese, io voglio essere una pioniera del ballo scolastico!»
Aveva replicato prontamente una simpatizzante di Sora.
“Ah, a quanto pare è tutto inutile in politica, per quanto ci si sforzi di dar voce alle proprie credenze, alla fine i votanti faranno quel che pare e piace  a loro!”
Pensò Doremi, mentre una grande goccia appariva sulla sua fronte.
«D’accordo, adesso possiamo anche fermarci.»
Aveva detto infine la professoressa, riportando l’aula in silenzio.
«Abbiamo ascoltato le vostre teorie, e sono stata lieta di constatare che avete preso seriamente la questione. Adesso però è arrivato il momento di decidere. Voteremo per alzata di mano, nessuno può tirarsi indietro e non è consentito votare per più di una causa. Chi vota per Makoto e la fondazione di una squadra calcistica femminile?»
Alcune mani si alzarono velocemente. La signorina Asami le contò.
«Molto bene… Chi vota per Sora e l’allestimento di un ballo di fine anno?»
L’altra metà degli studenti levò in alto le braccia. Di nuovo la signorina le contò e scrisse il numero su un foglio di carta.
«Doremi, ma tu non hai ancora votato!»
Notò una compagna indicandola.
«E’ vero… Perché io desidero votare per la mia stessa proposta, desidero così tanto mangiare bistecche a scuola!»
Tutti i presenti svennero per terra con gli arti rigidi.
La familiare risata di Makoto squillò come una sirena all’interno della classe.
«Lei…ama così tanto… le bistecche!»
 
 
«Mi spiace che nessuno abbia approvato la tua idea, in fondo la bistecca non è niente male.»
Le aveva confidato Makoto al termine della riunione, mentre percorrevano al contrario il viale scolastico per tornare a casa.
«Eh, che vuoi che ti dica? Non sono tutti a sapere apprezzare la buona cucina.»
Le lacrime rigavano le guance della ragazzina coi capelli rosa.
«Comunque parlando di cose serie, mi spiace che neanche il tuo progetto abbia riscosso successo.»
Makoto scrollò le spalle.
«Non è poi un grosso problema, dopotutto potrò riproporre la questione il prossimo anno, non trovi?»
Doremi annuì felicemente.
«Sì, ma attenzione, magari l’anno prossimo mi procuro un po’ di seguaci anch’io!»
Le due risero allegramente, fino a quando Makoto non si fermò. Doremi, che non se n’era accorta e aveva proseguito senza di lei si voltò e la fissò.
«Perché ti sei fermata?»
Le chiese, seguendo la traiettoria del suo sguardo.
Makoto stava guardando il campo di calcio, dove gi studenti non avevano ancora terminato gli allenamenti.
«Quello è un fallo!»
Urlò, mentre l’arbitro fischiava. Doremi si avvicinò all’amica e guardò la partita insieme a lei.
«Com’è nato il tuo interesse?»
Le chiese appoggiando le mani contro la ringhiera che le separava dal campo.
«Quando ero piccola mi risultava molto difficile trovare un argomento di conversazione con mio padre. Mia madre mi confessò che ci rimase molto male quando seppe che il bambino che portava in grembo era una femminuccia. Papà predilige i maschi, infatti sempre a avuto, un ottimo rapporto con i miei due fratelli. A me però rivolgeva a malapena la parola, diceva che non sapeva di cosa discutere con una ragazza, e quindi mi ritrovavo tagliata fuori dai loro giochi, l’unica della famiglia con cui potevo sfogarmi era mia madre.»
Una nota di tristezza aveva incrinato la sua voce, rendendola stranamente vulnerabile.
«Ma quella situazione a me non piaceva.»
Aggiunse con grinta.
«Ero stanca di essere sempre messa da parte, quindi decisi di coltivare i loro stessi interessi. Non comprendevo il calcio all’inizio, le regole non avevano alcun senso per me, e non è stato facile istruirmi sull’argomento senza ricevere aiuto, ma pian piano, leggendo libri e osservando le partite cominciai finalmente a capirci qualcosa. Ben presto lo sport non ebbe più segreti per me, conoscevo i nomi dei migliori attaccanti, ero informata sul compra-vendita dei giocatori, ero diventata un vero e proprio asso.»
Affermò con una punta di orgoglio.
«Mio padre ne fu alquanto sorpreso, ma apprezzò il mio sforzo. Cominciò a portare anche me allo stadio o al parco a fare due tiri. Lì si accorse che avevo un certo talento e cercò una squadra di calcio femminile nei dintorni della nostra cittadina. Il calcio mi ha aiutata a entrare in contatto con mio padre ed è per questo che  lo ritengo importante!»
Doremi era commossa da quella storia, non poteva immaginare quella triste vicenda. Lei aveva un ottimo rapporto con suo padre, sebbene non avesse nulla in comune con lui. A lei per esempio la pesca non era mai interessata, ma questo non aveva mai impedito a padre e figlia di andare d’accordo o di trovare un qualsiasi argomento di conversazione. Non riusciva a credere che al mondo potessero esistere padri come quello di Makoto.
«So bene che col tempo, crescendo, le distanze tra noi aumenteranno, ma sono serena perché so che questo legame non si spezzerà mai.»
«Adesso capisco come mai tieni così tanto alla tua causa, e ti giuro che il prossimo anno farò di tutto per aiutarti! Se necessario corromperò tutti i membri del club per farti ottenere i voti necessari.»
«Scusa… Ma come farai allora con le tue bistecche?»
Doremi incrociò le mani dietro alla testa, espirando.
«Le bistecche possono aspettare un altro anno.»
Rispose con semplicità. Makoto le rivolse un’occhiata colma di gratitudine.
«Sei molto gentile, Doremi.»
«Non dirlo neanche per scherzo, in fondo è questo che fanno le amiche!»

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Capitolo 8
*** Tempra morale ***


-TEMPRA MORALE -
 
 
Dal giorno seguente, Doremi e Makoto iniziarono a passare molto più tempo assieme, un po’ spinte dall’affetto reciproco che giorno per giorno cresceva tra le due bambine, un po’ per scambiarsi idee e delucidazioni a proposito dell’organizzazione del ballo.
Si erano fatte la promessa di impegnarsi nella causa di Sora come se fosse anche la loro, e questo le aveva affiatate ancora di più. Ultimamente Doremi si sentiva molto più vicina alla sua nuova compagna di classe che alle sue amiche storiche. Dato che raramente gli impegni di tutte e cinque combaciavano, i messaggi tra di loro erano diventati sempre meno frequenti.
Per quanto Doremi ne fosse dispiaciuta, comprese che non poteva fare nulla per cambiare la situazione.
“Se solo potessi usare la magia, volerei ad Osaka da Sinfony, o userei il potere del cerchio magico per raggiungere Mindy in America.”
Si ritrovava a pensare qualche volta, conscia che i suoi desideri fossero irrealizzabili.
“Siamo state noi a scegliere di rinunciare per sempre alla magia, ben consapevoli che avremmo dovuto risolvere i nostri problemi contando solamente sulle nostre forze.”
Si ripeteva ogni volta che si ritrovava a pensare alla magia.
Nelle notti di luna piena non poteva fare a meno di pensare ad Eufonia e alla piccola Hanna. Si chiedeva come se la stesse cavando quella birichina all’asilo magico, domandandosi se anche lei sentisse la sua mancanza.
“Certo che sì, in fondo sono la sua mamma.”
Si diceva, e sebbene sapesse che fosse vero, non poteva non sentirsi lievemente offesa dal fatto che, nemmeno una volta da quando aveva lasciato il mondo umano, né Hanna né Eufonia avessero dato loro notizie. Voleva convincersi che ci fosse qualcosa dietro la loro totale assenza, come ad esempio un’imposizione reale che non  potevano in alcun modo trasgredire, ma neanche quell’ipotesi la faceva stare meglio.
Sebbene ormai possedesse molti nuovi compagni di classe, la paura di essere stata abbandonata dalle sue amiche non era sparita.
 
 
«Makoto, ma cosa dici? I fiori non possono affatto mancare, come ti viene in mente un’ idea così ridicola?»
«Ho solo detto che non sono così importanti, io credo che dovremmo usare dei festoni colorati per conferire all’ambiente un’atmosfera più allegra.»
«Ma un ballo senza fiori è triste!»
Piagnucolava Doremi.
«Lo dici solo perché t’immagini qualcosa di romantico e desideri che il ragazzo dei tuoi sogni te ne regali uno!»
La stuzzicò Makoto con l’espressione di chi la sa lunga. Doremi arrossì fino alla punta delle orecchie.
«Ma come osi? Lo sai benissimo che non sono innamorata di nessuno. UFF UFF UFF!»
«Ragazze di cosa state parlando?»
Marina si era avvicinata al loro banco, ma le due erano così assorte nella loro conversazione che non se n’erano neanche accorte.
«Oh, scusate, non volevo origliare, è solo che ho sentito parlare di fiori e mi sono incuriosita.»
Si affrettò ad aggiungere in risposta al loro sguardo stupito.
«E’ una storia un po’ lunga. Sai che facciamo parte del club di dibattito? Bene, una delle ragazze del club ha avanzato la proposta di organizzare un ballo scolastico di fine anno, ottenendo i voti di quasi tutti i partecipanti. Io e Doremi stavamo solo discutendo a proposito delle decorazioni da poter utilizzare per dare un tocco più brioso alla faccenda.»
Marina apprese la notizia con stupore.
«Davvero? Non ne avevo idea, suona così bene! Un ballo di fine anno nella scuola media di Misora, incredibile!»
«Non ti facevo quel tipo di ragazza, sai?»
Le confessò Makoto, osservandola con la coda dell’occhio.
«Non dirmi che anche tu, come Doremi, speri che qualcuno ti accompagni al ballo…»
Marina divenne paonazza, scosse la testa pronta a negare tutto quanto.
«Ma cosa dici? Non è affatto vero, non desidero proprio niente, e soprattutto nessuno!»
Makoto rise di gusto della reazione estrema della sua compagna di classe.
«Suvvia, stavo solo scherzando, c’è da dire che tu e Doremi siete molto suscettibili riguardo questo argomento.»
«Ma no, cosa dici?»
Risposero in coro le due ragazze, colte in flagrante.
«Ad ogni modo, se sono dei fiori che vi occorrono, penso di potervi dare una mano.»
Disse Marina, lieta di poter cambiare argomento. Doremi ebbe un’illuminazione.
«Ma è vero, tu fai parte del gruppo di giardinaggio, non è così?»
La ragazza dai capelli nero corvino annuì.
«Esattamente, posso parlare coi membri del mio corso e chiedere di realizzare delle corone di fiori che adornino il… il… Beh, dove avete detto che si terrà il ballo?»
«In verità non lo sappiamo. Diciamo che non c’è ancora nulla di ufficiale, bisogna sottoporre la cosa al preside ed attendere la sua conferma.»
Spiegò Makoto con semplicità.
«Oh, che peccato, allora c’è la possibilità che non se ne faccia niente?»
Marina parve delusa da quell’ultima affermazione, ma Doremi intervenne a risollevarle il morale.
«Ma certo che no! Vedi? Chiedere il permesso è una pura formalità.»
«Scusa, ma tu cosa ne sai?»
Chiese la castana con sguardo scettico.
«Beh, ormai il gruppo ha preso la decisione, non credo proprio che il preside ci neghi il consenso, non credi?»
Makoto si afferrò il mento con l’indice e il pollice.
«A dire il vero non saprei… Però me lo auguro con tutto il cuore, non vorrei che Sora ci restasse male, dopo tutti i suoi tentativi.»
Doremi annuì con vigore.
«Esatto, sarebbe una vera e propria ingiustizia! Non credo che il preside possa abbassarsi a tanto. Ad ogni modo lo scopriremo oggi pomeriggio.»
 
 
Poche ore dopo il gruppo di dibattito al completo, accompagnato dalla signorina Asami si trovava nell’ufficio del preside per discutere la loro proposta e chiedere formalmente il permesso di metterla in atto.
Ad esporre il programma fu proprio Sora, l’ideatrice. Doremi rimase affascinata dal modo in cui la compagna esibì il suo progetto, accompagnando il suo discorso con delle immagini. In quel momento si ritenne fortunata a non essere stata scelta lei, probabilmente non avrebbe avuto la stessa dimestichezza della senpai.
Quando Sora ebbe finito fece un profondo inchino e cedette la parola alla professoressa.
La signorina Asami sorrideva fiduciosa.
«Allora, signor preside, ci permette di dare il via alla realizzazione?»
Il preside, un uomo dalla carnagione chiara e il volto scheletrico, passò in rassegna i presenti uno ad uno, tamburellando il suo dito indice sulla punta delle sue labbra. Si prese un momento per riflettere attentamente, poi, semplicemente rispose.
«Non è possibile.»
Tutti rimasero di sasso.
«In…In che senso non è possibile?»
Domandò la signorina Asami, nella remota speranza di aver frainteso le parole del suo superiore.
«Mi dispiace signorina, sono consapevole che la mia decisione non suonerà piacevole alle vostre orecchie, ma il fatto è che non disponiamo di fondi necessari alla creazione di un simile evento.»
Spiegò con tranquillità, ignorando lo sguardo triste della ragazzina cui aveva distrutto i sogni.
La signorina Asami rimase in piedi davanti alla sua scrivania, cercando le parole giuste per formulare il suo pensiero senza apparire sfacciata.
«In verità, signor Preside, in quanto responsabile del club di dibattito, sono tenuta ad insistere un po’ di più. Lei dovrebbe ascoltare tutto ciò che abbiamo da dirle prima di prendere una decisione, che verrà poi discussa insieme al consiglio studentesco, è sempre stato così…-
-Signorina conosco bene il mio ruolo in questa situazione, ma le ripeto che sarebbe una trafila del tutto inutile, dal momento che ho già preso la mia decisione.»
Gli occhi di Sora iniziarono ad inumidirsi, e presto sulle guance caddero delle grosse lacrime calde.
«Lo sapevo, era troppo bello per essere vero.»
Aveva commentato, la voce rotta dai singhiozzi.
«Via, via… Non è poi così tremendo, mi pare. Troverete qualcos’altro.»
Il preside fece un cenno noncurante con la mano, quasi come se volesse scacciare una fastidiosa mosca dalla sua vista. Doremi non riuscì a credere ai suoi occhi.
«No, mi scusi, ma questo non va affatto bene.»
Aveva detto avanzando verso l’uomo.
«Come prego?»
Chiese lui allibito. Nessuno studente del primo anno gli aveva mai parlato in quel modo.
Doremi ignorò i suggerimenti della signora Asami di tornare indietro e tacere e continuò.
«Abbiamo deciso di far parte del club di dibattito per ottenere un po’ di attenzione, per essere ascoltati, e invece lei ci liquida con una frase fatta, senza nemmeno fornirci spiegazioni in merito. E’ ingiusto!»
«Signorina, non so chi lei sia, né perché si azzarda a rivolgersi così al preside, ma come le ho già detto non abbiamo i fondi. La scuola deve investire in qualcosa di più costruttivo di un semplice balletto, è chiara la cosa?»
«Sì, è chiara, ma lei non ci sta dando nessuna possibilità.»
La signorina le fece gesto di ammutolirsi.
«Che possibilità vuole? Dispone di un capitale tale da poter realizzare l’intero progetto con le sue forze?»
Doremi rimase in silenzio per un attimo, meditando sul da farsi. L’uomo sorrise viscidamente quando si accorse di averla lasciata senza parole.
«Come sospettavo, a quanto pare signorina, dovrete inventarvi qualcos’altro…»
«Doremi torna indietro!»
La richiamò la signorina Asami.
«Una soluzione ci sarebbe. »
Aveva suggerito Doremi, lo sguardo ancora perso nel vuoto, concentrata sul suo piano.
«Mi scusi?»
Trasalì il preside.
«Ho un’idea. Che ne direbbe se pensassimo noi a ricavare il denaro?»
Il preside emise una risata di scherno, senza nemmeno degnarsi di rivolgerle uno sguardo.
«Pensa che la sua paghetta basti a coprire le spese? E’ proprio una ragazzina con una fervida immaginazione.»
«Doremi, lascia perdere.»
Le aveva suggerito nuovamente la sua insegnate, poggiandole una mano sulla spalla per costringerla a voltarsi indietro, ma lei non demorse.
«So bene che da sola non posso fare molto, ma posso pur sempre chiedere appoggio al resto degli studenti. Se uniamo le forze possiamo ricavare i fondi necessari, ad esempio organizzando vendite o lotterie.»
Il preside la fissò cinicamente da sopra i suoi occhiali quadrati.
«E cosa pensava di vendere, la sua collezione di action figures
Doremi ignorò la provocazione, desiderosa di arrivare al punto e metterlo finalmente a tacere.
«Potremmo vendere gli oggetti ricavati dai club di pittura, disegno e manualità.»
La mano della professoressa si strinse nella spalla della ragazzina.
“ahi che male!”
 «E’ un’idea ridicola!»
Bofonchiò il preside.
«Al contrario, è un’ottima idea.»
Intervenne la signorina Asami, con un tono di voce più alto di quello che si era aspettata.
«Prego?»
«Signor preside, sono del tutto d’accordo con Doremi. Penso che riceveremmo l’appoggio necessario dai nostri compagni e colleghi di lavoro, una volta chiesto.»
«Signorina sia realista, anche con la vendita di quei manufatti, non arriverete mai a ricoprire la cifra di cui abbisogna un simile  evento…»
«Forse, ma provare non costa nulla!»
Aveva aggiunto Makoto, facendo un passo avanti.
«E’ vero, arrendersi senza nemmeno cominciare sarebbe da sciocchi!»
Un’altra studentessa si era unita, muovendosi verso il preside.
Un brusio di approvazione si levò nell’aria.
«Se collaboriamo tutti quanti sarà un gioco da ragazzi!»
Suggerì qualche altro, e in men che non si dica, tutti i partecipanti del gruppo di dibattito stavano congetturando le ipotesi più azzardate, fornendosi appoggio reciproco.
«Basta, basta!»
Intimò il preside, infastidito dall’ingenuità dei suoi studenti.
«E’ un’idea irrealizzabile, che vi piaccia o no, siete completamente fuori strada!»
«Ci dia almeno una possibilità.»
Incalzò Doremi, il viso accaldato dall’ irritazione.
«Faremo tutto quanto senza disturbarla, e se dovessimo fallire nel nostro intento non le chiederemo più nulla arrendendoci al suo volere.»
Propose, assecondata dai mormorii di consenso dei compagni alle sue spalle.
Il preside studiò la ragazzina da dietro i vetri dei suoi occhiali. Aveva grinta, e di solito apprezzava quella caratteristica, stimava le persone sicure di sé che sapevano cosa desiderassero e non si lasciavano intimorire nemmeno dalle figure autoritarie come la sua.
Sorrise mostrando una fila di denti gialli.
«E va bene. Avete tempo fino a dicembre. Se fino ad allora avrete accumulato una cospicua somma di denaro, vi lascerò organizzare tutto ciò che vi pare. Badate bene però, se non riuscirete nella missione, non avrete più il permesso di sottoporre questo tema fino a quando amministrerò questa scuola, ci siamo intesi? Per il momento vi concedo il beneficio del dubbio.»
E, con un gesto teatrale, li invitò a lasciare il suo ufficio.
 
Quando furono di nuovo nel corridoio, Sora corse ad abbracciare Doremi.
«Ti ringrazio, è tutto merito tuo se abbiamo avuto una seconda possibilità.»
«E’ vero Doremi, dobbiamo tutto a te!»
Aggiunse la signorina Asami, il volto straordinariamente rilassato.
La rossa non credeva alle sue orecchie. Non le capitava di ricevere così tanti complimenti dal giorno del diploma di scuola elementare, era stata davvero così brava?
Arrossendo lievemente, strinse il pugno e lo levò in alto.
«Abbiamo vinto la battaglia, ma non la guerra. Se vogliamo ottenere il permesso ci converrà impegnarci seriamente e chiedere appoggio a tutti i nostri amici e compagni, intesi?»
I membri del club emisero un ululato di gioia e lei non poté fare a meno di sorridere quando si trovò davanti alle espressioni gioiose di tutti quanti gli altri.
Asami provò un moto di orgoglio osservando la risolutezza di quella ragazzina che fino al giorno prima aveva reputato insicura. Si augurava con tutto il cuore che Doremi riuscisse a tirare fuori i suoi lati positivi e scoprisse quanto preziosa fosse.
Si disse che il tempo in cui avrebbe acquistato consapevolezza di se stessa non avrebbe tardato ad arrivare.

 

DIZIONARIO (JUST IN CASE)
*Senpai è un termine della lingua giapponese che, in ambito scolastico, indica uno studente più anziano.
*Le action figures sono delle riproduzioni in scala dei personaggi di anime, manga, serie tv, film ecc...

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Capitolo 9
*** Una cotta improvvisa ***


-UNA COTTA IMPROVVISA-

 
Durante la ricreazione si era formato un gruppetto di ragazzine attorno al banco di Doremi. Marina aveva accennato alle compagne della possibilità di organizzare un ballo  di fine anno scolastico, e queste, spinte dalla curiosità, avevano accerchiato la rossa, tartassandola di domande, avide di risposte ufficiali da una fonte certa.
«Non è così semplice, credetemi! Il preside ci darà il permesso solo se entro dicembre riusciremo a raggiungere una notevole somma di denaro.»
Le aveva informate Makoto, che sedeva al fianco di Doremi. Le dispiaceva essere portatrice di cattive notizie, ma era meglio che lo sapessero in anticipo, evitando così di farsi delle illusioni a riguardo.
Doremi raccontò per filo e per segno quanto successo il giorno precedente nell’ufficio del preside, vedendo la delusione farsi largo nei volti delle loro compagne.
«Non siate così tristi!»
Aveva detto a un certo punto, sorridendo raggiante.
«Abbiamo ancora una possibilità, e se vogliamo veder realizzato questo progetto, non dovremmo fare altro che collaborare tutti quanti!»
Makoto e Marina annuirono.
«Tutti quanti, chi?»
Domandò una biondina.
«Tutte noi conosciamo almeno qualcuno proveniente da altri classi: Un fratello maggiore, dei vecchi compagni delle elementari, degli amici di famiglia… Non è forse vero?»
Le ragazze annuirono incerte, senza esser sicure di dove Doremi volesse andare a parare.
«Perfetto, ascoltatemi bene: ciò che dovremmo fare all’inizio è spargere la voce per tutta la scuola, più studenti si aggiungeranno alla causa, e più sarà facile ottenere il loro sostegno.»
Makoto proseguì, venendo incontro alla sua amica.
«Una volta che avranno preso la notizia a cuore, sono certa che non esiteranno ad aiutarci.»
«Ma come?»
Domandò un’altra loro compagna di classe dai capelli verde scuro.
Marina, che conosceva già il loro piano, s’intromise nel dialogo.
«Akane, tu fai parte del club di manualità, vero?»
La ragazzina annuì.
«E dimmi, cosa ci fate con gli oggetti che producete?»
Lei scrollò le spalle.
«Li portiamo a casa nostra, a scuola non c’è abbastanza spazio.»
Le tre ragazze si sorrisero, esattamente come pensavano.
«Che ne diresti se invece organizzassimo dei mercatini esponendo i vostri manufatti? Il ricavato verrà messo da parte e destinato all’organizzazione del ballo, siete d’accordo?»
Akane fu entusiasta dell’idea appena suggeritale.
«Ma certo! Come ho fatto a non pensarci? Presenterò l’idea a tutti i membri del mio gruppo, sono certa che vorranno partecipare!»
Un’altra ragazzina coi capelli rosso scuro si fece avanti.
«Io faccio parte del club di pittura, potrei proporre la stessa cosa ai miei compagni di corso!»
Doremi, Makoto e Marina acconsentirono gioiose. Ben presto la voce si sarebbe sparsa per tutta la scuola, ed erano più che sicure che avrebbe riscosso successo, specialmente tra le ragazze. Adesso avrebbero dovuto pazientare un po’, ma Doremi era certa che in meno di una settimana la notizia sarebbe stata di pubblico dominio.
La campanella che segnava la fine della ricreazione suonò, ma il gruppetto rimase ancora qualche minuto a confabulare, fino a quando l’arrivo della signorina Shuto non le costrinse a riprendere posto per proseguire le lezioni.
Makoto scrisse qualcosa su un foglietto di carta, lo appallottolò e lo passò alla compagna di banco.
 “Oggi mi sarebbe piaciuto parlarti di alcune idee che mi sono venute in mente, ma non è stato possibile. Che ne diresti di passare a casa mia dopo le lezioni e fermarti per cena? Prometto di non deludere le tue aspettative
Per tutta risposta, Doremi sorrise a trentadue denti, unendo il pollice all’indice.
 
 
Le due ragazze raggiunsero casa di Makoto in circa mezz’ora di camminata. Aveva il tipico aspetto delle case di Misora; tinteggiata con colori freddi, si ergeva su due piani di altezza e culminava con un tetto spiovente. Si affacciava su un minuscolo cortile privato e ben curato, in cui era stato allestito un piccolo giardino zen che colpì molto Doremi.
«Siamo a casa!»
Annunciò Makoto dopo aver varcato la porta d’ingresso. Aveva telefonato alla madre per avvisarla della presenza di una sua compagna di classe. La donna le raggiunse nell’ingresso. Era una donna robusta dall’aspetto gentile, aveva i capelli color blu scuro raccolti in uno chignon alto e gli occhi azzurri. Indossava un grembiule rosa pallido con sui ricamati dei fiori di pesco.
«Oh, siete già tornate. Tu devi essere Doremi, ho sentito tanto parlare di te! Il mio nome è Kasumi, piacere di conoscerti.»
Doremi arrossì lievemente.
«Davvero ha sentito parlare di me? Che emozione… Il piacere è tutto mio.»
Kasumi la studiò.
«Sono così felice di sapere che Makoto ha trovato un’amica come te. Confesso che all’inizio ero un po’ preoccupata, dopotutto non ci siamo mai allontanati da Hokkaido prima d'ora, ed è tutto così nuovo qui a Misora.»
Le guance di Makoto si tinsero di rosa.
«Mamma, ma cosa dici? Doremi ti prego di ignorare i suoi vaneggiamenti.»
Doremi sorrise.
«Non fa nulla, posso ben immaginare il suo nervosismo, non è certo facile ambientarsi in una nuova città.»
«Oh, non dirmi che anche tu abiti qui da poco.»
Doremi agitò la mano davanti alla signora.
«Ma no, io sono nata e cresciuta qui, ma due delle mie più care amiche hanno vissuto quest’esperienza e mi hanno raccontato delle difficoltà che hanno incontrato all’inizio.»
Kasumi le sorrise benevolmente.
«Devi essere proprio una brava ragazza se riesci a circondarti da amiche provenienti da molto lontano. Forse possiedi un’energia capace di attirare a te questo genere di persone, che magari ha raggiunto mia figlia…»
Doremi s’irrigidì, non era abituata a sostenere conversazioni di quel genere, temeva di dire qualche sciocchezza. Makoto dovette notarlo, perché si affrettò a portare l’amica in salvo spingendola di schiena verso le scale che conducevano al piano superiore.
«Chiamaci quand’è pronta la cena, adesso abbiamo delle cose urgenti di cui parlare.»
 
«Perdona mia madre, è fatta così, dice qualsiasi cosa le venga in mente senza ragionare sull’effetto delle sue parole.»
Si scusò Makoto, chiudendosi la porta alle spalle.
«Guarda che non c’è nulla di negativo in tutto ciò, penso sia un ottimo pregio.»
La rassicurò Doremi, ma l’amica sbuffò.
«Lo dici solo perché non la conosci bene, sapessi quante volte riesce a mettermi a disagio!»
«Credo che quella sia una prerogativa di tutti i genitori, se conoscessi i miei te ne convinceresti».
Entrambe emisero un profondo sospiro.
«Siamo così sfortunate, eh?»
 
Doremi e Makoto stilarono un programma includendo le attività che avrebbero potuto procurare loro il denaro di cui abbisognavano.
«I mercatini sono un’ottima idea, ma siamo realiste, neanche con tutto l’impegno del mondo i nostri compagni riusciranno a produrre così tanti oggetti.»
«E’ vero Makoto, ma potremmo sempre rivolgerci ai membri del club di cucina! Scommetto che il cibo riscuoterà ancora più successo dell’artigianato.»
«Hai ragione, non ci avevo completamente pensato! E poi a chi altri potremmo rivolgerci?»
«Mhhh, forse ai membri del club di fotografia, sono certa che anche loro ci verranno incontro, stampando i volantini pubblicitari per promuovere i nostri eventi.»
«Geniale! Se tutto va secondo i nostri piani Doremi, sono certa che riusciremo presto ad accaparrarci il denaro, e gliela faremo vedere al preside!»
Entrambe risero di cuore, allungando la loro lista fino a quando Kasumi non le invitò a scendere al piano di sotto, informandole che mancavano pochi  minuti alla cena.
Doremi e Makoto non se lo fecero ripetere due volte.
«Ho una fame che non ci vedo, non vedo l’ora di addentare… Qualsiasi cosa tua madre abbia deciso di cucinare.»
Makoto le fece l’occhiolino.
«Penso che ne rimarrai piacevolmente sorpresa.»
Le narici di Doremi si dilatarono, annusando l’odore inconfondibile che aleggiava per tutta casa.
«Aspetta un momento, ma questo profumo è… Non ci credo, è quello di bistecche!»
Gli occhi di Doremi si tramutarono in due cuori, la ragazza non riuscì a contenere l’acquolina in bocca, ed un filo di saliva le pendeva dalla bocca.
«Oh Makoto, sono così commossa, sei un’ottima amica, la migliore! Non so proprio come ringraziarti»
La bruna si portò una mano dietro la testa.
«Beh non c’è di che, so che ti piacciono particolarmente.»
Quando Doremi entrò nella sala da pranzo fece la conoscenza del padre e del fratellino minore di Makoto, che avevano fatto rientro a casa mentre le due si trovavano ancora al piano superiore. Suo padre,  Iwao, era un uomo dall’aspetto burbero. Aveva dei corti capelli castani e gli occhi dello stesso colore di quelli della figlia. Doremi non poté fare a meno di notare la forte somiglianza dei due, chiedendosi come mai due persone così simili nell’aspetto potessero essere così distanti nell’animo. L’uomo le rivolse a malapena un’occhiata, alzando una mano in segno di saluto, senza nemmeno rivolgerle le parola.
«Non farci caso, si comporta sempre così quand’è presente una ragazza.»
Le aveva sussurrato l’amica in un orecchio, notando l’imbarazzo di Doremi alla presenza di quell’uomo.
Il fratellino di Makoto si chiamava invece Nobuo e ostentava lo stesso atteggiamento del padre.
«Questa mi giunge nuova, non è mai stato così silenzioso prima d’ora, anzi… Forse è in qualche modo innervosito dalla tua presenza.»
Le confessò Makoto, osservando la posizione rigida del fratellino.
«E’ pronto, Makoto vieni a darmi una mano.»
La voce di Kasumi aveva rotto il silenzio, e Doremi decise di aiutare la sua amica a servire la cena, desiderosa di allontanarsi da quell’atmosfera tetra quanto prima.
«Ehi ma aspetta, non avevi detto di avere due fratelli?»
Makoto annuì
«Sì, ma Shinichi non è ancora arrivato.»
La madre guardò preoccupata l’orologio che segnava già le sette e mezza.
«Mi ha scritto un messaggio in cui diceva che avrebbe tardato, suggerirei di iniziare la cena senza di lui.»
Doremi non avrebbe potuto essere più felice nell’udire quelle parole. Stava morendo di fame e le bistecche avevano un ottimo aspetto, oltre ad un profumino eccezionale che fece brontolare rumorosamente lo stomaco dell’ospite. Kasumi se ne accorse.
«Immagino che Doremi sia d’accordo.»
Disse allegramente, facendola vergognare.
«Mi dispiace tantissimo, è così imbarazzante.»
Non appena le bistecche furono servite a tavola e Doremi si accingeva a tagliare la prima fetta con gli occhi lucidi di commozione, la porta d’ingresso emise un rumore, aprendosi.
«Oh, Shinichi, sei giusto in tempo per la cena, non abbiamo neppure cominciato.»
Disse Iwao, parlando per la prima volta da quando aveva messo piede in casa, mentre Doremi spalancava la bocca con la forchetta ancora a mezz’aria.
Shinichi si tolse la giacca a vento riponendola sull’appendiabiti, poi si voltò rivolgendo alla famiglia seduta a tavola un’occhiata desolata.
«Sono spiacente di avervi fatto aspettare, purtroppo gli allenamenti si sono prolungati più di quanto immaginassi.»
Shinichi era un ragazzo di quasi sedici anni, era alto almeno un metro e ottanta, aveva i capelli scuri e gli occhi chiari come quelli della madre, un fisico atletico ed ostentava un portamento mascolino.
La carne cadde dalla forchetta di Doremi finendo sul pavimento, ma nessuno sembrò farci caso.
«Adesso sei qui, coraggio figlio mio, prendi una sedia.»
Lo incitò il padre sorridendo per la prima volta.
Shinichi obbedì sedendosi proprio di fronte a Doremi, e solo allora notò la presenza della ragazza, guardandola con aria interrogativa.
«Lei è Doremi, una mia compagna di classe.»
Intervenne Makoto, facendo le presentazioni.
Shinichi sorrise, mostrando una fila perfetta di scintillanti denti bianchi.
«Piacere di conoscerti, io sono il fratello maggiore di Makoto, mi chiamo Shinichi.»
Doremi arrossì violentemente, afferrando la sua mano con vigore e stringendola più forte di quanto non desiderasse.
«IlPiacereE’TuttoMio.»
Urlò nervosamente, attirando gli sguardi di tutti i presenti.
Kasumi, che aveva capito tutto quanto al volo, emise una grande risata, distogliendo l’attenzione di tutti da Doremi e concentrandola su di sé.
Perché le mamme capivano sempre tutto al volo.
 
 
«Doremi ti senti bene? Non hai toccato cibo, pensavo ti piacessero le bistecche. Che c’è non erano forse buone?»
«No no, affatto, le bistecche erano squisite, ma vedi? Mi è venuto un forte e improvviso mal di pancia.»
Mentì la ragazza abbracciandosi lo stomaco, quando finalmente si trovava sull’uscio di casa Kyosuke, desiderosa di lasciare l’appartamento quanto prima.
«Spero che entro domani starai meglio. Adesso cerca di riposarti.»
Le raccomandò Makoto, preoccupandosi della salute della sua compagna.
«Sarà fatto!»
Le rispose Doremi, agitando la mano e dirigendosi verso il cancello che separava la proprietà privata dal suolo pubblico.
Shinichi raggiunse la sorella e osservò la ragazzina che si allontanava con passo svelto.
«Ehi Doremi! Sei sicura di voler andare da sola? Si è fatto tardi ed è buio pesto, forse sarebbe meglio se ti accompagnassi.»
Doremi si congelò, emettendo una risatina isterica.
«Sì, sarei più sicura a saperti con mio fratello.»
Makoto le rivolse un’occhiata carica di apprensione.
«No… No grazie, non c’è bisogno, abito poco distante da qui. Ci vediamo!»
E, con quelle parole, sfrecciò a tutta velocità nella notte, con lo stomaco che brontolava più sonoramente ed un sasso al posto del cuore.
"Accidenti a me!"
Si ripeteva mentre accelerava il passo, correndo nell'oscurità.
"Accidenti a me! Dovevo proprio prendermi una cotta per il fratello di Makoto?"

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Capitolo 10
*** L'atleta ***


-L’ATLETA-
 
L’uomo soffiò dentro al suo fischietto e il suono lacerò l’aria, segnando l’inizio della competizione.
Sinfony correva con le ginocchia piegate in avanti, lasciando che le sue mani aperte tagliassero l’aria conferendole velocità. Inspirava ed espirava a tempo, come le aveva suggerito il suo allenatore, cercando di non perdere il ritmo.
Sapeva che da qualche parte, sugli spalti che circondavano il campo da corsa, i suoi genitori e suo nonno la stavano guardando, incitandola con parole d’incoraggiamento, facendo il tifo per lei.
Anche i suoi compagni la sostenevano, esortandola con i cori che si erano inventati per l’occasione.
La scuola media pubblica di Osaka aveva organizzato una gara tra le varie classi dell’istituto, e Sinfony era stata scelta dal suo insegnante di educazione fisica per rappresentare la classe 1-B.
Conosceva bene i suoi avversari, perché spesso si allenavano insieme durante le lezioni combinate. Dal momento che il campo sportivo era molto grande infatti, vi si potevano allenare fino a tre classi insieme.
Sinfony strinse i denti e sfrecciò più velocemente, superando il biondino che le stava avanti. Adesso era al secondo posto, davanti a lei c’era solamente Tsuneo, un ragazzo spavaldo della sezione A con cui Sinfony aveva avviato una sorta di rivalità, anche durante gli allenamenti amichevoli.
In effetti Tsuneo era uno dei migliori corridori dell’intero edificio, pur essendo solamente un novellino del primo anno, cosa che lasciava gli studenti più grandi a bocca aperta. In men che non si dica, Tsuneo si era procurato tantissimi ammiratori, nonché il soprannome di “fulmine”. Molti ragazzi affermavano con certezza che sarebbe diventato un atleta olimpionico un giorno non troppo lontano. Era dotato di lunghe gambe snelle e spalle larghe e muscolose che Sinfony conosceva bene, dal momento che non riusciva mai a superarlo.
Sentiva il cuore tamburellare violentemente nel suo petto, mentre avanzava ancora più in avanti, raggiungendo il limite della sopportazione.
“Questa volta lo raggiungerò.”
Promise a se stessa, mentre goccioline di sudore le scivolavano dalle tempie fino al mento e il respiro si faceva sempre più affannoso.
Il pubblico emise un grande boato quando il ragazzo tagliò il traguardo pochi minuti dopo, assicurandosi il primo posto. Sinfony era arrivata ancora una volta troppo tardi.
Non appena superò la linea di meta fu raggiunta dai suoi compagni di classe. Alcuni le porsero un asciugamano ed una bottiglietta d’acqua, gli altri si limitarono a farle i complimenti per l’ottima performance. Sinfony non poté fare  a meno di godersi quel momento, seppure nel profondo si sentisse insoddisfatta.
«Hai fatto del tuo meglio!»
Le diceva qualcuno.
«Non c’è nessuna vergogna ad essere secondi.»
Insisteva qualcun altro, costringendola a sorridere suo malgrado.
«Vi ringrazio tutti quanti per il vostro sostegno, prometto che mi impegnerò per fare di meglio la prossima volta.»
Li aveva rassicurati la ragazzina, dopo aver bevuto una lunga sorsata di acqua fresca.
Il suo professore la chiamò per la premiazione.
«Senoo, il podio ti aspetta.»
Le disse con semplicità, guidandola verso il monumento su tre livelli che era stato disposto al centro del campo.
«Facciamo un applauso a Norio Kazuma, per essersi guadagnato il terzo posto.»
La voce del preside rimbombava dentro al microfono, riecheggiando tra gli spalti. Gli spettatori ulularono congratulazioni al terzo classificato, il ragazzo biondo che Sinfony era riuscita a superare. Questi fece un gran saluto al pubblico e salì sul gradino più basso del podio.
«Un altro grande applauso per Sinfony Senoo, per essersi qualificata seconda!»
Un altro boato, Sinfony scorse la figura di suo padre alzarsi in piedi ed urlare al resto dei tifosi:
«Quella è mia figlia, la mia bambina, la mia adorata Sinfony!»
La ragazzina lo guardava con imbarazzo, mentre una goccia le scendeva dietro la nuca. Apprezzò particolarmente il momento in cui sua madre tirò la camicia di Kouji costringendolo a riprendere posto.
“Mio padre non cambierà proprio mai, fortuna che adesso c’è mia madre che mi aiuta ad occuparmi di lui.”
Si ritrovò a pensare divertita, mentre alzava le mani in cielo in segno di vittoria.
«Ed ovviamente, non dimentichiamoci del nostro primo classificato, il campione della corsa dei 100 metri, Tsuneo Akitarou!»
Gli applausi esplosero, Tsuneo si limitò a sorridere con falsa modestia, nei suoi occhi si poteva scorgere la scintilla che accompagna i vincitori.
 
 
Sinfony fece una doccia veloce negli spogliatoi della scuola, suo padre le aveva promesso di andare a prendere un gelato tutti insieme dopo la gara.
Indossò una maglietta color verde acido ed un paio di jeans, poi si pettinò accuratamente i capelli, rassegnandosi a quell’unico ciuffo che non ne voleva proprio sapere di abbassarsi.
“Giuro che prima o poi lo taglio!”
Si disse, dirigendosi verso l’uscita.
Fu sorpresa di trovare Tsuneo fuori dallo spogliatoio.
«Ciao Sinfony!»
La salutò, raggiungendola.
«Ciao Tsuneo, complimenti per la vittoria.»
Gli disse, cercando di nascondere il proprio risentimento nei suoi confronti.
«Pare che ti abbia battuta un’altra volta.»
Dichiarò senza preamboli, fissandola dall’alto.
«Sì, ma non ci farei l’abitudine se fossi in te. Arriverà il giorno in cui ti supererò, e a quel punto vedremo chi riderà.»
Lui sorrise con sarcasmo.
«Si dice che la speranza sia l’ultima a morire, ma fossi in te non mi creerei delle false aspettative, rischi solamente di deludere te stessa.»
La canzonò con una risata di scherno, incrociando le braccia dietro alla testa.
«Sai che la troppa sicurezza di se stessi è spesso la causa del proprio fallimento? Invece di vantarti, ti suggerisco di allenarti, non saranno certo le parole a farti vincere la prossima volta.»
Lui le si parò davanti, bloccandole il cammino, fissandola con superbia.
 «Non ho certo bisogno che sia tu a dirmi cosa mi occorre per vincere.»
E, con quelle ultime parole, si allontanò.
«Quanto lo odio!»
Urlò Sinfony, rimasta da sola.
«Chi è che odi, tesoro?»
La voce di suo padre la raggiunse, che strano, non si era nemmeno accorta dell’arrivo dei suoi genitori.
«Oh, siete qui.»
Esclamò, cercando di recuperare la calma, non voleva che la vedessero in preda alla collera.
«Niente, niente, non fateci caso, adesso andiamo a prendere il gelato o no?»
Kouji e Atsuko si rivolsero un’occhiata confusa, poi fecero spallucce e s’incamminarono verso l’automobile, dove il nonno li stava aspettando.
«Sei stata davvero brava oggi, Sinfony.»
Le disse sua madre con la voce carica di dolcezza.
«E non devi affatto prendertela se quel ragazzo ti ha battuta.»
Sinfony, che saltellava felice davanti a loro si fermò di scatto. Come faceva a sapere? Si voltò guardando il viso di sua madre, cercando di mascherare il disappunto.
«Credimi, gli stavi praticamente alle calcagna, hai solo bisogno di un po’ più di allenamento, presto gli farai mangiare la tua polvere.»
Aggiunse suo padre, sorridendole benevolmente.
Sinfony percepì tutto l’amore che si celava dietro quelle parole, e non poté fare a meno di sentirsi imbarazzata. Anche se aveva cercato di nascondere la sua delusione, in qualche modo i suoi genitori l’avevano percepita.
Da quando sua madre era tornata a far parte delle loro vite, in qualche modo la situazione era cambiata. Entrambi si dimostravano più attenti alle sue esigenze e ai suoi stati umorali. Se prima riusciva a dimostrarsi forte ed incrollabile, adesso si rendeva conto che la sua facciata non era poi così solida.
Sorrise ai due adulti che si preoccupavano tanto per lei e si sentì amata come non le accadeva da tempo.
Sapeva che da quel momento in poi avrebbe sempre potuto contare sull’ appoggio della sua famiglia.
 
 
“Carissime amiche,
oramai ci sentiamo sempre più di rado, ma questo non significa che vi abbia dimenticate.
Ultimamente ho partecipato ad una competizione scolastica amichevole, classificandomi seconda.
Mi confesso molto delusa, avrei preferito vincere, ed è per questo che ultimamente ce la sto mettendo tutta!
La prossima settimana inizierò una nuova sezione di allenamenti, molto più intensa di quella sostenuta finora.
Ho deciso che voglio diventare un’atleta olimpionica.
Ci sarà molto lavoro da fare, ne sono ben consapevole, ma questa prospettiva non mi spaventa.
Sono certa che anche voi stiate lavorando duramente nella realizzazione degli obiettivi che vi siete prefissate.
Non è divertente? Dopotutto siamo unite ancora una volta, anche se in maniera diversa.
Aspetto vostre notizie.
Con affetto,
Sinfony.”

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Capitolo 11
*** Un fidanzato per Doremi ***


-UN FIDANZATO PER DOREMI-

 
Come Doremi aveva previsto, la voce  della realizzazione di un ballo si sparse velocemente per tutta la scuola media. Alcune studentesse andavo a trovarla per esprimere il loro interesse nella causa, affermando di voler a tutti i costi dare il loro contributo. I responsabili dei club extracurricolari la fermavano nei corridoi per esporre le loro idee a proposito e tante ragazze che Doremi nemmeno conosceva avevano iniziato a salutarla con sorrisi radiosi, alcune più intraprendenti si fermavano addirittura a chiacchierare con lei.
In breve tempo, Doremi divenne un personaggio conosciuto in tutto l’edificio scolastico, cosa che la rendeva particolarmente nervosa.
«Non capisco come mai sia diventata io il beniamino di tutte quante, l’idea è venuta a Sora, io volevo solamente mangiare bistecche!»
Si lamentava con le compagne di classe.
«La conversazione avvenuta tra te ed il preside è ormai nota a tutti quanti, credo che la tua fama sia dovuta soprattutto a questo.»
Le aveva spiegato Marina, mentre lei si tirava gli odango in preda alla disperazione. Makoto sorrideva.
«Suvvia, è il sogno nel cassetto di tutte le ragazze quello di diventare popolari a scuola!»
«Ma io non voglio affatto essere al centro dell’attenzione di tutte queste persone, non mi piace, voglio tornare ad essere piccola ed insignificante come prima!»
Disse battendo i pugni sul banco, attirando l’attenzione di tutti i presenti.
«Dojimi, se può consolarti, sappi che ai miei occhi rimarrai sempre la solita imbranata combina guai.»
Lo sconforto aveva presto ceduto il posto all’irritazione.
«Perché non provi a farti gli affari tuoi, Tetsuya? Non era certo il tuo parere che mi interessava!»
«Doremi, guarda il lato positivo»
Le aveva detto Suzumi, una loro nuova compagna di classe coi capelli verdi raccolti in una spessa coda di cavallo.
«Quasi tutti ormai conoscono il tuo nome, sono certa che qualche ragazzo ti inviterà a danzare con lui.»
Suzumi la fissava con occhi sognanti, giungendo le mani sotto la sua guancia destra.
«Eh?! Dici sul serio? Allora questa cosa porta anche dei vantaggi!»
Sorrise Doremi, assumendo l’espressione di una vip.
A Makoto, Marina e Tetsuya vibrò un sopracciglio, evidentemente poco convinti della cosa.
«Ah, me ne stavo quasi dimenticando, sai Doremi che mio fratello si è preso una cotta per te?»
Le rivelò Makoto con noncuranza, quasi come se la notizia non avesse alcun valore.
«Che cosa? E me lo dici solamente adesso?»
«Sì, scusa, me lo ero completamente dimenticato. Dice che vorrebbe essere lui il tuo cavaliere per il ballo.»
Tetsuya si rabbuiò, anche se nessuno sembrò accorgersene.
Doremi si era estraniata dalla realtà, immaginando di indossare un abito principesco pieno di pizzi e merletti mentre si trovava tra le braccia di Shinichi, che la guidava con dolcezza al centro esatto della pista da ballo. Iniziò a canticchiare la melodia un valzer, assorta nei suoi sogni ad occhi aperti.
«Peccato che mia madre non gli darà il permesso.»
Con un sonoro crack, come se si fossero appena rotti dei vetri, la fantasia di Doremi andò in frantumi.
«Come sarebbe a dire che non gli da il permesso? Perché mai non dovrebbe?»
Makoto la fissò con stupore.
«Perché il ballo si terrà di sera e Nobuo deve assolutamente essere al letto per le otto, sai come possono diventare irritabili i bambini piccoli quando non dormono abbastanza.»
Doremi spalancò la bocca incredula.
«Nobuo sarebbe quello che frequenta l’asilo?»
Riuscì a proferire, con un filo di voce, mentre Makoto annuiva con espressione dubbiosa.
Le guance di Tetsuya si gonfiarono come quelle di un criceto che fa la scorta di semi di girasole, per poi emettere una grassa risata che lo fece cadere all’indietro.
«Puahahaahh… Dojimi al ballo con un bambino dell’asilo… Puahahah, è così divertente.»
Il ragazzo si rotolava da una parte all’altra sul pavimento della classe in preda alle convulsioni, mentre dagli occhi produceva una quantità eccessiva di lacrime.
Il volto della ragazzina divenne paonazzo, prese fiato fino quasi a scoppiare prima di urlare così forte da far tremare le pareti della scuola.
«NON C’E’ PROPRIO NULLA DI CUI RIDERE, SMETTILA E POI TI HO GIA’ DETTO CENTINAIA DI VOLTE DI NON CHIAMARMI MAI PIU’ DOJIMI»
Tetsuya si rialzò, passandosi un dito sotto gli occhi.
«Come… eheh… Come vuoi.»
E, soffocando ancora qualche risolino, si allontanò dal gruppetto di ragazze.
 Doremi aveva il volto viola ed emetteva fumo dalle orecchie.
«Quel tipo è davvero incorreggibile! Non lo sopporto…»
Bofonchiava a voce alta tra sé e sé, scordandosi delle ragazze che la fissavano sgomente.
«Ehm… Doremi, stai bene?»
Le chiese titubante Makoto, mentre tutte le altre arretravano impaurite.
Doremi si voltò di scatto e per un attimo Makoto temette che volesse rimettersi a strillare, ma l’amica si limitò a mettere il broncio.
«Tetsuya non fa altro che prendermi in giro.»
Doremi incrociò le braccia sul suo petto, lasciandosi cadere di peso sulla sedia.
«Dai, non prendertela, sai com’è fatto, si diverte con poco.»
La rassicurò Marina, trovato finalmente il coraggio di avvicinarsi all’amica.
Doremi lo fissò dal suo posto. Stava chiacchierando con i ragazzi della classe, il suo volto sembrava parecchio rilassato e felice.
«Cos’avrà tanto da ridere, mi domando io…»
«Beh… Non puoi negare che non sia buffo. Insomma, tu che balli insieme ad un bambino dell’asilo.»
Ammise Sachiko, sorridendo sotto i baffi.
Doremi ebbe un’altra fantasia, in cui, vestita da Godzilla, ballava il ballo del qua-qua insieme al piccolo Nobuo.
Emise uno sbuffo infelice, mentre il suo corpo diventava molle e i suoi arti assumevano la stessa consistenza dei tentacoli di un polipo.
«Perché piaccio al fratello sbagliato? Sono la ragazzina più sfortunata del pianeta.»
Gemette, mentre il resto del gruppetto faticava a reprimere le risa.
 
Aveva ancora il morale piuttosto basso mentre percorreva il viale che l’avrebbe condotta verso casa.
Teneva la testa bassa e strisciava rumorosamente i piedi sulla ghiaia, sollevando polvere grigiastra che riscendeva pigramente sulle sue scarpe.
«Doremi, sei certa di stare bene?»
Le chiese Makoto con incertezza.
«Sembri piuttosto giù»
«No no, sto bene»
La informò l’amica sollevando una mano in aria.
«Sarà, ma non si direbbe.»
Per tutta risposta, Doremi sbuffò sonoramente, chinando ancora di più la schiena, trovandosi a tanto così dal poggiare la punta del suo naso per terra.
Alla brunetta dispiaceva vedere l’amica ridotta in quello stato, e dire che di solito era piena di energie. Una lampadina si accese nella sua mente, facendole venire un’ottima idea.
«Senti Doremi… Non sarà che per caso ti piace mio fratello Shinichi?»
Come previsto, Doremi si rizzò in piedi riacquistando tutta la sua vitalità, scuotendo vigorosamente le mani in senso di diniego.
«Ma no, cosa dici? Come ti viene in mente una cosa del genere?»
Makoto la guardava di sottecchi, con gli occhi vispi di chi è consapevole di aver fatto centro.
«No, sai com’è… L’altra volta hai perso l’appetito subito dopo il suo arrivo.»
«Te l’ho detto, mi è venuto un improvviso mal di pancia, non ha nulla a che vedere con tuo fratello, te lo posso assicurare.»
«Mh, potrei anche crederti, ma allora come spieghi la tua reazione di oggi?»
«Quale reazione?»
Domandò Doremi alzando le spalle, mentre tanti punti interrogativi erano apparsi dal nulla circondandola.
«Sai di quale parlo. Eri così felice di sapere che mio fratello volesse accompagnarti al ballo, fino a quando non ho specificato quale dei due fosse.»
Gli occhi di Makoto si ridussero a due fessure mentre scrutava Doremi con perizia.
La rossa iniziò a sudare freddo, balbettando delle scuse.
«Ah ma quello… Era solo uno scherzo. Sì insomma… Io non…»
Makoto le si parò davanti fissando i suoi occhi verde acqua dentro quelli rosa dell’amica.
«Tonta!»
Esclamò, prima di proseguire lasciando Doremi indietro con espressione confusa.
«Come?»
Makoto si fermò, dandole ancora le spalle.
«Hai sentito bene. Ti ho chiamata tonta.»
Doremi si grattò il mento con un dito, gli occhi ridotti a due puntini neri.
«Ma scusa, ti sembra il caso di offendermi adesso?»
Finalmente l’amica si voltò, tirandosi un occhio verso il basso e mostrandole la lingua.
«Ma certo che sì! Se mi avessi confessato la tua attrazione non pensi forse che avrei fatto di tutto per aiutarti a mettervi insieme?»
Doremi arrossì violentemente, incapace di sostenere il suo sguardo.
«Io pensavo che ti saresti arrabbiata se ti avessi detto la verità.»
Entrambe divennero improvvisamente serie.
«Perché mai avrei dovuto?»
«Perché mi avresti creduta un’arrivista. Avresti potuto pensare che l’unico motivo per la quale ti frequentavo era quello di arrivare a Shinichi.»
Makoto le si avvicinò, le due si trovavano una di fronte all’altra.
«Io non avrei mai potuto pensarlo. Sei diventata mia amica prima ancora di sapere dell’esistenza di Shinichi. E poi…»
Aggiunse, prendendole la mano nella sua.
«Tu sei una ragazza buona, non ti riterrei mai in grado di servirti della gente per raggiungere i tuoi scopi.»
Doremi la guardò sorpresa. Il suo tono era calmo ed il suo sorriso sincero.
Gli occhi rosa le si riempirono di lacrime.
«Mi dispiace per essermi comportata da stupida, avrei dovuto sapere che di te potevo fidarmi.»
«Non fa nulla, sono contenta che la cosa si sia risolta. Non voglio avere dei segreti con te, sei la mia migliore amica all’interno della classe.»
Le confessò a bassa voce, mentre le gote si dipingevano di rosa.
Il cuore di Doremi si fece improvvisamente pesante nel suo petto. Non le capitava di sentire quella parola da quando Melody, Sinfony, Lullaby e Mindy si erano allontanate. Sapeva che il loro legame sarebbe stato indissolubile, quindi perché non poteva farsi una nuova amica? Era certa che nessuna delle quattro l’avrebbe presa a male, probabilmente anche loro avevano allacciato nuovi rapporti.
Socchiuse gli occhi, stringendo le mani di Makoto.
«E tu la mia.»
Le aveva confidato, notando la scintilla che era apparsa nei suoi occhi subito dopo.
«Sai cosa ti dico? Vorrei veramente che facessi parte della mia famiglia, vorrei che diventassi la mia cognatina adorata! Lascia fare a me e presto Shinichi cadrà ai tuoi piedi, ti prometto che diventerà il tuo fidanzato e sarà lui ad invitarti al ballo!»
Doremi rise di cuore, deliziata da quell’aspettativa.

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Capitolo 12
*** La partita ***


-LA PARTITA-
 
Un’altra riunione del club di dibattito era finalmente giunta al termine. Quella volta vi avevano partecipato anche i membri del club di disegno e pittura, ed erano state concordate le condizioni per la messa in vendita dei quadri di loro realizzazione. Quella stessa settimana avrebbero organizzato altri due incontri insieme ai membri del corso di manualità e quello di cucina, e dalla settimana seguente il numero di assemblee sarebbe aumentato a due la settimana. Doremi si trovò a chiedersi se avesse fatto bene a fare quella proposta al preside, ma ogni volta che vedeva i volti felici delle sue compagne, e soprattutto quello di Sora, si rasserenava, dicendosi che tutta quella fatica era fine ad una giusta causa.
L’allegria era in qualche modo contagiosa.
La signorina Asami aveva proposto di organizzare il primo mercatino nel mese di novembre, ritenendo che in quel modo potessero facilitare ai compagni la ricerca di un regalo di Natale, e sperando di riuscire a mettere da parte la somma necessaria entro la fine dell’anno. Tutti si erano mostrati subito favorevoli, promettendo di lavorare più sodo di quanto già non facessero.
Alcuni compagni del club di manualità, venuti a conoscenza del precedente impiego di Doremi al MAHO, avevano chiesto alla ragazzina di dare loro una mano nella realizzazione di ciondoli e catenine. Seppure quest’ultima avesse educatamente rifiutato, mettendoli al corrente della sua scarsa abilità artistica, i compagni non avevano demorso, affermando che la cosa più importante fosse divertirsi, costringendola dunque ad accettare.
In breve tempo Doremi si trovò sommersa di impegni, ma stranamente la cosa non le dispiaceva. Aveva infatti scoperto che rendersi utile e aiutare il prossimo le dava un grande senso di appagamento, lo stesso in effetti che le dava il suo ex lavoro al negozio di magia di Eufonia. Forse era proprio quella nostalgica sensazione di familiarità che la faceva sentire così a suo agio.
Makoto d’altra parte, cercava di starle al passo, frequentando gli stessi corsi dell’amica e mostrandosi altrettanto incapace per quanto concerneva la lavorazione di materiali come l’argilla, però nessuno ci faceva caso, perché apprezzavano il loro impegno.
Makoto non aveva dimenticato la promessa fatta all’amica, quella di mettere una buona parola col fratello maggiore, ed infatti cercava quotidianamente, in maniera subdola, di richiamare l’attenzione di Shinichi sull’amica, descrivendo le sue ottime qualità o anche solo raccontando qualcosa di divertente sul suo conto. Il problema era, che per quanto ce la mettesse tutta, lui non sembrava cogliere il nocciolo della questione, limitandosi a sorridere o a rallegrarsi del fatto che la sorellina avesse trovato un’amica fidata.
«Sai Doremi? Gli uomini sono davvero stupidi.»
Aveva confidato un giorno all’amica durante una ricreazione passata all’aria aperta, esasperata dalla totale mancanza di comprensione di Shinichi.
«Non vorrai mica gettare la spugna così presto?»
Aveva piagnucolato la rossa, ma Makoto negò tutto quanto, giurando a se stessa di fare di meglio.
D’un tratto Doremi venne colpita in faccia da qualcosa che la fece cadere per terra.
«Argh, Doremi stai bene?»
Tra le tante stelline, Doremi scorse il viso dell’amica.
«Ahia… Sì, credo di sì»
Disse rimettendosi in piedi, massaggiandosi la punta del naso che era diventata rossa.
«Scusa, l’ho calciata troppo forte!»
Tetsuya faceva loro un gesto con la mano. Non sembrava particolarmente dispiaciuto.
«Perché non guardi dove tiri? Sei veramente un incapace, davvero non capisco cosa ci faccia uno come te nella squadra di calcio!»
Urlò Doremi arrabbiata, agitando il pugno contro il compagno.
Lui sorrise sbeffeggiandola.
«Si dia il caso che sono il migliore, quindi fossi in te mi rimangerei indietro tutto quanto, Dojimi.»
La rossa stava per andare dritta da lui e dirgliene quattro in faccia, ma Makoto allungò la mano davanti a lei, impedendole di superarla.
«Sei veramente convinto di essere il migliore?»
Gli chiese in tono di sfida.
«Perché, se è così, allora dimostralo.»
Tetsuya fece un suono indistinto, quasi come se facesse del suo meglio per sopprimere una risata.
«Andiamo, non fare scherzi, sei una ragazza, non posso mica confrontarmi con te.»
Si limitò a dirle, togliendosi la polvere da sopra una spalla, incitato dalle risate di scherno dei suoi compagni di squadra.
Makoto però non si lasciò abbattere, e sorrise a sua volta.
«Non sarà mica che in realtà hai solamente paura di essere battuto da una ragazza.»
Le parole ebbero l’effetto sperato, Tetsuya s’irrigidì all’istante ed il resto della squadra iniziò a canzonarlo.
«Sì Tetsuya, temi forse che possa batterti?»
«Che imbarazzo, non trovate?»
«Nah, io credo in te, falle vedere chi comanda sul campo!»
Mosso dalle provocazioni, il ragazzo non poté certamente tirarsi indietro.
«Coraggio, fammi vedere che sai fare. Purché poi non ti metta a piangere.»
Makoto sorrise, avvicinando il pallone ai suoi piedi.
«Vedremo chi piangerà.»
E con quelle parole, tirò un calcio fortissimo alla palla. I ragazzi s’immobilizzarono per seguirne la traiettoria, mentre la ragazza avanzava con passo deciso in loro direzione.
«Vediamo se riesci a smarcarmi.»
Disse a Tetsuya, riconquistando il possesso palla, correndo nella direzione opposta.
Doremi era rimasta a guardare la scena da lontano, sorprendendosi di quanto fosse brava l’amica.
“Questo è per te, Doremi.”
Si disse fra sé e sé, mentre schivava una scivolata di Tetsuya.
«Dovrai fare di meglio, temo.»
Gli sorrise mentre palleggiava da un piede all’altro, lanciando in aria il pallone e assestandogli una testata violenta che lo spinse dentro una delle porte.
«Hai ancora intenzione di umiliarti o ne hai abbastanza per oggi?»
Gli domandò asciugandosi il sudore dalla fronte con l’avambraccio.
«Finora ti ho sottovalutata, è vero, ma non credere di avere chissà quale talento, ora che so di cosa sei capace non riuscirai certo a sorprendermi.»
Le rispose Tetsuya spavaldo mentre recuperava il pallone.
Da lontano Doremi tifava per l’amica, incoraggiandola con tutto il fiato che aveva in corpo.
Furono dieci minuti intensi, in cui i giovani s’impegnarono con tutte le forze per dimostrare alla rossa chi dei due fosse il migliore. Da una parte Tetsuya aveva un ottimo controllo del gioco, ma dall’altra Makoto era agile e anticipava le mosse del suo avversario. Doremi si chiese cosa avrebbero potuto realizzare quei due se fossero stati nello stesso team. Per quanto le costasse ammetterlo, dovette riconoscere che Tetsuya era molto bravo.
Quando la campanella suonò, il gioco dovette interrompersi.
Makoto si passò una mano tra i capelli ravvivandoli, poi guardò il suo rivale dritto in mezzo agli occhi.
«Allora, credi ancora che le donne non siano capaci di giocare a calcio?»
Gli chiese affannosamente.
«Piantala, hai avuto fortuna.»
Le rispose riprendendo fiato. Lei gli si parò davanti.
«Non puoi essere così sciocco da crederlo davvero.»
Il suo sguardo serio lo spaventò un poco. Perché se la prendeva tanto?
«Ti sfido a giocare seriamente allora, oggi pomeriggio dopo la scuola. Questo per me era solamente riscaldamento.»
Le guance di Makoto si gonfiarono.
«Beh sì, anche per me, ho tirato fuori solo il 10% della mia forza, vedessi come gioco quando faccio sul serio.»
Tetsuya sorrise porgendole la mano.
«Allora accetti?»
Makoto lo fissò intensamente prima di stringergli la mano in una morsa decisa.
«Contaci.»
 
 
Dopo la scuola alcuni studenti che avevano appreso la notizia, si radunarono sul campo per assistere allo scontro tra quei due.
Makoto e Tetsuya si trovavano uno di fronte all’altro.
«Mor-ra ci-ne-se!»
Cantilenarono all’unisono, agitando il pugno.
«Ah carta batte sasso, scelgo io il primo giocatore.»
Annuncio Tetsuya entusiasta.
«Scelgo Akito.»
Un ragazzo muscoloso si avvicinò al compagno e prese posto al suo fianco.
«Io invece scelgo Jou.»
Affermò Makoto decisa, indicando un ragazzo alto dai capelli blu.
«Satoru.»
«Naoki»
«Kijuro»
«Matsuyo.»
Poco dopo le squadre erano formate, il round iniziò quando il ragazzo incaricato di fare l’arbitro alzò il braccio, mettendosi due dita in bocca per fischiare.
Il possesso palla iniziale era toccato a Tetsuya, che lo custodiva gelosamente, guardando bene prima di effettuare un passaggio. La squadra avanzava veloce verso la metà campo avversaria, intenta a segnare un goal quanto prima, ma Makoto smarcò il ragazzo riconquistando il pallone e palleggiando nella direzione opposta.
Dagli spalti del campo di calcio si levavano urla e ovazioni, le voci femminili incitavano la squadra di Makoto con cori amichevoli, Doremi, con un cerotto sul naso ancora dolorante, applaudiva ogni volta che l’amica si ritrovava il pallone tra i piedi.
Si udì un grande boato quando Tetsuya segnò il primo goal. Il ragazzo esultò allargando le braccia e formando un elicottero. Le ragazze tacquero in segno di protesta, ma ebbero modo di farsi sentire quando Makoto segnò a sua volta, pareggiando.
Tetsuya era arrossito, fortificando la propria difesa e deciso a recuperare quanto prima.
«Non accetto il pareggio!»
«Nessun problema.»
Disse Makoto, mentre un membro della sua squadra faceva un altro gol.
Tetsuya, furioso, chiese il time-out, studiando una nuova strategia che lo aiutò a rimontare.
La partita si concluse con un dignitoso 2-2, anche se alcuni si dichiararono piuttosto insoddisfatti di quel risultato.
«Non ci credo! Battuti da una ragazza!»
Si lamentava uno di loro.
«Cosa vuoi farci? Aveva Naoki e Matsuyo nella sua squadra.»
Lo incoraggiò un compagno, battendogli una pacca sulla schiena.
Quasi tutti si diressero allo spogliatoio, lasciando Makoto da sola sul campo. Solo Tetsuya alla fine le si avvicinò, porgendogli una mano.
«Non giochi affatto male, per essere una ragazza.»
Ammise con un filo di voce, assicurandosi che nessun altro fosse nei paraggi ad ascoltare le sue parole.
«Neanche tu… Per essere un ragazzo.»
Scherzò Makoto stingendogli la mano.
«Dovremmo farlo più spesso.»
Suggerì lei infine, ma il ragazzo non parve troppo entusiasta.
«Preferirei di no, ma sono d’accordo con te, la scuola dovrebbe istituire una squadra femminile.»
Makoto parve sorpresa da quella sua dichiarazione.
«Quindi non giocheremo più insieme?»
Domandò delusa.
«Beh, forse potremmo ancora fare due tiri, in futuro.»
Si affrettò ad aggiungere quando la vide rabbuiarsi.
«Però ciò che intendevo è che sarò dei tuoi, se il prossimo anno vorrai parlare col preside.»
Makoto sorrise, ringraziandolo.
In fondo, anche se era uno sbruffone un po’ troppo sicuro di sé, Tetsuya non era poi così male.
Arrossì mentre pensava quella cosa, ma come diamine le veniva in mente? Si affrettò a ricomporsi e a nascondere il sorriso, non voleva che Doremi, che la stava raggiungendo, le vedesse quell’espressione sul viso.

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Capitolo 13
*** Legami preziosi ***


-LEGAMI PREZIOSI-
 
Era buffo come d’improvviso il tempo fosse cambiato. L’azzurro chiaro del cielo aveva ceduto il posto ad un grigio scuro che non lasciava più intravedere i tenui raggi solari a cui ci si era ormai abituati.
Il fogliame aveva assunto un colorito marroncino e gli alberi si stavano lentamente spogliando.
Mentre camminava non poteva fare a meno di udire  il sonoro crac delle foglie ormai morte, cadute sul marciapiede dalle cime che poco tempo avevano fornito loro il nutrimento necessario.
Per qualche ragione si sentì triste. L’estate era ormai finita, portandosi dietro tutto il buono che aveva avuto finora.
Da quando aveva ottenuto il diploma di scuola elementare qualcosa era cambiato, sentiva di non essere più una bambina, di dover comportarsi da adulta. Si era imposta di “restare piccola” ancora un po’, fino al primo giorno di scuole medie, e, seppur a malincuore, aveva tenuto fede alla sua promessa.
Da quel giorno si era concentrata solamente sulla realizzazione dei propri obiettivi, imponendosi delle rigide regole che non si permetteva di infrangere. Si era iscritta a tre diversi corsi pomeridiani per tenersi impegnata, e nel fine settimana si esercitava a suonare il violino in casa, assistita dal professore privato che i suoi genitori avevano assunto tanto tempo prima, e che le aveva insegnato tutto quello che sapeva.
Tuttavia continuava a sentire un vuoto dentro di sé, come se tutto ciò che facesse non fosse abbastanza. Perché era così esigente?
Melody non sapeva darsi una risposta, per quanto la cercasse disperatamente.
“Ho ottimi voti, il mio insegnante non fa che ripetermi di essere migliorata notevolmente nell’ultimo periodo, ho imparato a ricamare e sono sempre a tempo con la musica durante le lezioni di ballo, ma perché tutto questo sembra non bastarmi? Cosa mi manca ancora?”
Il giorno precedente aveva svuotato l’armadio di tutti i suoi vecchi abiti, adesso era una signorina e doveva scegliere un abbigliamento più appropriato ad una giovane della sua età. Era stata dura convincere sua madre a non interferire con le sue scelte e a lasciarle svolgere i suoi acquisti da sola. Ne avevano discusso animatamente nei giorni precedenti, e lei dovette attingere a tutta la forza di volontà che aveva in corpo per non lasciarsi impietosire dalle simulazioni melodrammatiche che Reiko era tanto brava ad inscenare. Ma Melody non l’avrebbe lasciata vincere anche questa volta.
“Ho rinunciato alla magia decidendo che sarei stata in grado di prendere le mie decisioni da sola. Perdonami mamma, ma lo faccio soprattutto per me.”
E così, dopo tanto discutere, la donna si era finalmente arresa alla sua volontà. Melody dubitò che ci fosse lo zampino di Baaya in quella vicenda, ma in verità Reiko aveva finalmente accettato quell’amara verità: Melody era cresciuta.
 Anche agli occhi di suo padre lei non appariva più la stessa, era come se avesse perso un po’ della sua vitalità, come se avesse fatto voto di serietà o qualcosa del genere.
L’unica che sembrava aver capito il suo cuore era la domestica, che le si avvicinava a passo felpato e lasciava che la ragazza si sfogasse indirettamente, senza nemmeno rendersene conto.
Baaya aveva sempre voluto bene alla piccola rampolla, considerandola un po’ figlia sua, e non era nuova a queste situazioni, dal momento che anche Reiko, da bambina, aveva affrontato lo stesso periodo buio, anche se era passato ormai tanto tempo e lei ormai non se ne ricordava nemmeno più.
C’erano volte in cui cercava l’appoggio delle sue amiche, ed era tentata di mandar loro un messaggio, ma poi si diceva che il tempo in cui risolveva i problemi grazie all’aiuto delle sue amiche era finito, quindi rinunciava a premere “invio” sulla tastiera del suo cellulare.
Le sue nuove compagne di classe erano ragazze mature, la sua ex compagna delle elementari (nonché sua attuale compagna di classe) Reika Tamaki si era ambientata piuttosto in fretta in quel nuovo ambiente, mentre a lei riusciva invece così difficile. Eppure era strano, prima d’ora non aveva mai avuto problemi di quel genere. Si disse che, semplicemente, era ancora troppo infantile, e per questo motivo aveva tagliato i ponti con la sua migliore amica Doremi. Certamente Melody continuava a volerle bene, e in cuor suo sapeva che la sua tristezza fosse anche causata dalla lontananza che lei stessa aveva provveduto a creare, ma era consapevole che continuare a frequentare Doremi avrebbe significato rimanere intrappolati in una situazione di stasi che impediva la sua completa metamorfosi in adulta.
Si domandava spesso cosa ne fosse delle altre ragazze, il numero di messaggini che erano solite mandarsi si erano notevolmente ridotti. Avrebbe voluto poter usare la magia un’ultima volta, per rincontrarle tutte quante, per confrontarsi con loro, e anche se poteva impedirsi di pensarci, non poteva certo impedirsi di desiderarlo.
 
Il periodo delle piogge era iniziato, presto sarebbe ritornato l’inverno. La neve che cadeva a fiocchi le riportava alla mente le battaglie di palle di neve insieme a Doremi e le altre, o le scritte sul pavimento che citavano “Amiche per sempre”. Se solo avesse immaginato quante cose sarebbero cambiate nel giro di pochi mesi, si sarebbe goduta quei momenti con più intensità, ma purtroppo non si possono prevedere le curve della vita.
 
Un pomeriggio in cui, fortunatamente, non pioveva, Melody decise di percorrere la strada lunga per tornare a casa, approfittando dell’occasione per sgranchirsi un po’ le gambe.
Stava attraversando il ponte nei pressi della sua scuola elementare di Misora, ma sovrappensiero com’era quasi non ci fece caso. A richiamare la sua attenzione fu una melodia nell’aria, che magicamente la rapì ai suoi pensieri.
Conosceva bene quella musica, quelle note, quello stile. Corse velocemente verso il ponte e guardò in basso, sorridendo per la prima volta dopo tanto tempo. Un ragazzo alto e magro dall’aspetto imperturbabile, stava suonando la tromba. Senza pensarci due volte, Melody scese il vialetto e si trovò sul pezzo di terra che costeggiava il fiume. Masaru non si accorse subito della sua presenza, e continuò a suonare ancora per un po’ con gli occhi chiusi. Melody osservò i tratti del suo viso, rendendosi conto di quanto fosse cambiato nel corso di quei mesi in cui l’aveva completamente perso di vista.
Quando il ragazzo terminò la musica, finalmente la vide.
«Oh, Melody!»
Esclamò sorpreso, lei per tutta risposta gli sorrise.
«E’ bello rivederti dopo così tanto tempo, Masaru.»
«Sì, fa piacere anche a me.»
Rispose col suo solito tono distaccato.
«Sei migliorato parecchio dall’ultima volta che ti ho sentito suonare. Ti sei esercitato duramente, non è così?»
Domandò socchiudendo gli occhi.
«No, non proprio.»
«Eh?»
«Suonare la tromba mi piace, ma è solamente un passatempo.»
«Davvero?»
Chiese stupita da quell’affermazione.
«Credevo che il tuo sogno fosse quello di diventare un trombettista.»
Lui scosse la testa impercettibilmente.
«In realtà non so ancora cosa voglio fare da grande.»
Melody sgranò gli occhi.
«Come sarebbe a dire non lo sai ancora… Ma frequenti già le scuole medie, dovresti avere le idee chiare sul tuo futuro!»
Lui le rivolse un’occhiata indifferente.
«Tu credi?»
La ragazza annuì con veemenza, gli occhiali rifletterono la tenue luce del sole.
«Per come la vedo io sono ancora troppo giovane per sapere cosa ne sarà.»
«Ma scusa, tutto questo non ti preoccupa?»
Chiese con apprensione, ma Masaru fece spallucce.
«Sono ancora un ragazzino, ho tutta una vita avanti a me per preoccuparmi.»
Melody si rabbuiò e lui non poté fare a meno di notarlo.
«Io invece ho così tanta paura… Temo di sprecare il mio tempo, per questo mi sono iscritta a tre corsi pomeridiani, per imparare quante più cose possibili. Non si sa mai cosa potrà tornarci utile.»
Masaru afferrò una pietra e la lanciò sul fiume.
«Scusa se te lo dico, ma a me sembrano solo un mucchio di sciocchezze.»
Il rumore del sassolino sull’acqua spezzò il silenzio che si era creato tra i due.
«A mio avviso, dovresti concentrarti sulle cose che veramente ti interessano, e rinunciare al resto che ti porta via del tempo prezioso senza lasciarti nulla di concreto. Fino a poco tempo fa sognavi di diventare una violinista di fama mondiale, dimmi, è ancora questo il tuo progetto?»
Melody annuì stringendo i pugni avanti a sé.
«Certamente! Mi esercito sia al corso di musica che privatamente a casa mia durante il weekend.»
Lui le rivolse un’occhiata, incuriosito.
«E cosa fai oltre a questo?»
«Beh, frequento un corso di cucito ed uno di balletto.»
«E perché mai? Che vantaggi possono portare alla tua futura carriera da violinista?»
Melody non seppe cosa rispondere.
«Se non sei in grado di darmi una risposta, allora te lo dico io: nessuno. Non capisco perché sprecare il tuo tempo in attività che non ti interessano nemmeno.»
«Perché crescere significa anche questo.»
«Cosa? Riempirsi l’agenda di inutili promemoria? Crescere non significa questo. Tu sei già più matura della metà delle persone che conosco, e sia chiaro, l’altra metà è costituita da adulti.»
Un altro sassolino disegnò dei cerchi nell’acqua, prima di calare a fondo.
«Non hai alcun bisogno di fare tutto questo, rischi solamente di perderti preziosi momenti della tua gioventù. Avrai tante occasioni di crucciarti quando sarai un’adulta, ma adesso goditi i tuoi dodici anni, esci con le amiche, mangia quanto più gelato puoi, guarda i cartoni animati, perché arriverà il giorno in cui non potrai più fare tutte queste cose, e allora te ne pentirai.»
Gli occhi di Melody tremarono leggermente nell’udire quelle parole.
«Vorrei poter darti ascolto, ma vedi? Non posso. Io non ho più nessun amico.»
Masaru la guardò in viso.
«Non dire sciocchezze, e che mi dici di Doremi?»
Lacrime calde scivolarono sul volto della ragazza prima ancora che lei potesse fermarle.
«Probabilmente adesso non vuole neanche più saperne di me dopo come mi sono comportata.»
Melody iniziò a singhiozzare sotto lo sguardo sconvolto del ragazzo.
Masaru rimase in silenzio e attese pazientemente, lasciando che si sfogasse. Quando i singhiozzi divennero meno frequenti e le lacrime si arrestarono, finalmente parlò di nuovo.
«Non so cosa sia successo tra voi due, ma lei non mi sembra il tipo che porta rancori. Prova a parlarle, sono certo che ti darà ascolto e che tutto tornerà come prima. Fidati di me.»
Melody annuì in silenzio, asciugandosi le ultime lacrime che erano sgorgate con un fazzoletto.
«Masaru… Volevo ringraziarti. Non so come mai, ma ogni volta che ho un problema, tu appari e lo risolvi.»
Masaru arrossì impercettibilmente.
«Ma cosa dici?»
Melody sorrise debolmente, e lui non poté fare altrimenti quando la vide nuovamente allegra.
Il cellulare di Melody squillò nella sua tasca.
«È un messaggio di Doremi.»
Lo informò, leggendo il testo.
«È un segno.»
Le disse con semplicità, strappandole un altro sorriso. In qualche modo, la sua presenza riusciva sempre a farla stare meglio, era come un angelo custode.
«Allora non me lo farò sfuggire.»
Melody fece per tornare a casa, ma lui la fermò.
«Dammi il tuo numero di telefono, magari qualche volta riusciamo ad incontrarci.»
Lei obbedì, sperando in cuor suo che quel momento arrivasse più in fretta possibile.
 

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Capitolo 14
*** Doremi è ancora una bambina ***


-DOREMI E’ANCORA UNA BAMBINA-

 
L’autunno aveva ormai sostituito la primavera, ma quasi Doremi non se ne accorse, indaffarata com’era. Ultimamente anche la signorina Asami si era rivolta a lei in cerca di aiuto, dopo esser venuta a conoscenza delle abilità di venditrice della ragazza.
«Ho saputo che fino a poco tempo fa lavoravi come commessa nel negozio chiamato MAHO.»
Le aveva confidato, passeggiando insieme a lei nei cortili della scuola. Solo allora Doremi si accorse di quanto fossero cambiati i colori delle aiuole; se fino a poco tempo prima queste si presentavano allegramente variopinte, adesso erano prevalentemente rosse. Il periodo del Momijigari era già iniziato.
«Sì è vero. Ho lavorato al MAHO per ben quattro anni di fila.»
Asami parve sorpresa.
«Quattro anni? Ma allora quando hai iniziato eri poco più che una bambina.»
Doremi sorrise, chissà perché tutti quanti reagissero allo stesso modo.
«Eri sicuramente una bambina matura, altrimenti come avresti potuto convincere la proprietaria ad assumerti?»
Le gote della ragazza si tinsero dello stesso colore delle foglie.
“In realtà lo devo tutto al fatto di aver scoperto che Eufonia fosse una strega, ma non posso certo confidarglielo.”
Pensò tra sé e sé, annuendo all’insegnante.
«Beh, immagino di sì, anche se non ero poi tanto diversa da quanto lo sia adesso.»
La signorina la guardò con tenerezza, facendola sentire vulnerabile.
«Allora dovevi essere un tipo davvero in gamba. Ti ho osservata Doremi, sai? E credo che tu possieda molti più pregi di quanto non creda.»
Doremi sollevò lo sguardo, fissandola dal basso del suo metro e cinquanta.
C’era qualcosa di famigliare nello sguardo di quella donna. In parte le ricordava un po’ la sua vecchia insegnate delle elementari, la signorina Seki, anche se le due donne avessero caratteri decisamente opposti.
«Ad ogni modo non ti ho certo portata qui per adularti.»
Aggiunse con un sorriso, che Doremi non poté non ricambiare.
«In realtà volevo chiederti di aiutarmi nell’allestimento del nostro mercatino. Sarai sicuramente un’esperta nel campo della vendita, o mi sbaglio?»
Doremi si passò una mano dietro al collo.
«Beh, io non mi definirei proprio così, ma ho sicuramente acquisito esperienza in quel settore negli ultimi quattro anni, lo ammetto.»
«Sempre troppo modesta, una dote che non si smette mai di sottovalutare.»
Di nuovo, la donna la lasciò senza parole. Le due rimasero in silenzio a guardare le cime scarlatte degli alberi del cortile scolastico tremare guidati da una leggera brezza.
Era così pacifico. Doremi lasciò che i suoi pensieri la conducessero lontano da quel luogo, dimenticandosi per un attimo dove fosse, cosa ci facesse e perché. Dopo un interminabile minuto, che a Doremi parve un’eternità, la voce di Asami la ricondusse nel presente.
«Quindi spero che accetterai.»
«Uh? Oh certo… Conti pure su di me, sarà un piacere organizzare gli espositori.»
La donna sorrise.
«Di quali espositori parli? Non ci troviamo certo al MAHO!»
La ragazzina la osservò con curiosità.
«E dove sperava di esibire la merce in vendita?»
L’insegnante fece spallucce.
«Dobbiamo arrangiarci con quello che possediamo, quindi pensavo di abbellire un po’ i nostri banchi – magari con  dei centrotavola – e  utilizzarli come se fossero delle bancarelle, che te ne pare?»
Ci rifletté un attimo con aria assorta.
«Sì, trovo che sia un’ottima idea! Potremmo anche sostituire le cartine geografiche della classe con i quadri provenienti dal club di disegno e pittura.»
«Mh, sono assolutamente d’accordo.»
«E servire degli assaggi gratuiti dei dolciumi realizzati dal club di cucina, incitando così la clientela ad acquistarli.»
«Sei una vera esperta d’affari.»
«Lasci fare a me, organizzerò uno stand coi fiocchi, ricaveremo anche più di quanto abbia immaginato il preside, costringendolo finalmente a concederci il permesso.»
«Coraggio Doremi, è questo lo spirito giusto!»
Disse l’insegnante battendosi un pugno sulla mano.
 
 
Se fino ad allora pensava d’aver avuto parecchio da fare, dovette ben presto ricredersi. La sua presenza era ormai richiesta in ognuno dei club pomeridiani, tutti quanti le chiedevano consigli inerenti al mercatino, sottoponendo la merce al suo giudizio. Per la prima volta si sentì meno impiastro del solito, perché i suoi compagni di scuola la prendevano sul serio.
«Il tempo stringe, ci rimane poco meno di un mese, dobbiamo raddoppiare la mole di lavoro!»
Si sentiva straordinariamente gratificata la notte, quando crollava stancamente sul suo morbido letto.
“Se sono stanca è perché oggi ho faticato molto, ma domani voglio poter fare di più!”
Per i signori Harukaze, vedere Doremi così indaffarata era una cosa nuova.
«Ultimamente ti si vede sempre meno spesso in casa.»
Le disse sua madre una sera, mentre sedevano tutti e quattro a tavola per la cena.
Doremi afferrò una coscia di pollo assestandole un morso, prima di parlare a bocca piena.
«E’ vero, do una mano per l’organizzazione dei mercatini di Natale.»
«Doremi ingoia prima di mangiare.»
La rimbeccò la sua sorellina.
«Non è che tutto questo daffare ti stia distraendo dagli studi?»
Si preoccupò il padre, osservandola scolarsi il bicchiere d’acqua di tutta fretta.
«Papà se fossi in te non mi preoccuperei, non è che prima Doremi si ammazzasse di lavoro per mettersi in pari con i compiti…»
La sorella maggiore rivolse un’occhiataccia alla minore.
«Per vostra informazione, sono assolutamente al passo con il programma scolastico… Beh, ok, forse sono un po’ in arretrato, ma recupererò quanto prima, fidatevi di me.»
«Ecco lo sapevo, sei sempre la solita inaffidabile.»
Bibì, mettendosi in piedi sulla sedia, si tirò un occhio verso il basso, sbeffeggiandola.
«Chiudi il becco, ti sembra il modo di parlare alla tua oneesan
«A dire il vero, vederti sommersa da nuove responsabilità non mi dispiace troppo.»
La informò la madre con tono pensoso, mettendo a tacere la discussione che presto sarebbe nata tra le due figlie.
«Cosa vuoi dire?»
Domandò Bibì, tornando seria.
«Devo confessare che finora ho sempre pensato che non avessi un vero obiettivo. Sì, ti sei data molto da fare al MAHO, sia come commessa che come babysitter, ma non hai mai mostrato particolarmente interesse nelle tue mansioni. Fino a poco tempo fa non sapevi nemmeno decidere a quale corso del doposcuola iscriverti, e adesso partecipi praticamente ad ognuno di essi. E’ come se da quando frequentassi le scuole medie fossi cresciuta, e mi sorprende che ciò sia avvenuto così in fretta.»
Doremi guardò la madre che le riservava l’espressione che faceva quando era particolarmente orgogliosa.
«Doremi sta crescendo, cara. La piccola combina guai che conoscevamo sta diventando una signorina con la testa sulle spalle.»
Aggiunse il papà di Doremi, facendole l’occhiolino.
La ragazzina arrossì fino alla punta dei capelli, che assunsero un colorito ancora più fiammante.
«Smettetela di farmi tutti questi complimenti, non ci sono abituata, non mi piace, perché non potete trattarmi come sempre?»
«Se ti consola, sorellona, per me rimani comunque una pasticciona.»
 «MOSTRA PIU’ RISPETTO PER GLI ANZIANI, BIBI’»
«Perché mai dovrei? Hai detto che sei stanca degli elogi, dovresti apprezzare la mia onestà.»
«Essere onesti ed essere cattivi non è affatto lo stesso.»
«In questo caso invece sì!»
Haruka e Keisuke emisero un suono disperato.
«Forse ho un po’ esagerato quando ho detto che fosse maturata.»
Keisuke sorrise in direzione della moglie, qualche gocciolina di disapprovazione gli puntellava il viso.
«Arrendiamoci a questa grande verità: anche crescendo, quelle due non smetteranno certo di bisticciare.»
Sentenziò infine la moglie, prima di prendere in mano la situazione e riportare l’ordine in casa sua.
Anche Doremi e Bibì sorrisero, certe cose non sarebbero cambiate mai.

 

DIZIONARIO (JUST IN CASE)
*Momijigari: è la tradizione giapponese di ammirare le foglie degli alberi divenire rosse nel periodo autunnale.
**Oneesan: è un suffisso giapponese che significa "sorella maggiore". In lingua originale, Bibì si riferisce sempre con questo termine a Doremi.

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Capitolo 15
*** Una cara vecchia amica ***


-UNA VECCHIA CARA AMICA-
 
Makoto aveva iniziato ad allenarsi da sola nel campetto della scuola, quando questo si svuotava o quando non era programmato nessun allenamento.
La partita contro Tetsuya e il suo gruppo le aveva ricordato quanto amasse quello sport, e voleva esercitarsi per la prossima volta che i due si sarebbero scontrati, perché lei era certa che sarebbe successo.
“Ti batterò Tetsuya, ti farò vedere chi sono.”
Si ripeteva queste parole come fossero un mantra mentre calciava ferocemente il pallone contro la rete.
Vedere Doremi incentrare tutte le sue energie in diverse attività le aveva ricordato quanto fosse importate avere una passione da coltivare, ma presto si era resa conto che l’organizzazione di eventi non era certo il suo forte. Lei non nutriva alcun interesse per i mercatini, non le piacevano particolarmente i pendenti e non riusciva proprio a capire l’arte, si disse che non sarebbe stata affatto tagliata per lavorare al MAHO!
Tuttavia, nonostante lei e Doremi avessero interessi discordanti, la loro amicizia era sincera e cresceva di giorno in giorno. Per lei, quell’amicizia era davvero importante.
Sebbene non ne parlasse quasi mai, a Makoto mancavano tantissimo i suoi vecchi amici di Hokkaido, ma purtroppo non possedeva nessun cellulare, perciò mantenere vivo il rapporto con loro era difficile, perché la durata della corrispondenza era piuttosto lunga: le lettere impiegavano un paio di giorni prima di giungere a destinazione, poi venivano lette, occorreva ancora qualche giorno prima che i suoi amici scrivessero una lunga risposta (dato il costo dei francobolli non potevano certo permettersi di scriversi poche righe!) e infine doveva aspettare che venissero recapitate. Durante il weekend l’attesa aumentava.
Anche se mai l’avesse ammesso a voce alta, Makoto era piuttosto invidiosa del rapporto che Doremi intratteneva con le sue amiche storiche. Lei riceveva spesso dei loro messaggini in cui loro l’aggiornavano brevemente sull’andazzo che avevano preso le loro vite, ed in parte era come se fossero ancora vicine. Aveva però notato che negli ultimi tempi riceveva sempre meno SMS, quindi forse quell’apparecchio non serviva poi a un granché.
Lei invece continuava a ricevere novità dal suo paese natio, soprattutto da parte della sua vecchia compagna di banco delle scuole elementari, Rei. Con Rei era stato tutto complicato all’inizio, le due ragazze non si piacevano affatto (ripensarci dopo sei anni di amicizia la faceva sorridere) ma poi avevano scoperto di avere tante cose in comune. Rei era l’unica con cui si sentiva regolarmente, almeno una volta al mese le scriveva lettere lunghe cinque pagine intere, decorate con disegni e adesivi.
Si chiedeva se un giorno la loro amicizia potesse finire a causa della distanza, rattristandosi immediatamente. “Ma no” si diceva “un’amicizia sincera non può finire di botto senza neppure un motivo!”
 
 
Makoto si allenava anche quel pomeriggio, mentre Doremi intratteneva i membri del corso di cucina, mostrando loro una ricetta imparata pochi anni prima da Mindy.
 «Questo dolce si chiama “brownies” e prende il nome dal colore del cioccolato. In America vanno fortissimo, sono semplicissimi da preparare, molto gustosi ed anche pratici, dato che solitamente si servono tagliati in quadrati di circa quattro centimetri. Per prepararli occorrono della farina, lo zucchero, del cacao amaro ed infine degli arachidi.»
Pazientemente mostrò loro come preparare il dolce preferito della sua amica americana, sperando di riscuotere lo stesso successo. L’odore proveniente dal forno le causava una morsa allo stomaco, il ricordo del periodo in cui il MAHO era una pasticceria fece breccia nella sua mente, riportandole ricordi carichi di nostalgia. Quanto avrebbe desiderato passare un altro pomeriggio a infornare dolciumi assieme alle sue migliori amiche. Non riceveva un SMS da circa una settimana, da quando Lullaby aveva annunciato loro la fine delle riprese del suo nuovo film. Sospirò pensando che avrebbe rivisto la sua amica solamente attraverso uno schermo. Che ne era stato delle altre? Sinfony aveva più vinto una gara? E Mindy conosceva già il sesso dell’ultimo Asuka? Ma soprattutto che ne era di Melody? Era sparita nel nulla, non si era più fatta sentire né vedere, e lei non aveva alcuna intenzione di disturbarla, dato che l’ultima volta che si erano viste l’amica le aveva comunicato la sua scelta di partecipare a ben tre corsi pomeridiani diversi.
Doremi aveva aspettato a lungo un suo messaggio in cui le chiedesse di incontrarsi, anche solo per bere un the, ma dopo due mesi aveva perso le speranze.
Accettava pian piano l’idea che diventare grandi significava anche anteporre le proprie necessità al resto, e comprendeva di essere diventata una figura di poca importanza nella vita di Melody.
Le faceva male, inutile nasconderlo, ma non poteva far nulla per riprendersi la sua vecchia amica, dal momento che era stata lei stessa ad allontanarla.
Crescere significava diventare egoisti?
 
 
Quando, finita l’ora di cucina, ripercorse il viale per tornare a casa, si accorse che il campo da calcio era vuoto. Makoto doveva già aver finito i suoi allenamenti ed esser tornata a casa.
Rimase a fissare il campo senza accorgersi della persona che le stava di fronte, tagliandole la strada. Solo quando questa tossì, Doremi finalmente la notò.
Le due figure rimasero a guardarsi per un lungo istante, quasi come se si stessero studiando.
«Doremi.»
Disse infine, avvicinandosi.
«Che sorpresa rivederti, Melody, cosa ci fai qui?»
Riuscì a dire infine superato lo choc, mentre il suo cuore aveva iniziato a battere aritmicamente.
«In realtà sono venuta perché cercavo te.»
«Come facevi a sapere che ero qui?»
Melody tentennò un istante prima di risponderle. Afferrò il cellulare e lo mostrò all’amica.
«Me lo ha detto Masaru. Ultimamente abbiamo ripreso i contatti.»
Doremi la fissò, tentando di nascondere la sua delusione.
“A quanto pare non le manca il tempo di messaggiare con Masaru.”
«Capisco.»
Si limitò a dire, falsificando un sorriso.
«Ad ogni modo, perché mi cercavi?»
Domandò tornando seria, mentre Melody abbassava il capo in preda allo sconforto.
«Io volevo scusarmi con te.»
Mugolò, concentrandosi su un punto impreciso sul pavimento.
«Scusarti per cosa?»
Melody alzò lo sguardo e lo posò in quello della rossa. Doremi l’aveva vista così determinata solo poche volte prima.
«Sono stata una sciocca! Ti ho detto che non avrei avuto più tempo per te.»
Fu come ricevere un pugno in pieno petto. Lei socchiuse gli occhi con gentilezza.
«Non devi affatto scusarti, frequenti tre corsi diversi, ed ormai anche io faccio parte di diverse associazioni extrascolastiche, quindi il tempo libero a nostra disposizione si è notevolmente ridotto, non credi?»
Per la prima volta si sentì a disagio in presenza di quella che era stata la sua migliore amica per quasi sette anni. Come erano arrivate fino a questo punto?
«Ho pensato che se mi fossi tenuta impegnata, se avessi imparato più cose, allora sarei stata avvantaggiata rispetto alle altre studentesse, ma poi ho capito che stavo solo sprecando il mio tempo con attività che non mi interessavano nemmeno! Avrei potuto impiegare quei pomeriggi a fare qualcosa di più divertente, ad esempio passandoli insieme a te, a ridere come ai vecchi tempi.»
Gli occhi di entrambe si inumidirono, ed ambedue si premurarono di non darlo a vedere.
«Ti ho messa da parte, ho accantonato anni e anni di amicizia solamente per…»
«Non dirlo!»
La interruppe.
«Lo hai fatto per il tuo futuro, ed io lo capisco.»
Doremi parlò con un tono di voce che non le apparteneva.
«Molte volte mi sono preoccupata perché non sapevo cosa avrei voluto fare della mia vita – e non lo so nemmeno adesso – mentre tu e le altre lottavate per dar vita ai vostri progetti. Confesso con vergogna, che spesso ho provato invidia nei vostri confronti. Tutte andavate avanti, in qualche modo, tranne me. So bene di esser stata una presenza negativa.»
Melody scosse velocemente la testa.
«È esattamente il contrario! Tu sei tutto Doremi, fuorché negativa. Porti gioia ovunque tu vada, e lo dimostra il fatto che mi sia sentita persa senza di te. Io volevo solo essere all’altezza delle mie compagne di classe, ma se per esser come loro, devo rinunciare alla mia felicità, allora non mi interessa più.»
Doremi era certa che non sarebbe stata in grado di contenere ancora a lungo le lacrime, il groppo nella sua gola si stava facendo sempre più pesante.
«In questi mesi mi sono sentita sola, anzi lo sono stata, ed è solamente per colpa mia!»
Deglutì rumorosamente prima di proseguire.
«Sono venuta qui senza sapere se sarai in grado di perdonarmi o meno, ma se non avessi percorso questa strada, sarei stata io a non perdonare me stessa.»
La sua voce tremò, mentre stringeva con più forza i pugni davanti a sé.
«L’ho capito tardi e me ne pento. Non ti chiedo di essere comprensiva, non me lo merito.»
«Stupida!»
L’urlo di Doremi interruppe l’amica, lasciandola senza parole. L’unico rumore che si sentiva era quello del vento che passava tra gli alberi.
«Sei una stupida se credi che io possa portarti rancore.»
Proseguì asciugandosi una lacrima con la manica della sua giacca.
«Non sai per quanto tempo ho aspettato questo momento. Mi sei mancata talmente tanto che non saprei descrivertelo.»
Anche gli occhi castani avevano iniziato a lacrimare, ma lei lasciava che le gocce percorressero il suo viso senza frenarle, tanto non sarebbe servito a nulla.
«E non credere che non capisca come ti senti, perché ci sono passata anche io! Sentirsi inadeguati, avere la sensazione di essere inutili al mondo, cercare un scopo… So benissimo cosa significhino tutte queste cose, solo che non pensavo che anche tu provassi le mie stesse emozioni.»
Melody annuì.
«Pensavi male allora. Avere un obiettivo è solo il primo passo, ma bisogna fare qualcosa ogni giorno per realizzarlo, e comunque ci si sente come se non fosse abbastanza, come se occorresse dare di più.»
Restarono in silenzio un altro po’, ascoltando il rumore del battito d’ali dello stormo di uccelli che passava in cielo in quello stesso momento.
«Ho lasciato due corsi.»
La informò infine Melody, facendole sbarrare gli occhi dallo stupore.
«Ma... come la metti coi tuoi crediti? Pensavo non si potesse.»
«E’ possibile lasciare un corso se si fa parte di un altro. Io ho abbandonato quello di balletto e cucito, ma continuo a frequentare quello di musica e quindi non è un grande problema.»
«Capisco… Beh, se ritieni sia la scelta migliore...»
«Doremi...»
«Sì?»
«Posso venire ad abbracciarti?»
E, senza attendere risposta, Melody si fiondò tra le braccia dell’amica, facendo cadere il suo zaino per terra. Doremi la strinse più vicina a sé temendo quasi di stritolarle le ossa.
«Sei la mia migliore amica.»
Le sussurrò la castana all’orecchio, interrotta dai singhiozzi.
«E tu la mia.»
Rimasero lì abbracciate, mentre il sole calava e il cielo diveniva sempre più scuro.
Ma che importanza aveva? L’umore di Doremi non avrebbe potuto essere più limpido.
 

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Capitolo 16
*** La caduta di una stella ***


-LA CADUTA DI UNA STELLA-

 
Al termine delle riprese del suo nuovo film, a Lullaby era finalmente consentito tornare a scuola.
Per ben sei mesi la ragazza era stata impegnata a girare le scene, sopportando orari di lavoro assurdi e condizioni abbastanza discutibili, se paragonate a quelle dei suoi impieghi precedenti. Tuttavia aveva accettato quei patti senza fiatare, perché sapeva bene che quella pellicola avrebbe potuto rappresentare il trampolino di lancio della sua carriera. Prima d’ora si era limitata a interpretare ruoli minori, soprattutto perché era ancora una bambina e quindi si era trovata a recitare al fianco di personaggi più competenti di lei. Questo le aveva dato modo di studiarli, di fare suoi i loro errori e quindi di non commetterli in futuro. Si reputava orgogliosa di se stessa, aveva fatto del suo meglio per arrivare dov’era adesso, e non era certo merito della fortuna se era stata scelta tra tante dal famoso regista emergente Yasu Nikitoshi.
Nikotishi aveva fama di essere intransigente, irremovibile sulle sue scelte ed anche parecchio indifferente ad eventuali problemi esterni alla regia. Se per sfortuna ti beccavi un’influenza che ti teneva costretto al letto, allora lui non ci pensava due volte a rimpiazzarti con qualcun altro. Lullaby sapeva che la sua precedente fama nel piccolo schermo aveva influito sulla scelta del regista, ma sapeva anche che se aveva portato a termine il suo incarico lo doveva solamente alla sua bravura e versatilità.
Si era recata al lavoro ogni giorno, anche quando non appariva in nessuna scena, aveva applicato lenti a contatto azzurre per somigliare di più al personaggio ideato da Nikitoshi ed aveva persino colorato i suoi capelli di nero, perché Nikitoshi si era rifiutato categoricamente di farla girare con una parrucca, ritenendola troppo irrealistica.
Aveva sopportato abbastanza, si era detta.
Adesso che finalmente poteva godersi un po’ di tranquillità, aveva chiesto alla madre di tornare a frequentare la scuola e vivere a pieno la sua condizione di studentessa delle scuole medie. Si chiedeva spesso come fosse, invogliata anche dai racconti delle sue migliori amiche.
Poco tempo prima sua madre era andata a parlare col nuovo preside scolastico, informandolo della sua condizione, chiedendogli di essere indulgente a proposito delle sue assenze, e presentandogli il contratto lavorativo sotto gli occhi come prova decisiva. Alla fine lui aveva dovuto accettare, chiudendo un occhio. Adesso Lullaby doveva dimostrargli che lei non era affatto una vip viziata, ma che avesse a cuore lo studio tanto quanto la recitazione, mettendocela tutta in questa sua nuova avventura.
«Ma ad una condizione.»
Aveva detto sua madre durante l’ultimo colloquio col preside, in cui aveva preso parte anche lei.
«Desidero che Lullaby venga trattata come una normale studentessa, sia dai suoi insegnanti che dai suoi nuovi compagni. È chiaro che non può concentrarsi sui compiti se è costretta a firmare autografi a destra e a manca, quindi le chiedo di firmare una dichiarazione in cui si accerti che Lullaby non verrà disturbata.»
Il preside aveva accettato senza batter ciglio. Era certo che la voce che la celebre Lullaby Segawa fosse una sua studentessa si sarebbe sparsa in fretta, rendendo la sua scuola popolare tra i ragazzini, garantendogli un maggior numero di iscrizioni l’anno seguente. Non poteva farsi sfuggire quella possibilità.
La ragazzina lo aveva calorosamente ringraziato, facendo un profondo inchino, ed aveva lasciato il suo studio pienamente soddisfatta.
 
Il giorno dopo avrebbe finalmente iniziato. Aveva indossato un vestitino viola che le piaceva particolarmente e ci aveva abbinato delle scarpe da ginnastica gialle. Si era guardata allo specchio sorridendo alla sua immagine riflessa, sembrava davvero una normale ragazzina!
Sua madre l’accompagnò per il suo primo giorno, promettendole di andare a riprenderla nel pomeriggio, e raccomandandosi di denunciare a preside qualunque studente l’avesse importunata.
Lullaby la rassicurò ed entrò nel grande atrio cercando l’armadietto in cui riporre le sue scarpe. Indossò le pantofole e cercò l’aula 1-D.
Quando aprì la porta tutti si voltarono a guardarla. L’insegnante, che stava scrivendo qualcosa alla lavagna le rivolse un sorriso.
«Ben arrivata signorina Sagawa, siamo lieti di ospitarla nella nostra sezione. Ragazzi, date anche voi il benvenuto alla vostra nuova compagna.»
I suoi nuovi compagni la salutarono con nervosismo.
«Buongiorno a tutti quanti, volevo scusarmi per il ritardo, mi sono persa.»
«Non fa nulla, credo possa capitare a tutti il primo giorno. Prego, si sieda a quel banco libero laggiù.»
La rasserenò la sua nuova insegnate, mostrandole un posto vuoto di fianco alla finestra.
Mentre Lullaby percorreva il minuscolo corridoio tra un banco e l’altro, si sentì lo sguardo di tutti gli altri addosso. Giurò di aver udito anche il suo nome tra i bisbigli.
«Ragazzi, mantenete la calma per favore. Lullaby è una ragazzina come voi, e desidera solamente imparare. Vi chiedo gentilmente di non infastidirla e di trattarla come tutti gli altri. Ci siamo intesi?»
Qualcuno mugolò un sì, altri annuirono debolmente, ma nessuno sperava sinceramente di tener fede a quella parola. Insomma, quando mai capitava di avere una celebrità in classe?
 
Al termine delle lezioni, mentre Lullaby raccattava le cose per sistemarle nello zaino, una ragazzina bruna con gli occhiali le si avvicinò con timore.
«Non riesco a credere che tu sia qui in carne ed ossa.»
Le aveva sussurrato, arrossendo debolmente.
«Sai? Io sono una tua grande fan. Ho visto tutti i tuoi film, ed anche i programmi televisivi a cui hai partecipato, ti sembrerà ridicolo ma li ho registrati tutti quanti…»
«Non lo trovo affatto ridicolo, anzi mi fa molto piacere. Però ti chiedo di non essere così intimidita dalla mia presenza, in fondo sono una tua compagna di classe!»
La ragazzina arrossì più violentemente.
«Sì, lo so ma… Insomma… Non si incontra tutti i giorni un idol, specialmente se si tratta del tuo personaggio preferito…»
«Oh? Sono davvero la tua preferita?»
Lei annuì con imbarazzo.
«La mia cameretta è tappezzata di poster che ti raffigurano, ed ho anche comprato numerosi gadget che promuovevi, guarda le mie matite!»
La brunetta mostrò a Lullaby un set di matite viola di cui aveva fatto la pubblicità poco tempo prima.
«Wow, allora devi essere una vera ammiratrice! Ascolta, anche se ho promesso di non comportarmi da star, tu mi sei molto simpatica, che ne diresti se ti facessi un autografo? Devi però giurarmi di non raccontarlo a nessuno.»
Gli occhi della sua compagna s’illuminarono di gioia, e lei annuì così forte che quasi non le scivolarono gli occhiali dal naso.
Lullaby strappò un foglio dal suo quaderno ed afferrò una delle matite della ragazza.
«A proposito, com’è che ti chiami?»
«Sakura, Sakura!»
Affermò lei con emozione, quasi incredula. Lullaby sorrise inclinando la testa.
«Alla mia carissima nuova compagna Sakura, con affetto…»
«Segawa, cosa sta succedendo qui?»
La voce della loro insegnante le fece sobbalzare.
«Oh, Higarachi, non mi aspettavo questo comportamento da te. Seguimi subito nell’ufficio del preside, avevamo un accordo, spero te lo ricordi!»
«Eh? Ma io non ho fatto nulla di male!»
«Questo lo stabilirà il preside, una volta convocato i tuoi genitori, adesso vieni con me.»
«Signorina, non è come crede, lei non mi stava affatto disturbando!»
«Signorina Segawa, sono lieta di vedere che ci tiene a proteggere la sua compagna, ma non deve assumersi delle responsabilità che non la riguardano. Se qui c’è un colpevole, è proprio la sua compagna.»
«Ma io non le ho chiesto un autografo, lo giuro.»
Continuava a lamentarsi Sakura, mentre la sua professoressa la trascinava fuori dall’aula.
«Lullaby, che succede?»
La voce di sua madre la raggiunse dal corridoio.
«Vogliono portare Sakura dal preside solo perché le ho firmato un autografo, ma la colpa non  affatto sua, dobbiamo fermarli!»
Sua madre le afferrò un braccio trattenendola sulla soglia dell’aula.
«Tesoro, ricorderai il patto stipulato col preside: tutti gli studenti dovranno trattarti come una loro pari.»
«Sì ma non ha fatto nulla di male, non è giusto che venga punita.»
«Sono certa che riceverà al massimo un rimprovero, non devi preoccuparti più di tanto della tua compagna. Il preside mi è sembrato un uomo molto comprensivo, vedrai che andrà tutto bene.»
Lullaby non era dello stesso avviso, ma non poté fare a meno di lasciarsi convincere, e seguì sua madre fuori dall’edificio, interrogandosi su cosa sarebbe capitato a Sakura.
Se la sarebbe davvero cavata con un richiamo?
 
L’indomani Sakura non era venuta a scuola, né quello seguente e nemmeno il giorno successivo. I suoi compagni di classe avevano presto iniziato ad ignorarla, e le uniche della classe che non fingevano che non esistesse era un gruppo di ragazzine che la fissava con disprezzo. Si chiese cosa ne fosse stato della sua compagna, sperando di non averla messa nei guai.
Durante la ricreazione decise di andare a parlarne con la sua professoressa, raggiungendola nell’aula insegnanti.
«Mi chiedevo che ne fosse stato di Sakura, non viene a scuola ormai da tre giorni…»
L’adulta sorrise.
«Non devi preoccuparti, sua madre mi ha telefonato ieri informandomi che la tua compagna si è presa una bella influenza, è per questo che è stata assente in questi giorni, non ha affatto a che vedere con te! Adesso torna in classe e non caricarti colpe addosso, va bene?»
Il suo sguardo era rassicurante, tuttavia non riusciva a scacciare il brutto presentimento che le attanagliava lo stomaco. Era davvero tutto li?
Quel pomeriggio sua madre non era passata a prenderla, doveva sbrigare delle commissioni che non poteva in alcun modo rimandare, perciò Lullaby fece a piedi la strada che l’avrebbe ricondotta a casa. Le faceva bene camminare, si disse, l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee. Aveva combinato un vero e proprio disastro, a scuola nessuno le rivolgeva più la parola, neanche per augurarle il buongiorno. Si chiese se tutto sarebbe finito quando Sakura si sarebbe rimessa e avrebbe cominciato a rifrequentare le lezioni.
D’un tratto si bloccò, qualcuno la stava seguendo. Voltandosi si accorse che dietro di lei camminavano tre studentesse della sua classe. Sul suo viso si allargò un grande sorriso.
«Ciao ragazze, vi ricordate di me? Sono la vostra nuova compagna di classe!»
Le tre, che fino a poco prima confabulavano, adesso la guardavano con disdegno.
«Lo sappiamo chi sei, la piccola attrice dei miei stivali!»
Affermò una delle tre, socchiudendo gli occhi.
«La famosa Segawa, l’idolo degli sciocchi.»
Aggiunse un’altra, facendo una sua pessima imitazione.
«Ma che vi prende? Cosa vi ho fatto?»
«A noi nulla, perché non ti chiedi invece cos’’hai fatto a Sakura? Ah, ma forse la nostra diva non si nemmeno accorta della sua assenza in questi giorni.»
«Certo che me ne sono accorta, la signorina Ijirou mi ha detto che è malata.»
Rispose Lullaby irritata.
«Certo che è malata, si è presa una bella collera dopo che il preside le ha abbassato la media scolastica per averti rivolto la parola.»
Quelle parole le fecero mancare l’aria.
«Non è vero!»
«Sì che è vero, il tutto per aver ignorato una stupida regola… Ma in fondo si capisce, Lullaby la suprema non vuole certo essere disturbata mentre si pavoneggia nei corridoi. Guai a rivolgerle la parola o anche solo lo sguardo, la regina dell’egocentrismo non vuole mescolarsi con i comuni mortali, le fanno schifo.»
Lullaby divenne paonazza dalla rabbia, non le era mai capitato di venir trattata in questo modo.
«Ma cosa vi viene in mente? Io non l’ho accusata, anzi mi sono persino presa la colpa per…»
«Sono tutte frottole, non credere di darcela a bere.»
La più alta delle tre le si avvicinò con fare minaccioso, le mani aperte sui fianchi.
«Noi non ci facciamo incantare dalle belle parole, sappiamo quanto possano essere meschini quelli come te, persone che credono di essere migliori degli altri solo per essere finiti in televisione, che credono che tutto sia loro dovuto solo perché il loro nome appare su qualche rivista per bambini.»
Lullaby strinse i pugni in preda alla collera, quelle ragazze non sapevano nulla di lei, come si permettevano di parlarle in quel modo? Lei non era affatto come la stavano descrivendo, non si era mai creduta migliore di nessuno, anzi spesso e volentieri aveva dei ripensamenti su se sessa.
«Che fai ora, tremi di paura?»
La punzecchiò un’altra di loro, avanzando con passo deciso verso di lei.
«Non è paura, è rabbia! Voi non avete il diritto di parlarmi così.»
«Oh, avete sentito? Non abbiamo il diritto… Chi ti credi di essere Segawa? Dici di non avere paura, ma credo proprio che invece dovresti.»
Lullaby si tirò indietro, cosa voleva dire?
«Sì, indietreggia, vedo che cominci a capire, finalmente. Allora non sei così tonta come sembri.»
«Io non sono affatto tonta, e voi siete delle vere e proprie bulle.»
Il volto delle tre si rabbuiò. In un istante anche l’ultima raggiunse le sue amiche, agitandole un pugno chiuso sotto il naso.
«Come ci hai chiamate? Attenta a moderare il linguaggio.»
Ma Lullaby non aveva alcuna intenzione di tacere.
«Tre contro uno, vi sembra corretto?»
«E a te sembra corretto aver denunciato Sakura?»
«Io non ho fatto proprio niente!»
A quel punto stava urlando.
«BUGIARDA!»
Insinuò una di loro puntandole il dito contro, e spingendola così forte da farla cadere.
Lullaby cadde sul sedere, facendosi male. Mentre si rialzava sentì le tre ridere. Si mise lo zaino in spalla e fece per andarsene, ma un’altra delle tre la tirò per i capelli.
«Dove credi di andare? Non abbiamo ancora finito con te.»
Prima ancora che potesse muoversi, quella le prese un braccio e glielo portò dietro la schiena, bloccandola. Le altre due la circondarono, e iniziarono a malmenarla con pugni e schiaffi.
Divincolarsi era inutile, ogni tentativo di liberarsi le causava solamente più dolore. La tizia che le teneva il braccio dietro la schiena le aveva anche tappato la bocca con l’altra mano, impedendole di urlare.
Un forte calcio allo stomaco la costrinse a piegarsi, facendola cadere sulle ginocchia.
Non seppe se quanto sopportò durò cinque minuti o cinque ore, la testa le doleva per i numerosi colpi presi, il viso le avvampava per via del calore e delle lacrime. Le braccia avevano perso la sensibilità e le ginocchia sanguinavano bagnandole le gambe.
Fu un attimo; il rumore di un automobile che si avvicinava, le tre ragazze che scappavano tra le risa, il suo corpo che, finalmente sciolto, si accovacciava debolmente per terra, stremato.

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Capitolo 17
*** Amica, ti presento la mia amica ***


-AMICA, TI PRESENTO LA MIA AMICA  -
 
 
Da quando Melody era tornata a far parte della sua vita, il buonumore di Doremi era decisamente aumentato. Anche se le due non si incontravano spesso, a causa dei numerosi impegni extrascolastici della rossa, era piacevole sapere che l’una ci sarebbe sempre stata per l’altra, e che la loro amicizia era così vera da superare gli ostacoli che aveva incontrato.
Per farsi perdonare, Melody aveva iniziato a fabbricare degli oggetti in argilla da donare alla scuola media di Misora, per aiutare l’amica con l’allestimento del mercatino.
«Dopotutto ormai ho tanto tempo libero a disposizione.» le aveva detto allegramente, insistendo per rendersi utile. Alla fine Doremi non aveva potuto rifiutare, e quando aveva mostrato alla classe di manualità i portafortuna realizzati da Melody, tutti erano rimasti piacevolmente colpiti, affermando che la fautrice di quei talismani doveva essere una vera e propria artista e pregando Doremi di invitarla alle loro riunioni future. Melody aveva però rifiutato con garbo quell’invito.
«Prometto di aiutarti per quanto me ne sarà possibile, e di visitare il mercatino per fare degli acquisti quando questo aprirà, ma non posso prendermi questo impegno, sia perché mi sono appena ritirata da due corsi per avere maggiore libertà, che perché non ritengo opportuno presentarmi alle riunioni in quanto non frequento la tua stessa scuola, e mi sembra scorretto sia nei confronti degli studenti della scuola media di Misora che di quelli della Karen Girls’. Però promuoverò la vostra attività, informerò tutte le mie compagne, scommetto che qualcuna non resisterà all’idea!»
Il suo tono era stato così dolce che Doremi non aveva potuto fare a meno di accettare la proposta, suggellandola con una formale stretta di mano.
«Siamo adulte oramai!»
Aveva esclamato in risposta allo sguardo confuso dell’altra.
Con Melody al suo fianco, Doremi era certa di non poter fallire, e, forse per stupirla, si impegnò ancora di più nella sua causa, mentre i giorni si susseguivano con una velocità straordinaria.
La professoressa Asami ed il club di dibattito programmavano di seguire il consiglio di Doremi l’anno seguente, e di fare pressioni affinché la mensa scolastica servisse delle bistecche almeno una volta la settimana, per ricompensare le fatiche della ragazza.
Makoto si sentiva un po’ messa da parte, anche se cercò di non darlo a vedere. Doremi le aveva raccontato della riconciliazione con la sua vecchia migliore amica, e a lei sembrò che da quel giorno le cose fra le due fossero cambiate, augurandosi che fosse tutto frutto della sua immaginazione. In quella città, al di fuori di Doremi, non aveva nessun altro amico. Andava d’accordo con le sue compagne di classe, e si trovava a suo agio anche con i ragazzi, data la passione comune per il calcio, ma quella ragazzina pasticciona le piaceva particolarmente, trasmetteva felicità ovunque andasse, la diffondeva quasi come per magia.
Quando Doremi le propose finalmente di passare del tempo assieme a lei e Melody, lei quasi non scoppiò di felicità. Allora non l’aveva affatto accantonata!
«Pensavo di approfittare degli ultimi momenti di calma che mi rimangono. Mancano pochi giorni all’inizio di novembre, e quindi all’apertura del mercatino.»
Le aveva detto con una nota di sconforto nella voce.
«Dovresti essere orgogliosa di te stessa e di quanto sei riuscita a fare in breve tempo.»
Doremi le rivolse il suo solito sorriso allegro.
«Lo sono, ma penso anche che non mi spiacerebbe passare i pomeriggi freddi in casa con una coperta sulle spalle.»
«Sempre la solita pigrona, non è vero?»
La voce di Tetsuya la raggiunse da un punto imprecisato alle sue spalle.
«Di nuovo tu!»
Esclamò con voce acuta, mentre un sopracciglio ondeggiava ribelle sulla sua fronte.
«Mi spieghi perché sei sempre lì ad ascoltare le mie conversazioni?»
Gli domandò voltandosi a guardarlo. Lui aveva le mani incrociate dietro la testa, ed ostentava un’espressione arrogante che Doremi conosceva fin troppo bene.
«Perché il tuo tono di voce rende impossibile non ficcanasare.»
Esordì con semplicità, facendola infuriare ancora di più.
«Questa poi! Ad ogni modo anche se senti tutto quanto, nulla ti obbliga ad intrometterti.»
«Lo so, ma è così divertente farti arrabbiare Dojimi…»
«QUANTE VOLTE DEVO RIPETERTI DI NON CHIAMARMI IN QUEL MODO?»
Tetsuya la fissò con finto interesse, ridendosela sotto i baffi.
«Perché no? E’ un nome che ti dona molto.»
«Sei un essere spregevole!»
Doremi iniziò a lacrimare in preda alla disperazione.
«Finirai mai di darmi il tormento?»
«Non credo proprio!»
Affermò fiero il ragazzo, tornandosene al suo posto fischiettando.
«Perché si comporta in questo modo con te?»
Le domandò Makoto, dandole delle leggere pacche sulla testa a mo’ di conforto.
«Non saprei, ma posso assicurarti che non è una cosa nuova. Siamo compagni sin dai tempi dell’asilo, ed anche allora non andavamo troppo d’accordo.»
Doremi sollevò le spalle con semplicità.
«In terza elementare mi ha affibbiato quel soprannome stupido e da allora non riesco più a scrollarmelo di dosso. Sono felice solamente che non abbia preso piede tra gli altri compagni di classe, almeno qualcosa di positivo c’è…»
Makoto guardò il ragazzo da lontano.
«Certo che è davvero cattivo.»
Disse a voce bassa tra sé e sé, e quasi si stupì quando Doremi, inclinando la testa, rispose alla sua affermazione.
«Ti sbagli, non è affatto cattivo. Se lo conoscessi meglio ti renderesti conto che dietro quella facciata da sbruffone si nasconde un ragazzo gentile con un cuore grande. Sai che una volta ha adottato un cagnolino dalla strada, salvandolo da un micione pericoloso che voleva fargli la festa? E un’altra volta in gita scolastica mi ha portato sulle sue spalle quando mi sono slogata una caviglia.»
«Caspita, lo conosci davvero bene.»
«E’ inevitabile dopo aver passato tanti anni nella stessa classe. Potrei raccontarti centinaia di aneddoti su di lui, così come su Marina, Sugiyama, Masaru e Satsuki. Nonostante le incomprensioni, siamo stati una classe molto unita e ci siamo aiutati reciprocamente a superare le nostre avversità. Oggi avrai occasione di conoscere anche Melody, è una ragazza generosa e molto disponibile, sono certa che ti piacerà e che andrete d’amore e d’accordo. Perché non dovreste? In fondo siete due delle mie migliori amiche!»
Gli occhi di Makoto luccicarono nell’udire quelle parole.
 
 
Nel pomeriggio aveva iniziato a piovere, ma per fortuna le ragazze si trovavano già al riparo in casa Harukaze. Haruka aveva preparato dei biscotti da servire con una fumante tazza di te, un ottimo connubio in un pomeriggio uggioso come quello.
Melody e Makoto andarono d’accordo sin da subito, ma Doremi non ne aveva mai dubitato. Avevano parlato tantissimo degli anni passati alla scuola elementare di Misora, Makoto sembrava parecchio interessata a conoscere le vicende di alcuni dei suoi nuovi compagni di classe.
«Ma quindi voi due siete amiche sin dai tempi dell’asilo, se ho capito bene.»
Doremi annuì con orgoglio.
«Esattamente, da quando ci siamo conosciute siamo diventate a dir poco inseparabili.»
Melody sorrideva. Doremi le era mancata tanto in quei mesi, ma adesso che erano di nuovo unite sembrava che nulla di spiacevole fosse mai accaduto tra le due. Doremi era sempre la stessa, ma non nel senso negativo, al contrario! Adesso che conosceva Makoto poteva ben immaginare come mai le due avessero legato tanto in fretta, c’era da dire che avevano due caratteri molto simili, seppure Makoto fosse leggermente più timida della prima, ma forse si trattava solo da imbarazzo del primo incontro. Ora che ci pensava, quante altre ragazze come Doremi esistevano al mondo? Probabilmente era unica, dopotutto nei suoi anni da studentessa non aveva mai incontrato nessun altro con le sue stesse peculiarità.
«È strano pensare che due persone così diverse possano essere ottime amiche, non trovate?»
Domandò lei a un certo punto, quasi come se avesse letto nella testa della castana. Doremi fece spallucce.
«No, io non credo. Si dice spesso che gli opposti si attraggono. Dovresti conoscere anche Sinfony, Lullaby e Mindy!»
«A proposito, hai più avuto notizie da parte loro?»
Domandò Melody, a cui si accese una lampadina in testa nell’udire i loro nomi.
«No, a dire il vero no. L’ultimo messaggio che ho ricevuto era da parte di Sinfony, ma credo lo abbia inviato anche a te.»
«Mi sorprende non aver ricevuto nessuna novità da Lullaby, sbaglio o ha detto che le riprese del film fossero finite?»
«Sì, ci aveva promesso di inviarci dei biglietti per la prima del film, ma io non ho ancora ricevuto nulla.»
«Aspettate un momento!»
Urlò Makoto, attirando lo sguardo delle due ragazze su di sé.
«Non starete certo parlando di Lullaby Segawa! Non ditemi che la vostra migliore amica è la famosa idol.»
Le due la fissarono con sbigottimento.
«Ma scusa Doremi, non gliel’avevi detto?»
Doremi si passò una mano dietro la testa, imbarazzata.
«Uh, credo di aver dimenticato quel particolare
Il viso di Makoto assunse un’espressione strana, le sopracciglia erano diventate tutte onde e il labbro le tremava convulsamente su un lato del viso.
«Particolare, dici?»
«Sì scusa, ho dato per scontato che tu sapessi di quale Lullaby parlassi.»
«Doremi non può mica immaginarlo, in fondo non esiste una sola Lullaby in Giappone.»
«Già, è stato sciocco da parte mia… Makoto tutto bene?»
La ragazza respirava affannosamente, dilatando le narici.
«IOSONOUNASUAGRANDISSIMAFAN!»
Esclamò ad un certo punto, con gli occhi tramutati in stelline. Doremi e Melody caddero dalla sedia.
«Allora farò in modo di procurarmi un biglietto anche per te, che ne dici?»
Domandò Doremi una volta ripresasi, massaggiandosi la testa. Makoto le si posizionò a due centimetri dal viso, fissandola con un’espressione seria che Doremi non le aveva mai visto prima.
«Me lo prometti? Saresti disposta a darmi il mignolo in segno di giuramento?»
Melody assisteva alla scena con un certo turbamento, una goccia le pendeva sui capelli, gli occhiali oscuravano i suoi occhi.
«S… Sì, certo che te lo prometto, ma adesso potresti smettere di comportarti in questo modo? Confesso che mi dai un po’ i brividi.»
Solo allora Makoto si rese conto di essere praticamente addosso alla sua amica.
«Oh, sì, scusa mi dispiace. AH SONO COSI’ FELICE!»
Urlò infine, tirando fuori dei ventagli dal nulla e canticchiando un’ode a Lullaby.
«Chi l’avrebbe detto che anche Makoto era una sua grande ammiratrice?»
Domandò Doremi mentre l’altra faceva confusione nella sua cucina.
«C’è da dire che noi siamo abituati alla sua presenza, ma in fondo per gli altri dev’essere una notizia interessante.»
Doremi sbuffò.
«Quanto è vero!»
Un rumore improvviso attirò l’attenzione delle tre. Bibì aveva spalancato la porta con energia, e adesso guardava la sorella con occhi stralunati.
«Doremi, corri subito in sala da pranzo, devi vedere qualcosa!»
La sua espressione preoccupata doveva significare qualcosa di serio, per cui non si sognò nemmeno di domandarle cosa stesse accadendo, limitandosi a seguirla nella stanza successiva, dove si trovava acceso il televisore.
«Bibì ma che…?»
Avanzò Melody, ma la piccolina la zittì con un cenno della mano, alzando il volume dell’apparecchio,
«Shh, state a sentire.»
«La giovane Idol che noi tutti adoriamo, Lullaby Segawa, sia stata aggredita ieri pomeriggio da un gruppo di ragazze minorenni.»
«Ma cosa…?»
Doremì si avvicinò incredula al televisore, con gli occhi che le lacrimavano.
«Pare che Lullaby, impegnata per circa sei mesi con le riprese del nuovo film “Naïve” diretto dal regista Yasu Nikitoshi, abbia deciso di tornare a scuola al termine del suo contratto lavorativo. Ma la giovane  attrice è riuscita a frequentare le lezioni solamente per tre giorni, prima di essere malmenata da un gruppetto di coetanee della sua stessa classe al termine dell’orario scolastico. Lullaby è stata ricoverata priva di sensi. A trovare il suo corpo inerme e pieno di lividi davanti all’edificio scolastico è stata proprio sua madre, che però si è rifiutata di rilasciare interviste e di aggiornare la troupe televisiva in merito al suo stato di salute. Le ragioni di tale assalto rimangono ancora sconosciute, e le tre ragazze coinvolte nella rissa si rifiutano di proferire parola. Il preside annuncia “no n si è mai verificato nulla di simile all’interno del nostro edificio prima d’ora, questo avvenimento isolato mi sorprende non poco. E’ certo che le tre responsabili pagheranno caro il loro affronto nei confronti della nostra rispettabile scuola. Per il momento aspettiamo che le condizioni di salute della signorina Segawa migliorino per avere un migliore confronto con i suoi aggressori. Nulla esclude una sospensione permanente.”»
Le quattro ragazzine rimasero immobili davanti allo schermo che adesso proiettava la notizia successiva.
«Lullaby è in ospedale.»
Riuscì a dire Doremi, sconvolta da quanto appena appreso.
«E’ stata picchiata.»
Aggiunse Melody, schifata quanto le altre.
«Come diamine hanno potuto?»
Urlò Bibì con rabbia, pestando il piede per terra.
«Dobbiamo andare a trovarla.»
Disse infine Doremi, guardando Melody dritta negli occhi. La sua amica assunse uno sguardo risoluto ed annuì impercettibilmente con la testa. Era l’atteggiamento che si era aspettata, la conosceva fin troppo bene.
«Sono certa che i nostri genitori ci daranno il permesso, una volta spiegatogli il motivo.»
Affermò Melody con sicurezza. Quando si trattava di affrontare argomenti importanti, l’amica tirava fuori una forza di volontà che normalmente sembrava non possedere. Era forse questo uno dei migliori pregi di Melody.
«Voglio venire con voi!»
Aveva detto infine Bibì in un tono che non ammetteva repliche.
Makoto si trovò a guardare le tre organizzarsi per la visita all’ospedale dove si trovava una delle loro migliori amiche e non poté fare a meno di sentirsi un’estranea.
Ma in fondo lo era, e non aveva alcuna voglia di impicciarsi in affari che non la riguardavano.
Quello era il momento di starsene al proprio posto.

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Capitolo 18
*** Insieme ancora una volta ***


- INSIEME ANCORA UNA VOLTA  -

 
Come Melody aveva intuito, i loro genitori avevano concesso alle figlie di andare a trovare Lullaby nel fine settimana, di modo da non dover perdere nessun giorno scolastico. La notizia si era sparsa in fretta nella prefettura di Misora, dove quasi tutti avevano avuto a che fare con la piccola idol che lì aveva frequentato le scuole e lavorato nel negozio MAHO. La fama di Lullaby nella cittadina quindi non era dovuta solamente alle sue numerose apparizioni in TV.
Alcuni compagni di scuola, venuti a conoscenza dei propositi di Doremi, Melody e Bibì di farle visita, le avevano implorate di portare con loro alcuni doni destinati all’attrice, e in poco tempo gli zaini delle ragazze si riempirono, divenendo più pesanti del previsto.
«Forse la prossima volta faremmo bene a tenere la bocca chiusa.»
Aveva borbottato Doremi alle altre due, nel tentativo di chiudere la borsa contenente dolci, cioccolatini, biglietti che le auguravano una pronta guarigione, gadget e chissà che altro.
In più dovevano portare a mano un mazzo di fiori che Goji, il loro ex compagno delle elementari che aveva una tremenda cotta per Lullaby, le aveva pregato di porgerle.
«Mi chiedo io come diamine faremo a percorrere la strada diretta a Tokyo, sembriamo dei muli da soma!»
Brontolava Doremi, che camminava con la schiena ricurva sotto il peso dell’amore dei cittadini di Misora nei confronti della sua amica.
«Sigh,e poi dicono che l’amore non fa male!»
Sussurrò con le lacrime che le rigavano il viso.
«Suvvia, cerca di vedere il lato positivo.»
Le aveva detto Melody che camminava a zig-zag perdendo l’equilibrio.
«E quale sarebbe? Io non ne vedo nemmeno uno»
Strillò Doremi con le labbra a forma di becco.
«Pensaci, a Lullaby farà piacere sapere che qui ha tantissimi ammiratori che pensano a lei e desiderano sostenerla in questo momento così buio.»
Riuscì a dire Melody, dondolando da una parte all’altra della strada.
«Sì, hai ragione! A questo non avevo pensato.»
Rifletté Doremi con aria assorta, rizzandosi finalmente sulla schiena.
«Non abbiamo tempo da perdere, coraggio! Di questo passo non arriveremmo mai, eccomi qui.»
Affermò, posizionandosi dietro l’amica e guidandola in avanti mentre i suoi piedi si trasformavano in due ruote, correndo a tutta birra. Melody cominciò a lacrimare spaventata dalla velocità.
«Eh ma cosa fai? Doremi sta’ attenta, non vorrai certo schiantarti. Argh che paura, RALLENTA!»
«Non posso rallentare, dobbiamo andare da Lullaby e mostrarle quanto tutti noi le vogliamo bene. Suvvia Melody, non avere paura, ci sono io qui.»
«E’ proprio questo che mi spaventa!»
«Ehi, ma che fate? Mi aspettate o no? Doremi la mamma ti ha detto di badare a me e tu come al solito ti comporti come una bambina. Uff, ma è mai possibile che debba essere io quella matura far le due?»
Si lamentò Bibì correndo a più non posso per starle dietro.
 
Pochi minuti dopo si trovavano tutte e tre alla stazione centrale di Yotsukaido, attendendo l’arrivo del treno diretto alla stazione di Tokyo nella prefettura di Chiyoda.
«Hai…visto…che…non era… necessario correre?»
Le fece notare Bibì con il fiato rotto. Avevano fatto una bella corsetta, arrivando fin troppo presto.
«Beh, immagino che arrivare in anticipo sia meglio.»
Aveva detto Doremi giustificandosi.
«Davvero? Ma cosa ne vuoi sapere tu che sei sempre in ritardo?»
Insinuò la sorellina minore volgendole uno sguardo di sfida.
«Porta più rispetto alla tua oneechan, ti ricordo che sono più anziana!»
«Chi se ne importa? Eh? Ma che succede a Melody?»
Solo allora entrambe si accorsero che alla castana tremavano violentemente le gambe.
«Do…remi… Non farlo mai più.»
Riuscì a dire, prima di cadere sulla schiena come una tartaruga… Anzi, sullo zaino che le faceva da guscio.
 
Fortunatamente Melody riuscì a riprendersi prima dell’arrivo del Narita-sen, e le tre presero posto dove indicato dal loro biglietto.
«In quanto tempo arriveremo a Tokyo?»
Aveva chiesto Bibì.
«In poco più di un’ora, poi dobbiamo prendere la Yamanote-sen che ci lascerà nei pressi dell’ospedale nel quartiere di Minato. Non è molto difficile, basta solo non perdere la concentrazione.»
Le aveva spiegato pazientemente Melody, mentre Doremi girava e rigirava la mappa che teneva sotto il naso.
«Non ci capisco niente!»
«E’ una fortuna che ci sia tu con noi. Se fosse toccato a Doremi ci saremmo sicuramente perse.»
Affermò Bibì con malignità, non le perdonava ancora di averla lasciata indietro.
«Che impertinente!»
«Su, su non litigate, pensate piuttosto a Lullaby, è per lei che stiamo facendo tutto.»
Propose Melody, stanca di sentirle battibeccare tutto il tempo e desiderosa di una tregua.
«Uh? Hai ragione. Chissà come sta adesso.»
«Eh? Non vi siete sentite in questi giorni?»
Chiese Bibì sorpresa, osservando la sorella scuotere la testa.
«No, a dire il vero. Non sapevamo ancora quali fossero le sue condizioni di salute, se avesse ripreso conoscenza o meno, e non ci è sembrato il caso di disturbarla con inutili SMS.»
«Capisco. E’ stata una scelta sensata, sorellona.»
Doremi sorrise, lieta di aver ottenuto il perdono della piccola.
«Chissà se Sinfony e Mindy hanno appreso la notizia.»
Si chiese Melody a voce alta tra sé e sé, facendosi sentire dalle due Harukaze.
«La notizia è finita sulla rete nazionale, immagino che Sinfony debba averla sentita al TG.»
Rispose con sicurezza Bibì.
«In quanto a Mindy ne dubito fortemente, dopotutto Lullaby non è certo un personaggio famoso negli USA. Dovremmo avvertirla, non trovate?»
Doremi afferrò il cellulare dalla tasca, ma Melody la fermò.
«E’ inutile scriverle adesso, non sappiamo ancora come sta Lullaby e rischieremmo solamente di farla preoccupare. Ritengo sia più opportuno contattarla dopo esserci accertate che si sia ristabilita, eviteremmo di tenerla sulle spine.»
«Sì, ha ragione Melody.»
Incalzò Bibì, e lei non poté non trovarsi d’accordo.
«Già, non ci avevo pensato. Allora non le dirò niente fino a quando non saremmo li. Sono sicura che Lullaby stia bene e sia in ottima forma come sempre.»
Le altre sorrisero annuendo. Nessuno avrebbe tolto loro quella convinzione.
 
Un’ora e mezza dopo si trovavano di fronte all’ospedale di Minato dov’era ricoverata la loro amica. All’accettazione avevano comunicato loro il numero della stanza in cui si trovava Lullaby, informandole però che l’orario di visita non era ancora iniziato.
«Ci toccherà aspettare ancora. Uff, non sopporto questa situazione, siamo qui e non riusciamo comunque ad ottenere sue notizie, quest’attesa mi sta uccidendo!»
Bofonchiò Doremi mentre il gruppetto si dirigeva verso una panchina non troppo distante da un distributore automatico. Fu quando si avvicinarono un po’ di più che notarono la presenza di una ragazzina della loro stessa età seduta proprio li di fronte. Aveva dei corti capelli color blu scuro ed indossava un gilet marroncino sopra a una maglietta color verde acido abbinate ad un semplice paio di jeans.
«SINFONY!»
Urlarono in coro le tre, attirando l’attenzione della loro amica. Lei rivolse loro un sorriso e fece il segno dell’OK con le dita.
«Sapevo che sareste arrivate!»
Prima ancora che Sinfony potesse alzarsi dal suo posto per andargli incontro, Doremi era corsa ad abbracciarla, ma, dimenticando di trasportarsi dietro circa il doppio del suo peso, finì col cadere per terra, schiacciando l’amica contro il pavimento.
Melody e Bibì si affrettarono a sollevare il corpo di Doremi da sopra quello di Sinfony.
«C…che male!»
Si lamentò Sinfony con gli occhi che roteavano.
«Mi dispiace, scusa, non era mia intenzione farti del male!»
«Ah, non fa niente. Piuttosto, devo dire che sei diventata piuttosto pesante negli ultimi mesi.»
Disse Sinfony passandosi una mano sulla fronte.
«Non è così, non sono affatto ingrassata! È tutta colpa di quello zaino e del suo contenuto.»
Disse Doremi scuotendo la testa, e indicando lo zaino che le altre due reggevano con non poca fatica.
«Ma che ti sei portata dietro?»
Doremi sospirò, facendo uscire una nuvola grigiastra dalla sua bocca.
«Non è affatto come pensi, sono tutti dei regali per Lullaby da parte dei nostri vecchi compagni delle elementari.»
«Wow. Certo che ce n’è di roba lì dentro.»
«Vedi? Abbiamo pensato che se Lullaby vedesse quanta gente tiene a lei, forse si sarebbe rimessa prima, non trovi anche tu che sia una buona idea?»
Disse Melody, parlando per la prima volta.
«Sì assolutamente.»
Sinfony strinse un pugno con espressione raggiante.
«Ma ad ogni modo... Che cosa ci fai tu qui?»
Domandò Bibì, dando voce ai pensieri che frullavano in testa anche alle altre due.
«La stessa cosa che fate voi, immagino. Ho sentito la notizia al telegiornale e non ho resistito. Sapevo che vi avrei trovate qui, che anche voi vi foste preoccupate. Solo che non capisco come si possa compiere un simile gesto, sono così infuriata che potrei…»
«Su su, Sinfony, calma! Non c’è nulla che possiamo fare, adesso l’unica cosa di cui dovremmo preoccuparci è la salute della nostra amica. All’orario delle visite mancano ancora venti minuti, per il momento mettiamoci comode e mangiamo qualcosa – non tocchiamo cibo da stamattina – poi vedremo il da farsi.»
Disse infine Melody, mettendo tutti quanti d’accordo.
«Sai Sinfony? Sono felice di vederti. Non stavamo insieme dalla festa a casa mia dopo il diploma di scuola elementare, mi ha fatto piacere incontrarti. Mi spiace solo che tutto ciò sia avvenuto a causa di un evento tragico.»
Confessò Doremi all’amica, causandole inconsapevolmente un gran senso di colpa.
«La colpa è mia. Avevo promesso che sarei passata a trovarvi, ma non l’ho mai fatto a causa delle condizioni di salute di mio nonno. Vedete? Ultimamente non sta troppo bene e non mi andava di lasciarlo solo perché temevo che… Che se me ne fossi andata lui… Ed ecco io non volevo che…»
Per quanto si sforzasse, le parole non riuscivano a venir fuori. Il pensiero che suo nonno morisse proprio mentre lei era lontana non le dava pace, nemmeno adesso, ma aveva dovuto farlo per la sua amica, perché sapeva che suo nonno avrebbe compreso le sue ragioni. Solo che continuava a pensare a lui, sperava solo di ritrovarlo una volta tornata a casa.
Doremi le prese una mano nelle sue, come faceva sempre quando voleva rasserenarla, mostrandole un sorriso gentile che diceva “non temere”.
«Non devi giustificarti con noi, va bene? Adesso siamo insieme e l’unica nostra preoccupazione è due piani più su. Per il resto non c’è tempo.»
Sinfony riuscì con immensa fatica a ricacciare dentro le lacrime che minacciavano di sgorgare fuori. Si sforzò di sorridere di rimando ai volti delle sue amiche, e rese grazie a chiunque le avesse concesso di incontrarle.
 
La stanza in cui si trovava Lullaby era illuminata ed ospitava quattro letti, anche se tre di questi erano vuoti. Probabilmente i medici avevano pensato che la presenza di altri individui avrebbe potuto disturbarla e rallentare la sua guarigione, soprattutto se si trattava di fan pronti a chiedere autografi. Era stata una scelta saggia quella di lasciarla da sola, anche se questo significava soffrire la solitudine.
Sul comodino erano stati poggiati dei mazzi di fiori, il cornicione della finestra era stato decorato da decine di cartoline e in un angolo si trovavano dei palloncini colorati; evidentemente alcuni ammiratori erano riusciti a far recapitare i loro doni anche lì.
Lullaby, seduta contro alla finestra, era china su un libro. Aveva la testa fasciata, e su un braccio era stata applicata della garza. Alle sue amiche si strinse il cuore nel vederla in quelle condizioni, Lullaby era sempre stata una ragazza forte.
«Toc toc… C’è nessuno?»
Aveva esordito Doremi, picchiettando lievemente un dito contro la porta, costringendola a voltarsi e a mostrar loro un occhio nero e il labbro inferiore gonfio.
«Oh, Lullaby.»
Doremi non resistette e corse ad abbracciarla. Lullaby rimase impassibile.
«Come ti senti amica mia? Va tutto bene? Ti prego dicci che stai molto meglio, dicci che sei guarita, non sopporto l’idea di saperti malata!»
Sinfony, Melody e Bibì lasciarono cadere gli zaini che trasportavano sull’uscio della porta e si avvicinarono al letto, circondando l’amica.
Lei le guardò ad una ad una, spalancando gli occhi per la sorpresa.
«Io sto molto meglio adesso, devo solo prendere delle medicine per il mal di testa e spalmare della pomata sui lividi. Ma… Potrei farvi una domanda? Voi chi siete?»
A quelle parole i volti di Doremi e le altre si rabbuiarono.
«Oh no, ha perso la memoria!»
Urlò Doremi in preda al panico.
«Non si ricorda più di noi.»
Aggiunse Melody, altrettanto impaurita.
«Né di tutto ciò che abbiamo passato insieme.»
Esclamò Sinfony rabbiosa.
«Ha dimenticato anche il MAHO ed Eufonia allora!»
Disse Bibì, suscitando ancora più angoscia nelle altre.
«Lullaby, amica mia, hai davvero dimenticato tutto quanto? Hai dimenticato il periodo passato a Misora insieme a noi? Hai dimenticato di aver lavorato come commessa al MAHO?»
Nessuna risposta, solo uno sguardo vacuo e privo di emozioni.
Gli occhi rosa, castani e blu iniziarono a lacrimare.
«A quanto pare le botte prese in testa devono averle fatto dimenticare tutto quanto.»
Spiegò Melody con voce tremante.
«Dite che si tratta di un processo reversibile? Dite che riacquisterà la memoria prima o poi?»
Domandò Doremi con le mani alla bocca. Sinfony afferrò la cartella clinica posizionata ai piedi del letto e cominciò a sfogliarla convulsamente, cercando qualche risposta.
«Ah, ma qui non c’è scritto nulla di nulla a proposito di ciò, come diamine hanno fatto a non rendersene conto? Mai possibile che i medici siano così incapaci?»
Lullaby emise un sorriso che mise tutte quante a tacere. Il sorriso si fece sempre più largo, fino a sfociare in una vera e propria risata.
«Ve l’ho proprio fatta!»
Le quattro spalancarono la bocca talmente tanto che  quasi non arrivò alle loro ginocchia.
«Era… Era uno scherzo!»
Ammise Lullaby tra le risa, afferrandosi lo stomaco e agitando i piedi.
«Avreste dovuto vedere le vostre facce, era da tanto che non ridevo così!»
«MA TI SEMBRA IL CASO DI FARE SCHERZI DEL GENERE?»
Urlò Sinfony mentre i suoi occhi assumevano un innaturale colorito bianco.
Lullaby smise di ridere, tornando seria.
«Ci hai fatte preoccupare!»
Rincarò la dose Doremi, puntandole un dito contro.
Lullaby posò lo sguardo sul suo letto, scusandosi per la sua mancanza di tatto. Forse era stato il tono della sua voce, o forse era dovuto al suo aspetto pietoso, ma le ragazze non riuscirono a restare in collera troppo a lungo.
«Non fa niente. L’importante adesso è che tu stia bene.»
Dissero in coro tutte e quattro, facendo un piccolo inchino.
«Ti abbiamo portato dei pensieri da parte degli studenti di Misora.»
La informò Doremi, mostrando la porta dove erano stati accantonati i loro pensanti borsoni.
Lullaby diede un’occhiata alla porta, poi alle sue amiche, e in men che non si dica le stava stritolando tutte in un abbraccio.
Tutte tentarono di sottrarsi a quella morsa mozzafiato.
«E’ bello che siate qui.»
Disse semplicemente, e tutte smisero di dibattersi, ricambiando l’abbraccio dell’amica.
«Che ti aspettavi? Siamo migliori amiche.»
Disse Bibì, stringendola più forte.
Il cellulare di Lullaby vibrò, lei lo afferrò ma non riconobbe immediatamente il numero. Quando era stata picchiata il suo cellulare era caduto per terra ed alcuni numeri si erano cancellati.
«Che strano, questo numero non ha il prefisso giapponese, mi chiedo chi possa mai essere.»
«Guarda bene, c’è la funzione videochiamata.»
Le indicò Melody. Lullaby accettò la chiamata e lo schermo divenne tutto nero. Le ragazze avvicinarono meglio il viso al display, e presto vi fece capolino lo sguardo sorridente della loro amica Mindy.
«Hello girls, nice to see you all!»
«Eh? Mindy? Ma come facevi a sapere…?»
«Lullaby my dear! Ma cosa credi? Anche se mi trovo negli States credi forse che abbia smesso di seguire la TV giapponese? Beh, se è questo che credi, ti sbagli di grosso.»
Disse con il suo marcato accento americano, scuotendo un dito e facendo l’occhiolino.
«Sono la tua fan numero uno qui a New York, non mi perdo nessuna tua intervista. Allora, adesso dimmi, come ti senti?»
Gli occhi viola di Lullaby si riempirono di lacrime.
«Voi tutte siete le migliori amiche che qualcuno possa desiderare. Ci siamo perse di vista per sei mesi, ed anche i contatti telefonici si erano fatti via via sempre meno frequenti, eppure non avete esitato un solo istante a venire a trovarmi, o a rintracciarmi telefonicamente non appena appresa la notizia. Io non so certamente cosa sia l’amore, ma credo che questa sia la cosa che più in assoluto ci si avvicini. Adesso più che mai sono convinta che la nostra amicizia durerà per sempre, a discapito delle distanze che ci separano.»
Lullaby si passò la mano sotto agli occhi, asciugando le lacrime che erano comparse.
«Volevo ringraziarvi per tutto quanto. Ancora una volta siamo tutte insieme, e sono sicura che non sarà affatto l’ultima.»
Doremi, Melody, Sinfony, Bibì e Mindy mimarono lo stesso gesto, passandosi un dito sotto agli occhi ed annuendo solennemente alla loro amica.
Ne erano certe, non era l’ultima volta.


 

DIZIONARIO (JUST IN CASE)
*Narita-sen: è una ferrovia che percorre la prefattura di Chiba (dove si trova Misora)
**Yamanote-sen: è una linea ferroviaria suburbana di Tokyo
***Minato: è uno dei quartieri di Tokyo

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Capitolo 19
*** Vincitrice ***


-VINCITRICE-

 

Le sue amiche si erano fermate solo per un paio d’ore, poi erano tornate a casa loro. Lullaby sapeva che non avrebbero potuto trattenersi oltre, ma non riuscì a cacciare via la tristezza.
Si erano riviste nuovamente per una breve manciata di minuti, mentre lei sdraiava su un letto d’ospedale in condizioni orribili. Non era certamente quello che avrebbe desiderato, ma si disse di guardare il lato positivo, e così cercò di fare.
Scoraggiata, diceva tra sé e sé “vedrai che avrete un’altra occasione” ma in fondo ci credeva poco.
In momenti come quelli desiderava non aver mai rinunciato ad essere una strega, perché in quel caso le sarebbe bastato cavalcare il suo manico di scopa per raggiungere tutte le destinazioni che desiderava, o anche solo recitare la formula magica. La magia era così semplice in fondo.
Afferrò lo specchio che sua madre le aveva lasciato sul comodino e vi si guardò attentamente. L’immagine che quello ricambiava aveva poco a che fare con quella che Lullaby conosceva bene. I suoi capelli sciolti ricadevano disordinatamente sul suo volto e sulle spalle, e il suo occhio destro faticava ad aprirsi del tutto, dandole un’espressione sciocca. Le sue labbra fini erano adesso gonfie e di color rosso vivido, e se sorrideva troppo rischiava di riaprire la ferita e macchiarsi di sangue.
Chissà perché le venne voglia di piangere. Era così stupido piangere per essere leggermente sfigurata, tutto quanto sarebbe passato, si disse, avrebbe riacquistato presto il suo bell’aspetto, si disse, come le avevano assicurato sia il suo medico, sia le infermiere del reparto.
Sì, ma il problema non era affatto il suo viso! Sembrava che nessuno volesse capirlo, limitandosi a sorridere e dire “passerà”, ma nessuno le aveva chiesto come si era sentita quel giorno, bloccata e presa a pugni senza nemmeno una ragione. Tutti davano per scontato che a lei interessasse solo il proprio aspetto, senza curarsi della sua condizione psicologica, senza neppure immaginare la paura che aveva provato, inerme e disarmata, a subire violenze fisiche e psicologiche da parte di tre sue coetanee. Lei non avrebbe mai potuto fare una cosa simile, e nemmeno le sue amiche, e neanche tutti i suoi vecchi compagni della scuola elementare di Misora. Cosa c’era di sbagliato in quelle ragazzine? Perché erano state così cattive? Ma soprattutto si chiedeva, e qui rabbrividiva ogni volta immaginando la risposta, cosa sarebbe accaduto se sua madre non fosse venuta a cercarla, preoccupata dal suo ritardo? L’avrebbero forse uccisa, massacrandola di botte?
Sola, nel silenzio della camera d’ospedale, Lullaby non si preoccupò di dare sfogo alle sue paure scoppiando in un pianto ininterrotto.
 
Quando l’indomani il medico la visitò, le disse che stava decisamente meglio, e che la visita delle sue amiche le aveva fatto bene. Affermò che se avesse continuato di questo passo, sarebbe sicuramente stata dimessa già alla fine della settimana.  Sia Lullaby che Miho sorrisero alla buona notizia, e la figlia promise alla madre di mettercela tutta per guarire il più in fretta possibile.
«Non è necessario tutto ciò, Lullaby. Adesso devi concentrarti sulla tua salute, e prenderti del tempo per te stessa, non importa quanto ci staranno le tue ferite a risanarsi, ci siamo intese?»
Lullaby non si aspettava quelle parole da parte di sua madre, evidentemente la donna era più preoccupata di quanto non desse a vedere.
«Ah, sai la bella notizia? Tuo padre stasera riuscirà a liberarsi un po’ prima, verrà finalmente a trovarti. Sei felice, non è vero?»
Sì,era felice, ma anche in apprensione. Aveva causato un bello spavento ai suoi genitori, ed anche se sapeva che non era la diretta responsabile, non poteva fare a meno di sentirsi in colpa.
«A proposito, oggi ho parlato col preside, le tre ragazze verranno espulse dalla scuola, dovranno cercarsi un nuovo istituto, anche se non sarà facile, dato il modo in cui hanno macchiato il loro curriculum scolastico. Se non se la fossero cercata, direi persino che mi dispiace, ma date le circostanze non posso che tirare un sospiro di sollievo. »
Si sedette sul letto di fianco alla figlia, passandole una mano sulla fronte e studiando da vicino i suoi lividi.
«Guarda come ti hanno ridotta!»
Lullaby si scansò dalla presa dolce della madre.
«Non fa nulla, non hai sentito il dottore? Passerà tutto quanto, tornerò ad essere bella come prima.»
«Non è questo che mi preoccupa.»
Disse infine Miho con un filo di voce, catturando la sua attenzione.
«Io mi domando sempre cosa ne sarebbe stato di te se non fossi arrivata in tempo, se mi fossi trattenuta un po’ più a lungo.»
Un brivido le percorse la schiena, facendole accapponare la pelle. Delle lacrime caddero sul dorso della sua mano, lacrime che non si vergognò di versare, che non si preoccupò di nascondere agli occhi della figlia.
«Lullaby tu sei la cosa più preziosa che ho.»
Le disse abbracciandola. Lullaby rimase sorpresa sulle prime, ma subito dopo ricambiò l’abbraccio della madre, sentendosi finalmente vicina a lei, consolata dal fatto che anche sua madre nutrisse le sue stesse apprensioni.
Si sentì una sciocca a pensare che si interessasse solo della sua bellezza.
 
Quel pomeriggio, poco più tardi, Lullaby ricevette una visita inaspettata.
Qualcuno bussò timidamente alla porta della sua camera proprio mentre lei addentava una barretta di cioccolato che le era stata regalata da uno dei suoi ammiratori che non conosceva.
«Avanti!»
Disse a bocca piena.
Una figura minuta e timida fece capolino, mostrando dei capelli bruni ed uno spesso paio di occhiali.
«Sakura?»
Domandò inghiottendo in fretta il boccone.
«Lullaby, quando ho saputo della notizia io… Ero sconvolta a dir poco. Sì, Kumiko ed il suo gruppetto sono sempre state dei tipi poco raccomandabili, ma nessuno si aspettava che compiessero un simile gesto. Io… Beh, in realtà tutta la classe ha votato per la loro espulsione, un comportamento del genere è inaccettabile!»
«Sakura…»
«No, lasciami finire, perché non è tutto. Io… Io voglio solo che tu sappia che io non ho nulla a che vedere con questa storia. So che non mi crederai, ma volevo dirti che non ho certamente proferito parola con quelle tizie. Anzi, se devo proprio dirla tutta, io a loro non sono nemmeno mai piaciuta. Non so perché abbiano preso le mie difese, di solito mi prendono in giro affibbiandomi stupidi soprannomi.»
Sakura iniziò a piangere.
«Lo so che tu adesso mi odierai, ma io dovevo dirtelo!»
Lullaby rimase un attimo interdetta, osservando la compagna togliersi gli occhiali e asciugandosi le lacrime.
«Sakura, io non ho pensato neanche solo per un istante che c’entrassi tu in questa faccenda.»
Sakura smise di singhiozzare, guardandola con tanto di occhi.
«Non ti odio affatto, anzi non appena mi sarei rimessa avevo intenzione di venire a scusarmi con te per averti causato dei problemi. È tutta colpa mia se ti hanno abbassato la media scolastica.»
Sakura sorrise debolmente.
«Ah, quello? Vedrai, recupererò, ero solo sconvolta all’inizio, credo che lo choc mi abbia causato la febbre, ma dopo una breve conversazione con mia madre ho capito che potevo rialzare la media in breve tempo.»
Lullaby inclinò la testa di lato sorridendo.
«Mi fa piacere che tu la veda così, ma ho già deciso di fare un discorsetto al preside.»
Sakura spalancò gli occhi.
«Non avrai certo deciso di ritirarti? Hai sentito, quelle tre sono state espulse, non hai più nulla da temere…»
«Ciò che ho da dirgli ha poco a che fare con questa vicenda. È solo che non voglio nessun trattamento di favoritismo. Mi sono accorta che questa situazione non fa che allontanarmi dai miei compagni di classe, nessuno mi rivolgerà mai la parola se teme che i suoi voti vengano abbassati! E non è questo che voglio, non mi va di essere evitata come la peste. Voglio un rapporto normale coi miei compagni di scuola, voglio che si sentano liberi di rivolgermi la parola ogni volta che lo desiderino, fosse anche solo per chiedermi un autografo o una fotografia!»
Il volto di Sakura si rasserenò, e la ragazza sorrise, passandosi una mano sul petto.
«Questo significa che continuerai ad essere una mia compagna, giusto?»
Lullaby annuì.
«Certo! Io non mi faccio certo scoraggiare da certi eventi!»
«Ah, è una notizia fantastica, sono felice di sapere che la pensi così!»
Lullaby le mostrò la lingua schiacciandole un occhio.
«E dimmi un’altra cosa.»
Aggiunse Sakura diventando improvvisamente seria.
«Hai intenzione di esporre una denuncia?»
«Ma tu come sai queste cose?»
Lei fece spallucce.
«Mio padre è avvocato, mi ha spiegato un paio di cose a proposito. Dice che hai la possibilità di denunciare i tuoi aggressori e di presentarti in tribunale. Rischiano di finire in carcere… e se lo meriterebbero pure.»
Lullaby guardò fuori dalla finestra. Ci aveva pensato a lungo, da quando sua madre le aveva comunicato quella possibilità, affermando che quella scelta apparteneva solo a lei, e che non si sarebbe intromessa nella sua decisione.
«Non credo che lo farò.»
La notizia parve sorprendere la sua interlocutrice.
«Davvero? Come mai?»
«So che si meriterebbero le peggiori cose, e se mi presentassi in tribunale conciata così, vincerei di certo la causa, ma… Ma cosa ci guadagnerei io dopo? Non sarei a posto con me stessa, per quanto risulti arduo da comprendere, non credo di poter spiegarlo meglio. Io voglio semplicemente essere superiore a questo genere di cose.»
«Credo di capire dove vuoi arrivare, e in questo senso sono d’accordo con te. In fondo non avranno vita facile, il loro curriculum scolastico  è stato gravemente compromesso, l’unica possibilità di proseguire gli studi sarebbe quella di frequentare una scuola privata molto costosa, e in più verranno tenute costantemente d’occhio, non potranno permettersi nessuna trasgressione delle regole. In pratica, tu hai già vinto.»
«Esatto!»
Disse Lullaby facendo il segno della vittoria.
«Adesso perché non ti avvicini? Ho tantissima cioccolata qui e non riesco davvero a finirla da sola pensi di darmi una mano?»
Sakura sorrise avanzando verso la sua nuova amica.
«Con piacere.»
«Oh, a proposito Sakura, prima che me ne dimentichi, io ho ancora un debito nei tuoi confronti.»
«Hm? Di che parli?»
«Dell’autografo che non sono mai riuscita a firmarti, ricordi?»
Sakura abbassò il capo scuotendolo impercettibilmente.
«Adesso non ne ho più bisogno. Oramai siamo amiche, non è vero?»

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Capitolo 20
*** L'intervista ***


-L’INTERVISTA-
 
Il primo lunedì del mese di novembre il mercatino della scuola media di Misora aprì i battenti. Tra i numerosi visitatori vi erano alcuni ex studenti della scuola, gente che ormai frequentava le superiori ma era rimasta in contatto con i loro vecchi insegnanti, e che sotto loro consiglio era passata a dare un’occhiata elogiando l’idea innovativa del loro vecchio preside (ignorando ovviamente la verità che si celava dietro quella scelta) e alcune ragazze della’accademia Karen Girls’, che si erano lasciate convincere da Melody.
Doremi e alcune compagne che si erano proposte volontarie per occuparsi della vendita ebbero parecchio da fare, il numero degli oggetti a loro disposizione era maggiore di quanto non avessero immaginato, il che gli diede parecchio di cui occuparsi.
Anche alcuni professori avevano deciso di presentarsi, mostrandosi entusiasti dell’organizzazione dell’evento, e premiando gli studenti facendo degli acquisti.
Nelle classi al piano di sopra, i membri dei club di pittura e disegno, manualità e giardinaggio non si concedevano nessuna pausa, continuando a produrre sempre più articoli.
Kaori, che era la fotografa ufficiale del club di giornalismo, scattava una foto dietro l’altra, mentre un ragazzo in sua compagnia, che dimostrava almeno due anni in più, faceva scorrere vorticosamente la sua penna contro un bloc-notes.
«Tu devi essere Harukaze, la responsabile di tutto quanto, non è vero?»
Si era avvicinato a passo felpato alla ragazza, tant’è che Doremi non si era nemmeno accorta della sua presenza. Senza neppure darle il tempo di rispondere, riprese a parlare.
«Mi chiamo Ryuji, avrai sicuramente sentito parlare di me, sono il membro più importante del club di giornalismo. Per farla breve, quello a cui assegnano gli articoli migliori.»
Disse sfoderando un largo sorriso, mentre Doremi aggrottava le sopracciglia poco convinta.
“Abbiamo un giornalino scolastico?”
Neanche stavolta il ragazzo attese una risposta, continuando a parlare senza sosta, in maniera così svelta che la rossa faceva fatica a stare dietro ogni sua parola.
«Hai due minuti? Mi piacerebbe intervistarti e farti qualche domanda a proposito del tuo progetto.»
Avanzò portandola da parte, dove non potevano essere disturbati.
«Sei una ragazza del primo anno, non è vero? Come ti è venuta una simile idea? E’ vera la storia della discussione tra te e il preside? Se sì, devo proprio farti i miei complimenti, hai dimostrato di avere fegato per essere solamente una novellina.»
«Beh sì, in parte diciamo di sì.»
Bofonchiò Doremi, mentre Ryuji annotava qualcosa sul foglio scarabocchiato. Dietro di lui, Kaori scattava foto della sua ex compagna di classe, senza preoccuparsi di risultare invadente (non che fosse una novità).
«Ti confesso una cosa Doremi.»
Continuò lui, senza fare caso all’imbarazzo della sua interlocutrice, ignorando il rumore che la macchina fotografica produceva alle sue spalle.
«All’inizio mi sono trovato completamente in disaccordo con quest’idea. “Assurdo!” mi dicevo, “un mercatino scolastico, cosa dovremmo farcene?” Eppure devo ricredermi, l’evento ha richiamato parecchia gente, tra cui anche studenti esterni, lo sapevi? O forse è tutto merito tuo? Hai fatto pubblicità per dimostrare al nostro preside di avere torto marcio?»
Doremi si affrettò a scuotere le braccia con veemenza.
«No no, ma cosa dici? Io l’ho detto solamente alla mia migliore amica, Melody! Vedi? Lei frequenta l’accademia femminile Karen Girls’, ed è stata una sua idea quella di riferirlo ad alcune compagne…»
«Confermo tutto quanto, conosco queste due sin dai tempi dell’asilo.»
Asserì Kaori, indicando Melody.
«Uh, quindi non c’entra affatto il tuo desiderio di rivalsa nei confronti del preside…»
Rifletté Ryuji parlando tra sé e sé. Doremi notò che parve deluso da quell’affermazione, ma si riprese in fretta, tartassando la povera Doremi di domande.
«E stai facendo tutto questo per aiutare la tua collega del club di dibattito, no? Insomma, il ricavato verrà utilizzato per finanziare il ballo di fine anno, vero? Lo fai solamente per lei o in fondo piace anche a te l’idea?»
Doremi si passò un dito sotto al mento con fare pensieroso.
«L’ho fatto per aiutare Sora, è ovvio, ma confesso che l’idea non mi dispiace.»
Lui fece un sorriso malizioso.
«Allora non sei affatto la ragazza altruista che tutti credono, possiamo dire che sei mossa soprattutto da motivazioni egoistiche, rimpiangi di non essere stata tu a proporre l’idea del ballo? Insomma, questo tuo daffare è un modo per attirare l’attenzione su di te, mettendo ombra sulla vera ideatrice?»
«Ehi no, ma cosa dici? Non è affatto come pensi, io volevo solo aiutare una ragazza a realizzare il suo sogno! Non mi verrebbe mai in testa di mettermi al centro dell’attenzione di tutti. Kaori, diglielo anche tu!»
Cercò l’appoggio della fotografa, ma quella la ignorò.
«Non ci sono, io scatto solo le foto!»
«Ma come, poco fa hai detto di conoscermi sin dai tempi dell’asilo, che gran ipocrita!»
Mugugnò la rossa incrociando le braccia sul suo petto. Ryuji colse la palla al balzo.
«Doremi, hai già un accompagnatore per il ballo?»
Lei scosse la testa con aria confusa, tornando seria.
«No, ma questo cosa c’entra?»
Lui le rivolse un sorriso serafico, passandosi la mano sopra il mento. Ostentava un’espressione che alla ragazza non piacque affatto.
«Allora è tutto chiaro.»
Le fece l’occhiolino con l’aria furba di chi la sa lunga.
«Il tuo era un tentativo di attirare su di te l’attenzione dei componenti maschili del nostro istituto, al fine di trovarti un compagno per l’evento. Non preoccuparti, ci penseremo noi a darti una mano, adesso sorridi per i nostri lettori.»
Senza nemmeno darle il tempo di assimilare le parole, Kaori le si parò davanti scattandole un bel primo piano, poi i due  si allontanarono di corsa, facendole girare la testa.
Doremi capì troppo tardi quanto era appena successo.
«Ehi tu! Torna indietro! Dici una marea di sciocchezze… Spera che non ti riveda in giro!»
Strillò verso nessuno agitando un pugno in aria.
Poi divenne stranamente seria.
“Spero solo che quei due non mi mettano nei guai.»
 
Il giorno seguente Doremi fece di tutto per procurarsi una copia del giornalino scolastico, e quando finalmente lo trovò, lo sfogliò svogliatamente alla ricerca dell’articolo che la riguardava.
Lesse tutto d’un fiato, augurandosi che Ryuji avesse avuto il buonsenso di non farle un affronto così grande quale mettere la sua faccia pietosa in prima pagina.
Alla fine della lettura si ritrovò l’amaro in bocca. Ryuji non aveva scritto nessun articolo che somigliasse ad un annuncio disperato alla ricerca di un accompagnatore, ma l’aveva fatta passare per un’egocentrica piena di sé, asserendo che il suo impegno fosse dovuto alla voglia di visibilità.
Sospirò profondamente, sentendosi la ragazzina più sfortunata della terra.
«Ma perché, fra tutti, doveva per forza prendersela con me? Che gli avrò fatto mai? E dire che il mio intento era quello di dare una mano a Sora! Spero che nessuno legga queste sciocchezze, ma che figura ci faccio?»
Si domandava a voce alta, facendo voltare tutti quanti nel corridoio, che la fissavano con aria sbigottita.
«Doremi, perché parli da sola?»
Le chiese Makoto raggiungendola, notando una ragazza roteare il dito indice in prossimità della tempia, gesto eloquente che valeva a dire “a questa manca sicuramente qualche rotella”.
«Oh Makoto, è terribile, guarda qui! Giuro che me la pagherà»
Makoto afferrò il pezzo di carta che Doremi aveva accuratamente stropicciato in preda alla rabbia e lesse in silenzio il breve articolo che la riguardava.
Inaspettatamente, la ragazza sorrise.
«Certo è scritto bene.»
«Ehi, ma tu da che parte stai? Non hai visto come mi ha dipinta?»
«Doremi, credi sul serio che qualcuno dia retta a quello che dice uno stupido giornaletto? Datti una calmata, non è mica lo Yomiuri Shimbun»
La rassicurò, battendole una mano sulla schiena.
«Sono certa che non l’avrà visto nessuno, o comunque, che nessuno ci abbia dato peso. Adesso rilassati e fingi che non sia successo, vedrai che nessuno ne parlerà…»
Aprì la porta della classe e una gocciolina si formò dietro la sua testa: un gruppetto di compagni era radunato su un banco, intento a leggere a voce alta.
«…Doremi ha assicurato di provare una forte invidia nei confronti della senpai Sora, la cui mente geniale ha partorito l’idea dell’organizzazione del ballo di fine anno. “E’ per questo che ho pensato ai mercatini”, afferma Doremi, “per fare in modo di essere notata anch’io, di non passare inosservata, in fondo chi mai potrebbe accorgersi di una novellina?” Ha dichiarato la kohai scrollando le spalle. “Fortunatamente quell’ingenuo del preside ha creduto alla faccenda della brava bambina, concedendomi la creazione di un’attività tutta mia. Adesso tutta la scuola conosce il mio nome e ho persino ottenuto un’intervista dal più rinomato scrittore della scuola” afferma infine, facendo un occhiolino al sottoscritto. Che dire? La giovane forse scarseggia di inventiva, ma non si può certo negare che manchi di ambizione e scaltrezza.»
La voce di Akane rimbombava per tutta la classe.
«Non avrei mai immaginato che Doremi fosse quel tipo di persona…»
Disse una loro compagna, passandosi una matita sul mento.
«È una brava attrice, con noi fa sempre la parte dell’imbranata, e invece è una che sa giocare bene le sue carte.»
«Non crederete mica a queste sciocchezze!»
Urlò Marina, seduta in disparte, chiudendo con forza il libro che stava leggendo.
«Conosco Doremi sin dai tempi delle elementari, e so per certo che sono tutte fesserie! Lei non usa affatto quel genere di parole! Ci metto la mano sul fuoco…»
Tetsuya annuì, portandosi le mani dietro la testa.
«Confermo tutto quanto, Quando mai è stata scaltra poi…?»
«Già, Harukaze non è il proprio il tipo…»
Intervenne Masaru dall’ultimo banco, il tono piatto di chi non pare minimamente interessato all’argomento.
«Io non sono stata una sua compagna di classe, ma la conosco bene, e sono della stessa opinione. Doremi non può aver detto quelle cose lì, sono certa che Ryuji ha ingigantito la questione per vendere un maggior numero di copie, non sarebbe una mossa nuova nel mondo del giornalismo.»
Spiegò infine Sachiko, chiudendo la faccenda.
«Sono felice che almeno voi l’abbiate capito.»
La voce di Doremi li costrinse tutti quanti a voltarsi.
«Non so perché Ryuji l’abbia fatto, ma vi garantisco che nessuna di quelle parole è uscita dalla mia bocca. Io non provo nessuna rivalità nei confronti di Sora, al contrario, la stimo profondamente e sono più che orgogliosa di aiutarla, per quanto mi sia possibile. Volevo solo che il preside accettasse la sua proposta, è per questo che mi sono data da fare con l’allestimento del mercatino.»
Akane si alzò in piedi, fissandola.
«Ma perché uno come Ryuji dovrebbe mentire, scusa? Io leggo il giornalino scolastico ogni giorno, e i suoi articoli sono sempre veritieri, mi spieghi perché questa volta dovrebbe essere diverso?»
Doremi poggiò lo sguardo per terra.
«Non lo so, immagino per creare un po’ di scalpore.»
Akane scosse la testa.
«Scusa se te lo dico con così tanta schiettezza, ma è la tua parola contro la sua.»
«Ma che stupidaggini vai raccontando? Tu quello non lo conosci nemmeno, sono sicura che non vi siate neppure mai rivolti la parola, ed adesso metti in discussione una tua compagna di classe?»
Le urlò Makoto, puntandole il dito contro.
«Ti ringrazio dal profondo Makoto, ma è meglio lasciare stare. Non posso costringerti a credermi Akane, né te, né nessun altro...»
Akane le rivolse un’occhiata sprezzanta.
«Voglio che tu sappia una cosa: contribuirò a finanziare il mercatino, ma lo farò solo per Sora. Ai miei occhi tu non sarai più la stessa, e non sono l’unica a pensarla in questo modo…»
L’arrivo della signorina Shuto interruppe quella strana conversazione, riportando il silenzio in aula.
«Volete tornare tutti ai vostri posti spontaneamente o vi occorre un formale invito?»
Aveva domandato acidamente, e a nessuno venne in mente di ribattere.
“Mah, che strana la scuola media… Fino a poco tempo fa ero un’invisibile, poi ecco che divento improvvisamente una delle ragazze più popolari della scuola, ed adesso finisco per essere un’inguaribile bugiarda in cerca di approvazione odiata da tutti. E dire che siamo solamente a metà del primo semestre!»
Doremi sbuffò tristemente. Makoto notò il malessere dell’amica e si affrettò a scriverle un messaggio.
“Non devi curarti del parere di queste persone, guarda il lato positivo: i tuoi veri amici si sono prodigati in tua difesa. Chi ti conosce davvero sa bene che persona tu sia, vedrai che il tempo farà il suo corso e rivelerà la verità.»
Doremi sorrise. Si sentiva già meglio.


 
DIZIONARIO (JUST IN CASE)
*Yomiuri Shimbun: è il quotidiano giapponese più diffuso al mondo. Viene stampato due volte al giorno.

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Capitolo 21
*** Aria natalizia ***


-ARIA NATALIZIA-
 
Il tempo scorreva con una rapidità sconvolgente. Era già arrivato dicembre, portando con sé il freddo pungente dell’inverno, e l’aria natalizia aleggiava sulla cittadina di Misora, rendendo i suoi abitanti più buoni e tolleranti, quasi come se ognuno si aspettasse di essere presto giudicato da Babbo Natale.
Doremi, dal canto suo, non ci aveva nemmeno badato, dato che impegnava tutto il suo tempo disponibile lavorando al mercatino della scuola, cercando di ignorare le occhiate torve che qualcuno le rivolgeva.
Aveva avuto modo di parlare dell’accaduto con Sora, e lei si era mostrata più che comprensiva.
«Conosco bene lo stile di Ryuji, sono abituata ai suoi articoli dato che siamo entrambi studenti del terzo anno. Ha iniziato la carriera giornalistica quando era ancora una matricola. Purtroppo è fatto così, pur di assicurarsi la simpatia del pubblico non si fa nessuno scrupolo a rovinare la reputazione altrui, e mi spiace che questa volta sia toccato a te. Mi auguro che le calunnie nei tuoi confronti cadano quanto prima, non te le meriti affatto.»
Le aveva detto, ma era una magra consolazione. Anche se Sora non aveva creduto ad una sola parola, lo stesso non si poteva certo dire di tanti altri.
«Non preoccupartene, vedrai che presto tutti se ne dimenticheranno.»
Le ripeteva Makoto nel tentativo di risollevarle l’umore, ma Doremi si chiedeva quando ciò sarebbe successo.
Intanto il ragazzo continuava ad essere popolare a scuola, e si pavoneggiava nei corridoi come se fosse un vip. Doremi aveva provato diverse volte ad avvicinarlo, ma lui l’aveva abilmente schivata dicendole di “mettersi in fila assieme alle altre sue ammiratrici”, finché, offesa da tanta arroganza, aveva preferito evitare.
Ad innervosirla provvedeva già il suo compagno Tetsuya, che non perdeva nessuna occasione per prenderla in giro, qualunque fosse il pretesto.
«Le scuole medie sono orribili.»
Si lamentava con Melody quando le due trovavano il tempo di incontrarsi.
«Suvvia,  sono certa che non è come lo descrivi!»
«Sei troppo ottimista per i miei gusti.»
Borbottava la prima tra un sospiro e l’altro.
«Dai, resisti ancora un po’, presto inizieranno le vacanze di Natale, il mercatino chiuderà e potrai finalmente concederti una pausa. Vedrai che da gennaio le cose miglioreranno.»
«Ah, mi auguro tu abbia ragione! Non vedo l’ora che arrivino le feste.»
 
 
«COME SAREBBE A DIRE CHE TE NE VAI?»
Urlò Doremi portandosi le mani in testa.
«Shh, non fare così, parto solo per il periodo delle ferie scolastiche…»
L’aveva rassicurata Makoto sventolando una mano in aria.
«Ma non puoi lasciarmi qui da sola, come farò senza di te?»
Piagnucolò scuotendo la testa.
«Adesso stai esagerando! Partirò per Hokkaido giorno venti e tornerò il sette gennaio. Mio fratello Shinichi ci teneva tanto, ha insistito parecchio per ottenere il permesso, e alla fine mia madre ha ceduto. Ho colto la palla al balzo chiedendo se potessi andare con lui, e anche Nobuo si è accodato. Alla fine si è deciso di partire tutti insieme. In realtà sono felice, non rivedo i miei amici da dopo la cerimonia del diploma delle scuole medie…»
Solo allora Doremi si rese conto di essere una perfetta egoista. Forse la descrizione di Ryuji sul suo conto non si distanziava troppo dalla verità. Si preoccupava solo di sé stessa, le premeva che l’amica fosse sempre lì a darle una mano a sollevarsi, e non considerava affatto i suoi sentimenti.
“Io ho Melody al mio fianco, e sento comunque la nostalgia delle mie amiche, pur avendo la possibilità di contattarle telefonicamente ogni volta che lo desideri, mentre Makoto non ha la mia stessa fortuna. Dovrei essere felice per lei, invece di continuare a lamentarmi di quanto ingiusta sia la mia vita.”
Si ritrovò a pensare, sentendosi improvvisamente in colpa.
«Sai cosa ti dico? Spero sinceramente che tu ti diverta. Mi fa piacere saperti felice.»
Le disse, ed era sincera.
Makoto fece un grande sorriso.
«Grazie Doremi, tu sì che sei una vera amica!»
Il suo volto cambiò tutto d’un tratto, facendosi triste.
«C’è solo una cosa che mi rattrista. Non sarò qui per lo scambio dei regali.»
«Ah, è solo per questo?»
Disse Doremi allegramente, passandosi una mano sulla testa.
«Di questo non devi affatto preoccuparti, potremmo scambiarci i doni  non appena avrai fatto ritorno, che ne dici?»
«Perché non prima? Non voglio aspettare così tanto…»
Si lamentò Makoto mettendo il broncio, ma Doremi scosse il dito, imperturbabile.
«Non se ne parla, farlo prima porta sfortuna, lo sanno tutti.»
«Io non lo sapevo.»
«Beh, adesso lo sai.»
Replicò la rossa.
«Sono solo superstizioni.»
«Io sono già la bambina più sfortunata della terra, non voglio certo rischiare!»
Si lamentò Doremi scuotendo la testa, con un tono lagnante che non ammetteva repliche.
«Uff, e va bene, allora lo faremo quando tornerò. Ad ogni modo so già cosa regalarti.»
Disse infine Makoto sorridendo serafica.
«Davvero? E di cosa si tratta?»
L’amica ostentava un’espressione maliziosa.
«Qualcosa che, ne sono certa, ti farà enormemente piacere.»
Doremi spalancò gli occhi con curiosità.
«Voglio sapere cos’è.»
«Non posso dirtelo, non sai che porta sfortuna?»
Ma l’altra non la stava nemmeno più a sentire, poiché aveva cominciato ad urlare sovrastando la sua voce.
«Voglio sapere, voglio sapere, voglio sapere, voglio sapere, voglio sapere!»
Makoto era esasperata.
«E va bene, allora te lo dirò. Ho intenzione di parlare chiaramente con Shinichi dei tuoi sentimenti, dato che finora i metodi subdoli non hanno funzionato. Vedrai che al mio ritorno voi due farete coppia insieme.»
Doremi si zittì all’istante. Scrutò con espressione seria il volto dell’amica, quasi come se si aspettasse di vedere il suo naso allungarsi.
«Vuoi regalarmi tuo fratello?»
Chiese infine, circondata da punti interrogativi. Makoto si passò una mano sotto al mento.
«In un certo senso…»
«Ok, ci sto!»
Disse infine Doremi prendendole le mani nelle sue in un gesto teatrale.
«Solo… Promettimi che non mi farai fare la figura della sciocca.»
«Ma ti pare…? Fidati di me.»
Aggiunse, facendole l’occhiolino.
La professoressa Shuto entrò nell’aula, interrompendole.
«Harukaze, Kyosuke, vi spiacerebbe chiudere il becco e smettere di fare baccano?»
Le due ragazze s’inchinarono profondamente, chiedendo scusa.
«Molto bene, adesso sì che si ragiona. Prima di cominciare con la lezione ho una notizia da darvi.
Dal momento che è stato esibito un mercatino scolastico – cosa che immagino sappiate tutti quanti – alcuni insegnati hanno dato il via ad un’iniziativa chiamata “il Babbo Natale segreto”. Questa usanza americana prevede che ognuno di voi sorteggi il nome di un compagno di classe, e si premuri di fargli un regalo natalizio. Come il nome “segreto” suggerisce, questo compagno non deve sapere chi di voi ha pescato il suo nome. Io personalmente sono contraria ad una tale perdita di tempo, non c’è nulla di educativo in tutto ciò, ma a quanto pare la nostra scuola democratica lascia che sia la maggioranza ad avere la meglio, e quindi ci troviamo tutti costretti a partecipare a questa buffonata ridicola…»
«È un’idea fantastica!»
Disse una voce proveniente dall’ultima fila.
«Sarà così divertente.»
Aggiunse qualcun altro.
«Ed è anche un modo per imparare a conoscerci meglio, non trovate?»
«Fate silenzio!»
Urlò la professoressa con la lingua biforcuta.
«A quanto pare siete dello stesso avviso dei miei colleghi, ma avrei dovuto sospettarlo, in fondo a voi scolari interessa così tanto perdere ore di lezione, sbaglio? Tsk, e va bene, allora mettiamoci all’opera. Ognuno di voi scriva il proprio nome su un foglietto di carta , lo pieghi, e lo inserisca in questo scatolo. Poi vi chiamerò uno alla volta per procedere col sorteggio. Cosa c’è signorina Kyosuke, perché alza la mano?»
«Beh, io non sarò qui per Natale,è meglio se mi astengo.»
«Come preferisce. Adesso cominciamo. Ryoga, lei è il primo della lista, venga a pescare un nome…»
Doremi pensò al regalo che avrebbe potuto fare a ciascuno dei suoi compagni.
“Mh, a Marina piacciono i fiori, potrei regalarle dei semi di qualche pianta particolare. Ad Akane piacciono i gruppi musicali pop, andrei sul sicuro con un CD… Nana invece è un’accanita lettrice fantasy, un libro è la scelta migliore... Spero che mi capiti una di loro tre!”
«Harukaze, tocca a lei!»
Doremi si alzò e guardò lo scatolo. C’erano ancora tanti pezzi di carta lì dentro. Tirò un sospiro e infilò la mano, afferrandone uno. Quando tornò al suo posto Makoto le si avvicinò come un ninja.
«Chi è?»
«È segreto!»
Le ricordò Doremi.
«Sì, ma io non partecipo, quindi a me puoi dirlo. »
«E va bene.»
Doremi schiuse il pezzetto di carta e lesse il nome scritto con una penna blu. Una calligrafia disordinata citava il nome del ragazzo a cui avrebbe dovuto comprare un regalo natalizio.
«Oh no, ed ora?»
Le ragazze si voltarono e diedero uno sguardo al banco del tipo in questione.
«Non ho la minima idea di cosa possa piacergli.»
«Ma come no? Vi conoscete dalle elementari, insomma, qualcosa di lui la saprai pure!»
«Sì… ecco vedi? Ha un hobby.»
«Sì, questo lo so anche io…»
Disse Makoto corrucciata.
Doremi gli rivolse un’altra occhiata, stavolta più attenta, come se volesse studiarlo.
“Sì, è vero, siamo stati compagni per circa sei anni, ma alla fine non c’è molto di lui che conosco. Ha sempre preso le distanze, per cui non è semplicissimo inquadrarlo, ma forse potrei usare le poche conoscenze che ho sul suo conto. Voglio fargli un bel regalo, tutti quanti ci meritiamo di essere felici il giorno di Natale.”
«Ho trovato!»
Disse infine Doremi a voce alta, battendosi il pugno sulla mano aperta.
«Cosa?»
Chiese Makoto, continuando a comportarsi come una spia in missione segreta.
«Chiederò a Melody!»
Gli occhi di Makoto divennero due linee rettangolari (-___-)’
«Scusa eh, ma lei cosa c’entra?»
Doremi sorrise. Ovviamente Makoto non conosceva tutti i retroscena che c’erano stati tra i due durante il periodo delle elementari, ma Doremi sapeva bene che Melody era la persona più indicata a cui chiedere un consiglio sul conto di Masaru Yada.

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Capitolo 22
*** Compagni di squadra ***


- COMPAGNI DI SQUADRA -
 
I ciondoli e le catenine esposti al mercatino scolastico di Misora venivano venduti a basso prezzo, e questa loro caratteristica aveva presto richiamato l’attenzione di tantissimi studenti più giovani, che non disponevano di tantissimo denaro. Il tempo a disposizione di Doremi si era notevolmente ridotto, così come anche quello degli altri suoi compagni, la cui mole di lavoro era aumentata.
Seppur non sapeva a quanto ammontasse esattamente la cifra racimolata, era certa che fosse molto alta, e lo credeva anche Sora, che spesso dava una mano alla kohai in segno di riconoscenza.
Makoto continuava ad allenarsi nei campi di calcio dopo che la squadra della scuola avesse finito, ma da sola non riusciva a dare il meglio di sé. Aveva chiesto diverse volte a Tetsuya di farle da rivale, ma lui aveva sempre rifiutato, inventandosi una scusa diversa di volta in volta.
Anche quel giorno, mentre Doremi al piano di sopra si occupava delle vendite, Makoto correva per tutto il perimetro del campo calciando la palla.
«Guardatela, poverina, deve fare tutto da sola.»
Aveva commentato Akane, affacciandosi alla finestra. Le altre si avvicinarono per dare un’occhiata.
«È un vero peccato che il preside si rifiuti di istituire una squadra femminile, guardate quanto talento sprecato.»
«Già, è una vera ingiustizia. Vorrei poterla aiutare, ma sono una vera frana a calcio, me la cavo meglio con la pallavolo ed il tennis.»
Aggiunse Nana, poggiando la fronte contro il vetro.
«La vera ingiustizia è che i maschi si rifiutano di ammetterla nella squadra.»
Sbuffò Doremi, che aveva sentito tutto quanto, ed adesso si faceva largo tra la calca per sbirciare anche lei.
«Perché mai deve farlo a quest’ora tarda, quando tutti sono già andati via? Quando termina si è già fatto buio e l’aria è diventata più fredda.»
Tutte annuirono silenziosamente, dandole manforte.
«Purtroppo non c’è nulla che possiamo fare per cambiare questa situazione.»
Sentenziò infine Akane, riportandole alla realtà.
«No, questo non lo accetto!»
Doremi batté il pugno contro la sua mano, e si affrettò a uscire dall’aula.
«Tornerò presto!»
Urlò, dopo che fosse già sparita.
«Ma... Quella tipa è strana. Chissà cos’ha in mente.»
Bofonchiò Akane con gli occhi ridotti a due puntini.
Doremi scese di fretta le scale una rampa alla volta, trovandosi presto nell’atrio dell’edificio. Guardò a destra e poi a sinistra, fino a quando non sentì dei brusii provenienti dagli spogliatoi maschili. Presto ne uscirono dei ragazzi, Doremi ne riconobbe qualcuno, tra cui Tetsuya, che parlava animatamente con un altro ragazzino poco più alto di lui.
«Dovreste vergognarvi tutti quanti!»
Strillò improvvisamente, puntando un dito accusatore contro quel gruppo. I maschi si ammutolirono, chiedendosi a cosa si riferisse quella buffa tipa coi capelli rosa.
«Volete spiegarmi perché mai vi rifiutate di accettare Makoto in squadra? È una giocatrice più in gamba di alcuni di voi, eppure vi sentite minacciati dalla sua presenza solamente perché è una ragazza.»
Alcuni ragazzi azzardarono un sorriso, altri parevano più confusi di prima, qualcuno chiese persino “chi è Makoto?”.
Il più alto di tutti, nonché il capitano della squadra, la guardò con aria di sufficienza.
«Nel nostro edificio non esiste una squadra femminile, inoltre il regolamento proibisce severamente ad una ragazza di fare parte di una squadra maschile. Anche volendo non potremmo affatto accontentarla.»
Fece per avanzare, lieto di essersi spiegato, ma Doremi lo fermò.
«Ciò non le toglie il diritto di allenarsi insieme a voi, senza partecipare agli eventi sportivi.»
Il ragazzo la squadrò dall’alto in basso, indispettito dalla sua caparbietà.
«Devi essere più sciocca di quello che sembri se pensi che permetterei ad una ragazzina di prendere il posto dei miei giocatori, e di lasciare questi ultimi in panchina, senza permettergli di allenarsi decentemente in prossimità di una partita. Queste sono le regole della nostra scuola, e se non ti stanno bene a me non importa. Voglio solo che la smetti di disturbarci e di accusarci ingiustamente. Sono all’ultimo anno di scuole medie, e mai prima d’ora ho visto una simile mancanza di rispetto nei confronti di uno studente più anziano. Se continuerai di questo passo, sappi che non mi farò nessuno scrupolo a denunciarti al preside, poi vedremo se avrai ancora voglia di fare la paladina  della giustizia. Adesso fatti da parte, abbiamo faticato a lungo oggi, desideriamo solamente tornare a casa.»
Senza aggiungere una parola il ragazzo le passò accanto, evitandola, e lo stesso fecero altri ragazzi. Alcuni di loro ridevano, evidentemente divertiti da quel siparietto. Doremi non poteva fare a meno di ascoltare i loro commenti. “Ben le sta!” “Come osa intromettersi in cose che nemmeno la riguardano?” “Una ragazza che gioca a calcio? Assurdo, mi viene il voltastomaco solo a pensarci.”
Tetsuya era rimasto indietro a tutti, in silenzio. Notò che a Doremi tremavano le mani, probabilmente a causa della rabbia. Voleva dire qualcosa,  si sentiva in colpa a vederla in quello stato e a non fare nulla.
Aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma venne bruscamente interrotto dalla voce del capitano.
«Tetsuya, cha fai? Non vieni?»
La guardò un’ultima volta, lei aveva uno sguardo furioso, probabilmente non avrebbe esitato ad aggredirlo se solo avesse pronunciato una parola. La superò con il capo chino, sentendosi un codardo, e dopo essersi accodato al gruppo, fece fatica a simulare il sorriso, fingendo che di lei non gliene importasse nulla.
 
Quella sera la signora Harukaze aveva preparato bistecche.
«Queste qui sono la tua ricompensa Doremi. Ti stai impegnando attivamente nei confronti della tua scuola, e questo ti fa un grande onore. Ora che ci penso, non credo di averti mai vista mettere così tanto impegno in qualcosa, ad eccezione del MAHO, ovviamente.»
Lo disse con espressione radiosa, ed il suo tono di voce era carico di orgoglio.
«E’ vero, figliola mia, mi ricordi tanto me stesso ai tempi delle scuole, sai? Ero il migliore del club di pesca, tutti i ragazzi più giovani venivano a chiedermi consigli, ero uno rispettato, io…»
Haruka fece una faccia scettica, senza preoccuparsi di nascondere il proprio disappunto.
«Un club di pesca? Che razza di scuola media ha un club di pesca?»
Borbottò alzando un sopracciglio.
Keisuke corrugò le sopracciglia, alzando la voce.
«Per tua informazione, la migliore scuola media del mondo, cara!»
Poi, sistemandosi gli occhiali sulla radice del naso aggiunse con enfasi.
«Imparare l’arte della pesca non era solo un sogno, era una passione! Ricordo le notti appostati ai bordi del laghetto della scuola, ad attendere che un pesciolino abboccasse, solo noi ragazzi ed il canto della natura.»
Haruka spalancò gli occhi incredula.
«Ma scusa, la tua scuola non aveva una fontana? Non dirmi che pescavate dentro la fontana.»
Keisuke arrossì violentemente.
«Cosa vuoi saperne tu? Lo facevamo solamente per affinare la tecnica, prima di provare in mare aperto!»
La moglie mantenne la calma, anche se il marito si era parecchio agitato a seguito della sua ultima affermazione.
«A proposito caro, oggi pulendo la soffitta ho notato una nuova canna da pesca, anche se tanto nuova non sembrerebbe.»
Sulla testa del marito spuntò una grossa goccia di sudore.
«Non me l’avrai mica tenuta nascosta per tutto questo tempo…?»
Domandò Haruka con una scintilla negli occhi e il tono minaccioso. L’uomo deglutì sonoramente alzando le mani in aria, prima di balbettare una risposta.
«M…Ma non cara, co-cosa credi? S-si tratta d-di un regalo da p-parte di un collega…»
«Allora perché mai non me l’hai mostrata prima?»
«Uh uh che sbadato, devo essermene dimenticato.»
Aggiunse Keisuke con un sorriso forzato, passandosi la mano dietro la nuca.
Haruka prese fiato quanto bastasse per dare una bella strigliata al marito, ma la voce debole di Doremi la interruppe.
«Potrei andare in camera mia senza cena?»
Dimenticando la conversazione appena avuto, Haruka, Keisuke e persino Bibì si voltarono di scatto, ostentando un’espressione preoccupata.
«DOREMI, SEI SICURA DI STARE BENE?»
Domandò la madre, passandole una mano sulla fronte.
«CHIAMATE UN DOTTORE, UN DOTTOREEEE!»
Strillò Bibì, correndo verso il telefono.
«DOV’É IL TERMOMETRO? QUANDO SI CERCA NON SI TROVA MAI!»
Keisuke correva da una parte all’altra della stanza aprendo stipetti e cassetti del mobilio di casa.
Gli occhi di Doremi divennero due trattini.
«In verità sono solo stanca, non c’è bisogno di farsi prendere dal panico in questo modo.»
A queste parole tutti si fermarono, passandosi una mano sulla testa e sorridendo ingenuamente.
«Ahhh… Beh, ci avevi fatto preoccupare.»
Si scusarono in coro, mentre Doremi sveniva sul pavimento.
«Allora conserverò la tua bistecca per dopo.»
Disse sua madre affettuosamente, spostando il piatto di Doremi sul davanzale della finestra.
 
 
Mentre giaceva nel letto di camera sua, Doremi ripensava alle parole di quel ragazzo.
Voleva aiutare Makoto, ma non poteva rischiare di mettersi nei guai. Aveva già avuto uno scontro col preside, e le era bastato per capire che quello non era un uomo facile, e che se avesse voluto, avrebbe potuto causarle parecchi guai, e l’ultima cosa che desiderava era quella di farsi espellere.
Lo trovava estremamente ingiusto e scorretto, si chiese perché a nessun altro sembrasse importare.
Forse l’unica soluzione era quella di aspettare l’arrivo del nuovo anno, per proporre la nuova causa al club di dibattito. Avrebbe rinunciato volentieri alle bistecche per far spazio a Makoto.
Ripensò all’amica e ai suoi rapporti complicati con il padre. Sarebbe stato bello, si disse, se lei avesse partecipato alle partite e lui fosse andato a vederla. Sarebbe stato fiero di lei, ed il loro legame si sarebbe rafforzato. Ma perché doveva essere tutto così complicato?
Pensava che crescendo le sarebbe stato più semplice risolvere i problemi, ma sembrava invece che si sarebbe trovata ad affrontare dilemmi sempre più grandi, contro la quale non avrebbe potuto avere la meglio.
Rimase a rimuginare nel letto per un indefinito lasso di tempo, fino a quando, inevitabilmente di addormentò.
 
 
Venne svegliata dal rumore sordo e fastidioso della sveglia. Con un sonoro ceffone la disattivò.
Si girò dall’altro lato, cercando di riprendere sonno, ma il sonoro brontolio del suo stomaco le fece sbarrare gli occhi.
“Urgh, che male! È vero, ieri sera non ho cenato. Uff, e dire che quella bistecca aveva un’aria succulenta! Andrò a mangiarla adesso, la mamma mi ha detto che me ne avrebbe conservata una fetta.»
Senza pensarci due volte, scese dal letto e corse a lavarsi il viso, prima scendere allegramente le scale.
«Buongiorno a tutti quanti, sarete lieti di sapere che mi sento molto meglio oggi. Non c’è modo migliore di iniziare la giornata, se non quello di fare un’abbondante colazione la mattina, non è vero? Allora mamma, dov’è la bistecca che mi hai conservato ieri sera? Non l’ha toccata nessuno di voi, non è vero?»
Haruka fece un sorriso imbarazzato.
«Sono felice di sapere che ti senti meglio,  no nessuno di noi ha mangiato la tua bistecca…»
«Ah, che bello!»
Doremi si fiondò verso il frigorifero, cercando il suo piatto sui ripiani.
«Uff, non la trovo, ma dov’è?»
Haruka si alzò e spinse la figlia verso la sua sedia, costringendola a sedersi.
«Beh, vedi? Ieri è successa una cosa molto bizzarra.»
Le disse con un sorriso tirato.
«Vedi? Pare che la bistecca abbia attirato l’attenzione di un gatto randagio, che si è coraggiosamente arrampicato sulla finestra per portarla via.»
Lo stomaco emise un brontolio più forte, quasi come se nemmeno lui credesse a quella triste verità.
«MA COME TI VIENE IN MENTE DI LASCIARE UNA BISTECCA SULLA FINESTRA? E DA QUANDO IN QUA I GATTI SI CIBANO DI BISTECCHE? È TUTTO INUTILE, SONO E SARÒ PER SEMPRE LA RAGAZZINA PIÙ SFORTUNATA DELLA TERRA!-
 
Poco dopo Doremi stava proseguendo il lungo viale che l’avrebbe condotta verso scuola. Ancora più sconsolata del giorno prima, sia per non aver trovato nessuna alternativa che potesse proporre a Makoto, sia per non aver avuto la sua bistecca, si avviava a passi lenti verso la collina.
Si stava auto commiserando, quando l’amica la raggiunse con passo svelto.
«Buongiorno Doremi! Eh? Ma che ti prende? Perché sei così giù oggi?»
Doremi si voltò a guardarla con gli occhi colmi di lacrime.
«Il gatto si è mangiato la bistecca. Ho fatto colazione con i cornflakes.»
Disse prima di far ciondolare la testa verso il basso.
«Non ho capito affatto, mi dispiace.»
Doremi sventolò pigramente una mano per farle intendere di lasciar perdere.
«Su con la vita, non c’è motivo d’esser così triste.»
Le disse tentando di portarle su il morale.
«Uffa, sei così noiosa oggi! Volevo raccontarti una cosa bella che mi è successa ieri, ma questo tuo stato d’animo mi mette di cattivo umore, non credo d’aver più voglia di parlartene.»
Le disse in tono offeso. Di nuovo Doremi mugugnò qualcosa.
«Mh, eppure forse è l’esatto contrario. Dato che sei triste, forse la mia storia ti risolleverà l’umore, vuoi sentirla? Abbi almeno la decenza di rispondere!»
L’amica emise un sospiro.
«Ok, lo prenderò per un sì.»
Decise Makoto, senza preoccuparsene troppo.
«Sai? Ieri ero ad allenarmi da sola nel campo, ed ero abbastanza giù di corda perché non si può mica migliorare senza avere un confronto con un giocatore, quando ecco che di colpo arriva Tetsuya e mi dice che da oggi è disposto ad allenarsi insieme a me ogni volta che lo desideri. Non è grandioso?»
A quelle parole, Doremi finalmente alzò il capo.
«Lo ha fatto davvero?»
«Sì, non so cosa gli abbia fatto cambiare idea, ma ne sono felice! Finalmente potrò dimostrare quello che valgo.»
Disse in tono grintoso, alzando un pugno verso il cielo.
«Ehi, vedo che la notizia ti ha rallegrata!»
Doremi le incrociò le braccia intorno al collo.
«Non immagini quanto!»
Le due sorrisero allegramente, accelerando finalmente il passo.
«Sai? Non pensavo che avrebbe mai cambiato idea, visto quello che dicono gli altri giocatori.»
Le confessò Makoto.
«Beh, a quanto pare ti sbagliavi! Deve averlo notato anche lui che sei un tipo in gamba, credo voglia battersi con te per mettersi alla prova, credo che il pareggio non gli sia mai andato giù.»
Rise Doremi con fare maligno.
«Non so perché lo faccia, ma gliene sono estremamente grata!»
Disse infine Makoto con voce tranquilla, guardando il cielo con gli occhi che le brillavano.

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Capitolo 23
*** Un regalo speciale (parte 1) ***


- UN REGALO SPECIALE -
parte 1

 

 
“Cosa mai potrò regalargli?”
Continuava a domandarsi Doremi, fissando di sbieco il compagno di classe che sedeva all’ultimo banco, che non si era nemmeno accorto delle attenzioni che gli riservava la ragazzina negli ultimi tempi.
«Smettila di guardarlo così, o sembrerà che ti sia innamorata di lui!»
L’aveva rimbeccata Makoto, portandola alla realtà.
«Eh? Cosa? Ma che ti salta in mente? Sai bene che l’unico interesse che ho è quello…»
Si guardò intorno, accertandosi di non essere udita da nessuno, poi si avvicinò all’orecchio dell’amica formando una conca con la mano.
«Di scoprire cosa potergli regalare per Natale.»
Makoto si allontanò dall’amica, rassicurandola.
«Sì, io questo lo so, ma gli altri non ne hanno la minima idea, e sappi che il tuo sguardo è così intenso che pare proprio ti sia presa una bella cotta per il nostro caro vecchio Masaru. A parte che non credo che basti fissarlo per scoprire cosa desideri, ma se proprio vuoi, cerca almeno di essere più discreta.»
Affermò, irritando Doremi.
«Questa poi, ma come ti vengono in mente delle simili sciocchezze? Sai benissimo che l’unico ragazzo per cui nutro dei sentimenti è il tuo bellissimo fratello maggiore.»
Aggiunse infine, con gli occhi a forma di cuoricino. Makoto sorrise, sedendosi sul banco.
«Questo lo so bene, e ti ho assicurato che al mio ritorno da Hokkaido farete coppia fissa. Non mi rimangio mai la parola data, che c’è non mi credi?»
Doremi scosse la testa violentemente.
«Ma no, certo che ti credo, è solo che non vorrei farmi delle false illusioni. Già in passato il mio tenero cuoricino ha subito delle ferite, e ti assicuro che non voglio rivivere l’esperienza.»
Affermò con tono sconsolato, riportando la mente ad IgarashiShingoYutaka, ed ovviamente ad Akatsuki, sospirando profondamente per la delusione di aver avuto tanti amori non corrisposti.
«Sono così sfortunata…»
«Scusa se te lo dico, ma ho l’impressione che tu ti innamori troppo facilmente, dico bene?»
Le domandò Makoto, sorridendo, causandole un attacco d’ira.
«Sbaglio o tu dovresti essere il mio Cupido? Beh, allora smetti di giudicare e mettiti all’opera. Io sono una bambina dal cuore grande, la verità è che ho tanto amore da dare…»
Esclamò in sua difesa con un tono di voce poco convincente. Makoto alzò le spalle, non aveva alcuna voglia di ribattere, decise di tacere per non umiliare ulteriormente l’amica. Sapeva che se le aveva rivelato tutte quelle cose personali, era perché si fidava di lei, quindi non era il caso di infierire.
«Perché mi prendete tutti quanti in giro?»
Domandò infine, ma la risposta non le fu data dalla sua compagna.
«Beh, ci sono tanti motivi: hai un nome ridicolo, gli odango ti rendono buffa facendoti somigliare ad un panda rosa, sei un impiastro in qualsiasi cosa tu faccia…»
Disse la fastidiosa voce di Tetsuya che intanto contava sulla punta delle dita. Doremi divenne paonazza di rabbia, e gli scagliò contro tutta la sua indignazione.
«NESSUNO TI HA CHIESTO NIENTE, SI PUÒ SAPERE PERCHÈ ACCIDENTI ORIGLI SEMPRE LE MIE CONVERSAZIONI? NON TI HA INSEGNATO NESSUNO CHE È DA MALEDUCATI?»
Doremi agitava le braccia così violentemente che Makoto temette che potesse spiccare il volo da un momento all’altro.
Tetsuya rise della reazione che le aveva suscitato, era prevedibile come al solito.
«Questa volta hai esagerato.»
Lo rimproverò Makoto con un tono di voce più dolce di quanto non avesse programmato.
«Io? È lei che si scalda subito. Mi sono solamente limitato a rispondere ad una sua domanda.»
Doremi divenne furiosa.
«La domanda non era stata posta a te! Sei un brutto…»
Ma non terminò mai, perché Makoto, in mezzo a loro, tentava di riportare l’ordine.
«Suvvia, non è successo nulla, non c’è bisogno di fare così, torniamo tutti amici come prima.»
«Io non sono sua amica!»
Esclamò Doremi incrociando le braccia sul petto e voltandosi nella direzione opposta. Tetsuya rimase per un attimo in silenzio, poi fece la stessa cosa.
«Figurati, chi vuole essere amico tuo?»
Makoto sospirò esasperata, quei due erano due testardi, e quando ci si mettevano era impossibile instaurare un dialogo.
«E va bene, mi arrendo, fate come preferite.»
Poi le venne in mente qualcosa.
«Ah Tetsuya, dimenticavo, oggi potremmo allenarci insieme?»
Tetsuya la guardò, ed anche Doremi si voltò in direzione della ragazza.
«In verità, oggi avrei altro da fare, mi spiace.»
Le rispose lui, passandosi una mano sul collo. Makoto fece dei grandi occhi da cucciolo, incrociando le dita delle mani quasi come se stesse pregando.
«Ti scongiuro, domani partirò per Hokkaido, non ti disturberò più fino al nuovo anno. Ci tengo tantissimo, sei proprio sicuro di non poterti liberare? Solo per questa volta, dai…»
Tetsuya guardò Makoto che intanto si era inginocchiata ai suoi piedi. Alzò lo sguardo e notò che Doremi pareva indispettita. Sospirò.
«E va bene, credo di potermi liberare, se ci tieni tanto…»
«Grande! Allora ci vediamo al solito orario al campo da calcio, grazie mille per la tua disponibilità.»
Gli disse sorridendo amabilmente. Anche Doremi pareva di umore migliore, anche se continuava a tenergli il broncio.
«Ma figurati!»
Disse lui allontanandosi, fingendo che non gliene importasse nulla.
 
 
Quel pomeriggio Tetsuya si presentò puntualmente all’appuntamento, e trovò la ragazza ad aspettarlo sul campo da calcio. Si stava sgranchendo la schiena facendo alcuni esercizi di stretching.
«Dovresti farlo anche tu,o rischierai di strapparti un muscolo.»
Gli disse senza nemmeno fermarsi.
«Lo so, pratico questo sport da quando ero solo un bambino, non ho bisogno che tu mi dia dei suggerimenti.»
Le disse lui, infastidito da quella raccomandazione.
«Come sei permaloso, io mi stavo solamente preoccupando per la tua salute, non vedo il motivo di reagire in questo modo.»
Disse lei piegando il braccio destro dietro alla schiena.
«Hai ragione, scusami ho esagerato.»
Tagliò corto Testuya. Non aveva veramente voglia di essere lì, ma poco prima l’espressione di Doremi l’aveva fatto sentire a disagio, e non aveva avuto il coraggio di rifiutare un’altra volta. Sapeva quanto lei ci tenesse a Makoto, e sapeva anche che accontentare la brunetta l’avrebbe resa felice.
Quel giorno, quando aveva parlato con l’intera squadra avrebbe voluto dire qualcosa, ma non ci era riuscito, intimorito da ciò che avrebbero potuto pensare i suoi compagni di squadra se avesse preso le sue difese. In seguito aveva avuto modo di sentirsi un codardo incapace, per questo aveva deciso di contattare Makoto e proporle di essere il suo avversario, sperava che in questo modo l’umore di Doremi sarebbe migliorato, e pareva che la sua idea avesse funzionato.
«…Ma mi sta ascoltando?»
La voce di Makoto lo raggiunse da molto lontano, riportandolo al presente.
«Eh? Ma certo.»
«Che ti prende? Sembra che tu abbia la testa fra le nuvole oggi.»
«Sto benissimo. Allora, vogliamo cominciare?»
Tagliò corto lui, assestando un potete calcio al pallone, e decretando l’inizio del loro allenamento.
Doremi li osservava dalla finestra del piano di sopra. Era felice.
“Quando vuole, Tetsuya sa essere un bravo ragazzo. Peccato che si ritrovi quel pessimo carattere!”
Si ritrovò a pensare sorridendo, mentre fuori il cielo diventava sempre più scuro.
 
 
Il giorno successivo Doremi aveva un appuntamento con Melody. Non le aveva ancora detto che desiderava incontrarla per avere il suo parere in merito al regalo per Masaru, sapeva che altrimenti anche lei si sarebbe scervellata fino a procurarsi un’emicrania.
Si sarebbero incontrate in un biscottificio che aveva da poco aperto i battenti, era un’ottima occasione per mangiare degli ottimi dolcetti e bere una cioccolata calda, il rimedio ideale in quel pomeriggio di dicembre. L’aria era fresca e pungente, presto avrebbe iniziato a nevicare, lo avevano detto anche i meteorologi. Le cime più alte delle montagne erano già innevate, il che creava un panorama bellissimo, degno di una cartolina. Doremi pensò di fare una foto da spedire a Makoto.
«Non vedo l’ora che cada la prima neve.»
Disse Melody, come se le avesse letto nel pensiero.
«La neve mi riporta alla mente dei bei ricordi. Quando ero piccola ero solita fare degli angeli sulla superficie candida, me l’ha insegnato mio padre.»
Le aveva detto sorseggiando la sua cioccolata calda, guardando fuori dalla finestra con aria sognante.
«E poi ripenso a quando noi due facevamo la lotta con le palle di neve, dal rientro della scuola. Te lo ricordi, vero Doremi?»
La rossa annuì facendo un grande sorriso.
«Certo, come potrei dimenticarmene? Alla fine eravamo fradice ed infreddolite, ma ci divertivamo un sacco.»
Entrambe risero.
«Mi prometti che faremo di nuovo la lotta, quando nevicherà?»
Aveva infine proposto Doremi all’amica, porgendole il mignolino.
«Non siamo troppo grandi per questo genere di cose?»
Aveva domandato Melody incerta.
«Affatto! Hai forse dimenticato il tuo proposito di fare solamente ciò che ti rende felice senza badare all’età?»
Il suo sorriso l’aveva contagiata.
«Hai ragione, te lo prometto.»
Disse infine, allungando il mignolo ed intrecciandolo con quello della sua migliore amica.
«Sai Melody? C’è un motivo se ti ho chiesto di incontrarci oggi.»
Disse infine Doremi, tornando seria.
«Mh? Di che si tratta?»
«La nostra scuola partecipa ad un progetto chiamato “il Babbo Natale segreto”.»
«Ah, ne ho sentito parlare, se non sbaglio si tratta di un’usanza diffusa soprattutto negli Stati Uniti, giusto?»
Doremi annui, ricordando quando Mindy aveva raccontato loro di quella tradizione.
«Esattamente. Vedi? Io ho pescato il nome di Masaru, ma non so proprio da dove partire, in fondo di lui so ben poco ed ho pensato di chiedere a te che invece lo conosci molto meglio di chiunque altro. Pensi di essere in grado di aiutarmi a trovare il perfetto regalo di Natale per lui?»
Melody rimase in silenzio a riflettere, soffiando sulla tazza bollente che teneva fra le mani.
«Beh, intanto suggerirei di analizzare tutto quello che sappiamo su di lui, non trovi?»
Doremi sorrise, quello era senza ombra di dubbio un sì.
«Beh, è molto solitario e silenzioso, sona la tromba ed ha paura dei fantasmi…»
Disse Doremi, sconsolata dal fatto di non riuscire a trovare altro.
Melody tacque, ripensando al loro ultimo incontro, avuto solo qualche mese prima. Ricordò come lui l’avesse aiutata, suggerendole degli ottimi consigli in un periodo in cui lei vedeva tutto quanto buio. Masaru non l’aveva giudicata, e non si era nemmeno scomposto davanti alle sue lacrime, aveva mantenuto il solito atteggiamento distaccato, ma nelle sue parole Melody aveva potuto scorgere dolcezza. Quel giorno si erano scambiati i numeri di cellulare, promettendo che si sarebbero incontrati prima o poi, ma non era mai successo. Di rado si erano scritti qualche SMS in cui si limitavano a chiedersi come stessero.
Un po’ le dispiaceva, ma c’era da ammettere che il loro rapporto era quello di due compagni di scuola e non c’era nulla di più, per cui non era poi così strano. In fondo con quanti altri ex compagni si teneva in contatto, ad eccezione delle sue quattro migliori amiche?
«Sai Doremi, penso che non dovresti pensare in grande. Masaru è un ragazzo semplice che ama le cose fatte con il cuore.»
Suggerì infine, bevendo un’altra sorsata.
«Cosa intendi dire? Scusa ma proprio non ti seguo.»
L’aveva sospettato.
«Sappiamo che adora suonare la tromba, quindi perché non puntare proprio su quello?»
Doremi divenne blu.
«MA SEI PAZZA? REGALARGLI UNA TROMBA? IO NON DISPONGO DI COSÌ TANTO DENARO, DOVRESTI SAPERLO!»
Urlò, attirando l’attenzione di tutti i presenti. Melody si affrettò a tapparle la bocca con un biscotto alla cannella, riportando il silenzio.
«Non intendevo una vera tromba, ma una miniatura.»
Disse infine con semplicità. Doremi prese a masticare il biscotto che si era ritrovata in bocca, parlando a bocca piena.
«…e   s…ifica?»
«Pensavo che potremmo realizzare con l’argilla una tromba delle dimensioni di un portachiavi, così che lui possa avere il suo strumento preferito sempre con sé. Anzi, che ne dici di realizzare proprio un portachiavi? Se non sbaglio quando torna da scuola sua mamma è ancora al lavoro, quindi dovrebbe avere un mazzo tutto suo.»
Rifletté a voce alta. Doremi ingurgitò il biscotto e la guardò con fare scettico.
«Melody, io ho difficoltà anche a realizzare un anello, come puoi chiedermi di costruire una tromba?»
«Ah già, non l’avevo considerato. Beh, potrei aiutarti io! Potremmo collaborare, io creerò la tromba e tu potrai dipingerla, in questo modo anche tu avrai fatto la tua parte, quindi non sarebbe tutto quanto merito mio. Che te ne pare?»
«Sì, questa mi sembra una buona idea, ma sei sicura di poter riuscirci?»
Melody sorrise benevolmente.
«Ma certo, anche a costo di impiegare tutte le mie forze!»
Anche Doremi sorrise. Era certa che la sua amica l’avrebbe sostenuta, anche se forse non aveva considerato quanto per lei fosse importante rendere felice Masaru.

WHO'S THAT?
Forse ci siamo dimenticati delle innumerevoli cotte di Doremi (e sarebbe pure comprensibile, dato che non sono mai giunte ad un lieto fine), in quel caso credo sia opportuno ricapitolare brevemente.

Igarashi: Il primo ragazzo di cui Doremi s'innamora. Lo incontriamo nella prima puntata della prima stagione ed è il capitano della squadra di calcio della scuola elementare di Misora. Doremi non riesce a confessargli il suo amore, decide così di farsi coraggio acquistando un amuleto nel negozio di Magia di Eufonia, solo che poi... Beh, sappiamo tutti cos'è successo!
In seguito (Ma che magie Doremi) apprendermo che Igarashi fa coppia fissa con Maki, un'assistente della squadra calcistica.
Shingo: lo incontriamo per la prima (ed ultima) volta nell'episodio 16 di "Magica Doremi". Ha la passione per la pesca, hobby che pratica insieme al padre di Doremi. Anche se sembra ricambiare l'interesse della ragazzina, alla fine dell'episodio si scoprirà che ha già una ragazza.
Yutaka: 
È un tennista niente male che le apprendiste incontrano nell'episodio 28 della prima stagione. Sia Doremi che Reika si interessano al ragazzo, entrando in competizione per ricevere le sue attenzioni. Purtroppo per loro però, il cuore del ragazzo viene conquistato da Sinfony, che però non ricambia i suoi sentimenti.
Akatsuki: Se non conoscete Akatsuki, allora non avete visto l'anime! Fa il suo debutto nell'episodio 25 di "Ma che magie Doremi" e lo vedremo ricorrentemente nella serie, assieme ai suoi tre amici: Fujio, Leon e Tooru.
La cosa buffa, è che spesso e volentieri sembra che il ragazzo contraccambi i sentimenti di Doremi. (Abbiamo ship in sala?)

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Capitolo 24
*** Un regalo speciale (parte 2) ***


- UN REGALO SPECIALE -
parte 2
 
Melody aveva mantenuto la sua parola, impegnandosi giorno e notte nella realizzazione di una tromba in miniatura. Non era stato affatto facile, soprattutto a causa dei pistoni. Aveva lavorato tenendo una fotografia in scala sotto gli occhi, cercando di riprodurre ogni minimo dettaglio. Prima d’ora non aveva mai costruito oggetti tanto complicati, al MAHO si limitava a fare amuleti ed anelli che richiedevano al massimo quindici minuti di tempo. Stavolta era completamente diverso, aveva distrutto e ricostruito tutto svariate volte prima di essere del tutto soddisfatta della sua opera. Alla fine aveva persino deciso di incidere le iniziali del suo amico sulla campana, in modo da rendere il regalo ancora più prezioso e personale. Per concludere, aveva attaccato una piccola catenina che terminava con un anello in prossimità del bocchino.
Studiò nuovamente l’oggetto da diverse prospettive, confrontandolo con la foto che teneva sulla sua scrivania. Sembrava essere identico.
Consegnò l’oggetto a Doremi, che l’avrebbe poi dipinto, raccomandandosi di usare solamente i colori oro e argento. Per tutta risposta Doremi aveva sorriso.
«So bene quanto tempo ti ha impiegato, prometto che questa volta non combinerò nessun pasticcio. Mi atterrò alla stessa foto da cui hai preso l’ispirazione per essere sicura di non commettere errori.»
Melody si era fidata, ma affidandole l’oggetto aveva avvertito come una fitta al cuore. Decise di ignorarla, ma non riuscì a scacciare il pensiero che, sebbene avesse dedicato così tante cure al portachiavi, alla fine non sarebbe stata lei in persona a donarlo a Masaru, e questa cosa, in qualche modo, la rattristava profondamente.
Sospirò, cercando di scacciare via il senso di malinconia che l’aveva assalita.
“Non importa da chi lo riceva. Ciò che conta è che lo renda felice.”
E, immaginando il suo viso sorridente, non poté non sentirsi meglio.
 
***
 
Il penultimo giorno di scuola, prima delle vacanze natalizie, il mercatino di classe sarebbe stato smontato. Anche se Doremi si era parecchio divertita a gestire tutto quanto, doveva ammettere di esserne piuttosto lieta. La signorina Asami si era congratulata con tutti quanti per l’impegno e li aveva ringraziati regalando loro una piccola porzione di caramelle.
Nel pomeriggio i membri del club di dibattito avrebbero dovuto ripresentarsi nell’ufficio del preside per ricevere la risposta definitiva. La signorina Asami era l’unica a conoscenza della somma esatta, essendo il tesoriere del gruppo, ma aveva mantenuto il segreto, senza cedere ai continui piagnistei di Sora, che voleva essere la prima a conoscere la risposta.
«Ti ho detto di no. Non vorrei che ti creassi delle false aspettative. Aspetterai la decisione del preside oggi pomeriggio come tutti gli altri, ci siamo intesi?»
Aveva detto e, contro ogni aspettativa, si era mostrata ferma nella sua scelta.
Il preside però li sorprese, presentandosi di persona alla riunione del gruppo, invece di attenderli nel suo ufficio come pattuito in precedenza.
Quando gli alunni lo videro entrare si alzarono in tutta fretta dai loro posti, in segno di saluto.
«Non avevo molto da fare, e ho deciso di venire a trovarvi, in modo da velocizzare le cose.»
Il tono brusco con lui lo aveva detto non lasciava presagire nulla di buono. Pareva quasi che godesse nel veder infrangersi i sogni dei suoi studenti.
«Signorina, se non sbaglio sei tu la responsabile di tutto quanto, dico bene?»
Disse fissando Doremi. Anche se quell’uomo la intimidiva un po’, decise di non lasciarlo trasparire. Serrò i pugni davanti a sé facendo un cenno con la testa.
«E chi si è occupato invece del denaro?»
Domandò infine, volgendo lo sguardo verso Sora, dando per scontato che si trattasse di lei.
«Me ne sono occupata personalmente signor preside.»
Affermò la voce della signorina Asami. Il preside parve turbato.
«Lei?»
«Sa? Così facendo ho avuto modo di poter arrangiare tutto il necessario, restando ovviamente nei limiti.»
«Cosa intende dire?»
«Mi riferisco ai costi delle decorazioni, del noleggio dell’impianto acustico e visivo, delle vivande da servire e così via. Capisce che una studentessa delle medie non avrebbe potuto occuparsene, sarebbe  stata una responsabilità troppo grande.»
L’uomo non si scompose, tuttavia qualcosa nel suo tono di voce tradiva la rabbia.
«Quindi ha fatto i conti senza l’oste.»
«Al contrario, mi sono solamente limitata a controllare se i nostri fondi fossero sufficienti, ma non ho inviato nessuna conferma. Non mi permetterei mai senza avere la sua approvazione.»
La signorina Asami ostentò un largo sorriso, poi prese la busta contenente il denaro.
«E sono lieta di informarla che rientriamo perfettamente nel budget.»
Sia il preside che gli studenti spalancarono gli occhi.
Alcuni mormorii di assenso si diffusero tra i membri, che adesso erano agitati e seguivano la scena con maggiore interesse.
«Impossibile!»
Sussurrò l’uomo ignorando i brusii, ma la signorina gli si avvicinò con passo deciso.
«Al contrario. Avevo sottovalutato l’idea del mercatino, lo ammetto, ma direi che ha funzionato! Ah, se non le spiace, avrei anche allegato una copia dei preventivi che ho richiesto, affinché possa avere una chiara visione. Bene, a questo punto non resta che metterci all’opera! Immagino sia felice di dare questa bella notizia ai suoi studenti.»
Il preside divenne paonazzo. Il suo sguardo guizzava dalla signorina alla busta che teneva alle mani. Con uno sforzo enorme allargò le labbra in un sorriso, rivolgendo lo sguardo ai ragazzi.
«C…Certamente.»
Disse, schiarendosi la gola.
«Sono orgoglioso di tutti voi, e mi rallegra darvi questa fantastica notizia. La somma finale riesce a coprire le spese, quindi… Quindi a fine anno scolastico verrà organizzato un ballo!»
Pronunciò le ultime parole con velocità, sperando forse di non essere compreso, ma era troppo tardi. I ragazzi erano scoppiati in una fragorosa risata. Alcuni si davano il cinque, altri erano corsi ad abbracciare Sora e a complimentarsi con Doremi.
Avevano vinto.
 
 
L’ultimo giorno di scuola le lezioni durarono un po’ meno, dal momento che dopo gli alunni si sarebbero scambiati i rispettivi regali. Doremi aveva incartato il portachiavi per Masaru in un pacchetto color argento che aveva legato con del nastro blu. Sperava che il colore che aveva passato col pennello non fosse venuto via, dato che poco prima di impacchettarlo aveva dato un ultimo ritocco.
Si avvicinò lentamente al compagno, che teneva le mani incrociate dietro alla testa e gli occhi chiusi come al suo solito.
Doremi si schiarì la voce per attirare la sua attenzione. Ottenne il successo sperato, perché il ragazzo socchiuse un occhio alzando il sopracciglio.
«Vuoi parlare con me?»
Domandò con un tono piatto.
“Beh, altrimenti perché sarei qui?”
Si ritrovò a pensare, mordendosi la lingua.
«Sì, per un fortuito caso del destino sono stata io a pescare il tuo nome, quindi mi è toccato farti un regalo.»
Rispose Doremi con allegria, mostrandogli il migliore dei suoi sorrisi.
«Si tratta di questo? Potevi anche risparmiartelo, in fondo non ci tengo a questo genere di cose.»
Una ruga si formò proprio sotto al sopracciglio della ragazza.
“Che modi, ma gli sembra questo il modo di mostrare riconoscenza? E’ incredibile, non si addolcisce nemmeno sotto il periodo delle feste.”
«Beh, ma ormai è tardi, che ne dici quindi di farmi felice, scartandolo?»
“Mi toccherà portare pazienza, non voglio certo rovinare il buonumore che mi procura il Natale solamente per colpa di Masaru, in fondo sono certa che ne sarà felice.”
Pensò allungando le braccia in sua direzione.
Masaru non fece nessun segno di voler accettare il dono che la ragazza gli porgeva proprio sotto il naso, serrando nuovamente gli occhi e tornando ad ignorarla.
«MA INSOMMA TI DECIDI AD ACCETTARE IL MIO REGALO? SEI PROPRIO UN MALEDUCATO, SAPESSI QUANTO TEMPO HO IMPIEGATO PER REALIZZARLO E TU MI SNOBBI COSÌ! VERGOGNATI!»
“Ops, come non detto.”
La voce squillante della ragazzina aveva fatto cadere Masaru dalla sedia.
«Gulp, e va bene, ho capito, datti una calmata, insomma!»
Disse infine fronteggiando la ragazza ed afferrando il piccolo pacco che gli poneva. Doremi l’osservò mentre lo scartava. Un bagliore illuminò il suo sguardo, sembrava sorpreso.
«Ma questo è… »
Disse, senza finire la frase.
«Ti piace?»
Domandò Doremi sorridendo a trentadue denti, una volta accertatasi di aver ottenuto la reazione desiderata. Da un tipo come Masaru non si aspettava certamente salti di gioia, ma quel suo silenzio e lo sguardo rapito le avevano dato ogni conferma: il regalo gli piaceva tantissimo.
«Beh, questo mi rallegra! Volevo che anche tu fossi felice in questo periodo dell’anno.»
«Grazie.»
Riuscì a mormorare lui senza staccare lo sguardo dalla sua tromba in miniatura, studiandola sotto ogni aspetto.
«È perfetta.»
Quelle parole le avevano scaldato il cuore.
«Non è solo me che devi ringraziare.»
Lui si voltò finalmente a guardarla.
«Io mi sono occupata solamente di dipingerla. La struttura è stata realizzata da Melody, è stata lei anche a suggerire quest’idea e ad incidere le tue iniziali. Dice che in questo modo avrai il tuo strumento preferito sempre insieme a te. Dovresti ringraziare anche lei, quando ti capiterà l’occasione.»
Gli disse sorridendo con gli occhi chiusi, prima di allontanarsi dal banco del ragazzo per raggiungere Marina e le altre.
«Lo farò.»
Sussurrò lui quando lei fu già troppo lontana per udirlo.
 
«Che bel regalo, Akane, sono così invidiosa!»
Diceva Marina, lodando una sciarpa color lillà che Akane teneva fra le mani.
«Già, sono stata molto fortunata ad avere Nana come Babbo Natale segreto! Lei sì che ha ottimi gusti in fatto di moda, non trovate?»
Le altre confermarono a voce alta, facendola arrossire.
«Tu cos’hai ricevuto invece, Marina?»
Domandò di rimando all’amica.
«Io questo bellissimo porta colori. Me l’ha regalato Haruo, non trovate che sia delizioso?»
«Sì, e poi guarda il disegno, è un prato fiorito e tu ami i fiori! Deve averti inquadrata molto bene.»
Le disse Akane allegramente.
«Sì è vero… E tu invece Doremi? Cos’hai ricevuto? Chi era il tuo Babbo Natale segreto?»
Doremi mise il broncio.
«A dire il vero non si è ancora fatto vivo! Non capisco cosa aspetti, la campanella sta per suonare ed io ci tengo a ricevere il mio regalo di Natale… A meno che…»
Doremi divenne improvvisamente blu, portandosi le mani sulle guance come a voler imitare l’Urlo di Munch.
«A meno che il mio nome non sia rimasto sul fondo! Forse non è mai stato pescato da nessuno! Sì, è andata sicuramente così, come al solito sono la bambina più sfortunata della terra!»
Doremi iniziò a piagnucolare, mentre Marina le dava delle dolci pacche sulla schiena tentando di consolarla come meglio poteva.
«Ehi Dojimi!»
La voce di Tetsuya interruppe il suo pianto, innervosendola.
«Cosa vuoi? Ti sembra il momento di disturbarmi? Non vedi che mi sto commiserando? Potresti lasciarmi in pace almeno l’ultimo giorno di scuola? E dire che a Natale dovremmo essere tutti più buoni…»
Il ragazzo non rispose alle sue accuse. Doremi lo fissò.
«Che c’è?»
Domandò lui seccato. Si comportava in modo strano, aveva il viso rosso e teneva lo sguardo basso.
«Di un po’, sei sicuro di stare bene? Di solito quando mi vedi giù decidi di inferire rendendomi furiosa, e invece questa volta hai chiuso il becco. Non è da te, Non ti sarà mica venuta la febbre?»
Fece per avvicinare la mano alla sua fronte, ma il ragazzo la respinse.
«Ma cosa fai? Lasciami in pace!»
«Che caratteraccio! Ritiro tutto, sei sano come un pesce!»
Gli voltò le spalle, ma lui la richiamò.
«Aspetta… Io… Ho… Questo…»
«Che stai farneticando? Dici cose senza senso…»
Senza aggiungere altre parole, Tetsuya le allungò un pacchettorettangolare rosa con un nastro rosso.
Doremi gli rivolse un’occhiata confusa, poi una lampadina si accese finalmente nella sua testa.
«Allora sei tu il mio Babbo Natale segreto!»
Disse, puntandogli un dito contro. Il ragazzo tacque, limitandosi ad annuire.
«SI PUÒ SAPERE PERCHÉ CI HAI MESSO TANTO? STAVO COMINCIANDO A PERDERE LE SPERANZE! È PROPRIO CRUDELE DA PARTE TUA, MA TANTO LO SO CHE NON CAMBIERAI MAI.»
Gli urlò in faccia.
«Oh insomma! Chiudi un po’ il becco ed aprilo, no?»
Le ordinò lui con un filo di voce, lo sguardo fisso sul pavimento.
Doremi decise di dargli una tregua ed accettò il suo regalo con un largo sorriso.
«E va bene, vediamo cosa mi hai comprato.»
Sotto la carta da regalo rosa c’era un pacchetto beige.
«Cos’è?»
Disse Doremi agitandolo, ma Tetsuya le bloccò le mani.
«Non scuoterlo,rischierai di romperlo! Insomma, smetti di fare la bambina ed aprilo!»
«Uff, e va bene… Non sono una bambina!»
Aprì il secondo pacchetto e si trovò sotto agli occhi un orologio dal quadrante tondo nero ed il cinturino color rosa shocking.
«Ho pensato che, dato che sei sempre in ritardo, poteva tornarti utile.»
Doremi guardò il compagno dal basso.
«È davvero bello, ti ringrazio di cuore. È da un po’ che desidero comprarne uno, ma finisco sempre per dimenticarmene. Questo qui è davvero di buon gusto, e poi il rosa è anche il mio colore preferito. Grazie infinite.»
Gli occhi di lei luccicavano, cosa che mise Tetsuya ancora più a disagio di prima. Non era abituato a quel suo tono calmo, o al fatto che lei gli fosse riconoscente, sembrava tutto così diverso, quasi surreale.
Lui si passò una mano dietro la testa.
«Cerca di regolarlo bene, altrimenti non ti servirà a nulla. Anzi se vuoi ci penso io, dato che sei un’imbranata…»
«Come prego?»
Era durato fin troppo…
«DEVI PROPRIO OFFENDERMI ANCHE QUANDO MI FAI UN REGALO?»
«CHE HO DETTO DI MALE? VOLEVO SOLAMENTE DARTI UNA MANO!»
«HAI DETTO CHE SONO IMBRANATA!!»
«MA È LA VERITÀ!»
«MA PERCHÉ CONTINUO A PERDERE TEMPO CON TE?»
«ME LO CHIEDO ANCH’IO, SEI PROPRIO UN’IRRICONOSCENTE!»
«E TU IL SOLITO SBRUFFONE!»
«ME NE VADO!»
«ADDIO!»
Il resto della classe era rimasto ammutolito a fissare la scena.
Niente, per quei due non esisteva la benché minima possibilità di andare d’accordo, nemmeno a Natale!

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Capitolo 25
*** Christmas Special - Sinfony ***


- CHRISTMAS SPECIAL -

Sinfony

 
Ad Osaka la neve aveva già cominciato a cadere. Le strade erano ricoperte da una leggera coltre bianca che rendeva tutto inspiegabilmente più bello.
Le decorazioni natalizie, le luci colorate, i bambini che intonavano canti natalizi, rendevano l’atmosfera allegra e vivace.
Sinfony vagava tra le vie a lei ormai ben note senza una precisa meta. Dava una fugace occhiata alle vetrine dei negozi alla ricerca del perfetto regalo di Natale per sua madre. Gli anni precedenti aveva rimediato occupandosene insieme a suo padre, ma quest’anno aveva deciso di fare tutto da sola. Aveva già acquistato un modellino di un taxi per il padre ed una calda coperta per il nonno, dato che si lamentava sempre di avere troppo freddo, adesso bisognava solamente pensare a sua madre. Aveva cercato di indagare, chiedendole in maniera indiretta ciò che le potesse essere utile, ma lei si era limitata a fare spallucce e dire che possedeva tutto ciò che potesse desiderare.
Sinfony scrutava con aria annoiata gli oggetti esposti: guanti di lana, sciarpe, cappelli… Tutte cose che Atusko possedeva già.
Stava per rinunciare e fare dietro front, quando si sentì afferrare il braccio. Si voltò di scatto e si trovò davanti una figura incappucciata con un passamontagna.
«Ehi tu, mollami! Cosa pensi di fare?»
Disse la ragazza scansandosi, allontanandosi quanto più possibile dal tipo.
«Sinfony! Non mi riconosci?»
La ragazzina spalancò gli occhi. La voce che aveva sentito doveva appartenere ad un ragazzino. L’aveva chiamata per nome, quindi doveva conoscerla.
«Come potrei? Sei coperto fino alla punta del naso.»
Gli fece notare Sinfony, dubbiosa.
Il ragazzo emise quello che pareva un sorriso e poi si tolse il passamontagna dalla testa, rivelandosi.
Gli occhi di Sinfony brillarono, come quando finalmente si comprende qualcosa. Il ragazzo aveva i capelli spettinati ed il volto arrossato, ma era impossibile non riconoscerlo, soprattutto perché avevano avuto modo di incontrarsi solo due anni prima.
«Kenichi Anrima
Esclamò allarmata. Quel ragazzo era simpatico, vero, ma durante il loro ultimo incontro non aveva fatto altro che pedinarla e tartassarla con proposte di matrimonio. Quando l’aveva liquidato l’ultima volta non si era aspettata di rivederlo, soprattutto perché si era trasferita, ma solo adesso si ricordava che anche lui viveva ad Osaka. Era nei guai.
«Ehi di’ un po’, non mi starai mica seguendo!»
Urlò la ragazza mettendosi sulla difensiva.
«Ti avviso, corro molto più veloce di quanto tu non possa immaginare.»
Lo avvisò, assumendo la posizione da corsa, ma Kenichi la fermò posandole una mano sulla spalla.
«Non è necessario, in realtà sono qui per puro caso. Stavo facendo una passeggiata e per caso il mio sguardo si è posato su di te. Non sapevo fossi tornata.»
Sinfony non pareva del tutto convinta.
«Uh uh, è successo a inizio semestre. I miei genitori sono tornati assieme lo scorso anno.»
«Questa sì che  è una bella notizia, immagino tu ne sia felice.»
«Sì certo.»
«Se tu sei contenta, allora lo sono anch’io!»
Esclamò Kenichi allegramente, alzando un pugno contro al cielo. Sinfony fece una faccia basita.
«Sei strano come al solito, ma in fondo sei un bravo ragazzo.»
Gli occhi di lui si ridussero a due puntini.
«Cosa intendi con “strano”? Piuttosto cosa ci fai qui tutta sola?»
Sinfony si ricordò come mai si trovasse in quel quartiere, facendosi prendere dallo sconforto.
«Sto cercando un regalo di Natale per mia madre. Purtroppo però non riesco a trovare nulla che mi soddisfi, sono disperata!»
Disse portandosi le mani ai capelli.
«Fammi pensare…»
Disse Kenichi con fare meditabondo, accarezzandosi il mento. Sinfony lo fissava scettica.
«Ma cosa vuoi saperne tu di regali femminili?»
«Ho trovato! Dato che vivete insieme da solamente un anno, immagino che non abbiate molte foto di famiglia. Perché non le regali una cornice che vi ritragga tutti insieme? Sono certo che l’apprezzerebbe.»
La ragazza aveva cambiato espressione ed adesso lo fissava con sbigottimento. Come mai non ci aveva pensato?
«Questa sì che è un’ottima idea, ti ringrazio.»
Kenichi sorrise, sistemandosi i capelli con le dita.
«Ma figurati, per te questo ed altro.»
Lei si fece improvvisamente guardinga. Divenne improvvisamente seria e incrociò le braccia sul petto.
«Ehi tu, non ricomincerai mica con la storia del matrimonio. Ti avverto che non  è affatto divertente.»
Kenichi si affrettò a scuotere le mani davanti a sé.
«No no, non si tratta affatto di questo, io volevo solo ringraziarti per esserti preoccupata per me quando eravamo a Misora, tutto qui, giuro che non c’è altro...»
Sinfony sollevò un sopracciglio dubbiosa.
«E poi vedi… Io ho già la ragazza.»
«CHE COSA?»
La ragazzina spalancò gli occhi e la bocca. Questa non se l’aspettava.
«Sì, vedi? Stiamo insieme dall’anno scorso.»
Le annunciò grattandosi il capo con imbarazzo.
«Quando sono tornato ad Osaka insieme ai miei genitori ero piuttosto avvilito a causa del tuo rifiuto, in fondo avevo sempre sperato nella nostra unione. Quando cominciò la scuola tutti avevano iniziato ad evitarmi a causa del mio malumore, persino i miei vecchi compagni di classe, che faticavano ad abituarsi al mio nuovo atteggiamento. Ma poi una ragazzina si avvicinò a me, mi chiese se andava tutto bene e ha iniziato a consolarmi ed io…»
Sinfony concluse la frase al tuo posto.
«Non dirmelo, te ne sei innamorato perdutamente.»
«Innamorato perdutamente.»
Ripeté Kenichi con gli occhi a cuoricino.
 «Certo che ti innamori più facilmente di Doremi tu! Ad ogni modo sono felice per te. Ehi, non dirmi di averle avanzato strane proposte di matrimonio!»
Il ragazzo scosse un dito della mano.
«Eh no, ho imparato la lezione, sai? Grazie a te credo di essere diventato più maturo.»
«Questa la vedo molto dura la credere.»
«Perché non mi credi?»
Domandò indispettito.
«Perché ti conosco.»
«Potrei essere cambiato sai?»
«Lo spero per te!»
Rispose Sinfony sorniona, facendogli la linguaccia. I due si guardarono in faccia e scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.
«Oh, si è fatto tardi, adesso devo proprio scappare.»
Le disse lui infine guardando l’orologio al suo polso, infilandosi nuovamente il cappuccio.
«Mi ha fatto piacere rivederti, Sinfony.»
«Anche a me. Grazie ancora per il prezioso consiglio, lo apprezzo molto.»
«Ma figurati, resterai sempre una carissima amica, oltre alla mia ex quasi futura moglie.»
Il sorriso di Sinfony si capovolse in una smorfia.
«Sto scherzando, non prendertela. Spero di rivederti presto, ciao!»
E, così dicendo, corse nella direzione opposta. Sinfony lo salutò con un gesto della mano. Era sinceramente felice di averlo incontrato, e molto di più di aver appurato che fosse effettivamente maturato, anche solo un pochetto.
Rimase a guardare la sua sagoma allontanarsi fino a sparire nella folla, poi s’incamminò verso il più vicino negozio di fotografie. Sua mamma sarebbe rimasta piacevolmente sorpresa.
 
 
La notte di Natale, dopo la tradizionale cena a base di pollo fritto acquistato al più vicino fast food, la famiglia Senoo si raggruppò sotto l’albero per aprire i doni.
Kouji apprezzò il suo taxi in miniatura, cominciando a giocarci sin da subito.
«Dove la porto signora?»
Aveva chiesto a voce alta a nessuno dei presenti.
«All’aeroporto.»
Rispose imitando una voce più acuta, fingendo di essere un’anziana donna.
«Certamente, ma le costerà caro. Brum brum bruuum.»
Sinfony e Atsuko lo guardavano sgomente.
«Papà sei imbarazzante.»
Lo rimproverò Sinfony.
«Eh? Pensavo ti avrebbe fatto piacere vedermi utilizzare il tuo regalo.»
Si giustificò il padre, passandosi un dito sulla guancia.
«Ma non in questo modo!»
Esclamò disperatamente, battendosi il palmo della mano sulla fronte.
Tutti risero sonoramente, persino suo nonno abbozzò un sorriso, anche se poi lo dissimulò fingendo un attacco di tosse.
«Mi sarò preso un’influenza. Niente di strano, questa casa è piena di spifferi, fa sempre un freddo cane!»
Si lamentò col suo tono burbero. Sinfony si avvicinò all’uomo e gli porse il suo regalo.
«Questo è per te. Sono certa che sarà di tuo gradimento.»
Il vecchio la studiò. Non si era aspettato di ricevere alcunché dalla nipote.
«I ragazzini non dovrebbero fare regali, dovrebbero riceverli, lo sai?»
«E perché mai? Con questo gesto ho voluto dimostrarti il mio affetto. Smettila di brontolare ed aprilo, dai!»
Non se lo fece ripetere due volte. Quando sfiorò il tessuto caldo e morbido della coperta di lana, per poco non gli venne da piangere.
«Dici sempre di soffrire il freddo, ho pensato che ti avrebbe giovato. Nessuno vuole che tu ti ammali.»
Gli disse con un gran sorriso. L’uomo aveva gli occhi lucidi, ma cercò di non darlo a vedere. La dolcezza della nipote toccava le corde del suo cuore. Sapeva di non meritarsi il suo amore, dopo come si era comportato nei confronti suoi e del padre in passato, ma sembrava quasi che lei se ne fosse dimenticata, perdonandogli tutto quanto. Quella bambina aveva un cuore grande, proprio come sua madre. Lui aveva imparato velocemente a volerle bene, ma non riusciva ancora a dimostraglielo.
«Sembra comoda. Ti ringrazio.»
Furono le sue uniche parole, ma Sinfony non ci badò nemmeno.
«Sono felice che ti piaccia, ed adesso tocca a te mamma.»
Atsuko parve sorpresa.
«A me? Ma ti ho detto di non aver bisogno di nulla.»
«Sono certa che cambierai idea dopo averlo scartato.»
Con un largo sorriso, le porse il  piccolo pacchetto quadrato. Atsuko lo scartò lentamente, gustandosi quel momento. Quando vide la foto incorniciata, non riuscì a trattenere le lacrime.
«Sinfony, tesoro mio, ma è bellissimo!»
Le disse, stringendola in un abbraccio. Kouji si avvicinò per dare un’occhiata, ed anche il suo sguardo si addolcì.
«Non potevi fare scelta migliore.»
Le disse, circondando le due donne della sua vita con le braccia.
Anche il nonno, incuriosito, volle vedere il regalo. Ebbe una fitta al cuore: nella foto era presente anche lui.
La fotografia li ritraeva tutti insieme sul campo da corsa della scuola media di Osaka ed era stata scattata pochi mesi prima, il giorno in cui Sinfony aveva vinto il secondo posto nella gara scolastica del cento metri. La ragazzina issava alta una coppa color argento su cui brillava il numero 2, sua madre e suo padre si trovavano dietro di lei, mentre il nonno, sulla sedia a rotelle, costeggiava la figlia. Sinfony aveva ricevuto la foto da parte del fotografo della scuola e l’aveva custodita gelosamente fino a quel momento.
Quel giorno era stato molto bello, è vero, ma mai bello come quello che stava appena vivendo.

 
WHO'S THAT?
Kenichi Anrima è un personaggio che appare per la prima volta nella serie "Ojamajo Doremi Naisho" (Magica magica Doremi). 

È un bambino che all’asilo difende Sinfony da alcuni bulli ed invaghitosi di lei, le propone il matrimonio. Sinfony rifiuta, allora il ragazzo la sfida ad una gara di nuoto. Essendo la ragazzina incapace di nuotare, accetta la proposta, certa che se ne sarebbe presto dimenticato.
Durante il quinto anno di elementari però, il ragazzo irrompe nella classe di Sinfony, promettendole di riportarla ad Osaka dove l’avrebbe sposata. Lei rifiuta nuovamente e, dato che ha finalmente imparato a nuotare, viene rilanciata la sfida, che viene vinta dalla ragazza.
Kenichi confessa a Sinfony di essere scappato di casa perché i genitori intendono divorziare. Questi, leggendo il bigliettino che il figlio ha lasciato loro prima di partire, si precipitano a cercarlo, affermando che il loro era un semplice litigio coniugale e che non avrebbero davvero divorziato.
A questo punto Kenichi può tornare a casa con la sua famiglia.

POST SCRIPTUM
Volevo approfittare dello spazio di cui dispongo per fare gli auguri di buon compleanno ad una fedele lettrice della FF, ovvero Sylveon93, che oggi (30 Settembre) compie 24 anni! Ti ringrazio per la costanza con cui mi segui, e ti auguro di passare un felice compleanno in compagnia delle persone a te più care.
I miei più sentiti auguri, ti abbraccio forte, alla prossima! =D

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Capitolo 26
*** Christmas Special - Mindy ***


-CHRISTMAS SPECIAL-

Mindy

 
I grandi occhi gialli di Mindy osservavano rapiti quel bizzarro apparecchio che tracciava cerchi e linee sul ventre gonfio della madre. Lo schermo di un computer, posto proprio alla sua altezza, le dava modo di vedere per la prima volta l’ultimo componente della famiglia Asuka.
Lo schermo nero striato di bianco le sembrava assolutamente indecifrabile, ma il medico, pazientemente, li guidava con i dito indice.
«Questa qui è la testa, e invece qui ci sono le braccia e le gambe… Siamo fortunati, oggi possiamo scoprire il sesso del bambino, ovviamente solo se lo desiderate.»
Aveva detto loro in modo affabile. Mindy era impressionata, quelle piccole macchie erano in realtà una nuova vita, un bambino che presto avrebbe potuto tenere in braccio. Ripercorreva il suo corpo minuscolo partendo dalla testa, immaginando l’aspetto che avrebbe avuto.
Minori sorrideva davanti all’incredulità della figlia maggiore.
«In realtà dottore, io non intendo saperlo.»
Aveva detto guardandosi il pancione.
«E nemmeno io…»
Aveva aggiunto Kenzou. Mindy si voltò a guardarli in faccia.
«Non volete saperlo? Davvero?»
Entrambi scossero la testa.
«Immagino tu abbia già sentito parlare della reveal cake, dico bene?»
Domandò sua madre guardandola negli occhi.
«Sì, al club di pasticceria ne abbiamo parlato. È la nuova tendenza del momento, le donne in dolce attesa rifiutano di conoscere il sesso del nascituro e chiedono al medico di scriverlo su un foglio di carta, che poi verrà consegnato al pasticcere. Lui preparerà una torta rivelatrice, se il bambino sarà una femmina, l’interno della torta sarà di color rosa, se invece è un maschio, sarà blu.»
«Non potevi spiegarlo meglio.»
Sorrise il padre con orgoglio.
«Quindi volete che io lo scriva su un foglio, non c’è problema. A quale pasticceria vi rivolgerete? Ho sentito che quella all’angolo della strada prepara delle ottime torte…»
S’intromise il medico, che aveva ascoltato la loro conversazione e adesso si dirigeva alla sua scrivania. Prese carta e penna e scarabocchiò qualcosa sul foglio, prima di piegarlo e sigillarlo in una busta vuota.
«A dire il vero, conosciamo il miglior pasticcere di tutta New York!»
Sorrise Minori socchiudendo gli occhi, il medico parve incuriosito.
«Davvero? E chi sarebbe?»
«Mia figlia Mindy.»
La ragazza spalancò gli occhi, sorpresa da quell’affermazione.
«Che cosa? Volete che sia io a occuparmene?»
I genitori annuirono.
«Non c’è nessuno di cui mi fidi più al mondo. Voglio che sia tu a custodire questo segreto, e, come promesso, sceglierai anche il suo nome. Sei d’accordo?»
Gli occhi della biondina brillarono di commozione. Si passò un braccio per asciugarli e fece loro un vigoroso cenno affermativo.
«Molto bene, allora immagino che questa appartenga a te.»
Il dottore le si avvicinò porgendole la lettera. Mindy guardò la busta bianca nelle sue mani. Lì dentro si celava il sesso del suo futuro fratellino o della futura sorellina.
 
 
La vigilia di Natale Mindy decise di aprire la lettera che aveva custodito con tanta cura. Aveva deciso che quello sarebbe stato un ottimo regalo di Natale per i suoi genitori.
Avrebbe preparato la torta nel suo posto preferito, il vecchio MAHO della strega Monroe, non c’era luogo migliore. Sul ripiano da lavoro preparò tutto l’occorrente: una bilancia, della farina, zucchero, lievito ed infine due coloranti alimentari, uno rosa ed uno azzurro. Con mani tremanti afferrò la busta e la girò nelle sue mani. Trasse un sospiro profondo e scartò l’involucro con gentilezza. La calligrafia del dottore era chiara e cuneiforme, non c’era alcun dubbio. Alcune lacrime di gioia le rigarono il viso ed improvvisamente le venne in mente il nome perfetto.
 
 
Il giorno dopo la famiglia si riunì sotto l’albero di Natale. Il pancione di Minori si era fatto ancora più grande, anche se mancava ancora qualche settimana alla data prevista per il parto.
Mindy spense le luci, lasciando che l’unica illuminazione provenisse dalle lampadine fluorescenti dell’albero di Natale. Mentre i genitori guardavano il televisore andò in cucina e prese la torta che aveva nascosto con cura quello stesso pomeriggio, quei due non si aspettavano nulla.
Tornò in camera da pranzo tenendo il dolce di fronte a lei.
«Mamma, papà, questo è il mio regalo di Natale per voi due.»
Disse, richiamando la loro attenzione.
Kenzou e Minori si guardarono in faccia.
«Non sarà mica la torta rivelatrice?»
Domandò il padre, Mindy annuì.
«Sì. Ho pensato di aspettare ancora un po’, ma che senso aveva? Non c’è momento migliore.»
Minori socchiuse gli occhi in un gentile sorriso.
«Hai proprio ragione, adesso è tutto perfetto.»
Si alzò con fatica dal divano in cui sedeva e si avvicinò al tavolo, dove l’attendeva una torta dall’aspetto delizioso.
«Mh, è così bella, tagliarla sarebbe un peccato.»
Disse suo padre, ammirando la decorazione fatta con panna, fragoline e scaglie di cioccolato.
«Ma è indispensabile, se volete sapere…»
Sorrise Mindy, porgendo il coltello alla madre.
«Certo che lo vogliamo, sei d’accordo Kenzou?»
«D’accordissimo.»
«Allora ti consiglio di tagliare questa fetta qui per prima.»
Suggerì Mindy, indicando un punto in particolare.
«Perché proprio lì?»
Si sorprese il padre.
«Lo scoprirete presto.»
Mindy ammiccò.
La lama trafisse la superficie morbida della crema facendola traballare un po’, la consistenza era morbida. Fece lo stesso movimento una seconda volta, riuscendo a recuperarne una fetta. Poggiò il coltello in posizione orizzontale sotto la base, staccando finalmente il primo pezzo.
Seppur la stanza fosse in ombra, era impossibile non distinguere il colore al suo interno: un brillante azzurro accesso.
«Sarà un maschietto!»
Urlò Minori, che per poco non faceva cadere la fetta fra le sue dita.
«Un maschietto!»
Le fece coro Kenzou, correndo ad abbracciarla da dietro.
«Oh Mindy, non sei felice?»
A Mindy tremarono le pupille.
«Scherzate? Sono euforica!»
«Vieni qui, tesoro, abbracciaci.»
La ragazza obbedì, avvicinandosi ai suoi genitori. Presto sarebbero stati in quattro.
«Ha un sapore delizioso.»
Disse improvvisamente suo padre, leccandosi un dito su cui era caduta della panna.
«Ma dimmi una cosa, perché mai hai voluto che tagliassi questo pezzo qui per primo?»
Domandò Minori, senza aver ancora compreso.
«Guarda meglio il vassoio.»
Suggerì Mindy, indicando il punto in cui aveva scritto con il pennarello nero il nome che aveva scelto per il suo fratellino.
Kenzou alzò il capo per sbirciare da dietro la testa della moglie.
«È proprio un bel nome… Mickey Asuka!»

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Capitolo 27
*** Ritorno ad Hokkaido ***


-RITORNO AD HOKKAIDO-
 
Il volo da Tokyo ad Hokkaido era durato solamente un’ora e mezza, ma a Makoto parve estremamente più lungo. Era impaziente di rimettere piede nella sua vecchia città, di rivedere i suo nonni e di incontrare ancora una volta tutti i suoi amici d’infanzia.
Sua madre le aveva consigliato di fare un pisolino sull’ aereo, diceva che in quel modo avrebbe avuto la sensazione che  il tempo trascorresse più velocemente, ma per quando lei ci avesse provato, l’adrenalina che aveva nel corpo non glielo permetteva.
Aveva scritto una breve lettera alla sua amica Rei annunciandole il suo arrivo, sapeva che anche lei non stava nella pelle.
«Oramai manca poco.»
Le aveva annunciato Shinichi, che sedeva al suo fianco. Anche lui sembrava particolarmente emozionato, ma era normale, si disse Makoto. Nobuo, all’altro lato della ragazza, si era addormentato quasi subito, dato che non aveva chiuso occhio la notte precedente.
«Non vedo l’ora di ritornare nella mia vecchia scuola e rivedere tutti i miei vecchi compagni.»
Le aveva confidato Shinichi, con una certa impazienza nella voce.
«Sarebbe bello, ma per me non avrebbe senso dato che quest’anno frequentano tutti scuole diverse.»
Il fratello captò la nota di tristezza nella sua voce.
«Su, non essere triste, in fondo sono certo che avrai modo di contattarne un paio. E poi tu sei stata molto fortunata quest’anno, ti sei ambientata bene nella tua nuova classe, hai persino stretto un ottimo legame con la tua amica Doremi.»
Quelle parole le riportarono alla mente la promessa fatta alla sua migliore amica di Misora. Come aveva potuto dimenticarsene? Si era detta che gli avrebbe parlato in aereo, ma in qualche modo le era passato di mente. Adesso era il momento giusto, Nobuo dormiva ed erano lontani da orecchie indiscrete.
«A proposito di Doremi, cosa ne pensi di lei?»
«Uhm? In che senso? Cioè sembra una brava ragazza, andate molto d’accordo. Non avrete mica litigato?»
«Ma no, cosa dici? Quello che intendo è: ti sembra carina?»
Ma Shinichi non udì le ultime parole, perché i microfoni si erano accesi e la voce del pilota di era espansa all’interno dell’abitacolo.
«Signori passeggeri vi informiamo che presto inizieremo le manovre di atterraggio, siete pregati di restare seduti e di tenere allacciate le cinture di sicurezza.»
Nobuo si svegliò di soprassalto.
«Siamo arrivati?»
Chiese, ancora intontito.
«No, ma arriveremo presto.»
Gli rispose Shinichi, guardando fuori dal finestrino.
Makoto non riusciva a crederci, aveva perso la sua occasione!
“Non c’è motivo di demoralizzarsi, avrò tempo a sufficienza per parlargli una volta che avremo toccato terra.”
Si disse, anche se non riuscì a scacciare il senso di colpa per aver dimenticato, anche solo per breve tempo, la promessa fatta a Doremi.
 
 
La vecchia casa era esattamente come l’avevano lasciata. Makoto sentì una fitta di nostalgia scaldarle il cuore. Salì le scale al piano di sopra, dando un’occhiata alla sua vecchia stanza. Quanto le mancava! La casa che avevano a Misora era molto accogliente, ma era più piccola e conservava meno ricordi. Anche Kasumi pareva soffrire, mentre girovagava per la sua vecchia dimora accarezzando le pareti.
«Abbiamo fatto bene a scegliere di non affittarla.»
Aveva detto al marito, che annuì.
«Sarebbe stata un’idea sciocca. Non so quanto tempo ancora dureranno i lavori, se tutto va secondo le previsioni, potremmo tornare entro l’inizio dell’estate.»
Aveva detto con la sua solita voce burbera.
«Come credi che la prenderanno i ragazzi?»
Domandò la moglie con un filo di voce.
«Forse all’inizio sarà dura, ma sono certo che farà loro piacere. Qui c’è il loro passato, hanno molti più ricordi legati a questo posto, piuttosto che a Misora.»
Kasumi si guardò intorno, e quando constatò che non c’era nessuno dei tre figli, proseguì.
«Mi preoccupa Makoto. Sembra essersi inserita molto bene all’interno della comunità. Pensavo che il suo umore ne avrebbe risentito, ma poi ha stretto amicizia con quella ragazzina, Doremi, e sembra che adesso sia felice. Non credi che tornando qui possa abbattersi?»
Iwao scosse la testa.
«Col tempo avrà modo di riabituarsi. E poi è inutile parlarne adesso, non c’è ancora niente di sicuro! Ti fai sempre troppi scrupoli, anche quando non ce n’è alcun bisogno. Vediamo intanto cosa succede.»
«È solo che sono preoccupata per i suoi sentimenti.»
Insistette Kasumi, alzando lievemente il tono di voce.
«Iwao, tu non hai idea di ciò che prova una donna.»
«Smettila di ripetermi sempre le stesse cose. Certo che non lo so, sono un uomo! Se sei tanto preoccupata per lei, allora perché non le hai detto sin da subito che il trasferimento  non sarebbe stato definitivo?»
«Quante volte devo ripeterlo? Perché altrimenti non ci avrebbero mai seguiti e ci avrebbero pregato di restare qui dai nonni. Avrei pure dato il permesso a Shin, dato che ormai è quasi un uomo, ma poi ci si sarebbero messi anche Makoto e Nobuo, e allora come l’avremmo gestita? Non potevo permettermi di concedere il permesso ad uno solo, lo sai bene.»
«Allora adesso devi subire le conseguenze della tua decisione! Se avessi un po’ di polso sarebbe tutto più semplice. Ti avevo proposto di lasciar fare a me, avrei detto le cose come stavano senza ammettere repliche, ma tu ti sei voluta mettere in mezzo!»
Sua moglie abbassò lo sguardo in preda ai rimorsi. Iwao la guardò sentendosi in colpa, aveva esagerato.
«Ad ogni modo, non pensiamoci adesso. Godiamoci il Natale, ne riparleremo quando arriverò il momento.»
Aggiunse con voce più dolce, cercando di tranquillizzare la moglie. Lei fece un cenno affermativo con la testa, ponendo fine alla loro conversazione.
Un forte rumore di passi provenienti dal piano superiore li riportò alla realtà.
«Mamma, papà, io esco, ci rivediamo per l’ora di cena!»
Aveva detto loro Shin, avvolgendosi una sciarpa intorno al collo. Alla sua voce seguì quella di Makoto.
«Esco anch’io, vado a trovare Rei a casa sua, non so se torno per cena, vi chiamo direttamente da lì!»
«Io invece vado al parco a vedere se trovo qualche insetto!»
Aggiunse Nobuo con la sua vocina acuta.
Prima ancora che i genitori potessero dire una parola, il portone d’ingresso si chiuse sonoramente.
 
 
Makoto passeggiava per quei viali familiari con passo svelto. Il clima dell’isola di Hokkaido era molto più rigido di quello di Tokyo, lì aveva già iniziato a nevicare ed i piccoli fiocchi cadevano a fiotti sulle strade candide. Makoto lasciava della profonde orme sulla neve.
Correndo percorse a memoria la strada che l‘avrebbe condotta a casa della sua migliore amica, fermandosi solamente quando si trovò di fronte all’uscio. Rimase un attimo davanti alla porta per riprendere fiato, poi suonò il campanello. Ad aprirle la porta fu proprio Rei. Si studiarono un po’ prima di rivolgersi la parola; Rei era diventata più alta e il suo petto si era gonfiato rispetto all’ultima volta che si erano viste.
«Sei cambiata.»
Le disse l’amica senza preamboli, osservandola con attenzione.
«Anche tu.»
Rispose Makoto, mentre un leggero fumo bianco le usciva dalla bocca.
«Fuori fa freddo, vieni dentro. Sapessi quante cose ho da raccontarti!»
Makoto non si mosse.
«Che ti prende?Perché non entri?»
«Il signor Katseko ha sentito la mia mancanza?»
Rei sorrise, non era cambiata affatto.
«Mi chiede di te ogni volta che mi becca per strada.»
Makoto si guardò i piedi.
«Dovremmo andare a trovarlo allora, non credi?»
La fragorosa risata di Rei ruppe l’aria.
«Dovevo aspettarmelo, sei arrivata da meno di cinque minuti e cerchi già di portarmi fuori con una scusa.»
«Non è una scusa, sono seria! Gli affari di quel pover’uomo devono aver subito un forte calo da quando me ne sono andata! Ma non ti fa nessuna pena?»
Urlò Makoto con finta indignazione.
«E va bene, hai vinto! Dammi almeno il tempo di indossare le scarpe.»
 
Cinque minuti dopo, stavano camminando l’una di fianco all’altra.
«Avremmo potuto bere un tè in casa mia e invece mi costringi a uscire con questo freddo gelido.»
La malediceva Rei scaldandosi le braccia con le mani.
«Sei un’egoista, ricordati che quell’uomo ha una famiglia da mantenere.»
«Guarda che anche senza di te è riuscito a vendere un’ingente quantità di frittelle, cosa credi?»
Makoto incrociò le mani dietro la nuca con fare pensieroso.
«Sarà, ma io voglio contribuire.»
Poco dopo raggiunsero il posto preferito di Makoto sulla terra; un locale di modeste dimensioni che vantava le migliori frittelle della città. La ragazzina salutò il titolare, il signor Katseko, un uomo con cui aveva stretto una grande amicizia, dal momento che era una sua cliente affezionata.
Quando finalmente si trovarono al caldo davanti ad una bevanda bollente, a Rei si sciolse la lingua ed iniziò a raccontarle tutte le novità che la ragazzina si era persa. Parlò senza sosta a ruota libera per una buona ventina di minuti, interrotta solo poche volte da Makoto, che si limitava ad annuire e sorridere.
«E questo è quanto.»
Disse infine, bevendo una lunga sorsata del suo tè al mandarino.
«Mi sono persa tante cose.»
Commentò Makoto con aria pensierosa, Rei poté scorgere una nota di malinconia.
«È vero, ma sono certa che anche tu hai altrettante novità da raccontare, non è così? Nelle lettere mi hai accennato della tua nuova amica di Misora e poi fai anche parte del club di dibattito, immagino ci sarà da divertirsi.»
«Sì, mi diverto, certo. Dimmi una cosa, come sta Akito?»
Rei si era aspettata quella domanda. Akito era l’unico ragazzo di cui Makoto si fosse mai innamorata. Frequentavano tutti e tre la stessa classe, e sembrava che anche lui ricambiasse l’interesse per Makoto, ma alla fine i due si erano dovuti dire addio quando lei era partita per Misora dopo la cerimonia del diploma delle scuole elementari. Da allora avevano perso ogni contatto.
«Sta bene. Senti, io non volevo dirtelo, ma mentirti mi sembra da codarda: ha una ragazza adesso.»
Makoto se l’era aspettato. Aveva reputato strano il fatto che Rei non accennasse mai a lui nelle sue lettere, anche se sapeva quando ci tenesse ad avere sue notizie.
«Spero che sia una brava ragazza e che lo tratti bene.»
Disse infine, sorridendo all’amica.
«Tutto qui? Pensavo avresti reagito diversamente.»
«E perché mai? Ormai io vivo a Misora, tra noi non sarebbe mai potuto nascere nulla. Forse, e dico forse, se fossi rimasta avremmo avuto qualche chance, ma adesso… Beh, poco male, sono cose che capitano.»
Disse facendo spallucce, ignorando lo sguardo carico di tenerezza che le rivolgeva l’amica.
«E di’ un po’, Misora sarà piena di ragazzi carini, a te non piace proprio nessuno?»
Quella domanda la fece arrossire violentemente.
«No.»
«No?»
Rei ostentava un sorriso sornione, aveva tutta l’aria di chi crede di saperla lunga.
«Sai, quel “no” non mi pareva troppo convinto. Ne sei proprio sicura?»
«Non mi piace nessuno.»
Replicò Makoto, tenendo lo sguardo basso sulla sua frittella. Improvvisamente non aveva più fame.
«Dai, non me la bevo, sono la tua migliore amica, ti conosco bene come le mie tasche, dimmi la verità, chi è? È forse quel tuo compagno con cui ti alleni a calcio il pomeriggio?»
Makoto divenne di un rosso scarlatto.
«Non ci credo, è lui! Perché diamine non me l’hai detto subito?»
«PERCHÉ È MALEDETTAMENTE IMBARAZZANTE!»
Urlò infine, attirando l’attenzione degli altri avventori.
«Dai, calmati, non c’è bisogno di fare così. Guarda che non c’è nulla di male…»
Si affrettò a rincuorarla, sventolandole un tovagliolo di carta addosso. Makoto tornò del suo solito colorito chiaro, prima di proseguire.
«Tetsuya è un ragazzo molto infantile, è dispettoso e anche beffardo, ma con me si è sempre comportato gentilmente. Il fatto che si alleni con me, quando tutti quanti invece mi evitano, la dice lunga, non trovi?»
Rei meditò un attimo accarezzandosi il mento prima di rispondere.
«Sì, sono d’accordo con te. Ma sei sicura che non sia spinto da altri motivi?»
Makoto si grattò la testa con un dito.
«No, credo di no. Cos’altro avrebbe potuto convincerlo altrimenti?»
«Mh, si forse hai ragione. Allora è semplice, significa che anche tu gli piaci.»
Gli occhi di Makoto si ridussero a due puntini.
«Trovi?»
«Certamente, anzi, ti suggerisco di invitarlo al ballo di fine anno. Se accetterà allora è certo che anche lui ha una cotta per te.»
«E se invece rifiuta?»
Rei le rivolse un’occhiata complice.
«Allora significa che è uno stupido.»
 
Makoto accompagnò l’amica a casa, rifiutando il suo invito a cena. Preferì fare due passi, prima di tonare a casa. Voleva godersi un po’ di tempo solo per sé, in quel posto che le piaceva tanto. Avrebbe fatto una passeggiata al parco, amava dondolarsi lentamente sull’altalena, mentre la sua mente vagava. In quel momento desiderava restare da sola per pensare meglio alle parole che le aveva detto la sua amica Rei. Avrebbe voluto poter confidare quel segreto anche a Doremi, ma sapeva bene che tra lei e Tetsuya non correva buon sangue, quindi aveva sempre evitato di toccare l’argomento. La rossa avrebbe sicuramente avuto una reazione esagerata, e Makoto non era pronta per quello.
Il parco era deserto, si avvicinò lentamente alla sua altalena preferita quando li vide: due giovani, vicini alla casetta dei bambini, si baciavano appassionatamente nascondendosi da occhiate indiscrete. Si vergognò un po’ per averli colti in flagrante, e fece per arretrare, ma accidentalmente pestò un ramoscellocaduto sulla neve, facendo rumore e costringendo i due amanti a voltarsi a guardarla. Il ragazzo, alzò la testa di scatto, facendo sì che Makoto lo vedesse in volto.
Per poco non scoppiò in lacrime quando vide suo fratello Shinichi stringere quella kohai tra le braccia.

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Capitolo 28
*** Delusione d'amore ***


- DELUSIONE D’AMORE -

 
Correva senza sosta nella notte. Il freddo gelido lacerava il suo volto, ma non le importava. Lacrime calde le rigavano il viso, il naso le colava.
Non si era fermata quando il ragazzo aveva urlato il suo nome al parco e non si sarebbe fermata nemmeno adesso, avrebbe continuato a correre, sperando che il vento che le sferzava sul volto avrebbe scacciato quell’immagine dalla sua testa.
“non è vero, non è vero, non è vero!”
Continuava a ripetersi, ma era impossibile ingannarsi, i suoi occhi avevano visto tutto quanto distintamente. Shin stava abbracciando e baciando una sua vecchia compagna di scuola.
Poco le sarebbe importato se ciò fosse successo l’anno precedente, ma adesso era tutto diverso.
Aveva promesso alla sua amica Doremi che avrebbe fatto in modo che quei due si mettessero insieme, le aveva garantito che quello sarebbe stato il suo regalo di Natale.
Mai aveva sospettato che Shin potesse avere una ragazza a Sapporo, il suo oniichan* l’aveva nascosto bene.
“Che cosa le dico adesso? Lei mi odierà a morte per averle mentito… Ma io non lo sapevo!”
Continuava a pensare, mentre correva nel buio senza sosta. Ad un tratto si fermò, accasciandosi contro un muro e lasciandosi scivolare.
“Lei è la migliore amica che io abbia a Misora, e adesso la perderò. La perderò per colpa di quello stupido di Shin. Perché ci ha tenuti all’oscuro di tutto? Perché ha dovuto farmi questo?”
Picchiò un pugno contro il muro, provando una fitta di dolore.
“Perdonami Doremi...”
 
Sua madre l’aveva trovata poche ore dopo. L’aria fredda della notte l’aveva fatta ammalare, rendendola debole, fino a quando non si era addormentata per strada.
Venne condotta a casa, dove Iwao l’adagiò sul letto, coprendola fino al collo. Kasumi le aveva poggiato un panno umido sulla fronte, aspettando che la figlia riprendesse conoscenza.
«Tutto quel correre deve averla fatta sudare.»
Disse Iwao guardandola respirare affannosamente.
«Cosa le sarà passato in mente? Perché si è comportata in questo modo?»
La donna conosceva la verità. Poche ore prima Shin era tornato a casa di corsa, e quando non aveva trovato la sorella in casa, le aveva raccontato tutto l’accaduto, ma non aveva avuto il coraggio di fare lo stesso col padre.
Kasumi e Shin scesero allarmati per strada, cercandola nei luoghi a lei più cari: casa di Rei, la scuola elementare, persino il vecchio asilo che aveva frequentato, fino a quando, finalmente, non l’avevano trovata sdraiata su un angolo vicino l’abitazione dei nonni materni. Kasumi sospettava anche cosa doveva averla spinta a reagire in quel modo; sapeva che Doremi si era invaghita di Shin, l’aveva inutito la sera in cui era stata ospite in casa loro.
«Io non capisco perché sia corsa via in quel modo!»
Le confidò Shin, quando rimasero da soli.
«Capisco che non dev’essere stato un bello spettacolo da vedere, ma questo mi sembra semplicemente troppo. Insomma mamma, cos’ho fatto di male?»
Kasumi guardò la figlia dormire profondamente.
«Di questo parlerai con Makoto quando si sarà ristabilita.»
Il ragazzo non comprendeva, ma annuì obbediente.
«Piuttosto, adesso capisco come mai ci tenessi tanto a tornare a Sapporo per le vacanze natalizie.»
Insinuò con un sorrisino,mettendo Shin in imbarazzo.
«La piccola Kari, eh? È sempre stata una bella ragazza, ma pensavo che tra voi ci fosse semplicemente una forte amicizia. Se nemmeno io ho scoperto la verità, lascia che ti faccia i miei complimenti per l’ottima dissimulazione.»
Shin si grattò il capo.
«Mamma non mi sembra il momento di parlare di queste cose, pensa piuttosto alla salute di tua figlia!»
«Ma io ci sto pensando. Sfortunatamente per te però, sono in grado di occuparmi di due figli alla volta.»
 
 
Makoto si risvegliò poco più tardi. Sua madre si era addormentata su una sedia in camera sua. Guardò fuori dalla finestra, doveva essere notte fonda. Cercò di mettersi a sedere, ma la testa le faceva troppo male. Senza volerlo emise un gemito che destò Kasumi dal suo sonno leggero.
«Ti sei svegliata, finalmente.»
La ragazza rimase in silenzio.
«Ci hai fatti preoccupare tutti quanti: me, papà, Nobuo e Shin.»
Quando sentì l’ultimo nome fece una smorfia.
Kasumi si sedette sul suo letto, parlandole a voce molto bassa, quasi bisbigliando.
«Perché sei arrabbiata con tuo fratello?»
Sua figlia non rispose.
«Lascia che ti dica una cosa; so che vuoi tantissimo bene a Doremi, e per quanto anche a me piaccia tanto quella ragazzina,  non puoi certo forzare i sentimenti di tuo fratello nei suoi confronti.»
Makoto era rimasta ferita da quelle parole. Come faceva a sapere?
Kasumi fece una pausa per darle il tempo di assimilare e rispondere, ma quando vide che ciò non accadde, procedette.
«Ormai dovresti sapere che un sentimento nasce spontaneo come un fiore, e come un fiore va curato giorno per giorno. Non si può semplicemente decidere di innamorarsi di qualcuno.»
Makoto serrò i pugni.
«Come pensi che Shin possa innamorarsi di lei se nemmeno la conosce? Due persone hanno bisogno di imparare a conoscersi lentamente, di condividere interessi, di essere sulla stessa lunghezza d’onda. Tuo fratello è molto più grande di Doremi,ed ha altre cose che gli frullano nella testa, mi capisci?»
Makoto annuì impercettibilmente, mentre nuove lacrime nascevano dai suoi occhi. Quando parlò per la prima volta, lo fece con voce strozzata.
«Ma mamma, io gliel’ho promesso. Se adesso mi rimangio tutto, lei inizierà ad odiarmi.»
Kasumi l’accolse in un abbraccio, lasciandola singhiozzare appoggiata al suo petto.
«Non ti odierà, fidati di me. Doremi è una brava ragazza, capirà la faccenda, capirà che non è certo colpa tua se le cose tra i due non possono funzionare.»
La cullò come una bambina piccola, lasciando che versasse tutte le lacrime che aveva, col cuore spezzato causato da un amore non corrisposto, sebbene quell’amore non fosse il suo.
 
Il mattino seguente Shin andò a farle visita.
«Buongiorno, mamma mi ha detto che la febbre è diminuita. Come ti senti?»
Le domandò con voce affabile. Makoto non rispose, non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Shin sospirò profondamente, abbandonandosi su una sedia.
«Ascoltami, so bene che sei arrabbiata con me e desideri non parlarmi, è solo che non capisco cos’ho fatto per meritarmi tutto questo astio.»
Makoto s’irrigidì sul letto.
«Non è come pensi. Il mio non è odio, bensì vergogna.»
Shin spalancò gli occhi, avvicinandosi alla sorella.
«Ma di cosa stai parlando? Se uno dei due deve essere imbarazzato, quello sono io dato che…»
Shin non continuò la frase, ma arrossì lievemente.
«…Beh, lo sai…»
«Non è per quello. Mi sento una sciocca per esser corsa via in quel modo, immagino di avervi fatto prendere un colpo! La verità, Shin, è che tu piaci parecchio alla mia amica Doremi.»
Gli occhi di Shin ebbero un bagliore, finalmente era tutto chiaro.
«Io le ho promesso che te ne avrei parlato, e che alla fine voi due vi sareste messi insieme. Quando ti ho visto in compagnia di quella ragazza, mi sono sentita stupidamente tradita da te. So che la cosa non ha nessun senso, ma mi sono preoccupata perché in questo modo non avrei potuto mantenere la promessa fatta a Doremi,e ho temuto che lei potesse odiarmi per questo, ed io non voglio che ciò accada, perché è la migliore amica che io abbia a Misora!»
Shin si alzò per prendere posto di fianco a lei sul letto.
«Per prima cosa lascia che ti dica che è stato veramente stupido da parte tua fare una simile promessa. Non si possono gestire nemmeno i propri sentimenti, figurarsi quelli degli altri! Doremi è una ragazzina molto carina, e sembra anche decisamente simpatica, ma per me è troppo piccola.»
Makoto abbassò la testa.
«Ho combinato un guaio, non è così?»
«Non è niente a cui non si possa porre rimedio. Ciò che ti suggerisco di fare è di parlarle con sincerità, sono certo che lei comprenderà. Se il vostro legame è davvero così forte come credo, sappi che ti perdonerà.»
Shin le poggiò un dito sotto al mento, costringendola ad alzare gli occhi per incrociare il suo sguardo.
«Promettimi solo che non commetterai mai più un simile errore. Anche se hai agito con le migliori intenzioni del mondo, quello che hai fatto non è per niente bello.»
Makoto annuì, mentre gli occhi le si inumidivano un’altra volta.
«Volevo scusarmi con te, fratellone. Tu ti sei sempre comportato bene con me, ed io ieri sono quasi arrivata ad odiarti. Non te lo meriti affatto, mi dispiace. E mi spiace anche di avervi fatto impensierire tutti quanti.»
Contro ogni previsione, Shin sorrise.
«Di questo non devi preoccuparti, è normale che fratelli e sorelle litighino, ed è anche normale che a volte arrivino persino a pensare di odiarsi. Ma adesso la questione è stata risolta, non è così?»
Finalmente Makoto allargò le labbra in un sorriso, annuendo.
«Volevo dirti ancora un’altra cosa, prima che tu te ne vada.»
I lineamenti del ragazzo si rilassarono ancora di più.
«Ma certamente, dimmi tutto ciò che vuoi…»
«Dove hai imparato a baciare in quel modo?»
Shin s’irrigidì, diventando paonazzo.
«Ma cosa dici?»
«Guarda che ti ho visto bene, te ne stavi nascosto da occhi indiscreti, le tenevi le mani sui fianchi quasi all’altezza del sedere…»
«STA’ ZITTA! UNA RAGAZZINA DELLA TUA ETÀ NON DOVREBBE NEMMENO IMMAGINARE CERTE COSE!»
Urlò Shin portandosi le mani alle orecchie, mentre correva da una parte all’altra della stanza. Makoto mise il broncio sollevando le braccia.
«Se lo so è solamente perché ti ho visto farlo!»
«Non voglio più che tiri fuori questo discorso, ci siamo intesi? Altrimenti me la pagherai!»
Makoto iniziò a canticchiare una filastrocca stonata.
«Shinichi e Kari / si tengono le mani / si bacian con passione / e parlano d’amore…»
Shin si infilò le dita in profondità dentro le orecchie, urlando a squarciagola.
«lallalaa, tanto non ti sento, lalalalalal, son diventato sordo!»
Nobu salì le scale di corsa, attirato da quel fracasso, trovandosi davanti una scena comica quasi surreale.
Con una goccia sulla nuca chiuse la porta alle sue spalle e decise di tornare la piano di sotto.
«Vivo in una famiglia di matti!»

 

DIZIONARIO (JUST IN CASE)
*Oneechan
(o semplicemente Niichan): fratello maggiore.

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Capitolo 29
*** L'equivoco ***


-L’EQUIVOCO-
 
 
Prima ancora che Doremi potesse accorgersene, le vacanze di Natale erano già terminate. Il giorno seguente sarebbero ricominciate le lezioni, ma era felice, perché avrebbe rivisto la sua cara amica Makoto. Non avevano avuto modo di sentirsi durante il suo periodo a Sapporo, dato che l’amica era sprovvista di un cellulare,  ma sapeva per certo che sarebbe tornata prima dell’inizio della scuola. In realtà la preoccupava un po’ il fatto che non si fosse ancora fatta viva.
“Chissà, forse non è passata a trovarmi perché è impegnata a disfare le valigie.”
Si disse mentre preparava lo zaino per il giorno seguente.
Afferrò un piccolo pacco dalla scrivania e lo dispose con delicatezza in una piccola tasca interna. Era il regalo per Makoto. Si erano giurate solennemente di scambiarsi i regali dopo il suo ritorno, anche se in realtà Doremi sapeva già cosa aspettarsi. Le guance le si puntellarono di rosa mentre riportava la mente a Shinichi. Da quando le due si erano separate, la mente di Doremi aveva fantasticato molto a riguardo. Immaginava Shin che passava a prenderla a scuola, che la portasse a mangiare un gelato al parco d’estate, che le passeggiava accanto mano nella mano durante la primavera, mentre petali dei fiori di ciliegio si staccavano soavemente dagli alberi per danzare in aria prima di posarsi sul suolo.
«Oh, ma come sono romantica!»
Si disse, abbandonandosi sul letto con le gote in fiamme.
«Doremi, scendi a tavola, è ora di cena!»
L’avvisò sua madre dal piano di sotto, interrompendo bruscamente i suoi sogni ad occhi aperti.
«Di già?»
Si domandò la ragazzina dando un’occhiata al’orologio che le aveva regalato Tetsuya. Da quando l’aveva ricevuto non se n’era separata un solo attimo, lo trovava pratico ed anche carino, anche se ogni volta che lo consultava le venivano in mente le perfide parole del suo compagno di classe ho pensato che, dato che sei sempre in ritardo, poteva tornarti utile.”  Il solo pensiero la fece rabbuiare. Possibile che dovesse sempre insultarla, anche quando voleva essere gentile?
 
L’indomani mattina Doremi si svegliò di buon’ora, fece una colazione veloce e si recò a scuola. Aveva intenzione di arrivare prima del solito per incontrare Makoto e carpirle tutte le ultime novità sul fronte Shin. Ogni volta che ci pensava si sentiva leggera come una piuma.
Rimase profondamente delusa quando non la trovò né per strada, né nel cortile scolastico.
“Ma dove si è cacciata? Non vorrà arrivare in ritardo proprio oggi…”
Si ritrovò a pensare, camminando per i corridoi gremiti di studenti.
«Eccola è lei!»
Sussurrò una ragazzina del terzo anno alla sua amica indicandola, ma Doremi non se ne accorse.
“Certo che alle volte Makoto è proprio inaffidabile…”
Rimuginava fra se e se, lanciando occhiate a destra e a manca per scorgerla da qualche parte.
«Non vorrei essere nei suoi panni, è così imbarazzante!»
La additò qualcuno, camminandole accanto, e facendo una risatina sommessa.
D’un tratto Doremi si voltò, si sentiva stranamente osservata. In effetti, si rese conto che quasi tutti gli studenti la stavano fissando sorridendo a denti stretti.
«Beh, che vi prende a tutti quanti?»
Chiese a voce alta, ma la folla si dileguò all’istante senza darle alcuna risposta.
«Certo che in questa scuola sono tutti strani, valli a capire!»
Brontolò, aprendo la porta della sua classe. I suoi compagni tacquero all’istante, rivolgendole la loro completa attenzione.
«Sì, lo so che vedermi arrivare puntuale a scuola è uno choc, ma non c’è bisogno di fissarmi in quel modo, non trovate? A dire il vero, risultate anche un po’ inquietanti, se devo dirla tutta…»
Scherzò Doremi grattandosi una guancia, ma nessuno rise della sua battuta. Marina le si avvicinò con cautela.
«Doremi, stai bene?»
La faccenda cominciava a diventare strana.
«Certo che sto bene, perché? Come mai vi comportate tutti in modo così strano oggi? Mi sono forse persa qualcosa?»
Marina arretrò, portandosi la mano sulle labbra con fare preoccupato.
«Ma allora non lo sai ancora. Che guaio!»
La rossa la guardò con aria stordita.
«Cos’è che non so ancora?»
Marina tentennò un istante riflettendo sul da farsi, prima di proseguire.
«Forse è meglio che tu venga a saperlo da me, piuttosto che da altri…»
Confabulò a bassa voce, mordendosi le labbra.
«Adesso però mi stai facendo preoccupare, cosa c’è che dovrei sapere?»
«Non qui, andiamo fuori.»
Le suggerì, e Doremi fu costretta a seguirla.
«Mi spieghi cosa sta succedendo? Cos’è che dovrei sapere?»
Senza dire una parola, Marina le sventolò qualcosa sotto il naso.
«Questa è la copia odierna del giornalino scolastico. Forse è meglio che tu ci dia un’occhiata.»
Doremi sfogliò la prima pagina con riluttanza, non aveva alcuna voglia di leggere le sciocchezze di Ryuji di ritorno dalle vacanze, tuttavia Marina aveva un’espressione seria, forse conveniva darle ascolto.
Sfogliò distrattamente le pagine, fino a quando una in particolare catturò la sua attenzione.
Un suo primo piano - che non le rendeva alcuna giustizia - era stato stampato con la dicitura: “Doremi cerca principe azzurro che l’accompagni al ballo.”
«CHE COOOOOSA?»
Urlò a pieni polmoni, prima di ripetere ad alta le parole del senpai.
“Doremi Harukaze è un’undicenne molto intraprendente, sebbene sia solo una matricola all’interno dell’edificio scolastico. Dopo esser diventata celebre per lo scontro avuto con il preside a inizio semestre e per essersi occupata della gestione dei mercatini natalizi (anch’essi una sua proposta), ha rilasciato un’intervista al miglior giornalista della scuola, decidendo di aprire il suo cuore. Doremi dichiara -la fama acquisita nell’ultimo periodo mi rallegra solo per metà… Sarei molto più felice se qualche bel ragazzo mi invitasse al ballo scolastico, facendo di me una reginetta. Purtroppo non ho nessun ascendente sui ragazzi, a causa del mio ridicolo aspetto, perciò desidero lanciare un annuncio pubblico affinché qualcuno si accorga per la prima volta di me. Non ho bellezza né talento, ma in fondo anch’io merito un po’ di comprensione.- E cosa può fare un gentiluomo come me, se non accontentare i desideri reconditi di questa dolce fanciulla?”
«SONO UNA MAREA DI SCIOCCHEZZE!»
Gridò così forte da far tremare persino le fondamenta della scuola.
«Non dirmi che la gente crede sul serio a queste menzogne, è a dir poco inaudito!»
Marina la guardava con un’espressione scoraggiata dipinta in volto.
«Purtroppo invece è così. La voce si è sparsa in fretta questa mattina, quasi tutti ne hanno comprato una copia. Io so che non c’è niente di vero, ma purtroppo chi non ti conosce può facilmente lasciarsi ingannare. Ryuji è molto talentuoso, ed il suo bell’aspetto gli garantisce l’interesse del pubblico femminile.»
Doremi era sgomenta.
«Ma così che figura ci faccio io? Perché mai quel tipo ha deciso di prendermi di mira, cosa gli ho fatto?»
Strillò con voce acuta tirandosi gli odango. Marina sembrava preoccupata.
«No, Doremi, smetti di tirarti i capelli o rischierai di diventare calva!»
A quelle parole la ragazzina si rabbuiò maggiormente.
«Ci mancherebbe l’ultima!»
Bisbigliò immaginandosi completamente pelata. Rabbrividì al pensiero e scrollò il capo per allontanare quell’immagine dalla sua mente.
«Corro subito a cercarlo, gliene dirò quattro…»
Fece per marciare in direzione della classe di Ryuji, ma Marina la trattenne per un braccio.
«Cosa pensi di fare? Così ti renderai solamente più ridicola, sai bene come quel ragazzo reagisce alle accuse. Manipolerà tutta la vicenda facendoti passare per una sua ammiratrice in cerca di attenzioni.»
Doremi si arrestò, ricordando la loro ultima conversazione e tornò sui suoi passi.
«Sì, hai ragione. Ma Marina, io devo fare qualcosa non capisci? Mi sta ridicolizzando davanti all’intera scuola, ed io non riesco a subire tutto quanto in silenzio, è così ingiusto!»
Marina tacque,guardandola con profonda compassione.
«Coraggio Doremi, non fare così. Sono certa che troverai qualcuno disposto ad invitarti nonostante quello stupido articolo.»
Doremi fece spallucce.
«Non è questo a preoccuparmi, in fondo ho già un accompagnatore.»
Marina spalancò gli occhi incredula.
«Davvero? E chi è?»
Doremi arrossì prima di confessarle tutto quanto.
«Ma è fantastico! Certo che questa Ryuji non se l’aspetta proprio! Farà una pessima figura quando la voce si spargerà, e vedrai che nessuno gli darà più retta.»
«Mi stai forse suggerendo di dirlo a tutti quanti?»
«Ma certamente! In questo modo confuterai la sua versione dei fatti, e non c’è peggiore pubblicità per uno scrittore, anche se si tratta di un giornalino scolastico. Coraggio, torniamo in classe e fatti valere!»
Doremi annuì con decisione e le ragazze tornarono nell’aula. Sentì la presenza degli occhi di tutti i presenti su di sé, ma decise di non badarci, almeno per il momento.
«Ehi Doremi, ascolta…»
La voce di Tetsuya proveniva da dietro le sue spalle. La ragazza si voltò a guardarlo con rabbia, ed era talmente incollerita da non notare  nemmeno l’espressione seria del ragazzo, né tantomeno il fatto che, per la prima volta, l’avesse chiamata per nome.
«Stammi a sentire Tetsuya, questo non è proprio il momento. Sono stanca dei tuoi scherzi e delle tue burle, non sai davvero mai quando darmi una tregua? Perché non mi lasci in pace per una buona volta? Non mi va giù di essere il bersaglio preferito degli sbruffoni come te e quel bugiardo di Ryuji. Sì, avete sentito bene, è un bugiardo, racconta solo menzogne, anche se voi ritenete oro colato tutto ciò che dice o scrive.»
In quel momento stava guardando Akane, un’aperta sostenitrice dello scrittore.
«E sapete una cosa? Non serve affatto che qualcuno di voi mi inviti al ballo, io ho già un compagno. Si chiama Shinichi ed è uno studente delle superiori.»
Alcune ragazze alzarono il capo desiderose di saperne di più. Nana emise un sonoro “oooh” di stupore, e presto si avvicinò alla compagna avida di informazioni.
«Sei sincera? Andrai con uno studente più grande?»
Nei secondi che seguirono, altre ragazze si avvicinarono a Doremi accerchiandola, ad eccezione di Akane che pensò bene di tenersi in disparte. In quel momento nessuno badò a Tetsuya, che uscì fuori dall’aula con un’espressione carica di risentimento.
«E così sarei sono uno sbruffone che si burla di lei, è questo che pensa! Vuole essere lasciata in pace? Benissimo,  allora io non le rivolgerò mai più la parola, lo giuro sul mio onore!»
Stava urlando nel corridoio agitando un pugno per aria. Un rumore di passi lo costrinse a voltarsi. Makoto si era fermata davanti a lui con il fiatone.
«Sono arrivata in tempo, per un pelo!»
Annunciò, asciugandosi la fronte. Solo in quel momento si accorse di essere completamente da sola in compagnia del ragazzo. Nessun altro si trovava nel corridoio insieme a loro. Le vennero in mente le parole di Rei che la spronavano a muovere il primo passo.
«Tetsuya, c’è una cosa che volevo chiederti…»
Cominciò a dire con lo sguardo basso, troppo impacciata per guardarlo dritto in faccia. Ecco, ormai aveva iniziato, doveva pur finire.
«Forse è un po’ troppo presto, ma ci penso già da un po’. Ti andrebbe di andare al ballo scolastico insieme?»
Socchiuse gli occhi attendendo la risposta.
Tetsuya rimase un attimo in silenzio per assimilare quanto appena udito.
«Beh, sai cosa ti dico? Va bene, andiamoci insieme tu ed io, perché no?»
Lo disse quasi urlando, la voce incrinata dal rancore, ma Makoto non ci fece caso. Le aveva detto di sì.
Tutte le supposizione fatte in compagnia della sua migliore amica avevano finalmente avuto conferma: lei gli piaceva, si piacevano a vicenda!
Con il volto in fiamme, Makoto aprì la porta della sua classe ed entrò dentro con i nervi ancora  tesi, muovendosi con fare quasi meccanico. Solo dopo aver raggiunto il suo posto scorse Doremi, accerchiata dalle sue compagne, intenta a raccontare qualcosa.
Un attimo dopo, l’amica si accorse di lei e le rivolse un largo sorriso.
«Eccoti finalmente!»
Sembrava di ottimo umore quel mattino.
«Makoto,che ti prende? Stai bene? Sei tutta rossa.»
«Sto benissimo, grazie mille, vedo che stai bene anche tu.»
“Quel sorriso può  voler dire una cosa sola: ha funzionato! Shin contraccambia i miei sentimenti!”
Pensò Doremi con il cuore che le batteva all’impazzata.
«Sono al settimo cielo!»
Gridò, sollevando il pollice in alto, ricambiando il sorriso della sua amica.

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Capitolo 30
*** La fine di un'amicizia ***


-LA FINE DI UN’AMICIZIA-
 
 
Durante la ricreazione Doremi si avvicinò a Makoto tendendole un pacchetto.
«Anche se in ritardo: buon Natale, amica mia!»
Gli occhi di Makoto brillarono.
«Ah, è vero! Me ne ero quasi completamente dimenticata! Grazie mille Doremi, è molto gentile da parte tua. Aspetta, anch’io ho qualcosa da darti, è qui nello zaino.»
Doremi agitò la mano.
«Su, non scherzare, non credo che ciò che cerco entri dentro al tuo zaino.»
Rise allegramente della sua stessa battuta, immaginandosi Shin tutto raggomitolato su se stesso.
«Ah, l’ho trovato, eccolo!»
Makoto le allungò un pacco di medie dimensioni. Doremi la fissò con aria interrogativa.
«Perché mi hai fatto un regalo? Avevi promesso di aiutarmi con Shin, quindi perché adesso tiri fuori questo pacco?»
Makoto arrossì lievemente, abbassando lo sguardo sul pavimento.
«Doremi, c’è una cosa di cui evo parlarti. Non sarà piacevole, ti avverto.»
Il tono della sua voce non lasciava presagire nulla di buono. Doremi fece un’espressione triste.
«Se mi hai comprato un regalo, allora so già di cosa si tratta, non c’è bisogno che tu prosegua.»
Per Makoto fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso.
«Sarò forse ingenua, ma non sono una stupida.»
Makoto non l’aveva mai sentita parlare con quel tono di voce. In verità, ora che ci pensava, non aveva mai visto Doremi triste.
«Doremi io… Non è come pensi, posso spiegarti tutto quanto!»
L’amica le sorrise con fare bonario.
«D’accordo allora, io ti ascolterò.»
Makoto cominciò a parlare a tutta velocità, raccontandole per filo e per segno ciò che aveva visto al parco di Sapporo, la sua fuga e la febbre, la conversazione avuta con sua madre e persino quella insieme al fratello.
«Non ha nulla a che fare con te, Doremi, lui crede davvero che tu sia una ragazza speciale. Dice che sei molto carina e che gli piace molto l’energia che sprigioni, è solo che…»
«Che ha già una ragazza.»
Concluse Doremi con un sospiro. Non era la prima volta che si prendesse una cotta non corrisposta, ma quella volta aveva davvero sperato che funzionasse. In realtà, ora che ci pensava, si chiese perché l’avesse dato per scontato. Shinichi aveva sedici anni, e lei ne avrebbe presto compiuti dodici, la differenza d’età non era certamente cosa di poco conto.
«Mia madre dice che l’amore nasce spontaneamente ed all’improvviso, come un germoglio. Dice anche che va curato e ritiene che la tua sia solamente un’infatuazione per un ragazzo più grande che a malapena conosci. Non fraintendere, dice che non c’è nulla di male in tutto ciò, e che è normale alla nostra età…»
«Makoto.»
La interruppe Doremi a voce bassa. La ragazza fu costretta a tacere e a guardarla.
«Va tutto bene, non devi preoccuparti per me. Tua madre ha ragione, Shin non lo conosco nemmeno, non posso essere veramente innamorata. Ti sono grata per ciò che hai fatto, ti sei comportata da vera amica nei miei confronti.»
Makoto socchiuse gli occhi per sorridere. Doremi incrociò le mani dietro la nuca.
«E poi non è la prima volta che qualcuno non corrisponda i miei sentimenti, ci sono abituata.»
Disse sorridendo, passandosi un dito sulla guancia.
«Sei sicura di stare bene?»
Le domandò la castana.
«Sì, ma a dire il vero c’è solo una cosa che mi da sui nervi…»
«E sarebbe?»
Doremi strinse un pugno davanti a sé, gli occhi diventarono di un inquietante color giallo.
«Darla vinta a Ryuji.»
Makoto parve confusa. Doremi le spiegò brevemente quanto successo solo poche ore prima, brandendo il giornalino scolastico e raccontandole di aver sparso la voce che si sarebbe presentata al ballo con Shin.
«Oh no! Se lo avessi saputo in tempo te lo avrei impedito!»
Disse Makoto, posandosi una mano sulle labbra. A Doremi vibrò un sopracciglio.
«Forse saresti dovuta arrivare prima oggi! Comunque mi sorprende che tu non l’abbia sentito, lo stavo raccontando all’intera classe mentre sei entrata.»
Makoto ebbe un brivido. L’aveva vista quella mattina al centro dell’aula, accerchiata dalle sue compagne, ma non aveva udito una sola parola di ciò che diceva perché continuava a ripensare alla sua breve conversazione con Tetsuya.
«Si può sapere a cosa stai pensando?»
Le urlò Doremi, riportandola alla realtà.
«A niente!»
Mentì. Avrebbe voluto raccontarle tutto quanto, e l’avrebbe anche fatto se l’amica non avesse ricevuto una delusione amorosa proprio quel giorno! In quel momento preferiva dedicarsi a Doremi piuttosto che a sé stessa, in fondo si disse che avrebbe avuto modo di dirglielo anche nei giorni seguenti.
«Senti, tu non me la racconti giusta, so che c’è qualcosa che ti frulla in testa, ha forse a che vedere con il tuo ritorno a Sapporo? Guarda che a me puoi raccontare tutto quanto e lo sai bene.»
«Ma certo che lo so, ti giuro che non è successo nulla.»
«Non me la dai a bere, coraggio sputa il rospo.»
Disse Doremi, alzandosi dalla sedia per avvicinarsi all’amica.
«Giuro che non c’è nulla!»
Insistette Makoto, allontanandola quanto più possibile.
«Uff, sono o no la tua migliore amica?»
Piagnucolò Doremi.
«Certo che lo sei, ma ti ripeto per l’ennesima volta che non è successo nulla di nulla a Sapporo!»
«Bugiarda!»
Mosse un passo per avvinarci ancora di più a Makoto, ma per sbaglio storse il piede e finì col cadere per terra. Qualcuno rise, e immaginò presto di sentire un acido commento da parte di Tetsuya. Incrociò lo sguardo del ragazzo e serrò gli occhi attendendo che la prendesse in giro, ma il ragazzo, per tutta risposta, si voltò nella direzione opposta, ignorandola.
Anche se non le dispiaceva affatto, si sorprese molto. Tetsuya non la canzonò neppure quando quel giorno ricevette un voto basso in matematica, né quando sbagliò a leggere un kanji nell’ora di giapponese, cambiando completamente il significato del testo.
“Perché mi sto preoccupando di questo? Dovrei rallegrarmene, finalmente mi concede un po’ di pace.”  Pensò, decidendo di godersi quei momenti.
“Forse ha a che fare con la conversazione di stamattina. Poco male se ha compreso e ha deciso di darmi una tregua.”
 
Per qualche ragione, Tetsuya aveva ripreso a declinare gli insistenti inviti di Makoto di allenarsi insieme.
«Fra poco inizierà il torneo di calcio contro le squadre delle altre scuole, quindi devo allenarmi più duramente insieme ai miei compagni di squadra.»
«Ma potremmo allenarci dopo, come ai vecchi tempi.»
Incalzò Makoto, Tetsuya si passò una mano dietro la nuca.
«Credo che dopo sarò troppo stanco. E poi devo concentrarmi seriamente sullo studio se non voglio rischiare una bocciatura.»
Makoto non si preoccupò di nascondere il suo disappunto. Da quanto Tetsuya aveva accettato il suo invito al ballo, Makoto si era illusa che i due avrebbero passato molto più tempo insieme, ma invece le sembrava quasi che il ragazzo facesse di tutto per evitarla. Si chiese diverse volte se per caso non avesse cambiato idea, ma non trovò mai il coraggio di domandarglielo ad alta voce.
Aveva scritto a Rei del suo strano comportamento, ma l’amica l’aveva rassicurata, dicendole di non preoccuparsi e di lasciargli del tempo. Le aveva scritto che, se veramente avesse cambiato idea, gliel’avrebbe detto direttamente in faccia, senza ricorrere a dei metodi subdoli.
Makoto decise di fidarsi, arrendendosi al volere del ragazzo, senza importunarlo ulteriormente.
Per mesi i due si erano rivolti a stento la parola, anche se, ora che ci pensava, neanche prima parlavano mai più del necessario.
«Cosa c’è Makoto? Ti vedo giù.»
Le aveva detto Doremi un giorno che la vide assorta nei suoi pensieri.
«Ah? No niente, pensavo che tra poco inizieranno i tornei tra le scuole.»
Le disse, indicando un volantino appeso alla bacheca della loro classe.
«Ah, è vero, me ne ero quasi dimenticata. Ora che ci penso, è da un po’ che non ti alleni più, o mi sbaglio?»
Makoto scosse la testa.
«No, non ti sbagli affatto.»
«E perché?»
«Vedi? A causa dei tornei, Tetsuya è molto impegnato, quindi non può più permettersi di farmi da avversario come prima.»
Le aveva spiegato con semplicità, nascondendo tutta la sua delusione. Avrebbe voluto dirle la verità, ma nei mesi che erano trascorsi, Makoto non aveva mai avuto occasione di raccontarle ciò che era successo tra i due. Sembrava assurdo, ma ogni volta che voleva prendere l’argomento, succedeva qualcosa che le distraeva.
«Questa poi! Scommetto che uno o due pomeriggi a settimana li trova! Vado a dirgliene quattro…»
«Ma no, Doremi, cosa fai?»
Makoto fece per fermarla, ma la rossa si trovava già di fronte al banco del suo vecchio compagno. Lui la guardò senza dirle una parola, poi riposò lo sguardo sul foglio che aveva davanti agli occhi.
«Che c’è? Non hai intenzione di parlarmi?»
Gli domandò, posandosi le mani sui fianchi. Tetsuya le rispose senza nemmeno guardarla.
«Hai indovinato.»
«Sai già che stai per beccarti una ramanzina?»
«E perché mai dovrei?»
Chiese in tono noncurante, senza alzare gli occhi. A Doremi vennero i nervi, sembrava di parlare con Masaru.
«Per come ti stai comportando nei confronti di Makoto. Fino all’anno scorso vi allenavate spesso insieme, ed adesso tiri sempre fuori delle scuse.»
«Non sono delle scuse.»
Rispose con tono irritato.
«A me pare proprio di sì invece. Non credo davvero che tu non abbia del tempo da dedicarle, dato che la squadra non si allena ogni giorno.»
Finalmente Tetsuya si decise a rivolgerle lo sguardo.
«Ma cosa ne vuoi sapere tu di calcio? Stai sempre a dire agli altri cosa fare e come comportarsi sin dai tempi delle elementari, senza avere la benché minima idea di cosa passi nella testa delle persone. Pensa per un attimo a te stessa, invece di mettere il naso nella vita degli altri.»
Doremi arretrò con gli occhi lucidi.
«Ma che ti prende? Non mi avevi mai parlato con quel tono prima d’ora! Anche se litigavamo spesso, non sei mai stato così scontroso.»
Tetsuya si alzò dal suo posto strisciando la sedia sul pavimento e producendo un suono assordante.
«Sai una cosa? Le persone cambiano.»
Con quelle ultime parole, si allontanò dalla ragazza lasciandola lì, in piedi e piena di dubbi.
«Ma cosa diamine gli prende?»
Domandò Doremi a Makoto, che aveva osservato la scena da lontano.
«Dev’essere nervoso a causa del torneo. La squadra della scuola media privata è molto forte, forse teme di non riuscire a batterli.»
«Sì, dev’essere per questo.»
Concordò Doremi, anche se in realtà non credeva che quell’atteggiamento c’entrasse qualcosa col torneo.
Da un paio di mesi Tetsuya aveva preso a comportarsi in modo diverso nei suoi confronti. Non le rivolgeva più la parola e a malapena la salutava. Se i primi tempi ne aveva gioito, adesso iniziava quasi a pesarle. Anche se quei due si divertivano a stuzzicarsi e lui amava darle il tormento, tra loro esisteva una profonda amicizia. Doremi l’aveva aiutato in diverse circostanze, soprattutto quando era ancora un’apprendista strega, ed anche lui si era rivelato un ottimo amico, soprattutto durante la loro ultima gita scolastica alle elementari.
 
Quando le lezioni ripresero, Doremi non poté smettere di rimuginare sul cambiamento del suo compagno. Era sempre stato un ragazzo allegro e vivace, e negli ultimi tempi era diventato silenzioso e menefreghista. Si sorprese a fissarlo durante l’ora di matematica, mentre la signorina Shuto era rivolta verso la lavagna e dava le spalle ai suoi studenti. Per un attimo Tetsuya alzò la testa e la guardò di rimando, ma abbassò subito gli occhi non appena si accorse che lei lo stava studiando.
“È strano, molto strano…”
Pensò Doremi con la testa fra le nuvole.
«Signorina Harukaze, vuole dare la risposta?»
La voce rauca della professoressa la strappò ai suoi sogni, trascinandola di peso verso la realtà.
«Ehm io non saprei, signorina. Credo che… Che… Mi scusi, qual era la domanda?»
L’intera classe scoppiò in una fragorosa risata, l’insegnante invece si indispose ancora di più, assumendo un innaturale colorito grigiastro.
«Sei sempre la solita Harukaze, non mi meraviglio che i tuoi voti siano così bassi!»
Doremi mise il broncio.
«Non sono così bassi, ho raggiunto la sufficienza in tutte le materie!»
Tutti risero ancora più forte. Il vecchio Testuya avrebbe approfittato del momento per fare una battuta che costringesse i compagni a ridere a crepapelle, ma il nuovo Tetsuya invece se ne stava in silenzio con il mento poggiato sul pugno, senza nemmeno partecipare alle risate collettive.
Doremi, nel guardarlo,fu pervasa da un’enorme tristezza.

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Capitolo 31
*** Più che un semplice amico ***


- PIÙ CHE UN SEMPLICE AMICO -
 
Guardò la sua immagine riflessa allo specchio un’ultima volta, sistemò il fiocco arancione sulla sua testa e si raddrizzò gli occhiali prima di afferrare il cappotto ed uscire di casa.
L’inverno era rigido come ogni anno. Febbraio era stancamente giunto al termine e mancava ancora qualche mese prima dell’arrivo della primavera e del clima mite.
L’aria gelida le sferzava il viso, ma non se ne curò. Accelerò lievemente il passo e si sentì improvvisamente stupida. Perché aveva tutta questa impazienza? Si fermò per trarre un sospiro profondo che le frustò i polmoni, poi riprese a camminare, ma questa volta più lentamente, con naturalezza, come faceva ogni giorno.
Nel giro di una decina di minuti si trovò davanti alla grande insegna della pasticceria. Spinse il grande portone facendo trillare la campanella attaccata al tetto. Una cameriera l’accolse con un grande sorriso.
«Benvenuta signorina, posso aiutarla? Abbiamo dei posti liberi da questa parte, vuole seguirmi?»
Melody rimase ferma dov’era, mentre il suo sguardo vagava per tutta la sala alla ricerca di una figura familiare.
«In realtà avrei un appuntamento, ma non so se il mio accompagnatore è già arrivato.»
Affermò con timidezza, chiedendosi se non fosse il caso di girare sui tacchi ed attendere per strada.
«Forse ho capito, sta cercando un giovanotto con i capelli verdi? Mi segua, è seduto da questa parte.»
Obbedì alla giovane donna e presto incrociò lo sguardo di Masaru.
«Passerò più tardi a prendere le vostre ordinazioni, intanto vi lascio consultare il menu.»
Poteva leggere lo stesso imbarazzo sul viso del suo compagno di classe, che sembrava persino più silenzioso del solito. L’aveva a malapena salutata, rivolgendole un gesto del capo.
«Aspetti da molto?»
Domandò Melody, togliendosi il cappotto e sistemandolo ordinatamente sulla sedia su cui prese posto poco dopo.
«No, sono qui da circa dieci minuti.»
Le rispose Masaru con un filo di voce, senza sollevare il suo sguardo. Rimasero in silenzio per un paio di minuti prima che Melody decidesse di intavolare una conversazione.
«Fra freddo oggi, non trovi?»
Masaru la osservò togliersi gli occhiali dal naso e pulirli. Non l’aveva mai vista senza prima d’ora.
«La differenza di temperatura tra dentro e fuori li fa appannare.»
Si affrettò a spiegargli, risistemandoseli sul naso.
Rimasero un altro po’ in silenzio, Melody cominciava a pentirsi di aver accettato l’invito. Non si vedevano da prima di Natale, si erano incontrati per caso ai mercatini organizzati da Doremi, ma erano riusciti a stento a salutarsi, dato che Melody era in compagnia di due sue nuove compagne di classe che l’avevano letteralmente tirata verso una bancarella.
«È da un po’ che non ci vediamo.»
Disse lei, sperando che almeno stavolta le rispondesse.
«Già, da prima di Natale.»
La voce di lui era roca, come capita sempre quando non si parla per un po’ di tempo. Melody tirò quasi un sospiro di sollievo, finalmente stava collaborando.
«A proposito, come hai passato il Natale?»
Gli chiese, entusiasta di avere finalmente un argomento.
«Come al solito. Mio padre è venuto dalla Germania ed è rimasto fino a metà gennaio, poi però è dovuto ripartire.»
«Ah, mi fa piacere che vi siate rivisti, devi esserne stato molto felice! Hai suonato per lui?»
Il ragazzo si limitò ad annuire impercettibilmente.
«Dice che sono molto migliorato rispetto all’ultima volta che ci siamo visti.»
«Ma è una fantastica notizia!»
Melody gli sorrise con affetto.
«Ti ho chiesto di incontrarci per ringraziarti.»
Le disse lui improvvisamente, trovando il coraggio. Melody inclinò la testa di lato.
«Ringraziarmi di cosa?»
«So che il portachiavi che mi ha regalato Doremi per Natale è stato una tua idea. Mi ha detto che sei stata tu a realizzarlo, in effetti, mi sembrava troppo accurato per essere una sua creazione .»
Melody spalancò gli occhi esterrefatta. Non se l’aspettava minimamente.
«Spero solo che ti sia piaciuto.»
Riuscì a dire, mentre le gote le si dipingevano di rosa. In quel momento vide la tromba attaccata al mazzo di chiavi del ragazzo. Il suo cuore fece una capriola dentro al suo petto.
«Mi piace molto, ti ringrazio. Mi spiace di averci messo tanto, ma non mi sembrava giusto farlo per messaggio, in fondo si vede che ti ci sei dedicata molto.»
Melody sorrise. Masaru era un tipo un po’ cupo, ma era sincero ed aveva un grande cuore. Anche se la maggior parte delle persone non lo capiva, e addirittura lo temeva, lei si fidava ciecamente di lui. In passato si era rivelato un ottimo amico, nonché un appoggio su cui poter contare.
«Tu mi sei stato d’aiuto in un periodo molto buio, non potevo non ricambiare in qualche modo.»
Masaru la guardò dritto in mezzo agli occhi. Era certo che lei l’avrebbe fatto anche se lui non le avesse detto quelle parole, perché era una ragazza buona, era fatta così e non poteva cambiare.
«Ti ho comprato un regalo di Natale anch’io.»
Gli occhi di Melody s’illuminarono.
«Non dovevi…»
Masaru poggiò uno scatolo di piccole dimensioni sul tavolo e glielo allungò con il dito. Melody lo prese con due mani e lo spacchettò. Al suo interno c’era una collana color argento con un ciondolo a forma di violino.
«Masaru… Ma è bellissimo!»
Disse con entusiasmo. Prese la catenina tra le mani e se l’appese al collo.
«Mi sta bene?»
Chiese divertita al ragazzo, alzando la testa e mostrandogli il collo. Lui divenne rosso e si girò dall’altra parte, mugolando qualcosa che somigliava ad un sì.
La porta si aprì ed entrò un ragazzino dall’aria triste.
«Eh? Ma quello è…»
Melody lo indicò con un dito e Masaru si trovò costretto a voltarsi per dare un’occhiata. Si trovò faccia a faccia con Tetsuya, che intanto aveva alzato lo sguardo sui due.
«Oh no che disastro, ci ha visti! Conoscendolo, si metterà a fare le solite battute sceme.»
Tetsuya si limitò a far loro un cenno con la mano, prima di rivolgersi alla banconista ed ordinare dei dolci da portar via.
«Caspita, ma ha l’umore a terra! Non l’avevo mai visto così prima d’ora. In realtà Doremi mi aveva detto che era diventato parecchio strano negli ultimi tempi, ma non immaginavo minimamente che si fosse ridotto in questo stato! Tu sai che cosa gli è successo?»
Domandò Melody, sinceramente preoccupata per la salute del suo vecchio compagno di classe. Masaru alzò le spalle e rispose col suo solito tono noncurante.
«Sta così dal primo giorno di scuola dopo le vacanze di Natale.»
«Davvero? E che gli è successo?»
«Non lo so con esattezza, ma giurerei che c’entra qualcosa la tua amica Doremi.»
Melody spalancò gli occhi per la sorpresa.
«Cosa c’entra lei? Non ci credo, non è in grado di fare del male a qualcuno!»
Affermò con sicurezza, battendo le mani sul tavolo e facendolo sobbalzare.
«Non intendevo direttamente! Non lo so, ma un giorno lei gli ha urlato delle cose spiacevoli, per poi aggiungere di andare al ballo di fine anno con un certo Shin. Fino a poco prima di apprendere la notizia Tetsuya sembrava il solito, poi ha cominciato a cambiare. Credo che i due non si rivolgano nemmeno più la parola.»
«Caspita, certo che ne sai di cose per essere sempre all’ultimo banco! Fingi di fregartene, ma vedo che invece sei informato sui tuoi compagni di classe.»
Lui divenne nervoso, Meody l’aveva colto in flagrante.
«Su, non fare quella faccia, è molto bello che ti preoccupi per loro, sai?»
«Ma cosa vai farneticando? Hai preso un granchio.»
Balbettò, incrociando le braccia sul petto.
«Ad ogni modo è una storia molto triste. Mi sorprende che dopo tutti questi anni Doremi non si sia ancora resa conto dei sentimenti di Tetsuya nei suoi confronti.»
Masaru alzò lo sguardo. Anche se tutti gli ex studenti della scuola elementare di Misora l’avevano capito, nessuno aveva mai affrontato l’argomento. Le vicissitudini di Doremi e Tetsuya erano affar loro, quindi a nessuno era mai venuto in mente di impicciarsi.
«È strano sentirlo dire ad alta voce.»
Confessò a Melody.
«Forse, ma dovremmo smettere di far finta di niente, soprattutto adesso che lui soffre in questo modo.»
«Io invece credo il contrario. Reputo che qualsiasi cosa ci sia tra quei due non ci riguarda affatto, e che se Doremi non si è ancora resa conto di nulla, forse è perché Tetsuya non le piace abbastanza. Chiunque se ne sarebbe reso conto al suo posto, e tu lo sai bene. Anche se tu vuoi solamente aiutarlo, come pensi che la prenderebbe la tua amica? La conosci meglio di me, sai che ne farebbe un dramma e inizierebbe a sentirsi in colpa, e a quel punto cosa succederebbe? Pensi che s’innamorerà di lui all’istante?»
Melody rimase in silenzio ad ascoltare le parole del ragazzo.
«Non ci si dovrebbe mai immischiare nelle questioni di cuore, io la vedo così.»
Aggiunse, ponendo fine al discorso.
Melody lo guardò in faccia e pensò a tutte le volte che le sue amiche avevano fatto battute riguardo il loro rapporto. Li vedevano come lei vedeva Doremi e Tetsuya? Erano stati anche loro vittime dei pettegolezzi? Melody ripeté le parole del ragazzo nella sua mente “se non se n’è mai accorta è perché lui non le piace abbastanza”. Avrebbe potuto anche riferirsi a sé stesso, per quanto la riguardava.
Anche se aveva sempre cercato di dissimularlo, era palese che nutrisse una sorta di affetto nei confronti di quel ragazzo, anche se lui l’aveva sempre vista come un’amica. Che non si accorgesse delle sue attenzioni perché a lui lei non piaceva affatto?
«A cosa pensi? Sei diventata silenziosa.»
La sua voce la riportò alla realtà.
«Penso che… Beh, tu hai ragione, dovremmo farci ci affari nostri, ma credo non ci sia nulla di male a provare a sistemare la faccenda in maniera indiretta.»
Lui la fissava perplesso.
«Magari riesco a far aprire gli occhi a Doremi.»
Masaru parve scettico.
«Puoi sempre tentare…»
Tra loro calò nuovamente il silenzio, anche se questa volta era diverso. Melody si sentiva più imbarazzata di quando era entrata, chiedendosi per la prima volta se Masaru si fosse accorto di essere più di un amico per lei o se ignorasse completamente la questione.
«Si è fatto tardi, forse è il caso di tornare.»
Le disse, afferrando la sua giacca. Melody lo imitò e indossò il suo cappotto abbottonandolo fino al collo.
«Mi ha fatto piacere rivederti, Masaru. Grazie ancora dell’invito e del regalo.»
Gli disse lei, nascondendo la collana sotto alla sciarpa voluminosa che si era legata al collo.
«Ma figurati, per così poco.»
 
Melody percorreva con estrema lentezza il tragitto verso casa. Non aveva alcuna voglia di rientrare, si disse che il freddo l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee. Si sentiva inspiegabilmente stupida.
Sapeva che non c’era nulla di male in quello che provava, e che era del tutto naturale, ma in quel momento la razionalità sembrava essere distante anni luce.
In cuor suo si augurava che prima o poi lui avrebbe capito, ma adesso quella possibilità sembrava essersi infranta.
Fece un ultimo sospiro, prima di infilare le chiavi nella toppa. Mentre teneva il braccio ancora sospeso a mezz’aria, il cellulare vibrò brevemente nella tasca della sua gonna, sicuramente le era arrivato un messaggio. Aprì l’icona con la busta chiusa e lesse il nome del mittente: Masaru.
“È stata una bella giornata, dovremmo rivederci quando il tempo migliora. Saluti, Masaru.”
Sollevò lo sguardo verso il cielo portandosi il cellulare vicino al petto.
Possibile che fosse un segno?
 
 

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Capitolo 32
*** Ingenuità ***


 - INGENUITÀ -
 
 
«Voleva vedermi, signorina?»
Doremi si trovava sull’uscio dell’aula insegnanti. La campanella che decretava la fine delle lezioni era suonata da circa dieci minuti e i corridoi erano ormai vuoti, così come le classi.
La signorina Asami sedeva su una poltrona proprio di fronte alla porta, la testa china su un libro di cui Doremi non riuscì a leggere il titolo. Quando la vide le rivolse il suo solito sorriso gentile, invitandola ad entrare.
«Ah, eccoti arrivata, giusto in tempo. Prego, accomodati pure, non essere timida.»
Chiuse il libro e le avvicinò una sedia. Doremi prese posto di fronte all’insegnante e attese che parlasse.
«Forse sto cominciando ad abusare del tuo tempo, e se è così sei pregata di farmelo notare»
Il tono della sua voce era calmo e pacato. La ragazzina sorrise allegramente.
«Ma no, si figuri, da quando abbiamo chiuso il mercatino ho parecchio tempo libero. A dire il vero, sta quasi diventando noioso.»
La professoressa posò i suoi chiari occhi grigi dentro quelli rosa e vispi della ragazza.
«A proposito di questo, hai fatto un ottimo lavoro durante il periodo natalizio, lo sai? Purtroppo non ho avuto il tempo di congratularmi prima delle vacanze, ma ci tenevo particolarmente a farlo. Non mi aspettavo che riscuotessi così tanto successo, mi hai piacevolmente sorpresa.»
Doremi scosse una mano con noncuranza, arrossando a causa dei numerosi complimenti.
«Su, non è poi una gran cosa…»
«Al contrario! Organizzare un evento non è affatto cosa semplice, anche se qualcuno lo reputa “una banalità”. Organizzare significa cooperare con altri individui, adattarsi all’ambiente e prendere decisioni importanti. Ti ho osservata molto, anche se forse non te ne sei accorta. Ho visto l’impegno che hai riversato in una causa che non ti apparteneva, ho visto con quanta risolutezza hai discusso contro il nostro preside, ti ho anche vista motivare decine e decine di studenti, coinvolgendoli nel tuo piano ed infine sei stata ripagata dei tuoi sforzi, ottenendo il permesso a cui tanto ambivi.»
La signorina Asami si alzò per dirigersi verso la vetrata della finestra e rivolse il suo sguardo verso il cortile della scuola.
«Ricordi quando ci siamo incontrate per la prima volta? Era la prima lezione di dibattito dell’anno scolastico, e in quel contesto ho avuto l’impressione che tu ti sentissi come un pesce fuor d’acqua.»
Doremi si grattò la testa con la mano.
«Non aveva tutti i torti, a dire il vero, mi sentivo totalmente a disagio in quell’ambiente.»
«Perché?»
«Tutti sembravano avere un’idea, tranne me. Mi sentivo un completo impiastro.»
Il volto della sua insegnante cambiò, divenne serio e meditabondo.
«Sai qual è stata la mia prima impressione sul tuo conto? Mi sono detta “questa ragazza qui ha del potenziale, anche se forse non se ne rende conto”. Sembrava che ti fossi rassegnata ad essere una semplice studentessa delle medie senza arte né parte. Credevo che ti fossi abituata alla mediocrità che ti eri imposta.»
Doremi non rispose. Non sapeva cosa dire.
«Invece io so che sei una ragazzina piena di risorse e potenzialità. In te ci sono tantissimi pregi: c’è gentilezza, bontà, altruismo, onestà… In tanti anni di vita, è la prima volta che mi imbatto in una persona come te. Nonostante la tua giovane età, sono certa di poter imparare molto dal tuo modo di vedere le cose.»
A Doremi brillarono gli occhi, anche se Asami non poté vederlo, dato che le dava le spalle e osservava con interesse il mondo fuori dalla finestra.
«Una volta mi hai confessato di non sapere cosa fare in futuro. Beh, io credo che potresti diventare una brillante organizzatrice di eventi. Ti ci vedi?»
Disse, voltandosi per guardarla in faccia, e notando l’espressione di stupore che le aveva provocato.
«A dire il vero no, non ho mai pensato ad una simile eventualità.»
Confessò, abbracciando l’idea per la prima volta.
«Io credo che potresti realizzare grandi cose. In realtà è proprio per questo che ti ho convocato qui oggi. Forse ti sorprenderà, ma non l’ho fatto per adularti.»
Le disse, schiacciandole l’occhio. Era la seconda volta che le diceva qualcosa di simile.
«Non capisco, perché mi ha fatta venire?»
«Avrei una proposta da farti.»
Doremi tacque, aprendo bene le orecchie.
«Oggi ho avuto un colloquio insieme al preside, a proposito del ballo scolastico. Ho chiesto lui il permesso di usare la palestra scolastica come location finale, e sebbene fosse molto riluttante, alla fine ha dovuto concedermi l’autorizzazione.»
Gli occhi rosa brillarono illuminati da due stelle.
«Ma questa è una notizia fantastica! Sora ne sarà entusiasta. In effetti, adesso mi domando perché non l’ha comunicato a tutti quanti durante una riunione.»
«Perché prima vorrei sapere se tu fossi interessata ad assumerti l’incarico di occuparti delle decorazioni.»
Doremi si prese un attimo di tempo per assimilare la domanda.
«Si tratta di una grande responsabilità, lo ammetto, però penso di esserne in grado. Non dovrò fare tutto da sola, non è vero?»
La signorina rise.
«Certo che no, chiederemo a dei volontari di darti una mano. Tuttavia voglio che sia tu la coordinatrice generale, che te ne pare? Accetti il tuo nuovo ruolo?»
Senza pensarci due volte, Doremi rispose affermativamente, allungando la mano verso quella della sua interlocutrice.
«Può contare sul mio appoggio. Le prometto di dare il meglio di me.»
Le due donne si strinsero formalmente la mano, scambiandosi uno sguardo carico di energia.
Asami era certa che Doremi non l’avrebbe delusa. In quella ragazzina erano state riposte troppe speranze.
Lei aveva accettato a cuor leggero, ignorando l’importanza delle sue azioni. Non poteva certamente sapere che ancora una volta era la protagonista di un piano ben escogitato. Non aveva idea che dall’esito di quell’ennesima prova, di cui era completamente all’oscuro, sarebbero dipese decisioni molto importanti, che avrebbero potuto cambiare per sempre il destino di due mondi.
 
 
Quel pomeriggio non vedeva l’ora di incontrare Melody per raccontarle del suo nuovo incarico. Era corsa a casa sua dopo la conversazione con la signorina Asami, ansiosa di renderla partecipe della sua nuova missione. Finalmente aveva qualcosa di cui occuparsi con tutta sé stessa, e per una volta non ebbe nulla da invidiare alle sue amiche.
«Sono così emozionata, Ma ci pensi? Il ruolo di scegliere le decorazioni spetterà a me! Renderò la sala un vero spettacolo, ho già delle ottime idee, mi aiuterai a realizzare tutto quanto, non è vero?»
Domandò all’amica con gli occhi lucidi, strappandole un sorriso.
«Ma certo, conta pure sul mio appoggio! Ora che ci penso, Doremi, ma tu hai già un compagno per il ballo?»
Quelle parole ebbero un effetto disastroso sull’umore della ragazza, che assunse un colorito bluastro, e si bloccò come se si fosse surgelata.
«Perché tiri fuori questi argomenti proprio quando sono felice?»
Piagnucolò con un filo di voce, mentre il labbro le tremava spasmodicamente. Melody si portò le mani sulla bocca, ma era ormai troppo tardi, il danno era fatto.
«Non era mia intenzione metterti di cattivo umore, mi dispiace.»
«Eh, non fa nulla, non te ne faccio una colpa.»
Sospirò tristemente.
«Per rispondere alla tua domanda: no. In realtà è una storia molto buffa, perché ero certa che mi avrebbe accompagnata Shin il fratello maggiore di Makoto, come lei stessa mi aveva assicurato prima di Natale, ma poi è saltato fuori che lui avesse una fidanzata a Sapporo. È divertente, non trovi?»
Per quanto provasse a sdrammatizzare quella faccenda, era impossibile non notare il dispiacere sul suo viso. Melody l’aveva vista innamorarsi tante volte, e puntualmente finiva per rimanerci male. Forse dipendeva tutto dalla sua timidezza. In effetti, per quanto Doremi fosse una ragazza vivace e tutto pepe, quando si trattava di dichiararsi diventava improvvisamente inibita ed impacciata. Si chiese se fosse questa sua inesperienza in campo amoroso a renderla così cieca di fronte ai sentimenti di Tetsuya, dopotutto nessuno a parte lui aveva mai mostrato alcun interesse nei suoi confronti, o almeno non in quel senso.
«Quasi me ne dimenticavo, un paio di settimane fa ho incontrato Tetsuya in pasticceria.»
Le disse con fare disinvolto, sperando di attrarla nella sua rete.
«Davvero?»
«Sì, non lo vedevo dal giorno del diploma di scuola elementare e devo ammettere che aveva veramente una brutta cera.»
Doremi trasse un sospiro.
«Te l’ho detto che ultimamente si comporta in modo strano. Non saprei spiegarlo, ma è come se fosse arrabbiato col mondo intero. Ha smesso di fare i suoi soliti scherzi ed è diventato un musone permaloso! Se non lo vedessi con i miei occhi, giuro che non ci crederei…»
«Hai idea di cosa possa averlo reso in questo modo?»
Domandò, fissandola di sottecchi. L’amica si strinse nelle spalle.
«Non ne ho idea. Ha iniziato a cambiare dall’inizio del nuovo anno. Chissà, forse ha qualche problema in famiglia. Ah, se fossi ancora una strega, chiederei aiuto al cerchio magico. Risolvere questo mistero sarebbe un gioco da ragazzi.»
A quel punto Melody abbassò la voce di alcune ottave e si portò una mano vicino alla bocca, come se volesse suggerirle un segreto.
«Hai mai pensato che forse potrebbe esserci di mezzo una ragazza?»
Buttò giù, fingendo di averci appena pensato.
«Una ragazza dici?»
Doremi ci pensò su sfregandosi il mento con fare meditabondo, e per un attimo Melody ebbe la sensazione che avesse finalmente capito.
«Non so, non mi sembra che Tetsuya abbia mai mostrato interesse nei confronti delle ragazze.»
La castana ci rimase talmente di sasso che per poco non svenne per terra. Per un attimo ebbe il desiderio di urlarle tutta quanta la verità contro, ma resistette all’impulso, cercando di farla ragionare e lasciandole il tempo di scoprire la verità senza forzarla, così come le aveva consigliato Masaru.
«Certo però che sarebbe strano, ma te lo immagini Tetsuya con una ragazza? Non ce lo vedo proprio, a lui importa solamente del calcio e dei tornei.»
Melody divenne improvvisamente seria.
«Non ci sarebbe nulla di male, è una cosa del tutto naturale, dovresti saperlo bene tu che ti sei presa tante cotte.»
Doremi non notò il tono quasi accusatorio della sua amica.
«Sì ma è diverso. Per una ragazza è più semplice pensare all’amore, non trovi?»
«In realtà no. Ragazzi e ragazze nutrono gli stessi sentimenti.»
Melody aveva un tono autorevole, ma Doremi rimase impassibile come sempre. Le sembrava di intrattenere una delle solite conversazioni insieme alla sua migliore amica.
«Non volevo dire quello, non fraintendere, intendevo dire che per una ragazza è più facile esternarlo, i maschi hanno la tendenza a tenersi tutto dentro.»
Melody corrugò le sopracciglia.
«E tu come fai a saperlo scusa?»
Doremi la guardò prima di aprire nuovamente bocca, incerta se proseguire o meno. Temeva che le sue parole potessero ferirla.
«L’ho notato osservando te e Masaru.»
Melody spalancò gli occhi. Non si aspettava che tirasse fuori Masaru. Per un attimo si dimenticò completamente di Tetsuya.
«Cosa c’entriamo io e Masaru adesso?»
«Per te è stato molto più semplice dimostrargli affetto, ricordi ad esempio di quando gli regalasti la cioccolata per San Valentino?»
La rossa abbassò la voce, rivolgendole un tono di voce comprensivo e gentile. Quando parlava in quel modo, sembrava sempre che sapesse di cosa stesse parlando, dimostrava in qualche modo una maturità che normalmente sembrava non possedere. Melody si rabbuiò un poco.
«Era solo gentilezza.»
Balbettò in maniera poco convincente. Doremi sorrise, prendendole le mani nelle sue.
«Ma certo, non volevo certo insinuare che ci fosse dell’altro, però questo conferma la mia tesi: le ragazze sono più abili dei ragazzi nel mostrare i propri sentimenti, anche se si tratta solamente di amicizia.»
L’amica tacque, perdendo lo sguardo nel vuoto. Forse Doremi non aveva tutti i torti. Eppure solo il giorno prima Masaru le aveva fatto un bellissimo regalo. Che l’avesse fatto solamente per sdebitarsi? Se lo chiedeva spesso, sebbene cercava di cacciare via quei pensieri.
Ultimamente i contatti col ragazzo erano diventati più frequenti, non era raro che lui le scrivesse degli SMS, anche solo per chiederle come stesse, ma questo cosa poteva significare?
«Melody ci sei?»
«Eh? Sì, scusa, cosa dicevi?»
«Dicevo che sto notando per la prima volta quella bella collana, e volevo sapere dove l’avevi presa.»
Arrossì violentemente, stupendosi di come fosse possibile che Doremi le leggesse nella mente.
«Si tratta di un regalo dei miei genitori.»
Mentì. Non se la sentiva di rivelarle la verità in quel momento.
«Caspita, è davvero bello. Si vede che i tuoi genitori ti conoscono davvero bene, rientra perfettamente nei tuoi gusti e ti sta anche benissimo.»
Non le rispose, riportando la mente a quel giorno nella pasticceria. Masaru la conosceva bene, erano stati compagni di classe per tanti anni, si disse che non c’era altro.
«Ad ogni modo, sai cosa ti dico? Che se davvero vogliamo capire il mondo maschile, allora dobbiamo rivolgerci ad un’esperta.»
Tagliò corto Doremi.
«Parli forse di tua sorella Bibi?»
La rossa annuì con un’espressione tetra.
«È così deprimente, la mia sorellina minore ha avuto molti più fidanzatini di noi tutte messe insieme!»
Melody sospirò, trovandosi pienamente d’accordo.
 

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Capitolo 33
*** Piccoli segreti innocenti ***


- PICCOLI SEGRETI INNOCENTI -
 
Ancora una volta Doremi si ritrovò completamente indaffarata in attività extracurricolari che poco avevano a che vedere con la sua partecipazione al club di dibattito. Si era dimenticata diverse volte di presentarsi alle riunioni del club, ma la signorina Asami la giustificava, essendo stata proprio lei ad averle consigliato di occuparsi delle decorazioni. Ben presto Doremi venne affiancata da alcuni studenti volontari, che sembravano aver dimenticato le false accuse lanciatele da Ryuji sul giornalino scolastico.
Anche Makoto le dava una mano quando non era impegnata col club di dibattito, dal momento che non si allenava più in compagnia di Tetsuya da almeno tre mesi. Dal giorno in cui Doremi l’aveva pubblicamente rimproverato,  i due non si erano più rivolti la parola. Makoto aveva cercato qualche pretesto per parlagli, ma alla fine aveva rinunciato, vinta dal timore di venire aggredita verbalmente com’era successo alla sua amica.
“Se dovesse arrabbiarsi anche con me e rimangiarsi la parola?”
Aveva scritto a Rei, confessando i suoi timori.
“In quel caso allora meglio così! Vuoi davvero partecipare al ballo scolastico in compagnia di uno che nemmeno ti parla? Cosa farete tutta la sera?”
Era stata la pronta risposta della ragazza di Sapporo, arrivata quattro giorni dopo.
Makoto si era domandata diverse volte se fosse il caso di ritirare l’invito, in fondo quello non era affatto il Tetsuya per cui si era presa una cotta, quel tipo ombroso e taciturno non aveva proprio nulla a che vedere con il ragazzo solare e divertente con cui condivideva la passione per il calcio.
In quei quattro mesi non aveva ancora raccontato nulla a Doremi. Negli ultimi tempi, il rapporto tra quei due si era deteriorato ultimamente. Diverse volte Doremi l’aveva sgridato perché non le andava a genio il suo comportamento, invitandolo a tornare quello di una volta e affermando che avrebbe preferito essere nuovamente il suo bersaglio, piuttosto che vederlo ridotto in quello stato. Tetsuya aveva risposto alzando la voce, intimandole di farsi gli affari suoi e di non intromettersi mai più nella sua vita. Doremi si era spesso lamentata del suo cambiamento assieme a Makoto, e l’astio crescente tra i due le aveva fatto preferire tacere la cosa, e intanto erano già arrivati a marzo. Il ballo si sarebbe tenuto un mese dopo, e in tutto questo Makoto non sapeva neppure se Tetsuya si ricordasse della promessa o meno.
 
 
La campanella che segnava l’inizio della ricreazione era appena suonata. Doremi era corsa a cercare la signorina Asami per parlarle delle ultime idee che le erano venute in mente, lasciando Makoto in classe. La ragazza rimase con la testa china sui libri, rileggendo per l’ennesima volta il paragrafo che non aveva capito.
«Scusa, Makoto, avrei una domanda da farti…»
A distrarla dalla lettura era stato il suo compagno di classe Sugiyama. Makoto alzò il capo e notò che erano rimasti da soli in classe. Presa com’era dal libro, non ci aveva neppure fatto caso.
«Ciao, sì certo dimmi pure. Ti avviso, se ha a che fare con la lezione di matematica, sappi che neanch’io ci ho capito nulla.»
Rise, passandosi una matita sulla guancia. Sugiyama arrossì debolmente, abbassando lo sguardo sul pavimento.
«No, figurati, la matematica non c’entra nulla.»
Disse, incapace di proseguire. Makoto lo fissava con i suoi grandi occhi verde acqua, senza capire dove il ragazzo volesse andare a parare.
«In realtà volevo chiederti qualcos’altro...»
«Cosa aspetti? Coraggio, non essere timido, dimmi cosa posso fare per te!»
Lei gli sorrise amabilmente, mettendolo ancora più a disagio.
«Ehm… In realtà io… Volevo chiederti se… Se ti andrebbe di venire al ballo scolastico insieme a me.»
Lo urlò velocemente, come se volesse togliersi un peso dallo stomaco. Makoto aveva abbassato lo sguardo.
«Sai? In realtà mi piacerebbe, sei un ragazzo molto simpatico e divertente, ma vedi, non posso proprio. Mi dispiace tanto Sugiyama.»
Prima ancora che potesse finire la frase, il ragazzo era corso via, uscendo dall’aula.  Si alzò con l’intento di corrergli dietro per scusarsi, ma Doremi entrò in classe prima ancora che lei arrivasse alla porta.
«Eh? Che succede? Perché Sugiyama è corso via?»
Domandò Doremi, fissando l’espressione preoccupata dell’amica.
«Mi ha chiesto di andare al ballo scolastico ed ho rifiutato.»
«Capisco. Beh, immagino ci sia rimasto male. So bene che a volte può essere uno sciocco, ma in verità è un ragazzo davvero molto sensibile.»
Makoto scosse la testa.
«Ma no, cos’hai capito? Non ho rifiutato perché penso che sia uno sciocco…»
«Ah no? E perché allora?»
«Perché ci vado con qualcun altro, è ovvio!»
Per un attimo si era completamente dimenticata che Doremi non ne fosse al corrente. Si tappò la bocca, ma ormai era troppo tardi, le parole erano venute fuori prima che avesse il tempo di bloccarle.
Doremi non riuscì a nascondere la propria sorpresa.
«Come sarebbe a dire che ci vai con qualcuno? Perché non me lo hai detto? Sono o no la tua migliore amica qui dentro?»
Urlò mettendo il broncio, Makoto non riuscì a risponderle.
«Uff, che ingiustizia! E dire che volevo proporti di andare insieme, dal momento che nessuna delle due aveva un compagno! Adesso cosa farò? Con chi ci andrò? Sono la ragazzina più sfortunata della terra!»
Piagnucolò, dimenticandosi completamente del povero Sugiyama.
«E sentiamo un po’, con chi è che ci andresti?»
Domandò infine, senza riuscire a nascondere del tutto il suo rancore.
«Non posso dirtelo.»
Farfugliò Makoto debolmente, sentendo la vergogna crescere dentro di lei.
«E perché no?»
Lo sguardo di Doremi cambiò,  sembrava quello di un bambino a cui si nega qualcosa. Makoto si sentiva maledettamente in colpa, ma quello non era il momento giusto, doveva prima andare a parlare con Sugiyama.
«Adesso devo andare, scusami.»
Aggiunse correndo via, lasciando l’amica da sola e confusa all’interno dell’aula vuota.
 
«Makoto si comporta in modo strano.»
Aveva confidato nel pomeriggio a Melody, mentre poggiava il viso sui palmi delle mani con lo sguardo perso nel vuoto, anche se in realtà avrebbe dovuto scrivere un tema sul periodo Hesei* per la lezione di storia.
L’amica  graffiava sonoramente con la penna la superficie del suo foglio di carta, di cui aveva riempito quasi la metà.
«Come mai?»
Domandò distrattamente, senza arrestarsi.
«Valla a capire! Oggi si è lasciata sfuggire che andrà al ballo insieme a qualcuno, ma non vuole rivelarmi di chi si tratti, e dopo le lezioni è corsa via per non restare da sola con me. Mi sta evitando!»
Il tono con cui aveva pronunciato la ultima frase la costrinse a fermarsi e a guardarla.
«Non prendertela così, forse è solamente imbarazzata.»
Suggerì saggiamente Melody
«Ma perché dovrebbe esserlo? Sono la sua amica, non la prenderei mai in giro e tu lo sai.»
«Non si tratta di te, magari non vuole che la voce si sparga, o forse teme che tu ti lasci sfuggire qualche battutina in proposito. Lasciale del tempo, vedrai che te ne parlerà quando si sentirà a suo agio.»
Doremi alzò le spalle, non del tutto soddisfatta dalla risposta.
«Beh, se lo dici tu… Ad ogni modo adesso mi ritrovo completamente da sola, avevo pensato di chiederle di andarci insieme, dato che pensavo fosse da sola anche lei. Ehi, ho avuto un’idea! »
Disse infine, mentre una lampadina le si illuminò in testa.
Che ne dici di venirci tu assieme a me? Sarà uno spasso, verrà un deejay e ci sarà un ottimo banchetto, vedrai che ci divertiremo un sacco!»
Melody s’irrigidì sulla sedia.
«In realtà non posso venire nemmeno io.»
Doremi si rabbuiò all’istante, assumendo un’aria scettica.
«Non dirmi che anche tu hai già un compagno per il ballo.»
Disse scherzosamente, aspettando una risata che non arrivò.
«In verità è proprio così.»
Sussurrò Melody, avvampando.
«Eh? Come sarebbe a dire, tu non fai neanche parte della mia scuola! Se è uno scherzo sappi che non fa affatto ridere.»
«In verità mi ha invitata un ragazzo che frequenta la scuola media pubblica.»
Dovette attingere a tutto il coraggio che aveva in corpo per farle quella rivelazione. Doremi spalancò gli occhi e si poggiò le mani sul viso in una posa che ricordava tantissimo l’urlo di Munch.
«Come sarebbe a dire? Tu non frequenti la mia scuola e trovi un compagno ed io invece passo del tutto inosservata! Chi sarebbe questo ragazzo?»
Strillò. La castana divenne paonazza. Deglutì prima di sussurrare il suo nome.
«Masaru.»
Doremi si congelò. Certo, sapeva che tra quei due c’era del tenero, era stato così sin dai tempi delle elementari, ma apprendere la notizia in quel modo l’aveva spiazzata. Non avrebbe saputo dire esattamente quale parte la sconvolgesse maggiormente: se il fatto che la sua migliore amica da sempre glielo avesse taciuto, o se invece fosse stato il fatto che quei due avevano continuato a fare i piccioncini in segreto. Non ci riusciva davvero ad immaginarsi Melody e Masaru al centro di una pista da ballo a volteggiare e scambiarsi chiacchiere. Le venne quasi da ridere, immaginandosi il ragazzo con abiti eleganti che guidava Melody sottobraccio davanti agli occhi di tutta la scuola. Vedeva l’amica indossare uno dei tanti vestiti merlettati che invadevano il suo armadio. Doveva essersi lasciata sfuggire un sorrisino, perché Melody, con il viso ancora in fiamme, si affrettò a chiederle cosa ci fosse di tanto buffo.
«Proprio nulla, lo giuro!»
Melody si mise le mani sulle orecchie.
«Ecco hai visto? Ti stai prendendo gioco di me, ecco perché Makoto non vuole confessarti chi sia il suo accompagnatore!»
Urlò, socchiudendo gli occhi e scuotendo la testa da una parte all’altra. Doremi agitò le mani davanti a sé in senso di diniego, mentre una gocciolina le scendeva sulla fronte.
«Ma no, cosa dici? Non mi prendo affatto gioco di te, non lo farei mai,lo giuro, parola mia, croce sul cuore, è solo che è un po’strano immaginarvi insieme, tutto qui.»
Melody finalmente si fermò, anche se la testa le girava a causa di tutto quel movimento.
«Perché mai dici così? Pensi forse che formiamo un brutto duo?»
La rossa notò bene che Melody si era guardata bene dal pronunciare la parola “coppia”, ma pensò saggiamente di non farglielo notare.
«Al contrario, penso che tu sia l’unica persona al mondo in grado di stare al suo fianco.»
Quelle parole fecero calare il silenzio nella stanza, e fu come se rimasero sospese per aria a riecheggiare. Melody non riusciva a dire niente e Doremi credette che fosse il momento giusto per dare una piccola spintarella all’amica, sperando che le sue parole la facessero sentire meglio.
«Tu sei la sola a cui Masaru abbia mai dato retta, hai sin da sempre un’ascendente su di lui. Vedervi insieme sarà forse strano all’inizio, ma poi finirò per farci l’abitudine. In questo momento non dovresti preoccuparti del parere delle altre persone, me inclusa. Ti conosco da tanti anni, quando mai hai lasciato che il giudizio di terzi si intromettesse tra te e la tua felicità?»
Gli occhi di Melody brillarono impercettibilmente. Afferrò le mani della sua migliore amica e la guardò intensamente senza dire nulla, lasciando che il suo sguardo esprimesse tutta l’ammirazione e la gratitudine che non riusciva ad esternare con le parole.
«Scusami per quello che ho detto prima. Sei una persona molto comprensiva Doremi, ed io ti ringrazio per l’appoggio che mi stai dando.»
«Non devi affatto ringraziarmi, siamo migliori amiche, non potrei non essere dalla tua parte! Lo sai che faccio sempre il tifo per te, non è vero?»
La timida risata cristallina di Melody si espanse per l’aria, eliminando definitivamente ogni traccia di imbarazzo.
«Ma certo che lo so, e lo apprezzo tanto.»
Doremi socchiuse gli occhi e allargò le labbra in un sorriso.
«Voglio solo che tu sia felice, il resto non importa.»
«Lo stesso vale per me. »
 
Quella sera Doremi passò da casa di Makoto prima di rientrare. Muovendosi con cautela per non attirare l’attenzione su di sé, si avvicinò al cancello di casa Kyosuke e con l’agilità di un felino infilò una piccola busta nella cassetta per le lettere. Infine suonò il campanello e corse a tutta velocità lontana da quel luogo, nascondendosi dietro l’angolo più vicino.
«Chi è? C’è nessuno?»
Riconobbe la voce dell’amica a distanza, ma non fiatò.
Makoto stava per chiudersi la porta alle spalle, convinta che qualcuno cercasse di fare lo spiritoso. Prima di farlo però, notò una piccola busta gialla che fuoriusciva dalla buca lettere. Striscò le pantofole sul vialetto e afferrò la lettera.
“Volevo scusarmi per l’insensibilità mostrata oggi nei tuoi confronti. Se non ti senti pronta a rivelarmi il nome del ragazzo con cui verrai al ballo, io non insisterò. Ricordati però che puoi sempre contare su di me.
         Con affetto,
Doremi.”

 
DIZIONARIO (JUST IN CASE)
Periodo Hesei* Periodo della storia giapponese che va dal 1989 ad oggi.
 

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Capitolo 34
*** Il ballo ***


- IL BALLO -
 
Makoto continuava a rifiutarsi di rivelarle il nome del suo accompagnatore, ma come promesso, Doremi si astenne dal darle il tormento, rispettando così la sua decisione di mantenere il silenzio. Si disse che l’ avrebbe scoperto il giorno del ballo, a meno che lei non intendesse nasconderlo da occhi indiscreti posizionandogli un lenzuolo sulla testa.
«A proposito, quasi me ne dimenticavo. Ieri Shin mi ha detto che sarebbe ben disposto a venire insieme a te, se lo desideri.»
Le aveva confessato quel giorno, poco dopo essere entrate in classe. Doremi fece un grande sorriso.
«Digli pure che lo apprezzo tantissimo, è molto gentile da parte sua, ma rifiuto il suo invito.»
Makoto spalancò gli occhi con incredulità.
«E perché mai? Sarebbe l’occasione perfetta di dimostrare all’intera scuola che tu non sei una bugiarda, mettendo finalmente a tacere quell’impostore di Ryuji!»
«Ammetto che mi farebbe molto piacere vedere la vergogna dipinta sul suo volto, ma non me la sento di accettare. Shin ha una ragazza.»
«Ma non lo sa nessuno.»
Insistette Makoto.
«Lo so io. Non voglio che qualcuno mi inviti solo perché gli faccio pena, mi capisci?»
Makoto la comprendeva benissimo, e invidiava un po’ la sua forza di volontà.
«Preferisco andare da sola, sono certa che mi divertirò ugualmente. E poi, al di là di tutto, ci sarai tu e ci sarà anche Melody. Sono certa che avremo modo di chiacchierare insieme, e perché no? Anche di ballare.»
La castana annuì. Era certa che non avrebbe avuto molto da condividere insieme a Tetsuya, quindi l’idea che la sua amica fosse lì per lei la rallegrava.
«Sempre che il tuo ragazzo ti molli per un minuto o due.»
Aggiunse infine Doremi, guardandola di sottecchi con aria sorniona.
«Ma cosa ti viene in mente? Prima di tutto non è affatto il mio ragazzo, e poi non credere che io sia il tipo da passare tutta la serata attaccata ad un ragazzo!»
Le urlò contro con veemenza, arrossendo lievemente. Doremi non capì se il rossore fosse causato da imbarazzo o collera, ma nel dubbio preferì non dire nient’altro.
«Ad ogni modo, sai una cosa? Anche se andrò da sola sono contenta. Mi sono impegnata a fondo per rendere la palestra accogliente ed elegante, non mi perderei le espressioni stupite dei miei compagni per nulla al mondo. Sarò anche una pasticciona combina guai, ma quando mi ci metto do del mio meglio.»
«Questo è lo spirito Doremi!»
La incoraggiò Makoto, lieta di vedere la sua amica in ottima forma.
 
 
La sera del ballo Doremi indossò un vestitino scamiciato color rosa pallido con delle rifiniture color rosa shocking che facevano da contrasto. Le scarpe erano comode e basse, anch’esse rosa, a cui aveva abbinato delle calzette bianche con dei fiocchetti dello stesso colore dell’abito. Per quella sera decise di sciogliere i suoi odango. I capelli lisci le ricadevano sopra le spalle incorniciandole il viso. Erano cresciuti tanto, le arrivavano quasi all’altezza del fondoschiena. Decise che li avrebbe tagliati presto. Per dare un ultimo tocco, applicò delle forcine luminescenti sulla testa. Si guardò allo specchio, sentendosi diversa dal solito.
«Sei quasi una signorinella ormai.»
La voce di sua madre la raggiunse alle sue spalle. Doremi si voltò e la scorse sull’uscio della sua camera mentre la fissava con aria nostalgica.
«Mi sembra ieri quando ancora mi chiedevi aiuto per vestirti, e guardati adesso. Sei una bellissima ragazza.»
Doremi le rivolse un sorriso impacciato, grattandosi la testa.
«Ma cosa dici? Non ho nemmeno compiuto dodici anni ancora…»
«Sai una cosa? Manca ancora un dettaglio.»
Disse Haruka alla figlia, prima di sparire dalla vista e riapparire poco dopo con uno scatolo di dimensioni minuscole.
«Questa fa decisamente al caso tuo, non trovi?»
Doremi aprì l’involucro che sua madre le porse e vide una piccola collana d’argento con al centro una perla.
«Ah? Ma è bellissima mamma!»
Esclamò, mentre la donna le allacciava la catenina al collo.
«Visto? Ho ancora bisogno di te, anche se sono cresciuta!»
Le sussurrò all’orecchio mentre l’abbracciava con gratitudine. Haruka dovette fare uno sforzo enorme per trattenere le lacrime che le offuscavano la vista.
 
 
Quando arrivò al ballo scorse diversi studenti che conosceva già, anche se non riusciva ancora a trovare Makoto. Fece una passeggiata per tutto il locale, salutando alcuni compagni e fermandosi a parlare con la professoressa Asami, che l’aveva riconosciuta a stento.
«Questa capigliatura ti dona molto, lo sai? Credo che dovresti sciogliere i capelli più spesso, ti danno un’aria più matura.»
«Trova? Io mi sento un po’ a disagio.»
Le confessò Doremi.
«E perché mai?»
La loro conversazione fu interrotta dall’arrivo di Melody e Masaru. Il ragazzo aveva la solita espressione vacua, Melody invece sorrideva allegramente, anche se Doremi poté scorgere una punta di imbarazzo su entrambi i volti.
«Mi scusi, quella è la mia migliore amica, vado a salutarla.»
Disse, congedandosi dall’insegnate con un inchino. Aspettò che Melody la vedesse, prima di correre nella sua direzione.
«Sei bellissima.»
Le disse con sincerità, ammirando il completo arancione (e privo di merletti) che indossava l’amica. Melody le rivolse un’occhiata radiosa, prima di ringraziarla. Masaru invece aveva optato per un paio di jeans ed una camicia chiara, niente di troppo elegante, ma che tuttavia lo rendeva piacevole alla vista.
«Masaru mi sembra un po’ nervoso.»
Le sussurrò ad un orecchio mentre il ragazzo non le guardava.
«Beh, non è il solo.»
Confessò Melody, arrossendo.
«Non fare quella faccia, cerca di divertirti stasera, intesi?»
L’amica annuì.
Prima che Melody avesse il tempo di dire qualcos’altro, notò che Doremi aveva appena spalancato la bocca in un’espressione incredula. La castana si voltò, cercando la ragione dello sgomento dell’amica. Poco lontano avevano fatto il loro ingresso Makoto e Tetsuya.
«Non ci posso credere!»
Urlò Doremi, prima che Melody le tappasse la bocca.
Makoto indossava una maglietta verde acqua ed una gonnellina a pieghe blu scuro. Tetsuya invece aveva addosso un paio di pantaloni scuri ed una T-shirt azzurra di buona fattura.
«Doremi smetti di comportarti in questo modo, ricordati la promessa che le hai fatto!»
Le rammentò Melody, allontanandola dal centro della pista. Doremi le fu molto grata, se Makoto l’avesse vista fare quell’espressione stupida, sicuramente si sarebbe sentita molto a disagio.
«Sì, hai ragione, scusa, ma che mi è preso?»»
 Domandò più a sé stessa che a Melody, con lo sguardo ancora fisso su quei due. Melody la guardò con un’espressione preoccupata.
«Ascolta,  dimmi la verità… Ti senti bene?»
Le domandò con un tono di voce fin troppo pacato.
«Certo che sì, perché non dovrei? È solo che non mi aspettavo certo che quei due facessero coppia insieme. Sono stata sorpresa, ecco tutto, ma adesso va molto meglio.»
Disse con un largo sorriso, anche se l’amica non parve affatto convinta della cosa.
«Sei sicura? Guarda che a me puoi dire la verità.»
«Eh? Di cosa parli?»
Domandò Doremi, rivolgendole la sua completa attenzione. Melody temporeggiò, pensando al modo migliore di chiederle se la ferisse vedere Tetsuya in compagnia della sua compagna.
«Quello che intendo è che…»
«Ah Doremi, eccoti!»
La voce squillante di Makoto le raggiunse, ponendo fine alla conversazione.
«Makoto, che piacere vederti!»
Le sorrise di rimando Doremi, che pareva sinceramente felice di incontrarla. Melody ebbe il tempo di nascondere la sua preoccupazione, prima di salutare i due appena arrivati.
«Quindi è lui il ragazzo segreto di cui non volevi parlarmi!»
Le sussurrò all’orecchio, vedendola arrossire.
«Sta tranquilla, non ho alcuna intenzione di prenderti in giro.»
La rassicurò facendole l’occhiolino.
«Poniamo fine ai nostri screzi, almeno per stasera?»
Domandò Doremi al ragazzo, tendendogli una mano in segno di pace. Tetsuya parve sorpreso da quel gesto. Rimase immobile per una manciata di secondi, studiando la sua figura.
«Ehm… sì.»
Disse infine afferrando la mano di Doremi, senza riuscire a staccarle gli occhi di dosso. Sembrava così diversa.
«Adesso devo correre a cercare Marina, cercate di divertirvi!»
Si raccomandò ai due, allontanandosi con passo svelto.
Melody seguì l’amica nella folla.
«Cosa pensi di fare tu? Ti ricordo che sei qui in compagnia di Masaru, smettila di seguirmi e va’ a cercarlo, non vorrai mica che si annoi!»
Le consigliò Doremi, rivolgendole il più radioso sorriso che le avesse mai visto. Melody rimase ferma dov’era, poi l’afferrò per una spalla, costringendola a voltarsi per guardarla in viso.
«Se dovesse succedere qualcosa, ti prego dimmelo.»
Quelle parole suonavano decisamente bizzarre, ma lei non aveva alcuna voglia di trattenerla, per cui si limitò a farle un cenno d’intesa, prima di percorrere la palestra a grandi passi alla ricerca di Marina.
“Certo che si comporta in modo strano. Prima mi chiede se va tutto bene, poi mi dice di andare da lei se dovesse succedere qualcosa. Cosa mai dovrebbe succedere? Tutti si stanno divertendo, lei è in compagnia di Masaru e Makoto è qui insieme a Tetsuya. Chi l’avrebbe detto che quei due se la intendessero? Devo ammettere che sono stati bravi a nasconderlo, forse è per questo che alla fine hanno smesso di allenarsi insieme, per non dare nell’occhio.”
Rifletté Doremi, mentre volgeva lo sguardo a destra e a manca alla ricerca della brunetta.
“Però ammetto che è strano vederli insieme, anche se non riesco a capirne il motivo.”
Si diceva mentre la musica ad alto volume le impediva quasi di udire i suoi stessi pensieri.
Trovò Marina poco distante, in compagnia del loro vecchio compagno di classe, Takao.
«Questa poi, anche tu qui?»
Aveva domandato al ragazzo, fissandolo come se avesse appena visto un fantasma. Marina e Takao abbassarono lo sguardo con espressione colpevole.
«Beh, sì…»
Confessò infine Marina, diventando rossa. Takao si grattò la testa, cercando qualcosa da dire.
«Ho saputo che c’è il tuo zampino dietro a tutto questo… Complimenti!»
«Non cambiare discorso, signorino! Guarda che non mi lascio distrarre dai tuoi elogi!»
Lo sgridò scherzosamente, emettendo una grassa risata.
«Sono felice di vedervi insieme, formate davvero un bel… duo.»
Disse, ricordandosi le parole di Melody.
«Avete visto che ci sono anche Melody e Masaru? Ed anche Makoto e Tetsuya…»
«Che cosa?»
Urlò Marina con stupore.
«Doremi, ti senti bene?»
Domandò con la stessa espressione preoccupata che le aveva rivolto Melody poco prima.
«Certo che sì, perché vi comportate tutte in modo così insolito oggi?»
«No è che… Non è niente, non preoccuparti.»
La rassicurò Marina, agitando le mani di fronte a lei. Anche Takao parve stupito dalla notizia.
«Chi è Makoto?»
Chiese ad entrambe.
«Una nostra nuova compagna di classe.»
Si affrettò a tagliar corto Marina.
«Pensavo che Tetsuya nutrisse interesse nei confronti di…»
Prima che il ragazzo potesse terminare la frase, Marina lo trascinò di peso verso la zona buffet, dichiarando di avere appetito e di voler assolutamente mettere qualcosa sotto i denti. Doremi li osservò allontanarsi e scambiarsi occhiate d’intesa. Si chiese perché mai fossero tutti così strampalati quel giorno.
«Ah, ciao ragazzi, che piacere rivedervi insieme!»
Salutò infine Sugiyama e Oota, i suoi vecchi compagni delle elementari, ex componenti del trio SOS.
«Ciao.»
Sugiyama ricambiò il saluto con tono grave.
«Che succede? Perché hai quella cera?»
«Sai cosa ti dico Oota? Adesso corro a dirgliene quattro!»
Senza attendere la risposta dell’amico, Sugiyama mosse dei passi verso Tetsuya e Makoto, che erano rimasti in disparte e a malapena si scambiavano la parola.
«Questa non me la perdo!»
Commentò Oota concitato seguendolo, e Doremi si trovò suo malgrado costretta a stargli dietro.
«Ehi, ma che gli prende?»
Quando Sugiyama si trovò di fronte a Tetsuya lo indicò con un dito e iniziò ad urlargli contro.
«Ti sembra il modo corretto di comportarti?»
Il ragazzo dai capelli azzurri parve disorientato.
«Di che parli?»
«Non ci arrivi o cosa?»
Tetsuya rimase in silenzio.
«Non fare il finto tonto con me, dovevi proprio presentarti con Makoto? Perché non sei venuto con Doremi? Lo sappiamo tutti quanti che hai un debole per lei sin dai tempi delle elementari!»
Per Tetsuya fu come fare una doccia fredda. Makoto e Doremi spalancarono gli occhi in contemporanea, mentre Oota se la rideva sotto i baffi, incitando l’amico.
«E non guardarmi come se fossi un alieno, reagisci!»
Strillò furiosamente, brandendo il pugno sotto al naso.
«Mi hai sentito Tetsuya? REAGISCI!»
Disse con rabbia, spintonandolo.
«Adesso basta, smettetela!»
La voce di Doremi superò quella di Sugiyama. Si parò in mezzo ai due ragazzi, allargando le braccia. Era arrabbiata come non mai, cosa diamine gli era venuto in mente?
«Sugiyama, smetti di comportarti in questo modo ridicolo, stai guastando l’umore di tutti quanti. E tu Tetsuya, rispondigli per piacere, digli che non c’è niente di vero nelle sue insinuazioni!»
Doremi attese, ma le parole del ragazzo non vennero fuori. Fissava il compagno con un’espressione carica di odio.
«Sai cosa ti dico? Io me ne vado, sentiti pure libero di passare il resto della serata con Makoto!»
Poi aggiunse, rivolgendosi alla ragazza.
«Anzi ti chiedo scusa per averti rovinato la serata, lo so che non ti stavi affatto divertendo, quindi non credo ti spiacerà se adesso tolgo il disturbo!»
Fece per allontanarsi, ma Doremi lo bloccò per un braccio.
«Dove credi di andare? Devi dirgli che si sbaglia, hai capito? In questo modo sta ferendo i sentimenti  di Makoto,e sta umiliando entrambi. Digli che si sbaglia!»
Tetsuya la guardò dritta negli occhi. Aveva un’espressione determinata che Doremi non gli aveva mai visto. In quel momento si rese conto che quei due non si parlavano già da quasi cinque mesi, era strano trovarsi così vicina a lui, a litigare un’ennesima volta.
«Io non devo dimostrare proprio niente a nessuno!»
Con quelle ultime parole, scansò la mano di lei e percorse la sala a grandi passi, sparendo dalla loro vista. Gli occhi di Makoto luccicarono. Prima ancora che Doremi potesse dirle qualcosa, Makoto corse nella direzione opposta a quella di Tetsuya.
«Makoto, dove vai? Torna qui!»
Le corse dietro, ma l’amica fu più veloce di lei e sparì nel nulla.
Melody e Marina la raggiunsero.
«Doremi, che succede? Stai bene?»
Le lacrime le rigavano il viso,mentre scuoteva impercettibilmente la testa.
«Tutti voi lo sapevate, non è vero?»
Era certa che avessero assistito alla scena, altrimenti non sarebbero corse a consolarla. Le due ragazze tacquero, anche se la loro espressione tradivano la colpevolezza.
«Tutti voi lo sapevate, tranne me.»
Aggiunse, cominciando a singhiozzare.
«Sono una stupida!»
«Doremi…»
Iniziò a dire Melody, scuotendola gentilmente.
«Sono una stupida… Ho rovinato tutto!»
 

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Capitolo 35
*** Una notte da (non) ricordare ***


-UNA NOTTE DA (NON) RICORDARE-
 
Doremi era rimasta piegata a terra senza la forza di risollevarsi. Calde lacrime le rigavano il viso e le cadevano sulle mani che teneva poggiate sulle sue gambe.
«Si può sapere che cosa ti é saltato in mente?»
Ad interrompere i suoi singhiozzi, resi muti dagli amplificatori del deejay, era stata la profonda voce di Masaru. Doremi si voltò a guardarlo. Stava inveendo contro Sugiyama, che teneva il capo chino senza dire nulla.
«E adesso smettila di tenere gli occhi bassi, fingendo che tu abbia poco a che fare con quanto successo, te la sei cercata! Ma cosa diamine ti è venuto in mente? Hai idea di quanto possa essersi sentita stupida Makoto? Ti rendi conto dell´ umiliazione inflitta a Tetsuya? E hai riflettuto sull’effetto che le tue parole avrebbero potuto avere su Doremi? »
sbraitò il ragazzo dai capelli verdi, mentre il resto dei presenti guardava la scena senza proferire parola. Melody stringeva i pugni e faticava a trattenere la rabbia, si sentiva in qualche modo responsabile del malessere dell´amica. Marina si aggrappava al braccio di Takao, come se traesse conforto da quel contatto. Oota adesso non rideva più, si era fatto improvvisamente serio, e avvertiva i sensi di colpa; se solo avesse fermato Sugiyama, invece di incitarlo, forse tutto questo non sarebbe successo.
«Hai rovinato la serata a tutti quanti.»
Concluse Masaru, rivolgendogli uno sguardo di puro disprezzo. Con cautela si avvicinò a Doremi, ancora piegata sulle ginocchia, e le poggiò una mano sulla schiena. La rossa avvertì tutto il calore di quel gesto, senza però riuscire a placare i suoi tremori. Masaru si piegò accanto a lei e le parlò con una dolcezza che non pensava gli appartenesse.
«Su alzati, adesso io e Melody ti accompagneremo a casa.»
Non appena sentì pronunciare il suo nome, Melody scattò e si avvicinò a Doremi, imitando il gesto del suo accompagnatore.
«Coraggio, ci siamo noi due qui con te.»
Marina fece per dire qualcosa, ma la castana la bloccò con lo sguardo. La bruna sembrò capire il tacito messaggio che le aveva lanciato e si cucì la bocca.
«Makoto mi odierà.»
Le sentirono dire con la voce ridotta a un sussurro.
«Ed anche Tetsuya.»
La sua voce s´incrinò mentre lo disse, ma nessuno ci fece caso.
«Non dire sciocchezze, Makoto non ti odia affatto. Vedrai che avrete modo di chiarirvi presto.»
Le disse Melody con dolcezza, porgendole una mano per aiutarla a sollevarsi.
«Sai meglio di me che un’amicizia non termina per cose di questo genere, sei d’accordo con me? Coraggio, andiamo a prendere un po’ d’aria fresca.»
La incitò un’ultima volta. Quando Doremi si resse finalmente sulle gambe, Masaru la condusse verso l’esterno. Melody rimase indietro e si rivolse a Marina.
«È meglio se tu e Takao vi occupiate di Sugiyama.»
Le suggerì, dando un’occhiata al ragazzo. Aveva il volto cereo e gli occhi spenti. Il solito guizzo allegro che gli illuminava losguardo era sparito, così come il suo caratteristico sorriso.
«Non volevo veramente dire quelle cose spiacevoli, ero solo arrabbiato.»
Si giustificò, guardando un punto impreciso oltre le loro teste.
«Fra tutti, perché doveva essere proprio lui a stare con Makoto? Insomma, pensavo che questa fosse la volta buona, credevo che avrebbe finalmente confessato a Doremi che…»
Non terminò la frase. Abbassò lo sguardo e si fissò i piedi.
«Lo sto rifacendo.»
«Sai Sugiyama? Anche se tutti noi eravamo ben consapevoli della faccenda, hai commesso un errore molto grave nello spiattellarle tutto in faccia in quella maniera.»
Gli fece notare Marina, anche se le sue parole non suonavano affatto come un’accusa.
«Evidentemente quei due avevano bisogno di più tempo. Forse Doremi lo avrebbe scoperto, forse invece no, ma non spettava a te intrometterti, non spettava a nessuno. Tetsuya sarà anche uno sbruffone il più delle volte, ma cela un animo sensibile.»
«Ma perché allora non ha semplicemente negato?»
Urlò Sugiyama con rabbia, pestando il pavimento sotto di sé.
«Forse perché è stanco di mandare avanti questa messinscena. Forse quando gli hai detto che tutti noi eravamo a conoscenza della cosa si è sentito talmente a disagio che ha preferito non replicare.»
«Sarà meglio che il prossimo anno cambi classe, non sarei capace di gestire la tensione fra tutti e quattro.»
Dichiarò, sinceramente preoccupato.
«Io credo che prima di prendere delle decisioni così drastiche dovresti prima tentare di chiarire con ognuno degli interessati.»
Sugiyama la guardò come se non comprendesse la sua lingua.
«Guarda l’unico lato positivo, peggio di così no può certamente andare!»
 
 
Doremi attendeva fuori insieme a Masaru. L´aria fresca della notte le sferzava sul viso scompigliandole i capelli sciolti che ricadevano in maniera ribelle sul suo viso tondo.
Melody li aveva raggiunti poco dopo, affibbiandosi il cappotto grigio.
«Non voglio andare a casa.»
Esordì Doremi con voce roca, pensando alla preoccupazione che avrebbe inflitto a sua madre se fosse tornata a casa prima del previsto.
«Dove preferiresti andare?»
Domandò Melody con semplicità, come se si aspettasse quella risposta.
«Voglio andare al parco.»
«E allora andremo al parco.»
Dichiarò Masaru senza batter ciglio, incrociando le braccia dietro alla testa.
Doremi non poté fare a meno di notare che la stava trattando con estrema dolcezza, e un po’  la sorprese ro quei modi così affabili da parte di un ragazzo all´apparenza tanto scontroso. Sentì una fitta al cuore quando realizzò di averlo sempre giudicato senza nemmeno conoscerlo veramente. Ora che ci faceva caso, poteva finalmente capire cosa ci trovasse l’amica in lui, e notò che in fondo quei due non erano poi tanto dissimili nel carattere. Masaru si stava dimostrando tanto gentile e altruista quanto Melody.
«Davvero lo sapevate tutti?»
Domandò dopo essere arrivati al parco. Melody e Masaru si scambiarono un’occhiata e sembrò quasi che stessero comunicando telepaticamente. Il silenzio che seguì quella domanda non le lasciò alcun dubbio in proposito.
«Perché nessuno mi ha mai detto niente?»
«Perché qualsiasi cosa ci fosse tra voi due, non era certamente affar nostro.»
A rispondere era stato Masaru, che adesso le rivolgeva un’occhiata penetrante.
«Ci sono cose nella quale non bisognerebbe mai ficcare il naso. Se Tetsuya non ha mai avuto il coraggio di confessartelo prima, perché avrebbe dovuto farlo qualcun altro al suo posto?»
Calò un silenzio innaturale, rotto solo dal brusio leggero del vento. A Melody parve che quelle parole suonassero  troppo aggressive, per cui decise di intervenire per addolcire la pillola.
«Il fatto è che avremmo solamente creato imbarazzo tra di voi. Tetsuya non l’ha mai veramente ammesso a voce alta, quindi non era il caso di metterlo a disagio, non trovi? E poi tu come l’avresti presa? Non credo tu abbia mai pensato a lui come a qualcosa di più di un semplice amico, o mi sbaglio?»
Doremi scosse impercettibilmente la testa. Perché mai avrebbe dovuto? Loro due avevano un rapporto complicato di amore e odio, ma finiva tutto entro i limiti dell’amicizia. O almeno così credeva.
«Se lo avessi saputo…»
Iniziò a dire, ma Masaru la interruppe.
«Cosa avresti fatto? Adesso lo sai, no? Cosa pensi di fare?»
«In realtà ciò che intendevo è che, se l’avessi saputo, mi sarei comportata diversamente nei suoi confronti.»
«Ormai però è troppo tardi. Adesso che lo sai, cosa pensi di fare?»
Domandò nuovamente Masaru, gli occhi verdi scintillavano sotto il bagliore della luna.
“Cosa intendo fare? Beh, niente. Tra me e Tetsuya non potrebbe mai nascere nulla, siamo due tipi troppo diversi. I nostri caratteri ci impediscono di relazionarci normalmente, e poi non provo affatto quel sentimento per lui. Se negli anni non si fosse comportato in questo modo, forse sarebbe diverso, ma dopo tutte le marachelle che mi ha fatto, i perfidi soprannomi che mi ha affibbiato, le volte che mi ha derisa… Io non ci riesco proprio a pensare a lui come a qualcosa di più intimo.”
Pensò tra sé e sé, senza esternare a voce i suoi veri sentimenti.
“Certo, è un bravo ragazzo, lo so bene… Ma non basta solo quello.”
«Forse adesso è meglio rientrare.»
La voce di Melody la scosse dal torpore in cui era sprofondata.
«Se camminiamo lentamente, arriveremo a casa tua nel giro di quindici minuti.»
Aveva detto a Doremi.
«Che ora è?»
Domandò, guardando svogliatamente il suo polso sinistro. Rabbrividì quando si trovò sotto agli occhi l’orologio che le aveva regalato proprio lui per Natale.
“Non significa niente, lo ha fatto solo perché era il mio Babbo Natale segreto, altrimenti non si sarebbe neppure preso il disturbo.”
Abbassò lo sguardo senza neppure aver verificato l’ora.
I tre camminavano senza parlare, il silenzio era rotto solamente dal rumore delle suole delle scarpe che calpestavano il terreno asfaltato.
Quando arrivarono davanti casa Harukaze, si fermarono.
«Volevo ringraziarvi per esservi presi cura di me stasera. Mi spiace avervi rovinato la serata.»
Abbassò il capo in un inchino un po’ imbranato.
«Non devi preoccuparti di questo, l’unica cosa che importa è che tu stia bene!»
Melody le prese le mani e la guardò con intensità.
«Promettimi di non pensarci, d’accordo? Adesso che la scuola è finita, tu e Tetsuya non vi incontrerete più così spesso, quindi smetti di preoccuparti. Vedrai che il tempo sistemerà le cose.»
Doremi fece un sorriso tirato ed annuì , prima di voltar loro le spalle e rifugiarsi in casa.
Salì di corsa le scale e aprì la porta della sua camera, ignorando la voce di sua madre. Quando si trovò davanti allo specchio quasi trasalì. Aveva dimenticato di avere sciolto i capelli, e persino di indossare la bellissima collana con una perla che le aveva donato sua madre. Si sentì stupida, dentro quel vestito, in fondo era rimasta al ballo poco più di mezz’ora. Si spogliò lentamente, sentendosi molto più a suo agio nel comodo pigiama di cotone e poi si gettò di peso sul letto. Sperava di addormentarsi in fretta, in modo da non dover più concentrarsi sugli avvenimenti della serata, eppure, suo malgrado, non riusciva a distogliere il pensiero da Tetsuya.
 
 
Masaru stava riaccompagnando Melody a casa. La ragazza non aveva aperto bocca da quando erano rimasti da soli, forse anche lei, come lui, ripercorreva mentalmente la serie di eventi che si erano susseguiti quella sera, e che gli avevano risparmiato l’imbarazzo di ballare insieme.
«Non è stata la serata che ti aspettavi.»
Le disse. Non era una domanda. Melody scosse la testa.
«Affatto. Credo di non essere in grado di immaginare qualcosa di più catastrofico.»
Disse alzando lo sguardo. La luce si riflesse dentro ai suoi occhiali, nascondendole gli occhi.
«Mi chiedo come finirà tra quei due.»
Gli confessò tendendo lo sguardo rivolto al cielo.
«Beh, staremo a vedere, inutile preoccuparsene adesso.»
Scrollò le spalle Masaru, col suo solito tono noncurante. Melody non ci cascava, sapeva bene che anche lui non riusciva a togliersi quel dubbio dalla mente. Il modo in cui aveva sgridato Sugiyama, l’appoggio che aveva offerto a Doremi, quei gesti non appartenevano ad un menefreghista.
«Ti ringrazio per avermi accompagnata.»
Disse Melody una volta che si fu trovata davanti al portone di casa.
«Non potevo lasciarti andare da sola.»
Lei gli sorrise con gratitudine.
«Allora ci sentiremo presto.»
Disse, prima di voltarsi per congedarsi, salendo i gradini della sua abitazione.
«Aspetta, dimenticavo una cosa.»
Melody scese un gradino e tornò ad essere più bassa di lui.
«Che cosa?»
Prima che potesse accorgersene, Masaru le si avvicinò per sfiorarle le labbra con le sue. Fu un attimo breve durato un secondo o forse anche meno. Poco dopo le stava di nuovo di fronte e, subito dopo, sparì nel buio correndo verso casa. Melody rimase interdetta, incapace di dire una parola. Si toccò la bocca, chiedendosi se fosse realmente successo o fosse tutto frutto della sua immaginazione.
Eppure il sapore di Masaru lo sentiva ancora.

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Capitolo 36
*** Un invito inaspettato ***


-UN INVITO INASPETTATO-
 

 
Anche se erano iniziate le vacanze estive, la mattina dopo il ballo scolastico Doremi si alzò di buon’ora per andare a parlare a Makoto. La notte precedente era riuscita a stento a chiudere un occhio, e i suoi sogni erano stati tormentati dalla presenza di Tetsuya, cosa che aveva sgradito non poco.
Dato che non aveva fame, si limitò a bere un bicchiere di tè caldo prima di lasciare la sua abitazione. Mentre percorreva senza fretta le vie che l’avrebbero condotta a casa Kyosuke, continuava a tornarle in mente l’espressione sconvolta che aveva letto sul viso di Makoto la sera precedente.
Accelerò il passo, ripetendosi in mente il discorso che si era preparata. Nell’ultimo periodo Makoto si era rivelata un’amica preziosa e sincera, e Doremi ci teneva a preservare la loro amicizia a qualunque costo. Ad essere del tutto sinceri, non poteva negare d’essere un po’ risentita dal fatto che non le avesse rivelato qualsiasi cosa ci fosse tra lei ed il suo compagno storico, ma decise di scacciare i suoi dubbi, dicendosi che avrà avuto i suoi buoni motivi per tacere. Quando si trovò davanti il portone di casa suonò il campanello ed attese. Sentì un rumore di passi raggiungerla. Makoto aprì la porta e le due si guardarono come se si incontrassero per la prima volta. La sua reazione fu totalmente diversa da quella che si era aspettata Doremi, infatti l’amica le rivolse un largo sorriso.
«Sapevo che saresti venuta a trovarmi.»
Le confessò, chiudendosi velocemente la porta alle spalle ed invitandola a seguirla mentre s’incamminava in direzione del centro città.
«Ti dispiace se ci facciamo un giro?»
Doremi rimase spiazzata dal suo tono di voce. Sembrava che fosse pienamente a suo agio e che nulla di spiacevole fosse successo nelle precedenti ore.
«Ma certo.»
Percorsero in silenzio un lungo viale costeggiato da abitazioni private immerse nel verde. Makoto non sembrava per niente interessata ad affrontare l’argomento, ma Doremi non stava più nella pelle.
«A proposito di ieri…»
Iniziò a dire, ma venne bruscamente interrotta.
«Non c’è nulla da dire.»
Lo disse con freddezza, superandola. Dopo un secondo di titubanza, la rossa la seguì.
«Come sarebbe a dire? Io credo che invece ci siano tante cose da chiarire.»
Makoto si voltò, rivolgendole uno sguardo radioso.
«Ascolta, fingiamo semplicemente che non sia mai successo, d’accordo?»
Fece per voltarsi, ma Doremi le afferrò un polso, costringendola a fermarsi.
«Ho visto come stavi ieri, non fingere che non ti importi nulla.»
Un brivido percorse la schiena della castana, paralizzandola. Quando parlò, il tono incrinato della sua voce tradiva l’amarezza che provava.
«Ascolta, voglio solo che tu sappia che non sono affatto in collera con te. In verità sono stata una stupida a non notarlo subito, ora che ci penso è tutto così chiaro sin dall’inizio, mi chiedo come abbia fatto a non accorgermene.»
«Ma di che parli?»
«Di ciò che c’è tra te e Tetsuya, naturalmente.»
Disse senza espressione. La rossa fece una smorfia indecifrabile.
«Eh? Ti sbagli di grosso, tra noi non esiste proprio nulla!»
«Beh, da parte tua sarà anche così, ma ti assicuro che non vale lo stesso per quanto riguarda lui. Adesso che rivedo le cose con maggiore lucidità, posso affermare con certezza che fosse chiaro.»
«Smettetela tutti quanti di ripetere la stessa cosa!»
Urlò con frustrazione scuotendo la testa, parandosi di fronte alla ragazzina.
«Insomma, che mi dici di tutte le cose che ha fatto per te? Ad esempio quando vi allenavate insieme, e poi ti ricordo che è te che ha invitato al ballo!»
Makoto si arrestò e la fisso intensamente dentro agli occhi.
«Ha iniziato ad allenarsi con me solamente dopo tutte le pressioni che hai fatto alla squadra. E poi, ad essere sinceri, sono stata io ad invitarlo e non viceversa.»
Arrossì un po’ quando confessò quella verità.
Rimase leggermente spiazzata da quella confessione, ma decise di non darglielo a vedere.
«Ma lui ha accettato! Come lo spieghi?»
Domandò infine, convinta che l’argomento fosse chiuso.
«Ha accettato solamente perché credeva che andassi con Shin. Ci ho ripensato molto ieri sera, ed in effetti mi sono ricordata che il giorno in cui gli ho chiesto di accompagnarmi è stato lo stesso in cui tu hai rivelato all’intera classe di avere già un compagno. Mi riferisco al primo giorno di scuola dopo le vacanze natalizie, quando Tyuji ha scritto quell’infelice articolo sul tuo conto.»
Specificò, lasciando che le sue parole venissero assorbite.
«Doremi, la verità è che Tetsuya ha una cotta per te. Non so se questa sia davvero cominciata durante il periodo delle elementari, ma direi proprio che è così, a giudicare da quanto dicono i vostri ex compagni. Adesso che lo sai, penso sia più facile per te comportarti di conseguenza.»
«Ma si può sapere di cosa parli? Sembra che tutti vi aspettiate che io diventi la sua ragazza, smettetela!  Tra noi due non esiste proprio nulla. Siamo dei semplici compagni di classe, non c’è altro!»
Makoto la guardò come se parlasse una lingua aliena.
«Se lo fai solamente per me, perché credi che provi qualcosa nei suoi confronti, allora ti rassicuro sin da subito: è vero, all’inizio avevo un debole per lui, perché credevo che fosse un ragazzo generoso altruista, ma adesso mi sono resa conto che quell’aspetto del suo carattere era fine solamente ad attirare la tua attenzione!»
Fece un sorriso tirato, mentre una gocciolina le colava lungo la tempia.
«Inoltre, se non vi parlate, diventa di cattivo umore ed è praticamente impossibile stargli accanto, quindi ti prego di non sentirti in colpa.»
Doremi strinse i pugni ed emise un suono sgraziato, come un urlo a denti stretti.
«Ma come ti viene in mente una simile sciocchezza? Quante volte dovrò ripeterti che io non provo proprio nulla nei suoi confronti? Tetusya è un ragazzo cocciuto ed antipatico! Per lui ogni momento è ottimo per insultarmi e prendermi in giro, pensi sul serio che possa innamorarmi di un tipo del genere?»
Doremi stava praticamente urlando, e non si curava nemmeno degli sguardi sconvolti che le rivolgevano i passanti. Fissò Makoto con rabbia, ma la ragazza mantenne lo sguardo senza cedere.
«Sul serio non capisci che tutte queste cose le fa solamente per attirare la tua attenzione? Perché credi che con tutte le altre non si comporti in questo modo? Te lo dico io, perché non gliene importa nulla.»
Quelle parole la colpirono. Se l’avesse schiaffeggiata, forse avrebbe fatto meno male. Si sentì ancora più stupida, era corsa dall’amica con un discorso pronto a consolarla, ma alla fine la situazione si era completamente ribaltata e lei era rimasta senza parole.
Gli ingranaggi nella sua testolina misero a muoversi velocemente, e, per la prima volta, Doremi iniziò a pensare che ci fosse un fondo di verità in quell’assurda faccenda.
 
 
Poche ore Dopo trascinava pigramente i piedi verso casa. La mattinata con Makoto era stata stremante, seppure si fosse conclusa con un “lieto fine” che le aveva indotte a chiarirsi definitivamente. Tuttavia adesso un nuovo pensiero si faceva lentamente spazio nella sua mente, una nuova consapevolezza che era incapace di gestire: Tetsuya era innamorato di lei. Come avrebbe fatto a respingerlo senza ferirlo? Era il caso di andare a parlargli adesso o di aspettare fino alla fine delle vacanze estive? Ma, soprattutto, cosa mai avrebbe potuto dire? “Scusa ma ti trovo insopportabile?”
Era talmente concentrata sui suoi pensieri, che non si accorse dei petali di dente di leone che svolazzavano stancamente per aria, trascinati da una leggera brezza primaverile.
Quando tornò a casa era di pessimo umore e non aveva alcun appetito, sebbene non avesse messo nulla sotto ai denti nemmeno a colazione.
Aprì la porta di casa e si abbandonò sul pavimento, strisciando verso il piano di sopra come un verme.
«Ah, Doremi, sei tornata a casa finalmente.»
L’accolse la voce di sua madre, intenta a cucinare.
«Ehh.»
Fu la sua misera risposta.
«È arrivata una lettera per te stamattina, è proprio lì sul tavolo.»
«Ehhh.»
«Credo si tratti di un invito, ne sono arrivati due uguali, uno per te ed uno per Bibi. A proposito, dovrebbe rientrare anche lei tra un paio di minuti. Sai? Oggi il suo amico Kimitaka è tornato a Misora e lei ha pensato bene di fargli compagnia,non è adorabile? Credo che quel bambino piaccia particolarmente a Bibì.»
La informò con un sorriso, controllando il grande orologio da parete.
«Ahhh!»
Tornò sui suoi passi per afferrare la busta e si trascinò verso la sua stanza al piano superiore. Quanto era deprimente venire a sapere che sua sorella minore fosse in grado di gestire una relazione sentimentale meglio di lei?
«Sono… la ragazzina… più sfortunata della terra!»
Si auto commiserò, gettandosi sul suo letto a pancia in giù. Dal piano inferiore le arrivò la voce della sua sorellina minore ed ebbe modo di udire la stessa conversazione a proposito della lettera. Strappò svogliatamente il sigillo dell’invito gettando la cartaccia per terra, poi lesse il breve testo.
“Sei invitato al vecchio negozio di magia MaHo lunedì alle 16 in punto . Conto sulla tua presenza,
                                                                                                                                             Hanna”
Dovette rileggerlo altre due o tre volte prima di esser certa di aver compreso.
«CHE COOOOOSA?»
Urlò a pieni polmoni, e proprio nello stesso istante la porta della sua cameretta si spalancò e fece il suo ingresso Bibì. L’espressione sgomenta sul suo viso non lasciava spazio ai dubbi, anche lei aveva già letto l’invito.
«Ma cosa significa?»
Bibì sventolò il foglio di carta sotto al naso della sorella maggiore, che in meno di un secondo aveva già scordato Tetsuya ed il suo amore non corrisposto e si interrogava sul significato misterioso  di quelle poche parole.
«Non ne ho idea, ma la cosa non mi piace affatto!»
«Com’è possibile che Hanna venga nel nostro mondo? Che sia successo qualcosa nel Mondo delle Streghe?»
Ipotizzò la minore, portandosi le mani alla bocca e scuotendo la testa per allontanare quel brutto pensiero.
«Spero proprio di no! Ma come le viene in mente di informarci con una lettera?»
«Chi altri lo ha ricevuto? Contatta Melody e le altre.»
La incitò la piccolina, afferrando il cellulare e lanciandoglielo addosso.
Doremi mosse con rapidità le dita sui tasti consumati del suo apparecchio telefonico.
«Ecco qui, scegli destinatario… Fatto!»
Non passò molto prima che le arrivassero delle risposte. Sinfony aveva appreso la notizia nello stesso momento, ed anche lei aveva espresso la sua preoccupazione.
“Qualsiasi cosa sia successa, io non riuscirei comunque a raggiungere Misora. Eppure dovrebbe sapere bene che mi sono trasferita ad Osaka, visto che il postino ha recapitato la posta al nuovo indirizzo!”
Presto arrivò anche la risposta di Lullaby.
Credo che sia stata recapitata tramite la Magia. Anche io l’ho ricevuto, ma non ho modo di recarmi al MaHo, dal momento che dovrò lavorare.
Subito dopo fu il torno di Mindy.
“La faccenda è strana, ho ricevuto lo stesso messaggio, anche se mi trovo a New York. Cosa mai può voler dire?Hanna dovrebbe sapere che per noi tre è pressappoco impossibile presentarci all’appuntamento.”
E per finire, fu Melody a scrivere.
“In questo caso ci andremo solamente io, Doremi e Bibì. Vi contatteremo subito per informarvi delle novità, vi chiedo solamente di restare reperibili.”
Dopo aver ricevuto un ultimo SMS di conferma da parte di tutte, Doremi poté abbandonarsi alle congetture insieme alla sorellina.
«Spero non si tratti di nulla di grave, anche se non ne sarei così sicura.»
«Non promette nulla di buono. Dal momento che non siamo più né apprendiste né streghe, dovrebbe esserci vietato mantenerci in contatto. Dev’essere qualcosa di estremamente importante se ha deciso di convocarci con così poco preavviso, non trovi?»
Doremi guardò fuori dalla finestra abbandonandosi a mille supposizioni. Sebbene fosse giorno, si poteva scorgere uno stralcio di luna. La sera successiva ci sarebbe stata la luna piena, ne era certa.
“Hanna, che cosa sta succedendo?”

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Capitolo 37
*** La festa di compleanno ***


-LA FESTA DI COMPLEANNO-
 
Doremi, Melody e Bibì percorrevano il lungo viale che costeggiava il fiume dirette verso il MaHo.
«Ne è passato di tempo dall’ultima volta, non trovate?»
Domandò Doremi con le braccia incrociate dietro la testa, abbandonandosi ai ricordi.
«È già trascorso un anno da allora.»
Confermò Melody, rivolgendo un sorriso nostalgico verso il cielo.
«Pensate che abbiano di nuovo bisogno del nostro aiuto? Che ci faranno tornare apprendiste?»
Domandò Bibì, incapace di nascondere una punta di speranza.
«E chi lo sa? Certo sarebbe buffo, anche se non porterebbe a nulla.»
Fu la breve risposta di Doremi. Le due ragazze tacquero, rivolgendole uno sguardo curioso.
«Sapete? Non ho cambiato idea in proposito. Sì, non nego che mi sia capitato di aver desiderato di utilizzare la magia ancora una volta, ma alla fine sono riuscita a spuntarla anche da sola, facendo affidamento sulle mie sole forze. Tornei volentieri ad essere un’apprendista, perché no? Ma per nessun motivo al mondo sceglierei di diventare una strega a tutti gli effetti e di andare via dal nostro mondo.»
Melody sorrise, lieta di sapere di non essere la sola a pensarla in quel modo. Bibì, che inizialmente la guardò con stupore, allungò le labbra e fissò la sorella con ammirazione.
«Se tornaste ad essere apprendiste, per cosa utilizzereste la magia?»
Domandò Bibì, rivolgendosi ad entrambe.
«Io la userei per andare a trovare Sinfony, Lullaby e Mindy.»
Si affrettò a rispondere Doremi, come se avesse già premeditato quella risposta.
«Anche io la userei per la stessa ragione. Se fossimo apprendiste, sarebbe persino più facile rivedere Hanna.»
Aggiunse Melody, mentre le sorelle Harukaze annuivano.
Senza nemmeno accorgersene, avevano accelerato il passo e presto si trovarono di fronte alla grande struttura in mattoni che conoscevano fin troppo bene. Non era cambiato affatto dall’ultima volta che ci avevano lavorato, solo che adesso il portone d’ingresso era decorato con due palloncini colorati.
«Che cosa significa? Non si tratterà mica di una nuova inaugurazione!»
Chiese Melody allarmata.
«Non può essere, altrimenti significherebbe che ci sono delle nuove apprendiste!»
 Bibì si agitò, spalancando i grandi occhi rosa. Le tre scesero velocemente le scale d’ingresso e spinsero leggermente i battenti del grande portone d’ingresso.  Dall’interno proveniva della musica.
Quando la porta si spalancò, le ragazze dovettero strabuzzare gli occhi per l’incredulità.
«Questa poi...»
Affermò Bibì, osservando le decorazioni festive e le stelle filanti che ricadevano sulle pareti.
Davanti a loro si stagliava una figura femminile di spalle. Aveva più o meno la loro stessa altezza e dei lunghi capelli biondo oro. Quando sentì il cigolio della porta si voltò a guardarle in faccia, socchiudendo un poco i brillanti occhi castani circondati da perfette ciglia nere.
«Guarda un po’ chi si rivede. Ne è passato di tempo dal giorno della cerimonia del diploma.»
Disse scrutando dall’alto verso il basso le tre e soffermandosi a lungo su Doremi. Si poggiò una mano sul fianco e si avvicinò alle ragazze ondeggiando i fianchi. Doremi strabuzzò gli occhi.
«Che cosa ci fai tu qui, Reika
La bionda le rivolse un’occhiata velenosa.
«Per tua informazione, sono stata invitata! Avevo pensato di restarmene a casa, ma poi mi sono detta “che festa sarà mai senza di me?” e ho pensato di venire a portare un po’ di allegria a questo mortorio.»
Reika si ravvivò i capelli con fare teatrale.
«Non mi sorprende affatto trovarvi qui, ma credevo che foste insieme ad Hanna. Lei dov’è? Mi sembra strano ed anche piuttosto maleducato che non si sia fatta trovare qui per accogliere gli ospiti.»
Era la stessa domanda che frullava nella testa di Doremi e le sue amiche. Aprirono la bocca per dire qualcosa, ma un urlo improvviso attirò la loro attenzione.
«CHE BELLO, SIETE GIÀ ARRIVATE!»
Hanna le guardava dal soppalco del piano superiore. Con una velocità straordinaria scese le scale e si buttò tra le braccia di Doremi.
«Ci rivediamo, Doremi, finalmente ci rivediamo! Non sei felice di vedermi? Su, di’ qualcosa, smetti di fare quella faccia buffa.»
Doremi era rimasta senza parole, non riusciva a credere che Hanna fosse lì in carne ed ossa tra le sue braccia. Contrariamente a quanto si era aspettata, aveva le sembianze di una ragazzina della sua età, e non quelle da bambina dell’asilo.
«Che cosa ti prende? Perché non dici nulla?»
I suoi grandi occhi castani ebbero un leggero tremore mentre la guardava come se fosse un cucciolo. Anche gli occhi rosa di Doremi vibrarono impercettibilmente, mentre teneva fra le braccia la creatura che aveva visto nascere e a cui aveva fatto da mamma insieme alle sue amiche.
«Hanna, sono contentissima di vederti!»
Doremi ricambiò l’abbraccio trattenendo a stento le lacrime. Per un intero anno non aveva più avuto sue notizie, sebbene pensasse a lei in continuazione. Sapeva che le regole del mondo delle Streghe erano molto severe a riguardo: umani e streghe non possono tenere contatti, per cui, seppur a malincuore, si era in qualche modo abituata all’idea di non rivedere la sua piccola per molto, molto altro tempo ancora, sino al giorno in cui la piccolina non fosse diventata la Regina delle streghe. E invece, contro ogni previsione, lei era proprio davanti ai suoi occhi, lì nel mondo degli umani.
«Pensavo che non ti avrei rivista per tantissimo altro tempo ancora.»
Piagnucolò la più anziana delle due, asciugandosi le lacrime col dorso della mano.
«Ma cosa dici? Pensavi davvero che non ti avrei invitata nel giorno del mio compleanno?»
A quelle parole Doremi si gelò.
«Compleanno?»
Anche Melody e Bibì si rivolsero un’occhiata dubbiosa.
«Quindi siamo qui solamente per  festeggiare il tuo compleanno?»
Domandò grattandosi la testa con gli occhi ridotti a due puntini. Hanna inclinò la testa di lato.
«Non dirmi che ve ne eravate dimenticate.»
«No, ma dai, cosa dici? Come ti viene in mente?»
Le tre si affrettarono ad agitare le mani, ma Hanna aveva già messo il broncio.
«COME AVETE POTUTO DIMENTICARVI IL GIORNO DEL MIO COMPLEANNO? CHE RAZZA DI MAD…»
Doremi e Melody le tapparono la bocca con le loro mani, per evitare che si lasciasse sfuggire quella parola in presenza di Reika, che intanto osservava la scena con orrore.
«Ma vi sembra questo il modo di comportarvi? Siete delle studentesse delle medie o no, insomma?»
Le rimproverò, alzando un sopracciglio e scuotendo la testa.
Bibì colze la palla al balzo e si avvicinò alla biondina.
«È la stessa cosa che dico io a Doremi ogni giorno, è proprio incapace di comportarsi. Che ne dici di darmi alcune piccole lezioni? Visto che non posso contare sulla mia sorella maggiore…»
A Reika brillarono gli occhi per la gioia.
«Volentieri! Dev’essere frustrante per te, piccola stella, non poter affidarti ad un adulto, data la sorella che ti ritrovi, ma sarò ben lieta di aiutarti, in fondo ho la sfortuna di non avere sorelle minori a cui poter insegnare tutto quel che occorre per essere una signorina come si deve.»
Reika e Bibì fissarono Doremi con disgusto, mentre lei si rabbuiava.
«Bibì, ma che diamine ti viene in mente di dire?»
Bibì si voltò, afferrando la mano di Reika e trascinandosela dietro.
«Coraggio, accetta la verità senza offenderti, per una volta. Io andrò assieme a Reika a farmi dare delle lezioni, tu resta pure con Hanna e Melody.»
Mentre le due si allontanavano, a Doremi si accese finalmente la lampadina.
«Oh, ora sì che è tutto chiaro, certo che Bibì è piuttosto sveglia per essere così giovane.»
Disse tra sé, mentre le due sparivano nella stanza accanto.
«Sentite, non credo che questo sia il luogo migliore per parlare, presto arriveranno anche gli altri invitati, che ne direste invece di salire al piano di sopra?»
Suggerì Melody, ottenendo dei cenni di approvazione.
«Come ti viene in mente di invitarci così senza dire nulla? Ci hai fatte preoccupare!»
La sgridò Doremi mentre salivano le scale.
«Beh, forse se non vi foste dimenticate del mio compleanno, non vi sareste prese nessuna preoccupazione! Che razza di madri snaturate che siete, mi meraviglio di voi!»
Doremi sospirò profondamente, ammettendo le sue colpe.
«Hai ragione, abbiamo sbagliato, ma è stato così strano ricevere quella lettera che ci è proprio sfuggito di mente. Anzi, è il caso che scriva un messaggio a Sinfony, Lullaby e Mindy, saranno in pensiero.»
Doremi afferrò il cellulare, ma Hanna la bloccò poggiando la mano sul suo dispositivo.
«Non c’è alcun bisogno di contattarle.»
Le disse, facendole l’occhiolino.
«Magia della musica diffondi la generosità.»
Iniziò a recitare, mentre Melody e Doremi si scambiavano occhiate perplesse.
«Ehi, ma non puoi…»
Tentò di fermarla la castana, ma Hanna era già partita.
«Porta Sinfony, Lullaby e Mindy direttamente qua!»
A quelle parole seguì un lampo di luce giallo accecante, e un attimo dopo le ragazze apparvero magicamente di fronte a loro. Sinfony indossava i suoi abiti quotidiani, ma Lullaby aveva addosso un buffo abito di scena, mentre Mindy era in pigiama e si strofinava gli occhi ancora assonnati.
«Eh? What happened?»
Domandò in inglese, prima di accorgersi di dove fosse.
«Ahhh!»
Tutte e cinque emisero un urlo generale, additandosi a vicenda.
«Ma com’è possibile?»
Chiesero in coro, mentre Hanna sorrideva soddisfatta.
«Adesso sì che la festa può iniziare.»
Esclamò, battendo le mani.
«Sono stata brava, non è vero?»
«Festa?»
Chiese Sinfony grattandosi il capo.
«La festa di compleanno di Hanna.»
Le bisbigliò Doremi all’orecchio, cercando di risparmiarle l’ira della piccola.
«Eh? Allora è per questo che ci ha convocate tutte qui.»
Realizzò Lullaby, avvicinandosi ad Hanna per farle gli auguri di buon compleanno.
«Però a dirla tutta, io adesso dovrei essere a lavoro, ho un film da girare.»
La informò, indicando gli abiti che indossava.
«Non è affatto un problema, la magia che ho lanciato farà in modo che i vostri genitori non notino la vostra assenza, e potrete rimandare a domani tutto ciò che dovreste fare oggi. Ho pensato proprio a tutto questa volta, non temete.»
Scherzò, ridendo di cuore.
«Ehm Hanna, già che ci sei, che ne dici di darmi degli abiti più appropriati alla festa?»
La supplicò Mindy giungendo le mani, mentre una gocciolina pendeva dai capelli biondi disordinati.
«Mi aggiungo!»
Confermò Lullaby, piazzandosi di fianco all’amica.
«Certamente, lasciate fare a me. Magia della musica diffondi la generosità / Per Lullaby e Mindy un abito nuovo apparirà.»
Una nuvola di fumo inghiottì le due ragazze ed un attimo dopo stavano indossato i loro abiti giornalieri.
«Great! Sei diventata bravissima!»
Si complimentò Mindy, osservando la sua immagine riflessa allo specchio.
«Ma ti è permesso usare la magia nel nostro mondo?»
Chiese Melody con apprensione.
«Certamente! Dopotutto sono una strega a tutti gli effetti, e non dimenticate che in futuro diventerò la Regina!»
Scherzò Hanna, tirando fuori la lingua.
«Sì, questo lo sappiamo, ma c’è una cosa che non capisco: cosa ci fai nel mondo degli umani con queste sembianze?»
A dare voce ai dubbi di tutte quante fu la voce di Sinfony.
Hanna si era aspettata quella risposta, per cui cominciò brevemente a raccontare la serie di eventi che si erano susseguiti nel Mondo delle Streghe dal giorno della loro separazione.
«Vedete? Tutto è iniziato un paio di mesi fa. Ammetto che è stata dura dirvi addio, soprattutto perché possedevo la consapevolezza che non vi avrei più riviste fino a dopo l’incoronamento ufficiale. Nel mondo delle Streghe mi trovo molto a mio agio, Eufonia, Lalà, Alexander, Pao e le fatine si prendono cura di me, e poi ci sono anche le mie amiche d’infanzia a tenermi compagnia. Tuttavia, l’idea di non rivedervi più mi rendeva molto triste.»
Confessò, abbassando lo sguardo sul pavimento, mentre le altre cinque ascoltavano la sua storia con gli occhi lucidi.
«Così ho chiesto alla regina di concedermi un giorno nel mondo degli esseri umani, uno solo all’anno, ovvero il giorno del mio compleanno. Sebbene lei fosse favorevole alla cosa, le altre streghe del consiglio non si trovavano d’accordo. Alcune credevano che, senza una guida, avrei potuto causare qualche guaio. Altre reputavano che non fosse saggio mandarmi qui da sola, dal momento che non siete più delle apprendiste, e che quindi non siete più in grado di occuparvi di me. A sentir loro, gli esseri umani non sanno gestire le creature magiche.»
«Questa è una grossa sciocchezza!»
La interruppe Doremi aggrottando le sopracciglia.
«Non abbiamo bisogno dei poteri magici per starti accanto, il nostro rapporto va ben oltre la magia!»
Urlò Sinfony stringendo i pugni.
«Tu sei la nostra bambina, ti abbiamo cresciuta per un anno intero, e siamo state insieme anche l’anno scorso, con che coraggio possono dire che non sappiamo gestirti?»
Disse Melody con voce rotta dalla rabbia.
«Sure, nessuno ti conosce meglio di noi cinque.»
Annuì Mindy con fare solenne.
«Ma, se adesso sei qui, alla fine hanno ceduto, o mi sbaglio?»
Fu la saggia domanda di Lullaby, che si grattava il mento con espressione concentrata. Hanna annuì.
«Ma non so spiegarvi cosa abbia fatto cambiare loro idea. La regina in quel periodo ha tenuto diversi consigli, ha convocato Streghe e Maghi provenienti da ogni dove, altro non so.»
Socchiuse gli occhi con espressione mortificata. Avrebbe voluto chiarire i loro dubbi, ma purtroppo nemmeno lei conosceva i dettagli di quel piano.
«Ehi, aspetta un momento. Ha convocato dei Maghi
La voce di Melody ruppe il silenzio.
«Mh? Ah già, voi non lo sapete. Nell’ultimo periodo Streghe e Maghi stanno collaborando per una pacifica convivenza tra i due mondi. La Regina dice che è necessario tutto l’aiuto possibile.»
«Ma per cosa?»
Chiese Sinfony, corrucciata per non riuscire a cogliere il nocciolo della questione.
«Non lo so. Però non è affatto raro vedere dei maghi nel nostro mondo, non più almeno. La porta che separa i due mondi è stata aperta definitivamente ed allargata. Streghe e Maghi passano tranquillamente da un mondo all’altro.»
«Questa poi, chi l’avrebbe immaginato?»
Si lasciò sfuggire Doremi.
«È stato molto vantaggioso, sapete? Abbiamo importato ed esportato diversi tipi di piante e fiori e di altri materiali. Il giardino della Regina è diventato bellissimo. Adesso stanno cercando un accordo per consentire ai piccoli Streghe e Maghi di frequentare lo stesso asilo, in modo che le nuove generazioni imparino a cooperare sin dalla giovane età.»
«Credo sia un’ottima idea.»
Squittì Melody con tono lezioso.
«Ricordate che Fujio era solito prendere appunti sul mondo degli esseri umani?»
«È vero, e poi ora che ci penso, Alexander lavora già da tempo nel Mondo delle Streghe.»
Notò Lullaby.
«Sì, è stato un ottimo alleato della Regina durante le trattative col Mondo dei Maghi. Credo che la Regina voglia nominarlo Cavaliere ufficiale.»
Ricordò Hanna con un sorriso.
«Eheh, ve lo immaginate Alexander come cavaliere?»
Sghignazzò Doremi, causando una risata generale.
«Beh, vi ho detto tutto quello che so, che ne dite adesso di scendere al piano di sotto? Scommetto che tutti gli invitati sono già arrivati e non vorrei lasciarli aspettare.»
Hanna si diresse verso la porta, ma Doremi la trattenne per un polso.
«Aspetta, c’è un’ultima domanda che dovremmo rivolgerti.»
Le altre annuirono, come se sapessero già di cosa si trattasse.
«Dicci Hanna… Come sta Eufonia? Perché non è venuta con te?»
Hanna socchiuse gli occhi e rivolse loro un dolce sorriso.
«Anche lei ha parecchio lavoro da svolgere per il momento. Mi ha chiesto di salutarvi e di raccomandarvi di fare le brave. Le è dispiaciuto non poter esser presente, anche se sono sicura che lo negherebbe. Anche se non lo ammetterebbe mai, le mancate tantissimo. Lalà mi ha confessato che durante i colloqui con la Regina e le altre Streghe  ha preso le vostre parti, affermando che nessuno nel mondo degli umani sia più affidabile di voi, e che solamente un idiota completo non se ne renderebbe conto.»
Anche se quella parole causarono loro una spiacevole malinconia, le cinque ragazze non poterono fare a meno di sorridere. Era bello sapere che Eufonia pensasse a loro e che le proteggesse a loro insaputa da lontano.
«Beh, adesso è meglio scendere. Non è un vero compleanno senza la festeggiata.»
Sorrise infine Doremi, mentre le altre annuirono gioiosamente.

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Capitolo 38
*** Problemi di cuore ***


-PROBLEMI DI CUORE-
 
«Eccoti finalmente, lascia che ti dica che sei una pessima padrona di casa!»
Reika stava rimbeccando Hanna, ma la giovane non fece nemmeno caso alle sue parole.
«Reika! Come sono felice di vederti, ero certa che saresti venuta a trovarmi!»
Le disse fiondandosi tra le sue braccia e strofinandole la faccia addosso in un gesto affettuoso che mise Reika parecchio in imbarazzo.
«Ma cosa fai? Smettila subito. Ti avviso che non mi piace affatto.»
Le urlava contro mentre il suo volto arrossiva violentemente.
«Voglio solamente dimostrarti quanto bene ti voglio, anche se a volte ti comporti da bambina cattiva, Hanna lo sa che in fondo al tuo cuore sei buona buona.»
Tutte risero nel sentirle pronunciare quelle parole.
«Parli ancora come una bambina piccola! Non hai imparato niente?Immagino che frequenti una scuola pubblica, non è così?»
Hanna si staccò dal suo viso per guardarla in mezzo agli occhi.
«Perché, tu no?»
Reika si portò una mano alla bocca in uno dei suoi gesti consueti e rise di gusto.
«Ma cosa dici? Certo che no, frequento l’accademia privata Karen Girls’ insieme a Melody, non lo sapevi?»
«Eh? Quindi tu e Melody riuscite a vedervi ogni giorno, che bello!»
Sorrise Hanna, genuinamente sorpresa, anche se, a giudicare dell’espressione di Melody, la ragazza non doveva essere dello stesso avviso.
«Eh? Ma quella lì è Mindy? Non può essere.»
Reika si allontanò dalla presa mozzafiato di Hanna e si avvicinò all’americana, rivolgendole uno dei suoi sorrisi migliori.
«Oh, Mindy, mia cara vecchia amica, Mindy! È un piacere immenso rivederti dopo tutto questo tempo, dimmi, ti sono mancata? Immagino che la scuola in America è una vera noia senza di me, non è così?»
Disse afferrandole le mani nelle sue e scuotendole nell’aria così forte da farle venire il capogiro.
«Eh, immagino di sì.»
Rispose la seconda, con una gocciolina sulla testa.
«Sappi che sono molto arrabbiata con te!»
Aggiunse infine Reika, smettendo di strattonare le mani dell’amica e fissandola con severità.
«Perché mai? Cosa ti ho fatto?»
Chiese Mindy con stupore.
«È stato davvero villano da parte tua non informarmi del tuo arrivo. Se lo avessi saputo, ti avrei senz’altro presentato il mio fidanzato.»
«Ehm… In realtà non ho detto nulla a nessuno per fare una sorpresa ad Hanna, non è forse così?»
Chiese al gruppetto delle sue amiche, supplicandole con lo sguardo di confermare la sua versione.
«Sì, certo… Proprio così… Uh uh…»
Risposero in coro le altre, dandole il supporto tacitamente richiesto.
«Eh, aspetta un momento, non  mi dirai mica che hai un fidanzato?»
Domandò Doremi spalancando la bocca. Di nuovo Reika si passò una mano sotto alla bocca, ridendo di tutto cuore davanti all’espressione basita dell’ex compagna, lieta di aver suscitato quella reazione.
«Ma certamente, di cosa ti stupisci? Dovresti sapere che sono bellissima e tanto desiderata.»
Si limitò a dire, sistemandosi i capelli.
«E chi sarebbe mai questo tipo?»
Domandò nuovamente la rossa con espressione scettica, e Reika fu soddisfatta di essere ancora una volta al centro dell’attenzione generale.
«Si chiama Haruo ed è il mio insegnante privato di francese. Sai? Mio padre mi ha promesso di portarmi presto a Parigi…»
Disse con noncuranza, concentrandosi sulle sue unghie ben curate.
«E tu Doremi? Sei ancora una vecchia zitella?»
La canzonò con una nota di malignità, facendo infuriare la sua interlocutrice.
«Ma quale vecchia zitella? Guarda che ho solamente dodici anni, smettila di atteggiarti come se fossi una donna matura!»
Reika non si lasciò turbare dalla sua accusa, piuttosto socchiuse gli occhi in maniera viscida, e poi buttò lì.
«A dire il vero, pensavo che saresti stata la prima di noi a trovarsi un ragazzo.»
Le confessò, guardandola di sottecchi per controllare se la rossa fosse caduta nella sua trappola.
«E perché proprio io?»
Doremi rispose con evidente sorpresa, non si aspettava che la bionda le sferrasse un attacco a sorpresa.
«Ma come? Pensavo che tu e Tetsuya vi sareste fidanzati non appena cominciate le scuole medie.»
Provò un senso di eccitazione e potere quando lasciò l’ex compagna senza parole in evidente stato confusionale. Evidentemente doveva aver saputo quanto successo un paio di sere prima, e Doremi era più che certa che ci fosse lo zampino di Kaori, una vecchia cara amica di Reika.
«Oh, ma quella lì è Satsuki? Vado a salutarla, se non vi spiace.»
E, con quelle parole, si allontanò dal gruppetto, assolutamente appagata da quella breve conversazione.
«Che tipo, certo che quella lì non cambierà mai!»
Sinfony scosse la testa con disappunto, mentre Lullaby e Mindy annuivano rabbiosamente.
«Doremi, ti senti bene?»
Melody si avvicinò all’amica, richiamando l’attenzione della altre.
«Eh? Che vi succede?»
Domandò Sinfony.
«Perché Doremi è diventata pallida?»
S’interrogò Mindy.
«Beh… A dire il vero, ragazze, ci sono delle cose che non sapete…»
Iniziò a dire Melody, incerta o meno di poter proseguire. Guardò l’amica dai capelli rossi, aspettando un suo cenno che non arrivò.
«Va tutto bene, posso raccontarvi l’intero accaduto.»
Disse infine, una volta ripresasi dallo shock iniziale. Brevemente raccontò alle amiche cosa era successo al ballo della scuola e persino la conversazione avuta il giorno precedente insieme a Makoto. Nessuna delle quattro parve stupita quanto rivelò loro della cotta di Tetsuya nei suoi confronti, e lei si sentì ancora più stupida, sul serio era l’unica a non essersene accorta?
Le ragazze ascoltarono in religioso silenzio col fiato sospeso, senza interromperla. Quando Doremi ebbe finito il suo racconto, continuarono a tacere sebbene ci fosse qualcosa che morivano dalla voglia di domandarle. Alla fine fu Lullaby a spezzare il silenzio e porre quella domanda che Doremi sperava di non dover udire nuovamente.
«A questo punto che cosa pensi di fare?»
Non poteva fingere che non se lo fosse aspettato, ma sperava che utilizzasse altre parole, o comunque che non lo chiedesse così presto. Ma in fondo Lullaby era fatta così, era schietta e diretta, e a volte non si rendeva conto di mancare di tatto, anche se non lo faceva con cattive intenzioni.
Doremi sbuffò e ripeté per filo e per segno la risposta che aveva dato a Makoto il giorno prima.
«Tra me e Tetsuya non nascerà mai nulla, lui si diverte sempre a stuzzicarmi e prendermi in giro.»
«Lo fa solamente per attirare la tua attenzione.»
Non la sorprese udire la risposta di Mindy, in fondo era quello che le aveva detto anche Makoto.
«Ci sono altri modi di dimostrare un sentimento, questo mi sembra il meno ideale.»
Strillò Doremi stizzita, davvero non riusciva a comprendere come persino le sue amiche giustificassero il comportamento del ragazzo.
«Ma lui te lo ha dimostrato in altri modi.»
Quella risposta la spiazzava del tutto, soprattutto perché proveniva dalla più piccola di tutte, Hanna.
Sinfony annuì diverse volte con la testa.
« È vero, ricordi quando al campeggio ti sei slogata la caviglia e Tetsuya non ha esitato a portarti in braccio?»
«Beh, ma non vuol dire niente, lo avrebbe fatto chiunque al suo posto!»
Scrollò la testa Doremi, anche se poi le venne in mente un particolare che non aveva raccontato alle sue amiche. Mentre lei e Tetsuya sedevano al riparo, aspettando che spiovesse, lui le aveva offerto l’unica caramella che gli rimaneva, nonostante sentisse i morsi della fame. Forse quello era uno dei gesti che avrebbe dovuto cogliere? Al momento non sembrava nulla di che.
La voce di Mindy la riportò alla realtà.
«E che dire delle gita a Kyoto? Quando per sbaglio sei ruzzolata dalla collina dei tre anni, Tetsuya ha fatto in modo di cadere subito dopo, in modo da condividere la sfortuna insieme a te.»
«Beh, ma lo ha fatto solamente perché si sentiva in colpa, dal momento che sono scivolata sulla buccia di banana che lui stesso ha gettato per terra!»
Disse con sicurezza, anche se poi le venne in mente la conversazione avuta assieme al ragazzo mentre aveva assunto le sembianze di Hanna. Lui non le aveva detto nulla di compromettente, era vero, ma ricordava distintamente che le avesse parlato di lei, e che avesse pregato Hanna di scusarsi a suo nome. Forse, nel suo piccolo, Tetsuya ci aveva provato davvero.
«Già, e sempre  a Kyoto ha sfidato Akasuki per proteggerti dalle sue grinfie.»
Le rammentò Lullaby socchiudendo un occhio con fare malizioso.
“Già, ricordo che quella volta mi sentii come se i due si stessero sfidando a duello per il mio cuore, ma ci ho riso su, era un’ipotesi troppo assurda…”
Questa volta fu il turno di Melody di parlare.
«E poi non puoi certo aver dimenticato il suo discorso durante la cerimonia del diploma proprio di fronte al MaHo, quando ti sei barricata dentro rifiutandoti di uscire.»
Doremi arrossì per l’imbarazzo, ricordava troppo bene di essersi comportata in maniera infantile quella volta. Cercò di riportare la mente a quel momento, cos’è che le aveva detto Tetsuya? “Anche se sei una gran confusionaria, devo dire che io… io e tutti i tuoi compagni di classe ti vogliamo molto bene”. Ci faceva caso solo adesso, ma Tetsuya all’inizio si era riferito a sé stesso usando il singolare. Quasi le si fermò il cuore quando lo notò. Voleva quella essere una dichiarazione? E lei era davvero stata tanto sciocca da non capirlo subito? Gli occhi le tremarono per un attimo, ma non poteva lasciarsi andare proprio in quel momento. Le sue amiche avevano sempre avuto occhio per quei piccoli dettagli che a lei erano sfuggiti, ed adesso si susseguivano senza sosta nella sua mente. Non conosceva nessun altro che si fosse preoccupato così tanto per lei, ad esclusione delle sue amiche ovviamente. Nessun ragazzo si era mai interessato a lei prima d’ora, lei non sapeva certamente cosa significava essere voluta da qualcuno.
«E poi non dimenticarti che era sempre lui a comprare tutti i tuoi dolci.»
Hanna le aveva rivolto un grande sorriso, ma in verità quelle parole le fecero sentire ancora peggio.
Tetsuya, quel ragazzo che lei reputava uno sbruffone smorfioso, in realtà aveva cercato più di una volta di aprirle il suo cuore, ma lei era sempre stata troppo cieca per vederlo. Adesso lui stava soffrendo per colpa sua, e lei non poteva fare nulla. Aveva sperato che con Makoto funzionasse, ma adesso non ne era più certa e si sentì un’ipocrita, si sentì egoista e meschina.
«Ehi guardate, c’è Masaru!»
Esclamò Sinfony rivolgendosi verso Melody. La ragazza alzò gli occhi per rivolgerli nella direzione indicatale dall’amica ed i suoi occhi incrociarono per un solo istante quelli di Masaru.Entrambi arrossirono violentemente,  lui distolse in fretta lo sguardo e proseguì in direzione del suo vecchio amico Takeshi.
«Hanna, si può sapere chi hai invitato alla festa?»
Domandò Mindy perplessa.
«Ma tutta la vecchia classe, ovviamente!»
Dichiarò allegramente Hanna con voce squillante. Doremi alzò il capo, questo significava che sarebbe venuto anche Tetsuya. Il filo dei suoi pensieri venne interrotto da Lullaby, che si era appoggiata con noncuranza al muro e rivolgeva lo sguardo verso la castana.
«Masaru si comporta in modo strano, trovo. Non ti ha nemmeno salutata, eppure non appena vi siete guardati, siete arrossiti senza un apparente motivo. C’è forse qualcosa che non sappiamo e che dovresti dici?»
Melody assunse un colorito violaceo. Era certa che, fra tutti, sarebbe stata proprio Lullaby a notarlo. Adesso anche le altre si erano voltata a fissarla, attendendo che dicesse qualcosa, forse che negasse.
«Beh, vedete…»
Disse con un filo di voce.
«Masaru ed io siamo andati insieme al ballo di fine anno, come amici…»
Ci teneva a specificarlo, non voleva che le sue amiche si facessero strane idee.
«Poi, beh, sapete com’è andata a finire… Siamo andati al parco assieme a Doremi, e poco dopo l’abbiamo riaccompagnata a casa.»
Si accorse che le sudavano le mani e che aveva la voce rotta dall’emozione. In quei due giorni aveva rivissuto quel momento decine e decine di volte nella sua mente, ma non l’aveva ancora raccontato a voce alta, le faceva uno strano effetto, e per un attimo stentò persino a credere alle sue stesse parole.
«E poi lui ha riaccompagnato me fino a casa mia, e lì, vedete, lì…»
Seppur tenesse lo sguardo basso, sentiva gli occhi delle sue amiche puntati su di lei come dei riflettori. Nessuna di loro la incitava a proseguire, ma sapeva che fossero avide di informazioni e che l’attesa le stava quasi snervando, ma si prese tutto il tempo di cui abbisognava prima di prendere fiato e dire velocemente…
«E lì mi ha baciata.»
Per un lungo, interminabile secondo, rimasero tutte quante a bocca aperta a boccheggiare come dei pesci.
La prima a riprendersi dallo stato confusionale fu Lullaby, che sorrise seraficamente.
«E com’è stato?»
Domandò senza preamboli, come se quella confessione imbarazzante non le bastasse. Melody alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi scuri dell’amica.
«Cosa intendi dire?»
«Che tipo di bacio era?»
Melody non sapeva descriverlo. Era semplicemente un bacio, il suo primo bacio.
«È stato breve. Mi ha sfiorato le labbra ed è corso via.»
La informò, ed improvvisamente si accorse che le mancava l’aria.
«E poi? Non vi siete più parlati d’allora?»
Mindy s’intromise nella conversazione e fissava Melody con occhi sgranati. Melody scosse la testa.
«Forse si sente in imbarazzo.»
Ipotizzò Sinfony grattandosi la nuca.
«Già, forse si è sentito in imbarazzo subito dopo ed è per questo che è scappato via.»
Si trovò d’accordo Mindy.
«Dite? E che dovrei fare allora?»
Si sentì un po’ sciocca a chiedere consiglio alle sue amiche, ma davvero navigava in un mare di dubbi. Non aveva mai baciato un ragazzo prima, non sapeva come ci si comportasse in seguito.
«Secondo me dovresti fargli capire che non ti è dispiaciuto.»
Aveva proposto Sinfony, entrambe le braccia incrociate dietro la testa.
«Certo, non devi dirglielo direttamente, prova semplicemente a parlargli, come facevate prima. In questo modo lui capirà che il suo gesto non ha rovinato la vostra relazione, e tutto tornerà come prima.»
Le aveva consigliato Lullaby espertamente. Melody si chiese da dove provenisse tutta quella sicurezza, si disse che probabilmente l’aveva acquisita lavorando nel mondo dello spettacolo, dove tutti i sentimenti umani venivano ingigantiti per essere visibili attraverso l’obiettivo della telecamera.
«Dite che dovrei…?»
Iniziò a chiedere, senza sapere come continuare. Sinfony, Lullaby e Mindy mossero la testa affermativamente chiudendo gli occhi con fare solenne.
Melody fece per avvicinarsi al ragazzo, ma si bloccò come paralizzata.
«Ma io non…»
«Comportati come sempre, vedrai che sarà la cosa migliore.»
Le sussurrò Lullaby in un orecchio, dandole una spintarella d’incoraggiamento, poi le cinque amiche la osservarono dirigersi rigidamente verso Masaru e Takeshi.
Hanna e Doremi erano rimaste in silenzio durante tutta la conversazione: una era troppo piccola per capire come ci si rapportasse con i ragazzi e l’altra troppo imbranata. A dire il vero la notizia l’aveva scioccata non poco, ma aveva preferito tacere sulla questione, dal momento che non era neppure in grado di capire i suoi stessi sentimenti.

 

DO YOU REMEMBER?
Tutti gli avvenimenti sottolineati sono veramente accaduti durante la quarta stagione "Ojamajo Doremi Dokkaan" (In Italia meglio noto come "Mille magie Doremi").

La gita a Kyoto fa parte degliepisodi 11 - 12 , in particolare la caduta di Doremi dalla collina dei tre anni, la sfida di Tetsuya contro Akasuki e la conversazione tra Tetsuya e Doremi con le sembianze di Hanna avvengono nell'episodio 12 "I due contendenti"
LINK VIDEO FB https://www.facebook.com/pg/Galaxy-Nova-1046377395485734/videos/?ref=page_internal

Per quanto riguarda invece il discorso di Tetsuya durante la cerimonia del diploma davanti al MaHo, esso avviene nell'episodio 51, l'ultimo.
LINK VIDEO FB https://www.facebook.com/pg/Galaxy-Nova-1046377395485734/videos/?ref=page_internal
PS- Ogni volta che lo guardo mi vien da piangere.

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Capitolo 39
*** Ritorno nel Mondo delle Streghe ***


-RITORNO NEL MONDO DELLE STREGHE-
 
La festa si concluse poche ore più tardi, tutti gli invitati si ritenevano soddisfatti ed erano stati felici di partecipare, qualcuno aveva persino azzardato a definire l’evento “una riunione dei vecchi compagni di classe”.Hanna era al settimo cielo, non si era aspettata di ricevere così tanti complimenti. Persino Reika alla fine le aveva concesso la sua benedizione, decretando che la festa “non era stata male”, il che, detto da una persona orgogliosa come quella, poteva solo significare che era stata stupenda.
Alla fine Tetsuya non si era fatto vedere, mentre Melody e Masaru, dopo un primo momento di puro impaccio, erano riusciti a chiacchierare come ai vecchi tempi, sentendosi a proprio agio.
Quando tutti se ne furono andati, Doremi, Melody, Sinfony, Lullaby, Mindy e Bibì avevano deciso di restare un po’ più a lungo, aiutando Hanna a ripulire. In verità si trattava di una scusa per rimanere assieme il più a lungo possibile prima di separarsi nuovamente, dal momento che ad Hanna occorreva una semplice formula magica per riportare il vecchio negozio in perfetto ordine.
Lavoravano già da poco più di mezz’ora quando un rumore a loro fin troppo noto risuonò nelle loro orecchie. Tutte e sette alzarono lo sguardo e si rivolsero un’occhiata eloquente, prima di precipitarsi sulla porta che conduceva sul retro. Come si erano aspettate, la luna piena era alta nel cielo, e sembrava quasi che stesse sorridendo, mentre la Carrozza Reale guidata da unicorni fluorescenti si librava nel cielo notturno.
Majorin parcheggiò la carrozza ed aprì lo sportello da cui uscì fuori la Regina delle Streghe. Aveva il volto coperto dal velo, seppure le ragazze conoscessero la sua vera identità.
Tutte e sette s’inchinarono non appena la video scendere dalla carrozza. I capelli grigi brillarono sotto il chiarore lunare. Quando parlò sembrò che la sua voce fosse stata amplificata.
«Mie care ragazze, sono lieta di vedervi tutte quante ancora una volta. »
Aveva detto loro cercando di mantenere le distanze, seppure qualcosa nella sua voce tradì l’affetto che provava per ciascuna di loro.
«Regina, come mai ti trovi qui?»
Chiese Hanna risollevando il capo e guardandola.
«Sono venuta per condurvi tutte quante nel Mondo delle Streghe. Come ben sai, e come penso avrai già comunicato loro, io ed alcune Streghe del Consiglio abbiamo dovuto prendere una decisione molto importante che riguarda l’intero futuro dei tre Mondi: quello delle Streghe, quello dei Maghi e quello degli Umani.»
Nessuna sembrava veramente sorpresa da quella dichiarazione, anche se era chiaro che nessuna sapeva che cosa aspettarsi. In che modo loro avrebbero potuto cambiare il destino dei tre mondi? Si scambiarono delle occhiate silenziose, prima di seguire la Regina all’interno della carrozza e dirigersi ancora una volta nel Mondo che avevano tanto amato e di cui avevano fatto parte per un breve periodo della loro esistenza.
Le ragazze si accorsero immediatamente quando valicarono il confine tra i due mondi. Il cielo oscuro divenne improvvisamente più luminoso, e al posto delle nuvole grigie si trovavano arcobaleni multicolore e strane porte sospese per aria. Doremi deglutì sonoramente, tentando di cacciar via la malinconia che quel posto le provocava. Le vennero in mente tutte le volte che si era recata lì: quando aveva sostenuto le prove per diventare una strega a tutti gli effetti, o quando aveva visto nascere Hanna, quando vi si era recata per elargire doni alla Regina Tourbillion e quando vi aveva detto addio solo pochi mesi prima. Osservando i visi contratti delle sue amiche, seppe con certezza che anche loro stavano pensando la stessa cosa.
Dall’alto della loro posizione, scorsero delle nuove piante cresciute nel giardino della Regina, evidentemente si trattava di quelle provenienti dal Mondo dei Maghi che aveva citato Hanna quando si erano riviste.
Persero lentamente quota, avvicinandosi al Castello Reale, dove sapevano che altre streghe le avrebbero attese per sottoporle al loro giudizio. Doremi si domandava quale altra prova avrebbero dovuto conseguire questa volta, e soprattutto, perché.
Una volta toccato terra, Majorin aprì nuovamente lo sportello e le aiutò a scendere una alla volta. Per qualche motivo Doremi si sentì a disagio nei suoi abiti umani, solitamente indossava l’uniforme da apprendista al cospetto del Consiglio.
Fece un lungo sospiro prima di seguire i passi della Regina. Sinfony lo notò e le diede una pacca rassicurante sulla schiena. Sembrava volerle dire di non preoccuparsi, ma Doremi faceva fatica a mandare giù il groppo che le stringeva la gola.
La Regina aprì il portone del Castello e, lentamente, ad una ad una ognuno di loro fece il suo ingresso nell’atrio oscuro, sotto gli occhi scrutatori delle Streghe del Consiglio e non. Le ragazze si disposero una di fianco all’altra, ed attesero che la Regina prendesse posto al suo trono, prima di fare un profondo inchino.
«Bene. Ragazze, Streghe del Consiglio e Maghi.»
Le ragazze alzarono impercettibilmente lo sguardo, curiose di scorgere qualche Mago.
«Vi ho convocato tutti qui per discutere ancora una volta della decisione di cui abbiamo parlato tanto  in questi ultimi mesi.»
Alcune streghe annuirono, altre scossero la testa, evidentemente contrarie.
«Come ben sapete, non si tratta di una decisione di semplice esecuzione. Personalmente, stimo che la realizzazione di tale piano possa avere luogo tra circa vent’anni, dopo che Hanna sarà salita al trono.»
A quel punto Hanna si alzò dal suo posto e si schiarì la voce.
«Maestà, prima di proseguire, posso chiederti di che cosa si tratta?»
Qualche strega si sporse dalla sua postazione, per guardare meglio in loro direzione.
«Certamente Hanna.»
Rispose la Regina alzandosi in piedi.
«Tutti noi sappiamo che tu diventerai la futura Regina del nostro Mondo e, se tutto andrà bene, anche del Mondo dei Maghi. Ovviamente questo comporterà un matrimonio oppure un accordo politico insieme al futuro Regnante del Mondo dei Maghi.»
Hanna storse il naso con un lieve disgusto, questa notizia le giungeva nuova, ma decise di non fiatare.
«E tutti noi sappiamo che sei stata trovata ed accudita da quattro apprendiste streghe, umane di nascita. Negli anni del loro apprendistato, abbiamo imparato a conoscere personalmente ciascuna di loro. Sono state osservate e  messe alla prova per superare diversi esami, eccellendo quasi sempre.»
Doremi arrossì, ricordandosi di quella volta che era stata bocciata all’esame del nono livello.
«All’inizio alcune di noi erano contrarie a lasciare che ti affidassi alle loro cure, ritenevano erroneamente che degli umani non fossero in grado di occuparsi di una Strega, ma Doremi e le sue amiche ti hanno cresciuta con amore, rifiutandosi di fare affidamento esclusivamente sulla magia durante la tua educazione. L’anno scorso, quando per sbaglio hai rotto il tuo Cristallo Fatato, trasformandoti in un’adolescente, ti ho permesso di frequentare il Mondo degli umani per un intero anno, durante il quale le tue madri si sono occupate di te, aiutandoti ad integrarti nel loro mondo e ad insegnarti a limitare l’uso della Magia.»
La Regina fece una pausa, alzando lo sguardo in direzione delle Streghe del Consiglio.
«Per quanto mi riguarda, sono dell’opinione che le Streghe abbiano solamente da imparare dagli Umani e viceversa. Il Re dei Maghi è dello stesso avviso, infatti come molti di voi sapranno, ha scelto volontariamente di spedire il suo unico figlio nel Mondo degli umani.»
Doremi sollevò lo sguardo alla ricerca del Re dei Maghi. Suo figlio era Akatsuki, e Doremi rammentò il giorno in cui l’aveva incontrato in gita scolastica un anno prima. In quell’occasione lui le aveva confidato che suo padre gli aveva dato il permesso di studiare nel loro Mondo, a patto che non scegliesse una grande città perché riteneva che fosse piena di distrazioni.
«A questo punto siamo entrambi giunti ad una conclusione. Come sapete già le Streghe nascono dai fiori, mentre i Maghi invece dall’erba vertenza. Io ed il Re abbiamo pensato di esportare alcuni alberi della vita nel Mondo degli Umani durante il periodo della fioritura.»
Le sette ragazze spalancarono gli occhi incredule. Hanna si alzò in piedi ancora una volta.
«Maestà, questo significa che i futuri Maghi e le future Streghe nasceranno nel mondo degli esseri umani?»
«Esattamente.»
A quel punto anche Doremi si alzò in piedi allarmata.
«Ma nel nostro mondo non è così che nascono i bambini! Se un bambino venisse fuori da un fiore o da una pianta, nel nostro mondo si scatenerebbe il caos! É del tutto innaturale…»
«Sì, Doremi ha completamente ragione! E poi cosa succederà dopo che sarà nato? Resterà abbandonato e finirà in un centro adozioni? Maestà, permettimi di dirti che è una pessima idea!»
Aveva detto Sinfony a voce alta, alzandosi in piedi per enfatizzare i suoi argomenti.
«Right! I bambini hanno bisogno di genitori che si prendano cura di loro e che li amino!»
Aggiunse Mindy, imitando le amiche ed alzandosi in piedi. Lullaby, Melody e Bibì seguirono il suo esempio ed annuirono vigorosamente.
La Regina tacque e le Streghe si sporsero ancora di più.
«Doremi, Sinfony, Mindy, per me è motivo di gioia vedere quanto a cuore abbiate il futuro dei nascituri appartenenti ai nostri Regni. Avendo vissuto a lungo nel vostro Mondo, ho familiarità con la nascita dei piccoli umani. Il nostro piano non prevede semplicemente di spedire le piante della vita nel vostro Mondo e di lasciarle incustodite, non mi verrebbe mai in mente.»
A quel punto le ragazze si rimisero a sedere imbarazzate. Come gli era venuto in mente di credere che il Re e la Regina fossero capaci di un simile gesto?
«Seguiremo la traiettoria delle piante e ci assicureremo che verranno raccolti prima che muoiano. A quel punto inizierà una magia complessa. Chiunque tocchi la pianta, ne assorbirà le proprietà e sarà in grado di mettere al mondo una creatura magica.»
A quelle parole seguì un silenzio confuso.
«Quindi, chi tocca la pianta non diventerà direttamente una Strega o un Mago, ma sarà in grado di metterne al mondo uno, ho capito bene?»
Melody riformulò la domanda, non del tutto convinta di aver capito.
«Proprio così.»
«Significa dunque che anche dei bambini potranno toccare la pianta ed assorbire i suoi poteri sino al giorno in cui cresceranno ed avranno dei figli?»
Ricapitolò Lullaby.
La Regina annuì, lieta che il suo piano fosse chiaro.
«Ma i nuovi nascituri avranno bisogno dell’aiuto di una creatura magica per sviluppare e controllare i propri poteri, o mi sbaglio?»
Domandò Bibì, che aveva taciuto sino ad allora.
«Non ti sbagli affatto. Il piano prevede che ad ogni nascituro venga affiancata una Strega Madrina o un Mago Padrino che li assista durante i loro primi anni di vita e faccia loro da tutor per superare le prove magiche.»
Le ragazze tacquero per un momento, ripensando a quanto appena detto. Il piano non faceva una grinza, i due Regnanti avevano pensato proprio a tutto.
«Mi sembra un’ottima idea.»
Disse infine Doremi battendo le mani.
«Sì, trovo anch’io.»
Concordò Melody.
Tutte le altre emisero degli squittii di assenso.
«Mi scusi, ma perché il piano sarà realizzabile solo tra qualche anno?»
Domandò infine Hanna, desiderosa di attuare questo nuovo progetto il prima possibile.
«I cambiamenti fanno paura mia cara Hanna, è necessario che gli abitanti del nostro mondo si abituino all’idea un poco alla volta. E poi, come avrai capito, è necessaria una magia molto potente per far in modo che un umano acquisisca tutti i poteri dell’albero della vita, permettendogli di sbocciare dentro di sé.»
Hanna chinò il capo, evidentemente delusa.
«Pensavo che Doremi e le altre fossero già state messe alla prova in passato, cos’altro occorre per convincere il resto del Consiglio?»
La Regina alzò la voce rivolgendosi alle Streghe sedute in alto.
«A tal proposito, voglio presentarvi le Streghe ed i Maghi che ho inviato sulla Terra per osservare le ragazze, prego entrate pure.
Alcune Streghe e Maghi col viso coperto fecero il loro ingresso lentamente e si posizionarono di fianco alla Regina. Poco dopo, ad ognuno di essi cadde il velo.
«Signorina Asami!»
Gridò Doremi, riconoscendo la sua insegnate del club di dibattito. Lei le sorrise benevolmente.
«Il professor Kibiaki?»
Strillò Sinfony, indicando un Mago snello e alto dal viso rude.
«Il regista Nikitoshi? Questa storia non ha senso.»
Esordì Lullaby con sconcerto.
«Ma quello è il dottor Smith, è il medico che ha fatto nascere mio fratello!»
Mindy additò un alto mago muscoloso dal viso molto dolce.
«E quella lì... Non ci credo!»
Melody impallidì. Le ragazze seguirono la direzione del suo dito e per poco non venne loro un colpo.
«BAAYA!»
Strillarono all’unisono, portandosi le mani vicino alle guance nella celebre mossa dellUrlo di Munch.
«Eh? Ma cosa significa tutto questo? Esigo delle spiegazioni!»
Disse Hanna con voce stridula pestando i piedi per terra. La Regina si fece avanti e riportò il silenzio.
«Dal momento che alcune Streghe del Consiglio non approvavano la mia idea, ho deciso di inviare alcuni Maghi e Streghe nel Mondo degli Umani, affinché tenessero d’occhio Doremi e le altre. Dopo mesi e mesi di osservazione, cosa potete dirci delle ragazze?»
La Regina si spostò e lasciò la parola al Mago di Sinfony.
«Ho seguito Sinfony dall’inizio del suo anno scolastico come professore di educazione fisica. Di lei poso dirvi che è una ragazza cocciuta ed intraprendente, che non si lascia mai abbattere dalle sconfitte e tira fuori il meglio di sé in ogni situazione.»
Fece una pausa, rivolgendole un sorriso incoraggiante. Sinfony si grattò la testa sorridendo a denti stretti.
«È la ragazzina più forte che io conosca.»
Dichiarò infine, tornando al suo poso e cedendo la parola al regista Nikitoshi, conosciuto dalle ragazze per le sue frequenti apparizioni televisive.
«Lullaby può sembrare una ragazza scostante, ma è piena di forza di volontà. Non si è lasciata spaventare dalle innumerevoli responsabilità che le ho assegnato, al contrario, è stata sempre all’altezza della situazione, impegnandosi persino più del dovuto per raggiungere il suo obiettivo. Abbiamo tutti da imparare dalla sua laboriosità.»
A Lullaby brillarono gli occhi.
«Se avessi saputo che dal mio lavoro dipendeva anche il futuro dei Mondi…»
Iniziò a dire, ma il Mago la interruppe.
«Credimi, non avresti potuto fare di meglio. Ho saputo cosa ti è successo a scuola, e all’ospedale hai dimostrato di essere coraggiosa e buona. La verità è che la gente tende a comportarsi bene solamente quando è consapevole di essere osservata, è un po’ come recitare sotto i riflettori. Tu invece hai tirato fuori queste ottime qualità quando credevi di esser da sola, e questo ti rende ancora più onore.»
Lullaby abbassò lo sguardo ed arrossì. Quell’uomo era stato una spina nel fianco per mesi, l’aveva sgridata diverse volte sul set, ed adesso le parlava con una tenerezza che non sembrava sua.
«Sì, Lullaby, sei la migliore!»
Una voce sgraziata si levò da un punto impreciso sulla destra. Le ragazze si voltarono a guardare la fonte del rumore. Alexander sventolava dei ventagli colorati a destra e manca improvvisando un balletto e intonando una stonatissima ode a Lullaby.
«Shh, ma insomma, ti sembra il caso?»
Lo rimproverò una Strega dall’aria arcigna.
«Vergognati!»
Lo sgridò un’altra.
«Contieniti, insomma, siamo al cospetto della Regina!»
Intimò qualcun altro, costringendolo ad abbassare i ventagli e a mettere il broncio.
«Uff, e va bene, come siete pignole! Lullaby sei sempre la migliore.»
Bisbigliò infine alzando un pollice in sua direzione, mentre la ragazza lo fissava con insofferenza ed una gocciolina di sudore le scendeva sulla nuca.
«Credo che adesso sia il mio turno.»
Disse il Mago di Mindy. Possedeva un forte accento americano, più marcato di quello della loro amica.
«Ho avuto modo di conoscere Mindy solo pochi mesi fa. Non c’è molto da dire, ma sappiate che è una ragazzina molto altruista. Si è prodigata in tutti i modi possibili per aiutare la madre durante la sua gravidanza, ed ha accettato con piacere il ruolo di sorella maggiore. Credo che il giovane Mickey avrà un’infanzia felice, e sarà tutto merito suo.»
Mindy gli rivolse un sorriso raggiante.
«Thank you very much.»
Gli disse e lui le fece un cenno con la mano.
«Molto bene, proseguiamo.»
Suggerì la Regina, e a quel punto fu la signorina Asami a farsi avanti.
«Adesso lasciate brevemente che vi parli di Doremi. Può sembrare svampita e maldestra, ma possiede delle ottime qualità che lei stessa a volte fatica a vedere. Doremi è altruista, prende a cuore i problemi delle persone che la circondano e li fa suoi, si fa sempre avanti per accettare nuovi compiti e mansioni, anche se sente di non essere in grado di portare l’impresa all’opera. Ha la capacità di portare gioia ed allegria ovunque vada, e non esiste persona che non le voglia bene. Doremi non conosce la paura, affronta a denti stretti le nuove sfide che le si propongono ed, in fondo al suo cuore, possiede tutte le risposte di cui necessita.»
Pronunciò le ultime parole con lentezza, sperando che la ragazzina scovasse il messaggio nascosto.
La signorina indietreggiò per tornare al suo posto, ma Doremi si fece avanti e le parlò.
«Signorina Asami, io devo ringraziarla! Lei ha sempre creduto in me, ed è solo grazie al suo aiuto se adesso possiedo una maggiore consapevolezza di me stessa. Prima d’incontrarla, ero piena di dubbi ed incertezze, ma lei mi ha fatto capire che posso essere in grado di fare qualsiasi cosa, se solo lo desideri. Volevo ringraziarla per tutto il tempo concessomi, ed anche per le sue belle parole.»
Si accorse di avere le guance umide, ma proseguì, deglutendo per mandare a fondo il groppo nella sua gola.
«Anche se so che non ci rivedremo più, sappia che per me lei è sta una vera fonte d’ispirazione. La ringrazio per tutto quello che ha fatto per me.»
La signorina Asami la fissava dall’alto senza proferire parola. Ricacciò dentro le lacrime che minacciavano di sgorgare dai suoi occhi e mosse la testa in un cenno di gratitudine. Sapevano entrambe che quello era un addio.
«Credo che adesso sia il mio turno.»
La voce rauca e sgraziata di Baaya richiamò l’attenzione.
«Baaya!»
Ansimò Melody, ancora sconvolta.
«Conosco la signorina Melody sin dal giorno della sua nascita. Potrei raccontarvi qualsiasi cosa sul suo conto, ma voi volete conoscere i suoi pregi. Melody è una ragazzina buona dal cuore tenero, è gentile con tutti e non manca mai di tatto. All’apparenza sembrerà fragile, ma in realtà ha un carattere molto forte e determinato. Detesta le ingiustizie e riconosce i suoi errori, non è cosa da poco per una fanciulla della sua età. Negli anni ho avuto modo di conoscere anche le altre signorine che vedete proprio di fronte ai vostri occhi. Tutti i miei colleghi hanno già raccontato qualcosa di ciascuna di esse, ed io non ho molto da aggiungere se non che ritengo siano le persone più affidabili di mia conoscenza.
Si parla da secoli della possibilità di unificare i tre Mondi, ma si ha sempre avuta troppa paura, forse perché gli Umani sono ancora un mistero ai nostri occhi. Ho deciso così di partire per il loro Mondo, ed ho avuto modo di conoscerli personalmente. Non posso garantirvi che siano tutti quanti come le ragazze qui di fronte, ma lasciate che vi dica che le vostre paure sono infondate. Gli umani sono capaci di amare incondizionatamente, proprio come noi. Se avete altri dubbi, fate un salto nel loro Mondo, capirete a cosa mi riferisco.»
Baaya fece un inchino e tornò al suo posto. A questo punto le ragazze non furono più in grado di contenere le lacrime.
Nell’aula si diffuse un mormorio concitato, che si concluse solo quando la Regina si dispose al centro del gruppo ed alzò le braccia imponendo il silenzio.
«Molto bene, avete ascoltato la testimonianza di alcuni dei miei inviati. A voi la parola Streghe del Consiglio.»

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Capitolo 40
*** Il consiglio ha votato ***


-IL CONSIGLIO HA VOTATO-
 
 
Le Streghe del consiglio fecero per alzarsi, ma una figura magra e di media altezza, avvolta in un lucido mantello nero, fece il suo ingresso in aula. Il rumore dei tacchi dei suoi stivali echeggiò per tutto l’androne. Le ragazze alzarono gli occhi per cercare la fonte di quel fragore.
«Ma quella è…»
Iniziò a dire Melody.
«Sì, è proprio lei!»
Confermò Sinfony sorpresa.
«Sapevo che non sarebbe mancata!»
Esclamò Doremi tornando a sorridere ed asciugandosi le guance umide.
Eufonia si fermò solo quando raggiunse il centro dell’aula e fu certa di ottenere l’attenzione di tutti i presenti.
«Credo che nessuno debba prendere una decisione senza aver prima consultato la sottoscritta.»
Dichiarò con tono aspro, scrutando le Streghe con gli occhi ridotti a due fessure.
«In fondo sono io la Strega che conosce queste pasticcione meglio di chiunque altro.»
Le ragazze si rabbuiarono.
«Ma cosa crede di fare? Vuole metterci i bastoni fra le ruote?»
Domandò Doremi a voce troppo alta.
«SILENZIO! Se non te ne fossi accorta, sto parlando!»
La sgridò Eufonia spalancando le fauci. Doremi perse quasi l’equilibrio a causa dei forti decibel.
«Oh, e va bene, scusami…»
Disse, cercando di rimettersi a posto.
«Doremi ha scoperto il mio segreto quando aveva appena otto anni. Mi trasformai in ranocchia, e dovevo tutto alle sue abilità di apprendista per riacquistare le mie sembianze umane. Non immaginate lo strazio!»
Qualche Strega sorrise, Doremi corrugò le sopracciglia, poteva quantomeno risparmiarle tutti quegli insulti.
«Per quanto ci provasse, era una Strega incapace! Ogni incantesimo era fine solamente a sprecare note magiche, e non vi dico quanto tempo ci abbia messo prima di imparare a controllare il suo manico di scopa!»
Una risata pacata si levò in aria.
«Poi, come se non bastasse, si è persino fatta scoprire da due delle sue amiche, e poi da sua sorella!»
Urlò con la sua voce arrabbiata che Doremi conosceva fin troppo bene.
«Vi confesso che presto iniziai a perdere le speranze, non sarei mai più tornata alla mia forma originale. Dopo aver superato la prova del primo livello sembrava finalmente tutto reale, Doremi aveva acquistato il suo cristallo fatato ed io ero ad un passo dal ritornare una Strega! Ma come ben sapete, il potere del Cristallo si è esaurito quando le quattro apprendiste cercarono di risvegliare Lullaby dal suo sonno, fino a che non si ruppe del tutto.»
Lullaby abbassò gli occhi sentendosi nuovamente in colpa per quell’episodio. Mindy aprì bene le orecchie, dal momento che non era presente quando era successo.
«L’anno dopo, quelle quattro squinternate hanno ben pensato di tornare nel nostro Mondo, imbattendosi nell’Albero della Vita e assistendo alla nascita di Hanna. Oh, ho dei pessimi ricordi legati a quel periodo. La notte non riuscivo più a chiudere occhio, quella mocciosa frignava di continuo senza sosta! Le prove erano ancora più dure, e Hanna non facilitava certo le cose lanciando incantesimi a destra e manca priva di qualsiasi controllo!»
«Ehi!»
Strillò Hanna sentendosi chiamata in causa, mentre le risate diventavano contagiose.
«Ma l’amore per quella bambina era più forte di qualsiasi altra cosa.»
La sua voce era cambiata, diventando improvvisamente molto più dolce.
«Devo confessarvi, Streghe colleghe, di non aver mai visto Doremi così responsabile. L’anno passato insieme alla piccola Hanna l’ha fatta maturare, in qualche modo. Doremi aveva capito perfettamente cosa significasse essere madre, e antepose i bisogni della piccola Hanna ai propri. L’amore per la sua bambina non possedeva confini, come ben ricorderete.»
In aula calò il silenzio, i risolini erano cessati, e tutte pendevano dalle labbra di Eufonia.
«Forse sembrerà una banalità, ma non lo è affatto se considerate che le apprendiste erano delle bambine di nove anni! L’anno dopo a quel disastroso gruppetto si aggiunse anche Mindy ed infine Hanna, sottoforma di adolescente. Credevo di non essere più in grado di gestire lo stress, ma in verità devo confessarvi che quell’anno è volato via. Non dovevo affatto occuparmi della viziata Hanna, perché Doremi e le sue amiche avevano tutto quanto sotto controllo. Le sei ragazzine che vedete davanti ai vostri occhi sono state in grado di gestire i capricci della futura Regina delle Streghe, trasformandola in una persona degna di rispetto. Un giorno Hanna sederà al trono, ed io sono certa che governerà nel migliore dei modi, semplicemente perché ha avuto un’ottima educazione da parte degli Umani. Se conosco bene la mia bambina, so che farà di tutto per aprire il portale tra il nostro ed il loro Mondo, e sapete una cosa? Io sono pienamente d’accordo!»
Le sette ragazze fissarono Eufonia con occhi lucidi. Rimasero  per un attimo senza parole.
«Se posso dire la mia, concordo pienamente con Eufonia.»
La voce di quella Strega era abbastanza familiare. Più che parlare, aveva cantato. Doremi non si meravigliò quando vide alzarsi Dela, la Strega piazzista.
«Dela…»
Riuscì a dire con voce rotta.
«Già… Doremi e le altre  hanno saputo darci ottimi consigli su come crescere le nostre bambine.»
Stavolta aveva parlato una Strega più anziana, ed aveva pronunciato ogni parola con estrema lentezza.
«Ma sono Mota e Mota Mota!»
Disse Melody, sorridendo alle due Streghe, che ricambiarono il saluto.
«Beh, per una volta devo confermare la versione di Eufonia, sebbene io detesti trovarmi d’accordo con lei!»
Un’altra Strega dal tono antipatico si era fatta avanti per parlare.
«Malissa!»
Lullaby riconobbe immediatamente la Strega che aveva trasformato in ranocchia.
«Prima di conoscere Doremi e le altre, Lullaby era un’insopportabile egocentrica che pensava solamente ai suoi interessi! Ma poco dopo la vidi cambiare, maturare in qualche modo. L’amicizia delle altre le aveva fatto comprendere che al mondo ci sono cose ben più importanti della fama e del successo.»
Contrariamente a quanto aveva previsto, Lullaby non si offese, ma le sorrise benevolmente uscendole la lingua.
A quel punto anche Alexander si alzò in piedi e corse al centro della sala.
«Se è per questo, le ragazze hanno anche aiutato il nostro Regno!»
Disse in maniera teatrale, felice di trovarsi sotto ai riflettori. Purtroppo però la sua esibizione non durò a lungo, perché qualcun altro parlò, richiamando l’attenzione su di sé.
«Già, hanno dato prova di grande coraggio!»
Era una voce giovane e gioviale che Doremi riconobbe all’istante.
«Akatsuki!»
Il  ragazzo le si avvicinò e le prese le mani tra le sue.
«Doremi, sono così felice di rivederti!»
Le confessò il ragazzo esibendo un sorriso perfetto.
«Mi sei molto mancata in questi mesi. Sai? Credo che non ci sia niente di meglio, sarebbe splendido pensare che altre persone come te possano entrar a far parte del nostro mondo. A quel punto, non ci sarebbe nulla di male a sposare un Umano e vivere per sempre al suo fianco.»
Normalmente una simile dichiarazione l’avrebbe fatta arrossire e lasciata senza parole, ma in quel momento Doremi riuscì solamente a sorridergli con gratitudine.
«Sono felice di sapere che anche tu sia dalla nostra parte. L’appoggio del Principe dei Maghi è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare questo progetto.»
Akatsuki fece una strana espressione e la studiò con interesse.
«Sai una cosa? Sei molto cambiata dal nostro ultimo incontro.»
Sinfony si avvicinò alle altre e parlò sottovoce, in modo che solo le sue amiche potessero udirla.
«Ehi, non vi sembra strano che Doremi non stia annaspando in presenza di Akatsuki?»
«That’s weird, normalmente s’irrigidisce come un bastone in sua compagnia.»
Notò Mindy, osservando l’amica stare a suo agio in presenza del ragazzo che tanto aveva agognato.
«Sapere una cosa? Credo che si comporti in maniera così naturale perché i suoi sentimenti nei suoi riguardi sono cambiati.»
Spiegò Lullaby saggiamente.
«Stai dicendo che…?»
Avanzò Melody, prima che l’attrice la interrompesse.
«Che credo che il cuore di Doremi appartenga ormai a qualcun altro.»
Inclinò la testa di lato socchiudendo un occhio e tirando fuori la lingua.
«Melody!»
«Sinfony!»
«Lullaby!»
A distrarle dalla conversazione era stato l’intervento di Fujio, Leon e Tooru, gli altri membri dei FLAT4.
«Ah, ragazzi, che piacere rivedervi!»
Ripeterono in coro le ex apprendiste.
«Non mi aspettavo di trovare anche voi qua.»
Confidò loro Sinfony con una nota di sorpresa nella voce.
«Dici sul serio? A dire il vero oggi non manca quasi nessuno all’appello.»
Le fece notare Fujio, allargando le braccia ad indicare tutti i presenti.
«Beh, sì, in effetti solo adesso mi rendo conto di quanta gente sia presente.»
Si giustificò la ragazza dai capelli corvini.
«Vorrei richiamare un po’ di ordine.»
Sentenziò la Regina, riconvocando il silenzio in aula.
«C’è forse qualcun altro in sala, che desidera spendere due parole a favore delle Umane?»
Doremi e le altre si guardarono intorno, cercando qualche mano alzata.
«Io, mia Regina.»
Disse Maia, la Strega che si occupa delle visite pediatriche delle Neostreghe. Le mani delle due infermiere gemelle, Pi e Pon si allungarono all’istante come fossero la sua ombra.
Come un’ola non programmata, alla sua dichiarazione seguirono le mani di Majomiller, Majosloan, Majosullivan, Majoprima, Majovanilla, Majoreed, Majoroxanne, Majocross, Majotoron e Majoran, che per l’occasione era tornata nel suo Mondo natio. Con enorme sorpresa delle ragazze, alla riunione aveva partecipato anche la Regina di due regni fa, Majo Tourbillon, ed adesso teneva issata la mano proprio come le altre. La Fatina Baba, al suo fianco, imitava il suo gesto.
Il loro cuore sembrò sciogliersi di colpo, non avevano certamente immaginato di ricevere così tanto appoggio da parte di tutte le Streghe che avevano avuto modo di incontrare durante le esaminazioni.
Ora che ci facevano caso, anche Majoririka era presente, ed ovviamente si era sporta per dare loro anche il suo voto.
«Tutto questo è così commovente.»
Esclamò Doremi alle sue amiche con la voce incrinata dall’emozione.
«Chi l’avrebbe detto che tutte quante sarebbero accorse in nostro aiuto?»
Sinfony sventolava in alto i pugni.
«A quanto pare, abbiamo dato del nostro meglio in questo Mondo.»
Sorrise Melody socchiudendo gli occhi.
La Regina contò ad una ad una tutte le mani che si erano innalzate verso il cielo, e non si dimenticò ovviamente di valutare anche quella di Majorin e della piccola Hanna, che si era alzata sulle punte dei piedi per non passare inosservata.
«A questo punto, anche se la decisione non è unanime, è la maggioranza a vincere. Il progetto ideato da me e dal Re dei Maghi troverà la sua realizzazione negli anni futuri. Cara Hanna, immagino che tu sappia bene quanto lavoro ci sia da fare per portare il progetto a termine.»
La biondina incrociò le sopracciglia in un’espressione decisa.
«Non m’importa quanto ci sarà da lavorare, farò tutto il possibile per riaprire il varco tra i due Mondi.»
Poi diede un’occhiata alle sue amiche, che la guardavano con ammirazione.
«Perché in questo modo potrò rivedere finalmente le mie mamme!»
 
 
Poche ore dopo, la Carrozza Reale le stava riconducendo al MaHo. Eufonia le aveva seguite sul suo manico di scopa, e al suo fianco volavano Lalà e le loro ex fatine.
L’incantesimo che era stato lanciato su Hanna era svanito, per cui si ritrasformò in una bambina dell’asilo e si godeva il viaggio sul grembo di Doremi.
«Volevo ringraziarvi per tutto quanto, care ragazze. Ancora una volta ho avuto bisogno del vostro supporto, e per fortuna, le cose hanno preso la giusta piega. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza il vostro aiuto.»
La Regina fece una cosa strana, s’inchinò al loro cospetto.
«Regina, anche se non siamo più delle apprendiste, noi ci saremo sempre per dare una mano nel Regno delle Streghe.»
La informò Doremi esibendo un largo sorriso. Le ragazze alle sue spalle confermarono allegramente.
«Mi fa piacere udire queste belle  parole, ma da adesso, credo che non ce ne sarà più bisogno. Avete già fatto abbastanza.»
Con quelle ultime parole si congedò e salì sulla Carrozza, diretta al suo Castello e sparendo per sempre.
Eufonia si avvicinò alle ragazze ed approfittò del suo turno per salutarle un’ultima volta.
«Sono fiera di tutte voi bambine. Abbiate cura di voi stesse, mi raccomando.»
Disse, guardandole una alla volta. Senza nemmeno rispondere, Doremi e le altre si fiondarono tra le sue braccia soffocandola in un abbraccio.
Eufonia si divincolò un pochino, boccheggiando per riprendere fiato, ma poi ricambiò il gesto affettuoso.
Le fatine svolazzarono intorno alle loro ex padrone, facendo i salti di gioia.
«Adesso però è giunto il momento di dirci addio.»
Eufonia guardò le ragazze un’ultima volta. Doremi la corresse.
«Non è un addio,solo un arrivederci un po’ più lungo.»
La Strega dovette contenersi per non farsi sfuggire qualche lacrima, ma si ricompose in fretta.
«Molto bene, adesso è giunto il momento di tornare indietro, ma prima suppongo di dover rispedire Sinfony, Mindy e Lullaby a casa propria.»
Le amiche si rivolsero un ultimo sguardo, accennando ad un saluto.
«Non è un addio.»
Iniziò Sinfony.
«Ma solo un arrivederci.»
Continuò Lullaby.
«Un po’ più lungo.»
Concluse Mindy.
Eufonia sollevò il suo cristallo fatato e le tre ragazze sparirono dietro una densa nube di  fumo grigiastro.
«E per quanto riguarda te.»
Disse infine Doremi sollevando Hanna in alto per guardarla dentro agli occhi.
«Comportati bene fino a quando non sarai la Regina. Sulle tue spalle ci sono molte responsabilità, dovrai essere pronta a tutto, ci siamo intesi? Quindi impegnati seriamente d’ora in avanti. Ci rivedremo il prossimo anno, e ti prometto che non commetterò mai più l’errore di dimenticarmi del tuo compleanno.»
Hanna sorrise agitando le manine di fronte al viso della rossa.
«Sì, mamma.»


 
WHO'S THAT?
Non so se vi ricordate i nomi di tutte le Streghe che hanno esaminato le apprendiste durante il corso delle quattro stagioni, se così non dovesse essere, vi allego un Link dove potrete ritrovarle:
http://ojamajowitchling.wikia.com/wiki/Majo

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Capitolo 41
*** La dichiarazione ***


- LA DICHIARAZIONE -
 
Il giorno dopo Doremi stentava ancora a credere a quanto fosse accaduto il giorno prima. Nel giro di poche ora aveva rivisto Hanna, aveva rincontrato Sinfony, Lullaby e Mindy ed aveva fatto un’ultima visita nel Mondo delle Streghe. Per un attimo credette di aver sognato tutto quanto, ma l’espressione imbambolata di Bibì durante la colazione la convinse del contrario.
Dopo aver ingurgitato il Tamagoyaki ed essersi scolata tutto d’un fiato un bicchiere di latte fresco, Doremi corse in camera sua e si vestì di tutto punto. Quel giorno c’era qualcosa che doveva necessariamente fare, qualcosa che non poteva più aspettare.
Quando uscì per strada notò che il clima era notevolmente cambiato. La leggera brezza era del tutto sparita, ed il sole risplendeva alto nel cielo, scaldando qualsiasi cosa si trovasse sotto i suoi raggi.
Lasciandosi coccolare dal calore primaverile, Doremi camminò lentamente, senza fretta. Per quanto importante fosse ciò che doveva fare, era certa che un paio di minuti non avrebbero fatto alcuna differenza.
Percorse il viale costeggiato di abitazioni private e si rallegrò nel veder sbocciare i primi fiori. Si disse che presto sarebbe iniziata la fioritura dei Sakura.
Arrestò la sua camminata solamente quando si trovò nella via in cui si affacciava casa Kyosuke. Notò con orrore che un camion dei trasporti era parcheggiato proprio di fronte all’appartamento della sua amica.
Si avvicinò con passo lesto, cercando Makoto con lo sguardo. La trovò mentre trasportava uno scatolone dall’aspetto pesante su cui era stato scritto con un pennarello nero “Libri Makoto”. Si avvicinò alla compagna e l’aiutò a sistemare lo scatolo sul camion, prima di rivolgerle un’occhiata interrogativa carica di apprensione. Makoto non disse nulla, ma abbassò gli occhi mostrando la sua vulnerabilità.
«Avrei dovuto dirtelo.»
Esordì con semplicità, senza nemmeno accaparrare qualche scusa.
«L’avrei fatto…»
Si affrettò ad aggiungere suonando poco convincente.
«Cioè, ti avrei lasciato una lettera, l’ho già scritta.»
Infilò la mano in tasca per afferrare un pezzo di carta, ma Doremi l’allontanò con delicatezza, senza però staccare gli occhi da quelli verde acqua dell’amica.
«Perché?»
Domandò con occhi lucidi, senza nemmeno battere le palpebre. Makoto si sentì male quando udì quel tono supplichevole.
«Non volevo che succedesse… Questo!»
Disse, agitando in aria una mano tra sé e l’amica, indicando lo spazio che le separava.
«Doremi, tu sei una ragazzina allegra e solare, non potevo tollerare l’idea di rattristarti.»
Disse, senza riuscire a tenere a freno il fremito della sua voce.
«Volevo ricordarti raggiante e spensierata, mentre adesso sarò costretta a portare questo ricordo ad Hokkaido con me. Te in lacrime che mi colpevolizzi per averti taciuto la questione del mio trasferimento.»
Abbassò lo sguardo come a voler scusarsi.
«Da quanto lo sai?»
Chiese Doremi, incapace di pensare ad altro.
«Poco più di un mese.»
Confessò, rifiutandosi di guardarla negli occhi per non dover essere costretta a sopportare la delusione che le aveva provocato.
«E davvero non hai pensato di dirmelo?»
«A cosa sarebbe servito? Se l’avessi saputo, le nostre conversazioni sarebbero ruotate intorno all’argomento, ed io non lo desideravo affatto!»
Doremi respinse le lacrime. La voce di Makoto tradiva tutto il suo senso di colpa, e lei non voleva cominciare a frignare davanti ai suoi occhi, avrebbe solamente peggiorato la sua situazione. Si sforzò con tutta sé stessa di sorridere, sperando di apparire naturale.
«Tornerai ad Hokkaido dai tuoi parenti ed amici, ne sarai felice.»
Disse, e si convinse d’esser stata brava quando Makoto per la prima volta la guardò negli occhi.
«Hm…»
Era solo un suono, ma Doremi capì che doveva esserle costato tanto.
«Ad ogni modo è stato un bene venire a trovarti, preferisco aver scoperto la verità in questo modo piuttosto che leggendo una lettera, almeno ti ho vista un’ultima volta.»
Makoto strinse i pugni davanti a sé, e prima ancora che Doremi potesse dire qualcosa le gettò le mani attorno al collo e la strinse in un abbraccio.
«Sei stata la mia migliore amica qui a Misora.»
Le sussurrò in un orecchio, mentre il suo corpo era scosso dai singhiozzi.
A quel punto tentare di resistere al pianto era inutile.
«Lo stesso vale per me. Sei stata la miglior compagna che potessi mai desiderare.»
Rimasero così per un paio di minuti, poi finalmente Makoto trovò la forza di separarsi dall’amica, asciugandosi gli occhi con il polsino della sua camicetta.
«Partiremo oggi pomeriggio, verso l’ora di pranzo.»
La informò, indicando il cassettone colmo del mezzo di trasporto. Doremi annuì impercettibilmente, notando solo adesso il cartello piantato nel giardino di casa sua che citava “vendesi”.
«Ad ogni modo, perché sei venuta a cercarmi?»
Domandò infine, invitando Doremi a sedersi sugli scalini che conducevano all’entrata sul retro. Improvvisamente ricordò quale fosse la cosa che non poteva più attendere ed arrossì sentendosi una sciocca.
«Sai, non credo sia questo il momento più opportuno per parlarne…»
Disse con vaghezza, concentrandosi sull’erba fresca del giardino di Makoto. La ragazza emise una risatina nervosa.
«Scherzi? Se non adesso, allora quando? Ti ricordo che sto per partire.»
Doremi la guardò in faccia, improvvisamente seria.
«La tua partenza sta rovinando tutto.»
Si guardarono un istante prima di scoppiare a ridere a crepapelle, tenendosi lo stomaco.
Quando si ripresero, Makoto si passò un dito sotto agli occhi.
«Sei arrossita come un peperone, ha forse qualcosa a che fare con un ragazzo?»
Chiese con finta ingenuità, anche se in realtà aveva già capito di cosa desiderasse parlarle. Doremi tacque, ma il suo silenzio fu più che eloquente.
«Ed il ragazzo è forse un nostro compagno di classe con i capelli blu che gioca a calcio?»
Notò il rossore dilagare sul viso dell’amica, che dovette attingere a tutto il suo coraggio prima di annuire.
Makoto si rese conto del suo impaccio, perciò decise di non proseguire.
«Se non ricordo male, ti avevo detto che per me non c’era alcun problema.»
Si limitò a dire, osservando con la coda dell’occhio la reazione di Doremi.
«Penso che dovresti farlo subito, magari gli risolleveresti l’umore.»
Le consigliò infine, mettendosi in piedi e afferrandole le mani per aiutarla a fare lo stesso.
«Va’ adesso. Io comunque devo finire di portare giù la mia roba.»
Si guardarono un’ultima volta, prima di salutarsi definitivamente.
«Scrivimi.»
Le ordinò Makoto.
«E tu cerca di farti comprare un cellulare.»
Replicò Doremi.
Makoto sorrise annuendo.
 
***
 
Dopo quella conversazione, non aveva alcun desiderio di correre a cercare Tetsuya. La visita a Makoto le aveva strappato via più energie del previsto, per cui decise di fare una gita al parco di Misora, sperando di riuscire a schiarirsi le idee.
Si sedette su un’altalena tenendo i piedi saldi per terra, mentre la sua mente vagava senza sosta.
Poi successe una cosa strana, iniziò a piovere. Non fu una pioggia normale, di quelle che cominciano lentamente, ma un vero e proprio acquazzone, che le costrinse a correre a cercare riparo sotto il gazebo del parco.
“Com’è possibile che piova? Fino a poco fa il cielo era chiarissimo e non c’era una sola nuova in cielo, né tanto meno un filo di vento!”
Socchiuse gli occhi per evitare che l’acqua la rendesse cieca, e li riaprì solamente quando si trovò al riparo, piegata sulle sue ginocchia nel tentativo di riprendere fiato. S’accorse quasi immediatamente di non essere da sola. Un altro ragazzo ansimava al suo fianco, evidentemente anche lui doveva esser stato sorpreso dalla pioggia.
«Però, il tempo è proprio pazzo!»
Scherzò Doremi, rizzandosi finalmente sulla schiena.
«Già, non me ne parlare.»
Il ragazzo la imitò e ben presto i due si trovarono faccia a faccia. A Tetsuya venne quasi un colpo quando si rese conto di essere da solo insieme a Doremi. Anche la ragazza faticò a nascondere la propria sorpresa.
«Tu?»
Domandò, indicandolo con un dito, mentre lui voltava lo sguardo verso il parco. Sicuramente aveva pensato di correre via, ma un violento tuono lo fece desistere, riportandolo sui suoi passi.
«Però, che pioggia!»
Disse con tono vago, facendo di tutto per non osservare il viso tondo di Doremi.
Lei rimase in silenzio ed inspirò a lungo, prima di dirgli finalmente.
«Sai? Ti stavo cercando.»
Tetsuya rimase talmente sorpreso da quelle parole che si dimenticò del suo presupposto di non guardarla e si voltò immediatamente nella sua direzione.
«Mi cercavi? E perché mai?»
Chiese dubbiosamente.
«Per parlare, mi pare ovvio.»
«Beh, ma io non ho nulla da dirti.»
Esclamò il ragazzo, voltandole le spalle e concentrandosi sulla furia del vento che si abbatteva sugli alberi facendoli tremare da una parte all’altra.
Doremi gonfiò le guance in un gesto molto consueto di quando perdeva la pazienza.
«Allora diciamo che sono io che devo parlarti.»
Tetsuya incrociò le mani dietro alla testa fingendo noncuranza, seppure fosse tutto orecchi.
«Davvero? E cos’hai da dirmi?»
«Se non ti decidi a guardarmi in faccia puoi scordarti che io apra bocca!»
Lo rimbeccò Doremi, incrociando le mani sul petto e facendo la bocca da papero.
«E va bene, allora ti guardo. Adesso puoi dirmi cosa c’è?»
Gli occhi azzurri di lui erano fissi su quelli rosa di lei. In quel momento Doremi rimpianse di averlo costretto a girarsi, perché aveva cominciato a sentirsi maledettamente a disagio.
“Ma che mi prende? Non mi sono mai sentita in questo modo per colpa di Tetsuya. Le gambe mi tremano e le mani mi sudano, vorrei non esser mai venuta fin qui.”
«Beh, allora?»
La incitò a parlare, ma le sue labbra sembravano cucite.
«Ho capito, mi stavi solo prendendo in giro. Meglio che me ne vada.»
Fece per sfidare la pioggia, ma lei lo afferrò per un polso.
«No aspetta! Non ti sto prendendo in giro, devo parlarti sul serio!»
«E di cosa?»
Lui la strattonò cercando di sottrarsi dalla sua presa.
«Come sarebbe a dire di cosa? Del fatto che ci piacciamo, scemo!»
Lo disse senza nemmeno pensarci su. Mollò il braccio de ragazzo e si portò le mani sulla bocca, anche se ormai il danno era fatto. Le parole erano venute fuori spontaneamente, come se quella fosse l’unica cosa sensata da dire. Le tremarono gli occhi quando si rese conto di essersi appena dichiarata a Tetsuya.
Rimasero in silenzio per i secondi che seguirono, lui allargò le pupille e la fissò come se stesse vedendo un fantasma.
«Dici… Sul serio?»
Domandò titubante, mentre lei annuiva impercettibilmente.
«Sono stata una sciocca a non accorgermi sin da subito dei tuoi sentimenti nei miei confronti e ti ho fatto soffrire. Mi dispiace tanto, non era mia intenzione.»
Tetsuya non credeva alle sue parole.
«Non fa nulla, non sono certo in collera con te.»
Disse, mentre i muscoli del suo viso si rilassavano.
«La verità è che ho realizzato tutto quanto solo pochi giorni fa.»
Gli confessò, fissando i suoi piedi per non dover esser costretta a guardarlo negli occhi.
«E ho capito che, forse, mi piaci anche tu.»
Per qualche strana ragione, pronunciare quelle quattro parole non era stato affatto difficile come si era aspettata. Forse la consapevolezza di esser ricambiata la rendeva più sicura di sé.
Tetsuya non rispose, rimase con le mani in tasca a fissare la pioggia, mentre Doremi cominciava lentamente a nutrire dei dubbi in proposito. Che lui avesse cambiato idea nel frattempo?
La sua sicurezza iniziò a vacillare, si sentì irrimediabilmente sciocca. Lei gli aveva appena aperto il suo cuore e lui ne stava impalato a fissare il vuoto.
«Guarda, la pioggia sta cessando.»
Le disse, costringendola a guardare in alto.
«È buffo, non trovi? Se non avesse iniziato a piovere, noi non ci saremmo incontrati e non ci saremmo detti quelle cose.»
Le fece notare lui, il tono della sua voce tradiva una nota di allegria.
«Già, è piuttosto strano.»
Concordò lei, avvicinandosi al bordo.
«Senti, mi sta venendo fame, che ne dici di andare a mangiare qualcosa?»
Le propose lui, cercando di suonare il più naturale possibile.
«Mmh, ok, mi sembra una buona idea.»
Dichiarò, dopo averci pensato su.
«Allora, coraggio, andiamo, prima che ricominci la tempesta.»
Lui le prese la mano nella sua e la condusse verso il parco, mentre gli alberi ancora zuppi lasciavano cadere delle grosse gocce d’acqua sulle loro teste.
In cielo, alla stessa altezza delle cime degli alberi, un’apprendista strega osservava la scena con un enorme sorriso.
«Tutto è bene quel che finisce bene.»
Disse, afferrando con entrambe le mani il suo manico di scopa.
«Adesso però sarà meglio che torni a casa, o mamma e papà si preoccuperanno. Ma prima… Magia della musica diffondi l’onestà.»
Recitò, agitando il suo trecordeon in direzione dei due ragazzini che si allontanavano mano nella mano.
«Che a Doremi e Tetsuya il coraggio mai più mancherà.»
Dallo scettro fuoriuscirono lampi di luce multicolore che colpirono i due ragazzini.
Soddisfatta della sua opera, Makoto fece retromarcia e volò in direzione di casa sua.

 
DIZIONARIO (JUST IN CASE)
Tamagoyaki: Sono le frittele salate con cui i giapponesi fanno colazione.
Sakura: Nome giapponese degli alberi di fiori di ciliegio.

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Capitolo 42
*** Ancora una volta riunite al MaHo ***


-ANCORA UNA VOLTA RIUNITE AL MAHO -
 
 
«Finalmente, eccovi!»
Strillò Doremi quando Sinfony, Lullaby e Mindy apparvero dal nulla grazie alla magia di Hanna.
Mindy aveva imparato la lezione, ed adesso si faceva trovare preparata, andando a dormire con gli abiti quotidiani. Sinfony invece indossava la divisa scolastica della sua scuola superiore.
«Ah, che bello rivedervi tutte quante!»
Urlò Hanna, abbracciando una alla volta le sue mamme.
«Per celebrare questa festa ho dato il meglio di me.»
Aveva annunciato alle sue migliori amiche, squittendo deliziata.
«Lo credo bene, 16 anni non si festeggiano mica ogni giorno.»
Sorrise Bibì, trovando sempre divertente il fatto di essere più piccola di Hanna, seppure in passato l’avesse cullata.
«Questa volta niente abiti convenzionali, voglio che indossiate qualcosa di speciale.»
Aveva detto loro, sghignazzando dinnanzi alle espressioni confuse che le rivolgevano.
Afferrò il suo Cristallo Fatato e lo indirizzò verso le sue sei migliori amiche.
«Cristallo Fatato / realizza quanto da me desiderato: dona alle presenti un abito elegante ed elaborato.»  
Da tempo Hanna aveva perso l’abitudine di usare la formula magica “magia della musica diffondi la generosità”, tuttavia non aveva del tutto abbandonato l’uso di una piccola filastrocca, diceva che rendeva la magia un po’ più poetica e divertente.
In men che non si dica, Doremi e le altre furono investite da un denso fumo dorato, e quando questo svanì, le ragazze poterono ammirare i loro abiti nuovi di zecca.
«Ma Hanna… Sono bellissimi!»
Aveva annunciato Doremi con una nota di sorpresa nella voce.
«Ma certo, per voi solo il meglio!»
Sorrise la biondina, ammirando il suo capolavoro.
«Ricordano un po’ le nostre vecchie uniformi da apprendista.»
Notò Sinfony, guardandosi allo specchio. L’abito era comporto da un corpetto provvisto di manichette ed una larga gonna decorata da lustrini. Ai piedi però non c’erano i soliti stivali, bensì delle scarpette simili a delle ballerine, comode e versatili. Ogni abito aveva un colore diverso, per Doremi era rosa, per Melody arancione, per Sinfony azzurro, per Lullaby viola, per Mindy giallo e per Bibì rosso.
«In effetti devo confidarvi che è proprio da lì che ho preso l’ispirazione.»
Confessò Hanna, un po’ delusa di esser stata scoperta così in fretta.
«Beh, ma il tuo riadattamento è senza dubbio migliore!»
Le sorrise Lullaby, schiacciandole l’occhiolino come faceva sempre ai suoi fan.
«Prima di scendere che ne dite di fare due chiacchiere? È ancora presto, gli invitati non arriveranno prima di mezz’ora.»
Suggerì Doremi, mettendosi a sedere. Hanna fece apparire delle tazze di tè fumante dal nulla.
«Lullaby, come ti trovi negli Stati Uniti?»
Aveva domandato Melody versando dello zucchero nel suo tè alla menta.
«Oh, New York è fantastica, dovrete venire a trovarci prima o poi!»
Raccontava con un tono più alto del solito.
«Quando non è impegnata con le riprese, facciamo sempre dei giri insieme per la città.»
Spiegò Mindy.
«È una fortuna che ci sia lei con me, penso che altrimenti mi sarei persa centinaia di volte.»
Convenne Lullaby, rivolgendole un largo sorriso.
«E inoltre, mi aiuta tantissimo a migliorare il mio inglese.»
«Ma cosa dici? Il tuo inglese è già ottimo, altrimenti non ti avrebbero mai dato la parte, non trovi?»
Le ricordò Mindy, portandosi il cucchiaino alla bocca.
«E invece come cresce il piccolo Mickey?»
Domandò Sinfony rivolta a Mindy, sinceramente interessata.
«È un piccolo diavoletto, sapeste quante me ne combina, oh my God! Ho portato delle foto, vi andrebbe di vederle?»
«Certamente, che razza di domande sono?»
Doremi afferrò le polaroid dalle mani dell’amica e osservò il soggetto della foto; un bambino di circa quattro anni dai capelli biondissimi e con vispi occhi verdi. Somigliava tantissimo alla sorella maggiore, cosa che rendeva Mindy non poco orgogliosa.
«Eh? Ma cos’ha in testa?»
Domandò Hanna, prendendo una foto a caso. Mindy arrossì lievemente e si batté una mano sulla fronte.
«Meglio che non te lo dica…»
Bibì spiò la foto da sopra la spalla della sorella, cominciando a ridere di gusto.
«Ma non lo vedi? È un reggiseno!»
La più giovane si sporse per guardare meglio.
«Ah, è vero, ci ho fatto caso solo adesso!»
Disse, cominciando a ghignare assieme alle altre.
«Ve l’ho detto che è un diavoletto!»
Tentò di giustificarsi Mindy, alzando le spalle verso il cielo.
«E invece come procedono le cose tra te e Masaru?»
Domandò Lullaby a Melody. La ragazza sorrise gioiosamente.
«Va tutto a gonfie vele, grazie per averlo chiesto. Pensavamo di fare una gita ad Osaka il prossimo fine settimana. A proposito Sinfony, tu e Kenichi siete liberi? Speravamo di passare un po’ di tempo insieme.»
«Sì, credo proprio di sì, ad ogni modo lo informerò, in modo che non prenda impegni…»
«Eh, aspettate un attimo voi due! Chi è Kenichi?»
Domandò Hanna alzando la voce e facendo balenare il suo sguardo da Melody a Sinfony. La sportiva sorrise grattandosi il collo.
«Ah dimenticavo, tu non ne sai ancora niente. Ecco, vedi? Kenichi è il mio ragazzo.»
Annunciò con semplicità, ma Hanna non parve soddisfatta di quella svelta risposta.
«E da quanto tempo state insieme? Come lo hai conosciuto? Uff, è mai possibile che io sia sempre l’ultima a sapere le cose?»
«Beh, non posso farci nulla se i cellulari non funzionano nel vostro Mondo.»
Si giustificò Sinfony.
«Sì, ok, comunque non hai risposto alle mie domande.»
Le fece notare Hanna con una punta di arroganza nella voce.
«Stiamo insieme da quasi nove mesi, è successo tutto in maniera confusionaria. Ci  siamo trovati per caso nella stessa scuola superiore, e addirittura nella stessa classe. All’inizio tendevamo ad evitarci, io sapevo che aveva una ragazza e lui credeva che lo avessi preso per maniaco se si fosse azzardato a rivolgermi la parola, ma poi un giorno siamo stati costretti a collaborare per un progetto scientifico, e a quel punto non potevamo più ignorarci! Mi ha raccontato di aver rotto con la sua ex già da più di un anno, ed io gli ho parlato delle vittorie conseguite alla scuola media. Il tempo è volato prima ancora che ce ne rendessimo conto, non abbiamo avuto modo di aggiornarci su tutto, quindi mi ha invitata a pranzare con lui e poi…»
«Le loro uscite sono diventate sempre più frequenti e alla fine Kenichi si è fatto coraggio e le ha chiesto di diventare la sua ragazza!»
Terminarono le altre quattro al posto suo.
«È andata proprio così.»
Concluse Sinfony alzando le spalle. Hanna mise il broncio.
«Dovrò chiedere alla Regina di installare la rete telefonica nel Mondo delle Streghe.»
Si lamentò la piccola streghetta incrociando le braccia sul suo petto.
«E tu, Bibì, che ci racconti dei tuoi fidanzatini?»
Bibì alzò le sopracciglia e si schiarì la voce.
«I fidanzatini sono per le bambine piccole, adesso preferisco non toccare la questione, devo concentrarmi sulle lezioni di piano. Tornerò ad interessarmi ai ragazzi solo quando ne troverò uno capace di farmi tremare le ginocchia.»
Sentenziò, dando ancora una volta prova d’essere molto più matura di quanto non sembrasse.
«E che mi dici di Kimitaka
La voce di Doremi le arrivò alle spalle. Bibì dovette sforzarsi per non arrabbiarsi.
«Ti ho già detto che siamo solamente amici! Perché continui a tirare fuori l’argomento?»
«Perché da quando ha lasciato Misora non fate altro che sentirvi, specialmente adesso che anche tu hai un cellulare.»
Rispose Doremi, incapace di trattenere un sorriso beffardo.
«Siamo solo amici. Pensa piuttosto alla tua vita sentimentale!»
Proprio quando gli animi stavano per scaldarsi, un rumore al piano di sotto le avvisò dell’arrivo di qualcuno. Le ragazze affacciarono la testa per osservare chi fosse arrivato.
«C’è nessuno?»
Chiese la voce di Tetsuya, diventata più profonda e calda.
«Oh, sì siamo qui!»
Doremi agitò una mano per farsi notare.
«Dai, scendi giù, non ho voglia di salire, siete tutte ragazze!»
Notò lui, sentendosi improvvisamente disarmato di fronte a quelle pettegole.
«Uff, e va bene, arrivo subito!»
Scese di fretta le scale e lo convinse ad entrare del tutto, portandolo al centro della sala.
«Non mi hai ancora salutata.»
Lo rimbeccò lei.
«Non adesso, ci sono tutte le tue amiche che ci guardano.»
Mugolò lui, arrossendo sulla punta del naso.
«Sai Tetsuya? Non ti facevo così timido.»
Lo stuzzicò Mindy dal piano superiore.
«E va bene, se non vuoi farlo tu, lo farò io.»
E, così dicendo, Doremi gli stampò un bacio sulle labbra. Le sue amiche emisero degli strilli sonori che lo misero ancora più a disagio.
«Questa cosa è sempre divertente!»
Dichiarò Lullaby asciugandosi le lacrime causate dalle forti risa.
 
 
Poco tempo dopo il MaHo era gremito di studenti delle superiori, che una volta ogni anno si riunivano tutti insieme al vecchio negozio di magia per celebrare il compleanno della loro vecchia compagna Hanna, e per approfittare dell’occasione che li vedeva tutti riuniti.
Marina era venuta insieme a Takao, mentre Takeshi si era presentato insieme a Mutsumi, che aveva preso a frequentare soli pochi mesi prima. Reika era da sola ancora una volta, a quanto pareva, il suo insegnante di francese non corrispondeva i suoi sentimenti, giudicandola troppo infantile per i suoi gusti. Tuttavia Reika non si demoralizzava e continuava a ripetere che un ragazzo incontrato a Parigi le facesse una spudorata corte, ma che purtroppo lei aveva dovuto respingerlo a causa della distanza che li separava.
«Il prossimo anno ti spedirò un invito formale, in modo che tu possa raggiungermi insieme a Kenichi.»
Aveva confessato Hanna a Sinfony, preoccupata che l’amica sentisse la mancanza del suo ragazzo. Sinfony le sorrise benevolmente e le disse di non preoccuparsi, ma che apprezzava la sua idea.
«E poi hai sentito Melody, il prossimo fine settimana lei e Masaru verranno a trovarmi.»
«Ehi, non dimenticarti di noi!»
La sgridò scherzosamente Doremi.
«Andremo anche noi ad Osaka, non è così?»
Domandò a Tetsuya con tono lezioso. Il ragazzo annuì solennemente.
«Certo che sì, soprattutto perché sabato prossimo il Gamba Osaka* sfiderà l’FC Tokyo*
Doremi rabbrividì nel sentirgli pronunciare quei due nomi, e lo guardò con aria scettica.
«Non penserai mica di andare a seguire la partita allo stadio!»
«E perché no?»
Chiese Tetsuya con ingenuità.
«Perché noi del Gamba vi faremo la festa, ecco perché.»
Intervenne Sinfony con tono canzonatorio.
«Lo vedremo, Seeno.»
«Puoi giurarci, Kotake!»
Doremi li osservava con sconforto, facevano sempre così quando si trattava di competizioni calcistiche, iniziavano a prendersi in giro verbalmente, poi si riferivano all’altro con il cognome ed infine…
«Se ne sei tanto sicura, che ne dici di scommettere?»
«E sia, se vinciamo noi dovrai offrirmi una porzione di takoyaki*
«E se invece vinciamo noi, cosa più probabile, sarai tu ad offrirmi okonomiyaki* a sazietà!»
Sinfony e Tetsuya si diedero la mano per conferire solennità alla scommessa.
«Scusate, e se invece le due squadre dovessero pareggiare?»
Suppose Doremi, pentendosi immediatamente di essersi lasciata trascinare in una conversazione sportiva.
«In quel caso ognuno si pagherà il suo.»
Dichiararono entrambi in coro sorridendo a trentadue denti.
«Scordatevelo, non ho intenzione di recarmi a Osaka per una stupida partita!»
La voce di Masaru li costrinse a tacere.
«Suvvia, vedrai che dopo la partita troveremo il tempo di visitare anche lo zoo di Tennoji!»
Lo rassicurò Sinfony, colpendo il suo punto debole.
«E non dimenticate il castello!»
Propose infine Melody, prendendo parte alla conversazione.
«Uff, per fare tutto quanto ci vorrebbe una magia!»
Scherzò Doremi, riflettendo sul fatto che neppure con la magia avrebbe potuto ottenere quanto possedeva già. I poteri magici potevano tornare utili in tantissimi modi, ma, doveva ammettere, non avrebbero mai potuto renderla più felice di quanto non fosse adesso.


 
DIZIONARIO (JUST IN CASE)
Gamba Osaka & FC Tokyo:
sono due squadre calcistiche giapponesi.
Tomyaki: Polpette di polpo fritto
Okonomiyaki: Un piatto che ricorda i pancake americani. Si distinguono in particolar modo quelle della regione del Kansai, tanto che viene spesso definita dai giapponesi "la pizza di Osaka"
 

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Capitolo 43
*** Epilogo ***


-EPILOGO -
 
 
15 ANNI DOPO
 
Un sordo rumore di tacchi si espandeva per il corridoio vacante, riecheggiando fino a diventare quasi assordante.
Il mantello nero adagiato sulle sue spalle sventolava da una parte all’altra mentre la Strega raggiungeva a grandi passi la porta alla fine della stanza. Bussò tre volte, annunciandosi, poi, senza attendere alcuna risposta, aprì il portone e scivolò dentro il lussuoso salone, facendo un profondo inchino alla donna che le stava dinnanzi.
«Maestà, gli alberi della vita sono in fiore, è giunto il momento di scegliere quali tenere su questo mondo e quali mandare sulla Terra.»
Annunciò senza preamboli, sollevano in fretta il capo e volgendo il proprio sguardo alla Regina.
La donna aveva la pelle diafana, lunghi capelli biondi le ricadevano elegantemente sulle spalle e dietro la schiena, ed i suoi svegli occhi castani brillarono nell’udire quella dichiarazione.
«Molto bene Eufonia, ti ringrazio. Mi farai compagnia durante la valutazione?»
Eufonia allargò le labbra in un sorriso.
«Se è questo che desideri, Hanna…»
 
«Questo fiore sboccerà presto.»
Eufonia informò la Regina, indicando una rosa.
«Sembra forte.»
Commentò Hanna, sfiorandone delicatamente i petali.
«Lo è.»
Confermò la Strega, studiandone la forma.
«Che qualità possiede?»
Domandò Hanna, osservando le gocce di rugiada che rendevano il fiore molto più bello, quasi come si trattasse di una gemma preziosa.
«È un fiore molto profumato, significa che il nascituro sarà coinvolgente e trascinante, ma ha un colorito pallido, il che lo rende riservato e poco propenso a mettersi in mostra. Ha poche spine, significa che è in grado di proteggersi, sebbene preferisca non ferire il prossimo.»
«Mi piace molto.»
La informò Hanna, osservandolo con più interesse, ancora incerta su cosa farne.
«Avrà bisogno di una buona educazione.»
Le suggerì Eufonia velatamente.
«Se istruito bene, farà grandi cose.»
Hanna giocherellò a lungo con la rosa, prima di decidersi sul da farsi.
«Lo manderò sulla Terra.»
Concluse infine, cogliendolo dall’albero della vita. Eufonia non parve affatto sorpresa da tale mossa.
«Cristallo Fatato/ realizza quanto da me desiderato: guida il fiore sulla terra e stabiliscine il fato.»
Il cristallo emise un luccichio. La rosa rimase sospesa in aria per una frazione di secondo, poi scomparve nel nulla, dissolvendosi nell’aria, come se non fosse mai esistito.
 
 
I petali dei fiori di ciliegio dondolavano pericolosamente sulle cime dei rami, prima di abbandonarsi al volere del vento e fluttuare brevemente nell’aria, fino a cadere per terra sul suolo.
“La fioritura dei Sakura è una delle mie cose preferite.”
Pensò una giovane donna, rimasta in piedi ad ammirare quella soave danza come rapita.
In quel momento una voce familiare la distrasse. Un uomo, poco lontano da lei,stava spiegando ad un bambino, probabilmente suo figlio, il significato dei fiori.
«Se non ti avessi visto, avrei dubitato che fossi realmente tu, Akatsuki.»
Gli disse lei avvicinandosi, mostrandogli un dolce sorriso.
«Non posso crederci, sei proprio Doremi?»
Domandò l’uomo dai capelli viola, issandosi in piedi per guardare la giovane donna in volto.
Doremi annuì senza staccare gli occhi dal Principe dei Maghi per il quale molto tempo prima aveva avuto una cotta, studiando i cambiamenti del suo viso.
«Cosa ci fai qui?»
Domandò lui, ma prima ancora che lei potesse aprire bocca per rispondere, una voce la chiamò.
«Mamma, mamma, guarda che cosa ho trovato!»
Una bambina di circa quattro anni le veniva incontro agitando qualcosa che teneva stretto nelle sue piccole mani. Akatsuki osservò meglio la creatura, aveva i capelli rossi come quelli della madre e gli occhi azzurri, sicuramente ereditati dal papà.
«Lei è…»
Fece per dire, ma Doremi lo anticipò.
«Mia figlia, Harmony.»
«Mamma, guarda che strano fiore ho trovato!»
Ripeté la bambina, senza curarsi dello sconosciuto. Akatsuki spalancò gli occhi sorpreso.
«Non ci posso credere, ma quello è…»
«È il fiore dell’albero della vita del Mondo delle Streghe.»
Concluse Doremi al suo posto, altrettanto sbigottita.
«Lo riconosci?»
«Ma certo… Molti anni fa, da uno di quei fiori, ho visto nascere la mia prima bambina, non lo dimenticherei per niente al mondo.»
Doremi sorrideva malinconicamente. Sapeva che Harmony non l’aveva trovato per puro caso, doveva esserci lo zampino di Hanna. Si chinò fino a quando non si trovò faccia a faccia con la bambina, gli occhi azzurri di lei si ingigantirono.
«Sai cosa significa questo, Harmony? Che un giorno diventerai la mamma di una streghetta.»
La bambina sorrise, deliziata da quella prospettiva.
 
ALTRI 25 ANNI DOPO…
 
«Dimmi Harmony, hai già scelto il nome per il bambino che porti in grembo? Che ne dici di Kureo?»
Tetsuya guardava la figlia concentrandosi sul grosso pancione che sembrava pronto ad esplodere da un momento all’altro.
«Ti ho già detto che sarà una femmina Tetsuya!»
S’intromise Doremi, prima ancora di dare alla figlia la possibilità di rispondere.
«Mamma sei proprio cocciuta, persino il medico continua a ripetere che è un maschio!»
Doremi non volle sentir ragioni.
«E invece io rimango dell’idea che sarà una bambina.»
«Non sarà ancora per quella vecchia leggenda della rosa, non puoi crederci veramente.»
Harmony rise di gusto, toccandosi il ventre e ascoltando i piccoli calci della creatura al suo interno che sembrava voler dire “eccomi, ci sono anch’io, sto arrivando!”
«Eh no, io sono certo che questa volta sarà un maschietto, che dire? Me lo sento! Non vedo l’ora di insegnare al piccolo Kureo come giocare a calcio.»
Tetsuya si sfregò le mani con espressione compiaciuta.
«E va bene, se ne siete convinti, allora non insisto.»
Disse Doremi alzando le mani in segno di resa.
«Ma solo una curiosità, se fosse femmina, come la chiameresti?»
Domandò infine alla figlia, ignorando le smorfie sul volto del marito. Harmony sollevò gli occhi al cielo pensandoci su.
«Se fosse femmina… Non saprei, non ho mai considerato quest’eventualità… Eppure penso che il nome che le darei… Ma sì, perché no? Le darei il nome Fami.»
 
ALTRI 7 ANNI DOPO…
 
«Fami, hai fatto cadere tu il vaso?»
Doremi non aveva alzato la voce, eppure Fami si sentì irrimediabilmente in colpa.
«Nonna ti giuro che non l’ho fatto apposta! Lo stavo guardando ed ho immaginato che cadesse, e lui è caduto per davvero! Non so come sia possibile…»
Doremi piegò gli occhi e si avvicinò alla nipote.
«Volevi fare una magia?»
La bambina annuì.
«Non so come controllarlo.»
Spiegò intimorita, guardandosi le mani. I suoi grandi occhi rosa vibrarono.
«Ti svelo un segreto.»
Disse Doremi sedendosi alle sue spalle ed intrecciando i capelli rosa per farle un’acconciatura speciale.
«Devi inventarti un incantesimo.»
«Un incantesimo?»
Ripeté Fami fissando il vuoto dinnanzi a lei, senza azzardarsi a muovere la testolina.
«Certamente! In questo modo non rischierai di commettere errori. Trova una formula magica e ripetila solo quando desideri effettuare una magia, così imparerai a controllare i tuoi poteri.»
Le suggerì Doremi.
«Ma non so cosa inventarmi. Mi aiuti?»
«E va bene… Che ne dici di “magia della musica diffondi la felicità?”»
«Magia della musica diffondi la felicità? Sì, mi piace!»
«Allora ripetilo, ma con più convinzione.»
«Va bene, magia della musica diffondi la felicità / il vaso che ho rotto adesso si riparerà.»
In un battibaleno tutti i cocci si raggrupparono unendosi, ed il vaso tornò come nuovo.
«Sai nonna? Tu sei l’unica che crede ai miei poteri magici, per questo in tua presenza riesco a compiere le magie. Davanti alla mamma non ci riesco mai, lei mi crede una bugiarda.»
Le confessò Fami con una punta di desolazione nella voce.
«Sai perché ti credo? Ti svelerò un segreto, ma devi promettermi di non dirlo a nessuno.»
La bambina agitò la testa e mimò il gesto di incidersi una croce sul cuore.
«Lo prometto.»
«E va bene allora. Tanti anni fa, quando ero una bambina, ero un’apprendista strega. Volavo su una scopa magica e facevo visita al Mondo delle Streghe ogni volta che lo desideravo.»
«Davvero? Io non ci sono mai stata…»
«Solo perché sei ancora troppo piccola. Vedrai che presto riceverai la visita della tua Strega Madrina, e lei ti condurà nel Mondo delle Streghe per farti superare delle prove magiche.»
Fami si girò di scatto e cercò gli occhi della nonna.
«Nonna Doremi, ti voglio tanto bene.»
Le confidò, prima di cingerla in un abbraccio.
 
ALTRI 6 ANNI DOPO­
 
«Fami, sei qui! Perché ti stai nascondendo? Tutte le tue compagne stanno festeggiando per essere  riuscite a superare la prova del primo livello!»
Fami se ne stava seduta su un albero, lontana dal frastuono e dal vociare allegro delle altre apprendiste Streghe. Lei non aveva alcuna voglia di celebrare, voleva solamente starsene sola e pensare.
La donna si avvicinò con cautela. La guardava con occhi sinceramente tristi, pareva dispiaciuta.
«Ho sentito dire che tua nonna è passata a miglior vita pochi giorni fa.»
A quelle parole gli occhi rosa di Fami iniziarono a tremare e delle calde lacrime iniziarono a rigarle il viso. Aveva cercato di nascondere la sua vulnerabilità, ma adesso non ce la faceva più.
«La mia nonnina… Non c’è più!»
Confidò con voce straziante, abbracciandosi le ginocchia e singhiozzando talmente forte da spaventare gli animali selvatici che avevano trovato riparo sullo stesso albero.
La Regina le rivolse uno sguardo carico di apprensione. Con una magia si trasportò al suo fianco e le circondò le spalle con le sue braccia.
«So che non deve essere affatto semplice per te. Purtroppo alcune cose capitano e non c’è nulla che possiamo fare per cambiare il corso degli eventi. Immagino che tu sappia già che l’uso della Magia è vietato per tentare di curare gli ammalati, o per riportare in vita le persone scomparse.
Fami annuì con la testa, mentre le lacrime sgorgavano senza alcuna sosta, inumidendole persino il mento.
«Lei era l’unica in grado di capirmi…»
«Pensa che sarà sempre dentro di te, che il suo ricordo non ti abbandonerà mai.»
Rimasero in silenzio sul ramo di un albero, mentre Fami cominciava lentamente a calmarsi.
«Sai Fami? C’è una cosa che vorrei chiederti.»
La ragazzina alzò la testa e guardò il viso gentile della Regina Hanna.
«Di cosa si tratta?»
«Negli anni ti sei dimostrata una Strega abile e capace, hai superato tutti i tuoi compagni, ottenendo i voti più alti di tutta la classe.»
Fami abbassò gli occhi, non riuscì ad impedirsi di arrossire.
«Mi chiedevo se ti andrebbe di prendere il mio posto in futuro, di diventare la futura Regina del Mondo delle Streghe e dei Maghi.»
La sorpresa fu tale, che per poco Fami non rischiò di precipitare dall’albero.
«Io? Credi che ne sarò capace?»
Domandò Fami, facendosi assalire da mille dubbi.
«Certamente, credo che tu possieda la stoffa per fare grandi cose, se solo lo desideri…»
La ragazza non rispose immediatamente, era ancora troppo stordita dalla notizia.
«Dovrò abbandonare la mia famiglia?»
«No, non te lo chiederei mai. Negli ultimi anni il varco che separava i due Mondi è stato aperto, adesso è molto più semplice entrarne ed uscirne a piacere. Potresti vivere in entrambi in Mondi senza avere alcuna ripercussione.»
La informò Hanna, rendendola meno diffidente.
«E poi, se diventassi la futura Regina, avresti la possibilità di trascorrere molto più tempo in compagnia del Principe dei Maghi, conosci Kazeo, non è così?»
Fami arrossì violentemente. Conosceva bene Kazeo, dal momento che si era presa una bella infatuazione per lui. Per un attimo ebbe il dubbio che la Regina ne fosse al corrente, perché sembrava fare uno sfrozo enorme per non lasciarsi sfuggire un sorriso.
Ma no, non poteva essere, si disse.
Hanna fece per alzarsi, ma Fami la bloccò.
«Regina aspetta un momento! Dimmi, è vero che mia nonna Doremi è stata un’apprendista Strega, quando aveva la mia età?»
Hanna si bloccò improvvisamente. Si rese conto che fosse ingiusto il fatto che lei avesse passato così tanto tempo insieme a Doremi, mentre sua nipote invece così poco.
«Sai… Se hai de dubbi…»
Cominciò a dire, senza voltarsi.
«Ti consiglierei di usare la magia per controllare personalmente. Dopotutto, non ci sono regole che lo vietino.»
Fami aspettò che la Regina si fosse allontanata del tutto e di restare da sola, prima di eseguire l’ordine.
«Magia della musica diffondi la felicità / Portami indietro nel tempo e mostrami la verità.»
Un raggio di luce gialla apparve dal nulla e  inghiottì  tutto ciò che si trovasse nei paraggi.
Un attimo dopo cessò e tornò tutto alla normalità.
Fami non c’era più.

  
 
Fine.

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