L'Erede del Male

di Marne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I - Il Guerriero caduto ***
Capitolo 2: *** Atto II - Parte I/ Visite dall'Inferno ***
Capitolo 3: *** Atto II - Parte II/Lazzaro risorge ***
Capitolo 4: *** Atto II, Parte III - Il tradimento della sorella ***
Capitolo 5: *** Atto III, Parte I - I bambini di cristallo ***
Capitolo 6: *** Atto III, Parte II - Questioni di coscienza ***
Capitolo 7: *** Atto IV, Parte I - I Morti non parlano ***
Capitolo 8: *** Atto IV, Parte II - Il mostro dietro la maschera ***
Capitolo 9: *** Atto IV, Parte III - Sandman ***
Capitolo 10: *** Atto IV, Parte IV - L'antro della Megera ***
Capitolo 11: *** Atto V, Parte I - Succubus ***
Capitolo 12: *** Atto V, Parte II - Il Dottore ***
Capitolo 13: *** Atto VI, Parte I - Indefinito ***
Capitolo 14: *** Atto VI, Parte II - La bambina ***
Capitolo 15: *** Atto VI, Parte III - Sotto il Mostro ***
Capitolo 16: *** Atto VII, Parte I - L'interrogatorio ***
Capitolo 17: *** Atto VII, Parte II - Il trionfo della Negromante ***
Capitolo 18: *** Atto VII, Parte III - La Negromante ***
Capitolo 19: *** Atto VII, Parte IV - Amore e Morte ***
Capitolo 20: *** Atto VIII, Parte I - La Caduta ***
Capitolo 21: *** Atto VIII, Parte II - Salvare una vita ***
Capitolo 22: *** Atto VIII, Parte III - Bacio d'addio ***
Capitolo 23: *** Atto IX. Parte I - Legami ***
Capitolo 24: *** Atto IX, Parte II - Utopia ***
Capitolo 25: *** Atto IX, Parte III - Segreto di Famiglia ***
Capitolo 26: *** Atto X, Parte I - Il Castello di diamante ***
Capitolo 27: *** Atto X, Parte II - Terrori notturni ***
Capitolo 28: *** Atto XI, Parte I - L'Erede del Male ***
Capitolo 29: *** Atto XI, Parte II - Il Non-Morto ***
Capitolo 30: *** Atto XII, Parte I - L'Inganno della veggente ***
Capitolo 31: *** Atto XII, Parte II – Il piano della Veggente ***
Capitolo 32: *** Atto XII, Parte III – Limbo ***
Capitolo 33: *** Atto XIII - Requiem aeternam ***
Capitolo 34: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Atto I - Il Guerriero caduto ***


LErede del Male.

 

 

È una cosa curiosa la morte di una persona cara.

È come salire le scale al buio per andare in camera da letto e credere che ci sia ancora uno scalino.

Il tuo piede cade nel vuoto e c'è un nauseante momento di tetra sorpresa.

[Lemony Snicket – Una serie di sfortunati eventi]

                                  

 

Atto I, Parte I – Il Guerriero caduto.

 

 

Iniziò tutto ad un funerale.

Non pioveva quel giorno, anche se avrebbe dovuto. Non era sempre così, ai funerali? Anche il cielo avrebbe dovuto piangere la perdita di una persona che era stata profondamente amata. E Ronald Weasley1 era stato terribilmente, incredibilmente amato da chiunque avesse perso un po’ di tempo per parlargli e conoscere un po’ di quella personalità che aveva stregato chiunque fosse entrato in contatto con lui.

Non pioveva, ma i visi dei presenti erano bagnati ed il cielo era scuro, nuvoloni grigi impedivano che il sole potesse colpire l’angolo di terra che il signor Weasley aveva scelto solo pochi giorni prima, insieme al maggiore fra i suoi figli. Sua moglie non aveva partecipato, troppo grande era stato l’orrore di perdersi gli ultimi istanti in cui avrebbe potuto guardare in viso il più giovane dei suoi figli maschi.

Erano tutti presenti, quella mattina. C’era Bill, insieme a sua moglie ed alla loro bambina, Victoire; c’erano Charlie e Percy, quest’ultimo pallido a causa di quel senso di colpa del sopravvissuto che sembrava non volerlo abbandonare e che, forse, era diventato solo più insopportabile quando la battaglia del fratellino si era conclusa; c’erano i gemelli1 e c’era Ginny, l’unica ad aver mantenuto un atteggiamento contenuto, l’unica Weasley il cui viso non era bagnato dalle lacrime. Al suo fianco, Harry Potter osservava la tomba del suo migliore amico con sguardo vacuo, il cuore pieno di rimpianti e la rigidità di chi aveva perso troppo per poter crollare sotto il peso dell’ennesimo lutto.

Hermione avrebbe preferito non sedersi in prima fila, l’aveva detto ad Harry, ma lui non l’aveva ascoltata. Doveva dire addio a Ron, ecco come aveva giustificato quella presa di posizione. Non osservarlo mentre veniva calato nella terra non avrebbe fatto altro che peggiorare il vuoto che avrebbe sentito negli anni a venire, secondo lui. Prima di poter vedere la tomba dei suoi genitori, non aveva mai realizzato di averli persi davvero e temeva che quello stesso vuoto allo stomaco potesse toccare pure lei.

Hermione, però, aveva già detto i suoi addii il giorno stesso in cui Ron era caduto, due anni prima. Aveva pianto tutte le sue lacrime e maledetto il destino che aveva voluto privarle di ciò che aveva desiderato di più, oltre alla fine di Voldemort. Ron era morto ben prima che il suo cuore decidesse di smettere di battere e lei aveva visitato la sua tomba ogni giorno, durante le visite al Reparto di Lungodegenza al San Mungo.

Nessuno aveva capito perché non si fosse disperata, all’inizio. Qualcuno aveva sussurrato che il suo fosse stato un comportamento freddo, da insensibile. Era stato Neville a correre in suo soccorso, quando il peso delle accuse l’aveva quasi schiacciata. L’aveva abbracciata e l’aveva rassicurata: lui non aveva versato neppure una lacrima, quando sua madre aveva chiuso gli occhi per l’ultima volta1. Non c’era stata sofferenza, da parte sua, perché ogni visita in ospedale era stata la visita ad una tomba.

I suoi genitori non c’erano più da tempo, esattamente come Ron. La guerra li aveva strappati ai loro cari già da tempo, il fatto che non potessero più vederli era solo una consolazione finale che aveva tardato ad arrivare. Nessuno di loro due aveva trovato conforto in un corpo vuoto ed era qualcosa che in tanti faticavano a comprendere. Avevano sofferto ed avrebbero continuato a soffrire per anni ed anni a venire, ma erano riusciti a farsene una ragione, come presto avrebbero fatto tutti gli altri.

«Vuoi venire a casa con noi?» le chiese Ginny, accennando un sorriso gentile ed indicando il gruppo di Weasley già radunato vicino al celebrante, forse per ricevere altre condoglianze, forse per parlare di ciò che avrebbero ancora dovuto fare per concludere le pratiche per il funerale. Dallo stesso gruppo si allontanò un’altra testa rossa – Fred, Hermione aveva imparato a distinguerli ben prima che George perdesse l’orecchio –, che le raggiunse. Il giovane non disse nulla, limitandosi a stringere le labbra. Non sorrideva, ma il suo sguardo era cordiale.

«Vi ringrazio, ma credo che tornerò a casa dei miei genitori» fu la sua risposta, pacata, mentre allungava una mano per stringere con delicatezza quella dell’amica. «Ci siamo riuniti da poco2, ho bisogno… ho bisogno di trascorrere del tempo in loro compagnia» spiegò, cercando di mostrarsi quanto più tranquilla possibile, contrita addirittura, in modo da sembrare più consona al luogo ed al momento. Aveva visto morire il suo ragazzo dopo due anni di lotte perse in partenza con la Morte, ci si aspettava che fosse abbattuta.

Fred le lanciò un’occhiata strana, passando un braccio intorno alle spalle della sorella. «Hermione, sai di essere sempre la benvenuta alla Tana» le disse, con voce ferma, seppur stanca. Nessuno di loro aveva dormito negli ultimi tre giorni, il fisico cominciava a risentirne. «Non pensare neppure un istante che qualcuno di noi possa serbarti rancore di alcun genere solo perché non ti sei strappata i capelli per il dolore. Sappiamo bene che anche tu hai sofferto incredibilmente, quando è stato il tuo momento di farlo» la rassicurò, leggendo quello che era stato il più grande cruccio che lei aveva patito in quei giorni.

Come aveva fatto a capirlo? Forse era meno brava del previsto a nascondere le sue emozioni, dopotutto anche Neville ed Harry le avevano detto la stessa cosa, non più di poche ore prima.

Tuttavia l’orgoglio della ragazza era rimasto ben saldo, nonostante la fragilità del suo cuore. Non avrebbe mai ammesso di avere paura di una cosa sciocca come il giudizio altrui.

«Non preoccuparti, Fred» gli rispose, senza sorridere. «In questi tre giorni non sono tornata a casa neppure per dieci minuti, non vorrei cominciassero a credere che io sia scappata via o che tornino a dimenticarsi me» continuò, lasciando andare la mano di Ginny per incrociare le braccia al petto e fingere di ripararsi dal freddo3. «Il Guaritore mi ha assicurato che gli effetti collaterali dell’incantesimo di memoria non si sarebbero più presentati, ma… beh, la sicurezza non è mai troppa».

Il gemello la osservò per un lungo istante, mentre Ginny annuiva. Lei sembrava aver placidamente accettato la sua spiegazione, soprattutto perché, in fondo, era la verità.

«Vieni questa sera, però» le chiese proprio lei, tornando ad abbassare la mano ed a nasconderla nella tasca del mantello. All’anulare ci sarebbe dovuto essere un anello di fidanzamento, ma Harry non si era ancora deciso a proporsi ed insisteva nel portarselo dietro come il più costoso dei promemoria. Non c’era stato il momento, sentendo le sue ragioni, perché con Ron in quelle condizioni la famiglia non avrebbe potuto sopportare un’emozione grande come un fidanzamento.

Cazzate, Hermione ne era convinta. Era solo terrorizzato all’idea che potesse ancora succedere qualcosa e che la loro felicità perdesse qualunque fondamento, facendoli ripiombare nel caos. Disturbo da stress post traumatico4, era la diagnosi che uno psicologo minimamente competente avrebbe assegnato al suo amico se solo lui si fosse deciso a visitare un qualunque esperto.

Ginny stava ancora aspettando una sua risposta, quindi accennò un sorriso di circostanza. «Farò in modo di passare, questa sera, se non ci saranno problemi con i miei genitori» mormorò, facendo un passo indietro. «Non preoccupatevi, non ho intenzione di sparire nel nulla. Siete comunque parte della mia famiglia». Li guardò entrambi per un istante, sentendosi più leggera quando anche Fred le sorrise, in modo decisamente non forzato. «Ron si arrabbierebbe con me, altrimenti».

«Sì» le disse il gemello, annuendo leggermente. «Ron si arrabbierebbe moltissimo».

Hermione osservò i due fratelli allontanarsi sentendo nuovamente un peso crescerle nel petto. Stare con loro la faceva stare un po’ meglio, ma era sempre un sollievo momentaneo, difficile da mantenere nella solitudine. Restò immobile per qualche istante, poi la gelida aria di dicembre la fece rabbrividire: avrebbe fatto bene a tornare a casa, dai suoi genitori. Lanciò un ultimo sguardo al gruppo poco lontano, incrociando per un momento gli occhi verdi del suo migliore amico, che si limitò ad annuire nella sua direzione.

Anch’io vorrei allontanarmi, ma non posso lasciare Ginny. Non serviva neppure che parlasse, per comunicarle ciò che aveva nel cuore. La loro sofferenza era simile, seppur diversa, ma lui aveva ancora qualcuno che contava sul suo supporto. Hermione era da sola e, probabilmente, lo sarebbe rimasta ancora per molto, molto tempo.

«Ciao, Granger».

Malfoy la colse di sorpresa, come al solito, facendola trasalire. Nei due anni passati era cambiato così tanto che a stento lei avrebbe potuto ricollegarlo allo spigoloso ragazzino che l’aveva insultata sul treno per Hogwarts, durante il loro primo viaggio. Non era un cambiamento fisico, il suo, ma più che altro d’atteggiamento: le spalle erano sempre dritte e rigide, ma il mento non era più sollevato con spocchia. I suoi capelli non erano più impomatati fin quasi a sembrare finti e ricadevano morbidamente sul suo viso, gli occhi avevano perso quella patina gelida che i Malfoy sembravano trasmettersi insieme al nome di famiglia. Draco era cambiato, come tutti coloro che avevano partecipato alla guerra.

«Ciao, Malfoy» ricambiò il saluto, senza tuttavia soffermarsi a guardarlo. Quasi per istinto, si voltò in direzione della tomba non ancora interrata, quasi aspettandosi di ritrovare Ron con un’espressione disgustata ed il solito atteggiamento di sfida. Era piuttosto insicura che quell’atteggiamento si sarebbe mantenuto, considerando quanto le cose si fossero evolute, ma mai dire mai. «Non credevo che saresti venuto al funerale».

Lui si strinse nelle spalle, gli occhi puntati nella stessa direzione della strega. «Per quanto io odi ammetterlo, motivo per cui non me lo sentirai ripetere mai più, Weasley mi ha insegnato un po’ di cose, durante tutto il periodo della guerra. Mi ha dimostrato che essere purosangue non ci concede il diritto di considerarci migliori, soprattutto se non lo siamo» le spiegò, con tono secco, quasi irritato. «Venire qui era il minimo che potessi fare».

La sorpresa per quella confessione improvvisa durò ben poco, perché lui sembrò irrigidirsi e riprendere quel contegno che aveva impiegato anni a perdere. Per evitare di complicare ulteriormente le cose, Hermione restò in silenzio, le braccia incrociate ad altezza del petto. Poi, con un sospiro, cambiò discorso. «Ho saputo che i tuoi genitori si sono trasferiti fuori dal paese».

Draco annuì, con una smorfia. «I miei parenti vivono in Germania, così hanno deciso di raggiungerli» spiegò, senza guardarla. «Qui non avevano più nulla, se non una reputazione distrutta e odio» rettificò, stringendosi leggermente nelle spalle. Un vago sorriso sarcastico gli incurvò le labbra, subito dopo. «Non ti sto dicendo tutto perché all’improvviso ho deciso di diventare il tuo migliore amico, Granger, è solo parte della mia punizione. La mia famiglia ti ha causato solo sofferenze, immagino che rassicurarti sulla lontananza di chi ha assistito alla tua tortura sia… beh, il minimo».

Hermione si accigliò, curiosa. «Anche tu eri presente e sei ancora qui, nel Regno Unito» gli fece notare, con una punta di ironia. «Perché sei rimasto? Non hai più nulla, anche buona parte del tuo patrimonio è stata confiscata».

«Io non sono mai stato pericoloso, Granger, lo sai anche tu» fu la prima risposta che le diede, l’espressione di un principino cui avessero sottratto il trono da sotto al fondoschiena. «Sono rimasto proprio perché non ho più nulla da perdere, ma tutto da guadagnare. Sono giovane, posso rifarmi un nome che sia mio, non… non di mio padre» continuò, improvvisamente più duro e deciso, voltandosi per guardarla in viso. C’era ambizione, nel suo sguardo, ma anche molto, moltissimo rancore. «Mi ha venduto come un animale, troppo spaventato per opporsi a mia zia ed al Signore Oscuro» sibilò, scoprendo i denti come un animale ferito. «Io non sono come lui».

Ambizione, furbizia, decisione.

Erano le qualità del buon Serpeverde, dopotutto, ed Hermione non poteva far altro che invidiarlo. Lei non sapeva cosa avrebbe fatto, non sapeva come avrebbe dato un senso alla sua vita, una volta lasciato quel cimitero. Aveva voglia di combattere, ma non c’era nulla per cui farlo.

«Ti auguro di riuscire nel tuo intento» gli disse, facendo un paio di passi indietro. «Se c’è una cosa che questa guerra ci ha insegnato è proprio il non dover negare una seconda possibilità, a nessuno». Allungò la mano verso di lui, cercando di mostrarsi più cordiale possibile. «Arrivederci, Malfoy. E buona fortuna».

Vagamente sorpreso, anche lui allungò la mano, stringendo la sua. «Arrivederci, Granger. E grazie».

Decisa a non incontrare nessuno, Hermione cominciò ad allontanarsi di gran carriera, determinata a lasciarsi tutto alle spalle, almeno per un po’. Si era alzato il vento, le foglie emettevano un fruscio quasi insopportabile intorno a lei, senza tuttavia coprire il rumore assordante dei suoi stessi pensieri.

Era sola e senza uno scopo.

Quando la donna le bloccò la strada, per poco lei non le sbatté contro. La osservò per un lunghissimo istante, confusa dal sorriso smagliante decisamente inappropriato in un cimitero. Aveva qualche anno più di lei, ma era ancora molto giovane, nonostante il suo sguardo sembrasse fin troppo attento.

«Ciao, Hermione. Mi chiamo Ophelia Penderghast, sono stata mandata ad offrirti un lavoro».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

SONO TORNATA!

Non sono morta, in questo mese d’assenza, ma ho dovuto fare due esami, ho dovuto lottare con la maledetta influenza (dettaglio divertente: IO non mi sono ammalata, ma tutti gli altri sì! Mi sono trasformata in una dannata infermiera) e con tutte le ansie che precedono il Natale (che tuttavia adoro).

Tuttavia, eccomi qui.

Questa fan-fiction è nata a causa del mio enorme disappunto verso Cursed Child e l’idea che Voldemort abbia concepito. No, NO, Voldemort non può concepire, è più morto che vivo ed ha un corpo di seconda mano (eheh). Fa parte di un universo completamente diverso rispetto alla mia prima long (che apparteneva al Mirror Univer) e che si chiamerà “Evil Universe” (no, ok, non lo so ancora, ma è un altro).

Nel prossimo capitolo si comincerà a conoscere questo erede e chi lo ha accompagnato per tutti gli anni trascorsi fino al momento in cui si svolge la fanfiction.

No, non è Voldemort il cattivo della storia, ma qualcuno di ben peggiore.

Spero davvero che mi seguirete!

 

 

Punti importanti:

» 1 – Eheh, cominciamo col botto! Sì, Ronald Weasley è morto e Fred è vivo. Stando ad una intervista, la Rowling aveva pensato che dovesse essere proprio Ronnie a tirare le cuoia, ma alla fine l’amore per il personaggio aveva vinto e allora aveva ripiegato su Fred. Eh, no bella mia! Io ho ristabilito l’ordine cosmico, Ron è stato ridotto ad un vegetale per ben due anni, mentre Fred è ancora vivo. Nella mia prima Long, Ron è stato un cattivo silenzioso, qui almeno non “infangherò” la sua memoria, non siete felici? E poi, dai, Fred è vivo.

 

» 2 – Come sapete, i genitori di Hermione sono stati spediti come un bel pacco in Australia. Dopo la guerra, complice la situazione di Ron, lei ha impiegato quasi due anni per ritrovarli e per ristabilire i loro ricordi. L’incantesimo tuttavia li ha resi parecchio instabili, all’inizio, con la tendenza ad attacchi di ansia o a dimenticarsi ancora delle loro vere identità. “Attualmente” stanno benone, ma Hermione li usa come scusa per non stare in mezzo ai Weasley e sentirsi in colpa perché non riesce a soffrire.

 

» 3 – Indicazioni temporali: Ron è morto a metà Novembre 2002, quindi fa freddo e Victoire Weasley è già nata!

 

» 4 -  Se Harry non ha sofferto di PTSD, dopo la guerra, io smetto di scrivere e vado ad allevare alpaca in Perù.

 

» 5 – Ophelia! La mia cara Ophelia è già apparsa in altre due mie One-Shot, tuttavia sarà un po’ diversa da come l’ho presentata fino a questo momento. Che lavoro ha offerto ad Hermione? Chi è lei? Lo scopriremo solo vivendo!

 

Perdonatemi per i possibili errori dovuti ad una veloce rilettura!

Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare lunedì.

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 2
*** Atto II - Parte I/ Visite dall'Inferno ***


LErede del Male.

 

 

L’Inferno è vuoto e tutti i demoni sono qui!

[
Ariel – La Tempesta (Atto I, Scena II) – William Shakespeare]

                                  

 

Atto II, Parte I – Visite dall’Inferno.

 

 

L’incubo era stato molto più vivido di quanto non fosse mai stato negli ultimi quattro anni1.

Voldemort lo osservava, placidamente accomodato sulla sua poltrona d’ossa, gli occhi rossi come il sangue puntati su di lui come se fosse stato la sua prossima preda. Era morto – Harry aveva avuto la cura di accertarsene, dopo la battaglia – eppure lo fissava ed il gelo del suo sguardo gli faceva venire la pelle d’oca come se fosse stato ancora lì, in carne ed ossa.

Aveva estratto la bacchetta con lentezza, puntandogliela contro quasi con aria di scherno. Harry era disarmato, la sua bacchetta di fenice era lontana, nascosta dove lui non poteva raggiungerla, e non c’era nulla che potesse frapporsi a loro. Si trovavano in una stanza piccola, con mura di pietra e soffitti molto alti, umida come se si fosse trovata sottoterra.

L’antro di un serpente, naturalmente.

«Cosa vuoi da me, Tom?» gli chiese, cercando di mostrarsi più spavaldo di quanto in realtà non si sentisse, raddrizzando le spalle ed espirando dal naso una nuvoletta di vapore. Faceva freddo, i suoi brividi però avevano tutt’altra origine. «Ti ho già ucciso una volta, sei certo di voler ripetere l’esperienza?». La miglior difesa era l’attacco, una tattica che Malocchio Moody avrebbe certamente rinnegato e che il suo attuale Capo2 avrebbe considerato come perfetto schema d’azione.

Voldemort non gli rispose, limitandosi a sorridere. Le sue vesti scure sembravano diventare più sottili ai bordi, dissolvendosi in quello che poteva sembrare un alone di morte. Non era reale, non poteva esserlo, tuttavia era , spaventoso com’era sempre stato. La sua bacchetta, identica a quella di Harry, si mosse lentamente, illuminata da un bagliore verde che il Bambino Sopravvissuto conosceva fin troppo bene e che aveva già affrontato e sconfitto due volte. Era possibile morire in sogno? No, non in quel modo. Non a causa di un morto. Ma poteva davvero rischiare? Poteva mettere da parte, ancora una volta, la paura?

«Tom!».

«Avada Kedavra».

Il tonfo di un corpo fece trasalire Harry e, solo un attimo dopo, lui stesso si rese conto di essere ancora vivo – per quanto potesse essere definita vita quella strana realtà onirica – e di non essere stato il vero destinatario dell’anatema che aveva appena lasciato la bacchetta del mostro. Preoccupato, si voltò, ritrovandosi ad osservare lo sguardo vacuo di un uomo sulla sessantina, con lunghi capelli bianchi ed il viso contratto in una smorfia d’orrore. Harry l’aveva visto più di una volta in vari dossier dell’Ordine, ma non avendolo mai incontrato di persona aveva dato per scontato che fosse semplicemente morto per vecchiaia. Non conosceva il suo nome, era semplicemente uno dei tanti, ma aveva l’assoluta certezza che si trattasse di un Mangiamorte. Uno dei più importanti3.

Perché aveva sognato la sua morte? Quella non doveva essere una semplice apparizione ma, piuttosto, una visione del passato. Nonostante la parte di Horcrux in lui fosse morta da ben quattro anni, c’era ancora qualcosa, dei resti immortali, che lasciava la sua tana nel cuore della notte, tormentando i suoi incubi come un bambino avrebbe fatto con delle indifese formiche.

Perché stava vedendo quella scena?

Parole incomprensibili lasciarono le labbra di Voldemort4, incurante dell’inquietudine della sua nemesi e del cadavere al suolo. Parole difficili, in una lingua ad Harry completamente sconosciuta, parole che rievocavano immagini di un inferno sempre più vicino ed inevitabile e che sembravano essere state liberate per prime dalle labbra della Morte in persona.

Nessuno avrebbe dovuto mai pronunciarle.

«Il dado è tratto, mia cara», conclusa la cantilena, Voldemort sembrò esser tornato in se stesso: una creatura infermale, ma non l’Inferno incarnato. Tornando a guardarlo, Harry lo ritrovò con un ghigno stampato in viso, i denti affilati come tante zanne di serpente ben scoperti in una parodia di sorriso gioioso. Era soddisfatto, mentre la sua bacchetta continuava a muoversi, compiendo degli strani cerchi nell’aria, come per un incantesimo trappola, ma non c’era nulla che fosse davvero trattenuto, nulla che fosse bloccato dalla magia. Nulla di visibile. «Tutto ciò che dobbiamo aspettare, adesso, è che il ragazzo compia il suo destino».

Se c’era una cosa che Harry Potter aveva imparato fin da bambino era che qualunque associazione dei termini ragazzo e destino fosse generalmente riferita alla sua persona. Se quelle parole, poi, provenivano dalla bocca del suo antagonista per eccellenza, non c’erano molti dubbi al riguardo.

«Sì, Padrone». Una nuova voce, una voce strana, né da uomo e né da donna, anticipò di un momento l’ingresso di una creatura incappucciata e apparentemente molto fragile, con solo lunghi capelli color topo che spuntavano da oltre le ombre del mantello. Le sue mani erano raccolte e nascoste dalla tunica, il suo passo così leggero che, per un istante, Harry si sorprese nel non vederla fluttuare. «Una volta che l’infante sarà sacrificato e che il ragazzo avrà compiuto il suo destino, nulla impedirà la nascita del suo Regno».

Non c’era stata alcuna emozione riconoscibile, nella sua voce, eppure Harry riuscì a percepire la sua vittoria come se qualcosa di estremamente gelido e viscido avesse iniziato a strisciargli sulla pelle. Anche Voldemort dovette provare lo stesso – nonostante difficilmente una creatura come lui avrebbe potuto provare terrore pure – perché fece una smorfia ed accennò con il capo all’ingresso della stanza. C’era disgusto nei confronti della creatura, nonostante sembrasse non poter fare a meno di questa per realizzare il suo piano, qualunque questo fosse. «Non gingillarti, Tiresias. Prendi l’Infante».

La sensazione di gelo si intensificò per un istante, prima di sparire come se non fosse mai esistita. L’incappucciato si inchinò con riverenza, sparendo poi oltre la porta. Con lui – o lei – sembrò sparire anche parte dell’oscurità che aveva caratterizzato il sotterraneo da quando Harry si era svegliato al suo interno. Era incredibile che qualcuno di cui non avesse mai visto neppure il viso potesse ispirare più orrore di Voldemort stesso, ancora immobile e circondato dalle sue spaventose vesti nere.

Harry iniziò a sentirsi strano, ancora preso nell’alternare lo sguardo fra il suo acerrimo nemico ed il corpo del Mangiamorte sconosciuto rimasto alle sue spalle, gli occhi spalancati e la bocca aperta in un urlo d’orrore che non aveva mai lasciato la sua gola. Gli sembrava all’improvviso d’esser finito sott’acqua, metri e metri sotto la superficie, e di esser tirato verso l’alto da una forza molto più grande della sua, inarrestabile. Gli occhi gli lacrimavano, la testa sembrava sul punto di scoppiargli, i polmoni faticavano a reggere quella pressione che fino a pochi istanti prima non aveva neppure percepito.

Si stava svegliando, senza neppure capire il senso di quel sogno.

Come richiamato dalla sua disperazione, Tiresias l’incappucciato tornò nella piccola stanza del sotterraneo, tenendo fra le braccia un ammasso di coperte dall’aria incredibilmente costosa. Copertine di fine lana beige, con dei ricami fatti a mano ed al cui interno qualcosa si muoveva, nervoso.

Il panico prese il giovane Auror, costretto in ginocchio dal peso di quella pressione che sembrava volerlo schiacciare, mozzandogli il fiato. L’infante era un bambino, ovviamente. Un bambino fra le braccia della creatura di cui anche Voldemort sembrava aver timore. Un bambino verso cui venne puntata la bacchetta del Signore Oscuro e che all’improvviso iniziò ad urlare, disperato, dimenandosi nella presa terribile dell’Incappucciato mentre qualcosa – qualcosa che non c’era stata, fino a quel momento, qualcosa di inconsistente eppure visibile, qualcosa di orribile ed innocuo al tempo stesso, qualcosa che era pura malvagità – vorticava furiosamente verso il suo piccolo petto, attraversandolo come il più affilato dei pugnali e scomparendo al suo interno, mischiandosi con ciò che già l’aveva occupato e creando qualcosa di nuovo.

Qualcosa di orribile.

L’urlo di Harry risultò muto, mentre si sentiva violentemente tirare verso l’alto e, al tempo stesso, spingere con più forza al suolo, ed il ghigno di Lord Voldemort lo accompagnò nel suo ritorno alla coscienza, mentre una terrorizzata Ginny tentava disperatamente di impedirgli di strapparsi la cicatrice con le unghie.

L’Infante.

«Harry! Harry, calmati» provò a calmarlo la giovane, accarezzandogli il viso come avrebbe fatto sua madre, se solo lui l’avesse conosciuta. «Va tutto bene, siamo al sicuro, va tutto bene» continuò a dirgli, passandogli le braccia intorno al busto, nono appena lui smise di tentare di farsi del male, e tenendolo stretto a sé, quasi soffocandolo. Il fatto che lui non volesse risponderle, nonostante la violenza di quella stretta, sembrava non far altro che preoccuparla di più.

Tiresias.

«Maledizione, Potter!» sbraitò allora, mollando la presa da una mano solo per poterlo schiaffeggiare, riuscendo finalmente ad attirare il suo sguardo su di lei. L’orrore che dovette leggervi sembrò paralizzarla per un istante, ma si riprese abbastanza velocemente. «Cosa succede? Cos’hai sognato? È Hermione?».

Hermione, la sua amica scomparsa ormai due anni prima. Hermione, che doveva raggiungerli alla Tana ma che non era mai arrivata. No, non era Hermione che aveva sognato, ma non sapeva se dirsene sollevato o spaventato.

Un Horcrux5.

«Ce n’è un altro».

 

***

 

Draco Malfoy era sempre stato un giovane uomo posato, soprattutto quando la guerra era finita e lui si era ritrovato a dover gettare le basi per la sua fortuna. Non c’era più stato un buon nome da difendere, ma un pessimo nome da ripristinare. Non c’era più stata la ricchezza della sua famiglia a sostenere delle scelte di vita discutibili, ma solo il suo fiuto per gli affari – miracolosamente ereditato da sua madre e, con buone probabilità, dal suo prozio Orsolon Malfoy, fondatore della più grande compagnia di assicurazioni del mondo magico e fautore di buona parte di quello che era stato il contenuto della sua camera blindata – ed un’ambizione che Salazar avrebbe approvato concedendogli un applauso ed una pacca sulla spalla.

Tuttavia, quando Draco tornò a casa sua – una deliziosa casetta su due piani vicino Piccadilly Street – e si ritrovò davanti quello che ai suoi occhi dovette sembrare un fantasma, perse tutto il suo contegno e fece un urlo a dir poco infantile, lasciando cadere le buste della spesa ed arretrando fino a ritrovarsi con le spalle alla porta ed il cuore fuggito via dal suo petto, probabilmente giunto in pochi secondi dall’altra parte del globo.

«Non hai mai brillato per coraggio, Draco, ma così mi sembra un po’ troppo anche per i tuoi standard» commentò Hermione Granger, osservandolo con un sorriso nascosto sotto un’espressione falsamente preoccupata, le braccia incrociate e la tranquillità di chi fosse perfettamente a suo agio in casa d’estranei. Era profondamente cambiata dal loro ultimo incontro, al funerale di Ronald Weasley, e non solo fisicamente. Era cresciuta, era diventata una donna ormai ben fuori dall’adolescenza, i suoi capelli non erano più lunghi e cespugliosi ma cortissimi ed ordinati, il viso coperto da un leggerissimo strato di trucco per armonizzarsi con le labbra tinte di un rosso intenso. A sorprendere Draco, tuttavia, non era stato tanto l’aspetto fisico quanto, piuttosto, il suo atteggiamento.

Era seduta sulla sua poltrona preferita come se ne fosse stata la padrona, lo osservava con un certo divertimento e con superiorità – cosa che aveva sempre fatto, anche ai tempi della scuola – ma non per fargli capire che lei fosse migliore, piuttosto poiché era impossibile affermare che non lo fosse. Era sicura, ferma, non più pronta a correre dietro il primo libro disponibile per cercare delle risposte.

Difficile capire come Draco avesse fatto a leggere così tanto di lei al solo guardarla – lui che non le era mai stato davvero amico -  ma c’era riuscito e dubitava fortemente che qualcosa avrebbe smentito le sue deduzioni. Forse avrebbe potuto scoprire qualcosa in più, addirittura.

«Non sono mai stato coraggioso, no, ma concorderai con me nel dire che non sia cosa di tutti i giorni trovarsi davanti qualcuno che si riteneva… beh, morto» le fece notare, accigliandosi e tirando fuori la bacchetta per riordinare la spesa tragicamente sparsa sul pavimento. Doveva davvero impiegare un elfo domestico, quelli che erano appartenuti alla famiglia erano stati trasferiti altrove nel momento in cui il Ministero si era appropriato di buona parte delle sue sostanze. «A proposito, hai un colorito eccellente per qualcuno che è stato nell’aldilà per due anni. Poiché, ovviamente, quella è l’unica spiegazione che potrebbe razionalmente giustificare la tua scomparsa ed il modo indecente in cui Potter ha perso la testa per cercarti».

Per un istante, lo sguardo tranquillo della donna sembrò oscurarsi per la preoccupazione. Fu un battito di ciglia, nulla di più, eppure Draco riuscì a cogliere tutto il senso di colpa che doveva averla attanagliata nel tempo trascorso lontano da Londra. Lei sapeva cos’era successo al suo migliore amico, durante la sua sparizione. Sapeva quanto orribile era stata la sua reazione e quanto aveva sofferto, quando il Ministero si era rifiutato di perpetrare le ricerche. Lo sapeva eppure non era tornata.

«Sono stata impossibilitata a comunicare la mia posizione» spiegò allora lei, tentennando ed iniziando a guardarsi intorno con aria ansiosa, quasi i mobili di Draco avessero potuto darle una risposta che fosse soddisfacente e che non la facesse passare per l’egoista che, in effetti, Draco stesso riteneva fosse. Sparire senza lasciare traccia sarebbe stato giustificabile per lui, non per lei. Non per l’eroina di guerra.

«Non potevi mandare un gufo e far sapere a Potter che eri viva?». Naturalmente, Malfoy non era intenzionato ad accettare quella becera imitazione di una giustificazione come se fosse buona. Era un Serpeverde, aveva imparato molto presto che le informazioni più succose erano quelle che un soggetto non poteva divulgare. E la Granger doveva avere delle informazioni parecchio importanti, per comportarsi in quel modo tanto strano. «Andiamo, Mezzosangue! Ho appena visto il tuo amichetto correre per il Ministero con la faccia di un indemoniato, dubito fortemente tu sia già stata da lui. Se sei qui da me deve esserci una ragione ben più che valida». Assottigliò lo sguardo, fissandola con preoccupata curiosità. «Cosa vuoi?».

Il momento di silenzio che seguì alla sua esortazione gli fece venire i brividi. Per un istante, Draco pensò che avrebbe fatto bene a voltarle le spalle e andarsene molto lontano, se restò fu soltanto perché quella era casa sua e perché aveva promesso a se stesso che non si sarebbe mai più comportato come un bambino spaventato, nonostante quanto, effettivamente, fosse pietrificato.

Con lentezza estenuante, Hermione si alzò in piedi, lisciando le pieghe dei pantaloni del tailleur che stava indossando. Sembrava non volerlo guardare negli occhi, cosa che lo terrorizzava anche più di prima. «Sono qui perché devo darti una notizia» mormorò, facendogli cenno di accomodarsi nella poltrona che fronteggiava la sua preferita, su cui era stata seduta lei fino a quel momento. Il suo sguardo la diceva lunga su quanto belle dovessero essere le notizie che era stata incaricata di dargli.

«Mezzosangue?».

«Siediti, Draco» insistette, con tono che non ammetteva repliche, osservandolo fisso finché lui non la accontentò. C’era qualcosa, nel modo in cui si muoveva, che lo stava riempiendo d’angoscia. Una volta sistemato lui, Hermione tornò ad accomodarsi, allungando la mano nella interna della giacca e tirandone fuori un distintivo. Il Pentacolo di Lilith. «Come credo tu abbia intuito, adesso sono una Banshee, ma no, non sono venuta qui per arrestarti».

Banshee6, nome in codice per la sezione speciale dei Corpi di Sicurezza della Confederazione magica Internazionale, un gruppo di streghe – nei tempi recenti erano stati assunti anche maghi, in realtà, ma la denominazione era rimasta femminile – il cui compito era sempre stato quello di assistere i vari Stati parte della Confederazione nelle questioni che avrebbero potuto mettere a rischio l’equilibrio dell’intero Mondo Magico. Le chiamavano Banshee perché, fin dai tempi della strage di Salem – quando il Corpo era stato fondato – il loro compito era stato sostanzialmente assimilabile a quello di sicari altamente specializzati. Una volta vista una Banshee, nessuno aveva mai avuto la possibilità di tornare in libertà per raccontarlo o, addirittura, di sopravvivere abbastanza a lungo per pensarci.

Hermione Granger era una diventata una Banshee, per quel motivo era sparita nel nulla, due anni prima.

Le Banshee non esistevano.

Hermione Granger era tornata per lui.

«Cos’è successo? Cosa vuoi da me?».

«Mi dispiace, Draco. Durante una missione per il recupero di informazioni abbiamo trovato…» si fermò, abbassando lo sguardo e perdendo qualche istante per riporre il distintivo nella tasca interna. Prese fiato, poi, raddrizzando le spalle come a volersi dare coraggio. «Eravamo in Germania per seguire una pista, ma abbiamo trovato una stanza piena di cadaveri di vecchi Mangiamorte pentiti ed emigrati».

L’orrore che provò in quell’istante gli fece stringere lo stomaco in una presa gelida. «Granger…».

«I tuoi genitori erano fra questi, Draco. A nome della Confederazione Magica Internazionale, ti pongo le nostre sentite condoglianze».

 

Gli erano servite un paio d’ore, prima di poter articolare un discorso che fosse finito e sensato. Hermione non si era mossa dal suo fianco e gli aveva riempito il bicchiere ogni volta che lui l’aveva svuotato d’un colpo solo. Fortunatamente era sempre stato bravo a gestire l’alcool, altrimenti non avrebbe potuto interrogarla come realmente voleva fare o, comunque, non sarebbe stato abbastanza lucido da comprendere le risposte.

«Sei diventata una banshee due anni fa?» le chiese, poggiando la testa al bracciolo del divano, dopo essersi disteso senza prima preoccuparsi di fare gli onori di casa. C’erano ottime possibilità che quella donna avesse già fatto il giro di tutte le stanze, cercando anche nel suo cassetto segreto. «Immagino sia stato il giorno del funerale di Weasley, stando a Potter è stata l’ultima volta in cui ti hanno vista».

La osservò annuire con un occhio solo, poiché aprire anche l’altro avrebbe significato cedere ad un mal di testa a dir poco spaventoso. Si era accomodata nuovamente nella sua poltrona preferita, ma sembrava molto meno tranquilla e sicura di sé, in quel momento. Erano arrivati alla resa dei conti, infine.

«Sono stata avvicinata dopo aver parlato con te. So che Harry ti ha fatto mettere sotto inchiesta, mi dispiace» gli rispose, osservando con particolare attenzione il quadro appeso alla sua sinistra: si trattava del ritratto che Lucius aveva fatto fare al suo fidato levriero irlandese, Fido, che in quel momento dormicchiava felice poggiato contro la cornice. «Il Ministro è intervenuto per calmare le acque, immagino. L’ultima volta che l’ho visto mi ha assicurato che non ci fossero state gravi conseguenze alla mia scomparsa. Purtroppo l’addestramento ha come presupposto fondamentale l’aver tagliato tutti i ponti. Nessuno deve sapere di noi, non durante la preparazione».

Le tempie di Draco sembravano aver iniziato a pulsare furiosamente. L’unica certezza, in quel momento, era che la Granger fosse parecchio nervosa all’idea di parlare con il suo vecchio amico. «Potter mi è rimasto alle calcagna per mesi. Credo sia solo grazie alla Piattola Weasley se non ha continuato a tallonarmi per tutti i due anni» insistette allora lui, serio. «L’intervento di Shacklebolt è stato l’unica ragione per cui le ricerche si sono concluse, Mezzosangue. Lui era disperato». Aprì entrambi gli occhi, per poter sottolineare di più quanto esasperato si sentisse in quel momento. «Se sei venuta qui, significa che il tuo periodo d’addestramento è concluso e che puoi riprendere i rapporti umani. Mi auguro tu abbia il buonsenso di andare da lui ad implorare il suo perdono. Il Ministro aveva ragione, non ci sono state conseguenze gravi a livello politico e sociale, ma…» strinse per un istante le labbra, tornando a coprirsi gli occhi con il braccio. «Per quanto io detesti prendere le parti di Potter, l’hai ridotto un vero straccio. Una spiegazione è il minimo».

Nervosa, Hermione si rialzò, camminando qualche istante per la stanza. Sembrava combattuta, ma, sinceramente, a lui non poteva importare di meno.

«Sono venuta qui solo perché l’Indagine è affidata alla mia squadra ed ho ritenuto fosse preferibile che fosse un viso conosciuto a darti la notizia. Noi non siamo amici, Malfoy» precisò, con una premura alquanto fuori luogo. «Non puoi permetterti di darmi consigli su come gestire la mia vita».

«Ehi, ehi» sempre senza guardarla, Draco sollevò il braccio libero in un cenno di resa. «Non scaldarti, Mezzosangue, io non voglio darti alcun consiglio e sicuramente non voglio essere tuo amico. Ti sto solo facendo capire che non potrai tornare a sparire e lasciare quel disgraziato in preda ai suoi demoni. Io non ho intenzione di tenere alcun segreto, non appena mi passerà questa sbronza colossale andrò dritto da Potterino e gli sbatterò in faccia i ricordi di questa conversazione. Mi ha tormentato per settimane ed ancora oggi mi parla alle spalle, da bravo Grifondoro. Io non ho la minima intenzione di sopportare altri soprusi da parte sua. Dirgli quanto crudele tu sia stata, sparendo nel nulla nel momento di massimo bisogno, sarà la più grande soddisfazione della mia esistenza».

Draco non la vide estrarre la bacchetta, semplicemente se la trovò puntata contro il naso, mentre la proprietaria fumava rabbia da qualsiasi orifizio del viso e lo fissava come se fosse stato la più orribile caccola di troll mai passata per il Regno Unito.

Orgoglio Grifondoro, era ancora ben presente.

«Tu non dirai una parola di tutto questo ad Harry. Non una parola».

«Credevo che le Banshee fossero famose per il loro sangue freddo. Basta una semplice provocazione a farti scattare così, Granger? Wow, dev’essere vero che ormai accettano qualunque tipo di plebaglia. E pensare che delle grandissime streghe di ottima famiglia sono state rifiutate perché non in possesso dei requisiti» le disse, sarcastico, ottenendo solo che la bacchetta fosse premuta con maggiore forza contro il suo naso. Qualche altro millimetro e gliel’avrebbe rotto, rovinando per sempre il suo perfetto profilo Black.

Non poteva fare un torto tanto grande a sua madre. E non poteva neppure pensare a sua madre, perché altrimenti l’effetto anestetico degli alcolici sarebbe finito e si sarebbe ritrovato piegato in due per gli spasmi del pianto e della nausea.

Concentrazione.

«So bene di dover affrontare il mio migliore amico, Malfoy» riprese la Granger, la voce ridotta ad un sibilo furioso. «Non ti permetterò di rovinare quel po’ che ancora mi resta da salvare. Credi sia stato facile, per me, superare un terribile addestramento pur avendo la consapevolezza che ogni ora fosse un chiodo in più nel cuore di Harry? Ho temuto di averlo ucciso per almeno un mese e probabilmente avrei rinunciato a tutto, se il mio Superiore non mi avesse rassicurata sulla sua salute, quantomeno fisica». Arretrò di un paio di passi, passandosi la mano libera fra i corti capelli corti. «Ho concluso il periodo d’addestramento una settimana fa e sono subito partita in missione. Quando il Superiore mi ha comunicato che la mia squadra avrebbe collaborato con gli Auror, ho chiesto il permesso di uscire allo scoperto».

«Se non ti avessero dato il permesso ti saresti attenuta alle regole, da brava ragazza?» le chiese, osservandola con aria curiosa. La Granger era sempre stata un tipo un po’ particolare, quando si arrivava alle regole. Poteva passare dall’esserne una fan sfegatata al diventare ben peggiore dei gemelli Weasley nel giro di un battito di ciglia. Lui era stato uno spettatore di prima fila, durante il suo conflittuale rapporto con Dolores Umbridge, quando i doveri da prefetto si mischiavano alle pulsioni ribelli.

Il sorriso che lei gli dedicò lo fece rabbrividire. «Oh, ho imparato un po’ di cose, nel corso del mio addestramento. Avrei trovato il modo di sgattaiolare via per un paio di ore e scambiare quattro chiacchiere con lui. Fortunatamente, comunque, il mio Superiore ha riconosciuto quanto assurdo fosse l’idea di mantenere questo segreto e mi ha concesso di tornare a casa. Dopotutto, dovrò lavorare a stretto contatto con tutto l’Ufficio Auror ed Harry è ormai un pezzo grosso».

«Non esserne tanto sicura di te, Granger. Stai dando per scontato che lui voglia collaborare. O che addirittura voglia parlarti. Al suo posto, io ti lancerei una bella maledizione ed intimerei a chi di dovere di cambiare squadra. Ti ritieni così brava da poter sfuggire al Bambino Sopravvissuto? Lui ha fatto fuori il Signore Oscuro» le fece notare, divertito. «Fammi sapere come va a finire, poi. E scattagli una foto nel momento in cui ti vedrà, voglio provare ad individuare l’istante esatto in cui il suo cuore smetterà del tutto di funzionare». Il peso delicato di una piccola ampolla gli cadde sullo stomaco, facendogli aprire gli occhi con parecchia riluttanza. Era una pozione ambrata, dall’aria apparentemente invitante ma che lui sapeva essere più amara del veleno. «Una pozione contro il post-sbronza?».

«Mi sono permessa di prenderla dalle tue scorte personali. Bevila e datti una sistemata, Harry ed altri ci stanno aspettando al Ministero. Sì, tu vieni con me».

Le sopracciglia di Malfoy si corrugarono, mentre osservava la strega con la migliore fra le sue espressioni poco convinte. «Di grazia, perché dovrei venire in un luogo in cui non sono il benvenuto, con persone che mi odiano ed insieme a te, che sei stata considerata morta per due anni?» le chiese, tentato di buttare via la fialetta e darle le spalle per farsi un più che meritato riposino.

«Perché, nonostante possa sembrare che tu non abbia realizzato, in realtà sei pieno di rabbia al pensiero di cos’è successo ai tuoi genitori e muori dalla voglia di scoprire perché e, soprattutto, chi è stato».

L’imprecazione che gli sfuggì, mentre apriva l’ampollina, la fece sorridere.

Maledetta vipera. 

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Eccomi di nuovo con il primo, vero capitolo della storia. Qui avete incontrato il vero cattivo e ci sono stati dei ritorni decisamente inaspettati. Hermione era sparita nel nulla, Harry ha dato di matto e Malfoy ha dovuto patire in relativo silenzio per due interi anni.

Cosa succederà?

 

Punti importanti:

» 1 – Indicazioni temporali: ci troviamo a quattro anni di distanza dalla battaglia di Hogwarts, nell’ottobre del 2002. Sono passati quasi due anni dalla morte di Ron e dalla scomparsa di Hermione. Lei, infatti, dopo essere stata avvicinata da Ophelia il giorno del funerale, è sparita nel nulla, fino a questo momento. Perché? Si scoprirà strada facendo, non temete.

 

» 2 – L’attuale Capo di Harry è Marius Tanner, un Auror della vecchia guardia che aveva lavorato per anni con Malocchio Moody. Si era ritirato prematuramente dal lavoro durante l’ultimo anno di Caramell, non concordando con le visioni del Ministero, ma è ritornato durante la guerra per partecipare alle azioni dell’Ordine. Avendo una certa età, ha già programmato di andare in pensione entro giugno seguente e lasciare il suo posto al signorino Sopravvissuto. Proprio grazie a Tanner, Harry ha potuto limitare a due anni la durata dell’Accademia, diventando Auror poco prima che Ron morisse.

 

» 3 – Chi è? Non è ancora il momento di saperlo. Si tratta di qualcuno che non ha partecipato alla Battaglia di Hogwarts e che si è perso buona parte degli avvenimenti del settimo libro, ma non posso dare dettagli. Sappiate che, come credo si sia capito, questo scorcio del passato è ambientato più o meno sei mesi prima della morte di Silente.

 

» 4 -  Non sappiamo nulla su come si creano gli Horcrux, quindi ho ipotizzato ci sia un qualche incantesimo in una lingua sconosciuta capace di “intrappolare” un pezzo d’anima fuori dal corpo, così che possa essere trasferita. In questo caso, naturalmente, nel corpo “dell’Infante”

 

» 5 – Sì, un altro Horcrux. In teoria non sarebbe possibile, Voldemort era già particolarmente instabile, ma in questo caso ci sono state circostanze speciali che hanno consentito che si potesse svolgere la procedura, cosa che, naturalmente, giustifica il fatto che Voldemort sia effettivamente morto durante la battaglia di Hogwarts. Si capirà tutto col tempo, tranquilli.

 

» 6 – Cosa sono le Banshee? La tradizione irlandese le considera spiriti di donne morte di parto che urlano nel cuore della notte quando un membro della loro famiglia muore o sta per morire. Sono cattivi presagi, naturalmente, perché chi le ascolta sa per certo che lui o uno dei suoi cari sono destinati alla tomba. Durante la “Purga di Salem” – ancora, ci saranno nuovi dettagli più avanti – la Confederazione Magica Internazionale ha creato questo Corpo Speciale inizialmente formato solo da cinque streghe (per gruppo, ovviamente) con lo scopo di eliminare alla radice qualunque minaccia per l’esistenza del mondo magico. Il nome originale era diverso, ma nessuno riesce a ricordarlo poiché sostituito quasi subito con Banshee. Le squadre in questione sono intervenute, in segreto, nei maggiori conflitti internazionali, anche nello scontro con il caro Gellert (Queenie era una Banshee, shhh) e nella Battaglia di Hogwarts (nel prossimo capitolo vedrete).

 

» Tiresias. Per adesso dico solo: la mitologia greca torna di prepotenza.

 

Grazie mille a tutti coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e che continuerete a seguirmi!

 

A lunedì prossimo con l’aggiornamento!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 3
*** Atto II - Parte II/Lazzaro risorge ***


LErede del Male.

 

 

“E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!».

Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario.

Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare».”

[Bibbia – Giovanni 11, 43-44]

                                  

 

Atto II, Parte II – Lazzaro risorge.

 

 

Harry James Potter aveva visto molte cose nella sua giovane vita. Aveva assistito alla prima caduta di un Signore Oscuro, alla sua rinascita ed alla sua morte definitiva. Aveva assistito ad orrori inimmaginabili e, in quanto Auror, la sua vita sembrava voler continuare a seguire quella strada fatta di assurdità ed eventi agghiaccianti. Faceva parte di una squadra speciale, i suoi compagni cambiavano in continuazione e non sempre per cause completamente estranee al suo comportamento. Era stato dichiarato “peggiore e migliore Auror mai passato per il Ministero” e la sua reputazione era ben più che meritata: non c’era stata una sola persona che, negli ultimi due anni, aveva digerito il suo comportamento nevrotico, infantile e spesso ai limiti dello psicotico.

Non tutti erano pronti a lasciarci le penne, in missione.

Proprio per quel motivo, quando quel pomeriggio venne convocato nell’Ufficio del Ministro Shacklebolt, non si preoccupò più di tanto del motivo di quell’incontro inaspettato. Se proprio doveva essere sincero, gli incontri con il vecchio Kingsley erano fra i pochi momenti in cui riusciva ancora a sentirsi se stesso e non un burattino nelle mani di un destino bastardo. Se anche quel giorno avesse voluto parlargli per rimproverarlo del suo comportamento riprovevole, lui non si sarebbe preoccupato. A dirla tutta, avrebbe approfittato per confidargli qualcosa del suo ultimo incubo1.

Sorrise amaramente, mentre appariva in uno dei camini dell’Atrium del Ministero, scansando per un pelo un maghetto dall’aria buffa che sembrava non averlo visto e, un attimo dopo, una giovane donna dai tratti marcati. Fino a due anni prima avrebbe potuto parlare del suo problema con Hermione, oppure con Ron. Prima ancora avrebbe avuto anche Silente, Sirius o Remus. In quel momento, invece, non aveva altri che il Ministro della Magia, troppo preso dal tentare di risollevare le sorti del Mondo Magico per perdere il suo tempo nel disperato tentativo di assistere l’ex Golden Boy nella sua perpetua ricerca della pace interiore.

«Buon pomeriggio, Signor Potter» lo salutò una giovane impiegata dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. Sembrava una brutta copia di Percy ai tempi della scuola, così… rigida e seria, gli ricordava in modo inquietante i momenti in cui la Professoressa McGranitt decideva di spaventare i suoi studenti: stessa espressione, stesso tono di voce, stesso chignon. Il fatto che gli avesse rivolto la parola doveva essere un segno di sventura, senza dubbio.

Resistendo alla tentazione di toccare legno2 come scongiuro, Harry si sforzò di sorriderle e fare un cenno del capo. «Signorina Peregrine, buon pomeriggio anche a lei» le augurò, sperando che detto pomeriggio potesse trascorrerlo il quanto più lontano possibile dalla sua persona, magari infestando qualche casa abbandonata o un cimitero buio. A dirla tutta, l’avrebbe vista bene in cima ad una collina, di notte, ad urlare per la perdita di un qualche familiare.

Sì, Miss Peregrine sembrava proprio una Banshee. Ed Harry Potter odiava le Banshee per due ragioni specifiche: prima di tutto, la sua fidanzata era di origine irlandese3 e gli aveva intaccato un sacro terrore di quelle creature oscure, poi, naturalmente, c’era il piccolissimo dettaglio che la sua famiglia fosse già stata più che decimata e che, in effetti, trovarsi una di quelle cose davanti o, peggio, sentirne l’urlo non avrebbe potuto far altro che peggiorare ulteriormente una situazione di partenza che era già tragica.

«Non è un buon pomeriggio» si lagnò la donna, arricciando il naso adunco come se lui le avesse appena sputato sulle scarpe. Era evidente che avesse atteso solo il momento giusto per iniziare a blaterare sui suoi problemi. «Il Ministro ha incaricato il mio Ufficio di sbrigare delle faccende della massima importanza a Ginevra, dobbiamo partire entro un’ora! E non abbiamo avuto neppure un paio di giorni di preavviso, nonostante la circolare 12/b sia chiarissima al riguardo! Nessuna missione internazionale può essere svolta, salvi casi di necessità e sicurezza internazionale, senza che sia stata data previa comunicazione di almeno tre giorni ai dipendenti interessati!».

Harry riuscì a reprimere una smorfia annoiata solo per forza di volontà. Era stato fortunato ad aver avuto rapporti con Percy negli ultimi quattro anni, lo avevano aiutato incredibilmente a temprare la propria resistenza al tedio. «Immagino si tratti di una questione di grande rilevanza, altrimenti il Ministro non avrebbe violato il regolamento» le fece quindi notare, con una gentilezza che davvero era forzata. Aveva voglia di prendere a schiaffi se stesso e darsi del bugiardo. Dopo aver pronunciato quelle parole, tuttavia, si accigliò. Questioni di grande rilevanza, tali da mandare in Missione quasi un Ufficio intero e senza il minimo preavviso, unite alla sua convocazione straordinaria dal Ministro potevano solo significare enormi guai in vista. Guai che richiedevano l’intervento non solo degli Auror ma, nello specifico, del Golden Boy.

Maledetta Peregrine, era riuscita a rovinargli l’umore – già pessimo – ed il resto della giornata. Quella che si sarebbe dovuta limitare ad essere una chiacchierata di rimprovero, conclusa magari con la promessa di terrorizzare meno persone nel prossimo futuro, rischiava di evolversi in una missione potenzialmente suicida per la quale Ginny lo avrebbe riempito di preoccupazioni e che si sarebbe presto tramutata in un’altra fonte di ansia ed incubi per la sua mente già profondamente turbata. Per quanto assurdo, Harry non poteva che incolpare la Peregrine ed il suo dannato aspetto da uccello del malaugurio.

La donna, con una smorfia, spinse uno dei pulsanti dell’ascensore, lasciando che le porte rinchiudessero entrambi in quello spazio angusto. Non sembrava volergli prestare grande importanza, probabilmente perché riusciva a percepire le sue vibrazioni negative già a quella distanza. Quando parlò, lo fece con l’espressione di qualcuno che stava facendo un gran favore al mondo soltanto esistendo. «Mi auguro che si risolva tutto presto, giovedì il Club di Gobbiglie del Ministero ha una competizione importantissima che io non posso davvero perdermi». L’ascensore si fermò e, un attimo dopo, la solita voce metallica annunciò il Primo Livello. «Non è arrivato, Signor Potter?» gli chiese poi, quasi avesse voluto rimproverarlo di non essere scattato immediatamente, magari balzando via come una gazzella nella savana.

Masticando degli insulti, Harry si fece avanti, voltandosi per un istante e solo per non apparire più maleducato di quanto già non fosse nell’immaginario collettivo. Un uomo capace di scacciare anche gli Auror più pazienti non poteva che essere considerato tale, no? «Arrivederci, Signorina Peregrine» la salutò, piegando leggermente il capo. «Le auguro una buona missione ed un buon viaggio» aggiunse, rammentando a se stesso che fare gli scongiuri proprio lì, davanti a lei, non avrebbe fatto altro che scatenarla ancora di più, portandogli solo rogna di ogni genere.

«Ah, sono certa che sarà un viaggio terribile! Odio le Passaporte!».

Quando l’ascensore si allontanò, proseguendo la sua discesa, Harry lasciò andare un sospiro esasperato. Quella tranquillità con cui era arrivato al Ministero era ormai sparita e non c’era più nulla ad attirarlo verso la porta alla fine del lungo e scuro corridoio, neppure il pensiero che potesse trattarsi di una missione effettivamente interessante e capace di impegnare la sua mente abbastanza da distrarlo dalla spirale di autocommiserazione e ribellione adolescenziale tardiva in cui era caduto. Cos’aveva detto lo psicologo? Conseguenze dello Stress Post Traumatico. Personalmente, lui preferiva la diagnosi del suo Superiore, il Capo Auror Tanner: noia e solitudine.

Il Livello riservato agli uffici del Ministro e dei suoi assistenti era profondamente diverso rispetto alla prima volta che Harry l’aveva visitato, ai tempi di Caramell. C’erano molte più persone che correvano qui e lì – tutte con uno scopo e tutte in silenzio, Kingsley restava pur sempre un ex Auror – e le luci erano molto più forti e calde, così da non dare l’impressione di trovarsi nei sotterranei di un castello degli orrori. Il clima era solitamente gioviale, nonostante quel pomeriggio sembrassero tutti presi da qualcosa di nuovo, qualcosa che Harry non conosceva e che tutti gli altri morivano dalla voglia di conoscere meglio.

Cosa stava succedendo?

Una delle assistenti di Kingsley, che Harry conosceva fin troppo bene, lo raggiunse non appena lo vide avvicinarsi, sorridendogli. Hannah Abbott, fidanzata storica di Neville e – anche se Harry non l’avrebbe mai ammesso davanti a sua suocera – migliore pasticcera che avesse mai conosciuto in vita sua, era una delle poche persone che il giovane Auror incontrava volentieri, al Ministero. Era sempre così allegra e tranquilla da risultare piacevole come un balsamo per il cuore di chiunque. «Ciao, Harry» lo salutò, gentile, avvicinandosi per abbracciarlo brevemente e poi trascinarlo verso la porta dell’ufficio di Shacklebolt. «Il Ministro ed i suoi ospiti ti stanno aspettando. Per fortuna sei arrivato prima che fossero al completo, il Capo aveva minacciato di licenziarti» gli comunicò, con un tono talmente serio che, per un istante, anche lui si preoccupò.

Nessuno era tanto stupido da non prendere sul serio le minacce di Kingsley, sicuramente non lui.

«Sono stato in ascensore con la Peregrine, ho già avuto la mia parte di orrori per oggi» le rispose, con una smorfia, raddrizzando le spalle mentre l’amica gli sistemava il nodo della cravatta, naturalmente storto. Per quanto si sforzasse di uscire di casa in ordine, in un modo o nell’altro riusciva sempre ad apparire più sconvolto di quanto non fosse davvero. «Ehi, cosa sta succedendo in questo posto? Sembra che tutti stiano camminando su pezzi di vetro, tanto sono nervosi» le domandò poi, accigliato, voltandosi giusto in tempo per poter osservare due archivisti passare proprio lì vicino e tentare di origliare qualcosa della conversazione che si stava svolgendo all’interno.

Hannah accennò un sorriso imbarazzato, intrecciando le mani all’altezza del petto con aria nervosa. «Abbiamo ricevuto visite inaspettate, per questo anche tu sei qui. Il Ministro non era così nervoso dai tempi del Tribunale di Hogwarts4, non so se hai presente». L’ironia era evidente nel suo tono: Harry era stato uno dei protagonisti della serie di processi seguiti alla Battaglia del ’98, nessuno più di lui poteva ricordare lo stato di terrore ed ansia che aveva caratterizzato il mondo magico nel periodo. Kingsley si era ritrovato a dover gestire una società a pezzi, senza un centro di potere che fosse degno di tale nome e completamente nel caos. «Ricordi il periodo di sorveglianza cui siamo stati sottoposti? Ricordi quei maghi della Conferenza Magica Internazionale che sono stati mandati per tenerci d’occhio? All’epoca avevano detto un po’ a tutti che fossero dei semplici funzionari stranieri».

Harry annuì, stringendo le labbra. Ricordava benissimo quei tizi inquietanti. C’era un mago americano che l’aveva perseguitato per tutte le otto settimane che era rimasto a Londra, chiedendogli dettagli sulla battaglia e facendo strane insinuazioni che più di una volta gli avevano fatto perdere la testa. Una sua collega russa aveva perseguitato Hermione, ma lei era sempre stata molto più pacata di lui. «Naturalmente. Sono tornati? Siamo di nuovo sotto esame?». Fulminato da un pensiero improvviso, si irrigidì. «Ti prego, dimmi che non si è presentata una qualche crisi internazionale che ci costringerà a partire con l’Ufficio per la Cooperazione, anche Peregrine sta partendo. Qualunque cosa la coinvolga non può che finire tragicamente».

Il modo in cui la giovane strinse i denti non gli piacque affatto. «Non erano dei semplici funzionari, Harry, erano degli agenti speciali, sono chiamati Banshee, credo che al corso vi abbiano spiegato qualcosa» mormorò, guardandosi intorno per assicurarsi di non essere ascoltata. «Il Ministro diceva sempre che la loro presenza qui era la peggiore delle vergogne per tutti gli Auror perché implicava che non foste capaci di mantenere la pace da soli. Quando sono andati via è stato un sollievo, era la dimostrazione palese che i guai per noi fossero finiti, ma ora che sono tornati…».

Banshee. Solo il nome fece rabbrividire Harry. Il periodo breve che il Signor Aldrige – il suo istruttore all’Accademia – aveva impiegato per parlare di quel Corpo Speciale ai Cadetti era stato terrificante, condito di omicidi politici coperti nel più magistrale dei modi, rivoluzioni silenziose e spargimenti di sangue così ben nascosti da far dubitare persino che fossero mai accaduti. Le Banshee, che solo negli ultimi vent’anni avevano iniziato ad accettare uomini, erano sinonimi di morte quasi quanto il Gramo, con la leggera differenza dell’agire nel rispetto della legge. Ovunque andassero, gli orrori erano talmente grandi che una strage riusciva sempre ad apparire come il male minore. Quel sacro timore che Aldrige aveva tentato di instillare in tutti loro era diventato pura superstizione e l’idea di averne avuti fra i piedi senza esserne consapevoli, unita alla possibilità che alcuni fossero con il Ministro – attendendo proprio lui – lo terrorizzava.

«Quanto pensi sia grave?» fu tutto ciò che le chiese, cominciando ad occhieggiare in direzione della porta con un filino d’ansia in più. La Peregrine gli aveva decisamente rovinato la giornata. Ginny avrebbe fatto bene ad essere pronta a sopportare i suoi lamenti per ore e ore, altrimenti avrebbe davvero dato di matto prima della fine della settimana.

«Non lo so, ma credo proprio tu debba entrare. Sei in ritardo di sette minuti e poco fa Tiffany è uscita da quella stanza praticamente in lacrime. Non puoi più farlo aspettare». Hannah gli diede una incoraggiante stretta alla spalla, sorridendogli in modo così gentile da non lasciargli alcun dubbio sul perché Neville si fosse tanto innamorato di lei. Era l’equivalente umano di un rotolo alla cannella5 ed il suo amico era sempre stato un tipo parecchio goloso.

Doveva smetterla di fare pensieri tanto imbecilli nei momenti di panico.

«Ormai sono qui, eh?».

«Alea iacta est6, Harry».

 

***

 

C’erano quattro persone insieme a Kingsley, quando finalmente trovò il coraggio di bussare ed entrare. Erano tutti giovani e tutti vestiti con completi in pelle di drago di un magenta molto scuro, tendente al nero, con un pentacolo ricamato all’altezza del cuore. Pentacolo di Circe¸ così doveva chiamarsi, un simbolo di protezione antico quanto la Magia stessa, l’unico, a detta di molti, capace di impedire che la anima di quei pochi scelti andasse letteralmente in pezzi sotto il peso della Magia Oscura che erano soliti sopportare e utilizzare. Il fatto che fossero quattro, tre donne ed un uomo, fece accigliare Harry, che tuttavia non disse nulla. Stando alle sue conoscenze basilari, ogni squadra era composta da cinque membri, uno per ogni punta del pentacolo, a cui generalmente era assegnato un ruolo specifico.

«Signori, vi presento Harry Potter» lo presentò proprio il Ministro, facendogli cenno di accomodarsi nella sedia più vicina alla sua, ad una distanza piuttosto evidente dai quattro. Sembrava quasi che avesse paura di qualcosa che avrebbero potuto far loro. O che Harry avrebbe potuto fare, nonostante fosse una possibilità alquanto improbabile. «Agente Potter, ti presento la squadra Banshee 3: Ophelia Perderghast, esperta in Anatomopatologia Magica7», indicò, nel dirlo, la donna seduta sulla sinistra, con degli occhi scuri che ad Harry sembrarono stranamente familiari e che gli sorrise, gentile, quasi avesse saputo quanto poco lui avesse capito della sua professione. «Poi abbiamo Bartholomew Maine, Magizoologo», l’unico uomo sorrise, allegro, dalla sua posizione alle spalle della signorina Perderghast.

«Prego, Barry va benissimo. Mio nonno era Bartholomew, preferisco evitare di confondermi con lui» specificò, con un fortissimo accento americano, sventolando l’uncino che aveva alla mano sinistra come se fosse stato una mano. Dal canto suo, Harry non voleva proprio sapere come avesse perso l’arto: suo cognato Charlie era stato particolarmente prodigo di dettagli sulle capacità distruttive delle varie bestie che aveva incontrato, le varie volte in cui erano riusciti ad ubriacarlo a sufficienza.

Il Ministro non aveva apprezzato particolarmente quell’interruzione, ma sembrò trattenersi dal rispondere a modo suo. Fosse stato qualcun altro, ci sarebbe stata una lunga sequela di borbottii conditi da sguardi davvero cattivi. «D’accordo, sì, Barry Maine. Poi abbiamo la signorina Winter Vane, Legilimens» continuò, indicando la più giovane del gruppo, una graziosa ragazza con occhi chiarissimi e capelli di un caldo color oro, seduta elegantemente nella sua sedia e con in mano una tazza di tè apparentemente appartenente ad un servizio parecchio costoso.

«In effetti è parte del servizio cinese ereditato da mia nonna, signor Potter» gli rispose, con un accento che Harry riconobbe essere australiano, rendendolo immediatamente consapevole della capacità che aveva inizialmente ignorato. Legilimens. «Oh, noto che ha delle conoscenze in Occlumanzia! Com’è eccitante!» squittì ancora lei, quando lui si sbrigò a rialzare le difese come il compianto Severus Piton aveva tentato di insegnarli, ai tempi della scuola. Diversamente da Piton, però, lei sembrava particolarmente entusiasta di aver trovato una minima resistenza, non c’erano stati commenti riguardo la sua fragilità.

«Mi piace tenere i miei pensieri per me» fu tutto ciò che le disse, stringendosi nelle spalle e sforzandosi di non farsi incantare dalle fossette che le erano apparse sulle guance quando aveva sorriso. Lui era fidanzato con Ginny Weasley, non c’era dettaglio adorabile che fosse paragonabile alle caratteristiche deliziose della sua – Merlino volendo – futura moglie.  Conscio di dover ancora conoscere l’ultimo membro, Harry si voltò nella sua direzione, osservandola con attenzione. «Mentre lei è… Katie?».

Katie Bell, i capelli biondi raccolti in una coda alta proprio come ai tempi della scuola ed i grandi occhi verdi pieni di divertimento, lo osservava dall’angolo all’estrema destra, braccia incrociate al petto e l’espressione di qualcuno che aveva atteso con impazienza di essere finalmente riconosciuto. «Sei diventato grande, Harry» gli disse, sorridendo più di prima. «Prima che tu lo chieda, , ero già nella squadra ai tempi della Guerra ma non potevo certo venire a raccontartelo. E no, non puoi sapere qual è la mia capacità, il Ministro ha concordato nel mantenere il segreto».

Ecco, quella specificazione non gli piacque proprio per niente. «Perché non posso saperlo? E come facevi a sapere che te l’avrei chiesto? Anche tu sei una Legilimens?» domandò, vagamente risentito, osservandola come se avesse appena tentato di pugnalarlo alle spalle. La gioia nell’aver incontrato nuovamente una vecchia amica era stata violentemente risucchiata nel dubbio. O nella paranoia. Era già parte delle Banshee ai tempi della guerra, l’avevano mandata per controllare lui e gli altri membri dell’ES? «Katie, io…».

«Oh, per tutte le cavallette» sospirò la signorina Vane, lasciando levitare la tazza di tè davanti a lei per poter allargare le braccia con aria esasperata. «Katie, ti avevamo detto di evitare affermazioni colme di mistero, lo sai che mettono le persone sulla difensiva. Hai fatto preoccupare il signor Potter» rimproverò la collega, senza perdere il tono gentile ma suonando tuttavia autoritaria. Si voltò verso di lui, subito dopo, cercando di apparire conciliante. «Non si preoccupi, caro, non è per una questione personale che Katie non può spiegarle le sue capacità, ma per la sua stessa sicurezza. Preferiamo non diffondere queste informazioni, ma lei ne sarà messo al corrente nel momento opportuno. E, per rispondere alla sua domanda, , Katie era stata inviata per aiutare l’Esercito di Silente, così come molti altri nostri agenti, infiltrati nell’Ordine della Fenice e fra altri ribelli. Non crede anche lei che sia ovvio? Era un conflitto pericolosissimo per la pace mondiale, naturalmente siamo intervenuti insieme a tutti voi».

L’ovvietà di quel ragionamento fece sentire Harry un idiota. «Sì, ecco… ma perché nessuno se n’è mai accordo? Facevo parte di entrambe le Resistenze, tuttavia non mi sembra di aver mai notato qualcuno di voi» fece notare, stringendo per un istante le labbra in una fedelissima imitazione della Professoressa McGranitt contrariata.

«Nessuno deve vederci, nessuno deve conoscerci. È la politica del nostro Ordine, signor Potter» gli disse Maine, stringendosi nelle spalle. «Se tutti sapessero, allora nessuno cercherebbe di risolvere i problemi con le proprie forze e sarebbe il caos. Noi interveniamo palesemente solo in casi di estrema necessità e temo che questo lo sia».

A quel punto fu il Ministro a riprendere la parola, schiarendosi la voce. «Come i nostri ospiti mi stavano dicendo prima che arrivassi, Harry, qualcuno ha ricercato tutti i Mangiamorte che si erano recati in esilio volontario dopo la guerra, li hanno radunati in un castello sperduto nel cuore della selva boema, dove li hanno uccisi tutti» iniziò a spiegare, facendo poi un cenno alla signorina Vane, che annuì.

Dal canto suo, Harry era ancora abbastanza confuso da non avere la più pallida idea di come reagire. In che senso li avevano ricercati ed uccisi? Tutti? Tutti i Mangiamorte erano stati sterminati? Chi era stato? Perché?

«Sono domande perfettamente legittime, caro» gli rispose Winter Vane, l’espressione pacifica del volto angelico inquinata da un accenno di preoccupazione. «E siamo qui proprio per tentare di dare una risposta. Per adesso sappiamo che tutti i Mangiamorte fuggiti, nessuno escluso, sono stati rintracciati, rapiti e… beh, sottoposti a pena capitale. È stato un vero e proprio massacro, li hanno trucidati dal primo all’ultimo, senza utilizzare l’Avada Kedavra» continuò, sospirando con evidente preoccupazione. «Erano almeno cinquanta persone, fra uomini, donne e anche bambini. Nella scena del delitto non sono state ritrovate tracce di alcun genere, se non…» si voltò verso Miss Penderghast, facendole cenno di continuare. Lei, però, scosse il capo, evitando momentaneamente la domanda.

«È stato un vero e proprio massacro, sono state utilizzate anche armi babbane allo scopo di aumentare la sofferenza e la paura delle vittime» continuò la donna dagli occhi scuri, con una smorfia. «Abbiamo trovato resti animali che fanno pensare all’utilizzo di incantesimi e creature che non venivano disturbate da anni, signor Potter, ed il tutto si è svolto in modo metodico, come se fosse stato pianificato così da portarli tutti allo stremo e costringerli a subire ogni singola angheria. Volevano torturarli, come… come una vendetta».

«Potrebbe essere l’azione di un lupo solitario?» si informò l’Auror, sinceramente preoccupato, raddrizzando le spalle ed assumendo l’espressione che quattro anni di servizio avevano forgiato con particolare efficienza. «Magari un parente di vittime di guerra, qualcuno rimasto così turbato da aver perso la concezione di bene e male. Molte persone hanno perso la testa, finito lo scontro».

E lui ne aveva incontrati molti durante le due o tre volte che aveva accettato di recarsi dallo psicologo.

Fu Katie a rispondergli, con un sospiro. «No, era un lavoro troppo metodico, troppo… minuzioso. C’è uno scopo, un modello alla base. Qualcuno con a disposizione una tale conoscenza magica avrebbe potuto rintracciare i Mangiamorte impenitenti o, addirittura, presentarsi direttamente ad Azkaban, piuttosto che rifarsi sui pentiti. Oltretutto, anche coloro che non sono andati in esilio hanno iniziato a sparire, sono rimasti in pochi ad avere ancora la propria libertà».

Il pensiero di Harry fuggì immediatamente a Malfoy e ad i suoi genitori. Loro erano fuggiti, significava forse che…?

«Anche i genitori del Signor Malfoy sono stati trovati morti, caro» gli rispose Miss Vane, con tono desolato. «In questo preciso momento, l’ultimo membro della nostra squadra lo sta portando qui, per metterlo sotto la nostra protezione. Lui è uno dei pochi membri del circolo ristretto di Lord Voldemort ad essere ancora in vita, abbiamo bisogno delle sue conoscenze per cercare di capire».

«Capire cosa?».

«Capire chi sta vendicando Voldemort, Potter» si intromise Maine, con un sospiro, guardandolo come se fosse stato un povero idiota. «Stanno colpendo i traditori del Signore Oscuro, utilizzato magia talmente spaventosa che nessuno, prima, aveva osato utilizzare. Si tratta di qualcuno ben più potente di quanto il tuo vecchio nemico sia mai stato, qualcuno intenzionato ad onorare la sua memoria, di cui noi non conosciamo l’identità o lo scopo reale». Ophelia gli lanciò uno sguardo ammonitore, quando lo vide allontanarsi dal muro con fare battagliero, rimettendolo al suo posto. «Una volta eliminati i Mangiamorte traditori, quanto credi ci vorrà prima che questa cosa venga a cercare te, Potter?».

Quelle parole, per una ragione sconosciuta, fecero accigliare Harry, rendendogli chiaro il motivo della sua presenza in quel luogo. «Voi non volete il mio aiuto» esalò, sentendo un moto d’irritazione crescere dalla bocca del suo stomaco fino a diffondersi per tutto il resto del suo corpo. «Voi siete qui per proteggermi».

La risata di Maine fece schizzare alle stelle la sua rabbia. «E pensare che tu l’avevi definito tardo, Katie! Ha afferrato il concetto ben prima del previsto».

«Barry, piantala» intervenne nuovamente Ophelia, sinceramente arrabbiata. Quando si voltò verso Harry, c’era esasperazione nei suoi occhi. «Scusalo, gli piace spingere le persone al limite, è il motivo per cui ha perso la mano» gli disse, cercando di suonare conciliante. «Siamo qui per proteggerti, ma anche perché abbiamo bisogno anche di te. Sei stato un Horcrux, potresti conoscere dei dettagli a noi non sconosciuti».

«Oh, per tutte le cavallette», l’esclamazione di Winter Vane li fece tutti voltare nella sua direzione, trovandola a labbra strette e preoccupata. «Credo che l’ultimo membro della nostra squadra sia arrivato» spiegò, lanciando un’occhiata carica d’urgenza agli altri compagni ed al Ministro. «Signor Potter, credo sia meglio che lei torni a sedersi. La sua reazione potrebbe essere… violenta».

Harry, che non si era neppure reso conto di essere balzato in piedi, ubbidì solo grazie al modo gentile con cui lei aveva fatto quella richiesta. L’ansia, improvvisamente, esplose nel suo stomaco, facendogli aumentare i battiti cardiaci. Perché erano tutti tanto preoccupati? Chi era il quinto membro della squadra? Si trattava di qualcuno contro cui lui aveva combattuto? Uno dei Mangiamorte fuggitivi che erano scampati al Tribunale?

«Scusate il ritardo, Malfoy ha avuto qualche problema con la sua nausea».

Per un momento, Harry Potter pensò d’essere impazzito. Era impossibile che davanti a lui fosse apparsa Hermione Granger, la migliore amica che aveva ritenuto morta negli ultimi due anni. Era impossibile che fosse lei.

«Hermione?».

L’immagine di Mary Dursley che gli leggeva uno specifico brano biblico gli tornò improvvisamente in mente, facendogli tremare le ginocchia.

«Ciao, Harry».

Lazzaro era risorto.

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Harry Potter è diventato incapace di stringere rapporti lavorativi, ormai è lo spauracchio del suo ufficio e si rifiuta categoricamente di procedere con le visite dallo psicologo. Quanto gravi saranno i danni che l’apparente morte e resurrezione di Hermione gli causeranno?

 

Punti importanti:

» 1 – Nonostante il sogno del capitolo precedente sia stato ben più che chiaro, il buonsenso di Harry lo ha convinto che fosse stato solo frutto della sua fervida immaginazione. Crede davvero che esista un altro Horcrux? Forse, ma preferirebbe morire piuttosto che ammetterlo.

 

» 2 – Toccare legno, gesto scaramantico inglese che corrisponde al nostro toccare ferro.

 

» 3 – Perché Ginny è irlandese? Prova n. 1, i capelli rossi. Prova n. 2, Prewett è un cognome irlandese. Ergo, Molly Weasley è irlandese, quindi i suoi figli lo sono per metà.

 

» 4 -  Tribunale Speciale creato per giudicare i colpevoli della seconda guerra magica, ispirato liberamente al Tribunale di Norimberga e simili. Sono stati giudicati tutti i Mangiamorte, molti dei quali sono finiti ad Azkaban per il resto della loro vita.

 

» 5 – Per chi li conoscesse: cinnammon rolls. Il termine viene ormai utilizzato per indicare persone particolarmente dolci e gentili, in contrapposizione ai cosiddetti sinnamon rolls (da sin, peccato), che indicano persone peccaminose ma che si fanno comunque adorare.

 

» 6 – Locuzione latina che viene fatta risalire a Giulio Cesare al momento del passaggio del Rubicone (io ADORO Giulietto mio) e che viene tradotta con “il dado è tratto”.

 

» 7 – Questo nome complicato indica un’esperta in malattie magiche. Ha un po’ il ruolo di un medico legale, anche se più specifico. Nessuno di voi ha mai visto Bones? E sì, Ophelia è imparentata con Harry, motivo per cui lui sembra ricordare gli occhi della donna.

 

» Katie Bell, ritorna uno dei personaggi della saga. Avrà un ruolo fondamentale, già alla fine del prossimo capitolo dovrebbe iniziare a dimostrarlo ;)

 

Grazie mille a tutti coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e che continuerete a seguirmi!

 

A lunedì prossimo con l’aggiornamento!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 4
*** Atto II, Parte III - Il tradimento della sorella ***


LErede del Male.

 

 

Decidere se fidarsi o no di una persona è come decidere se arrampicarsi o no su un albero,

poiché si potrebbe godere di una vista straordinaria dal ramo più alto,

oppure ci si potrebbe semplicemente riempire di resina.”

[Lemony Snicket]

                                  

 

Atto II, Parte III – Il tradimento della sorella.

 

 

«Ciao Harry».

Il silenzio sembrava non essere destinato ad interrompersi. Per dei minuti interminabili, dopo quella presentazione un po’ campata per aria, Harry Potter si limitò a fissare la sua migliore amica, ritenuta morta per ben due anni. L’incredulità nel suo viso era nascosta benissimo sotto un’espressione completamente vuota, le sopracciglia allineate e lo sguardo di qualcuno che avesse appena subito il bacio del Dissennatore.

Per un istante, Draco si preoccupò che avesse tirato le cuoia e che il suo corpo fosse rimasto immobile perché pietrificato all’istante. Era successo al suo prozio Hauser, sua moglie l’aveva trovato il giorno dopo, immobilizzato sulla sua poltrona preferita e, da quel giorno, era diventato una delle statue più belle di Malfoyburg di Colonia1.

«Non si preoccupi, il signor Potter non sta per diventare una statua» lo rassicurò la giovane bionda seduta più vicino a lui, lanciandogli un sorriso mozzafiato. Aveva un accento australiano leggerissimo e Draco sospettava che, se l’avesse voluto, avrebbe potuto perderlo completamente. Era piuttosto convinto di averla già incontrata, se doveva esser sincero, ma non ci avrebbe scommesso molto, tutte le ragazze dell’alta società si somigliavano fra loro. «Sì, posso perdere il mio accento. Così come posso cambiarlo e somigliare ancora di più alle ragazze dell’alta società» continuò a rispondergli, inizialmente parlando come il vecchio professor Beans avrebbe voluto far parlare lui da bambino2, poi prendendo un fortissimo accento inglese, migliore di quello di molti madrelingua. «Oh, è solo perché ogni persona pensa con il proprio accento, a forza di ascoltare io ho imparato ad imitare».

Il silenzio durò qualche altro istante, prima che Draco sgranasse gli occhi. L’aveva davvero conosciuta, perdendola di vista precisamente quattro anni prima, durante il Processo. «Winter Vane? Winnie? Sei davvero tu? Credevo…» esalò, fermandosi solo quando lei gli fece cenno di far silenzio, occhieggiando al dramma silenzioso che stava ancora consumando Potter e la Granger. Come se a lui potesse importare qualcosa di quei due! Lei, invece, che era sparita dalla circolazione subito dopo che suo padre era stato processato e spedito ad Azkaban grazie proprio alla sua testimonianza3, proprio in quel momento di totale era tornata a farsi vedere, con la divisa delle Banshee ed intenzionata a fingere di non conoscerlo!

«Non sto facendo finta di non conoscerti, volevo solo assicurarmi che mi avessi riconosciuta» gli rispose, naturalmente ascoltando i suoi pensieri. Era un vizio che aveva sempre avuto, fin da bambina, e che le era costato tantissimo, anche se mai quanto chiunque altro avrebbe perso. C’erano segreti che nessuno avrebbe mai dovuto poter conoscere. «Ti ringrazio, è piacevole sapere che mi ritieni davvero così forte da non esser impazzita» gli disse un attimo dopo, accennando un lieve sorriso. Poi, però, gli fece un altro cenno per intimargli il silenzio. Che Potter fosse vicino alla svolta? Che qualcosa avesse iniziato a funzionare nella sua bislacca testolina con cicatrice?

Di sicuro il suo sguardo non era rassicurante, nessuno avrebbe osato dire il contrario. C’era stato un cambiamento, era evidente anche a Malfoy, ma si trattava di un cambiamento minimo: aveva leggermente stretto le palpebre, quasi i suoi occhiali si fossero appannati all’improvviso impedendogli di vedere bene. Lentamente, poi, anche la sua fronte si era aggrottata ed una vena aveva iniziato a pulsare sinistramente nella sua tempia destra. La Granger era rimasta impassibile, era lei che all’improvviso sembrava esser diventata una statua di sale, anche se le labbra erano rimaste leggermente incurvate in un sorriso gentile, proprio come quando gli aveva rivolto quel saluto totalmente fuori luogo.

Un attimo dopo, scoppiò un inferno fatto di urla ed imprecazioni e Draco si ritrovò spinto contro una sedia libera dall’unico uomo con la divisa Banshee, scattato in avanti una frazione di secondo prima che Potter perdesse completamente la testa. Era riuscito ad agguantarlo per le braccia e lo stava trattenendo come se fosse stato un qualche animale selvaggio, nonostante difficilmente lui sarebbe ricorso a mezzi diversi dalle urla per aggredire la sua migliore amica.

«Due anni! Due anni in cui ti ho creduta morta e tu te ne esci con “Ciao Harry”?» le stava urlando, dimenandosi solo per liberarsi dalla presa del mago, incurante del sinistro uncino a pochi centimetri dalla carne morbida della gola. L’uomo che continuava a bloccarlo stava sorridendo in modo quasi folle, come se non avesse atteso altro che quel momento. «Sei impazzita, cazzo? Che ti passa per quella fottuta testa di cazzo?» continuava a sproloquiare lui, ringhiando come un lupo ferito, gli occhi spalancati e pericolosamente umidi in una perfetta riproduzione di quello che un principiante di psicomagia avrebbe definito “sguardo da serial killer”.

«Oh, Barry, lascialo andare» si intromise Winnie, senza alzarsi dalla sua sedia e continuando a reggere la sua preziosa tazzina come se tutto quel dramma non si fosse mai presentato e loro fossero stati ancora intenti a godersi una deliziosa merenda in giardino. «Sai anche tu che così lo stai solamente facendo agitare di più, il povero signor Potter non attaccherebbe mai Hermione, è una sorella per lui» continuò, nonostante gli improperi di Potter fossero peggiorati in gravità ed il suo atteggiamento facesse pensare che fosse sul punto di staccare la testa a qualcuno.

L’uomo si limitò a sorridere per qualche istante, prima di allentare finalmente la presa. «Una mossa azzardata, Potter, e ti faccio fare la fine di un Ippogrifo indisciplinato» ammonì, mollando tutto d’un colpo e facendosi indietro di un paio di passi, sorridendo allegramente in direzione dell’altra donna presente, tutt’altro che divertita. Forse irritata sarebbe stata la giusta descrizione, ma non era il momento di concentrarsi su di lei4.

Così com’era impazzito, Potter si svuotò completamente, divenendo il fantasma di ciò che era stato fino a quell’istante. Le spalle curve, il viso pallido e le occhiaie ben evidenti che l’avevano accompagnato negli ultimi due anni tornarono a farsi vedere, la debolezza del lutto ancora su di lui come uno spirito capace di possederlo e renderlo il suo burattino. Era distrutto, ancora una volta. Distrutto dalla sua migliore amica.

«Due anni, Hermione» le sussurrò a quel punto, la voce ridotta al frusciare di una foglia al vento. «Per due anni ti ho creduta morta. Hai lasciato che affrontassi il lutto, che piangessi sulla tua tomba. Ti ho supplicato di non essere morta, ma tu non sei tornata5. Perché?». Non stava piangendo, nonostante l’orrore nel suo tono fosse evidente. C’era un desolato contegno nel suo modo di guardarla e Draco poteva solo ammirarlo, nonostante non avesse la minima intenzione di farlo sapere al suo vecchio nemico. Nel momento in cui la consapevolezza del lutto lo avesse colpito, lui avrebbe perso tutta la dignità che per secoli i Malfoy avevano mantenuto, ne era assolutamente convinto.

Quando parlò, la Granger sembrò improvvisamente la stessa ragazzina che al secondo anno aveva incassato per la prima volta l’accusa d’esser solo una banale Sanguesporco, non c’era traccia della donna risoluta che solo un’ora prima lo aveva sorpreso nell’intimità di casa e gli aveva rivelato la più terribile delle verità. «Dovevo farlo, Harry. Non avrei mai potuto superare l’addestramento, altrimenti» provò a dirgli, tenendo lo sguardo basso, in preda alla vergogna più desolata. «Non puoi credere davvero che ti avrei inflitto questo dolore, se avessi avuto una scelta».

Potter scosse il capo, alzando gli occhi al cielo ed allargando leggermente le braccia, in un gesto esasperato. «Non hai avuto una scelta? Le Banshee ti hanno rapito e costretta a seguire l’addestramento? Devono aver usato delle minacce belle pesanti per far leva su un’eroina di guerra» le fece notare, trattenendo a stento una risata colma di sarcasmo.

Un mugugno arrivò dal Ministro della Magia, che stava assistendo a quella scena con l’espressione di qualcuno che, pur volendo farsi piccolo piccolo, era costretto a dimostrare una forza totalmente fittizia. Naturalmente, lui doveva essere stato messo a conoscenza della carriera che la Granger aveva intrapreso, tenendola a sua volta nascosta al povero disgraziato che in quel momento stava riversando la sua rabbia esclusivamente sulla donna. Kingsley, uno dei pochi di cui Potter aveva sempre ritenuto di potersi fidare, aveva collaborato a spingerlo sull’orlo del baratro, danneggiando le sue ricerche dall’interno, strisciando e calcolando come una serpe.

In silenzio religioso, Winnie si voltò verso Draco, allungandogli un biscottino che sembrava apparso dal nulla proprio nell’istante in cui lui aveva iniziato a rendersi conto della necessità di mangiare qualcosa per tenere attiva la pozione contro la sbronza. C’erano momenti in cui quella sua capacità era disturbante, altri in cui, invece, era particolarmente utile. Il sorrisino che lei gli dedicò fu l’unico ringraziamento che ricevette.

«Non possiamo rivelare nulla della nostra posizione, nulla dell’addestramento. Dovevo scegliere fra fingermi morta e cancellare la memoria di chiunque mi avesse mai incontrata, così da far in modo che non restasse traccia della mia esistenza finché non si fosse concluso tutto, per poi restituire ciò che avevo tolto» provò a spiegargli ancora lei, la voce ridotta ad un pigolio. «Ho perso i miei genitori, usando questa tecnica. Non ero disposta a rischiare ancora».

Perdere i genitori? Draco guardò con curiosità la vecchia compagna di scuola, sperando in un’ulteriore spiegazione che tuttavia non arrivò. Era piuttosto certo che i Granger non fossero morti, ma, in effetti, non li aveva visti al funerale che era stato organizzato per lei circa un anno prima, su insistenza dei Weasley che avrebbero voluto poter piangere lei come Ronald.

Quell’affermazione, oltre che su Malfoy, sembrò far effetto anche su Potter, che si irrigidì. «Perché hai accettato questo lavoro? Perché ci hai abbandonati tutti?» le chiese, dopo qualche istante di silenzio, gli occhi verdi ancora fissati su di lei come se fosse stata il più disgustoso degli insetti. «Perché?».

«Perché stavo morendo, Harry, e solo questo lavoro mi ha ridato la vita».

 

***

 

Avere Harry al suo fianco era la sensazione migliore che Hermione avesse provato negli ultimi quattro anni. Sentiva ancora di avere parecchie faccende in sospeso con lui e con tutti gli altri, ma non aveva più paura. Il suo migliore amico avrebbe capito e non l’avrebbe lasciata sola. Il suo migliore amico sarebbe rimasto al suo fianco in quell’avventura terrificante che si stava presentando davanti a loro. Avrebbe voluto voltarsi per osservarlo in viso, ma si trattenne per paura di perdere quel po’ di contegno che era riuscita a guadagnare nel momento in cui il loro piccolo dramma si era assopito. L’attimo di silenzioso orrore che era seguito alla sua ultima confessione aveva aleggiato su tutti loro finché il Ministro non aveva attirato l’attenzione schiarendosi la voce e pregandoli di riprendere la discussione che i nuovi arrivati avevano interrotto.

«Non conosciamo il nostro nemico e non conosciamo le sue intenzioni, tuttavia abbiamo delle evidenti prove del coinvolgimento di più persone» stava spiegando Ophelia, estraendo dalla sua valigetta diversi plichi, che consegnò a Shacklebolt, Harry ed a Malfoy. «Esaminando i corpi, abbiamo avuto modo di constatare l’uso di magia antica, così oscura da non essere utilizzata dai tempi di Grindelwald» continuò, lanciando un solo sguardo in direzione di Malfoy, che aveva cambiato colore già alla prima pagina del rapporto. Doveva aver individuato il nome dei suoi genitori, nessuno avrebbe potuto accusarlo di essere un debole. «Abbiamo riscontrato movimenti sospetti in diversi bassifondi sia a Londra che all’estero, sembra quasi che la terra abbia iniziato a tremare sotto i piedi della peggiore feccia del mondo. La conferma è arrivata quando abbiamo perso i contatti con Igor Polyavich e con Pablo Santiago, oltre che con molti dei loro scagnozzi».

Hermione conosceva bene i due soggetti in questione, durante l’addestramento aveva dovuto studiare ogni minimo dettaglio delle loro malefatte, oltre che imparare a memoria il loro profilo psicomagico per non rischiare di incappare in trappole. Il primo era russo, originario di Volgodrad e con alle spalle almeno una settantina di omicidi a sangue freddo, necessari per completare un vecchio rituale di sangue che avrebbe potuto renderlo invincibile. Il secondo, invece, era uno dei peggiori contrabbandieri di algabranchia potenziata di tutto l’Ecuador, l’unico che era riuscito a crearsi un personale esercito di dissennatori scagnozzi. Il fatto che entrambi fossero scomparsi – la loro evasione era avvenuta pochissimo tempo dopo la cattura, ma le Banshee non li avevano mai persi di vista -  era altamente preoccupante, oltre che indicativo di capacità magiche superiori a quelle delle migliori squadre di sorveglianza.

«Come potete collegare tutte le informazioni?» chiese Harry, accigliato, sfogliando con attenzione le pagine che Hermione stessa aveva compilato prima di ritornare in Inghilterra. «La morte dei Mangiamorte potrebbe essere stata l’azione di un gruppo di maniaci intenzionati a vendicare Voldemort, magari anche incredibilmente pericolosi, ma come potete collegare tutto questo alla scomparsa di quei due ricercati?». Il suo tono di voce era totalmente mutato: dall’amico distrutto per la perdita era tornato ad essere il miglior candidato per la carica di Capo Auror.

«Non le stiamo nascondendo informazioni importanti, signor Potter» intervenne Winnie, con un leggero sorriso. «Come Ophelia stava per dirle, ci sono dei dati che per motivi di sicurezza non abbiamo potuto inserire nel plico, così da limitare le possibilità di una fuga di notizie. Noi sappiamo con assoluta certezza che le sparizioni siano collegate perché sono stati ritrovati morti anche loro, due giorni prima dell’epurazione» disse, allungando la mano libera per posarla sul braccio di Malfoy, che aveva totalmente ignorato la loro discussione per concentrarsi sulla lettura. Hermione sapeva bene cos’avrebbe trovato: il corpo di sua madre era stato forse il più maltrattato in assoluto.

La donna che aveva mentito sulle sorti del Bambino Sopravvissuto.

«Le modalità dell’omicidio sono identiche a quelle degli altri» si intromise Barry, pulendo il suo uncino nell’angolo della giacca di pelle. Era toccato a lui aiutare Ophelia nelle autopsie, per accertare che non ci fosse stato lo zampino animale. «Riteniamo che questo soggetto o questo gruppo sia in possesso di conoscenze oscure capaci di consentire loro lo sfruttamento di bestie rare, oltre che estremamente pericolose. Oltretutto abbiamo rilevato, in entrambe le situazioni, delle sostanze obscuriali piuttosto importanti» continuò, infilando la mano in tasca per estrarne un’ampollina con dentro una sostanza fumosa nera che nessuno, tranne lui, poteva avvicinare.

Quando Shacklebolt ed Harry capirono di cosa si stesse trattando, impallidirono.

«Un Obscurus6, quindi», uscendo dalla sua momentanea disperazione, Malfoy risollevò gli occhi su di loro, puntandoli soprattutto sull’ampollina. «Dalla reazione di Potterino e del Ministro devo dedurre che non se ne vedessero da parecchio tempo in giro, ma solo perché non hanno saputo cercare bene» sbottò, con lo stesso tono tagliente che era solito usare ai tempi della scuola. «Non è la prima volta che vengono utilizzati, mio padre mi ha raccontato dei tentativi del Signore Oscuro di crearne alcuni da utilizzare in guerra. Il loro potenziale magico è nettamente superiore a quello di qualunque mago adulto».

Quello era un dettaglio interessante.

«Stavano cercando di sviluppare degli Oscuriales?» si intromise Hermione, estraendo velocemente la sua penna d’aquila ed il taccuino, che iniziarono immediatamente a trascrivere. «Per quale ragione quest’informazione non è mai risultata in un interrogatorio? Abbiamo assistito a tutti gli incontri con i Mangiamorte, alcuni di noi si sono addirittura confusi con i membri del Ministero per assicurare la perfetta conoscenza dei fatti» a quelle sue parole vide chiaramente Kingsley accigliarsi, ma non gli prestò attenzione. «Perché non l’avete mai detto prima? Gli Obscuriales sono stati catalogati come Armi letali di massa7, qualsiasi avvistamento dovrebbe essere segnalato a pena di incarcerazione».

Malfoy le lanciò una lunga occhiata e poi le sorrise, facendole venire la pelle d’oca. Era lo stesso sguardo di Bellatrix. «Granger, avete mai chiesto se fossimo in possesso di qualche Obscurus? Non credo, altrimenti non ci saremmo certo rifiutati di parlare, non sotto Veritaserum, comunque» le disse, dimostrando una macabra allegria che fino a quel momento non era mai stata notata in lui. «Fino alla morte del Signore Oscuro eravamo tutti bloccati da un Voto Infrangibile, mentre dopo… beh, le abitudini sono dure a morire. E comunque non c’erano mai stati buoni risultati, le cavie non superavano mai i sei anni e, generalmente, non potevano controllare gli scoppi d’energia».

Un moto d’orrore fece stringere lo stomaco di Hermione.

«Cavie? Malfoy, ti riferisci a dei bambini! Come puoi parlarne in questo modo?» scattò Harry, rosso quasi quanto poco prima era stato pallido, fissando il giovane al suo fianco come se avesse avuto sei teste e lingue biforcute. Ginny era incinta. «Cosa c’è di sbagliato nella vostra testa deviata? Avete ucciso dei bambini e nessuno ha pensato di dirlo? Nessuno ha pensato di comunicarlo alle autorità?».

Prima che Draco potesse parlare, qualcuno lo anticipò, sorprendendo tutti. «Eravamo anche noi dei bambini, signor Potter» disse Winnie, con l’espressione svuotata di qualunque emozione. Alcune volte era facile dimenticare l’educazione che la collega aveva ricevuto. «Abbiamo conosciuto realtà terribili e nessuno di noi è mai sopravvissuto ad un Anatema. Non avevamo una scelta, mi auguro che prima o poi anche voi riusciate a capirlo». Gli puntò gli occhi chiarissimi addosso, impedendogli di rispondere nonostante – Hermione ne era ben certa – la discussione si fosse spostata sul piano mentale. «Siamo più simili di quello che crede, signor Potter. La sua strada è stata scelta dai suoi genitori, esattamente come i nostri hanno scelto per noi. Se siamo qui, però, è perché noi alla fine abbiamo trovato il modo di ribellarci. Non faccia in modo che vecchi rancori oscurino i pericoli che stiamo correndo adesso. Non è accusandoci per un passato di cui non abbiamo colpe che potremo risolvere i nostri problemi».

Malfoy si voltò a guardarla con espressione vuota quasi quanto quella che lei aveva avuto poco prima. C’erano segreti che non potevano essere rivelati. «Comunque il progetto Oscurus non ha mai raggiunto un punto d’arrivo. Il Signore Oscuro ha semplicemente smesso di voler provare, probabilmente per concentrarsi sui Doni della Morte» spiegò, stringendosi nelle spalle. «Credete che qualcuno abbia ripreso i suoi progetti? Deve aver continuato a provare per anni, difficilmente sarebbe passato inosservato, soprattutto in Inghilterra».

«Metteremo a verbale queste nuove informazioni» gli comunicò Hermione, osservando ciò che la sua piuma era riuscita a riscrivere. Avrebbe dovuto passare almeno una notte intera ad esaminare vecchi rapporti per individuare possibili collegamenti e mezze verità che erano state trascurate negli anni passati. «Potresti dover essere interrogato di nuovo, Malfoy, ma niente di formale. Sono sicura che Winnie potrà risolvere i possibili dubbi in pochissimo tempo. Nel frattempo, ritengo sia opportuno continuare ad aggiornare i nostri nuovi collaboratori».

«La signorina Granger» si intromise il Ministro, gli occhi puntati su un vagamente accigliato Harry, «è l’esperta in Magisprudenza e Lingue Arcaiche della squadra. Sta a lei gestire l’aspetto burocratico delle missioni» specificò, con un sorriso che lasciava bene intendere quanto fosse fiero di quel traguardo che lei aveva raggiunto. Dopotutto, era stata la sua segnalazione a consentirle di far parte della squadra speciale più elitaria dell’intero mondo magico.

«In poche parole le tocca coprire i nostri guai» scherzò Katie, rimasta in silenzio fino a quel momento, gli occhi puntati alla loro destra come se avesse voluto fissare intensamente qualcuno di invisibile, possibilità che Hermione non se la sentì di scartare. «Tagliamo corto, ragazzi, abbiamo degli impegni fra circa sei minuti. Dite loro cosa sappiamo e mettiamoci in cammino, cominciano ad agitarsi i morti».

Quell’affermazione venne accolta con una serie di mugugni da parte della squadra e da delle occhiate confuse da parte di Harry e del Ministro. Malfoy, al contrario, sembrava molto interessato alla stessa ragazza che, cinque anni prima, aveva quasi ucciso. Che sapesse qualcosa? Che avesse capito? Quello di certo non era il momento opportuno per preoccuparsene.

«Il signor Potter ha chiesto come abbiamo potuto collegare l’epurazione agli altri omicidi, ma la risposta di Barry non è stata l’unica» aggiunse allora Hermione, con una smorfia. «Abbiamo un testimone, diciamo, che ha deciso di parlare soltanto ad una, intrattabile, condizione, che è anche uno dei motivi per cui siamo qui».

 «Cioè?».

«Parlerà solo in presenza del Bambino Sopravvissuto» fu Katie a parlare, il tono di voce strano che Hermione aveva sentito fin troppe volte negli ultimi due anni. «Parlerà solo grazie al Bambino Sopravvissuto».

Un silenzio apparentemente infinito calò sulla stanza, la tensione della squadra Banshee ben evidente dal fatto che nessuno di loro sembrasse intenzionato a guardare la compagna o Harry negli occhi.

«Chi è questo Testimone?» esalò proprio lui, gli occhi sgranati.

«È Lord Voldemort».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Il tradimento è duro da digerire ed Harry ne ha subiti davvero tanti nella sua vita. Questa volta, però, potrebbe riuscire ad andare avanti, sempre che un avanti possa davvero esserci.

 

Punti importanti:

» 1 – La morte per trasfigurazione in statua non è mai stata accennata nella saga, tuttavia se per noi babbani esistono fenomeni di imbalsamazione spontanea dei cadaveri, magari i maghi possono diventare immediatamente statue. Lo zio tedesco di Draco adesso è un grazioso ornamento da giardino.

 

» 2 – Il professor Beans è il precettore di Draco dei tempi precedenti ad Hogwarts, lui ovviamente non ha frequentato una scuola pubblica. L’ossessione di questo Beans era di far parlare il suo protetto senza il minimo accento, cosa che tuttavia non gli riuscì mai.

 

» 3 – Cominciamo a scoprire qualcosa in più su Winter Vane. Suo padre era un mangiamorte, uno piuttosto importante, che è stato nuovamente arrestato alla fine della Battaglia e che è stato nuovamente condannato grazie alla testimonianza di Winnie, che all’epoca era già una Banshee seppur in fase di addestramento.

 

» 4 -  Draco si riferisce ad Ophelia, che naturalmente ancora non conosce e che è molto irritata dal comportamento di Barry.

 

» 5 – Citazione più o meno fedele della serie tv Sherloch, serie 3, puntata 1. Harry come John Watson mi è sembrato appropriato.

 

» 6 – Obscurus, ciò che accade ai bambini che reprimono la loro magia fino a perderne il controllo. Compaiono ufficialmente nel film Animali Fantastici, ma, come è stato poi confermato, anche Ariana Silente era uno di questi. Sono potentissimi ma, sfortunatamente, incontrollabili, di solito perdono ogni freno prima degli undici anni (in questo caso non arrivavano ai sei). Voldemort, come Grindelwald, voleva utilizzarli come armi.

 

» 7 – Armi letali di massa, possiamo considerarla il livello successivo ad XXXXX, praticamente mai utilizzata poiché nessuno ha mai potuto avvicinarsi tanto da studiare dette creature. Non c’è arma contro di loro.

 

Ta-daaaan, Lord Voldemort.

Io non dico nulla, mi dispiace.

 

Grazie mille a tutti coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e che continuerete a seguirmi!

 

A lunedì prossimo con l’aggiornamento!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Atto III, Parte I - I bambini di cristallo ***


LErede del Male.

 

 

“I had a one-way ticket to a place where all the demons go
Where the wind don't change
And nothing in the ground can ever grow
No hope, just lies
And you're taught to cry in your pillow
But I survived

I'm still breathing,
I'm alive1”.



[Sia – Alive]

                                  

 

Atto III, Parte I – I bambini di cristallo.

 

 

Il sole era tramontato da più di un’ora, quando finalmente Harry mise il naso fuori dal Ministero. La sensazione dell’aria fresca della sera fu un sollievo per i suoi nervi tesi e si ritrovò a socchiudere gli occhi ed a godere della leggera brezza come se fosse stata un balsamo per la sua anima irritata.

Lord Voldemort.

Non aveva aspettato Hermione, ma sapeva bene che lei l’avrebbe seguito. Doveva seguirlo, altrimenti lui sarebbe tornato indietro e se la sarebbe caricata in spalla, facendo tanti complimenti alla squadra delle Banshee ed a tutto il circo che le circondava. Non gli importava un accidenti del fatto che lei ed i suoi amici potessero tranquillamente farlo fuori e passarla liscia, in quel momento avrebbe potuto mangiare un drago vivo.

Parlerà grazie al Bambino Sopravvissuto.

Scosse il capo, cercando di allontanare momentaneamente i pensieri. Dovevano essere le sei passate e lui era atteso alla Tana per cena, non poteva certo mancare. La sua priorità, in quel momento, era trovare il modo adatto per spiegare un po’ a tutti l’improvvisa comparsa di Hermione direttamente dal mondo dei morti, possibilmente senza far morire di infarto i suoi poveri suoceri, che ne avevano già passate davvero troppe. Avrebbe potuto far finta di nulla, presentarsi lì e sperare che nessuno notasse davvero la nuova ospite. Oppure avrebbe potuto darsi per morto, prendere la prima Passaporta per il Messico e nascondersi, nella speranza di non essere trovato ed ucciso nel frattempo. L’idea di morire non gli piaceva, certamente non in quel momento.

A Ginny verrà un colpo.

«Mi dispiace, per quello che vale» gli disse Hermione, apparsa al suo fianco come uno spettro, le mani affondate nelle tasche di un cappotto dello stesso colore della divisa che gli altri membri della squadra stavano indossando. Lei non aveva la tenuta ufficiale delle Banshee ma soltanto un Tailleur, probabilmente per non attirare l’attenzione durante il recupero di Malfoy.

Ad Harry venne la nausea al pensiero di tutte le bugie che aveva raccontato a se stesso pur di accettare una morte che in realtà non c’era stata.

Era arrivato sull’orlo del precipizio, ma a lei dispiaceva.

«Non me ne faccio nulla delle tue scuse, Hermione» le fece notare, secco, rifiutandosi categoricamente di guardarla negli occhi. Era tentato di appellare una sigaretta, ma fortunatamente il buonsenso gli impedì di muoversi. Aveva impiegato sei mesi per togliersi quel vizio, non avrebbe perso tutto quel lavoro a causa sua. «Così come non se ne faranno nulla i Weasley» continuò, sollevando gli occhi al cielo. Non si vedevano mai le stelle, in quella zona di Londra2. «Spero tu ti renda conto che ho intenzione di portarti da loro, immediatamente. Non mi importa un fico secco che tu possa avere altri impegni».

La sentì sospirare, preoccupata, ma percepì anche una certa rassegnazione in lei. «Non avevo dubbi al riguardo. Sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare il mio passato, quindi… via il dente, via il dolore» gli comunicò, apparentemente tranquilla, allungando la mano per potergli toccare il braccio. Si ritirò non appena lui scattò via, nervoso. Non voleva essere toccato da lei. «Non è stato facile. So che sei arrabbiato, che… so cos’è successo a Lipsia, Harry» sussurrò, la voce ridotta ad un qualcosa di appena percettibile, la postura rigida di chi stesse rivivendo i peggiori momenti della sua vita.

Lipsia3.

L’istinto, come sempre, gli suggerì di smaterializzarsi il più lontano possibile e ricercare una passaporta per il Messico, così da non dover più fronteggiare quel ricordo. Così da non dover più fronteggiare i suoi fantasmi. Non era quello il momento per rivivere il passato. Non con lei.

Ma non poteva semplicemente ignorarla.

«Come fai a saperlo? Mi avete fatto pedinare?». Le parole lasciarono le sue labbra con più astio di quanto avrebbe voluto, non riuscì a contenersi. Era troppo il rancore che aveva seppellito sul fondo del suo cuore, convinto che avrebbe potuto riversarlo su di lei solo una volta defunto. «Immagino ti abbiano riempita di dettagli. In tanti si sono divertiti a farlo. La Gazzetta non mi dedicava una prima pagina da anni».

Hermione allungò nuovamente la mano per afferrargli il braccio e, quella volta, la sua presa su così ferrea da impedirgli di allontanarsi. Non era più la ragazzina tutta libri che lo aveva accompagnato in sette anni di avventure e disgrazie. «Io ero a Lipsia, Harry» gli sibilò, arrabbiata, strattonandolo finché non lo costrinse a guardarla negli occhi. Erano lucidi, le sopracciglia corrugate in una smorfia furiosa. La stessa espressione che aveva anticipato un attacco alato su Ron, durante il sesto anno. «Io ero . Chi credi che ti abbia tirato fuori dai guai, Potter? Qualcuno dei tuoi insulsi colleghi? Nessuno avrebbe rischiato tanto, neppure per l’eroe» sbottò, stringendo ancora di più la presa e facendogli anche un po’ male, per poi lasciarlo andare e voltare il viso dalla parte opposta alla sua, come a volersi nascondere. Le tremavano le spalle, ma non era a causa di una crisi di pianto. Tremava, quasi avesse dovuto trattenersi con forza dal mettersi ad urlare e picchiarlo selvaggiamente. «Quella bravata mi è costata un anno di addestramento in più4. Per un anno sono stata costretta a stare lontana da tutta la mia famiglia e solo per te» gli rivelò, tornando a guardarlo con un’espressione totalmente diversa. Era piatta, vuota, quasi avesse indossato una maschera. «Ho sacrificato tutti gli altri per aiutare te. Se credi che io non abbia sofferto a stare lontana, significa che sei molto più tardo di quanto Katie abbia lasciato credere agli altri».

Brandelli di memoria lo lasciarono per un momento sopraffatto. Fra le fiamme era certo di aver intravisto qualcuno, ma non si era mai posto il problema. Gli avevano detto che la magia accidentale gli aveva permesso di sfuggire, ma se lei era stata lì…

Avrebbe dovuto mostrarsi riconoscente. Ma non ci riuscì.

«Se non fossi mai andata via, Lipsia non sarebbe mai accaduta» le fece notare, forse suonando pedante come un bambino, ma senza potersi controllare. Due anni di rancore, tutti pronti a lasciare il suo cuore e riversarsi su di lei. «Se non ci avessi lasciati, niente di tutto questo sarebbe successo. Perché l’hai fatto? Adesso che siamo soli puoi dirmelo, i tuoi nuovi amici del cuore non ci sono, non ti prenderanno in giro».

Solo in quel momento, con una certa stizza, lei gli lasciò andare il braccio. La sensazione di persistente fastidio gli comunicò che gli sarebbe presto spuntato un livido. «Te l’ho detto. Stavo morendo» gli disse, incrociando le braccia al petto e senza smettere un attimo di fissarlo con aria vuota. «Quando Ron è morto, qualcosa di me è andata via con lui. Ho passato due anni bloccata a fissare un corpo agonizzante che non apparteneva al ragazzo che avevo baciato solo pochi minuti prima della fine, il ragazzo che credevo di amare. Due anni in cui guardavo lui, ma vedevo me».

«Tu sei ancora viva, Ron no» le fece notare, con una smorfia che proprio non riuscì a trattenere. Il modo in cui lo disse, forse, le avrebbe potuto far credere che la realtà dei fatti gli desse fastidio, che forse avrebbe preferito avere il vecchio amico al suo fianco, piuttosto che lei. Naturalmente sarebbe stata un’idea assurda, balzana addirittura: il sollievo nel saperla viva e vegeta non poteva essere nascosto neppure sotto chilometri di rancore. Però l’astio c’era e lui non sapeva mascherarlo.

«Per due anni5 mi sono chiesta se non sarebbe stato meglio morire al posto suo. Lo guardavo e non potevo far altro che pensare a quante persone avrebbero sofferto per la sua scomparsa e non per la mia. Sarebbe stato tutto più semplice, se i ruoli si fossero invertiti» spiegò, impedendogli di parlare quando lui fece per ribattere con ben più veleno di quanto non avesse messo in conto. «Non è per dimostrare la mia inutilità che sono andata via, Harry. E neppure per valutare in quanti avrebbero sofferto, nel caso».

«Allora perché?».

«Io non c’ero più Harry. Avevo… avevo iniziato a fare brutti pensieri. Avevo iniziato a prendere una pessima strada». Non c’era vergogna nelle sue parole, solo una grandissima autocommiserazione. Compativa se stessa per ciò che aveva pensato, perché la vera Hermione non sarebbe mai caduta tanto in basso. Non c’era bisogno di spiegazioni dettagliate per comprendere cosa le stesse succedendo. «Non eri l’unico a soffrire di disturbo post-traumatico. Ed io… io avevo sviluppato una forma ben più pericolosa del tuo atteggiamento kamikaze. Io ero sola».

«Avevi me» le rispose, stringendo le labbra in una smorfia. «Avevi me, così come avevi i tuoi genitori e tutti i Weasley». Il senso di inadeguatezza che lo colpì in quell’istante lo fece sentire minuscolo e viscido come un vermicolo. Perché Hermione non aveva parlato con lui? Perché era scappata via?

La osservò scuotere il capo, con una smorfia. «No, non avevo te, Harry. Non potevo parlare con te, che ti tenevi in piedi solo per miracolo. Non potevo rivelarti di aver pensato di uccidermi e di portare con me i miei genitori» le disse, stringendosi di più nelle proprie braccia, come a volersi difendere. «Non avevo te. Non avevo i Weasley. Come avrei potuto farmi avanti con i miei problemi? Avevano perso un figlio ed un fratello» continuò, sollevando gli occhi dal suolo per puntarli in quelli di lui. «Non mi sarei mai piegata a chiedere aiuto. Quando Ophelia mi ha contattata, io…».

«Hanno approfittato del tuo momento di debolezza per reclutarti» esalò allora lui, sgranando leggermente gli occhi per lo shock. «Hanno sfruttato il tuo dolore per convincerti a seguirli senza fare domande, è questo che stai cercando di farmi capire? È una cosa orribile».

Quando lei scosse il capo, un leggero sorriso le incurvava le labbra. «Se mi lasciassi finire, forse potresti capire invece che fare assunzioni assurde» gli fece notare, per poi sospirare. Si sistemò una ciocca di capelli corti che le era ricaduta sugli occhi, tornando a guardarlo. «Quando mi ha offerto il lavoro, mi ha salvato la vita. Ero indecisa se seguirla e trovarmi uno scopo oppure restare, ma fortunatamente il mio grillo parlante è riuscito a mettermi sulla buona strada. Con il senno di poi, mi rendo conto che se non avessi avuto questo obiettivo su cui concentrarmi, non avrei concluso l’anno in vita. Nessuno avrebbe potuto tirarmi via dal baratro come hanno fatto le Banshee. È solo grazie a tutti loro se io sono qui. Grazie a loro sono potuta venire da te, a Lipsia».

Dal canto suo, Harry non sapeva come reagire. Una parte di lui era profondamente offesa all’idea che lei avesse preferito raggiungere degli estranei e diventare un super agente segreto piuttosto che aprirsi con lui, che era stato come un fratello. Un’altra parte di lui, quella razionale, era tuttavia di un altro avviso: in quel periodo – fino a Lipsia – l’ulteriore preoccupazione dello stato di salute di Hermione l’avrebbe spinto ad un livello di follia sufficiente a giustificare un ricovero. Non avrebbe aiutato lei, non avrebbe aiutato se stesso. Sarebbe stato un ulteriore sasso sulla sua tomba.

Oh, Hermione, cosa ci siamo fatti?

«Cosa accadrà, adesso?» le domandò, guardando dritto davanti a sé mentre le auto sfrecciavano incuranti lungo la strada, inconsapevoli del mondo che si stagliava diversi metri sotto di loro. «Sei tornata per restare? Sei tornata solo per la missione? Se riusciremo ad uscirne vivi sparirai ancora?».

«Non lascerò il mio lavoro, se è questo che mi chiedi» gli rispose, con un leggero sorriso. «Ma sono tornata per restare. Non abbandonerò di nuovo la mia famiglia». 

 

***

 

La piccola e graziosa sala da tè si affacciava su Hyde Park ed a quell’ora della sera era praticamente deserta. Draco aveva scoperto quel luogo durante una delle sue interminabili passeggiate, ritrovandosi incredibilmente affamato ma per nulla disposto a rinchiudersi in un pulcioso pub pieno zeppo di babbani o, peggio, in una qualche taverna di maghi. Aveva una dignità e sapeva bene il trattamento che avrebbe ricevuto.

La proprietaria del Claire de Lune era una simpatica donna praticamente coetanea di Draco che lui aveva scoperto essere una Magonò nel momento stesso in cui aveva messo piede nel locale e lei lo aveva quasi colpito con un piattino volante. Nonostante il primo approccio con Elizabeth non fosse stato dei migliori, le era bastato poco tempo per mettere da parte ogni astio e fare in modo che Draco potesse considerarsi il benvenuto in quell’incantevole luogo, ritrovandosi a passare almeno una volta al giorno, spesso solo per un saluto. All’inizio, non poteva negarlo, la sua caparbietà nel presentarsi lì era stata legata soprattutto all’attrazione che aveva sentito verso l’avvenente proprietaria, ma un paio di uscite avevano dimostrato quanto i loro interessi fossero diversi e, al massimo, potessero aspirare a diventare buoni amici.

«Sarebbe stato un po’ assurdo, non credi? L’ex Mangiamorte e la Magonò… sembra quasi il titolo di un giornaletto rosa per ragazzine» gli fece notare Winnie, le sopracciglia chiare inarcate in una chiara espressione divertita, mentre si toglieva la giacca per poggiarla allo schienale della graziosa sedia bianca, su cui Draco la aiutò a sedersi da bravo cavaliere. Se fosse stata qualcun altro, quell’invasione della privacy l’avrebbe infastidito, ma non avrebbe mai potuto arrabbiarsi con lei. «Ti ringrazio per questa concessione, ma credo che cercherò di non immischiarmi più. Non vorrei certo ritrovarmi sbattute in faccia le grazie di quella gentile signorina che ci ha accolti all’ingresso».

Draco non riuscì a nascondere un sorriso, sperando vivamente che la povera Elizabeth non l’avesse sentita. «Prima di tutto, non c’è mai stata alcuna esperienza diretta con… con le grazie della proprietaria. E poi… se non sbaglio tu eri una grandissima appassionata di quei giornaletti, dovresti essere in prima fila a tifare per questa fantomatica storia d’amore» le fece notare, tirando fuori un’espressione identica a quella che lei gli aveva rifilato poco prima. Era incredibile quanto si somigliassero nelle reazioni.

Winnie si strinse nelle spalle, cominciando a scorrere con lo sguardo le varie voci dei menù lasciati sul tavolo. Sembrava quasi che non sapesse già cosa avrebbe potuto scegliere, probabilmente perché l’abitudine la portava a nascondere ai più il suo talento. Le sarebbe bastato concentrarsi un po’ di più per tirare fuori tutte le informazioni che il cuoco aveva su ogni singolo piatto. «Ancora mi piacciono i romanzi rosa, sì, ma non quelli banali come la tua impossibile storia con la ragazza. E, comunque, lei è felicemente impegnata» gli fece notare, indicandola con un leggero segno del capo, nascondendo malamente un sorrisino. «Prima che tu me lo chieda, no, non le ho letto la mente. Ho solo notato l’anello di fidanzamento che porta al dito. È anche piuttosto grande».

Incredulo, Draco si ritrovò a scuotere il capo, lasciandosi andare contro lo schienale della delicata sedia. Non si era ancora tolto il cappotto e, probabilmente, avrebbe evitato di farlo finché non fosse tornato a casa. La Granger l’aveva trascinato via prima che potesse cambiarsi, le macchie di liquore sulla camicia non erano uno spettacolo dignitoso, non per un Malfoy6. «Hai occhio per i dettagli, allora. Ed io che credevo che le Banshee ti volessero solo per la tua capacità di farti gli affari degli altri» le disse, incrociando le braccia sul tavolo, tentato di nascondervi in mezzo la testa. L’effetto della pozione stava finendo, avrebbe fatto bene a mangiare velocemente qualcosa. «Se proprio vuoi sentirtelo dire, è stato grazie a me se Beth ha incontrato il suo futuro marito».

Lo sguardo di Winnie saettò per un momento alla ragazza, in quel momento impegnata a sistemare ordinatamente una lunga pila di tazzine da tè, quasi avesse voluto studiarla. Draco non poteva più vederla, dalla sua posizione, ma sapeva bene come l’avrebbe vista lei: leggermente china in avanti, i capelli ricci e scuri raccolti disordinatamente in una crocchia da cui sfuggivano alcuni boccoli, gli occhi scuri nascosti dietro una delicata montatura bianca. Beth era adorabile, fisicamente e caratterialmente, decisamente troppo per uno come Draco, ma forse non per...

«Theodore Nott? Davvero? E suo padre lo sa?» la sorpresa con cui gli pose quelle domande fu tale che, per un istante, Draco si sentì tentato di alzarsi in piedi e battere la mano sulla propria spalla per congratularsi. Non credeva che sarebbe mai riuscito a sorprenderla. Non lei, la nemica di tutte le sorprese. «Oh, per l’amor di Merlino, ho rovinato una festa a sorpresa solo una volta e solo perché nessuno mi aveva detto che il festeggiato non ne sapesse nulla».

«Era una festa a sorpresa, Win, era ovvio. Per fortuna zio Barthemius è sempre stato fuori come una campana» le rispose, alzando gli occhi al cielo. «Comunque sì, suo padre lo sa e l’ha presa esattamente come credo tu stia immaginando». Per rafforzare l’idea, Draco pensò intensamente alle condizioni in cui aveva trovato l’amico dopo la fantomatica cena in cui Theo si era deciso a raccontare al vecchio genitore della donna che aveva intenzione di sposare.

Nauseata, Winter scosse il capo e strinse le labbra, lanciando un altro sguardo in direzione di Elizabeth. «Deve volerle molto bene, se ha sopportato quella tortura. Se penso che il vecchio Augustus è sfuggito ad Azkaban solo per le sue malattie…» sospirò, sinceramente dispiaciuta. Sia lei che Draco erano stati presenti quando il padre dell’amico aveva ottenuto di restare ai domiciliari a causa delle precarie condizioni di salute, entrambi avevano convenuto che quella fosse stata la scelta peggiore. Augustus Nott era uno dei Mangiamorte più fedeli mai esistiti ed era anche uno dei più pericolosi, non sarebbe stato certo un cancro a tenerlo lontano dai suoi affari loschi.

«Theo ha rinunciato a tutta la sua fortuna ed alla sua famiglia, per lei, ma non ha mai dato segno d’essersene pentito7. Se devo esser sincero, credo che abbia riguadagnato i soldi persi in simpatia» le disse, sorridendo in modo vagamente forzato. Ammirava la scelta di vita di Theodore, ma l’idea di dover fare una scelta come quella lo terrorizzava, difficilmente lo avrebbe imitato.

«Non essere cattivo, Draco, non ti si addice più» gli rispose lei, con gentilezza, sorridendo verso Beth quando lei si avvicinò con in mano il taccuino delle ordinazioni. Conoscendola, doveva aver fissato l’orologio finché non erano passati quei minuti necessari affinché potessero decidere cosa farsi portare. La curiosità doveva divorarla viva. «Buonasera cara, siamo pronti per ordinare» le disse Winnie, senza neppure darle il tempo di aprire bocca.

Stranita, Elizabeth lanciò uno sguardo confuso a Draco, per poi decidere, probabilmente, che fosse solo una grossa coincidenza. «Sono tutta orecchi» disse allora, tranquilla, lanciandole un’occhiata curiosa. «Se posso, vorrei consigliare…».

«Ah, sì, crostata all’arancia, mi sembra un’ottima idea, per quanto mi riguarda. Lui prenderà torta al cioccolato ed una tazza di caffè nero, senza panna. Io preferirei del tè con limone, grazie mille» la interruppe velocemente Winnie, con un cenno veloce. «Ah, no mia cara, non sono la sua ragazza e non sono incredibilmente maleducata, sono una Legilimens, mi sto limitando a rispondere ai tuoi pensieri. Mi dispiace, comprendo possa sembrare assurdo e fastidioso, ma non posso far nulla per controllarmi, è un dono naturale. Ed il mio nome è Winter Vane».

Un lungo silenzio imbarazzato cadde su di loro, mentre Elizabeth fissava Winnie come se le fosse spuntata un’altra testa. Poi, lentamente, la sua espressione si distese e Draco la osservò sospirare, come se si fosse ritrovata a fronteggiare l’ennesimo problema della giornata.

«Fantastico, davvero. Non solo vivo circondata da maghi e streghe, adesso mi ritrovo anche una Legilimens nel locale» sbottò, allargando le braccia con aria sconfitta. «Incredibile. La prossima volta chi porterai, Malfoy? Un gigante? Ti diverti così tanto a ricordarmi quanto sia noiosa la mia esistenza?8» domandò a Draco, quasi fosse stata tutta colpa sua. «Puoi scordarti la panna sulla torta, dopo questo colpo basso».

Senza riuscire a trattenersi, Draco scoppiò praticamente a riderle in faccia, nascondendosi malamente dietro la mano. «Mi dispiace, Beth, la prossima volta mi assicurerò che i miei ospiti siano quanto più banali possibili» la rassicurò, scuotendo il capo. «E, come lei ti ha gentilmente fatto notare, non è la mia conquista».

«Che Merlino ce ne scampi» concordò Winnie, arricciando l’elegante naso ed osservando la proprietaria del locale con aria sempre più divertita. «Oh, lo so che lui è un bravo ragazzo che merita una ragazza carina come me, ma temo che la genetica sconsigli fortemente una nostra unione».

Fu Draco ad accigliarsi, a quel punto. «Siamo cugini di secondo grado9, Winnie, non credo ci siano rischi da quel punto di vista» le fece notare, scuotendo il capo. «Comunque il succo della questione non cambia, non sono venuto a sbatterti in faccia alcuna conquista. Nel caso dovresti essere tu a sbattermi in faccia quell’anello ogni volta che vengo qui!» le fece notare, sinceramente divertito e per nulla sarcastico, cosa rara per lui. Comportamento strano da parte sua, ne era consapevole, ma non poteva certo fare lo stronzo con lei.

L’attenzione di Beth era stata sicuramente catturata con quel dettaglio. «Una cugina, dici? Non dal ramo Black, immagino. Non ha gli occhi di famiglia» notò, osservando la ragazza con aria attenta, piegando leggermente il capo di lato.

«Non tutti i Black hanno gli occhi azzurri, però» sottolineò Winnie, stringendosi nelle spalle. «Se non sbaglio, sua zia Andromeda ha gli occhi scuri come la non compianta Bellatrix».

«Non mi riferivo al colore, ma alla pazzia», Beth arricciò il naso, vagamente disgustata. «Ho avuto il piacere di conoscere vari parenti di Draco e posso dire con assoluta certezza di non averne trovato uno con gli occhi folli10. Forse l’unica eccezione è Teddy Lupin, il nipote di Andromeda. Ma è un metamorfomagus, potrebbe mascherare la follia con relativa semplicità» constatò, per poi scuotere il capo. «Ma non è importante. Hai detto Vane? Non credevo che avessero collegamenti con i Black o con i Malfoy».

Il modo in cui Winnie si irrigidì fece pentire Draco di aver lasciato che quella discussione andasse alla deriva, toccando un argomento che sapeva bene avrebbe fatto bene a restare ben sepolto sotto una spessa coltre di bugie ben elaborate anni prima. Alcuni di loro – i bambini di cristallo, li chiamavano così – avevano dovuto affrontare i proprio fantasmi quando erano ancora in carne ed ossa, ritrovandosi a combattere il sangue del proprio sangue quando la salvezza non si era presentata nelle vesti del fantomatico Golden Boy.

Prima che lui potesse intervenire, però, Winter si decise a rispondere. Via il dente, via il dolore, doveva essere stato il suo pensiero. Dopotutto, nel momento in cui Beth fosse tornata da Theo ed avesse iniziato a raccontargli di quel loro incontro, la verità sarebbe saltata fuori comunque. «Vane è il cognome di mia madre, l’ho cambiato quando ero molto piccola» iniziò a spiegare, raddrizzando le spalle ed estraendo la bacchetta dalla manica del delicato maglioncino azzurro che aveva indossato dopo aver dismesso la divisa delle Banshee, per non attirare l’attenzione. Approfittando del locale deserto e della loro posizione riparata, bastò un gesto veloce ed il colore dei suoi capelli mutò, diventando dello stesso nero violaceo del padre, così come gli occhi passarono da un caldo verde pallido ad un grigio chiarissimo, quasi trasparente.

L’imprecazione che sfuggì a Beth avrebbe fatto sorridere Draco ed indignare il di lei fidanzato, ma quello di certo non era il momento adatto per divertirsi o scherzare. Gli sembrava di poter leggere le informazioni connettersi nella mente della donna che li fronteggiava, mentre date e nomi cominciavano a combaciare fra loro, restituendole la vera identità di Winnie.

«Tu non puoi essere davvero…».

«Elladora Winter Mulciber9, piacere di fare la tua conoscenza, Elizabeth Hitchens».

 

***

 

Li chiamavano bambini di cristallo, perché la loro esistenza pur apparendo perfetta era in realtà fragile come il più delicato dei calici: un passo falso e di loro non sarebbe rimasto che il ricordo infranto di un’infanzia mai vissuta davvero. Erano i figli della grande società purosangue, quelli che fin dalla culla erano stati abituati a non chiedere dove sparissero mamma e papà o perché si sentissero terrificanti urla dai sotterranei. Erano i bambini che non avevano mai vissuto Voldemort come uno spauracchio, perché lo spauracchio viveva con loro, li accompagnava mentre andavano a dormire e li salutava non appena aprivano gli occhi. Draco Malfoy si era sempre ritenuto fortunato, suo padre era sempre stato abbastanza furbo da tenere i due aspetti della sua vita separati, così che nessuno potesse accusarli, nel caso il regime fosse caduto. Draco aveva vissuto una buona infanzia, non c’erano accuse che volavano sulla sua testa, nulla se non la consapevolezza di essere superiore. Per i primi sedici anni della sua vita si era semplicemente limitato a voltare lo sguardo e fingere di non sentire nulla che non rientrasse nella norma. Come lui, molti altri erano semplicemente andati avanti, senza preoccuparsi del domani finché quello non era arrivato di prepotenza, durante la finale del Torneo Tremaghi.

Winter Mulciber, Theodore Nott e pochi altri, invece, avevano avuto una vita profondamente diversa, com’era risaputo da chiunque avesse anche solo un contatto minimo con il mondo magico. Non sempre gli orrori venivano confinati nei sotterranei e non sempre era possibile non sapere quali fossero gli affari loschi dei genitori. Non era possibile, non quando la sanità mentale veniva barattata con sempre maggiore potere e sempre maggiore oscurità.

Anche Elizabeth, cresciuta ben nascosta dalla vista di chiunque potesse farle del male, conosceva fin troppo bene la storia di quei bambini il cui cristallo era stato brutalmente infranto. Osservandola mentre fissava la ragazza che la fronteggiava, Draco non dubitava che tutti gli spauracchi che da bambina l’avevano torturata fossero tornati alla ribalta, lasciando che immagini di torture e morte si riversassero su Winnie, che le aveva vissute in prima persona. Fortunatamente, però, la vicinanza di Theo doveva averla temprata, perché impiegò pochissimo a riprendersi e schiarirsi la voce, lasciando che il solito sorriso le si affacciasse in viso.

«Credo sia meglio portare queste al cuoco, non vorrei si fosse addormentato» si congedò, facendo un paio di passi indietro per dirigersi alle cucine. Un momento prima di girarsi, tuttavia, si fermò, tornando verso di loro ed allungando la mano in direzione di Winnie. «Piacere di conoscerti, Winter Vane. Sei la benvenuta al Claire de Lune».

Quando si allontanò e Draco poté tornare a concentrarsi sulla cugina, la trovò nuovamente bionda ed intenta a sorridere dolcemente. «Ha deciso che diventerà mia amica, secondo lei somiglio incredibilmente a Theo e, accidenti, se è riuscita a far perdere l’aria depressa a lui può farlo anche con me» spiegò, scuotendo leggermente il capo. «Ho l’aria depressa, Draco?».

«Non particolarmente, soprattutto non con quei vestiti o con quell’aspetto» le rispose lui, sollevato che la discussione non fosse rimasta sui toni cupi del passato. Anche lui aveva dei fantasmi pronti a tormentarlo, erano appostati proprio dietro l’angolo, in attesa del primo segno di cedimento da parte sua. «Se devo essere sincero, però, ti preferisco al naturale».

Winnie si strinse nelle spalle, tranquilla. «Sono troppo riconoscibile in quel modo. Preferirei non scatenare il panico, se non sono costretta». Elizabeth tornò in quel momento, portando un vassoio con le loro ordinazioni. «Grazie, cara. Anche per aver deciso di non dire nulla della mia identità, te ne sono molto grata, l’ultima cosa che desidero è ritrovarmi qualche vecchia zia alle calcagna, ma sarò comunque felice di venire a pranzo a casa tua e di Theodore, con Draco» le disse, evidentemente anticipandola ed indisponendola, considerato lo sguardo che ricevette subito dopo.

«Legilimens» borbottò esasperata. «Ed io che credevo che un pozionista pazzo fosse fastidioso!» si lagnò, scuotendo il capo e tornando alla sua postazione dietro il bancone. «Arriverà il momento in cui farò come suggeriva sempre zio Taddeus e me ne andrò in Canada, lontana da tutti voi maghi».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 In questo capitolo ho dato tante di quelle informazioni che mi viene voglia di prendermi a schiaffi da sola.

 

Punti importanti:

» 1 – Avevo un biglietto di sola andata per il luogo in cui vanno tutti i demoni/ Dove il vento non cambia/E niente può mai crescere dal suolo/ Nessuna speranza, solo bugie/ e ti insegnano a piangere contro il tuo cuscino/ Ma sono sopravvissuta/ Sto ancora respirando/ Sono viva.

 

» 2 – A Londra, come in tutte le grandi città, è quasi impossibile vedere le stelle. Giusto per specificare, non vorrei dovessero nascere strane supposizioni (perché io ci avrei pensato).

 

» 3 – Città della Germania in cui è successo qualcosa. Ovviamente non ho intenzione di dirvi nulla, solo prestate attenzione.

 

» 4 -  L’addestramento delle Banshee generalmente dura da uno a tre anni, in base alle capacità dell’ipotetica recluta. Ophelia ha impiegato due anni pieni, Barry quasi tre (ma lui soprattutto a causa di problemi legati al comportamento), Katie e Winnie circa uno ed Hermione, in teoria, avrebbe dovuto impiegarne uno solo. La “bravata” di Lipsia le è costata un anno di addestramento in più.

 

» 5 – Coordinate cronologiche, giusto per non perdere il filo: sono passati quattro anni dalla fine dalla guerra e due anni dalla morte di Ron e dalla sparizione di Hermione.

 

» 6 – Non dimentichiamoci che Draco è ancora ubriaco. Solo perché non sembra completamente perso non significa che non lo sia. Nel momento stesso in cui la pozione che ha preso smetterà di fare effetto, si ritroverà schiacciato dal dolore per la perdita della sua famiglia. Non pensate neppure un momento che solo perché stia sorridendo non stia morendo dal dolore, contemporaneamente. È ubriaco, anche se non lo sembra.

 

» 7 – Theodore Nott era un compagno di scuola di Draco, Serpeverde come lui e figlio di uno dei più anziani mangiamorte. Essendo di altissima estrazione sociale, è cresciuto praticamente in mezzo ad una fortuna, ma ci ha rinunciato più o meno un anno prima per poter stare in pace con Elizabeth. Attualmente è riuscito a riguadagnare un bel gruzzoletto grazie al suo eccezionale talento come pozionista, cosa che gli ha concesso di acquistare un gran bel pezzo d’anello per la sua fidanzata Magonò.

 

» 8 – Beth non è maleducata, non ha reagito in modo tanto stizzito solo per fare la proverbiale stronza gelosa. Si tratta di una storiella che va avanti da almeno un anno e mezzo fra lei e Draco, con lui che non fa che lanciarle frecciatine su quanto triste debba essere stato, per lei, crescere in una famiglia di purosangue senza poter mai usare la magia. Si era naturalmente convinta che Draco avesse portato Winnie solo per farla sentire ancora più inutile, cosa che naturalmente lui non avrebbe mai fatto. Un conto è scherzare amichevolmente, un conto è fare proprio il bastardo.

 

» 9 – Spieghiamo un po’ di cose. Prima di tutto, Mulciber era uno di quegli studenti cattivissimi a cui si era avvicinato Piton ai tempi della scuola. Mulciber è stato uno dei peggiori, crudele per il solo gusto di esserlo e con una tendenza a giocare brutti scherzi mentali alle sue vittime, essendo un abile Legilimens come la figlia. Ha terrorizzato abbastanza persone da restare nella storia come uno dei maghi oscuri più spaventosi. In teoria è finito in carcere con la caduta di Voldemort, ma la realtà sarà vagamente diversa. La seconda caduta di Voldemort l’ha portato di nuovo in tribunale e, questa volta, è stata sua figlia stessa a farlo condannare.

Come sono imparentati Winnie e Malfoy? Mulciber è cugino di primo grado di Lucius, poiché sua madre (quindi la nonna di Winter) era una Malfoy, sorella del nonno di Draco. È vagamente complicato, me ne rendo conto, ma le parentele fra purosangue lo sono sempre. Per qualunque domanda, chiedete.

 

» 10 –  Come fa Beth a conoscere gli occhi folli dei Black? Suo padre è un avvomago, uno dei più importanti, che ha avuto rapporti con le più grandi famiglie purosangue di tutto il Regno Unito. Lei ha avuto modo di osservare – da lontano – praticamente tutti i pezzi grossi dell’alta società. Naturalmente è stata sempre tenuta nascosta, sia per paura che per vergogna, e quando la guerra è scoppiata, suo padre l’ha mandata all’estero, così che non rischiasse. Tornata in patria, ad appena diciotto anni, ha aperto la piccola sala da tè, sfruttando i soldi di famiglia che, in teoria, non le sarebbero serviti per iniziare una carriera ministeriale.

 

Anche Hermione ha sofferto incredibilmente. Lei ed Harry sono dei bambini di cristallo, anche loro sono stati distrutti, ridotti in mille frammenti di vetro.  

 

Grazie mille a tutti coloro che hanno letto, spero davvero di aver stuzzicato la vostra attenzione e che continuerete a seguirmi!

 

Non sono sicura di poter aggiornare lunedì prossimo – esami maledetti – ma vi consiglio di controllare facebook!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 6
*** Atto III, Parte II - Questioni di coscienza ***


LErede del Male.

 

 

“A mio credere il burattino è bell'e morto; ma se per disgrazia non fosse morto,

allora sarebbe indizio sicuro che è sempre vivo”.



[Carlo Collodi – Pinocchio]

                                  

 

Atto III, Parte II – Questioni di coscienza

 

 

Il Quartier Generale delle Banshee si trovava in una località non precisata in mezzo alle Alpi Svizzere, circondata da ghiacciai perenni e ben nascosta alla vista di maghi e babbani. Si trattava di un castello costruito ben prima del diciottesimo secolo che era stato sottratto ad un mago oscuro in una delle prime operazioni in cui era stata coinvolta la Squadra. Da quel momento in poi, era stato rimodernato un numero infinito di volte per poter ospitare centri di ricerca all’avanguardia e, di conseguenza, le migliori menti del tempo. Organizzato in quartieri abitativi, così che ogni squadra potesse avere il proprio spazio di lavoro, era finito col somigliare sempre di più ad un complesso di strutture disposte come un labirinto, facilitando particolarmente il compito della sicurezza: soltanto qualcuno che avesse saputo con esattezza dove andare avrebbe potuto orientarsi senza finire in una delle mille trappole piazzate dai fondatori.

In uno di questi quartieri, precisamente nella zona sotterranea del blocco appartenente alla Squadra Banshee 3, Ophelia Penderghast stava esaminando quello che aveva tutta l’aria di essere un cadavere ridotto a poco più di un mucchio di brandelli tenuti insieme da un velo di pelle sanguinolenta. La divisa da lavoro che aveva indossato per l’incontro con il Ministro della Magia ed i loro due nuovi protetti era ormai sporca di sostanze non bene identificate ed il suo viso si era salvato solo agli incantesimi repulsivi che aveva recitato prima di iniziare l’ennesima autopsia. Le lenti dei suoi occhiali erano sufficientemente sporche senza che ci fossero impronte rossastre, grazie tante.

Non aveva mai odiato il suo essere cieca come una talpa1 tanto quanto aveva fatto durante gli anni in cui non aveva ancora conosciuto il dannatissimo incantesimo repellente. Il pensiero di dover ripulire gli occhiali, dopo che questi erano stati contaminati solo Merlino sapeva da cosa, non l’aveva mai attirata.

«Sei sexy tutta coperta di sangue, te l’ho mai detto?».

Certo, era stato grazie ai suoi occhiali disgustosamente sporchi se era finita praticamente fra le braccia del suo attuale consorte. E lui sembrava aver sviluppato un vero e proprio fetish nel trovarla immersa fino ai gomiti – letteralmente – nel suo lavoro.

«L’hai detto più volte, quindi questa volta puoi evitare di farlo» gli rispose, particolarmente acida, agitando la bacchetta con abbastanza violenza da far schizzare un po’ di sangue scuro sul muro davanti a lei. Di solito trattava meglio i suoi pazienti, ma quella sera era davvero troppo irritata per comportarsi educatamente verso i non vivi. «Davvero, Barry, torna di sopra, non ho voglia di parlare con te, adesso» aggiunse, stizzita, sventolando una costola come se fosse stata un’altra bacchetta.

Suo marito, naturalmente, era stato temprato da esperienze ben peggiori dell’essere minacciato con un osso insanguinato, quindi non fece una piega e, piuttosto, iniziò a sorriderle di più. «Ti vedo tesa, cara. Magari dovresti fermarti e riposare un po’, sono giorni che non dormi bene» le disse, poggiandosi con le spalle ad un altro tavolo, in quel momento vuoto. «Se vuoi posso venire con te e farti rilassare un po’. Non posso prometterti un massaggio,» nel dirlo sollevò l’uncino, con fare divertito, «ma sono piuttosto bravo con tutto il resto, come credo che gli ultimi sei anni abbiano ampiamente dimostrato2».

La tentazione di usare quella costola come un’arma impropria colpì Ophelia come un pugno nello stomaco, se riuscì a trattenersi fu solo per rispetto di quel povero disgraziato che era capitato sotto le sue mani. «Ti avevo chiesto di essere gentile con lui, Bartholomew. Ti avevo chiesto di trattarlo con gentilezza».

Il sorriso che lui continuò a dedicarle le fece rivoltare lo stomaco. «Avrei dovuto annuire e sembrare rassicurante, secondo te? Il ragazzino non mi avrebbe mai creduto. Meglio iniziare col bastone e poi arrivare alla carota, questo dico io».

«Cos’è, uno stupido scontro di testosterone? Volevi dimostrare di essere quello forte? Non è un gioco, maledizione!» sbottò, mettendo giù la costola per evitare di lanciarla via per la rabbia. «Non hai fatto altro che stuzzicarlo e spingerlo a reagire male. Io ti conosco, credi che non abbia visto come lo stringevi proprio per farlo irritare? Lui non è uno dei tuoi animali, è mio cugino».

Annoiato, Barry alzò gli occhi al cielo, grattandosi la guancia con la curva dell’uncino. «Proprio perché è tuo cugino ho dovuto agire in quel modo. Conosco voi Penderghast, siete delle bestiole particolarmente rancorose. Se non si fosse sfogato un po’ in quel momento, non sarebbe mai arrivato a fidarsi di noi o di Hermione in tempi brevi. Dovevo fare buon viso a cattivo gioco? Si sarebbe convinto che lo stavo prendendo in giro e non avrebbe fatto altro che fissarci tutti con circospezione».

Per quanto il suo discorso avesse senso, Ophelia non si lasciò convincere. Ancora tutt’altro che tranquilla, incrociò le braccia al petto, sporcandosi più di quanto non avesse già fatto. La voglia di prendere a pugni suo marito ancora le faceva bruciare lo stomaco. «Lui è un Potter, non un Penderghast, quindi le tue considerazioni sulla mia persona non sono applicabili alla sua situazione. Oltretutto, farlo sfogare non significa fare lo stronzo. Non mi stavo riferendo solo all’arrivo di Hermione, ma a poco prima, quando l’hai trattato come se fosse stato un povero idiota. O quando gli hai dato del tardo».

«In mia difesa, è Katie a raccontare a tutti quanto sia tardo, non ho fatto altro che metterlo al corrente delle voci che circolano sul suo conto» le rispose lui, allargando le braccia. «Andiamo, Philly, lo sai anche tu che ho fatto lo stronzo solo per conquistarmi la sua fiducia. Quel ragazzino vive circondato da gente che butta fiori sulla terra su cui cammina, non fanno altro che tentare di ruffianarselo, quasi essere suoi amici fosse un titolo onorifico. Non è quello l’approccio da usare, non per conquistare un minimo di rispetto».

Ophelia grugnì, rifiutandosi di guardarlo negli occhi e preferendo fissare il cadavere che aveva davanti. «Nessuno di noi ha fatto lo stronzo, significa forse che non si fiderà? Solo con te dovrà stringere un qualche legame?».

Con evidente sprezzo del pericolo – solo così avrebbe potuto trovare il coraggio di avvicinarsi ad una strega che fino a poco prima aveva brandito una costola come un’arma impropria – Barry si allontanò dal suo angolo, per raggiungerla. Non la toccò, limitandosi a piegarsi per poterla guardare negli occhi, oltre le spesse lenti. «Hermione è praticamente sua sorella, Katie è una sua vecchia compagna di scuola e tu sei sua cugina. Quando avrai modo di spiegargli tutti i vostri legami di parentela lui perderà la testa dalla gioia. Certo, dovrai spiegargli per quale motivo non ti sei fatta viva negli ultimi vent’anni, ma immagino che saprai bene cosa dirgli».

Maledizione.

Ophelia Penderghast in Maine aveva passato tutta la sua vita immaginando come sarebbe stato incontrare il figlio di James. Suo cugino3 era morto quando lei frequentava il primo anno di scuola e non aveva avuto moto di dirgli addio o di vedere il piccolo Harry dopo la nascita, l’ultima occasione in cui c’era stata sufficiente sicurezza per far incontrare le famiglie. Suo padre le raccontava spesso dei tentativi che aveva fatto per ottenere la sua custodia, andati tutti in fumo davanti all’evidenza del maggiore legame esistente con Petunia Dursley, per quanto quella donna fosse fastidiosa. Aveva anche provato a fargli visita, i primi tempi dopo quella notte di Halloween, ma si era ritrovato ad esser minacciato da quello che aveva definito essere un “vermicolo infinitamente grasso e baffuto”. Aveva avuto modo di osservarlo da lontano, stando a quello che le aveva raccontato, verificando quanto male lo avessero trattato solo perché qualcuno del loro mondo lo aveva avvicinato. Da quel momento, quindi, aveva deciso di non immischiarsi, nella speranza che in qualche modo in quella famiglia disastrata potessero raggiungere un equilibrio e restituire affetto a quel bambino a cui era stata sottratta la famiglia. Ophelia aveva rispettato le indicazioni del padre, tenendosi ad una rispettosa distanza ed incontrando il suo cuginetto solo dopo esser entrata a far parte delle Banshee, durante il Torneo Tremaghi. Già allora aveva pensato di farsi avanti, di dirgli la verità, ma non c’era riuscita.

Per il suo bene, si era detta, limitandosi a scambiare qualche parola con quello che presto sarebbe diventato il suo nuovo collega e marito. Potrebbe restarne sconvolto, aveva aggiunto, quando lo aveva visto in procinto di saltare nel lago nero. Rischierei solo di confonderlo, era stata la sua conclusione, quando lo aveva visto allontanarsi insieme a Crouch Junior, impossibilitata ad intervenire finché non avesse ricevuto l’autorizzazione4.

In realtà era stata solo una gran vigliacca. L’idea di avvicinarglisi, di spiegargli chi fosse e perché avesse permesso che passasse tutta la sua infanzia in solitudine la terrorizzava. Ophelia era sempre stata brava a comprendere le dinamiche del corpo, a comprendere le malattie e la magia, ma le sue capacità relazionali erano ad un livello particolarmente basso, se non inesistente. Preferiva trattare con i morti, loro non erano soliti armarsi di disprezzo e cattiveria per rispondere alle sue domande. Solitamente non rispondevano affatto e, se lo facevano, era sempre con incredibile educazione, per quanto quella caratteristica fosse un po’ imposta dalla forza degli eventi.

Il sorriso di suo marito, che non aveva mai smesso di guardarla negli occhi, si allargò. «Ah-ah, ti ho beccata!» esultò, allungando il braccio uncinato per spostarle una ciocca di capelli da davanti al viso e poi per costringerla a sollevare gli occhi e ricambiare il suo sguardo. «Lo sapevo che non eri davvero arrabbiata con me. Sei solo stizzita perché così non sei riuscita a ruffianartelo come avresti voluto, non è vero? Non credo sia una tattica vincente, amore mio. Non lo è mai, non con voi Penderghast».

Punta sul vivo, lei mise il broncio. «Come ti ho già detto, lui è un Potter, non un Penderghast».

Divertito, Barry si avvicinò un po’ di più per poter posare le labbra sulle sue in un bacio delicato. «Cara, se c’è una cosa che ho imparato negli ultimi otto anni è che la vostra testardaggine è resistente a qualunque cosa, prima fra tutti la genetica. Quel ragazzino potrà somigliare tutto ad un Potter, magari sembrare caratterialmente diverso da te o tuo padre… ma un Penderghast è sempre un Penderghast. Non farti prendere dagli scrupoli di coscienza adesso, sei ad un passo dal riavere una parte di famiglia al tuo fianco, devi solo essere abbastanza coraggiosa da accettarne le conseguenze».

 

***

 

La Tana non era cambiata, nei due anni in cui era stata costretta lontana dalla patria. Il giardino era un po’ più curato di quanto non fosse mai stato prima – colpa di Percy, le aveva detto un imbarazzato Harry, raccontandole dell’ansia del cognato prima di portare la sua fidanzata a conoscere la famiglia per la prima volta. Si era assicurato che tutti indossassero biancheria pulita, quasi lei avesse preteso di controllare personalmente – ed all’esterno era possibile notare più di una macchina parcheggiata, tutte ben diverse dalla vecchia Ford Aniglia che circa dieci anni prima Harry e Ron avevano sgraffignato per raggiungere la scuola.

Sembrava trascorsa una vita dall’ultima volta in cui aveva avuto occasione di pensare a Ron. Si era preclusa quella possibilità, ritenendo che potesse distrarla dall’addestramento o che potesse farla sentire ben peggio di quanto già non facesse da sola. Si era spesso ritrovata a fissare il nulla, lo sguardo perso, combattuta fra il lasciarsi andare ai ricordi ed il chiudersi completamente ad essi. Sapeva qual era il prezzo da pagare, in caso di distrazione, il suo Capo era stato ben attento nel ricordarglielo ogni giorno della preparazione.

«Credi sia saggio?» domandò ancora una volta, osservando Harry con la coda dell’occhio. Erano a pochi passi dalla porta, ma ancora non si sentiva un fiato provenire dall’interno. Era strano, terribilmente strano, ma anche comprensibile. Era una famiglia spezzata da quelli che loro avevano pensato essere due lutti, che fosse stata persa la solita allegria era il minimo che ci si potesse aspettare, nonostante lei si fosse convinta, negli anni, che Fred e George avrebbero offerto un giusto intrattenimento.

Harry, dal canto suo, era ben più pallido di quanto non fosse stato prima. Dal modo in cui stava sfregando le mani contro i jeans era piuttosto evidente che avesse i palmi sudati, così come la fronte. «No, non credo proprio che sia saggio, ma non abbiamo scelta» le disse, onesto, lanciandole solo un leggero sguardo al di sopra delle lenti dei suoi occhiali. Non erano più gli stessi di quando era giovane, la montatura era molto più adatta alla sua età e, soprattutto, era integra. «Te l’ho detto che Ginny è incinta? Sei mesi» le comunicò, senza azzardarsi a bussare, quasi avesse voluto allungare un po’ di più la durata della quiete prima della tempesta.

Vagamente più tranquilla – anche se non rilassata – Hermione gli sorrise, annuendo. «Non me l’hai detto, ma era scritto su un po’ tutti i giornali. Si è ritirata per dedicarsi alla famiglia, non molti hanno appoggiato questa scelta» gli disse, cercando di mantenere il tono quanto più colloquiale possibile. «Sciocchezze, a parer mio. Ne parlano quasi lei abbia avuto una scelta, non pensi? Di certo non può giocare durante la gravidanza e dopo… beh, fermarsi per almeno un anno è il minimo, in questo sport5. Tanto vale guardare avanti e cercare di costruirsi una nuova carriera» constatò, ripensando a quante volte aveva sentito Ophelia fare un ragionamento simile nell’attesa di una gravidanza che sembrava non esser destinata ad arrivare mai. «La Gazzetta del Profeta deve averle messo il tappeto rosso ai piedi, quando si è presentata per chiedere lavoro».

Il modo in cui Harry ghignò lasciò trapelare quanto orgoglioso fosse della sua fidanzata. «Appena ha annunciato il suo ritiro è stato un continuo di gufi e gufetti, erano decisi ad ottenere solo un’intervista, ma quando lei ha fatto presente che il giornalismo non le sarebbe dispiaciuto hanno perso qualunque dignità. Ginny ha accettato dopo un mese di corteggiamento» spiegò, infilandosi le mani in tasca e lasciando intendere di non essere ancora pronto a mettere fine alla conversazione.

Per un momento, Hermione si ritrovò a pregare che nessuno li vedesse: praticamente sullo zerbino della Tana, incappucciati come due dissennatori a causa del freddo ed intenti a chiacchierare come se fosse tutto normale, somigliavano ad una coppia di svitati più che agli eroi del Mondo Magico.

«Ho letto tutti i suoi articoli, erano davvero eccezionali» si complimentò lei, annuendo leggermente. «Certo, non capisco molto di Quidditch, ma Katie si è sempre detta entusiasta… entusiasta ed un po’ gelosa, in realtà» ammise, pentendosi un attimo dopo. Non era proprio il caso di tirare in causa proprio Katie, decisamente no. Non quando si parlava del suo più grande rimpianto.

«Katie era la migliore cacciatrice, allo stesso livello di Ginny» notò infatti Harry, con una piccola smorfia. «Perché ha deciso di non continuare? So con certezza che un paio di squadre hanno chiesto di farle un provino, sono stato io a consegnarle i moduli, alla fine del settimo anno, e lei mi aveva detto che avrebbe preso in seria considerazione le proposte».

La tentazione di fare come al solito – cancellare la memoria di chi aveva chiesto troppo – la assalì in un istante, ma riuscì a controllarsi. Era Harry, poteva spiegargli molto più di quanto non potesse con molti altri. «Diversamente da molti di noi, Katie non ha potuto fare tante scelte nella sua vita» gli spiegò, abbassando un momento lo sguardo per puntarlo sulle proprie mani, arrossate per il freddo. Avrebbe dovuto indossare i guanti, le sarebbero presto venuti i geloni continuando con quelle temperature. «Comunque il Puddlemere non ha presentato richiesta di farle un provino, ha sempre detto che avrebbe giocato solo per loro».

«Ah, certo, Katie aveva una cotta impressionante per Oliver Baston» si ricordò improvvisamente Harry, inarcando le sopracciglia. «Non ha avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con lui? Suo padre è il capo di Gin6, mi ha detto che lui ha trovato una ragazza solo recentemente e per qualche tempo mi sono convinto fosse Katie, anche se ora è evidente che io mi sia sbagliato».

Hermione non riuscì ad impedire ad un sorriso triste di curvarle le labbra. «No, non è Katie» ammise, voltando lo sguardo verso il giardino sulla destra. Un piccolo gnomo stava emergendo da dietro un ammasso di legna trascinando quella che sembrava essere una vecchia pala da giardino. Non spettava a lei parlare di Katie e delle scelte che la vita l’aveva portata a fare, soprattutto riguardo la sua vita privata. Che avesse appena trovato un equilibrio era l’unico pensiero che riuscisse a confortarla, per quanto complicata quella situazione potesse essere.

«Sai, George e Angelina si sono sposati un mese fa. Molly non ha fatto altro che lanciare frecciatine a me e Gin» le disse lui, cercando disperatamente di cambiare discorso. Era sempre stato un po’ tardo riguardo alcune questioni, ma era cresciuto molto negli ultimi due anni. Katie ne sarebbe stata devastata, scherzare sul suo essere ingenuo era uno dei passatempi che la divertiva di più. «Volevamo dirle che abbiamo deciso di sposarci una volta nati i bambini, ma farle credere di doverci convincere a fare il grande passo sembra occuparla abbastanza da non farla star male per…» si fermò un istante, stringendo le labbra come se fosse stato indeciso se continuare o no. «Beh, per Ron e te».

Il senso di colpa colpì Hermione come un pugno in faccia. Doveva aspettarselo, la signora Weasley le era affezionata come se fosse stata sua madre, doveva aver sofferto per tutta la durata di quei due anni.

Sempre che la promessa fosse stata mantenuta.

Cambiare discorso era sempre stata la sua specialità, perché non farlo ancora? Era un avvocato, rigirare il discorso doveva venirle naturale. «Hai detto i bambini? Sono gemelli?7» chiese, con il tono più limpido di cui fosse in possesso, trovando anche sufficiente faccia tosta da sorridere. «Ma è meraviglioso! Conoscete già il sesso? Oppure volete una sorpresa?».

Harry annuì, alzando gli occhi al cielo. «Abbiamo provato a scoprirne il sesso, ma a quanto pare sono dei tipetti agitati che non vogliono farsi guardare. Per quanto mi riguarda, preferirei delle bambine. Per quanto più complicate da gestire, sono certamente meno pericolose dei maschi» spiegò, sbottando l’ultima parola come se fosse stata un insulto. «Una replica di Fred e George mi farebbe perdere i capelli prima del tempo ed io ho scommesso con Seamus di mantenere questa acconciatura almeno fino ai trent’anni».

Seamus Finnigan, un Auror come lui.

«Credo proprio che i capelli resteranno sulla tua testa per un bel po’ di anni» si lasciò sfuggire Hermione, con una risatina. Ricordava benissimo il giorno in cui Ophelia le aveva mostrato le foto di famiglia, indicandole con non poco orgoglio suo zio Fleamont – il nonno di Harry – che alla veneranda età di sessant’anni ancora aveva una capigliatura da far invidia a qualunque ventenne. «Quanto a Seamus, non credo si possa dire lo stesso. A me sembrava già leggermente stempiato due anni fa».

«La situazione non è migliorata col tempo, anche se adesso ha una barba che sembra voler compensare per i capelli».

Si guardarono per un lungo istante, mantenendo un silenzio religioso, poi si ritrovarono a sorridere, sghignazzare ed infine a ridere come dei matti per una mangiata di secondi. La tensione che si era andata accumulando dal momento del loro secondo chiarimento aveva iniziato a scivolare via, rimpicciolendosi fino a diventare solo una macchia alla base dei loro cuori, pronta a saltar fuori nel momento di maggior debolezza.

Non era finita, nessuno di loro aveva dimenticato, ma erano pronti a perdonare, seppur un po’ soltanto.

Il loro momento di ilarità venne brutalmente interrotto da qualcuno che spalancava la porta e dal rumore di un piatto che si schiantava violentemente al suolo. Quando si voltarono, Hermione si ritrovò a fronteggiare il primo dei suoi tanti spettri del passato.

«Tu dovresti essere morta».

«Ancora no, come puoi notare».

«Sei viva».

«E tu sei incinta. È un piacere rivederti, Ginny».

 

***

 

Era stato tutto molto più semplice di quanto Harry avesse previsto. Negli scenari che si era ricreato, Ginny avrebbe dovuto lanciarsi a terra e minacciare un aborto, oppure avrebbe dovuto provare ad assaltare Hermione per ucciderla davvero, così da vendicarsi di quello che le aveva fatto passare negli ultimi due anni. Se la prima possibilità era stata fortunatamente scongiurata, poiché non sembrava che la sua fidanzata fosse sul punto di svenire o scatenare l’inferno, la seconda invece era ancora realizzabile, così come suggerivano i suoi occhi scuri quasi incandescenti di furia.

«Sì, sono incinta. Mi sarebbe piaciuto dirtelo per prima ma, sai, tu non eri reperibile» sbottò Ginny, le braccia incrociate sopra il pancione ormai ben più che evidente. Non stava urlando, cosa di cui Harry le era profondamente grato, ma non era neppure tranquilla. C’era una strana piega all’angolo della sua bocca che compariva solo prima di una sfuriata degna del libro degli annali tenuto da Fred e George. Inizialmente raccoglievano solo il meglio di Molly Weasley, ma man mano che Ginny si era fatta grande, anche lei vi era finita, con occasionali comparse da parte di Fleur. Molti dei suoi interventi, tuttavia, non erano raccontati con dovizia di dettagli a causa di evidenti limiti linguistici. «Quindi sei viva».

Osservò Hermione stringere per un istante le labbra, sorridendo con aria colpevole. «Sono viva. Molto viva, mi auguro» rispose, osservandola da oltre le ciglia e sospirando. Sembrava quasi una bambina che fosse stata messa in castigo. «Mi dispiace davvero di essere sparita così» riprese, allungando la mano per poter toccare il braccio di Ginny, che sembrò irrigidirsi per un solo istante e poi rilassarsi di nuovo. «Se avessi avuto altra scelta, non l’avrei fatto. Non ti avrei lasciata senza dire nulla, maa…».

La donna dai capelli rossi la osservò in silenzio per qualche istante, come a volerla soppesare, poi allungò la mano per posarla su quella con cui lei gli stringeva il braccio. «Se anche avessi potuto parlarmene, Hermione, non l’avresti fatto» le disse, quasi rassegnata, facendosi avanti per poterla stringere a sé, come se quei due anni non ci fossero mai stati, come se fosse stato tutto normale. Harry la vide chiaramente sussurrare qualcosa che fece tremare Hermione, prima di spingerla a ricambiare l’abbraccio e sussurrare qualcosa di rimando. Cosa si fossero dette non era dato saperlo, ma qualcosa in lui gli suggerì che fosse meglio così, che forse il fatto che avessero sussurrato fosse indicativo che quello scambio dovesse restare un segreto.

«Mi dispiace tanto, Ginny», la voce di Hermione tremava, mentre una lacrima le scivolava lungo la guancia, macchiandole la pelle di nero. La traccia venne subito spazzata via dalla sua fidanzata, ridotta ad una cascata in pieno e tanto presa dal singhiozzare da non riuscire quasi a riprender fiato. «Oh, ti prego, non voglio saperti agitata, devi pensare ai bambini…».

Bambini.

Due.

L’ansia – la sua solita, vecchia amica – lo colpì come un pugno allo stomaco, mentre Ginny si asciugava il viso e sorrideva, rassicurando la sua migliore amica riguardo la sua stabilità emotiva. Dopotutto, da quando era rimasta incinta si era ritrovata ad avere una crisi al giorno ed i suoi piccoli soldatini sembravano ben più che resistenti a quegli sbalzi. Dal canto suo, Harry non era pienamente d’accordo con lei: il suo incubo ricorrente non faceva che dimostrargli quanto il confine fra vita e morte fosse labile, quanto ogni cosa dovesse essere sempre considerata fragile, insicura.

Niente era più incerto di una gravidanza.

«Hermione?».

Il momento di orribile silenzio che seguì quell’esclamazione sembrò estendersi anche al cuore di Harry, che improvvisamente smise di battere per l’orrore. Molly Weasley li osservava da pochi metri di distanza, i capelli ormai di un arancione sbiadito raccolti in una crocchia disordinata ed il solito grembiule da cucina sporco di quello che doveva essere l’enorme insieme di piatti che aveva preparato per quella sera. Il viso pallido della donna aveva assunto una brutta tonalità verdognola, mentre i suoi occhi – completamente sgranati e dello stesso colore caldo di quelli di Ginny – si riempivano di quelle che erano inevitabili lacrime. Tutti e tre la osservarono portarsi una mano alla bocca, quasi a trattenere un urlo, e poi voltarsi di scatto verso l’orologio appeso proprio davanti alla porta d’ingresso. Era lo stesso che era sempre stato in cucina, con le punte che indicavano ogni membro della famiglia e la sua condizione al momento. Quella di Hermione era fissa su morte8, come lo era stata da due anni a quella parte.

«Mamma… forse è meglio che tu vada a sederti» provò a dire Ginny, facendo qualche passo nella sua direzione, le mani avanti come a volerla afferrare nel caso fosse caduta. Sua madre la osservò come se non fosse capace di riconoscerla, alternando lo sguardo fra lei ed Hermione e puntandolo, dopo qualche secondo, su Harry stesso, che ancora una volta nella sua vita si sentì perfettamente inutile. «Tranquilla, mamma, va tutto bene. È lei, sta bene, hai visto? Sta bene, non sei contenta?».

Hermione sembrava fremere, bloccata tra quello che doveva essere l’impulso di avvicinarsi ed aiutare e quello che Harry sperava fosse istinto di sopravvivenza, cioè l’istinto di scappare il più lontano possibile da quel luogo pieno di gente che avrebbe provato un sacco di rancore verso di lei.

«Hermione?» ripeté ancora la signora Weasley, la mano sul cuore, ignorando completamente la sua più che preoccupata figlia, tutta presa a farle aria. Sembrava aver cambiato tonalità, dal verde era passata ad un giallognolo tendente al rosato, un po’ più sano ma non perfettamente sano. Non sembrava più sul punto di vomitare ma, piuttosto, sul punto di avere un infarto. «Sei davvero tu? Sei viva?».

«Sono io, signora Weasley». Sconfiggendo quello che doveva essere l’istinto a scappare, Hermione accennò un lievissimo sorriso, facendo un paio di passi avanti. «Mi dispiace. So di averlo già detto a chiunque, ma mi dispiace davvero», complice il picco emotivo di poco prima, la giovane aveva già ricominciato a piangere. «Avrei voluto parlarne con tutti voi, ma non potevo. Ogni giorno pensavo di mandare una lettera, un patronus… ma non potevo, non avevo scelta, mi creda» esalò, allungando la mano nella sua direzione, quasi tremando. La stava guardando con quella che poteva sembrare disperazione, sul punto di crollare per la prima volta in due anni.

Molly Weasley restò a fissarla in silenzio per quelli che sembrarono anni, fissando la mano che le aveva allungato come se fosse stata fatta di fiamme pure. Intorno a loro si erano radunati gli altri fratelli Weasley, con Fleur, Victoire e Angelina, mentre il signor Weasley, seppur in una posizione che gli consentiva di osservare il tutto, restò seduto, forse preoccupato che le gambe non gli reggessero. Quando la donna si accigliò, tutti si accigliarono con lei, preoccupati che potesse significare qualcosa di parecchio grave riguardo la sua salute fisica. Harry stesso, ricordando le lezioni di primo soccorso dell’Accademia, iniziò ad elencare i vari incantesimi che sarebbero potuti tornare utili in caso di infarto o aneurisma.

«Oh, bambina mia» il tono di Molly era angosciato, ma anche terribilmente sollevato, come se qualcuno le avesse tolto un enorme peso dal cuore. Si liberò velocemente della stretta di Ginny, avvicinandosi a passo di carca ad Hermione, così da poterla stringere in un abbraccio a dir poco soffocante. «Povera, povera piccola. Cosa ti hanno fatto?» le domandò, accarezzandole la schiena come se lei fosse stata una bambina piccolissima in cerca di conforto e non un membro di una delle squadre di difesa magica più pericolose mai esistite. Sconcertante, tuttavia, fu la reazione di Hermione, che si abbandonò a quella stretta come se da quella fosse dipesa tutta la sua vita.

«Mi hanno salvata» le rispose, allontanandosi quel poco che le servì per potersi asciugare il viso con la manica della giacca. Tutto il contegno, tutta la sua forza erano spariti nel nulla. «Mi dispiace di essere andata via, mi dispiace davvero».

Il modo in cui Molly le sorrise fece sciogliere il cuore di Harry, che si sentì improvvisamente di troppo in quella scena tanto intima.

«Adesso sei tornata, il resto non conta».

 

***

 

La famiglia Weasley aveva reagito molto meglio del previsto, Hermione non poteva che esserne felice. Oltre la signora Weasley e Ginny, gli altri sembravano ancora particolarmente restii a fidarsi completamente di lei ed il loro atteggiamento guardingo ne era la piena dimostrazione, tuttavia Hermione sentiva di non potersi lamentare. Forse George non aveva preso per i fondelli la sua nuova acconciatura e Bill non le aveva permesso di prendere in braccio Victoire, ma per il momento le andavano bene anche occhiate circospette e sorrisi forzati.

Era già abbastanza fortunata a non essere stata fulminata sul posto.

Le avevano chiesto molto poco del suo lavoro o del perché fosse tornata solo in quel momento, probabilmente a causa di qualcosa che Harry doveva aver accennato mentre lei veniva trascinata al piano di sopra dalla signora Weasley, che non era certo intenzionata ad attendere altro tempo per ottenere le risposte che per anni aveva dovuto costruire da sé. Era stata piuttosto comprensiva, per quanto l’idea di una squadra di assassini in giro per il Regno Unito non la entusiasmasse affatto. Pur borbottando sulla pericolosità della situazione, le aveva detto che avrebbe mantenuto un livello di apprensione sufficiente adatto ad una madre, così da poter rendere onore anche alla signora Granger9.

Buffo, Hermione non aveva ancora pensato ai suoi genitori e l’idea di andare a trovarli non sembrava volerla tentare neppure un po’. Ma, dopotutto, non erano più i suoi genitori, aveva rinunciato a loro da più di un anno e mezzo.

Finita la chiacchierata cuore a cuore con la promessa – da marinaio, non poteva certo mantenerla – di non mettersi nei guai e di pensare a se stessa prima che a qualunque missione, era stata costretta a sedere al suo fianco durante tutta la cena, scambiandosi occhiate complici con Ginny, tutta presa dal farle sentire ogni movimento dei gemellini, e con Harry, che invece sembrava sobbalzare quasi spaventato ad ogni squittio della fidanzata.

Quando Fred la raggiunse, si era riparata in cucina per sfuggire alle occhiate di tutti gli altri fratelli e poter respirare un po’ in tranquillità, senza che qualcuno temesse che potesse esplodere o sparire nel nulla.

«E così sei tornata» le disse, tirando fuori un’espressione contrita che sarebbe stata perfetta per un becchino durante un funerale. Sembrava urlare sentite condoglianze a distanza di chilometri, davvero impressionante. «Sai, mi aspettavo un po’ di effetto nebbia, qualche fuoco d’artificio, uno sventolio di mantelli… mi hai molto deluso».

L’istinto di alzare gli occhi al cielo tornò così prepotente che lei non riuscì a fermarlo e, con quello, tornò anche la volontà di ridacchiare. «Non lo sai? Le Banshee non hanno bisogno di tutta questa sceneggiata, sono da urlo anche al naturale».

Portandosi una mano al cuore, Fred si finse sconvolto. «Una battuta? Tu non sei davvero il Prefetto-Perfetto Granger! Chi sei? Quando l’hai sostituita?» indagò, fissandola ad occhi socchiusi nella parodia di uno sguardo inquisitore. Oppure di Percy senza occhiali, era difficile distinguere fra le due possibilità.

«Quando passi tutto il tuo tempo fra scartoffie e criminali, impari a godere anche del più piccolo istante di vita che hai» si giustificò lei, stringendosi nelle spalle e sorseggiando, poi, un po’ di tè dalla tazza. Era quella che lei stessa aveva portato alla tana prima del matrimonio di Bill, quella che aveva acquistato a Nizza con i suoi genitori.

Fred sembrò non voler condividere la sua allegria, perché tornò improvvisamente serio e si fece avanti, fronteggiandola a sufficiente distanza da doversi piegare leggermente sulle ginocchia per poterla guardare negli occhi. «Sei sicura?».

«Di cosa?».

«Di apprezzare la vita, Hermione». Il modo in cui pronunciò quelle parole le fece stringere il cuore. Stralci di ricordi confusi, di lacrime e urla, di sangue ed incertezze, si affacciarono nuovamente alle soglie della sua memoria, facendole abbassare gli occhi, nonostante lui fosse immediatamente pronto a costringerla a risollevarli, portandole la nocca dell’indice sotto al mento. «Allora? Noi due avevamo un accordo, mi pare».

«L’accordo è stato rispettato, non temere» lo rassicurò, sorridendo con gentilezza e puntandogli l’indice in mezzo agli occhi per spingerlo indietro e farlo allontanare. Sorrise di più, quando barcollò, ma non si scompose. «A quanto pare il mio Grillo Parlante aveva ragione».

Un sorrisino soddisfatto incurvò le labbra del giovane davanti a lei, che le diede un colpetto incoraggiante sulla spalla. «Come disse Merlino… io ho sempre ragione».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 La signora Weasley penso sia morta un paio di volte e sia tornata in vita. Lanciamo l’hashtag #MollyWeasleyIsTheNewGoku.

 

Punti importanti:

» 1 – A quanto pare la cecità è ereditaria, ma non dal lato “Potter” della famiglia. Ophelia, come Harry, James e come la madre di lui è più cieca di una talpa! Non indossa gli occhiali, di solito, perché il lavoro le impone le lenti a contatto!

 

» 2 – Ophelia e Barry si sono incontrati durante il Torneo Tremaghi (lui era nel gruppo che ha portato i draghi a scuola, con Charlie Weasley) e non si sono più lasciati, in un certo senso. Per quanto lei abbia cercato di non cedere alle sue avance, lui praticamente l’ha seguita ed è diventato un Banshee, esasperandola finché lei, un anno dopo, non ha accettato di sposarlo.

 

» 3 – Momento albero genealogico: la madre di James Potter – Euphemia Penderghast Potter – era la sorella del padre di Ophelia, cosa che rende lei la cugina di primo grado di Harry. I Penderghast hanno provato a farsi affidare Harry, ma la parentela di Petunia era molto più stretta e Silente avrebbe comunque fatto di tutto per farlo restare dai Dursley.

 

» 4 -  Ophelia era già una banshee da un paio d’anni e si trovava al Torneo Tremaghi perché c’era già il sospetto che qualcuno si fosse spacciato per Malocchio Moody. Non è intervenuta perché, ovviamente, non poteva farlo finché i suoi capi non le avessero affidato la missione. È stata lei, con un paio di altri colleghi, a consegnare Barty Jr ai dissennatori.

 

» 5 – Cerchiamo di essere chiari, io non credo che un’atleta che abbia un figlio debba rinunciare al suo sport dopo aver partorito o che non possa tornare dopo un paio di mesi. Il Quidditch, tuttavia, è uno sport estremamente pericoloso ed è naturale che lei debba aspettare molto di più.

 

» 6 – Il padre di Oliver Baston, per quanto mi riguarda, è il Capo Redattore della sezione sportiva della Gazzetta, quindi il capo di Ginny. Ovviamente suo padre deve avere a che fare con il Quidditch,

 

» 7 – Ta-daaaaaan. Mandiamo al diavolo il canon, sorpresa fino alla fine.

 

» 8 – Secondo me durante la ricerca dei Doni all’orologio sono stati aggiunti anche Harry ed Hermione. Perché la lancetta di Hermione era fissa su morte se lei era viva? Perché Fred, che sapeva tutto, lo ha incantato per rendere tutto più semplice.

 

» 9 – Cosa è successo ai Granger? Non sono morti, ma l’incantesimo di memoria di Hermione non è mai passato davvero e in poco meno di una settimana di assenza della figlia sono ritornati a non avere idea di chi lei fosse. Non sono morti, ma non ci sono più. Che schifo la vita.

 

 

Fred Weasley come grillo parlante. Non potevo solo resuscitarlo, doveva tornare col botto! Io lo adoro. Lo adorerete anche voi.  

 

 

 

Causa esami lunedì prossimo salterà l’aggiornamento! Mi prenderò qualche giorno di pausa, magari per scrivere qualcosina di diverso, ma vi aspetto tutti fra due settimane!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 7
*** Atto IV, Parte I - I Morti non parlano ***


LErede del Male.

 

 

All this bad blood here, won't you let it dry?
It's
been cold for years, won't you let it lie?

If we're only ever looking back
We will drive ourselves insane1”.



[BastilleBad Blood]

                                  

 

Atto IV, Parte I – I morti non parlano

 

 

I morti non parlavano.

Erano poche le cose che Harry Potter dava per scontate e che i morti fossero silenziosi per definizione era una di queste. Ovviamente non si dovevano considerare casi eccezionali come i fantasmi – per quanto defunti, gli spiriti erano ben più che presenti, quindi la persona non era ancora andata via – o le apparizioni della Pietra della Resurrezione, ma il succo della questione restava sempre lo stesso.

I morti non parlavano.

«Capiamo che la cosa possa sembrarti… strana» stava dicendo Hermione, dandogli degli incoraggianti buffetti sulla mano abbandonata sul tavolo di ferro. Quattro membri su cinque delle Banshee lo osservavano come se provassero enorme pietà verso di lui, mentre la quinta – Katie – non era ancora arrivata alla riunione che era stata fissata per quella mattina. Gli era stato detto che li avrebbe raggiunti presto ma che aveva passato una nottata piuttosto movimentata e che avrebbe impiegato un po’ per poter tornare operativa. Harry non si era sorpreso, ricordava benissimo i commenti della compagna riguardo il doversi svegliare presto, lei era sempre stata un animaletto notturno e dubitava che quel lavoro la aiutasse più di tanto con i suoi bioritmi sballati.

«Non è strano, Hermione. È folle» rettificò lui, sbuffando come un treno a vapore. «Voldemort è morto, non ho dubbi al riguardo. La sua anima era ridotta a poco più di una… cosa sanguinolenta, non potrebbe tornare neppure se trovasse un altro folle come Codaliscia pronto a sacrificarsi per lui».

Winter Vane scosse il capo, allungandogli una tazza di tè che aveva appena fatto portare da un elfetto particolarmente piccino ed aggraziato. Senza sapere perché, l’Auror preferì non farsi ingannare troppo dall’aspetto delicato. «Fa bene a non fidarsi, caro» gli disse la Legilimens, con un sorrisino appena accennato, «Pockey viene da un passato parecchio turbolento e non ha ancora perso il vizio di allungare le mani nelle tasche altrui» spiegò, divertita, voltandosi un momento in direzione dell’unico collega uomo. «Barry, ti consiglio di controllare il tuo portafoglio. Poco fa stava pensando alla tua Gemma del Drago2» gli consigliò, mentre Ophelia alzava gli occhi al cielo con esasperazione.

«Non posso crederci, Barry! Stai ancora tenendo quella pietra lì dentro?» gli chiese, allungando automaticamente la mano per afferrare ciò che lui le stava porgendo, non avendo due mani con cui destreggiarsi. «È sparita, vero?» chiese poi, quando lo sentì sibilare come un serpente a sonagli irritato.

«Quel maledetto piccolo farabutto! Giuro che la prossima volta gli ordinerò di chiudersi le orecchie nei libri di Hermione!» borbottò, volgendo gli occhi verso la porta dietro cui il piccolo elfo era sparito. «Mi fa pentire sempre di più di averlo salvato da morte certa! Forse avrei dovuto abbandonarlo fra le mani di quel mercante saudita3» continuò, riprendendo il portafoglio che la donna aveva già richiuso per lui e sistemandoselo nella tasca posteriore dei pantaloni. Come attirato dall’occhiata più che penetrante che Ophelia gli stava dedicando, si voltò nella sua direzione. «Non guardarmi così, lo so benissimo che non sto dicendo sul serio».

Harry si trovò ad osservarli con le sopraccigli inarcate. C’era qualcosa di familiare nel loro modo di interagire, forse a causa dell’automaticità con cui si relazionavano oppure nella facilità con cui sembravano capirsi. Come facevano lui ed Hermione? No, era leggermente diverso. Ed era diverso anche dal rapporto che c’era fra lui e Ginny.

«Quando finiremo qui andrai e gli farai la solita ramanzina sul perché non è giusto fare il borseggiatore. Di solito riesci a tenerlo buono per qualche settimana, dovremo farcelo bastare».

«Perché non vai e ci parli tu? È evidente che gli stai più simpatica».

«Sei stati tu a volerlo portare con noi, adesso prenditi le tue responsabilità».

L’illuminazione colpì Harry come un fulmine a ciel sereno. Erano proprio come Bill e Fleur. Sembrava quasi che stessero battibeccando su chi dovesse fare l’ennesima ramanzina ad un bambino, piuttosto che ad un elfo domestico. Dovevano essere sposati, anche da un po’ di anni se proprio voleva essere pignolo. Sembravano giovani, ma forse si era sbagliato nelle sue valutazioni.

Winter rise leggermente, alzando gli occhi al cielo. «Ah, Signor Potter, credo proprio che Katie resterà davvero delusa quando si renderà conto di quanto poco tardo lei sia in realtà. Ha ragione, sono sposati da…» con sguardo interrogativo si voltò verso i due, che avevano smesso di battibeccare non appena lei aveva iniziato a parlare. «sette anni, il venti marzo. Barry, dovresti davvero smetterla di pensare che sei sposato da quella che sembra un’eternità, sappiamo entrambi che ti sembra ancora il primo giorno».

Un borbottio indistinto arrivò dall’uomo, mentre quella che Harry aveva scoperto essere sua moglie gli assestava un pugno amorevole sul braccio. Dal canto suo, Harry avrebbe preferito non ricevere un colpo del genere, per quanto lei non gli fosse sembrata intenzionata a fargli male di certo non c’era andata leggera.

«Non mi sembra il momento di fare i piccioncini in amore, voi due» li richiamò Hermione, con uno sbuffo spazientito. «Abbiamo una faccenda da sistemare e dobbiamo farlo nel minor tempo possibile» ricordò loro, indicando Harry con un cenno del capo e mettendo fine al breve momento di tranquillo divertimento che si era spontaneamente creato.

«Quello che stavamo cercando di dirle, signor Potter, è che i morti possono parlare in molti modi e spesso sono così bravi nel farlo che quasi noi non ce ne rendiamo conto» si intromise Winter, facendo un cenno ad Ophelia, che le portò un libricino dall’aria particolarmente consunta ed anche parecchio antico. «Questo è un vecchio testo indiano, un’appendice ad un libro molto più grande e raro che noi stiamo attualmente cercando e che ci aiuterà a comprendere meglio il guaio in cui ci stiamo andando a cacciare».

Mentre Hermione prendeva il libricino dalle sue mani, Harry si accigliò. «Che cosa state cercando? Chi lo sta cercando? Posso dare una mano? Perché vi interessa tanto sapere se Voldemort ha provato a parlare con me?» chiese, senza quasi riprendere fiato, spostando lo sguardo su tutti a rotazione, così da poter scorgere il più debole e cercare di carpirgli più informazioni possibili. «Volete darmi una dannata spiegazione?».

Con la coda dell’occhio, Harry vide Winter prendersi la testa fra le mani. «Per l’amor di Merlino, signor Potter, calmi i suoi pensieri! Mi è venuto mal di testa» si lamentò, con espressione vagamente sofferente. «Le vogliamo spiegare tutto, sempre che lei ci dia il tempo di parlare, ovviamente. Capisco che sia abituato a non ricevere tutte le informazioni in una volta, ma non dia per scontato che le vogliamo mentire».

Per un momento, lui si sentì in colpa. In effetti, se i suoi pensieri infastidivano lui non osava immaginare che effetto avessero su di lei, che doveva sopportare quelli di tutti gli altri. Certo, non che qualcuno l’obbligasse ad ascoltare. Forse era un modo per assicurarsi che lui non stesse nascondendo nulla.

«Le assicuro che farei volentieri a meno di ascoltare i suoi sproloqui» gli fece notare Winter, scoccandogli un’occhiataccia che gli fece venire i brividi. Strano, era difficile fargli davvero così tanta paura. «La differenza fra un dotato ed un naturale sta nel fatto che i primi possono bloccare l’abilità, mentre noialtri no. Posso solo limitare ciò che sento, ma non posso mai stare in silenzio. Mai» disse, con un sospiro. «Di solito mi isolo abbastanza bene, ma mi riesce alquanto difficile quando le persone intorno a me sono ansiose, spaventate o eccitate» nel dire l’ultima parola lanciò un’occhiata penetrante in direzione dei colleghi sposati, che ebbero due reazioni totalmente differenti l’una dall’altro: mentre Ophelia arrossì, Bartholomew ridacchiò e le fece l’occhiolino, cui seguì un verso disgustato della Legilimens. Solo Merlino sapeva a cosa dovesse aver appena pensato il Magizoologo. «Mi creda, signor Potter, lei non vuole saperlo» rispose al suo timore lei, facendogli cenno di lasciar perdere il discorso e concentrarsi su altro. «La prego solo di calmarsi. Le stiamo comunicando ciò che sappiamo man mano che lo scopriamo. Gli unici segreti che terremo saranno solo quelli nell’interesse dell’Ordine che non toccano la sua persona, posso prometterlo».

«Fidati, Harry» si intromise Hermione, con un leggero sorriso incoraggiante. Fino a quel momento era rimasta in religioso silenzio per sfogliare le pagine del libro, che poi voltò verso l’amico. «Ecco, dai un’occhiata qui. Ho fatto un incantesimo, dovrebbe consentirti di leggere la traduzione dall’hindi» continuò, accennando poi un sorrisino vagamente soddisfatto. «Sai, è un incantesimo di mia creazione. Ero stufa di dover sempre perdere tempo a tradurre interi testi da sola».

Con le sopracciglia inarcate, Harry le lanciò il migliore fra i suoi sguardi esasperati. «Ron ti avrebbe presa in giro per anni» le fece notare, grato di essere uscito da quel momento di orrore che gli aveva impedito anche solo di pensare al vecchio migliore amico. Scuotendo il capo, lanciò un’occhiata al testo davanti a lui, osservando le lettere trasformarsi sotto i suoi occhi in frasi inglesi di senso teoricamente compiuto.

“E la Morte disse ai suoi figli, carezzando il manto del suo oscuro destriero: “Ebbene, a voi io dono la parola. Che possiate popolare il mondo in cui la luce diviene buio e la logica cede il passo alla follia. Che possiate parlare a coloro che ancora brancolano nel regno della luce e mostrare loro le vie della verità”.

Rimasto a fissare quel paragrafo, Harry sentì lo sguardo incoraggiante di Hermione perforargli la nuca e si sentì un vero idiota. Gli stava sfuggendo qualcosa di ovvio? Cosa c’entravano quelle parole con la possibilità che Voldemort potesse parlare con lui? Katie aveva ragione a dire in giro che fosse tardo?

«Non si preoccupi, caro» lo rassicurò Winnie, incoraggiante. «Hermione tende a sopravvalutare un po’ chiunque. Credo siamo tutti un po’ tardi rispetto a lei» aggiunse, lanciando un’occhiata divertita alla collega, che sbuffò. In quel momento, la porta si aprì con un cigolio sinistro e la figura pallida di Katie fece il suo ingresso, abbandonandosi nella sedia vuota davanti Maine e Ophelia. Lui, con cipiglio preoccupato, le posò una mano sulla spalla.

«Il mondo di cui La Morte parla è il mondo dei sogni, Harry. E noi siamo coloro a cui devono mostrare le vie della verità» spiegò Hermione, indicando il piccolo brano che lui aveva tentato di interpretare. «Siamo piuttosto convinti che Voldemort abbia provato a parlare con te tramite i tuoi sogni».

«E come fate ad esserne tanto sicuri?».

«I morti parlano, Harry Potter» furono le prime parole che la sua vecchia compagna di squadra professò, lanciandogli uno sguardo storto. «E tu sei fra i loro argomenti preferiti».

«Da domani ti sottoporrai ad analisi giornaliere con Ophelia e Katie. Se ha parlato, allora noi scopriremo cosa ha cercato di dirti».

 

***

 

Era buio, ma non faceva freddo come Draco aveva temuto*.

Quando Winnie gli aveva spedito un gufo con quell’indirizzo, un cupo terrore si era impossessato di lui, impedendogli di chiudere occhio per il resto della notte. Probabilmente non avrebbe dormito lo stesso, non quando il volto sorridente di sua madre appariva davanti a lui ogni qualvolta si decidesse ad abbassare le palpebre, ma un po’ di riposo senz’ansia gli avrebbe fatto certamente bene, soprattutto dopo la sbronza colossale del giorno prima. O di quello prima ancora. In effetti, se aveva smesso di bere era stato soprattutto perché Beth e Theodore, con il tempismo macabro che li aveva sempre contraddistinti, erano entrati in casa sua per fare razzia di tutti gli alcolici disponibili, avvertendolo di aver già messo sotto chiave le riserve ancora in suo possesso in una piccola vigna a Norwick e di avere tutte le intenzioni di pedinarlo per impedirgli di andarne a comprare altri.

Era come avere due tate della peggiore specie, soprattutto perché una era naturalmente portata a rimpinzarlo di sensi di colpa, mentre l’altro era semplicemente privo di qualunque segno di pietà o umanità. Per quel motivo, alla fine, Theodore era comunque rimasto con lui, praticamente trasferendosi nel suo soggiorno finché non avesse ritenuto che stesse sufficientemente bene da non fare sciocchezze. Per quello stesso motivo in quel momento stava camminando al suo fianco, le folte sopracciglia scure corrugate e l’espressione nauseata maturata in sette anni di convivenza forzata con Tiger e Goyle.

«Quindi Winter è ancora a piede libero» gli disse all’improvviso, spezzando il silenzio ansioso che era caduto su di loro non appena erano scesi in quei dannati sotterranei dimenticati anche da Merlino stesso. Non c’era da chiedersi perché anche lui fosse tanto teso, dopotutto i ricordi negativi legati a quel luogo non appartenevano solo a Draco. «Credevo che dopo il processo l’avrebbero rinchiusa in un qualche ospedale psichiatrico o giù di lì» specificò, stringendosi nelle spalle quando l’amico gli dedicò un’occhiata esasperata. «Non guardarmi così, Malfoy, sappiamo tutti e due che avevo ragione a crederla dietro le sbarre».

Cercando di non mostrarsi troppo turbato, Draco tornò a fissare il lungo corridoio di pietra che si stagliava davanti a loro. «Winnie non ha mai fatto nulla di male, non di sua spontanea volontà» gli fece notare, cercando di allontanare ricordi poco piacevoli. «Se qualcuno merita di essere libero, di certo è lei… ti ricordi cos’è successo a sua madre?».

Il modo in cui il giovane Nott strinse le labbra rese chiaro quanto ricordasse l’episodio in questione. «Ciò che è successo a Berenice Vane è… diverso» concesse, senza indugiare in ulteriori espressioni di disgusto, come invece era tentato di fare Malfoy. Ricordava bene tutte le lamentele di sua madre, cadute nella spaventata indifferenza di Lucius. Non potevano fare nulla. «Non sto dicendo, comunque, che tua cugina sia colpevole di qualcosa. Ho solo detto che avrebbero dovuto portarla in un luogo più sicuro».

«Un ospedale psichiatrico non sarebbe stato sicuro per lei, sarebbe impazzita ascoltando tutte quelle menti malate» sbottò, quasi sorpreso che l’amico avesse tirato fuori un’affermazione simile. «Lei non può neppure avvicinarsi agli ospedali normali, di solito, figurati se si sarebbe trovata bene rinchiusa da qualche parte, magari sprovvista della bacchetta».

«Non più sicuro per lei, Draco. Per tutti gli altri».

«Sei soltanto pieno dei pregiudizi che tuo padre ti ha inculcato contro di lei, lo sanno tutti che Augustus Nott era geloso di Mulciber e di tutta l’ammirazione che lui aveva dal Signore Oscuro» gli fece notare, vagamente stizzito. «Non provare a negarlo, sapevano tutti che per anni ha provato a svenderlo alle autorità. Anche Mulciber lo sapeva, non si è vendicato solo perché trovava divertente l’entusiasmo del tuo vecchio» insistette, dando di gomito al giovane che camminava al suo fianco e che gli scoccò un’occhiata a dir poco raggelante. Era impressionante come somigliasse all’anziano genitore, in certi momenti.

Aveva paura di Winter perché troppo simile al padre, ma lui non si rendeva conto di avere lo stesso problema.

«Non cambiare discorso, Malfoy. Nessuna persona sana di mente potrebbe considerare tua cugina adatta ad un ambiente civile. Per quanto tu possa volerle bene, è innegabile la sua pericolosità».

L’immagine di una Winnie molto più giovane, piegata in due per il dolore, e di suo padre a pochi passi da lei e con la bacchetta ancora alzata, gli fece venire i brividi. Quella volta era stato il Signore Oscuro ad intervenire per salvarla, anche se non per puro atto di pietà. Lei serviva alla causa, sarebbe servita in futuro.

Ma Winnie un futuro non l’avrebbe avuto, non in quel mondo.

«Io e Beth abbiamo deciso di sposarci il cinque maggio» gli comunicò poi Theodore, di punto in bianco, cambiando bruscamente argomento e rifiutandosi categoricamente di guardarlo negli occhi. Il suo viso era rigidamente fissato davanti a lui, quasi stesse temendo un attacco a sorpresa da parte di una qualche Acromantula nascosta dietro un angolo. «Ho pensato che tu potessi essere il mio testimone, se non hai altri impegni per quel giorno».

Il modo in cui fece quella proposta, con assoluta noncuranza, impedì a Malfoy di elaborare correttamente l’informazione, lasciandolo per qualche istante a boccheggiare nel disperato tentativo di collegare i diversi concetti che sembravano essersi accalcati alle porte della sua coscienza per essere elaborati. Matrimonio. Testimone. «Co-Cosa?» sbottò, afferrandolo per il bordo del mantello ed impedendogli di continuare lungo la sua strada. «Nott, ti sembra questo il modo di dare le notizie? Ti sembra questo il modo di chiedermi di essere il tuo testimone di nozze?».

Schivo come un gatto, Theodore si fissò con strana attenzione le dita della mano destra. Sotto i guanti di pelle nera, Draco sapeva che avrebbe potuto trovare l’anello con lo stemma di famiglia, lo stesso che, stando alle notizie appena ricevute, avrebbe spostato sull’anulare sinistro proprio il cinque di maggio. La consapevolezza che fosse tremendamente imbarazzato colpì Malfoy come un pugno, facendolo ghignare come la serpe che sapeva essere. «Oh, andiamo, non fare quella faccia. Sapevi che te l’avrei chiesto, sei praticamente l’unico che ancora parla con me senza inserire un insulto ogni parola4».

«Brutto figlio di puttana!» a conferma, Draco tirò fuori una delle sue migliori esclamazioni. «Congratulazioni! Credevo che avreste aspettato ancora, che volessi…» aspettare che tuo padre tiri le cuoia, lo pensò ma non lo disse. Era la cosa più logica, lo sapevano entrambi – anche Theo doveva aver capire perché la sua frase si fosse interrotta bruscamente, ma non glielo fece notare – così come sapevano che Augustus probabilmente non sarebbe sopravvissuto all’estate.

«Non lascerò che condizioni la mia felicità. Io voglio sposarmi, voglio avere una famiglia che sia mia. Non attenderò una settimana più del necessario» fu la lapidaria risposta che l’amico gli dedicò. «Se non vuoi farmi da testimone, basta dirlo, non mi offenderò. Sono certo che qualche amico di Beth potrà ricoprire il ruolo tranquillamente».

L’istinto di tirare fuori una qualche esclamazione capace di far morire il povero Theo fu forte, per Draco, ma riuscì a contenersi. Dandogli una pacca sulla spalla, tirò fuori il sorriso più amichevole di cui credeva d’essere in possesso. «Sarò onorato, amico» gli disse, soddisfatto ed anche vagamente orgoglioso. «Sarò la tua ombra. Sempre se riusciremo ad arrivare al cinque maggio ancora tutti interi, naturalmente» specificò, senza riuscire ad evitare di arricciare il naso. Non era esattamente rosea la prospettiva che gli si presentava davanti. Il fatto che Winter l’avesse invitato in quel luogo sperduto non lasciava presagire nulla di buono.

Theodore annuì, una strana scintilla negli occhi scuri. «Se la situazione ricomincerà a peggiorare drasticamente, credo che porterò Beth all’estero, come durante la guerra5» spiegò, stringendo per un istante la mascella. «Suo padre è stato molto chiaro con me, fin dal primo istante. La sua sicurezza prima di tutto ed io non posso che concordare» mormorò, voltandosi in direzione dell’amico. «Anche tu dovresti avere un piano di fuga, lo sai? Dopo quello che è successo ai tuoi genitori ed a tutti gli altri, non sei al sicuro».

Il ricordo delle immagini che Malfoy aveva visto nella cartella delle Banshee lo fece rabbrividire. Winter gli aveva consegnato la versione estesa del fascicolo una volta che lui aveva iniziato a riacquistare un po’ del suo controllo, sperando che in quel modo potesse essere pronto al riconoscimento delle salme che ci sarebbe stato di lì a breve in quel luogo spaventoso.

Perché lì? Lui ancora non riusciva a spiegarselo.

«Scappare non mi servirà, chiunque abbia dato la caccia ai vecchi Mangiamorte li ha rintracciati negli angoli più nascosti della terra» gli rispose, stringendosi nelle spalle e svoltando a destra al secondo incrocio, ricordando la strada come se l’avesse percorsa per la prima volta solo il giorno prima. «Se devono venirmi a prendere, preferisco che lo facciano sotto al naso delle Banshee e che la mia morte possa aiutare a distruggerli».

Nott lo osservò con attenzione, quasi incuriosito dal suo comportamento, poi tornò ad osservare la strada che si stagliava davanti a loro. «Sei cambiato davvero, Malfoy. Credevo che Elizabeth fosse soltanto molto ottimista nei tuoi confronti perché si sente in colpa per averti mollato» gli fece notare, sollevando leggermente il sopracciglio sinistro ed assumendo un’espressione vagamente divertita, il massimo che era possibile aspettarsi da lui in assenza della futura moglie. «Un tempo non ti saresti sacrificato tanto tranquillamente per permettere a qualcuno di essere punito».

Con un ghigno crudele, Draco raddrizzò le spalle e si schiarì la voce. «Hanno distrutto la mia famiglia per completare l’opera che il Signore Oscuro non aveva realizzato. Se vogliono uccidermi, potranno farlo senza problemi, quindi preoccuparsi è inutile. Ma se io devo morire, morirò in condizioni tali da potermeli portare nella tomba. Hanno ucciso mia madre, non potrò comunque riposare in pace finché non avranno fatto la sua stessa fine».

«Ottimo obiettivo, non c’è che dire» concordò Theodore, annuendo. «Posso capire il tuo ragionamento, se avessi perso la mia Beth non so come avrei reagito. Ti ammiro, so che tenevi molto alla Signora Malfoy» aggiunse, allungando la mano per dargli un altro colpo sul braccio, delicato ma comunque abbastanza deciso da farsi sentire. «Niente di tutto questo sarebbe mai successo, se i nostri genitori avessero imparato a farsi i fatti loro, piuttosto che buttarsi in crociate senza senso e solo per seguire un… un uomo con manie di protagonismo portate all’ennesima potenza». Il rumore del suo mantello che frusciava a causa dei suoi movimenti riempì per un momento il silenzio caduto fra loro. «Ti chiedi mai cosa sarebbe stato di noi, se tutte queste sciocchezze non fossero esistite?».

Se l’era mai chiesto? Sì, l’aveva fatto più di una volta, soprattutto quando l’orrore di ciò che gli era stato richiesto era caduto improvvisamente sulle sue spalle da sedicenne, mettendolo davanti alla realtà della sua incapacità e della sua vigliaccheria. Se l’era chiesto e le risposte che si era dato lo avevano sempre fatto soffrire di più. Guardando al suo futuro, se fosse stato normale, si sarebbe visto come un brillante Guaritore, oppure come un commerciante di successo. Ma lui non era normale e nel suo futuro c’era sempre stata solo la morte.

«Inutile rifletterci» gli disse, non intenzionato a condividere con lui quei terribili pensieri che lo avevano portato ad un punto di rottura quando era solo un ragazzino e che negli ultimi giorni erano tornati a tormentarlo. Theodore aveva vissuto un inferno peggiore del suo e sembrava sul punto di uscirne, non poteva rovinarlo in quel modo. Non poteva distruggere anche la sua felicità. «Abbiamo avuto quella vita, adesso ne abbiamo un’altra. Se possibile, dobbiamo andare oltre».

«Sappiamo entrambi che andare oltre non è mai davvero possibile» gli fece notare l’amico, con un sospiro. «Avremo sempre dei fantasmi alle spalle, pronti a ricordarci cosa abbiamo visto, cosa non abbiamo fatto. Siamo marchiati, non c’è riposo per i cattivi e noi, Malfoy, lo siamo. Non c’è vera felicità, per noi, ma solo la sua pallida imitazione. Anche se non lo sappiamo, siamo morti molto tempo fa, proprio per mano di coloro che credevamo famiglia».

Draco avrebbe voluto rispondere qualcosa di pungente, oltre che di estremamente intelligente, ma non se la sentì di aprire bocca. Theodore aveva ragione, aveva assolutamente ragione. «Tu con Beth sei felice, però» gli disse, forse con un tono un po’ lamentoso. «C’è chi sta messo peggio».

La risata senza allegria di Theodore gli fece venire i brividi. «Io con Beth sono terrorizzato. So di non meritarla, eppure lei insiste nel volere me. Se un giorno deciderà di andare via, vorrei poter dire che la lascerò libera, ma so che non potrei farlo. Sono assuefatto, dipendente fino alla follia. Non è una felicità sana quella che conosco, così come non potrebbe mai esserlo la tua. Non finché i fantasmi sono qui» con fare vagamente drammatico, si portò una mano al cuore.

L’istinto di mettersi a ridere in modo isterico fu difficile da combattere, ma Draco ci riuscì. Anzi, riuscì anche ad elaborare una risposta. «Per essere dei morti, devo dire che parliamo davvero tanto» notò, prima di sentire un brutto fastidio al naso e ritrovarsi a starnutire. Strano, sembrava quasi una leggera allergia, nonostante fosse impossibile. Lui era allergico soltanto alle fresie e dubitava fortemente che Theodore ne avesse nascosta qualcuna sotto al mantello.

«Salute».

Come punto da una vespa, Draco si voltò di scatto, la bacchetta puntata contro il petto di qualcuno che lui sapeva essere morto, perché era stato costretto a partecipare alle commemorazioni in sua ricordo nella villa dei suoi genitori, in Scozia. E Draco aveva sempre odiato quel castello con tutto se stesso.

Evan Rosier era morto. Morto per mano di Alastor Moody poco dopo la Caduta e non c’era alcuna spiegazione plausibile che potesse giustificare il suo essere , davanti a loro. Al suo fianco, Theodore ispirò bruscamente, la bacchetta che tremava leggermente nella sua presa. Rosier era il fratello minore di sua madre, l’esempio a cui tutti volevano aspirasse, fin da bambino.

Fra le mani, il morto reggeva una fresia bianca, sfiorandone i piccoli petali con una delicatezza disarmante, quasi assurda. Alternava lo sguardo fra quella ed i ragazzi, quasi intenerito dalla loro evidentissima ansia ma non per questo meno inquietante. «Sapete, ho sempre avuto un debole per questi fiori» commentò, la voce simile ad uno stridio di unghie sulla lavagna. Era quella la voce dei morti? «Mi riportano alla mente tante emozioni, tanti eventi… ho ucciso l’amore della mia vita su un letto di fresie, è poetico che io possa tornare a versare del sangue sentendo questo celestiale profumo».

Il cuore di Draco sembrò indeciso fra il battere più velocemente delle ali di un colibrì oppure fermarsi completamente per la paura. Gelo, ecco cosa c’era nelle sue vene. Stando all’imprecazione dell’amico al suo fianco, lui non doveva trovarsi in una situazione molto diversa. Quante volte gli avevano raccontato delle avventure di quell’uomo? Quante volte il suo spirito era rimasto su di lui, di notte, come una coperta d’orrore che nessun bambino avrebbe dovuto avere sulle spalle?

Evan Rosier era uno psicopatico. Uno psicopatico morto6.

«Siete pronti a morire, miei giovani amici? Siete pronti a sentire brivido della vita che lascia i vostri corpi?» chiese, con tono lezioso, portandosi il fiore al naso per poterne inspirare il profumo, per poi leccarne i petali come se fossero stati qualcosa di delizioso.

No, realizzò Draco, sentendo un brivido. La lussuria nel suo sguardo era oscura, sessuale. Non voleva immaginare quali fossero i suoi pensieri, in quel momento.

La terra tremò sotto ai suoi piedi, quando Rosier fece un passo avanti.

Poi fu il buio.

 

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Katie Bell con la faccia del Grumpy Cat e la maglia con scritto “I hate morning people. Or mornings. Or people” è il mio animale guida. Ovviamente non ha fatto tardi perché aveva sonno, Katie sta letteralmente lavorando più di tutti.

 

Punti importanti:

 

» 1 – “Tutto questo cattivo sangue qui, non lo lascerai asciugare? È stato secco per anni, non lo lascerai giacere? Se ci guarderemo solo indietro, diventeremo pazzi”. La canzone è un riferimento al passato di Draco, Theodore e Winter, oltre che alla relazione fra Harry e Voldemort.

 

» 2 – Gemma del drago, cos’è? Non serve, ma vorrei comunque specificarlo, perché sono una pignola che si lascia trasportare da cose inutili. La Gemma del Drago è una gemma che tutti i Dragonologi esperti ottengono il giorno in cui “ottengono il lavoro”. Si tratta di una pietra che si ottiene lasciando i gusci delle uova di drago in una particolare pozione per un anno ed il cui colore cambia in base alle scaglie del drago stesso. Ogni Dragonologo che si rispetti non può definirsi tale se non ha assistito alla nascita di almeno un draghetto e se non ha ottenuto da questo la Pietra. Maggiore sarà il numero delle pietre ottenute, più esperienza avrà il Dragonologo. Attualmente, Barry ne ha solo due (una la porta sempre con sé, una è incastonata nell’anello di fidanzamento che ha dato a Ophelia e di solito resta in una camera blindata al sicuro, visto che lei non può indossare gioielli), perché ha preferito interessarsi alla Magizoologia generale e poi unirsi alle Banshee, mentre Charlie Weasley, per esempio, ne ha già tredici (e la sua fidanzata, una certa Rosemary Crave che nessuno conosce, ne ha tre perché ha iniziato a lavorare da pochissimo alla riserva, ma shhhh).

 

» 3 – Backstory divertente: Barry ha il complesso di Hagrid, raccatta qualsiasi bestiola in difficoltà che capiti sul suo cammino. L’elfo domestico in questione è stato salvato da lui perché era licenziato dal suo padrone (un tipetto tutt’altro che raccomandabile e che lo costringeva a rubare per vivere) e stava per essere ucciso. Da cinque anni, Pockey vive con tutti loro al Quartier Generale e viene spesso utilizzato per delle missioni, ma soltanto se lui lo desidera. Il vizio di rubare ancora non gli è passato e probabilmente ha un buco nel pavimento in cui nasconde tanti piccoli oggettini collezionati nel tempo. Oltre all’elfo, Barry ha tentato di adottare anche un Ippogrifo, ma sua moglie lo ha convinto e mandarlo ad Hogwarts.

 

» * - Riferimento temporale, ci troviamo ad un paio di giorni di distanza dalla riunione della prima parte.

 

» 4 -  Come ho già accennato, Theodore ha sfidato suo padre per poter stare con Beth e per questo è stato diseredato. La sua speranza era, naturalmente, che essendo lei purosangue di ottima famiglia il suo vecchio genitore non avrebbe fatto molte sceneggiate, quando non è stato così non ci ha pensato due volte e se n’è andato. I vecchi amici di famiglia, ovviamente, hanno iniziato a considerarlo al pari di un mostriciattolo.

 

» 5 – Rispolveriamo informazioni già date precedentemente: durante la guerra, Elizabeth è stata mandata in Canada da dei parenti, poiché suo padre era consapevole che se qualcuno avesse saputo di lei non avrebbe perso tempo ad ucciderla, considerandola indegna. Quando Theodore è stato presentato a casa, il suocero lo ha avvisato di cosa era stato costretto a fare, intimandogli che se la loro relazione l’avesse messa in pericolo lui avrebbe dovuto abbandonare tutto e metterla al sicuro. Naturalmente, Theodore è più che pronto a farlo.

 

» 6 – Sono innamorata di Evan Rosier. Ho in mente una backstory per lui terrificante. Ma non solo per lui. Anche per qualcun altro. Capirete un po’ meglio nel prossimo capitolo!

 

 

 

La mia povera Katie. Nel prossimo capitolo cominceremo ad esaminarla un po’ più da vicino e cercheremo di capire qual è il suo ruolo in questa storia. Esamineremo più da vicino anche Winnie e faremo sì che lei ed Harry possano avere qualche altra interazione.  

 

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 8
*** Atto IV, Parte II - Il mostro dietro la maschera ***


LErede del Male.

 

 

I watched you let yourself die,
Now it's too late to save you this time.
You bury me alive,
And everybody's gotta breathe somehow,
Don't leave me to die,
Too consumed by your own emptiness and lies1
”.



[We are the fallen – Bury me alive]

                                  

 

Atto IV, Parte II – Il mostro dietro la maschera.

 

 

 

Barry non era contento di quella loro sosta, Katie ne era cosciente, ma era stato più forte di lei. La ricerca di quel maledetto libro li aveva impegnati nell’ultima settimana e sembrava non essere destinata a risolversi molto facilmente, e lei si era detta che, dopotutto, non sarebbe stato poi tanto orribile se si fossero concessi un piccolo strappo, una piccola vacanza infrasettimanale. Viste anche le sessioni che negli ultimi tre giorni2 aveva dovuto tenere con Harry Potter, non le si poteva certo negare quel piccolo piacere. A tutti loro piaceva il Quidditch e Winnie, l’unica che non ne era mai stata molto attratta, aveva ricevuto un gufo da qualcuno che le chiedeva spiegazioni su suo cugino che l’avevano messa in allarme, non che Katie si sentisse molto toccata dalle vicende di Malfoy, tutt’altro. Hermione, che avrebbe opposto molte resistenze a quella piccola gita, era impegnata con l’acquisizione di ciò che le sarebbe servito una volta che avessero trovato l’incantesimo dal Necromicon3 e quindi non sarebbe stata un problema per i suoi piani. Quanto a Barry e Ophelia, era bastato qualche lamento con la promessa di non ubriacarsi subito dopo. Soprattutto perché Philly era una tifosa accanita del Puddlemere e non avrebbe rinunciato a dei biglietti neppure sotto tortura.

«L’ultima volta siamo andati a vedere la partita degli Europei» constatò proprio la donna, sistemandosi la sciarpa blu ed oro intorno al collo. Era quasi strano vederla circondata da vivi senza sembrare un pesce fuor d’acqua, ma, dopotutto, lei era imparentata con Harry e lui, per quanto sembrasse buffo e sgraziato negli eventi sociali, era sempre stato un asso nel Quidditch. Forse avrebbe dovuto chiederle se anche lei, ai suoi tempi, avesse giocato. «Credo fosse Inghilterra contro Francia, non è vero?».

Barry grugnì, braccia incrociate ed espressione da vecchio ippogrifo brontolone. «Avrei preferito assistere alla Coppa America, ma sono stato assaltato da due bevitrici di tè per averlo solo pensato. Il Quidditch europeo è noioso, qui ormai non muore più nessuno» si lagnò, alzando gli occhi al cielo quando sua moglie gli scoccò uno sguardo a dir poco omicida.

Vagamente divertita, Katie alzò la mano come a voler chiedere il permesso per parlare. «Se vogliamo esser pignoli, io sono irlandese. Ma la Francia aveva battuto i nostri ragazzi facendo finire un bolide in testa ad Aidan Lynch. Dovevo assistere alla loro disfatta da parte degli inglesi» spiegò, seppur contrariata. Irlanda ed Inghilterra non erano mai state Nazioni amiche, tantomeno sul campo da Quidditch, ma la vendetta era vendetta e, non avendo modo di potersi vendicare direttamente sui battitori francesi, era stato bello assistere alla loro distruzione da parte del dinamico duo inglese4.

«È ora che Lynch si ritiri, ormai è vecchio».

Katie rantolò qualcosa di incomprensibile, portandosi la mano al cuore. «Ritira immediatamente quello che hai detto, prima che io sia costretta a schiantarti». Poi, alzando lievemente il tono della voce ed indicando il campo, ancora vuoto. «Aidan Seamus Lynch è il più grande cercatore del mondo. Potrebbe giocare fino a settant’anni ed il boccino continuerebbe ad essere suo! Lui è il più grande, il magnifico! Ricordi Berlino di due anni fa? Oppure Almati del ’90? Aveva solo diciassette anni eppure ha segnato un nuovo record! E quest’anno, ai mondiali di Singapore, dimostrerà al mondo che l’Irlanda c’è».

Il ghigno con cui Barry la fissò l’avrebbe fatta innervosire, se non fosse stata troppo presa a sentirsi indignata per l’insulto non velato al capitano della sua nazionale. Era vergognoso che parlassero di lui in certi termini. Assolutamente vergognoso. «Ammiro il tuo amor Patrio, Trina, ma stai dimenticando i mondiali del ’94 e quelli del ‘985» le fece notare l’uomo, dando dei colpetti al posto accanto a lui affinché lei si sedesse. «Se non sbaglio, Lynch è stato sempre sballottato. È Krum la vera leggenda».

Ophelia, rimasta a fissare con curiosità il campo vuoto, scosse il capo. «Ottimo cercatore, ma ha perso molta della sua velocità negli ultimi anni. Lynch è leggero, cosa non trascurabile perché riesce a risultare più aerodinamico. Quanto a Krum, soprattutto negli ultimi mesi, credo sia diventato più simile a…».

«Ad una patata su di una scopa» grugnì Katie, puntando poi l’indice verso Barry. «E non chiamarmi Trina, lo sai che lo odio. Mia madre mi chiamava così ed io non l’ho mai sopportato, mi ricorda l’infanzia» lo ammonì, facendo per continuare il suo sproloquio ma venendo bruscamente interrotta dalla voce del commentatore, che stava dando il benvenuto agli spettatori accorsi per assistere allo scontro PuddlemereHarpies. Un brivido lungo la spina dorsale anticipò di una frazione di secondo la pelle d’oca che le ricoprì le braccia, mentre le gambe le cedevano improvvisamente, facendola tornare seduta.

Il cambiamento negli altri due fu piuttosto immediato: un attimo prima sorridevano amabilmente, un momento dopo avevano gli sguardi inespressivi che saettavano fra lei ed il campo.

«Ed ecco la formazione del Puddlemere United! Blair! Dawson! Clark! Lynch!».

«Possiamo sempre andare via. Nessuno ci obbliga a restare qui» le fece notare Ophelia, allungando la mano per sfiorarle il gomito. Il suo tono di voce non era rassicurante, ma freddo, quasi scientifico. Le stava semplicemente facendo notare l’ovvio. Poteva andare via, doveva andare via.

«Stevens!».

Anche suo marito, accanto a Katie, allungò la mano per posargliela sulla spalla. «Philly ha ragione, ragazzina. Nessuno ci obbliga a stare qui, tantomeno…».

«Baston!».

L’ultima macchietta blu ed oro fece il suo ingresso nel campo e, grazie alla sua vista sempre perfetta, Katie riuscì a scorgere perfettamente i tratti del suo vecchio capitano, molto più massiccio di quanto non fosse stato da ragazzino ma certamente anche più alto, i capelli un po’ più lunghi di qualche anno fa ed una barbetta che spiccava sul suo viso pallido come un punto scuro nel cielo. Lo osservò fare il suo giro d’onore fra gli applausi tonanti del pubblico, la posizione rigida e sicura che l’aveva sempre contraddistinto. Quante volte l’aveva rimproverata di non essere abbastanza ferma sulla scopa?

È una partita, Kat, non il dannato balletto!

«Trina, andiamo via». La voce di Barry era qualcosa di lontano, Katie non riusciva quasi a percepirla. Un bisbiglio, forse, oppure un’eco. Sì, l’ultima ipotesi era la migliore. L’amico che fino a poco prima aveva avuto la mano sulla sua spalla doveva esser finito sul fondo di un pozzo, insieme a tutti gli altri. Oppure era lei ad essere precipitata? Non era sicura. Anche il boato era sparito, solo il rumore sordo del suo cuore le rimbombava nelle orecchie. «Trina!». Qualcuno la abbracciò, ma non le interessò.

L’incantesimo si spezzò quando Oliver Baston, dalla sua posizione davanti agli anelli, si voltò in direzione della tribuna d’onore, con un sorriso così immenso che anche Katie, dalla sua posizione, riuscì a notarlo. Seguì i suoi occhi, consapevole di ciò che avrebbe trovato ma sempre troppo impreparata per reggere il colpo.

L’altra era così ordinaria. Nulla di eccezionale, davvero, con i suoi banali capelli scuri ed i suoi banali occhi castani ed il suo banale – no, non era banale, l’aveva comprato lui – anello al dito, non sarebbe mai spiccata in una folla se Oliver non l’avesse accompagnata, se non l’avesse illuminata.

«Katrina».

Il richiamo di Ophelia arrivò chiaro, questa volta. Non più dal fondo del pozzo, perché lei era riemersa, nonostante non fosse più la stessa persona che era sprofondata nel buio. La sua amica – poteva definirla tale, quando lei e suo marito erano stati dei genitori migliori, per lei, della sua stessa famiglia biologica? –non l’aveva chiamata con il suo nome intero soltanto per rimproverarla.

Un nome è il più forte degli incantesimi, la prima determinazione del nostro stesso essere, ciò che ci limita e ci rende reali.

Katrina.

Il sangue bruciava nelle vene come acido, lo sguardo era offuscato di ombre che non c’erano state fino a poco prima.

Lei non si rese quasi conto di essere scattata in piedi o di essersi mossa finché il suo sguardo non venne puntato sulle scalinate degli spalti. Dietro di lei camminavano i suoi accompagnatori, probabilmente con gli occhi colmi di preoccupazione.

Le mani tremavano, così come il resto del corpo. Il cambiamento faceva sempre male.

Katrina amava il dolore.

«Hai bisogno di qualcosa?».

«Possiamo andare immediatamente nella mia Sala Mortuaria».

 Domande pratiche, prive di ogni pregiudizio. Solamente un Magizoologo ed una appassionata di cadaveri avrebbero mai potuto mostrare tanta tranquillità con lei. Con il mostro che stava divorando la fanciulla.

Quando Katrina sorrise, sembrò quasi che la temperatura intorno a lei fosse scesa improvvisamente ed un paio di persone lì vicino si mossero nei loro posti, a disagio, osservando con la coda dell’occhio quella ragazza bionda che si allontanava con fare sicuro, pallida come la neve ma non altrettanto incantevole, i cui occhi erano diventati cieli notturni senza stelle.

«Abbiamo un libro da trovare, io posso essere molto più utile di lei».

Lei, che ogni giorno sembrava morire lentamente, soffocata da un peso che non aveva scelto di portare.

Se solo avesse alzato lo sguardo, avrebbe incrociato gli occhi angosciati di Oliver, che la stava osservando fuggire via da lui, ancora una volta ed ancora senza una spiegazione, senza una sola parola.

L’anello al dito della donna nella tribuna d’onore sembrò brillare di più, quasi ad evidenziare il contrasto con il buio che aveva inghiottito Katrina.

Non c’erano più scelte da fare.

 

***

 

Non erano affari suoi se Malfoy era sparito.

«Se Draco è stato ucciso o catturato, signor Potter, è affar suo. Significa che i nostri nemici comuni hanno fatto dei passi avanti e sono riusciti ad arrivare anche a lui» gli rispose Winter Vane, senza neppure guardarlo e senza scusarsi per essersi impicciata ancora una volta nei suoi pensieri. «Come le ho già detto, non è che io mi diverta ad ascoltare cosa le passa per la testa. Non ho altra scelta, se lei non è capace di alzare le difese» aggiunse, con parecchia più acidità di quanta Harry avrebbe voluto sentirsene buttare addosso.

Per un momento, infatti, si sentì un po’ un vermicolo. Dopotutto, non doveva essere una vita facile, quella della donna, e lui poteva benissimo mettere a frutto quelle poche lezioni che Piton aveva accettato di dargli e fare in modo di lasciarle un po’ di pace. «Mi dispiace di non essere più bravo. Il mio insegnante di Occlumanzia ed io non abbiamo avuto un buon rapporto finché…» non è stato troppo tardi. Non lo disse, ma il ricordo di Piton distrutto dalle zanne di Nagini gli attraversò la mente e lei si irrigidì6. «Mi scusi».

Tirando fuori un sorriso rassicurante, per quanto non propriamente credibile, Winter Vane gli fece cenno di non preoccuparsi. «Tranquillo caro, con il mio lavoro è piuttosto comune che mi sia sbattuta in faccia un’immagine simile. Non sono fragile come può sembrare» lo rassicurò, continuando a far strada lungo i corridoi scuri. «Credo sia lei a dovermi scusare per averla strappata ad una pacifica giornata in compagnia della sua fidanzata. È stata Hermione a dirmi di venire a prenderla per accompagnarmi, lei è impegnata con qualcuno di cui non può rivelare l’identità e non si sentiva tranquilla a mandarmi da sola».

Curioso, Harry continuò ad osservarla con il capo lievemente inclinato. «Davvero non sa con chi sia Hermione adesso?» le domandò, inarcando le sopracciglia. «Dubito sia possibile nasconderle qualcosa, non per molto tempo quantomeno».

Winter rise lievemente, il nervosismo evidente come un brivido sul fondo di quel trillo apparentemente rilassato. «Hermione è molto brava con l’Occlumanzia, non le piace avere gente capace di leggerle la mente… credo sia a causa delle ragioni che l’hanno portata ad arruolarsi.  Per un periodo mi sono sentita un po’ ferita, in realtà, perché credevo che non volesse essere mia amica o che non si fidasse… col tempo ho imparato a rispettare la sua decisione. È giusto che ognuno possa mettersi nella posizione di difendere i propri pensieri».  Con la coda dell’occhio, la bionda osservò il dubbio e la confusione affacciarsi sul volto di Harry, ma aspettò qualche istante prima di ricominciare a parlare. «Anche Hermione ha i suoi limiti, tuttavia. Mi dispiace per Lipsia».

Un brivido corse lungo la schiena dell’Auror. Quello non era un argomento che aveva intenzione di affrontare con una Legilimens tanto potente. Non aveva idea di quanto ampi potessero essere i suoi poteri, non aveva certo voglia di fornire ulteriori accessi alla parte più fragile e nascosta della sua anima. Con uno sforzo disumano, rafforzò le sue difese. Non avrebbe parlato di Lipsia. «Perché non ha aspettato che tornassero gli altri suoi colleghi, piuttosto che chiedere a me? Sono certamente più preparati di me» disse invece, mantenendo lo sguardo fisso davanti a sé. «Sono solo un Auror».

«Sei il Golden Boy, non sottovalutarti» lo riprese lei, con un sorriso mesto. C’era qualcosa nel suo sguardo che Harry non riuscì a decifrare. «Scusa se ti do del tu, caro, ma era da un po’ che ci stavi pensando ed ogni volta hai fatto un passo indietro. Abbiamo la stessa età, non siamo certo due vecchietti» continuò, con un’allegria posticcia quasi inquietante. «Sei stato scartato alla selezione Banshee a causa dei suoi problemi mentali. È un criterio che viene valutato in modo strano, altrimenti tre quarti di noi non sarebbero risultati idonei e la nostra squadra forse non sarebbe proprio esistita… diciamo che se in tanti siamo a metà fra follia geniale e follia da ricovero ma tendiamo per la prima… tu tendevi troppo verso la seconda per poter essere scelto».

Quella era un’informazione che Harry non credeva di dover avere. Era stato selezionato? Quando? Era stato quell’impiegato della Conferenza che l’aveva stressato per mesi a scartarlo? Credevano non fosse abbastanza bravo per un lavoro del genere? Lui aveva salvato il mondo, come potevano bollarlo semplicemente come pazzo? Anche Hermione era stata male, portata al limite della sopportazione finché non era stata sul punto di crollare, eppure era stata scelta. Scelta e salvata.

Perché non avevano salvato anche lui?

«Perché non volevi essere salvato».

Era stata una risposta che lui, anche se in minima parte, si era aspettato. Una risposta un po’ banale, forse, ma l’unica davvero reale. Non era poi così strano che i servizi segreti più importanti e pericolosi del mondo non volessero avere a che fare con qualcuno come lui, che avrebbe mandato tutto al diavolo pur di smettere di soffrire. C’era anche andato vicino, a Lipsia. Senza Hermione – perché era stata lei a salvarlo, per l’ennesima volta – non avrebbe fatto il suo ritorno a casa e non avrebbe avuto modo di vedersi fare il regalo più bello del mondo dalla sua futura moglie, in quel momento fortunatamente al sicuro a casa, sotto le coperte e con un paio di Auror a pochi metri di distanza. Era stato un sollievo sapere che il suo Capo avesse già dato ordini affinché alcuni suoi colleghi pattugliassero casa sua, la Tana e casa di Andromeda Tonks. Mettere al sicuro la sua famiglia era una preoccupazione che era stata tolta dal carico delle sue spalle e che finalmente gli aveva consentito di respirare almeno un po’. Hermione, naturalmente, non poteva essere messa sotto scorta: lei era la migliore scorta che ci fosse in circolazione ed il fatto che lui e Malfoy fossero sempre accompagnati, in un modo o nell’altro, dai membri della Squadra, lasciava intendere quanto fossero tutti preoccupati per la loro incolumità.

Pensando, tuttavia, ai vari colleghi di Hermione, partendo da Katie e dal suo sorriso triste, fino ad arrivare all’allegra biondina che gli trotterellava accanto, Harry si ritrovò a riflettere sulle parole che la stessa Winter gli aveva rivolto poco prima.

La nostra squadra non sarebbe esistita.

«Katie davvero non ti rende giustizia, non sei affatto tardo come ha tentato di farci credere» si congratulò, seppur con parecchia ironia, Winter, lanciandogli uno sguardo storto. «Credi che delle persone sane di mente sarebbero state pronte a mollare tutta la loro vita, fingersi morte o semplicemente sparite nel nulla per anni?» gli chiese, raddrizzando le spalle e sollevando il mento in una posa altezzosa. «Siamo tutti folli, in un modo o nell’altro, altrimenti non saremmo arrivati alle Banshee. Non farti ingannare da un bel viso, Harry Potter. Anche i mostri sanno indossare un bel vestito, una maschera e sorridere per il loro pubblico».

Vagamente inquietato, Harry cercò di ricrearsi un’immagine di tutti e cinque i membri della squadra Banshee 3. C’erano gli sposini apparentemente normali che Harry proprio non riusciva ad inquadrare. Certo, lei aveva una strana passione per i morti ed ancora non era apparso un Magizoologo che non avesse una strana e macabra passione per sangue e creature spaventose, ma non sembravano poi tanto terribili. Soprattutto Ophelia, che era bizzarra, ma non in un senso troppo negativo e se era arrivata a sposare quel tipo doveva aver avuto le sue buone ragioni. C’era poi Katie, che nascondeva qualcosa di così terribile da non poter essere rivelato e che probabilmente l’aveva divorata dall’interno al punto di costringerla a cambiare la propria esistenza in modo drastico. Non tutti avevano avuto una scelta, era stato il modo in cui Hermione lo aveva liquidato una settimana prima, alla tana. Hermione, che lui conosceva fin da quando erano poco più che bambini, aveva un lato oscuro che aveva avuto modo di incontrare parecchie volte: il trucco della brava ragazza poteva reggere con chiunque non avesse notato la follia nei suoi occhi durante la preparazione della Polisucco o durante le iscrizioni sul foglio maledetto dell’ES. Hermione sapeva essere machiavellica e malvagia molto più di tanti Mangiamorte che avevano incontrato nel corso degli anni e, Harry tuttavia non si sarebbe mai azzardato a dirlo ad alta voce, dopo l’incontro con Bellatrix quel lato di lei sembrava essere solo peggiorato. Il pensiero che potesse aver acquisito un certo talento da quella donna lo fece rabbrividire.

«Non si viene torturati da Bellatrix Lestrange per poi dimenticare, Potter» lo ammonì la bionda, con un tono lezioso davvero sgradevole. Il modo in cui pronunciò il suo cognome lo fece irrigidire: era familiare, anche se non riusciva a comprendere il perché. Come Malfoy? No, era qualcosa di peggiore7. «Hermione è una delle migliori Inquisitrici che siano mai passate per l’Organizzazione. Non ti permetterò farla sentire in colpa per questo» gli disse secca. Il modo in cui si girò a sorridergli, subito dopo, gli fece tremare le ginocchia. «Dopotutto, non è certo lei a doversi occupare dei nostri ospiti più reticenti».

Winter Vane, con quella sua aria da svampita appena giunta da New Orleans, era, con ottime probabilità, la più spaventosa di tutto il gruppo, anche se buona parte del giudizio di Harry era reso nullo dall’impossibilità di conoscere la vera natura del potere di Katie. Se nella sua vecchia amica era la sua stessa apparenza a mettere paura, la Vane mostrava d’avere qualcosa di ancora più radicato in lei, una massa oscura ben nascosta sotto un bel sorriso e riccioli alla Shirley Temple che avrebbero potuto ingannare un po’ chiunque. Hermione e gli altri erano capaci di controllare gli orrori del mondo, che fossero i morti, le bestie crudeli o gli incantesimi, ma lei…

C’era molto di più nascosto sotto le belle fossette e gli occhi di smeraldo.

«Hai paura del lupo cattivo, signor Potter? Sta’ tranquillo, non vuole certo mangiarti» lo rassicurò, riuscendo in tutto tranne che nella sua impresa, non con quel sorriso spaventoso sulle labbra. Non quando Harry fu più che certo di aver notato uno strano lampo argenteo nei suoi occhi. Fu sul punto di aggiungere qualcosa, forse per prenderlo in giro e ridere della sua reazione esagerata, ma si fermò, il sorriso congelato sul viso. Per un attimo fu ancora più spaventosa, perché spaventata a sua volta.

«Cosa sta succedendo?» domandò, nonostante fosse consapevole che avrebbe potuto semplicemente pensare la sua richiesta, senza porla ad alta voce e rischiare di rivelare la loro posizione. Per una qualche ragione, dubitò che lei lo avrebbe ascoltato, in quel caso. «Vane, che succede? È Malfoy?».

Impallidita più di quanto Harry pensasse fosse possibile, Winter sollevò la mano per intimargli il silenzio, inclinando il capo come se avesse voluto ascoltare qualcosa con maggiore facilità. Le tremò il labbro inferiore, mentre le pupille si dilavano in modo quasi comico. Un attimo dopo scattò via, correndo lungo il corridoio come se avesse avuto il diavolo alle calcagna e senza preoccuparsi che Harry la stesse effettivamente seguendo. Gli ci vollero un paio di istanti per recuperare, indeciso se farsi prendere dal panico o far insorgere l’Auror che era in lui per capire cosa stesse succedendo e dopo farsi prendere dall’ansia.

«Vane, maledizione, parla!» sbottò, facendo prevalere la seconda scelta e sentendosi grato nei confronti delle varie ore di preparazione che l’Accademia l’aveva costretto a seguire. Se avesse perso la testa, probabilmente non sarebbe sopravvissuto e non sarebbe più tornato a casa da sua moglie e dai suoi bambini.

«Non adesso! Non è ancora troppo tardi» fu tutto ciò che inizialmente ottenne come risposta, insieme ad un’ondata di angoscia che sapeva non appartenergli, perché era un’emozione troppo complessa, troppo elaborata per lui, che negli ultimi due anni era sempre passato da livelli più o meno diversi di depressione, senza mai spegnersi in quel modo.

Harry realizzò, mentre correva per porre rimedio ad un danno che ancora non conosceva, che nonostante fosse arrivato sul fondo del baratro, nonostante Lipsia, non fosse mai riuscito a perdere quella scintilla sul fondo del suo cuore, quel piccolo calore che era la speranza, cresciuta insieme al ventre di Ginny.

Winter Vane non aveva quella scintilla. Forse non l’aveva mai avuta.

Perché?

Trovarono Malfoy ed un altro uomo che lui riconobbe essere Theodore Nott accasciati in un angolo, le espressioni vuote di chi avesse visto l’Inferno e non ne fosse più uscivo vivo, una brutta ferita sulla fronte del biondo che sembrava estremamente recente. Winter si inginocchiò fra loro, senza osare toccarli ma osservandoli con tanta intensità da fargli credere che li stesse visitando, poi fece un cenno ad Harry, così che si avvicinasse. «Adesso tu farai esattamente come ti dirò e forse qualcuno di noi ne uscirà vivo» mormorò, deglutendo e ricominciando a parlare prima che lui potesse intervenire. «Sono un tuo superiore, Potter, quindi farai come ti dico e basta. Tu prenderai Draco e Theodore e userai la passaporta d’emergenza che ho con me, perché non è possibile smaterializzarsi dal Mausoleo dei Malfoy».

Mausoleo dei Malfoy? Quella sottospecie di labirintico insieme di grotte era un mausoleo? Perché erano finiti in mezzo ai resti degli antenati di Draco? Perché Malfoy e Nott erano lì? Cosa li aveva attaccati?

«Non è un cosa, è un chi» spiegò velocemente la Vane, armeggiando con la cintura per estrarne una piccola bussola d’argento. «Fai come ti dico, vai dalle Guardie Carceriere di Azkaban e comunica loro che Sandman8 è scappato, poi fai in modo che lo scoprano anche gli altri della squadra e che vadano a chiedere i rinforzi».

L’ansia di Harry non fece che aumentare, con quelle parole, ma si sbrigò ad avvicinarsi per poter afferrare sia Malfoy che Nott. «Tieniti a me, andremo via tutti» disse, con il tono più risoluto di cui fosse in possesso. Non se ne sarebbe certo andato via lasciandola . Non aveva mai abbandonato uno dei suoi compagni d’avventura, non avrebbe certo iniziato in quel momento. Per lui erano già morte troppe persone. «Chiunque sia, adesso è lontano, abbiamo tutto il tempo per chiamare i rinforzi e…».

Il sibilo con cui lei gli rispose lo fece rabbrividire e, se non fosse stato tanto abituato a guardare in faccia il pericolo, non avrebbe notato il cambiamento. Winter Vane non era più la bella ragazza del sud con dolci guance colorate di rosa e gli occhi come un prato. A ricambiare il suo sguardo furono due lastre di ghiaccio, circondate da una cascata di capelli neri come le piume di un corvo ed incastonate in un viso pallido come quello di un cadavere.

Harry ricordava quegli occhi. Non poteva dimenticarli.

Elladora Mulciber.

«Adesso tu prenderai loro due ed andrai via di qui» gli ringhiò contro lei, le mani piantate al suolo e le unghie conficcate in modo doloroso contro la roccia. Erano insanguinate, probabilmente spezzate fino alla carne. Stava lottando contro qualcosa, ma cosa? Chi? «Chi ha fatto questo a loro non si è mai allontanato. È dietro di noi, lo è sempre stato, ma si è saputo nascondere bene. È la sua specialità» continuò, parlando in un rantolo.

«Non ti lascerò qui».

«Non hai scelta» gli disse, socchiudendo gli occhi e piegando il capo di lato, con una smorfia carica di dolore. «È me che vuole, ha sempre voluto me. Draco è stato attirato qui solo per farlo diventare un’esca. Si è fatto da parte per permetterti di portarli via… uno scambio equo, dal suo punto di vista. Io valgo più di due uomini».

Confuso, Harry provò a guardarsi intorno, senza trovare nulla di sbagliato, senza notare quale potesse essere la fonte di tutto il dolore che lei stava mostrando. «Chi diavolo è? Cosa vuole da te? In che senso vali più di due uomini? Aziona la passaporta, posso portarci tutti via da qui e allora saremo al sicuro. Vane, il tuo naso sta sanguinando!».

  Con lentezza, la donna si sollevò leggermente in piedi e costrinse Harry a prendere la sua bussola, oltre che ad avvicinarsi a Nott, che altrimenti sarebbe rimasto indietro. «Alcuni potrebbero chiamarlo amore paterno, io, invece, la chiamo psicosi». Si irrigidì nuovamente, per poi rilassare le spalle e bisbigliare qualcosa di incomprensibile ma che tuttavia somigliava molto ad un troppo tardi, idiota. Alla fine, raddrizzò le spalle e si voltò, sollevando il mento con la stessa posa algida che aveva assunto durante l’allegra scampagnata. «Padre, noto che sei fuori da Azkaban. Il piacere è tutto tuo» salutò quindi, con un pesante accento inglese, simile a quello di Malfoy.

Dalle ombre, con una tranquillità tale da lasciare Harry sbalordito perché era impossibile che non l’avesse notato, Mulciber fece la sua comparsa, molto più ringiovanito di quanto non fosse stato durante il processo e, poco ma sicuro, molto più folle.

Gli stessi occhi di sua figlia.

«Via, via Winnie cara. Ti sembra questo il modo di accogliere il tuo unico genitore? Avrei voluto presentarmi a te come il tuo molliccio, ma ho pensato che sarebbe stato troppo banale da parte mia. Mi sono anche preoccupato di giocare un po’ con i nostri cari amici. Il vecchio trucchetto di Evan Rosier redivivo funziona sempre9. Non ho mai capito perché lui sia diventato uno spauracchio ed io no… e pensare che lui era così inutilmente melodrammatico».

Spaventata, Winter si irrigidì, avanzando di un paio di passi come a voler proteggere i due svenuti ed Harry. «Sei tu il mio molliccio, lo sei sempre stato, solo che io sono stata troppo sciocca per capirlo in tempo e fare la cosa giusta». Con un cenno veloce, Winter estrasse la bacchetta. Lo sforzo di resistere agli attacchi mentali dell’uomo che le aveva dato i natali era evidentissimo. «Gli orrori di Rosier erano molto più adatti a dei bambini dei tuoi. Lui non aveva mai mangiato le sue vittime, dopotutto» aggiunse, con disgusto, rafforzando la presa sulla sua unica arma, mentre l’uomo sorrideva macabro. «Addio, Padre».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Quanto mi piace distruggere la vita della gente. Forse dovrei mandare una scatola di cioccolatini ad Oliver Baston, che in tutto questo è l’unico, vero innocente. Più o meno. Mica sono stata io a fidanzarmi con una tipa random.

 

Punti importanti:

 

» 1 – “Ti ho guardata lasciarti morire/ Questa volta è troppo tardi per salvarti/ Mi hai seppellita viva/ E tutti devono respirare in qualche modo/ Non lasciarmi morire/ consumata dal tuo vuoto e dalle bugie”. Questa volta il riferimento è alla “vera” natura di Katie e Winnie. Entrambe, infatti, hanno soffocato il loro vero io per tentare di condurre vite normali. Naturalmente, queste bugie non possono durare, quindi, alla fine, la maschera è caduta ed il mostro ha ripreso il controllo. Katrina ed Elladora non sono soggetti con cui scherzare, il fatto che odino loro stesse più di chiunque altro è il peggiore fra gli stimoli.

 

» 2 – Ci troviamo ad una decina di ore dalla seconda parte del capitolo precedente. Sono, quindi, passati circa tre giorni dalla prima parte, cioè da quando Harry ha iniziato le sue sessioni intensive per recuperare il messaggio di Voldemort.

 

» 3 – Necromicon, Il Necronomicon è uno pseudobiblium, cioè un libro mai scritto ma citato come se fosse vero in libri realmente esistenti. Il Necronomicon, infatti, è un espediente letterario creato dallo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft per dare verosimiglianza ai propri racconti, che diventò gradualmente un gioco intellettuale quando anche altri scrittori cominciarono a citarlo nei lor Secondo Lovecraft, il Necronomicon sarebbe un testo di magia nera redatto dall'"arabo pazzo" Abdul Alhazred, vissuto nello Yemen nell'VIII secolo e morto a Damasco in circostanze misteriose. Con Necromicon si intende generalmente un libro che “parla dei costumi dei morti” o comunque che fa riferimento al funzionamento della vita ultraterrena. SONO ANNI che voglio metterlo in mezzo.

  

» 4 -  Riferimento ai battitori della Nazionale Inglese che io ovviamente non conosco ma che, a quanto pare, sono a dir poco eccezionali. Katie li ammira molto ma non li ritiene alla stessa altezza dei battitori irlandesi, ovviamente.

 

» 5 – Riferimento ai Mondiali a cui ha partecipato anche Harry nel 1994 (Irlanda-Bulgaria) e poi ai mondiali del 98 (Irlanda-Australia).

 

» 6 – Lei non si è irrigidita a causa dell’immagine in sé ma, piuttosto, perché lei stessa ha conosciuto Severus Piton. Non erano amici, ma Piton aveva preso a cuore il destino di quella povera bambina.

 

» 7 – Harry, non conoscendo l’identità reale di Winnie, non riesce a collegarla a suo padre. Naturalmente, dopo comprenderà e ricollegherà a lei quello stesso tono che l’uomo aveva usato contro di lui durante il Processo.

 

» 8 – Sandman è un nome in codice. In teoria è un altro nome per Morfeo, il Dio del Sogno, ma non posso spiegarvi bene perché Mulciber si è guadagnato questo soprannome affettuoso. Voglio dire, è un legilimante, non è mica difficile ;) Diciamo che ai Paciock è andata bene che a prenderli di mira sia stata Bellatrix e non lui.

 

» 9 – Mi dispiace, ma Evan non è tornato miracolosamente in vita. Semplicemente, Sandman ha usato i suoi trucchetti per terrorizzare Draco e Theo, contando sul fatto che il vecchio compagno d’armi sia rimasto materia d’incubi, una specie di “Dracula” o “Hannibal Lecter” di noi poveracci babbani.

 

 

Avete capito cos’è Katie? Un po’ di gente aveva fatto ipotesi corrette, ma, credetemi, c’è altro dietro l’angolo. Povera piccina. E povera Winnie.   

 

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

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Capitolo 9
*** Atto IV, Parte III - Sandman ***


 

LErede del Male.


 

Now I lay me down to sleep
Pray the Lord my soul to keep
If I die before I wake
Pray the Lord my soul to take
Hush little baby, don't say a word
And never mind that noise you heard
It's just the beasts under your bed
In your closet, in your head.

Exit, light
Enter, night
Grain of sand*”.



[Metallica – Enter Sandman]

                                  

 

Atto IV, Parte III – Sandman

 

 

 

«Addio, padre».

 

Nonostante l’effetto drammatico della sua ultima affermazione, Winter si era ritrovata agonizzante al suolo prima ancora di poter muovere un singolo muscolo verso l’uomo, il cui sorriso macabro non si era spostato di un millimetro. Era semplicemente caduta in preda a delle convulsioni dall’origine sconosciuta, il corpo già gracile che sembrava sul punto di spezzarsi a causa dei movimenti bruschi ed incontrollati.

Sandman.

Era così banale che Harry si sentì sul punto di prendersi a schiaffi per non essersene immediatamente reso conto. Quando Winter Vane gli aveva ordinato di correre via con tanta premura, avrebbe dovuto fermarsi a riflettere sul motivo che poteva aver spinto una delle donne più pericolose al mondo a farsi prendere dal panico chiedendogli di correre ad Azkaban per avvisare della fuga di uno dei prigionieri, qualcuno abbastanza pericoloso da meritare un nome in codice tutto suo per evitare che potesse diffondersi il panico. Qualcuno così pericoloso che Voldemort stesso aveva preferito lasciarlo nelle retrovie, un’arma segreta che nessuno avrebbe dovuto conoscere1.

Sarebbe stato più semplice fare il collegamento, forse, se non si fosse lasciato ingannare da un banale incantesimo di camuffamento che lei aveva usato per nascondersi da occhi indiscreti. O se non avesse cambiato nome.

Elladora Mulciber.

«Saresti dovuto scappare quando te ne avevo dato l’occasione, signor Potter» lo rimproverò l’uomo, con tono lezioso, scuotendo il capo mentre continuava a sorridergli con la stessa aria bonaria che un padre avrebbe avuto verso il figlio discolo. Quel paragone gli fece venire la nausea, trattenersi dal dare di stomaco fu solo un atto di pura volontà. «La mia piccina ti aveva dato una via di fuga, eppure hai preferito perdere tempo per fare l’eroe. È una cosa che ho sempre ammirato in voi Potter. Tutto questo coraggio… sono certo che dobbiate essere deliziosi».

A quel punto, l’espressione di disgusto non poté più essere mascherata. Sentendo le gambe tremare, Harry sollevò la bacchetta verso l’uomo, attendo a non guardarlo mai direttamente negli occhi. Silas Mulciber non aveva lo stesso potere della figlia, non poteva colpirlo se non gliene dava modo. Forse. «Come ha fatto a scappare?» fu tutto ciò che l’Auror riuscì a domandare, indeciso fra l’attaccare e l’avvicinarsi alla povera donna riversa al suolo, ancora scossa da qualche tremore incontrollato. Voleva aiutarla, ma come? Non era un medico e, comunque, dubitava fortemente che lei potesse essere semplicemente salvata. Non quando era stato Sandman a colpirla.

Il Mangiamorte scoppiò a ridere, gettando il capo indietro ed allargando poi le braccia. Fra le mani aveva una bacchetta magica che Harry sapeva non appartenergli, poiché era stato presente quando il Ministro aveva spezzato e bruciato la sua, quattro anni prima. «Ho ricevuto un aiuto inaspettato, signor Potter. Un aiuto che ha apprezzato incredibilmente l’assenza di Dissennatori fuori dalla mia cella. Si ricordi di ringraziare il suo Ministro, se non fosse stato tanto magnanimo avrei potuto perdere la testa, in questi anni2».

La possibilità che lui impazzisse di più era ridicola al solo esser pensata. Ridicola. Quell’uomo non aveva una singola cellula, in corpo, che non fosse completamente matta, deviata al punto da far tremare le guardie carcerarie all’idea che potesse essere lasciato in una cella insieme ad altri.

«Chi ti ha aiutato?».

Osservandosi le unghie delle mani con aria annoiata, Mulciber si strinse nelle spalle. «Domanda banale, signor Potter. Se anche te lo dicessi, tu non mi crederesti» gli fece notare, non allegro ma comunque sorridente «La domanda giusta dovrebbe essere: perché sei ancora vivo? Per essere stato capace di sconfiggere l’Oscuro Signore, sei davvero molto tardo, ragazzo. Dovresti rinchiuderti in una stanza senza finestre, tutto preso a strapparti i capelli e chiederti come farai a non morire dalla paura».

Harry lo fissò per qualche istante, gli occhi spalancati ma l’espressione neutra. Una parte oscura di lui sapeva che quella di Mulciber non era una semplice minaccia con lo scopo di spaventarlo, non aveva senso fare lo spavaldo. Se Sandman gli diceva di dover avere paura, lui non aveva possibilità di negare quella possibilità e convincersi che fosse un trucco. Doveva solo lasciare che quell’angoscia perenne che l’aveva torturato ogni notte negli ultimi quattro anni e che aveva iniziato a perseguitarlo anche di giorno a causa degli incontri con Ophelia e Katie prendesse possesso del suo corpo, piegandolo e spezzandolo.

Prima che potesse perdere quel minimo di coraggio che gli era rimasto, Harry parlò. «Perché sono ancora vivo?».

Mulciber ridacchiò. «Perché ucciderti era troppo facile, ragazzo» gli disse, muovendo la bacchetta così che il corpo esanime di Winter si raddrizzasse, rialzandosi come se fosse stata un burattino tirato da fili invisibili. Il suo viso era inespressivo, gli occhi di ghiaccio aperti in modo innaturale ed iniettati di sangue, lo stesso che le macchiava il viso e gli abiti. Sembrava morta, anche se Harry sapeva quanto quella possibilità fosse infinitamente più caritatevole di ciò che le era effettivamente accaduto. «Vedi, Potter, non tutto quello che è accaduto è stato a tuo favore, durante la guerra. Certo, sei diventato un simbolo di libertà e pace, una speranza» pronunciò quell’ultima parola con divertito disprezzo, quasi fosse stata una follia, «ma tutto questo potrebbe rivoltarsi contro di te in un battito di ciglia. Cosa resta, quando togli la speranza?».

Nulla, non restava nulla. Esattamente come ciò che riempiva il cuore di Winter, che in quel momento non poteva più neppure fingere di essere normale, essendo tornata fra le grinfie di colui che il destino aveva reso suo padre e carnefice. Era questo che Mulciber voleva? Era quello lo scopo di chiunque l’avesse liberato? Distruggere Harry, così da distruggere la speranza del mondo? Era ambizioso, come progetto, perché dopotutto lui era solo un uomo ed il mondo era pieno di gente coraggiosa e pronta a tutto pur di sopravvivere.

«Sei molto innocente, signor Potter» si rallegrò Mulciber, leccandosi le labbra con anticipazione. «Quelli come te sono i miei preferiti. I più saporiti, senza ombra di dubbio» commentò, voltando lo sguardo verso sua figlia, rimasta nel silenzio dell’incantesimo. Allungò la mano libera per spostarle una ciocca di capelli scuri da davanti agli occhi, poi le accarezzò la guancia. «Non è meravigliosa, Potter? Guardala, è perfetta. Ed il suo potere è anche cresciuto, in questi anni! Prima non era mai riuscita a resistere tanto a lungo ai miei attacchi. È incantevole».

Harry sentì la nausea attanagliargli di nuovo lo stomaco, mentre fissava l’uomo intento a decantare i macabri talenti che la figlia aveva ereditato. Provò a calmarsi, pensando che lui avrebbe potuto provare anche attrazione sessuale verso di lei, ma la possibilità che quell’idea non fosse assurda ma addirittura probabile non fece altro che farlo sentire peggio.

«Lasciala andare, mostro» ringhiò, sollevando di più la bacchetta per potergliela puntare contro, sentendosi infinitamente più forte di poco prima. Non credeva di poter avere qualche speranza contro di lui, ma si sentiva stranamente motivato. Lui l’aveva definito speranza, poteva esserlo anche per quella donna che ricordava aver visto tremare davanti ad una giuria impietosa non più di quattro anni prima. «Hai già fatto soffrire Winter a sufficienza, lei non ti appartiene».

La curiosità con cui Mulciber lo guardò lo fece irrigidire. Sembrava quasi che non riuscisse a comprendere le sue parole, nonostante Harry fosse consapevole di aver parlato in modo parecchio chiaro. Era piuttosto fiero di se stesso, in realtà, perché anni prima non sarebbe riuscito a fronteggiarlo con tanta presunzione. «Ovviamente lei mi appartiene, Potter. Lei è mia, lo è sempre stata. La mia piccolina ha solo avuto un momento di sbandamento ed ha tentato di allontanarsi da me, ma adesso è rinsavita» si rallegrò, prendendo il viso della donna fra le mani ed osservandola come se fosse stata il suo tesoro più grande. «Oh, lei è il mio tesoro più grande. Grazie a lei, l’umanità non ha più segreti per me. Dopo che avremo aiutato Tiresias, noi spariremo, diventeremo un’ombra, l’incubo ricorrente che tormenta i sogni dei bambini…» rise, tornando a fronteggiare Harry. «Non è elettrizzante, come prospettiva? È un peccato che tu non possa assistere alla nostra ascesa, per allora sarai già morto».

«Non è la prima volta che qualcuno prevede la mia morte, Mulciber» gli fece notare Harry, sentendosi improvvisamente più coraggioso. Quella era una minaccia che conosceva, una possibilità contro cui aveva combattuto fin da quando era entrato a far parte del mondo della magia. Qualcuno – Tiresias? – voleva ucciderlo, così come voleva farlo Voldemort. Volevano ucciderlo, ma lui poteva combattere. I mostri del mondo non potevano essere spaventosi come quelli che vivevano nel suo cuore. Quella era una sfida che poteva accettare.  «Winter ha fatto la sua scelta quattro anni fa, non sarai tu ad allontanarla dalla sua nuova vita» continuò, stringendo la presa sulla sua bacchetta e rimpiangendo improvvisamente di aver voluto rimettere al suo posto la Bacchetta di Sambuco. Gli sarebbe stata utile, in quel momento.

«Ah, il coraggio Grifondoro. Come ho già detto, appetitoso» gli disse l’uomo, alzando gli occhi al cielo. «Ammiro che tu sia pronto a batterti contro di me per aiutare la mia piccina, ma, vedi, lei non vuole essere aiutata. Dico bene, Elladora?» chiese in direzione della figlia, che annuì meccanicamente, il capo piegato in modo innaturale e lo sguardo vitreo. Con orrore, Harry notò una lacrima colare lungo la sua guancia, ma non seppe dire se fosse a causa della secchezza degli occhi o per vera disperazione. «Conquisteremo il posto che ci appartiene, non ci sarà una sola mente che non ci apparterrà. E tutto grazie a lei, al suo splendido dono che io unirò alle mie qualità».

Il primo incantesimo di Harry si scontrò con uno scudo che lui non era neppure riuscito a notare. Era il migliore con gli incantesimi non verbali, eppure Mulciber sapeva sempre come contrattaccare, grazie al collegamento con la mente di Winter, tornato ad essere forte come durante la guerra. La donna non si muoveva, eppure Harry vedeva quanto enorme dovesse essere lo sforzo che la sua mente stava subendo. Non c’era difesa che potesse tenere, non c’era modo di liberarsi da quella sanguisuga che le aspirava i pensieri per nutrirsene e divenire sempre più forte.

«Avada Kedavra fu il vano tentativo di Harry, a sua volta finito nel nulla, mentre Mulciber gli rideva in faccia con l’espressione più divertita che dovesse mai aver avuto in vita sua. Non si sentiva toccato, non si sentiva minacciato da lui, perché quel vantaggio che gli incantesimi silenti dovevano concedergli in realtà era vanificato in partenza. Non era una lotta ad armi pari, non lo sarebbe mai stata. Harry non era un bravo Occlumante e di certo i suoi sforzi sarebbero stati nulla contro di lui. Contro di lei.

«Non ti è bastato, Potter? Vuoi davvero costringermi ad ucciderti? Non saprei come spiegarlo al mio… protettore» si lagnò, allegro, facendo un cenno alla figlia affinché si sedesse ai suoi piedi. Era un chiaro gesto, il suo: sottomissione completa, la vita di Winter Vane non valeva più di quella di un fedele cagnolino. Harry non sarebbe mai riuscito a lasciarla lì, in quello stato. «Ah, così coraggioso, così orgoglioso! La resa non è una possibilità, per te?».

«Se intendi dire che vuoi arrenderti a me, mostro, allora accetto3» gli ringhiò contro, raddrizzando le spalle. Lo avrebbe costretto ad ucciderlo, se necessario. Prima o poi, Draco e Theodore si sarebbero svegliati e allora tutti avrebbero saputo del pericolo imminente. «Io posso continuare tutto il giorno4, fatti sotto!».

Mulciber fece una smorfia, esasperato. Ad Harry era mancata la sensazione provata nel portare le persone al limite: il compianto Piton era stato un’ottima cavia per fargli sviluppare il suo lato più impertinente. «Non posso perdere tempo con te, Tiresias e l’infante ci stanno aspettando, ho promesso loro che avrebbero presto conosciuto la mia piccina» borbottò, incrociando le braccia al petto – evidentemente non intenzionato a combattere – e voltandosi verso la figlia. «Elladora, cara, ti dispiace annientarlo? Credo che ai nostri amici serva solo il loro corpo, non certo la sua mente».

Winter, ancora seduta al suolo, tremò violentemente ma non si mosse. Le lacrime scendevano con maggiore intensità, ma il suo viso era rimasto inespressivo. Nella sua mente era in corso una battaglia e lei era l’unica, vera vittima. Harry si sentì male al solo guardarla. Lui aveva provato la forza di un Imperius, ma era stato un controllo minimo, quasi amichevole. Niente aveva mai provato a spezzarlo nel profondo, niente lo aveva tormentato fin dalla nascita, non in quel modo.

«Cosa stai facendo, Elladora? Vuoi combattere?» chiese con una risata l’uomo, osservando la figlia con un cipiglio diviso fra il divertimento e l’irritazione. «Non hai imparato la lezione, piccola mia? Credevo di essere stato chiaro, anni fa» continuò, ed il suo tono assunse un’inflessione spaventosa, una rabbia così cieca ed improvvisa che per un momento lo stesso Harry sentì le gambe tremare. «Ho detto, annientalo, prima che io decida di annientare te».

La donna al suolo tremò più forte e dalle sue labbra sfuggì un rantolo soffocato. Il suo viso aveva iniziato a cambiare colore in modo a dir poco spaventoso e le sue mani erano artigliate al suolo, le unghie ormai quasi completamente saltate via e sostituite da grumi sanguinolenti. Quando Mulciber si accigliò, il rantolo divenne un gemito soffocato e quelle stesse dita sporche si spostarono sul viso pallido e segnato dalle lacrime, graffiandolo come se avesse voluto strapparsi via la pelle pur di smettere di soffrire.

«Smettila! Lasciala stare, lasciala!» nel panico totale, Harry balzò in avanti, intenzionato a prenderlo a pugni se fosse stato necessario. Riuscì ad avvicinarsi solo di qualche passo prima che Mulciber gli puntasse contro la bacchetta e lo sbalzasse contro il muro con abbastanza forza da far spezzare qualcosa nella sua gabbia toracica. Il dolore che provò fu abbastanza forte da mozzargli il respiro, ma lui non si fermò: il rantolo di Winter era spaventoso. Stava soffocando, una forza inarrestabile che dall’interno le impediva di respirare. La morte peggiore5, combattendo una guerra che non poteva essere vinta. «La-lasciala!».

Il sorriso di Mulciber si congelò sul suo viso, un lampo d’orrore gli attraversò gli occhi chiarissimi mentre, al suo fianco, la donna iniziò a tossire furiosamente, crollando su se stessa come se i fili cui era stata attaccata fossero stati improvvisamente tagliati. Confuso a causa del dolore, Harry si ritrovò a chiedersi se fosse stato lui, con magia accidentale, a fermarlo, oppure se Winter fosse davvero riuscita a liberarsi da sola, trovando un ultimo sprazzo di forza dentro di lei.

«Cattivo, Mulcy» cantilenò una voce conosciuta, ma al tempo stesso diversa, mentre qualcosa con lunghe dita artigliate e pallide si stringeva sulla gola dell’uomo, ben nascosta dalle ombre. Non era stata quella a parlare, ma qualcun altro che in quel momento stava camminando lentamente verso di loro, emergendo pigramente dall’oscurità come se ne fosse stata parte. Il suo viso era pallido come il gesso, le labbra nere piegate in un sorriso sadico e gli occhi, bui come le più oscure profondità della notte, erano circondati da ombre violacee. Non c’era pupilla, non c’era sclera, solo il nulla.

Katie Bell era solo un ricordo lontano, perché il mostro che si stava avvicinando somigliava solo lontanamente all’amica che Harry aveva conosciuto a scuola. Sorrideva, quasi quella scena fosse stata un ridicolo siparietto, quasi il rischio non fosse esistito.

Quale poteva essere il pericolo per l’araldo della Morte?

Mulciber ringhiò, cercando di divincolarsi, ma le mani sulla sua gola si strinsero di più, impedendogli di muoversi.

«Cattivo, stai provando ad usare la legilimanzia su di me?» ridacchiò Katie, piegando il capo di lato ed osservandolo con la stessa divertita compiacenza che lui aveva dedicato ad Harry poco prima e che lo fece palesemente rabbrividire. «Non puoi controllarmi, nessuno può farlo. Neppure io posso!» continuò, scoppiando a ridere senza freni all’ultima rivelazione. Sembrò sinceramente divertita, finché Mulciber non grugnì. «Ancora? Non puoi controllare i morti, Silas, non te l’hanno mai insegnato?».

«Tu non sei morta!».

Il sorriso di Katie ritornò, più largo di prima. «Io non ci scommetterei» gli rispose, tranquilla. «Mi dispiace solo non poterti uccidere. Sarebbe una vendetta così dolce. Sai in quanti bramano la tua anima, Silas? Sai in quanti ti stanno aspettando, dall’altra parte? Sono proprio lì, oltre il fiume. Aspettano solo che tu li raggiunga. Davvero non li senti?».

Mulciber gemette, questa volta per il dolore. Un rivolo di sangue colò dalla leggera ferita che gli artigli della creatura che lo tratteneva avevano provocato. Katie inspirò bruscamente, per poi fare una smorfia.

«Anche il tuo sangue puzza di marcio» gli fece notare, scuotendo la testa come a voler mostrare ancora di più il suo disappunto. «Disgustoso fino alla fine, come ogni maniaco omicida che si rispetti. Non siamo una buona razza, più che naturale che l’umanità voglia sempre sterminarci». Sollevò la mano in un gesto blando e la creatura sibilò in risposta. «Non ucciderlo puișor6, non toglierò questo piacere a Winter. Dopotutto, ci servono delle risposte e sono certa che lei ed Hermione vorranno divertirsi almeno un po’» ordinò brevemente, incurante dello sguardo confuso che Harry non le aveva più staccato di dosso, incerto su cosa dire o fare. Era anche lui in pericolo? Impossibile a dirsi.

«Non ho mai assaggiato una negromante7» sbottò l’uomo, in un sibilo crudele, gemendo quando le mani si strinsero nuovamente intorno al suo collo. Sembrava quasi che qualunque cosa lo stesse trattenendo non avesse particolarmente apprezzato il suo proposito di mangiare Katie. Che fosse un riflesso della rabbia di Katie stessa? «Non ho paura di te, brutta scopacadaveri» le sibilò ancora, cercando di dimenarsi, anche se inutilmente. «Verranno a salvarmi e tu non potrai fare nulla per ferirmi. Elladora è mia».

Katie non si lasciò toccare dalle sue parole, né da quello che doveva essere stato un insulto della peggior specie. Il suo sorriso divenne semplicemente più freddo, quasi annoiato. «Elladora è morta da anni, ormai. Winter ti annienterà, così come tu hai annientato lei» lo avvisò, fiduciosa. «E se anche verranno a cercarti, Silas, non illuderti che tu importi davvero qualcosa per loro. Tu sei solo una pedina».

In un battito di ciglia, l’uomo era sparito nel nulla, inghiottito da quelle stesse ombre che avevano celato il suo aggressore non morto. Katie, ancora in quelle spoglie irriconoscibili, si voltò in direzione di Harry, osservandolo per un lungo istante prima di soffermarsi sugli altri due uomini poco lontani da lui. Fece una smorfia, osservando Malfoy, ma sembrò riprendersi velocemente.

«Katie?».

Quando lei si voltò nuovamente ad osservarlo, i suoi occhi erano tornati dello stesso verde chiaro che lui aveva conosciuto nei sei anni che avevano trascorso insieme a scuola. La sua espressione era rimasta la stessa, una cupa preoccupazione alimentata da quello che Harry non poté che definire odio. Verso chi, però?

«Mulciber scapperà a breve, dubito che chiunque l’abbia mandato si farà spaventare da un vampiro» sospirò, dando le spalle al vecchio amico per avvicinarsi alla collega, riversa al suolo e ridotta peggio di uno straccio usato. «Harry, mi rendo conto tu stia uno schifo, Ophelia e Barry stanno arrivando e lei potrà darti una sistemata prima di scappare, ma non aspettarti di essere guarito, non abbiamo tempo e dobbiamo cercare di far riprendere Malfoy e Nott».

C’erano tante domande che Harry voleva fare alla donna. Domande più o meno rilevanti e decisamente personali, tuttavia non sapeva come affrontare il discorso. Se fosse stato indelicato, avrebbe potuto scatenare la stessa belva che poco prima aveva visto opporsi al Mangiamorte e, nelle sue condizioni, non era una buona idea. Allora, non riuscendo a star zitto, disse l’unica cosa che ritenne sensata. «Come fai a sapere che scapperà? Non possiamo fermarlo? Perché sei ancora qui?».

Katie lo osservò per un lungo istante, quasi stesse riconfermando la vecchia teoria sul suo essere tardo, poi sospirò, inginocchiandosi accanto alla compagna per tentare di risollevarla. «Silas Mulciber non è che una pedina in tutto questo, Harry. Chiunque l’abbia fatto evadere, riuscendo addirittura a sottometterlo, deve avere delle capacità a dir poco eccezionali. Lui era un sorvegliato di massima sicurezza ad Azkaban. Tu sei un Auror, sai bene cosa significa. Nessuno è mai evaso da quelle celle, neppure durante la Guerra. Per quanto possa aver fatto la spavalda, prima, io non potrei resistere in eterno contro di lui e se anche riuscissi a prenderlo non avrei modo di trattenerlo. Con buone probabilità, in questo preciso istante il mio vampiro è sul punto di essere dato alle fiamme. Il suo mandante ha ottenuto ciò che voleva, ma non è detto che non verrà a prenderci. Non abbiamo tempo da perdere».

Dal canto suo, Harry era solo più spaventato di prima. Il suo cervello stentava ad elaborare tutte quelle informazioni che lei gli stava dando, tuttavia annuì. Mio vampiro. Madante. Sandman. «Sapevano che l’avremmo fermato e sapevano che non lo avremmo accompagnato personalmente ad Azkaban», l’illuminazione lo colpì all’improvviso, facendolo voltare verso l’oscurità alle sue spalle. «Era solo un trucco, ma non per ingannare noi».

Sorridendo leggermente, Katie annuì. «Mulciber farà di tutto per vendicarsi di noi e per riavere Winnie. Adesso più che mai, la sua fedeltà è assicurata. Com’era successo con Voldemort, anni fa» spiegò, fissandolo con una certa ansia. «Tu conosci la storia della madre di Winnie, vero? Berenice Vane e la sua morte sono informazioni con livello tre di segretezza, ma immagino che gli Auror siano informati sull’accaduto».

Annuire costò ad Harry uno sforzo enorme. Ricordava la storia di quella donna e ricordava benissimo il tono grave con cui il Capo aveva ammonito tutti di non divulgare nulla che la riguardasse: c’erano incubi che non dovevano essere rivissuti, restando nascosti nella profondità della notte, lontani dalla coscienza e dalla memoria. «Quindi è stato tutto un trucco per lui. Ma perché? A che scopo avere una bomba ad orologeria come Mulciber fra le mani? Abbiamo il sospetto che stiano utilizzando anche un Obscurus, cosa se ne faranno di lui?».

«Quale folle piano di conquista non prevede l’uso di un folle, Harry? Mulciber è…» rabbrividì, disgustata. «Non scherzavo quando ho detto che lo stanno aspettando, dall’altra parte. Ha fatto così tanto male, nella sua orribile esistenza, che sinceramente io non sono neppure certa che abbia un’anima. Chiunque lo abbia ingaggiato, lo ha fatto perché ha bisogno di qualcuno come lui. E se ha bisogno di qualcuno come lui..,».

«Allora siamo davvero nei guai».

Katie annuì, mentre dall’oscurità cominciavano ad intravedersi le ombre proiettate da delle bacchette e si sentivano voci concitate chiamare i loro nomi. La cavalleria era arrivata. «Come se non ne avessimo ancora la certezza, non è vero?».

 

***

 

Che Ophelia fosse in ansia era innegabile, secondo Harry. Non lo stava dimostrando apertamente, il suo viso era inespressivo mentre borbottava degli incantesimi di guarigione per le sue costole, ma c’era qualcosa, nel suo modo di muoversi o di respirare che gli trasmetteva pessime sensazioni. Probabilmente era egocentrico, da parte sua, voler pretendere di capire una persona senza averla davvero conosciuta.

«Sei fortunato ad essere ancora tutto d’un pezzo. L’ultimo mago che ha avuto un faccia a faccia con quel mostro non ha potuto dire la stessa cosa» gli disse, in un sibilo, mettendo giù la bacchetta ed allungando le mani per tastargli delicatamente l’addome. Gli fece male, ma non come poco prima. «Per adesso dovrai farti bastare questo, le ho ricomposte ma sono ancora parecchio incrinate. Evita sforzi fisici finché non saremo arrivati in un posto sicuro» lo ammonì, lanciandogli uno sguardo indecifrabile prima di scuotere il capo. «Avresti dovuto scappare quando ne hai avuta l’occasione. Hai rischiato di finire nella mia Sala Mortuaria».

«Non potevo lasciare Vane qui, non possiamo sapere cosa le avrebbe fatto quel mostro». Avrebbe potuto dire suo padre, ma non lo fece. Nessun padre si sarebbe mai potuto comportare in quel modo. Fece una smorfia, quando tentò di tirarsi a sedere dritto. Lo sguardo arrabbiato della donna lo fece accigliare. «Non guardarmi così, per quanto inutile il mio intervento ha dato tempo a Katie di arrivare ed ha impedito che Mulciber la portasse via. Non si abbandonano i compagni».

Ophelia strinse le labbra, gli occhi offuscati da quella che sembrava essere nostalgica8. «Ti credo, so che non l’avresti lasciata indietro. Non è così che si comportano i Potter» gli disse, con una risata senza allegria, risollevandosi. «Ciò non toglie che il tuo non sia stato un comportamento intelligente».

Suo marito, impegnato con Katie a cercare di rianimare gli altri tre, grugnì. «Proprio come buttarsi a capofitto in una fossa piena di Manticore perché lì in mezzo è caduta una pozione, non è vero?» le disse, esasperato, dando qualche colpetto sul viso a Nott, che tuttavia non sembrava intenzionato a riprendersi.

«Quella era una fialetta di antidoto contro un veleno rarissimo».

«Come dici tu, cara».

Con un mormorio spaventato, Winter interruppe quel piccolo battibecco, risvegliandosi fra le braccia di Katie, che l’aveva stretta con una presa micidiale intorno alle spalle ed aveva iniziato a trattenerla. Per un istante, Harry si chiese il perché di quel comportamento, quando poi vide la Vane intenzionata a strapparsi via la pelle con le dita rovinate comprese e si fece avanti, quasi d’istinto, per aiutare a trattenerla. Insieme a Katie ed al Magizoologo le impedì mosse azzardate, mentre Ophelia, l’espressione ansiosa, si fece avanti con una pozione fra le mani.

«Se non la tenete ferma, non riuscirò a somministrarle il tranquillante» li avvertì, inginocchiandosi per avere una presa migliore sulla compagna, in quel momento intenta a mormorare qualcosa di incomprensibile ed a dimenarsi come se la sua pelle fosse diventata fuoco vivo. «Usate l’Occlumanzia, la vostra preoccupazione si riflette tutta su di lei».

Katie, semplicemente, sbatté le palpebre e lasciò che qualunque fosse il suo potere riprendesse possesso di lei, inghiottendo i suoi occhi e lasciandoli sparire in un mare d’oscurità. Harry, invece, notò in Maine la stessa concentrazione che solitamente serviva a lui per alzare la barriera. Sentendosi meno incapace, lasciò che quelle poche lezioni avute da Piton tornassero alla memoria, cercando di visualizzare un muro fra se stesso e quella povera e tremante creatura fra le sue mani.

L’effetto fu pressoché immediato: Winter smise di mugolare e combattere, ma i suoi arti continuarono a tremare in modo incontrollato, probabilmente a causa di convulsioni provocate dal grande sforzo. Quel mostro – suo padre – l’aveva portata sul punto di rottura, lasciando che la sua stessa mente la divorasse. L’aveva ridotta a poco più di un pupazzo senza volontà, mettendo la propria sete di onnipotenza prima del sangue del suo sangue.

Harry non era ancora un padre, ma sapeva che non avrebbe mai messo qualcosa o qualcuno prima dei suoi figli o di Ginny.

Berenice Vane. Solo il pensiero lo fece tremare. Ma non era quello il momento di rifletterci, l’ultima cosa che serviva a quella povera donna era ricevere immagini del crudele destino toccato a sua madre.

Con gesti esperti, Ophelia le versò il contenuto della piccola ampolla in bocca, tenendole il capo fermo mentre l’incoscienza tornava ad inghiottirla. Quando smise di tremare, poi, borbottò qualche altro incanto, lasciando che i suoi capelli tornassero biondi e, probabilmente, gli occhi verdi. Harry concordò con quelle sue azioni: meglio allontanare lo spettro di ciò che avevano appena vissuto, almeno per un altro po’.

«Mulciber è stato salvato» disse Katie, lo sguardo oscuro piantato verso le ombre in cui era sparito il suo vampiro con il loro prigioniero. «Non riesco più a percepire il vampiro, quindi immagino gli abbiano piantato qualcosa nel cuore» aggiunse poi, con una smorfia. «È un peccato, Sergei era uno dei miei preferiti. Sarà difficile sostituirlo».

«Sono sicura che troverai qualcuno di adeguato nella camera mortuaria» le rispose Ophelia, facendo cenno al Magizoologo affinché prendesse la donna svenuta fra le braccia. Poi guardò Harry, indicando con un cenno gli altri due uomini ancora senza sensi. La ferita alla testa di Malfoy non sanguinava più e non sembravano morti come poco prima, solo pacificamente addormentati. Winter era stata chiara: quello di suo padre era uno scambio, lei valeva più di quei due. «Per favore, Harry, aiuta Katie a trasportare Malfoy ed il suo amico, io devo assicurarmi che Winnie non abbia altre convulsioni durante il trasporto».

Dopo aver annuito, Harry si grattò distrattamente la cicatrice, fermandosi solo dopo aver sentito gli occhi neri dell’ex compagna sulla nuca. Voltatosi ad osservarla, inarcò le sopracciglia in una implicita domanda, seguendola con lo sguardo mentre si avvicinava a Nott – che era decisamente meno comodo da trasportare di Malfoy – e lo faceva levitare a qualche centimetro da terra.

«Katie?».

«Dobbiamo riprendere le sedute non appena possibile. Questa notte stessa, per essere precisi. Bacia tua moglie, Potter, perché ho intenzione di trattenerti finché non otterremo le risposte che ci servono».

 

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

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 Mulciber popolerà i miei incubi peggiori, già lo so. E voi non avete idea di cosa ha fatto quest’uomo, durante le Guerre.

 

 

Punti importanti:

 

» *Adesso mi stendo a dormire /Prego il Signore di vegliare sulla mia anima /Se dovessi morire prima di svegliarmi / Prego il Signore di prendersi la mia anima / Silenzio piccolino, non dire una parola / E non fregartene di quel rumore che hai sentito / È solo la bestia sotto il tuo letto / Nel tuo cassetto, nella tua testa / Esci luce / Vieni notte / Granello di sabbia. Questa canzone mi ha sempre messo un’ansia assurda, quindi è perfetto per il mio amico Silas.

 

» 1 – Spieghiamo un attimo perché nei libri non si parla di Mulciber. Questo soggettone era così pericoloso che Voldemort stesso, durante le Guerre, ha preferito tenerlo nelle retrovie, lasciandolo uscire solo in caso di necessità. Nei libri viene detto che dopo la prima caduta lui sia stato arrestato, in questo caso, invece, è rimasto libero come una rondine a primavera, così a poter torturare al meglio sua figlia. Con la seconda guerra, anche lui è stato catturato grazie ad un team dei migliori Occlumanti del mondo e grazie all'assistenza di Winter stessa.

 

» 2 – Sappiamo che il Ministro Shacklebolt ha eliminato i Dissennatori dalla prigione e, per quanto la sua possa esser sembrata una mossa caritatevole, nel caso di Mulciber è stata l'inizio della rovina..

 

» 3 –  Citazione da "La storia fantastica", uno dei miei film preferiti!

  

» 4 -  Citazione da "Captain America – The first avenger", perché Harry e Steve sono entrambi pieni di impertinenza ed è una cosa che adoro.

 

» 5 – Se non si fosse capito, Mulciber sta usando una sua personalissima variante della maledizione Imperius per costringere sua figlia a non respirare. Morte peggiore, perché lei è consapevole di tutto.

 

» 6 – Nomignolo rumeno che significa "cucciolo" o "pulcino". Katie è di discendenza rumena da parte di madre e irlandese da parte di padre, dal primo ramo che ha preso questo suo "oscuro" potere.

 

» 7 – Due appunti, in questo caso. Prima di tutto, sì, Mulciber è un cannibale. È sempre stato certo che mangiare i cervelli delle sue vittime lo aiutasse a sviluppare di più il suo potere. Inizialmente il suo nome in codice era "Hannibal", ma ho pensato che i maghi probabilmente non avesserola minima idea di chi fosse. Il secondo appunto riguarda Katie: lei è una negromante. I Negromanti sono soggetti capaci di controllare la magia che regola la morte, possono controllare i morti (che siano spiriti, zombie o vampiri è irrilevanti, i più forti possono resuscitare la gente – cosa che naturalmente li rende dei reietti, pericolosi per se stessi e per il mondo). Mi è stato detto che Katie/Katrina sono un po' come Dottor Jeckyll e Mr Hyde e, sinceramente, non avrei saputo dirlo meglio. Quando accede alla parte più oscura della sua anima, Katie diventa totalmente un'altra persona, non particolarmente sana di mente (una folle in stile Harley Quinn di Suicide Squad, ci intendiamo?). Nei prossimi capitoli capirete di più, lo prometto!

(PS: Scopacadaveri è un insulto che nella storia è rimasto attaccato ai negromanti a causa dello stretto legame esistente fra i negromanti e le loro creature. Raramente, in realtà, ci sono stati Negromanti disposti ad avere rapporti carnali con i morti, soprattutto perché li considerano quasi come dei figli – notare, al riguardo, l'appellativo che Katrina ha usato per il suo vampiro).

 

» 8 – Nostalgia a causa di James, naturalmente. Non dimentichiamo che Ophelia era sua cugina, un po' come una sorellina minore. In Harry lei rivede la famiglia che anni prima ha sfortunatamente perso.

 

 

Silas è spaventoso, Katie fa paura e la povera Winnie ha avuto una serata alquanto movimentata. Ma Hermione, in tutto questo?   

 

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 10
*** Atto IV, Parte IV - L'antro della Megera ***


LErede del Male.


 

You came back to find I was gone 
And that place is empty, like the hole that was left in me 
Like we were nothing at all 
It’s not what you meant to me, thought we were meant to be
*”.



[Avril Lavigne – Let me go]

                                  

 

Atto IV, Parte IV – L’Antro della Megera

 

 

 

Hermione non era mai stata un’amante di Nocturne Alley, ma lei stessa aveva ammesso che il piccolo viale malfamato di Londra fosse nulla in confronto al quartiere che Praga aveva dedicato agli affari loschi dei maghi e delle streghe di tutta Europa.

La prima volta che aveva passeggiato per quei viali – Antro della Megera1, così era chiamata quell’accozzaglia di palazzi – si era sentita subito sopraffare dall’aura malvagia che chiunque intorno a lei sembrava emanare ed era mancato poco che iniziasse a balzare fra le braccia di Barry – era stato lui ad accompagnarla per la prima volta, forse perché il suo Supervisore aveva immaginato una reazione simile da parte sua – ad ogni minimo rumore. Durante il suo secondo giro, invece, si era sorpresa che Katie sembrasse tanto a suo agio in quel luogo, l’aveva osservata camminare a testa alta e volto scoperto, gli occhi verdini accesi da quello che aveva riconosciuto essere divertimento.

Due mesi dopo, durante il suo addestramento, era stata accompagnata da Ophelia, ma aveva giurato che non avrebbe più ripetuto l’esperienza: la collega era finita a contrattare con un francese dall’aria viscida riguardo lo smercio di cadaveri dalla provenienza sconosciuta e, sinceramente, Hermione non aveva voglia di dover arrestare anche lei.

Quanto a Winter, lei non si era mai proposta di accompagnarla: troppa gente con cattive intenzioni in un luogo solo, avrebbe perso la testa in meno di mezz’ora.

 Noi siamo molto più pericolosi di loro, se ti nascondi non impareranno mai a temerti, le aveva detto un giorno la Negromante, osservandola con compassione. Hermione, a quel punto, aveva davvero iniziato a guardarsi intorno: non c’era persona che, notando lo stemma sul loro mantello, non avesse abbassato velocemente lo sguardo, sparendo nelle ombre. In quel luogo, lei era il pericolo.

Nonostante ciò, era stata contentissima di aver trovato altra compagnia. Per quanto avesse imparato a non spaventarsi più di chi la circondava, sapeva che non fosse saggio girare da sola. Lei non era certo una negromante.

Seduta a un tavolo sporco di una taverna, aspettava che il suo accompagnatore si facesse vivo mentre fissava con aria sconcertata il contenuto della tazza che un entusiasta barista le aveva messo davanti con i complimenti della casa. Pavel era un mago sulla trentina, con i capelli di un biondo slavato ed un faccione tondo e roseo, apparentemente dolcissimo ed educato ma che in realtà gestiva il più grande traffico di sostanze illecite del Nord Europa dietro il suo bancone sudicio. Quando Barry gli aveva presentato Hermione, lui ne era rimasto assolutamente folgorato, decidendo di voler far di tutto per conquistare il suo cuore o avvelenarla, lei non ne era ancora certa. Fatto stava che, messo piede in quel locale, la Banshee si era sempre ritrovata davanti tazze di qualcosa o piatti con biscottini ammuffiti.

Ophelia aveva commentato dicendo che fosse una cosa carina, mentre Barry l’aveva definito esilarante. Katie, con il naso arricciato, si era limitato a borbottare “disgustoso”. Dal canto suo, Hermione non sapeva a chi dei tre dare ragione, quindi si era limitata a concordare con Winnie, che aveva sottolineato gli aspetti positivi di quella tenerezza inaspettata: avevano appena trovato una spia inconsapevole dall’altra parte.

La porta del locale cigolò, attirando l’attenzione dei pochi clienti e di Pavlov stesso, che grugnì qualcosa di poco simpatico. Alzando lo sguardo, Hermione si ritrovò a fissare il giovane uomo dall’espressione allegra che stava aspettando, con un cappello di lana a coprire completamente i riconoscibilissimi capelli. «Scusa il ritardo, problemi di lavoro» le disse Fred, lasciandosi cadere sulla panca davanti a lei ed allungando la mano verso la tazza ancora intonsa, prendendo un sorso di qualunque cosa il barista le avesse offerto. La sua smorfia, per quanto allegra, le confermò di aver fatto bene a morire di sete. «Questa cosa è disgustosa, devo chiedere la ricetta al tuo ammiratore segreto, potremmo metterla in commercio» aggiunse, continuando ad assaporare il retrogusto che la brodaglia doveva avergli lasciato in bocca. «Sono piuttosto convinto che ci sia dentro caccola di Troll. Ed un pizzico di cannella, giusto per insaporire».

Nauseata, Hermione strinse gli occhi ed arricciò il naso. «Sono certa che la cannella abbia cambiato tutto» commentò, ironica, non aspettandosi il grugnito concorde che il gemello le dedicò, serio come non mai. «Quale scusa hai inventato con tuo fratello, questa volta? Altri fornitori impazziti?» chiese poi, piegando leggermente il capo di lato. Aveva smesso di sentirsi in colpa per le bugie che Fred aveva dovuto dire al fratello nell’ultimo anno e mezzo, dopotutto non avevano poi molta scelta, al riguardo. Si trattava del bene superiore.

Il sorriso malandrino che lui le dedicò l’avrebbe fatta arrossire, se ormai non si fosse abituata a lui. Almeno in parte. «Gli ho detto che avevo un appuntamento galante con una bella ragazza, naturalmente! Se possibile, preferisco evitare di mentire al mio adorato fratello. Non lo sai che noi gemelli siamo biologicamente impossibilitati a tenere segreti per tanto tempo?» le rispose lui, gongolando come se avesse detto qualcosa di eccezionalmente brillante. Il suo entusiasmo si acquietò quando lei, in risposta, sollevò un sopracciglio. «Beh? Cos’è quella faccia? Nessuno ti ha mai detto quanto tu sia affascinante, Hermione cara?».

«Appuntamento galante?» gli fece notare lei, inarcando di più le sopracciglia con aria scettica, guardandosi intorno. «Siamo letteralmente nel peggior letamaio d’Europa. Se questa è la tua idea di appuntamento galante, Weasley, riesco a spiegarmi con maggiore facilità perché tu sia ancora l’unico Weasley scapolo della nidiata. Tuo fratello deve aver preso tutto il buonsenso» sbottò, non riuscendo a trattenere una risatina alla fine. «L’assenza di buonsenso spiega anche la tua presenza in questo posto dimenticato da Merlino. Nessuno sano di mente avrebbe accettato la collaborazione».

Divertito, Fred si strinse nelle spalle. «Collaboro per pietà verso il tuo capo. Non posso immaginare la sua espressione quando deve aver aperto la mia busta pernacchiante, convinto di aver trovato la mia domanda d’ammissione»2 si rallegrò, scuotendo il capo. «E, in mia difesa, sarò anche l’unico ancora scapolo, ma sono anche il più bello. Le donne si sentono a disagio in mia presenza, quindi deviano in automatico verso chi mi somiglia di più. Altrimenti perché mai Angelina avrebbe scelto George e non me?».

«Probabilmente perché lui ha un taglio di capelli migliore. Immagino che la tua bellezza sia stata anche la ragione fondamentale per cui Fleur ha scelto Bill e non te».

«È stata sopraffatta dal mio charme».

«Audrey?»

«Sopraffatta dalla mia intelligenza».

«Rosemary?».

«A lei piacciono le bestie feroci, ovviamente si è presa una sbandata per Charlie. Sull’affetto che la lega a mio fratello non posso metter bocca, visto l’Inferno che le ha fatto passare mia madre».

«Harry?» propose alla fine Hermione, nascondendo un ghigno divertito dietro la mano guantata, bene attenta a non rovinarsi il rossetto. «Scommetto che lui è il tuo preferito».

Il sorriso che Fred tirò fuori, in quel momento, le fece perdere ogni dignità e la sua risata a pernacchia attirò parecchia attenzione. «Chi ti dice che Harry abbia dirottato l’attenzione dal sottoscritto? Ginny è solo una copertura, io sono il grande amore della sua cicatrizzata esistenza. Siamo due cuori ed una cicatrice. Preferirei che lui mettesse da parte le sue paure e decidesse di vivere il nostro amore alla luce del sole… anche se, sai, il sesso sfrenato…».

«Ti prego, basta». Hermione, ormai, era piegata in due dalle risate, la gente intorno a loro, inizialmente interessata, doveva aver pensato che lui le avesse fatto un qualche incantesimo, tornando quindi a farsi i fatti propri. In quel locale avrebbero potuto uccidere qualcuno e nessuno avrebbe aperto bocca.

Asciugandosi una lacrima e cercando di reprimere le immagini di Fred ed Harry in atteggiamenti intimi, la Banshee raddrizzò le spalle. «Non ti ho chiesto di raggiungermi per scherzare, Fred, lo sai che devo presentare un resoconto dettagliato di tutta la tua partecipazione e- per l’amor di Merlino, smettila di bere quella roba!» sbottando con un tono diviso fra l’esasperazione ed il divertimento, allungò la mano per togliere la tazza dalle mani del suo accompagnatore, che l’aveva riportata alle labbra.

«È più forte di me, ha un qualcosa di assuefacente. Credo che Pavlov ti abbia rifilato una pozione d’amore» le fece notare lui, osservando il liquido grigiastro con il naso arricciato. «Ora che lo guardo bene, ha un che di affascinante».

«Fred» ammonì la strega, incrociando le braccia al petto.

«Con quel suo viso squadrato ed i capelli radi…» continuò lui, imperterrito, sospirando con falsissima devozione e sbattendo le ciglia in direzione del barista, fortunatamente impegnato con il suo lavoro ed impossibilitato a guardarlo in viso.

Esasperata, Hermione si alzò in piedi, sistemandosi il mantello sulle spalle. Il Pentacolo di Circe brillava quasi di luce propria ad altezza del suo cuore, un monito per chiunque fosse in quel luogo con cattive intenzioni. «Dimmi la verità, non sei stato tu a rifiutare l’impiego con le Banshee, è stata l’Organizzazione a ritenerti inadeguato, vero? Tutta questa immaturità non ha spazio fra noi» gli disse, facendogli cenno di alzarsi.

«Mi ferisci, Hermione» esalò Fred, portandosi una mano al cuore con fare drammatico. Si accasciò su se stesso, nascondendo il viso fra le braccia e contro il tavolo lurido. «Non credo che mi riprenderò mai da questo colpo» mugugnò, sospirando con disperazione.

Lei, naturalmente, non si lasciò impressionare e, alzando gli occhi al cielo, gli diede un colpo sulla nuca. «Continua a non riprenderti mentre camminiamo, siamo già in ritardo e non ho intenzione di spiegare al Capo che abbiamo perso il nostro aggancio perché tu dovevi fare il melodrammatico».

«Sei una donna crudele» si lagnò Fred, alzandosi a sua volta e facendo un cenno di saluto a Pavlov, che lo fissò come se avesse voluto staccargli la testa. «Ho fatto bene a fare il tuo nome alle Banshee, sei perfetta per loro».

 

***

 

«Quindi chi è questo tizio che dobbiamo incontrare?» le chiese, accigliato, camminando al suo fianco con le mani ben nascoste nelle tasche della giacca. Non aveva indossato il mantello, lui e George si erano convinti che fosse giunto il momento di mettere da parte l’assurda moda dei maghi ed adottare uno stile maggiormente babbano. Hermione non aveva potuto dargli torto, anche se la giacca di pelle rossa con cui si era presentato la prima volta era stata un duro colpo da digerire. Spiegargli che quella fosse moda femminile era stato più difficile del previsto. «Ti prego, dimmi che non è di nuovo quel mezzo troll della Romania, l’ultima volta il suo puzzo tremendo non ha lasciato i miei vestiti per una settimana, ho dovuto inventare scuse assurde con mio fratello, per evitare che capisse tutto».

Lei ricordava benissimo quello specifico incontro, soprattutto perché Katie, quando era tornata, si era rifiutata di avvicinarsi o di pranzare alla sua presenza, sostenendo che l’olezzo fosse tale da farle venir voglia di vomitare il pranzo di Natale del ’95. «Non dobbiamo incontrare lui, ma il nostro aggancio viene comunque dalla Romania. Non che io ne sia sorpresa, la maggior parte degli ingredienti usati per la Negromanzia viene smerciata da lì. Anche il Messico ha un’ottima fornitura, ma arrivare ad Acapulco non mi è sembrato molto saggio, non quando possiamo ottenere tutto qui e con maggiore facilità» gli spiegò, stringendosi di più nel calore del suo mantello e rimpiangendo di non essere uscita di casa con la sua giacca. Certo, con quella avrebbe coperto lo stemma che le concedeva l’intangibilità in quel postaccio e, probabilmente, avrebbe dovuto passare il suo tempo schivando approcci più o meno amichevoli da parte degli avventori abituali. Il gioco non valeva la candela ed il fondoschiena congelato non le era sembrato grave come il dover arrestare un numero considerevole di soggetti. Si era sbagliata.

Fred annuì, nonostante avesse una brutta smorfia stampata il viso. Il cappello che gli copriva i capelli lo faceva sembrare un funghetto molto alto e decisamente buffo. «Se riguarda la Negromanzia, perché non hai portato Katie con te? Sono certo che sia abbastanza spaventosa da farsi ascoltare. Probabilmente si sarebbe fatta regalare tutto l’occorrente con una bella occhiata delle sue» le mormorò, cercando di reprimere un brivido. Hermione ricordava benissimo la prima volta in cui lui si era ritrovato faccia a faccia con Katrina3, così come ricordava tutto il tempo che le era servito per farlo smettere di tremare. Lui, molto più di Harry, aveva stretto amicizia con la ragazza che avevano conosciuto a scuola: ritrovarsi faccia a faccia con il mostro che negli ultimi anni aveva iniziato ad inghiottire la sua anima era stato un colpo troppo duro, quasi insopportabile. Mesi dopo, fortunatamente, si era sentito abbastanza tranquillo da poter parlare di lei senza star male.

Fingo siano due persone diverse, le aveva detto qualche settimana prima. Se posso separare Katie da ciò che diventa quando usa i suoi poteri, allora non è poi così male.

«Hai detto bene, è spaventosa» gli fece notare, con un sospiro stanco. «In Romania quelli come lei vengono rispettati, ma anche temuti incredibilmente. Quest’uomo che dobbiamo incontrare potrebbe darsela a gambe, vedendola, o potrebbe comunque decidere di non volerci aiutare» spiegò, stringendosi nelle spalle. «E comunque, Katie odia questo posto. Dice che puzza di carcassa in decomposizione avanzata» borbottò, schivando con un saltello una pozzanghera dal contenuto non identificabile che sembrava muoversi come se al di sotto vi fosse stato qualcosa di vivo.

«Come fa a sapere qual è la puzza di una carcassa in decomposizione avanzata?». Gli bastò lanciare un’occhiata allo sguardo esasperato che lei gli dedicò – completo di sopracciglia inarcate – per comprendere le implicazioni delle sue parole. Ovviamente Katie conosceva quell’odore in particolare, nessuno poteva biasimarla per il volersi tenere alla larga. «Beh, comunque sarebbe stato divertente vederla in azione contro qualcuno. Voglio dire, non è una cosa da tutti i giorni assistere ad una manifestazione della Morte incarnata, no? Quel trucchetto con gli occhi è favoloso, se riuscissimo a ricrearlo con qualche pozione faremmo una fortuna, sotto Halloween» convenne il gemello, grattandosi la guancia con fare riflessivo.

Lei scosse il capo, il naso arricciato in una smorfia. «Non credo sia una cosa di buon gusto, Fred» gli fece notare, con un sospiro. «È un po’ come volersi travestire da malati terminali. La gente non capirebbe le implicazioni di quegli occhi neri e Katie ne soffrirebbe. Solo perché non lo fa più vedere non vuol dire che non stia male. Ha ancora tantissimi incubi, la notte» spiegò, intristita all’idea dell’inferno che la collega era costretta ad affrontare da troppo tempo. «Fa’ in modo che non lo venga a sapere, però. È convinta che nessuno di noi sia consapevole delle sue crisi. È l’unico modo che abbiamo per impedirle di… lasciarsi andare».

Fred inspirò dal naso, le labbra serrate in una linea sottilissima. «Non avrei modo di dirle nulla, Hermione. Non parla con me o con nessun altro da anni, ormai. Fatta eccezione quel nostro breve incontro di sei mesi fa, credo abbia sempre fatto di tutto per evitarci. Io, George e Angelina… noi ce ne siamo fatti una ragione, sono anche riuscito a parlare con mio fratello per convincerlo a lasciar perdere, ma…» disse, sospirando tristemente alla fine, come sconfitto. «Sappiamo tutti che quello che ha perso di più è stato Oliver. Era distrutto, quando lei è andata via. Si è ubriacato al punto da non poter neppure stare sulla sua scopa e tu sai che Oliver riesce a stare per aria anche dopo aver preso due bolidi in testa».

Il modo in cui Hermione si irrigidì avrebbe dovuto fargli capire immediatamente che quel particolare argomento non fosse fra i suoi preferiti, ma lui non sembrò voler cambiare discorso. «Povero Oliver, deve essere stato terribile per lui. Voglio dire, come si può paragonare un cuore spezzato all’aver scoperto di poter risvegliare i morti nella tomba? Come si può paragonare la consapevolezza che sia sufficiente perdere il controllo un momento soltanto per uccidere chiunque ti tocchi alla perdita della propria fidanzatina?» sbottò, sarcastica, incrociando le braccia al petto ma rifiutandosi di guardare Fred negli occhi. «Povero tesoro, sono certa che il suo cuore spezzato lo tormenti ogni sera, mentre fa sesso con la sua futura moglie. Non certo come Katie, che passa le sue notti in un cimitero circondata da cadaveri e fantasmi che non la fanno dormire e che le concedono un po’ di riposo solo quando la stanchezza è tale da non farla più reggere in piedi. Senza contare la consapevolezza che presto o tardi potrebbe non riuscire più a mettere da parte la Negromanzia, ritrovandosi ad essere mangiata viva dal suo stesso potere» continuò, in un sibilo. «Hai proprio ragione, povero Oliver. La sua è davvero una vita terrificante».

Fred non le disse nulla, quantomeno non subito. Poi, quasi stancamente, le poggiò una mano sulla spalla e la costrinse a fermarsi per guardarlo negli occhi. «Io non posso capire cosa stia vivendo Katie, ma posso capire Oliver. Un cuore spezzato può distruggerti dall’interno esattamente come una malattia, non puoi fargli una colpa se ha trovato un po’ di pace fra le braccia di Lucinda».

Il senso di colpa che colpì Hermione le avrebbe fatto abbassare lo sguardo, se fosse stata ancora la stessa ragazza di due anni prima, ma non più. Anche il suo cuore era stato spezzato più volte, nessuno più di lei avrebbe potuto capire Oliver. «Oliver crede che lei abbia semplicemente deciso di sparire dalla circolazione, con due parole d’addio» gli disse, con un sussurro. «Katie, invece, è stata costretta ad andare via per evitare di metterlo in pericolo, soprattutto i primi anni di addestramento. Cosa credi che abbia provato, dopo aver scoperto che lui avesse chiesto a quella donna di sposarlo, pur avendole urlato che l’avrebbe aspettata per sempre?» gli chiese, ricordando con chiarezza gli accadimenti di quel terribile pomeriggio invernale quando, per la prima volta, Katrina aveva perso il controllo. «Solo perché la sua esistenza è legata al mondo dei morti non significa che il suo cuore non batta, Fred».

Fred scosse il capo, sospirando. «Noi conosciamo solo metà della storia e, per quanto possiamo confrontarci, dubito che riusciremmo mai ad avere il quadro completo» le fece notare, stringendosi nelle spalle. «Hanno avuto modo e tempo di sistemare le cose, che poi non l’abbiano fatto non ci riguarda. Sono tutti e due adulti e vaccinati, dopotutto».

Confusa, Hermione si voltò a guardarlo, le sopracciglia inarcate. «Questo è un discorso molto… maturo, da parte tua, Fred» gli fece notare, il risentimento verso Oliver ormai un fantasma nascosto sul fondo della sua voce. «Ho sempre pensato che quando ci saremmo trovati a dover affrontare questo discorso avremmo finito col litigare. Tu e George, se ricordo bene, eravate parecchio interessati nelle vite altrui. Non hai provato forse a rifilare un filtro d’amore a Ron per conto mio, anche se io non ti avevo chiesto nulla?» aggiunse, ricordando con chiarezza l’episodio e scoprendosi sorpresa nel non percepire alcun tipo di dolore al ricordo del vecchio amore.

Era l’inizio del sesto anno, lei l’aveva sorpreso un attimo prima che infilasse un suo capello nell’ampollina che, come poi lui aveva confermato, avrebbe rifilato a Ron. Era il periodo della crisi LavLav e RonRon, Fred e George dovevano aver pensato che usare una pozione per evitare che una tale oca giuliva entrasse a far parte della famiglia fosse il male minore. Naturalmente, Hermione si era opposta ed aveva gentilmente fatto sapere loro che un amore nato a causa di un incanto non sarebbe mai stato reale e che lei avrebbe preferito la morte piuttosto che una tale presa per i fondelli. Fred c’era rimasto particolarmente male, ma aveva rispettato il suo desiderio e, alla fine, le cose avevano iniziato a girare in suo favore.

Almeno per un po’.

Il giovane si rifiutò di incrociare il suo sguardo, limitandosi a fissare la strada davanti a lui. «Sono un uomo pieno di sorprese e sono decisamente più egoista di quanto tu non creda» le fece solo notare, prima di indicare, con un cenno, quello che sembrava essere un sottopassaggio buio e umido a causa dell’acqua ristagnata che colava dai tubi sovrastanti. «Ho idea che abbiamo trovato il tuo amico, quante persone qui in mezzo si metterebbero a chiacchierare con… con un cadavere?» azzardò, accigliato.

Tirando velocemente fuori dalla tasca la piccola fotografia che il Capo le aveva dato quella mattina, Hermione fissò l’uomo che Fred le aveva indicato, per poi annuire. Era probabile che l’immagine risalisse a qualche anno prima, poiché l’uomo era decisamente più stempiato ed i suoi pochi capelli erano tendenti al grigio piuttosto che al nero, ma l’espressione furba e cattiva del visetto non sembrava cambiata di una virgola.

L’avvertimento di Katie le evitò di fare mosse azzardate. L’amica l’aveva guardata con quello che le era sembrato disgusto, intimandole di “non avvicinarsi troppo a quel viscido figlio di una Banshee”, sempre che avesse avuto a cuore la sua esistenza. Per quanto debole, rispetto lei, l’uomo era comunque un negromante ed Hermione non aveva alcuna difesa contro la Morte.

Con un cenno del capo, fece in modo che Fred la seguisse ma che non parlasse, fermandosi solo giunta al limite delle ombre che separavano il sottopassaggio dalla strada esposta alla luce. Da quella distanza, entrambi riuscirono a sentire distintamente un bisbiglio – insensato alle loro orecchie – a cui l’uomo sembrava rispondere. Non era la prima volta che Hermione si ritrovava a vivere quella particolare situazione, ma le vennero comunque i brividi.

La lingua dei morti non era fatta per essere compresa da chi avesse ancora un cuore pulsante.

«Dragomir Romanescu?» chiese lei, rovistando nella tasca del mantello per estrarre il pendente con il Pentacolo che le valeva come un qualunque distintivo babbano, consentendole, però, di affermare la sua autorità su qualunque rappresentate di uno Stato membro della Conferenza Internazionale Magica. L’uomo, piuttosto che mostrare la stessa reazione ansiosa che lei si era aspettata, si limitò a sospirare. «Sono qui in nome della Squadra Banshee, sappiamo che sei in possesso di…».

«So benissimo chi sei, Hermione Granger» la liquidò lui, con un gesto veloce della mano. «Ho già preparato ciò che avreste voluto prendere con la forza, così non saremo costretti ad inutili trattative» aggiunse, indicando un pacchetto dall’aria sospetta lasciato a pochi passi dal cadavere con cui doveva aver intrattenuto la sua conversazione.

Accigliato, Fred si fece avanti. «Come fai a sapere cosa vogliamo?» domandò, allungando la mano per afferrare il braccio di Hermione. Non la stava trattenendo e non sembrava intenzionato a spostarla dietro di sé per farle da scudo, ma era ben chiaro che volesse attirare la sua attenzione. Non si fidava del loro nuovo amico e voleva che lei fosse pronta a fughe d’emergenza.

Il negromante rise, scuotendo il capo e mugugnando qualcosa in rumeno, prima di tornare a guardarli. «Come faccio, mi chiede! Ah, ragazzo, se solo potessi sentire ciò che sento io. Se solo potessi vedere ciò che vedo io» si lagnò, spuntando a terra con aria esasperata e disgustata. Distratta, Hermione si chiese se quel modo di fare appartenesse a tutti i Negromanti in generale, essendo un comportamento che la stessa Katie aveva acquisito, negli ultimi anni. «Prendete quello che vi ho portato e sparite, non voglio essere collegato a voi».

Con un colpo di bacchetta, Hermione fece in modo che il sacchetto levitasse nella sua direzione. Uno sguardo veloce all’interno e l’odore acre del contenuto le confermò che l’uomo non avesse detto delle sciocchezze. «Se non vuoi essere collegato a noi, perché ci stai aiutando? E non hai risposto alla domanda: come fai a sapere chi siamo e cosa vogliamo?».

Il negromante grugnì, guardandola con i suoi profondi occhi neri come la notte. Forse a causa di Katrina, Hermione non si sentì troppo spaventata. «I morti parlano, signorina Granger. Quello che vuole ostacolarvi è… peggiore di qualunque minaccia sia mai passata per questo mondo, preferirei evitare di ricongiungermi alla Madre4 tanto velocemente. Quindi, ecco a voi gli ingredienti per salvare il mondo, io ho ufficialmente fatto la mia parte» li ammonì. «Lasciate, tuttavia, che vi avverta: non tutti possono essere salvati. Se vorrete salvare il mondo, allora dovrete fare dei sacrifici immensi» continuò, sorridendo così ampiamente da mettere in mostra pochi denti neri. «Portate i miei rispetti alla vostra amica. Dite a Trina che lo zio la sta ancora aspettando e non vede l'ora di fare quattro chiacchiere con lei».

 

 

 

 

»Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Io vivo per Fred DramaQueen Weasley e per Hermione Unimpressed Granger. Scrivere di loro due mi ha fatto passare un po’ dell’ansia che il buon vecchio Mulciber mi ha messo addosso. Ma tranquilli, la pacchia è già finita.

E, comunque, Pavlov/Fred per sempre proprio.

 

 

Punti importanti:

 

» *Sei tonata per scoprire che me n’ero andato/ E quel posto è vuoto, come il buco che è rimasto in me/ Come se fossimo niente/ Non è ciò che significavi per me, credevo fossimo destinati a stare insieme. Ma di chi stiamo parlando? Oliver e Katie, oppure… qualcun altro? #EgoistaIsTheNewCuoreInfranto

 

» 1 – Io volevo trovare un nome in Polacco che fosse figo come Nocturne Alley, ma non l’ho trovato e, sinceramente, mettere roba che non so neppure pronunciare non mi attirava particolarmente. Si tratta di un quartiere nascosto nei bassifondi di Praga, diversamente da Nocturne Alley ha anche gente che ci vive regolarmente, essendo molto più di una semplice stradina. Perché nessuno ha mai fatto nulla per sgomberare quel postaccio? Perché meglio tenerli tutti lì, sotto controllo, piuttosto che sparsi in giro per il mondo. Hermione non è un cuor di leone in questa situazione, ma la prima volta che è andata a fare un giro da quelle parti erano passate solo poche settimane dall’inizio del suo addestramento, non potete dirle nulla.

 

» 2 – Ta-daaaaaan!!! Sì, se non avete capito ve lo confermo io: non soltanto Fred sapeva cos’aveva fatto Hermione negli ultimi due anni, ma addirittura lui era stato posto sotto osservazione per entrare a far parte del gruppo. Facciamo una piccola digressione:

Quando il ritorno di Lord Voldemort è diventato evidente, le Banshee hanno naturalmente sentito la necessità di espandere i propri ranghi e chi meglio di due gemelli geniali, per aiutarli a sviluppare nuove difese? Non dimentichiamo che Fred e George sono geniali, capaci di creare incantesimi di ogni tipo e con relativa facilità, è naturale che siano stati messi subito sotto osservazione. Perché, quindi, non sono loro i colleghi di Hermione? Semplice, il periodo di osservazione è iniziato più o meno all’inizio del settimo libro, proprio quando George ha perso l’orecchio. Ora, come avrete capito già dalle condizioni di Barry (al signorino manca una mano), di solito le Banshee non si fanno problemi con i deficit fisico e tantomeno con quelli mentali non troppo pronunciati, tuttavia l’orecchio di George non può essere rimpiazzato con un uncino ed essendo stato falciato dalla magia oscura ha permanentemente danneggiato il suo senso dell’udito e, soprattutto, il suo senso dell’equilibrio, rendendolo non più idoneo. Fred¸ tuttavia, era tutta un’altra storia. È stato avvicinato da Barry e dal (futuro) Supervisore di Herione più o meno un paio di mesi dopo il matrimonio di Bill ma, come detto sopra, la sua risposta è stata una grandissima pernacchia. O avrebbero preso anche George oppure nulla. Poi, ovviamente, con la situazione di Ron, Fred stesso ha notato la caduta di Hermione ed ha capito quanto lei fosse più adatta a quel ruolo, salvandole la vita di conseguenza.  

 

» 3 –  Pur non essendo parte delle Banshee, Fred ha una autorizzazione speciale per la collaborazione con la squadra, essendo innegabilmente pieno di risorse nel rintracciare nuovi incantesimi e combinazioni di ingredienti parecchio pericolose. Essenzialmente, Fred è pericoloso per le sue capacità e l’Organizzazione preferisce tenerselo buono. Ora, grazie a questa collaborazione, Fred si è ritrovato faccia a faccia con Katie (in versione normale) ma ha avuto l’ardire di chiederle per quale accidenti di motivo avesse deciso di lasciare Oliver senza una spiegazione, chiamandola con nomi tutt’altro che carini e dandole, soprattutto, dell’egoista. È un eufemismo dire che a Katrina quell’eufemismo non sia piaciuto. Fred ne è rimasto assolutamente traumatizzato e non ha più osato dirle nulla al riguardo.

  

» 4 -  Piccola digressione sui Negromanti: la loro è una religione, prima che un modo di essere. Quando parlano della Morte ne parlano come “Madre”, perché da Lei viene il loro potere e, essendo questo potere tutto, ne deriva che la Madre è ciò che li ha creati. Nessuno sa da dove abbia origine la loro abilità di comunicare con l’altra parte, molti parlano di una famiglia rumena che all’alba dei tempi ha fatto un patto con la Morte stessa, scambiando l’anima di tutti i suoi membri (anche quelli futuri) con la capacità di controllare il confine fra vivi e morti e nessuno, ancora, ha potuto trovare una spiegazione migliore. Certo è che ancora oggi queste persone sembrano destinate a perdere, molto lentamente, la propria anima, diventando nulla più che gusci vuoti. Serve equilibrio nel mondo e, per portare indietro qualcosa che è morto, bisogna mandare dall’altra parte qualcosa che è vivo e spesso questo qualcosa di vivo è il negromante stesso.

 

 

 

 

Sono decisamente più egoista di quanto tu non creda.

Io lo lascio qui.

 

Il prossimo capitolo vi porterà nuovi drammi, non temete, le risate durano poco  

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 11
*** Atto V, Parte I - Succubus ***


LErede del Male.


 

I torture you
Take my hand through the flames
I torture you
I'm a slave to your games
I'm just a sucker for pain
I wanna chain you up
I wanna tie you down
I'm just a sucker for pain
*”.



[Imagine Dragons, Lil’ Wayne, X Ambassadors, Ty Dolla $ign, Logic  – Sucker for pain]

                                  

 

Atto V, Parte I –  Succubus

 

 

 

Ciò che restava della vecchia casa di Godric’s Hollow si stagliava intorno a lui, il doloroso promemoria di come tutte le sue disgrazie fossero iniziate. Camminava sulle macerie con sguardo perso, bene attento a non concentrarsi su alcun dettaglio: aveva fatto quel sogno1 mille e mille volte, sapeva bene che fissandosi sul mucchietto alla sua immediata destra avrebbe potuto vedere i capelli rossi di sua madre spuntare da sotto la polvere ed i calcinacci, oppure, guardando sulla sinistra, sapeva che si sarebbe trovato faccia a faccia con la mano di suo padre, abbandonata nell’oblio della morte.

Era buio, tutt’intorno a lui, perché si trattava della notte in cui i suoi genitori avevano perso la vita. La stessa notte che aveva condannato lui a diventare il Bambino Sopravvissuto, che aveva tolto la vita a due giovani senza colpa e che aveva portato Sirius a cercare quella vendetta che un giorno lo avrebbe condotto alla morte.

«Estremamente drammatico come scenario» commentò Katie – perché era Katie, la sua vecchia amica – mentre saltava giù da ciò che era rimasto del primo piano della villetta. Non si chiese come avesse fatto a saltare da tanto in alto senza farsi del male, dopotutto quello era un sogno. «Nonostante tutto, Harry, non pensavo che fossi così scenografico. A scuola sembrava quasi che il dramma seguisse te, non che fossi tu a cercarlo» gli fece notare, non senza una punta di sarcasmo nella voce.

Lui, senza guardarla, si strinse nelle spalle. «Quando passi la vita a ritrovarti sempre ad un passo dalla morte, alla fine la normalità non ti sembra più tanto normale. Se avessi sognato cose allegre, probabilmente non avrei avuto bisogno del vostro aiuto» spiegò, voltandosi alla ricerca della loro seconda accompagnatrice. Ophelia non era mai stata una gran chiacchierona, ma quella tranquillità era davvero fuori dalla norma, non gli sembrava neppure di averla sentita camminare.

Prima che potesse vederla, tuttavia, Katie attirò la sua attenzione. «Quindi non hai mai smesso di rivivere questo sogno? Ogni notte da quattro anni» affermò, curiosa, incrociando le braccia al petto e guardandosi intorno. «Non hai mai pensato di parlarne con qualcuno? Sono certa che il nostro psicologo di fiducia sarebbe estasiato all’idea di darti una mano. Il Dottore2 è il migliore nel suo campo, sai. Anche se credo sia naturale, dopotutto è di discendenza irlandese» sottolineò, quasi l’ultimo dettaglio fosse l’unica ragione per cui lui avrebbe dovuto fidarsi dello strizzacervelli delle Banshee.

L’istinto di sorridere riuscì a vincere la naturale ansia che quel luogo gli incuteva. Katie era sempre stata estremamente patriottica, proprio come Seamus. Non c’era da sorprendersi che ai tempi della scuola fossero stati tanto amici. «Anche Ginny e gli altri sono per metà irlandesi» constatò, inarcando le sopracciglia. «Quindi anche i miei figli lo saranno, per tua somma gioia». La osservò sorridere e, per un istante, si convinse quasi di poter dimenticare ciò che aveva vissuto poche ore prima nella cripta dei Malfoy. Katie era pur sempre Katie. «Mi auguro che non sviluppino la stessa intraprendenza di voialtri irlandesi, però. Preferirei dormire la notte».

Katie lo fissò come se l’avesse appena insultata pesantemente. «Stai forse insinuando che noi irlandesi siamo chiassosi, Harry Potter? Sono certa che a Ginevra farà piacere sapere che hai una così bassa considerazione delle sue origini migliori» gli disse, con una smorfia, puntandogli contro l’indice, forse intenzionata a continuare il suo sproloquio. Il modo in cui Harry arretrò, tuttavia, con gli occhi improvvisamente spalancati, la fece desistere.

Solo poche ore prima, lei era stata abbastanza spaventosa da terrorizzare uno degli uomini più pericolosi mai esistiti.

Si pentì subito di quella reazione esagerata: Katie aveva ampiamente dimostrato che non avrebbe mai fatto del male a lui o a qualcun altro dei loro amici. La paura, tuttavia, non era mai stata un’emozione razionale, non per lui. La possibilità di averla ferita lo fece sentire in colpa solo in parte, poiché nel profondo gli sembrava assurdo che lei non si aspettasse un minimo di ritrosia nei suoi confronti.

La osservò accigliarsi, per poi infilare le mani in tasca e dargli le spalle. Gli sembrò quasi di vedere una cortina di ferro cadere fra lei ed il resto del mondo, rinchiudendola nel bozzolo di indifferenza che ormai esser diventato la sua seconda pelle. Harry sentì freddo, esattamente come quando lei aveva fatto la sua irruzione nella cripta.

Quando Katie non sapeva più difendersi, era Katrina a prendere il controllo.

«Solitamente quanto tempo ti ci vuole per far evolvere il sogno?» gli chiese, secca, la voce piatta per l’assenza di qualunque tipo di emozione. «Senza Winter non possiamo muoverci a piacimento nella tua psiche ed in questo posto c’è puzza di animale morto, preferirei sbrigarmi e andare a farmi un meritatissimo pisolino. Nei miei sogni di solito sono su una spiaggia tropicale con un bel drink in mano e senza idioti intorno».

Harry pensò bene di ignorare il veleno nelle sue parole. «Qualche minuto, Voldemort non mi lascia mai troppo tempo a riflettere».

«Probabilmente non gli piace trovarsi in mezzo ai tuoi sproloqui drammatici» commentò lei, con davvero poca ironia. «Non posso dargli torto, a questo posto mancano soltanto dannati tuoni e fulmini per diventare la perfetta ambientazione di un romanzo dell’orrore» aggiunse, nauseata, iniziando ad arrampicarsi su un piccolo cumulo di macerie, intenzionata a non continuare la loro discussione.

Doveva averla ferita più del previsto.

Convincendosi di avere tutto il tempo per chiederle scusa, Harry tornò alla ricerca della donna che li aveva accompagnati, ritrovandola dopo poco accanto a quelli che lui sapeva essere i resti di suo padre, le braccia strette intorno al proprio busto come se avesse voluto proteggersi da ciò che aveva davanti. Nonostante gli occhiali, dovette avvicinarsi per poter distinguere la sua espressione e quasi restò interdetto quando si rese conto della patina acquosa che aveva ricoperto i suoi occhi scuri. Incerto, si avvicinò a lei, sperando di non spaventarla.

«Ophelia?».

Sentendolo arrivare lei non saltò via, come lui aveva temuto, ma si limitò ad irrigidire le spalle, quasi si fosse appena ricordata di non essere sola. Non lo guardò, gli occhi puntati nel punto in cui Harry sapeva ci sarebbe stato il viso senza vita di suo padre, che lui non aveva la minima voglia di rivedere. Troppe volte era caduto, in quel punto, sentendo il cuore spezzarsi per la nostalgia nei confronti di quell’uomo che non aveva neppure conosciuto davvero. «Gli dicevo sempre che sarebbe morto a centotrent’anni e circondato da mille nipotini» mormorò lei, forse parlando a se stessa piuttosto che a lui. «Ma lui voleva altro. Lui voleva l’avventura, l’onore… mi diceva sempre “Philly, dov’è la gloria nello stare a casa a fare la maglia?”» la sua voce cambiò di qualche ottava, nell’ultima parte della frase, e ad Harry quel tono sembrò terribilmente familiare, quasi avesse davvero sentito qualcun latro parlare così. «Alla fine, credo che fare la maglia non gli sarebbe dispiaciuto così tanto. Ma non puoi sfuggire al destino, non è vero?».

Confuso, Harry le posò la mano sulla spalla, costringendola a guardarlo. «Come fai a sapere queste cose? Conoscevi mio padre?».

Quasi come se non avesse aspettato altro, Ophelia lo guardò, le lacrime ancora ad appannarle lo sguardo. «Oh, Harry, io e tuo padre…».

La voce di Katie, aspra e dura, le impedì di continuare. «Ragazzi, abbiamo delle visite».

Lord Voldemort era arrivato.

Era sempre arrivato come un fantasma, nulla più di un ricordo impresso nella memoria di un ragazzo che aveva vissuto troppi traumi per poter avere dei sogni lieti. Anche quella volta passò sopra di lui, volando in cerchi sopra la sua testa come un avvoltoio pronto a balzare su di una carcassa. Per molto tempo, Harry aveva interpretato quell’entrata come una visione del futuro che presto gli sarebbe toccato. Alla fine, tuttavia, aveva semplicemente accettato la realtà: tutti sarebbero presto morti. L’arrivo di Voldemort non era altro che un felice memento di ciò che sarebbe comunque arrivato. Di nuovo, quindi, Harry sorrise, facendosi avanti per fronteggiare il suo vecchio amico.

Tuttavia, qualcosa cambiò. Non fu verso di lui che Voldemort si voltò, ma verso la negromante, riapparsa al suo fianco con la silenziosità di un’ombra. Pur non potendo vedere il suo sguardo, Harry seppe che i due si stessero fissando dritto negli occhi, comunicando come lui non aveva mai potuto – o saputo – fare. Anche Ophelia, che sembrava essersi ripresa al momento di debolezza, spostò la sua attenzione sulla creatura che aveva appena fatto il suo arrivo. L’aria intorno a loro cambiò, diventando afosa, soffocante come mai prima d’allora, mentre il cielo si colorava di una tinta color sangue.

«Non credevo che avrei mai avuto modo di scontrarmi con te faccia a faccia, Tom Riddle» disse Katrina, cantilenando prima di scoppiare in una risata allegra a dir poco agghiacciante in quel contesto. La creatura piegò il capo incappucciato di lato, con quella che Harry si sorprese a definire curiosità. «Uhm? Ah, Harry non ha mai capito che tu fossi tu? Non puoi aspettarti molto, non è mai stato una volpe. Senza Hermione, la sua amica Sanguesporco, non sarebbe riuscito a sopravvivere al tuo ultimo attacco. Ottima mossa quella degli Horcrux, comunque. Un vero tocco da maestro. Peccato solo per la mania di grandezza, avresti dovuto usare oggetti inutili, come per le Passaporte, allora che saresti stato invincibile3» gli disse lei, quasi esasperata.

Stava rimproverando Voldemort di non essere stato abbastanza furbo?

«Tu-Sai-Chi è un morto» lo avvisò Ophelia, l’angolo destro delle labbra leggermente piegato verso l’altro, quasi fosse stata tentata di sorridere ma non ne avesse trovata la forza necessaria. Sembrava ancora vagamente provata dalla visione del cadavere di James poco lontano. «Katrina non può portargli rancore. Il legame che esiste fra i Negromanti ed i deceduti è… strano. Non mi aspetto che tu lo capisca, io ci riesco solo parzialmente e in molti, al quartier generale, mi hanno dato della necrofila per questo». Si strinse nelle spalle, tornando ad osservare i due, presi da delle chiacchiere a dir poco senza senso. «Diversamente dai vivi, i morti sono molto facili da comprendere. Non mentono, non giudicano, ti ascoltano sempre».

Se l’istinto di Harry, quello che l’addestramento Auror aveva temprato, fosse stato una persona, si sarebbe allontanato di una decina di passi ed avrebbe liquidato quelle donne con un veloce “bizzarre”, prima di darsela a gambe e fare di tutto per risvegliarsi e scappare via da sua moglie, che sicuramente non era un’amante dei morti di nessun tipo. Tuttavia il suo nuovo istinto, quello che gli ultimi giorni avevano costretto a crescere molto più velocemente del previsto, riuscì a mantenerlo calmo. Non poteva criticare le scelte di vita di quelle donne, soprattutto perché una non aveva scelto di essere ciò che era e l’altra… l’altra gli stava semplicemente simpatica.

«Potter» chiamò Katrina, voltandosi verso di lui con un gesto armonioso del capo, guardandolo con i suoi occhi vuoti come la notte senza stelle. «Coraggio, solo tu potrai dare una voce al vecchio Tom. Ho bisogno che tu ti faccia possedere da lui e non abbiamo proprio tempo da perdere».

Ecco, una frase del genere, in qualunque altro contesto, avrebbe fatto scattare tutte le sirene d’allarme che l’Auror sapeva di avere disseminate per il cervello. Lo sguardo di Katie, tuttavia, lo inchiodò sul posto molto più delle mani di Ophelia sulle spalle. Si limitò a fissarla, tentato di spalancare la bocca senza mai più richiuderla. Ogni fibra del suo corpo lo supplicò di obbedire, così che l’incanto che era la sua voce non si fermasse più e graziasse ancora una volta le sue orecchie. Si sarebbe ucciso, se Katrina glial’avesse chiesto4.

«Va bene».

 

Un’ora dopo, era di nuovo sveglio, sdraiato su un divano con Ophelia intenta a tamponargli il viso con un panno umido ed il marito di lei preso a sussurrare animatamente con la negromante, tornata ad essere se stessa nonostante il pallore. Sembrava debole, non più fiorente in quella forza che la Morte sembrava concederle. Era distrutta, quasi avesse appena finito di combattere una guerra da sola.

«Vai a riposare» stava ammonendo l’uomo, visibilmente irritato. «Non riesco a capire cosa dev’esserti passato per la testa! Usare tutta quella potenza! Avresti potuto restarci secca, lo sai? Saresti potuta restare bloccata in quella forma e allora non avremmo più potuto salvarti. Non è Katrina che dobbiamo proteggere, sei tu».

Katie, le braccia incrociate al petto, sbuffò. Lei, così come i consorti, non si era resa conto che lui si fosse svegliato. «Cos’avrei dovuto fare? Era evidente che il collegamento stesse funzionando. Volevamo informazioni e sono certa che quando Harry si sveglierà le avremo. Io ho solo fatto il mio lavoro, Barry, lo sai anche tu» sbottò, fissandolo dritto negli occhi con aria di sfida. «Non sottovalutarmi, vecchio, so bene cosa faccio».

Barry Maine ringhiò, più simile alle bestie che tanto gli piacevano, piuttosto che ad un essere umano. «Non fare l’impertinente con me, ragazzina, ho trattato con belve ben più pericolose di te» le sibilò, scoprendo i denti. «Non me ne importa un’accidenti se abbiamo appena trovato la chiave per salvare il mondo, hai capito? Non puoi mettere a rischio la tua anima in questo modo. Non ho intenzione di passare il resto della vita a dovermi prendere cura di quella psicopatica della tua alter ego, sono stato chiaro? Limita quei giochini, Bell, o giuro che ti farò rinchiudere in un sotterraneo» continuò, posandole l’unica mano sulla spalla e scuotendola leggermente. Era piuttosto evidente che non fosse davvero in pena all’idea di dover avere a che fare con Katrina per sempre ma che, piuttosto, fosse la prospettiva di perdere Katie a metterlo in ansia.

Ophelia, accanto ad Harry, sospirò. Anche lei doveva condividere la preoccupazione del marito. Era sorprendente quanto fossero legati alla sua vecchia amica, quasi avessero fatto del suo benessere la loro missione fondamentale.

Come dei genitori.

Katie, evidentemente non apprezzando quella preoccupazione, si liberò velocemente della presa. «Credi che a me lei piaccia?» gli chiese, quasi squittendo con rabbia. Le lacrime potevano essere percepite sul fondo della sua gola. Il cuore di Harry sembrò stringersi in una morsa al pensiero di cosa lei dovesse provare, ogni qualvolta che l’altra prendesse possesso del corpo che condividevano. Essere qualcuno di sbagliato, sentirsi sbagliato… era qualcosa che Harry comprendeva piuttosto bene. «Credi forse che io sia felice di rischiare di perdermi, ogni volta? Ma non ho altra scelta, se non la libero di mia spontanea volontà, lei scappa. E senza il controllo su Katrina, io non sono più nulla5» aggiunse la ragazza, arretrando di un passo. «È tutto ciò che ho, ormai. L’unica cosa che posso fare è usare questo orrore che mi sono ritrovata sulle spalle e quantomeno renderla utile. Non me ne importa un cazzo di ciò che vuoi tu o la tua stupida moglie. Lasciatemi vivere quel po’ di vita che mi è rimasta e andatevene al diavolo».

Un passo, poi un altro. Katie sparì in uno sventolio di capelli biondi.

«Forse non dovremmo lasciarla da sola» intervenne Hermione, spuntata direttamente da oltre una porta che Harry non aveva neppure notato. Era pallida, ma autoritaria. «L’ultima volta ha perso il controllo ed ha quasi ucciso quel novizio che l’aveva chiamata bambola» specificò, scambiandosi uno sguardo incerto con Barry e poi con Ophelia. Nel farlo, notò gli occhi spalancati di Harry. «Ti sei svegliato» constatò, con un leggero sorriso. «Scusa per la scenata».

Riconoscendo la fine della sua falsa, Harry si alzò, stiracchiandosi leggermente. «Non scusarti, temo sia colpa mia» mormorò, incerto, tirando giù le gambe dal divano e fissando con dispiacere la porta oltre la quale la bionda era appena sparita. «Posso fare qualcosa? Magari potrei andare a parlarle» propose, con incertezza.

Maine scosse il capo, passandosi una mano sul viso. «No, meglio che resti qui, al sicuro. Non credo che Katrina farà male a qualcuno, non al Quartier Generale. Sono tutti suoi amici e, nel caso non lo fossero, probabilmente non avrebbe alcun interesse in loro. Il suo modo di guardare al mondo è molto contorto, al massimo proverebbe a spaventarti per aver fatto innervosire tanto Katie».

Con un gesto automatico, Harry si risollevò gli occhiali che erano scivolati lungo il suo naso. «Quindi sono davvero da considerare persone diverse, eh? E mentre Katie odia Katrina…».

«Katrina è particolarmente protettiva verso Katie» continuò Ophelia, annuendo leggermente. «Ha ucciso solo perché qualcuno le aveva fatto del male. Quando Oliver Baston ha annunciato il suo matrimonio, abbiamo dovuto chiuderla in una cripta per evitarle di andare e strappargli via l’anima letteralmente con le unghie6» mormorò, con un sospiro dispiaciuto.

Hermione scosse il capo, pizzicandosi poi la radice del naso con aria stanca. «Siamo fortunati che abbia capito che uccidere i suoi nemici non sia un buon modo per farsela amica. Ormai si limita a spaventare chi la infastidisce. L’ultima volta, se non sbaglio, ha spaventato un inserviente al punto di non farlo più dormire al buio, la notte» raccontò, esasperata. «Siamo fortunati che non ci sia nessuno, qui, che Katie od- oh, Merlino» fermandosi a metà frase, con uno scatto si voltò verso Ophelia, che sembrava a sua volta essersi irrigidita. «Ti prego, dimmi che hai lasciato qualcuno a fare la guardia a Malfoy!».

 

***

 

Quando Draco riaprì gli occhi, pensò di essere morto.

Una nauseante sensazione di vuoto allo stomaco aveva accompagnato il doloroso martellare della testa finché un istinto irrefrenabile lo aveva spinto a spalancare le palpebre e ritrovarsi nell’oscurità più totale. Tanti maghi e streghe si erano lasciati andare a sproloqui lunghissimi su cosa ci fosse dall’altra parte, ma in pochi avevano azzeccato che la Morte fosse, in realtà, solo una distesa buia e calda in modo quasi opprimente. Nella Morte, stranamente, Draco sentiva di essere costretto su una superficie morbida – forse la sua bara? Era stato sepolto vivo? – e costretto da quelle che sembravano coperte di lana. Forse Rosier7 lo aveva smembrato ed avevano dovuto coprirlo per evitare che ai pochi presenti al suo funerale venisse un coccolone.

«Piantala di rimuginare, Malfoy, non sei morto» lo ammonì una voce relativamente conosciuta da un angolo alla sua sinistra. Con difficoltà, Draco si voltò nella direzione del suono e, strizzando gli occhi, cercò di distinguere qualche lineamento. Si trattava di una donna, di quello era piuttosto sicuro, ma una felpa gli impediva di notare altri dettagli. Doveva essere raggomitolata su una poltrona, oppure doveva essere molto bassa e tozza.

«Con tutto il dovuto rispetto,» le fece notare, schiarendosi la voce e cercando di reprimere un conato di vomito a causa del feroce dolore alla fronte che lo assalì, «ma se fossi morto e tu fossi il mio diavolo punitore, probabilmente diresti la stessa cosa per illudermi e poi colpirmi quando meno me lo aspetto». Con una smorfia, si grattò una tempia, sorprendendosi nel sentire sotto le dita della stoffa ruvida. Era stato bendato. «Posso sapere chi sei?».

La donna nell’angolo si alzò – non era nana, allora – e si avviò a qualche passo di distanza, recuperando qualcosa di piccolo e sottile che Draco sospettò fosse la sua bacchetta. Un mormorio indistinto e la fredda luce del Lumos gli rivelò il profilo pallidissimo di quello che doveva essere un cadavere, il colorito grigiastro e gli occhi vuoti non lasciavano adito ad alcun tipo di dubbio. Le labbra bluastre erano piegate in un ghigno mefistofelico e, per un istante, Draco pensò che se non fosse già morto probabilmente la paura l’avrebbe ucciso in quel momento. 

«Ma come, non mi riconosci?» gli chiese il cadavere, muovendosi nella sua direzione senza preoccuparsi del fatto che lui fosse praticamente appiattito contro i cuscini. «Eppure sei stato tu a farmi questo» gli fece notare, il sorriso diventato più piccolo e pieno di rabbia. «È deprimente, il mio creatore che non riesce a vedermi… Sono davvero tanto insignificante ai tuoi occhi, Draco Malfoy?» gli chiese, ormai arrivata ai piedi del letto. Le ombre che la flebile luce della bacchetta proiettavano nella stanza continuarono a mostrargli quella donna come un mostro di cui Draco non conosceva la più remota origine, illuminando anche il mobilio di quella che sembrava essere una stanza d’ospedale.

Improvvisamente più conscio che mai d’essere ancora vivo e di volerlo restare, il mago deglutì, cercando con la coda dell’occhio qualunque oggetto vicino che avrebbe potuto aiutarlo ad allontanare la minaccia. Il dolore alla testa stava diventando insopportabile, ma il terrore di essere ad un passo dal decesso riuscì a tenerlo sufficientemente lucido da non lasciarsi andare. «Cosa sei tu?» chiese, in un sussurro, osservando la donna piegare il capo di lato – una ciocca di capelli biondi sfuggì da oltre il cappuccio della felpa – come se avesse detto una cosa particolarmente buffa.

Incurante del suo verso sconfortato, lei si arrampicò sul letto, gattonando nella sua direzione fino a ritrovarsi sopra di lui, gli occhi neri ridotti ad una fessura sottilissima. Essendo così vicina, Draco si rese conto di quanto bella fosse quella creatura. Spaventosa, naturalmente, ma non meno affascinante. Lo fece pensare ad una vedova nera, incantevole per i suoi simili ma letale come null’altro al mondo, e per un istante la paura venne accompagnata da un’emozione diversa, quasi assurda in un momento terribile come quello. Lei, il sorriso nuovamente ben largo sul viso gelido, si portò alla sua stessa altezza, fissandolo con un’intensità tale da farlo rabbrividire. «Ti piacerebbe saperlo, non è vero, Draco Malfoy? Ti piacerebbe sapere cosa hai creato, uhm?» gli chiese, quasi retorica, avvicinando fino a strusciare il naso contro la sua guancia e poi contro il suo collo. Contro la sua pelle – che lui sapeva essere arrossita spaventosamente – scoppiò a ridere in modo quasi maniacale, lasciando cadere la bacchetta sulle lenzuola ed alzando le mani per artigliare le sue spalle in modo doloroso, tenendolo fermo.

Il panico che avrebbe dovuto colpirlo non arrivò mai, tutt’altro. Per un istante, Draco si ritrovò a desiderare che lei si avvicinasse di più, che lo toccasse di più, che prendesse da lui tutto ciò che desiderava.

«Come sei debole…» rise la donna, accarezzandogli il viso con una mano, per poi stringerlo per le guance e piegargli il capo di lato quasi con violenza. «Potrei tagliarti la gola e non mi diresti nulla, non è vero? Ho perso un vampiro per causa tua8… potresti sostituirlo, che ne dici? Saresti così carino…».

Nonostante il suo immane sforzo, Draco non riuscì a capire il senso delle parole di lei, quasi avesse parlato in una lingua a lui sconosciuta. Si limitò a piegarsi alla sua volontà, stregato e terrorizzato insieme, aspettando quasi con trepidazione una morte di cui non riusciva a comprendere il senso.

Un rumore improvviso, una luce fastidiosa, una figura gracile stagliata contro la porta.

«Adesso basta» ringhiò, facendosi avanti a passo di carica e piantando le mani sui propri fianchi, nella fedele imitazione di un generale. «Katrina, lascialo andare immediatamente» aggiunse, quando la usa aguzzina non accennò a muoversi di un minimo centimetro. Lui vide chiaramente la nuova arrivata estrarre la bacchetta e puntargliela contro con fare minaccioso, restando immobile finché il mostro non rise più forte ed accettò di scendere da sopra di lui, ritirandosi sulla stessa poltrona di prima, retrocedendo con l’atteggiamento di un animale ferito.

«Sei così antipatica, Ophelia» cantilenò, il broncio evidente nel suo tono di voce. «Io e Draco ci stavamo così divertendo, non è vero mio caro? Dille quanto ci stavamo divertendo!» gli intimò, spostando nuovamente su di lui tutta la sua attenzione. Fortunatamente, però, quell’incantesimo che lo aveva catturato era stato spezzato, quindi non gli costò alcuna fatica guardare la Penderghast con ansia e farle capire quanto tragica fosse stata la sua situazione prima del suo intervento.

«Basta, Katrina» ordinò allora lei, avvicinandosi per posare la mano sulla spalla di Draco con fare rassicurante. «Immaginavo che la stanchezza avrebbe avuto la meglio su Katie, ma non credevo…Adesso lei tornerà nella sua stanza e si calmerà, sono certa che più tardi vorrà scusarsi» aggiunse, con un sospiro, quasi avesse voluto discolparsi con lui per il comportamento di quella che si era appena scoperta essere Katie Bell.

Sei stato tu a farmi questo.

Per un istante il senso di colpa non lo fece respirare. In quel momento, dopo anni, si ritrovò a fronteggiare le conseguenze di quella scelta disgraziata che la paura di morire gli aveva fatto fare quando era solo un ragazzino con un peso troppo grande sulle spalle. Mentre quella spaventosa imitazione di Katie Bell spariva in direzione della sua stanza, lui si chiese finalmente quanto realmente fosse responsabile per l’esistenza del mostro che aveva appena minacciato di ucciderlo.

«Sono mortificata, ma ti assicuro che lei lo sarà anche più di me» gli disse Ophelia, scuotendo il capo e chiudendosi la porta alle spalle, dopo essersi probabilmente assicurata che la Bell arrivasse sana e salva ovunque l’avesse spedita. Gli occhi scuri della donna erano pieni di preoccupazione, troppa per essere rivolta solamente alle condizioni di Draco. «È stata una giornata impegnativa per tutti noi e Katie non è riuscita a mantenere il controllo come avrebbe voluto, soprattutto perché l’altra è arrabbiata per ciò che è successo al suo vampiro» provò a spiegare, avvicinandosi e spostando le tende così che la tenue luce solare potesse penetrare nella piccola stanza. Doveva essere l’alba, nonostante non avesse senso. Era l’alba quando lui e Theo si erano addentrati nella cripta di famiglia.

La confusione gli fece dolere la testa, ma convenne con se stesso che lamentarsi non fosse di alcuna utilità. «Dov’è Theo? Sta bene? Abbiamo visto Rosier» sbottò, ricordando improvvisamente l’immagine che aveva preceduto la sua perdita di sensi. La fronte ricominciò a bruciargli in modo fastidioso, ma questa volta evitò di portare le dita sulla benda, così da non peggiorare la sua condizione già precaria. «Perché accidenti Winter mi ha chiesto di andare in quel posto dimenticato da Merlino? Sempre che sia stata lei».

La Penderghast strinse le labbra, inarcando un sopracciglio con aria sorpresa. «Sono parecchie domande, per qualcuno che ha avuto una giornata intensa come la tua» gli fece notare, accennandogli di tornare a poggiarsi contro i cuscini. «Nott sta bene, in questo momento è a casa sua, insieme alla sua fidanzata. È una Magonò, ma certamente tu lo saprai già. Siamo stati tutti molto sorpresi nello scoprirlo, non è cosa da tutti i giorni trovarsi davanti un Nott tanto coraggioso» il suo tono sbruffone fece prudere il naso a Draco, la sensazione di Déjà-vu quasi fastidiosa. Quella donna somigliava a qualcuno, ma lui non riusciva a capire chi ed era una cosa che lo infastidiva incredibilmente. Che avesse preso un brutto colpo in testa ed avesse iniziato a dimenticare? Avrebbe giustificato i dubbi nel riconoscere Katie Bell, poco prima. «Non preoccuparti per lui, Malfoy, sta molto meglio di te. Il nostro medico ha detto che il taglio sulla tua fronte era parecchio profondo, sembra quasi che qualcuno abbia tentato di aprirti il cranio in due» lo avvisò, sollevando una cartella rigida che qualcuno aveva lasciato ai piedi del suo letto. Puntò lo sguardo su di lui, sospirando. «Conoscendo l’artefice della trappola, non posso che credere che quelle fossero proprio le sue intenzioni. Per fortuna non è riuscito a mangiarti, sarebbe stato ostico da spiegare al Ministro della Magia».

Mangiarti.

L’imprecazione che sfuggì dalle labbra del mago anticipò di qualche secondo quella che la donna sbottò, riacciuffandolo prima che potesse balzare giù dal letto e precipitare come un sacco di patate, non riuscendo a reggersi in piedi. Mentre lei ancora stentava nel rimetterlo sul materasso, Draco iniziò a guardarsi intorno, talmente ansioso da sembrare isterico. La realizzazione di ciò che era successo gli aveva mozzato il respiro, mentre il viso di colui che aveva creduto fosse il non compianto Evan Rosier si trasformava lentamente in quello di un uomo che aveva tormentato molte più vite e che, ancora una volta, sembrava tornato dall’Inferno. «Come ha fatto a scappare da Azkaban? Credevo ci fossero delle guardie speciali» sbottò, portando le mani alle braccia della donna per poterla scuotere. «Winter dov’è? Dovete metterla al sicuro, sicuramente lui- oh, no, l’ha rapita?» l’orrore nella sua voce si tradusse anche in un tremore incontrollato delle sue mani. «L’ha trovata nella cripta, non è vero? Avrei dovuto dirle che era troppo pericoloso e… che c’è?»9.

Ophelia aveva iniziato a scuotere il capo non appena lui aveva cominciato a parlare. Sospirò, incrociando le braccia al petto. «Non è stata lei a chiederti di vedervi alla cripta, però è venuta a cercarti. Elizabeth le ha mandato un gufo, era preoccupata perché tu e Nott non sembravate voler fare ritorno» spiegò, velocemente. «Adesso lei è in un luogo sicuro, i nostri migliori guaritori si stanno assicurando che ritorni in perfetta forma fisica, poi toccherà al nostro psicologo di fiducia darle tutto l’aiuto possibile» spiegò, con una smorfia. «Se Katie non fosse intervenuta, non so dirti cosa sarebbe rimasto di Winter. Lui l’ha portata al limite, proprio come anni fa».

Senza poterlo evitare, Draco strinse i denti, sibilando. «Quel disgustoso figlio di puttana» imprecò, lasciandosi andare contro i cuscini, stanco come se avesse corso una maratona. Lo sforzo mentale che aveva subito doveva esser stato terrificante, soprattutto considerando il poco esercizio che aveva avuto con l’Occlumanzia. «Zia Elladora avrebbe dovuto ucciderlo quando era ancora nella culla, chi nasce Vermicolo non può morire Ippogrifo» si lagnò, passandosi una mano sugli occhi. «Katie Bell l’ha salvata? Quindi quella scena da predatrice sessuale è stata riservata solo al sottoscritto? Non è neppure una negromante normale, maledizione, è una Succubus!4 Non che io mi stia lamentando, se davvero ho collaborato a farla diventare Lady Dracula non posso negare le mie responsabilità».

Senza inizialmente dirgli nulla, Ophelia si avvicinò alla finestra, osservando lo scenario che si stagliava davanti a lei. Draco non ne era assolutamente certo, ma gli sembrava di avere una visuale di uno scorcio di montagna. Montagna che somigliava molto alle Alpi, che lui aveva visitato da bambino con i suoi genitori. «Katrina è… imprevedibile» disse, dopo qualche istante, senza tuttavia voltarsi a guardarlo. Lui poteva notare il riflesso del suo sguardo nella finestra e l’immagine non era delle più confortanti. Notò anche il nome usato, ricollegandolo a quando era entrata in camera e lo aveva salvato. Katrina era il mostro. «Non è cattiva e, sinceramente, dubito che ti avrebbe fatto del male se anche io non fossi arrivata. Probabilmente era il suo modo di… salutarti» mormorò, indecisa riguardo la parola scelta.

Draco non riuscì ad impedire alle proprie sopracciglia di inarcarsi. «Non oso immaginare cos’avrebbe fatto se fosse stata cattiva, allora» sbottò, con una smorfia. «Non provare a giustificarla, non sono certo arrabbiato con lei. Dopo quello che le ho fatto passare, è normale che sia furiosa con me e che voglia incutermi del sacro terrore. Se, come dici, ha salvato mia cugina da quel mostro di suo padre, allora le sono doppiamente riconoscente. Oltre Winnie, ormai non ho più nessuno».

Ophelia sorrise, ma anche solo dal riflesso Draco vide chiaramente quanto poco divertita fosse. «Se Katrina avesse portato rancore verso di te, saresti già morto da un bel pezzo. Lei probabilmente ti è grata, anche se non sta a me spiegarti il perché» gli disse, voltandosi nuovamente nella sua direzione. «È un po’ fuori di testa, ma solo perché sembra avere dei grilli nel cervello ricorda sempre che non significa affatto che sia innocua. Una volta guarito, farai bene ad andare a cercare Katie e, magari, chiederle scusa per averla usata come cavia per i tuoi sgangherati tentativi di diventare un bravo Mangiamorte. Forse la smetterà di desiderare la tua testa su un piatto».

«Hai appena detto che non mi porta rancore».

«Katrina non te ne porta. Katie è tutta un’altra storia. Quel comitato di benvenuto che ti ha riservato? Probabilmente ha solo sfogato l’irritazione della sua parte normale. Parlale e forse riuscirai ad evitare altre imboscate da parte di una negromante con evidentissimi problemi di personalità multipla» lo avvisò la donna, con un tono quasi materno. Era evidente, tuttavia, che l’affetto fosse rivolto alla Bell, non a lui. «Non appena ti sentirai abbastanza in forze potrai raggiungerci, ultima stanza in fondo a sinistra. Fa’ con comodo, Harry non è ancora pronto per parlare. E fai attenzione a non prendere la penultima porta, i cuccioli di Barry non sono esattamente amichevoli».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

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 Sto sviluppando un amore viscerale per Katrina. La mia bambina psicopatica che seduce uomini per poterli ammazzare :’)

Tutti meritiamo una #MammaOphelia ed un #PapinoBarry in questo mondo.

 

Punti importanti:

 

» * - Ti torturo/ Prendi la mia mano attraverso le fiamme/ Ti torturo/ Sono uno schiavo dei tuoi giochi/ Mi piace il dolore/ Voglio incatenarti/ Voglio legarti/ Mi piace il dolore. Katrina l’incantatrice colpisce tutti.

 

» 1 – Seguendo un procedimento particolare, Ophelia e Katie sono riuscite ad infiltrarsi nei sogni di Harry. Nei prossimi capitoli si capirà tutto meglio!

 

» 2 – Chi non ha letto la mia precedente Long (Lo Specchio delle Anime), probabilmente non sentirà alcun campanello d’allarme. Quanto ai miei fedelissimi… preparatevi 😉 Io sono una donna debole, lui è così affascinante… non potevo lasciarlo lì, in un angolino del mio cervello, a ripetere “fammi scendere in campo, lo sai che posso essere utile!”.

 

» 3 – Sì, Katrina sta effettivamente rimproverando Lord Voldemort. Perché? Ophelia l’ha spiegato piuttosto bene: semplicemente, lei non riesce a portare rancore verso i morti. In un certo senso è come una zia che pizzica la guancia del nipotino che è inciampato sui sassolini. Non condona le sue azioni, non crede che sia buono, anzi! Katie odia Voldemort, se fosse ancora vivo probabilmente farebbe di tutto per toglierselo dai piedi, ma ora è morto e tanto basta a renderlo una sua creatura.

  

» 4 -  Cerchiamo di dare un contesto a questa situazione, che si ripeterà anche con Draco nella seconda parte. Si dice che molti predatori siamo capaci di attrarre le prede con la loro bellezza: per i negromanti vale lo stesso principio. Come ho già detto nel capitolo precedente, per usare la loro magia devono sempre sacrificare qualcosa di vivo e, per trovare questo qualcosa di vivo, spesso devono usare trucchetti non proprio corretti. È una cosa che Katie odia ma che Katrina adora fare. Succubus, cosa sono? Si capirà meglio andando avanti, non temete. Nella tradizione si dice fossero dei vampiri, qui… non proprio.

 

» 5 – Mentre molti negromanti guardano alla propria condizione come un dono, Katie la vede come una maledizione. Questo suo rifiuto ha portato alla nascita del suo “Mr Hyde” (Katrina) e lentamente la sta uccidendo. Senza il suo potere, Katie sa di essere inutile alla squadra e sa di non poter sopravvivere.

 

» 6 – L’annuncio del fidanzamento ufficiale di Oliver Baston, arrivato circa quattro mesi prima, è stato il momento peggiore per Katie. Fino a quel momento aveva avuto una minima speranza, soprattutto perché lei e Oliver avevano ricominciato a scambiarsi qualche lettera in “amicizia”. Quando l’annuncio è stato dato sul Settimanale delle Streghe, Katie ha completamente perso la testa e Katrina, liberatasi quasi di forza, è stata letteralmente fermata un attimo prima che potesse prendere Oliver e strappargli via l’anima per farlo diventare un vampiro o un qualcosa di simile. Pessimo momento davvero.

 

» 7 – Nei capitoli precedenti, Draco è svenuto con la convinzione che davanti a lui ci fosse Evan Rosier, non certo Silas Mulciber.

 

» 8 – Riferimento a due capitoli fa, quando il vampiro di Katrina è stato ucciso durante la missione di salvataggio. Per quanto possa esser sembrata molto tranquilla al riguardo, in realtà Katrina non ha preso affatto bene la cosa. 

 

» 9 – Draco, ovviamente, non ha idea di cos’è successo quando ha perso conoscenza. Dopo aver visto Rosier, è stato attaccato da uno dei Legilimens più potenti del mondo ed ha perso i sensi, venendo quasi mangiato in attesa dell’arrivo della cugina. Perché Silas non l’ha mangiato davvero? Ha pensato che Winnie si sarebbe arrabbiata con lui e non voleva riprendere i rapporti su note negative. Sì, lo so che è una cosa assurda, ma lui è pazzo.

 

 

Baby Voldy e Zia Katrina.

Forse Oliver Baston non è tanto da compatire come pensavamo.    

 

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Atto V, Parte II - Il Dottore ***


LErede del Male.


 

““The way I see it, every life is a pile of good things and bad things.

The good things don’t always soften the bad things, but vice versa,

 the bad things don’t always spoil the good things and make them unimportant. *”.



[The Doctor/Doctor Who (Episodio 5x10, Vincent e il Dottore]

                                  

 

Atto V, Parte II –  Il Dottore

 

 

Winter si svegliò osservando una bambina giocare con un Ippogrifo in mezzo alla neve. Non la conosceva, anche se le somigliava un po’: aveva anche lei i capelli neri ed i suoi occhi erano chiarissimi. Tuttavia, mentre quelli diWinter avevano sfumature argentee e lei era solita tenere lo sguardo basso, la piccola aveva sfumature color fiordaliso ed era la quintessenza dell’allegria e di una certa presunzione.

«Biscottino non vuole i biscotti ai cereali, li vuole al cioccolato» si lagnò lei, mettendo un adorabile broncio. «La prossima volta li prendiamo al cioccolato, non è vero? Così uno lo mangia lui e uno lo mangio io!» si rallegrò, stringendo le piccole labbra in una linea sottile, piegandole poi in un sorrisino divertito ed un po’ malandrino. «Magari due io. Va bene, papà?».

Winter non si girò, conscia di non poterlo fare. Era un ricordo, non un sogno: doveva rispettare i limiti del suo ospite.

«Va bene, bambina» disse qualcuno dalle sue spalle, rivolgendosi direttamente alla bambina sorridente. «Ma non potrai mangiarne troppi, d’accordo? Altrimenti la nonna si arrabbierà con noi» aggiunse, avvicinandosi fino a poter affiancare la Legilimens, pur non prestandole alcuna attenzione. Newton Crave1 – il direttore del Reparto di Psichiatria e Psicologia Clinica dell’Ospedale San Mungo, oltre che psicologo di fiducia delle Banshee – era assolutamente rapito dall’immagine che si stagliava davanti ai suoi occhi. Winnie non sapeva che avesse una figlia, ma osservando la ragazzina con maggiore attenzione riuscì a distinguere dei tratti che ricordavano incredibilmente l’uomo.

«Non credevo che anche lei fosse un Legilimens, Dottore» osservò, tranquilla, infilandosi le mani in tasca. Si rese conto solo in quel momento di star indossando i pantaloni del suo pigiama. Avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, non essendo un capo d’abbigliamento idoneo alla situazione, ma se ne infischiò. Ancora non riusciva a capire il perché di quella sua visita dallo psicologo. «Carino come ricordo. Sua figlia è ancora così piccola?» chiese poi, tirando fuori quell’adorabile accento del sud degli Stati Uniti che sapeva riuscisse a mettere tutti di buon umore2.

Vivere per compiacere.

L’uomo inarcò le sopracciglia, incredulo. «Non sono un Legilimens, mia cara, e tu lo sai bene. Quando hai una delle tue crisi sei capace di leggere la mente di chiunque. Io non sto facendo altro che ricordare un qualche episodio del passato, per metterci entrambi a nostro agio. Tutto questo è opera tua» le spiegò, tranquillo, osservandola annuire. Aveva un senso, stava pensando lei. Le crisi amplificavano le sue capacità. «E no, mia figlia non è più così piccola, purtroppo».

La stizza con cui pronunciò l’ultima parla la fece sorridere, distraendola momentaneamente dal motivo di quella loro discussione. Una crisi non era nulla di eccezionale, le capitavano piuttosto spesso. Il Dottore intenzionato a parlare di se stesso, invece… «Noto una certa… irrequietezza. Non è felice che sua figlia sia diventata grande? Sono certa che sia diventata bellissima, le potenzialità le aveva tutte fin da piccina» notò, osservando la bambina correre dietro all’Ippogrifo come se fosse stato un cucciolo molto cresciuto.

Il Dottore fece un’espressione strana, a metà fra una smorfia ed un sorriso. Era innegabile l’orgoglio che si diramava da lui. «È diventata una donna meravigliosa, una Dragonologa fra i più giovani d’Europa» si vantò, senza sforzarsi di sembrare umile. La scena intorno a loro cambiò e Winter si ritrovò in mezzo ad una radura, intenta ad osservare la stessa bambina di prima – ormai adulta, vestita con una divisa di pelle nera – tenere a bada quello che aveva tutta l’aria di essere un drago poco più che cucciolo ma comunque grosso come un piccolo pullman. C’era un sorriso sbruffone, sul suo giovane viso, che accentuava di più la somiglianza con il padre. «Sono molto fiero di molte delle sue scelte di vita, ma avrei preferito che restasse piccola. Mi sembra sempre di aver sprecato troppo tempo con lei».

La ragazza davanti a loro rise, accarezzando il muso della bestia. «Papà, non restare lì come una statua di sale, vieni ad accarezzare BonBon! Sono sicuro che sarete grandi amici, non appena lui smetterà di vederti come un bocconcino».

Quella ragazza sarebbe stata una grande amica di Barry, se l’avesse conosciuto, si ritrovò a pensare Winnie, ridacchiando fra sé e sé. Si intristì un po’ al pensiero che, forse, l’amico avrebbe potuto intristirsi nell’osservarla: lui ed Ophelia avevano desiderato un figlio per anni, ma non sembrava che quel desiderio potesse realizzarsi a breve. La figlia di Crave sarebbe stata solo l’ennesimo promemoria di ciò che avrebbero potuto non ottenere mai.

«Perché crede di aver sprecato del tempo? Deve avere almeno vent’anni» domandò Winnie, confusa, voltandosi verso il suo psicologo, il sorriso di lui ormai perso dietro una tristezza che sapeva di rimorso.

«Finché non ha compiuto dieci anni non abbiamo avuto un gran rapporto. Solo dopo la morte dei miei genitori ho iniziato a capire quanto stupido fosse il mio comportamento, lei era tutta la mia famiglia. Tutta la mia vita» spiegò lui, il tono colmo d’affetto. «Durante la Guerra ho ben pensato di ritirarla da Hogwarts e portarla con me in Svizzera. Le ho fatto avere la migliore istruzione, le ho fatto conoscere anche Newt Scamander… e lei che ha fatto? Appena è andata a lavorare in Romania ha ben pensato di trovarsi un fidanzato troppo vecchio e con troppe cicatrici3» si lagnò, indicando con un cenno un uomo dai capelli rossi sbucare da oltre qualche albero ed abbracciare la giovane con un affetto che andava oltre la semplice amicizia.

Somigliava molto a Fred Weasley, forse era un parente. C’era molto peggio, al mondo, rispetto ad un Weasley un po’ più anziano di lei. Poteva finire nelle grinfie di un uomo malvagio. Qualcuno che avrebbe fatto di tutto per ferirla, per usarla e distruggerla dall’interno come un virus imbattibile. Qualcuno che l’avrebbe mangiata boccone dopo boccone, portandola oltre limiti dell’umana sopportazione per il solo gusto di vederla capitolare sotto il peso di colpe che non aveva meritato, macchie su una coscienza che non era mai stata pulita.

Qualcuno come suo padre.

Le braccia di Newton Crave la afferrarono prima che lei potesse cadere a terra. «Ah, sapevo che usare la mia Rosie avrebbe fatto cadere le tue resistenze» si rallegrò, mentre lei precipitava in quell’abisso di orrore che Silas Mulciber le aveva rovesciato addosso, ancora una volta. Lo scenario intorno a loro cambiò, vorticando velocemente come se fossero stati al centro di un tornado. Non c’era più gravità, non c’era più nulla a tenerla ferma, se non le braccia forti del medico. «Coraggio, Winter, presto finirà» continuò a dirle l’uomo, volendo forse sembrare rassicurante ma fallendo miseramente nel tentativo.

Winter, Winter. Non esisteva nessuna Winter. Era un’illusione, nulla più di una bambola.

«Il mio nome è Elladora» esalò lei, in quello che credeva fosse un sospiro ma che in realtà suonò alle sue stesse orecchie come un urlo animalesco. «Elladora! Io sono Elladora! Sono io il mostro! Io!».

Crave strinse più forte. «No, tu sei Winter Vane, la più brillante Legilimens mai passata per l’Ordine delle Banshee, l’eroina di Vancouver4» le rammentò, la voce ridotta ad un mormorio gentile. «Ti ricordi Vancouver, Winter? Ricordi i bambini?» le domandò, tirandola verso il basso, forse per farla sedere su qualcosa di morbido, la sua presa ancora ferrea intorno alle spalle. Faceva caldo, troppo caldo. Nei sotterranei del castello non c’era mai quel calore, se non le rare volte in cui Maman andava a farle visita5. O quando Mulciber «Winter! Vancouver, pensa a Vancouver! Quanti bambini c’erano? Quanti ne hai salvati, grazie al tuo potere?».

C’erano centoventitre bambini, rammentò, sentendosi quasi mozzare il respiro. Ricordava tutti i loro nomi, aveva i loro bigliettini nascosti in una scatola sotto al letto.

«Li ho salvati tutti» mormorò, nonostante fosse consapevole delle sue stesse urla. «Li ho salvati tutti, anche se non avrei dovuto» continuò, mentre la presa del Dottore si rafforzava ed un movimento leggero le veniva obbligato. La stava forse cullando? «Li ho salvati, anche se mi era stato ordinato di non farlo. Non potevo abbandonarli».

«Esatto» convenne Crave, gentile. «Winter Vane ha salvato centoventitre bambini e nessuno di loro è mai più stato vittima di abusi. Li hai salvati tu, perché sei buona, non sei come quell’uomo».

Winter – perché lei era Winter, non Elladora – scosse il capo. «Non sono come lui. Non sono come lui. Non sono come lui. NonsonocomeluiNonsonocomeluiNonsonocomelui». Quella che era iniziata come una semplice affermazione, era diventata presto una litania. Non c’era nulla, nella sua mente, che non fosse quelle parole ripetute come un mantra, come un incantesimo capace di uccidere l’oscurità che era sbocciata nel suo cuore.

Winter Vane non era figlia di Silas Mulciber.

«Adesso dormi, mia cara. Dormi e lascia che Elladora torni nella sua tomba6».

 

***

 

«Come sta?».

Il Dottore aveva raggiunto il resto della squadra Banshee 3 poco dopo essersi assicurato che Winter dormisse fino a recuperare tutte le sue energie, fisiche e mentali. Nella piccola stanza notò anche Harry Potter e Draco Malfoy, quest’ultimo ancora provato dalla recente disavventura, ma non vide neppure l’ombra di Katie Bell. La serata era stata piuttosto movimentata, c’erano ottime probabilità che il giorno dopo avrebbe dovuto fare una bella chiacchierata anche con lei e con quello sciocco alter ego che si era creata7. Non sarebbe mai arrivato troppo presto il giorno in cui si sarebbe decisa ad accettarsi e lasciar perdere quelle idiozie.

Non che proprio lui potesse azzardarsi a definirle tali: i segreti della mente, per lui, non erano poi tanto segreti. Poteva capire benissimo cosa avesse portato quella povera creatura a crearsi uno scudo tanto potente, ma proprio non poteva accettare che tutto il suo aiuto fosse risultato inutile, in quegli anni. Con Hermione aveva avuto successo, Ophelia ormai aveva smesso di fare la strana e Winter…

«È tornata in sé, ma non sarà mai una soluzione permanente» spiegò, secco. «Arriverà il giorno in cui neppure io potrò tirarla via dal baratro e allora…» si strinse nelle spalle, accomodandosi nell’unica poltrona rimasta ancora libera. «Potrà tornare in servizio non appena si sveglierà, non le ci vorranno più di un paio d’ore. Come al solito,» nel dirlo si voltò verso gli unici due ospiti presenti, in particolare soffermandosi su Malfoy, «vi consiglio di non far riferimento a Mulciber o a ciò che è successo. Il nostro interesse è farla dimenticare».

«Non può guarirla?» chiese il biondo, con una certa boria. «Non hanno fatto che tessere le sue lodi, a quanto pare è il migliore in circolazione. Non può far nulla per mia cugina? Cancellarle la memoria, magari?».

Il modo in cui il dottor Crave lo guardò fece ridacchiare Barry, che ebbe la decenza di nascondersi dietro la sua unica mano. Hermione, invece si coprì gli occhi e sospirò, sconfortata da tanta ignoranza.

«Cancellarle la memoria?» ripeté l’uomo, lentamente, raddrizzandosi sulla poltrona ed inarcando le sopracciglia scure in un’espressione di meravigliata innocenza. Il grufolo di Barry lo fece somigliare ad un maialino sul punto di soffocare per le risate. «Accidenti, signor Malfoy! Dovrei consegnarle i miei titoli di studio e passarle le chiavi del mio ufficio, così potrà prendersi cura lei di tutti i miei pazienti» aggiunse, allargando le braccia con esasperazione.

Prima che il sarcasmo dello psicologo potesse iniziare a mietere vittime, Hermione si fece avanti e si posizionò a giusto un paio di passi da Draco, mettendogli una mano sulla spalla per tenerlo seduto. «Quello che il dottor Crave intendeva, Malfoy, è che il danno che Winter ha subito è… troppo grave per poter essere cancellato. Fin dalla nascita è stata esposta ad orrori che nessuno di noi potrebbe neppure immaginare, neppure tu o Harry» sottolineò, voltandosi per poterlo guardare. «Niente funzionerebbe, a questo punto. Quello che possiamo fare è rendere la sua esistenza meno difficile, almeno per brevi periodi di tempo. È la cosa migliore che il Dottore ha potuto fare. La cosa migliore che chiunque avrebbe potuto fare».

«Ma la cosa migliore non è abbastanza».

«Niente potrebbe esserlo». 

 

***

 

«Non comprendo» affermò Harry, osservando lo psicologo ed Ophelia seduti intorno a lui e con due espressioni diverse, seppur preoccupate e falsamente tranquillizzanti. Ophelia era appollaiata su di una poltrona poco lontana da lui, il viso apparentemente inespressivo ma i grandi – e dannatamente familiari! – occhi castani che saettavano nervosamente fra i vari angoli del piccolo studio, soffermandosi spesso su Harry con parecchia ansia. Tuttavia c’era qualcosa in più, una tenerezza che proprio non poteva giustificare.

Quanto al dottor Crave, semplicemente lui non aveva smesso di sorridere in quel modo altamente fastidioso, quasi avesse avuto tutte le spiegazioni a tutti i problemi del mondo e stesse attendendo la domanda giusta per liberare la sua conoscenza superiore. Aveva quello stesso sorrisetto da saputello che Malfoy di solito tirava fuori ogni qualvolta avesse avuto la possibilità di vantare delle conoscenze di famiglia. Lo stesso che Hermione – che era appena entrata nello studio – tirava fuori durante i compiti a sorpresa, a scuola.

«Adesso che la signorina Granger ci ha fatto il piacere di graziarci della sua presenza,» iniziò lo psicologo, lanciando uno sguardo di blando rimprovero alla giovane, che gli sorrise, «possiamo iniziare senza indugi. Siamo tutti consapevoli della necessità che il mondo ha di comprendere il messaggio che Trina ha tanto volenterosamente costretto Lord Voldemort a riferire, ma Ophelia mi ha chiesto di intervenire preventivamente su di lei» lo informò l’uomo, palesemente soddisfatto di essere stato interpellato prima ancora che l’azione potesse prendere piede. Probabilmente Crave veniva chiamato in causa solo dopo le missioni, qualora ci fosse stata la necessità di trovare qualcuno capace di riattaccare i pezzi delle anime che venivano torturate ogni giorno durante quelle loro spedizioni.

Non si mette bene, pensò il giovane Potter, stringendo le labbra e guardando la vecchia amica. «Se hanno fatto venire anche te, devo essere messo molto male» mormorò, quando lei alzò gli occhi al cielo.

«Sei sempre così melodrammatico, Harry».

«È un vizio di famiglia» mugugnò Ophelia, facendo ridere Hermione ed attirando l’attenzione dell’Auror. Nei suoi confronti si limitò ad un gesto veloce, quasi a voler rimandare ad un tempo successivo le spiegazioni. Avevano, dopotutto, questioni più importanti da spiegare.

Il dottor Crave agitò leggermente la mano davanti a sé, riattirando l’attenzione. «Se analizza la situazione, signor Potter, sono certo che saprà tirare le dovute conclusioni anche da solo, nonostante Trina insista nel definirla un po’ tardo». Una risatina sfuggì ad Hermione, che poi si scusò con il migliore amico dedicandogli il suo miglior sorriso affettuoso.

«In effetti sei un po’ tardo quando vuoi, Harry» convenne ad alta voce, mentre Ophelia annuiva con l’espressione di qualcuno che avesse avuto fin troppe conferme dell’affermazione dell’amica. Quella seduta si stava velocemente trasformando in una gara a chi fosse capace di imbarazzare di più il povero Auror.

«Cosa vuole da me?».

«Perché non ha chiesto aiuto, negli ultimi quattro anni? Perché non ha parlato a nessuno del suo incubo? Non provi a propinarmi la storiella del “ero consapevole che fosse un sogno”, perché sappiamo tutti che non è vero» lo ammonì l’uomo, lo sguardo praticamente ridotto a due lame scure. «Ah, non si preoccupi, ho avuto modo di scoprire anche dell’incidente a Lipsia, quindi non ci sarà bisogno di riprenderlo in questa… occasione».

Con uno scatto, Harry si voltò in direzione di Hermione, senza curarsi di nascondere il rancore nello sguardo. Lei non si scompose, lasciando che il sorriso allegro di poco prima si trasformasse in uno più leggero, colpo di scuse ma anche di una risolutezza che il giovane non vedeva da ben prima che finisse la guerra.

«Lipsia è ormai alle spalle, non avrei comunque detto nulla al riguardo» rispose l’Auror, puntando gli occhi in un punto imprecisato poco oltre il capo dello psicologo, le sopracciglia corrugate. «Quanto alla sua domanda… ho passato la vita a fare sogni strani, dottor Crave. Questo era diverso solo perché, dopo quattro anni, non è cambiato di una virgola. Tutto qui, nulla di più e nulla di meno. Ormai non ne restavo più particolarmente sconvolto» provò a spiegare, cercando di ignorare l’occhiata penetrante che Hermione gli stava dedicando. Lei, più di chiunque altro, avrebbe potuto fiutare la sua bugia.

Non c’era stata notte in cui non si fosse svegliato in preda all’orrore. Solo negli ultimi mesi era riuscito a controllarsi di più: bastava mettere la mano sul ventre pronunciato della sua compagna per ricordare quanto fosse fortunato ad essere ancora in vita. Non c’era sogno al mondo che avrebbe potuto tenerlo lontano da Ginny o dai gemelli. Non avrebbe costretto quelle anime innocenti a subire lo stesso destino che era toccato a lui e lo stesso valeva per il suo figlioccio, Ted. Aveva promesso che si sarebbe preso cura di tutti loro, non gli importava di perdere se stesso nel tentativo di restare intero.

Doveva farlo per loro.

Dalla sua posizione, il Dottore si grattò la guancia e lo osservò come se fosse stato una creatura strana ma affascinante. Aveva qualcosa di familiare, per quanto non riuscisse ancora a capire di cosa si trattasse8. «Lo sa che quelli che vedeva non erano davvero i suoi genitori? Che non è davvero loro che stava osservando?» gli chiese, a bruciapelo, piegandosi in avanti per poter poggiare i gomiti sulle ginocchia ed il mento sulle mani congiunte. La curiosità nel suo sguardo era quasi fastidiosa. Lo stava facendo sentire un animale da esposizione. «Perché io, signor Potter, credo che una parte non molto piccola e non molto nascosta di lei abbia evitato di parlare di quel sogno proprio per poter continuare a farlo».

Le sopracciglia di Harry si inarcarono ad una velocità tale da sparire oltre i capelli scompigliati in meno di un battito di palpebre. Poi, quasi esasperato, si lasciò andare contro lo schienale del divano. «Naturalmente» convenne, sarcastico. «Mi piace tantissimo andare a dormire e trovarmi davanti agli occhi il cadavere dei miei genitori, soprattutto considerando lo stato di mio padre. Adoro vedere il suo corpo schiacciato dalle macerie, le budella sparse int- oh, scusami Hermione» si fermò di colpo, sentendo un brusco respiro vicino a lui. Guardò al suo fianco, convinto che si trattasse della sua migliore amica, ma lei si era già voltata altrove, seguendo quel suono che lui le aveva erroneamente attribuito. Ovviamente Hermione non si sarebbe mai lasciata impressionare da quelle sue parole, aveva visto troppi orrori.

Era stata Ophelia a trasalire rumorosamente. Ophelia, che in quel momento era balzata in piedi, pallida come un cadavere, una mano davanti alle labbra per poter fermare altri suoni dall’uscire. Improvvisamente consapevole di aver attirato l’attenzione di tutti i presenti, lanciò uno sguardo al dottore, scusandosi e lasciando la stanza alla velocità della luce, incurante della confusione di Harry.

«Cosa…?»

Velocemente, Hermione chiuse la porta che la collega aveva lasciato spalancata, avvicinandosi fino a sedersi sul bracciolo del divano di Harry mettendogli la mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. «Harry, nessuno mette in dubbio che tu abbia odiato quel sogno con tutto te stesso. Rivedere quegli orrori ogni notte… ovviamente è stato terribile» gli disse, con un tono conciliante che non aveva nulla di affidabile.

«Ma?» azzardò, conoscendola troppo bene per credere che fosse finita lì. «Oh, andiamo, Hermione! Credi davvero…».

«Che una parte di te abbia avuto paura di dimenticare i volti dei tuoi genitori e si sia radicata in quell’immagine pur di mantenerli vicini? » sbottò la donna, portandosi dietro l’orecchio una ciocca di corti capelli scuri che le era ricaduta sugli occhi. Il suo sguardo era a dir poco gelido, puntato su di lui come se avesse voluto sfidarlo a negare. «Giurami che non sei mai andato a dormire sentendoti sollevato all’idea di rivederli, perché per almeno sei mesi io ho fatto la stessa cosa con i miei genitori e Ron e posso assicurarti che se non fosse stato per il dottor Crave avrei tirato fuori un trucchetto come quello di Lipsia». Si fermò, mordendosi leggermente il labbro inferiore. «Harry… ti prego, sii sincero».

Crave si alzò in piedi, osservandolo senza alcuna traccia di sarcasmo. «Quella parte del sogno non è mai stata indotta da Voldemort, Potter. Lei voleva vederli, ma adesso deve capire il perché. Non è nei morti che deve cercare aiuto, non questa volta. Non sono loro a doverla accompagnare nella sua esistenza, adesso. Lasciali andare, Harry».

Resterete con me?

Fino alla fine9.

Il silenzio regnò nella piccola stanza per almeno un paio di minuti ma, alla fine, Harry crollò.

Non pianse, ormai credeva di non esserne capace, ma lo sfinimento nel suo sguardo si estese al resto del suo corpo e presto si rese conto di essere poggiato contro la spalla della sua migliore amica, mentre lo psicologo, al suo fianco, gli teneva una mano sul braccio con fare rassicurante. Gli tremavano le mani, il cuore batteva in modo strano.

Attacco di panico, pensò, quasi avesse effettuato quella diagnosi su qualcun altro. Il dolore al petto e l’impossibilità di prendere fiato gli stavano facendo appannare gli occhi – non riusciva più a sbattere le palpebre? – ma il suo pensiero era ancora lucido, quasi la sua mente si fosse proiettata fuori dal suo corpo10. Le immagini del suo sogno si stavano ripresentando ai suoi occhi come scene di un film. Gli occhi spalancati di sua madre. Il ventre squartato di suo padre. Voldemort.

Poi pensò a Lipsia ed al calore delle fiamme.

Pensò a Ginny, in quel momento a casa dei suoi genitori, probabilmente tutta presa ad accarezzarsi il pancione che proteggeva i loro figli.

«Va tutto bene, signor Potter» gli disse il dottor Crave, il tono stranamente gentile. «È il momento di lasciarli andare, tutti quanti. Lei non ha bisogno di loro, non è da solo».

Hermione lo strinse forte a sé, prima di parlare. «Non più».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

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 Newton alla fine è tornato. Il mio adorato. Il mio Dottore. Hermione e le altre ragazze me ne sono infinitamente grate, ma Fred più di loro 😉

#NewtonWho #DoctorCrave

Occhio al sogno di Harry ;)

 

 

Punti importanti:

 

» * - Per come la vedo io, nella vita di ognuno di noi c'è una pila di cose buone e di cose cattive. Le cose buone non sempre addolciscono le cose cattive ma viceversa le cose cattive non necessariamente rovinano le cose buone. Io AMO Doctor Who. E Van Gogh è il mio pittore preferito. Capirete, quindi, quanto io sia stata felice all’idea di poter usare QUESTA citazione da QUELLA puntata. E poi, dai, è tornato Newton.

 

» 1 – Per chi non lo sapesse, Newton Crave è un personaggio apparso nella mia prima long-fic (Lo Specchio delle Anime) ed è uno dei miei personaggi preferiti. Non vi farò un riassunto della sua storia, perché se per caso doveste decidere di passare a leggere la ff vi trovereste con uno spoiler grande quanto una casa.

 

» 2 – Nei primi capitoli ho fatto riferimento a Winter come ad una giovane donna con l’accento degli stati meridionali del Sud degli USA. In pratica Winter parla come una donnina di New Orleans, ma solo perché ritiene che quell’accento dolce e denso come il miele sia capace di compiacere “le orecchie” di chi la sta ascoltando. In realtà lei è inglese, ma stare a sentire i pensieri delle persone le ha consentito di imparare tantissimi accenti diversi. Le viene benissimo l’accento russo!

 

» 3 – Un paio di capitoli fa, durante la breve missione di Hermione e Fred, lui ha fatto riferimento a “Rosemary, la fidanzata di Charlie”. Ebbene, la futura moglie di Charlie Weasley altri non è che la figlia del Dottore! I due hanno circa dieci anni di differenza ed è inutile dire che Crave non abbia preso bene la loro relazione. Molly Weasley è arrivata ad accusare la ragazza di stare con lui solo per avanzare di carriera, ma alla fine si è affezionata al punto da considerarla una figlia (complice il fatto che lei non abbia una madre). Newton, invece, ancora spera di avere la testa di Charlie su un piatto d’argento.

  

» 4 -  Vancouver è stata una delle prime missioni a cui Winter ha preso parte. Come si può intuire, andando contro degli ordini del supervisore ha salvato la vita e l’innocenza di centoventitre bambini. Quasi nessuno conosce i dettagli della missione, fatta eccezione per il Supervisore, Winter, il Dottore e, probabilmente, Ophelia.

 

» 5 – Ho già accennato alla tragica fine di Berenice Vane. Anche lei è un conto in sospeso.

 

» 6 – Vorrei specificare una cosa riguardo la condizione di Winter e quella di Katie. Mentre per Katie è in atto una specie di “personalità multipla” alla Doctor Jeckyll e Mr Hyde, per Winter il discorso è diverso. Lei non si sente persone diverse. È come se fosse sempre sotto farmaci, lei è sempre Elladora ma in una versione tranquilla, controllata. Non si illude che esista qualcun altro. È sotto ipnosi perenne, possiamo dire. Spero di essermi spiegata!

 

» 7 – Il Dottor Crave non ha mai voluto che Katrina nascesse. Katrina non è nata a causa del potere, non esiste di per sé, è stata Katie a volerla creare, per isolare quella parte della sua vita che detesta. Lo scopo di Newt era quello di farle accettare la realtà, ma sfortunatamente non è ancora riuscito nella sua missione.

 

» 8 – Naturalmente, Harry conosce Rosemary. Lei e suo padre sono estremamente simili ma, giustamente, non conoscendo lui il suo cognome non ha idea del legame di parentela che esiste fra i due. In pratica il mondo è pieno di parenti di cui Harry ignora l’esistenza, povero diavolo. 

 

» 9 – Citazione da “Harry Potter e i Doni della Morte”, parole di Harry e James.

 

» 10 – La descrizione di un attacco di panico varia molto da persona in persona. Io mi sono ispirata alle mie – non mi vergogno ad ammettere di esserne vittima da anni ormai – ma sappiate che non sono definite, cambiano di persona in persona e spesso anche di caso in caso. L’ansia cronica è una malattia di cui Harry soffre come conseguenza di uno Stress Post Traumatico.

 

 

Ho sentito la mancanza di Crave come del sole in inverno. E qui è felice.    

 

 

 

Vi aspetto tutti martedì prossimo, buone vacanze di Pasqua!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 13
*** Atto VI, Parte I - Indefinito ***


LErede del Male.


 

Call my name and save me from the dark, wake me up
Bid my blood to run, I can't wake up
Before I come undone, save me
Save me from the nothing I've become.

Bring me to life*”.



[Evanescence – Bring me to life]

                                  

 

Atto VI, Parte I –  Indefinito

 

 

Erano state necessarie ore affinché Harry potesse recuperare pienamente il controllo di sé. In realtà era piuttosto convinto che lo psicologo gli avesse fatto qualcosa, perché per la prima volta in quattro anni si sentì libero, come se dei pesi enormi fossero appena stati sollevati dalle sue spalle. Aveva pianto tutte le sue lacrime, si era stretto ad Hermione, che in quel momento gli era sembrata l’unica certezza al mondo, poi, semplicemente, era tutto finito. Non era normale, ovviamente ne era consapevole, ma gli stava bene. Si sentiva ancora se stesso, se non addirittura migliore: quella nube oscura che l’aveva perseguitato si era dissolta e se anche presto o tardi avesse deciso di tornare, lui avrebbe ringraziato per quei pochi momenti di tranquillità1.

Forse avrebbe fatto bene ad accettare la proposta di Crave e diventare un suo paziente abituale.

Dopotutto, era riuscito a gestire Winter, rimettendola insieme con così tanta maestria che, in quel momento, mentre lo osservava con il suo sorriso gentile a giusto pochi metri di distanza, gli sembrò quasi che l’incidente con quel mostro non fosse mai accaduto.

«Credo sia finalmente giunto il momento di sapere tutto, non credi anche tu?» lo incalzò Hermione, sorridendogli incoraggiante dal bracciolo della sua poltrona. La sua migliore amica era rimasta al suo fianco in ogni istante, allontanandosi solo per potersi cambiare d’abito. Stava indossando l’uniforme d’ordinanza, quella in pelle rosso scuro che le dava un’aria molto più formale e spaventosa. All’improvviso si era trasformata in quell’agente senza pietà che l’Ordine delle Banshee aveva plasmato, ma Harry non riusciva a provare verso di lei la stessa ansia che invece le provocavano gli altri quattro.

Con un cenno, il Bambino sopravvissuto annuì in direzione della sua migliore amica, voltandosi poi verso tutti gli altri. Ophelia era ancora estremamente pallida e sembrava voler far di tutto pur di non guardarlo in viso. «Voldemort non ha parlato con me, mi ha solo mostrato. Era come se io fossi lui, capite? Non sono sicuro di potermi spiegare bene, quantomeno non in modo da farvi capire con esattezza cosa io abbia provato in quel momento» tentò, stringendo poi le labbra con preoccupazione.

Katie, dalla sua sedia nascosta nell’angolo più buio della stanza, grugnì. «Eri posseduto, Potter. Credimi, bene o male tutti noi abbiamo sperimentato quella particolare situazione» gli disse, stringendosi nelle spalle e lasciando penzolare le gambe oltre il bracciolo. Non gli dedicò più di uno sguardo, quasi la sua stessa presenza la stesse annoiando.

Probabilmente era ancora offesa per quel comportamento irrispettoso che aveva avuto verso di lei durante il sogno.

Senza sapere cos’altro risponderle, Harry annuì. «Sì, ero posseduto. Mi hq mostrato dei suoi ricordi, ma sono ricordi vecchi, risalenti al periodo precedente alla… alla morte dei miei genitori. Lui era… più giovane, più umano». Si fermò per un momento, cercando la parola giusta per descrivere il Tom Riddle che aveva assistito durante quella singolare possessione. «Era più ingenuo» disse alla fine, sollevando gli occhi in direzione prima di Hermione e poi di tutti gli altri quattro. «Ho sentito la sua rabbia, la sua frustrazione».

«Qualcuno si è preso gioco del Signore Oscuro, anni fa» si intromise Winnie, probabilmente leggendo ciò che lui ancora non era riuscito a far uscire dalla sua mente affaticata. Lo guardò per un lungo istante, le bionde sopracciglia corrugate. Al suo fianco, Draco le posò una mano sul braccio, dandole qualche leggera pacca. Nonostante le indicazioni dello psicologo, era improbabile che lui stesse riuscendo a tenere per sé i suoi pensieri riguardo ciò che era successo. Fortunatamente non l’aveva vista nel momento di maggiore crisi.

«In che senso “preso gioco”?» domandò Ophelia, raddrizzando le spalle con espressione parecchio preoccupata. «L’unica persona effettivamente riuscita a prenderlo per i fondelli è stata Narcissa Malfoy» mormorò, indicando Draco con un cenno del capo. Quando lui la guardò, riprese a parlare. «Tua madre era una delle Legilimens migliori in circolazione, oltre che una incredibile stratega. Si dice in giro che non ci fosse partita di scacchi magici che lei non avesse vinto2».

«Anche Severus Piton è riuscito a nascondere i propri piani a Voldemort» specificò Harry, accigliato. «Per anni, se vogliamo essere precisi. Senza lui e senza la madre di Malfoy, probabilmente io oggi non sarei qui» aggiunse, con un sospiro rassegnato. C’erano così tante persone che avevano sofferto per la pace che tanto duramente era stata guadagnata ed in quel preciso istante qualcun altro stava lavorando per mandare tutto all’aria e rendere i loro sacrifici inutili.

Non poteva permetterlo.

Ophelia sibilò, arricciando il naso come avrebbe fatto un gatto irritato. «Severus Piton era fenomenale, ma non lasciare che quel suo ultimo atto di buon senso faccia mettere da parte una vita di…» venne fermata dalla mano di Barry sulla spalla e da un suo sguardo ammonitore. I coniugi si fissarono per qualche istante ma, alla fine, lei strinse le labbra e annuì. «Ti prego, Harry, continua con il tuo racconto. Questo non è il momento per lasciarsi prendere da vecchi rancori3».

Avrebbe dovuto parlarle.

Molto presto.

«Voldemort era giovane ed era ancora convinto che il mondo sarebbe semplicemente caduto fra le sue mani, perché lui era il migliore» riprese l’Auror, muovendosi sulla sua poltrona come se all’improvviso fosse diventata scomodissima. L’ansia di Tom Riddle ancora risiedeva sul fondo del suo stomaco, come se non avesse mai smesso di vivere dentro di lui. Era possibile? Dopotutto aveva continuato a restare collegato con il suo spirito in tutti quegli anni. «Io credevo che l’idea degli Horcrux fosse sorta durante le sue ricerche e che poi fosse stato Lumacorno a togliergli gli ultimi dubbi sull’aspetto pratico» mormorò, passandosi nervosamente una mano fra i capelli scuri.

«È ciò che anche Silente credeva» convenne Hermione, accigliata. «Abbiamo parlato più volte con il suo ritratto e ci ha confermato che l’opera del professore si fosse limitata ad un approfondimento. Sconveniente, certo, ma comunque un approfondimento. Qualcuno lo ha ispirato?».

Malfoy, dal suo angolo, grugnì. «Un ragazzino non se ne esce fuori con la storia degli Horcrux senza aver avuto una imbeccata, Granger» le fece notare. «Come credo chiunque di noi abbia avuto una educazione decente potrà confermare4, nonostante i vari libri di magia oscura presenti nelle nostre librerie non credo avremmo potuto trovarne qualcuno che facesse riferimento a quel tipo di incantesimo».

«E se non abbiamo mai trovato nulla noi4» si intromise Winnie, il capo piegato leggermente di lato, «dubito fortemente che un orfano mezzosangue avrebbe potuto avere molte speranze. Il Signore Oscuro era solo un ragazzino, per quanto malvagio e portato per l’oscurità che fosse. Non è una conoscenza che puoi semplicemente acquisire, quella. Io ho sempre dato per scontato che fosse stato Lumacorno a dare inizio alla discussione, in qualche modo. O che comunque fosse stato l’allora insegnante di Difesa a fare un qualche accenno, attirando la sua attenzione e spingendolo ad approfondire la ricerca sui libri giusti».

Harry scosse il capo, sprofondando di più con la schiena fra i vari cuscinetti alle sue spalle. «Io non mi ero posto il problema ma, se l’avessi fatto, l’avrei pensata come te» convenne, espirando dal naso. «Credo che lui stesso avrebbe preferito non saperne mai nulla, tanto forte era la sua irritazione mentre mi mostrava le immagini del suo passato».

Dall’angolo più remoto della stanza, Katie grugnì. Fra i presenti, lei era quella che sembrava star peggio: il pallore delle sue guance la faceva sembrare malata, le occhiaie erano più scure di quanto potesse esser considerato sano. Nascosta nella sua felpa Grifondoro risalente ai tempi della scuola, fino a quel momento aveva fatto di tutto pur di confondersi con la tappezzeria. «L’irritazione è ciò che l’ha tenuto a galla in questi anni. È poco più di un ricordo, ma la sua rabbia gli ha consentito di restare ancorato a questa realtà e torturarti. Se la sua anima fosse stata intera, sicuramente sarebbe diventato uno spirito vendicatore. Chiunque l’abbia preso in giro, lui deve odiarlo molto più di quanto non abbia mai odiato te, Potter» spiegò, secca, distogliendo poi lo sguardo da tutti loro per tornare a puntarlo sulle fiamme del camino.

Harry si convinse che offendersi per quell’atteggiamento sarebbe stato ipocrita da parte sua, quindi si limitò ad annuire. «E ne avrebbe tutte le ragioni, considerando il modo in cui è stato usato» sbottò, arricciando il naso in un gesto di disgusto che non gli apparteneva. Tom Riddle era davvero in un angolo della sua mente e, probabilmente, lo sarebbe stato fino alla fine dei suoi giorni. «Aveva quindici anni quando venne avvicinato per la prima volta. Era la prima volta che qualcuno si fosse degnato di considerarlo, all’orfanotrofio».

 

Lo straniero indossava un abito gessato dal taglio molto elegante, ma estremamente fuorimoda. Sembrava straniero, i suoi tratti delicati facevano pensare ad un paese lontano, molto più caldo e soleggiato di quanto l’Inghilterra non fosse mai stata. Aveva gli occhi dello stesso colore delle olive mature e la pelle abbronzata, quasi a voler ostentare la nazionalità straniera.

«Un giovanotto promettente come te è sprecato in un luogo come questo» gli disse, sorridendo come se avesse voluto incantare il mondo intero. La sua voce era stranamente melodiosa, quasi fosse appartenuta ad una donna. Anche i suoi modi erano delicati, troppo delicati. Che si trattasse di una donna vestita da uomo? Tom non si sarebbe stupito: Nott gli aveva mostrato le fotografie di quel suo disgustoso cugino.

«Ne sono consapevole» rispose, trattenendosi a stento dall’arretrare di qualche passo. Lui sarebbe presto diventato Lord Voldemort, il più grande mago mai passato per la faccia della terra: avere paura di quella creatura non avrebbe mai giovato alla sua grandezza. Allora sorrise, incantevole come sapeva essere con qualunque adulto, e si infilò le mani in tasca con l’atteggiamento da garbato birbantello che sapeva avrebbe conquistato chiunque. «Ma sono ben convinto che questa piccola parentesi della mia vita mi renderà più forte e determinato in futuro. Posso sapere con chi ho l’onore di parlare?».

Lo straniero – o la straniera? – rise allegramente, allunando la mano affinché lui la potesse stringere. Non appena le loro dita si sfiorarono, tuttavia, un brivido corse lungo la spina dorsale del ragazzo. Aveva sempre avuto l’incredibile talento di poter comprendere il potenziale magico di chiunque gli stesse davanti e, con una certa curiosità, si ritrovò a constatare quanto forte dovesse essere quella creatura5.

«Il mio nome è Tiresias il Veggente, Tom Riddle. E sono qui per mostrarti quanto immenso potrà essere il tuo futuro».

 

«Non posso crederci» sbottò Hermione, interrompendo il suo racconto e balzando in piedi come se qualcuno le avesse metto una puntina da disegno sulla poltrona. «Hai detto Tiresias, Harry? Sei sicuro?» gli chiese, avvicinandosi quasi di corsa alla grande libreria che occupava il lato nord della piccola stanza in cui erano rinchiusi. In pochi istanti, Winnie comparve al suo fianco, probabilmente intenzionata ad aiutarla. Era una fortuna che almeno lei avesse idea di cosa stesse passando per la mente della giovane.

«Tiresias, sì. È lo stesso che anche io ho visto, l’unico giorno in cui il mio solito sogno è cambiato. Credo sia stato il giorno immediatamente precedente alla…strage» nel dire l’ultima parola si voltò un momento verso Malfoy, sentendosi particolarmente a disagio. Dopotutto, lui aveva perso la sua famiglia in quella situazione e probabilmente avrebbe preferito non sentirselo sbattere nuovamente in faccia con tale noncuranza. «Ero convinto che fosse una donna, in realtà. Nei ricordi di Riddle, però, era vestito da uomo e non era invecchiato di un solo giorno».

«Questo perché non può invecchiare» sbottò la giovane, accettando il libro che Winnie le aveva silenziosamente porto ed iniziando a sfogliarlo alla velocità della luce. Nei suoi occhi c’era lo stesso luccichio della volta in cui aveva improvvisamente ricordato Nicholas Flamel da una delle sue letture leggere. «Eccolo! Tiresias, celebre indovino tebano, figlio di Evere discendente di Udeo, uno degli Sparti, e della ninfa Cariclo. Punito con la cecità per aver visto la dea Atena nuda ma ricompensato con il dono della vista, si dice che dopo aver offeso le divinità sia stato punito con l’indefinito».

«Cosa intendi dire con “indefinito”?» chiese Barry, rimasto in silenzio fino a quel momento. «È un termine che spesso noi utilizziamo per indicare i cuccioli di drago quando ancora il sesso non può essere individuato. È per questo che Lord Voldemort non è riuscito a compere cosa fosse?».

Hermione annuì. «Indefinito nel senso di “né uomo, né donna”, anche se non è solo questo. A quanto pare è stato condannato a vivere un’esistenza a metà non soltanto dal punto di vista sessuale» mormorò, indicando una pagina specifica del grande libro. «”Tiresias, l’ermafrodita, condannato a vivere a metà. Né morto, né vivo, né umano e né creatura. Mai a lui verrà concesso il gaudio della morte e mai il dolore della reale esistenza, poiché Esso ha disubbidito al comando più grande e allora dovrà seguire il suo padrone finché l’alba dell’esistenza non tramonterà anche per lui”6».

«Stai cercando di dirmi che dietro a tutti i nostri guai e dietro Lord Voldemort c’è una figura mitologica? Un soggetto che viene nominato nell’Odissea?» sbottò Ophelia, incredula ma non per questo meno preoccupata. Dopotutto, nel loro lavoro dovevano aver conosciuto tutte le follie del mondo: una in più non poteva certo essere così assurda da credere. «Una figura che è apparsa al fianco di Ulisse e Zeus e tutti gli altri dovrebbe aver provocato questi guai» continuò, le sopracciglia inarcate in modo quasi divertente. «Sii seria, se anche fosse vero allora avrebbe migliaia di anni. Nessuno può sfuggire davvero alla morte, non nel lungo termine. Voldemort stesso ne è stato la dimostrazione. Nessun corpo potrebbe durare integralmente tanto a lungo, è impossibile».

Una risata gutturale provenne dall’angolo in cui era sprofondata Katie. «Ah, le parole della scienza» sbottò, senza nascondere un pizzico di sarcasmo. «Credimi, Philly, potrei raccontarti storie capaci di tenerti lontana dai tuoi amici defunti nell’obitorio per almeno due mesi» le disse, glaciale.

Harry sentì un brivido corrergli lungo la spina dorsale e, per un istante, temette di essere sul punto di morire per la paura.

«Trina, comportati bene» la ammonì Barry, gli occhi chiari ridotti ad una fessura. «Te l’abbiamo detto mille volte che usare il tuo potere per far spaventare gli altri è da incivili7. Oltretutto sei stanca, rischi di svenire da un momento all’altro, continuando così».

«E sai bene che niente di quello che potresti dirmi mi terrebbe lontana dai miei piccini» si lagnò Ophelia, tutt’altro che irritata dal modo in cui la giovane aveva reagito alle sue parole. Sembrava più che altro esasperata, quasi quello scontro fosse roba da tutti i giorni.

Dopotutto, pensò Harry, scienza e religione erano sempre state antagoniste8.

«Katie ha ragione, questa volta» mormorò Winnie, che, rimasta accanto ad Hermione, aveva continuato a leggere quella pagina da cui lei si era a limitata ad estrapolare poche parole. «Qui dice che Tiresias è stato avvistato spesso nel corso nella storia, anche se in pochi sono riusciti davvero a riconoscerlo. Nessuno sa come sia possibile che sia davvero lui, ma le descrizioni non lasciano spazio a dubbi. L’ultimo caso registrato è stato proprio Grindelwald, nei primi anni venti. A quanto pare, scrisse al professor Silente di questo straniero intenzionato a rivelargli i piani della vita eterna. Per nostra fortuna, il Preside riuscì a convincerlo che fosse solo una distrazione nella strada per la ricerca dei Doni».

Confuso, Harry si accigliò. «Lì fa riferimento a Silente e ai doni?» chiese, con un certo sconcerto. «Credevo che noi fossimo stati i primi a fare quel collegamento, Hermione» sbottò, voltandosi verso l’amica come se fosse stata colpa sua. In realtà era più verso l’Ordine che lui avrebbe preferito indirizzare la sua rabbia: loro sapevano, eppure avevano lasciato tre adolescenti a cavarsela da soli.

La ragazza sorrise. «Il libro è stato aggiornato dopo la guerra, quando Aberforth ha dato la sua autorizzazione al sequestro degli appunti di Silente. Sono stata io stessa ad aggiungere le nuove informazioni, per questo sono riuscita a collegarlo con il tuo racconto». Nervosamente, si morse il labbro, osservando le parole scritte come se avessero potuto iniziare ad eruttare fuoco da un istante all’altro. «Credevo fosse sparito dalla circolazione. Solitamente le sue comparse sono limitate ad una al secolo, non avrei mai creduto che… proprio con Voldemort…».

«Quindi questa creatura millenaria ha tentato di sedurre prima Grindelwald e poi il Signore Oscuro, ma con lui ha avuto successo perché non c’era il vecchiaccio a fargli la guardia» convenne Malfoy, sprezzante. «Questa storia, che già era assurda di suo, sta raggiungendo dei livelli di follia che non mi sarei mi aspettato».

«Oh, ma non è tutto qui».

 

«Mi hai visto diventare grande».

«Sì, Signore» convenne l’oracolo, seduto sul bordo del suo letto con lo sguardo vitreo dalla cecità ma perso nell’infinità delle possibilità future. Era un veggente, uno dei pochi ancora in circolazione. «Ho visto la tua ascesa, ho visto la tua caduta e la tua rinascita. Per due volte cadrai, mio Signore, ma quando il tuo sangue sorgerà per la terza volta, niente potrà fermare la venuta delle tenebre».

Senza poterlo impedire, Tom sorrise, mettendo in mostra i canini. Tutte le volte in cui aveva sognato d’essere un serpente, quegli stessi denti erano stati colmi di veleno: quell’arma presto non gli sarebbe servita.

«Hai detto che devo cadere due volte?».

«Sì, Mio Signore. Due volte dovrai lasciare che la Morte stenda su di te la sua mano impietosa e sempre a causa della stessa creatura. Un bambino con i capelli neri e grandi occhi di smeraldo, cresciuto con il simbolo di Zeus sulla fronte. Lui sarà la causa del ritorno delle tenebre e Colui che non è mai morto potrà tornare alla vita grazie al tuo sangue che per la terza volta camminerà in questo mondo».

Il sorriso fiducioso di Tom Riddle avrebbe illuminato il mondo intero.

«Cosa devo fare?».

«Horcrux. Devi scoprire come creare degli Horcrux. Sette, il numero magico per eccellenza».  

 

«Se fosse stato chiunque altro, non sarebbe caduto nella trappola» convenne Hermione, stringendo poi le labbra in una linea sottile. «Nessuno avrebbe provato a dividere l’anima in così tante parti, pur conoscendo i rischi. Ma Voldemort si sentiva diverso, si sentiva forte…».

Harry annuì seccamente. Qualcosa sembrava essersi congelato alla base del suo stomaco, forse per la consapevolezza di ciò che a breve avrebbe dovuto raccontare. «Si sentiva forte, si sentiva imbattibile. Aveva il più grande veggente della storia schierato dalla sua parte, chi avrebbe mai pensato di sfidarlo? Come avrebbe mai potuto perdere?» ripeté fedelmente quelle stesse parole che qualche ora prima aveva percepito come sue. In un certo senso, gli sembrava davvero di poter percepire da qualche parte quella sensazione di onnipotenza che aveva portato il giovane Tom alla sconfitta. Solo che, mentre al suo vecchio compagno di sventura quelle emozioni erano piaciute fino a diventare una droga, Harry ne era nauseato.

«Dubito fortemente che Tiresias non avesse visto a cosa lo avrebbe portato inseguire il sogno degli Horcrux. Se davvero fosse stato dalla sua parte, avrebbe agito per evitare che venisse a darti la caccia» convenne Barry, allungando la mano per accarezzare distrattamente il fianco di sua moglie. C’era una strana dolcezza nel suo movimento: ad un primo sguardo sarebbe potuto sembrare puramente istintivo, ma Harry aveva visto troppo fino a quel momento per lasciarsi ingannare. Le coincidenze non esistevano.

Avrebbe dovuto parlare con Ophelia, presto o tardi.

«Oh, Tiresias sapeva cosa sarebbe successo se Voldemort avesse deciso di darmi la caccia. Lui stesso lo sapeva» spiegò il Bambino Sopravvissuto, che ormai non era più un bambino. «Voldemort è venuto a cercarmi con la consapevolezza che sarebbe caduto, voleva che accadesse. Non sapeva che sarei diventato un altro Horcrux, naturalmente, perché altrimenti avrebbe sfruttato la connessione ben prima del nostro ultimo scontro e per questo motivo non ha opposto resistenza all’idea di crearne un altro, che poi è diventato l’Obscurus. Ma sapeva che io ero un male necessario. Solo attraverso la sua seconda caduta avrebbe potuto risorgere per l’ultima volta, riportando le Tenebre sulla terra». Senza alcuna gioia, Harry ghignò. «Sfortunatamente, Tiresias non ha pensato di avvisarlo che a portare questa oscurità non sarebbe stato di certo lui».

«Lo hanno usato» sbottò allora Malfoy, imitando Harry con una risata che di divertito sembrava avere ben poco. «Le due guerre magiche sono state soltanto un trucco per consentire a Tiresias di acquisire potere e conquistare il mondo? Cos’è che voleva, l’Obscurus? Questa ipotetica creatura è così potente da giustificare un piano di oltre settant’anni?».

«Tiresias è vecchio millenni» puntualizzò Hermione, guardandolo con il dubbio stampato in viso. «Cosa potrebbero mai essere, per lui, settant’anni?» gli fece notare, pur non sembrando molto convinta. «Mi rendo conto che un Obscurus che abbia parte dell’anima di Lord Voldemort debba essere incredibilmente più forte del normale, ma sinceramente stento a credere che sia tutto qui. Avrebbe potuto usare te, Harry. Saresti stato molto più utile ed avendoti al suo fianco sarebbe stato più facile prendere il controllo del nostro paese».

«Ma perché proprio l’Inghilterra, poi?» sbottò Malfoy, allargando le braccia. «Siamo un’isola nel deretano del mondo, avrebbe potuto mirare agli Stati Uniti! Al Canada! O all’Australia! Perché qui? In Germania è pieno di maghi oscuri di grandi speranze».

«Il suo padrone è qui» fu la laconica risposta di Harry, che arricciò il naso con immenso disgusto. La rabbia di Voldemort tornò quasi con prepotenza in lui, facendogli stringere i pugni. Si era liberato della possessione, ma il ricordo era difficile da eliminare. «Non è per se stesso che Tiresias sta cercando il potere. Tutto quello che ha fatto, per tutta la sua esistenza, è stato tentare di liberarlo. Voldemort l’ha scoperto quando ormai era troppo tardi e per quanto abbia provato a liberarsi di lui, il destino era sul punto di compiersi. Per sua sfortuna, è entrato in possesso della biblioteca dei Rosier quando è stato troppo tardi».

«Il suo Padrone?» domandò Draco, accigliato, voltandosi di scatto in direzione di Winter quando lei crollò a sedere con un tonfo secco, gli occhi puntati in quelli di Harry. Non erano più verdi, ma grigi.

Era colpa sua e sperò con tutto il cuore che l’avrebbe perdonato per aver incanalato i suoi ricordi tutti su di lei: era l’unico modo in cui sarebbe riuscito a far uscire quelle parole dalle sue labbra. Pensarle e ripeterle, stranamente, gli sembrò impossibile.

«Per aver sfidato la Morte, la condanna è stata l’Indefinito. Servo e Maestro per l’Eternità legati dal nulla del Divenire, fermi nel Limbo dell’Essenza finché Colui che è Ritornato, l’Araldo di Thanatos e la Padrona delle Anime non verseranno il loro sangue sul Libro dell’Ade» ripeté la donna, lo sguardo vitreo di chi non avesse la più pallida idea di cosa stesse succedendo tutt’intorno. «Di certo non è una filastrocca da insegnare ai bambini, non credete anche voi?» domandò dopo qualche istante, tornata ormai se stessa, lanciando uno sguardo tutt’altro che soddisfatto in direzione di Harry. «Quando vorrai bombardarmi con i tuoi pensieri, Harry caro, abbi il buongusto di avvisarmi. Adesso avrò un’emicrania terribile per il resto della giornata» si lamentò, facendosi aria con la mano, incurante del silenzio attonito che regnava tutt’intorno. «Ma immagino non avessi scelta, sei stato colpito da un Incantesimo Languelingua, anche se in modo indiretto».

«Chiedo scusa?».

«Non te ne sei reso conto, Potter?» gli chiese la bionda, con una risatina. «Katie ha davvero ragione. Credo sia stato il Signore Oscuro ad esserne stato colpito, in realtà, ma essendo stato posseduto devi aver assorbito parte di quella maledizione9. In effetti, avresti potuto farci conoscere quell’estratto del libro detto da Tom Riddle solo attraverso le mie capacità».

«Scusate, nessuno vuole commentare su ciò che abbiamo sentito?» si intromise Barry, le sopracciglia scure così alte da essere quasi nascoste dai capelli. Distrattamente, si grattò la guancia con l’uncino, sollevando lo sguardo in direzione di sua moglie, prima, e poi verso le altre Banshee. «Qualcuno mi può fornire un’analisi dettagliata di quel delizioso biglietto d’auguri che ci è stato appena letto?».

«L’Indefinito sai già cos’è» borbottò Ophelia, sistemandosi meglio sul bracciolo della poltrona su cui si era poggiata. Quella debolezza che l’aveva seguita fin da quando erano usciti dal sogno di Harry sembrava sparita nel nulla. «A quanto pare fa tutto parte di una maledizione che qualcuno o qualcosa ha scagliato su Tiresias e sul suo padrone. Una condanna a cui potranno sfuggire solo quando qualcun altro verserà il suo sangue su un libro».

«Libro dell’Ade, sono piuttosto certa che si tratti del Necromicon» mormorò Hermione, concordando. «Fortunatamente avevamo già messo in conto di trovarlo».

 «Malfoy, mi hai chiesto perché qui e perché adesso» si intromise Harry, dedicando la migliore fra le sue occhiate vuote al vecchio nemico dei tempi della scuola. «A quanto pare, è qui che Tiresias è riuscito a recuperare tutto ciò che gli serve per spezzare questa maledizione e liberare il suo padrone da qualunque prigione sia stato rinchiuso in precedenza, come ha provato a fare centinaia e centinaia di volte negli altri secoli. Ed è qui che si trova questa prigione».

«Ha sempre fallito, pur avendo comunque il dono della profezia per prepararsi al meglio» mormorò Hermione, incrociando le braccia al petto mentre osservava con attenzione le pagine del suo libro, come alla ricerca di una spiegazione.

«A quanto pare, non è mai riuscito a trovare tutto. Stando al libro trovato da Voldemort, il suo Padrone è riuscito a fuggire solo pochissime volte ed è sempre ricaduto nella sua prigione, dopo poco tempo. Una soluzione permanente è stata impossibile da trovare, non è mai riuscito a superare il blocco che la maledizione ha imposto alla sua esistenza, qualunque cosa significhi» spiegò Harry, stringendosi nelle spalle. Non c’era molto da ricordare dal sogno, le emozioni di Voldemort – la sua irritazione, la rabbia, la voglia di essere vendicato – erano troppo forti per consentirgli di ragionare in modo lucido.

«Dovremmo poter trovare qualche indizio su di lui, allora. Qualcosa che ci faccia capire cosa stiamo cercando e contro chi stiamo lottando» riprese Hermione, rileggendo quelle poche righe che aveva trascritto quando Winter aveva iniziato a declamare la punizione toccata all’Indovino e al suo Padrone. «Per aver sfidato la Morte…» rilesse, con un mormorio quasi simile ad una cantilena. «Chi ha sfidato la Morte?».

«Ná Bí Ag Iarraidh Cluain An Chacamais A Chur Orm10» sbottò Katie, attirando l’attenzione su di sé come se fosse stata una calamita. Era rimasta in religioso silenzio dall’ultima volta in cui era intervenuta e, per un istante, Harry si era quasi scordato che fosse presente. Quando la guardò, la ritrovò in piedi, quasi appiattita contro il muro alle sue spalle come se avesse voluto essere inghiottita dalle ombre. «Porca puttana» riprese, forse volendo imprecare in modo finalmente comprensibile. «Non va bene. Questo non va affatto bene. Se davvero è come temo, se davvero si tratta di lui, faremo bene a nasconderci tutti sotto un sasso e pregare di non essere trovati. Non abbiamo alcuna via di scampo».

«Katie, cara, ti dispiace elaborare?» provò a chiedere, con gentilezza, Winter, piegando il capo di lato come se avesse voluto sentire meglio. Il suo potere tendeva a non funzionare con Katrina, ma evidentemente anche Katie doveva essere parecchio brava nel difendersi. Infondo erano la stessa persona. «Tu sai di chi stiamo parlando?».

Con un gesto secco ma spaventato, la ragazza annuì. «Noi… noi lo chiamiamo in tanti modi diversi. È stato Caligola, è stato Gilles de Rais e Vlad Dracula. Jack lo Squartatore. È stato il primo negromante e il primo vampiro» esalò, il viso trasfigurato in un terrore così palese da far accartocciare lo stomaco di tutti i presenti. «L’uomo che catturò la Morte e che per questo venne punito».

«Katie?».

«È Sisifo11» esalò, pronunciando quella parola come se fosse costato tutto il suo coraggio. «È la creatura più pericolosa che sia mai esistita ed ora sta cercando il Necromicon per riacquistare il suo potere. Non capite? Lui ha scritto quel libro» chiese, la voce ridotta ad un pigolio. Ciò che Harry aveva davanti agli occhi non somigliava affatto al mostro che solo la sera prima aveva messo in ginocchio l’uomo più spaventoso che lui avesse mai conosciuto. «Siamo tutti morti».

«Credevo che Sisifo fosse solo una leggenda» mormorò Hermione, lanciando uno sguardo confuso in direzione di Ophelia e poi di Winter, che si mostrarono altrettanto confuse. «Ma, in fondo, anche Tiresias lo era. Katie, sei palesemente la più informata… pensi di poterci spiegare qualcosa in più? Chi dovrà sanguinare sul Necromicon per farlo tornare?».

Un campanello d’allarme suonò nella coscienza di Harry, quando la negromante si voltò a fissarlo con il puro orrore negli occhi.

«Siamo noi» disse allora, anticipandola. «Io sono tornato, dopo essere morto. Katie è una negromante e Winter…» guardò la bionda, che era appena crollata nuovamente a sedere accanto a Malfoy. «Chi potrebbe essere il Padrone delle Anime, se non qualcuno che può esplorarne i segreti più oscuri? Chi meglio della più grande Legilimens delle ultime generazioni?».

«Ma perché?» fu proprio Malfoy a parlare, gli occhi puntati sulle sue mani. «Perché il Signore Oscuro ti avrebbe mostrato tutto questo? E perché sta succedendo adesso?».

«Perché Tom Riddle sarebbe stato un perfetto spirito vendicatore» gli rispose Katie, laconica. «È morto a causa dei piani di una creatura molto più antica e spietata di lui ed ora vuole vendicarsi. Per farlo è pronto ad aiutare il suo peggior nemico».

«Siamo comunque fottuti».

La porta della stanza venne improvvisamente spalancata e non ci fu una persona che non trasalì palesemente. Katie, ancora appiattita contro il muro, si lasciò andare ad un gridolino terrorizzato. Ophelia fu al suo fianco in un istante, un braccio intorno alle sue spalle ma gli occhi puntati sull’uomo appena entrato. Era un ragazzo con corti capelli biondi ed il viso innaturalmente pallido.

«Il y avait une attaque dans Diagon Alley!12» annunciò, con il fiatone. «Allez! È l’Obscurus!».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

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 Chi mi ha seguita qui dalla mia prima long saprà già che io, semplicemente, non sono capace di star lontana dalla mitologia greca. Non ce la faccio. Ho un amore viscerale per la mitologia. Viscerale. Quindi SBAM, ecco che torna. È stato più forte di me, perdonatemi.

 

 

Punti importanti:

 

» * - Chiama il mio nome e salvami dall'oscurità, salvami /chiedi al mio sangue di scorrere, non posso svegliarmi /prima che io cada a pezzi, salvami /salvami dal nulla che sono diventato. riportami in vita. Ehehe, qua parte la ship Sisifo/Tiresias. Il riferimento è a loro due, in questo caso, perché Tiresias ha passato millenni ad inseguire il sogno di liberare il suo Padrone e se stesso. Tranquilli, si spiegherà tutto.

 

» 1 – Come mi è stato fatto notare nei commenti, nello scorso capitolo la discussione di Harry e del Dottore è un po’ “meccanica” o comunque forzata. È tutto voluto, non temete, il povero Newt si è solo assicurato che Harry avesse abbastanza forza da rivivere i ricordi di Voldemort senza cadere in pezzi, lui sicuramente tornerà a fare quattro chiacchiere.

 

» 2 – Io amo Narcissa Malfoy e potete dire ciò che volete, ma niente mi convincerà che Voldemort, nella famosa scena del “è morto”, non abbia tentato di usare la Legilimanzia per scoprire se lei fosse sincera o meno. Narcissa ha preso per i fondelli il Signore Oscuro nel momento di peggiore ansia. Cosa non fa una madre, eh?

 

» 3 – A me Severus Piton non piace. Per niente. Lo detesto con tutta me stessa e non me ne importa un accidenti se è morto facendo l’eroe, se ha difeso Harry e tutto il resto. Era un pazzo maniaco che è rimasto innamorato di una donna morta per vent’anni anche se lei non l’ha mai ricambiato perché da giovane era uno stronzo. E no, non uscite fuori la storia del bullismo, perché di occasioni per cambiare ne ha avute parecchie. Ophelia la pensa come me – se non peggio – e non perde occasione per onorare la memoria di Sirius e James, nell’insultare Mocciosus. Oltretutto, lei ha i suoi ottimi motivi per odiarlo. Perché, sì, magari Piton ha subito atti di bullismo da James, ma l’essere vittima non giustifica il diventare carnefice e abbiamo letto tutti quanto Piton fosse un bastardo vendicativo (es. Neville e Lupin alla fine del terzo libro). Immaginate come dev’essere stato con Ophelia, quando lei era ancora ad Hogwarts (quando James è morto lei faceva il primo anno, l’anno seguente Piton ha iniziato a lavorare a scuola). Immaginate come deve essersi comportato con la cugina del suo vecchio rivale in amore, che non perdeva occasione per ricordare come James fosse morto da eroe con sua moglie. Immaginate come deve essersi comportato con quella ragazzina che gli somigliava così tanto da poter essere sua sorella, quella ragazzina che lo detestava e che aveva gli stessi occhi di James. (Mi sono fatta prendere la mano ahaha).

  

» 4 -  Il buon, vecchio Draco si sta vantando della cultura dei Purosangue, sì. È innegabile che lui, così come Winter, abbia avuto una preparazione “di cultura generale” magica nettamente superiore rispetto Harry o anche Hermione (lei ha acquisito le conoscenze da grande, studiando perché voleva farlo).

 

» 5 – Una cosa un po’ improvvisata, me ne rendo conto. Ma credo che esistano maghi e streghe capaci di capire quanto potente sia chi gli sta davanti, un po’ come un brivido, mi capite? Voldemort è sempre stato sveglio, il suo sesto senso, al riguardo, era parecchio sviluppato.

 

» 6 – Ovviamente questo è tutto frutto del mio sacco, la storia di Tiresia è molto più noiosa (che la mitologia non me ne voglia). In realtà Tiresia è diventato un ermafrodita per aver ucciso un serpente femmina durante un accoppiamento. Una leggenda diversa da quella citata dice che la perdita della vista sia dovuta ad un attacco di stizza della dea Era, dopo che lui le fece perdere una scommessa con Zeus. Storia lunga, noiosa. Qui, invece, Tiresias ha avuto una esistenza… diversa.

 

» 7 – Katie è una succubus. Per quanto ancora non ci sia stata l’occasione di spiegare bene cosa implichi questo, sappiate che il suo potere le consente di “influenzare” chi le sta intorno, ma è una capacità che le costa tantissima energia e la lascia prosciugata come se avesse perso tantissimo sangue.

 

» 8 – Scienza e Religione, perché? Perché Ophelia è un medico, per quanto sia anche una strega. Ci sono campi della magia che gli stessi maghi considerano superstizione e tutto ciò che riguarda la Morte vi rientra di diritto. Quanto a Katie, come ho già detto la Negromanzia è una religione, prima di tutto. Lei prega la Morte. Lei serve la Morte. Lei conosce i segreti di qualcosa che un mago comune ritiene inesistente dal punto di vista metafisico. 

 

» 9 – Ovviamente, quando Voldemort ha scoperto il piano di Tiresias lui ha ben pensato di impedirgli di parlarne in giro. Harry, avendo assistito al ricordo come “Voldemort” stesso, è stato colpito per estensione. Winter ha letto i pensieri di Harry, non ha assistito alla maledizione, quindi ha potuto liberamente ripetere la formula.

 

» 10 – Si tratta di un “non dirmi cazzate” in irlandese. Katie impreca come un pescatore del peggior porto di Dublino se presa alla sprovvista e spaventata. I suoi dubbi hanno iniziato a presentarsi quando Winter ha iniziato a ripetere la maledizione, ma quando Hermione ha puntualizzato il “chi ha sfidato la morte?”, ha avuto la sua conferma. I Negromanti sono un popolo estremamente superstizioso, la storia di Sisifo è tramandata un po’ come le nostre storie sul lupo cattivo o sull’uomo nero. È il peggiore fra gli spauracchi.

 

» 11 – Chi è Sisifo? Ancora, mi sono solo ispirata alla Mitologia, una cosa mooolto più sviluppata. Sisifo è colui che è stato condannato a morire, ma quando Thanatos (personificazione della Morte, tipo l’Angelo della Morte per capirci. Si dice fosse bello come Eros, in quanto il suo opposto) è andato a recuperarlo lui l’ha infilato in un sacco e l’ha nascosto sotto al letto (più o meno). Gli dei, naturalmente, notando che sulla Terra nessuno stesse più morendo, inviarono Ermes (almeno credo, abbiate pazienza, non ho proprio la forza di controllare) a cercarlo e, trovato a casa di Sisifo, liberarono il Dio della Morte, punendo il colpevole di quei guai. Ma Sisifo fu più sveglio, chiese alla moglie di non seppellirlo e, una volta nell’Ade, convinse Persefone (anche se alcuni miti dicono sia stato Ade) a farlo tornare, per “convincere la moglie a seppellirlo ed eseguire i riti funebri”. Ovviamente, una volta tornato sulla Terra si rifiutò ancora di “morire”, sfuggendo per la seconda volta alla sua fine. Per il mito, alla fine venne ovviamente catturato, qui, invece, lui e “il suo aiutante Tiresias” sono stati condannati. Sisifo è un negromante, un padrone della morte, capace di sfuggirle e controllarla. Il Necromicon contiene il segreto della sua fuga, oltre tutto ciò che riuscì a scoprire nell’Oltretomba nella sua iniziale permanenza. Perché Katie lo chiama “primo vampiro”? E perché ha tutti gli altri nomi (Caligola, Gilles de Rais, Dracula), se è rimasto in prigione? Ehehe, vi piacerebbe saperlo!

 

» 12 – “C’è stato un attacco a Diagon Alley”, in Francese. Abbiate pietà, io ho studiato francese alle medie (non voglio pensare quanti anni siano passati) e non ricordo assolutamente nulla.

 

 

Katie è come un gattino spaventato. Un gattino spaventato che impreca come uno scaricatore di porto. La amo.    

 

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 14
*** Atto VI, Parte II - La bambina ***


LErede del Male.


 

“O Death

Well I am Death, none can excel

I'll open the door to heaven or hell

O Death

O Death

My name is Death and the end is here.*”.



[Jen Titus – O Death]

                                  

 

Atto VI, Parte II –  Indefinito

 

 

La bambina era adorabile, con i suoi riccioli scuri ed i grandi occhi neri. In tanti l’avevano osservata aggirarsi per le vie di Diagon Alley con fare sicuro, guardando le vetrine come avrebbe fatto ogni creatura piena di meraviglia per il mondo ma con una tranquillità capace di muovere ad invidia un qualunque adulto funzionale. All’inizio nessuno si era preoccupato, era probabile che lei fosse insieme ai suoi genitori e che loro fossero solo a pochi metri di distanza, tenendola sotto controllo senza farsi notare. Doveva avere solo sei anni, nessuno sano di mente l’avrebbe lasciata davvero da sola per le vie più trafficate della Londra Magica, no?

Doveva esser con qualcuno. Ma perché, allora, nessuno si faceva vedere? Perché nessuno l’aveva affiancata, quando era caduta a causa di una pietra della pavimentazione leggermente risollevata rispetto alle altre?

Fu una delle impiegate del Ghirigoro, Louise McKenzie, che si decise a fare un passo avanti e porre quelle domande che in tanti avevano deciso di tenere per sé, convinti che, dopotutto, non fossero affari loro. Ma Louise era una madre in attesa, l’istinto le aveva impedito di mostrarsi indifferente: c’era il rischio che la piccola si fosse persa, quindi era suo sacro dovere farsi avanti e cercare di aiutarla. Forse quel suo comportamento fiero era solo un modo per non far vedere quanto in realtà fosse spaventata nel ritrovarsi da sola in un luogo tanto grande.

«Ciao, Pasticcino» la salutò, piegandosi quel tanto che il suo pancione di sei mesi le consentiva. Le sorrise, ritrovandosi quasi a squittire dalla delizia quando lei ricambiò quello stesso gesto, mettendo bene in evidenza due graziose fossette sulle guance paffute. Sembrava una bambola di porcellana. «Dove sono i tuoi genitori? Sei tutta sola?» le chiese, convinta di aver conquistato la sua fiducia.

La bambina, in effetti, non sembrava affatto spaventata da lei, tutt’altro. Louise la osservò allungare la mano affinché la prendesse e si lasciò tranquillamente trascinare all’interno della libreria. «I miei genitori sono morti» le disse, facendole sentire per la prima volta la sua vocina. Sembrava quasi il suono dolce di un flauto, così adorabile da farla sciogliere in una pozza d’acqua e zucchero. «Però non sono da sola. Io ho Tiresias».

Che nome buffo, fu il primo pensiero di Louise. Io non chiamerei mai il mio bambino così.

«E chi sarebbe questo Tiresias?» le domandò, continuando a lasciarsi trascinare. Non comprendeva quale fosse la loro destinazione: perché mai la bambina sembrava volerla trascinare verso il fondo del negozio? «Dov’è adesso?».

La piccina rise, stringendosi nelle spalle. «È ovunque! Tiresias non mi lascia mai da sola, non vuole che succedano brutte cose» spiegò, stringendo di più la mano di Louise, per spingerla ad avvicinarsi così da poterle parlare vicino l’orecchio. «Mi ha fatto promettere di fare la brava, ma ha detto che posso divertirmi un pochino. Ha detto che il momento è maturo ormai» bisbigliò, come se le avesse rivelato il più grande segreto dell’universo.

Dal canto suo, Louise McKenzie non riusciva a capacitarsi che questo – o questa – Tiresias avesse potuto lasciare la bambina da sola, soprattutto con la scusa di farla divertire. Era ridicolo, dal suo punto di vista, che si fosse limitato a dirle di assicurarsi che non ci fossero problemi. Cosa significava problemi? Per quanto Tu-Sai-Chi fosse ormai passato a miglior vita, Diagon Alley non era certo il luogo adatto ad una bimba così piccolina. Lei non avrebbe mai lasciato suo figlio o sua figlia da sola. Assolutamente no.

«Tesoro, ti va di dirmi dove vivi? Così potrò accompagnarti da questo Tiresias, uhm? Sono certa che potrai divertirti in un posto più sicuro» le mormorò, con dolcezza, accarezzandole il ricciolino scuro e mettendoglielo dietro l’orecchio. Era un peccato nascondere quelle belle guance dolci. Osservandola bene, le sembrò quasi di averla già vista da qualche parte. Era forse possibile che i suoi genitori fossero stati suoi vecchi compagni di scuola? Michelle Gobbers aveva avuto una figlia anni prima, ma lei non l’avrebbe certo abbandonata con qualche Tiresias incapace. «Non avere paura, ti riporterò indietro immediatamente».

La bambina, piuttosto che esserne felice, si adombrò, facendo un passo indietro. «Io non voglio ritornare a casa» disse, la vocina che sembrava completamente diversa da quella che lei aveva sentito e apprezzato poco prima.

Le fece venire i brividi, ma si decise ad insistere. Era ovvio che i bambini non volessero tornare a casa, una volta sperimentata la libertà, per questo era da irresponsabili il lasciarli da soli! «Ma non preoccuparti, cara, sono sicura che ti divertirai tantissimo anche a casa. Non vuoi certo metterti in pericolo, no? Tiresias ti ha detto di stare attenta, no?».

«Ma Tiresias ha detto che posso divertirmi!» urlò, strattonando via la mano con un movimento brusco. Il suo gesto fu talmente forte da far spaventare la povera Louise. Le doleva ancora il polso per il colpo e lei non riusciva a capacitarsi che quello scricciolino fosse tanto forte. Guardandola negli occhi, si ritrovò ad arretrare.

Era un lampo rosso quello che aveva visto?

«Non fare così, cara, andrà tutto…».

«Io voglio divertirmi!».

 

Nella prima esplosione persero la vita sette persone.

Fra queste, una donna incinta di nome Louise McKenzie venne ritrovata completamente sfigurata, il ventre aperto e la sua creatura non ancora formata strappata via con la forza.

La seconda esplosione, a pochi metri di distanza, uccise venticinque persone e distrusse completamente alcuni dei palazzi storici di Diagon Alley.

L’ultima esplosione, davanti alla Gringott, uccise centotrentuno maghi e trentacinque folletti.

Tutte le testimonianze concordarono nell’addossare la colpa ad un incubo da molto tempo dimenticato.

Un Obscurus1.

 

***

 

La prima cosa che Fred fece, una volta assicuratosi di essere tutto intero e capace di stare in piedi, fu cercare il suo gemello2. Fu alquanto difficile riacquistare l’equilibrio, essendo quasi sepolto vivo da cumuli e cumuli di scatole e pergamene contabili, ma il terrore lo aiutò a sconfiggere anche la gravità stessa e, in men che non si dica, si ritrovò a pochi passi dal corpo tramortito di George, a pochi metri di distanza. Ad una prima analisi non gli sembrò ferito gravemente, doveva aver perso i sensi a causa di un colpo sulla testa, proprio dove un segno rossastro stava iniziando ad assumere tinte non molto raccomandabili.

Respirava, tanto gli bastava.

Assicuratosi che il gemello stesse discretamente bene, iniziò a muoversi verso la parte frontale del negozio, mosso dalla volontà di capire cosa fosse appena successo e, soprattutto, terrorizzato all’idea dei danni che potevano essere stati provocati nella zona commerciale del locale, fortunatamente vuota a causa della chiusura settimanale. Che l’attacco fosse caduto di giovedì, il giorno dopo che lui era stato via con Hermione, aveva quasi dell’assurdo, tanto era stato fortunato. Non si sarebbe perdonato l’essere stato lontano per una situazione del genere.

Il “Tiri Vispi Weasley” era stato incantato contro le vibrazioni forti il giorno stesso in cui lui e George avevano acquistato quel piccolo locale a Diagon Alley. All’epoca si erano detti che fosse solo intelligente, da parte loro, andare a limitare i danni che loro stessi, durante degli esperimenti, avrebbero potuto procurare. E probabilmente era stato quello l’unico motivo per cui, mente fuori dalle vetrate si scatenava l’inferno, l’interno del negozio era pressoché intatto3. Solo pochi articoli erano effettivamente caduti dagli scaffali e le puffole pigmee erano per la maggior parte scappate dalla loro vaschetta per nascondersi sotto il registro di cassa, accumulandosi in pile disordinate e colorate che chiunque avrebbe potuto scambiare per pupazzetti informi ma morbidissimi. Da dove si trovava lui, così come nel retro, era impossibile sentire le urla che giusto oltre la soglia sbarrata si stavano accumulando, alzandosi al cielo come un grido d’orrore e paura.

Qualcosa dentro di lui scattò.

Quello non era certo il momento per restare lì, immobile e potenzialmente al sicuro3, mentre centinaia di persone fuggivano ed urlavano senza avere la più pallida idea di cosa fare. Con uno scatto, tornò nella zona riservata al personale, tirò suo fratello nel punto più riparato ed iniziò a dargli degli schiaffi non proprio leggeri, troppo ansioso per mettersi a cercare la bacchetta che doveva essergli caduta durante l’esplosione.

«Georgie?» chiamò, quando lo vide strizzare gli occhi, sorridendo infine sentendolo inspirare bruscamente e tirarsi a sedere alla velocità della luce.

«Fred! Oh, sei qui. Cos’è successo? Tu stai bene? È esplosa la pozione che stavamo sperimentando? Non può aver provocato così tanti danni!» sbottò, cercando di guardarsi intorno ma fermandosi con un gemito di dolore dopo essersi mosso con troppa fretta. Tornando a sdraiarsi, si portò una mano alla fonte, accettando la mano che Fred gli offrì per calarsi lentamente sul pavimento. «Questa volta non la passeremo liscia con il padrone di casa».

Sollevato nel sentire il gemello talmente lucido, gli intimò comunque di non muoversi con un gesto brusco. «Qualcosa è esploso a Diagon Alley, fuori c’è una bolgia infernale. Tu adesso resti qui, io vado a cercare di capire cosa accidenti è successo» lo avvisò, rialzandosi ed iniziando a cercare seriamente la sua bacchetta. La trovò dopo qualche istante sotto uno scaffale rovesciato. Voltandosi, si ritrovò l’occhiata accigliata di George puntata addosso e, senza neppure lasciargli il tempo di parlare, anticipò la risposta che avrebbe comunque ricevuto. «Tu non verrai. Ti sei appena ripreso, non abbiamo idea di quanto forte sia stata la botta in testa. Cerca di tranquillizzarti e poi manda subito un patronus a tua moglie, che è incita e probabilmente morirà d’ansia non appena saprà. Io non mi allontanerò».

«Col cazzo» fu la serafica risposta di George che, incurante dell’avvertimento del fratello, riprovò ad alzarsi in piedi, ritrovandosi tuttavia a barcollare e ricadere sul posto come un pesante sacco di patate. «D’accordo, io resto qui, ma ci resterai anche tu! Ti concedo di arrivare fino alla porta d’ingresso e mettere al riparo quante più persone riesci, se ti sembrerà che il pericolo sia ancora imminente» lo avvisò, puntandogli contro un indice tremante. «Non scherzo, Fred, giuro che verrò a riprenderti per i capelli se ti metterai a rischio, anche se dovrò trascinarmi con il passo della Salamandra!».

Fred ghignò, alzando gli occhi al cielo. Quello era il passo che avevano brevettato nelle loro varie fughe dal professore di turno intenzionato a metterli in punizione. La sua ilarità, tuttavia, vacillò ricordando quanto improbabile fosse che George potesse davvero ricorrere a quella mossa: il suo equilibrio, dopo la perdita dell’orecchio, era stato compromesso in modo quasi irrimediabile. Era già miracoloso che riuscisse a stare in piedi su due gambe4.

Era inidoneo alle Banshee, ricordò, sentendo nuovamente l’ondata di irritazione colpirgli la bocca dello stomaco, facendogli saggiare il sapore acido della bile.

Rassicurarlo gli venne naturale, mentre balzava verso la zona frontale del negozio, bacchetta in una mano e l’altra già immersa nella tasca dei jeans per ritrovare il suo vecchio specchietto. «Non preoccuparti, so cosa faccio» urlò, scavalcando un gruppo di puffole e spalancando con una spallata la porta d’ingresso, proprio un attimo dopo aver trovato finalmente ciò che stava cercando.

Il Supervisore rispose non appena lui chiamò e per poco non perse il contatto a causa del caos improvviso che lo circondò, ormai giunto sulla strada. «Wezly!» lo sentì urlare, il forte accento tedesco ancora più marcato a causa dell’evidentissima ansia. «Penzavo tu non chiamavi mai! Cosa sta succedendo a Diagon Alley?» gli domandò, alzando esponenzialmente il tono della voce. 

Fred si guardò per un momento intorno, cercando di comprendere qualcosa in tutto il caos che lo circondava. «Credo ci siano state minimo due esplosioni, una vicino al Ghirigoro e l’altra, la più forte, davanti alla Gringott. Ci sono moltissimi feriti, temo che anche i morti saranno parecchi» avvisò, seguendo con lo sguardo una ragazzina che non avrebbe potuto avere più di diciotto anni inciampare e strisciare via con il terrore negli occhi. Doveva aver appena finito Hogwarts, proprio la stessa età che lui aveva quando la Guerra era caduta sulle sue spalle e su quelle di tutti i suoi amici e fratelli.

«Miei agenti sono in arrivo, tu vai a vedere cosa puoi scoprire in frattmpo, ma non farti notare da Auror, tu non zei Banshee» lo ammonì l’uomo, fulminandolo dall’altra parte dello specchietto con i suoi minuscoli occhietti di un azzurro annacquato. Il suo tono di voce sembrò tremolare leggermente alla fine, probabilmente per l’irritazione.

Dopotutto, non era mai successo che qualcuno rifiutasse la sua proposta con una strillettera pernacchiante.

Ancora si chiedeva per quale assurdo motivo avesse accettato di renderlo un collaboratore esterno, piuttosto che limitarsi a cancellargli la memoria e togliere di mezzo il problema come probabilmente erano soliti fare con tutti i soggetti non idonei. Hermione aveva detto che il motto delle banshee era “Tieni gli amici vicino, ma i nemici ancora di più”, cosa che poteva giustificare il disgustoso numero di psicopatici che potevano essere conteggiati fra le loro fila. Anche Fred era da considerare fra questi? Troppo utile e pericoloso per restare ignaro di tutto, ma non abbastanza coraggioso da accettare la proposta? I suoi pregi dovevano necessariamente superare i suoi difetti.

«Vado a dare un’occhiata, ma credo che gli Auror siano già arrivati» avvisò il gemello, chiudendosi la porta alle spalle per assicurarsi che nessuno potesse entrare e fare del male a George – se non l’aveva seguito nonostante tutto, doveva stare più male di quanto non avesse immaginato – ed avviandosi allora controcorrente rispetto alla folla terrorizzata. La bacchetta che teneva in pugno sembrava notevolmente più calda, quasi avesse percepito il pericolo e volesse mantenerlo più all’erta possibile. Qualcuno, come lui, stava cercando di raggiungere il centro delle urla: un paio erano Auror colleghi di Harry, altri erano probabilmente giornalisti ed era assolutamente certo di aver notato un Indicibile sparire fra le ombre con aria preoccupata. Il Ministero si era già messo in moto, ma lui non dubitava del fatto che, nonostante il Supervisore lo avesse avvisato del prossimo arrivo delle sue squadre, alcune Banshee fossero già sul posto.

Erano come dei bravi battitori: sempre nel posto giusto al momento giusto.

Una bambina, poco lontana da lui, inciampò nella sua fuga, rovinando al suolo con un tonfo sordo. Aveva dei grandi occhi verdi velati di lacrime, i capelli castani disordinati a causa della fuga. Intorno a lei, uomini e donne terrorizzati continuarono a correre, incuranti di quello scricciolo in difficoltà e sul punto, più di una volta, di schiacciarla. Fred scattò in avanti, afferrandola per le spalle un attimo prima che un uomo parecchio avanti con l’età le rovinasse malamente addosso e salvandola, fortunatamente, da quella che avrebbe rischiato d’essere la sua morte. La strinse al petto, incurante delle urla belluine del Supervisore che ancora era in collegamento tramite lo specchietto tornato in tasca, e si spostò velocemente verso il bordo della strada, nascosto dietro dei barili che erano rimasti al loro posto grazie ad un incantesimo di protezione simile a quello che lui e George avevano scagliato contro i Tiri Vispi.

Era stranamente familiare e la cosa lo stava terrorizzando.

«Voglio la mia mamma» stava mormorando la bambina, scossa dai singhiozzi, nascondendosi contro il petto del mago come se non avesse più voluto vedere ciò che la circondava. «Voglio tornare dalla mia mamma» pianse più forte, tremando come una fogliolina.

«Va tutto bene, piccoletta» provò a tranquillizzarla, dandole qualche pacca amichevole fra i capelli in un blando tentativo di conforto. Lui non era bravo con i bambini tanto piccoli. Mai stato bravo. Preferiva giocarci e poi rimandarli dai genitori una volta finito il divertimento. Ma in quel momento non aveva molta scelta, no? Non c’era altro che potesse fare, se non ingoiare la sua ansia e fare del suo meglio. «Puoi dirmi il tuo nome, uhm? Così posso aiutarti a trovare la tua mamma».

«Freddie, dov’è Percy? Percy salva la mamma!».

Con orrore, Fred realizzò di ritrovarsi faccia a faccia con la figlia di Audrey Runcorn5.

Audrey, la fidanzata di Percy e ragazza madre.

Che lavorava alla Gringott.

«Cazzo».

 

Aveva appena fatto in tempo a riportare la bambina al sicuro nel negozio, tirando con sé due donne con bambini piccoli ed un ragazzo che avrebbe dovuto avere più o meno la sua età che era stato ferito alla testa, quando George sbucò da oltre la porta che separava le due zone del locale, pallido ma fortunatamente sulle sue gambe. Non guardò nessuno, correndo davanti a lui, la bimba tremante ancora fra le braccia. Non gli disse nulla, perché non fu necessario. Il viso già sbiancato di George variò verso una tonalità verdognola, avvicinandosi per stingere la spalla del gemello.

«Sta bene?» chiese, ansioso, facendo per allungare la mano per sfiorarle la piccola schiena ma fermandosi a metà strada, terrorizzato. «Dov’è sua madre?» aggiunse, in un sussurro spaventato. Entrambi avevano in mente, con buone probabilità, il modo a dir poco disperato con cui Percy aveva reagito alla morte di Ron. Se avesse perso anche Audrey, l’unica capace di tirarlo fuori dalla spirale di disperazione che l’aveva quasi portato sull’orlo del baratro, non sarebbe sopravvissuto. Non poteva perderla. Non potevano, non quando la bambina stretta al petto di Fred piangeva e cercava inutilmente sua madre.

«Ho trovato la piccola a qualche metro di distanza» sussurrò Fred, cullandola leggermente e sperando di poterla calmare. «Ci sono state almeno due esplosioni e una certamente alla Gringott. Prendi lei, io torno a cercare Audrey» spiegò, velocemente, alzando gli occhi al cielo quando George lo fissò come se fosse impazzito. «Non fare così, sappiamo entrambi che devo andare, prima che Percy si precipiti qui come un animale impazzito. Mandagli un Patronus, digli di venire in negozio, sono sicuro che la piccola si fidi di più e probabilmente il potersi rendere utile gli impedirà di dare di matto subito».

George scosse il capo, decisamente poco convinto, lanciando nel frattempo uno sguardo alle altre poche persone che erano al sicuro nel negozio. C’erano altri bambini che piangevano ed il ragazzo non aveva ancora smesso di sanguinare. Dovevano essere aiutati. «Freddie, tu non sei un Auror. Cosa credi di fare, arrivare lì e confonderti in mezzo a loro?».

Quasi richiamato dalla situazione, lo specchietto usato dal Supervisore iniziò a vibrare nella tasca del gemello. Avevano bisogno di lui? «Georgie, prendi la bambina e fidati di me. Non mi metterò in pericolo, me la sono sempre cavata e continuerò a farlo» lo rassicurò, con un tono decisamente più autoritario. Stare così spesso a contatto con le Banshee, seppur per brevi periodi, lo aveva aiutato a tirare fuori il Malocchio Moody che era in lui. «Avverti Percy e prenditi cura di loro. Non far entrare troppa gente finché loro non saranno al sicuro, non possiamo sapere chi ha causato le esplosioni, il rischio è troppo grande» sbottò, piegandosi di lato così da lasciargli sufficiente spazio per prendere la piccolina.

Il modo in cui George lo guardò sembrava promettere una lunga discussione, una volta risolto quel problema. Fino a quel momento aveva potuto nascondere quella parte della sua vita, ma non c’era modo di tenere a lungo quel segreto, non quando era evidente a lui stesso che il vecchio Fred non si sarebbe mai buttato nella mischia da solo. Ma il vecchio Fred era morto nel momento stesso in cui Hermione era entrata a far parte delle Banshee.

«Vieni, Eddie» mormorò il gemello senza un orecchio, staccando la piccola tremante dal fratello, seppur con molta difficoltà. Il modo in cui lei chiamava sua madre era sufficientemente disperato da spezzare il cuore dei due. «Sta’ attento e se non la trovi torna subito qui».

Fred annuì quando già era ad un passo dalla porta. Ancora una volta, la voce del Supervisore lo raggiunse quasi contemporaneamente alle urla della folla spaventata.

«È Obscurus, le zquadre è arrivate».

 

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Capitolo FredCentrico, perché io lo amo e volevo dare più spazio a lui ed a Georgie.

Fred non è morto ed è molto utile, qualcuno dovrebbe dirlo alla Rowling, con Ron fuori dai piedi si sta molto meglio, non è vero?

#SaveFred

 

 

Punti importanti:

 

» * - O Morte/ beh io sono la Morte, niente può essere superiore/ Aprirò le porte del Paradiso o dell'Inferno/ Oh Morte/ Oh Morte/ Il mio nome è Morte e la fine è qui. Ahah direttamente da Supernatural, perché ancora non c’erano stati riferimenti. Soprattutto perché la bambina mi fa pensare tantissimo alla prima “incarnazione” di Lilith, il primo demone.

 

» 1 – Per chi non l’avesse capito, la bambina che è diventata Obscurus è anche la stessa bambina Hocrux che Harry vede nel suo sogno, nei primi capitoli. Tiresias ha convinto Voldemort a “sfruttarla” così da avere un bambino estremamente magico da poter utilizzare per i suoi scopi.

 

» 2 – Qualcuno mi aveva chiesto, in un commento, se Fred avesse davvero rinunciato al suo ruolo nelle Banshee per colpa di George. La risposta è , perché la relazione che esiste fra gemelli è completamente su un altro livello, specialmente quella fra Fred e George. Si tratta di un legame spirituale più che biologico, Fred preferirebbe sapere il fratello al sicuro e non se stesso. L’aver mantenuto il segreto riguardo la sua collaborazione con le Banshee l’ha torturato per anni.

 

» 3 – Piccola spiegazione: Fred e George, con i loro esperimenti, tendevano a far saltare in aria mezza stanza. Per evitare di dover sempre ricostruire tutto e dar spiegazioni ai vicini hanno lanciato una specie di incantesimo ammortizzatore sul negozio: tutte le vibrazioni esterne (suono, esplosioni ecc…) non vengono sentite all’interno e viceversa. L’incantesimo è fatto in modo tale che, quando il negozio è “chiuso”, soltanto i gemelli possano aprire la porta d’ingresso, per questo motivo nessuno si è precipitato all’interno, se non invitato direttamente da Fred. Perché non ha invitato tutti ad entrare e mettersi al sicuro, se non soggetti scelti personalmente? Perché Fred e George sono stati “addestrati” da Malocchio Moody. Vigilanza costante.

  

» 4 -  George non è stato scartato dalle Banshee perché stava antipatico al supervisore. Per quanto la Rowling non abbia detto nulla sulle sue condizioni, la magia nera che gli ha strappato via l’orecchio ha danneggiato permanentemente il suo equilibrio, oltre che l’udito. Uno dei più grandi battitori della storia di Grifondoro oggi non può neppure stare su una scopa senza cadere giù. È una cosa molto triste ed è il principale motivo per cui Fred non parla mai di Quidditch, se può evitarlo.

 

» 5 – Avevo già accennato alla fidanzata di Percy. Sì, so di uscire dal Canon dandole una figlia che non si chiami Molly o Lucy, ma lasciatemi la licenza. La bimba mi serve (ed il nome Edelweiss mi piaceva troppo per non usarlo, shhh).

 

 

Il povero Georgie non ha idea di cosa cazzo stia succedendo, aiutatelo. 

 

 

 AVVISO:

Poiché in questa settimana (in realtà domani, il 25) ci sarà il mio compleanno, seguito da altri tre in famiglia, la settimana prossima non ci sarà l’aggiornamento! Tuttavia, e questo vale per chi mi segue dalla mia prima ff, potrebbe arrivare qualcosina collegata all’universo de Lo Specchio. Qualcosa con i piccoli Granger-Malfoy, perché ho iniziato a buttare giù qualcosina su Alexander e Vivian Malfoy, Albus Potter e Lucretia Goldstein, con possibili apparse degli altri. Ma è tutto moooolto ipotetico!

Per chi volesse dare uno sguardo:

QUI troverete la long fic da cui tutto ha origine (ed a cui ho fatto mille riferimenti, troverete anche la prima versione del Dottor Crave).

QUI troverete la seconda breve long che segue, in cui appaiono altri personaggi importanti (e che riprende il ciclo arturiano, perché io sono pazza).

QUI invece troverete la one shot in cui appaiono già i ragazzi citati (Alexander Malfoy, Albus Potter, Vivian Malfoy e Lucretia Goldstein), oltre che una negromante in azione.

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

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Capitolo 15
*** Atto VI, Parte III - Sotto il Mostro ***


LErede del Male.


 

You bury me alive,
And everybody's gotta breathe somehow,
Don't leave me to die.*
”.



[We are the fallen – Bury me alive]

                                  

 

Atto VI, Parte III –  Sotto il Mostro

 

 

 

C’erano tante cose che George Weasley aveva deciso di ignorare, nella sua vita. Per esempio, si poteva pensare al fatto che, mentre lui ed i suoi fratelli fossero presi dai loro dolci sogni, i suoi genitori avessero ben pensato di fare sesso. Oppure, George si era rifiutato di pensare cosa avessero potuto fare le sue clienti affezionate con tutta la pozione d’amore acquistata da quando avevano aperto il negozio. Ancora, si poteva pensare a tutte le bugie di Fred che lui aveva semplicemente accettato, convinto che non potessero essere poi tanto terribili, che lui non avrebbe mai fatto qualcosa di assurdo senza prima avvisarlo.

In quel momento, tuttavia, mentre quattro persone praticamente a lui sconosciute1 facevano il loro ingresso nel locale come se fosse stato casa loro, guidati dal suo disgraziato gemello, George si pentì terribilmente delle sue scelte di vita, cominciando a credere che Freddie avesse preso parte ad una setta segreta di Mangiamorte e che quelli fossero i suoi allegri compari, venuti per fare razzia delle loro scorte. Fortunatamente riuscì a tornare in se stesso, facendosi da parte e nascondendo la bambina ancora tremante contro di sé, sperando forse di non spaventarla di più.

«Fred?» provò a chiamare, osservando il fratello muoversi da un angolo all’altro del locale, parlando con questa o quell’altra persona, e sembrare effettivamente cosciente di cosa fosse necessario fare in un momento di tale crisi. Quando riuscì ad attirare la sua attenzione, si ritrovò ben presto liquidato da una stretta di spalle ed un’espressione di scuse, un “ne parliamo dopo” ben chiaro ma non per questo meno fastidioso. La bambina fra le sue braccia – Edelweiss, che poteva aver perso per sempre la sua mamma – piagnucolò di più, nascondendo il viso contro l’incavo del suo collo per nulla intenzionata a lasciarlo andare. «Andrà tutto bene, gnometto» provò a rassicurarla, con un sospiro.

Con sua enorme sorpresa, la bambina gli rispose con una calma che non si era aspettato. Certo, il suo concetto di calma, in quel momento, corrispondeva ad un “sta piagnucolando, ma non sta dando fondo a tutti i singhiozzi fisicamente sopportabili”, ma non era rilevante. «Non hanno ancora trovato la mamma» gli disse, palesemente preoccupata. «Se non la trovano, lei…» provò, arrancando alla ricerca di parole che una bambina di quattro anni non avrebbe potuto conoscere. Si allontanò dal petto di George quel minimo necessario a guardarlo negli occhi. «Lei non respira, Georgie. Non respira se non la trovano».

La pena che strinse il cuore del gemello dovette giungere anche alla donna poco lontana da loro – l’aveva sentita parlare, il suo accento sembrava portoghese – che sospirò, portandosi per un istante la mano al petto. George la vide avvicinarsi di qualche passo, dedicandogli un solo sguardo imbarazzato prima di piegarsi per poter guardare in viso la bambina.

«Troveremo la tua mamma, minha menina» provò a dirle, accarezzandole la guancia bagnata. «Ci sono tante persone che la stanno cercando, stai tranquilla» le mormorò, con una dolcezza che George, con tutta la sua buona volontà, non avrebbe saputo trovare. «Sono una mamma anch’io,» spiegò poi la donna, sorridendogli leggermente, «ormai ci so fare con i bambini. E so che la tua mamma farà di tutto per tornare da te» riprese, tornando a guardare Edelweiss, che scosse il capo.

«No, no» sbottò, la voce più alta di poco prima, piena di ansia2. Si agitò fra le braccia di George, guardandosi intorno alla ricerca di qualcosa. O di qualcuno. «No, mami… lei è nascosta. Nascosta sotto il mostro con i denti brutti. È caduto e lei è nascosta sotto. Se non la trovano, lei non respira» tentò ancora, palesemente in difficoltà con se stessa. Non smise un attimo di cercare, intenzionata a non arrendersi. «Io l’ho vista, il mostro brutto è caduto e lei è nascosta sotto e non respira se non la trovano».

George e la donna sconosciuta si lanciarono un’occhiata confusa e Fred, che era passato giusto lì di lato, si fermò un istante, altrettanto sconcertato.

«Hai visto dove è caduta la tua mamma? Sei scappata dopo che è caduta?» azzardò proprio lui, facendo un passetto avanti.

Edelweiss scosse il capo, vagamente irritata. «Non preoccuparti, sono sicuro che…».

«No!» la bambina quasi urlò, sporgendosi per prendere il viso di Fred fra le manine ancora paffutelle. «No, lei è tornata dentro per prendere gli altri bimbi3 ma… se non la trovate, mami non respira. Georgie…» con tono di supplica, si concentrò ancora sul gemello che la stava stringendo a sé. «Georgie, il mostro sta cadendo e mami poi non respira. Sta cadendo! Quando cade, mami non respira».

La donna portoghese si accigliò. «Il mostro non è ancora caduto?».

Qualcosa di terribilmente pesante si schiantò fuori dal camino del negozio, emergendo come una furia e sputacchiando polvere.

«Eddie! George, dov’è Ed- Oh, grazie a Merlino!» nella migliore fra le sue imitazioni di un gufo con l’ansia, Percy Weasley si rialzò dal punto in cui era caduto, precipitandosi in direzione dei fratelli e della figlia della sua fidanzata, quasi strappandola dalle braccia di George. «Stai bene? Oh, Merlino, hai tutto il faccino graffiato» chiocciò4, con voce stridula, praticamente esaminando la piccolina come se fosse stato un medico, alla ricerca di ferite più gravi dei graffi che aveva già notato. «Dov’è la mamma? L’hai vista? Sta bene?» le chiese un attimo dopo, tenendola da sotto le ascelle per sollevarla allo stesso livello del suo viso, gli occhi sgranati per l’orrore ma l’espressione molto più neutra di quanto George non si sarebbe mai aspettato. Non aveva prestato interesse agli sguardi confusi dei fratelli, della donna portoghese o degli altri tre sconosciuti ancora intenti a girare per il locale, tutta la sua attenzione era focalizzata sulla bambina, quasi fosse stata un’adulta che avrebbe davvero potuto rispondergli.

«Perce…» tentò Fred, indeciso e preoccupato, probabilmente, di dover spezzare i sogni del fratello maggiore facendogli notare quanto quel suo comportamento fosse assurdo, oltre che sconveniente. «Lasciala stare, è solo una bambina».

«No, non lo è» gli rispose il fratello maggiore, guardandolo come se fosse stato lui il pazzo che stava interrogando una bimba di quattro anni.

«In che senso “non lo è”?» domandò invece un’altra delle tre persone arrivate con Fred e con la portoghese. Si trattava di una giovane donna estremamente minuta, con un forte accento asiatico. Giapponese, probabilmente.

«La famiglia di Audrey ha il gene della veggenza, di solito salta una generazione, quindi Aud non ce l’ha, ma Eddie sì» spiegò velocemente Percy, concentrandosi di nuovo sulla piccola. «Puoi dirmi dov’è? Puoi dirmi se sta bene?» le chiese poi, angosciato.

Il sollievo negli occhi della piccola, quando finalmente tutti capirono, l’avrebbe fatto sorridere, se non fosse stato ancora terrorizzato.

 

***

 

«Obscurus, senza ombra di dubbio».

La conferma di Ophelia fece grugnire suo marito, piegato su un altro cadavere alla disperata ricerca di una prova che negasse l’affermazione della sua dolce metà. Bartholomew Maine era un magizoologo esperto, aveva domato creature di ogni tipo e non aveva paura di alcun tipo di animale. Gli Obscuri, tuttavia, erano un’altra storia.

Non erano animali, erano persone. E lui non era mai stato bravo con le persone.

Probabilmente era per quel motivo che lui e Ophelia erano davvero fatti l’uno per l’altra. Lui preferiva le bestie, lei preferiva i morti: erano nati per stare insieme. Tuttavia, mentre in quel momento lui avrebbe dato qualunque cosa pur di chiudere gli occhi, riaprirli e scoprire di essersi immaginato tutto, lei sembrava a mala pena contenere l’eccitazione. Una volta gli aveva confidato che il corpo ospitante l’Obscurus fosse sottoposto a delle condizioni di sopravvivenza a dir poco impossibili e che nessuno fosse ancora riuscito ad esaminarne uno in ottime condizioni. Sua moglie, naturalmente, sperava d’essere la prima5.

Le Banshee non sono mai normali, pensò, tentato di ridere fra sé e sé. Era stata quella la giustificazione che lei gli aveva dato, la prima volta in cui lui l’aveva supplicata di concedergli almeno un’uscita, prima di allontanarlo definitivamente. Dovresti avere paura di me, aveva detto ancora, quando lui era riuscito a trascinarla quasi di peso al loro ristorante preferito. Noi non siamo adatte alla vita da civili, gli aveva detto, dopo averlo raggiunto all’altare. Si era impegnata tanto nel tentare di scoraggiarlo, lui aveva dovuto darle atto, ma mai abbastanza. Non erano riusciti a scoraggiarlo i draghi del Canada, così timidi da farsi vedere solo una volta ogni centocinquant’anni6, di certo non ci sarebbe riuscita lei.

Dopotutto, neppure lui era mai stato tanto normale.

«I medici del San Mungo stanno portando via tutti i feriti, non dovrebbe esserci più nessuno nella banca» li informò Hermione, apparsa in quel momento con i capelli pieni di calcinacci. «I folletti si sono rifiutati di farsi toccare, si cureranno da soli» si lagnò un attimo dopo, scuotendo il capo. Non c’era dubbio che stesse rimpiangendo il fallito tentativo che aveva fatto di convincere il Ministro a proporre una nuova legge per l’integrazione interraziale. Ma, dopotutto, come poteva biasimare Shacklebolt? I folletti non volevano essere integrati. La loro idea di integrazione prevedeva gli uomini senza bacchetta e chiusi nei sotterranei, come loro stessi erano stati costretti a fare per secoli.

Philly grugnì qualcosa, piegandosi per osservare una chiazza di sangue su un pezzo di pavimento divelto. «Non prendertela, tanto a breve inizieranno a lagnarsi per la mancanza d’aiuto» la rassicurò, esasperata. «Barry, vieni a dare un’occhiata qui, per favore» chiamò un attimo dopo, accosciandosi per poter osservare meglio la macchia. Quando lui fu sufficientemente vicino, capì il perché di tanto interesse.

«Beh, cazzo» fu il suo primo commento, mentre tirava fuori la bacchetta e faceva apparire dal nulla una fialetta di cristallo. Si vide costretto a chiedere l’aiuto della consorte per poterla stappare, impedito nei movimenti a causa del suo stupido uncino. Per l’ennesima volta si trovò a maledire la notte in cui aveva detto addio alla sua povera mano sinistra: dopo la rabbia nel non poter indossare la sua fede nuziale, l’impossibilità di aprire i barattoli senza magia era fonte di grande irritazione per lui e per il suo amor proprio.

Hermione, a sua volta più vicina, si sporse sopra le loro teste per dare un’occhiata. «Che c’è? Quel sangue ha qualcosa che non va? A me sembra normalissimo» constatò, accigliandosi. «Beh, io non sono esattamente un’esperta, quindi potrebbe essere un enorme indizio vagante e non me ne accorgerei lo stesso» constatò, decisamente non soddisfatta. Non le era mai piaciuto dover dipendere dagli altri per capire qualcosa.

«Il sangue non ha nulla di sbagliato, Hermione» le spiegò Ophelia, stringendo le labbra in quel modo tanto delizioso che a suo marito aveva sempre fatto venire le farfalle nello stomaco. Con quell’espressione avrebbe potuto tranquillamente parlare di mutilazioni e cadaveri in decomposizione, a lui sarebbe sembrata comunque la creatura più bella del mondo. «Non è il sangue che devi guardare, però».

La ragazza più giovane si accigliò. «E allora cosa?».

«Hermione, il sangue non è abbastanza caldo da emanare vapore» le fece notare Barry, indicando con la bacchetta lo spazio intorno alla macchia, talmente incandescente da fumare. Si trattava di un puro accenno di vapore, non abbastanza da essere notato a distanza non ravvicinata. Lui non se ne sarebbe reso conto che non si fosse chinato in avanti, percependo il calore. «E sento un odore agre… credo sia acido».

«Nessuna creatura vivente ha il sangue acido, Barry» sbottò Ophelia, scuotendo il capo. «Ho letto i tuoi libri e, se mettiamo da parte il drago peruviano con tre teste, non esiste nulla che possa giustificare tutto questo».

Aveva ragione, naturalmente. Non esisteva una singola creatura che fosse nota ai maghi ed alle streghe contemporanee che potesse creare con il suo sangue una reazione simile. Quantomeno, non esisteva una creatura che fosse abbastanza piccola da ferirsi e non scatenare il panico. Quindi si limitò a stringersi nelle spalle, avvicinando l’ampolla al vapore. «Prenderemo un campione da analizzare in laboratorio, per adesso è tutto ciò che possiamo fare. Proverò a scrivere allo zio Newt7, immagino che lui ne saprà più di me».

A quella possibilità, Ophelia si illuminò. «Oh, sono mesi che non andiamo dallo zio Newt! O da tua nonna, se è per questo. Credi che potrà prepararmi quegli adorabili dolcetti a forma di Snaso? Merlino, ucciderei per quei dolcetti» si rallegrò, prendendo un tono pensoso alla fine della frase. Lei e quei maledetti Snasi, erano giorni che lo tormentava! E pensare che la prima volta in cui li aveva mangiati lui si era convinto che l’uvetta le facesse pure piuttosto schifo.

Da dietro di loro giunse la voce di Katie, delicata e soave come sempre. «Parlare di omicidi per amore di un dolcetto sulla scena di un attentato» sbottò, acida. «Questo è di cattivo gusto anche per i tuoi standard, Ophelia» le disse, dedicandole un’occhiata raccapricciata, prima di avvicinarsi a Barry. «Che cos’è che state guardando, tutti quanti? Avete trovato un passaggio per il caveau di Zabin- Damnù air!8» imprecò all’improvviso, balzando indietro e tirando con sé anche Barry, tenendolo per la giacca di pelle e facendolo rovinare penosamente al suolo. La lunga serie di parolacce in gaelico fitto fitto continuò, mentre lei impallidiva, evitando bene di guardare in direzione della macchia di sangue.

«Trina, cara, che cazzo hai?» sbottò lui, accettando la mano di Ophelia per rimettersi in piedi e fissando la ragazzina come se le fosse uscita un’altra testa. «Smettila di imprecare, maledizione».

«Hai toccato il sangue?» chiese lei, ignorandolo e facendosi avanti per afferrarlo per il bavero della giacca e scuoterlo leggermente. Un istante dopo, lui vide chiaramente le sue pupille dilatarsi e posarsi su Ophelia. «Tu l’hai toccato? Oh, lo so che tu l’hai toccato, non puoi mai tenere le mani in tasca! Fammi vedere» ordinò, spingendo di lato Barry – con poca grazia davvero, se doveva dirla tutta – e prendendo le mani della donna fra le sue, esaminandole con estrema attenzione. Un attimo dopo, i suoi occhi divennero totalmente neri ed il suo viso perse qualunque lampo di colore avesse mantenuto fino a quel momento. Ophelia rabbrividì palesemente, ma non si spostò: nessuno di loro due aveva più problemi con la trasformazione di Katie.

«Posso sapere che accidenti ti è preso?» sbottò Hermione, facendosi avanti ma stando bene attenta a non avvicinarsi troppo. «Kat?».

Lei la ignorò per qualche istante, continuando quel suo esame ansioso. La videro accigliarsi per un attimo e poi accennare un sorrisino strano, ma tornò in se stessa in pochissimi istanti, voltandosi a guardarli. «Per fortuna non l’hai toccato e non sei stata contagiata. Ti saresti odiata, se l’avessi fatto» disse alla donna, lasciandola andare con un gesto meno brusco di quanto ci si sarebbe aspettati da lei. «Preferirei che andassi da un medico però» aggiunse dopo, nascondendo malamente un sorrisino. «Sai, per sicurezza».

Philly le dedicò un’occhiata vacua. «Trina, io sono un medico».

«Sì, ma sei incompetente con i vivi, quindi meglio andare da uno bravo».

Hermione sbuffò. «Allora? Possiamo sapere il perché di questo teatrino? Devo raggiungere Harry e gli altri Auror a breve, non ho tempo da perdere» le fece notare, le mani sui fianchi in una vera posizione da generale. Il Supervisore sarebbe stato fiero di lei, senza ombra di dubbio. Dopotutto, Hermione era la sua preferita, fatta eccezione per quel Weasley che aveva rifiutato il posto. Cosa ci trovasse in quel tipo, solo lui lo sapeva.

L’espressione quasi gioviale di Katie cambiò nel giro di un battito di ciglia. Per quanto adorasse gli altri membri della squadra, le riusciva ancora difficile essere liberamente se stessa, con loro. Hermione, oltretutto, doveva ricordarle troppo la sua vita prima. «Quello è sangue di Negromante» mugugnò, facendo qualche passo in direzione della macchia. «Il sangue è acido, un repellente naturale per tutte le creature che… uhm… creiamo. Quantomeno, lo è per i negromanti normali9». La smorfia che fece chiarì che lei non fosse inclusa nel gruppo. «Incubi e Succubi hanno un sangue naturalmente attraente, è così che richiamiamo i vampiri» aggiunse, in un mugugno, prima di voltarsi verso Ophelia per fulminarla con un’occhiata gelida. «Non ti darò un campione del mio sangue da analizzare, non importa quante volte me lo chiederai».

Philly mise il broncio, incrociando le braccia al petto. In quel momento, nonostante la distruzione intorno a loro, nonostante le urla dei medici ed il rumore di palazzi che ancora cedevano, Barry la trovò meravigliosa. Ancora non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a convincerla a sposarlo e, in tutta sincerità, pensò che preoccuparsi di scoprirlo fosse inutile. Era stato incredibilmente fortunato, non si guardava in bocca all’ippogrifo donato.

«Katie, dai, solo un’ampolla! Il tuo è praticamente sangue morto… che vive».

«E tu non ne avrai neppure una goccia, Cailleach».

Barry si sentì in dovere di schiarirsi la voce e fermare quella piccola schermaglia. Si era preso la briga di imparare il gaelico – Katie tendeva ad usare quella lingua quando non era in sé, capirla e poterla aiutare con maggiore facilità aveva spinto sia lui che sua moglie ad imparare – e la consapevolezza che dopo aver tirato fuori quel “vecchia strega” la ragazzina avrebbe scatenato le ire della sua consorte gli fece tornare in mente quanto tragica fosse la situazione. «Signore, rimandate i battibecchi ad un altro momento» le ammonì, tornando ad indicare la macchia di sangue. «Trina, puoi dirci qualcos’altro? Credi ci sia qualche Negromante ferito a spasso per Diagon Alley?».

La bionda arricciò il naso, disgustata. «Cazzo, spero di no. Una goccia di quella roba può far fuori un uomo adulto. Due ore e il contagiato si ritroverà più morto che vivo. Senza un negromante capace vicino, non ci sarebbe neppure la speranza di tornare».

«Tornare?» chiese Hermione, vagamente preoccupata e confusa.

Katie ebbe il buonsenso di mostrarsi leggermente in ansia. «Beh, sì, come vampiro. O zombie. Di solito come zombie, non sono in molti a saper realizzare una conversione completa» mugugnò, incrociando le braccia al petto. «L'altra...Katrina ci riesce, ma il nostro sangue è parecchio forte, i Vaduva10 sono una famiglia estremamente antica».

Barry alzò gli occhi al cielo. «Quando finirai di vantare il tuo pedigree, Trina, ti dispiacerebbe dirci quanto siamo autorizzati a preoccuparci? Pensi sia davvero a spasso? Dobbiamo dare l’allarme?».

Lei non gli rispose subito, preferendo chinarsi verso la macchia ed osservarla con maggiore attenzione. Incurante del pericolo di cui lei stessa li aveva avvisati, allungò la mano a toccare il liquido ancora stranamente non asciutto. «Credo che, chiunque fosse, si sia smaterializzato via. Non ci sono altre tracce in giro» mormorò alla fine, lanciando un’occhiata a Barry ed Hermione. «Ma dubito che si sia trovato qui per caso. Chiunque fosse, era troppo tranquillo. Credo sapesse dell’esplosione».

Lui avrebbe voluto chiederle come cazzo facesse a sapere che il negromante non si era spaventato nell’esplosione. A fermarlo, tuttavia, fu la semplice realizzazione che, tanto, lei non avrebbe parlato in modo chiaro, facendolo solo confondere di più. «Potrebbe aver chiuso la ferita. Dopotutto, voi negromanti siete comunque maghi e streghe».

Katie scosse il capo proprio quando Ophelia sbuffò.

«I Negromanti non coagulano e non posso usare magia sul loro stesso sangue» lo avvisò sua moglie, tutt’altro che contenta. «Una volta lei si è tagliata il dito, abbiamo dovuto usare il fuoco per evitare di farla morire dissanguata» si lagnò, avvicinandosi a lui per poggiarsi alla sua spalla. «Sono sicura di avertene parlato, Barry. Devi prestare più attenzione. Forse dovrei farti controllare la memoria, dopotutto non stai mica ringiovanendo».

«Oh, wow, prima di tutto: scortese. Secondo, scortese. E terzo, sono piuttosto sicuro di non saperne nulla» il suo sguardo accusatore si posò su Katie. «Perché non ne sapevo nulla? Se mi aveste detto che rischia di morire dissanguata al primo taglietto non l’avrei certo portata con me nel recinto dei draghi, quella volta in cui siamo andati a trovare lo zio Newt». 

 «Non ne sapevi nulla proprio perché avresti dato di matto e non mi avresti più portata con te dagli animali» si giustificò Katie, stringendosi nelle spalle. «Solo il fuoco chiude le nostre ferite. Secondo te perché io sono piena di cicatrici? Non è che io non sia brava con gli incantesimi di cucitura» aggiunse, vagamente offesa da quella che doveva essere stata una implicita mancanza di fiducia da parte sua.

«Quindi non può essersi allontanato, non senza lasciare tracce» si intromise Hermione, il tono esasperato, rendendo chiaro quanto poco le interessasse quella faccenda. «Se si è smaterializzato e, come ha detto Katie, era anche tranquillo, deve essersi ferito per caso un attimo prima di darsela a gambe. Forse è rimasto coinvolto nell’esplosione perché si è fatto male ed ha perso qualche istante per trovare la concentrazione e sparire».

Katie annuì. «Probabilmente» convenne. «I Negromanti non vanno in giro senza motivo, sono una brutta razza» aggiunse, forse parlando più di se stessa che di altri. «Probabilmente è coinvolto con queste esplosioni, non mi sorprenderei se l’Obscurus fosse un suo grande amicone» si lagnò, scuotendo il capo. «Si sarà ferito prima dell’esplosione e dopo avrà perso qualche secondo per smaterializzarsi, ergo la macchia sulle macerie».

«Quindi adesso Tiresias non ha soltanto un Obscurus ed il più grande psicopatico del mondo, dalla sua parte, ma anche un negromante» sbottò Barry, allargando le braccia con aria sconfitta. «Strabiliante, davvero. Cosa, adesso? Ci spunterà un qualche drago da sotto al pavimento?».

Il sorrisino compiaciuto che Hermione gli dedicò, in quel momento, lo fece rabbrividire. «Non mi dispiacerebbe ripetere il viaggio, è stato divertente» disse, stranamente allegra, sussultando quando il suo specchietto iniziò a tremare da dentro la sua tasca. Quando lo tirò fuori, per poco non lo fece cadere.

«Hermione!» urlò colui che Barry riconobbe essere quel Weasley che tanto piaceva al capo. «Sei alla banca? Devi andare a salvare Audrey, è sotto la statua di Igon lo zannuto, avete poco più di tre minuti prima che smetta di respirare, non c’è tempo da perdere».

«Audrey, la fidanzata di Percy?» domandò lei, confusa. «Fred, che diavolo sta succedendo?».

«Fa’ come ti ho detto, per Merlino!» le disse il giovane dall’altra parte dello specchio, il panico ben chiaro nella voce. «Avete tre minuti prima che diventi impossibile salvarla, Edelweiss ha detto che la troverete sotto la statua se andrete adesso! Dice di averla vista morire».

Il discorso stava diventando parecchio confuso per i suoi standard, ma Barry decise che, comunque, salvare una vita umana non avrebbe fatto altro che bene alla sua anima, così iniziò a guardarsi intorno alla ricerca della suddetta statua, imitato da Katie e Ophelia.

«Edelweiss ha quattro anni, Fred, che diavolo…?».

«Audrey ha visto l’Obscurus e l’uomo che l’ha aiutato, se non la salverete nei prossimi due minuti, perderemo il nostro testimone più utile» la interruppe lui, il tono quasi isterico. «Eddie è una veggente, Hermione! E dice che vi resta un minuto e mezzo per salvare sua madre».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Le Banshee sono solo una famiglia molto, molto strana.

 

 

Punti importanti:

 

» * - Mi stai seppellendo viva/ Tutti devono respirare in qualche modo/ Non lasciarmi morire qui. Credo di aver già usato questa canzone, ma in questo caso il riferimento era necessario, dai. Preghiamo tutti per Audrey.

 

» 1 – Ovviamente ci sono più squadre Banshee, non solo quella di Hermione. Fred collabora con più di queste, motivo per cui con lui ci sono altri membri. Sono solo quattro piuttosto che cinque perché il quinto era insieme a Winnie, vicino alla Gringott.

 

» 2 – Mi hanno spesso detto che dare dell’ansiosa ad una bambina non ha senso: io non sono d’accordo. Anche se a modo suo, i bambini sperimentano l’ansia. Edelweiss, fra tutti, ha parecchi motivi per esserlo.

 

» 3 – Ricordate, alla Gringott era il giorno “porta il tuo bambino sul posto di lavoro”, motivo per cui c’erano altri bambini alla Gringott, oltre Eddie.

  

» 4 – Vogliamo Percy come Molly Weasley 2.0 , lui ed Edelweiss si adorano a vicenda da quando si sono conosciuti. La bambina ha potuto vedere piuttosto bene quanto Percy avrebbe adorato lei e la sua mamma, nel futuro.

 

» 5 – Non dimenticatelo mai: in un modo o nell’altro, tutte le Banshee sono particolari. Ophelia è una donna meravigliosa, dolce e sensibile. Tuttavia è una scienziata, quando pensa di esaminare il corpo di un Obscurus non pensa ad esaminare il corpo di un bambino, ma una semplice prova scientifica.

 

» 6 – Ovviamente ho inventato questo particolare, ma l’idea dei timidi draghi canadesi che vivono in mezzo ai ghiacciai mi ha steso il cuore. Immaginateli, tutti carini che scivolano sul ghiaccio.

 

» 7 – Ebbene sì. Il nostro Barry è nipote di Newt Scamandro! Sua madre è Adeline Kowalski, figlia di Jacob e Queenie, sorella della moglie di Newt. Il piccolo Barry è cresciuto insieme al prozio, innamorato di tutte le bestie pericolose. Newt è innamoratissimo di Ophelia, anche se è rimasto un po’ sconcertato dal fatto che lei si fosse offerta di fare l’autopsia a una bestiola morta.

 

» 8 – Si tratta di una imprecazione, un “porca puttana”, più o meno. Quando presa dall’ansia, Katie passa subito all’irlandese.

 

» 9 – Cerchiamo di comprendere ancora qualcosa su Katie. Non esistono solo “negromanti” in generale, ci sono razze, come per tutti gli animali. Sono differenti a livello genetico, non è un uso del termine improprio, come quando lo si usa per indicare il colore della pelle. La “sottorazza” di Katie è quella dei Succubi (versione femminile degli Incubi), più forti perché più capaci di recuperare vittime grazie alla capacità di sfruttare la libido (ma in generale, le emozioni) di chi le circonda. Il loro è un sangue apparentemente dolce ma ovviamente acido e pericoloso allo stesso modo. Per qualunque domanda, sono disponibilissima 😉 E il prossimo capitolo sarà ancora più incentrato su questi aspetti!

 

» 10 – Ramo materno della famiglia di Katie, di origine Rumena. Katie non ha mai avuto rapporti con loro, si è sempre proclamata come Irlandese convinta ma, ehi, la famiglia è famiglia.

 

 

Percy Weasley #MammaChioccia

 

Avviso: lunedì prossimo dovrei avere esami, quindi l’aggiornamento potrebbe slittare di qualche giorno! Pensatemi, questo è uno degli esami più brutti ed io sono morta di paura.

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 16
*** Atto VII, Parte I - L'interrogatorio ***


LErede del Male.


 

I wanna hide the truth
I wanna shelter you
But with the beast inside
There’s nowhere we can hide
.*”.



[Imagine Dragons - Demons]

                                  

 

Atto VII, Parte I –  L’Interrogatorio

 

 

 

 

Harry stava per avere una crisi di nervi. La sentiva. Era lì, proprio all’angolo della sua mente, in attesa che lui perdesse quel minimo di controllo e che si lasciasse andare in una pozza di rabbia e lacrime trattenute per quattro anni. Togliersi gli occhiali e pizzicarsi la radice del naso ebbe un effetto quasi inesistente sul suo mal di testa, spingendolo a sospirare con la sconfitta nel cuore.

Se nei due giorni precedenti era riuscito a digerire la presenza delle Banshee, soprattutto perché era stato lui a intromettersi nel loro lavoro e non l’opposto, in quel momento stava rimpiangendo qualunque pensiero positivo avuto nei loro confronti, ragionando su quanto grave sarebbe stata la sua posizione se avesse deciso di ammazzarne un paio a caso. A caso, nel senso che avrebbe volentieri strangolato Hermione e Winter. Gli altri due, fortunatamente, erano rinchiusi in qualche sotterraneo assurdo, per nulla intenzionati a dargli fastidio, e Katie era ancora impegnata a Diagon Alley1. E lui ne era grato, davvero.

«Per l’ennesima volta, Hermione» sbottò lui, guardando la sua migliore amica come se fosse stata la fonte di tutti i dolori della sua vita. «Non potete fare irruzione nella nostra aula interrogatori, non avete l’autorizzazione. No, non mi importa se praticamente sei il Capo del mio Capo, questa è una nostra indagine e saremo noi a dirigerla, con i nostri mezzi» mugugnò, indicando con un cenno del capo Winter, in quel momento seduta alla scrivania di un estremamente servizievole Dawsons, che le aveva portato anche una tazza di tè e dei biscottini. Il bastardo era andato a comprarli pur di renderla felice. Probabilmente non aveva idea che lei potesse friggergli in cervello con un battito di ciglia.

La giovane Banshee lo fissò scandalizzata, dalla sua posizione arretrata rispetto Hermione. «Non è una cosa carina da pensare! Non farei mai una cosa del genere ad una persona gentile come il caro Wilfred» sbottò, portandosi la mano al petto con fare drammatico. «E comunque, noi siamo davvero il Capo del tuo Capo, nulla che tu possa dire o fare ci impedirà di entrare in quella stanza ed interrogare personalmente tutti i testimoni» lo ammonì, scuotendo il capo ma riacquistando il suo sorriso.

«E noi siamo più veloci, oltre che efficaci» puntualizzò Hermione, tranquilla, liquidando il suo tentativo di lamentarsi con un gesto vago della mano. «Coraggio, Harry, fatti da parte. Sono solo cinque persone, non ci metteremo più di venti minuti» aggiunse, dandogli una leggera pacca sulla spalla, con fare incoraggiante. «Potresti andare e fare una telefonata a Ginny, no? So che hai fatto installare il telefono a Grimmauld Place e so anche che non vi vedete da quasi tre giorni2. Non vorrai certo che lei e i bimbi si sentano abbandonati!».

Il trucchetto del senso di colpa, eh?

«Oh, Hermione è una maestra con quello» rise Winnie, alzando gli occhi verdi al cielo. «Una volta ha convinto Katie a mangiare i suoi broccoli ricordandole che qualche contadino aveva perso fatica e salute per farli arrivare sulla nostra tavola. La nostra povera Trina si è sentita così a disagio da mangiare anche la porzione di Barry».

Con le sopracciglia inarcate, Harry si voltò in direzione della sua migliore amica, chiedendo spiegazioni senza dover neppure aprire bocca. Lui ricordava piuttosto bene l’avversione di Katie per le verdure, ma nessuno si era mai sognato di dirle alcunché. Hermione era arrivata ad usare i suoi trucchetti anche su qualcuno capace di ucciderla con un semplice tocco?

Lei gli dedicò un sorrisino imbarazzato. «In mia difesa, non aveva fatto altro che mangiare pizza per una settimana intera. Se non l’avessi convinta, probabilmente le sarebbe venuto qualcosa di brutto. Non potevamo certo permetterlo» spiegò, stringendosi nelle spalle. «E comunque, è vero che qualche contadino probabilmente avrà perso le sue forze per far crescere le verdure».

«Le Banshee hanno il loro orto, non possiamo rischiare di essere avvelenate».

«Ma questo Katie non deve saperlo».

Le due donne si lanciarono un’occhiata divertita, per poi scoppiare a ridere. Sembrava quasi che il dramma di qualche ora prima non fosse mai accaduto e che non ci fossero morti ancora da contare. La loro tranquillità era disturbante, ma, nel profondo del suo cuore, Harry non se la sentì di prendersela: avevano vissuto così tante situazioni tragiche da aver imparato a lasciarsi tutto alle spalle.

«No, non alle spalle» intervenne Winnie, stranamente gentile, quasi cauta. «Ognuno di quei cadaveri ha un valore, per noi. Tutti ce l’hanno. Ma non abbiamo il tempo di essere oltraggiate3. Possiamo restare qui a piangere, a scrivere parole e parole in memoria di quelle povere anime, oppure possiamo andare avanti e aiutare altre persone in pericolo». Abbassò per un momento lo sguardo e, quando lo rialzò su Harry, i suoi occhi erano grigi ed immagini della Battaglia di Hogwarts cominciarono ad affollarsi nella mente di lui, come se lei le stesse richiamando. «Abbiamo perso molte battaglie, ma la guerra è infinita».

Le immagini, per un momento, lo soffocarono.

Sirius era caduto.

«Winnie, forse è meglio che tu ti fermi. Non mi piace quel suo sguardo».

Remus e Tonks uno vicino all’altra, Teddy orfano a casa.

«Non sono io, Hermione. Sta facendo tutto da solo». C’era ansia nella voce della Legilimens, quasi panico. Stava vedendo anche lei?

Ron.

«Harry!» urlò Hermione, avvicinandosi a lui per afferrargli le spalle e scuoterlo violentemente, assestandogli un ceffone abbastanza forte da fargli voltare il viso di lato e fargli venire le lacrime agli occhi. «Questa è tutta colpa di Crave! Gli avevo detto che usare un incantesimo bloccante non avrebbe fatto altro che creare altri problemi4» ringhiò, afferrandolo più forte ed avvicinandolo a sé, fino a stringerlo in un abbraccio soffocante e costringerlo a nascondere il viso contro la sua spalla. Lo stava cullando, forse a causa delle lacrime.

Quando aveva iniziato a singhiozzare?

Non riusciva a capire cosa accidenti stesse succedendo. Non riusciva a capire per quale motivo il dolore al petto fosse talmente forte da mozzargli il respiro in quel modo. Era assurdo, no? Stava bene, era sicuro di star bene. Non aveva più avuto incidenti del genere da oltre sei mesi, da quando Lipsia aveva quasi messo fine a tutto. Non aveva senso quel suo comportamento e la sua confusione non faceva che farlo sentire ancora peggio, ancora più spaventato.

«Winnie».

«Ci penso io».

Fu un istante, forse anche meno. Un momento prima sentiva il cuore sul punto di scoppiare, quello dopo era come se nulla fosse successo, come se qualcuno avesse chiuso il Vaso di Pandora che era il suo cuore, rinchiudendovi dentro tutti gli orrori che aveva vissuto e che presto sarebbero tornati a chiedere il prezzo di quella tranquillità. Con una calma che non gli apparteneva, si raddrizzò – senza allontanarsi dalla stretta di Hermione – e si pulì le guance bagnate, guardandosi intorno per scoprire in quanti avessero assistito alla sua piccola sceneggiata. Fortunatamente, nessuno sembrò interessarsi a lui più di tanto.

Con lentezza, si separò dalla sua migliore amica e la osservò. Perché l’aveva abbracciata? Aveva tentato di convincerla a non interrogare i suoi testimoni? Non doveva aver funzionato molto bene5.

Avrebbe potuto lasciarle interrogare qualcuno, no? C’erano cin-

Cinque?

«Hermione, i nostri testimoni erano almeno ottanta» le fece notare, accigliato e tentato di mettersi a sbattere la testa contro il muro. «Lì dentro devono essercene almeno dieci, non cinque. E gli altri sono nella sala d’attesa».

Lei sembrava preoccupata, ma non per il numero sbagliato di testimoni. Winter, alle sue spalle, si schiarì rumorosamente la voce, sorseggiando il suo tè.

«Oh, mentre tu ed il tuo capo interrogavate il vostro primo gruppo, noi abbiamo sistemato gli altri. Erano una cinquantina, in un’ora abbiamo fatto tutto» spiegò Hermione, stringendosi nelle spalle. C’era una chiazza sulla sua camicia, che ci avesse rovesciato qualcosa sopra? Non era mai stata tanto distratta.

«Avete… avete interrogato cinquanta persone in un’ora?» chiese, sconvolto, fissandola come se le fosse spuntata un’altra testa. Se anche avessero utilizzato le capacità di Winnie, lei non ce l’avrebbe fatta da sola. «Hermione, hai per caso torturato i miei testimoni?» chiese, con un filo di voce, sentendo un brivido gelido scendere lungo la sua spina dorsale, come la carezza di un dissennatore. Era l’unica spiegazione, davvero: solo così avrebbe avuto la certezza di ottenere la verità, senza utilizzare la Legilimanzia.

Lei lo fissò come se fosse impazzito. «Ovviamente no, Harry, che diavolo!» sbottò, allargando le braccia. «Non si usa la tortura negli interrogatori dei civili, è buonsenso» gli fece notare, scuotendo il capo. «Ho solo dato loro del Veritaserum, come ogni persona normale avrebbe fatto».

Harry tornò a pizzicarsi la radice del naso, esasperato.

«Hermione, è illegale».

«Non lo è per il diritto svizzero» cinguettò, allegra, Winnie. «Dovunque siano presenti le Banshee, allora quello appilcato è solo diritto svizzero. «Tecnicamente, sei tu ad essere fuori dalla tua giurisdizione, adesso».

Harry aveva bisogno di una vacanza. Immediatamente. Che andassero a farsi fottere l’Obscurus, Tiresias e tutti gli altri.

«Vado da Ginny, fra venti minuti voglio vedere i rapporti».

«Portale della cioccolata!» chiocciò Hermione, allegra, salutandolo con un gesto della mano mentre si dirigeva, sconfitto, verso l’uscita dell’ufficio.

 

***

 

Lasciare gli interrogatori alle ragazze si era ben presto rivelata un’azione molto intelligente da parte sua. In meno di trenta minuti erano riuscita a scucire di tutto a quelle ultime cinque persone e, poiché erano state fin troppo precise, avevano anche scoperto il colpevole di una bisca clandestina di Gobbiglie che si era trovato alla Banca per intascare il risultato delle sue ultime scommesse. L’uomo, gli occhi spalancati all’orrore di aver rivelato il suo oscuro segreto, aveva guardato Harry con disperazione e gli aveva chiesto se quelle donne fossero umane.

Harry non aveva saputo rispondere.

«Credi sia saggio? Audrey non si è ancora svegliata» stava domandando Hermione a Katie, sul volto una maschera di preoccupazione e ansia. «La bambina ha solo quattro anni, anche se Fred ci ha assicurato che il suo potere l’ha resa molto matura, non credo sia opportuno interrogarla senza sua madre presente» continuò, sistemandosi nervosamente il mantello rosso sulle spalle. Aveva dovuto indossare la divisa Banshee completa per recarsi in ospedale, così come Harry aveva dovuto mettere in mostra il suo distintivo. Le formalità erano state inserite per essere rispettate e neppure loro sarebbero stati graziati dal nuovo direttore dell’Ospedale, un rigido uomo scozzese con folti baffoni e occhietti cattivi.

In realtà il Dottor Brunwald non era una persona orrida, tutt’altro: le poche volte in cui Harry aveva avuto modo di parlargli si era ritrovato piacevolmente sorpreso dalla sua gentilezza e dalla sua intelligenza nella sua materia di competenza. Tuttavia l’essere un buon medico non era stata l’unica caratteristica che l’aveva portato alla sua posizione attuale: era rigido come un orologio svizzero e flessibile come una barra di metallo. Niente e nessuno avrebbe infranto le regole dell’Ospedale finché lui ne fosse stato a capo.

Certo, tutte le morti accidentali che c’erano state durante la guerra e che si erano realizzate solo a causa della poca cura del personale erano dei precedenti di cui lui avrebbe certamente tenuto conto. Nessuno avrebbe mai potuto biasimarlo, non quando era ancora costretto a pagare i debiti che l’ospedale aveva contratto con le diverse famiglie i cui cari erano stati brutalmente uccisi.

«La ragazzina è una veggente» si intromise Katie, annoiata, guardandosi intorno come se avesse avuto paura che qualcosa sbucasse da dietro un angolo per attaccarla. Aveva dovuto prendere il posto di Winnie, perché un ospedale non era di certo il luogo più adatto per una Legilimens potente come lei. Avrebbe rischiato di impazzire nel giro di pochi minuti. «Probabilmente saprà già che stiamo arrivando, quindi non fare tutte queste sceneggiate. Oltretutto, abbiamo già il piano legale di riserva, no?».

Harry non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando, ma, se doveva esser sincero con se stesso, non è che gli importasse un granché. Si era unito a loro soltanto su insistenza del suo capo, che avrebbe dovuto preparare un verbale della collaborazione delle Banshee e che non si fidava a lasciare loro tutto il controllo della Missione. Dal canto suo, Harry avrebbe preferito tornarsene a casa e restare una nottata intera fra le braccia della sua futura moglie per sentire i calci dei suoi bambini. Per troppe volte, negli ultimi due giorni, aveva rischiato di non tornare indietro e non aveva intenzione di provare più quell’orribile sensazione.

Non che avesse molta scelta, al riguardo.

«Stanza diciassette, ci siamo» comunicò Hermione, indicando la porta chiusa davanti a loro. Non sembrava provenissero rumori dall’interno, ma era piuttosto normale considerando la situazione. Harry si fece avanti per bussare, consapevole che sarebbe stato meglio farsi vedere per primo, così da non spaventare gli occupanti svegli. «Mi raccomando, non fare la tua solita espressione da alcolizzato confuso» lo ammonì la sua più cara amica, indicando il suo stesso sorriso. «Una presentazione adeguata ci farà risparmiare moltissimo tempo!».

Al diavolo.

Harry fece del suo meglio, davvero. Non sorrise troppo, perché probabilmente lo avrebbero preso per idiota, ma cercò comunque di allontanare le nuvole dalla sua espressione, mostrandosi più rilassato di quanto in realtà non fosse. Aperta leggermente la porta, fece capolinea solo con la testa, all’inizio, così da poter dare un’occhiata. Sul letto al centro della stanza c’era Audrey, ancora addormentata ma fortunatamente fuori pericolo, i lividi ormai quasi totalmente spariti e le ossa rotte ormai sanate. Accanto a lei, come una macchietta rossa e spettinata, c’era il suo futuro marito, Percy, che doveva aver appena smesso di leggere un libro di fiabe per la terza occupante – nonché motivo della loro visita – e unica bambina, Edelweiss. La piccina ricambiò il suo sguardo quasi immediatamente, sorridendogli e salutando con la manina paffuta.

«Stai attento quando entri, lì cadi» lo avvisò, indicando distrattamente un punto imprecisato davanti a lui. Avrebbe volentieri perso qualche istante per controllare e sfruttare il suggerimento, se una fin troppo impaziente Katie non avesse deciso che aspettare fuori non fosse di suo gradimento, spingendolo con un colpo in mezzo alle spalle e facendolo scivolare su quella che aveva scoperto essere una pozza d’acqua. Edelweiss sospirò, scuotendo la testa. «Io te l’avevo detto».

«Cosa ci fate qui?» si intromise Percy, osservando Hermione fare il suo ingresso e chiudersi la porta alle spalle, mentre una per nulla pentita Katie aiutava Harry a rialzarsi, tirandolo come se fosse stato un sacco di patate. «Aud non si sveglierà prima di qualche ora, non credo possiate interrogarla in qualche modo, in questo stato» constatò l’ovvio, facendo cenno alla bambina che non si arrampicasse sul letto e disturbasse così la sua mamma. I suoi occhi erano arrossati, ma non stava piangendo. Aveva mantenuto la calma in quelle ore, probabilmente per amore di quella stessa bambina che in quel momento si stava tirando sulle sue gambe.

Chi l’avrebbe mai detto che fra tutti lui avesse ereditato il talento con i bambini di Molly?6

«Scusaci per l’interruzione, Percy» disse Hermione, cercando di apparire quanto più tranquilla possibile e tentando anche di sorridergli con gentilezza. «Non è per Audrey che siamo venuti, ma per Edelweiss» aggiunse, facendosi avanti fino ad essere la più vicina fra i tre. La bambina la stava osservando con curiosità, lo sguardo stranamente vacuo. «Ci rendiamo conto che questo non sia il momento migliore, ma il tempo va contro tutti noi e davvero non abbiamo neppure un momento da sprecare. Questa bella signorina,» mormorò, facendole l’occhiolino, «potrebbe essere la risposta a molti dei nostri problemi».

Percy la fissò in silenzio per un lungo istante, prima di abbassare lo sguardo su Edelweiss. «È per questo che non sei voluta andare con nonna Molly, quindi» mugugnò, scuotendo il capo. «Davvero, se vedi qualcosa dimmelo, i trucchetti di questo tipo non mi piacciono affatto, lo sai» aggiunse, esasperato.

«Mamma dice che non devo raccontare quello che vedo, se non mi chiedi» fu la semplice risposta della bimba, che si strinse nelle spalle prima di voltarsi verso Katie. «Mi piacciono i tuoi occhi».

Lei, confusa, si accigliò. «Grazie gnomo, anche a me piacciono i tuoi» le disse, seppur con una certa esitazione. Non doveva essere abituata ai complimenti.

«No, non questi occhi, quegli altri» specificò allora Edelweiss, allargando le manine davanti al viso con fare teatrale. «Quelli tutti neri che fanno venire i mostri! Sono belli, mi piacciono».

Con la stessa velocità con cui si era parzialmente rilassata, Katie tornò ad irrigidirsi. «Quelli non sono i miei occhi».

«Hai ragione» convenne la bambina. «Quelli sono gli occhi di-».

«Abbiamo bisogno di chiedere il tuo permesso, prima di interrogarla» si intromise Hermione, impedendo alla bambina di continuare. «Essendo una minore, non possiamo certamente sottoporla ad alcun tipo di domanda se non con l’autorizzazione di un genitore o di un tutore» continuò, allargando le braccia. «Tu e Audrey siete sul punto di sposarvi, giusto?».

Percy si accigliò, tirando fuori un’espressione che Harry aveva già visto in faccia a Molly in più di una occasione. «Ti avremmo invitata, se tu non ti fossi data per morta in questi anni, Hermione» le fece notare, vagamente irritato ma non risentito. «Comunque sì, abbiamo già firmato i documenti al Ministero, manca solo la cerimonia, fra un paio di settimane».

Hermione ebbe il buon gusto di imbarazzarsi, anche se Harry riuscì immediatamente a notare la falsità del suo comportamento. Non era davvero pentita di essersene andata, ma non poteva spiegare a Percy il perché.

Stavo morendo anche io!

«Quando avete firmato i documenti, Audrey ha depositato una nomina a tutore a tuo nome» lo avvisò, cercando nella sua borsa fino a tirar fuori la copia di un documento ufficiale. «È una fortuna che l’abbia fatto, altrimenti sarebbe stato un problema enorme per noi, non essendoci altri parenti reperibili per fare le veci della madre».

Gli occhi azzurri di Percy si calarono su Edelweiss, che sorrise con innocenza.

«Immagino che fosse tutto previsto da settimane» sospirò, scuotendo il capo. «Fate pure, ma non lasciatevi ingannare da questo bel faccino, le veggenti sono creature mitologiche, amanti degli inganni e dei trabocchetti. La loro stazza non cambia la loro furbizia».

Harry non riuscì a non ridacchiare. «Perce, la Cooman è una veggente».

«La Cooman è una alcolizzata, non tirare fuori questi esempi davanti alla bambina!».  

 

***

 

«Vuoi un altro biscottino, Eddie?» le chiese Hermione, con un sorriso, mentre la bambina placidamente seduta sulle gambe di Harry colorava distrattamente su un foglio bianco. Da quando l’avevano portata nell’ufficio della Caposala per avere un po’ di tranquillità, lei non aveva fatto altro che concentrarsi sul suo “capolavoro”, ignorandoli quasi totalmente.

«No, se ne mangio un altro poi mi fa male il pancino» le rispose, stringendosi nelle spalle. «Devi farmi le domande, altrimenti io non posso dirti niente. Mamma mi ha fatto promettere» aggiunse, con un’espressione corrucciata.

Harry strinse le labbra, preoccupato. Era la seconda volta che lei faceva riferimento ad una promessa che sua madre le aveva fatto fare riguardante il non rivelare profezie non richieste. Possibile che le avesse fatto fare un Voto Infrangibile? Era piuttosto certo che ci fosse una legge che vietasse simili procedure sui minori, doveva averla letta di sfuggita durante il corso di preparazione Auror. Era una di quelle leggi che lui aveva considerato “ovvie”, anche se in quell’istante la possibilità non gli sembrò poi tanto assurda.

Hermione annuì, facendo cenno a Katie affinché si avvicinasse, ma lei negò. Da quello strano scambio sui suoi occhi, si era rintanata in se stessa e non sembrava interessata a partecipare più di tanto alla discussione. Doveva essere un comportamento normale per lei, vista la tranquillità di Hermione nel darle le spalle ed iniziare a darsi da fare. «Sai già cosa voglio chiederti?».

Edelweiss annuì, cambiando pennarello ma senza alzare lo sguardo con la donna. «Vuoi chiedermi chi è la persona cattiva e io posso dirti che la persona cattiva è strana» mormorò, le sopracciglia aggrottate. «Certi giorni sembra una signora, altri giorni sembra un signore. È sempre con una bimba con gli occhi neri» aggiunse, voltandosi verso Harry. «A me non piacciono i suoi occhi, Harry. Non sono belli come i suoi7» disse, indicando con un cenno Katie, che rabbrividì.

«Tiresias» sussurrò Hermione, annuendo fra sé e sé. «Con loro ci sono anche altre persone, Eddie? Persone con gli occhi neri come quelli di Katie?» chiese, con dolcezza, piegandosi per cercare di incontrare lo sguardo della piccolina, tutta presa dal suo disegno.

Quando lei scosse il capo, entrambe le Banshee si raddrizzarono, scambiandosi un’occhiata confusa.

«Kat, hai detto…».

«Sono sicura di quello che ho visto» la interruppe, vagamente irritata. «Hermione, conosco il sangue di quelli della mia specie. Quella roba puzzava di morto in modo quasi disgustoso, apparteneva ad un negromante, uno piuttosto potente» sbottò, arricciando il naso. «L’unica cosa che non mi convince è la quantità, quella macchia era troppo piccola, noi tendiamo a sanguinare parecchio ed anche velocemente. Magari non ha ancora vissuto la sua… uhm… Transitio, la trasformazione, credo di poterlo tradurre così» provò a spiegare, passandosi una mano fra i capelli.

Harry riusciva a seguire a stento il loro discorso. Aveva sentito qualcosa riguardo del sangue acido da negromante sulla scena del crimine, ma evidentemente gli mancava qualcosa. Soprattutto perché lui aveva visto Katie sanguinare spesso, durante gli anni scolastici, e di certo non aveva mai sanguinato acido.

«Quindi potrebbe essere un negromante non ancora… attivo?» azzardò Hermione, tornando a guardare a bambina con aria pensosa.

«Forse» rispose Katie, senza sembrare molto convinta. «La maggior parte di noi conosce le proprie origini e le abbraccia fin dall’infanzia, cambiando subito. Altri, come me, si ritrovano a subire un cambiamento tardivo ed il loro sangue è normale, forse un po’ più puzzolente o, nel mio caso, profumato. Ma sanguiniamo come tutti gli altri e coaguliamo tranquillamente finché non subiamo la nostra Transitio. Qui, invece, abbiamo qualcuno con il sangue già acido ma palesemente non attivo, non se lei non l’ha visto» aggiunse, indicando la bambina.

«Eddie» Harry decise fosse giunto il momento di rendersi utile. Il loro tempo con la bambina non era infinito, così come non lo era quello di inattività dei loro nemici. «C’è qualcuno con il signore cattivo e la bambina, giusto? Ci sono altre persone che li aiutano, ma qualcuno li aiuta di più o è più pericoloso, non è vero? Tu sai dirci chi è? Puoi descriverlo?» le chiese, cercando di specificare bene cosa volesse sapere. Aveva imparato la sua lezione con le veggenti quando era solo al terzo anno.

Edelweiss annuì, cauta. «Lui è uno solo, però è anche tanti» mormorò, un brivido nella voce. «Lui è vecchio, però è anche più vecchio. Il signore cattivo ha paura di lui, però riesce a controllarlo. La bambina ha paura di lui e anche lui ha paura».

«Di chi ha paura?» azzardò Hermione, tornando al suo tono delicato da mammina, sperando forse di poter tirare via qualcosa di meglio dalla bambina confusa che Harry teneva fra le braccia. Lui si sentì il cuore a pezzi: essere così piccola, conoscere tante cose e non sapere come esprimerle doveva essere terribile.

«Di… di lui» provò a dire la piccola, portandosi una mano al petto. «Lui ha paura… di lui».

«Ha paura di se stesso?» chiese Katie, accennando un sorriso amaro quando la bambina annuì, sollevata. «Forse sa di essere un negromante, spiegherebbe questa paura. Ma cosa significa che lui è tanti?».

«È tanti». Edelweiss si strinse nelle spalle, non intenzionata, apparentemente, ad aggiungere altro. «Dovete trovare il libro, perché il signore cattivo lo sta cercando, ma non riesce a vederlo, invece io sì» disse, con un sorriso a dir poco immenso. «Lui non può vedere, perché è in castigo, io invece no. Lui non vede quelli come te» aggiunse, indicando Katie con l’indice.

«Lui non vede… i negromanti?» chiese Harry, sorridendo soddisfatto quando lei annuì.

«Deve essere a causa della Maledizione» convenne Katie, vagamente ammirata. «Una tutela per impedire che lui possa raggiungere il libro e riportare indietro Sisifo completamente… una mossa intelligente. Mi sento sollevata, quel vecchio matto non può vedermi». Palesemente divertita, si calò alla stessa altezza di Edelweiss. «Allora, gnomo, puoi dirci dove trovare questo libro?».

«Dovete prenderlo prima che la luna si nasconde tutta» avvisò la piccola, con una smorfia. «Quando la luna si nasconde, l’uomo cattivo aiuta il signore che ha paura e allora… allora moriamo tutti. Devi prendere il libro».

Katie sibilò qualcosa, voltandosi in direzione di Hermione. «La luna nuova di marzo, la chiamano luna sanguinis, è l’anniversario della prima venuta di Sisifo, l’anniversario del suo momento di massima gloria e della sua caduta, è la notte in cui il confine fra vita e morte è quasi inesistente. Ho idea che Tiresias voglia sfruttare il potere della magia di quel negromante inconsapevole che si trova con lui per cercare di tirare fuori Sisifo, quantomeno per il tempo necessario a recuperare il Libro, così da aiutarlo poi in modo definitivo».

Harry cominciava a non capirci più nulla, ma quello, dopotutto, non era il suo campo. Avrebbe fatto bene a continuare a tenere d’occhio Edelweiss, altrimenti Percy avrebbe dato di matto.

«Piò farlo tornare? Non definitivamente? Credevo che fosse dannato per l’eternità» chiese Hermione, accigliata, tirando fuori il suo taccuino ed iniziando a scrivere furiosamente. «Avresti dovuto dirmi tutto questo prima, Katie».

L’altra scosse il capo. «Non… non si tratta di tratta di argomenti facili, per noi. Siamo condizionati fin dall’infanzia a tenere la bocca chiusa. Solo perché mia madre credeva che io non avessi ereditato il gene, come lei, non significa che non abbia perso il suo tempo per mettermi in guardia. Le storie di Sisifo sono i peggiori spauracchi per noi» mugugnò, mettendosi le mani in tasca e stringendosi nelle spalle. «Te l’ho detto, lui è stato Caligola, De Rais, Dracula… non stavo scherzando. Tiresias è sempre riuscito a farlo tornare, in un modo o nell’altro. Nessuno sa come o perché, è passato troppo tempo e l’ultima traccia è stata quella di Jack lo Squartatore, che nessuno ha mai potuto avvicinare. Di solito sono fenomeni temporanei, varia da pochi mesi a qualche ora, ma torna sempre e fa in modo di essere ricordato, prima di essere inghiottito di nuovo nella sua prigione eterna».

«Come un Herpes» fu il commento, forse un po’ idiota, di Harry. Si sorprese quando la negromante, piuttosto che ridergli in faccia, annuì.

«Il peggiore Herpes della storia» concordò lei, voltandosi a guardare Edelweiss. «Puoi dirmi dov’è il libro, gnomo? Devo arrivarci prima della luna sanguinis».

Con un sorriso enorme, Edelweiss allungò il disegno nella sua direzione. «Ecco! Il libro è qui dentro».

Sul foglio pasticciato, era possibile distinguere l’ingresso di quella che doveva essere una caverna, con un uccello nero sopra l’ingresso. Piuttosto inquietante, per essere il disegno di una bimba generalmente solare come Edelweiss.

«L’Ingresso dell’Inferno» mugugnò Katie, che sembrava aver riconosciuto immediatamente il posto. «Le Caverne di Ade, sono in Romania».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

 Il mio esame è fortunatamente stato superato, ma credo di non aver mai avuto tanta paura in vita mia! Ho conosciuto la versione universitaria di Dolores Umbridge e in questo momento mi sento miracolata.

 

Oh, il prossimo capitolo tornerà Malfoy. Con Katie.

Preparatevi.

 

 

Punti importanti:

 

» * - Voglio nascondere la verità/ Voglio proteggerti/ Ma con la bestia all’interno/ Non c’è nessun luogo in cui nasconderci. Il povero Harry ormai è giunto al punto di rottura. E tutti i segreti che Katie e i negromanti hanno tenuto per millenni sembrano sul punto di diffondersi una volta per tutte.

 

» 1 – La prima parte del capitolo si svolge nel pomeriggio dell’attacco a Diagon Alley. Il fatto che siano maghi e streghe ha consentito che la scena “dell’attentato” fosse pulita in tempo record. Mentre Ophelia e Barry sono chiusi in laboratorio, Katie sta aiutando con la “pulizia” ed Hermione e Winnie stanno provvedendo a rovinare la salute mentale di Harry.

 

» 2 – Considerando il tempo necessario per salvare Malfoy, riprendersi e poi l’attentato, Harry e Ginny non si vedono praticamente da tre giorni.

 

» 3 – Citazione (più o meno) da Doctot Who, terzo episodio della decima stagione, presa da una discussione fra il Dottore e la sua nuova Companion (I Capaldi).

  

» 4 – Ricordate qualche capitolo fa, quando Harry e Crave hanno avuto quella strana discussione e lui ha iniziato a piangere, per poi sentirsi inspiegabilmente meglio? Il vecchio Newt ha innalzato un muro nella sua mente, per impedire ai pensieri distruttivi di danneggiarlo durante le indagini. Non è una procedura che lui approva, ma è l’unica che funziona con Winnie e, data l’urgenza, l’unica utile con Harry. Hermione non era d’accordo, ma, alla fine, era davvero l’unica via.

 

» 5 – Winnie è arrivata per salvare la situazione, ricreando il muro e facendo dimenticare ad Harry gli avvenimenti degli ultimi secondi. Il passaggio potrebbe sembrare confuso, ma è tutto una conseguenza della confusione di Harry: lui non ha idea di cosa stia succedendo, ricorda solo di essere stato nel mezzo di una discussione sui testimoni. Non ricorda neppure di aver iniziato a piangere.

 

» 6 – #PercyIsTheNewMolly e nessuno mi convincerà altrimenti.

 

» 7 – In che senso? La bambina Obscurus è un Horcrux ed i suoi occhi sono neri come quelli di Voldemort da giovane. Mentre, quindi, quelli della bimba sono neri solo a livello dell’iride, quelli di Katie ovviamente diventano completamente neri, anche nella sclera.

 

 

 

ADORO Edelweiss, quella bambina è la salvezza di tutto il mondo e ne è perfettamente consapevole. 

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 17
*** Atto VII, Parte II - Il trionfo della Negromante ***


LErede del Male.


 

“And it's hard to dance with a devil on your back
So shake him off, oh whoa

'Cause I am done with my graceless heart
So tonight I'm gonna cut it out and then restart
'Cause I like to keep my issues strong
It's always darkest before the dawn.*”.



[Florence and the Machine – Shake it out]

                                  

 

Atto VII, Parte II –  Il Trionfo della Negromante

 

 

 

C’erano tante cose che Katie Bell detestava.

Per esempio, aveva sempre detestato anche il semplice odore del latte caldo: le dava l’impressione di qualcosa di stantio, troppo dolce per poter essere assaggiato o troppo acidulo per risultare piacevole. Oppure, non le piaceva per niente il colore rosso: stare sette anni nella casa di Grifondoro era stata quasi una tortura e alla fine aveva continuato ad indossare le sue vecchie felpe più per capriccio ed abitudine che per vero attaccamento alla sua vecchia Casata. Oliver la prendeva sempre in giro per quel motivo, le diceva che quel suo amore per il verde poteva significare soltanto che fosse una Testurbante1 mancata e che il Cappello avesse deciso di mandarla nella Casa di Godric solo per farsi quattro risate e consentire a lui, giovane capitano, di trovare la migliore cacciatrice degli ultimi vent’anni e accaparrarsela per far finalmente sorridere la professoressa McGranitt.

Un’altra cosa che Katie detestava, in effetti, era la Trasfigurazione. Non per colpa della vecchia insegnante, naturalmente, perché aveva sempre avuto un certo affetto nei suoi riguardi. Era proprio l’idea di poter cambiare ciò che la circondava che le faceva ribrezzo. Aveva capito cosa la repellesse tanto quando anche lei stessa era cambiata per la prima volta, ovviamente: cambiare la realtà era un potere che nessuno avrebbe dovuto avere, tantomeno lei.

Infine, Katie Bell detestava con tutto il suo cuore l’uomo che le stava camminando accanto e che sembrava intento a farle toccare livelli di irritazione mai provati prima. Che stesse solo camminando in silenzio era irrilevante. La sua stessa esistenza era un disturbo intollerabile per lei, che avrebbe tanto voluto svegliare Katrina e far avere a lei un bel pomeriggio rilassante in mezzo alle montagne della Romania, camminando per cunicoli dimenticati dall’universo. Se l’avesse fatto davvero, sfortunatamente, Ophelia e Barry si sarebbero arrabbiati al punto da metterle il muso per settimane, come quella volta in cui aveva avuto l’incidente con quel ragazzino, alla base.

Che esagerati, pensò, grugnendo fra sé e sé, non l’ho certo ammazzato.

«Bell» sbottò Malfoy, fermandosi e lanciandole un’occhiata esasperata, le braccia larghe come se avesse voluto invitarla ad abbracciarlo. «Per Merlino, ragazza, sento il tuo respiro sul collo, mi stai mettendo i brividi. Neanche io volevo venire qui, ma non per questo sto proiettando la mia aura oscura per farti morire di paura2» continuò, recuperando i pochi passi con cui lei l’aveva superato e continuando a fissarla, apparentemente non spaventato come aveva lasciato credere. «E non provare a tirar fuori la cazzata del “non mi rendo conto di usare i miei poteri su di te”, è un trucchetto che potrebbe funzionare con Potter, non con il sottoscritto. Non sei una novellina, ormai».

Katie scoprì i denti in un ringhio irritato. «Perché tu sei migliore di Harry, non è vero? Migliore di tutti noi» sbottò, incrociando le braccia al petto e continuando imperterrita a camminare, tuttavia cercando di controllare le sue stesse emozioni. In realtà non si era davvero resa conto di star proiettando la sua aura da succubus, ma non gliel’avrebbe mai detto, non quando avrebbe significato ammettere di essere, in effetti, una novellina.

«Io non sono migliore di tutti voi» ammise l’uomo, stringendosi nelle spalle ma senza distogliere lo sguardo da lei. Perché non era spaventato? «Però sono migliore di Potter. È parecchio tardo, il ragazzo, soprattutto quando si lascia prendere dall’ansia».

Senza riuscire ad impedirselo, Katie aprì la bocca per ribattere, ma non trovò nulla. Lei e Malfoy si fissarono per qualche istante e lo sguardo che si scambiarono valse molto più di una risata. Naturalmente non si sarebbe mai permessa di sghignazzare alle spalle del suo vecchio amico con il loro nemico comune – seppur dubitasse che Malfoy fosse ancora alle strette con Harry – ma quel momento di ilarità non passò completamente inosservato. Le servì qualche secondo per riacquistare il suo cipiglio arrabbiato.

«Devi odiarmi davvero tanto» convenne lui, dopo qualche istante di silenzio. Era accigliato ed aveva smesso di guardarla, concentrandosi sulla strada che si stagliava davanti a loro. Non sembrava che il tunnel fosse sul punto di finire tanto presto, l’unica fonte di luce erano le loro bacchette, ancora tenute ben alte. «Non che io possa darti torto, naturalmente. Anche io mi detesterei cordialmente, al tuo posto. Anzi, non ho idea del perché io sia ancora vivo, in realtà… io mi sarei ucciso da un bel pezzo».

Katie era… sorpresa.

Non dal fatto che lui fosse consapevole dell’odio che lei si portava dietro e che era tutto rivolto a lui. Malfoy non era un ingenuo, non più, e persino un idiota non avrebbe frainteso ciò che lei aveva negli occhi, guardandolo. A sorprenderla era la tranquillità con cui aveva parlato, quella sorta di delusione con cui aveva constatato di non essere ancora morto. Sembrava stanco, ma di cosa?

«Non potrei mai ucciderti, Winnie non me lo perdonerebbe» mormorò, ripetendo per l’ennesima volta quella verità di cui si era convinta quasi due anni prima. «Sei tutto ciò che le è rimasto della sua famiglia, soprattutto adesso».

Malfoy mormorò qualcosa, annuendo. «Quindi sono ancora vivo perché vuoi bene a mia cugina. Eppure, conoscendo Winter dubito che ti porterebbe alcun rancore. Mi sorprende addirittura che lei non abbia cercato di farmela pagare… perché, a quanto pare, tutto questo» e nel dirlo la indicò con un cenno, riferendosi palesemente alla sua nuova condizione fisica, «è colpa mia e di quella collana».

La memoria della giovane tornò quasi di corsa a quella mattina invernale, quando un paio di occhi grigi erano stati l’ultima cosa di cui si era razionalmente resa conto, prima di risvegliarsi in ospedale, circondata da medici preoccupati e davanti al vecchio zio Boris, con il suo enorme sorriso compiaciuto.

Benvenuta, fetiță3.

Un fiotto di irritazione le si irradiò all’altezza dello stomaco, facendole venire la nausea. Di solito le riusciva facile dimenticare, o quantomeno illudersi di averlo fatto. Le bastava chiudere gli occhi, pensare alla missione in corso e andare avanti, convincendosi di non avere abbastanza tempo per lagnarsi di una vita che non aveva potuto scegliere. In quel momento, tuttavia, trovandosi davanti alla fonte di tutti i suoi mali…

«Oh, mi detesti davvero tanto» sbottò lui, portandosi una mano al petto con espressione sofferente. Non stava facendo una sceneggiata senza motivo, Katie era consapevole di star proiettando la sua rabbia con così tanta forza da far male. Il suo potere serviva per trasmettere lussuria, le emozioni negative risultavano amplificate al punto da essere fisicamente dolorose, per entrambe le parti coinvolte. «Non c’è bisogno di prendersela, la mia era una constatazione. Dovrei ringraziarti, piuttosto che chiederti perché non mi hai ancora fatto diventare una qualche bestiola».

Katie strinse i denti, tentando di calmarsi. Rischiava di ucciderlo davvero, tanto si sentiva furiosa. «Non che la tua vita sia tutto questo spasso, Malfoy» gli disse, in un ringhio. «Forse non dovresti ringraziarmi, se ti avessi fatto fuori adesso saresti morto, come i tuoi genitori».

Si zittì subito dopo aver finito la frase, il senso di colpa a frenarle la lingua4.

Che testa di cazzo.

Non era stato un comportamento da lei. Forse l’altra aveva preso potere dall’ultima volta, sfruttando la sua debolezza. Nessuno meritava di sentirsi rinfacciare la propria esistenza e lei, più di chiunque altro, avrebbe dovuto saperlo. Nessuno poteva essere incolpato per il fatto di essere sopravvissuto ad una catastrofe, era la prima lezione che il Dottor Crave si era impegnato ad inculcarle. Certo, sentendo lui avrebbe dovuto essere grata anche per il suo potere, ma quello sarebbe davvero stato chiedere un po’ troppo.

Malfoy, tuttavia, non reagì come lei aveva previsto. Non iniziò a sibilare e maledirla come se fosse stata la causa ultima di tutti i suoi mali: lui si strinse nelle spalle, senza sorridere, e la osservò con curiosità.

«Non guardarmi in quel modo, Bell, non ho intenzione di lanciarti dietro una Maledizione. Quella parte della mia vita si è fortunatamente conclusa il giorno della Battaglia di Hogwarts» la rassicurò, pacato. «E, in fondo, hai anche ragione. La mia vita è tutto tranne che uno spasso, in questo momento. Fino a poco tempo fa ho avuto mia madre con cui confidarmi, adesso ho solamente Theodore e la sua fidanzata. E loro sono disgustosi, preferirei morire piuttosto che star lì a guardarli mentre si scambiano effusioni».

Senza riuscire ad evitarlo, Katie grugnì in assenso. Per quanto dubitasse fortemente che Theodore Nott – lo stesso che lei aveva conosciuto ad Hogwarts – potesse essere dolce con la sua stessa futura moglie, capiva piuttosto bene cosa Malfoy intendesse. Barry e Ophelia sembravano diventare ogni giorno più nauseabondi, con i loro baci e tutti quegli abbracci.

In realtà non le avrebbe dato poi tanto fastidio, se non avessero tentato in continuazione di metterla in mezzo e trattarla come una bambina bisognosa di attenzioni. Non lo era stata da piccola, figurarsi a vent’anni suonati. Sapeva che le loro intenzioni erano molto più che buone e che quel loro comportamento era dettato da sincero affetto, tuttavia c’era poco da fare quando si veniva cresciuti in mezzo a tate e con la ferma idea che sposarsi per amore fosse da straccioni5.

«Hai idea del perché siamo stati mandati qui?» le chiese Malfoy, dopo qualche istante di silenzio. «Non che io mi stia lamentando, sia chiaro, Potter è bloccato a Diagon Alley a cercare di limitare il caos e la Granger quando siamo andati via aveva almeno otto faldoni di documenti da leggere. Non farmi neppure iniziare con gli altri tuoi allegri compari, rinchiusi a sezionare cadaveri o interrogare gente!» disse, quasi allegro. «Essere spedito in un buco della Romania con la donna che muore dalla voglia di avere la mia testa su di un vassoio d’argento… beh, questo sì che è entusiasmante. Poco intelligente da parte degli altri, ma entusiasmante».

Katie lo fissò incredulamente per qualche istante. Il “che cazzo?” ben evidente nella sua espressione. Tuttavia riuscì a riprendere il controllo di se stessa e si schiarì la voce, raddrizzando la schiena. «Vassoio d’oro, comunque».

«Uhm?».

«Sono allergica all’argento, meglio l’oro» gli disse, rendendosi conto troppo tardi di aver involontariamente evidenziato una propria debolezza. Certo, non che pensasse che Malfoy potesse decidere all’improvviso di lanciarle contro della polvere d’argento, giusto per darle fastidio. Lei avrebbe potuto ucciderlo molto prima.

Sempre che l’altra l’avesse voluto.

Lui emise un fischio ammirato, la mano libera in tasca e gli occhi puntati sulla strada davanti a loro. «Quindi la storia di vampiri e argento è vera? Voglio dire, tu sei una specie particolare di vampiro, se le mie basilari conoscenze di Difesa sono veritiere».

Lei non riuscì ad impedire a se stessa di irrigidire le spalle. Non le piaceva dove stava andando a parare quella discussione, non le piaceva che fosse stato lui a chiedere. Non le piaceva che fossero nello stesso luogo, se proprio doveva dirla tutta. Non le piaceva affatto, era come sventolare una ciambella zuccherata davanti ad un ciccione a dieta.

Cos’hai da perdere?

«Non siamo vampiri. Noi creiamo i vampiri» gli rispose, secca, lanciandogli uno sguardo capace di gelare l’inferno. Quantomeno, lei sperò che fosse così: quando aveva l’ansia le riusciva difficile controllare le proprie emozioni. «E i vampiri non hanno reazioni all’argento. I negromanti sono tutti imparentati fra loro, l’allergia all’argento è estremamente diffusa nelle nostre famiglie6 e visto che dove ci sono vampiri, di solito, ci siamo noi…» si strinse leggermente nelle spalle. «Non è facile distinguerci dai morti».

Malfoy ghignò. «Un morto non ha mai tentato di sedurmi, se devo esser sincero».

La vergogna la fece arrossire miseramente. Ricordava cos’aveva fatto l’altra, quando lui si era svegliato. Ricordava benissimo la morsa allo stomaco all’idea di essere quasi riuscita a prenderlo, a renderlo schiavo del suo potere esattamente com’era successo a lei. Il fatto che avesse provato del vero disappunto nell’essere sorpresa da Ophelia la faceva sentire un’imbecille: se avesse portato a termine quella sua assurda opera, si sarebbe ritrovata con Malfoy attaccato alle calcagna fino alla fine dei suoi giorni.

Ma è comunque colpa sua se sono ridotta così, tanto vale che condivida la mia pena.

«Lei non voleva sedurti, voleva cambiarti e punirti» lo avvisò, stringendosi nelle spalle. «Lei sa che io non ti sopporto, penso volesse farmi un favore e renderti nostro schiavo per l’eternità». Una parte remota di lei ridacchiò all’immagine di Malfoy vestito da cameriere, pronto a servirle cocktail disgustosamente dolci con ombrellini colorati. «L’immagine la diverte».

Malfoy si accigliò. «Diverte lei o diverte te?» le chiese, curiosamente. «Non siete due persone diverse, Bell. Solo perché adesso hai dei nuovi… impulsi, non significa certo che questi non ti appartengano. Se non li reprimessi tanto, forse non avresti bisogno di sdoppiarti così. Non penso ti faccia bene».

Wow, che genio, non è quello che Crave ha detto negli ultimi due anni, vero?

Lei stessa si accigliò al proprio sarcasmo. Le stava sfuggendo di mano, avrebbe fatto bene a prendersi due giorni di vacanza per andare a a Belfast e fare quattro chiacchiere con sua madre, così da sfogare tutta l’acidità per i prossimi due mesi. Nessuno riusciva a farla irritare come Charis, neppure il buon vecchio Malfoy.

«Noi siamo due persone diverse. Io non posso controllare nulla quando uso il potere» sbottò, guardandolo con la coda dell’occhio. «Penso di sapere se lei esiste o se sono sempre io a muovermi, Malfoy, non sono certo un’idiota».

«Non si tratta d’esser idiota, Bell» le fece notare lui, con il suo stupido tono da saputello curioso. «Sai in quanti, dopo la prima caduta dell’Oscuro Signore si sono convinti di aver agito sotto Imperius, per poi scoprire, alla fine, di essere stati mossi solo da paura folle? Mio padre mi ha raccontato storie di persone pronte a scommettere la loro fortuna per dimostrare di non aver fatto nulla di propria volontà, ma alla fine…» non continuò, guardandola per un lungo istante. «Tu sei una purosangue, ti ho vista spesso alle feste, quando eravamo ragazzini7» constatò, formulando le sue parole quasi fossero state una domanda.

«I Bell sono fra le famiglie più influenti d’Irlanda, non sei l’unico con un pedigree immacolato» gli fece notare, più irritata di quanto una brava grifondoro per nulla attaccata alle questioni di sangue avrebbe dovuto essere. La vecchia spocchia di suo padre veniva fuori nei momenti meno opportuni, soprattutto da quando aveva smesso d’esser circondata da altri Grifondoro dal cuore d’oro. «Qual è il tuo punto?».

«Ti ricordi i Flamming? Harold Flamming?».

Ovviamente lei lo ricordava, la storia di quell’uomo era stata sulla bocca di tutti per anni. Apparentemente dal cuore d’oro, durante la guerra era diventato il responsabile della deportazione e dell’omicidio di almeno una sessantina fra Babbani e Sanguesporco.

No, non sanguesporco.

Si chiamavano Nati Babbani, maledizione.

Quando Lord Voldemort era caduto, Lord Flamming era stato arrestato dagli Auror e condotto ad Azkaban per direttissima ma, complici le sue dichiarazioni di innocenza e la testimonianza positiva di chiunque avesse mai avuto a che fare con lui, lo stesso Barty Sr  gli aveva concesso l’interrogatorio sotto Veritaserum, convinto che sarebbe risultato positivo all’Incanto Imperius.

Con sorpresa di tutti – anche di Flamming stesso – il risultato aveva dimostrato che lui non fosse mai stato sottoposto ad alcun controllo della mente, nonostante fosse sinceramente disgustato dal comportamento che aveva tenuto e si continuasse a dichiarare totalmente innocente.

Il senso di colpa fu tale da spingerlo al suicidio prima ancora che la condanna al bacio potesse essere emanata ufficialmente. Era stato il mentore del Dottor Crave a spiegare e lui – e lui poi lo aveva spiegato a Katie -  che il suo era stato un distacco emotivo8 generato dal puro terrore di essere colpito dai Mangiamorte e che il suo agire in modo tanto sconsiderato non era da imputare a vera cattiveria ma, piuttosto, all’orrore.

Katie sentì le orecchie fischiare, quando realizzò il perché di quel riferimento.

«Io non ho creato Katrina per tenere la coscienza pulita».

«Certo che no. Neppure Flamming aveva agito di propria volontà, dopotutto, no?».

Irritata, Katie si fermò e incrociò le braccia al petto. «Vuoi proprio farti ammazzare, Malfoy?» gli chiese, irritata a morte e tentata di iniziare a sbattere il piede per terra come se avesse avuto ancora cinque anni. «Siamo stati mandati a cercare quel fottuto Necromicon perché tutti gli altri erano necessari altrove. Tu, nello specifico, sei stato mandato perché non potevano lasciarti solo, di certo non perché sei utile a qualcosa. Harry è un Auror, Hermione è l’unica che capisce qualcosa in tutti quei documenti, Barry e Ophelia stanno sezionando cadaveri e Winnie… lei è meglio che resti al sicuro e interroghi i testimoni, visto che suo padre è ancora a spasso. A cosa servi tu?».

Cogliendola di sorpresa, lui sorrise.

Il bastardo aveva anche il coraggio di sorridere in faccia alla Morte.

«Io sono quello che non ha niente da perdere, Bell» le fece notare, tranquillo. «E sono anche… uhm… credo che tu mi abbia definito Creatore. Credi davvero che non avrebbero potuto trovare altro da farmi fare? Volevano che venissi con te. Forse mi vogliono morto, forse vogliono portarti al limite della sopportazione e farti avere un crollo… forse sperano che io sia abbastanza fastidioso da salvarti la vita, dopo averti condannata».

«E questo cosa cazzo dovrebbe-» si fermò a metà del suo sproloqui, allargando gli occhi con fare piuttosto comico ed afferrando Malfoy per il braccio in una presa d’acciaio. «Non voltarti» lo avvisò, sentendo il gelo più acuto prendere possesso di lei. Mai come in quel momento ringraziò di non essere andata in missione con Ophelia o con qualcuno degli altri, nessuno di loro sarebbe rimasto a sentirla e si sarebbero girati immediatamente. Malfoy, invece, aveva un briciolo di spirito di sopravvivenza.

«Cosa c’è? Ci stanno seguendo?» le domandò, il tono calmo, talmente pacifico che per un momento lei si chiese se non avesse appena tentato di conversare sul tempo. L’unica cosa capace di tradire la sua reale ansia fu la piega delle sue labbra, decisamente lontana dal sorrisino sbruffone che le aveva dedicato fino a poco prima. «Non ho sentito rumore e le bacchette non hanno proiettato alcun tipo di ombra. E so per certo che tu hai lanciato un incantesimo d’allarme per evitare proprio che ci seguissero».

Intelligente, credevo non se ne fosse accorto.

Senza perdere tempo in riconoscergli talenti dettati probabilmente dal suo passato da fuorilegge, Katie tenne gli occhi puntati sulla bestia che li aveva seguiti, fermandosi indisturbata a pochi passi di distanza da loro per osservarli come se fossero stati creature molto simpatiche e curiose. «I Morti non fanno rumore e non producono ombre, Malfoy» gli spiegò, cercando di imitare la tranquillità con cui lui aveva parlato. Scatti violenti o nervosi avrebbero potuto agitarlo. «E sta pur certo che non c’è incantesimo d’allarme che possa seguire un cuore che non batte da… ad occhio e croce direi mille e seicento anni».

«Che cosa?».

Lei lo zittì con il sorriso, scagliandogli un’occhiata tanto veloce quanto gelida. «Siamo seguiti da un Richiamato, uno… uhm… credo voi lo chiamate Zombie. Stando ai miei calcoli dovrebbe risalire al primo Medioevo, ma potrei sbagliarmi di un paio di centinaia d’anni, dovrei toccarlo. Quelli così vecchi sono difficili da domare».

«Sì, tutto molto interessante», fortunatamente lui era riuscito a riprendere parte del suo controllo. «Credi voglia farci del male? Puoi controllarlo in qualche modo?».

«Se tu fossi a digiuno da mille e seicento anni e ti si presentasse davanti un arrosto di maiale ben cotto e con le patate, vorresti mangiarlo oppure vorresti dargli una pacca sulla spalla e accompagnarlo verso un’uscita sicura?» gli chiese, sarcastica. «Certo che vuole farci male!» sbottò, più acida e meno controllata del dovuto. «Potrei provare a controllarlo, ma con le creature così antiche è parecchio difficile. Non ho idea di chi sia il suo Padrone, non posso semplicemente andare lì e reclamarlo. Forse potrei… no, niente da fare».

La creatura che era rimasta ad osservarli da poco lontano aveva la pelle ridotta ad un velo di carta crespa dello stesso colore della senape andata a male, le sue labbra erano sparite sotto ai denti, scoperti e aguzzi, le orbite oculari erano vuote e buie, con un liquido denso e nero che vi usciva goccia a goccia, colando lungo i corpi rinsecchiti e ossuti.

Era strabiliante che una mummia si fosse mantenuta così bene senza evidenti tracce di intervento umano, figurarsi cinque mummie! Ed erano tutte controllate dallo stesso negromante! Eccezionale, davvero-

Terribile. Era terribile. Cinque Richiamati non erano uno scherzo da poco e lei non li aveva neppure sentiti arrivare, non aveva ancora conosciuto Negromante che fosse capace di tenerli sotto controllo. L’unica traccia di una situazione simile era stata lasciata da Sisifo in persona, ma se lui fosse davvero ritornato lei lo avrebbe scoperto, non c’era modo che una creatura simile si risvegliasse senza che gli equilibri del mondo ne risultassero completamente sconvolti.

Ma allora chi?

Avrebbe dovuto trovare quel negromante, sottomettersi. Era palesemente più forte di lei, non c’era altra strada se non piegarsi a lui – o lei, ovviamente – e supplicare affinché le venisse fatta salva l’anima, così da poter continuare a servirlo nel modo che avesse ritenuto migliore. , era la scelta giusta, senza ombra di dubbio. Avrebbe dovuto vendersi, ma non sarebbe stato un problema. Era suo dovere. Era un onore. Solo così avrebbe rispettato l’Ordine della Madre.

«llBell!... KATIE!».

Fu lo strattone di Malfoy a farla tornare bruscamente in sé, giusto un attimo prima che si lanciasse fra le fauci di cinque bestie pronte a sbranarla e con le fauci già ben spalancate. Se ancora non l’avevano presa era solo grazie allo scudo evocato da Malfoy, nel panico totale a pochi centimetri da lei. Aveva ancora il braccio libero intorno alle sue spalle e la stava tirando indietro con tutta la sua forza, nonostante ci fosse il rischio di perderla e, allora, condannarli entrambi.

Non posso fargli avere tutta la gloria.

«Ah, cac naofa!9 Sono quasi caduta vittima del mio stesso, dannatissimo incantesimo!» si lagnò, disgustata dalla sua stessa debolezza e colpita nell’orgoglio per l’essersi quasi sottomessa ad uno sconosciuto solo apparentemente più forte di lei. Nessuno poteva decidere cosa avrebbe dovuto fare, non più.

«Fa’ qualcosa, per Merlino!» le ordinò – anche se sembrò più una supplica a quel punto – Malfoy, arretrando di un passo a causa dei colpi che ancora il suo scudo stava subendo. Le creature si stavano semplicemente avvicinando, eppure erano capaci di far tremare un mago adulto e ben versato nelle arti oscure. «Bell!».

«Devo concentrarmi, non posso semplicemente chiamare l’altra, cazzo!» strillò lei, chiudendo gli occhi nel disperato tentativo di recuperare abbastanza calma da poter realizzare il cambiamento. «Tienili occupati!».

«Come faccio a tenerli occupati, maledizione? Bell, non c’è nessuna Katrina! Ci sei solo tu, tu e il tuo dannatissimo potere! Hai bisogno di forza? Usa la mia! Succhia via tutta la mia energia vitale come una dannata sanguisuga se necessario, ma fa’ qualcosa! Non c’è un alter ego pronto a salvarti le chiappe, non sei un dannato supereroe babbano».

Ci sei solo tu.

No, non è vero, c’è Katrina.

Katrina non sembrava voler prendere il suo posto. C’era silenzio dentro di lei ed era un silenzio che non riusciva a spiegarsi.

«Bell!».

«Non ci riesco, sono… sono bloccata!».

Lo scudo era ogni secondo più debole, il braccio di Malfoy tremava in modo incontrollato. Sembrava passato più tempo dei pochi secondi che lei credeva fossero trascorsi e la cosa non le piacque affatto. Stava perdendo conoscenza, forse? Stava decisamente perdendo conoscenza, non ricordava di essere finita in ginocchio. E il rumore delle bestie era ad ogni secondo più forte, perché loro erano vicine anche se lei non ricordava di averle viste muoversi. Sentiva una pressione all’altezza del petto, una pressione che stava diventando insopportabile, un dolore sordo che le imponeva di piegarsi, di sottomettersi.

Obbedisci, obbedisci, OBBEDISCI!

«NO!» urlò così forte che i suoi polmoni sembrarono sul punto di esplodere, dando un pugno al suolo per guadagnare un minimo di controllo su se stessa. Malfoy sembrava sul punto di cedere, ma ebbe abbastanza sangue freddo da guardarla come se fosse impazzita. Ma lei non era pazza, oh no. Volevano farglielo credere, per poterla sottomettere meglio.

Katrina era pazza, per questo lei era caduta, si era sottomessa. Per questo sentiva quella pressione nel petto. Era lei, che la implorava di seguirla, di cedere e sottomettersi al Negromante più forte, di supplicare per la loro sopravvivenza.

Lo stronzo non sa che gli Irlandesi sono peggio degli Ippogrifi.

Sapeva che non avrebbe avuto indietro Katrina, quella parte di lei era stata assorbita da chiunque stesse cercando di controllarla, strappata via perché, , era uno schermo che era stato creato per proteggere se stessa da quel potere che non aveva chiesto, ne era sempre stata consapevole, ma era anche una difesa per gli altri. Dividere il suo potere fra due entità era stata la diga che la sua anima aveva creato per evitare che il flusso di magia incontrollato potesse distruggerla dall’interno, non essendo cresciuta con la preparazione adeguata. Per evitare che potesse distruggere gli altri.

Chiunque l’avesse appena attaccata, aveva scambiato la diga per il fiume e l’aveva distrutto.

Beh, buon compleanno stronzo, hai enormi problemi in arrivo.

Con un ringhio animalesco, Katie puntò un piede a terra e si spinse fino a rialzarsi, le ginocchia sul punto di cedere allo sforzo, la testa sul punto di esplodere perché divisa fra l’ordine di sottomettersi e la volontà di restare, di combattere fino alla fine.

Ma la diga c’era ancora. Nell’angolo più nascosto di lei, l’ordine di sottomettersi le impediva di reagire e attingere all’Oscurità.

 

«Tu, con gli occhi neri, devi andare a cercare il libro nella montagna».

«Eddie, cosa deve fare?».

«Deve portare solo il signore con i capelli bianchi, ma è un segreto, altrimenti lui non vuole più andare».

 

«Malfoy» sbottò, guardando l’uomo con furia cieca. In quel momento era chiaro perché la bambina avesse chiesto che fosse proprio lui a seguirla e perché li avesse obbligati a non riferirglielo. Lui le serviva. «Malfoy, prima hai detto una cosa».

«Cosa? Bell, non abbiamo tempo per gli indovinelli del cazzo, questi ci mangiano!».

«Tu sei il mio Auctor, il mio Creatore, tu hai liberato il mio potere la prima volta, quando la tua collana mi ha quasi uccisa» sbottò, deglutendo quello che avrebbe potuto essere il suo cuore, un pezzo d’intestino o la sua anima. «Il mio potere è legato a te ed ora io ho bisogno che tu lo faccia di nuovo. Devi… devi spezzare la diga» gli mormorò, afferrando il suo braccio libero per potersi reggere in piedi.

Obbedisci! Obbedisci!

«Cosa devo fare? Non ho collane maledette con me, sai? Non posso semplicemente ucciderti, maledizione Bell! Lo scudo sta per cedere, parla chiaro!» la supplicò, stringendo i denti nel vano tentativo di resistere ai colpi delle creature che, imperterrite, avevano continuato ad avanzare, sempre più velocemente e con sempre più fame e violenza. «Katie!».

«Sono una succubus, testa di cazzo» mugugnò la negromante, mentre una piccolissima parte di lei arrossiva miseramente al pensiero di cosa avrebbe dovuto fare. «Non è niente di personale» lo avvisò, tirandolo verso di sé fino a poter posare le labbra sulle sue in un bacio che non avrebbe mai pensato di dare proprio a lui. In realtà non pensava che avrebbe più baciato qualcuno, e basta. Ma che fosse Malfoy era letteralmente fuori da qualunque sua previsione.

Che poi lui si fosse lasciato prendere la mano e fosse finito a stringerla a sé come se fosse stata la sua unica fonte d’ossigeno, piegandosi per renderle la vicinanza più semplice e prolungare un contatto che non sarebbe dovuto esistere…

Katie, tuttavia, non si sentiva piena di repulsione. Non provava alcun desiderio d’allontanarsi da lui, di spingerlo via e schiantarlo fino a fargli dimenticare il suo stesso nome.

Oh, no.

La pressione nel suo petto era cresciuta fino a schiacciarla, ma non era più gelida, non era più una massa ghiacciata sul suo cuore, tutt’altro. C’era lava nelle sue vene, acido sulle sue labbra, la Morte non era più il pericolo da contenere ma una passione, una pulsione più forte di qualunque cosa lei avesse mai provato.

La Morte era vita, per lei, non poteva più spingerla via.

La diga era caduta10.

Per la prima volta in due anni, Katie scoppiò a ridere di cuore, ancora premuta contro Malfoy, quasi soffocata dalla sua presa ma per nulla tentata dall’idea di allontanarlo, le labbra contro le sue mentre assorbiva la sua energia come se fosse stato il suo nuovo sole.

Lui l’aveva creata e in quel momento la stava facendo risorgere come una fenice.

Katie rise più forte, spingendo Draco di lato e voltandosi finalmente a fronteggiare il suo vero nemico. Sapeva che i suoi occhi erano cambiati, ma di Katrina non c’era neppure l’ombra. Il potere scorreva in lei come il sangue, la inebriava piuttosto che avvelenarla, la spingeva in alto e non più a terra.

Katrina non c’era più e della vecchia Katie non era davvero rimasto nulla.

«Bell» la chiamò Malfoy, caduto in ginocchio poco lontano, evidentemente provato a causa di tutta l’energia vitale persa ma con una scintilla oscura nello sguardo, un desiderio di vendetta che lei poteva capire benissimo. Le sue labbra erano gonfie, i capelli scompigliati: nulla avrebbe potuto rendere più forte il suo potere succube. Lui la stava rendendo forte. L’aveva resa forte dal primo momento, ma lei non l’aveva capito.

Katie lo aveva odiato, Katrina ne era rimasta affascinata.

La Negromante gli era riconoscente.

«Bell, falli a pezzi».

La Negromante sorrise, consapevole di essere uno spettacolo a dir poco agghiacciante ma per nulla sorpresa dal fatto che lui non fosse terrorizzato. Come poteva, quando era stato lui a crearla?

«Con immenso piacere».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Ed ecco la nuova OTP che nessuno aveva chiesto.

Proporrei #Dratie, ma in teoria Katie non c’è più. Magari #Malbell? Ha una vibrazione agrodolce, lo adoro.

Sì. È un gran casino.

Sì. Li adoro.

Vai Negromante, falli a pezzi.

(Katie è morta, sì).

 

 

 

Punti importanti:

 

» * - È difficile ballare con un diavolo sulla schiena, quindi scuotilo via/ perché ho finito con il mio cuore sgraziato/ quindi stanotte lo taglierò fuori e lo riavvierò/ Perché mi piace tenere a bada i miei problemi/ È sempre più buio prima dell’alba. Questa è una delle mie canzoni preferite e da quando ho iniziato a scrivere questa fanfiction ho aspettato il momento giusto per tirarla fuori! Ero indecisa se usarla per Katie o per Winnie, ma questo capitolo ha preteso questa canzone. Potrebbe tornare anche nel prossimo, in realtà, chi lo sa!

 

» 1 – Uno dei miei tanti headcanon per Katie e per gli altri. Katie è figlia unica di stirpe purosangue, i suoi genitori non si sono uniti a Voldemort solo per una questione di interessi, aiutandolo probabilmente da dietro le quinte. Katie, quindi, è cresciuta in un ambiente razzista ma è stata abbastanza forte – o testarda? – da venirne fuori. Mi piace pensare a lei come ad una nuova Sirius, soprattutto a causa della relazione con sua madre. Diversamente da Sirius, però, lei non ha mai “esagerato” e non è stata mai cacciata. In effetti lei non è stata una testurbante per una questione di pochi secondi, si è imposta con così tanta forza al Cappello da non lasciargli modo di pensare di mandarla a Serpeverde. Tutto pur di irritare mammina cara.

 

» 2 – Come ho già detto, Katie è una negromante particolare, una Succubus capace di sfruttare la lussuria ed altre emozioni per attirare vittime da usare come “carburante” per i suoi giochini con i morti. Lei sta involontariamente proiettando le sue emozioni su Draco, che tuttavia non ha intenzione di sopportare le sue stronzate, detta molto finemente. #DracoTakesNoneOfYourShitKatie

 

» 3 – “Figliola”, in rumeno. Come ho già detto, la famiglia materna di Katie (quella di negromanti) è rumena, motivo per cui spesso e volentieri ci sono dei riferimenti a termini in questa lingua. Solitamente, comunque, i negromanti usano il latino (Es. Katie parla di transitio per il suo cambiamento e di Auctor per Malfoy, perché lui ha causato detto cambiamento).

  

» 4 – Katie apre spesso la bocca senza pensare, soprattutto da quando il suo background culturale è cambiato. Il suo controllo si è ridotto ulteriormente da quando ha ottenuto i suoi poteri, perché il problemino della personalità multipla è difficile da gestire.

 

» 5 – Come ho già detto, Katie viene da una classica famiglia purosague. Classica nel senso che i Bell sono i tipici Malfoy di belle speranze, senza l’oscurità che far parte dei mangiamorte comporta. Sua madre l’ha detestata dal momento stesso in cui ha scoperto che fosse una femmina ed il suo odio è solo aumentato quando Katie non ha mostrato alcun potere da Negromante (esattamente come lei! La madre di Katie non ha i poteri e sperava che sua figlia li ereditasse, cosa che poi ha fatto, ma da bambina era normalissima, con suo grande orrore). Katie è cresciuta con decine di tate e sentendosi dire cose come “Sei ingrassata, Trina”, “Ancora sporca di fango, Trina? Come i maiali”, “Quella è una divisa da Quidditch?????”.

 

» 6 – Negromanti is the new famiglie reali europee dei primi del ‘900. Così come nel secolo scorso le famiglie reali d’Europa, essendo tutte imparentate in un modo o nell’altro alla Regina Victoria, erano flagellate dall’anemia, allo stesso modo i negromanti sono perseguitati dall’allergia all’argento, cosa che ha portato alle leggende sui vampiri e l’argento. Non è niente di importante, ma questo dettaglio mi ha entusiasmata da morire dal primo momento.  

 

» 7 – Altro Headcanon, Katie e Malfoy alle stesse feste, crescendo, ma lui al centro dell’attenzione e lei messa all’angolo per guardare tutti malissimo e vantarsi dei suoi amici sanguesporco e traditori del loro sangue. Era una cosa che faceva impazzire sua madre. Katie ha smesso di andare a queste feste una volta compiuti quindici anni, prima del ritorno di Voldemort.

 

» 8 – Come ho detto spesso, io non sono una psicologa, non studio psicologia o cose simili. Distacco emotivo è qualcosa che si presenta quando si agisce senza provare emozioni, muovendosi come un automa. Spesso ci si dimentica anche di ciò che si è fatto, subito dopo. Il povero Lord l’ha presa malissimo e Draco è piuttosto convinto che Katie abbia la stessa cosa.

 

» 9 – Sarebbe un “porca puttana” in gaelico. Katie è un fiore delicato che merita protezione.

 

» 10 – Bene, cerchiamo di capire questa cosa della diga, perché potrebbe essere parecchio difficile da digerire. Quello che è successo a Katie verrà spiegato meglio nel prossimo capitolo, ma ora voglio che voi immaginate un fiume. Ora, questo fiume nasce all’improvviso, dopo un terremoto (il terremoto è la “morte” di Katie causata dalla collana), e il rischio è che ci sia un allagamento di massa che potrebbe distruggere non solo l’ambiente (quindi Katie) ma anche le persone che ci vivono (chi la circonda). Per cercare di limitare i danni e fare in modo che l’ecosistema si adegui a questa nuova situazione, si costruisce una diga (che a questo punto è Katrina) che cerca di limitare la portata del fiume per consentire al mondo di adeguarsi. Così abbiamo il fiumiciattolo (Katie stessa), la diga (Katrina, che interviene quando la pressione aumenta e rilascia un po’ di potere alla volta) e poi abbiamo il fiume vero e proprio. Chiunque avesse mandato quei cinque zombie ha distrutto la diga, convinto che non ci fosse nulla dietro, senza sapere di aver invece liberato il vero mostro. Katrina, quindi, non è “un’altra persona”, come credevano tutti. E non è vero che Katie non si rendeva conto di lei. Katrina stava difendendo Katie e gli altri dalla negromante, che invece ha finalmente preso il suo posto al mondo. È importante che capiate una cosa: Katrina non esiste, è un qualcosa che è stato costruito. Katie non esiste più, era solo uno spettro di se stessa che restava lì come una facciata. La negromante è una persona completamente diversa che adesso vuole fare un po’ di casino. Se guardate bene ai capitoli precedenti (soprattutto questo e quello subito precedente), noterete che Katie non parla mai di Katrina, ma dell’altra, così come Edelweiss non fa mai direttamente il nome di Katrina. So che ci sono dei fan di Doctor Who () tra di voi: immaginate la negromante come una rigenerazione di Katie, uguale ma diversa. Katrina è una cosa intermedia, più come quel Ten “umano” che poi è andato a vivere con Rose.

Spero di essermi spiegata! Nel caso, sono pronta a qualunque domanda!

 

 

 

Sì, se ve lo state chiedendo io vi posso già dire che la Malbell era in programma fin dall’inizio. Mi dispiace per le Dramione in giro, ma stavolta mi sono fatta predere la mano. E per Hermione ho altri piani.

Draco ha bisogno di qualcuno pronto a dirgli in faccia quanto è testa di cazzo, pur comprendendo il suo stile di vita. E “la negromante” ha bisogno di qualcuno che non abbia paura di lei.

#OTP

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 18
*** Atto VII, Parte III - La Negromante ***


LErede del Male.


 

And I'm damned if I do and I'm damned if I don't
So here's to drinks in the dark at the end of my road
And I'm ready to suffer and I'm ready to hope
It's a shot in the dark and right at my throat
'Cause looking for heaven, found the devil in me
Looking for heaven, for the devil in me
Well what the hell I'm gonna let it happen to me.*”.



[Florence and the Machine – Shake it out]

                                  

 

Atto VII, Parte III –  La Negromante

 

 

 

Non si era mai sentita così.

Non quando ancora la sua vita poteva essere definita normale ed il massimo dell’avventura era stata appendersi a testa in giù sulla scopa e segnare un punto ad uno sconvolto portiere serpeverde alla partita del suo debutto1. Non quando, ormai grande, aveva deciso di non essere più cauta e di accettare quelle sue strane emozioni per il proprio Capitano, gioendo nell’essere così apertamente ricambiata. Non quando, ormai cambiata, aveva visto il suo giovane amore crollare sotto il peso del dubbio e finire fra le braccia di una donna che lei non credeva sarebbe mai stata nulla più di una insignificante mosca nella sua vita.

Katie credeva che non avrebbe mai più provato emozioni forti come quella notte. Credeva che non si sarebbe mai più sentita talmente distrutta dal dolore come quando, dopo aver deciso di tornare indietro, di darsi una possibilità, aveva assistito alla morte dichiarata di un rapporto che probabilmente non era mai stato destinato ad iniziare2.

Oliver Baston non le apparteneva più e lei si era convinta che null’altro avrebbe più avuto importanza. Un cuore quasi morto poteva spezzarsi ma non più guarire, tanto valeva mettersi l’anima in pace e lasciarsi consumare dall’orrore di un’esistenza a metà. Katie si era lasciata morire, cullata solo dalla memoria di ciò che era stata e che non avrebbe vissuto mai più, perché le era stata tolta quella scintilla d’umanità che riteneva necessaria.

Si era sbagliata.

Quando era solo una bambina, sua madre le aveva rivelato che molte delle sue cugine presto o tardi avrebbero iniziato a dare dimostrazione di poteri strani, circondandosi di esseri spaventosi e rinunciando alla loro stessa anima pur di diventare sempre più forte. Lei, così come Katie, era stata risparmiata a quello strazio e per questo non avrebbero più dovuto mettere piede a casa di bunică3, perché sarebbe stato troppo pericoloso per loro, perché sarebbero state delle vittime nella stessa casa in cui Katie aveva adorato andare a giocare.

Naturalmente, Katie aveva compreso le bugie di sua madre già pochi anni dopo. Quale modo migliore di nascondere il suo risentimento verso l’unica figlia, se non metterla contro quegli stessi parenti di cui era morbosamente invidiosa? Charis Bell era stata fra le poche donne della famiglia a non ereditare il potere della Morte e, una volta che Katie ebbe compiuto sei anni senza dimostrare a sua volta alcuna capacità speciale, l’idea di non essere alla stessa altezza delle sue sorelle e dei suoi fratelli, tutti sacerdoti o genitori di giovani negromanti, l’aveva riempita di un veleno che non avrebbe mai potuto sfogare in libertà, non in Romania. Allora aveva deciso di voltare le spalle a tutto e tornare in Irlanda, tagliare tutti i ponti rimasti in piedi dopo il suo matrimonio e tentare di mettere la sua stessa bambina contro la loro famiglia.

Charis aveva programmato tutto, degradando la figlia così da poter sfogare su di lei anni di inadeguatezza, perché neppure Katie sarebbe mai stata speciale4, nonostante il Quidditch e nonostante i buoni voti a scuola. Sarebbe stata mediocre, come lei. L’aveva resa felice della sua mediocrità, almeno finché qualcosa non era cambiato.

Almeno finché il caso non aveva voluto che lei finisse fra le grinfie inesperte di Draco Malfoy e dei suoi bizzarri tentativi d’omicidio. Finché la Morte non aveva guardato Katie negli occhi ed aveva riconosciuto quel marchio che ai sacerdoti era sfuggito, reclamando di prepotenza una vita che era una sua proprietà, incurante di lasciarsi dietro solo distruzione e confusione.

Un miracolo, l’avevano definita i suoi zii, quando un confuso Viktor Bell li aveva mandati a chiamare, nonostante le proteste della moglie, dopo che sua figlia aveva quasi ucciso tutto il personale che il San Mungo aveva messo a sua disposizione per tentare di rianimarla. Un miracolo voluto dalla Madre.

I negromanti sviluppavano il loro potere entro il quarto anno di vita, i più forti generalmente lo sviluppavano entro il sesto e raramente oltre, perché il prezzo da pagare per la conversione era troppo alto per chi non avesse un’età tanto tenera5. Katie aveva subito il suo cambiamento a diciassette anni ed il suo potere era stato talmente grande da spingere il suo subconscio a difendersi, a cercare un qualsiasi aiuto affinché il prezzo non venisse pagato per intero, non subito. Katie non era pronta a rinunciare a se stessa, non era pronta a rinascere ed il Gran Sacerdote l’aveva aiutata.

Potresti essere la più forte, vuoi davvero fermarlo?

Nessuno sapeva, nessuno avrebbe potuto sapere.

Non il Dottor Crave, così convinto che lei non sapesse, che lei non volesse essere aiutata. Non Winnie, che era cresciuta con un peso troppo grande sulle spalle e non accettava che qualcun altro potesse trovarsi nella sua posizione. Non Ophelia e Barry, che avevano imparato ad amare quella problematica ragazza troppo fragile per il suo stesso potere.

Quando cambierai, non potrai più tornare indietro, dragă6. Quando il potere acquisirà coscienza, allora niente potrà fermarlo.

Quante volte le avevano detto che Katrina, in realtà, non fosse altro che una proiezione della sua mente, credendo di rivelarle qualcosa di cui lei non avesse la minima idea? Quante volte lei aveva resistito alla tentazione di urlare, di cadere in ginocchio e supplicarli di liberarla, di portare via quel freno che la teneva bloccata a metà fra un’esistenza che non le apparteneva più ed una che ancora non le apparteneva completamente? Katrina esisteva, ma non era viva. Katrina non esisteva più di quanto esistesse Katie, a quel punto. Una era potere senza coscienza, l’altra coscienza senza potere.

E nessuno doveva sapere.

Il suo potere era cresciuto, straripando da quei limiti che il Gran Sacerdote le aveva imposto. Era cresciuto ed era mutato, acquistando la tinta oscura e densa della Morte macchiata di Sesso, della lussuria portata all’ultimo respiro. Katie aveva sedotto uomini e donne senza potersi controllare, li aveva sfruttati, spremuti fino all’ultima goccia di linfa vitale, poi era crollata sotto il peso di ricordi mancanti e più forza di quanto quel suo corpo cambiato a metà potesse sopportare.

Le piaceva sentirsi così forte. Le piaceva, ma ne era terrorizzata. Era come stuzzicare una cicatrice non ancora perfettamente guarita: la curiosità era troppa per limitarsi ad ignorarla, ma il dolore dopo averla toccata poteva lasciarla senza respiro. C’era un masochistico piacere nel richiamare Katrina, spingendo contro i limiti che lei stessa aveva voluto per ottenere qualcosa in più, nonostante la sola idea la facesse star male. Avrebbe dovuto aspettare la cerimonia prima di lasciarsi andare, così da affrontare il cambiamento fra i suoi simili, davanti a Sacerdoti che avrebbero saputo controllarla, che avrebbero potuto aiutarla ad accettare la nuova sé.

Ma qualcuno aveva stuzzicato il potere con un bastoncino affilato, svegliandolo di prepotenza e chiedendogli poi di sottomettersi. Come avrebbe potuto farlo? Era sottomesso da anni e finalmente qualcuno lo aveva svegliato.

Le era servita solo una spinta in più e Malfoy – la causa di tutto, il motivo per cui la Morte l’aveva trovata – era stato ben lieto di dargliela, cedendole quell’energia vitale che già una prima volta l’aveva fatta cambiare.

Era strano, sentirsi potente senza dover prima tirare vai da se stessa la Morte, tormentando la sua anima con aghi imbevuti di dolore e rimorso. Non c’era più bisogno di pensare ad un amore perduto o alla folle gelosia verso una donna che lei non aveva neppure mai conosciuto7. Tutto stava passando in secondo piano, perché, dopotutto, non era più Katie Bell a dover attingere al Potere. Katie Bell era morta per mano di Draco Malfoy a soli diciassette anni. Era rimasta in agonia, tuttavia, bloccata nel limbo che Katrina aveva creato come se fosse stato il suo Purgatorio personale, finché quell’ostacolo non era stato rimosso e, così come l’aveva uccisa, Draco Malfoy era riuscito a riportarla alla vita, nella Morte.

Oliver Baston non c’era più.

Katie non c’era più.

Era libera.

E così, libera, scoppiò a ridere.

 

***

 

Una risata come quella avrebbe fatto gelare l’inferno ed avrebbe mandato a fuoco il paradiso, Draco ne era assolutamente certo, nonostante la confusione che la stanchezza di quel bacio mortale gli aveva lasciato dentro. Seduto a terra, non riusciva a staccare gli occhi dalla creatura che aveva preso il posto della Katie Bell che, seppur diversa dalla ragazza che lui aveva condannato a morte anni prima, aveva imparato nuovamente a conoscere.

Era ancora bassa com’era sempre stata, eppure il suo modo di rapportarsi con lo spazio intorno a lei era totalmente differente. Katie Bell era stata una ragazza capace di passare inosservata se lontana da una scopa, poi era diventata una donna così terrorizzata da se stessa da preferire raggomitolarsi in un angolo e urlare contro chiunque si intromettesse nel suo spazio vitale. Katrina era stata differente, sicura di sé ma ancora cauta, seppur a modo suo. In quel momento, la donna davanti a lui aveva la schiena dritta, il mento alto in un gesto di sfida verso l’universo e di pura e semplice regalità. I suoi capelli biondi, che prima erano sembrati quasi paglia nelle poche volte in cui il potere aveva preso di prepotenza il controllo di lei, apparivano ormai bianchi e perfetti, esattamente come la sua pelle. Gli occhi brillavano come diamanti neri, terribili nella loro magnificenza. Draco aveva visto un accenno di quella potente bellezza quando Katrina aveva provato a sedurlo, dopo il suo risveglio, ma non avrebbe mai immaginato che potesse cambiare così.

C’erano storie su Incubi e Succubi, nella biblioteca del Manor. C’erano tanti romanzetti rosa che sua madre era solita leggere che vertevano sull’argomento: creature bellissime, capaci di uccidere con un bacio e con un altro riportare l’esistenza in corpi ormai morti. In pochi li collegavano ai negromanti – maghi e streghe schivi verso la società, rinchiusi nelle loro famiglie e nei loro segreti – e al loro aspetto cadaverico, che fondamentalmente era il motivo per cui Draco stesso era rimasto sorpreso nello scoprire la vera natura di Bell. Succubi e Incubi erano una razza differente che si era unita a quella dei negromanti nei secoli, entrambe stirpi figlie della Morte seppur differenti. Gli studiosi parlavano di un gene recessivo8, capace di manifestarsi solo raramente e che di solito si presentava fin dalla prima infanzia tramite bambini meravigliosi, capaci di spezzare cuori solo sbattendo le ciglia. Katie Bell, pur dopo il cambiamento, non era stata nulla di eccezionale. Spaventosa, sì, ma non incredibile.

In quel momento, osservandola splendere, Draco comprese il perché di quel fiume di parole speso per descrivere la meraviglia di persone così forti da poter uccidere con la forza di un bacio. Al diavolo, lui stava per morire a causa di un bacio, ma non avrebbe potuto importargliene di meno! Se lei avesse chiesto, avrebbe sacrificato tutto, ancora una volta.

Falli a pezzi, le aveva detto, e lei aveva iniziato a ridere. Se lui fosse stato normale, quel suono lo avrebbe fatto morire di paura e lo avrebbe spinto a scappare, pregando per una fine veloce e indolore. Ma Draco Malfoy non era sano di mente da anni, a quel punto, e non c’era nulla che avrebbe potuto renderlo più felice dell’assistere alla distruzione di quelle creature che sembravano intenzionate a mangiarli.

Non c’erano più mostri capaci di togliergli il sonno, non quando il mostro più pericoloso di tutti era una sua creazione, seppur involontaria.

La osservò avvicinarsi lentamente alle creature, che in quei pochi momenti che le erano serviti per cambiare non si erano mossi, come curiosi di scoprire cosa sarebbe successo. Si muoveva con una grazia non umana, ma priva di qualunque tipo di malizia avesse potuto utilizzare durante il suo incontro con Draco stesso nell’infermeria delle Banshee. Non stava usando i suoi poteri legati alle emozioni umane, non avrebbe avuto senso contro dei cadaveri, ma era comunque forte, molto più forte di quanto lui potesse sopportare. Gli bruciavano gli occhi, come se avesse iniziato a fissare il sole con troppa intensità, ma non se la sentì di distogliere lo sguardo.

Katie Bell avanzò e ad ogni suo passo le creature arretrarono, come schiacciate da una forza inarrestabile.

«State davvero opponendo resistenza?» chiese, la voce incredibilmente melodiosa. «Non potete piegarmi, non più. Adesso siete miei» continuò, smettendo di ridere ed allargando le braccia, come ad invitare i cinque mostri ad avvicinarsi, a stringersi a lei come se fosse stata una madre o una sorella. E loro lo fecero. Uno ad uno, strisciarono ai suoi piedi, allungando le mani ossute per poterla sfiorare ed emettendo versi gutturali incomprensibili e patetici, esprimendo la loro sottomissione nei pochi modi che le loro menti controllate dovevano consentire loro.

Per un istante, Draco pensò che lei li avrebbe coccolati o li avrebbe rimandati nelle loro tane o qualcosa di altrettanto sdolcinato. Ma dovette ricredersi immediatamente. Con un gesto veloce, Katie prese per il collo la creatura più vicina, sollevandolo finché non si trovarono occhi negli occhi e allora rise più forte, stringendo la presa su quelle ossa polverose fino a sbriciolarle fra le proprie dita. Un piede trapassò, un attimo dopo, la gabbia toracica di un altro mostro, proprio dove avrebbe dovuto trovarsi il cuore.

Gli altri non ebbero una fine più misericordiosa.

Immobile fra la polvere e pezzi di corpi in decomposizione, la Negromante apparve davvero in tutta la sua gloria. Aveva smesso di ridere, ma un ghigno soddisfatto le incurvava ancora le labbra quando, con un gesto distratto, si pulì uno schizzo di sangue nero che le era finito sul viso e, tranquilla, se lo portò alle labbra.

Avrebbe dovuto sentirsi disgustato, ma Draco fremeva all’idea di sentire ancora una volta la sua voce, pur percependo la propria coscienza cedere lentamente il passo all’oscurità. Gli occhi erano pesanti, le orecchie gli fischiavano in modo che non era assolutamente naturale, eppure lui non riusciva a trovare la forza di chiedersi cosa ci fosse di sbagliato il lui, cosa potesse fare per non sentirsi ancora una volta ad un passo della tomba. Emise un flebile gemito di dolore, portandosi inconsciamente le mani al petto ed attirando l’attenzione della donna.

Quando lei gli sorrise, non lo fece con quella crudeltà che l’aveva animata fino a qualche istante prima. «Non ti lascerò morire in questo modo, Malfoy» sembrò volerlo rassicurare, avanzando sicura nella sua direzione, fino ad inginocchiarglisi accanto.

No, non accanto.

In un qualunque altro momento, Draco si sarebbe sentito vagamente eccitato all’idea di avere una donna talmente intrigante fra le proprie braccia, a cavallo del suo inguine, talmente vicina da lasciar quasi pensare che volesse trasformarlo in un giocattolino sessuale – possibilità che lui non avrebbe certo rifiutato – e portarlo dolcemente alla morte. In quegli istanti, tuttavia, letteralmente con un piede nella fossa, il poveretto pensò soltanto a quanto patetica sarebbe apparsa quella scena ad occhi estranei.

Fortunatamente, la Negromante non sembrava intenzionata a lasciarlo andare. Con un’ultima risata, si avventò su di lui, baciandolo ancora una volta come se la sopravvivenza del mondo – o solo quella di Draco? – dipendesse da quel contatto. Lo strinse a lei per un tempo che gli sembrò interminabile, aiutandolo a respirare, regalandogli di nuovo quel calore che lui stesso le aveva dato non più di una manciata di minuti prima. Senza quasi rendersene conto, Draco era tornato a vivere, passando dall’essere una creatura morente fra le braccia della negromante al tornare nella sua forma migliore, le braccia strette al corpo di lei e le labbra ansiose di ricambiare qualunque cosa lei avesse voluto concedergli.

«Basta così» gli disse però alla fine, con un’altra risata, staccandosi leggermente per poterlo osservare negli occhi. I suoi non erano più neri ma erano tornati del solito verde acqua, seppur più oscuri di quanto non fossero mai stati. Erano occhi che portavano con sé i segreti dell’esistenza, occhi consapevoli del mondo intorno a loro e della propria capacità di controllarlo. «Non vorrai esplodere, vero, a mhuirnín?9 Abbiamo ancora tante cose da fare, è inopportuno restare qui a giocherellare quando il Mondo ha bisogno di quel libro» continuò, tranquilla, rialzandosi nonostante i vaghi – e involontari -  tentativi di Draco di tenerla lì con lui ed allungandogli la mano affinché potesse rialzarsi a sua volta.

Allontanatasi seppur leggermente la negromante, lui si sentì improvvisamente più lucido. La realizzazione di ciò che era appena successo – di come lei avesse appena distrutto cinque zombie a mani nude, di come avessero appena smesso di baciarsi come se fossero stati amanti e non vecchi nemici – piombò su di lui con il peso di mille tonnellate di pensieri e colpe. Si ritrovò ad accettare l’aiuto che gli veniva offerto con parecchia più confusione di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere e, malvolentieri, le impedì di allontanarsi, così da poterla guardare negli occhi. Anche in quel momento, tornata normale, quell’aura di innaturalità era rimasta su di lei, rendendola diversa, nonostante non ci fosse nulla di fisicamente evidente a testimonianza. «Bell? Ti senti… bene?».

Lei si strinse nelle spalle. «Ancora non lo so, devo abituarmi a questa nuova realtà. Sono appena tornata in vita, credo di sentirmi proprio come si sentono i bambini appena nati. Quando i miei cugini mi raccontavano della loro trasformazione, dicevano sempre che era come respirare aria fresca per la prima volta… ma erano solo dei bambini, quindi forse anche loro si sentivano così, ma non sapevano spiegarlo» mormorò, corrugando le sopracciglia bionde. «Mi sento forte. E mi sento anche spaventata, credo. E voglio mangiare pancake con sciroppo d’acero».

Draco la fissò come se fosse impazzita. Era riuscito a seguire – parzialmente – la sua spiegazione. In molti dicevano che acquisire i poteri da negromante implicasse spesso perdere se stessi e poi ritrovarsi, ma lui si era convinto che la Bell avesse subito il cambiamento anni prima, evidentemente sbagliandosi. Ma era altro a confonderlo. «Perché proprio sciroppo d’acero?».

Lei sorrise, allegra. «Oh, non ho mai avuto modo di assaggiarlo! Mi sa di esotico, così canadese» cinguettò, sbattendo le ciglia con aria rilassata. «Quando troveremo quel libro, dovresti davvero portarmi a mangiare dei pancake. Me lo devi, dopo avermi sbaciucchiata per ben due volte» gli fece notare, con l’aria saputa di chi avesse la certezza di aver vinto una qualche discussione, sollevando due dita e sventolandogliele sotto al naso.

Se già alle parole “esotico” e “canadese” lui si era accigliato, in quel momento non riuscì più a trattenere l’espressione confusa che gli si dipinse in viso. «Non è che io abbia avuto molta scelta al riguardo, Bell. Mi pare che tu ne abbia beneficiato parecchio. Tu dovresti portare me a prendere i dannati pancake canadesi».

Il modo in cui lei gli sorrise lo fece arrossire e – che fosse dannato! – Draco immaginò cosa sarebbe successo se Theo l’avesse visto in quel momento. Non l’avrebbe più lasciato vivere in pace. «Se non sbaglio,» iniziò lei, accostandosi fino ad accarezzargli la guancia con la punta dell’indice, così vicina da fargli sentire il suo calore sulla pelle, «anche tu ti sei divertito parecchio» continuò, indicando con un cenno ai pantaloni di lui, incapaci di nascondere quanto, in effetti, avesse apprezzato il precedente scambio di energie che c’era stato con la donna.

Maledizione.

«Katie…»

Lei fece una smorfia. «Non sono sicura che quello sia ancora il mio nome. O che io riesca a percepirlo come il mio nome» si lagnò, arretrando e guardandosi la punta degli stivaletti, corrucciata. «Non mi sento Katie. E non mi sento Katrina. Io non sono quella di prima».

Non sembrava neppure quella di prima, si ritrovò a pensare Draco, passandosi la lingua sulle labbra ancora leggermente gonfie. «È per questo che non sembri volere la mia testa su un vassoio d’oro, in questo momento? Sei passata dal volermi morto al salvarmi. Ed allo scherzare come se fossimo vecchi amici».

Lei ridacchiò. «Ah, Katie ti odiava parecchio, vero? Non puoi darle torto, tu l’hai uccisa. E Katrina era divertita da te, perché Katie di certo provava qualcosa di forte e lei voleva capirne il motivo. Io sono diversa».

«Perché?».

«Perché io esisto solo a grazie a te. Ti devo la mia vita» gli fece notare, alzando gli occhi al cielo come se fosse ovvio. «E noi stiamo condividendo energia vitale10, credo sia più che normale che io non ti detesti più, sarebbe come detestare me stessa e, sinceramente, ne ho abbastanza. Ho passato quattro anni divisa fra Katie che detestava Katrina e Katrina che amava follemente Katie. Sono stufa di tutte quelle emozioni complesse. Adesso sto finalmente bene e non ti detesto perché noi condividiamo la stessa forza e lo faremo finché non andremo dal Gran Sacerdote a… sistemare la questione».

Draco strinse le labbra, per nulla convinto. «Condividiamo l’energia vitale? Quindi se uno di noi muore…?» rabbrividì all’idea di cosa questo avrebbe potuto comportare. «Hai detto che questo Gran Sacerdote può sistemare tutto?».

«Oh, assolutamente» lei annuì, tranquilla. «E no, se uno di noi dovesse morire l’altro potrebbe sopravvivere… sarebbe stanco per un po’, ma ce la farebbe. E soffrirebbe le stesse pene, almeno per un certo periodo di tempo» spiegò, con una smorfia. «Quindi cerca di non farti del male finché non sistemeremo questo pasticcio, che ne dici? Se fai il bravo, magari più tardi vedremo di riprendere quel discorso che prima ti stava piacendo tanto».

E ammiccò nella sua direzione.

La stronza ammiccò e si allontanò, come se nulla fosse, bacchetta alla mano e atteggiamento rilassato di chi fosse diretto verso una scampagnata e non alla ricerca del libro più pericoloso che fosse mai stato scritto. Come se non avesse appena detto

Perché lui stava arrossendo in quel modo?

«Bell, maledizione, aspettami! Per quanto io non possa morire, preferirei comunque non soffrire le pene dell’inferno perché tu sei una sconsiderata che si butta fra le braccia dei mostri» le urlò dietro, cercando di ricomporsi prima di recuperare la sua bacchetta dal suolo e seguirla, il cuore impazzito nel petto e non per la corsa.

«Anche Bell mi suona strano, ma non quanto Katie» si lagnò lei, con una smorfia. «Questo è il problema principale che segue al cambiamento! Di solito tocca ai bambini e loro sono abituati al cambiamento, non hanno problemi ad adattarsi! Io sono troppo vecchia per queste cose ed ora rischio di sentirmi inadeguata per sempre».

Una volta raggiunta, Draco la osservò con curiosità. «I tuoi amici ti chiamano Trina. Neanche quello ti sta bene?».

Lei parve rifletterci per qualche istante, poi sorrise. «Trina mi piace. Posso conviverci» tentò, imbronciando ancora le sue belle labbra. Erano gonfie ed arrossate per i baci che si erano appena scambiati. Per una qualche ragione, lui sentì un calore strano nello stomaco e la pulsione di farsi più vicino per poco non lo fece cedere alla tentazione di posarle una mano sul braccio. Maledizione, meno di un’ora prima lei aveva voluto ucciderlo! «Trina va bene, ma… non lo so, non mi piace. Immagino che loro continueranno a chiamarmi così».

«Ma a te non piace» constatò lui, scuotendo il capo. «Finché non deciderai di chiamarti Mary o Sue, qualsiasi cosa andrà bene. Ma credo che dovresti trovare qualcosa di simile al tuo nome, non credo sia il caso di stravolgere ancora di più l’esistenza di chi ti conosce già». Restò in silenzio per qualche istante, prima di ridacchiare. «Che ne dici di Kate? Molto di classe, un ottimo diminutivo di Katrina e più maturo di Katie. Ormai non sei più una ragazzina che corre con una scopa da Quidditch».

Il modo in cui lei si illuminò al suo suggerimento lo fece sorridere fra sé e sé. Ben fatto, pensò, congratulando se stesso con un certo orgoglio.

«Kate mi piace tantissimo! Ha davvero un qualcosa di regale, non credi? È davvero il momento di farla finita con quella sciocchezza di Katie, non ho più undici anni. E non sono neppure sicura che il Quidditch mi piaccia ancora!».

«In che senso non ti piace più il Quidditch?».

Draco era sbalordito, a dir poco. Katie Bell – la migliore cacciatrice che Grifondoro abbia mai visto, destinata alla Nazionale ma strappata via al suo destino proprio da lui – lontana da un manico di scopa era assolutamente inconcepibile. L’universo non l’avrebbe perdonato se, aiutandola a cambiare, lui avesse fatto sparire un talento come il suo.

«Ho detto solo che non so se mi piace ancora il Quidditch» sbottò lei, alzando gli occhi al cielo. «Sono tutta nuova, mi sento tutta nuova, devo solo capire come vivere con me stessa, tutto qui» mormorò, improvvisamente più indecisa. «Tante cose sono cambiate. Adesso non ho più paura del mio potere, ormai il mio prezzo l’ho pagato. E sono piuttosto sicura di non essere più arrabbiata con Oliver Baston». Si fermò, portandosi una mano al petto con fare drammatico. «No, cancella l’ultima parte. Sono furiosa verso Oliver Baston. Aveva promesso di aspettarmi ma si è fidanzato con quella bagascia! Ed ha continuato a mandarmi i biglietti per le sue partite di Quidditch! Che diavolo ha in mente?» domandò, guardando Draco come se lui avesse dovuto sapere la risposta.

Draco si strinse nelle spalle. Sinceramente, lui era abbastanza confuso dal fiotto di irritazione provato nel sapere che lei venisse ancora invitata da Baston alle partite. «Cosa diamine dovrei saperne io? La bagascia è la giovane Smith, non è vero? Ho visto una loro foto sul Settimanale delle Streghe, mi sono sembrati piuttosto tranquilli insieme» commentò, allontanandosi di un passo per paura che lei potesse perdere la testa per l’irritazione. «Forse ti manda i biglietti perché spera che possiate ancora essere amici, no? È una cosa in cui voi Grifondoro credete tanto».

«Stronzate» sbottò, parecchio irritata, svoltando automaticamente a destra lungo il corridoio. «È una delle cose che non ho mai capito, neppure durante gli anni di scuola. Noi Grifondoro non siamo come i Tassorosso, sia chiaro, non vogliamo essere amici di tutti. Ma questa loro volontà di… chiarirsi, di fare la cosa giusta… ci sono state volte in cui avrei voluto soltanto chiudermi in camera e portare rancore in pace! Ma loro no, loro sono per i chiarimenti, sono per il prendere il coraggio fra le mani e porre fine al caos», Kate fece un verso disgustato. «Oliver mi aveva quasi convinto a parlare con mia madre, ma per fortuna tu sei intervenuto prima che fosse troppo tardi. Ed ora posso continuare a portare rancore per sempre, non è fantastico?».

Draco, che era rimasto in silenzio per tutto il suo sproloqui, sentì qualcosa crescere nel suo petto e, quando sentì se stesso ridere, quasi non se ne capacitò. «Ah, Bell, sei una fonte continua di sorprese» le disse dopo qualche istante, asciugandosi una lacrima. «Un Grifondoro che parla male dei Grifondoro è…» non riuscì a trattenere un’altra risata a pernacchia. «Finalmente riconoscete la vostra inferiorità!».

Il modo in cui lei lo fissò avrebbe dovuto preoccuparlo, ma non lo fece. «Chiedo scusa? Ho mai detto che i grifondoro sono inferiori? Rispetto a chi, poi? Ai Serpeverde? Ma puoi scordartelo» gli disse, fissandolo come se fosse diventato matto. «Incredibile! Per quanto io possa lamentarmi, di certo non arriverei mai al punto da negare la nostra naturale superiorità. La professoressa McGranitt mi metterebbe il broncio e di certo io non posso permetterlo».

La sua espressione combattiva era adorabile e Draco proprio non riusciva a capacitarsi del motivo per cui fosse tanto affascinato all’improvviso. Non aveva senso. Eppure…

«Mi piace quando fai quella smorfia» le confessò, tentato di sbattersi la mano sulla bocca per zittirsi. Era diventato matto?

Lei, che era nel bel mezzo della sua dichiarazione di superiorità, si fermò e lo fissò senza espressione per qualche istante, per poi aprirsi in un sorriso immenso. «È un modo per distrarmi? No, perché puoi continuare, sta funzionando» gli disse, sbattendo le palpebre e sfarfallando le sue adorabili ciglia.

«Bell-».

«Aspetta». Aveva alzato l’indice della mano libera all’improvviso, intimandogli il silenzio. In un battito di ciglia era cambiata di nuovo e la Succubus aveva preso il posto di Kate con una facilità incredibile. Aveva il capo piegato di lato, quasi avesse voluto ascoltare qualcosa di flebile e di nascosto a Draco stesso, che non aveva avvertito nulla. Poi, con un sorriso spaventoso e tutto denti – sembravano più aguzzi, era normale? – riportò la sua attenzione su di lui.

«Che succede?».

«Percepisco la fonte che ha mandato i nostri cinque amici, prima. E percepisco qualcosa di incredibilmente potente vicino a lui, credo sia il libro» lo avvisò. «Preparati, Draco. È ora di andare a caccia».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

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#Malbell

 

Pensate che questo capitolo sia stato l’apice del mio delirio? Ahahah non avete idea di cosa sto scrivendo per la settimana prossima. Follia pura (e mitologia greca yeaaah).

 

Queste note sono assurde, perdonatemi.

 

 

 

Punti importanti:

 

» * - Sono dannata se lo faccio, sono dannata se non lo faccio/ Quindi sono qui a bere nel buio alla fine della mia strada/ Sono pronta a soffrire, sono pronta a sperare/ è un bicchiere nel buio e va dritto alla mia gola/ Cercando il paradiso, ho trovato il diavolo in me/ Cercando il paradiso, il diavolo dentro di me/ Allora al diavolo! Lascerò che accada. Questa è la canzone perfetta per Katie, l’ho dovuta usare di nuovo. Katie voleva la pace e l’ha trovata nel suo demone personale. Se questa non è crescita personale…

 

» 1 – Nel primo libro, durante la prima partita di Harry, si dice chiaramente che Katie sia stata una riserva durante l’anno precedente. Harry non è il più giovane giocatore dell’ultimo secolo, quindi, ma è il più giovane titolare. Durante il suo primo anno, Katie ha giocato una sola partita (per una mezzoretta sola, in realtà) ed ha segnato un punto appendendosi a testa in giù sulla scopa. Perché Katie è la migliore Cacciatrice di Grifondoro e nessuno mi convincerà altrimenti.

 

» 2 – Dovete sapere che Oliver Baston è stato il primo, grande amore della mia vita e ancora lo è. Però qui è un po’ stronzo. Poiché non penso che si parlerà più di lui, vi racconto cos’è successo: il signor Baston e Katie si sono corteggiati a vicenda per tutti i primi tre anni di Harry a scuola, finendo col mettersi insieme durante i festeggiamenti alla fine della partita con i Corvonero (non la prima finale vinta, la penultima partita). Sono stati insieme – felicissimi – fino al settimo anno di Katie, quando Draco le ha rifilato la collana e lei è cambiata (parzialmente). Katie era spaventata dal suo stesso potere e allora ha detto ad Oliver “Non sei tu, sono io, ti sto mollando”, ma lui ha insistito e alla fine lei ha accettato la promessa fatta da lui di “aspettarla anche tutta la vita, se necessario, perché lei è il grande amore della su vita”. Indovinate un po’, però? Meno di un anno dopo ecco che spuntano le foto di Oliver e della sua nuova ragazza, che lui, nell’intervista, chiama “il grande amore della sua vita”. Katie come sappiamo perde la testa e i suoi amici sono costretti a fermarla prima che faccia la pelle ad Oliver. Il problema, però, sta nel fatto che Oliver non solo chiede alla tipa di sposarlo, ma continua a voler parlare con Katie ed a tentare di riconquistarla. Quali sono i piani del ragazzo? Nessuno lo sa, ma è stronzo. Scusami Oliver, sappi che io ancora ti amo un sacco!

 

» 3 – “Nonna”, in rumeno.

  

» 4 – Come ho già detto, Katie non viene da una bella famiglia. Suo padre non c’era mai e se c’era la guardava con sdegno perché è una femmina. Sua madre la detestava perché apparentemente neppure lei aveva ereditato i poteri da negromante che le avrebbero consentito di fare la figa in Romania. Ovviamente Charis, la madre, non aveva idea che Katie avesse un potere ancora più grande e raro, altrimenti avrebbe finto di volerle bene. Invece no, l’ha sempre fatta sentire inadeguata. Come dirò meglio nel prossimo capitolo, il non essere amata ha praticamente sopito di più il potere di Katie, ritardandolo e facendolo diventare più forte.

 

» 5 – Eccoci di nuovo con le follie, eh? Il fantomatico prezzo che negromanti/Succubi/Incubi devono pagare è praticamente il loro essere, la loro identità. Perdono se stessi, diventano qualcuno completamente diverso. Per i bambini è effettivamente più facile, perché ancora non sono definiti, non hanno un carattere. Più grandi si è, più grande è il prezzo pagato e, quindi, più grande è il potere. Katie ha perso tutta se stessa perché è cambiata tardissimo, ma il suo potere è anche incredibilmente più forte della media. In pratica: più tardi cambi, più “paghi” in termini di identità e quindi più sei forte. È il tipico rapporto prezzo/oggetto: più paghi, più ottieni. Katie ha pagato tanto. Forse troppo.

 

» 6 – “Cara”, sempre in rumeno. Il Gran Sacerdote (non dimenticatevi che la Negromanzia è prima di tutto una religione) usa termini dolci con Katie perché è consapevole del trauma che lei sta subendo (lui è cambiato a quattordici anni) e perché vuole un po’ fare il ruffiano, essendo consapevole che lei, all’apice della sua potenza, potrebbe letteralmente prenderlo a calci nel sedere. E comunque, essendo lei una Succubus, le emozioni positive (amore, affetto, lussuria) la mettono a suo agio. Quantomeno, la metteranno a suo agio ora che ha abbracciato il suo potere, prima non tanto. E Katie è rara, voi non vorreste essere amici di un genio? (Diciamo pure che questa “genialità” viene pagata con un filino di pazzia, ma shh).

 

» 7 – Sempre collegata al paragone “Katrina-Diga”. Per far uscire più acqua e ottenere più potenza, la Diga doveva essere sottoposta ad una pressione maggiore. In pratica, per avere più potere, Katie doveva stuzzicare le sue stesse emozioni. Quale modo migliore che pensare al tuo ex con la sua nuova fiamma? Katie, praticamente, faceva opera di masochismo su se stessa, costringendosi a soffrire per ottenere più potere (es. Capitolo 8, quando va alla partita di Oliver per “richiamare Katrina”).

 

» 8 – Ecco, vedete, io studio giurisprudenza, ma ho studiato al liceo scientifico. E sapete cosa mi piaceva davvero tanto? La genetica. La magia è un gene. Un gene recessivo, che viene ereditato fra le generazioni e poi sbam! Ecco che viene fuori un Nato Babbano. Fra i negromanti, il gene “a sorpresa” e quello di Incubi e Succubi. E i maghi non sono portati alla ricerca con metodi babbani, altrimenti saprebbero già chi potrebbe diventarlo e chi no.

AVVISO DELIRIO SCIENTIFICO potete non leggere, è davvero delirante (*Marne prende la sua espressione da Alberto Angela die poveri*): Perché Katie è una Succube e tutto il resto della sua famiglia no? Partiamo dal presupposto che ogni persona ha due “pacchetti” di geni, uno preso dalla madre e uno dal padre, ok? Ci sono geni che per manifestarsi hanno bisogno di essere in entrambi i pacchetti di geni, fra questi la magia (MM) e il potere da Incubo/Succube (SS). La negromanzia (N) è dominante, quindi di solito basta un genitore negromante per avere il potere, ma c’è sempre un 50% di possibilità.

Veniamo ora a Katie. Il nonno materno di Katie (MN) ha sposato una “mezzosangue” figlia di Incubus e strega normale (SM), che ha passato il gene S recessivo (nel senso da solo, non funzionante) alla madre di Katie (MS). Quindi la mamma di Katie è una strega normale senza il potere che deriva da S, perché pur essendoci non funziona da solo. S, tuttavia, contiene pure la magia, motivo per cui è come se fosse (Mm), per questo motivo è comunque capace di usare la magia normale. Una strega un po’ incapace, perché il suo potere è molto debole, ma comunque una strega. Veniamo a Katie. Katie ha i pacchetti (MS) come sua madre, ma, a causa di una mutazione genetica causata dal fatto che la collana di Draco praticamente l’abbia uccisa, il suo pacchetto S si è “attivato” comunque. La mutazione, tuttavia, è stata bloccata da “Katrina” e Draco, dandole la sua energia, ha fatto in modo che potesse continuare. Adesso, Katie è (SS).

Delirante, ve l’avevo detto. Questo capitolo è tutto dedicato alla mia prof del liceo

 

» 9 – Termine dolce in irlandese, una specie di “tesoro mio” o “amore mio”.

 

» 10 – Eheh, che bello delirare. Come ho già detto, Succubi e Incubi assorbono l’energia vitale delle loro vittime e la usano come “prezzo” per giocare con i morti. Ebbene, in questo caso quella morta era Katie stessa, lei ha dovuto usare l’energia di Malfoy per far completare la mutazione e far nascere Kate. Tuttavia ha preso più energia del dovuto e Draco stava praticamente per morire. Per questo motivo, alla fine, gliene ha restituita un po’. L’energia di una persona sola è divisa in due, c’è praticamente una “porta” fra le loro anime (motivo per cui Draco si sente le ginocchia molli davanti a lei 😉)

 

Gente, sono consapevole di aver scritto follie in queste note, per qualunque cosa sono disponibile alle vostre domante! Soprattutto per la parte “scientifica”, ho appunti e schemi per quella follia.  

 

Chiedetemi qualunque cosa.

 

E ricordate, #Malbell nel cuore.

 

Se credete che le assurdità siano finite, aspettate il prossimo capitolo.

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 19
*** Atto VII, Parte IV - Amore e Morte ***


LErede del Male.


 

And perhaps it is the greater grief,

after all,

to be left on Earth

when another is gone.*”.



[A. Miller – La Canzone di Achille]

                                  

 

Atto VII, Parte IV –  Amore e Morte

 

 

 

Draco avrebbe voluto sentirsi a disagio nel seguire Kate1 come un cagnolino fedele ma la realtà era ben diversa. Non gli dispiaceva essere trascinato qui e lì, soprattutto perché era ben conscio del fatto che, fra i due, lei fosse la più forte e la vera responsabile della sopravvivenza di entrambi. Si stavano avvicinando al Negromante che aveva tentato di farli uccidere da ben cinque zombie e, nonostante stesse bruciando dalla rabbia e dalla voglia di prenderlo a schiaffi, era ben consapevole di non avere la minima possibilità contro di lui. O contro di lei, naturalmente. Sperava, tuttavia, si trattasse di un uomo: si sarebbe sentito meno maleducato a prenderlo a calci, una volta che Kate avesse finito con lui.

Perché, sì, Draco si fidava ciecamente della Succubus che lo precedeva quasi a passo di danza, gli occhi oscuri come la notte ed il sorriso di chi stesse vivendo l’avventura più entusiasmante di tutta una vita. Sentiva la forza di lei scorrergli nelle vene, quasi la sua eccitazione lo stesse contagiando – cosa da non escludere, in realtà, conoscendo i poteri di lei – e anche lui non vedesse l’ora del faccia a faccia che sicuramente ci sarebbe stato.

La galleria sembrava interminabile davanti a loro. Avevano trascorso gli ultimi dieci minuti camminando per i cunicoli bui e non c’era stato nulla che avesse potuto suggerire un loro avvicinamento all’obiettivo. Draco era sempre stato un tipo poco paziente, di solito tendeva a concludere i suoi affari con la massima celerità proprio per evitare di farsi assalire dall’ansia, come stava accadendo in quel momento. Certo, era un Serpeverde, era stato cresciuto con l’idea di dover aspettare – che cosa, poi, nessuno sapeva dirlo: Voldemort? Harry Potter? – ed aveva imparato che fremere non fosse d’aiuto a nessuno. Tuttavia in quell’istante, mentre l’oscurità intorno a lui sembrava quasi voler sussurrare, l’idea di dover continuare ancora a lungo lo faceva rabbrividire. Era sinceramente terrorizzato e la tentazione di mettersi ad urlare come un matto stava diventando sempre più irresistibile.

«Sei nervoso» constatò Kate, guardandolo con confusione per un lungo istante e rallentando fino a poterlo affiancare. «Perché sei nervoso? Non hai nulla da temere finché ci sarò io» provò a dirgli, palesemente sforzandosi di sembrare rassicurante nonostante l’aspetto ultraterreno la rendesse una delle creature più pericolose che avrebbe potuto incontrare in quel luogo.

Draco grugnì, grattandosi la guancia con la mano libera e rifiutandosi di guardarla per più di qualche istante. Tutto pur di non mostrarle quanto davvero si sentisse a disagio. «Fino a poco fa tu volevi farmi fuori» le fece notare, il tono fermo che suo padre aveva tentato di inculcargli fin da quando era solo un bambino. «E sono queste gallerie, per una qualche ragione mi fanno sentire sempre osservato. Mi sembra di avere il fiato di qualcuno sul collo» rabbrividì, pronunciando quelle parole, e si azzardò a spostare lo sguardo su di lei.

Stranamente dispiaciuta, Kate strinse le labbra. «Non so dirti nulla di fiati, ma ci sono almeno una decina di zombie alle nostre spalle» lo avvisò, con tranquillità, impedendogli di voltarsi per controllare e, subito dopo, impedendogli di dare di matto come avrebbe sicuramente voluto fare. «Ehi, calma, la metà li ho richiamati io e gli altri non sembrano incattiviti. Credo ci stiano accompagnando da chi di dovere per fare quattro chiacchiere. Siamo al sicuro» gli disse, accennando un sorriso. «Non devi avere paura di loro, non quando sei con me» aggiunse e, a conferma del suo incoraggiamento, allungò la mano per prendere quella di lui e stringerla leggermente. «Non fare il coniglio, Draco Malfoy, non quando la famiglia di tua madre ha sfornato due fra i maghi più coraggiosi della generazione precedente. Sei l’ultimo Black, per Merlino, comportati come tale!».

Nessuno lo aveva mai collegato alla famiglia Black, fino a quel momento. Per tutta la sua vita non c’era stato motivo d’orgoglio, in realtà, considerando che oltre a sua zia Bella e sua madre non ci fossero stati membri onorati della famiglia. Naturalmente, da quando la Guerra era finita e la verità su Regulus e Sirius era saltata fuori, la stirpe si era parzialmente riabilitata agli occhi della società, quindi lui, figlio di Mangiamorte reietto, non aveva alcuna ragione di esservi paragonato, non avendo alcun tipo di merito. Non credeva neppure che qualcuno ricordasse quella parentela.

«Io sono un Malfoy» le fece notare, le sopracciglia inarcate. Ancora non le aveva mollato la mano e, in tutta sincerità, non era intenzionato a farlo. Si sentiva più forte, probabilmente perché in quel modo la tranquillità di lei più facilmente avrebbe potuto influenzarlo. «E l’ultimo Black, in teoria è il figlio di mia cugina Ninfadora».

Lo sguardo – ancora oscuro – privo di qualunque emozione che lei gli dedicò lo fece vagamente preoccupare. «Non è quello che dice Regulus Black. A me sembra piuttosto orgoglioso, in realtà». Con orrore, Draco si rese conto che lei stesse guardando un punto imprecisato sopra la sua testa. Pur voltandosi, naturalmente, non vide nulla. «E per quanto riguarda il piccolo lupo, lui ha già qualcuno a guardargli le spalle».

«Regulus Black?2».

«Ah, sì, la sua anima ti segue da un bel po’. Penso sia sempre rimasto ad osservarti e a darti una mano, lui sa cosa vuol dire essere pressato dalle aspettative familiari e sentirsi solo» spiegò, distogliendo gli occhi da quello stesso punto e ricominciando a camminare, tirando Draco con sé. «Non preoccuparti, non ti sta spiando. Molte anime dei nostri antenati ci seguono, un po’ come angeli custodi. Sono… uhm… come degli scudi, ok? Non sono fantasmi, sono sensazioni, estensioni del nostro stesso essere. Spesso anche chi non conosce la negromanzia riesce a percepirle, solo che non riesce a identificarle. Io so chi ci segue».

 Draco restò in silenzio per qualche istante, stringendo le labbra. Una parte di lui era effettivamente inquietata da quella scoperta, come chiunque avesse un po’ di buon senso in corpo: avere un parente morto alle spalle poteva essere spaventosa come idea. Un’altra parte, però, si stava potendo un’altra domanda. «Regulus Black mi tiene d’occhio. Ma… mia madre? Mio padre? Di loro non sai nulla?».

Prima di rispondergli, Kate gli strinse con maggiore forza la mano. «Mi dispiace, Draco, ma… non ho idea di cosa sia successo alle anime dei tuoi genitori. Tutte le vittime dell’attacco in Germania sembrano aver subito il bacio del Dissennatore, prima di…» si fermò, stringendo le labbra con fare indeciso. Evidentemente la nuova Kate non voleva mantenere la schiettezza di Katie e, in quel momento, lui gliene fu grato. Non era il momento per sentirsi fare del sarcasmo. «Mi dispiace, Draco. Ma sappi che non sei mai stato da solo, dopo la loro morte». Restò qualche secondo in silenzio, prima di azzardare un leggero sorriso, stringendo ancora la sua mano. «Non sei solo neppure adesso».

Stranamente, lui riuscì a tirare fuori una smorfia vagamente rassicurante. «No, evidentemente non sono solo, visto che abbiamo dieci morti che ci camminano alle spalle ed a cui, a quanto pare, non devo prestare attenzione» sbottò, cercando di recuperare tutta la sua ironia in un colpo solo. Non gli piaceva mostrarsi debole, neppure davanti a lei che condivideva la sua stessa energia vitale. «Quanti altri ce ne sono qui dentro? Ho idea che non siano solo quelli».

Palesemente sollevata dalla distrazione che lui aveva fornito, lei ridacchiò. «Queste gallerie sono chiamate Inferno dai negromanti, si ritiene che Dante Alighieri, nello scrivere la sua Commedia, abbia preso ispirazione da questi cunicoli. Era qui che venivano mandati i traditori delle prime comunità magiche stanziate sul territorio. In molti credono che in questo luogo siano stati sepolti i grandi negromanti, quelli le cui storie vengono raccontate ai piccoli apprendisti. La carica magica di questo luogo, soprattutto di Negromanzia, è impressionante. Ci sono mostri e creature di ogni tipo che però per la maggior parte sono definitivamente morti, ormai».

«Rassicurante» commentò Draco, con una smorfia. «Quale luogo migliore per nascondere il libro con tutti i segreti dell’esistenza?».

Kate si strinse nelle spalle, anche se più nervosa di quanto non fosse stata poco prima. «Immagino che scopriremo a breve se hai ragione e questo è il nascondiglio perfetto. Siamo arrivati. Non vedo l’ora di prendere questo negromante, costringerlo a mangiare milioni di pancake fino a farlo soffocare perché non ci sarà più spazio nei suoi polmoni. Poi gli strapperò il cuore e userò la sua anima per divertirmi un po’. Magari lo farò anche implorare!».

Draco la fissò ammirato per qualche istante. «Sei una psicopatica» disse, con un certo orgoglio nella voce.

«Io preferisco creativa».

 

***

 

Quando si ritrovarono faccia a faccia con l’artefice dei loro ultimi problemi, tutte le aspirazioni di gloria che Kate aveva avuto svanirono nel nulla, soffocate dalla sorpresa.

Erano giunti in quella che sembrava essere una sala al centro della montagna: il grande spazio circolare era circondato da decine di sbocchi per altrettanti tunnel nascosti, quasi ci fossero state tante altre strade che avrebbero potuto portare proprio . La luce emanata dalle torce appese alle pareti era rossastra, molto più sanguinolenta di qualunque altra fiamma Draco avesse mai visto e colorava in modo inquietante i loro visi, riflettendosi in modo quasi innaturale negli occhi completamente oscurati della negromante. Lì, al centro di quello che sembrava essere un lago fatto di fiamme liquide – avrebbe potuto dire lava, ma la consistenza sembrava proprio quella delle fiamme – c’era una singola roccia e, su quella, un vecchio con lunghi capelli bianchi ed una barba che avrebbe fatto invidia al non compianto Albus Silente3. Le somiglianze con il vecchio preside, tuttavia, si fermavano a quel dettaglio estetico: la pelle dell’uomo era scura seppur stranamene grigiastra, le sue labbra, piegate in un ghigno, completamente blu. Draco lo riconobbe subito come un Negromante, ma a togliergli la certezza furono i suoi occhi: non neri come quelli di Kate ma rossi come il sangue vivo.

Con sua enorme sorpresa, piuttosto che iniziare a sbraitare o lanciarsi direttamente contro di lui, Kate cadde in ginocchio, il capo chino in un gesto di immediata sottomissione. Lui si preoccupò che quella lotta interiore che, come lei gli aveva raccontato, l’aveva portata a cambiare definitivamente fosse ritornata, più forte perché in presenza diretta dell’artefice. Tuttavia lei scacciò tutti i suoi dubbi quasi immediatamente. «Dominus4, io non avevo idea che fossi tu» sussurrò, la voce rotta da un’emozione che Draco avrebbe voluto identificare come paura ma che, in realtà, fu molto più simile alla più sincera gioia. «Credevo… credevamo…».

L’uomo rise, rivelando una gentilezza che Draco non si sarebbe mai aspettato. «Credevate ciò che io ho voluto farvi credere, bambina» le disse, quasi divertito. «Non che i tuoi sacerdoti abbiano tentato di trovarmi con tutte le loro forze. Credo abbiano rinunciato dopo il terzo decennio, classificandomi come una stupida leggenda».

«Non abbiamo mai smesso di credere in te» sbottò lei, alzando di scatto il capo per mostrare quanto fosse scandalizzata. «Dominus, noi non abbiamo mai smesso di credere che un giorno saresti tornato da noi» mormorò, più docile, occhieggiando infine Draco. Con orrore, notò che lui fosse rimasto in piedi, apparentemente confuso ed ancora in posizione di difesa, con la bacchetta alta. Per quanto possibile – visto il suo colorito cadaverico – impallidì, facendogli cenno di imitarla. Quando lui finse di non capire, strinse per un istante gli occhi e, improvvisamente debole, Draco si ritrovò con le ginocchia fra la polvere.

No, non debole. I movimenti veloci – troppo veloci, maledizione! – che c’erano stati nei suoi pantaloni erano chiara testimonianza che la sua fosse, più che stanchezza, una vera e propria, oltre che fulminea, estasi post-orgasmo5.

Che diavolo!

«Credo che il tuo accompagnatore non abbia gradito che tu usassi i tuoi poteri su di lui, bambina» le fece notare il vecchio, con una risata dalla stessa consistenza del velluto, anche se incredibilmente spaventosa. «Si tratta del tuo Auctor, non è così? Vedo bene ciò che vi lega. Le parche devono aver giocato uno dei loro trucchetti su di voi, per portarvi entrambi qui» sbottò, stranamente allegro. «Farai bene a presentarci, prima che io mi senta personalmente offeso».

Kate, che aveva allungato la mano per posargliela sul braccio – per tenerlo buono? Per scusarsi? Non ne aveva idea -, accennò un sorriso ironico. «Direi che a giocarci un trucchetto sia stata più che altro una piccola veggente» sbottò, scuotendo il capo. «Perdonami, Dominus, per non aver provveduto immediatamente. Draco» disse poi, voltandosi finalmente per guardarlo. Una strana patina era sui suoi occhi neri, qualcosa di rossastro le sporcava le guance. Aveva pianto sangue?6 «Draco, sei di fronte al Re e Padre di tutti i negromanti, il Dio della Morte» presentò, la voce ridotta ad un sussurro colmo di amore. «Sei di fronte a Thanatos».

Pronunciato il nome, l’uomo sembrò improvvisamente crescere in stazza, nonostante il suo corpo non fosse cambiato di un millimetro, dietro di lui si aprirono due immense ali nere, lucenti e spaventose. Draco si sentì grato di essere già finito in ginocchio, perché l’orrore che lo colpì in quell’istante lo avrebbe sicuramente fatto cadere e non ci sarebbe stata alcuna delizia fisica, per quanto veloce, a salvargli parzialmente l’onore. Avrebbe voluto non credere a quanto aveva appena sentito, avrebbe voluto scoppiare a ridere e dirle che le divinità come Thanatos non fossero mai esistite.

Osservando quegli occhi di sangue, tuttavia, sentì di non provare neppure un accenno di dubbio. Doveva essere un Dio.

«Ah, del sano terrore mortale» si rallegrò proprio lui, con una risatina, osservando Draco. «Erano millenni che non ne godevo! Da quando i miei negromanti sono venuti alla luce mi sono sempre sentito circondato da amore, avevo quasi scordato quest’altra sensazione! Ma non temere, Mortale» lo rassicurò, con un gesto blando della mano. «Non farei mai del male ad una persona tanto legata ad uno dei miei figli. Non sono crudele» gli disse, allargando le braccia con un gesto vagamente drammatico, lasciandosi cadere su di un trono di fiamme7 che Draco era certo non fosse stato lì fino a pochi istanti prima.

«Grazie, Dominus» disse Kate, con un sorriso sincero sulle labbra, rialzandosi e tirando anche Draco con sé. «Io ed il mio Auctor condividiamo l’energia vitale, se avessi voluto fargli del male anche io avrei sofferto incredibilmente» spiegò, sorprendendo Draco nel rivelare la loro più grande debolezza. Era incredibile quanto lei fosse fiduciosa e felice, in quell’istante. Sembrava assurdo. «Spero tu non sia risentito nei miei confronti per aver distrutto i tuoi zombie».

Thanatos – gli sembrava ancora assurdo pensare di lui in quei termini – rise più forte, scuotendo il capo. Era una sua impressione o la divinità stava ringiovanendo a vista d’occhio? Barba e capelli non erano più lunghi come prima, pur essendo sempre candidi. Anche il suo viso era meno rugoso, ne era assolutamente certo. «Come potrei essere risentito, bambina? Io sono fiero! Sei riuscita a resistere al mio richiamo ed hai eliminato cinque Richiamati pur avendo appena subito il cambiamento! Neppure l’attuale Gran Sacerdote ci sarebbe riuscito, ai tempi della sua trasformazione. Anche lui credo sia cambiato molto tardi, come te» si rallegrò, quasi ruggendo la sua approvazione.

Senza capire il perché, anche Draco si sentì molto orgoglioso della ragazza e non riuscì a trattenere un sorrisino compiaciuto.

Kate ghignò. «Lui aveva tredici anni, Dominus. Io ne avevo diciassette» disse, tranquilla nonostante fosse evidente che volesse vantarsi di quel suo successo. Successo ottenuto grazie a Draco. «Ho solo reagito d’impulso, sono Irlandese e non mi piace che mi si dica come comportarmi. Una reazione involontaria, nulla di più».

«Strabiliante» corresse invece Thanatos, scuotendo il capo. Era davvero ringiovanito! Nonostante i capelli fossero ancora bianchi, il suo corpo si era trasformato, abbandonando l’apparenza di vecchio mendicante per assumere quella di un uomo nel fiore della virilità. Era bellissimo. «Solitamente uccido chiunque si avvicini al nascondiglio del libro, ma questa volta dovevo vederti, bambina. E dovevo conoscere il tuo Auctor» spiegò, incrociando le braccia al petto. Anche il suo atteggiamento era cambiato: sembrava che improvvisamente fosse diventato cosciente della sua prestanza e volesse metterla in mostra a tutti i costi. «Siete qui per il Necromicon, immagino».

«Sì, Dominus» confermò Kate, mentre Draco si limitò ad annuire. La parola sembrava mancargli, davanti a quell’essere mitologico. «Crediamo che Sisifo stia tornando. Se non prenderemo noi il libro, il piano di quel mostro verrà portato a termine e l’umanità finirà nuovamente fra le sue mani» mormorò, dispiaciuta. «Ti prego, Dominus, dacci il libro. Dobbiamo fermarlo, una volta per tutte. Tu non puoi intervenire8, ma noi ».

Per un lungo istante, Thanatos non disse assolutamente nulla. Fermo sul suo trono di fuoco, restò a fissare i suoi due visitatori in silenzio, le sopracciglia aggrottate e gli occhi rossi ridotti ad una fessura. Poi, sospirando, alzò gli occhi verso il soffitto. «Dimmi, bambina, i tuoi sacerdoti ti hanno mai raccontato come è nato il Libro?» domandò, solo apparentemente distratto.

Kate si morse leggermente il labbro inferiore, prima di annuire. «Sì, Dominus. Sisifo… lui è tornato dal Regno dei Morti, dopo…».

«Dopo avermi intrappolato» continuò proprio lui, con una risata senza allegria. «Dillo pure, mia cara, non mi offenderò per la verità. Lui mi ha intrappolato e, una volta essermi liberato, l’ho personalmente trascinato al suo posto, negli Inferi. Ma è tornato indietro e, con i miei segreti, ha scritto il Necromicon». I suoi occhi rossi si fermarono nuovamente su Kate e Draco. «Ma tu sai come mi ha intrappolato? Oppure i tuoi sacerdoti hanno ben pensato di insabbiare il tutto?».

Kate si accigliò, piegando il capo di lato. «Noi non… non ne ho idea, Dominus. Non ho mai chiesto».

«E come te, bambina, non ha chiesto nessun altro. Ma immagino sia questo il prezzo da pagare per essermi mostrato così debole» sbottò, mostrando i denti in un ringhio feroce. Draco, tuttavia, non percepì rabbia o vergogna nel suo tono, ma solo un enorme dolore. Nostalgia, forse. «Io non ero andato da Sisifo per ucciderlo, quando sono stato catturato. Non sarei mai stato tanto stupido da camminare nella sua trappola, dopotutto» mormorò, scuotendo il capo. I suoi capelli bianchi gli dondolarono in modo quasi ipnotico sulle spalle. «Non sono stato io ad essere rapito da lui, ma il mio Eros. Quel mostro ha approfittato di lui, quando è andato a recuperare l’arco e le frecce che Tiresias, che all’epoca era il suo coppiere, aveva rubato per far un piacere al suo amante. Dopo che Eros stesso aveva trovato l’amore per lui!9».

Qualcosa di simile ad un pugno invisibile si scagliò contro di Draco, facendolo arretrare. Fortunatamente i suoi riflessi da cercatore lo aiutarono a mantenere abbastanza concentrazione da notare la caduta di Kate ed allungare le braccia per afferrarla prima che potesse toccare il suolo. Il dolore che lui aveva provato doveva essere il fantasma di quello che aveva colpito lei, come conseguenza della rabbia della divinità.

Aveva ragione, la sua era nostalgia. Nostalgia dell’amore perduto.

Eros e Thanatos, le due pulsioni alla base dell’esistenza. Amore e Morte, principio ed inizio di qualunque essere vivente. Forze complementari che, evidentemente, erano tali non soltanto a livello filosofico.

«Tu amavi il dio dell’amore al punto da voler mettere a rischio uno dei principi fondamentali del mondo? Al punto da far sparire la morte dal mondo?» gli chiese Draco, cercando di riprendere fiato ed aiutando Kate a tornare in piedi, nonostante il rivolo di sangue che vide uscirle dalle labbra bluastre. Sembrava quasi che l’avessero picchiata selvaggiamente, nonostante nessuno l’avesse davvero toccata.

«Avrei fatto qualunque cosa per lui» sbottò Thanatos, balzando in piedi e passandosi le mani fra i capelli con fare folle. «Lui era il mio compagno immortale, la ragione della mia esistenza. Una Morte senza amore è una vita senza amore. E una vita senza amore non è nulla» sibilò. «Senza Eros, dove credi che sarebbe la donna che stringi fra le braccia, Mortale? Chi sono Incubi e Succubi, se non nostri figli prediletti? Tu non avresti rischiato tutto per l’altro genitore dei tuoi figli più amati?». Le gambe di Draco tremarono violentemente e per un istante lui temette che Kate avesse definitivamente perso i sensi, fra le sue braccia. Ad ogni sibilo della divinità sembrava perdere sempre più stabilità, accasciandosi a peso morto ed emettendo dei gemiti addolorati. «Mi sono consegnato, sapevo che gli altri sarebbero venuti a liberarmi, presto o tardi. Un mondo in cui nessuno muore è un mondo che attira facilmente l’attenzione. Ma un mondo senza amore? Gli umani non se ne sarebbero resi conto per anni, se non secoli. Siete una razza così irriconoscente!» continuò Thanatos, scuotendo il capo. Kate piagnucolò.

«Smettila, maledizione!» ringhiò Draco, crollando al suolo e stringendo il corpo della negromante al petto, nel vano tentativo di proteggerla da qualcosa che, fisicamente, non esisteva. «Dici di amare Eros e di esserti sacrificato per lui, ma credi davvero che ti ringrazierebbe per aver causato la morte di lei? È una Succubus, è una dei vostri figli e con i tuoi capricci da bambino la stai uccidendo!» gli urlò, disperato, preparandosi ad un altro scoppio d’ira che avrebbe potuto spazzare via non solo lei, ma anche lui.

Invece, così come era iniziato, il dolore della divinità si assopì e, in una frazione di secondo, Draco lo vide al suo fianco, le mani pallide e affusolate allungate in direzione di Katie, così da poterle sfiorare il viso. «La mia bambina» lo sentì mormorare, colmo d’orrore. Le dita perfette le toccarono le guance, portando con sé un po’ di colore. «Perdonami, figlia mia. Non avrei mai dovuto farti male. Tuo padre non me l’avrebbe mai perdonato, se mi avesse visto» aggiunse, allungandosi per toglierla dalla presa di Draco stesso – con parecchia resistenza da parte sua – e poterla stringere al suo petto. Con sorpresa, Malfoy rivide la vita tornare nei tratti della giovane, che aprì lentamente gli occhi, ricominciando a respirare. «Siamo lontani da così tanto tempo, tendo a dimenticare cosa significhi amare davvero».

«Hai detto che i negromanti ti hanno sempre tenuto in altissima considerazione» notò Malfoy, le sopracciglia aggrottate, stringendo le mani a pugno per reprimere la tentazione di allungarle e tirare via Kate, nonostante lei sembrasse piuttosto tranquilla lì dov’era. «Sono tuoi figli anche loro, no?».

Thanatos non lo degnò di uno sguardo, continuando ad accarezzare il viso di Kate e sorridendole con dolcezza. Era impressionante la velocità con cui quell’essere fosse capace di cambiare le proprie emozioni. «I negromanti sono figli miei, solo miei. Vivono nella Morte, perché io sono Morte. Sono nati quando Sisifo ha creato quel maledettissimo libro ed ha rivelato ad altri mortali i segreti dell’esistenza, perché qualcuno avrebbe dovuto aiutarmi a tenerlo lontano da ciò che aveva fatto e non avevo intenzione di sacrificare loro» spiegò, spostando una ciocca di capelli biondi dal viso di Kate. «Non li ho creati per amore, non li ho voluti, ma sono nati da me, quindi ho dovuto assumerne la responsabilità, pur odiandoli con tutto me stesso. Col tempo si sono uniti ai nostri figli ed io non ho più potuto fare una differenza. Sono diventato insofferente verso tutti loro e, alla fine, ho preso il libro e sono andato via. Non volevo più sentirli lamentarsi di Sisifo e dei suoi catastrofici ritorni provvisori. Finché io avessi tenuto il libro al sicuro, loro non avrebbero avuto di che preoccuparsi, quantomeno non nel lungo periodo». Sospirò, scuotendo il capo. «Immagino di aver sbagliato, se non mi fossi allontanato avrei potuto aiutarli a risolvere questi problemi in meno tempo e, forse, sarei già riuscito a tornare indietro».

«Tornare indietro dove?» domandò Kate, con tono gentile, senza allontanarsi dalla stretta della divinità ma allungando la mano per stringere quella di Draco. «Perché hai tu il libro?».

Il sorriso triste che lui le dedicò fece stringere il cuore a Draco. «Sono stato punito per la mia impulsività, bambina. Gli altri dei mi chiamarono sciocco per essermi consegnato, nonostante la seconda fuga di Thanatos fosse stata colpa altrui. Venni condannato a preservare il Necromicon, così che Tiresias, il traditore, non potesse trovarlo per restituire l’esistenza a Sisifo stesso. Mi impedirono di rivedere il mio Eros, portandolo con sé e vietandogli di scendere fra i mortali». La sua voce si spezzò, colma di dolore. «Quel giorno punirono me, condannandomi a vivere fra i mortali e assistere all’opera del mio sposo, pur non potendone godere più in prima persona. Ma punirono anche i nostri figli, che lo dimenticarono, vivendo senza la gioia di ricevere la sua benedizione oltre che le mie, oltretutto deboli a causa del risentimento che avevo iniziato a maturare». Con un gesto gentile, posò le labbra sulla fronte di Kate. «Mi dispiace, bambina mia. Sono stato uno sciocco e tu hai pagato per i miei errori. Se Eros fosse stato qui con me, avrebbe riconosciuto subito il nostro sangue in te e ti avrebbe allontanata da quella spregevole Mortale che ha dato vita al tuo corpo mortale10».

Kate gli sorrise di nuovo, delicatamente. Il sorriso che Draco aveva spesso visto sua madre dedicare proprio a lui, quando credeva che non guardasse. Un sorriso pieno di amore incondizionato. «Non scusarti, il tuo è stato un errore fatto per amore. Anche la Morte sbaglia» lo rassicurò, dandogli dei colpetti amichevoli sul braccio. «Anche la tua punizione è senza una fine, come quella di Sisifo e Tiresias?».

Thanatos annuì. Non aveva mai distolto gli occhi da lei, quasi Draco non fosse neppure lì con loro. «Finché ci sarà bisogno di proteggere il libro da quei due folli, io sarò bloccato qui. E Poiché la loro punizione è eterna…».

«Ma se noi riuscissimo a porre fine a queste follia…» iniziò Kate, stringendo le labbra e lanciando uno sguardo a Draco, che annuì. «Se riuscissimo a fermarli una volta per tutte, allora tu potresti tornare da lui, no? La tua punizione sarebbe finita e potresti andare finalmente dal tuo Eros».

Il sorriso triste che incurvò le labbra del dio fece stringere il cuore di Draco. «In teoria, sì. Ma non ti darò il libro, bambina mia. Non rischierò che tu perda il controllo11 e distrugga te stessa. Hai così tanto di lui, in te…».

Draco si schiarì la voce, attirando finalmente l’attenzione di Thanatos. «Lei non perderà il controllo. Non lo permetterò. Non lo permetteremo. Ma se non faremo nulla, allora Sisifo tornerà e tutti i tuoi… tutti i vostri figli saranno distrutti. Credi che lui vorrebbe questo? Amore è prendere dei rischi. Tu hai corso dei rischi. Lascia che siamo noi, adesso, a prenderli».

«Tu hai perso tutto per amore» continuò Kate, accarezzando il viso della divinità, il padre della sua Succubus. «Adesso lascia che noi proviamo a restituirtelo».

I due si fissarono per un lungo istante, quasi stessero continuando a discutere in una lingua sconosciuta a chiunque non appartenesse alla loro stirpe. Alla fine, con un sospiro, Thanatos allungò la mano verso di Draco, lasciando che in un turbinio di fiamme vi apparisse un rotolo di pergamena ancora perfetto, nonostante fosse palesemente antico, forse più di quanto lo fosse il documento più vecchio ritrovato dagli uomini. Lo guardò negli occhi, prima di lasciare che lo prendesse, fulminandolo con quei due pozzi infiammati, animati da una determinazione immortale. «Ti sto affidando questo libro, Mortale, così che tu possa aiutare la mia progenie a porre fine alla nostra maledizione. Se qualcosa dovrà accadere a lei o a questo libro, tu avrai la Morte a caccia della tua inutile anima. Sei pronto ad accettare questo compito?».

Quando lui allungò la mano libera e prese il libro, Kate strinse più forte la presa che ancora li legava.

«Sono più che pronto». 

 

 

 

 

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IO L’AVEVO DETTO CHE LA FOLLIA ERA APPENA INIZIATA.

Eros e Thanatos, perché Patroclo e Achille dell’altra FF non erano abbastanza.

Oh, l’hashtag di questo capitolo è certamente #DramaQueenThanatos.

 

 

 

Punti importanti:

 

» * - E forse il più grande dei dolori, dopotutto, è essere lasciato sulla Terra quando l’altro è oltre. Questa è una traduzione mia, non ho idea se nel libro (che è il mio preferito, comunque) sia trascritta proprio così (io ho letto la versione inglese, sto aspettando che mi venga consegnata quella in italiano!). La Canzone di Achille è davvero il mio libro preferito e, in un certo senso, Eros e Thanatos rispecchiano molto l’esistenza di quei due. Solo che Thanatos/Achille non può uccidersi per tornare dal suo amato. #Angst

 

» 1 – Ricordiamo: dopo il suo cambiamento definitivo Katie non si è più sentita una Katie. Kate è il nomignolo che Draco le ha dato e con cui lei adesso può identificarsi. Da adesso in poi sarà sempre Kate a parlare.

 

» 2 – Immaginate un po’ gli angeli custodi, ma più “immateriali”, una vocina sul fondo della coscienza, un sussurro che quasi non si sente. Non è un fantasma che segue, è una parte dell’anima che resta vicina al sangue del suo sangue. Regulus è rimasto indietro per Draco, perché loro due si somigliano tantissimo dal mio punto di vista. Teddy, invece, è ovviamente seguito dai suoi genitori.

 

» 3 – Silente non era un santo e Draco di certo non aveva buoni motivi per amarlo. Il vecchio era di parte, lo sappiamo tutti, e non è mai stato poi così carino con i serpeverde. Se poi consideriamo che Draco per provare ad ucciderlo è quasi morto ed ha praticamente ucciso Katie…

  

» 4 – Eheh, l’avevo detto che mi sono scatenata. Prima di tutto, Dominus: come ho anticipato, la lingua che viene prevalentemente usata dai negromanti è il latino e dominus indica il padrone, il capo.

Veniamo all’identità del suddetto Dominus! Esistono gli dei greci? Più o meno. Sono creature magiche eccezionali, antiche ed immortali che hanno fatto la loro apparizione davanti ai mortali per secoli, prima di ritirarsi a vita privata (da qui le divinità greche e romane e tutte le altre, sono ricordi di un tempo passato). Dio della Morte? Sì, nel senso che controlla, con la sua magia, tutto ciò che riguarda la morte. Nei tempi antichi (quando il numero delle persone era ancora miracolosamente ridotto) era lui a portare via le anime, ma ad un certo punto (guardare nota sotto), quando tutti gli altri si sono ritirati, ha smesso di occuparsene personalmente. Per qualsiasi chiarimento, chiedete!

 

» 5 – Ehm… sì. Kate è una Succubus, i succubus sono capaci di manipolare le emozioni delle loro vittime, soprattutto il desiderio sessuale. Presa dal panico, la povera Kate ha pensato che il modo migliore di far finire velocemente Draco in ginocchio fosse farlo divertire TROPPO. In pratica, Draco ha avuto un orgasmo fulmineo. Poverino, non ha neanche potuto tenere l’onore alto.

 

» 6 – Se qualcuno di voi ha visto True Blood o ha letto Intervista col Vampiro (credo!), saprà che spesso i vampiri vengono dipinti come capaci di piangere lacrime rosate, perché miste a sangue. I negromanti, quando sono in versione “occhi neri”, hanno la stessa capacità. Altro motivo per cui spesso è difficile distinguere i negromanti dalle loro creature. Kate stava piangendo per la gioia, immaginate di incontrare il vostro Dio all’improvviso, in carne ed ossa. Un’emozione piuttosto intensa, secondo me.

 

» 7 - Come ho detto prima #DramaQueenThanatos

 

» 8 – Come vi ho anticipato, le divinità ad un certo punto si sono ritirate. Quando Sisifo è riuscito nel suo piano malefico, hanno capito quanto pericoloso fosse mettere il loro potere a disposizione dei Mortali, così hanno prestato tutti un giuramento assolutamente vincolante (come un Voto Infrangibile) e hanno promesso di non intervenire mai più fra i mortali. Quindi Thanatos deve semplicemente nascondere il libro, non può distruggere Sisifo o Tiresias, non può intervenire. I mortali hanno libero arbitrio su tutto.

 

» 9 – VENIAMO ALLA PARTE SULL’AMORE TRAGICO CHE MI PIACE TANTO. Immaginate questo scenario: Eros e Thanatos vivono felici con i loro figlioli (poi spiegheremo in che senso figlioli), passeggiando per il mondo ed osservando gente morire e fare sesso come se non ci fosse un domani. Tutto meraviglioso. Eros però è un tenerone e quando il suo coppiere (una specie di maggiordomo che porta il vino) – Tiresias, il famoso veggente che già ne aveva passate tante nella sua vita – gli chiede di aiutarlo a conquistare l’uomo di cui si è innamorato, lui cede ed usa una delle sue frecce. Sisifo, però, era ben consapevole di quanto Tiresias fosse debole e allora sfruttò il suo ascendente per convincerlo a rubare arco e frecce della divinità dell’amore. Eros, furioso, lascia indietro il suo compagno immortale e va a riprendersi ciò che è suo, finendo in una trappola che il suo coppiere gli aveva teso, insieme all’uomo che lui gli aveva trovato (perché alla fine Sisifo ama Tiresias a modo suo). Poi succede quel che racconta lo stesso Thanatos: tutto arrabbiato va a salvare il suo amato, ma finisce a sua volta in trappola e bla bla bla. Eros e Thanatos sono stati separati perché Eros è stato troppo tenero e tutti i loro figlioli assetati di sangue e sesso si sono ritrovati senza uno dei loro papà.

 

» 10 – Veniamo al delirio “scientifico-filosofico” di questo capitolo. In che senso Succubi e Incubi sono figli di Eros e Thanatos? E i negromanti solo di Thanatos? Perché Thanatos si sta scusando con Kate?

-         Risposta 1: Ovviamente non sono genitori biologici, sono più che altro genitori metafisici (nel senso dell’essenza, della realtà primordiale). Loro sono genitori del potere dei Succubi. Avete presente ape e fiore? Qui abbiamo amore e morte che si uniscono per formare l’anima, l’essenza di Incubi e Succubi. Fisicamente parlando, quindi, non sono genitori, ma lo sono a livello spirituale. Ogni succube o incubo è FIGLIO di quei due, non nipote o simili, il potere ha direttamente origine da loro, nasce direttamente da loro. Quindi Kate non è una discendente, è proprio una loro figlia¸ per questo Thanatos poi le dirà di rivedere tanto di Eros in lei. Letteralmente, la sua anima è figlia di Thanatos ed Eros (Ovviamente per ogni anima non serve che quei due abbiano rapporti sessuali o simili, è una nascita spontanea, legata al loro essere “sposati”).

 

-         Risposta 2: Qui vale un po’ la regola della riproduzione asessuata, diciamo. Il potere di Thanatos si è riprodotto da solo, creando tanti piccoli minions tutti suoi che lui detesta. Sono la dimostrazione del suo fallimento e della sua lontananza da Eros. Lui è molto drammatico.

 

-         Risposta 3: Si sta scusando perché se lui ed Eros fossero ancora stati insieme, avrebbero viaggiato per la terra insieme e avrebbero riconosciuto immediatamente in Kate una loro figlia, portandola via dalla sua mammina cattiva e facendola crescere con loro stessi o con qualcun altro dei loro figli (se Eros dovesse essere liberato, la madre di Kate potrebbe passare un brutto quarto d’ora, perché Eros è buono e carino, ma se fai del male ai suoi figli...).

 

» 11 -  Perché perdere il controllo? Perché nel libro c’è troppo potere e Kate potrebbe perdere la testa come è successo a Sisifo. Thanatos non vuole vederla diventare un mostro e se per caso Draco non dovesse mantenere la sua promessa…

 

Ve l’ho detto che era una follia.

Ma AMO #DramaThanatos e #IngenuoEros da morire e io mi vedo troppo il povero Eros in mezzo alle nuvole che urla e scuote le sue alucce bianche imprecando come uno scaricatore di porto (tale padre, tale figlia) perché suo marito non si prende cura dei loro figli e quel maledetto Tiresias non la smette di fare guai.

Amore mio.  

 

Chiedetemi qualunque cosa, ribadisco.

 

 

 

Nel prossimo capitolo tornano gli orrori.

 

PS: domani ho un esame, come al solito tenetemi nei vostri pensieri

 

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo! E scusatemi per l’ultimo ritardo, settimana da impazzire!

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 20
*** Atto VIII, Parte I - La Caduta ***


LErede del Male.


 

Did I request thee, Maker, from my clay
to mould me man? Did I solicit thee
from darkness to promote me?*
”.



[John Milton – Paradiso Perduto]

                                  

 

Atto VIII, Parte I –  La Caduta

 

 

C’era uno strano silenzio nella stanza degli interrogatori. Era strano, perché Winter non aveva mai sperimentato il silenzio in vita sua, neppure una volta. Per un lungo periodo si era convinta che, semplicemente, non fosse capace di ricordare quella breve parentesi della sua infanzia in cui il suo potere doveva essere stato così debole da consentirle qualche ora di pace, ma suo padre era stato molto veloce a distruggere quella sua piccola consolazione.

Sei nata per essere magnifica, le aveva detto, pizzicandole la guancia con finto affetto. Il tuo potere è nato con te.

Un modo come un altro per vantarsi di quella sua vittoria, naturalmente. Vantarsi di come fosse riuscito a mettere alle strette sua madre fin dalla tenera età, circuirla al punto da costringerla a sposarlo e dargli una figlia, che fosse così potente da poter assorbire le loro abilità congiunte e diventare la più grande arma mai apparsa sulla faccia della Terra.

Perché Silas Mulciber poteva essere un talentuoso Legilimens, ma Berenice Vane era una naturale1, il suo potere era nato da solo, spontaneo come i fiori selvaggi. Unire il loro patrimonio genetico sarebbe dovuto essere vietato dalla legge, se non dalla natura stessa. Winter era un fenomeno da baraccone e ne era sempre stata consapevole.

Ma non era colpa sua se era nata.

Fin dal primo battito del suo cuore, prima ancora che potesse abbandonare il ventre materno, prima ancora che la magia iniziasse a mostrare segni della sua presenza o che la sua stessa mente potesse iniziare a formulare dei veri pensieri, Elladora era stata capace di esplorare e distruggere la psiche di chiunque si trovasse intorno a lei. Non c’era stato mai del silenzio e per anni era stata convinta di non averne bisogno: non sarebbe riuscita a ragionare senza i pensieri di centinaia e centinaia di persone ad affollarle la mente, figurarsi poi far cose come dormire o studiare. Era stato solo dopo, quando le Banshee l’avevano portata via e le avevano insegnato a schermarsi, seppur parzialmente, e ad abbassare il volume che aveva capito una cosa fondamentale: lei non aveva mai dormito davvero.

Sì, il suo corpo si abbandonava all’incoscienza. Sì, perdeva la capacità di pensare razionalmente. Ma la sua mente era sempre attiva. Sempre presente e sempre capace di captare qualsiasi pensiero fluttuasse intorno a lei.

Era come vivere sott’acqua, aveva realizzato alla fine. Per tutta l’infanzia era rimasta nelle profondità dell’Oceano, nascosta alla luce, convinta che il calore non le servisse. Le Banshee, poi, l’avevano trascinata sempre più su, fin quasi alla superficie. Aveva luce, aveva calore, ma l’acqua era sempre intorno a lei, sempre dentro di lei.

Lo sarebbe sempre stata.

In quell’istante, tuttavia, non sentiva alcun tipo di voce. Nulla, se non i suoi stessi, confusi pensieri. Si permise addirittura di sentirsi felice, ma fu un’emozione estremamente breve.

Non era normale.

«Aveva ragione, sei diventata meravigliosa».

Qualcuno di non identificato – qualcuno di cui lei, evidentemente, non riusciva a percepire i pensieri – parlò con voce piena di una tristezza incomprensibile, quasi fosse dispiaciuto per lei. Accigliata e preoccupata, Winter allungò la mano per prendere la propria bacchetta dalla tasca interna della giacca, senza tuttavia trovarla. Qualcuno aveva preso la sua arma, forse? Quando? Era piuttosto certa di essere stata sempre da sola.

«Chi sei? Fatti vedere!».

La Sala Interrogatori era piccola, le quattro mura ben visibili e, fatta eccezione per la porta da cui lei era appena entrata, senza altro accesso. Non c’era neppure la tipica vetrata a specchio2 che ormai tutti i Quartier Generali tendevano ad utilizzare, così da consentire alle reclute di assistere agli interrogatori senza disturbare nessun altro dei presenti.

Non c’era un angolo in cui il suo accompagnatore – o accompagnatrice – potesse nascondersi.

«Davvero non mi riconosci?» cantilenò ancora la voce, questa volta con dolcezza e suonando decisamente più femminile. C’era qualcosa di noto in quell’intonazione, ma lei non poteva comprendere cosa fosse. Era una vibrazione di fondo, una sicurezza che certamente non aveva conosciuto più da anni. «Mi ferisci, stellina».

Sentendo il mondo tremare sotto ai suoi piedi, Winter arretrò fino a sentire la solidità della porta alle spalle. Le luci tremolarono, oppure fu la sua vista ad oscurarsi per qualche istante, ma non le importò scoprire la verità. Non c’era nessuno nella stanza, così come non c’era stato nessuno a chiamarla in quel modo negli ultimi dieci anni. Nessuno.

Nessuno sapeva.

Come avrebbero potuto? Quelle parole non avevano mai lasciato i sotterranei del castello di famiglia. Non avevano mai lasciato la cella, per quel che valeva. Dubitava fortemente che i ragni nascosti nelle pareti potessero parlarle in quel modo e di certo non erano animagi: se n’era assicurata più di una volta, schiacciandoli fra le dita per trascorrere le ore di silenzio degli ultimi giorni, oppure quando lui richiedeva i suoi servigi, dissanguandola e restituendola rotta a Winter.

“Non piangere, stellina. Il mondo non è brutto come può sembrare”

“Si che lo è. Io so cosa pensano”

“I pensieri non sono tutto ciò che esiste nel cuore di una persona, stellina. Non dimenticarlo mai”.

Le ginocchia le cedettero sotto il peso dei ricordi. Dieci anni dall’ultima volta in cui si era permessa di pensare, eppure il dolore non era cambiato affatto, sempre affilato come una lama e velenoso come una serpe in seno.

Perché ti sei nascosta lì sotto?

Perché sto giocando con il tuo papà, stellina. Prometti di non rovinare il nostro gioco?

Te lo prometto. Posso giocare anche io?

Oh, stellina, vorrei tanto che anche tu potessi giocare. Forse un giorno ce la farai

Faceva improvvisamente più freddo e – ne era certa – le luci avevano smesso di funzionare da un bel pezzo. La sua visione notturna non era mai stata buona, sicuramente non ai livelli di Barry – capace di distinguere il profilo di un Petardo Cinese da quello di un Grugnocorto Svedese nell’oscurità totale – o ai livelli di Katie – che viveva fra le ombre la maggior parte del suo tempo – , ma non aveva mai avuto motivo di lamentarsi, soprattutto perché lei non aveva mai avuto problemi a percepire. Non distingueva ciò che la circondava? Bastava leggere la mente di chiunque fosse intorno a lei.

Il buio no nera mai stato buio, prima.

«Chi sei? Dove sei?» esalò ancora, terrorizzata, mentre scivolava di più su se stessa e, in un attimo di panico, si afferrava le gambe fra le braccia, raggomitolandosi in un inutile tentativo di proteggersi da una minaccia che non riusciva neppure ad individuare. Le ombre la stavano soffocando, infiltrandosi sotto la sua pelle come piccole punture d’ago, dolorose e gelide, anche se il suo sangue sembrava bruciare ogni istante di più.

Attacco di panico, pensò, quasi con distacco, una parte della sua mente, mentre la restante si crogiolava nell’orrore di un silenzio che non aveva nulla della rassicurante tranquillità che così spesso aveva immaginato di poter ottenere. Non si sentiva tranquilla, non si sentiva al sicuro. Non si sentiva neppure sana di mente, se doveva essere sincera.

«Non mi riconosci, stellina?» ribatté la voce, provenendo inspiegabilmente sia dalle sue spalle che dai suoi lati, provenendo dal soffitto e dal pavimento insieme. La voce era ovunque e lei era in nessun luogo, sospesa in un istante di assoluta ed orribile inesistenza.

Non poteva essere.

«Tu sei morta! Io ti ho vista morire» sputò, colma di paura e, forse, una punta di speranza. Non si era mai concessa di provare una simile emozione, nei suoi ventitré anni di vita. Non si era mai concessa quella possibilità. Non aveva senso, lei l’aveva vista con i suoi occhi. Era successo proprio davanti a lei, non era spazio a dubbi.

Aveva visto il sangue, aveva sentito le urla.

Aveva guardato la Morte in faccia e lei l’aveva salutata, sorridendo come se avesse appena vissuto il suo momento di maggiore gloria, come se lei avesse appena assistito ad una grande conquista.

Non era la Morte, si disse, in un istante di lucidità. Non poteva esserlo.

Era solo suo padre.

Curioso come Mulciber avesse sempre negato, anche davanti ai suoi amici, di averla annientata come Winter gli aveva chiaramente visto fare. Naturalmente, nessuno aveva creduto ad una bambina, non quando quella donna aveva sempre mostrato segni di debolezza mentale che, probabilmente, la povera bambina aveva ereditato. E poi, lei stessa aveva visto qualcun altro togliere la vita a sua madre.

Katie le aveva confermato che fosse impossibile, che La Morte in realtà non fosse nulla di visibile.

Ma lei sapeva cosa aveva visto.

«Certo che sono morta, ma perché sei tanto sorpresa che io sia qui?» le chiese, curiosa, la voce a lei nota, facendola rabbrividire più di quanto non stesse già facendo. Perché arrivava da ogni angolo? Era una voce nell’aria? Era dentro di lei, forse? Perché il silenzio ancora la stava torturando, se la voce era lì con lei?

«Non è possibile».

«Non avere paura, stellina. Ti ho mai voluto far del male? Apri i tuoi occhi, guardami» la incitò la voce, con dolcezza infinita, attirandola come la luce avrebbe attirato una falena.

Troppe volte quella voce l’aveva consolata, non poteva permettersi di deluderla.

Non dopo l’ultima volta.

Promettimi che non tornai più in questa stanza!

Te lo prometto”.

Non aveva mantenuto la promessa e la Morte le aveva sorriso. Quella era la sua punizione, forse? Erano passati anni, ma Katie diceva sempre che il tempo è relativo, quando la Madre ha scelto qualcuno. Forse lei era stata scelta, forse aveva assistito a qualcosa di proibito ed era appena stata chiamata a pagare il suo debito.

Lentamente, aprì gli occhi che non credeva di aver chiuso.

Lei non era più lei. Non aveva alcun tipo di dubbio al riguardo. I suoi capelli non erano mai stati color topo, neppure quando la prigionia l’aveva spenta dall’intero, ed i suoi occhi non erano mai stati neri come l’onice più pura3. Lei aveva sempre avuto i capelli come l’oro e lo sguardo d’acquamarina, proprio come Winter.

Non come Elladora.

«Guardami bene, stellina, sono io» provò ancora la creatura davanti a lei – la voce? Ma era davvero quella la sua voce? Era sempre stata così oppure la sua mente le stava giocando un tiro mancino? La creatura non le somigliava, eppure i suoi occhi si erano riempiti di lacrime. Con stizza, si portò la mano sulla guancia per pulirsi, ma quando la ritirò era rossa di sangue.

C’era un nauseabondo odore di marcio nella stanza.

«Non puoi essere tu».

«Sono tornata per te, per aiutarti» cantilenò la creatura, piegando il capo di lato per lasciarsi scivolare delle ciocche di stopposi capelli grigiastri sulla spalla. La sua mascella era molto più squadrata, il suo collo molto meno fine. «Nessuno di loro ti ha saputa aiutare, non è vero, mia stellina? Nessuno dei tuoi amici. Hanno promesso di salvarti, invece ti hanno tenuta come fenomeno da baraccone».

È ingiusto! Tuonò la parte razionale della sua mente. Loro ti vogliono bene, lo sai benissimo!

Tuttavia non negò le accuse della creatura.

Non l’avevano mai aiutata.

«Povera la mia stellina, loro non lo sanno, non è vero? Non capiscono cosa ti tormenta. Pensano sia tuo padre, non è vero? Così superficiali, così spaventati della verità…» mormorò la creatura, facendosi avanti di qualche passo. Il suo odore era acre, mascolino nonostante lei lo ricordasse completamente differente. «Non ti hanno mai voluta capire».

Hai voluto nasconderti, non è colpa loro!

«Io sono necessaria alla squadra» disse invece, la voce bloccata in gola e capace di lasciare le sue labbra solo come un gemito strozzato dalla paura. La puzza di rancido era sempre più forte, sempre più disgustosa. «Il mio segreto non è rilevante».

La creatura mise il broncio, allungando la mano affusolata per sfiorarle la guancia umida con la punta delle dita. Gli occhi neri brillarono come se un fuoco oscuro avesse iniziato ad ardervi all’interno. «Tu sei il tuo segreto, se quello per loro non è rilevante allora non lo sei neppure tu. Ma non per me» le disse, una dolcezza quasi stucchevole sulla lingua. «Per me, tu sarai sempre la mia stellina».

«Tu sei il mio segreto» le fece notare, sentendo il cuore battere all’impazzata nel suo petto. «Tu dovresti odiarmi».

«Odiare la mia stellina?» il tono oltraggiato della creatura la fece tremare di aspettativa. Era così reale. «Non potrei mai farlo!».

Winter avrebbe voluto chiederle se fosse sicura, se davvero non potesse odiarla, se davvero… «Come puoi? Io ti ho uccisa».

La Morte le aveva sorriso.

Le dita si fermarono sulla sua pelle, gelide come il ghiaccio. «No, mia stellina, tu hai solo fatto come ti era stato ordinato. La Morte ha sempre bisogno di un araldo per annunciarsi, non è vero?» la tranquillizzò, dolcemente, avvicinandosi finché le sue labbra non sfiorarono la fronte di Winter.

«La Morte non esiste».

«Oh, ma il suo figlio prediletto sì. E tu, piccina mia, sei stata scelta da lui» la rassicurò, con una risata che di femminile aveva ben poco. «Vieni con me. Abbraccia il tuo destino e allora sarai perdonata».

«Lui?».

«Vieni, stellina mia. Sisifo ti sta aspettando». 

 

***

 

Hermione Granger aveva visto tante cose, nella sua giovane vita.

Nelle ultime settimane si era convinta di averne viste troppe e di non poter più provare il brivido della paura o della sorpresa. Credeva, forse non senza una punta di egocentrismo, di essere diventata immune a qualsiasi cosa non fossero noia o rabbia.

Si era sbagliata.

«Hermione».

Non si avvicinò, non subito. La sua mente sembrava aver completamente smesso di funzionare, fissata sull’immagine che le si apriva davanti agli occhi, nitida ma al tempo stesso così assurda da non poter essere reale.

L’Uomo Vitruviano, ecco cosa stava guardando, nonostante fosse estremamente più realistico e sanguinolento. E disgustoso. Lei vedeva rosso, ma non erano solo i capelli del protagonista di quello spettacolo degli orrori ad esserlo: rosso era il pavimento, rossi erano i resti dei suoi vestiti, rossa la ferita che gli apriva in due il torace dallo sterno all’ombelico.

Rosso, rosso, rosso.

«Hermione» tentò di nuovo l’Uomo Vitruviano, che non era Fred, non poteva esserlo, la voce ridotta ad un sussurro colmo di orrore. Era sorprendente che stesse parlando, una ferita di quelle non causava la morte immediata? Non era troppo, per poter restare in vita? «A-Aiu-ta-mi».

Con braccia e gambe divaricate ed appeso al muro come se qualcuno l’avesse crocifisso, Fred Weasley era troppo debole per poter sollevare il collo e tenere gli occhi su di lei. Lui doveva raggiungere Winter nella sala degli interrogatori, ma Winter non c’era.

Ed era tutto rosso.

La sua ferita era troppo profonda, troppo grave perché potesse essere ancora vivo. Probabilmente era per quel motivo che lei ancora non aveva dato di matto, correndo nella sua direzione per poterlo raggiungere, per poterlo salvare. Doveva essere una allucinazione, no? Forse qualcuno la stava attaccando usando la Legilimanzia. Forse Winter era impazzita. Era più probabile che lei si fosse rivoltata contro le Banshee, attaccandola, piuttosto che Fred fosse davvero lì, in quelle condizioni.

Quando fece un passo avanti e scivolò sul sangue, atterrandovi in mezzo e sporcando le proprie mani, si rese conto che non ci fosse alcuna pressione contro le sue difese mentali.

Nessuno la stava attaccando.

Non era una finzione.

Il suo primo istinto fu quello di urlare, ma il suo addestramento degli ultimi due anni le impedì di farlo, spingendola però a portarsi la mano a coprire, istintivamente, le labbra. La mano sporca di sangue. Del sangue di Fred.

Rosso, così rosso.

Un conato di vomito la piegò in due, ma non vomitò nulla. Come avrebbe potuto? Fred aveva promesso di portarla fuori a pranzo, una volta che lui e Winter avessero concluso gli interrogatori e che lei avesse letto almeno metà dei suoi rapporti.

Fred, Fred era l’Uomo Vitruviano, il sangue a terra era di Fred.

Scivolò ancora, nel tentativo di rimettersi in piedi, e sentì il sapore del sangue sulle labbra sporche. Era sufficientemente vicina da poter vedere tutti quei macabri dettagli di un corpo troppo maltrattato per essere ancora vivo. Il sangue ancora gocciolava – troppo lentamente, troppo poco sangue in quel corpo – ed il cuore batteva sotto al suo sguardo. Perché i polmoni si allargavano? Perché Fred si stava lamentando?

Era vivo, ma non poteva esserlo.

Era vivo, ma ancora per poco.

Non lui, ti prego, non lui. La sua mente aveva ricominciato a funzionare, ma era stata la sua parte più debole a tornare in vita, non quella necessaria, non quella coraggiosa. Era stata l’Hermione non ancora addestrata a farsi avanti, perché l’idea di perderlo – non anche lui, non Fred – l’aveva scossa al punto da riemergere dal cassetto in cui la Banshee l’aveva rinchiusa. Era impotente, era spaventata.

«Hermione» tentò ancora l’Uomo Vitruviano, che era Fred ma non poteva esserlo. Non lui, non lui. Chiamava lei, ma Hermione non era sicura che potesse vederla. I suoi occhi erano spenti, erano fissati al suolo – contro il suo stesso sangue che inzuppava il pavimento ed i vestiti di lei – ed il suo viso era così pallido da non sembrare più vivo. Come poteva esserlo?

«Andrà tutto bene» fu tutto ciò che lei riuscì a dire, rialzandosi per non essere più ad altezza di quella ferita insensata – avrebbe dovuto ucciderlo sul colpo ma lui era ancora – e per potergli sfiorare la guancia incavata con la punta delle dita. Era troppo freddo, troppo morto. Per favore, per favore non lui. «Andrà tutto bene, Fred».

«Tir-Tiresias» sputò l’uomo che non poteva essere, la voce ogni secondo più debole, più rasposa. «Preso… Win».

«Shhh» sussurrò lei, ignorando qualsiasi cosa non fosse il suo respiro o il movimento di quei polmoni che lei riusciva a vedere e del cuore che vi batteva in mezzo. «Non parlare, non parlare… adesso troveremo aiuto, adesso…».

Cosa avrebbero potuto fare, i guaritori? Chi li avrebbe aiutati?

Lui era vivo, ma avrebbe dovuto essere morto.

Vivo. Morto. Tiresias.

Lo sentì sussurrare qualcosa di incomprensibile – o forse incomprensibile solo a lei ­– prima di perdere i sensi.

«Fred…».

Il rumore di una porta sbattuta con violenza avrebbe dovuto farla trasalire, ma lei appena la sentì. Restò lì, senza speranze e indifesa, proprio davanti a colui che aveva preferito perderla piuttosto che vederla in quelle condizioni4.

Non Fred, non Fred.

Delle braccia forti la tirarono indietro, lontana da Fred, ed un attimo dopo si ritrovò con il viso premuto contro il petto di Malfoy, la camicia un tempo bianca subito sporca di sangue. Sangue di Fred. «Mezzosangue» la chiamò, la voce lontana come se fosse giunta dalla fine di un tunnel. «Respira, Mezzosangue, respira. Se continui così, perderai i sensi» la ammonì, stringendo più forte intorno alle sue spalle come se avesse temuto che le ginocchia potessero cederle.

«Non lui» fu tutto ciò che lei riuscì a dire alla fine, la voce ridotta ad un sibilo strozzato. Stava singhiozzando, ma quando aveva iniziato?

Malfoy imprecò sottovoce. «Cosa cazzo gli è successo?» chiese, ma non a lei. C’era qualcun altro nella stanza, con loro. Qualcuno che forse capiva, qualcuno che poteva dirle che non era Fred? «Dimmi che puoi far qualcosa, quella dannata famiglia ha perso troppo».

Lei aveva perso troppo.

Singhiozzò più forte, ma combatté per potersi girare e fronteggiare chiunque fosse lì con loro. Doveva chiedere, doveva sapere.

Non poteva perdere anche Fred.

Davanti ai suoi occhi, una Katie Bell che non era Katie ma non era neppure Katrina, aveva le mani all’interno della ferita di Fred, i suoi occhi neri come la morte ma il suo viso neppur lontanamente spaventoso com’era sempre stato.

Aiutalo, aiutami.

«Una vecchia maledizione che i Negromanti usavano millenni fa» rispose la donna, accigliata. Non sembrava preoccupata, non sembrava spaventata. Ma era Fred, Katie era amica di Fred. «Gli ha impedito di morire» continuò, stringendosi nelle spalle. Il suo sorriso fece tremare Hermione. Con uno strattone, tirò fuori dal corpo di Fred un ammasso nero e viscido, praticamente irriconoscibile. «Ah, ho sempre sperato di vederne uno. Si chiamano Mangianima5, Barry impazzirà di gioia» cinguettò, irriconoscibile.

«Puoi aiutarlo?».

Era stata davvero Hermione a parlare? Era stata lei a far uscire quelle parole dalle sue labbra?

«Oh, lui è già morto». 

 

 

 

 

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Non odiatemi, la Trama ha richiesto questo cambiamento d’eventi, io sono innocente.

Dopotutto lui anche nel Canon è morto.

 

 

 

Punti importanti:

 

» * - Ti chiesi io, Creatore, di crearmi uomo dall’argilla, ti chiesi io dall’oscurità di promuovermi?. Il Paradiso Perduto di Milton è fra le mie opere preferite, un capolavoro assolutamente incredibile, l’esaltazione dell’Antieroe per eccellenza (Lucifero, un tempo angelo del paradiso e poi sovrano dell’Inferno). Oltretutto, questa stessa citazione è stata ripresa anche nel Frankenstein di Mary Shelley. Parlare di mostri che vengono creati contro la loro volontà è come parlare di Winter Vane. 

 

» 1 – Naturale: qualcuno nato con un certo potere. Per esempio i Metamorfomagus sono naturali, Winnie è a sua volta una naturale.

 

» 2 – Avete presente quegli specchi che sono a doppia via? Si vedono tantissimo nei film americani per gli interrogatori!

 

» 3 – Se non fosse chiaro, si tratta di Tiresias! Gli occhi neri non sono come quelli di Kate, non sono occhi COMPLETAMENTE neri (anche la sclera) ma soltanto l’iride. Semplici occhi neri, come quelli di Voldemort/Tom Riddle o della piccola Horcrux.

  

» 4 – Fred ha proposto Hermione per le Banshee, ma non perché credeva che lei fosse perfetta ma perché era consapevole che solo loro potessero tirarla via da quella spirale di depressione in cui era caduta dopo la Guerra. Lui ha preferito vederla andare via piuttosto che saperla sofferente. (Non dimentichiamoci che Freddie aveva anche certi sentimenti mal nascosti).

 

» 5 – Mangianima, sono bestioline piccole e nere che i negromanti mettevano dentro i moribondi come punizione per non farli morire. Impediscono all’anima di lasciare un corpo, estendendone le sofferenze. Sono bestiole praticamente estinte, per questo Barry sarà entusiasta.

 

 

Mi dispiace.  

 

  

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 21
*** Atto VIII, Parte II - Salvare una vita ***


LErede del Male.


 

Let him know that you know best
Cause after all, you do know best
Try to slip past his defense
Without granting innocence
*”.


[The Fray – How to save a life]

                                  

 

Atto VIII, Parte II –  Salvare una vita

 

 

Hermione non aveva mai lasciato quel letto d’ospedale1. Le sue mani erano ancora sporche di sangue, così come il suo viso, ma i suoi vestiti erano presto stati sostituiti da una divisa pulita che Ophelia le aveva fatto indossare quasi di prepotenza poche ore dopo il suo arrivo nella stanza. Se gliel’aveva consentito era stato solo perché non aveva dovuto spostarsi dal suo fianco.

Lui è già morto.

Il momento di panico assoluto che l’aveva colpita era durato secoli, per lei, anche se in realtà non erano trascorsi più di pochi secondi. Kate – come lei aveva preteso di essere chiamata – aveva sorriso, gioviale, ed aveva semplicemente chiesto che le venissero portati animali di grossa taglia, come una mucca e un paio di capre. Ophelia si era opposta, Barry le aveva urlato di smetterla di dire sciocchezze. Lei non li aveva ascoltati e, pochi minuti dopo aver ricevuto ciò che aveva chiesto, li aveva sbattuti tutti fuori dalla stanza, compresa una recalcitrante Hermione. Malfoy non l’aveva mai lasciata andare, nonostante i pugni e i calci con cui lei aveva tentato di liberarsi. L’aveva tenuta ferma, immobilizzandola contro il suo petto e mormorandole di smetterla, di aspettare, di fidarsi di lei.

Come avrebbe potuto fidarsi di lei, quando lei non si era mai fidata di se stessa?

Ma Kate non era più la stessa. Kate non era più insicura e di certo non era più spaventata.

Un minuto, udirono il muggito addolorato del bovino.

Cinque minuti, il belato terrorizzato delle capre2.

Quindici minuti, l’urlo terrorizzato di Fred Weasley, improvvisamente tornato in vita.

Hermione raggiunse il suo fianco in un battito di ciglia, sconvolta nel ritrovarlo finalmente addolorato come chiunque sarebbe stato. La sua ferita si era richiusa, anche se non del tutto. «Ha perso tantissimo sangue» l’aveva avvisata la negromante, stranamente debole3. «Non è ancora fuori pericolo!».

Malfoy era arrivato alle sue spalle prima che Hermione potesse urlarle di fare di più, ma fortunatamente era intervenuta Ophelia. Lei, che era un medico, ma era specializzata con i morti.

Provò ad allontanarla.

Non lui, non lui.

Se Barry non l’avesse tenuta lontana, Fred non avrebbe ricevuto alcun aiuto. Se lui non l’avesse fermata, Fred sarebbe morto di nuovo. Kate le aveva urlato contro degli improperi di ogni tipo, stretta fra le braccia stranamente amorevoli di Malfoy. In un altro momento lei si sarebbe chiesta cosa fosse successo.

«Philly dice che avrà bisogno di rimpolpasangue per un bel po’». La voce di Kate, proveniente dalle sue spalle, la fece trasalire leggermente, ma senza farla sconvolgere più di tanto. Nulla l’avrebbe smossa. Non questa volta. Non più. Neppure il corpo della sua vecchia amica, completamente trasfigurato da una Magia troppo antica per essere conosciuta, fu abbastanza da distrarla. Neppure la morbosità con cui Malfoy le era rimasto accanto fino a quel momento era riuscito a preoccuparla.

Fortunatamente la sua curiosità non era del tutto morta.

«Dove hai lasciato il tuo fedele accompagnatore?» le chiese, ignorando completamente la sua affermazione di poco prima. Avrebbe dovuto ripensare a quanto vicina fosse andata a perderlo per sempre, senza neppure confessare. Non poteva permetterselo. «Per caso lo hai incantato? Dovremmo avvertire il Supervisore».

Kate rise – non era più Katie, lei non avrebbe mai riso –, avvicinandosi a Fred con la confidenza dei vecchi amici. «Non è un maleficio, ma qualcosa di più complicato che non sto qui a spiegarti, non credo tu sia in condizione di capire». Allungò la mano, sfiorando la spalla dell’uomo privo di sensi e, stranamente, mantenne il sorriso. Non c’era compassione nei suoi occhi ed Hermione dubitava che ce ne sarebbe stata mai più. «Non preoccuparti per lui, ormai è vicino a risvegliarsi, non sento traccia di morte imminente» provò a rassicurarla, parlando come se avesse appena riscontrato un dato scientifico, inconfutabile. Per qualche motivo, lei si sentì meglio. «Quanto a Draco, credo sia fuori dalla porta. Dice di non volermi perdere d’occhio, tiene troppo alla sua stessa salute».

Hermione fece una smorfia ma non disse nulla: la situazione non la riguardava.

«Ophelia aveva detto qualcosa sul Necromicon. L’hai travato alla fine? Immagino fosse ben difeso» mormorò, tornando ad osservare Fred. Nei pochi secondi in cui si era distratta, lui già le appariva differente: meno pallido, più vivo. Forse era colpa di Kate, forse lei l’aveva condizionata con le sue parole stranamente rassicuranti4.

«Naturalmente. Aveva una difesa bella da morire» rise, come se avesse appena detto una barzelletta estremamente divertente. «Non è stato poi così difficile, Draco ha aiutato tantissimo, sai. Decisamente è meno tardo di Harry».

Harry, che in quel momento si trovava alla Tana per calmare gli animi dopo che l’orologio, per almeno venti minuti, aveva segnato Fred come morto. Harry che la stava aspettando, perché lei avrebbe dovuto dire la verità, avrebbe dovuto spiegarsi con tutti i presenti. Avrebbe dovuto spiegare perché un altro di loro aveva perso la vita per colpa sua.

Kate si spostò al suo fianco, posandole la mano gelida sulla spalla. «Hermione, davvero, lui sta bene. Ormai sta solo facendo un riposino di bellezza» provò a confortarla, senza riuscire a nascondere il suo disagio5. «Ho fatto un ottimo lavoro con lui, non c’è una sola cellula in quel corpo che non sia tornata in vita, anche se il Negromante al servizio di Tiresias si è impegnato davvero tanto».

Hermione sospirò, improvvisamente stanca. «Grazie, Kate» le disse, cercando di mostrarsi più tranquilla di quanto non fosse. Il motivo della sua ansia sarebbe dovuto rimanere soltanto fra lei e i Weasley. Il Voto pronunciato al momento di vestire la divisa da Banshee era diventato solo parole al vento6. «Vuoi che io dia un’occhiata al libro? È scritto in una lingua arcaica? Preferirei non coinvolgere altri specialisti, se per te non è un problema».

«Oh, no, non puoi leggerlo neppure tu» si sbrigò a dirle lei, scuotendo leggiadramente il capo. Da quando era diventata così aggraziata? «Il libro è scritto in una lingua che posso io posso leggere e, comunque, tu probabilmente dovresti morire, nel caso. I nostri segreti sono vincolati al nostro sangue, chiunque non lo condivida è troppo pericoloso» spiegò, quasi recitando a memoria. «Misura di sicurezza necessaria, non vorrei doverne rispondere a qualcuno più in alto di me».

La Negromanzia è una religione, ricordò Hermione pigramente. Le religioni si basano sui segreti. E lei era stanca di dover combattere, quando Fred era la dimostrazione lampante che anni di addestramento erano nulli davanti ai veri pericoli.

«Molto bene» concesse, annuendo leggermente. «Hai scoperto qualcosa? Abbiamo poco più di quattro giorni prima della Luna Sanguinis e davvero vorrei evitare di essere uccisa da uno psicopatico con più di tremila anni».

«In realtà credo sia più vecchio di così» borbottò la negromante, stringendosi nelle spalle. «Comunque sì, ho scoperto parecchie informazioni, soprattutto su come richiamare un gran numero di zombie. Lo sapevi che fino ad oggi il più grande è stato il Governatore White, nella colonia di Roanoke del 15887. Uccise tutti i coloni e poi li richiamò come il suo esercito personale. Ovviamente i nostri sacerdoti lo fermarono subito, ma-».

«Qualcosa di interessante per la missione, Katie» la rimbeccò, nervosa, Hermione, lanciandole uno sguardo esasperato. Lei ebbe il buongusto di mostrarsi imbarazzata, seppur per pochi istanti.

«So come uccidere definitivamente quel mostro» rettificò allora lei. «Ed è Kate, adesso, lo sai».

Lo sguardo esasperato di Hermione non fu sufficiente a farle comprendere di dover dare più dettagli. «Per Merlino, Bell, vuoi parlare oppure devo utilizzare la Legilimanzia su di te?».

Kate arretrò di un passo ed Hermione fu certa di aver sentito movimenti strani da poco oltre fuori la porta, come se qualcuno avesse fatto per entrare ma si fosse fermato all’ultimo istante. «Non è nulla di semplice. Mi servirà il sangue dei tre prescelti, oltre che di Sisifo stesso. Questo è, fondamentalmente, il problema».

«In che senso?».

Kate strinse le labbra, trattenendo il respiro. «Mi serve il sangue di Sisifo, per ucciderlo. Il sangue del suo attuale tramite umano».

Hermione la guardò per qualche istante, preoccupata. «Credi che Tiresias l’abbia già trovato?».

«Questo è quello che ha detto la piccola veggente» confermò la negromante, annuendo. «Ma il problema è un altro, Hermione. Dopo aver aiutato Fred, io e Draco abbiamo cercato Winnie ovunque, anche usando i sistemi delle Banshee».

«Non l’avete trovata?».

«Oh, no, l’abbiamo trovata anche con troppa facilità, credo che il problema sia questo».

Lei annuì, comprendendo al volo a cosa si stesse riferendo la collega. «Ci stanno aspettando. Sanno che abbiamo il libro e che abbiamo bisogno sia di lei che del tramite».

«Dopo millenni, Tiresias non ha bisogno di vedere i negromanti per capire come le cose potrebbero svilupparsi. Ha giocato d’anticipo ed ha fatto in modo che noi non potessimo recarci da lui già parzialmente preparati. Senza Winnie, io non posso neppure iniziare a preparare la pozione per eliminare quel mostro. Quindi dobbiamo andare a prenderla».

«Se anche andassimo, potremmo lasciare la sicuro il libro, no? Oppure potremo andare solo noi, mentre tu resterai qui a fare la guardia» propose, con un tono di voce che a lei stessa suonò spento, noncurante. Non le importava un granché, in quell’istante. Fred era ancora senza coscienza, steso su quel lettino come se fosse morto.

«Tiresias ha un negromante dalla sua parte» mormorò Kate, scuotendo il capo. «Devo venire anch’io. Ed il libro non può separarsi da me. Lui lo sapeva, ha fatto in modo di spingerci a portare tutto a casa sua, così da non doverlo neppure scomodare. Dubito che noi potremmo bastare, non scordarti la strage in Germania. Non abbiamo idea di quali forze siano al suo servizio».

«E non abbiamo idea di come abbia fatto a trascinare via Winter. Qualcuno con il suo potere… devono averla letteralmente caricata in spalla. Winnie tiene sempre la guardia alta e, tranne suo padre, nessuno è mai riuscito a far funzionare un Imperio su di lei, neppure il Supervisore» commentò, voltandosi per un istante a fissare Kate, ma girandosi di nuovo quando percepì Fred muoversi leggermente. Con il cuore praticamente in gola, le sue mani corsero al viso di lui, reggendolo come se avesse temuto fosse fatto di cristallo. «Fred?».

Un istante dopo, lui si tirò a sedere di colpo, quasi qualcuno gli avesse dato la scossa, facendo balzare sia Hermione che Kate, che in un attimo fu davanti a lei, gli occhi neri e i denti scoperti in un ringhio. Dalla porta, addirittura, anche Malfoy fece il suo ingresso, la bacchetta sguainata e lo sguardo di qualcuno pronto a dare battaglia.

«Che cazzo succede qui dentro?».

Ignorandolo – ed ignorando tutti gli altri – Fred si portò una mano al petto, ansimando come se avesse appena finito una corsa interminabile.

«È stata Winter!».

 

***

 

Ophelia Perderghast aveva dovuto sedersi, quando Trina le aveva portato la notizia. Immersa fino ai gomiti nei liquami prodotti dal cadavere che stava esaminando, si era improvvisamente sentita mancare la terra sotto ai piedi ed il suo stomaco si era rivoltato. Suo marito era intervenuto subito per sostenerla, ma era mancato poco che trascinasse anche lui nella sua caduta. Draco Malfoy, dal suo posto al fianco della ragazza più giovane, le dedicò un’occhiata divisa fra la compassione ed il disgusto.

«Sei sicura?» erano state le prime parole che aveva pronunciato, guardandola con orrore, mentre con un Gratta e Netta il povero Barry cercava di darle un aspetto più presentabile. «Lui era sicuro? Era davvero lei? Potrebbe essere stata una conseguenza di un Imperius» propose, facendosi aria con la mano per cercare di abbassare lievemente la sua temperatura corporea. Sapeva bene di star sprecando solo energie e di dover probabilmente restare immobile per ottenere un vero risultato, ma non era il momento per essere ragionevoli. «Sappiamo tutti cos’ha fatto lei, quando la controllava suo padre. L’ultima volta ha quasi ucciso Harry».

«Ed ha quasi ucciso me» fece notare Malfoy, con le sopracciglia inarcate. «Davvero, non capisco tutta questa preoccupazione per Potter! Sembra quasi che le importi solo di lui, non ha fatto altro che mettermi da parte da quando siamo tornati» si lamentò, guardando Trina. Lei rise, assurdamente tranquilla, dandogli delle pacche sul braccio più vicino.

«Non essere drammatico, ricorda che è stata Philly a prendersi cura di te, quando ti hanno riportato qui» gli fece notare, perdendo poi il sorriso in favore di un’espressione contrita che dedicò a lei e Barry, troppo sconvolto da quello scambio per poter dire nulla. Con un’occhiata, suo marito le aveva già comunicato quanto ridicola fosse la situazione.

Avevano mandato in missione Katie e Malfoy, convinti che lui avrebbe potuto perdere qualche pezzo lungo la strada. A tornare era stata una donna completamente diversa, verso cui Malfoy sembrava nutrire qualcosa di molto simile alla pura adorazione.

L’idea di aver perso per sempre Katie le faceva tornare la nausea. Non era il momento di pensarci, quantomeno fisicamente era tutta intera, forse più sana di quanto non fosse mai stata negli ultimi anni, poteva convivere con il resto. Avrebbe trovato il modo di capire e di accettarla, in un modo o nell’altro.

Non le importava chi fosse, a patto che fosse felice.

Anche se avrebbe potuto mettere un paio di paletti riguardo Malfoy ed i suoi sguardi da marpione.

«Cos’ha detto Weasley?» insistette Barry, posandole una mano sulle spalle ma concentrando tutta la sua attenzione sulla negromante. «Lui è l’ultimo ad aver visto Winnie ed Hermione lo ha portato via prima che potessimo interrogarlo come si deve» sbottò, scuotendo il capo. «Il Supervisore era furioso, probabilmente considererà anche delle sanzioni, lui era un testimone chiave».

Trina fece una smorfia, spostando il peso da un piede all’altro con aria nervosa. «Io non credo che ad Hermione importi nulla del Supervisore, adesso. E… beh, io ho parlato con il testimone, credo valga come interrogatorio» mormorò, nervosa, senza tuttavia abbassare mai lo sguardo o smettere di concentrarsi su di loro direttamente. Solo il giorno prima avrebbe fissato il suolo, magari una parete. Ma lei non era più la stessa. Non lo sarebbe più stata. «Fred ha detto che è stata Winnie a ridurlo in quel modo. Ma Winnie non avrebbe mai potuto farlo, quel maleficio usato su di lui viene trasmesso di famiglia in famiglia fra i negromanti, se anche lei fosse stata una negromante – ed ho detto se, perché è impossibile – non avrebbe avuto modo di conoscerlo! Io l’ho visto praticare una volta sola, durante il mio addestramento in Romania, e non credo potrei rifarlo. Neppure Tiresias potrebbe, non è un negromante» spiegò, stringendosi nelle spalle con aria davvero confusa.

«Ma Fred dice di averla vista chiaramente» mormorò Ophelia, scuotendo il capo. «E dubito fosse in condizioni fisiche di mentire, quando si è svegliato» aggiunse, voltandosi un momento in direzione di Barry, che annuì, grattandosi leggermente la guancia con la punta dell’uncino. «Credi di avere una qualche spiegazione, Trina?».

Kate li guardò entrambi per un lungo istante, espirando pesantemente dal naso. «Temo che Tiresias abbia trovato il tramite di Sisifo e che lo abbia iniziato alla Negromanzia. E temo che questa sua incarnazione sia molto più forte delle altre o che, comunque, abbia memoria della sua prima vita già da adesso, perché la mia unica spiegazione è un rituale che ho appena trovato nel Necromicon. Spiegherebbe anche perché Tiresias si sia preso la briga di rapire il vecchio Silas».

«Cosa significa? Che rituale?».

«Non… non posso parlarne, sono vincolata alla segretezza rispetto al libro, come tutti i negromanti» si scusò le, stranamente poco rammaricata, voltandosi in direzione di Malfoy, che annuì7.

«Crediamo che il negromante in cui Sisifo si è incarnato abbia controllato Mulciber – o che lui si sia fatto controllare - e che tramite lui Tiresias sia riuscito a mettere le sue mani su Winnie» cominciò velocemente a spiegare, probabilmente ripetendo qualcosa che doveva aver visto o sentito in precedenza. A quel punto, in poche ore era già chiaro a tutti che Kate e Malfoy condividessero molto più che il loro passato. «Ci sono ottime probabilità che in questo momento quei mostri stiano aspettando solo noi, nella loro tana, per concludere il rituale ed avere tutto pronto per la Luna Sanguinis. Hanno preso Winnie perché era la più facile da controllare, con Kate capace di riconoscerli e Potter fin troppo bravo a salvarsi la pellaccia. Suppongo che Tiresias abbia valutato i diversi scenari e scelto il migliore. Senza di lei noi siamo rovinati, mentre loro possono portare a termine il loro piano».

«Quindi dobbiamo andare a prenderla». Barry non era entusiasta, Ophelia riusciva bene a capire il perché. «Quali sono le nostre possibilità di uscirne vivi? Dubito che chiamare in causa più di una squadra possa a servire a qualcosa».

«Non ci serve aiuto, se è quello che mi stai chiedendo» rispose Kate, scuotendo il capo. «Finiremmo soltanto col mettere a rischio anche tutti gli altri, non possiamo fare molto contro qualcuno capace di prevedere molte delle vostre mosse. Più persone vorrebbe dire solo più informazioni per Tiresias. Meglio andare solamente noi» mormorò, indicando Barry, se stessa e forse Malfoy. Si morse il labbro inferiore, prima di guardare nuovamente Ophelia. «Ho già chiesto al Supervisore di sospendere te dalla squadra».

Cosa?

Lo shock, per un istante, le impedì di parlare. Un istante che fu sufficiente a Kate per raggiungerla ed accosciarsi accanto a lei, tenendola seduta.

«Cosa diavolo…?» provò a chiedere, quando lei le prese la mano e la posò sul suo stesso stomaco. «Kate?».

«Non posso permettere che tu venga con noi, Philly. Non posso, non dopo tutte le lacrime che hai versato, non dopo tutto il tempo in cui hai solo sperato» le disse, la voce ridotta ad un sussurro incredibilmente gentile, le labbra piegate in un sorriso preoccupato ma al tempo stesso dolce. «Hai aspettato tanto ed ora che finalmente ce l’hai fatta non posso permettere che ti venga tolto tutto dalle mani».

Oh, Merlino.

Dietro di lei, Barry inspirò violentemente, sconvolto dalla realizzazione8.

«Se dovessi venire con noi, credo che non te lo perdoneresti mai».

 

Ore dopo, molte Banshee si ritrovarono ad alzare gli occhi e fissarsi l’uno con l’altro, sconcertati, sentendo provenire delle urla furiose dalla stanza di Katrina Bell. Non perché fosse assurdo, c’era sempre qualche morto un po’ più vocale degli altri pronto a farsi sentire. No, quella volta le urla erano di qualcuno ancora molto vivo e apparentemente arrabbiato con lei.

Nessuno si arrabbiava mai con lei, non fino a quel punto.

Non era saggio far arrabbiare qualcuno capace di uccidere con un bacio, ma Draco Mafoy non doveva aver ricevuto il promemoria.

«Cosa cazzo significa, Bell?».

«Significa che tu non verrai con noi in missione».  

 

 

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

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Non avrei mai resuscitato Fred solo per poi ucciderlo di nuovo, ovviamente. Meglio uccidere di nuovo Ronald.

 

 

 

Punti importanti:

 

» * - Fagli sapere che sai cosa dici/ perché, dopotutto, tu sai cosa dici/ prova ad andare oltre le sue difese/ senza concedergli l’innocenza. Questa canzone è fra le mie preferite, anche se non sono sicura sia proprio pertinente. Così come il titolo. Ugh, questo capitolo è stato un dramma, perdonatemi.  

 

» 1 – Yaaay, Fred non è morto ed Hermione non si è allontanata un solo istante da lui! Aspettate il prossimo capitolo con ansia, mi raccomando 😉

 

» 2 – Animalisti perdonatemi, ma le regole della negromanzia non le decido io. Erano tre animali o una persona e credo che la scala di priorità di Kate l’abbia spinta a scegliere gli animali. Una vita per una vita (in questo caso, una vita per un gruppo di vite più giovani). Affare disgustoso la negromanzia.

 

» 3 – Di nuovo: brutto affare la negromanzia. Kate è stanca perché ha dovuto usare la sua forza vitale per incanalare il cambiamento. Se non avesse usato gli animali, sarebbe dovuta morire lei.

  

» 4 – Per quanto Kate possa sembrare strana (sullo stile Harley Quinn), gli affetti che provava prima sono ancora ben radicati nel suo cuore. Kate adora Fred e George e vorrebbe tornare ad essere riaccolta nel vecchio gruppo, ma il suo modo di dimostrarlo è peculiare. In quel momento, quando lo ha toccato, lei ha sacrificato un altro po’ della sua aura vita per farlo riprendere più velocemente. Non era nulla di dovuto, avendolo resuscitato, ma ha voluto aiutarlo perché gli vuole bene.

 

» 5 – Kate non ci sa fare con le persone, proprio per niente. Oltre Draco e, relativamente, Ophelia e Barry, lei non ha la minima idea di come rapportarsi alle persone.

 

» 6 – Tutte le Banshee, alla fine del loro addestramento, devono prestare un giuramento che richiede loro la massima fedeltà al lavoro e di priorizzare la sicurezza internazionale alle questioni personali. Hermione non potrebbe fregarsene di meno, adesso.

 

» 7 – Draco non rientra nei giuramenti dei negromanti perché lui fa indirettamente parte di quel mondo. Nel prossimo capitolo capirete meglio il perché, tranquilli! Vi dico soltanto che nessuno si sorprenderebbe, in Romania, se lui se ne andasse a spasso per i loro santuari.

 

» 8 – Ebbene sì! Ophelia è finalmente in dolce attesa. Peccato che stiano morire tutti.

 

 

Il prossimo capitolo sarà una doccia fredda. Più o meno.  

 

  

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

 

 

 

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Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 22
*** Atto VIII, Parte III - Bacio d'addio ***


 

LErede del Male.


 

Oh, the storm is raging against us now
If you’re afraid of falling, then don’t look down
But we took the step, and we took the leap
And we’ll take what comes, take what comes.*
”.



[Imagine Dragons –Walking the wire]

                                  

 

Atto VIII, Parte III –  Bacio d’addio

 

 

 

 

Chiunque fosse passato davanti alla camera di Katrina Bell presso il quartier generale delle Banshee di Ginevra, avrebbe sentito – come accadeva spesso – delle urla. Queste urla, tuttavia, non appartenevano a cadaveri in via di decomposizione ma al giovane rampollo della famiglia Malfoy, talmente furioso da aver già buttato per aria due tavolini, una teiera e almeno quattro tazze e tre piattini. Nessuno sapeva bene cosa facessero tutte quelle porcellane nella stanza della negromante ma le possibilità non erano poi così felici. Forse Malfoy le aveva personalmente evocate una per una solo per poi distruggerle, dimostrando un livello di follia sopra la media. Forse lei aveva tutte quelle tazzine perché era solita prendere il tè con i suoi amichetti morti.

Immagine raccapricciante.

In verità, Kate Bell, da brava ragazza purosangue, conservava nella sua camera il servizio nuziale che la sua bisnonna aveva avuto il piacere di preparare proprio per lei, in vista di un suo futuro matrimonio. Erano ceramiche di Limoges1 e Malfoy le stava distruggendo.

«Ti rendi conto del valore di quel piattino che hai appena scagliato contro il muro? Dovrò mandarle a riparare in Francia ed io ho rinunciato alla mia eredità quando sono entrata a far parte delle Banshee» sbottò, osservando con dolore i frammenti al suolo. La povera Bisnonna con ottime probabilità avrebbe trovato il modo di sistemare tutto personalmente, ma lei non era mai stata un asso in quel genere di incantesimi.

Draco la guardò come se le fosse spuntata una terza – non una seconda, addirittura una terza – testa, allargando le braccia come se avesse voluto evidenziare l’assurdità della situazione. «Ti sembra il momento di parlare della porcellana?» le domandò, basito. «Come diavolo faccio a non seguirti, eh? Ti preoccupi dei piatti in un momento del genere, riusciresti a farti uccidere perché troppo impegnata a guardare delle dannate farfalle! Quindi, non me ne importa nulla, io vengo con te» ringhiò, scuotendole l’indice della mano sinistra proprio sotto al naso, il viso pallido e contratto in una smorfia rabbiosa.

Kate, tuttavia, non era tipo da spaventarsi facilmente. «Non agitarti caro, somigli troppo a tua zia Bellatrix quando perdi la testa. E Belllatrix non era poi così sexy2» gli fece notare, alzando gli occhi al cielo ed incrociando le caviglie con la grazia consumata di una regina. Le sembrava quasi di sentire la prozia Betsy: “Le vere signore non accavallano mai le gambe3. Lei era una duchessa, probabilmente ne capiva molto più di lei di certe cose.

Lui inarcò le sopracciglia, improvvisamente confuso. «Io sono sempre sexy, anche quando perdo la testa, grazie tante» le disse, con una punta di acidità immancabile. Il cipiglio arrabbiato, tuttavia, tornò presto alla carica. «E non pensare di distrarmi, ho detto che verrò con te e non c’è nulla che me lo impedirà. Che vuoi fare, incatenarmi qui sotto? Sono un asso delle fughe! È stato Rabastan in persona ad addestrarmi e lo sai che Rabastan di certo non scherzava sull’argomento» sbottò, incrociando le braccia ma continuando a camminare nervosamente per la piccola stanza, calpestando senza troppe cerimonie i cocci del povero servizio da tè.

«Rabastan ha preso lezioni da Houdini in persona, lo so, è una storiella che amava raccontare a tutte le feste» confermò, sbuffando subito dopo. «Devi proprio calpestare i poveri resti del mio servizio? Fa parte della mia dote, Malfoy! Probabilmente risale al diciottesimo secolo» mugugnò, sinceramente addolorata.

Lui la liquidò con un gesto della mano. «Ci sono i servizi del Manor, non ti serve neppure una dote» sbottò, probabilmente senza pensarci troppo, solo per poi fermarsi come fulminato dalla realizzazione del peso delle sue parole. Lentamente, si voltò a poterla guardare negli occhi, mordendosi il labbro inferiore come a voler cercare disperatamente una scusa per ritirare quanto appena detto e non sembrare idiota come probabilmente si stava sentendo. «Non intendevo… io…».

Kate rise, deliziata, grufolando leggermente. «Malfoy, mantieni la calma» lo ammonì, inarcando a sua volta le sopracciglia e cercando di non scoppiare e perdere definitivamente il controllo su se stessa. «Sei il mio Auctor, siamo destinati, in un modo o nell’altro. Di solito è un genitore ad essere l’Auctor di un giovane negromante, ma le rare volte in cui è un estraneo, probabilmente quell’estraneo non è destinato a restare tale per un lungo periodo. È una questione biologica, se vuoi metterla su questo piano. Il tuo corredo genetico ti spinge a volerti unire a quello della mia famiglia4» gli spiegò, allegra. «A meno che tu non voglia corteggiare qualcuno dei miei cugini, dubito tu abbia scelta oltre me, essendo io l’unica donna con meno di cinquant’anni».

Lo sbalordimento di Malfoy era divertente. Aveva la bocca così spalancata che a breve avrebbe dovuto raccoglierla dal suolo!

«Cosa… Tu… quindi è normale?» le chiese, sconvolto, guardando ovunque tranne che nella sua direzione. «Come fai ad essere così tranquilla? Hai praticamente detto che siamo destinati, quindi non abbiamo una scelta! Credevo fosse un effetto collaterale dell’energia vitale, non…» esasperato, si pizzicò la radice del naso. «Come puoi accettarlo? Stai vivendo una vita che la vecchia te non avrebbe mai voluto e ti sei appena ritrovata a… ad essere destinata a finire con me, perché i nostri corpi o le anime o quello che vuoi, hanno deciso che dobbiamo. Non vuoi scegliere? Non vuoi avere libertà almeno per questo?». Scosse il capo, spaventato. «No, non posso accettarlo. Non ho intenzione di lasciare che qualcun altro si imponga su di me, non più».

Il sorriso sulle labbra di Katie si ammorbidì leggermente, perdendo la nota allegra in favore di una decisamente più cupa. «Mi stai chiedendo se sono pronta ad ammettere che esista una persona che mi accetterà per quella che sono? Che non mi guarderà mai con disgusto e non mi volterà mai le spalle, a prescindere da quanto bui possano diventare i miei giorni?» gli chiese, in risposta, abbassando lo sguardo per fissare le proprie mani in grembo. «Non sei costretto a far nulla, Draco, nessuna magia può controllare l’amore ed io di certo non ti vieterei mai di vivere. Tu, però, non puoi impedirmi di essere felice. Anche se la mia piccola sicurezza riguardo il nostro legame è solo un effetto collaterale di quello che io sono, almeno tu non mi guarderai mai con disgusto».

Una strana espressione attraversò il viso del giovane Malfoy. «Maine e la Penderghast non ti hanno mai guardata con disgusto» le fece notare, stringendo le labbra un attimo dopo come se avesse detto qualcosa di sbagliato o, comunque, non la cosa più importante.

Kate scosse il capo, stringendosi poi nelle spalle. «Un genitore che guarda un figlio con disgusto per qualcosa che non dipende dalla sua volontà, anche se il figlio non è davvero suo, non è un vero genitore» spiegò, gentile. «Barry e Ophelia mi amano come se fossi carne della loro carne, ma non è la stessa cosa. Non sarà mai la stessa cosa, soprattutto non adesso che finalmente il loro desiderio di avere un bambino tutto loro potrebbe diventare realtà». Sospirò, voltandosi per osservare qualcosa di indefinito alla sua sinistra. «Katie aveva l’amore dei suoi amici, Trina ha trovato dei genitori surrogato… ma Kate potrebbe non avere nessuno, se non chi il destino le ha messo davanti» spiegò, indicandolo con un gesto vago della mano.

«Io non ero disgustato da te neppure prima. Spaventato, forse. Oppure impressionato, ma non ho mai provato disgusto nei tuoi confronti».

«Per questo sei il mio Auctor» fu la spiegazione che ottenne a quel punto. «Non… non è qualcosa iniziato solo perché io sono diventata così, non c’è stato un cambiamento improvviso. Sarebbe successo comunque, ma con la nostra energia vitale congiunta il nostro legame è troppo solido per poter essere semplicemente messo da parte». Si alzò in piedi, avvicinandosi a lui fino ad essere a pochi centimetri di distanza. Era così piccola da arrivare appena sotto al mento di lui e Malfoy non era mai stato poi così alto. «Ma, come ho già detto, nessuno ti forzerà mai a far nulla, non devi preoccuparti. La tua libertà ti appartiene».

Malfoy la fissò per qualche istante, come se avesse appena avuto una rivelazione, prima di stringere di nuovo le labbra. «Dici che siamo destinati e che comunque saremmo finiti insieme, ma allora perché non vuoi portarmi con te? Se… se davvero c’è un legame, fra noi, non credi sia più che normale che anche io venga in missione? Per… aiutarti?».

Kate rise, senza alcuna allegria nella voce. Con delicatezza si alzò sulle punte e posò un leggerissimo bacio sulle labbra di lui, facendo poi un passo indietro e fissandolo negli occhi spalancati e colmi di orrore e confusione. «Io mi rendo conto del legame, per te è solo un qualcosa di reale ma non ancora abbastanza vero. Tu non vuoi venire per aiutarmi ma solo per vendicarti. L’odio è cieco, la collera sorda, e colui che vi mesce la vendetta, corre pericolo di bere una bevanda amara5» gli disse, probabilmente citando qualcuno. «Se ti portassi con me, ti faresti uccidere in poco tempo», arretrata di un altro passo, alzò la bacchetta e gliela puntò contro. «Tranquillo, il veleno del mio rossetto ha un effetto temporaneo, riacquisterai le tue abilità motorie, anche se a breve credo che Philly verrà a darti un’occhiata» gli spiegò, sorridendo nonostante i suoi occhi fossero tristi. «Ho usato un anestetico molto forte per prepararlo, così quando io…» esitò per un istante, chiudendo gli occhi come a voler trovare la forza di continuare. «Se io non dovessi farcela, almeno tu non soffrirai. È l’unico regalo che ho potuto fare all’amore che potrei non vivere mai, ti prego di accettarlo» gli disse, ignorando i movimenti furiosi dei suoi occhi e i lamenti inarticolati colmi di orrore, di suppliche.

Ti prego, no. Ti prego, non farlo.

Ti prego, non morire.

«Come dicevano gli Spartani? “Torna con il tuo scudo o sopra di esso”?» gli chiese, falsamente divertita, inchinandosi con la grazia di una dama, la versione satirica del saluto di un cavaliere alla sua principessa. «Che io possa incontrarti di nuovo, Draco Malfoy, e che io possa avere il tempo di conquistarti».

Quando sparì oltre la porta, chiudendola alle proprie spalle, nessuno si azzardò chiederle cosa fosse successo a Malfoy. I più coraggiosi, che trovarono la forza di avvicinarsi alla porta della stanza, sentirono gemiti pieni di orrore, un pianto soffocato capace di farli rabbrividire e, così com’erano venuti, sparirono per sbrigare le loro faccende.

Forse lei lo aveva ucciso.

 

***

 

George Weasley l’aveva presa da parte non appena suo fratello era stato sistemato in una delle ormai vuote camere della Tana. Hermione se l’era aspettato, in realtà, perché Fred stesso aveva fortemente dubitato di poter tenere il suo segreto ancora per molto tempo, quantomeno con George. E, comunque, Percy aveva già scoperto tutto senza perdere la testa, era più che giusto che anche lui sapesse.

«Hai intenzione di parlare da sola o devo incatenarti e darti il Veritaserum?» le chiese, acido, indicando con un cenno brusco la vecchia poltrona nell’angolo che lei ricordava appartenere a Molly e che era stata spostata quando Percy ne aveva comprata una nuova, più comoda e utile per i suoi problemi alla schiena. «Devo ripetermi?» insistette il gemello – così simile a Fred, eppure così differente – con una certa fretta, chiudendosi la porta alle spalle per mormorare un Muffliato ed impedire che potessero ascoltarli dall’esterno.

Intelligente.

«Non preoccuparti, non ci sarà bisogno di pozioni» lo tranquillizzò, senza tuttavia specificare quanto inutile sarebbe stata quella misura verso di lei. Tutte le Banshee erano immuni al Veritaserum6, era uno dei requisiti fondamentali per ottenere l’abilitazione. «Credo che Fred avrebbe preferito parlartene di persona, ma deve assolutamente riposare. Immagino che non sia poi un gran problema lasciare che sia io a fare gli onori» mormorò, accomodandosi ed indicando a lui il letto. «Ti conviene sederti, stare lì come un Asticello sull’albero non cambierà nulla di quello che dovrò dirti».

Con un mugugno irritato, George fece come gli era stato detto, le sopracciglia inarcate in un implicito invito a parlare. «Mio fratello mi nasconde qualcosa da anni, non sono un idiota. Credevo che fossi semplicemente tu, nascosta da qualche parte, ma evidentemente mi sbagliavo» constatò, spostandosi con un gesto brusco i capelli rossi dal viso. Li aveva fatti crescere più di Fred, probabilmente per coprire l’orecchio mancante.

«Io sono parte del Segreto» confermò Hermione, prendendo un profondo respiro. «George, cosa-».

Toc toc.

Confusi, i due occupanti della piccola stanza si voltarono in direzione della porta, ancora chiusa. Come avevano fatto a trovarli? Nessuno avrebbe potuto sentire la loro discussione, George era un maestro del Muffliato.

«Sono Rose, vi dispiace se vi faccio compagnia?» chiese una voce da donna, gentile ma abbastanza autoritaria da lasciar capire bene che lei non avesse la minima intenzione di accettare un no come risposta. Pochi istanti dopo, senza che loro dicessero nulla, la testa bruna della fidanzata di Charlie fece capolinea, priva del famoso sorriso che, a detta di Fred, non sembrava volerla mai abbandonare. «Mi dispiace interrompervi, ma mi hanno detto che probabilmente la mia presenza avrebbe aiutato a far chiarezza» spiegò, quasi volendosi scusare – ma non davvero, si comportava quasi sapesse già che alla fine l’avrebbero ringraziata –, dopo essersi chiusa la porta alle spalle.

«Chi ti ha detto di venire?» sbottò Hermione, probabilmente ancora troppo estranea alla ragazza per sentire necessario l’uso di un minimo di gentilezza. Il suo era un lavoro che e aveva insegnato a non essere cordiale.

Rose si strinse nelle spalle, indicando con un cenno vago il piano di sopra, dove probabilmente gli altri Weasley erano troppo occupati a prendersi cura del gemello ferito per pensare a loro tre. Fred l’aveva mandata, quindi. «Oh, certo, anche mio padre mi ha chiesto di passare e dare una mano. Ha detto che prima o poi un guaio simile sarebbe successo e tu non avresti conosciuto tutti i dettagli da riferire a George» aggiunse, tirando fuori un sogghigno che fece rabbrividire la giovane Banshee.

Lei conosceva quell’espressione.

La conosceva fin troppo bene.

«Per Merlino Rose, odio quell’espressione» si lagnò George, alzando gli occhi al cielo ma facendole comunque cenno di avvicinarsi al letto. «Mi ricorda troppo tuo padre ed il modo in cui guarda Charlie. Credo sia l’oggetto principale dei suoi incubi, da quando lo hai fatto venire alla Tana per conoscere la famiglia».

Hermione si accigliò, il dubbio sempre più radicato in lei. «Suo… padre?» domandò, osservandola con attenzione quasi maniacale che solitamente avrebbe dedicato ad un antico manoscritto o ad un mandato d’arresto. Capelli scuri, atteggiamento da padroni dell’universo, bellezza sorprendente7

«Ti prego, lascia che io mi presenti come si deve» cinguettò la ragazza, facendosi avanti per afferrarle la mano e scuoterla con entusiasmo. «Rosemary Crave, viceresponsabile del Settore Draghi acquatici della Riserva dei Carpazi8. E figlia del Dottor Crave».

Ovviamente.

«Avrei dovuto immaginarlo, tuo padre è sempre stato un po’ troppo acido con Fred» fu tutto ciò che le disse, alzando gli occhi al cielo. «Credevo che anche lui fosse arrabbiato per il suo rifiuto di far parte dell’Organizzazione, invece era per Charlie, non è così?».

Rose scoppiò in una risata allegra, annuendo ed accomodandosi vicino ad un sempre più confuso George. «Papà ancora ha un po’ di difficoltà ad accettare questa situazione. Fred, oltretutto, somiglia molto al mio Charlie, oltre a non avere paura di lui. Lo irritava da morire trovarselo davanti, con il suo atteggiamento da sbruffone» ammise, esasperata. «Prima o poi si rassegnerà. Credo di dovergli sfornare almeno una nipotina per compensare, ma c’è tempo». Si fermò un attimo, scambiando un’occhiata con George, quasi ci fosse una qualche battuta ad Hermione sconosciuta. «Beh, un po’ di tempo».

«Possiamo tornare al nostro argomento principale? Non ho tutto il giorno» si intromise la Banshee, le sopracciglia inarcate e giusto un po’ di stizza nell’essere esclusa dalla conversazione in quel modo. C’era stato un tempo in cui lei era stata l’unica non appartenente alla famiglia capace di scherzare e capire i sottintesi. Ma era stato più di due anni fa. Lei era praticamente una estranea, checché ne dicessero Ginny, Fred e Molly. «George, cosa sai tu delle Banshee?».

Lui la osservò confuso, per qualche istante, lasciando che i suoi occhi cadessero senza tante cerimonie sul pentacolo cucito sulla divisa che lei ancora indossava. Non era più sporca del sangue di Fred e forse quello poteva essere considerato un successo. Chi sapeva come avrebbe reagito, se avesse visto com’era ridotta? Se avesse immaginato le condizioni del suo gemello?

«Lo sapevo che non aveva davvero detto di no, lo sapevo» sbottò, incrociando le braccia al petto. «Quando mi ha detto che l’avevano avvicinato ma che lui aveva scartato l’offerta, io mi sono rifiutato di credergli, ma lui è stato talmente convincente! Ah!» aggiunse, con una smorfia stanca. «Si è fatto del male in missione, non è vero? Ha sempre detto che non sarebbe mai diventato un militare, di alcun tipo! Figuriamoci uno talmente pericoloso! Quell’idiota».

Hermione iniziò a scuotere il capo prima che lui potesse finire. «Lui non fa parte delle Banshee. Ha rifiutato la proposta, come ti ha detto, ma ha suggerito me al suo posto. Ed ha accettato il ruolo di consulente, viste le sue capacità creative. Le vostre capacità» spiegò, esitando poi per qualche istante. «Il Supervisore avrebbe voluto entrambi, ma tu non eri compatibile».

«La perdita dell’orecchio ha danneggiato il tuo senso dell’equilibrio in modo irrecuperabile» si intromise Rose, tranquilla. «Ricordi quella volta in cui mio padre si è spacciato per un medico del Ministero? Stava semplicemente verificando i tuoi requisiti» spiegò, indicando poi un punto imprecisato all’altezza dello stomaco del futuro cognato. «Hai fatto qualcosa per quel principio di gastrite, poi?».

Le sopracciglia di George avevano raggiunto un’altezza incredibile. «Sono stato trattato come un gerbillo da laboratorio senza neppure saperlo? Credo sia contrario ad una qualche legge» commentò, confuso e parecchio irritato. Tornò a guardare Hermione, senza preoccuparsi di nascondere la sua irritazione. «Ti dispiacerebbe dirmi la verità? Mio fratello non avrebbe mai fatto il consulente. Tutto o niente, è così che Fred ed io l’abbiamo sempre pensata. Se davvero non ha voluto entrar a far parte della vostra Squadra, di certo non si sarebbe limitato ad aiutare».

Anche lei se l’era sempre chiesto.

Fred e George Weasley non facevano mai nulla a metà. Avevano lasciato la scuola con esplosioni di fuochi d’artificio, avevano aperto un negozio di scherzi nel periodo più buio di Diagon Alley.

Perché li stava aiutando?

«Non ti sto mentendo».

«Non ti sta mentendo» si intromise di nuovo Rosemary, guardando solamente George. «Non è per le Banshee che lui è rimasto e non è per l’avventura che ha continuato a mettersi in pericolo. Se ci pensi bene, probabilmente puoi capire perché».

Lentamente, George si voltò a guardare Hermione.

«Quel romantico bastardo, sapevo che si sarebbe fatto ammazzare prima o poi».

La confusione della Banshee dovette essere piuttosto evidente, visto il sospiro che Rosemary le dedicò, prima di avvicinarsi e posarle una mano sulla spalla. «Noi non ci conosciamo, ma mio padre crede tu debba sapere un paio di cose. Personalmente, eviterei di buttarti altri pesi sulle spalle ma per quanto lui non abbia rispetto per il cuore degli altri è comunque bravo in quello che fa, se crede sia giunto il momento, io non mi oppongo. Detto questo, credo sia meglio che tu torni a sederti» le disse, spingendola nuovamente sulla poltrona con un tonfo secco. Non si era neppure resa conto di essersi alzata, se doveva esser sincera.

«Cosa diavolo sta succedendo?» sbottò alla fine, incrociando le braccia al petto ed osservando i due davanti a lei. Credeva di dover dare delle spiegazioni, non certo di doverle ricevere! Di certo non da George!

«Io ho capito solo parte di tutta la questione, quindi meglio che mi limiti ad integrare» rifletté ad alta voce proprio il gemello, lanciando uno sguardo alla giovane cognata, che annuì. «Hai detto che è stato Fred a proporti per le Banshee?».

Confusa, Hermione annuì. «Quando lui ha rifiutato, ha indicato me come sostituto. Quando ho superato il test iniziale mi hanno aiutata a sparire dalla circolazione, solo Fred sapeva. Senza l’Ordine ed il Dottor Crave, probabilmente oggi non sarei qui».

E neanche Harry, pensò, senza tuttavia dire nulla. Lipsia era una questione privata, non le importava che loro fossero molto più simili ad una famiglia, per Harry, di quanto non fosse lei a quel punto.

Rosemary accennò un sorriso che tuttavia si perse quasi immediatamente. «Tu hai… superato il test?» le chiese, esitante, mordicchiandosi il labbro inferiore come se già quell’ovvietà non fosse poi tanto sicura ai suoi occhi.

«Beh, ovviamente».

La ragazza scosse il capo. «Hermione, tu non hai mai superato il test, proprio come Harry e George» le disse, incrociando le braccia al petto. «È stato mio padre stesso a negare il permesso per voi tre. Siete stati esaminati contemporaneamente, ma solo Fred e George sono riusciti a superare i test psicologici e ad arrivare a quelli fisici, dove lui» indicò George con un cenno del capo, «è stato poi bocciato. Tu non eri idonea».

Hermione restò in silenzio per un lungo istante, fissando Rosemary come se le fosse spuntata un’altra testa. Avrebbe voluto reagire, in qualche modo, ma l’intensità della sua espressione glielo impedì. C’era qualcosa, nel suo modo di stringere le labbra, che la paralizzò sul posto. Forse era un riflesso pavloviano conseguente alla lunga relazione professionale che aveva intrattenuto con il dottore: ormai sapeva quando era autorizzata a parlare e quando, invece, era meglio restare in silenzio in attesa della sentenza.

«Però lei è passata, alla fine» commentò George al suo posto, accigliato. «Non sono sicuro che i miei sospetti siano corretti».

Rosemary sbuffò, alla ricerca delle parole giuste. «Io l’avevo detto a papà che avrebbe dovuto sbrigarsela da solo» si lagnò, mentre Hermione involontariamente si chiedeva chi potesse davvero lagnarsi con Crave senza ritrovarsi ad affrontare traumi che non credeva neppure d’avere. Essere sangue del suo sangue doveva averla aiutata. «D’accordo, via il dente e via il dolore. Hermione, tu sei passata perché Fred ha supplicato mio padre di prenderti» le disse, guardandola direttamente negli occhi. «Papà è il migliore nel suo lavoro ma può seguire soltanto le Banshee, non può più prendere altri pazienti esterni per evitare di…» fece un gesto vago con la mano, «non lo so, forse confondersi. Comunque, Fred aveva già capito quanto pessima fosse la tua situazione e durante il primo colloquio con papà lo ha praticamente supplicato di prendersi cura di te, anche a costo di prenderti fra le Banshee. È arrivato direttamente davanti al Supervisore per perorare la tua causa, dimostrandogli quanto potessi essere utile all’Ordine. È per questo che lui lavora con le Banshee senza alcun riconoscimento, Hermione. Lui non avrebbe mai fatto parte di una cosa del genere, se non… se non come prezzo per aiutare te».

«Dopo quello che è successo a Ron, io e Fred abbiamo giurato non avremmo mai messo noi stessi in pericolo come durante la guerra, se non fosse stato necessario» si intromise George, cupo. «Nostra madre non avrebbe sopportato la perdita di un altro di noi, questo lo sai anche tu, Hermione. Per questo mi sono fidato, quando Freddie ha detto che… che non aveva accettato. Sarebbe stato un pericolo assurdo».

Flash di conversazioni, di piccoli gesti e ansie tornarono alla memoria di Hermione. Fred era sempre sembrato piuttosto restio a svolgere quelle sue piccole missioni, prima di poter aiutare direttamente lei. Era sempre stato terrorizzato all’idea che qualcuno in famiglia potesse scoprirlo, che George potesse capire cosa faceva in quelle sue improvvisate fughe.

«Ma… perché? Perché rischiare così tanto solo per me?» domandò, con un filo di voce. «È per… per Ron?» aggiunse, con il senso di colpa sul punto di soffocarla, come se le avessero strappato il cuore solo per riposizionarlo nella sua gola. Lei aveva smesso di amare Ron da anni, eppure suo fratello rischiava la morte in onore della sua memoria.

«Oh, no». Quasi non sentì l’esclamazione colma di orrore di Rosemary, prima che le sue mani calde cominciassero a sfiorarle il viso, con delicatezza. «Io l’avevo detto a quel vecchio caprone! Sta avendo un attacco di panico, George, smettila di guardarla come se fosse impazzita! Non tirare fuori la tua bacchetta, potresti farla spaventare» continuò, la voce simile ad una cantilena che Hermione non riusciva a comprendere. Le stava esplodendo la testa, ma forse era a causa del cuore incastrato in gola, forse non le faceva arrivare sangue al cervello. Ophelia avrebbe saputo aiutarla, senza orma di dubbio. Ophelia era bravissima nel suo lavoro, anche se era più a suo agio con i morti.

I morti.

Come Ron.

Come era stato Fred.

Fred, morto per omaggiare la memoria di Ron.

Lei aveva dimenticato Ron, lui stava morendo in nome di un sentimento che non esisteva più.

«Hermione» il tono autoritario di Rosemary le fece sollevare lo sguardo, annegandola in un universo con lo stesso colore dei laghi ghiacciati della Svizzera. Erano così diversi da quelli di suo padre, ma altrettanto profondi e capaci di incantarla. «Va tutto bene» continuò, mentre le sue mani si muovevano lentamente sul suo viso con movimenti ciclici e ripetitivi. «Respira».

Senza potersi fermare, lei prese un respiro profondo. Poi un altro. Poi un altro ancora.

Così come era arrivato, il cuore in gola scivolò al suo posto, la sua testa smise di pulsare e le mani smisero di tremare.

«Come diavolo hai fatto?» chiese George, pieno di ammirazione. Voltandosi, Hermione lo vide accosciato al suo fianco, diviso fra lo shock e l’ammirazione. «Era un incantesimo? Non hai neanche toccato la tua bacchetta!».

«Ipnosi» sbottò Rosemary, con una smorfia. «È un trucchetto di famiglia, di solito lo uso sui draghi, non mi piace forzare la volontà delle persone, ma in questo caso…» si strinse nelle spalle. «Hermione, adesso cerca di star calma, probabilmente non hai capito un accidente, proprio come aveva previsto papà» aggiunse, borbottando, per poi inginocchiarsi meglio davanti a lei e prenderle una mano fra le sue. «Fred non ha fatto nulla per suo fratello».

George grugnì un «Puoi dirlo forte», prima di lasciarsi andare ad una risata senza allegria. «Quell’idiota è innamorato di te da quando eravamo poco più che bambini, Hermione. Non mi sorprenderei se avesse deciso di aiutare le Banshee anche per poterti tenere d’occhio. Quell’imbecille di un romanticone si sarebbe volentieri fatto uccidere per te» le disse, diretto, senza il minimo riguardo per lo shock nell’espressione di lei. «Durante il vostro sesto anno ha anche pensato di rifilarti una pozione, pur di non farti più soffrire a causa di Ron e Lavanda».

Rose inarcò le sopracciglia, guardandolo. «Non è una cosa molto carina da fare».

«Credimi, tu non hai idea di cosa fosse diventato mio fratello con Lavanda. Non credo di aver mai visto Fred più furioso, ha passato le vacanze di Natale minacciando di strozzarlo. Non sopportava l’idea che lui trattasse male l’unica ragazza che lui…» strinse le labbra, scuotendo poi il capo. «Non è giusto che io dica certe cose, Ron si è ripreso alla fine, nel poco tempo che hanno avuto a disposizione. Io so che Freddie non si è mai pentito di non aver agito scorrettamente».

«Io… io l’ho sorpreso con un mio capello» esalò Hermione, ricordando la conversazione avuta non più di una manciata di giorni prima proprio con il gemello. «Credevo che volesse dare la pozione a Ron. Se lui era già…preso da me, perché avrebbe avuto bisogno di un mio capello?».

George sbatté le palpebre un paio di volte, confuso, per poi scuotere il capo. «Credevi forse che ti avrebbe mai rifilato un filtro per farti innamorare di lui? Non l’avrebbe mai fatto» disse, vagamente indignato. «Voleva solo che tu… superassi Ron. Era l’opposto di una pozione d’amore. Col senno di poi, forse avrebbe dovuto farlo e tu ti saresti risparmiata…» con un gesto indicò la situazione in cui si stavano trovando, «tutto questo. E non avresti rischiato la vita, proprio come quell’idiota al piano di sopra».

  Sono decisamente più egoista di quanto tu non creda.

Le tremarono le mani e, per un lungo istante, fu lieta che Rosemary gliele stesse ancora stringendo, nascondendo almeno un po’ la sua debolezza. C’era così tanto che all’improvviso aveva un senso diverso da quello che lei aveva inizialmente trovato. Così tanto.

Nessuno ti ha mai detto quanto tu sia affascinante, Hermione cara?

Ma era molto più vecchia la questione, non si trattava solo delle ultime settimane. C’era Fred che la consolava al Ballo del Ceppo, Fred terrorizzato all’idea che il suo esperimento le avesse fatto del male, Fred che quasi l’aveva supplicata di concedergli almeno un ballo al matrimonio di Bill9.

C’era Fred che la rassicurava, che comprendeva la sua confusione nel non riuscire a soffrire per Ron il giorno del funerale, che la abbracciava e le augurava di avere un futuro brillante con le Banshee.

Come aveva fatto a capire l’origine del suo dolore, il giorno del funerale?

Era stata una stupida. Lui aveva sempre saputo.

Perché Fred, diversamene da Ron, l’aveva vista fin dal primo giorno. L’aveva vista come Hermione, non come l’altra amica di Harry, non come secchiona Granger.

Come Hermione.

«Quell’idiota» sbottò, sentendo le lacrime bagnarle le guance. «Quel grandissimo idiota» aggiunse, alzandosi in piedi e scansando i due che erano ancora seduti accanto a lei e la stavano osservando come se fosse definitivamente impazzita. «Se solo avesse parlato prima, adesso…» scosse il capo, marciando verso la porta come se avesse voluto buttarla giù con lo sguardo. «Quell’idiota ha detto di amarmi un attimo prima di morire» sbottò, voltandosi un attimo verso George e Rose, più confusi che mai. «L’idiota non sapeva che Katie lo avrebbe riportato indietro, quindi era pronto ad andarsene senza assicurarsi che io gli credessi! Senza chiedermi se per caso io ricambiassi!» aggiunse, allargando le braccia come se avesse voluto prendersela con l’immensità del Cielo. O forse direttamente con l’ignaro Fred, al piano di sopra. «È una cosa così… così… stupida da essere perfettamente da lui! Ed ora che è sano e salvo ed io ho finalmente capito? Ah! Adesso io sto per partecipare ad una missione suicida!» continuò, suonando un po’ matta, dato lo sguardo confuso e poi preoccupato degli altri due. «Oh no, io non ho la minima intenzione di diventare la protagonista di una tragedia, il dramma lo può lasciare a qualcun’altra».

Con la furia di una vera Banshee, allora, spalancò la porta e si precipitò su per le scale, probabilmente saltandole due alla volta. Fece irruzione nella stanza in cui avevano depositato Fred come se avesse voluto strangolarlo e quasi non aspettò che Molly, parecchio confusa, si allontanasse da lui, prima di afferrarlo per il bavero del camice che ancora indossava e scuoterlo come se non ci fosse un domani.

Ophelia le aveva assicurato che fosse totalmente guarito, magari solo un po’ stanco per lo shock di essere resuscitato.

Si fermò solo quando lui aprì gli occhi, lo sguardo pieno di confusione e paura, incurante delle affermazioni oltraggiate di tutti gli altri occupanti della stanza. Ginny doveva aver imprecato ed era piuttosto certa che Harry avesse messo le mani sul pancione per schermare le orecchie dei bambini dal linguaggio scurrile della madre.

«Hermione?».

«Quel filtro, al sesto anno» gli disse lei, fra le lacrime. «Quel filtro non avrebbe funzionato, io non ero innamorata davvero di lui10» sbottò, senza lasciarlo andare, osservando la consapevolezza affiorare nei suoi occhi chiari. «E se tu avessi parlato prima di morire, brutto pezzo di Troll, adesso io non andrei a morire senza aver amato davvero!».

Un silenzio agghiacciato cadde sugli occupanti della piccola stanza mentre una affannata Rose li spingeva tutti fuori, senza tante cerimonie, probabilmente volendo concedere loro qualche minuto di pace.

Lei sapeva che in pochi istanti gli altri membri della squadra sarebbero andati a reclamare sia Hermione che Harry. Sapeva che le loro speranze erano davvero poche. Non c’era verso che il Dottore non le avesse detto tutto.

Anche Ginny lo sapeva, l’aveva sentita imprecare contro Harry non appena era arrivata alla Tana.

«Hermione, cosa… che vuol dire morire?» fu la prima cosa che le chiese lui, le mani sulle sue braccia, come a volerla tenere proprio lì vicino, a portata di mano. Quasi potesse già sparire. «Cosa… Winnie? L’avete trovata?».

«Stiamo andando a prenderla e a distruggere quel mostro, se possibile» fu la breve risposta che ottenne, fra le lacrime di lei. «Perché non me l’hai mai detto, brutto idiota? Avremmo potuto sistemare questa faccenda anni fa! E tu non saresti qui».

Fred scosse il capo. «Era… era così che doveva andare. Ma ora dimmi della missione! Che significa che stai andando a morire? Cosa diavolo credete di fare? Harry è coinvolto? Maine? Lui di certo non vi manderebbe a morire! Katie potrebbe, ma lei è con Malfoy» blaterò, scuotendola leggermente. «Hermione, io vengo con te! Cosa dobbiamo fare? Hermione, dimmi-».

Senza preavviso, lei lo baciò. «Questo vale per gli anni passati» gli disse, allontanandosi di un passo e sfuggendo dalla sua presa. «Sai di non poterti muovere, Weasley, non rendere le cose più difficili» aggiunse, un leggero sorriso ad incurvarle le labbra. «Farò del mio meglio per tornare e, quando lo farò, riprenderemo questo discorso. Sono stata chiara?».

«Hermione…».

Lei era ormai arrivata alla porta, lui stava ancora faticosamente lottando con le sue coperte. Probabilmente ogni arto doveva pesare tonnellate, ma era disposto a combattere. «Per quello che vale, credo di essermi innamorata di te anni fa».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Se sentite qualcuno piangere, probabilmente sono io.

Ho un Malfoy che minaccia di uccidermi, una donna incinta che mi sorride con in mano un bisturi e Fred che mi guarda e dice “mi hai resuscitato per farmi soffrire????”.

Vorrei dirvi che il lieto fine sarà assicurato.

Vorrei, ma non mi piace mentire.

 

 

 

Punti importanti:

 

» * - Oh la tempesta si sta scatenando contro di noi / Se hai paura di cadere allora non guardare giù / Ma abbiamo fatto questo passo, abbiamo fatto questo salto / E prenderemo ciò che verrà, prenderemo ciò che verrà. Io vivo per gli Imagine Dragons e questa canzone credo sia molto adatta alle coppie di questa storia, soprattutto Fred ed Hermione, che in realtà non sono una coppia. Veramente neppure Kate e Draco lo sono. Mi restano solo Philly e Barry

 

» 1 – Mi è stato riferito che a Limoges, in Francia, sono famosi per le ceramiche, non è un’informazione di primo pelo, quindi se si tratta di una sciocchezza dovete perdonarmi, a casa non mi fanno avvicinare alla roba di porcellana ¯_()_/¯.

 

» 2 – Oltre al suo lavoro da Banshee, che spesso e volentieri l’ha portata a dover memorizzare i dati ed i visi dei peggiori criminali in circolazione, non dimenticatevi che Kate è una purosangue. Ci sono famiglie dell’alta società che hanno foto di Bellatrix come mia nonna ha quelle del Papa.

 

» 3 – Nessuno coglie il riferimento a Pretty Princess? Una vera regina non accavalla mai le gambe! Regina Clarisse nel . Una ragazza vuole solo tre cose nella vita: mangiare senza ingrassare, parità di trattamento e diventare principessa di Genovia.

  

» 4 – Lasciate che vi spieghi: Selezione Naturale. Draco è geneticamente perfetto per fare figli negromanti, probabilmente ha qualche antenato a sua volta. E l’accoppiata perfetta è proprio con Kate. Da qui il suo essere Auctor. L’unica cosa da capire è che sono geneticamente perfetti insieme, innamorati proprio a causa della biologia.

 

» 5 – Citazione da “Il Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas.

 

» 6 – Stesso principio di quelli che vogliono diventare immuni ai veleni: ogni giorno una dose sempre maggiore finché non ha più effetto. Le Banshee devono essere immuni al Veritaserum, conoscono troppi segreti importanti.

 

» 7 – Se i Weasley si riconoscono per “capelli rossi, una vecchia toga di seconda mano” [Cit. Draco Malfoy], i Crave si riconoscono perché sono belli, dannati e con i capelli scuri. Oltre gli occhi, Rosie è tutta figlia di suo padre.

 

» 8 – Rose è figlia di un genio. Ed è nipote di un genio (il padre del Dottor Crave era un pozionista famosissimo. Lei ha studiato con i migliori Magizoologi e a vent’anni è diventata la più giovane viceresponsabile di un’intera sezione della Riserva in Romania. Suo padre le ha proibito di entrare a far parte delle Banshee e lei lo ha ripagato trovandosi un fidanzato di dieci anni più grande di lei. Povero Dottore, cuore spezzato.

 

» 9 – Episodi che ovviamente ho inventato io, tranne quello dell’invenzione impazzita. Nel sesto libro Hermione viene colpita da un pugno in scatola (o una cosa simile) ed è Fred a darle la pomata per il livido

 

» 10 – Non sto dicendo che Hermione non fosse legatissima a Ron, posate i forconi. Ma per me fra loro è stata più una questione di abitudine e forte amicizia magari unita ad attrazione, non vero amore. Ehi, nella mia ultima ff l’ho fatto diventare un pazzo, qui sono stata clemente, è morto da eroe.

 

Amo Rosemary Crave alla follia e amo anche tutti gli altri.  

Oh, vi conviene dare un’occhiata a due capitoli fa, mi sono accorta di aver pubblicato la versione sbagliata (ho solo aggiunto una frase, nulla di assurdo)!

 

 

Essere in una relazione con una Banshee non è molto comodo.

 

 

Potrei non riuscire ad aggiornare la settimana prossima! Farò del mio meglio!

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 23
*** Atto IX. Parte I - Legami ***


LErede del Male.


 

You see me standing, but I'm dying on the floor
Stone cold, stone cold
Maybe if I don't cry, I won't feel anymore*”



[Demi Lovato – Stone Cold]

                                  

 

Atto IX, Parte I –  Legami

 

 

Il Magazzino era abbandonato da almeno una trentina d’anni, stando alle sue informazioni. Ad un primo sguardo, Hermione non avrebbe dedicato più di un pensiero ad un luogo simile, convinta che fosse davvero nulla più di una bettola piena di drogati. Accanto a lei, Barry mugugnò qualcosa molto simile ai suoi pensieri, mentre Kate si limitò a scuotere il capo.

«Non è quello che sembra» intervenne Harry, secco, alzando la mano per indicare qualcosa alla loro sinistra. Hermione non vedeva altro che mura distrutte e i resti del giaciglio di qualche barbone. Il suo migliore amico aveva un’espressione cupa, molto simile a quella che lei aveva visto la mattina dell’incidente di Lipsia, anche se meno tormentata, meno autodistruttiva. Pensandoci bene, quella era la stessa espressione che lei aveva visto sul suo viso prima che distruggesse Voldemort definitivamente.

«Cosa vuoi dire, Potter?» chiese Barry, ansioso, stingendo di più la presa sulla sua bacchetta. La fede nuziale brillava al suo anulare, stranamente: non era solito portarla con sé in missione. Ma solitamente sua moglie era giusto al suo fianco, mentre in quel caso era rimasta a casa. Perché? Hermione non aveva chiesto, quando erano partiti per raggiungere la loro destinazione1. In quel momento non le importava un granché di nulla, avrebbe accettato anche di andare in missione da sola.

Dentro di sé, sapeva che non sarebbe tornata a casa, da Fred.

«Ha ragione, non è quello che sembra» confermò Kate, facendo un passo avanti ed osservando con criticità la porta d’ingresso che si stagliava, stranamente solida, a pochi passi da loro. Erano arrivati fin nel cuore dell’Isola di Yell, nel nord della Scozia, e una volta lì avevano dovuto trovare il luogo più sperduto nelle coste a nord. Faceva freddo come poche volte Hermione aveva provato in vita sua, nonostante il mantello delle Banshee fosse praticamente un enorme thermos. Non osava immaginare come dovesse sentirsi Harry. Kate, dal canto suo, era passata ad una versione inquietante ma non troppo di Katrina, con gli stessi agghiaccianti occhi neri ma senza l’aura da cadavere che l’aveva sempre accompagnata. Neppure lei sembrava infreddolita. «Ci sono molte Creature all’interno. Un numero impressionante, se devo essere totalmente sincera. Dubito, inoltre, che l’entrata non sia stata incantata» aggiunse, il capo leggermente piegato di lato. «Ci stanno aspettando, certo, ma ciò non significa che vogliano stenderci il tappeto rosso».

«Hanno bisogno del vostro sangue, non credo siano tanto disposti a sprecarlo» rifletté Barry ad alta voce, guardando Harry e Kate, le sopracciglia inarcate. «Certo, potrebbero voler far fuori me ed Hermione, siamo solo un peso».

La Negromante annuì, con un sorriso davvero poco sensato in quel momento. Hermione la osservò avvicinarsi al Magizoologo e prendergli la mano in un gesto delicato di conforto. Poco più di un giorno prima lei non avrebbe potuto fare nulla del genere senza ucciderlo all’istante. «Non preoccuparti, non permetterò che ti facciano del male. Tornerai a casa da Philly, fosse l’ultima cosa che faccio».

L’uomo la osservò per qualche istante, probabilmente cercando qualcosa nel suo sguardo. Dovette trovarlo, perché sospirò e sorrise. «Se dovessi tornare senza di te, credo che lei andrebbe fino in Romania pur di trovare qualcuno capace di riportarti indietro. Sono le regole del branco, Trina» le disse, dolcemente, per poi indicare con un cenno la porta davanti a loro. «Credi sia il momento di farci avanti? Riesci a capire di cosa si tratta?».

Quando Kate si strinse nelle spalle e poi si voltò verso di lei, Hermione sospirò e tirò fuori la bacchetta. Era il momento di un po’ di lavoro in vecchio stile per lei, evidentemente. Aveva trascorso quasi tre mesi interi del suo addestramento a ricercare vecchi incantesimi nascosti, con intere giornate chiusa in vecchie piramidi egizie. Poteva farcela. Era il suo campo, era il suo talento speciale.

«Hermione» la chiamò Harry, posandole una mano sulla spalla e sorridendole con una scintilla divertita nello sguardo. «Ti ricordi la ricerca degli Horcrux? Se siamo riusciti a trovare quelli, questa deve essere una sciocchezza, no? Voglio dire, a undici anni mi hai fatto arrivare alla Pietra Filosofale, adesso puoi fare qualunque cosa» le disse, con un occhiolino complice.

«In realtà non ho fatto tutto da sola, lo sai».

«Ti prego, risparmiami la falsa modestia. Sarei morto più volte di quanto mi piacerebbe ammettere senza di te».

Si sorrisero come se gli ultimi quattro anni non fossero mai trascorsi, come avrebbero fatto prima della Battaglia, prima delle ferite impossibili da guarire davvero. Fu un sorriso che rinvigorì Hermione, consentendole di concentrarsi sulla prova che le si stagliava davanti. Stranamente, quella seconda occhiata le consentì di notare dettagli che poco prima le erano completamente sfuggiti: c’era una strana curvatura nell’angolo sinistro della grande porta di ferro ed il colore variava in modo innaturale, la parte arrugginita molto più accentuata sul lato destro che sul sinistro. In qualunque altro momento, sarebbe stata quella che lei avrebbe scelto per aprire la strada agli altri, ma le sembrò troppo facile. Tiresias avrebbe potuto prevedere quella sua mossa. 

«Kate» chiamò allora lei, con un gesto impaziente della mano, senza neppure voltarsi per verificare che la compagna si fosse avvicinata. «Tiresias non può vederti, giusto? Qualsiasi cosa tu faccia, anche se diretta da me?» domandò, cominciando a calcolare le sue mosse ma senza scendere troppo nel dettaglio. Avrebbe dovuto pensare a tutto un piano molto lentamente, senza rivelare troppo o troppo velocemente.

«Qualsiasi cosa io faccia, per Tiresias è un buco nero» confermò lei, con un cinguettio allegro. «Immagino tu voglia usare l’Imperius, così da non dover parlare, uhm?» chiese poi, stringendo per un singolo istante le labbra, come se avesse voluto lamentarsi ma non avesse trovato il coraggio. O non avesse valutato abbastanza le proprie lamentele da arrivare a porle ad alta voce. «Dopotutto può vedere, non può certo sentire i tuoi pensieri2» spiegò, incrociando le braccia al petto.

«Sei sicura?» le chiese, incerta, guardandosi intorno quasi avesse potuto scoprire Tiresias intento a spiarli da dietro un qualche cespuglio. «Un Imperius non è una sciocchezza da sopportare, non vorrei fosse anche inutile. L’ultima volta che l’ho usato ho quasi mandato al diavolo una missione intera perché poi Ophelia si è ribellata senza rendersene conto».

Da dietro di loro, Barry grugnì, mentre Kate alzò gli occhi al cielo. «Io non mi ribellerò e sì, puoi star certa che non mi vedrà. Ho avuto modo di parlare con qualcuno abbastanza preparato sull’argomento, siamo coperti».

Barry si accigliò, osservandola con il capo inclinato. «Con chi hai parlato?» le domandò, osservandola farsi avanti fino a fronteggiare Hermione in un chiaro invito ad essere messa sotto incantesimo.

La risatina che lei gli dedicò avrebbe fatto rabbrividire un po’ chiunque. «Mio padre» gli rispose, macabra, allargando le braccia come ulteriore incoraggiamento per lei. «E voi non avete idea di quanto io stia godendo all’idea che quell’essere non sappia nulla del nostro incontro».

Hermione non perse tempo in spiegazioni inutili, sollevò la bacchetta e, dopo un respiro profondo, si concentrò per poter scagliare l’incantesimo. Il vecchio formicolio al braccio le diede una scarica d’adrenalina, una sensazione di onnipotenza che per troppo tempo aveva dovuto mettere da parte. «Imperio».

Kate aveva promesso che non si sarebbe ribellata ed Hermione le credette, nonostante le resistenze involontarie che incontrò nel prendere il controllo di lei. Era come tentare di nuotare controcorrente, realizzò, stringendo i denti ed osservando la patina nebbiosa oscurare lo sguardo nero della Negromante. Era una resistenza naturale, niente di forzato, e alla fine riuscì anche a vincerla.

Osserva la porta, Kate.

Come un pupazzetto, la vide girarsi e fermarsi, immobile, davanti alla porta.

«È fin troppo brava con questa roba, non è vero?» chiese, incerto, Harry, voltato probabilmente in direzione di Barry, che ridacchiò.

«Stai parlando con la migliore Incantatrice e Spezzaincantesimi delle Banshee. Hermione ha così tanti talenti che ormai il Supervisore credo abbia iniziato già ad addestrarla come sua erede».

Se solo loro avessero saputo quanto, invece, la sua candidatura fosse stata un rischio. Se solo avessero immaginato le contrattazioni che quella sua posizione era costata a Fred.

Distruggi il sigillo nebbioso nell’angolo sinistro della porta. Usa l’incanto di dissipamento.

Lentamente, Kate alzò la propria bacchetta, puntandola contro l’angolo che lei stessa aveva indicato. Hermione la osservò agire come se fosse stata lei stessa a muoversi, ma non aprì bocca. Una parola avrebbe potuto distruggerli tutti.

Hermione ignorò le chiacchiere dei suoi amici, prestando attenzione solamente alla giovane davanti a lei. Avrebbe voluto chiedere loro di fare silenzio, ma non si azzardò. Con tutta l’attenzione disponibile, a Kate servì una buona ventina di minuti prima di riuscire ad ottenere qualche risultato. Quando, finalmente, la porta si spalancò, Hermione si azzardò a sollevare la Maledizione da lei. Riuscì ad afferrarla prima che cadesse al suolo, per poi spostarsi leggermente e lasciare che fosse Barry a prenderla fra le braccia ed accompagnarla delicatamente al suolo.

Non sembrava esserci nessuno oltre la soglia, potevano lasciarle qualche istante per riprendersi: per le Banshee non resistere ad un Imperius era estenuante3.

«È una fortuna che non ti sia portata dietro Malfoy» commentò Barry, quando lei sembrò ritrovare abbastanza fiato da poter parlare con relativa tranquillità. «Avrebbe perso la testa, considerando gli ultimi sviluppo. Anzi, sono abbastanza certo che in questo momento stia distruggendo qualcosa in preda alla rabbia».

Harry inarcò le sopracciglia, porgendo un fazzolettino alla negromante, così che potesse asciugarsi il viso. «Dubito che quello sia un comportamento da Malfoy, non gli importa molto oltre la sua pellaccia» gli fece notare, inarcando le sopracciglia ma senza alcun tipo di battuta sul passato in comune che lui e la sua vecchia nemesi condividevano.

«Forse hai ragione, dubito possa iniziare ad avere un qualche interesse per me» concordò Kate, con un sorriso che anche ad Hermione sembrò vuoto, falso.  «Ma è un egoista con l’orgoglio ferito e che condivide la mia energia vitale. Darebbe qualunque cosa pur di vendicarsi ed assicurarsi che io non muoia e gli faccia passare le pene dell’Inferno».

«Philly lo saprà tenere sotto controllo» la tranquillizzò Barry, lasciandola andare solo quando lei gli assicurò che potesse reggersi in piedi. «E magari gli farà anche qualche domanda che io avrei voluto fargli. Non mi piace il modo in cui ti è stato attaccato da quando siete tornati, Trina».

Il suo tono burbero fece ridere la Negromante e sorridere anche Hermione. Barry era sempre stato estremamente protettivo verso tutte loro, ma con Katie – e poi con Katie, di conseguenza – aveva sempre avuto un rapporto tutto particolare.

Facendo cenno verso l’interno, Kate cercò di liquidarlo. «Non preoccuparti, non è una condizione duratura. In questo momento starà già pensando a come vendicarsi per la mia trappola».

 

***

 

Il rumore di un’ennesima sedia scaraventata contro il muro portò Ophelia ad un passo dall’usare i suoi incantesimi di dissezione contro un essere vivente, sempre che tale potesse essere la definizione dello stato in cui, in quel momento, si trovava Draco Malfoy. Kate le aveva spiegato qualcosa del legame che esisteva fra di loro, specificando come probabilmente lui avrebbe potuto risentire leggermente di qualunque cosa fosse accaduta a lei ma rassicurandola sull’efficacia dell’anestetico che lo stesso dottor Crave le aveva consigliato. In teoria, Malfoy avrebbe dovuto passare le seguenti dodici ore seduto in un angolino a mugugnare cose incomprensibili, stordito dal veleno e troppo debole per fare qualunque cosa non fosse solo imbronciarsi.

Quando lui puntò il tavolino all’angolo, Ophelia si pizzicò stancamente la radice del naso, contando fino a dieci prima di rendere quell’insignificante sgorbietto il suo ennesimo esperimento.

Trina doveva aver calcolato male le dosi, perché Malfoy era tutto tranne che docile e stordito.

«Se ti avvicinerai di un passo a quel vaso, giuro che ti darò in pasto al Nundu4 di mio marito» gli sibilò contro, balzando in piedi ed avvicinandosi, protettiva, al pezzo di ceramica in questione. Gli avrebbe lasciato distruggere tutto, se necessario, ma non quello.

«Tuo marito non ha un Nundu a portata di mano» sbottò lui, sbruffone, fissandola come un toro avrebbe fissato il torero pochi istanti prima di fargli fare una bruttissima fine. E lei lo sapeva per esperienza, Barry l’aveva trascinata a Pamplona per tentare di sabotare quante più corride possibili, durante il loro viaggio di nozze. A suo parere era un’attività romantica. «E tieniti pure lo stupido vaso, a patto che tu mi faccia andare via».

Le sue sopracciglia scure si alzarono alla velocità della luce e, sbattendo le ciglia con incredulità, si risollevò gli occhiali sul naso. Aveva pianto troppo per poter indossare le lenti a contatto, erano la sua ultima risorsa per non scambiare Malfoy con una scopa5. «Come ho già detto, tu sei agli arresti domiciliari tanto quanto me. Siamo bloccati qui dentro tutti e due, non solo tu» gli fece notare, incrociando le braccia ad altezza del ventre. Era già un riflesso incondizionato alla gravidanza? Lei ancora non poteva crederci. «Quanto al Nundu… una volta finita questa incresciosa situazione, ricordami di portarti a casa mia. Sono certa che Ike adorerà avere un nuovo compagno di giochi».

Malfoy sbuffò, irritato, passandosi una mano fra i capelli già sconvolti. Era una fortuna che avesse smesso di riempirli di disgustosa gelatina come lei ricordava facesse da ragazzino, sarebbe stato alquanto disgustoso. «Come fai ad essere tanto tranquilla? Tuo marito è lì da solo, non vuoi raggiungerlo ed aiutarlo?» le chiese, irritato.

Ophelia avrebbe voluto sorridere, ma scoprì di non esserne capace. Fu una rivelazione che, per un istante, la riempì di paura: non aveva più avuto un problema simile da quando aveva conosciuto Barry.

«Non sono tranquilla» gli fece notare, tornando ad accomodarsi sull’unica poltrona rimasta ancora intera. «Come potrei esserlo? Mio marito è in una missione potenzialmente suicida con Trina e con Harry. Ed Hermione non ha ricevuto il via libera da parte dello psicologo per partecipare. Ho mandato le tre6 persone più importanti della mia vita in una missione potenzialmente suicida con una ragazza instabile» gli fece notare, stringendo le labbra in un momento di senso di colpa. Lei adorava Hermione come se fosse una sorella più giovane, ma Crave era stato molto chiaro poco prima che partissero.

Lei era ancora sotto shock, non era la loro Hermione.

Malfoy si accigliò, forse perché preoccupato per la notizia sull’instabilità della sua vecchia nemica. «Perché ti importa così tanto di Potter?» le chiese invece, una nota curiosa nella voce, quasi totalmente oscurata dall’ansia. «Non è la prima volta che ti sento essere tanto parziale. Credevo fosse perché lui è il Prescelto e altre stronzate, ma c’è dell’altro, non è vero?».

Decisamente Malfoy era più sveglio di Harry, doveva dargliene credito. Ma, dopotutto, era imparentato anche con Sirius e Sirius aveva sempre avuto occhio per certi dettagli.

«Harry è tutto ciò che è rimasto della mia famiglia» gli rispose, semplicemente, indicando la fotografia ancora miracolosamente integra sul mobile all’angolo della stanza. Malfoy si avvicinò lentamente, osservando uno dei pochi resti della sua vita passata. Nella fotografia, una sua versione ancora sedicenne sorrideva fra le braccia di un uomo incredibilmente simile ad Harry, mentre una donna con i capelli rossi ed estremamente incita li guardava nascondendo un sorriso dietro la mano. «La nonna di Harry – la madre di James – era mia zia. Quando mia madre è morta e mio padre si è dovuto trasferire in America per lavoro ho praticamente vissuto con loro, io e James eravamo come fratelli» spiegò, lasciando che la vecchia, dolce ferita si riaprisse nel suo cuore. «Quella fotografia è stata scattata poche settimane prima della nascita di Harry, è l’ultima che ho potuto fare con loro due. Il vaso è un regalo di James, sai».

Con ancora la fotografia fra le mani, Malfoy si voltò a fissare il vaso in questione, il naso leggermente arricciato. «È un regalo orribile» le fece notare, stranamente meno crudele di quanto lei si sarebbe aspettata. «Ed il padre di Potter era disgustosamente uguale a lui. Anche tu gli somigli, in realtà».

«Tranne per gli occhi» lo interruppe, con una risatina triste. «Lui non ha gli occhi dei Penderghast, sfortunatamente. Non che questo abbia una qualche importanza, naturalmente» liquidò, con un gesto blando della mano. «Da quando i suoi nonni e mio padre sono morti, io non ho più nessuno, se non Harry. E vuoi sapere la parte più tragicomica di questa storia?» gli chiese, scuotendo il capo come se lei stessa non credesse all’assurdità della situazione.

«Cosa?».

«Harry non ha la minima idea di chi io sia» gli rivelò, lasciandosi andare contro lo schienale della poltrona con fare drammatico. «Per anni ho ripetuto a me stessa che fosse preferibile lasciarlo andare, che dirgli la verità fosse troppo pericoloso, soprattutto considerato il suo destino. Quando ci siamo rivisti… non ho avuto il coraggio. Cosa avrei fatto se mi avesse odiata?».

Malfoy la guardò come se avesse detto un’eresia. «Potter? Odiarti? Mi dispiace dirtelo, ma lui odiava me e mi ha salvato dall’Ardemonio. Tu sei l’ultimo membro della sua famiglia, probabilmente si sarebbe trasformato in una zecca e te lo saresti ritrovato sempre alle spalle, come un fedele cagnolino» sbottò, incredibilmente serio. «Ma posso capire i tuoi timori, immagino. L’illusione è migliore della realtà, eh?».

Senza alcuna allegria, Ophelia annuì. «L’incertezza fa parte del genere umano» concordò. «Nella nostra mente, invece, possiamo avere tutte le certezze di cui abbiamo bisogno e nessuno può impedircelo. E se devo dirla tutta, negli ultimi anni credo di aver… uhm… proiettato molto su Trina. L’ho praticamente adottata con la forza. Credo di aver visto molto di Harry in lei».

Malfoy sbuffò, dubbioso. «Kate e Potter sono il giorno e la notte» le fece notare, mettendo al suo posto la fotografia e tirando fuori la bacchetta per ricostruire l’altra poltrona – distrutta per prima – ed accomodarcisi sopra con estrema eleganza.

Ophelia sentì un sorrisino crudele pizzicarle l’angolo delle labbra. «Oh, davvero? Perché? Entrambi hanno avuto figure genitoriali pessime ed hanno dovuto affrontare un destino avverso. Entrambi sono predestinati».

«Potter è un idiota, senza offesa» le disse allora lui, quasi sconvolto dal fatto che lei avesse dovuto chiedere il perché. «La sua sopravvivenza è stata una lunga serie di colpi di fortuna e macchinazioni del vecchio preside. Kate era da sola ed è riuscita a sopravvivere dove molti si sarebbero solamente lasciati andare».

«Katie non è mai stata davvero da sola» gli fece notare lei, le sopracciglia inarcate ed il sorriso ben nascosto dietro l’espressione dubbiosa. «Ma immagino possa essersi sentita abbandonata, soprattutto adesso. Era pronta a non portare in missione neppure Barry, pur di tenerlo qui con me e con il nostro bambino. Anche se così facendo sarebbero aumentate le sue possibilità di morire. Nonostante noi non la abbandoneremmo mai, potrebbe comunque credere di non avere più nessuno».

«Questa è una follia» sbottò Malfoy, irritato. «Kate ha me. Ed io ho lei».

Cercando di mostrarsi quanto più impassibile possibile, Ophelia si osservò le unghie della mano sinistra, falsamente incantata dai giochi di luce che il suo anello di fidanzamento, con la fede, produceva. «Eppure credevo che tu ti fossi rifiutato di accettare il vostro legame. Anche se condividete l’energia vitale, da lì a voler essere al suo fianco ce ne vuole. Dovresti volerti allontanare da lei, piuttosto. Cercare un modo per non sentire nulla nel caso dovesse… non farcela». A quel pensiero, non riuscì a trattenere un brivido ed un conato di nausea. Trina sarebbe tornata da lei, così come Barry, e sarebbe diventata la migliore madrina mai passata per il Regno Unito.

Suo figlio non avrebbe passato la sua vita come Harry, chiedendosi chi fosse la sua famiglia.

«Tu come diavolo fai a sapere del mio rifiuto?» le domandò lui, cauto ed anche piuttosto imbarazzato, rifiutandosi di guardarla negli occhi. «Eravamo soli».

«Segreti madre-figlia, non mi aspetto che tu possa capire» liquidò lei, con un gesto veloce. In realtà era stata proprio Trina a raggiungerla, in lacrime, dopo averlo lasciato immobilizzato nella sua stanza. Il rifiuto del legame predestinato, stando a quanto aveva capito, era una brutta faccenda, spesso richiedeva settimane per perdere i suoi effetti negativi, ma lei aveva avuto solo dieci minuti ed un abbraccio per ritrovare la forza di asciugarsi il viso, indossare la sua migliore maschera coraggiosa e farsi avanti. In realtà sospettava che la stabilità mentale ed emotiva di quella povera creatura fosse stata definitivamente danneggiata, era a suo modo una bomba ad orologeria ed Ophelia temeva il momento in cui sarebbe scoppiata. «Per caso vorresti ritrattare?».

«Io…» esitò, stringendo le labbra con fare imbarazzato. «Non lo so, d’accordo? Per una volta, nella mia vita, mi piacerebbe poter scegliere! Una volta, una sola. Da piccolo ho sempre avuto mio padre ad indicarmi la strada, poi il Signore Oscuro, poi ancora gli Auror. Sono diventato un imprenditore in proprio per poter mantenere un po’ di autonomia, ma anche così sono più le regole da seguire che le scelte che mi sono consentite. Almeno…» deglutì, fissando con ansia le proprie mani raccolte in grembo. «Almeno in amore vorrei poter scegliere. Anche se dovessi finire con lo scegliere comunque lei, vorrei poterlo fare».

Senza poter nascondere il sorriso, questa volta condito da una certa stizza, Ophelia lo guardò finché lui non alzò lo sguardo. «Sei consapevole che potresti finire comunque con lo scegliere lei, quindi non… non credi che non meriti neppure un tentativo?».

Draco la fissò come se fosse stupida. «Stai scherzando? Io ho avuto una cotta per Katie Bell da quando avevo undici anni» sbottò, arrossendo furiosamente intorno alle orecchie. «Era una purosangue di ottima famiglia, incredibilmente bella ed una campionessa di Quidditch. Eravamo tutti innamorati di lei7, anche Baston, ma probabilmente non abbastanza» ringhiò quel nome con una certa stizza. «Se non mi sono mai fatto avanti è stata colpa sua. E quando l’ho visto ad Hogsmeade, quella mattina…» chiuse gli occhi, sopraffatto dalla stizza.

Philly si raddrizzò sulla poltrona, la mano davanti alle labbra per impedirsi di lasciar scappare un verso tutt’altro che dignitoso. «Stai parlando del giorno in cui le hai dato la collana maledetta? L’hai fatto perché hai visto Oliver Baston ad Hogsmeade?».

Malfoy ebbe il buongusto di arrossire di più. «Avevo sedici anni, Voldemort che mi alitava sul collo e lui… lui era lì come a sbattermi sotto al naso di aver ottenuto tutto ciò che io ho sempre voluto! Ero così arrabbiato che non ho pensato ad altro che a vendicarmi, non… io volevo solo sentirla vicina, per una volta sola! E comunque quello non contava neppure come un bacio vero».

«Tu mi stai- bacio?» domandò, sconvolta, per poi scuotere il capo e cercare di concentrarsi di nuovo. Non era il momento di cedere all’irritazione per il modo vile con cui lui aveva approfittato di Katie sotto Imperius8, c’erano cose più importanti. «No, lascia perdere. Hai detto di aver visto Oliver Baston ad Hogsmeade, il giorno dell’incidente di Katie?» gli chiese, ansiosa. «Draco… Baston quel giorno aveva una partita in Galles. Io lo so, ero lì».

Malfoy la fissò senza alcuna espressione per un lungo istante, prima di scoprire i denti in un ringhio. «Tiresias» sbottò, dandosi un pugno sulla coscia. «Lo sapevo, sapevo di essere stato manipolato. Mettere Katie sotto Imperio era stata una mossa troppo stupida da parte mia9» si lagnò, nonostante fosse leggermente sollevato. «Dopo anni passati ad elaborare un piano dopo l’altro per convincerla a scegliere me e non Baston, non avrei mai buttato tutto alle ortiche volontariamente».

«Sapevamo che ci avesse manipolati tutti, ma non avevamo ancora capito fino a che punto» convenne lei, annuendo lentamente. «Credo che non sia stato solo tu a non avere una scelta, in tutta la tua vita».

Malfoy sbuffò, prendendosi la testa fra le mani. «In questo momento non mi importa neppure un granché, vorrei solo che aprissero quella dannata porta e mi facessero raggiungere quell’idiota. Non posso lasciare che muoia pensando che io…» si fermò, incapace di continuare. Dal canto suo, Ophelia capiva benissimo come si stesse sentendo. L’idea di Barry in missione le tagliava il respiro. Se Barry fosse andato via credendo che lei lo volesse rifiutare…

Lei, tuttavia, aveva una missione più importante da portare a termine e sapeva bene che suo marito non l’avrebbe mai perdonata se avesse messo volontariamente in pericolo ste stessa o il bambino. Non quando, a detta del medico della base, non aveva ancora concluso il secondo mese di gravidanza10.

Troppo presto per rischiare.

Il rumore della porta che veniva aperta di colpo li fece trasalire e, al tempo stesso, riempire di gioia. Forse era stato deciso che potessero aiutare in qualche modo! Forse avrebbero permesso almeno a Malfoy di raggiungerli! Forse erano già tornati! Forse-

Quando un giovane uomo dai capelli rossi venne poco delicatamente scaraventato nella stanza con loro da parte del Supervisore, incurante degli improperi che detto uomo gli stava rivolgendo, sia Ophelia che Draco si sgonfiarono, lasciandosi andare contro le rispettive poltrone.

«Ti conviene sederti Weasley. E benvenuto ai tuoi arresti domiciliari».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

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Hello darkness my old frieeeeeeend

Sempre gioie per i miei bambini. Ed ho appena iniziato a maltrattarli come si deve! ψ(´)ψ

Draco ha la rabbia distruttiva, Ophelia è stanca e Fred non ha avuto neppure il tempo di riprendersi che è stato sbattuto in “galera”.

Harry e Barry vogliono solo andare a prendersi una benedetta birra.

Hermione e Kate vogliono solo ricoverarsi in psichiatria.

Aiutateli, sono problematici.

 

 

 

Punti importanti:

 

» * - Mi vedi stare in piedi, ma sto morendo sul pavimento / Fredda come la pietra, fredda come la pietra / Forse se non piangerò non sentirò più nulla. Questa canzone ha recentemente preso possesso del mio povero cuoricino. Kate è stata rifiutata e non vuole farlo vedere, Hermione è convinta che non tornerà indietro e non vuole farlo vedere… Harry è sempre a pezzi e cerca di non farlo vedere.

 

» 1 – Hermione non ha idea che Philly sia incinta, perché Hermione era troppo presa da ciò che era successo a Fred per prestarle attenzione. Hermione è in una fase molto “egoistica”, diciamo. Per essere specifici, è talmente traumatizzata che avrebbero fatto bene a chiuderla da qualche parte per un paio d’anni.

 

» 2 – Immaginate il cinema. Tendenzialmente al cinema non si sentono i pensieri, no? E se non ci mostrano chiaramente qualcuno, noi non lo vediamo. Quando c’è di mezzo Kate, Tiresias vede solo una grossa macchia nera che non parla MAI. Se Hermione dovesse chiedere “che ore sono?” e Kate dovesse rispondere “le cinque!”, Tiresias non sentirebbe la risposta.

 

» 3 – Vale la regola del Veritaserum. Degli Agenti come le Banshee che possono essere controllati da un semplice Imperius sarebbero ridicoli. Devono tutti sviluppare una tendenza naturale alla resistenza, per superare il loro test.

  

» 4 – Nundu: L'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche ha classificato il Nundu come XXXXX (Noto Ammazzamaghi). Il suo fiato provoca epidemie letali, sterminando interi villaggi. La bestia, per via della sua pericolosità, è stata soggiogata con la collaborazione di numerosissimi maghi molto esperti. [Da: Animali Fantastici e dove trovarli]

 

» 5 – Credo di averlo già accennato, ma Ophelia è cieca quanto Harry e quanto il compianto James. Si tratta di un tratto caratteristico dei Penderghast, purtroppo!

 

» 6 – Perché tre? Ophelia vuole bene ad Hermione, è una sua carissima amica, ma Harry, Kate e Barry sono la sua famiglia. Hermione è una collega, oltretutto instabile. Non è insensibile, è solo umana.

 

» 7 – Mi è stato fatto notare precedentemente (non ricordo da chi e, perdonatemi, non ho proprio il tempo di andare a cercare) che Kate sia un po’ una Mary Sue. È lo scopo del personaggio, anche se indirettamente. Kate ha un potere figlio di Amore e Morte, è bella da morire, perfetta da morire. Deve attirare sguardi, deve attirare tutta l’attenzione possibile. I suoi geni inizialmente le impedivano di sviluppare il potere attivo, ma non per questo lei non aveva la predisposizione. Lo stesso Thanatos dice che lui o Eros avrebbero potuto “riconoscere il potere in lei”. Lei è sempre stata geneticamente predisposta alla perfezione, solo che sfortunatamente questa perfezione non si è mai estesa a livello psichico, rendendola una ragazzina estremamente testa calda da giovane e poi instabile da adulta. Lei è perfetta, ma non si ritiene lontanamente accettabile.

 

» 8 – Non è un comportamento da giustificare ragazzi, è violenza sessuale! Non si baciano le ragazze messe sotto Imperius, anche se ve le sognate la notte da quando avevate dodici anni. Non si fa. Oltretutto quel bacio è stato, in effetti, tutta opera della volontà di Draco.

 

» 9 – Ebbene, Draco non ha agito solo per puro spirito d’idiozia. Non sto dicendo che non avrebbe incantato qualcuno per portare la collana al preside, no. Draco non avrebbe scelto, poco ma sicuro, la ragazza per cui ha sempre avuto una cotta atroce. Ma Tiresias ha tirato i suoi fili in modo molto astuto.

 

» 10 – Altra domanda che mi è stata posta: come faceva Kate a sapere della gravidanza prima di Ophelia? Kate percepisce le cose vive e le cose morte. Quando ha toccato Ophelia per controllare che lei non fosse entrata in contatto con il sangue del famoso negromante, ha percepito un’altra vita in lei. Ophelia attualmente è all’ottava settimana, il cuore del bambino batte già. Se tornate indietro al capitolo di Diagon Alley potrete notare il momento esatto in cui lei l’ha capito!

 

 

 

Grazie a chiunque mi abbia dedicato un pensiero la settimana scorsa, il mio esame è andato alla grande ed io ancora non ci credo! (Potrebbe essere un effetto collaterale di tutte le medicine che sono costretta a prendere nell’ultimo periodo – non c’è mai fine alla gioia  - ma non mi importa, la sessione estiva è finita!!!)

  

 

Il prossimo capitolo potrebbe essere parecchio più corto del normale, ma è necessario!

Vi aspetto tutti lunedì prossimo!

Per qualunque domanda, scrivete pure, sono pronta a rispondere (o quantomeno ad aggiungere alla luuuunga lista di super chiarimenti che devo ancora dare :S)

 

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 24
*** Atto IX, Parte II - Utopia ***


LErede del Male.


 

Until they became conscious they will never rebel,

and until after they have rebelled they cannot become conscious.*”



[George Orwell - 1984]

                                  

 

Atto IX, Parte II –  Utopia

 

 

 

Harry si rese conto che qualcosa non fosse andato per il verso giusto un attimo dopo essersi voltato per poter scambiare qualche parola con Barry, senza trovarlo. Era sicuro che fosse alle sue spalle, così come era sicuro che Hermione e Kate fossero davanti a lui. Ed era anche più che certo di non essere mai tornato a casa, pur trovandosi lì.

Grimmauld Place non aveva mai avuto tutti quei giochi sparsi per le stanze, però.

Confuso, si chinò a raccogliere un ranocchio di peluche, tenendolo fra le dita come se fosse stato sul punto di esplodere. Somigliava a quello che lui aveva comprato a Teddy quando era andato a trovarlo per la prima volta, ma non poteva certo essere lo stesso. Quello appartenuto al suo figlioccio aveva fatto una fine non troppo onorevole durante il suo allenamento con il vasino. Neppure Andromeda era riuscita a salvarlo.

«Harry, sei tu?» lo chiamò Ginny dalla cucina, facendolo irrigidire. Era abbastanza sicuro che lei non avesse usato quel tono esasperato, nei suoi confronti, per almeno sei mesi. Era sempre stata molto attenta con lui, soprattutto dopo Lipsia. Sentirla nuovamente abbastanza a suo agio da trattarlo come l’idiota che era consapevole di essere gli provocò una scossa al cuore. Stava finalmente per riottenere ciò che credeva di aver perso? «Potter, porta il tuo flaccido culo da Sopravvissuto in questa stanza, tuo figlio mi sta facendo impazzire».

«Arrivo, Gin» le rispose, quasi in automatico, spogliandosi del mantello ed avviandosi meccanicamente verso la stanza da cui sentiva provenire rumori di un bimbo agitato e di una mamma esasperata. Fu con una certa sorpresa che non si sentì sorpreso nel ritrovare un bimbo decisamente più grande del feto che i suoi gemelli dovevano ancora essere, con grandi occhi scuri ed una chiazza di capelli castani e disordinati sulla fronte. «Jimmy! Cosa stai facendo alla tua mamma, uhm?» domandò, con un sorriso enorme, sentendo il cuore scaldarsi quando il bimbo lo imitò prontamente, mettendo in mostra due dentini nuovi di zecca. Sua moglie, da poco lontano, gli dedicò uno sguardo totalmente esasperato, indicandogli con un certo disgusto la propria maglia sporca di quella che sembrava essere una purea verdastra.

«Tuo figlio si è dato all’arte, stasera».

«Sono piselli? Lo sai che odia i piselli» le disse lui, le sopracciglia inarcate, avvicinandosi per poterle lasciare un piccolo bacio sulle labbra, schivando per un pelo l’abbraccio con cui lei aveva tentato di sporcarlo a sua volta.

Ginny alzò gli occhi al cielo, allontanandosi per poter dare una pulita al viso del suo bambino. «Solo perché a te non piacciono i piselli, Harry, non significa che non debbano piacere anche a lui. Non proiettarti su nostro figlio, per favore» lo riprese, senza riuscire, tuttavia, a nascondere il proprio sorriso. «Oggi ha morso Ron sul naso, è mancato poco che glielo staccasse via. James è molto più cannibale di quanto non avessi immaginato1» si lagnò, scuotendo il capo e lasciando che i capelli rossi le dondolassero sulle spalle.

Una campanella d’allarme suonò nel retro del cervello di Harry.

«Hai detto… Ron?» le chiese, incerto e terrorizzato all’idea di far riaprire una vecchia ferita. Avevano imparato tutti, alla Tana, che fosse preferibile evitare certi argomenti, soprattutto davanti alla povera Molly. Era una donna forte, ma il suo cuore di mamma aveva accusato il colpo molto, molto male.

Ginny lo guardò come se fosse impazzito. «Ron, mio fratello» specificò, confusa. «Sai, il tuo migliore amico, testimone di nozze e padrino di tuo figlio» continuò, quando lui non sembrò voler dare alcun segno di ripresa. «Harry, ti senti bene? Sei impallidito di colpo! Che cos’è successo? Hai avuto problemi in ufficio?» si agitò, avvicinandosi di più per potergli prendere il viso fra le mani. Gli accarezzò le guance con la stessa dolcezza che sua madre aveva usato con lui quando era solo un dodicenne spaventato, facendogli tremare di più le ginocchia. Lei non era più stata così dolce con lui. «Harry?».

«Io non… Ron?» chiese lui, ancora una volta, posando le mani su quelle di lei ma distogliendo lo sguardo per poterlo puntare sul suo piccolo James. Il suo unico figlio. Che aveva Ron come padrino. «Dov’è Hermione?».

Se possibile, lo sconcerto di Ginny crebbe. Lo costrinse a voltarsi nuovamente per guardarla e poi, con dolcezza lo spinse a sedere ad uno degli sgabelli vicini. «Harry, Hermione è a casa sua, con Ron. Lo sai che nelle sue condizioni non può più andare in ufficio».

«Nelle sue condizioni?».

«Harry, Hermione sta per partorire. Ti ricordi che è incinta, non è vero? L’abbiamo accompagnata all’ultima ecografia giusto ieri»2.

Hermione incinta.

Era impossibile, la sua migliore amica non era nelle condizioni di avere un bambino. Di certo non con un morto. Perché lui era certo che i ricordi della morte di Ron non fossero semplicemente stati inventati dalla sua mente contorta. Il cuore gli faceva troppo male al solo pensiero, la sua mente non era mai stata tanto masochista. Era già sfortunato di suo, perché infierire?

Oltretutto aveva assistito in prima persona alla stramba presa di coscienza che Hermione aveva avuto riguardo Fred, dubitava di avere abbastanza immaginazione per una cosa simile.

Non che i segnali non ci fossero stati, negli anni, ma credeva che Fred si fosse rassegnato, alla fine.

«Gin… tuo fratello è morto da due anni».

Il sangue gli si gelò nelle vele alla risposta di lei.

«Lo so, sciocchino! Ma è tornato in vita grazie al Grande Sisifo! Il nostro Padrone è stato abbastanza benevolo da riportarlo indietro, non lo ricordi più?».

Lo sguardo che si scambiarono avrebbe fatto storia nell’enciclopedia degli sguardi assurdi, Harry ne era assolutamente certo. Per un istante pensò di aver sentito male, di aver confuso le parole. Poi, con una certezza che aveva quasi dell’inquietante, pensò che dovesse essersi fatto molto male nella ricerca di Winnie per avere delle visioni tanto chiare. Sperò vivamente che la sua immaginazione avesse iniziato a galoppare ben lontana dalla realtà.

«Ginny… spero solo di svegliarmi presto» sospirò alla fine, passandosi una mano fra i capelli. «Avrei dovuto capirlo dal primo istate, tutto questo non può essere vero. Tu non sei stata così carina con me da Lipsia, quindi probabilmente sto immaginando che non sia mai successo. E lui» con un certo dolore nella voce, si voltò a guardare il piccolo James, tutto preso a ciucciarsi le dita sporche di purea di piselli. All’improvviso sembrava piacergli quella robaccia, quasi a voler dimostrare l’assurdità del tutto. Impossibile che suo figlio avesse finto di odiare qualcosa solo per poter fare tutti i guai che voleva con sua madre3. «Lui non ha senso. Tu aspettavi dei gemelli».

La velocità con cui Ginny lo zittì lo fece sussultare leggermente. «Ovviamente io ho partorito due gemelli, ma abbiamo dovuto rinunciare ad uno quando il Padrone lo ha chiesto, possibile che tu non lo ricordi?» gli domandò, spaventata, portandogli una mano alla fronte per poter controllare se avesse la febbre. «Harry, sei stato tu a proporre lo scambio. L’anima della bambina per la nostra libertà».

Harry fu sul punto di negare. Non avrebbe mai chiesto una cosa del genere, no? Lui non avrebbe mai sacrificato qualcun altro, di certo non il sangue del suo sangue. Lo aveva giurato il giorno in cui Voldemort gli aveva rinfacciato la morte di tutti gli innocenti accorsi per salvare la sua stupida pellaccia. Tuttavia non riuscì a trovare le parole per opporsi, per dire chiaramente a Ginny quanto fosse assurda quella sua affermazione, quanto ridicolo fosse anche solo il pensiero che lui avesse sacrificato sua figlia.

Non riuscì a negare, perché qualcosa dentro di lui stava urlando che in realtà sì, l’avesse proprio fatto. Urlava che si fosse trovato in una situazione tanto tragica da non poter trovare altra via di fuga. Urlava che avrebbe fatto bene ad abbracciare il senso di colpa, perché quello aveva tutte le ragioni d’esistere.

«Oh, caro» mormorò sua moglie – quando si erano sposati? Non lo ricordava più. Era stato prima o dopo aver condannato sua figlia? – mentre continuava ad accarezzargli il viso con dolcezza. «Sono certa che questa tua confusione passerà presto, abbiamo avuto tutti dei momenti difficili nell’ultimo anno. È normale che tu ne stia risentendo di più» provò a rassicurarlo. «Abbiamo tutti dovuto rinunciare a qualcosa per vivere nel nostro nuovo mondo. Ogni utopia ha un prezzo, non è così? Io ho rinunciato al mio coraggio, tu alla nostra bambina. Va bene sentirsi tristi, ogni tanto, a patto di ricordare sempre quanto siamo fortunati ad aver finalmente trovato la pace. Cos’è una piccola sofferenza in cambio della vita eterna?».

Vita eterna.

Stranamente fu solo quel dettaglio a colpirlo. Come un’eco, gli ritornò in mente una scena passata, lontana come se fosse accaduta mesi prima, nonostante lui non ricordasse nulla nel mezzo. Vita eterna, gli era già stata proposta una cosa simile, ne era piuttosto certo. Ricordava lo sconcerto, ricordava la paura. Ricordava la risata con cui aveva liquidato la proposta.

Lui non voleva la vita eterna, non l’avrebbe mai voluta.

«Davvero un’illusione credibile» commentò, facendo un passo indietro per sottrarsi alla presa delicata di Ginny. «Ottima, lo dico con sincerità. Per un momento ho anche avuto dei dubbi, credevo d’esser impazzito. Ma hai usato le parole sbagliate, Sandman» aggiunse, in un sibilo irritato, guardandosi attorno con fare sempre più attento. Sperava di notare dei bordi sfocati, magari colori più intensi del normale, tutti segni di un’illusione da Legilimanzia. Era stato il più bravo del corso Auror nel resistere ai controlli mentali: nessuno combatteva Voldemort per poi farsi prendere per i fondelli in quel modo. Non si scoraggiò neppure quando non notò alcun segno di alterazione.

Dopotutto, Mulciber era il migliore.

«Harry?».

«Mossa intelligente, quella di mettere in mezzo Ginny. Lei avrebbe rinunciato a se stessa pur di salvare noi, ma mai ad uno dei nostri bambini, mentre io, razionalmente, sarei arrivato a quell’estremo pur di salvare gli altri… è stato il tuo primo errore, lei non mi avrebbe permesso di arrivare a tanto, neppure rinunciando al proprio coraggio. A volte credo che lei sia rimasta al mio fianco nonostante tutte le cazzate che ho combinato proprio per amore dei nostri figli. E la storia della vita eterna? Ho tentato di suicidarmi a Lipsia, ho praticamente dato involontariamente fuoco ad un palazzo per farlo, credi davvero che la proposta possa attirarmi? Solo perché sono disposto a soffrire e andare avanti pur di non rendere i miei figli orfani non significa che io creda che valga la pena vivere5».

Il silenzio che accolse quella sua dichiarazione sembrò dilatarsi in eternò, come se il mondo avesse deciso di trattenere il fiato in attesa che qualcosa cambiasse. Dietro di loro, James smise improvvisamente di giocare, fissando il padre con una serietà di certo non appartenente a qualcuno di quell’età che lui dimostrava.

Il viso di Ginny, in un istante, si contorse in un ghigno spaventoso. Poi, quasi come se l’effetto di una Polisucco fosse finito, i suoi contorni si dissolsero, facendole prendere forme completamente diverse. Dell’amore della sua misera vita non restò nulla e, al suo posto, ancora indefinito come la sostanza degli incubi stessi, c’era Silas Mulciber, con il suo sorriso da folle omicida ed i suoi occhi di cristallo.

«Sei una sorpresa continua, Harry Potter» si congratulò il Mangiamorte, con una risata terrificante, mentre intorno a loro la stanza mutava, assumendo l’aspetto di un magazzino abbandonato. Harry si ritrovò bloccato contro il muro da quella che aveva tutta l’aria di essere una ragnatela estremamente appiccicosa. Oppure un bozzolo, non poteva esserne certo: qualcuno aveva preso i suoi occhiali. Riuscì comunque a notare altri bozzoli intorno a lui, molto più chiusi. Controluce riusciva quasi a distinguere al loro interno delle figurine raggomitolate.

Erano stati attaccati.

«È meraviglioso cosa possono fare i Ragni Velenosi della Thailandia, non credi anche tu? Un morso e puff, il cervello umano diventa creta da manipolare. In tempi migliori, un Legilimens avrebbe avuto tutto il diritto di servirsene per sfruttare i suoi nemici, renderli schiavi del suo volere. Se non sbaglio, però, sono più di duemila anni che questa pratica è stata abolita. Sono diventate bestiole rare e il concetto di dignità umana ha portato al divieto di controllo. Addirittura uno scherzetto come l’Imperio è stato considerato una Maledizione Senza Perdono. Come se potesse esistere qualcosa abbastanza grave da non meritare perdono».

«Credo che mangiare il cervello altrui sia un filino più grave che controllarlo e tu ti sei spinto al massimo, non è vero?» rispose Harry, disgustato, sentendo tuttavia la lingua impastata. Aveva avuto una certa difficoltà a parlare, quasi fosse stato perso in quello strano sogno indotto per ore.

«Un giorno intero, in realtà, ed io non posso negare di essere sorpreso, Harry Potter» si congratulò, fissandolo sul posto con quegli occhi così assurdamente chiari. «Non pensavo che saresti stato tu il primo. Immagino che gli altri siano più pronti ad accettare il loro nuovo destino. Non che abbiano una scelta». Con un gesto vago, il Mostro si voltò ad indicare gli altri bozzoli. «Sai, è stata un’idea di Tiresias. Ai tempi era lui quello che assisteva agli spettacoli. Un morso del ragno, un buon Legilimens e puff! Lo spettacolo era pronto4. Osservare la vita risucchiata da bozzoli urlanti era sempre la parte migliore, naturalmente, ma anche poter assistere ai loro sogni più remoti diventare realtà era divertente. Non ho mai avuto modo di partecipare, sfortunatamente».

Harry ricordava qualcosa del genere dalle lezioni di Storia della Magia del primo anno, ricordi di un’epoca in cui la differenza fra buono e cattivo non esisteva ancora, in cui i maghi e le streghe dominavano il mondo senza alcun controllo. Un’epoca in cui i babbani venivano usati come intrattenitori, lasciando che con incantesimi e talenti naturali per la legilimanzia si mettessero a nudo le loro paure ed i loro sogni. Una versione magica ed inquietante della televisione, così l’aveva definito Hermione. Nessun babbano era mai sopravvissuto a quelle pratiche ed i pochi maghi e streghe che ne erano stati vittima nella maggioranza dei casi si erano lasciati consumare dal morso del ragno oppure dalla pazzia.

No, non era una sorpresa che lui si fosse svegliato per primo. Era già impazzito e non teneva abbastanza alla sua vita per lasciarsi tentare da dei fuochi fatui come la promessa della vita eterna o l’amore incondizionato di Ginny. La prima non gli era mai interessata – come avrebbe potuto? Aveva visto come quel desiderio aveva ridotto Tom Riddle – e il secondo…

Il secondo sapeva di non meritarlo più.

No, Harry non era sorpreso. Quel mondo gli era troppo estraneo, non sarebbe mai caduto per l’incantesimo.

«Dovresti essere felice, stai vivendo il tuo sogno» sbottò allora, cercando di racimolare tutta la forza che il bozzolo stesso doveva aver assorbito in quel giorno di prigionia. «Questa roba sta già seccando, presto mi libererò. Non mi hai neppure tolto la bacchetta, brutto idiota».

Mulciber inarcò le sopracciglia, quasi confuso. «Sì, in effetti il bozzolo non ti potrà più trattenere, a breve. E sì, hai ancora la tua bacchetta. Ma per quale motivo dovresti sentirti autorizzato a chiamarmi idiota? Credi di poter fare qualcosa contro di me, Harry Potter? La Magia moderna non ha mai avuto effetto. Neppure quello sciocco di Tom Riddle ha mai potuto nulla contro di me» si vantò, con una risata agghiacciante. «Nel tempo che tu impiegherai a liberarti del tutto, Tiresias tornerà dal suo viaggio con la mia bambina e allora io risorgerò».

Nel profondo, Harry realizzò cosa significassero quelle parole prima ancora che la parte cosciente del suo cervello potesse arrivarci.

«Solo qualche ora, Harry Potter. Nel frattempo, tu ed io faremo un giro per la mente degli altri tuoi amichetti, che ne dici? Ti offrirò il tuo spettacolo privato! Tutti i grandi imperatori del passato celebravano con dei giochi, no?» ridacchiò come se fosse stato un ragazzino, allargando le braccia come a volerlo abbracciare. Harry avrebbe mangiato il guscio appicicaticcio che ancora lo soffocava, piuttosto. «Lunga vita al nuovo Padrone della Morte!»6.

Un attimo dopo, della stanza non restò nulla se non l’eco lontano della puzza di muffa e aria stantia.

 

***

 

Sua madre le stava ancora sorridendo, nonostante tutto.

Le aveva promesso che non l’avrebbe mai lasciata ed aveva mantenuto la sua promessa. Camminando in quella strana oscurità tutt’intorno, non aveva mai smesso di sussurrarle dolcezze senza senso, accarezzandole la mano ed ogni tanto i capelli. I suoi non erano più biondi, ma neppure quelli della mamma lo erano. Erano diventati grigi, così come i suoi occhi non erano più verdi ma neri come il carbone. Forse la Morte, nel suo abbraccio, l’aveva cambiata. Forse gli ultimi dieci anni erano stati poco clementi con il suo cadavere.

Avrebbe dovuto chiedere a Katie come aiutarla a tornare in se stessa.

«Non preoccuparti per me, stellina» la rassicurò, con quella strana voce praticamente sconosciuta, mentre un sorriso freddo riusciva comunque a scaldarle il cuore. «Devi solo sforzarti un altro po’, che ne dici? Sei già stata bravissima, hai sconfitto quel mostro e lo hai maledetto con immensa maestria».

Il ricordo del mostro le faceva ancora stringere lo stomaco.

«Aveva la stessa voce di Fred Weasley7».

Sua madre le accarezzò i capelli. «Lo so, ma tu ti sei fidata di me e lo hai sconfitto. Era un trucco per farci del male, amore mio».

Seppur dubbiosa, Winter annuì.

«Adesso dovremo solo sconfiggere tre mostri e poi tu tornerai da me, mia stella. Sarà terribile, cercheranno di fermarti… ma noi ce la faremo, non è vero? Perché noi ci amiamo».

«Sì mamma. Ti voglio bene».

«Ti voglio bene anche io, stellina». 

 

 

 

 

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Punti importanti:

 

» * - Finché non diventeranno coscienti, non si ribelleranno mai e finché non si saranno ribellati non potranno diventare coscienti. Partiamo col dire che io amo questo libro, aggiungiamo poi che si tratta anche di un libro che io considero estremamente attuale e allora capirete bene perché ve lo consiglio caldamente. È stato fatto anche un film che non è poi tanto male, magari cercatevelo! Orwell era un genio.

 

» 1 – Story time: a circa otto mesi ho quasi staccato il naso a mio nonno con un morso. James Jr è un bricconcello peggiore di quanto io non fossi mai stata. Oltretutto potrei avergli dato questa tendenza cannibale per far male a Ron. #SorryNotSorry

 

» 2 – Non sono certa che maghi e streghe usino l’ecografia, ma ritengo che dovrebbero. Non avendo altre informazioni, do per scontato che Hermione vada da un ginecologo babbano per i suoi ipotetici controlli. O comunque così immagina Harry, che effettivamente è cresciuto da babbano.

 

» 3 – James Jr piccola canaglia 2.0.

  

» 4 – Allora, delirio time. Ho ipotizzato che in tempi antichissimi (dalla serie quando ancora non esisteva la società) i babbani fossero usati come poco più di bestiole per intrattenere i maghi. La tv e la radio non c’erano, la gente si stancava dei giochi d’ombra, quindi il passo avanti quale è stato? TeleLegilimante, l’utilizzo delle visioni indotte dal veleno di un ragno antichissimo per intrattenere grandi folle. Come funzionava? I Legilimanti sceglievano le vittime, le facevano mordere e manipolavano le loro menti deboli così da utilizzare se stessi come Pensatoi giganti e fare da “antenna”, diciamo. Manipolavano le menti delle vittime, le costringevano a guardare ai loro sogni/paure più nascosti o magari a ricordi del proprio passato, fino a ridurli alla pazzia o consumarli dall’interno.

 

» 5 – Yaaaay abbiamo scoperto cos’è successo a Lipsia! Lasciate che vi faccia un riassuntino facile facile: Harry è stanco, depresso e vuole morire. Harry viene mandato in missione a Lipsia per recuperare non si sa quale mago oscuro. Harry si ritrova faccia a faccia con un brutto fantasma del suo passato, perde la testa, la sua magia accidentale fa partire un incendio mentre lui è ancora bloccato dentro. Harry potrebbe smaterializzarsi, ma non lo fa. Harry vuole morire, ma qualcuno – non è ancora dato sapere chi – si rende conto di cosa diavolo sta succedendo e fa una chiamata d’emergenza. Hermione collega subito tutto. Hermione si precipita a salvare Harry, incurante di tutto. Ovviamente il tutto è molto più complicato di così, ma per adesso può bastare.

 

» 6 – Ahaha see you in hell, my friends.

 

» 7 –  Ebbene, è stata proprio Winter ad uccidere Fred. Come? Perché? Spoiler 😉

  

 

 

Il capitolo è più breve del solito, lo so, ma ci sono tante informazioni da digerire. Tante.

  

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo! 

 

 

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Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 25
*** Atto IX, Parte III - Segreto di Famiglia ***


LErede del Male.


 

Sweet dreams are made of this
Who am I to disagree?
I travel the world
And the seven seas,
Everybody's looking for something.*



[Eurythmics – Sweet Dreams]

                                  

 

Atto IX, Parte III –  Segreto di famiglia

 

 

La realtà alternativa in cui Bartholomew Maine era stato intrappolato non avrebbe potuto essere più diversa da quella di Harry. Non perché i due non volessero, in effetti, la stessa cosa, ma piuttosto per il modo in cui sembravano averla ottenuta. Se la psiche di Harry era stata ingannata nel credere che l’unica via per ottenere la pace fosse arrendersi a Sisifo e rinunciare, Maine doveva essere stato troppo ottimista per cadere in quella trappola.

La visione iniziò in quella che sembrava essere una tomba. Una tomba antica, naturalmente, ma comunque una tomba. Harry osservò il Magizoologo accarezzare con strana tranquillità quella che aveva tutta l’aria di essere una sfinge, prima di voltarsi alla ricerca di qualcos’altro. O di qualcuno. Mulciber era sparito dalla circolazione, probabilmente uno spettatore esterno ancora più estraneo di Harry. Doveva sentirsi come un dio, così capace di guidare gli altri nei sogni più sperduti delle sue vittime.

«Non muoverti di lì, Beatrix, fra poco torneremo a casa» disse Barry, lanciando un’occhiata alla sfinge che, con un borbottio annoiato, si accomodò sulle quattro zampe da leone, stiracchiandosi come un gatto in palese attesa che lui sbrigasse i suoi affari. «Per Diana, ci sono giorni in cui mi chiedo perché mi ostino a portarti con noi quando veniamo in Egitto. Sei una piccola ingrata».

«Ho voglia di enchilladas».

«Le enchilladas non sono neppure egizie, per Merlino!»1.

Scuotendo il capo e senza notare la confusione di Harry – come avrebbe potuto? Tecnicamente lui non era lì – Barry le voltò le spalle e cominciò ad avviarsi lungo un corridoio stretto e polveroso. Doveva essere normale, per lui, che una sfinge chiedesse delle Enchilladas. E probabilmente doveva avere una confidenza tale da non preoccuparsi a voltarle le spalle. Come fosse possibile, Harry non lo sapeva proprio.

Seguendo il compagno di avventure, Harry si ritrovò in quella che avrebbe dovuto essere una Sala Mortuaria e, immersa fino ai gomiti dentro ad un sarcofago, ritrovò Ophelia, intenta a rimettere insieme quelli che sembravano essere cadaveri troppo freschi per essere considerati delle Mummie. Lei indossava degli occhiali parecchio spessi, che per un momento lo sorpresero. Il suo sguardo era terribilmente familiare, in quell’istante2.

«Trovato nulla, cara?» le chiese Barry, facendosi avanti fino a potersi affacciare oltre il sarcofago. «Ti prego, dimmi che possiamo confermare che sia solo un incantesimo di conservazione portato all’ennesimo livello. Non ho voglia di andare a cercare la bestiola che potrebbe aver rapito qualcuno per nasconderlo qui. Le bestiole egizie, una volta addomesticate, sono difficili da allontanare e non mi serve un’altra Beatrix da mantenere3».

La donna sbuffò, alzando gli occhi al cielo. «Ha chiesto di nuovo le Enchilladas, non è vero? Te l’avevo detto che sarebbe stata la nostra condanna. Quella bestiola ormai non mangia altro. Proprio come con Chip4» lo rimproverò, osservandolo da oltre le lenti con le sopracciglia inarcate. Doveva essere normale per loro avere certe discussioni.

«Chip dovrebbe mangiare carne umana, che abbia sviluppato amore per gli hot dog è il male minore, tesoro» mugugnò lui, incrociando le braccia al petto. «E, comunque, sai anche tu che nel caso di Beatrix non è stata interamente colpa mia! Il nanerottolo dovrebbe imparare a tenere la cena nel suo piatto, piuttosto che nutrirci gli animali».

Lo sguardo esasperato di Ophelia fece arrossire Barry ma anche ridacchiare Harry. C’era davvero qualcosa di incredibilmente familiare nel suo modo di rivolgersi a suo marito. Una familiarità che Harry doveva aver conosciuto anni addietro, senza averne, addirittura, una piena coscienza. Una memoria rimossa? Era possibile, il protocollo delle Banshee prevedeva che spesso e volentieri i soggetti non coinvolti direttamente nelle loro missioni avessero i ricordi cancellati.

«Il Nanerottolo è scappato!» tuonò la voce della sfinge dall’altra stanza, anticipando di qualche istante l’arrivo di un ragazzino sui sette anni, con enormi occhi scuri coperti da degli spessi occhiali e da una matassa di capelli neri. Il bambino arrivò con una risatina da mascalzone che avrebbe fatto intenerire un po’ chiunque, a patto che non lo si osservasse dal collo in giù. Lo stato pietoso in cui erano ridotti i suoi vestiti suggerivano che, come minimo, fosse passato in mezzo alle fiamme, poi dentro ad un fiume melmoso ed infine in mezzo a degli arbusti.

Il modo in cui Barry si irrigidì fu un chiaro segno di quanto dovesse essere responsabile dell’accaduto.

«Bartholomew Maine» sussurrò Ophelia, con un tale gelo nella voce da far rabbrividire anche Harry, che era innocente. «Cosa è successo a mio figlio?».

Il piccoletto, sentendosi palesemente chiamare in causa, tentò una fuga strategica sotto il più vicino sarcofago rialzato, ma venne acciuffato prontamente dal padre, che lo sollevò per aria così che potesse trovarsi allo stesso livello con Philly. Harry, trovandosi praticamente accanto a lei, ebbe modo di osservarlo come si deve, occhi negli occhi.

Avrebbe preferito non farlo.

Il bambino era una copia a carboncino di come lui era stato a sette anni, meno la cicatrice ed i vestiti smessi di Dudley, oltre che con qualche chiletto in più che gli davano un’aria ben più sana di quanto la sua non fosse stata da piccino.

Erano uguali, come se il bambino fosse stato figlio suo. Il fatto che avesse gli occhi di Ophelia, però, lo stranì ancora di più. Lui poteva essere uguale ad Harry, ma Harry era uguale a…

«James, cosa hai combinato?».

Confuso, Harry sussultò come se qualcuno l’avesse beccato ad origliare una conversazione segreta e, per un istante, si domandò se forse non l’avessero visto. Quando, tuttavia, vide che l’attenzione dei due adulti fosse concentrata esclusivamente sul piccolo combinaguai, si permise di ricominciare a fissarlo con attenzione quasi maniacale.

Quello era il mondo alternativo di Barry Maine, non il suo. Perché il figlio di Barry Maine era identico a suo padre?

Prima che il bambino potesse parlare, dalle loro spalle si udì il rumore di un crollo lontano, che lo fece impallidire velocemente.

«Giuro che non è colpa mia» fu la sua difesa immediata, le mani alzate per rendere ancora più evidente la sua innocenza. Quantomeno, sarebbe stato più evidente se non fossero state sporche oltre ogni immaginazione. «Io stavo… io…», Harry lo osservò guardarsi intorno alla ricerca di una scusa, impossibilitato a trattenere un sorrisino. «Vedi, mamma, io ero seduto dove mi hai lasciato tu, proprio nello stesso punto! E stavo… stavo costruendo un campo da Quidditch! Però… però…».

«Però cosa?» domandò sua madre, accigliata, mentre Barry continuò a tenerlo sollevato per le bretelle della salopette che stava indossando e che probabilmente non sarebbe stata salvata da alcun tipo di incantesimo di lavaggio.

«Però poi ho visto uno scarafaggio d’oro!» sbottò lui alla fine, dondolando le gambe per potersi girare a sufficienza da guardare il padre negli occhi. «Era lì, da solo… ho promesso a zio Harry che gli avrei portato un regalo!».

Se fino a quel momento la scenetta era stata abbastanza buffa da fargli mettere da parte i dubbi riguardo il nome di suo padre in quell’istante i dubbi tornarono alla carica ancora più di prima. Era di lui che stavano parlando?

«Tuo zio probabilmente parlava di qualcosa comprato al negozio, non certo di andare a profanare i gioielli magici di una tomba» lo riprese Barry, alzando gli occhi al cielo ma rimettendolo a terra. «In quante trappole sei finito? Gli scarabei d’oro sono usati per questo, di solito. Per intrappolare gli sciocchi che si fanno prendere troppo facilmente dall’entusiasmo».

Zio.

Ophelia guardò suo marito esasperata. «Stiamo parlando del figlio di James Potter, quel ragazzo se non fa guai allora istiga gli altri a farli. Ancora mi chiedo come sia diventato un Auror» si lagnò, asciugandosi la fronte sudata con la manica della camicia miracolosamente non sporca. Quantomeno non sporca come quella di suo figlio.

Barry ridacchiò, tenendo comunque il piccolo James per braghe, così da evitargli una fuga strategica. «Lo hai cresciuto tu, cara».

Cosa?

«E ancora oggi la Professoressa McGranitt mi rinfaccia che forse avrei fatto bene a non vincere la custodia esclusiva5».

Il Magizoologo scosse il capo. «Lo fa soltanto perché così le hai tolto la possibilità di far impazzire i suoi parenti babbani».

«Vero» convenne lei, arrampicandosi fuori dal sarcofago. «Ma meglio divertimento in meno che lasciare il figlio di mio cugino in mano a Petunia Evans e suo marito6» sbottò, rabbrividendo con disgusto. «Quando sono riuscita a tirarlo via, aveva addosso i vestiti smessi di quel loro porcellino da compagnia, ci credi?».

Il figlio di suo cugino.

Come un flash, Harry ricordò di aver avuto sotto lo sguardo, una volta, l’albero genealogico della famiglia Potter: sua nonna paterna, prima di sposarsi, aveva fatto proprio Penderghast di cognome.

«Faremo bene ad andare a casa» mormorò Ophelia, osservando con un certo disgusto suo figlio, ancora imbrattato da solo lui sapeva cosa. «Abbiamo un libro da scrivere, non è vero?7 E tu, signorino» puntò il dito contro il ragazzino, che, una volta tornato con i piedi per terra, indietreggiò con l’aria più innocente di cui dovesse essere in possesso. «Tu hai bisogno di un lungo bagno. Tuo padre se ne occuperà personalmente».

Osservando il modo in cui Barry ridacchiò, Harry sentì un peso sul cuore. Se anche fosse riuscito a svegliarlo da quella visione che Mulciber aveva indotto, rivelando i suoi più ardenti segreti, come avrebbe preso l’essere catapultato nella realtà? Per lui era stato facile – era troppo abituato a soffrire per poter accettare che le cose stessero andando bene – ma per un uomo come Maine? Cosa lo avrebbe spinto ad invertire la rotta di marcia senza perdere la testa? Serviva qualcosa di imprevedibile, qualcosa che le manipolazioni di Tiresias e Mulciber non avessero considerato. Per Harry era stata la prospettiva della vita eterna, poiché erano stati convinti che quel dettaglio avrebbe attirato di più uno come lui quando invece l’aveva solo fatto spaventare.

Ma per Barry Maine?

«Posso sempre lasciare l’onore a Trina» si lagnò Maine, sollevando ancora il ragazzino per le bretelle, vagamente disgustato all’idea di toccarlo. «Con tutta la robaccia che è solita toccare, non credo che liquame egizio possa far eccezione». La tranquillità con cui parlò fece stringere il cuore di Harry. Era totalmente diverso dalla pacata incredulità con cui lui aveva accolto quel nuovo mondo che gli era stato proposto, ma doveva ammettere che il non aver rinunciato ad uno dei propri figli forse aveva fatto la differenza in questa versione.

Ophelia guardò curiosa suo marito, piegando il capo di lato dopo essersi ripulita le mani con un veloce incantesimo. «Trina? Chi è Trina?» domandò, prima di sbuffare. «Ti prego, dimmi che non hai trovato qualche altra bestiola da portare a casa! Abbiamo il giardino pieno, non ne posso più. Non puoi semplicemente goderti la tua collezione? Basta portare roba strana in casa».

Sconvolto, Maine fece un passo indietro, fissando sua moglie come se all’improvviso avesse stentato a riconoscerla. «Di cosa stai parlando? Non paragonare Trina agli animali, lo sai che le da fastidio8» insistette, agitato, cominciando a guardarsi intorno come se, in effetti, qualcosa avesse iniziato a non quadrare più. «Trina, Philly. È impossibile che tu non la ricordi, l’abbiamo praticamente adottata cinque anni fa8».

Ophelia strinse le labbra, sempre più confusa. «Cinque anni fa? Noi non abbiamo adottato nessuno, abbiamo già Harry e James» gli fece notare. «Che motivo avremmo di adottare qualcun altro? Non che sia una brutta cosa, ma… no. Siamo già abbastanza impegnati così com’è, senza ulteriori pesi sulle spalle» aggiunse, stringendosi nelle spalle. «Adesso andiamo, tuo figlio puzza».

Barry arretrò con un balzo e sollevò l’uncino come a volerlo usare per difendersi dalla sua famiglia. «Tu non sei mia moglie» sputò, fissando la donna davanti a lui. «Non esiste una realtà in cui potrebbe dimenticare Trina. Lei fa parte della famiglia e la famiglia non viene mai dimenticata9». Con un gesto secco, tirò fuori la bacchetta dal bavero della sua giacca e la puntò contro la donna, i denti scoperti in un ringhio. «Adesso non mi ripeterò più: chi diavolo sei?».

In un momento di atroce silenzio, Harry notò gli occhi di Barry puntarsi improvvisamente su di lui senza tuttavia avere il tempo di dirgli alcunché. Il bambino – James, identico a suo padre e con il suo stesso nome – iniziò a ridere in modo maniacale, piegandosi quasi in due e tenendosi lo stomaco con entrambe le mani.

«Incredibile!» tuonò, con una voce molto più adulta di quella che avrebbe dovuto avere un bambino di sette anni. Molto più spaventosa. «Tu e Potter sembravate i più facili da accontentare, invece siete stati i più veloci a riprendervi! Chi l’avrebbe mai detto che quest’idiota» e, nel dirlo, indicò Harry «sia terrorizzato dalla vita eterna e che tu, ancora più idiota, sia pronto a rinunciare alla vita che tu e tua moglie avete sempre voluto per una negromante».

«Sei tu» sibilò il Magizoologo, facendosi avanti con il palese intento di sgozzarlo con il proprio uncino. «Cosa diavolo hai fatto? Quando ci hai attaccati? Dov’è Winter?» domandò, a raffica, balzando verso il bambino ma ritrovandosi con in mano un pugno di mosche. La visione era cambiata e tutt’intorno a loro solamente l’oscurità sembrava regnare sovrana. Mulciber, nella sua reale forma, li osservò entrambi come se fossero stati due creature estremamente buffe, oltre che un po’ esasperanti.

«Sono curioso e, devo ammetterlo, non mi succede quasi mai» ammise, muovendosi di qualche passo sulla destra quando Barry fece per attaccarlo ancora una volta. Poteva prevedere le sue mosse, perché tentare di attaccarlo? «Il signor Potter ha ragione, Maine. Provare ad attaccarmi quando sei psicologicamente connesso a me è alquanto stupido. Prova a toccare la tua stessa fronte, credo che la sentirai viscida» propose, con una risatina, schivando ancora un altro attacco.

Seppur dubbioso, Barry fece come gli era stato chiesto e, quando ritirò la mano ritrovandola coperta da una sostanza verdognola ed appiccicosa, imprecò sonoramente. «Questa è seta dell’Aracne Thailandese» sibilò, sollevando il capo per fulminare con lo sguardo il loro aguzzino. «Stai sfruttando una creatura praticamente estinta per i tuoi giochetti di potere» aggiunse, avanzando lentamente ma senza l’apparente intenzione di saltargli nuovamente alla gola. «Ringrazia che questa sia solo un’illusione, altrimenti ti avrei già dato un cazzotto sul naso, brutto mangiacervelli».

«Sono ammirato, Maine» si rallegrò invece il Legilimens, per nulla toccato dall’appellativo usato. Dopotutto, era la verità. «Non tutti i Magizoologi moderni conoscono quella creatura. Ma tu sei speciale, non è vero? Tuo zio… tuo zio è stato l’ultimo a studiarne uno dal vivo, con te» mormorò, ripetendo ad alta voce quelli che dovevano essere stati i pensieri dell’uomo. «Ah, quindi sai bene cosa sto facendo! Sai, è sempre stato il mio sogno. Un tempo questi ragni venivano utilizzati per spettacoli molto più grandi di questo! Qui ho quattro vittime e nessuno spettatore» si lagnò, con un broncio che di sano di mente aveva ben poco, per poi allargare le braccia. «Ma ora voi due vi siete liberati! Ed io posso divertirmi con quelle altre due sciocchine che vi siete portati dietro. Sono certo che loro saranno molto più difficili da svegliare» disse, allegro, per poi accigliarsi. «Beh, almeno una di loro. Per l’altra sinceramente non sono molto convinto, è forte, ma… la sua visione è speciale» si strinse nelle spalle, incurante.

«Perché ci stai facendo questo?» chiese Harry, parlando per la prima volta senza paura di nascondere la sua confusione. Non avrebbe avuto senso con lui, che poteva leggere ogni particella del suo essere al solo guardarlo. «Cosa ci guadagni? Noi ci siamo liberati, presto o tardi anche Hermione e Kate ce la faranno. E tu cosa otterrai? Vuoi ucciderci? L’avresti già fatto».

Mulciber ridacchiò, facendoli palesemente rabbrividire entrambi. «Ovviamente non voglio uccidervi, come potrei?» sbottò, quasi offeso che lui avesse proposto una simile possibilità. «Sto solo aspettando che Tiresias prepari tutto il necessario insieme alla mia bambina, devo pur intrattenermi! E voi quattro… non avrei potuto chiedere di meglio! Ho il Bambino Sopravvissuto, ho il più brillante fra i giovani Magizoologi… e poi ho la strega più brillante della sua generazione, si dice che il suo cervello sia una fonte inesauribile di conoscenza!». Quasi danzando, indicò un punto sulla loro sinistra dove, dall’oscurità, sembrò emergere uno dei bozzoli che Harry aveva già visto prima. Il modo affamato in cui si leccò le labbra gli fece venire la nausea. «E, naturalmente, ho una Succubus!» quel dettaglio sembrò rallegrarlo più di qualunque altra cosa al mondo. «Sarà così bello mangiarla, sapendo che i suoi genitori non potranno intervenire! Quel vecchio idiota alato si starà mangiando arco e frecce, in questo momento, ah!10».

«Non ti hanno mai insegnato che non si gioca con il cibo, Mulciber?» fu tutto ciò che Harry riuscì a sputare, sentendo la rabbia esplodergli nel petto come un vulcano in eruzione. Lui doveva tornare dai suoi figli, da Ginny. Non si sarebbe lasciato mangiare da quello psicopatico senza prima aver fatto di tutto per potersi difendere e liberare. E di certo non avrebbe lasciato lì Hermione, non dopo due anni convinto di averla persa.

Ginny non l’avrebbe perdonato. Quello era un affronto che non le avrebbe mai fatto, di certo non dopo Lipsia.

«Ma a me piace giocare con voi! E, come ho già detto, devo pur occupare il tempo» si giustificò il Legilimens, stringendosi nelle spalle. Tornò a guardare Maine, inchiodandolo sul posto con i suoi spaventosi occhi grigi. «Dimmi, perché ti interessa tanto della Succubus? Non fa davvero parte della tua famiglia, probabilmente ha portato più danni che piaceri negli ultimi anni». Lo guardò per qualche istante, piegando il capo di lato. «Non ti ha sedotto, non ha mai usato i suoi poteri su di te. Allora perché? Non sono creature da amare, queste. Sono abomini della magia».

«Perché, tu credi d’esser migliore?» sputò il Magizoologo, cercando di avanzare di nuovo ma ritrovandosi bloccato. Osservando con attenzione, Harry riuscì ad intravedere i bordi del bozzolo intorno a lui. L’oscurità, evidentemente, era solo una conseguenza del leggero controllo mentale in via di dissipazione. Erano usciti dalla mente di Barry per tornare nel vecchio magazzino. «Trina è parte della famiglia, non permetterò che tu le torca un solo capello».

«Ma perché?».

«Perché lei è nostra, anche se non lo è davvero! Fa parte della famiglia, come puoi non capire?» sibilò, cercando forse di liberarsi, forse di fare qualunque cosa che potesse aiutarlo ad allontanarsi. «Hai anche tu una figlia, maledizione!».

«Ah, sì» Mulciber annuì, con un sorriso incredibilmente spaventoso. «La mia principessina, in questo momento starà sicuramente trucidando tutti i vostri amici. Sono molto fiero di lei».

«Winter non lo farebbe mai» sibilò Harry, senza nascondere un sorriso vittorioso. «Si è già opposta al tuo volere e tu eri presente! Cosa potrebbe spingerla ad agire in modo tanto sconsiderato adesso?».

Mulciber rise più forte. «Ah, credi davvero che arriverei a rivelarti il nostro piano? Lo stiamo progettando da secoli» gongolò, voltandosi in direzione opposta al bozzolo in cui Harry aveva dedotto stesse “sognando” Hermione. «Ed ora, miei cari, vediamo un po’ che cosa ha in serbo per noi la signorina Granger!» batté le mani, soddisfatto di se stesso. «Ah, non vedo l’ora!». 

Harry rabbrividì. Non osava immaginare cosa avrebbero trovato nella mente di Hermione o se lei ne sarebbe mai uscita. Era una possibilità che non lo attirava neppure un po’, considerando il destino di coloro incapaci di liberarsi dal veleno del ragno. E se anche fossero riusciti a liberare lei e Kate?

«Ah, allora non è tardo come sembra, signor Potter» si rallegrò Mulciber, con una risatina. «Se anche doveste liberarvi tutti e quattro e, soprattutto grazie alla vostra amichetta fenomeno da baraccone,» quando indicò Kate, Barry ringhiò qualcosa di incomprensibile, cercando ancora di divincolarsi, «se riusciste a superare me – cosa di cui dubito – dovrete comunque affrontare tutti i nostri alleati. Credete davvero che possa essere così facile? Ve l’ho detto, abbiamo previsto tutto da secoli».

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Devo essere sincera, sto faticando. La storia ha raggiunto un punto particolare ed io sono stanca. Ho anticipato su facebook che questo sarebbe stato l’ultimo capitolo prima della mia pausa, il prossimo dovrebbe arrivare intorno al 21 agosto, ho bisogno di un po’ di tempo per prendere aria e riacquistare abbastanza stabilità da scrivere una storia come questa. Potrei pubblicare altro nel frattempo, qualcosa di leggero, ma non faccio promesse.

Scusate per l’assenza prolungata, ma ho proprio bisogno di staccare la spina spero che continuerete comunque a seguirmi!

 

Ah, ovviamente #BarryPadreDellAnno2k17

 

 

Punti importanti:

 

» * - Dolci sogni sono fatti di questo/ chi sono io per dissentire?/ Ho girato il mondo/ e i sette mari/ tutti cercano qualcosa. La versione di Manson è quella che conosco io, quindi penso che con il contesto in generale sia più in linea.

 

» 1 – Io, come qualcuno di voi credo saprà, sono una fanatica di Percy Jackson. L’ispirazione per la sfinge amante delle echilladas arriva da lì, non è niente di sensato a livello mitologico, abbiate pazienza.

 

» 2 – Prima che qualcuno possa balzare e dire “Ehii!!! Harry era troppo giovane per ricordare suo padre!!!!!!”, vorrei sottolineare che Harry ha avuto modo, in più occasioni, di trovarsi davanti James, anche solo nelle fotografie. Harry conosce suo padre e le sue espressioni più comuni.

 

» 3 – Fun fact 1: l’ho già accennato, ma Barry ha la sindrome di Hagrid. Se ci sono bestiole abbandonate che non possono restare nel loro habitat, lui le deve adottare. A prescindere dalla realtà alternativa, ha un vizio terribile che gli ha fatto riempire casa di bestiole. Barry e Ophelia, come pochi altri colleghi, oltre alle loro stanze al Quartier Generale hanno anche una casa privata, completa di giardino e bestiole.

  

» 4 – Chip è il famoso Nundu a cui Ophelia aveva fatto riferimento due capitoli fa! Nomi molto adatti!

 

» 5 – Spieghiamoci, poiché dubito di averne occasione nel testo e non mi piace lasciare le cose a metà. Quando James e Lily sono morti, Ophilia aveva sedici anni e frequentava il sesto anno ad Hogwarts. Durante il suo settimo anno si è ritrovata Piton come professore – vi lascio immaginare la reciproca gioia di quei due – e con il divieto assoluto di incontrare Harry. Suo padre lavorava all’estero ma in quello stesso periodo ha contratto una malattia debilitante che gli ha impedito di farsi avanti per il pronipotino. Non avendo idea della protezione di Lily, non appena Ophelia ha compiuto diciotto anni si è rivolta al professor Silente per fare pressioni al Ministero e ottenere la custodia del cuginetto, essendo a sua volta una parente e di certo molto più entusiasta di Petunia. Nel “canon” della storia, però, Silente si è rifiutato di aiutarla, senza spiegarle perché. Senza silente, ovviamente, la sua causa è stata immediatamente rigettata. In questa nuova realtà alternativa, invece, Silente l’ha aiutata, lei ha ottenuto il permesso di crescere Harry e l’ha cresciuto. Ovviamente in questa realtà il padre di lei non è morto poco dopo, lei ha comunque avuto modo di studiare medicina e (ovviamente in modo assurdo, non essendo una banshee) incontrare Barry. Loro due hanno cresciuto Harry insieme ed hanno avuto subito un bambino, James. Famigliola del Mulino Bianco.

 

» 6 – Perché Petunia Evans? Perché lei ha conosciuto la sorella di Lily quando ancora era una Evans, le è rimasto impresso quel cognome. E comunque si è sempre rifiutata di guardare in direzione di Vernon.

 

» 7 – Barry sogna di scrivere una versione aggiornata e ampliata (grazie a Ophelia) di Animali Fantastici, per portare avanti l’eredità del prozio. Ovviamente, essendo parte delle Banshee, non ne avrà mai modo.

 

» 8 – Ophelia e Barry hanno incontrato Katie quando lei, appena diplomata, si è ritrovata a non sapere cosa fare della sua miserabile vita. All’inizio la loro relazione è stata burrascosa (per usare un eufemismo), ma lentamente lei si è ammorbidita e aperta con loro e loro si sono innamorati di quella piccola irlandese con evidenti problemi a convivere con se stessa. L’istinto paterno/materno fa brutti scherzi, ragazzi. Spesso e volentieri Katie è stata con loro nella loro casa privata (ha anche la sua stanza e tante delle sue cose lì), ha conosciuto il prozio Newt (che ha tentato di studiarla) e più di una volta ha litigato con Barry perché lui, scherzando, le ha detto sempre che “il suo carattere unito agli ormoni da teenager la rendono pericolosa come le sue bestiole”. #HappyFamily

 

» 9 – Lo sentite Lilo e Stitch? Kate no cattiva, Kate coccolosa!!!!!!

 

» 10 – Mulciber fa riferimento ad Eros e Thanatos, ma nello specifico al povero Eros, abbandonato nella sua dimensione ultraterrena senza poter intervenire. Ops, lui sa di Eroe e Thanatos?

 

 

 

Grazie a tutti per avermi seguita fin qui, giuro che tornerò presto o che comunque mi farò viva, soprattutto su Facebook per varie comunicazioni! Spero di tornare entro il 21!

  

 

Un bacione a tutti!  

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

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Capitolo 26
*** Atto X, Parte I - Il Castello di diamante ***


LErede del Male.


 

“If I could help you forget
Would you take my regrets
'Cause I remember everything

Oh, dear brother, just don't hate me
For never standing by you or being by your side.”*



[Five finger death punch – Remember everything]

                                  

 

Atto X, Parte I –  Il Castello di diamante

 

 

 

Aveva capito di essere vittima di un qualche controllo della mente nel momento stesso in cui si era ritrovata a fissare una se stessa undicenne negli occhi. In un primo istante, in realtà, si ritrovò a chiedersi se fosse davvero mai stata così piccola, così entusiasta della magia. Si osservò fare acquisti per Diagon Alley insieme ai suoi genitori ed a quella che sarebbe stata la sua futura professoressa di Aritmanzia1 come se si fosse trovata davanti un film parecchio avvincente ma irrealistico. Era incredibile, davvero. Il modo in cui tutto le era apparso nuovo, l’esaltazione nel ritrovarsi circondata da gente come lei senza doversi necessariamente nascondere come se fosse stata un terribile mostro o comunque una creatura da dover controllare. Si era sentita libera per la prima volta e le era piaciuto terribilmente.

Perché?

Sapeva bene che quella finestra sul suo passato dovesse essere una qualche conseguenza di un attacco di Mulciber e si chiese cosa dovesse significare. Non si sentiva minacciata e non si sentiva neppure male. Se doveva essere completamente sincera, si sentiva bene come poche volte le era successo negli ultimi anni. La sua mente era chiara, riusciva a ragionare con una tranquillità che per un momento le sembrò quasi strana. Non si era neppure mai resa conto di aver avuto la mente annebbiata negli ultimi mesi.

O negli ultimi anni?

Confusa, continuò a seguire se stessa, osservandosi nell’atto di prendere i libri per il suo primo anno di scuola. Sorprendentemente – o forse no – non era stato scegliere la bacchetta a farla emozionare di più. Una bacchetta le avrebbe solo consentito di usare qualcosa che lei già possedeva, una bacchetta avrebbe richiesto preparazione magica che da sola lei non avrebbe mai potuto ottenere. Erano i libri la vera scoperta. I libri l’avevano davvero introdotta in quella nuova realtà di cui quasi non riusciva a capacitarsi, quella bellezza che solo in quel modo lei, figlia di due dentisti, avrebbe potuto conoscere. I libri, che per anni l’avevano salvata e accompagnata nelle avventure che lei di certo non aveva volontariamente scelto di affrontare ma che comunque erano ricadute su di lei come macigni al collo di carcerati.

Hermione non aveva mai amato davvero il pericolo, ma era riuscita ad apprezzarne gli aspetti positivi. In quel momento però, guardando negli occhi la bambina che osservava il Ghirigoro come qualunque altro Nato Babbano avrebbe osservato il negozio di attrezzature per il Quidditch, quegli aspetti positivi persero qualunque attrattiva. Avrebbe voluto inginocchiarsi davanti a quella bambina innocente e chiederle scusa per tutto ciò che avrebbe dovuto affrontare. Avrebbe voluto scusarsi per averla costretta a rinunciare a tutto ciò che credeva le fosse caro.

«Possiamo sempre cambiare idea, cara» sentì sua madre sussurrare, proprio come aveva fatto durante quella prima uscita a Diagon Alley. Hermione aveva rimosso quel dettaglio, perché da quel momento in poi Jane si era mantenuta il più silenziosa possibile sulle questioni riguardanti la scuola, supportandola ed incoraggiandola a fare del suo meglio finché lei non l’aveva pugnalata alle spalle e spedita in Australia. Con il senno di un’adulta, vide il vero terrore negli occhi della donna: il terrore di una madre che avrebbe presto salutato sua figlia in un salto nell’ignoto, lasciandola alle cure di un insieme di insegnanti con buffi cappelli a punta e capaci di far apparire fiori e diavolerie varie dal nulla2.

La bambina, naturalmente, rise con tutta l’eccitazione che solo i bambini avrebbero mai potuto avere. «Ma mamma! Certo che sono sicura! Guarda, quel libro riguarda la trasfigurazione! Non è eccitante?» le aveva chiesto, quasi saltellando sul posto dalla gioia. «Oh, mamma, ti prometto che sarò la più brava e porterò a casa tantissimi voti alti. Nessuno sarà più bravo di me, ti renderò fiera!».

Suo padre le accarezzò la testa riccioluta, sorridendo dolcemente ma anche con una strana angoscia ad oscurargli lo sguardo. Come aveva potuto non notarlo mai? «Noi saremo sempre fieri di te, tesoro. Sei la nostra fatina dei denti, non è così?» le chiese, tirando fuori una risata forzata quando la piccola, scandalizzata, gli fece notare la presenza poco lontana dell’insegnante di Hogwarts incaricata di accompagnarli per il primo giro d’esplorazione. «Saremo sempre fieri di te».

Il sorriso della piccola Hermione, se possibile, si allargò a dismisura finché non sembrò notare, assurdamente, gli occhi della sua versione futura. La guardò intensamente mentre la curva delle sue labbra cambiava, capovolgendosi, e la gioia del suo viso si trasfigurava in puro e orrore terrore.

«Come hai potuto? Li hai traditi» esalò, spaventata, portando le manine davanti alle labbra come a voler nascondere i denti ancora troppo grandi per il resto del suo viso. «Perché l’hai fatto? Loro erano fieri di me e tu li hai portati alla morte».

Il dolore allo stomaco che la colpì la fece quasi piegare in due in preda ai conati di vomito. Riuscì a trattenersi, forse perché il suo stomaco era vuoto da un numero quasi sconsiderato di ore. Restò in silenzio il tempo necessario per ottenere il pieno controllo sulle proprie budella e per riordinare i pensieri, poi, lentamente, fece un passo avanti. «L’ho fatto perché è stato necessario. Non mi aspetto che tu… che chiunque possa capirlo».

La bambina pestò i piedi per terra, il viso gonfio e rosso. Aveva iniziato a piangere ma lei non se n’era quasi resa conto. «Io sono te! Siamo la stessa persona! Se io non lo capisco, come puoi tu?».

La tipica risposta da adulta – sei una bambina, fra qualche anno capirai – fu sul punto di lasciare le sue labbra, ma si fermò appena in tempo. Prima di risvegliarsi in quella strana realtà alterata, neppure la sua versione adulta aveva capito. Dubitava che l’avrebbe fatto una volta liberata da quello strano mondo. «Non l’ho capito neppure io. Ancora oggi mi sveglio piangendo, ogni tanto, ma so che è stato tutto necessario, ho imparato ad accettarlo. Senza il dottor Crave, oggi non sarei stata capace di guardarli negli occhi. Ma adesso io so, anche se non lo capisco».

La bambina fece una smorfia furiosa.

«Non ti perdonerò mai!».

«Lo so e lo accetto».

Quando si voltò, fu quasi come se la loro discussione non fosse mai avvenuta. La bambina continuò a sorridere ai genitori, a qualche passo di distanza dall’insegnante accompagnatrice. Fu proprio osservando lei che Hermione si ritrovò a notare un dettaglio che non aveva mai toccato la sua attenzione, prima di quel momento. Accanto alla professoressa, infatti, stava una persona incappucciata, con lunghi capelli grigi e occhi neri come il carbone. Aveva la pelle pallida come quella di un morto e dei tratti delicati che rendevano difficile capire se si trattasse di un uomo o una donna. In circostanze normali, non le sarebbe importato più di tanto: la divisione fra maschi e femmine aveva dell’assurdo ai suoi occhi. Tuttavia qualcosa, nel modo in cui la persona si pose, la fece irrigidire nella consapevolezza.

Tiresias.

«Oh, signori Granger, sono mortificata ma credo di dover rientrare ad Hogwarts. Se doveste aver bisogno di aiuto, sono certa che i negozianti saranno ben lieti di assistervi» mormorò con tono vago l’insegnante, sorridendo con l’espressione tipica di chi fosse stato soggetto ad un basilare Imperius. «Oh, nel negozio c’è anche il signor Malfoy! Mia cara, sono certa che se gli chiederai aiuto lui sarà più che pronto a dartelo».

Con orrore, l’Hermione adulta si voltò verso l’ingresso del Ghirigoro, dove, in effetti, sapeva avrebbe trovato un piccolo, appiccicaticcio e borioso Draco Malfoy che, di lì a breve, l’avrebbe trattata male davanti a tutti gli occupanti, spingendola verso un’inimicizia pluriennale. Draco Malfoy, a causa del quale avrebbe avuto modo di iniziare una discussione con Ron ed Harry. Draco Malfoy, che per la prima volta l’avrebbe fatta sentire inadeguata, spingendola a dare sempre di più, ad essere davvero la migliore.

Se non ci avesse abbandonati, io non l’avrei conosciuto in questi termini. Non sarei stata quella che sono.

Era stata tutta opera di Tiresias.

 

***

 

Aveva appena scoperto il segreto della Camera3, quando la seconda visione ebbe inizio. La sua versione dodicenne la precedeva, uno specchietto in mano ed il terrore dipinto nello sguardo. Era diretta alla partita di Quidditch, lo ricordava bene, perché lì avrebbe potuto avvertire Harry e Ron e tutti gli altri, avrebbe potuto dire a tutti di stare attenti, di aspettarsi l’attacco di un mostro talmente raro da essere considerato quasi estinto. Aveva anche pensato di rintanarsi direttamente in Sala Comune, ma il buonsenso aveva avuto il sopravvento.

Sfortunatamente.

Proprio come ricordava, Penelope Light emerse da oltre una porta, agitata e confusa, finendole contro come se non l’avesse vista arrivare. L’allora prefetto di Corvonero era stata una rara bellezza, ai tempi della scuola, e nessuno aveva mai capito come esattamente fosse finita fra le braccia di Percy Weasley, fra tutti i possibili pretendenti. Hermione, naturalmente, aveva sempre saputo che fra loro fosse stata una questione di affinità mentali: anche lei, più di una volta, si era ritrovata attratta dalla compagnia dei Corvonero così come doveva esser successo a Percy. In quell’istante, quando quasi fece cadere la bambina per terra, Hermione notò qualcos’altro oltre alla sua famosa bellezza.

Pupille dilatate, espressione vuota.

Oh, no.

«Prefetto Light! Cosa facevi in quell’aula vuota?» chiese la bambina, prendendola per le spalle per aiutarla a rimettersi in piedi e restare in equilibrio. Era convinta fosse strana a causa di solo lei sapeva cosa, in quel momento, invece, riconobbe tutti i segnali. Sapeva che, se si fosse presa la briga di aprire la classe e controllarla, l’avrebbe probabilmente trovata occupata da una creatura con lunghi capelli grigi ed occhi neri.

«Devo andare in bagno» esalò la ragazza più grande, fissandola come se lei fosse stata la responsabile di tutti i mali dell’universo. «Devo proprio andare in bagno».

«Oh, no, torna nella tua Sala Comune, è troppo pericoloso» tentò, disperatamente, afferrandola per la manica della tunica e cerando di riportarla indietro. La versione adulta ricordava l’ansia, il panico all’idea di essere già fra le fauci della belva. Era stato quasi un miracolo che avesse trovato quel libro, in quel momento tuttavia la paura che potesse trattarsi non di un colpo di fortuna ma, sfortunatamente, di un piano ben architettato nei secoli la fece rabbrividire di più.

Quanto aveva manipolato, Tiresias? Quanto era stato davvero frutto del suo libero arbitrio?

«Devo andare in bagno» insistette il Prefetto, ribellandosi alla sua presa finché non riuscì a liberarsi. Partì di gran carriera, allora, incurante della bambina che la tallonava presa dall’angoscia, quasi fosse stata certa che lei non l’avrebbe abbandonata.

I Grifondoro erano prevedibili, stupidi. Hermione non era da meno.

«Prefetto Light! Aspetta!» disperata, la bambina trasfigurò una piuma di riserva trovata nella tasca del mantello in uno specchietto. «Devi usare questo! Devi-».

Ancora una volta, Hermione non sentì il rumore del corpo della bestia che le attendeva proprio dietro la porta del bagno delle ragazze. Ancora una volta, fu soltanto un attimo prima di perdere qualunque contatto con il mondo che lei ebbe coscienza di ciò che stava per accadere. Ma Hermione – la sua versione più giovane, la sua versione più innocente che ancora non aveva idea di quanto dolore avrebbe dovuto sopportare – non aveva avuto paura. Non si era spaventata. Lei aveva ancora fiducia nel mondo, nei suoi amici.

Sarebbe dovuta cadere, tuttavia restò in piedi, pallida come un cadavere ma ancora apparentemente viva. Si voltò a guardare la sua versione futura, piena di rabbia e risentimento.

«Perché? Perché sei diventata una vigliacca?» le domandò, la voce ridotta ad un sussurro furioso.

C’erano tante ragioni, in realtà. Una più ragionevole e sensata dell’altra, probabilmente anche la bambina avrebbe capito se lei si fosse presa la briga di spiegare.

«Non è stata una mia decisione» fu tutto ciò che disse, stringendosi nelle spalle. Non c’era difesa che potesse tenere.

«Essere vigliacchi è più facile, ma io non voglio la strada facile».

«Io, invece, vorrei proprio avere una scelta facile, una volta tanto». Con un sospiro, si voltò verso la porta dietro cui sapeva avrebbe trovato Tiresias. «Credevo di essere qui dove sono a causa mia. Invece temo di non aver mai avuto libertà».  

 

***

 

Sapeva che quel momento sarebbe tornato a tormentarla, era addirittura sorpresa che non fosse giunto prima. Forse le sue illusioni erano talmente razionali da ammettere che potessero presentarsi in modo non cronologico. Oppure era arrivata ad un tale livello di masochismo da volersi prima riscaldare, così da essere pronta al ricordo.

Non si trattava di un episodio estremamente doloroso, in effetti. Non a livello oggettivo. Non si trattava di una promessa infranta fatta ai suoi genitori o della prima, tragica esperienza di quasi morte.

Era stato solo il suo cuore a soffrire, quel giorno.

Era ancora seduta in un angolo delle scale, raggomitolata su se stessa e con il viso ancora bagnato di lacrime. Non era stata una bella serata, nonostante tutte le sue aspettative, nonostante fosse stata consapevole di essere invidiata da tutte le ragazze delle tre scuole che avevano sperato di attirare l’attenzione di Viktor Krum. Le era sembrato assurdo che lui l’avesse invitata, che lui avesse scelto proprio lei.

Che Tiresias lo avesse stregato? No, impossibile, Viktor era sempre stato molto più che lucido in sua presenza, restando a guardarla in Biblioteca per settimane prima di farsi avanti e chiederle di accompagnarlo. Almeno lui l’aveva avvicinata di propria volontà. Che in quest’occasione fosse la sua miseria ad essere messa in primo piano?

«Avresti dovuto invitarla tu, idiota».

La voce di George, più vicina di quanto avesse immaginato, la fece sobbalzare violentemente. Voltandosi notò i gemelli, nascosti poco dietro la porta della Sala Grande ed intenti a guardarla. Angelina, che avrebbe dovuto accompagnare Fred, era ancora dentro la Sala, intenta a chiacchierare con Katie – era così giovane e felice! Difficile collegarla a Kate – e a lanciare occhiate furtive a… George. Ah, allora quel loro matrimonio non era stato poi così tanto assurdo. Fred aveva sempre avuto ragione di non prendersela perché l’ex Cacciatrice alla fine aveva scelto il suo gemello.

Non che il Fred del passato sembrasse vagamente interessato a lei, i suoi occhi erano focalizzati solo su Hermione. A breve, infatti, sarebbe andato da lei per offrirle un abbraccio ed un fazzolettino, rassicurandola che Ron fosse un idiota orgoglioso e che lei non dovesse prendersela, essendo la ragazza più invidiata della serata.

Vali molto di più, Hermione.

«Sai perché non l’ho fatto, Georgie. Non mettere la bacchetta nella piaga» lo rimbeccò, con un sospiro secco e lo sguardo pieno di pena. «Se devo esser sincero, però, avevo deciso di… di farmi avanti, prima ancora che Krum iniziasse a girarle intorno».

Aveva notato Krum, nonostante neppure Harry e Ron se ne fossero accorti.

George fissò il gemello con aria curiosa, perdendo l’esasperazione con cui l’aveva guardato fino a quel momento. «Davvero? Perché hai cambiato idea?» domandò, diviso fra la curiosità e la stizza. «Ti saresti risparmiato d’invitare la mia futura moglie, fratello. È piuttosto evidente che Angelina avrebbe dato una gamba per essere qui con me».

La risatina di Fred le fece stringere il cuore. «Così come buona parte della fauna maschile e anche femminile della scuola avrebbe fatto per essere al tuo posto con Katie. Non ci metterei la mano sul fuoco, ma credo di aver visto Malfoy lanciarti un paio di sguardi assassini quando le hai chiesto di accompagnarti e lei ha accettato».

Il ghigno di George lo fece somigliare ad un demonietto soddisfatto. «Katie non risponde di se stessa davanti alle Api Frizzole. È bastato sventolargliene un pacco sotto al naso e non ci ha pensato due volte a cadermi fra le braccia».

«Come ti ha definito Seamus Finnigan?».

«Fortunato Bastardo». Il sorriso di George era quasi difficile da sopportare, in quel momento. «Ma non deviare, fratellino. Perché non sei andato dalla tua bella? Considerando come quell’idiota di Ron l’ha trattata le avresti risparmiato un sacco di grattacapi» mugugnò, dando leggermente di gomito a Fred. «E Krum, per quanto… uh… grandioso sul campo da Quidditch è un po’…» fece un gesto vago con la mano, alla ricerca della parola giusta. «… arido».

Fred gli dedicò un’occhiata curiosa. «Con un mondo di insulti che avresti potuto utilizzare tu scegli arido? Per caso la nostra bella Katie ti ha sbaciucchiato troppo e ti ha tirato via il cervello?».

Il modo in cui George si finse sconvolto fece ridacchiare Hermione. «Katie è una sorella per me! E credo che Oliver mi ucciderebbe se solo mi permettessi a pensarci. È stato lui a mettermi sulla strada delle Api Frizzole, per evitare che qualcuno potesse invitarla». Si morse il labbro inferiore, stranamente nervoso, soprattutto rispetto alla spavalderia mostrata poco prima. «Anche se… le hai viste anche tu le foto con quella strana ragazza. Non credo che lei voglia solo essere sua amica».

«Ah, Oliver non lo farebbe mai4» liquidò Fred, tranquillo. Quando tornò a guardare la giovane Hermione, ancora in lacrime, il suo sguardo si oscurò. «Quanto a lei… ero ad un passo dal dirglielo, davvero. Però…».

«Però?».

Si strinse nelle spalle, sconfitto. «Non lo so. All’improvviso mi sono convinto che fosse meglio lasciare la strada libera a Ron. Non so per quale motivo, ma… qualcosa mi dice che loro siano destinati».

George strinse le labbra. «Negli ultimi quattro anni, Ron non ha fatto altro che farla arrabbiare, innervosire e farsi passare per scemo. Chi è che l’ha accompagnata in classe, quando ha rischiato di perdersi il suo primo giorno?».

«… io».

«Chi è che l’ha aiutata a spedire il gufo per salvare Harry, durante il primo anno? E chi le ha portato fiori tutti i giorni, quando era pietrificata, passando anche per un povero idiota con l’infermiera?5».

Fred ebbe il buongusto di arrossire miseramente. «Non c’è bisogno di ricordarmelo, ok? Solo perché mi sono messo leggermente in imbarazzo-».

«Lee ti chiama Casanova Fallito».

«Ron potrebbe essere felice con lei, ok? Pensa a nostro fratello. Quali sono le possibilità che possa trovare una ragazza capace di andare oltre la sua stupidità?» la sua voce era incerta, quasi si fosse convinto di quell’idea ma gli sembrasse ogni giorno più assurda.

«Ma lei potrebbe essere felice con Ron?» fu la domanda di George, estremamente preoccupato. «Io non sono sicuro che dovresti tirarti indietro. Hermione sembra cocciuta, ma alla fine potrebbe cedere a nostro fratello solo perché tutti si aspettano che lo faccia6. Sappiamo entrambi che Krum non le interessa più di tanto».

Tutt’altro che interessato alle parole del fratello, Fred sembrò udirlo appena, troppo interessato ad Hermione ed alle sue lacrime. «Non so perché non l’ho fatto, d’accordo? Ma ormai non è tempo di discuterne. Vado da lei».

Qualcosa attirò lo sguardo di Hermione – la versione adulta, quella che ricordava appena il rumore del cuore spezzato – e, sollevati gli occhi, si ritrovò a fissare la se stessa in lacrime a pochi passi di distanza.

«Eravamo le più belle» le rinfacciò, allargando le braccia. «Perché hai dovuto tradirci così? Se tu ti fossi abbassata a chiederglielo per prima, lui non avrebbe mai detto di no».

«Stai parlando di Ron o di Fred?» le domandò allora, sinceramente confusa.

«Credi che importi qualcosa? Stupido orgoglio, ci ha rovinate!».

«Sì, forse il nostro orgoglio ci ha rovinate. Dopotutto, è per questo che abbiamo rovinato la nostra serata più importante e che altre mille disavventure ci hanno colpite» concordò lei, annuendo leggermente «Ma era tutto necessario. L’orgoglio fa parte di me».

«Essere te è la cosa peggiore che mi sia capitata».

«Oh, lo so anche io».

Quando la giovane piangente tornò al suo posto, Hermione ebbe appena il tempo di voltarsi e ritrovarsi faccia a faccia con una creatura incappucciata. Tiresias, naturalmente.

Tiresias, che aveva spinto Fred a lasciarla andare, a lasciarla a Ron. Che aveva manipolato il mondo intorno a lei così che la sua vita potesse effettivamente andare a rotoli.

Ancora una volta, era colpa sua.

Se Fred l’avesse invitata, buona parte dei suoi problemi futuri avrebbe potuto risolversi in nulla, lasciandole quella finestra di speranza, quella boccata d’aria fresca la cui assenza l’aveva quasi spinta a cadere.

«Brutto figlio di puttana, è stata tutta colpa tua».

 

***

 

«Credi sia saggio?».

«Non abbiamo poi molta scelta, non credi anche tu?» aveva risposto ad Harry, osservando la mappa di Godric’s Hollow con cipiglio confuso. «Tutti gli indizi portano qui, credevo fossimo concordi su questo punto. Ne abbiamo già discusso».

Harry – più giovane e meno tormentato, nonostante tutto – annuì, senza sembrare neppure lontanamente più tranquillo. «Grazie, Hermione. Mi rendo conto che tutto questo debba essere… difficile, per te» le disse, abbassando lo sguardo come se si stesse profondamente vergognando di se stesso. «Quello che ti ho detto… tempo fa è ancora valido, lo sai. Puoi andare via, se vuoi. Puoi tornare a casa o… o potresti tornare alla Tana. I Weasley ti aiuterebbero anche a ritrovare i tuoi genitori».

La giovane scosse il capo, testarda nonostante l’evidente pallore che le notti insonni le avevano recentemente provocato. «Ho promesso che ti avrei aiutato, Harry, ed io non mi rimangio le mie promesse. Oltretutto…» si fermò per un istante, cercando le parole giuste ma poi cambiando bruscamente direzione, preferendo dire qualcosa di diverso. «Oltretutto, credi davvero di potercela fare senza di me? Ti ho salvato il fondoschiena da quando avevamo undici anni».

Il sorriso esitante di Harry riuscì a riempirle il cuore nonostante fossero passati anni. Era così solo, il suo migliore amico. Lo era sempre stato, nonostante la presenza sua e di Ron. Loro non l’avevano mai capito davvero e, almeno così credeva all’epoca, non l’avrebbero mai fatto.

Col senno di poi, Hermione stessa era stata messa davanti a traumi molto simili ai suoi ed abbastanza orribili da farle capire, seppur parzialmente, la sua posizione.

«Se dovessi cambiare idea, però…».

«Nel caso, tu saresti il primo a saperlo».

Dietro i due ragazzi, confusa fra le ombre, la creatura immortale dai terribili occhi neri sorrise, compiaciuta7.

Non c’era stato bisogno del suo intervento.

«Saresti potuta tornare a casa» le rinfacciò invece la sua versione più giovane, voltandosi per fissarla con rabbia nello sguardo. «Saremmo potute andare a casa, ma non l’abbiamo fatto».

«A quest’ora non saremmo riuscite a guardarci negli occhi. Non mi pento di essere rimasta al fianco del mio migliore amico, non potrei mai pentirmene. Neppure tu sei davvero arrabbiata per questo» le fece notare, piegando il capo di lato. «La prima Hermione mi ha rinfacciato una promessa infranta, la seconda mi ha rinfacciato di essere una vigliacca, la terza di essere troppo orgogliosa. Tu non mi stai davvero rimproverando per essere rimasta al suo fianco».  

«No» concordò la giovane, mentre intorno a loro tutto cambiava e la tenda veniva sostituita da un palazzo in fiamme. Si sentivano urla disperate, crolli nei piani superiori, il muoversi frenetico di persone all’esterno. «Ti sto rinfacciando di non aver continuato a proteggerlo. Se tu non fossi scappata, se tu avessi mantenuto la tua promessa e l’avessi avvertito della tua volontà di arruolarti nelle banshee… questo non sarebbe successo».

Dietro di lei, un Harry coperto di cenere e scottature fece la sua apparizione, lo sguardo vuoto, carico di un orrore inimmaginabile.

Lipsia.

Il senso di colpa che la assalì per poco non la fece cadere a terra. Era vero, se solo lei avesse parlato con Harry, lui non avrebbe avuto anche la sua ipotetica morte di cui accusarsi. Se lei non fosse stata una vigliacca, orgogliosa e incapace di mantenere le promesse, Harry non avrebbe provato a suicidarsi.

«Mi sono sempre chiesta cosa possa avermi mai spinto a mentirgli così a lungo» rifletté, stringendosi nelle proprie braccia in un vano tentativo di proteggersi. «Per un secondo, poco fa, ho pensato potesse essere stata opera di Tiresias, ma non è così».

La versione giovane – era cresciuta, molto più simile a lei, con indosso la divisa Banshee – annuì, piena di disgusto. «È stata solo opera tua. Tu hai scelto di scappare».

«Perché sono diventata una vigliacca».

«Perché sei diventata debole, proprio come Tiresias voleva».

Le due Hermione si guardarono per un lungo istante, mentre intorno a loro l’inferno bruciava.

«Cosa posso fare, allora? Come posso…» tentò, stringendo poi le labbra per l’incapacità di proseguire, di trovare le parole giuste. «Come posso aiutarmi e aiutarli?».

La sua versione più giovane sorrise, quasi si fosse aspettata quella domanda. «Sai, un tempo una persona molto saggia ti definì “la strega più brillante della tua generazione”».

Hermione sorrise, passandosi stancamente una mano fra i capelli. «Il mio cervello, quindi? Immagino che sia l’unica cosa che Tiresias non abbia avuto modo di corrompere» rifletté, guardandosi intorno. «Molto bene… direi che, partendo dal presupposto che io non mi sia sentita così lucida da anni, questa specie di visione mi stia aiutando a liberarmi di ciò che mi ha bloccata negli ultimi tempi, no?».

La sua controparte annuì, mentre dietro di lei facevano la loro apparizione le altre tre Hermione che aveva già incontrato: l’undicenne, la dodicenne, la quattordicenne. Loro erano, in effetti, parte di lei, rappresentazioni dei suoi più atroci dubbi, dei pesi che nel tempo aveva posto su se stessa e che nessuno era riuscito a toglierle. Come avrebbero potuto? La sua mente era come un castello di diamante purissimo, prezioso ma impenetrabile. Lì, in quell’illusione, era chiusa dentro le mura, capace di fronteggiare se stessa direttamente. Capace di pensare lucidamente.

In reazione a quel suo pensiero, lo scenario cambiò ancora e si ritrovò chiusa in una stanza dalle pareti splendenti.

«Deve essere opera di Mulciber, naturalmente» rifletté ad alta voce, osservando le sue cloni ma senza aspettarsi delle risposte. «Mi ha rinchiusa nella mia mente, mossa intelligente. Dubito di potermi liberare con facilità… non senza le mie piene facoltà su di voi» aggiunse, indicando sempre le sue interlocutrici. «Non credo immaginasse che la mia condizione mentale fosse tanto tragica, non dev’essere divertente, per lui. E non credo avesse messo in conto che, odiando me stessa, avrei anche rivisto molti episodi in cui Tiresias si è fatto avanti» mormorò, senza riuscire a nascondere un sorriso. «Ho anche la sensazione che il veggente fosse coinvolto nel suo arresto. Troppo strano che nessuno abbia mai pensato di sottoporlo al Bacio del Dissennatore».

L’Hermione quattordicenne annuì. «Hai ragione, ma non dare troppe cose per scontate» la ammonì, con una smorfia. «L’hai fatto troppe volte e questo è il risultato».

«Proteggerlo a tutti i costi… perché? Che sia lui?» si chiese, mordendosi il labbro inferiore. «È possibile, certo. Spiegherebbe perché anche Voldemort l’abbia sempre tenuto in alta considerazione, quasi avesse paura».

Le altre concordarono.

«Se lui fosse davvero Sisifo… dovrebbe averlo già scoperto. E dovrebbe aver già riscoperto parte dei suoi poteri».

«In effetti, signorina Granger, mi aspettavo anch’io una tale evoluzione». Dalle sue spalle, la voce dell’uomo chiamato in causa la fece trasalire. Voltatasi, Hermione si ritrovò a fronteggiare Mulciber – o Sisifo? – ed il suo ghigno compiaciuto, mentre Harry e Barry, fermi alle sue spalle, si guardavano intorno con aria confusa. «I suoi amici non hanno idea di cosa stia succedendo, signorina Granger, e di certo non ho intenzione di renderli partecipi. Ho provato a lasciare indizi qui e lì, ma non sembrano aver recepito poi così bene, sa?» si rallegrò l’uomo, con una risatina. «Ma sapevo che lei mi avrebbe dato soddisfazione. Questo castello che si è costruita… è incantevole» si congratulò, battendo le mani. «Ed il fatto che sia consapevole di non poter scappare è ancora più eccitante, sapevo che sarebbe successo. I suoi amici sono scappati via dall’illusione, sa? Non ho messo in conto un paio di cosucce e si sono liberati. Ma lei… lei mi somiglia troppo. Anche lei è brillante».

L’essere paragonata ad un serial killer, cannibale e probabilmente immortale non le fece molto piacere, ma non trovò nulla da controbattere. «Perché mi hai messa sotto illusione? Sapevi che sarebbe finita così, che avrei capito».

Mulciber rise più forte. «Per poterti mangiare, mia cara, devo indebolirti. Il veleno che in questo momento scorre nelle tue vene ti sta spegnendo lentamente e, nel tempo che impiegherò per accompagnare i due signori a dare uno sguardo alla Negromante, tu sarai sufficientemente prosciugata da poter essere cotta a puntino. Non c’è modo che tu possa liberarti, lo sai, quindi inutile provare».

Se fosse stata in se stessa, il suo orgoglio l’avrebbe spinta a ribattere che, invece, lei ce l’avrebbe fatta, che l’avrebbe aggirato in qualche modo. Tuttavia il suo orgoglio la fissava da svariati passi di distanza, disinteressato a tutto. «Hai ragione» concordò alla fine, «ma io ci proverò lo stesso, spero non te ne dispiaccia. Niente mi impedirà di tentare di fermarvi, anche se dovessi riuscire soltanto ad avvisare Harry e morire nel tentativo».

Il sorriso di Mulciber si allargò. «Hai davvero capito, allora?».

«Non ti permetterò di toccarlo».

Il Legilimens rise più forte, prima di darle le spalle. «Mettiti comoda, signorina Granger. Io ho tutto il tempo di portare quei due dalla Negromante. Sarà un piacere far vedere loro quanto terribile sia la sua esistenza, prima di uccidervi tutti».

«Ho solo una domanda» lo interruppe lei, incrociando le braccia al petto. Quando lui si girò, lei gli sorrise. «Hai già detto di essere rimasto sorpreso da Harry e Barry… credi davvero che Kate sarà da meno?».

 

 

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Sono viva! Ho riposato (un po’, in realtà mi sono lasciata stressare dalla vita e dal caldo, quindi non so bene quanto positivo sia stato questo break) ed ora sono pronta a farvi male.

Stavo giusto pensando che fino ad ora sono stata collegata ad Hitchcock e Moffat, ma ancora nessuno mi ha paragonata a George RR Martin.

Devo porre rimedio.

 

Che questi personaggi siano la vera #SuicideSquad?

 

 

Punti importanti:

 

» * - Se potessi aiutarti a dimenticare/ accetteresti il mio rimpianto?/ Perché mi ricordo tutto./ Caro fratello/ ti prego non odiarmi/ per non averti mai supportato/ e non essere rimasta al tuo fianco. Hermione sta soffrendo e si vergogna, il solo guardare Harry negli occhi la uccide.

 

» 1 – Nei libri si dice spesso che la lettera di Hogwarts venisse consegnata ai Nati Babbani da un professore. Io ho ipotizzato (non ricordo se fosse davvero così) che un professore accompagnasse le famiglie a Diagon Alley proprio come Hagrid fece con Harry. Non potevano certo abbandonarli a se stessi, no?

 

» 2 – Hermione aveva undici anni, quale genitore sano di mente l’avrebbe mandata a cuor leggero nel culo della Scozia a studiare magia insieme a gente capace di indossare cappelli a punta? Tutto il concetto di Hogwarts è inquietantissimo.

 

» 3 – Contesto storico: ci troviamo durante la famosa partita di Quidditch non giocata (“Non può cancellare il Quidditch!” [Cit. Oliver Baston]) proprio perché Hermione e Penelope vennero ritrovate pietrificate.

  

» 4 – Fred e George fanno riferimento a quella che diventerà la futura moglie di Oliver. Lui ha ceduto già all’epoca oppure lei ha approfittato della (futura) separazione fra lui e Katie per farsi avanti? In ogni caso, ti prego Oliver perdonami per quello che ti sto facendo. Io sono la sua fan n.1 e trattarlo male mi sta uccidendo. I ♥ U Oliver!!!!!!!!!!!!!!

 

» 5 – Sono tutti episodi sostanzialmente fanon, che io immagino siano davvero esistiti. Nello specifico:

-         Come Harry e Ron (ovviamente nel film, non avevo voglia di controllare il libro, abbiate pietà), anche Hermione ha rischiato di perdersi e arrivare tardi, il suo primo giorno, perché troppo presa dall’osservare i quadri per seguire il Prefetto. Per sua fortuna è finita dritta dritta fra le braccia di un improvvisamente paonazzo Fred, così intrigato da quella ragazzina da farsi avanti e accompagnarla personalmente.

-         Alla fine del primo libro, Hermione scappa dal nascondiglio della Pietra con un Ron svenuto (l’ultima volta in cui ha davvero fatto qualcosa di buono, per quanto mi riguarda) e manda un gufo a Silente. Per me, Fred l’ha beccata a metà strada e l’ha aiutata.

-         Secondo libro: quando Hermione è stata pietrificata, Fred è andato a trovarla tutti i giorni. La Chips non sapeva se ridere di lui o intenerirsi. Nel dubbio, lo ha costretto ad aiutarla a riordinare l’infermeria.

-         Abbiamo poi l’episodio della “scena”, cioè Fred che la rassicura al Ballo del Ceppo.

-         Fred che durante il sesto anno ha quasi dato una pozione ad Hermione per farle dimenticare Ron (non per farla innamorare di lui invece che di suo fratello, perché Fred era innamorato ed è una persona meravigliosa. #ProtectFredWeasley2k17

 

» 6 – Nessuno mi convincerà che Ron ed Hermione siano una bella coppia. Sono palesemente un contentino della Rowling ed una presa a pietà per Ron, che essenzialmente è un idiota. No, non mi farete cambiare idea, nell’altra mia ff l’ho fatto diventare un mostro, non provocatemi per una volta che gli ho dato una morte onorevole. Nonostante tutto, però, è innegabile che, secondo me, non siano mai stati una buona coppia ma che, semplicemente, Hermione abbia avuto una sbandatella per l’amico e che alla fine si siano messi insieme perché tutti se l’aspettavano un po’.

 

» 7 – Tiresias era , perché se Hermione avesse deciso di tornare a casa avrebbe dovuto intervenire per impedirglielo. Generalmente, se Tiresias è presente in determinate circostanze ma non tocca nessuno è perché il futuro previsto è molto incerto, quindi meglio essere presente ed intervenire se necessario. 

 

 

Dun Dun DUUUUUUUUUUUUUUUHN!!!!

Qualcuno aveva ipotizzato che Sisifo e Mulciber fossero una persona sola.

A queste persone, io dedico questa: https://us.v-cdn.net/5019940/uploads/editor/4t/ivr7tp9i2efj.gif

  

 

Un bacione a tutti! A lunedì prossimo con il capitolo più lungo che io abbia scritto per questa ff! E indovinate un po’ chi sarà la vittima protagonista?

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 27
*** Atto X, Parte II - Terrori notturni ***


LErede del Male.


 

Never trust a demon.

He has a hundred motives for anything he does...

Ninety-nine of them, at least, are malevolent. ”*



[Neil Gaiman – Preludi e Notturni]

                                  

 

Atto X, Parte II –  Terrori notturni

 

 

L’uomo seduto ad un capo del lungo tavolo aveva l’aria di essere sull’orlo di una crisi di nervi1.

Aveva i capelli neri, corti ed ordinati, il viso dolce e meraviglioso come lei aveva sempre immaginato quello di un angelo. Anche le morbidissime ali bianche che si stagliavano alle sue spalle sembravano confermare quella sua immagine. Non tanto angelici, invece, erano l’arco e le frecce che erano state palesemente scaraventate sul tavolo, in quello che doveva essere stato uno scatto d’ira. Erano armi di evidente elevata manifattura, d’oro purissimo e apparentemente molto pesanti, simili ai cimeli dei folletti che lei aveva visto esposti in più di una delle ville dei purosangue d’alta società, però ancora più belli.

Kate aveva capito immediatamente chi fosse l’Essere che la fronteggiava e che non sembrava essersi reso conto della sua presenza. L’aveva capito, ma non aveva idea del perché o del come fosse riuscita a raggiungerlo. Ci aveva pensato spesso, soprattutto dopo l’incontro con Thanatos, ma non pensava che sarebbe mai successo, almeno non finché tutto quel guaio con Tiresias non fosse stato risolto.

Vagamente a disagio nel non essere ancora stata notata, si guardò intorno alla ricerca di un qualche appiglio, senza trovarlo. Allora, armandosi di coraggio, fece qualche passo avanti, schiarendosi la voce con un colpo di tosse. «Uhm…» tentò, cercando di raccapezzarsi del giusto modo di salutarlo. Quando era toccato a Thanatos, le era stato relativamente facile, considerando il timore reverenziale che i Sacerdoti le avevano trasmesso soprattutto da quando aveva subito la prima trasformazione. Con lui, tuttavia… Thanatos era stato piuttosto aperto nel suo amore paterno, una volta passato il momento di crisi isterica, ma Eros, a dispetto del suo essere una divinità dell’Amore, avrebbe potuto dimostrarsi differente, avendo vissuto lontano dai mortali per così tanto tempo. Forse un semplice “come butta?” non sarebbe stato proprio l’ideale. Magari avrebbe dovuto inginocchiarsi, usare qualche formula del Necromicon, offrire del sangue-

«Oh, Kate! Sia ringraziato Crono2, temevo di non essere riuscito ad intercettarti» praticamente squittì la divinità, balzando in piedi e ritrovandosi davanti a lei nel tempo di un battito di ciglia. Il tono isterico non aveva nulla di quella potenza opprimente con cui Thanatos l’aveva quasi uccisa e, invece di cercare di intimidirla, nell’avvicinarsi lui le aveva preso il viso fra le mani, come a voler controllare che stesse bene. La stava osservando con gli occhi spalancati e pieni di ansia, toccandola ed osservandola come se lei fosse appena tornata da una qualche missione suicida.

No, come un genitore l’avrebbe osservata. Un genitore parecchio ansioso, ma comunque un genitore.

Kate, avendo nel campo un’esperienza simile a quella di Harry Potter, si paralizzò, incerta sul come reagire. Nel dubbio, grugnì.

«Quando ho visto tuo padre darti quel dannato libro ho creduto di impazzire! Sapevo che saresti finita nei guai, non ne esce mai nulla di buono da quella robaccia» si lamentò l’uomo, lasciandole andare il viso per poterla abbracciare, con suo immenso sconcerto. Incurante, continuò a stringerla ed a borbottare. «E quella creatura disgustosa! Forse dovrei ringraziarlo, senza il veleno non sarei riuscito a contattarti, ma… cara, tu hai il cuore spezzato!» sbottò, ad un certo punto, fermandosi per allontanarla e guardarla negli occhi. «Ti hanno spezzato il cuore per ben due volte?» continuò a chiedere, probabilmente in modo retorico.

Quando Kate si rese conto che lui stesse aspettando una risposta, si schiarì nuovamente la voce. «Uh… la seconda volta credo sia giustificabile, dopotutto non… non condividiamo la stessa biologia, ciò che io sento per lui potrebbe non essere uguale. Ed anche la prima… credo sia pure colpa mia, in realtà» provò a giustificare, quasi inquietata dalle ombre in quegli occhi dorati. Una parte di lei era legittimamente preoccupata che lui potesse trovare il modo di… intervenire come solo una creatura immortale avrebbe potuto. Per quanto più paffutello e carino del consorte, Eros non poteva essere meno pericoloso di Thanatos.

Fiamme vive si agitarono nello sguardo della divinità mentre la scrutava con attenzione. La sua espressione non si ammorbidì. «Draco Malfoy è un bugiardo seriale, piccola mia, non crucciarti per lui. Si è innamorato di te quando era poco più di un bambino e la cosa non ha fatto che peggiorare» tentò, forse, di rassicurarla. «Che abbia negato il vostro legame è ridicolo, anche adesso si sta tormentando. Ho voluto che voi aveste delle bestiole da compagnia3 perché non soffriste mai l’abbandono, piccola, quindi non credere che possa semplicemente non amarti». Kate si chiese quanto quell’affermazione potesse essere di conforto a Draco e cercò di trattenere una risatina. Il venir definito “bestiola da compagnia” non doveva essere proprio nella top ten di Lord Malfoy e del suo ego. «Ma non è questo il vero cuore spezzato a cui mi riferisco» continuò Eros, fissandola negli occhi con aria sempre più corrucciata che presto si trasformò in vera rabbia. «Oliver Baston» sibilò quindi, rigido. «Ti ha fatta soffrire così tanto, povera piccola mia» esalò, la voce incrinata da qualcosa di spaventoso. Era come un rombo di sottofondo, un qualcosa che nessuna voce umana avrebbe mai potuto possedere e che per questo capace di instillare in chiunque un inconsapevole terrore.

Furia immortale.

«Uhm… Dominus-» provò ad intervenire, ritrovandosi tuttavia velocemente zittita con un dito sulle labbra ed una divinità con un gran sorriso orgoglioso in viso.

«Padre, mia cara. Credevo avessimo superato questo dettaglio, no?» la corresse, la voce così piena di miele da fare quasi impressione.

«Padre non c’è bisogno di… uh… prendersela tanto» riprese allora lei, incerta su come fosse più opportuno rivolgerglisi. «Oliver è stato una parentesi della mia vita, ma ormai è tutto passato. Neppure della mia vita, se vogliamo essere pignoli, ma della vita di Katie. Io non sono più lei, non mi importa più di tanto» azzardò, pregando che il dolore per il rifiuto di Draco fosse sufficientemente forte da impedirle di mandare al diavolo l’esistenza di Oliver Baston. Le faceva ancora male, per quanto fosse effettivamente tutto passato. Faceva male, ma non abbastanza da giustificare l’ira funesta della divinità dell’amore. «Davvero, non disturbarti».

La carezza che Eros le diede la spinse involontariamente a rilassarsi, lasciando che la propria guancia aderisse meglio alla sua mano, come un gatto alla ricerca di coccole. Gli occhi dorati di lui, che fino a quel momento erano stati duri, si riempirono di dolcezza. «Ah, tu mi somigli troppo, bambina» si lamentò, pieno di dolcezza paterna. Kate aveva visto quella stessa espressione negli occhi di Barry, in più di un’occasione1. «Ho imparato che cedere ai buoni sentimenti non porta sempre a qualcosa di buono e non vorrei che tu dovessi seguire il mio esempio».

Kate arricciò il naso, raddrizzandosi quando lui le lasciò andare il viso ma tallonandolo quando iniziò a trascinarla verso l’unica sedia presente nella stanza, la stessa su cui lui era prima seduto. Quando lui si accomodò, lei non perse tempo a sistemarsi ai suoi piedi. «Le situazioni sono leggermente diverse, padre. Io non mi sto fidando di una creatura viscida e approfittatrice ma solo… beh, di un Portiere con abbastanza neuroni da potersi concentrare solo sul Quidditch» lo rassicurò, con una risata che tuttavia non suonò convinta neppure alle sue orecchie. Stava mentendo ed Eros lo sapeva fin troppo bene, considerato come le accarezzò i capelli.

«Avrebbe funzionato fra voi, sai? Se non fossi cambiata, naturalmente» le mormorò, dolcemente. «Avevo previsto tutto, se avessi potuto intervenire avrei fatto l’impossibile affinché il destino non vi mettesse i bastoni fra le ruote» aggiunse, con il rimpianto ad impregnare ogni sillaba fuoriuscita dalle sue labbra. «Se fosse andato tutto come io speravo andasse, tu ti saresti diplomata e saresti diventata una grande giocatrice di Quidditch, forse la migliore in assoluto. E lui sarebbe rimasto al tuo fianco, incoraggiandoti e sostenendoti come ogni amante avrebbe dovuto fare».

Colpita in pieno nelle profondità del proprio cuore, dove i desideri di una quindicenne speranzosa ancora riuscivano a trovare un po’ di agio, Kate chiuse gli occhi e cercò di nascondersi al genitore immortale. Si sarebbe raggomitolata su se stessa se ciò non avesse implicato mostrarsi debole proprio come sapeva d’essere.

«Ah, allora non è poi così passata, non è vero, bambina?» si rammaricò Eros, sfiorandole il viso con la punta delle dita. Le sue bianche ali si chiusero come un bozzolo intorno ad entrambi, creando un rifugio apparentemente sicuro, dove nessuno l’avrebbe mai toccata. «Mi dispiace così tanto… se non fosse stato per questo peso che io e tuo padre abbiamo scaricato su di te, tu saresti stata felice. Una ragazza come tante, con un amore come tanti altri e per questo speciale».

Kate tremò, le lacrime ormai libere di scorrere sulle sue guance. «Mi dispiace» sussurrò, sentendo il fiato impigliarsi in gola. «Mi dispiace così tanto». Il suo cuore era spezzato sotto il peso delle aspettative, dei dolori che negli ultimi anni aveva dovuto sopportare. Era stato troppo per lei, ma aveva sempre stretto i denti. Credeva di aver trovato un equilibrio grazie alla sua trasformazione definitiva, credeva di aver trovato pace grazie a Draco, ma era stata un’illusione molto breve, che lui e la realtà avevano impiegato molto poco tempo a distruggere.

Le sue prospettive future non esistevano. Lei aveva provato, aveva provato con tutta se stessa, si era ripetuta che ce l’avrebbe fatta, che avrebbe trovato il modo di aiutarli tutti, anche a costo di rinunciare a se stessa.

Ma se non avesse voluto fare un tale sacrificio?

«Io ho rinunciato alla mia influenza sulla terra, ma forse…» il tono della divinità fu esitante per un istante, cosa che lei non credeva potesse effettivamente accadere. C’era qualcosa nascosto nella sua voce, una esitante speranza, una possibilità minima. «Sappiamo entrambi che questa volta nulla potrà fermare Sisifo e che tutto il mondo pagherà il… il mio errore. Ma io sono ancora una divinità e forse posso fare qualcosa per te, bambina, prima che questo piccolo spazio che mi sono ritagliato sparisca e l’incanto di quel Legilimens ti assorba. Posso darti quello che vuoi, bambina, posso portarti dove sarai felice» le propose, sollevandole il viso per costringerla a guardarlo negli occhi. Erano così sinceri, così dolci. Gli occhi di un padre pronto a tutto. «Non posso salvarvi tutti, la mia essenza non è più sufficiente, ma almeno tu… tu potresti essere felice».

Felicità. Era un concetto astratto, qualcosa cui Kate aveva rinunciato e che non credeva avrebbe mai ottenuto. Eppure quella creatura, quel padre immortale così diverso da quello biologico e così simile a quello adottivo, le stava offrendo proprio quell’utopia, rinunciando a se stesso4.

«Non posso, io… Thanatos-».

Eros sorrise, tristemente. «Thanatos ed io ci ameremo per sempre, anche quando le nostre essenze si consumeranno. Stiamo soffrendo e continueremo a farlo, ma fin troppi nostri figli hanno perso tutto per il nostro amore. Adesso sono pronto a perdere tutto per l’amore di qualcun altro, soprattutto se sei tu, la mia sfortunata bambina».

Sfortunata bambina, così l’aveva chiamata il Gran Sacerdote, dopo averla appena salvata da una morte certa solo per prolungare di qualche anno la sua agonia. Sfortunata bambina, cui era appena stata offerta una via di fuga1.

«Ti prego cara, lasciamelo fare».

«Io…»

«Non c’è tempo! A breve il veleno farà effetto, devi accettare, ora o mai più! Katie!».

«D’accordo!».

 

***

 

Si svegliò con la sensazione di forti braccia strette intorno al proprio busto, calde e confortevoli come lo sarebbe stata la più morbida fra le coperte. C’era un leggero profumo di muschio bianco e pino nell’aria, un profumo confortevole e impresso a fuoco nella sua memoria. Un ricordo di mattine lontane quando due ragazzini si davano appuntamento al Campo per potersi allenare più degli altri e spesso si abbracciavano per riscaldarsi a vicenda, non essendo proprio capaci di farlo con dei semplici incantesimi. Oppure non volendo imparare per non rischiare di perdere quel piccolo conforto.

Il cuore di Kate si riempì di una gioia quasi selvaggia tanto era incontenibile. Ebbe paura di voltarsi, di assicurarsi di essere davvero lì, fra le sue braccia e di non aver semplicemente immaginato tutto. Era tutto troppo bello, troppo perfetto.

«Trinaaa» l’uomo alle sue spalle si lagnò come un bambino, nascondendo il viso contro l’incavo fra la sua spalla e il collo. «Oggi è giovedì, tocca a te preparare la colazione» aggiunse, con un borbottio, strusciando la guancia barbuta contro la sua pelle delicata. «Avevi promesso, oggi è il nostro giorno libero e io voglio pancake».

Troppo bello per essere vero, fu il suo primo pensiero. Immobile e terrorizzata al solo pensiero di voltarsi e non trovare nulla o, peggio, trovare qualcosa di diverso da ciò che stava immaginando, Kate cominciò a cercare – senza impegnarsi troppo, in realtà – i segni di una possibile alterazione mentale. Non trovandone, comunque, non se la sentì di tirare un sospiro di sollievo: non era mai stata brava con certe cose, non senza prima trasformarsi anche solo parzialmente.

«Bheithir5, ti sento pensare anche da qui e non è normale per te a quest’ora del mattino» continuò l’uomo, stringendola di più a sé con l’evidentissimo intento di voltarla e costringerla a guardarlo. Resistere sarebbe stato inutile, lei lo sapeva benissimo: era sempre stato molto più forte. Un buon portiere avrebbe dovuto esserlo per forza. Grazie a questa consapevolezza ed al suo coraggio da leone, naturalmente, quando lui riuscì nel suo intento la ritrovò con gli occhi serrati. «Non far finta di dormire, di solito russi come Hagrid dopo tre bottiglie di Whiskey».

Lo sdegno fu troppo forte da consentirle di continuare quella ridicola falsa: spalancati gli occhi, non si diede neppure il tempo di mettere a fuoco la figura che ancora la stringeva prima di colpirlo piuttosto violentemente con un pugno al petto. Un istante dopo, comunque, la mascella squadrata e appena barbuta di Oliver Baston, accompagnata dagli occhi scuri di Oliver Baston e dal sorriso un po’ idiota di Oliver Baston le confermarono che davanti a lei, in effetti, ci fosse proprio Oliver Baston, in tutta la sua scozzese virilità e imbranataggine6.

«Ah, questa è la mia Bheithir! Cos’hai? Per essere così attiva devi essere sveglia da almeno un paio d’ora e di certo non è da te, brutta pigrona» le chiese di nuovo, il tono trionfante che lentamente scolorì in uno preoccupato. Si avvicinò di più a lei, finché non riuscì a far sfiorare i loro nasi in una gentile carezza. Era un gesto che le aveva dedicato fin dal primo momento in cui si era sentito abbastanza tranquillo da poterselo permettere senza essere picchiato. Un gesto che le era mancato terribilmente. «Trina?».

Forse fu il calore della sua stretta, forse fu il fatto che l’alito di lui fosse troppo pesante per poter essere parte di una bellissima illusione, ma, alla fine, lei decise di cedere. Rilassò le spalle, socchiudendo gli occhi per poter prendere un lungo respiro e calmarsi davvero. Alla fine, finalmente, parlò. «Ho fatto un brutto incubo, tutto qui» tentò di rassicurarlo, rassicurando lentamente anche se stessa. «È stato davvero terribile, ma adesso è finita, adesso sono sveglia».

Il viso di Oliver si addolcì incredibilmente, facendolo sembrare ancora un quindicenne alla presa con una cottarella adolescenziale7. «Sì, adesso sei sveglia e se qui con me» mormorò, avvicinandosi per lasciarle un bacino sul naso. «La Guerra è stata dura per tutti, Bheithir, non devi vergognarti di portarne ancora le cicatrici. George ancora si rifiuta di guardarsi allo specchio7, nonostante Harry e Ron abbiano fatto di tutto per convincerlo ad andare in analisi. Tu ed io siamo stati fortunati ad essere rimasti insieme, non posso immaginare cos’avrei fatto se ti avessi persa».

Kate non riuscì ad evitare di fare una smorfia. «Probabilmente avresti trovato una qualche altra ragazza da corteggiare ed a cui dedicare le tue partite di Quidditch, facendole la proposta di matrimonio nascondendo l’anello in un boccino» si lagnò, rifiutandosi categoricamente di guardarlo negli occhi. Lei ricordava fin troppo bene il giorno in cui la prima – quella non più vera? – versione di Oliver si era proposta a quella donna. Meglio, ricordava i primi istanti di quella proposta: il resto era totalmente confuso nella sua memoria, per quanto impressa a fuoco in quella dei suoi – forse ex ­– colleghi.

Vedere il suo Oliver fare una smorfia disgustata le alleggerì incredibilmente il cuore. «Posso smontare questa tua teoria evidenziando solo tre particolari» le disse, sollevandole la mano sinistra tenendola per il dito indice, così che potesse farle tenere il conto. «Prima di tutto,» iniziò, lasciando un bacino sul polpastrello del dito in questione, «qualunque altra donna per me sarebbe solo una scialba imitazione. Nessun’altra potrebbe mai conquistarmi lanciandomi una pluffa in faccia e facendomi cadere dalla scopa a soli undici anni. E nessun’altra potrebbe tenermi testa in una gara di bevute. E nessun’altra potrebbe mai e poi mai convincermi a festeggiare San Patrizio oltre Sant’Andrea8» spiegò, sollevandole poi il dito medio e lasciando un bacino anche su quello. «Secondo, una proposta del genere, oltre ad essere eccessivamente smielata, non sarebbe comunque vera. Avrei messo l’ipotetica donna in difficoltà, rischiando di farla passare per stronza davanti a migliaia di miei tifosi, nel caso avesse voluto dire no» aggiunse, per poi sollevare finalmente l’anulare, dove stava già brillando un anellino piccolo ma molto grazioso, privo di diamante ma con un piccolo rubino. «Terzo, io sono già felicemente fidanzato ed ho tutta l’intenzione di sposarmi il diciassette luglio, dopo aver vinto i Mondiali per la Scozia»6.

Non si rese quasi conto di aver iniziato a piangere, finché lui non le asciugò le guance bagnate. «Cosa ti assicura che vincerai i Mondiali e che riuscirai a convincermi a presentarmi all’altare?» gli chiese, nascondendo malamente l’ilarità dietro un’espressione seria.

Oliver si chinò a baciarla, spostandole i capelli da davanti al viso. «Se sono riuscito a chiedertelo ed a farti dire sì, è mio sacrosanto dovere consegnarti una Coppa e l’intera Scozia».

Quell’affermazione, per un attimo, le fece storcere il naso. Ricordi confusi di una proposta fatta nella tranquillità della loro piccola casa, davanti ad un hamburger e delle patatine fritte, cominciarono a rifiorire dal fondo del suo cervello. Lei aveva pianto, per quanto le sembrasse assurdo: doveva essere stato terribilmente romantico, nei limiti delle capacità romantiche di Oliver Baston.

«L’intera Scozia offerta in sacrificio ad una fiera irlandese… i tuoi antenati si staranno rivoltando nella tomba» scherzò, senza sentire – per la prima volta dopo anni – detti antenati intervenire personalmente, riversandole addosso tutto il loro sdegno. C’era finalmente silenzio, nessun’anima pronta a sussurrarle all’orecchio qualcosa di incomprensibile, facendole venire i brividi e costringendola ad una vigilanza costante. Non c’era nulla di tutto ciò, in quella camera da letto di una anonima casetta nelle Highlands scozzesi.

Oliver rise, alzando gli occhi al cielo e rotolando fino a trovarsi con la schiena contro il materasso ed un avambraccio a coprire gli occhi ancora un po’ assonnati. «I miei antenati credo concordino nell’essere sollevati. Mi sarebbe potuta andare molto peggio, Bheithir» le fece notare, aprendo un solo occhio e lanciandole uno sguardo divertito. «Saresti potuta essere inglese».

Il brivido d’orrore che gli dedicò lo fece ridere più forte. «Gli inglesi sono gli unici capaci di far andare d’accordo scozzesi ed irlandesi» mormorò allora lei, tirandosi a sedere nonostante il braccio di Oliver ancora stretto intorno alla vita. «Però dobbiamo ringraziarli».

«E perché mai?».

«Senza di loro, noi non avremmo avuto nessuno contro cui far fronte comune ed avremmo finito per odiarci a vicenda».

Tiratosi a sedere a sua volta, Oliver le lasciò un tenero bacio sulla spalla nuda. «E questa sarebbe la cosa peggiore che potrebbe capitarmi».

 

***

 

C’era stato un tempo in cui Katrina Bell si era convinta di essere un’eccellente cuoca e di non aver bisogno degli elfi domestici di famiglia per sopravvivere durante i mesi di vacanza estiva. Questa sua convinzione l’aveva portata ad imparare a preparare qualcosa di semplice – tanto per iniziare – ed a trascorrere quattro ore nella cucina della villa di famiglia per acquisire la tecnica perfetta per la preparazione dei pancake. Dopo svariati tentativi che avrebbero potuto condurla a morte certa per avvelenamento e dopo qualche intruglio che avrebbe fatto piangere il non compianto Piton9 di gioia, finalmente, aveva potuto dirsi soddisfatta del suo risultato, promettendo tuttavia di non avventurarsi in ricette più complesse. Era fiera dei suoi pancake, meritavano di essere unici e soli nel suo libro di ricette.

«Sono totalmente bruciati ed insapori, Bheithir».

«Va’ un po’ a farti fottere, Baston!». Per buona misura, si premurò di lanciargli lo strofinaccio usato per asciugare le tre padelle usate, tirando fuori la migliore fra le sue occhiate sdegnate. Lui, naturalmente, schivò il colpo e le dedicò il suo miglior sorriso mascalzone. «Se sei tanto bravo a criticare, perché non li fai tu? Sono curiosa».

Oliver ebbe la decenza di arrossire. «Lo sai che non so preparare neppure il » grugnì, vergognandosi di se stesso e riempiendosi velocemente la bocca di una manciata di pancake bruciacchiati. «Fai, in uh fecoddo affaddio fono boni!» aggiunse, sorridendola con le guance ancora piene e somigliando ad un grosso scoiattolo con problemi di autocontrollo.

Kate alzò gli occhi al cielo, con una risatina. «Dobbiamo davvero imparare a cucinare, Oliver, non possiamo passare la vita ordinando cibo» gli fece notare, appellando lo strofinaccio per continuare ad asciugare i vari utensili. «Ed io dovrò farmi insegnare qualche incantesimo domestico dalla signora Weasley, mi sento una babbana. Ed incapace» aggiunse, con un borbottio.

Lui si alzò per avvicinarsi e passarle le braccia intorno ai fianchi. Strusciò la guancia barbuta contro il suo collo, per poi lasciarci un bacino. «Per me vai benissimo anche così» le disse, dolce. «Hai detto che ti senti una babbana quasi fosse un insulto. Mia nonna potrebbe risentirsene, sai?».

Sua nonna è babbana, ricordò, cercando di non fare una smorfia al pensiero. Nonna Baston era una donna gentilissima ed i suoi natali non la rendevano certo meno incredibile. La stupida educazione che i suoi genitori le avevano imposto non si sarebbe mai messa fra la sua nuova famiglia e la felicità futura. Anche a costo di mentire per sempre.

«Adoro tua nonna e tua nonna adora me».

«Diciamo che ti è estremamente grata per avermi reso un uomo onorevole» rettificò lui, con una risata tonante, baciandole la guancia per poi allontanarsi di nuovo. «Forse temeva che sarei rimasto solo come un cane a progettare schemi per il Quidditch» rifletté, afferrando la sua tazza preferita – blu e oro, con il marchio del Puddlemere in rilievo – e sorseggiando quello che avrebbe dovuto essere tè ma che in realtà era solo una terribile imitazione.

«Ah, prima o poi qualcuna avrebbe allungato le manine su di te, signor Miglior Portiere delle ultime due stagioni» gli rispose lei, voltandosi per lanciargli uno sguardo esasperato. «Ammettilo, ti piace sentirti elogiare, per questo fai il finto umile. Ma con me cadi molto male, sono io che voglio essere elogiata in continuazione».

«Hai l’autostima migliore del mondo, Trina, non credo che tu ne abbia davvero bisogno».

Lei gli rispose con un broncio forse non troppo finto. Tornò ai suoi piatti, senza prestare poi molta attenzione a ciò che la circondava, ed iniziò a canticchiare una ninna nanna che davvero non credeva di aver mai sentito in vita sua. Meglio, lo fece finché un dolore acutissimo al petto non le mozzò il respiro, facendole cadere il piatto di mano e facendolo schiantare violentemente contro il pavimento.

«Kat. Con la velocità di un fulmine, Oliver fu al suo fianco, afferrandola per le spalle prima che potesse fare la stessa fine del piatto ed accompagnandola a sedere sulle piastrelle gelide. «Kat, che succede? Ti fa male qualcosa? Sei pallida come un cadavere!» continuò ad urlarle praticamente nell’orecchio, voltandola così da poterla osservare bene. «Bheithir, ti prego, parlami» supplicò ancora, la voce ridotta ad un sussurro spaventato.

In tutta sincerità, Kate non credeva di avere nulla di sbagliato, dopo quel dolore lancinante non c’era stato nulla, neppure un formicolio. Sì, sembrava quasi che tutto il sangue le fosse defluito dal corpo e le gambe non potessero più reggere il suo peso, ma non c’era altro, nulla se non le conseguenze normali di un brutto spavento, quasi…

Quasi non fosse stata lei ad essere colpita.

«Oh… oh no, ti prego, no» scoppiò in lacrime, mentre quel lamento disperato lasciava le sue labbra. Sapeva bene di star perdendo quel minimo di dignità di cui si era sempre vantata, ma il terrore di perdere tutto era troppo grande. No, ti prego, no, era tutto ciò cui riusciva a pensare. «Oliver…» implorò ancora, voltandosi per poterlo stringere di più a sé, per rassicurare se stessa che sì, è tutto vero, sono al sicuro.

«Non piangere Beirthir, va tutto- Kat!». Oliver non ebbe il tempo di aggiungere altro, dovendola sorreggere quando un’altra ondata di dolore insopportabile la tagliò in due. «Amore ti prego… cosa sta succedendo? Katie!».

«No… no no no no!».

Naturalmente lui aveva usato quel nome. Una ulteriore conferma che quel mondo non fosse più suo, che non lo sarebbe mai stato. Un ulteriore promemoria dell’impossibilità di ottenere davvero una opportunità così ghiotta, così meravigliosa. Una opportunità per cui lei sarebbe stata pronta a sacrificare chiunque, anche coloro che aveva sempre considerato come dei nuovi genitori e l’uomo che sapeva l’avrebbe amata più di qualunque altra cosa al mondo, se ne avesse avuto modo.

Li avrebbe sacrificati tutti, per un solo atto di puro egoismo. Uno solo, nulla di più. Non le importava neppure che quella fosse un’illusione, davvero. Non le importava che in realtà Eros non si fosse sacrificato, che probabilmente in quello stesso istante qualcuno stesse portando il suo corpo mortale al patibolo. Avrebbe rinunciato a tutto per altri cinque minuti di pace.

«Katie!».

«No, non voglio andare! Voglio restare qui! Ti prego!».

Il mondo, tuttavia, non sembrava disposto a lasciarla andare.

«Ah, incredibile!» la voce di Oliver, tuttavia diversa, in cambiamento, le sussurrò direttamente nell’orecchio quelle parole, un secondo prima di spingerla via con violenza e direttamente fra le braccia aperte di… di qualcun altro.

Barry la stava guardando con quella che lei avrebbe potuto definire solo pietà. Alle sue spalle, Harry Potter si rifiutava categoricamente di poggiare gli occhi su di lei, ma non perché la stesse biasimando.

Harry Potter era dispiaciuto per lei.

A pochi passi da dov’era caduta, Katie vide colui che era stato il suo Oliver cambiare, plasmare se stesso fino a prendere la forma di Mulciber.

La rabbia che la assalì avrebbe potuto ucciderla, non avesse imparato a controllarsi.

«Sapevo che tu non mi avresti deluso, Succbus» si rallegrò il Legilimens, rialzandosi e spolverandosi i pantaloni immacolati. «Siete delle creature deboli, schiave delle vostre emozioni. Lo siete sempre state» si rallegrò, osservandola come se fosse stata un curioso animale. «Sai, eri ad un passo dal perdere per sempre la possibilità di tornare indietro, ma sfortunatamente Tiresias mi aveva avvisato del tuo legame con… con Malfoy» aggiunse, con uno sbuffo che fece accapponare la pelle alle tre vittime presenti. «Immagino che la mia bambina sia giunta a tutti loro, eh? Probabilmente starà soffrendo come un cane, se il suo dolore è riuscito ad arrivare a te… eppure tu saresti stata felice di lasciarlo a se stesso, per questa illusione».

 Un acutissimo senso di vergogna la spinse ad abbassare gli occhi al suolo. Mulciber aveva ragione, ovviamente. Le speranze di prendere in giro uno come lui erano praticamente nulle. «Io-».

«Se anche avesse voluto farlo, ne avrebbe avute tutte le ragioni» Barry intervenne in sua difesa, ringhiando come le creature che tanto amava studiare. «La vita è stata ingiusta con lei, molto più che con molti di noi. Non posso biasimarla per le sue scelte, anche le mie sarebbero state uguali se non avessi avuto qualcosa ad aspettarmi nella realtà».

L’affetto che le si sprigionò nel petto la fece sentire peggio. Lei avrebbe rinunciato anche a lui e Philly, se ne avesse avuta la possibilità. Non meritava tutto quell’amore, non meritava di essere difesa.

Mulciber lo ignorò, lasciando che lui ed Harry la aiutassero a rimettersi in piedi nonostante il dolore al petto stesse diventando sempre più pressante, sempre più insopportabile.

«Ah, soffri ancora? Forse è una chiamata d’aiuto, ho sentito che accade spesso a quelli come voi» disse l’ultima parola come se fosse stata il peggiore fra gli insulti. «Sai, mi chiedo cosa potrebbe succedergli, se io decidessi di mangiarti per prima» rifletté poi ad alta voce, facendo un passo avanti. «Ah, Maine, credi davvero di potermelo impedire? È carino che tu ci stia pensando, ma no, non potresti essere abbastanza veloce. E tu, Potter… hai sconfitto Tom Riddle perché era un idiota borioso, credi davvero di farcela con me? Io sono immortale».

A quelle parole, Kate si irrigidì. Con una lentezza che non le apparteneva, sollevò lo sguardo dal suolo e lo puntò su di lui, dubbiosa. Era stata un’affermazione dettata da pura e semplice mania di grandezza? Tiresias gli aveva insegnato qualche trucchetto per aggirare la morte? Quelli come lei erano sempre stati messi in guardia da certi atteggiamenti: erano figli della Morte, qualsiasi atto contro questa era un attentato alla loro stessa esistenza ed all’equilibrio di tutto il cosmo. Osservandolo, però, non notò nulla di strano in lui, se non quell’oscurità che qualunque anima avrebbe attirato, considerato il suo curriculum.

Non c’era nulla, ma a lui era stato detto l’opposto.

«No, tu non sei immortale» gli disse, continuando a fissarlo con il capo inclinato, quasi fosse stato un animaletto da esibizione. «Credi di esserlo, non è vero? Credi di essere un Evocato» continuò, lasciando che la sua voce potesse trasmettere un pizzico del divertimento che stava provando e cercando di raddrizzarsi nonostante le fitte. L’unica soluzione per tollerare meglio ciò che le stava accadendo era rispondere alla chiamata del suo potere, diventare forte per poter correre in aiuto di Draco. Per farlo, naturalmente, avrebbe dovuto uscire da quell’illusione.

Dire addio a Katie, definitivamente.

«Trina?» la chiamò Barry, incerto, quando lei scrollò via la presa sua e di Harry. Dietro di lui, proprio l’ex Bambino Sopravvissuto la fissò dubbioso, ponendole tantissime domande senza neppure doverle pronunciare ad alta voce. «Cosa…?».

Evocare la morte che risiedeva nel suo sangue fu facile, molto più del previsto. L’illusione in cui era stata intrappolata non le aveva tolto il potere, lo aveva soltanto assopito quel minimo necessario da renderla più facile da manipolare. Le bastò concentrarsi per spezzare quell’incanto di cui non conosceva l’origine e ritrovarsi, piuttosto che nella cucina della casetta immaginaria, in un grande magazzino polveroso, rinchiusa in un bozzolo che lentamente stava cadendo in pezzi, lasciandola coperta di una sostanza appiccicosa10.

Un battito di ciglia e la Negromante riacquistò il suo legittimo ruolo al mondo, fronteggiando il Legilimens che aveva tentato di intrappolarla sfruttando i suoi più profondi desideri e coprendola di ridicolo davanti a persone evidentemente abbastanza coraggiose da esser pronte a rinunciare a quella trappola per tornare indietro.

Inutile dirlo, Kate era furiosa.

«Possibile che proprio tu, che porti dentro di te il marchio immortale di due divinità, non sia ancora riuscita a riconoscermi?» le domandò Mulciber, a parecchi passi di distanza da lei, la mano comodamente poggiata sull’ultimo bozzolo ancora intatto. Alle sue spalle, Harry e Barry si stavano lentamente riprendendo, nonostante fossero ancora bloccati nelle loro prigioni. «Mi deludi, Succubus. I tuoi fratelli e sorelle, ai loro tempi, capirono subito quanto io fossi pericoloso e tentarono di avvisare i tuoi idioti genitori, senza successo» continuò, l’espressione altera di un immortale, di qualcuno abituato a non dover temere nulla.

Che tutte le sue azioni passate fossero state programmate da Tiresias? Che l’avesse convinto d’essere il suo compagno immortale? Nel caso, perché farlo? Perché corromperlo a tal punto, dandogli un potere immeritato? Perché…?

Kate rise, ripulendosi della sostanza con un colpo di bacchetta. I suoi occhi erano ormai cambiati e quella bellezza sovrannaturale che per tanto tempo aveva detestato doveva aver preso possesso del suo viso. «I miei fratelli e sorelle capirono che Sisifo fosse pericoloso. Tu, invece? Tu sei solo un idiota» gli disse, sorridendo. Sapeva benissimo cosa avrebbe visto lui: una creatura apparentemente sovrumana con occhi della stessa oscurità della notte ed un sorriso capace di sterminare imperi. Il sorriso che era stato di Nefertiti, di Cleopatra11, di Lucrezia Borgia. Un sorriso che lo fece tremare, nonostante le sue pretese d’immortalità. «Credi davvero di essere lui? Di essere l’uomo capace di raggirare due divinità? Non sei stato capace di renderti conto d’essere stato raggirato tu stesso» gli fece notare, divertita.

La sicurezza di Mulciber non vacillò.

Come lei aveva sperato.

«Credi di farmi paura, ragazza? Solo perché non posso ancora controllarti non significa certo che tu possa combattermi! Io sono il più forte, il migliore! Tiresias mi ha lasciato qui così che io possa sacrificarvi e rinascere» si vantò, senza rendersi neppure conto di aver appena ceduto al più vecchio trucco di Incubi e Succubi: il desiderio. Lui voleva, quindi aveva una debolezza. Lui desiderava, quindi lei poteva colpirlo. «Io sono stato Caligola, io sono stato Jack lo Squartatore!  Sono il Mostro che si nasconde in fondo al tuo letto e si ciba dei tuoi incubi!» continuò ad urlare, dando voce a quella vocina che dal fondo della sua anima aveva iniziato a pretendere di essere ascoltata, pretendere di farsi notare.

«Oh, lo sei» si congratulò Kate, lasciando che il suo sorriso assumesse delle tinte delicate, predatorie. Avanzò come una pantera avrebbe fatto davanti alla sua preda, lasciando che i propri movimenti potessero incantarlo, potessero stuzzicare il suo desiderio. Lui voleva e la Succubus aveva fame. «Sei il più forte, lo spauracchio più orribile che sia mai esistito» riprese, la voce ricoperta di miele, lasciando che lo spazio fra loro diminuisse sempre di più. Era riuscita a controllarlo quando ancora Katrina le impediva di rinascere, in quel momento lui non era poi così diverso da tutti gli altri uomini affamati di desiderio che nei secoli erano periti fra le mani delle sue sorelle e dei suoi fratelli. Il vantaggio che la presenza di Tiresiasdoveva essere stato lui ad aiutarlo, a farlo apparire più forte di quanto in realtà non fosse, negli ultimi trent’anni – era sparito, ma lui non l’aveva ancora capito. Quando lo raggiunse, la sua mano salì a sfiorargli il petto mentre il resto del corpo aderì al suo, come un boa avrebbe fatto con la sua vittima prima di stritolarla e soffiargli via l’ultimo respiro con un bacio. Le sue labbra gli sfiorarono lo zigomo e gli occhi di lui si offuscarono mentre il desiderio insorgeva in lui come una fiamma gelida. «Da bambina ero terrorizzata all’idea che tu venissi a mangiarmi come hai fatto con tanti, tanti altri» gli soffiò all’orecchio, lasciando che la punta della sua lingua gli accarezzasse il lobo. Mulciber tremò sotto le sue mani. «Adesso muoio dalla voglia che tu lo faccia… e tu lo vuoi, non è vero? Ti piacerebbe mangiarmi viva?» propose, quasi gemendo.

Sentì il momento in cui perse completamente ogni collegamento con la realtà come un rush di adrenalina liberata nel suo flusso sanguigno. Il suo cuore aumentò il numero di battiti, la fame insorse come mai prima.

Perché nonostante tutte le sue convinzioni, nonostante fosse assurdamente certo di essere la reincarnazione della creatura più pericolosa mai esistita, in realtà Silas Mulciber era solo un altro burattino nelle mani del veggente, un altro filo della sua tela di intrighi che, diversamente dagli altri, era stato ricoperto da una gloria non totalmente meritata. Lo aveva scelto, lo aveva corrotto e l’aveva convinto di essere l’artefice di cattiverie terribili, quando in realtà era solo debole.

Lo sentì cedere fra le sue mani come creta molle, pronto a tutto pur di soddisfarla, pur di spegnere quel desiderio impellente che lei gli aveva scatenato dentro. Era la prima volta che il suo potere veniva usato al massimo, eppure le sembrava di non aver mai fatto altro.

Il Gran Sacerdote le aveva sempre ripetuto di portare con sé un coltellino d’argento, perché nel loro mondo una bacchetta spesso si sarebbe potuta dimostrare utile come un bastoncino di legno qualunque. Una lama, invece, avrebbe potuto fare la differenza. Una lama avrebbe portato sangue, il sangue avrebbe richiamato la morte.

Quando il suo pugnale d’argento – l’ultimo dono di sua madre - passò sul collo dell’uomo cui si era ormai avvinghiata, il sangue rosso cominciò a scorrere via velocemente, inzuppandoli entrambi.

Tutto ciò che sanguina è umano. Tutto ciò che è umano può morire.

Nonostante tutto, Mulciber era solo umano.

Mulciber poteva morire.

Il bacio di una Succubus era, a detta dei pochi fortunati sopravvissuti, la migliore via per morire, terribile e meraviglioso come essere soffocati dall’ambrosia più dolce, ubriacati dal vino più pregiato. Molti credevano che il principio fosse identico a quello del Bacio del Dissennatore e, in un certo senso, non erano poi molto lontani dalla realtà. Il bacio di una Succubus, tuttavia, non strappava via l’anima: la consumava.

Un bacio e di Silas Mulciber, il più grande spauracchio che avesse mai tormentato l’infanzia dei giovani maghi e streghe inglesi, non restò che un cadavere rinsecchito, un cumulo di tessuti secchi senza volontà propria ed i cui occhi grigi avevano perso qualunque sentore di grandezza.

Un bacio e Silas Mulciber cessò di esistere, diventando nulla più di un pupazzo.

«Trina?».

Lentamente, la Succubus si voltò in direzione della voce che l’aveva chiamata per nome, ritrovandosi a fissare negli occhi l’uomo che avrebbe volentieri chiamato padre, se ne avesse avuta l’occasione. Era spaventato, lei lo sentiva bene, ma era anche estremamente orgoglioso. Forse temeva per lei, per la sua anima. Ne avrebbe avute tutte le ragioni, ma quello di certo non sarebbe stato il momento giusto per parlarne. Avevano problemi più importanti di cui occuparsi.

«Dobbiamo andare via immediatamente» li avvisò, lasciando cadere la mummia fra le sue braccia con un tonfo sordo. «Mulciber era convinto di essere Sisifo, motivo per cui non ha fatto storie nell’essere lasciato qui con noi da solo. Probabilmente era solo una distrazione ed in questo stesso istante Tiresias sta portando avanti il suo piano ben lontano da qui. Malfoy stava male, quindi probabilmente è coinvolto. Non ho idea del perché abbia messo in mezzo quest’idiota, per quanto possa avere dei sospetti, ma non possiamo permetterci di rallentare. Ho il-».

«Trina» chiamò ancora Maine, questa volta palesemente preoccupato al solo guardarla. Temeva davvero per lei. «Trina, sembri più cadavere del solito. Le tue labbra sono nere» le fece notare, ansioso, ma restando saggiamente a parecchi passi di distanza da lei e senza far cenno di volerla toccare. «Non era mai successo prima, non a questi livelli».

Tra le varie possibilità a sua disposizione, Kate convenne che mentire fosse la più saggia.

«È solo eccesso di potere, non avevo mai consumato un’anima, prima. Finché non troverò modo di smaltirla resteranno così, ma non c’è nulla da temere, mi rendono semplicemente più forte». Per buona misura, sorrise nel modo più rassicurante possibile e l’uomo, seppur ancora dubbioso, si tranquillizzò leggermente. «Adesso, però, dobbiamo andare. Per quanto Tiresias non abbia avuto modo di prevedere il modo in cui io l’avrei distrutto, non dubito che lo sapesse già. Potrebbe aver già messo in atto il suo dannatissimo piano, qualunque esso sia, contando in un minimo rallentamento». Accigliata, si voltò a fissare la mummia ormai raggomitolata ai suoi piedi, per poi controllare la tasca della propria giacca, trovandola naturalmente vuota. «Sapeva che noi saremmo stati mandati e che io avrei portato con me il Necromicon… immagino che Mulciber gliel’abbia consegnato dopo avermi colpita con la sua illusione. Ma perché ci ha lasciati qui? Perché io e Potter siamo ancora qui? Siamo due terzi del sangue necessario per completare il rituale dell’Evocazione».

Harry, chiamato in causa, scostò lo sguardo dal bozzolo in cui doveva essere ancora rinchiusa Hermione. Avrebbero dovuto liberarla, prima che potesse succedere l’irreparabile. Fortunatamente la sua energia vitale era ancora a livelli accettabili, non rischiava nulla. «Potrebbe essere parte della trappola. Ha preso il libro, ha avuto il tempo di cercare gli altri ingredienti e, ovviamente, sa che andremo a recuperare Winnie, come previsto» ragionò l’Auror, stringendosi nelle spalle.

Barry annuì, avvicinandosi ad Hermione per cercare un modo di liberarla. Kate sospettò ci fosse lo zampino di qualche animale, visto il suo coinvolgimento. Quindi Tiresias aveva previsto la necessità di un Magizoologo. «Immagino sia così. Cosa che ci porta alla domanda più importante: dov’è Winnie?».

Il dolore al petto, che fino a quel momento non si era mai assopito, la fece quasi piegare nuovamente in due, mozzandole il respiro.

Condividere l’energia vitale è come condividere lo spirito.

Non era un pensiero suo, ne era piuttosto sicura. Non aveva mai pensato con una voce differente dalla propria, quindi era piuttosto certa che quel sussurro appartenente ad un uomo non di sua conoscenza ma comunque parecchio familiare non fosse stato semplicemente frutto della sua immaginazione12, tuttavia non si soffermò a preoccuparsene. Chiunque le avesse sussurrato quel dettaglio le fece un enorme favore.

Condividere lo spirito, per le e Malfoy, significava condividere parte dell’essenza, parte dell’anima. E Draco, dopo averla aiutata a cambiare, aveva giurato a suo padre che non avrebbe permesso che si facesse del male.

Aveva fatto una promessa a suo padre.

L’Araldo di Thanatos.

«Trina?» la chiamò Barry, dopo che Harry, preoccupato, gli aveva dato un colpo sulla spalla, distraendolo dal bozzolo di Hermione. Quando lei si voltò a guardarlo, con l’orrore negli occhi, non impiegò più di tre secondi a balzare in piedi e raggiungerla. «Che succede?».

I pensieri nella sua mente avevano iniziato ad accavallarsi fra loro, desiderosi di diventare coscienti e gettarla ancora di più nello sconforto più nero. «Tua moglie è incinta» gli fece notare, secca. «Incinta, nel senso che una vita sta crescendo dentro di lei» continuò, deglutendo rumorosamente. «Lei sta custodendo un’anima, può decidere cosa farne. È la padrona di un’anima». Lentamente, i suoi occhi neri si spostarono su Harry, rimasto a fissarla basito. «Malfoy. Lui è un Araldo della Morte a causa mia».

Fortunatamente il Bambino Sopravvissuto dimostrò di non essere tardo come lei gli aveva più volte rimproverato. Lo osservò impallidire e reggersi al bozzolo di Hermione, quasi si fosse sentito ad un passo dal perdere i sensi. «Perché ho la sensazione che Fred, che tu hai resuscitato, in questo momento si trovi con loro?».

Fred, colui che è ritornato.

«Siamo stati così egocentrici da non capire» sussurrò, piena di orrore, lasciando che quel dolore al petto la soffocasse, ma solo per un attimo. «Lui è da loro, sono loro le vittime, perché noi saremmo stati troppo difficili da controllare e per questo dovevamo essere allontanati» esalò ancora, tornando a guardare Barry, evidentemente sull’orlo di una crisi di panico. «E tu. Se tu non fossi stato qui, Philly non sarebbe stata rinchiusa. Stessa cosa per Hermione» aggiunse, collegando i pezzi come se fosse stata intenta a ricostruire un enorme puzzle.

«E se non avesse costretto Winnie a uccidere Fred, tu non lo avresti resuscitato, lui non sarebbe ritornato» intervenne Harry, passandosi nervosamente le mani fra i capelli. «E… e se non ci fosse stato l’attacco a Diagon Alley, tu non avresti saputo che Ophelia era incinta e non le avresti impedito di venire qui. E Malfoy… Tiresias sapeva che sareste andati insieme a cercare il libro».

«Io-». Il dolore al petto divenne nuovamente insopportabile e per un istante – un terribile istante – Kate vide chiaramente il viso di Draco contorcersi per il dolore. «Dobbiamo andare, subito! Per quanto ne sappiamo, quel mostro potrebbe essersi introdotto nella base senza neppure essere notato!» urlò, guardandosi intorno in preda all’ansia.

Fu in quell’istante che notò la porta. E ciò che si nascondeva giusto dietro.

«Hermione. Dobbiamo liberare anche lei, non possiamo lasciarla qui, finirebbe col morire» la fermò il Magizoologo, il tono quasi impassibile. «Immagino che io dovrò restare e aiutarla» continuò, tornando ad inginocchiarsi per riprendere da dov’era stato interrotto. Quello non era un atteggiamento da Barry Maine, ma se c’era una cosa che sia lui che Kate avevano imparato era arrendersi all’inevitabile. E tutto ciò che era accaduto loro probabilmente fin dalla nascita era inevitabile.

Harry lo guardò come se fosse impazzito. «Ophelia è in pericolo! Possiamo lavorare insieme per liberare Hermione e poi andare, non ti lasceremo qui da solo, potrebbero esserci altre mille trappole e il dannato ragno che ha fatto questo! Non dirmi che non è ancora in giro, non ti crederei» squittì, istericamente, avvicinandosi per prenderlo per il braccio e costringerlo a rialzarsi.

Fu Kate a fermarlo, le guance sporche di lacrime rossastre.

Barry aveva ragione.

«In un modo o nell’altro, lui resterà qui» gli fece notare. «Tiresias non l’avrebbe fatto venire qui, altrimenti. Vuole allontanarlo» continuò, voltandosi per osservare la porta d’ingresso al magazzino, ancora sbarrata. «E tu resterai con lui».

«Sei forse impazzita?». Fu un coro a due voci che la aggredì, ma lei non vi diede molto peso.

«Era tutto previsto. Harry, tu dovrai assicurarti che lui possa finire il suo lavoro e che non venga attaccato, così che anche Hermione possa uscirne sana e salva. Io andrò a fronteggiare Tiresias, da sola». Alzò la mano per impedire ai due di ribattere. Era terrorizzata. «Non lo capite? È una resa dei conti, questa. Vuole che io assista, che fallisca nel tentativo di fermarlo e che muoia sotto lo sguardo impotente di chi li ha condannati all’Indefinito. Dietro quella porta» ed indicò l’ingresso che aveva continuato a fissare, «ci sono così tante creature oscure da richiedere qualcosa in più di un Auror o un Magizoologo. Se dovessimo uscire tutti insieme o se solo uno di voi dovesse seguirmi, verremmo certamente attaccati».

«E tu allora? Come pensi di farcela da sola?». La voce di Barry era priva di qualunque emozione, tanto era l’orrore al pensiero di perdere tutte le persone che aveva più care. «Una Succubus potrebbe mai farcela da sola?».

Kate sorrise, nonostante dentro di sé volesse solo mettersi ad urlare. «Non mi faranno del male. Probabilmente molti di loro sono qui per scortarmi da Tiresias» gli fece notare, iniziando ad avviarsi all’uscita, la bacchetta in una mano ed il pugnale nell’altra. «Liberate Hermione, sono certa che tutti e tre riuscirete a trovare un modo per raggiungerci e… salvare il salvabile».

«Kate-».

«Harry, non mi faranno del male» lo interruppe, voltandosi per dedicargli un’ultima occhiata, la bacchetta già alzata per spalancare l’ultima difesa fra lei e l’oscurità. Con la coda dell’occhio, notò mani artigliate pronte ad afferrarla e trascinarla via, proprio come aveva immaginato sarebbe successo. «Io sono l’ospite d’onore».

Un passo ed i Terrori Notturni la inghiottirono.

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Io ve l’avevo detto che non c’era da star tranquilli per Sisifo.

 

La #SuicideSquad è diventata #SuicideSoloMission

Ah, sì, #PrayForDraco

 

 

Punti importanti:

 

» * - Mai fidarsi di un demone. Ha cento motivi per qualunque cosa faccia e almeno novantanove sono cattivi. Tiresias è parecchio più lungimirante del previsto.

 

» 1 – Kate sta, effettivamente, immaginando Eros, ma si tratta solo di una ricostruzione della sua mente basata su ciò che ha studiato nel tempo. Eros, poverino, non è riuscito mai a parlarle direttamente (fatta eccezione per dopo, c’è la nota specifica) e lei ha semplicemente immaginato tutto per autoconvincersi di poter cedere, di potersi sentire fortunata nonostante tutto. Quindi no, Katie non è mai finita davanti all’altro padre immortale, era solo frutto del veleno. Ci sono tante tracce di questo suo aver “creato” l’incontro con Eros (lo sguardo di Barry, il modo in cui lui le parla…).

 

» 2 – Non avevo idea di cosa fargli dire. “Per l’amor del Cielo” non mi è sembrata una frase poi tanto adatta, quindi boh…

 

» 3 – “Bestione da compagnia” è la definizione che il Gran Sacerdote usò per spiegare gli Auctor/Amanti. Non essendoci rapporti familiari (come invece accadeva quasi sempre) i Negromanti hanno sviluppato una certa stizza verso questi legami, cominciando a paragonare un Auctor ad un cagnolino federe. 

  

» 4 – Nella mente di Katie, Eros si è “consumato” per ottenere abbastanza potere da spedirla in una realtà alternativa. Eros non avrebbe potuto farlo e, comunque, spesso amare vuol dire sacrificarsi, non l’avrebbe salvata così a cuor leggero.

 

» 5 – Significa fulmine. Perché Katie era velocissima sulla scopa. E Oliver è un biscottino alla crema che va protetto.

 

» 6 – IO AMO OLIVER BASTON FOREVER NEL MIO CUORE!!! AMORE PERDONAMI PER QUELLO CHE TI STO FACENDO!!!!!!!! SEI IL N.1!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! TI AMO OLIVER <3

 

» 7 – Questo “mondo” che Kate ha creato con Oliver è quello che io immagino sia successo nel canon. Quindi Oliver ha avuto la sua cotta fin dal primo anno di Katie (all’epoca non era una cosa razionale ovviamente, era solo grande affetto) e pian piano l’ha sviluppata fino a scoppiare alla penultima partita del terzo anno di Harry (Grifondoro vs Corvonero), quando poi sono finalmente finiti insieme. È così e basta, non vi permettete a contraddirmi. Katie/Oliver nel cuore proprio.  

 

» 8 – Sant’Andrea è il Santo Patrono della Scozia, il corrispettivo di San Patrizio in Irlanda! E Oliver è un fierissimo scozzese che ha sempre festeggiato insieme a tutta la sua patria. Ma poi si è ammorbidito per amore della sua Katie. Rimando alla nota 6 per sottolineare come mi sento in questo momento.

 

» 9 – Katie era una Grifondoro. Piton era un mostro con i Grifondoro. Non parlatemi bene di Piton perché davvero mi viene l’acidità di stomaco. <3

 

» 10 – Come ha fatto Kate a liberarsi del tutto prima degli altri due? Katie non è del tutto umana. Così come lo Stupeficium non fa volare via Hagrid, un semplice veleno non la trattiene come gli altri. Quando ha evocato il suo potere (che si era assopito), ha bruciato via tutto.

 

» 11 – Headcanon: Marco Antonio era l’Auctor di Cleopatra. Hanno deciso di morire insieme. Passo e chiudo.

 

»  12 – Si tratta della voce di Eros, my boy <3

 

 

Dun Dun DUUUUUUUUUUUUUUUHN!!!! 2.0

Il grande Mulciber, questo mostro orrendo in realtà era soltanto il tipico pallone gonfiato con la raccomandazione. Sì, si mangiava davvero le sue vittime e le torturava psicologicamente, ma è diventato tanto grande solo perché Tiresias da dietro le quinte tirava i fili, rendendolo apparentemente più forte del previsto.

Poverello, se non avesse torturato Winnie mi farebbe quasi pena.

  

 

Kate ha davvero bisogno di aiuto.

E io ho un girone infernale riservato.

E voi non avete ancora idea.

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

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Capitolo 28
*** Atto XI, Parte I - L'Erede del Male ***


LErede del Male.


 

Even if I seem dangerous,
Would you be scared?
I get the feeling just because,
Everything I touch isn’t dark enough
If this problem lies in me
.”*



[Imagine Dragons - Monster]

                                  

 

Atto XI, Parte I –  L’Erede del Male

 

 

Non era un buongiorno, quello che li svegliò quella mattina.

Prima di tutto, Draco si ritrovò ad essere praticamente scavalcato da una Ophelia Perderghast in preda a quelle che col senno di poi tutti riuscirono a riconoscere come dannatissime nausee mattutine. Poi, come se già la vergogna di essersi addormentato accanto alla donna non fosse stata abbastanza, si ritrovò a bisticciare – non c’era termine migliore, davvero, era proprio quello che avevano fatto, lanciandosi sguardi accusatori a vicenda – con Fred Weasley per decidere chi dovesse avere il piacere di assistere la vomitante donna nell’unico bagnetto della piccola prigione-appartamento in cui erano stati rinchiusi, perdendo miseramente dopo tre veloci colpi di sasso-carta-forbice.

Quel maledetto gemello doveva avere un qualche trucchetto su per la manica del mantello. Forse aveva usato la legilimanzia senza che Draco se ne rendesse propriamente conto. Il bastardo.

Per concludere in bellezza il quadro già tragico, subito dopo aver finito di buttare fuori qualunque cosa avesse mangiato la sera prima, Ophelia, completamente ripresa, sembrò acquisire tre volte l’energia che un essere umano non avrebbe dovuto avere a quell’indegna ora del mattino, iniziando a chiacchierare come un grillo impazzito ed a chiedere ai loro controllori, nonché suoi colleghi, se ci fossero novità.

Fu una ragazza a far loro visita per portare, in teoria, delle risposte. Non avrebbe potuto avere più di una ventina d’anni, forse lievemente più grande di Draco stesso, anche se solo di un annetto o giù di lì. Non appena aprì la porta e si ritrovò accerchiata, Draco non la biasimò per essere quasi balzata via per lo spavento. Anche lui l’avrebbe fatto, se fosse stato aggredito verbalmente da un ex-Mangiamorte, da una collega anziana e da un Weasley. Era piuttosto certo che tutta la famiglia fosse portatrice sana di qualche malattia altamente contagiosa, altrimenti non avrebbe potuto spiegarsi perché quasi tutte le persone a loro collegate fossero in qualche modo bizzarre1.

La ragazza, fra i tre assalitori e le loro mille domande, preferì concentrarsi, ragionevolmente, su quelle dell’unica persona con cui dovesse aver avuto un qualche rapporto negli anni. «Philly, come ti senti? Il Dottore mi ha chiesto di venire a portarti delle pozioni contro le nausee mattutine, anche se ha raccomandato di prenderne dosi minime perché portano un fastidiosissimo irsutismo» sbottò, la voce ridotta ad uno squittio per poter sovrastare tutte le loro voci e farsi finalmente ascoltare. Quando la donna la fissò come se fosse impazzita, lei arrossì miseramente, allungando un set di ampolline colorate. «Scusa, io… mi dispiace, io non volevo neppure venire qui, ma il Dottore…» continuò, presa vagamente dall’ansia, arretrando quanto possibile sotto le occhiate sempre più allibite dei tre. Alla fine, in tutta sincerità, Draco sentì un moto di pietà nei suoi confronti che credeva di non aver mai provato prima.

Era così piccola. E con quella matassa di capelli nerissimi sembrava un cucciolo di barboncino caduto nella cenere. Ed aveva l’ansia.

«Ivy, respira, stai avendo un attacco di panico» le fece notare Ophelia, senza avvicinarsi e facendo cenno a Weasley di non farlo a sua volta. Non voleva che la toccasse, forse per non peggiorare lo stato d’angoscia in cui già la poveretta sembrava trovarsi. Ma perché, poi? L’avevano solo assalita di domande, mettendola alle strette senza neppure darle il tempo di dire buongiorno.

La ragazza – Ivy – la fissò con ancora più orrore. «Mi dispiace, non dovrei farti agitare, io l’avevo detto al dottor Crave di mandare Jordan al mio posto» si lamentò allora, fissando la collega più anziana con quella che Draco avrebbe potuto definire disperazione dipinta negli occhi verdini. «Lui crede che parlare potrebbe aiutarmi con i miei problemi di relazione interpersonale ma sicuramente è una sciocchezza, di solito inizio a sparlare e alla fine vomito».

Il suo colorito verdognolo confermò quella possibilità, spingendo sia Draco che Weasley ad arretrare. Ophelia, invece, dovette farsi prendere dall’istinto materno, perché si ammorbidì e le sorrise gentilmente. «Il Dottore ha ragione, parlare ti farà certamente bene, cara» la rassicurò, prendendo le pozioni dalle sue mani con delicatezza, pur dovendole, alla fine, quasi strappare via a forza a causa della presa assassina in cui lei le aveva strette. «E ti ringrazio anche per queste, sono certa che mi saranno utili nonostante l’irsutismo» continuò, ottenendo addirittura un sorriso – o forse una smorfia? – dalla ragazza. Stava finalmente tornando ad avere un colorito piuttosto normale, fortunatamente. «Adesso, però, puoi dirci se ci sono notizie degli altri in missione? Ci sono notizie da Barry?».

Se inizialmente il colore era svanito leggermente dalle sue guance, in quell’istante sembrò svanire da tutto il suo corpo, facendo temere a Draco che fosse sul punto di svenire. Un brivido gli corse lungo la spina dorsale al solo pensiero delle notizie che dovesse essere stata costretta a portare loro. Avevano inviato una pecorella indifesa per evitare grandi scenate? Se davvero fosse successo qualcosa a Kate, lui non avrebbe dovuto percepirlo?

E se fosse stata una morte tanto brusca da non lasciare segni? Se non fosse stata una morte vera e propria ma qualcosa nel mezzo?

Se le fosse successo qualcosa mentre lui era costretto lì dentro non avrebbe risposto di se stesso.

Ivy deglutì. «Non… non abbiamo avuto notizie da nessuno di loro» mormorò, stringendo poi le labbra. Sembrava tormentata da qualcosa e, se normalmente Draco non avrebbe dato più di un pensiero ad una cosa simile, in quell’istante si ritrovò ansioso come mai.

«Ma?» la incitò Weasley, prima che lui potesse farlo, rubandogli anche l’occasione di tirar fuori la vecchia voce da purosangue arrabbiato2 che Lucius aveva avuto la decenza di insegnargli, prima di darsela a gambe e morire in un modo che neppure Kate, figlia della Morte, aveva potuto comprendere. Ovviamente, considerando quanto la ragazza fosse sul punto di mettersi a strillare per l’ansia, forse l’approccio del rosso fu migliore. «Lo so che c’è un ma».

«Ivy, ti prego» si inserì anche Ophelia, dedicandole i migliori occhioni da unicorno abbandonato di cui dovesse essere in possesso e che a Draco fecero alquanto impressione: aveva visto la stessa faccia su Potter un numero indefinito di volte. «Ti prego, se è successo qualcosa a mio marito…».

La ragazza scosse il capo, ritornando in se stessa. «Non abbiamo alcuna notizia, positiva o negativa. Sono solo un po’ confusa sul perché non abbiamo mandato una squadra di ricognizione, quando non abbiamo ricevuto alcuna risposta» mormorò, mordicchiandosi le labbra con fare nervoso. «Avevo proposto di inviare una cavia, ma non hanno voluto dare l’autorizzazione».

Weasley si accigliò, ma Draco, con un che di presuntuoso, lo anticipò. «Una cavia?».

Ophelia sorrise, indicando la ragazza. «La nostra Ivy qui sta lavorando nel settore di ricerca e sviluppo. Cavie create con tecnologia ibrida, babbana e magica3» spiegò, orgogliosa. «Un piccolo genietto, dopo Ilvermorny è riuscita a laurearsi in una università babbana di… uhm… ingegneria, non è vero?».

La ragazza arrossì di nuovo, questa volta come reazione complimento. «Ingegneria meccanica, sì» mormorò, grattandosi distrattamente il collo. «Mio padre non si è mai rassegnato al fatto che fossi una strega come la mamma e ha continuato a darmi lezioni per tutta la vita. Alla fine ho trovato un compromesso e mi sono laureata al MIT dopo aver finito Ilvermorny4».

«MIT? E cos’è precisamente l’ingegneria meccanica? Come hai fatto ad unire magia e roba dei babbani? Non è esploso tutto subito?» sparò a raffica il gemello, palesemente intrigato da quella scoperta. «Tuo padre è un babbano che ha studiato ingegneria?».

Il colorito di Ivy sfiorò tonalità nuove alla razza umana, mentre Ophelia la osservava con cipiglio parecchio divertito. «Il Massachussets Institute of Technology, è un college americano specializzato in vari settori, fra cui l’ingegneria meccanica. Io… uh… costruisco cose. Ho sempre costruito cose. Ho scoperto di essere una strega perché mentre giocavo con dei Lego questi hanno iniziato a levitarmi intorno». Il suo sorriso si allargò quando iniziò a parlare di suo padre. «Mio padre, Anthony4, è a capo di una… industria, credo possiamo chiamarla così. Voleva che lavorassi con lui, dopo la laurea, ma ho preferito venire qui. Non è stato molto contento».

«Ma tornando alla magia ed alla tecnologia babbana, come-».

«Quello che Weasley vuole dire» interruppe Draco, che sinceramente ne aveva abbastanza di chiacchiere su babbani capaci di costruire cose e su università, soprattutto quando la donna di cui era innamorato si trovava in qualche luogo dimenticato da Merlino e con il serio rischio di non tornare più, «è perché non ti hanno fatto mandare queste cavie? È procedura standard, di solito?».

Ivy, leggermente rossa, annuì. Gli occhi verdi sembrarono scintillare dall’entusiasmo che la discussione stava portando. «Io stavo per mandarle, il Dottore però mi ha consigliato di chiedere perché se poi mi avessero rimproverata avrei fatto passi indietro con la terapia» ammise, con una certa vergogna. Crave doveva averla in cura per quel suo leggerissimo problema d’ansia. Era mai possibile che fra le banshee non ci fosse qualcuno sano di mente? «Quando il Supervisore mi ha urlato in faccia di farmi i fatti miei sono tornata a dirglielo. Mi è sembrato assurdo».

Ophelia fece una smorfia. «Mi puzza tantissimo di richiesta avanzata da Kate, questa. Non le è mai piaciuto avere Cavie alle spalle» si lagnò, passandosi una mano sullo stomaco con fare pensieroso. Che stesse già cercando di accarezzare il bambino? Un medico avrebbe dovuto sapere che lassù non avrebbe trovato nulla. Forse aveva bruciore di stomaco.

Weasley la imitò. «Anche Hermione è tipo da fare queste sciocchezze. Forse credevano che con le Cavie avremmo potuto rintracciarli? Potrebbero averlo richiesto per lavorare in pace e tenerci fuori da tutto».

Era una spiegazione sensata, naturalmente, ma il sesto senso di Draco non sembrava esserne particolarmente convinto. C’era qualcosa di assurdo in tutta quella situazione, qualcosa che aveva continuato a puzzargli di marcio da ben prima di essere coinvolto.

Ivy, incerta, si guardò un momento intorno prima di fare un passo avanti con aria cospiratoria. «Sentite, potrei finire in un mare di guai per questo» mormorò, tirando fuori quello che aveva tutta l’aria di essere uno specchietto. «Non volevo farlo ma… io… Katie5 è una Succubus, io ho letto di loro solo nei miei libri di scuola ed ero curiosa, così…».

Draco si irrigidì, fissandola storto per una manciata di secondi. Poi le implicazioni di quell’affermazione presero possesso di lui. In un balzo la prese per le spalle, scuotendola leggermente. «Hai mandato qualcosa a seguirla? Sai dov’è? Sta bene?».

Nel panico totale e con le pupille dilatate al massimo, Ivy piagnucolò finché Ophelia non lo tirò via, intimandogli, con un sibilo, di non toccarla. Le servirono una manciata di secondi prima di trovare sufficiente forza d’animo per riprendere a parlare. «Qualcosa li ha attaccati, stando alle registrazioni, ma i parametri vitali di Kate sono normali, io… non so cos’è successo, ma so che sono ancora bloccati nel nord della Scozia6».

Nord della Scozia.

Non era una indicazione precisa ma, se necessario, Draco non si sarebbe fatto alcun problema nel rivoltare l’intera isola finché non l’avesse trovata. Il pensiero che potesse succederle qualcosa e che le sue ultime parole fossero state di ripudio per il loro legame lo uccideva. Non aveva potuto dire addio ai suoi genitori, non avrebbe permesso che succedesse anche con lei.

Armato di determinazione capace di sfiorare il ridicolo, si voltò immediatamente verso l’appendiabiti dove aveva lasciato il suo mantello dopo essere stato rinchiuso molto amabilmente da un paio di Banshee annoiati. Avrebbe dovuto richiedere più informazioni ed elaborare un piano, non era certo uno stupido Grifondoro pronto a lanciarsi allo sbaraglio senza aver prima elaborato un modus operandi. Non era un idiota. In quel momento, però, l’ansia fu tale che per non si preoccupò di nulla, se non di preparare se stesso e lanciare uno sguardo a Weasley. «Io vado a recuperare Kate, tu vuoi venire?».

L’entusiasmo con cui Fred si precipitò a recuperare il proprio mantello lo avrebbe fatto accigliare, in tempi normali, ma non si sentiva poi tanto differente da lui. Se non fosse stato allenato a controllare le proprie reazioni avrebbe inciampato nei propri piedi in più di un’occasione.

«Vengo anche io» si intromise Ophelia, lo sguardo fiero che tuttavia sparì non appena Fred inarcò le sopracciglia nella sua direzione, scettico. «Che c’è? Credi forse che io non sia capace di aiutarvi?».

Weasley scosse il capo, esasperato. «Tu sei l’unica che deve restare al sicuro, non ho la minima intenzione di portarmi dietro una donna incinta. Una cara amica di famiglia partecipò alla Battaglia di Hogwarts pur avendo partorito da poco e solo per stare vicina a suo marito» le disse, la voce improvvisamente triste. «Suo figlio è rimasto orfano di entrambi, il tuo potrebbe non nascere affatto. Hai un’altra priorità e tuo marito concorderebbe con me, se potesse» le fece notare, mentre Draco, un paio di passi lontano da lui, si irrigidiva.

Stava parlando di sua cugina Ninfadora, che Bellatrix, loro zia, aveva ucciso a sangue freddo. Teddy stava crescendo con la nonna, Andromeda, e con Potter come padrino. Era stato sfortunato, povero piccolo.

«Comunque non me la sento di mandare voi due da soli in una missione non autorizzata! Non conoscete le procedure, non siete neppure delle Ban-» proprio nel bel mezzo della sua predica, Ophelia si fermò per lanciare uno sguardo significativo alla ragazza – Ivy – che era rimasta a fissarli tutti con una certa curiosità mista ad inquietudine. «Hai detto che il Dottore ti ha mandata qui?7».

Improvvisamente al centro dell’attenzione, la ragazza squittì. «Uhm… sì? Per migliorare le mie relazioni interpersonali, perché non posso vivere più in sintonia con le macchine che con i miei colleghi, rischio di non essere mai pronta per una vera missione» ammise, seppur parecchio imbarazzata. «Perché me lo stai chiedendo?».

Il sorriso malevolo che lei gli dedicò la fece impallidire di colpo. «Dimmi, cara, quanto manca alla fine del tuo addestramento?».

«Oh, no, no, per favore, no» supplicò invece Ivy, stringendo lo specchietto al petto come se quello avesse potuto salvarla. «Ti prego, non farmelo fare. Non sarei di grande aiuto sul campo, rischierei di farmi prendere dal panico nel bel mezzo dell’azione e… e comunque non ho ancora superato la mia prova d’azione8, non vorrai davvero rischiare…».

«Quanto ti manca, Ivy?».

Lei sospirò, sconfitta e vagamente spaventata. «Solo la prova d’azione, che dovrei sostenere la settimana prossima» ammise, prima di tornare a guardarla con aria vagamente più battagliera. «Però se dovessero scoprirmi rischierei di essere punita come la Granger8 e allora-».

«Ma se non dovessero scoprirti» la interruppe Weasley, che stranamente sembrava propenso all’idea di portarsi dietro quella sottospecie di squittente topino nero di campagna, «e la missione dovesse riuscire, allora questa potrebbe essere considerata una prova d’azione e addirittura potresti ottenere gli onori, proprio come Hermione».

 Lei, giustamente, apparì dubbiosa. «Non sono comunque sicura che sia una buona idea, davvero. Non voglio rallentarvi, io…» si fermò, per un istante, fissando Draco dritto negli occhi. La sua indecisione sembrò raggiungere il picco ma, quando lui la fissò con esasperazione, sparì nel nulla. «D’accordo,» concesse alla fine, probabilmente punta nell’orgoglio, «verrò con voi, ma solo perché ci sono anche Katie e Barry coinvolti. Lo faccio solo per loro» mugugnò, lanciando un’occhiata storta a Fred, che appariva confuso. «Niente offesa per la tua amica Granger e per Harry Potter, ma lei ha fatto esplodere tre dei miei droni e lui è inquietante».

Weasley ebbe il buongusto di ridacchiare. «Hermione non è mai andata davvero d’accordo con la tecnologia babbana, per questo si trova tanto bene con i maghi, ed Harry è solo… incompreso». Per nulla preoccupato dall’antipatia dimostrata verso le due persone verso cui doveva essere più legato, lui le indicò la porta. «Dopo di te, Agente Ivy. Dopotutto sei tu ad avere l’aggeggio per rintracciarli».

La ragazzina arrossì miseramente, ridacchiando. «Agente Ivy… mio padre mi chiama sempre così» spiegò, dati i loro sguardi sorpresi. «Quando sono entrata nelle Banshee ha minacciato di non parlarmi più, perché aveva paura che potessi… beh, farmi uccidere. Però io l’ho rassicurato, gli ho promesso che avrei badato a me stessa e allor lui ha iniziato a chiamarmi così». Con un sospiro, accettò il mantello che Ophelia le stava porgendo. Evidentemente lei ne era sprovvista e la donna incinta non voleva che andasse in giro scoperta. Forse era davvero istinto materno. «Quindi… uhm… vengo con voi? Siete sicuri?».

«Non abbiamo poi così tanta scelta» commentò Draco, secco. «La missione non è autorizzata, dubito che qualcun altro sia disposto a rischiare così tanto per Kate e gli altri, non penso che siano poi tanto popolari».

Ophelia fece una smorfia. «Trina non ha mai raccolto molte simpatie, fatta eccezione per Ivy ed un altro paio, e tanti sanno bene chi sia Winnie. Quanto ad Hermione… non è stata mai molto aperta alle amicizie» mormorò, stringendosi poi nelle spalle. «Ed io e Barry ci troviamo bene fra noi, grazie mille».

«Lui però attira un sacco di amici» si intromise Ivy, volendo forse essere utile. «Tutti si chiedono sempre come abbia fatto a perdere la mano! Io ho scommesso su un Nundu poco simpatico».

Per una qualche ragione, Ophelia grugnì una risata. «Chiedilo a lui, sono certa che sarà lieto di risponderti non appena lo avrete recuperato da qualunque guaio lo abbia inghiottit- oh. Buongiorno capo, come mai da queste parti?».

Alla porta, il Supervisore li osservava tutti come se fossero stati un gregge di pecorelle sorprese a fare le bulle con un lupacchiotto. Li fissò uno ad uno per un lungo momento, il cipiglio tedesco ben evidente nel modo in cui teneva il mento alto. Faceva un po’ paura, con quei suoi lunghi capelli neri e gli occhi azzurri. A Draco ricordò terribilmente il suo prozio Ivan.

«Coza zignifica qvesto?» domandò lui, ignorando bellamente Ophelia ed il suo tentativo di mostrarsi gentile. «Cretevo di aver ordinato voi di ztare in camera zoli, per voztra sicureza» continuò, algido, fissando la più giovane Banshee come se fosse stata un moscerino e spingendola ad arretrare velocemente fino a nascondersi dietro Draco e Weasley. Lui non riuscì ad evitare di constatare che lei fosse appena riuscita ad aprirsi un po’, prima che lui la riducesse a condizioni peggiori di quelle iniziali. Il Dottore non sarebbe stato felice di quella involuzione.

Ophelia, unica, vera Banshee, si fece avanti. «Signore, non si arrabbi con l’Agente Stark4, sono stata io a chiederle di farsi avanti. Gli altri membri della mia squadra sono in pericolo e sono trascorse le ore necessarie per inviare una missione di recupero, che però non è stata autorizzata. Per quale motivo? Possiamo trovarli, no? Saremmo dovuti partire ore fa».

Il supervisore la fissò male per qualche istante, prima di liquidarla con un gesto. «Non c’è bizogno di tanto clamore» disse, secco, facendo cenno a qualcuno dietro di lui di farsi avanti. «Missione è riuscita, Agente Vane è ztata recuperato» annunciò, vagamente fiero, mentre Winter – proprio lei, con i suoi capelli biondi e gli occhi verdi pieni di tristezza – faceva il suo ingresso, come se non fosse stata appena rapita. «Altri zono in ufficio, tevono scrifere rapporto». 

Draco avrebbe tirato un sospiro di sollievo, se Ivy, dietro di lui, non avesse grugnito qualcosa di molto simile a «Non è possibile». Con la coda dell’occhio, la vide chiaramente fissare il suo specchietto e poi puntare gli occhi su di lui, accorgendosi di essere osservata. «Loro sono ancora in Scozia».

Allungare la mano per tirare indietro Ophelia ed alzare l’altra con la bacchetta fu quasi automatico, per lui. Weasley, pur non avendo sentito, capì velocemente che ci fosse qualcosa di sbagliato.

«Coza volete?» chiese pigramente il Supervisore, fissandoli tutti come se fossero stati delle stupide formiche. «Giù bacchette, adesso» ordinò, senza tuttavia accennare a farsi avanti, senza fingere di volersi difendere. Al suo fianco, Winter restò impassibile.

«Non è vero che sono tornati» fu proprio Ivy a farsi avanti, pallida ma determinata, sventolando davanti a sé il suo specchietto. «Sono ancora in Scozia, vittime di una qualche trappola! E scommetto quello che vuole che quella lì non è neppure la vera Winter» sbottò, sempre in uno squittio, superando tutti gli altri per potersi piazzare di fronte ai due. «Le mie cavie non possono sbagliare. Loro non sono qui».

Il Supervisore la fissò solo per un paio di istanti, annoiato. Quando parlò, la sua voce era differente, priva di qualunque accento e molto più femminile. «Credevo fossi soltanto una piccola noia, ragazza» sbottò, con una smorfia. «Ti sei rivelata un altro dei miei calcoli sbagliati, ma poco male» aggiunse, voltandosi a questo punto verso Winnie. «Pensaci tu, amore mio».

Draco non ebbe neppure il tempo di realizzare cosa fosse successo. Un momento prima, Winnie stava guardando Ivy come se non fosse nulla di rilevante, quello dopo la sua mano le era sprofondata in petto, riemergendone con un cuore ancora pulsante stretto fra le dita ed il sangue probabilmente caldo che le gocciolava fin sul gomito.

Ivy Stark, prima strega laureata del MIT e promettente Banshee, con un padre che la credeva al sicuro, cadde a terra come se all’improvviso averse perso tutte le ossa del corpo.

Il suo viso era ancora contorto nell’espressione più coraggiosa che dovesse aver mai fatto.

Lo sarebbe sempre stato.

 

***

 

Ophelia era stata sul punto di balzare in avanti e, probabilmente, dare un pugno a Winnie, senza neppure preoccuparsi di prendere la bacchetta. Draco era stato veloce nel tirarla indietro, facendola quasi cadere per terra tanto fu la forza che dovette usare. Fred, che fortunatamente era stato altrettanto veloce, aveva già la propria arma puntata contro i due e si era spostato prontamente davanti alla donna incinta. Non che entrambi credessero che Ophelia non fosse perfettamente in grado di difendersi da sola – era più grande e preparata di loro, oltre ad essere una Banshee esperta – ma era incinta ed imparentata con Potter. Non c’era da sorprendersi che sembrasse davvero pronta a prendere a cazzotti quegli esseri davanti a loro.

Un atteggiamento sufficientemente stupido da confermare la parentela.

«Chi diavolo siete?» domandò Draco, proprio mentre colui che credeva essere il Supervisore – o che forse lo era davvero? – sorrideva nell’osservare il corpo della giovane riverso al suolo, immerso in un lago di sangue. La Non-Winter al suo fianco era rimasta immobile, impassibile, il cuore ancora stretto in mano. Somigliava al padre in modo disgustoso, nonostante i colori appartenessero a sua madre. Per un istante temette che fosse davvero lei, che non fosse una sosia.

Ma Winter – la stessa ragazza che aveva sofferto così tanto nella sua vita – non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Oppure si?

«Perché l’avete fatto?» urlò quasi immediatamente Ophelia, che ancora tentava di scavalcare i due uomini per potersi lanciare contro i loro nemici. «Aveva solo ventitrè anni! Era nostra amica, Win.

Il Supervisore guardò Ophelia con scherno, voltandosi poi verso la sua bionda accompagnatrice. «Oh, tu credi di star parlando con Winter?» rise, un suono troppo acuto per appartenere ad un uomo. I timori di Draco cominciavano ad essere sempre più vicini alle certezze. «Patetico, quasi quanto quella ridicola copertura. Ho dovuto aspettare più di vent’anni senza far nulla, credi che non avrei distrutto quell’identità non appena avuta la possibilità?».

Fu a quel punto che Winter sorrise, una smorfia così macabra da far accapponare anche la pelle a Draco, che credeva di aver guardato negli occhi il peggio del peggio degli uomini.

«Voi mortali siete così buffi, con tutte le vostre emozioni» disse lei, sollevando il pugno in cui ancora stringeva il cuore per poterlo osservare come chiunque avrebbe fatto con qualcosa di particolarmente intrigante. «Buffi ma fragili. Se avessi già riottenuto tutta la mia essenza9, probabilmente sarei riuscito a trapassarla completamente nella metà del tempo».

Sì, Draco aveva visto il peggio degli uomini. Ma davanti a lui non c’era più Winter Vane.

«Sisifo» esalò, scoprendo i denti come se fosse stato un animale messo alle strette da un predatore molto più grosso e pericoloso. «Winter è sempre stata una copertura? E Mulciber? Dove avete lasciato quel mostro? Dov’è Kate?».

Attirato da una imprecazione di Weasley, Draco si voltò appena in tempo per osservare il Supervisore cambiare forma ed assumere quella già relativamente nota di Tiresias. Draco, non avendolo mai fronteggiato prima, si ritrovò a sgranare gli occhi per la sorpresa. L’aveva già incontrato, durante la permanenza di Voldemort a casa sua. Lo aveva incontrato anche ad Hogsmeade, prima di usare l’Imperius su Katie Bell.

«Quante domande, Malfoy» cantilenò Sisifo, usando la stessa voce di Winter, di sua cugina. «Sarei tentato di non risponderti, ma, in fondo, tu ed i tuoi amici state per morire, quindi che male c’è? Non c’è nessuno che possa venire a salvarvi» annunciò, con una allegria quasi infantile. «Oh, ma voi ancora non avete capito, non è vero? Eppure sono sicuro che potrete arrivarci» aggiunse, portandosi l’indice al mento per assumere una posa riflessiva.

Non c’era niente di Winter in quella creatura.

«Dobbiamo per forza perdere tutto questo tempo?» chiese Tiresias, vagamente ansioso, voltandosi per osservare la porta chiusa alle loro spalle. Era estremamente diverso da come Draco lo aveva conosciuto. Non aveva mai tradito tante emozioni tutte insieme. «Non ho modo di prevedere cosa succederà, le creature sono fuori dal mio controllo, lo sai».

Con un gesto dolce che tuttavia riuscì ad apparire strano, possessivo se non abusivo, Sisifo gli prese il mento fra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi. Gli stessi occhi verdi che Winter aveva scelto ispirandosi a sua madre. «Di cosa hai paura, amore mio? Credi forse che quel gruppetto di mortali sopravvissuto possa far qualcosa? Abbiamo dalla nostra parte creature così oscure che molti di loro dubito ne abbiano avuta conoscenza. Probabilmente in meno di qualche minuto saranno tutti morti».

Dalla loro posizione, Draco e gli altri due si guardarono, senza sapere come comportarsi, come reagire. Li stavano ignorando, come se fossero stati così insignificanti da non meritare la minima attenzione.

Il pensiero, per quanto fastidioso, era anche terrificante. Davanti a lui si stagliavano un veggente leggendario che per millenni aveva tirato i fili dell’umanità direttamente dalle ombre, senza mai farsi notare ma senza fallire del tutto, ed il suo amante immortale, momentaneamente nella forma di sua cugina.

«Tu sottovaluti il dottor Crave, amore mio» sussurrò Tiresias, la voce ridotta ad un mormorio innamorato – o sottomesso? – e gli occhi sgranati. Sembrava quasi debole in quel momento. «Avrei dovuto ucciderlo anni fa, ma sono riuscito ad ottenere la carica di Supervisore10 solo dopo che lui aveva ottenuto la sua. Ucciderlo dopo avrebbe aperto scenari catastrofici per noi».

Quindi il Dottore non era coinvolto.

«Cosa credi che possa fare? È un guaritore messo a capo di… quanti, trenta agenti? Sono quasi tutti in missione, perché tu sei stato abbastanza lungimirante, e tutti gli altri stanno combattendo nei sotterranei. Non che io avessi dubbi, non mi avresti mai deluso, non di nuovo, vero?» chiese allora Sisifo, stringendo di più la presa sul veggente, abbastanza forte da farsi sbiancare le nocche.

«Non voglio più deluderti, amore mio».

«È proprio quello che pensavo» lo liquidò, lasciandogli un bacio languido sulle labbra. Quando ricominciò a parlare – sembravano complimenti o sciocchezzuole da innamorati – lo fece in una lingua a loro sconosciuta, totalmente preso dal compagno, incurante di loro.

Quando Draco formulò il pensiero di creare un diversivo e scappare – perché non ci aveva provato subito? – si rese conto, tuttavia, di un dettaglio.

Non poteva muoversi.

«Credevi davvero che vi avrei lasciati lì senza alcuna misura di sicurezza, Malfoy?» rise Sisifo, somigliando così tanto a Winter da fargli venire la nausea. «Non potete muovervi, nessuno di voi. Non avrei lasciato qualcuno con la benedizione di Thanatos libero da qualsiasi costrizione» gli fece notare, staccandosi da Tiresias per avvicinarsi a lui. Gli prese il mento fra le dita, come aveva fatto con il suo compagno ma in modo molto più violento, costringendolo ad abbassarsi fino a poter colpire leggermente un punto sulla sua fronte, che sembrò bruciare al suo tocco. «Ah, deve averti dato una missione importante da compiere, non è vero? Forse qualcosa su quella tua piccola Succubus, uhm? Lui e quell’altro pennuto sono sempre stati terribilmente possessivi verso i loro figli».

 Se qualcosa dovrà accadere a lei o a questo libro, tu avrai la Morte a caccia della tua inutile anima.

Thanatos gli aveva affidato una missione e lui la stava fallendo su tutti i fronti. Non aveva idea di che fine avesse fatto il libro e non aveva modo di raggiungere Kate e proteggerla, come aveva promesso. Il fallimento alitava su di lui come una spada di Damocle, minacciando di colpirlo nonostante la consapevolezza di essere il portatore di un compito affidatogli da una divinità.

Le sue pupille dovettero dilatarsi comicamente, perché quando fissò la donna – o uomo? – davanti a lui, ritrovò uno sguardo divertito ad accoglierlo.

«Ah, vedo che hai capito» si complimentò Sisifo, dandogli un buffetto sulla guancia con abbastanza forza da fargli sentire un crack sospetto alla mascella. Stranamente non sentì dolore, forse per lo shock. «Per voi poveri ignari, invece, lasciate che sia io a spiegare» trillò, facendo un passo indietro ed indicando Draco con un fare altamente teatrale. «Mentre i vostri supposti tre prescelti si trovano insieme al nostro amico Mulciber, io ho qui con me un Araldo di Thanatos,» iniziò a presentare, indicando poi Ophelia, immobile nella sua espressione bellicosa, «una Padrona di anime, una donna incinta che sta custodendo un’anima in via di sviluppo», si spostò, allora, fronteggiando Fred, che ancora aveva la bacchetta alzata. «Infine, abbiamo anche un Ritornato. La Succubus ha fatto un ottimo lavoro con te, non è vero? Sei stato un po’ un azzardo, Tiresias non sapeva se l’abominio avrebbe avuto abbastanza potere da riportarti in vita, ma io sapevo. Ho rivisto Eros in lei, nonostante questo tramite umano non fosse ancora sparito».

Tramite umano.

Forse Winter non era stata una copertura. Forse lei c’era stata, in tutto quel tempo. Forse c’era ancora.

Sisifo ridacchiò, tornando davanti a lui. «Ah, sei davvero intelligente! Sì, naturalmente tua cugina c’era, io non mi ero certo incarnato in lei, all’inizio» spiegò, allegramente. «Ma sua madre era una creatura troppo buona, troppo debole per me. Il mio povero Tiresias ha dovuto sfruttare quel poco di buono di Mulciber, convincerlo di essere potentissimo nonostante fosse solo uno psicopatico e spingerlo a vedere il potenziale Beatrice per la generazione di prole. Poi abbiamo solo dovuto preparare l’Erede e, alla fine, prenderne possesso11». Soddisfatto di se stesso, fece cenno a Tiresias, che tirò fuori dalla giacca una pergamena davvero familiare. «Adesso procederemo al rituale, così quando la Succubus arriverà potremo farla assistere alla mia rinascita, proprio come i suoi genitori al momento della mia prima ascesa» si rallegrò, avvicinandosi a Draco per dargli un altro buffetto sulla guancia. «Ah, naturalmente tu sarai il primo a morire».

Un momento dopo, qualcosa di incandescente lo colpì al petto.

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Nessuno aveva capito chi fosse Sisifo, io sono molto soddisfatta.

 

È proprio da me creare un OC con il solo scopo di ucciderlo. Mi sto odiando da morire.

Ivy meritava una madre migliore di me.

 

PS: Sto aspirando al titolo “George R.R. Martin”, nessun personaggio è al sicuro dalla morte.

 

 

Punti importanti:

 

» * - Anche se sembro pericoloso/ ti spaventeresti?/ Ho questa sensazione solo perché/ qualsiasi cosa tocchi non è oscura abbastanza/ se questo problema è dentro me. Povera, povera Winnie. Nascondeva ben altro che un padre psicopatico e non lo sapeva neppure.

 

» 1 – Draco ha ribattezzato detta malattia come Poverite. Amore mio, ha senso dell’umorismo da riccone.

 

» 2 – Sapete, quella voce stizzosissima che Lucius usa alla fine del secondo film con Harry? Quella da vecchietta acida? Draco è un maestro di quella voce.

 

» 3 – Non giudicatemi, reputo ridicolo che non siano riusciti ad evolversi almeno un pochino. Trovandoci in un contesto storico vicino a quello dei libri, ovviamente non ho potuto rendere questa collaborazione diffusa, ma le Banshee hanno un grandissimo centro di ricerca che proprio Ivy, in un certo senso, sta guidando. Non urlate alla Mary Sue perfetta, perché le Banshee vogliono solo il meglio. Ed Ivy era la migliore in assoluto, un genio della meccanica. Però in Pozioni faceva piuttosto schifo.  

  

» 4 – Io questa informazione la appoggio qui, chi vuol capire capisca. Suo padre è un riccone (non lo specifico nel testo, ma è ricco da far paura) americano, laureato al MIT (probabilmente fra le migliori e più note università per quanto riguarda l’ingegneria) e proprietario di una industria. E si chiama Anthony Stark. Io non dico altro, chi vuol capire capisca (ovviamente levategli la storia eroica, eh). Per chi ancora non avesse capito a chi ho dato una figlia solo per poterla ammazzare, vi consiglio di guardare questa pagina. <3

Ah, Stark anche in omaggio alla mia casata in Game of Thrones. Che oltretutto ha vinto al FantaGoT.

 

» 5 – Appunto: Ivy parla di Katie perché lei non è stata lì per tutto il cambiamento Katie>Kate. Per lei è rimasta Katie. Perché le vuole bene, se lei è inquietante da morire (LOL)? Perché Katie è nonostante tutto una Grifondoro. Delle Banshee più grandi stavano facendo i bulli con una Ivy di appena ventun anni e lei è intervenuta a difenderla. Stare tanto vicino alle macchine le avrà impedito di sviluppare relazioni umane, ma le ha anche impedito di avere pregiudizi. E, comunque, era curiosa (cosa che l’ha spinta a mettere la Cavia su Kate e, di conseguenza, salvare tutti).

 

» 6 – La cavia è come un chip, solo che si lega all’energia magica della sua “vittima”. Controlla la posizione e che il soggetto abbia ancora dei parametri vitali ottimi, riportando i dati nello specchietto che Ivy porta sempre con se’.

 

» 7 – Il Dottore ha sentito puzza di complotto ed ha mandato Ivy dove credeva si sarebbe potuta rendere utile. Se ha fatto bene perché, in effetti, al piano di sotto sarebbe morta subito, l’ha comunque condannata a morte. Dopo aver ritardato la morte di quei tre.  

 

» 8 – Le Banshee hanno un periodo di addestramento variabile, tendenzialmente a ritardare tutto è la prova d’azione. Si tratta di una prova su campo per verificare la vera esistenza dei requisiti. Perché Ivy parla di Hermione? Perché Hermione, per salvare Harry, è andata contro gli ordini. Andando contro gli ordini, ha dovuto aumentare di sei mesi il suo apprendistato. Tuttavia il suo comportamento fu talmente eroico da consentirle di ottenere grandi onori.

 

» 9 – L’Essenza di cui parla Sisifo è la sua massima potenza, il suo potere immortale. Sisifo non è un umano, ma non è una divinità. Il suo Essere è qualcosa di differente che ancora non si è presentato. “Winter” ha qualcosa di questa forza, ma non ancora tutto. Ha ucciso facilmente Ivy – lei era fisicamente debole, il suo potere era nel cervello – ma non facilmente come se avesse avuto i suoi poteri. Per questo non è riuscito ad uccidere completamente Fred, qualche capitolo fa (avevo detto che fosse stata Winter e, fisicamente, era lei, ma non mentalmente).

 

» 10 – Sotto copertura per oltre quarant’anni, Tiresias si è fatto passare prima per Agente e poi, alla fine, per Supervisore. No, non esiste alcun vero Supervisore, è sempre stato lui.

 

» 11 – Cos’è successo? La vera incarnazione di Sisifo non era Winnie ma sua madre. Sua madre tuttavia era debole, troppo debole, e non riusciva a reggere il peso della presenza di Sisifo in lei. Consapevole dell’impossibilità di ritornare in un corpo tanto debole, Tiresias convinse Mulciber a prendere quella donna con sé e farci una figlia. Quando è avvenuto il passaggio? Quando la madre di lei è morta (non posso dire nulla sul come) c’è stato il trasferimento di “Sisifo” da madre a figlia, ma lui ha acquisito coscienza soltanto qualche capitolo fa, quando Fred è stato colpito.

 

 

 

Inchinatevi ad Ivy Stark che ha impedito a quei tre di fare la figura degli imbecilli.

Il Dottore non si perdonerà mai per la sua morte.

Sempre se anche lui sopravvivrà, cosa improbabile.

  

 

Poiché in questa settimana ci sarà una festa nella mia città, io non avrò tempo di scrivere fra quella e lo studio (soprattutto per lo studio maledetto, mi sento più esaurita di luglio). Anche se la prossima settimana non ci sarà l’aggiornamento, non rilassatevi che ancora i danni non sono neppure iniziati :D

 

Ps: il dolore al petto potrebbe implicare un cuore strappato via??? Una pugnalata? Una morte immediata? Qualcosa di peggio? Chi lo sa! ¯_()_/¯

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

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Capitolo 29
*** Atto XI, Parte II - Il Non-Morto ***


LErede del Male.


 

Il vero coraggio, tu credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano.

Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare,

e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.

È raro vincere, in questi casi, ma qualche volta succede.*”.



[Harper Lee – Il buio oltre la siepe]

                                  

 

Atto XI, Parte II – Il Non-Morto

 

 

Kate non era sorpresa. Era assai improbabile che Sisifo avesse intenzione di spostare troppo i suoi tre prescelti, a prescindere dal luogo in cui fossero. Non aveva sentito nulla mentre le creature la portavano via, trascinandola fra le ombre come se fosse stata una di loro, ma ritrovarsi all’ingresso del Quartier Generale fu quasi banale, dal suo punto di vista. Era molto probabile che Tiresias avesse trovato il modo di mettere le mani sull’Organizzazione, addirittura avrebbe potuto essere responsabile della sua fondazione, essendo abbastanza vecchio1.

Accanto a lei, una bestia dal pelo nero come la notte ringhiò nella sua direzione, quasi a volerle intimare di continuare a procedere, di andare avanti ed incontrare il suo destino. Non che lei avesse intenzione di esitare, non quando la pena di Draco Malfoy era come un pugnale piantato nel suo petto da oltre un’ora. L’istinto le urlava di correre, di raggiungerlo ed assicurarsi che fosse al sicuro, che stesse bene, ma lei non era solo guidata dalla sua biologia da Succubus, lei era una Banshee ed una Banshee riconosceva una trappola quando si ritrovava ad esserne la vittima. Dentro di lei era fin troppo consapevole che, con ottime probabilità, non avrebbe trovato nulla di prevedibile ad attenderla.

Avrebbe dovuto elaborare un piano, giocare sull’incapacità di Tiresias di prevedere le sue mosse. Ma se lei riusciva già a percepire l’immenso potere, ancora intrappolato, di Sisifo sprigionarsi dalla Sala Centrale, era ben probabile che il Tramite – cosciente della sua vera identità, ne era piuttosto sicura – l’avesse sentita arrivare a sua volta. Esitare avrebbe solo fatto aumentare il numero di bestie inviate per controllarla, rischiando di toglierle quel minimo margine d’azione che ancora dava speranza ai tre intrappolati di sopravvivere.

Porta onore al tuo sangue, si ripeté, cercando di isolare la stessa voce che aveva già sentito nel Magazzino e che le aveva consentito di realizzare quanto terribile fosse la loro condizione. Non sapeva a chi appartenesse, ma aveva delle idee sufficientemente plausibili da farla sentire meno sola. Chiunque fosse la stava osservando, la stava accompagnando. Non era sola e non poteva permettersi di farsi prendere dal panico, non in quel momento, non in quel modo. Allora, raddrizzando le spalle e decidendo di ignorare totalmente le bestie intorno a lei – oltre alla prima versione onirica e quasi immateriale di un licantropo in piena trasformazione, se ne erano aggiunti tanti altri, dalle forme più disparate ma tutti in qualche modo protagonisti delle più grandi paure degli uomini, come ogni Terrore Notturno degno di quel nome –, si avviò su per le scale d’ingresso, senza incontrare anima viva.

Da qualche parte, nei sotterranei, c’era ancora qualcuno intento a combattere, c’erano anime vive che stentavano ad andare avanti e che lei non poteva aiutare. Non c’erano rimedi, non c’erano cure, avrebbero solo dovuto resistere e sperare in un miracolo.

 Ecco come sono morti gli ex Mangiamorte. Li hanno usati per richiamare le bestie. 2

Il portone in mogano e cemento che per secoli, grazie alle rune protettive scavate dai più grandi maghi e streghe del tempo e periodicamente aggiornate, aveva protetto l’ingresso al Quartier Generale era spalancato, lasciandole subito intravedere il lungo corridoio, solitamente affollato da agenti e reclute e perennemente illuminato, totalmente deserto ed immerso nell’oscurità. C’erano occhi che la osservavano, mani ed artigli pronti ad afferrarla, ma niente e nessuno si fece avanti, niente la disturbò nel suo veloce incedere. Era piuttosto certa che quella fosse una semplice parata della vittoria per Sisifo e Tiresias, un’esibizione del potere che aveva portato lei, figlia dei suoi nemici, a camminare da sola in mezzo ai loro seguaci, diretta al patibolo.

Sarebbe morta con l’orgoglio di una regina: guardando negli occhi il suo boia e senza piangere.

La Sala Centrale era stata sede della firma di innumerevoli Trattati di pace, ma anche Tribunale per i più grandi maghi oscuri degli ultimi settecento anni. In uno scranno era ricordato il Gran Processo riservato a Grindelwald, in un altro erano trascritti i nomi dei giudici che avevano gestito il Tribunale di Hogwarts dopo la fine dell’ultima guerra. Al centro, fin dalla costruzione del castello, c’era stata una enorme fontana d’oro zecchino che quasi tutti i Ministeri degli Stati membri della Confederazione avevano emulato con maggiore o minore fedeltà. In Inghilterra avevano preferito complicare le relazioni con Maridi, Goblin e Centauri, in Canada, invece, si erano avvicinati molto di più al trionfo di creature abbracciate in un gesto di fratellanza che i Fondatori dell’Ordine avevano commissionato per il Quartier Generale.

In quel momento, la fontana non esisteva più.

Tutto il corpo centrale, che aveva incantato Kate fin dal primo sguardo, era stato sciolto e plasmato fino a ricreare due troni – di cui uno nettamente più maestoso, giusto per evidenziare quanto paritaria dovesse essere quella loro relazione – e quella che aveva tutta l’aria d’essere un’enorme vasca dorata, al cui interno Kate sapeva che avrebbe trovato il sangue di tutti i Mangiamorte sacrificati settimane prima.

La fonte dei Terrori.

I terrori che avevano aiutato l’attentato di Diagon Alley, che avevano aiutato Jack lo Squartatore, Hitler e tutte le altre incarnazioni di Sisifo.

Tiresias aveva sempre saputo come riportare indietro Sisifo, ma aveva avuto bisogno di arrivare alle sue tre vittime sacrificali. Aveva bisogno che Kate fosse pronta ad assistere senza poter far nulla. Aveva bisogno che lei fosse disperata.

«Ciao signora» salutò una vocina nascosta poco dietro l’enorme sagoma dorata, giusto un attimo prima che una bimba dai lunghi capelli neri facesse la sua apparizione, coperta da un grazioso vestitino in pizzo bianco. «Tiresias ha detto che sei la mia nuova schiava» le comunicò, tranquilla, come se fosse stata una cosa perfettamente normale, oltre che scontata. Kate la riconobbe immediatamente come la piccola Obscurus, nonché come Horcrux. La carica magica nascosta in quel piccolo corpo era spaventosa, eccessiva, comprimeva la sua piccola essenza vitale al limite del possibile.

Non sarebbe sopravvissuta molto, forse solo un’ultima esplosione di potere prima del nulla.

E lei non ne aveva idea?

«Tiresias avrebbe dovuto spiegarti che la schiavitù è stata abolita da un po’ di tempo, quantomeno qui in Svizzera» le fece notare, pacata, inginocchiandosi davanti a lei per poterla guardare negli occhi. Erano neri, ma non semplicemente a causa della naturale conformazione dell’iride. C’era così tanta oscurità dentro di lei, così tanto orrore. La sua innocenza era stata strappata via prima ancora che potesse assaporarla. «Sai dirmi dove sono? Prima di morire ho intenzione di provare a vendicare la vita che avresti dovuto avere».

La bambina la fissò con tanto d’occhi, per nulla spaventata ma estremamente curiosa. Allungò una mano per toccarle la guancia ma, come scottata, arretrò quasi immediatamente di un paio di passi. «I tuoi occhi sono bui e sei tanto fredda» constatò, il capo piegato per poterla osservare meglio. «Non sei come tutti gli altri, ma non sei neppure come me. Perché dici che vuoi vendicarmi?».

Kate avrebbe voluto prendere a pugni Tiresias, ma sapeva che non ci sarebbe riuscita se anche l’avesse voluto. «Non mi aspetto che tu possa capire, per quanto tu possa essere intelligente» le disse, rialzandosi. «Ti hanno mandata qui nella speranza che io ti uccida, lo sai, vero? Quella storia della schiava non regge molto, se neppure tu ne sei davvero convinta».

La piccola sorrise, stringendosi nelle spalle. «Tiresias mi ha sempre detto che tu mi avresti uccisa, è necessario, sai» le disse, sussurrando come se fosse stato un importantissimo segreto. «Dice che poi Sisifo mi riporterà in vita senza… senza il dolore» spiegò, portandosi una manina al piccolo petto, come a voler sottolineare la propria sofferenza. Tutto quel potere doveva essere soffocante, bruciandola dall’interno come una fiamma viva sempre accesa.

«Perché mai dovrebbe farlo?».

La bambina si strinse nelle spalle. «Non lo so, ma non mi importa, Tiresias ha sempre mantenuto le sue promesse ed io voglio smettere di soffrire» sbottò, improvvisamente nervosa, sbattendo il piedino per terra. Per un istante la sua immagine sembrò tremolare, i suoi contorni indefiniti. «Voglio morire! Adesso!».

Potresti anche accontentare il piccolo mostro3.

«No, non adesso, non così» la liquidò velocemente Kate, guardandola come avrebbe guardato le bestiole di Barry, se ne avesse avuto il coraggio. La sua abilità nel controllare le passioni umane era inutile con lei: troppo giovane per provare libido e troppo poco umana per essere davvero manipolabile. Se fosse stata meno desiderosa di morire e Kate, di per sé, non fosse stata già con un piede nella fossa, avrebbe potuto trovare in lei una giusta avversaria. Ma non in quelle condizioni. «Tiresias! Vieni fuori e porta con te quella specie di sottosviluppato ibrido immortale, ho voglia di guardarlo negli occhi e dirgli quanto mi fa schifo».

Non esattamente un discorso da diplomatica, ma niente male.

La bambina, come un cagnolino da guardia stuzzicato, si fece avanti a braccia larghe, quasi invitandola a scontrarsi con lei e con l’inquietante velocità con cui il potere stava prendendo possesso del suo corpicino, ma un rumore sordo dalle sue spalle la fermò in un istante, spingendola ad allontanarsi con un sibilo ferito, quasi si fosse aspettata d’esser colpita. Come se fosse stata addestrata a rispondere al suono con terrore. Come un animale.

E proprio dalle sue spalle, etereo come lei l’aveva sempre immaginato, il Veggente fece il suo ingresso, vestito di una tunica fuori moda da almeno tremila anni e con il capo ornato di foglie d’alloro dorato, come se fosse stato una divinità. Il suo sguardo era serio, intenso, ma il resto del suo viso era inespressivo. Sulla sua guancia destra svettava un livido violaceo che nessun mortale avrebbe mai potuto causargli, poiché non ne avrebbe avuto il tempo.

Non è mai vero amore, se l’ossessione diventa parte dell’equazione.

«Mi direi dispiaciuta del trattamento che Sisifo ti sta riservando, se tu non fossi ancora più psicopatico di lui e meritevole di un trattamento anche peggiore» fu il modo in cui lo accolse, il naso arricciato in una smorfia disgustata4. «Il tuo padrone ha deciso che in questi millenni non sei stato abbastanza sottomesso? Oppure ha semplicemente deciso di sfogarsi un po’ sul suo giocattolino preferito?».

Tiresias non si mostrò affatto turbato dalle sue parole, limitandosi a sorridere con scherno. «Non mi aspetto che tu possa capire il vero amore, Succubus. Voi bestiole conoscete solo la lussuria, pur essendo figli di Eros» le disse, con tranquillità, accomodandosi delicatamente sul trono più piccolo, come se ci fossero dubbi su chi fosse il proprietario dell’altro. «Tu mi sorprendi, però. Ti fai venire gli scrupoli di coscienza ad uccidere qualcuno già condannato, anche se il tuo sangue sta ancora marcendo per aver preso la vita di Mulciber».

«Sapevi che l’avrei ucciso, allora. Credevo non potessi prevedere le mie mosse».

Il Veggente sorrise, questa volta per nascondere l’irritazione. «Quell’essere è sempre stato debole, nulla più di un parassita. Tu sei una creatura di discendenza immortale e, con te, ci sarebbero stati tre fra i maghi più abili attualmente in vita, non ci avreste messo molto ad ucciderlo. Speravo, però, che tutti decideste di venire fuori, i miei Terrori avevano fame».

Kate non riuscì ad impedirsi di stringere i denti. «Mi dispiace averti deluso, ma noi Negromanti siamo parecchio familiari con le creature oscure. Prima che il tuo Padrone se ne impadronisse, loro appartenevano a mio Padre. So come difendere me stessa da loro», il suo sorriso si allargò, assumendo sfumature macabre. «E sono convinta che anche Barry ed Hermione sapranno cavarsela. Non sono molto convinta di Harry, ma se gli diranno cosa fare sono piuttosto certa che anche lui saprà rendersi utile» aggiunse, stranamente allegra. «Ma tu questo lo sai, non è vero? Tu vuoi che vengano qui».

Tiresias ricambiò il suo sorriso, accomodandosi meglio sul suo piccolo trono. «Il mio Amore desidera che il suo trionfo sia pubblico. E forse spera di far assistere Maine alla tua dipartita, non essendo disponibili i tuoi altri genitori. Quanto alla donna, lei è la prossima in lista, dubito rivedrà mai il marito».

Qualcosa di oscuro ed amaro le risalì la gola, facendola quasi sentire male. Avrebbe dato qualunque cosa per potersi far avanti e dare un pugno a quel mostro che la fissava come se fosse stata una sciocca. Forse lo era, ma di certo lei non gli aveva mai dato il permesso di considerarla tale. Era maleducazione pura e semplice e Kate odiava i maleducati. «Tu non puoi sapere per certo cosa succederà, sei cieco dal momento stesso in cui Sisifo ha riacquistato coscienza, non è vero?5 Tu non hai la minima idea di cosa succederà e per questo hai paura» sbottò, facendo un paio di passi avanti ma fermandosi prima di toccare l’oro delle scale. Non aveva idea di cosa stesse dicendo, non sapeva se Tiresias fosse davvero preoccupato o cieco. Aveva semplicemente aperto la bocca per dare fiato alla stizza, tirando fuori dei sospetti che avrebbe fatto bene a mantenere tali, soprattutto considerando quanto poco sapesse ancora dell’Evocato. Quello non era modo di preparare un piano d’attacco e se per caso le sue supposizioni si fossero rivelate sbagliate probabilmente avrebbe pagato cara la sua impertinenza.

Da brava figlia del dio caduto in una trappola sciocca.

«Ah, non essere così dura con te stessa, il mio Tiresias è davvero terrorizzato» rise una voce fin troppo nota, direttamente dalle sue spalle, un attimo prima che Winter Vane la affiancasse, sorridendole come era solita fare nelle sue giornate buone, quando Winter era più forte di Elladora. Il suo accento però non imitava quello strascicato del Sud degli Stati Uniti ma, invece, ne era completamente privo. Sembrava che a parlare fosse stato un automa. O peggio, una creatura esistita prima di qualunque lingua moderna. «Ah, sì, lei amava quella falsa della gentildonna del sud, non è vero? Io la trovo insopportabile, ma tutti voi mortali lo siete, alla fine dei conti» riprese, facendole l’occhiolino quando, fulminata dalla comprensione, Kate arretrò bruscamente di un paio di passi. Il sorriso divenne una risata quando, dalla fretta, inciampò sui suoi stessi piedi e cadde senza la minima grazia.

«Questo spiega tante cose» riuscì a tirare fuori, fortunatamente senza fare troppe smorfie per il dolore alle ossa. A breve avrebbe sofferto molto di più, avrebbe fatto bene a mantenere la dignità finché le fosse stato possibile. «Ho sempre sentito qualcosa di sbagliato in lei e l’ha sentito anche il Dottore» aggiunse, con una smorfia. «Mulciber vi è servito per torturarla per benino, non è vero? Renderla più debole per il tuo stupido Risveglio» sputò con disgusto, rialzandosi e mostrandosi molto più grande di quanto in realtà non fosse. «Non hai alcun rispetto per la vita umana?».

Sisifo-Winter rise, accomodandosi sul suo enorme trono. «Senti chi parla! Stai esplodendo con il potere dell’anima del povero Silas e vieni a fare la predica a me? Tuo padre è una divinità della Morte, anche se tu sembri vergognarti di lui. Non che io possa darti torto, anche io mi vergogno dell’idiota capace di mandare tutto al diavolo per amore».   

«Mio padre è stato pronto a sacrificare tutto per il suo compagno, io non potrei esserne più fiera» sibilò lei, facendosi avanti ancora una volta. «Se non fosse stato per l’amore di… di… di quel tuo schiavo, adesso tu non saresti qui!».

«Se non fosse stato per l’amore di Tiresias che Eros gli garantì, loro non si sarebbero mai separati» le fece notare allora Sisifo, con una risata. «Non puoi girarci intorno, Succubus, l’amore è stato la causa di tutti i vostri problemi mentre a me ha portato solo grandezza. Adesso ho un corpo molto più potente di quanto il mio non fosse mai stato e, una volta riacquistate le mie piene capacità, potrò finalmente porre fine a tutto e diventare tutto! Non ci sarà nulla che io non avrò creato, nulla che non dipenderà da me». Si rialzò, spingendola involontariamente ad arretrare ancora una volta. Era inquietante essere fissata in quel modo da un viso che fino a poco prima aveva sempre considerato amico. «Sarei diventato infallibile millenni fa, se alla fine i tuoi genitori non fossero riusciti a fermarmi, ma ora loro non potranno più intervenire e dovranno assistere inermi alla distruzione della loro progenie».

La presunzione – o forse era l’idiozia? – la spinse a parlare di nuovo. «Se avessi voluto e potuto uccidermi, l’avresti già fatto» gli sibilò dietro, impassibile al suo sorriso sornione. «Ho letto anche io il Necromicon, so che non puoi toccarmi a meno che non sia io a permettertelo e non c’è nulla che mi spingerebbe a tanto! Neppure se dovessi costringermi a scegliere fra il bambino di Ophelia e me stessa! Neppure se dovessi uccidere Draco!».

Sisifo rise, stranamente allegro, indicandole con un cenno l’enorme vasca in cui il sangue raccolto veniva rimescolato. «Oh, io non voglio ucciderti, siamo entrambi consapevoli che con questo corpo ancora fragile non ne avrei modo. Ho detto solo che voglio distruggerti» specificò. «Ti prego cara, avvicinati, sono certa che vorrai vedere. In effetti è curioso che tu abbia nominato proprio Malfoy…».

Un inaspettato senso di terrore le strinse il petto, impedendole di rispondergli con tutti i dolcissimi epiteti che fino a quell’istante avevano occupato la sua mente. Era impossibile che fosse successo qualcosa a Draco, no? Lei l’avrebbe sentito, l’avrebbe capito subito. Poteva aver sofferto molto, ma nulla più di una leggerissima tortura, non… non poteva essergli successo qualcosa di peggio senza che se ne rendesse conto. Sisifo stava bluffando, non c’erano altre spiegazioni. Fare gli ultimi passi avanti ed osservare il disgustoso contenuto della vasca dorata fu tuttavia difficile come se avesse dovuto combattere contro una forza irresistibile che spingeva per tenerla il più lontana possibile.

«Una cosa curiosa, la condivisione della forza vitale. In molti credono che le anime gemelle siano naturalmente portate a certi tipi di legami, sviluppandoli anche volontariamente» iniziò a spiegare Sisifo, affiancando Kate ed osservando a sua volta l’interno della vasca. Qualcosa si mosse sotto la superficie nerastra, come avrebbe fatto uno squalo prima di attaccare. «Condividere la forza vitale, però, spesso non significa condividere la vita vera. Una persona in coma sarebbe viva ma non più vitale. I Risvegliati tanto cari a noi seguaci della morte, invece, sembrerebbero essere vitali anche se non più vivi. È una differenza così sottile che, in un momento di dolore, potrebbe quasi passare inosservata».

Da oltre il sottile velo del sangue, un corpo cominciò a risalire, gli occhi coperti dalla patina biancastra della morte e la pelle bluastra, fermandosi davanti al suo nuovo Padrone, lo stesso essere che l’aveva trascinato in quel limbo di non-esistenza.

Kate sentì le ginocchia cedere nel momento stesso in cui il cadavere di Draco Malfoy spostò la sua fragile attenzione su di lei, fissandola senza riconoscerla. Intorno a lei sentì un verso strano, come di un animale in agonia, e, con orrore, quasi non si rese conto di esserne lei la fonte.

Se credeva di aver vissuto un cuore spezzato, era stata solo una sciocca ed una ingenua. Cosa poteva essere la fine di una cotta adolescenziale, se paragonata alla distruzione di un’anima predestinata, di un legame che era stato voluto dall’universo? Draco avrebbe dovuto amarla anche dopo la morte, ma la Morte non sarebbe mai arrivata per lui, non se prima lei non avesse distrutto il mostro.

E lei non poteva far nulla contro di lui.

Voleva distruggerla e c’era riuscito. Quella spavalderia che l’aveva portata fin lì, che l’aveva convinta ad andare davvero da sola – doveva andare, doveva provare ad aiutare Draco e Ophelia e Fred – era sparita, inghiottita dagli occhi vuoti dell’amore che non avrebbe più avuto modo di vivere. L’amore che Sisifo le aveva portato via.

«Dov’è la forza dell’Amore, adesso?» rise Sisifo, per nulla toccato, osservando Malfoy uscire dalla vasca e fermarsi fra lui e Kate, osservandoli entrambi senza alcuna espressione in viso. «Adesso faremo in modo che il cadavere di Draco possa rendersi utile, che ne dici? Credo proprio sia giunto il momento del sangue della tua amica, si? Ophelia PerderghastTiresias ha faticato così tanto per impedirle di avere altri figli, sai?6 Sarà un piacere toglierle quella creatura dal grembo. Forse potrebbe non accorgersene neppure! Ma, oh, soffrirà così tanto!».

Quelle parole avrebbero dovuto irritarla, ne era consapevole, ma Kate aveva perso qualsiasi contatto con la realtà, arrivata a quel punto. Sentiva la voce di colei che era stata sua amica, vedeva Draco ancora fermo a pochi passi da lei, ma non c’era nulla in lei. Nulla, se non dolore, orrore, rabbia.

 «Trina!».

Quando risollevò gli occhi dalle proprie mani – le unghie erano penetrate a tal punto nella sua stessa pelle da ferirla, lasciando gocciolare sangue scuro e denso, profumato come un mazzo di fiori appena raccolti7 - si rese conto che, approfittando della sua confusione, Draco dovesse aver recuperato le altre due vittime, trascinando il corpo apparentemente senza sensi di Fred e tirando per un braccio Ophelia, il cui viso era ancora macchiato di lacrime ormai asciutte e stravolto dal dolore. Aveva urlato il suo nome lasciando che l’angoscia pesasse su ogni singola lettera, resistendo alla presa ferrea di qualcuno che non aveva più neppure una vita da perdere, figurarsi una coscienza.

«Trina, mi dispiace» continuò, imperterrita. «Ho provato, io… non ho potuto far nulla» esalò, quando Draco la fece cadere a terra senza troppe cerimonie. L’orrore che emanava ogni suo movimento le avrebbe spezzato il cuore, se già Sisifo non fosse riuscito a distruggerlo. «Mi dispiace».

Fu un cambiamento istantaneo quello che colpì Kate in quel singolo istante. Non era una novità, Succubi ed Incubi erano creature che si nutrivano di vita e la vita era emozione. Solitamente incanalavano la lussuria, ma in generale propendevano per assorbire – e provare – una sola forte emozione alla volta. Poteva essere paura, poteva essere eccitazione o, come in quel momento, rabbia.

Rabbia, perché Ophelia – la madre che avrebbe sempre voluto, in quel momento terrorizzata – si stava scusando per non aver saputo proteggere Draco, nonostante quella avesse dovuto essere una preoccupazione di Kate e di nessun altro. Si stava scusando, perché sapeva che lei avrebbe avuto il cuore spezzato, poteva vederla ridotta in pezzi, in ginocchio e con il viso sporco di lacrime insanguinate. Ophelia stava per morire, eppure si stava scusando con lei.

Non poteva permetterlo.

Lentamente si alzò in piedi, lo sguardo buio puntato sulla donna, che ancora si disperava, quel tanto necessario a tornare in posizione eretta. A quel punto, tutta la sua attenzione venne concentrata su Sisifo, nel corpo di Winter, che continuò ad osservarla con un bel sorriso sornione e l’aria di qualcuno che avesse ottenuto esattamente quanto sperato. Dopotutto, Sisifo non aveva certo bisogno di Tiresias per prevedere come lei avrebbe reagito. Ma, per una volta, Kate non si sarebbe preoccupata di cadere in una qualche trappola, di essere prevedibile.

Voleva vendicarsi.

Un passo, poi un altro. Non sentiva altro rumore che il sangue che le scorreva nelle vene e quello che scorreva in tutti gli altri esseri viventi nella stanza. Il silenzio proveniente da Draco era solo un altro incentivo a continuare sempre più spedita, sempre più velocemente, finché non le bastò alzare la mano per poter stringere il collo che era appartenuto alla sua compagna di squadra ma che ormai non aveva più nulla di lei. Strinse la carne debole finché non riuscì a sentire il pulsare del sangue sotto le dita, beandosi del verso strozzato che giunse alle sue orecchie.

«Fallo, Succubus» la incitò proprio Sisifo, senza mai smettere di sorridere nonostante i suoi occhi si fossero annacquati. «Fallo, dopotutto è colpa mia se tu sei tanto miserabile adesso. È solo colpa mia».

Ah, la tentazione era forte. Ogni singola cellula del suo corpo la stava implorando di prendere quella vita, di tirar fuori l’ultimo sospiro di quel mostro e vendicare Draco. Vendicare Ophelia ed il bambino che lei sapeva stesse ormai perdendo8, poteva sentire la vita abbandonarlo con la stessa velocità con cui a breve il sangue avrebbe iniziato a scorrere giù per le gambe della donna. Vendicare Fred, senza sensi a causa di quella che doveva essere stata una battaglia estenuante.

Li avrebbe vendicati tutti, se solo avesse stretto di più le mani.

«Trina, rifletti!» urlò invece proprio Ophelia, dal punto poco lontano in cui si era accasciata al suolo, le mani strette intorno al proprio busto. «Concentrati!».

Concentrarsi. Perché avrebbe dovuto farlo? Non serviva certo un ragionamento complesso per ucciderlo. A lei non era mai piaciuto analizzare, era sempre stata una donna d’azione. Un’agente.

Un’agente deve sempre comprendere le motivazioni del suo nemico, prima di fermarlo.

Era stato il Supervisore a ripeterglielo, in più di un’occasione9. Comprendere il nemico, per evitare le trappole. Comprendere il nemico, per vincere. Era stata la tecnica che anche Sisifo e Tiresias avevano utilizzato con i suoi genitori, imprigionando il più intelligente e lasciando che l’emotivo reagisse in base all’istinto. Era quello che stavano facendo anche con lei.

Ma lei non era una divinità, non aveva la loro stessa presunzione. Lei era una Banshee.

Sorrise, allora, stringendo la presa solo per un altro istante, per poi spingerlo via con un gesto brusco. «Ti piacerebbe se ti uccidessi, non è vero? Se dovessi farlo, probabilmente moriremmo tutti a causa di un qualche trucchetto di negromanzia basilare. E tu torneresti, perché ormai la Luna Sanguinis è vicina, e saresti ancora più forte. Ed io diventerei una padrona di anime troppo debole per controllare se stessa, un’ottima sostituzione per la perdita che tu hai causato, uccidendo il mio fratellino» gli sputò contro, riversandogli contro tutto il suo disgusto. Era tutto così ovvio, in quel momento, così banale. Lei non era stata invitata semplicemente per assistere, lei era il piano di riserva. Il dolore aveva colpito Philly più duramente del previsto e, nel tempo che avrebbero impiegato a poter utilizzare il suo sangue, non ci sarebbe più stata un’anima da proteggere, in lei. Kate, invece, era una Padrona d’anime fatta e finita, avendo già assorbito Mulciber. Se avesse ucciso anche Sisifo, avrebbe perso qualunque controllo su se stessa e da lì a dargli il permesso di sfruttarla sarebbe bastato un nulla. «Ma io non seguirò i tuoi piani» continuò, voltandosi per poter osservare dapprima il veggente, rimasto raggomitolato sul suo trono come un gattino spaventato, e, alla fine, Draco Malfoy, ad ogni secondo più debole, ogni secondo meno vitale.

Dopotutto, Sisifo non era ancora un negromante completo, non poteva concludere il rituale nel corpo di Winnie, non finché non avesse avuto tutti gli ingredienti.

«Vuoi davvero resuscitarlo?» le chiese Sisifo, con una risata. «Sei troppo instabile, dopo quello che hai fatto a Mulciber! Non sopravvivresti» le fece notare, ridendo come se lei avesse detto una cosa assurda. Come se fosse stata un’idiota.

«Non ho intenzione di resuscitarlo e morire» si limitò allora a dirgli, tuttavia alzando la mano ancora ferita – quella che sanguinava, perché lei era una Negromante, lei non coagulava – in direzione dello zombie, che la fissò senza espressione per pochi istanti, prima di farsi lentamente avanti. «Ma se credi che il legame che esiste con il tuo sangue, così debole, possa valere più di quello che potrei creare io…» riprese, con un sorriso soddisfatto, «non hai proprio capito nulla».

Il momento in cui Draco balzò per afferrarle la mano e bere dalle sue ferite fu fra i più dolorosi della sua esistenza, ma non per questo non soddisfacente. In quel modo, naturalmente, non l’avrebbe riportato totalmente alla vita, ma avrebbe potuto legarlo a lei e ridargli coscienza di se stesso, ridargli una patetica imitazione di vita, anche se solo per poche ore. Come lei aveva sperato, i suoi occhi vacui acquisirono sempre maggiore focus e, quando si staccò da lei, lo fece con l’orrore dipinto in viso.

«Kate? Io sono morto».

Lei annuì, un sorriso triste ad incurvarle le labbra. «Non preoccuparti, sistemeremo anche questa faccenda molto presto» lo rassicurò, mentre lui, involontariamente, si portava la stessa mano da cui aveva bevuto alla guancia, chiedendo implicitamente di essere accarezzato. Era un riflesso involontario, naturalmente: tutti i Risvegliati erano servi del loro Negromante, pronti a tutti per lui, innamorati più per necessità di sopravvivenza che per vero sentimento. Con Draco, però, la faccenda era diversa. Lui era il suo Auctor.

«Non è vero che non voglio credere al nostro legame, penso tu debba saperlo. Io sono davvero convinto di essere innamorato di te».

Kate rise, nonostante volesse solo piangere. «Oh, lo so» gli disse, voltandosi poi verso Sisifo, rimasto al suolo e con gli occhi pieni di furia. «Oh, ho rovinato i tuoi piani?» gli disse, con un sorriso che lei sapeva essere inquietante. Il sorriso che aveva sperato di non sentir mai comparire sul proprio viso. Il sorriso della follia.

Troppo potere tutto insieme, bambina mia. Sei solo una mortale.

«Disgustosa creatura, credi davvero-».

Kate non gli consentì di continuare. «Forse non sei intelligente come credevi, fratello» gli disse, ridendo maniacalmente. «Probabilmente è per questo che nostro padre ti ha sempre detestato più di tutte le altre creature10». 

 

 

 

 


» Marnie’s Corner

 

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Ho ucciso Draco Malfoy, la la lalaaaaaaa.

 

Adesso metto da parte la mia Bellatrix interiore (che in realtà non esiste, sono troppo buona) e piango al pensiero di quanto male ancora dovrò causare.  

 

Punti importanti:

 

» * - Amo questo libro e ritengo che tutti debbano leggerlo. Così, come consiglio random. Chi non volesse leggere il libro potrebbe comunque guardare il film (non è la stessa cosa, ma meglio di niente).

 

» 1 – Senza volerlo, Kate ha effettivamente pensato una cosa verissima: Tiresias ha davvero collaborato alla nascita dell’Ordine delle Banshee. Naturalmente per lei è ancora una supposizione, nulla di più.

 

» 2 – Cosa sono i terrori notturni? I terrori notturni, letteralmente, sono quei “sogni horror ad occhi aperti” che crediamo di vedere quando ci “svegliamo” prima del nostro cervello (un fenomeno vero, non è una mia invenzione qui). Nello specifico sembra di vedere dei mostri ma non si riesce a scappare o a muoversi in generale, perché, appunto, il cervello dorme ancora. Non è una bella esperienza, lo garantisco. Nella storia i Terrori sono creature di “magia oscura”, incubi che hanno preso vita, possiamo dire, e che per essere evocati richiedono enormi sacrifici. Nel nostro caso, tutti i Mangiamorte sono stati sacrificati proprio per evocare quelle creature e per dare inizio al rituale per richiamare Sisifo.

 

» 3 – Quando sembra che qualcuno stia parlando con Kate, qualcuno sta effettivamente parlando con lei. Chi? Sta a voi capirlo. 

  

» 4 – Né io né Kate approviamo la violenza, in alcun caso (lei in realtà non è nuova alle risse nei pub, ma shh), ma qui la situazione è un po’ particolare. Tiresias è vittima quasi quanto gli altri, ma non si può biasimare quella poveretta per avergli augurato di peggio.

 

» 5 – Perché Tiresias non vede più nulla del futuro? Perché Sisifo è un negromante. Tiresias è stato condannato a non vedere nulla dei negromanti. Dal momento stesso in cui lui si è svegliato dentro Winnie (cioè un paio di capitoli fa), Tiresias ha perso qualsiasi controllo sulla situazione. Tutte le sue previsioni sono precedenti, quindi possono cambiare. Ha paura perché non vede.

 

» 6 – Passatemi il francesismo: quel figlio di puttana di Tiresias ha impedito che Barry e Ophelia potessero avere figli negli anni precedenti.

 

» 7 – Qualche capitolo fa avevo accennato a qualcosa sul sangue dei negromanti, che ora vi ripropongo. I Negromanti normali hanno sangue puzzolente ed acido, per scoraggiare vampiri e company dall’ucciderli. Kate, invece, è una Succubus ed il suo sangue è come il più pregiato dei vini, proprio perché le creature di ogni tipo devono essere attirate da lei. In entrambi i casi il sangue non coagula (per il prossimo capitolo, ricordate che lei già sta sanguinando dalla mano).  

 

» 8 – La seconda vittima ufficiale della storia è quella povera creatura. Sì, Ophelia sta abortendo. No, non c’è nulla da fare.

 

» 9 – Senza rendersene conto, Tiresias ha aiutato Kate a capire. No, non è una cosa cosciente per sabotare implicitamente Sisifo e aiutare “i buoni”, Tiresias ha solo fatto una cazzata.

 

» 10 – Chi è davvero Sisifo? Sisifo è il primogenito di Thanatos. Tutto questo casino non è altro che frutto di una millenaria lite padre/figlio frutto dell’invidia verso “il matrigno” e i fratellastri più piccini. Sisifo, in pratica, è il figlio grande che si è stufato di vivere all’ombra della nuova famiglia del padre ed ha deciso di fare cazzate. Sisifo Big Brother del secolo.

 

 

 

Se penso alla povera Kate mi viene da piangere. Se penso a Winter sto pure peggio. Draco mi rifiuto di considerarlo e Ophelia fingo che non esista.  

 

In questa settimana avrò il mio esame e non mi sento per niente pronta, quindi perdonate se il prossimo capitolo sarà un po’ una schifezza. Farò del mio meglio e voi, vi prego, pregate per me, perché ho davvero paura di dare di matto stavolta.

<3

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 30
*** Atto XII, Parte I - L'Inganno della veggente ***


LErede del Male.


 

It is difficult, when faced with a situation you cannot control,

to admit you can do nothing*”.



[Lemony Snicket – Horseradish: bitter truths you can’t avoid]

                                  

 

Atto XII, Parte I – L’inganno della Veggente

 

 

 

Era peggiorato tutto fin troppo velocemente, per i gusti di Kate. C’era stato un singolo istante in cui Sisifo l’aveva fissata in silenzio, pietrificato nel corpo che apparteneva a Winter ma con un orrore che era tutto immortale. Però, appunto, era stato un singolo istante. Un momento dopo la sua mano si era sollevata e Kate si era ritrovata catapultata dall’altra parte della stanza, la schiena sbattuta violentemente contro il pavimento di marmo ed il rumore del sangue che pompava violentemente a riempirle le orecchie. Se l’era ritrovato addosso nel giro di secondi, rabbia cieca a muovere le sue mani mentre la colpivano e cercavano di toglierle il sorriso dalle labbra, con pochissimo successo.

«Credi che il dolore fisico possa farmi qualcosa?» gli chiese, durante un momento di paura, sentendo il sapore dolciastro del proprio sangue in bocca. Non avrebbe coagulato se non fosse intervenuta con il fuoco, lo sapeva, ma in quel momento non percepiva nulla. «Perché non dai un’occhiata ai ricordi di Winter, eh? Guarda com’ero ridotta, prima che le Banshee mi salvassero1» incoraggiò il suo nemico, ridendo spudoratamente della rabbia che non sembrava più riuscire a contenere.

Tutto ciò che Kate avrebbe potuto fare, in quel momento, era prendere tempo. Sapeva che, in un modo o nell’altro, solamente il suo sacrificio volontario avrebbe consentito a quel mostro di ritornare completamente, non essendoci più Ophelia, e sapeva che se fosse riuscita a tenerlo impegnato solo per un altro po’, forse gli altri avrebbero fatto in tempo a tornare e allora…

«Sei così identica a lui» sputò Sisifo, osservandola disgustato dalla sua posizione di supremazia, inginocchiato nel sangue di lei come se fosse stato acqua. Il viso di Winter era sporco ed il cuore di Kate pianse a quella vista: la sua amica non avrebbe tollerato quella situazione, non dopo l’infanzia che aveva passato. «Così identica ad Eros» riprese il Primogenito della Morte, tenendola per la collottola della maglia e scuotendola leggermente. «Così sicura di te, non è vero? Così piena di speranza».

Nonostante il dolore, Kate riuscì a sorridere di più. «Lo dici come se fosse un insulto» sbottò, fermandosi a causa di un colpo di tosse insanguinato. Le sembrava quasi di percepire il pianto asciutto di Draco, bloccato a metri di distanza e con l’ordine di tenere stretta Ophelia, così che lei non rischiasse di perdere più di quanto non avesse già perso. Fred, stranamente svenuto, era stato lasciato in un angolo. Tiresias, come una statua di sale, fissava la scena quasi annoiato, il mento affilato poggiato sulle mani delicate.

Qualcosa non quadra.

«Oh, ma è un insulto» ringhiò Sisifo, lasciandola cadere di colpo e pulendosi le mani sulla tunica ormai rovinata. «Proprio come lui, ti stai illudendo che le tue speranze possano portare a qualcosa di buono, ma…» rise, proprio come Winter era solita ridere, «ti sbagli così tanto, mia cara». Con un movimento della mano, fece cenno al suo amante immortale di farsi avanti, stringendo fra le mani quella che aveva tutta l’aria di essere una… una coppa? «Vedi, sapevo che tu non avresti donato il tuo sangue neppure se avessi minacciato di sterminare l’intera razza umana. E sapevo che tu avresti confidato nel ritorno dei tuoi amichetti per cercare di riequilibrare il potere ed impedirmi di tornare. Dopotutto, anche voi potreste essere dei prescelti, no? Harry Potter è tornato dal Regno di Thanatos e tu sei sia una Padrona d’Anime che un Araldo di nostro padre» rifletté ad alta voce, faticando palesemente nel contenere l’ilarità. «Però, vedi… non hai messo in conto tutto».

Con un gesto aggraziato, Tiresias si chinò, tirando fuori dalla tasca la bacchetta che Kate sapeva appartenere a Draco, ed aspirò il sangue accumulato al suolo, riversandolo poi nella coppa.

«Non potresti neppure avvicinarti al mio sangue» ringhiò allora lei, agitata, osservando il Veggente procedere lentamente verso la vasca più grande, il viso oscurato dai capelli grigiastri ma l’espressione trionfante stampata in viso. «Cosa…?».

«È la mia bacchetta» ruggì Draco, dall’angolo in cui era confinato, un’ormai svenuta Ophelia stretta fra le braccia. Il sangue le macchiava irrimediabilmente i pantaloni, la vita che il suo ventre aveva protetto per poche – oh, così poche – settimane ormai sul punto di scivolare via per sempre. Lo shock del vedere Kate- che era stata coma una figlia per lei – trattata come una bambola di pezza doveva essere stato troppo. «Sta usando la mia bacchetta».

Sisifo rise più forse, deliziato. «Vedi, Succubus, io e Tiresias non possiamo usare il tuo sangue, perché siamo bloccati dalla maledizione delle divinità più potenti mai esistite. Io, oltretutto, non potrei comunque far nulla… sangue del mio sangue, anche se solo spiritualmente, sì? Un negromante che usi un fratello per i propri scopi è condannato all’istantanea dipartita, grazie al nostro genitore in comune ed ai suoi sistemi di sicurezza folli2» spiegò, facendo una smorfia disgustata alla fine. «Ma, sai, tecnicamente è stata la bacchetta di Draco Malfoy a fare tutto. La bacchetta che fino ad una manciata di minuti fa non era appartenuta a nessun essere cosciente, non finché tu non gli hai restituito parte della sua vitalità. Allora anche quella è tornata indietro ed ha potuto assolvere al suo compito3».

Un’esplosione al piano di sotto fece tremare i vetri alle finestre, ma nessuno, se non un sempre ansioso Tiresias, vi diede molto peso.

«Brutto figlio di-» il tentativo d’insulto di Kate venne bruscamente interrotto da un altro colpo di tosse insanguinato. Doveva essersi indebolita al punto da non reggersi più in piedi. Non aveva modo di recuperare la propria bacchetta – probabilmente finita in un qualche angolo della Sala dopo la prima caduta – e non aveva modo di intervenire. Avrebbe potuto ordinare a Draco di far qualcosa, ma il rischio di mettere definitivamente fine alla sua esistenza la torturava. E qualcuno avrebbe dovuto prendersi cura di lui. Perché Fred non si stava svegliando? «Winter! Winter Vane, io so che sei ancora lì dentro» tentò allora, disperata, cercando disperatamente di tirarsi a sedere per poter continuare a ricercare lo sguardo di colei che era stata sua amica. Era una mossa disperata, quasi assurda, ma non aveva più nulla da tentare. Una volta versato il suo sangue nella vasca, sarebbe bastato solo qualche goccia di quello di Fred per porre fine a tutto.

Sisifo la osservò come se all’improvviso fosse diventata stupida. «Ti prego, stai puntato sul risveglio dell’Anima Perduta, adesso? Sappiamo entrambi che Elladora sia ridotta ad un nulla, ormai. È felice nel suo angolo di coscienza, convinta di essere con sua madre» ridacchiò, alzando gli occhi al cielo proprio mentre Tiresias, silenzioso ma efficiente, versava il contenuto della Coppa nella vasca. Nel silenzio, il rumore dell’ebollizione che stava spontaneamente avvenendo all’interno dell’enorme contenitore la fece rabbrividire. «E di certo non sarai tu a farla ritornare» aggiunse, incredulo. «Credi sia un caso che voi due non vi siate mai piaciute particolarmente? Tutto il mio odio per te l’ha resa nervosa e l’ha spinta a tenerti il più lontana possibile. Quanto credi che avresti impiegato per capire, altrimenti?».

Maledizione. Maledizione. Maledizione.

«È tutto pronto, amore mio» avvisò Tiresias, la voce dolce come la carezza di un’amante nel cuore della notte, sorridendo in direzione di Sisifo come se nella stanza ci fossero stati solo loro due. «Posso procedere con l’ultimo?».

No, no!

«Winter, Winter ti prego!» chiamò ancora, disperata, decidendo alla fine di strisciare verso di lei, pronta a tutto pur di fermarli, di dare un’ultima possibilità all’intera razza umana. Un’altra possibilità ad Eros e Thanatos, che altrimenti non avrebbero potuto più riunirsi. L’aveva promesso. «Winter, ti stanno facendo diventare un mostro! Tu non lo sei!».

Qualcosa di indefinito si mosse dietro gli occhi grigiastri – avevano perso la tonalità verdognola da un bel po’, ormai – di Sisifo, ma Winter non tornò alla realtà, non ci fu alcun rinsavimento improvviso capace di porre fine a quella follia. Invece, imperturbato, Tiresias trascinò un Fred estremamente stordito verso la vasca, afferrandogli la mano per lasciar cadere gocce del suo sangue dentro la grande vasca d’oro. Lui si era appena svegliato, con un macabro tempismo.

Quando il rumore dell’ebollizione aumentò, diventando quasi assordante, Kate sentì il proprio cuore fermarsi per la paura. Aveva definitivamente fallito, non c’era più nulla che potesse salvarsi. Nulla che potesse fermare il processo già iniziato.

Non avrebbe mai scordato la risata di Sisifo, nonostante la sua vita fosse comunque sul punto di interrompersi per sempre. «Ed ora tocca a me!».

In quell’istante, tuttavia, Fred scoppiò a ridere.

 

***

 

L’istante di silenzio fu la massima dimostrazione di quanto nessuno si stesse aspettando quella risata. Kate, ridotta a poco più di un cadavere, ebbe la forza d’animo di stringere gli occhi per paura di aver visto male. I suoi problemi di miopia erano spariti da quando aveva subito la sua prima trasformazione, ma forse quella era una conseguenza dell’aver perso abbastanza sangue da poter resuscitare un intero cimitero. Però davanti a lei c’era davvero Fred, ancora bloccato fra le mani di Tiresias ed ancora preso dalla sua risata quasi isterica.

«Che cazzo?» fu il sussurro, sofferto, che Draco esalò, tenendo ancora Ophelia fra le braccia e fissando prima il rosso e poi Kate come se si aspettasse che lei avesse delle risposte.

Ancora più sconvolto fu Sisifo che, con due grandi falcate lo raggiunse, afferrandolo per la collottola e sollevandolo fino a poterlo guardare negli occhi. «Cosa significa questo? Com’è possibile che il tuo sangue non abbia funzionato?» domandò, scaraventandolo lontano con sufficiente forza da farlo quasi rimbalzare contro il pavimento. Con rabbia si voltò ad osservare il contenuto della vasca, confuso ed irritato. Non era cambiato assolutamente nulla da quando il sangue di Fred era stato aggiunto e Kate sapeva con certezza che fosse assurdo, a meno che….

A meno che quello non fosse Fred.

«Non avrei dovuto mettere in dubbio le parole di Eddie, ci siede davvero cascati come dei polli4» si rallegrò il non-Fred, rialzandosi a fatica. Quando sollevò la mano per tirare via quello che si stava scoprendo essere un orecchio finto, Kate non riuscì ad impedire ad una risatina addolorata di lasciare le sue labbra, mentre si abbandonava nella pozza del suo stesso sangue, improvvisamente più sollevata. Era George, aveva preso il posto del fratello su consiglio della loro veggente.  Edelweiss li aveva salvati. Una bambina era riuscita ad evitare l’orrore che loro, una squadra di agenti super addestrati, non erano riusciti a fermare.

Edelweiss.

«Cosa?» urlò Sisifo, con abbastanza forza da far arretrare un terrorizzato Tiresias, quasi lui avesse saputo cosa fosse sul punto di succedere. Dimostrando di essere un vero veggente, pochi secondi dopo si ritrovò riverso al suolo, l’impronta di una mano ancora ben stampata sulla guancia pallida e non ancora coperta da lividi. «Com’è possibile? Come hai potuto non vedere?».

Approfittando del momento di distrazione, George era riuscito a strisciare accanto a Kate, osservandola senza l’ilarità che aveva mantenuto fino a quel momento. Lontano da loro, i due amanti erano immersi nel loro mondo di violenza. Lei non riusciva a più a distinguerlo con nitidezza, ma i capelli rossi erano impossibili da non notare.

«Non sono… mai stata…così felice di vederti da- dal Ballo del Ceppo» esalò, cercando – malamente – di sorridergli. L’imprecazione sussurrata con cui le rispose, tuttavia, le fece capire di essere ridotta ad uno spettacolo orrendo. «Ignora… me… Philly…». Tentò, indicando un punto non proprio preciso alle sue spalle dove credeva si potesse trovare Ophelia. La sua intuizione era prevalentemente basata sui lamenti patetici di Draco, bloccato fra il dover necessariamente obbedire ad un ordine e la volontà di avvicinarsi ad aiutarla5.

Una mano gentile le accarezzò il viso con fermezza, cercando forse di fermare l’emorragia dalla ferita alla fronte. Lei stava morendo a causa di una serie di graffietti che una persona normale non avrebbe quasi sentito. «Non parlare Kat» la rassicurò il gemello, palesemente ansioso. «Adesso… adesso ti chiuderò le ferite, ok? Sono sicuro che… uhm…».

«No… porta… portala via» insistette di nuovo, scuotendo il capo, per quanto possibile. In sottofondo le sembrava quasi di sentire il pianto disperato del Veggente. «Io… Draco può… può venire da me».

Forte di quella concessione appena sussurrata, il non-morto impiegò poco più di una manciata di secondi a raggiungerla, lasciando a se stessa Ophelia e fermandosi solo per raccogliere da terra la propria bacchetta. «Mi prenderò cura io di lei, tu va’» ordinò, con il suo miglior tono autoritario, poggiando le mani gelide sul viso di Kate. «Puoi ancora portarla via, se c’è una cosa che ho imparato e che nessuno può distrarre quel mostro quando perde la testa» aggiunse, in un filo di voce. «Quando si è accanito su di me non ha notato il tentativo di fuga di Ophelia finché Tiresias non l’ha riacciuffata».

Ovviamente, pensò Kate, senza tuttavia riuscire a dar voce al suo pensiero. Doveva essere così affollato, in quella testa, da non consentirgli di gestire più di un’idea per volta. Per quel motivo non aveva mai notato l’orecchio finto. Significava che, dopotutto, Winter non era poi debole come lui voleva far intendere: se il suo controllo era ancora tanto debole, forse potevano ridarle abbastanza controllo da riacquistare coscienza.

E se Winter avesse riacquistato coscienza solo per qualche secondo…

Un bruciore terribile le toccò il viso, interrompendo la sua linea di pensiero. Draco doveva aver usato la magia per cauterizzare le ferite6 e, se lei fosse stata giusto un po’ più cosciente di se stessa, probabilmente avrebbe urlato per il dolore terribile che la colpì.

«Riprendi parte della mia energia» le propose il non morto, chinandosi per poggiare la guancia contro la sua, spostandosi poi per avvicinare le loro labbra. «Non posso ridarti il tuo sangue, ma condividiamo già un legame, potrai recuperare un po’ di forza in questo modo» continuò, ansioso, passandole una mano dietro le spalle per sollevarla anche solo un minimo. «Non essere testarda, Bell, abbiamo pochi secondi prima che quel folle si ricordi di noi e Weasley non è riuscito ancora a raggiungere la porta per smaterializzarsi».

Avevano bisogno di tempo per raggiungere la porta e scappare.

Ophelia aveva bisogno di tempo.

Winter aveva bisogno di tempo.

Arrendendosi alla necessità, Kate lasciò che il bacio di Draco la avvolgesse, risucchiando quella vitalità che, fortunatamente, Sisifo gli aveva lasciato. Lentamente sentì un briciolo di forza tornare, formicolando dalle sue labbra fin alla punta delle dita, rinvigorendola e rendendola sempre più cosciente. La sua vista finalmente si schiarì ed il gelo ad altezza del suo petto cominciò a ritirarsi, sostituito dal calore infernale del potere che, finalmente, riuscì a riprendere possesso di lei.

Quando riaprì gli occhi – nuovamente neri come l’oscurità della notte – si ritrovò a fissare quelli ancora velati ma coscienti di Draco. Appariva ben più morto di qualche minuto prima, ma lei avrebbe risolto anche quel piccolo problema, non appena ne avesse avuto il tempo. Lentamente si fece aiutare a rimettersi in piedi, cercando con lo sguardo gli altri occupanti della stanza. George stava trascinando via Ophelia, ancora senza sensi, ma c’era qualcosa di sbagliato nel suo modo di muoversi, quasi… quasi non si stesse muovendo.

«Si chiama Captio Temporis» la avvisò Draco, con un sospiro. «Una trappola che rallenta il trascorrere del tempo, sono immobilizzati in un istante prolungato all’infinito, credo che qualsiasi essere vivente tutt’intorno alla Sala lo sia. Sisifo è vittima delle sue emozioni, ma non è uno stupido, sapeva che avremmo potuto trovare il modo di scappare».

Kate annuì, fidandosi ciecamente. Non pretendeva certo di avere le stesse conoscenze sulla Magia Oscura di un Malfoy. «Forse è meglio così, quando gli ho chiesto di portarla via non ero propriamente lucida. Fuori di qui ci sono mostri terrificanti che nessuno di loro due saprebbe sconfiggere» mormorò, osservando i propri vestiti ancora zuppi di sangue con un cipiglio disgustato. «Non abbiamo molto tempo, ho bisogno che tu mi racconti tutto quello che sai su Beatrice Vane e sul modo in cui è morta. E qualcosa sulla sua personalità non sarebbe male».

Confuso, Draco si accigliò. «Perché?».

«Perché stiamo per richiamarla dalla tomba» gli confidò, con un sospiro, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il suo coltellino d’argento e pregustando già con un certo fastidio il dolore che avrebbe sentito una volta tagliata – di nuovo, maledizione – la sua stessa pelle. La parte più vanitosa di lei si stava sforzando di non pensare alla condizione in cui il suo viso fosse stato ridotto dopo la brutta esperienza. Dover cauterizzare le ferite con il fuoco aveva quella piccola conseguenza antiestetica di cui lei non era una gran ammiratrice. «Se c’è qualcuno capace di riportare Winnie alla realtà è lei».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Qui succedono cose.

 

Prima di tutto voglio scusarmi, so che il capitolo è corto ed è pure bruttino, ma quest’esame mi ha tolto la vita ed il professore ha trovato il modo di rendermi l’esistenza un inferno a modo suo. Tranquilli, niente di grave, è andato tutto alla grande alla fine dei conti ahaha!

Però sono esasperata e temo di essermi sfogata sui miei personaggi. Perdonatemi se questo capitolo sarà risultato un po’ giù di tono, oltre che più corto. Prometto che la settimana prossima ucciderò qualcuno, così saremo tutti più sollevati :D   

 

Punti importanti:

 

» * - “È difficile, davanti ad una situazione che non si può controllare, ammettere di non poter fare nulla”. Kate è consapevole di non essere abbastanza forte, non da sola. Se non fosse stato per l’intervento leggermente Deus ex machina di Edelweiss probabilmente sarebbe già morta. Ed ora deve per forza tentare con Beatrice Vane. Da sola, lei non può fare nulla. E questa cosa la terrorizza.

 

» 1 – Background: dopo essersi diplomata e dopo essere stata in Romania per controllare la sua prima trasformazione, Katie Bell era ridotta ad un cadavere vivente. È stata Ophelia ad avvicinarla e, lentamente, a ridarle una minima parvenza di umanità. Winnie c’era, ha visto quanto era ridotta male, e Kate ha usato quei ricordi per far capire a Sisifo quanto, teoricamente, fosse inutile il suo accanirsi contro di lei.

 

» 2 – Piccola spiegazione: usare il sangue di un altro negromante/Succubus/Incubus fa “surriscaldare” il potere di ciascuno di questi, un po’ come una misura di sicurezza. Quanto credete che sarebbero durati, se avessero potuto usare il reciproco sangue per diventare potenti? È un po’ come quegli animali che usano il proprio veleno per difendersi: un figlio della Morte che dovesse toccare (per acquisire potere) il sangue di un suo fratello, sarà un figlio della Morte morto, per questo Sisifo non ha potuto costringere subito Kate a collaborare.

 

» 3 – Qui ho proprio costruito castelli per aria. Draco è stato ucciso senza l’uso di una bacchetta, quindi la sua bacchetta tecnicamente è “morta” con lui. Quando però Kate gli ha restituito parte della sua vitalità, anche la bacchetta si è ripresa, restando sempre legata a Draco. Tiresias non è umano, la bacchetta non lo riconosce come creatura, quindi è stato come se fosse stato direttamente Draco a prendere il sangue di Kate da terra.  

  

» 4 – Credevate che la piccola veggente avesse finito di sorprenderci? Ovviamente no! Eddie si è fatta portare alla Tana ed ha costretto i gemelli a fare lo scambio. Ci saranno migliori spiegazioni più avanti, soprattutto per quanto riguarda il motivo del sonnellino forzato di George.

 

» 5 – Credo di averlo già spiegato, ma per sicurezza: Kate ha dato il suo sangue a Draco per riportarlo parzialmente indietro, lui adesso è uno schiavo, per lei. Lei gli ha ordinato di non lasciare il fianco di Ophelia (mentre lei era cosciente, prima che il dolore del vedere Kate malmenata la stordisse completamente) e lui non può muoversi senza un ordine opposto.

 

» 6 – Draco sta usando un incantesimo vecchio, cauterizzando tutte le ferite di lei con il fuoco senza doverle toccare una per una. È un po’ assurdo, ma credo che i maghi, soprattutto nel Medioevo, abbiano avuto rimedi simili. Mi sembra il minimo che Draco li conosca.  

 

 

Come ho già detto, mi scuso tanto per il capitolino insignificante, ma ho avuto una settimana di inferno e sto ancora cercando di riprendermi.  

 

Vi aspetto tutti lunedì prossimo! Ci allontaneremo leggermente da quello che sta succedendo qui per scoprire come se la passano tutti gli altri!

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 31
*** Atto XII, Parte II – Il piano della Veggente ***


LErede del Male.


 

Time is a valuable thing
Watch it fly by as the pendulum swings
Watch it count down to the end of the day
The clock ticks life away
*”.



[Linkin Park – In the End]

                                  

 

Atto XII, Parte II – Il piano della Veggente

 

 

Maine non aveva aperto bocca dal momento in cui Kate era stata risucchiata via dall’oscurità, lasciando Harry a dannarsi per comprendere la natura di quelle bestie. Lui era consapevolissimo delle sue avanzate conoscenze in materia di Arti Oscure, ma era piuttosto certo di non essersi mai imbattuto in creature di quella natura. Sembravano non esistere, pur essendo stranamente familiari. Che le avesse già viste durante la Guerra? Che le avesse viste tramite Voldemort?

Non c’era modo di trovare risposta ai suoi dubbi, non senza prima far uscire il suo partner da quell’ostinato mutismo in cui si era rinchiuso.

«Maine, non possiamo continuare così, se non ti decidi a parlarmi non potrò aiutarti a liberare Hermione. Sei lì da almeno venti minuti e non sei riuscito a fare passi avanti, di questo passo non la libereremo mai» mormorò, piuttosto seccato, passandosi una mano fra i capelli e rendendoli ancora più disordinati di quanto già non fossero.

Lo sguardo che il Magizoologo gli dedicò lo fece sentire un opossum fra le fauci di un ippogrifo. Fortunatamente il suo addestramento era stato abbastanza oscuro da consentirgli di mantenere il sangue freddo. «Se credi di poter fare di meglio per Hermione, prego, accomodati» gli ringhiò contro, sventolandogli l’uncino sotto al naso come se avesse appena pensato di usarlo per motivi illeciti. «Ho tentato ogni incantesimo di mia conoscenza, ma il ragno che ha fatto questo è praticamente estinto, non ci sono molte informazioni sulle sue vittime, soprattutto perché quasi nessuno è sopravvissuto» spiegò, esasperato, lanciando un’occhiata al bozzolo di Hermione come se avesse potuto scioglierlo per pura stizza. «Senza Kate non abbiamo idea delle sue condizioni, non sappiamo se sta bene, se si sente indebolita o se grazie alla morte di Mulciber il collegamento si è spezzato, almeno un po’».

C’era molto di più dietro le sue parole, Harry riusciva a percepirlo. Quante volte si era ritrovato con il peso del mondo sulle spalle, ma senza avere la più pallida idea di come intervenire, di come aiutare tutti? Quante volte aveva saputo che la sua famiglia fosse in pericolo, sentendosi inutile? I suoi primi sette anni nel Mondo Magico non erano stati che un lungo periodo di inadeguatezza e disperazione.

Barry Maine aveva appena visto sua figlia venire inghiottita dall’Oscurità, mentre sua moglie ed il loro bambino non ancora nato rischiavano la vita fra le mani di una coppia di millenari pazzi assassini. E lui era , con Harry, incapace di aiutare Hermione nonostante fosse proprio il suo campo ad essere coinvolto.

«Sai,» tentò allora Harry, stringendo per un attimo le labbra mentre osservava con aria critica il bozzolo, «nei primi sei anni di scuola io, Hermione e Ron ci siamo spesso trovati in situazioni assurde… magari potremmo seguire quella strategia».

Maine alzò lo sguardo azzurrino su di lui, chiedendogli implicitamente quale fosse il senso di quell’ulteriore interruzione. Dalle loro spalle si sentì un sinistro scricchiolio, ma nessuno vi diede molto peso. O, quantomeno, Harry non vi prestò attenzione. «E allora? La storiella del Prescelto e dei suoi amichetti risparmiamela, Potter, da quando conosco Hermione credo di averle sentite tutte. So che è sempre stata lei a salvarvi le chiappe, ma in questo caso dubito che ci sia un modo per contattarla. Sempre che tu non sia un Legilimante e me l’abbia tenuto segreto fino ad ora. In quel caso mi sentirò autorizzato a darti un cazzotto dritto sul naso».

Con un riflesso incondizionato, Harry fece un passo indietro. «No, mi dispiace, sono discreto come Occlumante grazie al Professor Piton, ma l’inverso non mi è mai riuscito molto bene» ammise, stringendosi nelle labbra. «Non mi riferivo alla strategia del “chiedilo ad Hermione”, comunque, ma a quella di riserva che usavamo quando anche Hermione non aveva idea di che pesci prendere».

Inarcando un sopracciglio, Maine calò le braccia lungo i fianchi, esasperato. «Perché dovrebbe prendere dei pesci?» gli chiese, scettico, per poi scuotere il capo, chiedendogli di lasciar perdere. «Qual è questa strategia?».

Con un sorriso malandrino che Harry era certo di non aver sentito spuntare sul suo viso da anni, si avvicinò fino a potersi inginocchiare accanto a lui, così da essere alla sua stessa altezza. «Quando niente funziona, la nostra tecnica era la più antica di tutte e forse proprio per questo la più efficace» spiegò, con macabra allegria. Indicò con un cenno del capo l’uncino. «L’improvvisazione».

Per un singolo istante, Barry Maine lo fissò stralunato, poi ridacchiò. «Probabilmente non hai idea del perché io sti stia dicendo questo, Potter1» gli disse, rialzandosi lentamente e facendo un passo indietro per avere una migliore visuale del bozzolo di Hermione. «Ma hai la stessa espressione di mia moglie quando tira fuori uno dei suoi piani potenzialmente suicidi che comunque funzionano sempre».

«Sarà un tratto dei Penderghast?» gli rispose lui, con una domanda retorica, lasciandogli intendere di sapere e di non essere arrabbiato2. «Adesso non perdiamoci in chiacchiere però, se questo piano non funzionerà potremmo non avere tempo per salvarci la pelle».

Annuendo, nonostante la risatina ancora presente agli angoli delle sue labbra, Maine si concentrò completamente su Hermione, o ciò che la conteneva. Lentamente, poi, tirò indietro il braccio uncinato e, presa la mira o recitata una qualche preghiera, colpì il guscio con tutta la forza di cui era in possesso, perforandola come tutti gli incantesimi fino a quel momento non erano riusciti a fare.

Resistente alla magia ma non alla vecchia e cara forza bruta, fortunatamente.

Il rumore viscido di una membrana spaccata anticipò di qualche istante il fluido verdastro che defluì come sangue al suolo, un momento prima che, grazie a Barry, la stessa Hermione scivolasse via dalla spaccatura, precipitando fra le braccia aperte e pronte di Harry. C’erano così tante cose che sarebbero potute andare storte e nessuno dei due ci aveva davvero pensato. Magari Hermione non si sarebbe mai svegliata, oppure avrebbe subito qualche danno a causa del risveglio improvviso. Magari l’avrebbero ritrovata completamente fuori di testa.

«Mettila a terra» lo ammonì Maine, che nel frattempo aveva esaminato l’interno del guscio e si era ripulito l’uncino, inginocchiandosi accanto a loro per potersi avvicinare più facilmente alla compagna ancora senza sensi. Non appena Harry obbedì, lui le toccò prima il viso e poi il collo, probabilmente ricercando il battito cardiaco. Il fatto che dovesse proprio cercarlo terrorizzò Harry, che tuttavia rimase da parte senza neppure un fiato. Aveva imparato che ostacolare gli esperti portasse solo a danni. «Non sta respirando, il cuore è debolissimo» sbottò il Magizoologo, guardando l’unica mano a disposizione con Rabbia. «Potter, sai praticare la respirazione?».

Harry avrebbe voluto dire no, non ho la minima idea di cosa fare, ma non ci riuscì. «Sta… sta morendo?».

«Morirà se non farai come ti dico io» ringhiò l’uomo, afferrandolo per la spalla con la mano buona e scuotendolo abbastanza violentemente da fargli sbattere i denti. «Potter!» sbottò ancora, riuscendo finalmente ad ottenere uno sguardo un po’ più cosciente da lui, seppur non totalmente partecipe. «Prendi la bacchetta e puntala alla sua gola» cominciò ad istruirlo, usando la mano libera per tenere la testa di Hermione ferma. Non appena lui ubbidì, annuì e ricominciò a spiegare. «Con l’altra mano, devi premere all’altezza dello sterno. L’incantesimo la costringerà a riempirsi i polmoni, tu dovrai spingere l’aria fuori. Dovrebbe bastare per farle sputare via tutto il fluido che la sta soffocando. Appena sei pronto, pronuncia Ventus3».

Harry avrebbe voluto chiedergli come facesse a sapere del fluido nei polmoni o se fosse certo che quell’incantesimo avrebbe funzionato, essendo usato per sollevare brezze d’aria piuttosto forti. Voleva chiedergli se fosse certo che così facendo non avrebbe ucciso definitivamente Hermione. Alla fine, però, si limitò ad annuire, deglutire e fare esattamente come gli era stato ordinato.

La velocità con cui Hermione spalancò gli occhi, voltandosi su di un fianco per tossire via fluido verdastro lo fece quasi piangere per il sollievo. Oppure pianse davvero, un attimo prima di afferrare la sua migliore amica per le spalle e costringerla fra le sue braccia, così da accertarsi che fosse ancora viva e vegeta, ancora lì con lui. Ancora lei.

Lo spettro di Ron, che l’aveva perseguitato per due anni, sembrò allontanarsi di nuovo, soddisfatto che lui fosse riuscito almeno4 ad aiutare Hermione.

«Oh, Merlino, stai bene?» le domandò, sentendosi un po’ un idiota, lasciandola andare così che Barry potesse continuare ad esaminarla nonostante stesse ancora sputacchiando robaccia non identificata.

«Hermione, riesci a comprenderci? Puoi rispondermi?» le chiese proprio il Magizoologo, ansioso, dandole dei colpetti sul viso come se avesse temuto che lei non fosse propriamente sveglia. I suoi occhi, in effetti, sembravano fin troppo vaghi rispetto a quelli sempre attenti della strega più brillante della sua generazione. «Hermione, ti ricordi di me?».

Che lei non avesse risposto immediatamente era già terrificante di suo, ma che poi si fosse voltata a fissare il vuoto fra i due uomini lo fu ancora di più. Barry ed Harry si fissarono per un lungo istante, ansiosi, scambiandosi teorie terribili su teorie terribili senza neppure sentire il reale bisogno di parlare.

«Hermione?».

Fu allora che lei si decise ad aprire la bocca, tuttavia non per parlare ma per lanciare il più spaventoso fra gli urli terrorizzati.

Quando Harry si voltò, delle tenaglie si chiusero a meno di venti centimetri dal suo viso ed il ragno – probabilmente l’ultimo della sua specie – partì all’attacco.

 

***

 

Harry si fermò, gli occhi serrati, aspettandosi un attacco da un istante all’altro. Non c’era stato il tempo di recuperare la propria bacchetta, non quando era stato troppo impegnato a reggere Hermione per impedirle di cadere come un sacco di patate. Aveva avuto il riflesso di mettersi davanti a lei per schermarla, almeno la cavalleria era sopravvissuta a quegli anni di distruzione mentale cui si era sottoposto.

Tuttavia, il dolore che si era atteso non arrivò mai, nonostante i versi dell’animale fossero ancora vicinissimi e parecchio spaventosi. Aperti gli occhi che aveva involontariamente chiuso, si ritrovò protetto da una barriera appena evocata, Barry Maine in ginocchio davanti a lui, le braccia aperte e la bacchetta nell’unica mano puntata davanti a loro per mantenere fermo l’unico scudo posto a loro difesa. Barry Maine li aveva salvati tutti.

La bestia davanti a loro non aveva nulla di Aragog5, se non lo stesso numero di zampe e la taglia. Le sue tenaglie erano almeno tre volte più grandi, decisamente sproporzionate e probabilmente capaci di impedirgli di vedere bene nonostante gli svariati occhi. Le lunghissime zampe erano nere e lucide come pelle di drago, il corpo però era rosso intenso con particolari linee dorate, quasi stesse indossando un cappotto riccamente decorato. Gli occhietti verdi brillavano alla luce delle torce del magazzino in modo terribilmente sinistro, fissando tutti e tre gli umani come se fossero state succulente bistecche.

«Bestiola combattiva, eh?» sbottò il Magizoologo, stranamente allegro6, rialzandosi con lentezza e stando bene attento a non far cedere le loro difese. Harry strinse di più Hermione, ancora palesemente stordita ed incapace di badare a se stessa. Quantomeno fu la menzogna che raccontò a se stesso: si sentiva così inutile, in quel momento, da avere la necessità di un minimo conforto. «Potter, tutto bene?».

Seppur preoccupato, Harry annuì. «Grazie per i riflessi pronti» disse, senza fiato come se avesse appena finito una corsa di svariati chilometri. L’effetto dell’adrenalina, probabilmente. «Pensi di poter… uh… gestire la bestia? Mi sembra piuttosto arrabbiata».

La risata di Barry lo fece rabbrividire. «Ah, non ne ho idea! Ogni animale è diverso dall’altro, non ho la pretesa di conoscerli tutti quanti» spiegò, cominciando assurdamente ad avanzare. Il luccichio nel suo sguardo non aveva nulla a che vedere con la pacata dolcezza che Hagrid o Newt Scamander7 usavano con le bestie selvatiche. «Questa bellezza deve essere rimasta da sola per secoli».

Tentando di mantenere ferma una piuttosto agitata Hermione, Harry gli lanciò uno sguardo stralunato. Ovviamente lo fissò solo per un istante, le tenaglie a pochi metri da lui erano decisamente più inquietanti. E lo era anche quella sostanza verdognola che ne usciva. «Secoli? Questa roba vive così a lungo? Aragog non avrà avuto più di settant’anni ed aveva quella stazza!» squittì – non era, in effetti, un verso molto virile da parte sua, ma in quel momento non se ne preoccupò – dopo un istante di calcoli. Hagrid lo aveva ricevuto da cucciolo per poi vederlo morire durante il suo sesto anno. Per quanto il Guardiacaccia si portasse bene gli anni, non era in dubbio che non ne fossero passati di più di sessanta, settanta al massimo.

«Ti riferisci all’Acromantula della Foresta Proibita? Mia moglie mi ha raccontato qualcosa al riguardo8. Mi sarebbe piaciuto studiarla, ormai non è molto facile trovarne in giro» gli rispose Maine, tranquillo come se fossero stati seduti al bancone di un pub per bere una birra insieme. Inconcepibile.

«Se sopravvivremo, ricordami di portarti a conoscere i suoi figli».

Nonostante non si fosse girato per guardarlo, la postura di Maine tradì quanto fosse segretamente esaltato dalla prospettiva. «Dici sul serio? Sei certo che abbia ancora dei figli?».

Il ricordo dell’orda che, quasi dieci anni prima, aveva attaccato lui e Ron lo fece rabbrividire. I flashback della Guerra e di come quelle bestiacce avessero deciso di unirsi al Lato Oscuro non furono da meno. «Oh, credimi, sono piuttosto certo. Ma perché hai detto secoli? Come fai ad esserne sicuro?».

Barry Maine, nonostante la loro adorabile chiacchierata, aveva continuato a spostarsi ed avanzare, senza mai rompere il contatto visivo con l’enorme aracnide a pochi metri da loro. Erano entrambi così tranquilli che per un attimo Harry si chiese se, caduto lo scudo, la bestia avrebbe deciso di lasciarli stare o si sarebbe buttata in avanti per mangiarli. Probabilmente la seconda possibilità, il suo era un pensiero ridicolo. «Sai come si dichiarano estinti gli Animali Fantastici, Potter?» gli chiese, retorico, il Magizoologo, senza attendere una risposta prima di continuare. «Esistono incantesimi di ricerca che ci consentono di verificare l’esistenza di bestie in vita che siano allo stato brado. Circa trecento anni fa è stato fatto l’ultimo controllo per questa tipologia di ragno e non c’è stato alcun riscontro. Da qui deduco che trecento anni fa fosse già tenuto in cattività».

Harry si accigliò, confuso. «Potrebbe tranquillamente essere nato da genitori in cattività non più di settanta o ottanta anni fa, no?».

Dalle sue braccia, dopo dei movimenti piuttosto lenti ed affaticati, giunse la voce di Hermione, che doveva finalmente essersi ripresa. «L’Aracne Thailandese non può nascere in cattività» spiegò, con una smorfia, cercando di raddrizzarsi con l’aiuto dell’amico. «Non so molto sull’argomento, ma se non sbaglio può nascere solamente in un’area isolata della Provincia del Chumophon, solo da una covata di tredici uova che sia stata generata da un mostro marino sulle spiagge e poi covata da un serpente a sonagli. Hanno provato a riprodurre l’esperimento al sicuro, nelle riserve, ma nessuno ha idea del perché non sia mai riuscito9».

La risatina di Barry fu un’eco del sollievo che anche Harry provò nel sentirla. «Mi sei mancata, Hermione» le comunicò l’uomo, senza voltarsi a guardarla. «Comunque non ci sono mai riusciti perché nessuno ha idea di quale sia questo mostro marino, molti credono sia invisibile o comunque estinto» spiegò, con la stessa allegria che Hagrid aveva avuto presentando ai ragazzi del terzo anno i loro primi Ippogrifi. Doveva essere una qualche deformazione professionale, davvero. Harry aveva sentito Rosemary e Charlie usare lo stesso tono per parlare di piccoli Dorsorugosi. «Per questo credo che la bestiola sia nata prima dell’ultima verifica e sia stata poi tenuta in cattività. Immagino che Tiresias abbia avuto tutto il tempo del mondo» aggiunse, piuttosto seccato.

«Avremo tutto il tempo per accusarlo di crudeltà contro le Bestie, Barry, una volta che avrai fatto il possibile per liberarci di questa qui ancora perfettamente sana e funzionale» sbottò Hermione, occhieggiando con disgusto alla condizione dei suoi vestiti. «C’è qualcosa che possiamo fare per aiutarti? Io non sono sicura di potermi reggere in piedi, ma Harry diventa meno tonto quando siamo nel mezzo dell’azione».

Piuttosto ferito, lui le lanciò un’occhiataccia. «Grazie tante, Hermione, anche io ti voglio bene» le disse, con una smorfia, sospirando quando lei gli rispose con un sorrisino ed una stretta di spalle. «C’è qualcosa di diverso in te, non è vero? Non sei stata così… attiva, prima».

Il modo in cui lei gli sorrise fu sufficiente come conferma. «Diciamo che ho avuto modo di fare una bella chiacchierata con me stessa ed accettare cose che prima mi ero rifiutata anche solo di vedere. Non sto ancora bene, ma almeno sto meglio» ammise, dandogli una delicata pacca sul braccio, quasi a volerlo incoraggiare. «Se sopravvivremo, magari potremo far visita al dottor Crave insieme, che ne dici? Prepararci all’arrivo dei gemelli».

La prospettiva di un futuro abbastanza pacifico da consentire loro quella libertà lo fece rincuorare, anche se solo per un momento. C’era speranza, ci sarebbe sempre stata finché fossero stati insieme, almeno loro due. «Magari potremmo farlo, sì».

«Per quanto toccante, temo di dover interrompere la vostra adorabile riunioncina», la voce di Barry era stranamente agitata, nonostante l’animale non si fosse mosso di un singolo centimetro. «Ho bisogno che voi due restiate in silenzio, voglio provare una tecnica di ipnosi che mi ha insegnato zio Newt ma per farlo dovete essere praticamente due statue di sale, non posso rischiare che l’Aracne si distragga».

Piuttosto preoccupati, Hermione ed Harry si lanciarono uno sguardo, per poi annuire e restare in perfetto silenzio. Harry dubitava che fosse il dover fermare la bestiola a preoccupare il magizoologo, probabilmente era stato il riferimento ai suoi gemelli a ricordargli quanto terribile fosse la situazione di tutti gli altri. Naturalmente, l’unica persona capace di far qualcosa per aiutare Ophelia era Kate e lei, forse, l’aveva già raggiunta. Ma non si trattava certo di un pensiero particolarmente rincuorante.

Lentamente, Barry iniziò a muovere la bacchetta per compiere strani cerchi concentrici, facendo realizzare ai suoi due compagni d’avventura di aver fatto cadere l’unica protezione fra loro e le tenaglie avvelenate. C’era una strana scia verdastra intorno alla punta della sua arma che lasciava una scia capace di resistere qualche secondo prima di sparire e che stava realizzando, con i suoi movimenti, dei disegni astratti apparentemente inspiegabili ma capaci di incantare chiunque vi ci concentrasse per più di pochi attimi. Era palese che quello non fosse il suo primo tentativo, tuttavia non c’era presunzione nei suoi movimenti, solo una concentrazione assoluta, guidata da puro terrore.

Rischiava di non poter raggiungere sua moglie ed il suo bambino. Rischiava di perderli entrambi senza poter far nulla per aiutarli.

Con una punta di orrore, Harry osservò l’uomo farsi avanti di un passo alla volta, lo sguardo fisso sugli occhi della bestia che a sua volta erano puntati sui movimenti della sua mano. Era assurdo che non si stesse muovendo. Assurdo che lui fosse arrivato a pochi centimetri.

Assurdo che fosse riuscito a spostare la bacchetta e puntargliela in mezzo agli occhi, stendendolo con un colpo solo.

«Non lo chiamano Re delle Bestie senza motivo, sai?».

 

***

 

Con la bestia ridotta ad un enorme ammasso informe dai colori sgargianti, Harry riuscì a tirare un minimo sospiro di sollievo. Una parte di lui ancora tremava all’idea di cosa sarebbe stato di loro, se Maine avesse avuto dei riflessi meno pronti, ma fortunatamente era sovrastata da quella tremendamente grata ed iperattiva al pensiero di potersi finalmente rendere utile.

«Cosa significa che avete lasciato andare Kate da sola?» sbottò Hermione, sconvolta, passeggiando davanti ad entrambi gli uomini come se fermandosi avesse potuto scatenare un incidente diplomatico internazionale. Non aveva degnato neppure uno di loro di uno sguardo che non fosse carico di disappunto e che fosse durato più di tre secondi. Ad Harry era mancata quell’aria di esasperata superiorità, non la vedeva da anni. «La prima regola del Codice Banshee è mai andare in missione da soli, nonostante possa sembrare la scelta migliore!».

Maine strinse le labbra, continuando ad arrotolare magicamente una corda dorata intorno all’imponente corpo dell’animale addormentato. «Non credi che avremmo preferito andare con lei? Dovevamo prenderci cura di te. La seconda regola del codice Banshee dice di non lasciare mai qualcuno indietro. Non potevamo certo lasciarti qui» le fece notare, piuttosto seccato. Sbuffò, una volta finito il suo lavoro, voltandosi per fronteggiarli entrambi. «Tu non hai visto cos’è successo quando lei ha aperto la porta, Hermione. Ci sono bestie qui fuori, bestie che anche io sto faticando a riconoscere. Dubitavo che lei avesse ragione, quando ha detto che non avrebbero consentito a nessuno di seguirla, come se fossero state coscienti… ma quando lei ha spalancato la porta e quelle cose l’hanno afferrata...» rabbrividì, senza poterlo evitare. I suoi occhi blu si puntarono sulla porta di metallo che li separava dall’oscurità, quasi avesse potuto scorgere qualunque cosa vi fosse dall’altra parte.

«L’hanno afferrata, Herm» si premurò di specificare Harry, con una smorfia. «Ho visto mani artigliate, zampe… era come se delle ombre avessero assunto forma fisica solo per poterla portare via. Avrebbero potuto fare irruzione in qualunque momento, probabilmente potrebbero farlo anche ora… ma non lo stanno facendo».

Lei si pizzicò la radice del naso con un sospiro. «Tutto parte del piano di Tiresias, ovviamente» si lagnò, guardando a sua volta la porta con aria disgustata. «Hai detto che sembrano delle ombre? Ed hanno forme diverse e spaventose?» chiese quindi, riflettendo su quelle che avrebbero dovuto essere le loro possibilità. «Barry?».

L’uomo si grattò la guancia con l’uncino, preoccupato. «Non lo so, Hermione, non ho mai visto nulla di simile. Non credo siano creature, quantomeno non conosciute o non tradizionali, sembrano essere usciti direttamente dai miei incubi di quand’ero bambino».

Un brivido fece sbattere i denti di Harry. Sì, anche lui aveva avuto incubi simili: bestie informi sbucate dall’oscurità sotto al suo letto, dalle fessure delle scale che scricchiolavano sopra la sua testa. Quelle ombre lo avevano perseguitato finché non era stato abbastanza grande da illudersi di non vederle più, finché i mostri della vita reale non erano diventati abbastanza spaventosi da sostituirli e dare forma a quelle paure irrazionali dei bambini.

Loro erano sempre stati lì, però. In un angolo del suo inconscio, nascosti da strati e strati di convinzioni, di coraggio posticcio e di razionalità. Erano rimasti lì, in silenzio, aspettando solo quell’istante per emergere dalle sue notti e torturarlo come non avevano più potuto fare da anni.

«Dai tuoi incubi» ripeté Hermione, riflessiva, lasciando che il suo sguardo si assottigliasse come se anche lei avesse potuto improvvisamente sviluppare la capacità di guardare oltre i muri. Non si era ancora completamente ripresa dalla brutta avventura nel mondo dei sogni, eppure era quella che sembrava capace di ragionare meglio, come se l’impatto con la realtà alternativa non l’avesse sconvolta come era accaduto a loro. Forse perché vi era rimasta più tempo senza l’influenza di Mulciber? «Dai tuoi incubi!» ripeté, questa volta più forte, coprendosi le labbra con le mani come se si fosse sorpresa del suo stesso urlo. I suoi occhi scuri si spostarono da Barry ad Harry e vice versa per un paio di volte, prima di fissarsi nuovamente sulla porta. «Loro vengono dagli incubi».

Barry la fissò per qualche istante senza comprendere, per poi sbiancare più di quanto non avesse già fatto e voltarsi a sua volta verso la porta. In quel momento, Harry comprese tutta la stizza che Ron aveva maturato negli anni verso lui ed Hermione: era decisamente fastidioso essere il più stupido del gruppo.

«Qualcuno vuole spiegare a questo semplice Auror cosa sta succedendo?» azzardò, preoccupato, odiandosi per non aver mai approfondito lo studio delle creature durante il sesto anno. Avrebbe fatto bene a seguire Hagrid, magari avrebbe avuto modo di migliorare le sue conoscenze e capire da solo, senza bisogno che gli venisse spiegata ogni sciocchezza.

Quei due lo ignorarono completamente.

«Kate è riuscita a percepirli immediatamente perché sono creature oscure? Possono avere a che fare con la morte, credi?».

«Il mondo dei sogni è ciò che più si avvicina al fenomeno della morte, non mi stupirei se quei cosi fossero dipendenti dalla morte stessa».

Spazientito, Harry sbuffò abbastanza forte da attirare finalmente la loro attenzione. «Qualcuno vuole dirmi qualcosa? Mi sento leggermente escluso, qui».

Hermione gli posò la mano sul braccio, ansiosa. «Harry, quelli sono Terrori Notturni, sono letteralmente ciò che popola i tuoi incubi, però riportati alla realtà. Tutto ciò di cui l’uomo ha paura, ma libero dalle catene dell’immaginazione. Kate aveva ragione quando ha detto che non c’era modo che voi poteste scappare con lei, se dovessimo mettere un solo piede qui fuori probabilmente verremmo annientati dal terrore più acuto mai provato».

Il brivido tornò più forte di prima, lasciandolo quasi stordito. «Cosa possiamo fare? Non possiamo restare qui per sempre e di certo non possiamo smaterializzarci» mormorò, ansioso, occhieggiando a sua volta alla porta. Quelle cose avrebbero potuto fare irruzione da un secondo all’altro, forse aspettavano solo che loro si spaventassero per bene. «Come li combattiamo?».

Indecisa, Hermione si voltò in direzione di Maine, che aveva le labbra strette in una linea sottile. «Loro sono paura, tutto ciò che di negativo l’uomo può immaginare» tentò, passandosi la mano fra i capelli. «Non posso che seguire la stessa linea usata per Dissennatori e Lethifold».

  Il gemito preoccupato della sua migliore amica confermò il pensiero che si era appena formato nella mente di Harry. Dopotutto, c’era solo un incantesimo che le aveva sempre dato problemi.

«Tu vuoi usare l’Incanto Patronus». 

 

***

 

Fred Weasley non era mai stato un uomo paziente. Mai, in tutta la sua vita. Si era sforzato nei due anni che erano serviti ad Hermione per ottenere il suo nuovo incarico, così che potesse farlo nella massima tranquillità possibile. Aveva atteso un tempo anche più lungo per farle conoscere i suoi sentimenti, ma in quel caso era stata più che altro la rassegnazione a parlare, non la pazienza. Non credeva certo che lei avrebbe messo da parte Ron, non per lui almeno.

Fred non era paziente, ma aveva imparato ad esserlo per le questioni davvero, davvero importanti. Tuttavia, mentre aspettava fuori dal Quartier Generale delle Banshee, insieme ad una piuttosto agitata Rosemary, Theodore Nott e Miss Peregrine del Ministero, quella piccola stabilità che tanto duramente aveva conquistato sembrò vacillare pericolosamente.

«Non ho intenzione di aspettare un altro istante» sibilò per l’ennesima volta sua cognata, cercando di liberarsi dall’incantesimo di costrizione che l’altra donna le aveva lanciato circa tre minuti dopo essere giunti a destinazione. Quindi parecchio tempo prima. «Non me ne importa un fico secco che lei sia una Banshee sotto copertura, Peregrine! Mi lasci andare immediatamente, mio padre sta rischiando la vita lì dentro ed io non resterò qui con le mani in mano in attesa di neppure lei sa cosa!».

Pizzicandosi la radice del naso, la personificazione della Malasorte sospirò pesantemente. «Credimi, signorina Crave, neppure io vorrei essere in questa spiacevole situazione mentre i miei pochi colleghi superstiti combattono contro un male mai affrontato prima» le disse, arricciando la sua eccezionalmente lunga appendice nasale. «Ma come la piccola signorina Runcorn ci ha fatto notare, “se entrate nel castello da soli i mostri vi mangiano”» ripeté alla lettera, sfoderando uno dei vari talenti che si era scoperto avesse solo nel momento in cui aveva fatto la sua entrata scenica alla Tana insieme ad un confuso Percy.

Era stata Edelweiss a gestire quel piano, con il suo lessico da bambina e la sua determinazione da Veggente. Li aveva costretti a fare uno scambio a dir poco inconcepibile – quantomeno per Fred – e poi aveva chiesto solamente a quel piccolo gruppo di prepararsi alla battaglia, attendendo un segnale che avrebbero riconosciuto. Fred avrebbe giurato che il segnale in questione fosse stato lo scoppio della battaglia – e Rose aveva immediatamente concordato con lui – ma la Peregrine era stata lesta nel sottolineare quanto assurda fosse la sua idea. Non avevano alcuna informazione in più, se anche si fossero buttati nella mischia difficilmente ne sarebbero usciti vivi.

A pochi metri di distanza da loro, Theodore Nott non aveva smesso un solo istante di cercare informazioni sulla biblioteca che si era portato dietro. Lui era stato a sua volta contattato grazie ad Edelweiss, che aveva chiesto a sua madre di chiamare suo cugino “quello carino”. Audrey aveva a quel punto informato Percy della bizzarra storia d’amore che era nata fra sua figlia ed il figlio della sua compianta zia, l’ultimo erede Nott10, chiedendogli di andare a cercarlo immediatamente. Ritrovato il giovane, erano bastati pochi minuti in solitudine con la bambina per convincerlo a partecipare. Nessuno sapeva perché, nessuno sapeva come, ma le fiamme che si erano accese nello sguardo dell’ex Serpeverde non avevano consentito che si potesse mettere in dubbio la sua motivazione.

«Siamo tutti ansiosi di entrare in azione, Rosie» mormorò allora Fred, dando alla ragazza più giovane una pacca sulla spalla. «Il mio gemello si sta spacciando per me, mentre Hermione è ancora dispersa, come Harry e gli altri». Il suo sguardo si perse sul castello davanti a lui. «Ho visto una delle mie più vecchie amiche entrare in quel castello completamente circondata da bestie senza forma e non so quanto possa positiva possa essere questa cosa. Le Banshee non escono mai da sole».

Miss Peregrine annuì. «Katie Bell non ha mai avuto il permesso di uscire da sola, se davvero quella che abbiamo visto era lei, deve esserci una buonissima ragione dietro quel suo comportamento11. Le rare volte in cui l’ho vista, al Quartier Generale, è sempre stata circondata dai coniugi Maine».

«Bell è una Succubus» si intromise Nott, sollevando lo sguardo dai suoi libri solo per un istante. «Se quelle bestie sono davvero ciò che credo che siano, allora lei è l’unica che potrebbe avere una speranza di sopravvivenza» disse, alzandosi in piedi e raggiungendoli. «I Terrori Notturni sono creature d’oscurità, sono fatte della stessa sostanza del potere della Bell, quindi potrebbe non esserne affetta come noi».

«Hai trovato altro sui tuoi libri? Non c’è un modo per distruggerli?» si intromise Rosemary, dimenandosi ancora come una bestia in agonia. In quel momento lui capì perché suo fratello fosse stato tanto reticente all’idea di lasciarla andare senza di lui. Non era preoccupato che lei non sapesse difendersi ma, piuttosto, che loro non sapessero tenerla buona. Rosemary Crave non aveva nulla da invidiare ai draghi cui era tanto legata, soprattutto quando il suo adorato papà era in pericolo. «Nott, per Merlino!».

«Non c’è nulla sul modo di distruggerli» sbottò lui, esasperato. «So che per crearli serve un sacrificio di sangue immenso, cosa che credo potremmo ricollegare alla strage degli ex Mangiamorte, ma per il resto il libro è molto vago. Sono creature apparse raramente nella storia, di solito sparivano insieme a chiunque avesse provocato le stragi».

Fred sospirò. «Quindi dobbiamo uccidere Sisifo o, quantomeno, la sua incarnazione momentanea» sbottò, portandosi una mano alla fronte e stringendosi le tempie per cercare di alleviare il terribile mal di testa che l’aveva colpito. Tornare in vita non era stata la passeggiata che lui aveva sperato fosse, ma non poteva certo lamentarsi. «Se vi può consolare, dubito che lui sia tornato del tutto, quantomeno non ancora. Ma è forte».

«Come fai a dirlo, Weasley?» si intromise la Peregrine, osservandolo come qualcun altro avrebbe osservato una bestia rara. «La vostra famiglia non ha mai avuto alcun collegamento con il sangue della Morte».

«Sono stato resuscitato non più di due giorni fa, da quel momento ho come una… uhm… sensazione» ammise, con una smorfia. «So con assoluta certezza, per esempio, che Kate sia decisamente meno al sicuro di quanto non pensiamo».

Nott annuì. «È perché lei ti ha riportato in vita» spiegò, indicando il suo libro. «Esiste un collegamento molto forte fra Negromante e Risvegliati, probabilmente tu saresti il primo a sentire se lei dovesse tirare le cuoia».

«Confortante».

«Preferirei non mettere in conto la morte di nessuno, sinceramente» proclamò una voce dalla loro spalle, un attimo prima che da oltre gli alberi facesse la sua comparsa Barry Maine, seguito a ruota da Harry ed Hermione. Fred non si sentì mai tanto sollevato come in quel momento. «Soprattutto non quella di Trina».

A sua volta sollevata, la Peregrine si fece avanti, allungando la mano per stringere quella di Barry. «Siete vivi, non sapevamo cosa fare, quando il Dottore mi ha detto di stare all’erta perché non era stata autorizzata una missione di salvataggio ho davvero temuto per il peggio» sbottò, azzardandosi addirittura ad abbracciare leggermente Hermione, sotto lo sguardo attonito di Harry.

È davvero un po’ tardo, pensò Fred, sentendo la voce di Kate risuonare nei meandri del suo cervello, mentre si faceva avanti per strappare Hermione dalle braccia della Peregrine e la stringeva a sé.

«Il Dottore aveva dei sospetti, quindi» sospirò Maine, lanciando un’occhiata ansiosa al Quartier Generale. «E se lui aveva sospetti, non dubito che fossero più che fondati. Voi cosa state facendo qui?».

«Aspettiamo che dal cielo cada la soluzione per sconfiggere o, quantomeno, rallentare i Terrori Notturni, così da aiutare i pochi agenti ancora in vita e andare ad aiutare Draco, la Bell e gli altri, tra cui anche l’altro gemello Weasley» spiegò velocemente Nott, decisamente arrabbiato ma capace di contenersi molto meglio di Rosemary, che non aveva prestato la minima attenzione a nessuno di loro perché troppo presa dai suoi tentativi di fuga.

«Cosa fa George al Quartier Generale?»

«Siete fortunati, allora» si intromise Harry, impedendo ad Hermione di chiedere ulteriori spiegazioni, facendosi avanti ed indicando il grosso castello in subbuglio. «Noi abbiamo la soluzione adatta».

«Era ora, cazzo» si lamentò proprio Rose, riuscendo finalmente a liberarsi, complice il movimento silenzioso della bacchetta di Miss Peregrine. «Possiamo far saltare in aria il dannato portone, adesso?».

Svariate paia di occhi su puntarono su Fred.

Oh, beh…

«Fatevi da parte, Seamus Finnigan mi ha insegnato un paio di trucchetti che potrebbero fare giusto al caso nostro».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Nessuno aveva capito chi fosse Sisifo, io sono molto soddisfatta.

 

Una bella riunioncina prima della botta finale, non credete fosse necessaria?

Ah, io amo Rosemary Crave con tutto il mio cuore e sono così felice di averla lasciata sana e salva almeno in questa ff. Peccato per il Dottore.  

 

Punti importanti:

 

» * - Il tempo è una cosa preziosa/ guardalo volare mentre il pendolo oscilla/ guardalo passare fino alla fine dei giorni/ l’orologio ticchetta via la vita. In una fedele imitazione del Bianconiglio, mi sento di specificare che il tempo sta effettivamente finendo.

 

» 1 – Harry è stato il primo a riprendersi, quindi gli altri non hanno idea di cos’abbia visto. Barry non sapeva che Harry avesse scoperto della parentela con Ophelia.

 

» 2 – Come Draco aveva detto ad Ophelia, Harry non potrebbe mai arrabbiarsi con la sua ultima parente “paterna” in vita.

 

» 3 – Ho scritto una cosa inventatissima, non ci sono riscontri di alcun tipo nei libri ma non sapevo bene che pesci prendere. Abbiate pazienza, studio legge e non medicina, non sono proprio sicurissima che una pratica simile possa effettivamente fare del bene, ma, ehi, magia.  

  

» 4 – Chi crede che Harry non si incolpi della morte di Ron è pregato di alzarsi, mettersi in un angolo e vergognarsi. Ovviamente Harry non riesce a chiudere gli occhi senza vedere il suo migliore amico ridotto ad un vegetale. Ovviamente si è sentito responsabile sia per lui che per l’ipotetica morte di Hermione.

 

» 5 – Fun Fact: non ho la minima idea di come funzionino i ragni, quindi qualsiasi riferimento successivo è puramente frutto della mia fantasia. I ragni mi fanno piuttosto schifo (anche se mai quanto gli scarafaggi).

 

» 6 – Finalmente il mio Barry è nel suo vero elemento! No, non è pazzo, è semplicemente entusiasta di rendersi utile. A lui piacciono le bestiole, come piacciono ad Hagrid. O a suo zio Newt. Che bello avere a che fare con le bestiole. Ci piacciono tanto, soprattutto quando sono grosse e con tanti denti, zampe, occhi ecc…

 

» 7 – Random Fact: Harry ha incontrato Newt in più di un’occasione ed ha avuto modo di sorprendersi per come un vecchietto potesse essere così arzillo con bestione dieci volte più grosse di lui. Chi lo sa da chi ha preso Barry.   

 

» 8 – Piccola Backstory: Ophelia ha avuto un faccia a faccia con Aragog durante una punizione serale con Hagrid. Perché era in punizione? Perché durante il suo ultimo anno – il primo anno del professor Piton – è stata misteriosamente coinvolta in una serie di strani avvenimenti nei sotterranei, tutti con vittima il povero insegnante di Pozioni. E io difenderò la mia Philly fino alla morte, è stato Piton ad iniziare con i dispetti. Provate ad immaginare l’essere l’unica parente in vita di James Potter e di dover superare i MAGO in Pozioni con Piton. Vi sfido a provarci.

Sfortunatamente per Mocciosus, Ophelia aveva un raro talento per gli intrugli, quindi è riuscita comunque a diplomarsi con il massimo dei voti e ad essere ammessa al Corso al San Mungo. AH!

 

» 9 – Per caso si nota tanto il mio aver inventato tutto di sana pianta?

 

» 10 – Come ho accennato, Audrey ed Edelweiss sono delle Runcorn e i Runcorn sono una vecchia e spocchiosa famiglia purosangue. Nella nostra situazione, la madre di Theodore Nott era sorella del padre di Audrey, quindi lui è suo cugino. Per quanto Nott padre non abbia alcun rapporto con loro, Audrey e Theodore si sono visti più volte ed Edelweiss si è totalmente innamorata di lui. Anche se la poverina sa di non avere speranza.

 

» 11 – Ovviamente loro non hanno la minima idea di cosa stia succedendo, non sanno perché Kate era da sola. E perché Katie non era mai lasciata a se stessa al Quartier Generale? La sua instabilità, prima di Draco, unita al temperamento da fiera irlandese, la rendevano piuttosto irascibile. Una Succubus irascibile non è una buona cosa.

 

Ø  Piccolo appunto: l’esplosione del portone è la stessa esplosione che Kate ha sentito nel capitolo precedente, giusto per darvi il contesto temporale. Mentre loro si fanno strada al piano di sotto, Kate viene “rianimata” da Draco e decide di provare il tutto per tutto con la madre di Winter.

 

 

 

Sono stata sul punto di mettere in mezzo il mio adorato Seamus, ma ho pensato che avrebbe rischiato di morire e così ho evitato. Almeno lui devo salvarlo.

 

  

 

Ormai mancano due o tre capitoli al massimo, wow. Ci siamo quasi gente, preparate i vestiti per il lutto, perché ne avrete bisogno.

 

Mi dispiace.

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

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Capitolo 32
*** Atto XII, Parte III – Limbo ***


 

 

LErede del Male.


 

«Or discendiam qua giù nel cieco mondo», 
cominciò il poeta tutto smorto
«Io sarò primo, e tu sarai secondo».
E io, che del color mi fui accorto, 
dissi: «Come verrò, se tu paventi 
che suoli al mio dubbiare esser conforto?».
Ed elli a me: «L’angoscia de le genti 
che son qua giù, nel viso mi dipigne 
quella pietà che tu per tema senti.
Andiam, ché la via lunga ne sospigne». 
Così si mise e così mi intrare 
nel primo cerchio che l’abisso cigne.
*”.



[Dante Alighieri – Inferno, Canto IV]

                                  

 

Atto XII, Parte III – Limbo

 

 

I viaggi nell’Aldilà erano stati vietati per millenni, eppure generazioni e generazioni di giovani Negromanti avevano avuto modo di conoscere alla perfezione ogni minimo dettaglio di quella particolare realtà. Erano solo dicerie, per la maggior parte. Racconti tramandati dai primi Negromanti e, in rarissimi casi, esperienze dirette raccontate da Thanatos in persona. Kate era la prima ad avventurarsi in quel luogo dal momento della caduta dei suoi padri immortali.

Era una sensazione bizzarra, per usare un’espressione decisamente vaga. Lei percepiva con esattezza la realtà del mondo umano in cui il suo corpo era bloccato1, eppure la sua anima era altrove, proiettata in quel luogo fumoso dai contorni indefiniti. Le anime intorno a lei erano tormentate, per la maggior parte, ma in tante erano pacificamente in attesa di qualcosa di cui esse stesse potevano non essere consapevoli. Muovendosi fra loro non riuscì a capire cosa stessero vivendo, avrebbe dovuto avvicinarsi per ritrovarsi nella loro versione del limbo, quindi il comportamento buffo di alcuni non poté trovare giustificazione. Alcune sembravano intente a prendere il tè, altre leggevano libri o combattevano con spade per lei invisibili.

Il Limbo è ciò che ognuno desidera.

C’erano tante anime a lei sfortunatamente note, in quel luogo. Si trattava delle più giovani, per la maggior parte vittime di Voldemort che non avevano trovato la loro pace. Lontano da lei, invece, poteva scorgere delle anime minuscole, disinteressate a tutto e tutti: i bambini nati prima di poter sviluppare la loro piena essenza2.

«Katie?».

Una presa gelida – un’impressione, naturalmente, non esistevano vere sensazioni in quel luogo – seguì al richiamo, spingendola a balzare via per lo spavento. Quando si voltò, si ritrovò faccia a faccia con l’ultima persona – poteva ancora definirla tale? – che avrebbe voluto incontrare. L’espressione di quegli occhi verdi era dolce proprio come lei la ricordava, il sorriso gentile nonostante l’evidente preoccupazione. Kate sentì il cuore stringersi nel petto e la tentazione di piangere per poco non ebbe la meglio su di lei.

«Oh, no» esalò, portandosi una mano al viso, consapevole di quanto triste dovesse essere la sua espressione. Intorno a lei la nebbia era mutata, prendendo l’aspetto di un piccolo ma confortevole soggiorno. «Professor Lupin, cosa ci fa lei qui? Dovrebbe essere oltre, con sua moglie».

Lo sguardo del suo ex insegnante di Difesa si addolcì ancora di più. «Non temere, anche Dora è qui con me. Credo sia andata a fare un giro fra… fra i bambini3» mormorò, esitando prima delle ultime parole. «Non potremmo mai riposare in pace, senza la certezza che Teddy abbia avuto una buona vita» le spiegò, gentile, indicando qualcosa fuori dalle false mura. «Anche James e Lily Potter hanno avuto una sorte simile, ma con la morte di Voldemort sono riusciti ad andare avanti. Per noi è stato… differente. Preferiamo aspettarlo personalmente, forse perché abbiamo avuto troppo poco tempo con lui».

Tentare di spiegare le ragioni di un’anima bloccata era un’attività su cui Kate non poteva permettersi di indugiare, nonostante il cuore le piangesse in petto al pensiero del più gentile fra i suoi professori costretto a quell’esistenza a metà.

«Sono sicura che quando sarete pronti potrete procedere insieme» lo rassicurò, cercando di suonare convincente anche alle proprie orecchie.

Lupin sorrise, dandole un buffetto sul braccio. «Ne sono certo, cara» mormorò, prima di accigliarsi. «Tu, piuttosto. Sei ancora viva, per quanto… maltrattata» le fece notare, indicando il suo viso. «Come fai ad essere qui?».

Una smorfia fu tutto ciò che lei si lasciò sfuggire. «Diciamo che ho i miei collegamenti, professore» mormorò, prima di realizzare un piccolo dettaglio. Lupin era stato a scuola nello stesso periodo della madre di Winter, quindi avrebbe dovuto conoscerla ed aiutarla a scovarla, così da dimezzare il suo tempo di ricerca. «Professore, lei per caso può portarmi da Beatrice Vane? Il Limbo è leggermente infinito, rischierei di perdere troppo tempo e, ugh, stare troppo qui potrebbe rendere difficile il mio ritorno fra i vivi4».

L’espressione dell’insegnante cambiò improvvisamente, passando da curiosa a preoccupata nel tempo di un battito di ciglia. «Non credo sia una buona idea, signorina Bell» le fece notare, mentre intorno a loro il soggiorno spariva, rimpiazzato dalla vecchia nebbia. «Beatrice è fra le anime più tormentate, non esce mai dal suo mondo. Potrebbe non voler parlare con te».

Per nulla sconfortata, Kate scosse il capo. «Mi creda, sono piuttosto convinta di avere argomenti molto più che convincenti a supporto delle mie richieste» gli fece notare, tranquilla. «Può accompagnarmi? Ho una certa fretta, mi serve lei per evitare che il mondo vada in rovina».

Lupin sospirò. «Un altro guaio, eh?5 Mi auguro che riusciate a risolverlo e che Harry non perda nessun altro» mormorò, triste. «Quando Ron è passato di qui, prima di andare avanti, ho temuto che in poco tempo avrei accolto anche lui ed Hermione.

Di positivo, quindi, c’era che nessuno dei due fosse ancora morto mentre lei sbrigava quelle faccende.

«Faremo del nostro meglio. Mi può accompagnare, quindi?».

Il professore annuì, cominciando a far strada. «Quando tornerai indietro… potresti portare un messaggio ad Harry?».

 

***

 

«Io non ti conosco».

La giovane donna era accucciata in un angolo o, quantomeno, lo era la sua anima. Kate aveva sempre saputo che l’avrebbe trovata nel Limbo, prima ancora di tentare altri tipi di contatto. Era il luogo in perenne crepuscolo in cui il potere di Thanatos era minimo ma in cui non esisteva neppure alcuna altra forza dominante, in cui le anime irrequiete erano costrette a rivivere i traumi del loro passato senza avere alcuna possibilità di andare oltre, poiché impossibilitate a risolvere le loro faccende in sospeso. Non avevano scelto di tornare come fantasmi, tuttavia non erano neppure pronte a proseguire. Non lo sarebbero mai state. La condizione ideale per Beatrice Vane.

Kate cercò di sorridere, ma scoprì di non riuscirci. Le nuove cicatrici al viso6 le impedivano di muoversi con la stessa disinvoltura di un tempo, avrebbe necessitato di tempo per abituarsi, tempo che non aveva. «No, non mi conosci ed io non ti ho mai conosciuta in vita, Beatrice» confermò, suonando il più rassicurante possibile.

Lo spirito la fissò per un lungo istante, accigliandosi. «Dici di non avermi conosciuta, eppure mi chiami per nome. Le Porte ti hanno fatta entrare, eppure tu sei ancora in vita» constatò, sbattendo un paio di volte le palpebre. Non che ne avesse davvero bisogno, doveva essere un tic ereditato dalla sua vita passata. «Cosa sei tu?».

La Negromante strinse le labbra, usando il tono più gentile di cui fosse in possesso. «Non crucciarti, sappi solo che non voglio farti alcun male» la rassicurò, stando bene attenta alle proprie parole. In quel luogo non poteva mentire7. «Sono venuta qui perché ho bisogno del tuo aiuto, Beatrice. Del tuo aiuto nel mondo dei vivi».

Con un gesto pieno d’orrore, l’anima balzò in piedi, allontanandosi da lei con una velocità sovrumana. «No» disse, ferma, appiattendosi contro una parete inesistente, come tutto ciò che le circondava. Kate sapeva che ogni anima, in quel luogo, avrebbe visto il luogo che più avrebbe ritenuto appropriato. Spesso era un luogo di transito, altre volte una riproduzione del luogo in cui avevano trascorso gli ultimi momenti. Per Beatrice Vane si trattava della cella di un sotterraneo. «Io non voglio avere a che fare con quel mondo, mai più».

Esasperata, Kate si pizzicò la radice del naso. Era piuttosto seccante che Draco avesse avuto ragione nel credere che lei non li avrebbe mai aiutati immediatamente, di certo non seguendo il piano che lei aveva velocemente architettato. Avrebbe dovuto scusarsi, prima o poi. «Posso immaginare le tue ragioni, Beatrice» provò a dirle, un sorriso appena accennato ad incurvarle le labbra. «Eri tranquilla a rimuginare sulla tua pessima sorte ed all’improvviso è comparsa questa Respirante tutta piena di cicatrici e sporca di sangue a chiederti di lasciare questa pace per tornare nel luogo in cui hai sofferto così tanto» aggiunse, mostrandosi accomodante. «Lo capisco, davvero, ed odio doverti disturbare, ma è importante».

L’enfasi delle sue parole non turbò affatto lo spirito, che inarcò le sopracciglia con incredulità. «Non credo che possa esistere qualcosa di abbastanza importante, grazie tante» la congedò, indicandole la porta spalancata della cella, quasi fosse stata reale, quasi fosse stato possibile, per lei, essere sbattuta fuori. Il Limbo neppure esisteva, per la miseria!

«Per favore, Berenice» tentò ancora Kate, addolcendo sempre di più il suo tono, ricoprendo ognuna delle sue parole in uno strato di densa melassa. «Si tratta dell’unica ragione che io so ti spingerebbe a tornare indietro. Credimi» mormorò, puntando probabilmente sulla pietà. «Non vuoi aiutare Winter? Non vuoi aiutare la tua bambina? Sta soffrendo così tanto».

Fra tutte le reazioni che Kate aveva messo in conto, la totale indifferenza non era stata proprio considerata. Eppure fu proprio quella la risposta di Beatrice: una stretta nelle spalle ed un sguardo apatico. Kate sentì la propria mascella toccare terra.

«Che c’è?» le chiese lo spirito, confuso. «Credevi davvero che mettere in mezzo la ragazzina avrebbe avuto qualche effetto su di me? Non l’ho mai sopportata, troppo simile a quel mostro di suo padre» spiegò, con una tranquillità spaventosa. «Certo, prima non me ne sono mai resa conto, credo fosse tutta colpa di quella cosa che viveva dentro di me. Ma adesso che sono libera…».

Il cuore di Kate sembrava essersi fermato nel suo petto e lei dubitava che fosse colpa di quel rituale che l’aveva spedita – quasi letteralmente – nell’aldilà. Né lei né Draco si erano aspettati l’indifferenza, lui era stato certo che sarebbe stata la paura ad impedirle di tornare e fare del bene.

«Ma Winter è tua figlia. Sangue del tuo sangue» le fece notare, piuttosto accigliata. «Per quanto sia frutto di Mulciber, sei stata tu a crescerla, a prenderti cura di lei… è impossibile che tu non provi proprio nulla. L’istinto materno appartiene a tutti gli animali, che diamine».

Rendendola ancora più sconvolta, l’anima rise alla sua affermazione. «L’hai mai guardata negli occhi? Quella creatura non ha nulla di me, se non il naso» sbottò, riavvicinandosi con fare spavaldo. «No, umana, non mi convincerai a tornare indietro, di certo non per aiutare quell’essere. Come potrei amarla, se ho odiato ogni istante in cui l’ho avuta in grembo? Ogni carezza era il ricordo delle violenze che suo padre ha usato su di me» sputò, continuando ad avanzare fino a ritrovarsi a pochi centimetri da lei. «Se avessi avuto controllo di me stessa, avrei strappato via quella cosa dal mio ventre con le mie stesse mani».

Una sensazione strana alla bocca dello stomaco impedì a Kate di rispondere, nonostante la sua mente stesse arrancando per elencare tutti gli insulti disponibili nel suo repertorio. Le servirono un paio di secondi per comprendere e, quando ci riuscì, la voce le morì definitivamente in gola. Non si trattava della semplice consapevolezza di essere davanti ad un muro cieco, ma, piuttosto, della realizzazione di aver avuto una vita molto più simile a quella di Winter di quello che avrebbe sempre immaginato. Quelle stesse parole sua madre le aveva rivolte a lei, quando, stremata, aveva deciso di rinfacciarle gli anni di soprusi.

Piccola irriconoscente, sarebbe stato meglio se avessi seguito il mio desiderio e tu non fossi mai nata!

Non si era mai soffermata a riflettere su quanto quelle parole l’avessero ferita. Non aveva mai pensato che l’avessero segnata tanto a fondo. Eppure, nell’osservare lo sguardo pieno di cattiveria di quella donna, non riuscì a reprimere la rabbia. Con un gesto dettato più dalla stizza che da un ragionamento serio e maturo, Kate afferrò l’anima per il collo – naturalmente si trattava di una raffigurazione puramente mentale, non esistevano colli o muri o qualunque altra realtà fisica – e le impedì di continuare, piegandola ai suoi ordini.

«Adesso tu farai esattamente quello che io ti ordinerò» le comunicò, secca, scoprendo i denti in una smorfia infastidita che avrebbe reso orgogliosi i vari vampiri che aveva avuto sotto il suo controllo, primo fra tutti il suo compianto Jacques, che proprio Tiresias aveva eliminato. Era stata Kate a dover comunicare alla sua compagna, Arthemis, la perdita del suo eterno amore, nonché creatore. Arthemis si era lasciata uccidere dal dolore, soffrendo una solitudine che solo gli immortali avrebbero mai potuto comprendere. Jacques era stato sacrificato nel tentativo di salvare Winnie, eppure sua madre si stava rifiutando di collaborare.

Assolutamente no.

Lo sguardo terrorizzato dell’anima le diede una scarica di adrenalina. La fissava come se all’improvviso fosse diventata un mostro a sei teste, spostando la propria attenzione fra il suo viso ed un punto imprecisato alle sue spalle.

«Cosa sei tu?».

«Cosa sono non è di tuo interesse, ma se non collaborerai ti assicuro che diventerò la protagonista di tutti i tuoi incubi» la avvisò, in un sibilo. «Potrei non essere ancora morta, ma presto o tardi anch’io passerò per questo luogo e allora mi assicurerò di usare tutti i privilegi che la mia posizione mi garantirà e di questo tuo angolo di pace non resterà nulla».

«Perché ti interessa tanto?» urlò allora Beatrice, dimenandosi inutilmente. Per quanto in vita fosse stata più alta e probabilmente più forte di Kate, in quel luogo ogni suo vantaggio cedeva davanti al potere della Morte. «Stai per morire, perché ti importa tanto di quella creatura?».

«Perché il peccato dei padri non appartiene ai figli» sbottò, furiosa. «Perché Winter ha sofferto molto più di te e merita la salvezza molto più di quanto tu meriti la tua pace. Non me ne importa un cazzo del fatto che tu sia già morta, che sia stata costretta ad un matrimonio violento e che Sisifo ti abbia fatta morire per poter raggiungere il suo nuovo tramite» riprese, stringendo di più la presa. «Winnie ha vissuto i tuoi traumi più tanti altri, anche lei deve essere salvata ed è proprio quello che tu farai. Sono stata chiara?».

Beatrice si divincolò di più. «No! Non tornerò indietro e non la aiuterò, non c’è nulla che tu possa fare per costringermi».

Fu a quel punto che il sorriso di Kate si allargò, nonostante fosse terribilmente doloroso per il suo viso maltrattato. «Credimi, potrei trascinarti in un luogo ben peggiore del mondo dei vivi, se non dovessi collaborare. Quindi ti consiglio bene di stare al gioco ed aiutarmi a riportare indietro Winter» la avvisò, con macabra allegria. «Possibile tu non voglia vendicarti di Sisifo e Tiresias?».

Qualcosa cambiò nello sguardo dell’anima, qualcosa che spinse Kate a lasciare la presa e consentirle di arretrare. «Vendetta?».

«Voglio riportare indietro Winter e, nel farlo, potrei anche riuscire a porre fine alla follia di quei due imbecilli immortali. Potresti prendertela con i veri artefici di ogni tuo dolore, magari riuscire anche ad andare avanti» le spiegò, dandosi mentalmente dell’idiota. Gli esseri del Limbo generalmente restavano bloccati per due motivi principali: desiderio di attendere una persona amata o desiderio di ottenere vendetta. I secondi erano quelli che generalmente non riuscivano mai ad andare oltre, non potendo più intervenire nel mondo dei vivi. Ma in quel caso…«Pensaci, Beatrice. Potresti vendicarti. Infliggere loro lo stesso dolore che è stato imposto a te».

Kate seppe di aver vinto con un solo sguardo.

 

***

 

Il Dottor Newton Crave aveva vissuto parecchie avventure nella sua vita. Per esempio, era stato mandato per il mondo già durante il suo apprendistato, così da poter studiare rimedi magici per ogni tipo di malattia. Oppure, era stato invitato a tenere conferenze nelle più importanti sedi accademiche del mondo magico. Da quando aveva accettato il suo incarico con le Banshee non aveva fatto altro che collezionare casi umani come se fossero stati figurine delle Cioccorane. Naturalmente, però, la sua avventura più grande era stata prendersi cura della sua adoratissima bambina, nonostante fosse stato poco più che ventenne e la madre non avesse voluto aver nulla a che fare con loro8. Non si era mai pentito di aver preso con sé Rosemary – grazie anche all’aiuto dei suoi genitori, da solo non sarebbe stato capace di curare un cactus ­– e mai l’avrebbe fatto. Certo, l’idea che lei avesse deciso di sposare quel… quel Weasley non lo rendeva felice. O fiero. Tuttavia aveva sempre pensato che avrebbe avuto tutto il tempo per convincerla a desistere e trovare qualcuno che fosse alla sua altezza.

Osservando un altro fra i suoi colleghi cadere in preda alle convulsioni, cominciò a temere che quel tempo di cui era sempre stato sicuro non fosse in realtà nelle sue disponibilità immediate. Erano rimasti in pochi e le creature stavano avanzando, per nulla colpite dai loro nulli tentativi di fermarle. Avevano provato qualunque cosa, ma le bestie erano come fumo e nulla sembrava infastidirle più di tanto. L’unico effetto vagamente positivo era stato raggiunto dall’Agente Rogers9 e solo con la sua polvere d’oppio10, nonostante lui avesse previsto di ritrovare le cose che li attaccavano morte e non semplicemente stordite. Le sue allegre imprecazioni da beneducato Canadese lo avrebbero fatto sorridere, in un qualunque altro momento.

Perché Rosie non si è innamorata di uno come lui?

«Doc» lo richiamò proprio Steve, dandogli un leggero colpo sul braccio e distraendolo dalle sue cupe elucubrazioni. «Non ci resta molta polvere, Spykoros l’aveva finita poco prima di essere preso» lo avvisò, lanciando un’occhiata piena di dispiacere al corpo martoriato del loro collega, ormai irriconoscibile. «Ha idea di cosa… di cosa gli abbiano fatto?».

Il suo disgusto era quasi commovente.

Crave sospirò, pizzicandosi la radice del naso. «Mentirei se ti dicessi di si, Rogers» gli comunicò a malincuore. «Sembra quasi una possessione demoniaca, eppure nessun tipo di esorcismo riesce a funzionare» continuò, inginocchiandosi per poter avere una visione ravvicinata del cadavere. Era stato, ovviamene, circondato da polvere d’oppio, così da non rischiare che qualunque cosa l’avesse colpito potesse intaccare altri. «Una volta che la creatura penetra nel corpo della sua vittima, questa perde qualunque controllo. Tutti hanno avuto iniziali convulsioni prima di cavarsi gli occhi e morire dissanguati».

«Però perdevano sangue da bocca, orecchie e naso ben prima di tirarsi via gli occhi» gli fece notare l’agente, con una smorfia. «Crede abbiano già avuto emorragie celebrali in corso?».

Crave accennò un sorriso stanco, rialzandosi e dando una pacca sulla spalla all’uomo più giovane. «Se usciremo vivi da questo posto, ricordami di presentarti mia figlia Rosemary» gli disse, confermando implicitamente la sua idea. Era un bravo ragazzo, Steve Rogers. In alcuni casi era fin troppo buono e con principi troppo sani, ma era un male che Newton era disposto a superare, davvero. Soprattutto per la sua bambina. «Dubito, comunque, che ne usciremo vivi. Non quando l’uomo più potente di tutto l’Ordine è anche lo stesso che ci ha venduti».

Lui l’aveva sempre saputo che quell’uomo non era normale. Non si era mai azzardato ad analizzarlo, poiché il regolamento lo impediva, ma la sua curiosità aveva fortunatamente avuto la meglio non più di un mese prima. Ufficialmente, infatti, Newton era entrato nel suo ufficio solo per lasciare dei referti. Ufficiosamente aveva indugiato fra i suoi documenti fino a trovare la sua scheda personale. Non aveva trovato nulla, ovviamente, ma l’impeccabilità della stessa era fin troppo strana per poter essere normale.

«Non perda le speranze, Doc, sono sicuro che gli altri verranno a cercarci. Non si dimentichi che la Peregrine è probabilmente la migliore fra tutti noi. Sicuramente ideerà qualcosa di brillante» provò a rassicurarlo Steve, prima di lanciargli un’occhiata furtiva ed anche piuttosto imbarazzata. «Quanto a sua figlia… mi dispiace, ma credo che le manchi qualcosa di fondamentale affinché la storia fra noi possa funzionare» confessò, passandosi una mano fra i corti capelli biondi. Il modo eloquentissimo in cui arrossì quando Newton si voltò a guardarlo con le sopracciglia inarcate lo avrebbe fatto scoppiare a ridere, in un altro momento.

«Buon per te, Rogers, fors-».

«Dottore!».

L’urlo terrorizzato dell’Agente Williams9 gli fece sprofondare il cuore fra i piedi, rendendolo pesante come il piombo. Fece appena in tempo a voltarsi prima che un’orda di bestie senza forma si scagliasse contro la loro ridicola difesa di polvere d’oppio, già ridotta all’osso dalla lunghissima attesa. Il rumore dello scontro con la debole barriera fu devastante oltre che inevitabile. Non c’era più nulla che loro potessero fare, nulla che potesse salvarli. Nonostante ogni cellula del suo corpo stesse urlando di non voler morire, di non voler abbandonare la vita senza aver almeno salutato Rose, non ci sarebbe stato nulla da fare per lui.

Mi dispiace, bambina mia.

Il colpo tanto atteso, tuttavia, non arrivò mai.

Pur avendo chiuso gli occhi per il terrore, Newton riuscì comunque a percepire un movimento strano tutt’intorno. Un movimento che di certo non apparteneva ad una bestia pronta a sbranarlo. Sbattendo le palpebre con giusto un filo d’ansia, si ritrovò occhi negli occhi con… con una pecorella?

La bestiolina evanescente trotterellava tutt’intorno a lui, accompagnata da animali della stessa natura ma, per la maggior parte, ben più grossi.

Un cervo, una lontra, un Thunderbird, un corvo, una volpe ed un leone11.

L’illuminazione colpì Newton nello stesso momento in cui la pecorella lo prese a testate, come se fosse stata una capra. «Usate l’Incanto Patronus! È l’unico modo per allontanarli, presto!».

La manciata di agenti rimasti, probabilmente racimolando tutta la forza rimasta nei loro corpi, si fece avanti evocando sempre più animali. L’aquila di Rogers e l’alce di Oswin Williams si unirono velocemente al pavone di Crave stesso e agli altri evocati, disperdendo velocemente le creature di fumo nero ed interrompendo, finalmente, il continuo rumore della battaglia a senso unico che li aveva quasi uccisi tutti.

Un momento dopo, Crave si ritrovò assalito dalla sua pecorella in carne ed ossa, furiosa per il rischio che aveva corso e sollevata di averlo ritrovato ancora sano e salvo.

«Porca puttana papà!» gli sbraitò in faccia, aggrappandosi a lui con braccia e gambe. «La prossima volta ti incatenerò nel recinto degli Spinati, almeno correrai meno rischi».

«Mi dispiace, bambina» le rispose lui, sentendo lacrime di sollievo pizzicargli gli occhi. «Mi dispiace di averti fatta preoccupare. Avrei dovuto sapere che saresti venuta a s- perché sei venuta a salvarmi? È pericoloso!».

«Se non fossi venuta a prenderti, saresti morto! Possibile che tu non possa mettere da parte la sciocchezza del padre protettivo dopo che ti ho salvato le chiappe?» rispose lei, furiosa, senza tuttavia staccarsi dall’abbraccio. «Non è modo di mostrare la tua riconoscenza, signorino, lo sai?».

«Avresti potuto mandare un dannatissimo patronus e basta! Io avrei capito!».

«Dubito che avrebbe capito qualcosa, dottor Crave» lo avvisò Hermione Granger, facendosi spazio fra gli altri suoi accompagnatori. Era un sollievo vedere che fosse sopravvissuta alla missione. «Questa non è una soluzione definitiva, in men che non si dica si ricostruiranno e torneranno a colpirvi».

«Cosa sono?» chiese Crave, ansioso. «Come possiamo sbarazzarcene definitivamente?».

«Si chiamano Terrori Notturni» si intromise un giovanotto a lui sconosciuto, con i tratti del viso che lo rendevano simile ad un roditore, nonostante fosse decisamente più grosso. Ed intelligente. «Non possono essere uccisi perché, in effetti, non esistono. Sono la materializzazione degli incubi, motivo per cui cambiano forma e sembrano non aveva un corpo vero e proprio».

«Tuttavia hanno ucciso i nostri colleghi» gli fece notare Rogers, che aveva appena finito di salutare con enorme entusiasmo Barry. Forse troppo entusiasmo. Newton avrebbe dovuto ricordare ad Ophelia di tenere gli occhi aperti. Sempre che Ophelia… «Emorragie interne, a quanto pare. Prima che si strappassero via gli occhi».

Il giovanotto strinse le labbra. «Potremmo dire che uccidano con la paura. Troppa paura tutta d’un colpo».

«L’eccessiva pressione sanguigna fa esplodere le arterie celebrali e pur di porre fine alle loro visioni ed al dolore, le vittime preferiscono strapparsi via gli occhi che continuare a soffrire» mormorò proprio Crave, con una smorfia. «Tutto torna. Ma il problema resta: come ce ne sbarazziamo?».

«L’unico modo è interrompere l’incantesimo che li genera» riprese nuovamente il ragazzo. «Stando alle nostre ipotesi, da qualche parte al piano di sopra dovrebbe trovarsi la fonte, oltre che il nemico in prima persona». Il suo sguardo si puntò sui suoi vari accompagnatori, in quel momento impegnati ad aiutare i vari agenti ancora sopravvissuti. «Abbiamo bisogno che voi teniate a bada le bestie e impediate loro di seguirci. Il rischio di essere fermati è troppo».

Crave annuì, allungando la mano per afferrare forse poco gentilmente sua figlia. «Tu torni a casa. Adesso» la avvisò, secco, senza tuttavia sorprendersi quando lei sollevò un sopracciglio nella sua direzione. «D’accordo, però resti qui dove posso controllarti».

Rosemary annuì, esasperata. «Era il mio piano, papà. Se dobbiamo morire, almeno lo faremo insieme».

Non era in dubbio da chi avesse preso la drammaticità.

«Preferirei non morisse nessuno» sbottò Hermione, facendosi avanti per lanciare uno sguardo verso le scale che li avrebbero condotti al piano terra. «Noi dobbiamo andare, voi fate attenzione» si raccomandò, facendo un cenno agli altri con cui era arrivata. Solo Rosemary e la Peregrine rimasero lì, aiutando i sopravvissuti e, soprattutto, spostando i cadaveri così che, se fossero sopravvissuti, avrebbero potuto aiutare gli altri.

«Credi che ce la faranno?» domandò il Dottore, lanciando un’occhiata a sua figlia. Avrebbe voluto rimandarla a casa, al sicuro, ma dubitava che lo sarebbe stata, a prescindere da quanto lontano potesse nascondersi.

Rosie si strinse un momento nelle spalle, prima di tornare ad abbracciarlo forte, proprio come quando era bambina. «Non lo so, papà. Ma se non dovessero farcela…».

Sentendo il cuore stringersi nel petto, Newton ricambiò la stretta. «Almeno siamo insieme».

«Sì, almeno siamo insieme».

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

Mi mancava Dante.

 

Questo è il penultimo capitolo, in teoria. Il prossimo sarà l’ultimo, poi solo l’epilogo.

Spero.

No, diciamola tutta, deve essere così, il venti ottobre inizia il Grand Prix di pattinaggio e io mi devo concentrare.

Io non ho una vita, ahah.

 

Punti importanti:

 

» * - DANTE! DANTE! DANTE!!!!!! Mi mancava Dante. Mi piace Dante. Adoro l’Inferno. Dante <3 Il Limbo vale un po’ per tutto, non credete? Kate era nel Limbo, ma anche il Dottore egli altri si trovavano in una specie di mondo a metà? Fra la vita e la morte.  

 

» 1 – Ok, come funziona tutto? Avete mai visto streghe? La proiezione astrale di Prue? Katie è rimasta al suo posto con il corpo, ma il suo spirito si è proiettato nel Limbo. Lei sente di avere il proprio corpo, in realtà non è così.

 

» 2 – Ho ripreso un po’ il Limbo dantesco, con i bambini non battezzati. In questo caso sono i bimbi troppo piccoli per aver avuto un’anima pienamente realizzata, come dei sogni, speranze e così via.

 

» 3 – Lupin. Sono pentita. Tanto. Dovrebbero essere felici e invece io li ho messi qui. Però vi assicuro che non soffrono. Dora visita spesso i bimbi perché l’istinto materno l’ha accompagnata anche lì.  

  

» 4 – Stare troppo fra i morti potrebbe render difficile tornare fra i vivi. Cose di anime, non crucciatevi troppo.  

 

» 5 – Lupin è così tranquillo, riguardo l’imminente catastrofe, perché lui è già morto. La cosa lo tocca molto relativamente.

 

» 6 – Ricordiamoci che le ferite di Kate sono state cauterizzate col fuoco. Nessun altro incantesimo potrebbe funzionare. Quindi ha così tante cicatrici, per ora, da fare invidia a Lupin stesso.

 

» 7 – I morti non mentono. Quello è il regno dei morti. Vale la stessa regola di Thanatos, gente.    

 

» 8 – Backstory: Crave ha avuto una storia con una geniale ma piuttosto egocentrica ricercatrice. Lei è rimasta incinta e gli ha detto di voler abortire. Newt si è fatto prendere dall’angoscia e le ha detto che avrebbe cresciuto la bimba da solo (o meglio, con i suoi genitori). Rosie è cresciuta alla grande, anche se padre e figlia sono giusto leggermente morbosamente legati.

 

» 9 – Sì, Steve Rogers. Captain America. Ovviamente non è davvero Captain America, sia chiaro, è solo un gentilissimo Canadese (io adoro il Canada). La seconda, Oswin Williams, è un incrocio fra “i Pond” e Oswin Oswald, chiunque abbia seguito Doctor Who li riconoscerà. <3

 

» 10 – Perché polvere d’oppio? L’oppio viene usato per la morfina, la morfina viene usata per le anestesie (più o meno, non siate pignoli). In un  certo senso l’oppio li rimanda nel loro mondo d’origine, quindi la Terra degli “Incubi”

 

» 11 – Sinceramente non avevo idea di come tradurre Thunderbird senza farlo sembrare meno figo. È la mia casa di Ilvermorny, ci tengo. Quanto ai collegamenti mago/Patronus:

Rosemary/Pecorella

Hermione/Lontra

Harry/Cervo

Barry/Thunderbird

Theo/Leone

Fred/Volpe

Peregrine/Corvo (LOL)

 

 

 

Se sono riuscita a pubblicare di lunedì, sono fiera di me stessa.

 

  

 

Ci siamo quasi, gente.

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

 

 

 

 

cxcmscm

 

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Capitolo 33
*** Atto XIII - Requiem aeternam ***


LErede del Male.


 

Réquiem aetérnam dona eis, Dómine,
et lux perpétua lúceat eis.
Requiéscant in pace.”.



[derivata dall'apocrifo “Apocalisse di Esdra”]

                                  

 

Atto XIII – Requiem aeternam

 

 

 

Theodore Nott era un giovane uomo che si era sempre vantato di avere delle chiarissime priorità nella vita. Al primo posto, per quasi ventun anni, c’era stata la sua sopravvivenza. Era assolutamente normale, da parte sua, voler evitare di fare una brutta fine in un contesto in cui suo padre sembrava non veder l’ora di buttarlo fra le fauci dei Mangiamorte ed i suoi ipotetici compagni di classe non vedevano l’ora di punirlo per le sue origini non perfettamente immacolate. Non aveva scelto lui di essere l’unico figlio sopravvissuto di uno dei tirapiedi più importanti di Lord Voldemort, dopotutto, quindi era più che naturale che il suo scopo principale fosse stato quello di evitare implicazioni che potessero portarlo ad una veloce dipartita. Le cose erano cambiate, tuttavia, con l’arrivo di Beth. Non era stato un cambiamento immediato, non c’erano stati momenti di rivelazione come quelli dei libri, in cui il protagonista si limitava a guardare negli occhi la più bella ragazza del posto e ad innamorarsene perdutamente.

Assolutamente no. Il loro primo incontro era stato burrascoso ed era quasi finito in rissa. Poi lei gli aveva puntato contro un indice accusatore, l’aveva minacciato di infilare un cucchiaio di legno in posti occulti e l’aveva informato di conoscere almeno sei vie differenti per nascondere un cadavere senza farsi scoprire. In quel momento Theo era caduto ai suoi piedi come una pera cotta ed aveva iniziato quel non troppo lungo processo di devozione che l’aveva spinto a mandare al diavolo tutti i suoi più cari principi e partecipare ad una missione di salvataggio a dir poco suicida.

Edelweiss era stata molto chiara, quando Weasley l’aveva scaricata davanti a lui come un grazioso ma inquietante pacco regalo. Se non si fosse unito a quel tentativo di suicidio di massa, Beth non sarebbe sopravvissuta al suo prossimo compleanno, che era piuttosto vicino. Non gli aveva spiegato perché, non gli aveva detto come la sua morte sarebbe potuta giungere e, sinceramente, Theo non si era neppure sprecato a chiederlo. Come fare a decifrare immagini oniriche di una bambina di quattro anni, quando lei stessa era troppo giovane ed inesperta per capire davvero il significato delle sue visioni? Una parte di lui dubitava che Edelweiss avesse compreso l’effettiva gravità di ciò che li stava costringendo ad affrontare. Però aveva toccato le corde giuste e, mosso da un feroce istinto di protezione, Theodore aveva messo da parte la sua scala di valori personali e si era materializzato a Casa Weasley, per unirsi a chiunque fosse stato richiamato alle armi.

Prima di partire, riportando a galla una delle poche abitudini materne che aveva mantenuto, aveva avuto il buonsenso di fermarsi al Manor dei Malfoy – in cui ancora aveva libero accesso, proprio come da ragazzo – e rastrellare tutti i libri che potessero contenere una qualche informazione utile su Negromanti, Succubi, Incubi e Magia della Morte in generale. Il totale dei volumi che aveva trovato poteva essere contato sulle dita di una singola mano e la sua ansia non aveva fatto che crescere a dismisura1. Non gli piaceva non avere informazioni sul suo avversario, non gli piaceva neppure avere poche informazioni su cosa avrebbe mangiato per cena.

La sua frustrazione era tanta.

«Cosa crederete che troveremo, una volta raggiunti gli altri?» chiese la Granger, facendo strada lungo i bui corridoi. I loro patronus erano stati mandati avanti in avanscoperta, così da evitare che potessero presentarsi brutte sorprese lungo la strada, ma fino a quel momento nulla li aveva ostacolati. Theodore non era riuscito a condividere il sollievo di Weasley, quando proprio lui aveva fatto notare quel dettaglio. Nessuna guardia, di solito, indicava una trappola imminente.

No, Theodore non era sollevato. Soprattutto perché era piuttosto sicuro che qualcosa si stesse muovendo alle loro spalle, silenzioso.

«Difficile a dirsi» le rispose Potter, a meno di dieci centimetri di distanza dall’amica. C’era qualcosa, in lui, che aveva fatto accigliare Nott. Qualcosa nel suo sguardo, forse, oppure nel suo modo di camminare. Non era riuscito a comprendere cosa fosse e, forse, non gli importava neppure scoprirlo. Però c’era e lui non riusciva a non vederlo. «Kate è ancora viva, in un modo o nell’altro credo che la troveremo lì, possibilmente insieme agli altri. In che condizioni li troveremo è un’altra domanda».

Weasley fece una smorfia. «Domanda che nessuno ha posto» precisò, voltandosi per un istante per cercare qualcosa nell’oscurità che li tallonava. Anche lui se n’era accorto, allora. «Cos’ha detto di preciso Eddie?» Qualcosa riguardo una vasca da bagno».

«Buttate la vasca con tutto il sangue» specificò Theo, con una smorfia. C’era stata qualche indicazione piuttosto vaga riguardo la necessità di controllare il sangue di qualcuno di loro, ma non era una informazione rivolta a lui, quindi non si era concentrato per ricordarla. Forse avrebbe dovuto. Stava iniziando a realizzare quanto poco sapesse del loro nemico, quanto dannatamente stupida fosse tutta quella spedizione. Edelweiss non gli aveva neppure assicurato che la sua partecipazione avrebbe scongiurato la morte di Beth.

«Immagino che capiremo una volta che l’avremo davanti agli occhi» azzardò il Magizoologo – Maine? Wisconsin?2 Era sicuramente uno dei cinquanta Stati americani – con una voce fin troppo ottimista per la situazione tragica in cui si stavano trovando. Theo non lo considerò pazzo solo perché, gettandogli un’occhiata, notò quanto fosse pallido e palesemente nervoso. Sua moglie era lì da qualche parte, stando alle informazioni ricevute da Weasley. Ed era incinta.

Al riguardo, Theodore aveva davvero un pessimo presentimento.

«Sempre se sopravvivremo abbastanza a lungo da raggiungere suddetta vasca» fece notare allora, tetro, imponendo a se stesso di andare contro qualsiasi istinto di autoconservazione e smetterla di voltarsi a fissare il vuoto assoluto. Qualunque cosa li stesse seguendo, era abbastanza veloce o talentuosa da non farsi scoprire da almeno tre persone – lui, Weasley e Potter – e palesemente non era intenzionata a rivelarsi nell’immediato futuro. Perché stuzzicare il can che dorme? Forse si trattava solo di qualche bestiolina arrivata lì per caso o fuggita dal sotterraneo del castello. Non era un mistero che le Banshee avessero laboratori di ricerca sulle più disparate scoperte magiche, che riguardassero nuovi incantesimi o creature era irrilevante per i suoi interessi.

La Granger gli lanciò un’occhiata storta. «Sai, Nott, avevo quasi dimenticato il tuo solare ottimismo» sbottò, senza riuscire più a nascondere un piccolissimo sorriso. «Era tutto ciò che mi motivava a non addormentarmi durante le lezioni di Storia della Magia al sesto anno3» aggiunse, stringendo le labbra per evitare che il sorriso potesse allargarsi a dismisura. Doveva aver ricordato l’episodio della Grande Carestia di Mandragole del 1271, uno dei momenti più alti della carriera di Theodore come studente.

Anche lui, nonostante l’ansia, non riuscì ad impedirsi di sorridere lievemente, attirandosi le occhiate strabiliate di Potter e Weasley. Washington – o Maine, Vermont, Hawaii che fosse – non stava prestando loro alcuna attenzione, comprensibilmente. Theodore si ritrovò a simpatizzare per lui. Aveva delle buone priorità nella vita. «Neppure le lezioni di Aritmanzia erano poi così male, Granger. Il tuo calcolo sul risultato delle gare di Quidditch è ancora utile».

A quelle sue parole, le sopracciglia di Weasley e Potter raggiunsero altezze spropositate. Fu il rosso a parlare per primo, mettendo una mano sul braccio della donna. «Hermione» disse, serio come Theodore probabilmente non l’aveva mai visto. «Hermione, usare l’Aritmanzia per il Quidditch è gioco d’azzardo» sbottò, senza riuscire a nascondere il tono decisamente entusiasta. Sembrava ammirato e, conoscendo il giro d’affari che intratteneva con il fratello, non c’era di che essere sorpresi.

«Ed il gioco d’azzardo è un reato» aggiunse Potter, molto meno felice del futuro cognato. «Hermione, non me lo sarei mai aspettato da te. Usare l’Aritmanzia per le scommesse… soprattutto quando hai sempre minacciato di fare la spia con la McGranitt se io e Ron avessimo anche solo pensato di provarci».

La Granger si strinse nelle spalle, tranquilla. «Io non l’ho mai usato, non mi piace il Quidditch e di certo non ho mai avuto intenzione di farmelo piacere. E per far scommettere te e Ron avrei dovuto usare quel calcolo. Che altri del mio corso abbiano dato uno sguardo alla mia idea per poi riproporla non mi riguarda» si giustificò. «E comunque, io godo dell’immunità».

Theo inarcò le sopracciglia a quella sua affermazione. «Sai, Granger, non sono certo che valga ancora. È evidente che l’Ordine sia caduto» le fece notare, indicando con un cenno le mura che li circondavano. Il silenzio innaturale intorno a loro era da brividi. «In quanti siete rimasti? Una trentina? Gli agenti sotto copertura di certo non potranno abbandonare tutto per correre ad aiutarvi».

«Gli agenti sotto copertura avranno ricevuto immediatamente il messaggio che li avvisava di non tornare indietro» confermò Hermione, con una smorfia. «L’Olimpo è caduto4, alla fine» sbottò, lanciando uno sguardo al suo unico collega presente, che abbassò gli occhi al suolo. «In questa particolare evenienza, tutti noi siamo ancora coperti dall’immunità diplomatica totale ed obbligati a dare la vita per fermare chiunque abbia provocato il collasso. Abbiamo prestato un giuramento quando il nostro ruolo è diventato effettivo».

«Un giuramento? Nel senso di un voto infrangibile?», lo sconcerto di Weasley era piuttosto evidente.

La Granger scosse il capo. «No, naturalmente no. È solo una questione d’onore, diciamo. In fondo, però, morire per fermare Sisifo e Tiresias è proprio la nostra intenzione, sempre che si riveli necessario. Noi Banshee siamo nate per questo, per difendere la Comunità Magica fino alla Morte».

«Ed oltre» aggiunse il Magizoologo, stizzito. «Avevo detto a mia moglie che avremmo fatto bene a ritirarci a vita privata anni fa».

«Dubito che se anche avesse voluto avreste potuto farlo» gli fece notare Potter, scuotendo il capo. Osservandolo, Theodore notò una certa rigidità nelle spalle, forse per lo stesso motivo che aveva stretto il suo stomaco in una morsa. Chiunque li stesse seguendo si era fatto molto più vicino. «Stando a quanto mi è parso di capire, siamo stati tutti manipolati da quel bastardo di un veggente. In questo momento ho paura che anche la scelta dello spazzolino da denti non sia stata mia».

La Granger rabbrividì, mordendosi il labbro. Doveva essere un argomento parecchio delicato per lei e – stando alle sue occhiate non troppo furtive – per un inconsapevole Weasley.

Un crepitio ben distinto li fece fermare tutti, come agghiacciati. Chiunque li stesse seguendo doveva aver deciso che fosse giunto il momento di palesarsi. Fu Potter a voltarsi per primo, la bacchetta in mano e negli occhi una determinazione che Theodore ricordava di aver già visto la notte in cui Hogwarts era arrivata al collasso. Lo sguardo di qualcuno deciso a fronteggiare qualunque cosa il destino avesse deciso di mettergli davanti. Theodore non amava quello sguardo, di solito anticipava esperienze suicide.

Nel tempo che tutti impiegarono a voltarsi, una figurina era riemersa dalle ombre, i lunghi capelli scuri lasciati liberi sulle spalle delicate ed i grandi occhi curiosi puntati proprio sull’Auror, quasi avesse voluto studiarlo attentamente. Quasi fosse stato un cagnolino molto buffo e apparentemente amichevole. Theodore non aveva la minima idea di chi fosse quella piccoletta, ma il suo sesto senso lo stava avvisando di tenere gli occhi aperti. Era assai improbabile che una bimba normale potesse trovarsi lì, al buio e circondata da creature praticamente appena uscite da un incubo.

Sempre che la bambina stessa non fosse un incubo.

«Andate via» fu tutto ciò che Potter disse, senza staccare gli occhi dalla piccola neppure per un istante. I due avevano preso a fissarsi come se anche solo in quel modo avessero potuto comunicare. «Andate adesso, non credo che impiegherà molto prima di esplodere come un petardo a Capodanno».

La Granger si fece avanti, una mano sulla spalla dell’amico. «Harry, cosa diavolo credi di poter fare? Nessuno ha idea di come fermare gli Obscuriali, men che meno tu» gli fece notare, cercando di tirarlo indietro, ma senza successo.

Anche il Magizoologo si fece avanti, ansioso. «Non essere idiota, sai bene cos’è lei, non puoi far nulla».

Evidentemente tutti e tre condividevano un’informazione che non si erano premurati di condividere con lui. Quattro, considerando lo sguardo preoccupato di Weasley. L’ansia di Theodore non fece che crescere ad ogni secondo battuto dall’orologio.

Potter scosse il capo. «Proprio perché so cos’è lei sono sicuro di cosa dico, quando vi chiedo di andare via» comunicò, senza tuttavia staccare lo sguardo da quello della bambina. C’era qualcosa, in lei, che terrorizzava Theodore. Gli sembrava di averla già vista, di averla già incrociata a qualche parte.

Ma dove? Non avrebbe potuto avere più di cinque o sei anni, lui non aveva conoscenze che rispecchiassero quei caratteri. L’unica eccezione era la figlia di Bellatrix e Rodolphus, ma lei era-

Paralizzato dalla realizzazione, Theodore dovette far forza su se stesso per non arretrare di colpo. Doveva essere lei, la bambina che tutti credevano fosse morta prima della battaglia. La bambina concepita ricorrendo ad una magia così oscura da non poter essere condivisa neppure con i fedelissimi di Lord Voldemort. La stessa magia che suo padre aveva usato quando a sua madre era stato comunicato che non avrebbe potuto generare figli suoi5.

Il più grande fallimento di Augustus Nott era stato il non essere riuscito a dare a Bellatrix Lestrange la stessa possibilità che lui aveva dato a sua moglie. Tutti lo ripetevano come un mantra, quasi volendosi confortare nell’idea che il pozionista più brillante mai passato per la Gran Bretagna non fosse poi così infallibile, che neppure lui fosse davvero riuscito a tirare i fili della natura, della biologia al punto di rendere fertile un corpo sterile. Lo avevano accusato di aver mentito riguardo la miracolosa nascita di Theodore, avevano ritirato tutte le onorificenze ed i premi che gli erano stati riconosciuti per la sua ricerca. Dopotutto, aveva fallito nel dare a Bellatrix – l’unica per cui avrebbe certamente fatto un’eccezione al suo famoso divieto di commercializzazione del siero – ciò che lei, il marito ed il Signore Oscuro desideravano, non c’era dubbio che avesse sempre mentito. Quel fallimento ne era sempre stata la prova.

Ma Augustus non aveva mai fallito.

«Quel laido figlio di puttana» fu il commento con cui Theodore attirò l’attenzione di tutti. «Ha davvero permesso che quel mostro si riproducesse, alla fine» sibilò, tentato di tirarsi via i capelli per la rabbia. Era un vizio che, a detta di Beth, gli sarebbe costato la calvizie prematura. Beth, che suo padre aveva promesso di non toccare nonostante fosse furioso con entrambi. Beth, che probabilmente era stata la vittima di uno scambio premeditato anni prima6. Si spiegava tutto. Partendo dalla volontà di collaborare con Voldemort nonostante avesse giurato di non utilizzare mai più il siero fin al suo volerlo abbandonare prima della battaglia. Suo padre sapeva cosa sarebbe successo, sapeva che lui un giorno avrebbe abbandonato tutto per amore di una Magonò e che nessun mago avrebbe mai potuto avvicinarla senza trovarsi Theodore stesso fra i piedi. Se lui non fosse stato lì ad aiutare quella squadra di pazzi, Tiresias avrebbe pagato il prezzo pattuito cinque anni prima ed avrebbe ucciso Beth, liberando l’unico erede della famiglia Nott dal suo peso. «Potter ha ragione, dovete andare via. Resterò io ad aiutarlo».

«Sei diventato scemo?» ruggì la Granger, voltandosi verso di lui come se avesse voluto fracassargli il cranio contro il muro. «Quella è una Obscurus! Ed un Horcrux».

Theodore strinse i denti, ringraziando mentalmente Edelweiss ed appuntandosi di comprarle il più bel vestitino da damigella mai creato, se fosse riuscito a sopravvivere e, quindi, a sposarsi. Le fialette che la piccola gli aveva fatto portare con sé erano un confortante peso all’altezza del cuore. «Un Horcrux può essere distrutto solo da un altro Horcrux e credo che Potter, anche se in minima parte, lo sia ancora» fu tutto ciò che disse, guardando la bambina dai capelli neri, immobile a circa settanta, ottanta metri di distanza. Non si era mossa da quando loro avevano iniziato a discutere. Dandosi poi un colpetto ad altezza del petto, Theodore si passò la lingua sul labbro inferiore. «Quanto all’altro piccolo problema, credo di poter fare qualcosa».

«Nott-».

«Hermione» sbottò Potter, decisamente più irritato di quanto non fosse stato fino a quel momento, «andate. Se anche non riusciremo a fermarla, potremo rallentarla abbastanza da darvi il tempo di raggiungere gli altri. Ophelia è fra le mani di quel mostro, così come George e Malfoy e Katie. Noi ce la caveremo, non sappiamo invece in che condizioni siano loro» spiegò, deglutendo rumorosamente. Era impallidito, ma era piuttosto comprensibile. «Barry, andate. Pensa a tua moglie, maledizione».

Il Magizoologo lo guardò per un lungo istante, prima di poggiare la mano sulla spalla della Granger. Weasley sembrava pronto ad andare, probabilmente spinto dal pensiero del gemello e della negromante cui era collegato. «Potter, fa’ in modo di sopravvivere. Tua cugina non se lo perdonerebbe mai se non dovessi farcela».

Potter sorrise leggermente. «Nel caso, chiamate vostro figlio come me. E cercate Ginny, voglio che i miei figli abbiano anche dei parenti dal ramo paterno che non siano disgustati al solo pensiero della Magia».

 

***

 

Rimasti soli, Harry si voltò in direzione di un Nott ben più cupo del solito. «Allora, credi di potermi illuminare riguardo il tuo segreto sugli Obscuriali? Tutta quella scenata coraggiosa di poco fa mi sta abbandonando e mi farebbe piacere una minima rassicurazione».

Nott lo guardò per un solo istante, tornando poi a concentrarsi sulla bambina. «Sono un pozionista, io… faccio pozioni. Di ogni tipo. Pozioni curative, pozioni d’attacco o di difesa. Posso avvelenare una persona in almeno settanta modi diversi, trentadue dei quali non lasciano segni» gli disse, cupo. «Potrei avere qualcosa capace di congelare la magia e questo qualcosa potrebbe riportare la bambina ad uno stato più umano, anche se solo temporaneamente. Quindi non rallegrarti, dovrai comunque farla fuori, con o senza esplosioni magiche».

Harry lo fissò per un lungo istante, consapevole dell’orrore dipinto sul suo viso. «Tu hai inventato cosa?» gli chiese, indeciso fra il sentirsi spaventato o disgustato. Bloccare la magia era… assurdo. E potenzialmente disastroso. Congelarla per farne cosa? Era forse un progetto voluto da Voldemort? Suonava come un progetto di quel folle. E perché lui lo stava sviluppando? Quali erano i suoi interessi?

Nott strinse le labbra. «Potter, calmati. Ho semplicemente portato a termine un progetto che il Ministero mi ha richiesto, volevano usarlo come metodo punitivo sostitutivo dei Dissennatori, ma c’è stato un veto della Confederazione, non verranno mai usate. Io ho l’unica fialetta ancora esistente e non sono neppure sicuro che funzionerà» ammise, esasperato. «Ammetto di aver sperato di invertire il processo e sviluppare la magia nella mia fidanzata, ma lei non me l’avrebbe mai permesso» aggiunse, con un certo imbarazzo. «Adesso ti dispiace concentrarti sul vero problema? La piccoletta ha iniziato a ridere ed io sono sinceramente inquietato».  

«Per lei è divertente» sbottò Harry, guardando il piccolo Horcrux come se lei personalmente avesse preso a schiaffi la sua ritrovata, per quanto fasulla, serenità. Perché avrebbe dovuto preoccuparsi, dopotutto, se ai suoi occhi loro due non erano altro che due pivellini? Per lei, quello che si sarebbe svolto da un momento all’altro sarebbe stato solo un momentaneo intoppo. «Quando ho ricominciato ad avere i miei incubi, ho anche ricominciato a sentire il collegamento con l’altra parte dell’anima di Voldemort» spiegò, avanzando di qualche passo. «Mi ero chiesto il perché della sua presenza nel Limbo, ma non immaginavo certo che fosse perché ce n’era ancora uno ben nascosto7».

«Intendi dire che il Signore Oscuro non è davvero morto?» chiese Nott, le sopracciglia scure aggrottate. «Hanno seppellito il suo corpo, la notizia era su tutti i giornali. Non hanno neppure detto dove proprio per evitare che la sua tomba potesse essere oggetto di attenzioni indesiderate o, ovviamente, della prosecuzione di un culto sulle sue opere».

Harry strinse le labbra. «Hai letto dei libri sulla Negromanzia, Theodore. Hai già una pallida idea di cosa Kate e quelli come lei possano fare. Credi davvero che la morte del corpo possa porre fine all’anima? Voldemort è sopravvissuto per tredici anni senza un vero corpo, immagino che parte della sua essenza possa ancora sopravvivere in noi» spiegò, indicando con un cenno la piccola. Lei si era avvicinata lentamente, come per studiarli meglio, e non sembrava intenzionata a far loro alcun male. Per il momento, ovviamente. Testando un po’ la sua fortuna, Harry decise di provare qualcosa che credeva di non aver più la capacità di fare. O almeno così aveva sperato. «Tu sai chi sono io?». Le parole uscirono dalle sue labbra con la stessa naturalezza di un tempo, quasi non avesse mai smesso di praticarle. Non si rese quasi conto di aver cambiato lingua, a tradirlo fu solo la sensazione decisamente estranea della lingua contro i denti. Nott, al suo fianco, si irrigidì. Non doveva aver mai visto quel talento al di fuori di Voldemort. Forse lui non si era iscritto al Club dei Duellanti, quasi dieci anni prima8.

La bambina si illuminò di un sorriso immenso, facendo internamente morire Harry. Una parte di lui era colmo d’orrore nel vederla così tranquilla, così normale e innocente. Un’altra parte aveva ricevuto conferma della sua reale natura e temeva di non poter fare nulla per fermarla. Non aveva una spada o del veleno di basilisco, con sé. A sostegno di quel suo insensato gesto di coraggio c’era solo l’assurda convinzione che Horcrux potesse distruggere Horcrux, proprio come credeva fosse accaduto quattro anni prima.

«Certo che ti conosco! Tu sei quello che ha ucciso mio padre» rispose la bambina, puntandogli contro il piccolo indice della mano paffutella. «Anche tu parli con i serpenti! Neppure Tiresias ci riesce. Non mi piace che anche tu sappia farlo» gli comunicò, incrociando quindi le braccia al petto. I contorni del suo corpo sembrarono tremolare, la sua immagine farsi più sfocata. «Perché sei venuto qui? Io non voglio parlarti». Voltatasi leggermente, la piccola scorse Theodore, che sembrava ad un passo dal volersi fondere con la parete di pietra. «Lui mi piace, anche se ha la pozione che mi toglie la magia».

Il mugolio terrorizzato che Nott emise avrebbe fatto sorridere Harry, se lui stesso non fosse stato sul punto di farsela sotto.

«Non avere paura, ti ucciderò in modo poco doloroso» tentò di rassicurarlo la piccola, con un gran sorriso tutto fossette. «Nessuno si è mai lamentato e Tiresias ha sempre detto che sono una bambina molto pulita e beneducata» continuò, dondolandosi sui talloni con un sorriso incantevole quanto lei.

«Com’è… confortante» mormorò Nott, lanciando un’occhiata ad Harry, una mano già infilata nel mantello, forse per recuperare la pozione. «Che ne dici di non uccidermi afffatto? Sai, avrei un matrimonio a cui prendere parte».

La bimba sorrise di più. «Quale matrimonio? Mi piacciono i matrimoni, le signore si mettono vestiti da principesse! Tireasias dice che quando tornerò in vita anche io potrò mettere un vestito come quelli» spiegò, sbattendo quasi subito il piedino per terra e lasciando che, ancora una volta, i suoi contorni sbiadissero pericolosamente. Harry non aveva mai assistito alla trasformazione di un Obscurus e non era decisamente pronto a farlo in quel momento. «Vuoi dirmi chi si sposa?».

«Io, io dovrei sposarmi. Non posso farlo se tu mi uccidi, sai?».

La piccola bocca si aprì leggermente in una smorfia di scontento. «Oh, è un peccato. Mi sarebbe piaciuto vedere un matrimonio, ma tu devi morire, Tiresias ha detto che nessuno deve raggiungere lui e la signora che fa paura».

«Hai fatto passare gli altri, però» le fece notare Nott, attirandosi un’occhiata allibita da parte di Harry. Invece che farle scordare gli altri lui li stava usando per rinfacciare un qualche trattamento di favore? Avrebbe potuto mettere a rischio l’intera missione, per Merlino! «Mi rifiuto di credere che tu li abbia dimenticati davvero. Dimmi, credi che ucciderci sarà così tanto un giochetto da ragazzi da poterli poi raggiungere senza che Tiresias se ne renda conto? Sei una povera sciocca».

Che diavolo…?

«La stai facendo irritare» gli fece notare l’Auror, con una certa stizza. «Cosa credi di f-», qualunque cosa avesse voluto dirgli, gli morì in gola sotto il peso di un incantesimo silenziatore. Nel panico totale, Harry si voltò a fissarlo, ritrovandolo tutto intento a ricambiare lo sguardo della bambina.

«Credi ci abbiano lasciati qui senza un motivo? Noi possiamo distruggerti in modo tale che neppure Sisifo potrà riportarti in vita. Possiamo fare in modo che tu non torni mai più in vita» continuò a stuzzicarla, facendosi coraggiosamente avanti di vari passi. Quando abbassò la mano in cui non reggeva la bacchetta, Harry notò che stesse tenendo un’ampolla con dentro un liquido bluastro. La pozione.   

I contorni della bambina tremolarono di più ed un brivido gelido attraversò Harry. Doveva essere il suo istinto di autoconservazione che, dopo essere tornato in servizio per quattro anni, decideva nuovamente di fare i bagagli e tornare nello steso paradiso tropicale in cui doveva aver trascorso i sette anni che Harry aveva trascorso in guerra – più o meno dichiarata – contro Voldemort ed i suoi scagnozzi. Il suo pensiero corse a Ginny, in quel momento probabilmente rinchiusa in una stanza dai suoi fratelli così che non li raggiungesse per combattere, ed ai suoi bambini. Se quella creatura avesse perso il senno, lui non avrebbe avuto alcuna possibilità di conoscerli.

Sarebbero stati degli orfani, proprio come lui.

Ma Nott non sembrava curarsi dei suoi crucci interiori.

«Sei una bambina viziata, credi davvero che una volta morta ti riporteranno in vita? Probabilmente ti hanno mandata qui perché così ti saresti tolta dai piedi» insistette, beffardo, avanzando con un cipiglio sempre più fiero e superbioso. La pozione era ben stretta nel suo pugno, nascosta alla vista della piccola ma ancora visibile ad un ammutolito Harry. Condividere il suo piano non doveva essere nelle sue intenzioni. Forse far morire il povero Bambino Sopravvissuto senza dargli modo di partecipare attivamente era un modo perverso per aiutarlo. Voleva evitargli l’angoscia, forse.

Oppure non aveva la minima considerazione dei suoi interessi e credeva che Harry l’avrebbe seguito a prescindere da tutto.

«Stai zitto» intimò la bambina, le labbra strette con furia. Qualcosa di oscuro si stava sprigionando da lei, quasi la sua ombra avesse improvvisamente deciso di estendersi nella terza dimensione per assorbire tutto ciò che avrebbe potuto trovare sul suo cammino. Come se avesse voluto inghiottirli tutti, lei per prima. «Non farmi arrabbiare, signore. Io non voglio arrabbiarmi» aggiunse ancora lei, questa volta con una strana nota di preoccupazione ad incrinarle la vocina angelica.

La realizzazione colpì Harry come un pugno allo stomaco. Credeva di aver già realizzato quanto giovane fosse quella vittima innocente di Voldemort e Tiresias, ma si era sbagliato. Si era sbagliato terribilmente. Nessun Obscuriale era mai sopravvissuto e l’unico con cui Newt Scamander avesse avuto modo di parlare9 aveva solo accennato al terribile dolore che le esplosioni di magia potevano portare. Era uno shock terribile che aveva spinto tanti bambini, fra cui anche Ariana Silente, a rinchiudersi in se stessi, scollegarsi dalla realtà per illudersi che quell’orrore non stesse accadendo proprio a loro. E quella bambina non era diversa, nonostante la sua mente fosse stata controllata per tutta la sua vita. Nonostante fosse stata plasmata affinché potesse diventare un’arma di distruzione di massa.

Era solo una bambina ed aveva paura del dolore.

E loro avrebbero dovuto ucciderla.

La paura di morire era solo un ingrediente nell’enorme miscuglio che si stava agitando nel suo piccolo cuore, solo un mattone nella muraglia che le stava precipitando addosso. La bambina sarebbe dovuta morire a prescindere, perché così era stato previsto, così le era stato inculcato. Morire l’avrebbe liberata dal suo dolore, ma morire faceva paura, quasi più paura del dolore ma non a sufficienza da spingerla a ribellarsi ai suoi padroni.

«Potter». Il richiamo di Nott lo tirò via bruscamente dalla sua trance, facendogli sbattere le palpebre un paio di volte. «Conosco quello sguardo e non ti permetterò di mandare tutto all’aria» lo avvisò, con una smorfia irata. Era arretrato nuovamente fino ad affiancarlo, la fiala non più nascosta perché la bambina era ormai troppo presa dai suoi dolori per prestare loro alcuna attenzione. La trasformazione era stata innescata, l’esplosione era sul punto di presentarsi.

«È solo una bambina, dovremmo tentare di aiutarla» esalò Harry, senza riuscire a guardarla per un secondo in più. In una parte recondita della sua mente sentiva il suo dolore, la sua disperazione e la paura. Le percepiva come se fossero l’eco di sue emozioni passate. Forse lo erano. Dopotutto, anche lui era stato solo un bambino spaventato rinchiuso in un sottoscala buio e polveroso quanto doveva esserlo la gabbia in cui la bambina aveva costretto la sua innocenza per poter sopravvivere tanto a lungo.

    «È quello che stiamo tentando di fare, Potter». Nott lo afferrò per il braccio, scuotendolo piuttosto violentemente. «Credi davvero ci sia un’altra possibilità di salvezza, per lei? Preferiresti condannarla a vivere con quello spettro dentro di lei? Mettiti nei suoi panni. Se qualcosa ti stesse soffocando dall’interno, giorno dopo giorno, e tu non potessi far nulla per fermarlo o rallentarlo… non preferiresti mettere fine a tutto?».

Harry non riusciva neppure a contemplare quell’idea. La possibilità di dover porre fine ad una vita così innocente, così giovane lo stroncava.

«Togli la testa dal culo, Potter, e guardala!» sbottò di nuovo l’altro, indicando la massa informe ed oscura che lentamente stava esplodendo dal petto della bambina. «Io non posso far altro che darti modo di aiutarla, ma solo tu puoi ucciderla, tu sei un Horcrux, sai cosa vuol dire. Toglile quel mostro dall’anima e lasciala libera» gli intimò, secco, abbassando tuttavia il tono di voce così da renderlo più gentile. «La mia pozione dovrebbe poterla rallentare, tu hai qualche minima idea di come… finirla?».

Stranamente – e miracolosamente – Harry riuscì a riprendere il controllo di se stesso. Aveva pensato alla bambina come un Obscuriale, qualcosa che nessuno conosceva e che lui aveva solo associato con una paura ed un dolore a lui sconosciuti. Lui non aveva mai avuto timore della propria magia. Ma Nott aveva ragione, loro erano entrambi Horcrux. Harry sapeva cosa significava avere quel mostro nero sul fondo del cuore. Lui era stato libero per anni, prima di subire gli effetti di quel parassita, lei, invece…

Doveva aiutarla.

«Per distruggere un Horcrux, bisogna distruggere il suo contenitore in modo che non possa più essere ricostruito» spiegò, senza degnare di un’occhiata Nott, che aveva già tolto il tappo alla sua pozione. L’Obsurus era sempre più grande, sempre più potente. Solitamente si trattava di esplosioni di magia, ma quel mostro era fin troppo esperto nel cambiamento, aveva imparato a mangiare la sua piccola ospite un morso alla volta, lasciando che soffrisse. «Credo che un’Avada Kedavra possa funzionare, se scagliato da me».

Nott strinse le labbra. «Tu, però? Credi di essere ancora un Horcrux?».

Harry si strinse nelle spalle, sentendo il cuore quasi esplodergli nel petto. «Non lo so, il mio Horcrux potrebbe essere rimasto al suo posto, ma potrebbe essere solo un eco. La Magia nera lascia sempre dei segni, ovunque passi… se lei dovesse morire per mano mia, allora io stesso potrei morire».

«Sei disposto a rischiare?».

«No, ma dovrò farlo comunque. Per Ginny, per i miei figli e per tutti gli altri».

I due si guardarono per un lungo istante, poi Nott annuì. «Draco aveva ragione nel dire che voi Grifondoro siete dei veri martiri» fu il suo commento, vagamente ilare. Il suo black humour era famoso in tutta Hogwarts, dopotutto. «Tieniti pronto, non ho idea di cosa succederà quando la colp- sta arrivando!» urlò all’improvviso, dando ad Harry il minimo preavviso necessario ad alzare la sua bacchetta e puntarla dritto davanti ad entrambi, evocando uno scudo come minima difesa. L’impatto dell’essere oscuro contro di esso gli fece tremare le gambe, l’intero braccio si contrasse come in preda ad uno spasmo.

Non aveva mai risposto ad un attacco così potente.

Stretti i denti, tentò di raddrizzarsi e avanzare ma, nonostante l’aiuto dello scudo evocato da Theodore, non riuscì a far altro che limitare il proprio arretramento a pochi passi. «Non possiamo trattenerlo! Serve la pozione! Aspetta che torni indietro per prendere la mira, allora io abbasserò la protezione per un istante e tu la colpirai!» gli urlò, lanciandogli uno sguardo velocissimo solo per assicurarsi che fosse capace di muoversi. Un altro potentissimo attacco della creatura li fece balzare indietro di parecchi centimetri. Oltre al braccio, anche la spalla aveva iniziato a dolergli. «Nott, adesso!»

Il movimento fulmineo con cui Nott scagliò la fiala fu ammirevole, soprattutto perché riuscì a centrare il suo terrificante obiettivo, aprendogli un foro luminoso proprio al centro. Sembrò quasi che un raggio ghiacciato l’avesse attraversato, lasciando che il gelo si diramasse da quella prima feritoia con una velocità impressionante. Cristallizzato, l’Obscurus restò a pochi metri da loro, bloccato nella sua purissima essenza magica, come un’ombra imprigionata in un cristallo.

Sfiniti, i due crollarono in ginocchio al suolo, tenendosi il petto e respirando a fatica.

«La mia pozione blocca la magia, la cristallizza e la rende inutilizzabile» spiegò Nott, una volta recuperato il fiato. «Un Obscuriale è pura magia incontrollata. L’ho… pietrificato».

Harry restò per un istante immobile a fissare quella strana statua davanti a loro, una brutta sensazione allo stomaco. «Ho la sensazione che se dovessi colpirlo con qualunque incantesimo finirebbe con l’esplodere. Ti prego, dimmi che sto esagerando e che sono un pessimista».

Nott strinse le labbra, scuotendo poi il capo. «Mi dispiace, Potter, ma temo tu abbia ragione. Credevo che sarebbe regredita al suo corpo umano, mentre così… posso solo ipotizzare che sarà come far scontrare due incantesimi potentissimi. Spezzeremo il fisico ma l’impatto sarà… distruttivo». Lentamente si passò una mano sugli occhi, forse cercando di nascondere le lacrime di rabbia e paura che involontariamente avevano cercato di fuggire via. «Non c’è via d’uscita, Potter. La pozione non è infinita, a breve dovrebbe perdere i suoi effetti».

«Tu puoi smaterliazzarti via, Nott. Solo io devo morire» gli disse, in un modo di cavalleria che non era del tutto scomparsa in quegli anni. «Va’ via, trova la mia fidanzata e dille che mi dispiace e che non ho mai smesso di amarla, neppure un istante».

La risata di Nott suonò disperata anche alle orecchie di Harry, che non poteva negare di essere un po’ tardo. «Potter, io non posso andare da nessuna parte. Non ci si smaterializza dal Quartier Generale delle Banshee e l’unica uscita è…» indicò l’Obscuriale, «proprio lì dietro. Sono incastrato qui tanto quanto te, non potrò portare alcun messaggio a tua moglie. O baciare la mia per l’ultima volta» confessò, la voce roca. «Non c’è niente da fare, al riguardo, quindi tira fuori il coraggio Grifondoro e uccidi quel mostro».

Harry lo fissò per qualche istante. «Non ho mai pensato che sarei morto al fianco di un figlio di Mangiamorte10» gli disse, rialzandosi ed allungandogli la mano libera affinché potesse imitarlo.

«Siamo tutti uguali davanti alla morte, Potter. Adesso fallo, prima che io me la faccia sotto dalla paura. Voglio morire con dignità».

Era il massimo che avrebbe ottenuto da lui, ma ad Harry fu sufficiente. Avrebbe voluto morire circondato da persone amate, avrebbe voluto dire i suoi addii come l’ultima volta.

Avrebbe dovuto sentirsi abbandonato, disperato. Aveva paura, era desolato, ma l’inevitabilità del suo destino gli impedì di perdersi. Ancora una volta, tutto si riduceva ad un faccia a faccia con i suoi incubi. Ancora una volta, il Bambino Sopravvissuto doveva affrontare la Morte a testa alta.

Questa volta, semplicemente, non sarebbe tornato indietro.

Sollevò la bacchetta, distogliendo lo sguardo dall’unica lacrima sfuggita al controllo di Nott.

Mi dispiace Ginny.

Inspirò profondamente, lasciando che i muscoli delle spalle si rilassassero.

Mi dispiace, ti prego di perdonarmi.

«Avada Kedavra».

Ti amerò per sempre.

 

***

 

Kate si svegliò dalla sua trance inspirando bruscamente, liberandosi dalla presa di Draco e tossendo per cercare di riacquistare la funzionalità della gola più velocemente. Nonostante lo sguardo appannato, riuscì a scorgere benissimo l’espressione straziata del suo Auctor, le mani portate al petto quasi avesse provato il suo stesso dolore. Quasi avesse voluto nasconderle anche alla propria vista, tanto era l’orrore di ciò che lei l’aveva costretto a fare. Era pallido – prevedibile, essendo morto – ed appariva piuttosto malaticcio. Se avesse avuto un battito cardiaco ed uno stomaco funzionante probabilmente avrebbe dato di stomaco per l’ansia.

«Quanto… quanto tempo è… passato?» gli domandò lei, afferrandolo per il braccio così da potersi tirare a sedere, seppur con parecchie difficoltà. La testa le girava e le ferite cauterizzate bruciavano e prudevano in modo infernale.

Draco la fissò per un istante come se avesse voluto ricominciare a strozzarla11. «Neppure un minuto. Non chiedermelo mai più, ti prego» la supplicò, respirando velocemente come se fosse stato sul punto di iperventilare. «Credevo di averti uccisa» esalò poi, a bassa voce. Kate riuscì appena a sentirlo a causa del fracasso che Sisifo e la sua rabbia stavano provocando a pochi passi da loro.

«Tranquillo caro, un lieve soffocamento per alcuni è addirittura piacevole».

«Lasciamo questo tipo di negoziazioni per la camera da letto, che ne dici?» fu la risposta che lui le dedicò, sarcastico. Gettò un’occhiata alle sue spalle, probabilmente preoccupato dai gemiti addolorati di Tiresias. «Non credo che quel teatrino durerà ancora a lungo. Sei riuscita a trovarla? Ha deciso di aiutarti?».

Kate strinse le labbra, piuttosto restia a confessare le dinamiche del suo delizioso incontro con Beatrice Vane. «Ha deciso di aiutarci, sta solo aspettando che io le faccia superare il confine fra i due mondi» mormorò, lanciando un’occhiata preoccupata alle spalle che Winter stava voltando loro. Aveva smesso di colpire l’amante immortale ma ancora non si era voltata a guardarli. Che stesse riprendendo il controllo di sé? Che stesse combattendo una lotta interiore fra i due aspetti del suo essere?

C’era speranza.

«Vi farà piacere sapere che abbiamo visite» commentò all’improvviso, quasi l’avesse sentita. Lentamente Sisifo si voltò, un sorriso sadico ad incurvare le labbra di Winter mentre i suoi occhi si puntavano alle spalle di Kate e Draco, oltre anche i corpi pietrificati nella fuga di Ophelia e George. Con orrore, Kate realizzò che dovesse esserci qualcun altro con loro, qualcuno che lei non aveva previsto si presentasse. «Fred Weasley, proprio l’uomo di cui avevo bisogno».

Kate avrebbe voluto voltarsi e prendere a schiaffi il gemello apparentemente oltre la barriera temporale. Se Sisifo avesse ottenuto anche solo una goccia del suo sangue – e l’avrebbe ottenuto senza orma di dubbio – sarebbe stata la fine per tutti loro.

«Cos’hai fatto a mia moglie?» fu il sibilo terribile di Barry a far stringere il cuore di Kate e darle il coraggio, finalmente, di voltarsi. Erano lì, tutti e tre, uno più pallido e terrorizzato dell’altro, fermi sulla porta a causa della barriera temporale. Hermione aveva le braccia alzate nel vano tentativo di distruggere l’ostacolo, pietrificata dalla scoperta che le si era parata davanti agli occhi.

«Io nulla, ma temo che la sua angoscia abbia ucciso il vostro embrione» rispose Sisifo, ridacchiando. I suoi occhi si spostarono velocemente sull’unica donna del gruppo, brillando d’irritazione. «Hermione Granger, che razza di volgarità ci sono nella tua testolina!» la riprese, tirando fuori il vecchio accento strascicato del sud degli Stati Uniti che era stato tanto caro a Winter. «Naturalmente ti sto leggendo nel pensiero, questo corpo apparteneva alla più grande Legilimens mai passata per questo mondo, credevi forse che io avrei rinunciato a questo privilegio, dopo che il povero Tiresias ha dovuto faticare tanto per convincere Mulciber a riprodursi?» le chiese, scuotendo il capo e lasciando dondolare i capelli neri sulle spalle. L’incantesimo di dissimulazione con cui Winnie li aveva sempre resi biondi non era più attivo, Sisifo non aveva alcun motivo di continuare a mantenerlo attivo.

Con un gesto, Kate intimò a Draco di stare in silenzio e di allontanarsi da lei. Il suo tentativo di lamentarsi venne immediatamente stroncato sul nascere con un solo sguardo da parte sua. Lui, dopotutto, doveva obbedirle. Nel frattempo, Barry aveva raggiunto sua moglie e George, separato da loro solo da una barriera invisibile. Kate non riuscì ad immaginare cosa stesse provando e preferì non pensarci. Se le cose fossero andate come lei aveva ipotizzato, quel suo dolore non sarebbe stato eterno.

La sua certezza tuttavia vacillò quando Barry spostò lo sguardo e, finalmente, notò anche lei.

«Ah, sì, anche quella è opera mia» si rallegrò Sisifo, con un sorrisino. Tornò a guardare Kate, la sua tranquillità quasi disturbante. «Certo, fosse per me sarebbe morta, Malfoy è riuscito a ricucirla. Ma non preoccupatevi per il suo viso, non permetterò che vada in giro così sfregiata! Ho intenzione di ucciderla per… uhm… seconda» rifletté, piegando il capo di lato. «Il primo a morire dovrai essere tu, Fred. Una volta morto tu, potrò finalmente occuparmi di quella creatura».

«Prima di uccidere Trina, dovrai passare sul mio cadavere!» ringhiò Barry, scagliandosi con violenza contro la barriera e facendola vibrare. Si trattava di una vera e propria cupola che li circondava in ogni direzione, spessa almeno un paio di metri. Philly e George erano incastrati lì in mezzo, pietrificati in un istante eterno. Kate sentì gli occhi pizzicarle al solo guardare l’orrore nel viso dell’uomo che avrebbe voluto poter chiamare padre. Il suo dolore non sarebbe mai scomparso davvero.

«Posso sempre uccidervi tutti davanti ai suoi occhi» rifletté Sisifo, fingendo di riflettere su quella possibilità. «Ovviamene lei non può nulla contro di me e ne è consapevolissima, però spera davvero di potermi rallentare abbastanza da consentirvi di fuggire ed aiutarvi, altrimenti dubito che sarebbe rimasta in silenzio per tutto questo tempo».

«Sempre geniale, Sisifo» si congratulò la Succubus, tentando di inarcare le sopracciglia ma rinunciando in partenza. Il suo viso era quasi completamente atrofizzato, le cicatrici le rendevano difficili anche le parole più semplici.

Fu Hermione a parlare, a quel punto, un sorriso vittorioso. «Mi sembra di ricordare che la Captio Temporis possa essere spezzata solo dall’esterno e soltanto da una persona diversa da quella che l’ha evocata. Una misura di sicurezza dei tempi antichi, si dice che Morgana l’avesse inventata per consentire che nessuno potesse toccare Camelot fino al ritorno di Re Artù e, con lui, dell’altro grande Mago, Merlino». La guardò con un sorriso vittorioso. «Non puoi fare assolutamente nulla».

Sisifo annuì, stringendo le labbra per tentare di nascondere un sorriso. «Hai ragione, naturalmente. Tuttavia non hai forse notato il silenzio di qualcuno? Qualcuno solitamente molto loquace?» le chiese quindi, accennando con il capo alla destra di Hermione. Kate, con orrore, vide Fred con le braccia alzate e lo sguardo completamente vuoto, intento ad eliminare tutto ciò che impediva a Sisifo di poter completare il suo piano malefico.

«Non toccarlo, Hermione!» l’urlo di Kate arrivò un attimo prima che l’altra donna potesse muoversi in direzione di Fred. «È controllato da Sisifo, non ci penserebbe un momento ad ucciderti e lui non se lo perdonerebbe mai» la avvisò, tentando di rialzarsi proprio mentre la Captio Temporis crollava tutt’intorno a loro, disperdendosi in una nube traslucida. George riprese la sua corsa, fermandosi, confuso, quando Barry gli strappò Ophelia dalle braccia, stringendola a sé con cupa disperazione. Lei era ancora senza sensi, sporca di sangue sfortunatamente suo.

«Non sei poi così sciocca, allora, Succubus» si complimentò Sisifo, mentre Fred avanzava lentamente verso la vasca, incurante dello sguardo disperato di Hermione. «Osserva il destino arrivare al suo naturale compimento, dopo millenni d’attesa!». Un dolore sordo impedì a Kate di risponderle, mozzandole il respiro in petto e facendole piegare le ginocchia. Maledizione Cruciatus, realizzò una parte di lei, quella abbastanza lucida e non impegnata ad urlare con tutto il fiato che aveva a disposizione. Sisifo aveva recuperato la bacchetta di Winter, anche se Kate dubitava fortemente ne avesse davvero bisogno.

Le braccia di Draco si strinsero intorno a lei in un momento e velocemente anche Hermione la raggiunse, aiutandolo a sorreggerla. Fred era quasi giunto all’enorme vasca d’oro.

Ora o mai più.

Tutte le forze di Kate si concentrarono in quella singola azione, in quella preghiera.

«Stellina mia, fermati».  

 

***

 

Sisifo si congelò, improvvisamente rigido. I suoi occhi chiarissimi si spostarono lentamente fra i vari occupanti della Sala, passando da George, Philly e Barry – i più lontani –, per poi spostarsi su Hermione e Draco. Solo alla fine guardò Kate, ancora accasciata al suolo ma con i grandi occhi neri spalancati e puntati su di lui. Su loro. A parlare non era stata la sua voce, non c’era traccia del suo pesante accento irlandese. Al suo posto c’era un tono gentile, garbato, dolce come quello di qualunque madre.

«Sei andata a recuperare uno spirito nel Limbo?» chiese Sisifo, inarcando le sopracciglia. Hermione sentì le proprie gambe tremare al solo sentire il suo tono. Era gelido, terrorizzato. Avrebbe giurato ci fosse anche una nota di rispetto sotto il più evidente disappunto. «Nostro padre ha sempre proibito di avventurarsi lì senza di lui, ti ammiro per il tuo coraggio, Succubus, ma temo che sia stato un rischio inutile».

Alle loro spalle, Fred ricominciò a camminare verso la vasca, entrambe le braccia sollevate. Hermione – che sinceramente non aveva idea di cosa stesse succedendo – fissò prima lui, che per tanto tempo aveva amato senza neppure rendersene conto, e poi George, intimandogli in silenzio di arretrare. Barry sapeva come difendersi dai Terrori Notturni e Philly aveva immediato bisogno di assistenza medica. Avrebbero dovuto approfittare di quel momento di distrazione per mettersi in salvo.

«No, Granger» fu il sussurro di Draco ad impedirle di rendere più evidenti le sue intenzioni all’altro gemello, che restò a fissarla finché Sisifo non ricominciò a ridere in modo maniacale. «Ophelia e suo marito sono gli unici che possono aiutare Kate a mantenere il controllo. Averli qui, per quanto terribile, la aiuterà a non abbandonarsi allo spirito».

«È davvero posseduta?» gli chiese, sconvolta, osservando proprio la Succubus rialzarsi ed avvicinarsi lentamente al loro nemico. Per un istante le parve quasi che i suoi tratti fossero cambiati e che gli occhi neri si fossero trasformati in gemme verdi. «Ha richiamato Beatrice Vane?» aggiunse, completamente allibita. «Credevo che le possessioni fossero solo-».

«Una leggenda?» la interruppe proprio Malfoy, con un sorrisino. «Guardami, Granger, sono praticamente un morto vivente. Gli zombie come me secondo alcuni non dovrebbero esistere, sei certa di voler toccare il tasto della leggendarietà proprio adesso?».

«Cosa credi di ottenere?» stava chiedendo Sisifo, con un ringhio furioso, arretrando ad ogni passo che Kate stava facendo verso di lui. «Lei è morta, sua madre non potrà far nulla per riportarla indietro» aggiunse, senza tuttavia poter nascondere la nota di panico nella voce. C’era qualcosa nel suo modo di guardarsi intorno che fece accigliare Hermione. Se non avesse saputo che davanti a lei ci fosse Sisifo, avrebbe pensato solo e soltanto alla vecchia Winter, con la sua perenne paura di aver fatto la cosa sbagliata, di aver fatto del male a qualcuno che non lo meritava.

«Stellina, non ascoltarlo. Quel mostro ha sussurrato al tuo orecchio per così tanti anni ma tu sei sempre riuscita a mandarlo via» disse invece Beatrice, sfruttando il corpo di Kate per potersi avvicinare, per poterla guardare direttamente negli occhi. «Piccola mia, cosa ti hanno fatto?» la sua voce sembrò tremare come se fosse stata sull’orlo delle lacrime ed Hermione percepì distintamente il proprio cuore stringersi in una morsa. «Ricordi cosa facevamo quando venivi a trovarmi, nonostante i divieti di tuo padre?».

Sisifo strinse le labbra, impallidendo. Alle sue spalle, Fred si fermò di colpo, sbattendo un paio di volte le palpebre con aria particolarmente confusa. L’incantesimo stava perdendo i suoi effetti. «Non riuscirai a riportarla abbastanza indietro da riprendere il controllo di questo corpo! E per ogni istante che lo spirito passerà qui, tu sarai più debole, sciocca di una Succubusle rinfacciò urlando, completamente preso dal panico. Hermione non si lasciò prendere dall’entusiasmo e men che meno dal sollievo. Non aveva idea di cosa stesse succedendo ad Harry e non sapeva come aiutare Fred. Senza contare Malfoy ridotto a poco più di un cadavere che le restava accanto, completamente immobile.

«Winter, stellina, tu sei migliore di così, sei migliore di lui» rincarò la dose Beatrice. «Pensa a quei bambini che hai salvato, pensa a tutte quelle vite innocenti… Io ti ho vista, lo sai? Ti ho vista e sono stata così tanto fiera di te! Hai dimostrato di non essere come tuo padre, di essere diversa dal mostro che ti sta controllando» le mormorò, avanzando imperterrita e con un sorriso gentile a curvare le labbra deturpate di Kate. «Vuoi davvero lasciare che lui possa renderti ciò che non sei?».

«Cosa diavolo sta succedendo qui?» sbottò Fred, guardandosi intorno proprio mentre Sisifo si prendeva la testa fra le mani, ringhiando ed urlando a Winter di smetterla di combattere, perché tanto sarebbe stato tutto inutile, tanto niente l’avrebbe salvata. Come attirato da una calamita, gli occhi scuri di Fred si posarono dapprima su George, inginocchiato vicino alla porta per poter aiutare Barry a far riprendere Ophelia, poi immediatamente su Hermione, che non riuscì a trattenere un sorriso sollevato. «Quella è Winter?» chiese allora lui, sconvolto. «E cos’è successo a Kate? E… Merlino! Malfoy, ma tu sei morto?».

Accanto ad Hermione, Draco inspirò bruscamente, come a voler impedire a se stesso di fare qualcosa di molto stupido. «Potresti zittire il tuo fidanzato? Tutti gli sforzi di Kate rischiano di essere mandati al diavolo perché lui le sta distraendo» le chiese, indicando con un cenno proprio la Negromante, arretrata di tanti passi quanti Sisifo era avanzato. La confusione sembrava sparita dal suo volto, sostituita da rabbia cieca. «Maledizione, ha ripreso il controllo».

Anche Kate/Beatrice dovette realizzare quanto grave fosse diventata la loro situazione. «Stellina» ritentò infatti, guardandosi intorno alla ricerca disperata di un qualche appiglio, di un consiglio su cosa dire per riottenere ancora l’attenzione di una sempre più debole Winter. «Ti ricordi la notte della mia morte?» tentò allora, disperata. «Ricordi cosa successe?».

Sisifo si fermò, una smorfia addolorata sul viso. «Io ti ho uccisa» rispose, attirando nuovamente l’attenzione di tutti i presenti nella stanza. La sua voce era suonata strana, come se fossero state due persone a parlare e non una soltanto, quasi ci fosse stato un eco di sottofondo, molto più addolorato e disperato. Winter.

Kate/Beatrice scosse il capo, cercando nuovamente di sorridere. Le sue guance erano macchiate di lacrime rosse. «Non lo ricordi più, è per questo che lui riesce a controllarti così bene» la rassicurò, tornando ad avanzare. «Ricordati quella notte, stellina. Ricorda come Tiresias ti tenne stretta per impedirti di salvarmi. Ricorda come mi tagliò la gola e ti costrinse a bere il mio sangue. Ricorda il tuo dolore, Winter» insistette, alzando la voce nel momento in cui riuscì a raggiungere nuovamente il corpo di colei che era stata una collega ed amica di Hermione, afferrandola per le spalle e costringendola a guardarla in viso. «Ricorda come dovettero tenerti ferma, come dovettero imbavagliarti! Non lasciare che lo facciano ancora, piccola mia! Non lasciare che ti distruggano di nuovo».

Sisifo urlò con tutto il fiato che dovette trovare in corpo, prima di cadere in ginocchio ai piedi del corpo posseduto dalla madre di Winter. Stava piangendo, le spalle tremavano incontrollate a causa della forza dei singhiozzi ed Hermione, che non si era neppure resa conto di aver trattenuto il fiato, espirò lentamente.

«Mi dispiace, mamma. Mi dispiace così tanto» mormorò Winter – finalmente tornata se stessa, abbracciando le gambe di Kate come se fossero state il suo unico appiglio con la realtà. Guardando la Negromante, Hermione dovette concentrarsi per riuscire a scorgere i suoi veri tratti dietro quelli sfocati di Beatrice. Sembrava quasi che lo spirito avesse acquistato più forza dalla vittoria riportata contro Sisifo. C’era da preoccuparsi? Malfoy le aveva afferrato il braccio, quasi a volersi far forza e non la lasciò mai andare. Guardandolo meglio, Hermione notò quanto stesse iniziando a sembrare più morto di prima.

«Malfoy?».

«Kate sta morendo» fu tutto ciò che le disse, la voce ridotta ad un sussurro roco. «Sento la sua vita scivolare via. Se non lascerà andare Beatrice, la perderò per sempre».

Hermione non ebbe il tempo di rassicurarlo, di dirgli che sarebbe andato tutto bene, perché in quell’istante Fred urlò.

Alzati gli occhi, lei vide quasi a rallentatore Tiresias – lo stesso Tiresias di cui tutti sembravano essersi dimenticati, troppo presi da Sisifo e dal dramma che Kate aveva tentato di risolvere – estrarre una lama dalla schiena dell’uomo che probabilmente l’aveva amata di più in tutta la sua vita. Il Veggente era coperto del suo stesso sangue, a stento capace di reggersi in piedi, ma il sorriso vittorioso con cui lanciò la lama sporca nella grande vasca non permise a nessuno di dubitare quanto fosse soddisfatto.

Fred la guardò, un attimo prima di accasciarsi al suolo fra le urla di George e, sorprendentemente, di Hermione stessa. Non si era resa conto di aver aperto la bocca finché non cominciò a dolerle la gola e le gambe decisero di cedere all’improvviso, lasciandola cadere fra le braccia di Draco.

No, ti prego, no! Era tutto ciò cui riusciva a pensare, nella memoria impressa l’espressione vuota di Fred un attimo prima di cadere. Ti prego, non posso perdere anche lui.

«Niente potrà fermarci!» urlò Tiresias, aggrappandosi al bordo della vasca, per potersi reggere in piedi. Il contenuto iniziò a ribollire, cambiare colore ed emettere strani fumi nerastri. Kate sembrò tornare se stessa solo per un istante, l’orrore dipinto in viso. «Credevi di avercela fatta? Nessuno è più forte di noi, neppure tu! Ed i prossimi a morire saranno i tuoi stupidi genitori» sibilò, respirando a fatica. Hermione osservò la scena come se stesse accadendo tutto all’interno di un televisore, lontano da lei, lontano dal suo shock. Non si sentiva più le gambe. «Vieni, amore mio, dimostra a questi mortali la forza del nostro amore».

Con l’orrore di tutti – soprattutto di Kate, che non fece nulla per impedirlo – Winter si rialzò, sorridendo nello stesso inquietante modo che in poco tempo Hermione aveva imparato ad associare a Sisifo. La osservarono raddrizzare le spalle, sollevarsi e fare l’occhiolino alla Succubus, prima di darle le spalle ed incamminarsi verso la vasca. «Ce ne hai messo di tempo, Sisifo, stavo per perdere il controllo di me» disse all’amante immortale, raggiungendolo fino a mettersi alle sue spalle.

«Ah, io non ti abbandonerò mai» gli rispose proprio il Veggente, osservando con dolcezza il contenuto della vasca. «Poche gocce dovrebbero bastare e allora tu tornerai per sempre, amore mio» aggiunse, senza tuttavia voltarsi. Le sue mani accarezzarono le dita di Winter, strette sulle sue spalle con la dolcezza di un innamorato.

Kate sbatté le palpebre un paio di volte, prima di deglutire. Qualcosa di Beatrice ancora aleggiava su lei, ma sembrava quasi completamente scomparso. «L’immersione totale vi distruggerebbe entrambi» disse, con una nota d’avvertimento nella voce. «Non si torna indietro da lì, non resterà assolutamente nulla da salvare».

Tiresias la fissò come se fosse diventata pazza. «Grazie per il tuo aiuto, Succubus, ma sarai comunque la prima a morire» le disse, facendole l’occhiolino. «Coraggio, amore mio, è giunto il nostro momento».

Stranamente, Sisifo sorrise. Una lacrima scivolò sulla guancia pallida, mentre i suoi occhi si posavano lentamente su tutti gli occupanti la sala. «Sì, è giunto il nostro momento» confermò, la voce sicura ed in netto contrasto con la sua espressione. Anche Hermione notò il modo in cui le sue mani si strinsero di più sulle spalle del Veggente, che si irrigidì. «Il Nulla è meglio di tutto questo» aggiunse, lasciando che l’emozione iniziasse a trasparire. Anche nel suo stato quasi comatoso, Hermione capì. Winter inspirò per l’ultima volta, mentre l’orrore si dipingeva sul volto di Tiresias. «Mi dispiace».

Quando saltò, il tempo sembrò fermarsi per un lungo istante e poi esplodere come un nuovo, terrificante e sanguinario Big Bang.

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

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La sentite la marcia funebre?

 

Sono passati dieci mesi ed io sono arrivata all’ultimo capitolo. Se vogliamo essere precisi, ho già iniziato a scrivere l’Epilogo. Non mentirò, questa storia è stata molto più difficile del previsto ed ammetto di aver perso spesso e volentieri la mia ispirazione andando avanti, ma mi auguro comunque di avervi presentato una conclusione degna e sensata, soprattutto considerando i deliri a cui vi ho sottoposti.

Le morti non sono finite qui.

Rimando al prossimo capitolo per i ringraziamenti finali ed il discorso strappalacrime. Se comunque siete sopravvissuti a queste (circa) diecimila parole avete tutto il mio rispetto.

 

Punti importanti:

 

» * - “Eterno riposo dona loro o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace”. Una cosa delicata e adatta al capitolo

 

» 1 – Nott ha tante cose della sottoscritta, fra cui l’ansia, la passione per le pozioni ed il black humour. A lui non piace non avere idea di cosa stia facendo.

 

» 2 – Il Maine è uno stato degli USA, Theodore poverino non ha ben capito quale fra i cinquanta è quello di Barry. Diciamo pure che non è che gli importi particolarmente, quindi non si è neppure preso la briga di chiedere.

 

» 3 – Cosa avrà detto Nott alla lezione di Storia della Magia? È un segreto fra i quattro gatti che frequentavano la lezione, nessuno esterno saprà mai. L’idea di Theodore ed Hermione che condividono una specie di legame (non amicizia ma neppure reciproco odio) mi entusiasma particolarmente. Lui era il più brillante, subito dopo di lei.   

  

» 4 – Tipica frase da filmone americano su un attacco terroristico, lo so, ma in questo caso parlare di Olimpo di mi divertiva. Nello specifico si tratta della frase in codice che viene comunicata agli agenti sotto copertura ed ai sopravvissuti.  

 

» 5 – Diciamo pure che Nott Sr ha inventato un siero della fertilità super potente e che grazie a questo – di cui si è sempre rifiutato di condividere la ricetta – è riuscito a far nascere Theo. Fortunatamente è nato da un rapporto d’amore, altrimenti avremmo avuto Voldemort 2.0. Quando Voldy gli ha chiesto il siero per Bellatrix e RODOLPHUS (niente stronzata alla Delphini a casa mia!!!!!!) lui si è inizialmente rifiutato di collaborare.

 

» 6 – Nott Sr non ha voluto collaborare con Voldemort, all’inizio, ma è allora che Tiresias gli ha raccontato di cosa avrebbe fatto suo figlio con una Magonò, comprandosi il suo silenzio. Nott era consapevole che progenie di Bellatrix sarebbe stata solo un abominio, ma il terrore di cosa Beth avrebbe fatto a suo figlio l’ha fatto cedere. La pozione in cambio della promessa di uccidere la Magonò e far sopravvivere Theo.

 

» 7 – Avete presente la scena in cui Harry è a “King’s Cross” e si ritrova a guardare FetoVoldemort? Quella è l’anima di Voldemort bloccata nel Limbo. Kate nello scorso capitolo avrebbe anche potuto inciamparci sopra. Sostanzialmente la bambina è il motivo per cui Voldy non è finito all’inferno o, comunque, altrove.    

 

» 8 – Secondo anno, Club dei Duellanti di Allock, Harry “litiga” con Draco e si fa quattro chiacchiere con una vipera. Tutta la scuola ha scoperto che lui fosse rettilofono ma Theodore, che per natura se ne infischia dei pettegolezzi, non ci ha mai fatto caso. Per lui l’Erede di Serpeverde era solo una sciocchezza. Oltretutto sapeva che la linea di sangue di Salazar si fosse interrotta con i Gaunt.

 

» 9 – Riferimento ad “Animali Fantastici”, Newt ha conosciuto Credence ed io spero vivamente che lui sia sopravvissuto per fare altre quattro chiacchiere con il nostro adorato Magizoologo.

 

» 10 – Pseudo citazione da “Il Signore degli Anelli” in cui Harry è Gimli e Theodore è Legolas.

 

» 11 – Sì, per fare un salto nel Limbo Kate ha dovuto farsi quasi ammazzare. Draco non era proprio contento.

 

 

 

Mi dispiace, ma non è ancora finita.

Winter Vane resterà per sempre nel mio cuore come uno dei personaggi più sfortunati mai esistiti nella storia.

 

  

 

Manca solo l’Epilogo.

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

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Capitolo 34
*** Epilogo. ***


LErede del Male.


 

“[…] con ambedue le mani prese la polvere arsa,
la rovesciò sul capo, sporcando lo splendido viso,
e sulla veste fragrante cadde la cenere.
Lui stesso, grande disteso in mezzo alla polvere,
giaceva, e con le mani si sfigurava strappando i capelli
.”*.



[Iliade XVIII, 23-27; traduzione di Guido Paduano]

                                  

 

Epilogo.

 

 

 

Ginny Weasley si strinse di più nel suo cappotto, stando bene attenta a non prendere troppo freddo. Sua madre era stata molto chiara: le avrebbe consentito di partecipare alla cerimonia soltanto se le avesse giurato di non rischiare alcun tipo di malanno. A quel punto della gravidanza, dopo tutto il suo stress, sarebbe stato davvero troppo pericoloso per lei e per i bambini. A meno di due mesi dalla data del parto era sconsigliabile qualunque fonte di stress eccessivo ed un funerale era già un azzardo.

Poco lontano da lei, Rosemary tirò su col naso, stringendosi di più fra le braccia di Charlie ma con una mano stretta caparbiamente a quella di suo padre, fin troppo addolorato per potersi preoccupare di tener separati figlia e genero. Il Dottore, che Ginny sapeva fosse il responsabile della sopravvivenza di Hermione ai traumi della Guerra, aveva gli occhi arrossati ma non lucidi, il viso pallido e non rasato da un bel po’ di giorni. Il fascino trascurato che comunque riusciva ad emanare era offuscato dalle sue forti e tormentate emozioni. Era stato nominato nuovo Supervisore delle Banshee1, stando alle notizie che le erano giunte, ma non sembrava entusiasta.

Chi lo sarebbe stato, al posto suo?

A pochi passi di distanza da loro, il celebrante continuava a parlare ininterrotto, raccontando di quanto le vittime di quel terribile attacco fossero da considerare eroi, di quanto tutti le avrebbero dovute tenere nel proprio cuore, ringraziandole per il loro sacrificio.

Tutte cazzate, pensò lei cinicamente. Tra una settimana vi dimenticherete che siano mai esistite.

«Quante stronzate» sussurrò proprio il Dottor Crave, con una smorfia. «Le uniche persone che avrebbero dovuto essere qui sono da tutt’altra parte» aggiunse, socchiudendo gli occhi per poter sospirare. Lei sapeva che l’uomo aveva richiesto di rimandare i funerali ad un momento consono, in cui i sopravvissuti avrebbero avuto modo di partecipare e rendere i loro rispetti, ma la Confederazione non gli aveva dato ascolto. Via il dente, via il dolore, doveva essere stato il loro pensiero. Tanto più quei funerali sarebbero stati rimandati, tanto più difficilmente avrebbero potuto nascondere le tracce del disastro che loro avevano evitato.

«Sarebbero passati mesi, papà, lo sai anche tu» gli rispose Rose, sollevando il viso dal petto di Charlie il tanto necessario per potergli lanciare uno sguardo triste. «Ophelia sarà incatenata al letto fino al momento del parto, aspettare lei sarebbe stato deleterio per tutti» aggiunse, voltando gli occhi in direzione dell’unico uomo seduto in prima fila, coperto da un mantello nero e con una mano finta al posto della sinistra. Il suo uncino era stato perduto durante lo scontro finale e lui aveva deciso di non sostituirlo, almeno per il momento. «Almeno Barry è qui».

Crave sorrise leggermente, senza alcuna allegria. «Barry Maine non esiste più e non credo ritornerà mai. Quello lì? È solo un manichino conciato a dovere per portare a termine questa falsa. Non dubito che lui voglia solo tornare da sua moglie ed assicurarsi che almeno lei non gli svanisca fra le braccia».

«Sono certa che sia qui perché vuole, papà». Non sembrava che Rosemary fosse particolarmente convinta delle proprie parole. «Sta dicendo anche lui il suo addio, dopotutto. Da parte sua e da parte di Ophelia».

«Addio? Sono solo due bare vuote2, bambina. Due bare vuote ed un gruppo di persone che sono qui solo perché qualcuno ha detto loro che avrebbero fatto bene a presentarsi. Non c’è una sola persona che stia piangendo, guardati intorno». Con un gesto stanco, il Dottore si passò una mano sul viso, stropicciandosi gli occhi. «Il suo addio l’ha dato ieri, all’inceneritoio».

Ginny rabbrividì, sentendo quelle parole. George era andato ad assistere, preoccupato che nessuno volesse o potesse farlo. Audrey, Edelweiss3 e Percy lo avevano accompagnato, ma lui era stato costretto ad una uscita defilata dopo solo pochi minuti. Era stata la bambina a prendere per mano il gemello, osservando la scena che le si presentava davanti come se non fosse stata una macabra esibizione di eccessive precauzioni. Stando a quanto Perce le aveva detto, due agenti erano stati costretti a trattenere Barry Maine per evitare che fermasse le fiamme. In tre, invece, avevano dovuto impedire che Draco Malfoy balzasse sulla piattaforma e seguisse il corpo di Kate nel suo destino di cenere.

Il corpo di una Negromante è la più pericolosa delle armi, solo le fiamme potrebbero domarlo.

«La cerimonia è stata allestita soprattutto per Winter, però» notò Charlie, senza suonare molto convinto. «Anche lei meritava un addio, nonostante non ci sia alcun corpo».

«E sappiamo tutti che se non avessero messo in mezzo anche Kate, nessuno si sarebbe presentato» si intromise Ginny, secca. «Nessuno sarebbe venuto al funerale della figlia di Silas Mulciber, tantomeno i rappresentati del nostro Ministero».

Crave accennò un sorriso nella sua direzione, ma fu molto più simile ad una smorfia addolorata. «Avrei dovuto immaginare che ci fosse qualcosa in più in lei, se avessi saputo forse sarei riuscito ad aiutarla meglio. Ho passato quattro anni reprimendola, quando invece avrei potuto…».

Rose scosse il capo, mentre il celebrante alzava le mani affinché le due bare vuote potessero discendere nel terreno. C’erano già tue pietre tombali bianche alla testa delle due fosse, identiche nella forma. In fondo, avevano ricevuto l’onore di essere seppellite nel cimitero delle più alte personalità della Confederazione4, non c’era da pretendere che fossero differenti dalle centinaia di altre presenti.

Winter Vane, coraggiosa fino alla fine, recitava la prima, in una grafia elegantissima e circondata da delicati ghirigori. Era stata Hermione a scegliere la fotografia che svettava al centro, una delle poche in cui la ragazza era sorridente, apparentemente libera da qualunque male. Era una foto di Winter, non di Elladora: non c’era traccia dei capelli neri o degli occhi grigi di Mulciber, così come non c’era traccia della nera crudeltà con cui Sisifo, a detta di Barry, aveva invaso il suo sguardo.

Katrina Bell, amatissima figlia, recitava invece l’altra, molto meno delicata e priva di fotografie, ma coperta da molti più fiori di quanto non fosse la prima. L’incisione era stata scelta da Barry, ma non era stato lui ad opporsi alla scelta di una fotografia.

Kate non è mai stata fotografata, non da quando è diventata se stessa5.

Accanto al celebrante era apparso un uomo a Ginny completamente sconosciuto ma dal forte accento irlandese, con folti capelli biondi e grandi occhi verdi. Suo fratello, pensò, riuscendo appena a trattenere una smorfia disgustata. Lo stesso fratello che era sparito dalla vita di Katie ben prima dei suoi genitori e che si era sempre rifiutato anche solo di parlarle dal momento in cui era stata smistata a Grifondoro. Quel fratello era stato chiamato a prestare l’ultimo saluto, perché nessun altro se l’era sentita. Nessuno aveva pensato di conoscerla abbastanza bene da poterlo fare. Barry non lo stava guardando, ma non aveva neppure accennato a lamentarsi. Il suo sguardo era semplicemente puntato sulle due lapidi bianche, quasi sperasse di vederle frantumarsi all’improvviso.

Con un gesto delicato, Ginny si posò la mano sul ventre rigonfio, pregando mentalmente che i suoi figli si calmassero. Erano stati molti attivi nelle ultime settimane, forse in risposta a tutto il suo dolore. Lei era felicissima, naturalmente: erano stati loro l’unico appiglio che le aveva consentito di non crollare, di non lasciarsi andare sotto il peso di quanto era successo. Di non lasciarsi annegare nella disperazione.

«Mia sorella…».

«Mi da fastidio anche solo sentirlo parlare, quel figlio di puttana» sibilò il Dottore, pizzicandosi nervosamente la radice del naso. «Dopo essere arrivato a romperle il naso per evitare che facesse la spia ai loro genitori, ha anche l’ardire di venire e parlare al suo funerale! Se solo mi avessero lasciato organizzare questa pagliacciata, non l’avrei permesso» ringhiò, furioso, incurante di aver attirato gli sguardi confusi di molti dei presenti. Ginny ricordò improvvisamente quel primo di settembre del suo quinto anno, quando Katie si presentò a scuola con il naso tutto storto e chiese alla Chips di sistemarlo, lamentandosi di un incidente con la scopa.

Oh, Merlino.

Tutt’intorno a loro era riuscita a riconoscere tanti ex compagni di scuola, partendo da un distrutto Oliver Baston – fortunatamente non accompagnato da sua moglie6 – fino ad arrivare a Marcus Flint6, passando per tanti altri che avevano solo avuto modo di conoscere Katie superficialmente ma che avevano voluto comunque porgerle l’ultimo saluto. Nessuno di loro, neppure Oliver, l’avrebbe rimpianta davvero e certamente non per troppo tempo. Katie era riuscita ad annullare se stessa, negli ultimi anni, fino a diventare un semplice ricordo d’infanzia. Winter, invece, semplicemente era come se non fosse mai esistita, solo l’ultimo nome di un albero genealogico che aveva dato i natali a pazzi ed assassini.

Questo funerale è una sciocchezza.

Quando anche un cugino di quarto grado dei Mulciber prese la parola, lei decise di averne avute abbastanza. Con un gesto veloce si congedò dal fratello e dagli altri, tranquillizzandoli velocemente sul suo non aver bisogno di essere accompagnata. Aveva ancora l’autorizzazione a smaterializzarsi, a patto che non lo facesse mai per distanze eccessive e che non lo facesse troppo spesso. Buttarsi alle spalle la lunga distesa di tombe di Hero’s Tears e ritrovarsi all’ingresso del San Mungo non fu affatto difficile ma, anzi, ebbe un che di liberatorio. I corridoi dell’ospedale le erano familiari quasi come quelli della Tana e le infermiere avevano preso a sorriderle come se fossero state delle sorelle.

La stanza cui era diretta era l’ultima sulla sinistra nel lungo corridoio riservato alla lungodegenza. Era una stanza privata, su sua insistenza, così che potesse andare e venire a suo piacimento, senza le restrizioni che l’ospedale le avrebbe sicuramente imposto. Era un ambiente apparentemente più ampio rispetto alle altre stanze, ma si trattava più che altro di un’illusione dettata dal ristretto numero di letti presenti. Dove altrove se ne sarebbero potuti trovare quattro o cinque, lì ce n’erano solo due, di cui uno dotato di separatori verdi con fiorellini rosa. In quel letto, anche in quel momento, Hermione era intenta a fissare le pagine di un libro qualunque, illudendosi di star leggendo nonostante la sua mente fosse offuscata dai pensieri. Seduto accanto a lei, come sempre, Fred le accarezzava una spalla, fornendole il minimo conforto sufficiente affinché non si dimenticasse che lui fosse ancora lì, con lei. Nonostante fosse migliorata molto, dal suo risveglio, ancora la notte si svegliava in preda al terrore più cupo e più di una volta Fred stesso era stato costretto a restare al suo fianco, così che lei potesse trovarlo sano e salvo.

«Ciao, Gin» la salutò la sua migliore amica, mettendo fine a quella pagliacciata del libro e sorridendole stancamente. «La cerimonia è già finita?» le chiese, facendole cenno di avvicinarsi e di sedersi all’unica poltrona che le infermiere avevano portato nella stanza proprio per lei.

Anche Fred le sorrise, allungandosi per darle un leggero buffetto sulla guancia e poi una carezza sul ventre gonfio. «Spero tu non ti sia stancata troppo, la mamma potrebbe perdere la testa per la preoccupazione e tu ti ritroveresti in castigo come quando avevi cinque anni».

Scuotendo il capo, Ginny cercò di mostrarsi almeno un po’ più tranquilla di quanto in realtà non fosse. «No, ma quando hanno chiamato Liam Bell per ricordare Katie ho deciso che non ne valeva la pena. Avrei dovuto darvi ascolto e restare qui» ammise, sospirando. Si voltò un momento ad indicare il letto vuoto di Harry. «È andato da Ophelia? Credevo che avrebbe usato la sua unica ora d’aria per dopo il funerale, al ritorno di Barry. Soprattutto dopo quello che è successo ieri».

Hermione tremò visibilmente, facendola pentire di aver aperto bocca. Parlare del funerale davanti a lei non era certamente una buona idea. «Ha chiesto al medico uno strappo alla regola. Andrà comunque da Ophelia, ma ci andrà dopo» spiegò, mordendosi il labbro inferiore per aiutarsi a mantenere la calma. «Ieri, quando… quando Barry è tornato, lo abbiamo sentito crollare davanti a sua moglie» mormorò, asciugandosi una lacrima dalla guancia. «Lo abbiamo sentito piangere ed io… io non lo avevo mai sentito piangere» ammise, la voce ridotta ad un sussurro.

«Come dargli torto? George è stato sul punto di uscire e se non l’ha fatto è stato solo per Edelweiss» si intromise Fred, senza guardare la sorella negli occhi. Il suo sguardo era puntato al soffitto, le braccia incrociate al petto. Neppure lui era andato all’inceneritoio. «La bambina gli ha detto che Kate meritava che la sua famiglia le dicesse addio… anch’io sarei dovuto andare, ma l’idea di restare lì mentre…».

Ginny strinse per un istante le labbra, indecisa se chiedere o meno. Fra le persone informate dei fatti, Hermione e Fred erano quelli che più difficilmente le avrebbero dato dell’insensibile. «Ha urlato? Harry… Harry ha detto che aveva gli occhi aperti».

Fred rabbrividì, piegandosi in avanti per poggiare i gomiti sulle ginocchia e prendersi il viso fra le mani. «Capisci perché non sono potuto andare? Io… quando l’ho vista mi è sembrato quasi stesse per alzarsi da quel lettino e parlarmi. Non avrei sopportato di vederla bruciare, avrei dato di matto quasi quanto Malfoy».

«Era davvero l’unica via? Siete sicuri di non…» di non averla uccisa voi? Non riuscì a finire la frase, ma l’occhiata che Hermione le lanciò le fece comprendere che il messaggio fosse giunto a destinazione.

Fu proprio l’altra donna a parlare, dopo aver espirato dal naso. «Quando ci siamo svegliati dall’esplosione, Kate era…» alzò la mano per fare un gesto vago. «Non so spiegarlo, ma non sembrava più umana. I suoi occhi neri sembravano quasi brillare e la sua pelle era di un bianco ben più puro dell’avorio. Non ho mai visto una creatura più spaventosa e potente, credimi. Non c’era nulla della vecchia Katie lì, si era lasciata annientare per assorbire il potere emanato da Sisifo ed evitare che noi potessimo morire tutti nell’esplosione». Per un istante, Ginny la vide lanciare un’occhiata pensierosa in giro, quasi avesse temuto che qualcuno potesse balzar fuori per impedirle di parlare. «Non era da sola. Al suo fianco c’era qualcuno. Non avevo idea di chi fosse ma era così… così bello, Gin. La creatura più bella che avessi mai visto, con capelli bianchissimi e grandi ali nere. Ha preso Kate fra le braccia e l’ha stretta con così tanta delicatezza…».

Ginny si accigliò, curiosa. Harry non le aveva dato dettagli, lui era stato ritrovato molto dopo, quando le Banshee avevano ben pensato di cercare sotto le macerie che l’esplosione dell’Obscurus aveva provocato. Lui e Nott erano sopravvissuti per miracolo, incastrati sotto strati e strati di pietre e colonne che avevano fornito loro un provvidenziale rifugio. Erano entrambi malridotti ma fortunatamente ancora vivi. Ginny non avrebbe mai smesso di ringraziare per la sua fortuna sfacciata. Dover lasciare che lui restasse in osservazione per un mesetto era il minore dei mali. «Chi era? L’avete scoperto? Gli angeli non esistono, Hermione».

Fred accennò un sorriso, scuotendo leggermente il capo. «Lo sappiamo, sorellina» la rassicurò, grattandosi la fronte aggrottata. «Ma se già ti senti scettica, è inutile che Hermione continui. Questa storia è piuttosto irreale, devi avere una mente aperta ed essere certa che nessuno di noi due potrebbe mai mentirti al riguardo».

Le premesse non erano certo delle migliori.

«Da sola, Kate si sarebbe immediatamente ridotta ad un guscio vuoto, dopo aver assorbito il contraccolpo dell’esplosione causata da Winnie» spiegò la donna, stringendo per un istante le labbra. «È stata aiutata dall’unica creatura che avrebbe potuto ridarle abbastanza stabilità da tornare indietro e dare i suoi addii. L’unica creatura che non potrebbe mai risentire del potere della morte perché, in fondo, è essa stessa morte, il Capostipite di tutti i negromanti» riprese, lanciando a Ginny un’occhiata che sembrò promettere follie d’ogni tipo. «Sto parlando di Thanatos, il dio della Morte. So che ti sembrerà ridicolo ed assurdo ed ogni altra cosa che ti verrà in mente, potrò anche trovarti delle vere prove dopo, ma per adesso ti posso garantire che sia la verità. Lui era lì per Kate».

Quelle erano… informazioni ben più folli di quanto Ginny non avesse messo in conto ed in qualunque altro istante avrebbe riso e cercato di far confessare loro lo scherzo. Purtroppo, però, Fred non sembrava in vena di scherzi ed Hermione non lo era mai stata, non per le questioni davvero serie. Qualcosa le suggeriva che fare ironia sul sacrificio di una sua cara amica non fosse proprio nel suo stile. Con un certo sforzo, allora, si costrinse ad annuire ed assorbire, per quanto parzialmente, quell’informazione. «Se davvero era il dio della Morte… perché Kate alla fine è morta lo stesso? Hai detto che l’ha riportata indietro».

«Il suo danno era troppo grave» spiegò, Fred, la voce ridotta ad un sussurro. «La sua anima era già indebolita per aver resuscitato prima me e poi parzialmente Malfoy, aver riportato indietro lo spirito della madre di Winter le ha dato il colpo di grazia. La sua… essenza? Sì, credo di poterla definire così, la sua essenza si è consumata, è diventata così debole da non avere più potere sul suo corpo. Era letteralmente più morta che viva, nonostante il suo corpo fosse intatto». Hermione si allungò per stringergli la mano e dargli coraggio. Non tentò di sorridere, ma riuscì comunque ad infondergli un po’ di tranquillità.

«La sua anima era in agonia. Quando la Morte l’ha riportata indietro, la prima cosa che ha fatto è stata urlare» si intromise Hermione, con una smorfia. Le sue braccia nude erano ricoperte da pelle d’oca, il suo sguardo vacuo. 

«Il suo dolore era terribile» mormorò Fred. «Io ero legato a lei, sentivo… sentivo la sua agonia come un dolore nel petto. Era solo un’eco ma… era così nitido, Ginny, come se l’avessi vissuto io stesso ma tanto tempo fa, come se lo stessi ricordando. Era come se qualcuno la stesse spellando viva, gettando acido sulla sua carne scoperta».

Ginny avrebbe potuto tentare di immaginare cosa potesse voler dire, ma il movimento dei suoi bambini nel ventre la fermò. La sua priorità era mantenere il pieno controllo sulle sue emozioni, così da non metterli a rischio, non più. «Credevo che tu fossi… beh, incosciente». Quella era stata la versione che il Dottor Crave le aveva riferito, quantomeno, quando era giunto alla Tana per portare notizia alla famiglia.

Fred accennò un sorriso senza ilarità. «Io ero morto, Ginny. Mi sono risvegliato percependo questa terribile sensazione, abbastanza forte da farmi vomitare anche il pranzo di Natale di sei anni fa» le disse, fermandosi un istante per deglutire e riprendere fiato. «Ero morto di nuovo, eppure ero improvvisamente tornato in vita e non sapevo perché».

«Anche Malfoy era morto. Anche il bambino di Ophelia» si intromise Hermione. «Anch’io ero morta, perché troppo vicina all’esplosione. Eppure ero di nuovo lì, a guardare Thanatos negli occhi ed a sentire le urla disperate di Kate».

«È stato lui?».

Fred singhiozzò, una mano a coprirgli il viso. Ginny si sentì morire all’idea di ciò che la sua famiglia avrebbe passato se nessuno di loro fosse ritornato. «È stata lei, Ginny. Thanatos ha detto che… che lei ha voluto riportarci tutti indietro».

«Non sappiamo perché, non sappiamo come. Il dio della Morte ci ha solo detto che la sua bambina ha sacrificato ogni sua speranza per dare a noi una nuova possibilità e che avremmo fatto bene a vivere ciò che ci restava al meglio, per onorare i suoi desideri», Hermione strinse di più la presa su Fred, voltandosi per un istante verso la porta. «Lui ci avrebbe lasciati marcire tutti per essere stati così inutili. Se siamo qui, è solo grazie a Kate».

«Ma… come? Perché? Cos’è successo dopo?».

«Ha fatto qualcosa per calmare Kate, le ha dato un paio di minuti per porgere i suoi saluti. Non ho idea di cosa abbia detto a Barry ed Ophelia, so solo che lei ha perso di nuovo i sensi e lui… credo sia morto un po’. Non ha più detto una parola a nessuno, se non a sua moglie e… beh, a Malfoy» spiegò velocemente lei, allungando la mano libera per prendere quella di Ginny. «Quando poi lei si è voltata verso Draco… oh, Gin, credo che lui fosse certo che sarebbe morto con lei. Le ha sorriso così dolcemente, non sembrava neppure lui. Ma lei lo ha baciato e lui…».

Un campanello d’allarme risuonò nella mente di Ginny. «Tu sei stata ricoverata per l’intossicazione per l’eccessiva esposizione al veleno del ragno. Harry perché non c’era un solo osso integro nel suo corpo. Ophelia è in condizioni fin troppo delicate. Ma Malfoy…» deglutì, guardando in viso il fratello e l’amica. «Ha tentato di suicidarsi, non è vero?».

«Il legame che lo univa a Kate era ben più forte di quello che la legava a me. Se esistessero delle anime gemelle, probabilmente loro lo sarebbero state. Quando ha capito che lei non lo avrebbe portato con sé ha perso la testa, ha tentato di usare la Maledizione che Uccide su se stesso, poi ha provato a pugnalarsi. È stato Barry a tirarlo via, gli ha detto che avrebbe dovuto prendersi cura del corpo di Kate».

«Per questo non è uscito dalla camera ardente per settimane».

Hermione annuì. «Dopo ieri… lo hanno dovuto placcare in tre. Harry ha pensato di raggiungerlo e assicurarsi che non faccia sciocchezze. Se c’è qualcuno che ha imparato a trattare con il lutto, quello è lui».

Nonostante fosse ancora piuttosto piena di domande, Ginny annuì.

Portandosi una mano al ventre, sentì il piccolo Sirius fare le capriole, spingendo anche sua sorella a muoversi.

Erano tutti vivi e lei non avrebbe mai smesso di ringraziare Katie Bell per questo.

 

***

 

«Non è un buon posto per pensare, questo».

Con una certa difficoltà, Draco trovò la forza di voltarsi e guardare Potter negli occhi per una totalità di tre secondi, per poi tornare a concentrarsi sulla piccola tomba davanti a lui. Era seduto lì da prima dell’alba e, guardandosi intorno, si rese conto che fosse ormai quasi il tramonto. Non si scomodò a stiracchiarsi, non aveva dubbi che braccia e gambe fossero intorpidite.

«Questa è proprietà privata, Potter» commentò, mentre l’altro si sedeva al suo fianco, senza neppure chiedergli il permesso, proprio come il villano che lui aveva sempre saputo fosse. Non si cresce fra i babbani senza risentire della loro pessima educazione, pensò, senza tuttavia esternare l’insulto ad alta voce. Non ne valeva la pena. «Come facevi a sapere che mi avresti trovato qui?».

Lui gli dedicò un’occhiata esasperata. «Non saresti mai andato al funerale di una bara vuota ed il dottor Crave mi ha detto che le ceneri di Kate sono sparite dal suo laboratorio. Eri tu a dire che lei avrebbe dovuto riposare nel suo giusto posto e non in un vaso su una mensola» gli disse, alzando gli occhi al cielo. Anche lui, poi, guardò la piccola pietra tombale davanti a lui. «Sono contento che tu l’abbia portata via, comunque. Non sono certo che la sua promessa di non usarla per esperimenti potesse essere considerata affidabile».

Una morsa gelida strinse lo stomaco di Draco, facendogli venire il voltastomaco. Se avesse mangiato qualcosa, negli ultimi due giorni, avrebbe certamente vomitato anche l’anima. «Non era il suo posto. Lei deve stare qui, con me».

Potter si guardò intorno, curioso. «Non avrei mai pensato di mettere piede nel mausoleo dei Malfoy, tantomeno non senza un mandato di perquisizione» ammise, arricciando il naso alla vista dell’appariscente catafalco del prozio Herbert, decorato con bassorilievi erotici per commemorare le sue innumerevoli storie d’amore. Il prozio Herbert era sempre stato un po’ particolare. «Non sono certo che lei avrebbe apprezzato la compagnia».

Draco gli lanciò un’occhiata storta, senza prestargli troppa attenzione. La sua mano si allungò per sfiorare leggermente le parole incise nel marmo. «Tutti i Malfoy riposano qui, anche i miei genitori. Anch’io resterò qui, presto o tardi. È il nostro posto ed il suo è accanto a me. Sarebbe diventata la moglie di Lord Malfoy, come tale dovrà riposare».

Potter strinse le labbra ma, alla fine, annuì. «Ophelia mi ha spiegato qualcosa al riguardo. Per quanto irreale, immagino che tu abbia i tuoi motivi per parlare così» disse, passandosi distrattamente una mano fra i capelli. «Era proprio necessario quel nome? Non eravate certo sposati».

Le dita di Draco ebbero uno spasmo, ancora posate sulle lettere dorate dell’incisione.

Kate Malfoy

13/02/1979 – 26/03/2002

Nella morte ha trovato il suo trionfo.

«Katie Bell è morta in una caverna in Romania7» spiegò, ritirando la mano e nascondendola in grembo, come se si fosse scottato. «Nel momento in cui è rinata, lei è stata mia, come io sono stato suo. Sono stato io a trovarle il suo nuovo nome ed io mi ero ripromesso di darle un nuovo cognome, di… di riabilitarci entrambi ed avere una lunga vita insieme». Si rese conto di aver iniziato a piangere solo quando una lacrima lasciò la sua guancia, infrangendosi al suolo. «Merlino, guardare Ophelia mi aveva anche fatto pensare che un giorno avremmo avuto dei bambini e che saremmo stati dei genitori migliori dei nostri. Sono stato un idiota».

Sorprendentemente, non scansò via la mano di Potter quando lui la posò sulla sua spalla. «Non idiota, solo umano. Non c’è nulla di male in questo. Come non c’è nulla di male nel soffrire come cani nell’essere lasciati qui, vivi, mentre chi amiamo non ce l’ha fatta».

Con un gesto disperato, Draco si prese la testa fra le mani. «Avrebbe potuto sopravvivere, Potter. Suo padre avrebbe potuto aiutarla, se lei non si fosse consumata per riportarci tutti indietro. Ha detto che non poteva permettere che tutti noi morissimo per un errore della sua famiglia» sputò, sentendo l’odio verso Thanatos, Eros, Sisifo e tutti gli altri dannati mostri della sua vita crescere dentro di sé. Kate si era sacrificata perché non poteva permettere che qualcun altro pagasse per gli errori della sua famiglia.

«Sei… sei sicuro che sia quello il motivo?» gli chiese Potter, suonando improvvisamente indeciso. «Perché tu eri fra i morti, Malfoy. Per sopravvivere, lei non avrebbe potuto riportarti indietro e di certo non avresti voluto continuare ad andare avanti come uno zombie» gli fece notare, parlando lentamente. «Hermione, nonostante tutto, era sua amica, Fred era praticamente un fratello. Quanto al figlio di mia cugina…» accennò un lieve sorriso, triste al pensiero delle pene che Ophelia stava attraversando per sfruttare al meglio la seconda possibilità ottenuta. «Credi che avrebbe mai accettato che qualcuno di voi potesse morire?».

Draco restò in silenzio. Ovviamente aveva pensato a quella possibilità, faceva solo troppo male per poterla considerare reale. «Lei aveva già deciso che sarebbe morta» ammise, con un filo di voce. «Dal momento stesso in cui mi ha parzialmente riportato indietro, lei… lei aveva deciso che non sarebbe più uscita da quella stanza».

«Grifondoro, coraggiosi fino alla stupidità, disposti a sacrificare tutto per il bene altrui». Potter gli strinse più forte la mano sulla spalla, allungandogli un fazzolettino. «Sarò sempre in debito con tutte le persone che si sono sacrificate per me, partendo dai miei genitori ed arrivando anche a Ron, ma…» scosse il capo, sospirando. «Non li perdonerò mai per avermi reso un sopravvissuto. Chi muore smette di soffrire, chi resta… chi resta soffre anche per loro».

Draco singhiozzò più forte. «Come fai a sopportarlo? Come? Ogni respiro è come una pugnalata, non vorrei far altro che porre fine a tutto e raggiungerla». Alzò lo sguardo cristallino in quello verde di lui, distrutto. «Come posso sopravvivere se ogni cellula del mio corpo mi sta supplicando di morire?».

«Devi ricordare a te stesso perché chi ami ha dato la vita. Devi ricordarlo e vivere per evitare che la loro morte sia stata inutile» gli rispose lui, guardando la pietra tombale con un leggero sorriso. «È difficile, lo so, ma tu dovrai stringere i denti ed andare avanti. Quando vi rivedrete, non dovrai darle motivo di essere arrabbiata con te per aver sprecato il suo dono. È un modo di onorarla, in un certo senso, di portarle rispetto. Sirius è morto come un fuorilegge, ma io sono riuscito a rendere nota la verità. Remus è morto dopo una vita trascorsa da reietto, io sono riuscito a fargli ottenere l’Ordine di Merlino postumo8, così che suo figlio possa sempre essere fiero di lui» spiegò, tornando a guardarlo. «Kate è morta da eroina, ma nessuno, se non noi, terrà il suo ricordo nel cuore. Lei non è stata mai amata in vita, non davvero… quale potrebbe essere il miglior modo di ripagarla, se non ricordarla?».

Draco si passò la mano fra i capelli, accettando il dannato fazzolettino che lui gli stava ancora porgendo. «Vivrò una vita a metà, lei lo sa. Avrebbe potuto portarmi con lei, sarebbe morta comunque e saremmo stati insieme. Ophelia non avrebbe mai permesso che venisse dimenticata».

«Ma chi si sarebbe ricordato di te?». Potter inarcò le sopracciglia. «Non prendertela, Malfoy, ma non sei esattamente la nostra persona preferita. Non hai fatto nulla di buono nella tua vita, nulla per cui qualcuno potrebbe volerti ricordare. Non pensi che lei abbia preferito darti la possibilità di realizzarti, prima di passare oltre?». Stranamente, Potter trovò il coraggio di sorridere. «Oppure, semplicemente, ha voluto farti un dispetto. Sapeva che saresti stato estremamente infastidito».

Un’immagine di Kate intenta a ridergli in faccia lo fece sorridere fra le lacrime. «Scommetto che è questo il motivo» rimbeccò l’altro, sentendo il petto dolere a causa della risata. Gli faceva male, sembrava che il suo corpo si stesse ribellando a quella ridicola ilarità. Avrebbe dovuto vergognarsi di se stesso. «Credo abbia avuto motivazioni meno nobili, però» ammise, sollevando gli occhi sulla lapide. «Qualcuno dovrà far attenzione che nessuno metta le mani sulle sue ceneri. Ophelia e Barry non avrebbero mai capito i danni che quelle potrebbero provocare, nelle mani sbagliate. I negromanti possono essere più pericolosi da morti che da vivi. E comunque non l’avrebbero mai seppellita con il suo nuovo nome, tutti avrebbero saputo chi era lei e cos’era. Così, invece, non è nulla più di una giovane donna sposata all’ultimo dei Malfoy».

«Immagino che questo segreto dovrà morire con noi due» convenne Potter, dimostrando d’essere meno tardo di quanto Kate avesse tentato di fargli credere. «Non è detto che sarai l’ultimo dei Malfoy, Draco. Potresti innamorarti di nuovo».

Draco sorrise, senza allegria. «No, non accadrà, la mia linea di sangue morirà con me e, quando anche io morirò, farò in modo che le mie ceneri vengano mescolate alle sue9, così che nessuno possa più distinguerci ed usarla per scopi che lei non avrebbe supportato». Sospirò, sentendo un peso sollevarsi dal suo petto. Aveva bisogno di dire quelle parole ad alta voce, far sapere a qualcun altro quanto immenso fosse il suo legame con Kate. «Saremo di nuovo insieme, per sempre».

«È per questo che hai tentato di seguirla sulla pira, non è vero? Non perché il suo corpo era ancora vivo e non volevi che la bruciassero10». Convenne Harry, annuendo leggermente. «Hai deciso che saresti bruciato con lei nel momento stesso in cui ti ha detto addio».

«Il mio piano non ha funzionato bene, però» convenne Draco, scuotendo il capo. «E Maine ha minacciato di andare a cercare un altro negromante per farmi riportare di nuovo in vita». Si voltò a guardare Potter, con un sospiro. «Immagino che mi toccherà aspettare ed assicurarmi che le buone azioni della mia Kate non vadano sprecate» realizzò, scuotendo il capo. «Non prendertela quando sarò io il padrino del figlio di Maine e Ophelia. O quando mi farò nominare testimone di nozze dalla Granger e Weasley. Non permetterò a nessuno di loro di fare cazzate e farmi fare una cattiva figura una volta che tornerò davanti a lei. I Malfoy non fanno mai cattiva figura».

Potter inarcò le sopracciglia, forse perché lui lo aveva praticamente sfidato. «È incredibile, hai trasformato un progetto di vita estremamente altruista in qualcosa di egoista. Sono strabiliato».

«È un talento raro, sei troppo tardo per capire, Potter».

Piuttosto che lanciargli contro una maledizione, come avrebbe fatto mesi prima, Potter alzò gli occhi al cielo e, a fatica, si rialzò. Doveva essere ancora dolorante. «Ti lascio venti minuti, Malfoy, poi ti voglio fuori di qui. La mia copertura con la caposala non sarà eterna e se non tornerai presto credo che manderanno mezzo ospedale a cercarti» lo avvisò, esasperato.

«Non fare il precisino, Potter, non ti si addice».

«Va’ al diavolo, Malfoy».

 

 

Nelle ombre, una figura accennò un lievissimo sorriso nello scrutare i due uomini battibeccare. Il suo tempo in quel mondo era scaduto, ma uno strappo alla regola, alla fine, le era stato comunque concesso.

«Ti amerà per sempre, ma riuscirà ad andare avanti» la avvisò la figura alla sua sinistra, posandole una mano sulla spalla proprio mentre le ali bianche e dorate li avvolgevano entrambi, spingendoli a ritirarsi fra le tenebre, diretti in un luogo in cui sarebbero stati insieme, felici. Un luogo in cui lei lo avrebbe aspettato. «Non devi preoccuparti per lui, bambina mia».

«Oh, adesso lo so».

Andava tutto bene.

 

 

 

 

» Marnie’s Corner

 

Bentrovati e bentornati, cari amici di EFP!

 

Prima di tutto, ho una pagina facebook! Seguitemi per futuri aggiornamenti!

 

 

È finita.

 

È la terza volta che, nella mia carriera su EFP, mi ritrovo a tirar fuori quelle due paroline in conclusione di una long.

Non vi mentirò, finché non ho riletto questo capitolo per inserire le note e correggere quanto più possibile non mi sono sentita soddisfatta. Credevo che l’Epilogo non fosse adatto, che non fosse capace di dare una giusta conclusione a tutte le vite che si sono intrecciate in questi trentatré capitoli + 1 (numero assolutamente casuale, non ho di certo fatto capitoli più lunghi per avere lo stesso numero finale dell’Inferno dantesco, non sono certo così psicopatica…), ma, alla fine, credo di potermi dire soddisfatta.

No, non c’è stata una strage, addirittura è tornata in vita gente che era già morta. La verità, nonostante le battutine fatte con vari recensori, è che io non ho nulla di Martin, non mi piace uccidere per il solo gusto di farlo e, se possibile, sono un’amante dell’happy ending. Kate e Winter non avrebbero mai avuto un vero lieto fine diverso dalla sorte che è toccata loro, quindi, in un certo senso, credo di poter dire che è bene ciò che finisce bene. Soffriranno tutti, ma sarà una sofferenza che con il tempo diverrà sopportabile, pur senza sparire.

Adesso che sono sul punto di cliccare su quel “completa”, credo di riuscire finalmente a sentire quell’attaccamento emotivo alla storia che fino ad ora non ho mai percepito. Ho sempre fatto paragoni con Lo Specchio, perché quella era la mia prima long, ma mi sono resa conto di aver sempre sbagliato. Storie diverse, situazioni diverse, emozioni diverse. Sono maturata molto con questa storia, ho approfondito questioni che non avevo mai considerato prima e di questo sono estremamente fiera. La mia storia non è perfetta e non credo che, con tutte le possibili correzioni, potrebbe diventarlo. La mia più grande speranza è che sia riuscita a suscitare emozioni in almeno una persona oltre me, così che io possa sentirmi soddisfatta.

Vorrei davvero ringraziare tutte le persone che, in questi dieci mesi, mi hanno aiutata a scrivere. Tutti voi che avete anche solo letto mi avete dato uno stimolo in più a continuare, quindi anche voi siete compresi nel gruppo. Non smetterò mai di sentirmi estremamente grata ed entusiasta del vostro supporto.

Grazie.

L’ultima volta ho fatto un pippone assurdo con i miei ringraziamenti ed anche questa volta rischio di ripetere me stessa, quindi credo che mi fermerò qui. Dopotutto, cosa potrei fare più che ringraziare? Ubriacarvi di parole non mi pare corretto, non dopo trentaquattro capitoli.

Grazie davvero, per tutto.

Ah, dopo le note non perdetevi il “cos’è successo dopo?”. Mi piace dare altre informazioni inutili, lo sapete!

 

Punti importanti:

 

» * - Chi mi conosce dai tempi de “Lo Specchio” SA del mio amore infinito per Patroclo e Achille. Lasciate che i miei bambini siano gay in pace, dico io. Dovevo usarli anche qui, per il gran finale. In questo caso, abbiamo un Draco/Achille ed una Patroclo/Kate. Ahahaha adesso mi viene da piangere.

 

» 1 – Credevate che le Banshee si fossero sciolte? Assolutamente no. La Confederazione si è sbrigata ad affidare la loro riorganizzazione al Dottore, che invece avrebbe voluto ritirarsi. Il senso del dovere ha vinto su tutto (soprattutto perché non gli avrebbero mai permesso di esercitare la sua professione in pace, altrimenti).

 

» 2 – Perché vuote? Come avete probabilmente letto o leggerete, Kate è stata bruciata, mentre Winter è finita nel calderone e di lei non è rimasto assolutamente nulla.

 

» 3 – Voi direte “chi è lo psicopatico che porta una bambina tanto piccola in quel postaccio?”, ed vi risponderò “lo psicopatico che si è sentito svegliare nel cuore della notte con suddetta bambina che descriveva dettagliatamente l’incenerimento di un cadavere”. Non c’è nulla che turba Edelweiss, perché lei ha già visto tutto. Provate a farle un regalo di Natale!   

  

» 4 – Mi sono ispirata al cimitero di Arlington, negli Stati Uniti. Credo esista un luogo in cui le più alte cariche vengono seppellite, così che possano essere ricordate. Ovviamente Silente è stato un’eccezione.   

 

» 5 – In che senso? Kate è diventata Kate dopo la sua avventura in Romania con Draco, a partire dal capitolo 17. Prima d’allora non era se stessa, quindi le foto erano di Katie Bell, non di Kate.

 

» 6 – PERDONAMI OLIVER PER AVERTI FATTO DIVENTARE LO STRONZO CHE SI SPOSA UNA SETTIMANA DOPO LA MORTE DELLA SUA EX. PERDONAMI. Ah, nella mia visione contorta, Katie e Marcus Flint sono diventati amici una volta che lui ha finito la scuola. Come mai? Boh. IO DEVO SCRIVERE QUALCOSA DI FELICE PER OLIVER PER FARMI PERDONARE, IL MIO CUORE NON CE LA FA.

 

» 7 – Sempre collegamento al capitolo 17.    

 

» 8 – Mi rifiuto di credere che Remus, Tonks e, nel caso della mia fan fiction, Ron non abbiano ricevuto l’Ordine di Merlino postumo. Mi rifiuto. L’hanno dato a Codaliscia, per amor di Dio.

 

» 9 – Altro riferimento a Patroclo e Ulisse perché io faccio schifo e ancora piango dietro quei due adorabili innamorati che hanno sofferto tanto.

 

» 10 – Si fa spesso riferimento al fatto che Kate sia stata bruciata da viva. Il suo corpo era vivo. Vivissimo. Ma era vuoto. Non c’era un’anima dentro, non c’era assolutamente nulla. In casa non c’era nessuno, per dirla semplicemente. Non potendo lasciare che il suo corpo restasse così e deperisse lentamente, dopo circa un mese dall’esplosione (che è il tempo trascorso dall’ultimo capitolo) è stata bruciata e le sue ceneri portate via, perché parecchio pericolose.

 

» Voglio sottolineare una cosa. Avrete notato che il capitolo sia incentrato soprattutto su Kate e sul segno che lei ha lasciato. Perché? Perché Winter è sempre stata un fantasma. Anche Draco che è suo cugino non ha mai avuto un gran rapporto con lei, quindi non sente la sua mancanza quanto invece potrebbe sentire quella di Katie. Chi ha sofferto di più è anche chi verrà ricordato di meno. La vita è ingiusta.

 

» Sì, alla fine ci sono Kate ed Eros che finalmente si sono incontrati e stanno tenendo d’occhio Draco ed Harry. Kate è molto felice del nome che lui ha usato per la lapide.

 

Cosa è successo dopo l’epilogo?

 

» Harry ha iniziato la sua terapia con il Dottore e, per quanto possibile, ha finalmente superato molti dei suoi traumi, ovviamente dandosi il tempo necessario. Lui e Ginny hanno avuto due gemelli: Sirius James e Lily Kate. Inutile dirvi che, alla fine, Draco è diventato il padrino di Lily e che ha passato tutta la sua vita a viziarla da far schifo. Sirius, invece, è il figlioccio di Hermione e Fred. Harry e Ginny si sono sposati tre mesi dalla nascita dei loro bambini. Anni dopo hanno avuto un altro figlio, Ronald Harry. Sirius e Ron saranno Grifondoro, Lily – con immenso gaudio del suo padrino – sarà una Serpeverde.

 

» Hermione e Fred hanno dovuto aspettare un po’ di tempo prima di riprendere dall’inizio la loro storia d’amore ma, dopo un paio d’anni, si sono sposati. Hanno avuto un solo figlio, Andrew Arthur, che sarà un Corvonero ed il miglior battitore che la squadra abbia avuto da tempi immemori, oltre che il più gran burlone dai tempi dei gemelli (con suo cugino Fred Jr). Il professor Vitious è al tempo stesso deliziato e distrutto dall’averlo nella sua Casata.

 

» Ophelia e Barry avranno due figli: James (figlioccio di Draco, perché quel compito sarebbe dovuto spettare a Kate) e Winter (la più piccola, figlioccia di Harry) . Harry non chiamerà suo figlio James per lasciare a Philly quella possibilità, memore della sua visione. Entrambi saranno dei Grifondoro. Perché non hanno chiamato la bambina come Kate? Perché per loro lei era loro figlia, voi dareste alla sorellina lo stesso nome? Naturalmente nessuno di loro ha mai smesso di soffrire ed entrambi faranno visita alla tomba vuota almeno una volta al mese, per il resto delle loro vite.

 

» Draco non si sposerà mai ma si innamorerà perdutamente (in senso platonico) della sua figlioccia e tratterà James come se fosse un figlio. Sarà l’ultimo dei Malfoy e alla fine, dopo tanti anni, si ricongiungerà con Kate.

  

» Theodore e Beth si sposeranno qualche mese dopo la morte del padre di lui, per la quale Theodore non soffrirà affatto. Avranno quattro figli, tre femmine (Avery, Rosalinde e Jacqueline) ed un maschio (Maximilian). Avery e Max saranno Serpeverde, Rosalinde sarà Tassorosso e Jacqueline Corvonero.

 

» Gossip time: Sirius e James saranno i migliori amici per eccellenza. L’incubo della scuola e della preside McGranitt. Neville arriverà spesso a minacciarli di rinchiuderli nella serra delle Mandragole, tanto sarà sfinito.

 

 

Adesso è davvero finita.

Grazie a tutti.  

  

 Non faccio promesse su un possibile ritorno, ma tenete gli occhi aperti!

 

 

Per altre comunicazioni/anticipazioni/esaurimenti nervosi, vi aspetto su facebook!

 

 

Grazie ancora a chiunque leggerà,

-Marnie

 

 

 

 

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